Le terre dei dormienti di Laura Taibi (/viewuser.php?uid=1064027)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ragazza con i capelli rossi ***
Capitolo 2: *** Ricominciamo ***
Capitolo 3: *** Il risveglio ***
Capitolo 1 *** La ragazza con i capelli rossi ***
Jasper socchiuse gli occhi, infastidito. Le tende non erano state tirate bene e un ostinato fascio di luce gli colpiva il viso.
Era disteso sul letto, indossava ancora gli abiti della sera prima e non ricordava granché. Di sicuro era tutta colpa di Chad, il suo migliore amico, e di quelle stupide bottiglie che trafugava dal negozio di liquori del padre.
Si voltò su di un lato e stava quasi per riaddormentarsi quando la porta della stanza si aprì.
«Non posso crederci, sei ancora a letto?» esclamò la donna mentre si avvicinava alle tende spalancandole. Jasper si tirò le coperte fino al mento, ma furono prontamente tirate via.
«Credo esista una legge contro questo tipo di torture, sai zia?»
Natalie Stone sorrise scostandosi una ciocca di fluenti capelli castani dal viso. Era una donna forte. Non si era sposata, per scelta diceva lei, ma Jasper aveva la mezza idea che incutesse troppo timore agli uomini, con il suo metro e ottanta, le spalle larghe e le unghie lunghe laccate di rosso.
Nonostante fossero le sette e mezzo del mattino — e quando Jasper se ne rese conto la guardò di sbieco — era già vestita di tu o punto, con il solito tailleur blu notte, il suo preferito, scarpe con tacco a spillo abbinate, una camicetta bianca e pochi, raffinati, gioielli.
«Sbrigati se vuoi un passaggio, o farò tardi a lavoro» disse lei.
«Zia, è sabato oggi!» rispose Jasper, esasperato. «Ops» la zia sorrise e lui capì che sapeva benissimo che giorno fosse «beh, già che sei sveglio, potresti sempre rimettere a posto la camera, guarda qui, sembra che sia passato un uragano!»
In effetti la stanza non era nelle migliori condizioni. La maggior parte dei vestiti era sparsa a terra o sulla sedia della scrivania, lattine di cola smezzate e diversi pacchetti di patatine giacevano abbandonati su ogni ripiano disponibile, tra libri di liceo e cd musicali. La TV era piena d'impronte e il joystick della play se ne stava pericolosamente in bilico sopra la console.
«Beh, allora ci vediamo per cena, dormiglione?» chiese lei.
«Penso che mangerò una pizza con Chad giù in centro» rispose il ragazzo, mettendosi a sedere sul letto e strofinandosi gli occhi.
«Ok, ma non fare tardi!»
«Tranquilla.»
La zia si avvicinò e gli diede un bacio, inebriandolo con il suo profumo che sapeva di fiori, poi gli scompigliò i capelli e lasciò la stanza. Dopo qualche minuto un rumore avvertì Jasper che la zia Natalie era uscita richiudendosi la porta di casa alle spalle.
Si guardò intorno indeciso sul da farsi. Avrebbe potuto rimettersi a dormire, ma sapeva che quando si svegliava difficilmente riusciva a riprendere sonno — particolare che la zia conosceva benissimo, maledetta lei — così si mise in piedi e si trascinò lungo il corridoio fino al bagno, per sciacquarsi il viso. La sua immagine nello specchio lo lasciò basito per un attimo. Era incredibile come il tempo lo rendesse sempre più simile a suo padre, con la barbetta appena accennata sul mento e sulla mandibola, i capelli castani e gli occhi di un azzurro scuro e profondo, come il mare.
Edward Stone, suo padre, era sempre via per lavoro. La zia Natalie diceva che era cambiato tutto dalla morte della mamma, ma Jasper era troppo piccolo quando successe, per cui ricordava del padre solo la versione distante e chiuso in se stesso, troppo immerso nel lavoro per badare al suo unico figlio. Jasper aveva solo undici anni quando Edward Stone l'aveva lasciato nelle mani della sorella ed era partito e, a parte l'assegno mensile, qualche sporadica visita una o due volte l'anno e qualche chiamata altrettanto rara, non si era più fatto vivo.
Erano passati quasi sei anni, e sulla soglia dell'età adulta il risentimento che Jasper covava nei suoi confronti era più forte che mai.
Si finì di lavare e tornò in camera per vestirsi, giusto in tempo per rispondere al cellulare che aveva appena iniziato a squillare.
«Pronto?»
«Ehi amico, sono Chad, ti ho svegliato?»
«No, ci ha già pensato mia zia.»
«Bene, allora che ne dici di vederci a Walpole Park, al solito posto?»
«Perfetto, mi vesto e arrivo. A dopo.»
Chad Felipe Barker, il suo migliore amico da quando avevano dodici anni, era un tipo brillante ma un po' strano.
Sua madre, di origini brasiliane, aveva sposato un omaccione inglese, proprietario di un negozio di liquori a Ealing, e avevano deciso di mettere su, più che una famiglia, una vera e propria squadra di calcio mista. Infatti Chad era il terzo di nove figli, quattro femmine e cinque maschi, di cui Jasper non ricordava mai i nomi.
Forse per farsi notare in mezzo a quella baraonda che era la sua famiglia, Chad era sempre stato un genio a scuola. Non aveva problemi a prendere i voti massimi in tutte le materie — e Jasper si chiedeva come ciò fosse possibile non avendogli mai visto aprire un libro scolastico — e grazie all'aria un po' esotica, i capelli neri mossi e la pelle ambrata, nonché la parlantina sempre pronta, riusciva tranquillamente a far colpo sulle ragazze.
Nonostante i meriti, non era un secchione, anzi, amava fare stupidaggini e scherzi e non prendeva nulla sul serio e forse era proprio per questo che loro due erano così amici. La gente intorno a Jasper, una volta saputa la sua "triste" storia familiare, tendeva a compatirlo e questo per lui era insopportabile, mentre Chad, il primo giorno di scuola, dopo aver sentito la sua storia, rispose: «Che fortuna! Una stanza tutta per te, niente fratelli, sorelle o genitori che rompano! T'invidio!»
Beh, forse non era stato proprio delicato, forse qualcun altro avrebbe preso quelle parole come un'offesa, ma per Jasper non fu così, anzi, pensò che quel modo di vederla rendesse tutto più sopportabile e lo faceva sentire normale. Così i due divennero inseparabili.
Alle dieci, quando Jasper arrivò a Walpole Park, l'aria di fine maggio era calda e piacevole. Trovò lì l'amico, seduto su una panchina vicino al laghetto, intento ad ascoltare musica con gli occhi chiusi battendo i piedi e le mani a tempo.
«Ehi, mattiniero come sempre, eh? Non l'avrei detto viste le condizioni in cui ci siamo salutati ieri sera!» esclamò Jasper, strappandogli le cuffie dalle orecchie e facendolo sobbalzare.
«Amico, lo sai che in casa mia non si riesce a stare tranquilli» rispose Chad «Tu invece? Non mi aspettavo di trovarti sveglio!»
«Mia zia ha pensato bene di darmi il buon giorno...»
«Ah» sospirò Chad con occhi sognanti «Da tua zia mi farei svegliare tutti i giorni!»
«Chad, sei schifoso, davvero!» disse Jasper mettendosi seduto accanto a lui e dandogli una gomitata «Allora, che programmi abbiamo per oggi?»
Chad si alzò in piedi e gli si mise di fronte. Jasper lo guardò interrogativo, quel viso eccitato voleva significare che aveva qualcosa in mente, e che quel qualcosa non sarebbe piaciuto alla zia.
«Tre parole» disse l'amico «io, tu, spiaggia!»
«Chad la spiaggia più vicina è fuori città e ci vogliono almeno due ore per raggiungerla!»
Chad sbuffò con aria sprezzante «Suvvia, che saranno mai due ore! Andiamo solo a farci una nuotata, guardare qualche ragazza in costume, un gelato... ci divertiremo!»
«Non lo so... alla zia non piacerebbe.»
«Non dirglielo.»
«Non ho il costume.»
«Li ho portati per entrambi.»
«Non so nuotare.»
«Ora stai inventando!»
Jasper fece spallucce: «Mi hai beccato, ho finito le scuse» disse sorridendo. Dopodiché i due si diressero verso la vicina fermata dell'autobus. Stavano passando davanti l'ennesima caffetteria quando successe una cosa strana. Fu come uno sfarfallio a pochi metri da Jasper, dove la strada curvava a destra: fu come se nel bel mezzo del marciapiede l'aria si squarciasse come un velo, lasciando intravedere ciò che vi era nascosto dietro.
Apparve il viso di una ragazza. Aveva più o meno la loro età, una maglietta nera, un paio di jeans slavati e folti capelli, rossi e fluenti, che ricadevano sul viso in morbide ciocche. Quando lei si accorse di lui, spalancò gli occhi e i due rimasero a fissarsi, entrambi con aria incredula. Il tempo sembrò interrompersi, i suoni affievolirsi, come se qualcuno avesse premuto stop sul telecomando del mondo.
Durò solo qualche istante, e dopo un secondo sfarfallio tutto tornò come prima.
«Jas, mi stai ascoltando?» chiese Chad scuotendolo.
«Cos... no. Hai visto?»
Chad lo guardò interrogativo «Visto cosa?» chiese. Jasper indicò davanti a loro.
«La ragazza con i capelli rossi, stava lì all'angolo!»
Chad si guardò intorno, ma a parte qualche passante attempato e un paio di piccioni, non c'era nessuno.
«Niente più alcool per te, ti sta mandando in pappa il cervello!»
Jasper lo guardò storto, anche se, in effetti, stava pensando la stessa identica cosa.
«Bah, forse hai ragione... e magari dovrei dormire di più...»
«Ora non farti una paternale da solo» disse l'amico afferrandolo per le spalle «siamo ancora giovani e pieni di energie. Il mare ci aspetta!»
Arrivarono alla fermata giusto in tempo per prendere l'autobus diretto a Richmond. Era stata una settimana insolitamente bella in confronto agli abituali climi londinesi, s'iniziava ad assaporare un'aria di estate imminente, la gente aveva lasciato a casa i cappotti pesanti e gli stivali — anche se era certo che molti di loro tenessero comunque un ombrello in borsa — e in un sabato soleggiato e spensierato come quello, Jasper ci mise poco a dimenticarsi della ragazza vista poco prima. Fu per questo che impiegò qualche secondo a riconoscerla, quando la vide salire alla fermata vicino Watermans Park.
La osservò mentre si sedeva poco davanti a loro: con quei capelli rossi e lunghi e la carnagione diafana con una spruzzata di lentiggini sul naso, sembrava il tipico stereotipo di ragazza irlandese.
Jasper si alzò di scatto. «È lei» disse a Chad. «Lei chi?»
«La ragazza dai capelli rossi!» esclamò e, senza neppure sapere il perché, si avvicinò a lei. A nulla valse la mano di Chad che tentò di afferrargli il braccio, era come se qualcosa lo attirasse verso quella ragazza, come se parlarle fosse di vitale importanza.
Le mise una mano sulla spalla e lei si voltò. Aveva degli enormi occhi verdi, quasi ipnotici, e un'espressione confusa, probabilmente perché uno sconosciuto le aveva appena posato una mano sulla spalla, ma quando Jasper tentò di parlarle successe di nuovo.
Il mondo si mise in stop un'altra volta e la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente, tanto che Jasper dove e reggersi a un sedile per non cadere. Le orecchie gli fischiavano e intorno iniziò a farsi sfocato.
«Ma... che diavolo...»
Non riuscì a finire la frase perché in quell'istante perse i sensi e tutto divenne nero. |
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Capitolo 2 *** Ricominciamo ***
Jasper socchiuse gli occhi, infastidito. Le tende non erano state tirate bene e un ostinato fascio di luce gli colpiva il viso.
Era disteso sul letto, con ancora addosso gli abiti della sera prima e non ricordava granché. Di sicuro era tutta colpa di Chad, il suo migliore amico, e di quelle stupide bottiglie che trafugava dal negozio di liquori del padre.
Si voltò su di un lato e stava quasi per riaddormentarsi quando la porta della stanza si aprì.
«Non posso crederci, sei ancora a letto?» esclamò la donna avvicinandosi alle tende, spalancandole. Jasper si tirò le coperte fino al mento, ma vennero prontamente tirate via.
«Credo esista una leg...»
Non riuscì a finire la frase: era come un déjà vu, come se tutto questo lo avesse già vissuto.
Lei si scostò i capelli dal viso.
«Cosa?» chiese, poi, visto che non riceveva risposta, continuò «Comunque, sbrigati se vuoi un passaggio, o farò tardi a lavoro.»
Jasper non rispose, era frastornato, confuso, aveva una strana sensazione e un incessante senso di vertigini. La zia si avvicinò a lui con aria interrogativa.
«Jasper, stai bene?» chiese. Lui sembrò ridestarsi «Oh, ehm... sì, tu o ok zia, sono solo un po' stanco.»
«Vuol dire che ti riposerai... dopo aver sistemato questa camera!» disse Natalie sorridendo, poi gli diede un bacio e uscì per andare a lavoro.
Jasper si mise a sedere con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Aveva decisamente esagerato ieri sera. Ripromettendosi di non toccare più una goccia d'alcool per il resto dei suoi giorni, si alzò e si diresse in bagno.
Decise di farsi una doccia per riprendersi e quando ne uscì, si sentì meglio.
Il telefono prese a squillare in lontananza. Jasper arrivò in camera giusto in tempo per rispondere:
«Pronto?»
«Ehi amico, sono Chad, ti ho svegliato?»
Di nuovo quella sensazione. Era qualcosa d'inspiegabile, come se sapesse già ciò che l'amico stava per dire.
«Pronto? Ci sei?»
«Eh? Si! Sono sveglio...»
«Dalla tua voce non si direbbe. Dovresti smetterla di fare le ore piccole!»
Jasper ridacchiò.
«Comunque» continuò l'altro «che ne dici divederci a Walpole Park, al solito posto?»
«Ok, a dopo.»
Chiuse la chiamata.
Si vestì e si trascinò verso l'uscita. La casa era pulita e ordinata come sempre e lo specchio, appeso all'entrata, era lucido e immacolato. Rimase a osservare il suo riflesso quando un ricordo all'improvviso gli attraversò la mente.
Capelli rossi... un autobus... tutto era confuso, come quando si cerca di ricordare un sogno. Jasper si poggiò una mano sulla fronte, cercando di frenare il mal di testa che aumentava.
«Maledetto Chad, la prossima volta che mi offre da bere gliela spacco in testa quella stupida bottiglia!» disse tra sé e sé.
Frugò nella ciotola sulla console all'entrata alla ricerca del suo mazzo di chiavi. Non fu difficile, vi aveva applicato un campanellino, come quello che si mette sui collari dei gatti, cosicché ogni volta che non era sicuro di averle prese gli bastava scuotere le tasche del giubbotto. Era molto pratico.
Appena le trovò se le ficcò in tasca e uscì.
Il quartiere in cui abitava era formato da file e file di case a schiera simili le une alle altre, con le tipiche finestre a bovindo e i cancelletti in ferro battuto. La strada era senza uscita, per cui era molto tranquilla a qualsiasi ora del giorno e della notte, e anche in quel momento non vi era in pratica anima viva.
Aveva fatto solo pochi passi quando qualcosa sbatté violentemente contro la sua schiena, facendolo quasi cadere. Lui si voltò di scatto.
«Ehi, fa attenzione! Potresti ammazz...» non finì mai quella frase. Lì, seduta a terra con aria sconvolta, c'era la ragazza con i capelli rossi, che lo fissava come se fosse stato un fantasma.
«Io ti conosco! O almeno... credo. Ci siamo già visti vero?» le chiese lui, porgendole una mano. Lei non la prese, ma si alzò senza smettere di fissarlo, tanto che Jasper s'iniziò a sentire alquanto a disagio.
«Questo non è possibile!» esclamò lei.
«Non sei di queste parti?» chiese lui.
«No! Cioè, si! Ma tu eri nel lago, e poi ti guardavo e... sono caduta qui! Ma non sarebbe possibile!»
La ragazza iniziò a camminare avanti e indietro gesticolando frenetica. Jasper pensò che avesse qualche rotella fuori posto così, molto lentamente, iniziò a indietreggiare cercando di andarsene, ma lei lo raggiunse e gli prese il polso. Aveva una stretta di ferro.
«Senti, so che ti sembrerà assurdo, ma devi svegliarti! Se non lo fai, verranno a prenderti!»
«Cosa? Chi verrà?» chiese lui tentando di farle mollare la presa, inutilmente. La ragazza si mise una mano sul viso, esasperata. Fece un paio di respiri profondi, dopodiché puntò i suoi penetranti occhi verdi su di lui.
«Ascolta, sto per dirti qualcosa che ti sconvolgerà, davvero, quindi ascoltami bene, perché di certo questa sarà l'ultima volta che ripeti il tuo sogno. Quello che vedi intorno a te non è la realtà, tu sei in un altro luogo, e stai sognando. Io ti...» Jasper tentò di dire qualcosa e di allontanarla, ma lei strinse ancora di più il suo polso.
«Ti osservavo dal lago quando sono finita qui. Non so com'è accaduto, da quanto ne so, non è mai successa una cosa simile, ma ora che hai iniziato a rendertene conto gli atrax verranno a cercarti. Se non ne elimini almeno uno, morirai per davvero e non ti sveglierai mai!»
Jasper non sapeva se sorridere, irritarsi o sconvolgersi, per cui fece un'espressione a metà, che risultò una smorfia indecifrabile. Tentò di parlare molto lentamente: «Senti, io credo che tu sia molto confusa, se serve aiuto, ho un cellulare, potrei chiamare qualcuno e...»
«Zitto!» disse lei trascinandolo dietro un muretto. Lui fece resistenza.
«Ehi non zittirmi!»
«Shhh! Vieni giù!»
Jasper stava per protestare quando udì un ticchettio frenetico, come di unghie che sbattevano insistentemente su un vetro, avvicinarsi sempre di più. Fece appena in tempo a nascondersi dietro al muretto di mattoni accanto la ragazza, che un'ombra scura passò a coprire il sole. Con molta attenzione la ragazza si sporse a guardare e lui la imitò.
Ciò che vide lo sconvolse: si trattava di un essere enorme, almeno tre metri d'altezza, molto simile a un ragno, con zampe appuntite nere e lucide come ossidiana e il corpo altrettanto lucido, come se fosse stato in latex, con vene enormi che pulsavano freneticamente. La testa era ovale, ricoperta di occhi verdi e lattiginosi — Jasper ne contò dieci, ma potevano essere molti di più — tutti di grandezze differenti e una fila di zanne lunghe quanto un braccio. A completare lo spaventoso mostro c'erano un paio di artigli aggiuntivi che, al contrario delle altre otto zampe che fungevano da appoggio, erano alzati davanti a lui e avevano delle chele nelle estremità, altrettanto appuntite e dall'aria letale, come quelle di uno scorpione.
La ragazza imprecò sommessamente. «Speravo avessimo più tempo!» disse tra sé e sé, poi si voltò verso Jasper avvicinandosi al suo viso così tanto che lui poté contarle le lentiggini. I suoi capelli profumavano di frutti di bosco.
«Dobbiamo andare in un posto sicuro e organizzare una contromossa... dove abiti?» disse lei in un sussurro appena udibile.
Incapace di parlare, si limitò a indicare la casa adiacente a quella dove erano nascosti.
La bestia si trovava a circa dieci metri di distanza e si muoveva a destra e a sinistra alla ricerca di qualcosa — probabilmente di lui, pensò Jasper atterrito — quando lei gli fece segno di seguirla.
Camminarono tenendosi bassi e, facendo meno rumore possibile, scavalcarono il muretto che separava le due case.
«Apri la porta» sussurrò lei indicando la serratura.
Lui tirò fuori le chiavi dalla tasca.
Dling.
Maledetto campanellino.
Si voltò verso la creatura sperando che non avesse sentito... ma quello, non era proprio il suo giorno fortunato.
«Presto!» urlò la ragazza mentre il grosso ragno, emettendo un suono simile a un sibilo, si avvicinava ticchettando furiosamente sull'asfalto, con le chele che fendevano l'aria e gli occhi vitrei spalancati.
Jasper si affrettò il più possibile, ma il mostro era veloce, troppo veloce.
La ragazza si frappose tra lui e la bestia, si mise la mano destra sul petto e una luce abbagliante scaturì apparentemente dal nulla. Quello strano essere emise un suono acuto, interrompendo la sua corsa e anche Jasper dovette coprirsi gli occhi. Quando li riaprì, la ragazza aveva in mano una lunga lancia in legno con l'estremità appuntita, di un materiale luminoso simile al diamante.
«Ma come...?» iniziò lui.
«Smettila di perdere tempo, non lo terrò a bada a lungo!»
Jasper annuì e si diede da fare con la serratura mentre l'altra teneva lontano il mostro cercando di colpirlo con la lunga lancia. Quello, inizialmente titubante, si fece sempre più coraggioso e si avvicinò di qualche altro passo afferrando con le chele la lancia della ragazza.
«Veloce!»
«Fatto!» gridò lui. La trascinò dentro proprio mentre il ragno spezzava la lancia in due, richiudendosi la porta alle spalle e fermandola con la console. La bestia iniziò a colpire la porta, incrinandola. Non avrebbe retto a lungo.
«C'è un'altra uscita?» chiese lei.
«Si» rispose l'altro «in cucina. Dà sul giardino, possiamo scavalcare da lì.»
Lei annuì e lo seguì attraverso la casa. Aprirono la porta-finestra proprio quando uno schianto avvertì che la porta d'entrata aveva ceduto.
«La zia non sarà per nulla contenta» sospirò Jasper.
«Tranquillo, questo sarà l'ultimo dei tuoi problemi» affermò la ragazza, che stava già a cavalcioni sulla staccionata che separava il giardino da quello adiacente, tendendogli la mano. Per la prima volta gli stava quasi sorridendo. Jasper afferrò la sua mano e la seguì.
Attraversarono i vari giardini in tutta fretta, facendo prendere un colpo a qualche persona intenta a godersi il sabato in tranquillità nel patio di casa, finché non raggiunsero la strada. Lì ripresero fiato per qualche secondo, la schiena poggiata al muro e le mani sui fianchi.
«Allora, mi vuoi dire chi sei?» chiese lui.
«Eilise Lynch» rispose.
«Io sono Jasper Stone... che cos'era quello? E la luce? Come hai fatto con la lancia? Cosa...»
«Senti» lo interruppe lei «Vorrei raccontarti tutta la storia con calma ma, davvero, non abbiamo tempo.»
Lui la guardò e vide una cosa che prima non aveva notato. Sul suo petto era incastonata una gemma ovale di circa due o tre centimetri, che emanava una calda luce bianca.
«Che diavolo è?» chiese, indicandola.
Lei sorrise. «Ce l'hai anche tu, stupido.»
«Cosa? Ma che...» allargò il collo della sua maglietta e impallidì, Eilise aveva ragione.
«Ma cosa... ? Non l'avevo prima, ne sono certo!»
Cercò di strapparselo via, ma era come se facesse parte di lui, come un'unghia, tanto che toccandola riusciva quasi a percepirne il contatto, e brillava esattamente come quella della ragazza.
«Ti stai solo svegliando. Questa pietra è la tua stessa essenza e ti servirà per uscire da qui. Grazie a questa, se hai abbastanza forza, puoi evocare un'arma capace di perforare le corazze degli atrax.»
«I... grossi ragni ripugnanti... giusto?» chiese lui. Eilise annuì.
Si fissarono per qualche secondo, poi il cellulare di Jasper squillò facendoli sobbalzare. Fissò lo schermo.
«Diamine, Chad! Devo andare da lui!» esclamò e si mise a correre.
«Aspetta, tu non...» iniziò Eilise, ma Jasper stava già andando via quindi, esasperata, lo seguì di corsa.
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Capitolo 3 *** Il risveglio ***
Jasper arrivò di corsa a Walpole Park seguito da Eilise che, ormai rassegnatasi, lo seguiva senza sprecare fiato nel tentativo di fermarlo.
Chad era lì, seduto sulla solita panchina, con le cuffie sulle orecchie e il telefono in mano. Jasper si fermò a riprendere fiato e, anche in quel momento, ebbe la sensazione di aver già vissuto quell'istante.
Eilise lo raggiunse, anche lei con il fiato corto, e gli mise una mano sulla spalla.
«Ma dove diavolo credi di andare?» gli urlò annaspando.
«Senti, quello è il mio migliore amico. Se quei cosi sono qui in giro, devo avvertirlo!»
Eilise lo guardò con un'espressione di compassione mista a esasperazione. Questa cosa lo mandò in bestia.
«Senti, non so che cosa tu voglia da me, ma da quando sei arrivata sono successe cose tremende e spaventose, quindi perché non vai a farti un giro?» sbraitò lui. Eilise mutò la sua espressione da compassionevole a incredula.
«Cosa? Ti ho salvato la vita. Se non ci fossi stata io, a quest'ora saresti morto!» urlò lei.
«Questo lo dici tu! Magari invece quelle bestiacce sono qui a causa tua.»
«Sei un idiota!»
Jasper stava per risponderle quando qualcuno gli posò una mano sulla spalla. Lui si voltò di scatto e si ritrovò di fronte Chad.
«Jas, ti aspetto da un secolo! Che fine hai fatto?» chiese.
«Ehm... io...» iniziò, ma l'amico aveva già allungato il collo oltre la sua schiena, guardando in direzione di Eilise sorridendo.
«E la tua amica qui? Non me l'hai mai presentata...» Jasper lo guardò storto. «È una lunga storia» disse «Non ho tempo di spiegarti, dobbiamo andarcene, siamo in pericolo!»
«In pericolo?» «Sì, delle specie di ragni giganti. So che sembra assurdo, ma devi credermi.»
Chad aveva smesso di guardarlo per osservare sbigottito un punto alle sue spalle.
«Ragni neri giganti?» chiese.
«Sì.»
«Con zanne affilate e tanti occhi?»
«Esatto, ma come...»
«Via!» urlò Eilise e li spinse a terra giusto in tempo per evitare che la chela affilata dell'atrax li afferrasse.
I tre si alzarono in tutta fretta e corsero a nascondersi dietro un albero.
«Ci ha seguito, dannazione!» urlò Jasper.
«No» rispose Eilise «Ha seguito te. Sei tu la sua preda, devi combattere!»
Lei si poggiò la mano sul petto e di nuovo evocò la lancia. L'atrax spruzzò un liquido giallognolo sull'albero dove erano nascosti, e i tre si spostarono giusto un secondo prima di vederlo sciogliersi, sfrigolando come se quello strano liquido fosse stato incandescente.
«Quel coso sputa acido?» urlò Chad. Eilise lo ignorò e si preparò al contrattacco.
«Jasper, posso tenerlo a bada per un po', ma questo è il tuo sogno, solo tu puoi ucciderlo!»
Lui la guardò interrogativa.
«La pietra!» urlò lei «Evoca la tua arma!»
Jasper non sapeva che fare, ma restare con le mani in mano non era contemplato e, se lei era riuscita a evocare la lancia, lui non doveva essere da meno. Mise da parte ogni esitazione e decise che, per quanto assurdo gli sembrasse, se non avesse tentato, sarebbe stato come perdere in partenza. Si alzò e mise la mano destra sul petto cercando di evocare qualcosa, qualsiasi cosa.
Niente.
«Non ce la faccio! Non funziona!» urlò a Eilise.
«Devi focalizzarti sulla pietra! Avvertila! Pensa a tutti quelli che vorresti proteggere!» disse con la voce affannata nel tentativo di tenere il mostro a distanza.
Jasper annuì, si rimise la mano sul petto e pensò a Chad e a sua zia Natalie, a quanto ci teneva a loro e al bisogno di proteggerli. Cercò di focalizzare la pietra al centro del suo petto e di riversare su di essa tutto quello che provava, finché non sentì un calore immenso.
La gemma iniziò a rifulgere di una luce chiara, potente, poi la sua mano afferrò qualcosa. Iniziò a tirar fuori quel qualcosa con più decisione fino a che non ebbe teso completamente il braccio e, aprendo gli occhi che aveva tenuto semichiusi per via della luce, si ritrovò in mano una lucente spada che sembrava fatta interamente di cristallo.
Jasper era sconvolto e orgoglioso di sé al contempo. Soppesò la spada e si accorse di sentirsi a proprio agio, come se quella lama fosse un prolungamento del suo stesso braccio. Senza pensarci due volte corse a fianco di Eilise per darle una mano.
Lei se la cavava piuttosto bene. Schivava e affondava senza esitazioni, e Jasper si sentì davvero un inetto al suo confronto. La spada era fantastica, brillava di una tenue luce ed era bilanciata perfettamente, ma lui non sapeva davvero come usarla. Tentò di colpire le chele dell'atrax, ma la spada vi cozzò contro senza scalfirle.
«Sono corazzate, devi mirare alla testa o al corpo» gli urlò lei. Aveva appena finito di dirlo che un colpo sferrato da una delle chele la colpì e la fece volare di lato.
Jasper si sentiva perso davanti quell'enorme creatura spaventosa. L'atrax si avvicinò a lui con fare minaccioso, ma Chad, che era rimasto in disparte fino a quel momento, vi si avventò urlando.
«Lascia stare il mio amico!» disse, afferrandogli una zampa. Il mostro iniziò a scuoterla e Chad finì contro un albero. Il ragno si avvicinò a lui minaccioso.
«Chad, che diavolo fai?» urlò Jasper tentando di attirare l'attenzione nuovamente su di lui. Ma era troppo tardi. L'atrax allungò la chela affilata e la piantò nel petto dell'amico senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
Jasper sentì il battito del cuore arrestarsi di colpo.
Chad a terra, con la schiena contro l'albero e gli occhi spalancati mentre una macchia rossa e scura si allargava sul suo petto, sporcando le cuffiette che ancora portava a tracolla e l'erba intorno a lui.
Jasper finì in ginocchio e un urlo gli uscì senza neanche accorgersene, mentre l'atrax, sprezzante, staccava la chela dal corpo ormai inerte di Chad e si voltava verso di lui.
Iniziò a ripensare a tutti quei momenti che aveva condiviso con l'amico, a tutte le giornate passate insieme e il cuore gli si strinse in una morsa, prima di dolore, poi, mentre il mostro si avvicinava, di rabbia...
Quando l'atrax tentò un affondo nella sua direzione, lui afferrò più saldamente la spada e con una spazzata lo allontanò, poi si mise in piedi e con una forza e una determinazione che non credeva di avere iniziò a colpire e schivare ogni attacco. Era come se a un tratto riuscisse a prevedere ogni mossa. Schivò l'ennesimo attacco abbassandosi e, avvicinandosi, colpì proprio dove la chela si attaccava al corpo, tagliandola di netto. L'atrax emise un urlo stridulo e tentò di attaccarlo con la chela rimasta, ma Jasper era pronto. Scartò di lato bloccando il colpo con il piatto della lama, dopodiché si abbassò e con uno slancio si buttò al di sotto del mostro.
«Questo è per Chad, bastardo!» urlò, conficcandogli la lama in quello che presumeva essere il petto.
L'atrax iniziò a dimenarsi, ma Jasper non mollò, anzi, affondò ancora di più la lama, schizzandosi di un liquido verde scuro che presumibilmente era il suo sangue e che iniziò a uscire sempre più copiosamente dalla ferita.
Jasper si sentiva soffocare da tutto quel sangue che finiva sul viso, chiuse gli occhi e iniziò ad annaspare, tutto divenne scuro e la spada gli sfuggì di mano. Preso dal panico, iniziò a dimenarsi sempre più in preda agli spasmi per la mancanza di aria finché due paia di mani non lo afferrarono e lo tirarono su.
Quando lo poggiarono a terra, lui iniziò a tossire, sputando e tentando di respirare con il cuore che batteva così forte che, Jasper ne era sicuro, sarebbe saltato fuori dal suo petto da un momento all'altro. Si strofinò gli occhi bagnati tentando di mettere a fuoco e si accorse di avere le mani e il corpo puliti... non era sangue, era acqua.
Si guardò intorno e si ritrovò sulle sponde di un enorme lago. Intorno a lui c'erano un paio di ragazzi poco più grandi, probabilmente gli stessi che lo avevano tirato su, intenti a sorreggere un'Eilise completamente fradicia e dall'aria frastornata mentre un terzo, alto e con capelli neri come la pece, era chino su di lei e le parlava concitatamente, avvolgendole una coperta sulle spalle.
A un tratto quello si voltò e si diresse con aria furiosa verso Jasper. Lo prese per la maglietta e lo tirò su, guardandolo con disprezzo. Aveva dei penetranti occhi di un azzurro chiarissimo, come se fossero fatti di ghiaccio.
«Che cosa credevi di fare?» gli urlò a pochi centimetri dalla faccia e Jasper notò che anche lui, come gli altri, aveva quella strana pietra incastonata nel petto.
«Jake lascialo stare!» esclamò Eilise con voce ferma, ma con un tono leggermente allarmato. Jasper avrebbe voluto reagire, ma era sfinito, con le gambe tremanti e le braccia come due macigni. Tentò di dimenarsi per allontanarsi dalla presa, ma l'altro non sembrava intenzionato a lasciarlo andare.
«È stata colpa mia, va bene? Adesso lascialo e vattene!» urlò lei, stavolta con aria più sicura. Quello sembrò voler dire qualcosa, poi sbuffò e, dopo una seconda occhiataccia rivolta a Jasper, lo scaraventò a terra e si voltò per andarsene. «Fa' come vuoi Eilise, ma sarà solo una tua responsabilità... io non voglio saperne nulla» disse, dopodiché se ne andò, seguito dagli altri due.
Eilise si avvicinò a Jasper che iniziava a sentire mille nuovi sentimenti che gli attorcigliarono lo stomaco, primo fra tutti la voglia di spaccare la faccia a quel tipo.
«Scusa, non è proprio il benvenuto che danno di solito» disse, porgendogli la mano. Lui la prese e si alzò, ma le gambe lo reggevano a malapena e, a malincuore, accettò l'aiuto di Eilise.
«Dove siamo? Chi era quell'idiota? E il mostro che fine ha fatto?»
Fece una pausa.
«Chad... lui...»
Eilise sorrise tristemente.
«So che sei confuso, ma questo non è il momento di parlare, abbiamo bisogno di vestiti asciutti e qualcosa di caldo» disse, poi indicò la collina davanti a lei e Jasper, per la prima volta, si rese conto che alcune casupole con i comignoli fumanti erano raggruppate a un paio di chilometri di distanza.
«Andiamo a casa mia, lì parleremo con calma e risponderò a ogni tua domanda» disse. Fecero qualche metro in silenzio, poi Eilise si voltò verso di lui.
«Ah, a proposito... benvenuto alla collina.»
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