LE SENTINELLE DI SANGUE FRAMMENTI DI UN’ANIMA ETEREA E LE FIGLIE DEGLI ASTRI

di Ida90
(/viewuser.php?uid=694703)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Il Furto ***
Capitolo 3: *** Fuga dall’Inferno ***
Capitolo 4: *** Dheran e Dherab ***
Capitolo 5: *** Dranerre ***
Capitolo 6: *** Due prove da superare ***
Capitolo 7: *** Due prove da superare ***
Capitolo 8: *** Annuhyev ***
Capitolo 9: *** L’alleanza ***
Capitolo 10: *** Tagha ***
Capitolo 11: *** Un dono speciale ***
Capitolo 12: *** Un risultato poco piacevole ***
Capitolo 13: *** Il Vernale ***
Capitolo 14: *** La nuova Ardhenya ***
Capitolo 15: *** I Carniv ***
Capitolo 16: *** La rinuncia ***
Capitolo 17: *** Il maleficio spezzato ***
Capitolo 18: *** Un vecchio amico ***
Capitolo 19: *** Il drago della fonte ***
Capitolo 20: *** Le sorelle Harwin ***
Capitolo 21: *** Un nuovo obiettivo ***
Capitolo 22: *** La fine di una civiltà ***
Capitolo 23: *** La bussola ***
Capitolo 24: *** Sacrificio ***
Capitolo 25: *** Ritorno al passato ***
Capitolo 26: *** Sulla strada sbagliata ***
Capitolo 27: *** La chiave ***
Capitolo 28: *** Una libertà tanto agognata ***
Capitolo 29: *** L’immolazione di Hurya ***
Capitolo 30: *** La Duna del Re Solitario ***
Capitolo 31: *** Il Qooejlle ***
Capitolo 32: *** Smascherato ***
Capitolo 33: *** Una vittoria per Ylloon ***
Capitolo 34: *** Il nuovo mondo ***
Capitolo 35: *** L’ennesimo scontro ***
Capitolo 36: *** Tutti contro di lui ***
Capitolo 37: *** Tre figli per ora… ***
Capitolo 38: *** Uno sguardo sul futuro ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Introduzione
 
 
 
 
I
 
n un tempo in cui la “pace” era una parola sussurrata con paura e sostituita dalla guerra, la fede degli Uomini verso Dio cominciò a vacillare e, i suoi fratelli subentrarono per distruggere fino all’ultimo dei suoi credenti.
I deboli mortali si lasciarono abbindolare dalle benevolenze degli Dèi e, Dio inviò un suo messaggero avvertendoli di un suo abbandono se questi non avessero aperto gli occhi sulle menzogne dei suoi fratelli.
Gli Uomini, sommersi e accecati dalle ricchezze e dalle promesse che gli Dèi promettevano loro, non badarono alle parole di Dio e scacciarono il suo messaggero. La parziale vittoria che gli Dèi avevano avuto sull’Uomo, lì indusse fino a sfidare i cieli e a ingaggiare una cruenta battaglia contro i figli celesti di Dio, gli angeli, per spodestarlo dal suo trono definitivamente.
Dopo una battaglia durata secoli, gli angeli furono vinti e schiavizzati, solo in pochi si salvarono mescolandosi ai mortali.
Dio adirato con l’intera umanità ma non volendola distruggere, chiese il sostegno della Suprema Imperatrice, creatura non terrena. Lei accettò cercando di far ragionare gli Dèi inducendoli a ritornare nel luogo da cui erano venuti senza perseverare nel loro Dominio Celeste, ma fallì miseramente. Gli Dèi si sentirono offesi e le dichiararono guerra portando il suo mondo quasi alla completa distruzione.
Furiosa e accecata dall’odio per ciò che era accaduto al suo mondo, la Suprema Imperatrice si pose in testa al suo più potente esercito e ridusse gli Dèi a pochi miseri affiliati. Al termine della battaglia la Suprema Imperatrice scomparve misteriosamente nel nulla.
Gli Dèi superstiti presero il controllo definitivo dell’umanità che dopo molto tempo, ormai troppo tardi, videro gli Dèi per quello che erano e si allontanarono anche da loro.
Abbandonati da tutti, tra gli Uomini, nacquero le prime vere guerre per il controllo assoluto del potere e del territorio. Emersero due fazioni in particolare che gridarono la loro potenza e supremazia, il Concilio dell’Ombra e la Congregazione della Luce.
Combatterono, l’una per sovrastare l’altra, ma finirono solo col causare morti ingiuste e devastazione. Alla fine, con la successione d’innumerevoli guerre e dopo varie sconfitte subite, la Congregazione della Luce si vide costretta a chiedere l’aiuto di una fazione subentrata in ciò che restava del mondo della Suprema Imperatrice per contenere le guerre che si erano già create, le Sentinelle del Sangue.
Accettarono… mostrarono la loro grande potenza combattendo e sciogliendo il Concilio dell’Ombra. La Congregazione della Luce però aveva visto il loro abbondante potere e per paura di una loro ritorsione, li ingannò sottraendo al loro più invincibile Condottiero la fonte del potere.
Usarono poi questa fonte contro le stesse Sentinelle del Sangue distruggendoli e lasciando i pochi superstiti imprigionati nel Palazzo Ombrato. Invece i capi assoluti del Concilio dell’Ombra, i Gavoth, furono separati e rinchiusi in diversi luoghi del mondo e dell’universo.
Il tempo passava… dopo più di trent’anni il Concilio dell’Ombra si stava riformando e si preparava per la venuta dei nuovi capi… la progenie dei Gavoth e la “vendetta”.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il Furto ***


Primo capitolo
 
Il medaglione
 
 
 
 
Era buio. Nell’aria era percettibile l’odore di uomo.
Il lupo argenteo si fermò sotto un albero e annusò. Tra gli abeti, dominante su tracce più deboli di volpe, coniglio e altri animali, un sospiro di vento trascinò fino a lui l'odore di uomo. Il lezzo di vecchie pelli, morte e irrancidite, finiva quasi per scomparire sotto gli odori più forti: fumo, sangue e decomposizione. Solamente l'uomo strappava le pelli alle altre bestie, indossando poi il loro cuoio, i loro peli.
I lupi argentei non erano semplici lupi. I lupi argentei non avevano paura degli uomini. Il lupo argenteo emise un basso ringhio, chiamando il fratello con la cicatrice e la sorella, più piccola e subdola. Appena il lupo argenteo corse tra gli alberi, i compagni di branco scivolarono rapidi dietro di lui. Anche loro avevano percepito l'odore di uomo.
In piena corsa, il lupo argenteo vedeva anche attraverso i loro occhi, discernendo se stesso lanciato in avanti. Dalle lunghe mandibole argentee, il respiro del branco si condensava caldo e livido. La terra bagnata si era solidificata tra le zampe, dura come pietra ma ora la caccia era iniziata, e davanti a loro c’era la preda.
Nell’avvicinarsi alla preda, il lupo argenteo udì il lamento di una civetta e dei lunghi artigli grigi che gli uomini portavano con sé. “Spade”, sussurrò una voce dentro.
L’odore di uomo si fece più forte e fu allora che rallentarono l’andatura. Il lupo argenteo avvertì l’uomo fermarsi e lui fece di conseguenza. Il branco si fermò e solo il capo continuò il suo passo. Fu lento e furtivo stando attento a dove posava le zampe. Si fermò di netto e attese con lo sguardo nel buio.
L’uomo vestito del colore della notte avanzava lento… si muoveva sicuro tra gli alberi della foresta, con il suo cappuccio a coprirgli il volto e, il lungo mantello ad accarezzargli gli stivali. Sentiva qualcosa alle sue spalle e fece molta attenzione ai suoi movimenti.
Aspettò un istante e poi scattò verso la capitale del regno in cui si trovava. I lupi argentei scattarono dietro di lui inseguendolo. L’uomo giunto sotto le mura della città si fermò, si guardò indietro e poi attraversò il muro. Corse con rapidità tra i vicoli e dopo qualche tempo, arrivò dinanzi una porta di legno con un architrave in pietra.
Si fermò un istante, prese un grosso respiro e con lentezza sguainò la spada. Diede un calcio al legno, e fu dentro. Si trovò dinanzi una scalinata che conduceva verso il basso dove era sempre più rara la luce solare. Scese un gradino alla volta e giunto finalmente alla fine vide una sala di semplici mattoni e dal soffitto basso.
Lo spazio asfittico di quel sotterraneo era rischiarato da una serie di torce infisse nel muro. L'odore di muffa si confondeva con quello acre del fumo. Uomini vestiti di blu vagavano da una stanza all'altra… sul loro volto, cupe maschere di bronzo, lisce con due semplici fori per gli occhi e venature dorate.
In quel silenzio gravido, lo schianto della porta abbattuta risuonò con la violenza di un'esplosione. I primi soldati, quelli più vicini all'ingresso, non ebbero neppure modo di rendersi conto di quanto stava accadendo. L'Uomo del Nero della Notte li falciò con un unico, fluido movimento della spada. I manti blu si tinsero di rosso, le maschere di bronzo caddero a terra tintinnando… sotto, i volti contorti dal dolore di un paio di sottotenenti.
Gli altri ebbero il tempo di prepararsi. Chi era armato tirò fuori le spade e combatté, alcuni corsero a salvare gli oggetti più importanti. L'Uomo del Nero della Notte sembrava inarrestabile. Del resto, non erano nemici alla sua altezza. “Ecco la mollezza di un mondo da troppo tempo in pace”, pensò con disprezzo.
Un fruscio alle sue spalle…. Non dovette neppure voltarsi. Pronunciò le parole a mezza voce, e una sfera dorata lo avvolse. I pugnali tesi contro di lui rimbalzarono sulla superficie elastica della barriera.
«Un mago….» mormorò qualcuno con orrore.
L'Uomo del Nero della Notte sorrise con ferocia…. Samuel chiuse la porta col chiavistello. Il suo respiro sembrava non trovare la strada che dai polmoni conduceva all'esterno. Premette il corpo contro il legno, appoggiandovi l'orecchio. Stridio di lame che s’incrociavano, urli, tonfi di corpi che cadevano a terra.
Cominciò a battere i denti. Lottò contro il terrore, ma doveva essere più forte della paura. Si staccò dalla porta con decisione e corse verso gli scaffali addossati a una delle piccole pareti del cubicolo in cui si trovava. Cercò un libro sulle creature volanti presenti sulla Terra e quando lo trovò, lo tirò verso di sé. Era un vecchio passaggio segreto e nell’entrare grida di ragazze oltre la porta attrassero la sua attenzione.
«No. Stanno uccidendo anche loro.» era spaventato, ma doveva prendere coraggio e salvare ciò che era importante.
Dietro la porta, rumori più violenti. I nemici si stavano avvicinando. Il cuore di Samuel fece una capriola. Uno schianto appena fuori dalla porta. Samuel trasalì…. Entrò nel passaggio che dietro di lui si richiuse e proseguì. Dietro di lui, i rumori della lotta si affievolirono, e il cuore di Samuel rallentò per un attimo la corsa.
«Di qua.» urlò, girandosi alla prima biforcazione, poi avanzò ancora un po', finché non s’imbatté in un muro. Spinse un mattone in alto alla sua destra con mani tremanti e davanti a lui si aprì una stanzetta minuscola.
L’Uomo del Nero della Notte non si fermò davanti a nulla. Erano anni che non si scatenava così…. La sensazione del suo corpo che si muoveva con precisione, il lieve indolenzimento dei muscoli sotto sforzo e l'odore del sangue… lo inebriavano, lo facevano stare bene.
Uccise tutti, senza distinzione. Poi sfondò l'ultima porta. L'Uomo del Nero della Notte avanzò lentamente. Dietro di lui, la sua spada lasciava una scia di sangue. Diede una rapida occhiata in giro e non vide altro che tavoli e scaffali colmi di libri. Non poteva sbagliarsi, ciò che lui cercava era vicino, lui lo sentiva….
Sentì alle sue spalle delle voci indistinte avvicinarsi così chiuse gli occhi e si concentrò… il suo cuore pulsava con sempre più ritmo e allo spalancare gli occhi vide ciò che cercava. Si trovava in una stanzetta lì vicino… doveva averlo prima che le voci che lui sentiva gli fossero troppo vicine da distinguerle.
Aprì la mano sinistra e nel centro del palmo materializzò una piccola sfera di vetro; fece un giro di trecentosessanta gradi per localizzare l’oggetto e la sfera s’illuminò in direzione dello scaffale in fondo. L’Uomo del Nero della Notte individuò il libro e scoperto il passaggio segreto vi entrò fino ad arrivare al muretto. Bastarono pochi secondi e implose.
I mattoni che componevano il muro seppellirono Samuel procurandogli svariate ferite anche gravi. La nube di polvere che si era alzata in seguito alla violentissima esplosione fu diradata dall’uomo che la confinò ai lati della stanzetta. L’Uomo del Nero della Notte avanzò verso l’oggetto posto al centro su un semplice piedistallo di pietra… si fermò a un passo e tirò fuori da sotto il mantello, una boccetta contenente un liquido denso di colore rosso porpora.
La osservò e tolse il tappo a punta e versò l’intero contenuto sull’oggetto, che però fu arrestato da un’ampolla invisibile che sciolse. I contorni che il liquido disegnava s’illuminarono di svariati colori e dopo aver completamente dissolto l’ampolla, creò un solco intorno all’oggetto stesso. L’uomo cercò di raccoglierlo ma un potente incantesimo lo proteggeva.
Lui non sarebbe mai andato via senza averlo fra le mani… avrebbe usato qualsiasi mezzo e non si sarebbe fermato di fronte a niente. Si voltò di scatto e udì delle voci avvicinarsi rapidamente… creò un nuovo muro impregnato di magia che avrebbe tenuto lontano coloro che si stavano avvicinando dandogli il tempo necessario per avere ciò che gli serviva.
Aveva calcolato e messo a punto ogni minimo dettaglio del suo piano… anche per quel potente incantesimo aveva un rimedio. Prese da un sacchetto di pelle appeso alla cintura una seconda boccetta che però conteneva un liquido trasparente e meno denso dell’altro che versò sull’involucro. Si allontanò di qualche passo lasciando che il liquido facesse affetto e svariate scintille crearono scie nere e rosse che sollevarono l’oggetto fino all’altezza degli occhi dell’uomo.
Sotto l’oggetto, il piedistallo di pietra si ridusse in polvere e le scie crearono una fessura per infilarci la mano. L’Uomo del Nero della Notte non perse tempo e lo recuperò… era avvolto da un panno di lino ingiallito dal tempo.
Dall’altra parte il re di Nits’Irc giunse con alcuni soldati trovando solo Samuel ancora privo di sensi. L’oggetto nascosto era sparito e con lui l’uomo che lo aveva rubato. Il re si tolse il cappuccio, che non coprì lo [1] stemma del regno non che della famiglia reale e rivolgendosi a Nick, il suo amico d’infanzia, chiese: «Quali sono le sue condizioni?».
Era un ragazzo sui venticinque anni – giovane per essere re di un così grande regno -, la sua altezza raggiungeva il metro e settantacinque dalla corporatura possente, soprattutto nel torso, spalle e braccia. La sua chioma fluente e nera lo rendeva ancora più affascinante e dal viso ben curato, come le sopracciglia che risaltavano gli occhi di un blu scuro. Risaltavano l’intero volto anche il naso proporzionato alla testa - non troppo grande – le labbra carnose e il pizzetto fine e ben curato.
«È in gravi condizioni ma faremo il possibile.» rispose Nick, che sorresse il ragazzo portandolo fuori.
Il re si tolse il mantello che lo prese un soldato ed entrò nella stanzetta. La camicia fine di cotone bianco chiusa da lacci di cuoio con maniche strette fino ai polsi e il soprabito di cuoio rivestito internamente di seta rossa, lo rappresentava come un uomo attraente. I pantaloni, di cuoio lucido, fermati in vita da una cintura fatta di semplice cuoio scuro, ma con pregiati ricami e gli stivali con solo l’orlatura diversa, gli conferivano un’aria vigorosa.
Lui non vide altro che polvere e mattoni sbriciolati ovunque…. Nessuna traccia. Nessun indizio che potessero usare per rintracciare il ladro. Si guardò in giro ancora un po' e alzò il capo solo quando un soldato gli parlò: «Che cosa facciamo mio signore?» domandò fermò sulla soglia a osservare l’interno.
«Raduna i migliori soldati, i più fidati che trovi e perlustra l’intero regno.» furono questi gli ordini di Norack che il soldato eseguì all’istante. Prima che l’uomo raggiungesse la biforcazione, il re si pronunciò nuovamente, «Rintracciate il migliore cacciatore e portatelo con voi. L’uomo che ha sottratto il medaglione è un mago… e anche molto potente.» alzò il capo e lo guardò negli occhi.
Per chi lo conosceva re Norack Albhozz Thalnoock, era un tipo affidabile con un carattere forte e molto autoritario. Considerato da molti, coraggioso e anche sensibile, era di una generosità immensa. Ragazzo estroverso e altruista, percorreva i suoi passi soltanto per non commettere di nuovo i propri errori.
Dopo circa una mezz’ora, il soldato ha cui Norack aveva impartito degli ordini, aveva raggruppato una ventina di uomini e un cacciatore di nome Bhurgam Envelle. Era un uomo con i capelli corti neri, con un ciuffo sempre posto verso destra. Aveva delle orecchie piccole, occhi a mandorla e scuri con sopracciglia poco folte e ciglia molto corte. Il naso all’insù era a patata e la bocca era piccola. Il mento era ritratto all’interno e il collo era abbastanza sottile e lungo. La fronte era abbastanza alta con una cicatrice sull’occhio destro. Era un tipo tranquillo, intelligente e silenzioso.
«Gli ordini sono chiari, dobbiamo trovare il ladro e recuperare l’oggetto che egli ha rubato… tutto questo è di vitale importanza.» spiegò il soldato prima di iniziare a perlustrare il regno.
Re Norack conosceva benissimo le risposte. Si massaggiò con le dita della mano destra la parte alta del naso proseguendo con la fronte, mentre era poggiato con il gomito sul bracciolo del trono.
«Che cosa preoccupa il mio re?» domandò una giovane donna avvicinarsi a lui con passo lento.
«Le conseguenze che comportano gli errori dei nostri padri.» le rispose alzando il capo e fissandola negli occhi.
Lei si fermò dinanzi a lui e sorrise… Norack le fece cenno di sedersi sulle sue gambe e lei si accomodò prendendogli fra le mani la testa che poggiò con delicatezza sul petto. La donna gli accarezzava il volto, gli avvolgeva il corpo con le braccia e a volte sfiorava la corona che cingeva il capo del re.
Egli portava quel simbolo di potere con fierezza, anche se non si riteneva degno di indossarla. La corona presentava pochi ma preziosi dettagli: si trattava di un semplice anello in argento, alto pochi centimetri, con la superficie interna liscia. I bordi dorati erano più spessi in modo da mostrare più rilievo; infatti, quello superiore era stato modificato con delle punte, la cui centrale risaltava poiché leggermente più alta rispetto alle altre. La zona centrale invece era stata abbellita con due strisce d’oro e tre gemme, due delle quali erano semisferiche e di colore rosso chiaro quasi pallido e la terza, quella posta nel mezzo, ellittica e rosso scuro. L’insieme non rappresentava l’emblema del regno, ma nel corso degli anni i re che l’hanno indossata ne sono stati all’altezza.
Gli sforzi dei soldati e del cacciatore furono vani poiché l’Uomo del Nero della Notte era scomparso nel nulla. Tuttavia egli aveva raggiunto l’esterno del regno, dove lo attendeva un drago nero. Il suo nome era Athylias, il primo drago dei Gavoth. La testa dell’animale sembrava del tutto simile a un teschio a causa dei suoi occhi, profondamente incavati e con ampie cavità nasali. Possedeva corna che sporgevano in avanti e una cresta di spine che culminava immediatamente al di sotto, della testa e si assottiglia a circa tre quarti dell'estensione del collo. Un odore acidulo circondava il drago, le cui scaglie erano color ebano o grigio scuro. Le scaglie erano grandi, robuste e opache, favorendo così il camuffarsi nelle paludi e negli acquitrini.
Si ritrovò dinanzi l’animale che gli andava incontro con passo lento. Emise un ruggito e attese che l’uomo gli salisse sulla groppa. A un ordine dell’uomo, l’animale si alzò in volo…. Raggiunta la giusta quota si diresse verso il Continente dell’Ombra situato a Ovest di quello in cui si trovava. Arrivato ai confini che lo separavano dalle sue terre, lui udì un ruggito provenire dalle sue spalle… nel voltarsi vide un altro drago.
A quel punto ordinò ad Athylias di essere più veloce. Il drago alle sue spalle era uno smeraldo; questa razza aveva scaglie come pietre di smeraldo che rifrangevano la luce in maniera tale da far apparire la loro pelle in costante movimento. Questo in particolare era un Adulto e misurava una lunghezza di ben ventinove metri.
Il drago di smeraldo si avvicinò abbastanza da emettere un urlo che provò un grande dolore nella dragonessa, tanto da perdere l’equilibrio e precipitando nel vuoto insieme al suo cavaliere. L’uomo si tenne al drago e con la sua magia cercò di ristabilirla giusto in tempo prima di schiantarsi al suolo, sulle spiagge dei confini. La dragonessa prese quota all’ultimo secondo sfiorando con la coda la sabbia, mentre il drago di smeraldo tornò all’attacco evitando che l’altra creatura lo attaccasse.
Il chiarore della luna mostrava in debole luce gli eventi che si susseguirono durante lo scontro. La brezza marina che proveniva da Nord-Ovest, l’oceano Errow, sconvolgeva la mente della dragonessa ancora confusa dalle vibrazioni emesse dallo smeraldo. L’Uomo del Nero della Notte contrattaccò anch'egli il drago lanciandogli potentissime sfere di energia.
Dopo un po' il drago di smeraldo precipitò atterrando bruscamente sulla sabbia sottostante. Dagli attacchi della dragonessa e quelli ripetuti dell’uomo, il drago di smeraldo aveva riportato centinaia di ferite anche gravi. Respirava a mala pena… cercò di sbattere le ali per riprendere a volare, ma in alcuni punti delle membrane si trovavano tagli molto lunghi che glielo impedivano.
L’uomo ordinò alla dragonessa di atterrare a una trentina di metri da lui… l’animale chiuse le ali e l’uomo scese dalla sua groppa osservando il drago morente. Benché i suoi indumenti nascondessero tutto di lui, il suo petto cominciò ad alzarsi e abbassarsi più rapidamente, quando notò che il drago si stava rialzando. In cuor suo, lo sconosciuto aveva capito perché quel drago fosse lì.
Una leggera brezza spirò da Athylias all’altro drago e in quel momento, il labbro dell’uomo prese a tremargli…. Compì un profondo respiro e subito dopo si voltò verso la dragonessa sforzandosi di farle un piccolo cenno con il capo. Athylias intese ed effuse un tuonante ruggito che spaventò i gabbiani, rimasti nelle vicinanze.
Lo smeraldo chiuse gli occhi e una lacrima gli colò sulla guancia… si fermò lì e non ci volle molto che Athylias lo attaccasse. L’Uomo del Nero della Notte si fece da parte e i due si scontrarono con colpi pesanti. Entrambi avevano quasi la stessa mole eppure lo smeraldo si trovava in difficoltà.
I due possenti animali si fronteggiavano senza sosta colpendosi ripetutamente conficcandosi gli artigli nella carne. Lo smeraldo emise un debole urlo che colpì la dragonessa in pieno capo, lei arretrò scuotendo pesantemente la testa per riprendersi. Athylias pur essendo ancora confusa usò il suo soffio di acido che colpì l’avversario sull’ala destra.
Il dolore che lo smeraldo provava gli diede forza di combattere… nel momento in cui la dragonessa spiccò il volo, il drago le conficcò i denti nella coda… raggruppò tutto il peso sulle zampe anteriori e la scaraventò a centinaia di metri dal punto in cui si trovava. Lo smeraldo le andò vicino e prima che lei potesse rialzarsi, la agguantò alla gola contemporaneamente a lacerarle il fianco sinistro con la zampa posteriore destra, penetrando gli artigli fino in fondo.
Il ruggito della dragonessa fece tremare anche l’Uomo del Nero della Notte che arretrò lento. Lo smeraldo si allontanò da Athylias… lei dopo aver ripreso fiato si alzò in piedi con enorme fatica. «[2] Essipfovoh fsehupitteh qisdjih’ ouh tupuh qsupvuh eh nusosih.» furono le uniche parole che il drago pronunciò. Aveva una voce leggera quasi fosse trasportata dal vento e simile a quella di un bambino… per questo spesso sottovalutato.
L’Uomo del Nero della Notte spalancò gli occhi a quelle parole… anche se non si poteva vedere, lui aveva madida di sudore e calda la fronte. L’uomo a quel punto non restò più a guardare e cercò di agire, ma il drago nemico, gli ruggì contro scaraventandolo lontano. L’Uomo del Nero della Notte non poté far altro e apparire al fianco della dragonessa e portarla via.
Una volta raggiunto il palazzo reale di Aregiak, l’Uomo del Nero della Notte, consegnò al Comandante Gordoona, uomo fidato della famiglia Gavoth, l’oggetto rubato. Finito il suo compito, egli svanì nel nulla senza lasciare alcuna traccia….
Gordoona scoprì l’oggetto nascosto; un medaglione creato con diversi materiali presenti anche sulla Terra. Presentava quattro anelli in platino, distanziati l’uno dall’altro, rappresentavano gli elementi naturali, invece la sfera centrale, la quintessenza. Tutto era unito da due, serpenti in glafone giallo che serpeggiavano fra gli anelli e, si contendevano la sfera frontalmente. Pochi attimi dopo, i luminosi raggi del sole colpirono la sfera nera nel centro del medaglione.
Gordoona dovette indietreggiare la testa, poiché dalla sfera si sprigionò una straordinaria energia che lo risucchiò trasportandolo in un altro mondo. All’aprire i suoi occhi, il comandante si trovò davanti ad un enorme faro interamente costruito con marmo bianco e pietra rossa. Egli camminò lungo il perimetro del faro e trovando l’entrata, salì rapidamente raggiungendo la cima. Guardò fuori dalla balconata e notò solo un sentiero che non aveva fine.
Quasi mezz’ora dopo stava ancora percorrendo il sentiero, largo poco più di tre metri, circondato da quel punto da grandi scogli a punta che superavano addirittura i due metri di altezza. Il vento che da poco si era alzato, lo fece avanzare più spedito, mentre si guardava in giro per scovare eventuali nemici; fu però sollevato nel vedere che fin dove la sua vista arrivava non vi fosse anima viva.
Circa due ore dopo, il sentiero era immesso in una boscaglia, dove cresceva una rigogliosa vegetazione e, la sua concentrazione s’interruppe quando vide in lontananza un tubo di energia, che proveniva da un rudere portale in pietra ricoperto da muschio e svariata vegetazione. Entrò senza perdere tempo… fu stranamente trasportato all’entrata di un giardino sui cui rami degli alberi crescevano bizzarri frutti.
Pensò di proseguire, ma gli fu bloccata la strada da un piccolo gruppo di creature. Esse erano gli Acotoon Soldato, i protettori di quel mondo. Questi Acotoon avevano il corpo di uomo che però era sminuito dalle parti di animale: il volto si ricollegava al leone con le zanne e le possenti mandibole, le mani, i piedi e molte altre parti invece erano ricoperti da speciali squame che fungevano da protezione. Le unghie molto affilate servivano soprattutto come armi di difesa.
Per lui quelle erano bestie e le avrebbe trattate come tali. Ghignò seguito da una risata bieca ed estrasse le sue spade per attaccarli. Gli Acotoon Soldato lo imitarono, ma uno di loro li bloccò avanzando rapidamente verso l’intruso. Le loro lame si toccarono provocando scintille e il combattimento ebbe inizio, tuttavia Gordoona aveva un asso nella manica, il medaglione che usò contro quelle creature. Non sapendo controllare quell’energia, Gordoona fu quasi ucciso, ma quelli che in realtà persero la vita furono gli Acotoon.
La confusione che si era creata sparì in un batter d’occhio lasciando solo il silenzio. Gordoona invece vide il disastro che aveva creato con il medaglione; non gli importava, si ripulì della polvere e proseguì verso gli alberi. Il suo passo era lento, incerto come se provasse paura all’avvicinarsi a quella strana vegetazione. Si fermò a osservarne uno in particolare…. Gli Aghezz che riempivano quel giardino erano alberi longevi da radici vigorose innestate in terreno profondo e sciolto, dal tronco robusto di circa un metro di circonferenza e un’altezza in media di venticinque. La corteccia mostrava una tonalità che variava dal grigio al marrone verdastro. Un taglio a destra del tronco gli mostrò del legno di un marrone rossastro.
I rami che lui vide, erano di diverso tipo e mostravano una combinazione singolare del soggetto: alcuni di essi di colore verde rossastro o bruno rossastro tendevano a incurvarsi, mentre altri erano lunghe fronde dalla tonalità verde platinata. Si stupì come queste onde di platino avessero la deliziosa caratteristica di arrivare a toccare fino a terra contribuendo ad aumentare l'eleganza e la leggerezza della struttura della pianta.
Voltò di qua e di là il capo… notò che le cascate di fogliame platinato dalla viva lucentezza erano arricchite da una cornice coreografica di rami dal colore giallo e arancione, a formare una bellissima cupola. Le foglie nei rami incurvati avevano una forma piccola e tonda, composte ciascuna da tre piccole foglioline con tonalità verde lucido, mentre quelle delle lunghe fronde erano di forma allungata, sottili e seghettate ai margini di colore giallo verde spesso tendente a tonalità verde-pallido.
Si meravigliò inoltre che gli Aghezz erano alberi che potevano sfoggiare una bellissima fioritura. La loro bellezza stava nei rigogliosi “grappoli” di fiori che donavano un’esaltante esibizione di colori. Notevole era il suo abbondante fiorire glafonato sui rami incurvati che esplodevano in grappoli penduli di glafone giallo e che ben si associava al colore delle foglie. Sempre su questo tipo di rami i fiori davvero affascinanti avevano una bella tonalità glafonata che in primavera rifulgevano nel loro aprirsi a profusione, mentre i frutti erano legumi neri, baccelli contenenti semi rotondi, scuri e velenosi.
All’improvviso si alzò un forte vento e l’attenzione di Gordoona ricadde sulle lunghe fronde a cascata, dove vide i fiori raccolti in amenti molto decorativi: maschi e femmine erano posti su piante separate. Gli amenti maschili avevano la caratteristica di avere antere glafonate nella stagione primaverile. Quelli femminili presentavano una tonalità verdastra ed erano muniti di semi di piccole dimensioni chiusi in una lanugine bianca durante l'estate.
Il giardino era soleggiato e l’unico frutto che cresceva su entrambi i rami era la Cerbiria… somigliava ai grappoli di uva, ma con acini più grandi e con una tonalità che variava dal platino al glafone giallo.
Si sentì attratto da quell’uva e la sfiorò soltanto…. Un brivido percorse lungo la schiena fino a raggiungere il cuore e lì si fermò. Udì delle grida agghiaccianti e nel punto in cui Gordoona aveva sfiorato l’acino, cominciò a marcire…. Non ci volle molto che tutto seguisse l’acino… il forte vento che si era alzato ora sembrava una tempesta….
Il terreno si ricoprì di sangue e Gordoona ne restò intrappolato, ciononostante qualcosa sembrò risvegliare il medaglione…. S’illuminò sprigionando una forte luce che quasi lo accecò e di colpo si arrestò e in un abbaglio fulmineo l’essere scomparve.
Quando aprì gli occhi, si ritrovò circondato da alberi sottili e molto alti… in cima le fronde erano ammassate le une alle altre quasi a formare un tetto naturale. Gordoona aveva già visto qualcosa del genere nei boschi che circondavano Nits'Irc. Scattò in piedi e si guardò intorno… improvvisamente gli balenò in testa il ricordo del medaglione, così si guardò la mano, ma il medaglione era sparito. Riusciva a percepire l’energia che emanava, ma non riusciva a individuarlo.
Inaspettatamente in lontananza si udirono grida d’incitamento e di cani che abbaiavano… cercò di capire da dove provenissero e si voltò di scatto in quella direzione. Vide avvicinarsi rapidamente i soldati di re Norack e rispose all’istinto di sopravvivenza sparendo in sottili vibrazioni.
Nick avvertiva una strana energia ed esaminò la vegetazione con lo sguardo, poi impartì gli ordini: «Ispezionate il luogo per un raggio di un chilometro da questo punto e qualunque cosa trovate lasciatela dov’è… meglio non correre rischi inutili.».
A prima vista oltre ad alberi, radici, insetti di vario genere, vegetazione, muschio e altro ancora non vi era nulla, però uno dei soldati notò qualcosa che luccicava accanto a un albero. Si abbassò e con la mano tolse del fogliame che copriva come per nascondere un cumulo di terra… notò delle sottilissime radici avvolgere qualcosa di metallico…. Con estrema difficoltà liberò l’oggetto dalle radici e chiamò il suo superiore.
Nick lo raccolse ripulendolo dalla terra e dai vermi che lo ricoprivano e ritornarono a palazzo. Il medaglione era ritornato ai suoi custodi. Re Norack lo osservò e nella stessa pietra vide il luogo in cui Gordoona era stato portato e ciò che lui aveva osato fare. Ogni gesto di quell’essere avrebbe comportato una conseguenza per tutti e in cuor suo sapeva quale sarebbe stata.
 
 
[1] Lo stemma rappresentava due stelle con diverse punte sovrapposte l’una all’altra, circondate da quattro ali e raggi luminosi sottostanti.
[2] Arrenditi dragonessa perché io sono pronto a morire. – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Fuga dall’Inferno ***


Secondo capitolo
 
Fuga dall’Inferno
 
 
 
 
Giù nella bocca dell’Inferno, migliaia di anime condannate a vivere in eterno la loro morte, vagavano senza sosta nel vasto regno che Lucifero governava. Tra le tante anime che popolavano quel luogo, ve ne era una in particolare; il suo nome… Dranerre. Essa era l’anima di un guerriero che non apparteneva a questo mondo. Strappata dal suo corpo, l’anima era ora prigioniera nella sala del trono; incatenata a quest'ultimo da fulmini.
Un essere dal volto coperto e a testa alta, camminava lungo i corridoi… lento ma con passo deciso, tra il frastuono che i lamenti delle anime creavano. Al suo passaggio, i corpi di persone intrappolate nei muri – come decorazione - s’inchinavano al suo cospetto per paura.
Egli indossava una camicia di pelle umana intinta nel sangue e ricamata con fili ricavati dalle ossa dei cadaveri in putrefazione, aperta sul davanti a mostrare il petto. Tutto ciò che indossava, dai guanti agli stivali era di quel materiale, ma di un’eleganza mostruosa.
Giunto a pochi metri da un’entrata ad arco, la porta incominciò ad aprirsi e l’essere avanzò con la sala che lo osservava. Solo due torce poste sulle colonne ai due lati, illuminavano debolmente il luogo, ma ciò che donava luce chiara erano i fulmini che legavano l’anima. Compì l’ultimo passo e solo una decina di metri lo separava dall’anima, poi soltanto i suoi occhi divennero visibili. Occhi più caldi delle fiamme dell’Inferno.
«Orami è giunto il momento… presto sarò libera dalla tua morsa.» furono parole pronunciate con severità e disprezzo per chi aveva davanti.
«Non fai altro che illudere la tua essenza e questo mi rammarica.» le aveva parlato con tono freddo quasi agghiacciante.
«Chi fra noi si sta illudendo sei proprio tu, non vedi il cammino che stai percorrendo. Non vuoi capire che la strada che da qualche tempo hai imboccato è a senso unico, non ti porterà da nessuna parte se non alla tua disfatta. Se non ti fermerai, sarai punito come la legge dell’Ordine Primario stabilisce.» l’anima era sicura delle sue parole e allora aprì i suoi occhi bianchi.
«Menzioni l’Ordine Primario come se egli non fosse mai scomparso. L’ordine e le sue leggi non sono più nulla, da molto tempo ormai.» Lucifero si arrestò e, dal soffitto corpi umani fusi in esso si abbassarono per avvicinarsi a lui.
«Ti sbagli…. Molti sono stati gli errori che tu e tutti i tuoi alleati avete commesso. Mi hai sottovalutato e come sempre su di te ci saranno delle ripercussioni.» il tono duro con cui lei pronunciò quelle parole dichiarò a Lucifero che non si sarebbe mai arresa e questo poteva diventare un problema per lui.
«So a chi tu rivolgi i tuoi innumerevoli pensieri e ti assicuro che presto potrai rivederlo sotto il mio controllo.» confermò la sua convinzione con tono arrogante e di superiorità.
Dranerre fece un profondo respiro e parlò a Lucifero: «Lui non può essere schiavizzato… né da te né da altri. Il tuo piano è fallito ancor prima di cominciare.». Non disse alto e la sala fu completamente illuminata mostrandola in pieno.
Una donna molto bella dai capelli bianchi. Dalle punte delle dita ai gomiti, il tessuto prendeva forma e larghe maniche si legavano al collo da nastri di seta bianca. Soltanto il seno parzialmente scoperto e l’addome erano ricoperti da cuoio lavorato a mano e sotto di esso erano uniti tessuti sovrapposti nel colore delle stelle che coprivano il fondoschiena e l’inguine fino alle caviglie. Le gambe e i piedi delicati erano avvolti dal velo della Speranza.
Era seduta su un cuscino di velluto rosso poggiata contro lo schienale in semplice marmo che terminava a punta e su di essa incastonato il teschio di una donna; posava le mani sui braccioli, statue di marmo che raffiguravano due uomini inginocchiati e con il volto coperto dalle mani.
Lui, Lucifero sembrava immobile alle sue affermazioni; lei invece sorrise appena nel dichiarare le sue parole: «Ti sorprenderà ciò che il futuro ha in servo per noi… Lucifero.».
Il suo volto sembrava soddisfatto dal nervosismo non accennato dagli occhi di Lucifero. Aveva un’aria serena eppure dentro di lei regnava la confusione e l’esitazione. Al tempo stesso i suoi occhi esprimevano determinazione e impavido coraggio. Lucifero invece non manifestava alcuna emozione tramite le sue parole.
Entrambi restarono immobili a osservarsi senza fiatare.
In quel preciso momento, i membri principali della Congregazione della Luce e i suoi affiliati, erano riuniti nell’edificio del Consiglio. Esso era una gigantesca piattaforma con le fondamenta che sprofondavano nel terreno. L’entrata ad arcata era imponente con le sue decorazioni che raffiguravano i membri dell’intera Congregazione della Luce e i suoi predecessori. Il tetto a cupola di vetro donava un’atmosfera particolare e le tre colonne ai lati della porta, distanziate l’una dall’altra solo da due metri, donavano un aspetto antico.
Larga era la via dinanzi al visitatore che si scagliava sul fondo riempito da gradinate a mezza luna per i membri. Tutti gli angoli che la sala possedeva erano occupati da colonne di marmo blu con venature rosse. I lati invece si affacciavano su sale chiuse, dove il Consiglio custodiva i sui segreti. Le gradinate costruite nei minimi dettagli erano riservate esclusivamente ai re, i loro primogeniti, i consiglieri e ai membri principali. Solo, quadri, armi e arazzi decoravano l’edificio.
Per l’intera costruzione riecheggiava un insolito mormorio di voci dal tono preoccupato. Ad arrestare quel mormorio ci pensò il re della capitale: Norack. «Perdonate il mio ritardo… signori.» Si era indirizzato senza deviazioni dinanzi ai membri principali della Congregazione della Luce e li aspettò che tutti si calmassero.
«Ci sono giunte notizie preoccupanti… dalle nostre fonti sappiamo che il Comandante Gordoona è entrato in qualche modo in possesso del “sacro medaglione” e che sia riuscito a entrare nel Luogo Proibito.» s'interruppe Norack con molta ansia e a quelle parole nell’edificio si levò un forte borboglio.
«Quel medaglione doveva essere sorvegliato dai più potenti incantesimi che questo mondo avesse mai visto, ora mi domando come sia possibile che sia stato rubato dal Concilio dell'Ombra?» Yrnhaz, quarto membro principale della Congregazione della Luce, era sconcertato dalle novità che il re aveva portato e cominciò a preoccuparsi, proprio come tutti gli altri.
«Ha rubare il medaglione è stato un mago e a giudicare dall’orrore che ho visto, è molto potente. Sapevano, dove colpirci e l’hanno fatto senza risparmiare nessuno… sono venuto ha conoscenza che le gravi ferite riportate da Samuel l’hanno condotto alla morte.» il giovane re si fermò un attimo per ricordarsi del ragazzo e poi riprese a parlare ai membri del consiglio, «Ciò che vi chiedo ora è di attivare i Sorveglianti dell’Ombra… so che quello che vi sto imponendo è un enorme sacrificio non che un rischio per i popoli, ma non c’è altra scelta.». Norack si aspettò che un enorme vocio si alzasse nella sala, ma accadde il contrario, il silenzio piombò su di loro.
«Vi rendete conto di quanto siano pericolosi e totalmente fuori controllo?» gli chiese Roizak del tutto sconcertato dalla sua assurda richiesta.
«Sì ed è per questo motivo che dobbiamo convocare le Sentinelle di Sangue, solo così potremo controllare i Sorveglianti dell'Ombra.» il re rispose con quelle parole, ma stava solo a loro decidere cosa fare.
«Re Norack come pensate di convocare le Sentinelle di Sangue?» fu Mandhor a porre la domanda al re, curioso di sentirlo parlare.
«Non c’è alcun bisogno di farlo.» il giovane re non ebbe tempo di parlare perché nella sala entrarono sei guerrieri, uomini forti, tenaci e senza alcuna ombra di dubbio temuti persino dal loro stesso mondo. Uomini muscolosi, affascinati e pronti a tutto. Camminavano a testa alta, non mostrando mai un minimo di umanità o per meglio dire di sensibilità che però avevano nel profondo.
In cinque si fermarono poco oltre l’entrata, mentre chi faceva le veci, avanzò con disinvoltura fra i membri del Consiglio. Si arrestò prima della breve scalinata e parlò: «Gli umani, hanno violato gli Aghezz, ma non per questo tutti devono pagare… noi Sentinelle di Sangue siamo perché a noi serve il vostro aiuto e così viceversa, tuttavia nessuno a parte il Comandante Erenock è in grado di controllare i Sorveglianti dell'Ombra.».
«Allora spiegateci perché vi serve il nostro aiuto?» gli chiese Yrnhaz; la sua domanda fu immersa nella preoccupazione e si chiedeva come mai a uomini così forti serviva l’aiuto dei mortali? La risposta l’avrebbe avuta a breve.
La Sentinella di Sangue spostò lo sguardo verso re Norack e rispose a quella domanda senza mezzi termini: «Noi vogliamo che il nostro Comandante si risvegli, ma è possibile solo se voi proteggiate l’ultimo erede dei Loozzan.».
Mandhor si alzò di scatto in piedi e si rivolse alla Sentinella di Sangue, porgendogli la domanda, felice di ricevere quella notizia: «Il figlio di Vicmorn è vivo, dove si trova?».
«Nel Luogo Proibito, ma nessuno a parte il Comandante Erenock può accedervi e purtroppo gli fu strappata l’anima da Lucifero che tiene rinchiusa nel suo regno.» la Sentinella di Sangue fu sincero verso chi gli aveva posto la domanda e attese che altri parlassero.
«Allora come pensate di risvegliare il vostro Comandante senza la sua anima?» chiese Mandhor che già sapeva di un possibile futuro fallimento.
La Sentinella di Sangue si voltò verso i suoi compagni e ritornando con lo sguardo verso Mandhor rispose: «Conosciamo qualcuno che s’intrufolerà all’Inferno per liberare quell’anima.».
«E sareste voi?» gli chiese Norack sorpreso.
«Noi non siamo così sciocchi da porci contro Lucifero, sarà qualcun altro a farlo.» la Sentinella di Sangue ritornò dai suoi compagni e prima di uscire dall’edificio fece consegnare una lettera a re Norack con l’ordine di aprirlo solo alla presenza di Difensori della Fede.
Lucifero intanto rifletteva ritornando nella sala del trono. Percorreva il solito corridoio con Izhar alla sua destra, quando giunsero dinanzi alla porta costruita da scheletri umani che si aprì: «Spero che tu ti sia calmata adesso.» le domandò cortesemente avvicinandosi a lei.
«Vedo che hai portato con te Izhar per farmi divertire.» dichiarò lei con ironia mentre Lucifero restò in silenzio.
Izhar era un demone considerato da Lucifero suo figlio maggiore; la sua altezza era nella media come la sua corporatura, ma ciò che lo differenziava da altri demoni era il suo aspetto… aveva capelli corti tirati all’indietro di colore grigio scuro e gli occhi di un giallo pallido. Sulla guancia sinistra spiccava un’appariscente cicatrice che partiva da sotto l’occhio e terminava all’altezza del labbro inferiore. Sul collo inoltre portava il simbolo di Lucifero, gli artigli. Non si abbigliava mai con abiti di colori che non erano sul nero o così scuri da non potersi confondere con ciò che lo circondava.
Lei non diede loro nemmeno il tempo di parlare che si pronunciò con impertinenza e saggezza: «L’orologio fa tic-tac Lucifero, il tempo è ormai scaduto.». Lei cercò in tutti i modi possibili e inimmaginabili di farlo irritare.
«Ti sbagli e ora te lo dimostrerò.» ribatté lui schioccando le dita. Lucifero creò delle catene più resistenti. Ne creò così tante, che nessuno sarebbe riuscito a liberarsi.
Dranerre continuava a sorridere e ha guardarlo senza distogliere lo sguardo. Quando lui ebbe finito di intrappolarla, Dranerre si rivolse a lui con maggiore sfrontatezza: «L’illusione è un difetto terribile e tu sarai presto illuso dalle tue convinzioni.».
Lucifero fece qualche passo verso di lei e nell’istante in cui prese a parlare, i corpi intrappolati nelle pareti iniziarono a gridare e ad avvertirlo di un’intrusione nel suo regno. La rabbia di Lucifero si poteva notare soltanto dal movimento che faceva compiere alle sue mani: le apriva e le chiudeva a pugno.
Senza voltarsi verso Izhar, Lucifero gli impartì gli ordini necessari: «Controllala senza perderla di vista nemmeno un secondo.».
Scomparve in una nuvola di fumo nero e puzzolente per riapparire nelle vicinanze della voragine di fuoco, dove misteriose creature comparvero come uno sciame d’insetti impazziti lanciandosi alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Lucifero li riconobbe immediatamente come i Doriain, fedeli esclusivamente al Comandante Erenock.
Mostravano sembianze quasi umane, privi di capelli e peli, possedendo però una vista acuta sui cui occhi si era sviluppata una sottile membrana che li proteggeva dalla luce solare. Al posto delle orecchie avevano una fessura che permetteva loro di ascoltare e di annusare poiché il naso era schiacciato e non presentava narici. Il loro collo era lungo e sottile con una fessura verticale in corrispondenza della carotide, che si apriva e chiudeva permettendo loro di respirare. Insieme alla corporatura robusta, erano abbastanza veloci e silenziosi. Si coprivano in vita con pelle umana, mentre il resto del loro corpo era lasciato nudo come i piedi che si erano abituati a qualsiasi terreno e avevano una superficie ruvida, capace a volte di arrampicarsi senza problemi. Tuttavia ciò che li rendeva micidiali e pericolosi era la deformità al braccio destro più simile a una lama ricurva.
Le anime sofferenti e gli innumerevoli demoni dell’Inferno non potevano nulla contro di loro, i Doriain sembravano inarrestabili. Si sparpagliarono per l’Inferno e Lucifero pose in allerta tutti i suoi sottoposti affinché li fermassero.
S’insinuarono in quel mondo di dolore e sofferenza senza fine come viscidi serpenti…, mentre l’anima era entusiasta di ciò che stava accadendo nel regno di Lucifero, senza che lui potesse fare qualcosa.
«Non essere così compiaciuta per questa intrusione, nessuno ti salverà dalla tua prigione.» Izhar riuscì ad attirare così l’attenzione di Dranerre, ma il suo vero obiettivo fallì ancora prima di cominciare… riuscire a irritarla.
«Se credi di provocarmi in un qualsiasi modo, commetti un errore, non ci riesce Lucifero come puoi farcela tu.» Dranerre colpì nel segno e andò avanti nel tormentarlo.
Izhar non sembrò ascoltarla e di colpo scattò nella direzione della porta che qualcuno stava cercando di buttare giù con forza. Chiunque fosse dall’altra parte entrò subito dopo buttando giù l’enorme portone senza problemi. Il demone materializzò nelle sue mani bollenti sfere di fuoco che lanciò contro la creatura per bruciarla viva.
Il Doriain si protesse con il suo braccio dalla lama ricurva da una delle due sfere di fuoco parandola, invece la seconda la respinse deviandola sul muro alla sua destra. I due continuarono ad attaccarsi in quel modo per svariati minuti e Izhar, costatando che i suoi colpi non lo ferivano minimamente, decise di attuare un altro piano….
Scomparve in vibrazioni appena percepibili a occhio nudo riapparendo alle spalle del Doriain subito dopo, impossessandosi di lui. Tentò di controllarlo e sembrò più difficile di quanto Izhar sperasse, tuttavia la perseveranza del demone lo condusse al raggiungimento del suo obiettivo.
Ora che lo aveva sotto il suo pieno controllo, lo aizzò contro Dranerre perché la uccidesse massacrasse. La creatura corse verso di lei con il suo braccio pronto a sferrare il colpo di grazia ma giunto a pochi centimetri dal suo volto, il Doriain si arrestò senza ragione. Il braccio a lama ricurva si trovò a un pelo dal suo collo e lei non sembrava batter ciglio.
Di colpo però il Doriain impazzì e si tolse la vita, mentre Izhar uscì dal suo corpo prima che lui morisse. Il demone era sbalordito da ciò che era accaduto, nessuno fino a quel momento gli aveva resistito e quel Doriain si era addirittura ucciso.
«Come vedi ti è inutile impossessarti dei Doriain per uccidermi, solo energie sprecate. Nessuno potrà fermarli ed io sarò libera ugualmente molto presto.» così per aggiungere una provocazione finale, Dranerre scoppiò a ridere energicamente quasi a venirle le lacrime agli occhi.
Altri Doriain sopraggiunsero e Izhar richiamò a se il fuoco dell’Inferno affinché quelle creature non potessero arrivare all’anima. Il fuoco uscì dal pavimento elevandosi verso l’alto fino al soffitto creando un muro impenetrabile. I Doriain si scagliarono contro il muro di fuoco per attraversarlo e l’unico risultato che loro ottennero fu di bruciare.
Izhar si voltò verso la donna, ma la sua espressione era immutata… entrambi sapevano che i Doriain non si sarebbero fermati di fronte a niente e Izhar doveva prendere subito altre precauzioni. Il demone creò dei vortici che andarono a formare una rete fittissima dinanzi al muro ostacolandoli.
La sala del trono diventò ancora più calda e nelle fiamme presero a udirsi i lamenti delle anime sparse per tutto il regno dell’Inferno. I Doriain non si arresero e cercarono in tutti i modi di oltrepassare quelle fiamme e raggiungere l’anima da liberare.
Più i Doriain morivano più ne sopraggiungevano altri per riuscire nell’impresa. Dal corridoio arrivò un Doriain più grosso degli altri che si lanciò fulmineo contro le fiamme riuscendo dove altri della sua razza avevano fallito. Tuttavia riportò gravi ustioni sulla maggior parte del suo corpo, senza però mostrare alcun cenno di dolore.
E mentre i due continuavano a combattere senza sosta, il Comandante Gordoona percorreva il corridoio nell’ala Ovest del palazzo inconsapevole di quello che sarebbe accaduto a breve; improvvisamente una fortissima scossa di terremoto aprì un’immensa voragine nel Mar Despeen. Corse per una ventina di metri ed entrò poi in una sala ovale con colonne quadrate collocate a una distanza regolare lungo tutto il suo perimetro; ciò che però interessò al comandante era lo strano oggetto situato nel mezzo.
Si trattava del Reantha, un grande piatto di cristallo poggiato su un piedistallo di pietra bianca che fungeva da occhio osservatore sulla Terra. Gordoona osservò il fluido in esso contenuto che gli mostrò cosa fosse accaduto…. «Ho una brutta sensazione e dovrò fare attenzione a cosa potrà uscire da quel buco.» Gordoona era visibilmente preoccupato e quella brutta sensazione lo mise in allerta.
Nel Reantha comparve il volto opaco di una donna che con tono severo si rivolse al comandante: «Dovete impedire che i Difensori della Fede incontrino quell’anima o finiranno per risvegliare colui che deve restare dormiente.».
«Farò il possibile per impedire che Erenock ritorni a tormentare la vostra famiglia, mia signora.» le assicurò lui facendo un breve inchino con il capo.
«Fate ciò che vi ho ordinato a qualunque costo Comandante Gordoona.» il volto della donna scomparve subito dopo aver pronunciato le sue parole, mentre lui sospirò con amarezza.
Proprio nello stesso istante in cui l’umore di Gordoona diventava sempre più cupo e la sua decisione a lasciare quelle stanze, entrò un soldato che si fermò dinanzi a lui.
«Che cosa c’è?» gli chiese scocciato quasi disturbato da quell’intrusione.
«Abbiamo trovato delle vecchie pergamene… parlano di Tagha comandante.» rispose il soldato mostrandogliele, «A quanto pare abbiamo trovato ciò che cercavamo… parlano dell’arma e della sua possibile posizione qui proprio nei nostri sotterranei.» il soldato continuò a leggere sulle pergamene quando fu interrotto da un graduato che entrò in quell’istante.
«C'è una notizia che riguarda i Difensori della Fede, comandante.» s’intromise inchinandosi, «Sono sulle tracce delle Spade Gemelle.» continuò… il suo tono era quieto per non farlo infuriare.
«Le notizie che mi hai portato sono ottime… cercheranno quelle armi al posto nostro e quando troveranno anche l’anima, li toglieremo tutti di mezzo. Di questo dobbiamo ringraziarli così noi avremo tutto il tempo per Tagha.» Gordoona sorrise nel pronunciare quelle parole e il suo umore cambiò.
A un ordine di Gordoona, i due soldati lasciarono la sala del Reantha per proseguire nelle ricerche di Tagha, ma al comandante serviva qualcuno che sorvegliasse i Difensori della Fede e i loro nuovi amici, le Sentinelle di Sangue. Al suo cospetto comparve l’Uomo del Nero della Notte in sottili vibrazioni che si pose al suo servizio: «Che cosa vuoi che io faccia per te?».
Gordoona si appoggiò con le mani sul bordo del piatto e attese ancora qualche secondo prima di rispondergli: «Devi controllare sia i Difensori della Fede, che le Sentinelle di Sangue e riportare a me i loro spostamenti, anche i più insulsi.».
«Farò ciò che mi chiedi.» l’Uomo del Nero della Notte retrocedette per scomparire nell’ombra ma Gordoona lo fermò.
«Hai creato di caos nel rubare quel maledetto medaglione.» gli disse mostrandogli tutto nel fluido.
«Le persone si sono rammollite oggi giorno.» alla risposta che gli diede l’Uomo del Nero della Notte, si avvicinò a lui e grazie alla luce che il Reantha emanava si poterono vedere soltanto le sue labbra sottili.
«Ti era stato chiesto di essere più discreto possibile nell’assolvere il tuo compito.» gli ricordò Gordoona rimproverandolo di aver fatto il contrario.
«Mi sono solo divertito un po' e poi del resto non ha fatto del male a nessuno.» l’Uomo del Nero della Notte fu interrotto da Gordoona bruscamente dopo che lui aveva pronunciato quelle parole.
«Nessuno! Hai eliminato tutti quelli che si trovavano a guardia del medaglione, sollevando un polverone fra i membri della Congregazione della Luce.» Gordoona era visibilmente adirato poiché l’avventatezza di quell’uomo aveva condotto la Congregazione della Luce a vigilare non solo sui Gavoth e il Concilio dell’Ombra, ma anche su tutto il loro continente.
«Tu rimproveri me di come io abbia agito e dimmi tu come hai usato il medaglione che ho consegnato nelle tue mani?» gli chiese l’Uomo del Nero della Notte scocciato dal tono e dai rimproveri del Comandante Gordoona.
«Avvelenando gli Aghezz… e ora che loro non potranno più nutrirsi dei loro frutti, moriranno come cani.» ribatté Gordoona buttandogli in faccia, metaforicamente parlando, il risultato positivo del suo compito.
«Sì, avrai anche avvelenato gli Aghezz, ma hai perso il medaglione mio caro Gordoona. Questo come lo spieghi?» le affermazioni dell’Uomo del Nero della Notte colpirono in pieno l’orgoglio del comandante e così restò in silenzio.
«Il potere del medaglione era troppo, io non sono stato in grado di controllo per questo l’ho perduto non per altro, come pensi tu.» Gordoona gli rispose a tono e il fastidio di quelle parole colpì molto l’Uomo del Nero della Notte.
«Dove credi che sia adesso?» gli chiese l’incappucciato girovagando per la sala osservandosi intorno.
«L’ho perduto nei boschi che circondano la capitale Nits’Irc, forse è già nelle mani di re Norack, se invece non l’hanno trovato, sarà disperso nella vegetazione.» Gordoona ora ne aveva abbastanza della sua presenza in quel posto e sviò la conversazione su un altro argomento, guardandolo non ci riuscì, «Ora devo lasciarti, ho molte cose ha cui pensare.» e si allontanò dal Reantha.
«Di cosa ti hanno informato quei soldati e non mentire.» insinuò l’Uomo del Nero della Notte fermandosi vicino al Reantha guardandoci dentro.
«Hanno trovato delle pergamene con informazioni su….» Gordoona si bloccò e mostrò l’oggetto in questione nel fluido.
L’Uomo del Nero della Notte si stupì e cercò di toccare l’immagine apparsa nel Reantha, ma chiuse la mano a pugno prima di parlare con Gordoona: «Non credevo che si trovasse proprio sotto il nostro naso… forse però ci tornerà utile avere in nostro possesso quell’arma. Metti più uomini a cercarla, sento che ne avremo bisogno in futuro.».
«Farò il possibile, spero che la troveremo in fretta.» Gordoona si diresse verso la porta e parlò alle guardie che si trovavano a sorvegliarla dall’esterno.
«Tutto bene?» gli chiese l’Uomo del Nero della Notte quando lo vide ritornare.
«Ho dato loro disposizioni e sarò informato di ogni minimo risultato, positivo o negativo che sia.» una volta che il comandante si fermò accanto al Reantha, l’Uomo del Nero della Notte se ne andò.
Intanto Izhar si trovò in difficoltà a combattere contro quel Doriain e quando ebbe la peggio, il controllo che aveva sulle fiamme dell’Inferno cessò e le altre creature poterono raggiungere l’anima. Tuttavia Lucifero. Aveva già inviato un gruppo di suoi demoni a contrastarli.
«Sghamern.» fu l’unica parola che Dranerre proferì nel vederli.
Erano riluttanti, di statura media e con una corporatura robusta. Gli occhi gialli con una sfumatura di rosso e la pelle di pietra e fango li rendevano ancora più mostruosi. Avevano orribili e affilati denti che fuoriuscivano dalla bocca da cui espellevano una nauseante puzza. Il loro punto forte erano le corna affilate sulla testa che causavano gravi danni ai nemici. Le mani come i piedi erano formati da sole quattro dita e ai polsi portavano dei bracciali con cui erano controllati.
Si lanciarono contro i Doriain come bestie e lo scontro fra mostri alla medesima potenza fu micidiale. Il sangue verde scuro dei Doriain macchiò mura e pavimento, al contrario gli Sghamern, essendo demoni, si laceravano mostrando il vuoto per poi morire.
Morirono tutti, ma il Doriain che combatteva contro Izhar vinse su di lui. Stette per infliggergli di grazia, ma fu bloccato da una voce: «Non ucciderlo, è un pesce piccolo.».
Il Doriain ritornò verso l’anima e si apprestò a distruggere le molteplici catene… al primo colpo assestato si liberò un fumo nero e soffocante che riempì la sala occupando anche il corridoio.
Sembrava che il Doriain e l’anima dovessero perire a quel fumo pericoloso, però proprio in quel preciso istante, il medaglione in possesso di re Norack emanò una luce così forte e un’energia talmente potente da rendere il fumo, una nebbia sottile e possibile da respirare.
Il demone però sembrò stupito della situazione e del fatto che il fumo fosse diventato improvvisamente della nebbia…. Il Doriain aveva un’incertezza, ma la scelta la fece quando riuscì a percepire nella nebbia, l’aura magia del Comandante Erenock.
Izhar allungò le mani verso il Doriain lanciandogli contro tutto il fuoco che riusciva a controllare in quel momento. Il Doriain si protesse con il braccio deformato e corse furioso verso il demone, colpendolo e scaraventandolo lontano che sbatté contro un muro sfondandolo.
Il Doriain tornò così dall’anima liberandola dalle catene e dai fulmini con un sol colpo. Lei si alzò in piedi e ringraziò la creatura dinanzi a lei con un cenno del capo. Gli occhi di Dranerre s’illuminarono e lui si dissolse lentamente rilasciando scie luminose di colore bianco e blu.
Lucifero entrò nella sala del trono in quell’istante e si aspettò che lei lo attaccasse senza pietà…, ma non avvenne. Dranerre andò via nello stesso identico modo in cui il Doriain era morto.
«La voglio viva.» Lucifero era calmo e Izhar avvicinandosi a lui annuì andandosene….
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Dheran e Dherab ***


Terzo capitolo
 
Dheran e Dherab
 
 
 
 
Oscurità e fetore… era questo che i Difensori della Fede avevano trovato giungendo in quel posto dimenticato persino dai loro proprietari: i Gavoth. I sotterranei del loro palazzo emanavano un odore nauseante a causa delle varie creature che vi abitavano, lasciate lì a marcire.
Luci bianche si accesero una dopo l’altra riuscendo a illuminare il luogo… i Difensori della Fede erano comparsi dinanzi a una porta di marmo che raffigurava quattro draghi neri. Osservarono con cura la porta in cerca di un indizio su come aprirla; Narhod notò che ogni drago aveva la testa rivolta all’interno e la coda verso l’esterno. Tuttavia il dettaglio ha cui Narhod fece maggiore attenzione, erano i più incavi situati negli occhi come se qualcosa dovesse incastrarsi in essi.
Narhod era un po' diverso, lui amava portare i suoi capelli di un castano chiaro, sempre corti e circondati da due tipi di stoffe che gli avvolgevano il capo. I suoi occhi scuri infondevano fiducia, mentre le sopracciglia folte e ben curate risaltavano il volto completandolo con il leggero accenno di un doppio mento e labbra sottili. Aveva un fisico robusto e con un po' di pancia su piedi piatti.
«Credo di aver trovato ciò che ci serve.» sostenne Clegan mostrando ciò che aveva trovato all’amico. Lui e Norack si somigliavano sia nell’altezza, che nel fisico: i suoi capelli biondi erano cortissimi, mettendo così di più in risalto gli occhi fini e azzurri. Quel po' di barba e le basette ben curate, lo rendevano affascinante.
«Una perla blu con striature argentate….» osservò Narhod recuperandola dalle mani dell’amico, che poi infilò nell’occhio cavo e il drago spalancò la bocca rilasciando una chiave e un artiglio.
Trovate anche le altre perle le posero nei corretti incavi e ottennero lo stesso risultato: una chiave e un artiglio. Quattro serrature centrali e altrettanti artigli erano in loro possesso, ma ora dovevano capire come usarli.
Nel frattempo nella biblioteca reale del palazzo ad Aregiak, gli uomini del Comandante Gordoona cercavano altri indizi su Tagha. L’aria che si respirava era tesa e pesante, quei soldati non si fermavano un secondo per trovare anche una semplice traccia che conducesse al luogo dove era riposta.
Il comandante stava con lo sguardo perso nel vuoto di fronte a una finestra, quando alle sue spalle giunse un soldato con una domanda: «A cosa state pensando Comandante?».
«Ai Difensori della Fede e a cosa potrebbe accadere se riuscissero a trovare l’anima… Erenock si risveglierebbe.» rispose Gordoona tremando mentre pronunciava quel nome e si spostava verso un altro tavolo.
«La vostra paura è infondata, i Difensori della Fede non riusciranno in niente.» lo rassicurò il soldato anche se con tono di rimproverazione.
«Lo spero, perché se ci sbagliamo, la morte non sarà altro che un dolce sonno. Dopotutto Horazz giungerà a breve.» affermò Gordoona dall’espressione inquieta, «Allora come andiamo con le pergamene?» finì lui cambiando argomento.
«Niente, tutto ci conduce ai sotterranei, ma niente ci indica la posizione esatta della spada.» rispose l’altro mostrandogli delle altre pergamene impolverate.
«Continuate le ricerche e chiamate a raccolta tutti i capi dei clan dei Nemodurre che sono rimasti nelle quattro terre.» il volto di Gordoona si abbassò sulla pergamena che aveva dinanzi mentre il soldato andò via per eseguire i suoi ordini.
Grazie ai portali, un paio d’ore dopo ad Aregiak, i capi dei clan dei Nemodurre erano alla presenza di Gordoona. Si fece avanti Zorduva il capo del clan di quelle terre e parlò per tutti gli altri della sua specie: «Siamo qui al servizio della famiglia Gavoth che tu Gordoona, rappresenti in loro assenza.».
Erano esseri immondi, riportati in vita dall’Inferno per compiere la volontà dei Gavoth. Questi esseri indossavano abiti di colore rosso fuoco; lunghi mantelli con grandi cappucci coprivano il loro corpo e una maschera creata con il puro odio, nascondevano il volto orrendamente sfigurato dalle atrocità che aveva subito all’Inferno.
«Avete un compito… eliminate i Difensori della Fede e chiunque li segua e ritrovate l’erede dei Loozzan.» fu preciso e chiaro il comandante nell’impartire i suoi ordini a quei mostri.
Zorduva annuì e con gli altri capi clan si mise in marcia per raggiungere i Difensori della Fede.
Oltrepassata quella porta, si trovarono in una sala, dove la temperatura era molto alta. Dopo aver fatto solo qualche passo, i due dovettero togliersi il copriabito di lana per il troppo caldo. Sul corpo di Clegan si distinguevano una voglia a forma di macchia scura a sinistra del collo e una cicatrice a destra della fronte di piccole dimensioni.
Sfoderarono all'istante le armi: una semplice spada. «Abbiamo compagnia… Sghamern.» indicò dinanzi a loro Narhod.
Lui era un ragazzo fermo nelle sue decisioni e molto orgoglioso, non amava ripetersi nelle cose e parlava in continuazione, ma solo di cose giuste e importanti; si buttava a capofitto nelle situazioni e rifletteva poco prima di agire. Non faceva promesse, che lui non potesse mantenere e spesso commetteva gli stessi errori per poi pentirsene. Era una persona gelosa ma leale e gentile.
«Se queste creature si trovano qui, deve esserci un accordo tra i Gavoth e Lucifero.» asserì poco stupito Clegan. Il suo nome completo era Clegan Nuhr Erocne; era una persona socievole e altruista… combatteva per ciò in cui credeva e non si abbassava mai al livello del suo nemico. Era veloce e molto agile, era il guerriero più capace in assoluto nei combattimenti a corpo a corpo, abile e addestrato all’uso di molte armi, proprio come Norack. Era forte e preciso e si gettava in un combattimento solo se strettamente necessario. Era un tipo astuto e al quanto furbo e sapeva sempre cosa fare.
Le creature si avvicinavano e i Difensori della Fede presero due Sghamern ciascuno. Le bestie si accanirono su quei ragazzi e questi li affrontarono senza avere pietà. Narhod a un colpo di uno Sghamern si abbassò e lo colpì con un forte pugno allo stomaco. Nell’alzarsi si voltò su se stesso colpendo la creatura alla schiena che cadde sul pavimento.
Il principe Narhod roteò la sua spada e ne decapitò uno appena arrivato dinanzi a lui, poi con un colpo netto uccise il precedente. «Non perdiamo tempo, che non abbiamo.» ricordò lui e conficcò la spada nella gola di un'altra bestia alle sue spalle. Il sangue schizzò così violentemente che finì sul collo e sulla sua faccia. Rinfoderò la spada giacché le creature erano state eliminate tutte e si mise in cerca di una via d’uscita.
«Forse ho trovato qualcosa.» lo informò Narhod mostrandogli una fessura nella parete in fondo. Dopo un po' Narhod si accorse che qualcosa stava cambiando nelle pareti laterali e chiamando l’amico Clegan, insieme decisero di allargare la fessura per arrivare dall’altra parte.
Clegan intensificò una sfera di luce circondata da orbite azzurre che scagliò nella fessura, funzionando. La fessura era ora diventata un tunnel abbastanza grande da far passare anche due persone alla volta e loro non se lo fecero ripetere due volte.
Nell’entrare nel tunnel, il sacchetto di monete e il piccolo fodero di un pugnale, legati dietro la cintura di Clegan si urtarono creando producendo un suono che riecheggiò nell’aria. Uscirono in tempo prima che la nuvola di polvere che le pareti avevano creato nell’unirsi li travolgesse soffocandoli.
Un po' storditi si alzarono e quando la nube si diradò, si misero in cammino, ma compiuti soli dieci passi da dove si trovavano, precipitarono in una camera sotterranea. Poiché il buio regnava incontrastato, le loro mani si avvamparono di fuoco bianco illuminando il luogo. «C’è una luce lì, anche se debole.» Narhod indicò la direzione e Clegan si mosse per primo.
«Fai attenzione a dove metti i piedi… questi luoghi sono pieni di trappole.» lo avvertì Clegan camminando lentamente.
«Dove siamo?» chiese Narhod guardandosi intorno.
«In una stanza vuota e silenziosa, direi anche troppo per i miei gusti.» rispose Clegan estraendo con cautela la spada.
«Ho come la strana sensazione di essere osservato.» asserì Narhod serrando le mascelle.
«Sensazione o realtà? Guardati alle spalle e capirai.» confermò Clegan voltandosi nella direzione da cui erano venuti.
La bestia era un Lupo Razz’Al, tre volte un lupo adulto normale e con una folta pelliccia che andava dal grigio al marrone. Aveva grandi occhi rossi e denti molto affilati come delle lame e artigli appuntiti.
«Bene andiamo dalla padella alla brace… è un maschio adulto di Razz'Al.» e in quell’istante l’uscita scomparve.
L’animale si avvicinò con passo deciso ma lento e i guerrieri retrocedettero fino a portarsi con le spalle contro il muro in fondo. Così Narhod creò dalle mura circostanti delle catene che bloccarono l’animale. Capì che non sarebbero bastate ha tenerlo fermo, così ne creò delle altre che si avvolsero intorno al bacino e al collo del Razz'Al.
Clegan che intanto cercava un’ennesima via di uscita, poggiò la mano destra sul muro in fondo per captare qualsiasi cosa ci fosse dall’altra parte. «Da questa parte. Il muro è solo un mascheramento per qualcos’altro. Ci sono delle scale che conducono in una grotta sotterranea, allagata.» e all’ululare del lupo, i guerrieri attraversarono di scatto la parete.
Dall’altra parte trovarono esattamente ciò di cui Clegan l’aveva informato. Rinfoderarono le armi e si tuffarono. Nuotarono nella direzione da dove erano venuti per raggiungere una grotta di piccole dimensioni.
Nell’uscire dall’acqua e notarono due grosse lastre di pietra blu alla loro destra, poste sotto una cupola. «Osserva, solo la prima ha una scritta… è però una lingua che non conosco.» affermò Narhod poggiando una mano sulla spalla di Clegan.
«Qui ci servirebbe Norack, lui si che riuscirebbe a leggerla.» sostenne Clegan chiudendo la mano a pugno e mostrando così un anello d’argento con un rubino in cima circondato da fili d’oro e impregnato di magia. Chiamò così il giovane re che apparve al loro fianco.
Clegan gli indicò la scritta sulla lastra e Norack provò a leggerla: «Credo che la frase sulla lastra dica… “Il coraggio di una Guerriera è il dovere di una Governatrice”.».
La lastra di pietra si sgretolò e mostrò in un’incudine una spada la cui lama era completamente nascosta. Clegan senza perdere altro tempo afferrò l’impugnatura della spada e la estrasse dall’incudine con estrema facilità. La roteò più volte prima di mostrarla agli altri.
I serpenti componevano l’intera arma; con le code unite a punta, i loro corpi che s’intrecciavano e le teste con i cofani aperti e la lingua di fuori, formavano il pomolo, l’elsa e la guardia. La lama invece era sottile e ondulata.
«Ehi, guardate sull’altra lastra. È comparsa una scritta nella stessa lingua. Che dice Norack?» gli domandò questa Narhod avvicinandosi a lui.
Si avvicinò alla seconda lastra e lesse: «La prima delle due avete trovato… colei che brandite è Dheran, la Spada della Luce.».
«Un’altra frase. Questa dice… “Brandite Dherab con avidità e nel Nulla la vostra anima si ritroverà”.» sfiorò la pietra e anche questa lastra si sgretolò come la prima. Anche qui l’arma era incastrata nell’incudine e quando Norack ne impugnò l’elsa, afferrandola saldamente, fulmini vari scaturirono dalle code.
L’arma era forte e aumentò l’intensità dei fulmini ma Norack non permise alla spada di vincere e non mollò la presa. Narhod vedendo la forza dell’arma si rivolse all’amico: «Norack lasciala. Lascia quella maledetta spada.» gli gridò ma Norack non lo fece.
I suoi amici erano arrivati fin lì e non si sarebbe fatto battere da un’arma. Non avrebbe permesso di mandare tutto all’aria per la testardaggine di quella spada. Avrebbe resistito, in gioco c’erano molte vite innocenti. Clegan sentiva che doveva lasciar fare all’amico e non mosse dito….
L’arma vedendo la determinazione del guerriero emise un’onda d’urto per scacciarlo, ma questa volta fu la stessa arma a non avere alcun successo. Nessuno dei due si arrese all’altro e dalla spada uscirono dei fulmini che si conficcarono nella pelle provocando un immenso dolore e lentamente salirono lungo le braccia. Arrivarono al collo e si fermarono a pochi centimetri dal cuore; in quell’istante i fulmini lo colpirono e quando videro la sua riluttanza nel non mollare la presa si arrese.
Fumi provenienti da chissà dove infestavano l’aria già maleodorante e difficile da respirare…. I suoi passi erano rapidi e decisi e il lungo mantello che lo nascondeva s’impregnava del marciume appiccicoso del terreno. Quella puzza che dava di continuo la nausea fece avanzare più spedito l’Uomo del Nero della Notte che doveva incontrarsi con qualcuno ben più pericoloso di lui.
Giunto a destinazione attese che l’altro si facesse vivo e dovette aspettare poco perché Lucifero sopraggiunse proprio in quel momento. Fiamme e fumo lo circondavano, mentre avanzava verso di lui…: «Ti fai vedere sempre più di rado.».
«I miei affari si protraggono anche sulla Terra non dimenticarlo.» l’Uomo del Nero della Notte camminò lungo il bordo della voragine per raggiungerlo, mentre osservava le fiamme divorare le anime dei morti.
«È stato uno spreco di tempo il tuo, visto il risultato che Gordoona ha ottenuto dopo.» disse Lucifero, mentre si lasciava toccare da un’anima molto seducente.
L’Uomo del Nero della Notte allungò una mano contro le fiamme per costatare il dolore che le anime giunte all’Inferno provavano, prima di rivolgersi nuovamente a Lucifero: «Quell’uomo è un idiota a modo suo, tuttavia parte del tuo piano è perfettamente riuscita per quanto lui possa averlo portato a termine.».
L’anima s’inginocchiò davanti al suo nuovo padrone toccandolo dappertutto compiacendolo, mentre lui le accarezzava la testa trattenendola contro di sé… e guardandola fare le fusa come una gattina in calore, parlò nuovamente all’Uomo del Nero della Notte: «Il medaglione è di nuovo nelle mani della Congregazione della Luce, cosa intendi fare?».
«Solo tentare di rubarlo di nuovo è un suicidio, quindi per la sicurezza della mia vita lo lascerò, dove si trova, ciononostante lo terrò d’occhio affinché individui una buona occasione per riprenderlo.» detto questo l’Uomo del Nero della Notte, si allontanò per andarsene, ma una bellissima anima gli bloccò il cammino e prese a sedurlo.
«Che cosa sai dirmi sulle pergamene che i soldati di Aregiak hanno trovato?» gli chiese Lucifero mostrandogli la scena della sua conversazione con il Comandante Gordoona.
«Alcune pergamene fanno riferimento a un’arma chiamata Tagha che si suppone si trovi nei sotterranei del palazzo, purtroppo il nascondiglio esatto è ancora sconosciuto… ho ordinato di massima priorità su quell’arma. Ciò che però mi stupisce è perché voi me lo abbiate chiesto… potreste benissimo trovarla da solo e senza difficoltà.» l’Uomo del Nero della Notte spinse via l’anima, che cadendo si dissolse, poi si voltò verso Lucifero aspettandosi una sola risposta.
«Purtroppo su quella spada c’è un incantesimo lanciato dalla Suprema Imperatrice che essendo un’alleata di Dio, m’impedisce di trovarla e persino brandirla.» a uno schiocco delle dita, l’anima ai piedi di Lucifero se ne andò.
I due restarono da soli, per così dire, a osservarsi da sotto i loro cappucci avvolti dall’oscurità, prima che uno dei due parlasse nuovamente: «Sarai informato non appena i soldati la troveranno… se vuoi.».
«Ciò che io voglio davvero è conoscere i movimenti delle Sentinelle di Sangue e dei loro nuovi amici… usa Gordoona e i suoi uomini se necessario.» Lucifero non si fidava di nessuno e impartendo i suoi ordini all’Uomo del Nero della Notte lo teneva sotto il suo controllo.
L’Uomo del Nero della Notte non vedeva l’ora di allontanarsi da quel marciume maleodorante che gli provocava la nausea, tuttavia il suo dovere in quel posto non era terminato. Si recò nel punto in cui si trovava un’enorme cupola fatta di anime, colpevoli dei più orribili peccati. I lamenti che si udivano, si facevano più forti man mano che si avvicinava.
Vide la cupola trovarsi in un immenso cratere di sabbia e avvertì di nuovo quell'energia a lui familiare; tentò di raggiungere la cupola ma qualcosa lo bloccò e dopo qualche minuto di esitazione andò via. Lucifero si presentò dinanzi a lui e parlò: «Cosa ti ha portato in questa zona dell'Inferno Uomo del Nero della Notte?».
L'Uomo del Nero della Notte continuò a fissare quel posto come se avesse lanciato il suo sguardo nel vuoto e rispose con ritardo alla domanda di quell'essere: «Qui c'è qualcosa di molto familiare per me, ma non riesco a capire di cosa si tratti.».
«Mi piacerebbe dirti cosa conservo sotto la cupola, ma temo che poi tu….» Lucifero fu interrotto bruscamente e lasciò che l'altro continuasse a parlare.
«Che poi io mi ritroverei sotto terra come lo sono stati molti dei tuoi nemici.» e così l'Uomo del Nero della Notte continuò la frase che Lucifero aveva in mente.
Lucifero si portò dall'altra parte dell'Uomo del Nero della Notte e gli fece una proposta: «Se vuoi restare, le mie anime saranno ben liete di darti piacere... proprio come se fossero in carne e ossa.».
«Ti ringrazio dell'offerta, io avrei da fare sulla Terra.» così lo sconosciuto rifiutò l'offerta, più che piacevole, di Lucifero ritornando sul suo pianeta.
Alle spalle di Lucifero comparve Izhar e senza voltarsi impartì gli ordini al demone: «Manda qualcuno a sorvegliarlo, non mi fido di lui.».
Izhar annuì e andò via, mentre i segni restarono vividi sul suo corpo e la spada arresasi lo fece cadere a terra. Norack era riverso sulla roccia privo di conoscenza con la spada stretta nella sua mano. I compagni si avvicinarono e cercarono di togliergli la spada che avvenne con grande difficoltà. Ora avevano finalmente recuperato entrambe le Spade Gemelle ma Norack poteva essere morto.
Narhod gli pose le dita contro il collo poi sul polso della mano destra e infine si pronunciò: «Il suo cuore si è fermato.» dichiarò lui alzandosi con volto scuro.
«Quale prova o missione giustifica il sacrificio di un amico?» domandò Clegan con rabbia, mentre pose le due armi in un involucro di pietra che lui stesso creò dalla roccia circostante.
«Dobbiamo andarcene da questo posto e porteremo Norack con noi… non lasceremo un amico e un fratello nelle terre del nemico. È un nostro amico ed io non lo lascerò qui a marcire.» Narhod si allontanò dall’amico e andò in cerca di una via di fuga.
Clegan invece restò a contemplare l’amico ormai morto. Sentiva che il suo amico non poteva essere morto e non doveva esserlo. Fissava il suo corpo inerme sulla roccia e notò che la mano destra di Norack si mosse leggermente.
Improvvisamente nella grotta riecheggiò, all’inizio una lieve risata, poi la voce di una donna che continuava a ripetere le stesse parole: “Non lascerete questo mondo Re Norack… il vostro destino non lo permette… non di nuovo”. Le risate divennero sempre più forti e quasi assordanti, tanto che alcuni massi incastrati nel soffitto caddero al suolo.
«Dobbiamo proteggere il corpo di Norack o sarà fatto a pezzi.» gridò Clegan lanciandosi sul corpo dell’amico morto. Un grosso masso però si staccò sopra le teste dei due e Clegan, creò uno scudo di luce che li protesse distruggendo il masso.
Lo scudo scomparve e una luce apparve su i due diventando sempre di più una figura femminile quasi invisibile. La figura o spirito indossava un lungo abito di colore blu oltremare con uno strascico non molto lungo. Fermava l’abito con un corpetto in oro rifinito dall’argento, con una lunga punta verso il basso che arrivava quasi all’ombelico e un’altra che andava verso l’alto, attraversando i seni. Le maniche unite sotto le braccia, terminavano oltre le caviglie e al di sotto il corpetto uscivano due lunghi lacci di seta rossa che cadevano sull’abito che aveva una spaccatura sul davanti. La figura aveva un corpo magro e proporzionato, occhi chiari e, lunghi capelli neri. Il colore della sua pelle era bianco latte e le labbra erano rosse come il sangue.
Lei fluttuava nell’aria e tutto era mosso da un vento da cui soltanto lei era avvolta. Sorrideva con grazia e guardò Clegan; bastò un solo sguardo e il Difensore della Fede si allontanò di poco dall’amico. La figura invece si abbassò sul re accarezzandolo e il guerriero morto si svegliò di colpo spalancando gli occhi.
«Non è giunto il vostro momento mio re… e quel giorno non giungerà mai.» la voce della figura riecheggiava nella grotta come una dolce melodia e non come un frastuono.
«Il tuo volto mi è così familiare, chi sei tu?» le domandò con garbo ma tuttora stordito.
Lei sorrise ancora e poi gli rispose: «Scoprirai io chi sono quando sarai pronto nell’accettare la verità, non prima mio re.» gli diede un bacio e nello svanire un’aura dorata ricoprì Norack per alcuni secondi.
Quando l’aura svanì, i suoi capelli neri presentavano un taglio corto sul davanti e uno lungo dietro, legati in una sottile treccia. Aveva sopracciglia ben curate che risaltavano gli occhi di un blu scuro e profondi. Il naso era proporzionato alla testa, non troppo grande, come anche le labbra carnose e il pizzetto fine e ben curato.
I suoi due compagni restarono senza fiato e Norack nell’alzarsi col busto vide soltanto luce. I massi svanirono e il re ritornato si alzò a fatica aiutato da Clegan, mentre Narhod gli porse le armi dicendo: «A quanto pare tu hai la pelle più dura di quella di un drago amico.» felice di vederlo ancora vivo.
«Credo proprio di sì, ma ora è meglio andare via.» sostenne Norack guardando verso il fondo.
«Esce dell’acqua dalla crepa. Se continuerà così, allagherà tutto e indietro non possiamo tornare.» sostenne Narhod guardando gli altri.
E proprio da dove erano arrivati, uscirono altri Sghamern che si avventarono sui Difensori della Fede. «Narhod, tu proteggi le armi… noi invece ci occupiamo di questi.» Norack ordinò e loro obbedirono.
I due furono rapidi nello schivare le loro mosse. Clegan si abbassò di colpo, si voltò e con la spada decapitò una creatura, mentre Norack fu scaraventato sul muro e la lama della sua spada fu distrutta. Si alzò e tre creature si avvicinarono a lui lentamente.
Non si perse d’animo e afferrò un pugnale che aveva nello stivale destro… lo lanciò e si conficcò nella gola di uno dei tre. Stavolta si avventò lui sui mostri colpendone uno allo stomaco con un pugno, una gomitata sotto il mento e la gola recisa dal pugnale. Ucciso anche l’ultimo, in quella grotta scese il buio e quando i Difensori della Fede rividero la luce del sole, si ritrovarono nel punto da dove erano partiti.
«Siamo tornati al punto di partenza… intatti.» osservò Narhod con ironia.
«Custodite le armi e fate in modo che nessuno ne venga in possesso re Norack.» la figura femminile comparve nuovamente avvertendo il re.
In quell’istante sull’involucro di pietra comparve un’altra scritta: «Guardate, un’altra frase in quella stessa lingua.» chiamò i suoi compagni.
«Che cosa dice questa?» domandò Clegan appena giunto al fianco dell’amico.
«“Bene e Male sono contrari… nella Vita, ma uniti nel Tempo”.» si voltarono verso la figura che questa volta videro tutti e tre e lei disse che Dherab era la Spada delle Tenebre, poi se ne andò, «Ritorniamo a palazzo, il tramonto è alle porte.» furono le sue ultime parole prima di scomparire.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Dranerre ***


Quarto capitolo
 
Dranerre
 
 
 
 
Il sole non era ancora sorto nel cielo e tutto era tranquillo. Il vento era leggero e basso, gli uccelli notturni ritornavano nelle loro tane e i lupi che ululavano alla luna sembravano ipnotizzati dal suo flusso magico. Il vento si alzò all’improvviso e iniziò a soffiare senza sosta attraverso le fronde degli alberi della Foresta Nera giungendo fino al Lago della Disperazione, al centro fra Nits’Irc e Damaid.
Il vento aveva una sua voce che mutava continuamente. A volte era un lungo lamento che sembrava non placarsi mai, altre volte un sibilo che s’insinuava nelle crepe dei muri e nei battenti delle porte che ascoltando attentamente si potevano udire le voci che lui portava con sé attraverso il Tempo.
Intanto il sole si era ormai manifestato e Dranerre si era ritrovata a Ghana, una piccola provincia su a Nord, dove si trovavano le Prigioni Ghiacciate. Un luogo buio e freddo dove la neve a volte arrivava persino ai fianchi.
In quel preciso istante lì, una giovane donna, figlia di contadini, era stata condannata a morte per aver ucciso tre persone, un uomo considerato, suo marito e i suoi due figli. Per questo motivo le furono tagliati i capelli fino a sotto le orecchie e portata dinanzi a un tribunale per essere giudicata colpevole di triplice omicidio e condannata a restare per il resto dei suoi giorni in quelle prigioni.
Dopo il giudizio e la condanna imposta dal suo villaggio, ora le spettava quella dei Giudicatori. Fu scortata verso la piattaforma circolare con quattro rampe di scale, ognuna formata da cinque gradini di marmo. Fu lasciata lì, in ginocchio per qualche minuto, prima che un gruppo di uomini dai mantelli rossi, la circondassero. Ciò che li rappresentava era un fulmine avvolto da un serpente con i cofani aperti.
Uno di loro srotolò una pergamena e iniziò a parlare: «Questa donna è stata giudicata colpevole e condannata a morte dal suo villaggio per aver assassinato la sua famiglia.» annunciò Seiza alzando la voce, mentre dal volto della donna scesero delle lacrime, «Noi… la giudichiamo nuovamente colpevole e la condanniamo a morte seduta stante.» terminò lui avvolgendo la pergamena.
«Se qualcuno ha prove a sua discolpa si faccia avanti.» enunciò Colhg alzando la voce.
Poiché nessuno era lì per difenderla, nessuno si pronunciò in sua discolpa. Poi il silenzio rotto solo dal pianto soffocato della condannata fu squarciato da un ruggito che manifestò subito il suo mittente… una nube nera apparve sulle loro teste e in essa si presentò Dranerre.
Lei guardò la donna e poi quegli uomini e si pronunciò con tono seccato da quell’ingiustizia: «Non si può condannare qualcuno due volte e per un triplice omicidio che non ha mai commesso.».
«Tu chi sei per prendere le sue difese?» le chiese Seiza con molto fastidio.
Si presentò con fermezza e Colhg intervenne guardandola: «Le prove sono tutte contro di lei e noi la giudichiamo secondo le nostre regole.».
A un battito di ciglia, Dranerre si ritrovò accostata con la bocca all’orecchio dell’uomo: «Se qualcuno ti accusasse di aver ucciso un uomo, ma tu sei innocente, senza prove che ti possano scagionare, ma al contrario che ti accusano, che cosa faresti?».
L’uomo provò una sensazione amara nella bocca e rispose con voce tremante: «Sarei… condannato per il resto dei miei giorni… a una bugia e a una verità che non sarà mai rivelata.».
Allo stesso modo ritornò al fianco della condannata e Seiza le pose una domanda con tono freddo e aria scocciata: «Quali prove porti alla discolpa della donna alla nostra presenza?».
«La vera e sola colpevole del crimine.» rispose Dranerre con sguardo sicuro.
«Ebbene Dranerre?» Seiza aspettò che lei fornisse a quel tribunale il vero criminale.
Lei sorrise e all’illuminarsi dei suoi occhi, fra la condannata e i Giudicatori si materializzò una donna. Lei era la gemella della condannata; si guardò intorno prima di chiedersi dove si trovasse.
«Ti trovi a Ghana e vogliamo la verità su quanto è accaduto alla famiglia di tua sorella.» rispose Seiza fissandola con disgusto.
«Non dirò nulla.» e si zittì.
Dranerre strinse la mano destra a pugno e la donna si accasciò al suolo respirando a malapena. E al sussurrare di Dranerre, la donna iniziò a raccontare il come e il perché di quel gesto orribile con lo sguardo perso nel vuoto. La sorella, inginocchiata sulla piattaforma, rimase incredula alle sue parole e il suo volto cambiò espressione.
I Giudicatori si guardarono negli occhi e Seiza osservando con orrore la colpevole dichiarò: «Dopo questa confessione ritrattiamo la colpevolezza della donna accusata ingiustamente e, condanniamo a morte sua sorella.» facendo cenno alle guardie.
Un mantello per la prima e delle catene per la seconda, le guardie portarono. La donna in precedenza condannata fu accompagnata negli alloggi privati del capitano, mentre la gemella fu scortata nelle celle.
Una settimana dopo, Dranerre aveva già da qualche tempo raggiunto una locanda di Osykrhan. Si trovava con alcuni uomini in una delle più belle stanze della locanda a inebriarsi dei piaceri da troppo tempo negati. Uno degli uomini al suo fianco le stava sfiorando la gamba destra mentre un altro la baciava intensamente.
All’improvviso qualcuno sfondò la porta della stanza e i due uomini scattarono in piedi estraendo le spade. Dranerre però li fermò e pose una domanda all’uomo che era appena entrato: «Che cosa posso fare per voi?».
«Voglio la tua testa.» l’uomo le diede la risposta ed estrasse anch'egli la sua arma che luccicava alla luce del sole che proveniva dalle finestre alle spalle della donna.
«Bene, ma dovrai prendermi prima.» Dranerre scattò in piedi e si gettò dalla finestra atterrando sul tetto sottostante. Una volta recuperato l’equilibrio, si voltò verso l’uomo che si era affacciato a ciò che restava della finestra e gli fece un saluto con la mano.
Un battito di ciglia e Dranerre scomparve alla loro vista. L’uomo si recò verso la porta semi distrutta e notò su un tavolino delle Rouvie che fuoriuscivano da un sacchetto. Le Rouvie erano monete di rame, avevano uno spessore di un millimetro, perfettamente circolari con un diametro di quattro centimetri. Sul fronte rappresentavano, in rilievo, il volto di re Norack e in basso a destra una stella, tutto circondato da un bordo sottile, in argento. Invece, sul retro vi era rappresentato l’emblema del regno circondato da una corona di anelli in argento.
Come se il Tempo non esistesse, Dranerre si ritrovò a cavalcare fuori dalla città. Tirò le redini del cavallo e questo si fermò di colpo… davanti alle porte della città c’erano i Difensori della Fede con i sei guerrieri del Luogo Proibito.
Era spaventata, ma anche felice e subito una voce s’insinuò nella testa della donna: «Hai compagnia.» e lei si voltò.
«Peril. Lucifero li ha mandati per me.» asserì divertita, mentre quelle creature la assalirono ferendola al volto.
Il suo cavallo si allontanò e uno dei Difensori della Fede cercò d'aiutarla scagliando sui Peril sfere di luce che li polverizzarono. Poi dall’alto si udì una voce tonante: «Lucifero non scherza.».
Alzarono tutti lo sguardo e dinanzi a loro atterrò un Drago d’Ottone, ma lei ribatté sulle sue parole: «Non importa ciò che Lucifero pensa o vuole.».
E il drago si pronunciò nuovamente nella sua lingua: «[1] Madogisuh ih’ qisodumutuh ih tih waumih, qauh’ imonopesvoh, qish raitvuh fiwoh gesih evvipboupih.».
La testa aveva una piastra luminosa all'altezza della fronte e corna a forma di lama all'altezza del mento. La sua testa era dotata di grandi piastre lisce e metalliche mentre il mento mostrava corna aguzze. Un collare percorreva tutta la lunghezza del collo; possedeva ali simili a quelle di una manta. Feicon, come del resto tutti i Draghi d’Ottone, emanava un forte odore come di sabbia cotta al sole e le sue scaglie rilucevano come ottone lucidato. Le ali e il collare erano di un verde screziato intorno alle estremità; emanava anche un calore secco e intenso.
«Questo non è un tuo problema ma mio.» dichiarò lei con indifferenza e sfacciataggine, mentre il gruppo di uomini si era avvicinato.
Il drago fece alcuni versi contro la donna e riprese a parlare: «[2] Vh pupih auoh omh nouh eoavuh, neh voh eggeppoh efh eoavesih oh Fogiptusoh fimmeh Gifih. Qisdjih’?» le chiese in ultimo.
«Anch’io come te, devo farmi perdonare qualcosa da lui.» Dranerre si schiarì la voce e spostò lo sguardo verso Norack, che subito le colpì il suo velo di mistero. «Avete con voi delle armi, unitele e riceverete un rubino che ci condurrà all’entrata del Luogo Proibito.» si rivolse ai tre con freddezza; rievocava alla mente gli ultimi istanti prima che fosse strappata al guerriero.
Norack fece come lei aveva detto e da esse uscì un rubino, ricavato dall’ultima goccia di sangue del guerriero che a lei appartiene. Il drago aprì e chiuse le sue ali per sgranchirle un po' dal lungo dormire nei meandri della Terra e Norack per saperne di più su quei due, pose la sua domanda: «Qual è il vostro nome?».
«Hurya per gli umani, sono il capo della mia specie e lei è….» Hurya fu interrotto bruscamente da Norack che si stupì da solo di conoscere il nome di quella donna che non aveva mai visto prima d’ora, ma che le sembrava familiare, in qualche modo.
Il drago ridacchiò e poi si rivolse a lei: «Non so come questo umano, mezzo umano conosca il tuo nome, ma vi aiuterò. Resterò su nel cielo e quando avrete bisogno di me, arriverò.». Hurya spiegò le ali e spiccò il volo.
Giunto il crepuscolo ormai già da molto tempo, tutti loro decisero di fermarsi a Osykrhan, persuasi da Dranerre nel fermarsi in una locanda di sua conoscenza. Non c’era tempo di sceglierne un’altra e alloggiarono proprio lì. Lei invece restò nella piazza principale che si occupava del suo cavallo. Stava accanto a un abbeveratoio, quando un ragazzo di poco più di dieci anni, le finì addosso cadendo a terra.
«Stai bene?» gli chiese Dranerre aiutandolo ad alzarsi.
«Sì e mi spiace di avervi urtato, non vi ho visto.» si scusò il ragazzo togliendosi la terra dagli abiti.
Dranerre lo guardò negli occhi e…: «Non fa niente, l’importante è che tu stia bene… Norht.».
«Come conoscete il mio nome mia signora?» le chiese cortesemente il ragazzo indietreggiando di un passo.
«Io conosco molte cose. Cose che tu neanche immagini.» rispose lei sorridendo e fissando il ragazzo negli occhi.
«Ehi, tu ragazzino, vieni qua.» urlò un uomo avvicinandosi a loro con passo veloce.
«Scusatemi.» e così Norht si congedò dandole le spalle.
«Di nulla.» Dranerre fissò intensamente l’uomo che lo aveva chiamato e non le piaceva per niente.
«Che cosa posso fare per voi, signore?» il ragazzo gli pose la domanda fermandosi a pochi passi da lui.
«Hai pulito la mia spada come ti avevo ordinato?» gli domandò l’uomo con arroganza. Era un brigante dei dintorni e con i suoi degni compari razziava piccoli villaggi e povera gente che non poteva difendersi.
«Mi dispiace ma voi non mi avete ordinato nulla signore.» sostenne Norht stupito. Quell’uomo non gli aveva ordinato nulla e per il ragazzo si comportava come un arrogante presuntuoso.
«E allora lo faccio adesso, muoviti ragazzino.» l’uomo si avvicinò al ragazzo e gli diede uno schiaffo in pieno volto facendolo cadere con la faccia al suolo. Norht si alzò e indietreggiò di qualche passo mentre una riga di sangue scese dal naso.
Quell’animale di uomo continuò a schiaffeggiarlo ripetutamente facendolo cadere più volte a terra. E proprio quando fece il gesto di picchiare per l’ennesima volta il ragazzo, Dranerre lo fermò. Gli bloccò la mano afferrandolo per il polso, mentre lui si voltò verso di lei, guardandola negli occhi.
In quell’istante i nove uomini che la accompagnavano erano arrivati a una ventina di meri da loro e Dranerre lasciò la presa avvicinandosi al ragazzo che aiutò ad alzarsi. In seguito gli porse la sua boraccia d’acqua, mentre l’uomo indietreggiò di due passi e chiese: «Tu sei la madre?». Lei non rispose.
«Ehi, il mio amico ti ha fatto una domanda.» pronunciò quelle parole con arroganza e con grottesche maniere si avvicinò a lei.
Dranerre con velocità inaudita gli afferrò il braccio destro e glielo bloccò dietro la schiena, mentre gli altri del gruppo sfoderarono le armi puntandole contro la donna. E prima che i suoi compari si avvicinassero, lui li fermò. Abbassarono immediatamente le armi e, il capo chiese alla donna chi fosse.
«Non ha alcuna importanza chi io sia, ma ne ha che voi chiediate scusa al ragazzo.» Dranerre rispose con indifferenza, mentre il ragazzo si precipitò su di lei aggrappandosi al vestito e supplicandola di evitare lo scontro, «Io non sono giunta dall’Inferno per farmi sottomettere da alcuni insulsi uomini.» si rivolse al ragazzo, ma poi voltò lo sguardo verso quegli uomini.
«Noi non chiediamo scusa a nessuno nemmeno a un moccioso come lui.» dichiarò l’uomo arricciando il naso.
«Io credo che voi chiederete scusa al ragazzo… con le buone o con le cattive.» l’espressione del suo volto stava lentamente cambiando e questo denotava la rabbia che cresceva in lei. Infatti, il brigante che lei teneva fermo con il braccio bloccato dietro la schiena, aveva contorto il volto dal dolore che lei gli stava facendo provare.
«Ci piacciono le cattive.» affermò un’altro ghignando.
«Allora vi accontenterò all’istante….» sorrise e ordinò al ragazzo di allontanarsi, che le obbedì seduta stante. Dranerre spinse il brigante in avanti e pose nuovamente la mano sull’impugnatura della sua spada, quando il capo della banda fermò tutti.
«Dammi qualcosa di prezioso e ti lascerò vivere… è inutile spargere sangue.» l’uomo fu certamente astuto nel fermarsi o avrebbe perso la vita.
«Mhm… sei intelligente ha non affrontarmi, per questo ti offro oro e pietre preziose a volontà. Abbastanza da renderti il più ricco del Continente Unito.» Dranerre contrattò furbamente col brigante e gli diede anche l’ubicazione esatta, dove poteva trovare tutte le ricchezze che lui desiderava, «Recati al Kenion della Morte, lì troverai una caverna a dieci metri dalla superficie. Lì recupererete ciò che bramate.» il suo sguardo era minaccioso e serio, così gli diede una ciocca dei suoi capelli dicendogli che se non ci fosse quello che lei gli aveva promesso, i suoi capelli lo avrebbero condotto da lei.
«Voglio fidarmi, ma se mi hai mentito, ti ucciderò come un cane.» lui la avvertì senza giri di parole e se ne andò col suo gruppo.
Dranerre li osservò allontanarsi e rinfoderò la spada, unitasi al suo gruppo si recarono alla locanda. Meos, il capo dei sei guerrieri cedette la sua camera alla donna e lei con gratitudine rispose: «Non preoccupatevi per me, io dormo accanto al mio cavallo… sempre.».
I tre Difensori della Fede, entrati nella loro stanza, notarono il letto a due piazze contro il muro e ai lati due comodini e poggiati su di essi sole due candele per ciascuno con la fiamma molto alta. Nell’aria si poteva odorare uno strano profumo d’incenso che rimandò i Difensori della Fede alla puzza che emanavano gli Sghamern. «Riposiamo, domani ci aspetterà una giornata pesante.» consigliò Norack sedendosi contro il muro del davanzale della finestra.
Narhod appoggiò gli stivali accanto al letto e poi pose una domanda a Norack: «A cosa pensi?».
«Se possiamo fidarci di quella donna. Non so cosa pensare.» gli rispose lui voltando lo sguardo verso i suoi compagni.
Narhod si distese e poggiò la testa contro la testiera del letto, incrociò i piedi e disse: «Devi parlarle.».
Norack si voltò verso di lui sorpreso: «Perché io?».
«Perché fra noi, tu sei l’unico a essere re.» rispose ironicamente Narhod, «È un bel vantaggio, non è vero?» finì lui ridendo.
«A volte non lo è, comunque non aspettatevi una risposta comprensibile.» sostenne Norack sospirando e uscendo dalla stanza.
Entrato nella stalla senza far rumore, cercò la donna con lo sguardo e dopo averla scorta fra alcuni cavalli, si avvicinò. Non voleva spaventarla, ma poi capì che niente e nessuno l’avrebbe mai fatto. Giunto a mezzo metro da lei allungò il braccio destro per chiamarla, ma lei fu più veloce: «Risponderò alle vostre domande re Norack.», mentre accarezzava il muso del cavallo.
«Come avete fatto…?» s'interruppe lui incredulo e ritraendo la mano.
«Grazie ai miei occhi, io posso conoscere cose che a voi semplici mortali sono proibite.» diede poi la metà di una mela al cavallo.
«Cosa c’è proibito a noi semplici mortali?» le chiese lui osservando la cicatrice che aveva dietro l’orecchio destro.
«Cose che nemmeno immaginate, mio signore.» gli rispose con tono indifferente prima di voltarsi verso di lui, «Vi state chiedendo se voi e i vostri amici potete fidarvi di me, questo dipende solo da voi e dal vostro cuore.» ritornò ad accarezzare il suo cavallo quando Norack le chiese del Kenion della Morte. «Quel luogo è pieno di pericoli, ma anche di tesori immensi che nel corso del tempo, re e guerrieri hanno accumulato.» lei rispose alla sua domanda nell’istante in cui i cavalli nitrirono contemporaneamente.
Dranerre si osservò intorno e Norack le pose un’altra domanda: «Allora li avete mandati lì a morire?» inorridito da ciò che lei aveva fatto.
«Avreste preferito che continuasse a picchiare quel ragazzo fino a ucciderlo? Rispondetemi re Norack, voi avreste lasciato morire un innocente?» gli pose domande ha cui re Norack non poteva rifiutarsi di rispondere e, infatti….
«Io avrei trovato una soluzione alternativa alla morte.» rispose lui con tono severo.
Lei gli si avvicinò… lo guardò negli occhi per alcuni istanti e poi portò le sue labbra a contatto con le sue. Un brivido percorse lungo la schiena di Norack seguito da una forte sensazione di calore e poi di benessere. Lentamente avvolse le braccia intorno ai suoi fianchi, stringendola a se. Dranerre invece gli pose l’altra mano dietro l’orecchio e Norack provò una strana sensazione allo stomaco.
Pochi secondi dopo il bacio diventò intenso. Lui si sentiva attratto da Dranerre, come se qualcosa lo legasse a lei da catene invisibili. Voleva staccarsi, ma nello stesso istante stringerla a se e non lasciarla mai. Dranerre gli passò la mano fra i capelli e Norack provò una piccola scossa sulle labbra. Il bacio diventò più intenso e profondo fino a quando il giovane re non la spinse contro una trave afferrandole la gamba e accarezzandogliela.
Le portò una mano sul sedere che strinse con immenso piacere e Norack tentò di toglierle l’abito che indossava…. Lui le afferrò il fondoschiena con entrambe le mani e la sollevò da terra, mentre lei gli agguantò i fianchi con le gambe.
Alle spalle di Dranerre c’era un box libero e re Norack ne approfittò per sdraiarla sul fieno fresco e proseguire…. Il re si tolse la giacca e la camicia e li gettò senza curarsene, afferrandole poi la coscia sinistra e stringendola.
Il re la baciò sul seno e Dranerre invece gli graffiò la schiena, ma l’udire dei nitriti dei cavalli, destò Norack che si staccò da lei di scatto. Recuperò i suoi indumenti e si rivolse a lei: «Mi dispiace, non so che cosa mi sia preso, perdonami.» lui si sfiorò le labbra con il dorso della mano e uscì elegantemente.
«Capisco mio signore, perdonate il mio gesto.» gli gridò lei sorridendo.
«Qual è la sensazione?» le chiese la voce.
«Non riesco ha descriverla.» rispose Dranerre guardando nel vuoto.
«Sta attenta ci seguono da molto tempo. Segue i Difensori della Fede.» la informò la voce, avvertendola di fare attenzione, «Chi credi che siano?» le chiese poi.
«È uno… Lokim, di conseguenza…. Non potrà fare nulla com’è adesso e quindi è sotto il mio controllo.» fu interrotta bruscamente.
«Il Comandante Gordoona.» continuò la voce, «Che cosa vuoi fare adesso?» le chiese cercando di anticipare i suoi pensieri.
«Nulla che possa rovinare i piani del Comandante Gordoona.» rispose lei sorridendo e lasciando che i suoi occhi brillassero, «Vieni da me.» lo chiamò portando il gomito all’altezza della spalla.
«Non vorrai chiamare quell’animale?» le chiese la voce con un tono di rimprovero; e sul suo braccio si posò il corvo.
«Sei bellissimo, ma solo se resterai così… Lokim.» sostenne Dranerre accarezzandolo sotto il becco.
«Sei una stupida, quell’animale appartiene ai tuoi nemici.» enunciò la voce arrabbiandosi.
«Ogni creatura vivente è mio figlio ed io tratto tutti al pari, senza eccezioni… Urtec, lo sai.» affermò Dranerre guardando il corvo, «E comunque Lokim non ci tradirà. Non dirà che noi siamo qui.» terminò lei lasciandolo andare, mentre uscì dalla stalla.
 
Alcune ore dopo l’alba, il gruppo aveva raggiunto una casa a tre piani con un enorme giardino tutto intorno, dove viveva una vecchia signora. Si fermarono all’entrata del cancello e chiesero di entrare; furono accolti dalla proprietaria in persona e invitati a entrare.
Si guardarono intorno e notarono la grande quantità di quadri raffiguranti draghi e donne che li cavalcavano e una moltitudine di vasi di ogni genere. La casa inoltre era accogliente ed emanava un buon profumo di rosa selvatica. Arrivati nel salone principale, l’anziana donna chiese ai suoi ospiti, cosa potesse fare per loro.
Si pronunciò Meos osservando l’anziana: «Ci serve immediatamente un mezzo di trasporto, che sia rapido e non rintracciabile.».
La sua richiesta era chiara e l’anziana annuì… chiamò una serva e le assegnò dei precisi ordini. E così mentre la padrona di casa intratteneva i suoi ospiti, Dranerre diede una rapida occhiata in giro. Si guardò intorno e senza accorgersene finì col trovarsi nella sala da pranzo: al centro si trovava un enorme tavolo ovale circondato da bellissime sedie di legno intagliate e come ornamenti vasi colmi di fiori freschi.
«Sei più furba di quanto vuoi far credere, ma non ti servirà con Lucifero.» l’anziana donna si avvicinò a lei e si mise ad aggiustare i vasi dei fiori sui piedistalli accanto alla porta, «Continua su questa strada e presto o tardi ritroverai ciò ha cui sei stata portata via… Dranerre.» finì lei accomodandosi sulla sedia a capo tavolo.
Dranerre era stupita che l’anziana conoscesse il suo nome, ma poi ci pensò su e capì che se le Sentinelle di Sangue la conoscevano allora era qualcuno a lei familiare. Lei si avvicinò con cautela all’anziana e questa le disse: «Ti do un avvertimento su coloro che non si mostrano mai.».
«Gli Dèi.» intervenne Norack entrato insieme con gli altri.
«Si sussurra che gli Dèi siano legati a Lucifero da un segreto che se rivelato la vita stessa degli Dèi e quella di Lucifero diviene in pericolo.» la vecchia le disse ciò che sapeva e si rivolse poi alle Sentinelle di Sangue, «Ecco ciò che mi avete chiesto, trattatelo con cura sono difficili da trovare.».
Lo scrigno fu consegnato nelle mani di Meos, mentre l’anima afferrò l’anziana per un braccio facendola vibrare. I suoi servi si avventarono su Dranerre per aiutare la loro padrona, ma lei li tramutò in pietra. La guerriera evitò di distruggere i servi pietrificati, mentre l’anziana mutò in un uomo. Lei sorrise e disse: «Sapevo che eri tu Marish.».
«Prima riporta i miei servi alla normalità, per favore.» pretese lui gentilmente con un cenno del capo e gesticolando con le mani.
Dranerre schioccò le dita e i servi ritornarono alla normalità, mentre Marish li fermò in tempo. I servi se ne andarono a un suo ordine e lui le pose una domanda mentre si liberava dalle corde: «Come… facevi tu a sapere che ero io?».
Era un uomo dalla pelle e dai capelli scuri, nessuno sapeva da quale luogo provenisse. Aveva occhi molto chiari circondati da folte sopracciglia ben curate che lo rendevano un uomo affascinante e ancora più con labbra carnose e il doppio mento. Il fisico muscoloso e moderato gli permetteva anche di essere molto agile e forte, infatti, lo dimostravano la cicatrice che aveva a destra del collo e le altre sparse sul suo corpo. L’altezza di un metro e ottantatré, lo facevano diventare un colosso per molti in quel villaggio dalla media statura.
«Non sono in molti a praticare la magia e poi è stato il tuo sguardo nel vedere i miei occhi a tradirti.» gli rispose schiettamente sedendosi davanti a lui e lasciando lo scrigno sul tavolo.
Marish non era convinto della loro riuscita e sperò di tutto cuore che lei lo convincesse. Dranerre sapeva e ci provò: «Non li seguirei se sapessi che loro fallissero nell’impresa.».
Dranerre riprese lo scrigno dal tavolo e salutandolo, uscì insieme al suo gruppo di uomini. Giunti in un’ampia radura, Dranerre scoprì l’oggetto contenuto nello scrigno: un Trasportatore, un costrutto magico in grado di trasportare una o più persone nel luogo desiderato da chi lo impugnava, tramite telepatia. Al manufatto era stata conferita la forma di un'asta lunga ventisette centimetri, sei dei quali erano stati adoperati per i due blocchi di cristalli incastrati alle due estremità. Il materiale utilizzato era chiamato Ruviano, proveniente dal Luogo Proibito, costituito da una parte interna organica, una sostanza densa e mucosa di colore viola chiaro luminescente e da un'esterna, inorganica, una materia compatta dello stesso colore ma più scuro e intenso. La superficie si presentava liscia con un unico solco che si avvolgeva intorno all’asta come un rampicante, da cui s'intravedeva la sostanza organica, protetta, tuttavia da una patina trasparente impermeabile. L'energia che l'organismo accumulava era sprigionata dai cristalli.
Meos impugnò il Trasportatore e uscì dall’abitazione seguito dai suoi compagni di viaggio. Saliti sui cavalli, lui pose su uno dei due cristalli il rubino, che si tenne in equilibrio; il guerriero pensò al Palazzo Ombrato e così un misto di luci rosse e viola, si fusero insieme creando un anello che si estese dal centro fino all’ultimo presente. L’anello restò fermo per un paio di secondi e poi ritornò indietro, dove esplose.
 
 
[1] Lucifero è pericoloso e se vuole, può eliminarti, per questo devi fare attenzione. – (lingua dei draghi)
[2] Tu non vuoi il mio aiuto, ma ti affanni ad aiutare i Difensori della Fede. Perché? – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Due prove da superare ***


Quinto capitolo
 
Prima parte
 
Due prove da superare
 
 
 
 
Nel punto in cui si trovavano, restò solo un cerchio di terra bruciata e nient’altro…. Apparvero sulle spiagge del regno di Tenner, a Est delle Terre dello Spirito Bianco, proprio com’erano spariti dal regno di Nits'Irc. Riposero i due oggetti e non capirono perché si trovassero ancora sulla Terra.
Meos si guardò in giro e capì… si pronunciò solo quando vide l’espressione stupita sul volto di Norack. «Temevo che potesse accadere.».
«Ciò che Meos intende è che non si può arrivare al Palazzo Ombrato senza entrare prima nel Luogo Proibito, alla fine dobbiamo trovare per forza l’entrata che ci condurrà in quel mondo.» fu Ahdnorog a spiegare quale fosse il timore di Meos, mentre lui ispezionava la zona.
E fu allora che il vento si alzò e con esso gli uccelli del bosco che terminava dove iniziava la spiaggia, provocando un enorme frastuono. Con furia gli zoccoli dei cavalli si conficcavano nella sabbia poi lentamente e il battito dei loro cuori riecheggiò nel vento.
Intanto il luogo circostante, la spiaggia e il bosco erano diventati silenziosi e di colpo una folata di vento scaturita dalla direzione del regno portò un brivido lungo la schiena di Dranerre. Videro le foglie e i rami degli alberi che si muovevano lentamente fino a fermarsi del tutto.
L’agitazione dei cavalli li portò ad avere l’affanno e a potersi udire distintamente nell’aria quasi all’unisono con quello dei loro cavalieri. A un tratto tutti i suoni divennero indistinti e negli occhi di Dranerre il fuoco divampò. Tirò con forza le redini del suo cavallo che s’issò sulle zampe posteriori, ma l’agitazione dell’animale fu tale da scaraventare Dranerre sulla sabbia.
Il tempo sembrò proseguire il suo corso solo per loro… i tre Difensori della Fede smontarono dai propri cavalli e corsero ad aiutarla, ma furono scaraventati a metri di distanza da lei. Dranerre sapeva…. Sapeva chi stava per incontrare e si alzò dal suolo recandosi verso il suo destriero.
L’animale era nervoso, quasi terrorizzato da ciò che stava avvertendo e, dalla stessa direzione, scagliati contro di lei, apparvero pugnali dalle lame affilate e intrise di veleno. Un battito di ciglia e i pugnali divennero foglie e fiori che seccarono al contatto con la sabbia.
«Quale onore incontrare di persona gli Dèi….» asserì lei nascondendo le mani dietro la schiena.
«Siamo qui per fermarvi, nessuno libererà nessuno.» dichiarò con tono calmo e deciso Tenrett, il Dio degli Uomini.
Alto almeno un metro e settantacinque circa, aveva capelli castani che lui portava all’indietro legati in un piccolo codino. Tuttavia aveva un viso ben curato con occhi celesti e fini. Il naso era a patata, ma non volgare e sotto di esso, le labbra poco carnose e il doppio mento erano quasi nascosti dalla folta barba. Il suo abbigliamento, c tutti gli Dèi, era quello tipico dei mortali ma con tessuti divini e molto pregiati.
«E per quale motivo noi dovremmo ascoltarvi?» gli chiese Norack mentre ritornava insieme ai suoi due amici a recuperare i cavalli.
«Perché noi siamo gli Dèi e questo è un ordine. Le Sentinelle di Sangue fanno parte della Vecchia Religione non della nostra.» rispose Falock, il Dio degli Elementi, con arroganza, nel momento in cui lanciò un’occhiataccia a Dranerre.
«Non centra nessuna religione…. Il comandante delle Sentinelle di Sangue deve restare lì dov’è perché non si piega a voi e agli amici che considerate alleati.» insinuò lei sorridendo e mostrando tutta la sua soddisfazione nei lineamenti del volto.
«Se vi opporrete a noi, non ci darete altra scelta che ostacolarvi… in ogni modo e con ogni mezzo a nostra disposizione.» intervenne Ardenas la Dea del Tempo apparsa proprio all’iniziare della sua frase.
«Se solo ci proverete… pagherete delle conseguenze che non vi piaceranno.» continuò Dranerre sfidandoli con sguardo tagliente.
Serreiv, Dea delle Donne, apparve dinanzi a Dranerre e in una frazione di secondi la schiaffeggiò così forte da scaraventarla contro un masso piantato nella sabbia da secoli: «Tu dovresti tagliarti la lingua.».
Era una divinità impulsiva che non rifletteva mai nelle situazioni; i mortali la ritenevano completamente egoista e introversa, soprattutto subdola e fredda, persino con la sua famiglia. La sua altezza era poco più bassa di quella di suo fratello e proprio come lui aveva occhi verdi e fini. La sua chioma rossa intrecciata si fermava a metà della schiena e accentuava la sua cattiveria, insieme al naso piccolo e a punta, mentre le labbra sottili marcavano la “vipera” che era. Aveva un seno piccolo come il resto delle sue sorelle che copriva appena, con un lungo abito bianco che evidenziava le curve.
Dranerre non badò al gesto della Dea e continuò a provocare gli Dèi e soprattutto lei: «Se volete ostacolarci, deve esserci un motivo più che plausibile ed io credo che sia… la paura.» insinuò ancora alzandosi e pulendosi la ferita al labbro.
«Come osi dire che noi abbiamo paura.» Ardenas alzò la voce, furiosa di aver sentito delle insinuazioni tanto offensive nei loro confronti.
«Oso perché si legge nei vostri occhi la paura.» il suo sorriso beffardo dimostrò che lei non aveva alcuna paura di loro e che li avrebbe affrontati apertamente.
Gli Dèi erano furiosi della sfrontatezza che Dranerre aveva verso di loro e le Sentinelle di Sangue restarono in disparte per non creare eccessivi problemi. Dranerre non vedeva l’ora di affrontarli, ma sapeva che non era il momento e il luogo giusto.
«Chi sei? I tuoi occhi rivelano la tua non umanità.» le chiese Falock avvertendo una strana sensazione. Forse era terrore.
«Perché dirvi chi sono adesso, mi diverto molto ha farvi penare.» sorrise leccando il sangue che le era uscito dalla ferita.
Li guardava con sguardo minaccioso e aria di sfida incitandoli ad agire, ad attaccare. Poi con la sua indifferenza, si accostò al cavallo, afferrò le redini e montò in sella. Gli diede le spalle e proseguì, ma gli Dèi offesi dalla donna e dal suo gesto, si spostarono dall’altra parte ostacolando il suo cammino.
«Non importa tu chi sia, noi porremo sul vostro cammino innumerevoli ostacoli che alla fine dovranno fermarvi.» parlò Falock con rabbia e serrando le mascelle.
«Io credo invece che voi dobbiate occuparvi degli uomini giacché stanno abbandonando anche voi.» affermò la realtà nel momento in cui il cavallo agitava le zampe anteriori, «Vi do un consiglio… occupatevi dei vostri affari se non aspirate alla fine dei vostri familiari.» fu l’ennesima provocazione che scatenò una reazione in Serreiv.
 «Pagherai questo tuo affronto.» gridò Serreiv lanciandole una saetta colpendola in pieno petto. La saetta non la smosse di un millimetro e non solo i Difensori della Fede, ma addirittura gli Dèi restarono sbalorditi e senza parole a ciò che avevano assistito. “Dranerre" fu l’unica parola che uscì dalla bocca di Clegan prima che la saetta la colpisse.
Lei fece scricchiolare il collo e si pronunciò con sfacciataggine: «Tutto qua quello che sapete fare voi Dèi?».
“Dranerre è riuscita a liberarsi, questo significa che il Comandante Erenock ritornerà” furono le parole di qualcuno che si nascondeva nell’ombra e che ovviamente Dranerre aveva avvertito.
«Cosa. Com’è possibile che la mia saetta non ti abbia fatto nulla, dopotutto sei solo un essere che vive.» sostenne Serreiv confusa e sconcertata. Rimase quasi senza fiato e in quell’istante i guerrieri, misero mani alle armi.
Dranerre sorrideva mentre guardava i loro occhi pieni di terrore…. Una sola parola di quell’anima e i guerrieri riposero le armi. «Il tempo è tiranno e voi lo state facendo perdere.». Tirò indietro il braccio destro e con forza squarciò l’aria dinanzi a loro.
Dallo squarcio un forte lamentò penetrò nelle orecchie degli Dèi provocando un atroce dolore… e poi li avvertì: «Se compirete il passo più lungo della gamba, voi… pagherete cara la vostra immortalità.».
La rabbia degli Dèi crebbe e Tenrett emanò un urlo per poi precipitarsi su di lei, ma Hanna, Dea del Destino, gli comparve dinanzi bloccandolo. Lei era completamente diversa da quelli della sua famiglia; era silenziosa, incorruttibile e sicuramente saggia – più delle altre. I suoi fratelli la ritenevano timida e debole, ma lei era il contrario. Lei aveva capelli neri e lunghi fino a poco oltre le spalle che amava portare sciolti a incorniciare i suoi grandi occhi verdi, il naso piccolo dalle sopracciglia fine e ben curate e le labbra poco carnose.
«Siete fortunati, ricordate che vi osserveremo e interverremo in qualunque occasione.» furono avvertiti anche se Dranerre e come anche i Difensori della Fede non badarono alle sue minacce.
«Non compieremo alcuna azione in questo momento… siamo calmi.» disse Hanna. Aveva un fisico snello, ma non troppo; indossava un lungo abito di colore blu con sfumature sull’azzurro. Le scopriva completamente le spalle e il petto, con due lacci di seta che giravano intorno al collo. Non aveva maniche ma guanti lunghi fino ai gomiti di azzurro e una cintura d’oro per fermare l’abito; ai piedi portava un paio di stivali che si fermavano poco oltre la caviglia, con un tacco di cinque centimetri. Erano di cuoio, rivestiti internamente di cotone ed esternamente di fili d’oro con ricami in decorazioni floreali.
«Ci rivedremo….» Falock la indicò e lui seguito dai suoi fratelli sparì.
Ciò che si era fermato con l’apparizione degli Dèi, ritornò lentamente, alla loro sparizione, ha muoversi. Sembrava che il silenzio si fosse posato su quell’esatto punto. Furono raggiunti dalle Sentinelle di Sangue proprio quando dal cielo giunse Hurya a portare cattive notizie: «[1] Oh tumfevoh fimh Dunepfepvih Husfuupeh tveppuh disdepfuh Vehjeh.».
Dranerre tradusse le parole del drago, mentre gli altri la ascoltavano in silenzio.
«Cosa… è impossibile, quella spada la possedevano le Sentinelle di Sangue per impedire una catastrofe. Ora com’è possibile che Gordoona la stia cercando?» si domandò Narhod sconvolto dalla notizia.
«[2] Fodupuh djih emdapoh opfoboh dupfadupuh eoh tuvvissepioh fimh musuh qemebbuh, neh puph teppuh fuwih itevvenipvih.» continuò il drago.
«[3] Raemduth’emvsuh?» gli chiese Dranerre con aria preoccupata, mentre sperava che fosse tutto lì.
«[4] Omh Dunepfepvih Husfuupeh jeh sefapevuh efh Esihoelh vavvoh oh deqoh dmeph fioh pinufassih qish imonopesih oh Fogiptusoh fimmeh gifih ih djoapraih moh tihaeh oph raitveh nottoupih.» Hurya era rattristato nel portare cattive notizie tuttavia non poteva farne a meno.
«[5] Tupuh tvevih qsiboutih mih vaih opgusneboupoh.» lo ringraziò Norack, mentre il drago prese il volo e se né andò.
«Se i Nemodurre sono sulle nostre tracce, sarà meglio affrettare il passo.» fu l’ultima frase che Dranerre pronunciò prima di riprendere con il suo gruppo il cammino.
La Congregazione della Luce aveva con tutta l’anima cercato di distruggere Tagha e di cancellare anche se a fatica il suo ricordo e il suo nome dalla mente e dal cuore. Quella spada aveva in passato portato terrore e morte, ora la paura era ritornata.
Meos tentò ancora una volta di usare il Trasportatore e nel preciso istante in cui tentò di farlo, Dranerre si portò le mani al capo per il forte mal di testa. Serrò gli occhi e provò a eliminare il dolore, ma non riuscì nemmeno a ridurlo. Non era un semplice mal di testa, ma qualcosa di più. La testa le scoppiava e iniziò a uscirle del sangue dal naso. Il dolore continuò a diventare così forte, tanto da farle perdere l’equilibrio e cadere da cavallo. Provò ad alzarsi ma il dolore non le permetteva di fare nemmeno un movimento, neppure uno dei più semplici.
Urtec, la voce interiore le rammentò subito qualcosa: «Sei vicina. Più ti avvicinerai a lui e più dolore proverai.».
Norack e gli altri si avvicinarono a lei per aiutarla, ma Meos intervenne: «Voi non potete fare nulla per lei. I mal di testa che lei avrà in futuro saranno sempre più forti, segno che è vicina al Comandante Erenock. Smetterà di averli quando sarà al suo cospetto.».
«Che cosa potete fare adesso per lei?» domandò Narhod rivolgendosi alle Sentinelle di Sangue. Era preoccupato e dispiaciuto per il dolore che quella donna provava, anche se non la conosceva.
«Nulla, dovrà solo sopportarli.» rispose Meos ritornando allo spiraglio di magia. Si dimostrò duro agli occhi dei Difensori della Fede, ma non lo era. Avvertiva il dolore che l’anima provava e sapeva che niente le avrebbe dato sollievo.
Il Trasportatore li catapultò nelle Caverne Bianche, situate nella montagna dello Spirito Bianco. Superate le caverne si fermarono ai piedi di un ponte di legno sospeso su un burrone molto profondo.
Diedero una rapida occhiata alla struttura che immediatamente classificarono come pericolante e alla fine, decisero di attraversarlo uno per volta. Il ponte era formato da tavole di legno vecchie più di trent’anni e alcune mancavano.
Le Sentinelle di Sangue furono le prime a superare il ponte, poi passarono Dranerre e due dei tre Difensori della Fede. Norack fu l’ultimo. Quando lui arrivò a metà del ponte, una raffica di vento passò tra le due pareti facendo dondolare l’intera struttura. «Norack reggiti forte.» gli urlò Clegan cercando di raggiungerlo, ma fu bloccato da Meos che scosse la testa.
«Sembra facile.» ironizzò lui cercando di aggrapparsi alle funi. Per mantenersi in equilibrio pose il piede destro sulla tavola successiva e appena lo poggiò si ruppe facendolo cadere, ma riuscì ad aggrapparsi a delle corde sottostanti.
«Dobbiamo aiutarlo o precipiterà.» Narhod prese l’iniziativa e creò delle funi dalle pareti circostanti che afferrarono il ponte per mantenerlo ben saldo.
Dranerre vide la situazione precipitare e intervenne. «Ci penso io.». Poggiò il piede sulla prima tavola e proseguì lentamente raggiungendo il re; a poche tavole da lui, Dranerre si rivolse a Norack: «Io non ti lascerò cadere.». E una seconda raffica di vento fece dondolare il ponte.
Norack riuscì con difficoltà a salire e Dranerre lo aiutò; prima che il ponte crollasse, i due si misero a correre a gambe levate. Saltarono e caddero ai piedi dei loro compagni proprio nell’istante in cui tutta la struttura si staccasse dalla roccia. Ripresero fiato e proseguirono per la cima… Clegan si avvicinò all’amico Norack e mettendogli una mano sulla spalla disse: «C’è davvero mancato poco. Pochissimo.».
Arrivarono in cima dopo un po', trovando nient’altro che neve e ghiaccio e alle loro spalle si avvicinavano sempre di più i capi clan dei Nemodurre. L’aria si era fatta pungente e quasi irrespirabile… con sommo dispiacere di Clegan non trovarono una grande porta come entrata.
Si guardarono in giro e Dranerre inciampò in una radice secca. Rimosse la neve e vide un’incavatura nel terreno di forma circolare e delle lettere in una lingua morta, intorno. Clegan e Norack si abbassarono per dare un’occhiata mentre Narhod si guardò intorno come le Sentinelle di Sangue.
«Che cosa dice?» domandò Narhod, fissando la donna e in seguito la stessa parete che Dranerre guardava.
«[6] Hu hoya behqnanu a kah roiqi bekenù….» si fermò un istante mentre scorreva con le dita ogni singola lettera, «… [7] ler nepincana a yikzonna yihoe yda yanyu… zuhhu naceku zahha naceka.» finito di leggere la frase guardò gli altri negli occhi.
«Che cosa vuole dire? Credevo che l’entrata conducesse nel Luogo Proibito.» le domandò confuso Clegan. Sperava come anche gli altri due in qualcosa di più maestoso e imponente, ma fu deluso nuovamente.
«La Regina delle Regine sta a indicare la Suprema Imperatrice, l’unica e sola Sovrana del Luogo Proibito, ma per il resto….» Dranerre era più confusa dei Difensori della Fede, lei era stata troppo tempo giù nell’Inferno e, molte erano le cose cambiate.
«Forse è solo una metafora o forse è ciò che dobbiamo fare. Ragionate… la luce filtrerà e nel vuoto finirà…, adesso qui abbiamo un’incavatura col fondo di….» s’interruppe Clegan dopo aver frantumato il fondo, «… terra. Ops, forse devo tenere ferme le mani, almeno per una volta.» si scusò lui alzando le mani.
«No, aspetta tu forse hai ragione. La luce filtrerà e nel vuoto finirà… e adesso l’incavatura è vuota priva di un fondo.» Norack lo guardò negli occhi sorridendogli e dandogli una pacca sulla spalla per complimentarsi.
«Dranerre.» la chiamò Urtec con tono nervoso.
«Non ora Urtec.» gli rispose lei zittendolo.
«Voltati e guarda l’entrata da dove siete venuti.» le ordinò lui provocandole un fastidioso dolore alla testa per farsi ascoltare.
«Dovevi proprio… farmi così male?» gli chiese lei infastidita e voltandosi. I Nemodurre li avevano finalmente raggiunti. «Voi occupatevi….» Dranerre s’interruppe perché pochi istanti prima Clegan aveva creato una sfera di luce che lasciò cadere nel vuoto.
Fu proprio in quel momento che Norack vide nella fessura una debole luce diventare sempre più forte; nell’arrivare in superficie esplose scagliandoli tutti a terra. L’esplosione si estese per poi ritirarsi e creare un raggio che si lanciò contro il cielo. Dalla sommità della colonna, scesero anelli di varie dimensioni che finivano nella base e si fondevano con il terreno. Ciò che li circondava assorbì l’energia del raggio e poco a poco tutto scomparve: una pietra dopo l’altra.
Non ci volle molto… la montagna sparì come anche tutte le terre circostanti. Tutto ciò che restò, fu il terreno che loro calpestavano. La neve invece si era librata in aria circondandoli fino al momento in cui il terreno non divenne cenere che poco a poco sparì; così dal centro del raggio si aprì un buco nero che si estese inghiottendoli tutti.
Al loro risveglio, i capi clan dei Nemodurre erano spariti e loro si ritrovarono in un ampio giardino abbellito da piante dai colori sgargianti. Ripresero subito a camminare e d’improvviso davanti a loro comparve una lunga e larga scalinata che li avrebbe condotti al palazzo. Gradino dopo gradino arrivarono in cima trovandosi dinanzi un enorme portone di marmo bianco con striature color nocciola.
Una volta oltrepassato il portone, si accesero, una dopo l’altra, delle enormi fiaccole - appese ai muri - mostrando due ingressi laterali con scale e uno centrale molto ampio. Attraversarono quello centrale, le cui pareti rappresentavano scene di banchetti dei guerrieri, draghi di ogni razza e serpenti smisurati.
Giungendo poi davanti a una sala, le guardie di turno si armarono: i Plinta. Queste creature erano alte più di tre metri. Il loro corpo era simile a quello umano, con occhi celesti, i capelli rosso fuoco e la pelle dorata. Le unghie erano lunghe dieci centimetri e appuntite, mentre la coda quanto l’altezza. Indossavano una cintura di ferro con decorazioni di uva – il loro cibo preferito – con della stoffa sulla parte centrale – avanti e dietro.
Un solo cenno delle Sentinelle di Sangue e, la porta si spalancò. Oltrepassata la soglia della porta, alte lingue di fuoco si accesero in pozzi scavati, lungo e pareti. «E adesso?» chiese Narhod sperando di non doversi pentire della domanda formulata.
Nessuno dei guerrieri sembrò rispondere e Narhod cominciò a sentire delle voci chiamarlo. Le parole che Meos pronunciò ai quattro divennero indistinte per Narhod e in seguito lo furono anche per Clegan. Fu allora che in un battito di ciglia, i due si ritrovarono nella Foresta del Silenzio.
Era simile alla Foresta Nera della Terra, ma con un particolare, non si udivano rumori di nessun genere. Gli alberi erano molto alti e, le fronde immense; c’era una tranquillità spaventosa che metteva i brividi.
Cercarono di capire, dove si trovassero e proprio a poco da loro qualcosa nella boscaglia li osservava…. I due camminarono lungo il sentiero che si apriva dinanzi scrutando nel buio della penombra qualunque tipo di animale. Di colpo si fermarono… si voltarono, ma non vedendo nessuno ripresero a camminare.
Entrambi avvertivano qualcuno o qualcosa alle loro spalle che li seguivano da quando erano arrivati, ma nonostante non ci fosse nessuno, i due proseguirono turbati. Erano diventati nervosi eppure furono entrambi ugualmente molto attenti a dove mettevano i piedi. Anche se non conoscevano quel luogo, sentivano che un minimo rumore avrebbe procurato fastidio a qualcuno.
All’improvviso qualcosa li colpì facendoli cadere; si alzarono immediatamente, ma furono scaraventati a pochi metri dal punto in cui si trovavano. Si voltarono a destra e a sinistra, avanti e indietro per capire che cosa li avesse colpiti, ma niente. Si guardarono ancora intorno e continuarono.
Dopo aver camminato per cinque minuti circa, lungo lo stesso sentiero, si fermarono per una voragine che ostacolava il passaggio. Clegan decise di passare oltre, ma fu bloccato da una voce soave che gli disse di fermarsi. Si voltarono entrambi, ma non aprirono bocca.
«Non andate oltre stranieri.» continuò la voce, «Voltatevi.» sussurrò al vento.
Obbedirono e si trovarono davanti ad una figura femminile formata da polline e petali di rosa bianca. Indietreggiarono di qualche passo proprio nel momento in cui lei sorrise dolcemente: «Seguitemi.» ordinò lei entrando in un grosso tronco d’albero molto vecchio.
La seguirono e si trovarono in una stanza con una volta a botte e un tavolo centrale circondato da sedie rivestite di petali colorati: «Qui voi potete anche parlare.» enunciò lei sedendosi.
«Perché siamo qui?» le chiese gentilmente Narhod sperando di care qualcosa.
«Siete qui perché vi ho chiamato per aiutarmi a liberare le mie sorelle.» la donna volteggiò nell’aria e i due restarono ad ascoltare. Lei sorrise e raccontò loro solo delle piccole cose: «Dovete sapere che le mie sorelle sono state rinchiuse nelle caverne sotto la foresta. Sono state catturate da creature generate dalla magia della Suprema Imperatrice, ma che ora sono passate dalla parte di….» s'interruppe e voltandosi verso i due sussurrò, «Lucifero….» ebbe paura di aver pronunciato quel nome e indietreggiò con eleganza nel chinare il capo.
«Come si chiamano queste creature? E chi sono?» le chiese Narhod per saperne di più.
«Volete dire che cosa sono?» con le sue parole lei specificò che quelle creature non erano umane e da sola pronunciò la risposta, «Sono gli Uomini Ombra.» rispose lei allontanandosi da loro e avvicinandosi a una lanterna di vetro.
Clegan si avvicinò a lei di qualche passo e fermandosi disse: «Tu non devi preoccuparti, noi ti aiuteremo volentieri.».
«Come può Lucifero controllare le creature della Suprema Imperatrice?» le chiese Narhod cercando di capire come fosse possibile una cosa del genere.
Lei si guardò intorno e poi rispose: «Il signore dell’Inferno è riuscito a controllarle dopo la strana scomparsa della Suprema Imperatrice.».
Clegan le chiese dove fossero adesso le sue sorelle e lei gli rispose indicandogli la direzione: «Sui confini delle due foreste.».
Raggiunto il confine delle due foreste, i tre si fermarono prima di varcare la soglia dell’altra, fatta da alberi pietrificati e l’essere confermò l’arrivo: «Siamo arrivati, le caverne si trovano proprio sotto di noi.».
«Noi come possiamo entrare?» le sussurrò Narhod voltandosi verso di lei.
«Seguitemi.» la creatura si diresse alla loro destra e arrivati a pochi metri da un albero, vi entrarono. Davanti ai due si presentò un mondo diverso da quello che si aspettavano. Erano delle altissime caverne dalle pareti bianche e il terreno grigio-nero dalle centinaia di migliaia di gallerie, piccoli corridoi e sale, affollate avvolte dagli Uomini Ombra e dalle creature delle due foreste.
Lungo tutte le gallerie si trovavano delle lanterne di cristallo con una fiamma alta che illuminava fortemente fino a due metri per lato. I tre scelsero una delle tante gallerie e s’imbatterono subito in alcune guardie che passarono oltre. Al contrario della superficie, le caverne erano chiassose e affollate.
«Sai, dove si trovano?» le chiese Clegan cercando con lo sguardo la direzione indicata.
Lei annuì e li condusse alle celle speciali e, Clegan notò sfere luminose che vagavano liberamente e chiese alla principessa che cosa fosse. Lei lo guardò e poi gli rispose: «Sono lucciole fatate, vivono dentro sfere luminose che creano personalmente.».
«Credo di avere un’idea.» disse Narhod poggiandosi contro la parete di pietra.
Liberate le due sorelle uscirono dalle gallerie e proprio allora alcuni Nemodurre si scontrarono con loro. Non appena incrociarono lo sguardo, si bloccarono di colpo restando immobili.
Zorduva recuperò da una sacca nel mantello una boccetta contenente un liquido verdognolo e, la gettò contro gli avversari che abilmente evitarono. Scapparono evitando di far rumore e furono inseguiti dai nemici, che crearono tanto rumore che le liane degli alberi si scagliarono contro i due e li afferrarono coprendo loro la bocca.
Narhod e i suoi amici oltrepassarono il confine e la principessa parlò: «Avete liberato le mie sorelle, io non saprò mai come sdebitarmi. Se un giorno avrete bisogno di aiuto, chiamatemi e arriverò.».
 
 
[1] I soldati del Comandante Gordoona stanno cercando Tagha. - (Lingua dei draghi)
[2] Dicono che alcuni indizi conducono ai sotterranei del loro palazzo, ma non sanno dove esattamente. – (Lingua dei draghi)
[3] Qualcos’altro? - (Lingua dei draghi)
[4] Il Comandante Gordoona ha radunato ad Aregiak tutti i capi dei clan dei Nemodurre per eliminare i Difensori della Fede e chiunque li segua in questa missione. - (Lingua dei draghi)
[5] Sono state preziose le tue informazioni. - (Lingua dei draghi)
[6] La luce filtrerà e nel vuoto finirà…. – (lingua del Luogo Proibito).
[7] … per risorgere e condurre colui che cerca… dalla regina delle regine. – (lingua del Luogo Proibito).

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Due prove da superare ***


Sesto capitolo
 
Seconda parte
 
Due prove da superare
 
 
 
 
Intanto i Nemodurre erano giunti stranamente nella Foresta del Silenzio. Si guardavano intorno e uno si chiese, dove fossero finiti e, prima che un altro potesse rispondergli, qualcosa passò con scatto fulmineo alla loro sinistra. «Avete sentito?».
«Sì, e non mi piace.» rispose uno guardandosi intorno con la coda dell’occhio.
«Dividiamoci in gruppi e cerchiamo degli indizi che ci conducano all’erede… fra un’ora ci ritroveremo qui.» consigliò uno intanto che si formavano i gruppi, «Che cosa c’è fratello? Che cosa ti turba?» domandò lui rivolgendosi al primo.
«È come se qualcosa ci stesse osservando.» rispose lui guardando sempre diritto davanti a se, in direzione del sentiero.
Entrambi stavano camminando senza dire alcuna parola, quando uno dei due inciampò in una radice che sporgeva dal terreno bestemmiando: «Per gli Dèi.» urlò il Nemodurre rialzandosi e distruggendo la radice.
All’improvviso qualcosa li passò accanto e si voltarono in quella direzione. Si guardavano intorno e ciò che videro erano soltanto foglie che cadevano. Non badarono a questo e proseguirono per il sentiero; uno dei tanti della foresta. Avanzarono solo di pochi metri, quando il sesto si fermò dicendo: «Io non capisco perché il Palazzo Ombrato si debba trovare proprio in una foresta.» con un tono alto e scocciato.
«Rilassati e goditi il panorama….» lo calmò il compagno, mentre s’imbatterono in due dei loro amici.
«A quanto pare i nostri cammini si sono incrociati.» dichiarò uno di loro ridendo.
«Noi non abbiamo trovato nulla a parte alberi, piante e radici.» si fermò il primo a pochi passi dai due con il compagno.
«Niente… e questo posto è così diverso dalle foreste che si trovano sulla Terra.» sostenne un’altro, mentre si guardò intorno, «Mette i brividi, ti senti osservato a ogni passo che fai.».
«Dobbiamo continuare fratelli.» ripeté il quarto, mentre a pochi metri da loro il terreno si mosse.
All’improvviso qualcosa colpì uno dei Nemodurre e lui voltandosi verso il terzo gli urlò contro: «Perché non la smetti?».
«Di fare cosa?» gli chiese lui non capendo cosa volesse.
«Di tirarmi sassi.» alzò la voce, infastidito.
«E come potrei farlo se non mi sono mosso?» domandò il terzo alzando il tono della voce, anche lui infastidito dall’altro.
Intanto il terreno dinanzi a loro si bloccò e i quattro vi si fermarono sopra a discutere; quando il tono della voce fu abbastanza elevato, il suolo diventò molle facendoli affondare: «Sono sabbie mobili, non muovetevi o sarà… peggio.» il Nemodurre alzò la voce e cercò di aggrapparsi a una radice.
Anche se stettero immobili, i quattro continuavano a sprofondare e di colpo un’onda li coprì facendoli affondare, mentre il terreno ritornò, a essere duro come prima. La foresta chiedeva silenzio e altri quattro furono azzittiti.
«Non temete sono un amico.» sostenne Narhod liberando la prima sorella fatta da foglie di diversa grandezza e colore.
«Tu chi sei?» gli chiese lei sorridendogli con gentilezza.
«Non è il momento delle presentazioni, vi spiegherò tutto più tardi.» glielo disse guardandola negli occhi nel tempo in cui uno dei Nemodurre fu legato e imbavagliato dalle radici che sbucarono all’improvviso dal terreno.
«Dove sei.» urlò uno dei Nemodurre all’altro mentre si guardava intorno cercandolo con lo sguardo atterrito.
Continuò a chiamarlo fin quando anche lui fu tirato nel sottosuolo. Gli otto restanti dovevano sparire. Nello stesso istante, dall’altra parte della foresta due Nemodurre stavano creando confusione distruggendo la vegetazione e foglie e polvere li risucchiandoli nel terreno.
Intanto Norack e le Sentinelle di Sangue erano giunte davanti a una porta di marmo nero intagliata con bassi e alti rilievi; raffiguravano due draghi che combattevano e tre serpenti che si mordevano le code. A un cenno di Meos i draghi si spostarono dal centro verso l’esterno, mentre i due serpenti si nutrirono del terzo e si posero a formare due maniglie.
La porta si aprì e nell’entrare videro tante luci fluorescenti accese; erano grandi quanto un pugno contro il soffitto. La sala era abbastanza grande da far passare un veliero completo di remi; nell’osservare i dettagli notarono solide colonne molto grandi composti a blocchi e uniti con una malta speciale.
Sul fondo una rampa di scale formava un ferro di cavallo che si univa al muro: la ringhiera di cui era composta la scala presentava piccole colonnine di marmo unite alla sommità da una larga fascia. Conduceva chi la saliva a un salone.
Norack notò anche che sotto i muri, scorreva lava in appropriati canali scavati nel pavimento, nei muri invece e nelle cavità vi scorreva acqua. Inoltre nello stesso pavimento radici robuste e verdi s’intrecciavano a esso fino a oltrepassare la porta sul fondo. In fine, incastonati nel soffitto, si trovavano tubi di vetro, dove vortici d’aria vi scorrevano e come per il resto anche questi conducevano alle rampe di scale.
«Sembra più un corridoio che una sala.» osservò Norack e nemmeno finito di parlare che allo schioccare delle dita di Meos, l’acqua nei muri, i vortici nei cilindri di vetro, le radici nel pavimento e la lava nei canali andarono oltre la porta. Osservarono quegli elementi librarsi in volo salendo le scale, gradino dopo gradino e arrestandosi davanti alla porta.
Una porta aveva la sommità ad arco inflesso, i bordi decorati da piante rampicanti in rilievo e il centro occupato da un diamante nero a forma di goccia, grande quanto la testa di un uomo. Il centro della porta mostrava due enormi serpenti che combattevano intrecciandosi. I loro occhi erano rubini, mentre il corpo era costituito da platino con sfumature in glafone giallo - a sinistra - e viceversa l’altro.
Fu meravigliato da tanta bellezza e ciò che lo colpì fu un paio di ali di drago spalancate, sopra le teste dei serpenti, invece sottostante le code, una spada. Norack osservò i guerrieri e formulò una domanda: «Userete quegli elementi?».
E in quel momento lasciate le quattro sorelle, Clegan e Narhod, furono catapultati in un’immensa prateria dall’erba alta e lussureggiante. Udirono subito il nitrire di un cavallo a poco da loro e si nascosero strisciando lentamente nell’erba senza far rumore. All’udire ancora il nitrito, i due corsero a gambe levate.
L’animale li inseguì e si distanziava dai due solo di una ventina di metri. All’inseguimento dei due si aggiunsero altri cavalli provenienti da tutte le direzioni. I due ragazzi dopo un po' cominciarono ad avere il fiatone… avvertirono il galoppare dei cavalli alle loro spalle contro il vento mentre con gli zoccoli falciavano l’erba che si sollevava dal terreno a ogni loro passo.
A un certo punto, nel voltarsi, i due finirono con il cadere a terra… restarono rigidi nel vedere quei cavalli sollevarsi sulle zampe posteriori.
I sei stalloni avevano pelle rosa, il manto e i crini bianchi. Cinque di loro portavano la criniera corta, il sesto l’aveva lunga e liscia con fili d’argento intrecciati. La muscolatura era regolare alla grandezza e gli zoccoli erano chiari come i loro occhi.
Subito uno dei cavalli si fece avanti con voce altisonante: «Quali Difensori della Fede voi siete?».
I due esitarono nel rispondere, ma vedendo la loro rabbia negli occhi Clegan rispose per entrambi: «Io sono Clegan Nuhr Erocne e, lui è il mio amico Narhod Olak Horev.».
«In molti si sono presentati a noi e in là, dove pochi hanno vinto, in tanti sono caduti.» Talyzz cercò di intimorirli, mantenendo comunque il suo portamento altezzoso.
I ragazzi non diedero risposta e li seguirono conducendoli alle grandi Stalle di Erzzaj. Era un edificio eretto su una vasta pianura; l’enorme portone d’entrata fungeva da ornamento per le semplici mura. Una volta all’interno notarono il bellissimo spiazzale ornato al centro da una fontana circolare sovrastata da un tempietto con quattro cavalli rampanti per ogni lato.
Proseguirono… oltre la fontana, la grande cancellata di ferro battuto rivestita di ottone immetteva nella piccola sala e nei tre corridoi che la circondavano. S’introdussero nel corridoio di destra che li condusse a un portone di piccole dimensioni che si aprì al solo nitrire di Talyzz.
Il luogo era un immenso labirinto di recinti, dove uno specifico ordine li portò davanti a quello di un unicorno malato. L’animale si trovava sdraiato sul fieno che respirava a mala pena e in compagnia di Octavyus, uno degli Acotoon Guaritori. La sua altezza era nella media… i suoi capelli ricci e corti fino alle orecchie di colore rosso erano tipici della sua specie. Il colore degli occhi era chiaro, mentre la pelle avorio aveva qualche sfumatura giallastra su polsi e caviglie.
Talyzz si avvicinò con cautela e chiese come stesse l’unicorno e Octavyus con sguardo serio e rammaricato gli rispose: «Il battito cardiaco è molto debole.».
In quell’istante uno dei cavalli cadde sulle zampe anteriori… gli Acotoon si avvicinarono a lui seguiti dai due ragazzi che li aiutò: «Cos’ha?» domandò preoccupato Narhod.
«Tutte le creature sono malate o deboli. Nessuno di loro beve o mangia da ormai molto tempo.» rispose Paluek, il capo degli Acotoon Allevatori. I capelli di questa specie di Acotoon erano anch’egli corti, ma di colore castano scuro privo di trecce o codini. Il colore degli occhi era identico a quello dei capelli, il quale risaltava sul bianco latte della pelle. Gli Acotoon Allevatori indossavano una tunica bianca, con due spacchi ai lati, ricamata in argento e le maniche strette; simili i pantaloni e gli stivali.
Dopo aver visto la sofferenza delle creature di quel mondo, i due furono catapultati nella Foresta Pietrificata. I ragazzi si chiesero perché fossero lì e la risposta giunse con l’arrivo del Grande Cervo Corvino.
Camminava lento nella sua fierezza del nobile animale. Era un adulto, un palco di bellissime corna e occhi profondi. Il suo manto era nero come la pece e il suo portamento regale come quello di un giusto re. Si avvicinò a loro con disinvoltura, un passo alla volta, per chinare la testa e bere, quando ebbe finito, si voltò verso i due stranieri e si pronunciò: «Vi consegnerò ciò che serve, ma se lo userete per scopi impropri, esso non vi servirà a nulla.».
Il Cervo Corvino face loro un inchino con il grande palco di corna e dall’occhio sinistro scivolò una lacrima che mutò in una boccetta di cristallo. Narhod la raccolse e con l’amico lo ringraziò con un lungo inchino della testa.
I ragazzi precipitarono nel vuoto e nell’aprire gli occhi, si ritrovarono in un giardino molto ampio e rigoglioso di svariate piante. Si alzarono e si pulirono dalle foglie e dalla terra, ma l’attenzione dei due fu catturata da un immenso vortice che fu a pochi metri da loro in una decina di secondi.
Non restarono a guardare e presero a correre a gambe levate cercando di schivare gli innumerevoli detriti che questi rilasciava dal suo turbinio. Cercarono di seminarlo intrufolandosi nel fitto della vegetazione e purtroppo caddero in un pozzo senza fondo largo più di tre metri.
Il loro precipitare si arrestò su una lastra di ghiaccio battendo la testa. Persero i sensi, ma alcune radici li avvolsero prima che la lastra si frantumasse. Li calarono dolcemente nel vuoto fino a poggiarli su un terreno morbido e fangoso….
Una ventata di aria fredda li risvegliò e alzandosi Narhod finì col battere la testa contro il soffitto che si era creato. «Aria fresca, allora c’è una via d’uscita.» ipotizzò Narhod poggiando la mano sul muro e finendo dall’altra parte.
Il luogo non era freddo ma tiepido anche se il terreno era completamente ricoperto da uno strato di neve alto un metro. Usciti allo scoperto e cominciato a esplorare il luogo con estrema difficoltà, con il loro corpo crearono un sentiero lasciando addirittura le loro impronte. Poco dopo giunsero davanti a una lastra di ghiaccio e materializzarono nelle mani sfere di luce circondate da orbite rosse e le scagliarono contro la lastra distruggendola in mille pezzi.
Entrarono e dopo poco scesero una scala giungendo in un’ampia sala con alcune colonne di ghiaccio spesse e ricoperte dalla neve. Ve ne erano cinque su entrambi i lati e una centrale più grande in fondo. I muri erano a strati e incastrati a essi vi erano punte di acciaio. Come i muri anche il soffitto era pieno di punte affilate e sembrava abbassarsi lentamente a ogni sguardo riversato su di lui.
«Questo posto non mi piace, emana energia negativa.» sostenne Clegan avvicinandosi alla colonna centrale, mentre Narhod gli diede ragione.
Di colpo una colonna esplose e i due si accucciarono per non essere colpiti dai detriti. La colonna aveva intrappolato un Acotoon Sapiente. Al contrario delle prime due specie conosciute, i Sapienti avevano una chioma liscia e lunga di colore bianco, portati sciolti. Anche gli occhi cambiavano diventando di un azzurro chiaro, mentre ciò che si evidenziava di diverso era il colore della pelle: verdastro.
L’Acotoon stava per cadere al suolo quando Clegan riuscì ad afferrarlo in tempo; lo adagiò sul pavimento e Narhod con il suo potere cercò di riscaldarlo. Bastarono pochi istanti e l’Acotoon si risvegliò... aprì gli e si alzò con un forte mal di testa.
«Io sono Awil un Acotoon Sapiente.» si presentò hai due, seguito da un inchino, «Sono stato rinchiuso qui per essere un alleato della Suprema Imperatrice. Tutti gli altri furono uccisi o resi schiavi. Voi perché siete qui?» domandò curioso.
«Non lo sappiamo, siamo catapultati da un luogo all’altro forse perché il Luogo Proibito ci sta chiedendo aiuto….» rispose Narhod avvicinandosi a una colonna alla sua destra.
«Vi conviene fare molta attenzione a queste colonne.» lo avvertì Awil osservandosi in giro.
«Perché?» gli chiese Narhod, mentre si voltò verso di lui allontanando poi la mano dalla superficie della colonna.
«Queste colonne contengono un gas chiamato Lipor di colore viola se si respira, si muore soffocati.» rispose Awil, mentre anche Clegan staccò di netto la mano.
Dopo aver camminato per ore, i tre raggiunsero una caverna con un fiume all’interno: «Qui si trova ciò che vi serve per aiutare quelle creature… io però non posso andare oltre. Addio e grazie di avermi liberato, sono in debito con voi.».
Ringraziarono Awil e avanzarono decisi nel buio… dopo qualche minuto videro una luce fioca in lontananza e sguainarono la spada. La luce si faceva sempre più forte fin quando non si scagliò contro di loro investendoli e loro si voltarono per non essere accecati.
I due ragazzi rinvennero vicino una parete rocciosa ai piedi di un precipizio e sotto di esso un fiume di lava. Si avvicinarono al bordo e fu allora che Narhod notò la sua spada incastrata fra due rami incrociati a un metro sotto di loro. «E ora come recupero la spada?» si chiese cercando di non guardare.
Ci fu una forte scossa e, Narhod per non perdere la spada, si lanciò per afferrarla mantenendosi a una fessura nella parete. Si allungò più che poteva e quando riuscì a raggiungerla scivolò precipitando nel vuoto. Afferrò la spada e la conficcò nella parete fermandosi sopra il fiume di lava.
Sotto di lui, la lava ribolliva freneticamente e all’improvviso al suo fianco si trovò una corda creata dalla roccia da Clegan. Narhod la afferrò e cominciò a salire… una volta su, quel punto di roccia si sbriciolò facendoli precipitare nel vuoto. Si rialzarono di colpo ricoperti dalla melma e si avvicinarono a un pozzo per ripulirsi, ma furono assaliti da un mostro fatto d’acqua: «Siete puliti, ora.».
Il mostro d’acqua si avvicinò ai due e indicò loro una direzione; a una trentina di metri dal pozzo c’era un altare di legno e sopra una bacinella colma fino all’orlo di acqua e petali bianchi. Clegan si avvicinò all’altare fermandosi a guardare la bacinella e i petali; osservò incredulo prima di toccarli. I petali si librarono in aria volteggiando e poi unendosi in una grande rosa aperta. Ciò che restò si sbriciolò….
«È la Rosa di Idesenne… l’Acotoon Giardiniere personale della Suprema Imperatrice. Al centro c’è un nucleo di energia vitale… riproducono all’istante i petali che sono strappati.» gli spiegò il mostro fermandosi accanto a Narhod.
Entrambi i guerrieri si ritrovarono catapultati nelle stalle di Erzzaj. Lì i due Difensori della Fede capirono che gli oggetti che avevano recuperato sarebbero serviti per aiutare quelle creature.
Clegan si avvicinò a uno dei box laterali… entrò facendo attenzione ma l’animale s’innervosì comunque portandosi sulle due zampe posteriori. Clegan alzò la mano destra contro il cavallo alato e cercò di calmarlo: «Non voglio farti del male.».
L’animale ritornò sulle quattro zampe e Clegan lo accarezzò sul muso…. Lui notò i contenitori per il cibo e l’acqua distrutti dagli zoccoli delle creature e del tutto vuoti… prese il sacchetto più piccolo e tirò fuori la boccetta versandone poco.
Coloro che gli stavano intorno cercarono di capire che cosa stesse combinando e fu data loro la risposta che aspettavano. L’abbeveratoio si riempì di acqua purissima mentre Narhod ripeté il gesto con la Rosa di Idesenne. Si misero tutti all’opera senza perdere tempo prezioso.
Una volta aiutate tutte le creature della scuderia, i due Difensori della Fede si fermarono un istante per riprendere fiato e dissetarsi. A quel punto Talyzz si avvicinò a loro per parlare. «Le lacrime del Grande Cervo Corvino… deve aver avuto molta fiducia in voi per concedervi la cosa più preziosa che avesse.».
Clegan e Narhod si voltarono verso di lui e il primo disse con tono caldo e gentile. «Credo che abbia visto nei nostri cuori ancora prima di conoscerci.».
Talyzz gli passò davanti e…. «Voi avete fatto passi avanti… devo ammetterlo, il mio padrone aveva ragione.».
«Chi di loro lo è?» gli chiese Narhod camminandogli di fianco mentre si asciugava l’addome coperto da acqua e sudore.
«Meos è il mio cavaliere.» gli rispose Talyzz fermandosi di colpo, «Il vostro ruolo è necessario in questo luogo principe Narhod, ma questo non significa che sia vincolante.» terminò lui ritornando indietro.
«Aspettate… se non siamo necessari, perché il Luogo Proibito ci ha chiesto aiuto?» gli domandò Clegan non trovando risposta alle sue parole.
«Ve l’ho detto, siete necessari, ma non vincolanti.» ripeté Talyzz aumentando il passo.
«Mia madre mi ha parlato di voi.» Clegan alzò la voce serrando le mascelle, mentre la sua rabbia per il comportamento che quell’animale aveva cresceva.
Si voltarono tutti verso i tre e Talyzz fermandosi parlò: «Vostra madre… Adix Erocne, una donna o forse dovrei dire un angelo, non è così principe Clegan? E invece per voi principe Narhod, un angelo lo è vostro padre Tügar Rounehr… ho sbaglio?».
«Come…?» si bloccò Narhod deglutendo.
«Sì, so chi siete voi Difensori della Fede e di chi siete i figli.» Talyzz si avvicinò ai due con passo rapido e testa alta per continuare, «Lui conosce tutto… salvate chi ve lo chiede… fermate Lucifero… non tornate mai più in questo luogo.» terminò fermandosi a pochi centimetri da loro.
«Lei aveva detto che….» Clegan fu nuovamente interrotto da Talyzz che un po' lo odiava.
«Dimenticate ciò che i vostri genitori vi hanno detto e tornate indietro. Tornate nel vostro mondo fin che siete in tempo.» gli urlò contro anche lui visibilmente arrabbiato.
«Mai.» dichiararono brevemente entrambi i guerrieri.
«Allora datevi da fare.» Talyzz si allontanò e solo dopo averli rimproverati per bene.
«Angeli.» fu l’unica parola pronunciata da Dranerre.
«Non badate alle parole dette con rabbia da Talyzz.» intervenne Senga avvicinandosi, «Le molteplici creature che popolano questo luogo, conoscevano gli angeli che servivano Dio e quello che è accaduto, li ha… come dire, delusi.» gli spiegò Senga fermandosi di fronte ai due.
«Incluso Talyzz, immagino.» Clegan e Narhod capirono e Senga non disse nulla… dal suo silenzio i due Difensori della Fede comprese.
«Dovete sapere che Erenock ha continuato a rendere vivo questo luogo… senza di lui l’intero universo sarebbe perduto.» raccontò alcune cose guardandoli negli occhi, «Lui conosce questo luogo più di chiunque altro e sa qual è la sua storia. Molte cose sono accadute e alcune sono state dimenticate poiché andavano, oltre la capacità della vita di ognuno.» finì lui nitrendo e scuotendo la testa.
«Qual è il rapporto fra Lucifero ed Erenock?» Narhod azzardò quella domanda con difficoltà.
«Domanda intelligente principe Narhod.» affermò Senga girando intorno ai due ed esitando nel comunicare quell’informazione.
«Rispondi.» insistette brevemente Clegan restando al suo posto.
Senga si fermò alle loro spalle e rispose alla domanda alcuni secondi dopo: «Lucifero ed Erenock si odiano, ma in cuor suo, il primo ama il secondo. Non cercherebbe mai di ucciderlo, andrebbe contro le leggi dell’Ordine Primario e contro il suo stesso cuore.».
«Vuoi dire che Lucifero prova qualcosa di profondo e vivo nei confronti di Erenock?» la domanda di Narhod fu posta quasi con shock.
«Ricordate le mie parole principi Clegan e Narhod e quando sarà giunto il momento, capirete il loro significato.» Senga proferì le sue ultime parole, prima che i due rientrassero.
Clegan e Narhod cedettero ben volentieri agli abitanti del Luogo Proibito i due doni che lo stesso regno aveva concesso ai Difensori della Fede. «Vi siete comportati degnamente principi della Terra.» si congratulò Senga inchinandosi ai due.
«Noi non abbiamo fatto niente di speciale, solo aiutato chi ne aveva bisogno.» affermò Narhod liberando entrambi da ogni eroismo.
«Avete fatto molto.» si pronunciò Talyzz giunto alle sue spalle e scusandosi abbassando la testa.
«Pensavo che voi credeste il contrario.» insinuò Clegan con sguardo serio.
Talyzz si avvicinò a lui e gli si fermò di fianco dicendo: «Anch’io posso sbagliare.».
Sac’Ul si avvicinò ai due e pose loro una domanda: «Siete disposti a compiere un’azione che non vi è stata richiesta dal Luogo Proibito?».
«Non c’è bisogno di chiederlo.» rispose il principe Clegan senza pensarci sù.
«Bene…. Aiutate Laisieerre ….» Sac'Ul lanciò a Talyzz uno strano sguardo e quest'ultimo si alzò sulle zampe posteriori come per attaccare Clegan.
L’istinto del principe lo portò a retrocedere fino a cadere, ritrovandosi in un campo di erba verde e alta che arrivava ai fianchi. Stranamente Urtec si presentò al guerriero e gli indicò la direzione e lui cominciò a correre. La brezza che gli sfiorava la pelle gli scatenava una strana reazione e l’adrenalina si mescolò al suo sangue.
I lunghi arbusti mossi dal vento sprofondavano nel terreno morbido e Clegan mutò in un bellissimo falco; sorvolò il campo e fece udire al Luogo Proibito il suono della sua voce. Si appollaiò su un ramo e vide i due Laisieerre tenere testa ai Nemodurre. Uno dei due, il più giovane, pur essendo ferito gravemente continuò a combattere.
«Stranieri nel nostro territorio.» parlò il primo dei gemelli.
«Che cosa fate in questo luogo?» chiese l’altro gemello avvicinandosi di più.
«Siamo qui per i membri delle Sentinelle di Sangue non per combattere.» si pronunciò con cautela un Nemodurre.
«Le Sentinelle di Sangue non vi desiderano e voi stranieri non siete i benvenuti nel loro mondo.» li avvertì il secondo fratello mostrando i denti.
«Quali sono i vostri nomi? Noi non desideriamo parlare con chi non conosciamo.» domandò con tono di superiorità un Nemodurre facendosi avanti.
«Io sono il fratello maggiore e il mio nome è Abokan.» rispose il primo a destra.
«Io sono il secondo, nato tre minuti dopo mio fratello e il mio nome è Aveen.» si pronunciò l’altro.
«Ora che ci siamo presentati andatevene via da questo luogo.» gli intimò Abokan avanzando ancora di più.
I Nemodurre impugnarono altre boccette e avanzarono di alcuni passi, ma furono bloccati dal loro primo che si avvicinò ai due cani. Non soffiava un alito di vento sulla foresta e il silenzio ne era il padrone, poi Abokan parlò: «Siete solo marciume in cerca di guai e non sapete a cosa state andando incontro.».
«State giocando con il fuoco ed esso è un Elemento pericoloso… andatevene via fin quando siete in tempo.» li avvertì ancora una volta Aveen guardando fisso il primo.
«Non andremo via e se necessario combatteremo.» il secondo alzò un po' la voce serrando le mascelle, «Noi non abbiamo nulla da perdere.» si fermò.
Il falco si lanciò contro uno dei Nemodurre colpendolo ripetutamente al volto. Si allontanò per tornare in forma umana ed estraendo la sua spada si scagliò sul suo precedente bersaglio ferendolo, compiendo un giro su se stesso. La ferita non emise sangue, ma il Nemodurre cadde.
Clegan fermò con la lama della sua spada una sfera elettrica prima che colpisse Abokan. Lui e suo fratello Aveen erano due Laisieerre… i grossi cani neri dall’altezza di un metro e trenta e dalla lunghezza doppia, infondevano nei loro nemici la paura più profonda. Avevano enormi zampe, pelo corto, una coda lunga e zanne affilate. In particolare di colore rosso sangue erano gli occhi che emanavano uno sguardo tagliente.
Il Nemodurre sorrise nel vedere uno dei Difensori della Fede e gli domandò: «Guarda. Guarda… uno dei Difensori della Fede nella Foresta di Rovi, che cosa puoi mai fare tu qui?».
Clegan roteò la sua spada con la mano destra e poi si pronunciò: «Siete la feccia reclutata dal Concilio dell’Ombra e recuperata all’Inferno da un verme.» fu chiaro nelle sue parole ed espresse senza mezzi termini ciò che pensava di loro.
«Siete qui per un compito, proprio come noi. Non potete giudicare nessuno, specialmente noi.» intervenne il sesto tenendosi il braccio destro stretto.
«Non siete i benvenuti in questo luogo, ritornate indietro e rinunciate a ogni cosa.» Narhod li minacciò e il suo volto era così serio da far indietreggiare i Nemodurre.
Quei mercenari dovevano rinunciare in quel momento, non potevano essere sicuri che Clegan fosse solo. Se ci fossero anche gli altri Difensori della Fede nascosti per un attacco a sorpresa, i Nemodurre non avrebbero avuto scampo. «Ritorneremo indietro, ma ci rincontriamo sulla Terra… principe.» dichiarò il primo arrendendosi, guardato in malo modo dai suoi fratelli.
I Nemodurre se ne andarono e i due Difensori della Fede si avvicinarono ai due fratelli: «Potete aiutarlo?» gli chiese Abokan respirando affannosamente.
Narhod gli rispose di sì e pose le mani sulla prima ferita emanando raggi luminosi che la guarirono completamente non lasciando alcuna cicatrice. Clegan invece gli curò le ferire riportate sulla faccia e quando entrambi ebbero finito, Abokan li ringraziò: «Vi siamo debitori per questo.».
«Non abbiamo fatto nulla d’importante.» Clegan si alzò, mentre le sue parole li sminuivano.
«Avreste salvato mio fratello se non vi fosse stato chiesto?» gli domandò Abokan durante il tempo in cui Aveen si rialzò.
«Certo, ci è stato insegnato che bisogna aiutare chiunque, a volte anche il tuo stesso nemico.» rispose Clegan nel momento in cui Abokan si avvicinò a lui.
«Le tue parole sono sincere….» s'interruppe Abokan ululando, mentre i due Difensori della Fede scomparvero.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Annuhyev ***


Settimo capitolo
 
Annuhyev
 
 
 
 
In quel preciso istante però all’Inferno, l’immensa sala costituita da mura composte di corpi umani era parzialmente oscurata. Le luci si accesero lentamente fino ad arrivare al collo di Lucifero. Era seduto sul suo trono di pietra intagliata nei minimi particolari – teschi, mani e volti umani - quando Izhar gli domandò: «Tu come intendi comportarti con lei adesso?».
«Per il momento non farò nulla, si vedrà in seguito….» gli rispose lui con indifferenza ma rabbia dentro di lui.
«Credevo che tu non aspettassi mai nei tuoi attacchi.» si udì una voce alle spalle di Izhar.
«Ed io che non tornassi più da me.» dichiarò lui con tono soddisfatto.
«Come vedi ti sei sbagliato….» affermò Dranerre uscendo allo scoperto, mentre Izhar si avvicinò a lei rapidamente.
«Lasciaci soli Izhar.» gli ordinò lui, mentre Izhar uscì dalla sala, «Allora a cosa devo l’onore di questa tua visita?» finì lui quasi sorpreso.
«Solo ha dirti che forse ritornerò da te.» lo informò avvicinandosi a lui.
«Come mai questa scelta?» le domandò Lucifero, con una certa soddisfazione nel tono di voce.
«Stando con i Difensori della Fede e le Sentinelle di Sangue… ho capito alcune cose.» rispose Dranerre fermandosi a pochi passi dal trono, mentre Lucifero era incuriosito e impaziente di riaverla con sé. «Cose, che avrei dovuto capire molto tempo fa… come ad esempio approfittare degli umani e arrivare al proprio scopo.» gli rispose Dranerre facendo uno sguardo sensuale e avvicinandosi a lui ancora.
«Vuoi farmi capire che tu stai agendo in questo modo solo per impossessarti della vita di Erenock?» le chiese Lucifero sbalordito del suo piano.
Dranerre salì i tre gradini del torno e si fermò a pochi centimetri dalle sue ginocchia. Gli salì sulle gambe guardandolo negli occhi e si sedette lentamente portandogli le mani sul volto. Spostò all’indietro il cappuccio, ma il suo volto non era visibile, era nascosto da un’ombra che la fece rabbrividire.
Gli si avvicinò all’orecchio sinistro, per quanto fosse difficile vederlo, e gli diede la sua risposta: «Io voglio di più del suo semplice corpo….» usò voce calda per eccitarlo e convincerlo, «Voglio ciò che Erenock possiede, ma per questo ho bisogno del tuo aiuto.» e Dranerre concluse leccandogli l’orecchio.
Quando Dranerre gli sussurrò quelle parole, Lucifero ebbe un brivido che gli arrivò alla spina dorsale. Non gli era mai capitato, una cosa del genere e di scatto le afferrò le mascelle e la baciò andando nuovamente contro le leggi dell’Ordine Primario….
Una delle leggi più importanti dell’Ordine Primario era incisa con il sangue su una lastra di marmo bianco che si trovava nel Luogo Proibito. Essa diceva:
Nessun essere appartenente all’Ordine…, dovrà mai profanare il corpo di alcuna razza. Se questa legge fosse violata, la punizione andrà ben oltre la morte stessa.
Se Dio, la Regina Terrena e i Draghi della Sapienza fossero vivi, avrebbero punito Lucifero con il privargli dell’immortalità e dei suoi poteri, rendendolo schiavo della morte e della vita: un comune mortale.
L’impeto con cui la baciava era avido e violento e Lucifero incominciò a provare una strana sensazione allo stomaco. Spostò la sua bocca sul collo e pochi secondi dopo, le denudò il petto accarezzando i suoi seni. Di scatto Lucifero la afferrò per i fianchi tirandola a se e con un impeto rude le baciò i seni e fu allora che Dranerre - a quel gesto - gettò la testa all’indietro per un senso di eccitazione.
Intanto gli occhi della donna s'illuminarono e dalla sua bocca uscì una scia bianca che avvolse Lucifero per soli tre secondi. Dranerre gli portò le mani dietro il collo restando con la testa all’indietro… si staccò da lui di colpo… lo guardò fisso negli occhi per alcuni istanti e si alzò dalle sue gambe. Si ricoprì… scese i gradini e si portò al centro della sala fermandosi.
«Resta qui con me.» la supplicò Lucifero portando il busto verso di lei.
«A quale scopo… Lucifero?» gli chiese Dranerre con il respiro veloce.
«Io provo dei forti sentimenti per te e voglio che resti al mio fianco.» le rispose Lucifero tremando con la voce.
«Lo farò, ma non ora… se i Difensori della Fede e le Sentinelle di Sangue dovessero scoprire che sono stata qui, non potrei raggiungere il mio obiettivo.» asserì lei convincendolo, «Ritornerò quando sarà il momento giusto.» finì lei sparendo.
Un Nemodurre aprì gli occhi e si vide intrappolato, insieme ai suoi compagni ancora privi di sensi, nelle pareti di un’immensa caverna circolare. L’essere ancora confuso riuscì a liberarsi con difficoltà e a esplorare il luogo. Nel suo esatto ritorno con cibo e acqua, i suoi fratelli si erano già risvegliati e liberati.
«Non siamo sicuri che sia buona.» sostenne un secondo Nemodurre guardando ciò che il fratello aveva portato.
«C’è solo un modo per saperlo… è provare.» dichiarò lui posando il cibo e l’acqua dinanzi ai loro piedi.
«Cerchiamo di rimanere saldi.» intervenne il primo rimproverandoli, «Nostro fratello ha ragione, dobbiamo provare siamo qui da molto tempo ormai.» finì lui prendendosi una mela. Iniziarono a mangiare e a bere e non accadde nulla, così si rifocillarono per bene e cercarono un modo per uscire da quel luogo.
Furono fortunati perché dopo un po' mentre i Nemodurre si divisero per perlustrare per l’ennesima volta il luogo circostante, uno di loro si era fermato per riposare. Si sedette su una grande pietra bianca che di colpo sprofondò nel terreno.
Così corse a chiamare gli altri e mostrò loro anche una pietra circolare e piatta abbassata in ciò che restava di un pavimento di marmo. Ne notarono altre, e le abbassarono tutte. Si aprì lentamente una botola circolare, dove Zorduva scese per primo. Appena mise piede su un terreno morbido, sentì un cattivo odore provenire dal fondo del cunicolo ed ebbe la nausea.
Si diede un contegno e proseguì con i suoi fratelli. Andò avanti lungo quel cunicolo, coprendosi la bocca e il naso con uno straccio pulito. Si ritrovò poco dopo in una sala priva di pavimento e con una piattaforma centrale e su di essa un piedistallo. Questo reggeva una tavola di marmo bianco con striature rosse e gialle, dove c’era incastonato un oggetto circolare.
Zorduva si fermò e insieme ai suoi fratelli creò un ponte che raggiungesse la piattaforma. Ci vollero un paio di ore per terminare il ponte e alla fine, Zorduva si avvicinò al piedistallo. Quando cercò di recuperare l’oggetto, prese una leggera scossa.
Le pareti della stanza crollarono, mostrando delle sfere di metallo nascoste da specchi. Di colpo il vuoto sottostante si riempì di olio fino ad arrivare quasi ai piedi di Zorduva. La scossa presa in precedenza da lui, attivò le sfere negli specchi. Uscirono attraverso questi e toccando l’olio, lo incendiarono.
Il Nemodurre si ritrovò circondato dalle fiamme come l’oggetto e, la temperatura aumentò di colpo. Nello stesso istante la terra incominciò a tremare e Zorduva decise di recuperarlo prima che l’entrata fosse sigillata dai massi sovrastanti l’arcata. Prese una boccetta e ne bevve il contenuto, poi afferrò i bordi dell’oggetto e tirò con tutta la forza che aveva.
I massi intanto iniziarono a cadere fra le fiamme, alzando il livello dell’olio. Le fiamme appiccarono il fuoco agli abiti che Zorduva indossava e per tutta sua fortuna riuscì a recuperare l’oggetto e a uscire giusto in tempo con gli altri Nemodurre prima che fossero seppelliti o peggio bruciati vivi.
Una volta in salvo, Zorduva mostrò ciò che aveva recuperato agli altri: si trattava di un medaglione molto potente che fu rinchiuso in quella sala per la sicurezza del Luogo Proibito e non solo. Ora però si trovava nelle mani dei Nemodurre.
Dall’altra parte invece la porta si spalancò grazie alla combinazione simultanea degli elementi e dal buio della sala uscì, con velocità fulminea, una nube nera che si scagliò contro di loro occupando per intero il corridoio. Una sottile polvere fu lasciata dalla scomparsa della nube che inconsapevolmente fu inalata dai presenti. Si alzarono un po' storditi e osservarono la porta spalancata… un muro di luce, però bloccò l’entrata e toccò a Dranerre.
All’improvviso Dranerre comparve di fronte alla porta. Sentì al contrario di tutti una voce: “Tocca il muro di luce” mentre lei indugiò.
«Dranerre fermati.» le urlò il re bloccato però da Meos.
«Toccalo. Tocca il muro di luce.» urlò la voce che rimbombò sulle mura; Dranerre allora obbedì e questo sparì… poi la voce continuò: «Entra Dranerre.».
Gli altri la seguirono senza porre domande…. Entrati, ai loro occhi si mostrò una sala immensa e ai lati, statue di donna con le mani congiunte, di almeno dieci metri d’altezza che si ripetevano per dieci volte su altrettante basi circolari.
Dranerre si fermò di colpo e osservò il fondo della sala, nascosto da tendaggi di seta in porpora rossa. Norack, visibilmente preoccupato per la sorte di quella donna che aveva smosso il suo cuore, pose una domanda ad alta voce, senza rendersene conto. «Che cosa accadrà adesso?».
«Si compierà il suo destino….» rispose Ahdnorog mentre Dranerre si avvicinò ai tendaggi che si polverizzarono, non appena lei li sfiorò mostrando cosa c’era dall’altra parte.
Una piattaforma esagonale con tre basi di diversa grandezza, in marmo bianco, reggeva un pesante trono di semplice ornamento di legno d'Aghezz e altro….
L’essere che vi sedeva era pelle e ossa e indossava un semplice panno di velluto rosso porpora bordato in platino che gli copriva dalla vita in giù. Una fascia di seta rivestita da una sottile patina di glafone giallo, ancora integra, gli cingeva la vita, mentre un drappo scendeva centrale a toccare il pavimento e si confondeva con esso.
Brandelli di stoffa pregiata, ormai rovinata, rivestivano il busto… ogni cosa era ricoperta da centinaia di ragnatele resistenti. Le unghie raggiungevano il pavimento e dall’elmo si potevano vedere lunghi capelli che avvolgevano lo schienale del trono.
Le Spade Gemelle si presentarono a lei, mentre Arzzekan si pose al collo dell’essere scheletrico e un potente fulmine si sprigionò da esso colpendo la donna.
Gridò….
Una rete di energia avvolse il suo corpo, mentre Norack si precipitò verso di lei, bloccato però da un muro invisibile.
Dranerre cadde all’indietro… il corpo giaceva inerme… gli occhi guardavano nel vuoto. Le sue vesti divennero polvere… le sue membra furono coperte da uno strano liquido denso di colore grigio… il sangue che le scorreva nelle vene assorbì l’energia e si alzò.
Quando il suo volto incrociò quello dell’essere, nell’aria riecheggiò una voce: «Ti aspettavo…. Ora niente e nessuno, ci potrà più dividere… nemmeno Lucifero.».
«Erenock.» Dranerre pronunciò il suo nome e il corpo spalancò gli occhi emettendo un faticoso respiro. Soltanto il suono della sua voce lo fece rianimare… le mani e il resto del corpo scricchiolarono. Pochi secondi dopo pronunciò il nome di Dranerre con flebile voce.
Alzò la mano destra indicandola… lei avanzò verso il trono… salì… allungò la mano sinistra verso di lui e si sfiorarono delicatamente…. Le unghie attorcigliate su loro stesse si ritirarono… i capelli si polverizzarono… lentamente Erenock assorbì la sua essenza e il suo corpo.
Alla fine di Dranerre non restò altro che il ricordo. Erenock stava tornando…. I suoi occhi ritornarono a essere del colore del cielo in estate… a incutere terrore. Le Spade Gemelle distrussero le catene che lo imprigionavano e sparirono… Erenock era libero. I suoi compagni, membri delle Sentinelle di Sangue si chinarono al suo cospetto.
I suoi occhi rividero la luce per la prima volta dopo secoli di vita passati nell’ombra. «Giusto in tempo….» pronunciate quelle parole, il Comandante Erenock si alzò dal trono e andò incontro ai guerrieri e ai suoi fratelli.
Si presentava come un uomo alto e aitante dal fascino seducente…. I capelli neri e corti si legavano perfettamente al fisico muscoloso e non volgare che aveva. Il collo possente e il corpo come scolpito da Dio lo facevano sembrare appetitoso.
Oltrepassò tutti loro senza curarsene e a un suo battito di ciglia, si ritrovarono tutti nei Giardini Eterei, dove le piante più rare erano protette da aree circolari, recintate da sassi sferici magici. Camminarono guardandosi intorno e in ogni direzione posassero lo sguardo, si vedevano migliaia di cascate, fiumi e laghi dalle acque cristalline.
Non esisteva altro luogo come quello, né sulla Terra, né altrove. Raggiunsero un’altura… lì furono accolti dal Capo degli Acotoon Giardinieri che s’inchinò alla presenza del comandante. Le caratteristiche di questa specie sono simili a quelle dei Guaritori con qualche differenza per il colore dei capelli che era verde come anche per gli occhi e i segni su caviglie e polsi. Vestiva con un completo di varie sfumature di marrone e decori in glafone bianco o giallo.
«Bentornato, mio signore.» lo salutò Eroif.
Erenock fece cenno con la testa e l’Acotoon fece largo a tutti loro… li condusse agli Aghezz malati: «Mio signore, gli Aghezz stanno morendo… tutti… uno dopo l’altro.» lo informò Eroif, ponendosi alla sua destra.
Gli Aghezz che un tempo erano alberi rigogliosi ora erano soltanto vegetali privi di vita…. «È tempo che l’erede rinasca.» dichiarò Erenock incamminandosi verso un sentiero alla sua sinistra, fatto di pietra. Li condusse in una grande serra a specchi dal soffitto a cupola. Entrati, i Difensori della Fede notarono la differenza fra l’interno e l’esterno della struttura: semplici vetri all’interno e specchi all’esterno.
Il centro, protetto da uno scudo opaco, era il fulcro della vita che si vedeva tutto intorno a esso. Le piante crescevano intorno allo scudo opaco come in una falce di luna: qui tra le tante si trovava la Pyrasia. Pianta arbustiva sempreverde, cresceva in modo molto folto vicino a piccoli corsi d’acqua sotterranei offrendo magnifici fiori che formavano cespugli e piccoli alberi che potevano arrivare fino a qualche metro di altezza. I rami e il fusto avevano un colore verde acceso e i primi erano ricoperti di peli corti e semplici, mentre le foglie di verde chiaro e lisce, nella parte inferiore e più scuro in quella superiore erano a forma di lancia allungata; potevano arrivare a una lunghezza di sette centimetri presentando contorni lisci oppure seghettati e avere particolari screziature, o ellittica e contorni seghettai che potevano avere una lunghezza fino a venticinque centimetri.
Clegan e Narhod notarono che i suoi fiori erano di piccole dimensioni e avevano un colore bianco e che crescevano riuniti in pannocchie. S’intromise Ajir che spiegò loro alcune cose: «La Pyrasia è una pianta molto bella… sapete durante il periodo invernale, i fiori di questa pianta vengono, erano sostituiti da bacche rosse molto belle e decorative che durano molti mesi, mentre i semi raggiungono la maturazione nei periodi autunnali e invernali.».
Narhod si abbassò e osservò meglio le foglie che presentavano macchie gialle, alcune ne avevano una al centro, altre delle screziature gialle che occupavano la maggior parte delle foglie. Ajir non resisteva alla voglia di raccontare qualcosa di quel luogo e continuò: «La Pyrasia produce anche fiori che sbocciano nel periodo invernale e possono essere sia doppi oppure semplici. Presentano un calice, cioè il più esterno degli involucri fiorali, costituito da cinque sepali - primo involucro fiorale - e da una corolla formata da cinque petali… i loro colori sono molto appariscenti e variegati.» si fermò un secondo e poi riprese nel vedere con quanta curiosità i Difensori della Fede osservavano i dettagli della pianta, «Trasmettono una sorta di serenità e beatitudine. I frutti dell’azalea invece sono capsule di colore marrone che contengono una grande quantità di semi molto piccoli. È una pianta che richiede luce ma non in modo diretto… la sua caratteristica speciale è quella di produrre un nettare particolarmente velenoso.» fece un lieve sorriso a quella parola….
«E invece questa? Cosa ci dite su questa?» domandò Narhod rivolgendosi ad Anyhvid. La pianta che Narhod osservava era un’arbustiva di forma arrotondata.
«Si chiama Anylia, la sua parte bassa conserva foglie piccole sulla sommità della pianta e notevolmente più grandi e trifogliate nella parte inferiore e dello stesso colore della pianta, rosso con varie gradazioni durante tutto l’anno e di colore verde con gradazioni diverse disposte in modo alterno, lucide e con ghiandole aromatiche. I fiori possono essere di colore bianco, come vedete, o rosa, rosso in varie gradazioni, doppi, semplici, mentre il frutto consiste in una capsula.» Anyhvid ne descrisse qualche particolare attirando la concentrazione su quella specifica pianta.
Le foglie dell’Anylia erano di forma ovale con margini dentellati e i fiori invece avevano una larghezza tra i sette e i quattordici centimetri. La parte superiore era fatta da un fusto principale molto lungo, da dove nascevano, una grossa quantità di rami che potevano essere eretti o ascendenti. Questi rami erano spesso molto rigidi e poiché privi di foglie, qualora le ospitassero, erano soventemente spinosi. Esse comunque tendevano a cadere completamente una volta che cominciavano a comparire i primi fiori. Le foglie erano caratterizzate in fillodi spinosi, spesso molto acuminati. L’Anylia si presentava con un portamento eretto tondeggiante e con una chioma molto ramificata.
Alla descrizione di questa seconda pianta si aggiunse Anuo Eird che specificò altre caratteristiche: «L’Anylia può raggiungere tra i due e i tre metri d'altezza…. I fusti ascendenti sono sottili e legnosi e possono assumere il colore verde scuro o marrone. Il frutto invece è un baccello che contiene dai dieci ai quindici semi appiattiti. I fiori sono di colore giallo acceso e, riuniti in racemi che possono raggiungere notevoli altezze, fino a otto centimetri. Inoltre, possono trovarsi sia in grappoli, che singoli. Dai fiori nasce, infatti, un frutto leguminoso che tende ad assumere un colore rosso bruno una volta raggiunta la maturazione.».
Lo scudo opaco si polverizzò al solo contatto del comandante, mostrando ciò che nascondeva e proteggeva: un grande bozzolo. Era coperto da radici di ogni genere che gli infondevano energia in modo da tenerlo in vita, mentre su di esso era cresciuto un bellissimo Aghezz, l’unico che non era stato contaminato dal gene umano.
«È lì che si trova l’erede dei Loozzan?» domandò Norack avvicinandosi di qualche altro passo per cercare di avvertire il battito del suo cuore.
«Per una sicurezza necessaria è avvolto da una doppia membrana bianca…. E sì. L’erede nacque quasi vent’anni orsono in gravi condizioni, dopo che la regina fu pugnalata a morte.» raccontò Meos avvicinandosi alla destra del re.
«Come possiamo liberarlo?» Narhod pose la domanda mentre li guardava, aspettandosi una risposta del tutto fuori dal comune.
«Rompete la doppia membrana che lo protegge con Anymha e lui sarà libero.» rispose Meos aspettandosi un’altra domanda.
Erenock fissò intensamente Norack negli occhi e, lui rimembrò qualcosa, ma era ancora tutto avvolto dalla nebbia. «Anymha… questo nome non mi è nuovo.».
«Capirete a tempo debito, tutto è ancora troppo presto… pronunciate il suo nome re Norack ed essa vi apparirà per obbedire ai vostri voleri.» Erenock non poteva dirgli ciò che lui non avrebbe compreso, tuttavia conosceva il re e sapeva che non lo avrebbe mai fatto. «Anymha apparteneva al vostro antenato Albhozz, essa vi aiuterà anche contro Lucifero e le sue armate di anime che ha sottratto sia a Dio, che al Groonhiar.» decise così di sovvertire le regole del Tempo e lasciare la porta dei ricordi socchiusa.
«Come impiegherebbe le anime che lui ha schiavizzato?» Narhod era preoccupato per ciò che Lucifero sarebbe stato capace di combinare con quelle anime. Temeva che potesse invadere la Terra e distruggere ogni cosa solo per conquistare un mondo che gli era sempre stato interdetto.
«Invadendo la Terra, unico luogo dell’universo che non è mai riuscito a controllare per via della protezione che Dio assicurava. Anymha vi permetterà di liberare o no le anime sotto il controllo di Lucifero.» lo rispose Ahdnorog con volto serio.
“Pronuncia il suo nome” quelle parole riecheggiarono nella testa del giovane re come il frastuono di una battaglia.
«Quell’arma non mi appartiene e non posso impugnarla.» Norack cercò in ogni modo di rifiutare l’arma ma in cuor suo desiderava proteggere tutto ciò che conosceva e amava più della sua stessa vita. «Le scelte sono due, accettare la spada e perdere voi o abbandonarla e lasciare che Lucifero vinca. Ed io non ho bisogno di scegliere, conosco già la mia risposta.» Norack anticipò le scelte e la sua convinzione a testa alta.
«Voi semi immortali avete abusato fin troppo della mia pazienza, ora ritornerete indietro, visto che non siete abbastanza forti da rischiare.» Erenock si pronunciò con tono freddo e deluso dagli umani. Amareggiato dal suo diniego, sparì nell’ombra… fu allora che si udì il battito dell’erede.
«Non posso….» Norack non riuscì a finire la sua frase poiché Clegan lo interruppe bruscamente urlandogli contro “Dannazione Norack pronuncia quel cavolo di nome”.
Esitò ancora ma poi… Anymha. Norack pronunciò il suo nome e la spada apparve dinanzi a lui ruotando su se stessa. Subito dopo l’apparizione, il diamante incastonato nel pomolo s’illuminò, sprigionando scie bianche che materializzarono sulla pelle del re un guanto ricamato con fili d’oro. Il re ne impugnò l’elsa con la destra e con la mano sinistra accarezzava la lama.
L’arma era leggera nella sua mano e subito ne assaporò l’energia. Osservò ogni suo dettaglio… il pomolo era costituito da un diamante sferico, protetto da diverse piastre di differente grandezza che proseguivano a formare l’elsa. Erano decori semplici, ciò nonostante conferivano un enorme potere alla spada e al suo possessore. La guardia, che era invece la parte più dettagliata, era costituita da due draghi intrecciati in oro e al centro una piastra metallica a forma di rombo con un rubino nel mezzo. La lama invece era un unico pezzo di metallo diritto con varie insenature e solchi che creavano strani disegni.
Norack spostò lo sguardo sul bozzolo e i presenti gli fecero largo… si girò su se stesso e colpì con forza la doppia membrana. Arretrò poggiando il debole della lama sul pavimento… la membrana si spaccò e cadde al suolo polverizzandosi. Ciò che restava era una membrana sottile e quasi trasparente che mostrò un corpo umano indistinto in posizione fetale.
Clegan afferrò il pugnale dallo stivale destro e si avvicinò al bozzolo… il battito cardiaco aumentò e il principe tagliò la membrana. Ripose il pugnale e v’inserì la mano afferrando qualcosa di solido e freddo. Ciò che aveva recuperato lo porse alle Sentinelle di Sangue e in quell’istante Eroif, inginocchiatosi a Erenock, gli pose una domanda: «Mio signore, che cosa facciamo se gli Aghezz dovessero morire?».
Il volto di Erenock, anche se a stento si notava, era malinconico e amareggiato… non rispose a Eroif, ma proprio allora un Acotoon s’inginocchiò al cospetto del comandante riferendogli che i Nemodurre erano quasi giunti alla serra e dalle fonti, con loro avevano un medaglione.
«Ci penserò io a occuparmi degli ospiti.» scomparve circondato da uno sciame di Krimin, creature minuscole dalla pelle non organica nera e dagli occhi rossi che assomigliavano a degli insetti volanti, che insieme sembravano un unico essere.
I Nemodurre furono intrappolati in una gabbia di viticci dalla linfa velenosa, mentre i Difensori della Fede si schierarono insieme alle Sentinelle di Sangue per proteggere l’erede. Il battito del cuore si sentì crescere e alle spalle degli intrusi comparve Erenock. «Siete in orario.» parlò come se sapesse e li oltrepassò raggiungendo gli altri.
L’umano nel bozzolo si stava muovendo, come se volesse uscire…. Allora Zorduva prese una boccetta e ne versò l’intero contenuto sui viticci rendendoli secchi e facili da rompere. Uscì in questo modo dalla gabbia. «Se pensi di poter vincere questa volta ti sbagli.» asserì lui con tranquillità.
«Io non penso io lo so.» all’affermazione di quelle parole l’umano nacque. Uscirono la sua mano, il braccio e poi il resto del suo corpo. Era una ragazza. Si pose in piedi davanti al bozzolo, completamente nuda e ancora unita al cordone ombelicale che proprio in quel momento seccò e svanì nel nulla.
Aveva i capelli rossi lunghi fino al fondo schiena ancora umidi… il colore degli occhi era chiaro quasi sul verde e le labbra erano rosse e non molto sottili. La sua altezza era nella media di una ragazza di vent’anni, dalla corporatura slanciata e snella con una carnagione pallida come la luna.
Cadde al suolo… era ancora debole e Clegan le creò un mantello di fiori per coprirla. Fu aiutata ad alzarsi e vedendo Erenock, abbassò il capo. Il Nemodurre restò immobile nel suo posto… Ahdnorog si avvicinò alla ragazza e sparì con lei. Erenock chiamò Eroif che prese la fiala e la portò ai suoi sottoposti, prima che parlasse ai Nemodurre con sguardo freddo e gelido: «Di voi mi occuperò io personalmente.».
I Nemodurre non replicarono alle sue parole e restarono muti… Ahdnorog condotto la ragazza nelle stanze di Erenock chiamò le ancelle. Le statue ai lati della porta si animarono… si avvicinarono ai due e chinarono il capo aspettando un suo ordine: «Occupatevi di lei… disposizioni di Erenock.».
Erenock comandante del Luogo Proibito si liberò dei Nemodurre solo dopo aver recuperato quel medaglione dalle loro mani. Non vi era più nulla da fare in quel luogo e ritornò con gli altri nella sala del trono; questa volta illuminata a dovere. La forte luce che c’era rispecchiava quasi quella del sole.
Le Sentinelle di Sangue restarono sotto le alte statue insieme ai tre Difensori della Fede, mentre aspettavano l’arrivo dell’erede e di fare la sua conoscenza. Attesero poco tempo… la ragazza entrò nella sala accompagnata dalle ancelle e giunta al cospetto del comandante, s’inchinò a lui.
L’abito che le ancelle le avevano fatto indossare era di colore blu dalle varie sfumature; due fasce si univano sulla nuca e proseguivano a coprire il seno fino a congiungersi sotto l’ombelico in un anello di argento, lasciando scoperto la maggior parte del busto che le conferiva un corpo più maturo. All’anello erano legate altre due fasce che circondavano il girovita, formando poi l’ampia gonna che presentava un leggero spacco sul davanti. L’aria regale che le attribuiva l’abito fu completata dalle scarpe di cuoio rivestite dalla seta con fili dorati che giravano intorno alla gamba, chiusi sul davanti da un’ametista circolare.
Meos intervenì presentandole i tre che provenivano dalla Terra, su patria. «Voglio presentarti ai nostri ospiti… loro sono i Difensori della Fede. Sono qui per proteggerti e riportarti nel tuo regno.». Poi si rivolse ai Difensori della Fede presentando loro la ragazza, «Lei è Annuhyev Loozzan, ultima discente di Vicmorn erede al trono del Continente dei Tre Saggi. Proteggetela come se fosse vostra sorella.».
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L’alleanza ***


Ottavo capitolo
 
L’alleanza
 
 
 
 
In quel momento però Lucifero e gli Dèi ebbero un incontro in un luogo chiamato Dremhok… era un’immensa distesa di terra arida e priva di qualsiasi forma di vita. Il sole picchiava il terreno fino a farlo spaccare… il vento che soffiava era soffocante… l’unico punto in ombra era creato grazie a un albero, simile alle querce che si trovavano sulla Terra, ma ben più alto.
«Perché ci hai convocato?» domandò sbalordita di trovarsi in quel luogo per parlare con Lucifero.
Non voleva sottostare agli Dèi poiché li riteneva inferiori a lui, tuttavia doveva informarli perché suoi alleati. Non mostrò nemmeno questa volta il suo volto, ma rispose Dea: «Perché ora potremmo sorvegliare i Difensori della Fede e le Sentinelle di Sangue.».
«Se parli in questo modo tu, hai sicuramente una spia all’interno. Chi è?» le sue idee e la domanda la pose Falock incuriosito dalle sue parole.
«Vi sarà detto a tempo debito.» gli rispose lui con indifferenza girando intorno a loro, «Io posso recarmi nel Luogo Proibito una sola volta… ma non vi ho convocato per questo motivo.» terminò lui fermandosi alle spalle di Serreiv.
«E allora qual sarebbe?» gli chiese lei voltando leggermente il capo verso di lui.
«Decidere come e quando invadere la Terra.» le rispose dolcemente annusandole il collo.
«Qual è la tua, idea?» gli chiese Tenrett serrando le mascelle dalla gelosia.
«Saprete tutto quando sarà il momento.» rispose lui allontanandosi da lei e raggiungendo Hanna, «Tu Hanna non dici nulla al riguardo?» le chiese rivolgendosi a lei.
«Io che cosa dovrei dire secondo voi… quello che so è che il futuro riserva brutte sorprese… per tutti noi.» li guardò con indifferenza.
«Me lo aspettavo questo… le Sentinelle di Sangue sono forti e nessuno a parte Dio le conosce bene.» intervenne nella conversazione Yadir cercando l’attenzione di Lucifero.
Lui restò alle spalle di Hanna, mentre aveva rivolto lo sguardo verso Serreiv. «Non ci resta che aspettare….».
«Spero che avrai un’idea che possa mettere fine alle Sentinelle di Sangue, altrimenti saremo come i nostri fratelli… morti e sepolti. E tu non farai una fine da meno Lucifero.» lo avvertì gentilmente Falock… lasciando dell’ironia nelle parole.
«Aspetteremo… ci servono notizie, altrimenti non posso invadere la Terra.» rispose Lucifero osservando i presenti, «Se conosco i Difensori della Fede e le Sentinelle di Sangue faranno in modo di proteggere l’erede di Vicmorn e se per caso dovesse sopravvivere per una seconda volta, tutti i miei piani andrebbero in fumo, come in precedenza… e questo non deve accadere… voi Dèi, finireste con me.» ultimò serrando le mascelle.
«Perché temi tanto l’erede?» gli domandò Ardenas… gli Dèi volevano conoscere il vero motivo che lo spingeva a voler morto l’erede, tanto da poter affrontare il Comandante Erenock a viso aperto.
Lucifero era letteralmente nervoso dalla domanda che gli era stata posta, ma rispose ugualmente alla Dea: «Il motivo per cui lo temo non è un vostro problema. Spostiamo le nostre attenzioni su qualcos’altro.». Non disse altro e sparì.
I Difensori della Fede e la donna invece erano intenti a lasciare il Luogo Proibito e le Sentinelle di Sangue ha salutarli per sempre… o quasi. Erenock si congedò prima di andare via: «Qui, dobbiamo separarci Difensori della Fede.».
Il Comandante Gordoona intanto aveva mandato a chiamare Kashda e raccontatole il tutto, si mise all’opera. Riuscì a trovare il passaggio e qualcuno dal volto coperto apparve alle sue spalle…: «Credevo che non avresti mai accettato di aiutare il Comandante Gordoona.». La persona avanzò lentamente e girò intorno a lei.
«Come vedi ti sei sbagliata… Azha.» disse Kashda, mentre lei si avvicinò al Reantha.
Si chiamava Azha, non aveva parenti poiché all’età di nove anni uccise la sua famiglia, lasciandoli bruciare nella loro casa. Era stata cresciuta da una strega che le insegnò ogni cosa e alla fine fu uccisa nel sonno. Il Comandante Gordoona se ne invaghì e la portò con sé ad Aregiak facendola diventare sua moglie. «Sono proprio curiosa di sapere qual è stato l’argomento che ti ha convinto.» s’incuriosì lei.
«Erenock.» fu breve Kashda nell’informarla poiché non voleva avere nessuna conversazione con lei più del dovuto.
«Argomento più che convincente.» ghignò Azha guardandola compiaciuta.
«Perché non lasciamo le chiacchiere a un altro giorno e ci dedichiamo al passaggio?» chiese Kashda aspettando che si decidessero.
Azha era d’accordo e osservò Kashda avvicinarsi a un ritratto rovinato che spostò con la mano destra. «Muoviamoci… ogni secondo è prezioso.».
Nel momento in cui le due decisero di entrare nel passaggio, nella sala si presentò un essere che avanzò verso il Reantha, scoprendosi dal mantello di stracci e drizzandosi con la schiena. Horazz… era uno dei più potenti maghi del mondo. Era un uomo anziano e, le folte sopracciglia, gli occhi verdi, piccoli e profondi e il doppio mento erano incorniciati dai suoi capelli bianchi, un viso lungo con una fronte alta. Sulla guancia sinistra non si poteva non notare una cicatrice che occupava parte del viso. Indossava sempre abiti di colore viola e rosso porpora abbinati.
Guardò Gordoona facendogli un cenno col capo e s’informò sugli ultimi avvenimenti respirando finalmente e di nuovo l’aria di casa sua.
Lucifero invece impaziente di ricevere notizie sui Nemodurre, decise di scoprire qualcosa per conto suo…. Ritrovandosi in un luogo simile al suo, Lucifero rise di gusto; era entrato nel Luogo Proibito e poiché poteva farlo una sola volta ogni mille anni, doveva fare attenzione. Raggiunse facilmente le Prigioni d’Ombra… fece un respiro profondo e riuscì a individuare i Nemodurre.
S’incamminò sulla lava pietrificata in direzione del sole rosso e rise ancora… spruzzi di lava incandescente lo colpirono e lo bruciarono su alcune parti del corpo… a quel punto si fermò.
Restò sulla riva del fiume di lava osservando le pareti rocciose alte più di trenta metri che lo circondavano. Sotto, scavate in esse, vi erano le Prigioni d’Ombra… riservate ai prigionieri colpevoli di tradimento e condannati all’oblio. Lui si avvicinò al bordo, ma fu bloccato da una colonna di fuoco che uscì dal fiume.
«A quanto pare vuoi giocare…. Allora giochiamo.» pronunciò quelle parole ridendo… contemporaneamente piegò leggermente il busto e le braccia in avanti…. Indietreggiò la gamba destra di alcuni centimetri… aprì le mani ricoperte dai guanti e intorno a lui, si alzò una spirale di fuoco che scagliò contro la colonna.
Fu avvolta per tutta la sua lunghezza e la spirale aumentò la sua intensità. Al contrario, la colonna s’indebolì… Lucifero rise godendosi la sconfitta di Erenock sul nascere. Soddisfatto dal suo successo, dimenticò di trovarsi nel Luogo Proibito e di conseguenza abbassò la guardia… pagò caro il suo errore.
La spirale si disintegrò e la colonna si assottigliò fino ad avvolgerlo e ferirlo gravemente in molte parti del corpo. Lo tenne bloccato…. Si liberò facilmente e raggiunse i Nemodurre… fece una risata bieca e allungò il braccio destro in avanti, chiudendo il pollice, l’anulare e il mignolo, per unire l’indice e il medio. Girò le due dita a trecentosessanta gradi e di scatto le rivolse verso le celle distruggendone le serrature.
I Nemodurre furono liberi e ritornarono sulla Terra grazie a Lucifero… lui, invece, ritornò sulla riva aspettando. Pochi minuti e alle sue spalle apparve Erenock avvolto dallo sciame di Krimin. Era maestoso ha confronto di Lucifero… come sempre non mostrò emozioni, ma rise lievemente.
«Ci rivediamo Erenock.» lo salutò con fare altezzoso, «Avrei dovuto immaginarmelo che quei poveri guerrieri sarebbero riusciti a riportarti alla vita.» continuò Lucifero sorpreso del successo dei Difensori della Fede.
«Io e i miei fratelli credevamo in te e tu ci hai tradito, proprio come hanno fatto i mortali.» rammentò Erenock con indifferenza esteriore e amarezza interiore.
«Io sono diverso dai mortali. Loro desideravano solo tenerti rinchiuso qui, poiché temevano il tuo potere, invece io volevo lei e ci sono quasi riuscito se non fosse... che i Difensori della Fede hanno ritrovato Arzzekan e scoperto dell’erede.» affermò con tranquillità Lucifero.
«Mi hai sottratto l’anima Lucifero e questo è un errore gravissimo.» lo avvertì Erenock avanzando verso di lui, «Arriverà anche il tuo momento Lucifero, non temere.» terminò lui fermandosi a pochi centimetri dal suo volto.
«Ci rivedremo, ma sarà solo per la tua morte.» pronunciò quelle parole prima di scomparire.
Apparve seduto sul trono, mentre Izhar gli domandò: «Com’è andata… padre?». Non vi fu risposta da parte di Lucifero e Izhar continuò a porgli domande, «Che cos’è, accaduto di preciso, da farti irrigidire in questo modo?» gli chiese il figlio fissandolo.
Lui serrò le mani a pugno e pronunciò solo il nome: «Erenock.». Non vi furono parole da parte di Izhar e, Lucifero lo informò di qualche cosa anche se furioso. «Sì e il suo potere sta crescendo velocemente.».
«La tua prossima mossa?» gli chiese Izhar aspettando….
«Invadere ugualmente la Terra.» rispose lui serrando le mascelle dalla rabbia.
I Difensori della Fede al contrario, erano giunti al cospetto di Roizak, re di Blyhank e sovrano del Continente dei Tre Saggi e conoscendo Annuhyev, lui li condusse nella Sala d'Avorio. Entrati, si portarono dinanzi a una teca contenente due corone incrociate fra loro che non si distinguevano per l’opacità del vetro. Appartenevano agli ultimi regnanti di quelle terre prima della loro morte.
Sotto gentile concessione del re, Annuhyev si avvicinò alla teca ma esitò qualche istante nello sfiorarla… alla fine cedette e poggiò la mano sul vetro. Immediatamente dal centro delle corone si sprigionò una forte luce e lei iniziò a provare una strana sensazione… le corone riconoscendola come erede dei Loozzan, le mostrarono il passato.
C’era una stanza con un tendaggio rosso che ritraeva lo stemma del regno… un piedistallo affiancato al muro e sopra un cuscino di velluto rosso le corone reali…. Quella che apparteneva al re era una semplice fascia metallica puntinata all’esterno. Si chiudeva dietro la testa a formare un rombo, mentre l’intera fascia era decorata con due draghi in oro e con gli occhi in rubini che la avvolgevano. Dietro le code e sul davanti, le teste erano divise da un rubino ovale, montato. La corona della regina era identica se non per alcuni particolari come la piastra a punta che si trovava sotto il rubino e i filamenti d'oro incastonati lungo tutta la fascia.
Un’ombra spuntò nella stanza accanto e avanzò verso il letto a baldacchino dalle tende di seta rossa, occupato da due persone, un uomo sulla mezza età e una donna giovane e incinta. I due stavano dormendo, ignari del loro futuro. L’ombra si fermò di colpo nell’istante in cui l’uomo si svegliò di soprassalto. Il re vide l’ombra e si alzò dal letto svegliando così la donna che dormiva al suo fianco.
Alle spalle dell’ombra comparvero uomini incappucciati e il re sfoderò la sua spada. La donna si alzò e si diresse di corsa verso il re ponendosi dietro di lui. Gli uomini si scagliarono contro i due e il re iniziò a combattere contro di loro. Ci vollero pochi secondi e il re fu colpito alla gola… cadde sul pavimento, mentre uno di quegli uomini si avvicinò alla regina pugnalandola alla pancia.
Lei si accasciò al suolo, sporca del suo sangue e di quello del figlio che portava ancora in grembo, fu allora che Annuhyev emanò un urlo di dolore e staccò la mano dal vetro cadendo sul pavimento. Lasciò gli occhi spalancati, inorriditi da ciò che aveva visto e subito cominciarono a lacrimare. Il vetro che proteggeva le corone si ruppe in mille pezzi e queste brillarono per poi separarsi… Annuhyev rimase immobile a terra.
Clegan si avvicinò a lei e s’inginocchiò chiedendole se stesse bene… lei non rispose, ma quando si accorsero che tremava, la aiutarono ad alzarsi. Il suo sguardo si fissò sulle corone, mentre stringeva le mani a pugno per l’odio che provava nel profondo.
Ciò che attrasse anche Roizak era la manifattura con cui erano state create le due corone e i minuziosi dettagli che la caratterizzavano dalle corone precedenti Re Vicmorn. La fascia di puro argento era stata resa liscia all’interno e ruvida all’esterno. Poiché Blyhank era la capitale del Continente dei Tre Saggi, due enormi radici di salici piangenti si diramavano sulla fascia creando delle piccole figure a forma di foglie, di media grandezza, che alla fine s’intrecciavano sulla fronte per incastonare uno smeraldo.
Altrettanti meticolosi erano stati i dettagli per la corona della regina; era quasi identica a quella del re se non per alcuni particolari: sulle radici erano state poste dei diamanti che sembravano in tutto e per tutto delle gocce di rugiada, la fascia di puro argento aveva delle minuscole incisioni di foglie e radici e in fine al posto dello smeraldo sulla fronte, era stato inserito un topazio bruno.
Le due corone furono create specificamente per Vicmorn e la sua regina Annuhyev. Tuttavia dopo la loro morte e quella presunta del loro erede, le due corone si legarono in modo che nessuno sarebbe stato in grado di dividerle se non l’erede stesso dei Loozzan.
«Che cosa le è preso?» chiese Roizak rivolgendosi ai Difensori della Fede.
«Vorremmo saperlo anche noi….» rispose Narhod non riuscendo a immaginare ciò che la ragazza avesse provato e visto.
 
Gli Dèi entrarono in campo aprendo per Lucifero un portale in tutte le terre. Izhar portò a suo padre la notizia che vi era uno spiraglio per la Terra e che i suoi soldati erano pronti… ora però bastava solo un suo ordine. Pronti all’attacco… si sparpagliarono sulla Terra come la pestilenza.
Nessun regno della Terra si era preparato ad affrontare un’armata di quelle dimensioni. I primi attacchi furono rivolti ai villaggi… devastati, spazzati via come un fuscello di primavera. I sopravvissuti, radunarono ciò che era loro rimasto e marciarono verso le capitali e le città più vicine. Tutto quello che i re passati avevano creato in secoli di reggenza, ora era completamente distrutto. Così ogni uomo o donna che sapeva impugnare un’arma fu reclutato a combattere.
Lucifero restò a guardare in penombra la sconfitta del suo avversario… si rese conto che l’unica cosa che desiderasse era anche l’unica cosa che non possedesse. Lasciò che i suoi occhi si chiudessero ricordando Dranerre. Si era perso nei suoi desideri e qualcosa nella sua sala lo svegliò.
Si drizzò col busto e scrutò nella penombra della sala… non vedeva nessuno, ma non per questo non doveva esserci nessuno. Passò qualche minuto poi si udì una voce: «Che cosa ti preoccupa?».
Lucifero spostò il capo nella direzione della voce e pose una domanda sull’interrogativo: «Tu chi sei?».
«Non riconosci più la mia voce Lucifero?» domandò lei apparendo dinanzi a lui con un lungo mantello rosso e un cappuccio che le nascondeva il volto.
«Tu…, mi sei mancata… l’ultima volta che ti ho visto mi hai mostrato mio figlio.» asserì lui nel momento in cui la donna gli salì sulle gambe e prima che lui potesse parlare, lo baciò. Lui usava la stessa passione che aveva adottato con Dranerre, ma sembrava più profondo, più travolgente….
Nella sala del trono, dietro un tavolo colmo di carte strategiche, lasciato in un angolo, Norack stava preparando una tattica difensiva per contrastare l’esercito di Lucifero. Un soldato semplice irruppe nella sala e si recò dinanzi al re col fiatone. Norack alzò il capo e disse: «Riprendi fiato soldato prima che tu muoia.».
Il soldato fece in ultimo un profondo respiro, deglutì e riferì ciò che sapeva al suo re. «Vostra maestà, vi portò pessime notizie… giungono altri sopravvissuti dai villaggi.».
Il re spostò una pergamena con la pianta della città e rispose al soldato: «Portateli in infermeria e date loro ciò di cui hanno bisogno.».
Il soldato con un’espressione rammaricata aprì di nuovo bocca: «Perdonate la mia insolenza, purtroppo l’infermeria è al completo. Alcuni li abbiamo fatti sistemare nei nostri alloggi, ma anche lì non ci sono più posti, sire.».
Norack vide l’espressione del soldato e anche se non voleva, alzò il tono di voce. «Allora portateli a palazzo, fateli sistemare nelle stanze. Occupate ogni angolo possibile, nessuno dovrà restare fuori.».
Il soldato annuì e si allontanò….
Norack cercò di fare l’impossibile, ma aveva fallito… grazie a qualche alleanza, Lucifero era riuscito nel suo intento. Colmo di rabbia per un’imminente battaglia se non addirittura una guerra, scaraventò in aria le pergamene che si trovavano sul tavolo e raggiunse il trono per calmarsi.
Si sedette… poggiò la testa contro lo schienale e chiuse gli occhi… contò lentamente fino a tre e quando li aprì al suo fianco, vi trovò la donna che gli aveva salvato la vita. Lei si sedette ai suoi piedi e poggiò a testa contro le sue ginocchia. Lui fece un sospiro di alleggerimento, mai suoi pensieri non facevano altro che ritornare all’imminente battaglia.
Non poteva farcela… era solo un ragazzo che governava da poco, non era suo padre…. Di colpo chinò il busto lasciando a malapena toccare l’addome sulle cosce, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì il volto con le mani. Il padre che era entrato da poco lo vide sconvolto e insicuro di se, così si avvicinò e provò a tranquillizzarlo. «Tu non devi aver timore di perdere figlio mio.».
Le parole di Rhoktar, le continuò la donna che accarezzò Norack dolcemente. «Non dovete perdere fiducia nel vostro popolo.».
«L’unica cosa che temo di aver perso è la fiducia in me stesso… non sono pronto per guidare questo popolo in battaglia, figuriamoci in una dove l’avversario è una bestia o un’anima dannata e al servizio di Lucifero.» Norack sottovalutò tutte le sue capacità, le sue abilità e il suo ingegno... era un ottimo stratega e lo aveva dimostrato in molte precedenti occasioni.
La donna ai suoi piedi si alzò e sorridendogli gli sussurrò alcune parole: «Quando tutto vi sembrerà perduto, sarà allora che tutto sorgerà dalle tenebre.».
Alle sue parole, il re pensò che la sua presenza alleviasse le sue pene. Rhoktar conosceva suo figlio e sapeva che non si sarebbe mai arreso. «Forse non è il momento più adatto, ma un re stanco non sarebbe di grande aiuto… va a riposare e quando ti sarai svegliato, vedrai che starai meglio.».
Norack annuì, suo padre aveva ragione e così fece. Si recò nelle sue stanze… abbandonò i suoi abiti sul pavimento e lasciò che le lenzuola lo nascondessero per un po' di tempo dalle vicende esterne. Si addormentò subito, era stanco…. Dopo alcune ore si svegliò di colpo drizzandosi col busto. Aveva il respiro affannato e sudava… al suo fianco vi trovò di nuovo quella donna. «Non temete… per ora è solo un incubo. Solo un incubo mio signore.».
Messosi in ordine, il re raggiunse la sala, dove presiedeva il consiglio reale; lì incontrò i re delle terre vicine. Li salutò mentre avanzava verso la sua sedia… notò l’aria tesa e il silenzio che incombeva su di loro snervante. Si sedettero tutti dopo di lui e quando quella riunione incominciò, Noirem, posto alla sinistra di Norack, si alzò per parlare. «Lucifero a inviato i suoi emissari sulla Terra a distruggerci e questo non ci fermerà perché noi troveremo un modo per rimandarlo da dove è venuto. Tuttavia ritengo opportuno che chi non possa in alcun modo difendersi sia trasferito in un luogo sicuro.».
«Noirem a ragione, ma anche difendendoci… saremo ugualmente annientati, Lucifero è molto più forte di noi in questo momento.» intervenne Tügar nel dibattito.
«Invece di mettere all’atto chi è il più forte, dovremo trovare una soluzione al problema, cioè come sconfiggere l’armata, già morta di Lucifero.» intervenne anche Onaru nell’alzarsi.
«Ci sono stati già migliaia di morti e feriti e per non parlare dei danni che quelle creature hanno provocato ai vari regni.» assicurò Nived alzandosi di netto.
Si alzò subito un gran vocio nella sala e Norack portandosi in piedi disse: «Siamo tutti d’accordo a distruggere l’armata di Lucifero, ma è pur sempre vero che siamo esseri umani e loro anime, dobbiamo ricevere un aiuto.».
Errett si voltò verso Norack e gli pose la sua domanda: «Qual è la vostra idea, re Norack?».
«Raduneremo tutti gli uomini e le donne che sanno combattere e impugnare un’arma. Ha nostra disposizione dovranno esserci anche fabbri e armaioli.» pose nel piatto il suo piano, «Apriremo tutti i portali dei regni e convoglieremo i più deboli e le nostre famiglie in un unico luogo sicuro, come già suggerito da re Noirem.» finì lui sospirando e guardando negli occhi i suoi amici re.
«Credete che questo basterà a impedire un’immensa strage?» gli chiese Tügar ugualmente preoccupato.
«Basterà a proteggere i nostri popoli e, se per salvare il mio regno devo sacrificare la mia vita, allora morirò volentieri.» a quelle parole Norack batté con forza un pugno sul tavolo. Decise proprio allora di tenere i re informati anche delle sue già prese decisioni. «Un’ultima cosa. Perché voi ne siate informato, ho inviato dei messaggeri nei Continenti Isolati, perché esse sappiano dei nostri piani e salvare quante più vite possibili.».
Come gli altri anche Noirem pensava che i Continenti Isolati per i loro antichi dissapori non avrebbero mai accettato l’aiuto della Congregazione della Luce. Norack invece credeva che le vite innocenti fossero molto più preziose dei loro contrasti. Sapeva con certezza che avrebbero capito la situazione.
I messaggi, giunti a destinazione, furono letti dai regnati, Arpha regina di Janave, Terre dello Spirito Bianco e Damhyn re di Amaiqua, Terre del Cielo. Lei rispose al messaggio di Norack dicendo: «Riporta la mia risposta al tuo signore… la sua scelta fa onore agli antenati e per questo noi apriremo i nostri portali. Inoltre chiederemo allo Spirito Bianco di aprire le porte della sua dimora e di ospitare in essa le innumerevoli genti che non combatteranno, fino alla fine della battaglia.».
Damhyn invece rispose con altrettanta saggezza. «Re Norack ha scelto con giudizio la soluzione per i popoli e noi siamo onorati che egli ci abbia informato. Concordiamo con la sua decisione e apriremo i nostri portali affinché donne e uomini capaci di combattere, si uniscano alla lotta, contro Lucifero.».
Le risposte ai messaggi furono recapitate al suo emittente che ricevette di buon grado e con onore…. Furono lette nella sala del trono: «Sappiamo quali sono le risposte dei Continenti Isolati, la mia invece è la seguente.» si fermò un attimo a soppesare i volti di tutti i presenti, «Per Arpha, sono lieto di accettare la sua proposta e come per lei lo è anche per re Damhyn. Questo è il mio giudizio, ma… ho bisogno del vostro, in gioco non c’è solo il mio regno.».
Noirem si pronunciò di seguito: «Io penso di parlare in nome di tutti quando dico che gli antichi dissapori con i Continenti Isolati non sono nulla alle morti che potrebbero esserci se non accettassimo.».
«Come voi re Norack, anche noi siamo disposti a morire, a sacrificare la nostra vita per le nostre famiglie e i nostri popoli.» si pronunciò Errett inchinando la testa in segno di rispetto.
«Bene… poiché abbiamo all’unanimità preso una decisione, è ora di rimandare Lucifero e la sua armata… all’Inferno.» con quelle sue ultime parole Norack incitò gli uomini a combattere per la libertà.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Tagha ***


Nono capitolo
 
Tagha
 
 
 
 
Alla corte dei regnanti si presentarono fabbri, scalpellini e armaioli pronti a forgiare qualsiasi tipo di arma servisse. Un inchino ai loro signori e via di nuovo a lavorare….
Non mancava molto all’alba che ogni soldato aveva indossato l’armatura e limato le armi che avrebbero difeso la propria terra dai nemici. Prepararono ogni arma a loro disposizione tra cui spade, lance, archi e frecce, balestre, alabarde e così via….
Furono poi spalancati i portali e perone come anziani, donne e bambini e tutti coloro incapaci di impugnare un’arma furono condotti alla montagna dello Spirito Bianco. Scesero fin nelle viscere della terra accomodando le innumerevoli genti per confortarle.
Coperte, cibo, acqua furono i viveri che ognuno di loro portò con sé per arrivare alla fine della battaglia. Nella pancia della montagna, ora si udivano i suoi degli uomini: i cani abbaiare, le poche greggi portate belare, i bambini più piccoli piangere e le donne consolarli. Ognuno si sistemò in un angolo e aspettò che tutto giungesse al termine.
E proprio sulle spiagge della montagna i figli secondogeniti delle famiglie reali mettevano in salvo gli ultimi abitanti delle terre. Coloro rimasti sulla sabbia osservarono con amarezza il primo tramonto lontano dalle loro case. Sopraggiunse Ruben, il secondogenito di re Nived che si fermò al fianco sinistro della principessa Ardhenya: «Sono tutti nelle caverne, manchiamo solo noi mie signore.».
Ardhenya restò lì a fissare il vuoto, mentre Ruben le poggiò, delicatamente, le sue mani sulle spalle e, confortandola le sussurrò: «Vostro padre e vostro fratello fermeranno tutto questo….».
Alla fine entrarono sigillando le grandi porte. Il silenzio scese lento su quell’immenso popolo come se fossero divenuti di pietra. Il vento che s’infilava nelle crepe e nelle grandi fessure portava con sé l’odore dell’imminente scontro.
Nella sala del trono, il re ordinò ai suoi generali e sottoposti di collocare l’esercito e di tenersi pronti al combattimento. Volle distrarsi prima della battaglia e raggiunse la Città Bassa osservando poi i progressi di quegli uomini che lavoravano. Arrivato dinanzi a una bottega, notò un uomo robusto e con la barba riempire una bacinella con dello strano liquido che non era né acqua né olio.
Si avvicinò incuriosito e si fermò a un metro dal banco di lavoro. L’uomo riprese a lavorare. Il martello rimbalzava con un sonoro tintinnio sul ferro rovente che si arrotondava a ogni colpo possente, prendendo forma e cedendo al potere della forza e dell'abilità. Dopo un po' si fermò. Si udì un borbottio d’incontentabilità, mentre le ganasce d'acciaio di una tenaglia si chiudevano di scatto afferrando il pezzo di metallo e gettandolo di nuovo nella fucina.
«Perché lo distruggi con così tanta facilità dopo il tuo duro lavoro?» gli domandò Norack sconcertato da quello che aveva visto.
L’uomo affondò le mani in un secchio d'acqua e approfittò della breve interruzione per liberarsi della sporcizia. Il suo busto nudo era coperto da un grembiule di cuoio, e le gambe erano infilate in pantaloni di pelle. Si passò, le dita poderose tra i capelli chiari per lavare via il sudore e rinfrescarsi un po'.
Il fabbro fece un breve inchino con la testa e poi spiegò mentre azionava il mantice, il cui soffio gli riecheggiò nelle orecchie: «Mio signore, se il ferro non ha la forma dello zoccolo, il cavallo non potrà essere d’aiuto, anzi sarà d’intralcio nella battaglia e porterà alla morte se stesso e il suo cavaliere.».
L'aria fresca tinse i carboni ardenti di una sfumatura rosso fuoco. Il fabbro ripeté la procedura, adattando il ferro allo zoccolo. Quando il corno bruciò, l’uomo scomparve in una puzzolente nuvola giallastra. Raffreddò rapidamente il metallo immergendolo in un secchio d'acqua, infilò i chiodi nei corretti fori e posò la zampa posteriore sul pavimento.
Il soldato accarezzò l’animale e ringraziò il fabbro. Uscirono entrambi dalla fucina, mentre l’uomo si stiracchiò scuotendo le braccia muscolose. Il suo sguardo vagò per il locale in disordine, soffermandosi sui numerosi martelli e tenaglie riposti sui loro sostegni. Attivò di nuovo il mantice; l'aria ravvivò le fiamme sprizzando scintille nel camino. Un largo sorriso si disegnò sul viso dell’uomo.
Intorno al Comandante Erenock che riposava sul suo trono, regnava il silenzio assoluto che fu interrotto dalla presenza di Ahdnorog; si fermò al cospetto del suo comandante e s’inchinò. Aspettò che si accorgesse di lui prima di proferire il suo pensiero. Aprì di scatto gli occhi: «Io parlo in nome di tutti… volevamo conoscere i tuoi piani per quanto accadrà.».
«Tu che cosa pensi che io debba fare?» gli pose la domanda per avere una sua opinione.
«Io sono confuso quanto te… il nostro risentimento verso gli umani ci porta a non aiutarli, ma allo stesso tempo ci incita a fermare Lucifero. Conosciamo bene il suo potere e quanto possa distruggere qualcosa per vendetta.» rispose alla sua domanda fermandosi un istante.
Proseguì Ajir…: «Come te, anche noi abbiamo fatto una promessa che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Abbiamo perso troppo dalla scomparsa della nostra Signora e Padrona.».
«I nostri pensieri non contano Erenock, ma il tuo intervento, sì.» sostenne Ahdnorog spuntato dal pavimento, «Ricorda solo che se Lucifero riuscisse nel suo intento, anche il nostro mondo sarà risucchiato nel dolore dell’Inferno.» lo guardò sapendo di avere ragione.
Quell’essere dall’aspetto umano che incuteva terrore persino nei suoi uomini, pose una nuova domanda: «Qual è l’opinione di Meos?».
«Noi non conosciamo i suoi pensieri, egli è riservato… quanto te.» intervenne Ajir, già inchinato al suo cospetto.
«Allora che si mostri a me, adesso.» Erenock lo chiamò con tono furente ed egli apparve al suo cospetto.
Guardò diritto nel vuoto e si pronunciò: «Conosci bene i miei pensieri eppure persisti nel chiedere la mia opinione.».
«Voglio solo sentirti pronunciare quelle parole.» sul suo volto ci fu l’accenno di un sorriso.
“Rimandalo nel suo regno”….
Kashda e Azha intanto si erano fermate per via di un crepaccio che ostacolava il loro cammino. Kashda si avvicinò un po' di più sporgendosi… lasciò cadere un sasso per costatare la profondità e questo si schiantò al suolo dopo quasi un minuto.
Oltre il crepaccio si trovava un muro che si reggeva in piedi quasi a stento e Azha lo distrusse lanciandogli contro una boccetta contenente un liquido biancastro. Horazz invece creò con i massi un ponte e lo oltrepassarono con cautela. Dall’altra parte, Kashda si liberò del suo mantello.
I tre proseguirono, camminando con passo felpato… all’improvviso però si udirono dei lamenti; dapprima deboli e indefiniti, in seguito più forti e ben definiti. Giunti in una piccola sala dallo strano odore si fermarono, mentre Kashda avanzò fino alla parete sul fondo. Non appena vi poggiò la mano, fu scagliata a terra da un’onda di energia… atterrò in mezzo ai due e Azha rise di gusto.
«Che cos’hai da ridere?» le chiese alzandosi, mentre sentì le ossa scricchiolare.
«Ora dobbiamo solo trovare un modo per recuperarla.» Azha rispose alla donna con quelle parole per non rivelare il suo vero motivo e ritrovarsela contro.
Ci provò Horazz e al contatto della sua mano sulla parete, un nuovo passaggio si aprì. Ciò che il muro mostrò fu un altare di pietra e sospeso su di esso, una bolla d’acqua opaca. Il mago sorrise perché ne conosceva il contenuto. Si avvicinò insieme alle due donne, ma non appena sfiorò la bolla, questa cambiò.
«Perché ha cambiato colore?» chiese Azha voltando il capo verso Horazz.
«Non ha cambiato colore ma sostanza.» le rispose Gordoona giunto proprio in quel momento con un Nemodurre, mentre Horazz faceva un giro intorno all’altare.
«Sangue.» fu l’unica parola detta da Kashda a meraviglia del mago.
«Esattamente, l’acqua è diventata sangue per quello innocente versato.» Horazz li informò mentre guardava con attenzione la bolla e provava a scrutare in essa per vedere l’arma.
Gordoona si avvicinò a loro tre e aspettò mentre Horazz si pronunciò con sincerità voltando per un secondo lo sguardo verso di loro: «So per certo che ci sarà molto da lavorare.».
«Forse c’è un modo più rapido per recuperarla. Tagha è stata forgiata con il sangue… ha sparso sangue innocente e… reclama sangue immortale.» s’intromise Azha sorridendo.
Nessuno aprì bocca….
«Ci sono molti immortali, ad esempio gli Dèi, i Difensori della Fede e o addirittura….» Azha prese una boccetta e la lanciò contro la parete di fronte, dove apparve il volto di Lucifero, «Ed io credo che possiamo usufruire del suo.».
Una volta che Azha terminò, Kashda intervenì correggendola con tono di superiorità e facendola arrabbiare: «No, Lucifero a sangue impuro. Se vogliamo Tagha, dobbiamo procurarci il sangue di un immortale dal puro cuore… Erenock.».
«Stai scherzando? Vuoi prendere il suo sangue, beh allora buona fortuna, giacché non si muove dal Palazzo Ombrato.» si alterò Azha, scocciata e un po' invidiosa della sua idea. «Potremmo condurre i Difensori della Fede in una trappola e usare il loro sangue.» consigliò Azha.
«Sei al quanto priva di cervello… i Difensori della Fede sono semi immortali e a noi serve un immortale dal puro cuore. E chi più di Erenock?» Kashda fece risaltare l’incapacità di ragionare della donna e lei dovette zittirsi.
Horazz annuì confermando così le teorie di Kashda. Azha però ancora più gelosa, cercò di metterla in cattiva luce con le sue affermazioni: «Kashda a ragione ed io devo ammetterlo, ma come ci impossessiamo del suo sangue?».
«Io forse so come averlo.» s’intromise Gordoona mentre una strana idea cominciò a prendere forma nella sua mente, che ritornò indietro.
Di colpo il cuore di Erenock bruciò nel suo petto e il dolore che provava era tale che una lacrima scivolò sul suo viso rigandolo. La goccia precipitò nel vuoto fino a toccare il pavimento… sprofondò in esso oltrepassando anche le stelle e scomparendo nella luce. Apparve dinanzi a Lucifero, seduto nel suo trono a riflettere, per finire sul pavimento aprendosi e mostrando un’arma, non definita.
Lui si destò dal nulla e credendo di aver avuto un’allucinazione, pose le mani sui braccioli. Si avvicinò alla pozzanghera che gli mostrò colei che brandiva la tanto temuta spada. Alzò il capo di netto e compì un profondo respiro, in un certo senso amaro.
Tagha era temuta dagli immortali, ma non solo. Anche i cosiddetti Divini, di cui faceva parte anche Lucifero, si prostravano al suo passaggio. All’improvviso sentì il suo cuore pulsare come non mai e sembrava quasi esplodergli nel petto...: «Tagha è stata trovata… manda le nostre spie ha tenerli d’occhio.» ordinò lui serrando le mascelle.
«Voi state perdendo colpi padre.» evidenziò Izhar, le sue mancanze.
«I miei piani proseguono come previsto.» lo informò lui ritornando a sedere.
«Allora era nei tuoi piani che i Gavoth la recuperassero, ma anche che lo facessero con il sangue di Erenock?» domandò in ultimo Izhar.
«No, su questo sono sorpreso. Hanno scelto la strada più pericolosa ma breve.» facendo alla fine una risata bieca.
«Ricorda che se i Gavoth si rivoltassero contro, potresti morire come un comune mortale.» gli rammentò Izhar, «C’è qualcos’altro nel tuo piano, vero?» domandò lui aspettandosi qualcosa di grande.
«Sì, appropriarmi di ciò che ha determinato la mia sconfitta.» rispose Lucifero con vendetta e rivincita nelle parole.
«Anymha… ora come pensi di impossessartene?» domandò Izhar sedendosi sul trono e accavallando le gambe in attesa che Lucifero gli rivelasse i suoi piani.
«Una volta che re Norack sarà morto la spada, sarà mia….» rispose con semplicità.
Intanto Tenrett entrò nelle stanze di Serreiv e la trovò sdraiata sul suo morbido letto; lui si tolse i vestiti e si coricò con lei. Lei sdraiata sulle calde lenzuola di seta, accarezzò i capelli di Tenrett, dal piacere che lui le provocava baciandola sul seno. Passò ha baciarle il collo e la bocca nel tempo in cui la penetrava con forza.
Dopo un po' a comandare fu Serreiv, che gli accarezzava i pettorali contemporaneamente a muoversi su di lui. Il Dio le strinse i fianchi… la Dea gemette e poi si chinò su di lui baciandolo. Ora con l’addome sulle lenzuola, Serreiv ansimava soprattutto avvertendo il peso del Dio su di lei. Le loro mani s’intrecciarono per chiudersi a pugno e un colpo secco la fece gemere.
«A cosa stai pensando fratello mio?» gli domandò Ardenas giunta alle spalle di Falock.
«Se loro due hanno raggiunto lo scopo previsto.» le rispose lui, quando Ardenas gli poggiò le labbra sul collo.
«Vedrai che a breve avremo fra noi un nuovo Dio.» asserì lei strusciando il naso sul suo orecchio destro facendolo eccitare.
«Tu provochi Ardenas.» Falock serrò le mascelle e voltò leggermente il capo verso di lei.
«Perché sento nel profondo, del mio essere un desiderio accendersi per te… fratello mio.» affermò lei baciandogli il collo più volte.
Falock si voltò di scatto verso di lei afferrandole le spalle e baciandola con ardente passione. Le toccò il seno, ma poi si staccò da lei. Era eccitato e si notava, ma serrando le mascelle si avvicinò a lei e disse senza mezzi termini: «Quello che abbiamo appena fatto è grave… va contro le regole….» fu interrotto da Ardenas che lo baciò nell’istante in cui giunse Yadir.
«Già un Dio è stato concepito altri ne volete?» domandò lei mentre li superava.
«Il Dio è stato concepito allora.» lo disse con entusiasmo Ardenas.
«Forse… visto con quanta passione nostro fratello Tenrett ha avuto nostra sorella e, non dirò altro.» Yadir se ne andò senza continuare.
Solo un’ora dopo, quando Tenrett entrò nuovamente nelle stanze di Serreiv, le trovò fra le braccia. Si avvicinò sedendosi al suo fianco e osservò il nuovo Dio ancora con gli occhi chiusi. Il piccolo li aprì per un secondo e Tenrett notò il colore verde intenso, come nella madre. Sorrise: «Ha i tuoi occhi.».
«Dovremo attribuire un nome al Dio della Guerra.» intervenne Falock fermandosi ai piedi del letto.
«Lo chiameremo Robert.» la madre gli attribuì il nome e il piccolo rise.
Nel frattempo la rabbia furiosa della Donna Velata causò la rottura dello specchio. Erenock comparve con volto scuro e ricompose lo specchio. La Donna Velata lo informò immediatamente e con disgusto: «Il Dio è nato. Saranno più forti, ora.».
«Ed io non vedo, dove sia il problema.» pronunciò quelle parole come a rimproverarle la rabbia e l’odio che provava. «Non saranno più forti di quanto non lo siano stati fino a ora. E comunque tu dovresti essere sicura del futuro che il Destino riserva…, restare in quello stato ti ha reso debole mia cara.» si enunciò a stento, quasi avesse paura delle parole dette.
«Lei ha paura.» asserì la voce.
«Voi parlate di paura, di debolezza, ma non sapete nulla. Gli Dèi sono pericolosi e se alleati con Lucifero, lo sono ancora di più!» lei cercò di far comprendere ai due il suo timore, ma sentiva che non ci sarebbe riuscita.
«Ci sono esseri più pericolosi di loro…. Le alleanze che si sono formate hanno distorto l’equilibrio, tuttavia l’hanno anche aggiustato. Ogni gesto che finora abbiamo compiuto e che in futuro compiremo è stato scritto e calcolato nei minimi particolari. Se qualcosa o qualcuno dovesse intromettersi o uscirne, il filo del Destino si spezzerebbe.» si fermò per un attimo e aprì la mano, dove in essa comparve una coppa. Lo fissò e alcuni secondi dopo proseguì: «Per questo motivo la parola “Fine” non può essere ancora scritta.».
Improvvisamente il luogo che lo circondava era una sala circolare sorretta da colonne raffiguranti donne nude con le braccia rivolte verso l’alto e le ali aperte. Tra una statua e l’altra vi era un’arcata e sotto un corridoio molto grande; il pavimento era costituito da blocchi di pietra incastonati fra loro che convergevano tutti verso il centro, dove si trovava un pozzo molto grande.
Si pose davanti a una delle arcate… vide poi entrare due persone incappucciate; indossavano entrambi vestiti di colore marrone scuro… una tunica e un solo guanto che avvolgeva la mano destra, bordati con i materiali più preziosi della Terra. Ciò che però attirò la sua attenzione fu il guanto con lunghi artigli di acciaio incastonati in una piastra metallica incollata sulle nocche.
I due camminavano uno dietro l’altro e il secondo afferrò l’altro spingendolo contro il muro, puntandogli poi gli artigli alla gola. Si scoprì il capo e i due ebbero una forte discussione, nello stesso istante lui aggirò lentamente il pozzo.
Si fermò, a pochi passi fra i due e spalancò gli occhi nello scoprire che l’uomo era Norack. S’irrigidì quando lui uccise l’altro conficcandogli con violenza gli artigli nella gola. L’uomo arricciò il naso mentre sfilava gli artigli sporchi di sangue… se li pulì in un secondo tempo sulla tunica dell’altro che lasciò.
Il corpo privo di vita scivolò lentamente contro il muro sporcandolo per poi finire con la faccia a terra e gli occhi spalancati. Erenock restò immobile e l’uomo andandosene lo attraversò… un altro passo ed entrò una terza persona. Questo pronunciò un nome: “Albhozz” e, il chiamato si fermò. Non si voltò ma restò ad ascoltare: «Uccidere un uomo innocente è un reato punibile con la morte.» l’ho avvisò la persona entrata.
«L’uomo che ho ucciso era un traditore ed è questa la fine che meritava.» sostenne Albhozz sospirando.
«È comunque un reato, se lei dovesse scoprirlo, tu sai a quali conseguenze andresti incontro.» insinuò questo lasciando sempre coperto il volto.
«La tua voce mi è molto familiare eppure non so chi tu sia.» Albhozz si voltò.
Erenock si spostò nuovamente dirigendosi dall’altra parte del pozzo…. L’altro avanzò verso Albhozz lentamente e quando gli fu a pochi centimetri di distanza, si tolse il cappuccio e lo baciò intensamente. E fu allora che la donna pose la mano destra dietro la schiena e afferrò un pugnale conficcandogli la lama affilata nell’addome.
Le loro labbra si staccarono… lui spalancò gli occhi… lei arretrò di poco guardandolo fisso negli occhi. Albhozz retrocedette rapidamente finendo contro una delle statue… scivolò sedendosi a terra nel porsi una mano sulla ferita. Lei restò lì a guardarlo morire per alcuni secondi, poi si girò e se ne andò, ma prima si bloccò di colpo.
Sprangò gli occhi e una riga di sangue le scese dalla bocca. Albhozz si era tolto il pugnale e glielo aveva lanciato conficcandoglielo a pochi centimetri dal cuore.
«Sei una vergogna per la tua specie… angelo.» furono le uniche parole pronunciate da Albhozz tossendo, prima che la donna esplodesse in scintille azzurre e bianche.
Erenock a quel punto si avvicinò a lui… gli si fermò davanti e si abbassò per osservarlo. Lui tremava, mentre continuava a perdere sangue anche dalla bocca. Il comandante però allungò la mano per accarezzarlo… gli arrivò a pochi centimetri dal viso e lui alzò lo sguardo. «Non giudicarmi.» la supplicò, mentre Erenock chiuse gli occhi e abbassò il capo dicendogli che non lo avrebbe fatto.
Dinanzi ad Albhozz, Erenock ora aveva le mani sporche del suo sangue. L’uomo era ancora vivo e lei gli pose una domanda: «Perché sono di qui?».
Respirava a fatica… le poche volte che lui tossiva scivolavano gocce di sangue dalla bocca. «Quello che hai visto mi ha giudicato non con la mente ma con il cuore… e… cerchi come tutti delle risposte.».
«Tu hai ucciso un angelo, una creatura di Dio. Come può il mio cuore non giudicarti?» chiese lui sconvolto e arrabbiato, mentre lanciava delle occhiate alle sue mani.
«Ho ucciso un angelo, questo è vero…. Un angelo che si è messo alla mercé di Lucifero.» lo informò Albhozz spiegando il suo gesto, «Perché credi che Dio sia scomparso?» gli domandò aspettandosi una risposta plausibile.
«Perché l’Uomo si è dimenticato di lui. Perché è stato abbandonato dai suoi stessi figli.» rispose Erenock convinto delle sue parole.
«Non solo… Dio è scomparso anche perché molti angeli hanno fatto il doppio gioco abbandonandolo e tradendolo come se fosse uno sporco essere.» spiegò ancora raccontando la verità.
«Mentre il resto degli angeli si è rifugiato sulla Terra.» continuò il comandante mettendo insieme i pezzi del puzzle.
«Avvenne prima della scomparsa di Dio e antecedente alla battaglia fra gli Dèi e gli stessi angeli.» sostenne Albhozz cercando di alzarsi.
«Perché degli angeli dovevano mescolarsi ai mortali prima ancora che una battaglia dovesse incominciare? Continua te ne prego….» lo prese sotto braccio e l’ho portò al pozzo. Lo fece sedere sul bordo ponendosi accanto a lui: «Dimmi ancora, la scomparsa di Dio coincide con la venuta degli Dèi?» gli domandò curioso.
«Non esattamente…. Dio intravide l’indebolimento della sua fede negli occhi degli Uomini, allora volle aiutarli, dare un’occasione per rafforzare quella fede. Purtroppo sopraggiunsero gli Dèi per distruggere quell’ultimo barlume di speranza che Dio percepiva nei cuori degli Uomini. Non poteva fare niente e a quel punto lì avvertì di un suo abbandono, ma gli Uomini erano accecati dalle promesse degli Dèi e non badarono alle sue parole.» si fermò per riprendere fiato.
«La vittoria su Dio e la sottomissione dei suoi figli mortali.» la frase che uscì dalla bocca dello spirito scosse non poco il guerriero.
Anche se la verità gli doleva, continuò: «La cosiddetta “vittoria” che gli Dèi avevano avuto sull’Uomo li portò ad alzare i loro livelli, quindi a scontrarsi con gli angeli fedeli a Dio. Quando questi videro la delusione che gli Uomini avevano portato nel cuore del loro Signore, del loro amato Padre, a causa degli Dèi, smisero tutti di combattere. Secoli di dura battaglia furono andati perduti in un istante…. Alcuni angeli furono dispersi ai quattro angoli del mondo incatenati in prigioni di corpi mortali, diversi furono schiavizzati, i pochi che ebbero fortuna si mescolarono fra i mortali.».
«Io però non capisco ancora una cosa… cosa centra tutto questo con la sparizione improvvisa della Suprema Imperatrice?» gli domandò più confuso che mai.
«Accadde tutto poco tempo dopo…. Dio era adirato con l’umanità, gli Dèi e gli stessi angeli per aver smesso, se pur vogliamo dire così, di credere nella sua fiducia e nella sua parola. Perdonò allora i suoi angeli e poiché l’umanità era la cosa più bella che lui avesse mai creato non volle estinguerla.» Albhozz rispose solo in parte alla domanda che gli aveva posto.
Erenock si alzò e si avvicinò a una delle statue; restò con il volto sul muro e nel voltarsi disse: «E qui subentra la Suprema Imperatrice.».
«Dio voleva portare ordine nell’universo e per farlo aveva bisogno di qualcuno che fosse estraneo a tutto quello. Invocò l’aiuto, per così dire, della mia amata… la Suprema Imperatrice. Da qui tutta la storia è distorta.» rispose lui ancora più debole.
«Da chi?» domandò il comandante mentre avanzava verso di lui con sguardo sconcertato dalla notizia.
Albhozz si piegò dal dolore che proveniva dalla ferita, ma diede ugualmente una risposta allo spirito: «Questo io non so dirtelo, dopo che lei subentrò, tutto è diventato confuso e contorto. Ciò che ti ho detto è tutta la verità che io conosco. Volevi delle risposte? Eccoti accontentata. È stata una menzogna e nient’altro che sofferenza per ogni essere vivente nell’universo.».
Albhozz cercò di dargli un’ennesima risposta che fosse plausibile: «Ascolta le mie ultime parole… non c’è verità più vera di quella di un passato così vecchio. Comprenderai le mie parole quando troverai ciò che stai tanto cercando.».
Erenock rimuginò alle parole che Albhozz gli aveva detto e senza una ragione apparente si ritrovò nel punto in cui sembrava essere sparito.
Gordoona invece ritornò alcuni minuti dopo con un pugnale la cui lama era intrisa del sangue del Comandante Erenock: seccato dal tempo ma ancora servibile. Lo estrasse dalla custodia magica che era stata creata per proteggere il sangue e lo porse al mago. Horazz fece scivolare dell’acqua sulla lama e quando il sangue cominciò a sciogliersi, lui divise i due liquidi.
Recuperò così il sangue di Erenock e lo lasciò cadere sulla bolla…. Iniziò ad aprirsi in cima e dopo un po' mostrò Tagha: una sfera incastonata in una sottile lama fungeva da pomolo e un laccio di cuoio avvolgeva il liscio manico. La guardia invece era una stella a cinque punte tridimensionale montata su una lama formata da spigoli con gli archi posti verso l'interno e una striscia, delle stesse sagome, centrale in argento e in rilievo con il debole diritto. La lama inoltre era di robusta fattura e più affilata di altre conosciute.
Horazz si allungò per afferrarne l’elsa, ma fu bloccato di netto da Kashda: «Fai attenzione.» gli suggerì afferrandogli il polso.
Horazz ritirò indietro la mano.
«So come averla, ma per farlo mi serve il resto del sangue.» così allungò la mano verso Horazz aspettando che lui glielo consegnasse.
Kashda acchiappò la piccola sfera che il mago aveva creato, sciogliendolo sulla sua pelle. Fu modellato dalla magia della donna per formarne un guanto. Sorrise, mentre s’infilava il guanto.
Ne prese meglio forma allungandosi a punta fin sotto il gomito. Più che un guanto sembrava una pelle e Kashda senza accenni si voltò verso la spada e ne impugnò l’elsa. La brandì con estrema sicurezza e la fece roteare fermandone la lama dinanzi agli occhi per osservarne i dettagli: «Il suo potere è incredibile, emana una straordinaria forza.» espresse poi ciò che provava impugnandola.
Horazz le consigliò di fare molta attenzione nell’usare la spada e lei annuì come se non avesse mai ascoltato il mago. Tagha era ora nelle mani del Concilio dell’Ombra e in molti sarebbero stati in pericolo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un dono speciale ***


Decimo capitolo
 
Un dono speciale
 
 
 
 
Un’ora dopo re Norack aveva schierato dinanzi al regno sia la cavalleria, che la fanteria… sui bastioni si trovavano i migliori arcieri del reame e nella stessa capitale altri soldati per respingere un’eventuale penetrazione del nemico. E dietro il grande portone d’entrata vi erano poderosi cavalli che avrebbero aperto con la loro forza i battenti a un solo cenno del re.
Norack osservò il cielo per qualche secondo e subito spronò il suo destriero al galoppo dirigendosi dinanzi alle truppe schierate. Tirò le redini verso di se e girò il cavallo per parlare all’esercito: «Sono il vostro re da pochi anni e pretendo da voi una scelta immediata… lasciare che Lucifero distrugga la nostra casa e i sacrifici compiuti sino a oggi o impugnare le armi e combattere per difendere ciò che ci appartiene.».
Il suo cavallo, come gli altri, era agitato e Norack fece addirittura fatica a trattenerlo. Si fece largo subito un uomo arruolato. «Noi siamo qui per combattere vostra altezza e non per vedere in fumo il nostro futuro.». Gridò ha squarcia gola.
All’improvviso dal fondo dell’esercito si levò un incitamento a combattere: «All’Inferno Lucifero e la sua armata… alla libertà le nostre terre.».
Non ci fu il tempo di replicare che l’esercito lo gridò al vento, il quale divenne un'unica voce. Erano pronti a morire. Il vento, intanto, si era alzato e dalle acque del mare, uscì la prima schiera dell’armata di Lucifero. Con ferocia e senza pietà, quelle bestie si abbatterono contro il porto e lo distrussero.
Uccisero tutti, compresi le donne e i bambini che non vollero abbandonare le proprie terre: «[1] Ukku bunesuka.» si sgolò uno Sghamern con voce rauca e spaventosa.
Marciarono su Nits'Irc… la notizia giunse a Norack con un tono sordo… da lontano vide un soldato cavalcare verso di lui rapidamente e questi si fermò tirando con forza le briglie. Si arrestò dinanzi al re e gli proferì le notizie: «Porto delle novità dal porto, sire… è stato distrutto e le genti uccise. L’orda di mostri avanza rapidamente.».
Norack annuì e il soldato si allontanò. Voltò nuovamente lo sguardo e urlò: “Preparatevi alla battaglia”. Si levò immediatamente un coro d’incitamento. Dalla torre più alta che la capitale aveva eretto, si udì il suono dei grandi Corni d’Avorio che si propagarono all’istante in tutto il territorio.
Grazie al Trasportatore di cui le armate di Lucifero erano state dotate, si poterono spostare da un luogo all’altro senza perdere del tempo prezioso. Infatti, solo qualche minuto dopo che il re ebbe ricevuto la notizia, all’orizzonte s’intravidero i primi ed enormi fuochi. La terra tremava ha ogni loro passo. I cavalli erano agitati e i loro cavalieri facevano fatica a tenerli in riga. Arrivavano…. Erano migliaia.
Quelle bestie feroci formavano un largo fronte davanti ai loro occhi funesti. Alla vista di quelle cose orribili, un uomo sentì il cuore fermarsi dal terrore… deglutì, forse per la cattiva sorte che attendeva tutti loro e strinse l’elsa della sua spada.
La prima schiera si arrestò e nell’aria non si udì più nulla. Norack diede un comando: «Prima posizione.» e la fanteria si allargò. Fra un soldato e l’altro lasciarono un metro e mezzo di spazio forse addirittura due. Qual era la sua tattica? Perché quella posizione? Erano domande che avrebbero avuto senza indugio un’immediata risposta. Gli Sghamern erano i primi che avrebbero affrontato.
La schiera di bestie attaccò…. Avanzarono urlando e grugnendo come maiali condotti al macello, diretti verso quel piccolo esercito di soli “uomini”. Norack intanto diede un altro comando: «Non muovetevi. Restate ai vostri posti.».
Norack diede ancora un segnale e dalla quarta mura di cinta, le frecce furono infuocate e un uomo gridò il comando: «Arcieri… mirare… scoccare.». Una pioggia di frecce infiammate si riversò sibilando sui mostri. In molti caddero morti e in pochi rimasero solamente feriti. Gli arcieri di Nits’Irc erano i migliori fra tutte le terre… nel novantanove per cento delle volte colpivano il loro bersaglio.
Per ogni mostro ucciso, altri cinque avanzavano senza paura della morte. Gli Sghamern si trovavano distanti una cinquantina di metri e Norack alzò il braccio sinistro calandolo di scatto; dal fondo dell’esercito si udirono gli ordini impartiti ai destrieri e la cavalleria avanzò fra la fanteria.
Con una mano reggevano le briglie e con l’altra stringevano saldamente le armi. Le lance, le alabarde e le picche furono le prime a essere impugnate e usate. Un soldato della prima fila lanciò con quanta forza aveva una picca colpendo in pieno volto uno Sghamern. Il soldato recuperò la picca, uccidendone due che gli correvano contro.
L’impatto tra i due schieramenti fu devastante… quelle creature combattevano per distruggere e uccidere più vite umane possibili. I primi soldati a scontrarsi con quelle bestie furono gettati a terra con un tonfo sordo… si rialzarono immediatamente come le loro cavalcature e impugnarono le armi per difendersi. La cavalleria non si spinse oltre la prima schiera di mostri, secondo il piano del re.
Fra tutto quel trambusto, Norack notò gli occhi del loro capo, iniettati di sangue che lo fissavano… era inquietante tuttavia nessuno di loro aveva altra scelta. Il re chiuse gli occhi nel momento in cui compì un profondo respiro… riusciva da quella distanza a sentirne lo strepito, ma non di voci umane, bensì delle spade affilate di ogni cavalieri e, nelle retrovie, delle scuri e delle svariate armi dei soldati. Col suo respirare riuscì a tenere sotto controllo il battito del suo cuore e così a mantenere la calma.
La macchia grigia che si estendeva sempre di più portò il re a compiere un gesto… sguainò una spada - semplice pur essendo di ottima manifattura - e i grandi Corni d’Avorio fecero sentire ancora una volta la loro voce. Due suoni intermittenti furono il segnale che fece scattare le due truppe di Norack, nascoste per sorprendere il nemico.
Li attaccarono ai lati e le bestie furono sopraffatte… un soldato si trovò a faccia a faccia con uno Sghamern più grande degli altri e iniziarono a girare in tondo. Di colpo la creatura fece la prima mossa attaccandolo all’altezza della gola. Il soldato prontamente si abbassò ferendolo all’addome.
Il mostro non badò alla ferita e continuò a combattere. Le lame delle armi s’incrociavano e nello staccarle il soldato retrocedette. La creatura impugnò un’altra arma presa dietro la schiena e usando entrambe, fece cadere la spada al soldato che non dimostrando alcun cenno di paura recuperò una lancia alla sua destra per difendersi.
Si lanciò verso quest'ultima e la afferrò, ferendo lo Sghamern sulla faccia. La bestia retrocedette di un passo e il soldato ebbe il tempo di colpirlo con il bastone alle ginocchia. Nello stesso istante, uno alla sua destra si avventò su di lui che indietreggiò facendolo colpire a vuoto. Un altro alle sue spalle e lui, si girò di netto verso sinistra decapitandolo.
Si rigirò verso lo Sghamern precedente e bloccò il primo colpo in alto… un secondo in basso… un terzo lo parò al centro dopo aver fatto un giro su se stesso. Il mostro a sua volta bloccò il colpo e gli diede un calcio. Il soldato non cadde bensì indietreggiò infilzando prima un demone alle sue spalle e poi il nemico di fronte lacerandogli la gola. La creatura cadde al suolo e il soldato strinse con la mano l’elsa della spada facendo sgocciolare il sangue sul terreno.
Per la fanteria che antecedeva il re, le armature che indossavano i loro compagni apparivano indistinte e tutte simili tra loro, come le corazze dei nemici.
Dal suo trono Lucifero osservava con soddisfazione la sua superiorità. Era compiaciuto del risultato ottenuto e la sua felicità esaltava la sua vittoria imminente. «Questa volta niente e nessuno ci potrà fermare, padre.» confermò Izhar avvicinandosi a lui con passo lento ma deciso.
«Manda Yorghunne sulla Terra… si assicuri che re Norack non sopravviva alla battaglia.» glielo ordinò con estrema tranquillità e rilassamento. Izhar lo lasciò solo e lui sorrise…. Lo scontro stava proseguendo vivacemente col vantaggio di Lucifero.
Durante il tempo in cui Norack si lanciò all’attacco con la fanteria, cavalcando contro il nemico, dall’Inferno sopraggiunsero altre creature…. I Rhotuak… s’intrufolarono nella mischia sbandierando le asce e mietendo le loro prime vittime. Erano creature ruvide, irsute e rozze, dotati di un naso piccolo e schiacciato e di una corta coda dal pelo poco esteso e pungente. Erano a grandezza umana. La pelle era di colore blu scuro con occhi rossi e leggermente sporgenti. Mani e piedi erano grossi e pelosi e possedevano solo quattro dita. I Rhotuak a differenza dei Nurzhak erano molto puzzolenti e, alquanto, stupidi, ma con una forza spaventosa e l’unica maniera per ucciderli definitivamente era bruciarli.
A seguire giunsero i Nurzhak che uccisero con le proprie mani divorando i nemici. Creature alte due metri avevano la pelle bianca, rugosa e con pustole e vesciche che non presentavano né capelli né peli, ma degli occhi gialli con venature sul verde alle estremità. Le loro unghie lunghe due centimetri e più dure della pietra, erano in grado di trasformare un uomo nella loro razza. Assetate di sangue e prive di ogni sentimento naturale, si cibavano di carne umana, ma a differenza dei loro amici Rhotuak, questi mostri al contatto con la luce diventavano di pietra. Il loro carattere era malvagio e spietato. L’aspetto ripugnava chiunque, erano però capaci di rigenerarsi.
Norack fu subito gettato a terra da uno Sghamern. Gli conficcò la lama della spada nello stomaco, ma sembrava più forte di prima. Per non essere ucciso gli trapassò la gola con il suo pugnale e la creatura cedette. Spinse il cadavere alla sua destra e si rialzò immerso nel suo sangue.
Si guardò in giro e incrociò lo sguardo di Yorghunne. Si fissarono per alcuni minuti. Il tempo sembrò essersi fermato. Le grida di morte, gli incitamenti a uccidere, il sibilo delle frecce sulla testa e il tintinnio delle asce taglienti, divennero di colpo più deboli e indistinti. Norack riusciva a udire il respiro affannato che proveniva alle sue spalle e senza pensarci roteò la spada. Si voltò di scatto e decapitò un Rhotuak. Il re percepì l’odore di zolfo che emanavano e questo lo spinse a concentrare tutti i sensi e le energie sulla lotta.
Vide in lontananza un soldato in difficoltà e si scagliò contro la bestia con un grido agghiacciante. Creò sul braccio sinistro uno scudo di terra solidificata e avvicinatosi al Nurzhak si abbassò per non essere colpito a sua volta. Colpì il piede dell’avversario con il bordo dello scudo, fracassandolo. Con quella mossa diede tempo necessario al soldato di rialzarsi e difendersi.
Si accanì contro quel mostro amputandogli il braccio destro… cadde sul terreno calpestato, mentre il sangue viola schizzò dalla ferita tracciando degli strani disegni sull’erba falciata. Pochi secondi e la creatura ricevette un colpo alla gola che lo uccise.
Il corpo ormai privo di vita cadde sul terreno creando sottostante la ferita, una pozza di sangue. Norack lo guardò con respiro veloce e prima che potesse parlare il corpo della bestia, si separò in brandelli: «Porta i miei saluti a Lucifero.» sputandogli addosso.
Si voltò per combattere contro uno Sghamern, ma nel frattempo alle sue spalle, i brandelli del Nurzhak iniziarono a muoversi l'uno, verso l'altro al fine di ricostituire l'intera struttura dell'organismo del mostro. Dopo aver ucciso lo Sghamern, Norack si ritrovò a faccia a faccia col Nurzhak. Indietreggiò di alcuni passi e poi udì delle parole: “La luce”.
Norack obbedì e sprigionò dalla mano destra una forte luce bianca. Allo svanire della stessa, la creatura era pietrificata e Norack con forza gli diede un calcio. La pietra diventò polvere e da quell’istante non ebbe più un attimo di tregua. A ogni passo e a ogni movimento, il corpo doleva e braccia, spalle e gambe diventavano sempre più pesanti. Stavano avendo la peggio. Alla fine erano solo uomini che affrontavano delle bestie.
La lama si abbatté su di loro con forza e determinazione, senza indugiare nel colpire l’avversario. Uno… due… tre… quattro e così via, uno dopo l’altro i Nurzhak furono eliminati. All’improvviso Norack sentì come una presenza alle sue spalle. Si girò e indietreggiò di scatto. Vide un Rhotuak. Qualcuno gli aveva infilzato una lama nella schiena e rigirata prima di sfilarla.
Norack retrocedette lasciando che il corpo esanime della bestia cadesse. Fissò prima il mostro, poi alzò lo sguardo. Era stato Nick ha salvargli la vita: «Ti devo….» fu interrotto di colpo. Con un cenno della testa gli fece capire di non doverle nulla e ripresero a combattere.
Entrarono nella sala tre servi; un uomo e due donne ai lati. Avevano fra le mani tre diverse coppe: la prima era d’argento, la seconda di legno e l’ultima d’avorio.
I servi si fermarono e chinarono leggermente le coppe mostrando cosa contenessero; quella d’oro accoglieva un liquido bianco, quella di legno era vuota, mentre quella d’avorio delle scaglie dorate. A un ordine di Erenock, il liquido bianco fu versato nelle scaglie, poi l’intero contenuto fu nuovamente versato nella coppa di legno e portata a lui.
Non appena prese nella mano la coppa, le scaglie si sciolsero. Osservò le due sostanze fondersi fra loro. Le rovesciò… scivolarono sui gradini, fermandosi in una pozza dinanzi ai servi. Questi uscirono portando la coppa via e il liquido diventò un draghetto minuscolo. Non riusciva nemmeno a camminare e spiegò le ali volando verso Erenock.
Si posò sull’avambraccio sinistro e sbadigliò sulla sua faccia. Erenock lo accarezzò sotto il mento ruvido: «Fa il tuo dovere.» il draghetto ruggì ed Erenock chiuse la mano.
«Tu sei intervenuto… perché?» gli domandò Urtec sorpreso.
«Ogni mio passo è calcolato nei minimi particolari.» rispose con estrema serenità e forse una leggera soddisfazione.
«Sei ossessionato dai particolari….» affermò Urtec, «… eppure ami lasciare agire al caso. Sembri proprio lei….» ghignò a pena.
Erenock annuì alle sue parole e proprio in quel momento sui soldati, scese un velo di morte infinita. Norack si fermò e si guardò intorno. Intravide Nick che cercava di dirgli qualcosa, ma non ci riuscì per la troppa distanza fra i due.
D’improvviso sussultò. Spalancò gli occhi sentendo una fitta nello stomaco e il sapore del sangue in bocca. Abbassò la testa e vide una lama che fuoriusciva dal suo corpo. Provava una strana sensazione. Alle sue spalle, uno Sghamern che lo superava di una ventina di centimetri, sfilò la lama insanguinata.
Incominciò a respirare più velocemente… serrò le mascelle e stringendo l’elsa lo decapitò. Il sangue scivolò lungo la lama che gocciolò sul terreno sporcandolo. «Che cosa accade? Dovrei essere morto.» fu sorpreso di essere ancora vivo.
Norack mandò all’altro mondo un ultimo avversario prima di fermarsi e riprendere fiato. Allungò la mano verso la borraccia che poneva al fianco destro… bevve un sorso e poi se la versò sui capelli sudati. Scivolandogli sul viso, gli restituì vigore. Ripose la borraccia e impugnò nuovamente la sua spada.
Vide scagliarsi contro più di uno Sghamern che affrontò con Nick. I due combatterono a fianco a fianco, fino a quando tutto non si fermò per un istante. Si guardarono intorno per capire che cosa fosse accaduto e Nick parlò: «Credo che Lucifero si stia preparando a inviare altre sue creature.».
«Non ci spaventa, le affronteremo come stiamo facendo con queste….» s’interruppe di netto Norack.
«Dopotutto siamo immortali… per adesso e ringraziamo gli Dèi per questo grande dono.» si pronunciò Nick con respiro affannato.
«Non sono gli Dèi che dobbiamo ringraziare per questo dono, ma qualcun altro… Erenock.» sostenne il re guardandolo negli occhi, riprendendo a combattere.
«Erenock.» lei affermò l’intuizione di Norack e ciò che si era fermato riprese a combattere e a distruggere.
La terra tremò.
Tuoni e fulmini squarciarono d’improvviso il cielo… si scagliavano sulla Terra aprendo centinaia di voragini. Piccole montagne e grandi promontori si alzarono oscurando gli eserciti e creando nuove geografie dei territori. Boschi e foreste furono spazzati via e al loro posto rimase soltanto pietra incandescente… laghi e fiumi, invece, furono prosciugati e rimpiazzati dalla lava.
Gigantesche colone di fuoco si materializzarono e pericolosi tornado si abbatterono nelle vicinanze degli eserciti bloccando loro una possibile via di fuga. La Terra stava diventando simile all’Inferno durante il tempo in cui nuovi danni furono causati dalle innumerevoli tempeste che si abbatterono sui regni.
Gli uomini nonostante ciò che li circondava continuavano a combattere senza sosta. Divenuti, ormai immortali sembravano avere più forza… affrontavano le creature di Lucifero con più coraggio e freddezza. Non sembravano più uomini che difendevano il loro futuro e preservavano il loro passato, ma più mercenari addestrati a uccidere.
Al fianco di re Norack, Nick continuava a combattere e Lucifero li osservava mostrando la sua rabbia nelle mani. La sua furia diventò tale da fargli commettere un errore. Al suo cospetto chiamò Izhar informandolo dei suoi piani….
Norack e Nick restarono immobili, mentre il respiro affannato divenne sempre più soffocato e il sangue colò dalla fronte di Nick: «Anche se siamo immortali, non siamo immuni alla stanchezza.».
«Hai ragione… sete e fame ci infliggono triplici dolori… sarebbe meglio una spada nel petto, farebbe meno male.» Norack fu ironico nelle sue parole e voltandosi di scatto tranciò di netto la testa di uno Sghamern.
«Più noi ne uccidiamo, più loro giungono numerosi contro di noi.» Nick invece asserì con delusione ciò che pensava e realmente era… si ritrovò di colpo alle spalle due Peril che lo saltarono addosso.
Nell’istante in cui Nick si proteggeva bloccando quelle creature con la lama della sua spada, corse da lui Norack. I Peril, lasciato l’uomo, si avventarono sul re. Norack volle aiutarlo, ma un Nurzhak, lo gettò a terra facendogli perdere l’arma. Strisciò sulla schiena cercando di recuperare qualsiasi arma… prima che la creatura potesse colpirlo, lui la uccise.
Ritornato in piedi, Norack poté aiutare il suo amico a scacciare i Peril che sparirono. Riunitesi, non riuscirono a riprendere fiato che altre creature li circondarono. Il re aspettandosi una pessima notizia, si rivolse all’amico: «Queste sarebbero le creature più pericolose che Lucifero abbia?».
«Io non credo.» rispose l’altro osservandoli avanzare.
«Direi che è una buona notizia.» affermò Norack facendo roteare la spada.
Erenock se ne stava seduto su una bellissima sedia ai piedi del suo letto a fissare il vuoto, in solitudine. Il vuoto in cui il suo sguardo era precipitato, era colmo delle urla di dolore e dei rumori delle armi che si scontravano provenienti dalla Terra. Urtec lo fissava quasi sconcertato dalla sua immobilità e si pronunciò destandolo dalla sua concentrazione: «Mio signore, fermate tutto, prima che sia troppo tardi.».
Lui non gli rispose e uscì dalle sue stanze dal lato della terrazza. Camminò verso la ringhiera di marmo osservando le due lune troneggiare nel firmamento, quando si destò dalla sua meditazione per la comparsa di qualcuno alle sue spalle. Restò a fissare i due astri e con indifferenza disse: «Conoscete le mie risposte e le mie ragioni… non oltrepassare il limite.».
«… ci sarà un tradimento….» quelle parole pronunciate da una bambina, non ebbero né un inizio né una fine.
«Ce ne sono stati tanti e ce ne saranno molti altri ancora, perché questo dovrebbe essere preso in considerazione da me?» le domandò Erenock con la sua estrema freddezza.
«Il tradimento… riguarda tre sorelle.» la bambina gli rispose conoscendo alla perfezione la reazione che avrebbe avuto.
Al sol sentire “tre sorelle” il sangue gli penetrò negli occhi e alla bambina le ordinò di liberarlo. La piccola gli fece un inchino con il capo e sparì a un battito di ciglia… tutto era in movimento e nelle Caverne di Rivhja a Sud del Palazzo Ombrato, la bambina osservava felice l’oggetto alto, nascosto da un lenzuolo di seta. Divertita, lo scoprì… era uno specchio di semplice fattura. Sorrise nuovamente la piccola e si pronunciò: «Per volere di Erenock… tu sei libero.».
Il ghiaccio che lo bloccava nel terreno esplose in cristalli che sparirono al contatto col suolo. Un urlo si levò dallo specchio e da esso il custode uscì. Si avvicinò alla bambina e le parlò: «Migu… rispondi alla mia domanda… perché egli mi libera, se fu, lui stesso ha incatenarmi dopo il mio tradimento?».
Migu lo guardò sorridendo e gli rispose: «Per due semplici motivi…. In primo perché gli servi, in secondo perché egli è un essere magnanimo e vuole offrirti una seconda chance… non fartela scappare e sappila sfruttare con saggezza.» in un certo senso la bambina lo rimproverò.
«Ho fatto un errore gravissimo di cui mi pento dolorosamente e ritorno al suo servizio con onore, rispetto e il suo perdono.» enunciò Yanseou calando il capo.
Nella mente di Erenock i ricordi vagavano… a volte si allontanavano altre si avvicinavano fino a divenirgli quasi reali. Il luogo era buio, ma il calore era vivido dentro di lui. Dinanzi allo specchio, lui rifletteva prima di evocarla. Lo specchio, ora cambiato, mostrava un aspetto più delicato e lineare… quasi non più uno specchio. Era una lastra priva di forma e colore avvolta da una sottile nebbia bianca quasi grigia.
Yanseou si materializzò nello specchio e calò il capo alla vista di Erenock che gli chiese di mostrargliela. Il custode lasciò spazio a una donna nascosta da lunghi veli neri e lui, il Comandante Erenock s'inginocchiò al suo capezzale. Mantenne il capo abbassato… il suo sguardo reclinato quasi a fissare il suo corpo gli mostrò di essere inferiore a quella donna. Chi poteva essere la donna? E perché Erenock s’inginocchiò a lei? Forse lui la temeva? Domande che non avrebbero avuto risposta.
Con tono angelico quasi soave lei gli chiese di alzarsi; Erenock obbedì e tenendo lo sguardo sempre abbassato si pronunciò anch'egli: «Che cosa vuoi che faccia?».
«Lascia che trovino la strada da soli….» gli rispose lei poggiando la mano destra sulla superficie dello specchio, mentre lui compì lo stesso gesto, «Cammina lungo il tuo sentiero finché il destino non cambia direzione.».
La salutò… chiuse gli occhi e ad aprirli si ritrovò camminando verso la sala del trono; nell’avvicinarsi, gli abiti che lui indossava cambiarono… se ne materializzarono di nuovi in cuoio rivestiti di lino bianco. La camicia era priva di maniche e di qualsiasi chiusura sul petto.
Nella sala del trono vide Lucifero seduto su di esso. Intorno a lui si poteva notare la sua completa noncuranza e costatare un ghigno beffardo. Erenock avanzò verso di lui e bloccò il suo passo all’improvviso… Lucifero si pronunciò con totale impudenza e solennità che quasi anche lui potesse avere una personalità: «Due volte in così poco tempo io spero che non sia un vizio Erenock.».
«Avevamo un accordo… che tu hai violato.» gli ricordò allora Erenock con aria limpida.
«L’accordo…. Quell’accordo è stato stipulato molto tempo fa, quando gli eventi trascorsi fino a oggi… non si pensavano essere possibili. Tu credevi davvero che io avrei mantenuto i nostri accordi?» gli assicurò Lucifero con sarcasmo.
«Ritorna nel tuo regno Lucifero e dimenticherò ogni cosa….» gli consigliò Erenock dandogli un’ultima possibilità di scelta.
«Io non sono un vigliacco Erenock… come te.» sostenne con fermezza Lucifero provocandolo.
«Tu sei solito provocare le persone Lucifero, ma sei capitato male con me. Tu sai benissimo che io non rispondo alle provocazioni e soprattutto alle tue.» Erenock si aspettò l’ennesima istigazione.
«Sei un vigliacco senza eguali. Te ne stai qui, nel tuo palazzo invece che la fuori a combattere al fianco della Congregazione della Luce… li hai lasciati andare incontro alla morte.» sostenne Lucifero materializzandosi al suo fianco, posto nella direzione opposta alla sua. Lo accusò di essere privo di emozioni e crudele più di lui.
«Questo è strano, perché sai benissimo che non avresti alcuna possibilità di vittoria se io scendessi in campo… andrebbe tutto in tuo svantaggio e questo tu non lo vuoi, vero Lucifero?» gli domandò Erenock confermando le paure di chi odiava profondamente.
«Tu credi di essere invincibile Erenock, rispondi?» un’altra domanda e con tono infastidito.
«No, io non credo e non sono invincibile, ma posso ugualmente batterti. Ora lascia questo luogo prima che perda la mia pazienza.» Erenock gli rispose con impassibilità nell’istante in cui Lucifero lo oltrepassò.
Si pronunciò con tono di superiorità prima di compiere l’ennesima rappresaglia nei confronti del comandante. «Hai donato l’immortalità ai soldati, ma non durerà molto e sarà una tua conseguenza ciò che accadrà.».
I primi ad attaccare furono i Qaleiech, bestie dalla testa ovale con grandi e sottili occhi di colore rosso che sembravano scrutare nell’animo delle creature che avevano davanti. Erano molto simili alle lucertole dal muso schiacciato con alcuni particolari che li differenziavano: grandi corna sulla fronte che variavano di grandezza e delle lunghe e sottili orecchie pelose verso le punte. Solo il loro corpo misurava tre metri, tralasciando la coda massiccia di un paio di metri in più. Si presentavano ricurvi a evidenziare la spina dorsale su zampe muscolose composte ciascuna da sei artigli, affilati e corti. Il pelo corto ricopriva gran parte del loro corpo e in alcuni punti, come la coda, di aculei lunghi dieci centimetri e resistenti ad alcuni metalli.
Nell’affrontarli, Urtec comparve sulle spalle di Norack, spiegandogli che cosa fossero: «Qaleiech… quando combattono, si alzano sulle zampe posteriori che si gonfiano per sorreggere il peso dell’intero corpo…. Uccidono la vittima designata con un solo colpo alla gola e poi la lasciano decomporre per divorarla e degustandola in secondo momento. Il loro unico punto debole è la coda… tagliatela e moriranno.».
«E quelli che sono?» domandò Nick abbassandosi evitando di essere colpito in pieno da un’ascia.
Le altre creature apparse erano Tirrmasse... anche loro delle bestie, ma dalle sembianze di uomini enormi, muscolosi e forti con pelle scura come il carbone e un unico corno sulla fronte, lungo trenta centimetri. Spaventavano chiunque e sembravano, dalla loro stazza, invincibili. Avevano degli artigli ricurvi dal corno fin dietro la nuca, mentre sul volto portavano una maschera di pelle umana che li copriva fino al naso.
Intorno al corno di un Tirrmasse comparvero scie bianche che lo sradicarono dalla sua faccia e alla domanda del soldato rispose un uomo: «Tirrmasse, è il loro nome… sono forti, ma non veloci nel combattimento. Il loro punto debole è il corno….» era Rhoktar che spiegò chi fossero quelle creature.
«Non chiederò come voi li conosciate padre. Ciò che è importante adesso è distruggerli.» proprio in quel momento Norack aiutò Nick a tagliare di netto la coda di un Qaleiech che si trovava di spalle.
La creatura non ebbe il tempo di cadere sul terreno che si carbonizzò; lei gli diede un calcio e lo distrusse. Al gruppetto dei quattro si aggiunsero altri soldati i quali Norack spronò al combattimento: «Beh, allora diamoci da fare. Non facciamo attenderli troppo.».
Ora il mondo era l’Inferno.
 
 
[1] Alla capitale. – (lingua dell’Inferno)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Un risultato poco piacevole ***


Undicesimo capitolo
 
Un risultato poco piacevole
 
 
 
 
Per le innumerevoli bestie provenienti dall’Inferno, i soldati retrocedevano facendone ugualmente cadere a centinaia. Alla fine, anche se immortali, incominciarono ad avvertire stanchezza e dolore. Piccoli fuochi erano sparsi sul campo di battaglia per accentuare la visibilità e riconoscere il nemico.
Tutto dopo un po' era divenuto uguale… i movimenti, il luogo e persino i volti dei combattenti. Il sangue dei primi morti si era rappreso sul terreno, sulle armi, sugli abiti, le armature e la pelle; gli uomini si confondevano fra loro tanto da essere identificati dalle creature dell’Inferno come un’unica copia.
Poi all’improvviso, i soldati della resistenza appena trafitti incominciarono a morire. Lucifero aveva rubato il dono che Erenock, aveva concesso loro provocandolo per l’ennesima volta. Ci volle poco e i Difensori della Fede si trovarono in grave pericolo… Annuhyev lo avvertì e sprigionò dal suo cuore il potere che custodiva. Il potere sorvolò ciò che restava delle terre fino ad arrivare a Norack… in quel momento si stava difendendo dall’accanimento di un Tirrmasse.
Un soldato si scagliò contro la creatura per difendere il suo re, ma il Tirrmasse con la sola forza del suo braccio lo scaraventò a una decina di metri di distanza, uccidendolo. Norack ne approfittò per staccargli il corno dalla fronte e ciò nonostante la sua velocità, il Tirrmasse gli afferrò la lama della spada.
Norack cercò di riprendersi l’arma e il Tirrmasse rise… aveva deciso di distruggergliela, ma quando cercò di farlo, la spada si sostituì in Anymha. Emise una così forte luce che nel raggio di venti metri ogni creatura giunta dall’Inferno fu disintegrata. Ora che il re impugnava Anymha come un guerriero e un sovrano, essa fu libera.
Così come Norack anche agli altri Difensori della Fede comparve una nuova spada… chiamata Saarth. L’arma simile ad Anymha presentava una guardia costituita da ali di rondine incastonate in un cilindro d’oro. Ne avvertirono l’energia e, Lucifero mosse la sua prossima pedina.
«Non ti ricorda nessuno, Erenock?» Lucifero glielo domandò sicuro del suo piano e sul trono del guerriero comparve Lianda legata da catene di rovi.
Nel vederla in quelle condizioni, sul volto di Erenock si pose una nuova espressione… la rabbia si leggeva nei suoi occhi. Un profondo respiro e si rivolse a Lucifero: «Hai oltrepassato il limite e se prima non ho mosso un dito per la Congregazione della Luce e i suoi affiliati, ora darò loro più di una mano….».
Chi governava l’Inferno non immaginò che quel guerriero potesse proferire una risposta del genere. Non aspettò che lui liberasse la donna per andarsene… lo fece in un battito di ciglia. Ora però la Terra fu invasa come la pestilenza dalle anime dannate. Si mescolarono fra soldati e bestie mietendo vittime da ambedue le parti.
Narhod bloccò un colpo in alto di uno Sghamern, mentre si rivolse a un soldato: «Anime dannate, non possiamo combatterle.».
«E allora che cosa facciamo mio signore?» gli domandò il soldato nell’istante in cui spinse un Nurzhak nel fuoco. Nessuno si fermò e le anime continuavano a mietere vittime; s’impossessavano dei corpi per assorbirne l’energia e, lasciare alla fine solo un involucro vuoto.
Nel combattere Clegan si trovò dinanzi l’anima di una donna, la quale si scagliò contro di lui per ucciderlo. Il Difensore della Fede non aveva intenzione di farle del male, ma non appena l’anima si avvicinò troppo a Saarth, fu dissolta nel nulla… egli fu il primo a scoprire del potere delle nuove armi.
La resistenza cominciò a retrocedere per via delle innumerevoli creature e anime che si aggiungevano all’armata di Lucifero. Un urlo improvviso riecheggiò nell’aria sovrastando i forti rumori della battaglia. Ogni singolo essere si bloccò… si voltarono in una direzione e alzarono lo sguardo verso il cielo. Un raggio di luce aveva squarciato il cielo oscurato dalle nubi nere penetrando nel terreno secco.
Uno spirito, curioso da quella forte luce, si avvicinò… ebbe poca fortuna, perché l’anima fu disintegrata. Il raggio non fu altro che un avvertimento…. Un secondo raggio si schiantò al suolo trasportando con sé una Sentinelle di Sangue. Bastarono solo tre passi che altri come lui, giungessero lì. Centinaia di migliaia ne apparvero in tutte le terre colpite… nessuno, però si mosse.
Nessuno si accorse della nebbia scura che avvolse tutti fino alla vita; una volta resosi conto di cosa stava accadendo cercarono di liberarsi, ma più ci provavano più la nebbia li risucchiava. Al contrario, gli spiriti erano immuni alla nebbia e si scagliarono contro i nemici uccidendoli.
Il silenzio aveva sovrastato tutto e nessuno poteva osare romperlo… dal nulla un [1]Cuore di Luce, assorbì la nebbia liberando tutti dall’immobilità. Norack si liberò giusto in tempo… decapitò un Tirrmasse e bloccò la testa caduta sul terreno con il piede. Il corpo del mostro cercava di agguantarlo e il re guardandolo gli staccò il corno.
Il Tirrmasse fu polverizzato all’istante e le Sentinelle di Sangue impugnarono le armi disponendosi in posizione di attacco. La testa dell’aquila che ne formava il pomolo rappresentava i rapaci che erano venerati nel Luogo Proibito al tempo in cui la Suprema Imperatrice era viva. L’impugnatura che era costituita da lacci di puro cuoio nero erano un simbolo per determinare l’unione della loro specie. Al contrario, era la guardia che era rappresentata da due paia di ali dello stesso rapace, unite a un diamante a goccia, mentre la lama presentava una doppia scanalatura interna; la prima semplice e la seconda aveva sul forte un foro ellittico che continuava verso il basso fino a fermarsi sul medio - creata con il sangue di chi la possedeva.
I giganti guerrieri conficcarono l’arma nel terreno… chiusero la mano destra a pugno e la poggiarono sul cuore…. Chinarono tutti il capo in rispetto al loro signore e aspettarono un suo cenno. Lui, il Comandante Erenock, apparve alle spalle del re Norack impugnando le Spade Gemelle. Si avvicinò al giovane re e gli diede un consiglio: «[2] Yanyuqa ze napquna reri.».
Norack comprese le sue parole e a un ordine del Comandante Erenock scattarono nell’affrontare l’armata. Erano forti e veloci e, una sola creatura uccisa da un soldato della Terra, corrispondeva a cinque uccisi da un'unica Sentinella di Sangue. E come bestie lanciate al massacro, i guerrieri uccidevano ogni mostro che incontravano sulla loro strada.
Nello specchio comparve la Donna Velata che si manifestò a Meos, l’unico a poter accedere allo specchio, oltre allo stesso Comandante Erenock: «La sua rabbia è accecante.».
«Lucifero ha violato il patto… Erenock lo aveva giurato.» Meos face un profondo respiro mentre rifletteva in silenzio.
«Ha giurato, sì, ma lui non conosce la sua furia.» affermò la Donna Velata, «Tutto questo potrebbe capovolgere i piani? » terminò lei sperando in una buona notizia.
«Il futuro che ci attende non sarà dei migliori, ma porterà la Terra a essere libera.» le rispose con sollievo.
«Le tue parole sono confortanti, ma tutti noi conosciamo i sotterfugi di Lucifero e soprattutto i suoi poteri… me compresa.» enunciò lei abbassando di pochi millimetri lo sguardo.
«Erenock conosce il fatto suo e agisce con cautela, ma….» Meos s’interruppe alle sue stesse parole ritraendosi al “ma” pronunciato.
«… ma?» chiese lei aspettando che lui continuasse.
«… ma Lucifero sarà capace di usare qualunque mezzo pur di eliminarlo.» proseguì la sua frase con tono preoccupato prima di lasciarla in silenzio.
Intanto la battaglia continuava…. Morti e agonizzanti in essa erano sui campi di battaglia i guerrieri su entrambi i fronti. Un gruppo di spiriti circondò Norack e le spade appartenenti ad Anymha e la stessa s’illuminarono. I Difensori della Fede ne impugnarono l’elsa con entrambe le mani conficcandole con violenza nel terreno.
Le armi sprigionarono vibrazioni violente e di lunga durata… dai diamanti nei pomoli, raggi di forte intensità si elevarono nel cielo estendendosi fino a raggiungere quello di un altro Difensore della Fede. La terra sussultò per un istante e ogni spirito fu investito da una potente onda di polvere.
Ogni spirito benevolo di meritare il Paradiso e la clemenza di Dio si trasformò in luce… al contrario, coloro condannate alla pena dell’Inferno si fondevano con la polvere. Ora che le Sentinelle di Sangue combattevano con la gente della Terra, Lucifero dal suo trono osserva il suo errore. La sua ira raggiunse il culmine nel vedere le anime rubate al Paradiso che furono libere dal suo inganno.
Gridò ha squarcia gola la sua rabbia. «Nooo.».
Izhar amareggiato gli ricordò il suo errore: «Hai commesso un grave sbaglio, non è da te Lucifero.».
«L’ho sottovalutato una sola volta e i miei piani stanno svanendo.» enunciò lui con rimprovero nei suoi stessi confronti.
«Dovevi aspettarti un simile comportamento da parte sua nei confronti dei figli… è stata una mancanza.» sostenne ancora Izhar quasi ha rimproverarglielo.
«Bene, allora rimedierò subito al mio errore. Comanda di eliminare i Difensori della Fede.» ordinò la sua decisione con furia.
Nemmeno il tempo di impartire gli ordini che la sua armata si scagliò contro i Difensori della Fede e le Sentinelle di Sangue a proteggerli salvaguardandone il corpo e l’anima. I guerrieri combattevano senza sosta e sembrava che su di loro non si posassero né la fatica né la stanchezza. Uccisero innumerevoli bestie e ciò che ne restava di loro cadde ai piedi delle Sentinelle di Sangue.
Di colpo soltanto il respiro affannato dei soldati nemici si poteva udire nell’aria. Per più di un minuto il silenzio era padrone incontrastato delle terre sembrando un’eternità. Sul braccio sinistro delle Sentinelle di Sangue si materializzarono scudi di luna dalla superficie luminosa.
Uno di fianco all’altro, le Sentinelle di Sangue con nemmeno un centimetro di spazio crearono un muro naturale. Altri dinanzi a loro, con scudi e spade attendevano le bestie. Come un’orda che camminava, l’armata di Lucifero s’intensificò intorno ai Difensori della Fede. Fredde e spietate la prima e la seconda linea si lanciarono all’attacco. Si scagliarono contro i nemici e caricando con i loro scudi li scaraventarono alle loro spalle per poi decapitare con le loro armi il nemico di fronte.
Uno dei guerrieri. Uno in particolare ripose la sua spada e nella mano materializzò una lancia di platino. Retrocedette il braccio e con uno scatto fulmineo lanciò l’arma contro una bestia che gli andava incontro. La lancia si conficcò nel petto della bestia bruciandola fino a incenerirla. Il guerriero si avvicinò velocemente e afferrando la lancia avvolta dalle fiamme, la sfilò per poi staccare il corno di un Tirrmasse alle sue spalle.
Ci volle un po' di tempo prima che tutte le anime fossero liberate o imprigionate e, alla fine quelle dannate furono temporaneamente sotto il controllo dei Difensori della Fede. Alle anime controllate fu ordinato di eliminare l’armata di Lucifero. Si appropriarono dei corpi nemici e li uccisero uno dopo l’altro.
Completamente avvolto dalla furia, Lucifero gridò ha squarcia gola, nell’istante in cui i Difensori della Fede ordinarono ad altre anime di impossessarsi dei nemici per uccidere i loro simili. Ormai troppo tardi Erenock cercò di fermarli a ordine eseguito. Le anime presero il possesso delle creature e questi diventarono più forti di prima. Con questo gesto i Difensori della Fede causarono il vantaggio di Lucifero e di conseguenza la loro fine….
A questo punto anche le Sentinelle di Sangue fecero fatica a trattenerli… le creature si accanirono sui guerrieri e il muro scomparve in una nube nera. I Difensori della Fede si ritrovarono senza difesa, mentre contro di loro correvano quei mostri assetati di sangue. In quell’istante Erenock si bloccò voltandosi nella direzione del re e corse verso di lui.
Giunto a poca distanza da un Tirrmasse, Erenock si coprì con il suo scudo di energia di forma ovale, scaraventandolo alle sue spalle. Con un ottimo affondo conficcò la lama di Dheran nella testa di un altro Tirrmasse… la sfilò e girando su se stesso uccise un Nurzhak che diventò polvere all’istante.
Una leggera brezza proveniente da Sud-Est, dalla Baia delle Sirene Ospylas si trascinò fino al campo di battaglia facendo bloccare Erenock. Chiuse gli occhi facendo un profondo respiro e la brezza gli parlò: «Lascia che lui trovi il suo potere.».
La brezza parlò anche a Norack: «Mostra il tuo coraggio per porre questa battaglia sulla via della vittoria.».
Norack chiuse gli occhi nell’assaporare quella brezza che proveniva dal mare… capì le parole pronunciate e lasciò che tutto accadesse. Norack si voltò e uno Sghamern gli conficcò la lama corta della propria spada nell’addome. Spalancò gli occhi e dalla bocca uscì una riga di sangue.
Per fargli sentire tutto il dolore possibile, la creatura gli girò la lama nell’addome più e più volte prima di sfilarla. Nell’aria si udì subito il grido straziante di una donna. Ritornando alla sua origine si giunse dinanzi allo specchio Yanseou, dove la Donna Velata era rinchiusa. Il suo grido era di disperazione così grande che lo specchio stesso non resistette e andò in frantumi.
Il suo grido straziante e colmo di dolore per quello che aveva avvertito e visto con i suoi occhi risuonò come un tuono nel cuore di Norack… con le sue estreme forze conficcò un’ultima volta la spada nel terreno dinanzi ai suoi piedi. La punta della lama procurò delle crepe che si estesero fino all’ultimo pezzo di terra esistente sul pianeta. Alcune raggiunsero persino il centro, il cuore stesso del pianeta.
I soldati si bloccarono, la Terra si stava distruggendo… poi Norack con il suo ultimo alito di vita sussurrò un nome: Aknar.
Erenock alzò il capo e serrò le mascelle sospirando. E senza alcun preavviso come un rombo di tuono prolungato si elevò nell’aria il nitrito di un cavallo. Ogni essere si guardò in giro per capire da dove provenisse il suono… il loro attendere fu premiato dal materializzarsi all’orizzonte una tempesta di sabbia nera che investì ogni cosa.
Il corpo esanime di Norack aveva ancora gli occhi spalancati e, proprio in quel momento Aknar, il destriero di Erenock, si vide attraverso la sabbia che poi scomparve. Era un cavallo nero… ai piedi di Norack, lui si alzò sulle zampe posteriori mostrando la sua maestosità.
Si poggiò subito dopo sulle zampe anteriori avvicinandosi a lui col muso osservandolo. In lui riconobbe qualcosa di familiare e nitrendo attivò il diamante di Anymha. Un nuovo raggio si sprigionò perdendosi nell’infinito del cielo che spazzò via l’oscurità liberando il mondo dall’Inferno.
Le anime bruciarono ma le bestie batterono i soldati della Terra. Essa ritornò lentamente alla normalità, i laghi, i fiumi e gli oceani si riempirono di acqua… i ghiacciai si ristabilirono ancora più maestosi che mai, vulcani e i promontori creatosi sparirono. La Terra era ritornata a splendere, ma la battaglia non era ancora terminata.
Erenock si avvicinò allo stallone compiendo passi lenti… gli accarezzò il muso e mentre gli sfiorava il collo, giunse Rhoktar che vedendo il figlio a terra privo di vita, il suo cuore si riempì di dolore. Uccise i pochi nemici che lo separavano dal figlio, incurante dell’enorme pericolo.
Giunto al suo capezzale, lasciò cadere la spada e in seguito se stesso… guardò il figlio morto con sguardo perso prendendolo fra le braccia. Versò lacrime di odio per quello che stava accadendo… voleva in quel momento occupare il posto del figlio. Erenock assistette alla scena con un nodo alla gola e accostatosi all’orecchio di Aknar, gli sussurrò alcune parole.
Il cavallo agitò le zampe come se stesse intrattenendo un ballo… si alzò sulle zampe posteriori nitrendo con fervore e assorbì ciò che restava del giovane re portandolo con sé. Sparì di colpo… Erenock poi voltandosi verso Rhoktar si pronunciò: «Per il Re, Morte attenderà.».
La battaglia si era consumata ed era diventata come una miccia ormai spenta…. Dal punto in cui Erenock si trovava, la pianura, un tempo verde, era ora rossa per il sangue versato. Attorno a lui, cadaveri fatti a pezzi, relitti umani e di bestie coprivano il terreno… il vento proveniente da Sud alzava la forte puzza di decomposizione delle bestie.
Lucifero rise… più tosto che ritirarsi dal campo di battaglia o arrendersi, lui avrebbe sacrificato ogni sua creatura. Al contrario, Erenock, sarebbe morto per ogni suo soldato. Nel tempo in cui Rhoktar comprese le parole del Grande Guerriero, rasserenandosi, di fronte a quest'ultimo comparve Lucifero in una nuvola di fumo nero.
I due guerrieri girarono in tondo, a testa alta, guardandosi dal capo ai piedi intanto che i soldati tutti intorno combattevano l’uno contro l’altro. E fu Lucifero a parlare per primo: «Non c’è due senza tre, vero Erenock? Ho sempre odiato il tuo modo di essere taciturno, indifferente nei miei confronti e sprezzante del pericolo che incombe su di te.» terminò nel parlare - forse con un po' d’invidia verso il suo avversario.
Come sempre non mostrò il suo volto e materializzando nella sua mano destra una spada, lo attaccò senza nessun preavviso. Essa si chiamava Tolloh. Un teschio si poneva come pomolo susseguito da due scheletri incatenati al manico su due lati. Davano l’impressione di essere reali e non creati con il metallo o altri materiali inanimati; anche il teschio dava una certa sensazione come se stesse osservando chi lo circondava. La guardia era un altro pezzo importante dell’arma che rappresentava due mani scheletriche che trattenevano la lama, semplice, affilata ma potente prigione di uno spirito.
Erenock si difese bloccando il colpo a mezz’aria ma Lucifero divise l’arma e la seconda la portò all’altezza dell’ombelico cercando di colpirlo. Erenock però non si fece sorprendere e si spostò. I due si affrontavano in un duello al pari delle forze.
Intanto il popolo messo in salvo nella grande Montagna dello Spirito Bianco, stava sperando che la battaglia finisse presto. D’improvviso la terra tremò e grandi massi caddero sulla povera gente, ma lo Spirito Bianco si pose su di loro proteggendoli.
«E se Lucifero riuscisse ad avere la Terra?» si domandò un uomo zoppo, in un altro punto della montagna.
«I Difensori della Fede salveranno le nostre terre e spediranno Lucifero da dove è venuto.» sostenne con fermezza un vecchio col bastone e la barba bianca, lunga fino alla vita.
«I popoli sono riuniti cancellando ogni vecchio rancore e questo grazie ai Difensori della Fede e Re Norack.» intervenne un altro vecchio alla loro destra.
«Dobbiamo solo aspettare e sperare.» si pronunciò una donna incinta.
I due guerrieri si affrontavano con pause per studiare le prossime mosse dell’avversario… sul campo di battaglia, però, sopraggiunse un gruppo di cento guerrieri, più mercenari e assassini che uomini addestrati a combattere per i propri ideali. Arrivavano sui loro cavalli a gran velocità e armati fino ai denti: spade, lance, scudi di metalli con l’emblema della Congregazione della Luce, archi e frecce, balestre, mazze e ogni tipo di arma esistente.
Scoccate le frecce dagli archi che si conficcavano nel collo uccidendo il nemico a debita distanza, furono la volta delle balestre che penetravano le corazze infrangibili dei mostri. Le lance erano scagliate con forza trapassando il cranio di coloro, che erano venuti a spadroneggiare su terre non loro.
I due colossi furono osservati da Rhoktar e dagli Dèi che guardavano tutto dalla loro dimora, mentre si affrontavano non solo con tutta la loro potenza, ma anche con eleganza e rispetto. «Lucifero sta facendo un ottimo lavoro.» sostenne Tenrett osservando la scena con molta attenzione.
«Se continuerà così, avremo presto tutto e tutti ai nostri piedi.» si pronunciò Serreiv soddisfatta.
«Quando Erenock morirà, ci approprieremo del Luogo Proibito e allora nemmeno Lucifero ci potrà essere d’ostacolo.» ghignò Yadir accarezzando suo fratello Tenrett.
Erenock fu di colpo disarmato…. Lucifero lo fece inginocchiare e poi lo trafisse al cuore con la lama diventata rovente. Accadde tutto dinanzi agli occhi atterriti di ogni soldato lì presente. Lucifero girò la spada nel cuore e di seguito la sfilò lentamente facendo provare a Erenock un dolore atroce.
Le braccia lungo i fianchi indicavano rassegnazione… lo sguardo perso nel vuoto, rappresentava la sua anima smarrita. Tirò un ultimo alito di vita e all’indietreggiare di Lucifero, il corpo del guerriero cadde a terra. I suoi occhi si cristallizzarono e con lui morirono le speranze dei popoli.
«Questo accadrà fra un’ora.» enunciò Hanna avvicinandosi all’[3]Osservatorio e dissolvendo le immagini appena viste.
Falock entrò nella sala e intervenne nella conversazione: «I piani procedono a meraviglia, dovremo solo aspettare che Lucifero faccia il suo dovere.».
Serreiv abbassò il capo e Tenrett le domandò accarezzandole il mento: «Cosa ti disturba?».
«Semplice… la sua paura si fonda sulla scoperta di Lucifero al nostro tradimento.» intervenne Ardenas avvicinandosi ai due e passandoli accanto.
«Uh, Lucifero non verrà mai ha conoscenza dei nostri piani, come può?» domandò Falock rivolgendosi ad Ardenas.
«Ciò che Hanna ha visto… potrebbe non accadere.» interruppe Serreiv guardandolo con volto preoccupato.
«E questo che cosa centra con la scoperta dei nostri piani da parte di Lucifero?» le chiese Yadir non capendo la sua riflessione.
«Se Lucifero perderà, Erenock riuscirà a scoprire la nostra alleanza con lui e moriremo come i nostri fratelli.» rispose alla domanda Ardenas, «Tutto dipende dalle sue visioni.» finì lei indicando con lo sguardo Hanna.
Tenrett si voltò verso l’Osservatorio e poi si pronunciò: «Questo è impossibile… le visioni di Hanna si sono sempre avverate fino a ora e niente e nessuno, può modificarle, nemmeno lei.».
Mentre la conversazione si capovolse a discussione, Erenock fu disarmato, come nella visione… Lucifero gli ordinò di inginocchiarsi, ma lui non mosse un muscolo. Questa volta fu Erenock a provocare e Lucifero cadde nella sua trappola adirandosi. Serrò le mascelle dall’odio profondo che provava per lui e di colpo compì il gesto di trafiggerlo.
Gli Dèi osservavano con il cuore in gola che quel momento giungesse… la punta della lama fu infilzata nel cuore senza alcuna pietà. Con grande amarezza degli Dèi, il cuore trafitto non fu quello di Erenock, ma di Rhoktar. Lucifero si riprese la spada indietreggiando… la pose lungo il fianco, mentre dalla bocca del condottiero ferito, uscì una riga di sangue.
Erenock afferrò il corpo sull’orlo della morte e lo adagiò delicatamente sul terreno, già sporco di sangue…: «Ho compreso le vostre parole e so che la sua anima riposa in pace.» furono le poche parole pronunciate da Rhoktar che accesero nel cuore di Erenock una piccola fiamma.
Ora che dinanzi agli occhi del morente non c’era più il corpo possente del guerriero, ma una donna indistinta dalla luce abbagliate che proveniva dalle sue spalle, pronunciò le sue ultime parole: «Una bellissima donna mi prese per cavalcare con lei sulla scia delle stelle… mi presentò suo fratello Sole e mi chiese di farle compagnia e diventare una stella.» dette sottovoce esalando il suo ultimo respiro.
Chiuse gli occhi dolcemente contemporaneamente alla sparizione della donna e al respiro quasi mancato della sua dolce consorte Virjinia. Ardhenya, sua figlia le domandò con tono preoccupato: «Che cosa c’è madre? Cosa vi turba?».
«Una brutta sensazione, figlia mia. Una brutta sensazione….» le rispose con tono inquieto e lo sguardo perso nel vuoto.
Ogni arma appartenente ai nemici della Terra, sparì… Erenock si alzò e con sguardo pieno di odio e ira nei confronti di Lucifero, tirò fuori il suo potere. Tutto ciò che era ritornato alla vita, soccombette al velo di morte… il ghiaccio. Gli occhi del guerriero salvato divennero di platino e l’intera armata di Lucifero fu disintegrata.
Erenock lo afferrò alla gola… vene nere si evidenziarono sul suo corpo provocandogli un dolore atroce. La rabbia lo aveva accecato, ma la ragione lo lasciò lucido. Lo guardò negli occhi e gli diede un avvertimento: «Sei fortunato che non possa ucciderti, ma preparati… perché presto o tardi avrai la punizione che meriti Lucifero.».
Lo lasciò e Lucifero cercò immediatamente di liberarsi dal potere del suo nemico che lo stava uccidendo. I piani degli Dèi fallirono e il morale cadde, completamente distrutto dalla sconfitta del loro alleato. Lucifero ritornò nel suo regno con la coda fra le gambe… Tenrett, invece, s’infuriò gettando via il fluido che era contenuto nell’Osservatorio.
Serrando le mascelle e con tono alto, Serreiv mostrò la sua rabbia: «Abbiamo fallito… sprecato la nostra ultima possibilità di portare tutti al nostro cospetto.».
«Non tutto è perduto.» sostenne Tenrett cercando di calmarsi.
«Come puoi dirlo? Lucifero è stato sconfitto, Erenock è vivo… e tutti noi sappiamo di chi è la colpa.» insinuò Serreiv voltandosi verso Hanna.
«Stai insinuando che Hanna è la responsabile di tutto?» le chiese Tenrett sbalordito dalle insinuazioni della sorella.
«Ragionate… ci ha mostrato la vittoria di Lucifero e invece è accaduto il contrario… chi più di lei avrebbe voluto far vincere Erenock.» sempre con tono furioso si scagliò a voce contro la sorella.
«Il tuo ragionamento è giusto poiché Hanna ha detto che noi saremo caduti e con noi Lucifero….» fu interrotta Yadir approvando la sorella maggiore.
«E non dimentichiamo che ha difeso Erenock e non muove accusa contro di lui.» interruppe bruscamente Ardenas intervenendo nelle accuse.
«Muovete insinuazioni gravi contro una nostra, sorella.» asserì Falock inserendosi nella conversazione.
«Tutte le prove sono contro di lei… Erenock le ha salvato la vita in passato e lei gliene è grato, tanto da restituirgli il favore.» enunciò Serreiv sospirando di gioia.
Hanna ascoltò le accuse mosse contro di lei non pronunciandosi nemmeno una volta e al suo posto lo fece Tenrett… non per difesa: «Abbiamo ascoltato le vostre accuse, ora è il suo momento.».
«Non posso né confermare né smentire quello che dite, poiché non sono colpevole di nulla.» si difese lei guardando negli occhi i suoi fratelli.
 
 
[1] In realtà si trattava di una semplice scintilla che una volta portato a termine il suo compito diventava una sfera dalle mille sfaccettature di pochi centimetri di diametro.
[2] Cercate di restare vivo. – (lingua del Luogo Proibito)
[3] Osservatorio era ciò che era chiamato sulla Terra Reantha e nel Luogo Proibito Yanseou.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Il Vernale ***


Dodicesimo capitolo
 
Il Vernale
 
 
 
 
La discussione iniziata fra gli Dèi aveva portato a pensare di un possibile tradimento di un loro fratello: Hanna. Tuttavia le visioni che la Dea aveva non potevano essere modificate con la magia, ma semplicemente cambiando le proprie scelte. Infatti, fu la scelta di Rhoktar, ha mostrare una versione diversa del futuro.
«Uh, ora si difende in questo modo… perché non affermi la verità… che preferisci vederci morti più tosto che vincitori.» continuò ad accusarla Serreiv con tono minaccioso.
«Pensi davvero che io preferirei vedere i miei fratelli morti?» le domandò sconvolta dalle sue assurde accuse.
«Io non penso, io lo credo.» rispose di netto Serreiv sorridendo.
«Mi accusate di cose che non sono vere, io sono la Dea del Destino, vi ho mostrato ciò che sarebbe potuto accadere, ma non avrei mai pensato che Rhoktar si sarebbe sacrificato per Erenock.» asserì Hanna difendendosi inutilmente.
«Invece potevi prevedere che Rhoktar avrebbe salvato Erenock ma non l’hai mostrato e per questo non siamo potuti intervenire.» ribadì Yadir con rabbia assecondando la sorella Serreiv.
«Voi non capite o non volete comprendere… io non posso controllare il destino completo….» Hanna fu bruscamente interrotta da una delle sorelle che la odiavano da sempre.
«Allora tu non dovresti essere la Dea del Destino.» affermò Ardenas avvicinandosi a lei che non si mosse.
«Noi siamo immortali e non comprendiamo, ma parte del Fato degli uomini non possiamo controllarlo, poiché sono loro che lo tracciano con scelte giuste o sbagliate che esse siano.» enunciò Hanna cercando di farli ragionare.
«Ascoltatela escono solo stupidaggini dalla sua bocca… crede che i mortali siano superiori a noi che siamo degli Dèi.» Serreiv pronunciò quelle parole convinta di aver persuaso i suoi fratelli della debolezza di Hanna.
«C’è un'unica soluzione per chi si allea con i mortali… l’esilio.» enunciò Ardenas al deglutire di tutti.
«Nessun Dio è mai stato esiliato prima d’ora.» sostenne Falock con un filo di voce. Non poteva credere alle parole della sorella.
«C’è sempre una prima volta per tutto.» continuò Yadir ad affermare la decisione di Ardenas.
«Per esiliare un Dio bisogna avere delle motivazioni più che valide e… prove concrete e non ipotesi basate su coincidenze.» intervenne Tenrett esponendo il suo pensiero e ammutolendo gli altri.
«Quali altre prove ti servono per esiliarla?» gli domandò Serreiv avvicinandosi a lui con passo deciso e sguardo minaccioso.
Tenrett prese da parte Serreiv e le disse: «Hanna possiede il controllo del Destino e poi è una nostra sorella, siamo rimasti in pochi non possiamo esiliarla così facilmente.».
«I nostri piani sono andati in fumo a causa sua, deve essere esiliata adesso.» continuò ad asserire Serreiv.
«Anche noi in passato abbiamo commesso errori, ma non per questo siamo stati esiliati.» sostenne Tenrett facendola ragionare.
«Potremmo essere partecipi anche noi della vostra conversazione?» domandò Yadir impaziente e con tono scocciato.
«Un solo istante.» rispose Tenrett voltandosi verso di lei.
«Dobbiamo esiliarla per approfondire la faccenda… fratello mio.» gli disse Serreiv convincendolo.
Tenrett sospirò con sguardo amareggiato e avvicinandosi agli altri si pronunciò: «Siamo giunti a una conclusione….» s’interruppe deglutendo e poi riprese, «Sarai esiliata perché noi possiamo approfondire la faccenda e il tuo….» fu interrotto bruscamente.
«… sarà la Terra.» intervenne Serreiv mentre Tenrett si voltò verso di lei sorpreso del luogo scelto, «Tu non dovrai preoccuparti, Lucifero ha perso e la battaglia è finita.» terminò lei accanendosi contro Hanna.
«Purtroppo Hanna, dovremmo privarti dei tuoi poteri.» intervenne Falock, anch'egli con volto amareggiato.
«Questo voi non potete farlo, io non ve lo permetterò.» al termine delle sue parole la Dea sparì e gli altri non compirono alcuna mossa alle sue azioni.
Gli eserciti intanto si ritirarono solo dopo aver recuperato i morti e i feriti…. Al nuovo crepuscolo, Virjinia era stata incoronata regina del suo regno e una nuova assemblea era stata indetta. Nella sala del Consiglio il silenzio regnava incontrastato sui presenti… fu però interrotto dalla regina Virjinia che si pronunciò una volta in piedi: «Grazie alla nostra collaborazione, le terre sono salve dalla minaccia di Lucifero e i popoli vivranno in pace… almeno per il momento. Non abbasseremo la guardia, Lucifero non ha mai osato giungere sulla Terra, questo vuol dire che è stato aiutato.».
«Da chi? Chi potrebbe mai aiutare Lucifero? Chi potrebbe essersi alleato con lui?» tutti erano preoccupati e re Onaru intervenne ponendo le domande.
All’interrogativo rispose Clegan appena entrato con il resto dei Difensori della Fede: «Semplice… il Concilio dell’Ombra.». Si alzò subito un leggero brusio e poi si pronunciò di nuovo. «Il Continente dell’Ombra sono state le uniche a essere state risparmiate, perché secondo voi?».
«Il vostro ragionamento è logico, ma perché e come avrebbero potuto avvicinare Lucifero?» chiese infine re Noirem voltandosi verso di lui.
«Ci sono molti modi per mostrarsi ai mortali e non sono rilevanti, adesso.» intervenne alle loro spalle Meos entrato insieme alle altre Sentinelle di Sangue.
«E cosa lo è allora?» domandò Yrnhaz con parole ferme. Lui come anche gli altri, non si sarebbe mai rivolto verso una Sentinella di Sangue con tono sfacciato; la paura di una loro brutta reazione era enorme.
«Il perché Lucifero a deciso proprio ora di conquistare la Terra e chi l’ha aiutato.» rispose Clegan guardandolo.
«E come facciamo a scoprirlo principe Clegan?» domandò Anhyra accavallando la gamba destra.
«Io vi posso aiutare.» intervenne una voce femminile alle loro spalle. La donna si avvicinò rispondendo alla domanda che Anhyra avrebbe fatto pochi secondi dopo. «Il mio nome è Aedal.». Si fermò accanto al Difensore della Fede con sguardo serio e aria tranquilla, mentre aspettava qualche altra domanda.
«In che modo ci potete aiutare?» le chiese la regina Arpha.
«Posso solo dirvi che chi ha aiutato Lucifero si trova in alto.» rispose Aedal abbassando lo sguardo e osservandoli con la coda dell’occhio.
«Perché dovremmo fidarci di voi?» Mandhor intervenne sono ora nella conversazione dall’inizio dell’assemblea con una domanda. «A quale regno appartenete?» Mandhor si drizzò con la schiena e le pose l’altra domanda.
«Io vi ho solo riferito un indizio che vi condurrà a una parte degli alleati di Lucifero, non vi ho chiesto di fidarvi di me.» asserì lei zittendoli. «La questione non è da dove io provengo, ma chi sono gli alleati di Lucifero e se lui colpirà ancora.» espose la vera questione cambiando argomento.
«La straniera a ragione, dobbiamo capire se il Concilio dell’Ombra centri qualcosa in questa faccenda, poiché non vi era nessun suo membro nella battaglia e….» s’interruppe Clegan sospirando.
«E…?» chiese Yrnhaz aspettando il seguito della frase.
«Solo che incominceremo immediatamente a fare delle ricerche.» s’intrufolò Narhod nella conversazione osservando la Congregazione della Luce.
Prostrati dinanzi a Ylloon che era infuriata, si trovava il Comandante Gordoona con altri, mentre la strega si pronunciò con tono alto. «Avrei dovuto eliminare Rhoktar quando ne avrei avuta l’occasione… ora invece la Congregazione della Luce ha un’altra vittoria da poter schiaffarci sulla faccia.».
«Dovresti calmarti. Oltre, tutto non è il momento di perdere il controllo, mia cara. Dobbiamo solo aspettare ora.» intervenne Horazz avvicinandosi a lei.
«Le tue parole sono pronunciate con troppa facilità Horazz.» asserì Ylloon con rabbia.
«E cosa noi dovremmo aspettare?» Azha formulò la domanda nel momento in cui alzò, lo guardo verso di lui e gli sorrideva in maniera sensuale.
«Aspettare che la vera guerra finisca.» rispose lui ghignando.
Ylloon si rasserenò e sospirando, il suo pensiero andò a Erenock, la quale lui si stava per sedersi sul trono, quando entrò Meos. Si avvicinò e non disse nulla, aspettava che lui si accomodasse e poi nel silenzio più totale si pronunciò: «Sei stanco Erenock?».
«Stanco di lottare per chi non lo merita e stanco di vivere.» rispose toccandosi il petto.
«Qualcuno però lo merita, altrimenti la loro morte non servirebbe a nulla.» disse Meos, «Sento che qualcosa in te è cambiato… cosa?» gli domandò osservandolo con lo sguardo perso nel vuoto.
Erenock alzò lo sguardo verso di lui, sospirò e proferì un solo nome: “Rhoktar”.
«Rhoktar?» domandò confuso Meos.
«Sapeva che quella lama non mi avrebbe scalfito… eppure si è sacrificato per me, perché mi domando?» il comandante rivide quella scena davanti ai suoi occhi e non riusciva a comprendere quel folle gesto.
«Nessuno può sapere perché abbia compiuto quel gesto, ma conosciamo il risultato. Ho potuto scorgere ciò che Lucifero provava in quel momento dai suoi occhi….» dichiarò Meos pronunciandosi nuovamente, «Lei vuole vederti.».
A un battito di ciglia, Erenock si trovò dinanzi allo specchio ritornato integro. Lei apparve e applaudì. Solo con uno sguardo, Erenock le pose la domanda: “Perché”? La donna lo fissò e rispose: «Hai fatto in modo che tutto andasse come doveva procedere.».
«E dovremo essere felici di questo?» le domandò Erenock contrariato da ciò che è stato.
«Qualcuno doveva morire…. Qualcuno della vecchia generazione doveva morire… e tu questo lo sapevi meglio di me.» gli rispose con tono deciso e deluso dal suo disappunto come per terminare un discorso ormai divenuto sconveniente. Erenock però si voltò e sparì senza una parola.
«Una vecchia amica una volta mi disse che non è tutto oro quello che luccica.» intervenne Erenock apparso nella penombra.
«La tua voce porta ovunque sicurezza e terrore.» asserì Aedal andandogli incontro. Percorreva un lungo sentiero affiancato da grandi rocce scure e lastricato da piccoli sassolini che s’incastravano fra loro perfettamente.
Erenock uscì alla poca luce che c’era e si avvicinò a lei. I due si fermarono un attimo faccia a faccia e poi s’incamminarono insieme percorrendo lo stesso sentiero che lei aveva fatto per andare da lui. «La sconfitta di Lucifero ha portato scompiglio ovunque.» Aedal guardò altrove, dove aver parlato e nell’immensa caverna dove si trovavano, le immagini della battaglia si materializzarono sulle lisce pareti facendole sembrare reali.
«Strano che tu non riesca ha vederlo.» insinuò lui, quando un cerchio di fuoco si estese dal centro dei suoi occhi. Man mano che avanzavano, sulle pareti comparvero altre immagini… gli Dèi Lucifero e i suoi uomini più fidati, Yorghunne e Izhar. Sembravano reali ma era solo una pergamena di pietra creata da Erenock per mostrare un eventuale complotto fra i gruppi.
«Io non capisco, dove tu voglia arrivare.» si pronunciò la donna sospirando confusa.
Altri personaggi come il Comandante Gordoona, Horazz, Kashda ed ecc, solo alcuni dei membri del Concilio dell’Ombra apparvero. La donna continuava a essere più confusa e non capiva, dove il comandante volesse arrivare con quelle persone. Erenock si voltò verso di lei e domandò: «Che cosa hanno in comune questi tre gruppi?».
«C’è un solo obiettivo in comune… tutti vogliono la tua distruzione.» rispose Aedal credendo di aver trovato ciò che Erenock volesse mostrargli. Incrociarono un bivio e scesero le scale alla loro destra, discendendo sempre di più verso il basso. «Voi insinuate qualcosa di pericoloso comandante… qualcosa che non potrebbe e non dovrebbe mai accadere.». Lei corrugò la fronte e in tutti i modi non voleva sentire quelle terribili insinuazioni.
«Quello che forse io insinuo potrebbe essere molto probabilmente già la realtà.» disse lui evitando una spaccatura in un gradino quasi disintegrato, «Ragiona… gli Dèi fanno un patto con Lucifero e invade la Terra….» fu interrotto dalla donna.
«Questo è sicuro, ma cosa centrano loro con il Concilio dell’Ombra?» chiese lei seguendolo con lo sguardo.
«Gli Dèi non si sarebbero mai mostrati ai mortali, il Concilio dell’Ombra mai avrebbe invaso il Luogo Proibito e Lucifero non mi avrebbe mai affrontato in un luogo diverso dall’Inferno… come spieghi che tutto questo invece sia accaduto?» gli domandò lasciandolo con un enorme punto interrogativo.
«Vorrei tanto non saperlo.» rispose lei cambiando argomento seguito da un sospiro di preoccupazione, «Gli Dèi, non oserebbero mai provocarvi, affrontarvi poi.». Sperò vivamente di convincere Erenock che si stesse sbagliando.
«Da soli no.» lei singhiozzò ed Erenock la guardò…. «È vero gli Dèi non oserebbero mai provocarvi per di più affrontarlo, ma con un piccolo aiuto e un’alleanza potrebbero avere il coraggio di fare questo e molto altro.». Alla fine confermò le insinuazioni del guerriero.
«Parliamo di Hanna, come sta?» le chiese Erenock fissando i successivi gradini che avrebbero dovuto ancora percorrere.
«Al quanto bene, oserei dire.» rispose lei facendo un profondo respiro.
«Desidero che le porti un messaggio… riferiscile che quando vorrà parlare sa, dove trovarmi e come avvicinarmi.» le enunciò Erenock chiedendole un favore.
«Le riferirò il messaggio… quando la vedrò.» gli promise lei salutandolo.
Alcuni Tirrmasse scortarono Izhar e Yorghunne al cospetto di Lucifero, il quale desiderava parlare con loro. Giunti al suo cospetto, restarono in silenzio attendendo un suo gesto o una sua parola, ma niente per molto tempo. Poi il suono di un sospiro si levò nell’aria e Lucifero intrecciò le mani davanti al petto battendo la pianta del piede destro sul pavimento, in segno di nervosismo.
«C’è un lato positivo nella nostra sconfitta.» Yorghunne levò la sua voce affinché catturasse l’attenzione di Lucifero. Lui gli fece cenno di continuare e il demone rispose esprimendo il suo pensiero. «Due pilastri principali della Congregazione della Luce sono morti. Essa è più debole e più facile da distruggere ora.» si fermò aspettandosi una reazione.
«Le tue parole sono giuste, ma o comunque perso, sia dinanzi ai mortali, che a quegli stupidi e insulsi Dèi, fratelli traditori di Dio.» lo disse con tono freddo e colmo di collera.
«Non serve ammalarsi di rabbia… usa questa sconfitta come se fosse parte del tuo piano.» proferì Yorghunne ghignando.
«Parte del mio piano, continua….» sostenne Lucifero drizzandosi con la schiena.
«A breve ci sarà comunque la festa per l’Equinozio di Primavera… colpire ora sarà un duro colpo per la Congregazione della Luce.» dichiarò Yorghunne con aria soddisfatta dal compiacersi del suo signore.
«Il tuo piano potrebbe funzionare… allora dimmi, come si pone?» gli domandò lui sorridendo debolmente, mentre Yorghunne gli spiegò il suo piano nei dettagli.
L’indomani, i preparativi per celebrare la Primavera iniziarono alle prime luci dell’alba. Nelle sue stanze la regina rifletteva sui nuovi obiettivi che il suo regno avrebbe dovuto raggiungere per riporsi in piedi dopo l’invasione. Entrò una serva che la chiamò: «Mia signora….» non avendo però alcuna risposta, la chiamò ancora, «Mia regina… Virjinia.».
«Che cosa c’è?» chiese la regina destandosi dai suoi pensieri.
«I preparativi sono quasi giunti al termine, mia signora.» la informò la serva aspettando un suo ordine.
«Allora chiamatemi Ardhenya.» ordinò Virjinia continuando a guardare fuori dalla finestra.
La figlia si presentò alla madre e nessuna delle due proferì parola… Virjinia si voltò verso la figlia e le parlò: «Sei la mia unica figlia, quando sarà il momento, occuperai il mio posto sul trono, ma fino a quel momento sarai istruita come tale.».
«Come desiderate madre.» apprese l’ordine inchinandosi e uscendo.
La regina ritornò a chiudersi nel suo dolore… aveva perso le persone a lei più care e moriva lentamente dentro. Né come madre né come regina avrebbe dovuto mostrare la sua debolezza e il suo dolore… il popolo aveva sofferto questa battaglia ed era ora di ritrovare la serenità di un tempo. Libero da inganni, complotti, tradimenti e via discorrendo….
Erenock e i suoi uomini erano divenuti gli ospiti della regina Virjinia e, dopo aver fatto visita alla sua vecchia amica Aedal, aveva deciso di ritornare nelle stanze. Ainolehd fu il primo a pronunciarsi prima che lui potesse alzare lo sguardo verso di loro. «A breve i preparativi per la primavera saranno conclusi, tu che cosa vorresti fare?».
«Aspettare.» lui si poggiò contro la testiera del letto e poggiò sotto la nuca, un morbido cuscino per rilassarsi.
«Tu credi che…?» s’interruppe Meos sapendo a cosa Erenock si riferisse.
«Non aspettarti troppo dagli umani Erenock, essi sono ingrati.» le parole insinuate da Ahdnorog furono dette con un po' di rabbia e odio… conoscevano bene gli umani e ciò che loro gli avevano fatto.
«La calma è la virtù dei forti, la pazienza è sua sorella.» asserì con impassibilità il guerriero assaporando l’aria della Terra e gli eccitamenti per la nuova stagione.
«Sei troppo calmo Erenock, non rammenti che cosa ci hanno fatto… per causa, loro noi siamo così.» alzò la voce Ahdnorog furioso; si accomodò sulla seduta di una sedia che si trovava accanto a un tavolo circolare e fece profondi respiri per calmare il suo animo tormentato.
«È inutile agitarsi, non risolveremo nulla in questo modo.» sostenne lui con tono quieto e chiudendo gli occhi.
«Perché dovremo fidarci di loro, dammi una sola ragione e non aprirò più bocca al riguardo.» Ahdnorog impose il suo pensiero, voleva tornare nella sua dimora e ciò che per lui non era doloroso: stare lontano il più possibile dai mortali.
«Comprendo il vostro odio nei loro confronti, ma solo loro possono porre rimedio a ciò che hanno fatto in passato.» dichiarò Erenock rassicurandoli. Avvertiva il loro rancore e il loro profondo odio verso i mortali, ma non era ancora momento di ritornare nel Luogo Proibito.
Ormai terminati i preparativi per la cerimonia di benvenuto per la nuova stagione, tutti si recarono nella piazza più grande che il palazzo avesse, per le cerimonie importanti. Lì gli addobbi floreali risaltavano il tutto e agli squilli delle trombe i regnanti impugnarono le armi e dal cielo, fiochi di neve caddero per salutare l’Inverno e petali di fiori freschi per rendere il benvenuto alla Primavera.
Si accesero poi in tutti i regni - simultaneamente - piccoli fuochi che auspicavano un intero anno fruttuoso. Furono la volta dei duelli in amicizia, della bella musica tradizionale e delle danze che coinvolgevano tutti o quasi. Le risate e le conversazioni gentili davano un seguito alla cerimonia.
Nessuno pensava che le Sentinelle di Sangue si sarebbero presentate e, ogni uomo, donna o bambino, si bloccò alla sola vista di quei guerrieri che procedevano dinanzi a loro con disinvoltura e noncuranza.
Dinanzi alla Congregazione della Luce, i Difensori della Fede si fecero da parte e Meos parlò per la sua razza: «Parlo in nome delle Sentinelle di Sangue… siamo omaggiati di essere presenti anche noi alle vostre tradizioni e rendere lode al [1] Vernale.».
La regina Virjinia era contenta che fossero lì e prese una pergamena che lesse a tutti i suoi ospiti:
Io, la mia famiglia e il mio popolo siamo onorati che voi vi troviate qui oggi a festeggiare con noi. L’Equinozio di Primavera segna l’inizio della metà luminosa, quando le ore di luce superano quelle di buio. Oggi è il primo giorno della Primavera, la stagione della rinascita, associata anche alla fertilità, alla resurrezione e all’inizio. I pini sempreverdi piantati in questa piazza ci mostrano una vita che non ha inizio né fine…. In più in ogni regno sono stati accesi dei fuochi, essi più resteranno ardenti, più fruttifere saranno le nostre terre. Desidero dare il benvenuto alla Primavera, non solo per riportare i nostri regni allo splendore che avevano, ma anche per ricordare i cari che abbiamo perso e le persone che hanno… che non ci sono più, combattendo per noi….
Il singhiozzo finale della regina, mostrò che il dolore era vivido in lei e che nessuno avrebbe dimenticato. Qualche altro minuto di silenzio e, poi i regnanti entrarono nel cerchio di rosmarino, lavanda e alloro posto nel centro della piazza…. Al suo interno si trovavano una stella a cinque punte, tre candele bianche e una verde, una ciotola di argilla con acqua benedetta.
Ogni partecipante fece un inchino e pronunciò la seguente formula:
Le parole che noi enunciamo, ci pongono al cospetto di ciò che nella natura percepiamo, per i sensi che padroneggiamo, il Vernale, commemoriamo. Potente signore del mistero, questo è il giorno degli antichi poteri; aria, acqua, terra e fuoco proteggete voi questo luogo e nel cerchio magico che formiamo noi, vi chiamiamo:
Aria che tutto implichi, difendi il cerchio magico e il tuo potere a noi orienti; Fuoco mutatore della realtà, aiutaci con la tua fiamma nelle azioni e nella verità; Terra da cui tutto è generato, accogli tu in questo luogo e tempo il cerchio formato; Acqua che scorri da sempre, guarisci i nostri corpi e purifichi i poteri della nostra mente. Per secoli li invochiamo per aria, acqua, terra e fuoco, il giorno sia in catene per colui, che romperà il cerchio e ostacolerà il nostro volere.
Alla fine della prima celebrazione la regina ringraziò i presenti e li invitò a divertirsi. Virjinia porse a un servitore la pergamena e condusse i suoi ospiti ai banchetti. Lì una bambina, figlia di una serva si era posta sotto i grandi tavoli a osservare in silenzio lo svolgersi della festa.
«Madre… buona festa della primavera a tutti soprattutto a voi Sentinelle di Sangue, spero che non vi annoierete.» proferì Ardhenya gentilmente.
«Niente affatto principessa, la musica è piacevole.» asserì Meos facendo un inchino con la testa.
Nel pieno dei festeggiamenti, Erenock si pose in disparte osservando in silenzio. Si avvicinò a un pino nell’istante in cui la bambina si accostò a lui. La piccola aveva gli occhi di un celeste chiaro, i capelli del colore del grano in estate e il volto di un angelo. Le sue dita piccole e delicate erano incrociate alle altre dietro la schiena… lei si avvicinò e lo salutò: “Mio signore”.
Erenock la osservava e nell’abbassarsi la salutò anch'egli: «Ciao, hai altro per me?».
«No.» gli rispose brevemente e con la sfacciataggine di una bambina.
Erenock sorrise e le chiese con gentilezza: «Qui chiamami Herr.».
«Come vuoi….» dichiarò lei divertita dall’abbreviazione del suo nome che il guerriero aveva scelto per lei.
La bambina si diresse verso una panchina di marmo… si sedette e fece un cenno al guerriero. Erenock si accomodò accanto a lei ed entrambi restarono in silenzio finché la piccola non si pronunciò per prima: «Perché non festeggi con i tuoi amici?».
«Amo la solitudine… e voi perché non seguite vostra madre?» le rispose ponendole anche una domanda.
«Uno… nessuno dovrebbe restare solo, in nessuna occasione e, due… quella donna non è la mia vera madre, anche se mi ha cresciuto come se fossi sua figlia ed io le voglio un mondo di bene.» Migu dondolava le gambe mentre gli parlava con il sorriso sulle labbra.
«Sei molto saggia per la tua età.» sostenne Erenock osservando il cielo che stava cambiando.
In lontananza si vide Ardhenya avvicinarsi e fermandosi dinanzi ai due, la bambina scappò via sorridendo e saltellando allegramente. L’abito verde della principessa si confondeva con i pini che li circondavano…, si sedette accanto a lui, voleva porgli una domanda ma Erenock la anticipò: «Soltanto vostro fratello ritornerà e con un aspetto ben diverso da quello che voi conoscete.».
«Ciò che rimpiango è di non essermi trovata al loro fianco a combattere contro….» Ardhenya s’interruppe quando una lacrima le rigò la guancia destra.
«È inutile versar lacrime, presto o tardi sarete la regina di questo regno, incominciate a comportarvi come tale e a difenderlo.» le parlò con durezza… si alzò senza voltarsi verso di lei e si allontanò.
«Aspettate.» lo chiamò lei issandosi dalla panchina, «Potete dirmi come mio padre sia morto?» gli domandò seguendolo per qualche passo.
«Lui è morto da sciocco mortale.» le rispose Erenock dirigendosi verso i suoi compagni.
«Mio padre non era uno sciocco e se è morto, è stato unicamente per il regno, il popolo e la sua famiglia.» Ardhenya difese suo padre dalle accuse infamanti del guerriero con determinazione e forza di volontà.
Lui tornò indietro e formulò una domanda: «Ditemi principessa, non è da sciocchi sacrificare la propria vita per un’immortale?» la fissava negli occhi per scorgere odio o rabbia, ma non trovò nulla a parte il dolore che lei provava per i suoi cari perduti.
«No. Se mio padre si è sacrificato per un’immortale, avrà avuto i suoi motivi e nessuno può giudicarlo, nemmeno voi.» si fermò fiera delle parole pronunciate e delle gesta compiute da suo padre.
Erenock sentì un nodo alla gola e deglutì alle sue parole e, prima di andarsene notò nei suoi occhi una scintilla brillare intensamente. Le diede le spalle e la principessa restò immobile per qualche minuto, poi si diresse verso alcuni soldati.
Il giorno non era finito e molte cose sarebbero accadute. La Congregazione della Luce non era l’unica a festeggiare la nuova stagione, altri si prodigavano a porgere il benvenuto alla Primavera e a renderle omaggio.
 
 
[1] Vernale comunemente chiamato anche Equinozio di Primavera.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La nuova Ardhenya ***


Tredicesimo capitolo
 
La nuova Ardhenya
 
 
 
 
Una nuvola di fumo nero si propagò attraverso gli ospiti, portando con sé alcuni personaggi dell’Inferno. Izhar, Yorghunne e Lucifero si diressero verso la regina Virjinia, la quale nel vederli fece un profondo respiro e deglutì in seguito.
«Spero di non aver disturbato la vostra festa per la nuova stagione.» disse Lucifero non sarcasmo, fermandosi di fronte alla regina.
«Non siete i benvenuti, andate via o farete una brutta fine.» Ardhenya li minacciò avvicinandosi rapidamente a loro, ma bloccata dallo sguardo di Meos.
La nuvola nera da cui Lucifero e i suoi demoni erano usciti, aveva lasciato nell’aria una tremenda puzza di zolfo che dava la nausea. I soldati del regno e i pochi che avevano scortato gli altri regnanti, circondarono in poco tempo i tre. I presenti erano come immobili a quella situazione, invece Erenock restò in fondo a tutti a osservare e meditare.
Lucifero si avvicinò alla principessa e decise di parlare: «Credi davvero che una manciata… di uomini possa fermarmi?».
«No, ma bisogna comunque tentare.» rispose la ragazza evitando di guardarlo negli occhi. Mancante dei pilastri principali, la Congregazione della Luce era ora più facile da eliminare. «Voi non ci scalfirete mai, qualunque sia il vostro piano.».
«Io non vorrei illudervi principessa ma credo che le persone che fossero in grado di infondere coraggio in gente debole, siano… morte nella battaglia.» affermò Yorghunne introducendosi nella conversazione.
«Credete di poter vincere sull’alleanza delle quattro terre? Vi sbagliate… vi abbiamo sconfitto una volta e lo rifaremo ancora, anche a costo della nostra vita.» sostenne Virjinia con fierezza.
Lucifero si guardò in giro, ma poi ritornò sulla regina annusandole il collo. «Voi siete coraggiosa maestà o al quanto, stupida per parlare in questo modo.».
Si dimostrò impassibile alle sue provocazioni e Lucifero fu subito distratto dagli occhi in lontananza di Erenock. Lasciò stare la regina e si avvicinò a lui osservato da tutti. Si fermò a un metro esatto da lui e gli comunicò telepaticamente delle semplici parole: “[1] Dimirbi ku sou taqu ecamsesù.”.
Si guardarono negli occhi mentre tutti gli altri erano spariti. Lucifero lo odiava, ma nel suo profondo per lui provava dei forti sentimenti. Amava Dranerre per la sua ostinazione e la sua bellezza e al tempo stesso odiava Erenock, sia per avergliela portata via, che per l’imperturbabilità con cui il guerriero lo trattava.
Il respiro ristretto e il pulsare regolare del suo cuore differenziavano Erenock da tutti, persino dai suoi uomini. Era un essere unico e per la sua unicità, era odiato e disprezzato da coloro che si concessero al Male. Lucifero doveva portarlo dalla sua parte…. Lui doveva controllarlo e per farlo gli serviva colui ha cui Erenock teneva di più.
Lucifero lo guardò con intensità e gli pose un consiglio: «Perché non sbrogliamo questa matassa? Facciamolo insieme… cancelliamo ciò che è accaduto e nessuno ricorderà.».
«Qual è il tuo prezzo?» Erenock fu totalmente freddo nel porgli la domanda.
Lucifero non gli tolse lo sguardo di dosso, nel tempo in cui rifletteva su cosa chiedergli. Fra i due vi era un’aria tesa e sembrava che comunicassero solo con lo sguardo. Poi di netto, Lucifero pretese: «[2] K’umelu ce bikoe bga se rsu neò u boiqa.».
Erenock non fiatò, stava riflettendo…. Doveva decidere se cedere l’anima di re Norack per cancellare ciò che era accaduto negli ultimi giorni o lasciar ricordare ogni cosa a discapito di Lucifero e di molti altri. «È tua.» accettò la sua proposta senza condizioni.
«Ottima scelta Erenock.» commentò Lucifero con sorriso beffardo. Compì uno scatto verso di lui e lo baciò….
Gli occhi di Erenock si spalancarono a quel folle gesto e tutto a un tratto gli eventi trascorsi fino a quell’istante, comparvero intorno a loro due scorrendo rapidamente. Sembrava un ritorno al passato, ma non lo era. Il vissuto era stato cancellato dalla mente di ogni essere vivente.
Il tempo si ridestò e i presenti ritornarono a festeggiare la Primavera. Nei ricordi delle persone vi entrò la morte di re Norack e del precedente re, suo padre, come un incidente di caccia.
Lucifero e i suoi demoni lasciarono quel luogo e ritornarono nella propria dimora, così fecero anche le Sentinelle di Sangue rientrando nel Luogo Proibito. Per il mondo i terribili guerrieri, portatori di morte non erano mai stati sulla Terra come il grande e terribile Lucifero e la sua orrenda armata.
Il patto era stato stipulato… il tutto era stato cancellato e la festa riprese in allegria e spensieratezza. Erenock ritornato al Palazzo Ombrato, ordinò alla servitù di non essere disturbato. Si denudò di quegli indumenti ed entrò nelle sue stanze da bagno… osservò per qualche istante le alte e bellissime piante a foglie larghe e frastagliate, impiantate in grandi vasi decorati ai lati della porta e poi proseguì.
Avanzava circondato da scaffali di marmo bianco rivestiti esternamente con decorazioni floreali in glafone giallo e mensole stracolme di boccette di profumi, oli e unguenti vari per il corpo, divisi fra colori e odori. Il pavimento lucido che rifletteva ogni cosa era costituito da grandi mattonelle di due metri per due separate da canali che contenevano un liquido blu.
Entrò nella vasca riempita di acqua e di petali di fiori che occupava il fondo della stanza. A pochi centimetri dalla parete in fondo, delle alte lastre di vetro permettevano all’acqua di essere cambiata automaticamente. S’immerse completamente per uscirne alcuni secondi dopo facendo un profondo respiro.
Si lasciò cullare dall’acqua che gli massaggiava dolcemente il corpo… chiuse gli occhi poggiando il capo sul bordo della vasca e cominciò a riflettere. Sapeva che nulla era finito. Sapeva che Lucifero non si sarebbe mai accontentato di ciò che gli era stato concesso. E sapeva anche che doveva porre la parola “Fine” a tutto questo.
Restò lì per qualche ora a godersi quel meritato e stupendo silenzio… fin quando non uscì dalla vasca coprendosi dal bacino in giù con un telo di lino ricamato a mano con fili di cotone imbevuti del colore rosso sangue. Ritornò nella stanza da letto e si avvicinò alle finestre e guardando fuori si pronunciò: «Ti conviene uscire.».
Obbedì mostrandosi a quell’uomo imponente. Era come un colosso, quasi una montagna insormontabile che scompariva oltre le nuvole. Nessuno dei due fiatò per più di cinque minuti poi l’intruso parlò per primo: «Solo ora ho saputo di un nuovo Dio, concepito e nato da Tenrett e Serreiv.».
«Un nuovo Dio.» parlò sottovoce Erenock sospirando, poi si voltò verso la ragazzina e si abbassò alla sua altezza, «Tu sei un Krevhen, molto speciale.» affermò lui.
«Sì è vero, riesco a individuare qualsiasi creatura dovunque essa si trovi.» confermò Migu affermando con fierezza ciò che era e continuò a parlare degli Dèi, «So che è il Dio della Guerra.».
Con fredda espressione Erenock s’infilò dei pantaloni di sottile cuoio nero che fece scivolare lungo le sue possenti cosce bronzee e che poi chiuse in vita con bottoni di semplice avorio. Gli stivali che lui calzò ai suoi piedi erano dello stesso materiale e colore, ma più spessi; li tirò su fin sotto le ginocchia e sbatté i piedi per terra nel tentativo di completare l’opera.
Nella sua bellezza c’erano anche eleganza e qualcosa di molto familiare con Norack, ma cosa poteva essere? Si voltò verso il letto e prese una camicia di seta di colore rosso scuro, aperta sul davanti con lacci sottili. Si avvicinò a una sedia e afferrò un copriabito di cotone nero all’esterno e seta all’interno; lo indossò al volo e sistemandoselo al meglio si poté notare la sua lunghezza: arrivava poco oltre le ginocchia e aveva bottoni in avorio. Presentava uno spacco dietro di trenta centimetri, mentre le maniche che andavano strette dalla spalla al polso, avevano poca importanza, che era tutta concentrata sul grande cappuccio ricamato a mano. In ultimo indossò un paio di guanti semplici lavorazione.
Uscì dalle sue stanze e trovò Meos ad attenderlo con le spalle poggiate al muro. «Sarò al tuo fianco.» fece la Sentinelle di Sangue ponendosi di fronte a lui.
Erenock annuì e insieme si recarono all’entrata del palazzo. Scesero la grande scalinata e ad attenderli c’erano tre cavalli: il primo era Talyzz che portava dei finimenti particolari come la sella di cuoio nero con rifiniture in glafone giallo. Montò in sella e agguantò le redini a treccia, Meos gli sistemò la fascia sinistra, che legava la sella al pettorale e poi gli fece una carezza.
Sul secondo cavallo, che aveva semplici finimenti, montava un uomo coperto da un lungo mantello bianco e una maschera dello stesso colore che gli nascondeva il volto. Il terzo animale si trattava di Aknar, anch’egli con finimenti comuni e, una volta che Erenock gli fu in groppa, lui si alzò sulle zampe posteriori per poi battere con forza quelle anteriori sul terreno e scomparire insieme con gli altri in un fascio di luce.
Arrivarono sulla Terra galoppando contro il vento ed entrati nella Città Grande invece, furono bloccati da alcune guardie armate di lancia che li scortarono fino al palazzo. Smontati da cavallo, Erenock chiese udienza alla regina e si prostrarono dinanzi al suo cospetto.
«I tuoi occhi non tradiscono nessuna emozione, guerriero… eppure sento che stai cercando qualcosa o qualcuno, chi di preciso o cosa?» domandò Virjinia cogliendo nel segno.
«Cerco una donna….» rispose lui guardandola diritta negli occhi, «… essa è una Loorp.» smise di parlare e aspettò che lei si pronunciasse.
Fece un profondo respiro e chiese in modo bizzarro perché le cercasse proprio lì; Meos guardò i presenti negli occhi rispose alla domanda della regina: «Le Loorp, proteggono i vizi capitali, ma una conosce l’ubicazione dello scrigno che li contiene e si trova sulla Terra.».
«Chi vi assicura che verrà con voi una volta che l’avrete trovata?» domandò Ardhenya stupita di cosa cercassero.
«Per ora la cerco soltanto mia signora.» rispose netto Erenock fissandola.
«Siete nel mio regno guerriero e quindi….» Virjinia fu interrotta da Erenock all’improvviso.
«E quindi dovrò informarvi dei miei piani.» finì lui, le parole della regina, «Sono qui anche per mostrarvi la verità….» si fermò lasciandole il comando.
I principali esponenti dei regni si riunirono nella sala del trono a Nits’Irc e scoperto la verità, il silenzio piombò su di loro. Non poterono credere a ciò che il guerriero aveva portato… una verità dolorosa. Si pronunciò la regina e, con sofferenza: «Perché non ricordiamo nulla di tutto ciò?».
Erenock mostrò la conversazione avuta con Lucifero e proprio, in quell’istante Annuhyev avvertì una presenza alle sue spalle e nel voltarsi si vide Lucifero davanti. La stordì con una nuvola di zolfo e la portò via. Il Comandante Erenock però non poteva aiutarla in quel momento, tuttavia non l’avrebbe abbandonata.
La regina Virjinia invece aveva fatto preparare un banchetto per i suoi ospiti. Chiacchieravano fintanto che si cibavano e si dissetavano con le delizie del regno… d’improvviso si udì il rintocco delle nove, provenire dal vecchio e ultimo campanile della città.
Erenock si alzò dal tavolo scusandosi e uscì dalla sala con disinvoltura. Lui e l’uomo con la maschera s’incrociarono sulla soglia e Ardhenya li intravide fra la folla di persone che le passavano davanti agli occhi. Li seguì fino a raggiungere una terrazza secondaria, dove lei si rivolse allo sconosciuto: «Io ho come la sensazione di conoscervi da molto tempo, ma questo è impossibile.».
L’uomo non fiatò, ma si girò di scatto lanciandole contro un fascio di luce che lei vaporizzò, non appena aprì la mano destra all’altezza degli occhi. Quando abbassò la mano, intravide per un secondo nella maschera il volto di suo fratello. Lo sconosciuto si avvicinò e le sussurrò delle parole all’orecchio sinistro.
Ardhenya spalancò gli occhi al sol sentire il suono di quella voce e si staccò da lui quando il braccio destro le dolette. Immediatamente in alcuni punti del suo corpo, il fuoco prese vita e in un secondo ne fu interamente avvolta. Nello stesso tempo, sotto di lei si sprigionò una fonte di energia che cambiò la direzione delle fiamme modellandone l’abbigliamento.
Il tessuto prese nuova forma quando il fuoco iniziò a spegnersi. Stivali di sottilissimo cuoio nero ricamato in vari punti con l’argento, si materializzarono intorno alle sue gambe fino a fermarsi a metà delle cosce. Sulla pelle nuda delle cosce comparve un tessuto di cotone che si arrestò in vita bloccato da una cintura rivestita di velluto bianco. Le davano slancio e la facevano sembrare più alta di quanto non fosse, dando più risalto alle sue belle gambe.
Non ci mise molto che anche il ventre e il petto furono coperti da un corpetto, sempre di cuoio, rivestito di seta. Il bordo inferiore era ricamato con fili d’argento, cuciti a sua volta a strisce di velluto bianco. Il corpetto si chiuse dietro con due lunghissimi lacci che ricadevano poi sulla schiena, come un gioiello. Anche il corpetto fece il suo dovere per mostrare le sue sinuose curve e non nasconderle.
Dai polsi, il tessuto cinse le braccia e le spalle della ragazza coprendole con della seta bianca ricamata con decori dorati; un perfetto coprispalla che le stava d’incanto. Lei si sentiva diversa e questo non era causato dal suo nuovo abbigliamento.
Quando tutto finì, Ardhenya si guardò notando il cambiamento. Lo sconosciuto retrocedette di alcuni passi nel momento in cui Erenock uscì dalla penombra in cui si era nascosto. Lei avvertì un brivido di freddo salire lungo la spina dorsale e in seguito un’intensa fonte di calore sul palmo del polso destro.
Lì marchiata dal Fuoco del Luogo Proibito, era comparso il simbolo delle Loorp: un occhio circondato da anelli di fuoco. Lo guardò e lo sfiorò con il palmo delle dita avvertendo una fonte di energia scorrerle nelle vene…. «Ora che la tua vera natura è alla luce della luna, puoi mostrare il volto della Loorp.» furono parole pronunciate da Erenock mentre lei si voltò.
E proprio nel suo volto si vide di sfuggita lo Scrigno dei Peccati…: «La notte è ancora giovane principessa e ciò che voglio non è lo scrigno… in questo momento.» asserì lui non accennando nessuna emozione.
«Allora cosa?» gli domandò Ardhenya fissandolo.
«Aiuta l’uomo con la maschera.» le rispose prima di scomparire insieme allo sconosciuto.
«In cosa?» chiese lei alzando il tono della voce. Lei restò lì a fissare il vuoto per alcuni secondi cercando di schiarirsi le idee, ma ritornò nelle sue stanze, più confusa di prima.
Con ormai Tagha nelle mani, il Concilio dell’Ombra si sentiva invincibile, ma doveva ancora controllarne il potere. Più di Ylloon e Horazz era Kashda a volere la disfatta della Congregazione della Luce, soprattutto del Comandante Erenock, la stessa persona che la bandì dal Luogo Proibito.
Ruotava la spada cercando di equilibrarsi con lei e poterla usare più facilmente, ma diventava pesante a ogni movimento…. «Aaaargh. Dannazione.» urlò Kashda lasciando cadere l’arma sul pavimento.
«Difficile da maneggiare non è vero?» domandò beffardamente Horazz entrato nella sala del trono seguito dal Comandante Gordoona.
«Non lo sarà per molto.» rispose Kashda pulendosi il taglio sull’indice sinistro.
«Coloro che l’hanno impugnata prima di te, non ci hanno impiegato secondi o minuti ma anni.» sostenne lui accomodandosi sulla seduta del trono.
«Io non ho tutto questo tempo, a noi Tagha serve adesso.» recuperò l’arma e riprese ad allenarsi.
«Qual è la motivazione che t’impone di accanirti così in un impegno tanto difficile?» le domandò il Comandante Gordoona curioso.
«Un nemico comune.» rispose lei passandosi la spada da una mano all’altra.
«Odi tanto quell’uomo, anzi no, non può essere definito tale perché non lo è, da avere il sangue colmo di veleno?» continuò Horazz ha porle domande su di lui per farle aumentare rabbia e odio.
«Dovresti mettere da parte odio e rabbia per poi usarle contro il tuo nemico chiunque egli sia.» Gordoona la oltrepassò lanciandole un’occhiataccia.
«Chi è il tuo nemico oltre la Congregazione della Luce?» le chiese Horazz, mentre lei si fermò di colpo.
«Il mio unico nemico è Erenock. Il mio unico obiettivo è distruggerlo.» rispose con sguardo freddo e fissando Horazz negli occhi, «Ho aspettato il momento di eliminarlo per anni e ora mi si presenta l’occasione e chi devo ringraziare… solo i Difensori della Fede.» sorrise.
A un certo punto Kashda avanzò verso Horazz con movimento sensuale… poggiò la spada contro uno dei braccioli e gli salì sulle gambe. Lo accarezzò, poi si avvicinò con la bocca al suo orecchio sinistro e lo baciò. Horazz era totalmente rilassato ed eccitato quando si pronunciò: «Tutto questo mi piace, ma ora dobbiamo pensare al dovere.».
«Per il dovere c’è tempo mio signore.» asserì lei baciandolo e provocando in lui un senso di eccitazione.
Quella stessa notte la luna e alla sua flebile luce fu improvvisamente oscurata da nubi cariche di piogge, infatti, il cielo iniziò a rumoreggiare paurosamente e la terra fu battuta da violenti temporali. Lo scroscio era violento ma quel suono era interrotto a tratti dal forte vento che spirava da Nord e che insieme al suo inquietante ululato portava con sé il solito profumo di terra bagnata….
La violenta perturbazione che in quel momento imperversava su Nits’Irc e sui dintorni, non accennava a cessare. Le case erano chiuse e barricate, la furia di quel temporale non aveva dato altra via di fuga agli abitanti se non le proprie abitazioni…, ma sotto quell’incessante pioggia a passi lenti si muoveva come un’ombra, una donna. Il lungo velo la nascondeva non lasciando traspirare nessun lineamento.
Giunse alle spalle di Erenock che si trovava eretto a pochi centimetri dalla ringhiera di marmo del giardino privato. Sorrise, tutto appariva agli occhi di quella donna così semplicemente banale, persino il vento non la smuoveva dalla sua posizione. Lei sibilò alcune parole… poi rivolse il viso verso il cielo.
Fissò il corpo muscoloso del guerriero e ghignò… aprì la mano indirizzandola verso il basso, un vento grigio la circondò per alcuni secondi, poi un suono fortissimo si levò coprendo quello della tempesta…. Un potente fulmine colpì il suolo, poi tutto tacque.
«[3] Lan moukqi peuki bnazze eh rakqi a hu leicceu, hu pajlheyeqù ze ok ukeji cakqeha à hu lonawwu ze yoe kik liqnae jue zoxequna.» furono le parole della Donna Velata comparsa al suo fianco accarezzandogli la tempia che lo distolse dalla sua distrazione.
«Sento che il tempo di Erenock sta per scadere….» asserì lui osservando la pioggia cadere.
«[4] Hu hoya zah piha je popponnu, zira ukzuna, jakqna ruci po’ moapqi pakqeani zahhu kiqqa.» la Donna Velata si spostò sull’altro fianco, «La mia vita è intrecciata, avvolta nel manto della bugia e della solitudine… ascoltami, quando il sole sorgerà di nuovo domani… si deciderà quale sentiero percorrere e soprattutto il futuro di ogni creatura appartenente a Dio e non….» terminò di parlare e aspettò che lui iniziasse.
Lui però non fiatò e lei andò via….
 
Il giorno seguente, il sole sorse maestoso e il vento si levò leggero quella mattina dando il buongiorno alle singole creature che incontrava. A Nits’Irc, intanto si stava compiendo il cambio della guardia, mentre a palazzo i reali e i nobili di corte si stavano appena svegliando.
Ardhenya non aveva chiuso occhio tutta la notte a pensare a ciò che era accaduto, ma non riusciva a capire come lei potesse aiutare lo sconosciuto. Passeggiava avanti e indietro nelle sue stanze… bussarono alla porta… lei chiese chi fosse e poi fece entrare…: «Mia signora, il Comandante Erenock, vuole parlarvi… vi aspetta in giardino.» le riferì la guardia congedandosi.
«Posso farvi una domanda?» chiese lei avvicinandosi. Lui acconsentì con un cenno della testa e Ardhenya formulò la domanda: «Perché questo? Perché ritornare sulla Terra, aiutarci dopo, quello che l’uomo vi ha fatto? Io non lo capisco.».
«Lo vedrete.» la sua risposta non le disse nulla.
Il sole cominciò ha spostarsi lentamente nel firmamento e per Erenock il momento era giunto. Meos si recò dalla principessa e la condusse nei sotterranei; una ventina di metri sotto la superficie, dove il freddo penetrava, persino nelle ossa… lì i due si fermarono davanti a un muro di pietra ricoperto dal muschio.
Lì Erenock e lo sconosciuto li attendevano. Ardhenya capì che quegli uomini aspettavano lei, ma non sapeva per cosa. D’improvviso si ricordò che il muro era una porta che conduceva in una sala, il cui accesso era vietato persino a lei. Rammentò inoltre come il padre le mostrò di aprirla.
La principessa poggiò l’unghia dell’indice destro sul muro e la fece scorrere lungo la parete, fino ad arrivare all’altezza dell’ombelico. I mattoni di pietra che componevano la parete si disintegrarono uno dopo l’altro allargando così il passaggio. Ardhenya entrò per prima seguita in successione da Erenock, Meos e infine lo sconosciuto.
Dinanzi a loro si aprì una sala rettangolare, completamente in pietra con venature di argento. Al centro, una vasca scavata nella pietra e con un rialzo di trenta centimetri, occupava uno spazio di ben cinque metri di diametro; quattro statue di donne nude, invece, si sporgevano nella vasca poggiando sul bordo la gamba destra.
Si fermarono a un metro dalla vasca e lei attese.
«Sarà qui che la sua carne risorgerà.» parlò sottovoce, mentre Ardhenya gli chiese che cosa avesse pronunciato. Lui però non le rispose… fece un cenno a Meos e lui capendo si avvicinò alla principessa sussurrandole poche parole: «Una sola goccia di sangue.».
Ardhenya non perse tempo ed estrasse un pugnale con una lunga lama sottile, posto in un fodero di cuoio al fianco destro. Si avvicinò alla vasca e si procurò un taglio sull’indice sinistro. Premette sulla ferita e fece cadere una goccia di sangue sulla testa della statua retrocedendo a un ordine di Erenock.
Dagli occhi delle statue sgorgò sangue che riempì la vasca fino al bordo. Erenock denudò la parte alta del corpo restando a dorso nudo e lasciò cadere sul pavimento i suoi indumenti. Non appena il sangue iniziò a bollire immerse il braccio destro fino al gomito e si appoggiò con la mano sinistra sul bordo mentre con l’altra afferrò qualcosa che tirò sù.
Un corpo maschile e muscoloso uscì dal sangue interamente costituito da quel liquido rosso. Erenock lo coprì con un mantello del colore delle stelle e lo nascose ai due…. La vasca si svuotò e il sangue di cui era composto quell’uomo lasciò spazio alle ossa e alla carne.
In seguito Erenock lì avvertì: «Quello che è accaduto qui oggi non dovrà uscire da questo luogo o ci saranno delle gravi conseguenze per tutti.». Avvertita soprattutto Ardhenya, Erenock passò la mano sinistra sul braccio destro e il sangue evaporò. Si rivestì immediatamente e ritornarono ognuno nelle proprie stanze. Nessuno doveva conoscere la sua identità, essa sarebbe stata un pericolo per molti.
 
 
[1] Conosco la tua vera identità. – (lingua dell’Inferno)
[2] L’anima di colui che ti sta più a cuore. – (lingua dell’Inferno)
[3] Per quanto siano freddi il vento e la pioggia, la semplicità di un animo gentile è la purezza di cui non potrei mai dubitare. – (lingua del Luogo Proibito)
[4] La luce del sole mi sussurra, dove andare, mentre vago su questo sentiero della notte. - (lingua del Luogo Proibito)

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** I Carniv ***


Quattordicesimo capitolo
 
I Carniv
 
 
 
 
Dopo la morte di Norack, Anymha era scomparsa com’era apparsa dinanzi agli occhi del giovane re.
Lei abbassò lo sguardo… conosceva il luogo, dove si trovava, ma non glielo avrebbe mai rivelato. I polsi le incominciarono a bruciare per le catene che la legavano alla parete, le braccia le divennero stanche e i piedi a farle male… era stata incatenata a un muro che si trovava sospeso su un burrone che sovrastava un fiume di anime perse.
Da quel punto si potevano udire i loro lamenti, anime condannate all’eterno bruciare fra le proprie paure e debolezze. Annuhyev notò con la coda dell’occhio e quasi disgustata, il suolo tutto, una melma puzzolente piena di rettili schifosi, che Lucifero a malapena riusciva a calpestare. «Ti conviene parlare altrimenti resterai qui in eterno.» Lucifero la lasciò riflettere allontanandosi con Izhar che restò solo a guardare.
Il dolore e la sofferenza che lei avvertiva dalle anime erano quasi soffocanti; i lamenti col passare del tempo diventarono assordanti fino a farla divenire sorda. All’improvviso spostò lo sguardo sulla parete alla sua sinistra da cui era passata; c'era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa lei si sentì rinchiudere strettamente. E quello che allora lei soffrì superò ogni umana immaginazione, né le sembrò possibile dare solo un'idea a cose che non si sanno descrivere.
Sentiva nell'anima un fuoco che non sapeva descrivere, mentre dolori intol­lerabili, le straziavano orrendamente il corpo. Tuttavia, non era nemmeno da paragonarsi a quanto avessero sofferto i suoi amati genitori, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione.
Eppure anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. Era un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non sapeva come esprimersi. Un dolore che anche il Comandante Erenock conosceva bene, quando la sua anima gli fu strappata dal corpo.
Poi un’orrenda creatura si fermò dinanzi a lei, sfigurata dalle continue sofferenze che l’Inferno stesso le inflisse. Osservò il suo delicato viso venire sottoposto all’incessante agonia delle anime tormentate sotto di lei. «Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci sia strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fa in brani da sé.».
La creatura sorrideva a malincuore e per quanto ciò che restavano delle sue emozioni volessero aiutarla, non avrebbe mai osato soccorrerla. Fatto stava che lei non sapeva trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a così orribili tormenti. Si sentiva ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore. Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi.
Orribili a vedersi, le pareti le gravavano addosso, e le pareva di soffocare. Non vi era luce ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista, si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce: cosa che non riusciva a comprendere. «Rivela a Lucifero, dove si trova l’arma e lui ti toglierà da questi orribili tormenti.» in parte la creatura la supplicava, ma come poteva Annuhyev dire ciò che non sapeva?
Tutto sembrava lo stesso momento…. Tutto pareva diverso…. Le parve di essere trasportata in un luogo deserto, oscuro e solitario, ove non sentiva altro che urli, stridi, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi, che, a ogni colpo, pensava sprofondasse tutto il mondo. Annuhyev non aveva sussidi ove rivolgersi; non era in grado parlare; non poteva invitare il Dio perché lui li aveva abbandonati al loro destino.
Le pareva che fosse luogo di castigo e di sdegno di Dio verso di lei e gli uomini, per le tante offese fatte a “Sua Maestà l’Onnipotente”. Sentiva un incendio di fuoco, ma non vedeva fiamme; udiva colpi sopra di lei, ma non vedeva nessuno. In uno sfuggente attimo, sentiva come una fiamma di fuoco che si avvicinava, e sentiva percuotersi; ma niente vedeva.
Alla fine, fra tante tenebre, le parve di vedere un piccolo lume come per aria. A poco a poco, si dilatò tanto. Le sembrava che la sollevasse da tali pene, ma non vedeva altro. Dopo molto tempo ritornò Lucifero… sperava per lei che avrebbe parlato o sarebbe rimasta in quel luogo in eterno a soffrire.
Si fermò sul bordo del precipizio e attese che la ragazza parlasse… aspettò per molto tempo poi adirato dal suo silenzio, le gridò contro facendo tremare ogni cosa. «Dimmi, dove si trova quella spada o brucerai fra le sofferenze altrui e posso assicurarti che nessuno riuscirebbe a sopravvivere.».
Annuhyev spostò lo sguardo su Lucifero e con un filo di voce disse: «La spada potrebbe trovarsi in qualsiasi luogo persino qui nel tuo regno.».
Lucifero le diede le spalle e cominciò a riflettere…. Annuhyev poteva aver ragione e doveva scoprirlo prima che Erenock sapesse a sua volta che la ragazza si trovasse nelle sue mani. Mandò subito Izhar a fare delle ricerche nel vasto regno in qui si trovavano.
Decise di parlare di nuovo alla ragazza e quando lo fece, si trovò dinanzi a se il Comandante Erenock. Non potendo vedere il volto di Lucifero, Annuhyev ne immaginò soltanto il pallore che si era manifestato all’improvviso. Lui non desiderava in alcun modo dare una vittoria – anche se pur minima – a Erenock, per ciò non mosse nemmeno un muscolo.
«Ringrazia Dio perché se io ti uccidessi, andrei contro di lui.» gli parlò con odio e rabbia, ma pur provando questi sentimenti per un essere come Lucifero, non gli diedero motivo di scomporsi.
Un anello di fuoco si estese dagli occhi del guerriero… dalla parete che dava le spalle a Lucifero tante anime dannate uscirono lamentandosi…. Erano colme di dolore e in preda alle innumerevoli agonie che l’Inferno aveva loro lanciato. Con la furia e la rabbia, le anime si affrettarono ad afferrare il loro carceriere.
Erenock invece sciolse le catene che legavano Annuhyev portandola lontano da quelle atroci sofferenze. Quest'ultimo gridò con quanta forza aveva in gola la sua furia raggiungendo le sconfinate terre del suo regno.
Condotta Annuhyev al sicuro, Erenock ritornò a Nits'Irc, ma si fermò alla Città Bassa, dove avvertì la presenza di Aedal. Con indosso il suo mantello si recò all’incontro… arrivato, si fermò sotto la pioggia e dall’ombra udì la sua voce, mentre Aknar intratteneva un balletto nitrendo…. «Molte cose accadranno in futuro.».
Smontò da cavallo e tenendo le redini nella mano si avvicinò a un piccolo portico di legno. Si arrestò aspettando che la donna uscisse allo scoperto…. La salutò con un inchino della testa e lei gli anticipò parte di un probabile futuro: «Ricambio il tuo cortese saluto…. Sei qui per i Gavoth e… non solo.».
Erenock si spostò sotto il portico con Aknar e mentre Aedal lo fissava negli occhi, si pronunciò: «Il futuro degli uomini non è il tuo, anche se ne sei legato. Io non conosco il segreto che trattieni con tanto accanimento, ma posso assicurarti che presto sarà rivelato insieme a molti altri.».
«Qual è l’altra visione?» domandò lui con gentilezza.
«Tutto si manifesterà nella propria natura. Fa attenzione…. La madre farà di tutto per i suoi figli.» rispose Aedal dirigendosi sotto la pioggia… girò su se stessa e scomparve nel buio.
Fissò nel vuoto ma fu destato dal nitrito di Aknar. Si allontanò dal portico e montò in sella. La pioggia era cessata già da molto tempo e il cielo quella notte era divenuto bellissimo…. Il vento soffiava tra gli alberi facendo sembrare che le loro chiome ballassero. Il chiaro di luna splendeva solitario sul nero della notte, la voce del lupo, ritornata, ululò al vento.
Horazz intanto prese in pugno la situazione recandosi in una stanza dall’accesso proibito persino a Gordoona e si fermò ad appena cinque metri oltre la porta.
Una colonna di marmo bianco, alta non più di un metro, reggeva una statua in avorio… rappresentava un uomo nudo e ne attivò il meccanismo.
Nel mezzo del pavimento si aprì una botola abbastanza grande da farci passare un cilindro di vetro che s’innalzò per tre metri. Il cilindro era colmo di una sostanza trasparente rossa che avvolgeva un oggetto poco visibile.
Horazz si avvicinò al cilindro toccando la superficie liscia… immerse la mano nella sostanza, stringendo l’altra a pugno e serrando le mascelle dal dolore che provava… poi afferrò l’oggetto. Tirandolo fuori vide la sua mano ustionata… osservò quell’oggetto ridendo che di colpo pulsò.
Era uno strano uovo rosso cupo quasi nero… aveva un'altezza complessiva di dieci centimetri e una larghezza di quattro.
Ciò che però interessò Horazz fu la strana struttura che sembrava simile al platino costituita da fasce di varie misure e dallo spessore di pochi millimetri che s’intrecciavano fra loro avvolgendo l'uovo come una rete. La distanza tra l’uovo e la rete era poca eppure non c’era sostegno che li unisse, ma alle due estremità vi era una piastra compatta.
Erenock tirò forte le redini e Aknar s’issò sulle zampe posteriori nitrendo. Lui cadde sul terreno bagnato restando immobile… gli occhi si spalancarono e il respiro si affannò….
Ciò che Horazz aveva fra le mani era molto pericoloso.
Il fuoco nacque in lui e divampò espandendosi in ogni angolo del suo corpo fino a raggiungerne le estremità. Aknar innervosito si allontanò da lui rapidamente nitrendo con furia. Il cielo si oscurò nuovamente facendo stranamente cadere la neve che coprì ogni cosa, poi una fitta nebbia.
Erenock era abituato a quel tipo di clima così incerto, e il più delle volte sfavorevole, poiché vivere in se stesso, l’aveva reso forte. Aveva da qualche tempo chiuso gli occhi quando la neve lo aveva quasi ricoperto del tutto.
 
Lui fu svegliato un’ora prima dell’alba da Aknar… si alzò e notò ancora la neve intorno a lui. Restò lì a osservare il luogo poi Aknar lo incitò col muso ad alzarsi da quel freddo. Il tempo passò….
Meos si fermò a un metro dalla sua testa e proferì domanda: «Quanto tempo vuoi rimanere sulla Terra?».
Erenock si allontanò dalla strada e osservò il panorama imbiancato lasciando in sospeso la domanda. Meos lasciò stare domandandosi perché quello strano cambiamento climatico. Questa volta Erenock rispose, mentre annusava l’aria fredda: «I Gavoth vogliono sfidarmi sul mio stesso terreno. La vita della Suprema Imperatrice… tutto questo è opera sua.».
«Ora sappiamo che vogliono usarla e scommetto che il loro prossimo passo saranno i Carniv.» proferì Meos alzando il capo verso di lui.
«Incominci a parlare come i mortali.» insinuò Erenock voltando il capo verso di lui con l’accenno di un sorriso.
«Sono interessanti….» asserì Meos sorridendo e osservando il pugnale.
«Tutti i mortali o uno in particolare?» domandò curioso mentre l’espressione sul suo volto cambiò radicalmente e la sua unica parola fu: «Ylloon.».
«Ylloon non è un problema.» asserì Meos facendo passare fra le dita una moneta.
«Lei no, ma suo figlio Vincent sì ed è persino più pericoloso del padre.» dichiarò Erenock appoggiandosi al muro… abbassò il capo, «Horazz ha le mani sulla vita della Suprema Imperatrice e la sta usando in questo momento.» restò in quella posizione nel tempo in cui Horazz ordinò alle guardie di lasciare la sala del trono.
L’oggetto che stringeva fra le mani aumentò la sua temperatura e il mago lo lanciò verso il centro della sala. Una forte luce rossa si sprigionò da esso rilasciando una polvere sottile che poggiandosi al suolo liberò delle gocce d’acqua. Una per una, si concentrarono nel centro della sala a formare una figura femminile.
Lei si scrollò di dosso dall’acqua e Ylloon era libera…. Era una donna nella media con capelli biondi legati sulla testa e dagli occhi piccoli e castani che presentava un corpo sottile e un seno quasi piatto.
Horazz richiamò a se il Cuore e Ylloon avanzò verso di lui decisa e con fare altezzoso disse: «È giunto il momento di compiere un passo importante.».
 
Ardenas entrò nella sala dell’Osservatorio proprio quando Falock annunciò che c’erano notizie interessanti. «Il Concilio dell’Ombra si è ingrandito.».
Tenrett passò la mano destra sulla superficie dell’Osservatorio e mostrò agli altri alcune novità. «Ylloon è tornata ed è intenzionata a riavere i suoi figli usando ogni mezzo a sua disposizione… per quanto riguarda Erenock invece, lo abbiamo controllato e per ora sta buono come un cane.».
Serreiv abbassò lo sguardo per alcuni secondi riflettendo e poi alzando gli occhi verso i suoi fratelli disse: «Erenock è un pericolo, potrebbe scoprire cose che non dovrebbero essere rivelate.».
«Ha ragione.» asserì Ardenas dandole un’occhiata di conforto.
«Affermo le tue parole, i poteri di Erenock stanno crescendo a dismisura e noi non possiamo far altro che stare al nostro posto per il momento… se intervenissimo adesso, non faremo altro che mettere tutto ciò per cui abbiamo faticato fino ad oggi a rischio, non è ancora il momento di uscire allo scoperto.» Tenrett si spostò dall’Osservatorio a suo figlio che, ormai uomo, si divertiva con alcuni pugnali.
Serreiv si avvicinò all’Osservatorio e altre immagini apparvero in esso mostrando strane creature. Erano esseri ad altezza umana che avevano la pelle piena di pustole e vesciche e dal colore che variava dall’arancione al rosso. Si presentavano privi di capelli o peli su tutto il corpo e il volto rotondo e a volte squadrato, cercavano di coprire gli occhi fini e scuri, le orecchie sottili e appuntite e il naso schiacciato all’insù. L’unica parte del corpo, coperta solo una veste ingiallita, era l’inguine. Si nutrivano, della giovinezza altrui, leccando e toccando il corpo della prescelta; in genere prediligevano giovani vergini. Ciò che li rappresentava era uno strano simbolo; si trattava di un cerchio affiancato da due rettangoli sottili seguiti da altrettanti triangoli dalle punte rivolte verso le estremità.
Il suo volto scuro attrasse l’attenzione dei suoi fratelli che si avvicinarono osservando le creature. «I Carniv…. Quella strega ha intenzione di liberare quelle orrende creature che persino Erenock ha rinchiuso nell’Abisso dell’Oscurità evitando così l’estinzione della sua gente.».
All’improvviso però Ardenas si allontanò con sguardo pensieroso, mentre Tenrett si rivolse alla sorella: «Dove si posano i tuoi pensieri?».
«Ylloon vuole usare i Carniv per accumulare energia sufficiente a distruggere gli incantesimi che imprigionano i draghi dei suoi figli per recuperare l’ampolla contenente il sangue di Vincent….» si fermò un attimo per riprendere fiato; quanto aveva intuito la sconvolgeva e non poteva crederci. Fece dei respiri veloci e riprese a informare i suoi fratelli dei propri pensieri: «… per avere energia in abbondanza lei ha dovuto liberare i Carniv e per farlo le è servito altrettanta potenza se non addirittura maggiore. E cosa, fratelli miei, è abbastanza potente da liberare qualcuno dall’Abisso dell’Oscurità? Ve lo ricordo io… il Cuore della Suprema Imperatrice.».
Come aveva pensato, sui volti dei suoi fratelli scese la paura e addirittura il dubbio. Il silenzio sceso su di loro cadere portò altre immagini nell’Osservatorio. Falock immerse la mano nel liquido cancellandole e parlò: «Se saranno il vero, presto anche gli angeli mescolati ai mortali rinunceranno a loro stessi.».
Gli Dèi sapevano che ora i Gavoth andavano tenuti particolarmente d’occhio per gli oggetti che possedevano.
Erenock aveva deciso di fare una visita importante e così si presentò al cospetto di Ylloon. La strega alla sua vista restò seduta sul suo trono e al suo piacere, Erenock le parlò: «Fermati prima di commettere altri errori.».
La strega lo fissò intensamente e drizzando la schiena si pronunciò: «Nemmeno un saluto dopo tanto tempo?».
«Perché salutare una persona che non considero nemmeno come tale?» pose la domanda come se lei dovesse rispondergli in un modo diverso da quello che lui si aspettasse.
«Tu sei cordiale come sempre Erenock…. Sai benissimo ciò che io voglio e lo otterrò ad ogni costo.» sul suo volto si disegnò un sorriso bieco e sinistro, metteva quasi i brividi, ma per lui non c’era sguardo o parola che potessero smuoverlo dalla sua indifferenza.
«Sono qui per avvertirti di restare al tuo posto.» la avvertì senza troppi giri di parole.
«Sei stato troppo fortunato a essere stato liberato proprio di questi tempi.» insinuò Horazz entrato in momento….
Lo scopo degli Dèi era annientare Erenock, quello di Ylloon era di sottometterlo. Ylloon cercava il potere più grande per rendere suo figlio Vincent al pari di Dio e lo avrebbe cercato anche ai confini dell’universo.
Ylloon cambiò all'improvviso espressione guardandolo con sguardo malizioso e disse: «Alleati con noi e sarai salvo.».
«La tua offerta è allettante, ma è con rammarico che devo rifiutare… io non sto dalla parte di nessuno.» pronunciò quelle parole con estrema tranquillità finché il Cuore s’illuminò emanando anche delle strane vibrazioni.
«Se non prendi le parti di nessuno, allora spiegami perché aiuti la Congregazione della Luce?» gli domandò schiettamente senza perdere tempo.
«Non risponderò alle tue domande…. I Carniv, non ti serviranno a nulla e possono rivoltarsi contro quando meno te lo aspetti.». Le sue ultime parole furono espresse come se Erenock sapesse quali fossero i piani che la strega aveva concepito durante tutta la sua assenza.
«Saranno sotto il nostro controllo, non devi preoccuparti.» lo rassicurò Ylloon issandosi e avvicinandosi a lui. Gli si fermò dinanzi accarezzandogli delicatamente la guancia sinistra con il dorso delle dita e gli si avvicinò al volto il più possibile: «Se vuoi restare vivo, ti consiglio vivamente di non metterti contro di me, ho molti assi nella manica.».
Anche lui le sussurrò qualcosa: «Io invece ti darò un altro consiglio… fa molta attenzione a chi ti affianchi, perché spesso ci si allea solo per il proprio interesse.».
A quelle parole la strega si ricordò degli oggetti che Horazz e Kashda detenevano. Si staccò e non fece trapelare nulla. I loro sguardi s’incrociarono e a poca distanza da loro comparve Kashda che si scagliò contro di lui con Tagha.
A difenderlo comparve Dhebran, nata dall’unione di Dheran e Dherab. Le code dei serpenti costituivano i pezzi principali della spada che si avvolgevano intorno a un diamante sferico e faccettato di colore rosso scuro. I loro corpi che si attorcigliavano continuando per la guardia che formava una specie di arcata con le teste e le lingue biforcute che proseguivano sul forte della lama da tenerla ferma e salda. La lama sottile e lineare mostrava solo due scritte e in rilievo.
Erenock la impugnò di colpo allontanandosi…. Una gabbia di spine velenose comparve intorno a lui e invece di combattere fu avvolto dai Krimin lasciandoli a bocca asciutta.
Il suo fidato amico Meos lo informò di un attacco improvviso alla capitale….
C’era molta confusione, come il rumore assordante delle spade e le grida della povera gente che scappava. I contadini si erano barricati nelle proprie case intanto che i soldati combattevano con difficoltà a causa della nebbia.
Erenock e Meos erano cechi come tutti. Sentirono l’avvicinarsi di qualcuno e impugnarono saldamente le loro armi. Il primo ne colpì uno allo stomaco, ma non riuscì a vedere il suo viso contorto dal dolore. Riuscì a scorgere solo il sangue che schizzò con violenza macchiando la splendida lama.
Alcuni soldati spinsero Meos che cadde a terra… evitò il fendente che lo stava per colpire spostandosi di lati. Si alzò rapidamente ed evitò il secondo colpo abbassandosi. In seguito affondò la lama all’altezza dello stomaco, però non ebbe tempo di riprendersi che già un terzo lo aggredì….
La nebbia si diradò e Meos guardandosi intorno, notò i cadaveri e il sangue ricoprire il suolo…. In lontananza tra la folla vide lo sconosciuto che stava combattendo contro uno dei generali dei Gavoth. Era ferito a una spalla e il sangue gli rigava il braccio macchiando i suoi indumenti eppure lui non si lasciò sopraffare e lo uccise dirigendo lo sguardo altrove.
Horazz si avvicinò a lui…. Prima lo scaraventò a terra con onde d’urto, poi estrasse la sua spada. Lo sconosciuto si rialzò immediatamente e i due ingaggiarono uno scontro cruento.
Lo sconosciuto parò i primi due fendenti e lì lui capì che la forza dell’altro era nettamente superiore alla sua. Cadde a terra e afferrò uno scudo… si rialzò e continuò a combattere….
Meos corse verso i due, incurante del dolore che provava alla spalla sinistra. Cadde su uno dei corpi ammassati lì e quando alzò lo sguardo, vide lo sconosciuto in ginocchio dinanzi al nemico trionfante.
Gridò, ma in quel trambusto, le sue urla non furono udite. Prima che Horazz potesse infliggergli il colpo di grazia, Erenock lo fermò dando il tempo necessario a Meos di portarlo via. Di punto in bianco qualcosa attirò l’attenzione di Erenock.
I suoi occhi cambiarono in rosso sangue e gli ordini raggiunsero Hurya: «Sorveglia le Grotte di Cristallo, non agire.».
«I Carniv… Ylloon vuole liberarli per accumulare energia pura distruggendo gli incantesimi che imprigionano i rimanenti draghi dei Gavoth.» fu Meos a informare lo sconosciuto.
«Perché proprio ora?» domandò lo sconosciuto riponendo la sua spada.
«Il drago di Vincent custodisce un’ampolla che contiene il suo sangue con cui possono individuarlo nell’Oblio Eterno e liberarli.» Meos gli spiegò anche che se riuscissero nel loro intento sarebbero stati guai.
Horazz intanto, con la presenza di Ylloon, ordinò ai sottoposti di Zorduva di disporsi intorno al cilindro ove era riposto il Cuore. I maggiori esponenti restarono all’esterno, mentre gli altri perirono sotto la magia del Cuore che assorbì la loro vita.
Dei Nemodurre non restò neanche l’ombra. Nel silenzio calato, la voce del mago risuonò nella sala come un tuono che si fa ascoltare nel cielo notturno: «Dalla linfa vitale dei Nemodurre libera dall’Abisso dell'Oscurità i Carniv e legali a me, Primo Mago del Continente dell’Ombra.».
Un grido di dolore si levò dal Cuore, una nube nera lo avvolse e uno squarcio portò in questo mondo colore che furono banditi alla Vita e alla Morte. Esse erano i Carniv. Intorno ai loro polsi comparvero i bracciali che li legavano al mago… erano liberi dal controllo di Erenock ma incatenati ai Gavoth. Con voce bassa e profonda, quasi affannata, uno dei tre affermò amareggiato: «Di nuovo in catene.».
«State sfidando il Comandante Erenock, mossa ardua e stupida per dei mortali.» parlò il secondo alla loro destra nell’istante in cui la nube sparì.
«Noi siamo i capi supremi e risveglieremo i nostri simili, vi obbediranno.» asserì il terzo terminò con un cenno con la testa.
«Il vostro scopo è di accumulare più energia che potete… una minima parte sarà vostra.» Ylloon comunicò le informazioni necessarie e a un suo cenno, Horazz lanciò alcuni ciondoli, «Questi vi aiuteranno a confondervi fra la gente.» terminò spiegando di cosa si trattasse.
All'apparenza il ciondolo sembrava una semplice piastrina rettangolare in argento con un’altezza di dieci centimetri e una larghezza di uno e mezzo, che presentava uno spessore di pochi millimetri. Era cava all’interno, curvata alle due estremità e mostrava tratteggi con un certo ritmo sulla parte frontale, dove c’erano disposti irregolarmente fori circolari. Sul retro invece la sua superficie era liscia ed era decorato con sottili strisce oblique alle cui estremità si trovavano stelle a cinque punte. Lo [1]Specchio delle Anime o Rubasembianze racchiudeva in realtà un incantesimo rilegato nel metallo e negli stessi particolari, che aveva la capacità di mascherare i Carniv o qualsiasi altra persona... ha renderli, nel loro caso, umani agli occhi degli altri. In cima aveva un foro, dove passava una sottilissima catenina sottile che i Carniv posero al collo.
All'istante cambiarono forma in uomini esili ma con un certo fascino. Erenock poteva avvertire il loro potere.
Alzò lo sguardo e si arrestò di colpo….:«Ylloon non è l’unica a essere stata liberata col Cuore.».
«Se continuano a usarlo in quel modo, finirà fuori controllo. Che cosa hanno intenzione di fare i Gavoth?» quella domanda uscì come un tuono.
«Sono, andati ben oltre il limite consentito, questa volta agirò personalmente… quando sarà il momento. I Carniv.» fu l’ultima parola che Erenock proferì prima di recarsi a palazzo.
I Carniv si misero subito al lavoro… si sparpagliarono per tutte le terre e cominciarono a mietere le prime vittime. Quando il sole cedette il posto alla luna, una giovane donna uscì da casa con un secchio… si era recata come sempre al pozzo per riempire per l’acqua. Riprese il sentiero di casa, ma qualcuno la zittì tappandole la bocca e trascinandola via.
Il secchio che cadde e l’acqua bagnò l’erba…. La ragazza si svegliò legata su un altare di pietra al centro di una sala rocciosa. Non indossava più i suoi stracci, era nuda. Iniziò a dimenarsi cercando di liberarsi, ma in vano… a lei si avvicinarono i Carniv.
La slegarono facendola inginocchiare nel mezzo. La toccarono costatando che la sua pelle era liscia e morbida. Un Carniv pose ai tre capi supremi un’ampolla contenente uno speciale olio profumato che avrebbe cancellato dal corpo della giovane donna, ogni traccia d’impurità.
I tre capi supremi presero dei cristalli e delle forbici… adagiarono le pietre nelle sue mani e con le forbici le tagliarono i capelli. La annusarono e la sfiorarono… ogni loro tocco le procuravano dolore, ma mai quanto quello che le avrebbero fatto le loro lingue.
Cominciarono a leccarla e la sua pelle prese a bruciare come se le fiamme la ricoprissero… così forte era il dolore che le sue grida provocarono l’eco in quella sala. Le goccioline di sudore sulla pelle denotavano l’aumentare della temperatura…. Il corpo della giovane invecchiò prosciugata dell’essenza vitale.
Il corpo esanime fu coperto da un lenzuolo rosso e portato in una sala più ampia. La poggiarono delicatamente su un altare di giada e uno le voltò il capo verso uno specchio alla sua sinistra. Lo specchio mostrò la giovane sembianza della donna e il suo sguardo colmo d’amore anche dopo la morte.
Il Carniv restò a fissare i suoi occhi e non capiva perché vi fosse amore e non odio o dolore. Alla fine l’essere cosparse il corpo della donna con il proprio sangue che fu assorbito facendo ritornare quel corpo vecchio e stanco, forte e giovane.
Il Carniv la accarezzò sul volto e le parlò: «Se vuoi mantenere la tua giovinezza, dovrai restare con me.».
Leo glielo confermò con sguardo sereno, mentre lui si voltò per andarsene… qualcosa lo fece tornare indietro. La aiutò a sistemarsi e si sedette accanto a lei su morbidi cuscini di velluto e seta di vari colori. Restò a osservarla e pensò che nessuna donna lo avrebbe mai guardato con amore.
Lei lo accarezzò e lui le chiese perché l’ho stesse fissando. Lei gli rispose che era curiosa e non disgustata. Lo baciò sulla bocca e non si curò del suo aspetto perché le aveva restituito la vita.
Lui ora era un essere umano e ha interromperli si presentò Erenock: «Portala via.». Gli lanciò un’Arrelle e lo informò che gli sarebbe servita nel Luogo Proibito.
 
 
[1] Lo Specchio delle Anime o Rubasembianze era stato creato sulla Terra da alcune streghe che furono perseguitate per i loro poteri quasi cinquecento anni prima del furto del medaglione Arzzekan.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La rinuncia ***


Quindicesimo capitolo
 
La rinuncia
 
 
 
 
I medici di corte non erano riusciti a trovare nessuna spiegazione agli strani sintomi che la regina accusava. Ardhenya era disperata e le lacrime uscivano copiose dai suoi occhi. Il forte vento che si era levato d’improvviso, fece aprire con violenza i battenti delle finestre della camera.
Tutte le candele si spensero e un brivido di freddo scorse lungo la schiena della principessa. Ardhenya si asciugò le lacrime e chiuse le finestre; nel ritornare dalla madre, si trovò Erenock davanti. «Che cosa fate nelle stanze di mia madre?» domandò lei visibilmente arrabbiata.
«Se volete aiutare vostra madre, dovete seguirmi.» solo quelle parole e il guerriero, uscì dalle stanze della regina.
Ardhenya non poteva rischiare di aspettare che i medici trovassero una cura per sua madre, così seguì Erenock. Lui la condusse alle scogliere, dove si trovava la Cascata dei Draghi – a Sud-Est dal porto. Lì il guerriero chiamò una creatura che regnava negli abissi della Terra.
Onde gigantesche si elevarono dal mare e fuori dalle acque uscì un Drago Sabiano che si era evoluto diversamente dalla sua specie. Il suo corpo aveva i colori del verde sul dorso e blu - viola sull’addome, sulla testa invece aveva sviluppato un’infinità di corna lisce, piccole sul davanti e grandi di dietro. La dentatura era simile a quella dei suoi cugini a parte la lingua che era biforcuta e le tre grandi membrane ai lati della testa, tenute saldamente da sottilissime ossa che fuoriuscivano di venti centimetri. Aveva le squame lucenti, che arrivavano fino alla coda, dove si apriva e usciva un’altra membrana frastagliata.
Vedendo quella creatura Ardhenya cominciò a respirare profondamente per cercare di calmare il suo cuore, ma per quanto provasse, non ci riusciva. Il Sabiano di Mare si accostò ai due ed Erenock ordinò alla creatura di condurre la principessa dal Custode dei Regni. Il Sabiano di Mare emanò un verso stridulo e fece salire sulla sua testa la ragazza per poi ritornare in mare aperto.
Intorno alla principessa si materializzò un velo d’aria che l’avrebbe aiutata a respirare sott’acqua. Dalle scogliere di Nits’Irc, il Sabiano di Mare raggiunse il mare aperto in pochissimo tempo e arrivati nel punto esatto, la creatura ritornò in superficie. Il velo d’aria si dissolse e il Sabiano di Mare chiamò il Custode dei Regni.
C’era calma piatta e nemmeno il vento soffiava. All’improvviso si udì uno strano suono e dalle profondità marine uscì il Custode dei Regni. Una gigantesca creatura costituita da corallo, roccia viva, piante, radici, alghe ecc, si alzò in tutta la sua grandezza. L’acqua del mare che scese dalla creatura formò bellissime cascate e stupendi arcobaleni.
“È un Itatmen” furono le uniche sole parole che il Sabiano di Mare pronunciò.
«Chi osa disturbare il mio sonno?» domandò furioso la creatura; aveva un tono profondo e al tempo stesso spaventoso.
Ardhenya si pose in mezzo alle corna del Sabiano di Mare e cercò di parlare all’Itatmen. «Io sono la figlia della regina Virjinia e sono qui perché devo trovare una cura alla strana malattia di cui mia madre è affetta.». Si fermò un istante perché l’imponente creatura potesse ricevere le sue parole e poi continuò a parlare. «Sono stata mandata da voi da un Guerriero che proviene dal Luogo Proibito, egli si chiama Erenock.».
Quando finalmente la creatura udì il nome di Erenock, prese a ridere e si sedette creando delle gigantesche onde che sommersero i due. Usciti dalle onde, il Custode dei Regni parlò alla principessa: «Io sono Aütsain, controllo e proteggo i regni della Terra, ciò che ti serve è in mio possesso e te la consegnerò a una sola condizione.».
«Farò qualunque cosa pur di salvare la vita di mia madre.» Ardhenya continuò a parlare alla creatura, anche se i suoi occhi le bruciavano terribilmente per l’acqua salata del mare che le era finita addosso.
«Le creature che popolano questi mari non fanno altro per tutto il giorno che infastidirmi. Trova una soluzione e ti lascerò prendere ciò che ti serve.» si fermò e aspettò che la ragazza trovasse una soluzione al suo problema.
Ardhenya non sapeva che fare ma poi le vennero alla mente le parole che suo padre le diceva sempre: “A ogni problema c’è sempre una soluzione, anche se a volte sono quelle che meno vorremmo”. Allora pose le mani come per raccogliere dell’acqua e fu allora che tutta la sua magia fu accumulata lì. Il bevante di carne e ossa si riempì del fluido della sua magia e con le sole forze che le erano rimaste prese un bel respiro e soffiò così forte da sollevare il fluido di magia.
Fu trasportato sulle ali del vento che lo depose sul Custode dei Regni. Proprio allora Ardhenya crollò per l’energia vitale di cui si era privata a fronte di aiutare Aütsain. Il fluido cominciò improvvisamente a illuminarsi e dopo alcuni istanti a comporsi come un velo che avvolse Aütsain; lo avrebbe protetto così dalle creature degli abissi che non lo avrebbero più infastidito.
Alla principessa mancavano pochi respiri ancora e sarebbe morta, tuttavia il gesto che lei aveva compiuto per aiutare il Custode dei Regni le aveva fatto guadagnare la vita e non solo…. A quel punto Aütsain le consegnò la pietra e si raccomandò di ricordarle delle parole: «Giacciono addormentate ora in luoghi oscuri le dodici figlie degli Astri e solo degli eroi mortali potranno scovarle. Solo chi ammette e affronta le proprie paure, mortali fra i mortali ma grandi fra gli eroi potranno sconfiggere i servi del Male. Una delle figlie si troverà quando il coraggio si mostrerà. Questa fra le dodici dovrà sorgere per prima, solo allora la seconda, sua sorella, fiorirà dalla sterilità della terra.».
«Sono onorata di riceverla.» lei gli fece un inchino con la testa in segno del rispetto che aveva nei suoi  confronti e prima di andarsene aspettò che lui la congedasse.
«Mi hai aiutato sacrificando la tua vita e per questo meriti ciò per cui sei venuta. Non dimenticare che quella pietra è più di una semplice gemma….» il Custode dei Regni la ringraziò e prima di andarsene le disse che il “Rubino” era la prima Figlia degli Astri, inoltre proteggeva dalla sfortuna e da problemi di salute. Era una pietra usata anche per aprire il cuore e favorire l’amore non che donava forza, energia e vitalità ed era il simbolo di amicizia, di amore e di fedeltà.
Ardhenya lo ringraziò e ritornò da Erenock. Il guerriero pose il Rubino nelle mani della regina e da quell’istante, tanti Krimin uscirono dal suo corpo richiamati dal calore della pietra. Alla principessa non importò che cosa fossero quelle strane creature ma solo che la regina, sua madre, fosse viva.
Nel frattempo Athylias, Zorduva e alcuni soldati furono inviati alle Grotte di Cristallo, a Nord-Ovest dal Lago della Disperazione, per liberare le altre cavalcature dei Gavoth. Il drago fu immediatamente intercettato da Hurya che si lanciò all’attacco cercando di fermarlo. Si scontrarono con colpi pesanti e Hurya fu ferito al collo dalle corna di Athylias.
Il drago nero cercò di respingerlo, ma Hurya lo inondò con il suo soffio infuocato e in seguito emise un ruggito che richiamò i draghi alleati. Athylias lo contrattaccò afferrandolo con gli artigli e trascinandolo oltre le nuvole; scomparvero per alcuni minuti… si videro apparire avvolti dalle fiamme e precipitare nel vuoto.
Si schiantarono al suolo alzando una nube di polvere che diradandosi mostrò un cratere dal diametro di circa trenta metri e, i due draghi privi di conoscenza, l’uno accanto all’altro. Restarono entrambi, immobili per una decina di minuti poi Athylias si alzò scuotendo la testa, stordita dal forte impatto. Uscì dal cratere e vide in lontananza i draghi richiamati da Hurya.
Nell’istante in cui spiegò le ali, lui le afferrò la coda con i denti e la trascinò nel cratere. Athylias gli saltò addosso agguantandolo alla gola contemporaneamente a lacerargli il fianco con la zampa posteriore sinistra… gli penetrò gli artigli fino in fondo. Anche se Hurya in netto vantaggio di dimensione, ebbe la peggio… Athylias lo respinse scagliandolo contro la parete del cratere e risalì.
Prese fiato, tuttavia non fece in tempo che si ritrovò coperta da un’ombra, quella di Hurya che anche se ferito gravemente ebbe forza e tenacia per affrontarla ancora. Athylias non fece in tempo neanche a voltarsi che Hurya le conficcò gli artigli nei fianchi e le azzannò il collo, strappandole dei lembi di carne. Il nero ruggì dal dolore… gli altri atterrarono a una decina di metri.
Hurya si alzò in volo e si pose di fronte al drago… in uno scatto roteò e la colpì con la coda scaraventandola su un gruppo di alberi alla sua destra che sradicò dal terreno. La fissò per un secondo e poi emise un secondo ruggito, questa volta prolungato per averla battuta.
Nel frattempo Zorduva riuscì nell’intento… liberò il drago di Gundardh, Monheear. Quest'ultimo restando in volo notò Athylias quasi morta… volò verso di lei e agguantandola si allontanarono, anche se Hurya cercò di raggiungerli. Ribera lo fermò e osservò con cura le ferite che Hurya aveva riportato. «Come ti senti?».
«Bene.» rispose lui brevemente quando crollò di colpo.
Uno per volta i draghi ruggirono richiamando Erenock che si presentò in mezzo a loro attraverso lo sciame di Krimin. I draghi gli fecero largo e lui con un passo deciso alla volta, si avvicinò con sguardo ferreo e minaccioso al drago. Non appena Erenock si fermò, Hurya si pronunciò con un filo di voce, scusandosi del suo comportamento: «Perdonatemi mio signore, ho disubbidito a un vostro preciso ordine… non merito la vostra clemenza, sono pronto a ricevere la giusta punizione che m’infliggerete.» Hurya si piegò al suo rude sguardo.
Erenock fece un profondo respiro e…: «Sì, hai disubbidito a un mio ordine e per questo dovresti essere punito, addirittura con la morte… tuttavia hai messo in gioco la tua vita cercando di fermare quel drago e per il tuo coraggio meriteresti una ricompensa.».
Hurya alzò lo sguardo verso di lui e poi si scusò in anticipo: «Io non potrei accettare mio signore, il Concilio dell'Ombra ha ottenuto ciò che voleva e ora hanno Monheear.».
«Monheear non fa parte del piano….» asserì Erenock voltandosi, «… ma Tsoorph sì. Avrai la tua ricompensa come promesso, sappila usare con saggezza.» terminò di parlare e se ne andò com’era arrivato.
Poiché la maggior parte dei draghi era a uno stadio di Anziano, Hurya mutò in un drago Venerabile. La sua lunghezza aumentò fino ad arrivare ai cinquanta metri e mezzo. La piastra del capo che derivava da due apofisi e che collegavano l’arcata sopracciliare e l’osso della mascella, diventò più scanalata e affilata alle estremità. Le pupille invece svanirono e la lingua diventò lunga e appuntita, mentre le corna del mento più taglienti. La cresta che era formata da aculei d’ottone che sostenevano una membrana di colore sbiadito, si scurì insieme alle ali.
Emise alla fine un ruggito spiegando le sue ali e, mentre Ylloon era soddisfatta del compito assegnato a Zorduva, Erenock si presentò dai Carniv. Questi alla sola vista del loro signore, restarono fermi a testa alta. «Tu non hai più controllo su di noi… Erenock.» si fece avanti il terzo capo.
«Io sono qui per offrirvi un dono, una sfera colma di energia pura di giovani innocenti.» per convincerli mostrò l’oggetto in questione che rivelò da un panno di seta rossa, «Ve n’è abbastanza per voi e per distruggere gli incantesimi che tengono prigioniero il drago. Se fossi in voi, mi affretterei, il tempo scorre rapidamente.» ci fu un leggero accenno di un sorriso quando lui sparì.
«Perché ci offre energia pura, quando noi siamo suoi nemici?» si domandò il terzo serrando le mascelle.
«Non ha molta importanza, c’è più energia di quanto ne abbiamo recuperata in precedenza, diamo quella che serve al Concilio dell’Ombra e il resto lo terremo per noi. Sii furbo fratello mio.» espose il suo pensiero uno minore.
«Io sono d’accordo con lui e poi nei piani di Erenock ci sono tutti, nessuno escluso.» il secondo capo diede ragione alle parole dell’altro e si ritirò.
In un altro luogo un’essenza magica apparve dal nulla sul pelo dell’acqua in pieno oceano; brillò così forte da portare, dagli abissi, una piccola isola in superficie. Al suo centro c’era un anello di gigantesche pietre e su ognuna di essa c’era un’incisione, un simbolo che rappresentava il nascere del sole e il tramontare della luna.
Il cielo notturno era coperto da nubi cariche d’acqua e nello spostarsi di alcune, un raggio della pallida luce lunare colpì uno di quei simboli caricandolo di energia. Completamente carico, l’energia si scagliò sugli altri simboli riempiendoli a sua volta… tutti i simboli lanciarono verso il centro un sottile raggio di polvere di energia. Nel punto di unione, la luce divenne più forte e sprigionò una potentissima onda d’urto.
Gli angeli che si mescolarono fra gli uomini ricevettero l’energia… udirono il tintinnio di campanelle e capirono che era giunto il momento che loro tanto aspettavano. Tante scintille raggiunsero l’isola e si collocarono in cerchio… le scintille presero le loro sembianze da comuni mortali: erano alcuni re e regine della Terra.
Non appena il cerchio fu chiuso, i regnanti ripresero il loro aspetto di angeli. Erano soavi circondati da una luce bianca che emanava una sensazione di calore… la loro pelle era bianca e candida come le nuvole in estate, gli occhi luminosi e di vario colore li rendevano esseri celestiali.
Sui corpi degli unici due angeli di sesso maschile comparve una fascia d’oro fulvo alla vita che bloccava un leggero panno nascondendo la parte inferiore del loro corpo. Erano adornati con due bracciali ai polsi lastricati di pietre preziose e calzari di eleganti e raffinati nella loro semplicità.
Veli di nebbia si posarono sulla pelle degli angeli di sesso femminile coprendone, le ancora mantenute curve sinuose. Si modellarono a formare un unico abito chiuso ai lati da lacci d’oro e avvolgendo le gambe da bellissimi calcari con piume di cigni. I bei capelli si raccolsero sulla testa intrecciandosi a piume d’argento.
Nel frattempo Ylloon aveva da qualche tempo raggiunto una cavità ancora più in profondità dal punto in cui avevano trovato Monheear. Di fronte a loro si trovava un grosso altare di pietra e alle sue spalle un drago di roccia dalle ali spiegate con una sfera metallica sotto una delle sue zampe anteriori: la statua fungeva da guardia per la caverna.
Ylloon notò che la base dell’altare aveva dei canali che proseguivano nel pavimento fino ad arrivare alla statua del drago; alzando il tono della sua voce con aria soddisfatta, ordinò al Comandante Gordoona che adagiasse la ragazza sull’altare.
Ylloon scoprì un panno che avvolgeva un pugnale, ne osservò la lama lucente e lo impugnò saldamente camminando verso la ragazza. Si fermò guardando il suo misero corpo e afferrando con due mani l’impugnatura dell’arma lo alzò fin sopra la sua testa per poi conficcarglielo nell’addome. Il sangue sgorgò copioso riempiendo lentamente tutti i canali.
La pietra assorbì il liquido colmando così le crepe che si erano formate nel corso degli anni nella statua. Zorduva che era appena giunto alle loro spalle era impaziente e fu calmato dalle poche parole della strega: «Abbi pazienza….».
Le ali furono le prime ha muoversi e a scricchiolare per il lungo tempo rimaste immobili… la coda sbatté violentemente al suolo liberandosi dalla terra, infine l’intero corpo. Il pugnale invece assorbì ciò che restava della giovane lasciando soltanto polvere. Ylloon non capiva perché il drago fosse restato di pietra e così si avvicinò per porgli delle domande: «Qual è il tuo nome, drago?».
«Io non possiedo alcun nome, donna. Sono il guardiano di questo luogo che tu e i tuoi seguaci avete violato.» le rispose il drago con voce profonda e aria minacciosa.
«Dove si trova Tsoorph?» gli domandò la strega con tono di superiorità e sguardo intimidatorio.
Il drago compì due passi distruggendo l’altare e poi parlò: «Solo la Congregazione della Luce sa, dove egli si trova. Essi avevano avvertito questo momento e l’hanno prevenuto.».
Ylloon adirata dalle parole del drago indietreggiò e insieme con gli altri ritornò in superficie. Fece un respiro profondo per riprendere il controllo di se poi si volse verso Horazz: «Ritornate a palazzo, v’impartirò io ordini specifici al mio rientro.».
Sparì in un’esplosione d’acqua che si ricompose all’entrata del grande edificio del Consiglio. Lì trovò soltanto Mandhor, il quale non era sorpreso del suo arrivo. Ylloon avanzò verso di lui con rabbia e portamento fermandosi a pochi centimetri dal suo naso. Stringendo le mani a pugno gli domandò: «Dov’è?».
«Tsoorph è stato nascosto per il nostro bene, Ylloon. Ritorna nel tuo regno… quello è solo e soltanto il tuo posto.» le rispose facendola arrabbiare ancora di più.
«Andrò via, ma le conseguenze per questo vostro inganno saranno amare.» i suoi occhi non mentivano e se ne andò furiosa.
L’essenza che era giunta fin lì per richiamarli si pronunciò: «Enunciate il vostro nome… quello del vostro primogenito e le terre su cui regnate.»
Ci fu un attimo di silenzio e poi uno per volta obbedì, tenendo in bocca un sapore amaro:
“Io sono Tügar Rounehr, padre di Ymohan, re di Nalhians”.
“Io sono Aniphoor Horev, madre di Narhod, regina di Dirdhan”.
“Io sono Mhuna Aidoke, madre di Nirav, regina di Oraky”.
“Io sono Adix Erocne, madre di Clegan, regina di Edilton”.
“Io sono Analha Erocne, madre di Tsoony, regina di Damaid”.
“Io sono Noirem Axenev, padre di Yrthan, re di Nogar”.
Quando però giunse il turno di Virjinia, lei restò muta. Rimase immobile con gli occhi spalancati, lasciando lo sguardo perso nel vuoto. E fu allora che l’essenza intervenì: «Virjinia, tocca a voi.» le ricordò incitandola ha pronunciarsi.
«Io… non credo… di… di poterlo fare, ho già perso mio marito, mio figlio ora non desidero perdere anche mia figlia.» balbettò rinunciando.
«Anche noi abbiamo famiglia e non vogliamo rinunciare a essa….» intervenne Tügar abbassando lo sguardo per la triste verità.
«Dobbiamo farcene una ragione, noi siamo esseri diversi… non apparteniamo a questo mondo e mai ne faremo parte.» neanche Aidoke voleva abbandonare la famiglia che si era creata sulla Terra, ma aveva ragione loro erano angeli e non esseri umani, presto o tardi sarebbero dovuti ritornare nel loro luogo di origine.
Con le lacrime agli occhi Virjinia prese coraggio e dichiarò la sua verità: «Hai perfettamente ragione, fratello mio, ma se devo, rinuncerò ai miei poteri, alla mia vita con Dio e se necessario alla mia immortalità.» al pronunciare l’ultima parola deglutì.
«Se lo desiderate, potrete restare con le vostre famiglie ma da comuni mortali.» interruppe Erenock apparso alle spalle dei due re.
«Perché dovremmo credere alle tue parole?» domandò Mhuna irritata dalla sua presenza lì.
«Nessuno vi ha chiesto di credermi, tuttavia posso aiutarvi… se lo desiderate, naturalmente.» Erenock inoltre spiegò che potevano cedere il loro spirito d’angelo per diventare comuni mortali.
«Che cosa dobbiamo fare?» domandò Aniphoor seguendolo con lo sguardo.
Erenock si accostò a Virjinia poggiandole una mano sulla spalla, poi rispose alla domanda: «Nulla, solo volerlo… al resto penserà l’essenza che è giunta qua per voi.».
Come la regina Virjinia anche tutti gli altri affermarono la sua scelta, tuttavia per questa scelta c’era un prezzo da pagare… Erenock spiegò che avrebbero riavuto il loro aspetto di giovani angeli provando però i sintomi della loro vera età. A quelle parole, nei loro volti non ci fu cenno di un cambiamento e si proseguì.
Dal centro, sbucò dalla terra un bastone di semplice legno e i viticci che lo ricoprivano si ritirarono mostrando dei cristalli incastonati in esso.
In quell’istante le nuvole sopra la loro testa sparirono lasciando che la luna illuminasse il luogo ancora di più. La sua pallida luce raggiunse i cristalli e li caricò della sua energia.
Senza che qualcuno gli ordinasse di parlare, gli angeli presero a pronunciare delle parole: “Noi angeli figli di Dio, giuriamo al Creatore Onnipotente fedeltà eterna rinunciando per sempre ai suoi doni divini per diventare in eterno i suoi figli mortali”.
Con il passare del tempo quelle parole divennero indistinte e si udì soltanto un mormorio di voci che non procuravano alcun fastidio.
Ylloon intanto si era recata dal Cuore. Fece irruzione nella sala e Horazz, trovandosi all’interno, le domandò: «Io che cosa posso fare per te, regina Ylloon?».
«Dov’è il Comandante Gordoona?» chiese Ylloon furiosa già di per sé e ulteriormente arrabbiata per l’assenza inspiegabile del comandante.
«Non so dirtelo, dove egli si trovi. Perché lo cerchi?» rispose Horazz cercando di capire perché Ylloon lo desiderasse.
«Avevo dei compiti per lui, ma poiché non si trova, occuperò il mio tempo a dare una lezione alla Congregazione della Luce che non dimenticherà troppo facilmente.» rispose furiosa osservando l’oggetto dinanzi a lei.
«Non è il momento di perdere la testa Ylloon.» Horazz le pose una mano sulla spalla per fermarla.
«Mi stai fermando? Se non ti conoscessi, penserei che volessi il Cuore tutto per te.» si voltò verso di lui aspettando la sua reazione.
«Non credevo che pensassi una cosa del genere su di me. Ti ho fermato perché è da sciocchi rovinare i piani, giunti fino a questo punto, poi.» le rispose con un nodo alla gola. Aveva il battito del cuore accelerato quasi a esplodergli dal petto. Ylloon aveva colto nel segno ma lei non doveva scoprirlo.
«Se non ti conoscessi, penserei una cosa del genere, ma giacché sei della famiglia, no.» Ylloon sorrise nel pronunciare quelle parole e riprese il suo discorso, «Voglio comunque dare una lezione a quelle stupide pecore.» si avvicinò al cilindro e immerse la mano recuperando l’oggetto in questione.
La sua mano non si era ustionata, perché in precedenza l’aveva protetta. Osservò il Cuore nella sua mano e con forza rabbiosa, lo strinse. Esso sprigionò raggi rossi e caldi e, proprio in quel momento Erenock si accasciò sul terreno portandosi una mano sul petto.
Il respiro gli mancava… il dolore era aumentato… il suo cuore era straziato come pugnalato ripetutamente. L’essenza si avvicinò a lui e cercò di alleviare quel dolore, ma invano… fu allora che Horazz strappò il Cuore dalle mani di Ylloon.
Nel cilindro fu di nuovo al sicuro e poi il mago afferrò per il braccio la donna portandola fuori: «Sei una sciocca. Non conosciamo i suoi poteri, meglio non correre rischi inutili. Potrebbero esserci delle gravi conseguenze per te e forse anche per tutti noi, ragiona.» la rimproverò con il capo abbassato.
Non ci volle molto che le altre Sentinelle di Sangue giungessero in soccorso del loro comandante. Si ritrovarono in mezzo a un campo di lavanda, dove un uomo ne stava raccogliendo un mazzetto a una decina di metri da loro… li fissò per qualche secondo e poi scappò via.
«Ainolehd verrà con me, voi altri seguirete Ajir e recupererete il Cuore.» Ahdnorog divise il gruppo e si recò immediatamente dal Comandante Erenock.
Intanto una volta carichi, i cristalli si avvolsero di una luce azzurra dalla quale scaturirono dei fulmini dello stesso colore con estremità bianche; colpirono in pieno petto gli angeli portandoli in uno stato confusionale. Le braccia e il capo crollarono come mancante di forza, attratti dal suolo che calpestavano.
E proprio in quel momento i primi raggi del sole illuminarono il luogo portando con sé delle novità: il Concilio dell'Ombra aveva liberato Belak, il drago di Vharanyus. Un’ennesima vittoria incitò il Concilio dell'Ombra a continuare, mentre sulla piccola isola, il rito si apprestava a terminare.
Ora con l’intero astro nel cielo, gli spiriti d’angelo furono strappati ai corpi e intrappolati nei cristalli lasciando il compenso pattuito. Adesso sembravano solo corpi vuoti di uomini e donne, involucri di carne e ossa.
I fulmini concessero agli involucri nuova energia che colmandoli del vuoto gettarono la testa e le braccia all’indietro e inarcando il corpo verso il bastone.
A quel punto i fulmini si disintegrarono e i cristalli furono nuovamente ricoperti dai viticci… la terra tremò e il bastone ritornò nel sottosuolo dell’isola.
Con i nuovi mortali e il loro sguardo perso nel vuoto, l’essenza si portò nel mezzo e infuse in loro la scintilla della vita. Il silenzio precipitò su di loro e sentendosi vivi, inalarono la loro prima aria da mortali.
«Avete rinunciato a ciò che altri bramano da troppo tempo. Gli spiriti resteranno con me, fin quando Dio non ritornerà per reclamarli. Vivrete da comuni mortali fino alla fine dei vostri giorni e ricordo inoltre che….».
L’essenza fu interrotta bruscamente dal re di Nalhians che rilevò la loro decisione.: «… nessuno di noi vuole tornare indietro.».
Alla fine restarono da soli… si guardavano negli occhi senza proferire nemmeno una sillaba…. Avevano forse paura che la loro decisione fosse stata presa troppo in fretta e con troppa superficialità.
«Io non rinnego la mia scelta, né oggi né domani. Sacrificherei la mia anima immortale per coloro che io amo.» Tügar fu il primo a pronunciarsi dopo il lungo silenzio sceso per la rinuncia della loro forma angelica.
Dalla cintura che fermava il suo vestito, Adix prese un’arma… era un pugnale che estrasse da un fodero di cuoio lavorato e, si procurò un taglio sul palmo della mano sinistra e rivolgendosi agli altri disse: «Io qui oggi giuro solennemente di proteggere chi amo e coloro che ritengo essere meritevoli della clemenza di Dio, sul mio sangue.».
La fissarono mentre compiva quei gesti, ma in breve tempo la seguirono tutti. Il pugnale passò di mano in mano fino a quando l’ultimo lo lasciò cadere al suolo. Avanzarono tutti verso il centro e unirono le mani una sopra l’altra giurando insieme.
Il giuramento pronunciato non si disperse nell’aria al contrario risvegliò qualcosa nell’alto dei cieli. Il loro sangue mortale versato si unì a loro marchiando la pelle con le parole del giuramento.
Erenock li aveva osservati da lontano senza intervenire e non fu meravigliato dal loro comportamento. Nessun angelo fino a quel momento aveva mai pensato di rinunciare a un dono di Dio ma loro lo avevano addirittura fatto.
Ora che la loro anima immortale li aveva abbandonati, essi si sentivano più leggeri. Uno dopo l’altro i regnanti furono condotti dalla luce alle proprie famiglie, mentre l’isola sprofondò.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Il maleficio spezzato ***


Sedicesimo capitolo
 
Il maleficio spezzato
 
 
 
 
Il vento soffiava leggero su Nits'Irc e le nuvole bianco latte, nascondevano il sole che si trovava nel punto più alto del cielo.
Nelle stanze di Erenock entrò Virjinia, dopo aver bussato alla porta e avuto il permesso di entrare. Lui la fece accomodare e prima di parlare, sul tavolo al centro della seconda stanza si materializzò una clessidra.
Virjinia la osservò notando i due bulbi di vetro collegati fra loro attraverso uno stretto foro al cui interno era collocata finissima sabbia bianca. Due basi e quattro colonnine dorate a spirale poste sugli angoli, mantenevano fermo i bulbi.
Virjinia si avvicinò alla clessidra sfiorandone la superficie e si voltò verso di lui per porgli una domanda: «Ha cosa serve?».
«Quando anche l’ultimo granello di sabbia cadrà, Ardhenya dovrà contrarre matrimonio… Ruben Erocne.» furono le sue ultime parole prima di sparire.
Giunto il crepuscolo una nube nera comparve all’iniziare delle Terre Ghiacciate. Non appena la luna fu visibile nel cielo, bellissimi destrieri furono spronati al galoppo verso l’entroterra.
Dovevano raggiungere più velocemente possibile le Grotte Diamantine. Erano così veloci da far sembrare ciò che li circondava indistinto e trascinato via con forza. Le tenebre scesero su di loro e sulle terre che li circondavano, a rendere cechi anche gli animali notturni.
Oltrepassarono la capitale Nalhians per giungere e poi fermarsi sulle sponde del [1] canale delle Stelle Cadenti… lì smontarono e aspettarono che i cavalli creassero con i loro lucenti zoccoli un ponte di ghiaccio, così trasparente da sembrare vetro, per superare il corso d'acqua e procedere. Andarono avanti verso Nord, avvicinandosi a Blanya, deviando poi verso Est per raggiungere così le grotte in pochi minuti.
Quegli straordinari cavalli sembravano avessero cavalcato per settimane, viste le loro condizioni fisiche…. Erenock smontò e subito si addentrarono nelle caverne… il luogo era freddo e colmo di stalattiti e stalagmiti, ricoperti non da ghiaccio ma dalla polvere di diamanti. Raggiunsero una cavità ampia dal terreno ricoperto da fiori rossi dove al centro cresceva un enorme bocciolo di rosa bianca. Era piantato nella terra fresca circondato da pietre lisce e ruvide alternate… le sue varie radici fuoriuscivano prolungandosi in ogni direzione.
Le Sentinelle di Sangue si fermarono alla sola vista di un drago bianco; era uscito dalla parete in fondo ma non mostrava le solite caratteristiche della sua razza, anzi sembrava invecchiato come un essere umano. Le sue scaglie, che con l’età la brillantezza era svanita, sarebbero dovute diventare di un azzurro pallido mescolato al bianco, invece erano ingiallite e riflettevano ben poco la luce. «Non credevo che prima della mia dipartita avrei visto il grande Comandante Erenock.». Erenock lo guardò negli occhi e il drago si pronunciò di nuovo: «L’ora è giunta ma non per voi.» il drago soffiò sul fiore che si aprì mostrando un solo petalo nero. «Sette sono i petali come sette furono i giorni che Dio impiegò per creare la Terra, i suoi abitanti e infine riposarsi….» fu interrotto dallo sguardo di Ahdnorog e il drago gli rispose con un gesto della testa.
Meos allora intervenì: «Se a lui non è permesso spezzare ora il maleficio, allora non lo sarà nemmeno per me.» le sue parole furono chiare e alla conferma si aggiunsero gli altri.
«Siete sciocchi non vi saranno offerte altre opportunità.» li rimproverò Erenock fissando il fiore.
Ajir portava una borsa a tracolla, in pelle marrone scamosciata pesante e doppia cinghia di chiusura regolabile tramite fibbie in metallo, dal quale recuperò il Cuore avvolto fra panni di seta. Lo liberò dalle stoffe e lo depose al centro del fiore. Indietreggiò portandosi fino a pochi passi dal comandante, raggiunto poi da altre tre Sentinelle di Sangue.
Nessuno avrebbe più dovuto fiatare e il Comandante Erenock attivò il Cuore… i suoi occhi divennero bianchi e freddi come il ghiaccio in cui si trovavano. Il Cuore rilasciò una sottile polvere bianca che i quattro inalarono. La testa divenne pesante, gli occhi si chiudevano, il battito cardiaco rallentò e quegli individui forti si abbandonarono ai sensi.
Radici sottili avanzarono verso le sentinelle riducendo l’involucro di carne, ossa e sangue in polvere. Quattro erano i cuori pulsanti che restarono dinanzi ai presenti; emanavano calore e una sensazione di calma. L’atmosfera era cambiata… sembrava ora un luogo immerso nella pace eterna. Un’ultima pulsazione sprigionata dai cuori, mosse i fiori sottostanti che si alzarono all’unisono con le radici e volteggiandogli intorno.
In poco tempo quattro bellissime donne presero forma dai corpi sinuosi. Lunghi abiti rossi dalle sfumature verdi, privi di maniche e con lacci di cuoio che chiudevano i fianchi fino al bacino, dove scendevano liberi, emettendo uno strano luccichio. E le deliziose calzature di petali davano un tocco in più di grazia.
Una alla volta, si voltarono verso il guerriero e pronunciarono il loro nome: Divhyna, Rija, Dhelonia e infine Drieouna. Si avvicinarono a lui e s’inchinarono al suo cospetto. “Mio signore, siamo tornate” proferirono tutte in coro. Le quattro cedettero il posto a Meos e ad Ahdnorog che non avevano altra scelta….
Questa volta fu diverso; le due Sentinelle di Sangue furono circondate e avvolte da uno strano liquido denso di colore turchese. Furono rinchiusi in un bozzolo che indurì all’illuminarsi del Cuore. Pulsò nuovamente. I raggi emessi dall’interno dei bozzoli distrussero l’involucro e i pezzi si polverizzarono prima di toccare il suolo.
Altre due donne… entrambe alte e più belle delle precedenti… colei alla sinistra del comandante aveva un volto tondo e allegro. Le sopracciglia folte e ben curate evidenziavano il colore diverso dei suoi occhi: uno verde e l’altro celeste. Un neo si notava appena sotto l’occhio sinistro… il naso e le orecchie piccole con la bocca larga e rosea rifinivano il volto e le donavano un’apparenza quasi bisbetica. A chiudere tutto c’erano i capelli castani e crespi, corti da un lato e lunghi dall’altro che le attribuivano un aspetto aggressivo.
Il drago ormai vecchio si avvicinò di più per guardarle meglio; notò la sua corporatura magra con curve regolari, le gambe ben modellate e vellutate con il seno proporzionato al resto del corpo che le conferivano slancio.
Secondo le Sentinelle di Sangue lei aveva un carattere riguardoso e riservato, ma se provocata sapeva diventare una furia. Vista in passato come una guerriera che si buttava a capofitto in uno scontro, ora aveva frenato quell’impulso. Poneva rimedio ai suoi eventuali errori, senza porsi troppe domande. Gorondha Zhayen era il suo nome.
La bestia avanzò verso l’altra e si lasciò toccare il muso; i suoi grandi occhi notarono nella donna un portamento quasi simile a quello di Erenock e osservarono il suo fisico atletico. I suoi lunghi capelli rossi lisci, legati in una treccia dalla fronte alla nuca e poi sciolta, le restituivano un aspetto quasi maschile che attrasse l’animale.
Il drago la annusò e gli occhi azzurri e brillanti della donna, le davano un po' di colorito al volto; a completare il suo bellissimo viso, c’erano il naso piccolo e sottile con le labbra carnose che le lasciavano le sembianze di una donna elegante. Una voglia a forma di grande luna crescente si trovava alla sinistra del suo collo che le rendeva un certo che di diverso.
La sua statura alta e la corporatura slanciata la facevano sembrare quasi al pari del comandante, un colosso. Il suo carattere a volte impulsivo piaceva molto a Erenock e secondo lui, lei sapeva fermarsi in tempo e ragionava su ogni cosa prima di agire e di parlare. Era una persona di buon cuore e ben educata; qualche volta era difficile tenere sotto controllo la sua rabbia, ma era in grado anche di mantenere la calma e di non prendere decisioni affrettate. Era anche uno spirito determinato e la sua personalità e la capacità di fare scelte giuste erano state una delle tante cose che le aveva permesso di essere un’amica fidata di Erenock. Lei si chiamava Soem Ren.
Il drago scosse la testa e ruggì andandosene. Invece il riecheggiare delle dita schioccate di Erenock portò al vestimento delle due. Una lunga tunica di colore rosso dalle estremità blu si materializzò lentamente sui loro corpi. Il retro della gonna si apriva con uno spacco di trentacinque centimetri, mentre a fermare l’abito, comparve un corpetto che chiudeva i fianchi con lacci di cuoio rivestiti di seta blu… sotto di esso fuoriusciva un lungo pezzo di stoffa a punta dai bordi ricamati di decorazioni floreali. Collo e spalle restarono scoperti al contrario delle braccia su cui comparvero guanti ricoperti da polvere luccicante di diamanti che si univano dietro al corpetto da vari nastri penzolanti. Inoltre i piedi e le gambe furono avvolti da cuoio, foderati in entrambi i sensi di petali blu che si fermavano poco oltre le ginocchia.
Meos ora Soem chiuse gli occhi per un secondo prima di voltarsi verso Erenock e mostrargli di nuovo le sue vere sembianze. Lui, le salutò entrambe e ritornarono dai cavalli; al primo fiocco di neve che cadde, comparvero sulle loro spalle lunghi mantelli blu con grandi cappucci con cui si coprirono i volti.
Lokim che sorvegliava le Sentinelle di Sangue, ritornò dalla sua padrona a consegnarle le ultime novità. La raggiunse nel sacro tempio dedicato ai primi Gavoth che conquistarono e fondarono quella famiglia. Una volta varcata la soglia del portone, si era immesso direttamente all’interno della sala ove a sinistra era presente la statua della prima regina che generò i discendenti della famiglia Gavoth.
Il corvo osservò l’unica navata che percorreva la pianta circolare del tempio fiancheggiata da una fila di colonne avvolte da rovi: il loro slancio verso il soffitto era interrotto da capitelli a forma di draghi bifronti, che con le ali formavano gli archi delle volte che reggevano il soffitto.
Il verso del corvo avvertì Ylloon della sua presenza e spostò lo sguardo lungo il perimetro del tempio ove erano disposte delle panche. Poi alzò lo sguardo e vide il bellissimo soffitto che s’innalzava per cinquanta metri, a formare la torre che s’intravedeva all’esterno con tanto di cupola posta in cima. Ritornò poi con lo sguardo su Lokim e lo lasciò posarsi sul suo braccio. «Quali notizie mi porti mio adorato.».
Lokim gracchiò e aprì le ali mostrando alla regina ciò che aveva veduto. Il volto di Ylloon si colmò di rabbia e spinse il braccio indietro facendo allontanare Lokim. Si avvicinò a una panca e si sedette, sbattendo le mani, chiuse a pugno, sulle ginocchia.
Dall’entrata, una voce ruppe la quiete che c’era cercando di calmare l’animo della donna con nuove parole. «La tua proposta alla Sentinelle di Sangue non ha dato i frutti sperati, alla fine aspettarti qualcosa del genere. Non angustiarti se il maleficio sulle Sentinelle di Sangue è stato spezzato dallo stesso oggetto che l’ha lanciato. Chi poteva immaginare che quei, tanto, temuti guerrieri fossero in realtà donne e di una certa bellezza poi.».
Ylloon alzò lo sguardo verso Horazz, aveva un’espressione pensierosa e un po' preoccupata, poi dopo aver preso un bel respiro, si rivolse a lui: «Hanno usato il Cuore e, ora sono molto più pericolosi di prima.». Il mago affermò le sue intuizioni e ciò che Ylloon provava in quel momento non poteva essere descritto. Era colma di rabbia e vendetta.
La strega continuava a pensare a come infastidire e provocare il Comandante Erenock. Il silenzio che regnava nella sala del tempio sembrava rendere Ylloon sorda. La tranquillità, al contrario di Erenock, la irritava. Prima di agire, Ylloon doveva pensare alle conseguenze che i suoi gesti avrebbero comportato.
«Quando hai quello sguardo, stai di sicuro rimuginando a qualcosa. Mi domando quale sia quel qualcosa.» Horazz aveva una mezza idea su ciò che lei volesse fare, «Come Gordoona, è scomparso anche Zorduva.» si avvicinò con passo lento e deciso… era intenzionato ha sottrarle i suoi piani.
Ylloon si destò dai suoi pensieri e rispose con estrema semplicità: «Zorduva è andato via per compiere i miei voleri… per rispondere invece alla tua curiosità voglio colpirlo, dove fa più male.» sogghignò fissandolo con sguardo tagliente.
«Ricorda che Erenock non è uno sciocco e non possiede semplici poteri. Rammenta anche la sua grandezza e ciò che può fare se provocato.» la avvertì con un tono forte e senza troppi giri di parole sapendo ciò che lei era disposta a fare per i suoi figli.
Horazz si fermò di netto vedendola sorridere alle sue parole e non agitata o preoccupata. C’era qualcosa di strano in lei e mai come in quel momento gli metteva paura. Ylloon agli occhi di molti era vista come una semplice e normale regina dai poteri scontati. Erenock però sapeva chi era Ylloon e come per Lucifero anche per lei non vi era sottovalutazione.
Le Sentinelle di Sangue si erano fermate in un piccolo villaggio situato fra le Montagne dell’Orso dal collare argentato a Nord del regno di Oraky – una piccola catena montuosa che si estendeva verso Ovest attraversando anche Damaid. Soem ed Erenock si trovavano nella stessa stanza a conversare; lei accomodata sulla seduta della sedia con le gambe accavallate e lui eretto dinanzi alle finestre con lo sguardo perso nel vuoto.
Pensava…. Troppe cose erano accadute. Troppi morti in così poco tempo. I pensieri che circolavano nella sua mente gli rodevano il cervello. Rimuginava… rifletteva… su quanta sofferenza uomini e donne avevano causato ad anime innocenti. Il suo cuore considerato freddo come il ghiaccio che non si scioglieva al calore del fuoco era in quei giorni cambiato.
Aveva assaporato l’amorevolezza di semplici uomini che non avevano alzato lo sguardo su di lui con terrore. Cominciava a credere che doveva dare un’altra possibilità ai mortali, almeno a coloro che lo meritavano. Doveva agire subito…. Doveva spezzare i loro legami e innescare la sua trappola. Come? Non voleva coinvolgere nessuno.
Vedendolo così preoccupato, Soem si avvicinò a lui e lo baciò sul collo. Lo abbracciò, lo calmò, poiché il suo animo era insofferente. Chiuse gli occhi per abbandonarsi a quel calore facendo profondi respiri e placando la sua essenza. Fissò il fuori e notò che la fredda pioggia non sembrava volersi fermare. Un fulmine si accese nel cielo illuminando il suo volto scuro, invece il tuono risuonò come una profonda e rumorosa minaccia.
Soem fece scivolare le mani lungo la schiena fino a cingergli il busto con le sue calde e morbide braccia. Le sue mani emanarono scie bianche e lui né percepì il formicolio che lo accarezzava.
La luna che ormai da un po' di tempo illuminava il luogo con la sua pallida luce, sembrava assente quella notte. Sembrava vergognata dagli ultimi avvenimenti… quasi morente alla prospettiva di un futuro governato dai Gavoth. Era così debole la sua luce, che persino i pochi alberelli delle piccole terrazze apparivano dei mostri spaventosi.
A quel punto Soem vedendo nessun cenno da parte sua si allontanò in gran fretta. Si sedette di nuovo su quella stessa sedia e prese a giocherellare con il pugnale. Di colpo accavallò le gambe e poggiò le mani incrociate sulle ginocchia: «Dovresti rilassarti.» sospirò prima che Erenock si destasse dalla sua concentrazione.
Chinò il capo osservando le sue mani aperte all’altezza dell’ombelico che sembravano sporche di sangue. Il sangue di chi aveva amato e di quelli che avrebbe prediletto. Chiuse le mani a pugno stringendole fino a far sgorgare da esse sangue nero. Lo stesso sangue della Suprema Imperatrice… la Creatrice di tutto ciò che apparteneva al di fuori della Terra.
Si voltò poi di netto verso lei e le parlò con tono stanco. «Dalla mia nascita, non ho fatto altro che cercare….». Lei gli chiese “cosa” e lui proseguì: «Ho cercato così a lungo che quando l’ho trovato non lo riconosciuto.» continuò nelle sue parole senza curarsi della domanda che lei ripeté. Riprese a parlare dopo una pausa di alcuni secondi con tono ancora più cupo, «L’amore che l’uomo prova, va in contrasto con il dolore che provoca. I miei “antenati” l’hanno cercato e quando finalmente l’hanno trovato e provato è stato portato via loro.» si fermò ancora sospirando.
«Il tuo cuore si sta illuminando ai gesti che gli uomini stanno compiendo nei tuoi confronti. Forse presto giungerà anche per te lo spezzarsi del maleficio… qualunque egli sia.» gli parlò con estrema sincerità strisciando questa volta la punta della lama del pugnale contro il collo per scendere sul petto e terminare fra i seni.
«Sarà anche come tu dici, ma è ben lontano dal diventare un sole.» commentò lui con l’accenno di un sorriso.
«Dovrai essere paziente e per te non sarà tanto difficile.» fu schietta e sapeva benissimo che le sue preoccupazioni non erano finite.
Anche se il tempo dei possenti guerrieri era giunto al termine per quasi tutti, Soem sapeva che per Erenock era solo l’inizio. Voleva aiutarlo, ma non poteva. “Il Destino sottomette persino gli Dèi” era ciò che si diceva, ma per quanto fosse potente, non si posava su di lui.
Molte erano le cose accadute, ma altre sarebbero giunte e addirittura d’inaspettate. Erenock conosceva il destino umano e sapeva quali scelte sarebbero state compiute e quali no. Sapeva anche che il destino del Luogo Proibito e della Terra si sarebbero nuovamente incrociati.
Lui doveva sentirsi in libertà… uscì sulla terrazza e si espose alla pioggia lasciando che le gocce d’acqua gli scivolassero sulla pelle e gli penetrassero negli abiti. Si presentò a lui Hurya sbattendo le ali per tenersi alla sua altezza: «Comanda, io sono ai tuoi ordini.».
«Riuniscili al Lago della Disperazione.» Hurya comprese le parole del comandante e si allontanò scomparendo nel buio.
In quel preciso istante la pioggia s’intensificò. Al crearsi di un nuovo fulmine nel cielo, Erenock si catapultò al lago. Dinanzi a lui atterrò Hurya e nel mezzo i sei Difensori della Fede; il principe Clegan avanzò di un passo e domandò: «Perché ci avete convocato così all’improvviso Comandante Erenock?».
Con tono fermo e distaccato, Soem rispose alla sua domanda: «Per un’alleanza… fra il popolo del Luogo Proibito e quello della Terra.». Lei conosceva il risultato di Erenock.
«Si baserà sull’unione. Sceglierete quattro di voi per quattro delle guerriere.» ci fu una pausa breve di Gorondha prima di riprendere, «Coloro tra cui potrete scegliere saranno Divhyna, Dhelonia, Drieouna e Rija.» terminò così.
A continuare ci fu nuovamente Soem: «Ovviamente una volta concepito il primogenito, i poteri delle guerriere ritorneranno al sacro medaglione.».
Secondo le visioni del Comandante Erenock, il destino delle quattro era di unirsi ai mezzi angeli. Salutarono il loro Comandante e seguirono gli uomini che le avevano scelte. Conclusa la loro alleanza, i Difensori della Fede se ne andarono con le future compagne. Clegan all’inizio fu restio, poi si convinse, mentre Soem al suo sparire abbassò lo sguardo con amarezza.
«Il destino verrà anche per voi due.» Erenock si voltò allontanandosi scomparendo avvolto dagli insetti.
«Che cosa voleva dire con questo?» domandò Gorondha rivolgendosi ai due.
«Che anche per voi, un destino è stato già tracciato.» rispose Hurya alla sua domanda e Soem si rese conto che Erenock se ne era accorto.
Anche Hurya se ne andò lasciandole da sole, Gorondha si rivolse verso Soem. «Persino un bambino se ne sarebbe accorto.» le diede le spalle e sparì.
Soem restò lì a fissare il vuoto e all’improvviso decise di parlare con Erenock. Si ritrovò al suo fianco a passeggiare in mezzo agli alberi della Foresta Nera, senza fiatare. Non volle fissarlo e voltò altrove il suo sguardo: «C’è qualcosa di nuovo che mi attrae in lui eppure ricordo perfettamente ciò che provavo nei suoi confronti un tempo.» sfiorò il tronco di un albero finendo così per sporcarsi le dita di resina.
«Gli anni e i secoli passano, ma l’amore che si prova per una persona, dura se è vero.» si girò nel senso di Soem e restò ha osservarla.
«E con loro anche i ricordi.» asserì lei inclinando il capo verso destra, mentre riprese a parlare alcuni istanti dopo, «La “Fine” è quasi giunta.».
«E con essa l’“Inizio”.» Soem si voltò verso di lui e lo guardò come se con lo sguardo volesse porgli una domanda che non fece, «Il Tempo che i mortali hanno a disposizione è agli sgoccioli, ma il nostro non ha fine.» Erenock proseguì attraverso gli alberi continuando la sua conversazione con Soem.
«Qual è il piano?» le domandò Horazz osservandola con metà del suo volto.
«Nessuno, ma so dove e come colpirlo.» Ylloon si sentiva realizzata dalle sue idee e Horazz incominciò ad avere il sospetto che lei volesse scatenare una nuova guerra di cui Erenock ne fosse il centro.
Horazz non aprì più bocca e Ylloon ordinò che le fosse chiamata Kashda. Poco dopo quando lei si presentò nella sala, Ylloon impose che lui uscisse. Dall’altra parte, il mago restò ad ascoltare – per quanto difficile fosse – con aria stupita e incuriosita tuttavia anche con un po' d’invidia e preoccupazione.
All’interno della sala invece, Ylloon fece avvicinare la donna, lei, però si fermò a pochi passi. «Che cosa posso fare per voi?» le chiese con estrema cautela.
«Il maleficio che pendeva sulle Sentinelle di Sangue è stato spezzato e così voglio affidarti un compito molto semplice, ma rammenta se fallirai, la pena sarà la morte e tu non sei più immortale.» fu avvertita senza mezzi termini. La informò delle sue idee nei minimi particolari; Kashda non temeva Ylloon e possedendo Tagha la sfidava, ricordandosi però che lei era sempre e comunque una Gavoth.
Kashda intanto era entrata nelle stanze di Azha; grazie alla spada lei riuscì a sentire il cuore della donna pulsare nel suo petto con un ritmo frenetico. La sguainò impugnandone l’elsa con mano salda... portò la lama lucente dinanzi ai suoi occhi procedendo con passo furtivo verso di lei. L’altra donna non era sola. Completamente nuda, s’inarcava con il corpo e gettava la testa all’indietro dall’eccitamento; sotto di lei si trovava un Nemodurre.
Lui l’aveva agguantata per i fianchi tirandola verso di se, quando si udì il sibilo della lama. Kashda colpì la donna e bloccò l’arma orizzontalmente alla sua destra lasciando che il sangue sulla lama scivolasse. E goccia dopo goccia sul pavimento lucidato, si formò una piccola pozza e il corpo esanime della donna cadde sulle lenzuola.
Il Nemodurre provava rabbia, dolore e qualcosa d’indescrivibile quando le domandò il perché. E la donna rispose: «Ho solo obbedito a un ordine… e in questo ci sei anche tu.» lo trafisse in pieno petto senza alcuna pietà assaporando un misto di godimento ed eccitazione.
La spada intrisa del sangue di un traditore e di un rinato, prese potere; emanò vibrazioni così intense da farle sentire tutta la sua potenza. Era il momento di attuare il piano di Ylloon. Provocare Erenock era il suo obiettivo. Kashda ghignò e rinfoderando l’arma, sparì.
 
 
[1] Canale delle Stelle Cadenti era chiamato così dalle prime popolazioni che abitavano in quelle terre per il semplice fatto che si creò durante una pioggia di stelle cadenti, dividendo così in due le Terre Ghiacciate.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Un vecchio amico ***


Diciassettesimo capitolo
 
Un vecchio amico
 
 
 
 
Vicino al Lago della Disperazione, una giovane ragazza correva senza fermarsi e mai voltarsi. Arrivò al margine del prato, dove iniziava la strada di ciottoli; il sentiero che l’avrebbe condotta fuori da quell’incubo. Non solo la foresta ma anche il sentiero incuteva terrore.
Si girava di scatto in tutte le direzioni per gli strani rumori che si udivano, poi a un tratto il luogo fu dominato da un silenzio quasi spettrale che alla ragazza metteva i brividi. Decise di entrare dall’altra parte della foresta e dirigersi verso la scogliera. Lei affondava nell’erba… nascosta e vigile lei osservava l’area scura che si stendeva davanti a lei.
Di colpo un ritmo incessante si udì nell’aria e continuava a crescere rapidamente. Credette d’essere seguita. Aveva il cuore in gola… una gola secca e la bocca amara. Provava solo paura.
In seguito quel ritmo smise di esistere e lei uscì allo scoperto. Si guardò intorno con la coda dell’occhio. Stette leggera, immobile con i piedi calzati da un paio di stivaletti azzurri di misera fattura che le dolevano. Si sentiva inseguita e si chiedeva se quelli fossero amici o nemici.
Attraversò ciò che restava della grande Foresta Nera affrontando quel silenzio fastidioso e continuando a correre. A cercare una via d’uscita. Sentì qualcosa alle sue spalle, si voltò spalancando gli occhi ed emanò un grido di terrore. Al suo risveglio da un lungo torpore, si trovò legata, mani e piedi e distesa su un altare di pietra; ebbe poi un attimo di sgomento: qualcuno l’aveva fatta prigioniera, di sicuro l’avrebbero uccisa.
Nell’agitazione ricordò di possedere un dente di drago incastonato in una catenina di ferro, regalatale dalla nonna. Le bastò rammentare una semplice parola: “Liberami” che subito fu slegata dai legami e inghiottita dal buio. Non appena i suoi occhi rividero la pallida luce lunare, si rese conto di trovarsi fuori dalla foresta.
Erenock intanto stanco della vita di corte si era diretto a Osykrhan, in una locanda molto grande con due giardini e un orto vicini. All’entrata portava sulla sommità della porta una tavola di legno; su di essa vi erano tre spade intrecciate alle estremità e una scritta al centro: “Le spade della Locandiera”.
Entrò incurante di chi avrebbe incontrato e con la sua solita freddezza avanzò verso il primo tavolo libero che trovò. Tutti lo osservarono intimoriti e alcuni uomini scapparono. Lui invece si accomodò sulla seduta di una sedia e aspettò che l’oste si avvicinasse. Nessuno si mosse….
La donna si avvicinò a lui e anche se non lo temeva, si rivolse a lui con cautela: «Che cosa posso portarvi straniero?».
«Acqua fresca.» Erenock non si voltò nemmeno a guardarla negli occhi.
La donna gli fece un cenno con la testa e ritornò al bancone…. Pochi minuti più tardi lei tornò da lui poggiando sul tavolo una brocca e un bicchiere di ceramica. Erenock le agguantò di colpo il polso destro e nel mezzo le pose un’Arrelle. Nell’osservarla però, lei vide un Invish, un pezzo d’oro perfettamente circolare che rappresentava sul fronte il volto del re, ma collocato in alto a sinistra, mentre in basso diagonalmente vi erano tre sottili linee alle cui estremità si notavano delle stelle in argento. Invece il retro era rappresentato dalla facciata dell’edificio del Consiglio, circondata da una corona di stelle e anelli alternati.
La donna alzò il capo e proferì porgendogli la moneta: «Devo restituirvela… questa va ben oltre il costo di ciò che vi ho portato.».
«Servirà per la compagnia che sto per avere.» prima che lei potesse parlare, nella locanda entrarono Gorondha e Soem. Le due vedendo Erenock si avvicinarono al suo tavolo sedendosi al suo permesso mentre la donna portò altri due bicchieri.
«Volete dell’altro?» domandò lei aspettando.
«No… grazie.» Gorondha le rispose con gentilezza e la donna annuì allontanandosi da loro. Gorondha riprese l’attenzione e confusa pose una domanda: «Perché riunirsi in una locanda, io non capisco?». Lo osservava sconcertata mentre aspettava una risposta plausibile.
«Vivere a corte incominciava ad annoiarmi, preferisco le locande della Terra, sono più… movimentate.» Erenock le rispose con la sua solita noncuranza e proprio in quell’istante alcuni briganti del luogo fecero irruzione nella locanda.
Ci fu subito baccano e i clienti rimasti si alzarono e scapparono. Quegli uomini rozzi, sporchi, maleodoranti e assassini misero sotto sopra la sala; tavoli e sedie furono scaraventati in aria e uno di loro afferrò l’oste per i capelli. «I miei amici hanno fame, perché non offri loro qualcosa da mangiare?» l’uomo tremava dalla paura e nello stesso istante uscì la donna con un vassoio fra le mani, ricolmo di carne secca e frutta fresca.
Un altro brigante, alto dagli occhi scuri e dai capelli chiari con una cicatrice sull’occhio destro, le palpeggiò il sedere. La donna depose il vassoio sul tavolo come delicatezza e si rivolse all’uomo con tono seccato e irritato: «Se non togliete la vostra lurida mano da lì, ve la taglierò.».
L’uomo tolse la mano e la donna si allontanò, ma non appena ritornò con un altro vassoio con bicchieri e, una brocca di vino, quel rozzo animale, la toccò nuovamente. La donna si fermò di colpo, fece un profondo respiro e si girò di scatto afferrando il coltello che aveva nella cintura ponendoglielo contro la gola.
I compagni del brigante, misero, mani alle armi, ma lui li fermò e ascoltò la donna. «Se ci provi una terza volta, non uscirai vivo da questa locanda.» si scostò da lui e ripose il coltello al suo posto.
Ritornò poi al bancone e i tre ripresero la loro conversazione: «Perché siamo ancora qui?» domandò Soem perplessa, «Questo non è il nostro ambiente Erenock.» gli rammentò come se volesse scappare da quel posto.
«Da quello che sento, sembra che vi manchino le comodità di corte.» il comandante fece delle insinuazioni e prese a sorseggiare la sua acqua. Finito di bere poggiò il bicchiere sul tavolo e ricalcò con il dito indice, un solco sul tavolo lasciato da un pugnale affilato.
Si notava una leggera agitazione nello sguardo di Gorondha che si rivolse a lui per smentire. «Non è questo Erenock e tu lo sai meglio di chiunque altro. Questi luoghi non sono molto sicuri per noi, ci sono nemici ovunque.».
«Noi non dobbiamo dimenticare che i nostri nemici possiedono Tagha, arma che uccide gli immortali compresi noi e soprattutto che essa non è stata forgiata sulla Terra come tutti pensano, bensì nel Luogo Proibito.» ricordò allora Soem, mentre lui protese di scatto il braccio sinistro all’infuori afferrando una sedia che bloccò prima che potesse colpirla.
Lei voltò il capo verso la sedia e contemporaneamente a Gorondha si alzò di scatto. Erenock invece adagiò delicatamente la sedia sul pavimento e fermò le due, fece un cenno con la testa e le due si sedettero. «Sedate la vostra rabbia, non è ancora giunto il momento di scatenare il vostro potere.».
Il capo di quei briganti si avvicinò ai tre con passo lento e sicuro, si fermò accanto a Erenock e li osservò prima di parlare. «Guarda…. Guarda… due bellissime donne al seguito di un uomo aitante… potresti condividerle con noi che ne diresti amico?». Domandò poi ponendo la sua mano sulla spalla sinistra del comandante.
Ci fu un breve silenzio… Erenock gli rispose fissando il suo bicchiere: «Per un uomo come te ci vorrebbe una donna che ti trattasse come un cane.».
L’uomo a quell’affronto strinse la spalla del guerriero e subito spalancò gli occhi iniziando ad avere accenni di tremore. L’aria gli mancò d’improvviso, il brigante si portò una mano contro la gola fino al momento in cui non cadde sulle ginocchia. I suoi compagni scattarono in piedi e la locandiera intervenne avvicinandosi al loro tavolo con un vassoio: «Io non voglio risse nella mia locanda, voi avete già portato troppo caos.».
Uno dei briganti irritato dall’intervento della donna le diede un ceffone facendola cadere con la faccia sul pavimento. Lo schiaffo le ruppe il labbro inferiore e le procurò anche un livido vicino al taglio. Erenock si alzò dalla sedia e lasciò quell’uomo con poca aria nei polmoni dirigendosi verso l’altro brigante fermandoglisi davanti. «Nel mio mondo è di pena la morte se un uomo, tocca in quel modo una donna….».
«Nel tuo mondo, ma non in questo straniero.» esclamò il brigante estraendo la sua spada.
«Questo è uno dei tanti motivi che mi spinge a non amare la Terra e i suoi abitanti.» non finì nemmeno di pronunciare l’ultima parola che l’uomo si scagliò contro di lui con spada sguainata.
Erenock schivò prontamente il suo attacco e nel ritornare il brigante si fermò di colpo senza nessuna spiegazione. L’uomo era immobile, come se fosse diventato di pietra. Una deformazione degli occhi del guerriero fece in modo che il brigante allentasse la presa della spada. Il suono dell’acciaio che toccò il pavimento ruppe il silenzio che si era da poco creato.
Gorondha e Soem andarono verso di lui e la seconda lo fermò cingendogli il braccio sinistro. «Andiamo via, stiamo sprecando del tempo prezioso con questi mortali.».
Il guerriero obbedì al volere della donna e tutti e tre se ne andarono. Un solo passo fuori dalla locanda che lui si arrestò di colpo e rivolse la sua attenzione su Soem che si trovava in coda. Lei lo guardò stranita avvertendo una fitta allo stomaco; subito la bocca si riempì di sangue e chinando il capo vide una lama sporca attraversarle l’addome. Rialzando la testa, la lama le fu sfilata dal corpo lentamente per farle sentire più dolore possibile e alle spalle di Soem lui intravide Kashda prima che svanisse.
La sua attenzione ricascò subito su Soem che cadde al suolo; lui corse da lei e Gorondha lo imitò. Giunto al suo capezzale, lei tremava e una riga di sangue le scese dalla bocca mentre gli pose una domanda: «Questo è quello che hai visto nel mio futuro?».
Lui con volto sereno le rispose: “No”. Allora collocò la sua mano destra sulla ferita e una nube fredda si materializzò intorno a essa. Il freddo pungente che fuoriusciva dalle fessure della mano rese il luogo circostante gelido. Dopo qualche istante la ferita si rimarginò e il sangue che tingeva le vesti della donna scomparve.
Guarita Soem, il comandante si voltò e si scontrò con la ragazza che era sfuggita ai Carniv. Lei cadde e nell’alzare lo sguardo indietreggiò osservando gli occhi di chi la sovrastava. Si mise in piedi e si tolse la terra dai vestiti: «Perdonate la mia goffaggine.».
Soem le chiese con gentilezza dove stesse andando e lei le rispose che stava scappando da strane creature che le avevano dato la caccia nella Foresta Nera. Raccontò ogni cosa ed Erenock pronunciò una sola parola sottovoce: “Carniv”. Soem così mostrò alla ragazza un marchio e quest'ultima confermò.
Erenock osservò il cielo ancora scuro e pensò che non portasse nulla di buono.
Kashda si presentò inginocchiandosi al cospetto di Ylloon mantenendo il capo reclinato e Tagha in una mano. Ylloon però sembrava indifferente, disinteressata della spada… pur provando, però paura, lo mascherava. Non poteva mostrare le sue debolezze o non avrebbe più contato nulla. «Spero che tu non abbia fallito nel compito assegnatoti… conosci le conseguenze per tale risultato.».
Kashda alzò il capo issandosi aggrappata alla spada e le rispose: «Ho eseguito alla lettera i vostri ordini… per tutti e tre.».
«Bene, sono soddisfatta del tuo lavoro, non mi hai deluso nemmeno questa volta.» si complimentò con lei che poi andò via.
«Non commettere gli stessi errori di Lucifero, egli ha perduto miseramente.» le consigliò Horazz sbucato dalla parete alle sue spalle.
«La sconfitta fa parte dei suoi piani, non temere caro Horazz.» lo rassicurò sorridendogli con sguardo sinistro.
Horazz aveva capito e la avvertì…: «Non provocarlo… guarda che cosa ha fatto a Lucifero.» … la avvertì di non azzardare mosse avventate contro Erenock, se lei non desiderava avere la stessa sorte dei suoi figli o peggio.
Ylloon stava odiando Horazz per le parole che aveva pronunciato… come osava parlarle in quel modo… usare quel tono di superiorità con lei. E in quel momento, Ylloon ricordò le parole che il guerriero le aveva sussurrato… rifletté e decise che forse aveva ragione.
«Si sta avvicinando.» Ylloon sentiva la presenza della ragazza avvicinarsi a lei sempre di più e non desiderava altro che rivedere lui. La strega decise allora di riceverli in un luogo più appropriato… seminò la boscaglia che precedeva la capitale d’incantesimi e trappole che li avrebbero accolti come si deve.
Oltrepassato il grande fiume che li separava da Aregiak, Aknar in testa al gruppo si fermò di colpo alzandosi poi sulle zampe posteriori… aveva percepito la magia della strega e stava avvertendo loro del pericolo. Agitò gli arti e la testa nitrendo furiosamente….
«Che cosa vorrà dirci Aknar?» chiese Gorondha indicandolo mentre continuava a osservare ogni singolo movimento.
«Aknar ci sta avvertendo degli incantesimi che Ylloon ha sparpagliato nella boscaglia… per noi.» Erenock accarezzò il suo cavallo sul collo e rialzò lo sguardo sulla boscaglia in lontananza.
Il suo sguardo s’infiltrò con violenza nella boscaglia, muovendosi fra gli alberi alla ricerca delle trappole. Gli incantesimi si visualizzarono per Erenock sotto forma di auree rosse che emanavano vibrazioni sonore udibili solo dagli animali.
Gorondha rivolse lo sguardo verso Erenock e pose un consiglio: «Sarà meglio deviare. Potremo aggirare la boscaglia e il lago… ci presenteremo da Sud-Ovest.».
Lui acconsentì e procedendo verso Est incapparono nelle rovine di un villaggio…. La maggior parte degli edifici era crollata invece il resto era sparito…. Adhanc lo osservava con aria angosciata e alla domanda che voleva porre, rispose Erenock: «Briganti… alcuni anni fa.». Diede un comando col tallone destro ad Aknar, ma lui gli fece capire di volersi fermare, «Dobbiamo permettere ai cavalli di riposare, le rovine andranno bene.».
Entrati nelle rovine, videro l’unico edificio ancora in piedi stagliarsi sulla pietra che restava del villaggio. Sembrava che la vita scorresse ancora nelle vicinanze dell’edificio, ma oltre gli animali, solo i vegetali occupavano l’intera zona.
Adhanc, come gli altri, si sentiva osservato… ciò era preoccupante. Vagarono nell’ombra della notte per un po', fra le vie ormai seminascoste dalle piante…. “Non vi sono briganti in cerca di riparo per la notte o ladri… strano…” pensò la ragazza. Accesero delle torce e nonostante la luce, le tenebre erano padrone….
Arrivati dinanzi l’edificio, si fermarono…. Si distingueva dalle pietre restanti per il marmo bianco di cui era composto… smontarono da cavallo e li legarono a un palo; Soem si guardò intorno… non vi era nessuno… si avvicinò alla porta e bussò… poco dopo si udì una voce… “Chi è là?”.
«Siamo stranieri in cerca di riparo per qualche ora.» rispose Soem con tono gentile.
Dall’altra parte non si udì più nulla e Soem si allontanò dalla porta… pochi secondi e si sentirono i chiavistelli muoversi dall’interno… la porta scricchiolò nell’aprirsi e una voce concesse loro il permesso di entrare. Si accomodarono sulle sedie poste intorno al focolare che scoppiettava nel camino… l’uomo anziano offrì loro del latte caldo e carne di lepre arrostita, ma l’unico ad accettare fu il nano.
L’anziano attizzò il fuoco e poi si rivolse agli stranieri: «Nessuno di voi è di queste terre, che cosa vi porta in questa regione?» si sedette alla fine accanto ad Soem….
E con altrettanta educazione Gorondha rispose alla sua domanda prima di sorseggiare dell’acqua fresca: «Noi giungiamo da un luogo lontano che tutti conoscono come il Luogo Proibito.».
La guerriera fu interrotta dal nano che stava mangiucchiando un buon cosciotto di lepre con una speciale salsa piccante: «Io invece provengo dal Continente degli Astri.».
Erenock e gli altri notarono lo sguardo cambiato dell’anziano e Gorondha riprese nel suo stupore: «Siamo qui per riportare l’ordine e far capire al Concilio dell'Ombra che l’esagerazione non porterà nulla di buono.». Al termine della sua risposta, l’anziano mostrò di aver compreso le loro intenzioni.
Si alzò mantenendosi sullo schienale della sedia per avvicinarsi a un vecchio mobile di legno rossastro; dietro di esso c’era uno scompartimento segreto… qui l’uomo, prese un panno giallo sbiadito dal tempo che avvolgeva qualcosa. Nel rialzarsi, si lamentò per il dolore che provava alla schiena… fece, scricchiolare le sue vecchie ossa e diede ciò che aveva fra le mani a Erenock; egli lo scoprì e si rivelò essere nient’altro che un acino della Cerbiria.
Dagli abissi della mente del Comandante Erenock giunsero a galla alcuni ricordi del passato, uno in particolare ritraeva una famiglia di contadini accampati nelle vicinanze di “Eqoolce” il fiume che attraversava le Montagne delle Aquile, a Sud della regione di Damaid.
Avevano acceso alcuni fuochi per allontanare eventuali bestie e per riscaldarsi dalle temperature basse di quelle montagne. I figli più grandi dell’uomo si recarono nella boscaglia, in cui si erano fermati, per la legna da accendere e dell’acqua pulita per il viaggio.
Avevano già iniziato a cenare quando il vento si fermò… nell’aria non si udì più alcun suono, i contadini scattarono in piedi e si armarono. La famiglia fu circondata da guerrieri dagli occhi freddi che fecero largo al loro capo, avanzano verso il primo fuoco, seguito da due dei suoi più fidati compagni.
Era Erenock, un guerriero dal potere insaziabile, dagli occhi di ghiaccio e il cuore di pietra. Guardò quei mortali, definendoli esseri pietosi. L’uomo strinse la mano della moglie che tremava, per tranquillizzarla e, con voce decisa pose una domanda: «Che cosa volete da noi?».
Prima di rispondere, Erenock li osservò meglio, uno dopo l’altro cercando qualcosa che non riusciva a spiegarsi: «Sono qui per una sola persona… sto cercando un uomo che si chiama Ttenneq, è il discendente di una grande stirpe di combattenti.».
«Perché lo cercate quale reato a commesso?» domandò il capofamiglia, mentre il battito del suo cuore accelerò di colpo.
«Voglio che si unisca al mio esercito. Voi lo conoscete?» chiese con impassibilità il comandante mentre visualizzò il cuore nel petto dell’uomo.
«Sono io Ttenneq… Aaqhoc Ttenneq.» rispose lui serrando le mascelle e fiero di parlare con quell’essere a testa alta. Sapeva con chi stava parlando e strinse con decisione l’elsa della sua spada.
Vedendo la sua determinazione crescergli dentro, i suoi occhi s’infiammarono mutando il fuoco dinanzi al contadino. Le vampe divennero sempre più alte fino a prendere la forma di un grappolo d’uva d’oro. Erenock spostò lo sguardo sulla famiglia e il vento si alzò di nuovo, questa volta portò con sé, non i profumi dei territori ma solo due scelte.
Il contadino sapeva che cosa aveva davanti agli occhi ed Erenock si pronunciò: «Tu avrai il privilegio di possedere un acino.».
«Mi dispiace, ma non sono degno di ricevere questo dono quando la mia famiglia è destinata alla morte.» rifiutò Aaqhoc a sorpresa degli altri presenti.
«Io ti offro la possibilità di vivere e di coltivare la tua stirpe al meglio, perché rifiuti?» gli chiese Erenock sapendo….
«Non potrei vivere senza la mia famiglia.» rispose Aaqhoc con gli occhi lucidi.
«La tua famiglia è così importante per te da rinunciare alla tua vita per la loro?» continuò Erenock cercando di fargli cambiare idea.
Aaqhoc restò in silenzio per un paio di secondi poi rispose: «Sì, morirei… mille volte per loro se necessario.».
«Puoi scegliere… morire col tempo insieme alla tua famiglia o vivere in eterno per combattere al mio fianco.» Erenock lo pose davanti alle due scelte… si fermò per alcuni istanti, poi ricominciò, «Avrai una scelta e una soltanto. Pensa bene e scegli saggiamente.».
I guerrieri dalle splendide armature scomparvero nell’ombra della notte, mentre sospesa sul fuoco rimase l’acino d’uva a lui promesso. Il resto del grappolo scomparve….
 
Nell’aprire gli occhi, Erenock avvertì una strana sensazione e uscì all’aperto… vide il sole brillare e nemmeno una nuvola in cielo. L’anziano si avvicinò a lui e nell’osservare il cielo sereno gli parlò: «È passato molto tempo da quando vidi l’ultima creatura del Luogo Proibito.».
Si sedette accanto a lui sulla panchina di legno e osservò in silenzio lo scorrere delle prime nuvole bianche. Erenock abbassò lo sguardo sulle terre che circondavano i resti del villaggio e prese a parlare: «Sei invecchiato….».
«Voi non siete… cambiato per niente invece… il tempo trascorre solo per noi mortali.» terminò la frase con una forte tosse, prima che giungesse, una leggera brezza ha far sussultare entrambi.
«Dov’è il vostro ultimo figlio? Se non erro… ora dovrebbe avere l’età del re che è morto.» col suo tono di voce convinse l’anziano ha parlargliene.
«Adesso è un grande guerriero… cavaliere dell’esercito di Nits'Irc.» l’anziano rispose con soddisfazione e orgoglio per ciò che suo figlio era diventato.
Erenock ritornò con la mente a quel ricordo e nello stesso istante in cui cercò di porgli la domanda, l’anziano lo anticipò: «Io vi avevo avvertito… sarei morto con la mia famiglia più tosto che vederla morire poco alla volta.».
Nessuno dei due proferì altre parole e la conversazione finì.
 
Per quattro giorni sostarono nella casa dell’anziano in attesa di chissà cosa ma Erenock raggiunse come unico risultato l’alimentarsi dei suoi dubbi e dei suoi quesiti irrisolti. Il quinto giorno, decise che la sera stessa tutti sarebbero partiti, lui giacque per tutto il pomeriggio in modo da partire fresco e riposato con il favore della notte, mentre gli altri erano affaccendati ad aiutare l’anziano.
Si alzò d’improvviso con una punta di delusione nel cuore per essersi risvegliato sulla Terra ancora nelle vesti di comandante delle Sentinelle di Sangue… si dissetò con l’acqua del pozzo, bagnandosi il capo e il dorso per rinfrescarsi. Poi una voce angelica lo distolse dalla sua concentrazione e lui specchiandosi nell’acqua vide la Donna Velata: «Non partire con le tenebre, ma lascia che il calore del sole sfiori la tua pelle e ti riscaldi il cuore.».
Soem gli riferì che tutto era pronto per il viaggio. Lui però restò con le mani sul bordo del pozzo ponendo nelle braccia tutto il peso del suo corpo… strinse le mani a pugno e mantenne lo sguardo fisso sul suo riflesso: «Partiremo all’alba.» … ritrattò i suoi piani.
Soem annuì e lo lasciò da solo.
Erenock restò tutta la notte a riflettere su quanto sarebbe accaduto e poco prima che tutto fosse pronto, ebbe la sensazione che la situazione stesse per precipitare…. Stava accanto ad Aknar aggiustandogli i finimenti che nell’alzare di scatto gli occhi lui si trovò di fronte a un drago nero.
L’animale decise di attaccare e lui memore degli insegnamenti ricevuti fece allontanare il cavallo e chinò subito il capo cercando d‘evitare di essere colpito al volto. Ritornò su notando che un secondo drago intercettò Gorondha e atterrò a una ventina di metri da lei… mentre avanzava, la donna cercò nelle sue sensazioni qualcosa che le desse un segno di cedimento nell’animale… evidentemente si sbagliava.
Il drago si fermò a pochi metri da lei, contemplandola severamente. Lei sapeva fin da subito che avrebbe avuto scarsa se non nulle possibilità di sopravvivenza a uno scontro malgrado fosse circondata da potenti guerrieri. Tutte le sue speranze di uscirne indenne crollarono nell’attimo che vide il drago alzare una zampa ferocemente su di lei.
Nonostante la sua discreta maestria nelle armi e la sua agilità, ebbe appena il tempo di afferrare un bastone alla sua destra, quando si sentì colpire violentemente al fianco sinistro. Cadde rovinosamente ma riuscì a tenere stretto il bastone nella mano… rialzò il capo e lo vide reclinare la testa all’indietro… in quel momento capì che il suo tempo stava per scadere.
Con un rapido colpo di reni si alzò e con uno scatto riuscì a malapena a evitare che il soffio la prendesse in pieno. Sentiva in ogni caso i suoi vestiti sfrigolare e la schiena aveva incominciato ad avvertirla di un calore ben poco piacevole. Crollò su un ginocchio stordito dalla caduta, allertato per il danno subito.
Ormai consapevole che sarebbe perita a un prossimo attacco, avvertì una strana sensazione… i muscoli del collo s’irrigidirono repentinamente, riuscì a malapena a portare la mano alla base della nuca dove sentì un calore umido… un taglio dietro il collo stava sanguinando copiosamente.
Il turbinio di sensazioni che le pervase fu d’immane violenza tal che credette che il suo esile cuore umano, seppur in salute, non reggesse. Quando abbassò lo sguardo per guardare in faccia la sua fine, lo spettacolo che si stagliò dinanzi ai suoi occhi fu immenso….
Il drago si gettò al suolo e cominciò ad agitarsi e alle sue spalle comparve un’immensa massa oscura che subito non riuscì a distinguere. Nel compiere finalmente una mossa palese, seppe che si trovava di fronte alla rabbia di Erenock, mutato in un [1] Darghaon.
Soem sfruttò l’attimo favorevole e dal terreno creò una spada e attaccò il drago… rapidamente lo stava aggirando di lato per tentare di colpirlo sul ventre quando sentì la sua attenzione, richiamata dal Darghaon. Volse lo sguardo e trovò il suo volto, il quale le raggelò il sangue e improvvisamente non riuscì più a compiere un singolo movimento se non quello di crollare a terra sulle ginocchia.
Il Darghaon spostò lo sguardo sul drago emettendo un tenue ma spaventoso ringhio… il drago sembrava non voler cedere e inevitabilmente i due si scontrarono. Il confronto durò poco con l’epilogo del drago in fuga, ferito fin dal primo attacco. Il Darghaon si avvicinò a lei… fu in quel momento che udì la sua voce senza che egli emettesse alcun suono: “Non siamo qui per distruggere, ma per cambiare”.
Soem reclinò il capo e mentre Erenock riprese la sua forma umana, Aknar ritornò dal suo padrone. Erenock lo accarezzò delicatamente facendogli sentire il suo affetto e il cavallo nitrì contento.
L’anziano si avvicinò a loro con passo tremolante e si pronunciò: «Fate attenzione, la strega non eviterà di usare colpì bassi… i figli sono la sua vita e per riaverli sarà disposta anche a un’alleanza.».
La forza che il guerriero aveva in quel momento, la trasmise al suo destriero che si lanciò al galoppo come una furia… ora persino gli altri facevano fatica a tenere il suo passo.
 
 
[1] Darghaon significava “Fusione di draghi”, cioè un drago nato da due differenti specie…. La fusione in questione era di un Drago Rosso e uno d’Ottone.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Il drago della fonte ***


Diciottesimo capitolo
 
Il drago della fonte
 
 
 
 
Oltrepassando il villaggio a Sud-Ovest di Naighash s’immisero in una boscaglia situata a Ovest; si avvicinarono al Lago del Diavolo e lì dovettero fermarsi…. Erenock aveva notato alcuni particolari dello scenario della natura… sembrava tutto normale tuttavia lui sentiva qualcosa di strano e l’agitazione di Aknar glielo confermava. Si accostò a un albero e Soem lo seguì chinandosi in seguito accanto a lui.
Osservò il terreno dinanzi a se e poi chiese osservando anche lei il paesaggio: «Che cosa vedi?».
«Qui… vedi questo?» le chiese indicando, poi si tolse il guanto destro e le sue dita tracciarono con cura una leggera depressione nel denso groviglio del sottobosco.
Lei confermò con un mugolio… lui proseguì: «Questa è l’impronta di una donna. E qui, guardate con attenzione i segni sulla roccia invece….» quando anche Gorondha si fece avanti, Erenock glielo indicò, «Vedete che qui sulla superficie superiore, dove era esposta all’aria e alle condizioni climatiche, ha una pallida colorazione giallastra dovuta a licheni e simili? E qui come sullo scafo di una barca sotto la linea dell’acqua, è possibile riconoscere la patina marrone che mostra dove la parte inferiore era un tempo conficcata nel terreno.». Nel frattempo si guardava intorno per assicurarsi che oltre a loro non ci fosse nessun altro.
«Questo significa che non siamo soli. Qualcuno è passato da queste parti poco prima che vi giungessimo noi… ci aspettano.» disse Soem alzandosi; si avvicinò a Talyzz e lo accarezzò sul collo guardandosi intorno con la coda dell’occhio.
Proprio in quel momento con lo zoccolo anteriore destro Aknar scavò nel terreno un solco profondo più di quindici centimetri che si riempì di sangue. Nel liquido rosso il cavallo intravide una spada che lui riconobbe… però nell’esatto momento in cui Erenock lo accarezzò sul collo, l’animale intravide un uomo impugnare l’arma. Scattò sulle zampe posteriori nitrendo e agitandosi furiosamente; l’uomo era Vincent, il primogenito di Ylloon.
Erenock cercò di calmarlo e a lui si aggiunsero gli altri… tutto inutile. Il cavallo sembrava impazzito e nei suoi occhi il guerriero vide sofferenza e morte oscurare il Luogo Proibito. Il terrore che si leggeva negli occhi di Aknar era ineffabile e la bestia non riuscì a riprendere il controllo di se.
La paura che attanagliava il destriero, avvertì immediatamente i draghi… non ci volle molto che uno di loro si presentasse al cospetto del comandante nascosto dalla luce del sole. Atterrò alle spalle del cavallo mostrando la sua grandezza e ordinando a quegli individui di allontanarsi.
Quando furono abbastanza lontani, il drago usò il soffio di nube conica di gas soporifero… lunga ventitré metri e con un diametro di un metro e mezzo al vertice e sei e mezzo alla base, inondò Aknar facendogli perdere i sensi. Il cavallo crollò lentamente al suolo e gli altri poterono avvicinarsi soltanto dopo che la nube si fosse diradata.
Nel frattempo proprio a Nord-Ovest del Lago del Diavolo, Ylloon preparava finalmente il suo grande finale…. I suoni della natura riecheggiavano nell’aria come una dolce melodia e da tutto quel trambusto Ylloon ne fu talmente infastidita che un suo grido fece piombare di netto nel silenzio.
L’unico figlio della natura che non si piegò al volere della strega fu il vento… esso sorvolava il Continente dell’Ombra disinteressato dai membri delle due parti tuttavia attratto dagli affiliati del Luogo Proibito.
Ogni qual volta poteva li inondava della brezza portata dalla Baia delle Sirene Ospylas, ubicata a Nord-Est del Continente dell’Ombra.
Dalla bocca di Horazz nessun’altra parola uscì… stette in silenzio a covare il suo piano. Sembrava tranquillo agli occhi di Ylloon ciò nonostante dentro di se era agitato. Al mago tuttavia lo attanagliava un dubbio… Erenock che cosa le aveva sussurrato? Era possibile che lui potesse allearsi con una donna che odiava?
I suoi dubbi non trovavano alcuna spiegazione e altre domande lo rendevano ancora più nervoso…. Le sue mancate risposte gli attorcigliavano le budella.
Kashda invece fremeva nell’affrontare e distruggere Erenock. Come Ylloon anche Kashda odiava quell’essere con tutta se stessa ma per una ragione ben diversa…. Nascosta fra la vegetazione, aspettava il segnale che Ylloon le avrebbe dato per far scattare la sua trappola.
«Cosa ti spinge ha obbedirle?» le chiese una voce alle sue spalle.
«E a te cosa spinge ha seguirla come un cagnolino?» pose una domanda simile evidenziando qualche insinuazione non piacevole.
«I nostri comuni obiettivi….» le rispose Horazz distruggendo tutte le insinuazioni che lei aveva costruito con una sola domanda.
 Kashda allora rispose girandosi verso di lui: «Io servo solo e soltanto il mio signore.».
La sua risposta lo fece ripiombare nei suoi dubbi e alle domande ancora prive di una risposta. Non riusciva a trovare un filo, un collegamento che legasse Erenock a Ylloon. I suoi dubbi lo stavano divorando lentamente….
Invece le parole che Erenock aveva sussurrato a Ylloon in un precedente momento, l’avevano fatta riflettere in più di un’occasione. Le parole di quell’uomo le passarono dinanzi agli occhi come un fulmine: “Io invece ti darò un altro consiglio… fa molta attenzione a chi ti affianchi, perché spesso ci si allea per il proprio interesse.” Quelle parole all’inizio così semplici, ora erano come delle api impazzite che attaccavano il loro nemico. Erano parole pungenti e di forte carattere….
Durante il tempo in cui Ylloon si lasciava trascinare dai suoi pensieri, il gruppo si era avvicinato al lago e lì, la fugace concentrazione di Erenock lo avvisò dell’innaturale silenzio che li circondava.
Inaspettatamente un sottofondo di gemiti spezzò l’atmosfera… seguirono il richiamo lagnante fino alla sua fonte: un uomo ricoperto di sangue e trafitto da una lama affilata sotto il cuore.
«Ascoltate, guardatevi in giro. Non ci sono suoni… né di uccelli o di altri animali che vivono nei boschi. Per quale motivo secondo voi? È solo una trappola….» disse Soem cercando di individuarne almeno una.
Erenock conscio che da egli non avrebbe ottenuto alcuna informazione, lasciò che perpetrasse il suo infelice tentativo di fuggire dalla loro presenza per cercare quella della morte di cui ormai già avvertiva l’avvicinarsi. Fuggì attraverso gli alberi e quando si udirono delle grida agghiaccianti spegnersi di netto, Erenock si diresse in quella direzione.
Raggiunto l’uomo, osservò il rattrappito e scheletrico corpo disteso sullo sterrato di una strada secondaria, riverso nella polvere… gli occhi cupi e spenti, le sottili labbra crepate e livide… e il braccio disteso sul terreno su cui poggiava l’indice.
La sua attenzione per la ridicola postura in cui era morto l’uomo si spostò su ciò che egli, nel fatale istante, aveva abbandonato sul terreno: una scrittura, disegnata sulla polvere e in una piccola zona umida dall’esile dito, composta di segni tremolanti e imprecisi di un gergo reso incomprensibile dalla folle premura con cui l’uomo li aveva tracciati.
Un semplice uomo sarebbe stato in grado di riconoscere soltanto un’unica freccia dalla punta rivolta a Nord…. Il Comandante Erenock capì di cosa si trattasse e tanto bastò per sollecitare la sua curiosità verso la creatura che era stata in grado di compiere quello scempio. Guardò verso Nord per oltre un minuto, poi ritornò indietro….
Si spostarono tutti nella direzione indicata dall’uomo. Dinanzi a loro si aprì maestosa l’imboccatura di una caverna sotterranea, facilitata da una dozzina di gradini in pietra e quasi nascosta dalla vegetazione.
Si avvicinarono all’entrata con passo lento e da alcuni alberi sbucò un Krevhen. Erano creature dall’altezza media di ottanta centimetri che portavano sempre barba e capelli lunghi fino ai gomiti, legati in trecce folte. Apparivano grassottelli e goffi, ma al contrario erano robusti e molto forti. I loro indumenti preferiti erano cuciti con pelle di lucertola del deserto. Lui era il più alto - ottantacinque centimetri - era considerato il Signore dei Krevhen, proprio per la sua altezza, superiore alla norma. Aveva gli occhi di un giallo scuro, le orecchie leggermente a punta, piccole e pelose e il naso a patata. I capelli ricci e rossi che lui aveva legato in tante trecce lo rendevano elegante. Gli stivali di cuoio che indossava gli facevano sembrare i piedi enormi e d’intralcio e ciò che più di tutto lo faceva sembrare un nano guerriero, era la sua spada, chiusa nel fodero verde del cinturino.
«Mio signore, vi condurrò io personalmente nella caverna, ci sono molti pericoli.» lo salutò con estrema educazione seguendo un inchino quasi goffo. Egli si presentò come Adhanc Iryal, Signore dei Krevhen, nani guerrieri per gli umani.
Non persero altro tempo e scesero i gradini dell’entrata… dall’ingresso della dimora uscivano soavi suoni di gocce d’acqua, infiniti, una sinfonia di profonda bellezza. Luttuosa si lamentò un istante tuttavia nessuno a parte il Grande Guerriero la udì… non per il rivestimento che la conteneva e rendeva ogni suo lamento un attutito gemito, ma perché per la prima volta qualcos’altro aveva occupato interamente la sua mente - sedendosi sul trono su cui solitamente tiranneggiava la sua “indifferenza”.
Un altro passo mosso verso l’interno e, quella gente si confuse con l’oscurità; tutti si lasciarono alle spalle un’incisione posta troppo in alto per essere vista, situata al culmine della volta d’accesso alla caverna:
 
“Lasciate alla Luce i vostri dubbi ed entrate nell’oscurità delle Tenebre senza indugio”.
 
S’inabissarono e avanzarono con fatica nella penombra per molto tempo. Videro enormi radici che avevano spaccato la roccia e allargato le fenditure dalle quali filtrava la tiepida luce proveniente da cristalli incastonati nella frastagliata parete di roccia grigia che riflessa sulla nebbia che avvolgeva ogni cosa rendeva il sentiero visibile.
Tutto a un tratto Erenock si ritrovò solo…. La strada scendeva senza sosta affondando nella terra fino a non permettere ai cristalli di illuminare. Per lungo tempo il Comandante Erenock brancolò nel buio ascoltando il gemito di lutto espandersi negli enormi cunicoli e nelle stanze naturali che incontrava di rado.
Il comandante non trattenne alcuna visione di quei luoghi, non gli importava… enormi cattedrali di roccia spesso occupate da laghi sotterranei poco profondi, sui quali procedeva un’unica via rocciosa.
Dopo qualche ora di cammino senza requie, si fermò d’improvviso incontrando una parete di nebbia, e oltre a essa l’ultima cattedrale di roccia.
Non vi fu stupore sul volto del guerriero nel vedere la sconfinatezza della stanza. La maggior parte del pavimento, come in alcune precedenti stanze, affondava in un’acqua limpida e celestiale dalla quale saliva una nebbia argentina. La luce che illuminava il tutto proveniva dall’alto; sollevò il capo per scoprire che giungeva da un enorme cristallo, così lontano che appariva un chicco di riso. Dietro di esso si nascondeva un congegno naturale che rifletteva dalla superficie i raggi solari.
Erenock sorrise… si trovava dinanzi alla “Fonte del Legame” che il popolo della Suprema Imperatrice chiamava “[1] Eh Hacuja”…. Sul suo volto ci fu finalmente una nuova espressione… rimase incantato da quel luogo, fin quando qualcosa smosse l’aria, e distinse vicini, i contorni di un’immensa creatura, un’ombra fra la nebbia con scaglie rosse e dorate, arti accovacciati attorno al corpo disteso e alle membrane alari che a esso aderivano.
«Che cosa cercate straniero?» il drago si alzò mostrando la sua gigantesca stazza e presentandosi in seguito, «[2] Ouh tupuh aph Usuttupph, haesfoepuh fimmeh Gupvih fimh Mihenih… vah djoh tioh?» continuò esaminandolo dalla testa ai piedi.
Nessuno dei due spostò di un millimetro lo sguardo dall’altro ed Erenock alla fine rispose: «Erenock è il mio nome e ciò che davvero cerco non posso toccarlo ne vederlo.».
«[3] Douh’ djih fewwisuh vah disdjoh teseh’ sowimevuh tumvepvuh raepfuh dumaoh djih toh vsuweh pimh vauh dausih, sonincsiseh’.» le parole che il drago guardiano pronunciò, sollevarono cuore e spirito del Comandante Erenock.
Bastò un solo soffio del drago e l’intera stanza si riempì della nebbia argentina; il guardiano sparì nella bruma e dinanzi al guerriero apparve un lungo ponte d’aria. Erenock s’incamminò e man mano che avanzava, il ponte si ricoprì di una sostanza densa e di colore rosso scuro che giunta dall’altra parte si pietrificò.
Arrivato al centro, sulle pareti della stanza riecheggiarono dapprima deboli e indistinte voci poi col passare dei secondi divennero grida che squarciavano il silenzio e il guardiano si pronunciò: «[4] Raitvuh ih’ omh Qupvih fioh Menipvoh ittuh nutvseh tuggisipbeh, fumusih ih nusvih foh dumusuh djih pedraisuh oppudipvoh ih, nusosupuh dunih vemoh.» si fermò lasciando che il Comandante Erenock procedesse.
Giunto alla fine del ponte, Erenock avvertì una presenza che si avvicinò rapidamente….  Lui non mosse muscolo e l’impatto ebbe tale forza da scaraventarlo ai piedi del ponte. Finì con la schiena sul terreno e quando si tirò su con un colpo di reni, impugnò Dhebran. Il sibilo del metallo di cui era composta, riecheggiò nella sala raggiungendo il cristallo.
Piccole parti di esso si spaccarono e finirono col conficcarsi nel ponte e a intrappolare la presenza. I cristalli assorbirono la sostanza di cui era fatto il ponte trasferendola alla presenza che prese forma umana priva del volto. La creatura ora in materia restò sospesa sull’acqua. «So chi tu sei e da qui non passerai.» fu chiaro e irremovibile nelle sue parole.
Erenock si avvicinò lasciando in bella vista l’arma… la creatura invece cercò di resistere al volere della spada facendo in modo che il guerriero non se ne accorgesse. La forza che la creatura possedeva non era superiore alla spada e proprio quest'ultima la piegò al suo volere.
Piegata dinanzi al Comandante Erenock, la creatura non poté far altro che sottomettersi a lui… il drago lì guardava con indifferenza disinteresse, tuttavia curioso della reazione che il guerriero avrebbe avuto. Il comandante aveva un’aria arrabbiata, si capiva che dalle mascelle serrate, il sangue negli occhi e le vene che si evidenziarono sul collo, volesse proprio accanirsi contro quell’essere.
I secondi passavano e sembravano interminabili in quel momento… pareva che tutto dovesse finire lì con la disfatta di quella creatura che aveva osato provocarlo. L’essere si sentiva condannato… lanciato fra le braccia della morte… così non tentò di ribellarsi.
Erenock fu rapido nel maneggiare l’arma e molto silenzioso nel conficcarla nel terreno roccioso sottostante sfiorando appena il capo della creatura che disse: «La tua spada mi avrà anche piegato ai tuoi piedi, ma io non sarò mai sottomesso a te.».
Il Comandante Erenock si chinò verso il suo orecchio destro e gli parlò: «Sei piegato al mio cospetto e ti sei sottomesso a me con la tua sola volontà…, la mia spada non possiede poteri.». Lui si rialzò, recuperò l’arma e si guardò indietro.
A pochi metri da lui si fermò il resto del gruppo e a un suo cenno si avvicinarono…, «Nessuno oserebbe porsi contro Erenock, se avrebbe da perdere… tu drago hai da rimetterci il ruolo di guardiano della fonte.» Soem lanciò il suo sguardo oltre la nebbia argentina e all’apparire dell’animale, la creatura piegata diventò polvere.
Il drago si fermò a un passo dai due e pronunciò nella lingua dei mortali il nome “Lhoort”, il suo. Arretrò con il capo e parlò nella sua lingua: «[5] Puph ih’ neoh vsuqqeh meh qsafipbeh djih ohhohsspuh toh fiwih ewisih, tseh qish raepvuh sohaesfeh omh Nemih, djih qish omh Cipih… djih ihmoh toeh aph nusvemih, aph tinofowopuh uh aph onnusvemih. Vsuqqoh opheppoh ih vsefonipvoh tupuh eddefavoh ih emvsoh oph gavasuh, tih puph onnifoevuh, pih ewwiseppuh. Qettevih, aunopoh fimh nupfuh ih puph, vavvewoeh sennipvevih, uhpoh wutvseh tdimveh tesah’ miheveh emmih wutvsih eboupoh djih dupfoboupiseppuh omh fitvopuh foh vavvoh.» si fece da parte e li lasciò passare.
Ad ogni passo del Comandante Erenock, una grande pietra piatta si materializzò a pelo d’acqua. Quando anche l’ultimo attraversò, Erenock parlò alla bestia nella lingua dei draghi: «[6] Djoh tdihmoiseh’ nufogodjiseh’ omh fitvopuh qsuqsouh uh emvsaeh, neh tih puph tihaoseh’ omh dennopuh opvseqsituh, toh qisfiseh’ pimh pammeh fimh tauh ittisih.». Al suono dell’ultima parola, il drago sparì nella nebbia e il gruppo proseguì.
Percorsero una svariata di corridoi e stanze, dove muschio e fiori avevano creato il loro giaciglio e donavano vivacità e serenità… poi d’improvviso dinanzi ai loro occhi, una grande scalinata li condusse in superficie; sbucarono proprio a una trentina di metri alle spalle dei loro nemici.
Improvvisamente le persone e i suoni che lo circondavano sparirono. Compì alcuni passi in una qualsiasi direzione e dinanzi a lui si manifestò la Donna Velata e, il guerriero, le pose subito una domanda: «Perché sei qui?».
Prima di rispondergli, lo guardò intensamente negli occhi. «Ritorna nel Luogo Proibito e lascia i mortali ai loro problemi.». Il tono della sua voce non era per niente tranquillo ma agitato.
«Perché questa decisione ora?» nel momento in cui Erenock estese la domanda alla donna, il vento si scagliò contro di loro con violenza.
Durante il tempo in cui la Donna Velata prendeva coraggio, il vento muoveva con durezza il velo che la nascondeva. Poi rispose senza indugiare oltre: «Ciò che ho da dire non ti piacerà… sulla Terra tu hai troppi nemici potenti e le tre sorelle non saranno tue alleate…. Ascolta Comandante Erenock, se non tornerai alla tua casa prima che le sorelle mostrino la loro alleanza al tuo nemico, per te non ci sarà futuro né sulla Terra né nel Luogo Proibito o in qualunque altro luogo nell’universo.».
Alle sue parole, Erenock non fece cenno e parlò per informarla dei suoi pensieri: «Manterrò il giuramento fatto ai mortali.».
La Donna Velata era irritata dalle sue parole e lo dimostrò. «Io non capisco. Tu non puoi eliminare il Male esso sarà il compagno in eterno del Bene. Rinuncia te ne prego.». Cercò in tutti i modi di convincerlo a ritornare nel Luogo Proibito tuttavia la testardaggine di Erenock era più forte delle sue paure.
E lei continuò senza perdere le speranze. «Qui non c’è futuro per te, ma solo la morte e il nulla ad attenderti.» si fermò per un istante riprendendo il controllo di se, ma l’aria d’impassibilità che Erenock aveva, non le permise di riuscirci, «Smettila di essere così.» gli urlò contro sbattendo con forza i piedi sul terreno.
«Di essere così come?» le domandò anche un po' divertito dal suo comportamento.
«Di essere freddo a qualsiasi cosa. Di voler aiutare a tutti i costi, i mortali e di non evitare di perderti per sempre.» era irritata e arrabbiata dai suoi modi di fare “e non era l’unica”.
E ancora una volta con la sua solita noncuranza e calma le disse di ritornare nella sua dimora. Lei a fatica obbedì… alla sua scomparsa, tutto ritornò come prima; il gruppo si ordinò per sorprendere il nemico intanto che quest'ultimo giaceva nel sottobosco ad attenderli. Kashda e Horazz attendevano impazienti e il secondo si rivolse alla donna: «Sei nervosa?».
«Che cosa ti fa pensare che lo sia?» rispose con una domanda, mentre con un coltello intagliava un rametto.
«Il tuo intagliare… ti conosco e lo fai solo quando sei agitata.» Horazz fu esplicito… finito di parlare si poggiò con la schiena contro la corteccia di un albero osservandola.
«Sono impaziente non agitata.» furono parole dette con rabbia nel tempo in cui conficcava il pugnale con violenza nella corteccia dell’albero che le stava di fronte, «Ciò che non sopporto è attendere.» continuò guardandolo negli occhi.
«Tu cosa ne pensi Erenock?» Gorondha gli pose la domanda avvicinandosi a lui con prudenza; si fermò al suo fianco e aspettò con pazienza la sua risposta.
«Li prenderemo lateralmente… Kashda e Horazz ci aspettano a una ventina di metri in quella direzione (Nord-Ovest), invece Ylloon ci attende al di là, del campo d’erba (Est).» Erenock le diede la risposta che aspettava e Adhanc confermò il suo piano con un cenno della testa barbuta.
Quando dal sottobosco sbucarono in un piccolo campo d’erba alta che arrivava alle ginocchia e alberi non molto sottili guardando oltre i rami fronzuti, Soem notò un cielo cupo che minacciava di riversare grandi quantità di pioggia. «Credete che resisterà?» domandò il nano osservando il cielo scurirsi a ogni minuto che passava.
«Un po' di pioggia non ha mai fatto male a nessuno.» commentò Erenock guardando al di là, del campo di erba per intercettare lo sguardo di Ylloon.
«Con la pioggia è più difficile affrontare un nemico. Il tempo dovrebbe mantenere ancora.» Gorondha sperò che il tempo non li abbandonasse perché la pioggia sarebbe stata un danno.
D’improvviso una pesante brezza di montagna si scagliò contro di loro. Raggiunse Ylloon che chiuse gli occhi lasciando che il vento le sfiorasse la pelle… sentiva che con esso sarebbe giunto anche qualcos’altro.
Erenock invece avvertì una presenza che riconobbe nel drago della fonte. Si rivolse poi al suo gruppo con tono cupo: «Non attaccate finché io non lo avrò deciso.». Non pronunciò altre parole e se ne andò a un battito di ciglia.
I tre si guardarono negli occhi, ma restarono concentrati.
Il Comandante Erenock invece si fermò sul bordo del Lago del Diavolo, dove il drago lo attendeva. Si guardarono intensamente negli occhi e lasciò che l’animale parlasse: «Se attaccherai, rischierai la vita di un amico. Come te anch'io conosco il futuro o almeno una parte… posso assicurarti che non è piacevole ciò che proverai. Io ti consiglio vivamente di restartene da parte, questa volta. Ascolta solo per adesso la Donna Velata.».
Erenock ascoltò ciò che lui aveva da dirgli, ma alla fine si voltò senza cenni. Il silenzio che affliggeva il luogo era snervante…. Il drago scomparve ed Erenock restò a fissare il lago, ma la sua attenzione ricadde su un urlo proveniente dal luogo, dove aveva lasciato il gruppo. Poi una nube nera inattesa avvolse lui e tutto ciò che lo circondava.
 
 
[1] Il Legame. - (lingua del Luogo Proibito)
[2] Io sono un Orossonn, guardiano della Fonte del Legame… tu chi sei? - (lingua dei draghi)
[3] Ciò che davvero tu cerchi sarà rivelato soltanto quando colui che si trova nel tuo cuore, rimembrerà. - (lingua dei draghi)
[4] Questo è il Ponte dei Lamenti esso mostra sofferenza, dolore e morte di colore che nacquero innocenti e, morirono come tali. - (lingua dei draghi)
[5] Non è mai troppa la prudenza che oggigiorno si deve avere, sia per quanto riguarda il Male, che per il Bene… che egli sia un mortale, un semidivino o un immortale. Troppi inganni e tradimenti sono accaduti e altri in futuro, se non immediato, ne avverranno. Passate, esseri del mondo e non tuttavia rammentate, ogni vostra scelta sarà legata alle vostre azioni che condizioneranno il destino di tutti. - (lingua dei draghi)
[6] Chi sceglierà modificherà il destino proprio o altrui, ma se non seguirà il cammino intrapreso, si perderà nel nulla del suo cuore. – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Le sorelle Harwin ***


Diciannovesimo capitolo
 
Le sorelle Harwin
 
 
 
 
Una sensazione di calore. Qualcosa di pungente, sotto la schiena, qualcosa di umido. Ovunque dolore e tutto intorno, un universo rosso. Sembrava essere bruciati all’interno da un fuoco che divampava sempre di più e sentì ogni fibra del suo corpo urlare.
Si percepì una mano da qualche parte. Mosse debolmente le dita e le sentì inondare da un quieto tepore. Aprì gli occhi lentamente…. Al rosso di prima si sostituì un bianco accecante. Fu come recuperare in una volta tutti i sensi… un ronzio insistente, un rumore stridulo, intermittente, poi odore di terra ed erba e, la sensazione di umido sotto la schiena: rugiada. Si sentì sopraffatto.
Batté le palpebre e con un colpo di reni riuscì a girarsi su un fianco. Ogni muscolo del suo corpo gemeva, tagliandogli il fiato in gola. Nel bianco di cui era circondato, a poco a poco andò a tracciarsi il profilo di un braccio scuro appoggiato sull’erba e un paio di gambe muscolose e scolpite come nel marmo, malamente coperte da un tessuto macchiato.
Dove mi trovo?
La domanda emerse alla sua coscienza semplice e terribile. Non seppe darsi una risposta e si guardò una mano trafitta dai raggi del sole. La carnagione scura, il verde abbagliante dell’erba, l’ambigua tonalità dei pantaloni che indossava.
Che cosa succede?
Nessuna risposta. Una stretta gelata gli avvolse le tempie. Si toccò il petto, là dove il cuore batteva il tempo delle sue paure. Era così forte che sembrava dovergli esplodere dal petto.
Si guardò intorno. Vide il cielo di un azzurro profondo, privo di nuvole. Il prato che lo circondava gli parve senza confini: qua e là, il bianco di timide bocche di leone e il rosso sfacciato dei tulipani.
Non c’era nessuno.
Provò ad analizzare i ricordi, a riportare alla mente l’ultima immagine dopo la conversazione avuta con Lhoort, qualsiasi indizio lo aiutasse a capire. Nulla.
Cercò di muoversi e avvertì una sensazione di dolore sul fianco appoggiato a terra, come se qualcosa premesse contro la carne. Si girò di nuovo prono e, non senza difficoltà portò la mano sul punto in cui gli doleva. Un oggetto oblungo, piuttosto ruvido in alcuni punti al tatto, era conficcato quasi sul fianco sinistro.
Tirati su, s’impose freddamente. Poggiò il palmo di una mano sull’erba. Solo allora però notò l’alone rosso che gli circondava il braccio. D’istinto lo sfiorò con un dito, ma si ritrasse subito. Bruciava terribilmente.
Devi alzarti, insistette crudelmente. Poggiò anche l’altro palmo a terra. I muscoli delle braccia gemettero, così come le gambe, quando le tirò a sé. Strinse i denti, mentre dalle labbra gli sfuggivano lamenti soffocati. Riusciva a sollevarsi con grande fatica… ansimava ogni qual volta che il dolore gli infliggeva una stilettata.
Barcollando, si mise eretto. Era nel mezzo di un prato… la cosa non gli diceva nulla. Non aveva idea di come ci fosse finito, non aveva idea di dove si trovasse. Si guardò il petto, le braccia, le gambe, fino ai piedi. Indossava solamente un paio di pantaloni chiari macchiati d’erba e di sangue e una camicia a brandelli.
Al fianco, quel pugnale che sentiva… aveva uno strano manico sul quale appoggiò deciso la mano. Le dita strinsero la presa, tirò verso l’esterno. Strinse gli occhi e studiò l’oggetto. Il manico era caldo, nero con lacci di cuoio marrone e nella sua mano sembrava essere minuscolo. La parte inferiore era una doppia lama serpentina con strani segni incisi.
Passò il pugnale nella mano destra mentre con la sinistra si coprì la ferita, e di nuovo si guardò intorno. Non c’era altro. Poi scorse una sottile striscia più scura, in fondo, davanti a lui.
Alberi?
Avanzò con cautela… era come se non avesse mai camminato prima. Gli riusciva difficile mantenere l’equilibrio, le gambe dolevano e i muscoli della schiena urlavano. Doveva fermarsi, ma volse allora lo sguardo alla linea verde, e semplicemente si mise ad avanzare… un passo dietro l’altro.
Intorno a lui, i fiori chinavano la testa al soffio leggero del vento, e l’erba ondeggiava pigramente. Non si lasciò distrarre… in quel nulla in cui la sua mente era immersa, ora aveva un obiettivo che doveva perseguire.
Vide gli alberi distendersi davanti a lui, sempre più alti man mano che si avvicinava… tronchi scuri, rami protesi contro il blu del cielo e foglie dalla forma strana e seghettata di un verde smorto. Li guardò come un miraggio, mentre i suoi passi si facevano via via più sicuri. Quando infine riuscì a toccare la fredda e ruvida corteccia di un fusto, scivolò lungo il tronco. Il sangue gli macchiava i pantaloni e diventava sempre più denso a contatto con l’aria. Guardò la strada percorsa e restò a osservarla.
Avvertì qualcosa di umido scendergli lungo le guance, e quando se le toccò, sentì che erano bagnate. Spalancò la bocca e si lasciò andare resistendo al dolore che provava.
Al suo risveglio, la luce era cambiata… era ambrata, rossastra. L’aria era diventata più fredda… si era assopito e neppure se n’era accorto. Il dolore persisteva e cercò di non pensarci, tuttavia provò di nuovo a esaminare nella memoria. Forse ora ricordava, il riposo gli aveva di sicuro giovato, pensò. Nulla. La sua mente era un deserto senza confini come il prato in cui si trovava. Emergevano con solida precisione soltanto le esperienze vissute dal suo risveglio nel prato.
Pensò alla terribile fatica che aveva fatto in precedenza per rialzarsi. Si aggrappò alla corteccia tirandosi su… fu meno penoso e doloroso di prima anche se i muscoli erano ancora indolenziti e le giunture gli facevano male.
Si staccò dal tronco e notò che la ferita stava rimarginando lentamente. Alzò lo sguardo e distinse un nastro argentato che si apriva fra i tronchi e un torrente d’acqua fresca. Arrivato al bordo, si lasciò cadere sulle ginocchia… vide il suo riflesso sulla superficie e in seguito v’immerse la faccia bevendo con avidità.
L’acqua gli scese giù per la gola gelida e deliziosa placando l’arsura che lo tormentava. Emerse prendendo un grosso respiro. Osservò nuovamente il pugnale nella mano destra e con la sinistra lo ripulì del sangue ormai rappreso. Lo pose sull’erba e si ripulì anch'egli dal sangue che aveva addosso.
Alzò lo sguardo verso il sole che stava ormai morendo. Prima dell’ultimo raggio solare trovò delle erbe che raccolse. Le spezzò e usò il suo potere per sminuzzarle; dal torrente raccolse una piccola quantità d’acqua che mescolò alle erbe. Dopo qualche minuto l’insieme era diventato una pastura che spinse contro la ferita. Terminò la sua medicazione con una fascia che recuperò da ciò che restava della camicia.
Si rimise su e si guardò attorno… notò che a poco da lui si trovava un ponte che conduceva dall’altra parte del torrente e s’incamminò. Giunto al ponte vide che era in pessime condizioni, ma senza indugiare lo attraversò con estrema cautela. Alla fine giunse, dove voleva.
In quel punto, un cerchio di pietre costringeva il ruscello in un angolo forzandolo a creare una piccola polla d’acqua quasi stagnante.
Anche l’ultimo raggio di sole era scomparso e si voltò a osservare la luna. Proseguì lungo il torrente, mentre la notte scendeva lenta con la sua corte di tenebre. Nel suo camminare lento volse gli occhi al firmamento e si fermò un attimo a osservare il cielo nero come la pece, punteggiato dal bianco tremolante di quasi infinite luci che si alternavano a più grandi e più piccole in una sequenza priva di logica per quell’individuo.
Si era da poco alzato un vento piacevole e con sé aveva portato l’aria a essere umida e fresca. Intorno a lui, i rumori del giorno avevano ceduto il loro ruolo ai suoni della notte: lo sbattere delle ali che si allontanava, i passi furtivi di alcuni animali nella vegetazione, il fischio dolce dei grilli e non poco distante il gracidare di alcune rane.
Dal suo risveglio l’unica paura che lo attanagliava era il vuoto assoluto della sua mente, il nulla da cui sembrava essere stato partorito.
Per un istante tutto smise di esistere poi un dolore atroce alle tempie lo colpì improvvisamente facendolo accasciare sull’erba. Il piccolo pugnale gli scivolò accanto, conficcandosi nel terreno. Cominciò a respirare a fatica, e la fronte era coperta da un velo di sudore… le gocce gli scendevano lungo le guance rigandogli il viso.
Come lampi nel cielo notturno, le immagini di ciò che lui non ricordava, lo colpirono come tanti martelli che battevano sulle incudini. Le lame gettavano bagliori funerei sugli alberi, lo stridio del metallo che colpiva altro metallo riecheggiò nell’aria… Kashda e Soem si stavano scontrando.
Altre immagini si susseguirono: Adhanc con la sola rotazione del suo corpo panciuto, ferì alle gambe Horazz. Il dolore persistette nell’individuo aumentando la sua forza… le immagini continuarono… Ylloon aggredì Soem ma schivò prontamente il suo attacco spostandosi di lato.
La respirazione era divenuta più affannata e le vene si evidenziarono su tutto il suo corpo; il volto diventato rosso come il fuoco si abbinava perfettamente al colore del sangue che gli era penetrato negli occhi. Con lo sguardo puntato verso il terreno e il dolore intenso che aumentava a dismisura, l’uomo bloccò di punto in bianco il respiro. Lo trattenne per un tempo indeterminato e lentamente alzò il capo osservando gli indumenti dell’individuo che aveva davanti.
S’issò raggruppando tutto il suo peso e la forza nelle gambe equilibrandole con le braccia. Davanti a lui c’era una donna… il corpo snello e slanciato, seni piccoli e sodi, braccia sottili con lunghe dita dalle unghie affilate le davano un’aria infida. Capelli neri e lisci aderivano all’ovale minuto del suo capo. Qua e là, sparute ciocche di un bianco latte, lucente su un volto allungato, magro e da guance tonde; una fronte alta, intorno alla quale i capelli si aprivano come un sipario. Una bocca piccola e ben disegnata, labbra chiare e lisce che si confondevano sulla carnagione pallida. Un naso dritto e allungato, sopracciglia sottili e ben curate che contornavano grandi occhi, ma dal taglio allungato, era uno bianco, l’altro di un rosso acceso, limpido, quasi inquietante.
Alle spalle di questa, altre due figure femminili si fermarono; identiche ma allo stesso tempo diverse per il colore degli occhi e i lineamenti del volto. Alla destra dell’uomo gli occhi erano verdi mentre alla sua sinistra erano scuri quasi come il cielo notturno. La donna dinanzi a lui sorrise e con il solo gesto della mano, scagliò quell’uomo robusto a circa una ventina di metri dal punto in cui si trovava.
«Osservate il grande comandante… a terra come uno schiavo che serve la sua padrona.» la donna si avvicinò lenta con il suo abito lungo come attorcigliato sul suo corpo; si arrestò al suo capezzale guardandolo con disgusto e disprezzo.
Lui rise a malapena e disse: «Io non servirò nessuno se non me stesso. Voi le Sorelle Harwin siete le uniche creature dopo Lucifero che io detesto di più.». Erenock mostrò altre emozioni al di fuori della sola freddezza.
Le sorelle erano delle Metistie esseri semi-umani dall’aspetto di bellissime donne dai lunghi capelli neri e sparute ciocche di bianco latte. Esse erano in grado di incantare le persone con la loro bellezza, ma non erano ciò che sembravano, infatti, il comportamento che gli uomini si ritrovavano ad avere guardandole era di completa assuefazione.
«Ti siamo mancate, Erenock?» domandò la prima alla sua sinistra con tono viperino.
«No… Jokra.» le guardò una a una e poi cercò di issarsi ma colei che aveva dinanzi lo trattenne a terra porgendo verso di lui il palmo della mano destra inclinato.
Ora non sembrava più quel grande comandante che si era mostrato fino ad ora ma più un semplice uomo sottomesso a delle figure femminili. Restarono a guardarsi negli occhi, immobili e senza emettere una sola sillaba, mentre il vento che spirava dalle spalle delle tre sorelle sussurrava dolcemente all’uomo.
Il tempo si era come fermato e soltanto il battito dei cuori sembrava non essersi arreso. Poi le parole di Erenock ebbero la forza di rompere quel silenzio estenuante: «Cosa vi aspettate da un’alleanza con quei mortali?». Semplici parole che sembravano pronunciate con tono di sfida, mentre alla domanda decise di rispondere la maggiore.
Si fece avanti di un passo restando eretta a sembrare un gigante agli occhi del Comandante Erenock. Ancora silenzio… un sorriso sinistro e le parole uscirono dalla sua bocca come serpenti. «Sappiamo ciò che accadrà in futuro e tu non potrai in alcun modo impedirlo.».
«Fatti da parte e lascia i mortali al loro destino.» si pronunciò la terza sorella che si fermò alle spalle della maggiore. Aspettò che il guerriero parlasse e dopo un silenzio durato anche troppo per lei, s’irritò della sua mancata risposta.
Erenock si alzò in tutta la sua grandezza e le tre arretrarono… lui si ripulì della terra e dell’erba che ricopriva ciò che indossava e guardando la prima negli occhi aprì bocca: «Mi ordinate di abbandonare i mortali quando voi stesse, siete diventate le loro alleate. Rispondete adesso… chi o cosa vi dà certezza che i Gavoth mantengano l’accordo stipulato?» pose infine quella domanda soprattutto nel tentativo di provocarle e funzionò alla grande.
Fu Kolena, la minore delle sorelle a rispondergli con tono autorevole: «Sarà anche passato dalla parte del Male il Concilio dell’Ombra tuttavia è abbastanza intelligente da sapere con chi trattare.».
Alle sue parole Erenock trattenne il respiro per svariati secondi quando poi lasciò che l’aria fuoriuscisse rispose alle sue affermazioni su tale ordine: «Siete più stolte di quanto mi aspettassi… credete realmente che i Gavoth vi lascino in vita dopo che avrà portato a termine i suoi piani… dopo che avrà raggiunto il suo obiettivo? Vi sbagliate….» s’interruppe, mentre le stesse lo seguivano con lo sguardo. Si fermò di colpo e riprese…: «Quando non avrà più bisogno di voi, Ylloon stessa vi eliminerà, facendovi soffrire come cani rognosi.».
Kolena stette per controbattere alle sue dichiarazioni su chi fossero i Gavoth, ma fu interrotta da Jokra che rispose lei con tono calmo e deciso: «Tu… ci comunichi quello che ci accadrebbe restando alleate ai Gavoth, non rammentando ciò che abbiamo subito da te.». Quell’ultima parola fu pronunciata con rabbia e odio, che elegantemente non dimostrò con espressione.
In quel luogo di cui niente si conosceva, il tempo e lo spazio sembravano essere gli stessi di quando Erenock si era svegliato nel campo verde; il vento soffiava continuamente dalla medesima direzione, gli alberi e l’intera vegetazione che si accompagnava al vento negli uguali movimenti trascorsi, gli animali e il loro ininterrotto verso ripetuto all’infinito senza cambiarne il ritmo.
Gli stessi versi. Gli uguali movimenti. La medesima visione di un luogo che si ripeteva senza un’apparente fine…. In seguito la voce di Erenock che strappò all’incessante ripetizione un suono diverso: «Ogni atto include sempre un effetto… il vostro tradimento… la vostra punizione.». Si bloccò su quelle parole e negli istanti successivi giunse da lontano l’eco di una flebile voce.
 
Sento dei rumori. Rumori che provengono dall’esterno. Sento voci, grida e lamenti. Odo il rumore delle spade che s’incrociano in battaglia…. Sono rinchiusa in questo luogo e vorrei liberarmi dalla morsa che mi tiene imprigionata, ma non riesco a svegliarmi. Chiedo l’aiuto di chi mi sta ascoltando… riportatemi fra le braccia della Luce perché le Tenebre mi trascinano nel Nulla.
 
A chi apparteneva quella dolce e soave voce? Da dove proveniva? Come aveva raggiunto quel luogo di cui non si conosceva l’esatta ubicazione? Perché a quel guerriero imponente sembrava così familiare? E perché alle sorelle provocava così tanta paura? Le domande che quegli individui si posero, furono solo le prime. Altre se ne susseguirono e il tempo sembrava non volersi incamminare.
Erenock aveva percepito la loro paura ed era soddisfatto ma come sempre la sua espressione non lo dimostrava. Si voltò verso le tre e il vento cambiò direzione. Quella flebile voce aveva cambiato qualcosa in quel luogo e non solo…. Si sentiva il profumo del mare. Si udivano il rumore assordante dello starnazzare degli uccelli e il suono delle onde infrangersi sugli scogli.
I quattro si ritrovarono sulla cima innevata di una maestosa montagna che fuoriusciva dall’oceano: di lì il vento soffiava impetuoso. L’aria gelida penetrava nelle ossa e il freddo che sfiorava la pelle la intirizziva. Si faceva fatica a resistere a quel vento gelido e con enorme sforzo Jokra si pronunciò: «Qual è il tuo piano? Impedire la nostra collaborazione con il Concilio dell’Ombra? Non ci riuscirai se questo è quello che vuoi.». Dovette alzare il tono della sua voce per sovrastare quella superiore del vento.
«Qui tutto è iniziato e qui tutto avrà fine.» chiuse gli occhi, un profondo respiro compì e nel vuoto si lasciò cadere.
La montagna si sgretolò… le sorelle precipitarono… e allo spalancare degli occhi, esse si ritrovarono nuovamente sulla cima della montagna. Le sorelle minori alle spalle della maggiore… lei era posta a svariati metri di distanza da Erenock e lui collocato a pochi centimetri dal precipizio. La scena sembrava la precedente, ma il mare che antecedente era calmo era ora agitato. Le onde s’infrangevano contro i piedi della montagna e salivano lente quasi volessero sommergerla.
Le sorelle decisero di toglierlo di mezzo, ma una voce le fermò: «Il mare è la sua casa, così profondo e spumeggiante, voluminoso, scuro e vivo, anche dove neppure un barlume di luce arriva.». Mille erano le avventure. Mille erano i segreti. Mille e più erano i ricordi sommersi tra emozioni e sentimenti, vi celavano quel paesaggio inesprimibile.
 
Dopo poco, dalla strada che portava nel villaggio, l'occhio si perdeva nella verdeggiante vallata sottostante. Al di là, del fiume nuove vette di montagne innevate si stagliavano contro il cielo illuminato dal sole che sorgeva accogliendo il nuovo giorno; lì i quattro si erano ritrovati sul bordo di un lago.
Il luogo era strano… era appena spuntato un nuovo giorno eppure a centinaia forse migliaia di passi dal punto in cui si trovavano, i raggi della luna illuminavano tutto il paesaggio creando una bellissima atmosfera. Intorno al lago illuminato dal sole, si notava una variegata di pietre ricoperte di muschio bagnato, scivolose e tiepide. Avevano quasi tutte le stesse dimensioni e forme: rotonde e ovali. La brezza della notte s’inoltrava fin nel giorno e sfiorava la pelle e il chiarore della luna rifletteva sul loro volto come i raggi del sole all’alba.
Erenock guardava le tre sorelle e ne aveva pietà…. Un altro personaggio però si aggiunse al gruppo, ma dalla parte del guerriero… Aedal. Una sconosciuta che si era presentata al cospetto della Congregazione della Luce dando loro un consiglio su chi potessero essere coloro che si erano presumibilmente alleati con Lucifero. L’unico a conoscere la sua vera identità era il Comandante Erenock.
“Non mi tirerò indietro… io sarò dalla tua parte fino alla fine” furono le uniche parole pronunciate da lei che il vento trasportò fino a oltrepassare la zona illuminata dalla debole luce lunare.
E fu proprio la Donna Velata a rianimare i cuori di tutti… le parole che furono solo sussurrate all’inizio, erano ora gridate, riecheggianti nell’universo: «Umido, bagnato di sangue, dalle lacrime, era il volto e la mente di Khronerre. Era padrona e regina dell’oscurità più profonda del cuore e della mente, era il fulcro dell’anima e della ragione….» così la Donna Velata la vedeva.
Sia Lucifero, che gli Dèi avevano udito quel nome che riecheggiava nelle loro teste come un grido rimbombava fra le montagne. Il nome non aveva provocato solo il rinvenire dei ricordi ma anche il terrore e la paura dell’Oblio che si leggeva nei loro occhi. Anche le tre Sorelle, Aedal ed Erenock avevano udito quel nome… e di nuovo la paura si manifestò sui volti delle Harwin.
«La vostra paura che segue quel nome è piacevole e mi riempie il cuore di gioia.» intervenne divertita Aedal sogghignando per la rabbia che aveva suscitato nelle tre.
Alla provocazione ribatté Kolena furiosa del suo osare parlare delle Harwin in quel modo. «Noi non abbiamo paura di nulla e, nessuno può osare parlarci in quel modo soprattutto se a farlo, è una Dea esiliata come te.». Le informazioni sulla vera identità di Aedal spifferate dalla donna portarono gli Dèi ha rivelarsi ancora e in quello stesso luogo.
Apparvero uno dopo l’altro ai fianchi delle Sorelle con espressione di rabbia e vendetta stampata sulle loro facce. Pareva dovesse scatenarsi una tempesta che non avrebbe avuto fine se non con la distruzione completa. L’atmosfera era tesa e l’aria che si respirava sembrava essere veleno.
Aedal o Hanna non aveva paura e lo dimostrò riprendendo la sua vera immagine e ponendosi fra Erenock e tutti loro. «Avete compiuto azioni di cui dovreste pentirvi e di cui io stessa mi vergogno a ricordare… non siete altro che il risultato di ciò che gli Antichi avevano creato. Piuttosto di essere chiamata Dea e infangare il nome con gli orrori di cui ci siamo macchiati in passato, preferirei diventare un mortale e compiere errori di cui poi sarei perdonata.». Le parole che Hanna aveva pronunciato con amarezza e totale disdegno nei confronti dei suoi fratelli Dèi, li avevano condotti a odiarla con il loro stesso cuore e a ripudiarla, rinnegarla come membro della loro famiglia.
«Tu, Hanna, parli di noi come esseri meschini e crudeli, infidi forse… per ciò che abbiamo fatto in passato. Non rammenti o non vuoi ricordare che tu stessa ci hai indicato il cammino da seguire fino al giorno in cui non ci hai tradito.» Tenrett si fermò con queste parole, fisse e decise a confermare il loro ruolo secondario nel Destino del mondo, se non anche in quello dell’universo.
Nel momento in cui l’aria fra loro diventava sempre più aspra, nella zona illuminata dalla luce lunare, qualcosa li osservava fra i cespugli. Gli occhi di quell’essere erano neri come tutto il resto del corpo e solo quando erano colpiti direttamente dalla luce lunare, brillavano di una tonalità argentata.
Solo uno si era accorto di chi li stava spiando… la sua testa non sembrava muoversi eppure lui si guardò intorno lasciando vagare lo sguardo lungo il sentiero che conduceva nella notte. I cespugli si mossero ed Erenock non vide più traccia di quell’essere. Perché era lì? Perché li stava spiando? Chi lo aveva mandato? Le sue domande avrebbero avuto un’immediata risposta.
Falock intervenne contro Hanna e si accanì duramente accusandola ingiustamente: «Tu ci denigri degli scempi avvenuti in passato, ma il tuo lavoro non lo menzioni… attenta Hanna perché alla fine raggiungerai i nostri fratelli, morti per causa di una sola creatura.» il suo tono di voce era freddo e rabbioso come non mai.
Le loro forti emozioni stavano per creare una confusione terribile. L’essere che prima aveva notato fra i cespugli, cominciò ad avvicinarsi velocemente. Si fermò dietro un vecchio cumulo di pietre nascoste quasi del tutto da rampicanti quando vide artigli lunghi e ricurvi della bestia aggrapparsi al bordo del muretto.
Erenock aveva avvertito un’altra presenza arrivare, ma non capiva chi fosse e da dove provenisse. Intanto continuava a tenere d’occhio quell’essere che mentre continuava ad avvicinarsi, aveva fatto capolino con la testa oltre il bordo del muretto fissando intensamente il Comandante Erenock.
«I nostri fratelli sono stati avari e hanno approfittato del profondo dolore che “Dio” provava per mezzo dei mortali.» Hanna non mostrava tensione nelle sue parole come i suoi fratelli ma in fondo al suo cuore provava un infinito dolore. «Avete fatto in modo che lui abbandonasse questo Piano per occupare voi il suo posto. Rispondetemi, che cosa avete guadagnato? Nulla… perfino l’Umanità alla fine ha aperto gli occhi e ha capito dei vostri inganni e vi ha abbandonato. Voi non siete altro che la feccia dell’universo.» Hanna li aveva umiliati dinanzi alle Sorelle Harwin creature del Luogo Proibito e per questo doveva perire.
La creatura intanto appoggiò le gambe sul bordo del muretto ed emise un ululato, saltò allo scoperto e cominciò a correre così velocemente da diventare una macchia nera indistinta. Erenock sapeva che si stava avvicinando e non mosse un muscolo… informò Hanna e le disse di non fare alcun movimento.
La creatura riusciva a sentire il suo cuore rimbombarle nella testa a ogni balzo che compiva. D’improvviso fra i tre gruppi e l’essere si pose Migu, la bambina che aveva in precedenza informato Erenock della venuta del nuovo Dio. Non appena lei era comparsa, Erenock aveva capito di chi si trattava e si girò di scatto verso di lei.
Una reazione che non fu prevista nemmeno da Hanna…. Erenock con quanto fiato aveva in gola gridò il nome della ragazzina. Voleva dirle di allontanarsi, ma fu troppo tardi… la bestia la colpì in pieno. Gli artigli in precedenza luccicanti balenarono nell’aria, sporchi di sangue. Hanna osservò con stupore l’espressione sul volto del guerriero.
Lui che non aveva mai provato emozioni ora sul suo volto c’era la disperazione che a ogni secondo mutava: in dolore… in angoscia… in rabbia…. Serrò le mascelle che divennero rigide come il metallo delle sue armi e osservava con il sangue negli occhi la bestia avvicinarsi. Ora si muoveva contro Hanna….
Erenock e Hanna sparirono in un battito di ciglia e la bestia andò contro Serreiv. La Dea agitò le braccia e dei fulmini blu quasi viola le scaturirono dalle dita, rimbalzarono addosso alla bestia senza infastidirla e scavarono dei solchi nel terreno. Quella cosa si muoveva con tale velocità che i suoi artigli diventavano delle forme indistinte che laceravano l’aria e la pelle.
L’essere si concentrò poi su uno degli altri Dèi li presenti e mentre combatteva contro di loro, Hanna lanciò un fine bastoncino di legno contro la sua schiena. La bestia fu avvolta dalle fiamme, emise un urlo orribile e voltandosi si trovò davanti Ardenas. Lei cercò di usare i suoi poteri, ma su quell’essere sembravano non funzionare.
La bestia inarcò la schiena e come lui anche Hanna si diresse correndo verso Erenock con la prima incurante del fuoco che la bruciava. In quel momento Erenock era piegato sul corpo esanime della piccola Migu; aveva gli occhi rigonfi di lacrime eppure nessuna osò rigare il suo volto. L’aveva fra le braccia, accarezzandole la guancia destra delicatamente… la osservava quasi confuso come smarrito in un luogo senza inizio e senza fine.
A quel punto gli Dèi e le Sorelle Harwin si fermarono; l’essere ora voleva soltanto lui. Hanna vide la creatura essere più veloce di lei e scomparve materializzandosi alle spalle del Comandante Erenock che si alzò lasciando sull’erba il corpo della piccola. «Volevo che tutto questo non accadesse, ma ho per la prima volta fallito….» si fermò quasi singhiozzando e fu difficile riprendere il filo delle sue parole, «Proteggi il suo corpo….» si rivolse alla Dea con una breve frase che parve interminabile.
«Che cosa farai?» gli domandò lei deglutendo a malapena.
Erenock si voltò e le rispose incamminandosi verso la creatura oltrepassando la Dea: «Io mi occuperò personalmente di tutti loro. Adesso basta.». Il suo passo era deciso e lento ma fermo posandosi sul terreno. Non appena gli occhi di Erenock si posarono sulla creatura, le fiamme che la avvolgevano divamparono bruciandola fino a raggiungere la carne interna.
Gli Dèi però vollero offrire alla creatura un piccolo aiuto; Serreiv allungò le braccia verso il lago e una bolla d’acqua emerse dal centro per cadere come pioggia addosso alla bestia. Il fuoco si spense e dalla pelle della bestia si alzò del fumo. Il corpo sembrava che non fosse stato minimamente intaccato dalle fiamme: continuava a essere nero come la prima volta che li aveva attaccati.
Herr, così Migu chiamò Erenock, si arrestò di netto… chiuse gli occhi e respirò profondamente più volte. Quando alzò le palpebre, gli occhi erano iniettati di sangue…. La terra e l’erba riempirono l'aria intorno alla creatura sollevandola dal suolo e dei fulmini di colore rosso porpora, scaturiti dalla singola mano destra di Herr, la colpirono prima che cadesse nuovamente. L'essere impattò contro il terreno con un tonfo sordo: aveva il corpo che fumava.
Accadde qualcos’altro ma nessuno capì cosa. La bestia si era paralizzata a metà di un movimento. Aveva le zampe davanti distese come se stesse per saltare e quelle dietro bloccate. Cominciò a ululare e contorcersi, ma non riuscì a rompere la stretta che la bloccava. Nell'aria echeggiò uno schiocco secco simile a quello del legno che si spezzava e la creatura riprese a correre verso il guerriero.
Herr allargò le braccia e batté con forza le mani… l’onda d’urto che si creò, avvolse la creatura arrestandola di colpo. Il fuoco che in precedenza aveva penetrato persino la parte più dura della sua pelle aveva provocato una reazione di ebollizione. Tutto il suo interno stava bollendo, il cuore che aveva un’accelerata pulsazione stava quasi per esplodergli ma l’animale resistette.
«Deve essere sempre circondato dalla fortuna più sfacciata, quel dannato uomo.» imprecò Yadir. La loro rabbia si mescolava all’odio che provavano per lui e per tutte le creature create dalla Suprema Imperatrice.
Herr accelerò il tempo della bestia fino a farlo esplodere dall’interno… il sangue e i pezzi di carne finirono sparsi qua e là sull’erba macchiandola di sangue. Bastò una sola ventata d’aria che ciò che restava della bestia diventò cenere che il terreno assorbì. Quando anche la puzza svanì portata via dal vento ed Herr alzò il capo verso gli Dèi e le Sorelle Harwin, la sua espressione pose timore sui loro volti.
«La fortuna non centra nulla… lui è potente e nessuna creatura può piegarlo finché porta con sé il Cuore della Suprema Imperatrice.» Vurgana, la prima delle tre si pronunciò osservando il Comandante Erenock e in fondo al cuore, stimarlo per la sua grandezza. Vurgana fece un cenno alle sue sorelle e le tre sparirono mentre gli Dèi erano distratti da Erenock e dai suoi occhi.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Un nuovo obiettivo ***


Ventesimo capitolo
 
Un nuovo obiettivo
 
 
 
 
Distrutta la bestia, Herr abbandonò quel luogo con la Dea Hanna e il corpo della piccola Migu fra le braccia lasciando gli Dèi alla loro rabbia. Si ritrovarono nel punto, dove lui si era separato dal suo gruppo; alzò lo sguardo e ciò che vide era orribile….
Vide l’erba piegata dal sangue, gli arbusti sradicati dal terreno, i rami spezzati con forza, le cortecce staccate dai tronchi degli alberi e tutto il luogo come bombardato da migliaia di fulmini.
Sembrava esserci passata una tempesta, il luogo era sfigurato…. Non credeva ai suoi occhi e avanzò comunque incerto di cosa avrebbe trovato adesso. Scrutò l’intero luogo nella speranza di trovare i suoi amici o un segno che lo conducesse a loro, ma fin dove la devastazione era arrivata, di loro non c’era traccia.
Nessun suono si udiva e Hanna ruppe quel silenzio deprimente: «Non ti piacerà cosa è stato fatto.».
«Niente mi piace di ciò che è accaduto da quando sono intervenuto negli affari dei mortali.» la sua espressione era rammaricata e delusa eppure non lasciò incompiuto ciò che aveva iniziato.
Proseguì avanzando ora nel precedente campo di battaglia con lo sguardo fisso davanti a se; camminava senza interrompere il suo passo o a esitare nel muoversi.
Di punto in bianco Herr si arrestò, sbucò davanti a lui Adhanc con varie ferite sul corpo e una grave sotto il cuore. Restarono entrambi immobili a guardarsi negli occhi senza spostare lo sguardo.
Un battito di ciglia e al piccolo guerriero gli mancarono le forze; prima che crollasse a terra, la Dea corse da lui e lo sorresse. Non riusciva a tenere gli occhi aperti e con le poche forze che gli restavano, parlò all’uomo che aveva davanti: «Sono stato un fallimento per te e i tuoi fidati… perdona questo sciocco Krevhen.» perse definitivamente conoscenza pochi secondi dopo aver pronunciato l’ultima parola.
Herr si avvicinò alla Dea e le disse di prendere lei il corpo della piccola Migu, mentre lui avrebbe portato il nano-guerriero. Un tuono improvviso risuonò nel cielo rimbombando nelle orecchie dei due, dando loro l’accesso a un diverso luogo.
Erano giunti in una delle tante stanze delle Grotte Diamantine, dove trovarono Soem e Gorondha accomodate su cuscini di piume che si medicavano le ferite riportate dallo scontro.
Soem stava aggiustando la benda sul braccio di Gorondha quando si fermò di colpo nel vedere Erenock avvicinarsi e adagiare il nano sui cuscini sistemati sotto la parete.
Prese delle bende pulite e unguenti da un tavolino di legno per occuparsi del nano, mentre gli altri lo osservavano sorpresi. Non appena ebbe finito, si ripulì del sangue nel secchio d’acqua che Soem aveva preso nella fonte. Ritornò a sedersi accanto al nano e poggiò la testa contro la parete chiudendo gli occhi e compiendo profondi respiri.
Passarono svariati minuti prima che uno di loro aprisse bocca. Gorondha si alzò avvicinandosi a Erenock e si fermò a qualche passo dai suoi piedi, esitando ha farsi sentire. Deglutì e parlò: «Che cosa è accaduto Erenock?» si bloccò di netto senza emettere fiato e attese pazientemente la sua risposta.
 Il Comandante Erenock restò con gli occhi chiusi e con il respiro che aumentava… Soem intervenì: «Lasciate che ripose anch’egli.».
Qualche ora più tardi, sulle grotte si era abbattuta una leggera nevicata che fece svegliare il comandante. Se ne restò sulla soglia dell’entrata a osservare i fiocchi di neve cadere dolcemente sul terreno. Si era concentrato sui singoli fiocchi che non si era accorto di chi si stesse avvicinando.
Ogni passo era deciso e l’ultimo lo fu meno…. Un sospiro… lo sguardo diritto dinanzi a se e poi parole fredde: «Io non avrei mai immaginato che le Sorelle Harwin avrebbero compiuto una mossa del genere… mi dispiace.». Un altro sospiro, questa volta amareggiato e poi l’allontanamento.
Il cuore della donna batté cinque volte prima che Erenock si pronunciasse: «Un tradimento tanto agognato e una ripicca desiderata quasi soffocata.».
Soem si voltò verso di lui e gli domandò: «Io non capisco… di chi stai parlando oltre alle sorelle?».
Le rispose con tono secco e amareggiato per quello che era accaduto: «Della Donna Velata… la sua paura mette a repentaglio delle vite innocenti.».
«Perdonala Erenock.» non riuscì a dire altro in quel momento.
«Perdonarla?» quella parola uscì dalla sua bocca come un’esplosione… nel continuare a rimproverare la Donna Velata, la leggera nevicata era diventata una bufera, «Non c’è perdono per ciò che ha fatto. Un innocente è morto per causa sua e per la sua stupida paura di restare dov’è.».
La sua rabbia fu visibile dalle vene che si erano evidenziate sulle tempie, ma il dolore che provava fu nettamente percettibile dalle lacrime che questa volta osarono rigare il suo volto.
Soem fu quasi spaventata dalle sue mani chiuse a pugno e dai muscoli che aveva teso come corde d’archi. E con volto scuro e aria preoccupata, la donna si pronunciò: «Che cosa accadrà adesso?» … anche lei quasi con le lacrime agli occhi.
«Come desiderava la Donna Velata ritornerò nel Palazzo Ombrato non appena sarà conclusa tutta questa faccenda… non prima.» le rispose con la rabbia nel cuore.
Il tempo sembrava trascorresse con alternanze veloci e lente, ciò nonostante nessuno o quasi se ne preoccupava. Sulle terre di Nalhians la bufera era cessata, tuttavia si era fermata una leggera brezza che lasciò la temperatura incostante.
Erenock aveva ripreso un abbigliamento decente di colore scuro, mentre le Sentinelle di Sangue, indossarono vestiti più adeguati all’ambiente in cui si trovavano. L’ambiente era tranquillo e quel silenzio avvolgeva il comandante che aveva posato il suo sguardo sul corpo della piccola Migu, avvolto da un lenzuolo bianco.
Dentro di lui c’era come una tempesta… si sentiva in colpa per la sua morte… non avrebbe mai voluto che accadesse una cosa del genere. Il senso di colpa lo divorava dall’interno consumandolo poco alla volta e lasciandogli l’amarezza di aver commesso un grave errore.
Ylloon e i due che si trovavano con lei si fecero medicare le ferite riportate… tagli, bruciature, lividi e graffi ricoprivano ogni angolo dei loro corpi facendoli sembrare esseri infetti da qualche rara e pericolosa malattia.
La strega aveva l’aria furiosa, i muscoli rigidi come la pietra e gli occhi iniettati di sangue per l’odio che provava nei confronti del Bene. Era così arrabbiata che quasi non riusciva a mantenere il controllo. Il suo respiro era forte e profondo a sembrare quasi colmo, ma ciò che dimostrava il contrario erano le mani aperte e sciolte.
Lo strano silenzio che regnava fu improvvisamente interrotto da Horazz che prima di parlare si schiarì la voce. «Io ti avevo avvertito ma tu non mi hai dato ascolto ed ecco una conseguenza, un’altra sconfitta che ci segna.». La rimproverò per la sua testardaggine e la sua mancanza di lucidità.
Ylloon si alzò dalla panca e contraddisse alle parole del mago. Gli parlò con durezza mentre rifletteva sul nuovo piano da attuare. «Taci Horazz. Come me anche tu hai commesso molti gravi errori, oggi come allora… come vedi, tu non puoi giudicare o criticare nessuno, me compresa.».
«Dovresti fermarti subito… siamo stati fortunati che non ci fosse Erenock o altrimenti avremmo fatto la fine dei topi….» continuò il mago cercando di dissuaderla a non perseverare nei suoi obiettivi.
«Horazz ha ragione, se reagissimo in questo momento, saremmo sopraffatti come pochi istanti fa e con quali risultati? Perderemmo una battaglia che poteva essere evitata.» Kashda si fermò per riprendere fiato e nello stesso tempo al voltarsi di Ylloon, riprese, «Ascolta Ylloon, tu non sei l’unica che vuole vendetta, ma esigerla al momento sarebbe un attendibile suicidio. Abbiamo perso una battaglia ma non la guerra… c’è ancora un’opportunità, ciò nonostante dobbiamo saper procedere con furbizia e con acume.». Smise di parlare e uscì dalle stanze del medico.
Altri piani sarebbero stati attuati dai Gavoth per raggiungere con ogni mezzo possibile il loro scopo principale…. La strega per restare in disparte spostò il Reantha nel tempio e lì ebbe subito delle visite.
Il silenzio dominava quel luogo e dalla penombra uscì l’Uomo del Nero della Notte che si avvicinò a lei per parlarle. «Ho rubato un oggetto perduto che sarebbe servito e per l’incompetenza dei tuoi uomini l’abbiamo perduto….» la rabbia si poteva udire nelle parole… “una fatica inutile fatta per sciocchi”.
«Calmati, anche se non abbiamo il medaglione, troveremo altre soluzioni.» cercò di farlo ragionare e ovviamente ci riuscì quando gli accerchiò il busto. L’Uomo del Nero della Notte si rilassò e cingendole le mascelle, la baciò.
Prima di staccarsi da lui, Ylloon gli diede un morso sul labbro inferiore e l’Uomo del Nero della Notte si compiacque. «Che cosa sai dirmi dell’ultimo erede dei Loozzan?» formulò la domanda mentre girovagava per la sala osservandone i dettagli.
«Si trova ora nelle mani delle Sentinelle di Sangue.» Ylloon si fermò aspettandosi un’altra rimproverazione da parte sua e come, infatti….
«Più di un fallimento in poco tempo, siamo circondati da incompetenti.» nel pronunciare queste parole, l’Uomo del Nero della Notte si avvicinò al Reantha e vi poggiò con delusione le mani sul bordo.
Lei si accostò a lui e disse: «Non si tratta d’incompetenza, siamo riusciti in molte cose, qui è questione di sfortuna da quando Erenock si è intromesso negli affari della Terra.».
«Io non credo che sia sfortuna mia cara ma più intromissione frequente nei nostri affari.» l’Uomo del Nero della Notte si girò di schiena toccando il bordo del Reantha, mentre la strega si avvicinò alla panca di fronte e si accomodò osservandolo senza distogliere lo sguardo, «Devo anche ammettere però che non ci sono stati solo fallimenti, ma anche successi e non solo da parte nostra… il recupero di Tagha per noi, il concepimento e la nascita del nuovo Dio della Guerra per gli Dèi.». Lasciò a quel punto che lo sguardo penetrasse nel vuoto per riflettere sul da farsi, nel momento in cui nella sala entrò Kashda con Tagha avvolta in un involucro di velluto posta dietro la schiena.
Avanzò verso di loro e si fermò a qualche passo dall’Uomo del Nero della Notte che sembrò compiaciuto nel vederla con l’arma. La donna guardò la strega e disse: «Porto cattive notizie… secondo le nostre fonti il gruppo di Erenock si trova a Nalhians.».
«Bene continua a sorvegliarli, non voglio trovarmi impreparata se dovesse accadere qualcosa.» disse Ylloon guardando Kashda negli occhi.
L’ex Loorp comprese e, prima di uscire salutò entrambi; alla chiusura della porta, l’Uomo del Nero della Notte parlò: «C’è un modo forse per vedere i tuoi figli.» si fermò di colpo.
La strega scattò a quelle parole e chiese: «Quale?».
«Lo saprai quando sarò riuscito nell’intento, non voglio che ti faccia illusioni.» non pronunciò altre parole e se ne andò com’era venuto.
Ylloon però era impaziente di agire… si era chiusa nel tempio e in se stessa a riflettere su come proseguire all’insaputa di tutti. Lei non amava attendere e non voleva soffermarsi troppo sulle conseguenze che le sue azioni avrebbero comportato.
Se ne stava lì seduta su una sedia in fondo alla sala a fissare il vuoto con i gomiti sui braccioli, le mani congiunte all’altezza dello stomaco e le dita incrociate fra loro.
“Posso aiutarti…” solo due parole che ripetutamente riecheggiarono nella sala. Si destò immediatamente dalla sua meditazione e di scatto si alzò dalla sedia guardandosi intorno. Continuava a sentire quelle parole e un’ombra comparve alle sue spalle; diventò polvere e mutò lievemente la sua forma in uomo, apparvero alla fine due occhi rossi sulla zona del volto e cominciò a parlare: «Cerca la gemma che nella pietra riposa, nascosta e alla luce lei si trova. Verde è il colore di cui si veste e nella scura terra dal sole seccata giace e dimora.».
L’ombra o qualunque cosa fosse scomparve prima che Ylloon potesse parlare e nella sala irruppe Kashda, entrata con fare altezzoso. Brandiva nella mano destra Tagha e portando la lama contro la porta, si avvicinò a lei inchinandosi. «L’uomo del Nero della Notte vuole parlarvi.».
«Perché manda te con lei?» domandò Ylloon nascondendo la sua rabbia agli occhi della donna.
«Io servo i Gavoth.» la guardò negli occhi mentre pronunciava quelle parole… come aveva sempre affermato, Kashda non aveva paura di Ylloon ciò nonostante si teneva in guardia da proferire parole che per la strega sarebbero state delle pericolose minacce nei suoi confronti.
«Verrò subito.». Lei continuò a nascondere le sue emozioni soprattutto quelle negative che andavano contro di lei poiché nella sua mente risuonavano senza sosta le parole di Erenock. Al contrario quelle dell’ombra misteriosa erano ferme ma si propagavano ugualmente nella testa in modo da non dimenticarle.
Si presentò nella sala del trono, dove l’uomo del Nero della Notte la stava aspettando e arrestatosi davanti a lui, lo lasciò parlare. Lui restò in silenzio per qualche secondo cercando le giuste parole, poi proferì i suoi pensieri: «Ho visto molti errori da parte dei Gavoth da quando ho rubato il medaglione… con questo voglio dire che agire con impulsività è un gravissimo sbaglio che potrebbe essere evitato. Non aggrapparti subito alla vendetta col cuore, ma con pazienza e il trascorrere del tempo….».
 Fu preciso nelle sue parole e lo fu anche lei: «Oh, non temere Uomo del Nero della Notte perché io non intendo, esserlo proprio adesso.».
Lui aveva percepito nelle sue parole un accenno di grande ironia e in certo qual modo gli piaceva: «Che cosa intendi dire?» la domanda gli venne curiosa….
«Intendo dire che ho una traccia su come trovarmi un passo avanti ad Erenock e senza pestargli troppo i piedi.» gli rispose con una semplice frase che all’Uomo del Nero della Notte stava bene.
«Io non voglio i minimi dettagli del tuo piano, tuttavia gradisco ricordarti di calcolare come sempre anche tutte le conseguenze.» lui si bloccò e uscì dalla sala del trono senza dire altro, invece Ylloon restò lì a fissare il vuoto dei suoi pensieri e continuando a riflettere sugli ultimi avvenimenti.
Al tramonto mancava poco e la Dea osservò Erenock seduto su un masso, ha tenersi la testa fra le mani… si era allontanato da tutti gli altri per non farsi vedere.
Erenock controllava incessantemente i Gavoth per evitare eventuali attacchi che potessero provenire sia dall'esterno, che dall'interno. Gli uomini o le creature corrotte dai Gavoth si trovavano in ogni luogo e alcuni erano addirittura insospettabili.
Un battito d’ali e, il comandante uscì dalle grotte a dorso nudo coperto da un velo di sudore che scomparve con il forte vento. Hurya si trovava proprio a una ventina di metri da lui e nonostante il frastuono del vento, Erenock riuscì a capire le sue parole: «[1] Disdeh meh hinneh djih pimmeh qoivseh soquteh, petdutveh ih emmeh madih mioh toh vsuweh. Pimmeh tdaseh visseh femh tumih csadoeveh wisfih ih’ omh dumusih foh daoh ih’ eccohmoeveh. Meh’ fonuseh ih etqivveh oph evviteh fimmeh coepdeh dowivveh.».
Un cenno del capo e, il drago si ritirò, mentre lui rientrò recandosi dagli altri e rimettendosi in viaggio….
Usarono il Trasportatore che li catapultò a Blyhank, ai piedi del vulcano le Lingue di Fuoco. Diedero una rapida occhiata in giro ed Erenock mandò Gorondha in avanscoperta e la Dea si offrì di accompagnarla.
Mentre aspettavano che le due ritornassero, i tre smontarono da cavallo per farli riposare… il comandante si allontanò da Aknar di qualche metro e si chinò per raccogliere della terra; aveva uno strano odore come di zolfo e la sua temperatura era alta.
Restò a guardarla cadere e fissò i singoli granelli finire al suolo, alla fine ritornò dagli altri due. Attesero… qualche ora dopo l’attenzione del Comandante Erenock ricadde su un falco che proveniva dalla direzione opposta alla loro, issò il braccio destro e vi lasciò posare il rapace, gli diede poi un pezzetto di carne e gli permise di consegnare il messaggio. Alla fine entrò nei suoi occhi, così da poter accedere ai suoi ricordi….
Il luogo in cui era entrato era un cielo notturno, tappezzato da un’infinità di stelle… intorno a lui c’era calma, e il silenzio che lo circondava s’interruppe quando Gorondha cominciò a parlare. «Siamo arrivati a un piccolo villaggio, si chiama Nilud, ci arriverete in poche ore di galoppo forzato. Noi vi aspetteremo agli inizi, dove sorgono le prime abitazioni.».
Lei svanì così come il falco sul braccio di Erenock e senza cenni di preavviso disse: «In sella.». Montò in groppa al suo cavallo e afferrando le redini, le tirò verso destra e spronò l’animale al galoppo, seguito dagli altri due.
Arrivarono poco prima del tramonto… i tre scesero da cavallo e Gorondha spiegò che le due persone al suo fianco, li avrebbero aiutati nelle ricerche. Seguirono poi l’anziano e il giovane che li portarono attraverso il villaggio fino ad arrivare a uno sconfinato campo dalla terra arida e dura, dove da anni non cresceva più nulla.
Guardarono il paesaggio impoverito e quasi distrutto dal calore del sole; sembrava strano che solo quella ristretta zona fosse colpita. Mentre i presenti erano intenti a chiacchierare, Erenock era concentrato su altro… i rumori che lo circondavano sparirono e i soli suoni rimasti erano le deboli e indistinte voci dei partecipi.
Il suo sguardo era sempre esclusivamente rivolto alla montagna e non si degnava di vedere altro.
Col passare dei minuti la sua attenzione finì col ricadere stranamente sull’arido campo che aveva di fronte; lo scandagliò per intero in cerca di qualcosa che fosse importante, ma non trovò nulla se non una piccola fonte che irradiava energia. Si destò da quell’energia solo quando Gorondha formulò una domanda che a lui interessava: “Che cosa si nasconde in questo campo da essere così prezioso?”.
Alla domanda non rispose il guerriero bensì Soem: «Qualcosa che porterebbe i Gavoth a perdere non una battaglia piuttosto l’intera guerra.». Ogni parola pronunciata dalla donna sembrò squarciare l’aria circostante e a smentire quella risposta giunse qualcuno.
Comparve a poca distanza da loro Ylloon in una spirale di polvere e acqua che si assottigliò fino a scomparire. Si trovava lì davanti a loro eppure Erenock non mosse muscolo: che cosa poteva volere? La sua venuta poteva riguardare la fonte di energia che Erenock aveva captato? Per qualsiasi motivo lei fosse lì, non piaceva a nessuno.
«Che cosa cerchi in questo luogo strega?» le domandò con voce profonda il nano-guerriero.
Lei avanzò e rispose al nano guardandolo con sguardo infido: «Qualcosa che a voi tutti non potrebbe interessare di certo.». Prese le distanze da loro perché non voleva avvicinarsi troppo rischiando di far scoprire il vero motivo della sua venuta.
Erenock però era sempre intento a osservare con estrema attenzione la montagna alle spalle del villaggio. Non distoglieva lo sguardo nemmeno per un nemico, forse sentiva che qualcosa stava per accadere.
La strega notando la distrazione del Comandante Erenock indietreggiò scandagliando, nello stesso tempo, il campo arido. Ci volle un po' prima di trovare un pezzo di terreno molto piccolo smosso e, proprio in quel momento dalla direzione del sole morente sopraggiunse una civetta dalle piume bianche.
Il rapace catturò l’attenzione di Erenock che insieme con gli altri la osservò atterrare in quel pezzo di terra smossa e lì scavare con le zampe, mantenendosi in equilibrio sbattendo le ali.
Erenock aveva capito di cosa si trattava e che Ylloon era lì per la medesima cosa; lui doveva intervenire e comunicò telepaticamente con le tre donne, ordinando loro di fermarla. La civetta intanto aveva smesso di scavare e cominciò a emettere dei versi che permisero alle sue ali di emettere un bagliore così forte da coprire tutto.
La luce scomparve come la civetta e Ylloon si ritrovò fra le mani uno smeraldo che emanava poca luce, una gemma poco più grande di un pugno di un bambino. La strega conosceva il suo significato: era una pietra che favoriva la fertilità, migliorava la vista e aiutava la conoscenza di se stessi, inducendo sogni tranquilli e consentiva a raggiungere uno stato di pazienza ed equilibrio.
Le due guerriere e la Dea si lanciarono contro la strega per fermarla ma lei svanì com’era venuta. Dall’altra parte invece Erenock assistette alla scena in gran silenzio, mentre qualcosa gli diceva di allontanarsi.
Il vento si alzò d’improvviso insieme a un immane boato che fece trasalire gli abitanti del piccolo villaggio e il gruppo. Gli occhi di tutti si muovevano velocemente alla montagna tanto familiare: la cima c’era squarciata e un fungo di fumo nero salì fino alla volta celeste, altissimo, a oscurare la luna che era sorta. Lo straordinario spettacolo destò stupore, sgomento, ma non panico. Nessun’ancora pensava di fuggire: il vulcano era così lontano….
Ed ecco che iniziò a venir giù una nevicata di cenere impalpabile, che si trasformò pian piano in una pioggia di sassolini – i lapilli – sempre più fitti e sempre più grossi. La gente cominciò a gridar di paura, a scappare qua e là o a cercar rifugio nelle case proteggendosi il capo, trascinando i figli per mano, ma era troppo tardi: prima una, due, poi dieci, cento persone caddero giù, colpite dalla sassaiola del cielo.
L’anziano e il giovane che si trovavano col gruppo spalancarono gli occhi e cercarono di ritornare delle loro famiglie ma Erenock li fermò. Quelli in casa intanto videro con terrore la cenere penetrare da ogni pertugio o fenditura, coprendo la mobilia, montando lungo le pareti; chi tentava di uscire era ricacciato indietro dalla grandine di sassi, o dopo pochi passi era abbattuto.
I pochi superstiti, rifugiati negli ultimi spazi della casa liberi dalla cenere, cascavano uno dopo l’altro, soffocati dai gas velenosi.
Ciò che era appena accaduto era solo l’inizio, la montagna s’infuriò tanto che dalla sua bocca sgorgò il suo sangue a purificare quel territorio: la lava ricoprì lentamente l’intero villaggio e ciò che lo circondava. L’aria si fece sempre più bollente e il gruppo retrocedette evitando di essere sepolti dalla lava.
 Il fuoco si fuse con l’iride e la pupilla degli occhi di Erenock, il suo potere si attivò; le persone li presenti scomparvero da quel punto ritrovandosi a un chilometro di distanza. Osservarono la montagna e i detriti che lei espelleva, dirigendo il loro sguardo sulla lava che avanzava e che distruggeva ciò che incontrava al suo passaggio.
Erenock decise di intervenire… il fuoco e le fiamme riempirono i suoi occhi e il vulcano cominciò lentamente a ritirare il fumo e i residui, lasciando però alla fine solo gigantesche lingue di fuoco. Nulla era finito, Erenock fece in modo che tutto ciò che fu seppellito dalla montagna finisse sottoterra, nascosto alla vista di ognuno. Ora sopra quel piccolo villaggio era sorto un campo verde… gli ultimi due abitanti erano sconcertati a ciò che i loro occhi aveva assistito e da quegli stessi scivolarono le prime lacrime.
Erenock si avvicinò all’anziano e pronunciò le sue parole: «Non versar lacrime per chi resta nel cuore.».
«Abbiamo perduto tutto, perché vivere ancora?» domandò il giovane a qualche metro di distanza.
«Per chi verrà dopo di noi.» rispose Erenock cercando di placare rabbia e dolore. «Ricostruite il villaggio e ristabilite la vita in questo luogo.» osservando poi il bel panorama.
«Come?» domandò il giovane avvicinandosi a lui sconcertato dalle sue parole.
«Con questo.» rispose lui mostrando ai due un ciondolo di cristallo a forma di goccia che pendeva da una sottile catena d’oro.
«Di cosa si tratta?» domandò il nano incuriosito dall’oggetto che luccicava al pallido bagliore lunare.
«L’oggetto in questione salva quelle anime che non dovevano essere tali.» rispose alla domanda Soem raggiunta da Gorondha e dalla Dea.
«Questo significa che tutti gli abitanti del vostro villaggio sono salvi. Rompete la goccia una volta che il nuovo villaggio sarà ultimato, inoltre informeremo i regnanti di Blyhank delle vostre condizioni economiche, sono sicura che la regina vi darà tutto il suo sostegno.» aggiunse Gorondha assicurando ai due una nuova vita.
A quelle parole si udirono nitriti avvicinarsi alle loro spalle e a voltarsi in quella direzione li videro cavalcare contro il vento e in testa c’era Aknar. Il vento sollevava le stupende criniere e il bagliore della luna ne accentuava la bellezza; i cavalli cominciarono a rallentare l’andatura e alla fine si fermarono del tutto dinanzi a loro.
Erenock montò a cavallo con gli altri e prima di spronarlo al galoppo si pronunciò sottovoce: «E anche la seconda figlia è risorta dall’oscurità.».
Salutarono i due ed Erenock usò nuovamente il Trasportatore giungendo questa volta alla capitale di Blyhank. Si recarono in un tempio di medie dimensioni privo di qualsiasi tipo di finestra che era definito il Cargar dalle terre, giungendo in seguito in un piccolo giardino interno illuminato dalla luce che penetrava soltanto dal tetto in vetro costruito a cupola.
Lì nel mezzo c’era Sanna, un Salice Piangente, uno dei tre Saggi di quelle terre, circondata dal via vai di tanta gente. Il nano era seccato e mentre si grattava la faccia e si aggiustava la folta barba, si rivolse al comandante: «Perché siamo qui?».
«Porta pazienza, amico mio.» gli disse lui osservando sereno il salice dormire.
Il nano era scocciato, voleva l’azione e così per distrarsi da quell’estenuante silenzio e calma esagerata, si guardò attorno cercando una rissa da fermare. Per sua sfortuna non trovò nulla e glielo confermò anche il salice che parlò catturando l’attenzione di tutti.
«Un albero che parla… in questo mondo io ho visto di tutto, ma questo mi lascia senza parole.» parlò nuovamente Adhanc facendosi largo attraverso quei giganti, «Noi siamo qui per qualcosa, ma non so cosa… perché non ci sbrighiamo, le mie natiche mi prudono e questo non è mai un buon segno.». Il nano continuò a borbottare senza fermarsi… quel luogo in particolare, quei territori non gli piacevano.
Il salice piangente spalancò gli occhi e diede loro il benvenuto nella capitale, proprio quando i regnanti lasciarono il tempio. «Meglio discutere in privato.».
 
 
[1] Cerca la gemma che nella pietra riposa, nascosta e alla luce lei si trova. Nella scura terra dal sole bruciata verde è il colore di cui è abbigliata. Là dimora e aspetta in attesa della bianca civetta. – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** La fine di una civiltà ***


Ventunesimo capitolo
 
La fine di una civiltà
 
 
 
 
Sanna, parlò loro di una bussola che dovevano cercare, ma che li avrebbe condotti su una strada pericolosa. A quel punto intervenne Adhanc: «Bene ora mi prude anche la barba, presto avremo compagnia….».
Infatti, gli occhi di Gorondha divennero completamente bianchi e luminosi. Stava osservando chi si avvicinava… Ylloon, non si sarebbe mai fermata al solo possesso di quella gemma, come sempre bramava di più.
«Continua a tenerli d’occhio, io mi occupo di informare i Difensori della Fede… Soem, tu e gli altri invece mettete al sicuro gli abitanti della città, non voglio feriti né morti inutili.» si allontanò dal gruppo e si fermò dinanzi a un piccolo altare di pietra, dove poggiò un libro che misurava ventiquattro centimetri per tredici e con un leggero spessore.
La copertina di pelle rosso sangue risaltava la pietra di ossidiana al centro, invece le incisioni di serpenti che circondavano la gemma abbellivano il libro; Erenock lo aprì e le pagine si mostrarono nere in carta pergamena che lo rendevano un po' misterioso.
Erenock tirò fuori un bastoncino di legno di Aghezz con una punta speciale in glafone giallo, che attinse inchiostro quando lo immerse in una fiala, apparsa accanto al libro, rilasciando una striscia d’inchiostro nell’esatto momento che la trascinò sulla superficie della pergamena.
Raccontò ai Difensori della Fede solo ciò che serviva e poi ritornò dagli altri per aiutarli. L’ordine agli abitanti di restare nascosti e al riparo passò di casa in casa, tuttavia non bastò poiché all’entrata della capitale giunse un gruppo di persone con uno strano emblema che li rappresentava: una stella nera a cinque punte avvolta dalle fiamme.
Il loro abbigliamento era comune ai guerrieri della Terra… avevano un solo colore comune, il verde scuro, abbellito con fili di glafone bianco. Alcune parti del corpo, erano state nascoste da pezzi di armatura fuse a fili di smeraldo. L’emblema era inciso sull’unico bracciale che indossavano, il destro.
Erenock li raggiunse e Gorondha li informò su chi fossero quei nemici…. Lui li conosceva e sentiva la repulsione per il loro nuovo tradimento. Il vento aveva cessato di parlare già da un po', ma Erenock sentiva il loro odore come il lupo avvertiva la sua preda durante la caccia; questa volta non avrebbe dato loro modo o tempo per agire.
«Siamo ai vostri ordini, cosa dobbiamo fare signore?» domandò un soldato rivolgendosi con obbedienza verso di lui.
«Portate in salvo tutta la gente che potete, al resto penseremo noi.» rispose lui con volto scuro, mentre il soldato se ne andò dopo avergli fatto il saluto.
«La sua domanda si riferiva ad altro.» s’intromise Hanna avvicinandosi a lui, mentre con i suoi occhi osservava l’entrata della città con tentennamento.
«Chi sono e da dove provengono?» domandò Adhanc incuriosito dalla strana espressione di Erenock.
Alla domanda rispose Gorondha con un solo nome: «Balarm.». Non disse altro….
Erenock voleva sapere cosa li aveva spinti ad arrivare fin lì; chiuse gli occhi e nell’aprirli, lui si ritrovò in un esteso deserto con l’unica vita oltre la sua davanti a sé. Chi rappresentava quel gruppo si presentò a testa alta e con arroganza: aveva una corporatura media quasi esile ma che non disturbava la vista. Un mantello scuro gli copriva tutta la zona sinistra del corpo, un guanto s’inframmezzava fra il bracciale e la mano, avvolgendo quest'ultima e una maschera nera nascondeva il volto.
I due si guardarono negli occhi per un tempo quasi infinito poi quell’uomo alzò la mano e la avvicinò alla maschera togliendosela. Riportò il braccio lungo il fianco e si pronunciò: «Sei cambiato molto dall’ultima volta che i nostri cammini si sono incrociati… io non avrei mai immaginato che tu un giorno avresti aiutato i mortali, visto il rancore che provavi per loro, ma tutto può accadere, no?».
«Che io sia cambiato o no non ha importanza, tuttavia quello che ne ha è come mai siete arrivati a questo punto.» continuò a tenere il suo sguardo su di lui senza batter ciglio, senza compiere alcun movimento, senza manifestare emozioni diverse oltre all’indifferenza, verso chi era appena giunto in quella città.
«Non sono sopraggiunto qui in questo mondo per chiacchierare, bensì per combattere, per distruggere te e tutto ciò che ti circonda.» le sue parole furono chiare, rispecchiando al cento per cento cosa avrebbe fatto.
«Ricorda che io non permetterò a nessuno di voi di portare morte e distruzione in questo mondo… non vi darò occasione questa volta.» disse Erenock serrando le mascelle e chiudendo le mani a pugno per la rabbia e il dolore che la loro presenza aveva portato a galla.
«Oh, Erenock non essere così sicuro dei cammini che tu percorri, perché molte volte non portano da nessuna parte. Ti lascio un consiglio che spero, tu accetterai di buon cuore… “ascolta le parole della Donna Velata, essa dice il vero”.» l’espressione che l’uomo aveva sul volto fece per un momento trasalire il comandante, ma non durò a lungo e prima che Erenock potesse parlare di nuovo, il forte vento alzò una nuvola di sabbia che li separò per un istante.
Quando i due si ritrovarono nuovamente a faccia a faccia, il Comandante Erenock parlò: «E tu Doofarth, rammenta che le conseguenze delle vostre azioni se non saranno punite da me medesimo lo saranno da Dio e dalla sua degna alleata la Suprema Imperatrice. Ti rievocherò alla mente solo che non c’è angolo nell’intero universo in cui voi vi potrete nascondere da loro.» un lieve cenno di sorriso si disegnò sul suo volto e questo diede molto fastidio a Doofarth.
«Lo vedremo amico mio chi vincerà la guerra fra tutti noi.» le sue parole erano come mozzate in gola e sparì come se nulla fosse.
Quella stessa città, illuminata dai fuochi accesi nelle lanterne sparse per tutte le strade di Blyhank e dal bagliore della luna, sarebbe stata presto inondata dall’oscurità; il vento si alzò forte improvvisamente, a spegnere i fuochi e, le nuvole grigie nascosero il bellissimo astro. Agli occhi di tutti, il buio nascose ogni cosa e al ritorno della pallida luce lunare, comparvero i Nodooce alle spalle dei Balarm.
«Che cosa sono?» quelle parole uscirono dalla bocca del nano come tante catene che si legavano al suolo per bloccarsi.
Con un po' di preoccupazione Gorondha rispose alla domanda incatenata: «Sono creature degli antenati dei Balarm, sono definiti “esseri mostruosi” dai popoli del Luogo Proibito. Le loro lunghe zanne ricurve che dalla mascella salgono verso l’alto e totalmente ricoperte d’ispidi peli rossicci, non hanno mai visto ostacoli fino ad oggi.».
I Nodooce avevano grosse braccia con lunghi artigli affilati al posto delle dita e basavano ogni movimento sull’udito per compensare la loro completa cecità; il loro abbigliamento era limitato, indossavano solo dei pantaloni di pelle animale lasciando scoperti il busto e l’enorme pancia che quelle bestie si ritrovavano.
La loro altezza stava lievemente spaventando Adhanc, tuttavia ritrovandosi anch'egli in mezzo a dei giganti, non lo diede a vedere; senza che nessuno lo osservasse, prese dal cinturino un sacchetto di velluto, tirando fuori degli oggetti… li indossò alla svelta e alla fine si pronunciò: «Che cosa stiamo aspettando, diamogli una bella lezione?». Sputò quelle parole con grinta e cominciò a grugnire come un maiale affamato.
Si voltarono verso di lui notando il pesante scudo che reggeva con la mano sinistra, delle due asce che portava dietro la schiena e della cotta di maglia finemente intrecciata che gravavano sulle sue gambe. Hanna spalancò gli occhi a quella bizzarra vista e chiese: «Ti sei preparato alla guerra, nano?».
«Qualunque cosa ci sia all’entrata della città io sono pronto.» il nano le disse chiaro e tondo che lui sarebbe stato in uno scontro e che era pronto a combattere.
Doofarth non perse tempo e lanciò all’attacco due di quelle creature; si scagliarono contro il portone d’entrata distruggendolo in mille pezzi, scaraventandoli contro il primo ostacolo che incontravano. Ogni loro passo emettevano pesanti vibrazioni che facevano tremare la terra, ogni loro avanzamento qualcosa che apparteneva alla città fu eliminato.
«Adhanc, tu resterai al fianco di Gorondha, Soem, tu va con la Dea….» Erenock impartì i vari ordini e ognuno di loro li eseguì senza indugio.
Si allontanarono da lui e si posero ai loro posti nel momento in cui uno di quei mostri si scagliò contro Erenock; allungò la mano verso di lui per schiacciarlo e il guerriero lo evitò scomparendo. Apparve dinanzi a una fontana, dove avvertì, non da solo, il lamento di un bambino; un Nodooce, infatti, si recò proprio in quella direzione, avvicinandosi poi alla bottega, scaraventò in aria il banco di legno trovandovi una bambina di appena quattro anni.
Quell’essere cercò di afferrarla ed Erenock corse verso di lei a una velocità inaudita prendendola fra le braccia e portandola lontana da quell’animale. Il Nodooce non capiva cosa fosse accaduto e si voltò da ogni parte per cercare la bambina. Di colpo una dolce brezza giunse da Nord-Ovest e il Nodooce distinse l’odore del guerriero, che lo spinse verso di lui e la bambina.
Ora distanziava dai due una novantina di metri o più, tuttavia non se ne curò e scattò all’assalto; nel giungere a poca distanza da loro il mostro emanò un terrificante grido che spaventò la piccola facendole così afferrare saldamente il collo di Erenock. Lui non mosse muscolo, ma quando il Nodooce si trovò quasi su di loro, Erenock lanciò in avanti il braccio destro e aprendo la mano creò uno scudo protettivo di filamenti d’energia che brillavano ai colpi pesanti del nemico.
Più l’animale colpiva con energia lo scudo, più i filamenti s’infiltravano nella sua pelle, sprofondando sempre di più nella carne per controllarlo dall’interno. La potenza che impiegava era incredibile, infatti, ogni colpo inflitto era più forte del precedente e senza cenni di diminuzione.
Erenock continuò a proteggere la bambina e mentre gli altri si difendevano dal resto dei Nodooce, i Difensori della Fede avevano trovato ciò che cercavano. «Portiamo la scatola a Erenock.» disse Clegan aggirando un grosso masso.
«Avete sentito?» domandò Yrthan fermandosi di colpo.
«Sentito cosa?» chiese Narhod curioso. Non capiva cosa l’amico avesse udito e la risposta venne subito.
«Questo.» rispose Yrthan provando a capire da dove provenisse quel rumore.
Si voltarono tutti e non appena videro che il soffitto stava crollando, iniziarono a correre. Grossi massi si staccarono dal soffitto della caverna e precipitarono frantumandosi al contatto col suolo. Corsero come il vento evitando piccole rocce e brecce che si staccavano dalle pareti per le potenti vibrazioni delle cadute dei macigni.
Si fermarono di colpo prima che fossero travolti da una valanga di terra staccatasi dalla volta e non ci volle molto che riprendessero a correre in un’altra direzione – un corridoio laterale che li avrebbe portati al tunnel principale. Ritornati sulla via d’uscita, a poca distanza da loro, un enorme masso si stava staccando…; lo passarono uno per volta, mentre Clegan restò indietro creando una barriera di luce che li avrebbe protetti dai macigni in caduta.
Non appena ebbe terminato riprese a correre per raggiungere gli altri, ma il pesante masso gli cadde addosso, bloccandogli per fortuna soltanto le gambe. Gli altri intanto, erano quasi giunti all’uscita quando Narhod si accorse della mancata presenza dell’amico. Senza pensarci ritornò indietro…. «Ehi, sono qui, ora ti faccio uscire.» lo confortò cercando di sollevare il macigno.
Il Difensore della Fede provò di tutto, ma fu inutile, il masso non si spostava nemmeno di un millimetro. «Lascia stare Narhod e prendi la scatola che è più importante della mia vita.» disse Clegan rassegnato a restare lì.
«Ora non fare il melodrammatico, non è da te.» lo rimproverò l’amico mentre si sforzava di sollevare il masso. Si alzò cercando di trovare una veloce soluzione al problema e disse: «Potrei creare qualcosa con quella roccia, ma è troppo piccola e poi la barriera che hai creato m’impedisce di usare il materiale circostante, finirei solo col far crollare tutto.» osservando ogni particolare di quella caverna.
Il soffitto di quel tunnel era alto e le pareti erano abbastanza larghe da farci passare una decina di cavalli affiancati l’uno all’altro; in alcuni punti delle pareti si notavano vaste chiazze di erba e muschio che ricoprivano addirittura la volta, invece l’aria che filtrava attraverso le fenditure portava sollievo e freschezza.
I due Difensori della Fede furono raggiunti dagli altri che tennero stabile quella parte del tunnel, mentre Narhod con estrema complessità, alla fine, riuscì a sollevare il pesante masso che bloccava l’amico. E Clegan riuscì così a trascinarsi lontano dalla roccia e a portarsi in salvo insieme alla scatola che aveva trovato.
Una volta fuori, montarono a cavallo e presero la strada più breve per arrivare alla capitale Nits'Irc; raggiunto il palazzo reale, scoprirono un’amara notizia: la Regina Virjinia era stata assassinata dai sicari del Concilio dell'Ombra. I Difensori della Fede diedero le proprie condoglianze all’unico erede della famiglia Thalnoock in vita, la principessa Ardhenya e ora futura regina di Nits'Irc.
Con la notizia ricevuta, i Difensori della Fede dimenticarono, anche se per breve tempo, il motivo principale di quella visita a quell’ora della notte.
Nel frattempo a Blyhank, Doofarth non era soddisfatto del lavoro dei Nodooce e a quel punto fece scendere in campo alcuni suoi soldati; i due comparvero da un’esplosione di una bolla d’aria, materializzata dal capo dei Balarm.
Erano alti e robusti. Il primo avversario era armato di spada, e gran parte del corpo era difesa da una leggera armatura. Anche il secondo era armato di spada e corazza; l’ennesimo ragazzone alto e possente, avvolto in una robusta corazza e dotato di scudo, si avventò contro Soem senza neppure darle il tempo di prepararsi.
La guerriera schivò abilmente i pesanti attacchi che quell’avversario eseguiva e, in quei momenti lei sentiva che a breve, tutto sarebbe precipitato nel caos. Bastarono pochi attimi che tutto avvenne…. Apparve Kashda con passo veloce, sfoggiando tutta la bellezza di Tagha; non perse tempo, individuò Erenock e partì all’attacco.
Intanto Erenock aveva sconfitto il Nodooce portando i filamenti ad avvolgere e bloccare il suo cuore. La bestia cadde al suolo con un tonfo sordo e privo di vita, mentre Kashda caricò il suo attacco e colpì il guerriero. Alla sua difesa sopraggiunse Dhebran a bloccare la lama di Tagha… Erenock si voltò verso la donna e impugnò saldamente la sua spada, ingaggiando un violentissimo duello con la donna.
Soem e gli altri avevano sconfitto, anche se con difficoltà, le creature e gli uomini mandati da Doofarth; Gorondha e il nano restarono appoggiati contro una porta, con le braccia incrociate assistendo al duello senza parlare, cercando di seguire con gli sguardi il fulmineo guizzare delle lame.
Kashda si batteva splendidamente, da guerriera valente, parando con grande sangue freddo e vibrando stoccate bene diritte; dovette ben presto convincersi però d’avere dinanzi un avversario dei più terribili e che possedeva dei muscoli d’acciaio.
Dopo i primi colpi, Erenock aveva riacquistato la sua calma. Non attaccava che di rado, limitandosi a difendersi come se volesse prima stancare l’avversario e studiare il suo gioco. Fermo sulle sue gambe, col corpo diritto, la mano destra avanzata orizzontalmente, gli occhi lampeggianti, pareva che giocasse.
Invano la donna aveva cercato di spingerlo verso una scala con la segreta speranza di farlo cadere, vibrandogli una tempesta di stoccate. Erenock non aveva fatto un solo passo indietro ed era rimasto irremovibile fra quello scintillio della lama, ribattendo i colpi con una rapidità prodigiosa, senza uscire di linea.
D’improvviso però si slanciò a fondo. Battere di terza la lama dell’avversario con un colpo secco, legarla di seconda e fargliela cadere al suolo, fu un colpo solo. La donna, trovandosi inerme, era diventata pallida e si lasciò scappare un grido. La punta scintillante della lama del Comandante Erenock, rimase un istante, tesa, minacciandogli il petto, poi subito si rialzò.
La donna era rimasta immobile col più profondo stupore scolpito in viso. Le sembrava forse impossibile di trovarsi ancora viva. A un tratto fece rapidamente due passi in avanti e tese la destra al guerriero, dicendo: «Ho sempre sostenuto che tu Erenock fossi un essere senza fede, senza legge, dedito solamente alla tua sola freddezza e al far regnare nelle tue terre e fra i tuoi popoli l’ingiustizia; io posso ora dire come mi sbagliavo a giudicarti in questo modo. Mio signore, ecco la mia mano….».
Lui gliela strinse cordialmente, poi raccogliendo la spada caduta e porgendola alla donna rispose: «Conserva la tua arma, Kashda, a me basta che tu mi prometta di non adoperarla, contro innocenti.».
Le parole di Erenock sembravano averle fatto cambiare idea, ma la voce di Soem che lo chiamava lo fece distrarre; si voltò verso di lei e Kashda ne approfittò per colpirlo con Tagha. Con forza affondò la lama nello stomaco, e la spinse con decisione per fargli provare tutto il dolore possibile.
I due, ora a faccia a faccia, si guardarono negli occhi ed entrambi videro ciò che provava l’altro. Kashda sorrise beffardamente, mentre gli premeva la lama contro il ventre; era soddisfatta, lei sentiva l’adrenalina e l’eccitazione salire, nel tenere di fronte a lei, l’unico essere responsabile della sua giunta sulla Terra.
Il suo sguardo non si distoglieva da Erenock e qualche istante dopo decise di sfilare con lentezza la lama. Lei arretrò di alcuni passi mantenendo in equilibrio la spada al suo fianco; goccia dopo goccia, il sangue scivolò lungo la lama fino a formare una piccola pozza ai suoi piedi.
Erenock si portò la mano destra sulla ferita e nel momento in cui dalla bocca uscì una riga di sangue, lui si lasciò cadere sulle ginocchia…; Dhebran fu portata via, Soem fu lasciata libera e tutti i nuovi burattini sparirono insieme alla donna.
Al sorgere del nuovo giorno, ogni abitante di Blyhank aveva ripreso le proprie faccende e dimenticato l’accaduto della notte appena trascorsa. Anche il vento si era alzato di buon umore quella mattina, soffiava lieve fra i vicoli della città e quando poteva, si soffermava sul tempio, dove i guerrieri alloggiavano.
All’interno della struttura l’aria era tranquilla – come del resto in tutta la città – gli unici suoni che si udivano erano quelli delle persone che si trovavano lì e che passeggiavano per l’atrio principale. Due figure, che si trovavano ai lati opposti dell’atrio, si stavano raggiungendo e la prima si pronunciò: «Qual è il suo stato?» si fermò Gorondha a pochi passi dalla Dea.
Lei, Hanna si avvicinò ancora e rispose alla sua domanda: «Non è dei migliori, Tagha gli ha procurato gravi danni… tuttavia lui ha la pelle dura se la caverà.».
Si salutarono e Gorondha si recò nelle stanze, dove Erenock riposava… entrata, si sedette accanto a lui, accarezzandogli dolcemente la fronte. Cominciò a pensare che tutto ciò che stava accadendo non sarebbe dovuto avvenire. Non riusciva a capire perché gli uomini volessero a tutti i costi, una vendetta, influenzando così addirittura alcuni ex membri del Luogo Proibito.
 
Erenock si svegliò e ordinò al nano di raggiungere i Difensori della Fede a Nits'Irc e di tenerlo aggiornato, invece lui, la Dea e le Sentinelle di Sangue rientrarono nel Luogo Proibito.
Quel mondo era in rovina… del Palazzo Ombrato non restava altro che cumuli di macerie e poche parti delle mura ancora in piedi.
Dovunque gli Èpiruss andassero, non lasciavano al loro passaggio altro che morte e distruzione e, dovunque Erenock posasse ora il suo sguardo non vi era altro che quello. Il dolore cresceva nel cuore di Erenock e la rabbia aumentava a dismisura, mentre i suoi occhi si gonfiarono di lacrime, e nessuna di esse osò rigargli il volto.
Le iridi s’illuminarono ed Erenock poté vedere cosa fosse accaduto….
Nel Luogo Proibito era in atto una guerra…. Un secondo gruppo era stato inviato lì per distruggere tutto ciò che era caro a Erenock: le poche terre rimaste del Luogo Proibito dovevano sparire. Questo era il piano di Ylloon….
Una guardia scoccò un altro colpo oltre la propria copertura, la freccia avvolta dalle fiamme colpì un Ellott dall’armatura grigia tra il collo e la piastra sul petto, facendolo cadere all’indietro nel terreno fangoso. Un Plinta tornò al riparo, era stanco, aveva paura, aveva quella consapevolezza di chi sta per fare gli ultimi respiri. Non si diede per vinto. Impugnò un arco e incoccò una freccia dalla punta ovale, valutando la situazione.
Il nemico avanzava… le sagome degli Ellott si muovevano attraverso il fumo e i detriti del campo di battaglia, mentre sulle loro teste uno stormo di Meterye rombò dirigendosi verso il nemico. Questi uccelli avevano una lunghezza di cinque metri e mezzo con un’apertura alare di tre e mezzo. Le loro ali erano identiche a quelle di un pipistrello con le zampe anteriori su di esse. Avevano il collo lungo circa cinquanta centimetri con scaglie di forma triangolare, di colore verde scuro. Il loro corpo non era formato di piume ma solo di pelle e scaglie molto resistenti alle lame; l’unica zona del loro corpo ricoperta di peli era la piccola coda. Gli occhi di colore marrone risaltavano sulla testa ovale e il becco appuntito, da dove sporgevano denti affilati. Diversamente dai pipistrelli, i Meterye erano dotati di un corno sulla fronte e di uno scarso olfatto, ma dalla vista e dall’udito fini.
I Plinta ripiegavano, la battaglia era persa, il contrattacco era diventato una rotta disordinata per la salvezza. I generali radunavano le guardie ancora in grado di combattere e formavano cerchi difensivi attorno alle coperture che il crinale offriva.
Il Plinta corse verso le linee imperiali, percorrendo in pochi istanti un piccolo tratto di terra di nessuno, sotto il fuoco del nemico. Si buttò in un cratere, mentre un colpo di energia azzurra sfiorò la sua armatura. Allineò l’ennesima freccia sul suo arco e un altro Ellott dall’armatura grigia cadde nel fango. Pregò la Suprema Imperatrice per la forza e la salvezza e si rialzò, correndo verso le trincee amiche. Saltò un parapetto ed entrò nella postazione difensiva.
Il nemico era distante all’incirca un centinaio di metri, gli Ellott erano supportati da una serie di armature di stazza maggiore che sparavano proiettili di acidi corrosivi e plasma verso chi ancora combatteva. Un Trikhen, una creatura per metà umana e per mezzo animale, superò le trincee solo per essere distrutto da un colpo di energia bianca sparato da una colossale armatura.
Un Ellott giaceva a pochi metri da lui, la guardia si avvicinò e cercò tutto quello che le sarebbe stato utile; una lancia, solo una lancia, in una situazione del genere, il Plinta ringraziò la Suprema Imperatrice del suo dono. Agganciò la lancia a degli attacchi dietro la schiena e si voltò verso la salvezza. Poi la vide… guardò la speranza di una razza che rifiutava di soccombere, la strenua difesa degli abitanti del Luogo Proibito contro l’oscurità e la volontà delle Sentinelle di Sangue, infilò una spada che aveva trovato nel fodero e scavalcò la trincea.
Corse verso il nemico, un Ellott gli puntò un’alabarda addosso, ma la guardia lo trafisse nella giuntura dell’armatura, imbrattando la divisa di sangue scuro. Una guardia in ritirata smise di correre verso la salvezza, ma iniziò a correre verso la vittoria. Una dopo l’altra, le guardie sopravvissute corsero assieme, falciando gli Ellott, stupiti di tanto coraggio e audacia, che furono colpiti da raffiche di fuoco e infilzati da pugnali, lance e alabarde.
I generali guidavano le truppe, uccidendo con le spade potenziate chi si opponeva. Un Ellott uccise ancora due combattenti nemici. Con l’alabarda ormai resa inutile, tirò fuori dal fodero la spada dalla lama di ghiaccio e corse verso una delle armature. Questa si voltò verso il Plinta, la freccia non fece in tempo ad agganciare la guardia che questa le lanciò contro una lancia con una sfera di energia infilzata nella punta. L’esplosione proiettò frammenti e detriti in tutte le direzioni, i restanti nemici furono costretti alla ritirata, l’esercito della seconda organizzazione conquistò il Palazzo Ombrato.
Heetan Zzirph, il capo della seconda organizzazione, gli Èpiruss, osservava il campo di battaglia che si trovava ai piedi del Palazzo Ombrato. La situazione stava rapidamente peggiorando per gli invasori, non abituati al terreno ghiacciato e le condizioni climatiche del Luogo Proibito di quel momento. La tempesta che imperversò per giorni non aveva permesso al nemico di andare avanti come previsto, incapace di muoversi nella neve, con la loro artiglieria inutile in mezzo alla tormenta.
Nel frattempo, gli esploratori del Grande Heetan Zzirph avevano continuamente fatto incursioni in campi ostili, e con ogni attacco possibile avevano fatto tacere un elemento chiave dell'esercito avversario…. All'alba del ventesimo giorno Heetan Zzirph aveva incontrato la sua compagnia e aveva condotto un attacco mortale al cuore del nemico: il Palazzo Ombrato.
Ora il leader stava guardando l'esito di una battaglia perfetta diretta verso la vittoria finale. Intorno a lui la sua guardia, chiamata il Leone Dorato, stava finendo per eliminare i resti della forza d'attacco che aveva cercato di attaccare direttamente il suo signore.
Solo uno di loro era rimasto in piedi: un gigante che lottava con la brutalità tipica di uno Zzirpen, faceva oscillare la sua spada, e con il tempo avrebbe potuto tenere a bada la sua guardia. Brandendo il martello, Heetan Zzirph si avvicinò lentamente alla bestia, ordinando al Leone Dorato di farsi da parte. La bestia rimase per un attimo in silenzio, ansimando, poi l’animale guardò il guerriero con gli occhi iniettati di sangue da cui permeava un forte desiderio di sangue.
I due cominciarono a girare in tondo…. Heetan Zzirph, nel silenzio più assoluto parlò: «Così… solo noi due, e le nostre armi, cane schifoso.».
Un salto, un colpo di spada e il gigante, esalò il suo ultimo respiro…. Non vi erano più avversari, non che uno soltanto, in lontananza, un Trikhen: dalla testa al bacino aveva sembianze umane, tuttavia il resto del suo corpo riportava all’essere un serpente. I suoi occhi gialli e le lunghe unghie affilate lo facevano apparire più mostruoso di quanto non fosse. Alla vita, una cintura con una fibbia, a rappresentare un occhio centrale, un cerchio esterno e quattro punte ai lati, che simboleggiava il potere della Suprema Imperatrice su quella razza.
Un ultimo ancora e poi il popolo del Luogo Proibito sarebbe stato estinto…. Heetan Zzirph non volle sprecare altro tempo, allungò la mano nella direzione del Trikhen e dal suo palmo fuoriuscì una piccola sfera di energia che gli scagliò contro. Colpì quella creatura in pieno petto fermandogli per sempre il cuore.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** La bussola ***


Ventiduesimo capitolo
 
La bussola
 
 
 
 
Soem e Gorondha avevano perlustrato le varie terre e oltre i cadaveri in putrefazione e alle macerie, non vi era anima viva. Entrambe ritornarono da lui facendogli rapporto, mentre Erenock proferì una semplice parola, che si trasformò in una domanda da cui avrebbe determinato il futuro del Luogo Proibito: «Nessuno?».
E la risposta fu altrettanto semplice e breve: “No”.
«I Gavoth sono andati ben oltre la mia pazienza, non sarò più così magnanime.» il tono della sua voce era cambiato e sembrava voler esplodere in un grido disumano, ma si trattenne.
Erenock dimostrò ancora una volta, anche se in un’occasione così terribile, di avere il pieno controllo delle proprie emozioni.
«Non fare di tutta l’erba, un fascio, non tutti i mortali meritano la tua collera… se devi, punisci solo chi ha fatto parte a quest’orrore. Vendicati di chi ha distrutto il tuo mondo, non degli innocenti.» la Dea s’intromise cercando di evitare un’ennesima e inutile strage.
Improvvisamente si udì il nome di Erenock provenire dall’aria. Continuava a riecheggiare come l’eco fra le pareti delle montagne e sembrava non volesse fermarsi. Un rimbombo nell’aria catturò la loro attenzione, videro dal cielo, scagliarsi contro il suolo, un fulmine, e da esso materializzarsi la Donna Velata; quest'ultima compì solo due passi e poi crollò stremata.
Gorondha e la Dea si precipitarono ad aiutarla, ma lo stesso Erenock le fermò, gridando loro, con grinta e determinazione, di non toccarla. Le due si stupirono di essere state fermate e si allontanarono da lei.
Lui le chiese spiegazioni e la Donna Velata con mani e piedi nella neve fangosa rispose: «Sono giunti e hanno distrutto, ucciso… senza alcuna pietà, persino donne e bambini.». All’opposto delle lacrime di Erenock, quelle della Donna Velata osarono e come rigarle il volto, scivolando liberamente sulla pelle.
Erenock sapeva chi aveva potuto causare tanta distruzione: gli Èpiruss. Nel suo cuore cresceva solo rabbia…. Li conosceva quei combattenti… più spietati dei Balarm. Lui non avrebbe avuto pace finché ogni creatura non fosse stata vendicata.
Quella vista disgustava ognuno di loro e la Dea si rivolse alla Donna Velata: «Cosa ti ha ridotto in questo stato?».
«Ho consumato la mia energia per portare in salvo, quante più creature potevo, ora non mi rimane che la “fine”.» rispose lei cominciando a svanire.
Erenock prese Arzzekan e prima che la Donna Velata scomparisse del tutto, assorbì la sua restante energia conservandola.
Si allontanò da loro senza dire una parola e raggiunse una botola a pochi chilometri da quel punto. Scese allora una lunga scala a pioli immersa nel buio e sul fondo, accese una torcia grazie alle scintille emanate dallo schioccare delle dita.
La torcia che impugnava non era di ferro ma un comune bastone di legno coperto con lino attorcigliato e imbevuto di olio; illuminò distintamente un’area di sei metri e avanzò in un tunnel dall’alto soffitto, tuttavia largo soltanto un metro.
Procedette facendo molta attenzione a evitare le mortali trappole che vi furono nascoste in passato. Giunto in una sala circolare dal soffitto basso e colmo di stalattiti di pietra, si fermò nel mezzo osservando le stalattiti sopra la sua testa.
La sua attenzione però ricadde al centro del pavimento, dove c’era incastrata una pietra rossa semi nascosta dalla polvere, che recuperò e pulì. Bastò che lui la sfiorasse soltanto, perché si udisse un rimbombo provenire dal suolo.
Parte del pavimento crollò cedendo il posto a una colonna di pietra e terra. Essa si elevò fino a toccare le stalattiti e, tutto ciò che la avvolgeva, si ritirò in essa. All’interno si trovava custodito un vecchio arco: era lungo e aveva la forma di un paio di ali e, completamente realizzato in glafone bianco.
Uno sguardo e una breve esitazione…. Ritornò in superficie nel momento in cui il Luogo Proibito cominciò a crollare. Una leggera brezza soffiò per la prima volta dal loro ritorno su quel mondo: li accarezzò dolcemente alleviando il loro dolore.
 Quel bellissimo mondo stava morendo e prima che portasse con sé anche altro, Erenock impugnò l’arco e afferrò fra le dita la corda, materializzando così la freccia.
Chiamata Soffio del Drago, aveva l’asticciola impregnata con una resina speciale fatta dagli stessi draghi e con una punta leggermente più larga piena di un velo di fuoco. Delle fessure sulla punta forzavano il passaggio nella camera di scoppio quando la freccia era scoccata, facendo sì che il velo e l’asticciola prendessero fuoco.
Erenock tirò verso di se la freccia più che poteva e alla fine scoccò e proprio allora, mentre la freccia volava in aria, le fessure sulla punta emisero un lieve stridio.
“Andate”, fu l’unica parola che Erenock disse alle tre. Le tre non gli diedero modo di replicare… aprirono un portale per la Terra e lo attraversarono mentre lui restò a guardare la freccia colpire il suolo. L’impatto fu devastante e l’esplosione distruttiva; Erenock vide morire la sua terra senza poter far nulla.
 
Si riunirono tutti intorno a un tavolo in una locanda della capitale Nits’Irc che fecero abbandonare per riservatezza. Clegan, senza troppe cerimonie, pose la scatola a Erenock, che la aprì prendendone il contenuto: un sacchetto di cotone bianco chiuso da nastri di seta colorati.
Si trattava della bussola di cui Sanna aveva parlato…. La forma circolare dal diametro di sette centimetri rendeva il manufatto equilibrato e con le decorazioni floreali e gli spazzi vuoti forati, lo presentavano come un prodotto perfetto ed elegante. Altrettanto raffinato era il materiale con cui era stato costruito e il cordino ha cui era appesa: glafone giallo fuso insieme a minuscoli frammenti di diamenite – intreccio di peli di unicorno argentato.
A un suo solo tocco la bussola si aprì mostrando all’interno una lieve protuberanza biancastra…. I presenti erano stupiti del misero contenuto e Narhod pose la sua domanda: «Spiegaci, come indicherebbe un cammino se non ha direzioni o simboli?». Il Difensore della Fede era perplesso sul manufatto in questione e ne aveva poca fiducia….
«Per essere attivata a bisogno di qualcosa da cercare.» gli rispose il comandante quando alzò di netto il capo perché all’entrata della locanda c’era Ylloon….
Si armarono tutti mentre la strega avanzò verso di loro allungando la mano pronta a ricevere qualcosa: «Dovreste cedermi la bussola per la vostra sicurezza.».
«Scordati il manufatto, non cederemmo nulla ai Gavoth, né ora né mai.» esclamò Narhod contrariato, come del resto anche tutti gli altri, dalla sua presenza lì.
La strega lasciò cadere il braccio lungo il fianco disegnando sul suo volto un sorriso beffardo rivolto a quelle insulse persone che si ostinavano a combattere contro di lei e la sua famiglia. «Non potete niente contro i Gavoth, arrendetevi adesso prima che sia troppo tardi per tutti.».
Erenock le andò incontro e fermandosi a un paio di metri da lei, calmò il suo animo prima di parlare: «La Congregazione della Luce con tutta la potenza che possiede non è in grado di respingere il Concilio dell'Ombra, purtroppo per voi però adesso ci sono io e per quanto mi riguarda, non darò alla tua gente un solo pretesto per colpire ancora.».
Lei ed Erenock erano in parte simili, nessuno dei due desiderava manifestare le proprie emozioni. Erenock attendeva… la mano destra della strega si avvolse di energia oscura che scagliò contro di lui, ma non fece in tempo che Erenock la afferrò per la gola, bloccando sia il suo attacco, che la stessa donna.
Lei non riusciva più a muoversi… bloccata da quella mano possente, cercò in tutti i modi di liberarsi, ma ogni suo muscolo sembrava caduto in un sonno profondo: era ora alla sua mercé.
Ylloon però riusciva ancora a parlare anche se con difficoltà: «Uccidimi, ma ti avverto, compiere questo gesto porterà alla tua disfatta.».
«Molte volte sono stato sul punto di essere distrutto, ma c’è sempre una buona stella che veglia su di me. Ascolta con attenzione perché non ripeterò le mie parole… se spezzerai un’altra sola vita, allora non ti darò pace… è una promessa.» Erenock lasciò la presa e la strega retrocedette cercando di alleviare il dolore alla gola.
Per sua fortuna, l’Uomo del Nero della Notte era giunto in un luogo a loro familiare con un’altra parte del piano: doveva tenere in ostaggio la regina Ardhenya. Così Ylloon avrebbe potuto ricattarli per avere il manufatto.
Ormai a conoscenza dell’intero piano della strega, Soem cercò di prendere tempo e così sfruttò l’argomento che più interessava la strega: i suoi figli. «Non ritorneranno i tuoi figli, Ylloon, non così, non se continui a sacrificare vite innocenti, per il sangue. Rassegnati e troveremo una soluzione alternativa.».
«Con il sangue i miei figli sono stati rinchiusi nell’Oblio Eterno e con il sangue ne usciranno.» Ylloon era convinta di questo e anche se ci fossero state altre possibilità, lei avrebbe scelto in ogni caso quella, per vendetta.
Un improvviso rombo squarciò l’aria e in molti si ritrovarono in un luogo lontano, vicino a molti innocenti.
Sulle rive del lago vicino, le betulle iniziavano a vestirsi di smeraldo. Si riflettevano nello specchio d’acqua gelida e danzavano lente insieme al vento del Nord, che le muoveva dolcemente, accarezzandole con pigrizia malinconia e nobile. Le margherite sbocciavano nell’erba che cominciava a crescere, in mezzo al muschio umido che sapeva di terra e selva, tra i sassi scolpiti dall’eternità dei tempi.
Un merlo saltellava tra i rami di un bellissimo cespuglio di fiori viola che declinava verso una spiaggia di sabbia bianca. Piccole onde regolari ritmavano il lento ciclo del sole che si spostava nel firmamento. Da quel punto, tutti loro videro l’astro che saliva da dietro una montagna e il cielo di una profondità turchese mai vista.
Si guardarono intorno, meravigliati da quel luogo e alla loro presenza, a interrompere quel godimento, comparvero ancora loro, le Sorelle Harwin.
All’appello sembrava non mancare nessuno, ciò nonostante Erenock chiamò qualcun altro…. Apparvero tre donne e un uomo: la prima si chiamava Jaihugo appartenente alla “Fascia di Ulrich” che separava in due parti il sistema solare. Vestiva con un completo a due pezzi di pelle molto decorato, più conciso, leggero e composto in alcuni punti da velluto rosso e nero.
La seconda e la terza rispettivamente Arduin e Nemaria provenivano entrambe dalla “Cintura di Ottabia”, costellazione molto importante del Luogo Proibito.
Arduin dai capelli biondi indossava un’armatura a due pezzi di cuoio scuro con larghe spalline e bracciali che proteggevano gli avambracci. Lungo la vita portava un coltellino mentre ginocchia e gambe erano coperte da lunghi stivali abbinati a una coppia di ginocchiere. Nemaria invece era abbigliava con un corpetto di pelle marrone scuro che scendeva in un gonnellino; a protezione del busto c'era un parapetto di platino lavorato mentre bracciali, spalliere, ginocchiere e calzari andavano a proteggere rispettivamente arti superiori e inferiori.
Alla fine l’uomo di nome Elos proveniente anch'egli dalla “Fascia di Ulrich”, ma distante anni luce da Jaihugo, vestiva con un completo di pelle nero composto, da pantaloni piuttosto aderenti e un corpetto smanicato che si apriva lungo il petto, decorato da borchie di metallo. Alla vita portava una grossa cintura lavorata di colore nero, mentre ai polsi dei grossi bracciali di cuoio e metallo, eleganti.
«Altri giocatori in una partita che sembra non avere termine.» la strega fu schietta nel pronunciare le sue parole, tuttavia fu anche sfrontata giacché per la sua “squadra” giunsero anche Kashda e l’Uomo del Nero della Notte.
Horazz e gli Dèi osservavano in gran silenzio la scena che si presentava lievemente cruenta. Il mago che studiava con difficoltà ogni presente, si limitava, con sforzo sovrumano, solo a controllare le loro mosse, comprese quelle stesse dei Gavoth. Horazz così sbuffò e si pose delle domande: «Perché porre altre persone in campo? Quali sono i piani di tutti loro?».
L’aria che si respirava fra il numeroso gruppetto, situato sul confine fra la terra e il mare, diventò sempre più cruente, ma al contempo stabile. Gli amici di Erenock, sotto il suo stesso ordine si posero da parte senza intervenire.
Kashda fece la prima mossa… sicura di se e briosa attaccò Erenock, che fu d’altro canto prontamente difeso da Jaihugo, la quale s’interpose fra lui e la donna. La stella spiegò le sue ali piumate avvolte da uno strano bagliore che emanava calore; fili invisibili partirono dalle stesse ali e avvolsero la donna…. Colpi di spada e si liberò dai fili ripartendo all’attacco.
A quel punto Jaihugo si lanciò nuovamente all'attacco e con un'azione rotatoria volante evitò il suo pugno portandosi dietro di lei e colpendola alla schiena. Kashda cadde a terra, ciò nonostante scattò in piedi con estrema facilità.
Arduin al contrario s’inframmezzò fra il colpo, che l’Uomo del Nero della Notte aveva scagliato e, Soem, essendone travolta. A proteggere le due giunse Elos che si collocò alle spalle di Arduin, trattenendo la potenza dell’attacco. Alla fine quella forza cessò di esistere diventando aria.
Al combattimento si aggiunse Nemaria che con una reazione d’istinto, colpì con un calcio rotante artigliato l’Uomo del Nero della Notte al volto, scaraventandolo via. A quel punto intervenì Ylloon, che si lanciò all’attacco di Nemaria; per la sfortuna della prima, tutti gli attacchi furono agilmente schivati.
Kashda rinfoderò la spada e attivò il suo nuovo potere donatole dalla stessa Tagha: i suoi capelli ricci si allungarono, diventando di un rosso sangue… gli occhi castani cambiarono in giallo dalle estremità verdi, la cicatrice divenne più evidente e sostituì persino il suo abbigliamento. Un abito viola con un nastro rosso intorno alla vita, copriva il suo corpo: nella parte superiore del vestito, si materializzò un gioiello di corniola con un bordo d’oro e in aggiunta indossava guanti e lunghe calze nere senza dita.
Kashda era solo a metà della sua trasformazione, infatti, le spuntarono ali di pipistrello e artigli affilati sia alle mani che hai piedi. Completata la sua metamorfosi, con uno scatto felino, piantò gli artigli dei piedi nel petto di Jaihugo sbilanciandola all’indietro e con quelli delle mani le bloccò le braccia.
Jaihugo però riuscì a scaraventarla via, ma nel frattempo l’Uomo del Nero della Notte abbassò improvvisamente le braccia e Jaihugo fu travolta in pieno dalla gigantesca sfera di energia. Lui rialzò le braccia con movimento rotatorio al cielo e la sfera schizzò in orbita fino a sparire nel cielo. In fine l’uomo collassò al suolo e fu raggiunto da Ylloon con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Jaihugo riapparve di fronte ai tre del concilio puntando Kashda, alzò al cielo le mani e si materializzò in un istante la sfera che l’aveva colpita…. Caricò tutta l’energia raccolta nella mano destra, la alzò in diagonale dal basso verso l’alto e formò una fiamma azzurra che contrastò la sfera.
La sfera era sulla loro linea di tiro e niente l’avrebbe deviata, ciò nonostante, Kashda si frappose tra i due e la sfera così da bloccarla. La tenne ferma permettendo ai due di scappare… scomparvero tutti e tre e la sfera finì con lo schiantarsi in acqua provocando una gigantesca esplosione.
Lo schianto alzò una colonna d’acqua che li raggiunse in pochi secondi bagnandoli e, mentre le Sorelle Harwin si allontanarono senza farsi notare, gli altri si ritrovarono nuovamente alla locanda.
«Come siamo arrivati fino a questo punto?» domandò confusa la Dea e mantenendo lo sguardo basso.
«Orgoglio.» disse semplicemente Erenock. Si spostò lateralmente fissando la Dea e avvicinandosi a lei lentamente continuò…: «Ogni passo che abbiamo compiuto è stato calcolato fin nei minimi dettagli, io non lascio niente al caso.».
«Tutta questa storia sembra un enorme e inutile groviglio, che di sicuro poteva essere evitato.» sostenne la Dea fissandolo negli occhi.
«Partiremo seduta stante e con noi verrà Clegan senza discussioni.» Erenock aveva parlato e i suoi ordini non si mettevano mai in discussione.
 
Era ancora buio la fuori e il vento soffiava leggero e il silenzio era il padrone assoluto…. Erenock giaceva tranquillamente sull’erba, sveglio, mentre gli altri dominavano nelle immediate vicinanze.
La notte appena trascorsa gli aveva portato molteplici consigli e li stava studiando uno per volta. La sua concentrazione fu distratta da qualcuno che si avvicinò a lui silenziosamente: era Soem.
Si sedette di fronte a lui e restò a fissarlo negli occhi fin quando gli pose una domanda: «Quando arriverà?».
Erenock restò a osservare il cielo stellato e le rispose: «Presto… e con lei giungerà anche una guida che ci aiuterà volentieri.».
Intanto ad Aregiak, i due gruppi si stavano annoiando. Si trovavano in una sala del palazzo adibita ai piaceri della vita, dove divani, cuscini, tende, lenzuola e altro ancora rispecchiavano in pieno i vizi capitali. In tutta la stanza si vedevano sia colori scuri e spenti, che colori chiari e accesi, a dimostrazione della perversità di quella gente.
«Come vuoi procedere adesso?» domandò Heetan Zzirph restando sdraiato sul divano, mentre bellissime ancelle lo servivano.
«La prossima mossa sarà eseguita da Kashda proprio all’alba di domani.» rispose Ylloon restando sdraiata sui morbidi cuscini a guastare del buon vino [1] Paganoro.
«Non hai risposto alla mia domanda.» le fece notare l’uomo sorseggiando poi una coppa di vino.
La strega si alzò dal divano e si avvicinò alle grandi vetrate; guardò il cielo stellato, la luna risplendere nel firmamento e alla fine di un profondo respiro rispose: «Verificherete con i vostri occhi la mia prossima mossa.».
«Spero che non ti spingerai oltre la linea del tuo confine, perché Erenock non lascerà passare una seconda volta.» intervenne Horazz entrato nella stanza da alcuni secondi.
«Non temere come lui anch’io calcolo i miei piani nei minimi dettagli e fino ad ora sono proseguiti come io volevo.» controbatté alle sue parole in modo soddisfacente.
«Finirai soltanto per commettere degli errori di cui poi ti pentirai.» Horazz aveva i suoi piani da attuare e quelli di Ylloon gli erano d’ostacolo.
«Metti in dubbio la riuscita dei miei piani?» gli domandò voltandosi verso di lui con la rabbia stampata sia sul suo volto, che su tutto il suo corpo.
«Non è questo, quello che intendevo dire… i tuoi piani riusciranno al cento per cento, tuttavia il punto che io intendevo portare alla tua ragione è un altro.» si fermò per lasciare che la strega si calmasse e proseguì nel suo discorso, «I tuoi nuovi “alleati” ti hanno aiutato a distruggere ciò che restava del Luogo Proibito uccidendo ogni essere vivente, e lui ha mantenuto la calma, ma come tutti noi anche Erenock può raggiungere il limite e stancarsi, per questo motivo non diamogli occasione di eliminarci in modo definitivo.». Horazz aveva chiarito i suoi punti di vista e sperava che lei si convincesse a non attuare i suoi piani per affrettare l’ira del Comandante Erenock.
Prima che Ylloon potesse ribattere ancora una volta le parole di Horazz, intervenne Heetan: «Il maghetto qui ha ragione, sarebbe imprudente attaccarlo nuovamente adesso.». Heetan parlò con tale strafottenza da far irritare Horazz, ma non abbastanza da farlo reagire.
Ylloon annuì per stabilizzare la situazione, tuttavia nella sua testa non avrebbe mai ascoltato i loro consigli. Lei desiderava vendetta e l’avrebbe ottenuta in qualsiasi modo o mezzo possibile. Lasciando la sala come se avesse accantonato i suoi piani contro Erenock, Ylloon aveva altre idee da attivare.
Gli Dèi come sempre controllavano le vicende degli uomini per la paura di una ribellione o per l’assenza di fede nei loro confronti, che di giorno in giorno si stava indebolendo. L’Osservatorio era continuamente circondato da almeno tre Dèi e le tensioni delle vicende che si susseguivano fra i mortali e i loro ospiti si sentivano anche fra loro.
«Gli uomini stanno acquistando fiducia nelle Sentinelle di Sangue, anche se non ricordano nulla.» disse Serreiv girando intorno all’Osservatorio facendo scivolare l’indice sul bordo e spostandolo poi su Tenrett.
Si fermò al suo fianco accarezzandolo sul collo, mentre Tenrett era concentrato su ciò che stava vedendo nel fluido dell’Osservatorio. “Mi sbagliavo”. Non disse altro.
Lei lo guardò e chiese: «Su cosa?».
«Dall’inizio abbiamo tenuto d’occhio la Congregazione della Luce e i suoi affiliati, quando invece avremmo dovuto controllare i Gavoth e i suoi seguaci.» le rispose Tenrett allontanandosi dall’Osservatorio e accostandosi a una sedia di legno intagliato a mano per sedersi.
«Io non capisco cosa intendi dire.» Serreiv avanzò verso di lui per qualche metro, poi si fermò di colpo attendendo che lui le spiegasse.
«Tenrett vuole dire che i Gavoth tramano qualcos’altro, oltre far ritornare i figli di Ylloon… qualcosa di pericoloso.» intervenne Ardenas mentre avanzava verso i due a passo lento, spostando ripetutamente lo sguardo su entrambi.
«Il doppio gioco, ma perché? Qual è il vero obiettivo?» Serreiv guardò Tenrett cercando nei suoi occhi le risposte alle sue domande, ma non trovò altro che niente.
«Dobbiamo tenere d’occhio quella famiglia, ma soprattutto Ylloon, lei è una persona furba e quando si tratta dei figli, è addirittura spietata. È capace di fare il doppio gioco alleandosi con chiunque.» restò fermo sulla sedia a contemplare, mentre le due pensavano alla sorella che avevano fatto esiliare.
«Ora ci sarebbe servito l’aiuto di Hanna, purtroppo non è più fra noi.» intervenne Falock entrato nella sala accompagnato da Yadir e Robert.
«Hanna ha tradito la sua famiglia e merita di restare dove si trova.» disse Serreiv con voce ferma e tono autoritario.
«Calmatevi madre, la nostra unica preoccupazione è di evitare che qualcuno ci scavalchi.» intervenne Robert calmando e rassicurando la madre, mentre si rivolgeva anche agli altri. Fece una breve pausa poi riprese esponendo alla famiglia i suoi piani: «Ci divideremo i nostri protagonisti, i Gavoth, i Difensori della Fede e le Sentinelle di Sangue, così saremo in grado di anticipare tutte le loro mosse.» tutti furono della medesima opinione e si misero all’opera.
Gli Dèi erano decisi nel loro intento e nessuno li avrebbe fatti cambiare idea. Del resto non erano gli unici, altri come i Gavoth e Lucifero avrebbero continuato senza esitazione a perseguire nei loro piani fino a quando non avrebbero raggiunto il loro obiettivo. Alla fine erano sempre le stesse “cantilene”.
Erenock si era allontanato dagli altri a osservare meglio il cielo in completa tranquillità. Restò a fissare le stelle e a farsi accarezzare dalle brezze che il vento portava passando da quelle parti.
Quando la luna fu lasciata libera dalle nuvole, nella sua luce si udì una voce chiara rivolgersi al comandante: «Non c’è tempo per spiegare, apri la bussola e trova la Fonte del Legame.».
«Che cos’altro è accaduto?» domandò Soem con aria preoccupata, mentre si avvicinava a Erenock.
Fluttuò più vicino ai due e rispose con voce preoccupata e leggermente terrorizzata: «Ylloon ha trovato in qualche modo la fonte e come lei anch’io sono in grave pericolo.». Cercò di continuare, ma scomparve quando la luna fu nuovamente oscurata.
Nello stesso istante invece Ylloon era intenta a conversare con Kashda, nelle sue stanze. Quest'ultima continuò a seguire con lo sguardo l’irritata strega che camminava avanti e indietro per la stanza, brontolando.
«Consumerai il pavimento così.» disse Kashda sedendosi sul bordo del letto. Lei era annoiata da quell’andirivieni, tuttavia restò per via degli stessi obiettivi.
«Conosci i miei piani, fa ciò che devi… adesso.» le ordinò la strega. La donna si alzò dirigendosi verso la porta e afferrando la maniglia, la tirò verso di se, mentre Ylloon la fermò. «Usa questo per spostarti, nessuno potrà rintracciarti.» Ylloon le diede qualcosa avvolto in un panno marrone, che Kashda nascose nella sua gonna, poi uscì per compiere i suoi doveri.
Erenock si era seduto accanto a un masso piatto e tondo, restando a dorso nudo e con le gambe incrociate…. Le mani che lui aveva poggiato sulle cosce con i palmi rivolti verso l’alto, si riempirono di sangue e nemmeno una goccia traboccava.
Un velo di sudore cominciò a ricoprire lentamente il busto, segno che stava usando molta energia corporea…. Nello stesso istante Kashda diede una rapida occhiata in giro e cercò di avvertire la sua presenza.
Fu semplice per lei trovarlo e non appena capì dove si trovasse, si catapultò da lui. Il Trasportatore l’aveva avvicinata molto al suo obiettivo, tuttavia avrebbe dovuto percorrere della strada per poterlo raggiungere.
Erenock intanto continuava la sua meditazione senza perdere la sua concentrazione nemmeno per il più futile dei rumori. I suoi polmoni si riempirono d’aria ogni cinque secondi mantenendo il respiro e la calma sotto controllo. Nulla del suo corpo si muoveva, persino i capelli erano immobili con la dolce brezza che si era alzata, portando con sé non solo dei profumi.
«Cedimi la bussola e me ne andrò.» per Kashda sarebbero bastate quelle uniche parole a convincerlo, però lo conosceva e sapeva che non lo avrebbero neppure smosso.
Silenzio da parte del Comandante Erenock….
Kashda si allontanò dagli alberi e avanzò con cautela verso di lui. Allungò il braccio e aprì la mano per ricevere nel palmo l’oggetto in questione. «Io non sono qui per giocare.».
Ancora silenzio e nessun movimento….
Si leggeva un accenno d’irritazione negli occhi della donna e continuò a pretendere senza esitazione: «Ragiona guerriero perché altrimenti non mi darai altra scelta che ucciderti con Tagha… e nemmeno tu ne sei immune.».
C’era quiete nell’animo di Erenock che si estese a tutto il suo corpo e a ciò che lo circondava….
Stettero immobili a osservarsi separati da meno di sei metri nel piccolo spazio illuminato dalla luna. La donna lo maledì nella sua lingua, il lato oscuro di Erenock fece lo stesso, schernendola. Lei aveva solamente un coltello che faceva danzare elegantemente in aria… poi alzò Tagha ed emise un grugnito di sfida.
Furibonda, partì all’attacco, ma dopo il suo secondo passo fu fermata da un dolore acuto. Una freccia o un pugnale le era penetrato nella schiena. Una trappola.
I suoi polmoni si riempirono di fluido e si sentì sempre più debole a causa della ferita. Era più seccata che furiosa. Avrebbe dovuto aspettarsi qualche scherzo da queste persone, alle sue spalle, però non c’era nessuno.
Cadde infine, la sua preziosa spada le sfuggì dalle dita che sembravano riluttanti a lasciarla andare, anche nella morte. Da un punto immerso nell’ombra, affiorò un’altra figura.
 
 
[1] Paganoro è un vino pregiato distillato dalla famiglia Paganoro nell’Isola dello Squalo, esportato in tutte le terre.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Sacrificio ***


Ventitreesimo capitolo
 
Sacrificio
 
 
 
 
Chi era?
Da dove veniva?
Qual era il suo obiettivo?
Per chi lavorava?
Kashda non smetteva di porsi domande, che avrebbero avuto una risposta. Cercò di distendere nella sua mente un piano che la potesse aiutare a liberarsi di quella situazione scomoda.
La donna apparsa si era dimostrata agile e aggraziata, vestita con abito coperto di pietre preziose e sufficientemente corto da essere allo stesso tempo pratico e sensuale.
In una mano aveva una piccola balestra con il meccanismo a ripetizione. Avanzò fra i cespugli, i rami spezzati e le foglie cadute fino ad arrivare sopra la donna sanguinante.
«Che cosa vuoi farne di lei?» gli pose la domanda senza alzare lo sguardo verso di lui, mantenendolo però sulla donna a terra.
Erenock che non si era mosso di un millimetro, spalancò gli occhi e si alzò da quella posizione per avvicinarsi alle due donne. Il suo sguardo restò fermo su Kashda, poi i suoi occhi si spostarono sull’altra: capelli scuri intrecciati sulla testa da fiori e nastri colorati che incorniciavano un volto ovale, adornato da strani occhi scuri. «Ritornerà da dove è venuta. Porterà con sé quella spada che non ha fatto altro che causare danni.».
«Come tu preferisci.» la donna gli fece un cenno col capo e poi aiutò Kashda a mettersi in piedi. La poggiò contro la corteggia di un albero e le pose una mano sul petto per bloccarla.
Recuperò Tagha facendola fluttuare nell’aria per non toccarla e la lasciò davanti agli occhi della donna perché se la prendesse. «Io non esiterei a riprendermela e ad andarmene, perché non avrei un’altra possibilità.» la donna le diede un semplice consiglio che ora spettava alla moribonda di accettare o no.
Kashda non riusciva a non fissare quella donna dalla testa ai piedi. Senza esitare ancora impugnò Tagha che le diede energia per combattere. Rimarginate le sue ferite andò contro i due per ucciderli. Mutò la sua persona come in precedenza e si accanì contro la sconosciuta con violenza inaudita.
Nel corso dello scontro, Kashda era in qualche modo riuscita a sottrarre la bussola a Erenock. La sconosciuta però gliela strappò di mano facendola inavvertitamente cadere a terra. L’oggetto rotolò nell’erba fino a fermarsi contro le radici di un vecchio albero: lì si aprì.
«Fermi.» gridò Kashda puntando la spada contro i due, «Se farete solo un altro passo, distruggerò la bussola. Sappiamo bene tutti che non può essere riparata… quindi vi consiglio di riflettere prima di agire contro di me.». Diede loro un avvertimento prima di indietreggiare per avvicinarsi alla bussola il più possibile.
Uno strano rumore alle spalle dei due li fece voltare e dare modo a Kashda di prendere la bussola e fuggire. Costatato che si trattava di un cucciolo di cinghiale, i due ritornarono con la mente e il corpo sulla donna, che ormai era sparita.
All’alba del giorno dopo Erenock e compagni stavano cavalcando inseguendo Kashda per recuperare la bussola. Attraversarono la boscaglia che circondava la capitale e sotto ordine di Erenock si fermarono.
Lui stesso smontò da cavallo e dando una rapida occhiata in giro, ordinò a tutti di non muoversi. Si avvicinò a Clegan e gli diede Dhebran dal verso della lama… consegnandola a lui era come se gli avesse ceduto il comando.
Non diede spiegazioni e si lanciò all’inseguimento della donna. Mentre lei volava alto sopra la palude, lui correva veloce e silenzioso sotto di lei. Non si trovavano artefatti come quella bussola, inoltre era impossibile ricreare un manufatto simile: era unico nel suo genere.
La sconosciuta contraddisse gli ordini del comandante e lo seguì; fischiò richiamando così una sua cavalcatura.  Alcuni istanti dopo videro in lontananza una luce azzurra farsi largo attraverso la vegetazione. Si fermò dinanzi a loro con un assordante boato, tanto rumoroso da far spaventare i cavalli.
La luce azzurra cedette il posto a un bellissimo Ruicorno: i suoi particolari lo portavano ad accentuare la sua somiglianza con l’unicorno…. Era un bellissimo animale dalla pelle bianca e dai crini azzurri… la coda risaltava per la sua lunghezza e i folti crini presenti alla sua fine. Il contrario era la criniera, corta pochi centimetri e a differenza dei cavalli o di altre specie affini, il Ruicorno aveva delle sottili ma resistenti zampe munite di zoccoli bipartiti e di un corno all’interno bianco e all’esterno bluastro, adornato dalla polvere in eccesso che il suo stesso corno produceva.
«Che tipo di animale è questo?» chiese Clegan avvicinandosi con cautela cercando di non fare movimenti bruschi.
«È un lontano cugino degli unicorni, la sua razza è chiamata Ruicorno…. Queste creature hanno un carattere docile, gentile e servizievole, tuttavia c’è un aspetto negativo, se si sentono minacciati, il loro aspetto cambia radicalmente.» la donna si fermò un attimo ad accarezzarlo e poi continuò notando la loro curiosità, «Diventa di colore nero, dalla corporatura ossuta… il suo muso diventa un becco adunco e affilato sotto occhi dotati di una vista molto acuta. Compare anche un piumaggio con diversi colori sulla groppa e, le sue zampe diventano come quelle delle aquile, dotate di artigli.» con quelle informazioni, lei sperava che la curiosità si fosse esaurita, ma vedendo la loro espressione capì che non era a fatto così.
«Immagino che il loro carattere cambia diventando instabile e irascibile.» la Dea fece la sua intuizione sperando di avere altre informazioni poiché creature di un diverso mondo la affascinavano.
«Perspicace… nel Luogo Proibito un tempo erano usate come cavalcature durante pericolosi viaggi o nel corso di qualche guerra, purtroppo poi hanno iniziato a cacciarli per la loro carne tenera e il corno preziosissimo, portandoli così quasi all’estinzione. Spero che ora siate soddisfatti?» li guardò e montò sul Ruicorno.
La sconosciuta si lanciò così all’inseguimento dei due, mantenendosi ugualmente a una certa distanza. Nell’avvicinarsi con la dovuta cautela a Kashda, lei notò che nel punto, dove le ali si univano dietro la schiena, si trovava un tris di piume bianche. Capì e le venne un’idea.
Kashda aumentò la sua velocità e all’improvviso le venne in mente del Trasportatore e quando cercò di utilizzarlo, si fermò di colpo… spalancò gli occhi e precipitò tentando in tutti i modi di aggrapparsi a qualche ramo e di riprendere l’equilibrio per non schiantarsi al suolo.
Alla fine fu ripetutamente colpita dalle ramificazioni per finire poi nei cespugli. Tentò di rialzarsi ma vedendo arrivare Erenock, restò immobile, coprendosi con un velo argentato che la nascose a occhi esterni. Riuscì a intravederlo attraverso le fessure del cespuglio e provò a non incrociare il suo sguardo.
Finalmente giunse anche la sconosciuta con il Ruicorno che si alzò sulle zampe posteriori nel vedere gli occhi del guerriero. Questa volta erano differenti: l’iride e la pupilla erano state rimpiazzate da miliardi di filamenti di un viola molto intenso, che sembravano volessero straripare dagli stessi occhi, al contrario, la cornea era stata ricoperta da radici di cristallo che risaltavano i filamenti, mostrando un viola più acceso e luminoso.
«Che cosa ci fai qui? Avevo impartito un ordine preciso che valeva anche per te.» Erenock si rivolse verso di lei con rabbia, per non essere stato ascoltato.
La sconosciuta non emise parola e gli mostrò cosa aveva nella mano. Erenock sapeva di cosa si trattava e cosa lei aveva fatto… con un solo sguardo le parlò e lei tirò le bellissime redini di luce che si erano materializzate intorno al capo dell’animale andando via, restando ugualmente nei paraggi.
Erenock riuscì alla fine a individuare Kashda a pochi metri da lui, nascosta a dovere e in silenzio, mantenendo il respiro sotto controllo. Lei credette di trovarsi al sicuro, ma in ogni modo lui sentiva l’odore del suo sangue che cominciò a uscire copioso dalla sua ferita alla schiena.
Kashda vedendolo avvicinarsi con passo sicuro, balzò in piedi e scattò nella direzione opposta alla sua per sfuggirgli. Purtroppo per lei, dall’altra parte vi trovò la sconosciuta. Kashda era in trappola. Non aveva altra scelta che combattere ed eventualmente morire.
Erenock, allora fu nuovamente magnanime…: «Ciò che t’impedisce di fermarti è la vendetta.». Il comandante arrestò la sua parola e attese. Essa fu in vano e, riprese il suo discorso. «Consuma la tua vendetta adesso perché non avrai altra occasione di questa.».
Tutto il corpo della donna fremeva nell’esaudire il proprio desiderio ma Kashda sapeva bene che lui sceglieva con cura le sue parole. Intuì che a uno di loro tre sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole e molto presto. Tuttavia fece la scelta più logica per una donna come lei: combattere. Kashda a quel punto fece rientrare le sue ali, che non poteva usare e impugnò Tagha.
L’altra donna scosse la testa e si pronunciò: «Scelta sbagliata.».
Kashda scattò all’indietro e corse in direzione di Erenock per ucciderlo. Anche l’altra scattò per raggiungere la donna e fermarla prima che potesse compiere la sua vendetta. La lama lucente di Tagha fu bloccata da quelle affilate e di luce dell’altra donna che le uscirono dagli avambracci.
Bloccata la spada, la donna la guardò negli occhi e le diede un avvertimento chiaro: «Tu prova soltanto a sfiorarlo ed io ti strapperò quel cuore maledetto che ti ritrovi nel petto.». Le sue parole furono semplici e nette, risuonando nella testa della guerriera come migliaia di stoccate nel suo corpo.
Poi una sola azione e, Kashda retrocedette.
«Isabelle.» Erenock la chiamò con tono secco e lei si voltò. «Concedile il tempo di scegliere ancora una volta.» il comandante fu generoso e lei acconsentì con un cenno del capo.
Allora Kashda disse: «Sei uno sciocco… io ho già fatto la mia scelta.».
Lei lo guardò negli occhi senza battere ciglio e non riusciva a capire perché volesse darle ancora delle possibilità, dopotutto quello che era accaduto fra loro. Il suo odio per quell’essere era così grande che le aveva radicalmente cancellato ogni traccia della bontà che giaceva nel suo animo.
Erenock si sentiva colpevole di aver trasformato una ragazza dal cuore pieno d’amore in una donna colma di rabbia e odio. Si rimproverava di averla fatta diventare una donna fredda e in qualche modo voleva rimediare. Erenock fece alcuni passi in avanti, poi si fermò e parlò: «C’è ancora tempo Kashda. C’è ancora tempo.».
Lei fece un sorriso aggressivo e disse: «Non per me “Distruttore di Anime”.».
A quel punto Isabelle non se lo fece ripetere due volte e la attaccò con le sue lame di luce, Kashda invece contrattaccò con Tagha.
Si batterono ad armi pari su un suolo a entrambe non conosciuto. Le lame che si sfioravano ripetutamente creavano più scintille del dovuto, tanto da produrre piccoli fuochi intorno a loro.
Le deboli fiamme divennero ben presto grandi lingue di fuoco che divamparono molto rapidamente. Erenock per arginare le lingue di fuoco solo a quel piccolo spazio richiamò intorno ad esse un muro d’acqua che sopraggiunse dal sottosuolo, innalzandosi per oltre quattro metri.
Il fuoco avrebbe, per fortuna, distrutto solo quel metro di terra dove le due si stavano scontrando. Tuttavia pur essendo così piccolo, le grida che provenivano da lì erano strazianti, colme di dolore. Lui lo avvertiva come suo e si notava dalle lacrime che rigarono involontariamente il suo volto.
La goccia che scivolò dall’occhio destro toccò il suolo e in quell’istante, Isabelle fu scaraventata contro un tronco la cui chioma bruciava. La donna alzò il capo osservando i rami e le foglie bruciare e questo la portò a distogliere la concentrazione da Kashda la quale si lanciò su di lei infilzandole gli artigli delle mani nelle spalle.
Glieli conficcò nella carne con una sadica soddisfazione che Isabelle aveva visto sul volto delle migliaia di persone incontrate lungo il suo cammino. Il dolore che provava era oneroso, ma nella sua immensa esperienza aveva imparato ha sopportarlo con dignità. Era riuscita addirittura a mutarlo in piacere. La sua continua ricerca del controllo assoluto sul proprio corpo e sulla sua anima, le permettevano di sopportare in silenzio.
Kashda a quel punto, vedendo la sua noncuranza al dolore che le stava procurando, continuò ad accanirsi con i suoi artigli sul suo corpo senza mai fermarsi. Più andava avanti e più quell’impassibilità sul suo volto la irritava enormemente, conducendola ad allentare la presa.
Isabelle scocciata da quell’insulsa donna, decise di togliersela di torno. I suoi occhi s’iniettarono di sangue vivo. Il suo viso cambiò espressione e d’improvviso il grido che emanò provocò un’onda d’urto che spense le fiamme alleviando il dolore della vegetazione. Non solo… Kashda fu violentemente scagliata contro un albero nelle vicinanze di Erenock.
Il sangue fuoriuscì dalle ferite e scivolando sul corpo macchiò il bel vestito che indossava. Isabelle avanzò con camminata decisa fermandosi a pochi passi dalla donna; la guardò mentre si trovava distesa a pancia sotto con la faccia a pochi millimetri dal terreno, che respirava a fatica.
«Non meritavi di diventare una Loorp e non meriti neanche di essere un angelo.» le sue parole risuonarono nel cuore di Kashda come un’umiliazione e, nell’aria, raggiungendo la bussola, dovunque si trovasse.
Con “angelo” il manufatto attivò una ricerca. La bussola, precipitata a una trentina di metri dai tre, sprigionò dalla protuberanza un cono di luce con la punta rivolta verso il basso. Materializzò sulla base circolare un volto maschile lievemente somigliante ad Adhanc.
Oltre Isabelle anche qualcun altro aveva disobbedito agli ordini di Erenock: in  quel momento aveva raggiunto la bussola. Una volta raccolta dall’erba, la ripulì del terreno, osservandone i dettagli con interesse. Soem si volse, senza alcuna spiegazione apparente, nella direzione di Erenock e la bussola cominciò a vibrare.
Anche la Dea avvertì quella vibrazione e Clegan notando la sua espressione, le pose una domanda avvicinandosi col cavallo: «Sai che cosa sta accadendo?».
E lei con lo sguardo perso nel vuoto, rispose: «L’ora è arrivata. L’Ombra sta calando su di lui.». Solo queste furono le parole che Hanna concesse di conoscere al Difensore della Fede… non diede altre spiegazioni e spronò il cavallo al galoppo.
Gli altri la seguirono senza porsi domande e raggiunto il punto in cui si trovava Erenock con le due, si accorsero che il guerriero era sparito: scomparso nel nulla. Kashda approfittò della loro distrazione per fuggire, mentre ognuno di essi prese una decisione diversa.
Ripresero il viaggio spostandosi verso Est, in direzione della ramificazione più piccola del grande fiume che percorreva tutte le terre. Al tramonto si accamparono e dopo essersi sistemati per la notte, Soem volle convincerli di riunirsi di nuovo in un gruppo prendendo da un panno bianco la bussola.
Dopo averla mostrata e attivata, comunicò alcune informazioni con Isabelle e quest'ultima parlò per prima: «Grazie alla parola “angelo” è stata attivata una ricerca, anche se noi non sappiamo a cosa dovrebbe convogliarci. Io penso che dovremmo seguire la bussola e stare a vedere dove ci condurrà.».
«Perché dovremmo seguire le tue parole? Noi non conosciamo nulla di te.» brontolò il nano, mentre muoveva le braccia che lui deliziosamente accomunava con le parole pronunciate.
«Spiegatemi, perché arrivare fino a questo punto e poi tornare indietro? Ne vale veramente la pena sprecare tutto quello che è stato fatto fino ad ora?» rispose Isabelle con altre domande.
«Erenock è l’unica, anzi era l’unica speranza che avevamo di fermare i piani dei Gavoth, ora non ci rimane niente.» le parole che Clegan espresse furono piene di disperazione e prive di speranza.
«Se io fossi Erenock, mi vergognerei di fiancheggiare persone di basso livello come voi. Da dove credete che Erenock tragga la sua speranza e il suo coraggio?» parlò piena di rabbia Isabelle rivolgendosi a loro con tono duro e sprezzante.
«Vuoi farci credere che Erenock trae forza, coraggio e speranza da noi mortali?» domandò sconcertato Clegan.
«Non da voi mortali, ma da voi umani…. È questo che lo rende così particolare… sotto il suo disprezzo per la vostra specie, non c’è altro che amore, meraviglia e stupore per come siete. Ha cercato in ogni modo di odiarvi per quello che gli è stato fatto, ma il risultato è stato vano. La compassione e la pietà che lui prova non la deve altro che a voi umani. Siete la sua ispirazione.» Isabelle parlò di Erenock e del legame che aveva con gli umani in un modo che nessun altro avrebbe potuto fare e commosse il loro animo.
«La scelta ora è vostra, ricordando però che in ballo ci sono migliaia di vite.» intervenne Soem che portò a galla il vero scopo della loro spedizione. Non ci fu bisogno di una scelta perché questa era stata già fatta.
Dopo la lunga conversazione e la decisione di proseguire, si abbandonarono tutti al sonno per svegliarsi freschi e riposati l’indomani.
 
Ripreso il cammino prima dell’alba, la bussola disse di recarsi a Dirdhan e il più in fretta possibile e prima che qualcun altro giungesse prima. Soem sapeva che la bussola si riferiva ai Gavoth e così ricorse ai suoi poteri….
Una nube di ghiaccio li investì in pieno e passati oltre si trovarono nelle vicinanze di Deneka, la prima città a pochi chilometri dalla spiaggia. Prosperava grazie al commercio del pesce.
Le passarono accanto perché Soem aveva intenzione di proseguire, ma rallentarono in prossimità di una lussuosa villa; estrasse la bussola dal sacchetto e gli chiese conferma, cosa che avvenne.
Si fermarono al cancello principale aspettando che il padrone li lasciasse entrare. Il cancello si aprì e furono accolti calorosamente: «Siate i benvenuti nella mia dimora.».
L’uomo fece largo ai suoi nuovi ospiti e arrivati dinanzi la villa, egli si rivolse di nuovo a quelle persone: «Prego seguitemi… dei cavalli se ne occuperà il mio primogenito.». Li invitò a entrare e li fece accomodare.
Entrarono in un grande salone pavimentato con legno scuro; vi erano ampie vetrate spalancate, nascoste da bellissime tende bianche, così da far entrare più luce possibile. Al centro si trovava un tavolo circolare con i piedi non più alti di trenta centimetri; intorno a esso vi erano sistemati innumerevoli cuscini dai colori sgargianti e vasi colmi di fiori profumati ad abbellire il tutto.
«Sedetevi, dove più vi aggrada.» disse la donna con gentilezza, appena entrata con un vassoio di ogni ben di Dio.
Erano trascorse delle ore quando si udirono grida di bambini. Cercarono di capire che cosa fosse accaduto e i due bambini raccontarono ciò che era accaduto….
Si recarono tutti sul luogo dell’incidente e circondarono un pozzo chiuso, dove Soem spostò le tavole restanti che coprivano la superficie. Clegan creò per loro delle fiammelle blu che avrebbero illuminato il loro cammino nell’oscurità.
Soem e Isabelle scesero nel pozzo illuminato dalle fiammelle e una delle due notò che a un paio di metri sotto vi era una scala. Scesero con cautela e dopo alcuni minuti trovarono il fondo….
Le due si guardarono intorno ritrovando le radici degli alberi che affondavano nel terreno. Si addentrarono nella galleria e proprio allora la bussola si aprì dicendo: «Manda gli altri a Debrook, lì i tuoi amici troveranno ciò che ci serve.».
Soem annuì e obbedì…. Mandò la bussola a Gorondha che partì all'istante con Clegan e il nano, lasciando la Dea a sorvegliare le due donne. Si misero in marcia oltrepassando il grande fiume che attraversava Dirdhan da Nord-Ovest a Est. Da lì dovettero proseguire a piedi poiché i cavalli si rifiutarono di andare avanti.
I tre comparvero al limitare del sentiero principale che dal bosco del Picchio Petto Giallo saliva fino in cima al massiccio montuoso della montagna. Per un istante i tre si fermarono a osservare la via che conduceva verso la cima: nonostante la notte incombente, il bagliore della luna avrebbe fornito luce bastante per ben individuare la strada da percorrere.
Il nano imbrigliato com'era, con il peso di quelle armi legate alla vita e alle spalle, rese la scalata verso la cima della montagna sicuramente faticosa, ma non lo spaventava. Così, di buona lena, iniziò a percorrere il sentiero con passo veloce, abbozzando di tanto in tanto una leggera corsa per non rallentare i due.
In realtà quel percorso all'inizio apparve fin troppo semplice. Il sentiero non era ancora così ripido da tagliare il fiato, e la strada percorsa per ora era poca.
Il nano aumentò l'andatura, e le armi sferragliavano attorno a lui come le catene di uno spirito inquieto. Ad ogni passo le cosce si facevano più dure, i polpacci si gonfiavano e le ginocchia spingevano come cavalli esortati al galoppo.
Il sentiero si fece più ripido, e il fiato del nano diventò più corto. I duri allenamenti del passato gli avevano permesso di acquisire una discreta forza pari a quella di un comune essere umano.
«Non pensare alla fatica, non considerare il dolore va solo avanti.» lo incoraggiò Gorondha.
Respira…. Respira…. Respira… ripeté il nano a se stesso, e stai attento che le mani trattengono le spade contro i fianchi affinché queste non dondolino troppo durante la corsa. Il nano continuò a correre, anche se ora era costretto a ridurre l'andamento.
Gorondha e Clegan aiutarono il nano a togliersi quelle pesanti armi di dosso e ripresero il cammino verso Nord-Ovest in direzione della Torre d'Avorio.
Alla villa, le due avevano percorso numerosi tunnel non trovando nulla… d’improvviso però udirono un grido quasi soffocato e corsero in quella direzione.
Incontrarono una bambina con il volto rigato dalle lacrime e gli occhi arrossati dal troppo piangere, raggomitolata in un angolo a tremare come una foglia mossa dal forte vento.
Isabelle, si avvicinò e la prese fra le braccia, stringendola per rassicurarla. Vide il suo volto colmo di paura e si rivolse a Soem: «Dobbiamo portarla fuori di qua immediatamente.».
«Non siamo soli… riportala dalla sua famiglia, io invece resterò a dare un’altra occhiata in giro.» le disse Soem, mentre osservava con attenzione i cunicoli che lei aveva davanti.
Isabelle ritornò indietro, ma sentiva che qualcosa la seguiva. Corse più veloce che poteva per arrivare all’entrata del pozzo e far uscire la bambina. Decise di ritornare da Soem e fu in quel momento che la sentì gridare e si precipitò da lei, trovandola distesa a terra priva di sensi.
Si chinò su di lei e costatò prima di tutto se fosse ancora viva: lo era fortunatamente. Aveva il battito cardiaco debole e la carnagione pallida…. Cercò di risvegliarla più in fretta che poteva perché si sentiva ancora osservata e non appena Soem riprese i sensi, pronunciò due semplici parole: «Uomini Ombra.».
Isabelle, la aiutò a rialzarsi e presero a correre entrambe nella direzione del pozzo, mentre Soem si rivolse a lei: «Dobbiamo sigillare il pozzo.».
«Ci servirà Clegan per questo, lui può impedire che gli Uomini Ombra escano dal pozzo.» disse Isabelle lanciando alle sue spalle una palla di luce che usò per rallentare gli Uomini Ombra.
Improvvisamente Soem inciampò su una pietra che sporgeva dal pavimento e un passaggio segreto si rivelò alle due. Una volta all’interno, l’entrata si sigillò, lasciandole completamente al buio.
Le fiammelle illuminarono anche quel luogo, che le due pensavano fosse immenso, ma si trattava di una stanza piccola e angusta dal soffitto molto alto.
Isabelle riversò dei piccoli colpi sulla spalla dell’amica per richiamare la sua attenzione e mostrarle cosa c’era appeso al soffitto, alto più di cinque metri.
Soem prese dagli stivali i suoi pugnali che prima legò insieme e poi cercò di annodarli a un’altra corda, purtroppo non abbastanza lunga.
A Isabelle venne un’idea e dal suo vestito strappò una pietra di colore verde… davanti agli occhi di Soem la modellò come se fosse argilla e ne creò una corda abbastanza lunga da arrivare al soffitto.
Legata ai pugnali, li lanciarono verso l’alto e si conficcarono proprio a pochi centimetri da una semisfera di pietra. Soem ci riprovò di nuovo, ma fallì il bersaglio, poi fece tentare a Isabelle che lo centrò al primo tentativo.
«Complimenti.» le disse Soem, mentre nel riprendere i pugnali, cadde qualcosa che Soem afferrò al volo.
Era avvolto in un panno rovinato dal tempo e decisero di andare via senza perdere tempo a controllare….
Arrivarono alla torre a notte fonda e giunti davanti alla porta, Clegan pose la mano sinistra sulla maniglia e la aprì con forza. Una ventata gli arrivò all'apertura della grossa porta che lo spettinò mentre s’incamminò verso il cancello interno. Salirono la lunga scala a chiocciola giungendo dinanzi a una piccola porta d’avorio.
Non fecero in tempo a toccarla che la porticina si aprì da sola. Gorondha e Clegan entrarono con difficoltà, ma per Adhanc fu semplicissimo riuscire a passare, essendo lui un nano. All'interno trovarono soltanto un trono d'avorio.
«Siamo arrivati a destinazione.» affermò la bussola dal sacchetto legato al fianco destro di Gorondha.
 “Chi siete?”
La fluente veste rossa ricamata con piccoli draghi in fili d'oro della dama, fluttuava evidenziando la sua sagoma slanciata, mostrando poi il capo cinto da una leggera corona brillante. Il viso angelico della dama risvegliò qualcosa di familiare in Gorondha e lei stessa rispose: «Siamo in cerca di qualcosa….».
La Dama Solitaria concesse il suo bene più prezioso… ma a quale prezzo? Quale sarebbe stato il prezzo da pagare per l’oggetto che sarebbe servito loro? La dama, seduta sul trono, li guadò e proferì: «Uno di voi dovrà cedermi il suo cuore.».
Gorondha accettò…. La dama allungò la mano sinistra verso di lei e la donna iniziò a sentire il suo cuore rallentare la corsa, poi il colore della pelle cambiò drasticamente. In pochi istanti il cuore pulsante della Sentinella di Sangue giaceva nella mano della dama….
Gorondha restò in piedi di fronte alla Dama Solitaria, mentre quest'ultima si rivolse ai due che la accompagnavano: «Anche se priva del suo cuore, vi aiuterà fino al momento in cui il suo spirito non varcherà la soglia del Groonhiar.».
Gorondha, ora un involucro di sola carne e ossa, uscì dalla torre insieme ai due con il premio nella mano. All’esterno si coprirono gli occhi per non essere accecati dalla luce del sole.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Ritorno al passato ***


Ventiquattresimo capitolo
 
Ritorno al passato
 
 
 
 
Una nuova alba era sorta su quelle terre…
Dopo essersi riuniti al resto del gruppo e fatto sigillare il pozzo, Soem e compagnia riprende il cammino indicato dalla bussola.
Soem, in cuor suo, sentiva che qualcosa era cambiato in quei tre, ma rimase in silenzio. Lì controllò assiduamente sperando che la sensazione che aveva fosse errata.
 
Per due giorni marciarono verso l’entroterra del continente e proprio quando al tramonto del terzo giorno si fermarono nel bel mezzo del deserto, incapaci di proseguire, si alzò una tempesta di sabbia… sarebbero stati sepolti vivi se non avrebbero trovato al più presto un riparo.
Il vento soffiava violento, la tempesta era vicina. Cercarono di allontanarsi il più possibile, ma la tempesta li travolse…. Nel mezzo della tempesta, fulmini e saette si scagliarono al suolo senza colpirli. Varie trombe d’aria portarono i cavalli a disorientarsi e ad agitarsi freneticamente. I loro cavalieri cercarono di calmarli, invano, erano così terrorizzati che una di loro, Hanna, fu disarcionata.
Tra la sabbia sollevata dal vento e i fulmini scagliati al suolo per la rabbia, alcune parole furono solo sussurrate nella tempesta: “La terza troverai se solo saprai guardare e distinguere il vero dal falso”, ci fu una breve pausa per via del forte rimbombo dei tuoni e poi altre parole, “Così tre luci saranno accese… ma nove dovranno ancora tornare e le candele del Tempo si consumano in fretta.”.
La tempesta si placò improvvisamente, lasciando dietro di se solo un’immensa distesa di sabbia priva di qualsiasi segno.
Hanna recuperò il suo cavallo e montò in sella, mentre Soem, si allontanò da loro avvicinandosi a uno strano sentiero…. Senza scendere da cavallo, lo osservò bene e ritornando dai suoi compagni dopo circa dieci minuti, diede loro delle avvertenze: «Seguiremo il sentiero dei lapislazzuli, ma prestate molta attenzione, fra esse si nascondo le ombre che amano nutrirsi delle ombre altrui.».
Gli zoccoli dei cavalli dopo un po' cominciarono ad assorbire i piccoli frammenti delle pietre che incontravano sulla strada rendendoli più coscienziosi.  Decisero di spontanea volontà di aumentare il passo e di evitare che i loro cavalieri fossero condotti in una trappola.
I cavalli avvertirono un pericolo imminente e si fermarono contro il volere dei loro padroni… infatti, a poche decine di metri, sul sentiero si creò una profonda crepa che si allargò sempre di più.
Il sentiero fu risucchiato lentamente dalla voragine, mentre il nitrire di quelle povere bestie provocò delle potenti vibrazioni che frantumarono le pietre del sentiero restante.
L’involucro fu l’unica a notare un brillio sopra la voragine e allora le affiorarono nella mente vuota poche parole: “… distinguere il vero dal falso… tre luci sono accese… ancora nove devono tornare….”.
Istintivamente, l’involucro afferrò saldamente le redini e spronò il cavallo al galoppo… saltò la voragine e sopra di essa si calò fra le zampe dell’animale agguantando il brillio. La voragine sparì nell’istante in cui lo zoccolo toccò terra, mentre il sentiero ritornò integro.
Gli altri la raggiunsero e Gorondha consegnò la pietra nelle mani dell’amica; fu quando si sfiorarono le mani che Soem comprese quale fosse il cambiamento: il suo volto si oscurò.
Il Lapislazzulo… pietra della saggezza e della presa di coscienza, proteggeva anche dai pericoli della notte.
Alla fine del sentiero, rivolto sempre verso Sud, incapparono in una piccola oasi con un bellissimo lago. I vari fiori sparsi intorno al lago emanavano un profumo amarognolo… Clegan dopo essere sceso da cavallo si rivolse ai suoi compagni: «Io non ricordavo una tale meraviglia a Dirdhan.».
La notizia della scomparsa di Erenock alleviò le pene di tutti i suoi nemici. Erano tutti colmi di entusiasmo e si goderono i piaceri della tranquillità.
Nonostante la loro indifferenza a questa novità, Lucifero era visibilmente preoccupato… si aggirava fra i laghi di anime di donne nude e semi svestite che cercavano il suo conforto, a pensare se la scomparsa improvvisa del comandante avesse un motivo ben preciso.
In un punto qualunque del suo regno, spuntarono dal terreno polveroso centinaia di lance di pietra che andarono a costituire il suo trono. Si accomodò sulla seduta e le anime lo circondarono…. Iniziarono a toccarlo, a baciarlo per alleviare le sue preoccupazioni e cercarono di compiacerlo in qualsiasi modo. I piaceri che quelle anime gli offrivano lo rilassavano a tal punto da lasciare il suo corpo nelle loro abili mani.
Stivali neri percorrevano un sentiero costituito da un velo di fuoco che ricopriva teschi e svariate ossa umane. Avevano un passo deciso e fermo. I lucidi stivali riflettevano la forte luce delle fiamme che erano prodotte anche dalle fiaccole di ossa appese alle pareti.
Le infinite anime gli fecero largo fino a condurlo al cospetto di Lucifero. Si arrestarono a pochi metri da lui e chi li calzava, parlò: «Perdona la mia intrusione.».
Nell’ombra del cappuccio che Lucifero indossava, si materializzarono i suoi occhi caldi che fissavano l’essere davanti a lui.
«E tu perdona i miei piaceri più peccaminosi.» disse allora Lucifero allargando le braccia e portandole sui braccioli.
Lo sconosciuto si guardò intorno osservando con occhi maliziosi le bellissime anime che lo circondavano. Guardò nuovamente Lucifero e disse: «Godi in solitudine dei piaceri che il tuo regno ti offre, ma fallo finché puoi.».
«Continua a parlare, sono curioso.» disse Lucifero offrendogli della buona compagnia.
L’ospite fu avvicinato da un’anima, ma egli non fece nulla e riprese a parlare con Lucifero: «Vedo che gli ultimi eventi non ti sconvolgono molto… o sono opera tua oppure c’è qualcun altro dietro. Gli Dèi e i Gavoth hanno allentato la presa, tu no… mi chiedo tu cosa sappia.».
Lucifero allontanò da lui le altre anime che gli davano piacere e s’issò dal trono dirigendosi verso l’Uomo del Nero della Notte. Si fermò al fianco sinistro dell’uomo e voltando il capo verso di lui disse: «Sarebbero solo parole prive di comprensione per chiunque. Ti lascio un consiglio, poni poche domande e arriverai molto in alto.».
Lucifero si allontanò, ma l’Uomo del Nero della Notte si rivolse di nuovo a lui prima che potesse andarsene: «Fai molta attenzione a non fidarti dei tuoi alleati perché essi sono i primi a pugnalarti alle spalle. Ti lascio con questa domanda… perché è scomparso dalle scene?».
La domanda di quello sconosciuto gli aveva lasciato un dubbio. Un dubbio permanente che lo assalì senza esitazione.
All’oasi Clegan e compagni perlustrarono con cautela i dintorni…. Lui si avvicinò a un cespuglio con grosse bacche di colore arancione raccogliendone una e la osservò, la annusò e prima che la portasse alla bocca, Soem lo fermò: «Il frutto che hai fra le mani si chiama Acenball… è succosa e dolce, tuttavia un’eccessiva quantità ti potrebbe essere fatale, ti consiglio di fare attenzione a quante ne mangi.».
Clegan decise di mangiarsela in un altro momento e la pose in un fazzoletto che poi infilò nella tasca della giacca. Si volse di scatto perché una mano si era poggiata sulla spalla sinistra.
«Quelle bacche sono estinte da centinaia di anni….» disse Isabelle mangiandone una.
Il vento si alzò dolcemente facendo ondeggiare i cespugli ma Isabelle si rese conto del silenzio che l’aveva avvolta. Un silenzio innaturale… nemmeno il vento parlò più. Tutto era immobile, il tempo… fermo. Aspettava anche lui.
Il solo rumore che sentiva era quello del suo cuore. Pulsava nelle tempie, nei polsi, nel collo e nel petto. Pulsava e pulsava, mentre i suoi pensieri si offuscarono. Il brutto presentimento stava vincendo su di lei.
Quando l’ebbe visto, per un istante infinito aveva pensato solo alla morte. Si era immaginata con il ventre squarciato e il suo sangue che schizzava ovunque, la testa che precipitava giù dalla collina, i suoi occhi sbarrati che osservavano il mondo rotolare fino a valle: sabbia e ancora sabbia.
Era alto, violaceo, fluttuante… emise qualcosa d’incomprensibile, un verso gutturale e sordo, non seppe da dove e il cuore le piombò in gola. Poi se né andò via e lei rimase in silenzio, impietrita, sudata, e solo dopo si rese conto che lei fu l’unica ad averlo visto.
All’improvviso i cavalli cominciarono ad agitarsi e insieme a Clegan, Isabelle li radunò calmandoli. Avevano avvertito qualcosa e la risposta giunse all’istante: in lontananza, da Ovest, stava arrivando una mandria di Modrack. Soem sbarrò gli occhi nel vederli e gridò al resto del gruppo di montare in sella.
I cavalli furono spronati a gran velocità nel deserto lasciando senza volerlo il sentiero, ma dovettero subito fermarsi perché incapparono in un paio di Modrack.
I Modrack erano creature a sangue freddo… corrotte dalla magia nera, divennero temibili predatori incapaci di provare qualsiasi emozione o sentimento. Erano delle enormi lucertole modificate dalla magia che i maghi del passato usavano come cavalcature. La loro saliva era intensamente infettiva, bastava anche essere soltanto sfiorati che si moriva in poche ore. I loro artigli gli permettevano di squarciare addirittura i draghi e oltre alle abilità dei normali rettili, avevano la capacità di creare una minisfera viola-nero all’interno della bocca. Erano in grado di lanciarla facendola espandere fino a un raggio di chilometri e disintegrare qualsiasi essere vivente.
Soem era indecisa, ma doveva prendere una decisione… il suo sguardo cadde sul sacchetto che Gorondha portava legato al cinturino e avvicinandosi a lei Soem lo afferrò tirandone fuori un corno, ricavato dal dente di una specie estinta del Luogo Proibito.
Soffiò nel corno e il suono fece scappare i Modrack. Senza indugiare oltre ripresero la strada del sentiero, che poco dopo deviò verso Est.
 
Un velo di sudore poggiava sulla pelle ormai cotta dal sole bruciante… la polvere del terreno avvolgeva i corpi addormentati sotto la luce dell’astro… il silenzio sommergeva la sterile terra, in un’epoca passata… la voce del nobile amico, svegliò dal sonno le razze.
Gli occhi erano ancora troppo pesanti perché si aprissero a capire di chi fosse la voce che li aveva svegliati. Ancora dei minuti ci vollero perché gli occhi potessero liberarsi dalla pesantezza e spalancarsi al paesaggio che li circondavano.
Una patina dinanzi agli occhi li rese cechi… si riunirono in cerchio dandosi le spalle per proteggersi a vicenda. L’amico si avvicinò a loro con passo pesante e soffiando sui loro volti, sciolse la patina.
Le palpebre che sbattevano permisero agli occhi di abituarsi alla svelta al luogo circostante. L’amico che loro riconobbero essere Hurya, chiese di seguirlo. Il drago li condusse in una valle, l’unica di quelle terre che fosse colorata di verde. Si guardarono intorno e Hanna formulò la domanda: «In quali terre noi ci troviamo?».
Il drago voltò la testa verso la Dea e le rispose: «Vi trovate nel centro delle Terre Morte.».
«Ricordavo che fossero terre sterili.» intervenne Clegan mentre si avvicinava a un tronco morto.
«Non c’è tempo per le spiegazioni… da qui voi troverete la strada che la bussola v’indicherà per raggiungere la tappa finale. Riposate e non siate frettolosi.» fece uno sbadigliò, chiuse gli occhi e si mise a dormire.
Isabelle, si estraniò dal gruppo ed esplorando i dintorni incappò in un lago nascosto dalla vegetazione. Raggiunto il bordo, si denudò, lasciando cadere i suoi abiti al suolo. Si tuffò nell’acqua cristallina nuotando con leggiadria, mentre la luce del sole inondava il lago riscaldando la sua acqua. Quando riemerse, avvertì subito una brezza temperata che spazzò via la fatica e il dolore delle ferite.
La sua bellezza fisica era assoluta, i lineamenti di Isabelle rivelavano un carattere formatto da orgoglio, passione e speranza, ma quella era soltanto la superficie.
Qualcuno si avvicinò per spiarla dai cespugli situati oltre la riva del lago, ma non accorgendosene, continuò a lavare la sua pelle delicata e i suoi lunghi capelli.
Non le sfuggì però quel debole fruscio proveniente dalla riva. Non poteva essere stato il vento giacché non tirava un filo d’aria e il suo intuito le diceva che non era stato neppure un animale a muoversi tra le siepi. Qualcosa era nascosto dietro il verde, là, sulla riva del lago in cui lei si era immersa per rinfrescarsi dall’opprimente calura di quella giornata.
Si mosse lentamente per risalire e intanto si guardava intorno alla ricerca di localizzare il punto da cui aveva sentito provenire il movimento.
Recuperò i vestiti e li indossò velocemente, mosse un passo e si fermò di colpo… sentiva nitidamente la presenza di qualcuno proprio di fronte a lei, anche se i suoi occhi non lo vedevano ancora. Dalla sacca che si era portata dietro, prelevò un’ampolla piena di un liquido rosso che strinse nel pugno.
«Non ti servirà la magia con me e non sono venuta a combattere ma solo a parlare.» la voce le giunse nel momento in cui da dietro un cespuglio si materializzò una figura alta e snella. Era una donna dai lineamenti bellissimi e, dai pochi raggi del sole che filtravano sul lago, vide che aveva lunghi capelli rosso sangue.
«E da quando in qua una sua parte sente il bisogno di dialogare con i suoi simili? Hai forse perso la strada di casa?» le chiese Isabelle fissandola negli occhi.
«Ho solo perso il mio uomo e sono tornata a riprendermelo, un uomo che non solo appartiene a me ma anche a lei. Sai di chi io parlo, vero?» domandò la donna camminando con passo leggero.
«Immagino ti riferisca ad Albhozz. A me non risulta che lui sia mai stato il tuo uomo. Potresti cominciare con il presentarti, sempre che tu abbia un nome….» disse Isabelle restando al suo posto ma tenendola comunque d’occhio.
La donna si girò verso il lago dando il fianco a Isabelle, quasi a dimostrarle che non provava alcun timore nei suoi confronti: «Il mio nome è Irieaga. Ti dice niente?».
Isabelle non riuscì a trattenere un gemito d’incredulità. Di fronte a lei c’era la donna che Albhozz, ancora vivo, rinnegò. «Irieaga… non è possibile. Ricordo che lui ti cancellò anche dalle sue memorie… come può essere che tu sia qui?».
La donna si voltò e la fissò negli occhi. Sebbene fosse illuminata a tratti, a Isabelle non sfuggì né la crudeltà né l’odio con cui la stava guardando. «Vi sono cose che non si possono spiegare neppure a te che sei… ritenuta da Erenock una grande guerriera, ma per me non sei altro che la povera essenza di una debole femmina. Togliti di mezzo e dimenticati di lui se vuoi avere ancora una piccola speranza di sopravvivere.».
Così dicendo Irieaga curvò all’indietro la testa lanciando un grido di rabbia che si sparse per tutto il bosco e quando tornò a guardare Isabelle il suo volto si era trasformato in una maschera orribile e, dal collo, spuntavano due artigli scuri. Irieaga sembrò volersi gettare addosso alla sua rivale.
Isabelle sollevò il pugno in cui stringeva l’ampolla, pronta a difendersi con il liquido magico in essa contenuto. Riecheggiò una risata stridula che le procurò un dolore lancinante alle orecchie poi, sempre ridendo, Irieaga diventò una figura trasparente e in un attimo sparì nell’oscurità….
Prima che si spegnesse l’eco di quell’orribile risata, a Isabelle giunsero le sue ultime parole: «Lui non ha più cuore, guerriera… Albhozz ucciderà anche te. Vattene finché sei in tempo.».
Isabelle, si sforzò di aprire gli occhi ma il dolore lancinante che sentì alla testa le annebbiò la vista e l’ambiente che la circondava le apparì, oltre che sconosciuto, anche sfocato. Solo dopo vari sforzi riuscì a capire che si trovava in una grotta con i polsi legati da una grossa catena d’acciaio saldamente inserita con un perno a una parete. Sentiva qualcosa scenderle sulla fronte, era probabilmente il sangue che le colava da una ferita.
Faticava a ricordare cosa era accaduto e perché lei si trovasse prigioniera in quel luogo. “Albhozz”. Mentre si lavava nel lago, le era parso di sentire un movimento alle sue spalle e poi più nulla. I suoi ricordi finivano lì. Fece qualche vano tentativo per liberarsi le mani ma fu tutto inutile.
Era prigioniera… ma di chi? Cercò di ridurre la nebbia che aveva nella mente… raccolse le forze e chiudendo gli occhi focalizzò Soem nella sua testa raggiungendola con il pensiero….
“Soem vieni, aiutami…”.
“Continua a parlarmi Isabelle, continua…”.
Mantenendo il contatto mentale con la donna non sarebbe stato difficile trovarla. Quando nella grotta entrò Irieaga come figura semitrasparente, sembrò che si portasse dietro il pesante fardello di chi era stato cancellato dall’universo. Atterrò proprio davanti a Isabelle e prese forma consistente.
«Irieaga… dovevo immaginare che fossi stata tu.» disse Isabelle ancora dolorante.
«Scusami se ti ho lasciato da sola, ma sentivo un certo languorino e, in attesa che tu ti svegliassi, sono andata a prendermi un piccolo antipasto. Ho pensato a te come mio dessert. Dicono che il sangue di una sua parte sia un po' pungente, ma il tuo lo berrò con infinito piacere.» così dicendo, con la mano si pulì l’angolo della bocca per togliere le ultime tracce di sangue.
Si avvicinò a lei ruggendole fortemente sul volto e mostrandole sia i denti come fa una belva feroce quando sta per attaccare la sua preda, che gli artigli scuri puntati contro la sua gola. Il suo alito odorava di sangue fresco, un odore acre, metallico, nauseante. Isabelle, richiuse gli occhi e, stranamente ebbe un forte desiderio di pregare che Soem arrivasse in tempo.
Solo un attimo dopo, alle spalle di Irieaga comparve un’ombra silenziosa. Isabelle, credette che fosse Soem, ma nello stupore della prima, vide che era tutt’altro che lei. Isabelle riconobbe gli abiti indossati da quell’ombra e non capiva perché Irieaga si fosse alleata con lui.
L’ombra avanzò di qualche passo, la fissò senza fiatare e poi parlò: «Tu sei una delle tante.». Con un gesto della mano destra, l’ombra ruppe le catene che tenevano incatenata Isabelle.
Sul suo volto una rabbia incontrollabile cresceva. Con agilità lei si avventò su di lui, così i due iniziarono un duro combattimento davanti agli occhi attoniti di Irieaga. Uno solo dei colpi che s’infliggevano avrebbe ucciso qualsiasi essere umano… continuavano a lottare con una ferocia animalesca, sbattendosi violentemente contro le pareti di roccia….
Irieaga assisteva indifferente a quello che sembrava un combattimento che non avrebbe mai avuto fine. A un tratto l’ombra vinse quando riuscì a intontirla picchiandole ripetutamente la testa contro la roccia. Senza pensarci un attimo, mentre Isabelle tentava di riprendersi velocemente dallo stato di torpore, le scaraventò contro una potentissima palla di fuoco.
Isabelle allungò la mano verso di lui e si materializzò una lastra di vetro opaco, appena in tempo, facendo rimbalzare la palla infuocata. Finì contro la stessa ombra ed ebbe una forza inaudita che lo investì facendolo diventare una torcia umana.
«Ritorna nel tuo regno Lucifero e fa molta attenzione quando metti piede sulla Terra.» Isabelle fu chiara e in quell’istante sopraggiunse Soem.
Le grida di Lucifero accompagnarono il cammino di Isabelle e Soem per un tempo infinito prima che su di loro scendesse nuovamente il silenzio…. Allo stesso tempo Irieaga fu spinta dall’odio che provava nei confronti di Isabelle ad attaccarla, ma la prontezza di Soem e il suo fastidio che sentiva nel vederla, la portarono a intrappolarla in un cristallo.
Quando le grida di Lucifero si spensero completamente, il silenzio che calato sembrava quasi innaturale, tanto che nessuno delle due osò infrangerlo.
Lentamente, le ferite di Isabelle si rimarginavano lasciando al loro posto solo striature rossastre a testimonianza dello scontro avuto poco prima con il sovrano dell’Inferno.
Rimasero stupite entrambi quando, all’uscita da una fitta radura di alberi, si trovarono di fronte ad un ampio spiazzo verde sovrastato da un enorme castello semidiroccato. Era sicuramente disabitato da qualche tempo perché all’esterno piante e radici erano cresciute in modo incolto diramandosi lungo le mura rovinate dal tempo e dalle intemperie.
Attraversarono il portone d’ingresso e s’immisero in un immenso atrio. Si fermarono allibite da quanto i loro occhi videro. Si aspettavano rovine anche all’interno e una situazione di completo abbandono, invece era il contrario.
Mobilia, tappeti e addirittura candelabri accesi. Vagarono un po' attraverso le stanze ed erano tutte ordinate e illuminate come se qualcuno vi vivesse, ma non trovarono anima viva.
Isabelle, per la prima volta, sentì dentro una sensazione piacevole che le diede sicurezza. Gli ambienti, in quel castello, erano stati resi accoglienti per chi vi fosse capitato. Trovarono la stanza da bagno. Era enorme come tutte le altre. Al centro una grande vasca rotonda era già piena di acqua calda e profumata e tutt’intorno, tante candele di ogni colore erano accese.
Per non sprecare un bagno caldo, le due inviarono ai loro amici un messaggio, che li avrebbe condotti direttamente al castello. Una volta che le due furono raggiunte, ognuno occupò una stanza per riposare, anche se il sole era alto nel cielo.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò… era Clegan che, con il permesso di Soem, si accomodò sul letto.
La stanza aveva una grande finestra che dava su quello che, un tempo, doveva essere stato, un enorme giardino e oggi, invece, ne portavano solo pochi e invisibili resti. I drappi delle tende, che Clegan fissò, erano perfettamente integri.
Soem si avvicinò al camino acceso che emanava un caldo tepore, illuminando dolcemente tutto l’ambiente e creando ombre alle pareti, anche se fuori splendeva il sole. Il letto aveva un baldacchino dai cui lati scendevano tendaggi di velluto color porpora allacciati ai lati con nastri in tinta.
Clegan decise di fare la prima mossa… si diresse verso di lei e le cinse le spalle baciandola sul collo. Soem alzò di netto il capo e si domandò: “Perché baciarla sul collo?”, “Forse ricordava?”. Avrebbe avuto le sue risposte in poco tempo…. Furono attimi, che i contorni dei loro corpi nudi furono illuminati soltanto dalla flebile luce del fuoco.
Finalmente era giunto il tanto atteso giorno che Soem aspettava da secoli… espressero così l’immenso amore che un tempo li aveva uniti. Si guardarono negli occhi e la passione esplose, improvvisa, come un fuoco inarrestabile….
Dopo le lunghe ore di passione, un raggio di sole illuminò i loro corpi che dormivano ancora abbracciati ed esausti. Clegan fu il primo ad aprire gli occhi e si sentì felice nel guardare la donna ancora stesa accanto a lui. Si pose fu un fianco e le accarezzò la schiena con la punta delle dita.
Al tocco della mano sul suo volto, anche Soem si svegliò e rimase senza parole vedendo la luce del pomeriggio che lo inondava. Sorrise felice e si sentì come rinata. Si girò verso di lui. Si stupiva sempre di quanto lui fosse affascinante. Lo baciò sulle labbra, grata di averlo accanto.
Intanto una voce attraversò tutto l’Inferno giungendo alle orecchie di Lucifero:
 
Questo luogo è così buio e al tempo stesso luminoso. Mi sembra di trovarmi fra il fuoco e il ghiaccio, invece è solo un luogo senza tempo né spazio. Sento che qualcosa deve accadere e dinanzi ai miei occhi vedo una luce… porta una sensazione di calore fino al momento in cui non diventa freddo come la pietra. Un albero senza età mi cinge con le sue grandi braccia e il fogliame caduto mi nasconde alla vista delle ombre.
 
Lucifero era sconcertato e respirava con affanno, cosa che non gli era mai accaduta prima. Dove si trovava? Perché erano giunte a lui? Domande e ancora troppi e infiniti interrogativi percorrevano il sentiero di Lucifero e di molti altri… nessuno poteva immaginare di chi fosse quella voce se non lui stesso.
Lui s’innervosì per aver solo udito quella voce e si rinchiuse nella sala del trono, ordinando alle sue guardie di non essere disturbato per nessun motivo. La sua rabbia era evidente dal fuoco che ricopriva il suo corpo e dalle mani serrate a pugno.
Verso sera, Clegan aveva deciso di fare una passeggiata per restare lontano dal gruppo. Lui la attendeva ai margini del bosco quando udì, in lontananza, i suoi passi.
Sul sentiero sconnesso, erano quasi impercettibili come se il suo corpo fosse leggero quanto quello di una farfalla. Gli si presentò meravigliosa nel suo abito di seta che si confondeva con la penombra del luogo, risaltando la sua pelle candida.
Lui rimase stupito dal suo fascino come la prima volta che l’aveva vista. Le afferrò la mano e senza una parola, la condusse tra gli alberi. Accesero un fuoco e alla luce delle fiamme si abbracciarono restando in silenzio.
Non erano necessarie tante parole tra loro. Potevano leggersi dentro come in un libro aperto e sapevano sempre ogni cosa l’una dell’altro.
Tutt’intorno, nel bosco, il silenzio si fece di piombo e neppure un uccello osò volare sopra di loro. Tutto durò solo un secondo. Clegan la lasciò cadere a terra e di scatto si alzò in piedi allontanandosi da lei di alcuni passi come terrorizzato da quanto stava per fare.
Per Soem, quello fu il culmine della sua esistenza. Poco più in là il difensore osservava silenziosamente il volto della donna splendere nel suo pallore soffuso. “No, non posso” pronunciò quasi in un sussurro.
«Che cosa ti succede?» gli chiese lei issandosi in piedi e avvicinandosi a lui, che arretrava a ogni suo passo.
«Sono stranamente attratto da te e ho come la sensazione di conoscerti da molto tempo… impossibile.» s’interruppe perché non riusciva a capire il motivo di tanto desiderio e questo lo confondeva. Si sentiva addirittura come spaesato, da quella situazione e non riusciva a darsi pace per aver illuso la donna.
Scappò all’improvviso senza darle altre spiegazioni e Soem restò lì immobile a fissare Clegan allontanarsi sempre più da lei. L’espressione perplessa del suo volto la portò a ritornare sui suoi passi: l’essere una guerriera.
Ormai lontano, Clegan si rese conto dell’errore che aveva commesso; rinnegare i suoi sentimenti a una donna che amava. Raggiunse le sue stanze e picchiò contro la porta più e più volte e costatando che era chiusa a chiave.
Capì che in qualche modo con le sue parole aveva cambiato qualcosa nel cuore della donna e se poteva, voleva rimediare. Soem invece si era chiusa all’interno per ritrovare la sua vera persona che aveva da qualche tempo perduto.
All’improvviso la Sentinella di Sangue percepì la presenza di Clegan che si stava allontanando dalla porta… lasciò ciò che stava facendo e uscì dalla stanza… lo chiamò e lui si fermò. «Sono io che ho commesso un errore… mi sono illusa che tu potessi rimembrare degli antichi ricordi, mi sbagliavo.» furono le sue uniche parole prima di rientrare.
«Il fiume.» gridò Clegan facendola bloccare sull’uscio della porta. Lui riprese a palare e le sue parole toccarono il cuore della donna. «Un’altra sola parola e non ti darò altri disturbi… campanile.» fu l’ultima e la lasciò.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Sulla strada sbagliata ***


Venticinquesimo capitolo
 
Sulla strada sbagliata
 
 
 
 
Nella biblioteca del palazzo reale di Aregiak, Ylloon, Kashda ed Horazz, stavano rivedendo le scoperte fatte da quest'ultimo per riportare sulla Terra i figli della strega. Il mago aveva scoperto che fra la Terra e l’Oblio Eterno si era creata una breccia.
«Possiamo indebolire la breccia con un potente incantesimo d’indebolimento, ma non sarà semplice.» Horazz le asserì la verità e le passò una pergamena con strani disegni sparsi per tutta la sua superficie, senza avere un senso logico.
Segni che nemmeno la strega riconobbe….
Alle spalle dei tre comparve Falock e il loro studio su quelle pergamene s’interruppe: «A cosa devo la presenza di un Dio nel mio palazzo?».
«A un obiettivo comune… i tuoi figli.» rispose il Dio con un sorriso bieco, mentre li fissava.
«E perché gli Dèi dovrebbero aiutare la regina di Aregiak a riavere i suoi figli?» chiese Kashda afferrando l’impugnatura di Tagha.
«Sappiamo bene tutti che Erenock non è scomparso per caso, egli non lascia mai niente al caso. Per questo motivo noi Dèi, vogliamo aiutarti…. Dal furto del medaglione, abbiamo costatato che nemmeno Lucifero è in grado di ostacolare Erenock.» così il Dio espresse il motivo e la preoccupazione per cui era venuto in visita.
«Ti ringraziamo ma non serve il vostro aiuto ai Gavoth… puoi andare via Falock.» la conversazione s’interruppe all’arrivo dell’Uomo del Nero della Notte che rifiutò la loro proposta.
«Il nostro aiuto vi servirà….» disse Falock con tono quasi minaccioso.
«No.» continuò l’Uomo del Nero della Notte facendolo retrocedere emanando un’aura maligna.
Il Dio se ne andò e i tre gli chiesero spiegazioni che ebbero subito….
Intanto nel passato, Soem cercò con difficoltà di capire, dove si trovasse e come fosse arrivata in quel luogo. L’oscurità era totale e faticava a vedere dove posava i piedi così che avanzava in modo cauto, ponendo avanti le mani per assicurarsi di non aver ostacoli sul suo cammino.
Con la velocità di un battito di ciglia, il nulla che la circondava scomparve e si trovò sulla riva del lago. La luna illuminava l’acqua ferma creando su di essa una lunga scia di mille luci splendenti. Lo spettacolo di quella natura era meraviglioso tanto che Soem si sentì invadere da una strana sensazione di pace e gioia.
Lei sorrise continuando a guardare l’orizzonte quasi ne fosse ipnotizzata. La figura apparve a pochi metri da lei, in mezzo al lago, quasi fosse emersa dalle sue profondità. Un attimo dopo la riconobbe. Era una figura eterea semitrasparente di colore giallo oro che somigliava lievemente a Isabelle.
«Ciao Soem.» la salutò guardandola con infinita dolcezza.
«Ester, ti credevo morta. Ora capisco, sei stata tu a chiamarmi qui, perché?» le domandò confusa.
La figura si avvicinò a lei lentamente scivolando sul pelo dell’acqua e le rispose: «Sì, sono morta... il mio tempo nel Luogo Proibito è finito il momento stesso in cui “lui” ha occupato il mio posto. Ne sono stata felice, avevo bisogno di riposare… ora sono un’entità che dal regno dei morti segue le sorti dei viventi. Ti sono stata accanto in tutto questo tempo, come lo sono stata per Erenock, anche se nessuno mi ha mai percepito.».
«Non hai risposto alla mia domanda.» insistette Soem indietreggiando di qualche passo.
«Sono qui perché ora ti aspetta una prova, molto dura e da questa dipende la sorte di molti. Ecco perché sono qui.» rispose la figura librandosi in aria di qualche altro centimetro.
«La sorte di…. E cosa potrei fare io per influire sul futuro?» Soem cominciò a sentire una leggera ansia.
«Tutto ciò che sta accadendo, era previsto dalla scomparsa della Suprema Imperatrice. Tu sei stata scelta fin dalla scomparsa, prevista, di Erenock. Per tuo figlio, invece, la scelta sarà data dagli eventi che seguiranno e dal tuo coraggio.» Ester ora la stava fissando negli occhi quasi a volerli penetrare.
«Mio figlio? Che cosa stai dicendo?» le domandò più confusa che mai.
«Tu stai aspettando un bambino, figlio di Clegan. Il bene e il male sono ora racchiusi nel tuo ventre e daranno corpo a chi da tempo immemorabile, stanno attendendo sia le forze dell’oscurità, che quelle della luce. Chi darà un volto nuovo ai mondi che noi conosciamo. Chi avrà il potere di portare sia la pace, che la distruzione.» la voce di Ester era diventata greve, severa.
Soem rimase immobile, le parole si bloccarono in gola.
«Ora tu dovrai combattere non solo per difendere la vita dentro di te, ma anche il destino dei mondi. Tutto sarà nelle tue mani e in quelle di Clegan. Preparati perché dovrai essere molto, molto attenta. Saranno in molti ora a darti la caccia. Trova un posto sicuro e abbi cura di te e del bambino. Per quanto mi sarà permesso fare, io continuerò a starti accanto finché e, se, lui ritornerà.» così dicendo Ester cominciò ad allontanarsi svanendo gradatamente fino a diventare una piccola forma di nebbia sparsa sulle acque del lago.
«No fermati. Non andartene. Dimmi che devo fare….» la donna gridò con tutto il fiato che aveva in gola, e continuò a strillare, a sgolarsi…. Un suono assordante le fece tappare le orecchie, il suo corpo s’intrise di sudore e le mani si posarono sul ventre quasi a volerlo difendere dalle sue stesse grida.
Soem rimase immobile, come stordita, riascoltando mentalmente le parole di Ester. «Un bambino. Sto aspettando un bambino. Figlio di Clegan. Figlio del bene o del male… che voleva dire?».
Una luce accecante comparve improvvisamente davanti a Clegan investendolo in pieno. Il difensore, preso alla sprovvista, tentò di coprirsi il volto per proteggersi. La luce si compattò e si modellò prendendo forma umana.
Di fronte al difensore ora vi era un’eterea forma femminile. Il volto era bellissimo e perfetto ma gli occhi, impenetrabili, trasparivano una durezza che si scontrava con l’armonia dei suoi lineamenti.
«Ciao Clegan, ti ho per caso disturbato?» Sayori abbozzò una specie di sorriso che fu quasi una smorfia.
Il difensore si preparò a combattere contro quell’essere che non conosceva ma che pareva conoscere lui molto bene. «Chi sei? Che vuoi da me?».
«Mi chiamo Sayori e sono stata inviata da te per parlarti.» il sorriso ironico era sparito dal suo volto e ora lo fissava diritto negli occhi con uno sguardo gelido.
Clegan, pur rimanendo immobile, era pronto a un eventuale improvviso attacco da parte di chi lo stava fronteggiando. La sua muscolatura era contratta.
«Non agitarti Clegan, tanto sarebbe inutile. Sono venuta a farti le congratulazioni, sarai padre. La donna che un tempo era la tua signora, è in attesa di tuo figlio il quale sarà di fondamentale importanza per determinare il futuro dei mondi. Il suo destino è ora solo nelle tue mani e nelle tue azioni.» gli disse Sayori avvicinandosi a lui lentamente.
«Un figlio?» Clegan sgranò gli occhi. La notizia lo colpì come una scudisciata nello stomaco.
«Sì, un figlio. Che potrà nascere sotto il segno della luce come quello delle tenebre. Sarai tu a fare la differenza.» le sue continue parole lo portarono a sentirsi improvvisamente svuotato, completamente indifeso…. La notizia che Soem era incinta lo riempiva di gioia ma anche di disperazione. Che sarebbe successo adesso?
«Io cosa devo fare?» le parole gli uscirono a malapena.
Il sorrisetto ironico ricomparve sulle labbra di Sayori. «Dovrai ogni notte di luna piena, per tutti i nove mesi di gestazione della tua donna, trovare e custodire una pietra. Nove gemme da salvare, come nove saranno i mesi di vita di tuo figlio nel ventre di sua madre. Basterà un fallimento per definirne un destino diverso.».
«E tutto questo a cosa porterà?» chiese Clegan preoccupato.
Sayori scomparve a un battito di ciglia del difensore e riapparve alle sue spalle rispondendogli: «A fare di tuo figlio il condottiero del bene o, in alternativa, la mano distruttiva del male. Dovrai stare attento, perché sono in molti, ha volere questo bambino. La vita di tuo figlio, quella di Soem e la tua sono in pericolo e tu dovrai occuparti di loro.».
«Il mio istinto mi dice che c’è dell’altro, cosa sai dirmi in merito?» le domandò Clegan voltandosi di scatto verso di lei la quale retrocedette all’istante.
«Questo bambino sarà il perno principale per la rinascita completa di un essere che è da troppo tempo scomparso… segnerà inoltre il calare delle tenebre e per questo motivo deve essere protetto.» Sayori ebbe finito e si trasformò nuovamente in frammenti luminosi, fu come un’esplosione di luce.
Clegan rimase accecato per qualche secondo e prima di riaprire gli occhi si ritrovò solo sulle scale. Gli parve di essere stato inghiottito e risputato dalla stessa notte.
«Va tutto bene Clegan?» gli domandò Hanna scendendo verso di lui per accertarsene.
«Sì. Dobbiamo ritrovare assolutamente Soem.» le rispose guardandola negli occhi e stringendo le mani a pugno.
«È quello che stiamo facendo.» Isabelle, si voltò e proseguì salendo ciò che restava della scala. Ferma sull’ultimo gradino si trovò davanti solo un muro di pietra, privo di qualsiasi apertura.
«Se non c’è una via d’uscita, dobbiamo tornare indietro.» finito di parlare, Adhanc sentì degli strani rumori provenire dal fondo della scala e nello scendere alcuni gradini con Hanna per controllare vide che proprio gli scalini si stavano frantumando.
«Dove c’è, una scala c’è sempre una porta, che sia visibile o meno.» disse Isabelle voltandosi verso il muro e poggiando la mano destra sulla superficie. La mano si coprì di una specie di nebbiolina che insinuandosi fra le pietre ne fece rientrare una, molto piccola, poco sopra la sua testa.
Si aprì così un passaggio, che Isabelle attraversò seguita dagli altri ritrovandosi fuori dal castello. E proprio dalla direzione opposta alla loro, stava sopraggiungendo, di corsa, Soem. Si fermò davanti a loro poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Stai bene?» le domandò Clegan avvicinandosi a lei.
«Non c’è tempo per questo… ci sono i soldati dei Gavoth che ci danno la caccia.» Soem indicò la direzione da cui sarebbero arrivati i soldati e poi fece un profondo respiro per arrestare l’affanno.
«Come? Com’è possibile che i Gavoth sappia dove ci troviamo?» domandò confuso Adhanc avanzando di qualche passo e superando di poco Soem.
Quest'ultima indicò verso l’alto un uccello che li sorvolava nascosto dai favori della notte. «È Lokim, senza Dranerre è ritornato a essere un loro servo.».
«Dobbiamo parlare.» disse Clegan rivolgendosi a Soem mentre le agguantò l’avambraccio destro per tirarla a se.
Soem spostò lo sguardo su di lui guardandolo con una strana espressione e, tirando indietro il braccio disse: «Non è il momento migliore adesso.».
«I soldati.» urlò Hanna indicandoli avvicinarsi.
Si allontanarono di corsa ma Soem restò ferma in quello stesso punto estraendo le sue armi. Clegan e Isabelle ritornarono indietro e acchiapparono Soem portandola via. «Che state facendo? Dobbiamo affrontarli e toglierceli di mezzo una volta per tutto.» gridò lei cercando di liberarsi dalla presa dei due.
Proprio allora udirono il verso del corvo rumoreggiare sopra di loro e il vento alzarsi di seguito a una forte luce alle loro spalle. Si arrestarono di colpo e voltandosi, intravidero in essa Kashda con le ali spiegate e Tagha nella sua mano. Quando la luce scomparve, a illuminare il luogo ci pensò la luna.
Con i soldati che sopraggiungevano da un lato e Kashda che si avvicinava dall’altro, il gruppo non poté fare altro che estrarre le proprie armi e prepararsi a combattere. Collocandosi in cerchio, spalla contro spalla, i combattenti si sarebbero difesi l’uno con l’altro.
All’improvviso nubi cariche di pioggia si concentrarono sulle loro teste scagliando al suolo potenti fulmini. Colpirono ripetutamente il terreno, dove tutti quegli armigeri si stavano affrontando in un duro scontro. Le lame delle spade emettevano scintille al contatto con altro metallo, che sparivano prima di toccare terra, mentre i pochi arcieri lasciati a distanza, mancavano il bersaglio.
In lontananza una figura femminile nascosta dalla vegetazione e in assoluto silenzio, osservava con attenzione lo scontro. Meditava nell’individuare il momento più adatto a intervenire. Aspettava nell’ombra assicurandosi di non essere intravista e considerata una preda.
Scoprì il momento adatto quando Soem fu immobilizzata dagli artigli di Kashda. Uscì allo scoperto e con lei anche tutti i suoi sottoposti. Erano tutte donne di alta statura dalla pelle color miele e squame arancioni su varie parti del corpo. I loro lunghi capelli ricci e di colore arancio-oro erano legati sulla testa in sottili treccine e lasciati sciolti che cadevano lungo la schiena. Queste donne avevano la capacità di ricostruire un intero arto se danneggiato. La sua specie si faceva chiamare Shilak, le “Tutrici della Vita”, donne gentili.
Lanciate all’attacco, le Shilak raggiunsero una velocità pari a quella di un cavallo in corsa. Si avventarono sui soldati dei Gavoth con una sorprendente violenza che quasi sembrava non umana. Li affrontarono senza esclusioni di colpi e senza retrocedere neanche a un minimo segno di debolezza o di errore da parte loro.
I suoi occhi grigio topo, si posarono su Kashda, che finalmente stava riuscendo a uccidere un abitante del Luogo Proibito con godimento. Si lanciò verso di lei, ma stranamente si bloccò di colpo avvertendo una forte presenza nel grembo di Soem. Osservò il volto di Kashda e corse immediatamente verso le due, scagliandosi sul demone.
La Shilak ritornò in piedi all’istante aiutando Soem ad alzarsi e portarla via da Kashda. Il demone però le rincorse lanciando un colpo e uccidere Soem, ma lei e la Shilak si fermarono di colpo perché l’involucro di Gorondha era stato trafitto da Tagha.
Sembrò che tutto volesse finire lì… l’involucro di Gorondha afferrò una parte della lama e la tirò verso di se facendo avvicinare la donna. In quel momento la rabbia di Isabelle salì a dismisura… corse verso le due e ordinò alla Shilak di sottometterla.
A quel punto la Shilak si voltò verso Isabelle e affermò: «Ciò che dici è follia… una volta sottomessa a me, non avrai libertà.».
«Questa è l’unica chance che noi abbiamo.» disse Isabelle fissandola negli occhi per l’ultima volta libera.
La Shilak esitò, ma guardandola negli occhi capì che era quello che voleva e che lei doveva fare. In quell’istante, mentre Kashda estrasse la lama dal corpo di Gorondha, che poi diventò polvere nera, la Shilak afferrò la gola di Isabelle e sapeva che non era necessario che invocasse il potere dentro di lei. Il mondo si era fermato nell'istante in cui era entrata in contatto con lei.
Rilasciò il suo freno su di esso e la veemenza interna della forza fredda e pronta a scattare del suo potere le troncò il fiato quando filò via dai suoi legami. Scatenato, quel potere esplose attraverso la Shilak, crescendo dalle profondità del centro oscuro dentro di lei, inondando ubbidientemente ogni fibra del suo essere.
Fu un istante puro, completamente chiuso, dell'accensione di un feroce, vecchio potere scatenato in quel mondo per la prima volta. Nulla sarebbe mai stato più lo stesso, per Isabelle o per la Shilak. Lei non aveva in sé né rancore né ira, né senso di repulsione né mestizia… nessuna compassione.
In quella favilla infinitesimale di tempo, la sua mente era un vuoto dove non c'era nessuna emozione, solo l'impeto divorante del suo potere attraverso l'inesistenza del tempo sospeso.
La Shilak poteva vedere gocce del sudore di Isabelle sospese in aria. Avrebbe potuto contare ogni capello prima che lei potesse fare un minimo movimento. Riuscì a vedere il primo accenno di rimpianto nei suoi occhi neri. Come in un cimitero dove il silenzio era il padrone, tutti osservarono, ma la Shilak era concentrata su Isabelle.
Dietro di lei, anche Kashda era congelata sul posto mentre si allungava per afferrarla, ma anche lei non aveva alcuna possibilità di coprire la distanza e arrivare fino a lei. La Shilak era in un bozzolo silenzioso di tempo. In quell'attimo, il suo potere all'improvviso divenne universale. Un tuono senza rumore scosse l'aria tutt'attorno. La violenza di tutto ciò fu meravigliosa, cristallina, epica.
Mentre il mondo tornava indietro di colpo, il pesante schianto si propagò all'esterno in un anello, quasi sbalzando da terra i presenti vicino a lei. I soldati e i vari combattenti presenti a distanza di pochi metri urlarono nel ruzzolare all'indietro per l'impatto del potere che esplodeva all'infuori in un cerchio sempre più ampio.
Quando terminò, le persone che si erano trovate più vicino erano a terra, rotolando attorno, urlando per la sofferenza, tenendosi le giunture doloranti. Quelli non così vicino barcollarono all'indietro, ma riuscirono a rimanere in piedi e non subirono altrettanti danni. Quelli ancora più lontano ne uscirono meglio, mostrando pochi segni di lividi o ferite.
Isabelle, senza mostrare alcun segno di dolore, s’inginocchiò davanti alla Shilak, guardando in alto con occhi nuovi. Occhi che rivelavano solo il desiderio di compiacerla. «Comanda padrona.».
Kashda e Soem, che ancora si stavano sforzando per riprendersi dal dolore, riuscirono a mettersi in piedi. La prima barcollando si diresse verso Soem per un altro tentativo di morte.
Clegan, apparso dal nulla, protese il braccio destro all'infuori, il palmo all'insù. Mentre stava lanciando una magia con la mano destra, stava impugnando nuovamente la spada con la sinistra.
La saetta di potere che scagliò, sfrecciò per il prato oscurato dalla notte, con l'aria che tremolava nella sua scia, e andò a urtare contro Kashda con la forza di una valanga. Lei si disintegrò in frammenti di cenere e polvere.
Era una sconcertante dimostrazione di potere che fermò di colpo alcuni degli uomini in tunica grigia che stavano accorrendo. Hanna non aveva mai visto il potere usato in modo tanto sconvolgente. E vedendo la rabbia negli occhi del Difensore della Fede crescere ogni secondo di più, i soldati ancora vivi s’incitarono a ucciderli tutti.
Clegan si portò dinanzi ai soldati e fu allora che Soem riconobbe Nuhr. L’ultimo soldato era morto, ma… dove la vista arrivava, altri soldati sopraggiunsero. Gli uomini cadevano sotto la spada e la magia di Clegan nel tentativo di raggiungere Soem. Il difensore non concesse a nessuno di quegli uomini di avvicinarsi a lei, nemmeno lontanamente.
Chi ci provava otteneva una morte rapida. Nella quiete al centro del caos, ai piedi della Shilak, Isabelle congiunse le mani e la supplicò: «Vi prego, padrona, comandatemi.».
La Shilak si lanciò un'occhiata attorno alla battaglia che imperversava, poi tornò a guardare Isabelle. «Libera la tua energia.».
Isabelle balzò in piedi. «Grazie padrona.» quelle furono le sue ultime parole prima di obbedire alla Shilak.
Isabelle allargò le braccia e chiuse gli occhi portando la testa all’indietro. Nel centro del petto si materializzò una luce rossa che aumentava la sua grandezza ogni qual volta, pulsava. A quel punto Isabelle emanò un grido di liberazione e la luce esplose investendo ogni cosa. L’esplosione fu così potente da riuscire a sollevare persino un grosso masso che si trovava nelle vicinanze.
I soldati, le Shilak e tutti gli altri riuscirono con difficoltà ad aggrapparsi ai tronchi degli alberi, e a tutto ciò che fosse abbastanza pesante. Tentarono di coprirsi le orecchie per non essere investiti dal forte rumore che si udiva.
L’incredibile potenza che il corpo di Isabelle emanava non diede modo di difendersi, anzi li rese inermi. La forza che li investì era tale che quando li colpì sulla pelle lasciò i suoi segni: macchie rosse e ruvide al tatto.
Riuscivano tutti a malapena a sentire, dapprima la puzza di carne bruciata e fumo intenso poi un delicato profumo di mughetto e ranuncolo.
I pochi che potevano, avvertirono il calore scagliarsi sulla loro pelle e alla fine il freddo che portò questa a indurirsi. Alla fine ci fu lo strano sapore del sangue che sentivano in bocca quasi ad avere la nausea.
L’esplosione si estese così velocemente per tutte le Terre Morte che superò i confini per chilometri, dove, però trovò una rete di magia oscura a fermarla. La forza che Isabelle conteneva era inimmaginabile e persino la magia oscura faceva fatica a trattenerla.
La rete s’intensificò così incredibilmente che divenne una barriera nera da cui nessuno, forse nemmeno la stessa energia sprigionata da Isabelle poteva liberarsi. L’impedimento di ingrandirsi fu estenuante tanto da darle rassegnazione e da ritirarsi velocemente e implodere in ciò che era prima, un corpo di carne e ossa.
Quando un silenzio funebre piombò su quel luogo, già ormai di morte, i superstiti si lasciarono andare e aprirono gli occhi. Chi si trovava a terra cercò di rimettersi in piedi dalla polvere, anche se dolorante e ferito. Chi già si trovava in piedi faceva fatica a vedere persino a un palmo dal naso, come se una fitta nebbia si fosse posata su di loro.
Cominciarono a intravedere qualcosa solo quando furono sfiorati da una leggera brezza proveniente da Nord-Est dove si trovava l’oceano Lavencia. Solo quella fu in grado di eliminare la strana nebbia che non permetteva loro di guardare e dar loro la possibilità di vedere l’orrore che si presentava su quel luogo.
Videro solo distruzione, rovine, desolazione di ciò che restava di terra fertile e abitabile. Voltarono poi lo sguardo verso il capo delle Shilak… accanto a lei e a Soem non era rimasto altro che un’unica scintilla di vita che sembrava non voler morire. Era ciò che restava della povera Isabelle e con sorpresa di tutti fu imprigionata nel pugno di una mano comparsa all’improvviso.
La mano, attaccata al braccio di un uomo che tutti conoscevano bene, si coprì di scie blu e bianche che ruotarono intorno a essa senza mai fermarsi. Le scie dopo qualche secondo si posarono a ricoprire per intero la mano che si aprì di scatto. La scintilla era sparita; preservata dal male che imperversava in quel mondo e dagli innumerevoli errori commessi persino dallo stesso Erenock.
L’uomo si tolse il cappuccio e si mostrò ai presenti intorno a lui; lo riconobbero tutti: era Erenock. Era tornato e la sua espressione disse tutto: era furioso e indignato dagli eventi trascorsi.
Il silenzio opprimeva il luogo devastato ormai completamente, fino a quando un leggero mormorio saliva dal fondo dell’esercito di Shilak, inginocchiato al cospetto di Erenock col capo abbassato per il rispetto che dimostravano verso di lui e i suoi amici.
«Sono seriamente disgustato da ciò che ho dovuto scoprire al mio ritorno… due membri sacrificati, un altro gravido e le Shilak di nuovo sotto il cielo della Terra.» Erenock era furioso per gli avvenimenti che si erano verificati dal suo allontanamento provvisorio e lo dichiarò apertamente.
«Ognuno di noi aveva coscienza di ciò che doveva fare... era necessario e inevitabile.» Soem si pronunciò per prima dall’arrivo di Erenock, anche se nel profondo lo temeva.
«Cerchiamo di porre l’attenzione altrove adesso... sono stato via per la ricerca della Fonte del Legame e nasconderla agli occhi di Ylloon, questo non toglie il fatto, che sia furioso.» Erenock si avvicinò a un albero morto e si sedette ai suoi piedi poggiandosi con la schiena contro il tronco.
«Le scelte che sono state compiute, si rifarebbero senza la ben che minima ombra di dubbio.» intervenne Soeshna, capo delle Shilak, mentre avanzava verso di lui a testa alta, tuttavia con timore.
Soem si accorse che improvvisamente la bussola aveva incominciato a vibrare, come se tremasse di paura. La prese dal sacchetto e la porse a Erenock. Lui la aprì e gli pose una domanda: «Qual è il motivo per cui non li hai condotti alla torre degli angeli?».
«Il concepimento doveva avvenire qui.» rispose la bussola, cercando di non farlo ulteriormente infuriare.
In quell’istante Soeshna si concentrò sul comandante, cercando di visualizzare i suoi pensieri, ma la mente di Erenock era una fortezza inespugnabile, così la Shilak pose la sua domanda: «Per quale motivo li ingannerebbe?».
«Deve essersi alleato con la strega.» intervenne la Dea mettendo alle strette la bussola.
A quel punto Erenock s’issò e si rivolse alla bussola: «Cosa ti ha promesso Ylloon?».
La bussola tremante di paura dinanzi al comandante, esitò nel rispondergli. Soeshna però aveva letto i suoi pensieri: “Di cedermi il potere e di attribuirmi l’importanza che merito”.
«C’è un altro fatto strano.» s’intromise il nano panciuto, mentre le sue armi risuonavano a ogni suo passo.
«Qual è?» gli chiese Soeshna, mettendo in soggezione Adhanc.
«Come facevano a sapere che noi eravamo qui, se ci troviamo nel passato?» chiese lui con sguardo duro e mascolino.
Erenock, alzò gli occhi verso tutti loro e disse: «Nessuno di voi è stato in grado di accorgersi che sulle nostre teste si aggira un pennuto assai fastidioso.».
«Lokim. Come può averci trovato in questo tempo e ad aver avvertito la strega?» si domandò Clegan strabuzzando gli occhi per intravedere nell’oscurità del firmamento il corvo.
«Lokim è uno dei tanti fantocci al servizio dei Gavoth, è stato dotato di un potere che gli permette di viaggiare nel tempo e di informarli su eventuali novità.» la Dea conosceva bene quel corvo e pur sapendo quale fosse il suo destino, cercava di tenersi alla larga. Costatò lo stupore sui loro volti, tranne ovviamente su quello di Erenock.
Un anello di luce si estese dalle pupille verso l’esterno e la bussola si ricoprì di una sottile nebbiolina che s’insinuò in ogni suo “ingranaggio”. Le parole che Erenock disse dopo, sconcertarono tutti: «Lasceremo che la bussola ritorni dalla sua alleata.».
«Non è troppo pericoloso, Ylloon potrebbe usarla per i suoi figli?» intervenne la Dea esponendo la sua preoccupazione.
Non ebbe nessuna risposta, ma su di loro prese a calare una coltre di nebbia che avanzò verso il cielo investendo ogni cosa. Lokim non riuscì più a vederli, nemmeno sforzandosi… però la nebbia si diradò in breve tempo e l’uccello non vide altro che la bussola sul terreno arido.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** La chiave ***


Ventiseiesimo capitolo
 
La chiave
 
 
 
 
Nell’aria si udì il verso del corvo e l’animale scese in picchiata verso il terreno afferrando fra le zampe la bussola. Riprese il volo e s’inoltrò nel buio della notte, mentre lo sbattere delle sue ali, riecheggiò fra le mura di un lungo e stretto corridoio.
Sembrò non avesse fine, ma d’improvviso, una luce con frammenti di specchi che le volteggiavano tutto intorno, lo investì.
Uscito, ritornò a percorrere i lunghi corridoi…. Si fermò dinanzi a una porta che si aprì lasciandolo entrare; in fondo alla sala c’era Ylloon ad attenderlo. La strega allungò il braccio sinistro e lasciò che il corvo vi si posasse.
Ylloon prese la bussola e lasciò che l’animale restasse sul suo braccio, mentre ordinò alla bussola di aprirsi… obbedì e da essa uscì in un’esplosione una luce accecante che la fece cadere a terra.
Con il dolore che provava agli occhi, richiamò a se il corvo che si era allontanato per la paura, chiedendogli notizie…. Ylloon si mise in piedi e lasciò che Lokim si avvicinasse a lei. Intorno ai suoi occhi la pelle si era arrossata e come da lei richiesto Lokim le mostrò un volto: quello di Erenock. La furia della strega fu tale che persino il corvo sbatté le ali con violenza.
Ylloon gridò la sua rabbia e le sue urla furono così intense da far tremare la terra. Aveva l’odio che le scorreva nelle vene facendole ribollire il sangue, tanto da incanalare tutta la rabbia nelle mani. Accumulata nei palmi, Ylloon scagliò quell’energia sulla porta che polverizzò in un attimo.
Alla fine quando la sua collera era stata liberata, Ylloon fece un profondo respiro per calmare i nervi. Nel momento in cui il suo respiro divenne regolare, Horazz l’aveva raggiunta, restando però sulla soglia della porta. Non aprì bocca. Restò lì, poggiato a ciò che rimaneva della porta a osservarla.
«Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe tornato, ma non mi aspettavo che lo avrebbe fatto così presto.» fu disgustata nell’aver rivisto il volto di quell’“uomo” e cercò di scoprire dalla bussola, il motivo del suo ennesimo ritorno.
Il manufatto in questione cominciò a parlare raccontando ciò che Erenock voleva che Ylloon dovesse sapere. Un leggero sorriso apparve sul suo volto, che si volse verso il mago e lo sorpassò senza fiatare. Horazz la seguì restando continuamente in silenzio, nonostante tutto desiderava enormemente conoscere i motivi della sua furia.
Ritornarono nella sala del trono e Ylloon si rivolse al mago con tono molto serio: «Convoca Kashda, ho un compito per lei.».
Il mago annuì e la lasciò… mandò un soldato a informare Kashda…. La donna era inginocchiata al cospetto della strega che aspettava un comando e arrivò subito: «Erenock è tornato… metti in atto gli ordini che ti ho assegnato tempo fa... senza errori perché non accetterò un fallimento da parte tua.». Il tono con cui la strega le parlò la fece rabbrividire.
Kashda si sciolse dall’inchino e lasciò la strega ad attendere sue notizie…. Il demone era felice nel sapere di avere un’altra chance per uccidere in modo definitivo Erenock.
Ylloon accavallò le gambe, coperte dalla lunga gonna verde… poggiò le braccia sui bellissimi braccioli di avorio, intagliato a mano, e la testa contro lo schienale del trono rilassandosi e chiamando il mago: «Per te ho un diverso compito… recati alle Terre del Cielo e arrivaci prima di Erenock e dei suoi amici.».
 
Sotto la zolla di terra che ospitava la città Amaiqua, capitale del Continente del Cielo, si trovava un velo nebbioso che nascondeva la torre degli angeli.
Al chiarore della luna, una sfera elettrica comparve a una trentina di metri dal pelo dell’acqua, mentre l’uomo al suo interno osservava scrupolosamente il velo nebbioso in cerca di una falla da cui potesse entrare.
Le onde sotto di essa sembravano essere schiacciate da qualcosa di pesante e zampillavano in direzione del mare aperto creando un tremendo frastuono che Horazz ne fu distratto.
Il mago stava usando un potente incantesimo che gli avrebbe portato via quasi tutta la sua energia, nonostante tutto aveva un asso nella manica.
Da Ovest, la parte opposta alla sua, si materializzò una piattaforma di vetro opaco su cui comparvero Erenock e Soeshna, seguito dal resto del gruppo.
«Noi non siamo gli unici, Ylloon ha inviato Horazz.» Soem indicò la direzione in cui si trovava e si voltò poi a guardare Erenock. Restò a fissarlo per un tempo infinito e quando lo sguardo del comandante le divenne troppo pesante perché lo sostenesse, spostò gli occhi altrove.
L’attenzione di Clegan però fu catturata da ciò che si aggirava sotto il velo nebbioso. Di colpo i suoi pensieri gli uscirono dalla bocca senza che lui potesse impedirlo: «Emana un’energia che non ho mai avvertito prima d’ora.».
Erenock fece un passo in avanti osservando da dove avesse inizio il velo nebbioso e poi si rivolse al Difensore della Fede: «Ciò che hai notato è il guardiano che sorveglia costantemente la torre degli angeli.».
«Uccide senza pietà chiunque osi attraversare il velo.» intervenne Soem continuando inconsapevolmente le parole del Comandante Erenock.
«Noi come lo evitiamo?» domandò il nano sbirciando da dietro quei giganti per vedere anch'egli il guardiano della torre.
Erenock cercò di individuare il guardiano oltre il velo nebbioso, dove persino i suoi poteri erano quasi limitati. Il tempo rallentò e a fatica, il comandante riuscì a vedere il guardiano nascosto da un manto di energia oscura. Nel ripristinarsi del tempo Erenock perse brevemente l’equilibrio, ma fu subito sorretto dalla Shilak.
«Non vi è possibilità di entrare, se cercassimo di farlo, il guardiano distruggerebbe la torre e tutto ciò che si trova sotto il velo.» disse il comandante drizzandosi con la schiena e prendendo di nuovo il controllo su di se.
Clegan scrutò a dovere il velo dalla sua posizione e informò i suoi compagni che forse c’era un modo: «Ho bisogno che però Horazz sia distratto da altro.».
«A questo penserò io….» Soem aveva già in mente un piano che avrebbe impegnato il mago, ma fu interrotta da Clegan che era preoccupato per lei e il bambino ordinandole di restare al sicuro.
Nessuno poteva impartire ordini a Soem escluso Erenock e così avvenne…: «Farai come ti è stato ordinato, sei vulnerabile e in questo momento saresti solo d’intralcio al nostro dovere.». Fu duro e severo e lei sapeva che lui doveva esserlo.
La luna era più bella che mai quella notte avvolta dal suo manto di stelle, ma l’aria era fredda e non prometteva grandi cose. Il silenzio che incombeva su di loro era snervante e il nano espresse i suoi pensieri: «Avvenga ciò che avvenga, il tempo sorvola anche i giorni peggiori.».
Uno sguardo a Erenock e il mezzo angelo corse sulla piattaforma gettandosi nel vuoto…. Restarono tutti impassibile al suo gesto, ma cercarono di seguirlo con lo sguardo.
Prima che Clegan potesse sfracellarsi sul pelo dell’acqua, raggi di luce bianca fuoriuscirono dalla sua schiena liberando così delle bellissime ali. Prese quota giusto in tempo risalendo, mentre concentrava nelle sue mani quanta più energia poteva.
Individuò il punto giusto e si lanciò in picchiata contro il velo, mantenendo davanti a se la sfera. L’impatto provocò una potentissima onda d’urto, ma il velo resisteva all’attacco che stava subendo.
Lentamente Clegan riuscì a penetrare lo strato esterno e la luce sprigionata dall’enorme sforzo che stava facendo, lo intravide anche Horazz decidendo di intervenire.
Erenock doveva fermare il mago, ma anche evitare che si creasse uno scontro diretto. Un fuoco divampò negli occhi di Erenock e dal mare una colonna d’acqua s’issò agguantando Horazz che cercò di trascinarlo negli abissi.
Clegan intanto aveva lacerato anche lo strato interno del velo creando una fessura da cui poter entrare. “Aiutatelo”. Una sola parola e Adhanc e la Shilak lo seguirono all’interno del velo.
Raggiunsero il suolo a grandissima velocità tanto da creare giganteschi crateri al contatto col terreno. Si alzarono immediatamente e corsero ad aiutare Clegan che stava affrontando il guardiano.
I loro attacchi divennero ben presto violenti a tal punto che le onde d’urto sprigionate ruppero il velo. La nebbia si diradò e la torre degli angeli fu visibile….
L’arrivo dei due lo fece distrarre e gli costò la rottura di un’ala da parte del guardiano. Precipitò e nel cadere si aggrappò ai rami degli alberi per non sfracellarsi al suolo.
Ha contato con il terreno si rimise in piedi, cercando di ritirare le sue ali, ma non ci riuscì. Non aveva altra scelta e sfoderò la sua spada impugnandola con entrambe le mani.
In suo soccorso giunsero il nano e la Shilak…, «Grazie per essere qui….». Fu lieto di averli al suo fianco e dopotutto non era poi così inutile avere una mano in più.
«La tua ala guarirà ma nel frattempo ti consiglio di restare lontano dal guardiano.» Soeshna si gettò contro il guardiano, mentre il nano impugnò le sue asce dietro la schiena e la seguì.
Il guardiano esplose in una miriade di piccole luci bianche e Clegan guardò i suoi compagni cercando di spiegarsi perché lo stessero fissando in quel modo.
La risposta giunse alle spalle del mezzo angelo con l’avvicinarsi di una donna: «Devo ringraziarvi. Se voi non lo aveste distratto, io non sarei mai riuscita a ucciderlo.». I suoi capelli biondi intrecciati sulla testa non risaltavano i lineamenti del suo volto e i bellissimi occhi rossi dalle sfumature dorate che aveva. Era tutto semplice ma elegante come il suo abito bianco privo di qualsiasi ornamento.
La donna spiegò le sue ali e ordinò che la seguissero. Li condusse fino all’entrata della torre, dove si trovava un alto portone di legno. Oltrepassata la soglia, il nano trascinò lo sguardo sul pavimento posto lungo il perimetro delle mura. Il centro, infatti, era colmo di acqua e ninfee sparse sulla superficie abbellendo il luogo altrettanto rigoglioso di svariata vegetazione.
In nano avanzò fino al bordo ponendo una domanda alla donna: «In che modo raggiungeremo la cima di questo edificio se non ci sono porte o scale?». Adhanc continuò a fissare l’acqua e a essere curioso della risposta che la donna gli avrebbe concesso.
La donna si staccò una piuma e la gettò nell’acqua da cui uscirono grosse bolle d’aria che portarono a galla una struttura in pietra bianca, in perfetta sintonia con l’edificio.
Arrivati in cima, varcarono la soglia di una porta apparsa a Sud dell’entrata; questa li immise in un’anticamera con una scalinata schiacciata contro le pareti e cristalli azzurri che mantenevano una luce soffusa.
Mentre salivano, la donna li informò di evitare il contatto con i cristalli, infatti, più che illuminazioni vere e proprie erano armi letali.
Nel luogo più caldo che esisteva fra le dimensioni, si era presentato l’Uomo del Nero della Notte ha far visita a Lucifero… lo raggiunse in un cratere dal diametro smisurato, situato in mezzo a un deserto fiammeggiante. Lì Lucifero era intento a compiacersi del dolore che i suoi demoni procuravano alle anime da poco giunte in quel luogo.
Le urla disperate erano una dolce melodia per Lucifero, al contrario erano starnazzi per l’Uomo del Nero della Notte che cercava di resistere a quel tormento. Si fermò al suo fianco e restò a osservare, a modo suo, il panorama e le scene che si stagliavano davanti ai suoi occhi.
«Ti porto notizie che non ti piaceranno… Erenock e compagni sono riusciti a oltrepassare il velo nebbioso.» l’Uomo del Nero della Notte si bloccò in seguito al voltarsi di Lucifero e alla vista dei suoi occhi.
Lucifero restò con gli occhi su di lui per un bel po' di tempo prima di spostare la sua vista nuovamente sulle anime. «A quanto pare la bussola non ha compiuto il suo dovere come l’era stato ordinato dalla strega….» lui ritornò indietro e camminò al fianco dell’uomo su un sentiero di altissime fiamme che si scansavano al loro passaggio.
Lungo tutto il sentiero non vi era altro che fuoco che ardeva anime di assassini e ladri, senza mai consumare la carne. Così sciolto dalla sua attenzione per il sentiero, l’Uomo del Nero della Notte continuò a consegnare le notizie che aveva. «Non conosco i dettagli dei movimenti di Erenock e dei suoi compagni, ciò che so è che Horazz e il Comandante Gordoona si stanno prodigando a irrompere all’interno della cupola.».
Lucifero ascoltava con attenzione le parole che l’Uomo del Nero della Notte emetteva e lasciò che una sola domanda uscisse dalla propria bocca: «Ed Erenock è intervenuto in qualche modo?».
L’uomo allungò il braccio per sfiorare le fiamme che lo affiancavano e un po' divertito da questo rispose a Lucifero: «Secondo Horazz sì, ma si è prodigato solo in difesa e non in attacco.».
Entrambi restarono in silenzio per alcuni istanti poi Lucifero si fermò e parlò: «Ti consiglio di non sottovalutare mai il Comandante Erenock, egli è più furbo di quanto non vuol far credere. Se fino a questo momento non ha attaccato ci sarà un motivo ben preciso… quell’uomo calcola ogni cosa nei dettagli». Spostò il volto altrove in quel luogo vasto e identico per ogni punto aspettando di avere altre informazioni che però non arrivarono.
Ripresero a camminare lungo il sentiero e in un batter d'occhio si trovarono in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti. Una grande montagna si alzava a picco davanti a loro ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme.
La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Infatti, la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti l’Uomo del Nero della Notte vide una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, veramente furiosi, molestavano le anime le quali urlavano disperate. A questa montagna ne seguivano altre più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi.
Nel fondo dell'abisso vide un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti. Al centro, una sedia formata dai capi dell'abisso. Lucifero, ora ci sedeva sopra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati.
L’Uomo del Nero della Notte allora diede a Lucifero altre informazioni, ma questa volta sui Gavoth: «I Gavoth stanno ricercando un incantesimo che indebolisca la breccia, ma per ora hanno avuto solo fallimenti.». Nel frattempo, notò che il muto cuscino della sedia erano Etroph e altre anime disperate come lui. E in quell'abisso, egli vide precipitare una pioggia di anime….
Lucifero si godè quei suoni meravigliosi che lo circondavano e poi alzò lo sguardo verso di lui: «Cercheranno in eterno, un incantesimo di tale portata non è nelle loro capacità.».
«Ho fatto in modo che Ylloon rifiutasse l’aiuto degli Dèi, come tu hai chiesto.» disse l’Uomo del Nero della Notte che non appena giunto sulla soglia, udì urla, voci lamentevoli, bestemmie e maledizioni contro Dio.
Vide mostri, serpenti, fiamme smisurate. Erano menata per tutto l'inferno. Precipitavano giù, con la furia di densa grandine, le anime dei nuovi abitatori e, a quest'arrivo si rinnovavano pene sopra pene ai dannati.
«Ben fatto, ma se fossi in te, non sottovaluterei gli Dèi. Ti suggerisco di tenerli d’occhio soprattutto adesso….» mentre conversavano, intorno a loro apparvero parecchie anime con un libro in mano. I demoni le battevano con verghe di fuoco nella bocca, con mazze di ferro sul capo, e con spuntoni acuti trapassano loro le orecchie. Erano le anime di quei religiosi bastardi, che adattarono la regola a uso e consumo proprio.
L’Uomo del Nero della Notte allontanò la sua attenzione dalle anime e la concentrò tutta su Lucifero: «Tu sei il Sovrano di questo luogo, cosa riuscirebbe a distruggere completamente la breccia?».
Lucifero guardò l’Uomo del Nero della Notte e alzandosi gli rispose: «Con la potenza che io possiedo, non sarei in grado nemmeno di scalfirla.».
«Chi avrebbe tale forza?» domandò ancora, mentre seguiva Lucifero nei suoi passi. Incrociò così altre anime che erano rinchiuse in sacchetti e infilzate dai demoni nella bocca da un orrendo dragone che in eterno le digrumava. Erano le anime degli avari. Altre gorgogliavano tuffate in un lago d'immondizie.
Le anime restavano incenerite, ma dopo riacquistavano lo stato primiero. I peccati che avevano commesso erano i più gravi che mai vivente potesse immaginare. Tutte le strade dell'inferno apparivano sparse di rasoi, di coltelli, di mannaie taglienti. E mostri, dovunque mostri. E una voce che gridava: “Sarà sempre così”. E l’eco di quella parola “sempre” che gli riecheggiava intorno.
Lucifero restò in silenzio, ammirando ciò che possedeva. Nessuna domanda lo avrebbe distratto. Nessuna parola lo avrebbe smosso da quell’attimo. Poi tutto a un tratto rispose: «Erenock. Lui è in grado di indebolirla e dar così modo a Ylloon di aprire un varco per l’Oblio Eterno. Tuttavia ci sono delle complicanze… Erenock non aiuterà mai la strega e se lei dovesse entrare nell’Oblio Eterno, finirà col rimanervi fino alla fine del Tempo.».
In un luogo ancora più profondo, l’Uomo del Nero della Notte trovò ammucchiate migliaia di anime, sopra il quale incombeva un torchio con un’immensa ruota. La ruota girava e faceva tremare tutto l'inferno. All'improvviso il torchio piombò sulle anime, riducendole quasi a una sola; cosicché ciascuna partecipava alla pena dell'altra. Poi ritornavano come prima.
E più nelle viscere dell’Inferno i due si addentravano più la temperatura aumentava. In breve tempo si trovarono in un luogo illuminato da una luce soffusa dove regnava un silenzio tombale. Era accessibile soltanto a Lucifero. Si bloccarono sul bordo di un burrone, largo delle centinaia di metri e senza fondo occupava uno spazio molto vasto.
Il silenzio cedette il posto a uno strano rumore che proveniva dal burrone; alte vampe si collocarono di fronte a loro componendo un ponte che si perdeva nell’oscurità del luogo. Lo percorsero senza problemi e alla fine di questo i due si videro davanti a una cancellata di fiamme che si spensero al passaggio di Lucifero.
La temperatura era diventata quasi insopportabile per l’Uomo del Nero della Notte, ma continuò comunque a seguirlo. Camminarono in un tunnel di pietra con corpi maschili che uscivano dalle fiancate e che al loro passaggio s’infuocavano le mani. Alla fine del tunnel, un’arcata non più alta di cinque meri, immise i due in una vasta caverna dal soffitto impossibile da scorgere.
Oltrepassata la soglia, l’Uomo del Nero della Notte notò profondi canali colmi di lava che convogliavano tutti in un unico punto, il centro della caverna. Il luogo era avvolto da un inquietante calma che fu interrotta solo dai loro passi sulla pietra. Si sospesero ai piedi di una piccola montagna piena fino all’orlo da magma; nel mezzo l’Uomo del Nero della Notte notò un grosso pezzo di ghiaccio che si trovava sospeso su di esso.
«Se si trova isolato dal resto del tuo regno, allora deve trattarsi di qualcosa d’importante.» affermò poche parole e lasciò che Lucifero gli desse le risposte che lui voleva.
«Ciò che vedi è uno dei tanti frammenti di una rara anima ed io lo possiedo.» Lucifero si spostò lateralmente per osservare il pezzo di ghiaccio in tutte le sue forme. Ritornò al fianco dell’Uomo del Nero della Notte e gli mostrò il contenuto: un bellissimo corpo femminile nudo, sorretto e avvolto da rovi affilati che non osavano ferire la sua pelle.
«A chi appartiene?» gli domandò lui non togliendo lo sguardo da quella figura.
Di punto in bianco, Lucifero si voltò e si allontanò rispondendo ugualmente alla domanda: «Questo dettaglio non ti è dato sapere.».
Secondo Lucifero non era importante che l’Uomo del Nero della Notte sapesse a chi appartenesse quel frammento, ciò nonostante avrebbe raddoppiato la sorveglianza di quel luogo e di altri nel suo regno.
«Scommetto che appartiene alla Suprema Imperatrice e l’hai nascosto affinché non sia ritrovato da Erenock. Forse se lui sapesse un suo frammento, si trova nelle tue mani, verrebbe qua alla velocità della luce per darti tanti calci nel sedere. Ti consiglio invece di triplicare la sorveglianza.» le parole e i commenti sarcastici dell’Uomo del Nero della Notte non gli piacquero per niente, ma in fondo chiunque si nascondeva sotto quel mantello nero, aveva ragione.
Sulla Terra invece, sopraggiunse, da Ovest, uno stormo di Meterye, cavalcati dai Nemodurre e Gordoona, che puntò diritto sulla torre. Erenock doveva proteggere Soem e il figlio che portava in grembo, così abbandonò Horazz e si diresse con lei dal resto dei compagni.
Horazz in qualche modo riuscì a liberarsi e immediatamente aprì la mano dal cui palmo ribollì un impulso di energia rossa che scagliò contro la cupola. L’impatto fu incredibilmente violento, ma il colpo rimbalzò sulla superficie, che tornò indietro vaporizzandosi a metà percorso.
Più colpi infliggevano alla cupola, meno resistenza mostrava. Erenock capì che la cupola non avrebbe retto ancora per molto e così impartì degli ordini a Soem: «Raggiungi la torre e non fare domande… una volta all’interno sigilla l’entrata. Tuo figlio è in grado di riuscirci, ma bada bene a controllare la sua magia.».
Soem obbedì ai suoi ordini, ma la magia che suo figlio possedeva era troppa per lei e iniziò a perderne il controllo. In realtà il feto aveva altre intenzioni…. La magia nascose le mani di Soem che indirizzò contro la cupola, mentre intorno a essa crebbero all’istante grossi rovi avviluppanti.
Il mago si accorse subito che i rovi annullavano la sua magia e così immise nell’impulso una freccia di puro dolore. Riuscì a oltrepassare i rovi prima che si chiudessero e si scagliò contro Erenock conficcarsi nel suo petto.
La punta della freccia restò all’interno del suo corpo, ma lui non ci fece caso. A ogni respiro provava dolore, a ogni battito del suo cuore la punta della freccia si faceva sentire. I suoi occhi s’iniettarono di sangue, le vene intorno a essi s’ingrossarono e la pelle si fece rossa.
Ancora dolorante scomparve avvolto dai Krimin ricomparendo alle spalle di Soem, che aveva già raggiunto la sommità della torre. Corse in suo soccorso e lo aiutò a sedersi notando poi la freccia molto vicina al cuore.
Lei s’inginocchiò al suo capezzale e cercò di acchiappare l’asta della freccia ma Erenock, però le afferrò il polso bloccandola e le disse che non sarebbe riuscita a estrarla senza perire.
Mentre Soem aiutava Erenock a rimettersi in piedi, Clegan e i suoi amici, si trovarono davanti, un tetto vetrato e una sala spoglia dove c’era un unico oggetto facente parte dello stesso pavimento, una colonna di cristallo alta non più di un metro circa.
La donna chiese loro gli oggetti recuperati e Soeshna glieli consegnò, restando a vedere mentre li poggiava sulla base della colonna…. L’angelo volse lo sguardo verso i suoi ospiti e attese, ma non vedendo però alcuna reazione da loro chiese: «Dov’è il terzo pezzo?».
Clegan rifletté per un istante e alla fine rispose alla sua domanda: «La bussola ci ha condotto solo a due luoghi ove noi abbiamo trovato questi manufatti.».
La donna fece cenno al difensore di aver capito e disse: «Io in questo caso non posso fare nulla per voi senza il terzo pezzo.».
«Di questo non dovrai preoccuparti.» irruppero nella sala Erenock e Soem… il comandante era affaticato, così Clegan e la Shilak lo soccorsero adagiandolo contro il muro della sala.
La donna che viveva nella torre si avvicinò a loro e questa volta si presentò: «Io sono Meelezza ambasciatrice degli angeli non che l’ultima della razza.».
Erenock prese qualcosa che aveva nascosto nella cintura e glielo lanciò: «Questo ti sarà utile.».
Meelezza annuì e si recò alla colonna, dove depose l’ultimo pezzo. A colmare i vuoti delle spaccature nei pezzi comparve un liquido denso e scuro che illuminandosi ricompose il manufatto.
Fu raccolto e lasciato nelle mani del mezzo angelo… il manufatto era una piastra metallica rettangolare divisa in due da un occhio posto in diagonale con la pupilla verticale, tutto privo di ornamenti.
Meelezza si chinò sul comandante e afferrò l’asta della freccia che protendeva dal suo torace. Lui percepì immediatamente il formicolio della magia che ispezionava il percorso della freccia nel suo corpo e riconobbe subito il tocco dell’angelo, nello stesso modo in cui aveva riconosciuto il suo volto.
Senza preavviso Meelezza tirò fuori la freccia gettandola a pochi metri da loro, che si sciolse in un paio di secondi. Tuttavia la sua attenzione fu catturata dalle domande del mezzo angelo: «Sembra una chiave. Che cosa apre? E dove?».
L’ambasciatrice era dubbiosa nella loro riuscita, ma non poteva esitare nel dare loro le conferme di cui aveva bisogno: «Apre una prigione, sigillata ormai da troppo tempo, ha cui nemmeno Lucifero stesso può accedervi senza la chiave che si trova in vostro possesso.».
Prima che Meelezza potesse continuare, la cupola che proteggeva la torre cominciò a cedere sotto gli incessanti colpi dei Gavoth e dei loro seguaci. Quando alla fine cadde, Horazz e Gordoona si scagliarono contro la torre per raderla al suolo. Il mago evocò una forza invisibile che legò le mani dei suoi rivali al suolo costringendo chi aveva qualcosa fra esse a lasciarla.
La torre tremò come la terra sottostante e i cristalli che illuminavano l’interno dell’edificio si staccarono dalle mura. Due piccoli cristalli si sfiorarono soltanto e le due forze uguali si caricarono della medesima energia esplodendo.
Avevano rilasciato un unico fulmine che si estese su entrambe le direzioni, trapassando la sommità della torre. Il colpo aveva provocato un enorme squarcio, nel quale finirono Soem e il comandante.
Erenock riuscì ad aggrapparsi alla sporgenza e ad afferrare allo stesso tempo Soem per un braccio. Clegan si protese verso lo squarcio e allungò il braccio destro verso di lei.
Entrambi in salvo, non c’era più tempo così Meelezza li informò su dove si trovasse la prigione: «Dovete recarvi all’Inferno.».
La torre crollò e Meelezza ricambiò il loro aiuto… creò dal nulla un buco nero che risucchiò all’interno il gruppo e ciò che li circondava.
Dall’altra parte invece, Horazz e Gordoona erano in parte soddisfatti, tuttavia non erano stati in grado di recuperare ciò che c’era all’interno. Abbandonarono il luogo e ritornarono dalla strega.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Una libertà tanto agognata ***


Ventisettesimo capitolo
 
Una libertà tanto agognata
 
 
 
 
Il sole alto nel cielo riscaldava incessantemente la terra e l’acqua che poteva raggiungere. La sua luce filtrava attraverso le folte chiome degli alberi creando così bellissimi raggi che rischiaravano il sottobosco.
Col passare del tempo la vegetazione diventava sempre più rigogliosa e i suoi profumi erano trasportati dal vento impregnando l’aria e vivacizzando l’ambiente.
I suoni che la natura offriva erano soavi in molte circostanze e una figura nascosta nell’ombra ne ascoltava le varie melodie. Lei era lì, passeggiava tra gli alberi a piedi nudi, nell’erba.
Chiuse gli occhi solo per un attimo e quando li riaprì, era già sera…. La luce del crepuscolo presto avrebbe lasciato spazio al buio ristoratore e profondo nel quale le stelle potevano risplendere della loro bellezza struggente.
La brezza carezzava le foglie che stormivano piano. C’era un’aria di attesa e lei rimaneva lì, in silenzio con gli occhi di nuovo chiusi. Spesso chiudeva gli occhi per escludere il mondo.
Troppo spesso il mondo degli uomini era duro, crudo e tanto, troppo fragoroso. Un mondo disordinato, caotico e aggressivo negli atti compiuti quanto nelle emozioni che procurava. Un mondo che sembrava offrire solo obblighi e compromessi.
La soffocava… spesso lo sentiva nel petto incandescente come qualcosa che tentava di ghermirle il respiro e portarglielo via. Per questo si era ritirata nella foresta e aspettava chiusa e protetta nel buio del suo silenzio.
Attendeva qualcosa, che cosa non lo sapeva di preciso nemmeno lei, era solo una sensazione tanto forte che si portava dentro da molto tempo… quella di dover alla fine incontrare… chissà….
Un fruscio, alle sue spalle. Si voltò appena, e lo vide. Era lì, immobile, dietro di lei. Ebbe un tuffo al cuore, per un attimo le sembrò che il sangue le scivolasse via, ma si riebbe subito tanto l’aria era calma e rassicurante. Scandagliò nella sua mente per trovare delle parole, ma niente….
Seminascosto dall’ombra del fogliame, lui la osservava… solo il volto spiccava sotto la pallida luce lunare. Un viso senza età, dai risoluti tratti maschili come scolpiti in una carne ombrosa. I lineamenti evocavano qualcosa di antico e arcaico… come la fronte spaziosa e l’attaccatura dei capelli, quasi priva sui lati ma ben sistemata sulla testa.
Il brivido che la attraversò dalla testa ai piedi la riscosse ed ebbe un istante di paura. Si sentiva attratta. Adesso l’aria era densa… odorava di sottobosco, di terra fertile e acqua di mare.
Si protese verso di lei e le cinse la vita. Lei s’irrigidì… percepì un calore che la scomponeva. Era forte e dolce, delicato e potente insieme.
Aveva qualcosa di selvatico e allo stesso tempo profondamente saggio e non era aggressivo, né invasivo: era semplicemente lì, con lei, presente. Il senso del pericolo la abbandonò, e così pure il timore di essere violata.
Adesso lo sguardo dell’uomo era così intenso, vicino e penetrante che le riusciva difficile sottrarvisi. Il magnetismo di quello sguardo la ammaliava, la spingeva ad andare oltre se stessa, o forse oltre ciò che lei conosceva di sé… la portava inesorabilmente verso di lui, o meglio, verso ciò che egli rappresentava.
Il suo cuore sembrava volesse scoppiare. Finalmente lei riuscì a sostenere lo sguardo che sentì penetrarle l’anima ovunque.
Un solo respiro… un solo pulsare… un solo sentire oltre la vita, oltre il tempo. Dall’essenza dell’uomo alla sua, scaturiva ora in lei la conoscenza di segreti antichi e arcani misteri appartenenti a un’anima vetusta.
Nel suo petto, là dove prima si trovavano le barriere del cuore, adesso c’era solo il vuoto, un vuoto accogliente, caldo e leggero. Il mondo non l’avrebbe oppressa più. Ora avrebbe visto con gli occhi di chi era veramente….
«Ho paura di morire.» semplici parole lasciate trasportare dal vento che s’infrangeva sulla foresta. Il suono delicato quasi ingenuo della sua voce andò ad aggiungersi a quella della natura creando altre armonie.
Erenock volse il capo altrove e qualsiasi cosa avesse avvertito, doveva tenerla lontana dai suoi amici. Tuttavia sapeva che era giunto il momento. Dal pugno lungo il fianco, si sprigionò una luce grigiastra, che a un primo momento Erenock nascose alla ragazza.
Fermi in quel punto della foresta, gli sguardi parlavano per loro. Come un boato, si levò in cielo il battito di un cuore, uno soltanto e gli occhi del comandante si gonfiarono di lacrime.
Senza accenni, la ragazza gli aprì la mano, dove nel mezzo si materializzò il medaglione Arzzekan. Ogni sua linea, ogni sua rotondità fu irradiata da una luce calda e piacevole attirando a se la ragazza: un altro frammento.
Le aveva fatto dimenticare quanto aveva sofferto in questo mondo e le aveva consegnato una nuova esistenza di vita nella sua vera casa: «Devo ringraziare chiunque ti abbia posto sulla mia strada.».
Lei sfiorò la luce e fu risucchiata nel medaglione che svanì in seguito. Un altro frammento era stato portato al sicuro, lontano dalle grinfie dei Gavoth, soprattutto da quelle di Ylloon.
Quanti frammenti esistevano di quest’anima? Quanti ne erano stati recuperati? Quanti sarebbero caduti nelle mani di Ylloon? Le domande avrebbero dovuto attendere a lungo la loro risposta.
Erenock ritornò dai suoi compagni che osservò dormire nell’erba. Il silenzio che imperversava su quel luogo portò riflessione nel suo animo. Era come un assetato che non trovava acqua capace di placargli la sete. A volte però le azioni, o i semplici gesti di chi incontrava gli portavano alla mente un passato che cercava freneticamente di nascondere.
La scomparsa della ragazza riportò il sole nel cielo, illuminando così la foresta e i suoi abitanti. Il vento invece trasportò la giusta brezza che riuscì a risvegliarli, ritrovandosi così Erenock accanto che attendeva….
Erano storditi, la vista era debole e a stento riuscivano a sentire i suoni che li circondavano, ma dopo essersi ripresi, si rimisero in cammino attraversando la foresta in cerca di qualche indizio che li aiutasse a capire dove si trovassero.
Di nuovo quella presenza, avvertita in precedenza da Erenock, ma questa volta era più forte; si avvicinò lenta, tuttavia restò a una certa distanza per non farsi scoprire.
Un paio d’ore dopo, Clegan si accorse che il paesaggio che li circondava era il medesimo e si rivolse agli altri per informarli: «Stiamo girando in tondo da ore e chiunque ci stia seguendo non ha alcuna intenzione di lasciarci uscire dalla foresta.».
«Chiunque sia lo accoglieremo come si deve.» intervenne Adhanc impugnando le sue asce e agitandole con maestria.
Soem abbassò le armi e si pronunciò anche lei: «Non sempre serve la violenza. Se non vogliono farci uscire dalla foresta, noi scopriremo il perché civilmente.».
«Allora credo proprio che lo scopriremo molto presto.» Clegan indicò alle spalle della donna una luce rossa fluorescente che si avvicinò rapidamente e che divenne uno spirito femminile bambino, una volta giunto a pochi metri da loro.
«Non sono una minaccia, per nessuno di voi, mi presento al vostro cospetto per scortarvi a una delle porte che conducono all’Inferno.» disse fluttuando dinanzi a loro mentre osservava gente in carne e ossa che attraversava la foresta.
Erano dubbiosi nel concederle fiducia così facilmente, ma notando il silenzio di Erenock si arresero. Sarebbero comunque rimasti sull’attenti per ogni evenienza. Proseguirono senza commenti, finché giunti nei pressi di un fiume, Adhanc si rivolse allo spirito ponendole una domanda: «Dove ci troviamo con precisione?».
«L’angelo vi ha condotto a Janave, nella Foresta degli Spiriti Rossi. Estinguerò le tue curiosità… la foresta ha questo nome per la violenza che gli abitanti subirono.» lo spirito smise di colpo di parlare e passò dall’altra parte del nano.
«Dove ora sorge la foresta, in passato si ergevano quattro città, meravigliose, prosperose. Le quattro città entrarono in guerra e subito il più dominante dei signori lanciò un potente incantesimo che provocò la morte di migliaia d’innocenti. Le anime dei morti assorbirono il sangue versato e le loro lacrime colmarono l’orribile vista della morte con la foresta in cui ci troviamo adesso.» fu Erenock a spegnere la curiosità dei presenti.
Lo spirito fu stupito dalla conoscenza che quell’uomo, giunto da lontano, aveva su una piccola parte di Janave…. «In conclusione tu conosci la nostra storia, straniero.».
Erenock annuì e il cammino riprese in silenzio.
Al tramonto, si fermarono ai piedi di alcune montagne, proprio dove il fiume iniziava la sua corsa verso il mare. Si dissetarono e lo spirito parlò: «Da qui in poi voi dovrete proseguire senza di me, io sono destinata a vagare senza sosta in mezzo ai vivi.».
Oltrepassarono la cascata e attraversato il passaggio, l'Inferno apparve loro come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce quasi metallica. Sull’entrata risaltavano enormi porte nere con serrature e catenacci ricoperti di serpenti velenosi e vermi incandescenti.
Urla di orrore si elevavano senza posa da quella voragine paurosa di cui, a un tratto, ci sprofondarono le porte. Così poterono vedere un orrido mondo di desolazione e di tenebre.
L’Inferno era un carcere di eterna ira, dove si dibattevano esseri discordi e disperati… si estendevano orrendi deserti e si scorgevano smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi e orribili.
Secondo Soem là dentro ferveva l'eterna e terribile discordia dei dannati. L'inferno rinserrava quanto il mondo produceva corruzione ed errore; là imperversava il dolore e si soffrivano quindi supplizi in un’indefinita varietà di manifestazioni e di pene. Ogni dannato aveva sempre presente questo pensiero: “I tormenti che egli offre sono l'essenza, la forma interiore del peccato scoperto”.
«Prima di oggi non avevo mai pensato di finire all’Inferno un giorno.» commentò Clegan osservando Soem con la coda dell’occhio per non perderla di vista.
«Spera di non restarci, perché la tua anima sarebbe perduta e soffrirebbe in eterno solo per il piacere di Lucifero.» Erenock si fece largo attraverso loro e scoprì che in realtà si trovavano infondo a un precipizio che finiva in una valle oscura.
Videro un edificio immenso con una porta serrata. Giunti sul fondo, un caldo soffocante li opprimeva, un fumo grasso, quasi arancione, s'innalzava sui muraglioni dell'edificio erompente di fiamme sanguigne.
«Dove non c’è salvezza.» lesse Soeshna con un nodo alla gola e quasi tremante.
Avvistarono una moltitudine di giovani precipitare dentro quel baratro… tutti avevano sul volto inciso il proprio peccato. Allora Erenock distolse lo sguardo, solo per un attimo ed esclamò: “Ecco la causa precipua di queste dannazioni… i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini".
Varcata la soglia, notarono infinite e ampie finestre dalle quali ognuna mostrava un luogo dell’Inferno. Anche se il caldo era quasi insopportabile, a loro venne la pelle d’oca.
Un’ombra si muoveva intorno a loro osservandoli e aspettava di compiere la sua mossa. Il momento giusto fu quando Soem si distanziò dagli altri e l’ombra si scagliò su di lei.
Era fumo nero. Erenock però aveva avvertito la sua presenza e scattò in direzione della donna. Il tempo sembrò fermarsi… il comandante aprì la mano destra e Soem cadde all’indietro… l’ombra penetrò in lui e si bloccò sul posto….
L’ombra scomparve e con essa anche qualcos’altro.
Clegan corse da Soem e la aiutò ad alzarsi chiedendole come stesse. Lei annuì mentre guardava Erenock negli occhi e cercava una spiegazione. Fu però data dalla Dea che si fece avanti: «L’ombra era un messaggero che ha lasciato una prova da affrontare. Una prova per il Comandante Erenock… sapeva che ti avrebbe salvato la vita anche a costo della sua.».
«Qual è la prova?» le chiese Soem avvicinandosi a lui.
Lui la fissò negli occhi e rispose: «Giocare questa partita da mortale.».
In silenzio ripresero da dove erano stati interrotti, ma Erenock fu condotto alla presenza di Lucifero. Egli aveva d'intorno, le anime più graziate dal cielo che nulla fecero per Dio, per la sua gloria; li teneva sotto i piedi, a guisa di cuscino, e pestava continuamente le anime di quelli che mancavano alle loro promesse. «Sei entrato nel mio regno e non hai avuto la decenza di presentarti a me, il sovrano.».
Erenock restò immobile osservando l’essere che aveva dinanzi senza emettere una sola sillaba, mentre Lucifero lasciò il suo trono girovagando per la stanza e parlandogli: «Nel mio regno le voci corrono in fretta e qualcuno mi ha riferito che tu sei privo di poteri adesso. Ora avrei l’occasione per ucciderti in mille e più modi, tuttavia se lo farei adesso quando la tua ora non è ancora giunta, comprometterei l’equilibrio dell’universo e non solo. Non puoi difenderti, quindi sarai mio ospite. Portatelo via, in un luogo a lui meritevole.».
Alcuni demoni gli si avvicinarono per portarlo via e quando lo afferrarono, provarono dolore e divennero polvere all’istante. Dai movimenti del corpo si notava la rabbia che Lucifero provava e allora Erenock avvicinandosi disse: «Io sono privo di potere ma posso sempre fare affidamento su questo.». Erenock spostò un po' il copriabito e mostrò a Lucifero Arzzekan.
Lucifero decise di occuparsi personalmente del comandante e lo condusse ai piedi del frammento, dove lo incatenò con la lava.
“Il medaglione può proteggerti solo dagli attacchi diretti… per quanto riguarda i tuoi amici, non troveranno mai ciò che cercano e rimarranno a servirmi come schiavi, invece la bellissima Soem diventerà la mia sposa e il figlio bastardo che porta in grembo finirà fra le anime più pericolose” i pensieri di Lucifero s’intrufolarono nella mente di Erenock tormentarlo come aghi nella carne.
La lava che li circondava costantemente, portava un’elevata temperatura, un’afa quasi soffocante, ciò nonostante Erenock aveva un volto e un’aria fresca come se tutto quell’insopportabile calore non lo sfiorasse minimamente. Con sguardo freddo si rivolse a Lucifero: «Persino nel tuo regno ci sono delle entità che vanno in mio aiuto. Infrangendo le regole imposte dall’Ordine Primario, sei diventato debole alle emozioni umane, guarda a cosa ti hanno condotto.».
Le sue parole scalfirono l’ego di Lucifero come se fosse un comune pezzo di vetro già fragile di se. Stranamente però non reagì alle provocazioni e restò in silenzio a riflettere: infondo lui aveva ragione e solo per questo Lucifero doveva rimediare alla sua debolezza. Nemmeno quel luogo era adatto per Erenock, così Lucifero lo portò altrove.
Nel frattempo Clegan, la Dea e Soeshna finirono col trovarsi in un grande mare di fuoco e immersi in esso i demoni e le anime di forma umana ondeggiavano nell'incendio sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stesse, insieme a nuvole di fumo.
Cadevano da tutte le parti senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzavano e facevano tremare di paura.
I demoni si distinguevano per la forma orribile e repellente di animali spaventosi e sconosciuti ma trasparenti come neri carboni di brace. Benché non si vedessero forme corporali, i tormenti straziavano i dannati come se i corpi fossero presenti.
I tre furono divisi… la Dea fu spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre bollenti e come se delle punte aguzze arroventate si configgessero nel suo corpo. Sentiva come se si volesse, senza riuscirvi, strapparle la lingua, cosa che la riduceva agli estremi, con un atroce dolore. Gli occhi le sembravano uscire dalle orbite a causa del fuoco che li bruciava efferatamente.
Non poteva né muovere un dito, né cambiare posizione; il corpo era come compresso. Le orecchie erano stordite dalle grida confuse, che non cessavano un solo istante. Un odore nauseabondo e ripugnante asfissia e invadeva tutti, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo.
Fu trovata e portata in salvo da Clegan che evocò il suo potere di mezzo angelo attirando così l’attenzione di molte anime dannate che cercavano la salvezza da quell’inferno. Per proteggersi, Clegan creò uno scudo di luce che lì racchiuse.
Hanna non vedendo Soeshna chiese a Clegan, dove fosse… lui le rispose di non saperlo, ma che aveva scoperto dove si trovavano gli angeli.
La cupola fatta di anime era a poca distanza da loro, così lo scudo scomparve e i due videro cosa li aspettava per raggiungerla. Arrivati all’entrata, notarono che era un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto.
Il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi, disgustavano entrambi ma dovettero procedere.
Nella parete in fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove si sentirono rinchiudere in uno spazio assai limitato. Sentivano nell’anima un fuoco di tale violenza che i due non sapevano come poterlo riferire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che pur avendoli quasi non li avvertivano, perché i loro nervi si erano tutti rattrappiti.
Eppure questo non era nulla in confronto al tormento dell’anima: un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore, che i due non sapevano come esprimerlo.
Si trovavano in un luogo pestilenziale senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedersi e stendere le membra, serrati com’erano in quella specie di buco nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, gli gravavano addosso dandogli un senso di soffocamento.
Non c’era luce ma tenebre fittissime. Hanna e Clegan non riuscivano a capire come potesse, pur non essendovi luce che si vedesse ugualmente ciò che poteva dar pena alla vista. Così senza indugiare oltre avanzarono… una volta all’interno, Hanna restò meravigliata che tanta bellezza potesse esistere in un luogo tanto colmo di sofferenza.
Era luminoso, caldo, calmo… la tranquillità che aleggiava sotto la cupola di anime che soffrivano, li rese quasi sordi. Alzando lo sguardo notarono che a un soffio dalla cupola c’era un velo che ondeggiava ai lamenti dei dannati: fungeva da protezione per ciò che la cupola conteneva.
Una mastodontica colonna s’innalzava fino al velo e in essa si potevano vedere le migliaia di statue femminili e maschili incatenate fra loro: sembravano ornamenti.
Clegan si bloccò di fronte a un masso, dove si trovava una rientranza, allora si ricordò della chiave che l’ambasciatrice gli aveva consegnato. Chiamò la Dea e le mostrò ciò che aveva scoperto.
«Purtroppo la chiave non è più in nostro possesso.» gli ricordò Hanna dispiaciuta.
Soeshna era riuscita a trovarli e li raggiunse mentre osservava la colonna… poi si rivolse a Clegan lanciandogli un sacchetto: «Lì c’è qualcosa che ti potrà essere utile.».
Clegan incastrò la chiave nella rientranza e un boato si udì nell’aria, ma un secondo rumore li fece scattare nella direzione della colonna. Alcune catene si spezzarono, raggi azzurri fuoriuscirono dalle crepe e la pietra esplose dall’interno in miliardi di frammenti.
Un corpo maschile precipitò dalla sommità schiantandosi al suolo e alzando una nube di polvere che ricoprì mezza area. Diradandosi, i tre videro l’angelo… era privo di ali, i suoi occhi furono bruciati dalle fiamme dell’Inferno e parte del suo corpo era ancora pietra.
S’issò dalla polvere e restò in quel punto, immobile… senza cenni scagliò un fulmine nella chiave la quale assorbì l’energia prodotta e la riversò nello stesso suolo. La troppa energia creò così tante crepe che la colonna cominciò a sbriciolarsi.
Tutti gli angeli furono liberi dalle catene e dalla pietra e si affiancarono al loro fratello. Avvertirono la presenza dei tre, ma solo il primo si avvicinò deciso per parlare: «Non c’è bisogno che io vi dica, quanto vi siamo debitori, ma la nostra liberazione non è completa, manca la cosa più fondamentale… l’energia di un angelo, noi ne siamo stati privati del tutto.».
«Io sono un mezzo angelo… so che la mia metà umana non mi permette di creare l’Alito Divino, che potrebbe aiutarvi, ma troveremo un altro modo….» intervenne Clegan cercando di dare loro speranza.
«Forse un modo c’è… Lucifero possiede un manufatto che ci ha sottratto, potrà potenziare la tua metà di angelo, abbastanza da rigenerarci.» s’intromise una femmina alle spalle dell’angelo.
«Allora non possiamo perdere altro tempo….» Clegan ricevette tutte le informazioni necessarie e seguito dalle due compagne uscì dalla cupola.
I tre unirono la loro magia e avendo abbastanza informazioni sul manufatto, esplosero in una potentissima onda d’urto che disintegrò i demoni che li avevano circondati.
Comparvero nello stesso modo di fronte al trono di Lucifero… qui i palmi delle mani di Clegan s’illuminarono e divennero sempre più brillanti mentre si avvicinava al trono. Allungò la mano destra verso lo schienale e un blocco di marmo si polverizzò mostrando un cristallo azzurro dalle mille sfaccettature.
Lo prese e nell’abisso tenebroso, dove Erenock era stato portato, Lucifero scattò nell’avvertire che il suo nascondiglio era stato violato.
Era immerso tra cupi vapori e odori nauseanti di carne bruciata. Lì Lucifero lo incatenò e gli fece alzare lo sguardo per mostrargli i tanti giovani precipitare e patire il dolore in cui erano immersi fino al collo.
«Se il mio aiuto mancherà ci sarà sempre qualcuno che riempirà quel vuoto.» Erenock sapeva che bastavano altre parole per irritare Lucifero e all’improvviso percepì un’espressione di smarrimento in lui.
Le grida risuonavano nell’abisso come l’eco fra le montagne e s’infiltravano nelle catene rafforzandole. Lucifero allora sollevò un velo e si videro i compagni di viaggio condannati per molte colpe: assassinio, di gola, di carne e via discorrendo.
«Questa è la fine che i tuoi cari amici faranno una volta al mio servizio.» soggiunse lui ridendo di gusto.
Erenock pur provando l’immenso dolore di quelle anime peccatrici si rivolse a lui, con infinita compassione nei suoi confronti: «Non importa delle pene che si possono soffrire, ma solo che tu le evidenzi tormentando gli altri a tuo godimento e non marcando i tuoi errori castigandoti torture ben più gravi.».
Lucifero si avvicinò sul bordo dell’abisso osservando le anime agitarsi, deliziato dalle loro infinite sofferenze. «Le tue parole non mi scalfiscono neanche… perseveri nei tuoi obiettivi senza guardarti indietro, senza riflettere sulle sofferenze che tu stesso provochi alle persone che incontri. Non badi alle “semplici” parole che sono per te, ma che per gli altri diventano come lame affilate che infieriscono su una ferita sanguinante. La tua indifferenza logora senza rendersene conto tutto e tutti, soprattutto chi combatte contro il Male.». Il tono di rabbia che pose nelle sue parole fece emergere ancor di più l’odio che il sovrano dell’Inferno aveva nei confronti di Erenock.
Lucifero però non doveva mostrare il ben che minimo timore o Erenock avrebbe preso il sopravvento e avrebbe vinto ancora. Si girò di scatto verso di lui e lo colpì con una nube oscura che lo centrò in pieno; la nube devastò la sua carne provocandogli un immenso dolore che lo gettò a terra. «Questo sarà solo l’inizio per un essere insignificante come te. Ti ho concesso molteplici occasioni per allearti con me, che tu hai rifiutato miseramente e ora i tuoi amici pagheranno in una maniera che non immagini neanche.».
Erenock cercò a fatica di alzarsi e quando riuscì a mettersi in piedi, si tenne stretto alle catene. «Puoi fare quello che ritieni opportuno, ma non fermerai mai chi ha ancora speranza.». Tentò di resistere al dolore e con il respiro affannato riprese a parlare. «Quando sarà giunto, il tuo tempo sarai giudicato e punito come meriti, ma fino allora non ti avvicinerai a nessuno.».
Lucifero smise di colpo di attaccarlo e indietreggiò. Il suo respiro era affannato ancora più di quello del comandante e non accennava a rallentare. Tuttavia la sua furia cresceva e le sue mani si avvolsero dalle fiamme e parlò sottovoce: «Questo non è il tuo momento, ciò nonostante non ho intenzione di prolungare oltre la tua vita ed è per questo, che finirai nel nulla.» gridò con tutta la rabbia accumulata, chiudendolo poi in una pira di anime che lo torturarono.
Le anime continuarono a lacerargli la ferita e a quel punto il medaglione si attivò trascinandolo via. Lo portò dinanzi agli angeli, dove si trovavano anche Clegan e le due donne. La Dea e la Shilak, l’ho soccorsero ed Erenock li avvertì: «Fate ciò che dovete alla svelta… Lucifero sa.».
Si pronunciò allora l’angelo: «Manca solo la piuma di un angelo.».
«Abbiamo anche quella….» Clegan spiegò le sue ali e recuperò una piuma.
Il cristallo fu lasciato in mezzo a loro restando sospeso in aria e la piuma di Clegan fu attirata alla pietra che s’illuminò mutando in un bastone. Una sfera blu in cima circondata da aneli dorati si fuse col bastone, modellando l’asta a spirale dalla colorazione azzurra. La piuma andò a poggiarsi sulla sfera plasmandosi in varie statuette di angeli seduti su di essa; in ultimo l’impugnatura che si fasciò in pelle blu.
Clegan afferrò l’impugnatura e si procurò un taglio e il suo sangue fu assorbito dalla sfera, portando gli angeli a spiegare le ali e ad alzare le mani verso il cielo. Clegan si allontanò e avvampò la sua mano lanciando quel fuoco contro la sfera che assorbì e riversò nelle statuette. E mentre gli angeli si collocarono intorno al bastone e la ferita di Erenock peggiorava a vista d’occhio senza che il dolore diminuisse, dalle piccole mani delle statuette scaturirono potenti fulmini che colpirono gli angeli.
Le loro grida di gioia si alzarono fino al velo che li separava dalla cupola di anime, distruggendolo. Gli angeli, grazie all’energia di Clegan potenziata dal cristallo, riuscirono a rigenerarsi e i loro corpi ritornarono a essere di [1]materia celeste.
Infine un dardo di luce fuoriuscì dalla sfera raggiungendo la sommità della cupola di anime per poi espandersi e riportare tutti di nuovo sulla Terra.
«Vi siamo debitori. L’Alito Divino verrà con noi, sarà al sicuro lassù. Fate attenzione Lucifero sarà più furente che mai. Se vi servisse aiuto, chiamate Raiziel.» l’angelo li ringraziò ancora con un cenno della testa e sparì con gli altri della sua specie.
 
 
[1] Pura luce.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** L’immolazione di Hurya ***


Ventottesimo capitolo
 
L’immolazione di Hurya
 
 
 
 
Era ancora buio quando Erenock e i suoi compagni giunsero alla villa di Marish, ma sfortunatamente scoprirono dai suoi servi che alcuni soldati dei Gavoth lo avevano portato via dopo il loro ultimo incontro.
I servi riferirono ciò che sapevano sulle voci che circolavano su un accampamento vicino alla costa, a Ovest. Li avvertirono che nessuno osava avvicinarsi a causa dei draghi neri che lo sorvegliano.
Ospitarono Erenock per curarlo e Soem e la Dea restarono con lui mentre gli altri usarono un oggetto personale di Marish per rintracciarlo. Lo individuarono sulle coste a Ovest della capitale, nei pressi di un fiume che si biforcava e sfociava a mare. I tre si nascosero nei limiti dell’accampamento e attesero che la luna fosse oscurata per agire.
Intanto in una delle tende, Marish era stato legato a un palo con una corda d’ombra che non poteva essere tagliata in alcun modo. Lui era a dorso nudo e pieno di tagli, lividi, contusioni e ferite varie inflitte con estremo godimento dai soldati per storcergli delle informazioni importanti.
Aveva il labbro inferiore rotto, una riga di sangue che gli usciva dal naso e molteplici graffi sul collo e sul volto. Aveva il capo abbassato, non riusciva nemmeno a tenerlo issato tanto era sfinito.
All’improvviso nella tenda entrò Gordoona seguito da un paio di soldati semplici, che lui lasciò a guardia del prigioniero. «Dategli dell’acqua, non ci serve se muore.» uscì senza impartire altri ordini e si fermò a qualche metro dalla tenda intrattenendo una conversazione con altri soldati vicino a un falò.
«Manca poco… preparate le vostre armi, irromperemo nell’accampamento all’oscuramento della luna.» disse Clegan abbassandosi nei cespugli.
«Io avrei un’idea migliore….» intervenne Soeshna facendo il giro per entrare.
Clegan gettò il suo sguardo su Soeshna che senza farsi scoprire annebbiò la mente dei draghi inducendoli ad attaccare l’accampamento evitando di distruggere la tenda di comando.
Le obbedirono immediatamente e si scagliarono contro le tende distruggendole, mentre sugli uomini lanciarono il loro getto d’acido nerastro che li sciolse in pochi attimi.
In breve tempo si creò il caos e Clegan ne approfittò… insieme al nano si recarono alla tenda di comando e proprio allora la luna fu oscurata dalle grandi nubi e i due entrarono in azione.
In mezzo a tutto quel trambusto, riuscirono a entrare e videro Marish privo di sensi. Adhanc recuperò i suoi vestiti, mentre Clegan cercò di svegliarlo con i sali. Quando lui si svegliò, aveva la vista annebbiata e fece fatica a riconoscere l’uomo che aveva di fronte.
Alzò lo sguardo e con difficoltà lo avvertì della guardia appena entrata, che il nano si apprestò a uccidere. Clegan lo ringraziò con una pacca sulla spalla e cercò di liberarlo dalle corde. Non riuscendo a spezzare le corde cercò qualcosa che potesse aiutarlo, ma non vi era niente di utile.
«Queste sono corde d’ombra… tu sei un mezzo angelo… usa la luce che proviene… dal tuo cuore.» Marish era stanco e a stento riuscì a proferire quelle parole che aiutarono il mezzo angelo a liberarlo.
Marish si massaggiò i polsi arrossati a causa delle corde troppo strette. Clegan gli pose qualcosa addosso e lo aiutò ad alzarsi. Uscirono in tempo poco prima che un getto d’acido colpisse la tenda dove si trovavano.
Si riunirono a Soeshna e andarono via, il più in fretta possibile. Corsero veloci e utilizzarono il Trasportatore perché i draghi, sciolti dall’incantesimo di Soeshna, li stavano inseguendo.
Gli occhi chiari di Marish rividero solo dopo molto tempo la luce soffusa delle candele della sua stanza e la presenza di vecchi amici. Quando la vista fu nitida, cercò di mettersi seduto, purtroppo però braccia e gambe gli dolevano ancora molto. I suoi servi lo aiutarono facendogli poggiare la testa su un morbido cuscino blu.
Bevve un sorso d’acqua e fece un profondo respiro prima di aprire bocca: «Eravate in molti l’ultima volta che siete venuti qua. Oggi invece solo in tre….».
Clegan s’issò dalla sedia accanto al letto e si rivolse a tutti loro: «Il riposo gioverà a tutti noi….».
 
La luna scambiò il suo posto con il sole e, una serva si recò nelle stanze del suo padrone a svegliarlo. Quando entrò, lo vide in piedi dinanzi alla finestra che si stava abbottonando la giacca e le pose subito una domanda: «Quali sono le condizioni dell’ospite?».
La ragazza abbassò il capo e gli rispose: «Perdonate mio signore, ma non conosco le condizioni dell’uomo… la donna che è con lui non mi permette di entrare.».
«Conosci almeno il suo nome?» le chiese gentilmente mentre si sistemò la cintura e poi indossò i guanti.
Prima di rispondere alla domanda del suo padrone, la ragazza deglutì osservando il pavimento: «Erenock.».
Marish nel solo udire quel nome scattò e uscì frettoloso dalle sue stanze, mentre Erenock si era faticosamente messo a sedere sul bordo del letto portandosi una mano dove prima si trovava la ferita e dove ora c’era una pesante cicatrice.
Si guardò intorno e notò ai piedi del letto un baule e su di esso alcuni indumenti disposti per lui. Si mise in piedi a fatica e cominciò a vestirsi. Infilò un paio di pantaloni, indossò una semplice camicia girocollo con una giacca di pelle nera e in ultimo coprì le mani con un paio di guanti.
Raccolse i suoi oggetti personali e calzò degli stivali poggiati accanto alla porta. Si fermò perché qualcuno bussò alla sua porta; esitò un istante a rispondere poi concesse il permesso di entrare.
Era Soem che vedendolo sveglio gli chiese come stesse… lui la guardò per un istante e poi le rispose: «Meglio di quanto mi aspettassi.».
Lei gli riferì subito delle ottime condizioni di Marish ma Erenock uscì dalle sue stanze seguito dalla stessa donna.
In quello stesso istante, l’Uomo del Nero della Notte stava sfogliando un libro nella biblioteca, in cerca di una soluzione alternativa per indebolire lo squarciò fra i due mondi. Il tavolo di fronte a lui era stracolmo di libri aperti e chiusi che quasi lo soffocavano.
Chiuse l’ennesimo libro senza trovare nulla e ne aprì subito un altro, ma entrò di soppiatto Kashda che si avvicinò a lui con passo lento e silenzioso: «Vedo con amarezza che la tua ricerca non ti ha portato a niente.».
«Invece di parlare a vanvera potresti cominciare a cercare anche tu, del resto è anche nel tuo interesse se i figli di Ylloon tornino.» l’Uomo del Nero della Notte afferrò un libro e glielo lanciò, ritornando poi sul suo in gran silenzio.
Lei riuscì ad afferrarlo e si accomodò su una sedia aprendolo. Iniziò a sfogliarlo e dopo nemmeno una decina di minuti, trovò ciò che serviva loro. «Ho avuto più fortuna di te in questo.» si alzò e gli pose il libro in mano mostrandogli l’incantesimo.
Lucifero apparve alle spalle dei due, in una nuvola di fumo denso e con un odore nauseante… voleva vendicarsi di Erenock e della sua combriccola. Con tono furente si pronunciò: «Erenock e compagni sono ancora vivi e sulla Terra.».
Kashda strinse le mani a pugno e intervenne: «Sono sopravvissuti al crollo della torre com’è possibile?».
Gli occhi rossi che comparvero nella nuvola si spostarono in direzione della donna e lui rispose: «L’ambasciatrice degli angeli li ha salvati e sono riusciti a liberare gli ultimi angeli rimasti vivi.».
L’Uomo del Nero della Notte chiuse violentemente il libro e si voltò verso la nuvola per parlare: «Li abbiamo sottovalutati e credo che dovremmo alleggerirli di una parte di carico… credo proprio che la compagnia di Erenock diminuirà.».
«Qualunque cosa tu abbia in mente falla alla svelta, sono sulle tracce dei frammenti dell’anima. Se la combriccola venisse in possesso di tutti i frammenti, sarebbe la fine per molti.» Lucifero non disse altro e sparì com’era arrivato.
Ylloon aveva sentito tutto ed entrò proprio nel preciso istante in cui apparvero gli Dèi. Fu Serreiv a pronunciarsi per prima: «A quanto pare abbiamo un obiettivo comune, alleviare Erenock di un peso e sarà proprio Hanna a pagare, così ci sarà un traditore di meno.».
Il viaggio dello strano gruppo di amici proseguì verso Nord con un membro in più: Marish. Il Trasportatore li condusse a Iphon’sor, la città più a Nord di Tanaval, una delle regioni del Continente dell’Ombra.
 Si guardarono in giro e ciò che fu subito evidente vigile del nano fu una rissa poco distante ma Erenock lo fermò: «Meglio non attirare l’attenzione.».
Arrivarono davanti a una locanda e lì Soem fermò l’uomo che stava per entrare: «Perdonatemi, io e i miei amici stiamo cercando una donna, un tipo non molto comune.».
«So a chi voi vi riferite, si trova nella torre, ma vi consiglio di stare il più lontano possibile da quel luogo.» l’uomo le diede un sincero avvertimento, mentre le indicava la direzione da prendere.
Si recarono alla torre senza indugiare…. Si ergeva su una collinetta da cui dominava l’intera città. Fermi dinanzi alla porta, Soem bussò retrocedendo in attesa della risposta. La porta si aprì mostrando una grande stanza arredata… varcarono la soglia e la prima cosa che loro notarono fu il fuoco che scoppiettava nel camino.
Osservarono meravigliati la varietà di oggetti e manufatti che si trovavano su scaffali, mensole e tavoli sparsi un po' dovunque.
Alla chiusura della porta, misero mani alle armi, ma l’attenzione di Erenock cadde su un’aura che si manifestò accanto al camino che si rivolse a lui: «Persino chi non vuol sapere ti conosce.».
Si voltarono in quella direzione e videro una donna non più alta di Soem, dagli occhi blu come il cielo e i capelli del color del grano in estate. La pelle diafana metteva in risalto gli occhi, il colore scuro delle sue unghie ben curate e i capelli.
Si fermò con lo sguardo su Soem avvertendo una certa familiarità col feto che aveva in grembo, poi si rivolse a tutti: «La morte incombe su di voi molto facilmente, mentre su di te, Comandante Erenock, incombe la vita come un pesante fardello.».
«I Gavoth sono sulle tracce dei frammenti e tu corri gravi rischi stando lontana dal medaglione.» intervenne la Dea fissando i suoi occhi somiglianti a quelli del comandante.
«Sarà meglio che tu venga con noi potremo proteggerti.» intervenne il nano stringendo fra le mani le sue asce.
«Nessuno di voi sarebbe in grado di proteggermi… guardatevi siete una comitiva di persona che non sanno scegliere il proprio cammino. Abbiamo un mago che non sa difendere se stesso, un mezzo angelo che ha paura dei propri sentimenti.» spostò lo sguardo verso gli altri e riprese a umiliarli, «Qui invece c’è una Dea che è sull’orlo della morte, una Shilak che esita a usare il suo potere e una Sentinelle di Sangue che porta in grembo un figlio troppo potente per questo mondo. In ultimo, ma non per questo meno importanti, un Krevhen che si getta senza pensare in un combattimento e un comandante temuto da tutto e tutti che è stato privato del suo potere e che persino Arzzekan l’ha abbandonato.».
«Tu giudichi con troppa facilità gli altri, ma non vedi il marcio che si trova dentro di te.» Clegan non era arrabbiato dopo le cose che aveva detto, ma era più amareggiato per lei e la tristezza che la avvolgeva.
«Io non giudico, mostro soltanto ciò che gli occhi delle persone mi dicono. Se verrò con voi, lei dovrà andarsene, non c’è spazio per entrambe….» e la strega indicò Soeshna che s’irrigidì.
Erenock tirò fuori il medaglione e la scelta fu tra le due…. L’attesa fu estenuante, ma alla fine Soeshna si ritirò: «Io ho fatto il mio tempo per il momento, non sarei utile adesso.».
Il vecchio frammento fu assorbito, il nuovo sbatté tre volte le mani. Ogni cosa ciò che la strega possedeva si rimpicciolì entrando in una sacca di pelle marrone che pose a tracollo.
Uscirono dalla torre e la strega individuò subito il gruppo di Nemodurre che si stava avvicinando capitanato da Kashda che brandiva Tagha.
Senza una ragione apparente, il Trasportatore li dislocò in vari punti del mercato della città. C’erano così tante persone che a malapena riuscivano a camminare. Il rumore delle voci, si mescolavano le une alle altre e rendeva difficile orientarsi fra i membri del gruppo.
La strega riuscì a percepire la presenza del figlio di Soem e a raggiungerla per trovare anche gli altri. Si ritrovarono tutti davanti alla casa di una ricca e conosciuta famiglia della città.
Qualcosa in entrambe le donne diceva di non allontanarsi dalla casa e in quel momento Soem si portò una mano davanti alla bocca e si sedette su una panchina posta davanti alla cancellata.
«La nausea è uno dei sintomi della gravidanza….» disse la strega prendendo un piccolo cofanetto dalla sacca… lo aprì e raccolse una fogliolina che porse a Soem, «Mastica bene, affievolirà il senso di nausea.».
«Qual è il tuo nome?» le chiese lei per ringraziarla.
La donna ripose il cofanetto nella sacca e glielo disse: «Mi chiamo Neloce, il mio nome significa “voce del mondo”.».
«È un significato molto….» s’interruppe di colpo poggiando una mano sul ventre e una a coprire la bocca.
«Che cosa aspettiamo?» chiese il nano sfregando le mani in cerca di movimento.
«Di capire che cosa c’è in quella casa.» rispose Neloce alzandosi e voltandosi verso la villa.
«Torneremo quando calerà il sole, fino a quel momento resteremo lontani da questa casa… per loro.» Erenock indicò Kashda e i Nemodurre farsi largo attraverso la gente del mercato.
Giunta la mezzanotte ritornarono davanti alla villa facendo attenzione a non attirare l’interesse di qualcuno di sgradevole. Neloce aiutò Clegan a concentrarsi per individuare la stessa energia che avvertiva lei. Dopo vari tentavi andati a vuoto, lui ci riuscì e con l’aiuto del suo anello, raggiunse una stanza all’ultimo piano della villa.
Tutto era immerso nell’oscurità, e fu allora che ripeté le parole di Neloce: «Fra tante preziosità la quarta figlia alla tua vista si velerà, concentrarti dovrai, un solo tentativo avrai per scovarla e alla luce restituirla. Solo così aiuterai la quinta figlia a scegliere far le due forze.».
Si concentrò nuovamente individuando quell’energia provenire da un portagioie posto sopra la finestra che dava sulla strada. Lo aprì e trovò un’infinità di preziosi gioielli… i suoi occhi, però caddero su una bellissima collana d’oro con dettagli in argento, dove nel mezzo c’era incastonata una gemma ovale: un’“Ambra”.
Si diceva avesse la proprietà di assorbire la negatività e di favorire la concentrazione, inoltre rafforzava la spontaneità e la fiducia, rendendo più socievoli ed estroversi, ed era portatrice di gioie e di successo.
Staccò la gemma dalla collana con il suo pugnale e si voltò di colpo verso la porta quando udì un tremendo schianto al piano di sotto. Decise di andarsene, purtroppo grazie a un incantesimo di Kashda, Clegan restò bloccato in casa.
Uscì dalla stanza prendendo le scale, ma frenò il passo prima dell’ultimo gradino, trovandosi davanti due Nemodurre. Ritornò di corsa al piano superiore, mentre i due mostri distruggevano tutto.
Gli occhi di Neloce mutarono in un blu intenso con intervalli di scie biancastre che le permisero di rallentare il tempo solamente nella casa.
Schegge, frammenti e detriti volavano in aria spostandosi lentamente come chi si trovava all’interno dell’abitazione. Questo permise a Clegan, escluso dal suo potere, di trovare un’uscita alternativa.
Intanto all’esterno della villa, la Dea Hanna avvertì il gracchiare di un corvo proprio sopra la sua testa. Alzò gli occhi al cielo e lo vide: Lokim la fissava e la puntava con aria minacciosa. Si allontanò dal gruppo silenziosamente, senza farsi notare e corse via il più lontano possibile.
Dopo nemmeno cinque minuti si udirono in lontananza le grida di dolore di una donna. Erenock e Marish corsero in quella direzione e giunti a una cinquantina di metri, videro il corvo cavare gli occhi alla Dea. L’animale se ne andò subito dopo aver notato i due e mentre loro si avvicinarono, comparvero Kashda e Serreiv.
La Dea intonò alcune parole, in una lingua che Marish non comprese diventando uno spirito evanescente. S’impossessò così di Kashda e grazie a lei usò Tagha su Hanna trafiggendole lo stomaco. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere a Tagha soprattutto ora che Erenock era privo di poteri. La Dea del Destino sarebbe morta in breve tempo e senza potersi difendere in alcun modo.
Serreiv-Kashda girò più volte la lama per farle provare dolore e sentire l’odio che lei stessa aveva alimentato senza volerlo in un membro della sua stessa famiglia. Serreiv-Kashda sfilò la lama sporca di sangue, la prima uscì dal corpo della seconda riprendendo la sua massa corporea e svanendo.
Kashda invece si voltò verso Erenock, lo guardò negli occhi e anche lei se ne andò. Hanna, intanto era a terra, immersa in una pozza di sangue, reso impuro da Tagha, ancora viva. I due uomini la raggiunsero ed Erenock chinandosi su di lei, le sollevò la testa per udire le sue ultime parole: «Il tuo destino… non è restare… in questa metamorfosi, ma… unirti agli altri… quando sarà il momento giusto. Sappi aspettare con pazienza… e… sarai ricompensato come tu meriti, mio amico.».
Il silenzio e la morte scesero sulla Dea.
Una luce bianca si manifestò su di loro e da essa ne uscirono alcuni angeli che si allungarono verso la donna… ghermirono il suo spirito e lo portarono via.
La luce si richiuse dietro gli angeli, mentre sotto ordine indiscusso di Erenock, l’involucro di carne e ossa della Dea, fu assorbito da Arzzekan in segno della sua immortale memoria.
 
In seguito alla morte della Dea Hanna, Erenock e i suoi amici avevano trascorso tre mesi nascosti agli occhi dei loro nemici. Rifletterono su quanto accaduto pensando che niente valeva il sacrificio di un amico e o di un familiare.
Dopo un silenzio così lungo, il Trasportatore riprese vita… li catapultò, di sua volontà, nel ventre di una grande montagna e uno spettacolo meraviglioso apparve ai loro occhi.
Una spaccatura dall’alto lasciava passare un fascio di luce che si rifrangeva e moltiplicava se stesso sulle infinite sfaccettature di sterminate concrezioni cristalline.
Nel mezzo troneggiava un cristallo a forma di un bocciolo al cui interno custodiva qualcosa d’importante e potente. Non riuscirono a vedere cosa fosse, ma intuirono che si trattasse di un’altra gemma.
In quello stesso istante, giunsero Kashda e Zorduva dall’altra parte… lei si trasformò e riuscì con estrema facilità a raggiungere la pietra cercando immediatamente di estrarla. Nel tentativo, si crearono delle crepe che indebolirono ulteriormente il cristallo, rendendolo molto più fragile.
D’improvviso la terra cominciò a tremare, dal soffitto della montagna caddero i primi massi e solo allora quando tutto sembrò perduto, la pietra fece la sua scelta. Si caricò di energia riversandola nell’intera cavità… scomparsa la luce, la pietra librava sopra di ciò che restava del cristallo, mentre Kashda si ritrovò la parte sinistra del volto sfregiata.
Senza parole o gesti che avrebbero ulteriormente risaltato il suo fallimento, Kashda scomparve con Zorduva, mentre la pietra si posò fra le mani di Erenock: era l’Ametista.
Era la pietra dell'umiltà per la sua capacità di placare l'orgoglio e tradurlo in riflessione e introspezione. Riduceva la collera, calmava le emozioni e creava chiarezza di pensiero… era la pietra della mente, portava lucidità, aiutava a cogliere le intuizioni, le percezioni e i valori.
L’Ametista si tramutò in una tavoletta di legno con delle incisioni nel mezzo e Clegan lesse: «Al calmar della tempesta, fra terra e cielo uno spettacolo di luci si manifesterà. Alla sua fine la creatura dalla bocca di fuoco dovrà recarsi. Lì il suo bene più prezioso dovrà lasciare e la sesta figlia alla luce portare. Ancora sei dall’oscurità dovranno risorgere per unirsi alle belle sorelle.».
Il nano si avvicinò a Erenock e gli strattonò gli abiti per richiamare la sua attenzione e l’uomo si voltò verso di lui aspettando che parlasse: «Forse ho capito la prima parte…. Dice “Al calmar della tempesta, fra terra e cielo uno spettacolo di luci si manifesterà” qui sta di sicuro a significare un arcobaleno che appare dopo una tempesta.».
«Va avanti.» gli chiese Clegan riflettendo sulle sue parole.
Adhanc si schiarì la voce e continuò: «Prosegue in questo modo… “Alla sua fine la creatura dalla bocca di fuoco dovrà recarsi” qui intende che alla fine dell’arcobaleno dovrà recarsi un drago che sputa fuoco. Poi… “Lì il suo bene più prezioso dovrà lasciare e la sesta figlia alla luce portare” qui dipenderà dal drago. Il resto è semplice.».
Soem guardò l’orizzonte e intervenne: «Il Krevhen ha indovinato, ora non ci resta che trovare una tempesta.».
Improvvisamente udirono un fischio prolungato provenire dalla bocca di Clegan e in breve tempo da Ovest giunse Hurya. Il drago si portò con le spalle al sole che stava tramontando proprio in quel momento.
Atterrò a poca distanza da loro chiudendo le sue ali e, Clegan gli raccontò ogni cosa…. L’animale alzò la testa al cielo e ruggì; non appena il suono ritornò più forte di prima, portò una risposta con sé: «Secondo i miei simili c’è una tempesta sulle Terre delle Anime Dannate a Nord, fra Nits'Irc e Nogar.».
Clegan guardò il drago negli occhi e prima di parlare rilesse la scritta sulla tavoletta. Purtroppo non c’era nulla che facesse supporre di una diversa creatura e così Clegan si espresse: «La scritta sulla tavoletta parla chiaro, soltanto tu potrai recuperare la sesta pietra, Hurya.».
Erenock prese il Trasportatore e lo puntò contro il drago che aveva già deciso… dei fulmini lo colpirono in pieno e lo catapultarono sopra la tempesta che in quel momento si era concentrata a Sud-Ovest dell’isola.
Con le sue potenti ali si lanciò verso l’arcobaleno sorvolandolo e a tuffarsi alla sua fine, dove trovò un lago colorato.
I suoi occhi si abituarono presto a quella luce e al luogo che lo circondava. Cercò di muoversi senza distruggere nulla, ma era difficile per via della sua mole. Sentì uno strano rumore alle sue spalle e si voltò lentamente evitando di urtare gli alberi di frutta. Davanti ai suoi occhi si materializzò una figura trasparente che cambiava colore dal centro, come le onde dell’oceano.
Avanzò verso di lui e si fermò proprio a un passo dal drago che stranamente non riuscì a muoversi. «Il mio compito è assicurare nelle giuste mani la Figlia degli Astri che mi è stata assegnata… tu che cosa sacrificheresti per proteggerla?».
Il drago si alzò in tutta la sua maestosità e guardando la figura rispose: «La vita è ciò che ho di più prezioso e sarei pronto a sacrificarla.».
«È ammirevole da parte tua, ma la Figlia degli Astri non richiede un sacrificio tanto grande, bensì un’immolazione alla creatura che rappresenti… qualcosa di cui non saresti mai in grado di privarti.» il volto della figura non trasudava nessuna emozione eppure c’era un che di sereno nella sua espressione.
Hurya sapeva bene a cosa quella figura si riferisse ed era la stessa cosa che temeva di più. Con rammarico e forza d’animo, Hurya si abbassò su di lui e disse: «Avrai ciò che io di più amo.».
«Allora accomodati.» la figura gli fece largo e lo accompagnò a una fontana il cui geto d’acqua, alto non più di tre metri, nascondeva la sesta gemma, che il drago doveva prendere.
Allungò il muso e lo immerse nel getto d’acqua, che ritrasse violentemente ruggendo per il dolore. L’acqua all’apparenza fresca in realtà era bollente come lava.
Scosse violentemente il muso cercando di raffreddare la carne bruciata e lenire il dolore, ma l’unica cosa che riusciva a ottenere era soltanto sofferenza. Indietreggiò e con tutto il suo peso, calpestò alcuni cespugli di rose dai sette colori. Ruggì nuovamente e poi si scagliò contro il getto d’acqua afferrando fra le fauci la gemma.
Retrocesse velocemente e portò la testa contro il petto nello stesso istante in cui del fumo fuoriusciva dalle strette fessure dei suoi denti. Il muso gli doleva ancora e per diminuire quella sofferenza appiccò il fuoco all’interno della sua bocca.
All’improvviso aprì la bocca lasciando cadere non solo il fuoco ma anche la gemma che aveva recuperato. La figura si avvicinò ulteriormente e diede al drago delle informazioni sulla pietra: «L’Opale presenta sulla sua superficie dei bagliori di molti colori diversi che crea un gioco di luci simile a quello dell’arcobaleno.».
Questa gemma era conosciuta per la sua proprietà di scomporre la luce nei colori che la componevano, proprio per questo si riteneva avesse la capacità di “schiarire” le idee e rafforzare la memoria. Si credeva inoltre che donasse capacità profetiche a chi la indossava e che aiutava a visualizzare, a immaginare, a sognare e a guarire.
Hurya lo salutò con un cenno del capo, recuperò la gemma che pose al sicuro fra le sue fauci e ritornò indietro. Ritornò dai suoi amici in quello stesso modo, grazie al collegamento avuto con il Trasportatore, e depose la gemma ai piedi di Erenock.
Hurya fu ringraziato e proprio in quell’istante le sue ali si coprirono di tante luci colorate che all’improvviso le fecero implodere. Aveva sacrificato qualcosa che gli apparteneva e che amava più della sua stessa vita per aiutare i suoi amici di varie razze. «[1] Juh tumuh fupevuh douh’ djih sovipiwuh qoah’ qsiboutuh fimmeh noeh woveh qish apeh deateh hoatveh.».
Hurya si voltò per andarsene… fece qualche passo e, Clegan lo fermò parlandogli: «Resta con noi e vedrai che troveremo una soluzione per le tue ali.».
Il drago accettò di buon cuore la sua proposta e restò.
 
 
[1] Ho solo donato ciò che ritenevo più prezioso della mia vita per una causa giusta. - (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** La Duna del Re Solitario ***


Ventinovesimo capitolo
 
La Duna del Re Solitario
 
 
 
 
Uno dopo l’altro, gli Dèi apparvero circondando il Reantha e aspettando che la strega parlasse: «Quali novità ci sono?».
Tenrett sorrise…. «Nulla a parte il fallimento di Kashda.» spostò lo sguardo sulla donna nominata, che si trovava accanto a Ylloon.
Kashda impugnò Tagha lasciandola nel suo fodero e si pronunciò: «Secondo le nostre informazioni sono state già recuperate cinque pietre e, una delle quali si trova in nostro possesso grazie a Ylloon. Questo però non ci autorizza a rallentare… dobbiamo sottrarre tutte le pietre e intrappolare tutti i frammenti prima che li trovino loro.».
«Ed è per questo motivo che noi siamo di nuovo qui. Grazie all’Osservatorio abbiamo scovato un frammento che si trova nel Continente degli Astri e più precisamente a Sajah, Oraky, a Nord-Est della Palude Bianca.» Tenrett alzò il braccio e con un gesto della mano materializzò il luogo nel fluido del Reantha.
Alla domanda che la strega stette per fare, rispose Falock, che si trovava alla sua sinistra: «È una ragazza poco più che ventenne, lavora presso un allevatore di cavalli. Sarà facile recuperarla.».
Kashda si fermò accanto a Yadir, lì guardò un po' e intervenne di nuovo: «Voi ritenete facile recuperare un frammento, questi sono dotati dei poteri della Suprema Imperatrice. I frammenti sono pericolosi quanto Erenock se non di più, quindi faremo meglio a non abbassare la guardia.».
«Ci muoveremo subito io, Kashda, Gordoona e spero l’Uomo del Nero della Notte per Sajah senza aspettare che Erenock possa intuire qualcosa e rovinarci i piani.» Yadir parlò senza fermarsi cambiando il suo abbigliamento in un vestito della plebe.
Furono tutti d’accordo e misero in atto il piano…. I tre che furono scelti dalla Dea si recarono con lei a Sajah, dove individuarono subito il frammento. La ragazza si stava occupando di un paio di cavalli che andavano ferrati e, subito si accorse dell’energia negativa che era improvvisamente comparsa in quel villaggio.
Si girò di scatto, creò un cerchio con la mano nell’aria, in senso antiorario, e uno scudo di terra si alzò proteggendola. La sfera di energia negativa lanciata da Kashda si disintegrò a contatto con lo scudo, creando alcune spaccature.
Il Comandante Gordoona invece afferrò dalla sacca una boccetta contenente un fluido azzurro lanciandolo contro lo scudo, mentre la Dea cercò di sorprenderla alle spalle.
Il fluido della boccetta distrusse lo scudo e proprio quando Yadir cercò di colpirla alle spalle, la ragazza prese a girare su se stessa sempre con maggior velocità da creare una tromba d’aria. Li scaraventò tutti in aria e quando rallentò, corse via raggiungendo un cavallo già sellato.
Non bastò a fuggire dagli intrusi, infatti, un fascio blu scuro cinse la ragazza trascinandola a terra fino all’Uomo del Nero della Notte. Per evitare che riuscisse a scappare, la Dea creò un altro fascio che bloccò la ragazza al suolo: «A quanto pare non è stato poi così difficile catturarti.».
«Dovresti ripensare alle tue parole.» la ragazza sorrise di gusto, i suoi occhi cambiarono diventando rosso fuoco dalle estremità arancioni e, subito la terra intorno a loro prese a tremare.
Sotto i piedi della ragazza sbucarono radici che la avvolsero spezzando i legami che la bloccavano. Il bozzolo in cui era stata chiusa le permise di spostarsi da quel punto e arrivare alle spalle di un nemico senza essere vista.
Non appena il bozzolo fu ridotto a pezzi, la ragazza diresse il suo potere su Gordoona e lo scaraventò in aria; lui finì con urtare il muro della stalla e infine essere trafitto dai forconi ben appuntiti che si trovavano all’entrata. Esalò il suo ultimo respiro quando il sangue gli uscì dalla bocca ricoprendo il mento e il collo.
Avendo nuovi poteri, Kashda decise di farla finita… lei batté una sola volta le mani che provocò un’onda d’urto catapultando la ragazza a una ventina di metri. Corse poi verso di lei e nel saltarle addosso si trasformò e gli artigli di mani e piedi bloccarono la ragazza a terra.
Le grida di dolore nessuno poteva udirle…. Kashda la guardò dalla testa ai piedi e poi disse: «Tu non avresti dovuto far resistenza… Bjelle.».
Gli altri due si avvicinarono e l’Uomo del Nero della Notte fermandosi si rivolse al frammento: «Sei all’altezza di essere un frammento della sua anima, ma senza gli altri sei niente.».
Kashda stette per lasciarla, ma si accorse di qualcosa sotto i suoi indumenti. Lasciò libero il braccio sinistro e con gli artigli lacerò la camicetta portando alla luce una bellissima scoperta: fusa col suo corpo vi era una gemma, uno Zaffiro. Le conficcò gli artigli nella carne e con violenza inaudita le strappò la gemma dal corpo, mentre la ragazza urlava dal dolore.
Avevano sottovalutato il frammento e ne avevano pagate le conseguenze con la morte di Gordoona. La strega dubitava dello strano e improvviso aiuto degli Dèi, ma questo non la ostacolò nei suoi piani.
La cattura di Bjelle fece svuotare un intero salone nell’ala Ovest del palazzo per depositarvela. La rinchiusero in un cilindro di vetro alto e molto ampio, colmo di uno strano liquido quasi denso e biancastro.
Fu posta al suo interno e sigillata con un potente incantesimo che avrebbe disintegrato chiunque si fosse avvicinato non facente parte dei Gavoth. Come altra protezione, furono aggiunti sette Nemodurre intorno al cilindro e altri ai lati della porta.
I frammenti non più in forma umana erano soltanto sfere di pura energia vitale che fluttuavano nell’aria muovendosi lentamente; Bjelle non faceva eccezioni. Dall’attacco si era indebolita e la sua luce era pallida… se non sarebbe entrata nel medaglione, sarebbe sparita, persa per l’eternità.
Kashda entrata nel salone, si avvicinò al cilindro con passo lento osservando il frammento cercare di riprendere la forma umana e di uscire. «Usare i tuoi poteri ti ha reso debole eppure persisti nel tentare di fuggire, perché tanta ostinazione?» chiese girando intorno senza distogliere lo sguardo.
La sfera sbatté più volte contro il vetro per romperlo o solamente danneggiarlo, ma ogni suo colpo sembrava non scalfirlo neanche: «E tu perché continui a essere furiosa nei suoi confronti?».
Kashda si fermò di colpo voltando il capo nella sua direzione per risponderle: «Ciò che dici non mi tocca, è solo fiato sprecato.».
La donna le mostrò la gemma che aveva estratto dal suo corpo e disse: «Secondo gli antichi lo Zaffiro è portatrice della conoscenza della natura umana, aiuta nel riconoscere i falsi amici, infonde onore, salute e amicizia. Cura le malattie mentali, porta brava gente nella tua vita, calma i nervi, è adatta alla meditazione, dà pura intuizione e la verità di Dio ed è inoltre pietra della castità. Io non credo al potere di queste gemme, in fondo io non sono nessuno per dire se è vero o falso ciò che si dice sulle pietre.».
Improvvisamente sfoderò Tagha poggiandovi la punta della lama contro il vetro… emanò scariche elettriche che colpirono il frammento: «Dove si trovano gli altri frammenti e le altre gemme? Rispondi o ti perderai nel nulla.».
Bjelle cercò di sopportare il dolore e di non dare nessuna soddisfazione alla donna che la stava torturando con tanto gusto, purtroppo il suo indebolimento non le permise di resistere oltre e le sue grida accesero ancor di più il godimento in Kashda.
La luce del frammento divenne ancora più flebile a ogni colpo e così per evitare di spegnersi prima di quanto non fosse necessario, Bjelle diede a Kashda le informazioni che voleva: «Giù all’Inferno, custodita preziosamente da Lucifero.».
Solo allora Kashda rinfoderò Tagha uscendo con il sorriso sulle labbra…. Si recò da Ylloon al tempio… era seduta sulla panca con gli occhi chiusi a riflettere e per non disturbarla, si fermò a un passo da lei aspettando che si accorgesse della sua presenza.
Il silenzio le avvolgeva senza interrompersi e in quell’assoluta calma, risuonarono le parole di Ylloon: «Che cos’hai scoperto dal frammento?».
Kashda pose le mani sui fianchi e rispose con tono serio e soddisfatto: «Abbastanza da incuriosirti. Dice che ne ha scovato uno soltanto custodito niente di meno che all’Inferno.».
A quella notizia, Ylloon sgranò gli occhi e immerse la mano nel fluido che cambiò colore diventando rosso fuoco mostrando solo poche immagini indistinte dell’Inferno.
Comparvero improvvisamente le Sorelle Harwin e la maggiore si fece avanti per parlare: «Porto delle informazioni che vi saranno utili per recuperare la prossima Figlia degli Astri.». Smise all’improvviso di parlare e fece gesto alla sorella Jokra di raggiungerla.
Fu però fermata dalle parole della strega: «Perché dovrei ascoltare delle doppiogiochiste?».
Vurgana prese di nuovo la parola e questa volta si fermò a un passo dal Reantha: «Se non fossimo come dici, ci saremmo dirette dagli Dèi. Vuoi ascoltare ciò che ho da offrirti?».
Ylloon era restia nell’accettare, ma le fece cambiare idea lo sguardo di fiducia che Kashda aveva e annuì. Jokra si pronunciò: «Blu come il cielo sulla Terra fra i giganti della natura la settima figlia attende. Dormiente fra le candide lenzuola di lacrime alla presenza dello spirito buono si desterà. Fra le braccia dell’ottava sorella cadrà se lei alla fine forza d’animo paleserà. Così otto luci saranno accese ma quattro mancano ancora all’appello, avviluppate sempre più dall’oscurità del Male.».
Nello stesso istante l’Uomo del Nero della Notte, che aveva udito tutto, si reca nella torre più alta per riferire a Lucifero. Una puzza di zolfo inondò la stanza e alle sue spalle comparvero gli occhi rossi in una nuvola di fumo nero: «Ho saputo del successo e dovrei essere infervorato, ma non lo sono, perché?».
«Gli Dèi vogliono riconquistare la loro antica potenza e per farlo si servono di Ylloon.» l’Uomo del Nero della Notte si voltò mantenendo il suo sguardo sugli occhi e continuando a parlare, «Recuperando prima di Erenock il frammento e una delle Figlie degli Astri, hanno compiuto una mossa azzardata forse anche sensata, ma in ogni caso rischiano troppo.».
«Tieni d’occhio gli Dèi stanno osando un po' troppo.» a questo punto, Lucifero, credendo che non vi fossero più informazioni utili da ricevere decise di andarsene.
«Non vuoi conoscere il resto, io se fossi in te sarei curioso….» proferì lo sconosciuto catturando così l’attenzione di Lucifero.
La nuvola di fumo si modellò a figura maschile e Lucifero gli parlò: «Continua allora.».
«Bjelle ha riferito a Kashda di conoscere l’ubicazione di un frammento, che si trova in tuo possesso… le Sorelle Harwin hanno consegnato a Ylloon un indovinello che condurrebbe alla prossima gemma.» l’Uomo del Nero della Notte si diresse verso l’entrata e aprendo la porta andò via.
Le uniche notizie che interessarono Lucifero furono sul frammento che lui possedeva. Non sarebbe mai accaduto se gli Dèi non fossero andati dalla strega. Lucifero poteva tenere a bada Ylloon ma Kashda avrebbe usato ogni mezzo possibile e immaginabile per recuperarlo e vendicarsi su Erenock.
Intanto a Siledya, l’isola a Sud di Amaiqua, Neloce condusse Erenock e Marish al Lago degli Unicorni Argentati situato a Nord-Est della città. Infatti, nei pressi del lago, Neloce confermò la presenza di un altro frammento che purtroppo non riusciva a individuare con precisione.
Si avvicinarono più che potevano cercando di non spaventare gli unicorni e di provare a localizzare il frammento. Neloce provò a spostarsi in un altro punto e finì col nascondersi fra alcuni cespugli di [1]Lutarbo.
La pelle delle braccia fu la prima a irritarsi e più massaggiava più la sensazione di prurito aumentava. Dopo qualche minuto anche altre parti del corpo s’irritarono e col grattarsi finì col cadere all’indietro e a spezzare un ramo secco.
Gli unicorni che si trovavano sulle sponde del lago alzarono la testa cercando di capire da dove provenisse quel suono. Invece di scappare dalla paura quegli unicorni affrontavano il pericolo. Alcuni di loro entrarono nel bosco e silenziosamente circondarono i tre.
Furono portati allo scoperto da alcuni maschi: misuravano due metri d’altezza e con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Gli zoccoli bipartiti, bianco latte, risaltavano sul manto, che non era semplicemente del colore argento, ma del minerale stesso. La corta criniera e la coda da leone li rendevano più seri che belli.
Si arrestarono sulle sponde del lago e a loro si avvicinò una bellissima femmina di unicorno; era distinguibile dai maschi per molte varianti: gli occhi che davano sul ghiaccio, il colore del crine che era bluastro e il corno che era celeste chiaro. C’era ancora qualche particolare che le differenziava dai maschi, come la coda e la criniera simile a quella dei normali cavalli, ma lunghe e folte.
Si fermò davanti ai tre levando la testa per nitrire e così il suo corno scintillò sotto il sole dell’alba in mille barbagli di luce. Altri nitriti si levarono in aria e alle loro spalle gli unicorni facevano largo al loro capobranco. Alle prime luci del mattino con le criniere al vento, le code ondeggianti e il lungo corno puntato in avanti a fendere l’aria, queste creature non avevano eguali.
La femmina che si trovava davanti ai tre retrocedette facendo spazio al capobranco, un’altra femmina, la più anziana. Con lo sguardo dall’alto verso il basso, l’unicorno si pronunciò: «Qualunque cosa stiate cercando non la troverete qui.».
Si preparò a rispondere Neloce, ma fu Erenock a parlare: «Pur non avendo più i miei poteri, io so riconoscere un frammento della sua anima.».
L’unicorno cambiò la sua espressione e pur rimanendo a testa alta si rivolse al comandante: «Ti sbagli qui non c’è nessun frammento, specialmente di un’anima perduta.».
La bellissima creatura voltò il capo per andarsene ma fu bloccato dalle parole del comandante: «Non riuniamo i frammenti per caso, in gioco c’è qualcosa di ben più importante… come riportare la fede verso Dio agli uomini e trovare un nuovo mondo per gli abitanti del Luogo Proibito.».
Lei ritornò a posare il suo sguardo su Erenock levando il capo in aria e rispose: «Voi non capite la gravità di quello che state facendo… la rabbia, il dolore e la vendetta che scorrono vivi in te sono minima cosa paragonati ai suoi che scatenerà se voi continuerete a riunire i frammenti della sua anima.».
Era chiaro che l’unicorno era un frammento ma per le sue motivazioni non aveva intenzione di unirsi agli altri e glielo disse chiaramente: «Tu vai in giro a chiederci di riunirci e non pensi che forse stiamo bene così… lasciaci in pace.».
Il manto degli unicorni luccicava ai raggi del sole tanto da sembrare delle stelle che danzavano sulla Terra. Lei avanzò di un passo, non fiatò, ma guardò negli occhi quell’uomo simile ai mortali, tuttavia con quel qualcosa di diverso che lei sentiva familiare dentro di se. La sua mente le ordinava di cacciarli, ma il cuore la supplicava con gentilezza di ascoltare il suo richiamo.
Il suo cuore ascoltò. I suoi occhi divennero lucidi e le lacrime scivolarono sul suo muso. Retrocedette di qualche passo e senza cenni si alzò sulle zampe posteriori. Nitrì… un suono simile a un magico canto e una luce accecante di un bianco opalescente, si liberò dalla sua fronte e pian piano iniziò a tingersi di grigio chiaro, rilasciando i colori del giorno.
Alla fine di quell’atto c’era una donna dai capelli blu cobalto, legati in una lunga treccia insieme a nastri si seta rossa. Il suo abbigliamento era più sobrio rispetto a quello indossato da Neloce e più consono a viaggiare. Era una donna alta con un’espressione impenetrabile e occhi di color ambra che ispiravano fiducia negli altri.
Neloce e il nuovo frammento si guardarono negli occhi e la prima capì che era giunto il suo momento… rientrò nel medaglione senza fare storie e la seconda prese a decidere il nuovo capobranco. Dalle sue mani fece uscire fuoco verde che scandagliò l’intera zona in cerca di un degno sostituto… si fermò su un giovane unicorno vicino a loro e si adagiò sul suo collo marchiandolo come nuovo capobranco.
S’inoltrarono nel bosco, dove incontrarono un alterego di Kashda con la pelle bianca e gli occhi rossi come il fuoco. Spiccò il volo e lanciò sui tre una raffica di sfere elettriche….
Erenock e i due che stavano con lui si gettarono a terra per non essere colpiti e il frammento decise di cambiare indumenti…. Sul suo corpo si materializzò poco a poco un corsetto di cuoio senza spalline, elegante e sicuro allo stesso tempo. Un tessuto di pelle del medesimo colore andò a coprire l’interno delle sue lunghe e modellate gambe, lasciando l’esterno scoperto a tratti. Il paio di stivali neri, che comparvero a calzare i suoi piedi fino al ginocchio, aveva diverse cinghie, in cui apparvero due pugnali dalla lunga e sottile lama.
Quando Marish annullò il potere dell’alterego, il frammento comparve alle sue spalle bloccandola ponendole le mani sulle orecchie. Si accasciò al suolo e il frammento le fece perdere i sensi.
Si eresse e alzando lo sguardo su i due commentò: «Io non avrei mai immaginato che Kashda fosse ancora viva e con tali poteri.».
Erenock andò verso di lei e le disse: «I suoi poteri le sono stati attribuiti da Tagha.».
Raggiunto il resto del gruppo, fecero la conoscenza del nuovo frammento: Gomèra. Non avendo una nuova meta, Erenock decise di fermarsi e ancora una volta fu lo stesso Trasportatore ha condurli in un luogo di sua scelta. Furono catapultati a Edilton, dove si apprestarono a cercare una buona locanda dove ristorarsi.
Essendo un periodo di alto commercio ogni locanda esistente era al completo e furono inviati fuori dalle mura. Incontrarono una locanda che attraeva con le luci delle sue fiaccole e le musiche dei liuti e delle arpe.
Il gruppo la trovò facilmente visto la struttura dell’edificio… chiamata “La Duna del Re Solitario” apparve come un edificio a due piani, fatto con solidi blocchi di marmo bianchissimo e sulla sua sommità campeggiava il nome del locale scritto con caratteri d’oro. Lungo i muri delle fiaccole illuminavano l’esterno della locanda, le fiamme cambiavano colore, da rosso intenso, ad arancione, a giallo e così via con le varie tonalità di questi colori. La porta dell’ingresso era di quercia rossa finemente lavorata, con bassorilievi rappresentanti i molteplici luoghi in cui era apparsa. Le finestre al piano terra erano molto grandi e permettevano d’intravedere gli interni della locanda.
Si fermarono poco prima dell’entrata a osservare quella meraviglia e Clegan li informò di alcune notizie: «In giro si dice che compaia solo nei momenti di bisogno e quando in giro c’è molto commercio.».
Varcato l’ingresso, la musica inondava i viaggiatori con le sue melodie piacevoli e armoniose; la sala si rivelò molto accogliente con veli di seta cangiante attaccati al soffitto che fluttuavano delicatamente sopra le teste delle persone, e il pavimento ricoperto di tappeti di pregevole fattura.
Le luci soffuse invitavano a sedersi e a rilassarsi sugli enormi guanciali variopinti e ricamati, e in mezzo a ogni coppia di guanciali c’erano un piccolo tavolino e una bottiglia del pregiato Sidro dell’Est.
Non vi era la presenza di nessun bancone, dove poter ordinare da bere o da mangiare. Ogni richiesta era prontamente esaudita dall’efficiente servitù, qualunque cosa il cliente chiedeva era servito.
Si accomodarono sui guanciali e attesero che Sirto d’età indecifrabile arrivasse al loro tavolo. Il suo viso era paffuto e sorridente continuamente; i suoi capelli rossicci erano molto curati e legati a treccia. Indossava tonache molto lussuose, con filamenti d’oro che ne impreziosivano ulteriormente la fattura.
Mentre la conversazione proseguiva, a loro si avvicinò Baleebh che prestava servizio come capo cameriere, gestendo le ordinazioni e coordinando con efficienza i camerieri della locanda. Una persona impeccabile e molto raffinata, mai una parola fuori posto, sempre educato e tranquillo, come si conviene a un capo cameriere di un locale tanto esclusivo.
«Salve… è la prima volta che vi ristorate nella nostra locanda?» chiese Baleebh con gentilezza e con controllata calma.
«Sì e non vediamo l’ora di assaggiare i vostri squisiti manicaretti.» Gomèra rispose con altrettanta gentilezza che attrasse immediatamente Baleebh.
Baleebh fece un inchino con la testa e si allontanò ritornando dopo con delle pergamene su cui c’era riportato il menù. «Scegliete pure con comodo e quando avrete scelto, saremo a vostra disposizione.» si allontanò dal loro tavolo e si avvicinò a un altro poco distante.
A loro si avvicinò Rjna che ricopriva la mansione di cameriera, aveva all’incirca ventotto anni e la sua bellezza era al pari della sua grazia e precisione nel servire ai tavoli. Fece un sorriso e si rivolse a loro: «Che cosa posso portarvi?».
Gomèra percependo i pensieri degli altri rispose per tutti: «Stufato di Salmone Rosso del fiume Skaala, Spiedini di Tacchino Reale del Nord, Montone Bianco arrosto del Nord, Torta ai Datteri di Deneka, Tronchetto al Limone di Eucrogy e infine Acqua aromatizzata e Sidro di Mele del Sud.».
«Ottima scelta, sarò presto da voi.» Rjna annotò ogni cosa su una pergamena e lasciò il tavolo.
Intanto l’occhio attento e vigile di Erenock si spostò in tutta la sala. In un angolo, totalmente estraneo alla vita vivace della locanda, un uomo fissava senza tregua il suo bicchiere di Sidro. Indossava un corpetto di cuoio borchiato e vestiti completamente impolverati e laceri; una spada infoderata era appoggiata alla parete, quasi come voler prendere le distanze da lei e da quello che rappresentava. Aveva tutta l’aria di un ex mercenario e non sembrava il tipo da potersi permettere i lussi esclusivi della locanda, cosa potrà barattare con Sirto?
Spostò poi lo sguardo verso il centro della sala, vicino al palco dei musicisti, dove un mercante veramente facoltoso s’intratteneva chiassosamente con il suo seguito costituito da sei mogli, un segretario e tre eunuchi. La sua carovana ufficialmente trasportava spezie in tutte le regioni del deserto e nelle terre confinanti, ma i suoi maggiori introiti parevano derivare dal commercio di antichi libri arcani proibiti.
Ancora… un gruppo costituito da un nano e quattro umani, che confabulavano a bassa voce osservando con sospetto sia gli altri clienti della locanda che i camerieri e lo stesso Sirto. Probabilmente erano guerrieri in cerca d’ingaggio o in missione, infatti, le loro armature e le armi mal celate sotto i mantelli, tradivano le loro vere identità.
Erenock aveva intuito qualcosa e disse ai suoi compagni di riposare dopo aver mangiato. Furono accompagnati al piano superiore, mentre lui restò a sorvegliare i clienti nella sala senza dare troppo nell’occhio. Percepiva che presto ci sarebbe stato movimento e si tenne pronto. Infatti, pochi minuti dopo, l’ex mercenario si alzò dalla sedia e andò incontro a Sirto… i due avevano, in precedenza, concordato uno scambio per il ristoro nella sua locanda.
Non appena l’ex mercenario tirò fuori un sacchetto di tela, il gruppetto di cinque scattò in piedi e si avventarono sull’ex mercenario. Erenock si alzò di scatto e avanzò verso di loro afferrando il primo che aveva davanti per un braccio e scaraventandolo alle sue spalle. Non aveva poteri eppure possedeva una forza innaturale.
Uno dei cinque estrasse la sua ascia e attaccò Erenock, mentre l’ex mercenario si difese con la sua spada. Un altro sferrò un pugno al comandante che si abbassò facendolo colpire a vuoto e lui rispose in seguito con lo stesso colpo centrandolo all’addome.
L’uomo con l’ascia si rialzò dopo il brutale colpo di Erenock e lo attaccò nuovamente; il comandante si voltò di scatto e afferrò l’arma togliendogliela dalle mani per lasciarla cadere sul pavimento.
Lo afferrò per la camicia e lo lanciò su uno dei guanciali… si voltò verso l’ex mercenario per costatare la situazione e uno dei tre rimasti ancora in piedi lo pugnalò allo stomaco. Erenock e quell’uomo si guardarono negli occhi per un tempo infinito e poi alla fine il comandante lo afferrò alla gola spezzandogli il collo. Lo lasciò cadere sul pavimento, mentre notò gli sguardi attoniti del personale della locanda.
L’ex mercenario, riuscito a togliersi di torno i suoi avversari, si sedette su uno dei guanciali che aveva davanti e alzò lo sguardo su Erenock, mentre si toglieva il pugnale con la lama che splendeva ancora gettandolo a terra. «Mi avete aiutato, anche se vi sono sconosciuto, perché?» chiese lui incuriosito.
Erenock si sedette quasi di fronte a lui e rispose: «In vostro possesso si trova un oggetto che non ha prezzo per me, mostratemela e quando avrò finito, la scambierete con il proprietario della locanda pagandolo per il vostro ristoro.».
L’ex mercenario era riluttante a mostrare a un perfetto sconosciuto qualcosa di suo, anche se la carta dell’aiuto giocava a suo favore. Ormai deciso, riprese il sacchetto di tela e lo poggiò sul tavolino mostrandogli cosa contenesse.
Gomèra raggiunse i due sedendosi al fianco di Erenock, mentre l’oggetto in questione era una perla naturale di colore bianco incisa con strani simboli magici difficilmente visibili a occhio nudo, incastonata in un ciondolo a forma di mano.
Nessuno disse nulla finché Gomèra non prese la parola: «È una perla dei mari del Sud, amplifica lo spirito di osservazione e la nitidezza della visione. Non è tutto, su di lei pende una specie di malasorte.».
«Ora capisco perché da quando ne sono entrato in possesso, sono iellato.» l’ex mercenario la guardò e spostò lo sguardo sui due come per dire, ve la regalo.
Gomèra non voleva far capire a quell’uomo chi loro fossero, ma non aveva altra scelta: «Ti porteremo volentieri via ciò che la maledice. Si trova al suo interno non dovremmo far altro che liberarlo dalla sua prigione.».
L’ex mercenario si rivolse così a Gomèra: «Ciò che mi sta davvero a cuore è che io sia libero da questa sfortuna.».
Gomèra annuì e pensò all’incantesimo da pronunciare:
Che gli spiriti ascoltino la mia invocazione,
scortate l’anima in questa dimensione,
e alla sua apparizione,
svanisca la maledizione.
L’incantesimo funzionò alla perfezione… tante scie bianche comparvero di fronte al tavolino muovendosi in un ordine preciso, dall’alto verso il basso e viceversa. Comparve una figura femminile molto simile a Dranerre, restò solo per pochi secondi perché fu risucchiata nel medaglione.
L’uomo li ringraziò e ritornò a contrattare con Sirto, nel frattempo Erenock aveva riunito tutti in un’unica stanza, dove il nuovo frammento consegnò loro qualcosa…: «Blu come il cielo sulla Terra fra i giganti della natura la settima figlia attende. Dormiente fra le candide lenzuola di lacrime alla presenza dello spirito buono si desterà. Fra le braccia dell’ottava sorella cadrà se lei alla fine forza d’animo paleserà. Così otto luci saranno accese ma altre quattro mancano all’appello, avviluppate sempre più dall’oscurità del Male.».
Un altro indizio per trovare e recuperare l’ennesima Figlia degli Astri prima che i Gavoth ci mettessero le mani sopra.
 
 
[1] Bacche non più grandi di una mora, di colore giallo oro dalle sfumature arancioni alle estremità e con un sapore dolciastro.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Il Qooejlle ***


Trentesimo capitolo
 
Il Qooejlle
 
 
 
 
Ovest di Edilton….
Un fiume che usciva da una decina o più di montagne le circondava da Est fino a Ovest dove sfociava in mare. Era chiamato Bajorn e prendeva il nome dal lago che si trovava sotto la cresta del Monte Ganù, nella parte occidentale a più di 1987 metri d’altitudine, di origine stranamente glaciale.
Si raccontavano alcune leggende: una delle quali lo descriveva come un lago, che fin dalla notte dei tempi era consacrato ai demoni che vi abitavano e nessuno poteva accedervi.
In quella zona la vegetazione era scarsa e i pochi alberi che s’incontravano alleggerivano la rude aria che, a malapena, si respirava. Lì fra quei bellissimi monti, Ylloon e i suoi uomini attendevano, mimetizzati con l’ambiente, l’arrivo di Erenock e dei suoi compagni.
Come previsto dalla strega, il gruppo, giunse sulle sponde del lago alle prime luci dell’alba. La strega e i suoi uomini uscirono allo scoperto circondandoli, mentre si rivolse ai suoi avversari: «Questa volta siete voi a essere in ritardo.».
La strega schioccò le dita e davanti a lei comparve Bjelle, ancora più debole. Ylloon le diede uno spintone e la fece cadere nella neve.
«Un altro frammento.» disse sottovoce Gomèra compiendo un solo passo verso di lei.
Lo sguardo di Bjelle incrociò quello di Gomèra che capì al volo cosa lei volesse. Gomèra spalancò la mano destra contro di lei e una strana forza la schiacciò al suolo. Le provocò un immenso dolore e allora la settima pietra si svegliò sprigionando una potente fonte di calore.
Quella forza su Bjelle cessò di esistere… Erenock le fece intravedere il medaglione e lei si sforzò alzandosi dal terreno. Riempì i polmoni d’aria e si voltò verso la strega…: «Hai usato ogni mezzo per distruggerlo Erenock eppure sei punto e a capo. Accetta l’ennesima sconfitta.».
Nel momento in cui Bjelle arretrò, la settima gemma uscì dal lago dirigendosi contro di lei; era un topazio di colore arancio-bruno. Si diceva che questa pietra serviva per mettersi in contatto con gli esseri astrali, che sviluppava abilità psichiche, permetteva il ricordo di alcuni scorci di vita passata etc….
Le tenebre presero il possesso delle montagne e quando la luce fece nuovamente da padrone, Ylloon e compagni non trovando nessun altro a parte loro, rientrarono a palazzo.
Al Lago di Bajorn invece, il velo che nascose Erenock e i suoi amici, si dissolse, ma fra loro mancava Soem, che si ritrovò nella Dimora degli Dèi, dove risiedeva l’Osservatorio.
Cercò un nascondiglio nell’udire delle voci avvicinarsi, ma la sala era spoglia. Le porte si aprirono ed entrò Tenrett che si recò verso l’Osservatorio, seguito dalla famiglia. Lei s’irrigidì, ma sembrava che nessuno la vedesse e capì il perché: era circondata da leggere vibrazioni che nascosero alla vista dei presenti.
La donna notò subito una certa agitazione e ascoltò le parole di Falock: «Dopo quanto accaduto ultimamente, dovremmo ritenerci soddisfatti, visto che presto avremo il controllo assoluto su tutto e tutti.».
«Io non canterei vittoria troppo presto zio Falock, tutto è in nostro favore in questo momento, ma non dobbiamo dimenticare che il Fato può cambiare anche il nostro futuro.» intervenne Robert avvicinandosi a loro e baciando poi il dorso della mano di sua madre.
Concordarono tutti con lui e Tenrett passò la mano destra sulla superficie dell’Osservatorio, dove comparvero alcune immagini. Il Dio ne scelse una in particolare e l’Osservatorio la proiettò a mezz’aria; il manufatto sembrava essere lì presente.
Sorridendo Tenrett presentò il loro nuovo piano: «Questo è la nostra scorciatoia… il Qooejlle.».
Quel nome riaccese in Soem tanti ricordi in un solo istante che non immaginava avesse ancora. Conosceva il Qooejlle e in un certo senso lo temeva…. Non avrebbe mai concepito che tale manufatto si potesse trovare nelle loro mani.
Io non credo che i Gavoth siano a conoscenza di questo piano, quindi gli Dèi vogliono usare il Qooejlle a loro insaputa… Erenock va subito informato prima che accada l’irreparabile” pensò Soem che cercò di andare via.
Si pose immediatamente una mano sul ventre e subito dopo si sentì afferrare da dietro e trascinare via. Chiunque fosse l’aveva riportata al Lago Bajorn, dove Erenock la stava aspettando.
La stretta che sentiva la abbandonò e si voltò per capire chi fosse; era Raiziel che si presentava come un uomo di un metro e ottanta di altezza e dal corpo muscoloso. Ciò che però la colpì furono i suoi occhi fini e d’ambra e i suoi capelli di uno splendido blu intenso.
«Che cos’hai scoperto?» le domandò Erenock avvicinandosi a lei e all’angelo.
Soem pesò bene le parole che avrebbe usato per rispondere alla domanda di Erenock e messe insieme quelle giuste lei parlò: «Gli Dèi attueranno un piano di cui i Gavoth sono allo scuro. Useranno il Qooejlle.».
«Di che si tratta?» domandò incuriosito Adhanc.
Erenock cercò in breve di estinguere la curiosità di Adhanc con semplici parole: «Il Qooejlle era un manufatto unico nel suo genere e dagli illimitati poteri. Era in grado di assorbire ed eventualmente eliminare tutta la magia dal mondo. Fu creato dalla Suprema Imperatrice per un uso eccessivo della magia, ma scomparve….».
Poi intervenne Raiziel a informarli come mai un manufatto tanto potente si trovasse su questo pianeta: «Dalle nostre informazioni, il manufatto comparve sulla Terra durante una giornata afosa. Fu trovato da un mago molto potente che apparteneva ai Gavoth, forse un antenato… il mago in questione lo duplicò mantenendo ogni dettaglio, ma cambiando il colore dei cristalli.».
«Quanti né poté creare il mago dall’originale?» gli chiese Clegan passandosi la mano dietro la nuca.
Raiziel camminò per qualche metro verso il lago riflettendo e voltandosi rispose: «Fortunatamente ne creò solo due, ma con delle limitazioni…. Il Qooejlle dai cristalli viola riusciva ad assorbire la magia dagli esseri umani, quello dai cristalli bianchi dagli oggetti. Gli Dèi useranno il primo.».
Erenock prese il medaglione e chiamò Elos, la stella proveniente dalla Fascia di Ulrich, che s’inginocchiò al suo cospetto…. Lui si pronunciò con tono severo: «Porterai con te Arzzekan e Soem dopo che Gomèra sarà rientrata.».
Ognuno occupò il posto che doveva per evitare di perdere la propria magia, avvertendo in tempo chi di dovere.
Tenrett giunse sulla Terra disponendo il Qooejlle nel mezzo della Foresta Nera e dopo averlo attivato, scomparve.
Presentava una base, costituita da quattro serpenti, completamente in argento con qualche rifinitura in oro. Le code dei rettili rivolte verso l’interno s’intrecciavano a tal punto da creare nel mezzo un nascondiglio per un pezzo di meteorite e tutto intorno degli incastri perfetti per cristalli prismatici. Il meteorite fungeva da protezione rilasciando un velo di energia vitale che si chiudeva a forma di uovo, indistruttibile e in grado di respingere ogni forma di magia. I cristalli, di colore viola, erano grandi a sembrare uno soltanto sistemati in modo tale che dall’alto si poteva vedere una rosa. Le teste dei serpenti invece erano rialzate dalla base di quindici centimetri con la bocca spalancata e la lingua leggermente all’infuori.
I cristalli attirarono da ogni parte del mondo la magia che gli esseri umani possedevano. Scie di filamenti di colore viola occuparono il cielo notturno che illuminavano la Terra. Anche la più piccola traccia di magia fu assorbita dal Qooejlle provocando nelle sue vittime non poco dolore.
Uno strano scintillio si manifestò in un quadro che raffigurava il palazzo di Aregiak al tempo in cui Moorgan era un bambino, la sua energia si propagò in tutto il mondo e oltre per richiamare a sé chiunque fosse il suo custode.
Erenock fu il primo ad avvertirlo e grazie al Trasportatore, fu catapultato davanti al quadro. Al suo fianco comparvero anche Clegan e Marish che avevano deciso di aiutarlo.
Lui li guardò e poi si pronunciò: «Se resterete, perderete la vostra magia.».
Fu Marish a rispondergli e a informarlo su una precauzione che avevano preso: «Non siamo così stupidi da ritornare sulla Terra senza una precauzione….».
Marish gli mostrò l’anello che lui e l’amico indossavano e fu Clegan a continuare: «È stata un’idea di Marish… appartenevano ai suoi genitori.».
«Conosco i due anelli, vi permettono di usare la magia, anche se il Qooejlle la sta assorbendo da tutte le persone della Terra.» Erenock ritornò subito a osservare lo scintillio nel quadro quando in esso si aprì un portale e loro vi furono risucchiati con violenza.
In quello stesso momento una nube nera comparve dinanzi a Ylloon, Kashda e l’Uomo del Nero della Notte, mentre la loro magia era assorbita dal Qooejlle. Gli occhi rossi fecero la loro apparizione e la voce di Lucifero portò una buona notizia: «Sulla bianca tela, i più bei colori del mondo danzano…. Un palazzo, erge nelle terre ostili e nella stanza irreale la nona figlia è in attesa di essere ritrovata. Così infonderà audacia nelle sorelle che si mostreranno agli alleati del Bene.».
 
«Come faremo a recuperare questa gemma se la nostra magia sta svanendo?» gli chiese Ylloon chinata a terra, debole per la magia che stava perdendo.
Dalla nube nessuna parola uscì, ma essa si lanciò su di loro avvolgendoli con il suo potere. Le loro pupille si estesero a coprire le iridi e quell’aura nera di cui erano impregnati, diede loro modo di possedere, temporaneamente, i poteri di Lucifero.
I tre, giunti dall’altra parte, si ritrovarono nella Cittadella, dove il popolo era in festa per un’altra vittoria del suo re. Nell’aria volavano coriandoli, fiori e varie decorazioni per la festa.
«Largo, gente. Fate passare.» gridò un uomo portando uno stendardo con l’[1]emblema della famiglia reale.
Clegan notò un ragazzo che faceva il giocoliere con delle mele rosse, mentre Marish si era incantato a osservare alcune ragazze che lo fissavano….
Un uomo gridò ha squarcia gola “Un urrà per il giocoliere”, l’euforia era tanta da urtare Clegan con il suo braccio.
«Dì un po', tu, perché non guardi dove metti i piedi?» disse arrabbiato Marish massaggiandosi il braccio.
«E tu da dove salti fuori?» domandò l’uomo curioso di vedere una persona come lui da quelle parti.
«Ehi. Guardate quelli.» commentò un uomo con uno strano cappello in testa.
«Chi sono?» chiese una donna che si avvicinò a loro.
«Non devono essere di qui.» soggiunse il giocoliere.
Si allontanarono di alcuni metri e si fermarono all’entrata di un vicolo. Marish si guardò intorno e poi si rivolse ai due: «Così diamo troppo nell’occhio….».
«Non riesco a utilizzare i miei poteri.» sostenne Clegan guardandosi sconcertato le mani.
«Poteri? Devono essere maghi di un altro regno. Catturiamoli.» gridò il capo delle guardie che passava di lì.
Scapparono nel vicolo e le guardie li inseguirono…. Salirono fin sui tetti delle case, ma da sotto le guardie li individuarono e cominciarono a gridare: «Eccoli. Sono lassù.».
«Qui siamo troppo in vista. Scendia… aah.» gridò Clegan mentre finì sul tetto di paglia precipitando nella cucina di una donna che stava impastando del pane.
Le guardie entrarono dalla porta sul retro e il capo avanzando verso i due disse: «Siete in trappola, maghi.».
Marish sorrise e disse con ironia: «Sì, questo è quello che dicono tutti….» e scapparono dalla porta principale, «… ma chi ci conosce, sa che abbiamo mille e più risorse.» finì poi col fermarsi di fronte alle guardie.
«Li abbiamo presi capitano.» esclamò il sottotenente bloccando loro la via d’uscita.
«Ottimo… conduceteli al Palazzo della Guardia. Io andrò subito a informare il re….» fu interrotto il capitano dall’intrusione di una persona che loro conoscevano bene.
«Perché disturbare il re per così poco… queste persone sono miei ospiti. Stiamo organizzando uno spettacolo a sorpresa per il re e se voi lo informerete, rovinerete tutto.» disse la donna facendosi avanti e chiedendo al capitano di andare via.
Lui e i suoi uomini si allontanarono e lei con un cenno della testa chiese loro di seguirla, poi si presentò: «Chiamatemi Yllojlle.».
Li portò in una casa non troppo grande a una ventina di metri da lì; salirono in soffitta e li fece accomodare…: «Io vivo qui e c’è una bella vista sul palazzo.».
«Ti ringraziamo, ma….» Clegan fu interrotto improvvisamente dalla donna che si poggiò sul davanzale della finestra.
«Siete alla ricerca delle Figlie degli Astri, dislocate per la Terra e dei frammenti dell’anima della Suprema Imperatrice. Io poso aiutarvi, quello che cercate è nel palazzo in una stanza che non esiste nella realtà. Se volete riuscire nel vostro compito prima di altri, dovete fidarvi….» si voltò verso e indicò il palazzo affermando dove si trovava la gemma.
Entrati a corte senza problemi, cominciarono a occupare posto per le esibizioni… non appena tutti avevano lo sguardo e l’attenzione impegnata sui giocolieri, il gruppo se la svignò. Seguendo le indicazioni finirono coll’entrare nella sala dei dipinti.
Yllojlle si avvicinò decisa verso un quadro che ritraeva famiglia reale e pose loro una domanda: «Non notate niente di diverso fra questa sala e quella nella realtà?».
Alla sua domanda, si guardarono tutti intorno e a rispondere, ci pensò Marish: «Quella porta non c’è nella realtà.».
Aprì la porta con facilità e all’interno trovarono una stanza spoglia, priva di qualsiasi ornamento, con un unico oggetto nel mezzo; un piedistallo di marmo e su di esso c’era sospesa la gemma: la [2]Giada.
La Giada era una gemma che infondeva pace, tranquillità, che leniva gli occhi e le emozioni. Conferiva saggezza, assicurava una lunga vita e una piacevole morte etc….
Non fecero neanche un passo che le luci si accesero e dall’altra parte del piedistallo c’era Ylloon accompagnata da Kashda e l’Uomo del Nero della Notte, seguiti a loro volta da Doofarth e i suoi uomini.
«Ora come farete a difendervi senza i vostri poteri?» domandò Doofarth estraendo le sue armi.
«I poteri non servono. A volte basta poco.» intervenne Yllojlle gettando a terra una boccetta che esplose creando una polvere di fumo nero.
Kashda non aspettò che la nube si diradasse e, per quanto lei non avesse poteri, lì Tagha funzionava benissimo. Grazie all’arma, la donna si trasformò e li inseguì insieme con gli altri.
Giunti nella piazza, i quattro trovarono uno spiraglio che li avrebbe condotti fuori da quel finto mondo. Passarono uno dopo l’altro, ma quando fu il turno di Yllojlle, lo spiraglio rimpicciolì.
Lei chiuse gli occhi abbandonandosi ai nemici che la stavano raggiungendo, ma fu risucchiata dall’altra parte cadendo su Marish. Erenock e Clegan invece si spostarono evitando la sfera di fuoco lanciata da Kashda.
Le fiamme si propagarono su tutto il quadro, lasciando che il rumore delle grida scavalcassero quelle delle vampe che ardevano la tela e vaporizzavano i colori. Le urla strazianti di dolore fecero rabbrividire persino Erenock.
Lo spiraglio non era ancora scomparso e prima che il quadro bruciasse del tutto, Kashda usò Tagha per allargare il buco. I tre uscirono in tempo ma Doofarth e i suoi uomini restarono intrappolati nel quadro bruciando con esso.
Ylloon vide Erenock e i suoi amici scappare e Kashda intervenne senza che la strega le impartisse un comando. Usando Tagha creò le lame di energia rossa dirette contro Marish ma Erenock le intercettò frapponendosi tra i due e lasciandosi colpire.
Il tessuto del braccio sinistro si lacerò macchiandosi di sangue. Improvvisamente alle loro spalle si sentì una puzza di zolfo e Yllojlle fu agguantata e immobilizzata con un pugnale contro la gola.
Moorgan guardò il comandante negli occhi e gli parlò con sarcasmo: «Sai che cosa accadrebbe se un frammento dovesse essere ucciso. Lascia la gemma nelle mani di Ylloon e a lei non sarà fatto alcun male.».
Erenock non poteva mettere a repentaglio la vita di un frammento, perderlo per sempre e rischiare di smarrire la Suprema Imperatrice. Sapeva che doveva intervenire, ma come?
Il comandante tese la mano a Marish che gli consegnò la pietra e arrabbiato, lo fece…. Nel momento in cui la gemma fu nelle mani di Ylloon, Moorgan compì il gesto di sgozzare Yllojlle….
Il tempo rallentò stranamente e a loro comparve Neloce che liberò il nuovo frammento; quando però cercarono di riprendere la gemma il tempo si ripristinò e loro dovettero scappare.
 
Un’ora dopo il sorgere del sole, la magia non era più presente sulla Terra. Gli Dèi soddisfatti ripresero il manufatto, mentre il Reantha, si crepò e il fluido ribollì così violentemente da finire sul pavimento e scioglierlo.
Ylloon non riuscì a capire cosa stesse accadendo al Reantha e fu ancora più confusa quando nel fluido restante si materializzarono delle immagini.
Erano strane, ma le mostrarono una conversazione su Erenock che parlava del Qooejlle e poi l’attivazione dello stesso manufatto. Questo la fece arrabbiare e gridare ha squarcia gola richiamando l’attenzione di Kashda.
Lei entrò nel tempio, mentre Ylloon riprese il controllo di se e senza alzare lo sguardo su di lei parlò: «Non m’importa come farai, ma trova un modo per eliminare definitivamente Erenock e la sua compagnia di bastardi.».
Kashda le fece cenno di aver compreso e andò via…. Ylloon le aveva dato campo libero nel trovare il metodo più lento e doloroso possibile per ucciderlo.
Alcune ore dopo Erenock e compagni si trovavano, grazie al Trasportatore, nella catena montuosa a Sud-Est del Lago del Diavolo, chiamata la Catena dei Weekash.
Si diressero verso il sentiero che costeggiava le montagne e Marish sapeva che là il terreno scendeva ripidamente verso la vallata. Da quel punto avrebbero potuto esaminare lo scenario senza che gli alberi ostacolassero la visuale.
Proseguirono spediti verso il lago, dove sfociava il fiume più grande del Continente dell’Ombra: il Devhjon. Dall’altra parte del lago comparve Kashda con dei soldati e vide Clegan e Marish passare dietro una fila di alberi.
Li vide sbucare da dietro gli alberi a imboccare un sentiero che passava vicino alla riva. Kashda allora corse a rotta di collo incurante dei rami umidi di pioggia che le sferzavano il volto o dei pantaloni che s’impigliavano nei cespugli. Lei si ricordò che il sentiero era prossimo a un punto in cui la pista incrociava una scorciatoia.
Quando riuscì a trovare la scorciatoia dietro una stretta curva a destra e si mise a cercare dei segni per vedere se i due avessero superato quel punto, non ne trovò nessuna e continuò a correre senza rallentare.
La foresta divenne improvvisamente silenziosa. Clegan e Marish avevano un grosso vantaggio su Kashda e raggiunsero Erenock e il nano. Il ragazzo parlò nuovamente dopo aver ripreso fiato: «Ci sono degli uomini che ci stanno inseguendo.».
Il volto di Erenock non tradì alcuna emozione – come sempre – e continuò a fissarli: «Quanti?».
Clegan voltò la testa per controllare il sentiero alle sue spalle e rispose: «Quattro inclusa Kashda.».
Marish si passò la mano tra i capelli e disse: «Il sentiero è stretto e ripido, non potrebbero mai circondarci.».
Imboccarono la scorciatoia in silenzio e dopo qualche tempo il terreno divenne più roccioso e scarso di vegetazione che offrì loro una visuale migliore. Il sentiero raggiunse il lato Sud della montagna più alta, inerpicandosi lungo il ripido pendio.
La stradina cominciò ad allargarsi in modo tale da permettere a due persone di camminare affiancate. Marish si girò a guardare il sentiero alle loro spalle per l'ennesima volta: nessuno.
Quando voltò nuovamente il capo, vide che i suoi compagni si erano fermati. Davanti a loro, nel bel mezzo del sentiero, c’erano due soldati. I mantelli scuri con il cappuccio alzato nascondevano i lineamenti dei volti, ma non la muscolatura dei corpi, che comunque non era riconoscibile.
Marish e Clegan non riuscivano a capire come avessero potuto precederli in poco tempo, così si girarono pronti a scappare, ma dalle rocce sovrastanti caddero sul sentiero i due restanti: Kashda e l’Uomo del Nero della Notte. Bloccarono loro ogni via di fuga.
Clegan tornò verso i primi due, che abbassarono con calma il cappuccio mostrando il volto dall’espressione rude: Doofarth e Zorduva.
«Sei sfuggevole Erenock, io devo ammetterlo, ma questo non ti concede la vita salva.» la voce di Doofarth benché avesse un tono quasi amichevole, portava in se una minaccia insita e letale come una lama affilata.
Kashda dall’altra parte fece un passo in avanti e prima che potesse parlare, si tolse il mantello che lasciò cadere sul sentiero: «Siete stati in grado di togliere la magia dal mondo, ma avete commesso l’errore di estirparla dalle persone e non dagli oggetti.».
«Avete sbagliato colpevoli. Sono stati gli Dèi ha far tutto questo e a quanto noto vi hanno escluso dai loro piani.» Marish rispose a tono poiché frenato per un braccio dall’amico Clegan.
Kashda non volle sapere nulla… erano stati loro e dovevano pagare… per tutto. Doofarth impugnò la spada dal fodero che portava alla schiena e con un ghigno depravato si passò l’arma sul palmo della mano sinistra procurandosi un taglio che macchiò la lama di sangue. Anche gli altri che erano con lui estrassero le armi senza compiere una mossa.
Ci fu qualche istante di silenzio. Improvvisamente però Kashda e i suoi scattarono verso i loro nemici con una velocità fulminea. Clegan vide Zorduva armato di pugnali ricurvi scagliarsi contro di lui, mentre alle sue spalle, l’Uomo del Nero della Notte aveva agguantato Marish.
In tutta quella confusione, Adhanc era scomparso ed Erenock aveva afferrato Doofarth per gli indumenti e scaraventato contro la parete rocciosa. Era finito a terra e cercò di riprendersi scuotendo la testa, ma prima che potesse accadere, Erenock lo afferrò nuovamente e lo sbatté contro la parete, alzandolo dal terreno.
«Avresti fatto meglio a rimanere dov’eri perché ora sei tu a non avere garanzia di vita lunga.» lo minacciò Erenock con tono furente.
Lo lasciò ma proprio in quel momento gettò la testa all’indietro dal dolore. Kashda lo aveva colpito sulla colonna vertebrale con la sfera che componeva il pomolo di Tagha. Un calcio alle ginocchia e, il comandante crollò sul terreno portando il capo sulle cosce e ansimando.
Kashda stette per colpirlo di nuovo ma Erenock si alzò di scatto verso di lei afferrando Tagha per l’elsa e la lanciò lontano. La spada finì con il perdersi nel sottobosco, mentre Kashda e Doofarth ebbero la peggio…. Erenock li aveva entrambi fatti volare a una dozzina di metri di distanza da lui.
Si girò verso gli altri che stavano combattendo e si diresse verso Clegan che stava avendo la peggio contro l’Uomo del Nero della Notte. Il comandante arrestò in aria la lama della spada che stava per colpire il ragazzo al volto e gli disse di allontanarsi, mentre frantumò nella sua mano, la lama.
Erenock aveva preso il sopravvento sull’Uomo del Nero della Notte, che per non essere ucciso, afferrò una boccetta da una tasca contenente un liquido rossastro e gliela gettò in faccia.
Lui retrocesse mentre si toglieva il liquido restante dagli occhi che si erano arrossati e lacrimavano per il bruciore. La sua vista era appannata e l’Uomo del Nero della Notte ne approfittò avventandosi su di lui. Erenock ascoltò i passi dell’avversario e lo scaraventò in aria con un’onda d’urto.
I suoi poteri gli erano stati restituiti. Gli occhi guarirono permettendogli di vedere ancora e prima che l’Uomo del Nero della Notte scappasse, lui schioccò le dita…. Le radici degli alberi li agguantarono…. Una in particolare rivelò la sua vera identità.
Si trattava di Moorgan Gavoth, il nonno dei figli di Ylloon. Era un uomo robusto, anche se agile e veloce, ma non abbastanza. Presentava un volto ben rasato su capelli castani leggermente brizzolati sulle tempie e dalle folte sopracciglia che oscuravano un paio di occhi celesti sempre guardinghi. Si notava una cicatrice sulla parte destra del collo che partiva da sotto l’orecchio finendo sulla giugulare. Moorgan era proprio come i suoi nipoti, malvagio, crudele e non amava chi lo contraddiceva ed era veramente testardo e poco socievole.
Nel frattempo Kashda aveva recuperato Tagha e concordandosi con gli altri tre scapparono lungo il sentiero. Clegan e Marish si misero a inseguirli, ma Erenock li fermò: «Lasciateli andare forse loro faranno un lavoro al posto nostro.».
I due annuirono….
Kashda ritornata dalla strega fu informata sui suoi piani che misero subito in atto. Grazie a Tagha si catapultarono nella dimora degli Dèi proprio nella sala dell’Osservatorio, dove su di esso c’era il Qooejlle. Per evitare di essere scoperti, Kashda usò la spada innalzando una gabbia di occultamento.
«Distruggi quell’affare.» Ylloon fu chiara e decisa, mentre camminava intorno al manufatto.
Kashda, non se lo fece ripetere due volte e attribuì un unico colpo al Qooejlle. La lama toccò il velo di linfa vitale senza però graffiarlo e lei abbassò l’arma osservando lama e velo, sconcertata.
«Com’è possibile che Tagha non sia riuscita a intaccarlo?» Kashda era incredula e arrabbiata nel costatare che non aveva risolto nulla con quel colpo.
Ylloon era stranamente calma e osservava con una certa indifferenza il Qooejlle… un cenno a Kashda e disse: «Incrementa la potenza della spada con la tua rabbia e non fallirai una seconda volta.».
Kashda fece di meglio, si trasformò e incanalò nell’arma tutta la sua potenza. Rifece il precedente gesto e questa volta riuscì nell’intento. Il Qooejlle fu ridotto in frantumi e i Gavoth ebbero nuovamente tutta la loro magia.
Scintille di energia con la coda di filamenti uscirono dalla dimora degli Dèi per ritornare sulla Terra. Il piano delle divinità era sfumato e quando lo avrebbero scoperto, si sarebbero vendicati dell’affronto subito dai Gavoth.
 
 
[1] I Gavoth, a quel tempo, erano rappresentati da due corvi posti di lato con un teschio privo della mandibola inferiore come punto di unione. Due falci di luna incrociati fra loro erano collocate a poco dalle cavità degli occhi.
[2] Secondo gli antichi questa pietra attribuiva diversi poteri, come quello di preservare i corpi dei morti, di portare fortuna ed essere di buon auspicio per la fertilità. Sembrava possedere il dono di eliminare tutte le energie non pulite e di rinvigorire soprattutto le donne.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Smascherato ***


Trentunesimo capitolo
 
Smascherato
 
 
 
 
Trascorse una settimana dalla distruzione del Qooejlle…. Raiziel apparve ai loro amici che si trovavano accampati nelle vicinanze del Lago della Disperazione.
«Se sei venuto ci sarà un motivo più che valido, qual è?» gli chiese Erenock facendogli cenno di sedersi.
Lui lo ringraziò con un cenno della testa e sedendosi sul tronco accanto a Clegan parlò a loro: «Vi porto notizie buone e cattive…. Ho scoperto che Ylloon tempo fa ordinò ai Balarm di distruggere uno dei luoghi dove voi avete trovato una gemma.». Il volto preoccupato dell’angelo li pose sulle spine e lui ruppe quell’ansia dando loro le novità.
Stavano pensando a quale luogo Ylloon avesse scelto per colpire Erenock e Yllojlle intervenì contemporaneamente a Marish ponendo la stessa domanda: “Qual è il luogo che è stato distrutto”?
I due si guardarono negli occhi e Raiziel prima di rispondere alla domanda, cercò di trovare le parole adatte: «Abbiamo controllato… le Terre delle Anime Dannate.».
Clegan si drizzò di colpo e pronunciò un nome: «Hurya. Si trovava Hurya in quelle terre, questo sta ha significare che è morto.».
L’angelo esitò nel rispondere ma dovette farlo quando vide le espressioni sui loro volti: «Quel luogo è stato cancellato dalla faccia della Terra.».
Marish rise e poi si pronunciò: «Ylloon ha distrutto quelle terre solo per una ripicca verso di noi, non è possibile.».
L’angelo si alzò di scatto allontanandosi, ma si voltò verso di loro per comunicare altre informazioni prima di lasciarli: «Danza sulle vette la decima figlia, nuota nella dolce acqua l’undicesima sorella. Nelle terre dei predatori marini le due sorelle insieme riposano, ma lontane fra loro. La prima affidata al cielo e la seconda deposta nella linfa.».
Erenock afferrò un rametto che si trovava accanto a lui e poi si rivolse agli altri: «Riposate… domani riprenderemo le ricerche. Io farò il primo turno di guardia.». Lasciò che loro si mettessero a dormire e poi alimentò il fuoco.
 
Poco prima dell’alba Erenock decifrò l’indovinello e ripresero il cammino al sorgere del sole. Continuarono a usare il Trasportatore per non essere rintracciati catapultati nell’Isola dello Squalo che sorgeva a Ovest di Haldhan. Si trattava di due isole vicine di diversa grandezza; la più grande era l’unica delle due a essere abitata da due soli villaggi: Heolc quasi a Nord e Citarj quasi a Sud, entrambe vicine al fiume.
A Nord si stagliava l’unica catena montuosa dell’isola e mentre stavano percorrendo il sentiero che conduceva verso Ovest, il Trasportatore s’illuminò portandoli dove il fiume iniziava la sua corsa.
Sotto la grande cascata, nel bellissimo lago, un pesce d’acqua dolce nuotava in tondo come se stesse aspettando qualcosa o qualcuno. Il pesce si accostò alla riva nel vedere un lupo dal manto bianco e grigio avvicinarsi.
Nel punto in cui si trovava il pesce, comparve una luce dorata e dall’acqua uscì una giovane donna nuda. Anche il lupo dopo aver ululato mutò la sua forma in quella di un giovane uomo nudo.
Entrambi portavano ai polsi un bracciale con una gemma incastonata nel mezzo di diverso colore. L’uomo si pose davanti alla donna, mentre lei gli afferrò la mano stringendola. Le due gemme crearono una barriera intorno a loro proteggerli da eventuali pericoli.
Uscirono allo scoperto ed Erenock distrusse la barriera senza il minimo sforzo. La donna era nervosa e il suo uomo cercò di calmarla rivolendosi poi agli stranieri: «Che cosa volete da noi?».
Avanzò verso i due e si fermò a circa cinque metri aprendo le mani e richiamando le gemme. Le due pietre si staccarono e si posarono nei suoi palmi vaporizzando. I bracciali invece si frantumarono automaticamente ed Erenock si pronunciò: «Siete stati condannati a stare lontano l’uno dall’altro con un solo giorno in un anno a potervi amare come umani. L’incantesimo delle gemme è spezzato, siete liberi….».
Sia la decima, che l’undicesima gemma erano state recuperate…. Secondo gli abitanti dell’Isola dello Squalo, il Turchese infondeva gioia di vivere, serenità, ottimismo, aumentava le capacità intuitive etc…. Il Diamante invece era una pietra preziosa che assicurava un vincolo eterno; era considerato come una lacrima di Dio etc….
I due innamorati se ne andarono, mentre loro ritornarono, grazie al Trasportatore, al punto di partenza. Diedero una rapida occhiata in giro e Adhanc fece un commento: «Io non capisco perché quell’affare ci ha portato di nuovo qui.».
«C’è un motivo per ogni cosa nano… vorrà dire che riposeremo ancora così avremo le energie necessarie quando dovremo usarle.» espose Erenock riponendo il manufatto per aiutare ad accendere il fuoco.
Qualche ora prima del tramonto una presenza si aggirò nei pressi di Eail’Maph, una delle città di Dirdhan situate nel bel mezzo del deserto.
Dopo aver camminato per quasi cinquantatré giorni attraversando il caldo afoso del deserto di giorno e il freddo pungente di notte, era stanco e con le ossa rotte.
A malapena riusciva a respirare in sella al suo cavallo e aveva il viso scostante di chi era stato troppo tempo in solitudine. I suoi abiti sudici puzzavano e i capelli, lunghi e trasandati, avevano formato toppe crespe sulla nuca.
La fame e la sete si erano issate in lui, rendendolo impaziente e poco incline alla tolleranza. Non vedeva l'ora di lavarsi, di mangiare e di dormire in un letto caldo.
Entrato in città, chiese della locanda di Koobee, come gli era stato detto…. Era un edificio circondato da sole poche abitazioni e un fiumiciattolo marrone e verde, a causa del fango e delle alghe sottostanti che scorreva vicino a essa emanando un gran fetore di marciume.
La locanda era di bassa categoria, da fuori si presentava come una piccola casetta di legno semicadente; l’unico rumore a rompere il silenzio era il cigolio della vecchia insegna che dondolava al vento. Era appesa sopra a una porta che sembrava mostrare con orgoglio il proprio vissuto, con i cardini sconnessi, i graffi procurati dal tempo e il legno scalfito sporco di ruggine.
Quando entrò, Calligaph si ritrovò in un ambiente angusto, con una grande umidità e delle vecchie travi che scricchiolavano spesso, inoltre molti spifferi entravano attraverso gli antichi muri di legno.
Nella piccola sala illuminata da un ardente focolare, erano disseminati circa cinque o sei tavoli rotondi in legno scuro, non troppo alti di cui la maggior parte, impolverati e ricoperti da ragnatele.
Era fermo tra le più disparate figure: in piedi, vicino al bancone di media lunghezza intagliato nello stesso legno dei tavoli, c'erano degli uomini che se ne stavano in silenzio, mandando giù birra amara da grossi boccali di legno che si guardavano attorno.
Alcuni di loro fissavano una donna che, completamente nuda, se ne stava seduta con le gambe aperte cantando a squarciagola qualche strana canzone.
Calligaph si avvicinò al bancone ignorando le persone intorno a lui e appoggiandosi su uno dei molti sgabelli chiese di poter parlare con l'oste. Dalla cucina, accompagnato da un sonoro sbuffo, uscì un uomo assurdamente grasso che a fatica riusciva a muoversi tra le pile di bicchieri, calvo e senza denti. Sul viso decrepito e raggrinzito aveva stampato un'espressione di noia e irritazione.
«Che volete?» chiese bruscamente senza troppi convenevoli.
«Mi chiamo Calligaph Arlonn.» rispose notando l'oste pulirsi con una manata il sudore sulla fronte, sfilarsi il grembiule e zoppicare vicino a lui.
«Ti aspettavo almeno due giorni fa.» l’irritazione dell’oste non era scomparsa. Calligaph non aveva però voglia di leccare i piedi a nessuno e ignorò quel commento con un sorriso. «Comunque ti stanno attendendo.» con grossa fatica lo accompagnò al primo piano.
Ogni movimento sembrava causargli dolore ed era costretto ad appoggiarsi al muro per salire i gradini. La fatica però non gli fermò la lingua e ansimando riprese a schiamazzare e lamentarsi allo stesso tempo: «Non so cosa dobbiate fare di tanto importante ma spero proprio che si liberi di te. Se avessi lavorato per me, ti avrei cacciato a pedate nel sedere.» si bloccò di fronte ad una porta e bussò.
“Entra” gli fu concesso il permesso e prima di accedere si rivolse all’oste: «La ringrazio signor Koobee.» gli dedicò così uno dei suoi migliori sorrisi, scomparendo subito oltre la porta. Si guardò velocemente attorno mentre gli insulti dell'oste andavano abbassandosi. Vide una camera povera, sudicia e impolverata da quanto fornivano prova le ragnatele sui ripiani e le strisce sul pavimento lasciate dai passi di qualcuno che vi aveva camminato.
Una sola candela, posta sopra a un alto candelabro di ferro battuto, illuminava la stanza, insinuandosi tra le tende grezze del baldacchino. Nella penombra riuscì a distinguere delle figure: una seduta intorno a un tavolo, una seconda distesa sul letto, raggomitolata e confusa con l'ammasso di coperte e una terza rannicchiata sotto la finestra.
Calligaph tossì e si portò avanti.
«È in ritardo.» la voce era ferma e dura ma era la voce di una donna quando, con assoluta certezza, avrebbe dovuto incontrarsi con un uomo.
Lui si preparò al peggio.
«Il nostro appuntamento non aveva una data di scadenza, o sbaglio?» chiese con enorme fastidio, «Sappiamo entrambi che è lei il meglio.» confermò la voce facendogli dei lievi complimenti.
Calligaph era diventato impaziente e si pronunciò con arroganza mentre stringeva con una mano il pugnale che teneva legato alla cintura: «Non mi piace giocare con chi io non conosco.».
Lo raggiunse una risatina e poi il suo interlocutore si spostò dall'ombra alla luce. Era una donna e anche, da quello che vedeva, una bella donna. Indossava una tunica di tulle rosata, trasparente, che lasciava, liberi i seni sodi e giovani. La stoffa scivolava fino al pavimento ma nella parte anteriore lasciava scoperte le caviglie dipinte di nero abbellite di ciondoli in oro.
Due robuste cavigliere le legavano i piedi dandole un'andatura regale, invece i capelli erano intrecciati di perle d'argento e smeraldi, mentre sul collo spiccava una corpulenta collana di tessuto ricamato. Gli occhi, di un blu intenso, erano truccati impercettibilmente, con una mistura di terra nera e polvere di rubino.
«Perché non beviamo qualcosa insieme e ne parliamo?» chiese la donna con voce serena indicandogli di sedersi accanto a lei.
Calligaph si sedette di fronte a lei senza perderla di vista. Teneva sempre la mano attorno al coltello: quella situazione non gli piaceva.
La donna si voltò verso la sagoma sotto la finestra e la chiamò: «Veebì, perché non ci porti un po' di vino?».
Nel buio Calligaph distinse una sagoma esile muoversi.
«Questa stanza è troppo buia. Avevo chiesto altre candele ma le mie richieste sono andate perse nel vuoto. E pensare che dal luogo da dove provengo, si trovavano locande degne di un’imperatrice.» si lamentò la donna elogiando le lodi delle più belle locande della sua terra.
Come richiamata all'attenzione, la sagoma uscì dal buio. Vedendola Calligaph ammorbidì la presa attorno al pugnale. Era una ragazzina giovane, quasi scheletrica, dai capelli neri e dalla carnagione nivea. Aveva con sé una bottiglia e dei bicchieri e versò loro del vino particolarmente denso il cui odore aspro raggiunse le narici di Calligaph.
Quando li ebbe serviti, si rannicchiò ai loro piedi, sul pavimento, fissando il vuoto davanti a sé.
«Beva. Questo è vino di Evernù... dolce come l'amore.» lo incoraggiò la donna, portandosi alle labbra la sua coppa con espressione soddisfatta.
«Voglio delle risposte.» urlò Calligaph, sbattendo una mano sul tavolo, esasperato da quella situazione. Si sentiva preso in giro ed era una sensazione che non gli piaceva per niente.
«Bene….» si alzò con un movimento fluido e teatrale, «Io sono Horolla e la donna che lei avrebbe dovuto uccidere per conto di Gurth.» a quelle parole l’uomo davanti a sé scattò in piedi, estrasse il pugnale e glielo puntò contro.
«Rimetta a posto quel pugnale, Carol. Gurth è morto e questo è il compenso per lasciare le cose come stanno, inoltre voglio assumerla.» il frammento gli si avvicinò e pose sul tavolo di fronte a lui un sacchetto di tela colmo di monete d’oro, il doppio di quello che il suo mandante gli aveva offerto.
«Assumermi per cosa?» le chiese Calligaph mentre tamburellava col piede destro sul pavimento.
«Io sono in cerca di un manufatto o qualcosa di simile che i Gavoth bramano per eliminare un essere che non è di questo mondo.» gli rispose la donna dopo aver sorseggiato un po' di vino.
Calligaph sbuffò stanco di tutto quel parlare, inoltre non aveva nessuna intenzione di accettare un incarico da lei. Così si girò in direzione della porta per andarsene.
«Mi lasci finire…. Se riuscirà a portarmi a destinazione, avrà il doppio di quello che c’è in quel sacchetto.» smise di parlare solo quando Calligaph si bloccò a pochi centimetri dalla porta.
«Le auguro buona fortuna.» Calligaph uscì velocemente, senza darle il tempo di controbattere.
«Potrei provare a convincerlo mia signora?» le chiese col capo abbassato, la ragazzina.
«Provaci….» le disse la donna sorseggiando ciò che restava del vino nel suo bicchiere.
La ragazzina s’infilò un abito troppo grande per lei, che le calava sulle spalle magre scoprendole il collo e la schiena. Lo legò in vita con una cinghia di cuoio per non farlo svolazzare troppo e corse, dopo una serie d’inchini, al piano terra.
Vide Calligaph vicino al bancone col viso nascosto in una coppa. Per il caldo asfissiante del locale aveva legato i capelli sulla nuca e si era sfilato la giacca. Indossava una camicia azzurrina sporca di erba e terra, che gli cadeva larga sul petto e, costatò poi da vicino, puzzava come letame.
Lei notò il suo profilo vissuto, scavato, lo sguardo stanco. Lo aveva notato da subito e ne era rimasta affascinata. «Dobbiamo parlare.» la voce minuta della ragazzina lo colse alla sprovvista.
«È lei a mandarti? È proprio testarda.» rise di gusto Calligaph cercando di evitare lo sguardo di quella ragazzina.
«Ho chiesto io di poter venire. Volevo parlarti.» disse la piccola avvicinandosi con passo lento ma deciso.
«E cosa vorresti dirmi ragazzina?» le chiese Calligaph sorseggiando della buona birra dal boccale.
«Tante cose, ma non qui….» gli rispose lei guardandolo negli occhi con intensità.
Calligaph tentennò. Lei lo metteva a disagio. Era come se riuscisse a percepire, sotto l'aspetto candido e gracile, una sofferenza diventata crudeltà. La seguì quasi con timore, fissandole le scapole ossute che fuoriuscivano dal vestito.
Camminarono fino a un tavolo accanto all’entrata e si sedettero e la ragazzina prese la parola: «Horolla vuole solo salvare….».
La conversazione continuò, ma intanto nella stanza la persona che si era appena seduta sul bordo del letto si rivolse alla donna: «Credi che ci aiuterà?».
Lei annuì e dopo una ventina di minuti, Calligaph rientrò nella stanza rivolgendosi a lei: «Ciò che state cercando è pericoloso in tanti modi, siete disposta a rischiare il tutto per tutto?».
Horolla si avvicinò a lui e rispose alla sua domanda: «Sono venuta io da voi non il contrario.».
«Era tanto per chiedere non vi scaldate.» Calligaph alzò le mani in segno di scuse e ritornò ad afferrare l’impugnatura della sua arma.
«Questo non è un gioco, io devo impedire ai Gavoth di arrivare a qualsiasi manufatto di enorme potenza….» Horolla s’interruppe osservando il vecchio avvicinarsi lentamente a loro.
«Verranno anche il vecchio e la ragazzina con voi?» le chiese con gentilezza cercando di non farla irritare.
«Solo il vecchio.» gli rispose guardandolo negli occhi.
 
Pronti a partire, i tre si misero in marcia all’alba, ma essendo un viaggio troppo lungo, Calligaph dovette sottostare al volere di Horolla di usare la magia.
La donna si circondò di uno sciame di Krimin che trasportò tutti loro sull’Isola dei Magmathum, nell’unico villaggio esistente: Arnor. Si ritrovarono nel bel mezzo del villaggio, ma si dovettero subito mettere al riparo per via dei Nemodurre.
Horolla si guardò in giro e vide Kashda minacciare un uomo con la lama di Tagha e Ylloon parlare con Moorgan. Le urla delle persone che cercavano di scappare e, di quelle che erano state acciuffate ed eventualmente uccise, scavalcavano quelle che si udivano normalmente.
I tre si erano infilati in un vicolo in penombra grazie alle lenzuola stese ad asciugare sopra le loro teste. Cercarono di non farsi scoprire e Horolla intervenne sottovoce: «I pochi membri dei Gavoth che sono sopravvissuti si sono riuniti lì fuori… dove si trova il manufatto?».
«Nell’edificio che sorge nel mezzo del villaggio, lo riconoscerete facilmente dallo stemma della famiglia reale di Aregiak.» Calligaph le comunicò le informazioni che lei voleva e poi si fece da parte.
«Voi restate nascosti, io invece proverò ad arrivare a quell’edificio… sperando di non avere problemi.» fece le ultime raccomandazioni e allontanandosi da loro di qualche metro si rese invisibile.
Si fece largo attraverso tutta quella gente terrorizzata, cercando di arrivare all’edificio principale senza farsi individuare da Kashda o da qualche altro Gavoth lì presente.
Non poteva fare a meno di veder torturare della povera gente e non poter far nulla per aiutarli; il suo compito era evitare una catastrofe senza perdere tempo prezioso.
Non appena giunse dinanzi all’edificio che amministrava il villaggio, si pose in un punto da cui nessuno potesse individuarla e ritornò visibile. Fece alcuni respiri profondi e si concentrò su ciò che l’edificio contenesse; non ci volle molto che individuasse qualcosa di molto potente al terzo piano.
Entrò senza problemi nel salone d’ingresso, dove notò un tale caos che decise di accelerare le cose. Al terzo piano incontrò alcuni soldati dei Gavoth e si nascose per studiare un piano. Accedette a una stanza già devastata ed evitò di far rumore calpestando qualcosa.
«Devo evitare che Kashda si accorga di me, userò altri metodi meno rumorosi….» proprio nel momento della decisione urtò con il gomito un vaso che cadde sul pavimento frantumandosi.
Fuori, uno dei tre soldati decise di dare un’occhiata ed entrò nella stanza avanzando fra sedie e piedistalli rotti non vedendo nessuno. Ritornò indietro, ma nel momento di voltarsi, Horolla lo afferrò da dietro stringendolo con il braccio intorno al collo. Dopo alcuni secondi, il soldato svenne e lo trascinò fin dietro un tavolo nascondendolo.
Gli altri vedendo che l’amico non tornava andarono a controllare… uno dopo l’altro i soldati furono storditi e la donna poté accedere alla sala che sorvegliavano. All’interno non trovò altro che una colonna di marmo alta non più di un metro con sopra un cuscino di velluto rosso.
Nel mezzo si trovava un anello con incisioni raffiguranti l’emblema di Aregiak e della famiglia Gavoth. Una volta preso l’anello, alle sue spalle comparve Kashda e Horolla si portò dall’altra parte del piedistallo, stando proprio di fronte a lei.
Kashda sorrise e l’espressione sul suo volto parlava per lei…: «Sapevo che qualcuno sarebbe venuto a prendere quell’anello, anche se non sapevo chi. Io mi aspettavo Erenock e i suoi degni compari, ma sei venuta tu, immagino un altro frammento.».
Horolla nascose l’anello in un posto sicuro sperando che Kashda non potesse prenderlo, ma sentiva che qualcosa non sarebbe andata come lei aveva previsto. «Non so come tu abbia fatto, ma non sono venuta fin qua per poi cederti l’anello.».
«Oh, io invece credo proprio che tu me lo cederai, perché altrimenti i tuoi amici andranno a fare compagnia ai vermi.» Kashda sorrise e squarciò l’aria usando Tagha, materializzando i due uomini che si trovavano con lei.
Nella stanza entrarono alcuni soldati ai quali Kashda ordinò di prendere i due in ostaggio… uno dei soldati pose la lama del suo pugnale contro la gola del vecchio, mentre lo teneva per i capelli grigi. «Come vedi non hai altra scelta.».
Kashda aveva ragione, Horolla non aveva alcuna scelta…: “Se io le darò l’anello, lei li ucciderà e se io non glielo cederò, li ucciderà comunque” pensò lei cercando una rapida soluzione. Non riusciva a decidere, lei non poteva consegnare ai Gavoth l’arma che avrebbe distrutto Erenock, ma se non lo avrebbe fatto altri innocenti, avrebbero pagato con la propria vita.
Non trovando una soluzione immediata, Horolla fu costretta a cedere l’anello a Kashda, che entrata in possesso del gioiello ordinò ai suoi soldati di ucciderli. Tagliarono la gola al vecchio, il sangue schizzò in aria disegnando strani simboli sul pavimento.
Calligaph invece si salvò grazie al frammento che lo mandò in un altro luogo; in quanto a lei cercò di riprendere l’anello fallendo e prima di raggiungerlo, recuperò il corpo del vecchio per concedergli una degna sepoltura.
Qualche ora dopo, Ylloon ordinò che la sala del trono fosse lasciata vuota da soldati e personale di corte; nessuno eccetto lei, Kashda e Moorgan poterono restare al suo interno.
Si collocarono nel mezzo, Kashda di fronte a loro due e Tagha nel centro. Restarono in lontananza e Ylloon messasi d’accordo con i due recitò un incantesimo:
Il suo potere moltiplicherai
se queste parole io dirò:
prendi l’anello, o sommo re,
e moltiplica la sua forza per tre.
Rendila invincibile
di fronte ai miei nemici.
L’anello nella mano di Ylloon prese a levitare, sorretto da una nebbiolina argentea che si pose nel mezzo della guardia di Tagha. Si fuse con lei generando un’onda di fuoco che dal pomolo alla punta della lama la cambiò radicalmente.
Il pomolo era una rosa rossa aperta con le foglie e leggermente inclinata verso destra, perfettamente incastrata nel manico; quest'ultimo era liscio in semplice metallo decorato con due lacci sottili, intrecciati a essa. La guardia presentava due serpenti intrecciati che unitesi, sembravano una farfalla e nel mezzo si era ripetuta la medesima rosa.  La lama era particolare: era incavata fu forte, dove si trovava un cerchio metallico - con la lama infilata nel mezzo - che andava su e giù bloccato da una striscia in oro su entrambi i lati.
Non appena l’arma fu completa, Kashda ne impugnò l’elsa e al solo contatto con il materiale, il guanto che ricopriva l’avambraccio scomparve. Kashda la fece roteare e sentiva la nuova forza che Tagha possedeva.
«Con la nuova Tagha nemmeno Erenock sarà in grado di fermarci.» puntò la lama contro i due per farne assaporare la forza e sorrise.
Intanto Erenock e i suoi compagni erano riuniti tutti intorno al fuoco che scoppiettava all’aria aperta e benché fosse primavera, ma la temperatura era ancora fredda, Erenock innalzò una cupola.
Yllojlle pose sulle fiamme un altro ciocco di legno quando le sue pupille si allargarono occupando le iridi aumentando a sua volta la grandezza.
Quel nero penetrante provocò un brivido di freddo simile alla morte lungo la schiena di Adhanc che di scatto si drizzò con la schiena. Cominciò a tremare come se stesse congelando, ma non si trattava di questo.
Yllojlle aveva avvertito qualcosa di diverso in lui nel momento in cui l’aveva incontrato la prima volta, ma non essendone sicura tacque. Con un gesto della mano destra lo scaraventò contro l’albero che si trovava dietro di lui.
I rampicanti incollati all’albero lo avvolsero bloccandolo al tronco…. Lei intravide un medaglione che comparve nella sua mano sinistra, ma prese immediatamente fuoco e così lo gettò a terra.
Con la sua persistente freddezza, Erenock alzò il capo verso quell’essere dall’aspetto di Adhanc e si pronunciò: «Appartiene a Lucifero.».
Uno sguardo d’intesa con Erenock e Yllojlle emanò un urlo contro il nano creando delle onde sonore. Adhanc cominciò a dimenarsi e la sua pelle a cambiare ripetutamente fino a stabilizzarsi in un colore grigio chiaro.
«Che succede?» domandò Clegan alzandosi di scatto insieme a Marish.
«Lui non è chi dice di essere.» sostenne Erenock mentre chiunque fosse quell’essere cercò di liberarsi inutilmente.
Quando Yllojlle arrivò a un punto cruciale, il nano divenne una sostanza molliccia di colore grigio intenso che scivolò lungo il tronco spargendosi sull’erba.
Yllojlle si zittì e attese che l’essere prendesse la sua forma: si trattava di un Plergas o Mutaforma per gli umani. Queste creature potevano assumere la forma di qualsiasi vivente e anche i poteri di chi loro imitavano.
«Dov’è il nostro amico, che ne avete fatto?» chiese Marish mentre impugnò la sua spada per farlo parlare.
Yllojlle lo fermò sbarrandogli la strada. Gli fece abbassare l’arma e gli parlò: «Ci sono altri metodi… sistemi che non richiedono troppa forza.».
Erenock s’issò in piedi e avvicinandosi al Plergas gli propose un compromesso: «Mostraci, dove si trova il nostro amico ed io non prenderò la tua vita.».
La creatura cercò a fatica di rimettersi in piedi ma riuscì solo ad alzare la testa per parlare: «Preferisco bruciare fra le fiamme dell’Inferno.».
«Ti stiamo dando una possibilità per vivere e tu preferisci morire, io non capisco perché?» gli chiese Marish confuso e sconcertato dal rifiuto del Plergas.
«Morire fra le fiamme dell’Inferno è meno doloroso che patire per mano di un non vivente.» il mutaforma strinse le mani nel terreno sapendo di aver fatto irritare il comandante.
Lui non badò alle sue parole e gli disse: «Io non mi abbasso alle provocazioni… che provengano direttamente da Lucifero o siano trasmesse per i suoi fantocci.».
Clegan recuperò una piuma dalle sue ali e la lanciò contro il Plergas che si conficcò nel suo petto. La creatura persistette nel non rivelare la posizione del loro amico e la piuma fece il resto…. La creatura diventò cenere e nel morire mostrò loro, involontariamente, dove il nano si trovasse.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Una vittoria per Ylloon ***


Trentaduesimo capitolo
 
Una vittoria per Ylloon
 
 
 
 
Silenzio.
C’era silenzio nella Foresta Nera… una calma che portava sempre terrore in coloro che la attraversavano. Un silenzio inquietante e sinistro. Questa stessa calma fu improvvisamente interrotta dalla domanda che Calligaph pose ad Horolla: «Come faceva quella donna a sapere che qualcuno si sarebbe recato lì per l’anello. Lei ne sa qualcosa?».
Horolla non rispose e proseguì sul sentiero… un paio di metri e si bloccò di colpo avvertendo una o più presenze andarli incontro.
«Siamo vicini.» disse lei osservando il luogo in cerca di quelle presenze.
«Vicini a cosa?» domandò Calligaph scrutando in cerca di qualcosa che non fosse pericoloso.
«A chi, tu vorrai dire.» lei lo corresse mantenendo un alone di mistero.
Calligaph non fece altre domande e i due continuarono a camminare…. Passate quasi tre ore si fermarono addentrandosi nel fitto della foresta. Si fermarono accanto a un tronco sradicato dal terreno e in quell’istante, spuntarono dal nulla Erenock e compagni, attratti dall’energia che emanava il frammento.
Horolla sgranò gli occhi fissando Erenock poi gli andò incontro e gli chiese spostando lo sguardo ripetutamente su quelli che lo seguivano: «Siete diminuiti o sbaglio?».
Non ci fu nessuna risposta e tutti si sedettero, dove poterono. Clegan poggiandosi su una roccia, si tolse gli stivali prima di mangiare della carne secca che Marish gli passò.
Horolla prese la parola e spiegò cosa fosse accaduto due giorni dopo sull’isola e cosa comportasse se eventualmente l’anello si fosse fuso con Tagha. Erenock non diede importanza all’arma menzionata e continuò a fissare il terreno sotto i suoi piedi.
Dhebran, che lui portava dietro la schiena, vibrò richiamando Arzzekan. In mezzo a loro comparve Elos con il medaglione che si avvicinò al comandante; lui però si rivolse ai frammenti presenti: «Questo è il momento, scegliete.».
Scattò in piedi Yllojlle…: «Sono stata per troppo tempo intrappolata in quel quadro sprecando le mie energie… ora è giunto il momento per me di riposare.».
La seguì Horolla incolpandosi della perdita dell’anello… nessuno obbiettò alla loro scelta. Una volta assimilate entrambe, il medaglione s’illuminò facendone però uscire Neloce. Si stiracchiò e osservò i presenti uno a uno soffermandosi su Calligaph.
Trattenne lo sguardo su di lui perché aveva l’impressione di conoscerlo, ma come poteva? Poi un lampo le attraversò la mente ed ecco che un ricordo riaffiorò dall’oscurità dell’inconscio: quell’uomo e lo strano legame che lo univa ai Gavoth. «Il tuo volto era così familiare ai miei ricordi e rammento chi sei… Calligaph Gavoth.».
A quel nome scattarono in piedi impugnando le loro armi e puntandogliele contro senza pensarci due volte. Lui d’altro canto non poteva negare… sarebbe stata la sua parola “contro” quella di un frammento, condannato a dichiarare sempre la verità. Lui non ebbe cenni e non diede motivo ai guerrieri di attaccarlo.
«Calmatevi, non siate precipitosi e abbassate quelle armi.» gridò Neloce avvicinandosi a Clegan e spostando verso il basso la lama della sua spada.
Clegan guardò il frammento e cercò di capire perché avesse fatto un gesto del genere e fu lei a spiegarlo…: «Calligaph non è come il resto della sua famiglia.».
«Io non mi fido è pur sempre un Gavoth. Una minaccia per tutti.» Clegan si allontanò da Neloce accerchiando Calligaph insieme a Marish e al nano che avevano salvato prima di incontrare loro.
«Che cosa sapete dirmi sul Qooejlle?» chiese Calligaph tenendo le mani ben in vita.
«Uno lo avevano gli Dèi prima che fosse distrutto in un secondo momento da una nostra conoscenza di nome Ylloon.» rispose Marish aggiungendo un tono sarcastico e ironico, mentre riponeva l’arma insieme al resto del gruppo, sotto ordine di Erenock.
«Quella donna è sempre stata altezzosa e spietata.» affermò Calligaph recuperando una borraccia dallo zaino che si trovava alla sua sinistra.
«Ora si spiega da chi ha preso Vincent, proprio dalla madre….» ironizzò Adhanc ridacchiando sempre con un po' di contegno.
Calligaph sorseggiò dalla borraccia e lo mandò giù, mentre sul suo volto si disegnò una strana espressione contorta. Scosse la testa per ristabilirsi, ma all’improvviso tramite Arzzekan Yanseou, consegnò un importante messaggio: «Quando luce e oscurità solcheranno i cieli, una fra mille spiccherà più delle altre. Calda è la terra in cui cresce e fredda è l’aria in cui aleggia. Già sveglia è la dodicesima figlia che attende di essere scelta.».
«Non sarà facile decifrare questo enigma.» Adhanc era preoccupato perché come loro anche Ylloon poteva in qualche modo conoscere l’enigma.
Clegan rifletté qualche istante e scattando in piedi parlando al gruppo: «Invece sarà più semplice del previsto risolverlo, io credo di sapere, dove si trova.».
Di nuovo in marcia…. La direzione era Est.
 
L’indomani il gruppo si presentò, alcune ore prima del tramonto, al cospetto di re Tügar e della regina Schierne. Esposero l’indovinello e la stessa regina chiamò suo figlio Ymohan.
Il Difensore della Fede mentre li accompagnava alla serra comunicò alcune informazioni: «Da quando Nalhians è stata fondata, le regine che si sono susseguite hanno sempre coltivato un fiore raro che sboccia soltanto al tramontare del sole.».
Ritrovandosi nel giardino notarono una grande cupola di cristallo e un lungo corridoio dello stesso materiale che conduceva a essa. Varcata la soglia, quasi tutti, restarono meravigliati dalla bellezza di quei fiori dai petali neri e dal fogliame viola intenso.
Nel mezzo si trovava un piccolo laghetto con centinaia di canali che portavano l’acqua alle varie aree fiorite. Ciò che catturò l’attenzione di Marish furono gli straordinari incantesimi: uno serviva per mantenere un’aria tiepida all’interno della serra e l’altro per rafforzare la cupola durante le bufere.
Il principe li mise a loro agio e li lasciò da soli ritornando con le guardie a palazzo. Aspettarono… nell’attesa passeggiarono attraverso gli stretti sentieri che costeggiavano canali e aree fiorite per avvertire l’energia sprigionata dalla pietra.
Giunse il momento… si prepararono a difendere la gemma…. Si collocarono dinanzi ai fiori e con l’aiuto di Erenock su di loro cadde un velo invisibile. Attesero con pazienza… il giorno e la notte si scambiarono i saluti e i bellissimi fiori sbocciarono, rilasciando un delizioso profumo, un coloratissimo polline e la gemma, che il nano si trovò quasi fra le mani.
Adhanc non arrivava a prendere la gemma così si liberò del velo e Marish vedendolo lo raggiunse per aiutarlo. L’ultima gemma giunse nelle mani di Neloce e quando fu il momento di consegnarla a Erenock, lui non c’era.
«Dov’è?» le domandò Clegan scrutando nell’oscurità.
«Sono qui.» rispose lui andandogli incontro.
«Anche l’ultima gemma è in nostro posseso….» intervenne Neloce porgendogli l’ossidiana.
A livello mentale l’ossidiana infondeva coraggio, aiutava a superare le paure e permetteva di vedere oltre le apparenze. Era una pietra che nasceva dal fuoco, una parte della lava che si solidificava a contatto con l'aria….
Erenock fece sparire la pietra dalla sua mano e parlò di nuovo: «La ricerca delle Figlie degli Astri è finita come quella dei frammenti.».
Si presentarono nuovamente alla famiglia reale ringraziandoli dell’ospitalità e lasciarono subito la città. E ancora una volta il Trasportatore si attivò portandoli al Lago degli Antenati – a Sud delle Grotte Diamantine.
Era il lago più grande della Terra, ma ciò che lo rendeva speciale era la temperatura dell’acqua che arrivava anche ad altissimi gradi, infatti, fungeva da sorgente termale.
Nel frattempo Ylloon e Kashda avevano preparato delle pozioni che la strega dispose su un tavolino a poca distanza dal Reantha per usarle.
Kashda impugnò Tagha, mentre Ylloon prese delle precise fiale; né versò il contenuto sulla spada e pronunciò una frase: «Penetra le barriere, sorvola tempo e spazio, uccidi l’essere.».
Il demone scagliò con violenza Tagha, attraverso il Reantha, che sbriciolò le barriere del tempo e dello spazio raggiungendo in un millesimo di secondo Nalhians.
L’arma apparve nel cielo dal nulla precipitando verso il terreno attratta dal suo bersaglio. La forte velocità creò un velo di fuoco intorno alla spada che alla fine diede modo a Erenock di avvistarla.
Lui si spostò di lato a un metro di distanza con l’arma che si conficcò nel terreno creando un cratere di quasi due metri di raggio. Erenock si allontanò immediatamente radunando gli altri e prendendo il Trasportatore.
Una sfera di energia colpì la mano destra di Erenock facendogli lasciare il manufatto che prima di toccare la neve si distrusse in mille pezzi.
Dinanzi a loro comparve Ylloon seguita da Moorgan, Horazz e Zorduva, poi fu la volta di Kashda e dei Nemodurre. Il demone si fece avanti e si rivolse principalmente a Erenock: «Avete avuto la fortuna dalla vostra parte ma questa stessa fortuna vi abbandonerà nel momento più importante della vostra missione… sarebbe a dire adesso.».
Alla fine il demone richiamò a sé Tagha che impugnò saldamente nella mano destra. Intanto però Marish non poté credere alla potenza che quell’arma dimostrava e ne fu completamente terrorizzato.
«Le parole non servono più… è tempo di combattere.» Kashda era più pronta che mai, non vedeva l’ora di assaporare tutta la potenza della nuova Tagha e di scagliarla su Erenock.
Il tempo, inclemente, s’inaspriva di minuto in minuto e il vento cominciò ad alzarsi freddo e pungente, mentre a un segnale di Erenock il nano attaccò con le due asce ben in pugno e lo scontro ebbe inizio.
Con le armi ben impugno e quasi posseduti dal freddo che sembrava farsi largo, invadendo ogni pertugio, si gettarono nella battaglia.
Un sibilo fu udito da Erenock e si scansò evitando una freccia, che però trafisse la spalla di Marish facendolo cadere sulla neve macchiandola del rosso vivo del suo sangue.
Adhanc ne buttò giù uno e altri quattro Nemodurre videro la morte contro le sfere di luce di Clegan. Molte di quelle creature erano già morte, ma un altro fu abbattuto cadendo sonoramente nella neve e alzando profondi sbuffi.
Marish ne colpì duramente uno aprendogli un sorriso sinistro nel ventre, ma un secondo pesante colpo gli fece entrare con prepotenza la lama nella gamba, squarciandola malamente.
Con i suoi artigli impregnati da un incantesimo, un Nemodurre emise delle lame di energia che colpirono Adhanc al ventre. Riuscirono a spaccargli la corazza, facendolo volare sanguinante per qualche metro. Adhanc volse un ultimo sguardo al cielo e, perdendo velocemente i sensi, pregò Dio.
Neloce fu raggiunta da un colpo poderoso al fianco sinistro che la sbalzò lontano di parecchi passi d'uomo. Era Zorduva troppo codardo perché la affrontasse direttamente, seppur con l'aiuto della magia della strega.
Un urlo di dolore e furia fece esplodere la sua energia magica creando una deflagrazione che spinse via lontano da se la folla di Nemodurre che la circondarono. Posseduta da quella furia, gettò via la spada lanciandola come un disco rotante.
La lama decapitò un enorme numero di quelle creature prima di arrestare la sua folle corsa contro un albero, dopodiché Neloce cominciò a colpire a pugni nudi gli avversari seminando morte e distruzione tra i suoi nemici.
«Dove ti nascondi, maledetto. Vieni fuori, demonio bastardo. Ti troverò, maledetto codardo, sto venendo a cercarti.» continuò a urlare schiumosa di rabbia, ma la sua immensa forza stava già per abbandonarla, la ferita si stava facendo grave e lei perdeva copiosamente energia.
La lotta proseguiva drammatica…. Una lunga lama penetrò dalla sommità cranica per fuoriuscire dalla bocca; a colpire fu Erenock che uccise un Nemodurre.
Un rumore di sibili la fece sobbalzare e vide delle frecce conficcarsi nei tronchi degli alberi che le stavano davanti. Non impiegò molto a capire che fu attaccata da frecce di [1] Perione, scagliate dalle balestre dei Nemodurre.
Non restò a guardare come gli alberi toccati da quella sostanza fossero dilaniati da un veleno tanto potente che uccideva qualsiasi cosa toccasse. Neloce tentò di prendere Zorduva dirigendosi a Sud del bosco, ma cambiò all’improvviso traiettoria spostandosi verso Est tagliandogli sia la strada, che la testa con un colpo di lama rovente.
Il capo ruotò in aria come se fosse una leggiadra danzatrice che sbatté poi contro il tronco di un albero morto. Intorno alla testa si formò una piccola pozza, mentre se ne formò una molto grossa intorno al busto. Il rosso del sangue caldo spiccava enormemente nella neve e, l’odore fresco attirò i lupi dal manto bianco.
 Neloce lasciò subito perdere quel corpo e voltò il capo verso Nord, dove la sua attenzione fu attirata dal violentissimo scontro fra Erenock e Kashda. Il brutale colpo inferto dal demone alla lama di Dhebran, la fece volare a una decina di metri.
«Arrenditi perché è finita, per te e per loro.» gli gridò puntandogli l’arma contro.
Lui non la calcolò e con la rabbia che provava, richiamò i Krimin che avvolsero Kashda come delle gigantesche catene. Quelle microscopiche creature la trascinarono verso di lui ed Erenock, con quanta forza possedeva, emanò una potentissima onda d’urto che scaraventò chi lo circondava in aria.
La nube di neve che si alzò, si diradò alcuni minuti più tardi mostrando sotto di loro un terreno umido. Kashda era riversa con la faccia nella neve, dolorante in quasi tutto il corpo, tuttavia era stata fortunata perché Tagha aveva parato, di sua volontà, parte del colpo inflitto.
Lei si alzò con difficoltà, sorridendo, brandendo Tagha che s’illuminò di rosso; con quanta forza le restava scagliò l’energia presente nella spada contro Erenock, creando sotto di essa un profondo canale.
Erenock riuscì a pararlo con non poca difficoltà e alla fine la deviò contro gli alberi che colpiti caddero a terra con un gran fragore….
Ylloon e una copia di Moorgan avanzarono contro Erenock e lo attaccarono per impedirgli di fuggire. La strega generò fuoco dalle mani che lo circondarono, mentre la copia del mago gli lanciò contro una miriade di sfere di energia.
Nel frattempo Clegan e Calligaph avevano ucciso dei Nemodurre e si erano impadroniti delle loro ampolle e che insieme usarono per eliminare le ultime creature restanti.
Calligaph e Clegan si guardarono negli occhi e lanciarono le ultime ampolle che avevano; una finì su Ylloon ustionandole la gamba sinistra, l’altra si ruppe ai piedi di Erenock.
In quel momento alle spalle del comandante era comparsa la Dea Yadir per ucciderlo. Quel fumo denso però la fece gridare di dolore. Si dibatté cercando di liberarsi da quella sostanza che sembrava consumarle la carne, ma dopo pochi secondi crollò a terra e il suo corpo scomparve richiamato dalla sua famiglia.
E mentre Ylloon fu sorretta da Moorgan, lei cominciò a chiamare Kashda che li raggiunse in pochi secondi. Il fuoco che circondava Erenock bruciava in un modo strano sulla neve… capì che quelle fiamme non erano terrene.
Improvvisamente la notte assunse un’oscurità strana, diversa. Le stelle e la luna sparirono e il buio diventò un immenso buco nero in cui non si vedeva nulla a un palmo dal naso.
Si udì un forte fragore provenire dal cielo sopra di loro. Dall’oscurità più completa era apparsa una voragine di fuoco a forma d’immensa bocca con due denti enormi e aguzzi che spuntavano ai lati.
Era come se lo stesso cielo stesse gridando tutta la sua ira prima di ingoiarsi il mondo intero. Ci fu un attimo in cui restarono immobili, guardandosi intorno, come ipnotizzati e impotenti.
Poi si cominciarono a udire degli scricchiolii sinistri provenire dal bosco, che pareva gemere sotto la morsa di qualcosa che lo stava stritolando. Le schegge provocate dallo schianto degli alberi si sparpagliarono per tutto il lago… una si piantò in una gamba di Clegan e un altro raggiunse il braccio di Calligaph.
Dalle loro ferite il sangue sgorgò copioso.
Gli alberi si stavano sradicando e interi pezzi di terra e neve svolazzavano in ogni dove. In certi punti del terreno si erano aperte profonde voragini ed era diventato pericoloso anche muovere pochi passi.
Dall’oscurità apparve un cerchio luminoso. Un vento impetuoso li investì e tutti i compagni di Erenock si sentirono risucchiare all’interno di quello che appariva come un gigantesco vortice nato dal nulla. Il vento divenne talmente violento da creare delle altissime onde nel lago che si schiantavano poi sul terreno circostante sciogliendo la neve.
Kashda capì che quella era la sua unica possibilità per uccidere Erenock e la colse al volo. Si scagliò contro di lui con immane violenza e usò tutta l’energia che le rimaneva per colpirlo… non appena la punta della lama di Tagha toccò il centro del medaglione, tutto crollò.
Arzzekan si disintegrò e la lama trapassò il corpo del comandante squarciando la carne e rompendo le ossa. Il dolore provato dall’uomo era intenso eppure non un solo lamento uscì dalla sua bocca.
La lama trapassò anche la schiena… il tempo sembrò rallentare… l’orrore di una possibile morte di Erenock sfiorò la loro mente…. Chi sperò nel suo decesso chi nella sua sopravvivenza.
Con le sue ultime forze Erenock scaraventò Kashda lontano afferrando poi Tagha sfilandosela dal petto. La lasciò cadere sulla neve e alla fine si lasciò andare. Il nulla li ingoiò e tutto parve svanire.
A un primo bagliore di luce Clegan aprì gli occhi e in un primo momento non capì, dove si trovasse…. Mise a fuoco e riconobbe il luogo, era l’interno delle Grotte Diamantine.
Si alzò a fatica e subito crollò al suolo… portò una mano lungo la gamba destra e notò uno squarcio provocatogli da una freccia che non aveva perforato l'altra parte. La seconda mano la poggiò contro la tempia sinistra, dove era stato colpito da Horazz.
Pian piano anche gli altri ripresero i sensi, costatando le proprie ferite. Nonostante fossero in una camera d’aria delle Grotte Diamantine, la temperatura era notevolmente più bassa dell’esterno.
Neloce vide uno strano oggetto, ma il suo sguardo si posò su Marish che lo adagiò contro la parete. Gli denudò il petto per curargli la ferita e dovette gettare la camicia inzuppata di sangue. L’uomo era ancora dolorante perché a ogni suo cotto espelleva un leggero lamento.
Calligaph invece perdeva copiosamente sangue dalla spalla sinistra, dove lo aveva trafitto una freccia e in più aveva una gamba rotta in tre diversi punti.
Nonostante cercasse in tutti i modi di aiutarli, anche lei aveva riportato varie ferite: tagli su braccia e gambe e alcune contusioni.
Il più grave di tutti era certamente Erenock con un ampio squarcio sul petto che lo trapassava da parte a parte. Il sangue che aveva consumato era copioso e continuava a perderne molto.
Erenock non sarebbe riuscito a sopravvivere con una ferita del genere, anche se era un uomo forte e potente, in più Neloce non avrebbe potuto guarire tutti.
Non vi era momento più disperato di quello: Norack, Rhoktar, Gorondha, Adhanc... tutti amici che avevano sacrificando la propria vita per proteggere chi amavano e chi non conoscevano.
Era trascorso più di un’ora e le forze del frammento diminuivano a vista d'occhio…. Si stava occupando di Erenock quando Clegan la chiamò per darle dell’acqua e lei avvicinandosi a lui prese i sensi crollando a terra.
Chi era cosciente cercò di aiutarla ma erano ancora troppo deboli… dallo specchio, però uscì la Donna Velata, in forma incorporea, accostandosi insieme a due frammenti: la Dama Solitaria e Soeshna.
La Donna Velata e la Dama Solitaria portarono Neloce al di là dello specchio, mentre Soeshna restò ad aiutare i feriti. Si occupò immediatamente di Calligaph, poi toccò a Clegan e Marish, infine, Erenock e il più difficile da curare.
 
I giorni successivi trascorsero lenti, cinque in totale ce ne vollero perché i quattro si ristabilissero e, non completamente. Al contrario di tutte le previsioni, Erenock era ancora vivo.
«C’è una caverna poco più avanti di questa, prenditi il tempo che ti serve.» Soeshna gli poggiò una mano sulla spalla e gli indicò la direzione da prendere.
Lui obbedì senza discutere…. Proprio come aveva detto il frammento, oltrepassò la soglia di un’ampia caverna, dove sul fondo una bellissima cascata riempiva una vasca scavata nella pietra, che emanava intensi vapori.
Erenock si tolse gli indumenti e si calò nell’acqua calda e profumata. Poggiò le braccia e la testa sul bordo per rilassarsi, mentre la gamba di Ylloon era ancora dolente.
Accompagnata da Kashda, la strega scese in una caverna ancora più in profondità dei sotterranei del palazzo. Le due si fermarono a un paio di metri dalla creatura bloccata a terra da una ventina di catene di puro Diamenite.
«Svegliati.» gridò Ylloon facendo scoppiare l'enorme ciotola d'acqua che si trovava al fianco destro dell’animale.
Il drago, che era Hurya, aprì gli occhi scocciato e infastidito dalla voce della donna e irritato dalla presenza delle due. Si alzò quel tanto che lui poteva e avvicinandosi di pochi centimetri si rivolse a loro: «[2] Omh putvsuh tduquh ih’ foh gesh Isipudlh emmuh tduqisvuh ih omh qsonuh djih geseh’ apeh gopih ussocomih, fuquh foh maoh, tioh qsuqsouh vah.».
Ylloon sorrise mentre si avvicinava a lui e lo fissava negli occhi, che sembravano due sfere di metallo fuso: «[3] Raemapraih toeh omh wutvsuh tduquh puph sitviseh’ onqapovuh.».
Kashda era stanca delle parole e scagliò contro l’animale, un raggio di luce rossa. Lo torturò… era quello che lei voleva, tormentare fino all’ultimo il drago per vendicarsi di Erenock. Il dolore di Hurya lo fece ruggire con quanto fiato aveva in gola.
Le ore passarono alla svelta solo per alcuni e Horazz raggiunse le due nella caverna. Si fermò in mezzo a loro e si rivolse alla strega: «Mi chiedevo come stesse andando il tuo piano.».
Kashda fece un sorriso aggressivo guardando il drago e con la coda dell’occhio rispose lei al mago: «Tutto procede come Ylloon ha previsto e forse persino meglio… quest’animale è più forte di quanto mi aspettassi, ma non ci vorrà poi molto a finirlo.».
Horazz riteneva che Ylloon fosse una donna impulsiva e poco incline ad ascoltare i consigli altrui sui suoi piani, che in maggioranza fallivano. I pochi piani che avevano successo, alla fine si percuotevano contro di loro. Lui era stanco di rimediare ai suoi pasticci e voleva che Erenock restasse vivo, almeno fino a quando gli faceva comodo.
Il supplizio di Hurya era Kashda passò quasi tutta la notte divertendosi ed eccitandosi a torturare quella povera bestia. Quasi giunto al termine… lui cercò di alzarsi facendo forza sulle enormi zampe che tremavano ogni volta che poneva tutto il peso su di loro. Riuscì a mantenersi in equilibrio e si rivolse ai tre: «[4] Gevih raimmuh djih fuwivih efittuh qisdjih’ oph gavasuh pih qehisivih mih duptihaipbih».
Kashda fu inasprita da quelle parole e senza cenni trapassò il petto del drago con la lama rovente di Tagha. Gli fece un profondo squarcio sradicando il cuore dal resto degli organi.
Un dolore lancinante si manifestò nel petto di Erenock… si chinò in avanti toccando l’acqua con il mento… respirò con molto affanno e vedendo l’acqua diventare rossa intravide in essa l’accaduto di Hurya.
Anche la pazienza di Erenock aveva un limite…. La morte di un amico era la goccia che fece traboccare il vaso portando alla luce tutto il dolore che lui aveva sempre tenuto nascosto in un involucro di carne e ossa.
Gli occhi si gonfiarono di sofferenza e le lacrime strariparono solcando il suo volto. Gridò con quanto fiato aveva nei polmoni e le sue urla colme di terribile sofferenza per troppo tempo, represse furono interminabili, ma quando smise, una strana calma aleggiò nell’aria.
Un enorme peso gli si era tolto dal petto e ora poteva finalmente respirare senza quel fardello. Si drizzò con il busto e la prima cosa che vide fu Soeshna che fissandolo gli parlò: «Il tempo che avevamo è giunto alla sua fine… per molti di noi.».
Si recò dai suoi compagni e si rivolse a loro: «Siamo quasi giunti alla fine del nostro percorso miei amici.».
 
 
[1] Si trattava di una sostanza vischiosa e nera che era usata dai re delle Continente dell’Ombra per sterminare intere popolazioni. Si diffondeva in una cosa o persona come un virus e corrodeva tutto dall’interno come un acido.
[2] Qualunque sia il vostro scopo non resterà impunito. – (lingua dei draghi)
[3] Il nostro scopo è di far uscire Erenock allo scoperto e il primo che farà una fine orribile, dopo di lui, sei proprio tu. - (lingua dei draghi)
[4] Fate quello che dovete adesso perché in futuro ne pagherete le conseguenze. – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Il nuovo mondo ***


Trentatreesimo capitolo
 
Il nuovo mondo
 
 
 
 
La tranquillità che si viveva prima del furto del medaglione si era trasformata in caos dal preciso momento in cui il Comandante Erenock era stato riportato alla vita.
Chi più di tutti aveva subito l’effetto era sicuramente Lucifero che ora sapeva che tutto stava volgendo al termine come una storia che vedeva finalmente il suo lieto fine.
Era nervoso… si notava dal piede sinistro che tamburellava velocemente sul pavimento. Sentiva che sarebbe accaduto qualcosa che neanche il Destino era in grado di opporvi resistenza.
I frammenti erano ritornati, chi volontariamente, chi costretto…. Come Bjelle anche Soeshna conosceva l’ubicazione di un solo frammento, quello in possesso di Lucifero.
Aveva una brutta sensazione e decise di recarsi all’istante dal frammento in suo possesso; lì ebbe un’amara sorpresa… trovò Erenock e i suoi amici a combattere contro i suoi demoni.
Lucifero spostò subito lo sguardo verso la piccola montagna e anticipò il suo avversario dirigendosi al blocco di ghiaccio. Non badò ai canali di lava che occupavano la maggior parte del pavimento e quando vide che anche Erenock era diretto al frammento, diventò una nube di fumo nero.
Erenock fu circondato dai Krimin e come Lucifero anche lui raggiunse la cima della piccola montagna. Il ghiaccio che imprigionava il frammento era stato a sua volta protetto da un cilindro di lava.
Lucifero ed Erenock entrambi intorno all’ennesimo e più potente dei frammenti che attendevano…. Aspettavano che l’altro compisse il primo passo.
Un boato improvviso bloccò tutti…. Un’onda d’urto proveniente dal blocco scagliò lontano i due e una potentissima esplosione lanciò schegge di ghiaccio in ogni direzione.
Il frammento dopo lungo tempo rinchiuso in quel blocco di ghiaccio poté finalmente sentirsi libera di muoversi. Si stiracchiò e sbadigliò come una comune persona.
Il cilindro di lava che ancora la circondava cominciò a ruotarle intorno così celermente che i suoi lunghi capelli neri dalle punte argentate svolazzavano davanti ai suoi occhi, alla rinfusa.
Assorbì nelle sue mani la lava e libera la sua visuale, diede una rapida occhiata in giro. Saltò e atterrò ai piedi della piccola montagna. Indossava semplici abiti da uomo che le aderivano al corpo e un paio di guanti con decorazioni che raffiguravano rose e rovi.
Lei fissò tutti quelli che aveva davanti e poi i suoi occhi si posarono dapprima su Lucifero e poi su Erenock. Il frammento però sentì il rumore delle spade alle sue spalle… non aveva bisogno di sapere altro.
Lame di pura energia si materializzarono nelle mani e uno scatto fulmineo bastò a decapitare due demoni. Lasciò che la furia esplodesse in lei…. Era preda della rabbia e dell'odio… si era completamente abbandonata alla sua voglia di uccidere.
La donna iniziò a eliminare tutti i demoni che continuavano ad arrivare. All’improvviso i suoi occhi divennero neri come la notte e il demone crollò a terra rotolando con le braccia chiuse intorno all'addome rischiando di soffocare a causa del sangue che vomitava.
Il dolore di quel potere lo stava consumando togliendogli l'aria dai polmoni. Fece un disperato tentativo per cercare di respingerlo ma non funzionò. Il demone premette il volto a terra cercando di urlare, di respirare, ma non ci riuscì. Nessun demone si mosse.
La furia di Lucifero sembrava non volersi fermare nell’avanzare…. Occhi neri incrociarono occhi rossi e le parole uscirono da sole: «Fra tutti quelli che io ho conosciuto, tu sei l’unico che a un’enorme faccia tosta nell’appropriarsi di oggetti o persone che non ti appartengono. Non capisco come tu possa essere così vigliacco ponendosi a un livello inferiore più di quello dei mortali, loro sono certamente migliori di te, Lucifero.».
Lucifero bloccò gli altri demoni giunti per uccidere gli intrusi e rispose al frammento: «Darmi del codardo o del vigliacco non ti servirà a farmi arrabbiare… non ti sarà utile in alcun modo di pormi contro di te e non gioverà a te facendomi compiere un passo falso. Come vedi è tutto inutile… stai sprecando solo il fiato e il tuo tempo.».
Dopo quelle parole lui allargò le braccia e su i due lati comparvero migliaia di demoni e creature orrende di ogni specie. “Uccideteli” il suo comando caricò i suoi servitori sollevando le armi e lanciandosi in una corsa tonante.
Si prepararono al combattimento, ma accadde qualcosa che nessuno potesse minimamente immaginare… il tempo rallentò di colpo.
«Avevi ragione, le mie parole non ti hanno fatto abbassare la guardia, ma questo non era il mio intento. Tu sei caduto dritto nella mia trappola.» animata da un odio cocente e dalla sete di vendetta, la donna conficcò le due spade di luce nel terreno provocando delle enormi crepe.
Una strana forza si sprigionò sotto di lei inondandola di energia… i suoi occhi dal nero passarono al bianco e un bagliore accecante nascose ogni cosa, ma quando sparì, il tempo si ristabilì.
 
Nell’oscurità risuonavano passi decisi e leggeri come quelli di una donna; rimbombavano nell’aria creando forti echi che occupavano ogni angolo di quel luogo privo di una qualsiasi luce. Non si udiva altro… improvvisamente risuonò con autorità il battito di un cuore.
La donna si bloccò di colpo notando ciò che la circondava illuminarsi… seguì con lo sguardo, dove la luce era più forte e si meravigliò nello scoprire che era Tagha a emanarla. Kashda avvertì uno strano cambiamento nella spada e lo costatò impugnandone l’elsa.
Cercò di capire che cosa stesse accadendo e non trovando alcuna risposta in quel momento decise di recarsi alla biblioteca del palazzo, dove c’era il solito via vai di gente….
Avendo bisogno di concentrazione fece uscire tutti i presenti tranne il bibliotecario e l’uomo inchinando lievemente il capo per salutarla le pose una domanda: «Come posso aiutarla?».
Kashda sapeva bene quanto quell’uomo potesse essere testardo con le persone che non fossero garbate con lui e così cercò di essere il più gentile possibile nel rispondergli: «Mi servirebbero tutte le informazioni raccolte su Tagha.».
L’anziano le fece il gesto di seguirlo e la accompagnò nella saletta in fondo alla biblioteca, dove Gordoona aveva convogliato le notizie riguardanti l’arma. Le fece un inchino e prima di lasciarla da sola, le consigliò di controllare anche lo scaffale delle armi magiche, che si trovava a destra dell’entrata.
Lei iniziò proprio dalle notizie già trovate su Tagha… vagò per l’intera stanza senza fermarsi un attimo, consultando ogni pergamena e volume che potesse aiutarla, ma fu tutto un vicolo cieco.
Era preoccupata… un’angoscia che nascose sotto un velo di curiosità. Dopo una lunga e interminabile documentazione, decise di ritornare nel tempio per cercare qualcosa che le fosse utile. Lì incontrò Ylloon…: «Cosa ti porta qui?».
Kashda si avvicinò slacciando la cintura del fodero e rispose: «Voglio capire cosa le sta accadendo… in biblioteca non ho trovato nulla di utile e così sono venuta qua da te.».
Ylloon osservò la spada e poi si rivolse a lei: «Puoi consultare gli antichi libri della mia famiglia.». La strega voltandosi le indicò l’entrata alla stanza.
Kashda la ringraziò a malavoglia e lasciandole la spada lei ricominciò le ricerche…. Furono lunghe ore di analisi e sulla strada di quell’indagine non mancò d’incrociare qualche difficoltà.
Sostò dinanzi all’arma in attesa che un segno le facesse capire di non aver commesso un errore nello stringere un legame con l’arma. Decise di riprendere a cercare ma Ylloon la chiamò: «Guarda la spada.».
Kashda adocchiò la strana luce rossastra che emanava e captò una strana sensazione…. Ritornò a posare il suo sguardo sui libri e così notò che uno dei libri, spostandosi in avanti, cadde.
Ebbe i riflessi pronti afferrando il libro prima che finisse sul pavimento. Tornò da Ylloon fissando la copertina di cui si evidenziavano ben poche cose e soffiandovi sopra, tutto il pulviscolo che si era posato in tanti anni di disuso, aveva portato alla luce le rifiniture decorate a mano.
Ylloon gli diede una rapida guardata e poi glielo ridò, dicendole di non aver mai visto quel libro prima.
Incuriosita, Kashda lo aprì scoprendo uno scomparto segreto dove era riposta una fiala impolverata. La raccolse e gettò il libro sul pavimento non servendole più. Doveva essere delicata con la fiala era lì chissà da quanto tempo; soffiò per togliere la polvere e si mostrò un contenuto denso e verdastro.
La girò vedendo delle minuscole crepe… nel momento in cui decise di riporla nel libro, il vetro si frantumò. Il liquido le scivolò fra le dita per cadere poi su Tagha che ne assorbì fino all’ultima goccia.
Quando Tagha cominciò a vibrare e a emanare strane scariche, Kashda si allontanò e con quel gesto non fece altro che infuriare la spada. Dall’arma fuoriuscirono dei tentacoli di energia rossa che le avvolsero il braccio destro costringendola ad avere un “legame eterno” con lei.
Il tempo sembrò come fermarsi per lei… il nero della pupilla si estese fino a occupare l’iride cambiando colore in un viola intenso. E mentre Kashda era sotto il completo controllo della spada che ora era un grosso pericolo, Ylloon cercò di mettere in sicurezza il tempio.
Intanto Erenock e i suoi compagni erano alla torre della Dama Solitaria, dove Soeshna lasciò il posto all’ultimo frammento. Alla loro presenza giunse Raiziel con altri due angeli e brutte notizie….
Clegan si appoggiò contro il lato sinistro dello schienale e pensò a una specifica domanda che rivolse all’angelo: «Quanto tempo impiegherà Tagha a controllare Kashda?».
“È già sotto il suo controllo” e così Erenock catturò la loro attenzione…. Alzò lo sguardo su di loro e spiegò: «Tagha è più potente in questo momento e con quella pozione ora è fuori controllo. Se raggiungesse il suo culmine, sarà in grado di polverizzare il pianeta, cancellando ogni forma di vita e portando l’Uomo all’esti….». Non finì neanche la frase che scattò come un soldato sull’attenti… bloccò il tempo proprio nell’istante in cui Tagha stette per esplodere.
Il frammento poggiò le mani sui braccioli e dando pressione sulle braccia s’issò raggiungendolo rivolgendogli anche la parola: «Qual è il tuo piano? Tenerli bloccati in eterno? Non funzionerà, dovresti saperlo comandante… ripristina il tempo e troveremo una soluzione, insieme.».
«La tua mente e il tuo giudizio sono offuscati dall’odio, dall’ira, dal dolore e dai tanti altri sentimenti repressi. Fa un respiro profondo frammento e rifletti con attenzione… che cosa accadrebbe se io ripristinassi il tempo sulla Terra?». Le pose una domanda che lei cercò di evitare con lo sguardo e il silenzio.
Fece come le era stato detto e allontanandosi da lui per osservare i presenti in quella sala, dovette prendere una decisione: rischiare l’estinzione dell’Uomo o salvarlo per l’ennesima volta.
Esitò ancora nel rispondergli, ma alla fine cedette: «Perderemmo tutto persino ciò per cui siamo davvero stati sparsi nel mondo e non dissolti nel Nulla. Abbiamo bisogno dell’umanità tanto quanto loro di noi. Lorween è il mio nome.».
«Avendo compreso alla perfezione la situazione, terremo conto di chiedere un aiuto….» richiamò a sé le “stelle” e queste arrivarono a lui inginocchiate in suo rispetto.
«Portate in salvo tutto ciò che appartiene al pianeta Terra, nessuno dovrà ricordare se riuscissimo nell’intento.» fu precisa nell’impartire gli ordini che anche Erenock aveva nei suoi pensieri e i quattro obbedirono senza indugio.
Si spostarono fuori dall’atmosfera terrestre collocandosi intorno a essa e allineando alla sua orbita una fascia di meteoriti di molteplici dimensioni e forme. Ognuna di esse sprigionò un raggio, che intrappolò in esso ogni cosa.
Intanto Erenock e Lorween raggiunsero il tempio con l’intento di separare la donna dall’arma e salvare la prima dalla seconda. Nonostante il silenzio Erenock e Lorween avvertirono le urla disperate e i lamenti delle persone uccise da Tagha; percepirono quel dolore come se lo avessero provato in prima persona.
Tagha al contatto con lui si difese emanando una potente onda d’urto che scaraventò tutto contro le pareti della sala. Ciò che restò illeso fu il Reantha. Ylloon però era stata sbloccata involontariamente e cercò di scappare, ma Lorween la spinse verso il raggio.
Erenock aveva qualcosa in mente e lei guardandolo sbalordita utilizzò il raggio com’era nei suoi pensieri.
Lui, infatti, afferrò sia la spada, che la donna da dietro, mentre i suoi occhi divennero pieni di oscurità. Un alone nero uscì dalle sue mani ricoprendo la spada fino alla punta ma questa lo assorbì.
Nemmeno il suo potere poteva contro quella spada, ormai fuori controllo…. Concentrò tutta la sua energia su Tagha costringendola a ogni costo a lasciare Kashda.
Le “stelle” nel frattempo avevano portato a compimento gli ordini ricevuti e ora solo un raggio mancava… Erenock impartì l’ultimo ordine: allontanarsi dalla Terra. A malincuore le “stelle” obbedirono e si distanziarono dal pianeta insieme alla fascia di meteoriti alla velocità della luce.
Una luce abbagliante si estese dalla spada fino a raggiungere quasi il pianeta successivo per poi svanire. La Terra implose sprofondando nell’oscurità. Il buio più totale… le tenebre avvolsero persino l’ultimo barlume di speranza.
Il tempo sembrava essersi arreso a se stesso, ma poi accadde qualcosa d’inaspettato… la speranza ritornò a rimpiazzare l’arresa dell’universo con una debole scintilla di energia nelle tenebre.
Un ultimo segno di vita si ostinava a non volersi arrendere. Un granello di essenza vitale che desiderava ardentemente di crescere ed espandersi. In seguito migliaia di voci presero a occupare uno spazio vuoto come se stessero richiamando la propria libertà dal cosmo.
La scintilla si mosse pian piano fino a prendere velocità e le sembianze di una cometa; ruotò su se stessa fino a diventare un anello di luce che divenuto più luminoso del sole esplose, ritornando nel punto di partenza e attraendo a se la materia del vuoto. Ricompattarono così un ammasso sferico simile alla Terra… l’enorme sfera era informe e rocciosa.
L’acqua sgorgò dai crateri creando mari, fiumi, laghi etc… furono visibili nuovi immensi continenti e isole sparpagliate per il globo. Le terre emerse si ricoprirono di erba e le “stelle” portarono la vita vegetale e quella animale sul pianeta.
Gli alberi cominciarono a vivere, a ballare per l’arrivo del vento e le acque ondeggiavano dolcemente cullate dal suo tocco. Le abitazioni e gli edifici fecero la loro comparsa seguiti in ultimo dall’Uomo.
In una vasta prateria le “stelle” fecero la loro comparsa, portando con sé i compagni che fino a un attimo prima avevano viaggiato sulla Terra con il Comandante Erenock per salvarla dai Gavoth.
L’oscurità però faceva ancora da padrona.
 
Al primo raggio di sole del nuovo giorno, anche l’Uomo, che sembrava una statua vivente, si risvegliò dal sonno. I guerrieri che avevano vissuto tante avventure notarono immediatamente uno strano cambiamento e quella domanda venne spontanea: “Dove ci troviamo?”.
«Nel nuovo mondo.» rispose una voce che si spostava continuamente nell’aria.
«Siamo su un altro pianeta?» domandò Calligaph, confuso da quelle parole e un tantino scettico.
«[1] Puh.» rispose una voce…. Proveniva dalle loro spalle, si voltarono all’unisono trovando [2] Growoon e altri due draghi della sua specie e continuò: «[3] Omh nupfuh djih duputdiwevih ih’ tvevuh imonopevuh.».
«Se Tagha ha distrutto la Terra, noi come possiamo essere ancora vivi?» Marish pose quella domanda perché non credeva che il mondo che conosceva fin dalla nascita fosse stato spazzato via e lo dimostrava l’espressione del suo volto.
«[4] Omh dausih fimmeh Taqsineh Onqisevsodih jeh temwevuh mh’amvoneh tdopvommeh Foh woveh eh feh itteh toh ih’ hipisevuh aph pauwuh qoepiveh… aph nupfuh, fuwih mh’Aunuh quvittih sodunopdoesih eh wowisih.» Growoon rispose alla domanda dell’uomo cercando con lo sguardo Erenock. Non riuscì a trovarlo, lì non c’era e in quel momento il suo cuore sussultò.
«Non c’è.» Lorween soffocò quelle parole in gola tanto non riusciva a pronunciarle.
Il drago voleva conoscere la sorte che era toccata al comandante, ma nessuno di loro sapeva che fine avesse fatto, nemmeno Lorween che era stata con lui quasi fino all’ultimo. Si chiesero tutti se fosse vivo tuttavia l’espressione di delusione sul volto di Lorween confermò il contrario.
«Concentrati, tu puoi trovarlo.» Clegan era fiducioso e incitò il frammento affinché lo cercasse.
Essendo un frammento al quanto potente forse al pari di Erenock, decise che non c’era nulla da perdere e provò. Le diedero spazio allontanandosi di qualche metro e lei fece un profondo respiro, chiudendo gli occhi. Svuotò la mente dai sentimenti e dai ricordi, lasciando soltanto Erenock, il suo nome, il suo ricordo, la sua energia.
Vagò con la mentre per tutte le nuove terre in cerca della sua aura, ma l’unica cosa che fu in grado di percepire era la poca essenza che emanava Tagha, a centinaia di miglia da dove si trovavano. Aprì di colpo gli occhi vacillando… i pochi attimi che lei aveva trascorso nella ricerca, furono per gli altri un paio d’ore.
Si alzarono dal terreno e Clegan facendosi avanti le chiese: «Ci sei riuscita?».
Lorween si voltò verso di lui, non con delusione ma con una certa soddisfazione: «Ho trovato altro….».
Catapultati, grazie a Lorween, nel luogo da lei individuato poterono trovare Tagha: era conficcata nel terreno circondata da piante rampicanti e rovi che la proteggevano.
Lorween camminò dritta verso la spada incurante di loro che cercavano di fermarla, senza successo. Non aveva paura e pur di ritrovare il comandante avrebbe sacrificato se stessa. Inserì la mano nell’intreccio di rovi e con estrema cautela cercò di arrivare al pomolo superandolo per afferrare l’impugnatura.
Le appuntite spine le procurarono innumerevoli tagli sulla mano e il braccio che bruciarono immediatamente. Sul volto non mostrò espressioni contorte per il dolore o cedimenti; le labbra si alzarono leggermente verso destra disegnando l’accenno di un sorriso per aver afferrato saldamente l’arma.
Strinse l’elsa e tirò verso di se con tutta la forza che aveva, ma i rovi e le piante la tenevano ben salda a terra. La rabbia del frammento non faceva altro che aumentare la resistenza della vegetazione. Ricordò allora di doversi arrendere ai sentimenti e di non lasciarsi sopraffare da essi in nessuna occasione.
Lasciò il manico per un secondo facendo dei profondi respiri, calmando così il suo animo; strinse nuovamente l’elsa e in quell’occasione la sfilò dal fodero di piante in una sola volta. La vegetazione seccò all’istante e ciò che prima si trovava nelle mani del frammento ora stava sul terreno schiacciando l’erba sotto il suo peso.
Una freccia aveva colpito la guardia della spada facendola vacillare e nello stesso momento costringere la mano della donna a mollare la presa per l’equilibrio perso.  Si voltarono nella direzione da cui era arrivata la freccia e videro Kashda gettare alla sua destra un arco.
«Non so che cosa sia accaduto e non m’importa di certo saperlo, ma nessuno può portarmi via ciò che mi appartiene e poi farla franca. Tu sarai la prossima a morire proprio come il vostro amico Erenock.» Kashda richiamò la spada a se, ma notando le sue reali condizioni fu più conveniente per lei ritirarsi.
Avendo avuto una notizia del genere nessuno di loro potette crederci, ma non essendo fornita una novità su di lui, vi credettero cecamente. Tutta la loro concentrazione fu rivolta a quest'ultimo e nessuno si curò dell’ombra che era scivolata silenziosamente alle loro spalle che parlò: «Sembra arrabbiata e lo sarà di più quando scoprirà le condizioni di quella spada.».
Tutti scattarono a quelle parole e a quella voce che tanto era loro familiare. Un sorriso si stampò sui loro volti e girandosi si confermò ogni cosa: era Erenock. Lorween lo guardò negli occhi e parlò prima di essere anticipata da qualcun altro: «Chi sembrava morto è tornato alla vita... anche se un po' malconcio.».
Erenock si teneva la mano destra sotto la camicia sul punto del cuore e si tirava la gamba sinistra rotta in due punti. Si trascinò fino a un albero, il primo che s’incontrava per l’iniziare del bosco, e si sedette ai piedi poggiando la testa contro il tronco. «Kashda ha saputo sfruttare la pessima condizione in cui mi trovavo nel momento in cui la Terra è stata ricostruita. È stata fortunata.».
«Quanto ci metterai per ristabilirti completamente?» domandò Marish piegandosi sulle ginocchia e osservandolo dalla testa ai piedi.
«Non serve che voi lo sappiate, ciò che dovrebbe incuriosirvi è il nuovo mondo che avete a disposizione, ritornate a casa.» Erenock volle allontanarli, anche se gli altri lo vedevano come un uomo freddo e glaciale, lui non sopportava gli addii.
Sul volto di Clegan, era comparsa un’espressione di amarezza, sentiva nel profondo che doveva separarsi da qualcosa che presagiva, essere Soem.
Si armò di animo e coraggio e si diresse verso di lei che guardava Erenock. Si schiarì la voce e catturata la sua attenzione, cercò di parlarle: «Ora te ne andrai non è vero? Prima di rispondere all’evidenza della tua partenza che io non voglio vedere, promettimi che tornerai per mostrarmi nostro figlio.».
Lei sospirò, voleva restare dando ascolto al suo cuore, ma sapeva che la Terra, anche se pur nuova, non era casa sua e soprattutto il luogo dove suo figlio potesse crescere. «Ritornerò prima che il bambino sarà nato.» furono le sue uniche parole prima di allontanarsi per non mostrare le lacrime che avrebbero solcato il suo bellissimo volto.
Ognuno ritornò a casa propria, anche se a malincuore… avevano intrapreso un’avventura senza esclusioni di molteplici pericoli, alcuni erano periti lungo il tragitto, altri avevano ricevuto qualcosa di meraviglioso. Nessuno poteva sapere cosa il futuro gli avrebbe riservato neanche Erenock stesso ne fu in grado. Molte cose avevano perso e acquistato in quel lungo e interminabile cammino…. Il futuro era imprevedibile e pieno di sorprese.
«Le “stelle” hanno trovato un nuovo pianeta, dove noi possiamo ritirarci e dove la nostra gente può di nuovo vivere.» lui si alzò a fatica chiamando un’ultima volta i guerrieri. Apparvero dinanzi ai due, come sempre inginocchiati, aspettando un suo ordine.
«Ora tocca a te scegliere… restare sulla Terra o venire con me. Io non posso restare ancora e tu e il tuo bambino sareste un bersaglio facile per i Gavoth.» lui le diede la possibilità di scegliere e attese senza farle pressioni.
Abbassò il capo per un secondo e ritornando con lo sguardo su Erenock rispose: «Il Tempo sarà comunque quello del Luogo Proibito e ritornerei qui solo fra quattro giorni, troppo presto per Clegan e, la Terra è ancora giovane.». Espulse le sue preoccupazioni e cercò di evitare il suo sguardo.
«Se questo è l’unica cosa che ti tormenta, potrai partire con Elos per la Fascia di Ulrich, lì il Tempo scorre più lentamente. Non avrai problemi nel ritornare al momento giusto per mantenere la promessa fatta al Difensore della Fede.» il comandante fu comprensivo con lei e lasciò che partisse con Elos e le altre bellissime “stelle”.
Erenock aveva ragione, la rabbia che Kashda aveva mostrato nel riprendersi Tagha si trasformò in enorme collera nello scoprire le vere condizioni in cui si trovava la spada. Dopo aver recuperato l’arma, l’aveva portata in una stanza, dove Ylloon preparava i suoi incantesimi e le sue pozioni per controllarne lo stato.
Grazie a una pozione, scoprirono le innumerevoli crepe che alla spada erano state causate e i pezzi mancanti che le erano caduti… incolparono Erenock. Tagha fu lasciata sul tavolo in fondo alla stanza, accanto a centinaia di pozioni, ingredienti, fiale vuote e un grosso calderone fumante.
Kashda era furibonda tanto da scaraventare in aria un tavolino che si trovava a cinque metri dall’entrata, anch'esso colmo di oggetti fragili.
Ylloon era appena entrata e osservò in silenzio i gesti della donna…. «Prova a non far prevalere in te l’ira, ma la calma per vendicarti in un secondo momento.».
Kashda spostò il suo sguardo su Tagha osservandola per qualche istante… dopo essersi calmata quel tanto, che bastava a riprendere il controllo di se, richiamò la spada. Lei fece scivolare le dita sulla lama danneggiata fino alla punta per costatare sotto la sua pelle, i danni.
La accostò al volto, tanto vicina quasi a toccare il naso e analizzò il volto contorto che vi s’intravedeva riflesso. «Ciò che ora sto provando per quell’essere va oltre l’immaginabile… oltre ciò che io avessi mai provato prima d’ora.».
Kashda era diventata come di ghiaccio per ciò in cui Erenock era coinvolto e desiderava la sua fine più di ogni altra cosa al mondo.
Per l’ennesima volta in suo possesso, Kashda la fece roteare su se stessa per colpire una statua di marmo che si trovava a un metro da una parete laterale. Sembrava non fosse accaduto nulla poiché né la lama né la statua ebbero cambiamenti.
Silenzio intorno…. Tagha seppur gravemente danneggiata lacerò il marmo recidendo la testa della statua con un taglio perfetto. Il blocco cadde spaccandosi in vari pezzi e Kashda osservò ogni cosa voltandosi verso Ylloon e parlandole: «Questo è ciò che gli farò quando lo avrò fra le mani.».
 
 
[1] No. – (lingua dei draghi)
[2] Si tratta del più anziano Drago Sabiano esistente nel Luogo Proibito.
[3] Il mondo che conoscevate è stato eliminato. – (lingua dei draghi)
[4] Il Cuore della Suprema Imperatrice ha salvato l’ultima scintilla di Vita e da essa si è generato un nuovo pianeta… un mondo, dove l’uomo potesse ricominciare a vivere. – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** L’ennesimo scontro ***


Trentaquattresimo capitolo
 
L’ennesimo scontro
 
 
 
 
Non era ancora finita….
Alle spalle di un Dio comparve un’ombra che restando di schiena decise di parlare con uno strano timbro di voce: «Se sei qui per dissuadere gli Dèi dall’alleanza con i mortali, in specifica ai Gavoth, ti assicuro che hai fatto un viaggio inutile. Ti consiglio invece di ritornare a casa come hanno fatto tutti i tuoi amici.».
Dopo tantissimo tempo Erenock abbozzò un sorriso sul suo volto e si pronunciò: «Oh, questo non è il mio compito… io sono qui per tutt’altra ragione. State perdendo il vostro tempo se pensate di riuscire a intrappolarmi per i vostri scopi… io non sono qui per giocare, solo per proporvi un accordo che porterà vantaggio per tutti.».
Prima che un fulmine dalle sfumature blu lo colpisse, lui retrocedette di un paio di passi, mentre le parole dette con la solita freddezza lasciarono il Dio indifferente, ma solo per un attimo.
«Che cosa proponi di così incredibilmente interessante da venire fin qui?» chiese il Dio incuriosito, ma questo distolse la sua attenzione dalla creatura che ora aveva davanti.
Si nascondeva sotto una lunga tunica bianca con un grande cappuccio a coprirgli l’intero volto. Erenock sapeva chi era ma non si sbilanciò e fissandolo senza batter ciglio rispose: «So per certo che giungerà la morte anche per voi e allora nemmeno io potrò aiutarvi… molti vi saranno contro persino chi voi ritenete alleati. L’accordo è questo, voi aiuterete me ed io… favorirò voi quando sarà il momento giusto.».
«Venite fin qui per due parole che non dicono nulla ed io come rappresentante della mia famiglia dovrei accettare? Sciocco non vi pare?» domandò il Dio con tono di sfida che non presentava nessun accenno di terrore.
Non vi fu risposta da Erenock, ma il suo sguardo disse tanto…. Freddo e calcolatore lui cominciò a credere che gli Dèi non volessero riconoscere il destino che tanto li attendeva da moltissimo tempo. Si voltò per andarsene e gli rispose: «Sciocco è chi rifiuta pur sapendo che sta morendo.».
La rabbia prevalse nel Dio… nessuno doveva permettersi di offendere in alcun modo gli Dèi, tuttavia sapeva bene che non era il caso di scontrarsi con lui, anche se, egli si trovava nella Dimora degli Dèi.
La divinità riuscì a stento a trattenersi dall’attaccarlo e ucciderlo, ciononostante sapeva che il comandante aveva ragione. Restò immobile e lasciò che l’uomo se ne andasse senza problemi e alla sua scomparsa giunsero a lui gli altri Dèi.
«Abbiamo ascoltato e non c’è da fidarsi… Erenock è molto furbo e astuto peggio di una volpe. Dobbiamo controllarlo senza che lui si accorga della nostra curiosità.» esordì Falock guardando i suoi fratelli che gli davano ragione senza fiatare.
A quel punto il Dio proferì i suoi pensieri subito dopo: «Quella creatura è acuta e più di quanto noi immaginiamo… sa cosa ci aspetta il futuro, per tutti noi, tuttavia io non capisco perché voglia aiutarci pur sapendo che noi vogliamo la distruzione di Dio. A un piano ben preciso nella sua mente, ma quale sarà?».
Alla domanda che il Dio si era posto, subentrò Yadir a dar la sua risposta: «Qualunque esso sia, noi lo scopriremo.».
Ancora ferito e stanco, Erenock si recò dal Grande Salice Piangete per sedersi ai suoi piedi e finalmente riposare. Il suo respiro si era regolato e il battito aveva cominciato a diminuire quasi fino a fermarsi.
Non aveva lasciato Terra per uno scopo e non doveva essere assolutamente rintracciato. Era debole e un nuovo attacco lo avrebbe portato di sicuro alla morte.
Chiuse infine gli occhi e si addormentò all’istante…. Nell’oscurità in cui ora lui dimorava, balenavano davanti ai suoi occhi i volti di tutti i frammenti che lo incitavano a sopravvivere per “lei”. Sentiva le palpebre pesanti e non riusciva, neanche con tutta la forza che gli restava, ad aprire gli occhi e così si abbandonò al sonno.
«Da quanto sta così?» esordì una voce nell’oscurità della notte.
Una debole luce giallastra si accese e illuminò quel tanto che bastava a mostrare una stanza comune; era spoglia, tralasciando un letto e un comodino su cui era poggiata una candela spenta. Sul fondo della stanza si notava un'unica finestra che affacciava su un grande cortile.
Fuori era scesa la notte già da molto tempo e qualche volta si potevano udire i versi degli animali che giravano liberi per la città, altre volte invece il silenzio più assoluto. Ora anche la pallida luce lunare illuminava, per quel che poteva, la stanza per guardare con attenzione il corpo immobile che occupava il letto.
La fiamma della candela rischiarò il volto e un’altra voce rispose a quella domanda che era stata lasciata in sospeso: «Due settimane.». Poi di nuovo il silenzio.
Le due donne, una molto vecchia, l’altra poco più di una ragazzina, iniziarono a esaminare il corpo per capire quali lesioni avesse lo straniero.
«Qual è il suo nome?» chiese a stento la ragazza, mentre si sedette sul bordo del letto per osservare meglio i lineamenti.
La vecchia si avvicinò ulteriormente e con espressione preoccupata si rivolse alla giovane: «Per favore mia signora è meglio andare via, noi non dovremmo nemmeno essere qui.». L’apprensione che aveva si notava perché continuava a lanciare un’occhiata alla porta della stanza per paura che qualcuno le sorprendesse.
«Non temere.» la ragazza cercò di calmarla e sembrò funzionare.
La vecchia sbuffò e solo dopo qualche minuto rispose alla ragazza: «Il Grande Salice Piangente lo chiama Erenock.».
Quel nome pronunciato dalla vecchia sembrò come privo di consistenza. Tuttavia fu il contrario quando lo enunciò la ragazza… il suono di quel nome arrivò fino all’inconscio dell’uomo.
Alla fine, con il sollievo della vecchia, la ragazza uscì dalla stanza preceduta dall’altra donna per illuminare il cammino.
Il chiarore della luna restò a illuminare debolmente la stanza mentre lentamente la sua luce avanzava verso il corpo dormiente del comandante. Si arrestò sul volto per aiutarlo a riportarlo alla vita.
Le bellissime mani diedero libero svago alle dita che cominciarono a muoversi lentamente una dopo l’altra in segno di ripresa. Passò qualche secondo e le mani si chiusero di scatto a pugno e ben presto anche il corpo si decise a destarsi a quel debole chiarore.
La mano sinistra si rilassò risalendo il busto e appoggiandosi sulla tempia. Il battito cardiaco e il respiro erano ritornati a farsi sentire, mentre le palpebre sembravano già più leggere e anche la testa non faceva più male.
Il corpo però gli doleva ancora in molti punti, ma non per questo si abbandonò di nuovo all’oblio. Le gambe si alzarono con lentezza, mentre le braccia raccoglievano forza necessaria, sulle lenzuola per tirare su il pesante busto. Il capo si lasciò cadere in avanti come stremato dalla fatica, ma alla fine gli occhi si decisero ad aprirsi.
Riuscì in qualche modo ad alzare la testa e persino a raddrizzare il busto per guardarsi intorno. Spostò di colpo il volto verso la porta e s’issò dal letto restando con difficoltà in equilibrio. Si diresse verso l’entrata e per non cadere si appoggiò contro il muro alla sua destra, mentre con la mano sinistra afferrò la maniglia e spalancò la porta.
Una volta all’esterno si concentrò per capire dove si fosse risvegliato. All’improvviso rammentò e poté rilassare il suo corpo.
Era debole e non poteva negarlo, ma le forze gli stavano ritornando ed era un bene. Ciononostante avvertiva se stesso diventare leggero e questo dava inizio alle sue più profonde paure.
Si recò al cospetto di Sanna e lì Erenock non volle altro che sedersi a riposare. Si sedette a un paio di metri da lei incrociando le gambe e nell’aria si sentì uno strano fruscio; le parole che si udirono dopo sembravano echeggiare: «Perché venire qua da me e non raggiungere il nuovo pianeta che le tue preziose “stelle” hanno trovato?».
«Per ritornare sui miei passi.» rispose Erenock interrompendo quell’assenza di rumori che si frapposero fra la domanda e la risposta.
I rami del salice fluttuavano delicatamente nell’aria come a voler danzare intorno all’uomo e la voce di Sanna interruppe ancora una volta il silenzio: «Ripensamenti… negli ultimi tempi ne hai avuti molti….».
Sanna sapeva che il Comandante Erenock non avrebbe lasciato la Terra finché non avesse compiuto il suo dovere. Lo guardò negli occhi e gli pose la sua domanda: «Quale compito è più importante di riabilitare la vita di una civiltà salvata fino all’ultima scintilla di energia?».
“Tagha" una breve pausa e le spiegò: «Seppur gravemente danneggiata, è un enorme pericolo. E… comunque ho l’obbligo di fermarli o chi è morto, avrà perso in vano la vita.».
Erenock aveva ragione, Tagha era una minaccia per chiunque, anche per coloro che non ne venivano in contatto. Sanna però sapeva anche che quello che il comandante voleva fare era pericoloso senza l’aiuto di qualcuno.
Lui si era già allontanato di parecchio quando decise di parlare di nuovo: «So a cosa vado incontro ed è per questo motivo che preferisco non essere accompagnato da nessuno. Il pericolo di incontrare la morte è molto alto e nessuno merita di perdere la propria vita per me… in troppi si sono sacrificati.».
In tutta la sua vita Erenock non aveva mai avuto bisogno di tornare sui suoi passi ma quei momenti vissuti sulla Terra lo avevano cambiato.
«Non isolarti dal resto del mondo. Non incolparti di tutti gli errori commessi da altri. Cerca questa volta una via di fuga più semplice da percorrere verso il tuo inutile quanto mortale obiettivo. Nessuno ti costringe a camminare da solo su questo sentiero tortuoso, ti chiedo di ragionare e di….» Sanna fu interrotta improvvisamente dal solo sguardo del comandante che sosteneva la sua insolubile decisione.
Prima che lui decidesse di abbandonare quei territori, le parlò un'ultima volta: «Mi limiterò a farti sentire solo ciò che io continuo a provare senza fine.».
La magia di Erenock prese a scorrere in lui giungendo all’albero… Sanna fu come investita da una potente raffica che mosse le sue fronde inondandola con le sue emozioni.
Il tempo sembrò fermarsi sotto quella potente energia e Sanna fu quasi annientata da quelle emozioni che non aveva mai nemmeno immaginato: odio, rabbia, furia, rancore, dolore, disperazione, paura, solitudine.
Fu qualcosa d’indescrivibile, tutte quelle emozioni si erano fuse insieme creando il vuoto nell’animo del guerriero. Aveva per secoli trattenuto tutto in un involucro di carne e ossa e non aveva fatto altro che meditare vendetta verso l'intera umanità.
Sanna, un salice piangente, un albero che rimaneva verde e rigoglioso in ogni stagione dell'anno, ora appariva con qualche foglia secca e alcune zone del tronco e delle radici, morte.
Erenock mollò la presa lasciandola respirare. Si sentì in colpa per ciò che le aveva fatto e prima di scomparire dalla sua vista le parlò ancora: «Come vedi, non faccio altro che creare male a chiunque, sarà meglio per tutti non restarmi accanto.».
La pallida luce lunare che filtrava dalla cupola e che rischiarava quel piccolo giardino, si spense di colpo quando delle nubi cariche d’acqua occultarono la luna.
Divenne buio. Dopo qualche secondo ritornò la luce e con essa l’astro ma Erenock era sparito.
Aveva paura…. Paura, per la prima volta, di morire. Per la prima volta si sentiva indifeso, schiacciato dai doveri che da solo si era fatto carico. Solo adesso comprendeva tutto… la freddezza che aveva sempre avuto era solo una misera copertura.
 
Il sole era alto nel cielo….
Era seduto su un tronco a una decina di metri dalla riva del mare. Aveva infossato i piedi nella sabbia, mentre fissava il mare. Decise di farsi un bagno e anche altro… lui si tolse i vestiti e li gettò sul tronco con noncuranza.
Entrò poi in acqua fermandosi solo quando gli arrivò al bacino. Attese mantenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte. Lo scenario cambiò quando un Sabiano di Mare emerse dall’acqua innalzandosi per tutta la sua altezza, mostrando la sua enorme mole al comandante.
Aspettò che l’uomo gli impartisse un preciso ordine, ma questo non giunse. Un’onda improvvisa più grande delle altre colpì Erenock e, bagnato dalla testa ai piedi, decise che era ora di lavar via i sensi di colpa che lo assalivano e che lentamente lo avevano portato sempre di più ad aver paura della morte.
Erenock esitò ancora ma alla fine diede un comando al Sabiano di Mare: “Uccidimi”. La creatura si rifiutò, ma il suo sguardo adirato lo convinse… il Sabiano di Mare indietreggiò e attaccò.
Nel momento in cui i due stettero per toccarsi, sia la creatura, che Erenock deviò. S’immersero entrambi nuotando sotto la superficie dell’acqua prima di emergere.
Il Sabiano di Mare ritornò a largo, mentre il comandante raggiunse i suoi indumenti; si voltò verso la creatura e lo ringraziò per aver eseguito i suoi ordini.
L’animale ruggì congedandosi, Erenock invece si rivestì.
 
In quel momento il suo restare fu percepito da Kashda nell’impugnare Tagha. Questo la sollevò scarsamente dalla rabbia che provava nei confronti di quell’essere.
Sebbene il suo cuore aleggiasse nella vendetta, Kashda riuscì, quasi a sua incredulità, a mantenere la calma e ad attuare il piano per Tagha. I danni che l’arma aveva subito erano gravi, tuttavia non irreparabili.
Consultando il Reantha scoprì che c’era una sola fonte piuttosto potente da riparare la spada, il sangue di un drago e, l’unico abbastanza vecchio si trovava proprio alle Grotte Diamantine.
Senza attendere oltre si trasformò… i capelli cambiarono colore nell’allungarsi, mentre i suoi occhi divennero gialli dalle estremità verdi. L’abito viola col nastro rosso in vita coprì il suo corpo e poco a poco tutti i particolari di un demone comparvero.
Alla fine spiccò il volo lasciando dietro di se una grossa nuvola di polvere che si diradò a un secondo battito d’ali. Portò con sé solo il suo mantello e una borsa a tracollo.
 
Tre giorni dopo atterrò fra gli alberi a riposare e rifocillarsi riprendendo la sua forma umana. Cacciò riuscendo dopo solo qualche ora a scovare e a uccidere un grosso cinghiale. Raccolse più legna che poteva in poco tempo e accese un fuoco prima che il vento cessasse di soffiare da Ovest.
Una ventina di minuti dopo era seduta sul tronco davanti al fuoco che scoppiettava a mangiare la carne di cinghiale che sbadatamente aveva quasi fatto carbonizzare.
Quando si sentì sazia, riposò per un paio di ore e poi fu pronta a ripartire. Lasciò tutto com’era, dopo il suo arrivo, e riprese il viaggio verso le grotte.
Ebbe successo nell’attraversare gran parte delle Terre Ghiacciate, tuttavia giunta quasi al canale delle Stelle Cadenti dovette fermarsi per via della temperatura tropo fredda e, inoltre le sue ali correvano il rischio di congelarsi e spezzarsi.
Doveva decidere in fretta cosa fare e l’unica soluzione era approfittare del ponte che era stato creato in precedenza. Il freddo era pungente e le penetrò fin nelle ossa quasi a renderla un pezzo di ghiaccio e incapace di camminare.
Riprese le sembianze umane stringendosi nel suo mantello e marciò verso Nord-Est finché la temperatura e il tempo glielo avrebbero permesso. A dispetto del suo enorme sforzo, Kashda dovette sospendere il cammino e individuare un riparo dal freddo e dall’incessante caduta della neve.
Si riparò in una tana abbandonata aspettando che la tormentasi placasse prima di riprendere il tragitto. Stava letteralmente morendo di freddo rintanata in un angolo poco illuminato.
Scattò di soprassalto per uno strano rumore che proveniva dall’esterno e per non disperdere il calore che aveva faticosamente accumulato, impugnò Tagha. Fortunatamente la spada aumentò il suo calore corporeo ed ebbe la possibilità di avanzare nel suo viaggio verso le spelonche.
 
Volò sui territori ghiacciati per quasi due giorni facendo una sola sosta e alla fine, atterrata dinanzi all’entrata delle Grotte Diamantine, decise di nascondere Tagha per non agitare il drago e avere problemi prima del previsto.
Ritornò in forma umana e si addentrò nello scintillio della polvere di diamanti che ricopriva ogni cosa. Si udiva solo il fruscio del vento echeggiare sulle pareti e nessun altro rumore che fosse un pericolo o meno.
Perseguì nel suo itinerario e non ebbe tempo per costatare se vi fosse altro nella spelonca che dalla parete sul fondo uscì il drago bianco.
La creatura procedette verso di lei con passo risoluto pronunciandosi solo quando raggiunse il terreno: «Temevo che questo giorno non arrivasse mai… per me era come un tormento.».
Kashda era sorpresa e pose una domanda: «Dunque tu aspettavi il mio arrivo… perché?».
Il drago scosse il capo liberandosi dalla polvere di diamanti in eccesso e rispose alla donna con un tono cupo: «La mia vita finirà fra le tue mani e il mio sangue scorrerà sulla lama della spada che nascondi. Inevitabile è dunque la mia morte ciononostante non mi arrenderò a te senza combattere.».
I draghi bianchi avevano un allineamento sempre caotico e malvagio ed erano scarsamente intelligente, tuttavia questo in articolare presentava un elevato quoziente intellettivo e un profondo rispetto verso le creature più deboli di lui.
«Sarebbe stato poco interessante se fosse stato il contrario.» Kashda tirò fuori Tagha e si trasformò.
Il drago issò la sua testa in tutta la sua grandezza e si pronunciò ancora: «[1] Puph voh tisih csepfosih Vehjeh, meh vaeh qeaseh foh nusosih ih’ iwofipvih nibbutephaih… omh vinquh fimmeh Gopih hoaphiseh’ epdjih qish vih Letjfeh.».
Dannata era la spada e maledetta sarebbe rimasta Kashda in eterno. In un demone Tagha l’aveva trasformata, nella creatura che Kashda odiava di più al mondo.
Un solo colpo e, il drago cadde.
Il drago bianco riversava nel terreno inzuppo del suo sangue eppure ancora in vita per parlare un’ultima volta: «[2] Vah finupih fimmh’Opgispuh tioh soatdovuh moh’, fuwih emvsoh jeppuh gemmovuh, neh aph houspuh doh teseh’ raemdapuh djih qsipfiseh’ meh vaeh woveh ih tuvvuniwiseh’ omh vauh tqosovuh gedipfuhmoh qevosih vavvoh oh vusnipvoh djih toh quttepuh neoh onnehopesih.» il drago tossì e cercò di alzarsi, ma finì solo col restare immobile e continuare a soffrire.
Kashda lo guardava disgustata e si pronunciò con tono freddo: «Quanto ci metti a morire?».
«[3] Sodusfeh mih noih qesumih dsievaseh onnupfeh ih vsineh fopepboh eh dumioh djih tincsiseh’ cipiwumih qisdsih’ mioh petdupfiseh’ ehmoh uddjoh foh vavvoh meh taeh wiseh pevaseh.» così alla sua ultima parola, il vecchio drago esalò il suo ultimo alito di vita sulla Terra.
Kashda ormai soddisfatta, osservò la parte della lama intrisa di sangue e sotto i suoi occhi, ogni crepa si ripristinò. Il cambiamento dell’arma fu evidente. Voleva più potere e lo avrebbe ottenuto con il sangue restante versato sulla terra fresca.
Gettò la spada nella pozza di sangue e l’arma diventò ancora più potente…. Nel mezzo della lama comparve una strana incisione che brillava di un rosso acceso.
Kashda volle riprendersi la spada e avvicinandosi all’elsa, quello che restava del drago si ritrasse permettendole di recuperarla senza sporcarsi. Appena sfiorata, produsse delle onde di energia che soltanto Erenock riuscì ad avvertire.
Quell’ostinata sensazione di paura inerente alla morte scomparve proprio com’era arrivata ancora una volta sottomessa alla sua freddezza incrollabile. Circondato dai Krimin, giunse alle spelonche, dove la magia della spada sembrava essere notevolmente più forte.
Sulla soglia si sentiva osservato e quando un odore tagliente e vagamente alchemico lo inondò, capì che qualcosa di peggio era accaduto. Entrò senza esitare e arrestò il suo passo nel vedere quello scempio.
Era disgustato da un gesto tanto brutale verso una creatura così bella, così decise di dargli una degna sepoltura. Uno sciame di Krimin circondò la salma e la trascinò nel terreno come se fossero delle sabbie mobili.
Subito avvertì l’energia di Tagha provenire dalle sue spalle e quando fu vicina, lui scomparve e l’attacco di Kashda andò a vuoto. La lama finì con l’incastrarsi nel ghiaccio e nemmeno con tutta la forza che aveva, Kashda riuscì a liberarla.
Kashda si buttò alla sua destra evitando un fulmine che proveniva da dietro e senza volerlo sbloccò la spada. Tagha provocò un acuto rumore nello sbattere con veemenza sul ghiaccio; produsse un fastidioso eco che rimbombò sulle pareti facendo tremare le stalattiti rimaste.
Kashda non riuscì a individuare Erenock e così decise di recuperare celermente Tagha e di trasformarsi allo stesso tempo evitando di essere sopraffatta da lui.
«Esci allo scoperto o dovrò pensare che sei un vigliacco. Ti nascondi perché sai che Tagha potrebbe ucciderti… esci e combatti da uomo se lo sei.» gridò con un tono quieto… voleva innervosirlo e purtroppo Kashda sapeva bene che quelle parole non sarebbero bastate per stuzzicarlo a dovere. E come poteva lei riuscire lì dove persino Lucifero falliva di continuo?
Nessuna risposta… solo il silenzio.
Kashda continuava a istigarlo senza successo ma Erenock si presentò a lei senza armi… voleva solo parlare: «Che cosa ricaverai dalla mia morte?».
La donna fece un passo di lato e rispose alla sua domanda: «Soddisfazione… un senso di pace e… la mia vendetta su di te.».
Erenock allargò le braccia e disse: «Allora trafiggimi con la spada che ami tanto brandire e assaporerai soltanto il vuoto più assoluto.».
La invitò a ucciderlo, ma Kashda non amava vincere troppo facilmente. «No. Tu dovrai combattere, solo allora sarò pienamente soddisfatta nel levarti la tua miserabile vita.».
Erenock lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e le parlò ancora: «Hai fatto la tua scelta… demone.». Con quelle parole decretò il fato della donna.
Il fulmine lanciato da Erenock fu parato da Tagha che si fermò a una ventina di centimetri dal suo volto. Erenock stava dimostrando una minima parte del suo potere tramite un fulmine e lei cominciò a non poterlo più trattenere.
Lei voleva cancellarlo e l’unico mezzo per farlo era Tagha. Il punto in cui la lama toccava il fulmine, sprigionò potenti saette che furono scagliate in ogni angolo della cavità e la situazione iniziò a scaldarsi.
La forza di entrambi raggiunse un livello così elevato da perderne il controllo. Ci fu un’esplosione che devastò tutto nel raggio di chilometri, ma quell’energia si esaurì prima di raggiungere il Lago degli Antenati.
Sotto quella devastante energia il terreno era divenuto sterile e delle Grotte Diamantine esistevano solo poche rocce rimaste a malapena in piedi. Nessun suono era più udibile nell’aria….
Il suono del tossire riempì una parte del silenzio che aveva occupato l’aria; fra le macerie si sentì il rumore delle pietre più piccole seguite da quelle più grandi che cadevano su altre spaccandosi.
La temperatura era scesa di nuovo e si era alzato un leggero venticello proveniente da Ovest, questo aiutò la persona sepolta a respirare. Fu capace di uscire e a liberarsi di alcuni grossi massi che le bloccavano le gambe, mettendosi in piedi a fatica barcollando e tossendo di continuo.
Kashda era viva con l’aspetto da umana e pensò a Tagha…. La cercò allargando il raggio di visuale, ma quando il solo pensiero che anche Erenock potesse essere vivo la sfiorò si agitò subito. Prese a camminare con più celerità e a guardarsi intorno allo stesso tempo.
Il suo sguardo finalmente si posò su Tagha che era finita schiacciata sotto un pesante masso. La lama era ancora cocente e non accennava a diminuire la sua temperatura. Fu in quel momento che le venne in mente di nuovo Erenock e pensò: “Che sia davvero morto sotto queste macerie?”.
Improvvisamente i suoi occhi si fermarono a fissare dei macigni muoversi a poca distanza da lei. Da sotto quel cumulo di macerie uscì Erenock che si mise in piedi. Con la coda dell’occhio cercò Kashda mentre si toglieva la polvere di dosso.
Kashda era combattuta fra il restare e affrontarlo o scappare ed essere considerata una vigliacca provocatrice. Cercò di spiegare le ali, ma un dolore lancinante a destra glielo fece evitare.
«Ho visto abbastanza morti e vendette e non desidero vederne altre. Vattene adesso, dimentica ogni cosa e sarai davvero finalmente libera. Libera di vivere ancora.» la voce di Erenock era calma e ferma, ma vibrava di quella nota di autorità che non lasciava equivoci su cosa sarebbe spettato a lei se non avesse accettato la sua offerta.
Per lei la partita non era finita, restava da giocare ancora l’ultima mano. Nel momento in cui lei cercò di attaccarlo, la potenza di Tagha venne meno. Si preoccupò, ma non lo diede a vedere.
«Kashda aspetta. Basta. È finita, non vedi? La tua spada ha raggiunto il limite massimo di potere e ora non ha più energia… vuoi ancora affrontarmi senza di lei e assicurarti un posto all’Inferno?» Erenock tentò ancora di convincerla ad arrendersi, ma sapeva che avrebbe fallito.
«Sbagli su tutto come sempre Erenock.» una fiammata esplose da Tagha, ma lui la evitò.
Alzò il braccio destro per sfoderare lentamente Dhebran dal fodero comparso dietro la schiena. Produsse un sibilo sinistro come un lamento di agonia, che riecheggiò a lungo nel silenzio.
«Ti ho offerto più di una chance e tu le hai rifiutate tutte, ora ti aspetta soltanto la morte.» Erenock fece subito roteare Dhebran nella mano destra compiendo un passo in avanti che si ritrovò dinanzi a lei in pochi secondi.
Tagha aveva ancora energia e la catapultò altrove. Kashda era riuscita all’ultimo secondo a evitare la morte, ma per quanto ancora ci sarebbe riuscita dopo aver provocato Erenock in quella maniera?
 
 
[1] Non ti serve brandire Tagha, la tua paura di morire è evidente mezzosangue… il tempo della Fine giungerà anche per te Kashda. – (lingua dei draghi)
[2] Tu demone dell’Inferno sei riuscito lì, dove molti hanno fallito, ma un giorno ci sarà qualcuno che prenderà la tua vita e sottometterà il tuo spirito facendogli patire tutti i tormenti che si possano mai immaginare. – (lingua dei draghi)
[3] Ricorda le mie parole creatura immonda e trema dinanzi a colei che sembrerà benevole perché lei nasconderà agli occhi di tutti la sua vera natura. – (lingua dei draghi)

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Tutti contro di lui ***


Trentacinquesimo capitolo
 
Tutti contro di lui
 
 
 
 
Nelle vicinanze di un piccolo villaggio di nome Hulgaron situato fra una catena montuosa e una boscaglia sull’Isola di Allj, a Sud-Est di Lessur, comparve una strana luce che catturò la curiosità di qualcuno.
Chiunque fosse si avvicinò con cautela…. Scostò un cespuglio e vide un corpo avvolto da un mantello scuro e sussultò quando sentì toccarsi la spalla sinistra.
Lo avevano raggiunto due suoi compagni che erano armati di asce. Avanzarono con passo furtivo, ma si bloccarono quasi subito quando il corpo si mosse.
I tre uomini decisero di sottrarle la spada e non appena uno di loro estrasse un pugnale chinandosi sul corpo, lei aprì di scatto gli occhi squarciandogli la gola con Tagha, riversando il suo sangue sull’erba.
Gli altri due restarono allibiti nel vedere il corpo cadere al suolo con un tonfo sordo. Kashda si alzò riponendo la spada dietro la schiena e mentre li osservava con occhi maliziosi, si rivolse a loro: «Il vostro amico ha cercato di fare il furbo ed è morto, voi invece che cosa scegliete?».
I due si appropriarono dei beni dell’amico morto e lo lasciarono lì andandosene con lei. Entrarono a Hulgaron e la indirizzarono in una taverna povera che si chiamava “La tana del lupo”, in genere nominata “La Tana” dai suoi frequentatori.
Era uno dei locali più malfamati del villaggio ed era situato in un vicolo poco illuminato, dove Kashda poté notare quanto decadente fosse la zona circostante: case semi-crollate, totale assenza d’illuminazione e una sensazione costante di essere seguiti li accompagnarono fino all’ingresso.
All’esterno, presentava una brutta e vecchia porta di legno di bassa qualità, che peraltro non si chiudeva neanche più tanto bene, e la serratura mostrava chiari segni di scasso dovuti ai vari tentativi di rapina nel corso degli anni.
Dell’insegna invece restava solamente il portainsegna, arrugginito. Due finestre, con i vetri rotti e sporchi, facevano da cornice alla porta.
Alzando lo sguardo lei vide un piano, ed entrando notò subito il lungo bancone, posto dalla parte opposta all’ingresso, che occupava tutto un lato della locanda.
Lo sguardo cadde anche sulle tante mattonelle che mancavano, lasciando così la taverna sempre sporca della terra che si alzava dal pavimento. Il locale tuttavia era ben illuminato….
All’estremità destra del bancone c’era una porta, mentre dietro di esso, sulle poche mensole, si trovavano solamente poche bottiglie di liquore lasciate lì da un po', a giudicare dalla quantità di polvere posata su di esse; sembrava quasi che fungevano più da ornamento che come bevande.
A Kashda tutto quel lerciume cominciò a disgustare ma non avendo forze dovette lasciar correre e restare a riposare. Ritornò con gli occhi sul bancone, dove di fronte c’era una fila di sgabelli, rovinati dal tempo e dall’utilizzo poco consono che talvolta se ne faceva.
Di tutti gli sgabelli che vide, non ce n’era uno completamente sano: a qualcuno mancava la seduta, altri avevano una o due gambe corte e alcuni invece stavano in piedi solamente grazie alla moltitudine di chiodi che rattoppavano le crepe.
Un unico tavolo di quattro metri si trovava al fianco dell’ingresso e ciò che di quel lercio posto era peggiore era l’assenza di un bagno.
Kashda notò che l’unica clientela che bazzicava quella taverna erano solo briganti, ladri o assassini.
Lei e i due che la accompagnavano si accomodarono al tavolo e pochi secondi dopo giunse Thiro. Era il gestore della taverna e un assassino ormai ritiratosi che aveva all’incirca sessantacinque-settant’anni.
Lui li guardò… conosceva i due uomini, ma non la donna e pensò che fosse una prostituta. «Cosa vi portò?».
«Thiro… portaci la carne arrostita e la birra comune.» rispose il “rosso” quello alla sinistra di Kashda mantenendosi poggiato allo schienale della sedia intanto che guardava allontanarsi, con la coda dell’occhio, un uomo dal bancone.
«Mhm bene.» disse Thiro ritornando in ciò che poteva sembrare tutto tranne una vera cucina.
L’altro, quello biondo, fece una breve risata e poi si espresse: «Non farci caso, Thiro odia il suo locale e tutti quelli che lo frequentano, ma cerca di nasconderlo per quanto può.».
Non appena ebbero ciò che avevano richiesto iniziarono a mangiare. Anche Kashda assaggiò la birra che le disgustò molto, tuttavia quello era certamente meglio di rimanere a digiuno.
«Se voi siete del posto, saprete di sicuro dirmi perché non vedo soldati o guardie di nessun genere con tutti gli avventori che questo tugurio si ritrova.» chiese lei tra un boccone e l’altro.
La sua domanda era lecita e le fu data subito una risposta dal biondino: «Ogni ora due soldati passano per controllare che tutto sia apposto, di norma entrano solo per intascare la loro tangente e poi se ne vanno.».
«Come adesso per esempio.» fece notare lei indicando leggermente la porta d’ingresso.
Il “rosso” confermò con un mugolio e riportò all'istante l’attenzione sul piatto e la sua birra. Non appena i soldati se ne furono andati con la loro “mancia”, Kashda e i due uomini finirono il loro pasto e il “biondo” pagò per tutti e tre.
Uscirono dalla taverna e il “rosso” si separò da loro per dirigersi nell’unico bordello presente nel villaggio che si trovava in fondo alla strada.
Lei e il “biondo” invece si recarono a casa di lui. Entrati, si tolsero di dosso le armi e Kashda si accomodò sul bordo del letto alla sinistra dell’ingresso.
L’abitazione era piccola, tuttavia possedeva un bellissimo camino, dove fu acceso il fuoco. L’uomo si recò poi verso di lei con un bicchiere di vino che le porse dandole un avvertimento: «È un po' aspro.».
Brindarono alla ricchezza che avrebbero conquistato insieme e all’ultimo sorso, Kashda gli fece una domanda: «Non mi hai ancora detto come ti chiami, qual è il tuo nome?».
Lui poggiò il bicchiere ai piedi del letto e le rispose: «Mi chiamo Sants come mio nonno materno.».
Sants restò a guardarla aspettandosi altre domande, ma lei cominciò a togliersi i vestiti uno dopo l’altro restando alla fine nuda. Lui cercò di tenere a freno la sua voglia di saltarle addosso e questo blocco si tolse quando lei gli si gettò sopra.
Lo morse sulle labbra ma si allontanò da lui subito per sdraiarsi sulle coperte. Appoggiò la testa sui cuscini e divaricò le gambe per aumentare a dismisura l’eccitazione di Sants. A quel punto non se lo fece ripetere due volte e lui si svestì.
La lussuria di Kashda non aveva mai fine e Sants non perse tempo; con avidità le afferrò fra i denti il capezzolo sinistro mordendolo e lei gemette gettando la testa all’indietro e inarcando il corpo verso di lui. Scoparono tutta la notte….
 
Quando la luce del mattino penetrò nella casa, nessuno dei due desiderava alzarsi dal letto prima di qualche altra ora. Sants si era svegliato per primo decidendo di compiacersi dei piaceri che la straniera poteva dargli.
Nel frattempo Erenock aveva raggiunto quel villaggio con l’esatta intenzione di trovarla e questa volta non darle la possibilità di cavarsela. Le aveva concesso troppe chance che lei aveva saputo ben rifiutare e adesso non poteva scappare.
Girovagò un po' per il villaggio e studiò il luogo circostante stupendosi che Tagha avesse ancora tanta magia da portarla così vicina ad Aregiak. Il lato negativo, per Kashda, era che ora non poteva fare affidamento sulla sua arma.
La presenza di un tale uomo incuriosì non poca gente e tra questi c’era il “rosso”; ascoltò la descrizione della donna che lui stava cercando e si diresse subito a casa di Sants.
Bussò alla sua porta con vigore per svegliarli e avvertirli prima che arrivasse lo straniero. Sants scocciato dal continuo battere alla porta, lasciò stare ha malavoglia il corpo di Kashda e si coprì per andare ad aprire.
«Che cosa ti porta qui a quest'ora del mattino, Dhon?» gli chiese Sants portandosi verso il letto.
Dhon era agitato e raccontò tutto. Kashda si alzò dal letto e si rivestì sotto gli occhi attenti dei due uomini. Infilò alla fine gli stivali e si riprese Tagha ancora priva di magia.
In quell’istante Erenock era giunto proprio dinanzi all’abitazione, ma i tre uscirono da un nascondiglio che conduceva alla costa Ovest dell’isola.
Erenock stette per buttare giù la porta, ma si fermò avvertendo l’energia di Tagha allontanarsi. Cambiò direzione cercando di anticiarla….
Intanto, mentre Kashda e Sants stavano discendendo uno stretto sentiero per pervenire alla piccola spiaggia sottostante e imbarcarsi per la terraferma, Dhon restò sulla costa a rallentare l’avanzamento dello straniero.
Tutta la fatica che lei fece fu inutile poiché Erenock li aveva raggiunti e bloccati. Kashda si alzò dalla barca e strinse l’elsa di Tagha che s’irradiò di luce rossa.
«Non avvicinarti Erenock o questa volta non avrò alcuna pietà.» furono le parole di una donna che sperava ancora nell’aiuto dell’arma con cui si era legata.
«Inutile ripararti dietro la spada.» proferì Erenock fissandola con uno sguardo freddo che sembrava volerla congelare.
Improvvisamente un fragore assordante si udì provenire dalle loro teste e alzando gli occhi al cielo videro dei grossi massi cadere giù per la scogliera.
Cercarono di togliersi dalla loro traiettoria… Erenock si appiattì contro la parete rocciosa, mentre Sants e Kashda si gettarono ai lati della barca evitando un masso che precipitò proprio sull’imbarcazione riducendola a un colabrodo.
Erenock fu bloccato da un muro di roccia, mentre Kashda ne approfittò per recuperare Tagha che era scivolata in acqua. Quando entrambi riemersero, Erenock era sparito con la spada.
«Su quest'isola c’è un guaritore?» domandò lei rivolgendosi a Sants con tono quasi sereno.
«No, ma torneremo da me, li ho qualcosa che può aiutarti.» rispose lui guardandola mentre le indicava la via di ritorno.
Senza riflettere risalirono lo stretto sentiero e si ricongiunsero a Dhon che aveva fra le mani le redini di tre cavalli recuperati dal suo nascondiglio. Montarono in sella e li spronarono al galoppo verso il villaggio di Hulgaron.
Guarite le ferite della donna, Sants le porse un altro bicchiere di quel vino, ma nel momento del brindisi comparve Erenock a guastare la festa.
«Ti renderò Tagha a una sola condizione….» quelle parole, la resero felice quel tanto che bastava a Erenock.
«Quale?» gli chiese lei con un accenno di rabbia sul volto.
«Dovrai rinunciare alla vendetta contro di me e ad attaccarmi con Tagha.» le rispose lasciandole del tempo per pensare.
Rifletté sulla situazione e a malavoglia acconsentì. Da quell’istante Kashda non avrebbe mai dovuto aizzare contro Erenock quella spada o per lei le conseguenze sarebbero state troppo grandi.
Come promesso Erenock le ridiede Tagha e lei la rinfoderò dietro la schiena. Uno sguardo pesante fra i due avversari e l’uomo la lasciò passare seguita da Sants che si godeva l’ottima vista del suo fondoschiena.
 
Erano trascorse tre settimane e quella notte Erenock non riuscì a chiudere occhio… aveva una brutta sensazione che lui non era capace di mandare via. Più il tempo passava e più quella sensazione cresceva in lui.
Giaceva sdraiato sul letto della stanza al Cargar in completa oscurità e silenzio. Anche il suo respiro sembrava non esistere eppure era lì con indosso solo i suoi pantaloni e, madido di sudore.
La sola finestra si spalancò per il forte vento freddo proveniente da Nord alleviandolo dalla strana calura che provava. Si coprì il volto con il braccio sinistro per non essere colpito dalla luce della luna.
S’issò sedendosi sul bordo del letto e restò immobile per un po' prima di accorgersi delle nuvole che oscurarono la luna. La prima pioggia che cadde, picchiò contro i vetri delle finestre, leggera e costante, come un orologio che scandiva i secondi.
 Si diresse verso la finestra inebriandosi del profumo di terra bagnata e deliziandosi dell’acqua che colpiva la sua pelle. Quella stessa pace fu subito rimpiazzata da quella brutta sensazione che adesso avvertiva lungo la schiena.
Scosse il capo e si voltò in direzione della porta, ma i suoi occhi si fermarono sulla donna che aveva a pochi metri da lui avvolta in una luce rossa. Era Kashda… il silenzio svanì quando lei si pronunciò: «Ti ho promesso che non avrei cercato vendetta nei tuoi confronti e di non aizzarti mai Tagha contro ed è quello che farò, tuttavia avendo un conto in sospeso con te, mi prenderò la rivincita su qualcun altro.».
«Io non farei il passo più lungo della gamba e non abuserei della mia pazienza Kashda.» la avvertì per evitare che loro due dovessero nuovamente scontrarsi e questa volta finire con la morte di uno dei due.
Erenock compì un solo passo verso di lei e due uomini lo presero per le braccia bloccandolo. Kashda stava oltrepassando il limite possibile e non se ne rendeva conto o forse era troppo pazza perché si fermasse.
«Non fategli troppo male.» disse ai suoi uomini con una punta di sarcasmo.
«Se vuoi giocare con il fuoco, ti farai più male di quanto tu sia capace di immaginare… fermati prima di non poter più tornare indietro.» tentò ancora di convincerla non capendo nemmeno lui perché continuasse a provarci.
Lei fece una strana risata e poi si rivolse a lui con sguardo delirante: «È questo il punto, io non voglio tornare indietro, ma solo farti più male di quanto la mia fantasia ne possa inventare. Desidero ardentemente avere fra le mie mani il tuo cuore e poterlo vedere bruciare fra le fiamme dell’Inferno, fra gli innumerevoli tormenti e le infinite sofferenze. Purtroppo per me dovrà accontentarmi….».
Kashda sapeva che Erenock non avrebbe lasciato che un innocente pagasse a causa sua e così con un gesto del capo impartì un preciso ordine. Uno dei due uomini pose al polso del comandante un manufatto che luccicò alla luce della luna.
Era il Neeshair… un bracciale creato con oro e permeato di magia che nel corso dei secoli fu perfezionato da numerosi maghi. Presentava uno spessore molto sottile e una superficie ricoperta di cerchi che s’intrecciavano. Due solchi a un centimetro dalle estremità creavano un altro decoro. Era inoltre considerato più raro del Trasportatore con la sola capacità di privare chi lo indossava dei suoi poteri.
I due uomini lo liberarono sotto ordine della donna e lui osservò subito il bracciale. Lui notò due gemme esagonali un po' allungate su entrambi i lati e altre dello stesso tipo, ma molto più piccole che le univano.
Le gemme erano uno strumento di tortura affinché la vittima imparasse a obbedire e una chiave che lo aprisse e lo chiudesse.
Ne esisteva però un secondo con la diversa funzione di controllare chi possedeva il Neeshair, chiamato appunto il Controller. Presentava la medesima manifattura a eccezion fatta per le gemme più piccole.
Quest’ultimo era posto proprio al polso destro di Kashda.
Erenock la guardò negli occhi e rispose al suo gesto: «Un punto a tuo favore, ma questo quanto durerà?».
La sua domanda la irritò non poco rispondendo senza esitare troppo: «Durerà il tempo necessario che mi serve per ottenere quello che voglio senza intoppi da parte tua. Ti do un consiglio… non opporti al Neeshair, non ti servirà a nulla finché io porterò il suo opposto.».
«Dimmi che cosa vuoi da me senza giri di parole.» pretese lui osservando con attenzione ogni suo minimo movimento per carpirne eventuali indizi.
Kashda sorrise con un ghigno perverso e glielo disse: «Aknar. Voglio quell’animale adesso….».
Erenock credeva di sapere perché Kashda avesse focalizzato la sua attenzione su Aknar, ma sperava di sbagliarsi. A quel punto, vedendo l’ostinazione del comandante, Kashda afferrò Tagha per la lama e lo colpì con violenza al volto.
Lui prese a sanguinare dalla bocca e la riga di sangue che scivolò fu raccolta dalla sua lingua che ne assaporò il freddo gusto metallico.
Kashda lo fissò negli occhi e gli parlò ancora: «Decidi in fretta Erenock perché per ogni cuore che Tagha ferma sarà un peso enorme che graverà sulla tua coscienza.».
Erenock sorrise e lasciando che Kashda gli rendesse i suoi poteri, lui chiamò a se Aknar. Lei ordinò ai due uomini di portarlo fuori e lui non oppose resistenza.
A poca distanza da lei, l’animale era agitato ed Erenock lo notò da quel solito balletto che intratteneva quando si presentavano brutte circostanze.
Ciò che catturò l’attenzione di Kashda fu il non vedere nessun finimento adornare il corpo dell’animale. Allungò la mano verso il muso e appoggiandovi il palmo salì fino alla fronte.
Aknar si era calmato perché sapeva quale fosse la sua sorte. E mentre Kashda continuò ad accarezzarlo, brandì Tagha conficcandone la lama nel cuore del più fedele fra i destrieri.
Aknar sopraffatto dall’improvviso dolore si alzò sulle zampe facendo cadere Kashda all’indietro. Di colpo l’animale sentì il peso della spada comprimergli sullo sterno che gli impedì di respirare. Si accasciò al suolo e accettò con onore di morire.
 
L’accaduto non fu ignorato né da Ylloon né dagli Dèi che ovviamente decisero tutti di agire prima che le cose prendessero una brutta piega. Volevano tutti infierire su Erenock ora che era debole….
Un servo de gli Dèi giunse ai piedi di un grosso albero dalle lunghe e strette foglie seghettate, rosse tutto l’anno che possedeva una rigogliosa fronda. Cresceva sul confine a sud fra la Foresta degli Spiriti Rossi e la Catena Montuosa della Luna Calante.
Un passaggio nascosto dalla vegetazione condusse il servo a un mondo diverso, dove vivevano strane creature chiamate Arsuna, di cui lui prese le sembianze essendo un mutaforma.
Queste bizzarre creature nominate il popolo del “Sotto” erano quasi sconosciute agli altri abitanti della Terra, conosciuti dagli Arsuna come il popolo del “Sopra”.
Agli occhi del servo queste creature erano simili agli umani ma avevano sviluppato per il loro ambiente angusto, grandi occhi rotondi e scuri che gli permettono di vedere nel buio, su un naso schiacciato in grado di avvertire qualsiasi tipo di odori anche a debita distanza. Il volto incorniciato sia dalle lunghissime orecchie diritte, che in alcuni si afflosciavano e dai corti capelli folti e crespi che esibivano due sole trecce ai lati delle tempie di colore verde che cambiava tonalità secondo l’età.
Per la quasi assenza di luce la loro pelle era rimasta di un bianco perfetto. La schiena portava in evidenza la spina dorsale che proseguiva in una lunga coda, talmente folta che gli Arsuna la usavano molto spesso per coprirsi.
Il servo notò che alcuni giovani Arsuna si arrampicavano sulle pareti con molta facilità e che altri cingevano i fianchi con abiti creati dalla vegetazione e protetti dalla magia che solo gli anziani più saggi possedevano.
Questa razza poteva vivere in media fino a trecento anni. Erano pacifici dall’espressione benevola che ne nascondeva una molto furba. Avevano un carattere molto generoso ed erano insensibili alle arrabbiature, ma potevano rivelarsi pericolosi se minacciati.
Il servo gironzolò fra incalcolabili tunnel e cunicoli, in cerca della Cripta di Nemer. Prima di entrare si guardò intorno per essere certo di non essere seguito da qualcuno e si addentrò nella cappella sotterranea.
Trovò ciò per cui era stato inviato in una sala ovoidale, dove nel mezzo si trovava un sarcofago idealizzato con simboli appartenenti alla natura e creato con materiali esclusivamente del sottosuolo per essere infine protetto da potenti incantesimi.
Prese dalla sua sacca una sfera di vetro che conteneva pura energia rubata ai Carniv. Avrebbe aperto il coperto del sarcofago e alla fine pronunciò una formula datagli dagli Dèi:
“Svegliati, Nemer,
ascolta il mio richiamo
i tuoi padroni ti cercano.
Rispondi hai loro comandi
e libero per sempre sarai.
Rifiuta e nel tuo sonno,
eterno giaciglio ritornerai”.
Due occhi verdi s’illuminarono e la creatura prese ad agitarsi facendo scuotere violentemente il sarcofago; si liberò dal sudario e da tutte le bende che lo avvolgevano, ma proprio perché erano incantate, le bende si scagliarono contro Nemer e lo fasciarono nuovamente.
«Che cosa comandano i miei padroni?» chiese Nemer osservando l’Arsuna che aveva di fronte.
Il servo riprese la sua forma umana e rispose alla sua domanda: «I miei padroni ti hanno affidato un compito molto speciale… dovrai eliminare un essere chiamato Erenock, non dovrai avere nessuna pietà.».
Un terribile scoppio catturò l’attenzione di tutti che alla vista di Nemer scapparono via. Raggiunto la superficie e il servo, si trasformò in un Meterye trasportando Nemer da Erenock.
 
Poco prima che il sole sorgesse tre giorni dopo, il servo e Nemer atterrarono nelle vicinanze del Cargar che aggirarono. Entrarono e avanzarono verso il fondo dell’enorme salone, dove si trovava Sanna.
Con volto scuro e inginocchiato ai piedi del salice, il comandante ascoltava in silenzio… senza batter ciglio scattò in piedi evitando il primo colpo di Nemer.
Kashda spostò all'istante lo sguardo sui due appena entranti e ne riconobbe uno come servo degli Dèi. Insieme ai suoi uomini si fece da parte evitando di perire lei in quel frizzante gioco di potere.
Nonostante Erenock fosse privo dei suoi poteri, vinceva su Nemer. L’Arsuna si schierò di nuovo davanti a lui, ma fu Kashda a intervenire con le parole: «Il grande Erenock che cerca di non combattere, neppure per salvarsi la pellaccia, stupito secondo me.».
Nemer senza indugiare aprì la mano destra e materializzò in essa una spada che spinse con forza contro il comandante. Lui d’altro canto bloccò il colpo con le sue mani, non subendo alcun graffio.
Erenock strinse la lama e la strappò dalla mano di Nemer gettandola alla sua destra. Nello stesso momento lui lo respinse con un calcio e Nemer finì nell’erba.
Ad Aregiak, Ylloon si accingeva a lasciare il palazzo per raggiungere Blyhank. Affiancata da Moorgan e alcuni Nemodurre, la strega partì usando un portale [1] Diafarà.
Entrò nel Cargar nel momento stesso dell’ennesimo attacco di Nemer contro Erenock. Ylloon intervenne lanciandogli un fascio di fuoco scaturito dalle sue mani. Lui fu veloce, ma fu colpito alla gamba destra.
Erenock emise un debole lamento cadendo al suolo e si voltò vedendo la strega sorridere. Si rimise in piedi e mentre fissava Ylloon negli occhi, afferrò l’Arsuna per gli abiti e lo lanciò a più di dodici metri di distanza.
Kashda si era stancata e impugnò Tagha, invece Erenock tentò di provocarli tutti: «Mi volete morto a tal punto da unirvi… una ragazzina diventata demone alla mia sinistra, un Arsuna divenuto egoista alla mia destra e in fine di fronte a me, Ylloon la madre dei Gavoth che tenta di vendicarsi per quello che i suoi figli hanno subito e non da me. Sono pronto e, come dite voi mortali, diamo pure inizio alle danze.».
La tensione si avvertiva facilmente, ma anche la paura celata negli occhi di molti di loro.
Kashda attaccò per prima, poi fu la volta dell’Arsuna e infine si aggiunse Ylloon formando un bel terzetto. Nonostante il numero di avversari che il comandante doveva affrontare, Moorgan si era dimostrato alquanto preoccupato….
Chi dei tre sarebbe crollato per primo? O chi dei tre avrebbe sconfitto per primo il Comandante Erenock?
Il duello che i tre dovettero affrontare contro Erenock non era per niente facile… sembrava che tutti i colpi inflittogli non avessero l’effetto sperato e si misero d’accordo per unire i loro poteri in un unico attacco.
L’unico colpo fu così potente che Erenock pur parandolo col Neeshair non riuscì a evitare di finire contro una parete del Cargar sfondandola.
La vittoria su Erenock era ovvia e gli Dèi cambiarono idea…. Uno dopo l’altro le divinità fecero la loro comparsa nel Cargar.
Con un gesto della mano Falock utilizzò le radici del salice contro Erenock; una gli trafisse la spalla destra e una seconda la mano sinistra. Strinse i denti dal dolore e non mostrò nessuna sofferenza.
Le radici si ritirarono a un ordine del Dio e lasciarono un calore intenso da procurare nell’uomo un dolore inaudito. Il sangue che colò dalla ferita della mano, scivolò lungo la pelle precipitando sul pavimento; bastò una sola goccia che evaporò richiamando qualcosa che lo avrebbe aiutato.
Un colpo secco alle radici e marcirono all’istante. Erenock si tolse la camicia che strappò per fasciarsi spalla e mano. La stoffa intorno alle ferite si macchiò e dalla mano una riga di sangue scivolò sulle dita per finire al suolo.
Tutti lo videro camminare verso di loro con sguardo freddo e furia negli occhi, ma nessuno si preoccupò non essendo lui più una minaccia.
Nella mano destra padroneggiava Dhebran, scintillante e pericolosa come non mai. Decise di non muoversi e lasciando a uno dei suoi avversari la prima mossa che non tardò ad arrivare.
Tenrett usò una saetta, ma il colpo fu assorbito da Dhebran che protesse il suo padrone. Erenock si era indebolito per il sangue che continuava a perdere, ma nonostante tutto non mostrò alcun cedimento.
Moorgan invece comparve alle sue spalle e il comandante vomitò sangue; sul suo corpo si generarono svariate conche provocate dai colpi invisibili del mago.
Erenock aveva ancora parecchia energia…. Uno sciame di Krimin lo avvolse scomparendo.
 
 
[1] Il Diafarà era un minerale raro che possedeva la capacità di attirare l’energia presente intorno a se diventando così luminoso, come un faro nel buio. Fu modellato per essere una minisfera permeata di magia rendendo il minerale un manufatto in grado di creare portali con l’effetto di frammenti di vetro che si muovevano in cerchio, in senso orario.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Tre figli per ora… ***


Trentaseiesimo capitolo
 
Tre figli per ora…
 
 
 
 
In un punto non preciso del grande fiume Serpente che attraversava Blyhank da Nord-Est a Sud-Ovest, Erenock aveva trovato un rifugio, dove si chiuse a riccio per cercare di addormentarsi.
Uno strano rumore assordante lo fece sussultare e cercando di alzarsi, spostò il volto intravedendo fra i cespugli, Kashda e il resto della “banda”.
Si guardò intorno in cerca di una traccia che la conducesse a Erenock e individuò delle macchie di sangue dirigersi verso Sud-Ovest. S’incamminò in quella direzione ed estrasse Tagha che creò quel suono metallico provocato dall’urto col cuoio.
Kashda lo individuò facilmente e lo rivelò agli altri usando Tagha, ma lui non si fece trovare impreparato e attaccò di nuovo con Dhebran.
Il demone fu balzato in aria insieme con gli altri da un potente colpo, ma finì con il precipitare nel fiume. Ci volle un po’ prima che tutti riportassero la loro attenzione su di lui.
Kashda riemerse dall’acqua già trasformata…. Cercò di uscire nuotando, ma dovette fare forza sulle sue ali richiamando Tagha a sé. L’arma comparve nella sua mano spostando in seguito lo sguardo sui suoi compagni che, uno dopo l’altro, attaccarono Erenock con la precisa intenzione di infliggergli il colpo finale.
Lo accerchiarono… ogni sguardo era puntato su di lui che si sentì schiacciare, comprimere il corpo come una mano che spingeva sul petto, ma tutto questo non bastò ad allentare la sicurezza che aveva sul combattere solo con Dhebran.
Kashda allora atterrò fra Falock e Moorgan, mantenendo il suo aspetto demoniaco per andare incontro al suo nemico e attaccarlo all’altezza della gola.
Erenock si spostò di lato all’ultimo secondo e il colpo del demone andò a vuoto. Kashda si scagliò di nuovo su di lui che parò il colpo sopra la sua testa, stringendo la lama di Dhebran con la mano sinistra.
In aiuto del demone arrivò Moorgan che assestò un pugno dritto al fianco sinistro lasciandolo senza fiato. Lui mantenne in ogni caso la spada, ma il fascio di fuoco lanciato da Ylloon alla schiena lo costrinse a lasciare quella posizione.
I due si allontanarono da lui e mentre una mano del comandante perdeva copiosamente sangue, l’altra non aveva ceduto la presa di Dhebran neanche per un secondo.
Al contrario di Erenock i suoi nemici non erano né stanchi ne indeboliti e sembravano intenzionati a restare lì molto a lungo finché lui non sarebbe caduto.
Il pugno infertogli da Moorgan gli aveva rotto qualche costola e, infatti, il suo respiro si fece corto. L’orgoglio di Erenock non gli consentiva di mostrare agli altri, che fossero amici o nemici, le sue debolezze.
Di comune accordo, i suoi nemici, decisero di infliggergli il colpo di grazia e ognuno di loro tirò fuori il suo potere più letale….
Erenock prese un profondo respiro e allargò le braccia lasciandosi colpire da tutta quella magia senza resistenze. Ogni potere che si posò sul suo corpo sembrava lacerargli la carne e persino le ossa, mentre i muscoli del volto si muovevano contorcendosi in smorfie di dolore.
Non avendo la capacità di usare i suoi poteri, bloccati dal Neeshair, il suo corpo non poté resistere a lungo alla loro magia; in fine cadde sulle sue stesse ginocchia spostando tutto il suo peso su Dhebran conficcandola nel terreno.
Voltò il capo verso il suo braccio destro e vide la pelle lacerarsi sotto gli incessanti colpi dei suoi avversari. La carne bruciava rilasciando del fumo scuro, mentre poteva sentire chiaramente le ossa spezzarsi in più punti.
Sebbene fosse evidente la sua disfatta, Erenock non cambiò… non modificò il suo comportamento né la fredda espressione che si posava senza mai cedimento sul suo volto. Sembrava tutto perduto… finito lì vicino a quel fiume senza che nessuno potesse fare niente per lui.
Anche Dhebran lo abbandonò lasciando che cadesse sul terreno dinanzi a lei…. Gli Dèi e tutti gli altri non smisero di attaccarlo, volevano essere sicuri di finirlo lì in quel misero luogo isolato da qualsiasi civiltà.
Il sole che brillava maestoso fu improvvisamente oscurato da nubi cariche di pioggia… tuoni e fulmini comparvero a illuminare cielo e terra. Un fulmine, senza una ragione apparente, si scagliò proprio su di loro colpendo Dhebran.
La scarica elettrica attraversò l’arma che si sbarazzò dell’energia nel terreno raggiungendo Kashda e i suoi compari. Nello stesso istante comparve una tromba d’aria e il vento diventò più violento.
Erenock si ritrovò nell’occhio del ciclone e dinanzi a lui comparve l’angelo Raiziel che arrivò in suo soccorso…. Recuperata Dhebran e il suo proprietario, l’angelo spiccò il volo scomparendo all’interno delle nubi.
Il cielo ritornò nuovamente sereno e tutti loro non trovarono altro che delle piume bianche.
 
Sopra le candide nuvole era nascosto alla vista sia dei mortali, che degli immortali un luogo, dove si viveva in completa armonia.
Gli occhi ancora chiusi e pesanti, sembravano incollati da qualcosa di vischioso e trasparente eppure cercavano con insistenza e disperazione di aprirsi. Quando le palpebre si alzarono, i bulbi oculari videro un’intensa luce bianca.
Era tutto sfocato, confuso… fece forza sulle braccia sollevando il busto. A stento riusciva a vedere… i suoi occhi non si erano abituati a quella luce e li strofinò per alleviare il bruciore. Sembrò funzionare iniziando a vedere con precisione.
Si guardò intorno… la stanza in cui si trovava era rettangolare con pareti bianche quasi luminose. Il letto dove giaceva era del medesimo colore; tutto lì dentro era bianco e candido.
La luce del sole lo inondava attraverso i finestroni dinanzi a lui…. Si scoprì dalle lenzuola e si vide avvolto da stravaganti garze lattee che luccicavano. Il suo corpo ne era coperto per il novantacinque per cento e non curandosi del suo stato, si sollevò dal letto tentando di mettersi in piedi.
Barcollò per qualche secondo e fu capace a stabilizzare subito il suo equilibrio, ma dovette supportarsi di un sostegno per camminare e poter reggere tutto il peso del suo corpo.
«Dovreste rimanere a letto finché quelle bende non finiranno il loro compito.» lo bloccò Raiziel, mentre si avvicinava a lui.
«Dove mi trovo?» chiese lui seguendolo con lo sguardo fino a una sedia dove l’angelo si accomodò.
Raiziel ritirò le sue ali affinché non gli procurassero alcun fastidio e in seguito rispose alla sua domanda: «Non siete sulla Terra, se questo è quello che vi state chiedendo.».
«Allora illuminami… angelo.» usò il bastone per ritornare verso il letto sedendosi sul bordo e appoggiando l’asta contro la parete.
«A tempo debito saprete ogni cosa, per ora provate a riposare e a riacquistare le vostre forze… la battaglia contro i vostri rivali è solamente al principio.» si sollevò dalla sedia e si volse verso la soglia della porta senza aggiungere altro.
Erenock tentò di prestare attenzione al consiglio ricevuto… dolorante si distese poggiando la testa sui cuscini, mentre chiudeva gli occhi ancora troppo grevi.
Quando riaprì gli occhi, vide Raiziel in piedi accanto a lui che lo fissava. L’angelo non gli parlò ma lo aiutò ad alzarsi dal letto e a rivestirsi con i nuovi abiti.
Il corpo non gli doleva più così molto e Raiziel lo condusse fuori dall’alloggio per mostrargli dove si trovava. I suoi occhi fecero fatica ad abituarsi a quella luce accecante e l’angelo si consegnò degli occhiali con le lenti ovali e di un grigio chiaro.
Indossandoli, Erenock notò che i suoi occhi non gli bruciavano e poté camminare senza inciampare godendosi il panorama. Vide tanti pinnacoli, alte cupole sulla sommità delle torri e ponti, viadotti, cavalcavia e passerelle che li collegavano fra loro.
Ciò che catturò la sua attenzione erano gli angeli che svolazzavano nell’aria. Era un continuo via vai e ognuno si accingeva a compiere il proprio dovere.
Raiziel lo guidò in una zona, dove degli angeli coltivavano dei bellissimi fiori. Erenock interruppe il suo cammino osservando un tramonto viola che si appoggiava all’orizzonte basso punteggiato di alberi, alcuni piccoli e gialli, altri torreggianti, svettanti, appuntiti e verdi.
Le dolci colline innevate, tutte intorno, erano tinte di rosa. Qua e là cipressi e abeti che, come viandanti stanchi, erano immutati in un lunghissimo riposo. E, mentre riposavano, ascoltavano e apprendevano le voci degli angeli.
Scesero una lunga scalinata di pietra, dove ai lati si potevano osservare piccole e ampie aree dove crescevano svariati tipi di piante. Queste aiuole erano sovrapposte le une alle altre in modo tale da formare una scalinata naturale.
In fondo si trovava una piazza circolare non molto grande circondata dalle aiuole che ospitavano immense decorazioni floreali. Sebbene ci fosse, un’elevata profumazione non dava la nausea.
«Il luogo in cui ora vi trovate, fu stato creato per gli angeli che sono sopravvissuti. È stato chiamato Anjelia in onore dei fratelli e delle sorelle che sono trapassati.» l’angelo Raiziel gli comunicò piccole informazioni e si accomodò sul bordo di un muretto.
«In che punto dell’universo ci troviamo?» chiese Erenock sedendosi accanto a lui, ma in modo da poterlo guardare negli occhi.
«Sei più vicino alla Terra di quanto pensi.» Raiziel fu schivo, ma allo stesso tempo fu preciso nel rispondergli, «Io credo che non sia questo, quello che tu voglia davvero sapere. Allora mi chiedo cosa possa essere….» e così l’angelo lo fissò per vedere una reazione.
«Perspicace… sì c’è ben altro che m’interessa chiederti…. C’è una cosa che Albhozz non spiegò a Dranerre… perché degli angeli si rifugiarono sulla Terra ancora prima della scomparsa di Dio e antecedente alla battaglia fra Dèi e gli stessi angeli. Tu cosa sai dirmi in merito?» chiese Erenock, mentre osservava delle piume bianche cadere dal cielo.
Raiziel aveva compreso… l’angelo decise di tenersi sul vago sperando che il suo comportamento non irritasse il comandante: «Albhozz non le rispose perché non erano né il momento né il luogo per sapere.».
«Ora lo è?» esigette Erenock facendo una leggera smorfia di dolore, mentre si stringeva la spalla sinistra.
“Sì” la voce femminile si collegò a un volto familiare. Era Meelezza che proseguì nel racconto: «Dio sapeva cosa sarebbe accaduto se i suoi fratelli, gli Dèi, fossero comparsi nella vita dei mortali. Decise di inviare alcuni fra i più potenti e fidati angeli a vivere fra gli Uomini, nascondendoli alla vista di chiunque.».
«Ti riferisci ai padri e alle madri dei Difensori della Fede, vero?» chiese lui con espressione poco sorpresa lasciando che l’angelo continuasse a parlare.
Meelezza annuì.
«C’è ancora una cosa che vorrei sapere… ci sono altri angeli disperi nel mondo, non è così?» alla domanda Erenock voleva aggiungere altro, ma sapeva che non era ancora il momento.
Raiziel confermò con un cenno della testa e una specie di mugolio poi prese a specificare: «Quelli di noi che furono schiavizzati da Lucifero, ora sono liberi grazie a te e ai tuoi amici, invece gli angeli che si mescolarono fra i mortali, prima e dopo la dura battaglia, sono anch’essi liberi e alcuni in un altro senso.».
«Che cosa sapete dirmi sugli angeli imprigionati in corpi mortali e dispersi ai quattro angoli del mondo?» domandò il comandante dal tono incuriosito e dall’espressione di dolore che non accennava a smettere seppur cercasse di nasconderlo.
«Purtroppo di loro non sappiamo nulla, non abbiamo nessuna informazione sulla loro locazione dall’istante in cui sono scomparsi.» le informazioni date a Erenock da Raiziel rattristarono i due angeli e Meelezza decise di ritornare ai suoi doveri.
«Non ho altre domande da porti, per ora….» Erenock lo salutò e ritornò nella sua stanza accomodandosi sulla stessa sedia dove si era adagiato Raiziel.
Divaricò le gambe lasciandole stese mentre il suo capo fu sorretto dal braccio sinistro che poggiava sui braccioli e dalla mano aperta che nascondeva il suo volto. Prese a contemplare ciò che gli era accaduto… ciò che i suoi nemici fossero arrivati a fare, si erano uniti sotto un'unica “bandiera” per eliminarlo.
Dalla mano destra, lasciata lungo il bracciolo, uscì lentamente qualcosa di scuro che man mano prese forma di un serpente… si trattava di Urtec che si presentò a lui.
Gli strisciò lungo il braccio fermandosi sulla spalla e iniziò a parlare solo nel momento in cui Erenock si voltò verso di lui: «Non fermate il vostro pensiero su chi si è alleato contro di voi… oltrepassate la soglia della coscienza riguardo ai vostri nemici.».
Erenock alzò leggermente le labbra in una specie di sorriso e disse: «Ciò che affligge i miei pensieri è la colpevolezza dei miei errori passati che hanno portato i miei avversari a essere ciò che sono oggi.».
«Non dovete colpevolizzarvi di nulla, voi avete fatto solo ciò che ritenevate opportuno in una determinata situazione. La temporanea alleanza dei vostri nemici è dovuta alle loro decisioni e non delle vostre.» Urtec cercò in qualche modo di farlo ragionare, ma sapeva che le sue parole non bastavano.
«Perché mi hai lasciato solo?» la domanda del comandante venne come un rimprovero nei suoi confronti.
Il serpente, chinando il capo, rispose con il rammarico di aver deluso il suo signore: «Perdonatemi… il mio compito non era di restare fisicamente al vostro fianco, ma sono stato ugualmente presente.».
Erenock poggiò anche l’altro braccio sul bracciolo e la testa contro lo schienale della sedia per rilassare la sua mente: «Avevo bisogno di te più di quanto tu immagini, non c’eri eppure non sono né deluso né arrabbiato con te.».
Il serpente si spostò sul suo petto per girargli intorno al collo e posarsi sulla spalla sinistra e parlargli ancora: «Lasciate scivolare via il passato e spalancate le braccia al futuro che vi attende…. Qualcosa di molto importante sta per avvenire, qualcosa che nessuno dovrà sapere eccetto voi e chi la eseguirà.».
Lui si girò verso Urtec e con sguardo curioso chiese: «Di cosa si tratta? Spiegati meglio….».
Gli occhi di Urtec divennero verdi e subito dopo rispose: «Sono ritornata per informarti del grave pericolo che corre lo Scrigno dei Peccati. Le Sorelle Harwin sono sulle tracce dello scrigno e molto presto, lo troveranno. Tu devi anticiparle e nasconderlo… ciò che contiene non deve essere liberato, se cadesse nelle mani sbagliate e fosse aperto, il mondo sprofonderebbe nel caos più completo. Sai dell’aiuto di chi devi avvalerti.».
Erenock annuì e s’issò dalla sedia per cercare Raiziel. Chiese all’angelo di fargli un insignificante favore: riportarlo sulla Terra.
 
Si coprì con un vecchio mantello e si mise in cammino verso il palazzo di Nits’Irc attraversando l’enorme folla di gente che girava per le strade nonostante l’ora tarda.
In cielo, la luna faceva da padrona circondata dalle stelle, che la adoravano come una Dea. Il vento creava una romantica atmosfera con la sua lieve brezza e le voci confuse delle persone rendevano tutto frizzante.
Erenock fece in modo che nessuno potesse vederlo per raggiungere senza ostacoli la regina. Aveva quasi raggiunto la sala del trono quando qualcuno lo costrinse a nascondersi nell’ombra e ad ascoltare in silenzio.
Sei guardie circondavano una donna incappucciata che all’improvviso alzò la mano destra per fermarli e rivolgersi al soldato di sinistra: «Lasciatemi sola.».
Il soldato annuì e insieme ai suoi compagni si allontanò. Lei invece restò lì immobile proferendo le sue parole: «Perché voi siete restato sulla Terra?».
Entrati nella sala, Erenock cominciò a raccontarle ciò che sapeva e lei restò ad ascoltare in silenzio finché lui non avesse finito.
«Io vorrei aiutarvi, ma il mio dovere è restare qui con il mio popolo… mi dispiace deluderla comandante.» Ardhenya aveva espresso il suo parere con rammarico e salutandolo con un cenno della mano si allontanò da lui in silenzio.
«Ci sarebbe una soluzione al vostro problema maestà.» intervenne una strana voce per convincere la donna.
Lei si bloccò e ritornò indietro di qualche passo restando ad ascoltare. Dall’ombra del mantello uscì Urtec ma Erenock aggiunse qualcosa: «Non voglio costringerla a fare qualcosa che non vuole… lasci solo che Urtec le proponga una soluzione adeguata e se le converrà potrà accettare o no.».
Ardhenya acconsentì e il rettile iniziò sibilando: «Per non lasciare il vostro trono vuoto potreste avvalervi dell’aiuto di una Sentinelle di Sangue che vi sostituirà durante la vostra assenza.».
Sebbene la regina fosse incerta su quella soluzione, diede ai due la sua risposta: «Accetto di buon grado e spero che vogliate usufruire del nostro portale per chiamare una delle vostre amiche.».
«Urtec si riferiva ad altre Sentinelle di Sangue, sono fra le più fedeli della Suprema Imperatrice e a me ovviamente.» ciò che Erenock le aveva rivelato, la sorprese e lui se ne accorse soddisfatto.
«Credevo che non vi fossero altre Sentinelle di Sangue, uccise dai nostri padri per la paura che avevano del vostro potere. Ora sono stupita nel sapere che ce ne sono altre, ma allo stesso tempo felice che non siate rimasti soli.» un inchino col capo ed Erenock fece comparire Yanseou.
Dopo alcuni istanti, dallo specchio né uscì la Sentinelle di Sangue, una delle poche che non si unì all’esercito restando a guardia del Palazzo Ombrato.
Guardò Erenock e spostò subito lo sguardo verso la regina; s’inchinò a lei e si presentò: «Sentinella di Sangue Rooph Reeddle, guardia personale della Suprema Imperatrice. Sotto richiesta del Comandante Erenock sarò al vostro servizio finché non avrete portato a termine il vostro compito.». Si tirò su e attese che gli impartissero nuovi ordini.
Quella stessa notte i due montarono in sella e partirono lasciando la città. Senza il favore degli astri, si accamparono nel bosco a Sud-Est della capitale.
Erano riunito intorno al falò e mentre Ardhenya alimentava il fuoco, osservò il comandante togliersi le bende che fasciavano tutto il braccio sinistro, seduto su un tronco di fronte a lei.
Aveva una brutta ferita sulla spalla e altre lungo il braccio ancora aperte; si stavano rimarginando molto lentamente e avevano bisogno di essere medicate.
Si addentrò nel sottobosco ritornando al campo una ventina di minuti dopo. Si sedette e prese dalla borsa pestello e mortaio sminuzzando le erbe che lei aveva trovato. Aggiunse un po' d’acqua per amalgamare il tutto e diventò ben presto un composto omogeneo.
Lasciò il pestello accanto a lei e si avvicinò a Erenock sedendosi al suo fianco… prese con la mano destra il composto e cominciò a spalmarlo sulle ferite dell’uomo osservando le strane bende.
Finito, prese le bende e Ardhenya, si diresse verso un ruscello che aveva visto in precedenza. Impiegò meno tempo…. Aiutò il comandante a fasciarsi le ferite e poi entrambi si sdraiarono a riposare.
 
La luce e il calore del sole erano così intensi in alcuni momenti da provocare addirittura un’aria afosa. L’astro dorato continuava a spostarsi nella volta celeste e loro con lui percorrendo la strada che attraversava il bosco circondante la capitale.
Si era già fatto sera quando i due avevano da poco tempo varcato la soglia della Foresta Nera. Viaggiavano a un’andatura normale procedendo per quella strada verso l’ignota destinazione senza che nessuno dei due emettesse una sola parola.
Tutto a un tratto Ardhenya tirò verso di se le redini arrestandone il passo. Erenock che l’aveva preceduta si arrestò anch’egli voltandosi verso di lei. Vide lo sguardo assente e nelle sue pupille, contornate dalle iridi castane, lo scrigno protetto da creature che non riuscì a scorgere.
Ritornò al suo fianco aspettando che lei si risvegliasse da quell’ipnosi. Dopo un po’, Ardhenya si riprese recuperando le redini e procedendo; Erenock, però non distolse lo sguardo dalla donna e all’improvviso chiese: «Che cosa avete visto?».
Ardhenya rispose meravigliata alla domanda che non si aspettava arrivare: «So, dove si trova.».
Kashda nel frattempo era intenta ad allenarsi con la sua spada. Moorgan le faceva da avversario nei duelli, invece Ylloon la osservava semplicemente per tener d’occhio il suo progresso nel controllare Tagha.
Anche se era Kashda a possedere Tagha, essa rispondeva solamente al suo proprietario…. In quell’istante la spada rilasciò un’intensa fonte di energia che bruciò il guanto e la mano. Gettò l’arma e si tenne in equilibrio.
Kashda si guardò la mano ustionata tenendosi il polso con l’altra. La spada però all’avvicinarsi della strega vibrò e il rubino conficcato nella testa del corvo s’illuminò mostrando le immagini di uno strano specchio e il luogo ove trovarlo.
Il loro cercare continuo fra mappe e carte varie li portò a una svolta… individuarono il posto nelle vicinanze di Goneal, un villaggio a Sud-Ovest della Catena Montuosa degli Spiriti di Blyhank. Era circondato da un bosco e aveva due sole strade, una di queste si apriva sulla scogliera a Nord-Ovest.
Usando un portale Diafarà ritrovandosi alle rovine di una fattoria; dedussero che fosse andata a fuoco per via delle pietre e mura annerite dal fumo. Moorgan e Kashda ispezionarono una zona e lei capì di essere vicina quando la spada vibrò.
Attraversò l’arcata di una porta e iniziò a spostare i detriti ancora presenti. Lei si sporcò di fuliggine mani e gambe, ma alla fine tutto lo sforzo fu premiato dall’oggetto della loro ricerca.
Con quanta forza aveva gettò a terra una pesante trave trovando una coperta annerita e impolverata; la gettò in un angolo scoprendo una lastra rettangolare. Sorrise e chiamò Moorgan a gran voce.
Lui la raggiunse in men che non si dica e le diede una mano a tirare lo specchio fuori da un buco dove era incastrato. Impiegarono una ventina di minuti dopo di che lo portarono fuori dalle rovine.
Ripulito per bene, i due lo portarono a Ylloon…. Lo specchio era una lastra ovale fissata a una base di legno, ancora intatta, con intagli che raffiguravano figure femminili danzanti. E per mantenerlo ulteriormente saldo erano stati utilizzati, ai lati, dei sostegni in metallo.
Moorgan sistemò lo specchio nel tempio adagiandolo di fronte alla stanza segreta. Seppur all’apparenza sembrasse comune, l’oggetto era un passaggio su altre dimensioni.
Circondando il Reantha, Ylloon recitò un incantesimo:
I miei figli, liberare noi dobbiamo
e in quest'ora l’energia richiamo.
Perché da chiave possa aprire
lo specchio come porta deve servire.
La superficie riflettente s’illuminò e richiamò a sé l’energia custodita nel Reantha. Durò tutto cinque minuti, ma non bastò affinché l’operazione si completasse.
L’incantesimo non funzionò e stufa della situazione, Kashda utilizzò Tagha caricandola di energia e immergendola nel Reantha.
Il liquido ribollì e ciò che li circondava tremò, mentre lo specchio emanò un’intensa luce susseguendo una brezza fredda che provocò in ognuno la pelle d’oca.
Tutto si fermò… il silenzio scese su di loro quando si udirono dei forti colpi provenire dall’altra parte dello specchio. Come i sassi smuovono l’acqua, così qualcosa smuoveva lo specchio.
Un dito uscì dallo specchio seguito dalle altre appendici della mano e dal resto del corpo. Il primo volto fu di Gundardh: aveva occhi e capelli castani su un viso rotondo e dalla capigliatura corta. Le sopracciglia folte, il naso aquilino – ereditato da Moorgan - il doppio mento e la leggera barba, completavano il tutto. La sua muscolatura media non deturpava il viso nonostante fosse alto un metro e settantanove.
Il grigio scuro dei suoi indumenti si confondeva con quello dello specchio. Fu seguito da Vharanyus, il minore, diverso dal fratello solo per la corporatura leggermente più muscolosa.
Horazz notò una cicatrice a destra del collo, semi nascosta dai suoi indumenti, rigorosamente di colore blu scuro. Si guardò intorno e dallo specchio uscì sua sorella Afìrash.
Lei era una donna bellissima e molto intelligente, furba e agile. La sua altezza era all’incirca un metro e settanta e la slanciavano le sue lunghe e sottili gambe. Portava i suoi lunghi e ricci capelli biondi sciolti che le cadevano sulle spalle a contornare i suoi occhi d’ambra.
Afìrash cercò di capire se qualcosa fosse cambiato dalla loro assenza, ma nulla le sembrò diverso. I suoi occhi si fermarono su Kashda e la stessa fissò il viso rotondo con le orecchie  un po’ a punta e le labbra sottili che le davano un’aria infida ancor peggiore della madre. E al contrario di Ylloon, lei aveva un seno più abbondante e la pelle più delicata.
Libera anche Afìrash, ora aspettavano solo che uscisse Vincent, ma dopo un’estenuante attesa capirono che non sarebbe stato libero per adesso.
Ylloon stava riabbracciando i suoi figli dopo lungo tempo… li ricordava esattamente in quel modo, non erano invecchiati di un solo giorno.
Erano felici che almeno loro tre fossero liberi dall’assurda prigione dell’Oblio Eterno e nessuno prestò attenzione alla spada immersa nel Reantha.
Kashda spostò il suo sguardo su Tagha diventata incandescente e il Reantha muoversi quasi a volersi staccare dal pavimento. Corse cercando di afferrare l’elsa di Tagha, ma nel preciso istante in cui sfiorò l’impugnatura, lei dovette ritrarla, portandosela contro il ventre.
Gundardh decise di scagliare contro Tagha una sfera di energia sperando che finisse fuori dal Reantha. La sfera però fu assorbita dall’arma provocando un nuovo squilibrio….
Kashda improvvisamente ebbe un lampo di genio e creò seduta stante un suo alterego, che al suo posto brandì la spada estraendola dal Reantha.
Faticò per estrarla, ma quando alla fine ci riuscì, perse l’equilibrio e cadde all’indietro lasciandosi sfuggire dalle mani la spada, che finì ai piedi di Afìrash, mentre roteava su se stessa.
La donna, non conoscendo nulla sull’arma, si chinò per raccoglierla, ma fu bloccata dalla madre, che le agguantò il polso impedendole di afferrare Tagha e morire.
Intanto l’alterego del demone scomparve e lei recuperò Tagha nello stesso istante in cui lo specchio si sciolse riversandosi sul pavimento alle loro spalle.
La conclusione era che Ylloon la strega aveva riavuto solamente tre dei suoi figli, ma anche questo era un risultato non da poco. Ora che erano ritornati, Ylloon si sentì più forte e i problemi di Horazz avevano inizio.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Uno sguardo sul futuro ***


Trentasettesimo capitolo
 
Uno sguardo sul futuro
 
 
 
 
Erenock e Ardhenya intanto erano giunti sulle sponde del Lago della Disperazione in cerca di un indizio che li conducesse allo scrigno. All'improvviso lei si accasciò al suolo stringendosi la testa fra le mani, lamentandosi di forti dolori che le martellavano il cranio.
 Erenock la portò vicino a un albero e sebbene lui fosse molto potente, quella sofferenza, non poteva essere evitata in nessun modo. In quel dolore, la regina vide di nuovo lo scrigno adagiato su un piedistallo immerso nell’oscurità.
Così com'era arrivata la sofferenza scomparve…. Si alzò facendo un immenso respiro e indicò il lago…. Avvicinatosi alla riva, Erenock poggiò il palmo della sua mano sul pelo dell’acqua scandagliando il fondale.
«Che cosa avete scoperto comandante?» gli domandò con l’aria incuriosita, più di una bambina che di una donna.
Erenock si tirò su e con la solita aria seria le rispose: «Sul fondale del lago c’è un’apertura di almeno cinque metri di diametro, ma ci sarà da nuotare molto… voi ce la farete?».
Ardhenya deglutì, non amava né l’oceano né i laghi sebbene lei sapesse nuotare alla perfezione, così rispose d’istinto: «Io so nuotare benissimo, ma….» s’interruppe di colpo senza poi voler continuare la conversazione.
Il comandante emise degli strani mugolii e disse: «Usi i suoi poteri… la custode dello scrigno sa mutare forma.».
I due si tuffarono e mutarono la loro forma. Le gambe divennero una lunga coda con una pinna frastagliata e dalle squame azzurre. Anche svariate ciocche, si colorarono di quel colore, mentre i suoi occhi divennero chiari come diamanti. Le unghie delle mani si allungarono irrobustendosi, mentre lungo i fianchi crebbero piccole pinne.
Entrarono nella voragine inoltrandosi in un prolungato tunnel di pietra e piante acquatiche che si protendevano verso di loro per intrappolarli. Usciti dalla galleria, i due si trovarono di faccia una parete rocciosa che risalirono.
S’imbatterono immediatamente in un branco di squali che si lanciarono affamati contro di loro. Nuotarono verso l’alto e uscirono dall’acqua prima che fossero divorati.
«Come possono degli squali vivere in acqua dolce?» chiese Ardhenya terrorizzata da quelle bestie che li avevano minacciati con i denti aguzzi.
«Il velo che li circonda contiene acqua di mare che grazie a un incantesimo non si esaurisce mai.» le rispose lui mentre alle loro spalle si aprì un passaggio.
Oltrepassato il corridoio, entrarono in una sala circolare, dove nel mezzo si trovava il piedistallo. Ardhenya avanzò, ma Erenock la fermò nel preciso istante in cui le Sorelle Harwin spuntarono dall’ombra.
«Un po’ in ritardo, non trova Comandante Erenock?» gli domandò con un filo di sarcasmo Vurgana.
Erenock fece una specie di sorriso e le rispose con una certa cattiveria: «Non sono mai in ritardo e non mi dispiacerà staccarvi la testa una volta preso lo scrigno.».
Al termine della frase le Sorelle Harwin si aspettavano un attacco immediato da parte sua, cosa che non avvenne.
Le Metistie, però, avevano un aspetto negativo: quando si arrabbiavano e perdevano il controllo si trasformavano in creature orrende, con la testa di lucertola e delle ali squamose che rilasciavano un liquido quasi denso e lievemente velenoso… in più potevano lanciare minuscole palle di fuoco dalle dita che potevano infiammare persino l’acqua.
Jokra e Kolena ne approfittarono e scagliarono le minuscole palle di fuoco che diventavano più grandi man mano che si avvicinavano ai due.
Ardhenya però si collocò dinanzi al comandante alzando le mani e creando il campo invisibile. Lei sapeva bene che la barriera non avrebbe retto a lungo e si rivolse a lui: «Se voi sosterrete la barriera, io potrò tenerle occupate per un po’.».
Erenock annuì e il campo invisibile divenne un muro riflettente. La regina invece notò che il tronco del piedistallo era costituito da tre statue femminili inginocchiate con le braccia rivolte verso l’alto a sorreggere lo scrigno.
Ardhenya pensò alle statue muoversi e si animarono… scricchiolarono rilassando ogni arte del corpo, addormentato fin dalla loro realizzazione. S’issarono e deposero lo scrigno a terra.
Un ordine della regina e le tre statue si lanciarono sulle Sorelle Harwin coprendone il volto. Erenock lasciò crollare il muro e Ardhenya si lanciò verso lo scrigno prendendolo.
Vurgana intanto liberatosi della statua si diresse verso Ardhenya e lo scrigno, mentre Erenock le parò la strada avvolgendola con i Krimin.
Ritornarono in superficie il più in fretta possibile e, montato in sella si allontanarono dalla Foresta Nera. Apparvero all’istante le Harwin che li attaccarono senza esclusioni di colpi.
Li indirizzarono verso Sud, dove si trovava un fiume che si gettava dalla scogliera finendo nella Baia delle sirene Ospylas. Vurgana scagliò un dardo di ghiaccio contro il cavallo della regina uccidendolo.
Caddero entrambi a terra e Ardhenya perse lo scrigno che finì nell’acqua. La regina si mise in piedi e cercò di raggiungere il fiume ma Vurgana glielo impedì infiammando la superficie.
Lo scrigno era perduto, ma per fortuna era finito nelle mani di quelle “arpie”. Arrabbiate e disgustate se ne andarono….
Erenock raggiunse Ardhenya a un paio di metri dalla riva confortandola: «Non disperate… dopotutto non si trova nelle mani delle Metistie. Il mio dovere sulla Terra è per il momento finito.». Lo sciame di Krimin lo avvolse e lui scomparve.
La notizia del fallimento giunse alle orecchie di Ylloon più veloce della luce. La strega non era del tutto delusa, giacché lo scrigno non era finito nemmeno nelle mani di Erenock.
Di colpo nell’aria si udì il gracchiare di Lokim che dal punto più alto del trono si agitava confuso. Ylloon si avvicinò con passo svelto e fermandosi a qualche piede di distanza alzò lo sguardo verso di lui pronunciandosi: «Lokim… cosa ti accade?».
L’animale continuò ad agitarsi e le piume che lui perdeva, si radunarono nel mezzo della sala mostrando il volto sgranato di Vincent e la caduta della stessa famiglia Gavoth, senza un sovrano che regnasse sul Continente dell’Ombra.
Tutto terminò in brevi battiti d’ali e Lokim ritornò sereno ma Ylloon concentrò l’attenzione dei partecipi su di sé parlando: «I presenti hanno visto e Gundardh regnerà su Aregiak per mantenere in piedi la nostra famiglia.».
Qualche ora dopo, Gundardh era seduto sul trono con la corona in testa. Brillava…. Era suddivisa in varie parti: tre sottili fasce d'oro si distanziavano fra loro di pochi millimetri. Ogni fascia presentava degli anelli d'argento alla stessa distanza l'uno dall'altro. Sulla fronte si trovava una piastra ovale, dove c’era incastonato un diamante di colore viola. Sul retro c’era solo la piastra con l’incisione dell’emblema della famiglia.
Intorno al nuovo re la corte reale e le persone importati del Continente dell’Ombra si erano riunite a festeggiarlo…. Per il ritorno di Vincent sarebbe passato del tempo… in cui la sua famiglia avrebbe riavuto le redini e il potere sulle altre popolazioni… in primis Nits’Irc.
Tutti si erano convinti che Erenock fosse partito per il suo nuovo pianeta, ma egli invece era rimasto sulla Terra; qualcosa lo tratteneva e lo scoprì quando si presentò a lui l’angelo Raiziel.
Ritrasse le ali e avanzò deciso, mentre Erenock gli andò incontro ponendogli la domanda: «Cosa ti porta nuovamente sulla Terra?».
Raiziel si fermò nello stesso momento in cui lo fece Erenock e rispose: «La stessa cosa che ha portato voi e restare.».
Di nuovo silenzio, ma questa volta fra loro a parlare ancora fu Erenock con espressione sorpresa: «Ritengo che il tuo ritorno fra i mortali non porti qualcosa di buono.».
«Questo starà solo a voi giudicare….» Raiziel gli porse la mano e scomparvero avvolti dalle sue ali.
Raiziel scortò Erenock alla Fonte della Verità e li arrestarono il cammino ammirando la bellissima e imponente cascata che sovrastava un lago. Subito dall’acqua ne uscì una figura femminile che avanzò verso i due.
Si fermò a un metro dal bordo rivolgendosi a Erenock: «Io sono la Fonte della Verità… la Fonte del Legame…. Io sono la fonte di tutto e di niente. Conosco le domande che si formulano nella vostra mente e risponderò a ognuna di essa se davvero lo vorrete.».
«Se tutto e niente voi conoscete, perché io sono qui?» le domandò lui sapendo che quello che avrebbe scoperto non sarebbero state buone notizie.
«Per conoscere alcuni frammenti del futuro di tutti.» la risposta della fonte non parve piacere a Erenock e lei tentò di trattenerlo accendendo il suo lato più curioso, «So bene che non amate affidarvi alle visioni del futuro, ma sono certa che quello che vi mostrerò vi porterà su altre strade, diverse da quelle che avevate deciso di percorrere.».
E come la fonte aveva previsto, Erenock decise di saziare la sua curiosità restando a vedere: «Allora mostratemi ciò che dovete.».
«Guardate in me e vedrete ciò che dovrete sapere per evitare il peggio.» la fonte retrocesse e nel muro d’acqua che si sollevò dinanzi a loro, le immagini del futuro fecero la loro comparsa chiare come dei ricordi recenti.
I vizi capitali finire nelle mani di Ylloon….
Il ritorno di Vincent dall’Oblio Eterno….
Soem morire con suo figlio ancora nel grembo….
L’Entajreen distrutto….
Albhozz perduto per sempre….
La Congregazione della Luce annientata….
La magia posseduta solo dal Male….
Cepharjnne sottomessa agli Dèi….
La “Serpe” vincere su tutto….
Il mondo cadere nelle Tenebre….
Ora la freddezza che sempre aveva accompagnato Erenock lungo la sua strada l’aveva abbandonato, lasciando solo vuoto e desolazione.
Erenock si sentì soffocare da quelle immagini e non riuscendo più a reggere il peso che si portava sulle spalle da un’eternità, crollò sulle sue ginocchia.
Tanto era il peso che gravava su di lui che quasi sprofondò nel terreno. Lui si guardò le mani e sembravano sporche del sangue di molti.
Non riuscì a respirare, gli mancava l’aria…. Tutto ciò che aveva visto del futuro, vanificava le azioni compiute fino a quel momento.
Tutto perduto….
La fonte gli andò incontro e prendendogli il volto fra le mani, lo guardò negli occhi e gli parlò con dolcezza: «Abbandonate ciò che eravate e abbracciate ciò che potrete essere… solo così tutto vi sembrerà più facile.».
La fatica a respirare era tanta da non permettergli nemmeno di pronunciare una sola sillaba. La mano dell’angelo sulla sua spalla sinistra però gli conferì la forza necessaria a porre una sola domanda: «Per cosa… per continuare su questo stesso sentiero e vedere poi vanificati i miei tanti sforzi?».
«No, comandante… vi sembrerà più facile cambiare il futuro che avete visto, secondo quello che doveva essere fin dall’inizio di questa infinita quanto assurda guerra fra le due forze.» la fonte la lasciò e per Erenock furono ancora più pesanti le azioni già compiute.
Le immagini sul futuro si alternavano nella sua mente alla velocità della luce che alla fine gli occhi gonfi strariparono di lacrime.
Il suo cuore cominciò ad aumentare i battiti e potentissime vibrazioni si sprigionarono da lui catapultandolo in una terra sconosciuta del nuovo mondo.
Essa si chiamava Shabian, la terra dei Sabiani. Era una terra fatta solo da montagne innevate e caverne sotterranee.
Anche se incosciente, Erenock riuscì a vedere ciò che lo circondava: un nuovo mondo all’interno delle montagne, pieno di draghi Sabiani che volavano dappertutto.
Attraversò alcune lastre ghiacciate per giungere in un altro luogo, buio e ricoperto dalla nebbia. Migliaia di torri si stanziavano all’orizzonte che sprofondavano nel mare sottostante e si stagliavano nel cielo.
Sulla sommità le stanze dei draghi rendevano il luogo meno selvaggio. Le dimore a base circolare erano circondate da bellissime colonne sostenevano una cupola di vetro ricoperta dalla vegetazione per aumentare l’ossigeno alle elevate altitudini.
Entrò nella torre più grande atterrando davanti a un drago Sabiano di nome Growoon, il più anziano. Giaceva su comodi cuscini di piuma ormai nei suoi ultimi attimi di vita con la sua famiglia.
Erenock si avvicinò, ma fu bloccato da alcuni giovani draghi, fermati a loro volta dal padre con un ruggito. Growoon ansimando si rivolse al comandante: «Credevo che voi non sareste mai più ritornato qui da noi.».
«Molteplici circostanze mi hanno condotto lontano dalla mia casa… ne faccio ritorno perché un figlio mio sta morendo.» disse Erenock inchinandosi al cospetto di una grande creatura.
Growoon respirava a fatica ed era stanco… i colori sgargianti del suo corpo ora erano pallidi e sbiaditi dal velo della morte che incombeva su di lui.
«Vuoi salva la vita?» gli chiese Erenock guardando quegli occhi ormai spenti.
«Non dovete salvarmi la vita, ma creare da me un nuovo drago che continui la specie.» rispose Growoon mentre le palpebre si facevano sempre più pesanti.
«E se la tua specie fosse destinata a perire, tu cosa faresti?» gli chiese lui sentendosi gli occhi di tutti loro puntati contro.
«Farei in modo che la mia morte serva a scopi più alti.» rispose il drago cercando di sollevare la testa con enorme fatica.
“Sei una parte di me… tieni alto il mio nome… un giorno noi ci riuniremo… per l’eternità”. Quelle strane parole che lui solo udì gli sollevarono il morale e lo alleggerirono di una parte del peso che portava sulle spalle.
Un anello di fuoco si estese dalle pupille per ritornare indietro e occupare le iridi. Il rosso dei suoi occhi brillò così intensamente che il cuore del drago si accese dentro di lui.
Pulsava forte e veloce….
Le corna a spirale si allungarono raggiungendo i due metri e mezzo… le squame a stella divennero ellissi dorati con sfumature argentate che risaltavano di più sotto i raggi del sole.
Un ruggito di dolore si sprigionò dal drago… nessuno potette aiutarlo. Qualunque cosa il drago volesse per la sua specie significava dolore e sacrificio.
Il bianco s’insinuò nei suoi occhi sovrastando tutto, mentre il nero delle pupille prese forma verticale. A proteggere i suoi occhi comparve una membrana più resistente della precedente.
Growoon si mise in piedi sulle possenti zampe che s’irrobustirono mostrando la lingua biforcuta più lunga. Gli artigli si accorciarono, ma divennero più affilati e in grado di penetrare anche il metallo.
Lui si guardò intorno osservando i figli presenti fermi alle spalle del Comandante Erenock col capo chinato in rispetto alla nuova razza che il loro padre stava diventando.
Growoon mutò ancora….
La coda a foglia divenne più frastagliata e tagliente, in grado di muoversi più velocemente anche nell’acqua. Sul muso comparve un lungo corno e infine intorno al collo un anello di fuoco formò una fascia che gli consentì di sputare fuoco e lava.
«Poteva creare un nuovo drago da me e invece hai creato una nuova razza con me… devo il mio onore, la mia vita e la mia assoluta fedeltà a voi Comandante Erenock.» e Growoon allungò il capo verso di lui mantenendolo chinato.
Anche Erenock chinò il capo e rialzandolo si ritrovò dinanzi al lago della fonte. Era temporaneamente confuso e poco a poco tutto tornò alla normalità.
Issò le sue membra dal terreno e fissò l’acqua del lago; in esso rivide frammenti del futuro che sarebbe avvenuto se lui avesse proseguito sui suoi passi.
«Come posso cambiare il mio cammino se ora mi sembra tutto perduto?» domandò lui con sguardo stanco e deluso.
«Niente è perduto… tutto è ancora da compiersi.» intervenne Raiziel rassicurandolo con una pacca sulla spalla.
«Guardate in voi, comandante, e focalizzate il sentiero giusto da percorrere.» la fonte gli fece segno di seguirla nel mezzo del lago e lui obbedì senza esitazione.
Passo dopo passo sulla superficie dell’acqua, il comandante raggiunse il centro del lago, dove chiuse gli occhi per abbandonarsi a se stesso.
Il buio prese il sopravvento…. Improvvisamente comparvero le sorelle Harwin che tenevano fra le mani lo Scrigno dei Peccati. Le vide consegnare il manufatto a Ylloon perché si impossessasse del contenuto.
Il resto susseguì come una tempesta….
L’immagine della Serpe lo fece sussultare e rattristare…. In tutto quel caos non riusciva a vedere il nuovo sentiero da dover percorrere e sprofondò nell’oblio.
Si accasciò al suolo mantenendosi la testa fra le mani, mentre i suoi occhi strariparono di lacrime.
La corazza che lui aveva, da un’eternità, portato addosso, si era spaccata lasciando scoperto il suo lato umano. Mostrò allora tutta la sua fragilità.
Aveva aiutato infinite persone e altri non chiedendo mai nulla in cambio… ora, giunto alla sua disfatta, si vide abbandonato da tutti come lo era l’umanità da parte di Dio.
Un nodo alla gola gli impediva di respirare, ma qualcos’altro gli aveva reso impossibile vivere: il suo dovere verso la donna che aveva sacrificato se stessa per tutto.
Era immobile, non un muscolo, seppur il più piccolo, si muovesse. “Siamo qui… per te” quelle parole riecheggiarono intorno a lui come un’incitazione.
Dinanzi a lui comparve lei… Dranerre. Non lo stava giudicando, lo comprendeva. «Alzati, perché non sei un misero mortale.» la sua voce aveva un tono rude, ma allo stesso tempo era gentile.
Non furono le parole, ma quel suono che lo incitò ad alzarsi… le mani presero a tremare, ma lui era ancora li fermo. «Ritorna a essere il comandante che conoscevo.» altre parole, ma pronunciate da Gomèra che apparve alle sue spalle.
Alla sinistra di Dranerre, una terza figura si pronunciò… era la Donna Velata: «Non fare il gioco dei tuoi nemici. Non dare loro una vittoria non giusta.».
Alla destra di Gomèra fece la sua comparsa Irieaga che gli lasciò le sue parole: «Ricorda i suoi sacrifici… rammenta quali sono i tuoi doveri.».
Erenock alzò di pochi centimetri la testa cercando di voltarsi a guardarle, ma i suoi occhi erano sbarrati dalla delusione frustrazione che si era accumulata.
«Vuoi davvero lasciare i mondi nelle mani di coloro che si sono venduti al Male?» quella domanda pronunciata da Horolla che comparve alla destra di Dranerre riportò alla mente del comandante il Luogo Proibito.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma nulla uscì. Altre parole pronunciate da Neloce, che si presentò alla sinistra di Gomèra, lo aiutarono a riprendersi: «Non sarai giudicato per i tuoi errori, ma per il tuo ritiro in questa battaglia, come un codardo.».
Questa volta Erenock riusciva bene a distinguere i frammenti che erano apparsi intorno a lui e tentò di drizzare il busto per cercare di parlare: «Perché siete qui?».
«Tu hai da sempre aiutato tutte noi è ora di ricambiare il favore.» e così parlò il frammento “senza nome” che occupò il posto alla sinistra della Donna Velata.
«Ora saremo noi ad aiutare te in questo difficile cammino.» finì di parlare il secondo “senza nome” sbucato alla sinistra di Neloce.
«Rammenti quale fu la tua promessa?» gli chiese la Dama Solitaria manifestatasi alla destra di Irieaga.
«Ho fatto molte promesse che ho mantenuto.» le rispose Erenock stringendosi le mani al petto.
«Una però l’hai dimenticata, comandante. Rammentala.» proferì Yllojlle fattasi vedere alla destra di Horolla.
«La mia mente è offuscata adesso.» questa volta Erenock riuscì a voltarsi verso di loro e a guardarle in faccia.
«La promessa che è stata fatta a Dio.» rispose Isabelle materializzatasi alla destra di Yllojlle.
«Non ho fatto io quella promessa. Il peso non può ricadere tutto su di me.» disse Erenock voltando il capo verso di lei.
«Tu ne sei in parte responsabile.» intervenne Soeshna comparsa alla destra della Dama Solitaria.
«Come tutte voi, non dimenticatelo.» Erenock le ricordò che anche loro erano coinvolte quanto lui in quella promessa.
«Noi, la rammentiamo continuamente dall’istante in cui è stata fatta.» asserì Bjelle materializzatasi fra Isabelle e il secondo frammento “senza nome”.
«Chi l’ha dimenticata sei tu… in questo momento.» s’intromise Lorween apparsa fra il primo frammento “senza nome” e Soeshna.
Tutti i frammenti erano ora presenti intorno al comandante, circondandolo per dargli manforte e per rievocare alla sua mente molti dei suoi gesti, falliti o no che fossero.
Erenock si era ripreso, ma ancora si sentiva schiacciato dai suoi sforzi che ora potevano essere vani. Si cinse il busto con le sue braccia e si chinò ancora in avanti.
“Alzati” gli gridò Dranerre.
Le sue urla gli rimbombarono nella testa come l’eco fra le montagne, ma non ebbero l’effetto sperato. Dranerre guardò le altre e a un cenno del capo tutte lo incitarono.
Alzati.
In piedi.
Solleva il tuo corpo.
Mostra la grandezza di cui tutti erano fieri.
Quelle parole… quelle incitazioni lo stavano distruggendo. Per lui erano come rovi che s’insinuavano nella carne lacerandone anche i muscoli.
Lui chiedeva solo pace e non più combattere inutilmente.
Alzò gli occhi per cercare di guardarle e chiedere loro di fermarsi, ma l’unica cosa che riuscì a vedere era Lorween che, al contrario delle altre, stava in silenzio.
Lei lo fissava senza distogliere lo sguardo….
«Perché tu non le imiti?» le chiese Erenock tenendosi la testa fra le mani mentre si dondolava.
«Non ne ho voglia.» le rispose semplicemente.
«Irieaga dovrebbe essermi contro, lei era il suo lato peggiore.» le asserì indicandole il frammento alle sue spalle, «Invece lo sei tu.» non solo il suo tono era disperato, lo era diventato anche lui.
«Io non sono contro di te, ma cerco solo di aiutarti a trovare il nuovo cammino che dovrai percorrere e non da solo questa volta. Noi tutte saremo con te, se lo vorrai.» Lorween fu sincera con lui e nonostante lei fosse l’unica a mostrare un’espressione sempre fredda come Erenock, ora sembrava gentile verso l’uomo possente che era un tempo.
«Tutte noi siamo una parte di un unico grande essere che sta aspettando solo il momento giusto per nascere, ma serve il tuo aiuto, altrimenti hai già visto cosa accadrà.» a parlare questa volta fu Soeshna che al termine della frase, le immagini del futuro comparvero alle spalle dei frammenti.
Ogni frammento arrestò il suo incitamento e si riunirono in un unico corpo, davanti al comandante. L’ultimo a rientrare fu Bjelle che si pronunciò: «Cerca nel profondo del tuo Io ciò che realmente dovrai essere.».
Il bianco delle sclere s’impadronì delle iridi e delle pupille oltrepassando gli occhi e impossessandosi delle vene del suo corpo. Viaggio attraverso il tempo e lo spazio superando la velocità della luce solo per trovare una donna.
Gli occhi di Erenock si spalancarono nel vederla…. Aveva un volto delicato dai lineamenti leggeri e morbidi. Dal viso si poteva notare la pelle liscia come la seta ed esangue e gli occhi fini di un blu acceso facevano risaltare il volto ovale… tutto era completato dalle sottili sopracciglia, il naso piccolo e, le labbra leggermente carnose e rosee.
Tutto ciò che aveva provato fino a quel momento, scomparve alla vista di quella donna aiutare gli Dèi. Al fianco del comandante giunse Lorween che gli parlò: «Questo è il motivo perché non devi arrenderti.».
«Come può lei fare una cosa simile?» chiese Erenock furioso, mentre le mascelle si serrarono.
«Noi siamo qui per aiutarti a fermarla, ma tu devi rialzarti e combattere di nuovo, non per noi, non per te, ma per il futuro dei popoli.» Lorween gli pose una mano sulla spalla e fu allora che ritornò indietro dai frammenti.
Uno per volta, i frammenti composero la frase che lo avrebbero aiutato a risvegliarsi dall’oblio: «Prendi la nostra mano e camminiamo insieme sul nuovo sentiero che ci aiuterà a cambiare il futuro.».
Erenock la afferrò e si tirò su, mentre l’oscurità che lo circondava fu sostituita dalla luce e dall’unico sentiero che lui doveva percorrere per aggiustare il futuro che la fonte gli aveva mostrato.
La cascata e il lago tornarono a inebriare i suoi occhi e guardandosi brevemente intorno, si diresse verso il terreno raggiungendo l’angelo.
«Avete impiegato poco tempo a trovare il nuovo sentiero.» sostenne Raiziel dando il bentornato al comandante.
Erenock era stupito, dalle parole dell’angelo intuì che il tempo era stato breve ad Anjelia, mentre nel qualsiasi luogo in cui era stato, sembrò trascorrere un’eternità.
«Non è cambiato il futuro, anche se voi avete scelto il nuovo, tutto sarà ancora da decidere.» intervenne la fonte avvicinandosi a loro.
Erenock voltando il capo verso la fonte iniziò a parlare: «Le scelte che faremo da questo preciso istante influenzeranno il futuro dei due mondi, per questo dovremo combattere e sostenerci a vicenda per superare gli ostacoli che ci si presenteranno davanti.». I suoi occhi incrociarono quelli di Raiziel e confermò il suo aiuto con un cenno del capo.
Erenock guardò la cascata e con un gesto della mano convogliò l’acqua del lago a un paio di metri dalla sua superficie; si creò una sfera che ghiacciò dall’interno fino alla sua base.
La fonte ebbe paura che il ghiaccio si propagasse anche per il lago e la cascata e si avvicinò ai due, proprio quando il ghiaccio si arrestò; lei fu sollevata.
La fonte girò intorno all’oggetto e si rivolse al comandante: «Perché la sfera di ghiaccio?».
«Credevo che tu sapessi sempre tutto?» le chiese Erenock aggiungendo una punta d’ironia.
Lei si avvicinò a loro velocemente e si fermò di fronte a entrambi rispondendo alla domanda con un sorriso: «Tutto e niente, io conosco, ma non è divertente… non credi?».
Erenock alzò il braccio destro e indicando l’oggetto sul lago disse: «La sfera si esaurirà quando il futuro che abbiamo visto starà per arrivare, allora capiremo se i miei passi sono cambiati oppure no.»
«La sorveglieremo.» asserì la fonte retrocedendo nel lago.
«Siamo, solo all’inizio….» le ultime di Erenock prima che si ritirasse sul nuovo pianeta.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3764592