Just have a little faith

di Ily18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto quello che serve... ***
Capitolo 2: *** ... E' avere... ***
Capitolo 3: *** ... un po' di fede. ***



Capitolo 1
*** Tutto quello che serve... ***


A/N: Ciao a tutti!
Questa storia l'avevo scritta verso maggio ed ero convintissima di averla già pubblicata qui su EFP, invece no! eheheh

Piccolo avvertimento: In teoria essendo nata molto prima della 4^ serie di Prison Break, questa storia non sarebbe spoiler, ma dato che le cose che leggerete in parte si sono avverate (sì, sono una veggente! eheh), vi segnalo la possibilità che questa storia sia spoiler.
Piccolo riassunto: La storia inizia nella 3^serie, Michael è rinchiuso a Sona e Lincoln gli da la notizia che Sara è morta.
Un altro avvertimento, Michael qualche volta potrebbe risultare un po' OOC, per lo meno credo! eheheh
Buona lettura!


“Michael, Sara è morta…” Le parole uscirono a fatica dalla bocca di Lincoln.

Era ormai una settimana che glielo teneva nascosto, che mentiva a suo fratello sulla sfortunata sorte della ragazza di cui Michael si era innamorato a Fox River.
Lincoln sapeva di aver fatto la scelta giusta nel non dargli subito la brutta notizia, dopotutto c’era la vita di suo figlio in gioco. Non poteva permettersi un calo di concentrazione e di determinazione da parte di Michael, non ora che la posta in gioco era così alta.
Ma d’altra parte, Michael meritava di sapere come le cose stavano andando veramente e ormai lui aveva esaurito tutte le scuse possibili ed immaginabili.
In quella settimana gli aveva raccontato di tutto: che la Compagnia non voleva più fargli avere notizie di Sara perché così lui avrebbe lavorato più in fretta al suo piano d’evasione; che aveva parlato con LJ che gli aveva detto che Sara stava bene; che Susan lo teneva aggiornato sulle condizioni dei due ostaggi.
Non sapeva veramente cos’altro inventarsi. Era ora che Michael sapesse la verità.

“Michael…” Ripeté Lincoln, cercando di ottenere più di un semplice sguardo perso nel vuoto da parte del fratello.

Lincoln capiva la sua reazione, anche lui aveva perso la donna che amava per mano della Compagnia e la cosa peggiore era che l’aveva sentita morire, senza poter fare nulla per evitarlo. Almeno a Michael era stata risparmiata questa crudeltà.

“Non può essere…” Disse finalmente Michael, incrociando per un secondo lo sguardo dispiaciuto di Lincoln, per poi abbassarlo nuovamente sulla fanghiglia ai suoi piedi. “Non possono averla uccisa, non…”

“Mi dispiace, Michael.” Disse Lincoln, cercando le mani di suo fratello attraverso la recinzione.

“Non possono averla uccisa. Sto lavorando per loro, sto facendo il possibile per tirare fuori di prigione un tizio che nemmeno conosco… Loro non possono averlo fatto…” Disse, continuando a scuotere la testa, come se stesse cercando di svegliarsi da quest’incubo.

“Sì che possono, Michael. Sappiamo benissimo con che razza di bastardi abbiamo a che fare e…”

“Non può essere vero!” Urlò Michael, interrompendo il fiume di inutili parole che usciva dalla bocca di Lincoln e dando un forte colpo alla recinzione, proprio dove poggiava la mano del fratello. “Stanno cercando di farmi impazzire per farmi evadere di prigione il prima possibile.” Disse Michael, iniziando un ragionamento contorto che solo lui riusciva a seguire.

“Credimi, purtroppo è tutto vero…” Disse Lincoln dispiaciuto, abbassando lo sguardo a sua volta.

“Uh?” Disse Michael, alzando velocemente la testa e fissando per la prima volta il fratello. “Come fai ad esserne così sicuro?” Gli chiese, aspettando una risposta. Quando Michael incrociò lo sguardo di Lincoln, che stava in silenzio, capì. Deglutì con fatica, aveva paura della risposta alla sua prossima domanda. “L’hai vista?”

Lincoln annuì, mentre continuava a tenere lo sguardo basso sulle sue scarpe. Non aveva il coraggio di raccontare i dettagli di quel giorno a suo fratello, l’avrebbero fatto soffrire ancora di più e quello era l’ultimo peso da aggiungere sulle, già cariche, spalle di Michael.

“Come…?” Chiese Michael, dopo un lungo silenzio.

Lincoln lo ignorò, cercando di scacciare dalla sua mente le immagini di quel garage e di quella scatola.

“Dannazione Lincoln!! Dimmelo!” Urlò Michael, mentre una guardia, richiamata dalle sue urla, gli intimò di allontanarsi dalla recinzione.

“Michael, non puoi chiedermi questo, non posso dirtelo!” Disse Lincoln, con un fare protettivo che solo i fratelli maggiori hanno.

“Ci sono tante cose che ti ho chiesto di fare e non hai mai fatto.” Disse Michael triste e sfinito, con un tono accusatorio nella voce. “Per una volta, fai quello che ti chiedo.”

“Devi capire che l’hanno fatto solo per farti evadere prima e se ora ti dico come sono andate veramente le cose, otterranno quello che vogliono.” Lincoln si fermò per un istante, sperando che il fratello lo implorasse di non andare avanti, ma ovviamente questo non accadde.
Michael doveva e voleva sapere, per cui Lincoln proseguì il suo racconto. “Subito dopo che tu e Sara vi siete sentiti per telefono, sono andato nel posto che lei ti aveva indicato, per cercare di salvare lei e LJ. Ma qualcosa è andato storto.” Si prese un attimo per prendere fiato. “Qualche ora più tardi, Susan mi chiamò al cellulare… Mi disse di andare in un garage perché… Lì c’era qualcosa per me.” S’interruppe. Non riusciva ad andare avanti, le immagini di quel giorno gli passavano ancora una volta di fronte agli occhi e lui non poteva fare nulla per scacciarle via.

“Cos’era quel qualcosa, Lincoln?” Chiese Michael, mentre continuava a fissare il fratello.

“Una scatola.” Gli rispose, evitando il suo sguardo.

Michael aveva intuito la direzione di questo discorso. Aveva intuito quale sarebbe stata la risposta alla sua prossima domanda, ma era più forte di lui, doveva sapere come gliel’avevano portata via. “Cosa c’era dentro?”

“Ti prego Michael, non…”

“Dimmi cosa diavolo c’era lì dentro!” Urlò, colpendo violentemente la recinzione col palmo della mano.

Lincoln lo guardò e Michael poteva notare delle lacrime che iniziavano a riempire gli occhi del fratello. Sapeva che questa conversazione era difficile per entrambi, ma doveva sapere cos’avevano fatto alla donna che amava.

“Dentro c’era…” Cercò di dire quella frase tutta d’un fiato, ma non ci riuscì. Prese un respiro profondo e infine, quasi in un sussurrò, gli disse la verità. “La sua testa.”

Michael lasciò che la mano, che qualche secondo prima aveva sbattuto violentemente contro la recinzione, gli scivolasse sul fianco. Lo shock di quelle parole lo avevano paralizzato.

L’unica cosa che gli era possibile fare ora, era fissare il vuoto e pensare a lei. Pensare a quanto lei avesse sofferto per colpa sua; pensare quanto lei sarebbe stata meglio se lui non le avesse mai chiesto di lasciare aperta la porta dell’infermeria; pensare a quanto avrebbe voluto svegliarsi nella sua cella e scoprire che tutto questo era solo un incubo.
La fede lo aveva sempre portato a pensare che, per loro due, le cose si sarebbero risolte nel modo giusto. Lui e Lincoln avrebbero aperto il loro negozio di immersioni, mentre Sara e LJ prendevano il sole e imparavano ad andare sul surf. E la sera, quando il negozio era chiuso, lui e Sara sarebbero rimasti tutta la notte a guardare le stelle dalla loro amaca, sorseggiando birra e parlando del loro futuro insieme, dei nomi che avrebbero dato ai loro figli e della splendida casa che Michael voleva costruire per loro due. Per non parlare dell’appuntamento che le aveva promesso durante la prima settimana a Fox River.
Ora tutto questo era semplicemente un sogno che non sarebbe mai potuto diventare realtà.

“Da quanto lo sapevi?” Gli chiese, mentre sentiva di non riuscire più a trattenere le lacrime.

Lincoln si sentiva uno schifo. Non c’era più niente che poteva fare ora, suo fratello aveva bisogno di starsene un po’ da solo per assorbire lo shock.

“Lo sapevi e non mi hai detto niente!” Gli urlò furioso, mentre Lincoln gli voltava le spalle per andarsene.

“L’ho fatto per proteggerti!” Urlò Lincoln a sua volta, avvicinandosi nuovamente alla recinzione.

“Stronzate! L’hai fatto perché hanno ancora LJ e non volevi che io mandassi tutto all’aria!” Disse Michael, battendo nuovamente il pugno sulla recinzione.

I due, sguardi bassi, rimasero in silenzio per qualche minuto, finché i singhiozzi di Michael non lo ruppero.

“Ho dato tutto per te. La mia vita, il mio lavoro, il mio sangue e in cambio ti avevo chiesto di salvarla.” Disse tra le lacrime. “Ti avevo chiesto solo quello.” Continuò, poggiando la fronte sulla recinzione.

“Michael…” Lincoln avrebbe voluto oltrepassare la recinzione e abbracciare forte il fratello, rassicurarlo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma nemmeno lui ne era più tanto convinto. Sapeva che oramai tutto era cambiato.

“Tra qualche giorno evaderemo.” Disse, asciugandosi gli occhi con una manica della felpa ed ignorando il tentativo di Lincoln di tranquillizzarlo. “Tu avrai nuovamente LJ ed io tornerò negli States per consegnarmi alla polizia.” Continuò, girando le spalle al fratello, senza nemmeno dargli l’opportunità di controbattere.

Rientrò nel cortile di Sona, per poi raggiungere la sua cella. Alzò il cuscino e la trovò.
Prese in mano la foto di Sara e si sedette spalle al muro.

Il suo piano poteva attendere, tutto quello di cui aveva bisogno ora, era piangere.



A/N: Fine primo capitolo. Avendo già gli altri due scritti, non passerà molto prima che posti il continuo della storia! eheheh
Sperando vi sia piaciuto questo primo capitolo, grazie per aver letto e un grazie speciale a chi ha trovato il tempo di lasciare un commento e di farmi sapere che ne pensava!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** ... E' avere... ***


A/N: Ecco il capitolo 2!! Meno male che in teoria dovevo postare in fretta!!! ahahahah
Ad ogni modo... Non vi annoio troppo con parole inutili, perchè non è proprio il caso, no? ahahah
Buona lettura! :)



Come promesso, qualche giorno più tardi, Michael e il suo gruppo riuscì ad evadere da Sona, pur con qualche difficoltà.
Anche questa volta aveva dovuto portare con sé gente che meritava di stare in prigione, ma il pensiero fisso di Michael era evadere, fare lo scambio e non avere più niente a che fare con la Compagnia. Certo, più avanti avrebbe cercato chi aveva fatto del male a Sara, ma non ora.

“La vendetta è un piatto che va consumato freddo.” Pensò. “Quando le acque si saranno calmate e la Compagnia penserà di essersi sbarazzata di me… Ecco quando la vendicherò.” Chiuse per un istante gli occhi e le immagini di lei gli passarono davanti. Gli riaprì velocemente, non poteva lasciarsi andare, non ora che il difficile arrivava.

Lo scambio avvenne nel museo di storia antica di Panama.
La Compagnia non ne era entusiasta, voleva che le cose andassero secondo i suoi piani. Non questa volta, non quando Michael Scofield è dall’altra parte del tavolo delle trattative.
Lo scambio avvenne all’interno del museo, ma una volta fuori, Susan diede inizio alla sparatoria. Michael sapeva che non sarebbe finita con baci e abbracci, ma non immaginava che avrebbero messo in pericolo centinaia di vite innocenti, solo per far fuori i due fratelli. Non pensava si sarebbero esposti così tanto.
Mentre Susan e il resto dei suoi scagnozzi cercavano di fuggire, Michael trovò vicino a sé una pistola. La raccolse e mirò.
La vedeva, di spalle, che correva. Un solo movimento dell’indice destro e avrebbe freddato Susan.
La guardò salire su un furgone blindato e partire.

“Non era il momento giusto.” Pensò.

Ora che era tutto finito, sapeva cosa doveva fare. Doveva tornare a Chicago, lì c’era qualcuno che doveva vedere.
Salutò distrattamente LJ e Lincoln -non gli erano mai piaciuti gli addii- e salì su una delle macchine che il fratello aveva procurato. Guardò per un’ultima volta fuori dal finestrino e, indossati gli occhiali da sole, partì.

Il viaggio in macchina da Panama a Chicago durò parecchi giorni, ma finalmente c’era riuscito. Era arrivato a destinazione.
Negli ultimi giorni gli era sembrato che qualcuno lo avesse seguito. Ogni persona che incontrava sembrava guardarlo in modo strano, quasi avesse capito chi in realtà si trovasse di fronte. Come biasimarlo, aveva passato gli ultimi mesi a guardarsi perennemente le spalle e ci sarebbe voluto un bel po’ prima che perdesse quell’abitudine.
Guardò un’ultima volta la targhetta sul portone del palazzo che si trovava di fronte e, dopo aver preso un respiro profondo, entrò.

“Buongiorno, ha un appuntamento?” Gli chiese la signorina dietro il bancone.

“Salve.” Rispose Michael, sperando che gli occhiali da sole che indossava gli permettessero di passare inosservato. Quella ragazza lo aveva già tradito una volta, non poteva rischiare che succedesse di nuovo, non ancora per lo meno. “A dire il vero no, ma vorrei vedere Bruce.”

“Lei è?” Chiese la signorina.

“Solo un vecchio amico.” Rispose Michael, abbozzando un sorriso che trasudava sicurezza.

La segretaria prese in mano la cornetta del telefono e schiacciò il numero corrispondente alla linea veloce che l’avrebbe messa in contatto col suo capo.
Bruce fu costretto ad uscire dal suo studio, per vedere chi fosse in realtà questo ‘vecchio amico’ così impaziente di vederlo.
Gli bastò vederlo di spalle, per riconoscerlo. Capì subito che quello era Michael Scofield.

Lo fece accomodare nel suo studio ed iniziò a cercare qualcosa all’interno dei cassetti della sua scrivania in mogano.

“Sapevo saresti tornato a Chicago, solo non pensavo così presto.” Disse, sempre intento a cercare.

“Bruce, c’è una cosa che deve sapere…” Disse serio Michael, mentre cercava di richiamare l’attenzione dell’anziano uomo.

“Parleremo più tardi.” Lo rassicurò, gesticolando leggermente. “Ora ci sono cose più importanti da fare.”

“Sul serio, Bruce, si segga. Ho bisogno di dirle una cosa…” Ripeté Michael, quasi spazientito dall’essere ignorato per colpa di un raccoglitore introvabile.

Sul serio Bruce non capiva quanto Michael avesse bisogno di parlargli? Non riusciva a leggergli in faccia quanto dolorosa fosse la notizia che doveva dargli? Dopotutto, lui aveva cresciuto Sara come una figlia mentre il padre era troppo impegnato a giocare a fare il politico, chi più di lui avrebbe meritato di scoprire la verità?

“No, Michael!” Sbottò di colpo Bruce, riportandolo alla realtà. “Ho promesso a Sara che se mai fossi tornato a Chicago, ti avrei aiutato. E Dio mi fulmini se non manterrò questa promessa!” Bloccò per un istante i suoi occhi con quelli di Michael, dopodiché poggiò sulla scrivania il raccoglitore che aveva finalmente trovato.

Michael sentì il sangue gelare al solo sentire il suo nome. Sara.
Aveva pensato a lui, a salvarlo, nonostante anche lei fosse in pericolo.
Lei aveva un piano per aiutarlo? Un piano per fargli iniziare una vita da zero?
Era tutto inutile, dato che ora quella nuova vita non la includeva.

“Il giorno stesso in cui è stata sollevata dalle accuse…” Bruce iniziò a spiegare. “Sara mi chiamò, dandomi le indicazioni che leggerai in questo file.” Glielo porse.

Michael lo lesse distrattamente. Parlava di città straniere e nuove identità, niente che gli interessasse realmente, dato che qualche ora più tardi si sarebbe consegnato alle autorità.

“Ecco, prendi questa.” Gli disse Bruce, porgendogli un rettangolo di plastica.

Michael lo guardò. Vide la sua foto e qualche dato anagrafico che non corrispondeva alla realtà. Era una carta d’identità falsa. Lesse il nome e gli occhi iniziarono a bruciargli per le lacrime che minacciavano di scendere impietose.

“Michael… Crane…” Lesse con un filo di voce, mentre si abbandonava sulla sedia dietro di lui. Si coprì gli occhi con una mano, mentre il ricordo di quel giorno gli riempiva la mente. Ricordava benissimo il primo giorno che lo aveva sentito.
Lui e Sara si sarebbero dovuti incontrare all’ospedale che lui le aveva indicato nella registrazione. Lei non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo, così chiamò l’ospedale e usò quel nome per rintracciarlo.

“Ho pensato suonasse meglio di origami.”

Michael alzò di scatto la testa e fissò il muro color crema di fronte a lui.
Non poteva essere. I ricordi di quella notte dovevano avergli fatto immaginare la sua voce, perché lei non poteva essere lì, viva.
Guardò Bruce e notò sulle sue labbra un sorriso. Come poteva essere così felice, quando lui piangeva nel ricordarla? Come poteva essere così insensibile?
Mentre Michael lo fissava con una punta d’ira, Bruce uscì dal suo studio, lasciandolo solo.
Michael lo seguì con lo sguardo, dopodiché tornò a guardare la carta d’identità.
Pur dandosi del pazzo, decise che doveva avere una risposta alla sua domanda. Doveva sapere se aveva sentito quelle parole nella sua testa, o se erano veramente uscite dalle sue labbra.
Guardò un’ultima volta la parola ‘Crane’ sulla carta, prese un respiro profondo e, girandosi lentamente, si disse: “Abbi fede…”



A/N: Bene, anche il capitolo 2 è stato archiviato... Ne manca solo uno per la conclusione della storia! :)
Sperando di non farvi aspettare troppo e di pubblicare il prossimo più in fretta.
Come sempre un grandissimo grazie a chi si ferma a leggere e un grazie ancora più grande a chi è così gentile da farmi sapere che ne pensa!
Alla prossima! :)

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Capitolo 3
*** ... un po' di fede. ***


A/N: E finalmente mi sono ricordata di pubblicare il capitolo finale. Buona lettura :)



“Abbi fede.” Si ripeté.

I pochi secondi che impiegò a girarsi, gli sembrarono secoli.
Era come se, uno spettatore curioso avesse appena schiacciato il pulsante del rallentatore.
Lentamente, vide apparire, oltre la sua spalla destra, una porta secondaria che prima non aveva notato. Girandosi un po’ di più, notò anche che, oltre lui, in quella stanza non c’era nessuno.
Tornò a fissare la sua finta carta d’identità, con la consapevolezza che lei, Sara, non era lì con lui. Aveva immaginato tutto.

“Riprova, Scofield.” Disse nuovamente quella voce alla sua sinistra.

Nel sentirla di nuovo, girò di scatto la testa nel punto da cui proveniva la voce e la vide.
I corti capelli scuri, leggermente più lunghi rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, erano raccolti distrattamente in una coda che le lasciava cadere qualche ciuffo sul viso. La facevano sembrare così timida, quasi impaurita di trovarselo davanti. Se solo avesse potuto vedere quanto il suo stomaco si era ristretto al solo sentire la sua voce, quanta aria aveva trattenuto nei polmoni quando si era girato e l’aveva vista di fronte a sé, bellissima.
I suoi occhi scuri lo fissavano, bramosi di catturare ogni minima mossa che avrebbe fatto. Ma Michael non si sarebbe mosso tanto in fretta, non finché la paura che tutto questo fosse un sogno svanisse. E, se per caso, questo era davvero un sogno, allora sarebbe rimasto lì, fermo e immobile, per sempre.
Le sue labbra, bagnate qualche secondo prima dal movimento nervoso della sua lingua, gli sorridevano timidamente, quasi implorandolo di dire o fare qualcosa, qualunque cosa. Dio, quelle labbra. Prima che Lincoln gli desse la brutta notizia, ogni notte passata a Sona era meno dura grazie al ricordo delle volte che aveva avuto l’occasione di baciarle.
Le lunghe dita affusolate, giocavano nervose con le lunghe maniche della camicetta in lino che indossava. Michael adorava quando Sara era nervosa per colpa sua, perdeva la testa nel sapere che le faceva questo effetto, anche perché a lui succedeva la stessa cosa quando lei era nei paraggi.

Sara fece qualche passo verso di lui, notando che le sue guance erano rigate dalle lacrime che gli continuavano a scendere, e lo strinse forte a sé, lasciando che le sue lacrime cadessero a loro volta.
Michael la sentì tremare, mentre rispondeva al suo abbraccio e chiudeva le sue braccia intorno al suo corpo. Cercò di stringerla a sé più che poteva, come impaurito che potesse svanire come una nuvola di fumo.

“Ti prego, dimmi che non sei un sogno.” Le sussurrò.

“No, Michael.” Gli disse, cercando di avvicinarsi ancora di più a lui, anche se era fisicamente impossibile. “E’ tutto vero.” Lo rassicurò.

Sara fu sorpresa nel sentire Michael allontanarsi da lei così in fretta.
Aveva pensato che sarebbero rimasti avvinghiati al centro di quella stanza per ore, invece lui ora la fissava a solo qualche centimetro dal suo viso, con una strana luce negli occhi che Sara conosceva bene. Aveva già visto quello sguardo durante i loro appuntamenti nell’infermeria di Fox River, Michael aveva qualcosa in mente e lei non aveva idea di cosa fosse.
Michael sapeva che, sogno o realtà che fosse, c’era solo una cosa che voleva fare più di ogni altra cosa.
Fece scendere delicatamente le sue mani dalle spalle di Sara fino alla vita, per poi attirarla dolcemente a sé e catturare le sue labbra, le stesse labbra che sembravano implorarlo di baciarle fin dal primo secondo che l’aveva vista, in un tenero bacio.
Mentre assaporava attentamente, per la quarta volta, il dolce sapore delle labbra di Sara, Michael ne fu consapevole, quello non era un sogno, era tutto vero. L’averla nuovamente di fronte, gli fece dimenticare che era lì per costituirsi.
Il sentire nuovamente il suo respiro sul collo, gli fece dimenticare che doveva vendicarsi della Compagnia.
Le sue mani sul suo petto, gli fecero dimenticare gli ultimi giorni a Sona.
Le sue labbra, con quel sapore di fragola… Non aveva idea come mai, ma ogni volta che si erano baciati, aveva sempre riconosciuto quel sapore. Nell’infermeria, nel treno, nella casetta a Panama e ora qui, nello studio di Bruce.
Ora Michael adorava le fragole, non ne poteva più fare a meno.

“Mi sei mancato anche tu!” Disse Sara divertita, rompendo il bacio per il bisogno urgente di prendere aria.

Michael le sorrise, mettendole dolcemente una delle ciocche ribelli dietro un orecchio.
Sara arrossì timidamente e, istintivamente, rifugiò il viso imbarazzato nel petto di Michael.

“Sei bellissima.” Le sussurrò, stringendola forte a sé. Avrebbe voluto vivere questo momento al rallentatore, per poterne assaporare ogni millesimo di secondo. Sentire nuovamente il suo viso aderire così perfettamente al suo corpo, lo riportò, per un secondo, alla tristezza di qualche istante prima, quando pensava che non avrebbe mai potuto rivivere momenti come questo.

“Così, sarei il signor Crane ora?” Le chiese divertito.

Sara alzò leggermente il viso, di modo che potesse incrociare il suo sguardo con quello protettivo di Michael. “Già. Te l’ho già detto che suona meglio di origami?” Scherzò lei.

“L’ho sentito dire in giro.” Le rispose prontamente, facendola sorridere. “E che piani hai per me?” Chiese curioso.

“Beh, puoi scegliere tra l’essere un affascinante consulente edile, o un irresistibile esperto di immersioni che gestisce il suo negozio insieme al fratello.” Disse, presentandogli le opzioni come una brava venditrice porta a porta.

“Diciamo che per ora sono più propenso a scegliere l’opzione numero 1.” Rispose, ricordando che i suoi rapporti con Lincoln, al momento, non erano dei migliori. “E per te cos’hai preparato?”

“Beh, tecnicamente io non avrei bisogno di nascondermi, visto che le accuse contro di me son tutte crollate.” Gli fece notare con un sorriso. “Ma ho pensato di creare una finta identità anche per me, sai, per non farti sentire troppo solo.” Aggiunse, cercando di suonare il più indifferente possibile.

“Ah si?” Le chiese, stando al suo gioco. “E per caso, questa tua finta identità ha a che fare con una certa signora Crane?” Le chiese malizioso.

“Dipende…” Rispose, facendo la vaga.

“Da cosa?”

“Da cosa ne pensa il signor Crane…”

“Penso sia pienamente d’accordo.” Disse sorridendo, prima di attirarla a sé e baciarla nuovamente.

Sara si sporse leggermente e rispose molto volentieri a quel bacio. “D’accordo, lo prenderò come un sì.” Disse, annuendo e sorridendo, una volta allontanatasi leggermente da lui.

“E che piani hai per la signora Crane?” Le chiese.

“Stavo riflettendo e… Potrebbe essere una ballerina di lap dance…” Disse scherzando, notando per la prima volta da quando lo conosceva, una punta di gelosia nel sorriso di circostanza che le stava facendo. “Ma poi ho pensato che essere una pediatra fosse più adatto.” Continuò divertita, toccandogli teneramente la punta del naso con l’indice.

“Già, lo penso anch’io!” Disse sollevato, con un sorriso. “E dove staremo?” Le chiese serio, accarezzandole dolcemente la schiena.

“Finché le accuse nei tuoi confronti non saranno cadute, il più lontano possibile da Chicago.” Rispose, buttandogli le braccia al collo. “Avevo pensato al Messico…” Sorrise, alzando le sopracciglia e annuendo leggermente.

“Mhm…” Michael assunse un’aria pensierosa. “Sabbia bianca, mare cristallino, palme su cui legare un’amaca… Penso non mi ci vorrà molto per farci l’abitudine.” Sorrise. “Come mai proprio il Messico?”

“Beh, per le ragioni che hai appena detto…” Rispose vagamente, abbassando lo sguardo di modo che non fosse costretta a guardarlo negli occhi.

“E…?” Disse, capendo che Sara aveva volutamente lasciato la frase in sospeso.

“Beh, lì sarai al sicuro dalla giustizia Americana e potrai finalmente realizzare il tuo sogno di aprire il negozio di immersioni con tuo fratello…” Disse, notando quanto l’argomento rendesse nervoso Michael.

“Sara…” Disse, buttando fuori un po’ d’aria che si era tenuto dentro quando lei aveva nominato suo fratello. “Lincoln ed Io… Diciamo che in questo momento, le cose tra noi non vanno benissimo.” Le confessò.

“Lo so, Michael.” Gli disse, notando un’espressione sorpresa nel suo viso, al solo sentire quelle parole uscire dalla sua bocca.

“Lo sai?” Chiese stupito.

“Sì.” Gli rispose, accarezzandogli dolcemente la guancia destra. “Circa una settimana fa, la Compagnia mi stava trasportando, legata e bendata, in un altro dei loro nascondigli lì a Panama. Qualcuno deve aver teso un’imboscata, perché il van che mi trasportava fece una brusca frenata e uscì fuori strada. Io e gli uomini armati che stavano dietro con me, cademmo a terra svenuti.” Sara notò come Michael fosse attento a non perdersi nemmeno il più piccolo dettaglio del suo racconto. “Qualche ora più tardi mi ritrovai sdraiata su un divano e qualche straccio umido sulla fronte. Una gentile, anziana signora mi diede da bere e da mangiare. Lei parlava solo Spagnolo. Fu suo figlio che mi spiegò che faceva parte di un gruppo di soldati mercenari ingaggiati da Bruce per ritrovarmi e riportarmi a casa sana e salva. Così, non appena sono arrivata qui, ho chiamato un vecchio numero di cellulare che ho letto su un foglietto trovato per caso nella tasca dei miei jeans. Non avevo idea di chi mi avrebbe risposto, fatto sta che ho tentato. Non avevo niente da perdere.” Gli spiegò.

“E quel numero era di Lincoln?” Le chiese, quasi implorandola di continuare il suo racconto. Non aveva mai avuto l’occasione di immaginarla impegnata in una ricerca del genere.
Prima che Lincoln gli desse la brutta notizia, l’aveva sempre pensata imbavagliata e legata ad una sedia, che cercava di sopravvivere. Michael sapeva che Sara era una donna forte, ne era consapevole, solo desiderava che lei non lo avesse mai dovuto dimostrare in queste circostanze.

“Sì, fu Lincoln a rispondermi.” Continuò, Sara. “Non avevamo molto tempo per parlare. Mi raccontò del piano di evasione che avresti attuato nel giro di pochi giorni e delle tue intenzioni di tornare a Chicago.” Disse con un sorriso. “E di come avessi deciso di costituirti.” Aggiunse triste.

“Beh, sì.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire. Il solo sentirle ripetere il piano che aveva pensato qualche giorno fa, -quando non aveva più nessuna ragione che lo spingesse a continuare a combattere- gli fece capire quanto le cose fossero cambiate nel giro di qualche secondo.
Quel piano che prima gli sembrava così perfetto, ora sembrava inutile e senza senso. Ora che lei era lì, di fronte a lui, non aveva più senso consegnarsi alla polizia. Non poteva rinunciare a starle vicino, non ora che l’aveva ritrovata. Ma d’altro canto, Sara non meritava di vivere con lui come una fuggiasca, non dopotutto quello che aveva subito per colpa sua.

“Pensi ancora di costituirti?” Gli chiese, sperando di sentirgli dire ‘no’.

“Sara…” Disse, prendendole il viso tra le mani. “Prima di venire a Chicago, ero così sicuro di farlo…” Abbassò lo sguardo e respirò a fondo. “Qualche giorno prima dell’evasione, Lincoln mi diede una brutta notizia, che mi fece perdere tutta la fede e la speranza che avevo accumulato in tutti questi anni…”

“La notizia della mia morte… Ti aveva depresso così tanto?” Chiese sorpresa, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe, per non fargli notare le lacrime che avevano iniziato a rigarle le guance.

“Tu… Tu lo sai…?” Le chiese sconvolto. Le gambe gli cedettero leggermente e sentì il bisogno di sedersi sul divano in velluto rosso alla sua sinistra.

“Lincoln…” Disse in un sussurro, dopo essersi seduta di fianco a lui.

“Perché… Perché te l’ha detto?” Chiese, cercando di nasconderle, inutilmente, tutta la rabbia che provava ora per il fratello.

“Non prendertela con lui, Michael.” Lo pregò, poggiandogli una mano sulla coscia per calmarlo. Non aveva mai visto negli occhi di Michael, tanto odio per una persona, come Lincoln, che lui adorava. “Quando gli chiesi cosa ti spingeva a costituirti, lui cercò di fare il vago.” Spiegò. “Mi ritrovai a minacciarlo di tornare a Panama e scoprirlo da sola. Per cui non ha avuto molta scelta. Ha preferito dirmi che mi credevi morta, piuttosto che farmi andare fin lì e far sì che quella non fosse solo una messinscena della Compagnia.” Proseguì, stringendo le sue mani tra le sue. “Non puoi incolparlo per una cosa del genere, l’ha fatto per te!”

“Ma perché non mi ha detto la verità? Perché mi ha nascosto che eri sana e salva a Chicago?” Disse, facendole solo due delle mille domande che le passavano per la mente in quel momento.

“E’ stata una mia idea, Michael.” Confessò, sentendo un immenso senso di colpa che cresceva sempre più, ogni volta che lui la guardava. Riusciva a percepire il dolore che Michael provava in questo momento. Glielo leggeva negli occhi. Si odiava per avergli causato tanta sofferenza.
Dopotutto, lei aveva agito in quel modo perché pensava fosse la cosa  migliore per lui, per loro. “Sapevo che, una volta evaso, saresti venuto qui a Chicago. Credimi, se avessi saputo che il tuo piano era rincorrere la Compagnia e farli tutti fuori, avrei implorato Lincoln di farti sapere come stavano veramente le cose, di convincerti a venire qui da me.” Cercò di spiegargli il più razionalmente possibile, ma chissà come mai, ora quelle parole non sembravano avere più così tanto senso nemmeno per lei.

“Ho trattato Lincoln malissimo…” Disse, guardando il vuoto di fronte a sé.

“Lo so, Michael. Mi dispiace tantissimo… Lincoln capiva come ti sentivi in quel momento, sapeva che non eri in te.” Gli disse, rassicurandolo. “Credimi, mi dispiace tanto di aver agito in quel modo, ma pensavo fosse la cosa migliore da fare per te…” Gli spiegò, tenendosi il viso tra le mani. “Per noi…” Aggiunse, piangendo.

“Lo so…” Disse, stringendola a sé. “Probabilmente, fossi stato in te, avrei fatto lo stesso.” Le sorrise dolcemente, baciandole delicatamente la fronte e accarezzandole, rassicurante, la schiena.

“Non sei arrabbiato?” Gli chiese confusa.

“Come potrei sopportare il sole del Messico con te che mi guardi con quegli occhioni tristi?” Le disse con un dolcissimo sorriso. “In più, hai organizzato tutto questo da sola.” Disse, indicando il raccoglitore. “Non vorrei mai che il tuo lavoro andasse sprecato.” Aggiunse, baciandola sulle labbra ancora salate dalle lacrime che le continuavano a scendere.
Sara lo strinse forte a sé, contenta di saperlo felice.

“Lincoln e LJ saranno già arrivati nella baita in riva al mare che gli ho indicato qualche giorno fa.” Disse, asciugandosi le ultime lacrime che le cadevano dagli occhi.

“Cosa?” Chiese incuriosito da quelle parole.

Sara sorrise nel vedere quell’espressione sul viso di Michael.
Non era facile sorprendere Michael Scofield, di solito era sempre lui quello che si occupava dei piani e della loro riuscita. “Non appena sono arrivata qui a Chicago, Bruce mi ha fatto avere parte dell’eredità che mio padre mi ha lasciato.” Spiegò, con un tono di tristezza nel ricordare il defunto padre. “Ne ho usato una piccola parte per comprare una baita su una delle spiagge più anonime del Messico. In altre circostanze, probabilmente avrei interamente devoluto la somma in beneficenza, ma finché le acque non si saranno calmate, quei soldi e il vostro negozio di immersioni, saranno la nostra unica risorsa.” Concluse, con un sorriso nervoso sulle labbra.

“Quelli e il tuo stipendio da pediatra.” Le ricordò, Michael.

“Già…” Annuì imbarazzata.

“Wow, Sara. Hai pensato veramente a tutto!” Le disse, fiero di lei. Era impressionato da come avesse pensato ad ogni minimo dettaglio. Spiagge anonime, baite che passavano inosservate, finte identità, soldi che gli avrebbero aiutati a superare i momenti difficili.

“Beh Scofield, dovrai abituarti al fatto di non essere più l’unico genio in famiglia!” Disse prendendolo dolcemente in giro, mentre un sorriso malizioso spuntava sulle labbra.

“Penso di potermi abituare anche a quello.” Rispose divertito, sigillandole le labbra con un bacio.

In quel momento, Michael non ricordava nemmeno come avesse potuto anche solo pensare che essere ottimisti e avere fede non pagava.
Ora che lei era lì, con lui, la sua nuova, magnifica vita era appena cominciata.



A/N: E così finisce. :)
Come avrete tutti notato, è mooolto diversa da quello che succede nella 4^ serie che abbiamo visto (o state vedendo, nel caso seguiate su italia 1).


Grazie a tutti quelli che hanno seguito la storia dall'inizio alla fine!

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