Il nome di ogni tua emozione.

di misslittlesun95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo. ***


Sabinaaa
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Il nome di ogni tua emozione

Prologo

Roma, autunno 2013

Lui la guardò sorridendo.
- Come ti chiami?-
- Sabina.-
- Sabina? Proprio senza la r?-
- Sabina-proprio-senza-la-r. E tu?-
- Ivano.-
- Ivano? Proprio con la o?-
- Ivano-proprio-con-la-o.-
Era scoppiata a ridere, e lui aveva notato che aveva un bellissimo sorriso.
Solo più tardi avrebbe scoperto che quel sorriso era sempre più raro.
Ma a quel punto aveva già deciso; per tutto il tempo possibile lo avrebbe voluto al suo fianco.











Capitolo primo


Noi cercheremo l'amore altrove,
solo una cosa rimane sicura,
ognuno avrà la propria vita

e proprio questo fa paura.”

L'amore altrove – Amoroso/Renga

Roma, agosto 2015

Quel tempo era d'improvviso finito appena dopo gli esami di maturità, quando lei gli aveva detto che voleva andare da suo padre in montagna almeno una o due settimane per poi tornare a Roma e ricominciare da zero ancora una volta, escludendo tutto quello che aveva fatto parte della sua vita nei due anni precedenti.
Lui compreso.
Ivano aveva accettato passivamente la sua decisione, forse perché in fondo al cuore aveva sempre saputo che Sabina non era fatta per restare, che era nata per scappare da qualcosa continuamente, lasciare tutto e andarsene, e soprattutto sapeva di non poter far altro che non fosse accettare le sue decisioni, anche quando significava soffrire.
Così, una mattina di inizio agosto, mentre Roma era praticamente vuota e i pochi rimasti in città ancora dormivano, Sabina lo aspettava seduta sul marciapiede davanti casa, perché anche a costo di sembrare stupida lui voleva portarla alla stazione, salutarla un'ultima volta e convincersi che quello fosse un viaggio senza ritorno.
La ragazza giocherellava con il cellulare accendendo e spegnendo la connessione internet per controllare se suo padre le avesse scritto su whatsapp.
La faceva sorridere ogni volta il pensiero di quell'uomo che faceva il moderno per stare in contatto con lei e far parte della sua vita ad ottocento chilometri di distanza.
Non che fosse poi così anziano, aveva appena poco più di cinquant'anni, ma era un maresciallo dei Carabinieri di una piccola località del Piemonte, e questa sua descrizione, secondo lei, si sposava male con l'idea di un uomo tecnologico.
Sarebbe andato a prenderla alla stazione di Torino Porta Nuova, dove avevano già deciso di fermarsi a mangiare al McDonald's come quando era bambina prima di partire alla volta del paesino di montagna dove avevano casa e lui ancora viveva.
Poi Sabina avrebbe deciso cosa fare e quando tornare a Roma, ma questo sarebbe venuto dopo.

Una o due settimane, aveva detto a Ivano e agli altri amici che aveva ancora nella capitale e a cui aveva ugualmente chiesto rispetto per la sua voglia di andare via, ma non era certa di quanto tempo volesse stare lontana da quella che chiamava civiltà.
Lui le si parò davanti con in mano i due caschi della motocicletta con cui l'avrebbe accompagnata a Termini e, appena lei riprese contatto con la realtà, l'aiutò ad alzarsi.
- Non c'era bisogno che lo facessi, lo sai... mi fai sentire così...- Sospirò Sabina.
- Stronza? No, non lo sei, altrimenti me ne sarei andato io nel momento in cui hai detto che volevi chiudere tutto.-
- Non era riferito solo a noi, lo sai.-
- Lo so, è per questo che sono ancora qui.-
La ragazza si trattenne dall'abbracciarlo solo perché desiderosa di allontanarsi anche e soprattutto da quello, ma gli fu grata per le sue parole.
Lo amava ancora, per ciò che significasse amare alla loro età, e più volte aveva ripensato a quella sua scelta, ma non poteva fare diversamente.
Quegli ultimi due anni passati a Roma appartenevano a una vita che non ci sarebbe dovuta essere, un errore del destino dovuto ad un dramma che si sarebbe portata dietro per tutta la vita, e non poteva continuare in quel modo.
Sapeva che il destino o ciò che era non poteva essere sfidato o cambiato, ma un tentativo andava fatto, anche a costo di perdere tutto.
- Avanti, Sabi, salta su che è ora di andare.- Le disse indicando la moto con cui era andato a prenderla.
La ragazza sorrise. - Manuel ti ha prestato la scheggia'- Chiese guardando il veicolo appartenente ad un loro comune amico.
- Per un'occasione simile è parso giusto anche a lui; tu stai andando via ed è un modo per salutarti per bene. Dopotutto l'idea fu tua.- Le spiegò ricordandole che era stata lei a spingere per sostituire il motorino scassato di Manuel dopo un tragico incidente avvenuto meno di un paio di anni prima.
Sabina non rispose e si girò per raccogliere il borsone da palestra con cui sarebbe partita.
Lo indossò a tracolla come faceva sempre, si fece passare uno dei due caschi da Ivano e salì.
Si strinse a lui per tutta la durata del viaggio, e sperò che quel momento non finisse mai, perché malgrado tutto quel contatto la rassicurava, la faceva sentire protetta.
Roma scorreva sotto e intorno al rapido motociclo.
Era presto, poco più tardi delle otto, ma il caldo sotto ai caschi era già soffocante.
In compenso, per strada, c'erano davvero pochissime macchine, una situazione alquanto irreale per la capitale.
Ancora meno, poi, erano i passanti; qualche turista che si era alzato di buon ora, impiegati che avevano già finito le ferie o dovevano ancora iniziarle, anziani e mamme con bambini piccoli che passeggiavano un poco prima che la calura estiva li privasse della possibilità di uscire di casa.
Roma non era Roma, in quella mattina di Agosto, e Sabina un po' ne fu felice, perché sentirsi estranea al ciò che stava lasciando la aiutava a separarsene.
Arrivarono alla stazione Termini quando mancavano poco più di una decina di minuti alle nove e, dopo aver parcheggiato, si fermarono ad un bar per fare colazione.
La ragazza non aveva molta fame, ma prese ugualmente un cappuccino e una brioche, convinta che mangiare qualcosa potesse aiutarla a sbloccare lo stomaco stretto nella morsa nell'ansia.
Lo faceva sempre, quando l'agitazione era tanta e la voglia di ingerire anche solo un biscotto veniva a mancare provava comunque a non rimanere senza niente, era una cosa che aveva imparato anni prima, quando praticava ginnastica artistica a livello agonistico e sapeva che volente o nolente non poteva iniziare la gara digiuna da ore per colpa di ansie e paure.
Proprio come se fosse stato una competizione anche quel viaggio di ritorno si prospettava difficile da affrontare a stomaco vuoto, e le fece dolcezza notare l'espressione compiaciuta che assunse Ivano nel vederla mangiare.
- Hai qualcosa dietro per il viaggio o questo di basterà fino a Torino?-
- Ho qualcosa dietro per il viaggio e ho anche dei soldi nel caso avessi voglia di comprare qualcosa al bar del treno. Non morirò di fame per un viaggio di quattro ore, se è questa la tua paura.- Gli sorrise.
Lui non rispose, si alzò per andare a pagare e poi tornò verso la ragazza per accompagnarla al binario .
Anche la stazione era semideserta, ma almeno non faceva il caldo di fuori e questo già lo sapevano, visto che Sabina più volte in passato si era rintanata tra i negozi del piano sotterraneo o si era seduta a guardare arrivi e partenze, storie di vite che andavano e venivano.
Il treno non era ancora arrivato, così la giovane, incurante della possibilità di essere vista da qualcuno che non fosse il suo accompagnatore, abbandonò per un attimo il borsone all'inizio della banchina e iniziò a correre.
Corse per qualche metro, poi saltò e si librò in volo facendo quella che si poteva descrivere come una spaccata in aria, atterrando senza sbilanciarsi una manciata di passi più avanti rispetto a dove era partita.
Era una ginnasta, aveva il costante bisogno di stare in movimento, di non fermarsi mai, e non era raro vederla correre e saltare anche lontano dalla palestra.
Ivano raccolse il borsone e si andò a sedere vicino a lei, che intanto si era messa per terra con la schiena appoggiata a uno dei grossi pilastri che, almeno in teoria, dividevano i punti di accesso più comodi alle varie carrozze.
Un'altra ragazza, probabilmente, si sarebbe seduta su una delle panchine di pietra stando ben attenta a non sporcarsi, ma Sabina era fatta così, e forse lui la amava, o le piaceva, o quel che era, anche per quello.

Si ricordava che una volta, prima ancora che si mettessero insieme, si trovavano con altri amici in zona San Paolo e, mentre decidevano come concludere la serata, lei si era seduta, sempre per terra, sui gradini di una lunga scala che collegava due vie del quartiere.
Quando un'amica le aveva fatto notare di come rischiasse di prendersi chissà quali terribili malattie in quel modo lei aveva semplicemente sorriso e, con tutta la naturalezza del mondo, aveva risposto: “e tu sai in quanti modi potrei morire prima ancora che si manifestino i sintomi di qualsiasi malattia?”.
Era così, era il suo modo di vedere la vita, ed era pensare a tutto ciò che l'aveva resa così fatalista, ma non poteva farci nulla.
Incrociò le gambe rapida ringraziando di essere in tuta e maglietta, il suo abbigliamento preferito, e si sciolse i capelli castani per stringersi meglio la treccia in cui li aveva raccolti quella mattina.
- Scommetto che lo farai anche appena arrivata in paese.- Le disse Ivano per porre fine al pesante silenzio che era calato tra di loro.
- Cosa?-
- Quel salto, quel volo. Mi ha detto più volte che lo facevi spesso sulla via principale del paesello, no? Quella che lo collega con la piazzetta...-
- Ah, sì. Sì, è possibile; mio padre lascerà la macchina nel parcheggio alto, io gli darò il borsone e poi andrò lì, sulla via principale, e farò quel salto, proprio come hai detto te. In fine cercherò Sergio e Giancarlo, il poco di vita che mi resta lì oltre a mio padre...-
- Andrai a Briançon? Non oggi o domani, ovviamente, ma nel periodo in cui starai su.-
- Mi stai chiedendo se vedrò Jean-Jacques? Che c'è, sei geloso?- Chiese Sabina girando la testa da un'altra parte.
- Geloso?- Mi pare che non stiamo più insieme, no? E poi, proprio perché non siamo una coppia, non ti ho parlato ti lui, ti ho semplicemente domandato se andrai in un posto che ti piace, che ami...-
- Sì, forse, non lo so, dipende da mio padre, da quanto rimarrò su, da tante cose...- Se un attimo prima la ragazza era parsa sul piede di guerra, arrabbiata perché le era sembrato che Ivano volesse infrangere un suo spazio personale, in quel momento si era di nuovo fatta piccola e timida, nascondendosi sotto il peso di tutto ciò che le era accaduto in quei suoi primi vent'anni di vita.
Si voltò nuovamente verso di lui e attese che dicesse qualcosa.
La voglia di parlare del ragazzo non si fece attendere, visto che desiderava godersi ogni attimo a fianco della giovane, soprattutto ascoltando la sua voce, che, già lo sapeva, gli sarebbe mancata più di tutto il resto.
- E dopo?-
- Dopo quando?-
- Quando tornerai a Roma, quando sarà il momento di scegliere l'università... hai già deciso cosa fare?-
Sabina alzò le spalle e annuì. - Sto pensando di iscrivermi a sociologia, in questi due anni, quando ti vedevo studiare quella disciplina, rimanevo sempre affascinata.
Ma è solo un'ipotesi, potrei anche decidere di rimanere da mio padre o lasciare sia la montagna che Roma, non lo so....-
Si trattenne di nuovo tristemente dal cercare l'abbraccio di Ivano dopo avergli confessato tutte le insicurezze che accompagnavano il loro addio e quel suo strano viaggio.
Erano giovani, si erano profondamente amati, anche fisicamente, ma la ragazza si sentì realmente nuda davanti a lui solo in quel momento.
- Continuerò a volerti bene, e a pensarti...- Le sussurrò poi.
Lei sorrise e, per un attimo, gli prese la mano.
In quei momenti, mentre stavano lì a salutarsi a modo loro, tutto il mondo esterno era scomparso, e solo negli attimi di silenzio si accorgevano di come la stazione si stesse leggermente riempiendo.
- Antonello Venditti!- Dichiarò poi deciso Ivano.

- Eh?-
- Antonello Venditti, Sabina. Andiamo, è il tuo cantante preferito, conosci la sua discografia praticamente a memoria, ci sarà una canzone adatta ad una situazione come la nostra, o no?-
La ragazza rimase un po' con lo sguardo perso a pensare, fino a che non scosse velocemente la testa in segno negativo.
- No, francamente non mi viene in mente nulla, nessuna canzone che possa descriverci al momento attuale...-
- Stefano Rosso?-
Altro cenno negativo accompagnato da un leggero sorriso. - Ma no! Se non ce la fa Venditti tanto meno può farcela Rosso...-
- Guccini? De Gregori? Lo Stato Sociale? I Modena? Le Luci Della Centrale Elettrica?-
Lei continuò a ridere e fare segno di no.
- No, Ivano, non mi sembra ci siano canzoni o cantanti in grado di descrivere correttamente la nostra situazione.-
- Allora è davvero particolare... in fondo lasciarsi così, senza smettere di volersi bene...- Commentò il ragazzo. - E invece canzoni che ti descrivano? Dici sempre di avere un nome che odi perché troppo particolare, e in parte è anche vero, quindi non ci sono canzoni che lo portino come titolo, ma ci sarà una qualche canzone in grado di descriverti, no?-
- Credo di no, o forse semplicemente non ci ho mai pensato... Ma perché tutte queste domande?-
- Non lo so, forse ho bisogno di sapere che qualcosa rimarrà. E la musica è qualcosa che rimane, no?-
Lei annuì debolmente.
- Sai, a proposito del tuo nome... qualche giorno fa sono passato dalla Mondadori in Viale Europa, hai presente, no? E mi sono messo a sfogliare i libri con i significati dei nomi, cercavo quello che alla voce Sabina parlava del carattere dicendo tipo che le donne col tuo nome sono... testarde, mi pare, o un aggettivo simile.
Te lo ricordi? Lo avevamo trovato insieme tempo fa.-
- Sì, mi ricordo...-
- Ecco. Comunque sia, non l'ho più trovato, dunque pazienza, mi basterà aver conosciuto il tuo vero carattere senza bisogno di un libro.-
Calò ancora un momento di silenzio che, stranamente, fu rotto dopo poco dalla ragazza.
Aveva ripensato velocemente a quello che si erano detti fino a quel momento e aveva deciso di voler sapere qualcosa in più anche sul futuro del ragazzo.
- Non mi hai detto, invece, cosa vorrai fare tu da Settembre in poi.-
- Sono indeciso tra lettere, storia e, forse, filosofia. Tutte facoltà che mi porteranno poi ad insegnare, insomma, e ovviamente conto di iscrivermi a “La Sapienza”, mentre immagino che tu sceglierai Roma Tre...-
- È dietro casa, mi sembra la scelta migliore.-

- Certo, non ne dubito. Però non ti fa strano che tu che hai fatto il classico pensi a sociologia e io che ho fatto il sociale voglia fare lettere?-
- Sì, è un buffo caso della vita.- Rise lei.
Fu un sorriso rapido che abbandonò subito dopo per buttare prima un'occhiata annoiata al suo cellulare e poi uno sguardo al treno arrivato pochi minuti prima facendo un rumore che aveva reso meno pesante uno dei loro tanti silenzi.
- Manca poco più di un quarto d'ora alla partenza, forse è arrivato per me il momento di andare...- Sospirò Sabina alzandosi e recuperando le sue cose.
Controllò tramite il telefono quale fosse la sua carrozza e vi si diresse seguita dal ragazzo, fermandosi quasi davanti alla porta.
- Beh, quindi è ora di salutarsi.- Disse Ivano guardandola negli occhi dopo essersi messo di fronte a lei.
- Temo di sì.-
- Vuoi che resti fino alla partenza del treno?- Le chiese.
- No, non serve, davvero.
- Allora è proprio arrivato il momento...- Decretò rassegnato. - Fai buon viaggio.-
Allungò la mano per salutarla ma, inaspettatamente, ricevette un abbraccio.
Rapido ed improvviso, tanto che appena si riprese la vide già alla porta del vagone.
- Ciao, Ivano... buon tutto.-
Lo salutò semplicemente così, senza voltarsi una volta in più.
Poi cercò il suo posto a sedere e ringraziò di avere uno accanto al finestrino ma dall'altra parte rispetto alla banchina. Ivano non poteva vederla, lì dov'era, e lo stesso era per lei.
Il loro addio era stato così, toccante ma rapido, perché Sabina, se fosse rimasta al suo fianco ancora qualche minuto, avrebbe avuto dei ripensamenti che non poteva permettersi di avere.
Accese l'iPod mentre il treno partiva e si fece cullare dalle parole di una delle ultime canzoni proprio di Venditti.
Quando il brano finì le prese un groppo in gola a pensare che, forse, a Ivano aveva mentito, perché, per quanto strane fossero lei e la sua vita, in alcuni di quei versi si era ritrovata.
Ma, mentre il treno correva, ogni rimorso svaniva.




e t'ho trovata in ginocchio
le lacrime asciutte,
ma perché sono sempre
la peggiore di tutte,
la peggiore di tutte

Cosa avevi in mente – A. Venditti

;Sunny's space.

Buonasera a tutti!
Anche se ho già due storie in corso provo a iniziare questa terza, che ho in mente da mesi ed è il prequel di un altro racconto iniziato lo scorso anno e cancellato oggi (era fermo al secondo capitolo, lo ripubblicherò più avanti).
Mi stacco nettamente dal genere storico/politico che sono solita scrivere e in parte anche dal dramma, malgrado vedrete che ci sarà e sarà importante a suo modo.
Sono in piena fase pre-maturità, dunque non do certezze di pubblicazione repentina, ma farò il possibile.
Riguardo alla storia non dico ancora nulla, aspetto di scoprire le vostre impressioni da questo primo capitolo :)
La musica sarà fondamentale, ogni capitolo inizierà con una strofa di qualche canzone (penso quasi tutte italiane, inoltre potranno esserci più strofe della stessa canzone nel corso del racconto) e se riesco, come in questo caso, finirà allo stesso modo.
Dal capitolo tre, oltre alla canzone, apparirà all'inizio dei capitoli anche un'altra cosa, ma per ora non vi svelo nulla.
Per adesso è tutto, un abbraccio e a presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo. ***


Capitolo secondo


Non sei piì tornata,
sei stata di parola,
non ti sei fermata,

con il vento sei volata via,
via da te,
via da qui,
via dalla notte infinita.”


Un vento senza nome – I. Grandi


Pinerolo, fine Agosto 2013


Quando l'autobus proveniente da Sestriere si fermò nella piazza principale di Pinerolo Sabina era già sulla scaletta della porta anteriore, pronta a saltare giù non appena questa si fosse aperta.
Scese rapida, percorrendo poi quasi di corsa i pochi metri che la separavano dal porticato che correva tutto intorno allo spiazzo.
Poi si arrestò di botto e si guardò riflessa nella prima vetrina che si trovò davanti.
Non era poi così diversa dalla ragazzina che era stata nei cinque anni precedenti; la tuta leggera che le fasciava il corpo molto magro, la felpa legata in vita, lo zainetto tenuto su una spalla sola e i lunghi capelli legati in una coda alta rifermata poi da vari elastici in più punti, circa ogni cinque o sei centimetri.
Sì, non era cambiata molto dal giugno precedente, quando aveva finito gli allenamenti dell'anno appena passato, e chiunque, vedendola lì, avrebbe potuto pensare semplicemente che stesse facendo ritorno in palestra, in fondo era una delle migliori agoniste della sua società di ginnastica artistica.
Ma non era lì per quello.

Da quasi tre mesi prima, dalla data dell'ultima volta in cui era andata a Pinerolo, due cose in realtà erano accadute: aveva compiuto diciotto anni e aveva cominciato il trasferimento verso Roma, a quasi ottocento chilometri da lì.
- Sabina!-
Si sentì chiamare da dietro e, voltandosi, si trovò davanti Lorenzo, l'autista dell'autobus che l'aveva portata fin là quel giorno come tutti i gli altri negli anni precedenti.
- Ehi!- Lo salutò lei con un sorriso, non comprendendo però come mai il ragazzo fosse sceso a salutarla.
La risposta arrivò poco dopo.
- Mi hai detto che ti riporta a casa tuo padre, oggi, e visto che non penso ci saranno altre occasioni di vederci volevo salutarti.-
Sabina si sentì una sciocca a non aver pensato prima a quella possibilità, e cercò di rimediare all'imbarazzo.
- Sì, scusa, ho la testa da un'altra parte in questi giorni.-
- Lo immagino, non deve essere facile lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo, soprattutto alla sua età.-
- Già...- Rispose la ragazza evitando accuratamente lo sguardo del suo interlocutore, cosa che sempre faceva quando i discorsi non le piacevano.-
- Beh, buona fortuna! Tanto te sei una tipa tosta e testarda, Sabina, dubito avrai problemi a trovare il tuo posto nel mondo.-
- Me lo auguro, grazie.- Sorrise.
Stavano per salutarsi quando la ragazza riprese la parola. - Ah, Lorenzo, se per caso da Settembre in poi dovessi rivederli, magari perché li porti a scuola, o qui a Pinerolo, o non lo so, ma è comunque probabile che accada...-
- Sì?- Devo dire loro qualcosa?- Le chiese, sapendo benissimo a chi si stesse riferendo.
Sabina buttò uno sguardo a terra, incrociò le braccia sul petto e alzò gli occhi cercando qualche parvenza di cielo estivo oltre l'arco del porticato.
- No, non dirgli nulla; ci siamo già detti tutto quello che non avremmo dovuto dirci, e ciò che vorrei sapessero non avranno sicuramente voglia di ascoltarlo. Quindi no, grazie ma non serve che tu gli dica nulla.-
- Ho capito. Allora niente, spero che almeno io potrò ancora sentirti, mi dispiacerebbe smettere di avere a che fare con te.-
- Sta tranquillo, ci sono cose che per quanto possa tentare non avrò il coraggio di lasciarmi alle spalle... e poi il mio numero ce l'hai, non credo ci siano problemi da questo punto di vista.-
- Certo. E ne sono felice.
Comunque sia, credo di averti rubato abbastanza tempo, se sei qui è perché hai qualcosa da fare, non ti trattengo oltre. Tanto ci sentiamo, no?-
- Sì.- Lo rassicurò Sabina. - Ci sentiamo.-
Poi si salutarono con un paio di baci sulle guance e si voltarono dandosi le spalle a vicenda; lui ritornò al pullman e lei proseguì sotto ai portici fino alla fine della piazza.
Lì girò a destra e proseguì ancora un paio di isolati prima di svoltare ancora, questa volta a sinistra, su una via decisamente stretta ma parecchio lunga.
La seguì fino al suo termine e, finalmente, si trovò davanti il complesso della polisportiva dove si allenava da cinque anni.
Sabina era quasi certa di aver imparato a stare in equilibro su una trave prima ancora di saper camminare, e ricordava con precisione di quando, da bambina, ai giardinetti non si fiondava su altalene o scivoli, ma correva in direzione di qualsiasi struttura potesse permetterle di arrampicarsi, prediligendo soprattutto le sbarre a cui si appendeva tirandosi poi su con le braccia per fare capriole e acrobazie varie.
Doveva essere davvero molto piccola, all'epoca, perché nei suoi ricordi accadeva tutto al parco vicino alla casa di Roma dove era nata, e, soprattutto, accanto a lei c'era sua madre Marta, venuta a mancare in un incidente automobilistico quando aveva otto anni, dunque tutti quei ricordi non potevano risalire a dopo il 2003.
Fatto stava che la ginnastica artistica aveva sempre occupato un grosso spazio nella sua vita, e in particolare la palestra dove stava entrando per l'ultima volta era sicuramente uno dei luoghi in cui era cresciuta.
Andare via da lì, lasciare anche quello, era dolorosissimo, ma non poteva fare diversamente.
Entrò dal cancello e percorse il vialetto che portava alla palazzina dove si allenavano le squadre di ritmica e artistica.
Fulvio, il suo allenatore, l'aspettava, si erano accordati per salutarsi nell'unico posto dove per loro avrebbe avuto senso farlo.
Sabina aveva cominciato ad allenarsi a Pinerolo nel 2008, appena tredicenne, e il suo primo anno di allenamenti non poteva che definirsi particolare.
Era difatti appena finita l'estate delle Olimpiadi di Pechino e lei, che praticava come agonista già da diversi anni prima a Roma e poi a Sestriere, poteva essere un'ottima promessa della ginnastica anche a livello nazionale.
Così si era deciso di farle frequentare la terza media da privatista a Pinerolo, città in un cui si sarebbe fermata a studiare ed allenarsi da lunedì a venerdì, tornando quindi a casa solo nel fine settimana.
Verso metà anno, però, la giovane aveva capito che quella vita non era fatta per lei, perché lo sport a quei livelli, unito allo studio, le impediva di avere tempo per se stessa, e soprattutto non era certa di avere come obiettivo le Olimpiadi, o i campionati Europei e Mondiale, sapeva non fosse quello lo scopo del suo fare sport.
Alla fine, durante una pausa per le vacanze di Carnevale a Febbraio, aveva avuto un lunga discussione con suo padre e preso forse la prima decisione veramente importante della sua vita, scegliendo di interrompere gli studi momentaneamente, finire gli allenamenti di quell'anno e poi ricominciare ad andare a scuola ed allenarsi per fare semplicemente agonismo.
Avrebbe però fatto la terza media, e successivamente il liceo, a Oulx, un paese decisamente distante da Pinerolo, tanto che tra una cosa e l'altra la ragazzina sarebbe stata solita passare quasi tre ore al giorno in autobus.
Ma non era per lei un grande sacrificio, visto che era giovane ed in salute, amava il suo sport e, anche se non brillava, le piaceva dare qualche soddisfazione scolastica al padre.
Anche lo spirito con cui affrontava quei “sacrifici” era però venuto a mancare nei mesi precedenti, portando Sabina ad un'altra chiacchierata con il padre e alla decisione di andare a vivere a Roma da sola.
Malgrado avesse appena diciotto anni, malgrado dovesse ancora fare quarta e quinta liceo.
Bussò alla porta aperta della palestra per farsi notare dall'allenatore.
- Sabina! Pensavo non saresti più venuta, iniziavo a preoccuparmi.-

Lei corse ad abbracciarlo, perché in tutti quegli anni aveva iniziato a vederlo quasi come uno zio.
- Scusa, Fulvio, mi sono fermata a salutare Lorenzo, il ragazzo dell'autobus... ma davvero temevi che me ne sarei andata senza salutarti?-
- No, in realtà no.- Ammise l'uomo.
Poi rimase un po' in silenzio a guardarla.
- Sei cresciuta davvero tanti rispetto a quando sei entrata qui la prima volta, sai? Sia come ginnasta che come persona; eri una ragazzina, adesso sei una donna, e non perché lo dice la tua carta d'identità.-
Sabina fece una smorfia e pronunciò qualche parola alludendo al fatto che nei mesi precedenti si fosse trovata obbligata a crescere velocemente, ma l'altro scosse la testa.
- Non si tratta solo dell'ultimo periodo, e lo sai. Anche perché se tu non ti fossi dimostrata matura già prima di ciò che è accaduto dubito tuo padre avrebbe acconsentito a farti andare da sola così lontano da casa.-
Lei annuì, anche se mai come in quel momento si era sentita strana a definire casa il posto in cui aveva vissuto i dieci anni precedenti.
- Fulvio io... beh, sì, volevo chiederti se potevo fare un'ultima volta quell'esercizio alla trave prima di lasciare la palestra.-
L'allenatore annuì, sapendo benissimo quale fosse l'esercizio in questione.
- Certo, cambiati e scaldati, poi fai pure.-
La ginnasta sorrise a mo' di ringraziamento e corse nello spogliatoio.
Lì dentro, mentre si preparava, sentì forte la nostalgia dei tanti momenti trascorsi con le compagne, e si intristì vedendo il suo armadietto ormai vuoto con sopra appesa una foto della loro squadra dopo una delle loro ultime vittorie.
“Così ti sentiremo vicina anche quando sarai a Roma” Le avevano detto quando l'avevano appesa lì “E se poi l'armadietto diventerà di qualche altra ginnasta sposteremo la fotografia.”, l'avevano rassicurata.
Le ragazze dell'artistica le sarebbero mancate molto, erano tra le poche persone che avrebbe rivisto con piacere le volte in cui sarebbe tornata in Piemonte a fare visita al padre.

Si scaldò come era solita fare, con gesti ed esercizi che col passare del tempo le erano diventati automatici, quasi meccanici, tanto che a volte le capitava di ripeterli anche nella vita quotidiana, magari appena sveglia per stirarsi in modo un po' particolare.
Quando fu certa di essere pronta sistemò per bene la trave, un'altra consuetudine, e poi vi salì.

Fulvio, che fino a quel momento l'aveva osservata distrattamente perché impegnato in altro, si fermò a guardarla con attenzione.
Sabina si tirò su facendo leva sulle braccia, poi si mise in piedi e cominciò a muoversi leggera tra salti e rovesciate.
Furono appena due minuti, ma parvero una piccola eternità silenziosa, interrotta solo dal rumore dei piedi nudi della ragazza che talvolta atterravano sul legno della trave.
Concluse l'esercizio facendo una ruota e poi un salto in alto seguito da una capriola in aria, atterrando in fine a piè pari senza perdere l'equilibrio, appena prima di voltarsi a salutare una giuria ed un pubblico immaginari.
L'applauso, però, lo ricevette comunque, ovviamente dall'allenatore, che le si avvicinò con fare paterno.
- Se avessi fatto un esercizio così durante una gara saresti sicuramente arrivata in alto.- Le sorrise dolcemente, ma sapeva come quella frase non le avrebbe fatto piacere.
Infatti Sabina abbassò lo sguardo e sospirò. - E che importanza ha, adesso? Mesi fa, forse, e neanche in gara... ma ora come ora...-
Si andò a sedere sulla cavallina senza aggiungere altro, togliendo di fatto all'uomo di darle anche solo un abbraccio consolatorio.
- Mi ha detto tuo padre che vuoi lasciare l'agonismo, è così?- Le chiese.
- Sì, è così. Credo che Roma abbia bisogno di una vita diversa da quella che ho fatto finora qui, io stessa ho bisogno di una vita diversa, e inoltre gli ultimi due anni di liceo vorrei farli bene, dando magari qualche soddisfazione a papà.- Spiegò la ragazza.
- Ma continuerai ad allenarti, vero? Voglio dire, è chiaro a tutti il tuo amore per la ginnastica, hai anche talento, e lo sai, sarebbe un peccato vederti smettere... sei così giovane!-
Sabina sorrise. - No, non smetterò, anche perché credo che non ce la farei. Tornerò nella palestra dove ho iniziato da bambina, semplicemente non farò più agonismo.- E aggiunse, seguendo un pensiero diverso, - Questo posto è una delle poche cose che mi mancherà davvero tanto.-
- Tornerai a trovarci, immagino.-
- Sì, naturale.-
- Facci avere notizie da Roma, qui mancherai molto a tutti.-
- Lo so... mi mancherete anche voi.- Sussurrò, scendo poi dalla cavallina per abbracciarlo nuovamente.
- Anche tu mi mancherai moltissimo, Fulvio, grazie di tutto.-
L'uomo le baciò la fronte come spesso faceva dopo una gara particolarmente faticosa.
Sabina raccolse le sue cose e andò a ricambiarsi, scoprendo sul cellulare un SMS del padre che le diceva di essere lì vicino pronto per portarla a casa.
- Fulvio mi ha appena scritto papà, è praticamente qui davanti.-
- Bene, ti accompagno all'uscita, allora, così ci salutiamo.-
Non parlarono fino a che non si trovarono nei pressi del cancello più esterno del palazzetto, poi lui si fermò e la guardò.
- Ci saranno altri a farti tutte le raccomandazioni del caso, ma io di certo non posso lasciarti andare così, senza dirti nulla.- La fece ridere.
- Dico sul serio; ti raccomando giudizio, Roma è una grande città, e come hai detto prima ha bisogno di essere vissuta diversamente rispetto a come vivevi qui, in tutti i sensi. Inoltre, ma di questo abbiamo già parlato, continua ad allenarti e fatti sentire, da me e dalle tue compagne.-
Sabina sorrise ancora e lo abbracciò davvero per l'ultima volta, poi uscì dal cancello e cercò con lo sguardo la macchina del padre.
La vide poco distante, dall'altro lato della strada, e attraversò lì dov'era senza cercare le strisce pedonali, rischiando di essere investita.
Questa disattenzione, non rara per lei, le costò un rimprovero come primo saluto da parte del padre.
- Certo che se devo stare tranquillo a mandarti a Roma da sola non puoi farmi vedere che rischi di farti ammazzare così a Pinerolo, eh?!-
- Scusa, papà, vedrai che starò più attenta.- Rispose dandogli un bacio sulla guancia.
- Lo spero bene.- Sospirò l'uomo.
Il padre di Sabina si chiamava Stefano e aveva poco più di cinquant'anni.
Carabiniere, figlio di un carabiniere e fratello di un carabiniere era il più basso in grado nella famiglia e probabilmente l'ultimo, visto che i figli non avevano mai pensato a quella possibilità e anche i nipoti parevano volersi allontanarsi da quella tradizione.
Con la nascita di Sabina era venuta al mondo la prima femmina dopo almeno due o tre generazioni, e quando l'aveva vista lì, piccolissima, nella sua tutina rosa tra le braccia della madre Marta, aveva pensato che non sarebbe stato poi così male essere padre di una bambina.
Avevano già un maschietto, Cesare, di circa tre anni e mezzo, e pensava che, forse, la vita con una bimba sarebbe stata più facile.
Quando poi era rimasto vedovo e si era trasferito in montagna con i figli aveva scoperto che le sue aspettative, determinate di luoghi comuni e cliché, non erano di facili conferme.
In fondo bastava guardare la situazione dei due fratelli in quel momento; Cesare si era diplomato per tempo e si era trasferito a Padova per studiare economia all'università e seguire la fidanzata del tempo, con cui ancora dopo tre anni era felicemente impegnato, mentre Sabina era appena maggiorenne, aveva ancora la scuola da finire e se ne stava andando lontano in completa solitudine.
Per quanto potesse avere delle buone ragioni, ed era innegabile le avesse, era sicuro che le maggiori preoccupazioni al padre, a quel punto, le avrebbe date lei.
Il cellulare le vibrò in tasca mentre si allacciava la cintura di sicurezza, e sorrise nel leggere il messaggio appena ricevuto.
- È Fulvio, papà, e si fa più o meno la tua stessa domanda su quando sarò lontana, deve avermi visto anche lui attraversare la strada prima. Cosa gli dico?-
- Digli che mi sono rassegnato a sperare tu metta giudizio nelle prossime ventiquattro ore.- Rispose il Maresciallo fingendosi sconsolato.
Mentre la figlia scriveva sul telefonino lui fece partire il CD già inserito nell'autoradio, e la macchina si riempì delle parole e della musica di un cantautore Romano deceduto da pochi anni, Stefano Rosso.
- No, papà, ti prego, non posso stare in macchina con un carabiniere che ascolta una canzone in favore della liberalizzazione degli spinelli, dai!- Lo sgridò la figlia.
- Guarda ragazzina che sono stato giovane anche io, non credere.-
- Giovane sì, fattone lo dubito.- Rise Sabina.
Poi recuperò dal cruscotto la cruscotto la custodia del CD fatto in casa dal maresciallo, azione giustificata dall'età dei brani.
Controllò sul retro della scatoletta l'elenco e scelse la canzone più malinconica, probabilmente la sua preferita.
- “E intanto il sole si nasconde”, forse il brano più trista tra tutti quelli di Rosso.-
- Credo si sposi bene con il momento attuale.- Sospirò lei prima di tacere.

Quando la canzone finì lasciò che suo padre ascoltasse quel che voleva, si infilò le cuffiette e cercò nel suo iPod qualche altra canzone non troppo felice, e di certo non ne era priva.
Rimase per tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, in silenzio.
La Strada Provinciale 166, quella su cui viaggiavano, era per Sabina colma di ricordi, quasi tutti molto belli, e la consapevolezza dii non poterli mai più rivivere era pesante, benché si fosse trattata di una sua scelta.
D'altronde crescere era quello, no? Scegliere e accettarne le conseguenze.



E intanto il sole si nasconde
scavalca tutta la città
dietro una multinazionale
fa l'occhiolino, se ne va...”

E intanto il sole si nasconde – S. Rosso



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Capitolo 3
*** Capitolo terzo. ***


Capitolo terzo


Oggi è un giorno come tanti, Leo.
Mio padre si è svegliato, si è messo la divisa e ha bevuto il suo caffè in piedi in cucina, con la cravatta ancora slacciata e il cappello sul mobile, vicino alla foto di mamma.
Poi si è lavato i denti, si è pettinato, ha fatto il nodo alla cravatta, ha preso il cappello e la borsa nera.
Ed è uscito senza salutarmi.
Perché io non sono più qui, Leo.
Tua S.



Ed esco fuori da ogni vita
perché ho paura di non vivere abbastanza
e ancora, ancora, ancora.
come nulla fosse
ancora, ancora, ancora
arrivederci e grazie

Arrivederci e grazie – Nesli


I genitori di Sabina erano nati a tre anni e cinquecento metri di distanza l'uno dall'altra, avevano frequentato lo stesso liceo e si erano conosciuti soltanto ormai quasi maggiorenni a ottocento chilometri da Roma.
Suo padre, Stefano, era di Via delle Sette Chiese, nato e cresciuto in uno di quei palazzi costruiti dal fascismo e che parevano non essere mai stati ristrutturati e aveva un fratello, Carlo, mentre sua madre, Marta, era di Via San Nemesio, di uno stabile decisamente più moderno sito davanti al CTO ed aveva una sorella, Lucia.
Avevano fatto lo stesso liceo all' Eur senza mai rendersi conto di camminare negli stessi corridoi e studiare sugli stessi libri finché non si erano parlati per la prima volta nella piazzetta innevata della borgata di montagna dove le due famiglie avevano due grange attaccate.
Così quando si erano sposati avevano deciso di buttare giù il muro che le divideva e creare una sola grangia che i membri di entrambe le famiglie, quella di Stefano e quella di Marta, potessero andare a rotazione. Fino a che, poche settimane dopo l'incidente che aveva tolto la vita alla donna, quasi dieci anni prima, il maresciallo aveva pagato agli altri eredi la loro parte di casa e vi si era trasferito coi figli, lasciandosi alle spalle Roma e tutto il resto.
Sabina e Cesare, ragazzini, avevano seguito l’uomo lontano da casa e si erano abituati a quella nuova vita. Quando aveva finito il liceo il ragazzo si era trasferito per l’università, e la piccola di casa era rimasta sola col padre.
Fino a quel giorno.
L’aria di fine estate rinfrescava la vallata e le ultime famiglie in vacanza erano giàr ripartite, quella mattina di agosto.
Il borsone della palestra della ragazza rotolò giù dalle scale. Lei lo seguì salterellando.
- Sabina!- La richiamò il padre dall’angolo cottura.
- Scusa, è che facevo prima così. In un viaggio solo ho portato giù la borsa degli allenamenti, il computer e lo zaino coi libri.-
- E che ti manca ancora?-
- I vocabolari di latino e greco, due valige e la mia borsa per il viaggio, quella con le cuffie, un libro, i cicles…
- Le gomme, Sabina. Abituati.-
- Quello che sono.-
- Va bene.- Concluse l’uomo voltandosi verso il lavabo per finir di sciacquare dei piatti. – Sistemo la cucina e vengo a darti una mano con le ultime cose. Cesare te a che punto sei?- Urlò sperando che, da qualche parte, il figlio maggiore lo sentisse.
- Finisco di lavare i denti e salgo a prendere le mie cose, Pa’.-
Sabina si rigirò verso le scale e tornò al piano di sopra, nella sua camera.
Non sembrava la stanza di una che stava andando via, era la normalissima camera di un’adolescente. La libreria piena, un armadio semichiuso da cui usciva un paio di jeans, il telefonino in carica sul comodino.
Si sedette sul letto rifatto e si guardò intorno. No, non sembrava che stesse andando via.
Perfino la scrivania raccontava un’altra storia, con un libro e un quaderno aperti e vario materiale di cancelleria in disordine.
- Hai lasciato tutto fermo.- Sentì dirsi alle spalle.
- Già fatto, papà?-
- Mi mancavano due piatti. Sai, potrei comprarmi una lavastoviglie ora che non ci sei più neanche tu, ma per una persona sola sarebbe uno spreco.- Provò a scherzare. Non era molto d’accordo con quell’addio improvviso, gli sembrava di veder sua figlia crescere troppo prima del tempo, ma Sabina aveva bisogno di tornare a Roma.
- Puoi sempre prenderla e con l’occasione trovarti una nuova fidanzata, dopo dieci anni non credo la mamma si arrabbierebbe .-
- Ci penserò su. Certo è che non sarà facile; la casa vuota, la cena da solo, addirittura camera tua in ordine. -
- Ti mancherà meno quando verrai a trovarmi, quella di Roma sarà la mia solita stanza.- Rise la ragazza.
-Già. Mentre qui sarà sempre come entrare in camera tua il quindici gennaio. -
- Quattordici.- Lo corresse lei. – È tutto come fosse sempre il quattordici gennaio. Il quindici era già un’altra cosa. - Sospirò. Poi si alzò e andò verso il muro dall’altra parte della camera, dove teneva appese quelle che a occhio e croce dovevano essere un centinaio di foto.
Ne prese una.
Era più piccolina, in quella foto, aveva quattordici anni e mezzo e indossava una camicetta nera su dei pantaloni neri. I capelli, sempre lunghissimi, erano racchiusi in una treccia che le cadeva dalle spalle al petto, e abbracciava un’altra ragazzina, più alta e magrolina con i capelli a caschetto. Davanti a loro una torta di compleanno con tredici candeline appena spente proprio dall’altra.
- Quella la porti con te? - Le domandò il padre.
Sabina ci pensò un attimo, poi rimise la fotografia al suo posto e tornò verso di lui. – No, per ora no. Ho bisogno di ricominciare, di dividere prima e dopo, di non… pensare troppo a perché vado via. Più avanti però credo che la prenderò, penso ne avrò bisogno a un certo punto. - Concluse.
Il maresciallo non continuò la discussione, preferì lasciar cadere l’argomento e parlare di altro.
- Ti do una mano a portar giù le ultime cose, Sabina. Così partiamo, almeno saremo a Roma entro cena.- Le disse.
La ragazza annuì e iniziarono a prendere le ultime valige aiutati da Cesare.
L’auto del maresciallo era nel parcheggio all’inizio della borgata, tirata fuori la sera prima per fare più in fretta in quella mattinata che sembrava non passare mai.
Davanti alla Opel nera li attendevano due uomini che aveva superato la mezza età, intenti a fumare la pipa mentre ridevano tra loro.
- Sergio! Gian! – Urlò Sabina correndogli incontro.
- Eccola, la donna in partenza.- La salutò ridendo uno dei due.
- Volevamo salutarti ancora prima che andaste, non è facile vederti così… grande.- Sospirò l’altro.
- Beh, non è che me ne vada perché son grande…- Sospirò lei.
- Vero, ma se fossi piccola non potresti andare, quindi sei anche grande. E poi hai diciotto anni, per chi come me e Sergio ti ha vista neonata sei davvero adulta.- Sabina sorrise. – Siete venuti per le raccomandazioni prima del viaggio?-
- Quelle te le farà tuo padre.- Disse quello di nome Sergio. – Noi volevamo solo augurarti buona fortuna, e dirti che questa sarà sempre casa tua. Non importa cosa pensino altri.-
Sabina sorrise. Sergio e Giancarlo erano quasi come degli zii, per lei, due delle poche persone di cui si fidava ciecamente, due delle poche persone che le dispiaceva lasciare lì.-
- Lo so, grazie. Tornerò a trovarvi.-
Li abbracciò con calma uno per volta, godendosi quella sensazione di casa che raramente aveva provato, poi si diresse verso la portiera della macchina.
- Ce’, posso stare io davanti?- Domandò al fratello.
- Come ti pare, tanto io voglio dormire per tutte e nove le ore del viaggio.
La ragazza sospirò.
Era tutto così strano, quel giorno di fine estate.



                                                          Coraggio lasciare tutto indietro e andare
                                                                                         Partire per ricominciare
Che non c’è niente di più vero di un miraggio
E per quanta
strada ancora c'è da fare
Amerai il finale

                                                         Buon viaggio – Cesare Cremonini

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