Il nome di ogni tua emozione. di misslittlesun95 (/viewuser.php?uid=133210)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo. ***
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Il
nome di ogni tua emozione
Prologo
Roma,
autunno 2013
Lui
la guardò sorridendo.
- Come ti chiami?-
- Sabina.-
-
Sabina? Proprio senza la r?-
- Sabina-proprio-senza-la-r. E tu?-
-
Ivano.-
- Ivano? Proprio con la o?-
-
Ivano-proprio-con-la-o.-
Era scoppiata a ridere, e lui aveva
notato che aveva un bellissimo sorriso.
Solo più tardi avrebbe
scoperto che quel sorriso era sempre più raro.
Ma a quel punto
aveva già deciso; per tutto il tempo possibile lo avrebbe
voluto al
suo fianco.
Capitolo
primo
“Noi
cercheremo l'amore altrove,
solo una cosa rimane sicura,
ognuno avrà la propria vita
e
proprio questo fa paura.”
L'amore
altrove – Amoroso/Renga
Roma,
agosto 2015
Quel
tempo era d'improvviso finito appena dopo gli esami di
maturità,
quando lei gli aveva detto che voleva andare da suo padre in montagna
almeno una o due settimane per poi tornare a Roma e ricominciare da
zero ancora una volta, escludendo tutto quello che aveva fatto parte
della sua vita nei due anni precedenti.
Lui compreso.
Ivano
aveva accettato passivamente la sua decisione, forse perché
in fondo
al cuore aveva sempre saputo che Sabina non era fatta per restare,
che era nata per scappare da qualcosa continuamente, lasciare tutto e
andarsene, e soprattutto sapeva di non poter far altro che non fosse
accettare le sue decisioni, anche quando significava soffrire.
Così,
una mattina di inizio agosto, mentre Roma era praticamente vuota e i
pochi rimasti in città ancora dormivano, Sabina lo aspettava
seduta
sul marciapiede davanti casa, perché anche a costo di
sembrare
stupida lui voleva portarla alla stazione, salutarla un'ultima volta
e convincersi che quello fosse un viaggio senza ritorno.
La
ragazza giocherellava con il cellulare accendendo e spegnendo la
connessione internet per controllare se suo padre le avesse scritto
su whatsapp.
La faceva sorridere ogni volta il pensiero di
quell'uomo che faceva il moderno per stare in contatto con lei e far
parte della sua vita ad ottocento chilometri di distanza.
Non che
fosse poi così anziano, aveva appena poco più di
cinquant'anni, ma
era un maresciallo dei Carabinieri di una piccola località
del
Piemonte, e questa sua descrizione, secondo lei, si sposava male con
l'idea di un uomo tecnologico.
Sarebbe andato a prenderla alla
stazione di Torino Porta Nuova, dove avevano già deciso di
fermarsi
a mangiare al McDonald's come quando era bambina prima di partire
alla volta del paesino di montagna dove avevano casa e lui ancora
viveva.
Poi Sabina avrebbe deciso cosa fare e quando tornare a
Roma, ma questo sarebbe venuto dopo.
Una
o due settimane, aveva detto a Ivano e agli altri amici che aveva
ancora nella capitale e a cui aveva ugualmente chiesto rispetto per
la sua voglia di andare via, ma non era certa di quanto tempo volesse
stare lontana da quella che chiamava civiltà.
Lui le si parò
davanti con in mano i due caschi della motocicletta con cui l'avrebbe
accompagnata a Termini e, appena lei riprese contatto con la
realtà,
l'aiutò ad alzarsi.
- Non c'era bisogno che lo facessi, lo
sai... mi fai sentire così...- Sospirò Sabina.
- Stronza? No,
non lo sei, altrimenti me ne sarei andato io nel momento in cui hai
detto che volevi chiudere tutto.-
- Non era riferito solo a noi,
lo sai.-
- Lo so, è per questo che sono ancora qui.-
La
ragazza si trattenne dall'abbracciarlo solo perché
desiderosa di
allontanarsi anche e soprattutto da quello, ma gli fu grata per le
sue parole.
Lo amava ancora, per ciò che significasse amare alla
loro età, e più volte aveva ripensato a quella
sua scelta, ma non
poteva fare diversamente.
Quegli ultimi due anni passati a Roma
appartenevano a una vita che non ci sarebbe dovuta essere, un errore
del destino dovuto ad un dramma che si sarebbe portata dietro per
tutta la vita, e non poteva continuare in quel modo.
Sapeva che
il destino o ciò che era non poteva essere sfidato o
cambiato, ma un
tentativo andava fatto, anche a costo di perdere tutto.
- Avanti,
Sabi, salta su che è ora di andare.- Le disse indicando la
moto con
cui era andato a prenderla.
La ragazza sorrise. - Manuel ti ha
prestato la scheggia'- Chiese guardando il veicolo appartenente ad un
loro comune amico.
- Per un'occasione simile è parso giusto
anche a lui; tu stai andando via ed è un modo per salutarti
per
bene. Dopotutto l'idea fu tua.- Le spiegò ricordandole che
era stata
lei a spingere per sostituire il motorino scassato di Manuel dopo un
tragico incidente avvenuto meno di un paio di anni prima.
Sabina
non rispose e si girò per raccogliere il borsone da palestra
con cui
sarebbe partita.
Lo indossò a tracolla come faceva sempre, si
fece passare uno dei due caschi da Ivano e salì.
Si strinse a lui
per tutta la durata del viaggio, e sperò che quel momento
non
finisse mai, perché malgrado tutto quel contatto la
rassicurava, la
faceva sentire protetta.
Roma scorreva sotto e intorno al rapido
motociclo.
Era presto, poco più tardi delle otto, ma il caldo
sotto ai caschi era già soffocante.
In compenso, per strada,
c'erano davvero pochissime macchine, una situazione alquanto irreale
per la capitale.
Ancora meno, poi, erano i passanti; qualche
turista che si era alzato di buon ora, impiegati che avevano
già
finito le ferie o dovevano ancora iniziarle, anziani e mamme con
bambini piccoli che passeggiavano un poco prima che la calura estiva
li privasse della possibilità di uscire di casa.
Roma non era
Roma, in quella mattina di Agosto, e Sabina un po' ne fu felice,
perché sentirsi estranea al ciò che stava
lasciando la aiutava a
separarsene.
Arrivarono alla stazione Termini quando mancavano
poco più di una decina di minuti alle nove e, dopo aver
parcheggiato, si fermarono ad un bar per fare colazione.
La
ragazza non aveva molta fame, ma prese ugualmente un cappuccino e una
brioche, convinta che mangiare qualcosa potesse aiutarla a sbloccare
lo stomaco stretto nella morsa nell'ansia.
Lo faceva sempre,
quando l'agitazione era tanta e la voglia di ingerire anche solo un
biscotto veniva a mancare provava comunque a non rimanere senza
niente, era una cosa che aveva imparato anni prima, quando praticava
ginnastica artistica a livello agonistico e sapeva che volente o
nolente non poteva iniziare la gara digiuna da ore per colpa di ansie
e paure.
Proprio come se fosse stato una competizione anche quel
viaggio di ritorno si prospettava difficile da affrontare a stomaco
vuoto, e le fece dolcezza notare l'espressione compiaciuta che
assunse Ivano nel vederla mangiare.
- Hai qualcosa dietro per il
viaggio o questo di basterà fino a Torino?-
- Ho qualcosa dietro
per il viaggio e ho anche dei soldi nel caso avessi voglia di
comprare qualcosa al bar del treno. Non morirò di fame per
un
viaggio di quattro ore, se è questa la tua paura.- Gli
sorrise.
Lui
non rispose, si alzò per andare a pagare e poi
tornò verso la
ragazza per accompagnarla al binario .
Anche la stazione era
semideserta, ma almeno non faceva il caldo di fuori e questo
già lo
sapevano, visto che Sabina più volte in passato si era
rintanata tra
i negozi del piano sotterraneo o si era seduta a guardare arrivi e
partenze, storie di vite che andavano e venivano.
Il treno non era
ancora arrivato, così la giovane, incurante della
possibilità di
essere vista da qualcuno che non fosse il suo accompagnatore,
abbandonò per un attimo il borsone all'inizio della banchina
e
iniziò a correre.
Corse per qualche metro, poi saltò e si librò
in volo facendo quella che si poteva descrivere come una spaccata in
aria, atterrando senza sbilanciarsi una manciata di passi
più avanti
rispetto a dove era partita.
Era una ginnasta, aveva il costante
bisogno di stare in movimento, di non fermarsi mai, e non era raro
vederla correre e saltare anche lontano dalla palestra.
Ivano
raccolse il borsone e si andò a sedere vicino a lei, che
intanto si
era messa per terra con la schiena appoggiata a uno dei grossi
pilastri che, almeno in teoria, dividevano i punti di accesso
più
comodi alle varie carrozze.
Un'altra ragazza, probabilmente, si
sarebbe seduta su una delle panchine di pietra stando ben attenta a
non sporcarsi, ma Sabina era fatta così, e forse lui la
amava, o le
piaceva, o quel che era, anche per quello.
Si
ricordava che una volta, prima ancora che si mettessero insieme, si
trovavano con altri amici in zona San Paolo e, mentre decidevano come
concludere la serata, lei si era seduta, sempre per terra, sui
gradini di una lunga scala che collegava due vie del
quartiere.
Quando un'amica le aveva fatto notare di come
rischiasse di prendersi chissà quali terribili malattie in
quel modo
lei aveva semplicemente sorriso e, con tutta la naturalezza del
mondo, aveva risposto: “e tu sai in quanti modi potrei morire
prima
ancora che si manifestino i sintomi di qualsiasi malattia?”.
Era
così, era il suo modo di vedere la vita, ed era pensare a
tutto ciò
che l'aveva resa così fatalista, ma non poteva farci nulla.
Incrociò
le gambe rapida ringraziando di essere in tuta e maglietta, il suo
abbigliamento preferito, e si sciolse i capelli castani per
stringersi meglio la treccia in cui li aveva raccolti quella mattina.
- Scommetto che lo farai anche appena arrivata in paese.- Le
disse Ivano per porre fine al pesante silenzio che era calato tra di
loro.
- Cosa?-
- Quel salto, quel volo. Mi ha detto più volte
che lo facevi spesso sulla via principale del paesello, no? Quella
che lo collega con la piazzetta...-
- Ah, sì. Sì, è possibile;
mio padre lascerà la macchina nel parcheggio alto, io gli
darò il
borsone e poi andrò lì, sulla via principale, e
farò quel salto,
proprio come hai detto te. In fine cercherò Sergio e
Giancarlo, il
poco di vita che mi resta lì oltre a mio padre...-
- Andrai a
Briançon? Non oggi o domani, ovviamente, ma nel periodo in
cui
starai su.-
- Mi stai chiedendo se vedrò Jean-Jacques? Che
c'è,
sei geloso?- Chiese Sabina girando la testa da un'altra parte.
-
Geloso?- Mi pare che non stiamo più insieme, no? E poi,
proprio
perché non siamo una coppia, non ti ho parlato ti lui, ti ho
semplicemente domandato se andrai in un posto che ti piace, che
ami...-
- Sì, forse, non lo so, dipende da mio padre, da quanto
rimarrò su, da tante cose...- Se un attimo prima la ragazza
era
parsa sul piede di guerra, arrabbiata perché le era sembrato
che
Ivano volesse infrangere un suo spazio personale, in quel momento si
era di nuovo fatta piccola e timida, nascondendosi sotto il peso di
tutto ciò che le era accaduto in quei suoi primi vent'anni
di
vita.
Si voltò nuovamente verso di lui e attese che dicesse
qualcosa.
La voglia di parlare del ragazzo non si fece attendere,
visto che desiderava godersi ogni attimo a fianco della giovane,
soprattutto ascoltando la sua voce, che, già lo sapeva, gli
sarebbe
mancata più di tutto il resto.
- E dopo?-
- Dopo quando?-
-
Quando tornerai a Roma, quando sarà il momento di scegliere
l'università... hai già deciso cosa fare?-
Sabina alzò le
spalle e annuì. - Sto pensando di iscrivermi a sociologia,
in questi
due anni, quando ti vedevo studiare quella disciplina, rimanevo
sempre affascinata.
Ma è solo un'ipotesi, potrei anche decidere
di rimanere da mio padre o lasciare sia la montagna che Roma, non lo
so....-
Si trattenne di nuovo tristemente dal cercare l'abbraccio
di Ivano dopo avergli confessato tutte le insicurezze che
accompagnavano il loro addio e quel suo strano viaggio.
Erano
giovani, si erano profondamente amati, anche fisicamente, ma la
ragazza si sentì realmente nuda davanti a lui solo in quel
momento.
- Continuerò a volerti bene, e a pensarti...- Le
sussurrò
poi.
Lei sorrise e, per un attimo, gli prese la mano.
In quei
momenti, mentre stavano lì a salutarsi a modo loro, tutto il
mondo
esterno era scomparso, e solo negli attimi di silenzio si accorgevano
di come la stazione si stesse leggermente riempiendo.
- Antonello
Venditti!- Dichiarò poi deciso Ivano.
-
Eh?-
- Antonello Venditti, Sabina. Andiamo, è il tuo cantante
preferito, conosci la sua discografia praticamente a memoria, ci
sarà
una canzone adatta ad una situazione come la nostra, o no?-
La
ragazza rimase un po' con lo sguardo perso a pensare, fino a che non
scosse velocemente la testa in segno negativo.
- No, francamente
non mi viene in mente nulla, nessuna canzone che possa descriverci al
momento attuale...-
- Stefano Rosso?-
Altro cenno negativo
accompagnato da un leggero sorriso. - Ma no! Se non ce la fa Venditti
tanto meno può farcela Rosso...-
- Guccini? De Gregori? Lo Stato
Sociale? I Modena? Le Luci Della Centrale Elettrica?-
Lei
continuò a ridere e fare segno di no.
- No, Ivano, non mi sembra
ci siano canzoni o cantanti in grado di descrivere correttamente la
nostra situazione.-
- Allora è davvero particolare... in fondo
lasciarsi così, senza smettere di volersi bene...-
Commentò il
ragazzo. - E invece canzoni che ti descrivano? Dici sempre di avere
un nome che odi perché troppo particolare, e in parte
è anche vero,
quindi non ci sono canzoni che lo portino come titolo, ma ci
sarà
una qualche canzone in grado di descriverti, no?-
- Credo di no, o
forse semplicemente non ci ho mai pensato... Ma perché tutte
queste
domande?-
- Non lo so, forse ho bisogno di sapere che qualcosa
rimarrà. E la musica è qualcosa che rimane, no?-
Lei annuì
debolmente.
- Sai, a proposito del tuo nome... qualche giorno fa
sono passato dalla Mondadori in Viale Europa, hai presente, no? E mi
sono messo a sfogliare i libri con i significati dei nomi, cercavo
quello che alla voce Sabina parlava del carattere dicendo tipo che le
donne col tuo nome sono... testarde, mi pare, o un aggettivo
simile.
Te lo ricordi? Lo avevamo trovato insieme tempo fa.-
-
Sì, mi ricordo...-
- Ecco. Comunque sia, non l'ho più trovato,
dunque pazienza, mi basterà aver conosciuto il tuo vero
carattere
senza bisogno di un libro.-
Calò ancora un momento di silenzio
che, stranamente, fu rotto dopo poco dalla ragazza.
Aveva
ripensato velocemente a quello che si erano detti fino a quel momento
e aveva deciso di voler sapere qualcosa in più anche sul
futuro del
ragazzo.
- Non mi hai detto, invece, cosa vorrai fare tu da
Settembre in poi.-
- Sono indeciso tra lettere, storia e, forse,
filosofia. Tutte facoltà che mi porteranno poi ad insegnare,
insomma, e ovviamente conto di iscrivermi a “La
Sapienza”, mentre
immagino che tu sceglierai Roma Tre...-
- È dietro casa, mi
sembra la scelta migliore.-
-
Certo, non ne dubito. Però non ti fa strano che tu che hai
fatto il
classico pensi a sociologia e io che ho fatto il sociale voglia fare
lettere?-
- Sì, è un buffo caso della vita.- Rise lei.
Fu un
sorriso rapido che abbandonò subito dopo per buttare prima
un'occhiata annoiata al suo cellulare e poi uno sguardo al treno
arrivato pochi minuti prima facendo un rumore che aveva reso meno
pesante uno dei loro tanti silenzi.
- Manca poco più di un
quarto d'ora alla partenza, forse è arrivato per me il
momento di
andare...- Sospirò Sabina alzandosi e recuperando le sue
cose.
Controllò tramite il telefono quale fosse la sua carrozza e
vi si diresse seguita dal ragazzo, fermandosi quasi davanti alla
porta.
- Beh, quindi è ora di salutarsi.- Disse Ivano guardandola
negli occhi dopo essersi messo di fronte a lei.
- Temo di sì.-
-
Vuoi che resti fino alla partenza del treno?- Le chiese.
- No, non
serve, davvero.
- Allora è proprio arrivato il momento...-
Decretò rassegnato. - Fai buon viaggio.-
Allungò la mano per
salutarla ma, inaspettatamente, ricevette un abbraccio.
Rapido ed
improvviso, tanto che appena si riprese la vide già alla
porta del
vagone.
- Ciao, Ivano... buon tutto.-
Lo salutò semplicemente
così, senza voltarsi una volta in più.
Poi cercò il suo posto a
sedere e ringraziò di avere uno accanto al finestrino ma
dall'altra
parte rispetto alla banchina. Ivano non poteva vederla, lì
dov'era,
e lo stesso era per lei.
Il loro addio era stato così, toccante
ma rapido, perché Sabina, se fosse rimasta al suo fianco
ancora
qualche minuto, avrebbe avuto dei ripensamenti che non poteva
permettersi di avere.
Accese l'iPod mentre il treno partiva e si
fece cullare dalle parole di una delle ultime canzoni proprio di
Venditti.
Quando il brano finì le prese un groppo in gola a
pensare che, forse, a Ivano aveva mentito, perché, per
quanto strane
fossero lei e la sua vita, in alcuni di quei versi si era
ritrovata.
Ma, mentre il treno correva, ogni rimorso svaniva.
e
t'ho trovata in ginocchio
le
lacrime asciutte,
ma
perché sono sempre
la
peggiore di tutte,
la
peggiore di tutte
Cosa
avevi in mente – A. Venditti
;Sunny's
space.
Buonasera a tutti!
Anche se ho già due storie in
corso provo a iniziare questa terza, che ho in mente da mesi ed
è il
prequel di un altro racconto iniziato lo scorso anno e cancellato
oggi (era fermo al secondo capitolo, lo ripubblicherò
più
avanti).
Mi stacco nettamente dal genere storico/politico che sono
solita scrivere e in parte anche dal dramma, malgrado vedrete che ci
sarà e sarà importante a suo modo.
Sono in piena fase
pre-maturità, dunque non do certezze di pubblicazione
repentina, ma
farò il possibile.
Riguardo alla storia non dico ancora nulla,
aspetto di scoprire le vostre impressioni da questo primo capitolo
:)
La musica sarà fondamentale, ogni capitolo
inizierà con una strofa di qualche canzone (penso quasi
tutte italiane, inoltre potranno esserci più strofe della
stessa canzone nel corso del racconto) e se riesco, come in questo
caso, finirà allo stesso modo.
Dal capitolo tre, oltre alla canzone, apparirà all'inizio
dei capitoli anche un'altra cosa, ma per ora non vi svelo nulla.
Per adesso è tutto, un abbraccio e a presto!
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo. ***
Capitolo
secondo
“Non
sei piì tornata,
sei stata di parola,
non ti sei fermata,
con
il vento sei volata via,
via da te,
via da qui,
via dalla
notte infinita.”
Un
vento senza nome – I. Grandi
Pinerolo,
fine Agosto 2013
Quando
l'autobus proveniente da Sestriere si fermò nella piazza
principale
di Pinerolo Sabina era già sulla scaletta della porta
anteriore,
pronta a saltare giù non appena questa si fosse aperta.
Scese
rapida, percorrendo poi quasi di corsa i pochi metri che la
separavano dal porticato che correva tutto intorno allo spiazzo.
Poi
si arrestò di botto e si guardò riflessa nella
prima vetrina che si
trovò davanti.
Non era poi così diversa dalla ragazzina che era
stata nei cinque anni precedenti; la tuta leggera che le fasciava il
corpo molto magro, la felpa legata in vita, lo zainetto tenuto su una
spalla sola e i lunghi capelli legati in una coda alta rifermata poi
da vari elastici in più punti, circa ogni cinque o sei
centimetri.
Sì, non era cambiata molto dal giugno precedente, quando
aveva
finito gli allenamenti dell'anno appena passato, e chiunque,
vedendola lì, avrebbe potuto pensare semplicemente che
stesse
facendo ritorno in palestra, in fondo era una delle migliori agoniste
della sua società di ginnastica artistica.
Ma non era lì per
quello.
Da
quasi tre mesi prima, dalla data dell'ultima volta in cui era andata
a Pinerolo, due cose in realtà erano accadute: aveva
compiuto
diciotto anni e aveva cominciato il trasferimento verso Roma, a quasi
ottocento chilometri da lì.
- Sabina!-
Si sentì chiamare da
dietro e, voltandosi, si trovò davanti Lorenzo, l'autista
dell'autobus che l'aveva portata fin là quel giorno come
tutti i gli
altri negli anni precedenti.
- Ehi!- Lo salutò lei con un
sorriso, non comprendendo però come mai il ragazzo fosse
sceso a
salutarla.
La risposta arrivò poco dopo.
- Mi hai detto che
ti riporta a casa tuo padre, oggi, e visto che non penso ci saranno
altre occasioni di vederci volevo salutarti.-
Sabina si sentì
una sciocca a non aver pensato prima a quella possibilità, e
cercò
di rimediare all'imbarazzo.
- Sì, scusa, ho la testa da un'altra
parte in questi giorni.-
- Lo immagino, non deve essere facile
lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo, soprattutto alla
sua età.-
- Già...- Rispose la ragazza evitando accuratamente lo
sguardo del suo interlocutore, cosa che sempre faceva quando i
discorsi non le piacevano.-
- Beh, buona fortuna! Tanto te sei una
tipa tosta e testarda, Sabina, dubito avrai problemi a trovare il tuo
posto nel mondo.-
- Me lo auguro, grazie.- Sorrise.
Stavano per
salutarsi quando la ragazza riprese la parola. - Ah, Lorenzo, se per
caso da Settembre in poi dovessi rivederli, magari perché li
porti a
scuola, o qui a Pinerolo, o non lo so, ma è comunque
probabile che
accada...-
- Sì?- Devo dire loro qualcosa?- Le chiese, sapendo
benissimo a chi si stesse riferendo.
Sabina buttò uno sguardo a
terra, incrociò le braccia sul petto e alzò gli
occhi cercando
qualche parvenza di cielo estivo oltre l'arco del porticato.
- No,
non dirgli nulla; ci siamo già detti tutto quello che non
avremmo
dovuto dirci, e ciò che vorrei sapessero non avranno
sicuramente
voglia di ascoltarlo. Quindi no, grazie ma non serve che tu gli dica
nulla.-
- Ho capito. Allora niente, spero che almeno io potrò
ancora sentirti, mi dispiacerebbe smettere di avere a che fare con
te.-
- Sta tranquillo, ci sono cose che per quanto possa tentare
non avrò il coraggio di lasciarmi alle spalle... e poi il
mio numero
ce l'hai, non credo ci siano problemi da questo punto di vista.-
-
Certo. E ne sono felice.
Comunque sia, credo di averti rubato
abbastanza tempo, se sei qui è perché hai
qualcosa da fare, non ti
trattengo oltre. Tanto ci sentiamo, no?-
- Sì.- Lo rassicurò
Sabina. - Ci sentiamo.-
Poi si salutarono con un paio di baci
sulle guance e si voltarono dandosi le spalle a vicenda; lui
ritornò
al pullman e lei proseguì sotto ai portici fino alla fine
della
piazza.
Lì girò a destra e proseguì ancora un
paio di isolati
prima di svoltare ancora, questa volta a sinistra, su una via
decisamente stretta ma parecchio lunga.
La seguì fino al suo
termine e, finalmente, si trovò davanti il complesso della
polisportiva dove si allenava da cinque anni.
Sabina era quasi
certa di aver imparato a stare in equilibro su una trave prima ancora
di saper camminare, e ricordava con precisione di quando, da bambina,
ai giardinetti non si fiondava su altalene o scivoli, ma correva in
direzione di qualsiasi struttura potesse permetterle di arrampicarsi,
prediligendo soprattutto le sbarre a cui si appendeva tirandosi poi
su con le braccia per fare capriole e acrobazie varie.
Doveva
essere davvero molto piccola, all'epoca, perché nei suoi
ricordi
accadeva tutto al parco vicino alla casa di Roma dove era nata, e,
soprattutto, accanto a lei c'era sua madre Marta, venuta a mancare in
un incidente automobilistico quando aveva otto anni, dunque tutti
quei ricordi non potevano risalire a dopo il 2003.
Fatto stava
che la ginnastica artistica aveva sempre occupato un grosso spazio
nella sua vita, e in particolare la palestra dove stava entrando per
l'ultima volta era sicuramente uno dei luoghi in cui era
cresciuta.
Andare via da lì, lasciare anche quello, era
dolorosissimo, ma non poteva fare diversamente.
Entrò dal
cancello e percorse il vialetto che portava alla palazzina dove si
allenavano le squadre di ritmica e artistica.
Fulvio, il suo
allenatore, l'aspettava, si erano accordati per salutarsi nell'unico
posto dove per loro avrebbe avuto senso farlo.
Sabina aveva
cominciato ad allenarsi a Pinerolo nel 2008, appena tredicenne, e il
suo primo anno di allenamenti non poteva che definirsi
particolare.
Era difatti appena finita l'estate delle Olimpiadi di
Pechino e lei, che praticava come agonista già da diversi
anni prima
a Roma e poi a Sestriere, poteva essere un'ottima promessa della
ginnastica anche a livello nazionale.
Così si era deciso di
farle frequentare la terza media da privatista a Pinerolo,
città in
un cui si sarebbe fermata a studiare ed allenarsi da lunedì
a
venerdì, tornando quindi a casa solo nel fine settimana.
Verso
metà anno, però, la giovane aveva capito che
quella vita non era
fatta per lei, perché lo sport a quei livelli, unito allo
studio, le
impediva di avere tempo per se stessa, e soprattutto non era certa di
avere come obiettivo le Olimpiadi, o i campionati Europei e Mondiale,
sapeva non fosse quello lo scopo del suo fare sport.
Alla fine,
durante una pausa per le vacanze di Carnevale a Febbraio, aveva avuto
un lunga discussione con suo padre e preso forse la prima decisione
veramente importante della sua vita, scegliendo di interrompere gli
studi momentaneamente, finire gli allenamenti di quell'anno e poi
ricominciare ad andare a scuola ed allenarsi per fare semplicemente
agonismo.
Avrebbe però fatto la terza media, e successivamente
il liceo, a Oulx, un paese decisamente distante da Pinerolo, tanto
che tra una cosa e l'altra la ragazzina sarebbe stata solita passare
quasi tre ore al giorno in autobus.
Ma non era per lei un grande
sacrificio, visto che era giovane ed in salute, amava il suo sport e,
anche se non brillava, le piaceva dare qualche soddisfazione
scolastica al padre.
Anche lo spirito con cui affrontava quei
“sacrifici” era però venuto a mancare
nei mesi precedenti,
portando Sabina ad un'altra chiacchierata con il padre e alla
decisione di andare a vivere a Roma da sola.
Malgrado avesse
appena diciotto anni, malgrado dovesse ancora fare quarta e quinta
liceo.
Bussò alla porta aperta della palestra per farsi notare
dall'allenatore.
- Sabina! Pensavo non saresti più venuta,
iniziavo a preoccuparmi.-
Lei
corse ad abbracciarlo, perché in tutti quegli anni aveva
iniziato a
vederlo quasi come uno zio.
- Scusa, Fulvio, mi sono fermata a
salutare Lorenzo, il ragazzo dell'autobus... ma davvero temevi che me
ne sarei andata senza salutarti?-
- No, in realtà no.- Ammise
l'uomo.
Poi rimase un po' in silenzio a guardarla.
- Sei
cresciuta davvero tanti rispetto a quando sei entrata qui la prima
volta, sai? Sia come ginnasta che come persona; eri una ragazzina,
adesso sei una donna, e non perché lo dice la tua carta
d'identità.-
Sabina fece una smorfia e pronunciò qualche parola
alludendo al fatto che nei mesi precedenti si fosse trovata obbligata
a crescere velocemente, ma l'altro scosse la testa.
- Non si
tratta solo dell'ultimo periodo, e lo sai. Anche perché se
tu non ti
fossi dimostrata matura già prima di ciò che
è accaduto dubito tuo
padre avrebbe acconsentito a farti andare da sola così
lontano da
casa.-
Lei annuì, anche se mai come in quel momento si era
sentita strana a definire casa il posto in cui aveva vissuto i dieci
anni precedenti.
- Fulvio io... beh, sì, volevo chiederti se
potevo fare un'ultima volta quell'esercizio alla trave prima di
lasciare la palestra.-
L'allenatore annuì, sapendo benissimo
quale fosse l'esercizio in questione.
- Certo, cambiati e
scaldati, poi fai pure.-
La ginnasta sorrise a mo' di
ringraziamento e corse nello spogliatoio.
Lì dentro, mentre si
preparava, sentì forte la nostalgia dei tanti momenti
trascorsi con
le compagne, e si intristì vedendo il suo armadietto ormai
vuoto con
sopra appesa una foto della loro squadra dopo una delle loro ultime
vittorie.
“Così
ti sentiremo vicina anche quando sarai a Roma” Le
avevano detto quando l'avevano appesa lì “E
se poi l'armadietto diventerà di qualche altra ginnasta
sposteremo
la fotografia.”,
l'avevano rassicurata.
Le ragazze dell'artistica le sarebbero
mancate molto, erano tra le poche persone che avrebbe rivisto con
piacere le volte in cui sarebbe tornata in Piemonte a fare visita al
padre.
Si
scaldò come era solita fare, con gesti ed esercizi che col
passare
del tempo le erano diventati automatici, quasi meccanici, tanto che a
volte le capitava di ripeterli anche nella vita quotidiana, magari
appena sveglia per stirarsi in modo un po' particolare.
Quando fu
certa di essere pronta sistemò per bene la trave, un'altra
consuetudine, e poi vi salì.
Fulvio,
che fino a quel momento l'aveva osservata distrattamente
perché
impegnato in altro, si fermò a guardarla con attenzione.
Sabina
si tirò su facendo leva sulle braccia, poi si mise in piedi
e
cominciò a muoversi leggera tra salti e rovesciate.
Furono appena
due minuti, ma parvero una piccola eternità silenziosa,
interrotta
solo dal rumore dei piedi nudi della ragazza che talvolta atterravano
sul legno della trave.
Concluse l'esercizio facendo una ruota e
poi un salto in alto seguito da una capriola in aria, atterrando in
fine a piè pari senza perdere l'equilibrio, appena prima di
voltarsi
a salutare una giuria ed un pubblico immaginari.
L'applauso,
però, lo ricevette comunque, ovviamente dall'allenatore, che
le si
avvicinò con fare paterno.
- Se avessi fatto un esercizio così
durante una gara saresti sicuramente arrivata in alto.- Le sorrise
dolcemente, ma sapeva come quella frase non le avrebbe fatto
piacere.
Infatti Sabina abbassò lo sguardo e sospirò. - E
che
importanza ha, adesso? Mesi fa, forse, e neanche in gara... ma ora
come ora...-
Si andò a sedere sulla cavallina senza aggiungere
altro, togliendo di fatto all'uomo di darle anche solo un abbraccio
consolatorio.
- Mi ha detto tuo padre che vuoi lasciare
l'agonismo, è così?- Le chiese.
- Sì, è così. Credo che Roma
abbia bisogno di una vita diversa da quella che ho fatto finora qui,
io stessa ho bisogno di una vita diversa, e inoltre gli ultimi due
anni di liceo vorrei farli bene, dando magari qualche soddisfazione a
papà.- Spiegò la ragazza.
- Ma continuerai ad allenarti, vero?
Voglio dire, è chiaro a tutti il tuo amore per la
ginnastica, hai
anche talento, e lo sai, sarebbe un peccato vederti smettere... sei
così giovane!-
Sabina sorrise. - No, non smetterò, anche perché
credo che non ce la farei. Tornerò nella palestra dove ho
iniziato
da bambina, semplicemente non farò più agonismo.-
E aggiunse,
seguendo un pensiero diverso, - Questo posto è una delle
poche cose
che mi mancherà davvero tanto.-
- Tornerai a trovarci, immagino.-
- Sì, naturale.-
- Facci avere notizie da Roma, qui
mancherai molto a tutti.-
- Lo so... mi mancherete anche voi.-
Sussurrò, scendo poi dalla cavallina per abbracciarlo
nuovamente.
-
Anche tu mi mancherai moltissimo, Fulvio, grazie di tutto.-
L'uomo
le baciò la fronte come spesso faceva dopo una gara
particolarmente
faticosa.
Sabina raccolse le sue cose e andò a ricambiarsi,
scoprendo sul cellulare un SMS del padre che le diceva di essere
lì
vicino pronto per portarla a casa.
- Fulvio mi ha appena scritto
papà, è praticamente qui davanti.-
- Bene, ti accompagno
all'uscita, allora, così ci salutiamo.-
Non parlarono fino a che
non si trovarono nei pressi del cancello più esterno del
palazzetto,
poi lui si fermò e la guardò.
- Ci saranno altri a farti tutte
le raccomandazioni del caso, ma io di certo non posso lasciarti
andare così, senza dirti nulla.- La fece ridere.
- Dico sul
serio; ti raccomando giudizio, Roma è una grande
città, e come hai
detto prima ha bisogno di essere vissuta diversamente rispetto a come
vivevi qui, in tutti i sensi. Inoltre, ma di questo abbiamo
già
parlato, continua ad allenarti e fatti sentire, da me e dalle tue
compagne.-
Sabina sorrise ancora e lo abbracciò davvero per
l'ultima volta, poi uscì dal cancello e cercò con
lo sguardo la
macchina del padre.
La vide poco distante, dall'altro lato della
strada, e attraversò lì dov'era senza cercare le
strisce pedonali,
rischiando di essere investita.
Questa disattenzione, non rara
per lei, le costò un rimprovero come primo saluto da parte
del
padre.
- Certo che se devo stare tranquillo a mandarti a Roma da
sola non puoi farmi vedere che rischi di farti ammazzare
così a
Pinerolo, eh?!-
- Scusa, papà, vedrai che starò più
attenta.-
Rispose dandogli un bacio sulla guancia.
- Lo spero bene.- Sospirò
l'uomo.
Il padre di Sabina si chiamava Stefano e aveva poco più
di cinquant'anni.
Carabiniere, figlio di un carabiniere e fratello
di un carabiniere era il più basso in grado nella famiglia e
probabilmente l'ultimo, visto che i figli non avevano mai pensato a
quella possibilità e anche i nipoti parevano volersi
allontanarsi da
quella tradizione.
Con la nascita di Sabina era venuta al mondo la
prima femmina dopo almeno due o tre generazioni, e quando l'aveva
vista lì, piccolissima, nella sua tutina rosa tra le braccia
della
madre Marta, aveva pensato che non sarebbe stato poi così
male
essere padre di una bambina.
Avevano già un maschietto, Cesare,
di circa tre anni e mezzo, e pensava che, forse, la vita con una
bimba sarebbe stata più facile.
Quando poi era rimasto vedovo e
si era trasferito in montagna con i figli aveva scoperto che le sue
aspettative, determinate di luoghi comuni e cliché, non
erano di
facili conferme.
In fondo bastava guardare la situazione dei due
fratelli in quel momento; Cesare si era diplomato per tempo e si era
trasferito a Padova per studiare economia all'università e
seguire
la fidanzata del tempo, con cui ancora dopo tre anni era felicemente
impegnato, mentre Sabina era appena maggiorenne, aveva ancora la
scuola da finire e se ne stava andando lontano in completa
solitudine.
Per quanto potesse avere delle buone ragioni, ed era
innegabile le avesse, era sicuro che le maggiori preoccupazioni al
padre, a quel punto, le avrebbe date lei.
Il cellulare le vibrò
in tasca mentre si allacciava la cintura di sicurezza, e sorrise nel
leggere il messaggio appena ricevuto.
- È Fulvio, papà, e si fa
più o meno la tua stessa domanda su quando sarò
lontana, deve
avermi visto anche lui attraversare la strada prima. Cosa gli
dico?-
- Digli che mi sono rassegnato a sperare tu metta giudizio
nelle prossime ventiquattro ore.- Rispose il Maresciallo fingendosi
sconsolato.
Mentre la figlia scriveva sul telefonino lui fece
partire il CD già inserito nell'autoradio, e la macchina si
riempì
delle parole e della musica di un cantautore Romano deceduto da pochi
anni, Stefano Rosso.
- No, papà, ti prego, non posso stare in
macchina con un carabiniere che ascolta una canzone in favore della
liberalizzazione degli spinelli, dai!- Lo sgridò la figlia.
-
Guarda ragazzina che sono stato giovane anche io, non credere.-
-
Giovane sì, fattone lo dubito.- Rise Sabina.
Poi recuperò dal
cruscotto la cruscotto la custodia del CD fatto in casa dal
maresciallo, azione giustificata dall'età dei brani.
Controllò
sul retro della scatoletta l'elenco e scelse la canzone più
malinconica, probabilmente la sua preferita.
- “E intanto il
sole si nasconde”, forse il brano più trista tra
tutti quelli di
Rosso.-
- Credo si sposi bene con il momento attuale.- Sospirò
lei prima di tacere.
Quando
la canzone finì lasciò che suo padre ascoltasse
quel che voleva, si
infilò le cuffiette e cercò nel suo iPod qualche
altra canzone non
troppo felice, e di certo non ne era priva.
Rimase per tutto il
tempo a guardare fuori dal finestrino, in silenzio.
La Strada
Provinciale 166, quella su cui viaggiavano, era per Sabina colma di
ricordi, quasi tutti molto belli, e la consapevolezza dii non poterli
mai più rivivere era pesante, benché si fosse
trattata di una sua
scelta.
D'altronde crescere era quello, no? Scegliere e accettarne
le conseguenze.
“E
intanto il sole si nasconde
scavalca
tutta la città
dietro
una multinazionale
fa
l'occhiolino, se ne va...”
E
intanto il sole si nasconde – S. Rosso
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo. ***
Capitolo
terzo
Oggi è un giorno come tanti, Leo.
Mio padre si è svegliato, si è messo la divisa e
ha bevuto il suo caffè in
piedi in cucina, con la cravatta ancora slacciata e il cappello sul
mobile,
vicino alla foto di mamma.
Poi si è lavato i denti, si è pettinato, ha fatto
il nodo alla cravatta, ha
preso il cappello e la borsa nera.
Ed è uscito senza salutarmi.
Perché io non sono più qui, Leo.
Tua S.
Ed esco fuori da ogni vita
perché ho paura di non vivere abbastanza
e ancora, ancora, ancora.
come nulla fosse
ancora, ancora, ancora
arrivederci e grazie
Arrivederci e grazie – Nesli
I
genitori di Sabina erano nati a tre anni e cinquecento metri di
distanza l'uno
dall'altra, avevano frequentato lo stesso liceo e si erano conosciuti
soltanto
ormai quasi maggiorenni a ottocento chilometri da Roma.
Suo padre, Stefano, era di Via delle Sette Chiese, nato e cresciuto in
uno di
quei palazzi costruiti dal fascismo e che parevano non essere mai stati
ristrutturati e aveva un fratello, Carlo, mentre sua madre, Marta, era
di Via
San Nemesio, di uno stabile decisamente più moderno sito
davanti al CTO ed
aveva una sorella, Lucia.
Avevano fatto lo stesso liceo all' Eur senza mai rendersi conto di
camminare
negli stessi corridoi e studiare sugli stessi libri finché
non si erano parlati
per la prima volta nella piazzetta innevata della borgata di montagna
dove le
due famiglie avevano due grange attaccate.
Così quando si erano sposati avevano deciso di buttare
giù il muro che le
divideva e creare una sola grangia che i membri di entrambe le
famiglie, quella
di Stefano e quella di Marta, potessero andare a rotazione. Fino a che,
poche
settimane dopo l'incidente che aveva tolto la vita alla donna, quasi
dieci anni
prima, il maresciallo aveva pagato agli altri eredi la loro parte di
casa e vi
si era trasferito coi figli, lasciandosi alle spalle Roma e tutto il
resto.
Sabina e Cesare, ragazzini, avevano seguito l’uomo lontano da
casa e si erano
abituati a quella nuova vita. Quando aveva finito il liceo il ragazzo
si era
trasferito per l’università, e la piccola di casa
era rimasta sola col padre.
Fino a quel giorno.
L’aria di fine estate rinfrescava la vallata e le ultime
famiglie in vacanza
erano giàr ripartite, quella mattina di agosto.
Il borsone della palestra della ragazza rotolò
giù dalle scale. Lei lo seguì
salterellando.
- Sabina!- La richiamò il padre dall’angolo
cottura.
- Scusa, è che facevo prima così. In un viaggio
solo ho portato giù la borsa
degli allenamenti, il computer e lo zaino coi libri.-
- E che ti manca ancora?-
- I vocabolari di latino e greco, due valige e la mia borsa per il
viaggio,
quella con le cuffie, un libro, i cicles…
- Le gomme, Sabina. Abituati.-
- Quello che sono.-
- Va bene.- Concluse l’uomo voltandosi verso il lavabo per
finir di sciacquare
dei piatti. – Sistemo la cucina e vengo a darti una mano con
le ultime cose.
Cesare te a che punto sei?- Urlò sperando che, da qualche
parte, il figlio
maggiore lo sentisse.
- Finisco di lavare i denti e salgo a prendere le mie cose,
Pa’.-
Sabina si rigirò verso le scale e tornò al piano
di sopra, nella sua camera.
Non sembrava la stanza di una che stava andando via, era la
normalissima camera
di un’adolescente. La libreria piena, un armadio semichiuso
da cui usciva un
paio di jeans, il telefonino in carica sul comodino.
Si sedette sul letto rifatto e si guardò intorno. No, non
sembrava che stesse
andando via.
Perfino la scrivania raccontava un’altra storia, con un libro
e un quaderno
aperti e vario materiale di cancelleria in disordine.
- Hai lasciato tutto fermo.- Sentì dirsi alle spalle.
- Già fatto, papà?-
- Mi mancavano due piatti. Sai, potrei comprarmi una lavastoviglie ora
che non
ci sei più neanche tu, ma per una persona sola sarebbe uno
spreco.- Provò a
scherzare. Non era molto d’accordo con quell’addio
improvviso, gli sembrava di
veder sua figlia crescere troppo prima del tempo, ma Sabina aveva
bisogno di
tornare a Roma.
- Puoi sempre prenderla e con l’occasione trovarti una nuova
fidanzata, dopo
dieci anni non credo la mamma si arrabbierebbe .-
- Ci penserò su. Certo è che non sarà
facile; la casa vuota, la cena da solo,
addirittura camera tua in ordine. -
- Ti mancherà meno quando verrai a trovarmi, quella di Roma
sarà la mia solita
stanza.- Rise la ragazza.
-Già. Mentre qui sarà sempre come entrare in
camera tua il quindici gennaio. -
- Quattordici.- Lo corresse lei. – È tutto come
fosse sempre il quattordici
gennaio. Il quindici era già un’altra cosa. -
Sospirò. Poi si alzò e andò verso
il muro dall’altra parte della camera, dove teneva appese
quelle che a occhio e
croce dovevano essere un centinaio di foto.
Ne prese una.
Era più piccolina, in quella foto, aveva quattordici anni e
mezzo e indossava
una camicetta nera su dei pantaloni neri. I capelli, sempre
lunghissimi, erano
racchiusi in una treccia che le cadeva dalle spalle al petto, e
abbracciava
un’altra ragazzina, più alta e magrolina con i
capelli a caschetto. Davanti a
loro una torta di compleanno con tredici candeline appena spente
proprio
dall’altra.
- Quella la porti con te? - Le domandò il padre.
Sabina ci pensò un attimo, poi rimise la fotografia al suo
posto e tornò verso
di lui. – No, per ora no. Ho bisogno di ricominciare, di
dividere prima e dopo,
di non… pensare troppo a perché vado via.
Più avanti però credo che la
prenderò, penso ne avrò bisogno a un certo punto.
- Concluse.
Il maresciallo non continuò la discussione,
preferì lasciar cadere l’argomento
e parlare di altro.
- Ti do una mano a portar giù le ultime cose, Sabina.
Così partiamo, almeno
saremo a Roma entro cena.- Le disse.
La ragazza annuì e iniziarono a prendere le ultime valige
aiutati da Cesare.
L’auto del maresciallo era nel parcheggio
all’inizio della borgata, tirata
fuori la sera prima per fare più in fretta in quella
mattinata che sembrava non
passare mai.
Davanti alla Opel nera li attendevano due uomini che aveva superato la
mezza
età, intenti a fumare la pipa mentre ridevano tra loro.
- Sergio! Gian! – Urlò Sabina correndogli
incontro.
- Eccola, la donna in partenza.- La salutò ridendo uno dei
due.
- Volevamo salutarti ancora prima che andaste, non è facile
vederti così…
grande.- Sospirò l’altro.
- Beh, non è che me ne vada perché son
grande…- Sospirò lei.
- Vero, ma se fossi piccola non potresti andare, quindi sei anche
grande. E poi
hai diciotto anni, per chi come me e Sergio ti ha vista neonata sei
davvero
adulta.- Sabina sorrise. – Siete venuti per le
raccomandazioni prima del
viaggio?-
- Quelle te le farà tuo padre.- Disse quello di nome Sergio.
– Noi volevamo solo
augurarti buona fortuna, e dirti che questa sarà sempre casa
tua. Non importa
cosa pensino altri.-
Sabina sorrise. Sergio e Giancarlo erano quasi come degli zii, per lei,
due
delle poche persone di cui si fidava ciecamente, due delle poche
persone che le
dispiaceva lasciare lì.-
- Lo so, grazie. Tornerò a trovarvi.-
Li abbracciò con calma uno per volta, godendosi quella
sensazione di casa che
raramente aveva provato, poi si diresse verso la portiera della
macchina.
- Ce’, posso stare io davanti?- Domandò al
fratello.
- Come ti pare, tanto io voglio dormire per tutte e nove le ore del
viaggio.
La ragazza sospirò.
Era tutto così strano, quel giorno di fine estate.
Coraggio
lasciare tutto
indietro e andare
Partire
per ricominciare
Che
non c’è niente di più vero di un
miraggio
E per quanta
strada ancora c'è da fare
Amerai il finale
Buon viaggio – Cesare Cremonini
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