The Night We Met

di TheSlavicShadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 26. Incontro ***
Capitolo 2: *** 42. Bacio ***
Capitolo 3: *** 09. Fuochi d'artificio ***
Capitolo 4: *** 44. Desiderio ***
Capitolo 5: *** 15. Bambola ***
Capitolo 6: *** 29. Attesa ***
Capitolo 7: *** 48. Caffè ***
Capitolo 8: *** 37. Gelosia ***
Capitolo 9: *** 49. Potere ***



Capitolo 1
*** 26. Incontro ***


Giugno 2001

 

Sin da quando era un bambino, Steve Rogers aveva sempre mal sopportato le ingiustizie. Questo lo aveva fin troppo spesso portato ad essere coinvolto in risse che fin troppo di frequente non poteva vincere. Era stato un ragazzino mingherlino e malaticcio, e nessuno lo prendeva mai sul serio. Neppure il suo migliore amico che arrivava sempre al momento più opportuno per salvargli il fondoschiena.

E questa era solo l’ennesima rissa che poteva risparmiarsi. Doveva essere una serata tranquilla con i suoi amici nel loro pub preferito, fatta di birra, patatine fritte e risate. Molte delle quali rivolte contro di lui che era appena stato piantato dalla ragazza che frequentava da qualche tempo. Non era mai stato molto fortunato con le donne. Prima per il suo aspetto, poi perché non sapeva mai come parlare e rapportarsi con loro. Era stata una serata come molte altre. Avevano riso. Si erano insultati tra di loro per poi ridere di nuovo. Stavano progettando una breve gita da fare nel weekend a seguire.

Era un sabato sera come molti altri prima di quello. Ed era convinto che tale sarebbe rimasto fino alla fine.

Solo che quando aveva visto un tizio mettere le mani sul fondoschiena di una ragazza e questa aveva cercato di allontanarlo senza riuscirci, qualcosa in lui era scattato.

Il tipo era più alto e robusto di lui. Probabilmente anche più vecchio di lui. Mentre quella ragazza era minuta. E sembrava tremendamente giovane.

Non si era quasi accorto quando il suo pugno aveva incontrato il naso dell’altro.

“Ehi! Ma che cazzo fai?” Si era voltato verso la ragazza che lo guardava con labbra rosse imbronciate ed era sicuro di averla già vista da qualche parte, ma non era riuscito a pensare oltre perché un pugno lo aveva raggiunto allo stomaco facendolo piegare in due. Quello che ne era susseguito non gli era stato molto chiaro. La ragazza aveva urlato. Aveva sentito urlare i propri amici e anche quelli della ragazza. Erano volati altri pugni e l’unica cosa a cui aveva pensato era stata controllare che la ragazza si fosse allontanata. L’aveva vista parlare col barista, che aveva già la cornetta del telefono in mano e stava sicuramente per chiamare la polizia. Dalla sua posizione la vedeva sorridere affabilmente all’uomo e questi sembrava pendere dalle sue labbra.

“Rogers, Barnes! Tornate al vostro tavolo sennò chiamo davvero la polizia!” L’uomo aveva urlato da dietro il bancone e tutti si erano fermati. Nessuno voleva essere portato dentro dalla polizia per una banale rissa.

“Siete due idioti.” Natasha Romanoff era entrata nel suo campo visivo, prendendo per un orecchio James Barnes e lo aveva trascinato verso il tavolo su cui avevano passato la serata fino a quel momento. E mentre anche lui stava per seguire la coppia, la ragazza gli era passata accanto per tornare da quello che probabilmente era il suo ragazzo. E gli aveva sorriso. Lo aveva guardato e gli aveva sorriso.

“Steve, quel pugno è stato fantastico! Così perfetto ed inaspettato! Bum! Ed era a terra!” Clint Barton aveva colpito il suo braccio, sorridendo come se fosse il giorno di Natale e lui avesse ricevuto il miglior regalo di sempre.

“Clint! Non fargli i complimenti!”

“Nat, dai! Era una serata noiosa prima di questa mini rissa. Se fosse durata un attimo in più mi sarei più che volentieri unito a loro.”

Steve li aveva guardati. Natasha osservava Clint come se potesse staccargli la testa solo con il potere della mente, Clint continuava a parlare e Bucky era diventato più silenzioso di una formica, nascondendo il viso ferito come meglio poteva. Poteva vedere il suo zigomo già arrossato e temeva di essere nelle stesse condizioni. Nat non gliel’avrebbe fatta passare liscia stavolta. Solo la settimana scorsa Steve si era ritrovato coinvolto in una rissa perché dei bulli se la prendevano con un ragazzino. Nat gli aveva fatto una predica lunghissima mentre gli sbatteva in faccia un sacchetto di piselli surgelati ed era sicuro che avesse fatto più danni lei che la rissa.

“Giuro su Dio che non vi faccio più uscire di casa. Nessuno dei tre.”

“Ma quella ragazza aveva bisogno di aiuto, Nat!” Questa volta era stato Steve stesso a protestare, zittendosi subito dopo perché la rossa lo aveva guardato male.

“Sì, avevo proprio bisogno di aiuto.”

Steve si era voltato di scatto, trovandosi di fronte la ragazza di poco prima. Gli sorrideva ancora e ora gli sembrava ancora più giovane di quello che gli era sembrata in un primo momento. Teneva in mano due boccali di birra e dietro di lei c’era un cameriere con altri tre boccali, che aveva subito appoggiato sul tavolo di fronte ai suoi amici. Mentre la ragazza era in piedi accanto a lui e sorrideva. Solo ora notava com’era fatta davvero. I capelli scuri legati in una coda alta. I jeans strappati e una maglietta di un gruppo hard rock che conosceva solo perché lo ascoltava anche Bucky.

Si era alzato di scatto e lei lo aveva solo seguito con lo sguardo, senza togliere gli occhi dai suoi.

“Scusami se mi sono intromesso poco fa, ma mi sembravi in difficoltà e non sono riuscito ad ignorare la situazione. Spero che non ci siano problemi con il tuo...ragazzo?”

“Ex ragazzo da una decina di minuti. Se si poteva definire ragazzo. In ogni caso un vero pezzo di merda, quindi grazie per avermi aiutato a liberarmene.” Gli aveva porto il boccale di birra. “Questa è per ringraziarti. Anche il tuo amico la dietro.” L’aveva vista sporgersi un po’ e sorridere anche a Bucky.

“Oh, cazzo.” Steve aveva solo sentito Bucky aprire bocca, ma non si era voltato a guardarlo. Lo conosceva così bene che poteva immaginarsi la sua faccia. Era quella che faceva quando aveva un’epifania. “Ma tu sei Natasha Stark!”

Solo allora Steve si era voltato. I suoi amici fissavano la ragazza con occhi spalancati. Clint aveva alzato un braccio, indicandola con un dito come se avesse visto un fantasma.

“Sì, purtroppo quello è proprio il mio nome. Ma così mi chiamano solo i miei genitori quando sono incazzati.” La ragazza, Natasha aveva dovuto ripetersi, aveva fatto una smorfia guardando oltre Steve per poter sicuramente guardare Bucky. Lui non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Non poteva crederci che quella era Natasha Stark, l’unica figlia del multimiliardario Howard Stark che si era appena laureata al MIT in ingegneria meccanica con il massimo dei voti. Natasha Stark aveva appena 17 anni, cosa diavolo ci faceva in un pub e perché le avevano venduto degli alcolici?

“Allora Tasha, perché non ti siedi con noi?” Clint le aveva sorriso e la ragazza non se lo era fatto ripetere due volte. Aveva preso posto subito, sedendosi accanto a Clint e Steve l’aveva solo osservata. Aveva appena salvato la malfamata Natasha Stark e questa gli offriva da bere. “Steve, siediti anche tu. Mica vorrai restare in piedi tutto il tempo ora?”

Si era seduto, come ridestatosi da un momento di trance. L’aveva guardata di nuovo mentre le sedeva accanto. Era diversa rispetto a come gli era sembrata in TV o sui giornali. Quando l’aveva vista in televisione aveva creduto che fosse una spocchiosa ragazzina viziata che non si mescolava mai con la gente comune. Invece eccola in un pub di Brooklyn, un pub normale per gente normale. E si sedeva con lui e i suoi amici senza fare complimenti.

Bucky la stava ancora guardando. Teneva il boccale di birra a mezz’aria e sembrava volesse dire qualcosa ma in realtà non emetteva alcun suono. Erano tutti stupiti dalla nuova aggiunta al loro tavolo. E lei sembrava incurante dei loro sguardi. Probabilmente doveva essere abituata ad avere sempre tutta l’attenzione su di sé.

“Ho una domanda da farti.” Bucky aveva appoggiato il boccale sul tavolo e si era sporto tutto verso di lei. “Come hai fatto ad entrare e soprattutto a comprare alcolici?”

“Con i soldi e il mio bel faccino.” La ragazza gli aveva sorriso, bevendo subito dopo un sorso di birra. Bucky aveva sorriso a sua volta e Clint aveva ridacchiato. Nat aveva solo scosso la testa, ma era sicuro di aver scorto l’ombra di un sorriso.

“Ma sei...minorenne.”

“Ottima deduzione, Watson.” Natasha Stark lo aveva guardato e c’era qualcosa in quello sguardo che lo aveva fatto tremare. Non credeva nel colpo di fulmine. Credeva nell’amore che veniva coltivato, credeva nei corteggiamenti. Non credeva in qualcosa che non aveva alcun fondamento solido.

Ma il modo in cui lo aveva guardato gli aveva per un attimo mandato totalmente in tilt il cervello. Come se le sue sinapsi si fossero completamente bruciate. E non aveva fatto assolutamente nulla. Aveva alzato un sopracciglio e lo aveva guardato. E questo era bastato per mandarlo in corto circuito.

Lei si stava comportando con naturalezza, come se li conoscesse da sempre. E non da un quarto d’ora scarso. La cosa strana era che non gli dava fastidio. Di solito era lui quello più chiuso in sé stesso, quello che non permetteva agli altri di avvicinarsi, non seriamente. E poi arrivava dal nulla questa ragazza, che rideva di gusto alle battute cretine dei suoi amici e appoggiava una mano sul suo braccio.

Era tutto semplicemente strano.

“Devo andare.” Tasha si era alzata e Steve aveva notato tutti guardarla.

“Ma non è neanche mezzanotte ancora!” Clint aveva protestato. Ovviamente sarebbe stato lui quello che doveva dire qualcosa.

“Quando sono a casa dai miei sono come Cenerentola, Barton. E ora devo correre per cercare una zucca che mi riporti a casa.”

“Steve, perché non le dai tu un passaggio?” Ovviamente era stato Bucky a parlare. Si era voltato verso il proprio migliore amico e questi sorrideva. Sapeva perché lo avesse fatto. Bucky aveva fatto la propria missione di vita quella di trovargli una ragazza. E questa volta doveva essere Natasha Stark la prescelta.

Avrebbe voluto davvero mandarlo subito a quel paese, ma aveva incontrato gli occhi della ragazza ancora una volta ed era davvero perduto in quell’istante. Era una cosa così stupida e quella doveva essere una sciocchezza.

“Non serve. Prendo un taxi qui fuori, anche perché devo andare fino a Long Island.”

“Motivo in più per farti accompagnare.” Si era alzato anche lui. Aveva preso la giacca appoggiata alla sedia e aveva salutato i propri amici. Aveva sentito Tasha salutarli a sua volta e ridere ad una battuta fuori luogo da parte di Bucky. Bucky non sarebbe stato Bucky se non avesse fatto almeno una battuta a doppio senso, ma la ragazza non se n’era curata particolarmente. Aveva riso e gli aveva mandato un bacio prima di seguirlo fuori dal pub.

“E’ una Harley. Oddio, ma è un modello degli anni ‘70. Ed è tenuta benissimo. Wow.” Tasha si era accucciata accanto alla moto non appena si erano avvicinati. Guardava qualcosa che a lui era invisibile e sembrava meravigliata.

“L’abbiamo ereditata dal padre di Bucky e poi messa a posto.” Continuava a guardarla mentre metteva le mani ovunque e i suoi occhi saettavano da un punto all’altro.

“Se me la porti uno di questi giorni te la faccio diventare come nuova.” Aveva alzato gli occhi su di lui e aveva sorriso. “Prima che tu dica qualsiasi cosa, sono un meccanico.”

“Ingegnere meccanico, no? Laureata giusto un paio di settimane fa niente poco di meno che al MIT con il massimo dei voti.” Aveva notato il suo sorriso vacillare per un secondo e i suoi occhi tornare alla moto. E forse aveva detto qualcosa di sbagliato, ma lei non gli aveva dato il tempo di capirlo. Si era alzata e aveva sorriso ancora.

“Proprio così. Quindi mi aspetto che mi porti questi gioiellino nei prossimi giorni e io te la rimetto a nuovo. Non ho mai lavorato su una moto di questo tipo, ma è meravigliosa.”

“Metti il casco, meccanico.” Le aveva porto il casco di scorta e Tasha aveva sorriso infilandoselo subito. Aveva giusto aspettato che salisse prima lui sulla moto e poi era salita lei. Le sue mani avevano stretto la sua vita e non aveva potuto fare a meno di guardarle. Erano piccole e su diverse dita c’erano delle piccole ferite. Erano molto diverse da quello che aveva sempre immagino per una delle ragazze più ricche del mondo.

E per un istante aveva pensato che avrebbe voluto disegnarle quelle mani.

 

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Capitolo 2
*** 42. Bacio ***


Giugno 2001

 

“Mi hai portato dei fiori?” Era stata la prima cosa che Natasha Stark aveva pronunciato quando aveva aperto la porta di casa. Era stata stranamente più veloce del loro maggiordomo e per fortuna i suoi genitori non erano in casa. Non era pronta a rispondere a nessuna delle loro domande. Non quando loro ancora la credevano impegnata con un altro. Anche se in realtà forse erano rimasti a diversi ragazzi fa.

“Sono un ragazzo all’antica.” Steve Rogers le aveva sorriso e le aveva porto un mazzo di fiori. Erano semplici ed erano stupendi. Poteva notare anche la cura che aveva avuto Steve nello sceglierli ed abbinare i colori. Un mazzo colorato, ma non troppo. Con colori vibranti che sembravano uscire da una tela.

“Signorina Stark, rispondere alla porta è il mio lavoro.”

Avrebbe dovuto essere più veloce. Doveva solo aprire la porta e uscire. O doveva dargli appuntamento da un’altra parte e non farsi venire a prendere a casa. Ma Steve aveva insistito. E quando aveva visto i fiori il suo cervello aveva avuto un piccolo blackout.

Si erano sentiti quasi ogni giorno nell’ultima settimana. E alla fine Steve le aveva chiesto di uscire. Era abbastanza sicura che era stato Barnes a convincerlo, ma non glielo avrebbe rinfacciato. Anzi, forse avrebbe anche ringraziato l’altro ragazzo se quella serata fosse andata bene.

“Sta uscendo?” Edwin Jarvis le si era avvicinato e stupito aveva guardato Steve. Pantaloni scuri e camicia non erano l’abbigliamento usuale dei ragazzi con cui Jarvis l’aveva vista uscire di solito. I fiori erano una prima volta assoluta per un appuntamento. “Non credo di aver avuto l’occasione di fare la sua conoscenza, signore. Edwin Jarvis, il maggiordomo di casa Stark.”

“Oh, io… Piacere, signore. Steve. Steve Rogers.” Aveva nascosto il viso dietro ai fiori per nascondere il sorriso che non riusciva a trattenere di fronte al comportamento imbarazzato di Steve. Il ragazzo aveva allungato il braccio per stringere la mano che Jarvis gli porgeva, e lei conosceva Jarvis troppo bene da sapere che lo stava studiando con attenzione. Una volta rientrata le avrebbe fatto il terzo grado. Non avrebbe detto una sola parola ai suoi genitori, non ancora, ma a lei avrebbe fatto molte domande.  

Voleva ridere. Il modo in cui Steve aveva cercato con gli occhi il suo aiuto le aveva fatto venire voglia di ridere. Jarvis poteva anche essere più alto, ma era decisamente più vecchio e molto meno muscoloso. E sapeva come mettere in soggezione qualcuno.

“J, se continui a guardarlo così lo farai scappare e per ora non lo voglio.” Aveva porto i fiori al maggiordomo che aveva subito preso il mazzo. Li avrebbe messi in camera sua anche senza che lei glielo dicesse. Avrebbe trovato posto su uno degli scatoloni che non voleva aprire e che ingombravano la sua stanza.

“Mi sono solo presentato, signorina. Non l’ho ancora minacciato.” L’aveva guardata e poi si era voltato verso Steve ancora una volta. Lo aveva guardato seriamente e Steve aveva deglutito. “Figliolo, conosco ogni poliziotto della città, quindi non fare scherzi.”

“Steve, andiamo.” Aveva alzato gli occhi al cielo mentre si infilava il giubbotto di pelle e usciva di casa. Steve era in moto ancora una volta e lei stava amando quel veicolo. Lo aveva preso per mano e lo aveva sentito bofonchiare un saluto a Jarvis prima di seguirla. Sì, Jarvis avrebbe decisamente fatto diverse domande quando fosse rientrata.

 

❀❀❀

 

Osservava il ragazzo che le stava seduto di fronte e leggeva il menù. Vedeva le sue labbra muoversi impercettibilmente mentre osservava tutto con le sopracciglia corrugate.

Il menù era in francese. L’aveva portata in un ristorante francese e sapeva benissimo cosa stesse cercando di fare. Non era la prima volta. Non sarebbe stata probabilmente neppure l’ultima.

Cerchiamo di stupire Natasha Stark portandola a cena in un locale elegante.

Aveva appoggiato il viso sul palmo di una mano e lo guardava. Era interessante guardarlo. Aveva le spalle larghe, sembrava potesse sopportare la potenza di un uragano su di esse. E ora sembrava minuscolo mentre cercava di capire come pronunciare determinate parole. Le metteva tenerezza, tutto sommato. Poteva aver storto il naso in un primo momento quando aveva visto il posto in cui l’aveva portata. Ma stava sinceramente apprezzando il suo sforzo ora.

“Steve, è la prima volta in un ristorante francese?”

“Si nota?” Aveva alzato lo sguardo verso di lei e sembrava ancora più imbarazzato.

“No, per nulla. Stai solo leggendo quel menù come se contenesse la formula per una bomba nucleare.” Si era sporta verso di lui e aveva sorriso quando lo aveva visto arrossire. No, Steve non era come quelli che normalmente cercavano di conquistarla. Nessuno era mai arrossito per una sciocchezza simile. Nessuno era mai arrossito in generale.

“Non credevo che il francese fosse così difficile.”

“Posso insegnarti. Giusto qualcosa che potrebbe tornarti utile se mai andrai in Francia. O tornerai in un ristorante francese.” Aveva sorriso ancora. Lei parlava francese in modo fluente. Francese e diverse altre lingue. “E ora, che ne diresti se ce ne andassimo da qui e andassimo a mangiare in un altro posto? So che hanno aperto un ristorante indiano vicino a Central Park ma non ho ancora avuto occasione di andarci. Ma Rhodey, un giorno te lo presenterò, ha detto che si mangia divinamente. Quindi, se non ti dispiace la cucina etnica si potrebbe andare lì, e la cucina francese la lasciamo per un’altra volta. Anche se, in tutta onestà, non sono una grandissima amante della cucina francese. Di solito mangio cose molto più schifose e queste cose le lascio solo per quando devo accompagnare i miei genitori a qualche cena. Però devo ammettere che Jarvis prepara una bouillabaisse così buona che quella che ho mangiato a Marsiglia non può reggere al confronto.” Aveva parlato di nuovo troppo. Lo aveva notato dal modo in cui Steve l’aveva guardata. Quella era una cosa che le avevano fatto notare spesso, etichettandola come un difetto e finendo a volte anche per rinfacciarglielo.

“Sei stata a Marsiglia?”

Era stupita. Steve l’aveva ascoltata tutto il tempo. Non aveva solo fatto finta di ascoltarla.

“Sì, una decina d’anni fa con i miei. E con Jarvis e Ana.” Aveva spostato lo sguardo da Steve. Non le era mai capitato di parlare con qualcuno di quello che faceva nella vita di tutti i giorni. Solo con James Rhodes. Ma Rhodes era speciale. Rhodes era il fratello maggiore che non aveva mai avuto e lei era la sua sorellina pestifera. Glielo diceva sempre. “Siamo stati anche a Nizza e Parigi. Tre settimane.”

“Sembra bello. Con mia madre al massimo siamo stati a vedere le cascate del Niagara per il mio decimo compleanno.”

“Oh, ma sono belle anche quelle. Non sono da sottovalutare solo perché sono dietro l’angolo.” Gli aveva sorriso e si era alzata da tavola porgendogli la mano. Desiderava davvero che quella serata fosse speciale. E voleva soprattutto vedere Steve a suo agio. “Rogers, andiamo in un posto dove ti senti a tuo agio.”

“Nel pub dell’altra volta?”

Aveva sorriso di più e aveva annuito quando Steve le aveva stretto la mano.

“Se mi fanno entrare, vada per il pub.”

 

❀❀❀

 

“Oh no, il mio vestito stona con questo posto.” Si era seduta nel tavolino più nascosto che aveva trovato.

“Trovo però che ti stia molto bene.” Steve si era seduto accanto a lei, appoggiando i loro bicchieri sul tavolo. L’avevano fatta entrare solo perché aveva promesso che non avrebbe toccato alcool e perché Steve garantiva per lei. E anche perché lei aveva fatto gli occhi dolci al proprietario.

Aveva osservato per un attimo il vestito di pizzo bianco che aveva deciso di indossare. Era uno di quelli che sua madre l’aveva costretta a comprare. E che lei non aveva mai indossato prima di quel momento.

“Diciamo che è un’occasione speciale e allora ho voluto strafare. Credo ne sia valsa la pena.” Gli aveva sorriso e Steve aveva ricambiato. “Onestamente, non mi capita spesso che qualcuno mi inviti a cena. Di solito mi portano alle feste, in discoteca. E nessuno deve garantire per me sul fatto che non toccherò alcool.”

“Conosco il proprietario da anni. Per qualche tempo ho lavorato qui, anche se ero ancora minorenne. Aiutavo a sistemare il magazzino.” Steve aveva sorriso ancora, portandosi il boccale di birra alle labbra. Lei aveva dovuto accontentarsi di una Coca-Cola.

“E ora cosa fai?”

“Mh, ho una borsa di studio alla New York Academy of Art e ho appena finito il primo anno. E un debito enorme per pagare tutto il resto.” Steve le aveva sorriso, ed era un sorriso davvero puro, sincero. “E’ un sogno che ho da sempre però, e quindi non pesa neanche la pressione del debito studentesco. E la scuola è davvero ottima. Sono riuscito a trovare lavoro in una galleria d'arte per il momento.”

“Dovevo immaginare che fossi un artista dalla scelta dei fiori.” Aveva sorriso anche lei. Era intrigata da questo ragazzo. Era uscita con tantissime persone soprattutto nell’ultimo anno. Ragazzi conosciuti per lo più all’università, con cui molto spesso neppure parlava. Era solo sesso. Le sue relazioni erano state solo sesso. “Mia madre è una vera appassionata di arte. In soggiorno abbiamo un Monet originale. Magari un giorno in soggiorno appenderà qualcosa col tuo nome.”

“Sei sempre così affabile?”

“Ci provo almeno. Mia madre dice che essere una donna affabile ti apre tutte le porte del mondo. Secondo mio padre bisogna essere di ferro e spaccarle le porte se necessario.”

“Quando appare in televisione sembra affabile anche tuo padre.”

“Sembra. Hai detto la parola giusta.” Gli aveva sorriso e doveva cambiare discorso. Non voleva parlare di suo padre. Howard non era mai un buon argomento di conversazione. Ogni volta che qualcuno nominava suo padre era per chiederle un qualche tipo di favore. “Probabilmente ho preso da lui questa lingua dolciastra che sa quando fare i complimenti a qualcuno per entrare nelle sue grazie.”

“Non credo tu abbia bisogno di queste cose. I miei amici li hai conquistati con un boccale di birra?”

“E te?” Non sapeva se avesse posto la domanda giusta o meno. Forse avrebbe dovuto semplicemente stare zitta e ascoltarlo senza dover per forza dare fiato alla bocca. Solo che non sapeva come interpretare Steve. Non era stranamente per nulla facile. Sembrava nuovamente imbarazzato.

“Credo sia stato il modo in cui mi hai guardato la prima volta. Oppure il tuo sorriso mentre parlavi con il proprietario. Non sono sicuro quale dei due esattamente, ad essere sincero.”

“Grazie per quella sera. Non sono mai stata molto brava nello scegliermi i ragazzi con cui uscire.” Avrebbe osato. Doveva osare. Aveva allungato una mano e aveva sfiorato quella di Steve. E lui l’aveva girata per poter stringere la sua.

“Hai solo 17 anni.”

“Questo rende tutto molto peggiore.”

“No, questo spiega le tue scelte sbagliate.” Le aveva sorriso di nuovo. E questa volta lei aveva agito.

Si era sporta completamente verso Steve Rogers e coglionendolo di sorpresa lo aveva baciato, sperando con tutta sé stessa che non fosse anche questa una scelta sbagliata.

 

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Capitolo 3
*** 09. Fuochi d'artificio ***


4 luglio 2001

 

I suoi amici si stavano comportando in modo strano. Era da qualche giorno che avevano ridotto le battute nei suoi confronti e non lo punzecchiavano per il fatto che stava uscendo con Natasha Stark. Uscendo davvero. Come una coppia. Anche se nessuno dei due aveva ancora dato una vera definizione a quello che stavano vivendo. Si conoscevano da davvero poco tempo, neppure un mese. Avevano però avuto qualche appuntamento. Più di uno. Quasi ogni giorno, se doveva essere onesto con sé stesso.

La prima volta Tasha lo aveva aspettato fuori dalla galleria d’arte dove lavorava. Era appoggiata contro il muro e guardava qualcosa sul cellulare. Sembrava una ragazzina qualsiasi che passava troppo tempo a messaggiare con le amiche.

“Signorina Stark, mi può fare un autografo?” Aveva visto il terrore nei suoi occhi a quella domanda e aveva riso. Lei non era stata altrettanto divertita, gli aveva detto. Aveva il terrore che qualcuno la riconoscesse per strada e la fermasse.

Aveva preso la metropolitana per arrivare fino a lì, aveva aggiunto, e stava scrivendo un messaggio a Jarvis per dirgli di essere arrivata sana e salva fino a Manhattan.

Era la prima volta che prendeva i mezzi pubblici, gli aveva detto mentre abbassava lo sguardo imbarazzata. Voleva fargli una sorpresa, e non voleva attirare l’attenzione presentandosi con una delle macchine che possedevano. Neppure farsi accompagnare da Jarvis, che l’avrebbe portata con una Rolls Royce Phantom.

Steve aveva soltanto sorriso. La trovava davvero carina per quel gesto. E non aveva resistito dal allungare un braccio e accarezzarle il viso.

Era tutto così strano, così ridicolo, ma quando Natasha Stark lo guardava sentiva davvero le farfalle nello stomaco.

E avevano passato la serata a Central Park, seduti su una panchina come una coppia di anziani. Avevano mangiato qualcosa e poi Steve l’aveva accompagnata a casa. Ancora una volta si era soffermato a guardare le sue mani. Erano così piccole. Sembravano così gracili, ma di questo si era presto ricreduto.

Il giorno dopo aveva passato il pomeriggio in quello che Tasha aveva chiamato il suo santuario, ma che in realtà era solo un’officina ai suoi occhi. C’era un braccio meccanico in un angolo che faceva più danni che altro e Tasha non faceva che insultarlo. Lo aveva costruito lei, gli aveva spiegato. Aveva vinto il primo premio alla gara di progettazione robotica con quel prototipo.
La osservava mentre smontava la sua preziosa moto. Se Bucky avesse scoperto cosa le stava permettendo di fare, lo avrebbe ucciso. Quella moto era preziosa per entrambi, anche se ormai era più lui ad usarla che Bucky. Osservava le mani di Tasha che si muovevano senza difficoltà mentre allentava bulloni e ispezionava con cura tutto quello che toglieva e glielo spiegava a voce alta. Ne sapeva davvero molto più di lui. Ed era solo una ragazzina. Una ragazzina dell’alta società per di più.

Le brillavano gli occhi. La osservava o non poteva non notare quanto le piacesse quello che stava facendo. E avrebbe tanto voluto avere con sé il suo blocco da disegno per poterla raffigurare in quel momento.

E quando aveva raccontato ai suoi amici di quel pomeriggio era stata la fine. Per Bucky e Clint quei tre appuntamenti, se così li potevano definire, erano la prova che stavano insieme. Almeno per quanto riguardava lui. Loro due non stavano con nessuno fino a quando le cose non si facevano serie. Clint spesso neanche quando le cose si facevano serie. Bucky aveva trovato Nat. E trovando Nat aveva trovato il suo angolo di paradiso.

“Potresti approfittarne per perdere la verginità.” Gli aveva detto il suo migliore amico mentre facevano la spesa per la grigliata del giorno dopo e Steve gli stava esprimendo i suoi dubbi sul frequentare Natasha Stark. Era tutto così strano e surreale che non riusciva a crederci che stesse succedendo davvero.

“L’ho già persa, Bucky.”

“Ultimo anno di liceo. Con il capo delle cheerleader. Come si chiamava?”

“Kristen. Ma non voglio parlare di Kristen.” Aveva messo una cassa di birra nel carrello. Tasha gli aveva detto di occuparsi del bere. Al resto ci pensava lei. Questo lo preoccupava. “Non so se sia la cosa giusta uscire con Tasha. Ci ha anche invitati a casa sua per domani.”

“La Stark Mansion ha la piscina e un giardino enorme. Quando mai ci ricapiterà di festeggiare il 4 luglio così, Stevie? E approfittane per fare sesso.”

“Ha 17 anni e usciamo da neanche due settimane.”

“Io credo nella regola del terzo appuntamento e voi ne avete avuti più di tre.”

“Non erano dei veri appuntamenti, Bucky.” Aveva sbuffato e guardato male il ragazzo che lo ignorava per scegliere altra birra da portare per il giorno dopo.

“Steve, tu le piaci e lei ti piace, non vedo dove sta il problema. E prima che tu dica qualsiasi cosa, ho visto come la guardi. Se c’è lei nei paraggi non le togli gli occhi di dosso. L’altra sera mi hai quasi fatto venire il diabete. E poi parli sempre di lei. Tasha ha fatto questo. Tasha ha detto quello. Se non ti conoscessi così bene da sapere che non credi nel colpo di fulmine, oserei dire che ne sei innamorato. Ma proprio cotto.” Bucky si era voltato solo allora verso di lui e gli aveva sorriso. Voleva dargli torto subito. Voleva dirgli che si immaginava le cose. Ma non ci riusciva. Perché forse non si stava immaginando tutto.

“Non siamo come te e Nat.”

“Guarda che Nat ci ho messo due mesi per invitarla anche solo a bere una cosa. Quella ragazza fa paura e lo sai anche tu.” Bucky aveva sorriso spingendo il carrello verso le casse. Avevano abbastanza alcool per almeno due dozzine di persone e loro sarebbero stati in 6.

“Ma ormai state insieme da più di un anno e per te è un record.” A lui non era mai successo. Le ragazze con cui stava si stancavano velocemente di lui e in un paio di mesi finiva tutto. Perché lui non era Bucky. Bucky conquistava tutte le ragazze su cui posava gli occhi. Lui non era così. Non ci riusciva proprio. Anche se negli ultimi anni erano molte le ragazze che gli si erano avvicinate.

“E tu hai stai uscendo con Tasha Stark, direi che mi hai battuto. Non stiamo parlando della figlia del fioraio all’angolo. Ma della figlia di Howard Stark.”

“Se la metti così mi ha fai venire un attacco panico. In questo preciso istante.” Era più o meno così sul serio. L’attacco di panico iniziava a farsi largo nei suoi organi interni che avrebbero finito per contrarsi in pochi attimi. Bucky aveva ragione. Cosa stava pensando di ottenere da quella storia? Era un qualcosa di impossibile. E loro non erano in un film. Non avrebbe mai potuto funzionare.

“Ehi, non sono un gran esperto in queste cose, ma il modo in cui quella ragazzina ti guarda è serio. E l’ho vista solo una volta da quando state uscendo.” Steve lo aveva guardato. Bucky era improvvisamente serio, e ricordava bene la serata di cui parlava. Lui era uscito con Tasha, e questa aveva insistito affinché raggiungessero Bucky e Nat. E lui non sapeva dirle di no, si era reso conto. “Può avere quell’aria sempre strafottente e arrogante, ma quando ti guardava le brillavano gli occhi. E posso dire lo stesso di te. Quindi per quel che vale, hai la mia benedizione. Sposatela, facci tanti figli, e goditi la sua futura eredità.”

“Eri partito così bene…” Aveva scosso la testa mentre il suo migliore amico scoppiava a ridere. Ma era felice che Bucky fosse dalla sua parte, nonostante non avesse idea cosa avrebbe comportato quella relazione con Natasha Stark.

 

❀❀❀

 

Ad aprire la porta quel mercoledì pomeriggio non erano stati né Jarvis né Tasha. Un ragazzo di colore, più o meno della sua età, aveva aperto la porta e lo aveva guardato male. Lo aveva scrutato in silenzio per qualche istante e solo allora aveva parlato.

“James Rhodes. Tu devi essere Steve, immagino.”

Steve gli aveva subito porto una mano, che l’altro ragazzo aveva stretto. Era il migliore amico di Tasha. Quello di cui lei parlava in continuazione. Quello di cui avrebbe potuto essere geloso in effetti.

“Proprio io. Scusate il ritardo, ma Clint a volte è peggio di una donna quando deve prepararsi.” Steve aveva indicato il ragazzo che stava dietro di lui, e Rhodes aveva sorriso.

“Nessun problema. Tasha è ancora in officina anche se è da un’ora che le ripeto di andare a cambiarsi. Forse ci raggiungerà tra un po’, speriamo. Dai, entrate. Ho acceso la griglia intanto che vi aspettavo.”

“Io voglio subito tuffarmi in piscina e bermi una birra fresca.” Clint era stato il primo ad entrare in casa e non se n’era stupito affatto. Lo aveva però visto bloccarsi subito all’ingresso e guardarsi attorno. Lo aveva fatto anche lui la prima volta in cui era entrato in casa Stark. Sembrava di essere in una villa uscita direttamente da un qualche film ed era la prima volta che entrava in una casa simile.

“Clint, stai attento a non rompere qualcosa. Non potresti mai ripagarlo.” Nat era entrata prima di Bucky che aveva chiuso la porta. Se era stupita dalla casa lo stava nascondendo fin troppo bene. Bucky al contrario osservava tutto con la bocca spalancata dallo stupore.

Lo avrebbe sfottuto a vita per questo.

“Steve, se vuoi provare a farla uscire tu dall’officina, ti prego, fallo.” Rhodes li aveva guidati fino al giardino e Steve ne era rimasto meravigliato. Nelle poche settimane che stava frequentando quella ragazza, aveva visto solo l’ingresso della casa e la sua officina. Ma ora che vedeva anche il giardino si rendeva sempre più conto che quello era un mondo a cui non credeva si sarebbe mai avvicinato, figuriamoci entrato. Molto probabilmente quello era tutto uno scherzo. Quella ragazza doveva essere annoiata e aveva trovato in lui un nuovo passatempo. Non poteva crederci che fosse davvero interessata a lui.

“Farò il possibile.” Aveva lasciato i suoi amici con Rhodes ed era sicuro che Clint sarebbe stato davvero il primo a buttarsi in piscina. Poteva già sentire le sue urla quando Bucky lo avrebbe raggiunto cercando di annegarlo.

Aveva raggiunto l’officina e sentiva la musica sparata a tutto volume. Aveva bussato ma ovviamente non aveva avuto alcuna risposta dalla ragazza che vedeva seduta a terra e che stava saldando qualcosa. Solo lei poteva continuare a lavorare il 4 luglio, quando tutti facevano festa e si divertivano. Ma forse quello era semplicemente il suo modo di divertirsi.

Era rimasto in disparte, osservandola senza darle fastidio fino a quando non l’aveva vista spegnere la saldatrice e spostare gli occhiali da lavoro. Studiava soddisfatta ciò su cui stava lavorando.

“Hai una casa piena di ospiti e ti nascondi qui?”

Tasha si era subito voltata verso di lui e il sorriso che aveva esibito aveva cancellato tutti i dubbi che aveva avuto fino a quel momento. Non era il sorriso da giornale di Tasha Stark. Era il sorriso di una ragazzina che amava passare le sue serate in un vecchio pub di Brooklyn.

“Steve! Quando siete arrivati?”

“Poco fa. Rhodes ci ha aperto la porta.”

Tasha gli era accanto in un attimo, e voleva tanto dirle qualcosa riguardo all’abbigliamento poco adatto da tenere in officina, ma era sicuro che gli avrebbe risposto che faceva troppo caldo, che quei shorts e la canotta erano fin troppo adatti e che aveva anche i guanti e gli occhiali. Ne era così sicuro che la cosa gli faceva paura visto che si conoscevano da così poco tempo.

“Avete portato la birra?” La ragazzo gli sorrideva e lui non poteva fare diversamente.

“Credo l’abbiano messa in frigo. Io sono venuto a prendere te.”

“Detta così, Steve.”

Aveva sentito le guance andare a fuoco non appena aveva notato il sorriso malizioso sulle labbra di Tasha. Doveva sapere di dover star attento alle parole che pronunciava in sua presenza. Quella ragazza sapeva essere peggio di Bucky e Clint messi insieme.

Tasha aveva ridacchiato, prima di mettersi in punta di piedi e dargli un bacio sulla guancia. E lui aveva agito d’istinto. Aveva passato un braccio attorno alla sua vita e l’aveva baciata. Sapeva di cioccolata e caffè, e questo non gli dispiaceva affatto.

“Steve, se mi baci così finisco per mandare a casa tutti.”

“Sei peggio di Bucky. Lo giuro.”

La ragazza aveva riso di nuovo e lui non poteva fare a meno di guardarla. Vederla ridere così gli piaceva. E di certo non l’aveva mai vista ridere così in televisione. Quando veniva ripresa era sempre seria e composta. Al massimo sorrideva in quel modo strano così tipico di lei. Ma non rideva. E doveva ammettere che gli piaceva vederla così spensierata.

“Andiamo prima che Rhodey venga a cercarci di nuovo.” Gli aveva dato un altro bacio e poi si era allontanata di un passo.

L’aveva seguita subito. Aveva osservato la sua figura minuta e un giorno le avrebbe davvero chiesto di posare per lui. Magari mentre lavorava.

 

❀❀❀

 

“Dunque. Tra poco farà buio pesto e io ho una sorpresa.” Tasha si era alzata dallo sdraio che stava occupando con lui e si era messa in un punto in cui tutti dovevano per forza guardarla. Sembrava che fosse nata per stare sempre al centro dell’attenzione e le veniva così naturale. “Una sorpresa per il nostro Steven, più che altro.”

Lo aveva guardato inarcando un sopracciglio e indicandolo con la bottiglia di birra che teneva in mano.

“Una sorpresa per me?”

“Se è uno spogliarello, io me ne vado.” Rhodes aveva mormorato dallo sdraio accanto al suo e sembrava stanco. Come se avesse avuto una lunga discussione al riguardo con Tasha.

“Quello era il piano B. Non rovinare tutto, Rhodey.”

Poco lontano da lui, Bucky aveva riso così forte che probabilmente aveva risvegliato anche i morti del cimitero più vicino. Che non era per nulla vicino. E forse loro avevano tutti bevuto troppo. Forse doveva alzarsi e recuperare Tasha per mandarla a dormire. Solo che era troppo carina mentre metteva il broncio ed arrossiva.

Avevano passato la giornata mangiando, bevendo, e giocando in piscina. Clint si era ustionato sotto il sole rifiutandosi di mettere la crema protettiva di Nat. Bucky aveva bevuto l’equivalente per il doppio del suo peso e rideva troppo per qualsiasi cosa. Rhodes si era dimostrato un ottimo babysitter quando si trattava di controllare cosa stesse facendo Tasha. E questa aveva fatto amicizia con Nat. Gli aveva fatto molto piacere vederle parlare in continuazione di qualcosa. Aveva paura di sapere cosa fosse il loro argomento di discussione e non avrebbe quindi indagato. Anche se il modo in cui più volte lo avevano guardato gli aveva dato un’idea.

“Bucky, stai zitto, altrimenti ti sparo nella vastità infinita dell’universo!”

Bucky aveva solo riso di più alla minaccia e Steve voleva solo fermarli entrambi. Tasha alzava la voce per farsi sentire e Bucky rideva sempre di più. Si chiedeva quando avessero fatto amicizia. Ma la risposta gli era venuta in mente subito dopo. Bucky sapeva della grigliata ancora prima che lui gliene parlasse. Dovevano essere stati in contatto per organizzare la giornata. E poteva esserci un solo motivo. Uno che lui non aveva preventivato perché non lo riteneva importante. Qualcosa che per Bucky era importante ogni anno e stranamente quell’anno non aveva ancora detto o fatto nulla.

“Stevie, hai la mia benedizione con questa pazza, sappilo. Vale il consiglio di prima. Sposatela, facci tanti figli, e spendi i suoi soldi!”

Il suo migliore amico aveva riso ancora di più, mentre la sua ragazza gli mostrava il dito medio e gli dava le spalle. L’aveva osservata chinarsi e trafficare con qualcosa. Lavorava sempre con qualcosa. Aveva quasi la sensazione che quella ragazza lavorasse anche mentre dormiva.

Voleva richiamarla. Voleva capire cosa stesse facendo per poi farla sedere di nuovo accanto a sé. Ma Tasha era sempre una sorpresa continua.

Giusto quando stava per aprire bocca si era sentito il primo botto. Aveva guardato in alto e il cielo era rischiarato da fuochi d’artificio colorati. Blu. Rosso. Bianco.

Quando l’aveva guardata di nuovo, Tasha era di fronte a lui. Sorrideva e lui non poteva fare altro che imitare il suo sorriso. Continuavano a sentirsi i botti, e il cielo era illuminato da decine e decine di fuochi d’artificio.

E lei se ne stava in piedi, e gli sembrava la cosa più bella che avesse mai visto al mondo.

“Buon compleanno.”

 

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Capitolo 4
*** 44. Desiderio ***


Luglio 2001

 

Non erano mancate le occasioni. Avrebbero potuto farlo anche al primo appuntamento, ma Steve non aveva mai voluto. Steve era quello che aveva voluto aspettare. Era quello che le ripeteva che c’era tempo, che avevano tutto il tempo del mondo e potevano fare le cose con calma. E per lei era strano. Nessuno le aveva mai detto che c’era tempo, che avevano tempo. Nessuno aveva mai fatto un progetto a lungo termine con lei. Soprattutto non quando si trattava di sesso.

I ragazzi con cui era uscita durante il periodo universitario volevano tutti solo una cosa: andare a letto con lei.

Steve no.

La prima sera che avevano passato sotto lo stesso tetto, Steve l’aveva baciata. Le aveva fatto perdere la testa con dei semplici baci e Tasha non credeva fosse possibile. Aveva superato solo il confine della maglietta con cui dormiva. Le aveva toccato il seno con una delicatezza mai sperimentata prima. E lei voleva di più. Voleva sentire quel tocco su tutto il corpo. Voleva perdersi totalmente nell’odore della pelle di Steve. Voleva sentire come era la sua voce quando perdeva il controllo. E quella sera avrebbero davvero potuto andare fino in fondo. Avevano entrambi bevuto abbastanza da non avere freni, ma Steve si era tirato indietro.

E non le era mai capitato. I ragazzi, soprattutto quando aveva bevuto lei, cercavano sempre di affrettare i tempi. E lei, in tutta onestà, non si era mai tirata indietro.

Spesso non lo aveva fatto perché credeva che quello potesse essere l’unico modo in cui qualcuno avrebbe potuto amarla.

E poi arrivava Steve. Steve che aveva passato una notte a baciarla e basta. Steve che non aveva superato neppure la barriera dei loro vestiti. Steve che la trattava con una cura e attenzione che mai nessun uomo le aveva riservato. E lei sentiva di desiderarlo sempre di più. Ed era strano anche per lei. Non le era mai piaciuto nessuno a quel modo.

“Steve, la prossima volta che vengo qui vi sistemo quel frigo. Tutto questo rumore è insopportabile.” Aveva appoggiato la testa sul petto di Steve. Steve era sdraiato sul divano e guardava la televisione, ma non aveva tardato a portare la mano alla sua testa e accarezzarle piano i capelli. Le piaceva quando lo faceva. E lo faceva quasi sempre.

“Bucky ha detto che se ne sarebbe occupato lui.”

“Lo dice da quando sono venuta qui la prima volta.” Non era da molto, si era detta mentalmente. In effetti stava frequentando Steve da poco tempo, anche se le sembrava che stessero insieme da una vita.

Steve aveva smesso di guardare la televisione e aveva spostato lo sguardo su di lei. Sorrideva.

“Ma dove la trovo una che mi vuole riparare il frigo? Sei incredibile, Tasha Stark.”

“E’ solo deformazione professionale. Non ho speso così tanti soldi per il MIT per nulla.”

“A settembre gliene darai altri.”

“Mi serve il master in elettrotecnica.”

“Non credo proprio ti serva. Credo tu sappia più di elettronica dei tuoi futuri insegnanti. Altrimenti non avresti costruito Dum-E da sola.”

Steve le sorrideva dolcemente mentre lo diceva. Era così raro trovare un uomo che non parlasse con scherno del suo robot. La meccanica non era una materia per una ragazzina, se lo era sentito ripetere così tante volte che le sembrava di averlo tatuato addosso.

“Non mi serve, ma mi serve.” Si era sporta, appoggiando le mani sul suo petto, per poterlo guardare più da vicino. Steve la guardava sempre con dolcezza. La guardava come se fosse qualcosa di prezioso. Qualcosa da trattare con cura. Ed erano solo poche settimane, continuava a ripetersi mentalmente ogni volta che incrociava il suo sguardo. Era un mese appena, ma le sembrava molto di più. Le sembrava di conoscere Steve da sempre. Di stare con lui da sempre.

Eppure quel ragazzo non l’aveva mai sfiorata, praticamente. Baci, carezze. Ma sempre nei limiti di una decenza che gli uomini non le avevano mai riservato.

Voleva aspettare, le aveva detto. Era stato preso in giro da Bucky anche in sua presenza, e per una volta gli dava ragione. Aveva forse dato fin troppo spesso ragione a quel ragazzo, in effetti.

“Steve, posso baciarti?”

Lo aveva guardato spalancare un po’ gli occhi prima di arrossire. Steve arrossiva. Steve si imbarazzava. Ed era una cosa bellissima da vedere. Era così strana, ma la faceva sentire importante.

Lo aveva baciato ancora prima di ricevere una risposta da parte sua. Steve non aveva esitato e aveva subito risposto al suo bacio. Le aveva accarezzato la schiena e lei si era lentamente stretta di più a lui. Era come se in quel momento avesse desiderato di diventare tutt’uno con Steve.

E non le era mai successo.

Non aveva mai desiderato appartenere davvero a qualcuno come le stava succedendo quando era con Steve. Era semplice stare con lui. Erano momenti piacevoli quando erano da soli. E anche se erano passate solo poche settimane dal loro primo incontro, sentiva che Steve sarebbe stato quella persona che non avrebbe mai voluto perdere.

Piaceva anche a Rhodes, anche se non lo aveva ancora conosciuto. E i ragazzi con cui usciva di solito non erano mai piaciuti al suo migliore amico, neppure dopo averli conosciuti.

Steve era diverso. Steve le faceva partire le farfalle nello stomaco con un sorriso, con uno sguardo. Con un semplice tocco. Steve era quel tipo di uomo che si potevano vedere solo nei film d’amore, che lei aveva tanto deriso e disprezzato nel corso degli anni. Le stava facendo cambiare idea su tutto quello che aveva sempre creduto sulle relazioni. Non che ne avesse avuto di decenti, ma forse era proprio per questo che le faceva cambiare idea. Che le faceva capire cosa volesse dire amare e desiderare davvero qualcuno.

Era giovane, qualcuno avrebbe aggiunto anche ingenua, ma quel ragazzo che aveva conosciuto per caso in un pub le stava facendo desiderare tutta una serie di cose a cui prima non aveva mai badato. C’erano gli appuntamenti al parco, le serate sul divano. C’erano leggeri baci sulle labbra, e c’erano carezze che le facevano venire i brividi di piacere.

 

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Capitolo 5
*** 15. Bambola ***


Luglio 2001

 

C’erano dei momenti in cui Steve Rogers ancora non ci credeva. Momenti in cui sentiva quasi il bisogno di darsi un pizzicotto per rendersi conto che tutto quello non era un sogno. C’erano momenti in cui anche se la vedeva dormire accanto a sé, non ci credeva che Natasha Stark stesse uscendo con lui. Uscendo così seriamente che passavano ogni istante libero insieme. Natasha Stark che gli telefonava alle ore più assurde della giornata, solo per comunicargli qualche idea nuova che le era venuta giusto in quel momento per il nuovo upgrade di non capiva neppure quale componente meccanica. Natasha che gli mandava messaggi che spesso non capiva e che doveva rileggere più volte perché erano lunghissimi. Natasha che gli lasciava messaggi vocali, spesso inconcludenti, ma che gli faceva sempre molto piacere sentire.

Natasha Stark aveva con prepotenza preso posto nella sua vita, e lui non voleva che fosse diversamente in realtà. Gli piaceva quella ragazza. Adorava guardarla e studiare ogni movimento del suo corpo. Non stava mai ferma. Anche quando sembrava tranquilla, si muoveva sempre. Un dito, un piede, le labbra. C’era sempre movimento in Natasha Stark.

“Ehi, Steve, dov’è che andava Tasha oggi?”

Si era voltato lentamente verso il divano su cui era seduto Bucky che guardava la tv.

“Doveva accompagnare suo padre all’inaugurazione di un nuovo impianto delle Stark Industries.”

Se ne era lamentata per due giorni interi. Lo aveva tenuto al telefono per tre ore cercando di convincerlo a scappare con lei ai Caraibi.

Lo avrebbe fatto. Lo avrebbe seriamente potuto fare se questo l’avesse resa felice.

Ma era stato l’adulto della situazione ed era andato a prenderla per portarla a fare un giro in moto. Aveva notato che le piaceva moltissimo andare in moto ed era stupito che non ne possedesse neppure una.

Si era calmata. Gli aveva detto di accompagnarla, quando poi si erano visti il giorno dopo. Gli aveva detto di fingersi il suo body-guard. E Steve non aveva potuto fare altro che guardarla mentre gesticolava e parlava e non stava mai ferma. Era una delizia per gli occhi osservarla. Era così piena di vita che riusciva a trascinarlo nel suo entusiasmo, nelle sue lamentele, in qualsiasi cosa stesse facendo.

“Quando la vedo in tv mi viene sempre da ridere. Guardala, non sembra neppure lei.”

Si era avvicinato al divano e aveva guardato verso la tv. Era vero. Non sembrava neppure lei mentre stava in piedi accanto a suo padre, tutta seria e vestita in giacca e cravatta.

“Questa è la stessa mocciosa che ieri si è sporcata di gelato. Guardala come si atteggia ora da persona seria e composta! Ieri quasi si metteva a piangere perché la prendevo per i fondelli! Te ne rendi conto di quanto sa essere falsa?”

“Abbiamo appurato che la sua Stark figura e Tasha sono due persone molto diverse.” Si era seduto accanto al proprio migliore amico e non riusciva proprio a toglierle gli occhi di dosso. Non l’aveva sentita per quasi tutto il giorno. Gli aveva mandato il buongiorno, come ogni mattina, e lo aveva avvertito che gli avrebbe telefonato non appena fosse arrivata a casa. Immaginava anche il perché dei suoi impegni. Era impeccabile. Probabilmente aveva passato ore seduta su una sedia mentre le acconciavano i capelli e la truccavano. Gli aveva detto che ciò succedeva ogni volta che usciva di casa per qualche evento mondano.

Tasha Stark doveva essere sempre perfetta agli occhi del mondo.

Per questo si divertiva a riempire le riviste di gossip con il suo nome, gli aveva detto. Non le piaceva essere una bambolina nelle mani dell’azienda di suo padre. Glielo aveva confidato una sera dopo che aveva litigato con suo padre ed essere scappata di casa per cercare rifugio da lui nel cuore della notte. Doveva essere perfetta. Sempre e comunque. In nessuna situazione avrebbe dovuto fare qualcosa che potesse nuocere in qualche modo al suo cognome o alla azienda. Solo che lei era stanca, e da quando era entrata all’università non aveva fatto altro che dare dispiaceri a suo padre.

Non voleva più essere la bambolina carina che suo padre si portava sempre dietro. Lo aveva fatto da quando aveva imparato a camminare. Se la portava ovunque, gli aveva raccontato. Era la mascotte delle Stark Industries. Continuava ad esserlo anche ora, anche se non voleva e faceva di tutto per infastidire il padre.

Ma alla fine tornava sempre al suo fianco come un fedele cagnolino, aveva detto. Motivi economici, aveva aggiunto parlandogli di quanti soldi suo padre avesse speso per mandarla al MIT e a tutti i master e seminari che le passavano per il cervello. E perché le piaceva il tenore di vita che conduceva. E anche Steve le aveva detto che sarebbe stata una stupida a rinunciare.

E ora la guardava in televisione. Vedeva i flash delle macchine fotografiche che la immortalavano. E Tasha non batteva ciglio. Era seria e composta, e non c’era neppure l’ombra del sorriso sempre ironico che le incurvava le labbra. Sembrava così diversa dalla ragazzina che solo il mattino prima si era svegliata nel suo letto e aveva cercato di fermarlo quando stava per alzarsi per preparare la colazione. Gli si era avvinghiata addosso, credendo di poterlo fermare, e lui si era alzato dal letto con Tasha appesa sulla sua schiena che protestava.

Quella era la Tasha Stark che lui conosceva. Rumorosa e insopportabile la maggior parte del tempo. Quella che rideva mentre gli si aggrappava addosso con più forza e iniziava a richiedere il proprio caffè dimenticando che solo pochi minuti prima non voleva alzarsi dal letto.

“Stevie, hai proprio fatto il colpo grosso. Sei diventato un vero arrampicatore sociale.”

“Se tu non stessi con Nat, ci avresti provato subito con lei. E ora saresti al mio posto.”

“Nah, quella ha avuto occhi solo per te dal primo istante. Per una volta ero io quello invisibile, anche se forse da quando ti sei sviluppato sono diventato sempre più invisibile. Steve, torna ad essere gracile e malaticcio. Ne va della mia fama.”

“Attento a non farti sentire da Nat.”

“Nat sa che sono invidioso del tuo fisico e concorda con me sul fatto che Tasha sia una bambolina adatta a te.”

Aveva solo scosso la testa, cercando di ignorare il proprio migliore amico per concentrarsi sulla ragazza che continuavano a inquadrare sullo schermo.

 

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Capitolo 6
*** 29. Attesa ***


Febbraio 2002

 

C’era una cosa che aveva imparato molto presto nella propria vita. Quando qualcosa sembrava andare per il verso giusto non doveva mai fidarsi. Mai. Quelle tre lettere doveva tatuarsele da qualche parte in modo tale da non dimenticarselo in alcun modo. 

Sembrava tutto perfetto. Era tutto perfetto. La sua relazione con Steve funzionava alla grande. Il suo lavoro presso le Stark Industries andava a gonfie vele. Aveva quasi finito di scrivere la tesi per il dottorato. Addirittura il suo rapporto con Howard sembrava essere migliorato. Tutto stava filando liscio per una volta.

Ed era proprio questo che avrebbe dovuto spaventarla.

Aveva con terrore guardato il bastoncino di plastica su cui aveva appena urinato. Non pensava che mai in vita sua avrebbe fatto una cosa del genere. Men che meno a quell’età. Men che meno così all’improvviso. 

Non aveva mai desiderato dei figli. Certo, era ancora giovanissima e a quell’età solo poche persone ci pensano seriamente. Lei di certo non era tra quelle. Aveva altre cose per la testa in quel momento. La tesi soprattutto. Il progetto da realizzare come dimostrazione della sua tesi. Aveva un lavoro e dei progetti da consegnare anche in quel momento. 

Non aveva tempo di pensare ad una cosa simile. 

Per questo era rimasta seduta sul water del suo bagno privato, nella grande casa dei suoi genitori, a fissare con terrore quel bastoncino comprato per qualche dollaro la sera prima. 

E il terrore si era concretizzato, trasformandosi in puro orrore quando ancora prima dei cinque minuti di attesa il test di gravidanza si era mostrato positivo. 

Non poteva essere vero. Non ci voleva credere. Erano sempre stati attenti. Steve molto più di lei. Steve voleva una famiglia. Glielo aveva detto più volte. Ma era anche abbastanza assennato da rendersi conto che erano troppo giovani per fare quel passo e non ne avevano mai parlato seriamente. Anche perché lei gli aveva detto che non avrebbe mai fatto da incubatrice ambulante per un piccolo essere umano. Non era qualcosa che la entusiasmava. Non era neppure qualcosa che desiderava. Un bambino era una grandissima responsabilità. Aveva visto diverse ragazze del campus abbandonare gli studi per dedicarsi a figli capitati per caso. E non poteva essere così stupida anche lei.

Non capiva neppure come era potuto succedere davvero. 

Steve era davvero sempre stato attento. Eppure il suo ciclo quel mese non si era fatto vedere. Certo, non aveva mai avuto un ciclo regolare. Mai una volta nella vita. Ma quasi 20 giorni di ritardo non erano concepibili. 

Era rimasta seduta su quel water per diverso tempo. Stringeva ancora in mano il bastoncino di plastica e non sapeva cosa fare. Poteva essere un falso positivo. Sapeva che poteva succedere. Avrebbe dovuto fare gli esami del sangue. Avrebbe dovuto telefonare a Steve e dirglielo. Avrebbe dovuto decidere cosa fare. Avrebbe dovuto contattare un medico. Avrebbe dovuto fare troppe cose in quel preciso istante, eppure non riusciva a muoversi.

C’erano un ammasso di cellule che si stava formando dentro il suo utero. C’era qualcosa che già da qualche settimana stava crescendo in lei e lei non aveva fatto nulla di salutare. Solo qualche giorno prima aveva bevuto così tanta birra da non ricordare lucidamente la serata. E il caffè. Oddio, quanto ne aveva bevuto. Quello non faceva bene, no? Così aveva sempre sentito dire. Eppure lei ne abusava. Anche adesso agognava la sua dose mattutina di caffeina.

Doveva dirlo a Steve. Doveva parlarne con lui e decidere cosa fare. Sapeva già cosa voleva fare. Quello che doveva fare. Quello che forse sarebbe stata la cosa più giusta in quel preciso istante della sua vita. 

Non era il momento di avere un figlio. Non poteva permettersi di mettere al mondo un bambino quando era una bambina della peggior specie pure lei. Suo padre su questo sarebbe stato d’accordo sicuramente. In questo almeno avrebbe avuto il totale appoggio dei suoi genitori. Aveva del resto solo 17 anni, non poteva rovinarsi così la vita, no? Era questo che avrebbero detto i suoi genitori mentre la facevano accompagnare da Jarvis in una qualche clinica privata pagata un fior fiore di quattrini solo per non spifferare nulla alla stampa. Perché alla fine per loro era solo una questione di salvaguardare ad ogni costo il buon nome della famiglia. 

Aveva preso coraggio mentre prendeva il cellulare con la mano libera. Non aveva ancora lasciato andare il bastoncino di plastica che teneva stretto in mano. Avrebbe dovuto. Poteva tranquillamente buttarlo ora che aveva visto il risultato. Ma non ci riusciva. Teneva stretto il bastoncino in una mano e con l’altra mandava un messaggio a Steve. 

Doveva vederlo. Doveva dirglielo. Ne era totalmente terrorizzata, ma sapeva che doveva farlo. 

 

❀❀❀

 

Se ne stava seduta sul divano di Steve e non riusciva a trovare le parole giuste. Gli stava parlando del nulla eterno mentre cercava il momento giusto per sganciare la bomba. Ma come si faceva a sganciare quella notizia così a cuor leggero? A Steve sarebbe venuto un infarto. Avrebbe urlato. Sarebbe scappato. Del resto avrebbe fatto bene a scappare. Ognuno nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali lo avrebbe fatto. Lei lo avrebbe fatto senza pensarci troppo. Aveva vagliato la possibilità di farlo. Di scomparire senza una parola. Era brava a farlo. Lo aveva fatto diverse volte quando qualche ragazzo voleva qualcosa di più serio con lei. 

Ma Steve la guardava come un cucciolone troppo cresciuto di Golden Retriever e lei non riusciva a fare la stronza. Non con lui. Non con un ragazzo così, che l’amava davvero ed era sempre attento, e dolce, e magnifico. 

Anche in quel momento la stava guardando e sembrava preoccupato, perché davvero lei non era stata zitta da quando era arrivata in quel piccolo appartamento di Brooklyn. 

Si era seduta sul divano, aveva discusso come sempre con Barnes, questi se n’era andato mandandola al diavolo, Steve aveva scosso la testa e si era seduto accanto a lei. Una normale routine che si ripeteva molto spesso e che le dava molta calma in realtà. Le piaceva tutto sommato una routine come quella. E non voleva perderla. Non poteva perderla.

“Tasha, stasera sei più strana del solito. Cos’è successo?”

Doveva pensare velocemente ad una risposta. Doveva rispondere e sembrare convincente. Poteva davvero non dirgli nulla e risolvere da sola il problema. Non sarebbe stato difficile. Aveva abbastanza soldi da trovare una qualsiasi clinica che non avrebbe fatto troppe domande. Sarebbe pure potuta andare all’estero pur di mantenere l’anonimato totale. 

“Perché dovrebbe essere successo qualcosa? Sono stata in officina quasi tutto il pomeriggio oggi come ti stavo dicendo. Dum-E è stato inutile come al solito.”

“Sì, questo me l’hai ripetuto almeno quattro volte da quando sei entrata. Per questo te lo chiedo di nuovo: cos’è successo? Qualcosa con tuo padre?”

“No.” Avrebbe dovuto essere sincera e dirglielo subito. Doveva solo aprire la bocca e dirlo. Ma aveva paura. Si sarebbe tutto sgretolato davanti ai suoi occhi come se fosse stato un castello di carte. Succedeva sempre così.

“Allora cosa? Tua madre? L’università? Il lavoro?”

“Potrei essere incinta.”

Lo aveva guardato mentre Steve spalancava gli occhi e la guardava con orrore. Era quello che aveva previsto. Aveva distrutto tutto. Con tre semplici parole aveva rovinato per sempre quel rapporto che era stato perfetto fino a quel momento.

“Ma siamo stati attenti.” Lo aveva sentito dire con un filo di voce e le stava venendo da ridere. Le veniva anche da piangere. E voleva buttarsi dalla finestra in quel preciso istante.

“Lo so. Non capisco neppure io come sia potuto succedere. O meglio sì. So cos’abbiamo fatto. Non so dove abbiamo sbagliato. Ma ho fatto un test questa mattina. Potrebbe essere un falso positivo. Domani mattina ne farò un altro. E poi andrò a fare un test serio, dal medico. E poi ci penserò io al resto. Non serve che tu faccia nulla. Non ti sto chiedendo nulla. Non potrei farlo.”

“Ehi.” Le aveva stretto una mano. Ed era rassicurante quando lo aveva fatto. “Se è davvero così ci penseremo insieme.” 

“Non serve, Steve. Me ne posso davvero occupare di tutto io. Non serve che ci pensi tu. Forse non dovevo neppure dirtelo.”

“Non lo dire neanche per scherzo.” Aveva aggrottato le sopracciglia e sapeva di averlo fatto arrabbiare con quelle parole. Era ovvio che si sarebbe arrabbiato. Era Steve. Era una persona seria. “Domani ti accompagno subito a fare tutti gli esami che vuoi e poi decidiamo insieme cosa fare. Siamo insieme dentro a questa cosa.”

“Dovevo sapere che avresti detto una cosa simile…” Aveva abbassato lo sguardo e si era vergognata di sé stessa per aver anche solo pensato che Steve potesse tirarsi indietro. Non era davvero come nessuno dei ragazzi che aveva frequentato in precedenza. 

“Per chi mi hai preso, Tasha?” Le aveva sorriso e l’aveva costretta ad alzare lo sguardo verso di lui. “Stiamo insieme e decideremo insieme cosa fare. Non ti lascio da sola in questa situazione. Non potrei mai farlo. Vuoi che mia madre ritorni dai regno dei morti e mi faccia a pezzi?”

Aveva sorriso a quella domanda. Steve era riuscito a farla sorridere e lei era sicura che qualsiasi cosa avesse deciso di fare Steve sarebbe davvero rimasto al suo fianco fino alla fine.

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Capitolo 7
*** 48. Caffè ***


Marzo 2002

 

“Non posso farcela.” Aveva appoggiato la fronte sui fogli sparsi sul tavolo della cucina di Steve e Bucky. Stava studiando. O almeno stava facendo finta di studiare. Bucky giocava alla PlayStation, sbraitando contro il gioco ogni volta che lo facevano fuori. Natasha era seduta sulla poltrona, con un libro in mano, ma era sicura che stesse osservando tutti loro. Lo faceva sempre anche se sembrava che nessuno se ne rendesse davvero conto. O forse erano solo fin troppo abituati a questo suo comportamento. Clint era alla finestra, continuando a dire che avrebbe voluto sparare a tutti i piccioni che continuavano a sporcare la scala anti incendio. Stranamente si era unito anche Rhodes a loro, che studiava assieme lei quello su cui stava lavorando.

E Steve, il suo magnifico Steve, era seduto accanto a lei. Le accarezzava distrattamente i capelli mentre studiava anche lui. 

“A me sembri ad un ottimo punto. Se continui con questo ritmo la tesi sarà anche pubblicata.” Rhodes aveva indicato un punto preciso sul foglio, ma lei non lo stava guardando. Non poteva farcela. Ne era certa. 

“Non si riferiva alla tesi. Quella sa che sta uscendo benissimo, ieri me ne ha parlato per due ore al telefono, anche se devo ammettere che non ho capito molto.” La mano di Steve si era spostata dai suoi capelli, e aveva solo sentito il libro che veniva appoggiato sul tavolo. “Parla del caffè.”

Aveva sbuffato. A questo punto aveva solo sbuffato. Lentamente aveva voltato la testa verso di lui e lo aveva guardato male. 

Avevano fatto una scelta. Avevano fatto una scelta probabilmente molto scellerata e sconsiderata di cui non avevano ancora informato nessuno, ma l’avevano fatta. E lei aveva subito fatto dei cambiamenti repentini nella propria alimentazione abituale.

Non c’erano più litri di caffè o birra. La seconda era stata eliminata seduta stante assieme a tutto il repertorio di alcolici che fin troppo spesso ingurgitava. Il caffè era stato limitato. Non eliminato. Non voleva credere che un simile nettare degli dei inventato solo per fare del bene all’umanità potesse nuocere davvero. Non poteva essere vero. Non poteva e non voleva crederci. Come poteva quello che la manteneva in vita ogni giorno cercare di uccidere quello che stava crescendo in lei. Non ci credeva. Non c’erano abbastanza studi scientifici a sostegno di questa tesi perché lei ci credesse.

Aveva tuttavia ridotto l’assunzione di caffeina. Poco caffè diluito in mezzo litro di latte al mattino. Solo per riuscire a carburare e mettere in moto la macchina che era il suo cervello e il suo corpo. Non poteva rinunciare del tutto. Già aveva rinunciato a tutto il resto del suo repertorio contenente caffeina. Niente energy drink, niente Coca-Cola. Al caffè non poteva rinunciare. 

“Niente caffè, niente alcol, niente sushi. Tasha, stai morendo?” Era stato Bucky a parlare, senza staccare gli occhi dal suo gioco. Non sembrava neppure prestare molta attenzione a quello che realmente stava succedendo attorno a loro. 

“Steve non l’avrà tirato fuori in tempo.” Clint non si era spostato dal posto in cui si era appollaiato sulla finestra. Continuava a fissare qualcosa in strada. O ancora qualche piccione che voleva far fuori. 

“Quanta volgarità, Clint. E poi parli di Steve. Scoperà con tre preservativi sull’uccello per essere sicuro di non fare cazzate. Sai com’è paranoico il ragazzo e quanto gli piace avere tutto sotto controllo.” 

Aveva solo guardato Bucky, quasi schifata dalle parole che erano appena uscite dalla sua bocca. Ma non aveva il coraggio di aprire bocca, perché Bucky e Clint avevano ragione entrambi. Perché un piccolo Steve stava davvero crescendo in lei.

“In realtà sì. Ho fatto il danno.”

Aveva avuto una sincope e il suo cervello era andato in tilt non appena aveva sentito la voce di Steve. Non lo avevano detto a nessuno. Era una cosa che era ancora solo loro. Rhodes non lo sapeva. Il suo Rhodey che di solito era il primo a sapere tutto, non ne era stato messo al corrente. E aveva paura a guardarlo in quel momento. La stava giudicando. Ne era sicura. Silenziosamente la stava giudicando. 

Ma la stavano giudicando sicuramente tutti. La stanza era piombata in un silenzio assoluto e si sentiva osservata. Sapeva sempre quando qualcuno la osservava. Ci era abituata. E ora la stavano guardando. Li stavano guardando, per la precisione. Perché gli occhi di Bucky erano fissi su Steve anche se non gli stava dicendo nulla. 

“Steve.” La voce di Bucky era bassa e seria, come non lo aveva mai sentito prima. E non toglieva gli occhi dal proprio migliore amico. “Stai scherzando, vero? State scherzando entrambi, giusto? Tu hai sempre usato il preservativo e tu non sei incinta. Non puoi essere incinta, cazzo! Hai 17 anni! Non sei neppure maggiorenne!”

“Per quanto mi pesi ammetterlo, sono d’accordo con Barnes stavolta.” La voce di Rhodes aveva raggiunto le sue orecchie, ma non voleva guardarlo. La stava giudicando. Lo stava facendo seriamente stavolta. Non era come le altre cazzate fatte da Natasha Stark. Questa era più seria. Era la cosa più seria che lei avesse mai fatto probabilmente.

“Eppure c’è un baby Rogers in questo involucro di carne e frustrazione. Già da un po’.” Aveva guardato Steve, che ancora non aveva interrotto il contatto visivo con Bucky. Stavano sicuramente comunicando telepaticamente. 

“Non ci credo!” Clint era scoppiato a ridere e si era spostato dalla finestra. Sempre ridendo si era avvicinato al frigorifero e ne aveva preso una birra. Subito dopo averla aperta si era seduto a tavola con loro. “Tasha, per quello che vale, hai il nostro appoggio.”

“Parla per te, Barton. Questa è una mocciosa, non può averne uno a sua volta.” Rhodes non era mai simpatico. Questo lo aveva sempre saputo e sapeva che non avrebbe mai avuto la sua compassione. Anzi. Rhodes le avrebbe fatto una paternale non appena fossero rimasti da soli. Lo conosceva bene. Sapeva che non le avrebbe dato pace fino a quando non avesse avuto qualche risposta che lo soddisfaceva da lei. Qualunque fosse stata.

“Oh, dai, Rhodes! Per crescere un bambino ci vuole un villaggio, e non siamo quel villaggio! Non è mica da sola!” Clint aveva ridacchiato con gusto mentre le scompigliava i capelli e lei lo fulminava con lo sguardo.

“Quindi avete deciso di tenerlo?” Natasha li aveva guardati non muovendosi dal divano. Era ancora seduta accanto a Bucky, ma sembrava quella più rilassata e tranquilla di tutta la stanza. Osservava loro due e sembrava anzi quasi divertita dalla situazione. Non sarebbe mai riuscita a capire quella donna. Ne era sicura.

“Sì, abbiamo deciso di tenerlo.” Aveva risposto Steve al suo posto. Ed era così sicuro di quella risposta proprio come lo era stato quando lo aveva detto a lei. Quando ne avevano parlato a lungo dopo che lei aveva appena fatto la visita ginecologica. Le aveva lasciato carta bianca su cosa fare. Aveva espresso la propria opinione, le proprie preoccupazioni. Aveva parlato in modo razionale e calmo mentre lei aveva solo camminato in tondo come una pazza non riuscendo a decidere nulla lucidamente. Aveva solo parlato a vanvera, piena di paura e terrore, mentre non sapeva cosa fare e cosa decidere. Ma Steve era riuscito a rassicurarla e farla decidere. Farla scegliere cosa voleva davvero fare. E per quanto fosse assurdo, quel bambino lei lo voleva.

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Capitolo 8
*** 37. Gelosia ***


Aprile 2002

 

Natasha Stark aveva imparato da molto giovane che le cose belle duravano molto poco se eri lei. Agli occhi del mondo aveva tutto quello che una persona potesse desiderare. Bellezza. Soldi. Fama. Intelligenza. Su carta non le mancava assolutamente nulla. 

Ma tutto il resto prima o poi si frantumava davanti ai suoi occhi. 

Aveva imparato che non doveva aspettarsi nulla da nessuno perché le cose belle finivano molto velocemente. Per colpa sua, le dicevano di solito. Era il suo carattere. Era il suo modo di essere. Howard non aveva mai lesinato parole di critica ogni volta che ne aveva avuto l’occasione e a lei qualcosa andava storto. Fosse stato lavoro, amicizie o amore poco importava. 

Su Steve Rogers non aveva fatto diversamente. Dalla prima volta in cui aveva capito che stava uscendo con un ragazzo qualunque non era stato magnanimo e aveva continuato a ripeterle che era interessato solo ai suoi soldi. Cosa poteva avere uno studente squattrinato di arte in comune con lei? 

All’ennesimo litigio su Steve Rogers glielo aveva urlato cosa avevano in comune. Aveva urlato con quanto più fiato avesse in corpo in quel momento che avevano un figlio in comune. Che volenti o no sarebbero diventati nonni prima della fine dell’anno. Howard aveva parlato di aborto, di adozione. Tutte cose che lei non aveva mai preso in considerazione, ma stava tutto andando in frantumi nonostante i suoi sforzi.

Ne erano seguiti giorni che poteva tranquillamente definire di merda. E da quel momento tutto era precipitato ad una velocità vertiginosa e non era riuscita a fermare il masso di Atlante che le si era abbattuto addosso con tutta la forza che poteva. Stava precipitando tutto con i suoi genitori. Stava precipitando tutto con Steve.

“Di cosa diavolo stai parlando?” Aveva guardato Steve Rogers come se fosse un pazzo. Era appena entrata nel suo appartamento e non si era ancora tolta il giubbottino di jeans o anche solo seduta, che Steve le aveva chiesto che rapporti avesse con Tiberius Stone. 

“Hanno fotografato te e questo tizio ancora una volta all’uscita da un ristorante! Sembravate anche molto affiatati!”

“Era una cena di lavoro. Non eravamo da soli. Te ne avevo parlato, come le altre volte.” Era successo la settimana prima. I loro padri erano sempre stati rivali in affari, e stranamente per una volta sembravano essere arrivati ad un accordo. Un lavoro in comune per il governo e si erano trovati tutti quanti a cena diverse volte per discuterne in territorio neutro.

“Con il tuo ex? Questo lo vuoi omettere?” Steve aveva alzato ulteriormente la voce e questo la stava mettendo in guardia. Steve non aveva mai alzato la voce con nessuno. Lo aveva visto arrabbiarsi, lo aveva visto litigare. Ma non alzava mai la voce.

“Appunto. Ex. Se proprio vuoi definirlo tale. Lo conosco da quando eravamo piccoli e non abbiamo nemmeno mai avuto una storia che potrei definire tale.” Era pronta ad andarsene da un momento all’altro. Era scappata da Long Island proprio perché stavano litigando da giorni e voleva nascondersi in un posto che considerava sicuro. Ma non lo era. In quel momento aveva perso anche l’ultimo posto in cui nascondersi.

“Ci sei andata a letto?”

“Ma sei deficiente?” Quella domanda l’aveva colpita come uno schiaffo in pieno viso. Tutto si sarebbe aspettata, tranne quello. “Ti pare che mentre sono incinta di tuo figlio io vada in giro a farmi scopare da altri? Ma puoi essere così stronzo da chiedermelo davvero?” Era alla fine del primo trimestre della gravidanza e nessuno al di fuori della sua ristretta cerchia di amici lo sapeva. Non si notava ancora nulla e metteva sempre tatticamente felpe larghe che potessero nascondere la leggerissima curva che stava prendendo forma sul suo addome. 

“Da te ci si può aspettare di tutto, no? Sei Tasha Stark dopotutto! Potrebbe anche non essere mio figlio per quello che ne so!”

Aveva morso un labbro per trattenersi dal mandarlo a fanculo, anche se avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto mandarlo a quel paese per poi girare i tacchi ed andarsene. 

Non aveva bisogno di Steve Rogers. Non aveva bisogno di nessuno ed era abituata a fare tutto da sola alla fine. 

“Non ci sono andata a letto, Steve. Non so cosa hai sentito, cosa hai letto, ma non ci sono stata a letto.” Le si stava appannando la vista, ma non voleva fargli vedere la sua debolezza in quel momento. Gli Stark erano fatti di ferro, suo padre amava ripeterlo sempre, e lei ne aveva fatto il suo mantra. Ma gli ormoni della gravidanza stavano rendendo tutto difficile. 

I primi mesi erano stati stupendi. Andavano d’amore e d’accordo. Adesso stava precipitando tutto verso un baratro di disperazione. 

“Sono settimane che ci sono foto vostre sui giornali! Settimane! Pranzi, cene! Cosa dovrei pensare? Tutti i giornali parlano di un vostro ritorno di fiamma! Già da prima della tua gravidanza vi vedevate piuttosto spesso!”

“E’ solo lavoro. Solo fottutissimo lavoro per le Stark Industries.” Non era la prima volta che Steve si mostrava geloso, ma questa volta era diverso. Le altre volte aveva fatto qualche battuta, avevano alla fine riso. Questa volta c’era qualcosa che non andava ed era palpabile la cosa. “Non ci volevo nemmeno andare a tutte queste riunioni, ma sono costretta da Howard.”

“Puoi anche rifiutare.”

“Sì, e finire diseredata in mezzo ad una strada con un bambino da crescere.” Ne avevano discusso all'infinito. Lei non voleva rinunciare alla possibilità di dare a suo figlio la vita migliore che potesse, anche se questo voleva dire fare compromessi con suo padre. Howard non era contento. L’aveva minacciata più di una volta di toglierle tutto da quando aveva scoperto la gravidanza. E Steve ne era risentito. Probabilmente era il suo orgoglio da maschio alpha che non gli permetteva di ragionare. Cosa importava di chi fossero i soldi se questo gli avrebbe permesso di vivere agiati e crescere un figlio senza dover fare sacrifici?

“Grazie per rimarcare sempre che sono inutile.”

“Ma quando lo avrei detto?” Aveva alzato la voce, ma poi aveva sospirato. “Steve, vengo adesso da un litigio a casa, possiamo non litigare almeno noi? Perché davvero non ce la faccio più. E se devo continuare così per i prossimi mesi me ne torno a casa e ci sentiamo a ottobre.”

“Tanto cosa cambierebbe? Quello che ho da dire nemmeno lo ascolti.”

“Ma ti stai sentendo? Mi stai facendo una scenata per delle cene di lavoro! Non sto andando a letto con Tiberius Stone! Non ho mai, nemmeno per un cazzo di secondo, pensato di farti le corna con nessuno, figurati adesso! Guardami! Sono incinta di tuo figlio che tu mi hai detto avresti cresciuto con me! Se poi dovevi diventare stronzo, tanto valeva dirmi di abortire subito!”

“Sì, forse sarebbe stata la scelta più giusta e ognuno sarebbe andato per la propria strada.” 

Questa volta non ci aveva visto. Questa volta la rabbia aveva preso il sopravvento e aveva mosso i pochi passi che la separavano da Steve con gli occhi ormai pieni di lacrime che stavano per iniziare a scorrere.

“Prova a ripeterlo ancora una volta. Prova a ripeterlo e questa sarà davvero la fine. Perché non ho più le forze per combattere su due fronti. Non so cosa ti sei messo in testa in questo periodo, ma sto aspettando tuo figlio. Se improvvisamente ti senti castrato perché il mio conto in banca fa schifo, non posso farci nulla. Sapevi chi ero fin dall’inizio.”

“Già, e la tua fama ti ha sempre preceduto.”

“Ma vaffanculo, Steve.” Non avrebbe voluto piangere, non avrebbe voluto dargliela vinta in alcun modo, ma tutta quella situazione e gli ormoni non la stavano aiutando affatto. Si era voltata e aveva aperto la porta d’ingresso, senza che Steve la fermasse. Lo aveva aspettato e sperato, ma Steve non aveva fatto alcuna mossa nella sua direzione. Non si era mosso affatto mentre lei usciva dall’appartamento e si chiudeva la porta alle spalle.

 

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Capitolo 9
*** 49. Potere ***


Aprile 2002

 

Quando avevano bussato alla porta dell’appartamento che Steve divideva con Bucky tutti si sarebbe aspettato tranne vedere Howard Stark. Lo aveva incontrato poche volte, e solo perché Natasha aveva insistito perché si conoscessero. Gli aveva detto che non aveva mai presentato nessuno ai suoi genitori, ma con lui ci teneva particolarmente. Ancora prima di scoprire la gravidanza. 

E se all’inizio era un ospite all’apparenza gradito, poi non lo era più stato. Per questo non si sarebbe mai aspettato Howard Stark che bussava alla sua porta. Serio e autoritario, se ne stava in piedi nel corridoio del suo anonimo palazzo di Brooklyn. 

O forse avrebbe dovuto aspettarsi una sua visita prima o poi?

“Signor Stark…?”

“Posso entrare, ragazzo? Non vorrei passare la serata qui fuori.”

Steve si era spostato subito e lo aveva fatto entrare. Aveva notato subito l’uomo squadrare il suo appartamento. Era piccolo, l’ordine non era il loro forte, ma almeno non era un immondezzaio. Ma vedeva quell’uomo in ogni caso osservare tutto e non celare affatto il suo disappunto.

“Veniamo subito al dunque. Non voglio che frequenti più mia figlia. Tasha è giovane e irresponsabile, e avete già causato più guai del previsto. Ora si è intestardita che vuole tenere il bambino.”

“Signor Stark, io la aiuterò a crescerlo. Non ho intenzione di lavarmene le mani.”

“E se non fosse tuo? Sappiamo bene entrambi quanto sia volubile la mia Tasha, no? Probabilmente quando l’hai conosciuta frequentava qualcun altro, conoscendola.” Howard Stark aveva infilato le mani in tasca, come se volesse fingere noncuranza mentre parlavano di quello che sarebbe stato il futuro di Tasha, suo e del loro bambino. Perché quel bambino era suo.

“Se il problema sono i soldi, me ne sto già occupando. Ho trovato un nuovo lavoro e potrò mantenere sia Tasha che il bambino.”

“Con il tuo debito studentesco ancora da estinguere? Mi sono informato, Rogers. So quanto guadagni e quali siano i tuoi debiti. Mi dispiace dirtelo, ma pensi che mia figlia abituata al lusso possa accettare una vita di sacrifici? Oppure pensi che tanto ci saranno i suoi soldi a mantenervi?”

“No, signor Stark. Non li voglio i vostri soldi. Non sono a caccia di dote, se è questo quello che crede. Potrò anche essere povero, ma amo davvero sua figlia e voglio darle tutto ciò che posso.”

“Ovvero nulla? Dove vorreste vivere una volta nato il bambino? Qui? Assieme al tuo coinquilino? Voglio proprio vedere come farete con un bambino a fare ogni giorno 8 piani senza ascensore. Pensi che Tasha potrebbe accettare questa vita? Forse per dare fastidio a me e sua madre per qualche tempo potrebbe farlo, ma non durerà a lungo.”

“Cosa vuole, signor Stark?”

“Che tu svanisca dalla sua vita. Tasha ha un futuro brillante di fronte a sé. Tu e questa gravidanza siete un ostacolo non indifferente. E non sono nemmeno sicuro che sia tu il padre, in tutta onestà. Incontra diverse persone per lavoro e non sempre posso controllarla.”

Non era una persona gelosa, non normalmente. E di Tasha si era sempre fidato. Gli telefonava sempre dopo le riunioni di lavoro. Anche quando non serviva lei lo contattava sempre. Questo doveva pur significare qualcosa. Ci teneva a lui, no? 

“Quanto vuoi per sparire?” Aveva guardato Howard Stark estrarre quello che doveva essere un libretto degli assegni e iniziare a scrivere qualcosa. “100 mila? 200? 500?”

“Non voglio i suoi soldi. Non li ho mai voluti e ancora meno li voglio adesso.” Lo aveva guardato negli occhi e sentiva prudere le mani. Avrebbe così tanto voluto colpirlo visto che non era altro che un bullo. Uno della peggior specie. 

“Non essere stupido, ragazzo. I soldi risolvono sempre tutto. Se rinunci da subito a qualsiasi pretesa sul figlio di Tasha e accetti i soldi, fai un favore a tutti. Anche perché non è neppure detto che lo tenga. Dovresti sapere quanto sia volubile quella ragazza. Non ha neppure 18 anni, potrebbe cambiare idea da un giorno all’altro.” Aveva finito di compilare l’assegno e lo aveva staccato dal libretto porgendoglielo. “500 mila penso che potrebbero bastare. Sparisci dalla sua vita subito e le permetti di andare avanti come se tu non fossi mai esistito. Sei solo un gioco momentaneo con cui si sta divertendo e quando si sarà stancata passerà oltre. Fa sempre così con le persone. Tu non sei nulla di speciale in confronto agli altri ragazzi con cui è uscita.” 

“Non può comprare tutto con i soldi, signor Stark.” Aveva preso l’assegno e lo aveva stracciato. Erano un mucchio di soldi, davvero un mucchio di soldi che avrebbero risolto tutti i suoi problemi. Ma non era nella sua indole scendere a certi compromessi. 

“No, a quanto pare no.” Aveva rimesso il libretto e la penna nella tasca interna della giacca del completo. “Davvero sciocco rinunciare così da parte tua per una ragazzina per la quale non sei nulla più di un capriccio.” 

Non lo era. Non era solo un capriccio. Voleva fidarsi di Tasha e di tutte le cose gli diceva. Voleva crederle quando gli diceva che lo amava. Tasha aveva deciso di portare avanti la gravidanza. Non l’aveva mai costretta a farlo, le aveva lasciato carta bianca. 

Non aveva mai avuto neppure dubbi sulla sua paternità. Tasha con lui era sempre stata onesta. Eppure Howard Stark adesso era riuscito a mettergli una pulce nell’orecchio. E si odiava per questo. Si odiava da morire perché ora un tarlo si insinuava nella sua mente. Avevano sempre avuto rapporti protetti, su questo lui era sempre stato attento. E Tasha a volte era uscita a pranzo o cena con un tale Tiberius Stone, con cui tutti sapevano aveva avuto una storia che aveva destato scandalo visto che aveva appena 14 anni quando erano apparse le loro foto su tutti i giornali. Non che fosse molto più grande adesso. E Tasha gli aveva sempre assicurato che fosse solo lavoro. Che Howard fosse sempre stato presente duranti quelle che erano più riunioni di lavoro che momenti di relax. 

“Signor Stark, io voglio credere a Natasha e a quello che mi dice.”

“Come preferisci tu. Io volevo solo metterti in guardia e offrirti un buon modo per uscire da questa storia.” L’uomo aveva alzato le spalle come se la cosa non lo toccasse minimamente e si era avviato alla porta. Era uscito senza aggiungere una parola in più, e Steve era rimasto a fissarla con fin troppe domande in testa. Una più confusa dell’altra, e che gli causavano sempre più un senso di inadeguatezza. 

Era davvero giusto continuare a stare con Natasha sapendo che non aveva nulla da offrirle? Era davvero suo il bambino che aspettava? Era stata onesta o aveva ragione Howard e lui era solo un gioco? Provenivano da due mondi distanti anni luce e spesso si era chiesto se potevano davvero continuare quella relazione. Se avrebbe portato a qualcosa oppure si sarebbero alla fine mandati al diavolo reciprocamente.

Aveva ragione Howard Stark e tutto quello che aveva da offrirle era davvero quell’appartamento vecchio e piccolo? Poteva darle una vita decente e renderla felice? Perché era abbastanza chiaro che se avessero continuato quella relazione Tasha avrebbe tagliato ogni rapporto con la propria famiglia e sarebbe stato compito suo mantenerla. E non avrebbe mai potuto permettersi di darle la vita a cui era abituata. 

Aveva davvero ragione Howard Stark e tutto quello era solo un errore e un gioco?

 

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