The Realm Between

di HikariRin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Veri Amici ***
Capitolo 2: *** ~ Dolore ***
Capitolo 3: *** ~ Legame ***
Capitolo 4: *** ~ Numero XIII ***
Capitolo 5: *** ~ Nessuno ***
Capitolo 6: *** ~ Cambiamento ***
Capitolo 7: *** ~ Umani ***
Capitolo 8: *** ~ Recisione ***
Capitolo 9: *** ~ Tramonti ***
Capitolo 10: *** ~ Verità ***
Capitolo 11: *** ~ Disillusione ***
Capitolo 12: *** ~ Finale ***
Capitolo 13: *** ~ Epilogo ***



Capitolo 1
*** ~ Veri Amici ***


The Realm Between ~ 1

Veri Amici



Sul Giardino Radioso stava finalmente scendendo il tramonto.
Forse, la giornata più lunga che io avessi mai vissuto.

Mi resi conto allora, con la schiena saldamente poggiata alle mura della torre, che avevo trascorso l’intera giornata a rincorrerlo; mi chiesi se, in qualche modo, se ne fosse accorto. Isa continuava a guardare in basso, e il cuore mi batteva forte al pensiero che alla più piccola distrazione avrebbe potuto perdere l’equilibrio. Non sembrava affatto curarsene. Aprì le braccia al passaggio del vento, sul suo viso c’era un sorriso felice.

Non potevo vederlo, ma lo immaginavo molto bene.

“Mi piacciono i posti alti. Adoro questo inafferrabile senso di libertà.”

Non si voltò affatto, mentre lo diceva. Sapeva che io avevo paura.

“Un giorno vorrei raggiungere il posto più alto di tutti. E allora, guardare giù.
  Se anche dovessi cadere, sarei contento di farlo da dove pochi oserebbero andare.”

Allora, si voltò. Si voltò, e mi sorrise.

Eravamo amici. Non che potessi pretendere qualcosa di più. In qualche modo, mi sentivo felice solo perché una persona schiva e incurante come lui aveva voluto avvicinarsi a me. Non capivo nemmeno se la nostra vicinanza avesse un motivo, ma in quel momento nemmeno m’importava. Durante quella giornata avevo conosciuto un nuovo amico, e seguendolo nel posto più alto che conosceva stavo cercando di tentando di avvicinarmi ancora ad un amico che avevo già. Sorridevo spensierato, mentre osservavamo la torre da lontano, perché pensavo che sarebbe stato un momento speciale solo per noi due.

Quando vidi il sorriso sincero dei suoi occhi che rilucevano al tramonto, il mio cuore mi disse di smettere di avere paura per lui, e fu allora che mi avvicinai al bordo. La città cominciava a tingersi di un colore gradatamente meno radioso, e tuttavia molto bello. Dall’alto potevo vedere piante e fiori, la piazza in cui eravamo stati fino a poco prima, il cielo più vicino di quanto non lo avessi mai visto. In quel momento pensai di volerlo fare tante altre volte, ma fu probabilmente perché mi vide vacillare che Isa mi prese la mano.

“Grazie per essere venuto qui con me, oggi. Sei un vero amico. Scusa per quello che ho detto prima.”

Rise, nascondendo il viso dietro la manica della sua giacca.

“Avresti dovuto mentire. Sarebbe stato più sopportabile.”

“Non avrei avuto nessun interesse nel farlo, di fronte a uno sconosciuto.”

“Perché, non sono forse gli sconosciuti che un giorno diventeranno tuoi amici?”

Mi guardò, senza alcuna apparente espressione. Era il tipo che non avrebbe mostrato nulla nemmeno ad un amico. Sicuro del mio posto quasi speciale al suo fianco, però sapevo che dietro al rigetto del suo sguardo per i sentimenti si nascondevano tante più cose di quante voleva dare a vedere. Forse il mio sorriso aveva un che di poco maturo ma, quando elicitò il suo, allora mi parve che il cielo si facesse un poco più luminoso.

“La prossima volta, proverò a fare il tifo per te.”

“Allora devo trovare un nuovo avversario al più presto.”

“Per adesso mi basta che tu sia qui.”

Non potei più guardare verso di lui. Fu totalmente inaspettato, mi colpì dentro. Se avesse pronunciato un’altra parola di apprezzamento, sarebbe stato troppo. La mia mano si inumidì nella sua, e tentai di svincolarmi, ma sentii il vuoto che mi chiamava ed allora ebbi l’istinto di fare un passo indietro. Allora Isa mi afferrò ancora più forte. L’ha sempre avuto, questo senso di responsabilità nel dovermi tenere a bada.

“Possiamo farlo altre volte.”

Dissi, cercando di dissimulare l’imbarazzo, e lui si sporse leggermente per guardarmi dritto negli occhi.

“Davvero? Un attimo fa, mi è sembrato che tu avessi paura.”

“Io? Paura?! Sento l’adrenalina fin sopra i capelli! S-sono davvero a posto, non preoccuparti per me!”

Frizionai i capelli con una certa sicurezza.

“Ah sì?”

“Avevo paura per te, piuttosto. Perché sono un vero amico!”

Si fermò sui miei occhi, e qualcosa dentro di me sobbalzò più volte.

“Io non ho paura.”

“Lo so.”

Lo sapevo bene. Mi ero già pentito di essere salito sulla torre con lui. Sebbene il paesaggio fosse onirico e il tramonto magico, sognavo solo di potermi sottrarre al più presto a quel timore costante. Allo stesso tempo, volevo che quella sera non finisse. Quell’amico che mi rendevo conto di non aver probabilmente mai conosciuto così a fondo mi stava dimostrando fin troppo, tanto che temevo di sbagliare qualcosa.

“Questo posto è niente, in confronto a quello che voglio raggiungere.”

Guardai in basso, assorto in ciò che significavano le sue parole, e pensai che se avesse raggiunto luoghi più alti di quello avrei forse avuto più paura a lasciarlo da solo piuttosto che ad essere lì con lui. Perderlo in quel modo sarebbe stato ben poco remunerativo. Piuttosto, mi sarei sacrificato per lui. Non sarei mai morto, quantomeno. Tra me e me, sorrisi sommessamente. Sarei stato immortale. Mi voltai nuovamente verso di lui, e corrucciai le labbra in un’espressione di aperto dissenso. Non sarebbe mai stato quel tipo di persona. Probabilmente, mi avrebbe ricordato solo come una persona morta in circostanze a dir poco assurde, e che tranquillamente avrebbe potuto evitare. Abbandonai quell’idea, e tornai soltanto a quella di seguirlo.

“Voglio venire con te.”

Riuscii nuovamente a catturare la sua attenzione.
I suoi occhi limpidi e severi mi scrutarono profondamente, quasi ad indagare se avessi potuto mentire.

“Sei sicuro?”

“Ricordi quello che ti ho detto ai piedi della torre? Se condividessimo gli stessi obiettivi e li raggiungessimo sempre insieme, dovresti ricordarmi per forza, giusto? Non voglio trascorrere un’esistenza noiosa.”

Non erano rimasti che pochi fasci dei raggi del sole. Eppure il suo mondo parve illuminarsi come mai prima.

“Sei proprio strano.”

Tornò ad osservare i tetti delle abitazioni che lentamente perdevano i loro colori, e mestamente sorrideva. Risi del suo sorriso misto a quel panorama sempre più scuro, e mi appoggiai sulle braccia alzando lo sguardo verso il cielo. Lui fece la stessa cosa. Il mio cuore era più tranquillo; sebbene la mia mano si scaldasse ancora nella sua, cominciai a sentire freddo. Ero entusiasta delle stelle che cominciavano a intravedersi in quello sconfinato manto scuro, ma istintivamente mi ritirai nelle spalle. Sussultai ancora una volta allorché mi sentii sfiorare dalla sua giacca. Lo guardai attonito, convinto di togliergli qualcosa di importante, ma incontrai ancora il suo sorriso. Era diverso dalle volte precedenti, pareva davvero contento.

“Lea, restiamo insieme anche a guardare la luna.”

Certo, pensai. Un astro per ciascuno. Sorrisi al suo stesso modo, e dato che me ne aveva fatto dono mi strinsi nella sua giacca. Sollevai lo sguardo ad osservare le prime stelle della sera, e parlammo ancora e ancora.
Non gli chiesi mai se anche a lui non era parso di essersi avvicinato un po’ di più a me, quella volta.

Le alture piacciono anche a me. Danno modo di riordinare i propri sentimenti. Anche se avevo già compreso ogni cosa, e non trovavo niente su cui riflettere. Lui pareva assorto in un qualcosa che allora non potevo comprendere. D’un tratto si voltò verso di me e mi guardò, come si guarda qualcosa cui si anela fortemente.

“Verrai con me anche domani?”

Annuii. Come fosse la cosa più naturale del mondo.
Ci sarebbe sempre stato un astro per ciascuno, ci sarebbe sempre stata una giornata seguente.

“Sarò sempre il tuo migliore amico. Memorizzalo.”

 I suoi occhi si accigliarono per un attimo, e il suo sguardo cambiò.

“Da quando siamo migliori amici?”

“Da quando andremo dovunque insieme.”

Sospirò, tornando a guardare altrove. Avrei detto di averlo messo in imbarazzo.
Quei momenti da parte sua erano talmente rari che sorrisi divertito.

“Hai sempre la risposta pronta.”

“E tu non dici mai niente. Fortunatamente, sono abbastanza bravo a capirti.”

“Davvero? Per cominciare, non volevo affatto un migliore amico.”

“Cosa?! Potresti almeno fare finta!”

Accanto a me, sapeva ridere. Quando ricordo quei momenti, il mio cuore si scalda sempre.

“Va bene, ho capito. Niente migliori amici.”

“Posso darti una possibilità. Hai parlato di obiettivi, no?
  Qual è il primo che vorresti raggiungere?”


Volevo conoscerlo ancora meglio, perché il suo entusiasmo anche se poco accennato sapeva trascinarmi lontano. In quello stesso momento in cui aveva deciso di accogliermi, decisi che lo avrei seguito ovunque.

“Non provare terrore nel sedermi sul bordo di una torre.”

“Io voglio salire ancora più in alto.”

Provai un indistinto senso di nausea, perché avevo appena siglato un contratto per il quale avrei dovuto salirci con lui. Ma, nello stesso momento, ero sollevato. Avevo trovato qualcosa di importante, un posto. Semplicemente un posto accanto a qualcuno, e per la prima volta sentii di non volerlo cedere o perdere.

“Ogni volta che guarderò la luna mi ricorderò di te, Isa.”

“Non sei tu quello che vorrebbe essere ricordato?”


Probabilmente la mia fu solo una grande pretesa, ma quel giorno credetti di aver compreso il vero significato dell’amicizia.

Mi ripromisi che, se anche fossero sopraggiunte diverse tempeste a separarci,
non avrei mai scordato quella giornata.


Note dell'autrice:


Salve a tutti, sono HikariRin!

 

Questa storia è stata la principale motivazione per cui ho voluto rispolverare la saga dopo anni di assenza dal fandom, e ho dunque giocato nuovamente tutti i giochi che ci hanno portati qui, alla vigilia del terzo capitolo.

Se anche voi vi siete mai domandati cosa quei due volessero fare sulla torre, qui ho dato la mia personale interpretazione. Ovviamente siamo partiti da Birth by Sleep, ma questa storia ripercorrerà tutte le vicende trascorse in 358/2 Days e Kingdom Hearts II, fino a giungere al finale di DDD. Ma parliamo del titolo.

In DDD Ienzo fa riferimento ad un 'Realm Between': Traverse Town, un mondo tra i mondi, nel quale le persone si vengono a trovare allorché il loro mondo non esiste più. Come un mondo di mezzo. Nella mia personalissima visione delle cose, il legame tra Isa e Lea è come un mondo di mezzo, rotto e ricostruito diverse volte, ma Lea continua a voler trovare quel legame e per farlo è disposto ad esplorare un mondo nuovo. Così anche Isa, nonostante per ovvie motivazioni non possa esprimerlo pienamente.

The Realm Between è una storia che va alla ricerca del motivo per il quale Isa e Lea si sono separati.

E spero che in Kingdom Hearts III anche questi due amici possano avere un degno finale.

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Capitolo 2
*** ~ Dolore ***


The Realm Between ~ 2

Dolore



Quello che vedo adesso è il luogo più alto che io abbia mai conosciuto.

Sebbene questa finestra mostri solo uno scorcio di ciò che è.

Kingdom Hearts, l'eterno custode dei cuori.

 

Una volta avevo un cuore; per negligenza o inerzia, non mi ci sono mai rapportato davvero. Non potevo sopportare di sentirmi oberato dai miei propri sentimenti, quasi fossero un peso o io dovessi necessariamente capire come mi sentivo. Indagare se stessi, cercare di essere coerenti, esternare ciò che si prova; sono sempre stati concetti a me estranei, e per quanto mi sforzassi non riuscivo a trovare la mia persona interessante, né sentivo che sarebbe potuta cambiare. Nel tempo, smisi totalmente di entrare in contatto con me stesso.
Probabilmente è per questo che un altro è riuscito ad insinuarsi con estrema facilità sotto le mie vesti.

Avevo appena trovato qualcuno con cui valesse la pena condividere ciò che ero. Una persona importante.
Al tempo, non avrei mai pensato di poter trovare qualcosa che un giorno non avrei più voluto perdere.

Faceva quello che gli andava di fare. Era appassionato ed emotivo. Amava la vita, non perdeva occasione di esternare questa semplice realtà. Aveva un carisma tale da trascinare chiunque. Lo attraeva qualcosa di me e non capivo cosa fosse, ma comprendeva la mia solitudine prima di me stesso. Non faceva che chiamarmi per nome, chiamarci amici, migliori amici. Ogni serata trascorsa con lui era un arricchimento. Eravamo diversi, ma forse era proprio il fatto che brillava di luce propria che mi portava ad associarlo a qualcosa di più grande. Mi colpì molto che, fra tante persone, avesse deciso di associarsi proprio a me. Forse fin dall’inizio aveva compreso la mia debolezza, il motivo per cui io stesso non volevo indagare ciò che avevo dentro.

Non sapevo nemmeno cosa fosse un amico. La sua presenza mi portò a interrogare il mio cuore. Tra i miei ricordi ce n’è uno importante, di un giorno in cui dall’alto della torre sulla quale avevamo passato un’intera serata il cielo mi era parso più vicino, maggiormente conoscibile, scrutabile, indagabile. Adoravo i posti alti, perché se anche uno di essi avesse posto fine alla mia esistenza niente sarebbe cambiato. Quando sei in cima a qualcosa provi solo una sensazione di estrema pienezza, ed essa basta. Interrogarsi oltre è superfluo, se dentro senti il vuoto. Quella sera il vuoto era davanti a me, e per la prima volta ebbi timore di cadere.

“Domani torneremo qui?”

Mi chiese, con lo sguardo rivolto verso i tetti del borgo che si coloravano di scuro, e non potei fare a meno di notare il palpabile imbarazzo che mostrava nel pronunciare quelle parole, come se in qualche modo avessero potuto infastidirmi.

“Non sei obbligato, se non vuoi.”

Provai la sua testardaggine di proposito, perché sapevo che in quel modo lo avrei convinto a venire con me.
Sapeva essere piuttosto prevedibile. Ma se anche si fosse rifiutato, credevo non mi avrebbe turbato.

“Ti ho già detto che tornerò alla torre con te. Solo che...”

Aveva incrociato le mani al petto, ed una di esse teneva saldamente l’altra, quasi dovesse scivolare via.

“È opprimente, questa sensazione di poter perdere qualcuno con così poco.”

 

Biascicava le parole, e nella mia perpetua noncuranza dei sentimenti degli altri, o dei sentimenti degli altri e dei miei, non capivo perché mi stesse dicendo quelle cose. Appoggiai saldamente una mano alle mura della torre, dandogli le spalle. La luna è un astro con una forte personalità, solo tra le ombre del cielo. Solo come me. Eppure quella sera per un momento l’avevo sentita di entrambi. Avevamo fatto qualcosa insieme, qualcosa che speravo di ripetere. Ero stato bene con qualcuno. Ero passato dal prenderlo in giro all’essere tremendamente serio con lui.

“Perdere me ti dispiacerebbe?”

Un vento leggero muoveva le foglie e i fiori ormai chiusi del giardino che avevo sempre ammirato. Lo sentii arrivare dietro di me. Non voleva essere una domanda tendenziosa. Uno come lui doveva avere una moltitudine di persone intorno, quello era il mio pensiero. Doveva esserci sicuramente chi aveva una luce molto forte, chi ne emetteva meno. E poi c’ero io, che sorgevo alla sera, che non ne emettevo affatto.

“Tu sei mio amico.”

Al tono flebile col quale aveva pronunciato quelle parole mi sentii raggelare, seppure il mio cuore volesse scaldarmi battendo più forte. Lui era lì, e capii che avrei potuto brillare solo finché lui sarebbe stato con me.

“Che cos’è un amico, Lea?”

Volevo una risposta sincera. Sentivo come se, per la prima volta, qualcuno stesse per darmi una speranza, e all’indomani del nuovo giorno avrei potuto sentire una luce diversa intorno a me; una ragione per vivere.

“Un amico non ti lascia mai andare. Un amico ti tiene la mano. Lo hai fatto perché avevi paura che io cadessi, vero? Lo hai fatto quasi senza pensarci. Io, invece, ci ho pensato per tutto il tempo.”

Pareva quasi una punizione.

“Tu hai bisogno di avere accanto qualcuno, e io ne ho bisogno allo stesso modo.
   Non voglio passare tutte le mie serate sulla torre con te ad avere paura che tu possa cadere.”

Inizialmente pensai di rispondergli che tra i due non avrebbe certo dovuto avere timore per me. Poi fui vinto dalla spontaneità, dalla solarità delle sue dichiarazioni. Ammettere a me stesso di essere tanto fragile e debole sarebbe equivalso a legarlo a me più di quanto avrei voluto, perché se un giorno avessi poi desiderato di cadere lui mi avrebbe seguito, o io avrei dovuto portarlo con me. In entrambi i casi l’amico che avevo scelto avrebbe sofferto, e non volevo intaccare la sua personalità con la dannazione eterna della mia.

“Se vuoi passare le serate con me, devi accettare quel dolore.”

“Perché?

Capii che avrei voluto allonanarlo, e i suoi occhi si fecero più severi. Il silenzio intorno a noi mi rendeva tranquillo, ma sentivo qualcosa dentro di me; qualcosa di opprimente, dolente. Non avrei saputo nominare quella sensazione.

“Perché vuoi aggiungerne ancora?!”

Forse vertigine, timore del vuoto.

“Perché tu non sarai mai pronto a quell’eventualità, Lea.
  E se non sarai mai pronto, forse è meglio che tu rimanga fin da ora ai piedi della torre...”


Dalla mia finestra vedo un abisso senza fine. Cadendo da qui, non potrei comunque avere paura. Avrei timore per lui, che ha fatto tanto per inseguirmi. Non ho mai conosciuto la felicità; semplicemente, non avrei mai voluto conoscerla, perché l’oscurità è casa mia. Mi sarei tirato indietro per paura di rimanere solo, una forte personalità in un abisso oscuro. Non volevo rincorrere la caducità di un legame, un effimero déjà vu.

“... Ma se ci sei anche tu, io ho meno paura.”

Non posso permettermi alcuna distrazione, non posso permettermi alcuna emozione; perché cadrei ancora più a fondo, e non vorrei mai che lui venisse con me. Se un giorno avessi indietro il mio cuore, vorrei abbandonare il mio dolore. Vorrei cambiare. Come la luna che danza nel cielo, essere libero di vivere.
Recuperare ciò che avevamo costruito. Perché, nonostante io avessi scelto di scivolare via, lui si è fatto coraggio per me, ha acceso un fuoco. Non scorderò mai che è grazie a lui se ora sento di voler tornare.
 

Note dell'autrice:

Di nuovo, sono HikariRin!

Come avrete intuito, i punti di vista sono invertiti.
Così avremo un capitolo con protagonista Lea, ed uno seguente con protagonista Isa. Se anche non potete soffrire uno dei due vi consiglio di leggerli tutti, perché ci saranno cose narrate da entrambi che aiuteranno a ricostruire i pezzi. Inoltre, per l’intento di questa storia, è necessario ascoltare entrambe le campane.

A differenza di Lea, Isa parla dalla fine di Kingdom Hearts II, in quanto non possediamo ancora sufficienti informazioni per cui io possa addentrarmi più avanti, fatta eccezione per trailer e DDD ovviamente, ma a quanto sembra i ricordi del loro incontro in quel frangente sono stati completamente cancellati.

Ci saranno diversi flashback e spero riusciate a comprendere in ogni momento il ritmo della narrazione; i prossimi capitoli cominceranno anche ad essere un po’ più lunghi. Spero non ne verrete scoraggiati.

Vi lascio quindi alla lettura dei prossimi capitoli, e vi ringrazio del tempo che avete deciso di concedermi.

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Capitolo 3
*** ~ Legame ***


The Realm Between ~ 3

Legame
 


La nostra vita nell’Organizzazione cominciò senza che potessimo accorgercene.

Da un momento all’altro, non avevamo più niente di ciò in cui credevamo.

Rimaneva solo l’illusione di qualcosa che non sapevamo per certo esistesse.

 

I nostri incontri dovevano essere sempre più brevi di quanto avremmo voluto, mi aveva costretto a mantenere una certa distanza da lui. Mi dava sui nervi. Proprio nel momento in cui credevo di averlo più vicino, mi aveva allontanato di nuovo. Non che mi desse sui nervi davvero; insomma, non avrebbe potuto. Ma a pensarci adesso era qualcosa che mi infastidiva enormemente. Allora, tentai di fare in modo che lo capisse.

“Il Castello dell'Oblio?”

“È una delle sedi dell'Organizzazione.
  Xemnas afferma che nasconde diversi segreti, e che qualcosa vi è destinato ad accadere.
  Potrebbe essere la nostra occasione di intuire i suoi reali piani. Stiamo attenti.”

“Memorizzato.”

Presi un sorso dalla bottiglia d'acqua che tenevo in mano, mentre lui era intento ad osservare non so cosa dalla finestra che dava sul ponte del castello, anche se non lo si poteva scorgere distintamente. Era sempre un’avventura, quella nelle cucine. Alle volte, trovavamo Zexion impegnato nel dilettarsi ai fornelli. Spettacolo esilarante.

“Sono curioso adesso, di visitare questo castello.”

“Dicono che vi si possa perdere qualcosa di importante.”

Il tono con cui mi parlava era sempre freddo, piuttosto distante. Non che prima mi parlasse in modo troppo diverso. Ma c’era stato un momento in cui avevo potuto intuire anche la sua intenzione di essere mio amico.

“Per esempio?”

“Ricordi.”

“Allora, avrei qualcosa da perdere.”

Sorrisi quasi spontaneamente, e questo lo portò ad allontanarsi ancora. Si diresse verso il corridoio. Mi resi conto che era davvero tutto svanito. Avevo perso il mio più caro amico. Era cambiato. Non capivo perché.

Abbandonai il davanzale contrariato, ma Isa non parve curarsene. Mi voltai nuovamente, ma i miei occhi si volsero cocciutamente verso qualcosa di apparentemente poco importante in quella stessa stanza.

“Non avrei mai detto che essere amici sarebbe diventato un problema.”

“Non hai un cuore per offenderti.”

Mi disse, incrociando le braccia al petto. Quantomeno aveva mantenuto la sua sottile ironia.

“Tu non ne hai uno per rifiutare un qualunque legame con me.”

Ironizzai allo stesso modo. Il suo sguardo era quello di chi non ammetteva repliche, come sempre. M’allettava che cercasse di essere spiritoso, ma c’era qualcosa che non voleva cogliere, o che più probabilmente aveva colto ma a cui non desiderava acconsentire.

All’alba di ogni luna nuova tentavo di ricucire i pezzi.
Non riuscivo a tollerare che per lui non fosse la stessa cosa.

Qualcosa o qualcuno stava lentamente prendendo il mio posto. Non facevo che pensarci. Allora, era solo la fantasia indistinta di chi lottava strenuamente per non perdere qualunque cosa gli fosse rimasto. Nel nostro ristretto angolo di mondo senza cuore, non ci sarebbe stata alcuna differenza se avessimo o meno mostrato di mantenere un qualche rapporto. Allora realizzai che mi sarebbe andato bene qualunque rapporto. Qualunque.

“Mi serve un nuovo rapporto di amicizia, Isa.”

“Come credi.”

Il mio tentativo era naufragato nel mare dell’indifferenza. Mi sarei aspettato forse la metà di un’esitazione, non certo un’esplicita richiesta d’aiuto. Tra di noi, eravamo Isa e Lea; di fronte agli altri indossavamo una maschera, quella lettera aggiunta era solo il velo che nascondeva due cicatrici, una più visibile dell’altra.

Volevo solo indietro tutto ciò che era rimasto del mio passato, se qualcosa ne era rimasto. Il ricordo di un’amicizia, il sentore delle prime emozioni, di un cuore che mi aveva guidato sempre più in alto. 

Il giorno dopo Xemnas annunciò che avremmo avuto una giornata libera. La mia intenzione era di non muovermi affatto dalla mia stanza. Se non che Isa bussò alle porte di tutte le stanze, meno che alla mia.

Trovavo fortemente contraddittorio il fatto che entrasse da me senza bussare, ma che io dovessi mantenere una certa distanza da lui. Non lo consideravo un mio superiore, anche quella era una farsa perché non sospettassero alcunché. Lui, però, sembrava prenderla fin troppo sul serio. Poiché non mi andava assolutamente di affrontarlo, né di mostrarmi eccessivamente seccato, quando quella mattina lo sentii farsi strada fino ad arrivarmi accanto rimasi immobile sotto le coperte, e seguitai a fingere di dormire. Attendevo che se ne andasse, ma mi tradì un sospiro meno tranquillo quando mi trovai di fronte alla luna. La luce che sovrastava il nero di quello che pareva il quinto confine invalicabile del mondo nel quale eravamo costretti mi infastidiva enormemente, perché mi rimembrava ogni giorno ciò che la vita mi aveva tolto.

“Lea.”

“Posso soprassedere al fatto che tu non sappia bussare.
  Ma non ti sembra alquanto scortese svegliarmi al mattino?”

“Il senso del tempo non esiste, qui. Dovresti saperlo.”

“Cosa sei venuto a fare?”

“Non sapevo come trascorrere il mio tempo; speravo che tu potessi aiutarmi.”

Quella la interpretai come un’esplicita richiesta d’aiuto. Ancor più quando si sedette accanto a me e mi prese la mano, come quella prima volta sulla torre. Ancora una volta, sapeva che avevo paura. E desideravo che mi sostenesse, sebbene sarebbe potuta essere l’unica volta non mi sarei affatto sottratto. Rimasi immobile, a chiedermi cosa avremmo fatto di quella giornata, e improvvisamente divenne tutto più chiaro. Qualunque timore io avessi avuto sarebbe stato troppo. Sorrisi mestamente, e tentai di concentrarmi sul suo calore.

“Non sento niente.”

“Tutto nella norma, mi pare.”

“È strano per me essere così vicino a te e non sentire niente.”

Dicevo il vero. Una volta anelavo alla sua presenza, mi rendeva sereno il fatto di avere un amico da sostenere a mia volta. Mi faceva sentire protagonista con lui del nostro rapporto speciale. Improvvisamente rimembrai la sensazione del dolore al petto che avevo provato ai piedi della torre, quando sorridendo si era congedato da me ringraziandomi di essere stato con lui, dicendo che parlare con me lo aveva fatto stare meglio.

“A Crepuscopoli c’è una torre davvero alta. Dovremmo andarci insieme.”
  È molto più alta di quella del Giardino Radioso. C’è sempre un tramonto stupendo.
  Fanno anche un ottimo gelato in quel mondo.”

“Io ti mando in missione e tu pensi al gelato?”

“È proibito sfruttare i momenti di pausa?”

“No, affatto. Ma della torre avresti dovuto dirmelo prima.”


Evidentemente il mio parlare del nulla lo aveva reso più loquace.
Pensai che allora sapevano ancora esserci dei momenti da ricordare tra noi.

Quando mi vide sorridere s’allontanò da me, si sollevò e si fermò di fronte alla finestra.

Allora seppi cos’era, ciò che me lo stava portando via. La mia avversione per quella cosa là fuori era oltremodo giustificata. Avevo ancora bisogno di qualcuno al mio fianco, ma quello che Xemnas denominava ‘Kingdom Hearts’ pareva essere molto più vicino al completamento di quanto non lo fosse un rapporto da conservare per un essere senza cuore. Isa incrociò le braccia al petto, dandomi le spalle, e m’infastidiva.

“Non potremo stare insieme per sempre, lo sai? Niente dura per sempre, specie per noi Nessuno.
  Noi non esistiamo. Non possiamo anelare a qualcosa di eterno.
È ciò che dice Xemnas, ed io ci credo.”

“A me non ha mai convinto un solo istante.”

“Lea, non posso darti quello che vuoi tu.”

“'Posso’ è il termine sbagliato.”

“Non voglio.”

Si corresse ancora una volta senza esitare.

“Se scoprissero qualcosa, eliminerebbero prima te.”

Non sapevo se lo dicesse per proteggermi o se lo facesse per tutelarsi. Sapevo che non sarebbe stato contento di trovarsi troppo vicino a me, ma non mi importava affatto, e non sentivo assolutamente niente a riguardo. L’oppressione di quelle giornate senza fine e la costrizione del vivere nel niente mi aveva reso insensibile e tremendamente egoista. Mi sollevai, e lo strinsi cingendogli la vita, poggiando il viso su una delle sue spalle.

“E com’è che non puoi darmi quello che voglio, ma sei venuto qui comunque?”

Si voltò, e mi guardava. Mi guardava negli occhi senza dire niente. Non poteva trattenermi, né trattenersi dall’avere quell’espressione in volto. Il tempo pareva come sospeso. Lo guardai amaramente, e scoprii solo avvicinandomi molto a lui che ciò che maggiormente rimpiangevo del nostro passato era il colore dei suoi occhi. Erano lo specchio dell’anima, avevano il colore del mare. In seguito erano mutati nel colore dell’oro, e mi preoccupavano perpetuamente di non poter raggiungere l’abisso senza fine in cui aveva deciso di gettarsi.

“Basterà fare in modo che non scoprano niente, giusto?”

“Lea. Cosa ti sei messo in testa?”

“Di fronte agli altri, solo Axel e Saïx.”

“Lea.”

“Non dare loro l’impressione di avere alcun tipo di rapporto.”

“Lea.”

Le mie mani attorno alla sua tunica cominciavano a stringerlo troppo forte. Lo vedevo piuttosto insofferente, ma non avevo più intenzione di lasciarlo andare. Se tutto ciò che ancora avevamo era migrato là dov’era anche il nostro cuore, allora mi sarebbe bastato qualunque cosa potesse ancora darmi. Anche se non voleva.

Necessitavo di un nuovo rapporto di amicizia, e m’illusi che probabilmente era perché lo aveva intuito a sua volta che era venuto da me. Non lo facevo perché c’era qualcosa fra noi. Lo facevo perché volevo crearlo.

Lasciai scorrere fulmineamente verso il basso la cerniera della sua tunica, e lui incastrò nuovamente gli occhi nei miei, con meno timore. Avevo vinto io. Avevo indovinato. Allora, gli sussurrai sommessamente.

“Mandami pure in missione, quante volte vuoi. Farò in modo che niente e nessuno si frapponga fra noi.”


Note dell'autrice:

Salve, sono HikariRin, e di me non vi libererete mai (?!)
Mi piacciono le frasi ad effetto, hanno un non so che di divertente.
Ma veniamo al capitolo, che ha subito rispetto alla prima stesura sostanziali modifiche.

Non so se lo avete notato, ma nel mio profilo c’è anche un capitolo extra a rating
rosso che parte proprio da qui. Quindi, se non temete di rimanere traumatizzati, questo sarebbe il momento migliore per leggerlo.

Dal prossimo capitolo entrerà in scena il nostro Nessuno speciale preferito: Roxas. La storia inizierà dunque a seguire gli avvenimenti di 358/2 Days. Se avete modo di rivedere i video durante la lettura vi invito a farlo, anche se ho cercato di rendere fruibile la cosa anche a chi ovviamente non possa farlo.

Vi ringrazio di aver letto anche questo terzo capitolo, e vi rimando quindi al quarto (o all’extra!).

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Capitolo 4
*** ~ Numero XIII ***


The Realm Between ~ 4

Numero XIII



Quando Lea mi disse di aver bisogno di un nuovo rapporto di amicizia, la cosa riuscì a rendermi inquieto. Non che avessi un cuore per sentirmi turbato. Solo, sebbene un tempo avessi immaginato che un giorno lui avrebbe potuto allontanarsi da me, quel giorno ne ebbi la conferma, e poiché eravamo arrivati tanto lontano non ero più pronto ad accettare che accadesse. Nel tempo avevo tentato io stesso di indisporlo, per lenire il senso di colpa che mi portavo dietro da quando lo avevo costretto a seguirmi su quella torre, ma quando avevo sentito i miei sospetti come una certezza non ero più stato in grado di fermare il tentativo da parte sua di recuperare qualunque cosa fosse rimasto. Rimasi ad osservarlo sonnecchiare sulla mia spalla.

Non avevo idea del fatto che potesse realmente riuscire a dormire tutto il giorno. Pareva in qualche modo sereno, come se l’annichilimento dello spirito per noi non fosse mai avvenuto; la sua mano stretta nella mia, come una promessa che desiderava mantenere come fosse l’unica cosa importante che gli era rimasta.

In qualche modo quell’atmosfera serena riusciva ad acquietare anche me.
Era come se l’armonia fosse nell’aria e noi ne stessimo beneficiando.

“Lea.”

Emise un mugugno vagamente importunato, ma non mostrò alcuna particolare reazione. Dovevo essere stato stancante; ma continuai a fissarlo come se avessimo trascorso abbastanza tempo insieme. In realtà, temevo la sua vicinanza. Temevo che ci saremmo potuti legare ancor più di quanto non fosse già successo, e desideravo tirarmi indietro. Avevo il presentimento che non avrei potuto dargli niente di più, e volevo preservarlo.

“Non vorrai davvero dormire fino a sera.”

“È il nostro giorno libero, che altro c’è da fare? Odio guardare quel coso, mi fa male allo stomaco.
  Non abbiamo lavorare e non c’è nessuno da prendere in giro.”

“Non hai parlato di una torre? ”

“Vuoi andarci oggi?”

Si sollevò in un attimo, e poiché lo conoscevo potevo dire che lo era anche nello spirito.

“Il giorno libero è oggi. Da domani, dovrò ricominciare a seguire nove persone e stare attento a due.”

“Va bene, andiamoci.”

Lo disse con un sorriso, di quelli che parevano sinceri, e non potei fare altro che sorridere a mia volta. Ecco, perdere il cuore mi aveva tolto il sorriso. Il sole, invece, splendeva comunque e il suo sorriso non calava mai.

“Posso prima fare una doccia?”

“In camera tua, vuoi dire? Certo che puoi.”

Risi divertito. Per noi Nessuno era piuttosto raro agire in modo tanto spontaneo, ma forse dipendeva semplicemente dal rapporto già consolidato che avevamo. Capii perché Lea aveva voluto ricordarmelo, e per me era ancora più raro ridere come se avessi scordato il dolore che avevo frapposto tra noi, ma non potevo fare a meno di sentirmi in colpa. Non vedevo l’ora di sentirmi più libero ancora, e se in quel giorno fossi caduto più in basso il mio cuore avrebbe perduto le sue catene e sarebbe tornato al nulla cui apparteneva.

Il fatto che Lea chiudesse gli occhi per dimenticare quella sensazione di vuoto mi piaceva.
Amavo veramente il suo modo di vivere; avrei tanto voluto potermelo permettere.

“Stavo pensando… Certo che tu hai una mole di lavoro.”

“Non pensare. Preparati, piuttosto.”

Terminai di allacciare la tunica, tirai indietro il cappuccio e mentre mi allontanavo da lui mi accorsi di non sentire niente di nuovo. Solo quando lasciai la sua stanza lo sentii muovere qualche passo, come se un altro capitolo si fosse chiuso. Mi avventurai lungo il corridoio, e subitaneamente sentii qualcuno appressarsi a me.

“Guarda, guarda. Che piacevole sorpresa.”

Era lì, con il suo sorriso beffardo.

Il Tiratore Libero, il numero II dell’Organizzazione.

“Sono sorpreso quanto te. Alla tua età, non dovresti essere a qualche torneo di freccette?”

“È così che si divertono i piani alti dell’Organizzazione?”

Non sopportavo l’arroganza che mostrava di avere continuamente nei miei confronti. Sapeva di essere più in alto, e lui era uno dei pochi che non mi sarebbe mai importato di detronizzare. Ma per quanto cercassi di entrare in contatto con lui continuava ad allontanare tutto e tutti. Qualche trauma passato, probabilmente.

“Oh, non guardarmi in quel modo. Non mi permetterei mai di giudicare il tuo diletto nel socializzare con le marionette, ma converrai con me che la situazione che vede uno di noi venire fuori dalla stanza di un altro di primo mattino dovrebbe quantomeno dare adito a equivoci, non ti pare?”

Ancora meno, tolleravo che si mettesse in mezzo solo per deridere qualcuno.

“Ciò che mi permetto di fare durante il mio giorno libero non ti riguarda.”

“Sono d’accordo. Non mi importa affatto di cosa facciate nella vostra vita privata.
  Che tu faccia il tuo lavoro è sufficiente. Dopotutto, le cose divertenti non durano per quelli come noi.”

“Se hai finito.”

Mi lanciò un ultimo sguardo di intesa col suo fare pungente, e mentre si incamminava dalla parte opposta del corridoio non potei fare a meno di riflettere sulle sue parole. Sapevo che Xemnas non aveva alcuna intenzione di adempiere senza sacrificio a ciò che aveva promesso. Ero a conoscenza del fatto che l’apporto di tutti sarebbe stato necessario, che ci sarebbe stato un tredicesimo membro, che quello sarebbe stato solo l’inizio. Ciò che non mi era prettamente chiaro poteva essere racchiuso nelle parole ‘quelli come noi’.

Mi dava da pensare che, se Xigbar avesse per certo indovinato ogni cosa, per evitare di lasciar loro intendere che io volessi proteggerlo avrei dovuto esporre deliberatamente Lea al pericolo. In questo modo, sarebbe forse divenuto una marionetta di cui avrebbero potuto disporre a piacimento. In nome della nostra vecchia amicizia, non potevo permettere che accadesse. Realizzai che avrei dovuto sottrarmi di nuovo. Non potevo che essere soddisfatto del fatto che, in fondo, fin dall’inizio avevo scelto di percorrere la giusta strada.

~


La torre era alta davvero.

Dovetti ammettere che Lea iniziava a conoscermi molto bene; non che io avessi una personalità elaboratamente complicata. Mi piaceva il ponte rialzato sul quale viaggiava il treno, e mentre lo indicavo sorridevamo entrambi come avessimo dieci anni di meno. Per un attimo ci sembrò di essere tornati ai tramonti del nostro mondo, anche se sapevo che quello più contento di trovarsi lassù con me era lui.

Il modo in cui mi aveva accompagnato su per le scale, con quel sorriso che preannunciava qualcosa di dichiaratamente bello, era distintamente quello di quando era contento. Durante       quelle giornate da cui tutto era cominciato, mi era parso di comprendere qualcosa di Lea, una costante. Sorrideva, ma non era felice davvero; specie quando i suoi occhi si socchiudevano lievemente. Non avrebbe mai mostrato malinconia a qualcuno che aveva intenzione di tirare su di morale. Quella sera, mentre il sole calava inondandoci dei suoi colori, d’un tratto cambiò espressione. Avevo il sentore che sapesse che sarebbe finita, sebbene non avesse un cuore per dispiacersene. Mi sorprendevo spesso di come i nostri pensieri finissero sempre a ciò che non avevamo. Per quella sera, tentai di concentrarmi su ciò di cui ancora potevo fregiarmi, e comprai un gelato.

“Questo gelato non ha sapore.”

“È il mio gusto preferito. È notevolmente migliorato, da allora.”

Lo disse come se in qualche modo lo avessi offeso.

“Hai sempre avuto dei gusti strani.”

Diede un morso pronunciato al ghiacciolo.
Socchiuse gli occhi, e sorrise.

“Quando ti ci abitui, è buono.”

“Lo so che non dici la verità.”

C’era qualcosa di vagamente nostalgico nell’aria, ma nessuno dei due poteva coglierlo. Sporgendomi dal bordo riuscivo a scorgere una piazza molto piccola, mentre dalla stazione si dipanavano diversi binari dei quali non si riusciva a scorgere la destinazione. Lea si sporse con me. Se avessi avuto un cuore mi avrebbe quasi atterrito, discorrere del rapporto che oramai non avevamo più; al suo posto, una mera sostituzione che aveva voluto lui, alla quale non avevo potuto sottrarmi. Dovetti ammettere che ne necessitavo quanto lui.

“Fino alla fine non comprendi con quale parte della lingua dovresti gustarlo.”

“Per questo è buono. È imprevedibile, non è mai identico.”

Teneva lo sguardo fisso sul sole, mentre rigirava tra le labbra la stecca del gelato.
L’aria intorno a noi era nuovamente eterea, i nostri cuori erano soltanto fragili.

“Comunque, anelo a un posto ancora più alto.”

Non gli avrei mai detto quanto avessi apprezzato il tramonto che aveva voluto farmi conoscere.

“Per questo, resisti ancora un po’...”

 

~


L’indomani mattina i dodici membri dell’Organizzazione furono chiamati a radunarsi nella Sala Circolare.

Attendevamo comunicazioni importanti, e di fronte a noi comparve immediatamente il tredicesimo membro. Il prescelto dal Keyblade. Xemnas comunicò il suo nome, Lea aveva avuto il compito di portarlo al castello nel suo primo giorno. Immediatamente ricordi sopiti affiorarono vividi alla mia mente e lanciai una rapida occhiata al mio primo amico, avvedendomi del fatto che lo stava osservando con il medesimo sguardo.

Fu quella stessa sera in cui Lea aveva perduto del tempo con l’ennesimo ragazzino girovago; ricordo ancora ciò che gli disse quel giorno, le attenzioni che gli aveva rivolto e che ne ero stato geloso anche se solo per un momento. Quando avemmo nuovamente facoltà di tornare ai nostri affari, manifestamente dubbioso mi recai da Xemnas, il quale mi sorrise soddisfatto della sua scoperta,come se avesse intuito la domanda.

“Roxas è il Nessuno dell’eroe del Keyblade. È il Nessuno nato da Sora.”

Ammutolii, e ricordai distintamente l’arma di legno del ragazzo che avevamo incontrato.
Anche se, essendo accaduto diversi anni prima, non avrebbe potuto certamente essere lui.

“Il ragazzo è particolarmente importante per il nostro scopo. Brandendo il Keyblade, può radunare un’enorme quantità di cuori. Necessita di essere istruito a riguardo delle abitudini e del procedere della nostra missione. Assegnagli qualcuno che lo affianchi nel suo lavoro. Ti avvedrai presto delle sue abilità.”

Annuii, ma non potei celare le mie perplessità. Probabilmente il numero II lo aveva già messo al corrente di qualcosa, e non mi scomposi affatto quando mi sollevò il viso, incontrando il mio sguardo.

“Non darti troppo pensiero, specie riguardo a cose che non riguardano la nostra missione. Un giorno sarà il normale corso degli eventi a persuaderti a seguire il percorso che Kingdom Hearts ha tracciato per te.”

“Sarà così per ciascuno di noi?”

Mi sarebbe stato sufficiente che Kingdom Hearts non avesse in serbo qualcosa di spiacevole per Lea, non più di quanto sarei stato io a rendergli increscioso il suo rimanente cammino come essere senza un cuore.

“Anche le nostre azioni hanno un effetto su ciò che è scritto.
  Ci sarà sempre una volontà superiore a guidare il corso degli eventi.
  Non devi fare altro che ciò che ti sembra più giusto.”

Chinai il capo di fronte a cotale volontà superiore, e ringraziandolo della sua infinita saggezza mi congedai da lui. Trovai Lea ad attendermi lungo il corridoio. Avendolo scorto, senza sollevare lo sguardo gli comunicai che all’indomani sarebbe stato assegnato a Roxas, e lo lasciai indietro non dilungandomi ulteriormente. Tentò di dirmi qualcosa, ma in quel momento mi sembrava giusto non ascoltarlo e non lo feci.

Dovetti abituarlo ad una distanza sempre crescente; questa fu la mia reale motivazione quando, dall’arrivo del Numero XIII, cominciai a riferirmi a lui anche nel privato utilizzando il suo falso nome.



Note dell'autrice:

Quello che Isa e Lea hanno mangiato sulla torre in questo capitolo non era il loro primo gelato al sale marino. Zio Paperone, difatti, aveva già aperto il suo business dai tempi di Birth by Sleep. Ma volevo un momento sereno per i due protagonisti, qualcosa che rinfrancasse loro lo spirito, e così ai lettori.

In questo capitolo intendevo mostrare come Isa venisse plagiato dai piani alti dell’Organizzazione.
È una delle prime motivazioni che lo ha portato ad allontanarsi da Lea; il più importante, ovviamente, è Roxas. Dalle novel di Kingdom Hearts 358/2 Days apprendiamo che Roxas è stato trovato da Xemnas a Crepuscopoli e che ad Axel, che si trovava in città a vagare senza meta, è stato ordinato di portarlo al castello. Prima di lasciare la città, però, Axel ha portato Roxas sulla torre a mangiare un gelato.

Questo è l’incipit di ciò che vedremo nel prossimo capitolo.

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Capitolo 5
*** ~ Nessuno ***


The Realm Between ~ 5

Nessuno



Mi trovavo a Crepuscopoli, intento ad avviarmi verso la torre per godermi il meritato riposo una volta completato il lavoro, quando vidi un ragazzo che vagamente mi ricordò il mio passato, quel giorno sulla torre del Giardino Radioso con Isa ed uno dei suoi innumerevoli rimproveri. Avrei giurato che quel giorno ne fosse stato geloso, ed anche per quel motivo avevo voluto fermarmi a dialogare e perdere del tempo con lui.

Avrei voluto che Isa si avvicinasse un poco, e sapevo già che avrei dovuto fare uno sforzo per tenerlo ancorato alla mia persona, perché c’era una costante che avevo compreso di lui. Quando accetta di darti un po’ di sé, terrorizzato all’idea che potrebbe diventarne dipendente, dopo non molto tempo decide di allontanarsi. E ingaggia una lotta contro se stesso per riuscirci, essendo convinto che la vita altro non sia che un ridondante motivo di sofferenza; quando qualcuno accetta di essere suo amico, lui dubita di quella persona. Avrei voluto insegnargli che la vita può anche far sorridere, e che non serve firmare un contratto per essere amici. In fondo, stringere un rapporto con qualcuno è piuttosto semplice.

In seguito a quel giorno libero in cui di sé mi aveva dato anche troppo, sapevo che avrebbe deciso di distanziarsi nuovamente; voler stringere un rapporto con lui è dover avere mille attenzioni.
C’è un particolare a causa del quale non ci incontriamo mai. Quando io sono amico di qualcuno, nessuno deve inseguirmi. Mi basta stringere un rapporto una volta sola.

Nel mio io interiore, sapevo che Isa aveva solo bisogno di imparare a sorridere. Forse anche per questo motivo, quando vidi nuovamente quel ragazzo, nonostante sapessi che non poteva essere la medesima persona di tanti anni prima lo invitai immediatamente a prendere un gelato con me e volli stringere un rapporto con lui. Desideravo solo la conferma di un’eventuale gelosia che avrei acceso nuovamente nella persona interiore del mio amico di un tempo, stare a guardare e assistere a cosa il mio allontanamento avrebbe scatenato, se mai qualcosa fosse dovuto accadere; e la mia mente venne totalmente offuscata da quel pensiero. Il fatto che sarei stato assegnato al nuovo arrivato sarebbe tornato a mio favore, in quanto Isa non avrebbe potuto fare altrimenti per evitare che sospettassero lassù, sui troni più elevati; non replicai quando lo sentii pronunciare il mio nome fittizio. Non fui capace di controbattere perché, mentre lui era convinto di farmi un favore allontanandomi da sé, io tramavo alle sue spalle.

Mi intimò di insegnare a Roxas ogni cosa a riguardo delle nostre abitudini in quel luogo e del nostro lavoro, e di buon grado accettai di accompagnarlo in missione ed in un nuovo capitolo della sua esistenza.

Dopotutto, il passaggio dal periodo dei sentimenti al non avere cognizione di se stessi è duro per tutti. Mi aspettavo che per lui non fosse diverso. Sembrava essere molto solo, il tipo di persona verso il quale ho sempre avuto una predilezione, e quando arrivò da noi non era quasi capace di articolare dei suoni.

Ero diviso tra il mio intento egoistico di assicurarmi che Isa non potesse sfuggirmi ed il mio essere disponibile e preoccupato per il numero XIII. In seguito mi avrebbe colpito ciò che Roxas avrebbe avuto da dirmi, e mi sarei soffermato su quelle riflessioni fino a perdere di vista il mio reale obiettivo; ripensandoci, forse avevo rinunciato ad Isa quella stessa sera, rassegnandomi all’idea che Axel sarebbe dovuta essere la mia identità. O forse mi ero arreso ancora prima, durante quel giorno libero trascorso con lui sulla stessa torre in cima alla quale, il giorno dopo, avrei portato Roxas. Il tramonto si era fatto insolitamente spento. Nemmeno il gelato rusciva a riportare i miei occhi alla rimembranza dei colori delle giornate precedenti.

Accanto a me, Roxas assaporava quieto il suo ghiacciolo.

“Allora, Roxas? Com’è?”

Sollevai il mio ghiacciolo, e il giovane dagli occhi vitrei mi guardò, senza alcuna apparente espressione, incapace di avere un’opinione su qualcosa che non fosse il suo nome. Mi ritrovai a pensare che vita per lui doveva essere stata dura, o forse semplicemente era troppo presto per discorrere dei sentimenti, reali o meno.

“È salato, ma dolce.”

“È il mio gusto preferito.”

Volevo essere amico di tutti allo stesso modo, che ad Isa piacesse o meno. In quel momento, l’azzurro profondo degli occhi di Roxas mi portò a riconsiderare le mie intenzioni. Emise solo un lieve mugugno, e allora capii che non poteva affatto essere quel ragazzo, sebbene si somigliassero molto.

“Senti, Roxas. Ricordi qual è il tuo vero nome?”

“S...”

Si fermò alla prima lettera. Non disse altro. Capii che Xemnas gli aveva appena assegnato il suo nuovo nome, poco prima di intimarmi di portarlo al castello, di renderlo presentabile e di riportarlo da lui. Decisi di non indagare oltre, ma facendo un rapido calcolo con l’età, se quel ragazzino incontrato un tempo avesse vissuto fino a quel giorno avrebbe dovuto avere più o meno la mia età. Quindi, rinunciai a scoprirlo.

“Axel.”

Quando mi voltai spontaneamente a sentirlo pronunciare in modo tanto inespressivo il mio nome, cominciai a riconsiderare la mia identità stessa.

“Non senti niente. Nulla è reale.”

In fondo, per troppo tempo dopo aver ceduto il mio cuore avevo dato per scontato di essere ancora umano. Non avevo mai considerato la ragione per cui Xemnas aveva assegnato dei nuovi nomi a ciascuno di noi.

“Cosa significa?”

Il mio sguardo si soffermò per un momento sul nulla. Il ghiacciolo aveva cominciato a sciogliersi, proprio come le mie convinzioni. C’era qualcosa di diverso. Qualcosa che ci era precluso. C’era un motivo se la persona che credevo di conoscere era cambiata. Mi fu improvvisamente tutto più lampante. Deglutii.

Qual era l’intento che avevo solo un attimo prima?

“Significa che non esistiamo, Roxas.”

 

~

Con Roxas decisi di procedere per gradi. Durante il suo primo giorno gli insegnai il mio nome, e dal giorno successivo quello di Saïx, quello di Xemnas e pian piano quelli degli altri membri dell’Organizzazione, sebbene mi fosse stato detto che a turno avrebbero accompagnato Roxas in missione e lo avrebbero istruito sugli aspetti fondamentali dell’essere Nessuno; mi accorsi di aver sempre considerato il Nessuno una semplice entità, niente che mi riguardasse, soltanto una condizione, come se un giorno mi fossi svegliato Nessuno e non più umano.

Non avevo mai considerato di essere Nessuno quanto Roxas o quanto uno degli altri membri. Non avevo mai compreso appieno che ciò che avvertivo come una cosa insolita, il non riuscire a sentire il mio cuore, era prettamente normale per la mia nuova condizione e tantomeno in quella situazione avrei potuto accettarlo.

“Se noi esistiamo? Perché mi chiedi una cosa del genere?”

“Il nuovo arrivato, Roxas. Non sembra affatto consapevole di avere una personalità.”

“Non saprei fino a che punto ciò che pensiamo possa considerarsi ‘reale’.
  Non saprei nemmeno dirti se possiamo considerare di avere una personalità.
  Penso che l’abbiamo lasciata indietro quando abbiamo scelto di non essere.”

“Certo. Lo abbiamo scelto.”

Replicai, con una nota di disappunto. Trovavo a dir poco ridicolo che Saïx potesse parlarmi in quel modo della perdita del cuore, quasi fosse una condizione in cui ci eravamo buttati di getto con sprezzo del pericolo.

“Sai bene come la penso a riguardo.”

Lui mi aveva già espresso quanto considerava quella condizione essenzialmente normale. Qualcosa di inevitabile. Un processo inarrestabile al quale non ci saremmo potuti sottrarre, se non completando Kingdom Hearts per riavere indietro un cuore, che non avremmo saputo nemmeno se sarebbe stato il nostro o uno qualunque. Pensai che fosse arrivato all’assoluta verità prima di me, o che l'abisso senza fine che ristagnava nei suoi occhi lo avesse inghiottito più a fondo. Eppure, ricordavo distintamente di aver stretto quella mano.

 “Sei tornato a porti quesiti che avevi totalmente abbandonato.
   Vuoi essere utile al nostro nuovo membro fino a questo punto?”

“Hai detto che è il Nessuno dell’eroe del Keyblade, no?
  Quanto gioverebbe all’Organizzazione il fatto che lui volesse acquisire una personalità propria?”

Quel ragazzino, Roxas, mi incuriosiva davvero; non avevo mai saputo di custodi del Keyblade divenuti Heartless, non credevo nemmeno che potesse accadere. Invece questo aveva persino riavuto il suo cuore.

“Se anche volesse non potrebbe farlo, perché non ha un cuore. Ci muoviamo solo in base ai ricordi che abbiamo del passato. Lo stesso Xemnas dice che in realtà siamo cambiati.”

“Non credo ad una sola delle parole di Xemnas.”

“Allora perché metterti il dubbio?
  Non dicevi tu stesso di non sentire niente?”

Il mio sguardo si era crucciato, come se in qualche modo sapessi che lui aveva ragione.

“Siamo esistenze incomplete. Non penso ci sia da interrogarsi oltre.”

Si incamminò lungo il corridoio dopo aver pronunciato quelle parole, quasi fosse stato dissuaso dal cercare delle risposte, come se a suo tempo avesse tentato. Senza che potessi individuare alcuna risposta soddisfacente trascorse una settimana, durante la quale Roxas uscì almeno di poco dal suo stadio inespressivo. Saïx cominciò ad assegnargli altri accompagnatori. Ogni mattina, prima che mi venisse assegnata una missione, lo incontravo nel salone. Avevo smesso totalmente di pensare.

Trascorsro due settimane; pensavo sempre meno a quanto era accaduto con Isa. Attraversavo una fase nella quale non mi importava davvero di nulla, durante la quale avrei accettato qualunque grado di incompletezza; avevo concluso che, se qualcosa fosse accaduto, avrei cercato di reagire per quanto ricordavo. Proprio come lui aveva detto. Questa deliberazione mi portò ad agire in un modo spontaneo e a me prossimo, quando venni assegnato nuovamente ad una missione con Roxas. Lo invitai a mangiare un gelato con me, e quando sollevò lo sguardo mostrandomi quegli occhi rotondi da pulcino abbandonato chiedendomi perché, capii che la sola intenzione che lui diventasse mio amico lo avrebbe reso tale. Il solo pronunciare quella parola da parte mia, sebbene non avesse pienamente compreso cosa fosse un amico, e forse solo per il fatto che era una bella parola, lo fece sorridere. In quel momento, proprio mentre mi avvedevo del fatto che di fronte al suo sorriso ogni mio dubbio era svanito si volse verso di me, sorprendendomi ancora una volta.

“Axel.”

Iniziavo quasi a riconoscermi, a sentire il mio falso nome; se pronunciato da Roxas, non sarebbe mai stato un fastidio. Per lui avrei potuto essere qualcun altro, e avrebbe potuto chiamarmi in modo ancora diverso, ma acquisii la consapevolezza che sarebbe dovuta essere la sostanza a rimanere immutabile.

“Hai detto che gli amici parlano, giusto?
  Posso chiederti una cosa?”

Aveva uno strano modo di introdursi, e tutte le sue parole erano condite di un sapore delicato, quasi emotivo. Accanto a lui riuscivo a sorridere senza avvedermene, come con Isa al principio della nostra amicizia.

“Siamo amici, non devi trattenerti dal fare domande.”

“Che cos’è un cuore?”

“Ah, questa è una domanda difficile.”

Considerò la mia risposta come se fosse strana, mentre ioammiravo il tramonto.
Non sapevo affatto come proseguire. Era una realtà cui pensavo spesso, ma un cuore non si pensa. Si sente.

“Il cuore è la sede dei sentimenti.”

“Sentimenti?”

“Il tuo gelato si scioglie.”

Mi piaceva che s’interrogasse; pareva più forte di tutti quanti noi.

“Un sentimento è… Il groppone alla gola di quando sei preoccupato. Le lacrime, una grossa risata. Quando ti fa male il petto. Quando vuoi qualcosa o qualcuno al punto da star male, o quando sorridi come uno scemo.”

Sospirai. Non ero affatto certo che avesse capito. Tutto ciò che avevo elencato altro non erano che mere espressioni di un sentimento. Portai una mano tra i capelli, e tentai di nuovo.

“È uno stato di cose.”

“Ne hai mai provato uno?”

“Quando avevo un cuore.”

“Noi non abbiamo un cuore, vero?”

“Lo hai memorizzato, eh?”

Il sole pareva già meno chiaro. Guardava verso la piazza, ma io non volevo smettere di sollevare la testa, perché sapevo che nel medesimo istante in cui lo avessi fatto sarei diventato come Isa, e mi sarei arreso.

“I ragazzini che abbiamo visto prima… Loro hanno un cuore, vero?”

“Presumo di sì.”

“Quindi, provano dei sentimenti.”

“Sì.”

“Però, anche Demyx fa sempre un gran chiasso.
  Luxord ride e sembra divertirsi, quando riesce a vincere.
  Zexion mi ha spiegato che i Nessuno non esistono, ma sembrava triste.
  Saïx sembra sempre arrabbiato, quando parla con me.”

Mi trovò diversamente stupito, non tanto del fatto che era riuscito a memorizzare tutti i nomi degli altri membri, quanto dal fatto che, seguendo le spiegazioni di Nessuno nati senza un cuore, ci aveva smascherati.

“Perché tutti fingono di avere un cuore, quando non ne hanno uno?”

Chiusi gli occhi, e conclusi che meritava di sapere ciò che avevo trovato io.

“Sai cosa siamo, Roxas? Esseri indefiniti che non hanno una meta. Ci restano soltanto le illusioni.
  Fingere di avere dei sentimenti ci permette di ingannare lo scorrere del tempo e le persone intorno a noi.
  Di ingannarci gli uni gli altri, e di non essere dimenticati. Però io credo che anche la più semplice delle intenzioni, sia il volere una risposta, sia il voler essere amico di qualcuno, sia espressione di un’anima.”

Aveva sul volto il medesimo mesto sorriso che una volta avevo anch’io. Sorrisi in modo diverso di questa sua debolezza, ma ebbi la sensazione che non avremmo mai smesso di cercare insieme le risposte.

“Suppongo che avremo una risposta solo quando saremo completi.”

“È difficile. In questo mondo, non si ha mai niente per niente. Memorizzalo.”

 

Solo una settimana dopo per la prima volta avrei dovuto dirgli addio. Sarei entrato nel Castello dell’Oblio, avrei incontrato il suo ‘Qualcuno’, e a Sora mi sarei presentato come Axel. Non avrei avuto niente da perdere, sarei solamente stato quello che realmente ero. Per lui, se avessi avuto un cuore, avrei provato una qual sorta di invidia. Oppure la provavo già, proprio per il fatto che ne avrei voluto uno. Nonostante le considerazioni che avevo fatto, non me la sentivo comunque di ignorare la promessa fatta ad Isa. Sarei arrivato con lui in un posto nuovo, come pattuito. Solo, avrei voluto portare con noi anche Roxas.

Mi ordinò di sbarazzarmi dei traditori. In verità, non avevo capito in che modo. Pensai che il fatto di non riuscire a provare rimorso mi avrebbe aiutato. Misi ancora una volta da parte ciò che avevo sentito; ogni tanto, realmente mi pareva di sentire qualcosa. Credevo fosse normale, e questa cognizione aumentò da quando conobbi Roxas. Di contro, Isa era troppo occupato ad agire come un essere senza cuore.

Fu davvero difficile non vedere Roxas per quarantotto giorni.
Presumibilmente perché con Isa avevo già creato un legame, e sapevo che su quello avrei potuto contare.



Note dell'autrice:


Salve a tutti, sono HikariRin e qui inizia la malinconia senza fine.

Per la prima volta vediamo Axel interrogarsi sulla natura di un Nessuno. Ho ipotizzato che sicuramente lui e Isa si fossero posti anche prima determinate domande, ma che queste abbiano assunto un certo peso, specie per Lea, con l’arrivo di Roxas. Axel partirà per il Castello dell'Oblio il giorno 23 e negli eventi successivi vi incontrerà Sora. Credo che da qui in poi inserirò nelle note qualche riferimento temporale, o comunque le curiosità che nella mia storia sono descritte e che nel gioco vengono soltanto accennate.

Come dicevo anche nelle note precedenti, Roxas viene trovato a Crepuscopoli da Xemnas, che gli mostra il suo nuovo nome. Nella novel di 358/2 Days viene descritto che Axel si trovava lì a trascorrere del tempo libero dopo la sua missione, e lì Xemnas gli ha ordinato di portare Roxas al castello dei Nessuno. Anche nel gioco abbiamo un cenno a tutto questo, quando nel settimo giorno di Roxas Axel afferma che nel giorno del loro primo incontro avevano mangiato un gelato sulla torre. Finalmente, dai trailer e dagli screenshot di Kingdom Hearts III, apprendiamo che Lea ricordi Ventus, quindi sicuramente quando avrà incontrato Roxas si sarà posto due domandine. Isa sicuramente avrà fatto la stessa cosa. Ma, tralasciando che all’epoca di Kingdom Hearts II di Birth by Sleep esisteva solo un’idea non ancora ben definita, in Days il fatto che non abbiano detto niente o che non abbiano reagito in qualche modo può essere giustificato col fatto che Axel e Saïx avevano i loro piani all’interno dell’Organizzazione, per cui non sarebbe stato saggio lasciar trapelare di sapere qualcosa. Specie conoscendo che Xemnas stava cercando nello stesso momento la camera nascosta nel Castello dell’Oblio.

Con Kingdom Hearts è molto facile scrivere nonsense, quindi sto facendo davvero ancora tante ricerche (per questa fanfic e per quelle successive), sto rileggendo tante interviste, sto guardando i video decine di volte e sto integrando la storia con la lettura del manga di Amano e con le novel di Kanemaki.

Indi vi sorbirete fino alla fine questo dramma filosofico sulle implicazioni del non avere un cuore.

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Capitolo 6
*** ~ Cambiamento ***


The Realm Between ~ 6
 

Cambiamento



Nel giorno in cui divenimmo Nessuno, non fu affatto semplice tollerare il cambiamento.

Mi addormentai in una dimensione tra la morte ed una nuova esistenza, e mi svegliai tra le braccia di Lea. Pareva costernato, un’espressione che non gli avevo mai visto, anche se non seppi mai se stava fingendo oppure se quella era stata la sua ultima emozione vera. Quando aprii gli occhi, ne fu sorpreso. Stava per dirmi qualcosa, ma non poté, perché immediatamente lui stesso s’accasciò sul pavimento privo di sensi.

Quando si svegliò, tutto intorno a noi era cambiato; ci avvedemmo ben presto anche delle conseguenze sui pensieri, sul temperamento, sulle emozioni, e apprendemmo che avremmo avuto una nuova dimora. Lea si guardò intorno, si voltò fulmineamente e la prima cosa sulla quale posò gli occhi furono ancora i miei.

“Come stai?”

Gli chiesi, e nel medesimo momento mi resi conto del fatto che non m’importava davvero.

 “In nessun modo.”

Pareva quasi un’altra persona, mentre premeva una mano sulla fronte ed osservava il soffitto pallido e adombrato dalla luna che sovrastava quel mondo fatto del niente, e che entrambi riconoscemmo subitaneamente come avente la forma di ciò che ci era stato sottratto e che avremmo voluto indietro.

“Cosa mi è successo?”

“Hai dormito per qualche ora. Xemnas dice che inizialmente è normale essere instabili.”

“Chi è Xemnas?”

“Un altro come noi. È a capo di noi Nessuno.”

“Nessuno.”

“Ciò che accade quando si smarrisce il cuore.”

“Quindi adesso noi due saremmo Nessuno, per lui?”

Lo aveva detto con una consapevolezza che, sebbene non potesse colpirmi profondamente, mi fece rabbrividire. Conservava ancora una coscienza tale da comprendere cos’era accaduto, sebbene mi fossi riferito a lui con il suo nuovo nome. L’acredine nei suoi occhi dava da pensare che avesse capito anche più di quanto avrebbe dovuto. Non avvertivo più niente, di fronte a me c’era una persona come le altre.

“Axel. Mi ha detto di chiamarti così, da ora in poi.”

“E io come dovrei chiamarti?”

“Saïx.”


Rise, e la cosa per un momento parve sorprendermi.

“Lui può chiamarti come vuole. Tu per me sarai sempre Isa.”

Mi accorsi che non potevo comprendere appieno quelle parole.

Ciascun membro del castello mi era come un’esistenza a sé stante, ma percepivo un aggregato riunito in vista di un obiettivo comune. Ricordavo del rapporto che avevo con Lea, ma era come se anche quello avesse preso forma e fosse con noi nella stanza. Come un’esperienza tangibile all’infuori di noi, non più dentro.

“Sembra che la X sia una delle caratteristiche dell’Organizzazione.”

“Lo vedo.”

Si sollevò sul materasso rimanendo sulle ginocchia, e con entrambe le mani mi prese il viso per mordermi leggermente all’altezza della fronte. Non avevo ancora avuto modo di osservarmi, per cui non potevo capire.

“Hai un'enorme cicatrice a forma di X, proprio in questo punto.”

Me lo disse con un lieve sorriso e gli occhi semichiusi. Portai una delle mie mani dove lui aveva morso, e il solco c’era davvero. Lo guardai negli occhi, e dovetti sembrargli sbalordito, perché spostò lo sguardo altrove.

“È questo che si prova a non avere un cuore?”

“Xemnas dice che i nostri cuori possono essere recuperati.”

Lo vidi interdetto, probabilmente dal fatto che le uniche risposte che riuscivo a dare non erano inerenti alla nostra immediata condizione, quasi a voler ribadire parole di un’esistenza precedente che ai suoi orecchi avevano suonato come una resa rassegnata e non come il riflesso di ciò che desideravo davvero.

I suoi occhi si strinsero in un’espressione più amara, e non fu più capace di guardarmi in viso.

“Che schifo. Voglio piangere. Rivoglio il mio cuore. Rivoglio il mio cuore, Isa.”

“Vedi quella luna fuori dalla finestra? Xemnas dice che è lì che si troveranno i nostri cuori.
   Una volta che ne avremo raccolti abbastanza, potremo tornare ad essere completi.”


Quell’incontenibile amarezza non voleva andarsene. Allora scese dal letto, e mi strinse forte. Avvertivo il suo calore sulla pelle, anche se era solo una sensazione che niente aveva a che fare con il rapporto che avevamo. Vinto dalla percezione impellente del presente e di come avremmo vissuto da quel momento in poi, non potei fare altro che stringerlo a mia volta. Il mio astro pareva per la prima volta molto distante.

“Arriviamoci insieme, Lea. A riavere i nostri cuori.”

 

Ancora oggi Axel si agita, quando lo assale prepotentemente la convinzione di non poter provare alcunché.

Una volta gli chiesi scusa per averlo costretto a seguirmi, perché avevo la sensazione che tutto fosse partito da me e dalla mia predilezione per le altezze, ma lui rispose di averlo sempre fatto di sua spontanea volontà.

Sapevo che si sarebbe affezionato a Roxas, che non accettava la propria condizione di Nessuno. A causa sua Axel era tornato a porsi delle domande che non hanno risposta. In realtà, Roxas era un Nessuno speciale. Il compito assegnatomi sarebbe stato quello di osservarlo, ma quando vidi Lea sorridere di nuovo a quel modo non potei non intervenire. Fin dal principio non potei inserirmi in ciò che stava succedendo tra loro. Dovetti assistere impotente al suo allontanamento, fino a quando non mi avrebbe più considerato la persona sulla quale contare quando si sarebbe sentito inquieto. Fino a quando, poco oltre, non mi avrebbe considerato più.

Anche il pensiero di Xemnas mi era sempre parso indecifrabile; pareva avere dei piani in cui non voleva includere nessun altro nell’Organizzazione, sebbene quest’ultima avesse i suoi punti di riferimento.

C’era un regolamento interno che tutti avrebbero dovuto seguire, eppure da ogni dove arrivavano minacce di sovversione, perché nessuno avrebbe davvero voluto assistere all’ultimo atto del suo disegno perfetto.

Non potevo che approvare, ma allo stesso modo non potevo sottrarmi a ciò che lui aveva scelto per me.


E mentre dibattevo con me stesso in merito alla via che avrei dovuto percorrere, vidi il Numero XIII attraversare il corridoio. Si guardava intorno spaesato, ma si fermò quando lo apostrofai inflessibilmente.

“Chi cerchi con tanta insistenza, Roxas?”

 “Buonasera.”

Mi salutò con un inchino, quasi mi fosse dovuto. Probabilmente era stato Axel ad insegnargli anche questo, illudendolo che mi avrebbe fatto piacere. Il mio obiettivo nell’Organizzazione sarebbe stato guadagnare la fiducia di Xemnas fino ad essere tra i suoi fidati, ma inizialmente non mi curavo affatto delle formalità.

Riconobbi nel suo gesto una nota sarcastica del temperamento del mio amico di un tempo.

“Sto cercando Axel, ha detto che sarebbe andato a prepararsi. Mi sai dire qual è la sua stanza?”

Rimasi sorpreso. Per essere il Nessuno dell’eroe del Keyblade, parlava in maniera alquanto rispettosa.

“È una cosa importante?”

Osservai attentamente ciò che teneva in mano; era uno di quei legnetti del gelato che io stesso avevo avuto occasione di condividere con Axel. Gli avevo ordinato di raggiungere i membri già inviati al Castello dell’Oblio. Xemnas aveva necessità di sbarazzarsi dei traditori. Sarebbe stato il nostro primo atto di rivalsa.

Lea avrebbe dovuto aprirmi la strada, ovvero l’accesso a troni sempre più elevati, mentre io avrei dovuto impedire che sapessero di noi e del fatto che eravamo a conoscenza dei piani segreti del Superiore.

Non avevo nessun interesse a fare in modo che Roxas lo incontrasse quella sera.

“Non saprei, è proprio per questo che lo sto cercando.”

“Vi vedete spesso?”

“Da circa una settimana mangiamo un gelato insieme sulla torre di Crepuscopoli. Siamo amici.”

Mi sorrise mentre stringeva quell’esiguo residuo di un piacevole momento in compagnia, per invitarmi a cogliere quale tesoro era per lui. Quando vide che la mia espressione non era mutata, abbassò lo sguardo.

“Axel non potrà seguirti per sempre.”

Sollevò di nuovo il viso, mi osservava con gli occhi sgranati e la bocca semichiusa. C’era qualcosa dietro a quell’espressione. La cosa mi turbò lievemente; era piuttosto insolito per un essere inconsistente come noi.

“E nemmeno potrà permettersi il gelato ogni giorno. Dovresti imparare a svolgere le tue missioni da solo e a capire cos’è più importante. In questo momento Axel si sta preparando a svolgere una missione di grande interesse per noi, quindi ti consiglierei di non disturbarlo. Quando tornerà, allora potrete parlare.”

“Grazie comunque.”

Mormorò, prima di incamminarsi nuovamente per dov’era venuto. Provavo un insolito fastidio e sul mio volto era dipinto un anomalo disgusto. Amici? Amico del Numero XIII? Speravo che Axel stesse solo giocando con lui, in quanto sarebbe stato senza ombra di dubbio una delle nostre pedine fondanti.

L’indomani lasciai che Axel partisse molto presto; non gli feci alcun nome, gli riportai semplicemente delle sommarie istruzioni. Sapevo che avrei potuto fidarmi, ma decisi comunque di osservare le sue mosse.
 

Qualche giorno dopo giunse un rapporto sconcertante dal Castello dell’Oblio; pareva che tutti i membri dell’Organizzazione ivi inviati fossero stati distrutti. La notizia mi portò a rivalutare ogni cosa.

L’espressione che il Numero XIII aveva in volto quando lo seppe era fin troppo significativa, e capii che per lui si trattava del suo primo vero amico; non potevo tollerarlo. Si conoscevano da troppo poco tempo, e nella mia mente considerai l’avermi messo sul suo stesso piano un tradimento da parte di colui che un tempo si diceva tanto orgoglioso di essere riuscito ad avvicinarmi. La stanza di Axel mi pareva insolitamente vuota. Ma più di tutte le altre cose, mi rendeva inquieto che non mi sentissi preoccupato. Non avvertivo alcunché.

Numero XIII cadde nel sonno nel medesimo giorno, e questo mi tranquillizzò oltre le mie aspettative.

Senza che potessi avvedermene cominciai anch’io, tutti i giorni, a desiderare il ritorno di Axel.
 

 

Note dell’autrice:

Salve a tutti, sono HikariRin, ma ormai mi conoscete.

Questo capitolo prende il primo arco narrativo di Days, fino a poco prima che Axel torni dal Castello dell’Oblio. L’incontro che ho descritto tra Roxas e Saïx avviene durante il Giorno 22.

Inizialmente Isa, parlando del giorno in cui tutto è cambiato per lui e per il suo amico, menziona una grande verità da quest’ultimo compresa e di una sua personale resa. Proseguendo nella storia capiremo perché.

Non abbiamo ancora avuto modo di conoscere il resto dell’Organizzazione, se non Xigbar e Xemnas che hanno messo i bastoni tra le ruote al rapporto di amicizia profondo tra Isa e Lea.

Ecco, un’altra delle motivazioni del loro allontanamento a mio parere sta nelle reazioni profondamente differenti che hanno avuto di fronte alla cognizione del fatto che non avrebbero più potuto provare niente.

Lea non si è sentito affatto compreso, Isa neppure. Tra loro figura Roxas, col quale Lea torna alle emozioni.
In un primo periodo, comunque, la necessità di essere nuovamente completi li porta a stringere un accordo.

In virtù di ciò che avevano precedentemente, Isa e Lea lavoravano per uno stesso scopo.
Qui arriva il primo punto di svolta. Il Castello dell’Oblio rappresenta per Lea un nuovo punto di partenza.

Ma questo sarà uno dei punti chiave del prossimo capitolo.

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Capitolo 7
*** ~ Umani ***


The Realm Between ~ 7

Umani




Mentre mi trovavo nel Castello dell'Oblio, Qualcuno disse di voler scoprire da solo la verità.



Ricordi falsi, ricordi veri. Il cuore è legato intrinsecamente ai ricordi. Quando un cuore non ricorda più quali emozioni associare a un ricordo ci resta solo qualcosa di sbiadito, una serie di informazioni. Tenevo molto ai ricordi che avevo con il mio amico di un tempo, quindi volevo indietro il mio cuore.


Mentre lo diceva, Qualcuno mi fece anche una promessa, e vidi la forza del suo cuore.

Tutto quel riflettere su ciò che avevo perduto mi aveva confuso, quindi decisi di ritirarmi sulla torre di fronte a un caldo tramonto prima di tornare a casa. Avevo bisogno di riordinare i miei sentimenti. Ricordi falsi, ricordi veri. Non sapevo quali fossero gli uni e quali gli altri. Avevo cominciato a credere che Isa potesse avere ricordi differenti dei giorni trascorsi insieme. Se così fosse stato, non sarebbe stato difficile comprendere perché lui si concentrava maggiormente su altri aspetti del nostro rapporto, come i nostri reali obiettivi rispetto a quelli dell’Organizzazione. Ciò che non comprendevo appieno era come, col fine di raggiungere i nostri reali obiettivi, avesse rischiato senza alcuna remora di non vedermi più.

Non tornai di corsa a fare rapporto, preferii l’altura per riflettere su cosa era rimasto davvero della nostra amicizia, e fu in quel momento che incontrai Roxas che tornava dalla sua missione. Quando lo salutai, si mostrò perplesso. Sorpreso. Meravigliato. Quasi come un essere umano. Come Sora, quando sotto l’influenza dei falsi ricordi aveva incontrato la sua amica d’infanzia. Mangiammo un gelato insieme, e lui non smetteva di avere stampato sul volto un sorriso molto dolce. Quando gli chiesi se gli era accaduto qualcosa di bello, strinse il gelato e sollevò le spalle.

“Tu sei qui.”

Lasciavo viaggiare tra le labbra il bastoncino del mio ghiacciolo. Ero sempre il primo a finirlo. Roxas si perdeva nelle parole; ogni qualvolta qualcosa lo colpiva lo lasciava a sciogliersi.

“Prima di addormentarmi, sentii Saïx e Xigbar dire che tu eri scomparso con gli altri. Sentivo come un nodo alla gola, e non riuscivo a respirare. Per quanto provassi ad abituarmi all’idea che non ti avrei più rivisto, l’aria non voleva entrare. Mi sentivo insicuro, perché dovevo capire ancora tante cose, e avrei voluto capirle con te. Sono davvero contento che tu sia tornato, Axel.”

Diceva tutto ciò che gli veniva in mente. Mi ricordava tanto ‘lui’. Diceva sempre la verità.
Osservando il suo sorriso sincero, mi resi conto che aveva appena descritto in tutto e per tutto l’espressione di un sentimento che non avrebbe potuto provare. Forse era davvero come Sora. Mi soffermai a capire se avevo davvero insegnato qualcosa di importante a quel ragazzo, tanto che potesse desiderare il mio ritorno.

Abbassò il viso e diede un morso al ghiacciolo, e nonostante fosse freddo e si stesse sciogliendo sorrideva ad occhi chiusi, come fosse contento davvero. Sorrisi a mia volta. Anche rimuginando non avrei ottenuto risposta ai miei dubbi, non in quel momento. Avvertivo una strana sensazione. Come se qualcosa mi stesse scivolando di mano, ma allo stesso tempo qualcosa d’altro stesse prendendo il suo posto.

“Roxas.”

E mi piaceva. Sollevò di nuovo il viso, e mi guardò con quei suoi occhi profondi di Nessuno speciale.

“Mi sei mancato, mentre ero via.”

Il suo ghiacciolo cominciava a perdere pezzi sulla piazza; si quando se ne accorse addentò l’ultimo morso.

“Anche tu.”

Appoggiai una mano sulla sua testa, frizionando i suoi capelli. Quando lo lasciai erano totalmente alla rinfusa. Risi di cuore dei suoi ciuffi arruffati, e per un momento mi si strinse il petto. Lui mi sorrise.

“Avevo proprio bisogno di un amico come te, Roxas. Quando tu sei accanto a me, io mi sento completo.”


~

Quella stessa sera, quando era molto tardi, Isa venne da me a chiedere il rapporto. Lo tranquillizzai sul fatto che mi ero occupato non solo degli effettivi traditori. Non sembrava affatto felice di rivedermi. Aveva sempre quell’aria saccente che si portava dietro, quel non so che di irritante, probabilmente perché aveva sempre in mente di dovermi dimostrare chissà cosa. Mi sarebbe piaciuto vedere sul suo viso un sorriso anche non vero, accompagnato da un effettivo bentornato. Avrebbe dovuto fingere, sarebbe stato più sopportabile. Avevo realizzato qualcosa di così semplice, ossia che mi sarebbe potuta bastare l’amicizia di Roxas, e lo trattai freddamente sebbene non avessi ancora ben chiaro in mente in cosa quei due legami erano diversi.

Nei giorni seguenti tornai sulla torre a mangiare un gelato con il mio nuovo amico. Disse di vedermi più allegro; chissà, forse avevo preso da Sora. Non avrei scambiato quei momenti di tranquillità per niente al mondo. Roxas mi riportava a quando ero un ragazzo come lui, e ricordare non mi dispiaceva.

Mentre tornavo nella mia stanza mi imbattei in Saïx lungo il corridoio. Il suo sguardo sprezzante non mi parve immediatamente chiaro. Certo avevo la percezione che gli desse fastidio che io mi accompagnassi con Roxas. Solo non credevo che potesse arrogarsi il diritto di avere un’opinione in merito.


Lui, che durante i nostri ultimi giorni mi aveva rinnegato.


“Che cos’è questa buffonata?”

“Come?”

Lo guardai dritto negli occhi, e vidi uno sguardo decisamente diverso da quello che aveva quando mi aveva inviato al Castello dell’Oblio. Conclusi che doveva avere avuto in me fin troppa fiducia.

“Quella dei tuoi nuovi amici.”

“Credimi, non c’è proprio niente di nuovo.”

Portai una mano tra i capelli, seguendo i ciuffi che si dipanavano in ogni direzione a spezzare l’aria con fare disinteressato. Non c’era davvero niente di nuovo; per quanto l’essere Nessuno mi avesse tolto la percezione dell’interiorità che mi spingeva a fare qualcosa per i miei amici, conservavo la fredda cognizione di cosa fosse un vero amico. Non ero cambiato. Lui, che un tempo era l'unico a starmi accanto, avrebbe dovuto saperlo.

“Trascorri decisamente troppo tempo con loro.”

“È ciò che pensa Xemnas? Oppure è ciò che pensi tu?”

“Ha importanza?”

Scese qualche gradino verso di me, e si fermò soltanto quando mi ebbe superato, dandomi le spalle.

“È un peccato che tu scelga sempre le amicizie sbagliate, Axel.”

“So di aver commesso un enorme sbaglio, con te.”

Non lasciai che s’intromettesse oltre, e proseguii senza dargli modo di replicare.

Nonostante sapessi che non c'era niente, sentii il fuoco ribollirmi nel petto. Avevo volutamente omesso nel mio rapporto quanto mi ero sentito solo in quel castello, nell’eseguire i suoi ordini per quello che avrebbe dovuto rappresentare l’obiettivo ultimo di entrambi. Invece, quasi non mi importava più di riavere il mio cuore, e con esso la mia vita precedente. Sentivo che Isa aveva perso di vista le cose più importanti.

Non avrei voluto buttare via la nostra amicizia. Avrei voluto costruirne una in più, e sapevo che non avremmo mai potuto essere in tre. Mi rifugiai nella mia stanza, maledicendo il male allo stomaco alla vista di quell’obiettivo utopico e irraggiungibile che oltre il vetro irradiava quel mondo triste e senza cuore.

Per la prima volta dubitai del fatto che possedere nuovamente un cuore mi avrebbe aiutato; per la maggiore avrebbe aiutato Isa. La sensazione di soffocamento che Roxas mi aveva descritto, io la provavo di fronte alla vista di ciò che per il mio amico si era dimostrato più importante di me. Di quali ricordi lui avesse, di cosa considerasse importante e di tutto ciò in cui ci saremmo potuti ancora incontrare non m’importava più.

L’indomani, sulla torre dell’orologio, allontanando dalle labbra il ghiacciolo quasi volesse fermarsi a parlare, Roxas mi domandò in cosa i migliori amici fossero diversi dagli amici normali. Tentai di dargli una risposta, ma non dovevo essergli sembrato troppo convinto, perché mi guardò in modo strano. Ero frastornato. Proprio quella mattina avevo avuto l’ennesima discussione con la persona che un tempo credevo tenesse a me più delle altre. Avrei dovuto saperlo fin dall’inizio, che da troppo tempo quella persona non esisteva più.

Roxas aveva da subito scelto me, Isa mi aveva sempre rifiutato. Capii perché quel ragazzino era divenuto per me così importante, mentre il mio vecchio amico divenne quello da salvare, per cui avrei fatto qualsiasi cosa.

Ogni tanto il mio nuovo amico tornava a chiedersi perché l’Organizzazione ci ordinasse di fare certe cose o perché volessimo tornare ad essere completi se il fatto di poter essere nuovamente inglobati dall’oscurità ci atterriva tanto. Gli spiegai che ciascuno di noi aveva ricordo del proprio passato e di cosa significava avere un cuore; quei ricordi rendevano tutti noi unici. L’ultimo arrivato non era come noialtri. Non aveva niente da perdere, ma avrei voluto che si convincesse del fatto che non per questo sarebbe stato vuoto per sempre.

“Anche tu ricordi i sentimenti?”

Osservava le nuvole al tramonto con fare malinconico; a dirla tutta iniziavo a pensare che Roxas potesse sentire qualcosa. Talvolta usava espressioni appartenenti ad un essere umano; il modo in cui si preoccupava per gli altri sapeva di apprensione vera. Il medesimo sentimento che ricordavo di aver provato anch’io, nel momento in cui avevo lasciato che il mio migliore amico cadesse nelle tenebre più profonde, rimanendo totalmente inerme di fronte alle sue scelte; non sopportavo la vista di Kingdom Hearts perché mi rimembrava le mie colpe. Non lo avevo mai rivelato a Saïx, che fra noi voleva essere il più apatico, perché credevo che non avrebbe capito. Piuttosto, avrei dovuto chiedergli per quale ragione volesse tanto indietro un cuore.

“Un po’ invidio tutti gli altri membri dell’Organizzazione.”

Mi disse Roxas, in relazione al fatto che avrebbe voluto ricordare. Il mio sguardo s’inasprì.

“Un cuore può farti sentire felice. Ma può anche fare male; può ingannarti.”

“Però ci sono delle cose che è possibile fare solo con un cuore, vero? Xaldin lo dice spesso.”

“Per questo cerchiamo di essere completi, no?”

Il tramonto diveniva sempre più colorito; non volevo staccare gli occhi dal sole, per quanto facesse male.

“Quali sono le cose che è possibile fare solo avendo un cuore?”

Alzai lo sguardo al cielo e tentai di pensarci su, ma quei ragazzini sotto la torre facevano un gran baccano. Ecco, mi sopraggiunse una delle risposte. Sentire di avere degli amici. Ma non avrei mai potuto dirglielo.

“Sapere quello che vuoi davvero.”

Sembrava riflettere molto sulle mie parole.

“Non ho ancora trovato qualcosa che vorrei fare davvero.”

“Quando lo troverai, dovrai impegnarti con tutto te stesso.”

Rise, e alle mie orecchie la sua risata coprì ogni altro rumore.

“Chissà se c’era qualcosa che io volessi fare, prima di rinascere come Nessuno.”


Quella sera rientrai nella mia stanza, e i miei occhi si fermarono sulla promessa di un nuovo mondo che Xemnas ci aveva mostrato la sera precedente. C’era qualcosa che io avrei voluto fare. Tornare indietro. Come Nessuno, tutto ciò che avevo era il gelato con Roxas e qualcosa da recuperare con Saïx.

L’indomani trovai Demyx ad attendermi di fronte alla colazione. Sembrava turbato più del solito. Il suo sitar giaceva abbandonato in un angolo della stanza, e pensai fosse arrabbiato con gli altri perché non lo lasciavano suonare; quando mi avvicinai per chiedergli cosa non andava, mi guardò dritto negli occhi.

“È vero quello che si dice in giro? Che sei stato tu ad eliminare Vexen?”

La domanda mi scosse, ma non lo diedi a vedere. Poggiai una mano sul tavolo, abbassandomi su di lui fino ad inquietarlo un poco, e uno degli angoli delle mie labbra si mosse in un leggero sorriso.

“Vorresti accertartene di persona?”

Si ritrasse spingendo indietro la sedia, fingendo un certo terrore. E lì rimase, finché non mi voltai indietro.

“Dovresti smetterla di fare domande che potrebbero nuocerti.”

Demyx sospirò sollevato, rispondendomi che avevo ragione con un filo di voce, mentre Roxas entrava entusiasta nella stanza e salutava entrambi con un gran sorriso. Tornai con la mente al discorso di Saïx sui sospetti interni all’Organizzazione; avevo sbagliato ad attribuire il tutto ad un suo capriccio, anche se non avevo idea di come le voci fossero potute arrivare fino alle semplici reclute. Avrei dovuto scusarmi.

“Diamo il meglio di noi stessi anche oggi, Axel.”

Mi disse Roxas dandomi una pacca sulla spalla, e gli sorrisi mentre tornava a grandi passi nel salone. Sembrava volesse impegnarsi seriamente per trovare ciò che voleva fare davvero. La sua determinazione mi ricordò di avere un obiettivo nell’Organizzazione. Ero arrabbiato, per quello avevo scelto di indossare la tunica. Da quel momento avevo rinunciato totalmente a ciò che ero. Ero arrabbiato con me stesso, e finché Roxas non era arrivato a smuovere qualcosa dentro di me credevo che non mi sarei mai perdonato.


Note dell'autrice:

Salve a tutti, sono HikariRin!

La prima parte di questo capitolo si svolge tra i Giorni 71, 72 e 75 della permanenza di Roxas all'interno dell'Organizzazione, mentre la seconda si svolge tra il giorno 95 e il giorno 96 (la 'colazione'). Ogni volta che pubblico un capitolo immagino di volervi dire cose profonde e complesse, ma quando arrivo qui a pubblicare me le scordo.

Vorrei che in particolare vi soffermaste sul modo in cui i due protagonisti si rivolgono l'uno all'altro nella narrazione, ai momenti in cui utilizzano il loro vero nome nei propri pensieri e a quelli in cui utilizzano il nome da Nessuno. Se i ricordi sono legati ai sentimenti, allora anche il modo in cui ricordano può essere un indizio per capire cosa sentirebbero se avessero un cuore, quanto si allunghi o si accorci di volta in volta la distanza tra loro. In tutto questo si inserisce un Roxas ancora inconsapevole di cosa sia davvero l'amicizia come la intende Lea, e chi sa trovare per primo il riferimento a Xion in questo capitolo?

Dopo la sua scomparsa, Axel non è più in grado di ricordare Xion, ce lo rivela un rapporto segreto. Gli stessi rapporti riportano che Xigbar sapeva degli intrighi nel Castello dell'Oblio - ha una vera e propria passione per i segreti di Xemnas e per l'origliare le conversazioni altrui - e quindi, discorrendo molto con Demyx nel salone, avrebbe potuto rivelargli tutto ciò che aveva sentito. Da qui la scena della colazione. 

Ancora una volta torno a dirvi che tutte quelle battute in cui Isa e Lea si riferiscono al proprio passato prima dell’Organizzazione, in cui può esservi qualche nota d’acrimonia, verranno spiegate nei capitoli successivi.

Alla fine le cose che volevo dire sono tornate alla mente, quindi mi sento pienamente soddisfatta.

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Capitolo 8
*** ~ Recisione ***


The Realm Between ~ 8

Recisione



Axel tornò dal Castello dell'Oblio, e lo fece senza degnarmi di uno sguardo. Mi sembrò di scorgerlo lungo il corridoio, ma quando mi recai nella sua stanza per sapere come erano andate in verità le cose si trovava già altrove. Mi chiesi dove potesse essere andato, e ricordai le parole del Numero XIII in merito al mangiare insieme un gelato con lui ogni sera. Mi domandai cosa sarebbe successo se mi fossi unito alla rimpatriata; avrei riconquistato anche se di poco la fiducia del mio amico di un tempo o sarei stato categoricamente rifiutato? Rimasi a riflettere per qualche minuto, e infine decisi che avrei aspettato che facesse rapporto.

Quella stessa sera lo raggiunsi nella sua stanza; scoprii che aveva fatto tutto ciò che gli avevo chiesto. Seguitava ad osservarmi come se attendesse qualcosa, una qual sorta di riconoscimento, un ringraziamento, una parola di lode. Avrebbe dovuto sapere che non sono affatto propenso a cotali gratificazioni, e avrei voluto che mi tirasse fuori le parole di bocca, come al solito. Non lo fece. Sembrava si fosse rassegnato all’idea che con me avrebbe avuto un rapporto di altro tipo e che avesse preso a considerare Roxas la persona con la quale avrebbe potuto costruire un nuovo legame. Aveva sempre avuto bisogno di qualcuno che gli girasse intorno, ma io avevo deciso che lo avrei fatto con discrezione. Roxas aveva legato per prima cosa con lui dal suo ingresso nell’Organizzazione, e ormai anche gli altri erano avvezzi a vederli insieme.

Nonostante non avessimo un cuore, avrei voluto preservare Lea dal rimanere invischiato in qualcosa che lo avrebbe portato molto lontano dall’obiettivo finale; socializzare con i fantocci e le marionette non lo avrebbe portato da nessuna parte. Xigbar e Xemnas mi avevano velatamente dissuaso diverse volte dall’essere io quella persona. Qualunque cosa cui Lea si fosse aggrappato avrebbe potuto influenzarlo, se anche fosse stato inevitabile Xemnas aveva decretato che il fato avrebbe guidato ogni cosa nel giusto modo e il discorso di Xigbar mi aveva fatto riflettere sulla realtà del fatto che la minoranza dei membri d’élite di cui io facevo parte aveva un ruolo fondamentale, mentre sugli altri il Numero I e il Numero II stavano ancora sperimentando. Per questo motivo permettevano che la replica andasse in missione con Numero XIII e che Axel sviluppasse un proprio pensiero. Non potevo comunque tacere, avevo un passato da difendere che loro non avrebbero mai dovuto conoscere o potuto comprendere, e mi sentivo in parte responsabile dello smarrimento di Lea. Non trovavo pace, perché in qualche modo sapevo di star diventando come loro.

Un parte di me avrebbe voluto che  i piani di Xemnas venissero a galla per trascinarli verso il naufragio, insieme a tutte le sperimentazioni che nel frattempo stavano avanzando, ma la mia volontà non fu mai pienamente improntata verso quell’obiettivo. Decisi che Axel avrebbe meritato quantomeno un ringraziamento e delle scuse per l’intransigenza che gli avevo mostrato la sera precedente, quindi mi presentai nella sua stanza nella mattina di qualche giornata più avanti, quando le acque si erano calmate.

“Quando entra senza bussare, può essere solo una persona. Sei tu, vero?”

Lo trovai sdraiato sul letto, con la testa poggiata su un gomito, rivolto alla luna.

“Ero convinto ti desse il voltastomaco.”

“Ho solo pensato di dovermici abituare, prima o poi.”

Non si mosse dalla sua posizione, ma voltò il viso senza tuttavia arrivare a guardarmi. Per un momento un ricordo mi attraversò la mente, e vidi ancora lo stesso ragazzo di qualche anno prima.

Tentai di fare qualche passo in avanti, ma fu perentorio.

“Che cosa vuoi?”

“Raccontami ogni cosa.”

“Non vuoi sapere ogni cosa.”

Mi trattava con ben poco riguardo, quindi mi avvicinai a lui incrociando le braccia al petto. L’orgoglio dell’essere un gradino sopra di lui mi stava annebbiando. Non era certamente più il rapporto di una volta.

“Allora dimmi ciò che devi.”

“C’erano voci di uno sterminio avvenuto nel Castello dell’Oblio già da un po’, non è così? Roxas mi ha detto che prima di addormentarsi aveva sentito te dire che tutti i membri inviati al Castello erano scomparsi, e che poi ha dormito per una ventina di giorni. Voi sapevate, e sono stato abbandonato a me stesso.”

“Che cosa ti aspettavi? Non ho potuto muovermi di qui.”

“Quindi mi sono chiesto se davvero io non ti fossi d’intralcio.”

“Smettila di dire idiozie.”

“Mi hai mandato a morire.”

“È Xemnas a dare gli ordini. Lui ti ha mandato al Castello dell’Oblio ad occuparti dei traditori.

“Marluxia e Larxene non erano che due delle pedine che tu mi avevi chiesto di eliminare.
  Di fronte a una notizia del genere, non ti è venuto in mente che io potessi essere stato cancellato?”


Non sapevo affatto in che modo replicare. Ci avevo pensato tutti i giorni, ma non potevo certo dire di essere stato preoccupato. Avevo dovuto rivedere i miei piani, decidere se votarmi a quello di Xemnas. Avevo fatto una promessa a me stesso, e dopo aver fatto tanto mi ero arreso alla realtà che non avrei potuto proteggerlo.

Sai che ti dico? Non mi pento affatto di trascorrere il mio tempo con Roxas.
  
Almeno per lui l’amicizia viene prima del lavoro.”

Il suo rimanere immobile nelle sue posizioni era capace di rendermi intollerante, ma mai quanto il nome del Numero XIII frapposto tra i nostri. Ero deciso a non assecondare alcuno di quei suoi disegni infantili volti a portarmi dalla sua parte, ma il mio corpo si mosse prima delle mie intenzioni e poggiai una mano sul materasso con fare impetuoso tanto da costringerlo a voltarsi.

“Xigbar sapeva di noi due, e ha sospettato fin dall’inizio. Xemnas è stato avvertito e per accertarsi che non fossimo tra i traditori ti ha mandato a fare il lavoro sporco per lui. Lo farà ancora, finché non ti avrà eliminato davvero; a meno che non gli facciamo intendere di non avere niente da temere. Credi che io non abbia avuto alcuna remora a mandarti ad affrontare l’eroe del Keyblade? Se mi fossi mosso per un sopralluogo avrei dato modo di pensare che mi importasse fin troppo della sorte di alcuni che certamente non erano i traditori, e che sapessi preventivamente che Vexen, Lexaeus e Zexion sarebbero stati eliminati.”

Era riuscito a strapparmi le parole di bocca, infine. Il mio sguardo si fece più grave, ma lui si volse altrove.

“Apri gli occhi, Isa. Ragioni allo stesso modo di Xemnas.”

“La tua è semplice frivolezza, invece. Non puoi fare sempre quello che vuoi.
  Credevo condividessimo i medesimi obiettivi, che fossimo complici.”

“Non siamo complici. Siamo amici.”

Quando i suoi occhi tornarono nei miei, mi fecero sentire in qualche modo in difetto.
Come se Axel avesse iniziato a prendere coscienza di essere una persona diversa.
Come se improvvisamente avesse maturato il desiderio di voler essere di nuovo qualcuno.

“Non capisco perché ti ostini a definirla amicizia.”

Ammutolì, e socchiuse gli occhi come se si sentisse colpito nel profondo. All’interno dell’Organizzazione eravamo stati vicini come mai prima, ma pensavo lui agisse in base ai ricordi che aveva del nostro passato.

Di fronte alla sua cocciutaggine, cominciai a chiedermi quali ricordi effettivamente avesse e quanto li considerasse importanti. Se anche fossero stati indelebili o insostituibili, volevo che capisse che finché non avremmo portato a termine quanto stabilito la nostra natura e le nostre possibilità non sarebbero cambiate.


“Con tutto quel riflettere, trovo ridicolo che tu abbia ancora bisogno di un ripasso su ciò che realmente sei. Noi non abbiamo legami. Non abbiamo sentimenti. Io sto cercando di portarti dove sono i nostri sentimenti, ma tu continui a correre dietro a qualcosa che non esiste. Rifletti ancora un po’, Lea, e torna a farmi sapere se intendi buttare all’aria i nostri piani. Qualsiasi legame tu abbia all’interno dell’Organizzazione, è finto.”

La sua espressione mutò repentinamente. Dovevo riconoscere che Axel era uno dei migliori sicari della nostra Organizzazione. Considerava un limite la nostra condizione di esseri indolenti, ma sarebbe stato capace di cambiare tutto questo in un vantaggio sfruttando il quale avrebbe potuto eliminare senza alcuno scrupolo persino i suoi superiori. Il fuoco che ardeva al suo interno avrebbe potuto consumare qualsiasi rimasuglio di indugio rimastogli e variare la sua natura dissimulatamente emotiva in quella di un essere imperturbabile. Mi scrutava come se di fronte a sé non vi fosse nient’altro che il soffitto, nientemeno che il buio più totale rotto solo dal riflesso della luna che filtrava dal vetro della finestra. Le ombre di Numero XIII e di No.I, l’ombra di legami che parevano veri, lo avevano cambiato fino a fargli scordare di essere Nessuno.

“Proprio perché è tutto finto, lasciami fare quello che mi pare.

  Te l’ho già detto una volta, no? Non voglio trascorrere un’esistenza noiosa.”

Afferrai le note inflessibili del suo sguardo, e mentre decidevo di dargli una possibilità mi ritrassi da lui.

“Da ora in poi, le missioni che svolgerai al Castello dell’Oblio saranno della massima segretezza.

Capii che non avrei dovuto aggiungere altro. Avrebbe sempre avuto un occhio di riguardo per Roxas, come io avrei sempre avuto un occhio di riguardo per lui. Mentre mi allontanavo lungo il corridoio, mi domandai cosa avesse incontrato di tanto potente nel Castello dell’Oblio da indurlo a scegliere loro.

~

I giorni trascorrevano senza che ci rivolgessimo la parola. L’unico contatto che avevo con lui era quello dell’assegnazione del mattino. Saltuariamente rivolgevo qualche domanda al Numero XIII per informarmi su come stava procedendo. Mi disse che Axel sembrava più allegro e che continuavano a prendere il gelato insieme. Nominò anche il fantoccio, ma quello mi interessava meno. Tutto procedeva secondo i piani; almeno, così asseriva Xemnas. Osservavo le cose da una certa distanza per assicurarmi che ogni elemento fosse al posto giusto, ma c’era sempre qualcosa che stonava alle orecchie di molti nelle sue parole.

Un pomeriggio ci radunò per mostrarci il frutto dei nostri sforzi. I nostri custodi del Keyblade ora potevano ammirare il fine ultimo del loro duro lavoro. Kingdom Hearts splendeva sempre di più nel nero della distesa. Quel giorno Axel prese posto accanto a me, e seppi che non si sarebbe mai abituato a quella condizione.

Accadde che, la mattina di due giorni più tardi, lo sentii discutere con Demyx nelle cucine. Mi trovavo nel salone, nell’intento di assegnare a ciascuno la propria missione giornaliera. Mi domandai in che modo al Numero IX erano giunte certe voci, ma Axel fugò ogni dubbio con inappuntabile scaltrezza; avrei voluto quasi congratularmi. Poi venne da me il Numero XIII a chiedere della propria missione, ed anche in quella giornata chiese di poter essere abbinato con la bambola. Dopo essermi raccomandato con lui sul fatto che sarebbe stato l’ultimo giorno in cui avrei permesso loro di sostenere una missione insieme, poiché Axel aveva voluto coprirli per l’ennesima volta ma l’incarico che si era offerto di affrontare si sarebbe rivelato complesso se fosse andato da solo, decisi che lo avrei abbinato con Demyx, perché completasse il lavoro iniziato durante la colazione. Quando lo seppe mi guardò con fare beffardo; aveva colto la sottile ironia che si celava dietro al mio gesto. Sono questi i vantaggi che derivano dal conoscere bene qualcuno.

Quella stessa sera, nell’intento di assicurarmi che tutti fossero tornati dalle proprie missioni, mentre lasciavo il salone lo vidi sonnecchiare sul divano; poggiato su un gomito, la testa adagiata sul cuscino. Pensai che gli stesse bene, per aver voluto andare oltre le sue possibilità. Mi sporsi verso di lui e rimasi ad osservarlo. Sonnecchiava apparentemente sereno, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi.

Aveva sempre avuto quella brutta abitudine di addormentarsi ovunque. Mi tornò in mente l’episodio della nostra adolescenza in cui Lea ebbe un mancamento sulla torre. Cadde improvvisamente sulla mia spalla; mi allarmai e lo allontanai immediatamente dal bordo, ma quando mi avvicinai a lui per accertarmi delle sue condizioni mi resi conto del fatto che stava semplicemente dormendo. Non potevo crederci. Quando aprì gli occhi, frastornato e spaesato, vide la mia espressione sconvolta e scoppiò in una grossa risata.

“Isa, che ci fai in casa mia?”

“Non siamo a casa, Lea.”

Si guardò intorno e comprese di essersi messo in una brutta situazione; allora si mise seduto, portando una mano tra i capelli come faceva sempre quando doveva trovare un modo per tirarsi fuori dai guai.
Ma non avevo alcuna intenzione di lasciare che la facesse franca.

“Ti sei addormentato sulla torre! Sei un irresponsabile! Cosa sarebbe successo se io non ci fossi stato?!”

“Se tu non ci fossi stato non sarei mai venuto qui. L’hai memorizzato?”

Mi sorrise, e mi strinse la mano.

“La pensi anche tu allo stesso modo, vero Isa?”
 

Mi accorsi solo in quel momento che sul mio viso si era dipinto un sorriso spontaneo, di quelli che non vi sostavano da tempo, e quando sollevai lo sguardo vidi il Numero III apostrofarmi con assoluta freddezza.

“Ricordo bene di quando vi intrufolaste nel castello insieme.”

La mia espressione mutò repentinamente, e allora furono le sue labbra a dischiudersi in un lieve sorriso.

“Non penso tu stia facendo niente di male, Numero VII. Hai mai riflettuto sulla caducità dei sentimenti? In quel giorno, pensai che non sarei più stato vittima di alcuna debolezza. Banalmente mi accorsi che certe cose non possono essere fatte senza un cuore. Lui, di contro, è sempre stato un po’ troppo impulsivo.”

Mentre si allontanava, mi fece segno che Xemnas non avrebbe saputo niente di quanto accaduto.
In quell’istante Axel si mosse per sistemarsi sul divano, e non potei ignorarlo.

“Dovresti spostarti nella tua stanza.”

Gli dissi mentre mi allontanavo da lui, ma mi accorsi che aveva afferrato un lembo della mia giacca.

“Isa, ti chiedo scusa.”

Non potei fare a meno di chiedermi perché un essere senza cuore si stesse scusando.

“Proviamo ancora una volta, va bene?”

Feci in modo di liberare la tunica dalla presa della sua mano, poi mi voltai nuovamente verso il corridoio.

Rimasi immobile per qualche secondo, con l’intento di sembrare più freddo e distante di quanto avrei voluto. In realtà, pensavo a come avrei potuto farmi risarcire di tutto il tempo che Numero XIII mi aveva rubato.

“Non possiamo ancora cambiare niente, Lea. Ma vorrei indietro tutto quello che ci hanno sottratto.”

Ero davvero stanco di quel sorriso di circostanza da persona senza cuore che avrebbe tanto voluto averne uno. Decretai che se da quel giorno ci fossimo riavvicinati gli avrei nascosto la verità ancora per un po’.

“Proviamo a desiderarlo davvero.”
 


Note dell’autrice:

Ci sono diversi membri dell’Organizzazione che adoro. A loro modo, hanno tutti un buon lato del carattere. Anche chi è prettamente cattivo ha le proprie motivazioni per esserlo, e chi ha maturato una certa idea – un po’ come Xaldin a riguardo dell’inutilità dei sentimenti – lo ha fatto in virtù della sua vita precedente.

Certo che l’ironia del Numero VII nel momento in cui ha assegnato Axel e Demyx alla stessa missione deve essere stata pungente; povero Demyx!! La scena in questione si è svolta durante il Giorno 96, in cui Xion torna ad utilizzare il Keyblade dopo un periodo di smarrimento, e nel quale Axel dice ai suoi amici che non potranno rimanere insieme per sempre, ma se si ricorderanno a vicenda non saranno mai separati.

I prossimi capitoli saranno un’escalation di agonia e disperazione, il che è anormale quando si parla di persone senza cuore. Ovviamente è ciò che vorrei arrivasse a voi lettori, a meno che non esistano Nessuno anche nel mondo reale. Mamma mia, quando cerco di essere spiritosa sono peggio di Lexaeus.

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Capitolo 9
*** ~ Tramonti ***


The Realm Between ~ 9


Tramonti
 

Mi aveva chiesto di provarci davvero, ma non avrei saputo a chi dei due riferire il significato di quelle parole. Non c’era mai stata una sola volta in cui io non ero stato sincero. Avevo sempre voluto liberarmi dalle catene che ci tenevano imbottigliati in quel mondo insipido, ma avevo la sensazione che per qualche tempo a non volersene andare fosse stato lui, e da quando era salito al comando che avesse cambiato piani.

Roxas era con noi ormai da tre mesi, e come non riuscivo ad abituarmi alla vista del mio cuore lontano non riuscivo con quelle sensazioni di intensa euforia o intenso dolore che mi coglievano di tanto in tanto mentre mi trovavo con lui. Avevo provato le medesime sensazioni quando nel Castello dell’Oblio mi ero trovato a stretto contatto con Sora, ed erano ciò che più avrei voluto conservare del mio rapporto col loro.

Osservavo attentamente Roxas, che nel tempo sviluppava espressioni e locuzioni tipiche dell’essere umano.

Mi confondeva e mi attraeva enormemente al tempo stesso; tornava saltuariamente a farmi riflettere sulla nostra condizione di Nessuno, e mi chiedevo seppure non avessimo diritto di esistere se il nostro cuore potesse reagire anche a distanza. Avrei voluto che anche Isa si associasse con lui; in questo modo avrebbe potuto capire. Ma non avrei mai potuto chiedergli niente del genere; a Roxas pareva addirittura che Sa
ïx lo odiasse. Sapevo che non poteva essere così, Isa non sentiva davvero niente. Ma al fatto che m’intimasse di non avere amici non potevo acconsentire. L’amicizia non è solo qualcosa che sentiamo, può anche semplicemente essere considerata un tipo di legame; esattamente quello che volevo difendere anche con lui.

Mi risultava evidente che Isa teneva molto a ciò che avevamo trascorso insieme; aveva sempre un occhio su come stavano procedendo le cose fra me e Roxas. In fondo al vuoto che il mio cuore aveva lasciato, non potevo evitare di chiedermi per quale motivo lo faceva. Avrei escluso a priori qualsiasi sentimento, e conclusi che sapeva qualcosa della verità dietro al Nessuno dell’Eroe del Keyblade che non voleva rivelarmi.

Mi ero reso conto di aver sbagliato nel seguire le emozioni che Sora e Roxas mi avevano regalato fino a quel momento, proprio quando non avrei potuto permettermi alcunché. Avrei dovuto comportarmi come un freddo calcolatore, liberare la mente dei miei ricordi e considerare il cuore un inutile fardello, eppure questa è la nostra natura. Seguiamo ciò che ricordiamo, ciò che è nostalgico. Per quanto Isa volesse trascinarmi indietro e riportarmi al nostro originario proposito, non avrei più potuto fare a meno di seguire Roxas.

Era tutto un azzardo. Voler capire, voler sentire, voler scavare sempre più a fondo. Se avessi trovato una via più breve per tornare ai sentimenti, attraverso essa avrei guidato Isa fuori da quel modo di pensare.

“Di' un po’, ragazzo. Come consideri la vita?”

Stava seduto al tavolo, con un mazzetto di carte in mano. In quella mattina scura come tutte le altre, il Numero X mi propose un interessante spunto di riflessione. Allora pensai alla mia vita, quella precedente.

“Come qualcosa che oramai abbiamo perduto, suppongo.”

Luxord sorrise. E posizionò sopra alle altre un’altra carta sul tavolo.

“Se alludi alla nostra condizione attuale, è vero. Abbiamo già perso quella partita.”

“Allora è inutile interrogarsi. Quello che facciamo adesso non è vivere.”

“Sei sicuro? Aneliamo ad una condizione migliore. Questo è in sé vivere.”

Mi fermai a riflettere, e mi appoggiai allo schienale della sua sedia.
Si volse verso di me con il medesimo sorriso, e mi porse due carte coperte, che afferrai.

“La vita è un gioco. Ogni giorno si mette qualcosa in palio, si vince e si perde. Però quel ragazzino che è arrivato da poco, Roxas, non la vedrà mai come te. Più tempo le nostre lancette segnano, più siamo propensi a rischiare, e privi della lucidità che ci permetterebbe di concentrarci perdiamo più spesso. Ecco perché la nostra mano conta sempre meno carte da giocare. Ma fino alla fine, non possiamo evitare di voler vincere.”

Voltai le due carte, e notai che rappresentavano l’estrema vincita e l’estrema perdita. Mi concentrai su quest’ultima, e immediatamente compresi quanto il vecchio aveva ragione; mossi gli occhi sull’altra, e mi chiesi cosa avrei potuto avere ancora da guadagnare.

“Ci sono ancora tante sfide che non posso permettermi di perdere.”

“Allora sei ancora giovane.

Concluse, dandomi l’impressione che sapesse davvero qualcosa riguardo a come s’inganna la vita.

Continuavo ad osservare quei simboli nella mia mano. Insomma, proprio quando avevamo cominciato a pensare che potevamo considerare un dono la perdita del mio cuore, perché grazie ad essa avremmo potuto lasciare quel luogo in cui saremmo sempre stati soggiogati dalla volontà di qualcun altro, la mia esistenza aveva voluto giocare con me lasciando che seguissi dei sogni, e così ero entrato in competizione con lei.

Bell’affare.

“Buongiorno.”

Demyx salutò con il suo sitar al seguito, e mentre si sporgeva verso il frigorifero mi sorrise bonariamente; pensai che aveva superato la questione Vexen, che in fin dei conti sarebbe stato meglio scordare.

“Non lavori neanche oggi?”

“Lavoro, lavoro. Sono solo venuto a rinfrescarmi l’ugola.”

“Hai ragione, Numero IX. Stressarsi eccessivamente riduce lo zelo.”

Luxord terminò il suo solitario, e pareva insolitamente fiero di aver vinto il suo gioco.
Come aveva detto Roxas, sembrava divertirsi quando aveva successo.

“Insomma, nessuno dei due vuole lavorare.”

Mi lasciai sfuggire un sorriso, uno di quelli veri. Capitava di rado che fossimo tanto affiatati.
Più frequentemente capitava che qualcuno pensasse di rovesciare l’Organizzazione. Come me e Saïx, del resto. Non era sempre bello mentire, ma d’altro canto sarebbe stato l’unico mezzo per vincere.

“Sai, ultimamente sembri più allegro.”

Demyx si avvicinò a me sorseggiando un intruglio colorato, e rispondi piegando lievemente il capo.

“Lo credi anche tu?”

“Chi altro lo pensa?”

“Avete già scialacquato troppo del vostro tempo.”

Come previsto, ecco a ruota degli scansafatiche il vendicatore delle missioni inconcluse, che seguitava con fresca ironia a prendersi gioco di tutti loro. Presomi distante dagli altri mi disse che di lì a poco sarei dovuto tornare nel Castello dell’Oblio. Capii che non erano ordini diretti di Xemnas, ma qualcosa di furtivo legato ai suoi reali obiettivi; nemmeno Saïx capiva quali. Vero era che Xemnas cercava qualcosa in quel castello, e che le sperimentazioni che Vexen vi stava conducendo avevano probabilmente a che fare con esso. Tentai ancora una volta di liberare la mente e di abbandonare qualsiasi effimera sensazione, perché se avessi rimuginato su una sola di esse avrei potuto associare un vago senso di colpa al ricordo del fatto che avevo eliminato Vexen e Zexion per garantirci il successo. Sentivo, comunque, che nelle istruzioni di Saïx c’era qualcosa di più . Cercava di allontanarmi da Roxas, era come se mi stesse chiedendo di tradirlo.

~


Il giorno dopo annunciarono che avremmo avuto una giornata libera. Nel salone trovai Roxas, intento a cercare qualcosa che gli permettesse di occuparla in attesa della nostra serata insieme. Non aveva cognizione di cosa fosse una vacanza, e quando gli spiegai che non avrebbe dovuto lavorare sembrò sorpreso, ma profondamente smarrito. Quanto a me, avrei voluto dormire per non fermarmi a riflettere.

Il ricordo della nostra ultima giornata libera era ancora capace di farmi sussultare, sebbene avessi deliberato che mai più lo avrei lasciato entrare così a fondo. Se avessi avuto un cuore avrei sentito l’immensa sofferenza che mi sarebbe derivata da quel mio tentativo andato a vuoto di recuperare qualcosa con lui, e quella rimanenza che ogni tanto ne sentivo non avrei potuto che associarla in qualche modo alla sua presenza, alla sua persona o al fatto che entrambi non avevamo potuto esprimere sentimenti a riguardo, o al fatto che eravamo disperati e che dunque, nella nostra disgrazia, avevamo deciso di unirci.

Lo incontrai nel salone, mentre rimuginava su qualcosa adagiato sul divano, e prima di ritirarmi nella mia stanza mi sedetti accanto a lui ringraziando di non avere un cuore.

Il pensiero vagava naturalmente al fatto che lui potesse aver dimenticato.

“Come passerai questa giornata?”

Non mosse nemmeno gli occhi, ma non mi arresi; non capivo se fosse un tentativo di allontanarmi allo stesso modo di tutti gli altri che erano venuti prima. La spinta verso la nostra amicizia era comunque più forte di qualunque altra motivazione, e decisi di non darla vinta al suo muso lungo per l’ennesima volta.

“Vorresti tornare sulla torre?”

“No. Xemnas mi ha dato da fare.”

“Ma è la giornata libera.”

Voltò lo sguardo, e mi guardò come se qualcosa mi fosse sfuggito.
Come se avesse voluto dirmi che non esistevano giornate libere.

“Tu, piuttosto, dovresti prepararti per partire.”

Ricordo solo che spostai gli occhi sul pavimento senza colori. Tutto, in quella stanza, era senza colori. Solo io mi sentivo macchiato di ogni tono. Il nero, lo scarlatto, il grigio del mio senso di colpa, il colore dei suoi occhi, e pensare di dover tornare in quel luogo ancora più bianco mi provocava un vago senso di nausea.

“Isa…”

“Saïx.”

Non replicai a quella che mi era parsa l’ennesima farsa.
Sapeva che non avrei mai potuto dimenticare il suo nome.

“Se scoprissimo qual è il vero intento di Xemnas e non funzionasse, esisterebbe un altro modo?”

“Quando sarai lì, scruta ogni cosa.”

Uno degli angoli delle mie labbra si allargò in un lieve sorriso.
Dunque era quello il significato delle parole ‘provarci davvero’.

Ed era qualcosa che gli altri non dovevano sapere.

“Cosa vorresti fare, una volta che avrai ottenuto indietro il tuo cuore?”

Mentre rifletteva, per un attimo mi sembrò di rivedere la persona ch’era un tempo.

“Vorrei tornare a casa.”

Sentii una morsa comprimermi il petto anche se, realmente, non potevo sentire alcun sentimento.

“Anch’io.”

“Lea.”

Il sorriso sincero che aveva colorato il mio viso svanì. Non lo corressi, e presi a fissarlo chiedendomi se si fosse accorto di come mi aveva chiamato. Saïx non finì mai la frase. Mi addormentai chiedendomi cos’avrebbe voluto dirmi. Non provavo niente, solo un disperato senso di vuoto, e al posto di un’emozione c’era solo l’agitazione per un qualcosa che non c’era. Quella sera raggiunsi Roxas sulla torre dell’orologio.


“Come trascorrevi le tue vacanze estive?”

Gli avevo raccontato di quando vivevo come un normale ragazzino della sua età. Gli dissi che ero un po’ come quei ragazzi che si rincorrevano nella piazza. Vivevo alla giornata, senza pensieri. Facevo quello che mi andava. Ero felice. Mi ascoltava sorridendo dolcemente, e non potei fare altro che sorridere a mia volta.

“Avevo un amico.”

A questa notizia sorrise ancor più di prima, pareva entusiasta.

“Facevate insieme i compiti?”

Frizionai i capelli con fare imbarazzato. A dirla tutta, ero imbarazzato davvero.

“Durante l’estate gli insegnanti ci riempivano di compiti, era davvero noioso. Non ero uno che ci teneva particolarmente; il mio amico invece sì e mi riprendeva sempre, perché avevo la brutta abitudine di non finirli per tempo. Ogni sera salivamo su una torre proprio come questa. Senza gelato. Guardavamo la luna.”

Il mio discorso si fermò per un momento, e Roxas si sporse per potermi guardare meglio in viso.

Mi resi conto di avere ancora della nostalgia per quei giorni. Come se avessi avuto un cuore, quando parlavo del principio della nostra amicizia il mio sorriso calava gradatamente come la luce al tramonto.

“A lui piaceva molto. Diceva che io ero il sole, e lui si sentiva l’opposto di me.
  Salivamo sulla torre al tramonto e restavamo fino a sera.”

“Parlavate delle cose più stupide?”

“Il tempo scorreva senza che dicessimo niente. Quando hai un cuore che parla, non ti servono le parole.”

“E questo amico ce l’hai ancora?”

Per la prima volta aveva finito il gelato prima di me.
Mi mostrò fiero il suo bastoncino vuoto, e sorrisi di nuovo.

“Perché me lo chiedi?”

“Mi piacerebbe conoscerlo.”

Il mio gelato cominciava a sciogliersi. Non avevo la forza di addentarlo per avvertire soltanto più freddo.
Osservavo quei ragazzini che facevano ancora baccano, e realizzai che Roxas mi faceva sentire come allora.

“Sai, Roxas… Adesso non è più tutto come prima.”

Roxas non avrebbe mai potuto comprendere cosa significasse avere qualcosa di prezioso. Non aveva mai avuto niente del genere. Senza un cuore non puoi dare valore a qualcosa. Fu in questo modo che glielo spiegai e parve capire, anche se non fino in fondo riguardo al motivo per cui le cose che consideriamo preziose possano dimostrarsi una debolezza. L’amore è un sentimento importante, è un sentimento potente. Lo ricordavo bene. Non che io volessi eludere le sue domande. Semplicemente volevo smettere di ricordare.

Quando non puoi provare amore, sei solo vuoto dentro.

È una debolezza quando prende tutto di te.

Roxas non aveva tanti amici, ma qualche tempo più tardi disse di avere paura di potermi perdere.

Non avevo mai pensato che si potesse perdere qualcosa pur non avendo diritto di esistere.

Volevo solo tornare come prima, ad essere ed avere.


“Credo tu abbia trovato il modo migliore di comunicarlo, Roxas.”

Gli dissi, di fronte ad un altro di quei tramonti. Aveva detto di essere davvero spaventato, e nel profondo volevo credergli. La sua espressione non contraddiceva le sue parole, come quelle di tutti quanti noi.

“Ricordi il mio amico delle vacanze estive? In realtà, la nostra amicizia si è spenta.”

Sebbene facesse male, mi pareva quasi di scorgerci nel sole, sulla torre del Giardino Radioso.

“Non so di chi è la colpa, e non m’importa. A volte ho paura; paura di svegliarmi e di non vederlo più.

  Qualcosa me lo ha portato via, e penso di non poterci arrivare. Se anche glielo spiegassi, non capirebbe.”

“Perché dici così?”

Aveva nuovamente finito il gelato per primo, ma aveva sul volto un’espressione diversa. Tenevo molto a Roxas. Era un amico vero. Si preoccupava per me, anche quando parlavo di cose ormai trascorse.

“Perché per lui non esiste amicizia, da quando non ha un cuore.”

“Il tuo amico è un Nessuno?”

“Sì.”

Alzò lo sguardo, e pareva stesse ragionando su chi poteva essere tra i Nessuno che conosceva.
Lo vedevo assorto, e sul mio viso si dipinse un altro vero sorriso che non notai immediatamente.
Me ne accorsi solo quando lui tornò a guardarmi negli occhi e sorrise a sua volta.

“Non potresti semplicemente farti avanti per primo?
  Quando ancora non potevo parlare, tu dialogavi con me.
  È stato allora che ho capito l’importanza delle parole.”

Poi il profondo azzurro nei suoi occhi si riflesse nei miei.
Il suo sorriso riempì il mio cuore di un’infinita dolcezza.

Sentivo. Sentivo qualcosa.

“Se ora parlassi anche con lui, sono certo che si esprimerebbe.”

Era un miscuglio di nostalgia, serenità e dolore.

“Tenterò, Roxas.”

~

Nei giorni seguenti io e Roxas affrontammo una marea di discorsi, più o meno stupidi; divenimmo migliori amici. Tentai anche di parlare con Saïx, ma ancora una volta non volle essere sincero. Pensai che il percorso da lì a dirgli come mi sentivo nei suoi confronti sarebbe stato difficile, e rinunciai.

Mi risentii a causa del fatto che stava facendo preoccupare Roxas con tutti quei segreti e che in qualche modo ce l’aveva con me, come se non avesse ancora afferrato qual era il mio temperamento.

Un giorno non troppo lontano, però, mi ritrovai al Castello dell’Oblio e appresi la verità su Naminé. Il Progetto Replica era stato portato avanti più di quanto credessi prima che io riuscissi a fermarlo eliminando Vexen e Zexion, e grazie alle abilità di quel Nessuno speciale collegato a Sora erano state create diverse Repliche. Xemnas avrebbe voluto servirsene per i suoi scopi. Non mi era chiaro a cosa servissero tutte quelle bambole, ma capii che Saïx aveva voluto mettermi in guardia da quella che si trovava più vicina a Roxas di quanto le sarebbe dovuto essere concesso. Così stava scritto in quei rapporti segreti. Ricordo che anelai ardentemente che l’oblio colpisse anche me, in modo da poter ricominciare da capo una terza volta, con Isa.

Il giorno seguente venni assegnato ad una missione proprio con Roxas. Ci recammo in un mondo nel quale lui disse di aver volato. All'inizio non volevo crederci, ma incontrammo una ragazza, una fata molto piccola. Su richiesta di Roxas rilasciò una speciale polvere magica, e in un battito di ciglia era già in volo. Lo osservavo ammirato, e quando mi invitò a fare la stessa cosa mi mostrai scettico.

“Non si può volare senza desiderarlo ardentemente.”

“Allora ti basta desiderarlo! Non ti piacerebbe poter ammirare il tramonto dall’alto?”

Mi indicò la distesa del sole di mezzogiorno che splendeva alto sopra le nostre teste.
Avrei voluto fondermi con lui, il mio elemento, per poi guardare giù e sentirmi libero.

Roxas mi spronò a crederci; credetti in lui che era il mio migliore amico, e mi sollevai anch’io in volo. Completammo la missione in pochissimo tempo e ci fermammo ad assaporare la libertà. Quella che provavo era una sensazione fantastica; sentivo di poter arrivare fino al cielo, di potermi slegare, di poter fuggire.

Allo stesso modo del sole, anche la luna da quell’altezza mi sarebbe parsa più vicina. Roxas era accanto a me e sorrideva, mentre mi tendeva la mano. La tenni stretta, e sorridendo non avrei saputo dire a cosa davvero guardai in basso. Da diverso tempo non sentivo quella stretta al petto di quando si vorrebbe piangere.

Mi sembrava di essere il vecchio Lea, catapultato in un mondo nuovo. Tutto era come sarebbe dovuto essere.

 “Avevo ragione io.”

Dissi sommessamente. Roxas si volse verso di me, e sorrise al mio sorriso. In quel momento era passata ogni cosa. La nostra amicizia perduta, le mie colpe, quelle di Isa, le catene, l’oscurità, il bianco della prigione.

“Non serve un cuore per desiderare ardentemente qualcosa. E il desiderio è l’espressione dell’anima.”

“Ma che discorsi fai in un momento come questo?”

Roxas rise delle mie parole, pur essendomi venuto vicino per ascoltarle. Scossi la testa e strinsi la sua mano.

Per la prima volta da quando mi conosceva mi vide davvero felice.

 

“Roxas, saliamo ancora più in alto.”


~


Quella sera il gelato era più buono del solito. Non avevo smesso un attimo di tenergli la mano.

In cima alla torre il sole non era così caldo come in quel mondo, ma il mio animo lo era ancora, e quando avevo comunicato ad Isa che la missione era stata conclusa mi aveva visto entusiasta. Le altezze, le torri, il giorno e la notte, avevo cominciato ad amarli per merito del mio amico delle vacanze estive. Ne parlai a Roxas, che sdraiato in direzione del tramonto accanto a me ascoltava contento. Lo carezzavo gentilmente tra i capelli, e seguitavo ad osservare il cielo. Non avrei mai voluto che quel giorno finisse. Di tanto in tanto Roxas si appoggiava a me e sonnecchiava sulla mia spalla. Quel volo aveva spossato entrambi, ma avrei voluto farlo ancora. E, com’era naturale, avrei voluto portarci anche Isa. La luna avrebbe meritato dal pontile di quella nave, ma ancora di più a pochi metri dal muro invisibile tra i mondi. Una scoperta fantastica.

Tenevo una mano sollevata in direzione del cielo, mentre l’altra estremità cingeva Roxas che riposava sereno. Le nuvole rossicce e di color arancio attraversavano la distesa ad una velocità impressionante, e in quell’atmosfera pacata e serena per qualche momento chiusi gli occhi anch’io.
 

“Lea… Quando perderò la mia luce, tu verrai a salvarmi?”

Sorrideva al tramonto, in una delle poche giornate in cui si era rivolto a me.

 “Lo sapevi? La luna non brilla di luce propria. Il sole la illumina.
Tu sei come il sole; irradi chi ti sta intorno.”

Voltandosi verso di me, sorrise teneramente. Sollevai le spalle, e attesi il seguito.

“Quando esaurirò il riflesso della luce che avrò avuto da te, potresti tornare a portarmene un po’.
In questo modo, la nostra amicizia non si spegnerà mai.”

Mi sporsi lievemente dal bordo per vederlo in viso. Non era come le altre volte.
Mi faceva presagire che qualcosa sarebbe potuto accadere, per cui avrei potuto non vederlo più.

“Ti senti bene?”

“Se mi perdessi in un luogo buio, sei l’amico che chiamerei.”

“Non dire queste cose, è angosciante.”

“Verrai?”

I suoi occhi mi scrutavano fin nel profondo, mentre suo sorriso si era già spento. Alle volte, sapeva scherzare.
Quella volta, credo che il desiderio che dicesse sul serio derivasse direttamente da me.

Mi porse il dito all’estremità della mano destra, proponendomi una promessa.
Anche il mio sorriso si spense per un attimo, ma tornò a splendere non appena accettai.

“Ma in che modo dovrei salvarti?”

“Ricordami della tua luce.”

 

Quando aprii gli occhi non fu semplice tornare al presente. Nell’aria v’era il soave profumo di una promessa sbiadita nel tempo. Quella stretta al petto non voleva abbandonarmi, e allora mi venne in mente cos’altro non è possibile fare senza un cuore. La mia mano protesa verso il cielo era in realtà protesa verso il mio amico da salvare. Ma ero privo di luce, non avrei potuto fare niente. Avrei dovuto rafforzare il mio cuore.

Roxas mi sentì inviare un sospiro al cielo, e si sollevò per darmi un po’ della sua luce, o il suo riflesso.

“Cosa fai?”

“Evoco il mio Keyblade.”

Guardò attentamente la mia mano, e lo vidi vagamente spaesato.

“Hai un Keyblade?”

“No, ma ne vorrei uno.”

“Non è difficile.”

Sollevò una mano allo stesso modo, e nell'aria si materializzò il suo.
Unii la miamano alla sua nell’afferrarlo al centro. Forse perché non c’ero abituato, era pesante.

“Il Keyblade è un’arma particolare. Apre i cuori, chiude i mondi. Dona la luce.
  Per esseri oscuri come noi, forse non c’è altra speranza.”

“Non serve un cuore per averne uno?”

“È così.”

Chiuse la mano, e il Keyblade scomparve quando rimase solo la mia a tenerlo.
Si voltò tenendosi appoggiato sulle braccia, e congiunse le mani di fronte al viso.

“Chissà perché io ho la capacità di evocarne uno, pur non avendo un cuore.”

“Perché tu sei speciale.”

Mi guardò come se avesse già sentito quella frase. Quando abbassai nuovamente lo sguardo si preoccupò ancora per me, ma io lo guardai ancora sorridendo, ed era come se dentro di me risuonasse ancora quella promessa.

“La tua amicizia è importante per me, Roxas. Potresti prestarmi la tua luce ancora per un po’?”

Esistere o non esistere, non m’importava più. Persino nell’oscurità più profonda è possibile trovare la luce.


Il mondo che avevo visitato quel giorno era come quello in cui avrei voluto portare il mio amico di un tempo.
Un luogo dove saremmo potuti tornare bambini, colmarci della luce. Essere liberi. Non crescere mai più.



Note dell’autrice:

Questo capitolo si apre con il Giorno 96, ed anche nel gioco originale non abbiamo notizie dei nostri beniamini fino al Giorno 117. La seconda giornata libera della storia coincide con il Giorno 118, durante il quale Roxas scrive sul suo diario che non ha ancora consegnato ad Axel il bastoncino con su scritto ‘Hai vinto!’; non potrà farlo ancora per molto tempo, in quanto il giorno dopo Axel partirà nuovamente per il Castello dell’Oblio. Tornerà nel Giorno 149, ed il centocinquantesimo è quello durante il quale si ambienta la scena sulla torre nella quale Axel parla per la prima volta a Roxas del suo amico delle vacanze estive.

Proprio il giorno successivo Roxas e Xion si separeranno per la prima volta, ma questo Lea non può ricordarlo, nonostante ricordi invece di come Roxas abbia un modo di preoccuparsi per gli altri che ricorda molto quello di Sora, di un umano. Il Giorno 171 è quello in cui Roxas parla con Xaldin dell’amore nel Castello della Bestia, e nel quale chiede ad Axel cosa sia una volta sulla torre; qui avrei voluto inserire una scena nella storia, di poco precedente a quando Axel avrebbe rivelato nel gioco a Xion che i suoi ricordi non gli erano mai serviti a molto, ma ho scelto di non nel dubbio che fosse o meno un ricordo sepolto per Lea.

Axel prova realmente a seguire il consiglio di Roxas, e parla con Saïx della verità su Xion durante il Giorno 172; scena peraltro nella quale Saïx dice ad Axel di non essere mai sincero a sua volta, come un rimprovero – ossia il modo in cui dice la maggior parte delle cose. Nello stesso giorno Xion cade addormentata, e solo quando si sveglierà Axel scoprirà la verità su Naminé (194). Il capitolo termina nel Giorno 195, con la missione nell’Isola che non c’è e con la conseguente scena sulla torre.

Se nel capitolo avete scorto qualche hint AkuRoku, non avete sbagliato, era tutto calcolato. Axel e Roxas sono teneri, ma vedo Roxas più come un ragazzino che sta scoprendo il mondo piuttosto che come uno che Axel potrebbe irretire. È diverso dal legame che nella mia storia Axel ha cercato di creare con Saïx. Quello serviva a risolvere qualcosa, a creare un legame per forza; quello con Roxas, invece, è un rapporto autentico.

Ciò nonostante nel mio immaginario non è difficile che tra loro si creino scene dolci come quella che ho portato alla fine del capitolo.

In fondo l’AkuRoku è sempreverde, per questo mi sono impegnata caldamente a scriverne anch’io.

Un’altra delle motivazioni della rottura tra Lea e Isa è sicuramente che Lea non parla con Isa di quello che avverte quando è con Roxas. Sa
ïx non potrebbe capire. Quando Axel si sente improvvisamente nostalgico, sente anche che oramai sono troppo distanti perché tra loro possa nuovamente esserci quel rapporto. In più il fatto che l’altro sembra trattenere diversi segreti lo indispone, perché sembra sempre che voglia intimargli di smettere di associarsi con Roxas, ed arriva un momento in cui Roxas diventa il suo migliore amico e Lea non può più non associarsi con lui. Così è anche nei confronti di Xion, dalla quale in realtà nasce la riluttanza di Lea. Saïx si rivolge a lei come ad un fantoccio, una bambola, una cosa, e Axel non capisce perché.

Ci accingiamo a raggiungere la fine di questa storia, quindi vi do appuntamento al prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** ~ Verità ***


The Realm Between ~ 10

Verità



Quella mattina, mi svegliai con un ricordo.

“Guarda! Guarda, Isa!”

Mi trovavo seduto sul bordo della torre, Lea aderiva con la schiena al muro dietro di me. Balzò in avanti indicando il cielo, e per un momento mi preoccupai seriamente che potesse cadere; mentre riflettevo sulle parole con cui avrei dovuto fargli comprendere la gravità del suo gesto, di fronte a noi una stella più luminosa delle altre attraversava il cielo notturno.

Rimasi affascinato a seguire la sua traiettoria, e subito dimenticai le parole che avevo trovato.

“Era una stella cadente! Era una stella cadente, vero?”

“Immagino di sì.”

Venne a sedersi accanto a me. Il sorriso che aveva negli occhi come tutte le volte aveva il potere di allontanare ogni risentimento e ogni dolore, e mi faceva desiderare di poter rimanere per sempre suo amico.

“L’abbiamo vista entrambi, quindi dobbiamo esprimere un desiderio!”

Nella fantasia dell’essere un ragazzino ancora inesperto, un tempo credevo potessero avverarsi.

Guardai lui che aveva già cominciato, sorrisi e provai a cercare le parole. Non ero spontaneo come lui, non mi era semplice. In qualche modo, però, riuscii. Fu una bella sensazione, come se fossi stato ripulito di tutta la malinconia che avevo provato prima di incontrarlo. Aprii di nuovo gli occhi e trovai che mi osservava da vicino; mi sorrise di nuovo, e si sporse in avanti come faceva sempre. Provai ancora un leggero timore.

“Che cos’hai chiesto?”

“Non si rivelano i desideri.”

“Davvero? Perché mai?”

“Ma come, non lo sai? Se lo si rivela a qualcuno, non è più un desiderio del cuore; quindi non si avvera.”

Rimase profondamente turbato, come se davvero non ne avesse mai sentito parlare.
Quindi portò indietro la schiena e riprese ad osservare il cielo.

“Allora non devo rivelarti il mio.”

 

Aprii gli occhi e tornai al presente. Era mattina. Ovviamente il mio desiderio di quel giorno riguardava lui. Fin dal principio della nostra amicizia sono stato a conoscenza del mio pessimo carattere. Non ho mai saputo dimostrare a una persona di ritenerla importante, e quando abbiamo perso il cuore questo non è cambiato.

Non ho mai avuto qualcosa che desiderasi davvero. La luna è pallida, non ha un volto.

Mi sentivo come lei, e ho sempre pensato che per Lea doveva essere dura.


Quando arrivai nel salone lo trovai di fronte alle cucine a bighellonare con Roxas; dietro di loro l’ombra del fantoccio, che pareva non avesse altro posto in cui andare. Si era creato un trambusto sempre crescente attorno a Xion, il quattordicesimo membro. No. I, una bambola creata da Vexen con parte dei ricordi di Sora.

La copia avrebbe dovuto lavorare con Roxas nel raccogliere cuori, copiare le sue abilità ed essere utile all’Organizzazione sotto il giogo d’essa. Avrebbe avuto motivo di accompagnarsi con Roxas, in missione. Ma con Axel non avrebbe di certo dovuto avere niente a che fare. Lo vidi allegro e attivo, a gesticolare senza sosta mentre attendevano di essere assegnati alle proprie missioni giornaliere, e non appena mi avvicinai appositamente per farli smettere vidi Roxas indicarmi, Xion ammutolire e Axel voltarsi. Da quando gli avevo chiesto di sorvegliare Xion, da quando lo avevo ammonito perché considerava quelle relazioni sfuggevoli ‘amicizia’, quella era la routine quotidiana della falsità delle loro frastornanti vocine contente.

Mi diceva spesso di essere senza cuore, ma credevo lo ripetesse agli altri perché ne ridessero. Da qualche tempo, invece, avevo il sentore che lo pensasse sul serio. Come se lui avesse un cuore, potesse provare dei sentimenti o potesse avere amici all’interno dell’Organizzazione. Questo pensiero mi faceva sorridere. Non è mai esistita una vera ‘Organizzazione’. Per quanto Zexion volesse sentirsi vicino agli altri o per quanto Roxas e Xion tenessero al proprio numero e alla propria posizione, siamo sempre stati solo tante persone incomplete che avevano una flebile speranza. A nostro modo, tutti dubitavamo di Xemnas. Si percepiva che chiunque di noi sarebbe rimasto per poco, che non appena avesse realizzato i propri obiettivi si sarebbe dissociato, e tra di noi era una continua guerra d’egemonia per il primo posto. Per tutti tranne forse qualche elemento che all’interno del nostro gruppo disomogeneo avrebbe voluto solo divertirsi.

Ero sicuro che Axel non fosse tra quelli. Ciò nonostante, avevo il sentore che Xemnas e il Numero II mi nascondessero qualcosa. Mi sentivo tagliato fuori, come se solo io fossi rimasto indietro. Xion aveva da poco fallito una missione, per me era stata solo una dimostrazione dei limiti del Progetto Replica, ma Xemnas non aveva voluto sostituirla. Quando, dopo poco tempo, era caduta in un sonno profondo, per me era stata conferma del fatto che non era altro che un’inutile ammasso di ferraglia. Rotta, vuota.

Xemnas la osservava e sorrideva, e quel sorridere da parte sua mi faceva pensare. Nei nostri progetti iniziali Xion avrebbe dovuto assorbire Roxas e rimanere sotto il nostro controllo. Ma se avesse iniziato a prendere coscienza di sé avremmo dovuto modificare i piani. Ciò non sembrava preoccupare nessuno di coloro che sedevano sui troni più elevati. Solo Axel e Roxas si preoccupavano fin troppo per ‘lei’, tanto che Axel venne a chiedermi di rivelargli la verità. Avevo tentato di avvertirlo già in diverse occasioni.

Anche durante quel giorno libero in cui ci ritrovammo a stretto contatto, poiché sapevo che quella sera si sarebbe recato sulla torre con Roxas e Xion, avrei voluto dirgli di prepararsi ad un’eventuale commiato da uno dei due. Non riuscii, perché non avrebbe capito. Mi dimostrò chiaramente anche in quel giorno, quando mi affrontò nella stanza assegnata al fantoccio che dormiva rivolta nella nostra posizione, che la nostra amicizia sarebbe presto evaporata. I suoi occhi avrebbero voluto intimidirmi, ma non avrebbero potuto. Perché non provavo alcuna pena, né per lui, né per Roxas. Inchiodai i suoi occhi come la persona senza cuore che lui credeva che io fossi, e facendo leva sulle sue insicurezze lo colpii ancora una volta.

“Di' un po’. Che ci trovate di tanto interessante in questa... Cosa?
  Capisco Roxas, perché sono davvero simili. Ma tu?
  Non vorrai ancora parlarmi di amicizia.”

“Rispetto le tue opinioni sulla dipartita dei nostri sentimenti, ma non ti permetto di offenderla ancora.”

“Tu non vuoi vedere. Ti basta guardarla per capire che non è come noi.”

“Non capisco. Non capisco. Che cosa dovrebbe risultarmi tanto evidente?!
  È una persona. Parla, ride, sa essere triste. Quei due sono umani. Sei tu che non vuoi vedere.”

Colpì il muro con un palmo, tanto forte che lo sentii vibrare dietro la schiena.

“Umani?”

Ripetei quel termine senza alcuno scrupolo di poterlo urtare, perché si rendesse conto di aver detto una sciocchezza. Aggrottò le ciglia e mi si appressò intestardendosi sui miei occhi.

“Se continuerai a ferire i sentimenti delle persone intorno a te, resterai solo.”

Notai del rancore nel suo sguardo. Si separò da me e si diresse versi la porta. Intendeva lasciare la stanza, ma quella sua indolenza nei riguardi di cosa io avrei potuto provare se avessi avuto un cuore mi aveva fatto venire la voglia di distruggere quel suo mondo di sogno. Io non ero abbastanza umano per lui?

“Vexen.”

Avrei potuto rivelargli la verità personalmente, ma non ne avrei tratto alcun giovamento. Si fermò sull’uscio, addossandosi sullo stipite. Se proprio avesse voluto, avrebbe potuto raggiungere il Castello dell’Oblio, scoperchiare ogni riga degli appunti a riguardo del Progetto Replica e tornare da me implorando perdono.

“Dovrebbe aver lasciato qualcosa, nel Castello dell’Oblio. Qualcosa di inerente a Naminé e Xion.”

“Entrambe provengono da quel luogo, giusto?”

“Corretto.”

Dopo aver esitato a lungo, lasciò la stanza. Cominciavo a pensare che Lea avesse trovato una nuova dimensione nella quale lui e i suoi nuovi amici sarebbero stati sempre insieme; altri sogni. Forse davvero il nostro passato aveva perso ogni significato per lui. Pensai che fosse anche colpa della mia indolenza.

Quella stessa sera incrociai Roxas e Xion lungo il corridoio. Parevano felici, parlavano del loro migliore amico. Non chiesi niente. Axel aveva voluto separarsi da me. Il mio desiderio non si sarebbe avverato.

~

Lea scoprì tutta la verità e si mostrò d’accordo con me sul fatto che i ragazzini dovevano essere tenuti lontani dal Castello. Non venne mai da me a chiedermi scusa, ma si mostrò entusiasta in seguito ad una missione particolare cui era stato assegnato con Roxas, e nell’impeto della sua esuberanza mi disse sorridendo come la persona di un tempo che avremmo dovuto visitare un certo mondo insieme. Aveva volato, aveva visto la luna. Una scoperta fantastica. In quel momento pensai che sì, avrei voluto andarci con lui.

Tempo dopo le battute sarcastiche del Numero II mi aiutarono a capire cosa effettivamente non riuscivo a vedere. La Replica continuava ad avere strani svenimenti. D’altro canto, stava gradualmente sfuggendo al controllo dell’Organizzazione. Dichiarava di avere ricordi del suo passato ed avrebbe voluto scoprire la verità su se stessa. In quel periodo mi tormentavo chiedendomi se una mera riproduzione di qualcun altro potesse avere cognizione di sé. In fondo era proprio come noi. L’unica differenza forse era data dal modo in cui eravamo nati. Un Nessuno nasce spontaneamente quando si manipola l’oscurità, una Replica viene costruita. Mi colpì che lei avesse domande, e ricordai le parole di Axel sul fatto che lei e Roxas erano umani. Non lo ritenevo lontanamente possibile, ma cominciava a divenirmi chiaro perché Xemnas volesse sostituire la Replica con Roxas. Anche Axel continuava a mentire loro, e a distanza vedevo dipanarsi le conseguenze dello strascico di falsità che stava costruendo intorno al loro esiguo mondo felice.

“È andata al Castello dell’Oblio. Ha scoperto la verità.”

“Prima o poi lo avrebbe scoperto.”

“Ora cosa faranno? Le correranno dietro per distruggerla?”

“La lasceranno andare. La bambola non è più utile. Ha esaurito il suo compito.”

“A nessuno di voi importa niente di lei?”

Continuava a parlarne come se fosse una persona, e ciò rendeva il suo discorso parecchio irritante.

“Lei non è un membro dell’Organizzazione.”

“Quindi non merita considerazione?”

“Il piano di Xemnas può funzionare molto bene anche solo con Roxas.
  Non riesco a capacitarmi del fatto che per correre dietro a lei vorresti sacrificare tutti noi.”

Volse gli occhi in un’altra direzione, con un’espressione costernata davvero ben fabbricata.

“Non è quello che ho detto.”

“È esattamente quello che hai detto. Costringi te stesso ad affrontare la realtà.
  Devi smetterla di non guardare negli occhi chi ti sta parlando quando non ti piace ciò che dice, Lea.”

Allora mi guardò, e finalmente mi sembrò che chiedesse perdono.

“Xion non verrà recuperata. E tu dovrai attenerti al piano come previsto.
  Non puoi continuare a costruirti intorno una prigione di bugie. Un giorno non riuscirai più ad uscirne.
  Parla a quel ragazzo.”

Conclusi l’argomento, e lo lasciai solo con i suoi pensieri. Era il primo a negare a se stesso che non avrebbe potuto avere un futuro con i suoi amici. Reputavo assurdo che avesse mollato ogni speranza per inseguire qualcosa di immaginario, e di contro ero partecipe ogni giorno dei successi del piano dell’Organizzazione.

Cominciai a separarmi dall’idea di cercare un’alternativa per avere indietro il mio cuore, e mentre gli intenti di Axel che avrebbe voluto riportare indietro il fantoccio alleandosi con Roxas mi erano del tutto indecifrabili, quelli di Xemnas apparivano invece sempre più chiari. Ma non riuscivo a ‘vedere’ Xion.
Tentavo di concretizzarne il motivo, senza successo.

Ogni qualvolta ci pensavo mi tornavano alla mente dei ricordi di una giornata trascorsa sulla torre del Giardino Radioso.

Il plenilunio rendeva il cielo più pallido. Ero sereno, ed il silenzio di quella notte incontrava la quiete del mio cuore. Lea non aveva detto una parola da quando era calato il sole; di tanto in tanto sospirava, ed avevo intuito che c’era qualcosa che non andava. D’ un tratto lo vidi stringersi nella mia giacca ed allungare una delle sue mani verso di me, per stringere la mia.

“Sei freddo.”

Mi disse, dopo qualche secondo trascorso a scaldarmi. M’imbarazzò molto quella sua intraprendenza, ma ciò su cui rifletto tutt’ora è che non ho mai saputo se parlasse della mia temperatura corporea, se si stesse scusando per il fatto di avermi lasciato le spalle scoperte o se si riferisse alla freddezza di spirito.

Non dissi niente, comunque. Pensavo fosse superfluo chiedere scusa.

 

~


Trascorso qualche tempo, l’opposizione di Axel ai piani dell’Organizzazione si fece sempre più manifesta. Catturò Xion e la riportò indietro, sebbene volessimo distruggerla. Capii che non aveva ancora avuto un confronto diretto con Roxas, e poiché lui era ancora inconsapevole di ciò che riguardava la Replica decisi di usarlo per avere informazioni sulle mosse del suo migliore amico.Xemnas rivelò che entrambe le modalità in cui la faccenda si sarebbe potuta risolvere sarebbero state un bene per noi. Xion avrebbe potuto assorbire Roxas, oppure Roxas avrebbe cancellato Xion. Poiché il legame che si era creato tra loro avrebbe influenzato negativamente uno dei due, all’Organizzazione sarebbe stato sufficiente che ne rimanesse uno.

Axel, però, interferì con ogni nostro tentativo d’accelerare le cose. Proprio mentre Roxas era più debole lasciò fuggire Xion e mostrò di non avere alcuna giustificazione.

Niente che gli importasse del nostro intento originario, niente di quello presente.

Tuttavia gli dissi chiaramente di scegliere, e feci leva sulla preponderanza per lui del concetto d’amicizia.

Non avrebbe avuto alcun motivo per scegliere il fantoccio, quindi mi aspettavo scegliesse Roxas.

Non condividevamo più alcun obiettivo, ma lo udii discorrere con il Numero XIII negli ultimi giorni della sua permanenza nell’Organizzazione. Cercava di fargli comprendere, e probabilmente di convincersi, che la Replica doveva essere eliminata. Pensai ch’era finalmente giunto alla conclusione più ovvia, e tuttavia sentivo di non potermi fidare di lui. Aveva tre amici, ed era riuscito ad allontanarli tutti. Quanto a Roxas, quel ragazzo non aveva mai sopportato il mio volto o il mio modo di parlare, specie di Xion.

Non lo avevo mai potuto soffrire di rimando. Credevo mi avesse sottratto una persona. Con le sue espressioni umane, i suoi pensieri bambineschi, il suo affetto che pareva essere vero aveva irretito Axel.

Speravo che, riflettendoci sopra, lui stesso giungesse alla conclusione che l’amicizia che un tempo legava me e lui era quella più autentica. I legami nati nel periodo nel quale i sentimenti ci vengono negati, non ho mai considerato se possano anch’essi essere autentici. E se anche provassimo una sensazione di umanità crescente, il potere dei ricordi è molto più grande. Quindi ero convinto che Axel non poteva aver dimenticato.

Ma nel giorno in cui Roxas si presentò di fronte a me, alle porte del castello, e mi disse di non avere niente da dirmi, mi domandai con quale facoltà potesse scegliere, se con quella della mente o quella del cuore. Sguainò il suo Keyblade e lo vidi piuttosto determinato. C’era qualcosa di risoluto in lui, qualcosa di furente. Poiché aveva un motivo per esserlo, conclusi a mia volta che doveva essere umano, che aveva un cuore, e come lui ed Axel si erano incontrati. Niente avviene per caso, sono sempre stato convinto che la luna guida in modo più o meno solare il destino di ciascuno di noi, e forse in quel momento intendeva dirmi che avevo lasciato in sospeso qualcosa di importante, e che sbagliavo a sentirmi tradito.

“Dove intenderesti andare?”

“Non ti riguarda.”

“Axel.”

A sentire il nome del suo migliore amico sgranò gli occhi ed abbassò la sua arma. Realmente, non aveva mai pensato di abbandonare i suoi amici. Lui e Lea dovevano essersi trovati su questo punto. Lea non avrebbe mai abbandonato i suoi amici. E, quasi come se qualcuno mi stesse guidando, cominciai a capire.

Ma ero convinto che lo avrei sconfitto, perché io meritavo quella persona più di tutti in virtù del fatto che, dalla base della torre, io lo avevo sempre osservato da lontano, e nei momenti bui lo avevo protetto.

“Avevamo un percorso, avevamo dei piani. Avremmo avuto ancora tante cose da fare insieme.
  Ma ha incontrato te. È sempre stato così; ha sempre preferito le amicizie, i legami, i sentimenti.
  Eppure, credevo avesse capito che nessuno di noi avrebbe mai potuto legarsi davvero.”

“Sei tu.”

Mi fissava negli occhi. Nel volto, un’espressione apparentemente sorpresa.

“L’amico delle vacanze estive.”

Rimase interdetto per un attimo, poi fece un passo in avanti tendendomi una mano.

“Axel non ha mai smesso di considerarti un amico. Vuole parlare con te.”

“Noi non sentiamo l’amicizia!”

Qualcosa mi aveva spinto ad aggredirlo. Dall’interno. Sapevo che era tutto finto, pur tuttavia sul mio volto era comparsa l’espressione più vera che io avessi mai avuto. Con Lea, sulla torre, non mostravo mai alcuna apparente espressione. All’interno di quel castello nel niente agivo come un involucro vuoto.

“Axel non è tuo amico, non è mai stato vostro amico! Non è più il mio.”

“Eppure avete mangiato un gelato insieme.”

Aveva abbassato il viso. Sembrava in qualche modo struggersi per me.
Mi chiesi come un estraneo potesse interessarsi al nostro rapporto.

Doveva essere quella la vera amicizia.

“Quante cose ti ha raccontato? Comunque, ora non ha più importanza.”

Sollevai la mia arma puntandola contro di lui, e lo vidi riassestarsi in modo meno sicuro.
Usai il medesimo sguardo che avevo usato con Axel.

Non avevo più parole di rimprovero; e mi doleva il petto.

“Il tuo tentativo di fuga terminerà qui; e subito dopo toccherà ad Axel.”

“Non sei padrone sul suo cuore.”

Sollevò il Keyblade allo stesso modo; la sua voce si era fatta più intensa.

“Nemmeno Kingdom Hearts lo è. Nessuno lo è.”

“Dimostramelo.”

Invocai il potere del mio elemento. Speravo che quella luna mi guidasse.
Di lì a poco, avrei capito che la luna che avremmo dovuto ascoltare era quella che avevamo lasciato indietro.

“Se riuscirai a sconfiggermi, riconsidererò di concedergli il mio perdono.”

 

Quella notte, Roxas ebbe la meglio su di me. Ancora non mi capacito di come. Ma avevo promesso e, come a suo tempo chiesi una promessa al mio migliore amico, era arrivato per me il momento di mantenerne un’altra. Mentre giacevo sul ghiaccio di quelle lastre bianche piegato sulle ginocchia, mi tornarono in mente le sue parole. Mi tornò alla mente la nostra promessa.

Forse mi ero soltanto perduto, e avevo aspettato che Lea mi salvasse; quindi mi ero indebolito, e avevo cominciato a fare affidamento su un’altra persona. Per questo Roxas mi aveva sconfitto, perché avevo aspettato a lungo e avevo sperato fino alla fine che lui si ricordasse di me.

~ 

Qualche giorno dopo, mi presentai nella sua stanza. Senza bussare. Avevo voluto prendermi del tempo, per riflettere su cosa avrei dovuto fare da quel momento in poi. Lo trovai sdraiato sul letto, in direzione del soffitto, con un bastoncino del gelato in mano. Mi avvicinai quanto bastava per capire che era lo stesso che, quando lo avevamo appena accolto fra noi, aveva Roxas. Non si voltò a guardarmi. Fissava la scritta sul bastoncino, insieme all’ombra di chi non c’era più.

“Doveva essere davvero molto importante per te.”

Aggrottò le ciglia, e si volse verso il vetro della finestra. Mi mossi verso di lui, arrivandogli di fronte al viso e piegandomi sulle ginocchia. Sapevo che lo invidiava, perché lui aveva avuto il coraggio di scappare.

“Quest’espressione è vera?”

“È finta. Non sento niente.”

Non voleva proprio guardarmi in viso.

Roxas aveva fatto quello che noi avremmo dovuto fare molto tempo prima.
Allora ero stato io a dire che non avremmo avuto altra scelta che restare.

Un giorno, che sapevo sarebbe stato distante, avremmo potuto essere liberi.
Solo non immaginavo che avrebbe richiesto così tanto tempo, e mi sentivo in colpa.

Avrei dovuto spronare Lea a fuggire. E invece avevo fatto in modo che lui rimanesse con me.

“Cosa farai, ora? Te ne andrai anche tu?”

“Non ho motivo di andarmene da qui.”

Ancora una volta scelsi di credere alle sue bugie.

“Domani ti manderanno ad affrontarlo.”

“Oggi è ancora oggi. Domani sarà domani. Non voglio pensare a domani.” 

Rigirava fra le mani il bastoncino del gelato, e altro non potei fare che dirigermi nuovamente verso la porta. Lo sentii voltarsi verso di me. Mi fermai sull’uscio che si aprì di fronte a me, e rimasi in attesa.

“Un anno fa, avrei dovuto darti retta. Sarebbe stato tutto diverso, ora. Ti chiedo scusa.”

Non mi voltai ad esaminare il suo viso, ma sapevo che stava parlando col il sorriso sulle labbra e gli occhi semichiusi. Se Roxas era davvero umano, desideravo che gli avesse donato un cuore.

“Lea, mi dispiace di essere freddo.”

Non disse più niente, e lasciai che la porta si chiudesse dietro di me. Mi fermai ancora lungo il corridoio.

Ringraziavo che Lea non avesse mai rinunciato a starmi accanto.
Da un lato mi aveva rincuorato il fatto che avesse parlato di me a Roxas.

Ma ringraziavo anche che mi mancasse il cuore, perché se lo avessi avuto
mentre si sarebbe scusato
avrei avvertito soltanto altro dolore.

 

 

 


Quella notte, la luce della luna prendeva tutto il cielo. Aveva sorriso, i suoi occhi erano socchiusi.
Aveva sollevato una mano quasi a volerla afferrare, poi si era voltato verso di me.

“Oggi la luna è davvero bellissima, vero?”

Non mi soffermai neanche un momento sulle sue parole.
Ricordo che mi voltai, portando un braccio di fronte al viso.
Mi percepii più caldo del solito; sapeva soltanto mettermi in imbarazzo.

 

“No, Lea. Oggi era più bello il sole.”



La volta successiva in cui visitai quella stanza, la trovai vuota.
Ed anche in quelle successive.


Aveva scelto di seguire Roxas.
Mi aveva abbandonato di nuovo.

 Il mio desiderio non si avverò mai.
Allora, non ebbi più motivo di perdonarlo.


Realizzai che probabilmente ne avremmo discusso ancora, in seguito.


 

Note dell’autrice:

Salve a tutti, sono HikariRin e con questo capitolo abbiamo raggiunto la fine di Days.
Da quando Axel scopre la verità su Xion, lei diviene il punto focale della narrazione. Durante quello che nel gioco stesso viene intitolato ‘Il Giorno Più Lungo’ (255) vi è una discussione tra i piani alti dell’Organizzazione; nei diari segreti, Xigbar ci fa intendere come lui e Xemnas vedono Xion. Ma, a quanto sembra, Saïx è l’unico a non riuscire a vederla fino alla fine. Diverse volte si dice “Saïx riderebbe in faccia a una persona senza cuore che chiama gli altri ‘amici’”, oppure che ‘non capirebbe’ il legame che si è creato tra Axel, Roxas e Xion.

Nel mio immaginario, non può capirlo perché il non avere legami è ciò per cui ha scelto di non avere un cuore, e ovviamente a causa dell’influenza di Xehanort.

Nel Giorno 299, invece, vi è un interessante colloquio tra Axel e Saïx. Axel sbaglia ad associarsi con Roxas e Xion, in questo il suo amico di un tempo è stato chiaro fin dall’inizio. E pur sapendo che Xion è una Replica, Axel ancora la chiama sua amica. Saïx quindi lo avverte del fatto che l’Organizzazione ne farà fuori uno. Sembra non condividere questa visione delle cose; lo avverte perché razionalmente operi una scelta.

Quello che realmente cerca di dirgli è che dovrebbe riflettere sulla loro amicizia perduta. Quella era la più autentica di tutte, perché era un legame creato quando ancora entrambi potevano sentire di essere amici.

 Axel, però, dimostra diverse volte di aver scelto Roxas. Nonostante lui sia arrabbiato per il fatto che il suo migliore amico abbia attaccato Xion senza dargli spiegazioni, Axel lo raggiunge. Il giorno dopo, torna solitario nel loro solito posto. Ormai non ha più niente da spartire con Saïx; almeno, non gli obiettivi che lui voleva propinargli. La cosa più importante per Lea sia tenersi i suoi amici; nel momento in cui Saïx non gli ha mostrato più alcuna considerazione, ha scelto Roxas.

C’è una bellissima frase nel manga di Days, in cui - negli ultimi giorni di Xion – Saïx trova Axel a terra svenuto. L’ha riportata indietro per l’ennesima volta, così Saïx gli chiede ‘cosa stai cercando di proteggere’?

Nell’ultimo scontro tra Roxas e Saïx come io l’ho voluto rappresentare, vediamo l’associare il gelato all’amicizia da parte di Roxas. È molto tenero, ma dall’altro lato vediamo una gelosia senza sentimento.

Ovviamente, Saïx non può fare altro che dare la colpa a Roxas.

La frase ‘la luna è bellissima, non è vero?’ in Giappone è in realtà una dichiarazione d’amore, iniziata da un poeta di nome Natsume Souseki che in una delle sue opere la indicò come un modo delicato di dire ‘Ti amo’.

Isa ha reagito come se avesse voluto convincersi che Lea non stava davvero intendendo una cosa simile.
In effetti Lea lo aveva detto semplicemente in virtù del loro rapporto molto stretto. Non pensava affatto ad una connotazione ancora più profonda dei termini che stava usando, anche se in seguito – il capitolo extra - ha tentato in modo estremo di legarsi al suo amico, quasi che dovesse esserci un filo legato alle due estremità per cui, anche nell’oblio dei sentimenti e della cognizione, non si sarebbero mai perduti. Era un tentativo di rimanere insieme contro la solitudine, qualcosa che forse che entrambi avrebbero dovuto fare qualche anno prima. Nel prossimo capitolo comincerà a profilarsi questa drammatica realtà.

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** ~ Disillusione ***


The Realm Between ~ 11

Disillusione

 

All’interno del Castello dell’Oblio, conobbi in modo ravvicinato il progetto di Vexen.

Aveva creato una Replica davvero potente, una copia del migliore amico di Sora. Per quanto il suo scopo fosse esattamente quello di duplicare le qualità del suo originale, non sopportava di essere identico a lui. Avrebbe voluto essere una persona diversa, avere dei ricordi propri, e si attaccò molto a quelli che Naminé costruì per lui. Talvolta mi chiedevo in cosa fossimo diversi. La Replica avrebbe voluto un suo cuore, un Nessuno cerca di essere completo. Forse l'unica differenza stava nel fatto che noi avevamo i nostri ricordi, e in fondo era su quelli che fondavamo l’intera nostra esistenza. Roxas non aveva ricordi del suo passato, ma aveva un cuore. Ecco, diverse volte mi sono posto il quesito di come le persone con un cuore vedessero noi membri dell’Organizzazione. Nel Castello avevamo un ospite, una persona che odiava i Nessuno.

Roxas era sveglio, faceva domande, si interrogava sulla sua esistenza precedente, e dovevo trascorrere le nostre serate a tentare di rispondergli senza dire troppo. Non sapeva chi era e chi sarebbe diventato, ed il mio scopo era impedire che tornasse al suo luogo di origine. Luxord aveva ragione. La vita è molto meno dura quando si è inconsapevoli di ciò che si ha intorno. Noialtri sapevamo preventivamente cosa saremmo diventati, solo ci saremmo divertiti a trovare le differenze. Eravamo le cavie di un esperimento tremendo.

Un tempo, quando io e Isa eravamo ragazzi, il nostro mondo prosperava. C’era un uomo, che chiamavano ‘Il Saggio’. Aveva un castello che incuteva regalità e timore negli osservatori. Al suo interno, quell’uomo conservava gli appunti delle sue ricerche. Ricerche infelici, oscure. I suoi collaboratori lo tradirono e il mondo iniziò ad essere ambivalente. Venne ricoperto di oscurità, cambiò il suo nome e divenne più cupo.

Io ed Isa salivamo spesso sulla torre del castello, ma ci accorgemmo che vi erano troppi segreti al suo interno. La cosa ci incuriosì e tentammo di avvicinarci alle stanze più interne. Avevamo studiato attentamente il percorso delle guardie, ma in una giornata come tante qualcosa andò storto. Dilan ed Elaeus ci caricarono sulle spalle, ci trasportarono nei sotterranei e ci gettarono ai piedi di Even e Ienzo.

“Abbiamo trovato questi due ragazzi al piano superiore.”

“Confabulavano degli Heartless.”

Even si avvicinò a noi incrociando le braccia al petto; i suoi occhi non mostravano alcuna espressione, solo un manifesto interesse nei nostri confronti. Eravamo impauriti e spaesati. Ienzo ci guardava come se avesse saputo che ciò che ci sarebbe accaduto non sarebbe stato qualcosa che avremmo voluto ricordare.

“Curiosi, eh? Cosa sapete?”

Ci guardammo l’un l’altro, senza dire una parola; sospirai ansiosamente.
Avevo timore di ciò che Isa avrebbe potuto dire, o di ciò che sarebbe successo.
O di entrambe le cose.

“Noto una certa reticenza nel vostro sguardo. Forse dovremmo farli parlare in altro modo.”

Even si rivolse alle due guardie tornando accanto a loro, mentre Ienzo ci fissava ancor più insistentemente.
I suoi occhi non lasciavano trasparire alcunché, proprio come quelli del suo mentore.

“Sono giunti fin qui, sanno troppo. Come potremmo spegnere questa loro sete di conoscenza?”

Elaeus suggerì una soluzione, con lo sguardo inflessibile di chi conosceva bene ciò che ci sarebbe accaduto.

“Direi nel modo più elementare.”


Rivolsi gli occhi al pavimento di quel castello così rinomato, e pensai che mi sarebbe bastato continuare a poter ammirare il sole e la luna dalla sommità di quella torre. Isa, però, aveva davvero voluto sapere.

La sicurezza che mostrava mentre un estraneo decideva della nostra sorte uccise il mio animo, e mi fece dubitare della persona che avevo sempre conosciuto. Continuava a guardarsi intorno come se ogni cosa fosse in qualche modo appetibile, mentre Even tornava indietro e si sporgeva verso di noi.

Dilan ed Elaeus attendevano immobili.

“Vi presterete alla nostra causa, in nome della scienza.”

 

Per il mondo, noi due eravamo ufficialmente scomparsi; o forse avevamo concluso la nostra esistenza.
Isa terminò di allacciare la cerniera della tunica nera di cui Even ci aveva fatto dono, e si voltò indietro mentre ancora tenevo fra le mani la mia, incerto su cosa avrei dovuto fare.

“Se vuoi scappare, puoi farlo. Non ti tratterrò.”

“Stai scherzando? Non potrei mai lasciarti da solo.”

Si avvicinò a me, incrociando il mio sguardo allo stesso modo di quell’energumeno poco prima. Strinsi la tunica e la portai al petto. Per un momento trovai da pensare che quello non era il mio migliore amico.

“Io non ho paura.”

Stolse lo sguardo, e si diresse verso la porta di quella stanza lugubre e angusta. Tutto intorno a noi era buio e scuro, fin dal principio avrei voluto andarmene portandolo con me. Lo vidi incuriosito, ma ugualmente passivo.

“Fai quello che vuoi.”

Mi lasciò solo e rimasi nel vuoto, a riflettere su cos’avrei dovuto fare. Certo che avevo paura. Ero convinto che non avremmo più visto la luce del sole. Ma nel mio io più profondo, desideravo rivederla. Non che in quel momento avessimo altra scelta, avremmo dovuto prestarci all’esperimento. Solo, ringraziai che esistesse un mondo di mezzo come Crepuscopoli, quando mi strapparono il cuore. Non avrei più potuto sentire il calore ma pensare che fosse bello, e nel mentre mangiare un gelato. Per questo intendevo fare in modo che Roxas non si perdesse come noi. Avrei voluto che tutti i suoi gelati fossero indimenticabili, e che lui potesse ancora sentirli. Solo, se la mia volontà si era mantenuta forte avendo il desiderio di poter tornare sulla torre, ragionai sul fatto che anche Isa doveva averne avuto uno, qualcosa che doveva ancora concludere.

 

“Hai fatto qualcosa di male nei confronti dell’Organizzazione?”

Mi chiese Roxas una sera, di fronte a uno dei suoi gelati che si scioglievano; mi voltai verso di lui, aggrottando le ciglia. Era una domanda che non avevo compreso. Qualcosa di male l’avevo fatta, a suo tempo, ma Roxas certamente non poteva saperlo. Stavo ancora scontandone la punizione.

“Perché me lo chiedi?”

“Da quando siamo tornati dall’Isola che non c’è, Saïx sembra odiare anche te.”

“Sono sicuro che non è così.”

“Come fai ad esserne certo?”

“L’odio è un sentimento. Se anche volesse, Saïx non può provarlo.”

Il suo sguardo andò alla piazza sotto di noi ed ai ragazzini che giocavano a rincorrersi.
Diede un morso al suo ghiacciolo, e si specchiò ancora nel sole. Era tutto molto calmo.

“Perché dovremmo volere indietro un cuore?”

“Perché le persone associano le emozioni ai ricordi.”

Lasciò passare qualche momento, prima di rivolgermi la domanda successiva.

“Anche per te è così?”

“No. Finché tu sei accanto a me e posso vedere il sole, va bene com’è.”

Il mio migliore amico incrociò i miei occhi; pareva non aver compreso la mia risposta.

Ovvio, tutto quello che c’era stato prima non glielo avevo mai raccontato.

Gli rivolsi un sorriso dolce, mentre il sole calava di fronte a noi e colorava il cielo del colore più lontano.

“Ma gli altri potrebbero avere i loro motivi. Sono sicuro che a Demyx piacerebbe molto trasporre le sue emozioni in musica. Luxord amerebbe divertirsi. Lo stesso Saïx si lamenta sempre del fatto che non ha mai potuto esprimere i suoi sentimenti mentre era umano.”

“Se ne lamenta solo con te.”

“Non dire così, sa essere socievole. Quando vuole.
  Una volta, su questa stessa torre, abbiamo mangiato un gelato insieme.”

“Un gelato come questo?”

Rivoltò più volte il ghiacciolo, come se a Crepuscopoli esistessero altri gelati. Risi sonoramente; doveva essere un’immagine insolita per lui. Saïx era il peggiore dei Nessuno, senza emozioni e senza ricordi.

“È stato prima che tu arrivassi.”

“Quindi siete amici?”

“No. Continua a ripetere che per lui non è possibile.”

Rimase in silenzio per lungo tempo prima di finire il suo gelato; allora, ci alzammo insieme e tornammo nel buio. Una volta ero terrorizzato dall’oscurità, ma quando mi aveva circondato era divenuta la mia nuova casa, e avevo deciso che me ne sarei servito per arrivare al mio obiettivo. Fino alla fine, non avrei mai voluto lasciare Saïx da solo. Il mio posto era con lui, a rimembrargli della torre, del gelato, della nostra amicizia.

Roxas sarebbe dovuto essere solo una parentesi nella storia più intricata e completa di noi due. Una volta mi propose di scappare, mi disse che avrebbe voluto vivere con me per sempre. Ma non sarebbe stato possibile.

Sebbene mi facesse piacere trascorrere del tempo con il mio nuovo migliore amico, ben presto mi si profilò dinanzi la verità del fatto che avrebbe potuto cercare le sue origini al di fuori del castello. Così cercavo di tenerlo all’oscuro di ogni cosa, senza allontanarmi dall’Organizzazione. Ma Saïx arrivò a darmi degli ordini inderogabili. Quando il mio ruolo di mediatore divenne insostenibile e Xemnas cominciò a spazientirsi, lui dovette fermarmi. Roxas avrebbe voluto scoprire la verità, e io non potevo dargliela. In poco tempo, le cose precipitarono. Xemnas gli rivelò di Sora e Roxas smise di fidarsi di me, perché gli avevo nascosto ciò che sapevo dalla missione al Castello dell’Oblio. Non potei fermarlo, e lo vidi scivolare via dai nostri tramonti.

Rimproveravo a me stesso di avergli mentito, sebbene fossi oramai avvezzo a farlo. Mi sentivo in colpa, perché da umano non avrei mai mentito; immaginavo fosse a causa della presenza di Roxas. In più, attribuivo a Xemnas buona parte della colpa. Anche lui aveva sicuramente mentito in qualcosa; aveva mentito a Saïx, aveva mentito a Roxas, e nel momento in cui avessi mai scoperto in che modo avrei trovato il modo di sgretolare una per una tutte le sue fantasie.

La prima volta, quando dovetti prestarmi a quegli odiosi esperimenti, non sapevo cosa sarebbe accaduto in seguito. Pensavo mi attendesse la morte. Qualcosa di oscuro, di non attraversabile. Se mi avessero privato di una parte di me importante, ero sicuro che mi avrebbero rubato anche i ricordi. Non la memoria in se stessa, ma il suo significato. Mi atterriva pensare che avrei potuto perdere il mio affetto per lui, i nostri tramonti insieme e il ridere delle sue espressioni poco emotive. Mi sarebbe mancato tantissimo l’avere un amico.

Fummo rinchiusi in una stanza angusta. Ovunque la si guardasse aveva un solo colore, ch’era anche il motivo per il quale nel Castello dell’Oblio iniziavo dopo poco tempo a sentirmi soffocare. Non avevamo niente, solo quello che ancora riuscivamo a sentire dei nostri corpi; ci fu un’occasione nella quale mi arrabbiai molto, quando Isa disse che dovevamo ringraziare di avere almeno dei vestiti e delle coperte.

“Non potrei mai ringraziare queste persone. Ci hanno rapiti.”
 

Dovevo avere in volto un’espressione davvero incollerita, perché Isa si strinse nelle spalle e s’allontanò da me sedendosi dalla parte opposta di quella piccola stanza. Alzai lo sguardo e trovai i suoi occhi spaventati.

“Tu non sei arrabbiato?”

“Molto.”

Mi disse, volgendo lo sguardo altrove.

Più avanti avrei capito che la sua rabbia consisteva nel tenersi tutto dentro e nel negare i suoi stati d’animo all’estremo per poi esplodere. Io divenni nervoso e agitato al punto da stare male tutti i giorni, così che, dopo un iniziale periodo di smarrimento, quando realizzai di non poter più sentire alcuna emozione mi sentii come se fossi stato finalmente liberato delle mie catene e divenni consapevolmente un essere vuoto e indolente.


 

La notte eterna mi confondeva. Mi accorsi di tutto ciò che Xemnas mi aveva portato via, nel giorno in cui Roxas lasciò l’Organizzazione. Trovai Saïx immobile sul pavimento. Si reggeva un braccio, guardava la luna. Gli corsi incontro gridando il suo nome, ed ebbe appena la forza di alzare il capo e guardarmi in viso.

“Ho tentato di fermarlo. Ho dovuto. Cuori, amicizie. Parole al vento. Che sciocchezze.”

Ebbe un mancamento, e mi mossi per prenderlo fra le mie braccia. Lanciai una rapida occhiata al suo corpo. Era ferito. Riuscii a pensare solo che era colpa mia; non avrei dovuto tradirlo. Realizzai solo allora che dei suoi sentimenti, del fatto che lui fosse felice, del terrore che poteva aver provato come me in quella stanza bianca, non mi ero mai curato abbastanza. Lui, il mio migliore amico, lo stesso che aveva sfiorato il mio viso quando i miei occhi avevano perso colore, lui che diceva di non avere paura perché io non provassi paura.

 

 

“Lea.”

Il mio nome aveva risuonato per le pareti dei sotterranei, ma non avevo la forza di alzare lo sguardo.
Era sempre così alla sera. Avrei voluto rivedere il sole, quando lui mi stringeva stavo ancora più stretto.

“Lea, guardami.”

Quando riuscii, trovai uno sguardo insolitamente determinato.

“Noi due ce ne andremo di qui.
Se resteremo uniti, troveremo il modo.”

Ero tormentato da cosa ero diventato, da cosa stavo diventando, e non avrei mai potuto salvarlo a quel modo. Mi chiedevo come sarei accorso in suo aiuto, se io per primo avessi avuto bisogno di lui.

“Te lo prometto.”

L’estremità della mia mano si sollevò ancora prima che potessi realizzarlo, e lui la incastonò nella sua con tanta forza che qualcosa nel mio cuore fece emergere ancora un poco di luce.

“Ti seguo.”

E lui aveva sorriso. 

Quel giorno era stato il mio cuore a implorare Isa di aiutarmi. Ma in seguito, durante il nostro periodo di transizione, convinto che non a lui non era rimasto più niente lo avevo dimenticato.

 

 

Mi strinsi al suo corpo inerme e debole. Avrei voluto un’altra opportunità per riscattarmi. Dopo il Nessuno che non fosse riuscito a completare Kingdom Hearts non avremmo saputo dire quale esistenza ci avrebbe attesi, se saremmo scomparsi per sempre. Forse la vita da Nessuno era tutto quello che potevamo avere.

“Non sparire.”

Tornai alla nostra prigione e al calore delle sue mani, e pensai che avrei scambiato volentieri la mia vita con la sua. Sollevai lo sguardo verso la luna che odiavo tanto, quella che ci avevano detto ci avrebbe alleggeriti delle catene di ogni legame, e risplendeva tanto forte che se l'avessi supplicata sentivo mi avrebbe esaudito.

“Ti prego, no...”

Avrei voluto ci fosse Roxas, perché con il suo cuore avrebbe curato entrambi, e con lui accanto io avrei potuto adempiere alla mia promessa. Dopo poco sentii qualcuno fermarsi dietro a noi. Quando sollevai lo sguardo, Xemnas mi puntò contro senza alcuna remora né espressione in volto una delle sue lame.

“Apprezzo che tu abbia guidato le cose perché andassero come dovevano, ma ora non mi servi più.
  Non posso permetterti di sottrarmi uno ad uno tutti i miei strumenti.”

“Strumenti?”

“Da ora in poi, ti sarà permesso di rimanere fra noi solo se saprai stare al tuo posto.
   I Nessuno con troppa iniziativa non hanno niente da invidiare ai Simili.”

I suoi occhi erano fin troppo simili a quelli di colui che tenevo stretto fra le mie braccia. Fin dall'inizio sapevo che non poteva essere una coincidenza. Lo strappò da me, lo prese sulle sue spalle e lo trasportò verso le sale più interne, lasciandomi con una spada pendente sulla testa.

Nei giorni successivi mi mandarono al massacro diverse volte, e mi usarono come meglio credevano. La prima volta mi mandarono a recuperare un altro membro dell’Organizzazione. Probabilmente, uno dei suoi ‘strumenti’. Quando tornai al castello ero sfinito, e per un attimo pensai che sarei potuto sparire. Xemnas si avvicinò a me. Pensavo che mi avrebbe eliminato. Invece prese il corpo che giaceva accanto a me e si allontanò. Persi conoscenza, e quando ripresi i sensi mi ritrovai nella mia stanza.

Accanto a me, il Moguri dell’Organizzazione con una Pozione in mano curava le mie ferite.

“Ben svegliato, kupò.”

“Cosa mi è successo?”

“Sei svenuto lungo il corridoio. Faccia da X era preoccupato che tu scomparissi, quindi ti ha portato qui e mi ha ordinato di prendermi cura di te fino a che non ti fossi svegliato, kupò.”

“Faccia da X?”

Risi di come lui, che tenevano relegato in un angolo del salone, aveva addirittura memorizzato il modo in cui ci rivolgevamo l’un l’altro e il nostro modo di prenderci in giro.

“Con che tono te lo ha ordinato?”

“Quello di sempre, kupò. Ha detto anche di mettere le Pozioni sul tuo conto.”

“Certo.”

Risi ancora. Risi tanto da stupirlo. Avevo solo bisogno di ridere. Quando ero umano credevo nel potere dei sentimenti, nelle stelle cadenti, nella luce, nel sorriso sincero delle persone. Nelle promesse. Da Nessuno dovevo essermi fatto influenzare così tanto da Saïx o da Xemnas da dimenticare tante cose.

Grazie a Roxas anche se di poco le avevo recuperate uscendo dal mio torpore, perciò avrei voluto ringraziarlo se lo avessi incontrato. Quando ebbi tempo di esplorare dovutamente ciò che lui mi aveva lasciato, trovai un bastoncino vincente del gelato accanto al mio letto. Inizialmente intendevo portarlo a Crepuscopoli in modo da avere due gelati invece di uno, ma non avrebbe più avuto alcun senso.

Avevo come la sensazione che due gelati non sarebbero stati sufficienti, e che insieme alle cose che avevo dimenticato ci fosse una terza persona.
Ben presto l’Organizzazione scoprì che Roxas era stato rinchiuso in un luogo che inizialmente non riuscimmo a raggiungere, e la situazione sfuggì di mano a Xemnas che si infuriò con me e mi mandò a recuperarlo. Quando lo vidi la sua arma era mutata, ne aveva acquisito una nuova e insieme ad essa una nuova consapevolezza, ma aveva dimenticato ogni cosa che riguardasse noi due.

Quanto a me, avevo ormai piena coscienza di come Xemnas aveva irretito il mio primo amico fino a cancellare in lui ogni traccia di attaccamento a ciò che era stato prima, e in quello stato di cose non avrei potuto fare niente per liberarlo.

Cominciai a chiedermi se ci fosse un modo, per quelli come noi, di tornare alla luce.

Ricordavo molto bene Ventus e avevo conosciuto Roxas. Avevo visto in azione la luce dell’eroe del Keyblade ed ero stato testimone di come Riku era riuscito ad accettare l’oscurità che aveva nel cuore, fino a non provare alcun timore nei riguardi d’essa. Se tutto ciò fosse stato possibile, allora sarebbe dovuta divenire la mia strada. Decisi quindi di seguire Roxas che era andato verso la luce, per cercare un modo alternativo di avere indietro il mio cuore e poi tornare indietro, per liberare i miei compagni dal giogo dell’Organizzazione.

In questo modo avrei mentito a Saïx, al quale avevo detto di non avere alcun motivo per andarmene.
Ma avevo deliberato che quella sarebbe stata la mia seconda opportunità.

Sarei divenuto io stesso uno dei traditori.



Note dell’autrice:

Giorno 353. Non sono riuscito a dire a Xion che si sbagliava e non sono riuscito a finirla. Ma se non lo farò dovrò cancellare Roxas. Non esiste un futuro in cui noi tre stiamo seduti qui a mangiare un gelato. So che Roxas non capirà, ma è come se non volessi ammetterlo nemmeno io.”
Axel, 358/2 Days Secret Reports (2009)

Due giorni dopo, dagli stessi Rapporti Segreti, capiamo che quella di essere stati in tre è rimasta solo un’impressione nella mente di Axel. Penso che questo sia uno degli estratti che meglio riassumono le sue sensazioni durante tutto l’arco narrativo che il gioco copre.

Pochi giorni prima dell’epilogo, Axel sente ancora di non avere possibilità di scelta.

In questo capitolo vediamo anche cosa è accaduto dopo lo scontro di Roxas con Saïx (Giorno 355), e il giorno dopo, quando Axel riporta Xion nell’Organizzazione per l’ultima volta prima che lei decida di sparire. In realtà, per ragioni di gameplay, il Moguri dell’Organizzazione seguirà Roxas, ma noi faremo finta che non lo faccia immediatamente.

Ecco, parliamo del dramma della prigione. Parliamo dei ‘bambini sacrificati in nome della ricerca’ prima da Ansem il Saggio, poi da Xehanort che lo esiliò nel Realm of Darkness per prendere il suo posto. Stando a ciò che possiamo estrapolare dai diversi capitoli della saga, nei sotterranei del castello si svolgevano esperimenti sull’oscurità. Lea e Isa erano soliti curiosare in quell’area. Probabilmente in uno dei loro sopralluoghi sono stati sorpresi, catturati e costretti a sottostare a quegli esperimenti. È dunque opinione di molti che i due possano essere inclusi a pieno diritto tra le vittime, consapevoli o meno, della ricerca.

Tutto il resto è qualcosa di aggiunto da me; la reclusione dei due protagonisti di questa storia non è affatto oro colato, né la verità assoluta, ci tengo a precisarlo.

La storia si avvia verso il suo finale. Spero resterete con me fino alla fine.

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Capitolo 12
*** ~ Finale ***


The Realm Between ~ 12

Finale

 


Alle volte mi capitava di sognare quella stanza, di rimembrare il vuoto e la sofferenza di quel luogo.
 

“Lo sai, ho sentito che il vecchietto là fuori vuole aprire una gelateria.”

Lea riposava con le braccia piegate dietro la testa, sdraiato sul pavimento scomodo e freddo.
Si volse verso di me, che nel mentre sedevo con la schiena poggiata alla parete, abbracciando le ginocchia.

“Chi te lo ha detto?”

“Ho sentito Ienzo che ne parlava con Even.”

Quando eravamo ancora liberi di trascorrere le nostre esistenze come tutti gli altri ragazzi della nostra età, avevamo conosciuto un simpatico vecchietto che vendeva ghiaccioli dal gusto strano. A Lea piacevano molto, ed aveva preso l’abitudine di comprarne uno ogni sera. Era entusiasta mentre mi parlava del fatto che quando ci saremo liberati avrebbe avuto un posto in cui recarsi per andare a comprarli, e non volli spezzare il suo entusiasmo, perché nell’oscurità era l’unica cosa che gli consentiva di mantenere la luce.

“Era scappato apposta per poterne comprare uno, ma l’aveva trovata ancora chiusa.”

Anche quel ragazzo, Ienzo, era un tipo particolarmente strano. Sembrava rispettare molto le persone più grandi, ma allo stesso tempo non condividere pienamente ciò che si svolgeva internamente al castello.

“Quando usciremo di qui, li assaggeremo di nuovo.”

“Intendi se usciremo di qui. Vero?”

Si alzò e si diresse verso le sbarre della nostra prigione, prendendole tra le mani e perdendosi con lo sguardo nel vuoto.

“Voglio tornare a casa.”

Abbassai lo sguardo. Era troppo per me, non potevo fare niente per lui.
Ricordo che la sofferenza che provai fu tanta, perché sapevo che a casa non saremmo tornati.

I suoi occhi perdevano gioia e colore, il suo sorriso stava divenendo triste. Ogni sera lo vedevo star male e gli prendevo le mani, nel tentativo di infondergli un po’ del mio calore. Dentro di me covavo una rabbia senza fine, perché lo stavano rovinando e non potevo tollerare che gli stessero facendo una cosa simile.

Si rannicchiò in se stesso, nascondendo il viso nell’incavo delle braccia. Tremava.

“Non ce la faccio più. Scusa.”

 

 

 

Qualche giorno dopo ci presentammo di fronte ad Even.

Aveva in mano dei fogli, forse gli ultimi dati degli esperimenti.
Alzò i suoi occhi sprezzanti su di noi, mentre li ordinava sul tavolo.
Lea abbassò gli occhi. Solo io gli resi manifesto tutto il mio odio.

“Non bene. Non vi siete ancora rassegnati?

“Tu pensi di poter avanzare sui nostri cuori dei diritti che non hai.”

“E tu sei convinto di poter sfuggire al potere dell’oscurità? Suvvia.
   L’unica ragione per cui il tuo cuore rimane con te è questo ragazzo, vero.
   Sarebbe un peccato perderlo.”

Lea ebbe un sussulto, e tutto ciò che io ricordi fu che provai una grande collera.

“Maledetto, non oserai.”

“Non preoccuparti. Entrambi siete ancora utili al nostro scopo.”

Lea rimaneva immobile, quando non molto tempo prima avrebbe sbottato e mi avrebbe difeso.

“Eppure vedo diverse reticenze, fra voi. Non so quale legame vi abbia spinti a varcare insieme i nostri cancelli, ma i vostri cuori non comunicano adeguatamente. Invidia, odio, sentimenti di indegnità o di colpa nutrono un cuore prigioniero delle tenebre, fino a quando questo si stacca dal corpo e diviene un Heartless. Quella parte che resta del corpo è senza legami e priva di sentimenti. Eppure fra voi c’è chi definirebbe quella una condizione migliore, e che tace diverse cose.”

Allora Lea mi guardò. Non gli avevo mai visto un’espressione simile. Pareva accusarmi di qualcosa ed essere atterrito persino da me. Perdere la sua fiducia sarebbe stato per me oltremodo peggiore del perdere il cuore, e una vita priva di sentimenti sarebbe stata forse migliore di quella nella quale sarei rimasto inerme a vederlo scivolare via. E il mio cuore sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, qualunque cosa. Ma continuò a tacere. Even sollevò nuovamente i fogli che Ienzo gli aveva consegnato, sorridendo malvagiamente.

“Comunque, noialtri non abbiamo niente da temere. Siete entrambi sulla buona strada.”

Quella stessa sera, Lea mi guardava con sfiducia mentre entravo nuovamente in stanza con lui.

“Mi nascondi qualcosa, Isa?”

“Credi a quella storia?”

“Lo so benissimo anch’io che non so tutto di te. O che ci sono cose che non mi dici.
  Ho sempre pensato che fossero cose che non pregiudicavano la nostra amicizia.”

“Non lo sono.”

“Certo, non lo sono, ma tu stai perdendo il tuo cuore e io lo sto perdendo con te.”

“Questo non rientra nella norma? Non ho mai visto amicizie nelle quali si conosca tutto dell’altro.”

Il suo sguardo trapassò le mie difese e il mio cuore cedette. Capii di essere stato responsabile quanto gli altri del crollo di Lea, e dovetti reprimere ogni emozione per non cominciare a sentirmi enormemente in colpa.

“Mi stai dicendo di aver sbagliato? Io ti ho sempre confessato ogni cosa.”

Proiettò la debolezza del suo cuore su di me, e ormai già spento non potei fare altro che rimanere in silenzio.

Non lo avevo mai visto piangere.

“Allora, forse io sono già una creatura delle tenebre.”

“Smettila di essere negativo, e guardati intorno! Ti eri già arreso ancora prima di cominciare!
  Sapevo tutto anche io, che non avremmo avuto altre possibilità, ma tu continuavi a mentirmi!”

Sollevai lo sguardo, e incontrai il suo sdegno profondo.
Forse le prime volte mi aveva creduto. Forse no, ma mi era comunque rimasto accanto.

“Ma se non avessimo un cuore, allora sarebbe tutto diverso.”

Mi sentivo tremendamente in colpa solo a pronunciare quelle parole di fronte a lui.
Gli stavo dicendo che avrei voluto dimenticare tutto quello che ci aveva legati.

In fondo la nostra amicizia era già cambiata da allora,
e lui era troppo arrabbiato perché tutto potesse tornare come prima.

“Se non avessimo un cuore io non sarei più io, e tu non saresti più tu.”

Strinse i pugni, abbandonandoli ai lati del corpo. Nei suoi occhi c’era un colore indistinto, che si mischiava alla foschia di quel luogo e che non sapevo riconoscere.

“È questo che vuoi?”

Lasciai passare qualche secondo, poi risposi sommessamente.

“Non abbiamo scelta.”

Il silenzio tra noi era rotto solo dai rumori del temporale che s’infrangevano sulle mura nei piani più alti, il cui rimbombo giungeva fino ai sotterranei e ci inglobava nel suo fragore.

“Tu menti, menti e menti al tuo cuore.”

Lea sarebbe sempre stato irraggiungibile, per me; importante, immenso. In un luogo lontano.

“Anche tu stai soffrendo. Io voglio che scordiamo tutto questo insieme.”

“Isa, non c’è niente di sbagliato nel provare dei sentimenti.”

Trovai abbagliante il fatto che anche in una situazione simile era stato capace di darmi una lezione di vita.
Tornò alle sbarre e le strinse con entrambe le mani. Non si volse, ma comprendevo bene il suo stato d’animo.

“È tutto così anonimo qui sotto. Mi piacerebbe rivedere la luce del sole.”

Poi si voltò ancora, e mi rivolse un sorriso inaridito, privo di ogni affetto.

“Potresti avere ragione. Se perdendo il cuore potessimo andarcene di qui, forse sarebbe meglio dimenticare; non voglio più vederti triste o sentirti dire certe cose.”

Avrei voluto chiedere scusa, ma non uscì niente di più che una lacrima dai miei occhi.
Lea tornò da me e mi prese le mani, sollevandole all’altezza del suo cuore.

“Non fare così. Ho promesso che ti seguirò. Siamo sulla buona strada, no?”

 

Quel sorriso di circostanza non fece che accrescere il mio senso di colpa. Lea cominciò a farsi più freddo nei miei confronti. Fece amicizia con Ienzo, per riempire il vuoto che io stesso avevo lasciato; teneva il suo sorriso più vero lontano da me, e solo in rari momenti quando non poteva avvedersene tornava ad essere quello di sempre. Una volta mi porse un gelato che Ienzo aveva comprato dal vecchio, fuori dalle mura.
Mi chiamò entusiasta e sorrideva. Dopo, imparammo a spostarci usando i corridoi oscuri.

Dovemmo indossare la tunica per non essere divorati. Perdemmo perfino il nostro nome. Entrai in un reame di mezzo fatto di sensazioni e ricordi, ottenni ciò che volevo e fui liberato. Axel, invece, rimase a metà tra il vuoto e il preponderante ricordo di ciò che era. Quando faceva appello al vuoto, diveniva un essere indolente e vuoto. Più spesso, però, continuava ad avere bisogno di subissare il vuoto dell’anima.

“Come dovrei comportarmi adesso, con te?”

Mi chiese una volta, mentre sulla terrazza della nostra fortezza fermava il suo sguardo sul buio del cielo.

“In che senso?”

“Possiamo continuare ad essere amici? Sei un mio superiore, ora.”

“Non credo cambi qualcosa fra noi.”

Si incastrò nei miei occhi, e non vi era alcuna espressione apparente nei suoi.

“È ovvio che cambia qualcosa.
  Una volta avevo ammirazione per te e nutrivo un grande affetto nei tuoi confronti.”

Si perse con lo sguardo nel vuoto, e solo dopo riprese il filo del suo discorso.

“Adesso, invece, di tutto quello che avevo non è rimasto niente.
  Come dovrei comportarmi, per non sbagliare ancora?”

“Non c’è mai stato niente di sbagliato.”

Mi guardò, incrociando le braccia al petto. Aveva l’espressione di chi pareva non capire.

Non ti faceva soffrire?”

“A cosa ti riferisci?”

“Al mio comportamento.”

Mi portò a pensare ancora una volta a quei tempi lontani. Decisi di accogliere quella richiesta.

“Quello che provavo allora non veniva in alcun modo da te.”

Dissi, e pensai che quella era stata forse dopo molto tempo la sola dimostrazione del mio modo di intendere la mia amicizia con lui, consolarlo sul fatto che se lo avevo sempre tenuto lontano non era mai stato per colpa sua. Emise un mugugno che mi fece intendere che aveva capito, si sollevò e si allontanò per rientrare nel salone, senza dire una parola. Mi resi conto che non saremmo potuti tornare indietro senza un cuore.

In fondo anche Roxas era lontano dalla persona che io conobbi. Lea era estroverso, sereno, impulsivo.

Quando divenne un Nessuno fu lui stesso a decidere di essere diverso, anche se io continuavo a conoscerlo molto bene. In seguito al fallimento della sua ultima missione, quando abbandonò il castello, il suo comportamento divenne assurdamente prevedibile. Tentò di rapire Kairi per irretire Sora, alimentare la sua rabbia e il suo odio, far sì che si tramutasse in un essere oscuro ancora una volta e che perdesse il cuore, allo stesso modo di come in principio avevano fatto con lui; non riuscì ad emulare il comportamento dei nostri precettori, perché lo aveva odiato con tutto se stesso. Di fronte alla luce di Sora si era dovuto arrendere a considerare troncato anche quel legame. E allora aveva cominciato a vagare solitario tra i mondi.

 

Lo incontrai in un passaggio che lo avrebbe portato alla Fortezza Oscura.

Non avevamo del tempo per sentire nostalgia di casa. Cercava Sora, inseguiva Roxas.

Xemnas mi aveva mandato ad instillare il dubbio nel cuore di Sora. Il disegno del completamento del Kingdom Hearts giungeva a compimento, ma questo non gli bastava. Per assicurarsi che non tramassi ancora alle sue spalle volle testare la mia indolenza e mi mandò ad eliminare il traditore.
 

“Ho saputo che hai ordinato che il nostro sicario fosse curato.”

Si rivolse a me, pur avendo lo sguardo rivolto in altra direzione. Solo la luna, il suo Kingdom Hearts,
esaminava le nostre parole e intenzioni, e distribuiva a ciascuno.

“L’ho fatto. Credevo che assicurarmi che l’Organizzazione non perdesse i suoi membri a causa di futili motivazioni rientrasse tra le mie responsabilità.”

“Vi rientra, quando sono io a stabilirlo. Axel doveva avere occasione di riflettere.”

I suoi occhi avrebbero ammutolito chiunque.

Sfiorò le mie labbra con un dito per intimarmi di tacere,
e lasciò che quel lembo di pelle fosse l’unica cosa a dividerci.
I suoi capelli argentei mi sfioravano il viso.

Se anche avessi voluto, non avrei trovato parole per giustificare la mia iniziativa.

“Qualunque cosa vi abbia legati prima dell’Organizzazione, per me è futilità.
Axel ha scelto di abbandonarci. Ci ha traditi. Conosci bene quale sarà la sua condanna.”

“La cancellazione.”

Sorrise, lasciò cadere quell’unico divisore e si appressò a me, ancora.

“E userò te, Saïx, come emissario. Perché tra noi sei quello che sa fargli più male.”

Mentre si allontanava nella direzione opposta mi trovai diviso tra i miei ricordi e il mio cuore.

“Non deludermi.”

 



Mi appressai ad Axel avendolo scorto in lontananza, e quando l’impugnatura della mia arma sfiorò il mio palmo avido della sua sofferenza qualcosa dentro di me scelse una direzione, ma qualche altra cosa scelse quella opposta, e non fui davvero convinto di volerle entrambe.

“Avevi detto di non avere motivo di lasciare l’Organizzazione. Ci avevo creduto.”

I miei occhi lo scrutavano senza alcun sentimento, sebbene invasi da un rimpianto che pareva tale.

“Non ho mai avuto intenzione di andarmene. Volevo tornare.”

Strinsi la mia arma con vigore, perché la stessa cosa che mi aveva costretto ad aggredire Roxas si stava impossessando di ogni mio desiderio di vendetta.

“Peccato che ormai Xemnas ti annoveri tra i traditori.”

Si trovò incatenato dal mio tono furente, e sospirò stogliendo lo sguardo.

“Xemnas vi ha mentito. Non arriverete mai ad essere completi in quel modo. Kingdom Hearts è solo un recipiente, se anche vi donasse la sua forza continuereste ad essere creature appartenenti all’oscurità.”

“Taci!”

Un attacco diretto della mia claymore incontrò la sua traiettoria, e fino all’ultimo non volle imbracciare le armi. Non finché non gli urlai di difendersi. Mi ritrovai a poca distanza da lui, mentre le sue lame ardenti premevano contro la mia. Se avessi avuto un cuore lo avrei odiato, tanto ero sopraffatto dalla collera.

“Non sento ragioni da te. E non tratto con riguardo i traditori.”

Sul suo volto si dipinse un sorriso carico di finta mestizia, mentre faceva ancora più forza sulle armi riuscendo a liberarsi ed a balzare indietro; le abbassò entrambe, abbandonandole ai lati del corpo.

“Non avrei mai pensato di dover usare la forza contro di te.”

“Se non vuoi combattere, puoi semplicemente lasciarti eliminare.”

Lo incalzai nuovamente, e intorno a me si accese un muro di fiamme. Vano tentativo di chiudere il terreno dei giochi. Mi guardai intorno, forte della mia indolenza; poi tornai su di lui, sollevando la mia arma verso la luna che ancora non dominava il cielo di quel mondo, ma che lo avrebbe fatto presto tramite me.

S’incrociarono ancora. Il campo infuocato che aveva creato echeggiava dei nostri fendenti.

Axel non fece altro che difendersi, ma la mia volontà si mostrò più inflessibile della sua e riuscii ad ancorarlo al terreno. Le sue fiamme si dissolsero e lui rimase inerme con una delle mie lame incastonata in un fianco. Il suo respiro veniva rotto dalle grida di risentimento e dolore. Estrassi la mia arma lasciando che la ferita facesse sgorgare la sua vitalità, e lasciai che l’angoscia dei suoi spasimi si levasse al cielo.

“Non posso ancora… Svanire…”

Sollevai la mia arma ancora una volta, ma la mia mano non volle calare quando scoprii i suoi occhi nei miei.

“Ho fatto… Una promessa…”

“Anche io ti feci una promessa, e la sto adempiendo. Finalmente puoi essere libero, Lea.”

Sorrise. Scorsi dell’amarezza del suo volto ed ebbi la sensazione che avesse sempre sentito qualcosa di vero.

“Era questo che inseguivo di Roxas. Lui aveva un cuore. Mi faceva sentire di averne uno… a mia volta.”

“Ti sei allontanato da me per perseguire qualcosa che non avresti potuto raggiungere.
Non siamo più nel reame di sopra.”

“Hai ragione... Ma non mi soddisfa nemmeno questo reame di mezzo.”

“Mi hai lasciato indietro. Tu e la tua promessa meritate di scomparire per sempre. Non mi riguarda più.”


Ovviamente, sapevo di mentire. Ma mentre cercavo di convincermi che era meglio così,
mi tornò alla mente un altro ricordo di una sera ormai lontana.

 

 

“Isa, ricordi ancora quei tramonti meravigliosi?”

Ero sdraiato con lui sul gelido pavimento della nostra prigione, e lo tenevo stretto perché aveva detto di avere freddo; il suo viso coperto da quello spesso cappuccio nero premeva contro il mio petto.

“Sì.”

“Meno male. Finché li ricorderemo entrambi, ci sarà una piccola luce dentro di noi.
  Non dobbiamo rinunciare a quella luce. Dissiperà ogni oscurità.”

Sollevò lo sguardo, e strinse le mani che afferravano la mia tunica.

“È un promemoria per te. Quando ti troverai ad adempiere la tua promessa, dovrai ricordarlo.
  Sarà quella luce a portarci fuori.”


 


Dietro ad Axel cominciò ad aprirsi un corridoio oscuro; mi gettai su di lui per fermarlo, ma non potei.

“Ho tentato di essere come te. Ma non ho potuto.”

Mi fermai, perché se vi fossi entrato con lui non avrei avuto modo di mentire a Xemnas dicendo di aver fatto il possibile per eliminarlo. E mentre scompariva di fronte a me, mi chiesi cos’avesse voluto dire.

“A te l’oblio dei sentimenti è stato sufficiente. Io, invece, ho sempre desiderato di morire.”

Si addentrò ancora nell’oscurità, e istintivamente portai una mano ad afferrarlo; ma era troppo tardi.

“Sarebbe finito tutto, non ci sarebbe stato niente che avrei avuto il rimpianto di ricominciare.

Non sei stato il primo ad arrendersi; io non volevo vivere quest’altra vita.

Ti ringrazio di aver capito.”


Furono le ultime parole con le quali mi arrivò la sua voce.
Fu l’ultima volta che lo vidi.

 

Un attimo dopo, proruppi in un grido di profondo dolore.
S’infranse su tutte le rocce all’intorno, e avrei voluto che Axel lo sentisse.

Cosa poteva saperne, lui, del fatto che in ogni momento in cui lo vedevo sorridere ancora a quel modo mentre mi ricordava delle nostre serate avevo desiderato la morte anch’io; del fatto che per me l’oblio dei sentimenti altro non era stato che un sollievo che mi avrebbe permesso di tirare avanti ancora per poco, finché Xemnas non avesse deciso quando avrebbero potuto eliminarmi.

Non vi avevo mai riflettuto sopra, prima.
Le lacrime che Axel aveva dipinte sul volto, sarebbero potute essere il riflesso del suo desiderio.


Non potevo credere che in quel momento, in quello e in quell’altro ancora, lui avesse soltanto voluto morire.

 

“Stupido e debole; non credo ad una sola parola.”

 
 

In seguito Xemnas disse che Axel era scomparso, e nella Stanza Circolare ne discutemmo con i membri rimasti; disse che le sue sciocche azioni avevano toccato il cuore di Sora. Xigbar comparve dietro di me, mentre contemplavo la realtà della sua assenza nella Prova dell’Esistenza, senz’alcuna espressione sul volto.

“Il tuo amichetto non c’è più. E adesso cosa farai?”

“Ha meritato la sua condanna.”

“Equo, come tu hai meritato la tua.”

Si avvicinò alla lastra in vetro che mostrava due Keyblade tra loro intrecciati, con una delle sue armi adagiata sulle spalle; l’altra giaceva abbandonata su un fianco.

“Non sono sicuro che Roxas toccherà a me.”

Sollevò le spalle, come per farmi arrivare una duplice provocazione, prima di allontanarsi. Alzò gli occhi verso il frutto delle nostre fatiche, e sorrise. Come se attendesse indistintamente la sua vittoria o la sua disfatta. Come se non gli importasse di nient’altro che della sua sorte e di quella di Xemnas.

“L’eroe del Keyblade è qui. È stato il tuo amichetto ad aprirgli la strada.”

Lo superai, facendomi largo verso la stanza nella quale lo avrei atteso a lungo.

“Ormai non ci serve più; puoi giocare con lui, se lo desideri.”

Mentre scomparivo lungo il corridoio oscuro, sentii Luxord giungere dietro a noi.
Aveva preparato il suo mazzo di carte, e mi guardò con un lieve sorriso afferrandone una.

“Ormai siamo in ballo. È giusto che giochiamo fino alla fine le nostre partite.”

E poi c’era chi, come Lea, non aveva voluto giocare affatto.

 

Quello che vedo adesso è il luogo più alto che io abbia mai conosciuto.
Sebbene questa finestra mostri solo uno scorcio di ciò che è.


Kingdom Hearts, l’eterno custode dei cuori.
 

L’arma nelle mie mani attende.

Sora mi ossserva come se volesse innalzare un muro invalicabile.

"Solo tu potevi arrivare fin qui tutto intero, Roxas."

 



 

Note dell’autrice:

Salve a tutti, sono HikariRin e quello che avete appena letto era l’ultimo capitolo dalla parte di Saïx.

Conosco una persona secondo la quale, anche dopo essere stato liberato, Isa potrebbe decidere di rifiutarsi di vivere alla luce del sole. Chissà. Io spero che si facciano forza entrambi, invece, lui e Lea. Perché meritano un riscatto che renda loro tutto quello che hanno perduto a causa delle angherie di qualcun altro.

*L'ultima frase presente in questo capitolo è una citazione diretta dal videogioco Kingdom Hearts II.

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Capitolo 13
*** ~ Epilogo ***


The Realm Between ~ 13

Epilogo



Il cielo del mondo nel quale mi trovo adesso è diviso tra il tramonto e la sera. Dicono che ciascuna stella rappresenti un mondo, e che la luce sia il cuore di ognuno di essi che si riflette nel nostro. Lo asserivano i maestri da prima che noi nascessimo, in un’epoca lontana che ancora non conosceva il mondo in cui noi desideriamo tornare. Mi chiedo se anche il mondo in cui abbiamo vissuto per tanto tempo avesse un cuore ricolmo di luce. Anche questo è un mondo di mezzo. Rappresenta l’equilibrio perfetto tra luce e oscurità.

Eppure, il cielo è continuamente attraversato da stelle cadenti. Quasi voglia indurre a pensare che ogni desiderio possa divenire realtà, solo conservando la serenità e lasciando che la scintilla che arde in fondo a ogni cuore indichi la strada. Sono giunto fin qui seguendo la mia luce, la promessa che feci ai miei amici.

Ho di nuovo un cuore, e posso sentire ogni minima inflessione delle emozioni che picchiano alle sue pareti.
Perdendomi nel sole che tramonta ricordo interi pomeriggi di trasparenza e quiete. Perdendomi nello scuro del cielo, mi assale la medesima inquietudine di quando osservavo lui riposare in attesa di ciò che sarebbe venuto, e io prendevo tra le mani le sbarre in ferro e guardavo in alto fin dove lo sguardo mi permetteva.

Ho ricordi contrastanti della nostra vita di prigionia, prima di quella eterna in un mondo che non esiste. Non ricordo davvero il momento in cui decisi che avrei mentito. Avevo sempre saputo che colui che si perde nell’oscurità necessita di una speranza, ma per quanto potessi tentare di infondergli la mia, il suo cuore non la coglieva affatto. Ho sempre saputo anche del suo senso di colpa, per questo cercavo sempre di sorridere.

Una volta Ienzo era sceso fin da noi sfuggendo allo sguardo attento di Even, e mi aveva fatto dono di un gelato che aveva trovato ai piani superiori. Lo ringraziai felice. Quel gelato sapeva di nuovo, nel bianco scolorito dei sotterranei di quel castello che mi faceva sentire quanto mai fuori luogo; Isa mi vide tanto entusiasta che subito si nascose dietro al suo sguardo di ghiaccio, quindi mi avvicinai a lui mentre Ienzo rimaneva ad osservarci sorridendo al mio stesso modo. Inavvertitamente Isa fece cadere il gelato mentre lo allontanava e credendo che me la fossi presa continuò ad inseguirlo sul pavimento cercando di recuperarlo. Sussultò per un momento quando mi sentì ridere di cuore, e il suo sguardo si addolcì davvero molto.

Allora mi convinsi di potergli trasmettere qualcosa. In quella stanza eravamo costretti a restare vicini. Mi nutrivo del battito del suo cuore. Regolare e forte, come se non avesse voluto mollare. Lo invidiavo.

Una notte sentivo sulla pelle il freddo del mio cuore arrabbiato e frustrato. Non avevo la sua stessa forza. Spesso venivo colto dall’ansia, mi sembrava di soffocare. Volevo dormire e non svegliarmi il giorno dopo.

C’erano state delle volte in cui avevo pensato che sarebbe stato meglio non provare niente, perché avrei potuto vedere le cose da un altro punto di vista e non sentire più alcun peso, nessun senso di responsabilità.

Ma il suo calore mi vinceva sempre, e trascinandomi verso di lui tornavo ad essere tranquillo.

Temevo che se mi fossi avvicinato ancora avrei distrutto un castello di carte,
quindi quando mi stringeva non sollevavo mai il cappuccio nero e spesso che mi copriva il viso.

Finché avevo un cuore, non ne avevo bisogno.

In un'antitesi del tutto insolita per noi, io cominciavo ad arrendermi all’oscurità mentre lui avrebbe voluto appigliarsi alla mia luce. Capii che non s’era affatto perduto, ma che stava cercando di salvare me per affondare da solo. Se la nostra amicizia ci avesse portati fino a quel punto, mi sarei sentito schiacciato dal senso di colpa; la mia presenza non avrebbe che accresciuto la sua sofferenza. Questa consapevolezza mi fece stare ancora più male.

Loro lo sapevano. Fin dall’inizio era quello a cui miravano.

Non mi rimase altra scelta che mentire al mio cuore. Divenire esseri oscuri ci avrebbe aiutati. L’oblio avrebbe giovato alla nostra incomunicabilità. Nella totale assenza dei sentimenti, avremmo dovuto usare le parole. Entrambi avremmo voluto tornare indietro, ma avremmo solo potuto andare avanti.

Eppure lui ha sopportato tutte le mie bugie. E si è sempre prodigato per me.


Per questo ho seguito Roxas.


Avrei voluto vederlo un’ultima volta. Capire se volevo davvero un cuore indietro. Essere Nessuno mi aveva reso così distante dalla persona che ero. Non avevo avuto alcuno scrupolo nel portare via una persona ad un’altra, nonostante avessi conosciuto la sofferenza del vedersi trascinare lontano dalle persone del cuore.

Chi mise fine alla mia non esistenza non fu il mio amico delle vacanze estive. Avevo realizzato da me che non avrebbe più avuto alcun senso vivere. E se avessi dovuto perdere la vita, lo avrei fatto per aiutare qualcuno a non perdersi come me. Nonostante i miei occhi non avessero più alcuna scintilla, nonostante non splendessero più alla luce del sole, conservavano la mestizia di quella prigione.

Volevo che Sora liberasse tutti quelli come noi; che potesse dar loro una speranza.

 
 

“Certo che vorrei indietro un cuore.”

Mi disse, nel giorno in cui fummo assegnati alla medesima missione.

Demyx osservava le nuvole perdersi nell'azzurro chiaro del cielo.
Aveva poggiato il suo sitar di fronte a noi, e di tanto in tanto tornava a suonare.

“Se suono qualcosa, è senza sentimento. Se canto, è senza sentimento.
  Non c’è nemmeno più motivo di far ballare qualcuno.”

Ero seduto accanto a lui; una brezza leggera smuoveva i miei ciuffi ardenti.

“Quindi ciò che distingue noi dalle persone è che lavoriamo per noi stessi.”

Fermò le dita sulle corde e rise sonoramente.
Quando mi volsi verso di lui, sorrise.

“Lavoriamo per l’Organizzazione, no?”

“È un’organizzazione senza sentimento.”

“Sì, è vero.”

Rimanemmo in silenzio per un attimo, e mi sollevai per incontrare meglio il sole. Il suo calore non era più lo stesso di un tempo sulla mia pelle. Pensai ch’era perché trascorrendo le mie giornate in quel mondo oscuro e invisibile anche io ero diventato più freddo. E non me ne ero accorto finché non lo avevo visto di nuovo.

“E tu, perché vorresti indietro un cuore?”

“Perché prima di diventare Nessuno non avevo niente da perdere.”

Non lo vidi in viso, ma la sua espressione cambiò.

“Oh, quanta serietà. Quasi mi inganni.”

“È vero. Ero felice. Ho perso più cose dentro l’Organizzazione che fuori.”

Piegai le mani dietro la testa, tenendo lo sguardo fisso su quella sfera infuocata.
Se anche mi avesse distrutto, non avrebbe avuto importanza.

“Da che ho perso il cuore, mi sento fuori luogo ovunque.”

“Ah, io l’ho sempre detto di non essere quello giusto per loro.
Eppure continuo a rimanere qui. Non sarà che temiamo una seconda morte?”

“A me non importa di morire.”

 “Come?”

“Mi basterebbe che le persone mi ricordassero.”

Non disse più niente; seguitava come me ad osservare il sole che si perdeva sull’orizzonte del deserto.

“Una volta espressi un desiderio.
 ‘Vorrei essere per le persone tutto ciò che loro vogliono che io sia.’
  Credevo fosse un buon metodo per mantenere le amicizie. Ma sbagliavo.
  Solo ora mi rendo conto che non ha senso. È come mentire.”

“Allora credo proprio che dovresti andartene.”

L’ultima canzone che suonò quella sera era leggera, spensierata, e correva nell’aria col vento.

 

“Se non temevi la morte, chissà come mai hai lasciato un Nessuno.”

“Probabilmente intendevo assicurarmi che qualcun altro oltre a me fosse felice.”

 

 


Il passaggio dal niente ai sentimenti non è semplice, allo stesso modo del percorso contrario. A volte l’oscurità che alberga ancora dentro me mi rende preda dei sentimenti negativi. Il fatto che i miei nuovi amici associno la mia persona alle azioni di un tempo mi rende triste. Tuttavia, il mio primo scopo sarà vestirmi di nuovo dell’ardore che avevo, perché ho esteso la mia promessa anche al mio amico di un tempo.

Mentre tentavo di capire ove finisse il giorno e iniziasse la sera sulla linea dell’orizzonte, Sora venne da me.

Il suo sguardo era sempre ricco di tenerezza, non era affatto cambiato, e in qualche modo mi ricordava quello del mio migliore amico; sebbene fosse incespicante e inesperto, Roxas era davvero una bella persona. Esitò per un momento, prima di abbandonarsi sul davanzale della finestra e sorridermi come era solito fare.

“Ti ringrazio per avermi salvato.”

“Lo avrei fatto comunque. Avevo una promessa da mantenere.”

“Una promessa fatta a Roxas?”

I miei occhi si perdevano nella notte, ad osservare le stelle più lontane. Dietro di noi i suoi amici continuavano a fare festa, ma sentivo su di me lo sguardo di ghiaccio di chi non aveva voluto perdere l’amico cui teneva più di ogni altra cosa.

“Sì.”

Lo vidi cambiare espressione. Sul suo volto si dipinse un sorriso triste.

“A volte sento cose che non mi appartengono. Come una leggera malinconia.

  Succede sempre, quando sono con te. La tua presenza mi sembra così familiare…

  Mi scalda il cuore, ma allo stesso tempo mi viene voglia di piangere.”

Portò una mano sulla sede dei sentimenti, e la strinse sugli abiti che avrebbero dovuto proteggerlo dall’oscurità. In quel momento provai una forte repulsione per quelli che avevo ancora indosso, nonostante sentissi di avere ancora necessità di essere protetto. Si volse verso la distesa del cielo, e mi parve di rivedere Roxas nel tramonto sulla torre, con il nostro gelato, e sentii un intenso dolore.

“Mentre dormivo, Roxas mi ha mostrato qualcosa e ho avvertito la sua sofferenza.

  Ma questi sentimenti sono troppo intensi, come se non fossero solo suoi.

  Nei loro ricordi, tu sei molto importante. Per favore, raccontami la vostra storia.”

 

Allora gli narrai ogni cosa; di Ventus, di me ed Isa, degli esordi dell’Organizzazione.

Di quel laboratorio sepolto nei nostri ricordi, del Progetto Replica, dei tramonti e dei ghiaccioli con Roxas.

Di Saïx, di come tentarono di separarci, di come Roxas si era scordato di me in seguito alla sua dipartita.


Ad ogni passaggio il suo viso si adombrava come se potesse ricordare.

Per la prima volta potei raccontare a Roxas di quanto era stato terribile, e potei dirgli quanto mi aveva deluso che mi avesse dimenticato.

Mentre terminavo, vidi Sora strofinare gli occhi. Mii prese la mano con entrambe le sue, e la strinse.

“Vorresti vederlo?”

Mi mostrai smarrito per un attimo.
Allora mi guardò negli occhi, e sorrise.

“È possibile, con gli occhi del cuore.”

Gli occhi del cuore. Non avevo mai sentito questa espressione.

Cosa devo fare?”

Certo che avrei voluto vederlo. Lo consideravo ormai perduto fin da quando, in quel corridoio oscuro, decisi di salvare ancora una volta il suo Qualcuno.

“Solo chiudere gli occhi.”

Li chiusi, senza attendere oltre. E nel buio, lui comparve di fronte a me.
Mi teneva la mano, mi sorrideva.

Il trambusto che era intorno a noi, era come se non lo sentissi più.
Al suo posto l’ultima melodia di Demyx, quella che aveva dedicato al sole, alla vita ed alla felicità.


“Roxas…”

“Axel.”

Quando la sua voce mi arrivò, sentii i miei occhi inumidirsi di lacrime. Ma sì, che importava.
Da lui avrei accettato quel nome in eterno. Mi abbandonai su di lui adagiandomi sulla sua spalla.

“Ho fatto tante cose orribili.”

Lasciò la mia mano e mi strinse forte. Il suo calore era pervasivo, la sua amicizia eterna.

“Hai fatto anche tante cose belle.”

Il mio primo istinto fu quello di aprire gli occhi per lasciar scorrere quelle espressioni di tristezza, o di gioia, non sapevo bene cosa; ma lo fermai e lo strinsi a mia volta.

“Le cose brutte non contano perché prima non eri così, no?”

“È stato sepolto, quello che ero; in quel piccolo spazio oscuro.”

“Non dire così; non è per questo che sei qui.”

 Allora, accanto a lui, vidi una proiezione del mio cuore; era il mio amico di un tempo, proprio come lo ricordavo. Vidi anche il me stesso di un tempo poco distante, che piangeva dicendogli che non avrebbe più voluto crescere con lui. Avrebbe fatto di tutto per liberarlo, ma lui non lo sapeva. Anche allora Isa mi aveva stretto fra le sue braccia, e avevo provato quella stessa felicità perché realizzai che ci sarebbe sempre stato.

“Roxas, ho un Keyblade adesso.”

“Voglio vederlo!”

Mi separai da lui, e quando il mio cuore materializzò una lama di fiamme, lui la prese tra le mani e sorrise.

“È proprio come te.”

“Quando anche Isa avrà di nuovo un cuore, te lo presenterò una seconda volta.
  Nemmeno lui è come lo hai conosciuto.”

“Va bene, Axel.”

“Lea.”

Toccai ancora una volta le sue mani,
e il mio Keyblade scomparve da esse.
Sollevò il viso e sorrise contento,
perché rivelandogli il mio nome
avevo cominciato a farmi conoscere
per come ero davvero.

“Devo andare, Lea.”

“Non so se ci incontreremo ancora davvero, ma non ti dimenticherò mai, Roxas.”

Mi guardò sorpreso per un attimo.

Non so da dove fosse scaturito, ma era qualcosa che desideravo dirgli da tempo.

“Memorizzalo.”

Annuì, ed il suo sguardo tenero era come se mi ringraziasse.

Gli occhi del mio cuore lo videro scomparire in tante sfere di luce, per essere di nuovo completo.

 



“Io credo che Roxas debba vivere per se stesso. E non solo lui, anche tutti gli altri.
  Ho visto così tante persone… Mi dispiacerebbe che si spezzassero altre amicizie.”

“Non credo sia stata colpa tua.”

Risposi a Sora, mentre tornavo alla realtà di quella torre e lui mi lasciava la mano; notai che nel frattempo Riku si era voltato indietro. Forse avevano già smesso di considerarmi una minaccia, tutti i suoi amici.

“Voglio riportarli tutti indietro. Roxas, gli amici del Re, la ragazza dai capelli neri. Ho così tanti ricordi dentro che mi sento straripare. Però, se potessi riportare il sorriso a qualcuno, non avrebbe senso che mi tirassi indietro.”

“Sei forte, Sora. Da ora in poi vorrei diventare forte come te.”

Scosse la testa.

“I miei amici sono la mia forza.”

Sul mio volto dovette comparire un sorriso davvero raggiante, perché mi salutò allo stesso modo prima di tornare dagli altri. Pensai che aveva ragione.

I Nessuno possono sorridere, ma non sarà mai come per le persone. Non avrà mai la stessa intensità.

Seduto sulle scale della torre, sorridevo alle stelle. Riflettevo sulle parole di Roxas. Improvvisamente avevo cominciato a vedere tutte le cose orribili come cose belle.

Nel profondo s’era nuovamente accesa la luce della speranza. In quel momento mi si avvicinò la ragazza che avevo cercato di portargli via. Si chinò lievemente, e la vidi portare indietro i capelli mentre mi sorrideva.

“Alle volte ho come la sensazione di averti già incontrato, e che in passato tu mi abbia aiutata molto. Sembravi diverso da tutti gli altri, ed anche se non posso esserne certa ho come la sensazione di conoscerti già come una persona buona. Anche Riku dice che dovrei fidarmi, ma non sono ancora del tutto convinta.”

“Penso anch’io che dovresti fidarti.”

Rise, allontanando per un momento gli occhi dai miei. Mi sopraggiunse alla mente come una sensazione, di avere già sentito un’altra persona ridere in quel modo. Per un momento, vidi un’immagine differente. Non era Kairi, non era Naminé. Pensai che doveva essere qualcuno che riposava nel mio cuore, una ragazza che forse avevo conosciuto e della quale non conservavo altro che un ricordo sfocato.

“Posso vedere il tuo Keyblade?”

Mi disse, sorridendomi di nuovo allo stesso modo di Sora. Ricordo di aver pensato che tutte le persone che gli stavano intorno avevano voluto imitarlo. Dopotutto, sorridere sempre e non curarsi delle conseguenze delle proprie azioni talvolta è il miglior modo di vivere. Lasciai che la mia lama rovente comparisse nelle mie mani, e lei venne ancora più vicina per poterla osservare compiutamente. Pareva ammirata, come se si aspettasse qualcosa di appariscente ma come se per lei fosse la prima volta.

“Sembra rispecchiare il tuo carattere.”

“Dovete spiegarmi perché dite tutti quanti la stessa cosa.”

Mi sentivo in imbarazzo, non capivo se avrei dovuto prendere quei commenti come un complimento. Lei rise di nuovo, e la sua gaiezza mi colpì profondamente. Una persona con un cuore di pura luce doveva essere davvero speciale. L’ammiravo. Ripensando alle mie esperienze passate, capii che per vie traverse anche senza un cuore non si era mai spento il mio ardore nel volermi avvicinare alla luce, nel volerla conquistare nuovamente. Avevo lasciato un Nessuno perché desideravo mantenere la promessa stretta con Isa sulla torre.

“Kairi, mi dispiace.”

“Una volta mi dissero che ero arrivata sulle Isole del Destino avvolta in un fascio di luce.
  Da quel momento ho conosciuto tante persone che mi hanno protetta.”

Lo disse dandomi le spalle, rivolta al cielo. Le mani intrecciate dietro la schiena.

“Sora è venuto a cercarmi, quando mi sono perduta.

  ‘Questa volta voglio essere io a fare qualcosa per tutti loro’.

  Quando è comparso un Keyblade nelle mie mani, ho pensato questo.”

Poi si volse di nuovo, e il suo sorriso sfumò di fronte alla mia prostrazione.

“So che anche tu hai pensato la stessa cosa. Per questo non ti biasimo.

  Non ho mai conosciuto una vita senza sentimenti, non posso capirti appieno.

  Però so che stare lontano dalle persone cui si vuole bene porta con sé un vuoto.”

Mi parve fin da subito una persona da proteggere. Non capivo se si riferisse a Roxas o a chi altro, ma strinsi tra le mani il simbolo della mia speranza; il mio cuore era sereno, libero e leggero.

“Grazie.”

Strinse una delle mie mani fra le sue, infondendomi un nuovo calore, e mi costrinse a sollevarmi trascinandomi con sé ai confini di quel mondo onirico e magico. Osservammo l’orizzonte per un tempo interminabile; di tanto in tanto le nostre espressioni si incontravano, come se fossimo già stati amici.

Mi disse che qualcuno le aveva dato il nome dell’oceano, e questo la persuadeva che i suoi amici avrebbero sempre potuto raggiungerla. Quando le parlai dell’amico con cui un tempo condividevo le mie giornate, mi disse che anche il sole e la luna si incontrano sempre perché condividono lo stesso cielo.

Forse il luogo più alto cui aneliamo non è un luogo fisico; forse si tratta di una condizione del cuore.

Come anche la mia chiave punta verso l’alto, vorrei che i nostri ricordi del reame di mezzo si liquefacessero come i Nessuno. E vorrei crearne di nuovi, il tuo cuore e il mio, nel reame di sopra.
 

~

 

Note dell’autrice:


Finalmente ho terminato anche la revisione di questa storia.

Sono molto contenta di come potete leggerla ora.
Voi non lo sapete, ma non è sempre stata così.

 

Qualche spiegazione finale doverosa:

* La scena con Axel e Demyx che avete letto in questo capitolo è ambientata ad Agrabah e il giorno è lo stesso di cui ho scritto nel capitolo 8. Non sono riuscita a lasciarlo intendere chiaramente nella storia, così l’ho aggiunto qui.

*Mi piace pensare al dialogo finale con Roxas come qualcosa di gioioso ma triste allo stesso tempo. In Kingdom Hearts DDD, Roxas non mostra a Sora i suoi ricordi di quando era nell’Organizzazione. È quindi probabile che non possa ricordare quei momenti se non attraverso Xion, e mentre discorre con Lea potrebbe effettivamente ricordare solo il fatto che erano amici e di quando lasciò l’Organizzazione, ricordi in lui riaffiorati in Kingdom Hearts II. Lea ha tanti più ricordi dentro di sé, per questo se così fosse quest’ultimo incontro sarebbe davvero triste.

*Nel momento in cui Kairi dice di ricordare Axel come una persona buona, quella sensazione le deriva da Naminé ~ Axel l’aveva aiutata a fuggire da Marluxia nel Castello dell’Oblio, e dopo aveva persuaso Riku a lasciare andare entrambi quando DiZ avrebbe voluto distruggerla ~ non certo da Xion in quanto quest’ultima e i suoi ricordi si trovano dentro Sora. Il fatto che Lea veda Xion dipende dai suoi ricordi, non da lei. Infine, sempre riguardo a Kairi, il suo nome contiene uno degli ideogrammi che indicano il mare, e da qui la citazione all’oceano.


E per quanto riguarda Kingdom Hearts III, desidero vedere ancora tante cose.
Anche solo come amici, sarebbe bello rivedere Lea e Isa insieme.
Anche se dico spesso che li shippo, e non posso farci niente.


 

P.S. Vorrei ringraziare i miei beta Lisa e Walter, perché grazie a loro ho raccolto le idee e perfezionato le parti che non andavano; nel consigliare e giudicare hanno fatto un lavoro meraviglioso! Ringrazio tanto anche Jessica, che nella sua intolleranza si è dimostrata una grande amica nel farmi notare i miei errori nella scrittura. Grazie a lei ho migliorato la mia grammatica e ora fughiamo i nostri dubbi esistenziali insieme.

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