Just have a little faith di Ily18 (/viewuser.php?uid=19279)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto quello che serve... ***
Capitolo 2: *** ... E' avere... ***
Capitolo 3: *** ... un po' di fede. ***
Capitolo 1 *** Tutto quello che serve... ***
A/N: Ciao a tutti!
Questa storia l'avevo scritta verso maggio ed ero convintissima di
averla già pubblicata qui su EFP, invece no! eheheh
Piccolo avvertimento:
In teoria essendo nata molto prima della 4^ serie di Prison Break,
questa storia non sarebbe spoiler, ma dato che le cose che leggerete in
parte si sono avverate (sì, sono una veggente! eheh), vi
segnalo la possibilità che questa storia sia spoiler.
Piccolo riassunto:
La storia inizia nella 3^serie, Michael è rinchiuso a Sona e
Lincoln gli da la notizia che Sara è morta.
Un altro avvertimento,
Michael qualche volta potrebbe risultare un po' OOC, per lo meno credo!
eheheh
Buona lettura!
“Michael, Sara
è morta…”
Le parole uscirono a fatica dalla bocca di Lincoln.
Era ormai una settimana che glielo teneva nascosto, che mentiva a suo
fratello sulla sfortunata sorte della ragazza di cui Michael si era
innamorato a Fox River.
Lincoln sapeva di aver fatto la scelta giusta nel non dargli subito la
brutta notizia, dopotutto c’era la vita di suo figlio in
gioco. Non poteva permettersi un calo di concentrazione e di
determinazione da parte di Michael, non ora che la posta in gioco era
così alta.
Ma d’altra parte, Michael meritava di sapere come le cose
stavano andando veramente e ormai lui aveva esaurito tutte le scuse
possibili ed immaginabili.
In quella settimana gli aveva raccontato di tutto: che la Compagnia non
voleva più fargli avere notizie di Sara perché
così lui avrebbe lavorato più in fretta al suo
piano d’evasione; che aveva parlato con LJ che gli aveva
detto che Sara stava bene; che Susan lo teneva aggiornato sulle
condizioni dei due ostaggi.
Non sapeva veramente cos’altro inventarsi. Era ora che
Michael sapesse la verità.
“Michael…” Ripeté Lincoln,
cercando di ottenere più di un semplice sguardo perso nel
vuoto da parte del fratello.
Lincoln capiva la sua reazione, anche lui aveva perso la donna che
amava per mano della Compagnia e la cosa peggiore era che
l’aveva sentita morire, senza poter fare nulla per evitarlo.
Almeno a Michael era stata risparmiata questa crudeltà.
“Non può essere…” Disse
finalmente Michael, incrociando per un secondo lo sguardo dispiaciuto
di Lincoln, per poi abbassarlo nuovamente sulla fanghiglia ai suoi
piedi. “Non possono averla uccisa, non…”
“Mi dispiace, Michael.” Disse Lincoln, cercando le
mani di suo fratello attraverso la recinzione.
“Non possono averla uccisa. Sto lavorando per loro, sto
facendo il possibile per tirare fuori di prigione un tizio che nemmeno
conosco… Loro non possono averlo
fatto…” Disse, continuando a scuotere la testa,
come se stesse cercando di svegliarsi da quest’incubo.
“Sì che possono, Michael. Sappiamo benissimo con
che razza di bastardi abbiamo a che fare e…”
“Non può essere vero!” Urlò
Michael, interrompendo il fiume di inutili parole che usciva dalla
bocca di Lincoln e dando un forte colpo alla recinzione, proprio dove
poggiava la mano del fratello. “Stanno cercando di farmi
impazzire per farmi evadere di prigione il prima possibile.”
Disse Michael, iniziando un ragionamento contorto che solo lui riusciva
a seguire.
“Credimi, purtroppo è
tutto vero…” Disse Lincoln
dispiaciuto, abbassando lo sguardo a sua volta.
“Uh?” Disse Michael, alzando velocemente la testa e
fissando per la prima volta il fratello. “Come fai ad esserne
così sicuro?” Gli chiese, aspettando una risposta.
Quando Michael incrociò lo sguardo di Lincoln, che stava in
silenzio, capì. Deglutì con fatica, aveva paura
della risposta alla sua prossima domanda. “L’hai
vista?”
Lincoln annuì, mentre continuava a tenere lo sguardo basso
sulle sue scarpe. Non aveva il coraggio di raccontare i dettagli di
quel giorno a suo fratello, l’avrebbero fatto soffrire ancora
di più e quello era l’ultimo peso da aggiungere
sulle, già cariche, spalle di Michael.
“Come…?” Chiese Michael, dopo un lungo
silenzio.
Lincoln lo ignorò, cercando di scacciare dalla sua mente le
immagini di quel garage e di quella scatola.
“Dannazione Lincoln!! Dimmelo!” Urlò
Michael, mentre una guardia, richiamata dalle sue urla, gli
intimò di allontanarsi dalla recinzione.
“Michael, non puoi chiedermi questo, non posso
dirtelo!” Disse Lincoln, con un fare protettivo che solo i
fratelli maggiori hanno.
“Ci sono tante
cose che ti ho chiesto di fare e non hai mai
fatto.” Disse Michael triste e sfinito, con un tono
accusatorio nella voce. “Per una volta, fai quello che ti
chiedo.”
“Devi capire che l’hanno fatto solo per farti
evadere prima e se ora ti dico come sono andate veramente le cose,
otterranno quello che vogliono.” Lincoln si fermò
per un istante, sperando che il fratello lo implorasse di non andare
avanti, ma ovviamente questo non accadde.
Michael doveva e voleva sapere, per cui Lincoln proseguì il
suo racconto. “Subito dopo che tu e Sara vi siete sentiti per
telefono, sono andato nel posto che lei ti aveva indicato, per cercare
di salvare lei e LJ. Ma qualcosa è andato storto.”
Si prese un attimo per prendere fiato. “Qualche ora
più tardi, Susan mi chiamò al
cellulare… Mi disse di andare in un garage
perché… Lì c’era qualcosa
per me.” S’interruppe. Non riusciva ad andare
avanti, le immagini di quel giorno gli passavano ancora una volta di
fronte agli occhi e lui non poteva fare nulla per scacciarle via.
“Cos’era quel qualcosa, Lincoln?” Chiese
Michael, mentre continuava a fissare il fratello.
“Una scatola.” Gli rispose, evitando il suo sguardo.
Michael aveva intuito la direzione di questo discorso. Aveva intuito
quale sarebbe stata la risposta alla sua prossima domanda, ma era
più forte di lui, doveva sapere come gliel’avevano
portata via. “Cosa c’era dentro?”
“Ti prego Michael, non…”
“Dimmi cosa diavolo c’era lì
dentro!” Urlò, colpendo violentemente la
recinzione col palmo della mano.
Lincoln lo guardò e Michael poteva notare delle lacrime che
iniziavano a riempire gli occhi del fratello. Sapeva che questa
conversazione era difficile per entrambi, ma doveva sapere
cos’avevano fatto alla donna che amava.
“Dentro c’era…”
Cercò di dire quella frase tutta d’un fiato, ma
non ci riuscì. Prese un respiro profondo e infine, quasi in
un sussurrò, gli disse la verità. “La
sua testa.”
Michael lasciò che la mano, che qualche secondo prima aveva
sbattuto violentemente contro la recinzione, gli scivolasse sul fianco.
Lo shock di quelle parole lo avevano paralizzato.
L’unica cosa che gli era possibile fare ora, era fissare il
vuoto e pensare a lei. Pensare a quanto lei avesse sofferto per colpa
sua; pensare quanto lei sarebbe stata meglio se lui non le avesse mai
chiesto di lasciare aperta la porta dell’infermeria; pensare
a quanto avrebbe voluto svegliarsi nella sua cella e scoprire che tutto
questo era solo un incubo.
La fede lo aveva sempre portato a pensare che, per loro due, le cose si
sarebbero risolte nel modo giusto. Lui e Lincoln avrebbero aperto il
loro negozio di immersioni, mentre Sara e LJ prendevano il sole e
imparavano ad andare sul surf. E la sera, quando il negozio era chiuso,
lui e Sara sarebbero rimasti tutta la notte a guardare le stelle dalla
loro amaca, sorseggiando birra e parlando del loro futuro insieme, dei
nomi che avrebbero dato ai loro figli e della splendida casa che
Michael voleva costruire per loro due. Per non parlare
dell’appuntamento che le aveva promesso durante la
prima settimana a Fox River.
Ora tutto questo era semplicemente un sogno che non
sarebbe mai potuto diventare realtà.
“Da quanto lo sapevi?” Gli chiese, mentre sentiva
di non riuscire più a trattenere le lacrime.
Lincoln si sentiva uno schifo. Non c’era più
niente che poteva fare ora, suo fratello aveva bisogno di starsene un
po’ da solo per assorbire lo shock.
“Lo sapevi e non mi hai detto niente!” Gli
urlò furioso, mentre Lincoln gli voltava le spalle per
andarsene.
“L’ho fatto per proteggerti!”
Urlò Lincoln a sua volta, avvicinandosi nuovamente alla
recinzione.
“Stronzate! L’hai fatto perché hanno
ancora LJ e non volevi che io mandassi tutto
all’aria!” Disse Michael, battendo nuovamente il
pugno sulla recinzione.
I due, sguardi bassi, rimasero in silenzio per qualche minuto,
finché i singhiozzi di Michael non lo ruppero.
“Ho dato tutto per te. La mia vita, il mio lavoro, il mio
sangue e in cambio ti avevo chiesto di salvarla.” Disse tra
le lacrime. “Ti avevo chiesto solo quello.”
Continuò, poggiando la fronte sulla recinzione.
“Michael…” Lincoln avrebbe voluto
oltrepassare la recinzione e abbracciare forte il fratello,
rassicurarlo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma nemmeno
lui ne era più tanto convinto. Sapeva che oramai tutto era
cambiato.
“Tra qualche giorno evaderemo.” Disse, asciugandosi
gli occhi con una manica della felpa ed ignorando il tentativo di
Lincoln di tranquillizzarlo. “Tu avrai nuovamente LJ ed io
tornerò negli States per consegnarmi alla
polizia.” Continuò, girando le spalle al fratello,
senza nemmeno dargli l’opportunità di
controbattere.
Rientrò nel cortile di Sona, per poi raggiungere la sua
cella. Alzò il cuscino e la trovò.
Prese in mano la foto di Sara e si sedette spalle al muro.
Il suo piano poteva attendere, tutto quello di cui aveva bisogno ora,
era piangere.
A/N: Fine primo capitolo.
Avendo già gli altri due scritti, non passerà
molto prima che posti il continuo della storia! eheheh
Sperando vi sia piaciuto
questo primo capitolo, grazie per aver letto e un grazie speciale a chi
ha trovato il tempo di lasciare un commento e di farmi sapere che ne
pensava!
Al prossimo capitolo!
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Capitolo 2 *** ... E' avere... ***
A/N: Ecco il
capitolo 2!! Meno male che in teoria dovevo postare in fretta!!!
ahahahah
Ad ogni modo... Non vi
annoio troppo con parole inutili, perchè non è
proprio il caso, no? ahahah
Buona lettura! :)
Come promesso, qualche giorno più tardi, Michael e il suo
gruppo riuscì ad evadere da Sona, pur con qualche
difficoltà.
Anche questa volta aveva dovuto portare con sé gente che
meritava di stare in prigione, ma il pensiero fisso di Michael era
evadere, fare lo scambio e non avere più niente a che fare
con la Compagnia. Certo, più avanti avrebbe cercato chi
aveva fatto del male a Sara, ma non ora.
“La vendetta è un piatto che va consumato
freddo.” Pensò. “Quando le acque si
saranno calmate e la Compagnia penserà di essersi sbarazzata
di me… Ecco quando la vendicherò.”
Chiuse per un istante gli occhi e le immagini di lei gli passarono
davanti. Gli riaprì velocemente, non poteva lasciarsi
andare, non ora che il difficile arrivava.
Lo scambio avvenne nel museo di storia antica di Panama.
La Compagnia non ne era entusiasta, voleva che le cose andassero
secondo i suoi piani. Non questa volta, non quando Michael Scofield
è dall’altra parte del tavolo delle trattative.
Lo scambio avvenne all’interno del museo, ma una volta fuori,
Susan diede inizio alla sparatoria. Michael sapeva che non sarebbe
finita con baci e abbracci, ma non immaginava che avrebbero messo in
pericolo centinaia di vite innocenti, solo per far fuori i due
fratelli. Non pensava si sarebbero esposti così tanto.
Mentre Susan e il resto dei suoi scagnozzi cercavano di fuggire,
Michael trovò vicino a sé una pistola. La
raccolse e mirò.
La vedeva, di spalle, che correva. Un solo movimento
dell’indice destro e avrebbe freddato Susan.
La guardò salire su un furgone blindato e partire.
“Non era il momento giusto.” Pensò.
Ora che era tutto finito, sapeva cosa doveva fare. Doveva tornare a
Chicago, lì c’era qualcuno che doveva vedere.
Salutò distrattamente LJ e Lincoln -non gli erano mai
piaciuti gli addii- e salì su una delle macchine che il
fratello aveva procurato. Guardò per un’ultima
volta fuori dal finestrino e, indossati gli occhiali da sole,
partì.
Il viaggio in macchina da Panama a Chicago durò parecchi
giorni, ma finalmente c’era riuscito. Era arrivato a
destinazione.
Negli ultimi giorni gli era sembrato che qualcuno lo avesse seguito.
Ogni persona che incontrava sembrava guardarlo in modo strano, quasi
avesse capito chi in realtà si trovasse di fronte. Come
biasimarlo, aveva passato gli ultimi mesi a guardarsi perennemente le
spalle e ci sarebbe voluto un bel po’ prima che perdesse
quell’abitudine.
Guardò un’ultima volta la targhetta sul portone
del palazzo che si trovava di fronte e, dopo aver preso un respiro
profondo, entrò.
“Buongiorno, ha un appuntamento?” Gli chiese la
signorina dietro il bancone.
“Salve.” Rispose Michael, sperando che gli occhiali
da sole che indossava gli permettessero di passare inosservato. Quella
ragazza lo aveva già tradito una volta, non poteva rischiare
che succedesse di nuovo, non ancora per lo meno. “A dire il
vero no, ma vorrei vedere Bruce.”
“Lei è?” Chiese la signorina.
“Solo un vecchio amico.” Rispose Michael,
abbozzando un sorriso che trasudava sicurezza.
La segretaria prese in mano la cornetta del telefono e
schiacciò il numero corrispondente alla linea veloce che
l’avrebbe messa in contatto col suo capo.
Bruce fu costretto ad uscire dal suo studio, per vedere chi fosse in
realtà questo ‘vecchio amico’
così impaziente di vederlo.
Gli bastò vederlo di spalle, per riconoscerlo.
Capì subito che quello era Michael Scofield.
Lo fece accomodare nel suo studio ed iniziò a cercare
qualcosa all’interno dei cassetti della sua scrivania in
mogano.
“Sapevo saresti tornato a Chicago, solo non pensavo
così presto.” Disse, sempre intento a cercare.
“Bruce, c’è una cosa che deve
sapere…” Disse serio Michael, mentre cercava di
richiamare l’attenzione dell’anziano uomo.
“Parleremo più tardi.” Lo
rassicurò, gesticolando leggermente. “Ora ci sono
cose più importanti da fare.”
“Sul serio, Bruce, si segga. Ho bisogno di dirle una
cosa…” Ripeté Michael, quasi
spazientito dall’essere ignorato per colpa di un raccoglitore
introvabile.
Sul serio Bruce non capiva quanto Michael avesse bisogno di parlargli?
Non riusciva a leggergli in faccia quanto dolorosa fosse la notizia che
doveva dargli? Dopotutto, lui aveva cresciuto Sara come una figlia
mentre il padre era troppo impegnato a giocare a fare il politico, chi
più di lui avrebbe meritato di scoprire la verità?
“No, Michael!” Sbottò di colpo Bruce,
riportandolo alla realtà. “Ho promesso a Sara che
se mai fossi tornato a Chicago, ti avrei aiutato. E Dio mi fulmini se
non manterrò questa promessa!” Bloccò
per un istante i suoi occhi con quelli di Michael, dopodiché
poggiò sulla scrivania il raccoglitore che aveva finalmente
trovato.
Michael sentì il sangue gelare al solo sentire il suo nome.
Sara.
Aveva pensato a lui, a salvarlo, nonostante anche lei fosse in pericolo.
Lei aveva un piano per aiutarlo? Un piano per fargli iniziare una vita
da zero?
Era tutto inutile, dato che ora quella nuova vita non la includeva.
“Il giorno stesso in cui è stata sollevata dalle
accuse…” Bruce iniziò a spiegare.
“Sara mi chiamò, dandomi le indicazioni che
leggerai in questo file.” Glielo porse.
Michael lo lesse distrattamente. Parlava di città straniere
e nuove identità, niente che gli interessasse realmente,
dato che qualche ora più tardi si sarebbe consegnato alle
autorità.
“Ecco, prendi questa.” Gli disse Bruce, porgendogli
un rettangolo di plastica.
Michael lo guardò. Vide la sua foto e qualche dato
anagrafico che non corrispondeva alla realtà. Era una carta
d’identità falsa. Lesse il nome e gli occhi
iniziarono a bruciargli per le lacrime che minacciavano di scendere
impietose.
“Michael… Crane…” Lesse con
un filo di voce, mentre si abbandonava sulla sedia dietro di lui. Si
coprì gli occhi con una mano, mentre il ricordo di quel
giorno gli riempiva la mente. Ricordava benissimo il primo giorno che
lo aveva sentito.
Lui e Sara si sarebbero dovuti incontrare all’ospedale che
lui le aveva indicato nella registrazione. Lei non avrebbe mai fatto in
tempo a raggiungerlo, così chiamò
l’ospedale e usò quel nome per rintracciarlo.
“Ho pensato suonasse meglio di origami.”
Michael alzò di scatto la testa e fissò il muro
color crema di fronte a lui.
Non poteva essere. I ricordi di quella notte dovevano avergli fatto
immaginare la sua voce, perché lei non poteva essere
lì, viva.
Guardò Bruce e notò sulle sue labbra un sorriso.
Come poteva essere così felice, quando lui piangeva nel
ricordarla? Come poteva essere così insensibile?
Mentre Michael lo fissava con una punta d’ira, Bruce
uscì dal suo studio, lasciandolo solo.
Michael lo seguì con lo sguardo, dopodiché
tornò a guardare la carta d’identità.
Pur dandosi del pazzo, decise che doveva avere una risposta alla sua
domanda. Doveva sapere se aveva sentito quelle parole nella sua testa,
o se erano veramente uscite dalle sue labbra.
Guardò un’ultima volta la parola
‘Crane’ sulla carta, prese un respiro profondo e,
girandosi lentamente, si disse: “Abbi
fede…”
A/N: Bene, anche il
capitolo 2 è stato archiviato... Ne manca solo uno per la
conclusione della storia! :)
Sperando di non farvi
aspettare troppo e di pubblicare il prossimo più in fretta.
Come sempre un
grandissimo grazie a chi si ferma a leggere e un grazie ancora
più grande a chi è così gentile da
farmi sapere che ne pensa!
Alla prossima! :)
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Capitolo 3 *** ... un po' di fede. ***
A/N: E finalmente mi sono
ricordata di pubblicare il capitolo finale. Buona lettura :)
“Abbi
fede.” Si ripeté.
I pochi secondi che impiegò a girarsi, gli sembrarono secoli.
Era come se, uno spettatore curioso avesse appena schiacciato il
pulsante del rallentatore.
Lentamente, vide apparire, oltre la sua spalla destra, una porta
secondaria che prima non aveva notato. Girandosi un po’ di
più, notò anche che, oltre lui, in quella stanza
non c’era nessuno.
Tornò a fissare la sua finta carta
d’identità, con la consapevolezza che lei, Sara,
non era lì con lui. Aveva immaginato tutto.
“Riprova, Scofield.” Disse nuovamente quella voce
alla sua sinistra.
Nel sentirla di nuovo, girò di scatto la testa nel punto da
cui proveniva la voce e la vide.
I corti capelli scuri, leggermente più lunghi rispetto
all’ultima volta che l’aveva vista, erano raccolti
distrattamente in una coda che le lasciava cadere qualche ciuffo sul
viso. La facevano sembrare così timida, quasi impaurita di
trovarselo davanti. Se solo avesse potuto vedere quanto il suo stomaco
si era ristretto al solo sentire la sua voce, quanta aria aveva
trattenuto nei polmoni quando si era girato e l’aveva vista
di fronte a sé, bellissima.
I suoi occhi scuri lo fissavano, bramosi di catturare ogni minima mossa
che avrebbe fatto. Ma Michael non si sarebbe mosso tanto in fretta, non
finché la paura che tutto questo fosse un sogno svanisse. E,
se per caso, questo era davvero un sogno, allora sarebbe rimasto
lì, fermo e immobile, per sempre.
Le sue labbra, bagnate qualche secondo prima dal movimento nervoso
della sua lingua, gli sorridevano timidamente, quasi implorandolo di
dire o fare qualcosa, qualunque cosa. Dio, quelle labbra. Prima che
Lincoln gli desse la brutta notizia, ogni notte passata a Sona era meno
dura grazie al ricordo delle volte che aveva avuto
l’occasione di baciarle.
Le lunghe dita affusolate, giocavano nervose con le lunghe maniche
della camicetta in lino che indossava. Michael adorava quando Sara era
nervosa per colpa sua, perdeva la testa nel sapere che le faceva questo
effetto, anche perché a lui succedeva la stessa cosa quando
lei era nei paraggi.
Sara fece qualche passo verso di lui, notando che le sue guance erano
rigate dalle lacrime che gli continuavano a scendere, e lo strinse
forte a sé, lasciando che le sue lacrime cadessero a loro
volta.
Michael la sentì tremare, mentre rispondeva al suo abbraccio
e chiudeva le sue braccia intorno al suo corpo. Cercò di
stringerla a sé più che poteva, come impaurito
che potesse svanire come una nuvola di fumo.
“Ti prego, dimmi che non sei un sogno.” Le
sussurrò.
“No, Michael.” Gli disse, cercando di avvicinarsi
ancora di più a lui, anche se era fisicamente impossibile.
“E’ tutto vero.” Lo rassicurò.
Sara fu sorpresa nel sentire Michael allontanarsi da lei
così in fretta.
Aveva pensato che sarebbero rimasti avvinghiati al centro di quella
stanza per ore, invece lui ora la fissava a solo qualche centimetro dal
suo viso, con una strana luce negli occhi che Sara conosceva bene.
Aveva già visto quello sguardo durante i loro appuntamenti
nell’infermeria di Fox River, Michael aveva qualcosa in mente
e lei non aveva idea di cosa fosse.
Michael sapeva che, sogno o realtà che fosse,
c’era solo una cosa che voleva fare più di ogni
altra cosa.
Fece scendere delicatamente le sue mani dalle spalle di Sara fino alla
vita, per poi attirarla dolcemente a sé e catturare le sue
labbra, le stesse labbra che sembravano implorarlo di baciarle fin dal
primo secondo che l’aveva vista, in un tenero bacio.
Mentre assaporava attentamente, per la quarta volta, il dolce sapore
delle labbra di Sara, Michael ne fu consapevole, quello non era un
sogno, era tutto vero. L’averla nuovamente di fronte, gli
fece dimenticare che era lì per costituirsi.
Il sentire nuovamente il suo respiro sul collo, gli fece dimenticare
che doveva vendicarsi della Compagnia.
Le sue mani sul suo petto, gli fecero dimenticare gli ultimi giorni a
Sona.
Le sue labbra, con quel sapore di fragola… Non aveva idea
come mai, ma ogni volta che si erano baciati, aveva sempre riconosciuto
quel sapore. Nell’infermeria, nel treno, nella casetta a
Panama e ora qui, nello studio di Bruce.
Ora Michael adorava le fragole, non ne poteva più fare a
meno.
“Mi sei mancato anche tu!” Disse Sara divertita,
rompendo il bacio per il bisogno urgente di prendere aria.
Michael le sorrise, mettendole dolcemente una delle ciocche ribelli
dietro un orecchio.
Sara arrossì timidamente e, istintivamente,
rifugiò il viso imbarazzato nel petto di Michael.
“Sei bellissima.” Le sussurrò,
stringendola forte a sé. Avrebbe voluto vivere questo
momento al rallentatore, per poterne assaporare ogni millesimo di
secondo. Sentire nuovamente il suo viso aderire così
perfettamente al suo corpo, lo riportò, per un secondo, alla
tristezza di qualche istante prima, quando pensava che non avrebbe mai
potuto rivivere momenti come questo.
“Così, sarei il signor Crane ora?” Le
chiese divertito.
Sara alzò leggermente il viso, di modo che potesse
incrociare il suo sguardo con quello protettivo di Michael.
“Già. Te l’ho già detto che
suona meglio di origami?” Scherzò lei.
“L’ho sentito dire in giro.” Le rispose
prontamente, facendola sorridere. “E che piani hai per
me?” Chiese curioso.
“Beh, puoi scegliere tra l’essere un affascinante
consulente edile, o un irresistibile esperto di immersioni che gestisce
il suo negozio insieme al fratello.” Disse, presentandogli le
opzioni come una brava venditrice porta a porta.
“Diciamo che per ora sono più propenso a scegliere
l’opzione numero 1.” Rispose, ricordando che i suoi
rapporti con Lincoln, al momento, non erano dei migliori. “E
per te cos’hai preparato?”
“Beh, tecnicamente io non avrei bisogno di nascondermi, visto
che le accuse contro di me son tutte crollate.” Gli fece
notare con un sorriso. “Ma ho pensato di creare una finta
identità anche per me, sai, per non farti sentire troppo
solo.” Aggiunse, cercando di suonare il più
indifferente possibile.
“Ah si?” Le chiese, stando al suo gioco.
“E per caso, questa tua finta identità ha a che
fare con una certa signora Crane?” Le chiese malizioso.
“Dipende…” Rispose, facendo la vaga.
“Da cosa?”
“Da cosa ne pensa il signor Crane…”
“Penso sia pienamente d’accordo.” Disse
sorridendo, prima di attirarla a sé e baciarla nuovamente.
Sara si sporse leggermente e rispose molto volentieri a quel bacio.
“D’accordo, lo prenderò come un
sì.” Disse, annuendo e sorridendo, una volta
allontanatasi leggermente da lui.
“E che piani hai per la signora Crane?” Le chiese.
“Stavo riflettendo e… Potrebbe essere una
ballerina di lap dance…” Disse scherzando, notando
per la prima volta da quando lo conosceva, una punta di gelosia nel
sorriso di circostanza che le stava facendo. “Ma poi ho
pensato che essere una pediatra fosse più adatto.”
Continuò divertita, toccandogli teneramente la punta del
naso con l’indice.
“Già, lo penso anch’io!” Disse
sollevato, con un sorriso. “E dove staremo?” Le
chiese serio, accarezzandole dolcemente la schiena.
“Finché le accuse nei tuoi confronti non saranno
cadute, il più lontano possibile da Chicago.”
Rispose, buttandogli le braccia al collo. “Avevo pensato al
Messico…” Sorrise, alzando le sopracciglia e
annuendo leggermente.
“Mhm…” Michael assunse un’aria
pensierosa. “Sabbia bianca, mare cristallino, palme su cui
legare un’amaca… Penso non mi ci vorrà
molto per farci l’abitudine.” Sorrise.
“Come mai proprio il Messico?”
“Beh, per le ragioni che hai appena
detto…” Rispose vagamente, abbassando lo sguardo
di modo che non fosse costretta a guardarlo negli occhi.
“E…?” Disse, capendo che Sara aveva
volutamente lasciato la frase in sospeso.
“Beh, lì sarai al sicuro dalla giustizia Americana
e potrai finalmente realizzare il tuo sogno di aprire il negozio di
immersioni con tuo fratello…” Disse, notando
quanto l’argomento rendesse nervoso Michael.
“Sara…” Disse, buttando fuori un
po’ d’aria che si era tenuto dentro quando lei
aveva nominato suo fratello. “Lincoln ed Io…
Diciamo che in questo momento, le cose tra noi non vanno
benissimo.” Le confessò.
“Lo so, Michael.” Gli disse, notando
un’espressione sorpresa nel suo viso, al solo sentire quelle
parole uscire dalla sua bocca.
“Lo sai?” Chiese stupito.
“Sì.” Gli rispose, accarezzandogli
dolcemente la guancia destra. “Circa una settimana fa, la
Compagnia mi stava trasportando, legata e bendata, in un altro dei loro
nascondigli lì a Panama. Qualcuno deve aver teso
un’imboscata, perché il van che mi trasportava
fece una brusca frenata e uscì fuori strada. Io e gli uomini
armati che stavano dietro con me, cademmo a terra svenuti.”
Sara notò come Michael fosse attento a non perdersi nemmeno
il più piccolo dettaglio del suo racconto.
“Qualche ora più tardi mi ritrovai sdraiata su un
divano e qualche straccio umido sulla fronte. Una gentile, anziana
signora mi diede da bere e da mangiare. Lei parlava solo Spagnolo. Fu
suo figlio che mi spiegò che faceva parte di un gruppo di
soldati mercenari ingaggiati da Bruce per ritrovarmi e riportarmi a
casa sana e salva. Così, non appena sono arrivata qui, ho
chiamato un vecchio numero di cellulare che ho letto su un foglietto
trovato per caso nella tasca dei miei jeans. Non avevo idea di chi mi
avrebbe risposto, fatto sta che ho tentato. Non avevo niente da
perdere.” Gli spiegò.
“E quel numero era di Lincoln?” Le chiese, quasi
implorandola di continuare il suo racconto. Non aveva mai avuto
l’occasione di immaginarla impegnata in una ricerca del
genere.
Prima che Lincoln gli desse la brutta notizia, l’aveva sempre
pensata imbavagliata e legata ad una sedia, che cercava di
sopravvivere. Michael sapeva che Sara era una donna forte, ne era
consapevole, solo desiderava che lei non lo avesse mai dovuto
dimostrare in queste circostanze.
“Sì, fu Lincoln a rispondermi.”
Continuò, Sara. “Non avevamo molto tempo per
parlare. Mi raccontò del piano di evasione che avresti
attuato nel giro di pochi giorni e delle tue intenzioni di tornare a
Chicago.” Disse con un sorriso. “E di come avessi
deciso di costituirti.” Aggiunse triste.
“Beh, sì.” Fu l’unica cosa che
riuscì a dire. Il solo sentirle ripetere il piano che aveva
pensato qualche giorno fa, -quando non aveva più nessuna
ragione che lo spingesse a continuare a combattere- gli fece capire
quanto le cose fossero cambiate nel giro di qualche secondo.
Quel piano che prima gli sembrava così perfetto, ora
sembrava inutile e senza senso. Ora che lei era lì, di
fronte a lui, non aveva più senso consegnarsi alla polizia.
Non poteva rinunciare a starle vicino, non ora che l’aveva
ritrovata. Ma d’altro canto, Sara non meritava di vivere con
lui come una fuggiasca, non dopotutto quello che aveva subito per colpa
sua.
“Pensi ancora di costituirti?” Gli chiese, sperando
di sentirgli dire ‘no’.
“Sara…” Disse, prendendole il viso tra
le mani. “Prima di venire a Chicago, ero così
sicuro di farlo…” Abbassò lo sguardo e
respirò a fondo. “Qualche giorno prima
dell’evasione, Lincoln mi diede una brutta notizia, che mi
fece perdere tutta la fede e la speranza che avevo accumulato in tutti
questi anni…”
“La notizia della mia morte… Ti aveva depresso
così tanto?” Chiese sorpresa, abbassando lo
sguardo sulle sue scarpe, per non fargli notare le lacrime che avevano
iniziato a rigarle le guance.
“Tu… Tu lo sai…?” Le chiese
sconvolto. Le gambe gli cedettero leggermente e sentì il
bisogno di sedersi sul divano in velluto rosso alla sua sinistra.
“Lincoln…” Disse in un sussurro, dopo
essersi seduta di fianco a lui.
“Perché… Perché te
l’ha detto?” Chiese, cercando di nasconderle,
inutilmente, tutta la rabbia che provava ora per il fratello.
“Non prendertela con lui, Michael.” Lo
pregò, poggiandogli una mano sulla coscia per calmarlo. Non
aveva mai visto negli occhi di Michael, tanto odio per una persona,
come Lincoln, che lui adorava. “Quando gli chiesi cosa ti
spingeva a costituirti, lui cercò di fare il
vago.” Spiegò. “Mi ritrovai a
minacciarlo di tornare a Panama e scoprirlo da sola. Per cui non ha
avuto molta scelta. Ha preferito dirmi che mi credevi morta, piuttosto
che farmi andare fin lì e far sì che quella non
fosse solo una messinscena della Compagnia.”
Proseguì, stringendo le sue mani tra le sue. “Non
puoi incolparlo per una cosa del genere, l’ha fatto per
te!”
“Ma perché non mi ha detto la verità?
Perché mi ha nascosto che eri sana e salva a
Chicago?” Disse, facendole solo due delle mille domande che
le passavano per la mente in quel momento.
“E’ stata una mia idea, Michael.”
Confessò, sentendo un immenso senso di colpa che cresceva
sempre più, ogni volta che lui la guardava. Riusciva a
percepire il dolore che Michael provava in questo momento. Glielo
leggeva negli occhi. Si odiava per avergli causato tanta sofferenza.
Dopotutto, lei aveva agito in quel modo perché pensava fosse
la cosa migliore per lui, per loro. “Sapevo che,
una volta evaso, saresti venuto qui a Chicago. Credimi, se avessi
saputo che il tuo piano era rincorrere la Compagnia e farli tutti
fuori, avrei implorato Lincoln di farti sapere come stavano veramente
le cose, di convincerti a venire qui da me.” Cercò
di spiegargli il più razionalmente possibile, ma
chissà come mai, ora quelle parole non sembravano avere
più così tanto senso nemmeno per lei.
“Ho trattato Lincoln malissimo…” Disse,
guardando il vuoto di fronte a sé.
“Lo so, Michael. Mi dispiace tantissimo… Lincoln
capiva come ti sentivi in quel momento, sapeva che non eri in
te.” Gli disse, rassicurandolo. “Credimi, mi
dispiace tanto di aver agito in quel modo, ma pensavo fosse la cosa
migliore da fare per te…” Gli spiegò,
tenendosi il viso tra le mani. “Per
noi…” Aggiunse, piangendo.
“Lo so…” Disse, stringendola a
sé. “Probabilmente, fossi stato in te, avrei fatto
lo stesso.” Le sorrise dolcemente, baciandole delicatamente
la fronte e accarezzandole, rassicurante, la schiena.
“Non sei arrabbiato?” Gli chiese confusa.
“Come potrei sopportare il sole del Messico con te che mi
guardi con quegli occhioni tristi?” Le disse con un
dolcissimo sorriso. “In più, hai organizzato tutto
questo da sola.” Disse, indicando il raccoglitore.
“Non vorrei mai che il tuo lavoro andasse
sprecato.” Aggiunse, baciandola sulle labbra ancora salate
dalle lacrime che le continuavano a scendere.
Sara lo strinse forte a sé, contenta di saperlo felice.
“Lincoln e LJ saranno già arrivati nella baita in
riva al mare che gli ho indicato qualche giorno fa.” Disse,
asciugandosi le ultime lacrime che le cadevano dagli occhi.
“Cosa?” Chiese incuriosito da quelle parole.
Sara sorrise nel vedere quell’espressione sul viso di Michael.
Non era facile sorprendere Michael Scofield, di solito era sempre lui
quello che si occupava dei piani e della loro riuscita. “Non
appena sono arrivata qui a Chicago, Bruce mi ha fatto avere parte
dell’eredità che mio padre mi ha
lasciato.” Spiegò, con un tono di tristezza nel
ricordare il defunto padre. “Ne ho usato una piccola parte
per comprare una baita su una delle spiagge più anonime del
Messico. In altre circostanze, probabilmente avrei interamente
devoluto la somma in beneficenza, ma finché le acque non si
saranno calmate, quei soldi e il vostro negozio di immersioni, saranno
la nostra unica risorsa.” Concluse, con un sorriso nervoso
sulle labbra.
“Quelli e il tuo stipendio da pediatra.”
Le ricordò, Michael.
“Già…” Annuì
imbarazzata.
“Wow, Sara. Hai pensato veramente a tutto!” Le
disse, fiero di lei. Era impressionato da come avesse pensato ad ogni
minimo dettaglio. Spiagge anonime, baite che passavano inosservate,
finte identità, soldi che gli avrebbero aiutati a superare i
momenti difficili.
“Beh Scofield, dovrai abituarti al fatto di non essere
più l’unico genio in famiglia!” Disse
prendendolo dolcemente in giro, mentre un sorriso malizioso spuntava
sulle labbra.
“Penso di potermi abituare anche a quello.” Rispose
divertito, sigillandole le labbra con un bacio.
In quel momento, Michael non ricordava nemmeno come avesse potuto anche
solo pensare che essere ottimisti e avere fede non pagava.
Ora che lei era lì, con lui, la sua nuova, magnifica vita
era appena cominciata.
A/N: E così
finisce. :)
Come avrete tutti notato, è mooolto diversa da quello che
succede nella 4^ serie che abbiamo visto (o state vedendo, nel caso
seguiate su italia 1).
Grazie a tutti quelli che
hanno seguito la storia dall'inizio alla fine!
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