L'arcobaleno dopo la pioggia.

di Carnis_K
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Il rumore della pioggia contro i vetri dei palazzi, contro l’asfalto caldo, il rumore delle pozzanghere che si riempiono sempre di più, svuotate dal passaggio delle macchine, di persone sbadate o bambini giocosi. Il suo odore inconfondibile, che entra nelle narici, inebriando i miei pensieri. Sento le gocce scivolare lungo il mio viso rivolto verso l’alto, pronto ad accogliere ciò che possa lavare via tutto lo sporco di questo mondo. 

Chino il capo verso il basso, aprendo gli occhi per poter puntare lo sguardo verso la strada desolata, pronta per la mia nuova avventura.

Per quanto potesse piacermi la pioggia, aspettare mi piaceva di meno. Ero in attesa della padrona di casa della mia nuova dimora. Poggiai i miei bagagli avanti al portone, sedendomici sopra mentre osservavo le persone che mi circondavano.
Passavano coppie che si stringevano sotto lo stesso ombrello, madri che rincorrevano i figlioletti intenti a saltare da una pozzanghera all’altra, ragazze che correvano urlanti sotto i balconi con l’intento di ripararsi e non rovinare la messa in piega appena fatta; altri invece mi passavano accanto, squadrandomi con sguardo indagatore e accusatore.
Chissà a cosa pensavano per rivolgermi un silenzioso giudizio.
Balzai in piedi appena sentii toccarmi la spalla, stringendo poi la mano all’elegante signora di fronte a me, sfoggiando il mio miglior sorriso cordiale. La seguii all’interno del palazzo, fin dentro l’ascensore e poi al mio nuovo appartamento al nono piano.
<< Ecco qui, questo è il suo nuovo appartamento signorina Haraki. Per qualsiasi cosa, ha il mio numero, non abbi timore di chiedere una mano.>> mi sorrise come una madre, un sorriso contagioso che mi rassicurò da tutte le mie nuove paure. Devo ammetterlo, me la facevo sotto, ero spaventata dalla nuova vita che avrei vissuto da quel momento.
La ringraziai e la salutai prima di chiudere la porta di ingresso alle mie spalle. Feci un grosso sospiro e corsi in camera da letto, buttandomi a peso morto sul comodo materasso.
<< Ne è valsa la pena spendere tutti i miei risparmi >> esclamai contenta, saltellando quasi sul letto come una bambina. Dovevo abilitarmi da subito per poter dare inizio ad un nuovo  capitolo della mia vita.
Per troppo tempo ho dovuto assistere alla vita degli altri andare avanti e la mia restare sempre ad un punto morto. Con la maggiore età finalmente potevo far andare avanti la mia vita così come me la sono sempre immaginata, inseguendo i miei sogni al massimo delle mie possibilità.
Mi alzai lentamente dal letto, avvicinandomi alla finestra offuscata dall’umidità, poggiando la fronte e il naso contro il vetro, incantandomi nel vedere la pioggia ancora scendere dalla città. Ho sempre amato la pioggia, era come se il cielo potesse sentire il mio stato d’animo, mi sentivo meno sola, meno abbandonata.
Ho vissuto la maggior parte della mia infanzia e la mia adolescenza tra bambini e ragazzi, ho pranzato e cenato in grandi mense comunitarie, ho visto nuove coppie portar via i miei amici. Più persone andavano via, più il mio umore diventava cupo. E il cielo era spesso dalla mia parte, mi faceva compagnia nelle giornate più cupe.
Sarà per questo che non ho mai voluto fare amicizie, avevo paura che tutti potessero allontanarsi per vivere una nuova vita, a cui io non potevo fare parte. Sono stata per molti, elemento del passato, di un passato da dimenticare.
L’unico che mi sia sempre stato accanto è Derek. L’ho conosciuto il secondo anno delle superiori, lui stava per diplomarsi. Decise un giorno di condividere il suo pranzo con me, su una panchina in cortile. Non gli raccontai niente, né sulla mia vita passata né sulla mia vita presente. Volevo essere considerata per la persona che ero, non per ciò che mi avevano costretto ad essere. Non volevo fargli pena.
Gli mentii, come mentii a tutti. Per un intero anno ha creduto che io abitassi con mia zia perché i miei genitori lavoravano lontano. Il giorno del mio compleanno poi scoprì tutta la verità. Mi sentii così in colpa che cercai di farmi perdonare in tutti i modi: lo rincorrevo a scuola, gli compravo il pranzo, lo seguivo in palestra, fino ad iscrivermi per seguire il corso di arti marziali che lui teneva. Derek o non Derek, scoprii la mia grande passione.
Mi allenai giorno dopo giorno, determinata a passare sempre ad un grado maggiore, passavo le mie giornate in quella palestra. Mi presentavo subito dopo scuola e restavo fino alla chiusura, anche qualche minuto dopo, anche per restare lontana dalla mia vera realtà. Scoprii me stessa e iniziai da quel momento a pianificare la mia vita futura.
Derek mi perdonò nel momento in cui lo lasciai perdere, avevo smesso di inseguirlo, di cercare perdono da qualcuno che era andato via, per l’ennesima volta. Ma lui era diverso, lo è sempre stato. Si era affezionato a me, mi ha reso donna, mi aiutò a diventare indipendente e una grande lottatrice.
Oggi lo amo con tutta me stessa, è la mia ancora di salvezza, è il mio porto sicuro, è la diga che impedisce di farmi inondare dal mare che è il mio passato.
La mia vecchia residenza erano come catene che mi bloccavano, che impedivano ai miei sogni di realizzarsi per migliorare la mia vita.
Ma ora sono libera! Libera di dimenticare ciò che ero e creare una nuova Jahzara.


Staccai il viso dal vetro freddo e tornai in soggiorno. Presi un foglio dalla borsa e guardai la lista che scrissi anni fa: i punti da realizzare nella mia nuova avventura.
Mi sedetti sul divano, poggiando l’anello dell’anulare destro sulle labbra, pensierosa.
Guardai la lista:

A. Ottenere l’emancipazione
B. Trovare un lavoro
C. Trovare qualcuno che mi ami
D. Diventare una grande lottatrice mondiale
E. Andare a trovare mia madre
F. Scoprire tutta la verità

Avevo spuntato solo il punto C e da poco il punto A. Ero contenta, la mia lista iniziava ad essere spuntata, ma sarebbe stato difficile completarla. La determinazione non mancava, sarei riuscita nel mio intento, in un modo o nell’altro.
Presi il cellulare dalla tasca, mandando un messaggio a Derek, contenta:
“Da ora, posso dare inizio alla mia nuova vita.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


I giorni passarono, vuoti, inutili, senza risultati. Girai per la città in cerca di un lavoro che potesse permettermi uno stipendio capace di farmi fare la spesa e uscire almeno una volta alla settimana, uno stipendio che riuscisse a garantirmi un adeguato stile di vita.
Girai in lungo e in largo, per tutta la città, tutti i negozi, le imprese, gli alberghi. Nessuno cercava dipendenti, o almeno nessuno cercava dipendenti come me. Esperienza, raccomandazioni, posizione sociale adeguata, era ciò che dicevano di cercare, anche per essere un lavapiatti.
Ero sul punto di arrendermi, nessuno avrebbe accettato una ragazza appena diciottenne appena uscita da un orfanotrofio senza alcuna esperienza in campo lavorativo. Il mio ottimo curriculum scolastico non bastava. Tra l’altro, in una società che nonostante tutto si professa solo a parole “aperta a tutto”, “non razzista”, “non omofoba", una ragazza di colore “rovina l’atmosfera familiare”. Tutti cercano scuse sul perché non potrebbero assumermi, facendomi retrocedere sempre di più sulla strada verso lo spuntare anche il punto B della mia lista.

La mia ultima chance in città erano un negozio di fiori di fronte il cimitero e il museo egizio in periferia. Il museo era l’occasione perfetta per mettere in mostra le mie qualità come linguista, per poter sfruttare i corsi a scuola frequentati.
Poggiai la bicicletta al muro, bloccando la ruota posteriore con la catena. Guardai la porta maestosa e la grande vecchia insegna sopra di essa, speranzosa in un successo. Inspirai a fondo e varcai la soglia della porta trattenendo il fiato. Espirai una volta di fronte al bancone informazioni, schiarendomi la voce di fronte alla ragazza intenta a scrivere qualcosa al computer.
<<  Mi scusi, potrei parlare con il direttore? Sono in cerca di un impiego >> domandai timidamente. Quell’atrio maestoso mi metteva soggezione. Sarei stata capace di affrontare un lavoro del genere? Lo speravo vivamente. Dovevo affrontare tutte le mie paure, fare nuove esperienze, scoprire me stessa e mettermi in gioco nella vera realtà del mondo esterno. Speravo che almeno loro me lo avrebbe permesso. Seguii con lo sguardo la ragazza che si alzava dalla sedia. Il mio sguardo cadde sul suo pancione che mi fece inevitabilmente spuntare un piccolo sorriso. 
<< Sei fortunata, sto per andare in maternità e sono giusto alla ricerca di qualcuno che mi sostituisca per qualche mese >> mi sorrise, facendomi segno di seguirla. Strinsi in una mano il manico della mia tracolla, seguendo con passi silenziosi il suo percorso. Qualche mese di maternità, sempre meglio che nessun impiego. Avrei avuto tempo di cercare con calma qualche altro lavoro e nel frattempo avrei aggiunto al mio curriculum esperienza in questo settore.
Ringraziai la ragazza che mi aveva introdotto nell’ufficio del direttore, stringendo la mano a quest’ultimo, accomodandomi subito dopo sulla sedia di fronte la scrivania in legno.
<< Allora, perché dovremmo assumere proprio lei per questo impiego? >> mi domandò subito, diretto, dopo le presentazioni e dopo aver dato una rapida occhiata alla mia cartellina. Deglutii incrociando le dita sulle mie ginocchia.
<<  Beh ho studiato per anni lingue, saprei dare informazioni a turisti da tutte le parti del mondo e come può vedere dal mio curriculum scolastico avevo anche ottimi voti. Tra l’altro so gestire le domande più assurde e più stupide e so come gestire più di una persona frettolosa  >> risposi con calma, cercando di essere il più sincera possibile. D’altronde conoscevo l’inglese, il tedesco, lo spagnolo, il francese, lo svedese e l’italiano, me la sarei cavata a dare informazioni a tutti i turisti possibili. Avendo vissuto in un orfanotrofio per anni avevo anche imparato a gestire le domande di nuovi arrivati, le domande di genitori che volevano informazioni, le domande degli assistenti sociali. Ero una veterana ormai lì, ero la più anziana, l’unica che aveva vissuto l’intera adolescenza lì dentro, senza mai essere adottata nemmeno una volta. 
Sorrisi al direttore di fronte a me, attendendo una risposta positiva dopo il suo lungo silenzio. Poi l’esito.
<<  D’accordo, da martedì prossimo inizi un periodo di prova. Le do a disposizione tre giorni, signorina Haraki. Se svolgerà bene il suo compito, la assumerò per un periodo limitato. >> mi annunciò guardandomi direttamente negli occhi. Mi lasciai andare in un enorme sorriso, stringendo energicamente la mano dell’uomo all’altro capo della scrivania. Mi liquidò con un saluto cordiale, prima che potessi prendere le mie cose e lasciare l’ufficio. Avevo a disposizione quattro giorni per poter imparare tutte le informazioni utili del museo. Lasciai l’edificio contenta, tirando un sospiro di sollievo appena salii sulla mia bici. Derek fu il mio primo pensiero. 

Mi diressi alla palestra di Derek, pedalando il più veloce possibile, facendo lo slalom tra i veicoli in transito sulla strada. Saltai letteralmente giù dalla bici, entrando nella palestra. Sapevo che stava tenendo una lezione per i bambini, dunque mi poggiai con la spalla allo stipite della porta, guardando sorridente i bambini che provavano le prese mostrate dal maestro. Appena quest’ultimo si accorse di me sorrisi, accennando a un saluto con la mano.
<< Continuate così ragazzi, ancora una volta forza!> > li incoraggiò prima di avvicinarsi a me, speranzoso. Mi sorrise, mostrandomi uno spiraglio di luce nell’oscuro del mio cuore.
<< Maestro White.. >> lo salutai, allungando le braccia per poterlo abbracciare.
<< Piccola.. allora? Hai avuto successo oggi? >> tirò il capo all’indietro per potermi guardare restando abbracciato a me. Era sudato e quel kimono gli calzava a pennello. Il mio sogno erotico perenne.
<< Martedì, al museo egizio. Sto ingranando, Derek, sono speranzosa. >> sussurrai, puntando il mio sguardo nel suo più scuro. Ricambiai il bacio rubato, facendogli segno che ne avremmo parlato appena finita la lezione. Lo feci voltare e lo spinsi a malincuore verso i ragazzi che provavano ancora le prese. Erano buffi: piccoli uomini che si afferravano cercando di buttare al tappeto l’altro. Avevano ancora molto da imparare. Vedevo lo sguardo perso nei loro occhi, alcuni lo sguardo determinato caratterizzavano le loro mosse, rendendole più precise. Mi rivedevo quasi in loro, le prime volte che imparai quelle mosse ero la ragazza più goffa del mondo, adesso era difficile buttarmi a terra, davvero complicato, anche per un uomo. Ci vuole agilità, determinazione e costanza. La formula magica per il perfetto allenamento. 

Mi allontanai dalla sala per raggiungerne una vuota. Dovevo allenarmi, scaricare tutto lo stress accumulato in quella settimana e perfezionare i miei calci. Non arrivavo in alto quanto volevo, era il mio limite maggiore. Ne provai un paio, poi ancora e ancora, fino a sentire la mia gamba bloccata a mezz’aria. Guardai Derek severa, facendo forza sulla gamba bloccata prima che potesse lasciarla di sua spontanea volontà. Mi sorrise, mostrando la mano che aveva nascosto dietro la schiena. Una busta bianca. La busta che aspettavo da sempre. Mi si illuminarono gli occhi. Non lo feci nemmeno parlare e afferrai con violenza quella busta, aprendola velocemente come se da quella busta dipendesse la mia vita. Ed era esattamente così. Mi sono allenata per mesi, per anni per poter partecipare alla gara più importante di arti marziali miste, iscrivendomi ogni anno nella speranza che mi accettassero. Presi il foglio piegato da dentro la busta, tirando un grosso respiro prima di aprirlo e cercare la frase che avrebbe determinato il mio ingresso in gara oppure la mia eliminazione come gli anni precedenti.
<< Oddio! Si! Si Si Si Si! >> urlai contenta nel vedere che finalmente ero in gara. Risi appena Derek mi abbracciò, posando un lieve bacio sulla mia fronte. Ero euforica.
<< Hai tre mesi per prepararti bene, mi raccomando, non deludermi >> mi comunicò serio. Fermai i miei salti di gioia per poterlo guardare in modo serio, annuendo in modo deciso prima di tornare ad allenarmi.
Stava ingranando davvero la mia vita. Ora mi toccava vincere. 

 

Mi allenai costantemente per due giorni nella palestra di Derek, guardando i turni scambiarsi, da judo, karate, aikido, tra junior, senior, over 20. Derek decise di non disturbarmi, passava solo per poter guardare a che punto erano i miei allenamenti. Era concentrato sul lavoro e nell’allenare altri campioni che avrebbero partecipato alla gara. Sembrava quasi che non ponesse fiducia in me. Ero inesperta rispetto agli altri è vero, ma mi avevano accettato, era la mia occasione per riscattarmi e lui lo sapeva. Mi lasciò perdere, mi permise di occupare una sala per due interi giorni, fino a quando non mi cacciò: aveva altri da allenare, i "veri campioni” dovevano usare quella sala. 
<< Che significa i veri campioni, Derek? Un angolo non posso prendermelo? Dove mi alleno io? >> digrignai tra i denti, arrabbiata per essere stata completamente sfrattata.
<< Piccola, non dirmi niente, ma loro hanno la vittoria in tasca, mi preme che siano loro ad occupare quella sala quanto vogliono e sono già a coppie, tu non potresti allenarti nemmeno in teoria. Da sola non migliori lo sai, hai bisogno di qualcuno esperto >> si giustificò, tranquillo. Lo mandai a quel paese con un gesto di mano, raccogliendo il mio borsone negli spogliatoi prima di tornare a casa, sconfitta. E ora? Come avrei potuto allenarmi? Mi serviva un nuovo posto, tutto mio, in cui avrei potuto allenarmi al massimo.

Loro avevano la vittoria in tasca? Sicuro Derek? Gliel’avrei rubata. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Martedì finalmente arrivò. Il mio primo giorno di lavoro in assoluto. La settimana passò velocemente tra un soprammobile rotto ed un altro: mi stavo allenando a casa. Dopo essere stata cacciata dalla palestra per non essere stata considerata degna di partecipare alla gara, l’unico posto libero era casa mia, ma non era abbastanza spaziosa per tirare calci e pugni. Avevo bisogno di un altro posto e di un compagno con cui allenarmi. Dove avrei potuto mai trovarli? 

Varcai la soglia di ingresso con il miglior sorriso possibile, che lasciava trasparire un po’ di paura. Ce l’avrei fatta, mi ero preparata, avevo imparato a memoria la piantina del museo e tutte le informazioni possibili.
<< Buongiorno! >> salutai la ragazza che mi doveva istruire, la stessa che trovai alla reception il giorno del colloquio.
<< Ciao tesoro, questa è la tua postazione, non dovrai mai muoverti da qui, perché oltre a dare le informazioni, sei il guardiano della porta, devi controllare chi entra e chi esce e far fare i dovuti controlli. Se non ti ricordi le informazioni, ci sono le mappe e i volantini, puoi aiutarti con quelle e sul computer c’è tutto. >> mi spiegò, mostrandomi sul computer tutte le informazioni, le prenotazioni, come stampare i biglietti e come annotare l’ingresso. Non era complicato, erano pochi passaggi facili da ricordare. La ringraziai appena mi lasciò lavorare, sedendomi alla mia postazione carica per la giornata in arrivo. 

Impacciata, stampai i primi biglietti della giornata a dei turisti tedeschi svegli già carichi, pronti per visitare il mondo. 
<< Ciao Kar.. >> mi girai all’improvviso, guardando il ragazzo appena entrato con il fittone. Aggrottai la fronte, confusa. Stavo per parlare, quando mi precedette.
<< Oh ma tu non sei Karen! Sei la sua sostituta? Benvenuta tesoro! Io sono Cameron Collins, ma puoi chiamarmi Cam. Anzi, se trovi un bel modo tutto tuo di chiamarmi, chiamami come vuoi! >>  si presentò sorridente e pimpante, poggiandosi al bancone mentre appuntava la spilla sulla sua giacca, riportante il suo nome. Era una guida.
<< Piacere, io sono Jahzara, ma puoi chiamarmi Cleo >> gli sorrisi a mia volta, guardando la sua espressione confusa.
<< Cleo, eh? Carinoooo! >> esclamò prima di quadrarmi << prenditi il mio numero sul database delle guide, dopo il lavoro usciamo. Non puoi venire a lavorare vestita così tesoro.. ti servono dei bei completi! Il direttore è molto critico sull’abbigliamento.. e anche io! >> strinse le spalle, ridacchiando, mandandomi poi un bacio prima di correre a lavorare. Era il arrivo un altro gruppo, studenti.

Ero abbastanza confusa e stupita. Non pensavo che qualcuno potesse subito prendersi la confidenza in quel modo e farsi degli amici come se nulla fosse. Ma la cosa non mi dispiaceva, sarei cambiata, forse avrei fatto nuove amicizie. Solo Derek nella mia vita, a volte, mi faceva sentire più sola di quanto ero. Bastava non raccontare niente di me, magari fingere una satira che non mi apparteneva. Sapevo he avrei fatto pietà. Avevo bisogno di amici sinceri, per una volta. E se avrei dovuto mentire per questo, lo avrei fatto volentieri. 

 

Durante la pausa pranzo mi chiusi nella stanza riservata ai dipendenti, sedendomi accanto alla finestra per osservare la bella giornata illuminata dai raggi di un sole caldo.  
<< Ehi, Cleo! >> mi girai verso il ragazzo conosciuto quella mattina, facendogli posto accanto a me di fronte la finestra. Aspettai che posizionò la sedia come più gli piaceva, sorridendo divertita dalle sue movenze.
<< Devi pranzare Cam, non fare un servizio fotografico >> ridacchiai, guardandolo mentre la sua espressione diventava offesa, poi divertita.
<< Guarda lì, Cleo.. lì c’è lo spiazzo migliore del parco. È lì che avvengono incontri di ogni tipo. È il mio posto preferito. Lì le persone mettono in mostra i propri segreti, mettono a nudo i propri sentimenti.  Sto cercando la posizione giusta per poter guardare anche da qua >> mi spiegò prima di sedersi e allungare le gambe in avanti. Restai stupita, inclinandomi in avanti per poter guardare anche io il posto indicatomi. Mi affacciavo spesso alla finestra di qualsiasi edificio per poter guardare la vita delle altre persone svolgersi sotto i miei occhi, ma non avevo mai pensato ad individuare un posto preciso. Mi avvicini con la sedia alla sua, guardando il parco in silenzio mentre mordevo il mio pasto proteico.
<< Finisci il pranzo, poi usciamo. Tanto io posso prendermi qualche ora libera, c’è chi mi sostituisce e tu hai finito il turno. A proposito, he ci fai ancora qua? >> mi guardò stranito, spiando poi nel mio sacchetto del pranzo.
<< Non mi andava di tornare a casa >> risposi velocemente, facendo spallucce. Mi raccontò i gossip del museo, storie d’amore, disguidi, vipere, gatte morte, studentesse dalla mano lunga..
<< Tu che mi dici? Come mai questo lavoro? >> mi chiese. Tentennai, cercando di essere il più sincera possibile, senza raccontare tutto.
<< Ho bisogno di soldi. Vivo da sola e al liceo ho seguito corsi di lingue. Ed è l’unico posto che mi ha accettata >> spiegai veloce, fredda, omettendo dettagli. Feci spallucce, regalandogli poi un sorriso forzato.
<< Così giovane vivi da sola.. wow beata te! Io vivo ancora con mia madre e mia sorella. Povero me! >> alzò gli occhi al cielo e ridacchiai, guardandolo teneramente. Beato lui, più che altro. Avrei ucciso per poter avere una famiglia. Ma non feci commenti. Si alzò all’improvviso, tirandomi per la manica della giacca.
<< Questa è troppo grande, e da uomo! >> esordì, facendomi segno di seguirlo. Senza parlare lo seguii nel parcheggio, aspettandolo mentre correva incontro ad un ragazzo. Un’altra guida probabilmente. Li guardai mentre si abbracciavano, sorridendo in attesa. Tornò subito e quasi non me ne accorsi. Ero troppo concentrata a scrutare il ragazzo biondo salutato.
<< Ah se solo fosse dell’altra sponda, sarebbe un gioiello! Che spreco >> esclamò con un sorriso, quasi rassegnato. Risi, dandogli una piccola spallata.
<< Siete amici stretti? >> domandai curiosa, dato il forte abbraccio. Mi sedetti al lato passeggero della sua auto, allacciandomi subito la cintura. Salire in macchina per me era sempre segno di una brutta situazione. Ma non quella volta.
<< Siamo cugini. Suo padre e mia madre sono fratelli >> mi spiegò subito, accendendo il motore, diretto verso il centro commerciale. 

Restammo in silenzio per tutto il viaggio, o almeno io. Lui mi parlava, inveiva contro i pedoni.. Io ero troppo pensierosa per poter spicciare parola. Cugini.. io avevo dei cugini? Avevo parenti qui nei dintorni o ero effettivamente sola? Avrei dovuto indagare su tutto. Le uniche cose che sapevo erano che mio padre era stato sparato e mia madre era in carcere. Avevo rimosso tutto il resto.
<< Jahzara? Tutto bene? Ti sto chiamando da mezz’ora >> mi scosse un poco dalla spalla, distraendomi dai miei pensieri. Annuii piano, scendendo dalla macchina dopo essermi accorta di essere arrivati. Frugai nella mia borsa, controllando quanti soldi avessi.
<< Cam non mi far spendere molto, non me lo posso permettere al momento. >> lo avvertii, guardandolo mentre annuiva.
<< Va bene Cleo >> sorrise, mettendosi sotto il mio braccio << non ti preoccupare, me la vedo io, a te tocca solo misurare ed eventualmente pagare >>.
Posai per qualche secondo la testa sulla sua spalla, come segno di ringraziamento. << Come mai mi porti a fare shopping?  Ci siamo conosciuti stamattina >> chiesi dubbiosa.
<< Lo faccio nel nome della moda! E mi sei simpatica. Potremmo diventare ottimi amici e non lo sai! >> rispose entusiasta. 

Passarono tre ore, intense. Provai di tutto e di più, senza però comprare nulla. Ero difficile, così mi definì Cam quel pomeriggio. Era tutto o troppo costoso o troppo.. colorato. Si fecero le 18.45 quando finalmente riuscii a comprarmi un completo grigio composto da pantaloni a vita alta e una camicetta bianca. Mi convinse anche a comprarne un altro, a patto che fosse nero.
<< Un pomeriggio intero per comprare solo due completi! Mi hai fatto fare una sudata! >> si lamentò, asciugandosi il finto sudore dalla fronte. Ci girammo contemporaneamente appena sentimmo degli schiamazzi in un angolo. Era il ragazzo di prima, il cugino di Cam. Lo guardi mentre camminava calmo, ignorando i ragazzi che lo spingevano e lo schernivano. Aggrottai la fronte, avvicinandomi al gruppetto. Sorrisi al ragazzo biondo mentre ci raggiungeva Cam, preoccupato. Il cugino sapeva come gestire la situazione, ma sapevo che desiderava reagire, si vedeva dai suoi occhi. Cosa lo bloccava?
<< Uuuhh ecco la cuginetta! Come va finocchio? >> rise uno dei ragazzi, spingendo Cam. Aggrottai le sopracciglia, riconoscendo subito il ragazzo. Eravamo all’orfanotrofio insieme, aveva sempre avuto questo atteggiamento da bulletto, con tutti.
<< Daniel. Vuoi che ti rispacchi il naso o te ne vai da solo, mh? >> lo presi per il braccio, sorridendo nel vedere la paura nei suoi occhi appena mi riconobbe.
<< J… Jahzara..che ci fai qui? >> deglutì cercando di restare calmo avanti ai suoi amici.
<< Non ti ho mai dato il permesso di chiamarmi per nome. Fila, veloce >> ringhiai tra i denti, vedendolo poi allontanarsi con gli amici con la coda tra le gambe. 
<< Gli hai spaccato il naso? Davvero? >> mi guardò incredulo Cam, prendendomi per mano per ringraziarmi per averlo difeso.
<< Non avevamo bisogno della tua protezione >> rispose invece il cugino, guardandomi in modo serio. Mi strinsi nelle spalle per fargli capire che avrei fatto quello che mi pareva. Alzò gli occhi al cielo e si allontanò.
<< Scusalo.. è che da quando ha smesso di combattere non vuole più reagire in nessuna maniera ed è un po' scorbutico.. ma ti assicuro che è simpatico se lo conosci! >> Cameron mi strinse la mano, volendo giustificare il comportamento del cugino.
<< combattere? >> mi si accese una lampadina. Le mie preghiere stavano per essere esaudite.
<< Si.. faceva MMA, ma poi ha smesso del tutto di combattere, non ha mai voluto spiegare il perché >> fece spallucce.
Non lo ascoltai più, rincorsi il ragazzo biondo, parandomi di fronte a lui.
<< Allenami. MMA. Ti prego >> ansimai per la corsa, pregandolo con gli occhi. Rimase interdetto, guardandomi confuso, poi scosse la testa.
<< Non se ne parla, non combatto più >> fece per andarsene, ma lo bloccai, mettendogli le mani sul petto sodo.
<< Non devi combattere tu, ma io. Tu mi aiuteresti solo con l’allenamento. Non posso perdere questa anno. Il mio rag.. il mio maestro mi ha abbandonata, ha preferito altri a me! Mi ha cacciata perché non sono all’altezza secondo lui! >> mi sfogai, parlando velocemente. Ritirai le mani, congiungendole tra loro.
<< Ti prego.. ti pago.. faccio quello che vuoi in cambio! Aiutami. >> lo guardai con gli occhi dolci , cercando di convincerlo. Lo sentii sbuffare, mentre si massaggiava in mezzo agli occhi.
<< Chi è il tuo maestro? >> chiese calmo. A cosa pensava?
<< Derek White >> risposi a bassa voce, confusa. Lo guardai scattare sull’attenti, con gli occhi quasi di fuoco.
<< Ti alleno. Ma vedi di vincere, di metterlo a figura di merda, di batterlo. E’ l’unica cosa che ti chiedo! >>ringhiò a denti stretti, assottigliando gli occhi.
Vincere era il mio obiettivo. Perché si stava accanendo all’improvviso? Conosceva Derek? 

<< Sono Adrian. Adrian Reed >> si presentò dopo, porgendomi la mano.
<< Può chiamarmi Cleo, maestro. >> mi inchinai, in segno di rispetto.
Era l’inizio di una grande era. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Sembrava andare tutto per il verso giusto: vivevo da sola, avevo un lavoro soddisfacente, e ora anche un nuovo maestro. Sentivo l’ansia crescere dentro di me, ogni giorno di più. Fino a quando era tutto un sogno, un obiettivo da raggiungere, sembrava tutto così magnifico, utopistico quasi. Ma ora iniziava a diventare tutto reale, il mondo degli adulti mi stava inglobando, stavo lavorando per diventare finalmente chi volevo essere. Ne sarei stata in grado?

Quella mattina tutti si accorsero della mia agitazione. Il tic alla gamba destra faceva sì che mostrassi a tutti il mio corpo traballante, tanto che il direttore mi chiese di smetterla per non far agitare anche i nuovi visitatori. Era domenica e l’affluenza di famiglie e singoli visitatori era maggiore rispetto agli altri giorni della settimana in cui stampavo una quarantina di biglietti alla volta per le classi in visita. 

<< Cleo, smettila di agitarti e sorridi, mi chiedono tutti cosa hai che non va! >> ringhiò sottovoce Adrian, comparso da dietro al muro alle mie spalle. Mi girai di scatto verso di lui, aggrottando la fronte infastidita, poi sbuffai ed annuii, pronta a sfoggiare il mio miglior sorriso al prossimo visitatore in fila.
Quella sera mi sarei incontrata con Adrian per il nostro primo allenamento insieme. Se era prossimo a diventare campione un tempo, doveva essere davvero bravo. Non volevo mostrarmi come un’incapace, avrebbe perso subito le speranze con me. 

I combattimenti femminili erano diversi da quelli maschili. Innanzitutto erano meno seguiti, ancora a causa della credenza che solo i maschi siano capaci di praticare sport, soprattutto sport fisici come l’MMA. Ma a me non importava, era la mia passione, la mia vita, la mia valvola di sfogo.
Ce l’avrei fatta.

Passata la giornata lavorativa la mia agitazione diventò euforia, tanto che corsi da Adrian nella sala dipendenti, saltellando quasi.
<< Sei pronto? Andiamo? Dai! Prendo la borsa e ti aspetto all’uscita! >> quasi urlai, salutando con un veloce movimento di mano tutti gli altri presenti. Presi il borsone che avevo portato con me e mi avviai all’uscita controllando le notifiche sul telefono.
Derek mi aveva chiamata 3 volte, in due giorni. Non volevo rispondere, non sapevo come mi dovevo comportare nei suoi confronti. Infondo il suo era un gesto per salvaguardare la sua palestra, io ero di intralcio, lo avrei fatto faticare inutilmente e il suo obiettivo era vincere.
Decisi di chiamarlo, per sapere almeno il motivo delle sue chiamate, o il motivo del perché mi avesse chiamato così poco senza accompagnare i tentativi con un messaggio.
<< Pronto? >> rispose subito, ridendo.
<< Derek? Ciao. >> risposi io di rimando, poggiandomi al muro accanto alla porta di ingresso. Lo sentivo ancora ridere con altri. Sbuffai, posando il mio borsone a terra accanto alla mia bicicletta. 

<< Amooore eccoti finalmente! Ho provato a chiamarti ma non mi hai risposto. Tutto bene? >> tossicchiò cercando di darsi un certo tono di voce.
<< Sì, tutto bene. Ho appena finito di lavorare, ora vado ad allenarmi. Spero che i tuoi allenamenti vadano bene, soprattutto con il campionato femminile. Probabilmente farai proprio brutte figure. >> mi strinsi nelle spalle, facendo comparire sul mio volto un sorriso malizioso. Volevo fargli capire che non mi sarei arresa solo perché lui non aveva intenzione di allenarmi.
<< Mi stai sfidando, Jahzara? Senza un allenatore non riuscirai a vincere fidati. Avresti dovuto seguire il mio consiglio, ti avrei allenata io dopo questo campionato, così per il prossimo saresti stata pronta. E invece vuoi rischiare? >> potevo sentire quasi la rabbia ribollire nel suo corpo. Perché si arrabbiava tanto se volevo combattere anche senza di lui? Perché rimandava sempre “al prossimo anno”? 

<< Hai sempre detto così, Derek. E poi? E poi niente! Nessun allenamento, trovi sempre scuse per non allenarmi. Hai paura che ti possa battere? Mh? >> ringhiai, accorgendomi solo in quel momento che Adrian stava aspettando accanto a me, a braccia conserte. << Non ho tempo da perdere dietro le tue scuse. Devo allenarmi ora, il mio maestro mi sta aspettando. Ci vediamo al campionato. >>
<< Aspetta, maestro? Con chi se- >> rispose velocemente. Gli staccai il telefono in faccia prima che potesse continuare la frase.
Avevo capito che non potevo fidarmi di lui sull’argomento sport. Avrei dovuto fare da sola. Come sempre.
<< Derek eh? Come fai stare con quell’essere? >> mi domandò quasi schifato Adrian, guardandomi curioso. Essere? Addirittura?
Mi strinsi nelle spalle senza rispondere. Non erano affari suoi con chi stavo e perché.
<< Fatti gli affari tuoi. Hai detto che il nostro deve essere un rapporto professionale. Siamo maestro ed allieva, quindi non sei autorizzato a sapere di più sulla mia vita privata. >> lo guardai seria, ancora arrabbiata per la discussione con Derek.
Misi il borsone a tracolla, togliendo la catena alla bici prima di montare in sella, restando ferma a guardare il mio nuovo maestro.
<< Allora? Dove andiamo? Io non ho un posto dove allenarmi. Quindi dobbiamo trovare un luogo abbastanza ampio e desolato dove sistemarci. Ne conosci uno? >> domandai più calma, incrociando le braccia al petto.
<< Scendi dalla bici e seguimi. E questa la porto io. >> rispose sbrigativo, prendendo poi la mia bici. Lo guardai confusa, poi mi strinsi nelle spalle e lo seguii, cercando di non inciampare nella bici che aveva posto tra noi due.

Lo seguii fino a un vicolo in cui erano situati garage privati. Accarezzai la mia nuca da sotto i capelli, muovendo il collo dolorante in cerca di sollievo. Lo vidi posare la bici al muro e aprire una saracinesca di un garage.
<< Sicuro che possiamo stare qui? >> domandai incerta, affacciandomi per poter controllare cosa ci fosse. Era un enorme spazio con tatami posizionati sul pavimento, un frigo bar, un’attrezzatura a parete e dei pesi sotto uno specchio. Entrai stupefatta, notando che in un angolo c’era anche un materasso con dei cuscini. Area relax forse?
Mi girai verso Adrian che intanto accendeva le luci e richiudeva la saracinesca alle mie spalle.
<< Wow! E’ tuo questo posto? >> chiesi, iniziando a togliermi la giacca e le scarpe per restare a piedi nudi sul tatami.
<< Sì, è tutto mio. Cambiati e inizia a riscaldarti. Prima iniziamo, prima finiamo. >> rispose freddo, imitando i miei movimenti nello spogliarsi.
Mi chinai sul mio borsone per prendere i pantaloncini della tuta e il reggiseno sportivo. Mi spogliai tranquillamente avanti a lui, dandogli le spalle. Ero abituata a cambiarmi avanti agli altri, in orfanotrofio non esisteva privacy.
Appena restai solo con gli slip sobbalzai a sentire la voce di Adrian esclamare << Uooh! Che fai?! >>. Ridacchiai mentre infilavo il reggiseno sportivo con un po’ di fatica, sistemando il mio seno nelle coppe morbide.
<< Mi cambio, è evidente. >> risposi tranquilla, infilando anche i pantaloncini della tuta. Sistemai delle fasce chiare ai piedi per evitare di farmi male nel momento in cui sarei dovuta rimanere a piedi nudi. Mi girai verso di lui, trovandolo con gli occhi coperti da una mano mentre si cambiava.
<< Puoi aprire gli occhi, sono vestita. >> aggrottai la fronte divertita, proteggendomi le nocche con fasce simili a quelle ai piedi. 

Iniziai a saltellare sul posto, pronta al mio riscaldamento rituale. Mi sentivo fin troppo osservata. Ancora non incominciavamo e già aveva da ridire? 

<< Che c’è che non va ora? >> sbuffai mentre stiravo i muscoli delle spalle.
<< Derek deve essere davvero incompetente allora. Per oggi vediamo cosa sai fare, ma da domani iniziamo da zero, dalle basi. Nemmeno il tuo riscaldamento va bene! >> alzò gli occhi al cielo mentre iniziava il suo di riscaldamento, iniziando a correre intorno al perimetro del garage. 

 

Finito il riscaldamento iniziammo subito con delle prese. Diedi del mio meglio, per finire a schiena a terra ogni volta. Lo guardai sconsolata, mentre il mio maestro si rimise in posizione, pronto a buttarmi di nuovo a terra.
<< Avanti, è davvero questo tutto quello che sai fare? >> esclamò in tono di sfida, sperando forse che potesse scatenare dentro di me la rabbia sufficiente per poterlo buttare a terra.
Mi rialzai velocemente, andando subito all’attacco con un calcio laterale, che venne subito bloccato. In pochi secondi fui di nuovo a terra. Sbuffai e stesi le braccia sul tatami, guardando il soffitto. Mi arrendevo.
<< Ti sei arresa? Dai alzati. >>. Adrian sciolse la posizione d’attesa e mi porse una mano per farmi alzare. Accolsi il suo aiuto, andandomi a sedere su un mobile. Dondolai le gambe nel vuoto, asciugandomi la fronte sudata con un asciugamano precedentemente poggiato alla stessa superficie sulla quale ero seduta. Guardai il mio maestro prendere delle bottiglie d’acqua dal frigo bar e porgermene una.
<< Grazie.. >> sussurrai sfinita, prendendo un lungo sorso d’acqua gelida. Richiusi la bottiglia e lo guardai, aspettando che finisse di idratarsi. Intanto osservai il suo fisico scolpito, focalizzandomi sui muscoli del braccio alzato, notando una lunga cicatrice. Scesi con lo sguardo a indagare il suo torso scolpito e il tensione, aggrottando la fronte nel notare varie cicatrici ed ematomi a rovinare la pelle liscia del suo corpo.
<< Hai combattuto per molto tempo? >> chiesi curiosa, alzando lo sguardo sul suo viso sudato e accaldato per la fatica. Smise di bere e sospirò mentre chiudeva la bottiglina. Si limitò ad annuire in risposta alla mia domanda. Capivo, ci eravamo imposti la regola che il nostro rapporto non doveva sfociare nelle vicende personali. Annuii di rimando, massaggiandomi la spalla dolorante.
<< Allora.. faccio davvero tanto schifo eh? Aveva ragione Derek a non volermi allenare. Gli avrei fatto fare davvero brutta figura alla gara.. Ho poco tempo per poter migliorare e vincere. >> sospirai sconfitta, abbassando lo sguardo sulle punte dei miei piedi, muovendo le dita imbarazzata. Mancavano pochi giorni alla gara e se non riuscivo nemmeno a colpirlo con un calcio, la cosa era grave. Il mio sogno sarebbe sfumato subito e addio possibilità di spuntare il punto D dalla mia lista.
<< Non è facile questo sport, Cleo. Se questo è il tuo massimo impegno, meglio se lasciamo perdere. Se invece vuoi davvero vincere, dobbiamo vederci tutte le sere, lascia tutto il resto, dì addio alla tua vita privata, ai tuoi hobby e allo svago. Questo posto deve diventare la tua casa, io l’unica persona che devi vedere al di fuori del lavoro. Sono chiaro? La gara femminile è tra 24 giorni e se vuoi presentarti in questo modo, scordati di tornare viva a casa. Devi fare dei sacrifici se vuoi vincere, niente conta a parte l’allenamento. >> mi guardò serio, pronunciando il suo discorso dopo avermi alzato il viso spingendolo verso l’alto dal mento, delicatamente. Lo guardai negli occhi, scoraggiata ma allo stesso tempo incantata dalla sua determinazione. Avrei tanto voluto essere come lui. Aveva ragione, dovevo mettere da parte tutto e focalizzarmi sull’allenamento. Potevo farcela. Gli sorrisi mentre annuivo, poggiando poi una mano sul suo petto nudo per farlo allontanare un po’ da me così da darmi spazio per poter scendere dal mobile. Ritrassi subito la mano a sentir una scossa elettrica pungermi le dita. Balzai giù sul tatami e lanciai sul mobile il mio asciugamano.
Indietreggiai fino a posizionarmi al centro della sala, assumendo la posizione da combattimento.
<< Su, fatti sotto! >> gli intimai sorridendo.
Lui di rimando ridacchiò e mi raggiunse in posizione.
<< E’ esattamente quello che volevo! >> mi rispose sorridendo, prima che potessi colpirlo sotto le costole con un calcio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Erano passati dieci giorni dalla prima lezione con Adrian e le cose sembravano andare bene. Adrian diceva che stavo migliorando per quanto riguardasse i riflessi e le parate. Dovevo focalizzarmi sulla potenza dei miei attacchi, “non fai abbastanza male, mi devi far restare senza fiato” mi intimò all’ultima lezione.
Derek non lo vedevo da un paio di giorni. Le cose tra di noi sembravano andare un po’ a rilento: avevamo chiarito la questione ma non sapevo se potevo fidarmi ancora di lui o no, non sapevo se provavo ancora quel grande affetto nei suoi confronti. Certo, lo amavo ancora ma forse non più abbastanza da restare con lui per il resto della mia vita. I vari cambiamenti forse avevano cambiato anche il mio animo. Ero più determinata, autonoma, più forte. Non ero più la ragazzina indifesa dell’orfanotrofio, non avevo più bisogno di nessuno che dovesse difendermi dal mondo, dalle mie paure, dagli eventi e da me stessa. Avevo solo bisogno di amici sinceri di cui fidarmi, qualcuno su cui contare se la mia forza fosse svanita. Come quella mattina. 

 

Stavo facendo colazione con il mio cappuccino rituale, cercando di svegliarmi per poter andare a lavoro senza pensieri su quei giorni, senza pensieri su Derek, senza pensieri sul sogno erotico di quella notte. Avere un maestro così attraente deviava il mio inconscio.
Accesi la tv come ogni mattina, sperando ogni volta che non ci fossero novità su mia madre, su un suo presunto suicidio o peggio. Dovevo incontrarla prima che passasse a miglior vita. Era l’unica a sapere la verità su tutto e dovevo scoprirla. Dovevo capire perché le sue scelte sbagliate avessero condizionato così tanto la mia vita. Era lei l’artefice del mio destino.
Quella mattina, però, le notizie mi delusero: erano state trovate altre prove sul caso di mia madre, dopo dodici anni. Mi strozzai quasi con il cappuccino, concentrando la mia attenzione sulla notizia che stavano dando. Avrebbero indagato più affondo sulla vicenda, avrebbero riaperto il caso e avrebbero fatto un nuovo processo appena le cose sarebbero state più chiare.
Restai a fissare la tv per una decina di minuti, destandomi dal mio stato di trance appena sentii il telefono squillare. Corsi a rispondere in camera da letto.
<< Cleo!! Dove sei? Tra dieci minuti apriamo! Spero per te tu sia per strada! >> esclamò Cam dall’altra parte del telefono, spazientito.
E invece no, niente strada, niente denti puliti e niente vestiti. Deglutii e annuii, rispondendo ancora sconvolta. 

<< Non sono ancora pronta.. Non è che potresti darmi un passaggio, Cam? Per favore, non ce la faccio a venire in bici. >> sussurrai quasi, incamminandomi verso il bagno per potermi preparare in fretta. Se anche avessi corso, mi sarei distratta e il viaggio in bici sarebbe andato a finire male.
Sentii il mio amico sbuffare e riattaccare dopo aver acconsentito. Lo avrei ringraziato dopo. Gli mandai la posizione di casa su whatsapp e tornai in camera a vestirmi, in modo molto meccanico. Lo sguardo perso nel vuoto. E ora? Cosa c’era in più? Perché si doveva complicare la situazione? Perché proprio quando l’unico coraggio da cogliere era quello per andare a trovare mia madre in prigione?

Scesi di corsa dal palazzo e mi guardai intorno, cercando la macchina di Cam nei paraggi, ringhiando appena qualcuno passò di corsa, facendo in modo che l’acqua piovana accumulata in una pozza bagnasse le mie scarpe. Mi morsi la lingua per non bestemmiare, entrando in macchina di Cam appena accostò avanti a me.
<< Non dire una parola, ti prego. >> gli intimai, guardandolo con sguardo di fuoco. Poggiai la testa al sedile, sospirando. << Scusami, la giornata è iniziata malissimo. Buongiorno. E grazie >> continuai subito dopo, allungandomi per baciargli una guancia che aveva preso forma insieme al broncio formatosi sulle sue labbra. 

Non parlai per tutto il viaggio, a differenza di Cam che mi raccontava la sua serata con “un uomo fantastico e super dotato”. Non lo ascoltai quasi, ripensando alla notizia ascoltata al telegiornale.
Come quel viaggio, così passò la mia mattinata lavorativa: sguardo perso nel vuoto, risposte a monosillabi, silenzio tombale. Era in quel caso che avevo bisogno di qualcuno che in silenzio mi appoggiasse, avevo bisogno di qualcuno che facesse quello che Derek aveva fatto in quegli anni, ma non volevo lui al mio fianco in quel momento. Le cose non andavano così tanto bene da buttarmi tra le sue braccia in quel momento. Dovevo affrontare questo dolore, questo dubbio, da sola. Avrei rafforzato il mio carattere.

In sala dipendenti, le cose non migliorarono. Ero pronta a prendere la mia borsa e tornare a casa a piedi, avrei detto ad Adrian che non riuscivo mentalmente ad allenarmi, avrei perso un giorno inutilmente a farmi picchiare. Li sentivo parlare ad alta voce sulla stessa notizia che aveva sconvolto me quella mattina.
<< Avete sentito la notizia di quella pazza stamattina? Chissà che altro avrà combinato! >> esclamò una guida, mentre sorseggiava il suo caffè. Beh, forse non stavano parlando proprio di mia madre, poteva essere qualcun altro.
<< Ma chi ? >> rispose Cam curioso. Quando si trattava di gossip era il primo ad intervenire.
<< Quella certa Aminia Qualcosa.. La donna Africana che ha ucciso suo marito e poi ha cucinato il suo corpo.. >> rispose la guida che aveva aperto il discorso, Kyllian mi sembra.
Deglutii a quella risposta, restando concentrata sulla mia borsa, cercando qualcosa che mi potesse far restare lì ad ascoltare la conversazione.
<< Oddio.. come si fa a fare roba del genere.. non sai mai di chi ti puoi fida- >> incominciò Cam inorridito, prima che potessi fermarlo io. 

<< Non sapete le cose come sono andate davvero! Fatevi i fatti vostri! >> sbottai, guardandoli in cagnesco, prima di prendere la borsa e uscire dall’edificio percorrendo la distanza a grandi falcate. Come si permettevano di parlare di vicende della vita altrui! Mia madre non poteva essere davvero così cattiva, se ha fatto quel che ha fatto deve esserci un motivo valido.. no? Non potevo credere che fossi nata da una mente così malvagia. Non poteva essere.
Incrociai Adrian fuori alla porta girevole, rubandogli la sigaretta che stava per accendere dalle labbra.
<< Oggi non vengo ad allenarmi. Ci vediamo domani, forse. >> lo informai fredda, prima di portarmi la sigaretta appena accesa tra le labbra. Mi voltai e me ne andai senza sentire nemmeno cosa avesse da dire.
Feci un tiro dal filtro, trattenendo il fumo a lungo mentre percorrevo la distanza tra museo e casa mia a piccoli e veloci passi. Sbuffai e passai una mano tra i capelli, rallentando man mano il passo, troppo stanca per farmela a correre. Presi il telefono dalla tasca, sperando che Derek mi avesse mandato qualche messaggio, o che avesse provato almeno a chiamarmi. Avevo bisogno di una certezza da parte sua, un tentativo di tirarmi su il morale. Ma sapevo che anche da parte sua il sentimento era andato a sfumare.

Mi guardai intorno mentre camminavo verso casa, prodigandomi nel mio hobby preferito: osservare le persone intorno a me e immaginarne la storia. Notai due ragazzi avanti alla porta di un bar che litigavano, lei arrabbiata gli inveiva contro, lui allungava le braccia cercando di chiederle scusa. Sorrisi a quella scena, sapendo che avrebbero fatto pace al prossimo tentativo di lui di abbracciarla. Noi donne siamo delle tenerone, al minimo segno di dolcezza, ci sciogliamo come burro. Mi girai di nuovo a guardarli e li vidi abbracciati, lei ancora con mezzo broncio, che scomparve del tutto appena lui le sussurrò qualcosa all’orecchio. Mi strinsi nelle spalle, aggiustando la borsa a tracolla. Avevo ragione. 

Spostai lo sguardo avanti a me, vedendo un vecchietto che cercava di portare su a delle scale una valigia e dietro di lui quella che presumevo fosse sua moglie, ancora con cappotto e cappello. Un gesto di galanteria verso una donna che con il tempo si è andato perdendo, un po’ per menefreghismo, un po’ per il cambiamento di mentalità, un po’ per la nostra presunzione che siamo in grado di fare tutto. Lo siamo, sì, ma un gesto galante non si nega a nessuno.
Entrai nel portone del mio palazzo, salendo le scale fino al mio piano. Avevo bisogno di un bicchiere di vino e di un bagno caldo. Dovevo cercare di concentrarmi su quello che avrei dovuto fare.

 

Entrata in casa lanciai la borsa sul divano e mi diressi direttamente in bagno a riempire la vasca. Nel mentre che aspettavo, mi spogliai e, nuda, mi versai in un calice del vino rosso che avrei sorseggiato in vasca. Presi i miei appunti sulla vicenda di mia madre e mi immersi nell’acqua calda e saponata. I fogli in una mano e il calice nell’altra.
Tutto quello che sapevo era che Aminia viveva con sua figlia e il suo secondo marito, sposato dopo la morte del padre della bambina, mio padre. In un pomeriggio di ordinaria routine, mentre la bambina era a scuola, Aminia ha avvelenato il marito con il tè quotidiano, ha chiamato il nipote e con il suo aiuto ha fatto a pezzi il cadavere freddo dell’uomo e ha cucinato i pezzi, nel tentativo di far sparire del tutto il corpo. Aveva dato la scusa di una speciale ricetta piena di spezie: i vicini si erano lamentati della puzza che proveniva dall’appartamento. La donna fu scoperta, arrestata insieme al complice e la bambina mandata in affido. 

 Ed ora eccomi qui, nella vasca del mio appartamento, alla ricerca del perché quel folle gesto. Io ricordavo mia madre come una donna dolce, simpatica, un’ottima cuoca e un’ottima sarta. Il mio opposto. Cosa l’aveva portata a uccidere il marito in quel modo? 

 

Passai il pomeriggio e la serata a cercare di venirne a capo, cercando mille scuse plausibili, scartandole subito dopo. Ipotizzai all’inizio che si fosse drogata, che magari lui l’aveva maltrattata e lei in un raptus di rabbia lo avesse avvelenato e poi in preda al panico lo aveva fatto a pezzi. O magari non era stata lei e copriva il nipote.
Ad ogni scusa che cercavo, scolavo un calice di vino, fino a finire una bottiglia e iniziarne un’altra. La testa iniziava un po’ a girare e il caldo mi aveva fatto restare in mutande e con una canotta. Chiusi tutti i miei appunti, sbuffando. Presi il cellulare e mandai un messaggio a Cameron: “ Ho bisogno di compagnia. “ gli scrissi, sperando cogliesse il mio invito a casa. Non potevo più restare sola con i miei demoni, a rimuginare su quello che sarebbe potuto succedere.
Una sua risposta arrivò con cinque minuti di distanza. “Arrivo, sono con Adrian.”
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo prima di versare dell’altro vino nel mio bicchiere. Di una persona mi potevo fidare, due erano troppe. Basta che erano di compagnia. Dopo un po’, nell’attesa silenziosa pensai a Derek. Avrei potuto chiamare lui, magari avremmo fatto sesso e mi sarei dimenticata di tutto. Forse, però, non era quello di cui avevo davvero bisogno.

Li accolsi in casa quasi come un cadavere ambulante, rossa in viso, ma lo sguardo nel vuoto e il passo stanco. Mi buttai di nuovo sul divano, prendendo la bottiglia di vino, guardandola. Forse avevo bevuto un po’ troppo, non mi sarebbe rimasto altro vino per le sere a seguire.
<< Jahz? ehi.. tesoro, tutto ok? >> mi chiese subito Cam, venendo a sedersi accanto a me. Adrian entrò titubante, chiudendo la porta d’ingresso alle sue spalle. Si avvicinò al divano, scrutando il mio corpo seminudo. Assottigliò gli occhi appena vide i miei occhi lucidi e le mie guance arrossate.
<< Questo, forse, è meglio se lo prendo io. >> disse calmo, prendendo il bicchiere dalle mie mani e, sorseggiando da esso, si avviò in cucina con la bottiglia. Mi lamentai per il suo gesto, accoccolandomi sulla spalla di Cam, posando le gambe sulle sue e la guancia sulla sua spalla.
<< Che succede? E’ da questa mattina che stai così.. è colpa di Derek? >> chiese evidentemente preoccupato Cam. Intanto Adrian ci aveva raggiunto e si era seduto sul tavolino di fronte il divano, buttando un’occhio sui miei appunti. Seguii il suo sguardo e fissai i fogli di carta, restando in silenzio. Vidi Adrian prendere in mano la storia di mia madre, leggendo confuso, poi mi guardò.
<< E questi? >> chiese con la fronte aggrottata.
Restai in silenzio, fissando ancora i fogli, poi chiusi gli occhi, imbarazzata.
<< Quel mostro.. è mia madre. >> era la prima volta che lo ammettevo ad alta voce. Era l’ultima scusa a cui ero venuta a capo, l’unica convincente. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Le sue mani sul mio corpo, ad accarezzare i miei fianchi nudi, il tatami sotto di noi, ad accoglierci in un gesto di passione. Le nostre bocche si incontravano in un bacio languido, carico di desiderio, mentre le sue mani scivolavano in basso, pronte ad afferrarmi le cosce e con un gesto secco tirare il mio bacino verso l’alto. La sua bocca continuò i baci languidi sul mio collo, il mio seno e il mio ventre, fino ad incontrare la mia intimità. Mi guardò dal basso, poggiando la lingua sul clitoride delicatamente, iniziando poi a leccarmi sempre più avidamente. I miei gemiti riempivano la stanza, le mie dita a stringere i suoi lunghi capelli biondi. Le mie labbra a sussurrare un nome: Adrian.

 

Mi svegliai controvoglia al picchiettare di un merlo sulla finestra. Mi lamentai per la troppa luce che filtrava dal lucernario, aprendo gli occhi a fatica. La testa mi faceva malissimo e sentivo gli occhi gonfi. Mi guardai intorno, cercando di capire in che contesto mi trovassi, ero confusa e il sogno così realistico appena fatto non mi aiutava molto.
Notai steso dall’altra parte del letto Cam, vestito ancora come la notte precedente, dormire beato. Sorrisi alla vista del suo faccino dolce, mettendomi seduta con le gambe fuori dal letto. 
I ragazzi erano rimasti a lungo la sera precedente. Avevo rivelato la parte più intima della mia vita, quella che cercavo di tenere nascosta a tutti. Temevo mi allontanassero, che mi considerassero la figlia del demonio e che scappassero via a gambe levate. Invece no, erano rimasti con me tutta la sera, senza chiedere altre informazioni. Bastava loro capire dal mio silenzio che non ne volevo parlare, ma lessero i miei appunti per far sì che fosse più chiara la vicenda. Non dissero niente, solo Cam si scusò per la discussione di quella mattina con Kyllian. Passammo la serata abbracciati, a vedere un film fantasy. Io stesa tra loro due, la testa sulle gambe di Cam e le gambe su quelle di Adrian. Entrambi mi accarezzavano, chi i capelli, chi le caviglie. Mi sarò rilassata così tanto da addormentarmi sul divano. Uno di loro mi avrà portata a letto e rimboccato le coperte. Apprezzavo il fatto che Cam fosse rimasto con me durante la notte, la compagnia silenziosa era la migliore, per me.

 

Mi alzai dal letto e mi diressi verso la cucina, fermandomi in corridoio appena sentii una voce.
<< Ehi, buongiorno! Ti sei svegliata.. >> mi salutò una voce calma, profonda e roca dal sonno. Sobbalzai spaventata, poggiando una mano al muro e una sul petto. Dovetti sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco, notando Adrian steso sul divano. Gli sorrisi stanca e al tempo stesso arrossii, ricordando il sogno appena interrotto.
<< Buongiorno, maestro. Sei rimasto anche tu.. grazie >> gli sorrisi, trascinandomi verso di lui, sedendomi sul bracciolo del divano, strofinandomi gli occhi impastati dal sonno.
<< Vuoi che ti prepari il caffè? >> si mise seduto, poggiando una mano calda sulla mia coscia nuda. Rabbrividii a quel contatto, poggiando una mano sulla sua.
<< Mmh si grazie.. trovi tutto in cucina sul ripiano accanto i fornelli.. mi scoppia la testa.. >> risposi, lasciandomi cadere sul posto che aveva lasciato vuoto sul divano. Mi accoccolai su me stessa, richiudendo gli occhi.
<< Hai bevuto molto ieri sera.. ci credo >> ridacchiò in risposta, dirigendosi in cucina. La sua voce di prima mattina era un vero toccasana, era così rilassante e calda, mi faceva sentire in un posto sicuro.
Poggiai il mento sullo schienale del divano, guardando dietro di esso. Cucina e soggiorno erano un’unico ambiente, così potevo guardare dal divano cosa facesse Adrian. Lo osservai mentre inseriva la cialda nella macchinetta, sperando non facesse guai. Gli sorrisi appena si girò a guardarmi, indicandogli l’anta di un mobile.
<< Lí ci sono dei biscotti, mi porti anche quelli? >> gli chiesi facendo gli occhi dolci. Si trovava là, avrebbe potuto fare entrambe le cose. Lo vidi annuire mentre rispondeva << non ne approfittare, Jahzara >> 
Mi strinsi nelle spalle, stendendomi sul divano in attesa. Era tutto così calmo, così familiare, come se ci conoscessimo da una vita, invece era passato solo un mese dalla nostra conoscenza. Mi guardai i piedi nudi, muovendo le dita, pensierosa.

<< Ora la nostra regola del non conoscere parti di vita personale, è infranta.. >> sussurrai all’improvviso. Ora conosceva la parte peggiore della mia vita, l’inizio di quello che sono. 
<< Vuoi pareggiare? Puoi farmi una domanda sulla mia vita personale >> rispose, poggiando ciò che gli avevo chiesto sul tavolino di fronte il divano. Non pensavo mi avesse sentito.
Mi misi seduta e presi un biscotto. Lo immersi nel caffè prima di metterlo in bocca e masticare a guance piene. Pensai alla sua richiesta, riflettendo alla domanda che avrei potuto fargli. Avrei potuto chiedergli perché odiava Derek, perché aveva abbandonato la lotta, perché non reagiva quando qualcuno gli dava fastidio.. 
<< Com’è la tua famiglia? >> gli chiesi invece, guardandolo mentre sorseggiavo il mio caffè. Lui sorrise intenerito, accomodandosi meglio al mio fianco.
<< Numerosa, troppo numerosa. Siamo cinque figli, ho tre sorelle e un fratello. Io sono il secondo. Vivono tutti in Nebraska, infatti io e Cam siamo originari di lì.. Con noi viveva anche mio nonno, fino a qualche mese fa.. Un ictus. >> mi spiegò, rattristandosi appena accennò il nonno. Poi sospirò e continuò la spiegazione. << Mia sorella più grande è sposata ed è in attesa del mio primo nipotino. Sono tutti in agitazione per il nuovo arrivato e mi duole non poter stare vicino alla mia famiglia in questo periodo. Ma ormai la mia vita è qui, ho un lavoro e sto cercando di entrare in un università serale, vorrei avere qualcosa in più. Dopo di me sono nati i gemelli, Carl e Megan, hanno diciotto anni e poi c’è la piccola Susan che ha otto anni. Siamo molto uniti, io sono l’unico che ha deciso di andarsene.. Ma combattere era la mia vita, quindi mi sono spostato qui. E Cam mi ha seguito perché si considera troppo sofisticato per le campagne. >> si strinse nelle spalle, guardandomi tutto il tempo. Ridacchiai alla parte su Cam, immaginandomi il mio amico a raccogliere pannocchie nel campo. 
<< Ti mancano? Non li vai mai a trovare? >> inclinai la testa di lato, sorridendo teneramente. Era strano come ognuno di noi avesse una storia totalmente differente rispetto agli altri. Io senza famiglia, lui con una famiglia che bastava per tre persone diverse.
<< Si, mi mancano e molto.. Purtroppo non ho abbastanza soldi ora per andarli a trovare spesso, ma non mi faccio mancare i compleanni, Natale, Capodanno e tutte le feste. Pur di farmi stare là, mi verrebbero a prendere a piedi. >> ridacchiò intenerito, prendendo poi il suo cellulare dal tavolino. Lo vidi accenderlo e cercare qualcosa in qualche applicazione. Poi si avvicinò a me per fare in modo che entrambi vedessimo lo schermo del suo cellulare. Mi mostrò le foto della sua famiglia, indicandomi tutti i componenti. 

Ad un tratto posai la testa sulla sua spalla, sospirando.
<< Hai una bellissima famiglia, sono contenta per te.. non resterai mai solo, è una fortuna >> lo guardai, notando il suo sorriso scomparire e la sua espressione diventare seria, come se si fosse pentito. Gli sorrisi per fargli capire che andava tutto bene, allontanandomi dal suo corpo per potermi distendere e prendere il mio cellulare. C’era un nuovo messaggio: Derek. Sospirai e passai una mano sul viso, aprendo l’applicazione.

“Ehi piccola, stavo pensando a te. Domani devo andare a fare dei servizi per la palestra e per i ragazzi, ti va di farmi compagnia?”  03.47 a.m.

Alzai un sopracciglio e scossi la testa. Guardai Adrian e lo spinsi con un piede per richiamare la sua attenzione.
<< Oggi ci alleniamo vero? >> gli chiesi, sperando in un sì. Lo vidi annuire confuso e tornare poi con lo sguardo sul suo cellulare.
Risposi così al messaggio.


“ Non posso, devo allenarmi, già ieri ho perso l’allenamento” 11.19 a.m. 

 

<> alzai lo sguardo, sorridendo alla vista di Cam barcollante che si dirigeva verso di noi, sedendosi sulla poltrona accanto al divano. 
<< Ben svegliato, Cameron. Comodo il mio letto? >> ridacchiai, vedendolo annuire felice e riposato. Mi misi poi a sedere, posando un gomito sullo schienale, con il braccio a sorreggere la mia testa.
<< Ho deciso di lasciarvi un po’ di spazio, così potevate fare i porcellini.. Ho sentito Jahz gemere il nome di - >> sgranai gli occhi, fermando subito Cam prima che mi facesse fare una figuraccia.
<< - Chris Hemswoth, l’uomo dei miei sogni. Stavo dormendo >> sorrisi imbarazzata, infilandomi subito un biscotto in bocca per evitare lo sguardo di Adrian.
<< Tutti facciamo sogni erotici, io sogno Rihanna >> rispose il mio maestro, stringendosi nelle spalle. Sorrisi alla sua comprensione, guardando poi l’orario. 


Mi alzai dal divano e andai in bagno per darmi una rinfrescata e lavarmi. Li sentivo parlare di là, di non so cosa. Sorrisi per la loro unione, pensando che sarebbero stati la ragione della mia felicità in quella città, nella mia avventura. Stavo bene con loro.
Andai in camera per indossare un jeans strappato, un top e una giacca nera. Infilai le scarpe e tornai in soggiorno, pettinata e profumata.
<< Dai, usciamo, ho bisogno di un po’ d’aria fresca e di un bel panino che mi faccia sentire in colpa >> li guardai, cercando la mia borsa in soggiorno.
Avevo bisogno di un po’ di divertimento, che non fosse avanti alla tv o in giro con l’unica persona con cui ero stata in tutta la mia vita. Avevo bisogno di svagarmi con i miei amici. 





[spazio autrice]
ehilà! volevo chiarire come immagino io i personaggi. Ho preso dei volti di riferimento. Se volete chiarirvi meglio le idee, vi lascio anche i nomi!

Chanel Iman
Chanel Iman come Jahzara.


Christopher Mason come Adrian

Neels Visser come Cam

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


<< Dai, più forte! >> incitò a gran voce il mio maestro, barcollando di poco per il calcio che gli avevo appena sferrato contro il fianco destro. Lo guardai ansimante, indietreggiando di poco per poter riprendere fiato. Lui ne approfittò e si scagliò contro di me con un calcio basso alle ginocchia e poi una gomitata sul viso. Barcollai, con la testa che girava. Scossi velocemente la testa per potermi riprendere. Era il mio turno ora. Senza indugiare sferrai un calcio alle costole, subito dopo uno al bacino. Ne approfittai del suo attimo di debolezza per colpirlo al viso con due pugni sotto il mento e subito dopo con una ginocchiata al petto, che lo fece finalmente cadere sul tatami. Sorrisi vittoriosa, scagliandomi sul suo corpo steso. Feci per dargli un pugno, fermandomi delicatamente con le nocche sulla sua guancia. Lo guardai ansimante e sorridente.
Lui ricambiò il mio sorriso, ribaltando le posizioni: mi ritrovai io stesa e lui a cavalcioni su di me.
<< Non abbassare mai la guardia. >> mi suggerì, per poi alzarsi e porgermi una mano che strinsi per aiutarmi ad alzarmi da terra. Mi avvicinai ai cuscini per terra, buttandomici sopra per potermi riposare. Erano passate due ore di lotta non stop. Sospirai per calmare il mio respiro e presi un sorso d’acqua fredda, poggiando poi la bottiglia sulla mia guancia rossa. 

<< Sei stata brava oggi. Quando inizia a colpire, non ti fermare mai. Vedremo qualche combo che destabilizza il tuo avversario così che non possa reagire subito. Se riesci a tempestarlo di colpi, hai vinto. Si arrenderà quasi subito. >> mi disse serio, prendendo anche lui la sua bottiglia d’acqua. 
Annuii stanca, guardando l’ora sul cellulare. Il pomeriggio era passato ormai, mancavano un paio d’ore alla cena. Avevo un appetito da matti.
<< Sono stata abbastanza brava da finire per oggi? >> chiesi facendogli gli occhi dolci. Non avrei sopportato altro allenamento.
<< Jahz.. Mancano cinque giorni alla gara.. Se ti senti pronta e hai un’impegno, vai. Anche se io ti suggerirei ancora un altro po’ di allenamento.. O adesso per un’altra oretta o domani. Decidi tu.. Sei migliorata, molto, ma secondo me non sei ancora pronta. >> mi rispose, serio. Sapeva come fare il suo lavoro e anche molto bene. Era sincero e questo lo apprezzavo. Annuii pensierosa. Sospirai e mi alzai, convinta.
<< Un altro pochino, però poi voglio andare a mangiare, ti preego! Muoio di fame! >> biascicai, unendo le mani in preghiera. Lui ride ed annuii, mettendosi di nuovo in posizione di attacco.
Mi buttò a terra un altro paio di volte. Ero visibilmente stanca per poter contrattaccare velocemente. Quello di prima forse era stato un colpo di fortuna. Feci per dargli un pugno, ma lui bloccò il mio polso e poi spostò il braccio con un colpo. Afferrò il mio braccio con entrambe le mani e mi tirò a sè, colpendo delicatamente la mia spalla con una gomitata e poi il mio collo con un pugno. Lo guardai incantata, sorridendo.
<< Te la insegno domani. Ora vai. >> mi sorrise, tornando a bere dalla sua bottiglina. Lo abbracciai forte dalla vita mentre beveva, per salutarlo. Presi la mia borsa e infilai la giacca.


Sulla strada di casa sobbalzai a sentire il telefono squillare, rispondendo appena lo trovai nel mio borsone. Ero sovrapensiero: pensavo alla gara che si sarebbe tenuta a distanza di cinque giorni. Non potevo crederci che era così vicino, l’inizio del coronamento del mio sogno. Avrei tanto voluto vincere, ma non mi sentivo ancora in grado. Dovevo avere solo la fortuna di avere come avversaria una ragazza non troppo forte, o non ce l’avrei fatta a passare al giro successivo. Non volevo perdere già al primo incontro. Mi ero impegnata così tanto.
<< Pronto? >> risposi alla chiamata, aprendo il portone del palazzo con le chiavi.
<< Jahz! Dove sei? Sono fuori casa tua, ma non rispondi alle bussate >> mi rispose la persona dall’altra parte del telefono. Derek. Sorrisi appena alla sorpresa che avrebbe voluto farmi, arrabbiandomi un po’ allo stesso tempo, per la sua improvvisa presenza dopo giorni di silenzio.
<< Sto salendo ora, aspettami. >> risposi, chiudendo la chiamata mentre salivo le scale.
Appena lo vidi fuori dalla mia porta, sorrisi. Mi faceva ancora un certo effetto vederlo avanti a me. Mi avvicinai e accolsi il suo abbraccio accompagnato da un bacio sulla testa.
<< MMh, puzzi, dove sei stata? >> bofonchiò, guardandomi confuso.
Mi strinsi nelle spalle senza rispondergli, aprendo la porta del mio appartamento. Posai il borsone all’ingresso e tolsi la giaccia, mostrando il mio abbigliamento sportivo.
<< Sei andata ad allenarti? >> mi guardò arrabbiato. Posò la busta che aveva in mano e frugò nel mio borsone, freneticamente.
<< Sì, mi sto allenando. Tra qualche giorno c’è la gara e lo sai bene. >> gli risposi, incrociando le braccia al petto.
<< Lo sai che non voglio che vai. Non sei pronta, ti ucciderebbero >> si alzò da terra, avvicinandosi a me. Usò un tono dolce, cercando di intenerirmi e forse di convincermi. Scossi la testa e indietreggiai.
<< Vedremo. Sto migliorando, il mio maestro è bravo. >> mi tolsi le scarpe, dirigendomi verso il bagno. Lui mi seguii, pronto a continuare la discussione. Leggevo la curiosità mista a rabbia nei suoi occhi. Non gli avrei mai detto chi fosse il mio maestro, lo avrebbe scoperto da solo alla gara. So che avrebbe fatto di tutto pur di convincermi a non andare.
Lo sentii sospirare, mentre metteva le mani in tasca e si poggiava allo stipite della porta del bagno. << Non voglio litigare. Ho portato la cena, il tuo preferito. Sono venuto per recuperare il tempo perduto in questi giorni. Fai la doccia, ti aspetto di là, va bene? >> mi sorrise dolcemente.
Ricambiai il suo sorriso, annuendo. Sembrava un gesto così dolce, era da tanto che non facesse qualcosa del genere per me. Mi avvicinai e cinsi le braccia intorno al suo collo prima di poggiare le mie labbra sulle sue in un dolce bacio. Potevo essere arrabbiata con lui quanto volevo, ma averlo lì, accanto a me, sentire il suo profumo, mi faceva sentire ancora come una stupida. Lo amavo, nonostante tutto. 

Lo lasciai per entrare nella doccia e levarmi di dossi il sudore dell’allenamento. Tornai dopo una ventina di minuti da lui, lavata e vestita comoda per stare in casa.
Raggiunsi la cucina, curiosa. Guardai la tavola apparecchiata e le scatole del take away indiano sul tavolo. Sorrisi, andandomi a sedere a capotavola, lui accanto a me. Afferrai subito il pollo al curry, divorandolo con fame. Lo sentii ridere.
<< Ho fatto la scelta giusta? >> mi domandò sorridente. Io annuii a guance piene. Mi avvicinai per dargli un bacio con le labbra sporche di salsa. Lui si sporse all’indietro, ridendo, poi fissò le mie labbra e ci si buttò famelico. Afferrò la mia testa con le mani, tenendomi ferma mentre mi baciava languidamente. Io ricambiai il bacio, alzandomi da tavola per andarmi a sedere sulle sue gambe, a cavalcioni.
Rabbrividii a sentire le sue mani fredde sotto la maglietta, sulla schiena libera. Sorrisi sulle sue labbra, spostando le mie sul suo collo, mordicchiando e succhiando pianto la sua pelle. Un piccolo gemito scappò dalle sue labbra. Mi afferrò le cosce con forza, per tenermi appena si alzò dalla sedia. Camminò un po’ barcollante fino alla camera da letto. Mi lanciò sul materasso, spogliandomi in un lampo. Restai nuda, al freddo e imbarazzata. Lui sorrise famelico, togliendosi la maglia mentre saliva sul materasso con le ginocchia. Posò le labbra sulla mia pelle calda, baciandomi il collo e poi i seni. Torturò i miei capezzoli con la bocca, baciandoli, mordicchiandoli, succhiandoli. Sorrisi alla piacevole sensazione, mentre allungavo le mani alla patta dei suoi pantaloni, sbottonandoli velocemente. Infilai le dita ai bordi dei suoi pantaloni, tirandoli giù insieme ai boxer. Lui sorrise, accarezzando con le dita il mio clitoride, mentre io, ansimante, afferravo il suo membro duro. Non indugiò a lungo, non gli erano mai piaciuti i preliminari, anche se ci provava, per tre minuti. Cerò i preservativi nel mio comodino, infilandone uno. Afferrò le mie gambe per alzarle e avere accesso alla mia intimità, che penetrò lentamente. Gemetti a sentirlo dentro di me. Era da tanto che non lo facevamo e non lo avevamo fatto poi così tante volte: uscire dall’orfanotrofio era difficile.
Facemmo l’amore per venti minuti, fino a quando Derek non raggiunse l’orgasmo nel preservativo. Uscì e stanco, si stese sul letto. Aspettai, girandomi verso di lui, sperando facesse venire anche me, ma dalla posizione rilassata che assunse, capii che dovevo perdere le speranze. Me lo feci bastare, quella mezz’ora di sesso.
Mi rannicchiai sotto le lenzuola, accarezzandogli il viso.
<< Domani pomeriggio vuoi assistere ai nostri allenamenti? >> chiese ad un tratto, guardandomi freddo, come se non ci fosse stato niente in quel momento. Mi confondeva il suo atteggiamento.
Scossi la testa, aggrottando la fronte.
<< Non posso, devo allenarmi anche io >> risposi con il suo stesso tono di voce. Iniziavamo di nuovo.
<< Dai, a che ti serve allenarti! Verrai alla gara per accompagnare me, ti vestirai carina e starai al mio fianco, così farò vedere a tutti che bella ragazza ho. >> mi sorrise, cercando di addolcirmi.
<< Non sono un trofeo da mostrare, Derek, e no. Andrò alla gara con il mio allenatore e combatterò. Non ce n’è da discutere. >> ringhiai, alzandomi per poter rimettere l’intimo. Lui mi imitò, mettendomi anche i vestiti, oltre che i boxer.
<< Allora, Jahzara, devi scegliere. O me, o la lotta. Non posso stare con una ragazza che va contro il mio volere. Io vorrei sposarmi un giorno e mia moglie dovrà stare con i miei figli, non potrà essere impegnata ad allenarsi per andare a combattere. >> mi rispose, stupendomi. Non mi aspettavo quella giustificazione. Scoppiai a ridere, nervosa, passando una mano sul viso. << Ora me ne vado, domani mattina ho da allenare i miei allievi. Buonanotte >> non mi guardò nemmeno in faccia, prese la via verso la porta ed uscì dal mio appartamento.
restai senza parole, stendendomi tra le lenzuola. Non mi aspettavo fosse così maschilista. Io dovevo pensare anche a me, non volevo essere ancora schiava di qualcosa.
Presi il cellulare e selezionai la chat con Cam. Avevo bisogno di sfogare i miei dubbi.


“Cam.. ho bisogno di un consiglio, ci sei?” 10.57 p.m.

 

Mandai il messaggio, picchiettando le dita sul resto del telefono, in attesa di una risposta. Come avrei dovuto reagire a quell’ultimatum? Ero davvero disposta a rinunciare al mio sogno per Derek? Ce l’avrei fatta a lasciare il mio primo amore?

Alzai subito lo schermo a sentir vibrare.

“Ehi tesoro dimmi” 11.03 p.m.

“Ho litigato di nuovo con Derek.. Non vuole che combatta, non solo questa volta, ma mai” 11.04 p.m.

“Oddio, che noia questo! Tu cos’è che vuoi davvero?” 11.04 p.m.

Ci pensai a lungo, alla risposta, scuotendo la testa.

Non lo so, Cam, vorrei poter avere tutti e due. So che ormai ci stiamo allontanando io e Derek, a causa di questo, ma lottare è il mio sogno più grande” 11.06 p.m.

 

“E allora? Lascialo perdere! Vai a lottare e non pensare alle parole degli altri! Potresti pentirtene se rinunci, dopo tutto l’allenamento che hai fatto” 11.07 p.m.

Ma non so se sono disposto a perderlo, capito? E’ stato il mio unico amico per anni e il mio unico ragazzo. Lo amo” 11.07 p.m.

“Non dirmi che stasera ci hai fatto sesso, Cleo!!!!! Non lasciarti abbindolare! Se siete tanto legati dovrebbe sapere che lottare è il tuo sogno. Adrian mi racconta di quanto tu sia determinata, è esausto perché vuole portarti pronta alla gara. Hai fatto tanto sacrificio per cosa? Ridurti a una casalinga?” 11.12 p.m.

“Hai ragione.. Ma devo rifletterci.. Poi ha fatto sesso come se fossi una sconosciuta.. Io mi aspettavo un gesto dolce, e invece.. Non so proprio come comportarmi, ci devo dormire su.” 11.13 p.m.

“Scegli con il cuore, Jahz. Sei arrivata fino a qui non per niente. Ora dormi e non pensarci, domani è un nuovo giorno. Buonanotte.” 11.15 p.m.

Sorrisi al suo messaggio, tranquillizzata. Parlare con lui ormai mi aveva portato a un senso di tranquillità, era diventato il mio confidente più fidato. Senza peli sulla lingua, quello che pensa te lo dice e non puoi fare a meno di rifletterci.

Ero pronta a posare il telefono e spegnere la luce, quando sentii l’arrivo di un nuovo messaggio. Lo aprii: Adrian.

“Domani, oltre la tuta porta qualche vestito carino. Dopo l’allenamento ti porto da una parte” 11.19 p.m.

Lessi confusa il messaggio, non potendo fare a meno di sorridere. Quel messaggio non poteva fare altro che farmi dormire contenta. Chissà dove saremmo andati. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Quella mattina mi svegliai confusa, con la testa che girava e gli occhi stanchi. Mi ci volle un po’ per riprendermi dalla notte insonne e restare sveglia al lavoro. Mi ricordai una volta al mio posto del messaggio di Adrian della sera precedente. Mi avrebbe portata da qualche parte.. dove?
Cercai il mio maestro per tutto il museo quella mattina, troppo curiosa per starmene seduta a lavorare in tranquillità. Non lo trovai da nessuna parte: quella mattina molte guide non si presentarono, erano in ferie per le feste a venire e Adrian era tra i pochi rimasti, di conseguenza tutti i visitatori erano divisi in quattro gruppi le cui guide non riuscivano a prendersi un attimo di pausa.

Finii la mia giornata lavorativa perdendo tempo, facendo un giro sul sito della gara per vedere chi fossero i partecipanti. Alcune lottatrici le conoscevo, erano rinomate ed erano le più forti, ma probabilmente non avrei fatto nessun incontro con loro nel primo turno. 
<< Ehi, andiamo a mangiare qualcosa tutti e tre insieme? Poi andate ad allenarvi, dai! >> sbucò Cam all’improvviso, a fine giornata. Annuii mentre prendevo le mie cose, guardando Adrian intento a scrivere qualcosa sul suo cellulare. Li seguii fino al fuoristrada bianco di Adrian, lasciando il mio borsone con i vestiti nel bagagliaio, correndo poi verso lo sportello del sedile del passeggero, cercando di fare prima di Cameron. Gli feci la linguaccia, ridendo, prima di entrare e balzare in avanti per sedermi sul sedile morbido ed accogliente.
<< Bella questa macchina! >> esclamai contenta, guardandomi intorno, iniziando a toccare rutti i pulsanti e le manovelle che mi trovavo avanti. Mi bloccai appena la mano di Adrian strinse la mia. Sentivo il suo sguardo su di me, rabbrividii. 
<< Smettila di toccare tutto, sembri una bambina >> ridacchiò, poggiando la mia mano sulla mia coscia, che sfiorò con le sue dita calde. Arrossii e misi il broncio, incrociando le braccia al petto.
<< Jahz, hai pensato alla cosa di ieri, allora? >> mi chiese all’improvviso Cameron, inopportuno. Sospirai, sciogliendo la posizione da broncio prima di scuotere la testa in segno di diniego.
<< no, Cam, sono confusa.. vorrei anche lasciarlo, sai.. ma non ci riesco.. è stato il primo ad interessarsi a me come persona. In orfanotrofio non avevo amici, li odiavo tutti ed era anche inutile stringere amicizia. Nessuno mi ha mai voluta, ma lui no, lui l’ha voluto dal primo istante e credo lo voglia ancora.. è stato il primo amore della mia vita >> risposi sincera, passando una mano sul viso, gli occhi chiusi dall’imbarazzo. Sentii Cameron sospirare dietro di me e successivamente la sua mano sulla mia spalla.
<< Cleo, sei una bella ragazza e la tua compagnia è bella.. sei interessante, qualcun altro si avvicinerà a te.. non esiste solo Derek e restare con lui, ora, può esserti solo nocivo. È stato il primo si, ma non sarà mai l’unico. E poi ora hai noi, non resteresti sola, senza di lui. >> mi sorrise, allungandosi in avanti per darmi un bacio sulla guancia. Sorrisi al suo gesto e alle sue parole, quasi convinta a volerla fare finita. Quella relazione non mi faceva stare più bene, non ero più serena. Mi girai a guardare Adrian che con lo sguardo fisso sulla strada, restò in silenzio. Era lo stesso per lui? 

Arrivammo al ristorante indiano qualche minuto dopo. Mi lasciai andare in un urletto di gioia, saltellando sul sedile.
<< Aah, è il mio preferito! Vi amo! >> esclamai, uscendo subito dalla macchina appena Adrian parcheggiò. Li guardai ridere per la mia gioia infantile, seguendomi dentro il locale. Feci tutto io, entusiasta di mangiare i miei piatti preferiti. Mi sedetti al tavolo, immergendo subito la testa nel menù.
<< Sai? È il preferito anche di Adrian, questo. >> mi scosse Cam, guardandomi sorridente. Lui senza menù, Adrian nella mia stessa situazione. Forse Adrian avrebbe ordinato per entrambi.
<< Mi piaci sempre di più! >> ridacchiai, battendo il cinque al mio maestro.
Ordinammo senza ripensamenti sui piatti e quasi subito. Mi accomodai meglio sulla sedia, guardando Adrian di fronte a me. 
<< Allora? Dove mi porti stasera? >> gli chiesi curiosa, ridendo allo sguardo confuso di Cam. 
<< È una sorpresa. Ti meriti un premio per il tuo impegno, e anche io. >> rispose calmo, mostrandomi un dolce sorriso che fece sciogliere il mio cuore. Ricambiai il sorriso, abbassando lo sguardo.
<< Aspettate, avete un appuntamento? >> esclamò confuso il nostro amico.

Dopo pranzo io e Adrian ci allenammo duramente, come ogni giorno. Ero quasi pronta alla gara. Mancavano solo quattro giorni e la mia ansia iniziava a bussare alla porta per far parte della mia vita. Adrian mi ripeteva di stare tranquilla perché ero pronta, ero migliorata e avrei potuto vincere. Io ci speravo con tutta me stessa, ma non ci credevo.
Dopo l’allenamento mi feci una doccia veloce nel bagno, cambiandomi. Indossai un completo di velluto nero: pantalone aderente e top corto con maniche lunghe. Infilai ai piedi degli stivaletti neri con il tacco. Attaccai ai lati i capelli con delle mollettine, azzardando anche a truccarmi. Non sapevo dove saremmo andati, speravo in un luogo idoneo per il mio abbigliamento.
Tornai da Adrian che semplicemente aveva trasformato il suo outfit sportivo in uno casual con jeans e maglione scuro. Gli sorrisi, prendendo la borsa e il borsone con i vestiti.

<< Sarà una sorpresa fino a quando non arriviamo? Almeno dammi un’indizio! >> esclamai d’un tratto, in macchina. Cercavo di riconoscere le strade in cui passavamo, cercando di indovinare dove mi avrebbe portata.
<< È un posto nascosto, offrirà spunti e ti piacerà >> rispose, molto vago.
Sospirai e misi l’anima in pace, aspettando di arrivare.
Parcheggiò l’auto accanto ad un palazzo buio. Lo seguii giù dal fuoristrada, ancora più confusa di prima, e forse anche un po’ impaurita. Mi prese la mano, facendomi arrossire, e mi condusse in una porta.
Fui invasa da odore di sudore, urla e acclamazioni. Entrai confusa, poi sorrisi appena capii. Incontri di MMA. Mi girai di scatto a guardarlo, poggiando la testa sulla sua spalla per un attimo, come gesto di ringraziamento. Mi andai ad accomodare in un posto libero, accanto a me il mio maestro. Era già in atto un incontro, riconoscevo i due lottatori. Erano incontri di sportivi famosi, erano l’élite dell’MMA. Sorrisi incantata, sporgendomi in avanti con il busto. Poggiai i gomiti sulle ginocchia ed unii le mie mani, concentrandomi su ciò che stava succedendo nella gabbia. Uno di loro era il mio idolo, colui che aveva fatto scattare in me il desiderio di diventare una di loro. Mi alzai di scatto, esultando appena colui che tifavo mise K.O. il suo avversario con una ginocchiata sotto il mento. Mi girai poi, vedendo Adrian esultare con me. Sorrisi contenta, finalmente qualcuno che condividesse le mie idee. Derek aveva sempre detto che il mio idolo in realtà non fosse nessuno, il vero campione era un altro. Accettavo la critica perché è soggettivo il chi tifare, ma avere qualcuno che condividesse le mie passioni e ciò che mi piace, era bellissimo.
Ci battemmo il pugno prima di rimetterci seduti e osservare gli incontri successivi. Avevamo comprato un paio di hot dog per placare la fame, ma non bastarono.
Verso fine serata sentii Adrian sussurrare al mio orecchio << Hai fame? Io sto morendo. >>.
Mi girai a guardarlo, annuendo. Mi alzai senza farmelo dire due volte e lo trascinai verso l’uscita.

Ci dirigemmo a piedi verso un carretto sulla strada che faceva burrito e panini, parlando della serata di incontri a cui avevamo appena assistito. Io ordinai un burrito completo, con molto piccante e Adrian un burrito senza peperoni. 
<< Posso farti una domanda? >> gli chiesi all’improvviso, mentre aspettavamo le nostre ordinazioni. Lui si bloccò un attimo, forse temeva il peggio.
<< Dimmi >> poi rispose, infilando le mani in tasca.
<< Perché hai abbandonato la lotta, Adrian? Vedo che ne sei appassionato, Cam mi ha detto che eri un campione.. Non capisco perché tu abbia abbandonato! >> lo guardai confusa e un po’ arrabbiata. Come aveva fatto ad abbandonare una passione poco prima della vittoria finale?
Lui sospirò, perdendo lo sguardo nel vuoto. Mi morsi la lingua, forse non avrei dovuto chiederglielo, era ancora presto.
<< Scusami, se non ne vuoi parlare.. >> mi scusai, aggrottando la fronte in un’espressione preoccupata. Lui scosse la testa.
<< No, non ti preoccupare, te lo dico.. Al mio ultimo incontro ho fatto una cosa stupida, troppo stupida. Mi ero lasciato prendere dalla rabbia, avevo appena scoperto delle cose, mi tradirono in molti e la sfiga ha voluto che io scoprissi tutto quella sera. Ho quasi ucciso il mio avversario. Mi hanno dovuto fermare con la forza. >> deglutì nel ricordare quella sera, tenendo lo sguardo perso in qualche punto non definibile. Posai una mano sul suo braccio, guardandolo dispiaciuta. << Ero come drogato. Esisteva solo la mia rabbia in quel momento, nient’altro. Appena mi resi conto di quello che stavo facendo, ho abbandonato il torneo e la disciplina. Il mio avversario è rimasto in coma un paio di mesi. Ora sta bene, ma gli ho causato un trauma cerebrale e ora.. beh, ha perso l’uso delle mani.. >> passò una mano sul viso. Scosse poi la testa, girandosi verso il carretto per prendere le nostre ordinazioni. Mi porse il mio burrito e addentò il suo.
Non dovevo aprire quell’argomento quella sera. Non mi sarei mai aspettata una vicenda del genere.
<< Mi dispiace, Adrian.. Non fartene una colpa, è il rischio del mestiere quello di rischiare la morte.. >> cercai di consolarlo, mentre prendemmo il passo per una passeggiata.
Lui rimase in silenzio per una decina di minuti, io non sapevo cosa dire. Ero rimasta sconvolta dalla sua risposta.
<< Vorrei tanto andarmi a scusare, ma non trovo il coraggio. E so che non ho scuse. Dovevo mantenere equilibrio emotivo. >> sospirò all’improvviso, mettendo l’ultimo boccone in bocca.
Io accartocciai la carta che avevo intorno al burrito ormai finito e presi la sua mano nel tentativo di consolarlo.
<< Potrebbe farti stare meglio.. Forse lui non ti odia. Devi almeno provarci. Troveremo entrambi il coraggio per affrontare due persone importanti della nostra vita. Ce la faremo, ok? >> mi avvicinai a lui, cercando di incontrare il suo sguardo, che trovai grazie al suo aiuto. Gli sorrisi dolcemente, chiudendo gli occhi appena sentii le sue braccia intorno alle mie spalle a stringermi in un dolce abbraccio. Poggiai le mani sulla sua schiena, accarezzandola piano.
<< Dai, andiamo, domani devi lavorare! Per fortuna io a nanna per il mio giorno libero! >> sorrise contento. Si allontanò da me e ci dirigemmo di nuovo verso la sua auto.


Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Ero troppo imbarazzata per l’argomento affrontato. Mi chiedevo se Derek c’entrasse in quella questione. Non mi spiegavo come potessero conoscersi e perché si odiassero.
Presi la mia borsa da terra appena si fermò sotto il mio palazzo. Spense l’auto e mi guardò sorridente. Ricambiai il suo sorriso, osservando quanto fosse bello con quella bionda barba incolta ad incorniciare le sue labbra tese. Mi avvicinai a lui per lasciargli un bacio sulla guancia. Restai a lungo con le labbra posate sulla sua pelle, poi mi allontanai, di poco. Indugiai ancora un po’ accanto al suo viso. I nostri nasi si sfioravano, potevo sentire il suo respiro unirsi al mio. Le sue labbra tornate improvvisamente serie mi chiamavano, erano troppo invitanti e quella sera mi ero avvicinata in uno strano modo a lui. Era come se ci fosse una calamita ad attirarci. Lo vedi deglutire, aspettando un qualcosa che probabilmente volevamo entrambi ma allo stesso tempo nessuno aveva il coraggio di fare.
Fui io ad allontanarmi, cercando di tornare in me. Morsi il labbro inferiore e posai la mano sulla maniglia della portiera.
<< Grazie per la serata, Adrian.. Buonanotte.  >> gli sorrisi, uscendo poi dall’auto per entrare nel mio palazzo. 

 

Entrai in casa, ancora confusa da ciò che ero pronta a fare in macchina, buttandomi sul letto ancora vestita. La testa leggera.
Presi il cellulare e mandai un messaggio al mio fedele confidente, Cam.

“Sono confusa, ho passato una serata bella come non mai. Derek sparito, Adrian nella mia testa” 3.02 a.m.





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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Era finalmente arrivato il fatidico giorno ed ero tesa come la corda di un violino. Erano cambiate così tante cose dall’inizio di quella avventura e ora ero lì, in ansia per ciò che avrei fatto quella sera. Adrian mi aveva chiesto di allenarci un paio d’ore quella mattina, così prendemmo entrambi dei permessi per quel giorno e il giorno dopo.
<< Agitata per stasera? >> fu la sua prima frase appena mi vide. Non mi salutò nemmeno e non lo feci nemmeno io. Sbuffai in risposta ed annuii. Posai il borsone a terra e posai le mani sui fianchi.
<< Ne uscirò almeno viva? Che dici? >> gli chiesi agitata, guardandolo avvicinarsi a me. Posò le mani sulle mie spalle, accarezzandole piano. Deglutii.
<< Alleniamoci. Stasera metterai tutta te stessa e farai mordere la lingua a Derek. >> mi sorrise, invitandomi con un gesto della mano al centro della stanza.

Il mio rapporto con Adrian era cambiato in pochi giorni. Eravamo oramai amici, oltre che maestro ed allieva. La sua compagnia mi faceva piacere e spesso era anche parte dei miei sogni erotici.  Ammetto che ero molto spesso tentata di saltargli addosso e farlo mio. Era il tipo di ragazzo che avevo sempre sognato. Adoro la pelle bianca. E l’intesa che c’era tra noi non aiutava ad allontanarmi da lui. Piano piano mi rendevo conto che Derek non era più parte dei miei pensieri e non poteva essere, a breve, più parte della mia vita.
La sera in cui ero uscita con Adrian mi resi conto che Derek non mi donava più le stesse emozioni di prima. Cameron aveva ipotizzato che mi fossi messa con Derek perché era il primo che aveva prestato attenzione a me. Mi ero attaccata a lui per avere una sicurezza, un amico e mi ero sí innamorata di lui, ma non perché fossimo compatibili o anime gemelle. Quel pensiero mi faceva star male. Magari lui mi amava davvero per quella che ero. Ma non sapevo più se poter restare con lui o lasciarlo per poter riscoprire me stessa.
Adrian non mi aiutava, il tocco delicato delle sue mani candide sulla mia pelle mi faceva rabbrividire. Ero in totale confusione.
Inutile dire che Cam tifava per il cugino.

<< Jahz? Ehi tutto bene? Sei distratta. >> si fermò ansimante, guardandomi preoccupato.
<< Ho solo ansia per stasera, non preoccuparti. Alleniamoci. >>

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Fissai la gabbia appena entrai nell’edificio, inghiottendo il nulla. Ero super agitata, nervosa, ansiosa e chi più ne ha più ne metta.
Entrai nello spogliatoio insieme ad Adrian, Cameron seduto tra il pubblico.
<< ehiii, calma.. Non farti prendere dal panico una volta sul ring, ok? Puoi farcela >> mi sussurrò Adrian, cercando di farsi sentire solo da me. Cercò di motivarmi e quasi ci riuscí, fino a quando non vidi le altre concorrenti, visibilmente più pronte di me. Scossi la testa, allacciando le fasce intorno alle mie mani, proteggendo al meglio le nocche.
<< Posso farcela.. >> sussurrai a me stessa. Alzai lo sguardo su Adrian che mi sorrise prima di stringere con forza le mie spalle, piegandosi in avanti per stare alla mia stessa altezza.
<< Vincerai. Sei un’ottima lottatrice e io un ottimo allenatore, modestamente >> ridacchiò, facendomi l’occhiolino. Gli sorrisi di rimando prima di notare la sua espressione seria e indurita.
Mi girai e trovai Derek con la sua lottatrice dietro di me.
<< Così è lui. >> disse semplicemente il mio ragazzo. Adrian e Derek si scambiarono un lungo sguardo duro. Non li avevo mai visti così seri. << Ritirati, piccola. Sei ancora in tempo. Finirai solo nei guai a causa di questo. >> disse serio, senza mai staccare gli occhi dal suo avversario. Sospirai e scossi la testa.
<< La tua lottatrice ti sta aspettando >> risposi, sedendomi sulla panchina per allacciarmi le scarpe morbide. Volevo solo evitare ancora quella discussione, quegli sguardi. Avrei dovuto indagare sui due. Ma non in quel momento. In quel momento esistevo solo io. Io e nessun altro.
Avevo ardentemente desiderato una frase di incoraggiamento dal mio ragazzo, quella sera. Mi ero illusa che sarebbe potuto succedere.

——————————

Era arrivato il mio turno. L’ansia era sparita, ora la determinazione e la forza erano parte di me. Sorrisi alla mia avversaria. Un sorriso di sfida.
Lei mi fulminò con lo sguardo, cercando di intimidirmi. Tentativo fallito.
Si scagliò subito contro di me, io la evitai saltando di lato. Le girai per un po’ intorno, aspettando la sua prossima mossa che arrivò presto. Cercò di darmi un pugno ma bloccai il suo polso, scaraventai via il suo braccio per darle una gomitata sulla spalla. Lei perse l’equilibrio e ne approfittai, colpendola al petto con una ginocchiata. Si allontanò barcollante. “Non indugiare. Una volta colpito continua, non fermarti mai” ricordai le parole del mio allenatore e sorrisi. Mi scagliai contro il mio avversario, colpendola alle costole con un calcio, prima basso, poi più alto. Lei si allontanò un po’ ma poi riuscí a colpirmi con un pugno sul viso. Io scossi la testa per riprendermi, ma il mio avversario si era già avventato su di me, colpendomi ripetutamente. Riuscii però a bloccare un suo calcio, ruotando la sua gamba in modo che lei fosse costretta ad accasciarsi per non farsi del male. Ne approfittai e la colpii fino a quando l’arbitro non dichiarò me vincitrice dell’incontro. Mi fermai subito e sorrisi, incredula. Guardai fuori dalla gabbia e Adrian mi sorrideva, esultando per la vittoria insieme a Cameron.
Uscii dalla porta, dirigendomi verso di loro. Cercai di mostrare un minimo di contegno ma il grande sorriso sulla mia faccia mi tradiva.
<< Te lo avevo detto che ce l’avresti fatta! >> esclamò Adrian, battendomi il cinque. << Ora vai a riposarti un po’, dopo hai un altro incontro e dovrai vincere anche quello se la settimana prossima vuoi essere di nuovo qui. >> mi intimó il mio allenatore, serio.
<< Ti avevo sottovalutata, Jahzara. Complimenti >> mi girai, guardando Derek che si congratulava con la mascella contratta. Io sospirai, delusa.
<< È questo il grande problema, amore mio. Tu non hai mai creduto in me. >> ammisi delusa e sconsolata, facendomi spazio tra i miei amici per raggiungere lo spogliatoio. 

Il secondo incontro lo vinsi con difficoltà. Durò molto e io ne presi altrettanto. La mia avversaria era forte e sembrava molto arrabbiata. Mi faceva quasi paura. Per fortuna Adrian mi aveva insegnato delle mosse che mi aiutarono a vincere. La misi K.O. e vinsi l’incontro. Sarei andata ai quarti di finale.
Andai a festeggiare con i miei amici, snobbando lo sguardo di Derek che mi guardava da lontano. Non volevo pensare a lui in quel momento.
<< Senza di te non ce l’avrei mai fatta, Adrian! Avrei perso sicuramente! >> lo abbracciai, andandomi poi a cambiare negli spogliatoi. 

 

—————————

 

Adrian mi accompagnò a casa da solo: Cameron aveva incontrato lí la sua nuova fiamma. Gli aveva detto che doveva festeggiare con me ma gli intimai di andare a festeggiare con lui. Si sarebbe sicuramente divertito di più.
<< ... e quando mi ha colpito alle ginocchia credevo ormai di aver perso. Guarda Adrian, ho avuto un attimo di panico. Il mio sogno era finito lì e invece.. >> parlavamo ancora della serata, quando entrammo nel mio appartamento. Avevamo mangiato in macchina un panino preso al Burger King. Morivamo di fame e avevamo ordinato di tutto e di più. L’adrenalina avrebbe faticato a sfumare.
Mi iniziai a spogliare appena dopo aver chiuso la porta di ingresso. Avevo bisogno di una doccia calda subito. Feci segno ad Adrian di aspettare, correndo in bagno a lavarmi velocemente, lasciando che l’acqua calda rilassasse i miei muscoli doloranti. Lavai via il sangue ancora secco sulla mia faccia, strofinando bene sulla pelle per togliermi di dosso il cattivo odore.
Raccolsi i capelli bagnati e infilai l’intimo pulito e la solita maglia xxl sulla pelle appena asciugata.
Tornai da Adrian ancora in estasi, saltellando quasi. Lui si era accomodato sul divano e appena mi vide deglutí, poi sorrise timidamente. Ricambiai il sorriso, scrutandolo mentre mi avvicinavo a lui.
Stavo per parlare quando notai i suoi pantaloni rigonfi. Deglutii e sorrisi. Non avrei risposto delle mie azioni da quel momento in poi. Non parlai, gli rivolsi solo uno sguardo mentre mi inginocchiavo tra le sue gambe, sbottonando lentamente i suoi pantaloni. Lui fermò le mie mani, confuso.
<< Che fai? >> aggrottó le sopracciglia, ma il suo membro si indurì di più al solo tocco delle mie dita al di sopra dei boxer. Scacciai via le sue mani e gli feci segno di rilassarsi.
Lo sentii sospirare mentre infilavo la mano nei suoi boxer, accarezzando delicatamente il suo membro mentre abbassavo ciò che mi separava da esso.
Lo guardai incantata e desiderosa di un contatto con lui, posando la lingua sulla sua pelle morbida. Leccai la sua lunghezza dalla base fino alla cappella che accolsi subito dopo tra le labbra. Scivolai fino in fondo, sentendo un gemito del mio allenatore riempire la stanza. Alzai gli occhi su di lui, mentre iniziavo a succhiare delicatamente la sua erezione.
I suoi gemiti rochi occuparono la mia testa, facendosi spazio tra i miei mille pensieri, scacciandoli via. Gemetti con lui eccitata mentre gli procuravo piacere con la bocca. Chiusi gli occhi appena sentii la mia bocca riempirsi del suo sperma. Ingoiai. Sembrava essergli piaciuto, a quanto pareva.
Passai le dita agli angoli della bocca, guardandolo soddisfatta.
<< A cosa devo questo? >> mi chiese lui, sistemandosi i pantaloni, con il membro ancora duro. Mi accoccolai accanto a lui, guardandolo ancora desiderosa, ma non mi sarei spinta oltre.
<< Scusami, non ho resistito >> risposi sincera, stringendomi nelle spalle. Lui ridacchiò, allungandosi verso di me per baciarmi la fronte. 

Fece poi per alzarsi e lo bloccai.
<< Resta qui con me ancora un po’, ti prego. >> lo guardai con occhi dolci. Lo vidi indugiare, i suoi occhi fissi sul mio petto. Poi sospiró.<< Resto volentieri, ma ti prego, vestiti, ti vedo i capezzoli, la maglia è trasparente e sei in mutande. Se non vuoi essere scopata qui ed ora, vestiti >> mi pregò quasi.
Arrossii e ridacchiai. Abbassai lo sguardo sul mio corpo, spostando la mia attenzione sulla patta dei suoi pantaloni, indugiando. Poi annuii e mi diressi in camera per vestirmi.
Sorrisi nel buio della mia camera da letto, ripensando a quello che avevo appena fatto. Non me ne pentivo affatto. 

Le cose dentro di me stavano cambiando e la nuova me iniziava a piacermi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Cosa avevo combinato? Avevo davvero fatto un pompino ad Adrian senza nessuno scrupolo? E mi è piaciuto anche tanto.. sarà stata l’adrenalina di quella sera, i miei sogni ricorrenti, la rabbia per Derek.. oppure lo volevo davvero e se non fosse stato per inutili scrupoli avrei fatto anche di più.

Passai una mano sulla faccia assonnata e ancora dolorante, osservando i nuovi lividi sul mio corpo, il premio per la mia vittoria della sera precedente. Avevo addosso una stanchezza inimmaginabile. Sarei stata a letto altre ore, ma era ormai già ora di pranzo e non potevo poltrire tutto il giorno. Avevo la giornata libera sia al lavoro, sia da Adrian che mi aveva concesso un po’ di meritato riposo. Chissà cosa avrebbe fatto lui.
<< La devo smettere o va a finire come con Derek.. >> sussurrai a me stessa, rimproverandomi per i pensieri rivolti al biondo allenatore. Eppure non potevo fare a meno di desiderare di stare con lui in quel momento, di condividere qualcosa con lui.
Scossi la testa sbuffando, prendendo qualche verdura dal frigo per farmi un bel panino vegano. Non mi andava niente di elaborato, mi andava di stare a casa mia, a riposare e dedicarmi del tutto a me stessa.
Decisi così che quella giornata l’avrei passata ad affinare l’arte della musica. Suonavo la chitarra da anni oramai ma non riuscivo a fare più di qualche accordo messi insieme. Le canzoni che suonavano erano semplici. Avevo bisogno di rilassarmi con ciò che mi piaceva. 

A metà pomeriggio arrivò una telefonata da Adrian. Mi bloccai, indecisa se rispondere o no. Ignorai la sua chiamata a lungo, mordendomi le labbra nervosa. Ero imbarazzata per ciò che avevo fatto la sera precedente. Non sapevo lui come l’avesse presa.
Alla terza chiamata risposi, facendo finta di niente.
<< Eehi! Finalmente! Mi stai ignorando? >> rispose lui, ridendo. Era sempre contento, mi rallegrava sentirlo solo parlare.
<< Ehi stalker! Ero impegnata. >> mentii, posando la chitarra sul letto, iniziando a passeggiare nella stanza. << Dimmi tutto >>
<< Indiano, ti va? Devo fare lo stalker a una ragazzina indifesa >> rispose lui, diventando quasi serio << Ho bisogno di una spalla ed erano tutti impegnati >> rise di nuovo, facendomi intendere fosse uno scherzo. Io mi mobilitai subito, togliendo il pigiama in un lampo.
<< Certo! Mi vesto mimetica allora? >> lo assecondai, aprendo l’armadio alla ricerca di qualcosa da mettere.
<< Dai fai presto, sto venendo. Prima che la ragazzina indifesa si apparti con la sua nuova fiamma. Non mi fido >> chiuse poi la telefonata. Aggrottai la fronte e mi vestii in fretta, mi sistemai capelli e nascosi le macchie livide sul viso con del trucco.
Allora era serio. Chi doveva spiare?

Appena sentii suonare al campanello scesi dal mio appartamento e mi infilai in macchina.
<< Chi è che dobbiamo spiare? >> chiesi curiosa senza nemmeno salutarlo. Il maglione metteva in risalto il suo fisico scolpito. Avrei voluto morderlo.
<< Cameron. Si sta frequentando con un mio vecchio amico. Vecchio amico anche del tuo ragazzo. >> rispose lui, immettendosi in strada. Notai il tono di voce schifato di Adrian a nominare Derek. Dovevo sapere ma nessun momento mi sembrava quello opportuno.
<< Perché non ti fidi di questo? >> gli chiesi curiosa, tralasciando la storia di Derek.
<< È inaffidabile, fino a pochi anni fa si drogava, portava me e Derek in posti strani.. io non lo vedo da più di un anno, non so ora se sia cambiato, ma non mi fido. Voglio troppo bene a Cam per lasciarlo con un tipo del genere. Non chiedermi come l’ho scoperto, poi inizi a chiamarmi sempre stalker >> ridacchiò sull’ultima parte. Era molto legato alla sua famiglia e questo mi scaldò il cuore. Usciva con Derek quindi..
<< Tu e Derek eravate amici? >> chiesi confusa. Allora perché tutto quell’astio? Un momento.. << è lui che ti ha fatto arrabbiare prima della gara? È a causa sua che hai abbandonato tutto? >> mi agitai, girandomi verso di lui. Adrian sospirò e restó in silenzio mentre passava una mano sul viso stanco. Solo in quel momento notai delle occhiaie profonde sotto i suoi occhi. Non avrà dormito. 
<< Eravamo amici. Eravamo. Tanto tempo fa. Sono successe cose.. vorrei dirtele, ma non è compito mio. >> rispose semplicemente. Mi agitai, guardando fuori dal finestrino. Si vedevano le stelle quella sera, ma quella bellezza sembrava non fare effetto su di me. Cosa aveva fatto Derek di così grave? E perché non mi ha raccontato nulla?
<< Tu ritieni che io debba sapere cosa ha fatto Derek? È grave? >> chiesi, cercando di captare qualche informazione.
<< Jahz, io non voglio mettere zizzania. Io sento il bisogno di dirti delle cose ma non posso. Non aggirarmi per farmi parlare ti prego. Parlane con lui. Deve essere lui a dirti tutto, non è compito mio. >> mi guardò serio per un attimo. Incontrai i suoi occhi imploranti ed annuii, lasciando perdere. Avrei dovuto parlarne con Derek, appena riuscivo.
<< Ti ha fatto del male? >> chiesi soltanto, non volevo sapere altro in quel momento.
Lui non rispose, sospirò e basta. Mi bastó quel sospiro per capire che la risposta sarebbe stata un sí. Passai una mano tra i capelli, poi posai l’altra sulla sua coscia tesa, accarezzandola piano. Amavo stare a contatto con il suo corpo.
<< Con questo ragazzo perché avete chiuso entrambi? >> chiesi invece, cercando di capire perché dovessimo difendere Cam.
<< Ci ha fregato dei soldi, per comprarsi la droga. Volevamo aiutarlo a smettere, ma ci ha mandato via in malo modo. Sai la cicatrice sull’addome di Derek? Dovresti conoscerla.. gliel’ha fatta questo nostro amico >> 
Sgranai gli occhi alla sua risposta, ero nervosa per l’incolumità del mio amico.

Appena arrivati al bar dove si erano incontrati i due piccioncini, parcheggiammo in modo che non potessero vedere la macchina di Adrian, altrimenti sarebbe stato troppo sospetto.
Li seguimmo nella loro passeggiata per il centro. Le loro mani si sfioravano e sentivo Cameron ridere sereno alla sua nuova fiamma. Mi girai a guardare Adrian, era più serio che mai e stropicciava nelle mani in suo cappello. Sorrisi al suo nervosismo, mi faceva tenerezza.
<< Cam è in gamba, Adrian.. non penso si faccia fregare così facilmente.. >> dissi ad un tratto, sfilandogli il cappello dalle mani per farlo smettere. Lo infilai sulla mia testa e sistemai il giubbino. Le temperature erano scese di tanto negli ultimi giorni. 
<< Senza offesa, ma non lo conosci abbastanza.. ha bisogno di affetto e quando qualche ragazzo gli da attenzioni, lui si butta nella sue braccia senza nemmeno pensarci >>  rispose, tenendo lo sguardo fisso sul cugino. Poi si girò verso di me e sorrise, aggiustandomi il cappello sulla testa. << Sei bellissima.. >> sussurrò, concentrando il suo sguardo nei miei occhi. Sorrisi al complimento. << Tutto merito del mio bellissimo cappello. >> continuò poi, ridendo. Lo guardai offesa, prima di spingerlo giocosamente mentre partecipavo alla sua risata. 
<< Sei un cretino. È il tuo cappello che è bello perché sta sulla mia testa. Sono io a renderlo bello>> gli feci la linguaccia, facendolo ridere di più. Lo spinsi di nuovo.
Continuammo a sfotterci fino a quando lui non si bloccò e divenne improvvisamente serio. Mi girai nella sua stessa direzione, notando Cameron tra le braccia del vecchio amico del mio maestro, mentre si scambiavano un languido bacio. Io sorrisi ma Adrian non era del mio stesso parere. Lo vidi percorrere la distanza che lo separava dal cugino a grandi falcate. Lo rincorsi, temendo il peggio.
<< Adrian! Fermati! >> urlai, cercando di raggiungerlo. Quando ci riuscii lui era già a separare i due. Cameron ci guardò confuso. 
<< Uh, chi si rivede. Il caro e vecchio Adrian. Combatti ancora? Mi metto in guardia? >> scherzò il ragazzo sconosciuto. Adrian in quel momento non aveva affatto voglia di scherzare.
<< No, sei fortunato. Che ci fai con mio cugino, mh? >> lo trucidò con lo sguardo, mentre Cameron incrociava le braccia al petto.
<< Non sono fatti tuoi, Adrian, lasciaci soli. >> rispose il mio amico. Io mi avvicinai a lui, prendendogli una mano per rassicurarlo.
<< Si, infatti, Adrian. Lasciaci soli, come hai fatto con Valery. >> rispose il ragazzo, in tono di sfida. Mi girai di scatto verso Adrian che si fece di fuoco. Stava per scattare. Mi misi avanti a lui, cercando di allontanarlo dalla situazione.
<< Vuoi fregare anche mio cugino? Così poi cerchi di ucciderlo così come hai fatto con Der? >> ringhiò il mio maestro, sovrastandomi. Dovetti fare qualche passo indietro per non cadere. Nonostante la rabbia Adrian mi sorresse, aiutandomi a non cascare.
<< Adrian! Stai esagerando, smettila! >> urlò arrabbiato suo cugino. In che guaio mi ero cacciata.
<< E tu, caro e vecchio Adrian? Vuoi finire il lavoro fatto con quel ragazzo? >> rispose di rimando lo sconosciuto.
<< Ora basta. Adrian, andiamo. >> risposi io, ormai nel vivo della discussione. Non mi piacevano quelle provocazioni. << Cameron, bada bene a quello che fai. >> mi rivolsi al mio amico, seria ma in modo dolce. Presi la mano di Adrian, trascinandolo via.

Il mio maestro era furioso, e man mano che camminava la sua rabbia si trasformava in tristezza. Non era il caso affrontarlo, forse. Ci avrei parlato io con Cameron, se non avesse capito da solo in cosa si era cacciato. 
<< Va tutto bene? >> chiesi ad Adrian, una volta arrivati alla sua macchina. Mi poggiai alla portiera del lato guidatore.
<< Si. Ti porto a casa. Non mi va più di mangiare. >> non mi guardò nemmeno negli occhi. Era deluso e si vedeva lontano un miglio.
Io annuii senza insistere. Se avesse voluto parlare, lo avrebbe fatto da solo.
Salii in macchina e senza parlare lo guardai per tutto il viaggio.
<< Smettila o mi farai arrossire. >> cercò di scherzare, ma il suo tono di voce lo tradí. Sorrisi dolcemente e mi allungai verso di lui, baciandogli una guancia delicatamente, a lungo. Accarezzai poi la sua pelle con il naso, inspirandone il buon odore. Lui allungò una mano verso di me, accarezzandomi il viso ancora vicino al suo, con le nocche.
<< Scusami, Jahz.. per stasera. >> sospirò, accostando sotto il mio palazzo.
<< Non ti preoccupare.. dormi stanotte, va bene? Se hai bisogno, chiamami. >> lo guardai seriamente, scendendo poi dalla macchina per entrare in casa.

La storia era più complicata di quanto pensassi. Mi faceva male la testa, troppo carica di pensieri. Mi accorsi solo quando iniziai a spogliarmi, di avere ancora in cappello di Adrian in testa. Sorrisi e lo posai sul tavolo. Glielo avrei dato l’indomani agli allenamenti. 

Mi misi a letto a digiuno, non andava nemmeno a me di mangiare. Presi il cellulare per controllare le notifiche e notai un solo messaggio, da Derek.

“ Dobbiamo parlare “ 19,03

Oh-oh. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Dopo quella sera i rapporti tra Adrian e Cameron si inasprirono. Cameron era arrabbiato per la brutta figura che gli aveva fatto fare il cugino e per non averlo appoggiato, Adrian era arrabbiato perché nonostante tutto, Cam continuava a frequentare il vecchio amico. Io ero divisa tra due fuochi, cercavo di far ragionare entrambi. Stavano male uno senza l’altro e non potevano tenersi il broncio per un argomento del genere.
Cameron aveva ormai occhi solo per Patrick e niente riusciva a fargli scovare cosa ci fosse sotto la loro relazione e dentro il suo ragazzo. Io non avevo ancora avuto occasione di conoscerlo, da sola, ma ciò che aveva detto ad Adrian non era stato complice di una bella presentazione.
Avevo così organizzato una cena solo io, Cameron e Patrick. Avevo imparato a voler bene a Cam e non potevo permettere che qualcuno del genere si prendesse gioco di lui.
Lasciai l’allenamento un’ora prima quella sera, sotto sguardo indagatore di Adrian. Decisi di non dirgli niente, per paura che avesse voluto aggiungersi. 
<< Mancano pochi giorni, Jahzara. Domani facciamo due ore in più >> mi disse di conseguenza. Annuii alla sua “punizione” ridendo. Mi avvicinai a lui gli mollai un pugno sull’addome. Lui non fece una piega e continuò a guardarmi curioso, corrucciato. Sbuffai e gli mandai un bacio prima di raggiungere casa per una doccia veloce e successivamente il luogo d’incontro. Avevano scelto giapponese.

Una volta arrivata li trovai già seduti al tavolo che avevamo prenotato.
<< Eccomi, scusate il ritardo, ma venire in bici richiede tempo. >> ridacchiai, sedendomi accanto a Cameron. Patrick di fronte a me. Mi sorrise. Io ricambiai debolmente. 
<< Ma la patente? Quando la prendi? >> mi chiese Cam, quasi stufato.
<< Quando avrò tempo e soldi. Per ora vado bene in bici e a piedi. >> mi strinsi nelle spalle, scegliendo i piatti dal menu. 
<< Allora, Patrick.. cosa fai nella vita? >> chiesi il più gentilmente possibile. Aveva pur sempre cercato di ammazzare il mio ragazzo, non sarei mai riuscita a guardarlo con occhi diversi da una scettica.
<< Lavoro nell’azienda di mio padre.. e organizzo gli incontri a cui tu stessa partecipi. E a cui partecipava Adrian. >> rispose calmo, grugnendo quando sentí arrivare un calcio da Cameron. Forse non voleva sentir parlare del cugino. Avrei voluto tanto non rovinare quella serata, ma le domande volevano uscire dalle mie labbra e spingevano per farsi spazio e scoppiare.
<< Lavoravi in questo campo anche da prima? >> domandai curiosa, prendendo una porzione di sushi con le bacchette.
<< Si, da sempre. Io e i miei allora migliori amici combattevamo e organizzavamo incontri di MMA per guadagnare qualcosa.. ma poi son successe varie cose e mi son ritrovato solo. >> era tranquillo nel raccontare le vicende della sua vita. Non riuscivo ad interpretarlo.
<< Parli anche di Derek White? Eravate migliori amici? >> chiesi confusa. Perché non sapevo niente? Non conoscevo davvero Derek come credevo? 
<< Si.. un anno fa ci siamo separati.. un po’ mi mancano, ma ho fatto delle stupidaggini.. e non so come chiedere scusa. Anche ad Adrian.. non volevo dire quelle cose l’altra sera, mi dispiace >> sospirò , tenendo lo sguardo basso. Notai la mano di Cam coprire quella del ragazzo seduto di fronte a me, stringendola. Mi voltai a guardare Cameron, poi di nuovo le loro mani. Quella cena non stava andando come me l’ero immaginata. 
<< Senti, Cleo.. Cam mi ha chiesto di chiamarti così.. posso? >> chiese dubbioso. Io annuii, così continuò << io a Cameron ci tengo. Non l’ho avvicinato per uno scopo specifico, te lo posso giurare. Lui sa tutto, che mi drogavo, che ho cercato di uccidere Derek.. ma ero strafatto, te lo posso giurare. So che hai organizzato tutto per farmi il terzo grado, perché sei amica di Cameron e sei amica di Adrian, ma sono cambiato rispetto ad un anno fa, devi credermi. Ve lo dimostrerò. >> allungò le mani verso di me, stringendone una mia tra le sue. Alzai lo sguardo e lo guardai in modo serio, ascoltando il suo monologo. Sospirai ed annuii, ritirando poi la mano dalle sue.
<< Ti darò una chance, ma ricorderò sempre che hai accoltellato il mio ragazzo e che hai rinfacciato altro ad Adrian. Al minimo errore perderò la poca fiducia che ripongo in te e te lo posso giurare, caro Patrick, che non la passerai liscia. >> minacciai con calma, sporgendomi di poco verso di lui per poter parlare a bassa voce in modo che lui riuscisse a sentirmi.
Lui annuì in silenzio. Poi mi voltai verso Cameron.
<< E tu cosa combini, Cameron? Adrian voleva proteggerti, ti vuole bene. Tu sai tutta la storia e non capisci? Gli manchi, Cam. Mi chiede agli allenamenti come stai, che fai.. se arriva un messaggio sbircia per vedere se è il tuo. >> lo guardai intenerita alla scena di Adrian a cui avevo assistito qualche ora prima.
Cameron si strinse nelle spalle e continuò a mangiare in silenzio. 
<< Derek è il tuo ragazzo? >> chiese ad un tratto Patrick. Io annuii e lo vidi imitarmi lentamente, restando poi in silenzio. Mi stanno nascondendo qualcosa, tutti.
Cameron cambiò subito argomento, iniziando a parlare delle vacanze di Natale che si avvicinavano sempre di più. 

La serata continuò in tutta tranquillità tra una chiacchiera e l’altra e un’ordinazione e l’altra. Patrick non sembrava così tanto male. Le persone possono cambiare e lo possono fare in meglio. Anche se si dice che il lupo perde il pelo ma non il vizio. Sarà così anche per lui?
Montai sulla bici e mi allontanai dal ristorante. Avevo lasciato il completo del lavoro al garage, avrei tentato di recuperarlo.
Così mi diressi verso i garage. Scesi dalla bici e mi avvicinai alla saracinesca, trovandola senza lucchetto. Aggrottai la fronte, temendo il peggio. Qualche ladro?
Tolsi così la giacca per stare più libera in caso di lotta imminente. Aprii piano la saracinesca ed entrai pronta a combattere. Appena fui dentro trovai Adrian nella stessa posizione di lotta, con sguardo furente. Alzai le braccia in segno di resa e lui si tranquillizzò appena mi riconobbe.
<< Sono io, maestro.. >> gli sorrisi, guardandomi poi intorno. C’erano due cartoni di pizza e quattro bottiglie vuote di birra. << Sei rimasto qui tutta la sera? Perché non sei tornato a casa? >>
<< Ti aspettavo. Ho visto che avevi dimenticato la divisa.. e poi mi andava di stare un po’ qui.. mi sono allenato. >> si strinse nelle spalle, tornando a sedere tra i cuscini.
Annuii confusa, prendendo le mie cose.
<< Ora torna a casa, Adrian.. è tardi.. >> mi accovacciai accanto a lui. Aveva l’aria stanca.
<< Dormo qui, tranquilla. Rischio di addormentarmi alla guida >> tenne lo sguardo basso. Io annuii, sedendomi per terra, le mie cose sulle gambe. << Sei stata con Cameron, vero? E Patrick? >> 
<< Si.. sembra un bravo ragazzo, Adrian.. vuole chiederti scusa per tutto.. mi prometti che non vai in encandescenza quando ci proverà? >> allungai una mano verso di lui, posandola sul suo ginocchio. Lui sbuffò e poi annuí. Gli sorrisi, alzandomi da terra. << Mi nascondete tutti qualcosa. Forse il mio aiuto non lo meritate. >> sussurrai ad un tratto, dando voce ai miei pensieri. Adrian scattò in piedi, guardandomi.
<< Se lo facciamo è per proteggerti, Jahzara.. ma se non vorrai essere più nostra amica.. beh, penso di capirlo. >> abbassò lo sguardo, sospirando di nuovo.
Io semplicemente feci spallucce e, in silenzio, me ne andai. 

Allora mi nascondevano davvero qualcosa. Volevo venirne a capo e perciò dovevo parlare a Derek il prima possibile. Non avevo risposto al suo messaggio quella sera. Mi dovevo concentrare sul mio allenamento. Dovevo arrivare in semifinale e sperare di vincere.  
Mi stavo abituando all’idea di essere single, senza Derek. Probabilmente voleva parlare della nostra relazione o della mia vittoria. Io ero ormai stufa di quella situazione e sentivo che tra di noi non c’era più niente, o almeno io non volevo più essere legata a lui in quel senso. Non sarebbe mai potuto essere per sempre. Non in quelle condizioni.
Non volevo perdere tutti di nuovo, ma non potevano nascondermi le cose. Se la sapevano tutti, è una cosa grave. Qualcuno avrebbe avuto il coraggio? O mi sarei dovuta impegnare per scoprirlo da sola? 

Tornai a casa stanchissima e giù di morale. Buttai tutto sul divano, compresa me stessa. Non avevo voglia di fare nulla, nemmeno di dormire.
Avrei dovuto trovare il modo per far fare pace ai miei due amici. Si amavano, non potevano stare lontani.
<< Mmh chi è ora.. >> sbuffai a sentire il telefono squillare. Cameron. Risposi. << Già ti manco? >>
<< Sempre mi manchi. >> ridacchiò il mio amico. Sentivo altre voci lontane. << Senti, vuoi venire a casa mia per le feste di Natale? Mia madre aspetta risposta. >> continuò poi. Aggrottai la fronte, mettendomi seduta. Passare il natale in famiglia? Anche se non la mia.. ma almeno non da sola.
<< Non voglio disturbare, Cam.. non preoccuparti >> risposi in panico, togliendo le scarpe.
<< Ok, mamma, ha detto di sì! Ti richiamo dopo ok? Ah e ditelo voi ad Adrian, io non ci parlo. >> lo sentii dire. Era in vivavoce da un altro telefono? << Allora ci vediamo a Natale, Jahzy >> 
Sospirai ridacchiando. << D’accordo. E parla con Adrian. Ha certe occhiaie, Cam.. mi fa tenerezza.. >> 
<< Non lo so, Jahz, non doveva fare quella scenata.. ho ventitré anni, me la cavo da solo. >> sospirò. Lo sentii buttarsi sul letto con un tonfo sordo.
<< Tu non avresti fatto lo stesso per lui? >> chiesi, conoscendo già la risposta.
<< è diverso, tesoro. Adrian ha avuto davvero brutte esperienze. Nessuno lo merita, è troppo buono per gli altri. Ha perso tutti perché è troppo buono.. gli sono rimasto solo io >> rispose, sussurrando poi l’ultima frase. Io sorrisi. Restò un po’ in silenzio, poi tirò un sospiro come se avesse trattenuto il fiato. << Forse hai ragione.. ma lui deve togliersi il vizio di intromettersi >>
<< Parlagli. >> dissi semplicemente, riflettendo poi su quello che aveva detto prima. << Cam.. cosa mi state nascondendo? È su Derek? >> chiesi ad un tratto.
<< Jahzara.. io insisto per la vostra rottura per una ragione.. ma non posso dirti niente.. non è giusto che te lo dica io. Adrian non vuole perché gli fa male ricordare certe cose. Insisti con Derek. >> rispose, prima di darmi velocemente la buonanotte.
Chiusi la chiamata e sbuffai, buttandomi stesa sul divano, a fissare il soffitto. L’indomani avrei parlato con Derek.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Era arrivato il momento di affrontare l’argomento Derek e lasciarlo definitivamente. Dovevo prendere la mia strada, non potevo stare dietro a uno che diceva di amarti e poi non ti appoggiava.
Così quella mattina gli mandai un messaggio.

“Ehi, stasera passo da te, dopo le 19.” 09.15 a.m.

Spensi il telefono e tornai a lavoro. Era una giornata piena: le vacanze di Natale si stavano avvicinando  e i turisti da tutto il mondo iniziavano ad arrivare, pronti ad acculturarsi. Il mio lavoro iniziava ad annoiarmi, ma mi fruttava la sopravvivenza. Dovevo fare un po’ di economia: basta vino, basta tanto cibo, basta schifezze. Dovevo risparmiare per la patente e per una futura macchina, anche se un catorcio. Non potevo più girare in bici, iniziava a fare troppo freddo e non potevo spostarmi di molto.
Tra l’altro ora avevo il pensiero di dover passare più di una settimana a casa di una famiglia sconosciuta, una famiglia enorme, con la soggezione di essere l’amica orfana e sola di Cameron e Adrian. Quei due non mi avrebbero nemmeno aiutato, loro e la loro stupida lite. 
<< Ehi! >> sobbalzai a sentire una voce che mi chiamava da destra. Mi girai di scatto, notando Adrian guardarmi serio. << Ho saputo che vieni con noi a Natale.. ora devo allenarti anche ad affrontare la nostra famiglia? >> ridacchiò, coinvolgendomi nella sua risata.
<< Me la caverò.. anche se è la prima famiglia con cui passo il natale.. non sono cristiana però.. è un problema? >> chiesi nervosa.
<< Potrebbe.. siamo molto cattolici.. anzi, sono. Tu non dire niente, lo capiranno e se ne faranno una ragione >> si strinse nelle spalle prima di tornare a lavoro.
Avrei dovuto essere musulmana secondo gli insegnamenti di mia madre quando ero piccola, ma purtroppo Allah non si è mai dimostrato quel grand uomo che diceva mia madre. Preferivo credere che ognuno di noi fosse il dio di se stesso.

Come ogni giorno, dopo pranzo raggiunsi Adrian nel suo garage per gli allenamenti. Appena entrai lo vidi a terra a fare gli addominali. I suoi muscoli guizzavano fuori ogni volta che si tirava su. Morsi il labbro inferiore a vederlo. Presi la sua maglia da terra e gliela lanciai.
<< Non fare il fenomeno e vestiti che se prendi freddo poi non mi puoi più allenare. >> lo guardai seria, prima di togliere gli abiti da lavoro per mettere la mia tuta.
Lo sentii avvicinarsi a me. Mi prese di peso e mi buttò per terra.
<< ehi! Fammi almeno riscaldare! >> esclamai, dandogli un colpo sul petto per farlo spostare. Lui si mise a ridere e si allontanò, posizionandosi al centro della stanza.
Avevo solo quattro giorni per imparare prese nuove e diventare più forte di prima. Non volevo distrazioni, soprattutto quel giorno. Volevo concentrarmi solo sulla lotta, per non pensare alla discussione che avrei dovuto affrontare quella sera dopo gli allenamenti. 

Adrian mi fece segno di farmi sotto e non me lo feci ripetere più volte. Come al solito, mi ritrovai per terra nel giro di 0,3 secondi. Sbuffai e mi rialzai in fretta, cercando di imparare la presa che mi voleva insegnare. Avvolse i miei fianchi con le braccia e, girandomi lentamente, mi buttò a terra. Non ce l’avrei mai fatta. Lui era più pesante rispetto ad una donna, come avrei potuto buttarlo a terra?
Ci provai un paio di volte, lui non si mosse di un millimetro. 
<< Non ce la farò mai >> ringhiai mentre cercavo di alzarlo da terra.
<< Se ce la fai con me, con una donna sarà più facile. Poi metti che il tuo avversario pesa quanto me? Devi riuscirci. Come dice il buon vecchio Yoda: fare o non fare, non c’è provare >> mi incitò, posizionando le mie mani sul suo corpo nel modo giusto.
Lo alzai di poco e lo spinsi a terra. Non era il risultato sperato, ma era pur sempre un inizio. Ci provai ancora un paio di volte, riuscendoci al quinto tentativo.
<< Bene, ora proviamo mentre io faccio resistenza >> si alzò guardandomi in attesa. Io sbiancai e restai a terra ad ansimare.
<< Morirò presto >> mi lamentai catastrofica, alzandomi da terra. Lui rise, passando una mano tra i capelli lunghi, dopo averli sciolti. Io mi sistemai, prendendo fiato mentre lo guardavo legarsi i capelli. 
<< Pronta? >> mi chiese dopo. Io annuii e provai a buttarlo a terra, ma questa volta lui opponeva resistenza, simulando ciò che sarebbe potuto accadere nella gabbia.
I nostri corpi premevano l’uno contro l’altro, attaccati come se ci fosse una calamita, io spingevo verso di lui e lui spingeva verso di me. La sua forza mi sovrastò e mi ritrovai stesa a terra, il suo corpo sul mio. Ansimai per la fatica appena fatta, guardandolo dal basso. Restò per un po’ su di me, guardandomi con una strana espressione. Poi si alzò deglutendo. Lo seguii, asciugando il sudore sulla mia fronte con l’asciugamano. Presi una bottiglia d’acqua e bevvi mentre mi sedevo sul solito mobile.

<< Dieci minuti di pausa vero? Oggi mi stai uccidendo >> lo pregai, mentre rimpiazzavo i liquidi persi. Lui annuì e si avvicinò a me, rivolgendomi ancora quello sguardo. Cosa aveva?
Posò una mano sul mio collo, accarezzandolo delicatamente lì dove avevo un livido. Fece scorrere la mano sul mio petto, passando sul seno coperto. Indugiò sull’addome prima di scendere sulla coscia, stringendola piano. Deglutii alle sue carezze, posando accanto a me la bottiglina d’acqua. Restai in silenzio, aspettando di vedere cosa avrebbe fatto.
Salì con la mano, poggiandola sul basso ventre, mentre con il pollice accarezzava la mia intimità coperta. Mugolai stupita dal suo gesto, lasciandolo fare. Mi sentivo una poco di buono in quel momento, ma desideravo anch’io quello che stava facendo. 
<< Da quella sera non faccio altro che pensare a te, a quanto ti desidero.. hai scatenato una parte di me che avevo represso a lungo.. >> sussurrò von voce roca, probabilmente eccitato dalla situazione. Restai ancora in silenzio, ansimando per il movimento del suo dito che ora si muoveva con più sicurezza. 
<< Scusami.. è che ti desidero anche io.. >> deglutii, cercando di contenermi. Afferrai la sua maglia e lo avvicinai a me ancora di più , incastrandolo tra le mie gambe. Le nostre intimità si scontrarono, facendo mugolare il mio maestro. Indugiai accanto alle sue labbra per un po’, decidendo poi di posare le labbra sulla sua mascella, baciandola piano. Scesi sul collo, che mordicchiai e baciai languidamente, provocandogli un gemito roco che mi fece sorridere. Intanto Adrian tirò giù la mia tuta insieme agli slip, togliendoli del tutto. Mi tirò dalle cosce verso il bordo del mobile prima di abbassarsi. Lo guardai curiosa, chiudendo gli occhi appena sentii la sua lingua posarsi sulle labbra interne della mia intimità. Restai senza fiato per qualche secondo, lasciandomi poi andare in gemiti continui, eccitata dal movimento della sua lingua e delle sue labbra. Penso di aver ricevuto quell’attenzione da Derek mezza volta, giusto perché glielo avevo chiesto, per curiosità.
Posai una mano sulle mie labbra per non esagerare nelle manifestazioni di piacere, lamentandomi appena infilò un dito nella mia intimità, senza fermare i movimenti della bocca.
<< Oddio, Adrian.. >> gemetti, mordendo le labbra all’invasione del secondo dito, che si mosse insieme al primo.
Continuò per un po’, poi si alzò e con la mano libera si pulì la bocca. Le dita restarono dentro di me, muovendosi più lentamente. Lo vidi rovistare nel cassetti del mobile su cui ero poggiata, alla ricerca di qualcosa. Tirò fuori da un cassetto un preservativo, posandolo accanto a me. Mi allungai verso di lui, abbassando i suoi pantaloni e i boxer, lasciando che il suo membro duro schizzasse fuori. Sorrisi nel vederlo, allungando subito una mano verso di esso. Lo accarezzai piano, prima di afferrarlo e muovere la mano a ritmo con le sue dita ancora dentro di me. Posai la fronte sulla sua spalla, gemendo contro la sua pelle sudata. Lui posò un bacio sulla mia testa. Sentivo il suo respiro irregolare tra i capelli.
Con la mano libera presi il preservativo accanto a me e lo scartai. Lo srotolai io stessa sulla sua lunghezza, per non farlo distrarre dal piacere che mi stava provocando.
Appena pronto sostituì le sue dita con il suo membro, penetrandomi lentamente. Lui ringhiò quasi dal piacere, posando la fronte alla mia.
Lo guardai in viso, era rosso e gli occhi erano lucidi per l’eccitazione. Afferrò i miei fianchi con le mani, stringendoli mentre iniziava a muoversi delicatamente con il bacino. Il suo movimento divenne sempre più veloce, fini ad essere quasi violento. Così come il suo movimento, anche i miei gemiti si fecero più intensi, unendosi ai suoi rochi. Le nostre labbra non si erano toccate nemmeno per un secondo, ma le nostre fronti erano unite e i nostri respiri affannati si univano.
Venne dopo pochi minuti nel preservativo, fermandosi.
<< Scusami.. non lo faccio da più di un anno.. >> si giustificò imbarazzato.
Accarezzai il suo viso, ancora ansimante. Ero pronta a scendere e rivestirmi, quando lui mi bloccò.
<< Dove vai? Non abbiamo ancora finito. >> aggrottò la fronte, buttando il preservativo sporco per rimpiazzarlo con uno nuovo.  
Lo guardai stupita, mentre mi penetrava di nuovo. Questa volta non si mosse: mi prese in braccio, le mie gambe avvolte intorno al suo bacino. Si mosse nella stanza reggendomi sotto il sedere. Mi posò tra i cuscini posizionati a terra. Si adagiò su di me, alzandomi di poco il bacino per stare più comodo mentre ricominciava a muoversi, con la stessa velocità di prima.
Inarcai la schiena al piacere che aumentava sempre di più, stringendo un cuscino tra le dita. Afferrai con una mano un suo braccio, stringendo i suoi muscoli in tensione. Provavo una strana sensazione, un piacere intenso, mai provato prima.
Dopo un po’ mi liberai nell’orgasmo più intenso di sempre, anche se non ci voleva molto, nel momento in cui Derek non mi faceva mai venire. Erano stati un caso le uniche due volte precedenti.
Lo guardai con gli occhi lucidi, in preda al piacere ancora causato dall’orgasmo. Lo vidi sorridere soddisfatto, mentre dava un altro paio di spinte, prima di venire di nuovo nel preservativo.

Stanco, uscì dalla mia intimità e si stese accanto a me, ancora ansimante.
<< Il miglior sesso di sempre.. >> sussurrai in un lieve gemito. Ero ormai consapevole che Derek non mi aveva mai donato nemmeno il giusto piacere.
Adrian si mise a ridere alla mia affermazione, asciugandosi il sudore del viso con la maglia che ancora indossava.
<< Eppure pensavo che Derek fosse più bravo a letto >> rispose, allungando una mano verso il mio viso, accarezzandolo piano.
<< Devo essere sincera.. in confronto a te, Derek è una schiappa.. in due anni di relazione, ho raggiunto l’orgasmo si e no due volte. E quello di ora, mio dio, il più bello di sempre >> lo guardai seria, baciandogli la mano che mi stava accarezzando. Lo vidi sorridere contento, prima di chiudere gli occhi e sospirare. 

Guardai l’ora sul cellulare accanto, scattando seduta. Erano passate le 19 ormai e dovevo andare da Derek. Mi alzai velocemente, andando in bagno a fare una doccia veloce. Lasciai i capelli legati, senza lavarli. Mi vestii in fretta, sotto lo sguardo confuso di Adrian.
<< Sei una di quelle che scappa dopo il sesso? >> ridacchiò, mettendosi seduto con la schiena contro il muro. 
<< No, dovevo fare una cosa alle 19. Appena ho finito torno e continuiamo l’allenamento, giuro. >> lo guardai preoccupata per la corsa che avrei dovuto fare.
Mi allungai verso di lui e gli lasciai un bacio sulla guancia prima di scappare via. 

Con quale faccia avrei affrontato Derek, dopo averlo tradito? Era davvero l’occasione giusta per lasciarlo. 

Arrivai di corsa alla sua palestra. Lasciai la bici fuori e mi diressi verso la sala dove avrebbe dovuto allenare quella sera. Spalancai la porta e la scena che si era presentata avanti i miei occhi mi fece bloccare all’ingresso: Derek poggiato al muro, le sue dita nei capelli della sua lottatrice che, in ginocchio, inghiottiva il suo membro. 
<< Ehi.. >> salutai, con voce insicura. Derek tossì, girandosi di scatto verso di me. Il suo sguardo era lucido dall’eccitazione ma sua la espressione lo trasformò in uno sguardo imbarazzato e preoccupato. Era davvero la fine per noi. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Derek si scansò dalla presa della sua amante serale, rinfoderando il suo membro nei pantaloni, in modo molto impacciato. La ragazza si alzò e passò una mano sulla bocca prima di uscire dalla stanza a testa bassa. Io restai con lo sguardo su Derek, cercando di capire quali emozioni provassi in quel momento. Ero arrabbiata, ma fino a qualche minuto fa lo stavo tradendo anche io. Così sospirai confusa e chiusi la porta per avere un po’ di privacy.
<< Allora, di cosa mi volevi parlare? >>  incrociai le braccia al petto, fissando il mio sguardo freddo nel suo. Infilò le mani nelle tasche della sua tuta, avvicinandosi lentamente a me. Non lo avevo mai visto così imbarazzato. Essere colti in fragrante aveva lasciato la sua anima nuda.
<< Volevo metterti in guardia su Adrian.. ha quasi ucciso un ragazzo. >> mi disse serio, aggrottando le sopracciglia in un’espressione preoccupata. 
<< So più cose di quante tu me ne abbia mai detto, Derek. Perché per tre anni mi hai nascosto le cose, mh? Tu, Adrian e Patrick eravate migliori amici, la cicatrice che hai sull’addome è il segno del tentato omicidio da parte di Patrick. Voi lo volevate aiutare e lui, fattissimo, si è arrabbiato. Tutti mi stanno nascondendo qualcosa che riguarda te, cosa? >> il mio sguardo e il mio tono di voce si indurì, esasperata da tutta quella situazione. Eppure pensavo che fuori dall’orfanotrofio tutto si sarebbe sistemato. 
<< Sono dei bugiardi! Vogliono solo metterti contro di me, vogliono vendicarsi perché sono solo invidiosi! Io non ti nascondo niente. Sono sempre stato trasparente con te. >> posò le mani sulle mie spalle, cercando di convincermi. Scoppiai a ridere alla sua affermazione, scuotendo la testa.
<< Non sono più la bambina scema dell’orfanotrofio, tesoro. Smettila di nasconderti dietro un dito. >> lo guardai, ancora divertita dal suo tentativo di convincermi.  Afferrai le sue mani poggiate sulle mie spalle, stringendole. << Derek.. penso che tra di noi sia finita. Tu non mi appoggi, ostacoli i miei sogni, sei sempre impegnato qui e non hai mai tempo per me.. e ultimamente io non ho tempo per te. Tra noi non c’è più passione, a quanto pare tu preferisci altre ragazze a me e.. beh, io preferisco altri ragazzi a te. >> confessai, osservando la sua espressione vacillare sorpresa. 
<< Quindi.. ? >> rispose lui, ritirando le sue mani dalle mie, per poter incrociare le braccia al petto. Si stava chiudendo in se stesso. Era ferito? Davvero? 
<< Quindi addio, Derek.. >> sussurrai, indugiando ancora di fronte a lui. Mi avvicinai prendendo il suo viso tra le mani. Mi alzai sulle punte e posai un delicato bacio sulle sue labbra.  << Sei stato il mio primo amore, non ti dimenticherò. >> sussurrai sulle sue labbra, prima di girare i tacchi e uscire dall’edificio.

Mi sentivo più libera, ma allo stesso tempo sentivo di avere un macigno sul cuore. Era pur sempre stato il mio primo amore, artefice delle mie prime avventure, il mio migliore amico.. era il perno del mio mondo, colui che mi sosteneva per ogni decisione. Ma non negli ultimi tempi. Qualcosa era cambiato in entrambi. Forse, fin quando io ero una ragazzina indifesa, a lui piaceva perché poteva sentirsi macho, un supereroe. Ora che stavo diventando indipendente e non avevo bisogno al 100% di lui, la nostra relazione non gli andava più a genio. Forse era più maschilista di quanto pensassi.

 

Tornai da Adrian al garage mentre mandavo un sms a Cam, informandolo dell’ultimo avvenimento. Avevo bisogno della sua presenza in quel momento. Non mi importava della sua faida con Adrian.

Dovevo avere la faccia più scura di quel che pensassi: Adrian appena mi vide, mi corse incontro, posando le mani sulle mie spalle cercando di incontrare i miei occhi persi.
<< Ehi, Jahz, tutto bene? >> mi chiese, visibilmente preoccupato. Io annuii, posando la fronte sul suo petto, sospirando. << Cosa è successo? >> mi chiese dolcemente, accarezzandomi piano la schiena
.<< Ho lasciato Derek >> risposi, divincolandomi dal suo abbraccio per poter andarmi a sedere tra i cuscini che ancora avevano il nostro odore.
Adrian restò in silenzio, il suo pomo d’Adamo fece su e giù. Si sistemò accanto a me, evitando il contatto fisico. 
<< Ti va di parlarne? >> mi chiese, visibilmente a disagio. Io sospirai e mi strinsi nelle spalle. Era assurda quella situazione: poco più di un’ora prima eravamo stesi in quello stesso punto a dare sfogo alla nostra passione e in quel momento stavamo parlando della mia relazione secolare appena conclusa.
A salvare Adrian dall’imbarazzo fu Cam che arrivò in un battibaleno. Corse ad abbracciarmi, buttandosi letteralmente su di me. Io tossii dalla sorpresa, ricambiando il suo abbraccio. Forse tutti ci aspettavamo che mi sarei messa a piangere, ma nessuna lacrima minacciava di uscire.
Adrian si alzò e si allontanò da noi per lasciare spazio al cugino.
<< Prima che mi assilliate, racconto tutto io.. >> sospirai, raccontando tutta la vicenda di quella sera, omettendo il mio tradimento. Per quando Cam fosse ormai un mio caro amico, volevo tenere quello che io e Adrian avevamo fatto tra quei cuscini, un segreto. << ora io non so come mi sento. Mi sento sollevata perché ora non devo dare retta alle sue esigenze che remano contro i miei sogni. Ora sono finalmente libera di essere chi voglio senza sensi di colpa. Ma allo stesso tempo ci sto male.. ho passato la mia adolescenza con lui.. è stato il mio primo tutto. >> sussurrai, sentendo la voce incrinarsi all’ultima frase. Cameron mi abbracciò con forza, accarezzandomi in capelli. Apprezzavo la loro presenza in quel momento. Mi sentivo ugualmente amata, anche senza Derek.
<< Io quando lasciai la mia ragazza, poco più di un anno fa, mi sentivo morire. Non avevo più nessuno su cui contare, se non Cameron, ma non potevo buttare addosso a lui tutti i miei problemi relazionali. Tu hai noi, adesso. Non sei sola, non hai più bisogno dell’affetto di Derek. >> sussurrò Adrian con voce roca, muovendo qualcosa nel mio stomaco. Si accovacciò di fronte a me e prese una mia mano, accarezzandola.
Sorrisi felice nel sentirmi coccolata da entrambi, scattando per poterli imprigionare in un forte abbraccio a tre. 

<< Grazie.. vi voglio bene.. però dovete fare una cosa per me, se volete tirarmi su di morale. >> li guardai sorridendo. Notai l’espressione maliziosa di Adrian, scoppiando quasi a ridere. Beh forse quella poteva essere un’altra soluzione. << Fate pace. >> 
Cameron abbassò lo sguardo, accarezzandosi un braccio. La faccia di Adrian si incupì. 
<< Cam.. mi dispiace aver fatto quella scenata avanti a Patrick, ma capiscimi, ho brutti ricordi. Nessuno lo sa meglio di te. Jahzara mi ha detto che sembra essere cambiato.. provo a dargli una possibilità.. >> cominciò Adrian, girandosi verso il cugino. Quest’ultimo si lasciò andare in un grande sorriso speranzoso, buttandosi tra le braccia del più grande, scoppiando a piangere.
Era la scena più dolce a cui avessi assistito in vita mia.
Incontrai gli occhi addolciti di Adrian, rivolgendogli un sorriso. 

<< Ragazzi.. ahm.. allora.. ora potete dirmi il segreto su Derek? >> li guardai, egoisticamente curiosa. << Io gliel’ho chiesto, ma ero distratta da altro in quel momento per poter insistere ed indagare.. Dice che siete dei bugiardi, che lo fate per ripicca.. cosa succede? >>
I ragazzi si incupirono di nuovo, sospirando all’unisono.
<< Derek ti tradiva.. spesso. Con una sola ragazza. >> cominciò Cameron, mentre Adrian spostava lo sguardo lucido intorno a sè. << Aveva un’altra relazione. Noi non sapevamo fosse fidanzato con un’altra ragazza, conoscevamo solo quest’altra relazione. Non ha mai parlato di te. Quando ci hai detto della tua relazione con Derek, siamo rimasti stupiti. Non sapevamo della tua esistenza nella sua vita. >>  Cameron mi guardò preoccupato, io abbassai lo sguardo. Si alternavano in me tante emozioni, verso Derek e verso loro. Quella relazione, era a senso unico allora? Ero sempre più confusa. Mi ero lasciata prendere in giro così facilmente..
<< Siamo stati insieme tre anni e voi non ne sapevate nulla? Adrian, nemmeno tu? >> deglutii, guardando Adrian scuotere la testa in segno di diniego. Sospirai, stringendo i pugni. << Perché non me lo avete detto subito, mh? Avrei potuto lasciarlo tempo fa e risparmiami molte serate a piangere e a chiedermi cosa avessi sbagliato verso Derek! >> urlai, guardandoli furiosa. Mi alzai subito, prendendo le mie cose. I due mi seguirono, cercando di fermarmi. Cameron mi strinse, mentre Adrian se ne stava con lo sguardo triste perso nel vuoto. 
<< Ehi! Fermati! Non era compito nostro ok? Non volevamo farti del male. Ti prego, non avercela con noi! >> Cameron era sull’orlo del pianto. Io sospirai, restando ferma. Mi girai verso Adrian, incontrando i suoi occhi imploranti. Riusciva a comunicare con un solo sguardo.
Infondo non era colpa loro, non potevo condannarli per aver cercato di non ferirmi. Ma ciò che mi avevano nascosto era grave, avrebbero dovuto dirmelo appena scoperto chi fossi. Non potevo perdere anche loro quella sera. Lo avevano fatto a fin di bene, potevo perdonarli, ma sarei stata sospettosa verso di loro da quel momento in poi. Pensai a Derek, sentendo la rabbia montare dentro.
<< Quello stronzo. Ho buttato la mia vita per stargli dietro. >> ringhiai, tenendo lo sguardo basso. I miei occhi da furenti, diventarono lucidi e tristi, lasciandosi andare in un pianto silenzioso.
Non mi aspettavo di essere stata sempre presa in giro da lui. Ma se nessuno sapeva di me, se mi teneva nascosta, se aveva relazioni con altre donne.. perché stava con me? Perché ha portato così a lungo la nostra relazione? 

Mi accasciai sul pavimento, passando le mani sul viso bagnato. 
<< Voglio vendetta. >> ringhiai tra me e me, tenendo lo sguardo fisso in un punto indefinito. La mia espressione si indurì, diventando furente. Come aveva potuto prendersi gioco di me per anni, conoscendo la mia storia? Io mi ero fidata di lui. Ero stata una stupida.
<< Vuoi vendetta? Fagli vedere che donna meravigliosa sei, fallo pentire di quello che ha perso per fare lo stupido. Vinci il torneo e batti quella zoccola che succhiava un cazzo di proprietà privata >> incitò il mio migliore amico, prendendo il mio viso tra le mani.
<< Ti aiuterò io. Ora la vittoria è ancora più allettante. >> continuò Adrian. Anche la sua espressione mutò in una più dura e determinata.
Tenni lo sguardo nel vuoto, pensando alle mani di Derek che mi accarezzavano, alle sue parole dolci nei miei confronti, ai suoi regali, le sue carezze, i suoi baci. Poi pensai alla scena a cui avevo assistito e ringhiai.
Posai lo sguardo in quello di Adrian, determinato quasi quanto il mio. 

<< Fammi diventare campionessa. >> 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Adrian aveva preso alla lettera la mia richiesta di farmi diventare forte: non mi dava un attimo di tregua. Era accanito, non lo avevo mai visto così determinato e così severo nell’allenamento. Mi stava sfinendo. L’allenamento era diventato troppo impegnativo, non facevamo quasi più pause e aveva deciso di fare qualche ora in più per recuperare il tempo perso. Infondo mancava solo un giorno alla gara e dovevo essere in forma, ma così facendo sarei arrivata già stanca.
Quella sera dopo l’allenamento decisi di rilassarmi e lasciar perdere i mantra per la fortuna per il giorno a venire. 

Mentre mi rilassavo sul divano dopo un bagno caldo e rilassante, notai un pezzo di carta sotto la poltrona al mio fianco. Aggrottai la fronte, curiosa e perplessa. Cosa poteva essere?
Mi chinai per raccogliere il foglio, aprendolo. Era la mia lista, me ne ero quasi dimenticata.
Sorrisi amaramente nel vedere il punto dell’amore spuntato, ricordando della rottura col mio ragazzo. I miei amici non proferirono più parola sulla questione e io lasciai correre, cercando di pensarci il meno possibile. Per quanto fossi libera e senza preoccupazioni per conto suo, mi rattristava non averlo più nella mia vita. 

Sorrisi al ricordo del momento in cui scrissi quella lista, stavo architettando la mia fuga:

In orfanotrofio le cose non andavano bene. Le mie “guardie carcerarie” non mi lasciavano un attimo di respiro: ero la più grande lí, ormai sapevamo tutti che la via dell’adozione era assolutamente da scartare. Infondo, chi voleva una ragazza ormai adulta, figlia di un’assassina? Mi sentivo sconfitta dalla vita, da quel posto che non faceva altro che opprimermi. Inoltre, Winston, l’unico educatore che mi capiva, l’unico amico che avevo lì dentro, era andato via, lasciandomi sola in mezzo a quei pazzi. 
Decisi così di andare via. Ero ormai maggiorenne e avrei dovuto cavarmela da sola ora. Così presi il borsone, infilai tutti i panni dentro, alla rinfusa, decisa ad andarmene il prima possibile. 
Presi carta e penna e compilai la scaletta verso la felicità. 
“Trovare mia madre” era il punto che richiedeva l’atto di coraggio più intenso. Derek mi avrebbe aiutata a diventare campionessa e sarebbe stato il mio pilastro in quell’assurdo viaggio. 
<< È ora di andarmene. Mondo, aspettami! >> esclamai entusiasta, fissando il mondo sconosciuto al di fuori dalla finestra. Ma qualcosa andò storto.

Mi ripresi dal ricordo al suono di un messaggio in arrivo. Chi poteva mai essere? Era notte fonda ormai. Presi così il cellulare e lo sbloccai. Numero sconosciuto.

“Ciao, Jahzara, come stai? Spero tu ti ricordi di me, ne è passato di tempo. Mi manchi, ho bisogno di vederti e meriti delle spiegazioni. Appena sei pronta, chiamami. 
Tuo fedele cugino, Eko.” 03.28 a.m.

Deglutii al nome scritto a fine messaggio, accasciandomi sullo schienale del divano. Mio cugino complice di mia madre. Era uscito dal carcere? E ora voleva incontrarmi.. potevo finalmente avere le risposte che volevo! E dovevo averle subito.
Mio Dio.. mio cugino.. era come un fratello per me, era il mio migliore amico, la mia figura di riferimento, mio protettore. Mi aveva abbandonata anche lui, aveva aiutato mia madre in un doloroso e raccapricciante crimine. Ricordo ancora l’ultima volta che lo vidi.

<< Jahzara, tesoro.. promettimi che ti prenderai cura di te stessa. Da oggi in poi il mondo ti metterà alla prova, ma tu non temere, riuscirai ad alzare il dito medio alla vita.>> mio cugino mi fissava negli occhi, le mani posate sulle mie spalle esili. 
Una lacrima mi rigò il viso. Non capivo cosa stesse succedendo. La polizia stava bussando alla porta e intimava con voce rude di aprire. Ero nel panico. Cosa stava succedendo? Perché era lì ? Cosa volevano da noi? 
<< Non lasciatemi sola.. >> mormorai consapevole che stesse per capitare qualcosa di davvero brutto. Deglutii, correndo tra le braccia di mia madre che era in lacrime. 
<< Piccola mia.. sappi che tutto quello che un giorno verrai a sapere, tutto quello che abbiamo fatto, è stato per te, per proteggerti.>> sussurrò mia madre tra le lacrime, mentre accarezzava i miei capelli. I suoi vestiti avevano uno strano odore da giorni, aveva fatto una strana zuppa che non aveva mai servito a tavola. << Sarai sempre la mia piccola Cleopatra, sarai un giorno una donna forte e coraggiosa, proprio come lei. >> 
Sobbalzai nel sentire la porta sfondarsi, alzando lo sguardo lucido sui poliziotti che si fiondarono su mia madre. Una signora mi allontanò da lei. Io urlavo, urlavo così forte da sentire la gola bruciare. La mia famiglia mi rivolse un ultimo sguardo dispiaciuto, mentre ai loro polsi stringevano delle manette in acciaio. 
<< Ti voglio bene, Cleo, non dimenticarlo mai. >> mi disse mia madre prima di venire spinta fuori dal nostro appartamento. 
Fu l’ultima volta in cui vidi la mia famiglia. 

Mi ritrovai a piangere a quel ricordo doloroso. Lo avevo rimosso dalla mente a lungo, avevo cercato di evitare quella notte per tutta la mia vita. Ci avevo messo anni a cercare di non sognare più l’accaduto, e ci ero riuscita. Ma ora.. ora era totalmente diverso. Ora potevo ricongiungermi almeno ad Eko, potevo avere spiegazioni, a distanza di 12 anni.
Non sapevo come comportarmi. Cosa avrei dovuto fare? 

Afferrai velocemente il computer, cercando di chiamare i miei amici. Dovevo assolutamente parlare con loro. Sperai fossero svegli.
Adrian fu il primo a rispondere alla videochiamata. Era appoggiato con la schiena alla testiera del letto e sorseggiava qualcosa dalla sua tazza colorata. Mi faceva tenerezza. Aveva delle occhiaie profonde e il suo viso era pallido. Mi preoccupava. Ma non potevo mai essere preoccupata come lui in quel momento. 
<< Jahz, che succede? >> mi chiese in fretta, notando poi che anche Cameron si unì alla videochiamata. Era steso a letto, senza maglia, avvolto nelle lenzuola scure. Capelli after sex. Scoppiai a ridere.
<< Cameron, per l’amor del cielo, ricomponiti! >> esclamò il cugino, passandosi una mano sul viso stanco.
Risi ancora, aspettando che i due mi rivolgessero del tutto la loro attenzione. Quando la ottenni, parlai.
<< Mio cugino, il complice di mia madre, è uscito di galera. Non so come, ma ha trovato il mio numero e mi ha contattata. Vuole vedermi. >> dissi calma, osservando le loro facce sconvolte, mentre cercavano di assimilare la notizia.
<< Non se ne parla, Jahzara. È un criminale. Per quanto possa essere tuo cugino, è pericoloso. >> mi rispose duro e preoccupato il mio maestro. Sapevo che non sarebbe stato d’accordo.
<< Adrian, non essere catastrofico, dai. Non sei suo padre. >> gli rispose il cugino, mentre si metteva seduto, poggiando la schiena alla testiera. << Jahz, che hai intenzione di fare? Vuoi incontrarlo? >> mi chiese, dolce.
<< penso di si.. ho bisogno di spiegazioni, me le promisero anni fa. Hanno detto che tutto quello che hanno fatto, lo hanno fatto per proteggermi. Devo capire in che senso. >> risposi seria, guardando entrambi nello schermo condiviso. 
<< E se ti dovesse succedere qualcosa? >> rispose subito Adrian, duro. << Io non mi fido. >>
<< Ma io si, Adrian. È mio cugino, è stato una parte fondamentale della mia vita. Mi vuole bene, non mi farà del male. Lo incontrerò domani mattina. Ho deciso>> annuii convinta, mandando un messaggio al numero sconosciuto per dare appuntamento ad Eko per l’indomani mattina, al parco. 
<< Io ti appoggio, Cleo.. >> sorrisi nel sentire Cameron chiamarmi così, annuendo. << Però stai attenta, d’accordo? >> 
<< Domani mattina? Sei impazzita? Domani sera c’è la gara! Non puoi distrarti così ! E se ti dovesse fare del male, io.. >>
<< Adrian! >> lo interruppi, fissando la sua immagine nello schermo. << Fidati di me, d’accordo? Arriverò in tempo per la gara e non mi succederà nulla. >> 
Lo vidi aprire la bocca per parlare, ma lo precedetti. << Non puoi venire con me, scordatelo. Non ho bisogno di alcuna protezione >>
Adrian sbuffò, restando per qualche secondo in silenzio, prima di annuire e rispondere << D’accordo, Jahz.. come vuoi tu.. mi fido di te, ma ricordati della gara, va bene? Ti aspetto lì un’ora prima. >> la sua voce era più pacata, ma il suo viso era evidentemente teso. Sospirò di nuovo e ci salutò con un gesto prima di chiudere la chiamata.
Restammo solo io e Cam.
<< Lascialo stare, tesoro.. è solo preoccupato, ci tiene a te, così come ci tengo io. Non so perché, ma lui si sente in dovere di proteggerci, come se fossimo dei piccoli cuccioli appena abbandonati in strada.. ma sappiamo tutti che tu sei abbastanza forte da affrontare da sola questa cosa. Credo in te. >> il mio amico mi sorrise, girandosi poi di lato, a guardare da qualche parte. << Patrick si è svegliato, vado.. aggiornami, va bene? >> mi mandò poi un bacio mentre annuivo. << Ti voglio bene, Cleo >> 

Restai sola, a fissare lo schermo statico del mio computer.
Mi alzai dal divano e mi resi conto, in quel momento, che ora la mia famiglia erano loro. Li volevo bene più che mai. Sentivo il mio cuore come pieno di gioia, ma allo stesso tempo fremeva preoccupato all’incontro che sarebbe avvenuto il giorno successivo. 

Mi stesi sul letto, gli occhi fissi sul soffitto. Non avrei dormito quella notte, i pensieri di quello che sarebbe potuto accadere il giorno successivo mi impegnavano la mente. 

Avrei finalmente scoperto la verità.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


L’indomani arrivò e la mia agitazione crebbe in modo smisurato.
Mi ero anticipata di circa un’ora e mi ritrovavo da sola al parco, seduta su una panchina, a cercare di asciugare i palmi delle mani sui jeans che indossavo. Cosa avrei dovuto dire? Di cosa avremmo parlato? Come avrei dovuto reagire alla sua vista? Come avrei dovuto salutarlo?
Troppe domande nella mia testa. Mandai un messaggio a Cameron.

“Non ce la posso fare, Cam.. sono troppo agitata. “ 09.48 a.m.

Scrissi velocemente, muovendo velocemente su e giù una gamba, dominata dal nervosismo. Feci per alzarmi e andarmene, volevo fuggire, il coraggio era svanito, ma una voce richiamò la mia attenzione. Il mio cuore si fermò per un attimo.
<< Jahzara.. sei tu? >> pronunciò quella voce alla mia destra.
Deglutii e mi girai, riconoscendo mio cugino. Era invecchiato un po’ e aveva migliorato la sua forma fisica. Nonostante tutto, lo riconoscevo. Era ancora il mio cuginetto, i suoi occhi erano ancora dolci e il suo sorriso fece sciogliere il mio cuore.
Mi alzai di scatto e, senza pensarci, mi buttai tra le sue braccia, scoppiando in lacrime. Le sue possenti braccia mi avvolsero in una forte stretta. Mi era mancato e io ero mancata a lui. Mi sentivo a casa.
Sentii il suo petto scosso da una piccola risata contenta. Si staccò da me e asciugò le lacrime sul mio viso con le dita.
<< Sei cresciuta tanto.. sei una donna ormai.. >> sorrise amaro, sedendosi poi sulla panchina dove mi ero accomodata io nell’attesa. << Avrei dovuto vederti crescere.. e invece.. ti ritrovo già donna, le esperienze che dovevi fare le hai fatte tutte ormai.. e io non sono stato partecipe.. mi dispiace.. >> sospirò, guardandomi con espressione scura.
<< Lo so, Eko.. mi avete abbandonata.. io non so perché avete fatto quello che avete fatto, ma ho vissuto una vita all’inferno. Ma ora siamo qui, tutti e due e possiamo recuperare il tempo perso. >> gli sorrisi speranzosa che potesse essere davvero così.
Lui si girò per guardare i bambini giocare nel parchetto con le giostre, lasciandosi andare in un lungo sospiro. Posò i gomiti sulle ginocchia, abbassando lo sguardo sui suoi piedi.
<< Jahzy.. lo so che ti avevo promesso delle spiegazioni, ma.. ti va se prima facciamo colazione insieme? Parliamo un po’ e poi ti prometto che ti spiego tutto quello che vuoi sapere.. >> mi implorò quasi, girandosi all’improvviso verso di me. Prese le mie mani, fissando il suo sguardo così simile al mio nei miei occhi. Io ero lì per delle spiegazioni, ma non potevo forzarlo. Così annuii e mi alzai, pulendomi i jeans con le mani.
Ci incamminavo verso un café, in un silenzio tombale. C’era imbarazzo. Dopo tutti quegli anni non sapevamo cosa dirci, o almeno, non sapevamo da dove iniziare. Mi avevano lasciato con mille dubbi, con una reputazione che non mi faceva fare amicizie e belle figure. Avevano deciso loro io chi dovevo essere, eppure non potevo che essere felice al suo fianco. Così, decisi di rompere il ghiaccio.
<< Sai.. mi sei mancato, tanto, Eko.. ho scritto una lettera a te e alla mamma ogni anno, il giorno del mio compleanno.. non l’ho mai festeggiato, da quando ve ne siete andati.. così, vi raccontavo il mio ultimo anno in ogni lettera. >> sospirai, accarezzandomi un braccio, imbarazzata. Li avevo sempre pensati, pregavo ogni giorno che quello fosse solo un brutto incubo. << Non ho mai avuto il coraggio di spedirvele.. >>
Eko prese la mia mano e la strinse alla sua, sorridendo dolcemente.
<< Non ti sei mai dimenticata di noi, allora.. >> mi rispose, contento. Scattai, guardandolo in modo serio.
<< Come avrei potuto.. anche se avessi voluto, sognavo l’ultima volta che ci siamo visti, ogni fottuta notte. >> sbuffai, infastidita al ricordo. Passai la mani sul viso, lasciandole correre poi tra i capelli. Mio cugino, in risposta sospirò e abbassò il capo.
<< Lo so, Jahzara.. io volevo contattarti, ma non sapevo dove mandare le lettere.. così non l’ho mai fatto.. >> si strinse nelle spalle.
Aprì la porta del locale, facendo entrare prima me, per poi seguirmi all’interno. La sua faccia cambiò radicalmente. Era come quella di un bambino contento e incredulo. Non vedeva una caffetteria da anni, ormai, lo capivo. Ordinò di tutto e di più, cercando di recuperare i nuovi arrivi perduti in quegli anni. Io mi limitai ad un tè nero freddo e una donut ai frutti rossi.
Ci sedemmo ad un tavolino accanto alla vetrina, con gli sguardi persi nel vuoto. Questa volta fu lui ad aprire un nuovo argomento.
<< Hai.. una nuova famiglia ora? >> chiese insicuro, prendendo un pezzo del suo waffle. Risi amaramente alla sua domanda, scuotendo la testa lentamente.
<< No.. ho vissuto in orfanotrofio fino a qualche mese fa.. ora sono sola a casa, ma ho degli amici cari.. sono loro la mia famiglia ora.. >> mi strinsi nelle spalle, mordendo il mio dolcetto rosa. 
<< Hai anche un ragazzo? >> chiese, cercando di cambiare argomento, o forse cercando di conoscere la mia nuova vita. Si era perso troppe cose. 
<< Lo avevo.. Ci siamo lasciati qualche giorno fa. >> mi strinsi nelle spalle. Ero stranamente tranquilla nel parlarne, sapevo che con lui potevo sentirmi a mio agio. 
<< Oh.. mi dispiace, piccola.. >> allungò una mano verso di me, stringendo le mie dita. Sorrisi al contatto, stringendomi nuovamente nelle spalle.
<< Non fa niente.. volevamo cose diverse, e non eravamo più attratti l’uno dall’altro.. E a quanto ho capito, lui non lo è mai stato fino in fondo.. >> deglutii, ricordando la storia che mi raccontarono Cameron e Adrian. << E’ meglio così, non mi meritava, no? E’ quello che tutti dicono, in queste situazioni. >> 
<< Per me, nessuno merita la mia mostriciattola. >> rispose serio, regalandomi però un bel sorriso ampio. Ridacchiai alla sua affermazione, arrossendo al nomignolo. Era così che mi aveva sempre chiamata quando ero piccola. Sentirlo di nuovo dalla sua bocca, mi scaldava il cuore. 
<< Hai ragione, sono troppo preziosa. >> gli feci la linguaccia, sorseggiando dalla cannuccia la mia bevanda ghiacciata. 
<< E questi tuoi amici.. come sono? >> tornò di nuovo serio, cercando di indagarmi con il suo sguardo penetrante.  Sorrisi nel parlarne.
<< Bravi ragazzi, tranquillo.. Li ho conosciuti a lavoro.. Io faccio i biglietti in un museo, loro sono guide. Cameron è stato il primo che ho conosciuto, è la ventata di gioia nella mia vita.. Adrian è suo cugino.. mi allena per l’MMA. >> risposi, cercando di dare informazioni utili, omettendo gli ultimi avvenimenti con Adrian.
<< MMA? Combatti? >> chiese incredulo, sistemandosi sulla sedia, visibilmente agitato. << Hai preso le mie orme, quindi.. >>
Sorrisi, guardandolo mentre si agitava. 
<< Stai tranquillo, Eko.. non mi succederà nulla. Adrian mi allena bene. >> cercai di tranquillizzarlo. Mi tornano in mente tutte le volte in cui Eko veniva a farci visita con qualche ematoma in bella vista, o il naso rotto, o pieno di cerotti. In quel momento collegai e sorrisi. Avevo seguito le sue passioni, senza rendermene conto. 
<< Stasera ho un incontro, vuoi venire? >> chiesi contenta, guardandolo speranzosa. Ci pensò su a lungo, sorseggiando il suo caffè Americano. Poi annuì, mostrandomi un mezzo sorriso. Forse era preoccupato o insicuro della sua disponibilità. Lasciai perdere e sperai davvero che venisse quella sera. Volevo che vedesse chi ero diventata, volevo che fosse fiero di me per qualcosa. 

<< Immagino ora tu voglia delle spiegazioni.. te le avevo promesse. >> disse ad un tratto, giocando con un tovagliolo. Era arrivato il momento. Mi guardai intorno, poi annuii. L’ansia era tornata, il mio cuore batteva forte e le mie mani presero a tremare.  << Beh.. ricordi quando ti dicemmo che lo avevamo fatto per proteggerti? E’ vero. Il tuo patrigno, aveva cattive intenzioni nei tuoi confronti, lo abbiamo minacciato per anni e anni ma sai, lui ormai era il capofamiglia e se non fossimo intervenuti, Allah solo sa cosa sarebbe successo. >> deglutì, con lo sguardo perso nei ricordi del passato. Lo guardai, ancora più confusa di prima. 
<< Cosa voleva? >> chiesi spaventata. La storia era più intricata di quanto avessi mai potuto immaginare. Il suo sguardo si incupì, le sue mani vagarono sul suo viso e sulla sua testa piena di piccoli ricciolini scuri. 
<< Non voglio sconvolgerti, Jahzara.. se stasera hai una gara, non voglio distrarti.. >> rispose, guardandomi con lo sguardo lucido. Rievocare quei ricordi gli doveva aver fatto più male del previsto.
<< No, ora me lo devi dire, Eko. Per favore.. >> lo implorai, congiungendo le mie mani, incrociando le dita.
<< voleva.. beh.. >> deglutì. << era interessato a te, sessualmente. >> rispose ad occhi chiusi, massaggiandosi la fronte. Restai immobile, a guardarlo, incredula. 
<< C-Cosa..? >> chiesi spaventata da un possibile stupro da parte del mio patrigno.
<< Lo abbiamo beccato più volte con le tue mutande in tasca, si rintanava in camera da letto con quelle e beh.. puoi immaginare cosa facesse.. >> strinse i pugni sul tavolo, tanto che le sue nocche si schiarirono. << Una sera, stavo venendo a darti la buonanotte e lo beccai in camera tua, a cercare di.. toccarti. >> il suo tono di voce si fece duro, ringhiava quasi. << Ha scatenato in me una furia da animale.. l’ho ridotto male.. tua madre è dovuta intervenire, o avrei fatto quello che abbiamo poi davvero compiuto. >> 
Restai immobile e in silenzio, sconvolta. Cercavo di assimilare l’accaduto. Capisco la loro rabbia, ma non giustificavo ciò che avevano fatto. Capivo forse l’omicidio.. ma ciò che hanno fatto con il cadavere è raccapricciante.
<< Tua madre un giorno, dopo anni, lo ha avvelenato. Non ce la faceva più.. tu non eri l’unica vittima.. E’ entrata nel panico dopo.. voleva proteggerti. Così ha chiamato me, dovevamo nascondere la cosa.. Non ne vado fiero, Jahzara.. >> scosse la testa, passando una mano sul viso. Si morse il labbro e deglutì. Lo imitai. << Qualcuno si è accorto della strana puzza e ha chiamato la polizia.. Eravamo nel panico più totale.. Spero tu un giorno possa capire. >> 
Annuii, alzandomi poi dal tavolo. Posai sul tavolo i soldi per la colazione di entrambi. Mi avvicinai a lui e posai una mano sulla sua spalla.
<< Ora devo andare, mi ha fatto piacere rivederti. >> gli sorrisi. Lasciai un bacio sulla sua guancia e uscii dal locale, con la faccia più cupa che mai. Cosa avevo appena sentito?
Mi fermai accanto alla vetrina a guardare mio cugino ancora seduto, con lo sguardo perso nel vuoto e qualche lacrima che rigava il suo viso.
Sospirai e mi allontanai da quel luogo, camminando con lo sguardo e la mente persa, verso casa.


Aveva ragione: come avrei potuto mai combattere quella sera, con quei pensieri che mi ronzavano in testa?
Allora avevano davvero cercato di proteggermi.. Cosa avevamo passato.. Una famiglia disastrata, a causa di un uomo, il “capofamiglia”. Ero disgustata.
Sentivo la rabbia prendere possesso del mio corpo. Cosa avrei combinato quella sera, preda di tutte queste emozioni? 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Mi diressi a grandi falcate verso la palazzina dove si sarebbe tenuto l’incontro, più carica che mai. Il racconto di quella mattina aveva acceso dentro di me una rabbia mai provata prima. Un singolo uomo, aveva rovinato la vita di tre persone, la sua famiglia. Ero disgustata, avrei dovuto sfogarmi il prima possibile. Adrian mi stava già aspettando. Appena mi vide buttò a terra la sigaretta che stava fumando e la schiacciò con la punta della scarpa. 
<< Carica? Andiamo dai.. >> accarezzò la mia schiena tesa, provocandomi i soliti brividi che mi regalavano le sue mani sul mio corpo.
Mi limitai ad annuire ed entrai nello spogliatoio. Compii il mio rituale di preparazione in totale silenzio, ignorando Adrian che cercava di darmi gli ultimi consigli prima di salire sul ring. Non riuscivo a non pensare a quella mattina. Forse davvero non era il caso rovinarmi la serata con quelle informazioni. Ero stata stupida e imprudente. Ma ormai, la mia mente era occupata solo dalle parole di mio cugino. 

<< Ehi, Jahzara? >> mi richiamò Adrian, scuotendomi con forza << Sei pronta? Tocca a noi. Ti vedo distratta.. concentrati, ok? >> mi guardò fisso negli occhi, poi mi diede una pacca sulla spalla.

Concentrati, concentrati, concentrati..

Salii nella gabbia, pronta ad affrontare il primo round con la mia avversaria. L’arbitro spiegò le regole, io schioccai le ossa delle dita mentre molleggiavo sulle punte dei piedi, preparandomi a quello che sarebbe successo da lì a poco.
Dato il via, la mia avversaria si scaraventò su di me. Pronta al suo arrivo mi chinai, lasciando che lei inciampasse su di me per cadere rovinosamente dietro il mio corpo. La aspettai per sfogare la mia rabbia su di lei. La lotta era la mia valvola di sfogo.
La mia avversaria si alzò, cercando di colpirmi con un paio di calci che io intercettai. Schivai i suoi colpi, sferrandone alcuni su di lei. Fui abbastanza veloce da destabilizzarla. La afferrai per un braccio e la incatenai in una morsa con le mie gambe, tirandola giù a terra con me. Sorrisi soddisfatta. Tirai il suo braccio verso di me, tenendo la sua spalla ferma con le gambe. Lei batté per terra, arrendendosi. Il primo round era mio.

Mi avvicinai a un angolo della gabbia, bevendo un sorso d’acqua. Ripresi abbastanza fiato, prima di tornare al centro per il secondo round. Questa volta, lei ebbe la meglio su di me. Fu velocissima e colpì le mie costole con un paio di calci. Mi mancò il fiato e rovinai per terra, tossendo. Stupita dalla rapidità dei suoi calci, passai una gamba sulle sue, facendola cadere a terra con me. Le diedi un paio di pugni, ma riuscì a ribaltare le posizioni. Il mio viso incontrò così tante volte le sue nocche che l’arbitrò dovette interrompere il round. Chi avesse vinto il prossimo round, si sarebbe aggiudicata le semifinali.
Mi alzai da terra e rivolsi uno sguardo tra il pubblico. Notai mio cugino in fondo alla sala, con le mani incrociate avanti alle labbra. Sputai sangue per ripulirmi la bocca ferita, spostando il mio sguardo su Adrian che mi intimava a fare del mio meglio. Annuii il risposta, ricomponendomi. 

Il terzo round iniziò dopo un po’. Ci avevano dato il tempo di riprendere fiato.
La mia avversaria era sempre più forte, sempre più motivata, o forse ero io che ero sempre più debole. Mi ero forse arresa?
Non ci volle molto, e mi ritrovai di nuovo a terra, la mia avversaria a incastrarmi in una mossa. Riuscii a liberarmi, ma non fu abbastanza. Mi tirò un calcio al costato. Ringhiai al colpo, sentendo poi un forte dolore alla testa. Persi la vista per qualche minuto, non riuscivo più a sentire nitidamente ciò che accadeva intorno a me.
Sentii schiamazzi, riuscii a riconoscere la voce di Adrian che gridava qualcosa. Avevo perso. Il mio sogno era andato a farsi friggere. Una brutta, bruttissima giornata.
Avrei dovuto strappare quella stupida lista. La “scalata verso la felicità” era quello che avevo in mente, ma stavo calando a picco.

Riuscii a mettermi in piedi, barcollando. Ero stata a terra troppo a lungo, era un k.o.
Nonostante ciò, l’arbitro alzò il mio braccio, proclamando me vincitrice. Ad un tratto capii: mi aveva dato un calcio alla testa mentre ero a terra. Una regola lo vietava. Mi aveva messo k.o. ma era stata squalificata. Avevo vinto, senza aver davvero vinto.
Uscii con sguardo sconfitto dalla gabbia, sciogliendo le garze ormai sporche di sangue intorno alle mie mani, dirigendomi perso Adrian.
<< Stai bene? Ti porto in ospedale, è stato un brutto colpo. >> mi disse velocemente il mio maestro, preoccupato.
<< Sto bene.. voglio solo andare a casa, mi accompagni? >> alzai lo sguardo su di lui, implorandolo con gli occhi lucidi. Avevo ancora la vista offuscata, faticavo a mettere a fuoco. Era stato sì un brutto colpo, ma sarei sopravvissuta.
Vidi Adrian rifletterci per poi annuire e andare a prendere le mie cose nello spogliatoio. Nel frattempo, mi avviai alla macchina con Cameron, cercando mio cugino con lo sguardo.
Sentii una mano sulla spalla, mi girai lentamente. Ero distrutta, dentro e fuori.
Eko.
<< Stai bene? >> mi chiese preoccupato, osservando i segni sul mio viso. Gli sorrisi debolmente ed annuii, cercando di tranquillizzarlo.
<< Non preoccuparti, Eko.. vai a casa, sono in buone mani. >> gli strinsi la mano, indicandogli Cameron e poi Adrian che ci aveva raggiunti. Si guardarono per un po’ in silenzio, lo sguardo preoccupato di Eko, quello duro di Adrian e quello incantato di Cameron si unirono, mettendomi a disagio. Si presentarono velocemente, poi Eko mi lasciò un bacio sulla fronte prima di allontanarsi.
<< Quindi.. quello è tuo cugino.. >> commentò Cameron, seguendo la figura di Eko che spariva piano piano nel buio della notte. Mi limitai ad annuire ed entrai in macchina, posando la testa al finestrino. 

Spensi subito la radio, cosicché non potesse iniziare a emettere il minimo rumore. Restai in silenzio, guardando il mondo scorrere al di fuori della macchina in movimento. Non mi sentivo affatto vittoriosa. Sarei andata alle semifinali, sì, ma avevo vinto solo perché il mio avversario aveva sbagliato. Ero in K.O. 
<< Ehi, tutto bene? >> mi chiese d’un tratto Adrian. La sua mano posata sulla mia coscia dolorante. << Vai allo step successivo, non sei contenta? >>
Sbuffai.
<< No, Adrian, non lo sono. Non ho vinto. Se non fosse stato per quel fallo, avrei perso. >> risposi secca, massaggiandomi poi gli occhi con le dita.

Una volta arrivati a casa, i ragazzi salirono per bere qualcosa, come quasi ogni sera. Li lasciai sul divano, invitandoli a fare come se fossero a casa loro, e mi rintanai nel bagno. Aprii l’acqua calda della vasca, riempiendola in modo che facesse schiuma. Dovevo rilassare i miei muscoli. Stavo troppo male. Nel mentre che aspettavo che la vasca si riempisse lavai via il sangue dalla mia faccia, disinfettando le ferite. Ero ridotta male.
Mi spogliai e mi immersi, chiudendo gli occhi.

Riuscivo a sentire i due cugini parlare tra di loro, come se stessero confabulando qualcosa. Dopo qualche minuto, la porta del bagno si aprì.
Mi immersi in modo che la schiuma coprisse la mia nudità, girandomi verso la figura che stava entrando.
<< Adrian.. che fai? >> lo guardai confusa e stranita, aggrottando la fronte.
<< Ti ho portato un bicchiere di vino.. e sono venuto a vedere come stavi. >> rispose, posando sul mobiletto accanto alla vasca il calice che mi aveva gentilmente portato.
<< Oh.. Grazie.. >> risposi, ricordandomi poi che Cameron non sapeva che io e Adrian ci fossimo già visti nudi. << Cam? >> chiesi sottovoce, timorosa.
<< E’ andato a prendere una pizza. E dei samosa. >> rispose, inginocchiandosi accanto alla vasca. Posò gli occhi sul mio viso, scrutandomi. << Ti ha ridotto male.. >> sussurrò, allungando una mano per accarezzare la ferita sul mio labbro. Contrassi il viso in una smorfia di dolore.
Annuii, chiudendo gli occhi al tocco delle sue dita che scorrevano lungo il mio viso, scendendo poi sul mio collo. Aprii gli occhi per poterlo guardare. Aveva il labbro inferiore stretto tra i denti, i suoi occhi scorrevano il mio corpo bagnato, così come le sue dita.
<< Che fai.. ? >> chiesi in un sussurro, deglutendo nel vedere la sua mano scomparire nell’acqua. Mi intimò di non parlare e così feci. Ad un tratto, tutti i pensieri negativi di quella giornata, svanirono nel nulla. I dolori fisici si affievolirono, lasciando posto a scariche elettriche e piacere provocato dalle sue dita sulla mia intimità.
Chiusi gli occhi, abbandonando la testa all’indietro mentre mi lasciavo andare in lievi gemiti. Le sue dita si muovevano delicatamente sulla mia intimità, fino ad invaderla, penetrandomi con l’indice. Posai una mano sulla bocca, ansimando contro di essa all’entrata di un secondo dito.
I suoi movimenti si fecero sempre più intensi, fino a quando non afferrai la sua maglia con una mano, stringendola forte nel raggiungere l’orgasmo.
Sentii Adrian ridere contento, sfilando le dita da dentro di me e successivamente la mano dall’acqua. Mi lasciai andare ancora in qualche spasmo. Gli occhi del mio maestro fissi su di me.
<< Ti ho tirata almeno un po’ su di morale? >> chiese ancora sorridendo, passando una mano tra i miei capelli bagnati. Annuii in risposta, rivolgendogli uno sguardo ancora lucido dall’eccitazione.
Mi lasciò un bacio sulla fronte, prima di allungarsi verso un asciugamano per asciugarsi dall’acqua saponata e dai miei umori.
Imitai il suo sorriso contento, tirando via il tappo della vasca per svuotarla.
<< Ho un’idea. >> dissi ad un tratto, prendendo il mio accappatoio, avvolgendo successivamente il mio corpo con esso.
Adrian si alzò, guardandomi curioso. Mi fece segno di continuare. Ero imbarazzata, era un’idea stupida, ma avrebbe potuto aiutarci nell’avere l’umore spesso alto e per soddisfare i nostri desideri verso l’altro.
<< Che ne dici se.. >> deglutii, guardandolo imbarazzata. << … diventassimo “scopamici”? >> chiesi, mimando le virgolette. Il mio maestro aggrottò le sopracciglia, cercando forse di capire se fossi seria oppure no. Poi si lasciò andare in una risata.
<< Sei seria? >> mi chiese, incrociando le braccia al petto. Me ne pentii immediatamente.
<< Lascia stare, era un’idea stupida. >> risposi subito, uscendo dalla vasca.
<< No, è una bell’idea, Jahzara.. sono solo stupito che tu me l’abbia chiesto. >> si strinse nelle spalle, sedendosi poi sul bordo della vasca. << Sarei onorato nel diventare il tuo compagno di letto. Forse hai ben notato quanto tu mi attiri sessualmente. >>
Sorrisi alla sua risposta, legando i capelli in modo disordinato.
<< Va bene, però mettiamo in chiaro alcune regole, per non.. complicare il nostro rapporto. >> chiarii subito, poggiandomi al lavandino. Aspettai che facesse segno di continuare. << Niente cose.. romantiche. Niente appuntamenti, niente regalini, il letto è off limits e.. niente baci sulle labbra. >> lo guardai seria, elencando i limiti, appuntandoli sulle dita.
<< Va bene, sono d’accordo. >> rispose semplicemente, sfregandosi le mani l’una contro l’altra. << E.. ti posso chiamare in qualsiasi momento in cui voglia farlo? >>
Ci riflettei su, mordicchiandomi le labbra. L’idea che Adrian mi potesse prendere in qualsiasi momento, mi attizzava.
<< Sì, ma stabiliamo una parola in codice, cosicché possa restare un segreto nostro.. Nemmeno Cameron lo deve sapere.. >> risposi, << Se hai voglia mi mandi un messaggio o mi dici.. mh.. >> pensai a una parola che potesse essere totalmente neutra per una parola in codice. << .. Latte! >> esclamai all’improvviso, al colpo di genio.
<< Latte? >> chiese conferma, ridacchiando, prima di annuire e stringersi nelle spalle. << Va bene >>
<< E questo vale anche per me, ovviamente. Se l’altro non può, o non vuole, basta rispondere “scaduto” >> gli sorrisi, vedendolo imitare la mia espressione.
Stavamo stipulando un accordo che avrebbe approfondito il nostro rapporto. Cosa mi stava succedendo? Davvero avevo proposto di essere scopamici? Infondo, non avevo nulla da perdere ed eravamo già stati più volte in intimità.
<< Quindi.. se avessi voglia di te, mi basterebbe dire “latte”.. >> mormorò con voce profonda, alzandosi dalla vasca. Annuii alla sua affermazione, vedendolo avvicinarsi a me. Posò le mani sui miei fianchi avvolti nell’asciugamano e avvicinò la bocca al mio orecchio. << Beh, allora.. Lat->> iniziò, interrotto poi dal suono del campanello. La sua schiena si incurvò in un sospiro. << Lo uccido prima o poi. >> borbottò, allontanandosi da me per andare ad aprire al cugino che aveva portato la cena.

In risposta, scoppiai a ridere. Restai immobile appoggiata al lavandino, eccitata per l’accordo appena stipulato con il mio allenatore.
Mi immaginai come potessero essere le settimane successive. Arrossii al pensiero e sorrisi, posando le mani sul viso che andava a fuoco. Mi lasciai andare in una risata contenta ed eccitata. 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Dalla gara, i giorni passarono in tranquillità: l’affluenza a lavoro era costante, gli allenamenti erano intensivi, ma la carica aumentava, avevo messo da parte i pensieri sul mio passato, per dedicarmi al mio presente e al mio futuro. Eko faceva sempre più parte della mia vita, anche se con qualche restrizione. Adrian, beh.. latte. Molto latte.
Era stata l’idea più assurda ma allo stesso tempo la più geniale della mia vita. Nonostante il nostro rapporto intimo, la nostra amicizia non era cambiata affatto e la cosa non poteva che farmi piacere.

Le vacanze di Natale si stavano avvicinando ed era il momento di partire. Il mese precedente, la famiglia dei miei amici mi aveva invitata a passare il natale insieme a loro. Purtroppo, però, non ero cattolica e per me il natale non aveva valore. Avevo avvertito i miei amici, ma avevano insistito lo stesso, in quanto sarei rimasta totalmente sola in un periodo in cui per tutti era festa. Accettai solo per non essere scortese nei confronti della famiglia.
Preparai la valigia per due settimane, sentendomi finalmente parte di qualcosa. Era la prima festa che passavo in una famiglia, anche se non era la mia. L’aria Natalizia, nonostante non la sentissi mia, mi metteva allegria. 

Il viaggio fino in Nebraska fu turbolento e lungo, molto lungo. Adrian aveva deciso di voler guidare fino in Nebraska, niente mezzi, niente aereo. Un lungo viaggio di 14 ore era stato soporifero per me e Cameron, ma molto stressante per Adrian, che aveva voluto fare solo due pause. Diceva di voler arrivare il prima possibile.
Il paesaggio in Nebraska era.. affascinante. Era così diversa da Detroit. Non avevo mai lasciato la mia città e ora mi ritrovavo in un altro stato. Sorrisi al pensiero, girandomi verso Adrian che si strofinava gli occhi.
<< Ci vuole ancora molto per arrivare? Hai guidato troppo a lungo.. >> mi rivolsi a lui, girandomi poi per guardare Cameron che si stava svegliando.
Ero emozionata. La famiglia di Adrian era numerosa, avrei avuto gli occhi di tutti addosso. Ero stanca dal viaggio, vestita male e probabilmente molto spettinata. Avrei fatto da subito brutta figura.
In risposta, Adrian scosse piano la testa mentre girava in un viale stretto. La stradina era lunga e passava tra campi coltivati  e case rustiche.. Attaccai il naso al finestrino, osservando il paesaggio freddo scorrere attorno a noi.

Il mio maestro girò verso una di quelle case, accostando la macchina all’ingresso. Arrivati. Cameron si precipitò subito fuori dall’auto, andando a bussare al campanello. Deglutii, restando ferma in auto, a fissare la casa di fronte a me. Era abbastanza grande da ospitare molte persone. Quanti saremmo stati?
Sentii la mano calda di Adrian posarsi sulla mia gamba e il suo sguardo fisso sulla mia espressione ansiosa.
<< Stai tranquilla, il peggio che può succedere è che ti abbraccino troppo. >> ridacchiò, prima di lasciarmi una pacca sulla gamba e scendere. Sorrisi al suo commento e lo seguii fuori dall’abitacolo.
Alla porta si presentò una bella donna, bionda, il viso segnato dal tempo, gli occhi lucidi. Abbracciò subito i miei due amici, sorridendo contenta. Io mi nascosi dietro di loro, imbarazzata. La donna aprì gli occhi, guardando dietro i due ragazzi, nella mia direzione. Il suo sorrise si allargò di più, se fosse umanamente possibile. Scansò i due, facendosi spazio tra di loro per rivolgermi uno sguardo materno. Sorrisi al contatto con le sue mani che si strinsero alle mie. Erano calde, piccole e callose. 
<< Tu devi essere Jahzara.. Piacere di conoscerti, io sono Gwen >> mi sorrise, stringendomi forte le mani.
<< Il piacere è tutto mio, signora. Grazie per ospitarmi, siete davvero gentile. >> mi affrettai a ringraziare, riconoscente per il loro affettuoso gesto nei miei confronti. Avevano accettato ad ospitarmi, nonostante non mi conoscessero. Era l’affetto che mi era sempre mancato. 
<< Oooh, dammi del tu. E non devi ringraziarmi, se sei amica del mio Cam, sei di famiglia. >> scosse le mie mani, girandosi poi verso la porta. << Vieni, ti presento tutti gli altri. >> 
Senza lasciarmi una mano, mi portò dentro, dove i miei amici stavano salutando tutti gli altri. Notai Cameron abbracciato a un uomo, probabilmente suo padre. Mi girai verso Adrian che, con la sorella piccola in braccio, era stretto tra le braccia di una donna. Sorrisi alla scena, sentendo un vuoto nel mio cuore, che non era mai stato così invadente come in quel momento.
La donna mi tirò verso Cameron, tirando la manica della camicia di flanella del marito. 
<< Caro, lei è Jahzara, l’amica di Cam. >> 
L’uomo si staccò dal figlio, per porgermi la mano. La strinsi con forza, sorridendo all’uomo di fronte a me, così simile a suo figlio. 

Piano piano mi presentarono tutti. La famiglia di Cameron si era limitata ai due genitori e al fratello maggiore, che mi aveva rivolto sorrisi ammiccanti sin dal primo momento. Non era male, ma non era il caso. La famiglia di Adrian, invece, era infinita: mi presentarono alla madre che mi rivolse lo stesso sorriso materno della madre di Cameron, il padre, che probabilmente era più affascinante di Adrian, nel suo metro e novantatrè; si presentarono poi i gemelli, molto diffidenti e infine la bambina che mi abbracciò, contenta di poter giocare con un’altra ragazza. Sorrisi alla loro dolcezza, lasciando inumidire gli occhi al sentire la sensazione di vuoto sparire piano piano. 

<< Mamma, ma Daisy? >> chiese confuso il mio maestro, rivolto alla madre, mentre si guardava intorno. La sorella maggiore mancava, infatti.
La madre stava per rispondere, quando sentimmo suonare il campanello. Adrian si precipitò prima di tutti, aprendo la porta, dietro la quale aspettavano due persone. Il mio maestro si abbassò ad abbracciare la donna, probabilmente la sorella. Posò poi le mani sul suo pancione, sorridendo come un bambino. La mia attenzione fu però catturata dal ragazzo alla porta. Non poteva essere..
L’uomo entrò e salutò tutti gli altri, sotto il mio sguardo attento e stupito. Non mi sarei mai aspettata di vederlo lì, anzi.. non mi sarei mai aspettata di vederlo di nuovo. 
<< Winston.. >> sussurrai incredula. La sua attenzione si posò su di me, dopo aver salutato tutti i presenti. Il suo sorriso scomparse per qualche istante, per lasciare posto a un’espressione incredula, simile alla mia.
<< Jahzara..? >> sussurrò confuso, restando immobile di fronte a me. Il suo sorriso poi si allargò di nuovo in un grande sorriso. Si avvicinò a me, guardandomi contento. << Sei davvero tu? >> 
Annuii in risposta, lasciandomi abbracciare dall’unico che si dimostrò un amico durante la mia infanzia. Ricambiai il suo abbraccio lasciandomi andare in una risata contenta. Lo sapevo che prima o poi le nostre vite si sarebbero incrociate di nuovo.
Mi staccai dal suo abbraccio, notando il silenzio intorno a noi e gli occhi di tutti puntati su di noi. 
<< Vi conoscete? >> chiese Cameron, confuso. Winston sorrise, girandosi verso la famiglia, annuendo. Si girò poi verso di me, cercando il consenso per raccontare come ci fossimo conosciuti. Non avevo nulla da perdere, così annuii. Sperai solo che non si fossero comportati in modo strano sapendo la mia triste storia.
<< Era nell’orfanotrofio dove lavoravo anni fa. >> rispose semplicemente il mio vecchio amico. 
<< Oh, lavoravi anche tu in orfanotrofio allora? >> chiese Megan, la sorella di Adrian. Sorrisi amaramente e scossi la testa.
<< No, io ero una degli orfani. >> risposi semplicemente, stringendomi nelle spalle. << Winston era il mio unico amico. Diciamo che per me era come se fosse mio fratello. >> sorrisi ai ricordi con lui, notando poi la sorella maggiore del mio maestro, guardarci confusa. Fu lei ad avvicinarsi, scrutandomi.
<< Tu sei.. Cleo? >> mi chiese titubante. Io sorrisi ed annuii, porgendole la mano che lei subito strinse. << Piacere di conoscerti.. Winston mi ha raccontato tutto, quando ci siamo conosciuti a Detroit. >> 
Mi girai incredula verso il mio vecchio amico, sorridendo al suo gesto carino. Posai lo sguardo sulla mano della ragazza, c’era una fede. Allora capii. Non mi abbandonò senza alcun motivo. Il motivo era lei. 
<< Winston.. ora capisco. Se sei andato via per lei, allora ti perdono. >> sorrisi, posando poi lo sguardo sul pancione. Un piccolo Winston. Sarebbe cresciuto bene in quella famiglia. Era un bambino fortunato. 
<< Già.. mi ha fottuto il cervello. >> ridacchiò Winston, avvicinandosi a sua moglie, cingendole le spalle con un braccio. << Tu.. come te la sei cavata? Hai una famiglia ora? >> mi chiese speranzoso. Intanto, tutti avevano ripreso a fare altro.
Pensai alla risposta giusta, per poi sospirare. 
<< Più o meno.. Adrian e Cameron sono la mia famiglia, ora. >> mi strinsi nelle spalle, sorridendo dolcemente all’immagine familiare dei miei due amici. << Non mi ha mai adottata nessuno.. Sono uscita da sola da quell’inferno. Vivo da sola, ho lasciato Derek da poco, Adrian mi allena per MMA e mio cugino si è fatto vivo. >> dissi tutto d’un fiato, guardando l’espressione dei due di fronte a me farsi sempre più confusa.

Adrian ci salvò dall’imbarazzo, intromettendosi. 
<< Scusate l’interruzione.. Jahz, vieni, ti faccio vedere dove dormi. >> si rivolse a me, facendomi segno di seguirlo. Mi scusai con la coppia, seguendo il mio maestro al piano di sopra.
Mi condusse in una stanza, dove Megan e la piccola Susan si stavano rincorrendo. Susan aveva in mano il telefono della sorella maggiore e rideva mentre correva in giro. Sorrisi alla scena, mentre Adrian sfilò il telefono dalle piccole mani della bambina quando passò avanti a lui. 
<< Ragazze, smettetela di litigare, dai. >> disse serio, guardando poi il cellulare della sorella. << Joey?  Chi è Joey? >> chiese confuso e geloso, restituendo poi il telefono alla sorella imbronciata.
Mi annunciarono che avrei dovuto dormire nella stanza con le ragazze. Per me nessun problema, ero abituata a dividere la stanza con altre ragazzine. Speravo solo che per loro non fosse stato un problema. Susan era entusiasta, Megan non fece una piega. 


Quell’incontro era andato meglio di quanto mi fossi immaginata: l’enorme famiglia dei miei amici mi aveva accolta nei migliori dei modi, come se frequentassi quella casa da anni e l’incontro con Winston mi aveva rallegrato la giornata. E chi si aspettava di rivederlo, a casa dei miei nuovi amici, tra l’altro.
Ero semplicemente felice di essere lì, con loro. 

Ci fu poco tempo per darmi una rinfrescata e cambiarmi. L’ora di cena arrivò presto e l’odore che proveniva dalla cucina, mi aprì lo stomaco.
Scesi al piano di sotto, decisamente più sistemata rispetto a prima: avevo indossato vestiti puliti, pettinato i capelli e nascosto le occhiaie con del fondotinta.
Mi accomodai sul divano in soggiorno, sotto richiesta del padre di Adrian, che attizzava il fuoco. Accanto a me, Carl, il gemello di Megan, giocava con il cellulare e suo cugino Henry iniziò a guardarmi con interesse. Sorrisi divertita e abbassai lo sguardo. Ero troppo imbarazzata per poter aprire un discorso. Per fortuna non ce ne fu tempo a sufficienza, in quanto Gwen venne a chiamarci per accomodarci a tavola. Mi alzai insieme a tutti gli altri, seguendoli. 

Mi bloccai al suono del campanello, confusa. Non eravamo tutti? C’era ancora qualcun altro?
Fu Adrian ad andare ad aprire la porta. Mi fermai poco distante, a guardare curiosa.
Vidi le spalle del mio maestro irrigidirsi, le sue dita stringersi in un pugno, lungo il fianco sinistro e le dita della mano destra stringersi intorno alla maniglia della porta.

<< E tu che ci fai qui? >> ringhiò. La sua voce era dura e scontrosa. Chi era?

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Mi avvicinai un po’ di più al mio amico, cercando di capire cosa stesse succedendo. Una ragazza si buttò su di lui, stringendolo tra le sue esili braccia. Riuscivo a vedere la sua chioma bruna fluttuare intorno le spalle di Adrian. Quest’ultimo la respinse in modo brusco, voltandosi verso sua madre che li aveva raggiunti. 
<< Oohh cara, sei arrivata! >> esclamò la donna, abbracciando la ragazza. Deglutii curiosa, raggiungendo la cucina per non dare l’impressione di impicciarmi.
Vidi arrivare Adrian furioso. Si accomodò accanto a me, mostrando la sua agitazione tramite la gamba frenetica. 
<< Adrian.. che ci fa Kayla qui? >> si sporse Cameron, rivolgendosi al cugino.
Lui si limitò a fare spallucce, passando una mano sul viso arrabbiato. Chiesi a Cameron chi fosse e in quel momento capii: la sua ex.
Le due donne ci raggiunsero. Kayla aveva il posto prenotato di fronte Adrian. I suoi pugni si stringevano al di sotto della tavola e la sua frenetica gamba arrestò il suo movimento. 

Restai a guardarla per tutta la sera, mentre parlava della sua nuova vita a Detroit, il suo nuovo lavoro, i soldi che guadagnava.. la madre di Adrian premeva nel convincere il figlio di tornare con la sua ex. Allungai una mano verso il mio maestro, facendogli una lieve carezza sul ginocchio, cercando di calmarlo. 
<< Mamma se ci siamo lasciati è per non tornare più insieme. Basta. >> ringhiò esasperato, alzandosi da tavola prima di andarsene in silenzio. 
<< Ma potreste tornare insieme.. eravate perfetti insieme.. >> mormorò la donna in risposta, guardando la ragazza di fronte a me. 
<< Lei era perfetta per tutti, zia. Ecco perché. Diciamo che Adrian ad un punto si è trasformato in un cervo >> rispose Cameron. Mi girai di scatto, sgranando gli occhi. Posai una mano sul petto, delusa dalla notizia. 
<< Ehi, fatti i fatti tuoi! Eravamo in un brutto periodo. >> si giustificò lei, girandosi poi verso di me. << Non ci siamo presentate.. tu.. chi sei? >> 
La guardai per un attimo, stupita dall’improvvisa domanda.
<< Jahzara. Un’amica di Cam e Adrian >> risposi fredda. Il suo viso si illuminò, girandosi poi verso Cameron che le fece segno di non parlare. 
<< Quindi tu sei.. o eri.. la ragazza di Derek >> rispose lei, posando il mento sulle dita incrociate, stranamente interessata. Annuii, cercando spiegazioni dal mio amico. Perché lei mi conosceva?
<< Jahz.. ti ricordi quando io e Adrian ti parlammo dell’amante di Derek.. del periodo in cui noi non sapevamo niente di te? Beh.. è lei. >> rispose il mio amico, mordicchiandosi le unghie, imbarazzato.
Mi girai di scatto verso la ragazza, squadrandola con sguardo di fuoco. 
<< Non ti vergogni? Con quale coraggio hai potuto tradire Adrian con un ragazzo che sapevi fidanzato? >> ringhiai arrabbiata, cercando di darmi un certo ritegno per non dare troppo spettacolo. 
<< Eravamo come Ginevra e Lancillotto. >> rispose lei semplicemente, accarezzandosi le labbra << Lo siamo stati fino a qualche mese fa. >> 
Sgranai gli occhi, incredula. Cameron mi afferrò il braccio prima che potessi scattare verso di lei. 
<< Uoooh! Che farai ora? Vuoi uccidermi come ha fatto tua madre con suo marito? Infondo, tale madre tale figlia no? >> si mise a ridere, fingendosi spaventata.
<< È ora che tu vada, Kayla. E sta’ lontana da mio fratello e da tutti noi. >> rispose seria la sorella maggiore del mio maestro, accompagnando alla porta la ragazza.
Abbassai lo sguardo imbarazzata per la scena, sperando che nessuno desse peso alla storia della mia famiglia. Mi alzai lentamente e, chiedendo scusa, mi avviai al piano di sopra, alla ricerca di Adrian.
Dovevamo parlare. Perché non mi aveva detto che l’amante di Derek fosse la sua ragazza? Adesso capivo la situazione, perché odiasse così tanto il mio ex ragazzo. Non capivo perché mi avesse tenuto quell’importante dettaglio nascosto. Eppure eravamo entrati ormai in intimità, anche dal punto di vista di amicizia, non solo sessuale.
In quel momento, capii tutto e mi sentii tradita. 

Bussai alla porta della sua camera da letto, insistendo fino a quando non si presentò alla porta con l’espressione accigliata.
Entrai senza invito, poggiandomi alla finestra a braccia conserte. 
<< Perché non mi hai detto che Derek aveva una storia con la tua ex? >> chiesi subito. Come era ferito lui dalla visita della sua ex, io ero ferita dalla situazione.
Il mio maestro passò una mano tra i suoi capelli, sospirando. Si accomodò ai piedi di uno dei letti, posando lo sguardo sui propri piedi.

<< È ancora una ferita aperta, Jahz. Era troppo complicato spiegarti tutto in quel momento, poi non abbiamo più affrontato l’argomento. Lo sai che voglio.. >> cominciò, ma lo fermai, arrabbiata.
<< .. proteggermi? >> continuai la sua frase, accendendo i miei occhi di rabbia. << Oppure volevi tenere tutto nascosto per poterti vendicare su Derek, mh? Lui è andato a letto con la tua ragazza, così tu avresti fatto lo stesso con lui. >> arrivai a quella conclusione con forte dolore. Lui scattò in piedi, avvicinandosi a me. Lo scansai, allontanandomi.  << Ammettilo, Adrian. Hai colto l’occasione! È per questo che hai voluto scoparmi! >> ringhiai a bassa voce per evitare che tutti ci sentissero. << è stato il tuo scopo fin dall’inizio. Per questo hai accettato di allenarmi. >> 
Adrian abbassò lo sguardo, sospirando. Lo avevo scoperto. 
<< Si, all’inizio ci ho pensato, lo ammetto. Era la mia occasione per far sentire a quel bastardo quello che avevo sentito io. Era il mio migliore amico! Mi ha tradito alle spalle. Li ho scoperti il giorno della gara. Avrebbero potuto aspettare e invece no! Mi hanno rovinato la carriera. >> rispose addolorato dal ricordo. Alzò poi lo sguardo su di me, avvicinandosi insicuro. << Ho poi cambiato idea, Jahzara.. tu mi hai servito l’occasione su un piatto d’argento.. ma quella sera in palestra, dopo averlo fatto, ho capito che non aveva avuto senso usarti per una cosa ormai passata. Mi dispiace, piccola, davvero tanto. >> si fermò di fronte a me, posando lo sguardo nel mio deluso.  << La mia vendetta si è fermata lì, poi è stato tutto reale, andava tutto al di là di questa storia, te lo giuro. >>
Lo guardai ancora un po’, poi scossi la testa, ferita. 
<< Me ne vado, Adrian. Mi hai usata, hai tradito la mia fiducia. Pensavo di potermi fidare di te. >> risposi con l’amaro in gola, avviandomi poi verso la porta. Il mio maestro mi rincorse, afferrandomi per un braccio. 
<< Ehi, aspetta! Per favore, devi credermi. Il bene che ti voglio è sincero. Di me puoi fidarti, lo sai >> cercò di convincermi, cercando i miei occhi con il suo sguardo che evitai. 
<< Non ne sono più sicura. >> risposi semplicemente, strattonando il braccio per liberarmi dalla sua presa.
Uscii dalla sua stanza, con il cuore in gola, prima di raggiungere il bagno. Chiusi la porta e mi ci poggiai contro, guardando il soffitto.
Non mi sentivo tradita perché credevo ci fosse qualcosa tra di noi, ma mi aveva mentito, mi aveva usata per una misera vendetta ed era venuto tutto di conseguenza. La nostra amicizia è poi diventata una bugia.
Cam? Sapeva del piano? Ero stata usata anche da lui? Sicuramente.. sono legati, sanno tutto l’uno dell’altra. Cam mi aveva adescata, con la scusa di diventare amici, mi aveva parlato della carriera del cugino, sapendo i miei piani da Derek.. ero stata usata da tutti. Ero per l’ennesima volta, sola. 

Uscii dal bagno appena sentii bussare, trovandomi di fronte Megan. Le sorrisi, uscendo per farla passare, dirigendomi poi verso la stanza dove avrei dovuto dormire.
Megan mi rincorse in camera.
<< Ehi, Jahzara.. tutto bene? Ti vedo un po’.. sconvolta. >> mi guardò, restando sulla porta, che poi chiuse alle sue spalle. Sorrisi all’interessamento, annuendo in risposta.
<< Si, tutto bene.. non preoccuparti >> le sorrisi, aprendo poi la mia valigia, guardandola. Non sapevo se disfarla oppure no. Mi dispiaceva lasciare quella casa senza una spiegazione, ma non volevo avere a che fare con i miei “amici”, non in quel momento. 
<< È stata Kayla, vero? Non mi è mai piaciuta.. Adrian ha sempre meritato qualcuno di migliore.. è un ragazzo d’oro.. a parte lo sport, penso non sia capace di fare del male a nessuno, nemmeno a una mosca >> si strinse nelle spalle, sedendosi sul suo letto. Sul mio viso si dipinse un sorriso amaro alla sua affermazione. Sospirai, sedendomi per terra.  << vuoi una mano per disfare la valigia? >> mi chiese d’un tratto, dopo un mio lungo silenzio. Mi girai verso di lei, sorridendole.
<< Tranquilla, prima o poi lo faccio io. Siete tutti così gentili in questa famiglia? >> ridacchiai, alzandomi da terra per potermi poggiare sulla brandina montata per me. 

Megan stava per rispondere, quando Cam apparì in uno spiraglio aperto dalla porta. Lo guardai male, ignorando la sua domanda. 
<< Jahz.. mi dici cosa è successo? Adrian è passato da arrabbiato per Kayla, a.. depresso? >> si avvicinò a me, toccandomi una spalla. Mi alzai di scatto per allontanarmi da lui, legando i capelli in una coda alta.
<< Cosa vuoi che ne sappia, Cameron. >> risposi in tono acido, stringendomi nelle spalle.
<< Vieni un attimo con me? >> mi chiese confuso il mio amico, facendomi segno di seguirlo fuori dalla stanza. Lo seguii, con le braccia conserte al petto. << Cosa è successo? Tu che hai? Adrian che ha? >> 
<< Come se non lo sapessi, Cameron. Vi ho scoperti. Ops, il vostro piano è saltato! >> lo fulminai con lo sguardo, stringendo i pugni nel tentativo di soffocare le mie emozioni.
<< Di che stai parlando? Quale piano? >> Cameron sembrava confuso, stava andando in palla. Ridacchiai nervosamente, passando una mano sul viso, massaggiandomi gli occhi che stavano tradendo le mie emozioni. 
<< Adrian lo sa molto bene quale piano. Mi avete usata per una vendetta. Vi sentite soddisfatti ora? Grazie, davvero. Per avermi fatto capire che non devo più fidarmi di nessuno. >> lo guardai più seria che mai, ma la voce si incrinò. Mi schiarii la voce, per poi sospirare. 
<< Jahzara.. io davvero non so di cosa tu stia parlando.. >> si fermò un attimo, per poi sospirare e scuotere la testa. << Pensi che io e Adrian ci siamo avvicinati a te perché così Adrian avrebbe potuto fare la stessa cosa che Derek ha fatto a lui? >> mi chiese, intuendo i miei pensieri. Poi, gli venne un altro colpo di genio. << Siete stati a letto insieme? Perciò lo hai pensato.. >> mi chiese sottovoce, per non farsi sentire da orecchie indiscrete. Restai in silenzio, imbarazzata. Ci aveva preso su tutto. O sapeva già, o era più sveglio di quanto pensassi.  << Mio Dio, Jahz.. quante volte? >> mi chiese curioso e stupito.
<< Mmhh.. tante.. sicuro più di cinque volte.. >> sussurrai, ricordando i bei momenti con il mio maestro. Non ero mai stata così bene quanto con lui. Ma era tutto finito, ormai. 
<< Cosa? >> esclamò stupito, afferrandomi poi il polso per tirarmi nella stanza dei ragazzi.
Adrian si girò verso di noi. Era steso sul letto e stava stringendo tra le dita una pallina antistress. Mi focalizzai sulle vene del suo braccio e della sua mano che sguizzavano da sotto la pelle chiara, ricordando il tocco delle sue mani su di me. Scossi la testa, tornando con volto serio. 
<< Perché non mi avete detto che siete stati insieme a letto? >> ringhiò Cam, deluso.
La situazione era ribaltata. Ora ero io dalla parte del torto, Cam arrabbiato. Adrian riceveva altre mazzate. Ops, doppiamente scoperto! 
<< È stata una mia idea.. non volevo che ti facessi strane idee.. non stiamo insieme, non ci siamo nemmeno baciati. Facciamo.. anzi, facevamo solo sesso. Si fermava qui la storia. >> risposi subito, guardando Cameron. << E ho capito che è stato l’errore più grande. >> 
Adrian restò in silenzio. Guardò me, impassibile, poi il cugino. Abbassò lo sguardo e tornò steso. << Scusami, Cam. Era un segreto. >> rispose, prima di nascondersi sotto le coperte e sospirare. Che aveva? 
<< Vado a dormire. Forse vado via domani mattina. >> deglutii, guardando Adrian nascosto, poi Cameron, deluso. Il mio amico annuì e non mi degnò di uno sguardo. Era meglio così.

Uscii dalla loro stanza e mi diressi verso quella delle ragazze. Ero stanca di discutere, di aggiungere emozioni nuove, di sentirmi giù. Avevo bisogno di dormire, poi mi sarei allontanata da loro per un po’. Era meglio per tutti. Me l’ero sempre cavata da sola, non doveva essere difficile farlo di nuovo. 




[spazio autrice]
Scusatemi la lunga assenza, ma sono stata molto impegnata con gli esami :( Appena mi libero, tornerò ad aggiornare la storia in modo più assiduo, promesso!
Nel frattempo, mi scrivete una vostra impressione sulla storia? Ve ne sarei grata. 
A presto!

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Il tentativo di dormire quella notte si era rivelato vano. Mille pensieri occupavano la mia mente, impedendole di riposarsi. Mi alzai silenziosamente dalla brandina improvvisata nella stanza delle ragazze, uscendo dalla stanza. Avevo bisogno di sfogare la mia frustrazione su qualcosa e c’era solo una cosa da fare per scaricare tutto: correre.  Sfilai il pigiama per poter indossare una tuta comoda e calda allo stesso tempo. Era notte fonda e io sarei uscita all’aria aperta per correre. Feci attenzione nel non svegliare gli altri presenti in casa, uscendo da casa. 

Avevo bisogno di schiarirmi le idee.

L’aria era pungente e mi fece stringere nella mia felpa calda. Mi guardai intorno e decisi la direzione da prendere. Infilai le cuffiette nelle orecchie e, con accompagnamento degli Arctic Monkeys, iniziai a correre per le campagne nei dintorni. 

La fine della mia amicizia con Cameron era stata principalmente colpa mia. La mia fiducia è stata tradita, ma a mia volta ho tradito la fiducia altrui. Mi sentivo ipocrita.  Avrei dovuto aggiustare la situazione, chiedere scusa, ma sapevo che non avrei potuto fare granché, perché non sarebbe stato facile nemmeno per me perdonare. L’unica cosa da fare, allora, in quel momento, era scappare come una ladra.  Così, però, non avrei più rivisto Winston.. Ci eravamo finalmente riuniti, finalmente era di nuovo al mio fianco, e andando via, avrei perso l’occasione di averlo di nuovo nella mia vita.  
Ma, io non volevo vedere Adrian, e Cam non voleva vedere me. Sarebbe stato un soggiorno difficile.
Cosa fare?

Le campagne erano scure e tetre a quell’ora della notte. Non c’era un lampione ad illuminare la strada, le case erano distanti l’una dall’altra e la quiete dominava il paesaggio oscuro.
Mi bloccai appena sentii dei fruscii, sfilando una cuffietta per poter sentire meglio ciò che stava accadendo intorno a me.
Sobbalzai appena vidi un cane sbucare da un campo di tabacco, restando immobile ad osservare i suoi occhi scuri scrutare i dintorni. Sorrisi alla tenerezza che mi ispirava, accorgendomi in quel momento quanto fosse pericolosa quella corsetta che stavo intraprendendo in quel momento, in quel luogo. Non ero a Detroit, non ero sicura nella mia città. Sarei dovuta restare a casa.

Ci misi un po’ a ritrovare la via del ritorno, accorgendomi solo in quel momento che, ormai, il sole stava per sorgere.
Decisi allora di sedermi fuori la porta di casa, osservando il cielo cambiare colore.
Sospirai stanca e sconfitta dalla sera precedente, indecisa sul da farsi. Se volevo andare via, avrei dovuto sbrigarmi al più presto, o avrei cambiato idea.
<< Ehi.. >> mi girai nel sentire una voce dolce: Daisy era sulla porta, con una mano sul pancione e un sorriso stanco stampato sul volto pallido. 
<< Ehi.. Tutto bene? >> chiesi, notando che non era nelle migliori condizioni. Lei annuii, cercando di sedersi a terra accanto a me. La guardai perplessa, dandole una mano.
<< Sì.. il bambino scalcia e non sono riuscita a dormire bene.. >> si strinse nelle spalle, accarezzando la pancia tonda. Sorrisi teneramente nel guardarla, prima di tornare a contemplare il cielo. << Tu? Tutto bene? Come mai sveglia? >>
Sospirai. << Non sono riuscita a dormire.. Ho fatto una corsetta qua intorno.. Avevo bisogno di schiarirmi le idee. >> Mi strinsi nelle spalle, stendendo le gambe in avanti.
<< E’ successo qualcosa? >> mi chiese curiosa, puntando lo sguardo sull’orizzonte.
<< E’ una lunga storia.. >> risposi, non sapendo se raccontare la verità o no. Avrei potuto sfogarmi, ma era la sorella di Adrian e non la conoscevo poi chissà quanto bene da fidarmi subito di lei. Sarei cascata in un’altra trappola. << Sto.. sto decidendo se tornare a casa o restare. >>
<< Vuoi andartene? Di già? Ti abbiamo offesa in qualche modo? >>
chiese preoccupata e quasi offesa.
<< Oh, no! Anzi, mi avete accolta come nessuno prima. E vi ringrazio. Ma questo non è il mio posto. Nessun posto sembra esserlo.. >> sussurrai l’ultima frase, dando sfogo ai miei pensieri.
<< Non vuoi darci un’altra occasione? Potremmo stupirti. >> mi prese la mano, stringendola nelle sue. Le sorrisi, scuotendo la testa.
<< Siete delle bravissime persone, ma, al momento, non ho motivi per restare qui.. Sono un’estranea. Per tutti. >> abbassai lo sguardo, ritirando gentilmente la mia mano.
<< Per tutti? E Adrian e Cameron? E Winston? >> mi chiese confusa. Sentii una stretta al petto nel sentirli nominare. Li stavo abbandonando. Adrian e Cameron sarebbero stati meglio. Winston aveva una vita magnifica, io non gli servivo, d’altronde.
<< Sono solo una tappa nella vita di tutti, Daisy.. Nessuno resta per sempre. Nessuno. >> la mia voce si fece più cupa e seria.
Mi lasciai andare in un sospiro pesante, lasciando andare il dolore che mi stringeva il petto. Decisi di alzarmi, dando una mano alla mia confidente, stando attenta che non facesse brutti movimenti.
<< Sei davvero una cara ragazza, Daisy.. Sono contenta che sia tu ad essere la compagna di vita di Winston.. Non potevo desiderare di meglio per lui. Trattalo bene, d’accordo? >> le sorrisi, stringendo le sue mani nelle mie. Abbassai poi lo sguardo sul suo pancione. << Ciao, piccolo Winston. >> sussurrai, facendo qualche passo indietro per allontanarmi dal suo spazio vitale. << Me li saluti tu? Mi dispiace andarmene così, ma.. Davvero, devo. Siete stati così gentili con me e io vi ripago così, mi dispiace.. >> sospirai, tirando su la zip della felpa.
<< Non devi per forza andare via, Jahzara.. Anche se non sarà per sempre, poi restare per un altro po’. >> mi intimò ancora, ma ormai la decisione era presa. << Cosa dico a Winston.. era così contento di averti ritrovata..>> Sorrisi all’ultima affermazione, con amarezza.
<< Se le nostre strade si sono incontrate due volte, si incontreranno una terza volta. >> risposi convinta, entrando poi in casa. Ancora dormivano tutti. 

Approfittai di quel silenzio per andare a prendere le mie cose in stanza e poi raggiungere di nuovo l’ingresso. Contattai il servizio taxi per farmi portare in centro. Da lì avrei trovato il modo per tornare a casa, magari anche con l’autostop avrei potuto farcela. Posai la valigia all’ingresso e aspettai in silenzio, sotto lo sguardo deluso di Daisy. 

<< Buongiorno.. >> mi girai verso le scale, guardando Cameron strofinarsi gli occhi. Appena il suo sguardo incontrò il mio, le sue sopracciglia si inarcarono. << Che fai, te ne vai davvero allora? >> mi chiese stupito, avvicinandosi a me. Annuii in silenzio, abbassando lo sguardo imbarazzata. << Jahz.. Possiamo risolvere tutto, ok? Non voglio che tu te ne vada.. Siamo ancora amici. Capisco perché tu non mi abbia detto quelle cose, mi hai un po’ ferito, sinceramente. Ma è tutto ok. >> si accovacciò di fronte a me, cercando il mio sguardo. << Non voglio che tu mi tenga più dei segreti, però. Lo sai che di me puoi fidarti. Te lo giuro, non ho intenzione di andare da nessuna parte. Finché ci sono io, non resterai mai sola, promesso. >> 
Alzai lo sguardo per incrociare i suoi occhi. Erano sinceri. Sorrisi alle sue parole, sentendomi super imbarazzata in quel momento. Era vero: di lui potevo fidarmi. Mi sporsi in avanti e lo abbracciai forte, lasciando finalmente inumidire gli occhi. Troppe emozioni in poche ore.
<< Spero per te sia così.. >> sussurrai con voce rotta, stringendolo ancora di più. << Mi dispiace non averti detto niente.. scusami, davvero. Non sono abituata a.. avere amici. >> 
<< Perdonata. Però ora torna sopra, disfai la valigia, fatti una doccia che puzzi da morire e vieni a fare colazione. >>
si staccò da me, asciugando il mio viso con le sue mani delicate. Gli sorrisi e poi mi alzai, incrociando anche lo sguardo di Daisy.
<< Qualcuno resta per sempre >> mi sussurrò, prima di dirigersi in cucina, contenta. 

Tornai al piano di sopra e, come se non fosse successo nulla, sistemai i panni nello spazio che mi avevano riservato. Ero sollevata in quel momento. Ero inesperta di relazioni con le persone, ma avrei imparato come comportarmi.  Dopo una doccia calda e vestiti puliti, tornai al piano di sotto, sedendomi su uno sgabello dell’isola della cucina, osservando Cameron preparare la colazione.
<< Quindi.. davvero è tutto ok? >> chiesi insicura, torturando il mio labbro inferiore con i denti. Cameron si picchiettò un dito sul mento, guardandomi.
<< Mmmh.. solo se mi racconti tutto quello che è successo tra te e TuSaiChi >> si strinse nelle spalle, porgendomi un piatto con pane tostato, burro e bacon. Il mio stomaco approvò, brontolando.
<< D’accordo, ti racconterò tutto, più tardi. >> risposi, addentando la fetta di pane tostato come se non mangiassi da mesi.
<< Jahz.. Dagli un’altra occasione.. Ti vuole bene, lo so per certo. >> mi suggerì  Cameron, all’improvviso. Sospirai al pensiero di perdonare il mio maestro. Avrei potuto metterci una pietra sopra, ma non sarebbe stato tutto come prima.
Parlando del diavolo, spuntarono subito le corna: Adrian fece il suo ingresso in cucina. Si bloccò appena mi vide seduta a mangiare la mia colazione. Mi girai verso di lui. Ci guardammo in silenzio per mezzo minuto, poi gli regalai un mezzo sorriso e gli feci segno di sedersi accanto a me.
La sua espressione in quel momento mi intenerì il cuore e per un’istante la mia rabbia scomparve.
Prese posto accanto a me e mangiò la sua colazione, in imbarazzo.

<< Ho ancora bisogno di te, maestro. >> gli rivolsi la parola dopo un lungo silenzio, tenendo però lo sguardo fisso nel mio piatto. << E non sono ancora pronta a perderti come amico.. >> continuai, con voce più fioca, dando parola al mio cuore. << Però non dimentico quello che hai fatto.. mi hai comunque ferita. >> chiarii, girandomi, questa volta, verso di lui.
Il mio maestro annuì e strinse una mia mano nella sua, con forza.
<< Sono stato un cretino, non avrei dovuto nemmeno pensare una cosa del genere, ma le mie azioni in quel momento erano dettate dal mio cuore ancora ferito.. In una sera ho perso tutto ciò che era caro per me.. Non avevo alcun bisogno di ferire qualcun altro e mi dispiace così tanto che sia stata tu a subire la mia rabbia. Mi farò perdonare, te lo prometto. >> rispose serio, fissando il suo sguardo nel mio. Gli sorrisi.
<< Bene, allora fai in fretta, abbiamo un allenamento da fare. Feste o no, devi rendermi una campionessa. Ecco come ti farai perdonare. >> risposi, alleggerendo la discussione. Volevo dargli un’altra occasione, volevo fidarmi di nuovo di lui e aprire il mio cuore ai miei amici.

Adrian annuì e divorò in fretta e furia la sua colazione, poi si alzò e andò verso il frigorifero. Lo aprì e prese il cartone del latte, facendo un lungo sorso.
Si girò verso di me, sorridendo.
<< Prima un po’ di latte? >> mi chiese. Sorrisi divertita, scuotendo la testa. Mi alzai dal mio posto e incrociai le braccia al petto.
<< Non mi va ora, grazie. Muoviti, non tollero ritardi. >> gli sorrisi, dandogli una pacca sulla spalla prima di uscire dalla stanza, pronta per l’allenamento che si sarebbe svolto a breve. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Le cose sembravano essersi sistemate tra me e i ragazzi. Il resto della famiglia non era mai venuta a conoscenza del mio attimo di panico. Con Cameron era come se non fosse successo nulla, con Adrian i rapporti si erano un po’ raffreddati rispetto a prima. Continuavamo ad allenarci anche nelle vacanze, non potevamo farne a meno: la gara era subito dopo Natale.
Le serate passavano tranquille con il mio migliore amico e non potevo che essere felice. Mi sentivo finalmente accettata, capita e amata. Avrei voluto che quella vacanza non finisse mai. Di solito Adrian andava al pub in centro con i suoi amici di infanzia, lasciando me e Cameron a passare le serate da soli. Un po’ mi dispiaceva, ma con Cam facevo sempre qualcosa di nuovo, di diverso e di divertente.
Inoltre, il rapporto con Winston si era consolidato di nuovo, così come con sua moglie Daisy.
Ero felice. 

Tuttavia, il mio passato ritornava sempre a galla: erano notti, ormai da qualche mese, che facevo di nuovo sempre lo stesso sogno. Sembrava così vero che credevo fosse reale, ogni volta. Sentivo il sudore imperlarmi la fronte, alle sensazioni provate.

 

La superficie lucida di uno specchio riflette l’immagine di una graziosa bambina dai colori scuri. Sono io. Mi osservo allo specchio, toccandomi i capelli lunghi e ricci, appena lavati. Mia madre è dietro di me, cerca di pettinarmeli, grugnendo. 
<< Non ci riusciremo mai, piccola Cleo.. Sono troppo annodati >> ringhia tra i denti, mentre fa forza con la spazzola, mantenendo con l’altra mano la ciocca di capelli per non farmi male. Tiro la testa leggermente all’indietro, seguendo il movimento della spazzola. E’ tutto così calmo, gioioso. La luce filtra dalle tende rosa, creando un’atmosfera di tranquillità. 
All’improvviso, il buio incombe, dominando sulla luce. 
I miei occhi scuri scrutano il riflesso nello specchio: mia madre non è più dietro di me, il suo viso è stato sostituito dalle gambe di un uomo. Una mano di quest’ultimo si avvicina al mio viso, accarezzandolo con desiderio. La sua pelle è ruvida, la sento grattare contro la guancia. 
Il cuore inizia a scalpitare, mi sale in gola. Sento mia madre piangere, ma non la vedo. 
L’uomo si accovaccia dietro di me, indagando il mio corpo da bambina con le sue ruvide e grandi mani. Si insinuano sotto il pigiama ad accarezzare la mia pelle delicata. Si abbassa i pantaloni e mi prende in braccio. 
Ora lo vedo di spalle, è chino sul letto, il mio corpicino steso sotto di lui.
Mia madre, in un angolo, urla. Così anch’io. 

 

Mi sentii scuotere. Spalancai gli occhi, come risvegliata da uno stato di trance. Avanti a me, c’era Adrian, con il viso corrucciato e una mano sulla mia spalla. 
<< Jahzara.. ehi.. >> mi guardava preoccupato. Lo guardai per qualche secondo, poi mi tuffai tra le sue braccia, mettendomi seduta. Avevo bisogno di sapere che fosse quella la realtà, non ciò che avevo visto e sentito fino a quel momento. << Va tutto bene.. >> mi sussurrò tranquillo, accarezzandomi i capelli. Era un tocco diverso da quello dell’uomo. Lo strinsi ancora più forte, accorgendomi solo in quel momento di essere sudata e tremante.
Mi allontanai da lui, prendendomi una mano nell’altra, cercando di camuffare il tremolio.
Mi guardai intorno, notando Megan in piedi dietro Adrian, a fissarmi preoccupata.
<< Scusete.. vi ho svegliati io? >> chiesi dispiaciuta, guardando prima Megan, poi Adrian.
<< Urlavi.. Ho cercato di svegliarti, ma era tutto inutile.. Ho chiamato io Adrian, non sapevo cosa fare.. >> sussurrò Megan, guardandomi ancora preoccupata.
Le feci un debole sorriso. << Grazie, Meg.. è tutto apposto ora >>
Adrian si alzò da terra, avvicinandosi alla sorella.
<< Torna a dormire, adesso.. >> le sussurrò, lasciandole un bacio sulla fronte. Si girò poi verso di me, porgendomi una mano. << Vieni, ti faccio una camomilla >> 
Lo guardai confuso, poi scostai le coperte dalle mie gambe e afferrai la sua mano. La strinsi, cercando di aggrapparmi a quella realtà. 

Scendemmo al piano di sotto, entrando in cucina. Mi accomodai sullo sgabello della penisola, nascondendo il viso caldo tra le mani. Sentii Adrian muoversi tra le credenze. Riempì il bollitore con l’acqua e accese il fuoco.
Sentii le sue dita accarezzarmi incerto le mani. Sospirai contro di esse, spostandole dal viso. 
<< Come ti senti? >> mi domandò, evidentemente in imbarazzo. Forse non sapeva cosa dire.
Mi strinsi nelle spalle, annuendo in risposta. 
<< Meglio, non preoccuparti.. non è la prima volta che succede.. >> gli spiegai, tenendo lo sguardo basso sulle nostre dita che si sfioravano in piccole e delicate carezze. 
<< Succede spesso? >> chiese stupito, cercando il mio sguardo perso. 
<< E’ sempre lo stesso sogno, da anni.. per un periodo aveva smesso di apparire, ma qualche mese fa ha ricominciato.. >> deglutii, allontanando la mia mano dalla sua, per incrociare le braccia sotto il seno. 
<< Che sogno è? >> mi chiese curioso ed evidentemente preoccupato.
Non risposi, lasciando perdere il mio sguardo nel ricordo di ciò che avevo appena vissuto tra le braccia di Morfeo. Potevo sentire sulla pelle la sensazione di quelle mani. Mi strinsi nelle mie stesse braccia, cercando di proteggermi.
<< Ehi.. Jahz.. non sei obbligata.. >> mi scosse una spalla, aggirando poi la penisola. Si accomodò sullo sgabello accanto al mio, cingendomi le spalle con le braccia. << Hai ripreso a tremare.. >> sussurrò preoccupato, posando il mento sulla mia testa, che avevo poggiato al suo petto.
Mi lasciai andare al suo abbraccio, rilassando i muscoli tesi. Nascosi il viso nel suo collo candido e caldo, inebriandomi del profumo della sua pelle. Le brutte sensazioni provate prima scomparvero, come per magia. Mi rilassai totalmente, beandomi delle sue coccole. 
<< Ho bisogno di te.. >> sussurrai contro la sua pelle, abbassando tutte le difese che avevo innalzato. Il mio cuore era nudo, in quel momento. La sua presa si rafforzò intorno al mio corpo, le sue labbra si posarono tra i miei capelli a lasciarmi un lieve bacio.
<< Sono qui.. >> mi rispose in un sussurro.

Il fischio del bollitore spezzò l’intimità di quel momento. A malincuore lo lasciai allontanarsi da me, seguendolo con lo sguardo mentre riempiva una tazza con l’acqua e l’infuso di camomilla.
Me la porse, posandola sul piano della penisola.
<< Attenta, scotta. >> mi avvertì, sventolando una mano sopra la tazza, a voler raffreddare la superficie dell’acqua. Ridacchiai, guardandolo intenerita.
<< Va bene, papà, sto attenta, tranquillo. >> ridacchiai, allontanando la sua mano prima di prendere la tazza e avvicinarla alla bocca. Soffiai sull’acqua fumante, tenendo lo sguardo fisso su di lui, che si lasciò andare in una piccola risata.
Nascosi il viso nel recipiente in ceramica, prendendo un sorso di camomilla, stando attenta a non scottarmi la lingua. Quando riabbassai l’infuso, i miei occhi incontrarono Adrian posato alla penisola, mentre sgranocchiava biscotti al cioccolato. Sorrisi contenta alla vista dei dolcetti, infilando una mano nella busta per rubarne uno e portarlo subito alla bocca.
<< Ho capito come renderti felice, allora. >> sorrise divertito nel vedermi divorare altri due biscotti con un grande sorriso dipinto in volto e la tranquillità negli occhi.
<< Vuoi sapere come rendermi super felice? Vino e cioccolato. Taaanto vino e cioccolato. >> mimai la grandezza a cui mi riferivo con le braccia, allargandole il più possibile.
<< Dovrai accontentarti di questi, al momento.. >> ridacchiò, porgendomi un altro biscotto, che addentai stesso dalle sue mani. << Aiuto, non mangiare anche me! >> esclamò, ridendo.
In risposta, gli feci segno che l’osservano, indicandolo con due dita che prima mi ero portata agli occhi.
Restammo in silenzio per una decina di minuti, in attesa che finissi la mia camomilla e anche tutti i biscotti del sacchetto.

Mi alzai per lavare la tazza che avevo usato, pulendo tutto ciò che avevamo sporcato. Mi ero evitata una corsa al freddo e al buio e questo rimedio era stato anche più efficace del mio.
Mi ritrovavo sempre sola ad affrontare quel sogno, il mio unico modo per distrarmi è andare a correre, ma ero riuscita a calmarmi anche senza questa fatica. Ero in debito con lui.
Ma avevo ancora un ultimo favore da chiedergli. 
<< So che va contro i nostri patti, ma.. puoi dormire con me? Mi sento più sicura.. >> lo guardai imbarazzata, sperando accettasse la mia proposta.
Non me la sentivo di affrontare il resto della notte da sola. E se lui fosse tornato?
Lo vidi spalancare le palpebre, stupito. Mi morsi subito la lingua, scuotendo la testa per annullare la richiesta.
<< Certo.. mi hai davvero spaventato prima.. >> mi rispose dopo un po’, spegnendo poi la luce della cucina prima di dirigersi verso la stanza delle ragazze.

Si bloccò sulle scale, facendomi sbattere contro la sua schiena. Massaggiai il mio naso colpito, guardandolo confusa.
<< Jahz, io.. volevo scusarmi con te. Mi sono comportato davvero come un coglione. Non meriti quello che avevo intenzione di fare con te, davvero. Mi dispiace tanto, ci sto di merda. >> si scusò a bassa voce, tenendo lo sguardo da cucciolo ferito sulle sue mani.
Gli sorrisi con dolcezza, alzandogli il viso dal mento, per poterlo guardare negli occhi.
<< E’ passato, non ti preoccupare.. Ammetto che volevo andarmene con l’intenzione di non tornare più da te, ma.. capisco le tue intenzioni iniziali.. Quei due sono stati dei coglioni, e lo sono ancora, non tu. >> gli spiegai, accorgendomi solo in quel momento che il mio cuore verso di lui era tranquillo, avevo perso tutto il rancore nato dalla notizia dell’inganno. Sapevo che non voleva farmi del male, non ora che eravamo amici.
Lui annuì poco convinto, entrando poi nella stanza delle sue sorelle.
Lo seguii in silenzio, accoccolandomi sotto le lenzuola del mio letto. Il suo corpo caldo si strinse al mio per farsi spazio sul materasso ad una piazza. Mi cinse i fianchi con un braccio, tenendomi a sé per non farmi cadere. Affondai il viso nel suo petto in movimento, aggrappandomi con le dita alla sua maglietta.
<< Grazie, Adrian.. >> sussurrai, chiudendo gli occhi alla ricerca di Morfeo e il suo caldo abbraccio.


Questa volta allo specchio è riflessa me stessa più grande. Pettino da sola i capelli umidi dalla doccia appena fatta. Il mio corpo è ancora nudo.
Dietro di me, questa volta, compare un viso familiare. Con una mano mi sposta i capelli da un solo lato e posa le labbra delicate sul mio collo a lasciare piccoli baci. Il mio viso riflesso nello specchio mi sorride.
Adrian dietro di me, posa il mento sulla mia spalla nuda, osservando il mio corpo allo specchio.
Mi giro verso di lui e cingo il suo collo con le braccia. Mi alzo sulle punte per raggiungerlo, posando le labbra sulle sue in un lungo e dolce bacio.



Spalancai le palpebre, svegliandomi di soprassalto, stupita. Il mio cuore batteva a mille e un formicolio si presentò alla mia intimità.
Oh-Oh.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Il mattino seguente mi svegliai meno turbata di qualche ora prima. Lasciai perdere il sogno su Adrian, era solo una conseguenza al suo aiuto di quella notte.
Mi rigirai nel letto, trovandomi da sola. Il mio maestro era già andato. Così mi misi seduta, strofinandomi gli occhi con le nocche delle mani, lasciandomi andare in un grande sbadiglio. 
<< Buongiorno! >> sobbalzai nel sentire una voce maschile, girandomi ancora con la vista sfuocata verso la fonte del saluto. Adrian. << Oggi niente allenamento, ho altro in programma per te, oggi. >> mi avvertì, invitandomi poi a prepararmi. Mi avrebbe aspettato di sotto.
Sbuffai stanca e svogliata. Avevo bisogno di relax, non di altra fatica. Ora cosa aveva in mente?

Mi presi tutto il tempo per farmi una doccia calda e rilassante. Pettinai i miei capelli, li asciugai e li lasciai crespi e sciolti lungo le spalle. Mi vestii comoda, ignara di ciò che sarebbe accaduto in quella giornata.
Una volta pronta, raggiunsi Adrian che mi stava aspettando al piano di sotto, sul divano in soggiorno. Mi fermai dietro di lui, posando le mani sulle sue palle, facendolo sobbalzare.
<< Pronta? >> mi chiese, girandosi verso di me, per poi alzarsi e prendere la giacca appesa sull’attaccapanni accanto alla porta.
In casa, erano ormai tutti svegli. C’era chi faceva colazione, chi giocava ai videogiochi, chi leggeva e chi preparava già il pranzo. C’era odore di casa. Sorrisi rilassata, avvicinandomi a Cameron intento a divorare un dolcetto per colazione.
<< Tu non vieni? >> gli chiesi dubbiosa, accarezzandogli i capelli spettinati. Vidi i suoi occhi curiosi posarsi su di me. Stava per parlare, ma Adrian lo precedette.
<< No, siamo solo io e te. >> chiarì, porgendomi la giacca e la sciarpa da indossare. Lo guardai ancora più curiosa di prima, infilando gli indumenti caldi. Posai un bacio sulla guancia di Cam e seguii il mio maestro in macchina.
<< Dov’è che andiamo? >> domandai curiosa. Era stato così improvviso che non sapevo minimamente cosa aspettarmi. Non avevo avuto nemmeno il tempo per metabolizzare, nemmeno il temo per la colazione. Il mio stomaco già protestava.
<< Prima di tutto, a fare colazione. >> mi rispose contento, uscendo dal vialetto di casa.
Sorrisi all’accenno alla colazione, guardando il paesaggio scorrere fuori dal finestrino. Mi sentivo così in pace lì, avrei preferito non tornare più a casa. Ma avevo una gara da vincere.
<< Quindi non ci alleniamo oggi? Ne ho bisogno.. Perderò. >> mi girai verso di lui, mordendomi l’interno della guancia destra, ansiosa. Ero arrivata fino a lì, ma non mi sentivo capace di poter arrivare in finale e addirittura vincere. 
<< Non preoccuparti, Jahz.. Stai andando bene e hai bisogno di un giorno di riposo. Sei in un posto nuovo, divertiti per un giorno. >> mi sorrise, guardandomi per un breve momento. << Voglio farti vedere i posti più importanti della mia infanzia.. >>
Sorrisi alle sue parole, cercando di concentrarmi sulla giornata che avrei vissuto da lì a poco e non sull’imminente gara. L’ultimo incontro mi aveva destabilizzata, i calci ricevuti mi avevano lasciato segni e dolori in faccia, inimmaginabili, e aveva piantato un seme di insicurezza nei miei pensiero. Ero stata sconfitta, non ero stata in grado di battere il mio avversario. Avevo vinto solo per la scorrettezza subita. Se ai quarti avevo perso, non osavo immaginare alle semifinali cosa sarebbe successo. 

Adrian fermò l’auto avanti un diner vecchio stile. O forse semplicemente vecchio. Lo seguii dentro, sorridendo all’odore di bacon e pancakes. Il mio stomaco approvò.
Seguii il mio maestro in un tavolo all’angolo, nascosto. Posai la borsa al mio fianco, prendendo il menu. Adrian me lo sfilò subito dalle mani, scuotendo la testa.
Salutò la cameriera che si avvicinò, affettuosamente. La vecchia signora mi sorrise dolcemente.
<< Adrian, il solito? >> chiese, scrivendo l’ordinazione velocemente sul foglietto. << Alla tua.. ragazza?  Cosa ti porto? >> si rivolse a me, sorridendomi. Indugiai, non sapendo cosa dire, ma mi precedette Adrian, ordinando per me.
La cameriera poi si allontanò.
<< Ho passato la mia intera adolescenza qui dentro.. Frances, la cameriera, lavora qui da sempre, credo.. E’ la madre di un mio vecchio amico.. >> raccontò nostalgico, accarezzando le incisioni sul tavolo. << Sai, credo di essere stato più felice qui che a Detroit.. tornerei, se solo questo posto offrisse qualcosa.. >> sospirò. Tornò poi con lo sguardo su di me, sorridendomi. << C’è una città che hai sempre sognato di visitare? >> 
La domanda mi spiazzò, ma mi fece sorridere.
<< Io ho sempre desiderato andare via da Detroit, qualunque fosse stata la meta. Solo Derek mi ancorava lì.. e la mancanza di soldi. Ora come ora, non posso andare da nessuna parte. >> risposi sincera, un po’ amareggiata. Avrei voluto costruire la mia vita altrove, ma non ne avevo la possibilità. << E’ anche per questo che voglio vincere la gara.. Quei soldi potrebbero essere un passo avanti per la mia vita futura. >>
Adrian mi sorrise, annuendo, poi mi afferrò la mano nelle sue, come per sostenermi.
In pochi minuti arrivarono cinque piatti, colmi di delizie piene di grassi e bontà.
<< Adrian.. questo è un riposo dagli allenamenti a tutti gli effetti! >> ridacchiai, guardando stupita il tavolo pieno. Non mi feci nemmeno rispondere che afferrai un pezzo di bacon unto, addentandolo velocemente. Chiusi gli occhi per godermi quella delizia salata e croccante, masticando lentamente.
<< Dillo.. Il miglior bacon di sempre. >> mi sussurrò con voce roca, guardandomi in attesa di un apprezzamento da parte mia.
Lo guardai, leccandomi le dita unte prima di afferrarne un altro pezzo.
<< Non c’è bisogno che ti risponda. >> mi strinsi nelle spalle, divorando come se non mangiassi da mesi, quella colazione ipercalorica.


Mi strozzai quasi con l’ultimo boccone di pancake appena vidi entrare l’ex di Adrian. Presi un sorso di caffe, mandando giù il groppo che si era formato in gola.
<< Tutto bene? >> mi chiese preoccupato il mio maestro, prima di girarsi verso la direzione cui era rivolto il mio sguardo. Sospirò e tornò con lo sguardo sul tavolo. << E’ sempre tra i piedi >> ringhiò sottovoce, buttando il tovagliolo con cui si era pulito le mani sul tavolo, con forza.
<< Adrian.. Non vorrei peggiorare la situazione, ma.. è con un bambino. >> tenni lo sguardo fisso sul bambino che camminava a stento, aggrappato alla mano di Kayla. << Ed è nero. >> conclusi, sentendo il petto stringersi.
<< Cosa?! >> esclamò, girandosi di scatto verso la ragazza e il bambino. Li scrutava, come per cercare di ricordare se quel bambino potesse essere un nipote o qualcosa del genere. Ma la risposta che occupava la nostra mente era una e una soltanto: Derek.
Stavamo per alzarci e andarcene, quando lei ci chiamò, avvicinandosi.
<< Ciao, Adrian! >> esclamò contenta, buttandosi su di lui in un abbraccio che il mio maestro non ricambiò. Aveva lo sguardo fisso sul bambino, in trance. Kayla si girò verso di me, guardandomi schifata, prima di tornare a sorridere ad Adrian.  << Ti mancava questo posto, vero? Era il tuo rifugio >>
Adrian si limitò ad annuire, guardando di sfuggita la sua ex. Stavo per parlare, quando il bambino richiamò l’attenzione della ragazza, chiamandola mamma.
Il mio cuore si fermò per un istante. Rivolsi uno sguardo disperato al mio maestro. Avevo bisogno di andare via.
<< Kayla, scusami, ma ora dobbiamo proprio andare. >> si sbrigò il mio amico, alzandosi in fretta. Io ero già fuggita fuori.
L’aria iniziava a mancarmi. Se era il figlio di Derek, mi sarebbe caduto il mondo addosso. Ero stata presa in giro per tutto quel tempo, con un segreto dietro così importante. Passai le mani tra i capelli, passeggiando avanti e indietro.
<< Jahz, ehi.. >> Adrian mi afferrò per le spalle, cercando di tranquillizzarmi.
<< Che fai? Scappi da me, Adrian?  Perché ho un figlio? Non ti ha mai spaventato questa cosa! Anche quando ero incinta del tuo di figlio! >> Kayla era uscita come una furia, tirando Adrian per un braccio per farlo girare verso di lei.
<< Innanzitutto, ora con te non ho nulla da condividere. Non stiamo insieme e non ti devo ricordare il perché. Nostro figlio è stata una tua scelta quella di “sbarazzartene" e lo sai, non tirare fuori certi argomenti! >> Adrian rispose, ringhiando. Era visibilmente arrabbiato. << Mi spaventa quanto tu sia opportunista e puttana, ecco cosa mi spaventa. Ti ho amata così intensamente e non capisco il perché. >> la guardò schifato, facendo un passo indietro per allontanarsi da lei.
<< Di chi è il bambino? >> domandai io, torturando gli anelli che avevo alle dita.
<< Non sono affari tuoi. >> mi rispose acida, prima di incontrare lo sguardo arrabbiato di Adrian che le intimava di rispondermi. << Derek. E’ stato concepito quella sera. >> si rivolse al suo ex, che si girò di scatto, dando un pugno alla sua stessa auto.
Sobbalzai al rumore, restando immobile a fissare il vuoto. Come previsto, il mondo mi era davvero caduto addosso.
Adrian mi tirò per un braccio, spingendomi in macchina con forza. Guidò a lungo e lontano. Il silenzio regnava in auto, ma riuscivo a sentire il mio cuore battere forte nel petto.

Non mi accorsi nemmeno che si era fermato e aveva parcheggiato in un posto isolato, in cima ad una collina. Alzai lo sguardo, guardando il panorama della cittadina avanti a noi.
<< Come stai? >> mi chiese all’improvviso, posando una mano sulla mia coscia. Io, in risposta, alzai le spalle, tenendo lo sguardo fisso avanti a me.
<< Ora capisco perché per una settimana al mese partiva.. Non mi diceva mai dove andava.. Suppongo da suo figlio. >> riflettei, amareggiata. << Sono stata presa per il culo alla grande. Come ho fatto a fidarmi di una persona del genere? Come ho fatto ad essere così stupida da non accorgermi di niente? >> alzai man mano la voce, arrabbiata con me stessa per non essermi accorta di niente. Ero stata troppo ingenua. La sfiga si stava scopando la mia vita. 
<< E’ troppo bravo a fingere quello che non è. Mi hanno rovinato la vita in una serata. >> si sfogò anche lui, ritirando la mano dalla mia coscia per portarla tra i suoi capelli lunghi.
<< Tra l’altro, dopo quello che gli ho raccontato della mia vita, dopo aver vissuto con me la sofferenza nell’orfanotrofio.. Con quale cuore lo ha fatto! Come può una persona del genere essere addirittura padre! >> ringhiai arrabbiata, gesticolando velocemente.
<< Come può crescere quel bambino con una madre del genere? Chissà che altro fa quella.. o chi altro si fa! >> continuò lui. Ognuno preso dal proprio sfogo.

In pochi secondi ci ritrovammo nella parte posteriore del pick-up, nudi, a toccarci con foga e rabbia. Ne avevamo bisogno.
Sfogammo tutta la frustrazione e la rabbia in quell’amplesso intenso come non mai. Le mie mani stringevano con forza le sue braccia rigide per lo sforzo nel mantenersi, mentre il suo bacino spingeva verso di me con forza, sempre più veloce.
Raggiunto entrambi l’orgasmo, restammo stesi uno accanto all’altro, con il fiatone e senza parole.
<< Tu.. ti senti meglio? >> mi domandò corrucciato, asciugandosi il sudore dalla fronte.
<< Non proprio.. >> risposi sincera, girando il viso verso di lui per poterlo guardare.
<< Già.. neanche io >> sbuffò, mettendosi seduto. << Ma almeno.. Derek scopa bene? >> mi domandò con voce triste, lasciandosi andare in un sospiro amareggiato. Ridacchiai quasi, posando le mani sul viso.
<< Scopi meglio tu, fidati. Con lui per avere un orgasmo dovevo pregare tutto ciò che c’è da pregare. E’ egoista, anche a letto. >> risposi sincera, piegando le ginocchia, per stare più comoda. Lui sorrise debolmente, prima di scuotere la testa.
<< Allora non capisco.. Cosa ha Derek che io non ho? >>. In quel momento, Adrian mi stava mostrando la sua insicurezza, che aveva sempre tenuto seppellita. Mi misi seduta, posando una mano sulla sua schiena.
<< Perché tra idioti ci si trova. Non era adatta a te, Adrian.. Così come Derek non lo è per me >> risposi, finalmente consapevole di quella che era la relatà. Derek non era adatto a me, non lo è mai stato e non lo sarebbe stato mai. Ma non meritavo comunque di essere presa in giro. E nemmeno Adrian.
<< Lo so.. ma ha fatto comunque male.. Credo tu mi capisca >> sospirò, posando la testa sulla mia spalla. Restai interdetta per qualche secondo, per poi affondare le dita tra i suoi capelli, accarezzandoli.
<< Andrà tutto bene, Adrian.. Ci passerà, prima o poi. >> sussurrai. Lo guardai per un istante, prima di sorridergli dolcemente. << Cosa vuoi fare ora? Non pensiamo più a quei due. >>
Adrian annuì, sorridendo come se gli si fosse accesa una lampadina in testa. Gli era tornano il buonumore all’improvviso.
<< Giusto! Ti insegno a guidare. Forza, vestiti! >> esclamò, mettendosi le mutande e i jeans.
Lo guardai confusa e preoccupata per quello che aveva intenzione di farmi fare, ma avrei fatto di tutto, pur di continuare a vederlo sorridere. 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Adrian

 

La mattina di Natale fu magica. 

La neve fioccava fuori dalla finestra e la luce filtrava in modo spettacolare nella stanza. Sorrisi contento, rotolandomi tra le coperte calde. Non vedevo la neve da anni, soprattuto in Nebraska.
Era sempre stata una mattina magica, quella di Natale. Quando ero piccolo, la vigilia non dormivo, in attesa del mattino seguente. Mia madre e mia zia si alzavano prima di tutti per preparare la colazione. La casa si profumava, così come quella mattina, di burro, pancake, crostate, biscotti di zenzero. Era inevitabile svegliarsi felici, soprattutto con il tempo bianco.

Mi alzai lentamente, strofinandomi gli occhi ancora assonnati. Era diventato difficile dormire con i pensieri degli ultimi giorni. Per quanto potesse essere passato un po’ di tempo da quella maledetta sera, il ricordo di quei tradimenti, mi faceva ancora male. Essere traditi nella sera più importante per la tua carriera, dalla tua ragazza e dal tuo migliore amico, è una cosa che ti segna a vita. Avevo imparato a non affezionarmi più così tanto a persone che potrebbero tradirmi. Ormai, mi fidavo solo della mia famiglia. E di Jahzara.
Il mio attaccamento verso quella ragazza poteva diventare molto pericoloso per me. 

 

Seguii l’odore di dolci giù in cucina, pregustandomi già la colazione ricca di grassi e calorie. Mi fermai in corridoio appena notai la porta di ingresso spalancata e una sagoma correre avanti e indietro.
Mi affacciai, posandomi allo stipite della porta, con le braccia incrociate. Jahzara si rotolava nella neve che si era posata a terra, lanciandone in aria, come una bimba felice che vede la neve per la prima volta. Possibile fosse davvero la prima volta?
Mi lasciai andare in un sorriso divertito, guardandola giocare come se avesse un terzo della sua età. Mi scaldava il cuore vederla felice, lasciava che la mia testa si svuotasse da tutti i pensieri, i pesi, le preoccupazioni, per lasciar posto solo al suo sorriso e alla sua gioia.
Abbassai lo sguardo, cercando di far smettere al mio cuore di sentirsi così pieno.
<< Adriaaan! >> mi sentii chiamare da lei. Ok, sforzo invano, ora sentivo il cuore così pieno che temevo potesse esplodere da un momento all’altro. Jahzara prese le mie mani, trascinandomi nella neve. Faceva freddo, ma avrei fatto di tutto per lei. Anche ustionarmi con la neve. << Non è bellissimo? >> continuava a parlare ad altissima voce, esternando tutta la sua contentezza.
“ Tu sei bellissima “ mi ritrovai a pensare.
Deglutii, annuendo solo in risposta. Mi accovacciai per raccogliere un po’ di neve, assestandola tra le mie mani come una palla, prima di lanciargliela in faccia. Restò per un momento interdetta, cercando di capire cosa fosse successo. Poi si girò verso di me, con sguardo di sfida. In quel momento, la guerra era iniziata.
Iniziò a raccogliere tutta la neve possibile, lanciandomela addosso. Cercava di colpirmi, invano.
<< Piccola, io sono l’esperto in questa battaglia! Hai perso in partenza! >> mi strinsi nelle spalle, con fare da superiore. Si intestardì ancora di più, lanciandomi più neve di prima. Io ricambiavo, con meno palline bianche.
Sussultai appena sentii una palla di neve infrangersi contro il mio petto. Aprii la bocca stupito, guardando Jahzara che intanto si era data ad una danza vittoriosa.
<< Esperto un corno! Colpito da una principiante! >> esclamò contenta, muovendosi a ritmo di una musica che era solo nella sua testa.
Restai serio, immobile, a guardarla fare quello strano balletto. Era così bella, così felice. La sua risata mi riscaldava. Mi mossi d’istinto.
Percorsi a grandi falcate la distanza che ci separava, parandomi di fronte a lei. Afferrai il suo viso tra le mani e avvicinai il mio. Mi bloccai a pochi millimetri dalle sue labbra. Le sfioravo, riuscivo a sentire il calore delle sue labbra morbide contro le mie. Avevo una gran voglia di baciarla e non lasciarla più andare via dalle mie braccia, ma non potevo. Sospirai contro la sua bocca, che era schiusa e non emetteva fiato. Lo stava trattenendo, stupita.
Chiusi gli occhi e posai la fronte alla sua, prima di lasciare un bacio su di essa. Non potevo infrangere una delle regole, avrei rischiato di perdere anche quei momenti intimi che mi concedeva.

Cosa mi stava succedendo..?

<< Andiamo a fare colazione.. >> sussurrai sulla sua fronte, prima di entrare dentro, sconfitto.
Bramavo le sue labbra più di qualsiasi altra cosa al mondo. 

 

Mi accomodai a tavola, sotto lo sguardo indagatore di mio cugino Cameron. Afferrai un biscotto di pan di zenzero, osservando Jahzara accomodarsi accanto a Cam, accoccolandosi sulla sua spalla. Si comportava come se non fosse successo nulla. Non sapevo come prenderla: se essere sollevato perché non ci aveva dato importanza, o se essere offeso perché è come se a lei non avesse dato emozioni.
Mangiai a fatica, la mia testa ormai era impegnata a indagare sul perché la mia voglia di baciarla era così forte. Per fortuna ero riuscito a fermarmi a tempo. Ma il contatto con le sue labbra, anche se piccolo, aveva risvegliato in me emozioni seppellite da tempo.
Decisi di lasciar perdere, però, e godermi il Natale. 

 

Dopo la colazione, ci accomodammo tutti in soggiorno, avanti il pino addobbato, per il tradizionale scambio di regali. Non staccai gli occhi di dosso a Jahzara, che, nonostante non credesse nella nostra religione, ci osservava contenta.
<< E’ il mio turno.. >> parlai all’improvviso, dopo che tutti diedero i propri regali. Mi abbassai per afferrare una busta che avevo ben nascosto sotto l’albero, porgendola alla mia allieva.
<< Cosa? È per me? >> mi chiese stupita. Era il suo primo regalo di Natale. Annuii.
<< So che non è una tua festa questa, ma.. volevo fartelo lo stesso.. In realtà è anche per Cameron >> sorrisi, guardando mio cugino precipitarsi sull’amica. Aprirono insieme la busta, scrutandone il contenuto. Due biglietti aerei per Parigi, partenza stimata per la settimana dopo la finale. Guardai i volti stupiti e contenti dei due. Iniziarono a scaldarsi, trattenendo urla di gioia, probabilmente.
<< Per Parigi? Sei impazzito? >> esclamò Cameron, scrutando i biglietti, ancora incredulo.
Mi strinsi nelle spalle, ridendo contento per la loro gioia. Persi di poco l’equilibrio quando Jahzara si buttò su di me per abbracciarmi con forza. La strinsi a mia volta a me, ricambiando il suo abbraccio forte da farmi mancare il fiato.
<< Grazie grazie grazie grazie!! >> esclamò, lasciandomi poi di stucco. Posò le sue labbra sulle mie, premendole con forza in un bacio che mi sembrò infinitamente lungo. Purtroppo fu solo un bacio a stampo, ma mi accontentai. La guardai stupito quando si allontanò. << Non montarti la testa, per questo. E’ solo per ringraziarti >> precisò ancora ridendo, prima di tornare da Cam.
Restai qualche secondo ancora lì imbambolato, poi mi schiarii la voce e continuai a distribuire i regali, sotto gli occhi indagatori di tutti. Mi sentivo troppo osservato. Avevo fatto una faccia troppo strana forse?
Mi sentivo gli organi in subbuglio, era tutto sottosopra dentro di me. Era stato un bacio così casto, così innocente, ma allo stesso tempo fu come una bomba esplosa dentro di me. Ero fregato, maledettamente fregato. 

Non spicciai parola con nessuno dopo lo scambio dei regali, soprattuto perché erano tutti intenti a prepararsi per la messa di quella mattina.
Io mi chiusi in camera, mentre mio fratello e i miei cugini si preparavano in bagno.
Mi stesi sul letto, già lavato e con l’asciugamano ancora alla vita. Non avevo la forza di vestirmi.
<< Adrian.. Dobbiamo parlare. >> sentii all’improvviso. Cameron entrò di soppiatto, chiudendosi a chiave la porta alle spalle.
Mi girai verso di lui, mettendomi a sedere mentre lo guardavo con la fronte corrugata.
<< Aiutami, Cam.. Che mi succede.. >> sussurrai con voce tremante. Mio cugino sospirò, sedendosi accanto a me sul letto.
<< Vi ho visti stamattina.. quando ti sei fiondato su di lei per baciarla.. Mi sembrava di aver capito che non vi siete mai baciati e che non avreste dovuto mai.. >> chiese perplesso, posando una mano sulla mia spalla nuda.
<< Si, perciò mi sono fermato.. Desideravo baciarla come non ho mai desiderato nient’altro.. >> sospirai, passando una mano tra i capelli ancora bagnati. << E’ come se non mi bastasse più avere il suo corpo.. Voglio di più ma non posso averlo. Rischio di perderla. >> continuai, rivolgendogli poi uno sguardo disperato. << Non.. Non provo queste cose da anni ormai.. E non voglio provarle. Non devo. Aiutami. >>
Cameron sospirò dispiaciuto, abbracciandomi con forza.
<< Adrian.. non posso aiutarti a non amarla. Non avrebbe dovuto baciarti prima.. è un’ingenua. >> si staccò dall’abbraccio, passando una mano sulla faccia << Che casino.. In un modo o nell’altro rischi di perderla, Adrian.. Devi solo decidere se perderla avendole detto che ti stai innamorando di lei o perderla a causa di qualcun altro o perché hai deciso di allontanarti.. >>
<< Non posso! Non posso perderla in nessun caso, Cam.. Ma forse.. se non mi faccio coinvolgere più sessualmente.. non lo so.. >> sbuffai, alzandomi dal letto. Dovevo vestirmi e cercare di scacciare via il ricordo di quel bacio impresso ancora sulle mie labbra.
<< Non andarci più a letto potrebbe essere un passo avanti, ma tu ti stai innamorando di quello che è lei dentro.. Ormai per il suo corpo sei impazzito da tempo. Ho letto le vostre chat.. “Latte” ovunque, tutti i giorni, a tutte le ore. Siete instancabili. >> scosse la testa in senso di diniego, ma io sorrisi.
<< E non hai contato le volte in cui eravamo già insieme.. >> ridacchiai, abbottonando la camicia bianca. << Devo solo allontanarmi da lei per riseppellire queste emozioni.. Ma non posso farlo.. Non ci riuscirei nemmeno volendo. Lei ha bisogno di me. >> ammisi.
<< Vienine a capo, Adrian.. O ti immergi completamente in questi sentimenti, o la perdi perché sei un codardo. >> mi rispose sincero mio cugino, lasciandomi una pacca sulla spalla prima di uscire dalla stanza, lasciandomi solo con il mio fardello.


Finii di vestirmi in fretta, raggiungendo gli altri all’ingresso mentre sistemavo la giacca blu del completo. La messa di Natale era l’unica occasione in cui mi vestivo elegante. Avevano detto anche a Jahzara di venire con noi. Avrei preferito restasse a casa, se non fosse che sarebbe rimasta completamente sola. Non potevo sopportare quel peso anche a messa. Però poi mi sarebbe mancata e avrei pensato tutto il tempo a lei e alla sua assenza.
Sarei impazzito a breve.
La vidi scendere le scale nel suo vestito bianco che le scopriva le gambe perfette slanciate dai tacchi. Deglutii, scrutandola in tutta la sua bellezza. Avrei voluto prenderla lì, in quel preciso istante. Se solo non ci fossero stati tutti gli altri..
Incastrai il labbro inferiore tra i denti, stringendolo quasi a farlo sanguinare, rivolgendo poi uno sguardo di aiuto a mio cugino, che sospirò rassegnato.
Non avrei potuto farcela, a percorrere nessuna via, né verso di lei né lontano da lei. 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Adrian 

 

“Calma, calma, calma, calma, calma” mi ripetevo in mente, cercando di distogliere lo sguardo dalle cosce nude di Jahzara che toccavano le mie.
Eravamo seduti su una panca nel retro della navata della chiesa. Lei era in evidente disagio, si guardava intorno e ammirava gli affreschi e le statue a tema religioso. Io avrei dovuto seguire la messa di Natale, ma la mia allieva era decisamente più interessante. Mi sembrava di sentire il mio amico nei pantaloni implorare.
La consapevolezza che stavo assumendo in quei giorni dei miei sentimenti verso di lei, mi faceva sentire più attratto ma allo stesso tempo mi faceva desistere dal dirle la parolina magica. Avevo un bivio di fronte a me: o facevo finta di niente per poterla ancora toccare o dicevo addio a tutto nel tentativo di rompere le regole e confessarle i miei sentimenti.

Nel frattempo di una risposta da me stesso, mi godevo il nostro patto ancora un po’.

Posai una mano sulla sua coscia liscia, accarezzandone l’interno lentamente, con movimenti delicati. Notai con la coda dell’occhio Jahzara girarsi di scatto verso di me.
<< Che fai..? >> mi sussurrò, mentre la mia mano si insinuava sotto la sua gonna, sempre più vicina alla sua intimità. Mi avvicinai al suo orecchio, sorridendo.
<< Te l’ho già detto che sei bellissima oggi? >> sussurrai, sfiorando il suo orecchio con le labbra. I suoi muscoli si irrigidirono sotto la mia mano e sotto i miei occhi. Sorrisi, guardandomi poi intorno.  << Vieni con me, ti voglio far vedere una cosa. >> continuai, più serio.
Sfilai la mano dalla sua gonna, per afferrare il suo polso e portarla con me in una navata nascosta che custodiva piccoli altarini dedicati.
La vidi guardare interessata gli altari con gli affreschi, mentre la trascinavo in sagrestia. Mi fermai avanti un grande quadro, lasciandole solo in quel momento il braccio.
<< Wow.. >> sussurrò lei, tenendo gli occhi fissi sul quadro enorme, scrutandone ogni piccolo dettaglio.
<< La glorificazione dell’eucarestia.. >> sussurrai, spiegando il quadro << E’ molto interessante, sai? Ci sono state diverse teorie divertenti su questo quadro >> continuai, mentre facevo scendere la mano dalla sua schiena al suo sedere, stringendolo in una morsa delicata. La sentii gemere. Sorrisi. << Pensa che appassionati di ufologia hanno visto nella parte alta che raffigura la trinità, le sembianze dello sputnik russo, il primo satellite artificiale lanciato oltre l’orbita della Terra, nel 1957 >> spiegai, alzandole la gonna per poter palpare il suo sedere scoperto.
<< Si vede che sei una guida >> sussurrò, cercando di coprirsi il sedere con la gonna.
Mi limitai ad annuire, prima di prenderla per i fianchi e poggiarla sulla scrivania di colui che sta a capo del monastero. Posai le labbra sul suo collo, lasciandole piccoli baci umidi mentre tornavo ad accarezzare le sue cosce nude.
<< Mi hai portata qui per mostrarmi il quadro o il tuo cazzo? >> mi sussurrò divertita, inclinando la testa di lato per farmi spazio sul suo collo.
<< Entrambe le cose >> risposi sulla sua pelle, con la voce già roca dall’eccitazione.
<< Ma siamo in un luogo per te sacro.. e pieno di gente >> protestò, cercando di allontanarmi da lei, visibilmente imbarazzata.
<< La mia voglia di te è più forte della mia fede.. e non si muoveranno da lì per almeno un’ora. >> la guardai serio, spostando la mano dalla sua coscia per accarezzarle l’intimità con il pollice. La vidi deglutire e mordersi il labbro inferiore. << Rilassati.. >> le sorrisi, tornando a torturare la pelle del suo collo, baciandola e mordicchiandola. Le spostai le mutande per poterla accarezzare direttamente sul clitoride, torturandolo lentamente. Le sue mani si aggrapparono alle mie spalle, tirandomi verso di lei, nel tentativo di non dar sfogo al suo piacere con suoni molesti.
Con la mano libera sbottonai i miei pantaloni, aprendoli del tutto per poter liberare il mio membro dalla morsa degli indumenti. Tirai un sospiro di sollievo una volta tirato fuori. Spostai il dito dal clitoride all’apertura, penetrandola piano per prepararla; l’altra mano era intenta a recuperare il portafogli dalla tasca e successivamente il preservativo.
Mi sfilò quest’ultimo da mano, aprendolo per poterlo srotolare lei stessa sul mio membro duro. Chiusi gli occhi al contatto con le sue dita, prima di attirarla con forza verso di me, facendo cozzare le nostre intimità nude. Leccai le mie labbra, penetrandola lentamente.
Si fece sfuggire un gemito dalle labbra, che coprii immediatamente con la mia mano. Posai la fronte alla sua, muovendo il bacino verso di lei prima lentamente, poi sempre più veloce e sempre più forte. Sgranò gli occhi sorpresa dalla violenza delle mie spinte, aggrappandosi alla mia giacca mentre si lasciava andare in gemiti di piacere contro la mia mano.
<< Ti desideravo da morire >> le confessai con un filo di voce, continuando a penetrarla sempre più forte, mordendomi le labbra per non lasciarmi andare in gemiti rochi.
Sgranai gli occhi sorpreso nel sentirla muoversi presa da scosse di piacere, mentre veniva contro la parte bassa della mia camicia. Non me lo aspettavo.
Le sorrisi compiaciuto, tornando a spingere velocemente. Non staccai un attimo gli occhi dal suo viso provato. Cercava di trattenersi dall’impazzire di piacere, scossa ancora dall’orgasmo appena avuto. Ridacchiai contento nel vederla in quelle condizioni, dando l’ultima steccata che provocò il mio di orgasmo, riversandomi nel preservativo. Chiusi gli occhi, posando la fronte sulla sua spalla mentre cercavo di riprendermi.
Mi sfilai da lei, rimettendole apposto gli slip.
<< Non mi aspettavo potessi venire così.. e così in fretta >> le confessai sincero, togliendo il preservativo prima di annodarlo e metterlo in tasca. Lo avrei buttato dopo. Guardai la mia camicia bagnata dai suoi umori, ridendo. << Guarda qua.. >> passai una mano sul viso, prima di ricompormi, infilando la parte bagnata della camicia nei pantaloni.
<< Te l’ho detto che gli orgasmi che ho con te non li ho mai avuti con Derek.. >> mi rispose, stringendosi nelle spalle mentre si aggiustava i capelli.
<< Mi fai gongolare così >> le sorrisi, ondeggiando contento su me stesso.
Mi girai di scatto appena sentii i passi di qualcuno avvicinarsi. Tirai Jahzara giù dal tavolo, facendola fermare avanti il quadro di prima, al mio fianco. << Il cosmo rappresenta il mondo su cui Dio e suo Figlio hanno il potere.. Potere simboleggiato anche dagli scettri che l’artista gli ha disegnato in mano.. >> continuai con la spiegazione, girandomi poi verso il monaco che aveva fatto la sua presenza nella stanza.
<< Ragazzi, cosa ci fate qui? >> ci chiese confuso, scrutandoci da capo a piedi.
<< Oh, salve! >> gli sorrisi cordialmente, indicandogli poi il dipinto alle mie spalle << Mostravo alla mia amica questo quadro.. >> spiegai semplicemente. Il monaco annuì e intrecciò le sue mani sulla pancia.
<< Al momento non è consentito l’ingresso in sagrestia.. Dovete chiedere un permesso per visitare il monastero >> ci spiegò lui, cordialmente. Annuii, prima di prendere Jahzara per mano e avvicinarmi all’uscita.
<< D’accordo, andiamo via subito. Buona giornata. >> salutai, tornando mano nella mano con la mia allieva, al nostro banco.

Dopo la messa, ci riunimmo alla famiglia nel cortile di fronte l’entrata.
<< Ragazzi, eccovi! Dove eravate finiti? >> ci chiese mia madre, guardandoci con sguardo indagatore. Se solo sapesse che ho profanato un luogo sacro..
<< Si stava annoiando, non capiva la messa e allora l’ho portata a vedere gli affreschi della chiesa.. Deformazione professionale. >> mi giustificai, stringendomi nelle spalle. Infondo, non era del tutto una bugia. Qualcosa le ho fatto vedere, oltre le stelle.
<< Adrian.. >> mi richiamò mio cugino, tirandomi in disparte con Jahzara. << Dove siete andati, davvero? >> ci chiese curioso, da vero impiccione.
<< A vedere il quadro in sagrestia. >> mi strinsi nelle spalle, mentre le guance della mia amante presero fuoco. Cameron sembrò accorgersene e spalancò gli occhi, incredulo.
<< Avete scopato in sagrestia? Siete impazziti? >> sussurrò, facendo slittare gli occhi da me a lei e viceversa, velocemente.
<< Non ce l’ho fatta a trattenermi.. >> mi giustificai, tenendo gli occhi su Jahzara, scrutando il suo corpo con sguardo malizioso. Mi beccai un pugno sul braccio, anche fin troppo forte.
<< Smettila di guardarmi così! Contieniti! >> mi guardò male, mostrandomi il pugno che avrei beccato per la seconda volta se non avessi smesso. Sbuffai, spostando lo sguardo dal suo sedere, guardandomi intorno.
<< E’ ovunque. >> sbuffai, notando la mia ex ragazza con suo figlio. E pensare che a quest’ora, quel bambino poteva essere il mio. Non l’ho mai perdonata per aver scelto da sola di abortire e mai la perdonerò. Mi sarei preso le mie responsabilità, era mio figlio e già lo amavo.
Sospirai a quel ricordo, passando una mano sul viso. La sua vista mi aveva rovinato la bella mattinata.
<< Guarda Adrian! C’è Kayla! >> esclamò mia madre, prendendomi per un braccio. << C’è un bambino con lei.. Forse è suo nipote! >> esclamò intenerita, trascinandomi da lei contro la mia volontà.
<< Mamma, smettila. Non voglio averci a che fare con lei. >> ringhiai infastidito, tenendo lo sguardo fisso sulla mia ex ragazza messa in tiro per quella mattina di Natale. Mia madre sembrava non ascoltarmi.
<< Ciao tesoro! Buon Natale! E buon Natale anche a te piccolino! >> esclamò così contenta che mi dispiaceva dirle la verità. Non volevo farla stare male.
<< Andiamo mamma, abbiamo da fare.. >> sussurrai, cercando di allontanarla da lì, invano.
<< E’ tuo nipote? >> chiese invece, guardando Kayla, che scosse la testa.
<< No, è mio figlio. >> rispose. Mi madre si bloccò, forzando un sorriso cordiale. Le diede ancora gli auguri di Natale e si allontanò.
<< Mamma, aspetta! >> la fermai, guardandola negli occhi confusi. << Ora capisci? Il figlio è di Derek, quello che era il mio migliore amico, ti ricordi? Li ho beccati il giorno in cui la lasciai, il giorno della gara.. Lo hanno concepito quella sera. >> spiegai, guardando mia madre sempre più confusa. << Ora, per favore, non nominarla più, non voglio averci più niente a che fare. >> le rivolsi uno sguardo implorante. Si limitò ad annuire e a lasciarmi un bacio sulla guancia prima di allontanarsi e tornare dalla famiglia. Sembrava più delusa lei che io a quella notizia. Ci sperava così tanto in un nostro ipotetico matrimonio.
Mi girai verso Jahzara, guardandola discutere con Cameron, scioccato anche lui alla notizia.

Doveva essere un bel viaggio, dovevano essere delle belle settimane, ma ogni singolo momento era stato rovinato da quell’essere che credevo di amare.
In quel momento capii che voleva stare con me perché ero l’uomo perfetto con cui costruire una famiglia, una vita. Non ero mai stato amato da lei, il suo intento era usarmi per avere una vita tranquilla.
Guardai di nuovo la mia allieva, sospirando. Nemmeno lei mi amava. Le servivo solo per vincere la gara. E poi? Cosa ne sarebbe stato di noi? Avrei dovuto fingere a vita di non amarla.
Dovevo rinunciare anche a lei, per non essere deluso di nuovo. La strada da prendere al bivio era quella utile a salvaguardare il mio cuore.
<< Devo smetterla di innamorarmi di chi non mi amerà mai.. >> sussurrai tra me e me, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni, prima di allontanarmi a testa bassa. 

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