Solo

di Fisico92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lift Off ***
Capitolo 2: *** Flare ***
Capitolo 3: *** Solo ***
Capitolo 4: *** Hybris ***



Capitolo 1
*** Lift Off ***


"Qui navetta cargo Moontrip-47 Bravo, confermo operatività di tutti i sistemi, attendo conferma per la partenza."

"Qui comando B-A-C-C, confermiamo la partenza, countdown da ora a partire da trenta secondi."
 

Ricevuta la conferma Ljunbo prese un bel respiro e cercò, come sempre, di non pensare a nulla. Era la decima volta che partiva per raggiungere l'avamposto umano sulla luna, le altre nove era andato tutto liscio e non c'era motivo, questa volta, per poter pensare che ci sarebbero stati problemi.

Il conto alla rovescia raggiunse velocemente i numeri più bassi, i bracci laterali si distaccarono, svincolando la navicella e al contempo i booster si accesero. Subito l'improvvisa spinta verticale fece staccare la nave dal suolo. Ljunbo doveva solo continuare a non pensare a nulla, tutto il sistema era automatizzato, e quanto doveva avvenire sarebbe avvenuto molto rapidamente.

La nave, con ancora annesso il razzo del blocco centrale cominciò a inclinarsi, per incominciare a descrivere fin da ora l'orbita che l'avrebbe portata sulla luna. Ljunbo si concentrò, tanto per fissare un punto, sul misuratore della quota che segnava tredici chilometri di altitudine, qualche secondo e si era a quattordici, poi quindici, e così via. I booster laterali avevano finito il loro lavoro e si erano ora distaccati, era il momento per il motore centrale di accendersi. Tempo pochi minuti e anche questo finì il proprio compito staccandosi, ormai l'astronave era proiettata lontano, avendo vinto la velocità di fuga, tutto in pochi minuti.


Ljubo si schiarì la gola "Qui Moontrip-47 Bravo, sistemi nella norma, non si rilevano anomalie."

"Moontrip-47 Bravo, qui B-A-C-C, ci risulta un perfetto inserimento nell'orbita programmata, buon viaggio."

Ljunbo pensò che anche questa volta ce l'aveva fatta. Qualcuno stimava che una partenza su mille si potesse concludere con la morte del pilota, benché il giovane cosmonauta l'avesse sempre ritenuta una stima pessimistica, tuttavia ormai la partenza era andata e con essa l'unico momento un minimo problematico.


Era un viaggio di circa tre giorni ma i primi dieci minuti erano gli unici in cui avveniva qualcosa di interessante. Per il resto del tempo non avrebbe dovuto far altro che restarsene comodo nel suo cubicolo tre metri per tre in attesa che il viaggio procedesse, guidato dal computer.

Tutto sommato considerando il rapporto rischi-benefici era un ottimo lavoro. Ogni viaggio fruttava a Ljunbo circa centomila dollari, un'altra decina e poi sarebbe andato in pensione, ancora più vicino ai trenta che ai quaranta, e potendo vivere una vita agiata e senza rinunce.

Il viaggio in se era piuttosto noioso, l'agenzia delle nazioni unite per il viaggio interstellare ancora non consentiva a chi viaggiava di utilizzare la corrente elettrica delle batterie per svagarsi, magari guardando un film o ascoltando musica e ovviamente non era consentito portarsi apparecchi privati dietro. Nonostante di energia ve ne fosse in abbondanza rispetto a quella richiesta, l'unica cosa su cui l'astronauta poteva contare era l'illuminazione del comparto, cosa che se non altro gli consentiva di leggere. Prese quindi il primo libro che si era portato, "I miti greci", e lo iniziò. Una lettura scorrevole e non troppo impegnata, si adattava alla situazione, per la verità non ci perse troppo tempo: "Pandora", "Narciso", "Dedalo e Icaro" furono gli unici che lesse, poi mise via il suo tomo e passo ad altro.


Il viaggio passo lentamente, ma non quanto i precedenti, si stava abituando a trascorrere quelle ore in solitudine. In quel lasso di tempo l'unica cosa che cambiava, anche se lentamente, era la dimensione del satellite naturale su cui era proiettato. Dopo tre giorni la luna era diventata tanto vicina da occupare quasi totalmente la sua visuale, era il momento di procedere.

Il computer segnava una distanza dalla superficie lunare di appena centotrenta chilometri, tutto sembrava procedere senza problemi. L'inserimento nell'orbita lunare era molto meno traumatico di quello nell'orbita terrestre e anche qui provvedeva a tutto il computer.


"Qui Moontrip-47 Bravo, cinque minuti all'ingresso lunare, non risultano malfunzionamenti, confermate inserimento nell'orbita di allunaggio?"

Ora che era prossimo alla luna i messaggi che inviava ci mettevano circa novanta secondi per raggiungere la terra, e altrettanti servivano all'eventuale risposta della base per raggiungere lui, per questo motivo tra un messaggio inviato e la relativa risposta trascorrevano circa tre minuti.

"Moontrip-47 Bravo, qui B-A-C-C, confermiamo via libera all'allunaggio."


Ricevuto quelle disposizioni Ljunbo non doveva fare assolutamente nulla, lasciando inserito il programma di volo che il computer avrebbe eseguito automaticamente. Il modulo stava per raggiungere il punto in cui bisognava scegliere se virare verso la luna o, in caso di problemi di qualche tipo, rimanere sulla traiettoria che stava percorrendo. Questa lo avrebbe portato a completare quasi del tutto un orbita attorno al satellite per poi tornare automaticamente verso la Terra. A Ljunbo però non era mai successo di avere problemi e dover rinunciare ad un allunaggio.


Il computer attivò i razzi del modulo che cominciarono a funzionare. Qualcosa però non andava, il materiale utilizzato per accelerare stava venendo espulso troppo lentamente.

"Qui Moontrip-47 Bravo, risultano problemi?"

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Spero che vi piaccia, storia di genere fantascientifico/introspettivo, non sapevo se farla come oneshot o dividerta in più capitoli, alla fine ho optato per la seconda ipotesi. Commenti e/o critiche costruttive saranno i benvenuti.

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Capitolo 2
*** Flare ***


Il computer attivò i razzi del modulo che cominciarono a funzionare. Qualcosa però non andava, il materiale utilizzato per accelerare stava venendo espulso troppo lentamente.

“Qui Moontrip-47 Bravo, risultano problemi?”

Non ricevendo comunicazioni Ljunbo portò il dito sul meccanismo di blocco, dopo di ché, prima di abortire la manovra, volle richiedere ulteriormente conferma.

“Qui Moontrip-47 Bravo, mi appresto ad abortire.”

Non sentendo alcuna risposta in tempi brevi Ljunbo spense manualmente i razzi. Cercò quindi, dai parametri che leggeva sul computer, di capire quanto fosse fuori rotta, ma tutti i dati sembravano impazziti mostrando cifre totalmente incoerenti. Rifletté che forse sarebbe stato meglio spegnere tutto subito senza aspettare eventuali comunicazioni da Terra.

 
Solo allora arrivò una trasmissione dalla base “Abortire, abortire” il suono era disturbato, “Moontrip-quattro… abortire… A-C-C, brillamento solare in corso… abortire…”

“Qui Moontrip-47 Bravo, allunaggio abortito, attendo istruzioni.”

Ljunbo ripeté questo messaggio più e più volte, ma la radio rimaneva silente. Se era realmente in corso un brillamento solare non si poteva sapere quanto sarebbe durato ne per quanto avrebbe disturbato le comunicazioni.

La cosa migliore da fare intanto era resettare il computer della nave che non dava più dati verosimili. Ljunbo si sbrigò a farlo, non servì a molto, sembrava che ormai non funzionasse più nulla.

 
Non gli restava che dare un’occhiata di persona non potendosi fidare degli strumenti. La Luna era pressappoco alla stessa distanza di dove l’aveva lasciata l’ultima volta che l’aveva guardata, cioè prima di cominciare la manovra di allunaggio, occupava ancora, bianca e candida, quasi tutto il suo orizzonte visivo.
In effetti ad occhio era veramente impossibile capire di quanto si fosse mosso. Se quelle poche decine di secondi di malfunzionamento dei razzi non avevano modificato troppo la traiettoria allora la nave doveva già trovarsi da sola su un’orbita di rientro verso la terra.

Era quella la comodità di viaggiare su una traiettoria di rientro automatico, in caso di malfunzionamenti e inconvenienti la nave tornava da sola sulla Terra, spinta solo dall’inerzia del suo moto e dall’interazione con le forze gravitazionali del pianeta e della Luna.

Se i razzi lo avevano fatto uscire da quella speciale orbita allora forse sarebbe stata necessaria qualche piccola correzione, chissà quanto materiale era stato consumato durante gli spostamenti accidentali che aveva compiuto il computer. Certo, non potendo fare affidamento né sul computer né sulla direzione della base da terra non sarebbe stato affatto semplice eseguire queste manovre pilotando manualmente.

 
“Qui B-A-C-C, Moontrip-47 Bravo ci ricevi?”

“Affermativo, qui Moontrip-47 Bravo, attendo istruzioni.”

Ancor prima che passassero i minuti necessari a che la sua risposta raggiungesse la terra la sua navetta captò subito un’altra comunicazione.

“Moontrip-47 Bravo, ascolta attentamente, è in corso un brillamento solare, possiamo comunicare ora solo perché la luna si è frapposta tra te e il sole, schermando il brillamento. Il malfunzionamento dei razzi ti ha spinto molto fuori rotta, non sei più su un’orbita di rientro automatico. Si renderà necessaria una correzione per rientrare a Terra, stiamo caricando sul tuo computer una routine che la esegua”

“Con ogni probabilità il computer non è più funzionante, credo che dovrò eseguire manualmente.”
 

Ci volle qualche minuto perché da terra rispondessero, le comunicazioni a quella distanza risentivano di quel dilatamento temporale.

“Qui B-A-C-C, Moontrip-47 Bravo, con ogni probabilità il computer è stato danneggiato dal brillamento solare, per questo motivo non ha attivato correttamente i razzi, ci apprestiamo a comunicarti le operazioni che dovrai eseguire manualmente. Dovrai anche orientarti manualmente, ma proveremo a guidarti da terra”

Era quello che temeva, avrebbe dovuto orientarsi ad occhio, cercando i punti di riferimento nella terra, nella luna o nel caso peggiore nel sole. Non era affatto semplice, un problema in più, forse il peggiore.
 

“Moontrip-47 Bravo, ci ricevi? Possiamo passare a comunicarti i dati?”

Ljunbo si rese conto di essere rimasto silente diversi minuti, perso nei suoi pensieri. “Si, procedete” si affrettò a dire.

L’astronauta segnò tutte le istruzioni nei minimi dettagli. Gliele ripeterono tre volte. Doveva correggere di lì a trenta minuti, quando la navetta si sarebbe allontanata abbastanza dalla luna da non subire troppo i suoi effetti gravitazionali. Se tutto fosse andato secondo i piani sarebbe tornato sulla Terra su un’orbita molto più ampia, impiegando quasi cinque giorni, contro i tre dell’orbita normale. Il modulo di sostegno vitale non era fatto per durare così a lungo.

Avrebbe dovuto risparmiare energia, spegnendo l’illuminazione e tenendo aperte le comunicazioni solo in particolari finestre di tempo.
 

“Bene, dovrebbero mancare ancora cinque minuti alla manovra, in ogni caso buona fortuna Moont…”

Silenzio, la radio era tornata muta. Provò a rimetterla in funzione, fece qualche tentativo, ma nulla.

Possibile che l’attività solare fosse ancora tale da rendere impossibili le comunicazioni? No, più probabilmente la radio aveva smesso di funzionare a causa del brillamento che doveva averla seriamente danneggiata. Si, era durata qualche altro minuto dopo la fine dello stesso, ma probabilmente alla fine si era arresa.

Più che sul determinare la causa di quel malfunzionamento la cosa su cui doveva concentrarsi era un’altra. In caso di impossibilità a comunicare con la terra avrebbe dovuto svolgere tutte le correzioni da solo senza assistenza, cosa molto difficile.
 

Quel trabiccolo non era fatto per essere pilotato manualmente, alla cieca, senza i riferimenti del computer.

Tuttavia non c’erano altre possibilità. Si mise a stimare con la maggiore accuratezza possibile la sua posizione per eseguire nel modo corretto la manovra.  Si trovava a quattrocentomila chilometri di distanza dalla Terra e doveva centrare il corretto punto di rientro sul pianeta, sbagliando al più di qualche decina di chilometri. In proporzione era come centrare una buca su un campo da golf al primo tiro e senza nemmeno poter far rimbalzare la pallina sul terreno. Un colpo secco, se la pallina faceva centro era salvo, altrimenti era morto.
 

Staccò allora in quel momento, solo in quel momento, il carico che a questo punto non sarebbe più arrivato alla base lunare, dopo di che azionò i razzi di cui aveva già regolato l’angolazione, seguendo pedissequamente le istruzioni che aveva ricevuto dalla base. Poi la manovra terminò e i motori furono di nuovo spenti, con un carburante rimasto appena sufficiente a compiere la manovra di rientro sulla Terra, e forse nemmeno a quello. Ad occhio, senza l’assistenza del computer, era impossibile capire se avesse fatto tutto bene, doveva solo aspettare.
 

Era inutile stare a pensarci troppo, ormai quello che doveva essere fatto era stato fatto. Se aveva eseguito perfettamente la manovra allora stava già su un’orbita di ritorno sulla terra. Se invece, come probabile, aveva commesso qualche minimo errore allora sarebbe finito su un’orbita non corretta che magari lo avrebbe tenuto a ruotare attorno al pianeta per settimane o anche più. Ma tanto il suo supporto vitale non sarebbe durato così a lungo.

Ljunbo esegui le poche altre cose che doveva fare, spense le luci, disattivò le comunicazioni e quindi si mise al buio e in silenzio ad attendere, tra poco più di quattro giorni avrebbe saputo del suo destino.



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Secondo capitolo, prometto che non la tirerò troppo per le lunghe con la storia, è una short un po' più long, ma stiamo per entrare nella parte centrale. Come sempre sono aperto a commenti e critiche costruttive, che sarannò sempre ben gradite. Ringrazio in particolare Nanas e Ily_W per aver seguito e commentato il primo capitolo, spero vi piaccia anche questo.

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Capitolo 3
*** Solo ***


Ljunbo eseguì le poche altre cose che doveva fare, spense le luci, disattivò le comunicazioni e quindi si mise al buio e in silenzio ad attendere, tra poco più di quattro giorni avrebbe saputo del suo destino.

Tutto il cubicolo nel quale era stipato, tre metri per due, era illuminato unicamente dalla luce della luna e da pochi altri relè del supporto vitale, ancora in funzione per sua fortuna.

Forse sforzando un po’ gli occhi avrebbe potuto riprendere quel libro sui miti greci che tanto l’aveva annoiato all’andata. Ora non voleva far altro che distrarsi e non pensare alla sua situazione.

Si decise, lo riprese e rilesse il mito di Dedalo e di Icaro che volò troppo vicino al sole. Molto ironico vista la situazione nella quale si trovava, anche lui stava sfidando le leggi naturali, e con ogni probabilità anche a lui sarebbe andata male.


Leggere era veramente faticoso con quella luce bassa, alla fine Ljunbo si convinse presto a desistere. Riaccese il sistema di comunicazione.

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C mi sentite?”

Fece alla radio più volte, attendendo per diversi minuti una possibile risposta, senza alcun risultato. Non poteva proprio fare affidamento sul sistema di comunicazione.

La luce della luna si faceva via via più fioca, questa stava scappando via, proseguendo per la sua orbita stabile mentre lui tentava di compierne una decisamente più eccentrica per tornare sulla Terra, o più probabilmente solo per passarle vicino.

Per distrarsi Ljunbo si mise a censire quanto aveva a sua disposizione. C’era il computer di navigazione spento, reso inutilizzabile dal brillamento solare. C’era poi il supporto vitale che per fortuna ancora continuava a funzionare, eliminando l’anidride carbonica. Poi c’erano le luci che aveva disattivato, per esser certo che il supporto vitale durasse il tempo necessario.

Finito con quelli della nave cominciò anche a controllare che strumenti avesse lui personalmente, alla fine la sua attenzione cadde sul suo orologio da polso.
Si fissò sulla lancetta dei secondi, ancora visibile nonostante la luce molto bassa. Cominciò a seguirne il moto ciclico, periodico, attorno all’asse a cui era fissata. Sarebbe stata una buona idea attendere tutto il tempo rimanente contando i giri di quella lancetta? Cominciò a farlo, un giro, poi due, poi tre, così fino a dieci, e ancora quindici e venti. Ormai era imbambolato. Non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che la lancetta stesse rallentando il suo moto. Avrebbe voluto spaccare il vetro che rivestiva l’orologio e spingerla per farla ruotare più velocemente. Non aveva senso continuare a guardare l’orologio, quella lancetta aveva ancora più di cinquemila giri da fare prima di raggiungere la Terra. Probabilmente gli ultimi cinquemila giri della sua vita, voleva davvero passarli così? Forse sarebbe stato più produttivo raccogliere le idee. Forse c’era qualcosa di più giusto a cui pensare in prossimità della morte.


Ljunbo inspirò profondamente, aveva senso essere così pessimisti?

Infondo lo sapeva bene in che situazione si trovava. Una correzione di quella complessità eseguita manualmente era veramente semplice da sbagliare, non certo una manovra ritenuta di routine.

Tutto d’un tratto quel lavoro non appariva più così conveniente. Aveva fatto circa un milione di dollari coi suoi viaggi, ma non avrebbero avuto alcun significato se non avesse avuto modo di spenderli.

Accidenti, perché era toccato proprio a lui. Sapeva che esistevano circa un centinaio di cosmonauti che svolgevano il suo stesso mestiere e da quando erano state inaugurate le tratte di rifornimento all’avamposto lunare solo uno dei ‘fattorini’ aveva perduto la vita.

Un’esplosione ad uno dei motori laterali durante la partenza e tutta la sua nave era in un attimo diventata una palla di fuoco senza lasciargli scampo. Quello almeno era morto all’istante, lui invece avrebbe avuto tutto il tempo per torturarsi pensando alla sua fine.

Un’altra occhiata al supporto vitale, funzionava ancora. Per passare il tempo si mise a stimare quanto ancora sarebbe durato: per cinque giorni circa. Anche se avesse mancato la Terra, avrebbe avuto cinque giorni interi a riflettere in solitudine sulla propria fine. Un lampo balenò nella testa di Ljunbo, forse sarebbe stato meglio farla finita subito. No, non aveva alcun senso giocarsi una seppur piccola possibilità di sopravvivere.


La luna ormai era lontanissima, il buio era totale e lo immergeva completamente, creando un’atmosfera nella quale non era certo facile avere pensieri ottimisti. Forse avrebbe dovuto dormire? Il computer era ormai scollegato dai comandi, non avrebbe potuto combinare altri casini, quindi era inutile restare sveglio. Forse però doveva restare attivo nel caso in cui il sistema di comunicazione avesse ricominciato a funzionare. Con un banale conto mentale si rese conto di essere sveglio ormai da più di trenta ore, doveva dormire altrimenti la mancanza di sonno si sarebbe unita alle altre torture che si stava infliggendo.


Forse però prima poteva riprovare a mettersi in contatto con la terra.

Riaccese il sistema di comunicazione.

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C mi sentite?”

Non serviva a nulla, spense il sistema di comunicazione, se non altro ora poteva dormire in pace.

Non fu però un sonno sereno come sperava. Diversi lugubri pensieri gli attraversarono la mente e i vari sogni si alternarono ai continui risvegli.

Su una cosa fra tutte presero a convergere le sue silenti imprecazioni: il non sapere se sarebbe sopravvissuto o meno. Non ci mise molto a ridestarsi definitivamente, l’incertezza lo stava consumando, doveva in tutti i modi riuscire a mettersi in contatto con la base, almeno loro avrebbero potuto dirgli se aveva compiuto correttamente la manovra o se era già spacciato. Almeno avrebbe saputo!

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C mi sentite?”

Attese i tre minuti che servivano al suo messaggio per raggiungere la base e ad un’eventuale risposta per tornare a lui: niente di fatto.

“Qui Moontrip-47 Bravo, B-A-C-C per favore rispondete!”

Neanche questa volta ottenne qualcosa

Un terzo tentativo, seguito da un quarto appena sussurrato, nulla da fare, nessuna risposta. Doveva rassegnarsi, e poi doveva conservare l’energia. Poteva provare a distrarsi, provò a concentrarsi su cose di poco conto, giusto per tenersi occupato. Tanto per far qualcosa cominciò a calcolare a mente tutti i cubi di tutti i numeri naturali in progressione, arrivò a duemila cento novantasette, il cubo di tredici, poi smise. Provò ad elencare a memoria tutti gli stati aderenti alle nazioni unite. Poi i nomi di tutti i cosmonauti con licenza al volo della B-A-C-C. Smise anche con questi.

Il suo cervello non voleva tenersi occupato, pretendeva di essere lasciata libero di riflettere sulla sua condizione. Aveva definito per lui le priorità, e non voleva sentire ragioni, si doveva riflettere su quello e basta. Era naturale, un processo istintivo, biologico, la mente è fatta per focalizzarsi sui problemi che ritiene più impellenti, e per Ljunbo non era impossibile far invertire l’ordine delle priorità alla sua.

Guardò ancora il suo orologio, bianco, nero e smeraldo, che con quella luce appariva soltanto un ammasso di macchie grigie. Circa sessantasei ore ancora e avrebbe saputo la verità.


Ora si sentiva solo più che mai. Se fosse sopravvissuto non avrebbe mai più messo piede su queste stupide tombe spaziali. Gli tornò alla mente una sensazione del suo primo viaggio nel cosmo, che da allora non aveva più provato. Finché era sempre stato sulla Terra aveva considerato l’onnipresenza della vita come la normalità, era tutto attorno a lui e pervadeva ogni angolo visibile. Ma nello spazio era diverso, appena messo piede nello spazio si era reso conto che la vita non occupava che una porzione insignificante del cosmo, il resto era tutto morto, vuoto.

Quale essere assennato avendo avuto la fortuna di trovarsi su questa improbabile isola felice l’avrebbe lasciata salpando verso l’ignoto?

In altre situazioni, era sicuro, avrebbe apprezzato quella quiete da silenzio assoluto, quella bassa luminosità data solo dalle stelle, per lui sarebbe stato un simbolo di pacificazione interiore, ora invece lo vedeva solo come un preludio alla morte, e lo stress cresceva.

Avrebbe tanto voluto farla finita subito, perché non poteva almeno avere la certezza di aver fallito? Perché doveva mantenere ancora quella piccola possibilità di aver avuto successo che gli impediva di arrendersi?

Non doveva pensarci. Quanto era passato da quando aveva provato l’ultima volta a contattare la base? Il suo orologio diceva sette ore, il tempo si stava incredibilmente dilatando. Forse i suoi processi mentali stavano rallentando? No, non sembrava un’ipotesi sensata. Sette ore comunque erano abbastanza per provare di nuovo a comunicare, se non altro per poter sentire se non quella di altri almeno la sua voce.

“Qui Moontrip-47 Bravo, base B-A-C-C mi sentite?” urlò a squarciagola, quasi dovessero sentirlo direttamente da Terra, senza usare le radio. Nessuna risposta, riprovò ancora, nulla di fatto.

Avrebbe continuato a lungo, ma l’energia andava risparmiata, così spense di nuovo le comunicazioni. Prese a parlare ad alta voce per tenersi compagnia, la cosa gli diede subito una strana impressione, non se la senti di continuare a lungo. Strano, probabilmente non avrebbe mai più rivisto un altro essere umano eppure per qualche motivo si dava ancora pena di non sembrare ridicolo.

Cominciò ad inspirare ed espirare sempre più forte, pur di avere un segno che fosse ancora vivo, pur di avere qualcosa che riempisse le sue orecchie. Non era abituato ad ansimare quindi per un attimo riuscì ad associare a quel rumore qualcosa di diverso da se. Infondo ora non era più come stare da soli, ma insieme a qualcuno dal respiro molto pesante. Anche quella però era una pessima idea, così avrebbe consumato più in fretta l’aria, doveva invece ridurre i respiri. Ora, preso dal panico, gli pareva di non riuscire più a respirare normalmente ma solo a pieni polmoni.

Che casino che stava facendo, all’addestramento per astronauti tutti avrebbero riso di lui se si fosse comportato in questa maniera durante le esercitazioni. Invece era sempre stato abbastanza diligente. Non era certo come coloro che facevano a gara per essere i migliori in questa o quella prova, ma comunque non aveva mai avuto particolari difficolta a passere un particolare test. Ora invece pareva proprio uno di quelli che concludevano le prove sotto i minimi richiesti, continuamente presi in giro dagli altri. Ma infondo non gli sarebbe importato affatto, essere derisi o meno, era così irrilevante, l’unica cosa a cui teneva era scamparla o, perlomeno, se non era chiedere troppo, conoscere il proprio destino. 

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Siamo arrivati al capitolo che considero il corpo centrale di questa breve storia, spero non sia troppo lungo/noioso per voi. Attendo impaziente impressioni al riguardo.

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Capitolo 4
*** Hybris ***


Ormai Ljunbo non aveva più contezza della velocità con cui stesse passando il tempo. Era perso tra i suoi pensieri e non badava nemmeno al suo orologio da polso. Tentò di ridestarsi un attimo, di ritornare lucido, per quanto potesse.

L’indicatore dell’anidride carbonica segnava un allarmante quindici percento, possibile che fosse per quello che stesse impazzendo? Non avrebbe avuto alcuna colpa se non altro. No, non era possibile, con un simile valore sarebbe morto già da un pezzo, doveva essere sballato come tutti gli altri valori del computer. Per fortuna il sistema vitale era escluso dal computer centrale, e anche quello aveva un suo indicatore.
Quello segnava un valore completamente diverso, non livelli normali ma ancora accettabili, non era ancora tempo di preoccuparsi per quello.

La luce andava via via riempiendo di nuovo l’orizzonte della nave, la Terra cominciava a sembrare più grande, una decina di ore ancora e avrebbe saputo se era in una traiettoria giusta per intercettarla, per aggrapparsi disperatamente a lei, o se l’avrebbe irrimediabilmente mancata. Qualche ora e tutto si sarebbe deciso, sempre che non fosse già spacciato.


Un altro tentativo di ristabilire le comunicazioni con la base, nessun esito, era ancora solo.

Con la luce riflessa dalla Terra ora anche le stelle parevano, paradossalmente, risplendere di più. Ora il buio non faceva più paura, anzi concentrandosi su quei puntini bianchi era splendido lasciarsi cullare in quel cielo ricco di vita.

Era un uomo tra le stelle, quanta potenza poteva esserci in questo pensiero. Era stato a centinaia di migliaia di chilometri di distanza da dove era nato, era una distanza letteralmente impensabile, non la si poteva immaginare neanche sforzandosi di essere fantasiosi. Si era staccato dal pianeta sul quale la natura e il fato lo avevano inchiodato a forza. Ma lui no, lui, e con lui la razza umana non avevano accettato questo limite, erano stati in grado di vincere una forza naturale.

E non come Icaro, gli uomini avevano sfidato gli dei e ora potevano guardarli da pari a pari. Lui forse, come la figura del mito, avrebbe pagato un duro prezzo, ma la sua specie avrebbe continuato. L’avamposto lunare ormai era pienamente in funzione, quello era il primo passo per averne poi uno equivalente ma più in grande su Marte. Poi magari sarebbe toccato alle lune di Giove e dopo ancora chissà, nulla era a loro precluso, c’erano solo altre barriere divine da superare, via via sempre più lontane.


Ora Ljunbo non era più spaventato, era paradossalmente euforico.

Poteva essere il livello di CO2? Ora non importava. Probabilmente aveva avuto ragione fin dall’inizio, lui era spacciato, fin da quando era finito fuori rotta. Non sarebbe cambiato nulla, qualsiasi cosa avesse fatto dopo sarebbe morto in ogni caso, ma ora non importava, non gli importava più.

Non dormiva ormai da trenta ore, da più di cento ore senza contare i brevi sonni inquieti, ma neanche questo importava, non era affatto stanco.

Se non gli importava di morire non poteva certo importargli di essere stanco. Ma poi sarebbe realmente morto? Era qui, in mezzo alle stelle, su una scatola di pochi metri cubi, in condizioni assolutamente avverse, estreme, eppure era ancora perfettamente in salute, forse era lui stesso un dio, e un dio non può morire. D'altronde contro ogni probabilità era ancora vivo, questo qualcosa voleva pur dire.


Si avvicinava il momento della verità, la Terra era sempre più prossima, presto avrebbe dovuto eseguire l’eventuale manovra di rientro. Forse valeva la pena di cominciare i preparativi per eseguirla, anche se non sarebbe cambiato nulla. Ljunbo si preparò ugualmente.

La Terra ora era veramente vicina, avrebbe ancora potuto tranquillamente mancarla, se non altro però non aveva sbagliato di molto.

Era tranquillo, nulla poteva andare storto, ormai lo sapeva, ne era convinto.

Pochi minuti alla verità. Qualche altro secondo e avrebbe dovuto eseguire il rientro. Riaccese la radio. No, che stupido, non doveva fare quello, doveva sbloccare la sicura del comando di accensione per utilizzare quel poco di carburante rimasto e aggiustare l’angolo di ingresso. La radio nemmeno serviva, non funzionava più. Ma cosa importava, la radio, l’accensione dei razzi, cosa era veramente importante e cosa no.

Doveva attivare la sequenza, si forse doveva. Così, perché non farlo, non sarebbe cambiato nulla ma una voce gli diceva di farlo, doveva attivare la sequenza, si era quasi un imperativo doveva.

“Attivare la sequenza, Moontrip-47 Bravo attivare la sequenza di rientro ora, Moontrip-47 Bravo correggere l’angolo di ingresso!”

Le urla della radio ridestarono Ljunbo dalle sue allucinazioni. Tolse via in un attimo il pulsante di blocco e attivo immediatamente i razzi, contò cinque secondi, poi lascio.

“Moontrip-47 Bravo, hai eseguito con un minuto di ritardo, attendiamo conferma per la traiettoria. Moontrip-47 Bravo ci ricevi?”

“Qui… Qui Moontrip-47 Bravo, confermo ricezione della radio. Credevo fosse fuori uso.”

“Pare essere tornata a funzionare. La prossimità col pianeta deve aver aiutato. Moontrip-47 Bravo confermiamo che sei su una corretta orbita di rientro sulla terra. Ripeto, Moontrip-47 Bravo qui B-A-C-C, sei nella giusta finestra per il rientro sulla terra. Presto perderemo di nuovo le comunicazioni a del rientro in atmosfera.”
Dalla base attesero una risposta che non arrivò, Ljunbo non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno se quanto stava accadendo fosse reale.

“Moontrip-47 Bravo, ti confermiamo che ora sei su una corretta traiettoria di rientro, ora non devi più fare nulla. Presto inizierà il silenzio radio, Moontrip-47 Bravo dai conferma della ricezione?”


“Qui moont… confermo la ricezione, ci vediamo a Terra.” Disse Ljunbo prima di spegnere la radio. Tutto sommato pare che se la sarebbe cavata davvero. Non era più certo delle sue facoltà, ma, incrociando le dita, non avrebbe più dovuto fare nulla. Rimise con l’ultimo briciolo di lucidità che gli rimaneva tutte le sicure. Era meglio così, si fidava veramente poco di se in quel momento. Meglio svagare la mente e pensare ad altro. A Terra lo aspettava il milione che aveva pazientemente messo da parte. Forse, visto l’incidente, avrebbe potuto richiedere anche qualcos’altro in più. Ma si, avrebbe fatto una comoda vita sulla Terra, chi glielo faceva fare di tornare lassù.


...e la storia finisce qui. Per chi è giunto fino a qui spero che la storia gli sia piaciuta. Sono sempre pronto a ricevere impressioni, commenti e critiche. Ciao e alla prossima.

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