Life-changing frenzy

di Doux_Ange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scene da un matrimonio ***
Capitolo 2: *** La vera ricchezza ***
Capitolo 3: *** Il prezzo del talento ***
Capitolo 4: *** L'amore sbagliato ***
Capitolo 5: *** Avrò cura di te ***
Capitolo 6: *** La notte dell'anima ***
Capitolo 7: *** Ancora bambina ***
Capitolo 8: *** Scegli me! ***
Capitolo 9: *** Pene d'amore ***
Capitolo 10: *** Una famiglia normale ***
Capitolo 11: *** Una questione personale ***
Capitolo 12: *** Una di quelle ***
Capitolo 13: *** Genitori e figli ***
Capitolo 14: *** Don Matteo sotto tiro ***
Capitolo 15: *** Dimmi chi sei ***
Capitolo 16: *** Solo andata ***
Capitolo 17: *** La crepa ***
Capitolo 18: *** Premonizioni ***
Capitolo 19: *** Tutta la vita ***
Capitolo 20: *** Il potere del perdono ***
Capitolo 21: *** Il bambino di Natale - parte 1 ***
Capitolo 22: *** Il bambino di Natale - parte 2 ***
Capitolo 23: *** Il bambino di Natale - bonus ***



Capitolo 1
*** Scene da un matrimonio ***


 

SCENE DA UN MATRIMONIO


Che bello tornare a lavoro.


No, sul serio. Soprattutto adesso. Ho bisogno di tornare alle abitudini sicure, dopo il colpo.


Quello che avrebbe dovuto essere uno dei momenti più belli della mia vita si è trasformato in un incubo: ero tornato a casa della mia futura sposa, che sarebbe diventata mia moglie il giorno dopo, perché avevo dimenticato la giacca nel pomeriggio, e mi sono trovato davanti la scena che nessuno vorrebbe vedere.


Lei, sul divano col mio migliore amico, i vestiti a terra, decisamente non lo spettacolo che mi sarei immaginato. Dire che fossero sorpresi è poco, e la cosa bella è che mentre Simone non ha fiatato ma ha solo piantato gli occhi a terra, Federica ha avuto la sfacciataggine di dirmi che in fondo me l'ero cercata, non ero l'uomo di prima.


Gran bella giustificazione.


Ovviamente il giorno dopo non mi sono presentato in chiesa, ci mancherebbe pure. Non avevo nessuna intenzione di vederla, e volevo subisse almeno un po' dell'umiliazione che lei aveva riservato a me.


Ho sfruttato la settimana del viaggio di nozze mancato per cercare di riprendermi. Non mi sarei di certo potuto presentare a lavoro in quelle condizioni disastrose. Sarò pure anticonformista, ma sono pur sempre un Pubblico Ministero, un po' di contegno devo mantenerlo. Soprattutto non mi andava che i miei colleghi mi vedessero in quello stato.


Una cosa l'ho decisamente capita dopo questi sette giorni, però: le donne sono tutte uguali, vogliono cambiarti a loro piacimento, sono convinte di prendere le decisioni migliori per tutti, salvo poi stufarsi e buttarti via. Sempre un passo avanti, così da essere pronte a rinfacciarti le cose o farti cadere alla prima occasione, per avere un buon motivo per scaricarti. Ah, naturalmente con tutta la ragione del mondo.


Non saprei dire quanto ho pianto in questi giorni. È imbarazzante da un certo punto di vista, ma è pur vero che sfogarsi così fa sentire davvero meglio. A volte è l'unico modo per buttare tutto fuori. Poi riesci ad affrontare il resto con più chiarezza. Se non altro, non te la prendi con chiunque. La rabbia un po' è sfumata, ma questo non significa che mi comporterò allo stesso modo. No. Non mi farò più fregare.


Quello che spero è che in caserma ci sia da divertirsi per un po', viste le novità.


Il Maresciallo Cecchini mi ha informato dell'arrivo del nuovo Capitano, e immaginate un po'? Ebbene sì, è una donna. Un'altra che vorrà di sicuro ribaltare il palazzo sottosopra perché non le andrà bene niente. Un classico.


Avrei voluto rendermi più presentabile per non mettermela contro a priori, ma purtroppo per me sono tornato ieri e ho scoperto che quella psicopatica della mia ex mi ha strappato tutte le camicie e buttato i vestiti. Ah, oltre ad essersi portata via la macchina. Almeno la moto mi è rimasta, visto che sono andato via con quella. La moto, e il cane. Pazienza.


Devo ammettere che ho fantasticato un po' su di lei, non ho cercato il suo curriculum di proposito. Non ci sono moltissime donne nell'arma, e ancora meno sono quelle con ruoli di potere. Ammetto di essere curioso, chissà come sarà. Non vedo l'ora di vedere con chi avrò a che fare per i prossimi anni.


Eccoli, lei e Cecchini davanti all'ingresso della caserma. Stando al maresciallo, la capitana, come la chiama lui, è una tutta rigore e dovere, ovviamente. C'è da dire che non è sempre attendibile quello che dice lui. Vedremo un po'.


Arrivato in piazza, scendendo dalla moto e sfilandomi il casco, getto un'occhiata ai due. Sembra perplessa, e mi viene da ridere. Chissà che le avrà detto il maresciallo di me.


“Dottor Nardi, bentornato.” Saluta lui. Io ricambio, ma la mia attenzione è rivolta ad altro.


Il maresciallo si è scordato un piccolo particolare.


“Capitano Anna Olivieri.” Si presenta, porgendomi la mano con cipiglio confuso.


Non mi ha detto che fosse così bella.


“Marco Nardi, Pubblico Ministero.” Rispondo io, sorridendo e rispondendo alla sua stretta decisa. “Il maresciallo mi ha parlato molto di lei.”


La sua espressione si fa infastidita. Che ho detto?


“Il maresciallo parla molto.” Si volta verso di lui, contrariata. “Anche a sproposito.”


“Il viaggio di nozze com'è andato?” Chiede Cecchini, cercando di deviare il discorso. Io lo guardo per un attimo, prima di tornare a lei. Niente da fare, non riesco a staccare lo sguardo da quei magnetici occhi verdi. Poi mi rendo conto della domanda, ma mantengo la calma.


“Niente matrimonio e niente viaggio di nozze. Ho cambiato idea.” L'espressione del Capitano è curiosa, non capisco cosa pensi. Mi rivolgo di nuovo a lei. “Prego, dopo di lei.” Le dico con un gesto della mano, capisco che la mia affermazione possa sembrare... ehm... indifferente, ma vorrei evitare di scendere nei dettagli. Meglio tenerli per me quelli, e poi voglio tentare di fare il gentiluomo.


“No, dopo di lei. Io sono il Capitano, e lei è un ospite. Prego.” Mi contraddice con espressione altezzosa.


Ah. Hai capito. Decisamente comanda lei qui, l'ha messo bene in chiaro.


Rido sotto i baffi. Mi divertirò di sicuro.


[…]


Le cose vanno peggio di come avrei pensato. Ha già praticamente stravolto tutto, e vuole pure far trasferire Cecchini, sostituendolo con una donna. Di sicuro questa non gliela farò passare liscia.


Anche perché ci siamo già scontrati un paio di volte, ed è solo il primo giorno. Praticamente pensiamo tutto all'opposto. E già non mi va a genio il fatto che sottovaluti la gravità di un tradimento. O che pensi che una donna non sia in grado di commettere un reato tanto grave come un omicidio. Sarà anche bella, ma per il resto è proprio insopportabile.


Chiacchierando con il Maresciallo davanti alla caserma, intravedo il Capitano andare via, non prima di aver baciato un ragazzo in giacca e cravatta sulla guancia. La cosa mi incuriosisce non poco.


“Ma chi è quello?” Mi informo, appoggiato alla moto.


“Quello è Giò, Giovanni. Quello è l'ex fidanzato della capitana.”


“Ah!” Andiamo bene. “Ma... l'ha lasciata!” Furbo questo, ha capito prima di legarsi le mani con quella pazza.


Il maresciallo nega. “Peggio.” Risponde con fare solenne, facendosi il segno della croce. Oddio.


“No, sta morendo?” Se è così mi dispiace, poveri.


“No, che sta morendo... Si vuole fare prete!”


Mi trattengo dallo scoppiare a ridere. Dev'essere proprio disperato, e lei una pazza sul serio, per fare una scelta del genere. Poi però mi riprendo, sempre più convinto della mia idea. “Ha visto come ci riducono?”


“Chi?”


“Le donne, maresciallo! Io ho capito quello che sta facendo,” lo rimbecco, riferendomi al suo tentativo - inutile - di compiacere il capitano, “ma non cambi mai per una donna!”


Lui cerca di negare, ma io insisto. Ormai nessuno me lo toglie dalla testa. Poi cambio argomento, ricordandogli della partita di domani. Almeno quello, non ce lo possono togliere.


[…]


Mi devo spicciare, prima di andare alla saletta ho una partita di calcetto con gli amici, ma meno male che mi sono portato dietro il completino. Ho fatto tardi, e mi stressa passare da casa perché dovrei fare il doppio della strada, così approfitto del fatto che il Capitano sia andata via, e mi cambio nel suo ufficio. Ho appena infilato i pantaloncini quando squilla il cellulare. È quella pazza della mia ex, non ci posso credere, ha pure il coraggio di chiamarmi per riavere il cane.


Le sto proprio dicendo che se lo può scordare quando mi giro e vedo... il capitano. Chiudo immediatamente la chiamata in faccia a Federica senza pensarci due volte. “Oh, scusi.” faccio, in imbarazzo, mettendomi la maglietta. Dal suo sguardo direi che è quantomeno furiosa.


“Lei mi deve aver frainteso,” esordisce, cercando di evitare di guardarmi. “quando ho detto che poteva fare meglio intendevo almeno indossare una camicia.”


“Sì, ma io credevo che se ne fosse andata.” Pessima scusa, lo so.


“Già.” Appunto. “Ma la domanda è che cosa ci fa in mutande nel mio ufficio?!”


“No, aspetti, no, tecnicamente sono dei pantaloncini, questi.” Cerco di spiegarmi meglio. “È che ho una partita prima della cena e mi dovevo cambiare e allora... non mi andava di passare da casa. Scusi.” tento, con le mani giunte. Mi sa che non sto ottenendo grandi risultati, però.


“Lei è imbarazzante, lo sa?” Aspetta, non riesco a decifrare quello sguardo. Sono così da buttare?


“Mah, sono un po' fuori forma, però... non esageri.” Cerco di difendere il mio orgoglio maschile, ehi!


“Non per quello, e neanche perché si comporta da adolescente e usa il mio ufficio come spogliatoio.” Simpatica. E allora che ho fatto per meritarmi l'appellativo. “Lei è imbarazzante perché prima lascia la sua fidanzata sull'altare e dopo si vuole prendere anche il cane.”


Eh? Devo aver capito male. “Scusi?”


“È un paese, le voci corrono.”


Okay, ora la odio ufficialmente.


“Ah certo, io non sono un santo, come certi suoi amici.” Beccati questa. Non ha il diritto di parlare di cose che non sa, e forse fa bene il suo ex a farsi prete, almeno se l'è tolta di torno.


Lei ha un'espressione profondamente offesa, ma non mi dispiace per niente. “Sa, è un paese, le voci corrono.”


Si volta a prendere alcuni fascicoli dalla sua scrivania, e per un secondo temo che me li voglia sbattere in faccia. “Si sbrighi ed esca... con contegno, se ci riesce.” Mi rimbecca, prima di girare i tacchi e andare via.


Io ridacchio, prendendo il borsone. Oh sì, mi divertirò un sacco. Ma ci penserò dopo, ora... partita!


[…]


Cecchini ha proprio combinato un casino, come al suo solito. È venuto fuori che il Capitano non solo non voleva sostituirlo, ma gli aveva pure fatto prendere una scrivania nuova, viste le condizioni di quella vecchia. Almeno questo in effetti, glielo devo. Non è così antipatica da questo punto di vista. E anche io l'ho trattata male senza motivo.


Il caso è stato chiuso, comunque, e alla fine avevamo ragione tutti e due. Approfitto del momento per tentare di arginare il danno.


“Io volevo scusarmi per ieri sera,” esordisco, ma lei sorride come a minimizzare la cosa. Continuo lo stesso. “No, no, davvero. Sono stato imbarazzante.”


“Lasci stare, io ho esagerato.” Ehi, lei che si scusa? Questa è nuova. “Le sue questioni personali non mi riguardano.” Ah. Forse ho sbagliato a giudicarla così in fretta. Forse.

 

“Già, alle volte le cose non sono così semplici come sembrano.” le rispondo, e mi rendo conto di parlare anche per me. Non la conosco, e d'altra parte, non so perché il suo ex abbia preso quella scelta, né altro su di lei. Certo, pure lei avrebbe potuto evitare quelle affermazioni, ma diciamo che io l'ho provocata. “La saluto, Capitano.” Le faccio un cenno, e me ne vado.


Per trovare un regalo non gradito a casa. La mia ex. Che ribadisce con simpatia come non mi sia presentato in chiesa e le abbia fatto fare la figura della cretina. Non capisco cosa vuole ancora da me


 

“Quello,” mi dice con un'espressione che vorrei strapparle dalla faccia, “è il quadro che ho scelto io, ne converrai anche tu che devo prenderlo.”


“Prenditelo e sparisci.”


Con che coraggio si presenta qui? A dire quelle cose? Spero che sparisca sul serio. Vorrei non averla mai conosciuta.

 

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Capitolo 2
*** La vera ricchezza ***


 

LA VERA RICCHEZZA

 

Quella mi sta sempre più antipatica. Deve dire sempre l'opposto di quello che penso io, e quello che mi fa più rabbia è che poi in genere ha ragione lei. Ma si pone in modo altezzoso, quasi per farla apposta a indispettirmi. Mi fa innervosire un sacco, ha praticamente ribaltato una caserma sotto sopra, fa filare tutti e guai a chi non fa il suo lavoro come esige lei. Manco si può respirare più, a momenti. Peggio dei soldati. Ma prendere le cose con un po' più di calma no, eh? Altro che ordine mentale.

 

Comunque, nel frattempo ho scoperto qualche dettaglio sulla sua ex relazione. A quanto pare il tipo si chiama Giovanni Santucci (ma guarda che cognome azzeccato!) e fa l'avvocato, almeno per il momento. Hanno fatto pure l'università insieme, i due colombi. Forse pure la scuola, non ho capito bene. E non tira una bella aria, l'altro giorno in ufficio la tensione si poteva tagliare col coltello. Ah, e a quanto pare mi ha preso in antipatia pure lui. Certo, gli ho dato dello stupido praticamente in faccia anche se non mi ero accorto fosse lì, ma giuro che non avevo cattive intenzioni. E mi sono anche divertito a prenderli in giro alla prima occasione che ho avuto, non ho saputo resistere. È che mi dà soddisfazione infastidire Miss Rigore, vederla uscire fuori dai gangheri è di uno spasso incredibile. Però ho anche capito che c'è qualcosa di strano nella vita privata del Capitano, il suo ex ha fatto riferimento a qualcosa successa a suo padre, qualcosa di negativo, evidentemente, ma quando ho provato a chiederle, mi ha risposto un secco “Niente,” ed è andata via. Aveva un'espressione strana che non ho saputo interpretare. Non riesco mai a capirla, è come se avesse un velo davanti agli occhi che impedisce agli altri di vedere oltre, che limita la vista a una parte che lei sceglie di mostrare.

 

Non ho voglia di accollarmi i problemi altrui, però, e sinceramente non me ne importa granché. È già tanto se ci tolleriamo, visto che comunque dobbiamo lavorare assieme, e non ho intenzione di approfondire il rapporto. Anzi, meglio se ci evitiamo il più possibile quando si può, il tempo in ufficio basta e avanza.

 

Poi è fissata a fare le cose a modo suo, non segue le vie ufficiali, parla di buon senso ma non mi va che cerchi scuse per fare quello che vuole lei. Deve seguire le procedure, e siccome le linee d'indagine le detto io, non può farci nulla. Dice che valuta la situazione, ma lo fa perché ancora ha assunto il ruolo da poco. La gentilezza le passerà. Passa a tutti, prima o dopo.

 

Certo, le battutine a mie spese potrebbe risparmiarsele. Sì, mi dà fastidio che riesca a rispondermi a tono. Questa cosa non va bene per niente.

 

[…]

 

Non riesco a credere a quello che mi ha appena detto il maresciallo.

 

Ora capisco perché il Capitano ha tutti quegli sbalzi d'umore, perché salta per niente... è incinta! Il mezzo prete, lì, prima fa le cose e poi se ne lava le mani... ci credo, che lei non voglia dirgli nulla vista la situazione, mi fa un po' pena vista così, forse ho esagerato a giudicare.

 

Cecchini dice che dovrei essere più gentile con lei, abbassare i toni... è che lei è esasperante! Posso cercare di sforzarmi un po', ma non so fino a che punto ci riesco. Più affettuoso, starle più vicino... certo, una parola. Mamma mia, che casino. Anche se... io che c'entro?

 

[…]

 

Mi sono sforzato, in questi giorni sono stato gentile. Le ho pure offerto un tè. Certo, non è stato un gran momento, visto che sul più bello è passato di lì l'ex e lei si è rattristata. Devo dire che è carina quando sorride, però. Non ci devi nemmeno pensare. Ti sta antipatica, ricordatelo.

 

Non so come, ma il maresciallo mi ha pure convinto a invitarla a cena. Stando a lui, ha bisogno di conforto, di amicizia... ma io che c'entro? Non capisco come ho fatto a farmi convincere, sul serio. In una situazione così, poi. Immagino che serata, altro che parlare di lavoro. Non parleremo proprio di niente, se lei si comporta come al suo solito. E poi, mi viene spontaneo chiedermi... come si può vestire una così? Quasi quasi mi aspetto che arrivi in divisa. O su quel genere. Non ce la vedo in nessun altro capo d'abbigliamento, rigida com'è. Comunque, a momenti dovrebbe arrivare. Mi viene da farmi il segno della croce. Cecchini mi fa un cenno per ricordarmi della... situazione ingombrante, io gli dico di stare tranquillo. Mi trattengo, giuro che mi trattengo.

 

Alzo lo sguardo e per poco non mi prende un colpo.

 

La mia mascella deve essere finita a terra perché non me la sento più. E che ci faccio in piedi?

 

Hai capito, il capitano.

 

Giuro, ho cercato di trattenermi, ma una radiografia è d'obbligo, la devo fare. Tacchi alti, tubino nero in pelle, capelli sciolti sulle spalle scoperte. Accidenti, chi l'avrebbe detto che sotto la divisa si nascondeva quel ben di dio?

 

Mi devo riprendere, devo dire qualcosa o rischio di fare la figura dello scemo peggio di così. Cerco di far uscire la voce che si rifiuta di collaborare.

 

“Ah...” Lei mi guarda stranita, e per forza. Sveglia, Marco! “La trovo... bene!” Certo, perché non si usa più nemmeno salutare. Cavolo, però. Che ne sapevo io, che me la sarei trovato davanti... così?

 

“...Grazie!” Devo averla mandata in confusione. Eh, sono confuso io, figuriamoci.

 

Cerco di darmi una svegliata e le sposto la sedia per farla accomodare, ancora troppo scioccato per riuscire a pensare coerentemente. Cioè, come si fa? Non me lo aspettavo proprio.

 

Noto che sta salutando qualcuno. Ah. C'è pure il prete? Che coincidenza.

 

Nonostante provi a convincerla a parlargli, dice di no. Mi ritrovo pure a darle del tu, non ho ben capito come. Si alza per andare alla toilette, e giuro che mi fa quasi prendere un infarto, perché mi accarezza una guancia.

 

Eh? Che sta succedendo? E ha sempre avuto gli occhi così verdi?

 

“Un pelucco.”

 

Ah sì?

 

Va via, e io corro dal maresciallo. Mettiamo le cose in chiaro: questa ci sta provando, ma io i figli degli altri non me li accollo! Io ho accettato solo di essere gentile! Più che altro, mi ha costretto lui!

 

Quando torna, si siede più vicina, e io vado in pallone totale. Marco, calmati, non hai quindici anni. E nemmeno venti. Non sei in preda agli ormoni. Vorrei parlare del caso, e invece cerco di giustificare il mio essere cinico nelle indagini, e ammetto di apprezzare il suo approccio più sensibile, e lei mi prende per mano. Non ho capito se sia una consolazione o altro, però poi mi squilla il cellulare e devo chiederle di lasciarmi rispondere. Un po' mi dispiace, mi piaceva quel contatto.

 

Arriva la cameriera, fa per versare da bere ma io la fermo, dicendole che per il Capitano non deve metterne.

 

“No...?” Chiede, girandosi verso di me. “Perché no?”

 

Che domande sono?

 

“Beh, per la gravidanza, no?”

 

“Sei incinta?” Aspe', e Giovanni perché è al nostro tavolo? Quand'è che è venuto?

 

“Incinta...?!” Gli fa eco lei. Non capisco perché sia così sorpresa.

 

“Eh, forse era il caso di dirglielo, no?” Magari in modo più delicato, pure.

 

“Scusa ma... com'è possibile?”

 

Eh no, non glielo devo mica spiegare io al ragazzo com'è che si fanno i bambini, spero.

 

Mi alzo, cercando di evitare che la situazione degeneri. “So che lei è mezzo prete,” esordisco, ma lui mi guarda male. È la verità, eh! “Ma tecnicamente certe cose-”

 

“Scusate,” ci interrompe il Capitano, o Anna, visto che a quanto pare ci diamo del tu, “quale gravidanza? Che state dicendo?”

 

“Ma l'ha appena detto lui!” Si difende Giovanni. Ehi, non mettete in mezzo me, non c'entro niente, io! Io non l'ho toccata di sicuro!

 

“No, veramente a me l'ha detto il maresciallo!”

 

Anna lo nota, seduto qualche tavolo più in là, e gli lancia un'occhiata di fuoco. Mi sa che c'è stato un frainteso enorme, qui... Vedi un po' che si è inventato Cecchini, ha messo in mezzo pure me! E ora capisco perché lei ha accettato l'invito a cena, ma mi sa che è andata in modo leggermente diverso dal previsto...

Dire che siamo tutti e tre in imbarazzo è poco. Io mi siedo, mi sa che è meglio farsi da parte, almeno per qualche secondo. Ma tu guarda Cecchini che ha combinato.

 

Poi Giovanni prende la parola. “Comunque ti trovo... bene.”

 

“Grazie.”

 

Questo scambio di battute l'ho già sentito, mi sa. Gliel'ho già detto io questo, Giò.

 

[…]

 

La mattina dopo non tira una bella aria per Cecchini. L'intera faccenda ha leggermente irritato anche me. Non per lei, ma per il fatto che il maresciallo si è inventato tutte quelle balle e si è messo in mezzo a cose che non lo riguardano, anche se a fin di bene. … Mi auguro.

 

“Signor Capitano... Dottore...” tenta di salutarci lui, uscendo dalla caserma.

 

Anna è furibonda. “Maresciallo, la pregherei di rivolgermi la parola solo se strettamente necessario per ragioni di servizio!”

 

“E lo stesso vale anche per me!” Aggiungo io.

 

“Comandi!” Ci risponde, sparendo. Mi sa che se ne starà buono per un po'.

 

Il Capitano si appoggia all'auto. Decido di tentare di scambiare due chiacchiere.

 

“Comunque il prete è un uomo fortunato.”

 

“Non è ancora un prete.” Ribatte lei, infastidita. “E poi, in che senso fortunato?”

 

“Beh... pur di farlo ingelosire sei uscita persino a cena con me!” E sono sincero, non è cosa da poco, considerando che ci detestiamo.

 

“Ahhh, comunque grazie dell'invito,” Ridacchia Anna. “Non ti facevo un tipo così sensibile alla causa della donna incinta!”

 

Rido anch'io, e iniziamo a chiacchierare. Non pensavo fosse così semplice parlare con lei. Sembra tutto così naturale, e mi rendo conto che forse non è così antipatica come pensavo. E poi quant'è bella quando ride?

 

Eh?

 

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Capitolo 3
*** Il prezzo del talento ***


 

IL PREZZO DEL TALENTO

 

Non capisco davvero perché l'ex del Capitano sia geloso di me. Qualche giorno fa abbiamo avuto un caso che ha coinvolto la sua vecchia fidanzata del liceo e lui, naturalmente, le ha fatto da avvocato e si è anche premurato a consolarla. Il tutto davanti ad Anna.

Cioè, giusto per essere chiari: lui poteva starle seduto davanti a prendere le difese della sua vecchia fiamma come se niente fosse e arrabbiarsi perché noi dicevamo che Lina avesse a che fare con l'aggressione, ma Anna non aveva, secondo lui, motivo di infastidirsi e, sempre secondo lui, aveva messo in mezzo i suoi sentimenti e la sua gelosia accusando la “rivale”.

Anna ci era rimasta male ovviamente, anche perché come le ho detto, anche se non ci conosciamo da molto ho avuto modo di capire che non è una che si lascia condizionare da fattori esterni, anzi sa essere molto professionale. Questo è un tratto che, sinceramente, ammiro molto di lei. Si lascia coinvolgere nel senso che sa capire quando c'è bisogno della mano pesante e quando invece è meglio essere più comprensivi, ma non fa favoritismi. Almeno non da quello che ho visto finora.

 

Ah, e come dicevo, a quanto sembra è geloso di me. Quando è uscito dall'ufficio di Anna, mi ha lanciato uno sguardo di quelli che, se potessero uccidere, io sarei morto all'istante. Okay, sono entrato di proposito a portarle un caffè per interrompere la loro lite, mi ero accorto che lei non fosse proprio a suo agio, e mi sono intromesso, però...

In tutta onestà, l'interrogatorio alla sua ex mi ha innervosito abbastanza, proprio per come si è comportato lui. Sembrava più interessato alla cantante che al Capitano, anzi a volte la guardava quasi con sufficienza, o come a volerle dare la colpa. È stato un continuo scambio di sguardi, ad aspettare che l'altro facesse un passo falso o cedesse. Per questo ho deciso di intervenire, e ho cercato di farle capire che io ero dalla sua parte. Che stava agendo nel giusto.

È lui che ha esagerato. Giovanni ce l'ha con me anche per la storia della cena, ma è pur vero, anche nel caso in cui si fosse trattato di una cena romantica, non può impedirle di uscire con altri uomini e di farsi una vita se lui ha deciso di farsi prete. Se fa così, mi sa che non è poi così convinto. Anche perché lei gliel'ha detto che tra noi non c'è nulla. Abbiamo un rapporto civile adesso, è vero, ma strettamente lavorativo. Ed è l'unica cosa che ci sarà mai, è una collega e nient'altro.

 

[…]

 

Abbiamo scoperto che in effetti c'era sotto qualcosa nel caso, e il fratello della vittima ci ha detto dei soldi che quello aveva pagato al direttore della compagnia perché assumessero Lina. Quando Corsi se ne va, io mi avvicino alla porta, pronto ad andare. Il Capitano mi segue, e ci fermiamo a guardarlo uscire dalla caserma. Mi viene quasi da ridere per quello che ci ha detto quell'uomo, e non mi trattengo dal commentare.

 

“È incredibile, le cazzate che si fanno per amore.” E io ne so qualcosa.

 

“E pensare che oggi è anche San Valentino.” Risponde Anna col mio stesso tono.

 

“Festa inutile!”

 

Lei si gira a guardarmi con un sorrisetto divertito. “Sono d'accordo.”

 

“Io, vista la nuova situazione, revocherei il fermo per Lina Consorti.”

 

“Sono d'accordo anche su questo.”

 

Sono scioccato, noi che la pensiamo allo stesso modo? Le lancio uno sguardo incredulo. “Due su due, io comincio veramente a preoccuparmi!” Ma lo dico scherzando, e lei sorride. La mia battuta ha funzionato! Abbiamo concluso una conversazione senza prenderci a parole, anzi! Ricambio il suo sorriso, e sono quasi fuori dal suo ufficio quando la sua voce mi blocca sui miei passi.

 

“Dottore, buon San Valentino!”

 

Stavolta sorrido davvero, così mi volto verso di lei e la ringrazio portandomi la mano al cuore con fare commosso. Sentirmi dire quelle parole con un tono così gentile mi ha fatto piacere.

 

[…]

 

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Capitolo 4
*** L'amore sbagliato ***


L'AMORE SBAGLIATO

Fantastico.

Pensavo di essermi tolto dai piedi la mia ex, e invece no. Mi ha chiamato per informarmi che sta tornando a Spoleto a riprendersi Patatino, con il solo scopo di farlo castrare.

Ma si può? Poveretto, che destino tremendo. Non solo per l'intervento, ma pure perché per padrona si è ritrovato una psicopatica che ha ben pensato di agghindarlo con cappottini e simili come un peluche per anni, e a fargli fare quello che diceva lei. Non aveva più autonomia, povera bestia. Almeno ora che sta con me ha avuto modo di fare il cane, come dovrebbe essere normale.

Non può vivere tranquillo nemmeno lui, ma io non gliela dò vinta, no. Il cane lo tengo io, non glielo farò prendere. Quindi ho deciso di nasconderlo, e ho chiesto il favore di tenerlo per un po' al Maresciallo Cecchini, che dopo qualche esitazione ha accettato. Gli ho dato una mano a sistemare la cuccia e le crocchette, prima di uscire dal suo appartamento per andarmene. Mi volto per dirigermi verso le scale, e...

Il Capitano è appena uscita dal suo, e decisamente non in divisa. Ha addosso un corto abito rosa che la fascia alla perfezione. Se dovesse decidere di venire in ufficio così, io non mi oppongo.

Non riesco a trattenermi, e faccio scorrere lo sguardo sulla sua figura.

“Capitano!” la saluto, con un tono che lascia intendere che l'ho decisamente squadrata dalla testa ai piedi. “Bel vestitino!”

“Grazie...” mi risponde con un filo di voce, chiaramente in imbarazzo e senza incrociare il mio sguardo. Ora che ci penso, perché è vestita così a quest'ora del mattino? Non che non apprezzi, tutt'altro.

Faccio un sorrisetto. “Vai a una festa?”

“No,” nega lei, “pensavo di... rimanere in casa, stasera.” Che spreco. Ehm, voglio dire, okay, certo.

“Arrivederci.” La saluto, porgendole la mano, che si affretta a stringere la ragazza accanto a lei. Sinceramente l'avevo a mala pena notata. “Chiara Olivieri... la sorella maggiore.” si presenta con sguardo ammiccante. Caspita, che differenza con il Capitano.

“Sì, ci siamo incrociati in Caserma, vero?”

“Sì.” Risponde lei con sicurezza.

“Marco Nardi, piacere mio.” Faccio anch'io le presentazioni, ma nonostante abbia davanti una donna molto bella che si è mostrata palesemente interessata, la mia attenzione torna su Anna.

“Ciao.” Torno a salutarla, stavolta in modo molto più informale. Mentre scendo le scale del palazzo, mi rendo conto che quel tono un po' più confidenziale l'ho usato quasi inconsapevolmente quasi a voler evidenziare una differenza tra le due. La sorella sarà anche bella e disinvolta, ma io conosco Anna, e devo ammettere che quel suo modo di fare un po' più restio mi intriga parecchio.

Anche se mi è ancora antipatica.

[…]

Oggi abbiamo avuto a che fare con un caso di violenza ai danni di una ragazzina da parte di un coetaneo, e devo ammettere che Anna è stata davvero brava. Ha agito con molta delicatezza, ha fatto un bel lavoro con quella ragazzina. Sono rimasto davvero colpito, non so perché ma non mi aspettavo che riuscisse ad essere così capace in una situazione dove non molti nel suo ruolo avrebbero ottenuto molto poco. Bisogna avere molto tatto in questi casi, e lei si è rivelata estremamente sensibile e accorta.

Le ho appena fatto i miei complimenti, quando il mio cellulare squilla. E ti pareva.

“Federica?”

Dobbiamo vederci adesso.” Ciao anche a te. Sempre con quel tono delicato e la gentilezza distintiva. Proprio mi ci voleva questa ventata di cortesia dopo la scena che si è appena svolta.

“No, non posso.”

Ah no?

“No, sono a lavoro.”

E Patatino è con te, vero?” Perché io ovviamente mi porto il cane in caserma.

“No, lui non è con me, no.”

Lo voglio vedere.

“No, non lo puoi vedere, neanche dopo.” Col cavolo che te lo faccio castrare.

Il cane è m-

Non la faccio finire, le stacco il telefono in faccia e mi affretto ad uscire dall'ufficio, troppo indispettito per preoccuparmi di salutare. Devo assicurarmi che non provi di nuovo a entrare a casa mia.

[…]

Stiamo discutendo delle nuove scoperte sul caso, quando sentiamo la voce di Pippo, il sacrestano di Don Matteo, chiamare il Maresciallo, e ha Patatino al guinzaglio. Siamo nei guai. Usciamo dall'ufficio del Capitano per vedere che succede.

“Marescia', non lo posso più tene'! È tanto caruccio ma non riesco a dominarlo... Ha sbriciolato un mobile del Settecento come 'n pacchetto de grissini! Natalina ha detto che, o sparisce Patatino o se ne va via lei!”

Io lo guardo con tanto d'occhi. In effetti, sa essere un tantino distruttivo.

“Non lo potete tenere?” Prova ancora Cecchini, e Pippo nega, dispiaciuto.

Io, più che dispiaciuto, sono fregato. Dove lo nascondo ora?

“Senta, signor Capitano...” tenta il Maresciallo rivolgendosi ad Anna. Ops. Mi ero dimenticato di lei. “Noi... avremmo lo sgabuzzino... potremmo sistemarlo... là...” fa esitante, indicando lo stanzino della caserma. C'è qualcosa che non mi torna, perché lei sembra poco felice della proposta, come se ne sapesse qualcosa.

“Va bene,” acconsente senza entusiasmo, “però le dò due ore, dopo chiamo il canile.”

Io e il Maresciallo sospiriamo di sollievo, poi Cecchini nota un foglio incastrato al collare di Patatino.

“Ma che ha... che c'ha, un messaggio? Che c'è scritto?”

Mi accorgo che tutta la caserma si è fermata ad osservare, incuriosita.

Cecchini si affretta a leggere. “La donna geisha in casa indosserà sempre abiti sexy in modo da risvegliare di continuo gli appetiti del suo uomo.

Mi trattengo dal ridere. Ma che è sta roba?

“Patatino, che cosa leggi?” scherza il maresciallo. “Questi sono tuoi, no?” chiede a Pippo, che nega immediatamente. “Questi sono i libri che gli piacciono a Zappavigna!” Povero ragazzo, lo mette sempre in mezzo, guarda com'è imbarazzato!

Decido di intervenire. “No, quelle sono letture da donne!”

Perché Cecchini sta guardando il capitano? Mi volto anche io, sorpreso. Non ci credo nemmeno se lo vedo.

Lei sembra decisamente imbarazzata. “Bene, del libro non ci interessa, credo! Possiamo occuparci d'altro?”

In effetti l'argomento non è lusinghiero in generale, figuriamoci per lei. Lasciamo cadere il discorso, direi che è meglio per tutti.

[…]

Più tardi, dopo l'interrogatorio al padre del ragazzo ferito, cerco di trovare una soluzione per Patatino col maresciallo. Propongo alcuni dei carabinieri che conosco meglio, ma niente da fare: uno vive con la madre, l'altro ha due gatti e Zappavigna, secondo Cecchini, è inaffidabile. Il nostro discorso è interrotto però dall'ingresso di Federica in caserma.

“Troppo tardi!” Sussurro, nascondendomi dietro una colonna. Non ho voglia di vederla, ma proprio per niente.

“Che è successo?”

“Vede quella donna?” Bisbiglio al maresciallo. “È Federica, la mia ex...”

“La castratrice, lei è!” Ha afferrato al volo.

“Faccia qualcosa, Maresciallo, le dica che sono occupato.” Qualsiasi cosa, non voglio parlare con lei.

Lui accetta, e io mi fiondo nell'ufficio di Anna, che mi guarda sbigottita. So di avere un'espressione terrorizzata, probabilmente, ma ho problemi più gravi a cui pensare. Mi affretto a sedermi.

“Hai bisogno di qualcosa?” Mi chiede, ancora perplessa.

“No... sì... volevo degli aggiornamenti sul caso.” Gran bella trovata, Marco, stavate parlando di questo fino a dieci minuti fa, che aggiornamenti vuoi che ci siano?!

Ovviamente non l'ho convinta, ma mi dà corda. Mi devo ricordare di ringraziarla.

Poco dopo però si blocca. “Ma chi è quella donna?” chiede, guardando oltre le vetrate. “Sembra voglia venire qui.”

Io cerco di fare l'indifferente anche alla sua occhiata sospettosa, quando Cecchini apre la porta, costernato. “Chiedo scusa... c'è una signora che chiede di Lei...” fa, rivolgendosi a me. “Purtroppo non sono riuscito a fermarla.”

No, no, no. Mi rifiuto. “Gliel'ha detto, che sono occupato?”

“Non mi sembri molto occupato.” Mi contraddice il Capitano. No, per favore. “Tu ti stai nascondendo da quella donna!” Mi accusa con un'espressione incredula.

“È la sua ex fidanzata.” Grazie, Cecchini.

Anna fa un sorrisetto che non promette niente di buono. “Prego, Dottor Nardi. Io posso aspettare.”

L'avevo detto, che non mi piaceva.

Ricambio il sorriso, ma con un'espressione che dice tutt'altro che apprezzamento, e lei mi fa segno di uscire, sorniona.

Altro che ringraziare. Questa me la paghi.

Esco malvolentieri dall'ufficio e Federica si avvicina, inviperita. “Ti avrò fatto almeno mille telefonate e non mi hai mai risposto al telefono!”

“Ero occupato col lavoro...” Che poi, non è che debba giustificarmi.

“Mh... Dammi le chiavi di casa, vado a prendere il mio cane.”

“Non è il tuo cane.” Le dico, serio. Non glielo darò mai. “E poi non puoi, perché lui non c'è.”

“Come non c'è? Dov'è?” Con perfetto tempismo, Patatino, nella stanza accanto, si mette a guaire. “Che cos'è questo rumore?”

“Sono io, scusate, scusate...” Interviene Cecchini. “Purtroppo soffro... di reflusso, e siccome ho mangiato la peperonata calda...” Non so se devo essergli grato per il salvataggio, o schifato, o preoccupato per la velocità con cui si è inventato questa scusa.

Colgo comunque l'occasione. “Ecco, forse è meglio se andiamo da un'altra parte-”

“No no no no, io non mi muovo da qui se prima non mi dici dov'è il mio Patatino!” Si oppone lei.

“Patatino è... Patatino...” Che le dico, che le dico?

“È morto.” Di nuovo il Maresciallo. Forse sta esagerando. “Purtroppo non le volevamo dare questa brutta notizia. È morto, un camion col rimorchio...” Ci vada piano!

“Addirittura! … Ma scusami, ma è morto e tu non mi dici niente!”

No, questo non lo accetto. Ora basta scherzare. “E tu?” Deglutisco a forza. “Tu mi hai sempre detto tutto?” Le rinfaccio. Quante cose mi ha nascosto, quante volte mi ha mentito... Mi chiedo se mi abbia mai amato davvero.

Almeno ha il buonsenso di non contraddirmi. “Sicuramente adesso non abbiamo più niente da dirci.”

“Sì, son d'accordo.” La osservo per un attimo, e non provo altro se non rabbia e dolore. Per quello che mi ha fatto. Perché mi sono lasciato prendere in giro. Perché è colpa sua se adesso non mi fido più. Se ho paura perfino dell'idea di innamorarmi di nuovo.

Se ne va via di fretta, finalmente. Ho già sopportato abbastanza la sua presenza. “Appena se ne va da Spoleto, poi passo a prenderlo.” Informo il Maresciallo. “Grazie.”

“Io... ho detto che il cane è morto... ma morto a fin di bene!” Mi dice, cercando di scusarsi.

“Non c'è problema, anzi... Grazie. Apprezzo molto l'aiuto che mi sta dando. Non si immagina quanto.” Gli dico sinceramente. Almeno so di avere qualcuno su cui contare.

[…]

Quando torno in commissariato, mi accorgo che Patatino è sparito. Chiamo Cecchini per chiedere.

“Ma dove può essere andato?”

“Come le ho detto... non lo so, non lo so, ho guardato dappertutto, non c'è... forse è scomparso, non lo so.” Rispondo, sconsolato.

“Che è stato, un rapimento, proprio qui, in caserma? Dai!” Nega il maresciallo, in effetti è improbabile.

“Nessun rapimento.” Ci informa una voce: il Capitano. Questa cosa mi fa preoccupare. Lei che c'entra con Patatino? “Anzi... il cane è stato restituito al suo legittimo proprietario.”

CHE COSA?!

Mi avvicino, con un nervosismo alle stelle. Non ci posso credere. “Tu... hai portato il cane a Federica?”

“Ma non ti vergogni? Farle credere che il suo cane fosse morto pur di tenertelo! E l'hai anche lasciata sull'altare...”

Eh no, eh. Se prima avevo deciso di tollerarla, adesso abbiamo proprio chiuso. Tu non sai proprio niente di me.

“Povera donna...”

“Ma che povera donna?” Interviene Cecchini. Oggi è come una specie di angelo custode, mi sta pure evitando scenate e cose che potrebbero seriamente mettermi nei guai. “Quella, lo sa che cosa vuole fare? Lo vuole...” Fa un gesto per indicare le forbici.

“Cosa... tosarlo?”

“Castrare.” La correggo io. La sua espressione cambia, sembra mortificata, e direi che è il minimo.

“Vuole castrare Patatino...?”

“Per questo lo tenevamo nascosto.” Le spiega il maresciallo.

“Mi dispiace, io non lo sapevo...”

Non basta, non me ne faccio niente delle scuse.

“No, ma non ti preoccupare.” Taglio corto io, non mi va di sentire altro. “Tanto voi donne siete tutte uguali.” Le dico, sprezzante, prima di voltarle le spalle.

“Adesso noi dobbiamo cercare il veterinario prima che sia troppo tardi.”

“Sì, ma come facciamo a sapere a chi l'ha portato?”

“Quanti veterinari ci saranno, a Spoleto?” Interviene Anna, ancora con quell'espressione dispiaciuta in volto. Non mi incanti, non ci provare. Tanto è tutta una farsa. “Maresciallo, siamo Carabinieri! Riusciamo a trovarlo, un cane scomparso, no?”

“Lo troviamo! Dai, dai che lo troviamo!” La incoraggia lui, e io acconsento.

“E va bene!” Mi arrendo, tanto mal che vada arriviamo tardi.

Iniziamo a cercare, attraverso il codice del microchip e facendo un giro veloce di telefonate per fare prima. Il maresciallo va via, il suo turno è finito, ma mi dice di chiamarlo se troviamo il posto, perché vuole accompagnarmi. Dopo un po' di lavoro, è Anna a beccare quello giusto.

“Trovato! È qui che lo ha portato, ho segnato la via, non è molto lontano da qui... se fate una corsa arriverete prima.”

Io prendo il bigliettino che mi sta porgendo, rivolgendole un breve sorriso prima di andare a riprendere il cane.

[…]

Abbiamo fatto appena in tempo, stavano per fargli già l'anestesia.

Siamo appena usciti dallo studio veterinario perché ha appena chiamato il Capitano per informarci che hanno appena trovato l'arma con cui hanno ferito il ragazzo, quando una voce ci ferma.

“Si può sapere che cosa sta succedendo?”

Federica. L'avranno chiamata dall'ambulatorio, sicuramente. Cecchini ci lascia soli, per una volta con molto tatto.

Io mi volto lentamente verso di lei. Stavolta la chiudiamo, una volta per tutte.

“Quindi?” fa a braccia incrociate.

“Quindi me lo riporto a casa. Tutto intero.”

“No, è il mio cane e me ne occupo io.”

“Sì, so come fai,” le dico con scherno, “prima lo castri, poi lo tosi, gli compri il cappottino... poi dopo gli vendi la moto e quando ti stufi ti compri un altro cane, no?”

Lei si mette a ridere. “Dai, Patatino non ha la moto, su!”

“Ah, brava, capisci l'ironia al volo!” Infatti non stavo parlando del cane. Parlavo di quello che hai fatto a me. “Comunque Patatino sta con me... lui almeno mi è stato fedele.” Non come te.

Mi volto, portandomi dietro il cane che mi segue docilmente, poi ci ripenso e torno a guardarla per un attimo. “Ah, se non ti va bene fammi causa.” Le dico, prima di tornare in caserma, per una volta soddisfatto di essere riuscito a farmi giustizia.

[…]

La mattina dopo vado sotto casa del Maresciallo per riprendermi la cuccia e le crocchette che gli avevo lasciato quando gli ho portato il cane, qualche giorno fa.

“... Per Attila, bello!”

“Attila?” Chiedo, curioso. Così Patatino sarebbe Attila, adesso?

“Ah, gliel'ho cambiato il nome! Io ci so fare, con i cani! Attila, dammi la zampa, fagli vedere!” Cerca di mostrarmi, ma il cane ovviamente lo ignora alla grande. “Non me la dare! ...Seduto!” Tenta ancora, ma nulla. Io me la rido. “Non... non stare seduto!”

“C'è un bel feeling, vedo!”

“Vabbé, n-” Non può continuare perché Patatino scappa improvvisamente, tirandosi dietro Cecchini che lo teneva per il guinzaglio. Rido alla scena, avvertendo il Maresciallo di fare attenzione.

Sono ancora intento ad osservarli quando sento il portone del palazzo chiudersi, e vedo Anna uscire. È strano vederla in abiti informali.

“Ciao...” Mi saluta, chiaramente in imbarazzo.

“Ciao,” ricambio io, tranquillamente. Prima che possa dire altro, lei continua.

“Mi dispiace ancora, io non immaginavo...” si scusa, dispiaciuta. Adesso capisco che non aveva finto, in caserma.

La blocco, non ce n'è davvero bisogno. “No, voglio ringraziarti... per quello che hai fatto per ritrovarlo.” Le sorrido, ha davvero fatto di tutto per rimediare. È stata carina.

Vedo che è pensierosa. “Ti posso chiedere una cosa?” Io le faccio cenno di sì, curioso. “Ieri hai detto 'siete tutte uguali'... a che cosa ti riferisci?”

Io evito per un attimo il suo sguardo, poi torno ad osservarla. Sembra sinceramente confusa. “Alle donne, che... cercano di cambiarti, poi ce la fanno, e... si stufano.” Le rispondo amaramente con un'alzata di spalle. Lei non risponde, ma abbassa lo sguardo con fare riflessivo. Io mi volto un attimo, e noto qualcosa per terra, vicino a una pianta. Mi abbasso per prendere un libro sgualcito. “I segreti della geisha'.”

“Mh?” Anna sembra perplessa.

Io guardo in su, dev'essere caduto dalla finestra di qualcuno del palazzo. “Ecco dove l'ha preso Patatino! Di chi è?” Le chiedo, avvicinandomi.

“Non lo so...” fa spallucce, “Però, ecco, questo dimostra che ci sono alcune donne che... cambiamo per gli uomini!” Dice, prendendomi il libro dalle mani.

“Sì, ma le geishe si sono estinte... adesso ci sono le mantidi!” Apprezzo l'osservazione, però. Noto che il Maresciallo è ancora alle prese col cane. “Io vado a riprendere Patatino!” La saluto, andando via. “Grazie!”

Lei abbassa il capo, sorridendo.

Che carina... anche se mi fa innervosire. È un'altalena continua con lei, prima la detesto, poi penso che sia dolce... Datti una regolata, Marco. È stata gentile perché era in torto, ma per il resto non la sopporti, ricordatelo.

Raggiungo il maresciallo, riprendo Patatino e ce ne torniamo a casa tutti e due molto più tranquilli. Adesso ce ne potremo stare in pace.

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Capitolo 5
*** Avrò cura di te ***


AVRÒ CURA DI TE

 

“Beh, quindi anche quest'assistente sociale potrebbe avere un movente.”

Sono seduto nell'ufficio di Anna, stiamo discutendo di un nuovo caso su una donna aggredita, madre naturale di una bambina adottata, a quanto sembra, non proprio legalmente.

Anna però mi sembra pensierosa, non mi sta ascoltando granché.

“Stiamo verificando i suoi movimenti, però se vuoi la mia opinione non è un'assassina.”

Forse ha ragione, sto per dirle la mia quando vedo che osserva Cecchini oltre la vetrata. È proprio distratta. Mi sposto per farmi notare, ma niente.

“Ma c'è altro?” Le chiedo, tentando di capirci qualcosa.

Torna a guardarmi. “No.”

“Ah.”

Guarda di nuovo il Maresciallo e sembra ripensarci. “Sì.” Si siede in modo da essere più vicina. “Non riguarda il caso, riguarda Cecchini... Ha un'amante!”

“Cosa?” Spalanco gli occhi. Cecchini? Un'amante? “Il Mare- ma cosa stai dicendo? Ma non è possibile!”

Mi fa cenno di abbassare il tono. “L'ho visto io stessa baciarsi con un'altra donna! … Lo so che devo farmi i fatti miei, però devo... difendere l'Arma che lui rappresenta! Ed era qui fuori, al bar della piazza, dove tutti lo conoscono!” Io ancora non riesco a crederci, sono esterrefatto. “Magari per voi uomini sarà normale, ma a me dispiace per sua moglie, perché è una brava donna!”

“Adesso gli parlo io.” affermo. Eh no. “E non per l'Arma, ma per difendere il matrimonio, perché non ci si comporta così.”
Anna spalanca gli occhi, e mi rendo conto che forse ho detto troppo. Comunque non elaboro, anzi mi alzo e vado dritto da Cecchini. Adesso glielo dico io.


“Tutto bene, Maresciallo?” Gli chiedo con freddezza.

“Benissimo! Sto bene!” Fa lui, tranquillo, seduto comodamente alla sua scrivania.

Io mi siedo, furibondo, ma cerco di trattenermi. “Senta, Cecchini, io la capisco... e posso immaginare che il matrimonio, a volte, possa essere faticoso...”

“Lo è, lo è...” mi interrompe lui. “Io, ultimamente, con mia moglie... Mi tratta come uno schiavo! 'Prendi questo, fai quello! Sposta quello, porta quello, fai quello...”

Io annuisco, accondiscendente. “Lo so, ma... l'onestà prima di tutto! Maresciallo, io so quello che sta facendo,” gli dico, più serio stavolta. Lui fa l'indifferente.

“Io? Che sto facendo? Io non sto facendo niente.”

Come no. “Anna... l'ha vista... con... Non mi faccia dire 'ste cose...”

“Anna?” Chiede, perplesso.

Lo osservo, confuso, poi capisco. Solo noi due ci diamo del tu, qua in caserma, e ormai ho preso l'abitudine di chiamarla sempre per nome. Ignoro l'osservazione, e continuo. “... Con le mani nella marmellata!”

“Ahhhh! Ancora con 'sta cosa!” Risponde come se niente fosse. “Ma io l'ho fatto con discrezione-”

“Ma Lei non deve essere discreto, Lei deve piantarla, capito?” Non ci posso credere, veramente.

“Mamma mia, ma pure Lei!” Si innervosisce, sulla difensiva. “Va bene, va bene... Siete contenti così, va bene! La smetto, finisco! Però... con mia moglie Caterina poi ci parlate voi!”

Temo di non aver capito bene. Cioè... sua moglie lo sa? Come funziona 'sta storia? Mah!


[…]


Anna ha appena finito il turno, e anch'io, quindi usciamo insieme dalla Caserma, ancora intenti a parlare del caso, quando lei cambia espressione. 

“Non ci credo... Ma che faccia tosta!” Esclama, furiosa. Cecchini cammina indisturbato a braccetto con una avvenente ragazza, e insieme si stanno dirigendo verso un'auto lussuosa parcheggiata lì. “Qua davanti a tutti! Pure un'altra...! Ci sta prendendo in giro!”

“Ma no, sarà sua figlia.” Cerco di minimizzare. So che ha una figlia, ma non mi ricordo che faccia abbia.

“Ma che sua figlia, la conosco sua figlia...” dice con tono velenoso. In effetti non ha tutti i torti, ad arrabbiarsi. Però... “E vabbé, sarà un'amica...”

Lei si gira verso di me, esasperata. “Senti,” esordisce guardandomi con sufficienza, “voi uomini non avete amiche che non volete portarvi a letto.”

Torniamo a osservare i due, e io ci rifletto un secondo. “... Io non voglio portarti a letto!”

Lei torna a guardarmi, infastidita. “Noi non siamo amici.” M dice, prima di voltarsi di nuovo.

Ah.

Continuo a osservarla, divertito. Magari, ripensandoci... ma solo per provocarla, per vedere che cosa risponde.

Solo che non mi lascia replicare, perché mi obbliga a seguire i due.

“Cosa? No, ma cosa dici? No... Dispiace anche a me per il suo matrimonio, ma cosa possiamo farci?” Faccio per andarmene ma mi ferma.

“Non è per il suo matrimonio, è che mi ha preso in giro! È una questione di principio!”

Chiudo gli occhi, esasperato. Ma perché, ma chi mi porta, che c'entro io? Lei intanto sale in macchina e, mio malgrado, mi ritrovo a fare lo stesso. “Ma perché non campiamo cent'anni tranquilli?”


[…]


Lo seguiamo in giro, e mentre lui passeggia con quella ragazza tra le bellezze di Spoleto, noi restiamo in macchina, tanto prima o poi dovrà andare a cena e in questi posti di ristoranti non ce ne sono.


Così ci ritroviamo a chiacchierare.


“Quindi è questo che fai, nel tempo libero? Ti metti a seguire la gente per salvare i matrimoni?” Le dico, scherzando.

Anna ridacchia. “Ma no! Dai... Ti assicuro che è la prima volta che faccio una cosa del genere... e anche l'ultima, spero, ma è un caso particolare.”

Annuisco. “Sì, beh, sinceramente non me lo sarei mai aspettato da Cecchini, però... Le persone sono imprevedibili.”

Lei abbassa lo sguardo, vedo che si è rattristata; non è l'effetto che volevo, quindi cerco di cambiare tono. “Sul serio, che fai quando non sei in caserma?” Ora che le ho fatto questa domanda, mi rendo conto di essere molto curioso. Non so niente di lei, a parte quello che c'è scritto sul suo curriculum. E sul lavoro la conosco. Al di fuori, davvero non ho idea oltre la storia con Giovanni, e anche quella la conosco solo a grandi linee.

“Beh... non è che abbia poi così tanto tempo libero, in realtà... anzi, negli ultimi anni mi sono praticamente concentrata solo sul lavoro, per cui... Ho tralasciato molte cose.”

Di nuovo quell'espressione triste. Forse ho capito... “Beh, a volte succede, di mettere davanti la carriera, ma non per voler male agli altri, no? Non ci si pensa, anzi magari siamo convinti che gli altri capiscano, o che siano felici per te, e invece...”

“... Invece poi ti dicono che non ascolti.”


Mi blocco un istante. Ho l'impressione che sia una cosa molto personale, quella che ha appena detto. Inspiro a fondo.

“Forse non sono la persona adatta, ma... vuoi parlarne?”

Lei non risponde, e mi pento immediatamente di quello che ho detto. In fondo non ho nessun diritto di chiederle una cosa del genere, e sto per scusarmi quando lei prende la parola, con mia grande sorpresa.

“È che ho sempre dovuto faticare non poco per ottenere quello che ho, per fare quello che faccio... La vita da carabiniere per una donna non è per niente facile, soprattutto non con una posizione come la mia. E l'accademia è terribile, non hai idea di quante ragazze che si erano arruolate con me hanno rinunciato proprio perché non sopportavano tutto quello che succedeva. Non è facile continuare quando tutti cercano di umiliarti, o peggio... e se ti difendi rischi di finire nei guai perché magari fanno passare che è anche stata colpa tua.” Sospira, poi riprende, lo sguardo basso. “Ho sempre cercato di fare tutto al meglio e rispettare le regole e darmi da fare, perché volevo fare il Carabiniere, e nessuno me l'avrebbe tolto dalla testa. Però per farlo ho dovuto accettare dei compromessi, come rinunciare alle licenze, o fare doppi turni, e stare alle direttive dei superiori, ma dovevo, se volevo uscire di lì. E ce l'ho fatta, sono una delle poche donne ufficiali d'Italia, e una delle più giovani... Amo il mio lavoro, e so che posso sembrare dura ma cerco sempre di prestare attenzione agli altri, anche se non sono brava a esprimermi... E con Giovanni, ho sempre cercato di non trascurare la nostra storia, ma evidentemente l'ho fatto anche se non me ne sono resa conto, o pensavo che avrebbe capito, e invece no. Ed è chiaro che nemmeno io ho capito, visti i risultati. ”


Io la ascolto senza dire nulla, non pensavo l'avrebbe fatto. Ma forse aveva solo bisogno di sfogarsi con qualcuno, o che qualcuno le chiedesse semplicemente come stava.

“Non sarò granché a dare consigli, ma... quando Giovanni mi ha confessato di sentirsi in colpa per quella ragazza che si era suicidata quando lui ha difeso il suo aggressore, gli ho detto che doveva cercare di andare avanti, che non era colpa sua, che doveva cercare di superare quella cosa, perché non può sempre andare come vorremmo... Mi ha detto che non ascolto...”

“Non devi sentirti responsabile della sua scelta...” cerco di consolarla in qualche modo, “Forse non sarebbe cambiato nulla anche se fossi stata più presente, e magari è lui che non riesce a perdonarsi per una cosa che comunque è fuori dalla sua portata, da quello che ho capito...” Lei alza lo sguardo per incrociare il mio. “Forse non vi siete ascoltati a vicenda... Ma questo non significa che tu debba considerarti l'unica responsabile se la storia è andata male. Anche perché, da quello che mi risulta, lui ti ha detto che aveva già deciso, no? Non ti ha mai chiesto cosa ne pensassi tu. E poi, scusa se mi permetto, ma se è già così convinto come dice di entrare in seminario, non ha il diritto di fare il geloso.”

“Mh...” Annuisce, pensierosa.


Direi che è arrivato il momento di alleggerire la tensione, così torno a porle la domanda iniziale. “Quindi, in quel poco tempo libero che hai,” le chiedo con un sorriso, “cosa ti piace fare?”

Adesso sorride anche lei, e vedo che è sollevata all'idea di cambiare argomento. “A parte rimproverare mia sorella quando mi svuota l'armadio?” Replica con una risatina. “Beh, mi piace giocare a scacchi... E leggere... qualsiasi cosa mi capiti sotto le mani. Se vedo un libro, non resisto.”

Inarco le sopracciglia a un pensiero che mi attraversa la mente. “Quindi... il libro della geisha era tuo?” Le chiedo, riferendomi al volume che ho trovato davanti al suo palazzo.

Anche nella penombra noto che arrossisce. Ma dai, sul serio?

“In realtà... no. Cioè, non proprio. Me lo ha dato mia sorella,” spiega con imbarazzo, “e il tuo cane ha avuto il buon senso di distruggerlo... insieme al mio appartamento, ma vabbé.”

Giuro di essere confuso. “Che c'entra Patatino col tuo appartamento?”

“La signora Cecchini è allergica ai cani, oltre al fatto che ha paura, quindi il Maresciallo ha ben pensato di portarlo da me...”

“Ahhh...! Adesso capisco perché eri arrabbiata... Beh, ha senso, in effetti. Mi sa che ti devo delle scuse.”

“Lascia stare... almeno non mi ha distrutto la chitarra!”

La guardo, curioso. “Suoni?” Questo sì che mi sorprende.

“Suonare è una parola grossa... però sì.”

Allora una cosa in comune ce l'abbiamo, in fondo! “Conoscendoti un po', se dici così significa che sai suonare bene.” La prendo in giro mentre lei ride. “Di sicuro meglio di me...”

“Suoni la chitarra anche tu? Sul serio?”

“Il basso... e l'armonica a bocca, ma non troppo bene in realtà, è più un passatempo poco coltivato.”

Lei sta per ribattere qualcosa quando notiamo Cecchini e la ragazza tornare e salire in macchina, così ci affrettiamo a seguirli.


Va a finire che si fermano nuovamente in piazza, e Cecchini si dirige a braccetto con quella proprio dove non dovrebbe. Anna è furibonda.

Anche io sono esterrefatto. “Ma è il ristorante sotto casa sua! Ma non può portarsi l'amante qui, è assurdo!” Vorrei stare a guardare, ma mi rendo conto che sono ore che non vado in bagno, quindi mi tocca inventare una scusa. “Senti, io vado un attimo a... incipriarmi il naso...” Sì, idea geniale. Se volevi che ci credesse, hai fallito.

“Adesso?” Fa lei, poco convinta. Oh, beh.

“Sì... Tu rimani qua, non prendere l'iniziativa!” Cerco di avvertirla, spero che mi dia ascolto almeno stavolta.

“Sì... vai, vai...” Vedo che si trattiene dall'insultarmi solo perché è impegnata ad osservare altro.


Quando esco dal ristorante, incrocio il Maresciallo che arriva a piedi dall'imbocco della strada. Ho bisogno di una visita oculistica. Oppure no. Guardo avanti e indietro tra lui e il tavolo dove adesso ci sono la signora Cecchini e, ovviamente, Anna, e scoppio a ridere.

“Venga, venga...” Lo prendo per il braccio, portandolo al tavolo dove le due hanno causato una scenetta niente male.

Arrivati lì, io prendo posto accanto ad Anna, continuando a ridere: quel tizio che lei ha scambiato per il Maresciallo è veramente la copia di Cecchini. Due gocce d'acqua.

Anna sospira, sollevata, poi scoppia a ridere anche lei e decidiamo di allontanarci, mentre gli altri chiariscono la faccenda.


Una volta in piazza, lei scuote la testa, ancora incredula. “Ma tu guarda che storia assurda...”

“Già... “ Concordo. “La cosa positiva è che, per fortuna, ci siamo sbagliati sul Maresciallo. È un uomo onesto.”

Lei sorride, un po' imbarazzata. “Sì, beh, a proposito... mi dispiace di averti coinvolto in questo casino.”

“Ma no, dai, almeno mi sono divertito. E poi ci siamo conosciuti un po' meglio, no? Magari adesso non litigheremo più così spesso.”

“Mi sa che hai ragione...”


Ci salutiamo, vista l'ora tarda, dandoci appuntamento al giorno dopo in Caserma.


Devo ammettere di essermi ricreduto. Non è poi così antipatica.

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Capitolo 6
*** La notte dell'anima ***


 

LA NOTTE DELL'ANIMA

 

Oggi è una splendida giornata di sole di metà marzo.

 

Una giornata perfetta per una gita a un monastero.

 

Ho saputo che Don Matteo aveva organizzato questo pellegrinaggio e Cecchini ha pensato di invitarmi, ma io ho accettato esclusivamente perché mi sono informato e ho scoperto che questi monaci fanno una birra artigianale fantastica, quindi il mio obiettivo è quello. Poi una bella passeggiata non fa mai male, e la compagnia è buona.

 

A proposito di monaci e simili, è tornato il pretino.

 

Stando a quello che mi ha detto Anna, Giovanni aveva bisogno di riflettere e se n'è andato per qualche settimana in montagna. Chissà che non decida di fare l'eremita, almeno la smette di ripensarci ogni due e tre e incasinare la vita degli altri. So che non sono affari miei, ma non è divertente vederla star male per quello che non si decide a capire cosa vuole dalla vita. Ora è tornato dall'isolamento, e chissà che novità porta.

 

Intanto per oggi io mi godo la camminata, così pure Patatino si sgranchisce le zampe.

Incontro i Cecchini al completo insieme a Cosimo al bar della piazza per fare uno spuntino prima di incamminarci, e quando usciamo troviamo una sorpresa: Giovanni e Anna.

Anche il Maresciallo non sapeva venissero, e a quanto pare don Giovanni ha omesso un particolare, perché dalla faccia di Anna di certo non si aspettava una gita tra colleghi, anzi.

Intanto arriva pure Zappavigna, cosa che non rallegra affatto Cecchini, e il gruppo inizia a camminare mentre io raggiungo Anna, che non si è mossa dal suo posto.

 

“Ehi!” La saluto.

Lei mi guarda, apatica. “E tu che c'entri con un pellegrinaggio? Pure il cane...”

“Ah, io assolutamente nulla!”

“Quindi che ci fai qua?”

“Io sono venuto per la birra,” le spiego, “questi monaci fanno una birra artigianale che è fortissima... Tu? Che ci fai qua?”

Lei non risponde, ma si volta verso il gruppo arrivato a metà salita, e Giovanni si è appena girato a guardare che stiamo facendo ancora piantati lì. Fatti gli affari tuoi e lasciaci chiacchierare in pace.

Decido di indagare, cercando di fare l'indifferente. “Ah, ma è per Giovanni! Ma si è riaccesa un po' di... fiammella? No?” Anna si limita a scuotere il capo, sconsolata. “Ti immaginavi di fare un'uscita romantica con lui?” La stuzzico, ridacchiando, ma vedo che si infastidisce. L'ha combinata grossa, mi sa, se non l'ha avvisata che non sarebbero stati soli. “Scusami... Speri che Giovanni non si faccia più prete?” Tento ancora, stavolta in tono più serio, ma vedo che la sua espressione triste non se n'è andata.

“Io non spero proprio niente.” Sussura con sguardo basso. Ah, Giovanni, ma che combini? Proprio non ti rendi conto?

 

Cecchini sceglie proprio quel momento per attirare l'attenzione su noi due. “Signor Capitano!” La chiama, probabilmente incerto sul perché ancora siamo piantati lì.

“Vieni, Patatino!” Fa il piccolo Cosimo, e il cane inizia a tirare verso di lui. Okay, chiaccherata terminata.

“Dai, ragazzi, che don Matteo ci sta aspettando!” Io inizio a camminare, allargando le braccia in segno di resa. “E quando arriviamo su, Santa Messa per tutti!”

Getto un'occhiata alle mie spalle, e rido nel notare l'espressione di Anna. Se potesse, ho l'impressione che strangolerebbe tutti seduta stante.

 

[…]

 

Durante il tragitto, mi mantengo sempre qualche passo avanti alla coppietta in crisi. Lei non è entusiasta, e a ragione direi. Per carità, anche io ho combinato disastri nelle mie vecchie relazioni, ma come lui non credo. Se veramente ha deciso di farsi prete, ha anche scelto di farsi odiare, perché ha sbagliato in partenza modo di dirglielo. E anche nel caso in cui abbia cambiato idea e non andare in seminario, non doveva portarsi dietro la compagnia di gente esterna. Ma comunque... Cerco di non origliare, ma ogni tanto la tentazione è forte, e sento Giovanni che prova a spiegarle che Don Matteo ci tiene a loro due e non lo sta spingendo a lasciarla, e che ha approfittato di quella uscita per passare un po' di tempo con lei.

La cosa che davvero mi stupisce è che Anna non sembra arrabbiata, solo... delusa. Non capisco la sua reazione, ma forse si comporta così perché non sa più che pensare, e quindi cerca di non avere aspettative per godersi quel poco che viene. Non so, avessi fatto io una cosa del genere con la mia ex, quella avrebbe combinato il finimondo. Perché lei non si arrabbia?

 

Patatino si ferma ad annusare un cespuglio di non so che, quindi i due mi sorpassano temporaneamente. Siamo tutti sovraccarichi perché Cecchini è caduto e si è fatto male a una caviglia, quindi ci siamo divisi gli zaini e il resto mentre il povero Zappavigna è costretto a portarsi il Maresciallo sulle spalle in quanto “colpevole di avergli causato il trauma”, quando cogliamo uno scorcio del monastero.

 

“Non pensavo fosse così grande!” Osserva Anna. “Quanti frati ci sono?” Chiede, rivolgendosi a Giovanni.

“Sono monaci,” risponde lui, “e sono tre.”

Lei gli lancia un'occhiata stranita. “Solo tre?”

“Calo delle vocazioni.” Replica Giovanni prima di riprendere a camminare.

È più forte di me, e mi avvicino ad Anna. “Magari ci pensa il buon Giovanni a ripopolarlo.”

Lei mi guarda male e se ne va, infastidita. Oh, ma ne valeva la pena, di fare quella battuta.

 

[…]

 

Più tardi, a cena, dopo aver dato le crocchette a Patatino, scopro che l'unico posto rimasto è proprio accanto ad Anna, mentre Giovanni è seduto all'angolo alla sua destra. Ma tu guarda che caso. Nel passarci i piatti, le nostre mani si sfiorano diverse volte, e non posso fare a meno di notare che arrossisce.

I monaci decidono di mostrarci le loro carte d'identità, per farci vedere com'erano prima di prendere i voti. Io osservo le foto da sopra la spalla di Anna. “Non dev'essere facile fare una scelta del genere, no? Abbandonare la vita che avevate prima...” Dice lei, girandosi a guardare Giovanni, che non sembra apprezzare l'osservazione. La discussione si fa un po' più tesa, quando l'altra coppietta, quella formata da Zappavigna e la figlia di Cecchini, cerca di approfittare di un momento di distrazione generale per baciarsi, ma Cosimo ha altre idee. “Distanza, usurpatore! Ordini del Maresciallo!” Esclama, facendoci ridere tutti a spese dei due, ma almeno ha stemperato la tensione.

 

Cecchini torna subito dopo, preoccupato per don Matteo, così decidiamo di dividerci in coppie per cercarlo. Quando il maresciallo propone di andare con Giovanni, lei si oppone, naturalmente, con la scusa che così lui può riposarsi per la caviglia. Lui si rifiuta, insistendo che non si fermerà finché non trova don Matteo.

“Va bene, allora può andare con... Nardi, perché lui è più forte e... può reggerla meglio!

 

Qualcuno mi ricorda perché sono venuto qui?

E poi, perché ci stiamo dando del Lei?

Ah, giusto... Giovanni.

 

[…]

 

Don Matteo alla fine lo abbiamo trovato io e il Maresciallo, svenuto, ma abbiamo trovato pure il cadavere del professore che stava studiando un libro di inestimabile valore, che è sparito.

 

Cerchiamo di capirci qualcosa, e scopriamo che uno degli ospiti del monastero ha finto di essere morto per anni per sfuggire alla giustizia, e questo ne fa un buon indiziato per l'omicidio.

Io e Anna cerchiamo di fargli confessare il delitto, ma quando lui non collabora decidiamo di chiuderlo a chiave nella cella, in attesa che il tempo migliori per tornare in paese.

 

Quando usciamo, Anna sembra sconvolta. “Ruba e poi fa credere a sua moglie e sua figlia di essere morto... che razza di uomo fa una cosa del genere?” Si domanda basita, avvicinandosi a me.

“Un uomo che ha paura...” rispondo io a bassa voce. Capisco la sua reazione, ma a volte si possono fare cose assurde, quando si è terrorizzati e non si sa che fare. “Sai, ce ne sono tanti che scappano dalle proprie responsabilità... Poi però qualcuno magari... ci ripensa.” Le dico con un sorriso, alludendo a qualcuno alle sue spalle. È arrivato Giovanni, e non sembra troppo contento di vederci insieme.

“Sì... Faccio piantonare la cella e verificare le condizioni meteo per capire quando possiamo rientrare...Scusa...” Mi dice tutto d'un fiato e leggermente in imbarazzo, prima di andare via e seguirlo.

Non mi ero accorto fossimo così vicini, prima.

 

[…]

 

Poco più tardi, scopriamo che il prigioniero è scappato chiudendo dentro la cella Zappavigna, accorso quando ha sentito urlare, e don Matteo, che a quanto pare aveva deciso di andare a parlare con lui. Dire che Anna è furiosa è poco, e non posso biasimarla stavolta. Non l'avevo mai vista così decisa, e minacciosa. Né io né il Maresciallo fiatiamo, perché anche se Don Matteo ha fatto delle osservazioni corrette, avrebbe anche potuto esporci i suoi dubbi senza agire direttamente. Ma dopo la sfuriata di Anna, nemmeno lui dice più nulla.

 

Di sicuro sa essere convincente.

 

[…]

 

Alla fine le osservazioni di Don Matteo si sono rivelate esatte, anche se solo dopo che Anna aveva scoperto che il libro era in effetti rimasto all'interno del monastero, al contrario di quanto pensava lui, e il prigioniero in fuga è tornato spontaneamente consegnandosi alla giustizia.

 

Devo dire che però sono entrambi molto capaci, perché sono stati tutti e due essenziali per la risoluzione del caso, ognuno a modo proprio.

 

Nel tragitto di ritorno, che noi facciamo comunque a piedi, noto una strana atmosfera tra Anna e Giovanni: camminano distanti, e lui si volta per un attimo a guardarla, prima di continuare dritto davanti a sé. Non riesco a interpretare lo sguardo che le ha lanciato ma voglio capire il perché di questo cambiamento, così mi metto al passo con lei.

 

“Ehi, che è successo? Tutto bene?”

 

Anna si ferma, un'espressione addolorata sul viso. “È finita, ci siamo lasciati. Andrà in seminario.”

 

Mi giro a guardarlo, più avanti di noi. Allora avevo ragione all'inizio, Giovanni non ha capito proprio nulla. Faccio una breve risata per l'assurdità della cosa, ma lei non apprezza non sapendo il motivo del mio gesto.

“Forza, fai una delle tue battutine sarcastiche, tanto ci sono abituata.” Mi apostrofa, nervosa. “Che vuoi dire?”

“Volevo solo dire che è un pazzo.”

Anche lei gli lancia un'occhiata. “Perché ha scelto Dio?” Chiede, sconfortata.

“No,” rispondo, e decido di rischiare e dirle quello che penso. Tanto non ho niente da perdere. “perché ha lasciato andare una come te.”

 

Dalla sua faccia, non si aspettava un'affermazione del genere da me, posso intuirlo. La lascio lì, confusa dalle mie parole mentre io decido di proseguire, ma quando anche lei riprende a camminare, qualche istante dopo, è talmente immersa nei suoi pensieri che inciampa. La prendo al volo appena in tempo, e succede una cosa che non avevo previsto.

 

Nel momento in cui me la ritrovo tra le braccia, e i nostri occhi si incrociano, mi sento mancare il fiato, e percepisco quell'assurda sensazione delle farfalle allo stomaco che ero convinto non avrei provato mai più. Saranno stati pochi secondi, eppure ho avuto l'impressione che il tempo si sia fermato. E ho avuto la folle sensazione che per lei sia stato lo stesso, ho visto lo stesso stupore nelle sue iridi verdi.

 

Poi il tempo riprende a scorrere, lei mi sussurra un timido “Grazie”, arrossendo e spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio prima di riprendere a camminare, mentre io rimango paralizzato sul posto ancora qualche istante.

 

Poi Patatino tira il guinzaglio e io mi limito a seguirlo, ritrovandomi di nuovo al fianco di Anna, che non dice nulla ma tiene lo sguardo basso e mi rivolge un piccolo sorriso, ed io non posso fare a meno di notare che le sue guance sono ancora tinte di rosso.

Camminiamo fianco a fianco in silenzio per un bel tratto, l'imbarazzo di poco fa si è trasformato in una sorta di tacito segreto, e nessuno dei due vuole far scoppiare questa bolla di sapone in cui sembra ci siamo immersi. Siamo gli ultimi della fila, gli altri sono tutti più avanti a chiacchierare ma noi non parliamo, non ancora.

 

Intanto Patatino raggiunge Cosimo, che afferra il guinzaglio accarezzandolo.

 

È Anna a prendere la parola, infine.

“Sai, in fondo me lo aspettavo, che avrebbe preso questa decisione.”

Mi giro ad osservarla: fissa un punto indefinito avanti a noi, senza realmente vedere nulla.

“Me ne sono resa conto ieri... era già finita da un pezzo, solo che nessuno dei due l'aveva capito, e questa è stata solo un'ulteriore conferma. Giovanni non ci aveva ripensato, aveva già deciso tutto prima, durante il viaggio.”

Sospira, e io mi ritrovo ad avvicinarmi di più senza quasi rendermene conto.

“Quindi ti ha chiesto di fare questa gita esattamente per...? Indorare la pillola?”

“Forse pensava che, vedendo quei monaci, avrei capito... Ma l'unica cosa che ho capito è che non ha scelto me, e che qualsiasi cosa avessi fatto sarebbe stata inutile.” Rallenta il passo, poi mi pianta gli occhi addosso. “Avevo pensato che fossi io il problema, che avesse preso questa decisione per colpa mia, per via del mio carattere, o del mio lavoro...”

“Sai,” la interrompo, “se ti avesse davvero lasciata per questo, allora mi sarebbe toccato fargli un bel discorsetto.”

“Che discorsetto?”

“Beh... se proprio vogliamo parlare di lavoro e carattere, sono io che ti sopporto tutto il giorno in caserma.”

“Ehi!” Spalanca gli occhi. “Questa me la paghi!” Esclama con fare minaccioso, ma noto una scintilla divertita nel suo sguardo. Io porto mi porto le mani davanti al volto, fingendomi impaurito, senza accorgermi di un sasso in mezzo ai piedi che mi fa arrivare, senza troppa grazia, col didietro a terra. Lei mi fissa stranita per un attimo, poi scoppia a ridere, e io non posso fare a meno di fare lo stesso.

Noto a mala pena gli altri girarsi verso di noi mentre cercano di capire cosa sia successo mentre noi ancora ridiamo. Anna mi porge una mano per aiutarmi ad alzarmi, e vedo che anche Giovanni si è voltato, un'ombra di gelosia sul suo volto, ma a me non importa. L'unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento è la risata di Anna, e il fatto che quel suono sia merito mio.

 

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Capitolo 7
*** Ancora bambina ***


 

ANCORA BAMBINA

 

È passato qualche giorno dalla gita al monastero di San Benedetto, e Anna non è molto di buon umore. È tesa, nervosa, e più rigida del solito. Non che la biasimi, anzi, però in base alla sua reazione quel giorno pensavo l'avrebbe presa meglio, considerando quello che mi ha detto.

Anche se posso solo vagamente immaginare cosa significhi essere lasciati per un motivo del genere.

 

Come al solito, Cecchini mi ha coinvolto in una delle sue iniziative, e stavolta mi ha trascinato a dargli una mano alla sua bancarella per il mercatino di beneficenza organizzato dal comitato cittadino. Ho accettato giusto perché non avevo niente da fare stasera, e poi ho ancora un sacco di roba inutile della lista nozze che volevo togliere dalla circolazione, quale migliore occasione di questa di potermene sbarazzare? Almeno tutte quelle cose troveranno una sistemazione decente, e soprattutto lontana da casa mia.

 

Parlando del più e del meno col Maresciallo, mi chiede proprio di questi oggetti che ho portato.

 

“Lo sa come mi piace di Lei?” fa Cecchini, sistemando una delle cianfrusaglie che aveva scelto la mia ex.

“No.” Dico, temendo già la sua risposta.

“Che nonostante il fallimento del suo matrimonio...”

Appunto. “Mi piace la delicatezza che ha Lei, sempre...” commento, fra l'esasperato e il divertito. Quando si parla di tatto, Cecchini sta proprio sotto zero. Lui continua, indisturbato. “Lei sa reagire!”

“Eh...” Più o meno, Maresciallo, anche perché lui non conosce i dettagli del 'fallimento', ed è meglio che non li sappia.

“A differenza della Capitana, stamattina non è venuta neanche in Caserma!”

“Ah, no?” Sono sorpreso, proprio stamattina che non sono passato lei non c'era. Magari se l'avessi saputo l'avrei chiamata.

“Sicuramente sarà a casa a piangere, a piangere...”

“Per forza,” ribatto, “il suo ex... ha deciso di andare in seminario, ha sentito?” Domanda stupida, certo che lo sa. A me lo avrà anche detto lei stessa, ma il Maresciallo era lì, l'ha visto pure lui dopo un po'.

Lui annuisce. “Qua ci vorranno fazzoletti... A tutta forza!”

Non sono proprio convinto di questa cosa. “Beh, più che-” Mi interrompo di scatto perché, alzando lo sguardo, vedo arrivare proprio Anna, un sorriso stampato in volto e una camicetta blu che le sta niente male.

Ammetto di essere perplesso.

“Buonasera,” saluta entrambi lei, posando il borsone che aveva al braccio sul tavolo. “Queste sono per la sua bancarella, non le uso più.” Dice rivolgendosi a Cecchini, esterrefatto quanto me.

“Gentilissima...” e poi, giusto perché gli piace farsi gli affari degli altri, chiede con fare indifferente, “Ma... stamattina dov'era?”

Lei si illumina. Mi devo essere perso qualche passaggio.”Ah! Sono andata al Comando Provinciale a chiedere delle autorizzazioni. Da domani iniziamo un periodo di aggiornamento professionale: topografia applicata, tiro, autodifesa...” elenca, elettrizzata.

Mi vien quasi da ridere, guardando la faccia sconvolta di Cecchini. “Mi sa che i fazzoletti serviranno a lei, Maresciallo...” Lo prendo in giro senza pensarci.

“Che fazzoletti?” Si informa lei. Ops.

“Chi?” tento di fingermi distratto io. Lei mi lancia un'occhiata che non mi piace.

“Sa che le farebbe bene fare un po' di esercizio?” Io spalanco gli occhi e mi trattengo dal rispondere. Ma che c'entro io?

La mando leggermente a quel paese facendo il giro della bancarella mentre lei va via, e il Maresciallo sembra essere d'accordo con me.

“Che bella notizia,” commenta, il sarcasmo che trabocca da ogni sillaba, e come dargli torto? “Ma perché non si stava a casa a piangere come tutte le altre ragazze che soffrono d'amore? Invece di 'sti aggiornamenti! A che serve?”

Ce l'ho io la risposta. “Questo si chiama 'spostamento nevrotico'. Lei pensa a un'altra cosa per rimuovere il vero problema.” Spiego con fare professionale mentre apro il borsone che ci ha portato e iniziando a tirare fuori qualche borsa per essere sicuro che non ci sia rimasto niente dentro.

“Sì, ma sto spostamento quanto deve durare?” Chiede ancora lui, e capisco che ha afferrato al volo il concetto, perché è già da un po' di tempo che va avanti.

“Finché non si affronta il problema,” ammetto sconsolato, e se cominciamo così ci vorrà tanto... troppo.

Cambia argomento. “Ma che sono, di pelle o...?” fa, riferendosi alle borse.

“Boh, non ne ho idea...”

Mentre ne scuoto una, sento il rumore di qualcosa cadere a terra. “Oddio...”

Mi chino per prenderlo, quando una signora vestita di giallo si avvicina, esclamando, “Ma quello è il mio ciondolo perduto!”

Cecchini cerca di negare, ma lei lo ignora, afferrandolo prima che possa farlo io. “Ma non è possibile, l'ho ritro-” Si blocca appena solleva lo sguardo e mi vede.

Che ho fatto?

Comincia ad ansimare, e io mi preoccupo. “Che emozione! Leo... sei tu!” Mi dice. Chi sarebbe Leo? “Sei tornato da me! Oh, non è possibile, il mio Leo!”

“Signora, io non voglio deluderla, ma io non sono Leo...” Cerco di chiarire quando il Maresciallo si intromette. “No, no, Leo è, Leo è.”

Lo ignoro. “Questo ciondolo non è in vendita...”

“È in vendita,” torna a contraddirmi. Ma che fa? Non si può, è di Anna! “È suo se se lo compra!”

Cerco di dissuaderlo, ma niente, alla fine lo vende a quella stralunata, e mica poco!

Mentre lei se lo prova, io provo ancora a farlo ragionare, ma di nuovo le mie parole non servono a niente. Prima di andare, la donna si avvicina di nuovo. “Leo, verrai a trovarmi?” Chiede, sognante.

“Certo!” fa Cecchini per me. Ma che ho fatto di male? “Può venire anche Lei, Ambrogio.” Ah, a quanto pare pure il Maresciallo ha cambiato identità senza saperlo. “A presto!” dice, prima di andare via.

Io sono ancora troppo sconvolto per parlare. E ho l'impressione di essermi cacciato in un guaio senza volerlo.

 

[…]

 

L'altra sera io e il Maresciallo siamo riusciti a fare un buon lavoro con la bancarella, e la roba della lista nozze finalmente è sparita dalla mia vista!

Oggi attendiamo notizie per un nuovo caso in corso, e sto chiedendo informazioni a Cecchini quando Anna entra spedita in caserma senza degnarci di uno sguardo, impegnata a parlare al cellulare con sua sorella. Mentre ci sorpassa per entrare nel suo ufficio, cogliamo uno stralcio della sua conversazione.

“... Chiara, sei sicura che non hai il ciondolo? Eh no, perché sei venuta a casa e mi hai svuotato mezzo armadio, forse sta in qualche borsa!”

“Il ciondolo, ha detto?” chiedo conferma al Maresciallo. Spero di aver capito male. “Ma non è quello che...”

“Secondo me, sì.” mormora di risposta. “È tutta la giornata che lo cerca...”

“Ma Lei gliel'ha detto, che l'ha venduto?” Domando ancora, temendo già la risposta.

“No, perché glielo devo dire...” Fa infatti lui, ma raggeliamo quando sentiamo Anna continuare, in tono piuttosto alterato.

“E tu cerca meglio! Lo sai che è il primo regalo che mi ha fatto Giovanni!”

“Giovanni!” Si dispera Cecchini. “Appena quella sa che gliel'abbiamo venduto a quella matta-”

“Abbiamo?” Lo interrompo. “No, Lei gliel'ha venduto!” Io non voglio sapere niente di questa cosa, abbiamo appena iniziato a comportarci da persone civili, non me la voglio mettere di nuovo contro.

“No no, abbiamo, tutt'e due! Lei, che era, a Milano?”

“No, io ero lì, mi sono opposto e... è Lei, è Lei che si è impuntato, 'glielo vendiamo, glielo vendiamo'... Io gliel'ho detto... Comunque cosa?” Chiedo, interrompendo il suo farfugliare.

“Finché non troviamo il ciondolo siamo sulla stessa barca.”

Io lo guardo a bocca aperta. “Ah, che cos'è un ricatto?”

“Sì,” mi sfida. “Succede un patatrac.”

“Che patatrac?” Si informa Anna, che sceglie il momento meno opportuno per avvicinarsi. “Domani mattina alle cinque, marcia topografica, così alle otto siamo in ufficio.” Asserisce, rivolgendosi a Cecchini e porgendogli una mappa. “Può venire anche il nostro PM, che gli fa bene!” Aggiunge poi, con uno sguardo sarcastico a me. Scusa, eh, ma io che c'entro in questa cosa?

“Scusi, sono quindici chilometri, sono!” Si lamenta il Maresciallo. Quanti?!

“Vi aspetto alle cinque.” Chiude il discorso lei, tornando in ufficio.

“Buona passeggiata, eh! Io non ci vengo!” Mi tiro fuori io appena lei chiude la porta. Che, scherziamo?

Buono e caro va bene, ma io con le sue crisi non ci voglio avere niente a che fare.

“Ma ha detto 'vi aspetto'.”

“'Vi, vi'... io non ci vengo! Ah, rintracciamo quella svitata, presto!” Incalzo, che già siamo messi male. Ci manca solo che scopra del ciondolo e siamo fregati. Posso pensare a chiedere un trasferimento in Antartide.

 

[…]

 

Abbiamo terminato l'interrogatorio alla ragazzina, e io sto uscendo dall'ufficio del Capitano quando sento Cecchini fare il mio nome. “... Col PM, alle cinque eravamo là per fare la marcia... come si dice...”

“Topografica,” lo aiuta Anna.

“E... e non l'abbiamo potuta fare...”

“Però se ci tenete ci andiamo stasera... di notte è più interessante!” Propone, e a me vengono i brividi. E non in previsione dell'aria fredda. Ma che ho fatto di male, io?

“S-s-stasera abbiamo un impegno,” inventa lui, e i brividi aumentano.

“Sì, c'è un impegno...” gli faccio eco debolmente.

“Che impegno?” Ecco, siamo fregati.

“Un pagamento non pagato... che purtroppo non è stato effettuato.” Non ho capito granché, ma va bene.

“Non sto capendo,” chiede Anna infatti, confusa. “Perché ha bisogno del PM per un pagamento?”

“Sì, c'è un discorso di interazione che dobbiamo fare, e se andiamo dopo la data di scadenza c'è proprio un rischio di...” Mi sto arrampicando sugli specchi, e mi sto scavando la fossa da solo perché lei ha girato i tacchi senza fiatare.

“Cose burocratiche, cose burocratiche...”

“Lei deve piantarla di mettermi in mezzo!” Gli dico, arrabbiato. “Questa è l'ultima volta!”

 

Mio malgrado, la sera stessa mi ritrovo a salire le scale dell'appartamento di quella pazza, che abbiamo alla fine rintracciato.

Cerco di convincerlo a dire che è stato tutto un malinteso, così da restituirle i soldi e riprenderci il ciondolo.

Lui suona, ma quando la signora apre, mi rendo conto che non andrà come sperato.

“Leo! Oh, Leo! Sei venuto...!” Esclama, e noto che indossa la collana. Siamo fregati. “Che felicità! Lo vedi,” aggiunge, toccando il ciondolo, “non l'ho tolto più. Non lo toglierò mai!” Peggio di così, come?

“Senti come mi batte il cuore!” Continua, prendendomi la mano e portandosela al petto. Ecco, peggio così. “Lo senti?”

“Si, si sente... complimenti, sono gli omega tre che, credo...” Non so nemmeno quello che dico. “Possiamo entrare un attimino?” Meglio andare dritti al punto.

“Ma no! L'anniversario è domani!” Ci blocca.

“Facciamo una cosa,” interviene Cecchini, “questo ciondolo lo teniamo noi, così lo teniamo in custodia e domani...”

“Non lo toglierò mai! Vero, amore?” Mi chiede. “Caro... ti ricordi come mi chiamavi?”

“Amandella... Amandina?” Non so se ringraziare Cecchini o no.

“Ci-ci-ci,” fa la signora, io sono ancora senza parole.

“Chihuahua? Non lo so...!”

“Cinciallegra!” Ride lei, a me viene da piangere.

E non so come, restiamo con un appuntamento alla sera dopo, dove io devo ancora fingere di fare questo Leo, e il Maresciallo sarà Ambrogio per servire la cena in guanti bianchi... Alle otto.

Ma dove ho sbagliato, nella mia vita?

 

[…]

 

Cerchiamo di scoprire qualcosa in più su quella matta, e veniamo a sapere che 'Leo' è il suo defunto marito, morto in viaggio di nozze per un infarto quarantasei anni prima. Poveretta, però, vista così mi fa un po' pena. E devo ammettere che io somiglio un sacco al suo consorte, così come Cecchini assomiglia al cameriere della foto. Assurdo.

Cerco comunque di tirarmi indietro dalla cena, ma lui come al solito mi incastra senza che io ci possa fare nulla se non ascoltarlo mettere a punto un piano improbabile. A me sembra solo una follia.

“Sì, la fa facile, Lei... Qua finiamo in galera!”

“Ma quale in galera!” Minimizza.

“Questo è fu-”

“Chi finisce in galera?” Anna oggi ha un tempismo degno di un orologio svizzero, mannaggia. “Ancora quel problema?” Chiede al Maresciallo, riferendosi probabilmente al fantomatico pagamento.

“No, no, no... una notizia di quarantasei anni fa...ehm...”

Lei sembra bersela per il momento. “Va bene, se non ci sono novità possiamo andare a fare una bella esercitazione al poligono!” Esclama con entusiasmo.

“Che cosa?!” Per una volta sono d'accordo con Cecchini. “Ma perché, scusi?”

“Perché se c'è un conflitto a fuoco, Lei dev'essere pronto!”

A me viene da ridere, tanto che devo girarmi da un'altra parte.

“Vieni anche tu.”

“Eh?” Tu, cioè io? Sì, solo noi ci diamo del tu... ma io non ci voglio andare, a sparare. “Io, se posso, i conflitti a fuoco li evito.”

“Pure io...”

Niente da fare, ci trascina giù senza farci fiatare.

 

Io cerco di temporeggiare, con la speranza che cambi idea o ci sia un imprevisto di qualsiasi tipo, e quando scendo giù, ne trovo uno che non avrei immaginato. Solo che non so se sia stato peggio.

 

La matta vestita di giallo è venuta a cercare Cecchini.

Provo a dileguarmi prima che becchi pure me e peggiori le cose, quando Anna mi nota.

“Marco, vieni qua,” sussurra, facendomi segno di avvicinarmi dietro la macchina, “Tutto bene?” mi chiede, non oso immaginare che faccia ho. “La vedi quella donna? Praticamente il Maresciallo dice che è sua zia, ma lo tratta come un cameriere! Gli sta dettando la lista della spesa...”

Oh santo cielo. E io che dico ora?

“No, no, è perché lui fa volontariato, e allora... dev'essere una delle sue povere assistite, credo...” Lei mi rivolge uno sguardo sospettoso, prima di tornare a osservare la scenetta poco distante. Mi sa che non mi ha creduto. Cavolo, cavolo, cavolo, ma come mi sono ritrovato in questa cosa?

Una volta terminata la conversazione, ci raggiunge con una faccia tetra.

“Tanto povera non mi sembra...” Commenta il Capitano.

“Chi?” chiede Cecchini.

“No, dice che è povera, però sta vestita...” E come darle torto. Mi verrebbe da strangolarlo.

“Poverissima, quel vestito l'ha comprato alla bancarella e ce l'ha da... sessant'anni. Sempre lo stesso vestito perché non c'ha 'na lira, non c'ha.”

Anna abbassa lo sguardo, dispiaciuta. “Maresciallo, se ha problemi con sua zia, possiamo rimandare il poligono.”

“Grazie,” fa lui in tono compiaciuto, non ci credo che l'abbiamo scampata pure stavolta. “Andate voi.” No, che?

“Andiamo noi.”

Stiamo per avviarci con mio grande sconforto quando arriva Ghisoni, con gli accertamenti che ha chiesto Cecchini, che ci obbligano a rinviare. Lei si sposta più in là col brigadiere, io mi trascino il Maresciallo più distante.

“Lei deve piantarla di incastrarmi tutte le volte! Basta!”

“Guardi che deve venire a cena!” Rimbecca lui.

“Sì, vengo a cena, però... viene anche Lei! Quella lì, l'ha vista... è assatanata! Ci prova!”

Cecchini apre le braccia. “E vabbè!”

“Ma cosa dice?” No, che scherziamo? Le uniche avance che accetterei di nuovo sono quelle a cena con Anna. No, voglio dire, meglio quello che questa pazza.

“Io faccio il maggiordomo e Lei fa Leo. Però, siccome devo fare la spesa, mi servono dei soldi, non mi bastano, mi deve dare un anticipo.”

“Ah, pure!”

Tiro fuori di malavoglia il portafogli, dandogli qualche banconota, ma lui invece si prende pure tutto il resto.

“Ma non ce n'ho più così!”

“Dai,” mi rimprovera pure, “se vogliamo recuperare il gioiello, Lei lo sa... Il proverbio lo dice: la fine giustifica i mezzi!”

Me lo ricordavo diverso. “Il...”

“Il mezzo!” Se, vabbè.

 

Andiamo di sopra che è meglio.

 

[…]

 

Nel pomeriggio, siamo ancora a parlare del caso nell'ufficio di Anna.

“... a me invece piacerebbe tanto conoscere i suoi informatori.” fa lei al Maresciallo dopo un suo suggerimento.

“I miei informatori... sono delle persone riservate. Ma voi invece non dovevate andare al poligono?” Cerca di tirarsi fuori dai guai lui, e io di rimando gli tiro un calcio negli stinchi.

“Va bene... andiamo?”

“Sì, sì, volentieri!” Il mio entusiasmo trasuda da ogni sillaba.

 

Stranamente ha lasciato guidare me, ed è abbastanza silenziosa. Non è un silenzio imbarazzato, però, è immersa nei suoi pensieri, così ne approfitto anche io per pensare.

La osservo di sottecchi di tanto in tanto, e mi domando quanto stia male. Non sono così insensibile, anche se mi lamento di tutte queste cose che ci sta obbligando a fare, so perché si comporta così. Cerca di non pensare al suo dolore dedicandosi completamente ad altro, tentando di non lasciare un momento libero alla sua mente. E vorrei fare qualcosa, però se glielo dicessi di punto in bianco, so che se la prenderebbe, e io non voglio questo. Però vorrei farle capire che, se ha bisogno di parlare, io ci sono. Perché so come ci si sente, anche se lei non lo sa, e non voglio che lo sappia.

 

Arrivati al poligono, fa sparare me per primo. Solo che io non sono così tanto capace.

Dopo i miei primi due colpi, infatti Anna commenta. “Ehm... sei un po' rigido.”

Io mi tolgo le cuffie e gli occhiali protettivi. “Ha parlato mix relax 2018!”

“Senti, volevo chiederti di Cecchini,” tenta, con un'espressione tesa. “L'ho visto un po' preoccupato... è una questione di soldi, vero?”

Forse allora ci ha notati quando lui mi ha svuotato il portafogli. Però così mi dispiace mentirle.

“No, no no no, lascia perdere... sai, lui è... orgoglioso, non parla mai... non ti preoccupare.” Chiudiamo il discorso qua, ti prego.

Lei preme il bottone per avvicinare il bersaglio.

Bene, due su due... completamente fuori. Ehm...

“Sì... Sparare non è proprio il tuo forte.” Mi prende in giro lei, prima di rimandarlo indietro alla sua postazione.

Io decido di approfittare dell'argomento che avevamo intrapreso prima.

“Scusa, Anna, ma io penso che... Cecchini non sia l'unico ad avere un problema, qua.” Esordisco con cautela. Voglio darle una mano, e questo mi sembra un buon momento. Siamo da soli, nessuno ci disturba, e solo noi sapremo della discussione. “Il poligono, le marce topografiche, fare, fare fare... Basta.” Lei abbassa lo sguardo. “Anna, tu stai male per Giovanni, e non c'è niente di male ad ammetterlo.”

Incrocia le braccia, immediatamente sulla difensiva. “E che cosa dovrei fare? Rimanere a casa a piangere? Non so, magari davanti alla tv, con una vaschetta di gelato?” Io accenno un sorriso, sapevo che il problema vero stava lì. Niente debolezze. “È questa l'immagine che tu hai di una donna col cuore spezzato, no?”

“No,” la contraddico, “ma anche se fosse, non ci sarebbe niente di male.

Vedo che è sorpresa.

“Nessuno ti chiede di essere la più forte, sempre, a prescindere, mh?” Cerco di consolarla, stringendole con delicatezza il braccio. Lei resta a fissarmi pensierosa per qualche secondo, poi si risistema le cuffie, prende la mira, e spara.

 

Due colpi perfetti, dritti al petto.

 

Torna a voltarsi verso di me con sguardo di sfida.

“Io sto benissimo.”

“Mh, si vede,” ridacchio io, “gli manca solo il collettino bianco, lì, e poi sarebbe perfetto!”

E dalla sua espressione capisco che sa che non le credo. Che ho visto dietro quel muro di sicurezza.

 

[…]

 

La sera, io e il Maresciallo abbiamo questa benedetta cena, per cui ci vediamo direttamente a casa della signora, e lui si presenta in frac, facendomi morire dalle risate. L'abito non è proprio della sua taglia.

 

Una volta dentro, cerco di tenermi alla larga dalle sue avance, quando una foto cattura la mia attenzione: quella del viaggio di nozze che abbiamo visto sul ritaglio di giornale, che ritrae lei e l'uomo a cui io somiglio moltissimo.

“Ti ricordi... eravamo giovani, felici,” dice la signora con voce bassa, e a me viene un groppo in gola. Non voglio infrangere questo suo sogno, anche se è un'illusione.

“Puoi dirlo ancora una volta? Cinciallegra...” mi supplica, e decido di farle questo regalo. Che male ci può essere, in fondo, a rendere felice una donna che soffre per amore?

“Amanda,” le dico, voltandomi e lasciandole una carezza sul volto ormai pieno di rughe, “tu sei la mia cinciallegra.”

“Grazie,” mi risponde, e mi rendo conto che lei sa perfettamente che io non sono il suo defunto marito, ma che ha deciso di cogliere uno scherzo del destino per far finta che non fosse cambiato nulla. Che il tempo non fosse passato.

“Ah, lo champagne!” strilla, quando arriva il Maresciallo-maggiordomo, e la recita riprende.

Quando stiamo per brindare, bussano alla porta, e Cecchini corre ad aprire agli ordini di Amanda.

Non vedendolo tornare, vado anch'io per capire cosa sia successo, e vedo... Anna.

Ora sì che siamo fregati.

“Che ci fai qua?”

“No, tu che cosa ci fai qua!” Mi chiede in tono autoritario, degno della divisa che ancora indossa, e ammetto che in questo momento mi mette in soggezione. “Mi volete spiegare?”

“Perché non fate accomodare la signorina?” ci dice la signora, facendosi spazio tra di noi.

“Quello è il mio ciondolo!”

Ecco, l'ha visto, ora mi posso scavare la fossa. Dopo tutte le belle parole che le ho detto, non ho speranze che stavolta non mi mandi a quel paese.

“Vogliamo bere insieme un bicchiere di champagne?”

“È in servizio, non può bere.” prova Cecchini.

“Guardi, per oggi faccio un'eccezione.” Lo contraddice Anna, entrando in casa e lanciandomi un'occhiata che mi fa rabbrividire.

 

La signora però capisce al volo l'equivoco, e le porge la fotografia senza dire nulla.

“Guarda,” le faccio notare la somiglianza.

“Beh, sì, è vero, è uguale,” ammette Anna, ridendo.

“Ho visto il ciondolo, ho visto lui e... per un attimo ho creduto davvero che Leo fosse tornato...” Spiega Amanda. “È stato bello risentirsi... amati, sentirsi giovani. Ora mi vergogno tanto.”

“Ma quindi faceva finta...” interviene Cecchini, sorpreso. “Sapeva già che non era lui!”

La signora si volta verso di me. “Mi spiace d'averti preso in giro.” Si scusa, e adesso che conosco i suoi motivi, non sono più arrabbiato.

“Ah, non si preoccupi signora, ormai ci sono abituato.” Commento però con tono amaro, perché sembra che in un modo o nell'altro, riesca sempre a farmi fregare dal gentil sesso. So che lei non l'ha fatto in mala fede, ma è sempre orribile essere usati così.

Amanda decide allora di spiegarci meglio. “Ho perso mio marito quarantasei anni fa, in luna di miele... e da allora, non ho mai smesso d'amarlo...”

“Quarantasei anni...?” sussurra Anna con voce dolce, poi accenna una risata. “Pensi che io ho appena chiuso una storia di... meno di cinque anni, e mi sento... non lo so, come se avessi solo perso tempo.”

“Ma no, non dire così” La rimprovera Amanda, con gentilezza. “Con l'amore non si perde mai tempo! È un dono di Dio, va vissuto! Ah, ma questo è tuo.” Si ricorda all'improvviso, e fa per togliersi il ciondolo quando Anna, con grande sorpresa mia e del Maresciallo, la ferma.

“No! Vorrei tanto che lo tenesse Lei!”

Anche la signora è sorpresa. “Grazie!”, le dice, facendole una carezza. Probabilmente ha capito più lei cosa si nascondesse dietro quel ciondolo, che noi in tutto il tempo che abbiamo impiegato per recuperarlo. “Grazie!”

Poi Anna recupera la sua solita fermezza, si sistema meglio sulla poltrona e ci rivolge uno sguardo che ci fa diventare piccoli piccoli. “A voi due v'è andata bene.”

Ci è andata bene davvero... con il retroscena svelato per entrambe le donne, è finita meglio di quanto avessi osato sperare da quando il Capitano ha fatto il suo ingresso in casa.

Va a finire che restiamo comunque tutti e tre a cena lì, visto che ormai era tutto pronto, sarebbe stato un peccato sprecarle.

“Comunque,” mi sussurra Anna ad un certo punto della cena, mentre Amanda e Cecchini sono impegnati a discutere di una vecchia foto di Spoleto, “apprezzo lo sforzo. Grazie per aver tentato di recuperare la collana. Anche se questo significa che avete origliato la mia telefonata.”

Io la guardo, a metà tra l'imbarazzato e il sorpreso, ma lei sorride. Confermo, ha capito tutto senza che noi le dicessimo nulla.

“Figurati,” mormoro io di rimando, “anche se io avevo provato a fermare il Maresciallo, ma sai com'è lui... ha combinato il danno, però ha anche cercato di risolverlo. Ha coinvolto anche me nel processo, però... è stato un bel gesto, quello che hai fatto per la signora.”

“Ho pensato che avrebbe avuto più valore per lei che per me... è associato a un bel ricordo, non volevo portarle via anche quello.”

Annuisco, poi Cecchini e la signora tornano a tavola, per cui noi sospendiamo la conversazione.

 

[…]

 

Il giorno dopo, finalmente veniamo a capo del caso della ballerina. Finiamo tutti i nostri turni di lavoro per poi tornare a casa.

Visto che è una bella serata, decido di restare nei dintorni e fare un giro a piedi, lasciando la moto parcheggiata poco distante dalla caserma.

Quando torno in piazza, sono quasi le undici. Più per abitudine che altro, scendendo dal viale lancio uno sguardo alla finestra dell'ufficio di Anna, e noto la luce ancora accesa.

Solo lei può restare a lavoro fino a così tardi. Senza pensarci due volte, mi dirigo verso il portone, magari le do una mano per finire prima.

Salendo le scale però mi rendo conto che il caso l'abbiamo chiuso, e non c'era nient'altro di urgente da fare entro stasera. Quindi perché è ancora qui?

 

Quando apro la porta del suo ufficio, la trovo di spalle, senza giacca e col cappello appoggiato sulla scrivania.

“Ma sei ancora qua? Non era chiuso, il caso?” Domando soltanto, ma lei scuote la testa.

“Perché, perché nessuno vi insegna a bussare?” Replica invece con voce rotta, e solo in quel momento noto qualcosa luccicare sulla guancia alla luce della lampada.

Lacrime.

Ai singhiozzi che seguono non ho più dubbi.

Lei lascia cadere la mano sul tavolo con fare sconfitto. “Sarai contento, mi hai vista anche piangere.”

Non è questa la scena che mi aspettavo, quando ho deciso di salire.

E, sinceramente, vederla in questo stato mi ha scombussolato, perché ho imparato a conoscerla e so che è una che non si lascia andare facilmente. Posso a mala pena immaginare cosa stia significando, per lei, mostrarsi così debole davanti a me.

Mi avvicino lentamente, tirando fuori un fazzoletto di di stoffa dalla tasca della giacca per poi porgerglielo. “No, ma dev'essere allergia perché è stagione...” minimizzo, e vorrei davvero farle capire che non la sto giudicando.

Lei lo prende senza voltarsi, affrettandosi ad asciugarsi il viso. Io prendo l'altra sedia alla sua scrivania e mi siedo accanto a lei, anche se leggermente più indietro. Sceglierà lei se farsi vedere così o no, in ogni caso rispetterò la sua scelta. So come ci si sente quando si sta così, vorremmo solo stare soli. Ormai però sono qui, e andarmene sarebbe anche peggio.

E io non voglio andare via.

“Anche se stessi piangendo... So che non lo stai facendo, eh,” preciso, la scelta su come comportarsi è sua, “ma anche se fosse... Anna,” incalzo, “è normale.”

Lei singhiozza di nuovo, e spero davvero che riesca a sfogarsi. Non le passerà mai, se no.

“E non perché sei donna, perché piangono anche gli uomini, e anche i carabinieri... e pure i Pm...” aggiungo, perché voglio essere onesto con lei, so che le sta costando molto stare in mia presenza adesso, ma voglio che sappia che la capisco, che so come si sente. Non voglio raccontarle il motivo, non ora, magari un giorno lo farò, però adesso ha più bisogno lei di me, di conforto.

Le mie parole devono aver fatto centro, perché finalmente si volta a guardarmi, con gli occhi rossi di pianto e le guance ancora bagnate. “Tanto... te lo dico per esperienza.” Aggiungo.

So che posso fidarmi, che nemmeno lei mi giudicherà con questa confessione, seppur minima.

Annuisce, abbassando lo sguardo.

Mi vengono in mente le sue parole quand'eravamo al poligono. Forse c'è ancora qualcosa che posso fare.

“Vado a prendere il gelato. Cioccolato, va bene?” chiedo, sperando di aver fatto la scelta giusta.

Anna si gira a guardarmi di nuovo, ma stavolta con un piccolo sorriso. “Con le nocciole tritate sopra, per favore.” Mi prega, e io non posso che acconsentire.

“Certamente.” Le dico alzandomi, prima di uscire dal suo ufficio per adempiere al mio compito.

 

Quando torno, dieci minuti dopo, vedo che sta facendo spazio sul tavolino di vetro in mezzo ai divanetti posizionati in un angolo del suo ufficio.

Al sentirmi entrare, si volta verso di me. Ha ancora gli occhi lucidi.

Io sollevo la busta con la vaschetta e i cucchiai che ho preso appositamente. “Che dici, ci diamo da fare?”

Mi risponde con un piccolo sorriso. “Ci puoi scommettere!” Esclama, la voce ancora rauca per il pianto di poco fa.

Affondiamo i cucchiai nel cioccolato rimanendo per qualche minuto in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

Se qualche mese fa mi avessero detto che mi sarei trovato in una situazione del genere con lei, avrei dato del pazzo a chiunque. Io, a mangiare il gelato alle undici di sera in ufficio e in compagnia del Capitano? Con lei, così rigida e inflessibile che sembrava fatta di ghiaccio?

Quando si dice di non giudicare un libro dalla copertina.

I miei pregiudizi dovuti alla mia esperienza negativa, sommati ai suoi modi di fare mi avevano portato a costruirmi un'idea sbagliata, come se lei non fosse un essere umano capace di provare emozioni come tutti gli altri.

Mi rendo conto di essere stato un idiota anche solo a pensare una cosa del genere. Anche lei avrà di sicuro i suoi motiviper comportarsi in un certo modo, e di sicuro il suo essere donna la porta a dover, e voler dimostrare più spesso di essere all'altezza del suo compito.

Così come io ho avuto le mie ragioni per dubitare di lei, non in quanto Anna Olivieri, ma come donna in sé. Dopo la storia con la mia ex, non mi viene facile fidarmi e pensare che un gesto sia innocente e senza un doppio fine, o non mirato a raggirarmi. A cambiarmi e rendermi ciò che non sono.

Riflettendoci, la presenza di Anna ha modificato alcuni miei comportamenti, in effetti. E non in male. Mi sono accorto di essere un po' più paziente, e di non saltare più a conclusioni affrettate come prima. Di accettare compromessi senza per questo annullarmi, o a non voler avere ragione per forza. Mi rendo conto di essermi sforzato a migliorare in questo senso.

E poi sono tornato a scherzare come facevo prima, anche a sue spese o con il suo appoggio, e devo dire che di questo le sono riconoscente.

 

Poi lei interrompe il mio flusso di pensieri.

“Grazie...” mi sussurra senza guardarmi. “No, davvero,” rimarca quando io provo a dirle di lasciar stare, “per quello che hai fatto per me in questi giorni... anche l'altra volta al poligono, e adesso, il gelato e tutto...” biascica, arrossendo.

“L'ho fatto volentieri, so quanto faccia star male soffrire per amore, te l'assicuro, e anche se in casi come questo si vorrebbe solo starsene soli a piangere in santa pace, a volte può essere d'aiuto anche solo la presenza di qualcun altro. Te lo dico perché so che io ne avrei avuto bisogno.”

Anna solleva lo sguardo, ma non mi chiede nulla. Ha capito che non sono pronto a raccontarle il resto.

“Hai ragione... Grazie anche per aver finto che fosse allergia,” aggiunge, ridacchiando, “e... per aver azzeccato il gusto del gelato senza saperlo. Mi sa che almeno in questo sono fin troppo prevedibile, eh?”

“Io sono andato sul sicuro... e poi cioccolato piace un sacco anche a me. Se dovesse avanzarmi qualche vaschetta, almeno so con chi potrei dividerla.”

La risata che segue ha un sapore liberatorio per entrambi.

Abbiamo condiviso una serata particolare, sento di provare un nuovo rispetto nei suoi confronti.

E so di aver trovato una persona di cui fidarmi, e con cui poter parlare senza temere di essere giudicato.

È servito anche a me, affrontare quest'argomento, forse più del mio sfogo solitario.

 

Restiamo a parlare ancora un po', e quando torno a casa mi accorgo con stupore che sono passate da poco le due del mattino.

E che non avrei condiviso quella vaschetta di gelato con nessun altro.

 

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Capitolo 8
*** Scegli me! ***


 

SCEGLI ME!

 

Dopo qualche giorno di calma, mi hanno chiamato con urgenza dalla Caserma per un caso di minacce ai danni di due produttori tv. Sono arrivato più in fretta possibile, così salgo le scale quasi di corsa e dopo un saluto generale vado dritto verso l'ufficio di Anna, aprendo la porta senza bussare, come al solito.

“Buongiorno a tutti!”

I due presenti seduti davanti alla scrivania fanno per alzarsi.

“Comodi, comodi... Marco Nardi, PM.” Mi presento, e non posso fare a meno di cogliere di sfuggita l'espressione infastidita di Anna al mio ingresso. Che ho fatto, stavolta?

“Costanza Busto, produttrice creativa dello show, e lui è Arturo Vatti, produttore dello show.”

“Tutti e due produttori! Ma... che differenza c'è?” Si informa Cecchini.

“Diciamo che io metto i soldi e lei le idee.” Commenta Vatti.

Cecchini ridacchia. “Ahhh, come me e mia moglie: lei compra e io pago!”

“Ci hanno riferito che avete avuto delle minacce, dico bene?” Meglio tornare sull'argomento, mi sa.

“Sì... ho trovato questi nel mio camerino,” spiega la signora, “il primo risale a circa tre settimane fa, mentre invece il secondo è dell'altro ieri.”

Mi porge dei fogli, che io osservo prima di passarli ad Anna.

“Dopo il primo messaggio è bruciata un'auto di produzione, abbiamo pensato che fosse un incidente… ma oggi è bruciato il manichino con il vestito di una delle ragazze, Adelaide...”

“Avete pensato a un eventualità di... sospendere il programma?”

“Assolutamente no!” Arriva prontamente la risposta della signora Busto, “Potrebbe essere semplicemente lo scherzo di un mitomane, o uno psicopatico... magari qualcuno che ci vuole fare chiudere.”

“Alle ragazze, delle minacce non abbiamo ancora detto nulla,” ci informa il marito, “non c'è motivo di eccessivi allarmismi.”

Io non sono d'accordo, e nemmeno Anna è convinta.

“Capisco... quanto vi fermerete a Spoleto?” Chiede.

“Tre giorni, il tempo di girare questa puntata speciale... siamo all'Hotel San Francesco.”

“Va bene,” chiude lei, “farò mettere un'auto di pattuglia.”

“La prego, discrezione.”

“Certo!” Più che di discrezione, Anna ha l'espressione di una che vorrebbe mandare tutto all'aria e dirgliene quattro. “Lo spettacolo deve continuare...” fa con velato sarcasmo.

“The shos mast... go...” Evviva l'inglese del Maresciallo!

“...go on.” Conclude Anna per lui. Io mi trattengo dal ridere, almeno fino a quando i due produttori sono fuori dalla stanza, poi scoppio senza ritegno.

Anche il Capitano accenna un sorriso.

“Meno male che c'è Lei, Cecchini...” commento, ancora con le lacrime agli occhi. “Pure tu, avevi una faccia...” faccio, rivolto ad Anna, che si fa tetra in viso.

“Questi programmi sono stupidi, senza un minimo di dignità o morale... e poi mi chiedono 'discrezione'...” Scuote la testa, esterrefatta. “Ho bisogno di caffè.”

“Ci penso io,” mi offro, andando a prenderne uno anche per me, così da approfittare del momento per stare con lei- ehm, no, che dico... intendevo per farmi spiegare meglio la situazione.

 

[…]

 

La mattina dopo, veniamo avvisati che una delle ragazze è stata effettivamente aggredita ed è in gravi condizioni. Io e Anna stiamo discutendo sul da farsi nel suo ufficio quando entra Vatti. “Bella protezione, complimenti!” Ci accusa.

“Intanto non possiamo sorvegliare tutti ventiquattr'ore su ventiquattro, e se Lei avesse avvisato le ragazze forse Guia non se ne sarebbe andata in giro a quell'ora, no?” Lo rimetto in riga io. Questo prende pure avanti, ma si può? “Se non le dispiace, qui stiamo lavorando.”

“Sono a vostra disposizione,” si calma quello, “ma vi prego, non mi chiudete il programma, sarebbe come dar ragione a quel maniaco!”

“Ghisoni...” chiama il Capitano per far uscire l'ospite.

Io sono esterrefatto.

Quando Vatti va via, lei inizia a camminare avanti e indietro, preoccupata. Cerco di tranquillizzarla.

“Non potevi far altro, Anna...”

“Mi chiedo che cosa possiamo fare... Secondo te è un maniaco?” Mi domanda in tono agitato.

“No, troppi pochi elementi.” La rassicuro. Non c'è nessuna evidenza, e c'è qualcosa di strano, so che anche lei l'ha notato, per questo è tesa.

“Dobbiamo chiudere il programma,” dice infine.

“No, così sarebbe più difficile controllare le ragazze e arrestare il colpevole,” la contraddico in tono pacato. Ci serve una via alternativa. “Sempre che siano loro, il bersaglio...”

“C'ha ragione.” Concorda Cecchini.

“E quindi cosa proponi?”

Ci penso su un attimo. “Ci vorrebbe qualcuno che...” alzo lo sguardo verso di lei, e mi viene l'illuminazione, “potesse sorvegliare le ragazze dall'interno, senza dare troppo nell'occhio.”

“Una missione sotto copertura!” Brava, Anna, hai afferrato il concetto...

“Mh-mh,” asseriamo io e il Maresciallo all'unisono. Lei sposta lo sguardo avanti e indietro tra me e lui, e noto nei suoi occhi la consapevolezza di aver capito il sottotesto. Rido sotto i baffi. E... 3, 2, 1...

“Qualsiasi cosa voi stiate pensando, è no!” Afferma con un'espressione terrorizzata.

“Guardi, se ero donna lo facevo io... sono un uomo!” La consola Cecchini. “Poi noi le saremo vicini, eh!”

Lei abbassa lo sguardo, sconfortata, sistemandosi la divisa con fare protettivo.

“Anna, se è un maniaco, questo è l'unico modo per farlo uscire allo scoperto senza mettere in pericolo le ragazze.” Stavolta sono serio, è davvero l'unica cosa che possiamo fare.

“È una bella idea!” Conferma il Maresciallo.

Vedo che Anna sta pensando a una scappatoia, le si legge chiaramente in faccia l'avversione totale all'idea mista al rifiuto del programma in sé.

“Se, e dico se,” esordisce con fermezza, “dovessi... propormi per fare questa cosa... la produzione non accetterebbe mai.” Termina con voce incerta. È strano vederla così impacciata sul lavoro, ma ammetto che mi sto divertendo parecchio.

“Io dico che accetterà,” la contraddico con un sorrisetto, “se no, gli facciamo chiudere il programma!”

A vedere la sua espressione sconsolata anche Cecchini si mette a ridacchiare. “Dai,” tenta di consolarla ancora, “dai, magari vince!”

Discutiamo qualche minuto dei dettagli, contattiamo la produzione per avere la conferma che Vatti ci garantisce senza problemi, e poi vado via per farmi dare le autorizzazioni necessarie, lasciandola col Maresciallo a informare il resto della Caserma della sua temporanea assenza. Nonostante l'espressione risoluta, è chiaro che non è per niente contenta della piega che hanno preso gli eventi.

 

Devo ammettere però che quel faccino da cucciolo bastonato mi ha fatto tenerezza.

 

[…]

 

Il giorno dopo, quando Anna fa il suo ingresso al reality (non so cosa darei per essere lì presente a godermi la scena!), io resto in Caserma a ricevere il Professor Fanciullini, padre di Guia.

Lo accogliamo nell'ufficio di Anna. È strano vedere Cecchini seduto al suo posto, e devo constatare che non è una cosa che mi piace particolarmente.

“Professor Fanciullini, mi dispiace per le circostanze, ma è un vero piacere conoscerla!” Ammetto, stringendogli la mano.

Lui è perplesso riguardo alla sua convocazione lì, ma gli spieghiamo tutti i particolari relativi a dei messaggi scambiati con la figlia, e alcuni contatti dubbi con la moglie che ci hanno portati a sospettare di lui.

Quando lo lasciamo andare, io scendo giù insieme al Maresciallo.

“Controlliamo l'alibi di Fanciullini, per ora abbiamo solo un movente. Io provo ad aggiornare il Capitano.”

“Va bene... Arrivederci.” Mi saluta lui, un po' impacciato. Non è facile stare al posto di Anna, se ne sta rendendo conto.

Io mi avvio verso l'hotel dove avverranno le riprese, e sono proprio curioso di scoprire cosa troverò.

 

[…]

 

Dopo aver accennato un saluto alla 'produttrice creativa', mi affretto a raggiungere una delle stanze all'interno adibita a sala trucco, e mi trattengo dal ridere mentre vedo un'Anna a dir poco furibonda, con una maschera di un verde agghiacciante sul viso e un'espressione assassina, mentre ascolta a labbra serrate il truccatore che le dice con fare paternalistico, “Tesoro, tu non ti vuoi bene!”

“Sa che glielo dico sempre anch'io?” Intervengo, senza riuscire a trattenermi. Oh, mi divertirò un sacco. La sua faccia quando mi nota è impagabile.

“Ehi, e tu chi sei? Non puoi stare qua!” Mi dice un tizio munito di auricolari.

“Ah, sono un amico,” spiego, “non potevo perdermi questo momento.” Il che non è esattamente una balla.

A venire in mio aiuto arriva la signora Busto. “Lui può stare... Facciamo pausa, cinque minuti e riprendiamo!”

Torno a guardare Anna attraverso il riflesso dello specchio. Ha tutta l'aria di una che vorrebbe mettersi a urlare, o sotterrarsi dalla vergogna.

“Non... dire niente, mh?” Mi avverte. Io sollevo una mano in segno di pace, trattenendo una risata. Poi mi abbasso affinché possa sentirmi solo lei. “Volevo solo aggiornarti sul caso.” Le sussurro, facendo un cenno verso fuori.

“Okay,” acconsente subito, affrettandosi a legare i capelli e seguirmi all'esterno.

 

La informo su quello che abbiamo scoperto su Fanciullini.

“Quindi potrebbe essere stato il padre! La posso finire con questa farsa?” Ha un entusiasmo allucinante per questa cosa, oh.

“No, le minacce sono cominciate prima che lui ricevesse la lettera,” preciso, “quando Fanciullini ancora non aveva un movente. Poi Fanciullini a me non sembra il tipo da minacciare le ragazze di un reality.”

“Quindi, o Fanciullini è innocente, o sono due reati diversi...” riflette lei.

“Mh... In ogni caso, devi mantenere la copertura.”

Lei si ferma, e io faccio lo stesso. Che succede? Che ho detto?

“Ti diverti, vero? A vedermi qui dentro?”

Ehm, in effetti sì, ma non mi sembra il caso di dirglielo in maniera così spudorata.

“Io? No, no... no, te lo giuro!”In effetti, però, se glielo dico ridendo mi tiro la zappa sui piedi da solo. “È che... il lavoro è sacrificio, capisci?” Se vi domandate se sto cercando di farmi linciare, sì.

Lei è furiosa. “Qui mi guardano con compassione! Sembra che mi hanno appena raccattato nella giungla!” Addirittura... beh, dalla frase di quel tizio non mi viene difficile crederlo, e sinceramente a me è sembrata un'esagerazione. Non mi sembra Anna sia messa così male, anzi... “”E sì, io ho le occhiaie! Perché di notte lavoro!” fa con tono più alto, tanto che le devo far segno di abbassare la voce.

“Lo so...” provo a calmarla, eccome se lo so. L'ho vista fare orari assurdi per settimane, pur di portare a termine un caso e riuscire a fare giustizia.

“Sono due ore che c'ho... le alghe nel naso!” Continua, indispettita. “Tu non lo sai, che cos'è il sacrificio!”

Proprio in quell'istante arriva il tizio con gli auricolari di prima. “Tempo scaduto! Ti devi mettere questo! C'è il party in piscina!” Le spiega, indicando un costume da bagno con... beh, poca stoffa, diciamo.

Io non so se scoppiare a ridere o meno, ma di sicuro so che devo essere arrossito, a giudicare dal calore. E non sono nemmeno io quello che deve indossare quel costume. No, non fatemici pensare, perché già ho le mie fantasie strane quando ripenso a lei quella sera con quel vestitino nero super sexy, non mi potete aggiungere questo!

Lei è ancora meno entusiasta di me. “No, Luca, io questo non me lo metto.” Afferma in tono perentorio.

Non resisto a prenderla in giro. “Cos'è, hai paura della prova costume? No, scusami...!” La stuzzico, allontanandomi di qualche passo perché ho paura di finirci io, in piscina.

Anna mi rivolge uno sguardo a metà tra il furioso e di sfida, afferrando l'indumento con un'espressione che promette vendetta.

 

Mentre aspettiamo che si cambi, io mi metto accanto ai tecnici sotto il gazebo, osservando le altre concorrenti arrivare e sedersi sulle sdraio. Lancio un'occhiata al 'principe', che mi sta antipatico al solo vederlo. Sarà meglio che le giri alla larga, e lo dico anche per il suo bene. Dopotutto, Anna è cintura nera di judo, non so se gli conviene tanto infastidirla.

Faccio del mio meglio per non immaginarmela in costume, anche se so che non durerà perché a breve dovrebbe arrivare anche lei. A meno che non si tiri indietro ma non credo, per il solo gusto di non darmela vinta.

La produttrice sta appunto commentando come manchi solo lei all'appello quando Luca ci informa del suo ingresso.

Io spalanco gli occhi, osservandola scendere gli scalini che portano alla piscina.

Sapevo fosse... ehm, messa bene, ma non pensavo così bene.

Anche quel Luca è imbambolato, mentre la guarda sul monitor con la bocca spalancata, tanto che la Busto deve richiamarlo all'ordine.

Cominciamo molto male.

Intanto Anna ha raggiunto le altre, e si vede lontano un miglio che non è a suo agio. E il suo ruolo di Capitano non si assopisce nemmeno in questa situazione poco ideale, perché inizia a fare domande utilissime mascherandole da semplice curiosità.

Poi naturalmente lo show ha il sopravvento per cui la produttrice, con mio grande disappunto, impone senza mezzi termini al 'principe' di andarla ad accogliere.

L'ho già detto, che quello mi sta antipatico a vista? E no, non c'entra niente il fatto che possa stare a guardarla quanto gli pare perché è quello il suo compito in questo show. Non c'entra, non c'entra, non c'entra.

Quello intanto si siede sulla sdraio davanti a lei, porgendole una delle due birre che aveva preso dal secchiello col ghiaccio poco distante.

“Ciao,” la saluta.

“Ciao,” mormora Anna con scarso entusiasmo e un livello di socialità pari a zero. Mi fa morire quando fa così.

“Anna, giusto? Non pensavo avrebbero sostituito Guia... sei una sorpresa. E a me piacciono le sorprese.” Ci prova spudoratamente Lupo Dossi. Ma tu guarda che spirito da latin lover, proprio. Stai calmo, e distante da lei, possibilmente. Se voleva far colpo su di lei, ha sbagliato tattica. Noto con soddisfazione che Anna la pensa allo stesso modo, a giudicare da sorriso di compatimento che gli fa.

Beve un sorso dalla bottiglia, poi prova a indagare. “Sembra che non ti dispiaccia troppo per Guia...” butta lì con fare indifferente.

“Non abbiamo legato molto, poi lei se ne stava sempre sulle sue...” spiega il tizio, “era amica di Ade, però.”

“Adelaide?” si informa lei.

“Sì... ma non parliamo di lei, parliamo di noi.” Come, scusa? E da quant'è che vi conoscete?

Anna stavolta non si trattiene e fa una risatina sprezzante. Vedo che anche la produttrice è intrigata e attenta alla conversazione.

“Senti... non c'è nessun 'noi'.” Chiarisce con tono secco che non ammette repliche. “Tu non sei un principe, sei il figlio di uno che vende crackers!” Io ormai rido, e la Busto fa lo stesso, sorpresa di vedere che la concorrente in apparenza più fallimentare si è già rivelata quella più interessante. “Ah, la puoi smettere di contrarre gli addominali, puoi fare di meglio per impressionarmi, okay?” Conclude, dando il colpo di grazia all'ego di quello scemo.

“Oh, finalmente qualcuno che ci mette un po' di pepe!” Commenta la produttrice, interrompendo per il momento le registrazione quando vede sopraggiungere il Maresciallo, e congratulandosi con tutti.

Anna si alza e molla senza troppi problemi il tipo, lasciandolo seduto lì non appena sente lo 'Stop' delle riprese.

Io ridacchio, e la seguo quando la vedo dirigersi al piccolo salotto all'aperto poco distante dalla piscina.

Mi siedo sul divanetto accanto alla poltrona su cui si accomoda lei, attenta a chiudere meglio la vestaglia blu che le hanno dato e sollevando le gambe, acciambellandosi come un gatto.

“Allora, hai scoperto qualcosa?” le chiedo.

“'Parliamo di noi'...” fa lei esterrefatta, ancora a pensare alla scenetta di poco fa. “Ma chi si crede di essere? Pensa che sto ad aspettare lui?”

“Beh, in teoria questo sarebbe lo spirito del programma...” obietto io, divertito. “Però stavo parlavo del caso, io, Anna...”

Lei chiude gli occhi, realizzando l'equivoco. “Scusa...” mi dice, sconsolata, e a me vien da ridere. Fa per parlare quando si avvicina il Maresciallo.

“Posso fare qualche domanda pure a voi, come ho fatto con tutti gli altri?” Chiede in tono poco credibile.

Noi ci limitiamo ad annuire. Lui abbassa la voce, rivolgendosi ad Anna. “Signor Capitano, le stanno bene i capelli così.” Ah, hai capito che occhio fine ha Cecchini, ha notato il nuovo taglio.

Lei fa un gesto imbarazzato, e ho come l'impressione che non sia molto abituata a ricevere complimenti. “Lasci stare... dica.”

“Ci sono delle novità... Per quanto riguarda l'alibi di Fanciullini, pare che regga, perché lui come ha fatto ad arrivare all'una di notte a Spoleto? Come minimo doveva camminare a 190 chilometri all'ora!”

“Quindi probabilmente non c'entra niente.” Commento io. “Ma abbiam qualcos'altro?”

“Sì... questa Guia, pare che non era... una ragazza giusta per un reality. Era un po'... timida, un po' strana.”

“Questa cosa l'ha detta anche quel cretino del principe.” Conferma Anna.

“Pare che abbia detto che stava facendo del male a qualcuno!” Continua Cecchini.

Anna sbarra gli occhi. “E lei come l'ha saputo?”

“Voci...” minimizza lui, ma è chiaro che lei non gli crede.

“Beh, potrebbe essere qualcuna delle ragazze... Anna, tu potresti provare a farle parlare?” Suggerisco, e lei annuisce, pensierosa.

“Sì, Signor Capitano, Lei dovrebbe attaccare bottone con queste ragazze,” si intromette il Maresciallo, e temo già il seguito della frase. “parlare di... cose da donna, di... borsetta... il trucco, le unghie, rifacimento, rossetto... cose da donna...”

Anna è lì lì per dirgliene quattro. “Perché noi donne parliamo solo di quello.” Dice con un sorrisetto minaccioso. Io abbasso la testa per evitare di scoppiare a ridere.

“No... no, però.... vabbè, io adesso vado.” La fa breve lui, per tirarsi fuori dai guai. “Ehh... io me ne vado,” fa a voce più alta. “Grazie signorina, grazie giovanotto... se avete qualcosa da dirmi, voi non sapete come mi chiamo... mi chiamo Maresciallo Cecchini, va bene? Tante cose...” Ci saluta, andandosene.

“Vengo con Lei, Maresciallo...” lo raggiungo, salutando Anna con un breve cenno.

 

[…]

 

Mentre Anna continua ad indagare per conto suo e tenendoci informati di quanto scoperto su Adelaide, noi continuiamo con le ricerche. Appena posso, la raggiungo all'hotel.

Mi accorgo che ha un costume diverso, oggi. Ehi, non è colpa mia se è la prima cosa che ho notato. Sono pur sempre un uomo. Che ha davanti una donna molto attraente.

La aggiorno brevemente sullo stalker della ragazza bionda e di come le ha procurato quella cicatrice alla spalla. Lei sembra scossa dalla notizia, ma mi consiglia di continuare a indagare su Adelaide perché c'è qualcosa che non quadra su quello che racconta lei e quanto dicono gli altri.

Poi vedo il suo sguardo cambiare quando nota uno strano tizio con un berretto in testa e uno zaino, appostato al limitare della zona riprese.

“Daniele...” chiama piano uno dei tecnici. “Il tipo col cappello... è uno dei nostri?”

“No no, mai visto.” Nega il ragazzo con un'alzata di spalle.

Ecco che scatta lo spirito da Capitano, perché si mette subito in moto e si avvicina a quell'uomo.

“Ehi tu, scusa...”

Quello però evidentemente si sente minacciato, perché scappa.

Anna non ci pensa due volte, scalcia via le infradito e corre al suo inseguimento, raggiungendolo in pochi istanti e gettandolo a terra con una presa ferrea sulla sua mandibola, proprio mentre Cecchini e i due produttori arrivano in cima alla scalinata giusto lì davanti.

Io la raggiungo con qualche secondo di ritardo. Caspita, se è veloce. Devo ammettere che sono impressionato.

“È da ieri che ti vedo girare qui intorno! Chi sei?” Chiede lei in tono autoritario, mantenendolo bloccato.

“Sono un fotografo!” Si giustifica quello, terrorizzato. “Tu sei completamente matta! Lasciami!”

Non sono proprio d'accordo con questo aggettivo...

Luca arriva di corsa, sorpreso quanto noi. “Ma lo conosco, è un paparazzo!” Ci tranquillizza, e lei lascia la presa sulla mascella. A giudicare dal gemito del tizio, non deve avergli fatto esattamente una carezza.

“Signorina,” si complimenta Cecchini, “ha un bellissimo scatto! Potrebbe fare la Carabiniera!”

Lei si astiene dal commentare, sollevandosi da sopra il paparazzo che ancora teneva bloccato a terra, ma la sua espressione è impareggiabile.

 

[…]

 

Le indagini continuano, e Anna mi ha mandato un messaggio poco fa dicendomi di raggiungerla all'hotel quella sera stessa perché ha delle novità importanti.

Da quello che so, stasera ci sarà il ballo, dove il principe sceglierà una delle quattro per danzare con lui.

Mi auguro che abbia il buonsenso di lasciarla in pace, visto come lo ha trattato lei finora. Lo ha completamente ignorato, qualsiasi avance da parte sua è caduta nell'oblio davanti all'insofferenza di Anna. La cosa mi rallegra alquanto. Non ti avvicinare, principino, lei non è una principessa da salvare. E nemmeno un premio da vincere.

 

Come al solito, una volta giunto lì prendo il mio posto sotto il gazebo accanto ai tecnici, e sono proprio curioso di vedere il Capitano in abito da sera. Questa versione ancora mi manca, e non so che aspettarmi. Ogni volta mi ha sorpreso, quindi immagino che ora sarà lo stesso.

 

Ascolto la produttrice dare le direttive, facendo di tutto per non alzare gli occhi al cielo alle scemenze che dice, e solo quando sento la piccola orchestra di archi iniziare a suonare mi rendo conto che sono tutti lì e il 'principe' è appena uscito dalla sala per dirigersi sulla pista, così cerco Anna con lo sguardo, e spalanco gli occhi per lo stupore.

 

È davvero bellissima. Indossa un lungo vestito nero senza spalline, i capelli lasciati sciolti sulle spalle e un trucco leggero che ne risalta i lineamenti delicati e quei magnetici occhi verdi.

Bella da lasciare senza fiato.

Purtroppo per me, pure quel cretino del principe se ne accorge perché invita proprio lei a ballare, a quanto pare senza seguire le indicazioni che gli avevano dato i produttori. Sembra che non fosse previsto, che invitasse lei.

Anna accetta con evidente riluttanza. Quando lui le stringe un braccio intorno alla vita iniziando a danzare con lei, avverto una strana sensazione in fondo allo stomaco, e mi avvicino il più possibile al limitare della pista.

Sei solo preoccupato che quello faccia qualcosa che non deve, mi dico. È solo per questo. Non sei geloso. Non è gelosia. Tu e Anna siete amici, punto.

Noto che il principe fa un cenno verso di me, e anche lei si volta a guardarmi per un attimo. Colgo l'imbarazzo sul suo viso.

Poi succede qualcosa che richiede tutto il mio autocontrollo per impedirmi di andare lì e picchiarlo.

Lui le si avvicina pericolosamente con il chiaro intento di baciarla, mentre con mio estremo orrore vedo dal monitor che la sua mano destra, che prima le cingeva la vita, sta lentamente scendendo sempre più giù.

Eh no, eh. Non ti azzardare a toccarla. Tieni le mani a posto. Sto per mandare a quel paese il mio contegno quando lei lo ferma, girandogli il braccio e buttandolo a terra per difendersi da un gesto non voluto.

Sento vagamente la sua minaccia di non permettersi a rifarlo prima di girare i tacchi e lasciare la pista da ballo.

Mi accorgo a mala pena della frase della produttrice, estasiata dalla scenetta, mentre mi affretto a seguire Anna.

 

La trovo seduta sul bordo della piscina, a testa bassa.

“Oh, hai fatto colpo, eh!” Scherzo, sedendomi poco distante da lei, che non mi degna di uno sguardo. “No, secondo me puoi vincere!” Tento, cercando di stemperare la tensione.

Finalmente si volta, un'espressione tetra sul viso. “Marco, ho un vestito scomodo, non ti parlo neanche delle scarpe, stanotte non ho dormito e ho subito delle molestie! Non mi provocare!”

“Scusami, non volevo...”

Abbassa nuovamente lo sguardo, prima di continuare con voce cupa, “Questo posto tira fuori il peggio di me.”

Io la osservo per un attimo, e l'unica cosa che vedo è una donna estremamente bella... che si è difesa da attenzioni non gradite. Stasera, poi, non c'era storia per nessun'altra delle ragazze, che messe accanto a lei passavano assolutamente inosservate. Non mi sembra esattamente 'il peggio di lei', tutt'altro.

“... Io non direi!” Commento infatti con un sorriso eloquente.

Ma la sua reazione non è quella che immaginavo, perché chiude gli occhi inspirando a fondo, infastidita.

“Che...? Scusa, ho detto qualcosa di sbagliato?” Le domando, il mio era solo un complimento.

“No... non sei tu, sono io.” Mi dice, una nota di rabbia nella sua voce.

“Che c'è?” Le domando cautamente. Se non ho detto nulla di male, allora dove sta il problema?

Fissa un punto lontano per qualche istante, poi torna a guardarmi.

“Sai da che cosa mi vestivo a Carnevale?” Mi domanda con un cipiglio indispettito.

Non sto capendo. “No, da co-”

“Da Zorro.” Mi interrompe, senza attendere che io finisca la domanda. La mia espressione stupita parla da sé. “Mia madre voleva farmi vestire da principessa, come mia sorella, ma io niente... e dal costume di Zorro alla divisa da Carabiniere non è cambiato molto...”

Adesso inizio a capire.

Lei sospira, alzando gli occhi verso il cielo. “Se solo avessi dato retta a mia madre, forse... fossi stata un po' più principessa, magari...” Torna a guardarmi con un velo di tristezza nello sguardo. “Non lo so... Le cose sarebbero andate in modo diverso.”

“Diverso da cosa?” Le chiedo, sedendomi un po' più vicino a lei, che mi lancia un'occhiata eloquente. “Giovanni si sarebbe fatto prete anche se tu fossi Belen Rodriguez... Lascia stare,” le dico con dolcezza, “è meglio che tu resti come sei, e non vale la pena di cambiare per gli altri. È meglio restare se stessi, anche a costo di rimanere soli.” Lei accenna un sorriso, comprendendo appieno quello che sto cercando di dirle, così continuo, decidendo di essere un po' più chiaro riguardo alla mia frase di poco fa. “E comunque il vestito ti stava bene... Bene, bene, bene, bene...”

Sono tremendamente in imbarazzo, ma non importa perché è la verità, e il rossore sulle sue guance e il suo “Grazie” appena sussurrato valgono più di qualsiasi altra cosa.

“Però... non è per questo che mi hai chiamato, vero?” Le domando, anche se avrei desiderato non interrompere questo momento tra noi, non interrompere quello scambio di sguardi che ha riportato lo sciame di farfalle nel mio stomaco, e che ultimamente sembrano farsi sentire sempre più spesso quando sono con lei.

“No...” conferma con un piccolo sospiro prima di prendere la pochette che si è portata dietro. “Ho trovato queste...” spiega, riferendosi a una bottiglietta verde con delle pillole all'interno. “Erano in camera di Adelaide. Le prende sempre, ma a me sembra sempre più instabile. Facciamole analizzare.”

“Va bene.” Asserisco, e faccio per continuare ma lei si volta, tornando a guardare l'acqua della piscina con sguardo assente e inspirando profondamente, in una delicata ma chiara richiesta di essere lasciata sola.

Non vorrei andarmene, ma rispetto la sua scelta.

 

Mentre torno a casa in auto, mi ritrovo a ripensare a questa sera. Più passa il tempo, più Anna mi sorprende. Ogni volta che mi svela un pezzetto di sé, è sempre qualcosa che non mi sarei aspettato.

È diversa dalle altre donne che ho conosciuto finora. Solo adesso che l'ho vista insieme ad altre ragazze mi sono davvero reso conto di quanto lo sia.

Quando il Maresciallo l'altro giorno ci ha descritto Guia come una ragazza timida e poco adatta a un reality, non ho potuto fare a meno di pensare che la stessa descrizione potesse andare bene per Anna, anche se con motivi diversi. In questo senso, lei è più introversa e poco propensa ad aprirsi, a meno che non si fidi davvero. Non è una che si lascia andare alle emozioni, e soprattutto non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Un po' come ha fatto con Giovanni. Ci ha provato, a riconquistarlo, ma quando ha capito che lui ormai aveva deciso si è messa da parte senza permettergli di tentare di usare le solite frasi fatte e parole dolci per cercare di indorare la pillola. Gliel'ha detto lei stessa, che aveva già intuito la sua scelta, e che non c'era più niente da fare per loro.

Lasciata sì, ma con dignità.

Sa come difendersi e come apparire forte, mostrando solo la facciata da Capitano anche nella vita privata, se questo implica provare a proteggere il suo cuore.

 

Anche se questo non significa che poi soffrirà di meno. Tutt'altro.

 

[…]

 

Il giorno dopo scopriamo l'identità del vero colpevole: Costanza Busto, la produttrice, che aveva sfruttato Guia per fare più ascolti obbligandola a indagare sulle altre ragazze, ma quando lei si era opposta il loro litigio era sfociato nel suo ferimento.

 

Anna torna a lavoro il giorno stesso, e quando passo da lì, mi scopro più felice del dovuto di rivederla in divisa e con i capelli legati nel solito chignon fuori dalla Caserma, mentre noto Don Matteo allontanarsi. La vedo tranquilla, e di nuovo a suo agio.

Per qualche motivo, mi sembra anche più bella di prima.

Mi avvicino a lei. “Ehi... Bentornata, Capitano!” La saluto, sorridendo. Gesto che lei ricambia con entusiasmo. Prima che possa dire qualcosa però, notiamo avvicinarsi nientemeno che il 'principe', venuto probabilmente per rilasciare la sua testimonianza come tutti gli altri componenti del reality.

“Salve...” saluta. Io mi limito a un cenno. “Allora sei un Capitano dei Carabinieri!” Esclama rivolgendosi ad Anna, la sorpresa evidente nel suo tono.

“Già...” Conferma lei, sempre molto socievole quando c'è questo tizio intorno. Deve proprio detestarlo.

“Mi dispiace per... ieri sera.” Mormora lui, riferendosi al ballo.

“Dovresti imparare a chiedere il permesso, prima di toccare. In genere è una cosa che insegnano fin da bambini.” Lo rimprovera Anna con voce inflessibile, e io non mi trattengo dal ridacchiare.

“Sì, beh, magari da adesso in poi ci penserò più di una volta. Non mi va di finire di nuovo steso a terra con un braccio indolenzito.” Dice imbarazzato, prima di salutarci ed entrare in Caserma.

Anna scuote la testa, esasperata. “Non gli ho fatto così male... se avessi voluto, a quest'ora non camminerebbe sulle sue gambe.”

“L'avevo intuito... Tutto bene mentre si è limitato ad osservare e basta, finché non ha oltrepassato il limite.” Commento. “Come il proverbio, 'si guarda ma non si tocca', in questo senso?”

“Mh... diciamo di sì. Più o meno quello che hai fatto tu.” Mi lancia uno sguardo malizioso, prima di voltarsi e tornare anche lei in Caserma, lasciandomi lì impalato ad arrossire per essermi fatto beccare in maniera così spudorata.

Rido tra me prima di seguirla su per le scale.

Sarà anche un Capitano dei Carabinieri, ma come donna ci sa fare sicuramente.

 

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Capitolo 9
*** Pene d'amore ***


 

PENE D'AMORE

 

Anna oggi mi sembra particolarmente agitata, e non capisco perché. Okay, il caso su cui stiamo iniziando ad indagare non è dei più semplici, ma lei non è una che si fa prendere dall'ansia per mancanza di indizi.

Incontro lei e il Maresciallo all'ingresso della Caserma dopo il loro sopralluogo all'ospedale dov'è ricoverato il bambino nato prematuro. Stiamo ancora discutendo quando Anna apre la porta del suo ufficio, ed esclama, “Mamma! Ancora qui?”

Io mi blocco sui miei passi.

 

“Certo! Dove vuoi che vada, tutta sola...!” Commenta una donna bionda e ben vestita, che deduco essere quindi sua madre, in tono che sottolinea l'ovvietà della cosa.

Ah. Ecco spiegato il motivo dell'agitazione, quindi. È bastata una frase per farmi capire che la signora è l'esatto opposto di Anna, in quanto a carattere. E pure per lo stile, decisamente.

“Non mi presenti i tuoi colleghi?”

Io entro lentamente in ufficio, trattenendo a stento un sorriso ironico. Ma sì, meglio cercare di fare una buona impressione e svignarmela.

“Certo...” risponde il Capitano, in imbarazzo. “Conosci già il Maresciallo Cecchini, e lui è... ehm...”

“Marco Nardi, il PM.” Mi presento, facendo il baciamano alla signora, che scopro chiamarsi Elisa.

Anna mi lancia un'occhiataccia, che mi diverte ulteriormente.

“Son venuta a fare un salutino ad Anna e Giovanni. ...Lo conosce, no, Giovanni?”

Annuisco, eccome se lo conosco.

“...Il suo fidanzato?”

Io spalanco gli occhi, interdetto. Fidanzato? Perché, si sono rimessi insieme e io non ne so niente?

Uno sguardo eloquente di Anna e Cecchini mi fa capire che devo reggere il gioco. Okay, ora ti sistemo io. Ti ho beccata a dire una bugia, ora vedi!

“Certo! Sì, sì, sì, sì, è... un grande!” A farsi sfuggire Anna, sì. Ehm. “È un ragazzo... d'oro! Anna è davvero una donna fortunata!” Rincaro la dose, girandomi ad osservarla e trattenendomi dallo scoppiare a ridere: sta facendo di tutto per non picchiarmi ma nella sua testa sono convinto me ne avrà dette di tutti i colori. Ma dai, come potevo non approfittarne? Quando mi ricapita, di poterla prendere in giro senza che lei possa reagire?

“Beh, io vi lascio perché immagino abbiate molto di cui parlare. Madame,” faccio un leggero inchino alla signora Elisa prima di svignarmela senza però smettere di tenere d'occhio Anna, che ha tutta l'aria di voler sparire.

 

[…]

 

Più tardi, mi richiamano perché hanno trovato un possibile sospettato: una delle guardie ha avuto una relazione con la detenuta morta, mettendola incinta mentre era in carcere. Senza un alibi adeguato, ha tutte le carte in regola per essere l'assassino della ragazza.

Mentre Ghisoni lo porta via io rispondo a una chiamata, ma mi affretto a staccare sentendo la interessante conversazione tra Anna e Cecchini: a quanto pare sua madre, incontrando Giovanni per caso, ha capito erroneamente che lui le abbia chiesto di sposarlo. Lei sembra in preda al panico, e il Maresciallo tenta di tranquillizzarla dicendole di lasciar credere la storia alla madre, tanto si tratta solo di due giorni, e di fidarsi di lui. Mi rendo conto che, nonostante i dissidi iniziali, anche Cecchini si sta affezionando molto ad Anna, ed è una cosa che mi fa molto piacere.

“Va bene!” acconsente lei infine, chiaramente terrorizzata e portandosi una mano al petto come se le mancasse l'aria. “Non si abitui, perché non vedo altre possibilità...”

Io ne approfitto per avvicinarmi, e per dire la mia.

“E fu così che vissero tutti felici e in convento!” Dico in tono drammatico.

“L'interrogatorio è finito, non te ne dovevi andare?” Mi chiede Anna, inviperita.

“Sto andando, sto andando, mi scusi.” faccio, rivolto a Cecchini in modo che mi faccia passare.

“Ma che scherza, è una cosa seria!” Mi rimprovera lui.

Io non resisto. “Scusate, ma ho sentito, era un invito a nozze...” infierisco, passando in mezzo a loro due.

“Vai!” mormora rabbiosa lei, ormai al limite della sopportazione, con un chiaro gesto che mi indica la strada, e non quella d'uscita.

“Sto andando, non ti arrabbiare!”

“Ci gode!” Sento dire a Cecchini mentre esco, e non mi trattengo più dal ridere. Certo, non è stato carino da parte mia, però la tentazione era troppo forte.

E poi io adoro farla indispettire, è una cosa che mi piace da matti.

 

[…]

 

Dopo aver convocato il signor De Vitis, rimasto senza una gamba e vedovo nell'incidente provocato qualche anno prima dalla detenuta morta, la madre di Anna torna a presentarsi in ufficio convinta di doversi fare carico dell'organizzazione del matrimonio della figlia. Stiamo scendendo la scalinata d'ingresso quando la signora quasi inciampa, e io mio affretto a darle una mano, da perfetto gentiluomo.

“Confetti... allora, confetti...” elenca subito dopo aver riacquistato l'equilibrio, e con mio estremo divertimento vedo Anna tornare ad evitare il suo sguardo. “Poi bisogna prenotare la Chiesa e... Oh, Maresciallo, venga!” Lo chiama a voce alta non appena lo nota poco più avanti, intento a parlare con Don Matteo. Per una volta il Capitano non dice nulla, ha problemi peggiori a cui pensare. “Maresciallo, non ci siamo, ancora non ci siamo!”

“Non ci siamo, cioè... dove dovevamo essere?” Domanda lui, spaesato.

“Manca l'abito da sposa! Ci accompagni!”

Anna gli lancia uno sguardo supplichevole.

“Eh no, forse... a Spoleto non ci sono negozi che vendono abiti da sposa!”

Stavolta l'ha detta così grossa che scoppio a ridere senza pensarci, e perfino Anna scuote la testa, rassegnata.

“Ma non dica sciocchezze, lo so io dove si va, su!” Lo rimprovera la signora Elisa in tono pratico.

“Giusto, signora! Bisogna andarlo a comprare, quest'abito da sposa per il matrimonio con Giovanni, giusto?” Infierisco io girandomi a guardare Anna, che mi lancia uno sguardo che promette vendetta.

“Ehm... non ti preoccupare, mamma, non c'è bisogno che mi accompagni.” Tenta di sviarla lei, ovviamente senza successo.

“Non posso lasciarti andare da sola, saresti capace di sposarti in pantaloni! Muoviamoci,” continua, rivolta al Maresciallo.

“Ma che cosa c'entro io?” Chiede lui a ragione.

“Ma non vorrà lasciare due donne sole a fare un acquisto così importante!”

“È giusto!” Commento io. Se Anna non mi ammazza ora, non lo farà più in nessun caso.

“E poi ci vuole un uomo per... contrattare con le commesse...” Ho la netta sensazione che la signora non avrebbe bisogno di nessun aiuto, anche se lei sostiene il contrario. Queste sue affermazioni mi sembrano un tantino esagerate, come se una donna, da sola, non fosse capace di sbrigarsela. Anna di sicuro lo è, non ha bisogno della balia, al contrario di quello che a quanto pare crede sua madre.

“Pure lui è un uomo!” Tenta di svincolarsi Cecchini, indicando me. Io? No no, non scherziamo.

“No! No no no, Maresciallo, Lei è sposato!”

“Ma io sono sposato antico e i vestiti che andavano di moda una volta non vanno più di moda... ora...”

“No, ma... Lei ha proprio più dimestichezza in questo campo... Ha gusto!” Lo sto proprio buttando a capofitto in questa situazione di proposito, per vendicarmi delle volte che mi ha messo nei casini lui. “Mi dispiace perché, signora, sarebbe stato un vero piacere aiutarla!” Dico alla madre di Anna, prima di girarmi verso di lei ridacchiando. Ecco, ora mi ammazza.

“Ecco, ha sentito? Muoviamoci!” Ordina imperiosa la signora Elisa.

Anna e il Maresciallo la seguono, non prima di avermi lanciato uno sguardo disperato e, nel caso di Anna, rancoroso. Io li saluto, ridacchiando.

Sono proprio curioso di sapere come andrà a finire e mentre aspetto che rientrino, seduto nella stanza del Capitano, cerco anche di auto-convincermi che questa storia del matrimonio di Anna mi diverte solo perché mi dà modo di provocarla, e non perché sia una finzione. Se dovesse veramente sposarsi, saresti davvero così felice?

 

Quando Anna torna in ufficio circa un'ora dopo, ha una strana espressione, e tiene stretto un catalogo dell'atelier.

“Ehi, io son profondamente deluso, eh, non mi avete ancora mandato la partecipazione,” scherzo senza alzarmi dalla sedia posizionata davanti alla sua scrivania.

“Marco, che vuoi da me?” Mi chiede, apatica.

“No, vorrei sapere se avete verificato l'alibi di De Vitis, ma tu sei impegnata ancora a giocare a Barbie Sposa, quindi niente.”

“Ti sembra un gioco? Eh?” Domanda cambiando completamente tono, e con orrore mi rendo conto che ha gli occhi lucidi.

Io mi alzo, portando le mani avanti per cercare di calmarla. Forse ho esagerato. “Anna, sto scherzando! Ehi...” Lei non accenna a muoversi. “Ma... la casa, il vestito... Ammetterai di essere un tantino-”

“-ridicola. No, vigliacca.” Mi interrompe lei. Non erano queste le parole che avrei scelto, e nemmeno quelle che penso, ma non mi lascia parlare.

“Sì, lo sono!” continua, e il suo tono adesso si fa pieno di rabbia. “C'è sempre stata mia madre che mi assillava con le sue convinzioni! 'Se diventi un carabiniere, non sposerai mai un uomo', mi diceva, 'perché gli uomini non vogliono donne che comandano, vogliono donne che ascoltano... che gli stanno vicino, se no poi quelli prendono altre direzioni...'” Arrivata dietro alla sua scrivania, abbassa lo sguardo sul catalogo che ancora tiene in mano. “E c'aveva ragione... C'aveva ragione su tutto.” All'improvviso scaglia con forza il libro sul tavolo, facendomi sussultare. Poi torna a guardarmi, e nei suoi occhi vedo solo dolore e rammarico. “È che mi dà fastidio dover ammettere di aver fallito, di sentirmi dire di nuovo 'te l'avevo detto'...” Io non riesco a sostenere il suo sguardo luccicante di lacrime.

Non mi aspettavo questo sfogo, ammetto di essere stato insensibile, ma non pensavo di causarle tutti questi problemi. Non era mia intenzione farla star male...

“Anna...” Tento con la volontà di scusarmi, ma lei non mi lascia continuare.

“Non mi aspetto che tu capisca.” Mi dice soltanto, il disappunto chiaramente visibile sul suo volto, prima di afferrare il cappello e andare via, lasciandomi solo a crollare sulla sedia e sentirmi uno schifo per come l'ho trattata.

 

Anche la sera, una volta tornato a casa, non riesco a smettere di pensare a quella conversazione.

La verità è che ho sottovalutato la gravità della cosa, pensavo fosse solo una bugia dettata dalla sua paura di dire alla madre la verità circa la fine della sua relazione, ma dopo il suo sfogo mi sono reso conto che c'è molto di più di questo.

Ho intuito il carattere della donna, che sa essere molto critica e avere poco tatto, ed effettivamente posso immaginare quanto sia difficile sostenere una conversazione con lei senza alterarsi dopo qualche secondo. Mi tornano in mente anche le parole di Anna qualche settimana fa durante quel reality, dopo l'incidente sulla pista da ballo.

'Mia madre voleva farmi vestire da principessa, come mia sorella, ma io niente.'

Come ho fatto a non ricordarmelo? Se solo ci avessi riflettuto un attimo prima di aprire bocca, forse mi sarei comportato diversamente fin da subito. Non avevo capito le implicazioni di quella frase, che quell'allusione ad un innocente comportamento da bambina avesse avuto così tante ripercussioni anche sulle sue scelte da adulta.

Non avevo mai considerato l'idea che sua madre potesse non essere d'accordo con la sua decisione di diventare un carabiniere. Io non ho mai avuto pregiudizi in questo senso, nonostante la mia iniziale titubanza, comunque legata alla mia ferita recente e senza niente di personale nei suoi confronti.

Capisco anche meglio a cosa si riferiva quella volta in macchina, quando mi ha detto che aveva sempre dovuto lottare contro tutti per ottenere quello che ha. Solo ora mi rendo conto che, in quel 'tutti', c'era anche la madre.

Non pensavo ci fosse qualcuno ancora in grado di pensare quelle cose. Che una donna che comanda non si sposerà mai perché non è quello che gli uomini vogliono.

Ma cosa ne sa, lei, di quello che vuole un uomo? Di cosa sia meglio per noi?

 

***

 

In tarda mattinata, il giorno dopo, sono appena uscito dalla caserma dopo aver preso dei documenti, quando proprio lì in piazza incontro un amico e mi fermo a scambiare due chiacchiere con lui. Dopo qualche minuto, con la coda dell'occhio noto arrivare il Maresciallo in compagnia del Capitano e di sua madre, e anche da lontano capisco che c'è qualcosa che non va. Vedo il Maresciallo entrare in caserma, anche se non mi sembra contento di lasciarle da sole, così saluto il mio amico e mi avvicino, cercando di capire cosa si stiano dicendo le due donne.

“...che gli uomini li avresti fatti scappare.”

Suppongo abbia quindi scoperto che si sono lasciati.

“Lo so che me l'avevi detto, continui a ripetermelo.” Mormora Anna, tenendo gli occhi bassi.

“E credi che mi diverta?” riprende sua madre in tono di rimprovero. “Lo faccio per te! Io ho dedicato la mia vita a te e a tua sorella, e tu che cosa fai? Mi seppellisci sotto una montagna di bugie!”

“Mi dispiace.” sussurra di nuovo Anna, e dalla sua voce capisco che sta cercando in tutti i modi di non piangere. Io non riesco a credere alla scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi. Davvero si sta scusando per una cosa del genere? Per aver cercato di non darle un dispiacere?

“È a me che dispiace,” la contraddice la signora, “sei riuscita a deludermi anche tu.”

Anna non fiata, ma torna ad abbassare lo sguardo e annuisce, sconfitta, prima di girarsi e incamminarsi verso la caserma.

Non ce la faccio, non sopporto di vederla stare così male. Di vederla incassare quelle parole così ingiuste senza far niente.

“Deluderla?” esclamo, esterrefatto, avvicinandomi a sua madre. Anna si ferma, e so che forse sto sbagliando a mettermi in mezzo, ma davvero ne ho abbastanza. Non ha nessun diritto di dirle quelle cose. “Lei dovrebbe essere orgogliosa di avere una figlia come Anna! Una figlia che ogni giorno viene a lavorare con passione, e che sa ascoltare le persone...” Scuoto la testa, incredulo, voltandomi a guardare la donna che, da quello che ho avuto modo di vedere, si è comportata al contrario di come dovrebbe fare una madre. “Come fa a non rendersene conto? Io sono solo un collega, eppure l'ho capito subito... Anna fa un lavoro da uomo, vero... È più donna di tutte quelle come voi! Voi volete incasellare gli altri, cambiarli, renderli migliori... migliori per chi?” Deglutisco a forza, trovandomi di nuovo, per l'ennesima volta nella stessa situazione. “Voi ci chiedete di cambiare, ma quando ci riuscite vi stancate...”

“Ma Lei come si permette?” Mi interrompe sua madre, probabilmente scioccata dalle mie parole. “Io amo mia figlia, non mi stancherei mai di lei!”

“E allora se la ama non le chieda di cambiare, e la ami per quello che è... perché non è niente male.”

Mi volto per un attimo a guardare Anna, ancora ferma a metà strada a darci le spalle, prima di salutare sua madre e andarmene.

Meglio non entrare in commissariato adesso, ho bisogno di riflettere, e anche lei avrà bisogno di pensare. Spero solo che domani non sarà troppo arrabbiata con me.

 

Per la seconda sera consecutiva, la mia mente è rivolta ad Anna.

So che ho sbagliato a intromettermi, la situazione non mi riguardava affatto, però non ce l'ho fatta, a resistere. Non me la sono sentita, di lasciarla lì a subire senza dire niente. Di vederla sull'orlo delle lacrime, ferita dalle parole della persona che dovrebbe amarla e sostenerla di più.

Ha già perso suo padre, anche se non ne conosco il motivo o i dettagli, quindi a maggior ragione sua madre dovrebbe aiutarla, non buttarla giù in quel modo.

 

Ripenso anche a quello che le ho detto io.

Inavvertitamente, ho ammesso più di quanto avrei voluto, facendo riferimento alla mia esperienza personale, e mi accorgo che senza rendermene conto ho capito che Anna non ha mai fatto niente per cambiare il mio comportamento. A parte qualche battuta sul mio abbigliamento, o la mia mania di scherzare anche a sproposito, non ha mai detto nulla. E comunque anche quelle osservazioni le ha sempre fatte senza malizia o secondi fini.

Anche il fatto che non sia niente male... lo pensavo davvero. Ho capito che è in gamba, che è determinata, ma che sa essere anche dolce e sensibile.

 

Ho capito anche che... è una donna di cui potrei innamorarmi.

 

Reprimo a forza quel pensiero. No, non posso, non devo.

 

Non mi sto innamorando di Anna.

 

***

 

La mattina dopo decido con molta riluttanza di andare da lei in ufficio. La devo affrontare prima o poi, e magari se lo faccio subito sarà meno difficile sopportarlo.

Così quando arrivo alla sua porta, stranamente aperta, la trovo seduta su una delle due sedie poste davanti alla sua scrivania, così che mi dà le spalle. Busso battendo piano il pugno contro lo stipite. Voglio darle la possibilità di ignorami o cacciarmi, se vuole.

Anna si volta a guardarmi, e ho come l'impressione che mi stesse aspettando.

“Chiudi la porta, per favore.” si limita a mormorare lei, alzandosi e invitandomi ad entrare.

Io faccio quanto mi dice e poi mi avvicino, mantenendo lo sguardo basso.

“Per quanto riguarda ieri con mia madre...” esordisce, ma io la blocco. Non voglio che sia arrabbiata con me. Ci ho pensato, e non riesco nemmeno a sopportare l'idea che lo sia.

“Non dovevo intromettermi, lo so.”

“Grazie.” Mi dice invece lei, spiazzandomi. Alzo lo sguardo, e vedo che sorride, ma dura solo un attimo perché riprende la solita facciata rigida, aggiungendo, “Anche se non ce n'era bisogno.”

Non mi sarei aspettato niente di meno. E allora perché mi sento così deluso?

Poi lei continua, “Marco, nello sfogo di ieri c'era... qualcosa di personale, vero?”

Allora se n'è accorta. Ha capito, di nuovo.

Sono tentato di dirle di sì, che ha ragione, e di raccontarle della mia ex, e sto davvero per farlo, ma all'ultimo secondo cambio idea.

Non voglio che lo sappia. Che mi guardi con compassione. O che cambi opinione su di me.

“...no. No, no, che mi risulti, no.”

Ma dal suo sguardo penetrante capisco che non mi crede.

La nostra conversazione viene comunque interrotta da Zappavigna, che ci informa che abbiamo visite.

Ho fatto bene a non dirle niente, non sarebbe stato il momento adatto.

Forse non lo sarà mai.

 

Forse.

 

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Capitolo 10
*** Una famiglia normale ***


 

UNA FAMIGLIA NORMALE

 

Questo aprile è iniziato da poco e già ci stiamo trovando di fronte a un caso particolarmente articolato.

Quella che sembrava un'aggressione conseguita alla scoperta di un tradimento si è rivelata nascondere ben altro, e in una misura ancora da definire: un atto di bullismo.

Il merito di questa rettifica va tutto ad Anna: poco fa quando abbiamo interrogato la signora e il cognato, entrambi coinvolti in uno scambio di sms di lei col marito che sembravano indicare chiaramente una storia clandestina tra i due, Anna si è resa conto che la donna era più interessata a utilizzare il cellulare che a rispondere alle nostre domande nonostante la gravità della situazione, e ha tratto le sue più che corrette conclusioni – non si trattava di un tradimento, ma di qualcosa in cui era coinvolto il figlio, l'effettivo autore dell'atto di bullismo, che in quel momento era fuori per un concerto e che avrebbe dovuto parlare con il padre la sera prima, quando questo era stato di fatto aggredito.

Tralasciando comunque i dovuti complimenti, devo dire che Anna si è particolarmente divertita a interrompermi ogni tre secondi in quell'interrogatorio, perennemente in disaccordo con quello che avevo da dire. Okay, ammetto che aveva ragione, ma magari un po' più di gentilezza invece di interrompermi in mezzo alla frase ogni volta che aprivo bocca?

Va bene, va bene. Ci ha capito più di me solo osservando il comportamento della signora, e le ha tirato fuori il vero problema con molta delicatezza. Sa ascoltare e capire gli altri utilizzando semplicemente il buonsenso. E io stavo per dire cavolate. Okay, mi arrendo.

D'altronde ha ragione di nuovo: meglio indagare su questo video, sembra essere la chiave per risolvere il mistero.

 

A un certo punto sentiamo un trambusto in piazza, così ci avviciniamo alla finestra, incuriositi: c'è Carlo Conti, e non appena scendiamo a capire che succede, scopriamo che Cecchini lo ha involontariamente spinto giù dal palco. Anna è mortificata e a dir poco furibonda, e cerca come può di arginare le conseguenze dell'accaduto.

“Signor Conti, le dispiace se parliamo un attimo nel mio ufficio? Prego.” Lo invita a salire su, lanciando in contemporanea un'occhiataccia al Maresciallo. Conti fortunatamente la segue.

Io resto un momento con Cecchini, per capire come sia riuscito a cacciarsi in un guaio simile.

“Ma che ha combinato?”

“Gli ho spaccato la testa,” mormora lui, prima di spiegarmi che in realtà lo ha fatto per Cosimo, che Sofia lo ha iscritto a questo concorso musicale per famiglie convinta che non lo avrebbero mai preso, e invece lo hanno selezionato. Solo che Cosimo, non avendo genitori non potrà ovviamente partecipare. È una cosa a cui però teneva particolarmente perché aveva sempre guardato i suoi programmi con la mamma, e per lui è una specie di mito. Così Cecchini ha tentato di parlare con Conti per convincerlo a fare un'eccezione, ma è andata a finire un tantino diversamente.

Io non so se ridere o meno, è una cosa abbastanza seria in realtà. Lo accompagno su e raggiungo Anna, che nel frattempo ha fatto accomodare nel suo ufficio l'avvocato e la segretaria di Carlo Conti, insieme a lui. Le spiego brevemente come stanno le cose ed entriamo anche noi a parlare con i tre, per tentare di limitare i danni. Raggiungiamo un compromesso, ma il Maresciallo dovrà fare attenzione. Quando escono dall'ufficio, Anna si posiziona davanti alla scrivania di Cecchini scura in volto, aspettando che vadano via. Una volta usciti, si incarica di informare il Maresciallo di quanto deciso.

“Mi ha denunciato?” Chiede immediatamente lui a voce bassa.

“No,” nega lei, ed è strano vederla così seria con lui. “Ma l'avvocato di Conti vuole che Lei stia alla larga da lui fino a quando sarà a Spoleto, e non l'ha chiesto come favore, ma come provvedimento restrittivo nei suoi confronti.”

“Un... Daspo, come un ultrà...” minimizza. “Va bene, va bene!”

Io ridacchio. Certo, la stessa cosa identica.

“Maresciallo, che le è saltato in mente?” Domanda Anna, indispettita.

“Però bisogna tenere presente che si trattava di accontentare un desiderio particolare di Cosimo... Su, dai!” Cerco di alleggerire la cosa io.

Lei mi guarda con la stessa espressione minacciosa. “Che fai, l'avvocato difensore?”

“No! Sto-”

Ed ecco che ci risiamo, mi interrompe e torna a rivolgersi a Cecchini. Ma che ha, oggi?

“Maresciallo, per favore stia lontano da Conti. È un ordine!” Precisa, prima di tornarsene in ufficio. Io la guardo un po' sorpreso.

“Non c'è problema... Meno male, io non l'ho fatto apposta,” si giustifica lui demoralizzato.

“Su, Maresciallo, sono convinto che Cosimo capirà... e sa come è fatta Anna, fa la scontrosa ma Le assicuro che ha cercato di difenderla in tutti i modi davanti all'avvocato.”

Anche se fa così, adesso, lo ha veramente difeso a spada tratta poco fa. Gli si è affezionata molto, anche se non lo ammette, e non lo metterebbe mai nei guai, non se può evitarlo.

Cecchini annuisce. Spero solo che non ne combini altre.

 

[…]

 

La mattina dopo finalmente il bulletto torna a scuola e noi lo convochiamo in ufficio. Del suo interrogatorio ci occupiamo direttamente io e Anna. Io sono allibito: mi trovo davanti un ragazzo terribilmente presuntuoso che sembra non rendersi conto della gravità delle sue azioni. Anzi si permette pure di fare battute. A me fa perdere la pazienza dopo neanche due minuti, e avrei anche fatto qualcosa in più che alzare solo la voce se Anna non mi avesse bloccato. Non so come abbia fatto a restare così calma e a non rispondere alle sue provocazioni.

Quando va via accompagnato dal padre, usciamo anche noi dall'ufficio. Io sono ancora esterrefatto, come può fingere così? Dire che un'azione di bullismo di cui lui è il diretto responsabile sia una 'cazzata'? Con quell'arroganza, poi.

Cecchini si alza e si unisce a noi due.

“Ti giuro, lo prenderei a schiaffoni,” commento, guardandolo uscire.

“Sì, bravo, così gli insegni meglio a fare il prepotente,” mi contraddice Anna. Forse ha ragione, ma almeno gli farei chiudere quella boccaccia per un po'.

“Comunque non penso che sia stato lui a tentare di uccidere il padre, dai,” dice Cecchini, dubbioso.

“No, no, non credo.” Concordo io. “L'unica cosa certa è che per fortuna non ho figli!”

 

Proprio in quel momento vediamo entrare saltellando il piccolo Cosimo, che tiene in mano una scatola colorata. Il maresciallo salta su, preoccupandosi all'istante.

“Cosimo! Che cosa fai qua? Hai attraversato la strada da solo?” Lo rimprovera.

“Sta' zitto, bugiardo!” dice il bambino in tono arrabbiato, che a me fa venire da ridere. “Sono venuto per loro due,” continua, indicando me ed Anna. Noi due? Per fare che? “So come andare allo spettacolo: mi serve una famiglia!” Esclama, tutto contento.

Famiglia, nel senso che noi dovremmo... ho capito male, vero?

“Mi fai tu da mamma?” Chiede ad Anna. “Sei gentile e hai un bel sorriso!”

Lei arrossisce, ma io non riesco a trattenermi dal commentare sarcasticamente, “Beh, come mamma forse puoi cercare qualcosa di meglio, credo...” Lei mi lancia un'occhiataccia.

“Però come pa-” Tenta ancora il maresciallo, interrotto di nuovo da Cosimo.

“Sta' zitto, bugiardo!” Dice di nuovo, facendo ridere tutti: ormai l'intera caserma si sta godendo la scenetta.

“Non mi fa parlare...” mormora Cecchini.

“E tu mi fai da papà? Anche se sei strano con quei capelli, ma... sembri bravo.” Dice, rivolto a me. Io? Fargli da papà? No... no?

Stavolta è Anna a ridacchiare, mi sa che ho parlato troppo presto.

“Vi pago se me lo fate!” Ci prega Cosimo, sollevando la scatola che suppongo contenga i suoi risparmi.

“Ehm... Cosimo, io non credo...” Fa Anna, esitante.

Intervengo in suo aiuto. “Io ti ringrazio per la proposta economica, veramente, ma l'idea no-”

“-è bellissima!” Ci interrompe Cecchini. Come bellissima? Maresciallo! “Siete una bella coppia, voi due, scusate!”

Okay, ora che sono in imbarazzo. Non ci mettete nella stessa frase con 'coppia' o qualsiasi cosa che abbia implicazioni simili. La situazione per quanto mi riguarda è già abbastanza complicata di suo senza allusioni esterne.

“Facciamo così,” propone Anna, abbassandosi all'altezza del bambino,“noi adesso andiamo a lavorare, e ne riparliamo più tardi!”

“Promesso?” chiede Cosimo.

“Promesso!” Risponde lei con voce dolce.

“Va bene, ora torni in canonica, ti accompagno io però! Devi stare attento, se vuoi venire qua mi chiami e io ti vengo a prendere!” Sentiamo dire a Cecchini mentre prende Cosimo per mano e lo conduce giù per le scale.

“Ehm...” esordisco io, ritrovando la voce. “Che dici, continuiamo a lavorare sul caso, magari scoviamo qualcosa di utile?”

Voglio ignorare quello che è appena successo. Il Maresciallo può inventarsi un'altra scusa, ma io non ne voglio sapere. Non voglio figli, non ho intenzione di averne, di sicuro non a breve termine e nemmeno per finta.

“Sì... certo...” concorda Anna, così ci affrettiamo a tornare nel suo ufficio, fingendo che non sia successo nulla.

 

[…]

 

Nel tardo pomeriggio finalmente emergiamo dalle carte sul caso. Usciamo dall'ufficio, per sentire Cecchini che termina di fretta una telefonata.

“...Do... Domenica, domenica! C'ho un impegno, domenica!”

“Cosa?” Chiede Anna, incuriosita.

“Domenica mi hanno invitato come giudice di gara... a una gara di cani!”

Cani?

“Di cani?”

“Corsa di cani...”

Mh, non è che mi suoni molto convincente. Vabbè.

“Ah, pensavo una cosa, lasciamo stare i cani... Filippo, quando ha saputo del padre, che stavano quasi per ucciderlo, è rimasto molto sorpreso. Poi un'altra cosa: non sarebbe il caso di indagare e scoprire chi è la vittima del bullismo?” Spiega in tono pratico il maresciallo.

“Certo... e comunque Lei tutte queste cose le ha pensate... da solo.” Fa il Capitano in tono scettico.

Ah, ecco cos'era il 'Do' della telefonata. Don Matteo.

“Perché, uno quando pensa, che pensa assieme a un altro? Da solo!”

“No, aspetti, però...” mi intrometto io, “questa cosa potrebbe aiutare!”

“Ancora a fare l'avvocato difensore!” Mi accusa lei. Ma perché? Che ho detto?

“No! Che c'ent-”

Mi interrompe di nuovo con un gesto della mano. Oggi non è proprio giornata.

“Senta, Maresciallo, Le volevo dire che io stasera sono libera... per quella cosa di Cosimo!”

Che?!

“Veramente?!” Chiede lui, alzandosi in piedi al colmo della felicità. “S'è decisa! Brava, brava, brava!”

“Tra l'altro, bisogna fare le prove perché la performance è tra due giorni!”

“Certo!”

No, ma di che stiamo parlando? No, no, io non ne voglio sapere niente!

“Però non contate su di me, io non me la sento!” Mi tiro fuori immediatamente alzando le mani e ignorando Anna che si gira a guardarmi con un'espressione da 'non-ci-provare-nemmeno', “Non me la sento, mi viene l'orticaria solo a pensarci! No, no, no, no, no!”

“Maresciallo, gli dica qualcosa!” Cambia tattica lei.

“No, no, Lei partecipa, Lei ha promesso!” Io?! Quando?

“Poi.. tu hai detto che sapevi suonare l'armonica a bocca...” Suggerisce Anna. Quindi se lo ricorda, che carina... No, ehi, che carina un cavolo. No! Non vale così!

“Che c'entra, so fare anche altre cose! Cosa vuol dire!” No, non mi lascio convincere.

“E che ci vuole! Si mette là, bemolle, re minore!” Mi rimprovera Cecchini. Ah, pure!

“Tra l'altro, non credo che Lei voglia far piangere un bambino! Eh?” Mormora Anna in tono suadente. No, ti prego, non mi guardare così. Non riesco a dire di no, con quegli occhioni da cerbiatta! Dai, Marco, di' di no! Di' di no!

Oh, al diavolo. Va bene.

“Ragazzi, io non ho questo repertorio infinito, però, eh!” Mi arrendo infine, mettendo però le cose bene in chiaro.

“Un pezzo forte lo troviamo, dai!” Assicura Cecchini mentre Anna si illumina.

 

Andiamo via quasi subito, rimanendo di vederci dopo cena a casa del Maresciallo insieme a Cosimo.

Non riesco a gustare in santa pace nemmeno questi spaghetti allo scoglio perché nonostante cerchi di cacciare via dalla mente l'intera faccenda, torno sempre a ripensarci.

L'hai fatto per fare felice Cosimo. Ti è dispiaciuto per lui, non vuoi farlo rimanere male conoscendo la sua storia. È tutto per il bene di Cosimo. Mi ripeto come un mantra. Anna non c'entra niente. Non hai accettato per lei. Non l'hai fatto per non deludere lei. Né perché l'idea di essere suo marito ti attrae, anche se per finta. Perché non ti attrae. Ovvio, che non ti attrae.

Non sei tu che l'hai immaginata in abito da sposa a percorrere una navata con te ad attenderla quando hai saputo che ne aveva provato uno per il presunto matrimonio col pretino. No, affatto.

 

Metto giù le posate. Mi è passato l'appetito.

 

In che razza di guaio mi sono cacciato?

 

[…]

 

Passo io quella sera dalla canonica a prendere il bambino con la promessa di non riportarlo troppo tardi, arrivando lo stesso con un bel po' di anticipo.

“Dottore, ha mangiato? Casomai mia moglie può preparare qualche cosa!” Mi propone il Maresciallo dopo avermi fatto entrare.

“No, non si preoccupi, ho già fatto. Ma grazie comunque.” Più o meno. “Ha già pensato a qualcosa che potremmo fare?”

“Dipende da cosa sa suonare Lei,” dice in tono ragionevole. Io gli faccio una breve lista dei brani che conosco. Di quei pochi che so, solo uno è vagamente decente. 'Vagamente' è la parola essenziale.

All'orario prestabilito, bussano alla porta.

Cecchini va ad aprire, e Anna fa il suo ingresso in soggiorno, munita di chitarra. La osservo cercando di non farmi notare. È bella pure in jeans e maglietta.

Scuoto la testa. Non ci siamo proprio. Se comincio così siamo a mare.

Saluta affettuosamente Cosimo, che come strumento ha per il momento un triangolo, poi ci chiede se abbiamo già pensato a qualche canzone adatta. Le rispondiamo di sì, e io mi appresto a suonare.

 

“Tu scendi dalle stelle.” Commenta in un tono inequivocabilmente contrario. “Questo è il pezzo forte?”

“Sì! Perché? Se noi lo facciamo bene, proviamo, viene un bel pezzo! Una famigliuola che canta 'sto pezzo, è una bella figura!” Spiega convinto il Maresciallo. Io ho qualche dubbio, in effetti, e le lancio uno sguardo di supplica. Siamo ancora in tempo per tirarci indietro. “Bisogna provare! Certamente, bisogna provare!”

Anna sospira rassegnata, poi si mette la chitarra a tracolla e prende posto accanto a me. “Proviamo...!”

Cecchini ci da 'i tempi', naturalmente sbagliati.

Cominciamo a suonare, e io mi ritrovo a non prestare minimamente attenzione a quello che faccio, troppo preso ad ascoltare Anna cantare. Questa sì che è una veste del tutto inedita del Capitano. Tanto rigida sul lavoro, ma tanto dolce con un bambino senza genitori.

Mi accorgo a mala pena che la canzone è finita.

Cecchini riprende a dare le direttive. “Ecco... poi prendete il bambino, lo mettete in mezzo, a quadretto, vi date un bacio, così la famigliuola è completa.”

No, aspetti. Non ha detto quello che penso abbia detto, vero?

 

Anna's pov

“Ecco... poi prendete il bambino, lo mettete in mezzo, a quadretto, vi date un bacio, così la famigliuola è completa.”

Sollevo la testa di scatto. Bacio? No, chi ha parlato di baci? Il patto era di far finta di essere i genitori di Cosimo, non di andare... oltre!

“...Ripetiamo!” Lo ignoro deliberatamente mentre mi sento arrossire.

“Vi dovete dare un bacio!” insiste il Maresciallo.

Marco è a disagio quanto me.

Conoscendo Cecchini, non la smetterà finché non avremo ceduto, quindi meglio farlo subito e scordarselo per il resto del tempo. Così mi avvicino esitante a Marco, prendendogli titubante il volto tra le mani... e lo bacio sulla fronte. Brava, Anna, sei ufficialmente scema!

“Ma che è, il bacio alla stazione? Sta partendo col treno?” Si indigna il Maresciallo.

“Ma lei è abituata in mezzo ai preti, sa...” commenta Marco. Mi verrebbe voglia di strangolarlo in questo momento. Ignoro pure lui.

“Un bacio! Carlo Conti sa che siete marito e moglie, no? Che è, un bacio? Un bacio!”

Sapesse, Cecchini...

“Vieni...” sussurra Marco, ma io non voglio causare incidenti, e non voglio nemmeno un bacio per finta, così non gli lascio condurre il gioco come sta provando a fare lui. Stavolta opto per un bacio sulla guancia, e mi affretto a riprendere la chitarra per mettere in chiaro che non ho intenzione di concedere altro.

“Commovente,” mormora allora lui al mio orecchio, e io arrossisco di nuovo mentre il Maresciallo ci incita a ricominciare a provare.

Io sono attenta solo per metà, la canzone è così semplice che non ho bisogno di concentrarmi per suonare.

 

La verità è che... non è che non volessi baciarlo, o fare la preziosa. Sono il modo e il contesto che non mi andavano. E poi non voglio che il nostro primo bacio sia per finta.

Primo bacio? Anna, che cosa stai pensando!

Cioè, volevo dire... Non voglio che... che...

Oh, accidenti! Ma a chi voglio darla a bere?

E va bene! Marco mi attrae. Anche se i suoi modi di fare sono l'esatto opposto del mio ideale di uomo e spesso mi fa innervosire da morire. C'è qualcosa in lui che mi intriga non poco.

Da quando abbiamo iniziato a comportarci da persone civili, ho scoperto una persona diversa da quella che credevo che fosse. Anche se succede spesso che mi faccia andare fuori di testa, ogni volta che ho avuto bisogno di sostegno, lui c'era. È stato gentile con me, dolce, e premuroso. Mi ha sempre trattata da pari e mai giudicata, nemmeno quando mi ha vista piangere.

 

Quanto mi sono vergognata quella sera, dopo aver cercato di fare la dura per tutto il tempo, a lasciarmi vedere in quello stato. Sentendolo entrare, mi sarei aspettata qualche battuta delle sue, oppure che se andasse direttamente, e invece non solo è rimasto con me ma mi ha anche consolata, e capita. Così come con la storia del reality. È vero, se n'è approfittato per sbizzarrirsi a prendermi in giro, però quando quello scemo ha allungato le mani, è subito venuto da me a cercare di farmi stare meglio.

Non so perché gli ho raccontato quella cosa di Zorro, quella volta. È una sciocchezza, però è una buona metafora per spiegare un po' il mio carattere, e tutto quello che di conseguenza non sono. Anche lì, accanto alle altre ragazze sicure di sé e della propria femminilità, io mi ero sentita fuori posto e inadeguata, come se il mio essere Carabiniere rappresentasse un ostacolo ai bikini o agli abiti da sera.

Invece Marco mi ha spiazzata. Sono arrossita più per la consapevolezza che ci fosse lui a guardarmi quei due giorni che non per le avance spudorate di quel cretino di Lupo Dossi. E i suoi complimenti la sera del ballo mi hanno lusingata molto, inaspettatamente. Non pensavo mi trovasse... bella. Non ho mai pensato di esserlo particolarmente, non tanto da attirare l'attenzione altrui comunque.

Cioè... apparentemente, anche Dossi si era interessato a me non solo per il mio fisico ma soprattutto per altre qualità, anche se poi aveva completamente sbagliato modo di approcciarsi.

Però Marco mi ha vista in situazioni personalmente più significative, e nonostante tutto non mi considera un disastro. Ne ho avuto la conferma con le parole che ha detto a mia madre qualche settimana fa.

 

Anche lì, all'inizio ha solo pensato a prendersi il gioco di me anche se in modo innocente, di questo sono sicura. Però non sapeva che per me sotto ci fosse ben altro.

Avevo dato corda a Cecchini perché, in fondo, non volevo far dispiacere mia madre che ha sempre adorato Giovanni. Ammetto che un po' di paura l'avevo, però più che altro pensavo che per due giorni ancora avrei potuto fingere che andasse tutto bene e dirle tutto in seguito per telefono, peccato che lui aveva deciso di gironzolare per Spoleto proprio quando non avrebbe dovuto, e si era creato un casino.

Quando ho indossato quell'abito da sposa mi sono sentita... strana. Soprattutto perché se la stessa situazione si fosse verificata qualche mese prima, sarei stata al settimo cielo, ma ora... non riesco a vedermi in quelle vesti, di sicuro non con Giovanni ad aspettarmi su un eventuale altare. Qualcuno c'è, lì in attesa, ma mi obbligo ogni volta a non volerlo vedere. È ancora troppo presto.

Perché non posso provare questi sentimenti quando ho chiuso una storia da così poco tempo, anche se so che era finita già da un pezzo e io non me ne ero resa conto.

Perché forse è solo la mia è solo suggestione dovuta alle sue belle parole. Perché quando ha detto senza mezzi termini a mia madre di amarmi per come sono, perché non sono niente male... io ho sentito il cuore fermarsi, e poi riprendere a battere furioso contro il petto.

Perché mi ha difesa a spada tratta da una persona che non conosce ma che ha capito e saputo far tacere e comprendere. È venuto in mio soccorso anche se avrebbe potuto fregarsene, e invece no.

Tra la sicurezza di farsi gli affari propri e il rischio, ha scelto di rischiare e difendere me, a costo di farsi prendere in antipatia da mia madre.

 

È stato allora che ho capito con maggiore certezza che dev'essere successo qualcosa di grave nel suo passato. Qualcosa che ha a che fare con la fine della sua storia e l'annullamento del suo matrimonio. Non era la prima volta che accennava al vizio delle donne di voler cambiare gli altri a forza. Gli ho fatto capire che ho intuito la natura personale di quelle parole, ma non ho voluto pressare troppo, non voglio che si senta obbligato a raccontarmi i suoi fatti personali. Anche se ci sei rimasta male quando ti ha detto di no.

 

“Inizia a uscire fuori qualcosa,” commenta Cecchini, e io abbandono i miei pensieri e torno a concentrarmi sulla stanza e su quello che stiamo facendo. Ormai stiamo provando da un po', ma comunque a me questa canzone fatta così non convince. E forse ho un'idea.

Metto giù la chitarra per un attimo. “Sentite,” esordisco, “e se provassimo a fare una versione... alternativa?”

Marco raddrizza le spalle. “Spiegati meglio.”

“Ehm,” mi schiarisco la gola. “Tu sai suonare anche il basso, no? E Cosimo a scuola al corso di musica suona il pianoforte... io me la cavo anche con l'elettrica... Potremmo provare a farla diventare un po' più rock.”

Vedo il Maresciallo annuire. “Può essere una buona idea! Quindi quando si prova, domani per la pausa pranzo?”

“Per me va bene! Mi piace questa cosa,” fa Marco con un sorriso, e io arrossisco.

Mentre Cosimo saluta la signora Cecchini, noi due usciamo sul pianerottolo.

“Devo ammettere che mi sto divertendo! Non dirlo al Maresciallo, però...” mi dice, ridacchiando.

Io mi porto una mano davanti alla bocca. “Promesso!”

In quel momento arriva il piccolo, pronto per tornare in canonica. Lo abbraccio, prima di tornare a guardare Marco.

“Bene, allora... ci vediamo domani mattina al lavoro?”

“Certo!” gli rispondo, un po' impacciata. “Buona...notte...”

“Anche a te,” mi augura.

Io aspetto che scendano le scale prima di rientrare nel mio appartamento, dandomi mentalmente della stupida per aver desiderato che non se ne andasse.

 

***

 

Marco's pov

In caserma, la mattina dopo la situazione è tesa: abbiamo scoperto l'identità della vittima dell'atto di bullismo, ma nonostante gli sforzi miei e di Anna di convincerlo a raccontarci la verità, Danilo ha troppa paura, così sono obbligato a disporre il fermo. È una delle cose peggiori che io abbia dovuto fare finora. Mandare in carcere un ragazzo che sappiamo essere innocente ma che non collabora quindi non può essere dimostrato. Oltre a questo, ciò che più mi fa rabbia è che in parte è una situazione in cui mi ritrovo: questo ragazzino è stato tradito da quello che fino a poco tempo fa aveva considerato come un fratello, il cugino con cui era cresciuto, e che lo aveva trattato nel peggiore dei modi solo per farsi forte davanti ai compagni. Mandando all'aria anni di amicizia. Nel mio caso, il mio migliore amico di sempre aveva ben pensato di andare a letto con la mia futura sposa.

Cerco di reprimere questi pensieri, perché proprio non ho bisogno di ulteriori drammi in una situazione così.

Quando lo vediamo andare via accompagnato dal padre, mortificato dalla propria ignoranza, Anna non si dà pace.

“Solleciti i RIS,” chiede a Cecchini, “devo capire se la dinamica dell'aggressione è compatibile con la fisionomia del ragazzo.”

“Comandi,” risponde lui. Prima di eseguire l'ordine però ci ripensa e torna indietro. “Ah, vi ricordo che stasera c'è il test!” Dice a me e ad Anna. Come?

“Che test?” Chiediamo all'unisono, infatti. Ecco, per la prima volta dopo giorni siamo d'accordo su qualcosa. Di che stiamo parlando?

“...Mi sa che mi sono scordato di darvi i libriccini, ieri sera, vero?”

“Che libriccini?” Chiedo. Non parliamo di studiare, no?

“Quelli con le cose da sapere su Cosimo... Tipo, cosa gli piace mangiare, i suoi giochi preferiti... cose così, che i genitori devono sapere! Se vi fanno qualche domanda, dovete essere preparati!” Spiega lui in tono pratico. A me viene l'ansia solo all'idea. Lancio di sottecchi un'occhiata ad Anna, che al contrario sembra tranquillissima. Ah, già. A lei piace leggere qualunque cosa le capiti tra le mani.

Prendiamo i due libretti che lui ci porge, con la promessa di vederci la sera stessa, sempre a casa Cecchini.

 

Inutile dire che io quel block notes non l'ho minimamente toccato. Dai, non può essere così difficile indovinare cosa piace a un bambino di sette anni, no? Almeno spero. In ogni caso non ho più tempo per leggerlo, devo sbrigarmi se non voglio arrivare in ritardo.

Quando salgo l'ultimo gradino della scalinata interna del palazzo, Anna sta chiudendo la porta del suo appartamento.

“Ehi,” la saluto. Lei sorride di rimando, prima di bussare alla porta del maresciallo. Ad aprirci è Cosimo, già prontissimo.

Dopo averci offerto due bicchieri di birra, Cecchini prende posto da un lato del tavolo del soggiorno con il bambino accanto, mentre noi due ci posizioniamo dal lato opposto, di fronte a loro.

“Allora... vediamo, qua, se 'papà e mamma' sono bravi e sono preparati.”

Sentire quei nomi riferiti a me ed Anna mi fa uno strano effetto, e non posso fare a meno di guardarla: ha uno sguardo determinato, che però abbassa non appena percepisce il mio su di lei.

“Qual è il gioco preferito di Cosimo?” Inizia con le domande.

“Macchinine,” è la mia risposta, mentre quella di Anna non coincide.

“Pallone,” mi contraddice.

“Pallone!” conferma il Maresciallo guardandomi male. Cominciamo bene.

“Qual è la vacanza preferita di Cosimo?”

“Mare,” dice lei, che naturalmente è l'opposto di quello che ho detto io, ossia “Montagna.”

“Non ne azzecca una,” si lamenta Cecchini.

“Non ha studiato niente!” Precisa Anna. E ti pareva, che non mi beccava subito.

“Così Carlo Conti se ne accorge subito, che non sono veri!” Piagnucola il bambino.

“Vabbè, non ti preoccupare, poi si mette a studiare...” lo rassicura lui, lanciandomi un'altra occhiata minacciosa.

Anna fa un'espressione sarcastica. Dai, almeno tu stai dalla mia parte!

“Qual è il piatto preferito di Cosimo?” Prosegue il maresciallo.

Questa è talmente ovvia che non ho dubbi.

“Questo lo so... posso dirne una, scusami?” Blocco Anna, che ha già aperto bocca per rispondere.

“Vai.” Mi concede.

“Pizza!”

“Sbagliato!” È l'esito sconsolato del maresciallo, senza contare Cosimo che mi manda a quel paese.

“Polpette al sugo!” Risponde ovviamente in modo corretto miss so-tutto. “Hai anche sbirciato, guarda. 'Piatto preferito di Cosimo', sono le 'polpette al sugo'.” Mi rimbecca, prendendomi il taccuino dalle mani per farmi notare ancora meglio quanto ho toppato.

“Tu sei una secchiona allucinante.” mi limito a dire, infastidito. Ma come ha fatto a imparare tutte queste cose in...quanto? Un'ora quando siamo rientrati da lavoro?

“Tu sì che mi potresti fare da mamma!” Esclama Cosimo battendo il cinque con lei, contentissimo.

“Tu invece come papà fa schifo!” Dice rivolto a me. Ah, bene, pure i complimenti del bambino.

“Grazie, ti assumo come mio motivatore personale.” Gli dico in tono funereo mentre Anna se la ride senza nascondersi poi tanto.

“Facciamo una cosa, dai...” si arrende Cecchini. “Allora, Carlo Conti pensa che voi siete marito e moglie, che siete innamorati, state insieme da tanto tempo, eccetera...”

Maresciallo, Lei non ha idea di quello che sta dicendo.

“Se lui vi fa questa domanda... non è scritto, non è scritto,” ci mette in guardia. Oh, bene, qualcosa su cui improvvisare. “Cos'è che vi ha fatto innamorare l'uno dell'altro? Cosa rispondete?”

Restiamo entrambi senza parole per qualche secondo.

No, Cecchini, non può chiedermi questa cosa. Non sono sicuro che sarebbe finzione, la mia risposta. Ma tanto io me ne sto zitto, non rispondo io, non-

“Rispondo io.” Sento me stesso dire, quasi che la mia bocca abbia un'autonomia propria e non sia collegata al cervello.

Mi giro verso Anna, già rivolta verso di me, in attesa, e mi perdo immediatamente in quelle iridi verdi che mi hanno catturato dal primo momento.

No, Marco, no, non lo dire!

“L'onestà, la fiducia... e poi il fatto che lei, quando ama, ama fino in fondo.”

Lei abbassa lo sguardo, imbarazzata. Hai descritto esattamente i motivi per cui ti sei già davvero innamorato di lei. E non provare a negare!

Poi mi viene un flash della sera prima, della richiesta di Cecchini e la sua reazione, così mando al diavolo quel minimo di lucidità mentale che ancora resisteva, e non so con che coraggio dico il resto.

“... E poi perché lei bacia benissimo!”

“C-”

Non le do il tempo di rispondere perché le mie labbra sono all'improvviso sulle sue.

 

Anna's pov

Mi sta baciando. Marco mi sta baciando. Dopo quelle sue parole, mi sta baciando, la sua mano a trattenere con dolcezza il mio viso così che non possa oppormi.

È un bacio innocente, appena uno sfiorarsi di labbra, ma basta a farmi perdere la testa.

Perché mi sta baciando? E chi è che si oppone?

Sento di essere arrossita, e quando lui si allontana continuando a guardarmi negli occhi per qualche istante, io sono ancora troppo sconvolta per fare qualsiasi cosa.

“Per la scena...” Sussurra lui, prima di girarsi verso il Maresciallo. “È credibile?” Domanda.

Io riacquisto qualche spiraglio di raziocinio e mi limito ad annuire debolmente.

“Credibilissimo!” Si complimenta Cecchini.

Sì, è credibile perché tutto mi sarei aspettata, tranne questo. Il mio rossore era vero, così come il mio imbarazzo. E il fatto che non mi è dispiaciuto per niente. E che per un folle attimo avrei voluto fargli vedere cosa significhi 'baciare benissimo'.

“Ce la facciamo?” Chiede ancora Marco, che sembra incredibilmente il più convinto di tutti. Io mi sveglio dal mio sogno a occhi aperti.

“E ce la facciamo, sì!” Concorda il maresciallo, sollevando il bicchiere. Noi facciamo lo stesso, per brindare (speriamo) al successo.

E alla mia mente definitivamente partita.

 

Marco's pov

Ci salutiamo poco dopo dandoci appuntamento il mattino successivo in ufficio col Maresciallo. Cosimo dormirà da lui, quindi io e Anna gli diamo la buonanotte e usciamo, trovandoci di nuovo sul pianerottolo, come ieri sera.

Di nuovo, da soli.

E ora che faccio? Apro l'argomento? Non dico nulla? Ma mannaggia a me, che mi è saltato in mente, di baciarla?

Dillo, che l'hai fatto di proposito. Che l'idea ti ronzava in testa da ieri quando lei non ha voluto cedere alle richieste del Maresciallo. Che una volta istillata la fantasia, hai pensato quasi solo a quello per tutta la giornata. Che non hai fatto che chiederti che sapore avessero le sue labbra.

“Ehm...” Esordisco, ma mi rendo conto che non so cosa dire. Tutta la sicurezza di poco fa è svanita nel nulla, ora che siamo solo noi due. “Io...”

Lei solleva appena lo sguardo da terra. “...credo sia meglio andare a dormire. Domani ci aspetta una lunga giornata.” Mi interrompe.

“Sì, hai ragione...” acconsento, con un nodo alla gola. Ho combinato un disastro. Adesso non mi parlerà più, ho oltrepassato il limite. “Beh, allora... 'notte.”

“Buona notte.” Mi risponde con un sorriso timido e le guance che tornano a imporporarsi.

Anna apre la porta di casa mentre io mi dirigo già verso le scale. Prima di riuscire a scendere il primo gradino, però, sento la sua voce richiamarmi.

“Marco?”

Mi volto verso di lei. Stavolta la sua espressione è inconfondibile, e colgo un lampo divertito nello sguardo. “Studia!”

Io mi faccio una risata, sollevato. Va tutto bene, non è arrabbiata e non ho fatto un danno irreparabile.

 

In auto, tornando a casa, mi rendo conto con un tuffo al cuore che non mi ha respinto.

Avrebbe potuto, come ha fatto col 'principe', ma non l'ha fatto.

Ma forse l'ha fatto solo per gentilezza, mi dico. Perché sa che non avevo cattive intenzioni.

Non darti false speranze. Sarà anche diversa dalle altre, ma non amerà mai te. È ancora innamorata di Giovanni, è a lui che pensa. Toglitela dalla testa.

 

***

 

La mattina dopo è impegnativa davvero. Scopriamo l'aggressore del padre del ragazzino, e Filippo finalmente si rende conto di rischiare davvero molto col suo comportamento. Mi auguro rinsavisca e cambi atteggiamento. Ha ancora il tempo di redimersi.

 

La sera, quando ci presentiamo all'ingresso per il programma, iniziano i veri problemi. Cecchini si è dimenticato di dirci che servivano anche le carte d'identità, e ovviamente il cognome di Cosimo non coincide né col mio né con quello di Anna. Il maresciallo riesce però a convincere la segretaria di Conti a fare un'eccezione, premendo sul fatto che sia per far piacere a un bambino. Poi lei gli chiede di seguirla e lui molla lì me e Anna portandosi dietro Cosimo. Noi ovviamente continuiamo a fingere che vada tutto bene.

E mentre la collaboratrice si occupa di trascrivere i nostri dati, io ne approfitto per guardare Anna senza farmi beccare, spero.

Mi fa impazzire quando indossa quegli abitini in pelle nera. Come se già non avessi abbastanza fantasie su di lei da non farmi dormire la notte.

Poi la signora ci restituisce i documenti, e noi ci affrettiamo ad andare nel backstage.

 

Come va a finire lo spettacolo? Che la nostra performance non solo conquista il pubblico, ma vinciamo pure la puntata!

Vedo Anna dare il cinque a Cosimo, io sto sorridendo come un ebete, ancora incredulo, quando lei si volta verso di me... e mi bacia.

Anna mi ha appena baciato. Su un palco. Davanti a un mare di gente.

Mi ha baciato.

Evidentemente l'ha fatto per istinto e per spirito di festeggiamento, perché sembra più sorpresa di me di quello che ha fatto.

 

Dopo è un turbinio di complimenti, il primis dal maresciallo che quasi ci strangola per la contentezza, poi Don Matteo e altra gente che non sappiamo chi sia. Penso con sollievo che sia finita lì e che potrò ragionare sull'accaduto e sul da farsi in pace, poi mi ricordo che sono passato io a prenderla a casa, e che la devo riaccompagnare. Perché, se abita di fronte al maresciallo e a tre passi da Cosimo e sarebbe potuta venire tranquillamente con lui? Perché sì. Perché volevo stare con lei, contenti? Non avevo calcolato gli imprevisti, come al solito.

 

Restiamo silenziosi per buona parte del tragitto. Poi è lei a prendere la parola, come ogni volta, per tirarci fuori da situazioni imbarazzanti.

“Sono contenta che abbiamo vinto... Cosimo era felicissimo.”

Io annuisco, sorridendo. “Hai ragione... era così contento di aver incontrato Carlo Conti, e quando l'ha preso in braccio era al settimo cielo. ...E ammetto che questa cosa mi ha divertito un sacco.”

“Già... e pensare che eri tu quello che all'inizio non voleva saperne, uh?” Mi stuzzica.

“Magari avrò esagerato un pochino, su...”

“Hai detto che ti veniva l'orticaria al solo pensiero.”

Mi giro a guardarla. “Mi sa che tu ti ricordi bene troppe cose.”

“Faccio solo attenzione.” Risponde a tono con un sorrisetto. “Non è nemmeno così male, l'idea di un figlio, no?”

“In che senso?” Di che stiamo parlando, ora?

“Nel senso che ti ho sentito, prima. Hai promesso a Cosimo che giocherai con lui a pallone. E in ufficio hai detto anche che per fortuna non hai figli, come se rifiutassi la cosa a priori. Non mi sembravi poi così tanto in difficoltà, con lui, come invece volevi far credere.”

Beccato, eh?

“Beh... sì, okay. Ho esagerato. È che non ho mai preso davvero sul serio l'idea di mettere su famiglia, nemmeno con la mia ex. E non sono mai stato molto bravo con i bambini. O con i ragazzini. Mi hai visto anche tu, con Filippo, no?”

“Sì, ma ti ho visto anche con Danilo. Sei stato attento, premuroso, e hai saputo porgerti nel modo giusto. Non capisco di che hai paura.”

Ci rifletto un momento. Forse non ha tutti i torti. Però...

“Del fatto che un figlio ti stravolge la vita, quando arriva. Cambia tutto.”

“Mh...”, mormora Anna, poco convinta. “Vero, però... può un atto d'amore essere un cambiamento così terribile, poi?”

 

Arriviamo in piazza. Parcheggio, spegnendo il motore. Prima che possa risponderle, lei apre la portiera. “Io vado... ho ancora da sistemare alcuni documenti per domani. Ci vediamo in caserma?”

“Certo... per il caffè ci penso io,” le dico, ancora concentrato sulle sue parole di poco fa.

“Allora... ciao.”

“Ciao...” La saluto, restando ad osservarla mentre apre il portone di casa, vi entra, e lo richiude dopo un piccolo cenno della mano.

 

Metto di nuovo in moto l'auto.

Forse no. Non sarebbe così terribile, l'idea di un figlio. Ma... con la persona giusta.

Ripenso al suo bacio, sul palco.

Sei tu?

 

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Capitolo 11
*** Una questione personale ***


 

UNA QUESTIONE PERSONALE

 

La mia mattinata, cominciata in modo tranquillo come tutte le altre, ha avuto un risvolto che al solo sentirlo mi ha fatto venire un groppo in gola che non credo riuscirò a togliermi tanto presto, insieme al vago senso di nausea che il mio corpo ha istintivamente messo in atto alla notizia che mi hanno appena dato.

Mi hanno telefonato dalla Caserma per informarmi che un ingegnere edile, teoricamente ai domiciliari per il crollo di un palazzo da lui progettato, è stato trovato morto nello studio del suo avvocato. E l'avvocato è il mio ex-migliore amico. Sì, proprio quello che si è portato a letto la mia futura sposa.

Non so con che spirito mi sto recando allo studio, ma di certo devo mostrarmi impassibile. Anna e il Maresciallo non devono sapere. Nessuno sa di questa storia, fa ancora terribilmente male e l'idea di dover rivedere Simone mi fa ribrezzo, ma so che non posso tirarmi indietro.

Arrivato sul posto, raggiungo il Capitano, impegnata a parlare con Cecchini e Don Matteo. Mi volto brevemente verso la targhetta affissa fuori dalla porta con su scritto 'Studio Legale Castagnati', deglutisco e chiedo subito informazioni su come si siano svolti i fatti, senza salutare nessuno.

È Anna a rispondermi. “Don Matteo ha trovato l'evaso nello stanzino delle scope. Riteniamo che si stato aggredito e poi spinto giù dalle scale, morto sul colpo, poi il corpo è stato trascinato nello stanzino. Il tutto dovrebbe essere successo tra le dieci e mezzanotte.” Mi spiega con precisione.

“Simone Castagnati l'avete avvisato?” Domando, con la speranza che non debba essere io a farlo.

“No, non ancora perché non era in studio, stiamo andando nel suo ufficio.” Nega lei, prima di corrugare le sopracciglia e tornare a guardarmi, confusa. “Come fai a sapere che si chiama Simone? Il nome non c'è scritto, lo conosci?”

Mi rendo conto con le sue parole di essermi già tradito da solo. Volevo far finta di nulla, e invece ho già fatto un passo falso, e lei è troppo attenta per non accorgersene. Tu non vuoi che lei lo sappia, quindi vedi di fare attenzione.

Evito completamente di risponderle, optando per entrare nello studio. Gli altri mi seguono immediatamente.

 

Entrare lì mi fa venire un'altra ondata di nausea che trattengo a stento.

Ignoro Anna, che mi lancia un'occhiata indagatrice, spostandomi per la stanza cercando di lasciar fuori le questioni personali e concentrarmi sull'omicidio, quando un portafoto su un mobile attira la mia attenzione: è rivolto verso il basso, probabilmente caduto durante qualsiasi cosa sia successa qua dentro, così prendo un fazzoletto e lo sollevo.

La bile torna prepotentemente in bocca alla vista della mia ex fidanzata e del mio ex migliore amico abbracciati e felici, protagonisti di quell'immagine recente.

La rimetto giù con astio, prima di rivolgermi ad Anna.

“Convochiamo Castagnati.” Le dico, asciutto.

“Io avverto la famiglia,” risponde a voce bassa, incerta.

Dimmi che non hai già capito che c'è qualcosa che non va. Fai finta di non aver notato niente di strano. Ti prego.

 

Quando Simone arriva in caserma, lascio che sia Ghisoni a farlo accomodare in ufficio. Io aspetto che rientri Anna: anche se non deve sapere niente, voglio comunque che sia lì con me. Non voglio restare solo con lui, e magari la sua presenza riuscirà a calmarmi come le altre volte.

Lei finalmente arriva, una strana espressione in viso, e insieme a me e Cecchini si dirige dietro la sua scrivania.

“Avvocato Simone Castagnati,” si presenta lui, alzandosi e porgendo loro la mano.

“Capitano Anna Olivieri,” risponde Anna in tono cortese, “il Maresciallo Cecchini... PM Nardi.” Quando lui fa per stringermi la mano, io non mi muovo dalla mia posizione, in piedi a braccia conserte accanto al tavolo. Lui ha almeno la decenza di abbassare lo sguardo.

“Si sieda,” gli dico soltanto.

Anna è perplessa, lo so, e io per primo non mi sto controllando come mi ero ripromesso di fare, ma è più forte di me.

“Allora, Lei è... l'avvocato di David Guarini... Micol Guarini però ci ha detto che ultimamente non andavate molto d'accordo.” Inizia l'interrogatorio il Capitano.

“Un momento... Lui voleva dichiararsi innocente e rischiava di farsi quindici anni. Io l'ho convinto a patteggiare e... alla fine abbiamo discusso, è vero, però poi lui si è reso conto che la mia era la strategia migliore-”

“Eh no, se era innocente no,” lo contraddico io freddamente. Non è una cosa strana, quella che ha detto, però per me potrebbe dire la qualunque ed essere in torto a prescindere. Non posso passargliela, non dopo quello che ha fatto.

Anna mi guarda, cercando di capire che sto facendo, ma io resto impassibile. Non mi importa se pensi che stia esagerando, tu non sai come stanno le cose.

“Beh... con una scossa del terzo grado quel centro commerciale non avrebbe dovuto avere nemmeno una crepa, invece è crollato completamente, e infatti si sono resi conto che mancava la gran parte del ferro dal cemento armato. E l'unico responsabile del cantiere era David Guarini.”

“Si può sapere di quanti soldi stiamo parlando?” Domanda Cecchini.

“Duecentomila euro, più o meno, l'appalto era intestato alla ditta della moglie di David e al suo socio.”

“Ludovico Foti, noi l'abbiamo incontrato,” ricorda il maresciallo ad Anna, che annuisce.

“Perché quella sera David, un evaso, è venuto nel suo ufficio?” Chiedo io con lo stesso tono di prima.

Lui fa un gesto nervoso, esitando a rispondere,

“Cos'ha fatto alla mano?” Indaga allora Anna, che ha notato una cosa che anche a me era sfuggita: una fasciatura alla mano sinistra.

“...Avevo dimenticato i documenti in studio... e l'ho trovato lì,” ammette con riluttanza. “Gli ho dato gli incartamenti del processo e lui se n'è andato.”

“Perché non ci ha avvertiti subito?”

“Perché mi aveva minacciato! Ho avuto paura.”

“Oppure perché l'ha seguito e ucciso.” Ribatto io. Paura, certo.

Lui si riscalda subito. “Ma cosa dici, Marco? Non puoi pensarlo veramente!” Mi domanda, stupito. Non osare chiamarmi più per nome. Siamo sconosciuti, ormai.

Lancio un'occhiata di sbieco ad Anna, e capisco immediatamente che ogni dubbio sul mio eventuale coinvolgimento è svanito di fronte a quelle parole.

“Lei è in stato di fermo.” Dico, rivolto a Castagnati con una nota di macabra soddisfazione nella voce.

Lui ride amaramente, ma non mi smuove dalle mie convinzioni. “Sarai contento, adesso.”

“Maresciallo, se ne occupa Lei? Grazie...” Lo prega Anna con un filo di voce.

Non farlo. Non farmi rimanere da solo con te. Non voglio trattarti male, per favore.

Simone si alza, lanciandomi uno sguardo sprezzante, che io ricambio con tutto l'odio che riesco a concentrare, notando che anche Cecchini è confuso dal mio comportamento.

Voi non potete capire.

 

Non appena escono chiudendo la porta, Anna non attende un altro istante, ma la sua voce è gentile.

“Mi vuoi spiegare?” Domanda, cauta. “Chi è quell'uomo? Perché ti chiama per nome?”

Io mi rifiuto di guardarla. Mantengo gli occhi bassi, perché so che se li alzassi e incontrassi i suoi adesso, finirei per dirle tutto. Ma lei non deve sapere. Non deve. Fa troppo male perfino pensarci.

“È un sospettato di omicidio,” replico freddamente. “Il resto non ti riguarda.”

L'ufficio diventa improvvisamente troppo stretto, mi sento come se mi mancasse l'aria, perciò vado via immediatamente senza voltarmi indietro.

So che ho sbagliato, che lei ha chiesto solo perché preoccupata dal mio comportamento, ma io resto fermo sulla mia idea.

Non ce la faccio, ad aprirmi. Dalla mia bocca non uscirà una parola.

Anche a costo di farmi odiare di nuovo.

 

Non appena mi lascio alle spalle il portone della caserma, le cose non migliorano, anzi.

Federica è lì e sta aspettando me, ne sono sicuro. Ha appena visto portar via Simone, e sarei disposto a giurare che vorrà qualche tipo di aiuto.

Dopo quello che mi avete fatto, per me non esistete più.

Lei si volta, e si avvicina a me in tutta fretta. “Simone non ha fatto niente e tu lo sai bene!” Esordisce con prepotenza.

“Io sto facendo solo il mio lavoro-”

“No, tu così gli stai distruggendo la vita!”

Mi fermo immediatamente, girandomi a guardarla. Come ti permetti, di dirmi una cosa del genere? Io gli starei distruggendo la vita?

“Voi non vi siete fatti grandi problemi, non è vero?” Le dico, la mia voce intrisa di disprezzo.

“Marco, per favore...” Fa allora lei in tono di supplica. È finito il tempo in cui bastava una tua occhiata a farmi cedere. Una parola a farmi cambiare idea. Le preghiere non servono a niente.

Fa per prendermi il braccio, ma io mi ritraggo immediatamente, come scottato.

“No! Non mi toccare!” Rispondo con rabbia.

“Marco, per favore, ascoltami... Marco, la nostra storia non c'entra niente... Ti prego...”

No. non implorare il mio perdono per voi dopo che mi avete pugnalato alle spalle.

“Io non posso fare niente per lui.” Chiudo la conversazione aspramente, sperando che capisca una volta per tutte che deve sparire dalla mia vita, e andandomene via.

Ho bisogno di stare solo, e di scaricare la rabbia che provo.

 

Vorrei solo smettere di stare così male.

 

***

 

Più tardi ricevo una chiamata da parte di Anna, che si rifiuta di dirmi cosa vuole per telefono. Io sto ancora uno schifo per ieri, e la sua telefonata non mi aiuta. Le rispondo seccato che la raggiungerò in ufficio appena possibile.

Dopo una mezz'ora mi presento lì.

Entro senza bussare, e senza mascherare il mio fastidio. “Beh? Cosa c'è di così importante che non potevi dirmi al telefono?”

“Vieni...” mi invita lei, schiarendosi la voce. “Ho fatto delle ricerche su Castagnati. So che eravate compagni di corso all'università e che andavate a calcetto insieme.”

Non ci posso credere. Cos'hai fatto?! Come hai potuto? Ti ho detto che non erano affari tuoi.

“Ah! Ma stai indagando su di me?” Le chiedo, incredulo.

“Ti ho visto prima con la tua ex! Non so cosa sia successo ma io credo che c'entri Castagnati!” Spiega, una vaga nota di rimprovero nella sua voce. Quindi mi hai anche spiato? Non ti devi intromettere, Anna. Non provocarmi.

“Quindi stai insinuando che io l'ho messo in stato di fermo per un fatto personale!”
“No, sto dicendo che forse questo è un caso che ti coinvolge un po' troppo!” Alza il tono lei.

“Io so distinguere i fatti dalla vita privata, e sei tu quella che si lascia coinvolgere!” Rispondo furioso. Io so mettere da parte il personale, lei invece si lascia sempre influenzare, e la sua insinuazione assurda mi fa arrabbiare.

Oppure la tua rabbia è dovuta al fatto che sai che in fondo ragione. E che l'hai messo in stato di fermo per vendicarti. Che ti sei lasciato trascinare dal dolore. Che hai lasciato che i tuoi tormenti avessero la meglio sul buonsenso.

Non voglio sentire altro, non sopporto di sentirmi dire quelle cose, e mi dirigo a passo spedito verso la porta, mentre lei mi fa una domanda che gela dentro. “Sì, ma io cerco la giustizia e la verità! Tu che cerchi?”

Sbatto violentemente la porta andando via.

Non ci provare, Anna. Non è una cosa che puoi capire. Non voglio dirti che hai ragione perché ammetterlo significherebbe essere sconfitto di nuovo. E lui è colpevole. Lasciami in pace.

 

***

 

Il mattino dopo ho un pensiero fisso in mente: andare a trovare Simone in carcere, e non per discutere del caso.

Quando arrivo, mostro il mio tesserino alle guardie, che mi danno il permesso di entrare e incontrarlo senza problemi.

Lui è sorpreso, ma si siede comunque di fronte a me.

“Non credevo che saresti arrivato a tanto.” Dice dopo qualche istante.

Io faccio un verso sprezzante. “Detto da te mi fa veramente ridere, sai.”

“Marco, ti ho fatto una bastardata, lo so... ti chiedo scusa.”

Sapessi che me ne faccio delle scuse.

“Quando giocavamo a pallone e io ero davanti alla porta e tu non me la passavi... Quella è una bastardata. Sei il mio testimone di nozze e la sera prima vai a letto con la mia fidanzata... Capisci, ho difficoltà, a chiamarla bastardata.” Gli dico con il mio miglior tono sarcastico.

“Avevamo bevuto...” Cerca di spiegarsi lui, come se bastasse quello.

“Ah, scusami, io non avevo capito! Potevi dirmelo subito!” Gli dico, sempre con ironia dilagante, e lui finalmente cede.

“Io la amo! Va bene, io la amo! È per questo che devo stare qui dentro?”

“No, è perché tu sei sospettato e potresti inquinare le prove.” Gli spiego, come se fosse un bambino di cinque anni un po' duro di comprendonio.

“Ma quali prove?! Perché avrei dovuto ucciderlo?” Ma che bella recita.

“Provo, eh? Forse perché il PM che ha seguito le indagini era una tale Flaminia Vanzetti... ti dice qualcosa, questo?”

“Siamo stati insieme soltanto per due mesi!”

“Magari per farle un piacere... magari avete bevuto anche con lei, non so, hai convinto il tuo cliente a patteggiare così tutti contenti. Tranne il tuo cliente, che l'ha scoperto, s'è incazzato e tu l'hai buttato giù dalle scale.”

“Non è andata così... non è andata così!”

“Va bene, sentiamo cosa dice il giudice.” Rispondo, alzandomi e andando via, se possibile più arrabbiato di prima.

 

***

 

Vorrei andare via ma mi chiamano per andare in caserma, perché avrebbero scoperto qualcosa. Metto da parte per un attimo i miei sentimenti, ho bisogno di fare il mio lavoro come si deve.

Entro nell'ufficio di Anna e con molta riluttanza mi siedo e ascolto. Lei apre un computer portatile.

“Sono le telecamere del cantiere,” mi spiega, “un'altra intuizione notturna del Maresciallo.”

“David Guarini, 22:07,” continua lui ignorando l'occhiataccia. Avviano il filmato che mostra l'uomo scavalcare la recinzione del cantiere, fino a quando torna indietro.

“Ha sfruttato il cantiere per togliersi le manette,” commento, “lui lo conosceva, sapeva che lì avrebbe trovato gli strumenti adatti.”

“Sì, ma c'è dell'altro,” spiega il Capitano. “è rimasto dentro quaranta minuti, poi è uscito con questa.” Precisa, indicando una borsa visibile nel video. “Che c'è dentro? Cosa cercava al cantiere?”

Quando io non rispondo, lei continua, alzandosi in piedi e mettendosi a camminare avanti e indietro per l'ufficio. “Ragioniamo: invece di scappare, lui torna al cantiere, ed è un rischio. Dopodiché è andato dal suo avvocato, altro rischio. Per me c'è solo una spiegazione: lui stava indagando, e se indagava vuol dire che non era il colpevole del crollo!” Esclama, ma io non la vedo come ragione possibile. “Questo è un altro motivo per avercela col suo avvocato, che poi l'ha ucciso per coprire un suo errore.”

“Quale errore?” Domanda allora lei con un tono freddo che non riesco a non notare.

“Castagnati e la PM che stava lavorando sul caso hanno avuto una storia insieme. PM e avvocato difensore non possono lavorare sullo stesso caso se si frequentano abitualmente, tantomeno se hanno avuto una storia insieme, ma Lei forse dovrebbe saperlo.” Spiego io indispettito ad Anna, e sì, è una frecciatina alla sua relazione col pretino-avvocato.

Lei non è contenta della mia osservazione. “Sì, si chiama infedele patrocinio, ma non è grave, Castagnati al massimo avrebbe avuto un richiamo.” Mi contraddice, ed è la goccia che fa traboccare il vaso. Non sopporto che anche lei mi vada contro.

Mi alzo in piedi, al limite della collera. “Sì, ma è un movente o no? Ma io ti devo ricordare forse che è il PM che deve dettare la linea d'indagine?” Le dico guardandola dritta negli occhi. Lei non si ritrae né abbassa lo sguardo, ed è una cosa che mi fa innervosire ulteriormente.

“Io sto seguendo gli indizi, solo quelli.” Mi risponde a tono.

Non mi contraddire. Non te lo lascerò fare. Devono pagare per quello che hanno fatto.

“Va bene, hai due giorni di tempo e poi la fase istruttoria è chiusa. Continua a perder tempo, brava!” Sibilo con astio, prima di andare via furioso.

Simone è colpevole. Lo è.

 

***

 

Passo tutto il giorno a cercare di sbollire la rabbia.

Rabbia nei confronti di Federica, che aveva detto di amarmi e poi mi ha tradito.

Nei confronti di Simone, il mio migliore amico che mi ha pugnalato alle spalle.

E nei confronti di Anna, che mi ha sbattuto la verità in faccia sul mio desiderio di vendetta.

Lei fra tutti, che non ha nessuna colpa reale, è la fonte principale del mio astio in questo momento. Ne ho fatto un capro espiatorio, sì, perché detesto l'idea che abbia intuito qualcosa. Che abbia cercato di capire perché ce l'ho tanto con Simone.

 

Non può capire cosa significhi, trovarsi faccia a faccia con le persone che amavi di più e che invece ti hanno fatto più male in assoluto. È impossibile non lasciarsi condizionare, se qualcosa ti riguarda in prima persona. Come per quel ragazzino tradito dal suo migliore amico diventato un bullo... mi sono rivisto in quel tradimento, e ho agito di conseguenza anche se ho provato a non farlo.

Pensaci un attimo, però. In passato non ti sarebbe importato di nulla, ti saresti limitato a fare il tuo lavoro senza vederci niente dietro. È Anna che ti ha portato a riflettere, che ti ha fatto capire che a volte la sensibilità aiuta molto di più del rigore. Forse dovresti usarla anche stavolta.

Scuoto la testa. Non va così. Anche se questo fosse vero, lei ha comunque sbagliato a indagare su di me e non rispettare quello che le avevo detto, di non impicciarsi.

E non potrà mai capire cosa voglia dire trovarsi davanti a un caso che ti riguarda così da vicino.

 

Ho appena finito di sparecchiare a casa quando qualcuno bussa alla porta.

Chi può essere, alle dieci di sera passate?

“Arrivo,” dico, e quando apro mi ritrovo davanti proprio la persona che non vorrei vedere in questo momento: Anna.

Lei mi saluta con un sorriso incerto, che io non ricambio. Anzi, cerco di farle intendere che la sua presenza non è gradita, visto che è più brava a capire i sottotesti che le richieste esplicite.

“Posso entrare?” mi chiede dopo qualche secondo.

Io le rivolgo un'occhiata gelida. “Se è per il caso, guarda, non abbiam niente da dirci, nessuna prov-”

“Non devo parlarti del caso,” mi interrompe. “Mi fai entrare?”

Bene, quindi non capisce nemmeno i no. Mi sposto per farla passare, senza nascondere il mio sdegno.

Si ferma all'ingresso, senza procedere oltre, posizionandosi di fronte a me.

“Posso fare qualcosa per te? Vuoi sederti, vuoi un bicchiere di vino? Dimmi.” Le chiedo, con finta cortesia che so non essere passata inosservata.

“No, resto in piedi, faccio subito.” Rifiuta. Io annuisco, in attesa che mi dica cosa vuole e vada via.

Marco, smettila. Non ha senso che tu la stia trattando così solo perché ha capito e cercato di aiutarti.

Abbassa lo sguardo. “Volevo raccontarti perché... ho scelto di fare il carabiniere.”

Cosa...? Sul serio? Con tutto il rispetto, cosa vuoi che me ne importi? Ora meno che mai.

“Adesso?” le chiedo freddamente, senza celare il mio disinteresse.

“Sì, Marco. Adesso.” Il suo tono è grave, e mi rendo conto immediatamente che ci dev'essere un motivo. Abbiamo aperto l'argomento tante volte, ma non mi ha mai detto nulla al riguardo. Se ha scelto di farlo adesso, deve avere una spiegazione più che valida, non è una che dice cose a caso. Basta questo pensiero a farmi calmare all'istante. “Okay... ti ascolto.” Rispondo, stavolta più pacato.

Anna incrocia le braccia e inspira a fondo, prima di iniziare.

“Mio padre aveva una piccola fabbrica di scarpe, e un giorno venne accusato di evasione e appropriazione indebita. Avevo dieci anni...”

Il suo sguardo si fa distante, la voce incrinata. Io non so che pensare, restando ad ascoltare senza dire nulla.

“Ma mi ricordo... mi ricordo i poliziotti che entrano in casa alle cinque di mattina, che aprono tutti i cassetti e che si portano via tutto, i documenti, i computer...” Solleva lo sguardo, e il dolore che ci vedo dentro mi fa venire l'ennesimo groppo in gola. “Mi ricordo gli sguardi della gente quando uscivamo di strada... le paroline sussurrate, i mezzi sorrisi... C'erano anche quelli che ci chiamavano ladri.” Ladri. Come hanno detto alla ragazzina figlia dell'uomo morto e a sua moglie. “Alla fine mio padre non è più uscito di casa. Se ne stava tappato in camera a guardare fuori dalla finestra...” continua, e capisco che sta cercando di trattenere le lacrime a tutti i costi, il suo tono di voce è inconfondibile. “Poi un giorno è uscito... e non è tornato più. Si è... si è buttato dal tetto della fabbrica.”

Adesso sì che mi sento davvero uno schifo, sento la bile risalire crudelmente in bocca. Per tutto questo tempo l'ho accusata di non sapere cosa volesse dire sentirsi direttamente coinvolti come credevo di essere io, e invece lei in questi giorni ha dovuto rivivere la stessa situazione di quand'era bambina. Ha rivisto suo padre morire negli occhi di quella ragazza. Ha risentito le accuse false della gente dalla bocca di altri.

Ma ha fatto comunque il suo lavoro. Non ha lasciato trasparire nulla. Invece io ho combinato un casino senza pensare a niente se non a me stesso.

“Mi dispiace, io non ne avevo idea, scusami...” provo a dirle, la mia voce che si incrina, anche se so che le mie scuse, dopo che l'ho trattata in quel modo, non servono a nulla. “È una cosa terribile... scusami, non-”

“Sai qual è la cosa più brutta?” Mi interrompe, e stavolta il suo dolore si percepisce forte come un pugno allo stomaco. “Era innocente. Solo che se ne sono accorti troppo tardi.”

Quelle parole restano sospese nell'aria per qualche istante, ma fanno il loro effetto dentro di me come una bomba.

Poi riprende la parola, il suo tono torna ad essere normale, senza increspature di nessun genere. “Ecco, volevo dirti questo. Grazie per avermi ascoltato.” Mi dice, come se mi avesse raccontato semplicemente cos'ha fatto ieri e non il suo dolore più profondo.

“Okay...” riesco solo a rispondere, mentre lei mi rivolge un ultimo sguardo prima di riprendere la borsa e andare via, lasciando la porta socchiusa alle sue spalle.

Mentre vado a richiuderla, l'unica cosa che riesco a pensare è che sono un egoista. Che non ho capito niente. E che il mio problema, rispetto al suo, in un caso del genere è insignificante.

 

Mi lascio cadere a peso morto sul divano, ancora troppo sconvolto da quello che ho appena saputo.

Mai, mai avrei immaginato che dietro una decisione lavorativa del genere si nascondesse un motivo tanto grave. Avevo intuito che al padre di Anna fosse accaduto qualcosa, ma adesso le parole di Giovanni quella volta in ufficio acquistano tutto un altro significato. 'Non mi stupisce che proprio tu voglia farmi suggerire a un innocente di autoaccusarsi... dopo quello che è successo a tuo padre.' Mi ricordo lo sguardo ferito di Anna, e il suo 'niente' quando le chiesi cosa intendesse dire lui.

Giovanni lì non aveva capito nulla sul suo comportamento, pur sapendo del suo passato.

Io ho sbagliato senza sapere, e possibilmente è anche peggio.

Non riesco nemmeno ad immaginare quanto possa esserle costato raccontarmi quella storia. Doverla rivivere per l'ennesima volta nel giro di pochi giorni. E mi rendo conto di essere ancora più idiota, perché lei stava passando l'inferno ma ha pensato ad aiutare me e cercare di farmi ragionare, e io l'ho trattata malissimo solo per paura.

Non so nemmeno paura di cosa, a questo punto, visto che proprio lei non mi ha mai giudicato. Anzi, con me ha avuto il coraggio di mostrarsi fragile, anche poco fa, e io continuo a non riuscire a raccontarle di me.

 

Adesso capisco perché mi ha detto quelle cose. Un uomo innocente è stato ucciso proprio perché tentava di difendersi da un'accusa sbagliata. Il suo avvocato aveva cercato per lui il male minore, ma non riusciva ad accettarlo e ha reagito, indagando per conto suo e finendo comunque per essere ammazzato da qualcuno che ancora non sappiamo.

Quello che suo padre non ha avuto modo, o il coraggio, di fare. Si è chiuso in casa quando non è riuscito più a sopportare le ingiustizie della gente, senza potersi difendere. Si è tolto la vita quando non ha più trovato vie d'uscita per dimostrare la sua innocenza.

Non posso pensarci, a quello che ha passato Anna. Era così piccola quando le è accaduto tutto questo. L'irruzione delle forze dell'ordine in casa è già orribile per una persona adulta, figuriamoci per una bambina di quell'età. Senza contare l'arresto del padre e la gente che mormora senza poi nascondersi tanto, senza sapere dove stia la verità.

E poi il suicidio... come si fa, a dare una notizia del genere? Presentarsi e dire che un marito, un padre si è ucciso per un errore giudiziario?

 

Se c'è una cosa che non voglio, è quella di rovinare la vita alla gente.

Nemmeno quella di Simone, se è vero che è innocente. E la famiglia di quell'uomo ha bisogno di giustizia. Abbiamo accertato la sua innocenza dall'accusa che aveva portato alla sua incarcerazione, ma adesso bisogna capire cosa lui avesse scoperto che ne ha provocato la morte. Dobbiamo trovare il colpevole, quello vero.

E in fondo so già che non è Simone.

Mi metto immediatamente al lavoro.

 

***

 

Il mattino seguente mi presento in commissariato alle 9.30 in punto. Mi dirigo spedito verso l'ufficio di Anna ed entro come al solito senza bussare, tanto la porta è già aperta.

Lei è seduta davanti alla scrivania, intenta a leggere dei documenti.

“Buongiorno!” La saluto in tono allegro sedendomi accanto a lei, che non ha ancora detto una parola. Vedo che è sorpresa, e ha tutte le ragioni per esserlo: fino a ieri l'ho trattata da schifo senza che lei avesse alcuna colpa, oggi mi comporto come se non fosse successo nulla. Ma capirà, ne sono sicuro. È merito suo.

“Ci sono novità.” La informo sorridendo.

Anna è ancora impassibile. “Di che parli?”

“Del caso Guardini, che altro? Ho ripensato alla tua linea d'indagine... Devo dire che ci sono degli spunti interessanti.” Le confesso, e lei sorride compiaciuta.

“Grazie.” Posa la matita che aveva in mano, in attesa.

“Mi sono chiesto: perché David ha rubato dei documenti che erano già stati esaminati dal tribunale? Perché voleva fare un confronto!”

“Un confronto con cosa?”

Appoggio sul tavolo la cartella di documenti che mi sono portato dietro, lei sposta il portamatite per farmi spazio.

Le mostro alcuni fogli. “Queste sono le bolle di acquisto del ferro, regolarmente firmate da David - quelle che lui ha rubato – per un totale di duecentomila euro. Queste sono le bolle di uscita della ditta fornitrice del ferro, anche queste per un totale di duecentomila euro.”

Vedo che è confusa. “Quindi? Qual è il problema?”

“Il problema è che la ditta fornitrice ha comprato il ferro per solo cinquantamila euro.” Spiego.

“Quindi tu mi stai dicendo che il ferro che veniva sottratto dal cantiere tornava indietro alla ditta, che lo rivendeva allo stesso cantiere?” Vedo che ha capito perfettamente il punto. “E perché nessuno si è accorto di questa cosa?”

Prendo un altro blocco di fogli, porgendoglielo. “Guarda chi ha rilevato la ditta fornitrice...”

Lei dà una rapida occhiata, prima di lanciarmi uno sguardo divertito. “Vedo che ti sei dato da fare.” Commenta, e un inaspettato senso di orgoglio si fa strada in me.

Ho capito il mio errore, e ho cercato di rimediare. Grazie a te.

...e per te.

 

***

 

È uno spasso vederla spiegare a Don Matteo come per una volta siamo arrivati prima noi ad arrestare il colpevole del furto.

La colpevole dell'omicidio, invece è la responsabile del cantiere subentrata a David. È stato un incidente, dovuto alla paura di perdere il lavoro che le avrebbe garantito la copertura per le sue spese mediche. Un incidente terribile, ma che ha lasciato una famiglia senza un padre, e un altro bambino senza sua madre.

 

La sera resto in giro a pensare. Abbiamo rilasciato Simone, che non c'entrava davvero nulla.

Gli ho anche rivolto le mie scuse per averlo creduto colpevole.

Non significa che siamo di nuovo amici, tutt'altro, ma non volevo avere questo peso sulla coscienza. E quel che è giusto, è giusto.

 

C'è un'altra persona a cui devo delle scuse, però, prima di andare a casa. E che devo soprattutto ringraziare.

So che è un po' tardi, ma spero non le dispiaccia se faccio una capatina a casa sua.

Non ci sono mai stato, in effetti.

Salgo le scale del palazzo e una volta davanti alla porta di casa sua, prendo un bel respiro e suono il campanello.

Glielo devi, Marco. Sai che non è arrabbiata con te, ti ha aiutato anche se tu l'hai trattata male senza un motivo. È il minimo che puoi fare.

La sento rispondere a voce alta dall'interno, “Sì, Maresciallo, la caldaia è a posto!” immaginando che sia Cecchini, evidentemente a conoscenza del guasto.

Quando Anna apre, è chiaro che non si aspettava di certo la mia visita.

“Ehi... ciao.” La saluto con un leggero imbarazzo. È strano vederla in una tenuta così... casalinga. Una semplice canotta, pantaloncini corti e piedi scalzi. Decisamente l'ho colta alla sprovvista.

“Ciao,” Ricambia ad occhi sbarrati.

“Ciao... stavo tornando a casa e allora son passato di qua. Vuoi una mano?” le chiedo, riferendomi alla caldaia.

“No, ho fatto... però se vuoi entrare...” Mi chiede, esitante.

“Sì, un minuto.”

Lei si sposta per farmi passare, appoggiando la mia borsa a terra all'ingresso.

Io ne approfitto per dare un'occhiata intorno.

“Questa è casa...” mi dice timidamente. Noto un cartone di pizza e una birra sul tavolino davanti al divano, le luci basse. Probabilmente stava guardando qualcosa in tv prima del guasto.

“Fatto seratona, vedo, eh...”

“...Sì...”

Quando mi fermo, lei si gira a guardarmi incrociando le braccia, ancora confusa sul perché io sia lì.

Dopo qualche istante mi decido a parlare. “Io volevo ringraziarti... davvero. Stavo per fare una di quelle cazzate mondiali...”

Lei alza le spalle, minimizzando la cosa. “Non ti preoccupare, capita a tutti di sbagliare.”

“Eh...” Non proprio quanto ho sbagliato io, però. Io ho combinato un casino perché accecato dal dolore, senza vedere che anche tu stavi male, perfino peggio, eppure non hai mai perso la luce della ragione.

Quando torno a guardarla, noto una traccia di sporco sullo zigomo, probabile capriccio della caldaia.

Le faccio un cenno per indicargliela, con un sorriso. Lei recepisce al volo, immaginandoselo, con un po' di imbarazzo.

“Ho qualcosa... ho qualcosa qua...” Fa per pulirlo, senza successo.

Le vado in aiuto. “Posso?”

“Sì, grazie...”

Porto una mano sulla sua guancia, ma quando lei alza lo sguardo per incrociare il mio, tutto il resto svanisce.

 

Non esiste nient'altro, all'improvviso è come se ci fossimo solo noi.

Non so cosa sia successo, so solo che la mia mano a contatto con la sua pelle trema mentre mi perdo in quei suoi magnetici occhi verdi. Nessuno dei due riesce a distogliere lo sguardo, e senza pensare a quello che sto facendo, la bacio.

In quel momento il tempo sembra fermarsi, e l'unica cosa che conta sono le sue labbra morbide a contatto con le mie, la sua mano che sale a sfiorare la mia, abbandonandosi anche lei a quel gesto che mai avrei pensato di fare.

Ho lasciato che l'istinto prendesse il sopravvento, realizzando consapevolmente ciò che il mio cuore voleva fare da un pezzo. È tutto così inaspettato, ma meravigliosamente perfetto.

Poi tutto svanisce di colpo quando lei si allontana di scatto, lo sguardo basso, come se si fosse appena resa conto di quanto stesse accadendo.

Resto per qualche istante a guardarla, cercando di elaborare anch'io quanto accaduto.

“Scusa...” sussurro, ignorando il senso di vuoto che mi ha invaso quando lei si è tirata indietro.

Sei un idiota! Non puoi baciarla e poi chiederle scusa! È stato inaspettato per te quanto per lei.

“No, è colpa mia...” mormora Anna, le guance arrossate.

“No, ho sbagliato io... Vado, scusami...” Riesco solo a farfugliare, andando via di corsa e lasciandola lì in piedi in mezzo al soggiorno, chiudendomi la porta di casa sua alle spalle. Solo dopo qualche gradino mi rendo conto di aver lasciato la borsa dentro, e che devo andare a riprenderla.

In pochi istanti il mio cervello e il cuore instaurano una battaglia su chi debba averla vinta.

Non puoi tornare là, fa il cervello, ragionevole, se torni e la guardi negli occhi finirai per baciarla di nuovo e stare male di nuovo.

Non è vero, risponde il cuore, tu l'ami, e quale occasione migliore per dirglielo?

Non posso dirglielo. Non posso. La amo, è vero. Ormai è inutile nasconderlo perfino a me stesso.

Ma lei non ha voluto, ha interrotto quel bacio, interviene il cervello. Si è tirata indietro. È ancora innamorata di Giovanni, per questo ti ha rifiutato.

Non era un rifiuto, contraddice il cuore, forse ha solo avuto paura, non se lo aspettava. Forse non è tutto perduto.

Torno alla sua porta, incerto su cosa fare. Busso, e quando lei apre vorrei solo mandare al diavolo il raziocinio e baciarla fino a lasciarla senza fiato.

“Sì?” domanda, ancora rossa in viso. Io evito il suo sguardo a tutti i costi.

“La borsa,” mormoro. “L'ho dimenticata.”

Lei sembra ridestarsi e si affretta a porgermela. Io vado via senza dire altro. Nemmeno lei fiata.

Quando si dice una situazione imbarazzante.

 

Torno a casa ancora confuso da tutta la questione.

Marco, sei uno stupido, ufficialmente. Un idiota, un cretino.

Come hai potuto farti scappare quest'occasione così? Ti ha aperto di nuovo, si aspettava altro probabilmente, e tu cosa fai? Ti riprendi la borsa e scappi? Non eri tu quello che non scappava dalle proprie responsabilità?

Sono uno scemo, assolutamente d'accordo.

In realtà volevo che succedesse da un po' ma non avevo trovato il momento adatto, e l'unica volta in cui non ci ho nemmeno pensato, ecco che è capitato. E io ho fatto esattamente l'opposto di quello che avrei voluto.

 

So che mi sono innamorato di lei. L'ho capito da un pezzo, ormai, non provo nemmeno più a negarlo, sarebbe inutile.

Lei, che all'inizio odiavo. Che mi faceva uscire fuori dai gangheri perché riusciva a tenermi testa e rispondermi a tono come nessuno aveva mai fatto prima. Che provocavo solo per il gusto di farla arrabbiare.

Lei, che piano piano mi ha lasciato entrare nel suo mondo, mi ha mostrato come la sua apparente durezza altro non sia che uno scudo di protezione. Da un mondo maschilista che la sottovaluta perché donna a capo di un comando di uomini. Da una delusione d'amore che ha fatto crollare una delle poche cose belle della sua vita, la sua storia con Giovanni. Da una madre che pur conoscendo i motivi della sua decisione di diventare Carabiniere, non li condivide e la critica soltanto. Dal dolore per la morte di un padre che doveva amare moltissimo e che le ha segnato l'esistenza come poche cose riescono a fare.

Lei, che mi ha insegnato come la gentilezza possa aiutare più della fermezza. Che soffrire non significa volere il male degli altri. Che le follie, se fatte per amore di qualcuno, non sono poi così sbagliate.

Lei, che mi ha lasciato vedere la donna sotto la divisa. Che mi ha fatto capire come la sua forza più grande derivi proprio dal dolore più grande.

 

Lei, che amo.

 

Domani glielo dirò.

Non posso lasciarmi scappare una come lei.

Non posso essere stato il solo a sentire quelle emozioni, quando i nostri sguardi si sono incrociati. Quando le nostre labbra si sono sfiorate. Ha risposto al mio bacio, lo ha ricambiato.

Forse anche lei ha solo avuto paura.

 

Deve pur significare qualcosa, che abbia scelto di aprirsi con me per una cosa così personale.

Non può avermi raccontato la sua storia solo per compassione. Lo so che non è così, come per tutte le cose che mi ha detto di sé finora.

Anch'io le ho dato molto di me, molto più di quanto intendessi all'inizio. E ora so che voglio spiegarle tutto. Perché ho reagito in quel modo, perché ho sempre fatto certe osservazioni. Merita di saperlo. Voglio essere onesto fino in fondo, e so che potremmo provarci, a stare insieme.

Lei non è Federica. Non vorrà mai cambiarmi a forza a suo piacimento. Non mi tradirebbe mai come ha fatto lei, lo so.

 

Domani le dirò la verità.

 

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Capitolo 12
*** Una di quelle ***


 

UNA DI QUELLE

 

Inutile dire che quella notte ho dormito poco. Non riuscivo a togliermi dalla testa quel bacio.

 

Dopo la volta allo spettacolo con Cosimo, avevo iniziato a farci seriamente un pensiero. Magari di invitarla a cena qualche volta, o andare da qualche parte insieme, non so... Sapevo però che si stava creando qualcosa, un'alchimia senza precedenti per me.

Sì, perché nemmeno con la mia futura sposa mi ero mai sentito davvero così, come quando sono con lei. Non mi ero mai sentito così libero di essere me stesso, senza la paura di essere giudicato e cambiato.

Alcuni argomenti non li avevo mai affrontati nemmeno con Federica, se non altro non seriamente, come quello dei figli, per quanto possa sembrare paradossale. Figuriamoci lasciarmi coinvolgere in cose come quel festival.

Eppure con Anna è stato tutto molto naturale. Dopo una esitazione iniziale, quando lei ha detto che avrebbe partecipato non c'è voluto molto a far cedere pure me. Ha un ruolo istituzionale da difendere anche lei, ma per amore di quel bambino ha tralasciato la forma e reagito col cuore.

È stata una delle tante cose di lei che mi ha conquistato.

Una delle tante cose che vorrei dirle.

 

Peccato che però dal giorno dopo ne siano successe di tutti i colori, e quindi non sono ancora riuscito a parlarle in privato. Adesso è passato qualche giorno, e ancora niente. Ma io ho bisogno di parlarle.

Ormai è sera, si è fatto pure tardi e noi siamo ancora in ufficio. Stiamo per andar via quando si presenta una donna, sicuramente dell'Est, per denunciare un'aggressione.

Anna la riceve nella sua stanza, e io resto con lei.

La facciamo accomodare, poi Anna si appoggia alla scrivania, restando in piedi di fronte alla donna, in maniera più informale per metterla a suo agio. Poi inizia a farle delle domande con estrema delicatezza.

“Come ti chiami?”

“Oksana.” Risponde la donna, piangendo.

“Chi ti ha ridotto così?”

“Un cliente... Sono una prostituta. Lavoro sola per me, forse è per questo che se n'è approfittato.”

“Ma... era la prima volta che lo vedeva, quindi?” Domando io, cercando di usare un tono simile a quello di Anna. L'ultima cosa che voglio è spaventare ulteriormente questa ragazza.

“No... ma era già da un poco che... che non pagava. Allora io gli ho detto, 'se non paga io non lavoro', e lui mi ha picchiata.” Fa per prendere un fazzoletto nella sua borsetta, facendosi sfuggire un libro, che Anna si affretta a raccogliere da terra. Lei glielo riprende immediatamente dalle mani. “So che è più facile giudicarmi che credermi, ma io ho paura!”

Anna la guarda per un attimo, poi si abbassa al suo livello per poterla guardare direttamente negli occhi.

“Oksana, io ti credo.”

Non posso non ammirarla in questo momento. Posso solo immaginare vagamente cosa significhi, da donna, trovarsi in una situazione così.

“Sapresti descrivermelo?”

“All'inizio era una persona gentile, poi è cambiato. Diceva che se non facevo quello che voleva, poteva farmi del male. Fa un lavoro importante.”

“Ti ricordi quale?”

“Il carabiniere.” risponde, spiazzandoci. “È lui.” Aggiunge, guardando l'appuntato scelto Barba oltre la vetrata.

Noi non riusciamo a crederci.

 

Quando lei si alza per andare a formalizzare la denuncia da un altro agente, Anna convoca Barba nel suo ufficio. È chiaro che è a disagio, ma che vuole prima di tutto cercare di capire.

Lui si rifiuta di dirci alcunché se non di non averle fatto nulla, Anna cerca di insistere.

“Barba, tu sei un mio uomo, e io ti voglio aiutare,” gli dice. “ma mi devi dire la verità.”

Quando lui continua a non fiatare, lei continua. “Prenditi qualche giorno, il tempo di fare chiarezza su questa storia.” Poi gli fa segno di consegnarle la sua pistola d'ordinanza, che lei scarica immediatamente prima di alzarsi e farlo uscire dal suo ufficio con un saluto militare. Un gesto di rispetto verso un carabiniere che ha sempre fatto un buon lavoro. Io la seguo fuori, proprio mentre arriva Cecchini, che ci domanda cosa sia successo, e perché Barba stia andando via.

“Una prostituta l'ha denunciato. Dice che l'ha picchiata.” Si limita a dire lei in tono grave. Lui è sconvolto quanto noi.

Tutti si mettono immediatamente in moto, e il Maresciallo si reca insieme a Ghisoni nel luogo dove lavora la ragazza di solito.

Noi due scendiamo giù dopo qualche momento, pregandoli di avvertirci per qualsiasi novità.

“Se non parla sta nascondendo qualcosa...” le dico, scendendo gli scalini che danno sulla piazza.

“Sì, e forse sta proteggendo qualcuno.”

“Sì, però in ogni caso io devo avvisare il Questore.” Le ricordo.

“Dammi stanotte per lavorarci su, sono sicura che domani mattina sarà tutto risolto.” Mi prega. Capisco la sua posizione, e accetto di fare un'eccezione per stavolta, chissà che non abbia ragione, eviteremmo un mare di guai a quel ragazzo.

“Va bene.”

“Grazie...”

All'improvviso mi rendo conto che siamo da soli per la prima volta nell'intera giornata, e decido di cogliere al volo l'opportunità.

“So che non è il momento più opportuno...” Esordisco con un mezzo sorriso.

“Sì...” Lei abbassa lo sguardo, intuendo cosa voglia dirle.

“Riguarda quello che è successo l'altra sera...”

“Dimmi...”

“Credo-”

Riesco a mala pena a iniziare la frase che arriva una volante dell'arma, e Cecchini e Ghisoni scendono per comunicarci che hanno recuperato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza della stazione di servizio posta dietro al luogo dove 'lavora' la donna.

“Ottimo lavoro! Vediamo se c'è qualcosa di utile.” Si complimenta lei, seguendoli immediatamente, prima di girarsi verso di me. “Scusa...” dice, riferendosi alla nostra conversazione interrotta.

Io cerco di ignorare il fastidio per il tempismo degli altri. “Fammi sapere se po-”

“Sì sì,” mi liquida, entrando a passo svelto in caserma.

“Va bene... Non si può comunicare, qui.”

Me ne torno a casa, demoralizzato. Ci stavo finalmente riuscendo, e il lavoro si è messo in mezzo.

Ma la prossima volta ci devo riuscire.

 

***

 

La mattina dopo, arriva una notizia come un fulmine a ciel sereno: hanno trovato Barba privo di sensi davanti a casa sua, pensano a un tentativo di suicidio. Mi reco lì più in fretta che posso, trovando già il Capitano col maresciallo, Ghisoni e Zappavigna.

“Ho appena saputo... Ciao...” Dico, principalmente ad Anna.

“Ancora non siamo sicuri di niente,” mi spiega Cecchini. “Il tentato suicidio è soltanto un'ipotesi.”

“Beh, ipotesi o no sapete già come uscirà sui giornali, no?”

“Certo,” risponde Anna, cupa. “Diranno che si è suicidato perché era colpevole.”

Come è successo con tuo padre. Che si è ucciso proprio perché innocente ma incapace a dimostrarlo.

Cecchini ribadisce l'assoluta fiducia in Barba, convinto che non sia stato lui. Io lo spero davvero, ma non posso non prepararli. Devono trovare le prove.

Anna non fiata.

 

***

 

Il mattino dopo riconvochiamo Oksana, convinti che non abbia detto la verità.

Lei sembra sconvolta alla notizia che Barba sia in coma per tentato suicidio. Va via dicendoci che non possiamo fare niente per lei, e Anna intuisce dal suo comportamento che ha un protettore, che probabilmente è stato lui a picchiarla e costringerla a accusare l'appuntato. Incarica Cecchini di intensificare le ricerche, e lui esce dall'ufficio per eseguire l'ordine.

“Anna, senti, avviso io il Questore, non ti preoccupare.” La tranquillizzo. È già abbastanza scossa così, non voglio metterle altra pressione addosso.

Ed ecco che siamo soli, ora o mai più.

“Ecco, io... riguardo a quello che è successo ieri sera...”

“Ah, sì...” Annuisce con una espressione vagamente imbarazzata.

“Io stavo per dirti, prima che ci interrompe-vabbé sì...”

Cecchini ha aperto la porta, rientrando. Ma cos'è, un complotto? È già difficile senza che vi impicciate tutti!

“Ehm... mi dimenticavo...” Fa, impacciato. Ci mancava che ci beccasse lui in atteggiamenti ambigui.

Cerco di far finta di niente. “Sì, ehm... mi tieni aggiornato?”

“Certo...”

No, ma non si nota che siete in imbarazzo.

“Bene...” Vado via senza guardare Cecchini, ma sento lo stesso cosa dice.

“Ma... che, ho interrotto?”

“No! Non ha interrotto... niente!” Sento rispondere Anna, a disagio anche se cerca di mascherarlo.

“No, è che mi sembrava un'atmosfera un po'...”

“Aveva dimenticato cosa?” Lo interrompe lei.

Accelero il passo.

Sì, Maresciallo. Ha interrotto il mio ennesimo tentativo di chiederle di uscire.

Almeno le avrei fatto capire che per me ha significato qualcosa.

E l'atmosfera era decisamente troppo intima per due semplici colleghi.

Ma io non voglio essere un semplice collega.

Riuscirò a dirglielo, anche a costo di dover creare un'occasione di proposito.

 

***

 

Quella sera stessa, vado a colpo sicuro. So che Anna non si darà pace finché non riuscirà a trovare il colpevole di questa storia, per cui sarà ancora in ufficio.

Sono le undici passate quando salgo gli scalini dell'interno della caserma con in mano il takeaway che sono passato a prenderle, perché di sicuro non ha ancora cenato.

E infatti, quando apro la porta del suo ufficio, lei è ancora lì sui documenti a cui sta lavorando da tutto il giorno.

“Ciao,” la saluto un po' in imbarazzo, come al solito in questi giorni.

“Ciao.” Mi risponde con espressione sorpresa. Lo so, la mia è una visita inaspettata.

“Beh, sapevo che ti avrei trovata ancora qui a quest'ora e allora... ho ordinato la cena.”

“Grazie, non... non dovevi.” Mormora, alzandosi. Ha già capito perché sono qui, lo capisco dal suo comportamento e dal suo sguardo teso.

“Senti... sperando che nessuno ci interrompa...”

“Eh, mi sembra un po' difficile a quest'ora della notte...” commenta lei, nervosa.

“Riguardo a quello che è successo l'altra sera, io volevo dirti-”

“-È stato un errore.”

No.

Dimmi che ho capito male.

“Eravamo entrambi scossi, era un momento particolare, e... e siamo colleghi, no? Colleghi, al massimo amici...”

No. Ti prego. Non è così.

“Sì, giusto...” Ritrovo la voce, ma quando parlo sembra non essere nemmeno la mia, tanto è diversa. “No, ecco, sono contento che pensiamo la stessa cosa...”

“Idem...”

“Era una cosa, sai, che ti... meno male che...”

Il telefono sceglie quel momento per squillare, salvandomi da quella situazione.

“Scusami...” Mi passa accanto per andare a rispondere, e io approfitto di quei secondi in cui mi dà le spalle per cercare di mandare giù quel nodo alla gola che mi impedisce di respirare.

Non voglio crederci. Non posso.

So che non sono stato l'unico tra noi due a provare quelle sensazioni. Quella volta di ritorno dal monastero, il gelato insieme in ufficio, la sera dello spettacolo in macchina, e quel bacio... Non posso aver immaginato tutto.

Mi volto verso di lei, ancora paralizzato dalle sue parole. Intuisco che si tratta di una chiamata che aspettava.

“Pronto? ...sì... Grazie!”

Abbassato il ricevitore, le chiedo silenziosamente chi fosse a quest'ora.

“La perizia balistica esclude l'ipotesi di suicidio. La traiettoria della caduta con la posizione del corpo richiedevano una spinta di un'altra persona.” Mi spiega con evidente sollievo riferendosi all'appuntato Barba, che lotta ancora tra la vita e la morte.

“Ah! Bene!... cioè, meglio così... No?”

“Assolutamente. Però bisogna capire chi è stato e perché.”

Finita la parentesi lavorativa però, l'imbarazzo torna prepotente tra noi.

Entrambi abbassiamo lo sguardo, senza sapere cosa fare né cosa dire.

Dai, Marco. Finora vi ha tirati fuori sempre lei dalle situazioni così. Datti una mossa e fai lo stesso.

Inspiro a fondo. “Ti do una mano con quei documenti, così magari per una sera riesci ad andare a dormire ad un orario decente.”

Lei arrossisce. “Ma no, non ti preoccupare. Posso finire anche da sola, non importa.”

“Insisto. Hai bisogno di riposarti. E poi magari insieme riusciamo a beccare qualcosa in quei fogli che magari da un'analisi singola può sfuggire.” E perché non importa se mi hai detto che è stato un errore. Per me non lo è stato.

Mi guarda intensamente, e mi ci vuole tutta la forza di volontà di cui sono dotato per non mandare all'aria la mia risoluzione e baciarla, alla faccia dell'errore e dell'amicizia.

“Va bene.” Cede infine. Torna a sedersi, e io prendo posto accanto a lei. Ci vuole qualche minuto, poi iniziamo a lavorare fingendo che non sia successo nulla, e ritrovandoci perfino a scherzare come prima.

 

Non ti ha mandato via, non ti arrendere.

La sua è una ferita più recente. Dalle tempo. Forse ha bisogno solo di quello.

 

***

 

La mattina dopo quando arrivo in caserma, Anna e il Maresciallo sono già nell'ufficio di lei a interrogare la proprietaria della stazione di servizio e il cugino/protettore di Oksana.

Apro la porta, e il mio primo istinto è guardare Anna. Per un momento cala nuovamente l'imbarazzo più totale, poi lei mi sorride e sento la calma invadermi. Va tutto bene. Dai tempo a tutti e due.

Finiamo per mettere in stato di fermo il ragazzo e a rilasciare temporaneamente la signora, anche se siamo convinti sia coinvolta in qualche misura.

Lei si occupa di aggiornare il questore, mentre io rivolgo per un momento l'attenzione a Cecchini: ha ricevuto una specie di eredità, e da giorni si porta dietro una borsa con all'interno quello che ha chiamato 'coleno', anche se non abbiamo ben capito che animale è. Mentre lui è impegnato a parlare col maggiordomo, io prendo questa borsa e la apro, troppo curioso. Solo per scoprire che all'interno c'è un coniglio di peluche. Giuro che non voglio sapere che sta combinando stavolta, anche se la cosa mi fa ancora ridere. Meno male che c'è lui.

 

***

 

La sera a casa, sto cucinando beatamente uno dei miei piatti preferiti, i gamberoni al guazzetto, quando qualcuno bussa insistentemente alla porta. È abbastanza tardi per una visita visto che sono le nove passate, ma mi comunque affretto ad aprire.

 

Anna.

 

“Oh! Ciao!” La saluto, evidentemente sorpreso. Che ci fa qua a quest'ora?

“Ciao, scusa... scusa, lo so che è tardi...” dice entrando e chiudendo la porta, perfettamente a suo agio. Mi tranquillizzo un po', vedo che è di corsa ma non preoccupata o altro. Non è niente di grave.

“Il maresciallo ha avuto una delle sue intuizioni notturne.” Spiega in fretta. “Sono tornata a casa di Barba, e ho trovato questa.” Mi porge una bustina con qualcosa di verde all'interno.

“Che roba è?”

“Dovrebbe essere una collana. Potrebbe essersi rotta quando Barba, spinto giù, si è afferrato al collo del suo carnefice.”

“Una donna! Potrebbe essere la Moscato!”

“Beh sì, questo spiegherebbe il taglio sulla mano destra.”

“Se noi troviamo del DNA quassù la incastriamo!” Dico, sollevato di essere più vicini a una soluzione.

“L'indagine non è finita!” Mi risponde, compiaciuta, prendendomi la bustina dalle mani e lasciandomi impalato lì ancora incerto sul perché sia venuta a dirmi tutte queste cose a quest'ora e non aspettare domani mattina, visto che non cambia nulla.

D'un tratto cambia espressione.

“Che fai, cucini?” Chiede, perplessa. Seguo il suo sguardo, posato sul mio grembiule.

Ah già, stavo cucinando prima del tuo arrivo.

“... Sì!”

“Ah, non la ritieni una cosa da donne?” Fa con espressione altezzosa.

“No, perché? I migliori chef sono uomini, eh?” La prendo in giro, facendo un passo indietro verso la cucina. Lei fa altrettanto, avvicinandosi di nuovo.

“Sì, questo perché le loro mamme erano sicuramente delle ottime cuoche!”

Adoro quando fa la saccente. Faccio un sorrisetto fingendomi esasperato, per poi tornare a guardarla. Ma sì, cosa ci può essere di male, in fondo?

“... Che fai, ti fermi?”

Lei ci pensa un attimo. “Sì, ho fame!”

Mai parole ebbero suono più dolce, eh, Marco?

 

“Appoggia tutto dove ti pare,” le dico allegramente, prima di tornare ai fornelli. Lei si sfila il soprabito e lo sistema all'appendiabiti all'ingresso insieme alla borsa, poi si siede su uno degli sgabelli del pianale davanti a me. Io le ho già versato del vino bianco in un calice.

“Che profumino,” commenta. “Io non cucino mai quando sono sola. Anzi, in realtà non cucino mai, punto.”

“Io invece cucino solo per me, adesso.” Rispondo, assaggiando uno dei gamberi.

“Prima?” Chiede, curiosa.

“Prima no, cucinavo anche per la mia ex, Federica. Però adesso è tutto cambiato perché... posso usare i condimenti, grassi idrogenati, capito? Adesso ho svoltato.”

Lei ridacchia, divertita, un'adorabile espressione scioccata sul suo viso. “Ho capito il tipo... è per questo che non ti sei presentato al tuo matrimonio? Ti teneva a digiuno?” Domanda innocentemente.

Io esito un istante.

Hai due possibilità: inventarti una scusa, mentire e trovarti punto e a capo, oppure dirle la verità, liberarti di un peso ed essere sincero con lei. Siete amici, no? Puoi fidarti.

“Per questo... e perché l'ho trovata a letto col mio migliore amico.”

Anna spalanca gli occhi, di certo non si aspettava questo tipo di risposta, e un vago rossore si fa largo sulle sue guance.

“Mi... mi dispiace... non credevo che...” Abbassa lo sguardo, in totale imbarazzo.

“No, ehi,” la rassicuro, facendole un cenno per lasciarle capire che non deve sentirsi in colpa per aver chiesto. Poi le avvicino il cucchiaio di legno così che dia un assaggio al mio piatto forte.

“Occhio che scotta,” la avverto. Questa situazione sembra talmente naturale che potrei abituarmici. “Com'è?”

“Ma è buonissimo!” Si complimenta, estasiata. “Mi sa che mi devi insegnare a cucinare!”

“Sì,” accetto senza esitare, “ma solo se lo fai per te, e non perché una donna dev'essere brava in cucina.”

Lei annuisce con un sorriso, e non posso già non pensare che non vedo l'ora di iniziare solo per poter passare più tempo insieme.

A prescindere, decido che ormai voglio che sappia tutto della mia vecchia relazione.

“Oh, comunque la mia ex ha fatto anche di peggio, eh. Ma tanto...” Butto lì.

Anna solleva lo sguardo, incredula, mettendo giù il bicchiere dopo averne preso un sorso. “Che ha fatto?”

Sollevo un dito per dirle di aspettare, apro un cassetto del soggiorno tirando fuori un dvd e mettendolo nel lettore. La invito a venire davanti alla tv, poi premo play.

Iniziano a scorrere foto di me e Federica.

Anna è senza parole.

“Cioè... voi avete fatto un servizio fotografico prima di sposarvi...” dice, basita. “Questa cosa è orribile, lo sai?”

“Eh, ma lei diceva che serviva per rompere il ghiaccio,” spiego con una nota di ironia.

Lei spalanca gli occhi ancora di più.

“Eh sì! Lei qua stava col mio migliore amico, a letto, e io dovevo rompere il ghiaccio, capito?”

“Dovresti denunciarla per circonvenzione di incapace,” mi suggerisce sedendosi e riprendendo il bicchiere. Io rido appena, non avrebbe tutti i torti.

“Lo vedi? C'è qualcuno che sta peggio di te!” Le faccio notare, sedendomi accanto a lei.

“No,” dissente, “il mio fidanzato... ha fatto voto di castità. Non so se...” Gesticola per rendere meglio l'idea. Forse è vero, però...

“Mah, però almeno Giovanni con Dio non c'è andato a letto!”

Anna scoppia a ridere.

“No, dimmi...!” La stuzzico ancora, facendo attenzione che non vada in apnea.

“Okay, okay hai vinto!” Cede, e io alzo le mani in segno di vittoria.

Ci voltiamo entrambi a guardare senza realmente vedere quelle foto che ancora scorrono sullo schermo della tv. Sento Anna sospirare.

“Lo sai che parlare con te mi fa stare meglio?” Dice infine.

Io mi giro a guardarla, leggermente sorpreso da questa sua affermazione.

“Mh-mh, sì,” conferma, alzando gli occhi al cielo. Sì, la cosa è decisamente paradossale. O magari è solo normale perché stare insieme vi fa stare davvero meglio.

“No,” nego io però, “parlare con uno che sta peggio di te, non con me.” Anche se vorrei tanto che mi contraddicessi.

“Sì, anche, bravo” concede lei, senza accettare completamente la mia posizione sulla cosa.

“Comunque la colpa è vostra...” mormoro. “L'uomo che cercate non esiste in natura. Esiste forse, eh... ma è un prete!”

Lei fa un'espressione che mi fa scoppiare a ridere, anche se tecnicamente mi ha mandato a quel paese.

“Scherzo, scherzo, scherzo, scherzo, scherzo...” Ritratto in fretta e a voce bassa, ancora ridacchiando.

Anna alza gli occhi al cielo, poi prende il mio bicchiere e me lo porge. “Beviamoci su, che è meglio, va.”

Brindiamo, anche se non so bene a cosa, ma accetto di buon grado.

All'improvviso mi torna in mente il motivo iniziale per cui è rimasta qui stasera.

“Ehi, che ne dici se ora ceniamo?”

Lei spalanca gli occhi, come se pure lei si fosse dimenticata. “Mi hai appena ricordato che ho una fame da svenire.”

 

Prepariamo in fretta la tavola, e mi sembra a un tempo strano e familiare apparecchiare per due, con lei a farmi compagnia.

Le servo il suo piatto prima di sedermi anch'io.

“Buon appetito, allora!”

“Altrettanto,” risponde con un sorriso.

Mangiamo per qualche minuto senza dire nulla, e con mio sommo piacere vedo che sta spazzolando tutto.

“Devo dedurre che ti sia piaciuto, quindi?”

“Scherzi? È una delle cose più buone che abbia mai mangiato.”

Faccio un piccolo inchino, a cui lei risponde con una risatina. “C'è anche da dire che a me piace mangiare in generale, quindi poco importa cosa ho davanti. Se poi è buono così, meglio ancora.”

Per qualche motivo questa informazione non mi sorprende. “Ottimo, essere una buona forchetta aiuta anche nella preparazione... basta che non mangi tutto nel processo.”

Mi lancia un'occhiataccia. “Tranquillo... mangerò tutto dopo.”

Scoppio a ridere. È veramente strano per me trovarmi accanto una donna che ammetta una cosa del genere. Con Federica era sempre un continuo di lamentele, non le andava bene niente di quello che le preparavo e prestava un'attenzione esagerata a calorie e simili. Anna a quanto pare è l'esatto opposto.

“Un po' come i libri, se ne hai uno davanti devi finirlo? Tratti il piatto allo stesso modo?”

“Ci puoi scommettere, è maleducazione lasciare il piatto pieno! A proposito, quando cominciamo?”

“Quando vuoi... facciamo tra un paio di giorni? Il tempo di pensare a qualcosa di adatto per cominciare.”

“Affare fatto.”

Una volta terminato, sparecchiamo insieme.

“Dai, ti aiuto a lavare queste due cose...”

E non c'è verso di farla desistere.

“Mi spiace, se avessi saputo avrei preparato il dolce, non ho nemmeno una vaschetta di gelato al cioccolato nel freezer.”

Noto una scintilla divertita nel suo sguardo. “Vuol dire che rimedierai alla prima lezione di cucina, per festeggiare.”

“Cioccolato, allora?”

“Sempre!” Strizza l'occhio. “Sarà meglio che vada, ora, si è fatto tardi, sono... l'una?!” Esclama, guardando l'orologio.

“Cavolo, non mi ero accorto si fosse fatta quest'ora.”

“Oh, beh, pazienza. Ci vediamo domani?”

“Certo! Buonanotte,” Le auguro.

“Anche a te...” Ricambia uscendo, con un ultimo sorriso.

 

Chiudo la porta, pensieroso.

Stasera con lei sono stato davvero bene, perfino più di quanto immaginassi. E raccontarle della mia ex è stato più semplice di quanto avevo pensato finora. Stupido tu ad aver aspettato tanto a dirglielo.

Parlarne mi ha aiutato, sapere che adesso non c'è più questo ostacolo tra noi mi tranquillizza.

Saremo anche 'solo amici' per il momento, ma questo non significa che non possa essere diverso più avanti. Avremo modo di capire meglio durante queste lezioni di cucina che lei stessa mi ha chiesto. Questo significa che anche lei sta bene con te, che non le dispiace passare del tempo insieme.

E poi conoscerci un po' di più non può guastare, no?

 

Anna's pov

Stupida, stupida, stupida!

Sono queste le parole che continuo a ripetermi per tutto il tragitto di ritorno da casa di Marco.

Perché, perché l'altra sera gli ho detto che quel bacio è stato un errore?

Era dalla mattina dopo che lui cercava invano di aprire il discorso, ma io ho avuto paura e ho cercato ogni minima scusa per non restare da sola con lui.

La verità è che quella sera, quando me lo sono ritrovata a casa, se all'inizio non sapevo che pensare, quando mi ha baciata non ho capito più niente. La mia mente è andata completamente in tilt.

Per un lungo istante ho solo pensato a quanto tutto fosse perfetto, alle sue mani sul mio viso, le sue labbra, il suo profumo, la dolcezza dei suoi gesti... e quell'amore che ormai avevo capito di provare per lui.

È stato questo che ha fatto scattare immediatamente il meccanismo di autodifesa, l'improvvisa consapevolezza di essermi effettivamente innamorata di Marco.

Prima che riuscissi a razionalizzare la cosa, però, mi ero già allontanata. E ho capito di aver combinato un casino quando lui mi ha chiesto scusa, come se avesse fatto qualcosa che io non volevo, quando invece era l'esatto contrario.

Solo che poi il mio cervello ha iniziato a pensare... troppo, come al solito, convincendomi che Marco non mi aveva baciata perché prova qualcosa per me, ma solo perché era ancora preso da tutta la situazione con la sua ex e il suo migliore amico, e per quello che io gli avevo raccontato, e l'aveva fatto più per istinto che altro. Che in un'occasione normale non sarebbe mai successo.

Come potrebbe innamorarsi di te, andiamo? L'hai vista, la sua ex. Bionda, occhi azzurri, bellissima, femminile, sicura di sé e consapevole del suo fascino. È tutto quello che tu non sei. Quindi, di conseguenza, significa che non sei il suo tipo. Come potresti?

Quando lui ha approfittato dei momenti da soli, ecco che di nuovo il mio cervello si metteva in moto, ogni volta facendomi partire prevenuta e a minimizzare la cosa, convinto dell'idea che lui stesse per dirmi di essersi sbagliato, che si era trattato di un incidente, e di non pensarci più.

Esattamente quello che alla fine gli ho detto io ieri sera, quando è venuto apposta in ufficio.

 

Mi sono pentita delle mie parole un secondo dopo averle pronunciate, ma ormai era troppo tardi, e quando lui mi ha risposto che era esattamente quello che pensava, se possibile mi sono sentita ancora peggio.

Perché una parte di me pensava che tutte quelle cose che mi aveva detto, quei momenti passati insieme, significassero qualcosa in più.

 

Non so nemmeno io perché sono andata a casa sua stasera, mi ci sono ritrovata automaticamente, quasi fosse la cosa più normale del mondo andare da lui a quell'ora di sera.

Quando mi ha chiesto di restare per cena... ho sentito il mio cuore fare un balzo, e ho dovuto reprimere a forza l'idea che se avessi reagito diversamente la sera prima, a quest'ora la cena insieme sarebbe stata per motivi ben diversi.

 

La cosa che più mi ha sorpresa è stata la naturalezza con cui mi ha parlato della sua ex. Ogni volta che ci eravamo arrivati vicini, mi aveva sempre deviata o aveva chiuso il discorso senza lasciarmi sapere nulla oltre quello che avevo scoperto da sola.

Invece stasera mi ha raccontato come stanno davvero le cose.

Io faccio ancora fatica a crederci, davvero esiste gente capace di comportarsi così? Ferire deliberatamente chi dovresti amare?

Ammetto che un amore possa finire, ma tradire il tuo futuro marito col suo migliore amico a un passo dall'altare è pura crudeltà. Senza pensare a quel servizio fotografico... significa che se lui non li avesse scoperti, quei due avrebbero continuato alle sue spalle anche dopo.

Io davvero non capisco...

Cioè, io mi sentivo in colpa solo all'idea di star avvicinandomi a Marco quando ero mi ero appena lasciata con Giovanni, pur essendo di fatto single, e quella lì...

Lasciamo stare, questa cosa mi ha già fatto venire il mal di testa.

 

Di buono c'è che ho scoperto che è un cuoco eccezionale. Caspita, se non me lo aspettavo.

La cosa delle lezioni è stata solo una battuta all'inizio, non pensavo avrebbe accettato.

Datti una calmata, sono solo lezioni di cucina, nient'altro.

A tal proposito, gli ho anche confessato senza mezzi termini la mia devozione al cibo. Beh, meglio essere chiari fin da subito... giusto?

Anche perché ero sincera quando gli ho detto che avrei mangiato tutto dopo.

Rientro in casa, chiudendomi la porta alle spalle.

 

Anche raccontargli di papà è stata una decisione improvvisa.

Quando in ufficio mi ha accusata di essere io quella che si lascia coinvolgere mentre lui sapeva tenere fuori la vita privata, come se fosse una cosa negativa, mi ha fatto male.

Ho cercato di mandar giù il senso di delusione che mi ha invasa quando è andato via furioso sbattendo la porta, perché mi aveva incolpata di qualcosa che nemmeno lui sapeva, soprattutto considerando che si stava comportando esattamente all'opposto nonostante dicesse il contrario.

Avevo cercato di convincerlo a confidarsi, senza successo, volevo impedirgli di rovinare la vita a un innocente solo per vendetta. Anche se io stavo forse più male di lui per un altro motivo.

Quando ho saputo che caso avessimo davanti, mi sono sentita come riportata indietro di diciassette anni.

'È una specie di ladro', avevano sussurrato i compagni di scuola riferendosi al padre di quella ragazzina, poco più grande di me all'epoca, e lei aveva reagito esattamente come avevo fatto io.

Nessuno doveva permettersi di chiamare mio padre in quel modo, io ero sicura che fosse innocente anche se tutti dicevano di no, compresa mia madre. È uno dei tanti motivi per cui non siamo mai andate molto d'accordo.

 

Sento una lacrima scivolarmi sul viso, seguita immediatamente da altre. Nel giro di qualche secondo, scendono ormai copiose senza che io faccia nulla per fermarle.

Vorrei tanto ricordarmi solo i momenti belli con papà, quando mi prendeva in braccio e mi diceva che mi voleva bene. Quando mi consolava perché mamma voleva obbligarmi a indossare gonne o vestitini e io non volevo. Quando leggevamo insieme libri di tutti i tipi. Le sue parole gentili prima che mi addormentassi. Il bacio della buonanotte che veniva a darmi ogni sera.

E invece l'unica cosa che ricordo con chiarezza è il suo volto in obitorio.

Decisamente non è la conclusione di serata che avrei immaginato, dopo essere stata tanto bene con Marco.

 

Richiudo a chiave nell'angolo più remoto della mia mente questi pensieri, tornando a concentrarmi su poco fa, a casa sua.

Mi sono divertita con lui, sembrava la cosa più naturale del mondo stare lì a chiacchierare durante una cena qualsiasi.

Ti ha invitata a restare, non gli dispiace stare con te. Si è anche confidato, adesso sai che c'è un'altra barriera in meno tra di voi.

Forse una di queste sere riuscirò a dirgli che, in fondo, quel bacio non è stato davvero un errore.

O, se lo è stato, è il più bello della tua vita.

 

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Capitolo 13
*** Genitori e figli ***


 

GENITORI E FIGLI

 

Da qualche settimana ormai io e Anna abbiamo un appuntamento fisso per le lezioni di cucina.

Solitamente ci vediamo a casa sua dopo il lavoro, e mentirei se dicessi che non attendo con ansia quelle serate.

È un'ottima allieva, su questo non avevo dubbi, ed è già riuscita ad incastrare pure il lavoro con le lezioni, nel senso che se ci resta qualcosa da fare che non abbiamo terminato in ufficio, la finiamo assieme da lei.

Multitasking all'ennesima potenza. In effetti sa gestirsi a meraviglia.

Abbiamo iniziato a conoscerci un po' meglio anche in queste occasioni e sto anche imparando le sue abitudini, e lei le mie. Non c'è più imbarazzo tra di noi, anzi.

Come se fosse la cosa più naturale del mondo, passare le serate insieme.

Anche stasera siamo a casa sua, le sto insegnando a preparare, fra le altre cose, la maionese.

No, non è una decisione a caso. Sì, sto scegliendo cose che ho scoperto le piacciono.

Le sto dando una mano a versare l'olio mentre lei gira quando bussano alla porta. Le dico di non fermarsi a priori, e lei va ad aprire.

Cecchini.

Cavolo, finora non ci aveva beccati. Ci mancava lui dopo le insinuazioni dell'altra volta.

“Sono io... allora, siccome mia moglie e mia figlia non ci sono e devo usare il forno, volevo sapere... ma io che-”

Ecco che mi ha notato. Ops.

“Buonasera!” mi saluta, e io ricambio, fingendo indifferenza.

Quando torna a rivolgersi ad Anna abbassa la voce e non capisco cosa dice.

Mh... dovrò escogitare qualcosa per tirarglielo fuori. Sono curioso.

Qualcuno suona di nuovo alla porta, così lei passa la ciotola a Cecchini e torna ad aprire.

Sua sorella.

Ma si son messi tutti d'accordo, a disturbarci?

“Sasà mi ha lasciata!” le dice, buttandosi ad abbracciarla prima di notare me e lanciarmi un'occhiata stranita.

“Salve...” mormoro, incerto.

Lei si stacca da Anna mettendosi anche lei a mormorarle qualcosa.

Oh, ma che avete tutti da confidarle, stasera?

Poi torna ad alzare la voce.

“Vabbè, vabbè, vabbè... ti prego, portami fuori, ho bisogno di aria, sono disperata!”

“Da quant'è che stavate insieme, un mese?” È la risposta piccata di Anna.

“Ma che c'entra il tempo, Anna? Lui era l'uomo della mia vita, okay? Una volta mi ha detto addirittura che sono più bella di un gol di Messi!” Fa, rivolta al Maresciallo, che sembra non sapere nemmeno chi sia, e borbotta qualcosa in risposta.

Becco però il commento di Anna. “Ah, che romanticismo!”

Ridacchio sotto i baffi. Non ha tutti i torti, in effetti non è il miglior complimento che si possa fare a una donna. Okay, anche io adoro il calcio, ma da qui a usare quest'espressione... chi è questo tizio?

“Anna, vai con tua sorella!” le suggerisco comunque, anche se la reazione della ragazza mi sembra un tantino esagerata visti i presupposti.

“No,” nega secca lei.

“Possiamo vedere domani per il cas-”

“No, dobbiamo lavorare.” Okay. Sto zitto.

“Dai, Anna, su, ti prego, ma che cosa ti costa?” Le chiede la sorella, in tono leggermente prepotente.

“Non possiamo andare domani? Non puoi venire qui e pretendere ogni volta che io faccia tutto quello che vuoi tu!”

Ci dev'essere qualcosa sotto, allora.

“Va bene, allora vado da sola perché ho bisogno di aria!”

“No, no, che esce da sola? Facciamo che... l'accompagno io!” Si propone il Maresciallo.

Anna lo prende in disparte per dirgli di non farla assolutamente bere perché non regge per niente l'alcol, poi Cecchini e Chiara escono.

Cala un silenzio imbarazzante per qualche minuto.

“Scusa per la scenata di prima...” esordisce lei a un certo punto.

“Guarda che non devi giustificarti... è una cosa tra voi...”

Lei abbassa lo sguardo.

“...Ne vuoi parlare?” Le chiedo poi a voce bassa. Se ha bisogno di sfogarsi...

Anna sospira pesantemente, indecisa su cosa fare.

“Lo so che può esserti sembrato eccessivo quello che le ho detto, però... mia sorella è una che cambia un fidanzato al mese, si fa convincere e poi ci sta male. E poi è sempre stato così tra noi, anche da piccoline... le succedeva qualcosa, correva da me per farsi consolare e poi per sentirsi meglio mi obbligava a fare quello che voleva lei, anche se io le dicevo di no. Poi si stufava regolarmente a metà, e mi lasciava da sola per dedicarsi ad altro, con altri. E ricominciavamo da capo.”

“Non hai mai provato a ribellarti?” Le chiedo, incerto. Col carattere che ha, mi pare strano.

“Diciamo che non ero molto brava a farmi ascoltare, prima. E poi lei ha sempre fatto di testa sua a prescindere.”

Restiamo in silenzio per qualche minuto, poi mi dice una cosa che non mi sarei aspettato.

“Era diverso, quando c'era mio padre. Ma ognuno reagisce al dolore a modo suo.”

Io non dico nulla, non voglio farle pressione, soprattutto perché sentirla parlare di suo padre è una cosa che mi provoca uno strano senso di smarrimento.

Più di tutto il resto, so che si tratta di un argomento molto personale per lei, per cui voglio evitare di dire magari cose sbagliate.

“Con lui, era tutto più tranquillo. Chiara ha sempre preso le cose molto più alla leggera di me, questo sì, però papà cercava sempre di farle capire che direzione prendere, e lei così aveva una guida da seguire... Quando lui se n'è andato, ha perso pure lei un punto di riferimento, quindi ha iniziato a comportarsi con più inconsistenza di prima. Io mi chiudevo in casa a leggere, lei usciva sempre a divertirsi, ma avevamo lo stesso obiettivo: non pensare, almeno per un po'. Estraniarci, allontanarci da mamma che non reagiva, che aveva smesso di prendersi cura di noi perché troppo sconvolta dalla perdita di papà... Ci siamo riavvicinate molto verso la fine delle superiori, anche se molte cose le vediamo in maniera decisamente opposta, e alcune cose non sono cambiate affatto. Però quando fa così non lo sopporto. Se si comportasse in maniera più... matura, a volte, non guasterebbe.”

“Forse ha solo bisogno di essere rassicurata...” mormoro, ancora impegnato a riflettere sulle sue parole.

“Sì, peccato che non mi dia mai ascolto. Comunque...” si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio prima di tornare a guardarmi con un mezzo sorriso. “Mi sa che devo ricominciare con la maionese, si è smontata.”

“Ops.”

Riprendiamo la lezione, e poi passiamo al protocollo, lasciandoci l'argomento 'sorella' alle spalle, almeno per il momento.

 

***

 

Quando ci rechiamo a casa di una donna che è stata aggredita in seguito a un presunto furto, c'è anche Don Matteo, che si propone per andare insieme ad Anna a parlare ai due figli della donna, suoi allievi, per dire loro dell'accaduto. Io faccio per seguirli quando Cecchini mi blocca.

“Non voglio che sente la Capitana,” mi avverte, e io già mi preoccupo. “Allora, è successo questo: ieri sera... ho perso sua sorella.”

“Ma come perso? Cosa, vuol dire, l'ha perso? Cos'è, un portafogli, scusi?” Non ci posso credere, un altro casino.

“S'è bevuta 'a vodka, quella...”

“L'ha fatta bere!” Anna gli ha detto esplicitamente di farla stare lontana dall'alcol, e lui che fa?

“No, no io! Lei mi diceva che era acqua! Io pensavo, quanta acqua sta bevendo questa, e invece! Tutta la sera m'ha parlato di Sasà, Sasà, poi a un certo punto io sono andato fuori, avevo un problema con la macchina, sono tornato e lei non c'era più.”

“Sa che se lo scopre la Capitana, va in pensione domani, Lei, eh?” Lo metto in guardia. Se Anna viene a saperlo lo ammazza. “L'ha chiamata?”

“Sempre staccato... sono preoccupato.”

“No, tranquillo, vedrà che è dal fidanzato. Tornano sempre dal fidanzato, le donne lasciate. Troviamo Sasà e troveremo anche Chiara. Andiamo.” Lo consolo, prima di uscire.

Spero che la mia teoria sia esatta, stando a quello che mi ha detto Anna di lei ci potrebbe stare.

Certo, si fosse trattato di Anna, non avresti avuto idea di dove cominciare a cercare, ma di certo non a casa di Giovanni.

A dire il vero, Anna non ha fatto proprio queste scenate con Giovanni, anzi ha reagito in maniera opposta. Altro che aria e uscire... lavoro a tempo pieno.

Scuoto la testa. Non devo pensare ad Anna adesso, devo aiutare il maresciallo a trovare sua sorella.

 

***

 

Dopo la comunicazione alla figlia e al marito per il chiarimento circa la loro posizione, vado da Cecchini per vedere come va. Ha trovato il numero del tipo, e lo sta chiamando proprio in questo istante. Dopo qualche squillo, quello risponde.

“Lei è il signor Sasà, giusto? Chiara Olivieri, Lei... mh... non l'ha vista?... Ah, però l'ha chiamata per telefono ieri notte... e che cosa...? Ah... sì, sì, però, signor Sasà, io non la conosco ma dalla voce capisco che Lei è un signore, le pare che la denuncia? Le donne non si denunciano neanche con...! Eh? Quando? ...Ah, poi le ha mandato una fotografia con un... ? Signor Sasà, Le dispiace, mi gira la foto a me? Grazie, signor Sasà.”

Chiude la conversazione, e io ammetto di non averci capito nulla, tranne che non è con lui.

“Non ho capito niente, che c'è?”

“'Sto qua praticamente non l'ha vista. Lei gli ha telefonato ieri notte, l'ha insultato, gli ha detto 'caprone', gliene ha dette di tutti i colori, e poi a un certo punto gli ha mandato una foto di lei con un altro col suo cellulare.”

“E dov'è questo? Ma chi è 'sto qua?” Faccio, quando Cecchini apre la foto che ha appena ricevuto e che ritrae Chiara che bacia un altro tizio. Evviva la coerenza.

“Maresciallo?” Lo chiama all'improvviso Anna, con un tempismo sempre impeccabile.

“Eh... queste tende vanno sistemate perché sono...”

“Sì,” fa lei disinteressata, “per caso ha notizie di mia sorella?”

Ecco, lo sapevo io.

“No, però sono sicuro che è in buona compagnia, non si preoccupi.” La svia lui.

“No, non mi preoccupo, tanto fa sempre così: viene, si dispera, poi sparisce di nuovo...” commenta, lanciandomi uno sguardo di sottecchi, facendo riferimento alla discussione di ieri sera.

“Grazie, per fortuna è stata con Lei ieri sera, altrimenti non so che avrebbe combinato... va bene, diramiamo la foto.”

“Quale foto?” ci allarmiamo io e Cecchini.

“Quella di Lucio Volpi, il figlio della vittima.” risponde lei, perplessa.

“Ah, sì,” rispondo in fretta, dandomi mentalmente dello scemo.

“Fate meno pause caffè, eh?” Ci ammonisce, andando via.

Io guardo male Cecchini. Ottimo, questa strigliata da parte sua mi ci voleva proprio, per una cosa in cui io non c'entro niente, di nuovo.

 

***

 

In serata proviamo di nuovo a chiamarla, ma niente.

“Dobbiamo trovarla.” mi dice in preda al panico.

“Oh, io ci tengo, l'aiuto, ma è Lei che la deve trovare, perché l'ha persa Lei. Scusi, eh.” Metto in chiaro. Non ho proprio voglia di mettermi di nuovo in cattiva luce con Anna per colpa sua.

“Ah, vogliamo dirla tutta? La colpa è sua!” Mi accusa. Come, mia? Che ho fatto io?

“Ma cosa, ma che, perché?”

“Glielo spiego io: la Capitana voleva stare con lei-”

“Se, vabbé,” nego, arrossendo come un adolescente. Non si metta in mezzo, Cecchini, le stavo solo insegnando a cucinare. Anna non voleva... stare con me... no?

“-e sono stato costretto io a uscire con la sorella.”

“Io sono stato il primo a dire 'vai da...', no, no, Maresciallo, eravamo lì per lavorare. Mi faccia vedere quella foto,” taglio corto, non mi va che faccia insinuazioni su noi due.

Però non ha tutti i torti... cioè, Anna è rimasta con me invece di andare con sua sorella...

Dovevamo lavorare. Lavorare. La lezione e il protocollo. Eri lì per questo.

Gli prendo il cellulare dalle mani, e nella foto noto il simbolo della discoteca 'Jolly', ma naturalmente Anna sceglie quel momento per passare da là.

“Una discoteca...?” Chiede, sospettosa a Cecchini. “Che ha organizzato in discoteca, Lei?”

“Ehhh... Il mio compleanno, sì, tra tre mesi... faccio il compleanno...”

“Ah, largo anticipo...” Non ci sta credendo nemmeno un po'.

Continuano a battibeccare per qualche istante mettendo in mezzo pure me, prima di chiederci se abbiamo notizie di Lucio Volpi. Le sto proprio dicendo di no, quando entra Don Matteo col ragazzo.

Giusto per migliorare il suo umore.

 

[…]

 

Più tardi la sera stessa accompagno il maresciallo al Jolly per vedere se qualcuno ha notizie, e il barman fortunatamente ci dice di sì, e che poi se n'è andata via col tizio della foto, lasciando però lì il cellulare, che improvvisamente si mette a vibrare.

Sul display compare scritto 'Farfallina': bene, e chi cavolo può essere?

“Forse è un'amica, ci può dire dov'è!” Dico al maresciallo, facendo rispondere lui.

“Farfallina dimmi...” esordisce lui. Gran bell'approccio. “Sì, signor Capitano!”

Cosa?? Seriamente sua sorella l'ha salvata in rubrica come 'farfallina'?

“No, le dica la verità!” Gli dico immediatamente. “Ormai è sparita da ventiquattr'ore, le dica la verità!”

“Sì, sì, sono Cecchini... le devo dire una cosa... sua sorella... sta ballando... Sì, sta ballando col PM, sì...”

No! Cecchini, no! Lei non sa quello che sta facendo! Chi se la fila, sua sorella? Ritratti subito!

“Si divertono tanto... no, non la faccio bere! No, ci mancherebbe...! Ma... come mai 'farfallina'? Che sarebbe?”

Io gli do un colpo al braccio. “Ma che gliene frega?” Gli sussurro.

“Ah, fatti vostri, vabbè non mi interessa. Arrivederla, e stia tranquilla! Lei è in una botte!” Afferma prima di riattaccare.

“Ma perché non le ha detto la verità?” Gli chiedo, esterrefatto.

“Ma che cosa gli dico?” fa lui, “La faccio preoccupare... glielo dico domani!”

Certo, come no.

Come se non bastasse, ci ritroviamo pure a pagare un conto salatissimo, visto che Chiara ha avuto la bella idea, ieri sera, di offrire da bere a tutti.

Dio mi salvi da una così.

 

***

 

La mattina dopo, quando scendo per andare in caserma, incontro Cecchini... con un caprone al guinzaglio.

“Che cos'è?” fa lui, funereo. “Questo è un caprone camosciato delle Alpi. C'ha una targhetta, sa cosa c'è scritto? 'Sasà'!”

“Ma... è un'idea di Chiara?”

“L'ha ordinato su internet, l'hanno portato stamattina. Meno male che sua sorella era già uscita!”

“Però adesso basta. Adesso andiamo dalla Capitana, le spiega la storia, le dice che ha perso sua sorella e chiudiamo qui!” Dico perentorio. Che poi, perché la chiami pure tu Capitana? Non esiste come parola, e Anna odia questo nomignolo. Stai passando troppo tempo con Cecchini.

“Ma io... perché non glielo dice Lei?”

“Ah, io devo dirglielo! Ma è Lei che l'ha persa!”

Lascia temporaneamente il caprone a Spartaco, il proprietario del bar della piazza, e io lo strascino su in caserma per dire tutto ad Anna.

Che troviamo nel suo ufficio intenta a parlare al telefono.

“... Sono sicura di non aver comprato un... caprone camosciato delle Alpi. Guardi, me lo sarei ricordato! … Sì, è un errore! Grazie!”

Chiude la conversazione. Cecchini non sa più come nascondersi. Lei si gira verso di noi, infastidita.

“Mi hanno clonato la carta per comprare un caprone camosciato delle Alpi. Chi, chi compra un caprone su internet? Chi?”

“Pazzesco...” Commento io. “Ecco, appunto il Maresciallo doveva dirle una cosa.” Perché le stai dando del Lei?

“Allora, sì... ho pensato che mi sembra strano che... la vittima stesse al telefono mentre aveva la tracolla come se stesse per uscire.”

Penso che Anna debba aver intuito qualcosa dalla mia faccia, perché è qualche secondo che mi fissa in modo strano. Lascia correre per il momento, continuando a discutere del caso, mentre io mi avvicino a lei per dare un'occhiata ai documenti del medico legale.

“Questo è molto interessante secondo me... ma il Maresciallo, ORA, deve dirle un'altra cosa.” Stavolta non mi frega.

Torna a squillarle il telefono. Ma giusto ora?

“Capitano Anna Olivieri.” Risponde, e stavolta è una cosa seria, sicuro. “No... no, non può essere mia sorella.... sarà un'omonima...” dice, guardando fisso Cecchini con uno sguardo che non promette bene. “Grazie.” Chiude la chiamata.

“Chi era?” chiede lui.

“La polizia,” risponde prontamente Anna con un tono minaccioso. “Dicono che hanno fermato mia sorella per ubriachezza molesta. Era con Lei l'altro ieri sera, vero?”

Quando lui non risponde, lei sbatte il telefono sul tavolo. Non vorrei essere al suo posto.

“Era con Lei... vero?”

“Era con Lei! Cioè.. era con me! Però, non sempre sempre...”

“Maresciallo, le avevo detto che-”

La sfuriata è messa in pausa da Zappavigna che porta i tabulati telefonici della vittima. Gli dico io di andare, e Anna a tutto pensa meno che ai tabulati.

Suggerisco di andare a parlare il cliente che ha mandato tutti quei messaggi, e lei ci sbatte fuori senza pensarci due volte.

Benissimo. Adesso ce l'ha pure con me.

 

[…]

 

Quando torniamo, più tardi, Anna è furibonda.

“Che cosa c'è di oscuro nelle parole 'non la faccia bere'? Sono quarantotto ore che non si fa viva! Se è successo qualcosa a mia sorella, Lei prende il caprone, lo riporta sulle Alpi e ci resta.” Dice a un Cecchini molto silenzioso. Decido di intervenire, tanto ormai più che farla arrabbiare un altro po', non posso fare molto.

“Anna, però adesso basta. Cecchini doveva avvisarti prima, d'accordo, però lui almeno con Chiara c'era! Te, non mi sembra ti sia preoccupata tanto, mi sbaglio?”

So che è un colpo basso, ma non può giustificare il vizio di sua sorella per fregarsene, no? La smettiamo di dire colpa tua, colpa sua, cerchiamo tua sorella, va bene?”

“E che cosa proponi?” Mi domanda freddamente.

“Veramente...” si insinua il Maresciallo con voce piccola piccola, “Io qui c'avrei il verbale della Polizia, della sera quando hanno fermato sua sorella...” Le spiega, sedendosi.

“Lo legga,” chiede Anna, costernata.

Quel verbale è una cosa terrificante. Non credevo esistesse qualcuno capace di combinare così tanti casini in una sola sera. Beh, non biasimo Anna in questo momento (ha citato pure lei, sbagliando pure il grado), scoraggiata com'è. Decidiamo di rintracciare il tizio della foto che era con lei in macchina.

 

Tale Spennapapera Francesco (ha ragione Cecchini, che cognome è?), a quanto pare si è completamente invaghito di Chiara, ci ha chiesto di poter tenere la sua foto e che se la vuole sposare. Anna ha fatto finta di non sentire per buona parte della discussione, io cercavo di trattenermi dallo scoppiare a ridere.

“Se stasera non torna ne devo denunciare la scomparsa,” ammette poi, una volta andato via l'uomo.

Speriamo di no, un conto sono quelle sciocchezze come il caprone, ma così diventerebbe una cosa troppo seria. Anna non se lo perdonerebbe mai.

 

***

 

La sera, non riesco a darmi pace. Chiamo Cecchini per dirgli che forse sarebbe una buona soluzione andare nel luogo in cui hanno fermato Chiara, ma dopo un po' decido che voglio vedere come sta Anna.

Sua sorella non è tornata, sarà in pensiero per lei, e si sentirà in colpa.

Forse ho sbagliato anche io a dirle quelle cose in ufficio, d'altronde lei non mi ha poi detto molto. E io ho in parte difeso le azioni di sua sorella, che comunque si è rivelata un'irresponsabile a combinare tutti quei casini solo per essere stata lasciata da un tizio che conosce appena.

 

Salgo in fretta le scale del palazzo e busso alla porta del suo appartamento, sperando non mi mandi a quel paese.

“Ehi...” La saluto quando mi apre.

“Ciao...” dice in tono sorpreso, invitandomi a entrare. “Che ci fai qua a quest'ora?”

“Volevo vedere come stavi...”

Chiude piano la porta, seguendomi fino al divano.

“Come vuoi che stia...” risponde con un sospiro. “Sono due giorni che non si fa viva, ed è colpa mia se è in questa situazione. Aveva chiesto il mio aiuto, ma io non gliel'ho dato. E il discorso di Cecchini purtroppo non mi è servito a farmi stare meglio.”

“Che discorso?” Quindi anche lui dev'essere passato a trovarla.

“Mi ha raccontato un episodio con sua figlia Patrizia quando andava a scuola. E dicendomi di come a volte i genitori sbagliano ad approcciarsi con i figli, perché non capiscono ciò di cui hanno davvero bisogno.”

“Beh, ma Chiara non è-”

“-non è mia figlia, e tanto meno una ragazzina. È quello che gli ho detto anch'io, anche se ho apprezzato il suo tentativo. Ma la cosa peggiore sai qual è? Che in quel discorso io mi ci sono ritrovata. Perché anche se sono la più piccola tra le due, mi sono sempre dovuta occupare io di lei, quasi come se fossi io sua madre. Sono sempre stata lì a dirle di fare attenzione, di chiamarmi quando arrivava da qualche parte o se aveva bisogno, di consolarla se qualcosa andava male o congratularmi per i suoi successi... Quello che avrebbe dovuto fare mia madre, peccato che lei pensasse ad altro e si sia sempre dimenticata di noi.”

Io la ascolto, pentendomi un po' del mio comportamento. Di nuovo, ho parlato senza sapere, senza capire quello che aveva già cercato di dirmi.

“Non è mai stato un problema, pensavo che crescendo sarebbe diventata un po' più responsabile, e invece... E ora nemmeno la troviamo...”

Gli occhi le si fanno lucidi, così senza riflettere le passo un braccio attorno alle spalle, stringendola a me. Lei si irrigidisce appena, ma si rilassa quasi subito ricambiando la stretta.

“Vedrai che sta bene... domattina andiamo a vedere dove l'ha fermata la Polizia, magari è nei dintorni...” Cerco di consolarla mentre lei tira su con il naso. È tutto così strano e paradossalmente familiare, anche se fino a qualche giorno fa non mi sarei mai immaginato di trovarmi in una situazione così con lei, a confortarla in un modo così... intimo. Soprattutto senza che lei opponesse resistenza.

Annuisce, e restiamo per qualche minuto così, abbracciati, senza parlare.

Dopo un po' è lei a prendere la parola per chiedermi se ho cenato.

“Ehm, in realtà no.”

“Il maresciallo mi ha passato dei cannelloni poco fa, me li ha mandati sua moglie. Possiamo condividere, se vuoi. Tanto ormai sei qui...”

“Ti faccio compagnia, dai.” Accetto subito. Non mi va di lasciarla sola, e se mi ha chiesto di restare magari nemmeno lei lo vuole.

 

Quando vado via è abbastanza tardi. Sono rimasto di più nella speranza che Chiara si facesse viva, e anche per distrarre un po' Anna.

Ci accordiamo per andare sul posto insieme al Maresciallo l'indomani mattina. Speriamo di avere fortuna.

E anche se per un motivo non certo felice, sei riuscito perfino ad abbracciarla senza che lei si tirasse indietro. Anzi, quando ha appoggiato la testa contro il tuo petto e si è stretta di più a te hai temuto per un attimo che sentisse il tuo cuore tamburellare furioso per quel contatto.

 

… Cosa devo fare?

 

[…]

 

Quando arriviamo al luogo in cui hanno fermato Chiara, notiamo un casale poco distante. Così ci andiamo, magari è rimasta lì per qualche motivo, ma almeno sarebbe al sicuro. Spero.

Cecchini bussa, e la signora che apre è decisamente sorda e fraintende tutto quello che le diciamo. Anna è lì lì per avere una crisi isterica, e l'unica cosa che posso fare al momento è lasciarle una carezza leggera sulla schiena per tentare di calmarla. Cecchini non ha fortuna, così Anna gli prende il cellulare dalle mani, dicendole che la ragazza della foto è sua sorella Chiara.

“Ah, ma allora tu sei Anna!” Risponde quella, estasiata. Ah, ma quindi Chiara le ha parlato di lei? Bene... “Eh, allora andiamo su, no?” Ci dice, portandoci al piano di sopra attraverso una scala esterna.

Ed eccola lì, Chiara, avvolta in una coperta con una tazza in mano davanti al fuoco.

La signora ci informa di averla trovata davanti alla porta di casa, con la febbre, ma che adesso sta meglio.

Anche se non sembra molto contenta di vederci.

Io resto indietro mentre Anna le si avvicina.

“Chiara... perché non mi hai chiamata?”

“Non volevo disturbarti...” risponde a voce bassa la sorella. “Anna, scusami, avevi ragione tu. Faccio solo casini, non sono nemmeno capace a tenermi un uomo...”

“Sono io che ti devo chiedere scusa,” la blocca Anna con lo stesso tono, “per non aver preso del tempo per stare con te, per non averti ascoltato. Non è colpa tua se Sasà t'ha lasciato, te lo dico perché ci sono passata. È un caprone che ha lasciato andare una ragazza meravigliosa come te.”

A quel punto io distolgo lo sguardo per lasciare loro un po' di privacy, per quanto possibile, prima di tornare a guardarle, sorridendo. Sono contento che abbiano fatto pace.

Entra Cecchini per informarci di novità interessanti sul caso.

“Chiara, io adesso devo andare,” si scusa Anna, “però stasera ci guardiamo un film, io e te.”

“Okay, però il film lo scelgo io.” Accetta con un sorriso.

“Va bene...” Prima di uscire, Anna le dà un bacio in fronte, esattamente come farebbe una madre.

È proprio più forte di te, eh? Comportarti così con lei.

 

***

 

La sera, Anna mi ferma prima che io vada via, bloccandomi sugli scalini d'ingresso della caserma.

“Io... volevo ringraziarti. Per quello che hai fatto per me. Per ieri e... e stamattina.”

“Figurati...” Minimizzo, prima di ridacchiare. “Mica questo aiuto era gratis, eh.”

“Ah no?” Mi chiede, adesso divertita.

“No, ti costerà una lezione di cucina in più.”

Il suono della sua risata è il più bello che potessi sentire stasera.

“Non so a chi convenga di più, questa cosa...” ridacchia. “Io vado, ho un film da vedere... strappalacrime di sicuro, ma pazienza.”

“Sopravviverai,” la prendo in giro. “A domani!”

“A domani,” risponde con un sorriso, prima di dirigersi a piedi verso casa.

Io resto a guardarla per qualche istante, prima di salire in moto.

 

A domani.

 

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Capitolo 14
*** Don Matteo sotto tiro ***


DON MATTEO SOTTO TIRO
 
Siamo appena arrivati in ufficio che riceviamo una segnalazione per una rapina in un negozio di articoli sportivi. Scendo giù col Maresciallo, quando vediamo Anna dirigersi verso di noi decisamente infastidita. Gettando un'occhiata più indietro, noto sua sorella Chiara con un tizio che suppongo sia Sasà. Ma tu guarda che tipo.
Cecchini la informa rapidamente di quanto saputo.
“Va bene, andiamo,” risponde prima di girarsi verso Chiara. “Sì, ciao...” Commenta, alla visione dei due che si tengono per mano, per poi salire subito in macchina. “Andiamo...”
 
Dopo essere tornati dal sopralluogo, convochiamo in caserma il socio dell'uomo ferito, e scopriamo un giro di mercenari. Il figlio, chiamato poco dopo, sembra odiare il padre ferito, quindi ne fa un possibile sospettato. Anna però non è convinta, lo ha ritenuto sincero, quindi suggerisce di spostare l'attenzione su altri elementi, come la ragazza venezuelana che lui conosce. Avviamo le ricerche. 
“Ah, lasciando stare il caso per un attimo... confermato per stasera, sì?” Le chiedo, riferendomi alla lezione di cucina. 
“Sì, certo,” mi risponde con un sorriso. “Ci dovrebbe essere anche mia sorella a cena.” 
“Ah... ok, d'accordo.” Commento, non troppo felice della notizia. Non che abbia niente contro Chiara, sia ovvio, però ho molta più familiarità con Anna, con lei posso parlare di tutto senza problemi, con sua sorella devo evitare argomenti personali che non ci tengo a diffondere con altri.
Un conto è che li sappia Anna, un altro è sua sorella. Sarebbe come raccontare tutto a Cecchini. No, grazie. Meglio una conoscenza superficiale.
“Ti dispiace?” Domanda, forse per via della mia esitazione.
Un po'. “No, no, stavo solo pensando che dovrai fare attenzione a non avvelenarla...” La punzecchio, inventandomi una scusa al momento.
“Ah sì? Allora devi stare attento pure tu!” Afferma puntandomi un dito contro. “Basta pausa, ora, rimettiamoci a lavoro.”
“Sì, ma prima vado a prendere il caffè.”
 
***
 
La sera, una volta a casa di Anna e preparato tutti gli ingredienti, le spiego come preparare l'amatriciana. Stavolta lascio fare lei, dandole solo le istruzioni.
Sì, così mentre lei cucina, tu puoi osservarla senza che sembri inappropriato.
“Il guanciale magari taglialo a striscioline, non a cubetti.” Suggerisco, decidendomi a guardare non solo lei ma anche quello che sta facendo. 
“Okay... per ora è andata così...” Mormora, in effetti l'ho corretta un po' tardi.
“E l'aglio?” Domanda.
Io la guardo fingendomi sconvolto. “Nell'amatriciana, l'aglio? Levati il grembiule!” Faccio, in finto tono offeso. Lei è preoccupata per un attimo, poi ride capendo che la mia è solo una battuta. Che carina, con quell'espressione di panico momentaneo. “Dai, facciam finta che non ho sentito!” La prendo in giro, mentre lei torna accanto a me.
D'un tratto sua sorella esce dal bagno, pronta per uscire.
“Chia'! Che fai, non ceni con noi?” Le domanda, un po' sorpresa.
“No, mi dispiace, ho un altro impegno!” Risponde Chiara in tono dispiaciuto.
Oh-oh, non mi dire che l'altro impegno è quello che penso io. Altra scenata in arrivo.
“Sasà.” Intuisce Anna, tetra in volto.
“Si, vabbè, ma un aperitivo, una cosa tra amici, così.” Si schernisce lei.
“Chiara, non puoi correre da lui ogni volta che schiocca le dita!”
“Io non corro dietro a nessuno.”
“E invece sì. Ti fai prendere in giro e poi ci resti male, tutte le volte.” Ahi ahi, la vedo male. “Dai, per favore, resta con noi!” La prega, stavolta in tono più dolce.
“Neanche mamma mi dice più cosa devo fare,” le dice Chiara in tono irriverente, ignorando il rimprovero di sua sorella e andando via in tutta fretta. 
Lei chiude gli occhi, non capisco se si stia trattenendo dall'urlare o dal correrle dietro, poi si asciuga le mani sul grembiule e torna accanto a me, appoggiandosi al tavolo con sguardo basso.
“Anna...” tento io.
“Non dire niente, per favore.” Mi chiede.
“Mh... si sta bruciando il sugo, però.” Le faccio notare, se non altro per stemperare la tensione.
“No!” Corre ai fornelli per abbassare la fiamma e girare il sugo, appena in tempo.
Io ridacchio alla sua espressione.
“Mannaggia, stavo per rovinare il lavoro di un'ora!” Si lamenta lei, adocchiando il contenuto della padella con circospezione. 
“Hai fatto un salvataggio lampo, però, il sugo è salvo! Per questa volta ti perdono la svista, Capitano.”
“Ma che generosità, Dottore!” Replica con la mia stessa ironia nella voce. 
 
Poco dopo, una volta pronta la pasta, ci sediamo a tavola.
“Per essere il primo tentativo, tutto sommato puoi ritenerti soddisfatta. Non è male.” Commento, allegro, assaggiandone qualche forchettata.
“Oh, bene. Pensavo mi avresti bocciata, stavolta.”
“No, perché? Avresti potuto fare molto peggio di così.”
“Molto divertente.”
Parliamo del più e del meno per un po', poi mi azzardo a fare una domanda che mi frulla in testa da qualche giorno.
“Anna?”
“Mh?”
“Posso chiederti una cosa?”
Lei mi lancia un'occhiata confusa. “Certo.”
Io esito un istante. “Posso... Se tuo padre era innocente, hanno poi arrestato il vero colpevole della truffa?” Le domando, a voce talmente bassa che temo non mi abbia sentito.
Quando alzo lo sguardo verso di lei, capisco che mi ha sentito eccome, e mi pento per un attimo di aver chiesto.
Tiene gli occhi bassi, ma è impossibile non leggervi la rabbia che li infiamma.
“No. Non l'hanno mai preso, è scappato prima che potessero arrestarlo, prima che scoprissero che fosse lui il vero colpevole, o che noi ci accorgessimo che fosse stato lui a rubare tutto. È ancora a piede libero.”
Corrugo le sopracciglia, riflettendo sulle sue parole per qualche istante. “Vuoi dire che... lo conoscevate?” Domando, sperando di aver capito male.
Anna solleva lo sguardo per puntarlo dritto nel mio. “Sì. Era il migliore amico di mio padre. Si chiama Claudio Lisi.”
Io spalanco gli occhi, incredulo.
“Già. Esiste anche questo tipo di tradimento, e ti assicuro che non fa meno male.” Mormora. “Per me e per Chiara era una specie di zio, veniva spesso a cena da noi e mi dava ripetizioni di matematica. Ci sapeva fare talmente tanto con i numeri che ha prosciugato il conto bancario senza che nessuno sospettasse niente per un po', fino a quando l'hanno scoperto e mio padre è finito nei guai. Furono accusati entrambi, e non servì a niente il fatto che Lisi fosse già scappato, pensavano tutti che mio padre fosse d'accordo. Alla fine mio padre non ha resistito, e si è suicidato. Lui se ne stava nascosto chissà dove, tranquillo, e mio padre si è tolto la vita per colpa sua.”
Ormai le lacrime scorrono sul suo viso senza controllo. Io sono troppo sconvolto per muovermi.
“Io non ci volevo credere quando ce l'hanno detto, non era possibile che papà ci avesse lasciate così... era solo uscito, mi dicevo. Adesso torna... Poi quando le diedero il permesso, mamma ci portò a vederlo nella camera ardente. L'avevano truccato... ma per me non era lui. Non era papà...”
Quando si porta una mano davanti alla bocca per soffocare un singhiozzo, io finalmente mi sblocco, e in un attimo mi ritrovo dall'altra parte del tavolo con lei che piange tra le mie braccia.
Non potevi startene zitto, eh, Marco? Guarda cos'hai fatto. 
“Shhh...” cerco di calmarla, accarezzandole i capelli. “Anna...”
Dopo qualche minuto, si allontana da me, asciugandosi in fretta il viso.
“Scusami, mi dispiace...” Mi dice, e io mi do mentalmente dello stupido.
“No, sono io che devo scusarmi, non avrei dovuto chiedere...”
“Non mi hai obbligato a rispondere. Volevo che lo sapessi, te l'avrei detto comunque prima o dopo.” Confessa, spiazzandomi.
Lì per lì non so che rispondere, così le prendo una mano, accarezzandone il dorso col pollice.
“Allora grazie... per esserti fidata di me.”
Anna mi rivolge un piccolo sorriso, poi comincia a sparecchiare, e mi affretto a darle una mano, in silenzio.
 
Quando vado via, più tardi, sua sorella non è ancora rientrata.
Stasera come non mai non avrei voluto lasciare Anna da sola. 
Dovevi, però. Hai bisogno anche tu di riflettere sulle cose che ti ha raccontato. È stata molto precisa al riguardo, ha scelto lei di raccontartele. Si fida di te, tanto da farti conoscere qualcosa di sé che nasconde praticamente a tutti.
 
Non oso sperarci, ma forse il maresciallo aveva ragione. L'altra sera voleva davvero stare con me.
 
***
 
La mattina dopo, quando lei arriva in caserma, ha una faccia terribile. Mi saluta con un mezzo sorriso tirato e chiede se abbiamo notizie sulla ragazza in fuga.
Cecchini conferma, e le chiede se deve portarle i documenti in ufficio. Lei non risponde, limitandosi a superarci e andare dritta nella sua stanza chiudendo la porta.
“Ma che ce l'ha con Lei?” Mi chiede il Maresciallo. Io spero di no, non vorrei che si fosse pentita di avermi detto quelle cose ieri sera.
“No, stavolta non penso. È per la sorella... mi dia un minuto.” Gli domando, sperando che capisca.
Lui mi lascia fare, e io mi affretto a bussare alla sua porta prima di entrare. 
“Che, nottataccia?” Le domando in tono leggero.
“Chiara non è rientrata.” Si limita a rispondermi, un'espressione preoccupata sul viso.
“Eh, ho capito, ma è adulta, no? Poi non fa sempre così?” Continuo, citando le sue parole di qualche giorno fa. Non può sempre badarle lei, correrle appresso come si fa con i bambini. 
“Mia sorella si merita di meglio.”
“Sì, ma tu hai provato veramente a dirglielo?”
“C'eri ieri, l'hai visto.” 
Prima che io possa spiegarmi meglio, Cecchini entra con i documenti. Ci accordiamo sul da farsi, poi a un certo punto bussano alla porta ed entra un giovane prete, probabilmente il sostituto temporaneo di Don Matteo, visto che lui doveva andare in Vaticano per qualche giorno. Noto Cecchini fare dei gesti strani dietro la schiena.
“Sono passato per sapere se... ci sono novità sulle indagini.”
La faccia di Anna a sentire quella richiesta è impagabile. “Scusi?” Fa, alzandosi. “Lei vuole novità sulle indagini?”
Il prete sorride. “Le indagini!”
“Fuori.” Esclama lei, e io per poco non scoppio a ridere. 
 
Il giorno dopo, io e Anna raggiungiamo in piazza il ragionier Bucci, ormai in pensione, che le chiede il favore di fare il giudice alla partita di bocce che lui e altri pensionati del Circolo hanno organizzato per il torneo come parte di un evento benefico. Solo che l'ultima volta è finita a rissa perché ognuno diceva che il punto andava alla propria squadra. Dopo qualche titubanza iniziale, lei cede. 
“Ti han fregata, eh?” La prendo in giro quando lui se ne va. 
Anna scuote la testa. “Basta che stavolta vada meglio... e mi accompagni pure tu.” 
“Oh, non me lo perderei per niente al mondo, 'sto torneo.”
Ci avviciniamo al tavolino del bar dove sta seduto il Maresciallo col nuovo prete, che si è appena alzato e sta andando via. 
“Che voleva il prete?” Si informa subito Anna.
“Don Faustino... un chiacchierone! Parlava del più, del meno, del... invece il ragioniere?” Cambia discorso. È un grande quando fa così.
“È per... la solita partita di bocce,” spiega lei, “l'evento benefico...”
“L'ha incastrata per far l'arbitro,” mi intrometto io, ancora divertito da questa cosa.
“'N'altra volta?”
“Beh, speriamo che non finisca in rissa come l'altra volta!” Sospira Anna, prima di avviarci tutti e tre in caserma.
 
***
 
Nel pomeriggio, Chiara viene a trovare la sorella in caserma. Sono nel suo ufficio con le porte aperte, e Chiara le ha appena riconsegnato le chiavi di casa. Mi avvicino, e la sento spiegare che ha deciso di rimettersi insieme al suo ex. Poi la saluta con un bacio sulla guancia, prima di uscire e rivolgermi uno sguardo ammiccante.
Io però sono concentrato su Anna, chiaramente delusa dalla decisione della sorella. Valuto per un attimo se andare da lei o seguire Chiara, optando poi per la seconda: se Chiara capisce che sta sbagliando e che deve prima riflettere sulle sue azioni, Anna magari starà meglio.
Non sopporto di vederla star male anche per i gesti irresponsabili di sua sorella.
Mi affretto a seguirla giù per le scale, fermandola appena in tempo. 
“Chiara... puoi fermarti un attimo?”
“Sì... è che c'è Sasà che mi sta aspettando,” risponde.
Io faccio un cenno al tipo. Anna ha ragione, in ogni caso si merita di meglio di quello lì.
“E vabbè, lascialo aspettare. Non è così che fate, voi donne?”
“Sì... io non so se ci riesco.” Dice, tradendo l'incertezza.
“Provaci. Prenditi qualche giorno, mh? Pensa davvero a quello che vuoi.”
Lei gli rivolge uno sguardo. “E se non mi aspetta?” Mi domanda. 
“Ah, beh... se non t'aspetta allora non t'ama abbastanza.”
 
Non lo stai dicendo solo per lei, ma anche per te e per Anna. Vi state dando tempo pur essendo insieme. Per capire se è quello che volete. Per essere sicuri di essere ciò che volete.
 
Lei continua a guardarmi, pensierosa. Poi arriva il maresciallo a chiamarmi, così le faccio un cenno e lo seguo, lasciandola lì a ripensare a quello che le ho detto.
Scegli con attenzione, Chiara. Ne va anche del bene di tua sorella.
 
***
 
Dalle ricerche intuiamo che Don Matteo deve essere rimasto vittima di quella ragazza in fuga, così lavoriamo freneticamente per circoscrivere l'area in cui potrebbe essere. Con un suggerimento di Anna, proviamo a tracciare l'ultima posizione del cellulare, fortunatamente restringendo l'area abbastanza da capire dove sia.
Alla fine riusciamo a catturare la ragazza, e a far tornare don Matteo sano e salvo nella sua canonica.
 
Il giorno dopo accompagno Anna alla partita di bocce.
Siamo quasi alla fine, e finora è andato tutto abbastanza bene. Lei è riuscita a restare pressoché impassibile, io ho dovuto trattenermi dal ridere un sacco di volte. Vediamo arrivare Don Faustino, ma non ci facciamo granché caso.
Sembra che la squadra del ragioniere abbia vinto quando l'altro capo della squadra avversaria urla che bisogna controllare il pallino.
Stanno già per azzuffarsi quando interviene Anna.
“Calma, calma, sono qui per questo. Decido io a chi assegnarla.” Fa lei, riferendosi alla vittoria.
Don Faustino si precipita avanti, sembra impazzito.
“Di cosa sta parlando, eh? Sta parlando del premio in natura?”
Credo di aver capito male. Che dice questo?
“Ma pentitevi tutti, peccatori, in nome di Sant'Espedito Martire!”
“Scusi, don Faustino...” Tenta Anna con una calma che io non ho per niente.
“Che sta dicendo questo, oh!” Mi indigno. Ehi, non ti premettere a parlare di lei così.
“Voi due vergognatevi! Due tutori dell'ordine, complici di questa zozzura!” Continua. 
“È una partita a bocce!” Esclama nervosa Anna, sta iniziando anche lei a perdere la pazienza.
“No, no, il maresciallo mi ha aperto gli occhi! Su quelli che sono gli immondi peccati che ammorbano questa comunità! Soprattutto quelli dei suoi superiori! Lei, Capitana,” fa poi, rivolgendosi direttamente ad Anna, “una donna giovane che presta il suo corpo a questi giochetti-”
Questo è completamente matto. Sto per dirgliene quattro quando si intromette il maresciallo.
“E chi le ha detto tutto questo?” Domanda lei, al limite della collera.
“E chi me l'ha detto? Me l'ha detto il maresciallo, questo carabiniere valente, l'unico che combatte contro tutto e contro tutti! Ma io non starò qui zitto senza fare niente!”
 
Va a finire che Don Faustino tenta di esorcizzare il Ragioniere, e finisce per beccarsi una pallina in un occhio.
Anna è mortificata, io invece me la rido.
So che è una cattiveria, ma dopo quelle cose che ha detto di Anna, se l'è meritata. 
 
Scopriamo però che il maresciallo si era inventato tutte quelle scemenze per far spaventare don Faustino e convincerlo a lasciare Spoleto, perché al suo arrivo quello aveva detto che poteva anche restare per sempre, alias sostituire Don Matteo. Anna lo perdona solo per questo.
Certo che se ne inventa di tutti i colori.
 
***
 
Quella sera stessa, sono di nuovo a casa di Anna. Stavolta prepara lei l'amatriciana, senza che io le dica nulla per aiutarla, così resto in attesa seduto a tavola.
“Ecco... al dente,” commenta, soddisfatta.
“No, a vederla non è male,” le dico, prendendone una forchettata direttamente dalla padella.
Mi giro a guardarla con tanto d'occhi.
“Com'è?” Mi chiede, preoccupata.
Io la tengo un attimo sulle spine, poi accenno un sorrisetto, cedendo. “Un'amatriciana doc! Bravissima, bravissima!” Mi complimento. Lei mi fa un sorriso enorme, compiaciuta.
“Allora resto anch'io a cena,” dice una voce dalla porta.
“Chiara!” esclama Anna, sorpresa di vederla lì. “Ma... non mi avevi ridato le chiavi?”
“Abbiamo usato le mie,” spiega il maresciallo, che l'ha seguita all'interno dell'appartamento.
Io sorrido. Vuoi vedere che mi ha dato ascolto?
“E Sasà?” Domanda Anna, guardinga.
“Sasà l'ho messo in stand-by, così almeno capisco se mi ama davvero,” spiega, fissandomi. “e poi io, qui con la mia sorellina, mi trovo molto bene, quindi... se lei mi vuole ancora...”
“Non lo so... farò un sacrificio.” Accetta Anna, con un sorriso felice.
“Maresciallo, si ferma anche Lei?” Lo invito.
“No, mi dispiace, sono invitato a cena da un amico.”
“Un amico... con la tonaca?” Lo punzecchia Anna.
“Ma perché, i miei amici tutti la tonaca c'hanno?”
Ridiamo tutti, poi lui ci saluta e va via, e noi facciamo posto a Chiara.
All'inizio lei è un po' imbarazzata, poi si tranquillizza.
Devo ammettere che è simpatica, oltre che molto carina.
 
Ma non è Anna. Non regge il confronto.
Non potrei mai stare con una che cambia idea così spesso. Che non si rende conto di far stare male sua sorella.
 
Datevi tempo. Solo questo.

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Capitolo 15
*** Dimmi chi sei ***


 

DIMMI CHI SEI

 

Questa settimana con Anna abbiamo fatto un po' un cambio di programma, e le lezioni di cucina le abbiamo fatte a casa mia. Mi seccavo ad uscire, sinceramente, ormai ero comodo con i miei bermuda già in versione estiva, così ho convinto lei a venire. Per farmi perdonare però una di queste sere ho cucinato io per lei, mettendo la lezione in stand-by. Visto che avevo il pomeriggio libero, ho preparato il brasato, con la promessa di insegnarglielo.

 

Anche per questo, mi chiedo che ho fatto di male.

Sono giorni che Diana, la veterinaria di Patatino mi chiama ogni due e tre per darmi dei consigli su come accudirlo meglio, ma ho la netta sensazione che più che altro mi chiami perché si è fissata con me, più che col mio cane.

Cosa molto simpatica, il maresciallo me l'ha appena fatto notare che secondo lui è una 'spasimante'.

Maresciallo, la prego. Quando si mette in mezzo lei succedono sempre casini. Io non voglio avere niente a che fare con questa donna, non da quel punto di vista.

Se proprio vuole aiutarmi, mi lasci più spesso da solo con Anna. Non che glielo chiederei mai, eh.

Eccola che chiama un'altra volta. Ma se se n'è andata tre secondi fa? Forse non dovrei rispondere.

 

Sto sbrigando alcune faccende quando mi avvisano di un omicidio. So che Anna e gli altri sono già andati a fare i rilevamenti del caso, quindi decido di chiamare direttamente lei per vedere se ci sono novità urgenti.

E perché vuoi una scusa solo per chiamarla.

Zittisco questa voce e aspetto che risponda.

Marco? Pronto?”

“Ehi, Anna, ciao. Mi hanno appena chiamato per informarmi del caso. Tutto ok? Siete già stati sul posto?”

Sì,” mi risponde, “appena arrivi in caserma ti aggiorno...”

“Perfetto, allora a dopo!”

Ciao!” mi saluta, la voce quasi un sussurro.

 

Una parte di me è tentata di correre lì, ma mi trattengo e continuo a fare quello che stavo facendo prima.

Quando arrivo in caserma, saluto velocemente gli altri carabinieri e la raggiungo in ufficio, portandole un caffè.

“Ehilà,” le dico con un sorriso.

“Ehi, eccoti... grazie, ne avevo bisogno,” risponde lei quando le porgo il bicchiere.

“Figurati... quindi che è successo?”

Mi relaziona sul caso, e stiamo proprio uscendo dal suo ufficio quando mi chiama Diana. Ignoro la chiamata, riprendendo la discussione con Anna, nuovamente interrotta dal cellulare.

“Dottore, risponda, no? Non si fanno attendere le donne!” S'intromette Cecchini. E quando mai. Non davanti ad Anna!

Mi rassegno a rispondere, cercando di farla breve dicendole che sono a lavoro, ma niente. Mi dice anzi che la visita per Patatino possiamo fissarla al pomeriggio successivo, e io le suggerisco di fargli il trattamento completo di quella terapia di cui mi aveva parlato, così magari mi lascia in pace per un po'. Peccato che poi ci aggiunga un 'trattamento per me' che non mi convince molto. Dopo dieci minuti buoni finalmente mi molla, e tornando in ufficio scopro che hanno trovato una sospettata, che hanno già convocato e che arriverà a breve.

 

Quando la interroghiamo, Anna le si siede vicina. Ancora una volta, dimostra di avere un grande intuito e molta sensibilità verso ciò che potrebbe aver spinto una madre a cercare vendetta verso il potenziale assassino della figlia data per scomparsa dieci anni prima. Così la donna ci racconta tutto, e purtroppo ci sono tutti gli elementi per accusarla dell'omicidio dello chef.

Mentre Cecchini afferma, malinconico, che è impossibile superare la scomparsa di un figlio, entra in caserma nientemeno che Diana con Patatino al guinzaglio.

Non capisco perché me lo abbia riportato lei quando sarei potuto passarlo a prendere io più tardi, e mi dice decisamente per vedermi, prima di aggiungere che era in giro per un'emergenza con una cavalla e lanciandosi in dettagli che sinceramente avrei preferito non sentire. Poi mi trascina giù per parlare del trattamento che dovrei fare al cane.

Come se già non fosse abbastanza, ci raggiunge pure il maresciallo che infierisce e quella mi trascina con lei per delle presunte coliche che avrebbe in corso Patatino.

Ma che sono, io, un giocattolo, che mi sballottate di qua e di là? Ma non me ne potevo stare tranquillo con Anna? Ehm, cioè, in caserma?

 

La sera, sto facendo la mia consueta passeggiata con Patatino quando spunta fuori dal nulla proprio Diana, guarda caso pure lei a fare una passeggiata serale.

Questa cosa inizia ad essere inquietante.

Poi comincia a farfugliare cose senza senso, e prima che capisca cosa stia succedendo, quella mi bacia.

Io mi tiro immediatamente indietro.

“No, scusa, eh, abbi pazienza... io credo che ci sia un fraintendimento, però...” Cerco di allontanarla con più gentilezza possibile. “Io ti apprezzo un sacco come donna, come professionista non ne parliamo, una grandissima... ma io non ti vedo... in quella maniera, insomma...” Vedo già un'altra, in quella maniera... “Mi dispiace...” Tento di metterle una mano sulla spalla quando quella si ritrae, e mi dà l'impressione di un animale selvatico.

“Non mi toccare! Tu mi hai illuso, ma io non mi faccio trattare così, è chiaro?” Mi dice, con un tono che non minaccia nulla di buono, prima di andare via.

Io sono troppo scioccato, e ammetto di avere un po' paura.

“Vieni, Patatino, facciamo il giro di qua, va,” me lo tiro dall'altra strada, ancora esterrefatto.

 

***

 

La mattina dopo, faccio per uscire con la moto quando mi rendo conto che è ricoperta di... sterco di mucca. Oltre che inciso sul sedile “è solo l'inizio.”

Mi affretto a pulirla meglio che posso, prima di correre in caserma, furioso.

“È una stalker, questa!” faccio, col maresciallo a cercare di calmarmi. “Legga queste parole! 'Non ti libererai di me! Me la pagherai, io ti vedo!' Come faceva questa ieri sera a sapere che io sarei passato di là?”

“Perché Spoleto è piccola!” Si giustifica.

“Vado dal meccanico a far aggiustare la moto e poi a farla disinfettare, se ci sono novità sul caso avvisatemi, eh?” Faccio a voce alta, notando Anna uscire dal suo ufficio. Non l'ho nemmeno salutata, spero non se la sia presa.

Le spiegherò, ora devo pensare alla mia moto.

Quando più tardi interroghiamo una ragazza che è stata licenziata dal ristorante dopo una finta promessa di lavoro. Scopriamo che faceva uso di droga. Lei sembra stupita del fatto che noi ne siamo sorpresi, anche se noto che Anna la guarda in un modo che non riesco a decifrare.

“Ma voi ci siete mai stati nelle cucine di un ristorante di quel livello? Si lavora a ritmi disumani! Puoi farcela solo se tiri di cocaina, cosa che nella cucina di Rocco era all'ordine del giorno.”

“Quindi anche Lei ne fa uso?” Domanda Cecchini.

“Non avevo scelta. Comunque ora ho smesso.”

Anna prende improvvisamente la parola. “Non dev'essere stato facile... ho sentito dire che le cucine dei grandi ristoranti sono un ambiente un po' maschilista.”

La ragazza le rivolge uno sguardo complice.

“Non è detto,” sussurra il maresciallo.

“E anche l'esercito non scherza.” Continua lei, rivolgendogli uno sguardo di sottecchi.

“Non mi risulta,” mormora ancora lui.

“Ne so qualcosa.” Conclude Anna in tono cupo, scambiando un'occhiata comprensiva con la ragazza. Hanno entrambe un'espressione di chi sa cosa vuol dire essere trattate male e umiliate a favore di colleghi uomini. Di cosa voglia dire sopportare in silenzio.

È per questo probabilmente che lei poi ci dice tutto.

Ma mentre io e il maresciallo la accusiamo di avere un ottimo movente per aver ucciso lo chef, Anna non fiata quasi più, a parte qualche osservazione.

Quando la mettiamo in stato di fermo, la ragazza e il Capitano restano a fissarsi per qualche secondo. Leggo chiaramente le scuse e il dispiacere negli occhi di Anna, che tuttavia non può fare niente per aiutarla.

Scendiamo insieme poco dopo davanti agli scalini della caserma.

Decido di indagare sulle sue parole.

“Cosa intendevi poco fa? Con 'anche l'esercito non scherza'?” Domando in tono pacato.

Anna si ferma. “Esattamente quello che ho detto. A parte l'uso di droghe, il resto è uguale a quello che ha detto lei.” Mormora, rigida.

“Nel senso che... anche tu...?” Lascio in sospeso la frase, temendo la risposta.

Lei si gira a guardarmi, un sorriso sarcastico sulle labbra. “Cosa, sono stata scavalcata da colleghi uomini? O trattata male senza motivo? Umiliata per sciocchezze quando ai cadetti uomini le stesse cose venivano abbonate?” Scoppia in una risata senza allegria. “Certo... tutte abbiamo subito quei tipi di trattamento. Chi più, chi meno, ma nessuna esclusa. Capirai che una volta ottenuto l'incarico, non facciamo passare sottogamba nemmeno un errore, specialmente se qualcuno ha la bella idea di sottovalutarci.”

Prima che possa rispondere, arriva il maresciallo insieme a Don Matteo, impegnati a chiacchierare. Anna va loro incontro.

“Maresciallo, ha finito di confessarsi?” Lo ammonisce. Il mio cellulare squilla, e leggo sul display il nome di quella pazza.

Che mi minaccia di nuovo!

“Cosa?! Ma io ti faccio rinchiudere! Oh!” Mi stacca pure la chiamata in faccia.

“Ma che è, un'interferenza?” Mi chiede Cecchini.

“Ma che interferenza, maresciallo! Diana m'ha rapito il cane!”

“Ma come.. perché ti ha rapito il cane?” Mi domanda stavolta Anna. Eh beh, vorrei saperlo anch'io.

“È per vendicarsi! Perché ce l'ha ancora con me perché io l'ho rifiutata!” Le spiego, cercando di minimizzare la cosa. Non voglio che ti sembri importante. Chi se ne importa della veterinaria.

Lei sembra confusa. “Scusa, ma... non state insieme?”

Io spalanco gli occhi. “Cosa dici? È una pazza, questa! Ma perché pensi così?” Le domando stavolta io, preoccupato. No no no, quale insieme. A lei? A lei no di sicuro! Non voglio lei, io voglio te! Diglielo! Dai!

“Perché... perché?” commenta enigmatica, guardando Cecchini, poi se ne va senza dire altro, infastidita. Che ha combinato, maresciallo? Giuro, se ha detto ad Anna che io stavo con quella lì e per colpa sua la perdo, me la paga.

“Comunque, dai, una cosa momentanea! Questa cosa si 'ricucisce' subito!” fa lui.

“M'ha rapito il cane, che momentanea! Risolviamo sta cosa! Andiamo a prendere sto cane, forza!”

 

Richiamo Anna, pregandola di venire con noi.

Una volta a casa di Diana, lei non ne vuole sapere. “Patatino starà molto meglio qui con me. Tu non lo meriti, un cane così!”

“Ma mi spieghi cosa t'ho fatto?”

“Cosa mi hai fatto? Mi hai illuso! Mi hai fatto credere di essere interessato a me e poi mi hai scaricato!”

“Ma non è vero, lo giuro!” Sussurro, rivolto più che altro ad Anna. “È una pazza, questa!”

“Tanto non la passi liscia! Io so tutto di te! So dove lasci le chiavi di casa, so dove andrai in vacanza, e so anche dove abita la tua ex che voleva castrare Patatino!”

“Ma come fa questa a sapere tutte 'ste cose?”

“Gli stalker si informano di tutto,” mormora Cecchini.

“Maresciallo, si era sbagliato! Altro che timido...” Commenta Diana. Eh?

“Ma perché dice 'maresciallo'?”

“È pazza, che ne so io!”

“Che cosa le ha detto?” Interviene Anna, a voce bassa.

“Io? Io le avrò detto... 'bi', e lei ha capito 'ba'!”

“Ma perché le ha parlato! Che l'ha fomentata, 'sta pazza!”

“Lei ha combinato questo casino, Lei lo va a risolvere!” Gli intima Anna. Ma veramente è colpa sua, allora!

Lui cerca di tirarsi indietro, ma Anna è più furba e lo spinge dentro al cancelletto.

Lui sparisce in casa con Diana e Patatino.

Okay, mi sa che forse non è una buona idea, quella è folle.

“Ma secondo te, non è che è in pericolo, lì dentro?” Chiedo ad Anna, che sembra furiosa.

“Me lo auguro.” È la sua risposta acida.

Qualche istante dopo, Cecchini esce, senza cane e senza volerci dire cosa gli abbia detto Diana. Io non so più che fare.

“Marco, ci penso io,” mi tranquillizza Anna, dirigendosi a passo spedito verso la porta.

Non mi fare preoccupare pure per te.

“Diana... senti, io lo so che cosa vuol dire essere illuse...” Esordisce, e a me viene un groppo in gola. “Dover cambiare per una persona, dover cambiare abitudini, taglio di capelli... e poi essere rifiutate... Succede a tutte noi! Però bisogna andare avanti... Magari non è lui, sarà... l'altro che verrà dopo, o quello che verrà dopo ancora, però arriverà l'uomo giusto per noi!”

“...Io pensavo che fosse lui, l'uomo giusto per me.” Sentiamo rispondere da dentro.

“Ma chi, Marco? Ma perché non lo conosce bene! Io lo conosco bene,” continua a spiegarle. “È... pigro, vuole sempre avere ragione, crede di essere simpatico anche quando non lo è, e se fosse per lui girerebbe sempre in bermuda e ciabatte.”

Elenca senza esitazione, e io mi rendo conto che mi conosce davvero bene. Anche in un dettaglio stupido come il mio abbigliamento preferito. Li ha detti quasi foste una coppia da anni e conoscesse le tue abitudini a memoria. Come tu conosci le sue.

“È davvero uno come lui che vuoi al tuo fianco?”

Tu cosa risponderesti?

Diana alla fine le apre la porta consegnandole il cane, che io corro a riprendere.

“Grazie!” le sussurro piano, prima di continuare a fare le feste a Patatino.

“Grazie, Maresciallo!” Dico anche a lui, scendendo i gradini.

“'Grazie, Maresciallo' di cosa?” Borbotta Anna.

“Vabè, ha collaborato! Ah, e comunque, scusami, eh,” le dico, fermandomi e girandomi a guardarla, “io non sono pigro, sono uno che ottimizza le energie. E poi, un po' simpatico lo sono, no?”

Lei mi rivolge un'espressione crucciata prima di mormorare, “L'ho fatto per Patatino, ho detto quelle cose per Patatino... Bastava dire, 'Grazie, Anna', 'Di niente, Marco'.” Ribatte, piccata.

“Okay, però sembrava che lo dicessi proprio...”

“L'ho fatto solo per il cane!”

Apro la portiera dell'auto, facendo salire Patatino.

“...quindi se hai detto quelle cose per il cane, allora significa che mi trovi simpatico?” La punzecchio.

Lei mi rivolge un'occhiata di sbieco. “Lo vedi, che vuoi avere sempre ragione?”

“Sì o no?”

“Cos'hai, cinque anni? Sì, contento ora? Andiamo!” Mi rimbecca, mentre io scoppio a ridere.

“Su, dai, non ti arrabbiare, scherzavo...”

Alza gli occhi al cielo. “Andiamo, prima che ritratti tutto.”

 

Il maresciallo, appena salito, mette in moto, e insieme torniamo al commissariato.

 

***

 

Nel pomeriggio, quando rientro a casa, controllo per vedere nella cassetta se durante la mia assenza è arrivata posta, e trovo un biglietto. 'Ho bisogno di vederti. Ti aspetto alle 20.30 al ristorante Corallo.', c'è scritto.

Mi guardo intorno, incerto su chi possa averla portata.

Chi può volermi vedere? Spero non la veterinaria pazza, ma non avrebbe avuto il tempo.

Decido di andare, tanto mal che vada fingo di non aver ricevuto nulla.

 

Arrivato al ristorante, più tardi, do un'occhiata in giro per capire se c'è qualcuno che conosco che potrebbe aver mandato l'invito anonimo. Inizialmente non vedo nessuno, poi sento dietro di me una voce familiare.

“Chiara! Ciao... che... che ci fai qui?” Le chiedo. Ma veramente?

“Marco! In realtà non ne sono sicura... ho ricevuto un invito strano. Però siccome non avevo niente da fare stasera sono venuta.”

“Ah! Ma sai che pure io... Che coincidenza.”

“Ehm... beh, ormai restiamo, che dici? Tanto dobbiamo cenare.” Propone lei.

Dille di no. Dille di no!

“Okay.”

 

Va a finire che passiamo una serata molto piacevole, e scopro che Chiara è un po' diversa da come la immaginavo. È una ragazza divertente, serena, e non si prende troppo sul serio.

“... e sì, domani c'è la partita allo stadio, pensavo di andarci.”

“Che ne dici se ti accompagno?”

“Che, ti piacciono le partite? Davvero?” Le chiedo, un po' scettico.

“Sì, certo. Non capisco proprio tutte le regole, però mi piace guardarle.” Sorride.

“Ah... bene! Okay, allora... d'accordo. Sei venuta in macchina?”

“No, sono a piedi, ho fatto una passeggiata.”

“Allora ti riaccompagno io a casa, ho la moto.”

 

Quando arriviamo, notiamo il maresciallo con un sacco della spazzatura in mano occupato a parlare con Anna, ancora in divisa.

Ha staccato adesso? Ma è tardissimo.

“Ciao! Maresciallo...” Li saluto con un sorriso. Devo ammettere che stasera mi sono divertito.

“Ciao...! Ceniamo insieme?” Chiede Anna a sua sorella. Ops.

“No, mi dispiace, abbiamo già cenato! Fra l'altro è successa una cosa stranissima...”

“Sì, ci siam trovati insieme nello stesso ristorante,” spiego.

“Che coincidenza!” Fa il maresciallo. “Mi è successo pure a me con mia moglie tanti anni fa...”

Ah. No, ma questo non è il caso.

“Scusate, con permesso io vado a buttare la spazza...” Mormora poi, lasciandoci tutti e tre lì. Anna ha una strana espressione, ma non mi ci soffermo più di tanto.

“Io vado, eh,” dico a Chiara quando lei mi porge il casco. “Chiara, ci vediam domani allora? Per la partita?”

“Sì!” Risponde, estatica.

“Vabbè... ciao ciao! Ciao!” Faccio, rivolgendo l'ultimo saluto ad Anna, che si limita a un cenno.

 

Chiara mi ha sorpreso. Non pensavo fosse così divertente. Suppongo che in effetti non bisogna giudicare dall'esterno.

Però ti ricordi le cose che ti ha raccontato Anna, no? Quelle che hai visto anche tu.

Sì, ma che male ci può essere, mica le ho chiesto di sposarmi. È solo un'uscita, mi dico.

Una cosa poco impegnativa, senza importanza.

Ho bisogno di distrarmi dopo tutte le cose che sono successe in queste settimane. Non è niente di che.

È solo un'uscita.

E allora perché ti senti come se stessi tradendo Anna?

Non è così. E poi lei ha detto che è stato un errore. Che siamo amici, al massimo. Non ho mica firmato un contratto.

Sto aspettando, non sto escludendo Anna. Voglio solo capire.

Davvero vuoi capire, oppure hai paura che il rapporto con lei diventi ancora più serio? Non sarà che questa cosa ti fa paura, Marco?

 

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Capitolo 16
*** Solo andata ***


 

SOLO ANDATA

 

Stamattina Chiara mi ha mandato un messaggio proponendomi di fare colazione insieme al bar della piazza. Accetto senza pensarci troppo, in fondo è solo un'uscita.

 

Poco dopo quando salgo in caserma, noto che Anna non c'è.

“Ehi, ma il Capitano?” chiedo all'appuntato Zappavigna, interrompendolo mentre sistema dei documenti.

“Ha accompagnato il Maresciallo da un medico,” mi informa. “Si sentiva poco bene, sua moglie e sua figlia non ci sono, così lo ha portato lei.”

“Ah... d'accordo, grazie.”

Nonostante i battibecchi iniziali, è sempre più evidente che quei due si sono affezionati l'uno all'altra. Un po' come te, no? La detestavi all'inizio, e adesso...

Adesso niente. Vacci piano, sai quello che ti ha detto. Solo amici. Ma tu non vuoi essere solo un amico, e fra l'altro, visto che siamo in argomento, non ti stai comportando nella maniera giusta.

 

Scuoto la testa scacciando via questi pensieri. Mi informano di un tentato omicidio, e viene convocato il ragazzo che è stato trovato sul posto accanto alla ragazza aggredita.

Nel frattempo arriva anche Anna, un po' preoccupata. Mi saluta in fretta e ci dirigiamo nel suo ufficio, dove mi aggiorna su quello che hanno scoperto.

Quando il ragazzo arriva, scopriamo che era diretto in Svizzera per un suicidio assistito. I soldi per la clinica ne fanno un buon movente per un tentato assassinio. Come ogni volta che si affronta questo argomento però, Anna cambia atteggiamento. È quasi impercettibile agli occhi di chi non sa, ma non ai miei. Posso a mala pena immaginare come ci si sente, solo a udire quella parola. I ricordi che porta con sé. Il dolore.

Non capisco se mettere quel ragazzo in stato di fermo mi faccia sentire meglio o no, l'unica cosa che so è che Anna si è chiusa nel suo silenzio, e so che non riuscirò a scavalcare quel muro se lei non vuole. Al momento, è impenetrabile.

 

***

 

Mentre sono intento a leggere dei documenti sul caso, la porta dell'ufficio del Capitano si apre, per far entrare una Chiara molto trafelata e Anna al seguito con un'espressione imbarazzata in viso.

“Marco”, esordisce Chiara in tono preoccupato, “perché non ci ospiti tu?”

Faccio scorrere lo sguardo da lei ad Anna.

“Ospitarvi?”

“Si, abbiamo i tarli in casa e dobbiamo andare via per qualche giorno,” mi spiega a bassa voce.

Ma che, ma perché ora, perché non un mese fa, perché mai?

Alla mia espressione di panico momentaneo, Anna reagisce subito negativamente. “Chiara, te l'ho detto che era una-”

“Una bellissima idea!” Sentiamo strillare Cecchini, che a quanto pare ha origliato. “Bellissima idea, sono disperato! Sapete che faccio? Prendo la roba a casa mia e vengo da Lei!” Snocciola.

“Come viene da...?” Mormora Anna, che a giudicare dalla faccia non ha nessuna intenzione di traslocare.

“E che faccio? Io rischio la vita, non posso stare solo! Guardate! Guardate, guardate!” Continua lui, sollevando le mani, coperte di puntini rossi. “Non mi invento niente, guardate!”

“È stato morso dai tarli, non è niente di grave!” Minimizza Anna, infastidita.

“Come, non è grave? È una malattia gravissima! Lo sa che cosa c'ho io, sotto la pelle? C'ho le uova! Uova di tarli! C'è un tarlo con una tarla che si accoppiano. E poi si moltiplicano, si quadruplicano, centuplicano...”

Lancio uno sguardo dubbioso ad Anna, che ricambia con uno esasperato. Ok, Cecchini è ipocondriaco, mi sembra chiaro. Non sarà stato un divertimento accompagnarlo alla visita medica.

“C'ho un alveare di tarli!”

“Ho capito, ma io non so dove mettervi, veramente!” Cerco di frenarlo.

“Ho capito, che fa come Ponzio Pilato, che si lava le mani? Dai, io vengo a casa Sua. Ma a casa sua non è che c'è il legno, no? No, a casa sua è tutta pura plastica vergine! Tutta, al cento per cento! Bravissimo, intelligente!”

Io lo ascolto solo per metà, ridacchiando all'espressione spazientita di Anna.

 

***

 

Quella sera stessa, mi ritrovo nel salotto i tre inquilini temporanei.

Non mi sorprende notare che Chiara ha la valigia più grande tra loro. Lei sembra entusiasta della cosa, Cecchini è decisamente nel panico, e Anna... ha tutta l'aria di una che preferirebbe essere ovunque tranne lì.

Perché la infastidisce così tanto l'idea di stare qui?

Faccio un calcolo veloce di come sistemarli.

“Allora... io posso dormire sul divano, Chiara e il Capitano nella stanza dei bambini-”

“Tu... hai una stanza per i bambini?” Mi interrompe Anna, esterrefatta.

“Sì, è la mia ex che... aveva pianificato tutto,” le spiego, “dovevano essere due e... un maschio e una femmina.”

Lei annuisce, comprendendo perfettamente dove voglio andare a parare senza commentare.

Chiara, d'altro canto, è molto curiosa.

“Un po' stranina, la tua ex fidanzata.”

“Io direi qualcosa in più di stranina, ma...” Lascio cadere il discorso con un mezzo sorriso. Non mi va di raccontarle altro, non c'è nessun bisogno che sappia.

“Maresciallo, Lei può dormire in camera mia.”

“Per me va benissimo,” commenta Anna con la stessa espressione seccata di prima.

“Che cosa, che dormo da solo?” Protesta Cecchini. “No no no, poi sto malissimo! Guardate, mi devo mettere la pomata, e ci sono questi effetti indesiderati: vomito, capogiri, eruzioni cutanee con croste e rigonfiamenti sottopelle, ittero, abbassamento di voce, lingua nera che appare ricoperta di peli...”

“Ewww, oh ma c'è scritto veramente 'lingua nera'!” Dico rivolto alle ragazze, che hanno una faccia sconvolta.

“Che, che me le invento io? 'Può creare apnee notturne'. Cioè io... praticamente, se io no- ridete? Guardate che è vero!” Si indigna, quando nota le sorelle Olivieri ridacchiare. “Se io non respiro, muoio! Domani ci sono i funerali di stato, 'è morto il maresciallo Cecchini'! Ci vuole qualcuno che dorme con me! Non lo so, decidete qualcuno...”

“Ho un'idea!” Propone Chiara. “Lei dorme con Anna nella stanza dei bambini, e io da sola nella stanza di Marco!”

“Che stai dicendo?!” Si oppone immediatamente Anna.

“Bellissima idea!” La contraddice il maresciallo. “C'ha sempre belle idee, sua sorella!”

“No, non è possibile questa cosa.” Insiste il Capitano, con un faccino indispettito che mi fa ridere.

“No no no, io non posso dormire solo, veramente! Poi io muoio, muoio! Ahhhh! E resto-”

“Va bene!” Lo blocca Anna, più per farlo smettere che altro. “Va bene, va bene.”

“A posto?” Controllo un'ultima volta, prima di prendere la valigia del maresciallo per dargli una mano. Valigia che scopro essere pesantissima.

Lo accompagno comunque su per le scale fino alla cameretta per cercare di tranquillizzarlo. Dopo qualche minuto ci raggiungono anche Anna e Chiara.

“Ecco... sistematevi come preferite... Ci vediamo domani mattina.”

Lancio un'ultima occhiata di sbieco ad Anna, sempre meno entusiasta di trovarsi qui.

 

Dopo qualche ora, il mio sonno tranquillo viene bruscamente interrotto da qualcuno che mi scuote. Salto in aria prima di mettere a fuoco Chiara, seduta accanto a me sul divano, con un... ehm... abbigliamento notturno interessante.

“Che c'è?” Biascico.

“Non riuscivo a dormire,” bisbiglia. “E allora sono venuta qui. Magari... posso stare un po' con te, magari mi puoi fare un po' compagnia... sarei andata da mia sorella, solamente che sta dormendo lì in camera col maresciallo, con le sue apnee... Posso?”

“Ehm... va bene...” le dico, ancora un po' incerto, sollevando istintivamente la coperta. Non sono più abituato a trovarmi una donna in giro per casa di notte.

C'è qualche istante di imbarazzo in cui lei si avvicina e io mi allontano, non so bene perché. Sì che lo sai, perché.

Metto a tacere la vocina. “Di... di che vuoi parlare?”

“Mah, non lo so... parliamo di te!” Propone, appoggiando il gomito alla spalliera del divano e attorcigliandosi i capelli. Mi sa molto di una di quelle scene dei film, dove poi... No no no! Non scherziamo!

“Parliamo di quello che ti piace!”

“Mah... a me piace il calcio!” Butto lì, nella speranza che si stufi. Questa situazione mi mette a disagio.

“Sì! Non è poi così male, il calcio, con tutti quegli uomini depilati in campo, no?”

Non proprio, però...

“C'è solo una cosa che non ho mai capito: il fuorigioco.”

“Ah, ma ci sono delle cose che le donne proprio non riescono a...”

“Dai! Spiegamelo!” Mi incita lei.

“Va bene. Allora, fuorigioco è quando un attaccante riceve la palla oltre l'ultimo difensore avversario... va bè, no lascia perdere... ma non è colpa tua, non t'arrabbiare! È un fatto genetico...”
“Aspetta! È come se io sono oltre l'ultima cassa, qualcuno mi lancia un paio di scarpe e fischia l'allarme?”

Aspe', ma l'ha capito veramente? Non ci credo.

“Ma tu sei un genio! Ma è bellissima questa cosa!” Mi complimento.

“Genio non me l'aveva mai detto nessuno...” Sussurra lei, e all'improvviso mi rendo conto che si sta avvicinando.

No, Marco, svegliati! Allontanati, fai qualcosa, di' di no!

Per qualche strano motivo, però, sono paralizzato. Non voglio che mi baci, eppure non riesco a muovermi. L'unico bacio che vorresti in questo momento dovrebbe assomigliare a quella sera, non è vero? Dovrebbe esserci nell'aria un profumo di pizza, luci soffuse e una caldaia che non funziona.

La mia ancora di salvezza arriva con uno strillo: Anna che cerca di aiutare il maresciallo. Mi allontano di fretta e corro su per le scale fino alla camera dei bambini.

Accendo la luce. “Che c'avete da urlare?!”

“Non respiro, non respiro!” Mormora Cecchini, in preda al panico.

“Sta bene...” Minimizza Anna.

“No no, non respiro...”

Ci scambiamo un'occhiata esasperata.

“Lei è una santa, m'ha salvato la vita, m'ha salvato!” Continua lui, baciandole una mano.

Lei si limita a sorridere, e io ne approfitto per sbirciare.

Anche in una situazione così, non posso non notare le differenze con la sorella.

A partire dall'abbigliamento, fino all'attenzione per il maresciallo.

Non avrà addosso un capo di lingerie, ma è bella anche con la canotta e i pantaloni del pigiama e i capelli spettinati.

Aspettiamo che Cecchini si calmi, poi torniamo a dormire.

 

Decisamente una nottata movimentata.

 

***

 

Il mattino dopo, Cecchini si alza di buon'ora per andare in ufficio, le sorelle Olivieri si alzano poco dopo di lui.

“Buongiorno!” Mi saluta Chiara, accomodandosi su uno degli sgabelli.

“A te! Caffè?”

“No, solitamente prendo il tè... ti dispiace?”

“No, figurati. Ma... tua sorella?” Chiedo, tentanto di suonare disinteressato.

“Sta scendendo, si stava cambiando.”

E in effetti, dopo qualche istante, eccola scendere le scale.

Mi fa uno strano effetto vederla con la divisa ma ancora i capelli sciolti, soltanto la giacca appesa a un braccio. È strano, ma mi ci potrei abituare facilmente.

“Ciao...” Mormora.

“Ehi...”

Quando si avvicina, le porgo un caffè senza nemmeno chiedere, lei mi ringrazia con un sorriso.

“Che aria tirava col maresciallo?” Domanda, guardinga.

“Più o meno come ieri.”

Lei fa un sospiro profondo. “Va bene... lego i capelli e vado, non vorrei che combini qualche altro casino.”

Cinque minuti dopo, lo chignon perfettamente in ordine, mi dà appuntamento in caserma.

 

***

 

Mi comunicano di aver convocato il padre e la sorella della ragazza ferita per interrogarli, così do anche un passaggio a Chiara in moto perché a quanto pare deve far la spesa. Devo ammettere che mi sto ricredendo su di lei.

Quando Anna ci raggiunge in piazza, mi viene spontaneo dirglielo.

“Io credevo che tua sorella fosse una fuori di testa... e invece questa cucina, le piace, c'ho il cane da portar fuori, Patatino, lo porta lei, m'aiuta con le bollette... oh, avevo un calzino che era bucato, me l'ha cucito lei! No, questa è una da sposare!” Commento, ma giusto per dire, prima di sorpassare Anna e salire su. Non mi è sembrata troppo convinta di quello che le ho detto, però.

 

Salendo, scopro che ha accettato di dare una mano al maresciallo per la sua disinfestazione casalinga.

“Ma perché? Si vede che ti dà fastidio farlo.”

“Sì, però... mi è dispiaciuto lasciarlo da solo. Sua moglie e sua figlia non ci sono, lui ha questa specie di attacchi di panico, e non mi va di abbandonarlo. Anche se la cosa non mi entusiasma e sta minando alla mia pazienza più del solito.”

“Se non ti va, diglielo. Capirà, no?” Non capisco perché si stia sforzando così tanto. Non è una cosa dell'altro mondo, non deve farlo per forza.

“Non possiamo fare sempre solo quello che ci va, no? A volte per il bene degli altri bisogna sforzarsi di sopportare.” Risponde in tono vagamente triste, che io non riesco a decifrare completamente, prima di voltarmi le spalle e chiudersi in ufficio.

 

***

 

Dopo la pausa pranzo, quando torniamo, in caserma c'è ancora la temperatura glaciale di prima.

Durante l'interrogatorio ai familiari della ragazza in coma, Anna non fa altro che tossire, ma l'occhiataccia che rivolgo a Cecchini sembra non sortire alcun effetto. Così ce ne stiamo a gelare, solo perché lei si rifiuta di mettere il maresciallo alle strette.

Proprio non la capisco.

 

***

 

Più tardi, parlando del più e del meno con Anna mentre usciamo fuori in piazza, le dico che andrò alla partita con sua sorella.

“Pensa che mi ha invitato lei! E poi il maresciallo ha fatto tutto un giro dei suoi e m'ha trovato i biglietti.”

Lui nel frattempo ci raggiunge. “Grazie Maresciallo!”

“Prego!”

“Ah, mi ha chiesto Chiara di chiederti se puoi darci la macchina, perché non si fida di andare in moto di notte a Roma.” Domando ad Anna.

“Certo, certo!” Accetta. Poi sembra ripensarci. “Eh no, è rotta.”

“Ah.”

“Mi sono ricordata adesso... ha un problema con uno spinterogeno. Non spinge più.”

Perché, sul serio sai cos'è uno spinterogeno? Okay, forse non dovrei stupirmi così tanto.

“Che peccato... mi dispiace che per colpa mia non possiate andare alla partita, davvero... vorrei aiutarti in qualche modo...”

“Vabbè, troveremo una soluzione...” Commento. Peccato, quella partita la volevo vedere davvero.

“Ma che problema c'è? Vi presto la mia!” Si intromette Cecchini.

Quindi siamo a posto. Domani, la macchina ce la presta lui. Ottimo.

Lo ringrazio, andando via.

Anna non mi sembrava tanto dispiaciuta, però.

 

***

 

La mattina dopo, è tutto pronto. Lascio la moto a casa del maresciallo, ancora imbacuccato con la tuta bianca, e salgo in auto con Chiara.

Avremo fatto qualche chilometro, quando dal cofano inizia a venir fuori un fumo bianco che non mi piace per niente.

“Che succede?”

“Non lo so... meglio accostare.” Commento, quando praticamente non ci vedo più nulla.

Quando capisco che c'è poco da fare, sono obbligato a chiamare Cecchini.

“Pronto maresciallo?”

Ptonto?”

“Ecco, io non so come dirglielo... s'è rotta la macchina.”

Ma come, rotta? Io le presto la macchina, e... Ma come ha fatto?”

“E non lo so! Stava andando, non facevo mica il rally!”

Guardi che il meccanico me lo paga lei! Non voglio sentire scuse.”

“D'accordo... non è che può venirci a prendere in qualche modo?”

Va bene... arrivo, arrivo, arrivo.”

Chiudo la telefonata.

“Mi sa che con 'sta partita non era destino dall'inizio.”

“Pazienza... beh, ne vedremo un'altra, un'altra volta, no?”

“Sì...” commento, poco convinto.

Prima la macchina di Anna, ora quella del maresciallo. Non sarà mica un segnale che sto commettendo un errore?

Non sto facendo niente di male, cerco di convincermi.

No? E queste uscite con sua sorella?

Non significano niente.

Quando hai detto che è una da sposare?

Niente. Era per dire. È un modo di dire.

E allora perché le dai corda, se non vuol dir niente? Perché non ti dedichi a quello che realmente vorresti?

 

Perché lei non sta dicendo nulla, ecco perché! Non gliene importa niente, siamo solo amici secondo lei, quindi perché dovrebbe importarne a me?

 

ne sei così convinto, Marco?

 
 

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Capitolo 17
*** La crepa ***


 

LA CREPA

 

Quando il maresciallo mi chiama per informarmi di un ragazzo aggredito, mi sveglio di soprassalto.

Devo aver staccato la sveglia senza nemmeno sentirla, non mi ricordo, e sono decisamente in ritardo.

Arrivo in caserma mezz'ora dopo, passando prima di tutto dall'ufficio di Anna.

“Ciao ciao... arrivo, eh!”

“Abbiamo fatto le ore piccole!” Scherza Cecchini.

“Lavorato?” Gli fa eco Anna con un sorriso.

“No no, sono andato al Gran Premio di Formula 1... ma te l'ha detto tua sorella?” Domando, perplesso.

“No... non ci siamo viste.”

“È la prima volta che conosco una donna patita di Formula 1...” Commento. “Caffè e arrivo, va bene?”

Lei annuisce prima di tornare ai documenti che ha davanti.

 

Ho un sonno da non stare in piedi.

 

***

 

Poco dopo convochiamo la ragazza che è coinvolta nel gioco di ruolo di cui faceva parte il ragazzo aggredito. Io sono davvero scioccato dalle sue affermazioni: davvero lo ritiene solo un gioco?

La mia pazienza è decisamente al limite, e le sue lacrime non mi incantano. Ha portato quel ragazzo quasi ad ammazzarsi, e questa cosa che sia stato un altro a dirle di scrivere quei messaggi non me la bevo.

Anna mi lancia un'occhiataccia intimandomi di smetterla, ma come? Come può essere così calma?

Quando la ragazzina viene portata via, Anna mi ferma mentre sto uscendo.

“Comunque potevi andarci piano, è una ragazzina.”

Io mi blocco. “Che ha fatto quasi ammazzare un suo coetaneo, però.”

“Questo non lo sappiamo. Potrebbe essere stata la persona che le ha mandato i soldi per posta.”

“Credi veramente alla storia che ha detto?!”

“Sì! Credo anche che Sveva sia innamorata di Giacomo.”

“Se era innamorata perché non è andata da lui a dirglielo?” Andiamo, tutti questi sotterfugi? Sono solo bugie.

“Paura? Non lo so! Non è facile dire a una persona che ti interessa!” Sul serio? Stiamo facendo questa conversazione per davvero?

“Soprattutto a quell'età...” conclude.

“Gli mente, lo tormenta, lo manda bendato su un ponte... bel modo di amare, veramente!” Le dico, ormai arrabbiato anche con lei. Come può fare quelle affermazioni? Però ha ragione sul fatto che non sia facile... non è che tu hai fatto di meglio.

“Marco, per amore si possono fare le cose più assurde!” Mi apostrofa.

“Come per esempio, guardare la Formula 1...” Mormora Cecchini, sbucato dal nulla accanto a noi. Io gli lancio un'occhiata perplessa: in che senso? “L'ho detto tanto per dire... dovevo prendere questi, scusate.” Afferra dei fogli e si allontana.

“Allora verificate questa storia della lettera e tenetemi aggiornato, va bene?” Dico freddamente ad Anna, senza degnarla di uno sguardo mentre esco.

 

***

 

Più tardi, però, le mando un messaggio chiedendole scusa. Forse ho esagerato, d'altronde è tutto da vedere. E poi non dovevo prendermela con lei, mi ha solo esposto dei dubbi che in effetti non sono così improbabili, pensandoci a mente più serena.

Intanto chiedo a Chiara se le va di andare all'Umbria Jazz Spring Festival, lei accetta e mi dice che proporrà anche a sua sorella di venire, visto che è un genere che le piace. Le rispondo che per me non ci sono problemi, cercando di non mostrarmi troppo entusiasta dell'idea.

Hai chiesto a sua sorella, non a lei. Se viene, non lo fa per te perché non sei stato tu a invitarla.

 

Quando mi presento a casa Olivieri, è lei ad aprire. Noto con disappunto che indossa un semplice maglioncino e un paio di jeans. Quindi non viene.

“Entra,” mi accoglie con un sorriso. Avanzo nel soggiorno, e mi accorgo che la tavola è apparecchiata.

“Fai una serata casalinga?” Chiedo, fingendomi incurante.

Lei mi supera, tornando a sistemare i piatti. “Aspetto una persona.”

“Ah.” Mi trattengo a stento dal commentare oltre. Che significa, che aspetta una persona? Chi sarebbe? Non è uscita con nessuno, ultimamente. Lo saprei, se si vedesse con qualcuno, me ne sarei accorto. Non se sei impegnato ad andartene in giro con sua sorella. E poi non deve mica raccontarti tutto per forza. L'hai detto anche tu, no? Non avete firmato un contratto, e lei è libera di fare quello che vuole.

Mando giù a forza la vaga sensazione di gelosia che sento salire in gola, e butto lì qualcosa per farla pentire della sua scelta di non venire. Cioè, per dirle che mi spiace non venga.

“Peccato, c'è l'Umbria Jazz Spring Festival a teatro...”

“Ah, peccato perderselo.” Mi risponde, indifferente. Ma davvero non le interessa?

“Sai che è lo stesso che ha detto Chiara?”

“Dai? Incredibile.”

“Con la mia ex era tutto un litigio...” Continuo, un po' per raccontarle qualcosa in più rispetto a quello che già sa, un po' per cercare di provocarla. “Chiara è... tipo come avere un amico uomo... vabbè, poi sa che cos'è il fuorigioco, quindi...”

“Mh-mh...” No, non le importa niente di quello che le sto dicendo, glielo si legge in faccia che mi sta ascoltando solo per cortesia.

In quel momento arriva Chiara dalla stanza accanto. È molto carina, quel vestito nero le dona molto.

Si avvicina, abbracciandomi prima di rivolgersi ad Anna.

“Sicura che non vuoi venire?”

“Tranquilli,” conferma lei, “aspetto un amico per una serata speciale.”

“Perfetto, allora noi usciamo!” Le risponde la sorella, avviandosi verso la porta.

Io resto indietro per qualche istante, mentre una vocina in testa mi urla di mandare a quel paese la serata a teatro e restare qui a casa con lei. Poi mi do' finalmente una svegliata, la saluto un'ultima volta ed esco anch'io.

 

Nonostante la bella serata che passo con Chiara, che ammetto essere molto divertente e piacevole, ho un pensiero fisso che mi ronza per la mente. Spero di non incontrare mai questo amico della serata speciale. Deve sparire prima che ci riesca.

 

***

 

Il giorno dopo, mi chiamano in caserma perché hanno trovato due possibili sospettati: il fratello del ragazzino e un suo amico. Durante l'interrogatorio, anche questi due mi fanno perdere la pazienza, e Anna come al solito resta impassibile. Ammetto che aveva ragione lei sulla questione di Sveva, la ragazzina, però questi due c'entrano di sicuro.

Una volta terminato, sto per salire in moto quando il maresciallo e Anna mi fermano.

“Dottor Nardi?” Mi chiama lei. Non ho mai capito perché facciamo questa cosa di chiamarci per nome quando siamo soli e di darci del 'lei' in pubblico, ma so per certo che viene istintivo anche a me. Quasi a voler tenere questa familiarità solo per noi. “Stavo pensando, dato lo stato delle indagini, che potremmo fare un ragionamento ulteriore...” Si volta a guardare Cecchini, e noto che è leggermente tesa. “Magari stasera... a cena, a casa Sua.”

Come? Ho capito bene? Non me lo sto immaginando, vero?

“...Okay. Ma... perché da me? La moglie del Maresciallo cucina benissimo!” Marco, finiscila subito! Va bene a casa tua, dille che non ci sono problemi!

“Mia moglie è impegnatissima, c'ha un raduno, un raduno degli alpini, c'ha il raduno del club del tartufo nero di Norcia...” Spiega lui.

“Possiamo far da lei, forse...” Suggerisco, indicando Anna.

“Eh no, da lei, dopo quello che è successo...” Fa Cecchini.

“Che è successo?” Mi preoccupo. C'entra l'amico di ieri? Che ha combinato? Chi è questo tizio?

“Che è successo... a mezzanotte è scoppiata la fogna, e la puzza...” Anna fa una faccia strana. Non ci sto capendo niente. “Facciamo da Lei, venti e trenta.” Decide da sé il Maresciallo. “Va bene? Vada, fatto.”

Va via, portandosi dietro Anna mentre io salgo in moto, ancora un po' perplesso.

Non che mi dispiaccia, anzi. Ultimamente non abbiamo più fatto nemmeno lezioni di cucina. E magari mi informo su questo tizio di ieri, così forse capisco perché lei era così distante.

 

***

 

La sera, all'orario stabilito, suonano alla porta. Sarà Anna di sicuro, lei è sempre puntualissima.

Corro ad aprire, e mi trovo davanti una visione.

Capelli sciolti, tacchi alti e un vestitino verde di pizzo con un effetto vedo non vedo che mi fa quasi venire un colpo.

Non era lei quella che si sentiva poco femminile? Farebbe convertire pure un santo, vestita così...

“Ammazza, che eleganza...” Riesco a biascicare dopo averla osservata a bocca aperta per qualche istante..

“Ho fatto una cosetta...” Mi dice, porgendomi il vassoio che ha in mano. Ammetto che non l'avevo notato, ero un tantino impegnato a guardare il resto. Posso sbirciare ancora un po'?

“Grazie, ma non dovevi!” Mormoro, ancora ammaliato.

Lo porto fino al bancone davanti ai fornelli, chiedendo se posso aprire. Sono decisamente curioso, sono a un passo dallo scoprire se ha imparato bene o no.

Al suo assenso, tolgo il coperchio.

“Hai fatto lo stracotto al barolo? Ma ci voglion tre ore per marinare la carne!” Esclamo, decisamente colpito. È una ricetta abbastanza complicata, ma dall'aspetto sono convinto che se la sia cavata benissimo. “Il profumo è stupendo...”

“Ho avuto un grande maestro...” Si schernisce lei, timidamente. Giusto, dimentico sempre che i complimenti la mettono in imbarazzo.

Cerco un modo per rimetterla a suo agio. “Vino? Senti, ho... Sagrantino di Montefalco oppure Rosso di Torgiano?” Le domando, sapendo che in genere ne capisce più di me.

“Sagrantino di Montefalco,” suggerisce senza esitare.

“Okay...” Sto per stappare la bottiglia quando mi ricordo che dovremmo essere in tre, stasera. Purtroppo. “Ah, aspettiamo il Maresciallo, che dici?”

“No no, versa pure... mi ha tra l'altro chiamato, ero proprio qui fuori, e... ha avuto un'emergenza, non ho capito. Non viene...” Mi spiega, esitante.

“Ah!” Mi soffermo a guardarla per un attimo. Non so se sia tutta una scusa o la pura verità, conoscendo il maresciallo, ma ammetto senza ritegno alcuno che non mi dispiace affatto che non ci sia. Dillo, che ci speravi che lui vi desse buca. Per una volta le tue preghiere sono state esaudite. Siete da soli e lei è bellissima. Stavolta non devi sbagliare.

Prendo i calici di vino e la raggiungo davanti al bancone per un brindisi. “Allora, a una piacevole riunione di lavoro... e anche a una elegantissima cuoca di stracotto.”

Anna abbassa lo sguardo, e io riesco solo a pensare a quanto sia pazzo di lei, e a quanto vorrei che questa fosse una cena con ben altro proposito.

“Beh.. allora siamo in due! Pazienza, eh...” Dico, per stemperare la tensione. E per abbassare la temperatura. Non senti caldo, tu?

“...Preparo la tavola.” Suggerisce.

“Io... prendo i piatti.” Svegliati, non è che puoi stare tutta la sera a fissarla, però.

Mentre recupero i piatti dalla credenza, sento che mi fa una domanda.

“Che cos'è questo sacco pieno di polvere?”

“Quale?” Chiedo. Sacco? Che ho lasciato in giro?

“Lo sposto, ti spiace? Lo metto qui che dà meno fastidio.”

Con mio profondo orrore, mi rendo conto che sta parlando del pouf.

 

Prima che me ne renda conto, un piatto mi scivola dalle mani, che scopro tremare forte.

Calmati. Non è successo nulla. Lo ha solo spostato, l'hai lasciato in mezzo alla stanza e non si poteva passare. Respira.

“Tolgo due posate in più...” Sussurra lei, chiaramente confusa dal mio comportamento.

Io non riesco nemmeno a parlare.

“Che c'è?” Prova a chiedere, ma il mio cervello sembra non recepire più i comandi.

Marco, no. Non fare quello che stai pensando. Non ha fatto niente di male, non lo sa, non gliel'hai raccontata questa parte della storia. Non c'entra niente lei.

“Niente, è che...” Sei ancora in tempo per stare zitto. O meglio ancora, per spiegare. Capirà, lo sai che lo farà. Diglielo! “Mi sono ricordato che avevo un altro impegno. Ho un appuntamento, devo andare, scusa.”

La mia voce trema, e non so nemmeno io quello che sto dicendo.

“Con chi? … nel senso, dovevamo...” Lascia in sospeso la frase. So che ha intuito che non le sto dicendo la verità, ma non riesco a fare altro.

Non è vero, puoi! Diglielo! Dille perché hai reagito così! Ora!

Ha fatto l'unica cosa che non doveva, rimbecca una vocina diversa dal solito che non capisco da quale parte della mia testa venga, e nonostante sappia benissimo che non lo ha fatto di proposito, la mia paura è troppo grande, e il mio meccanismo di autodifesa si è messo in atto da solo. E adesso continua a dirmi, prepotentemente, come comportarmi.

No! Non lo fare!

“...con tua sorella.”

Sono queste le sole parole che dico, ma so benissimo che l'ho ferita. Lo leggo dal suo sguardo, ma era esattamente questo il mio scopo. Farle male come lei ne ha appena fatto a me.

 

Anna abbassa lo sguardo, e io sento risalire la bile in gola.

“Dovrei andare, sì...” Continuo, imperterrito, cacciandola letteralmente fuori.

“Sì... io vado allora... scusa...” Mormora, inciampando. Io l'aiuto appena, ancora paralizzato dalle mie stesse parole.

Devo essere andato completamente fuori controllo, perché come se non le avessi già fatto male abbastanza, infierisco ancora. “Ah, senti... lo stracotto però prenditelo...”

“Ma no, tienilo...”

“No, l'hai fatto, è un peccato... dai, per favore...”

“Fai quello che vuoi.” Dice soltanto, e per un attimo, vedendo un velo di lacrime luccicare in quegli occhi verdi che tanto mi hanno ammaliato, prima di andare via di corsa.

“Anna...” Provo a chiamarla prima che esca, senza alcuna convinzione o reale voglia di trattenerla.

 

Ancora rabbioso, afferro il pouf per rimetterlo dov'era, lanciando uno sguardo cattivo verso la porta.

Senza riflettere, invio un messaggio a Chiara dandole appuntamento a un ristorante poco distante da lì.

 

Quando rientro a casa dopo qualche ora mi lascio cadere sul divano, finalmente di nuovo padrone di me.

All'improvviso, come una mazzata mi crolla addosso tutto il casino che ho combinato stasera.

Ho cacciato via Anna.

Ho baciato Chiara.

E tutto per quel pouf. Ho accusato Anna di una colpa che non ha, lo so che lei non c'entra, ma è stato più forte di me.

Il messaggio a sua sorella l'ho mandato per rabbia, ma da qui a baciarla... Perché? Perché l'ho fatto?

 

Codardo.

 

Cerco di calmarmi.

Forse è così che doveva andare. Forse è stata la scelta migliore, in fondo.

Forse è stato davvero un errore.

 

Sai bene che non è così, torna a tormentarmi la vocina familiare, la verità è che hai paura. Paura di avere di nuovo stravolta la vita. Paura di star male di nuovo. Paura che una storia con lei non sia come immagini. Ma lei non è Federica. Anna non è Federica. Lo sai, questo. Non ti farebbe mai quello che ti ha fatto lei. Anna non è lei.

 

Non lo è, lo so. Ma so anche che, pur non avendolo fatto intenzionalmente, ha toccato l'unica cosa che non doveva. Qualunque cosa, ma non quella. Quel pouf è stato l'inizio della fine, e me ne sono accorto tardi. E ora non voglio succeda lo stesso.

 

Ma lei non lo sapeva. E l'ha solo spostato. Se solo le avessi spiegato, invece di perdere la testa...

 

Spiegare cosa? Che ho avuto paura? Forse avrei anche potuto provarci, se non avessi concluso l'opera baciando sua sorella.

 

Che poi, Marco, proprio sua sorella? Se volevi spezzarle il cuore ci sei riuscito. Adesso sì che non hai più possibilità con lei.

 

Non ne avevo nemmeno prima, mi auto-convinco. La mancata cena di stasera non vuol dir niente. Ha detto che il nostro bacio è stato un errore. Un maledetto errore.

 

È meglio così, mi dico ancora. Sarebbe stato troppo complicato stare con lei, lo è già così senza essere niente di più che colleghi. Pensa che disastro sarebbe se decidessimo di provarci. Salterebbe tutto. Lei non è una che cede e che si fa mettere i piedi in testa, lo so bene.

Forse non accetterebbe nemmeno uno che ha queste paure assurde come le ho io.

Con sua sorella sarà di certo più semplice. Le piacciono le stesse cose che piacciono a me, non protesta quando le propongo di andare da qualche parte... non si prende troppo sul serio, e affronta le situazioni come vengono, in modo molto più leggero.

 

Con Anna è sempre l'esatto opposto. Lei non lascia mai nulla al caso, non si lascia andare se non in casi particolari, e leggerla è sempre complicato, soprattutto se decide di chiudersi in se stessa. E ultimamente con me lo fa spesso. Tanto che non riesco più a capirla come prima, e non so perché.

Non funzionerebbe mai.

 

Devo dimenticarla.

 

È la cosa migliore per tutti a questo punto.

 

***

 

Il mattino dopo appena sveglio dopo una nottata agitata, mi dico che questa è la soluzione più adatta. Che per me ed Anna non è destino, visto che ogni volta va così per un motivo o per l'altro.

Devo rassegnarmi all'idea che, comunque, dopo la scenata di ieri sera e per come l'ho trattata, ho perso qualunque speranza che avrei potuto avere con lei.

Adesso il problema è il lavoro... dobbiamo continuare a stare a stretto contatto, e non so con che coraggio entrerò in caserma, oggi.

 

Quando poco dopo il mio cellulare squilla e vedo il numero della caserma lampeggiare sul display, mi dico solo che avranno novità, senza pensarci più di tanto.

 

Così, quando a rispondermi dall'altro capo del telefono è la voce di Anna, per un attimo le parole mi vengono meno.

“Sì... dimmi pure.” Le dico, incerto, tentando di suonare normale.

Volevo solo avvisarti che abbiamo trovato il colpevole, la persona che stava dietro alle buste con i soldi, le minacce e il resto. Si tratta del marito della donna rimasta uccisa durante il terremoto. Potrai verificare i dettagli una volta in caserma. Adesso devo andare.” Spiega, e il suo tono distaccato mi fa male, più di quanto pensassi. Non siamo mai stati così distanti come ora, nemmeno all'inizio quando ci siamo conosciuti.

 

Ricordati che te la sei cercata.

 

***

 

Quel pomeriggio, Cecchini ha la sua partita di scacchi con Don Matteo... ho sentito parlare gli altri carabinieri di questa cosa, e a quanto pare Anna gli ha dato qualche suggerimento in merito, in questi giorni. E io non me ne sono accorto.

Le piacciono gli scacchi, te l'ha detto quella volta in macchina.

Decido di andare a dare un'occhiata a questa partita, ancora in corso da quello che vedo, e mi raggiunge anche Chiara. Ci sediamo in un tavolino lì accanto, mentre io cerco di ignorare Anna, in piedi di fronte al Maresciallo, come una sorta di sostegno morale.

Con la gente che si mette intorno a Cecchini e Don Matteo, non riesco a vedere la sua reazione quando il Maresciallo, per la prima volta, incredibilmente vince la partita a scacchi.

Nel momento in cui il capannello di persone inizia a dissiparsi, Chiara mi distrae aggiustandomi il nodo alla cravatta, e quando torno a guardare verso il tavolino della sfida, di Anna non c'è più traccia.

 

Fattene una ragione.

 

Ormai l'hai persa.

 
 

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Capitolo 18
*** Premonizioni ***


 

PREMONIZIONI

 

Per qualche settimana, le cose tra me e Anna restano tese.

È difficile lavorare in questo clima, con lei. E strano.

Ci sforziamo però di comportarci almeno civilmente, e piano piano le cose iniziano a spianarsi un'altra volta.

Non c'è l'agio di prima, questo è palese, ma almeno adesso parliamo di nuovo.

Ormai va così, ce ne faremo una ragione entrambi.

 

Oggi mi hanno chiamato in caserma per un caso di omicidio. Ad essere convocata è la futura sposa dell'uomo ucciso, e quando arrivo è già in lacrime.

Anna non pressa, anzi si limita a cercare di consolare la ragazza, così intervengo io chiedendole di raccontarci cosa sia successo il giorno prima, lanciando un'occhiata di sbieco al Capitano. Non mi va di perdere tempo, così insisto, cercando di tirar fuori qualcosa da questa donna che sembra raccontare le cose a metà. Anna mi guarda male, e inizia a porre lei le domande con un tono però molto più gentile, alle quali la ragazza risponde senza problemi. Per qualche motivo la cosa mi dà fastidio. Le mie osservazioni sulle sue storielle la mettono di nuovo in crisi, e Anna torna a bloccarmi dicendomi, con parole diverse, che la signorina soffre di depressione.

Modero i toni, sentendomi un po' in colpa, accordando poi i domiciliari.

Quando la accompagnano fuori, Anna le rivolge uno sguardo comprensivo che mi fa vacillare un attimo.

 

Non riesco a capirla, quando fa così.

O forse non fai attenzione. Siete di nuovo distanti, e tu hai iniziato di nuovo a comportarti da stronzo con tutti, come facevi prima di conoscere meglio lei.

 

***

 

In questi giorni, è venuto in visita il Colonnello, per cui Anna è spesso fuori con lui per vari impegni. Per questo quando Chiara entra nel suo ufficio in lacrime, lei non c'è.

“Ehi,” le dico, facendola sedere sul divanetto, “che succede?”

“Cercavo mia sorella...” mi risponde, incerta.

“Credo sia ancora in giro col Colonnello. Cos'hai? È successo qualcosa?”

“Mia madre si è scordata della mia laurea, la settimana prossima. Ha prenotato un viaggio e non ci sarà.” Mi spiega, tornando a piangere.

Io la abbraccio, incredulo. È sua madre, come fa a dimenticarsi una cosa del genere?

Poi mi ricordo le parole di Anna, che mi ha raccontato in più occasioni come la madre, dopo il suicidio di suo padre, sia diventata ancora più incostante nei confronti delle figlie, e di come spesso le abbia lasciate sole.

Cerco di calmarla come posso, anche se non ci riesco granché.

Perché in fondo non la conosci. Non sai niente di lei. Con Anna invece è diverso, con lei hai saputo fin da subito cosa fare quando ha avuto bisogno di conforto, hai capito senza esitazione come approcciarti e consolarla nel modo migliore.

Spingo a forza quella voce nell'angolo più remoto della mia mente. Non. Devo. Fare. Paragoni.

Devo smetterla di pensare ad Anna, soprattutto quando sono con Chiara.

 

Poco dopo, la porta dell'ufficio si apre. Anna.

Quando ci vede, abbassa di colpo lo sguardo, scusandosi per averci interrotto.

Io mi sento all'improvviso in imbarazzo, senza capire bene perché. Non stiamo facendo niente di male.

Sì, che bravo, a cercare di convincerti da solo.

Lei però sembra ripensarci, e rientra.

“Che c'è, Chiara?” Le domanda, preoccupata, notando l'espressione della sorella.

“Mi ha appena chiamata mamma. Domani parte per Hanoi, credo sia in Vietnam.” Le spiega, tetra.

Anna sembra sconvolta. Di più, furiosa.

“La settimana prossima ti laurei!”

“Se l'è dimenticato! Però ormai aveva fatto i biglietti e quindi...”

“Non te la devi prendere,” cerca di calmarla, allora. “è fatta così, lo sappiamo.”

“Lo so, però sarebbe stato carino che venisse. Invece continua a considerarmi una cretina e... e probabilmente lo sono davvero.”

“Non sei una cretina!” Si arrabbia ancora di più Anna.

“Ed è lo stesso che dico anch'io,” intervengo. “E se lei pensa il contrario, con tutto il rispetto, eh... la cretina è lei.”

Chiara accenna un sorriso, mentre Anna le lancia uno sguardo comprensivo.

Quindi è così che funziona? Sua madre si dimentica di loro, Chiara ci resta male e Anna la consola, anche se di sicuro lei non sta meglio?

“Grazie...”

“Di che?” Le chiedo. “Tu hai fatto una cosa bellissima. Sai cosa facciamo? Organizziamo una festa, così lei si pente di non essere venuta! Eh?” Suggerisco, e Chiara annuisce, felice, con l'aria di una bambina a cui hanno appena promesso il regalo che voleva.

Mi volto a guardare Anna, sperando che sia d'accordo con me.

“Sì, una festa di laurea! Che dici?” Concorda con un piccolo sorriso per la sorella.

Chiara annuisce. “Vi voglio bene.”

“Ah, anche noi!” Rispondo, dandole un bacio in fronte, prima di tornare a guardare Anna, che nel frattempo ha distolto lo sguardo. Io mi sento arrossire, come se avessi appena fatto qualcosa che non dovevo. Di nuovo.

Chiara si alza dal divano. “Okay, ma io non voglio sapere niente. Festa a sorpresa, okay?”

“Sì...” Acconsente Anna, con un tono che sembra rimarcare involontariamente la familiarità della situazione.

Dopo averci ringraziati di nuovo e salutati, Chiara va via più contenta.

 

Una volta soli, tra me e Anna cala di nuovo l'imbarazzo.

“Grazie... per Chiara.” Mi dice poi.

Io ne approfitto per tirarmi fuori dai guai. “Per la festa mi dai una mano tu, eh.” Affermo, filandomela prima che possa ribattere.

 

***

 

A casa, mentre preparo il pranzo, ripenso alla scena di prima.

Al tono materno di Anna con la sorella, al suo tentativo di ridimensionare il gesto della madre. Alla sua rabbia evidente nel sapere che di nuovo le aveva lasciate sole.

A come ha accordato l'idea della festa come... come una madre farebbe con sua figlia. Come quando un compagnetto di scuola prende in giro la bambina, e la mamma per consolarla la porta alle giostre per farle tornare il sorriso.

Tu non ti sei comportato da meno, però. Sei tu ad aver proposto la festa. Per consolarla, per non farla piangere. Un dono in cambio di un sorriso. Non le parole, come hai fatto con Anna, perché non sapresti che dire. Un regalo per mostrarle che non ha niente di meno delle altre, come farebbe un padre.

Tu e Anna vi siete comportati come due genitori nei confronti di Chiara. Questo ti dovrebbe far riflettere.

 

Scaccio a forza questi pensieri.

Ultimamente lo faccio un po' troppo spesso.

 

***

 

Chiara è tornata a Perugia per verificare le ultime questioni burocratiche prima della laurea, per cui quella sera stessa mi metto d'accordo con Anna per vederci dopo cena a casa sua e iniziare a organizzare la festa.

Quando arrivo, lei mi accoglie con un sorriso, offrendomi un bicchiere di birra.

Io nel frattempo mi siedo comodamente sul divano, allungando le gambe quasi involontariamente, a mio agio dopo aver passato tante sere qui con lei per le lezioni di cucina.

Lei si avvicina porgendomi il bicchiere, prima di lanciarmi uno sguardo eloquente per indicarmi di sedermi in maniera più composta.

Come ogni volta. E tu, come al solito, te lo scordi e lei deve ricordartelo.

Si siede all'altro capo del divano, sul bracciolo, nel punto più distante da me.

Non scervellarti troppo. E poi questa distanza l'hai voluta tu.

 

“Allora? Che hai pensato per la festa?” Mi chiede, accavallando le gambe e appoggiandosi sui gomiti.

“Ah... veramente io ho fatto il figo proponendola, ma speravo avessi qualche idea tu. Cos'è che piace a Chiara?” Domando senza riflettere.

“Dovresti saperlo, state insieme.” È la sua risposta piccata, un velo di sarcasmo nella sua voce.

Non infierire anche tu, ti prego.

Cerco di giustificarmi. “Sì, ma... a lei piace tutto quello che piace a me, cioè il calcio, la cucina, birra... fantastico... eh.”

Anna abbassa lo sguardo, come se le mie parole le dessero fastidio, poi torna a guardarmi, seria.

“È per questo che stai con lei?” Mi chiede.

Quella nota vagamente triste l'hai sentita davvero, o l'hai solo immaginata?

“...no. Sto con lei perché...” Mi sforzo di trovare delle ragioni, ammetto che è una cosa a cui non ho pensato finora. “è divertente, perché prende le cose con leggerezza, e poi perché... le vado bene come sono, e non fa niente per cambiarmi. Anche se so che lei è molto più insicura di quello che vuol far credere.”

E quindi stai con lei per compassione? Perché non ti contraddice mai e fa quello che vuoi tu? Perché il senso del discorso ha tutta l'aria di essere questo.

Quando hai elencato le ragioni per cui ti saresti 'innamorato' di Anna, per lo show di Cosimo, non hai avuto esitazioni. Ed erano motivazioni profonde. Non come queste. Senza contare che all'epoca tra voi due non era ancora successo nulla.

“... e perciò vorrei che tu m'aiutassi, perché nessuno la conosce come te.”

Cerco di giustificarmi così. Se è lei a suggerirmi, so di non sbagliare, perché riconosco di non sapere niente di Chiara oltre quello che abbiamo in comune.

Anna ci riflette su, poi le viene in mente qualcosa e si avvicina scendendo dal bracciolo e sedendosi su uno dei cuscini, ma sempre quello lontano.

“Quand'eravamo piccole giocavamo al drive-in.”

Questa cosa mi intriga. “Spiega.” La incito, avvicinandomi.

Lei fa altrettanto, fino a che finiamo per essere seduti uno accanto all'altra, quasi in un gioco inconsapevole di due calamite che si attraggono inesorabilmente.

“Allora, praticamente prendevamo due sedie, spegnevamo la luce davanti alla tv e facevamo finta di essere in macchina.” Racconta, gli occhi che si illuminano. “Può essere un'idea.” Aggiunge, incerta.

“Un drive-in? Bello.” Commento, e sono sincero. Può essere un ottimo spunto, è una cosa carina. Una festa a tema.

Resto ancora un po' con lei a concordare il resto, lasciando a Chiara stessa gli inviti.

 

Quando vado via, penso che in effetti io non ho idea di chi ci sarà a questa festa, e in linea generale credo nemmeno Anna, considerando che ha detto a sua sorella di occuparsi lei degli invitati, probabilmente amici e colleghi dell'università.

Chiara sarà impegnata a pensare agli ospiti, e voi due finirete per passare tutta la festa assieme.

Scuoto la testa, obbligandomi a dormire.

 

***

 

La mattina dopo, do' un'occhiata a qualche drive-in e ne trovo uno perfetto che è disponibile per la data che serve a noi.

Però dobbiamo capire se va bene, e il sito non è granché, per cui chiedo il favore di aprire anche se è giorno di chiusura, cosicché possa vedere insieme ad Anna se come location può andar bene e definire i dettagli.

 

In ufficio nel pomeriggio, convochiamo la signora Moira, che ha ospitato la ragazza depressa, scoprendo che si tratta di una truffatrice, pagata dall'ex di Gabriella affinché la convincesse a lasciare il fidanzato perché ancora innamorato di lei.

Anna si indigna parecchio a questa cosa, e anch'io. È stato un inganno bello e buono, altro che amore.

Hanno approfittato di una ragazza instabile per raggirarla.

Quando lui e Moira vanno via, io e Anna scendiamo in piazza.

“Controlliamo le celle telefoniche e vediamo se erano veramente insieme,” le dico.

Lei fa un sospiro profondo.

“Ehi, che c'è?” Le chiedo istintivamente. Non riesci a non preoccuparti se la vedi stare anche solo vagamente male, e ti viene spontaneo cercare di fare qualcosa per lei.

Anna mi guarda un attimo, probabilmente sorpresa che io sia tornato a farle una domanda così... personale, prima di rispondere. “Stavo pensando a Gabriella, a come si è fatta manipolare da quei due...”

“Purtroppo è facile fare leva sulle debolezze delle persone che abbiamo accanto... e alle volte nemmeno ce ne accorgiamo.” Le dico semplicemente.

Lei abbassa lo sguardo, pensierosa. “Ti riferisci a Chiara e mia madre...”

Io annuisco appena. In realtà non solo a loro due, ma anche a lei, che fa tanto la forte ma è evidente che ci sta altrettanto male. L'hai visto anche tu, sua madre ha infierito sul suo lavoro, da sempre motivo di discussione, senza pensare alla ragione per cui l'ha scelto. Sul suo desiderio di non darle un dispiacere, per accusarla di averla delusa. Sull'amore per la divisa, per rinfacciarle di non comportarsi da donna.

Poi mi ricordo di questa sera.

“Ah, ho trovato il drive-in!” Esclamo, cambiando discorso in modo repentino. “E stasera aprono apposta per noi.” Aggiungo, con un sorriso.

Lei sembra sollevata. “Bene... allora mandami l'indirizzo, ci vediamo lì.”

“Va bene... ciao.” La saluto andando via, e per un attimo ho l'impressione di essere tornato a qualche settimana fa, quando tra noi era tutto normale.

 

Più tardi, ho appena scritto un messaggio con l'indirizzo e sto per inviarlo ad Anna quando cambio idea. Cancello tutto e riformulo la frase.

Ehi, ciao. Passo a prenderti io in moto, non vale la pena andare separati. Per le 20 sono da te.

Invio prima di pentirmene, sperando che non dica di no.

La sua risposta non si fa attendere molto.

D'accordo. Ci vediamo dopo, allora.

Rilascio il respiro che non mi ero reso conto di stare trattenendo.

Cerco di calmarmi. Tutta questa agitazione non ha senso. Non sono un adolescente al primo appuntamento con la ragazza che gli piace.

E poi questo non è un appuntamento.

Non le ho chiesto di uscire per questo.

 

Forse no, ma non è che ci fosse poi tutto questo bisogno di andare insieme al drive-in, soprattutto con questa fretta. Potevi andarci anche domani mattina, o domani pomeriggio, da solo a controllare che fosse tutto a posto.

E invece no, l'hai detto ad Anna perché in fondo vuoi ritagliarti del tempo da solo con lei. Perché ti mancano le serate insieme, ti manca parlare con lei come prima, e hai colto questa occasione al volo senza nemmeno rendertene conto.

Puoi negarlo quanto vuoi, ma sei ancora innamorato di lei, anche se cerchi di sforzarti di dimenticarla. Il tuo cuore non te lo permetterà.

 

Quando arrivo sotto casa sua, alle 20 in punto, lei esce chiudendosi il portone alle spalle. Sicuramente mi avrà sentito arrivare.

“Ehi,” la saluto con un sorriso, con le farfalle che tornano a presentarsi nel mio stomaco dopo parecchio tempo.

“Ciao,” ricambia lei, “grazie per essere venuto...”

“E di che? Tanto casa tua è sulla strada...” Le dico, porgendole il casco.

Lei si affretta ad allacciarlo e salire in sella dietro di me. Da uno dei due specchietti noto la sua espressione imbarazzata.

“Ti conviene tenerti...” Suggerisco a voce bassa, e quando sento le sue braccia stringersi attorno al mio busto, provo una sensazione strana e familiare insieme.

Come quella volta quando l'hai ospitata a casa tua insieme a sua sorella e al maresciallo, e l'hai vista scendere le scale la mattina. Come la prima volta che ha cenato a casa tua per una coincidenza. Come il gelato in ufficio la sera tardi.

 

Arrivati lì, salutiamo e ringraziamo per il favore, poi io mi avvio verso una delle auto lasciando Anna ad occuparsi del film da vedere per la festa, ma non prima di averle detto di portare i popcorn. Non è un vero drive-in senza.

Questo posto non è niente male, penso tra me guardandomi intorno. E queste lucine rendono l'atmosfera romantica, perfetta per un appuntamento.

Sì, ma questo non è un appuntamento. Affatto. Anche se siamo da soli, proprio soli soli considerando che hanno aperto per noi. Scelgo l'auto più centrale e mi accomodo al posto dell'autista.

Anna mi raggiunge cinque minuti dopo, quando il film – Cenerentola – è già iniziato.

Io, da gentiluomo quale cerco di essere ogni tanto, le apro la portiera.

“Madame,” mormoro.

“Grazie,” sussurra lei di rimando, posizionando i popcorn in mezzo a noi due.

“Stavo pensando,” prende la parola dopo qualche minuto, “che potremmo fare una festa anni '60...”

“Mh-mh, okay... Ma... Cenerentola no.” Obbietto, con un'occhiata eloquente. È pur sempre una festa di laurea, su.

“Ho chiesto, ce l'hanno,” si giustifica lei. “è il film preferito di Chiara, l'ha visto duecento volte.” Non ne avevo idea. Aspetta, però una cosa me la ricordo, e non perché me l'abbia raccontata Chiara.

“È vero, lei da piccola voleva fare la principessa, vero... e tu Zorro.”

Lei sembra sorpresa.

“Me l'hai detto, no? Non è che...” Mi giustifico, leggermente in imbarazzo. Hai appena ammesso di ricordarti praticamente ogni cosa che dice. Bravo, almeno una cosa giusta ogni tanto la fai.

“Vabbè... tu che volevi fare da piccolo? Mh?” Mi domanda, curiosa.

Io esito un attimo, poi mi butto. Lei me l'ha detto, no? “L'attore...” Rispondo senza guardarla.

“Ohh, l'attore,” mormora con voce roca, ridacchiando.

“Cosa? Che cosa ridi?” Chiedo, ma rido anch'io.

“No, vabbè... e poi?”

“Con 'sto naso dove vuoi che vada...”

“Non è così male.”

Mi giro a guardarla, stavolta sono io ad essere sorpreso. Anna è chiaramente in imbarazzo, ma regge il mio sguardo senza esitazioni.

“Grazie...” Mormoro infine, lusingato, e lei mi fa un piccolo sorriso.

È più forte di me, sento il bisogno di spiegarmi meglio. Di aprirmi. Sai che con lei puoi farlo. La battutina l'ha fatta solo per punzecchiarti, non per prendersi il gioco di te. Non lo farebbe mai, non l'ha mai fatto.

“Poi però mio padre ha detto, 'No no. Tu ora fai un lavoro serio, stop'.” Le confesso, abbassando le mani un po' abbattuto.

“Marco, tutti ci lasciamo condizionare...” Mi dice dopo qualche istante, e guardandola vedo che nel suo sguardo c'è comprensione. E qualcos'altro che non riesco a decifrare bene.

Sta alludendo alla discussione di oggi pomeriggio, quando io le ho detto quella cosa su sua madre e sua sorella come se a me la faccenda non toccasse, e invece ecco qui che con due parole lei ha intuito tutto. Tu magari ultimamente hai qualche problema a capirla, ma di sicuro lei non ne ha nel capire al volo te. Fa un respiro profondo prima di continuare. “Credo che la cosa importante sia... non so, trovare il proprio posto nel mondo. E io penso di averlo trovato.” Confessa, guardandomi dritto negli occhi.

Io non riesco a distogliere i miei da quel verde magnetico che mi attrae come nient'altro.

“Credo anch'io, mi sa.” Ammetto, senza staccare gli occhi dai suoi.

Il mio posto è accanto a te, ovunque tu sia.

E quando sorride alle mie parole, so per certo che sta pensando la stessa cosa.

Vi siete detti di amarvi, anche se con un'espressione differente.

Nonostante tutto.

 

Non ti odia, nemmeno dopo che l'altra sera l'hai trattata malissimo e cacciata via quando sai che era venuta per te.

Nemmeno se stai con sua sorella.

E tu la ami anche per questo.

 

“Eh...” mormoro, più per fare qualcosa che altro, così lei abbassa lo sguardo, ma io continuo ad osservarla ancora per qualche istante.

Non ho capito male, non stavolta.

Lancio una breve occhiata allo schermo gigante davanti a noi, senza la minima idea di quello che stia succedendo nel film.“Secondo te qua dobbiamo guardarlo tutto questo, o...?” Commento, giusto per alleggerire un po' la tensione.

“Fino a quando non scatta la mezzanotte.” Sussurra Anna.

Ancora una volta, i nostri occhi restano incatenati per quella che sembra un'eternità, senza che nessuno dei due faccia niente per impedirlo.

 

Dopo qualche minuto, lei si schiarisce la gola.

“Quindi... da piccolo facevi teatro?” Domanda in tono esitante.

La osservo un attimo prima di rispondere. “Sì... avevo iniziato per gioco, con qualche recita a scuola. Mi piaceva, le maestre dicevano che ero anche portato, così mia madre mi iscrisse a un corso al teatro del paese. Ho continuato per anni, fino alla fine delle superiori. Poi a mio padre non è andato più bene, diceva che finché andavo a scuola ci poteva anche stare, ma una volta terminata dovevo mettermi la testa a posto e smetterla di dire scemenze in costume su un palco. Ho provato a ribellarmi, poi ho visto che era una battaglia persa, non volevo deluderlo, e ho lasciato perdere. Mi sono iscritto all'università, e com'è andata a finire lo vedi anche tu.”

“Mi dispiace... ora capisco perché eri tanto a tuo agio sul palco per la performance con Cosimo...” Commenta con un mezzo sorriso. “E hai smesso completamente? Nemmeno per hobby?”

“Beh, se escludiamo qualche scenetta per gli amici, o quando mi metto a fare monologhi da solo a casa giusto per fare qualcosa... no, nemmeno per hobby.”

“... in che senso, 'monologhi da solo a casa'?” Chiede, estremamente curiosa. Eh, ormai hai lanciato il sasso... Glielo devi raccontare.

“Sì, beh... anche solo per vedere se mi ricordo ancora qualche parte... Ehm,” mi schiarisco la voce, e declamo, “'Se non ricordi che Amore t’abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato.'

“Shakespeare!” Esclama Anna, elettrizzata.

“... hai letto Shakespeare?”

“Scherzi? È uno dei miei autori preferiti. Amo i suoi sonetti alla follia.”

Da quel momento in poi, passiamo il resto del tempo a parlare di letteratura e teatro, ormai dimentichi del film, che continua a scorrere solitario sullo schermo.

 

Quando la pellicola finisce, ce ne accorgiamo solo perché la luce del proiettore si spegne all'improvviso.

Con molta calma, scendiamo dalla macchina, ringraziamo i proprietari per il favore – ovviamente impedendo ad Anna di pagare, e non con poche difficoltà – e saliamo in moto.

Stavolta lei è molto più a suo agio, e non esita a stringersi a me una volta in sella.

Per il tragitto di ritorno, non riesco a smettere di pensare a quanto questa serata sia stata perfetta. A quanto naturale sia passare del tempo con lei. Come se le settimane scorse non ci fossero mai state.

 

Venti minuti dopo arriviamo in piazza. Ammetto di essermela presa comoda. Non volevo che finisse.

Prendo l'ultima curva un po' male, accelerando involontariamente.

“Piano, piano,” ridacchia Anna.

“Ho frenato, ho frenato, scusa! Che cosa devo fare?” La punzecchio, mentre lei scende togliendo il casco. Io la imito, facendo lo stesso. “Però la prossima volta il film lo scelgo io,” metto in chiaro senza pensarci. “Cenerentola no, dai, su.”

“Che film sceglieresti?” Mi domanda, e in quel momento mi rendo conto di quello che ho detto.

Hai praticamente dato per scontato che uscirete di nuovo insieme. Da soli. E che tornerete al drive-in.

Il mio cuore salta un battito elaborando le sue parole.

E Anna non ha detto di no, anzi.

Ti ha chiesto cosa vorresti vedere, insieme a lei.

I nostri sguardi tornano a incrociarsi per l'ennesima volta stasera, e io, quasi inconsapevolmente, mi avvicino.

Non si sta allontanando. Non ti sta respingendo. Hai capito bene, quand'eravate al drive-in.

I nostri volti sono ormai a pochi millimetri, e mi accorgo che lei ha chiuso gli occhi.

Marco, fallo! Baciala!

 

Un rumore improvviso mi fa allontanare bruscamente: il mio cellulare che squilla.

“No...” mormoro tra me. Quando leggo il nome sul display, sento un vago senso di nausea farsi strada in me: Chiara.

“No, è Chiara che...” Esito, senza riuscire a parlare come si deve. “Rispondo, okay?” Biascico, e Anna si limita ad annuire, lo sguardo basso.

“Pronto?... Ciao!... sì, Chia', abbiamo organizzato tutto e... no no no, niente, non dico niente, ché è... sorpresa. Arrivo tra un secondo a casa, posso chiamarti da lì? … grazie, ciao, buonanotte.” Chiudo in fretta la chiamata, senza nessuna voglia di ritelefonarle.

Non ci posso credere. Non può essere successo di nuovo. Non adesso. Non ora che...

L'imbarazzo torna a insinuarsi prepotentemente tra noi due.

“Beh, allora buonanotte...” Mi dice incerta Anna. “Devo svegliarmi presto, devo accompagnare Chiara a comprare il vestito per la laurea...”

“Sì, m'ha detto che... bello... ehm...” Niente, non riesco più a dire due parole sensate di fila.

“Ciao...” mi saluta, avviandosi verso casa.

No, non farla andar via. Non puoi perdere questa occasione!

Prima che possa aprire bocca però, lei si volta. “Il casco...” Sussurra, porgendomelo.

Nel prenderlo, le nostre dita si sfiorano, ma ancora, prima che riesca a raccogliere il coraggio e fare qualsiasi cosa, lei si allontana, stavolta fino al portone del palazzo.

 

Non sarebbe potuta finire peggio.

 

Anna's pov

 

Chiudo piano la porta di casa, appoggiandomi poi con la schiena contro di essa.

 

Perché, perché deve andare sempre a finire così?

Sembra che dopo quella sera vada sempre tutto male, come una specie di maledizione.

 

Quando mi ha detto di aver trovato il drive-in e che avrebbero aperto apposta per noi, quell'implicito invito mi ha destabilizzata un attimo, prima di ricordarmi che non era affatto un'uscita per noi due, ma per organizzare la festa per Chiara.

La sua fidanzata.

Deglutisco a forza.

I miei tentativi di rimanere distante sono andati a farsi benedire quasi subito, col suo messaggio in cui diceva che sarebbe passato lui a prendermi, e non di vederci lì come avevo suggerito io. In mia difesa, posso dire che io ci avevo provato.

Sì, e si è rivelato inutile, perché non appena mi sono trovata in moto con lui, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto mi piacesse quella cosa, e che avrei voluto diventasse un'abitudine.

 

Al drive-in, poi, è stato come se le settimane di tensione tra noi non ci fossero mai state. È bastato poco perché tornasse tutto come prima, perché riprendessimo a parlare... di noi.

Quando si è ricordato quella cosa di Zorro ho avuto un tuffo al cuore. Sono passati mesi da quando gliel'ho raccontata, e non abbiamo più toccato l'argomento da allora.

Eppure si ricorda.

Conoscendo quant'è restio a parlare di sé, non pensavo mi avrebbe risposto quando gli ho chiesto cosa voleva fare lui da bambino, e invece, ancora, mi ha spiazzata.

Sì, e già che siamo nel discorso, tu gli hai detto che ti piace.

Avrei voluto sotterrarmi dall'imbarazzo, non so come ho fatto a non abbassare lo sguardo quando lui mi ha rivolto quell'occhiata sorpresa.

Quando poi mi ha raccontato di suo padre... Non mi aveva mai parlato della sua famiglia.

E di come anche lui abbia dovuto accettare di fare qualcosa che inizialmente non voleva per amore di qualcuno.

Io ho scelto di fare il carabiniere per dare giustizia alla memoria di mio padre. Lui ha barattato il suo sogno per una carriera con cui rendere orgoglioso il suo.

Volevo solo cercare un modo per consolarlo, come lui ha fatto tante volte con me.

Quella frase mi è uscita di bocca senza che riuscissi a fermarla.

E la sua risposta è stata incredibilmente inaspettata... ma ha tolto in me ogni dubbio.

So che lui ha capito cosa intendessi, e le sue parole l'hanno confermato.

Quelle, e il fatto che non riuscissimo a staccare gli occhi l'uno dall'altra subito dopo.

 

Gli hai praticamente detto che il tuo posto è accanto a lui.

E Marco ha detto lo stesso per te.

 

Gli ho chiesto del teatro soprattutto per togliermi dal quella situazione imbarazzante.

E ho scoperto un'altra cosa che abbiamo in comune, una che mi fa impazzire.

Sì, in fondo anch'io adoro il romanticismo, e mi sono innamorata di Shakespeare alle superiori.

Sentirglielo recitare è stato solo un ulteriore motivo per dirmi che sono stata una stupida, quella volta, a dirgli che è stato un errore.

Non avrebbe potuto scegliere citazione più azzeccata.

 

Avrei voluto che questa sera non finisse mai, nemmeno allo scoccare della mezzanotte.

E l'incantesimo sembrava davvero non avere fine, perché quando siamo tornati è stato tutto così naturale tra noi che senza rendercene conto ci siamo dati appuntamento per un'altra volta.

E poi Marco ha iniziato ad avvicinarsi.

E io credevo di stare sognando, perché voleva dire che avevo davvero capito bene al drive-in, e adesso mi stava per baciare di nuovo. Stavolta non mi sarei tirata indietro.

 

Ma ovviamente, il rintocco della mezzanotte è arrivato attraverso lo squillo del suo cellulare.

Chiara.

Ovviamente.

Mi ha fatto rendere conto di cosa stavamo per fare.

E non me lo sarei mai perdonata, anche se quel bacio l'ho desiderato con tutta me stessa, e so che non l'avrei fermato.

 

Asciugo con un gesto rabbioso una lacrima che è sfuggita al mio controllo.

 

Si vede che non è destino. Anche se lo ami. E lui ama te.

 

Marco's pov

 

Il mio primo pensiero stamattina, appena sveglio, è quel bacio mancato.

E il coraggio che non ho avuto, di nuovo, per fermarla e dirle la verità.

Soprattutto adesso che so che anche lei prova qualcosa per me. Che finora ho sbagliato tutto con lei, che non ho capito il suo comportamento perché non volevo vedere.

Io e la mia dannata paura.

 

Avevo cercato con tutte le mie forze di convincermi che non provassi più niente per lei. Che non l'amassi più. Che avevo accettato l'idea che saremmo stati solo amici, al massimo.

Ce l'avevo quasi fatta.

E invece è bastato pochissimo per riaccendere quel fuoco che forse in realtà non si era mai spento.

È bastato poco perché tornasse, prepotente, il desiderio di baciarla.

La voglia di stringerla tra le braccia e non lasciarla più.

 

E invece no. Di nuovo, per l'ennesima volta, mi sono lasciato scivolare l'occasione perfetta dalle mani.

Adesso non so che fare. Non voglio far soffrire Chiara, in fondo le voglio bene anche se non la amo, ma non posso ignorare l'amore per Anna.

Ormai è chiaro che non posso stare da solo con lei senza correre il rischio di portare a termine quello che ieri sera non ho concluso.

 

Quando salgo in moto, ripensando ancora a ieri, realizzo una cosa che fino ad ora mi era sfuggita.

Quando Anna mi ha proposto l'idea del drive-in, ha detto che da piccola ci giocava insieme a sua sorella.

È una cosa che piace anche a lei.

Senza rendertene conto, hai fatto un dono anche a lei. Uno molto più personale.

 

Che cosa devo fare?

 

***

 

Nel pomeriggio, mi avvio insieme a Chiara, rientrata stamattina, alla premiazione della gara di ciclismo che ha vinto il Maresciallo.

Anna mi fa appena un cenno, prima di raggiungere il resto dei Carabinieri in prima fila mentre noi restiamo in fondo.

Questa cosa mi fa sentire, se possibile, ancora peggio.

Cerco di mettere da parte tutti i pensieri che la riguardano, provando a concentrarmi su Chiara.

Alla fine scopriamo che il Maresciallo non aveva vinto la corsa, ma che per un incidente si era ritrovato a tagliare il percorso fino ad arrivare al traguardo senza rendersene conto. Lì era pure svenuto, e quando si era ripreso, il Colonnello aveva già combinato più casino di lui.

È ammirevole, però, che abbia detto la verità.

So che ci vuole parecchio coraggio, per ammettere di aver sbagliato.

“Che ne dici, potremmo andare a cenare fuori, stasera! Che ne pensi?” Mi domanda Chiara all'improvviso.

“Ehm... sì, va bene, d'accordo.”

“Perfetto! Dove andiamo?” Chiede, aggiustandomi la cravatta.

“Mah, dove vuoi tu!” Rispondo con un sorriso.

Noto che poco distante da noi stanno passando Anna e il Maresciallo, quindi mi volto a salutarli.

“Salve...” Dico, più ad Anna che a lui.

Non so come farò, non riesco a distogliere lo sguardo da lei, è più forte di me.

Non riesco a sentire di cosa stiano parlando, ma lei ha un'espressione cupa in volto.

Torno ad ascoltare Chiara, ma la mia mente mi obbliga a voltarmi, e quello che vedo mi paralizza.

 

Giovanni.

 

Avverto Chiara abbracciarmi, ma io non riesco a ricambiare davvero, troppo occupato a fissare la scena poco distante da noi.

Che ci fa qui? Non era in seminario?

Ditemi che è solo una visita. Ditemi che non è quello che penso.

Non può essere tornato.

 

“Ma quello è Giovanni!” Esclama Chiara, che deve averlo appena notato. “Andiamo a salutarlo!”

Prima che possa impedirglielo, mi trascina da loro.

“Ciao!” Lo saluta in maniera entusiastica. “Che fai qua?”

Lui risponde con un po' d'esitazione e un sorriso. “Sono... sono tornato a Spoleto.”

Io deglutisco a forza, lanciando uno sguardo di sbieco ad Anna: tiene gli occhi bassi, e le sue mani tremano appena.

“Noi dobbiamo tornare in Caserma,” afferma, dopo qualche istante. “Andiamo, Maresciallo? Buona giornata.”

Si allontana insieme a Cecchini, io la seguo con lo sguardo per un tratto, poi torno a osservare Giovanni. Continuo a non capire. Non voglio capire.

“Devo andare anch'io,” ci dice poi lui. “Ci... vediamo in giro.”

Chiara lo saluta, io non apro bocca.

 

Non può essere tornato.

Non adesso.

 

 
 

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Capitolo 19
*** Tutta la vita ***


 

TUTTA LA VITA

 

La festa di laurea di Chiara va nel migliore dei modi.

Lei apprezza tantissimo l'idea, adora il drive-in, Cenerentola e tutto quello che abbiamo preparato per lei.

Come avevo previsto, io e Anna finiamo per passare tutta la serata insieme: a parte qualche amico in comune, nemmeno lei conosce gli invitati. Anna che, a proposito, è molto elegante ed estremamente bella in questo suo tubino blu notte che le dona da morire.

Per buona parte del tempo, restiamo in un angolo a parlare, fingendo di non pensare ogni istante a quello che è successo in questo stesso posto pochi giorni prima.

Inoltre, succede una cosa interessante durante la festa, non so se Anna abbia sentito perché non mi dice niente al riguardo, ma visto che Chiara non ha detto chi sono, nessuno si spiega esattamente la mia presenza qui. Tanto che, quando a una sua collega di corso che sta parlando con altre ragazze sento dire di me 'Sicuramente sarà il fidanzato di sua sorella, quella che fa il Carabiniere', io non oso obiettare. Anzi, potrei aver involontariamente alimentato le voci chiedendo spudoratamente ad Anna di ballare con me, stupendomi non poco quando lei accetta, imbarazzata, allontanando con mia immensa soddisfazione gli sguardi maliziosi dei colleghi di Chiara.

Comunque, non posso fare a meno di notare un certo nervosismo in alcune frasi di Anna, e il suo comportamento lo riflette. Non solo durante la festa ma più in generale, in questi giorni e soprattutto a lavoro.

 

Stamattina, in caserma, se possibile le cose vanno pure peggio.

Credo di non averla mai vista così scontrosa.

Mi ha appena rimproverato perché non ho messo in ordine i fascicoli.

“Qui hai gli archivi di marzo, di qua. Da marzo in poi sono dall'altra parte. Che problema c'è?”

“Che sono in disordine. Che ci ho messo un po' per ritrovarli.”

“Vabbè, adesso ci metto i fiocchettini-”

“Ti chiedo solo questo, ti chiedo solo questo, un po' di ordine! Grazie!” Conclude, invitandomi con un gesto a uscire dal suo ufficio. “La prossima volta stai più attento anche con i verbali di sequestro.”

“Va bene.”

“Grazie.” Mi chiude immediatamente la porta.

 

Io sono scioccato. Chiedo immediatamente lumi al Maresciallo, magari ne sa qualcosa in più.

Oppure è colpa tua. Ha ripensato a come ti sei comportato con lei alla festa di laurea di Chiara e ha deciso che sei uno stronzo e ti prendi il gioco di lei. Quindi ti tratta così. Te lo meriteresti.

“Mi dice che c'ha questa stamattina? Oh!” Esclamo comunque, indignato. Lui mi prende per un braccio facendomi allontanare, saggiamente direi.

“Che c'ha... è che ci sono novità! È tornato il prete! Anzi no, ex-prete.”

“Ah, Giovanni?” Quindi è colpa sua se ha le crisi?!

“S'è spretato!”

“Ahhh! Ha cambiato idea, adesso, eh...” Poi mi rendo conto di cosa vuol dire. Abbasso la voce. “Ha mollato il seminario?”

“E chi semina, raccoglie!” Fa lui in tono eloquente. “Lui ha seminato prima, e raccoglie ora.”

“Ah. E vabbè, per me può raccogliere quello che vuole, guardi.” Borbotto, dirigendomi verso l'uscita.

“Ah, sì?” Infierisce Cecchini.

“Sì, sì...” Rispondo, tentanto di suonare disinteressato.

In realtà sento il sangue ribollire nelle orecchie.

Quindi avevo intuito bene, è tornato sul serio. Avevo ragione, allora, a pensare che non fosse poi così convinto di quella scelta così drastica.

Sì, e ora che è di nuovo qua scombussolerà pure il tuo rapporto con Anna, di questo puoi stare certo. Se ha le intenzioni che temi, di sicuro non gli farà piacere scoprire quando avete legato nel frattempo.

 

Vado via per un po' cercando di schiarirmi le idee e darmi una calmata. Quando rientro, trovo Cecchini seduto alla sua scrivania intento a rigirarsi tra le mani un coltellino svizzero.

Gli chiedo cos'abbia, e scopro che si è convinto che Zappavigna, l'appuntato e fidanzato di sua figlia Assuntina, abbia un'amante e un figlio. A me pare impossibile, sembra un così bravo ragazzo. Cerco di tranquillizzarlo e spiegargli che magari si è sbagliato ed è inutile mettere in subbuglio pure sua figlia. Meglio cercare di indagare prima.

“Ci vuole una prova!” Gli spiego.

“Le troveremo,” dice, “e Lei mi darà una mano!”

Eh no, non di nuovo. Io nei casini con lui non mi ci metto più. “Io non Le do nessuna mano, le prove se le trova Lei.”

“Le ho trovate io,” ci informa Anna, riferendosi ad altre prove. Che poi, quand'è arrivata? Ci porge dei fogli. “Il presunto aggressore di Vismara e la sua moto rossa.” Spiega, riferendosi al caso di aggressione di cui ci stiamo occupando.

“Sì, ma non si vede la faccia.” Commenta il Maresciallo.

“Abbiamo il numero di targa, vediamo a chi è intestata.” Dice, prima di riprendersi i fogli e andare via. Ancora arrabbiata. Ma che ha combinato quello là? Non se ne poteva stare in seminario?

Cecchini riprende a borbottare cose su Zappavigna, io lo ascolto per metà, lo sguardo ancora su Anna.

Spero di sbagliarmi, non voglio che cada di nuovo fra le braccia del pretino.

 

***

 

Continuando con le indagini, scopriamo che la moto rossa appartiene a 'Seba', Sebastiano, un alunno di Don Matteo a scuola. Lo convochiamo, ma lui continua a dirci di essere estraneo alla faccenda.

Chiamo Anna in disparte per capire come comportarci, ma anche se lei mi fa notare che nel video non si vede se minaccia Vismara, io sono costretto a metterlo in stato di fermo, per il momento ai domiciliari. Purtroppo la descrizione dei testimoni e la sua presenza lì sono sufficienti.

 

La sera, stacchiamo tutti abbastanza tardi.

Io resto a chiacchierare col Maresciallo fuori dalla caserma per qualche altro minuto.

Sono appoggiato alla mia fidata moto, gli sto raccontando dell'ingegnere che ha appena comprato un cavallo da corsa fenomenale, quando finalmente anche Anna esce.

“Buona serata,” ci augura, avviandosi a passo spedito verso casa.

“Ciao...” mormoro io appena, seguendola con lo sguardo e dimenticando qualsiasi altra cosa che non sia lei.

“Ma che fa?” Mi chiede Cecchini, facendomi sussultare. Mi ero dimenticato perfino di stare parlando con lui fino a un attimo fa. Bene, Marco, se continui così sei definitivamente fregato. “Perché non l'accompagna, no?” Suggerisce.

“Ma no...” rifiuto, arrossendo per essermi fatto beccare a fissarla in modo così spudorato.

“È da sola, di notte, a quest'ora...”

“E vabbè, non siamo mica a Caracas, può andare...!” Scherzo, Anna non ha di certo problemi a difendersi.

“Caracas è meglio,” mi contraddice il Maresciallo, “perché a Caracas non ci sono gli ex-preti e gli ex-fidanzati. L'accompagni!”

“Ah, allora Anna sarebbe in pericolo solo perché Giovanni è tornato qui a Spoleto.” Commento. Maresciallo, la prego, non ci si metta pure Lei.

“Sì! Questo si chiama 'pericolo sentimentale'! Perché da cosa nasce cosa, e possono nascere anche i bambini!”

Non esageri adesso, è solo tornato dal seminario. Da qui a... bambini... no. Non scherziamo. No.

“Chi ha avuto un bambino?” Chiede Zappavigna, appena uscito. Ops.

“Che cosa vuoi tu, chi ti ha interpellato?” Salta su Cecchini. “Forza, via!”

“È che ho sentito 'bambini' e per me i figli sono una cosa meravigliosa!” Risponde lui.

“E tu ne sai qualche cosa, vero?” Si inalbera il Maresciallo, di nuovo. Devo intervenire per forza.

“Ehi, ehi, ehi, Maresciallo! Vai, vai, Zappa, vai,” suggerisco al povero appuntato.

“Maresciallo, ci vediamo dopo a casa...” Lo saluta lui.

“Maresciallo, ma che fa? Ogni volta che vede Zappavigna perde la testa?” Lo rimprovero quando il ragazzo si è allontanato abbastanza.

Ritrovandomi a trattenerlo di nuovo quando dice che 'calmo calmo, va e l'ammazza'.

Non so se ridere o preoccuparmi sul serio.

 

Non capisco bene come, ma Cecchini mi trascina a cena a casa sua con la sua famiglia e la madre di Zappavigna. Decido che forse è meglio per tutti perché Cecchini sembra andato completamente fuori di testa, e il peggio viene quando Assuntina annuncia che lei e Romeo andranno a convivere, anche se lui non sembra tanto convinto, e Cecchini quasi sviene. Mi devo impegnare parecchio per convincerlo a non ucciderlo, visto che continua a ripeterlo.

 

Quando finalmente riesco ad andare via più o meno tranquillo che il Maresciallo non ammazzerà nessuno, ho la tentazione di bussare ad Anna, ma mi trattengo. Ho sceso appena qualche gradino quando ci ripenso, in fondo non è così tardi e lei di sicuro sarà ancora sveglia. Dopo un attimo di esitazione, mi decido a bussare.

Niente.

Riprovo, ma nessuno risponde.

Strano, eppure sono convinto che avesse detto che sarebbe rimasta a casa stasera.

 

***

 

Il mattino seguente, Cecchini sembra molto più tranquillo e ben disposto con Zappavigna prima di scoprire che gli ha infilato un GPS per cani in tasca per sapere dove va, naturalmente senza il suo consenso e mettendo in mezzo pure me.

Naturalmente, come ogni volta che succede qualcosa così, Anna sceglie proprio quel momento per avvicinarsi alla scrivania del Maresciallo, che si inventa su due piedi che il GPS è per Patatino che scappa sempre, così ne approfitta pure per spedirmi a pedinare Zappavigna non appena il segnale si muove.

 

Proprio non lo so come ho fatto a farmi immischiare in uno dei suoi casini un'altra volta.

E comunque, a giudicare dalla sua espressione, Anna non ci ha creduto nemmeno un po'.

 

***

 

 

Più tardi, Seba si decide a parlare, fornendo però un movente per l'aggressione. Ci informa che ha saputo da Sofia, la ragazza che vive in canonica con Don Matteo, è in realtà figlia di Rita Trevi, l'insegnante di Educazione Fisica al liceo che i due ragazzi frequentano, ma che è anche il risultato di una violenza che la donna aveva subito anni prima. Apriamo un'ulteriore indagine in proposito.

 

Per la pausa pranzo, sto firmando i documenti sugli accertamenti patrimoniali e i tabulati telefonici di Trevi, quando noto Anna uscire dal suo ufficio: non ha la divisa ma indossa la tuta ufficiale dell'Arma, i capelli legati in una semplice coda di cavallo.

“Vai a correre?” Le chiedo.

“Sì, approfitto della pausa pranzo.”

“Ah.”

So che fa spesso allenamento, anche col judo e altra roba, ma è la prima volta che la vedo uscire dalla caserma con questo proposito.

Il cellulare del maresciallo suona.

“Il cane...” Fa lui.

“Che fa, ancora scappa?” Chiede Anna, avvicinandosi.

“È in calore, quel maledetto.” Cecchini, su, non esageriamo! Fra l'altro Patatino nemmeno c'entra.

“Beh, poverino...” Commenta il Capitano, infatti. “Magari vuole solo accoppiarsi... Auguri per la cucciolata.” Aggiunge, sarcastica.

Altro che auguri, posso strangolare Cecchini?

“Meglio andare, va, no?” Gli intimo. “Se no si perde, Patatino.”

Lui per una volta mi dà ascolto, e usciamo tutti e tre, con Anna che prende la direzione opposta alla nostra.

 

Rintracciamo Zappavigna, e mentre il Maresciallo fa le foto, io sono costretto ad ammettere che in effetti il bambino assomiglia un sacco all'appuntato. Riesco a convincerlo però a non far vedere le foto a sua figlia ma di accertarsi di tutto con un test di paternità, che però implica il permesso ai diretti interessati per essere fatto. Spero che stavolta si comporti come si deve. Faccio pure una figuraccia con sua figlia e la madre di Zappavigna, e a questo punto spero sia tutto a fin di bene.

 

***

 

Quando convochiamo i coniugi Trevi, Rita cerca di negare con forza della violenza, ma il marito le rivela di averlo scoperto da sé. Sa ogni cosa, perfino della figlia. Ammette di aver contattato Vismara, dandogli un ottimo movente per il tentato omicidio.

È una delle situazioni più gravi in cui ci siamo mai trovati. Vedere lo sguardo impotente di Anna fa star male anche me all'idea che, per paura, spesso le violenze non hanno giustizia.

E non c'è niente che noi possiamo fare.

 

***

 

La sera, ho appuntamento a casa di Chiara. Mi ha promesso che preparerà lei la cena per una volta, così da farmi testare le sue doti di chef. La cosa mi incuriosisce, finora abbiamo sempre cenato da me. Non che non mi fidi, ma non si sa mai.

Quando salgo le scale dell'appartamento mi rendo conto che, in effetti, questa è casa di Anna, non di Chiara. Se noi siamo a cena da soli, lei dove va?

Ignoro a forza il pensiero e busso, sperando di non incontrarla. Come ogni volta, e stavolta più che mai, mi sentirei a disagio. Per tutta una serie di motivi, a partire dal bacio mancato dopo il drive-in.

La porta si apre.

“Ta-dan!” Esclamo, sollevando la bottiglia di vino che ho portato per l'occasione, prima di notare che ad aprirmi è stata proprio Anna, decisamente scocciata.

“Entra,” mi dice, il fastidio chiaramente visibile sul volto.

Accanto a lei spunta Chiara, che mi getta le braccia al collo. Io ricambio la stretta con finto entusiasmo, limitandomi a un bacio sulla guancia. Non riesco a fare altro. Non con sua sorella ancora qui. È già abbastanza complicato in questo modo, senza aggiungere effusioni non necessarie.

Poi lei mi lascia andare e va a chiudere la porta quasi in faccia ad un'Anna che, sempre più indispettita, ci augura un 'divertitevi' che a me suona molto sarcastico.

Io e Chiara iniziamo a cenare poco dopo. Lei mi spiega che ha deciso di proposito di preparare un piatto tipico umbro, visto che comunque io sono ligure fino al midollo e tendo a buttarmi sui piatti di quella zona.

Devo ammettere che è veramente ottimo.

“I miei complimenti... davvero!”

Lei sorride compiaciuta. “Mi ha consigliato Anna di preparare la Zuppa di Roveja di Cascia.” Mi spiega. Decido di cogliere al volo l'allusione per fare una domanda che spero non dia troppo nell'occhio.

“A proposito, ma... tua sorella?” Chiedo, tentando di suonare indifferente.

“Sinceramente non so dove andava, non me l'ha detto. Magari da Giovanni, visto che ha mollato il seminario ed è tornato qui...”

“Ah,” commento soltanto, la gola improvvisamente arida.

“Sì, beh, capisco che può essere un po' preoccupata, però alla fine è come se lui si fosse preso una pausa, no? Capita, in una relazione...”

“Mh-mh...” Mormoro, pentendomi di aver chiesto.

Lei però continua, senza far caso a me. “Mia sorella si merita di essere felice, e con Giovanni lo era, tanto anche, e sono convinta che se solo gli dà una possibilità, si può aggiustare tutto. Voglio dire, era elettrizzata all'idea di sposarsi, non può essere svanito tutto così, no? Anche perché non è uscita con nessuno in questi mesi, non ha conosciuto nessuno di nuovo, quindi Giovanni una speranza ce l'ha ancora, se si dà da fare. No?” Mi chiede infine, e devo trattenermi con tutte le mie forze dal dirle quello che penso sul serio.

Così mi limito ad annuire con finta convinzione ingoiando la bile che avverto in bocca, e cambio in fretta argomento. Quando lei inizia a parlare io la ascolto per metà, perché la mia mente è rimasta bloccata sulle cose che ha detto.

No, che non ce l'ha, un'altra possibilità. Se fossi stata accanto a tua sorella ti saresti resa conto che le ha fatto troppo male per ricominciare così, di punto in bianco, da dove si erano lasciati. Non è stata proprio una pausa, l'aveva mollata per farsi prete! E l'idea di sposarsi forse all'inizio poteva anche piacerle, ma quando vostra madre ha frainteso con la storia della proposta, Anna non era entusiasta per niente nemmeno di fingere. E poi sì, è uscita con me. Ci siamo pure baciati, a dirla tutta. E abbiamo imparato a conoscerci benissimo. Il pretino deve solo azzardarsi ad avvicinarsi di nuovo...glielo dico io, dove deve andare stavolta.

Poi mi ricordo che in fondo non ho nessun diritto su Anna, perché non è con lei che sto.

Tutto per un colpo di testa senza senso.

 

Ritorno con l'attenzione su Chiara, pregando disperatamente che Anna non sia con davvero Giovanni.

 

Anna's pov

 

Certo che io sono proprio scema. Se ci fosse un premio per questo, io lo vincerei di sicuro.

Ho appena lasciato casa libera a mia sorella, preparandole una cena che lei spaccerà per sua, facendo sì che passi una serata romantica col suo fidanzato.

Fidanzato che, per un orribile scherzo del destino, è l'uomo di cui io sono innamorata.

E che, l'ho capito anche se ci ostiniamo a fare finta di niente, ama me.

Però, appunto, siccome siamo stupidi entrambi perché non c'è altra spiegazione se non questa per giustificare il nostro comportamento, ce ne stiamo zitti a farci del male.

Devo pure sorbirmi gli abbracci e i baci sulla porta di casa mia, e mia sorella che mi dice che dovrei dare una seconda possibilità al mio ex perché è difficile trovare uomini 'normali' che ti amino, e che lei prima di Marco aveva perso le speranze.

Sì, peccato però che Marco provi qualcosa per me.

 

Comunque, non ho nessuna intenzione di andare da Giovanni. Piuttosto, approfitto di questa serata di solitudine per tornare in caserma e continuare con le indagini su Lisi.

È da quando sono entrata nell'Arma che indago su di lui, sull'uomo colpevole della morte di mio padre, quello che l'ha raggirato, derubato e portato al suicidio.

Saluto in fretta gli altri carabinieri, sorpresi di vedermi qui a quest'ora visto che non sono di turno e per di più in borghese, ma li tranquillizzo dicendo di aver dimenticato di visionare dei documenti importanti, che devo necessariamente leggere prima di domani.

Ormai sono vicinissima a prenderlo con le mani nel sacco. Ho scoperto cosa ha fatto in tutti questi anni, dove si è nascosto, e ho anche scoperto che, adesso che il reato è caduto in prescrizione da poco tempo, è tornato qui a Spoleto. L'ho visto per caso, mentre tornavo in auto verso casa. L'avrei riconosciuto tra mille, anche dopo tutti questi anni. L'ho pedinato, e ho scoperto che ha iniziato a lavorare come contabile presso un'azienda vinicola, per cui ho iniziato a raccogliere i documenti relativi al loro fatturato insieme a tutto quello che può servirmi, e ho già scoperto particolari interessanti. Ne sto scoprendo molti altri solo con una rapida occhiata a quest'altro materiale che mi è arrivato oggi pomeriggio.

Mi sistemo meglio sulla poltrona e inizio a scrivere, appuntando tutto ciò che può essere utile a metterlo dietro le sbarre, una volta per tutte.

Ti vendicherò, papà. Puoi starne certo.

 

Marco's pov

 

Quando vado via, Anna non è ancora rientrata. A questo punto temo davvero che sia andata da Giovanni. Spero almeno che non sia successo quello che ha suggerito il maresciallo l'altra sera.

Ma lei non lo farebbe. ...No?

 

Comunque sia, stamattina, scopro che Cecchini ha reperito i campioni per il test. A tal proposito, io sono ancora incredulo, Zappavigna sembra un così bravo ragazzo. Ma non c'è mai da stupirsi fino in fondo, mi sa.

Quando l'appuntato esce dalla caserma, suggerisco al Maresciallo di controllare il segnale GPS, scoprendo che lui ha dimenticato il cellulare a casa.

Scendiamo in fretta per andarlo a recuperare, peccato che a riportarcelo è proprio sua figlia, che l'ha trovato e intuito la magagna. Ha capito che sta spiando il suo fidanzato, ma non ha idea del perché. Mi dico che siamo salvi, finché non arriva proprio lui in compagnia della donna e del bambino. Quando lui ammette che si tratta dell'amante e del figlio, Assuntina gli assesta uno schiaffo da brava figlia del Maresciallo quale è, e lui si butta per picchiarlo. Riesco a trattenerlo a mala pena, ma la scenata c'è e qualcuno chiama... sì, i carabinieri.

 

Finiamo tutti e tre nell'ufficio di Anna, in riga come scolaretti impreparati.

Noi stiamo zitti a testa bassa mentre lei fa avanti e indietro, furiosa.

“Non ci posso credere, non ci posso credere...” Mormora. “Fare quella scenata davanti a tutti! E tu che gli dai retta!” Fa, rivolgendo l'ultima frase direttamente a me.

Cerco di difendermi. “Però questa volta il Maresciallo c'ha ragione-”

“Shhh!” Mi zittisce immediatamente lei, e io non posso far altro che obbedire all'istante.

“Quello che mi ha deluso più di tutti è Lei,” dice poi a Zappavigna, “e non per il bambino fuori dal matrimonio,” Cecchini prova a protestare ma io lo blocco, “ma perché non me ne ha parlato. E ha mentito a me, a loro e a tutta l'Arma! Questo finisce sul suo fascicolo.” Continua Anna, ma lui non risponde, continuando a guardare dritto davanti a sé.

La strigliata è interrotta da Ghisoni, che in parte peggiora le cose portandole un accertamento richiesto dal Maresciallo.

Dopo aver dato una veloce occhiata ai documenti, ci sbatte tutti fuori dal suo ufficio senza tante cerimonie.

 

Uscendo, incrocio il suo sguardo. Leggervi tanta delusione anche nei miei confronti mi fa male più del resto. Quando fa così, mi sento terribilmente inadeguato. Forse non sarò mai abbastanza per lei, forse in fondo il suo amore non me lo merito anche per questo.

 

***

 

Il giorno dopo, quando arrivo in caserma, noto che Cecchini è decisamente abbacchiato. È arrivato il test di paternità, e lui non vuole nemmeno aprirlo. Io gli dico che ormai, dopo tutta la fatica, almeno vale la pena di vedere la prova definitiva. Lo apro, e capisco immediatamente che abbiamo fatto un casino.

Il bambino non è il figlio di Zappavigna, ma suo fratello.

 

Informo in fretta Anna, che ci riconvoca tutti e tre nel suo ufficio.

L'appuntato ci racconta tutta la storia, di come quella donna sia stata l'amante del padre e che sia rimasta incinta. Ci dice che lui si è assunto le responsabilità solo per non far scoprire niente alla madre.

Cecchini ammette infine che è davvero un bravo ragazzo, anche grazie a una piccola spinta di Anna.

Almeno questa cosa si è risolta per il meglio.

 

Nel pomeriggio, quando rientro da una passeggiata con Chiara, vediamo uscire Giovanni dal portone del palazzo. Chiara insiste perché la accompagni su, anche se non vorrei. Se Giovanni era lì, significa che è stato da Anna. Non voglio sapere che è successo.

Quando Chiara apre la porta, pone immediatamente la domanda che non voglio sentire.

“Ehi... abbiamo visto uscire Giovanni... che ci faceva qua?”

Anna fa spallucce. “Niente. È passato a salutarmi.” Risponde soltanto, con voce piatta.

“Ah... beh, perché non l'hai invitato a restare? Potevate cenare insieme stasera!”

Io deglutisco, distogliendo lo sguardo. Non voglio sentire.

“Perché non mi andava? Ho da lavorare.” Afferma stavolta Anna in tono che non ammette repliche, prima di sparire nella stanza accanto portandosi dietro dei documenti che prima stavano sul tavolo.

Chiara non osa fiatare.

Ci salutiamo, e io vado via.

 

Mentirei se dicessi che la sua reazione non mi abbia risollevato l'umore.

È stata musica per le mie orecchie.

Forse sto esagerando, e forse è solo questione di tempo prima che tornino davvero insieme e lei al momento è solo restia ad ammetterlo, però per adesso sta mantenendo le distanze. Anche se il suo nervosismo continua ad essere un indizio ambiguo.

 

Questo però significa solo che devi deciderti. Se è vero che prova qualcosa per te, c'è anche da dire che sta a te fare il primo passo stavolta, e che lei non potrà aspettarti per sempre.

Vedi di capire davvero quello che vuoi.

 
 

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Capitolo 20
*** Il potere del perdono ***


 

IL POTERE DEL PERDONO

 

In queste settimane stiamo avendo una tregua al lavoro. È stato un periodo più calmo, almeno dal punto di vista di casi da risolvere.

 

Se poi dobbiamo parlare del clima lavorativo, e anche privato, al contrario, è un'altalena continua. Naturalmente mi riferisco alla mia esperienza personale.

Già, perché ultimamente, specie da quando è tornato il pretino, con Anna non sto capendo più nulla. Un giorno ci ignoriamo, l'altro ci insultiamo, quello dopo ancora ci comportiamo come fossimo fidanzati.

E intendo soprattutto fuori dalla caserma.

Poi, quando c'è Chiara, la situazione sta diventando sempre più complicata da gestire.

Qualche giorno fa proprio Chiara, per cercare di distrarre sua sorella che ultimamente è sempre nervosa, ha proposto di fare una bella gita fuori porta trascinandoci tutti e due al castello medievale di Val Tiberina. Pur se con qualche esitazione, Anna alla fine si è convinta, così loro due sono andate in auto, insieme, e io le ho raggiunte in moto con un po' di ritardo.

Al mio arrivo, erano già lì ad ascoltare la guida spiegare del castello.

Anna era attentissima, Chiara un po' meno.

“...e un giardino all'italiana che è suddiviso in sette spazi, con limonaie, lecci, aiuole, giochi d'acqua e anche un labirinto di siepi di bosso...” Sento dire alla guida.

“Ragazzi, ragazzi, ragazzi,” sussurra Chiara all'improvviso, “ma se andassimo nel labirinto?”

Non è male.

“Chiara, non stiamo a casa nostra, dobbiamo seguire la guida.” La contraddice immediatamente Anna, sempre prudente.

Io invece sono attratto dall'idea, anche per metterla alla prova.

“A me il labirinto sembra più interessante,” dico quindi.

Anna allarga le braccia, sconfitta. “La gita del liceo,” commenta, sarcastica, “andiamo a giocare, dai.”

Io ridacchio, imitato da Chiara, e tutti e tre ci avviamo verso il labirinto, seguendo le indicazioni sui cartelli poco più avanti.

Chiara apre la fila guardandosi intorno con curiosità, mentre io e Anna restiamo più indietro a parlare. Visto che sono arrivato in ritardo, mi racconta un po' la storia di questo posto.

“La guida ci ha detto che questa prima era una fortezza, e nel Rinascimento è stata trasformata in villa dal Vasari,” mi spiega con un tono appassionato che ormai so distinguere senza difficoltà.

“Quindi... anche nella fortezza più inespugnabile può nascondersi un giardino incantato,” commento, riferendomi a ben altro che questo castello. Lei lo intuisce immediatamente, e abbassa lo sguardo, le guance che si tingono di rosso.

Chiara sceglie quel momento per interromperci, e spezzare la magia. “Ragazzi, ecco il labirinto!” Ci fa notare, e io spero che non si sia accorta dello scambio appena avuto con sua sorella.

“Wow,” sussurra Anna, “sembra di essere in una fiaba!”

“Facciamo un gioco,” interviene Chiara, “entriamo, ci sparpagliamo e poi torniamo qua. L'ultimo che arriva perde, okay?”

“Io ci sto!” Accetto immediatamente, lanciando uno sguardo di sfida ad Anna, che ricambia senza esitare. “Io vado di qua.” Affermo, scegliendo la strada di fronte a me. Una rapida occhiata dietro le spalle mi indica che le due sorelle hanno appena imboccato altre due direzioni diverse.

Decido allora di lasciare alla sorte la mia scelta: se non so come comportarmi con loro, sarà questa occasione a scegliere per me. Se riesco a vincere in questo intreccio di siepi, la prima che mi raggiunge sarà colei che destino avrà deciso di pormi accanto. Allora mi comporterò di conseguenza.

Con un tuffo al cuore, quando torno all'inizio non c'è nessuno.

“Primo!” dico allora a voce alta.

“Anna, muoviti, se no arrivi ultima!” Sento Chiara replicare.

“No, io non perdo mai!” È la risposta di Anna. Significa che sono entrambe vicine.

Resto lì in attesa per qualche minuto, prima di sentire un rumore dietro l'angolo.

Il fiato mi si blocca in gola.

 

Il destino è proprio strano. Non ho ancora capito se sia a mio favore o meno.

 

Spero solo significhi che sto agendo nel modo giusto.

 

***

 

Oggi alle 13.30 ho un appuntamento con Anna in caserma per discutere di faccende burocratiche relative a un sequestro di qualche giorno fa.

Quando arrivo, con qualche minuto di anticipo, lei non c'è ancora, così decido di aspettarla nel suo ufficio.

Passano una ventina di minuti e di lei ancora nessuna traccia. Questo suo ritardo mi mette ansia.

Ad un tratto entra Cecchini con un fascicolo, che mi porge. “Il signor Capitano mi ha detto di darle questi.”

“Ah... grazie. Ma... lei dov'è?” Chiedo, sedendomi davanti alla scrivania.

“Non lo so... magari aveva qualche appuntamento e... arriverà.”

“No, che appuntamento,” obbietto, infastidito. “Ce l'aveva qua con me, l'appuntamento, e lei non è mai in ritardo.”

“Si vede che stanotte avrà fatto tardi... sa com'è.”

Io spalanco gli occhi, interdetto, e mi giro a fissarlo. “No, non lo so com'è.”

“È che c'è... Giò, Giovanni, il suo ex. È tornato alla carica. Magari hanno fatto... tardi, hanno fatto le ore piccole...” Insinua il Maresciallo.

Io cerco di mostrarmi indifferente, tenendo gli occhi sul fascicolo. “Buon per loro...” mormoro.

Buon per loro un cavolo.

“'Buon per loro'?” Mi provoca lui. “Voglio vedere se si rimettono insieme, se dice ancora 'buon per loro'.”

Pure lui ci mancava. Queste allusioni da dove vengono? Sono davvero così semplice da leggere?

“Maresciallo, posso ricordarle che io sono felicemente fidanzato con Chiara?” Provo a rettificare, forse in maniera eccessiva.

“Felicemente?” Mi istiga ancora Cecchini. Ma allora la fa apposta! … come l'ha capito?

“Sì, felicemente, e se il Capitano vuol rimettersi con... don Giovanni, io sono più che contento per lei.” Ribatto, una nota ironica nella mia voce che sfugge al mio controllo. Ma allora te le cerchi. 'Don Giovanni'... bah.

Cecchini sta per dire qualcosa ma viene interrotto da Zappavigna, che entra spedito in ufficio.

“Senti, ma nessuno t'ha insegnato a bussare?” Gli chiede il Maresciallo. Che ironia.

“Scusate, ma è un'urgenza. Hanno ritrovato un uomo morto in via Machiavelli. Si tratta di omicidio.”

Io mi alzo. “Maresciallo, andiamo io e Lei. Zappavigna, chiama la Dottoressa Olivieri per avvisarla, va bene?” Chiedo all'appuntato, leggermente irritato del fatto che lei mi abbia dato buca così.

Sì, semmai sei irritato per le insinuazioni del Maresciallo. Per quello che ne sai, potrebbe aver ragione. Dopotutto, quando sei stato a cena da Cecchini, quella volta, lei era effettivamente a casa di Giovanni, che ha traslocato letteralmente a due passi da casa sua.

 

È strano trovarmi sulla scena del crimine senza Anna e le sue acute osservazioni. È come se mancasse qualcosa.

Provo a pensare a cosa farebbe lei, quando parlo con la moglie dell'ucciso, e a comportarmi di conseguenza. Poi provo a chiamare Anna, ma il suo cellulare è sempre irraggiungibile. Cecchini commenta che è strano che non si veda Don Matteo nei paraggi, e per quanto lo rimproveri per l'osservazione (sì, come farebbe Anna... mi ha contagiato), non posso non notarlo anch'io. È decisamente strano.

 

***

 

Quando rientro in caserma dopo il sopralluogo, verso le 15, vado dritto nell'ufficio di Anna, tentando di nuovo di chiamarla. Inutilmente. A questo punto sono preoccupato.

Cerco di non pensare al peggio, ma non abbiamo notizie di lei da stamattina, e non riusciamo a rintracciarla. Ho dovuto per forza chiamare Chiara a un certo punto, sperando che Anna si fosse... non so, solo sentita poco bene, magari, e aveva dimenticato di comunicarlo, e invece niente. Naturalmente lei è entrata in panico, dicendomi che era uscita la mattina presto, non sapeva dove dovesse andare, ma che non le aveva lasciato detto nulla. Ho cercato di tranquillizzarla al meglio, con la promessa di darle notizie non appena avrei saputo qualcosa.

Ormai è pomeriggio inoltrato, e il groppo in gola aumenta ogni istante di più. Provo ancora a chiamarla. Niente.

Cecchini arriva dopo qualche istante, agitatissimo, spiegandomi che è andato in canonica per avere notizie di Don Matteo, e Pippo gli ha detto che anche lui è uscito quella mattina presto ma non è ancora rientrato, benché avesse detto che non avrebbe ritardato oltre le 15. Sono già passate le 16.

“Sono tutti e due insieme, non può essere un caso.” Fa, iniziando a camminare avanti e indietro, nervoso. “Sono spariti tutti e due, e tutti e due hanno il cellulare irraggiungibile.”

“Oh, Maresciallo, io sono preoccupato come Lei, va bene?” Gli faccio notare. Se davvero ha intuito qualcosa di quello che c'è tra me e Anna, lo capirà. “Però stia fermo, per cortesia.” Mi sta facendo venire il mal di testa.

“Non possiamo stare mani nelle mani!”

“Non stiamo mani nelle mani, Maresciallo, stiamo avviando le procedure del caso e le ricerche.” Gli ricordo, tentando di mantenere la calma, anche se dentro lo stomaco si attanaglia di più ogni secondo che passa. “Abbiamo anche un omicidio da risolvere, giusto? Abbiamo novità?” Chiedo, cercando di distrarlo per un attimo.

“No, non abbiamo novità perché non ci sono telecamere in zona. Poi la moglie non può essere stata perché dalla banca hanno detto che lei è uscita dal lavoro alle ore 13.30, il medico legale dice che il marito, Dario Corsi, è morto alle ore 12, quindi non può essere stata lei.”

Sospiro, cercando di pensare a una nuova pista, quando Zappavigna spalanca la porta dell'ufficio, un'espressione tesa in volto. “Hanno ritrovato la macchina del Capitano.”

Io e Cecchini ci scambiamo uno sguardo terrorizzato, e mi alzo di scatto. Il mio cellulare squilla, ma la conversazione con Chiara dura pochi istanti, il tempo di dirle che non ho novità.

Salgo in auto con il cuore in gola, senza riuscire a parlare.

Non può essere. No. Mi rifiuto di crederci.

 

Arriviamo sul posto, un luogo isolato, e la macchina è posizionata come se fosse andata a sbattere contro un albero.

Mentre io mi guardo intorno, Cecchini si avvicina, e dentro il cofano scopre... la bicicletta di Don Matteo.

“È la sua, sicuro?” Chiedo, più per dire qualcosa che altro.

“Sì... li hanno rapiti, o forse peggio...” mi risponde con voce rotta, appoggiandosi alla macchina per sostenersi. “Non ci posso pensare...”

Cerco di tranquillizzarlo, e tranquillizzare anche me. “Magari sono venuti qua insieme, e sono ancora qua intorno, Maresciallo...” dico, senza crederci.

“No, no, ma il Capitano non l'avrebbe mai lasciata la macchina qui... Qualcuno l'ha presa e l'ha abbandonata...”

“Lo so, Maresciallo...” Lo blocco, senza voler sentire altro. Apro lo sportello dal lato passeggero, dando un'occhiata all'interno alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa che mi dica dov'è Anna. Apro il cruscotto, e ci trovo dentro un fascio di carpette, fogli e documenti vari tenuti insieme da un elastico.

Io questi documenti li ho già visti.

Li tiro fuori, mostrandoli a Cecchini.

 

Torniamo in fretta in caserma, e chiamo Chiara affinché ci raggiunga il prima possibile.

Mentre aspettiamo, io do un'occhiata al contenuto delle carpette, e noto subito un nome ricorrente: Claudio Lisi.

L'uomo che ha truffato suo padre fino a portarlo al suicidio.

Che cosa ci facevano tutti questi documenti in macchina di Anna? Anzi, che ci facevano a casa sua, prima? Sono sicurissimo di averglieli visti in giro in più di un'occasione, ora che ci penso.

Continuo a controllare, quando arriva Chiara accompagnata da Cecchini. Siamo solo noi tre nell'ufficio del Capitano. Lei scoppia immediatamente a piangere quando la informiamo di aver trovato la sua macchina abbandonata e nessuna traccia di lei, ma io non riesco a fare nulla, nemmeno ad abbracciarla. Non riesco nemmeno a pensare in maniera lucida.

Le indico le carte che continuo a sfogliare. “Sono tutti riguardanti Claudio Lisi, questi documenti.” Spiego, senza esitare ma con voce roca.

“Cosa?!” Domanda lei, subito. È chiaro che quel nome fa male anche a lei.

“Sì, è qui a Spoleto e lavora in un'azienda vinicola.”

“Ma chi è questo Claudio Lisi?” Chiede Cecchini, ma prima che possiamo rispondergli, la porta si apre ed entra Giovanni, teso.

“Maresciallo... dov'è Anna? È tutto il giorno che la cerco...” Fa, esitante, rendendosi subito conto che qualcosa non va.

“Purtroppo anche noi la stiamo cercando ma non siamo riusciti a trovarla,” risponde lui. Io non riesco ancora a dire nulla. “Abbiamo trovato la sua auto abbandonata.”

Lui spalanca gli occhi, girandosi verso Chiara, che ricomincia a piangere. “Cioè, che volete dire? Che è stata rapita?”

“Temiamo di sì.” Ammette Cecchini, e Giovanni si lascia cadere sulla sedia libera, una mano davanti alla bocca.

Per quanto io possa detestarlo, in questo momento posso solo provare empatia per lui. So perfettamente come si sente.

“Aveva un appuntamento con qualcuno o-”

“No no no, ufficialmente no,” rispondo io, ritrovando la voce, “però nella sua macchina abbiamo trovato questo fascicolo. Ci sono appunti, documenti, e sono tutti riguardanti... Claudio Lisi.”

Lui solleva lo sguardo, incrociando il mio per la prima volta da quando è entrato. “Claudio Lisi?”

Dalla sua espressione e dal tono capisco che sa di chi sto parlando.

Certo che lo sa. È comunque l'ex di Anna, sono stati insieme per cinque anni. È ovvio che lo sappia.

“Ma esattamente chi è questo Claudio Lisi?” Torna a chiedere il Maresciallo, l'unico adesso a non capire questa connessione.

Lasciamo che sia Chiara a rispondere. “È... è l'uomo che ha causato la morte di nostro padre.” Dice soltanto, la voce rotta.

Cecchini spalanca gli occhi, poi li abbassa, e noto che diventano lucidi.

Io scambio uno sguardo con Giovanni, e dalla sua espressione intuisco che ha capito che anch'io so benissimo chi sia Lisi, e cosa c'entri con Anna.

 

Lascio che si occupi lui di Chiara, mentre io e il Maresciallo ci dirigiamo immediatamente all'azienda vinicola presso cui lavora quel... quell'uomo, se così si può definirlo. In auto, gli spiego in breve il legame di Lisi con le sorelle Olivieri, omettendo però tutti i dettagli personali che Anna mi ha raccontato.

Incontriamo i fratelli Bonetti, i proprietari, proprio all'ingresso della villa. Chiediamo dove sia Lisi, e l'uomo che sta camminando dietro di loro si ferma di colpo.

È lui. L'uomo che ha causato così tanta sofferenza ad Anna.

Claudio Lisi.

Entriamo all'interno per potergli parlare in privato, ma mentre lui e Cecchini si avvicinano al divano posto in un angolo, io preferisco appoggiarmi al bancone del bar, più distante. Meglio stare lontano, non si sa mai cosa potrebbe succedere.

Il maresciallo gli chiede subito se conosce il Capitano, usando però le sue generalità.

“Anna Olivieri. Sì, certo che la conosco. Suo padre era un mio vecchio amico.”

Mi trattengo dal fare una risata sprezzante alla sua osservazione, obbligandomi a tacere e lasciando che sia lui a fare le domande.

“Un vecchio amico... che si è suicidato quando Lei l'ha truffato e l'ha mandato in carcere.” Ribatte il Maresciallo.

Quello ha anche il coraggio di replicare. “Maresciallo, sono passati tanti anni, e se il reato c'è stato penso che oggi sia caduto in prescrizione.”

“Certo, è per questo che Lei è tornato qua in Italia!”

“E anche se fosse? Scusate, io non capisco di che cosa mi si sta accusando.”

“Il Capitano Olivieri e un mio vecchio amico sono scomparsi da stamattina, e Lei ne sa qualcosa!”

“Mh. Anna è scomparsa? No, no che non lo sapevo, perché dovevo saperlo?”

Basta. Mi ha stancato con queste storie. Deve dirmi dov'è.

“Adesso però la faccia finita,” esclamo infine, avvicinandomi a passo svelto, “perché Lei sa benissimo perché. Anna Olivieri stava conducendo un'indagine su di Lei, e io scommetto che vi siete incontrati. Vero o no?”

È per questo che Anna era così nervosa in questi giorni. Giovanni non ha mai avuto niente a che fare con questa storia.

“Sì, ci siamo incontrati l'altro ieri. Non la vedevo da più di dieci anni.” Ammette.

“Di cosa avete parlato?”

Lui esita un momento. “Del suicidio di suo padre. Sentite, che voi ci crediate o no, non mi importa.”

Al sentire questa affermazione, sento la bile risalire in gola. Lui si siede sul divano prima di continuare. “Quando ho saputo che Carlo Olivieri si era tolto la vita, ho pensato di ammazzarmi anch'io.”

Io gli lancio un'occhiata di sprezzante. “Però non l'ha fatto.”

“No, non ho avuto il coraggio.” Risponde arrogantemente, guardandomi dritto negli occhi. Avrei solo voglia di prenderlo a pugni.

“Una storia veramente straziante, sa? Mi sta colpendo un sacco.” Ribatto, sarcastico, ignorando l'occhiata di Cecchini. “Adesso mi dice dov'è Anna?” Chiedo, facendola finita con i giochetti.

Devi dirmi dov'è. Ho bisogno di sapere dov'è.

“Non lo so,” nega però lui, “vi giuro che non lo so.”

Non gliela faccio passare liscia, sta mentendo di sicuro. Lo sa. Deve saperlo.

“Dov'è stato oggi tutto il giorno?”

“Qui al casale con me, dalle nove di stamattina,” ci informa la proprietaria, entrata in quel momento nella stanza. “Sì, abbiamo lavorato tutto il giorno sui conti dell'azienda. Mio padre è morto due mesi fa e ci ha lasciati in una situazione finanziaria disastrosa, e Claudio ci sta aiutando ad evitare il fallimento.” Ci spiega, ma io non riesco a crederci, quantomeno non all'ultima parte. Non dopo quello che ha fatto al padre di Anna.

Gli lancio un'occhiata gelida. “Si tenga a disposizione.” Mi limito a dire, prima di uscire con il Maresciallo al seguito.

 

Una volta in auto, lui cerca di capire il mio comportamento.

“Quindi Lei sapeva di Lisi?” Mi domanda cautamente.

Io deglutisco. “Sì, Anna me l'ha raccontato tempo fa, del suicidio di suo padre e... tutto il resto.” Dico soltanto.

Chiudo gli occhi, massaggiandomi le tempie.

Anna sta bene. Deve stare bene. E devo trovarla.

 

Torniamo in caserma a mani vuote, giusto per verbalizzare quanto abbiamo scoperto, poi chiamo Chiara per aggiornarla e torno a casa.

So che probabilmente dovrei stare con lei, starle accanto e consolarla, ma la verità è che non ce la faccio.

Non posso starle accanto senza perdere il controllo. Senza rendere evidente che sto come, o forse peggio, di lei. Perché lei è sua sorella, e ha tutto il diritto di esprimere la sua paura, io invece non posso. Non nel modo che sento. L'unica cosa che vorrei è correre a cercarla, anche se non so minimamente dove andare, da dove cominciare perché non abbiamo indizi su dove possa essere. Mi sento totalmente impotente, e non poter far nulla mi fa impazzire. Vorrei urlare, vorrei prendere a pugni il muro, vorrei piangere... e invece sono paralizzato. Non so più nemmeno che ore sono. Sono seduto sul divano da un sacco di tempo, non ho trovato nemmeno la forza di salire al piano di sopra.

 

Provo a pensare a qualche indizio, qualcosa che magari mi è sfuggita, o al momento ho ignorato, qualsiasi cosa, ma niente.

Ho visto Anna con quei documenti praticamente tutti i giorni, ma non ho pensato a chiederle cosa fossero, pensavo fosse comune roba di lavoro... Non le ho chiesto perché fosse così tesa, nervosa... ho dato per scontato che fosse per il ritorno di Giovanni, ma anche lì non ho indagato, per pura gelosia.

Sì, lo ammetto, non ho domandato nulla per gelosia. Perché dopo tutto quello che è successo tra noi in questi mesi, e soprattutto nell'ultimo periodo, il fatto di ritrovarmelo tra i piedi mi ha infuriato, e il comportamento di Anna non ha fatto che alimentare le mie paure.

E adesso lei non c'è... Adesso è chissà dove, e non so se sta bene, e solo l'idea che possano averle fatto qualcosa mi fa andare fuori di testa.

Non ci posso pensare.

 

Non le ho mai detto che l'amo.

 

Forse non riuscirò mai a dirglielo.

 

Un rumore di qualcosa che si rompe mi fa tornare alla realtà, e mi accorgo di aver lasciato scivolare a terra il bicchiere d'acqua che avevo in mano senza rendermene conto. Recupero uno straccio e asciugo l'acqua, poi raccolgo i pezzi di vetro sparsi sul pavimento come un automa, prima di tornare a sedermi sul divano nel punto in cui stavo prima.

 

No. Non devo nemmeno pensarci. Anna sta bene. Deve stare bene. Deve.

E io riuscirò a dirle che l'amo.

Devo trovarla.

 

***

 

Il mattino dopo mi sforzo di andare in ufficio. Non ho praticamente chiuso occhio.

Arrivo presto, perché non vedo ragione di restare a casa e perdere tempo che potrei invece impiegare per darmi da fare.

L'atmosfera in caserma è decisamente cupa, sono tutti preoccupati per Anna e Don Matteo.

Faccio un breve cenno salutando tutti, e mi chiudo nell'ufficio di Anna, sedendomi al solito posto davanti alla sua scrivania. Abbasso lo sguardo su una foto poggiata lì: la sua, il giorno che ha ricevuto la nomina a Capitano. Mi ricordo di averle chiesto perché accidenti tenesse una foto di se stessa, e come al solito la sua risposta mi ha spiazzato: 'Per ricordarmi ogni momento chi sono. Il Capitano, ma anche la figlia di mio padre'. Sì, la sua vita gira attorno al suo ricordo, l'ho capito pian piano, e riesco a mala pena a immaginare quanto si sia concentrata su quest'indagine, quando tempo vi abbia dedicato per raccogliere tutto quel materiale. Osservo il suo sguardo fiero, e il groppo in gola torna, prepotente, a togliermi il respiro.

 

Sento la porta aprirsi e poso in fretta il portafoto al suo posto. È il Maresciallo.

“È riuscito a dormire?” Mi chiede, anche se probabilmente conosce già la risposta.

“Un'oretta, credo. Nemmeno di fila.” Biascico. Mi sono sforzato per cercare di riposare, ma ogni volta che chiudevo gli occhi il viso di Anna compariva dietro le palpebre, insieme a ogni tipo di scenario in cui poteva trovarsi in quell'istante, e allora li aprivo di scatto rifiutandomi di chiuderli di nuovo. “Lei?”

“Zero.” Poi si mette a spiegarmi che Corsi non è stato ucciso dove l'abbiamo trovato, ma nella sua officina, come risulta dal GPS. Mi alzo per andare proprio lì col Maresciallo, quando Giovanni entra in stanza.

“Ci sono novità?” Domanda dopo un breve saluto, ed è chiaro che nemmeno lui ha dormito stanotte.

“No, per il momento no, abbiamo però delimitato tutta la zona dove potrebbero essere. Quella è l'ultima cella a cui si sono attaccati i cellulare.” Spiego, indicando il plico di fogli sulla scrivania dietro di noi. “Però adesso noi dobbiamo occuparci di un altro caso.”

Lui fa un'espressione scandalizzata. “Come? E le ricerche chi le fa?”

“Tutti gli altri nostri uomini, perché dobbiamo occuparci di un caso di omicidio, che non è una cosa da poco.” Tento di mantenere la calma.

“Anna è scomparsa da ventiquattr'ore e questo per Lei è una cosa da poco?” Mi accusa.

Devo trattenermi per non insultarlo. Io vorrei fare solo quello, idiota. Ma non posso.

“Avvocato, Lei sa che stiam facendo tutto il possibile per trovarla!” Urlo quasi.

“Evidentemente da soli non ce la fate.” Mi contraddice, riuscendo meglio di me a tenere a bada la rabbia. “Per favore, mi dica come posso rendermi utile.”

“Ad ognuno il suo lavoro. La ringrazio, ma-”

“No, facciamo una cosa, facciamo una cosa,” mi interrompe Cecchini, “magari lui potrebbe studiare questi documenti, magari salta fuori qualcosa che a noi ci è sfuggito. In questo momento qualsiasi cosa è utile per noi!” Suggerisce, e sono costretto ad ammettere che ha ragione.

Io e Giovanni ci scambiamo uno sguardo di sfida, e per questa volta l'ha avuta vinta lui.

Mi sbrigo a uscire, non riuscendo a stare in quella stanza un minuto di più.

 

***

 

Arriviamo all'autofficina poco dopo, sequestrando il locale e fermando la gru che sistema i veicoli nella pressa per demolirli.

Troviamo la scena del crimine e la probabile arma del delitto: l'ufficio di Corsi e un cacciavite.

Spiego al maresciallo e Zappavigna che l'autofficina per me è solo una copertura, e chiedo all'appuntato di occuparsi del computer di Corsi, magari dentro c'è qualcosa di utile.

Speriamo almeno qui di riuscire a trovare qualcosa.

 

Una volta in caserma, Zappavigna scopre delle mail sospette, dove vengono nominati i Bonetti, i proprietari dell'azienda vinicola.

“Che c'entrano con Corsi, questi?” Mi chiedo. “Il mittente chi è?”

“L'indirizzo è anonimo, ma posso risalire all'IP.”

In quel momento Giovanni emerge dall'ufficio di Anna con una carpetta in mano.

“Forse ho scoperto qualcosa.” Ci informa. “Non è stato facile perché gli appunti di Anna sono scritti con quella sua calligrafia terribile... Qui parla di un conto off-shore, cointestato tra Claudio Lisi e... un certo Dario Corsi...”

Io spalanco gli occhi. Non è possibile. Gli prendo immediatamente i documenti dalle mani. “Il rapimento e l'omicidio sono collegati, allora. Corsi e Lisi si conoscevano e scommetto che la mail arriva proprio da lui. Bene, convochiamoli subito.” Ordino al Maresciallo, che si mette subito in moto.

“Grazie Giovanni, grazie, forse ci siamo.” Mi congratulo sinceramente, dandogli una pacca sulla spalla, poi entro nell'ufficio di Anna per posare quella carpetta e dare un'occhiata al resto, adesso che abbiamo una pista magari sarà più semplice mettere insieme i pezzi.

“Sei davvero preoccupato per Anna,” commenta Giovanni, che deve avermi seguito senza che me ne accorgessi. “Non pensavo.”

Io mi volto ad osservarlo. “Beh... è una collega, è normale, no?” Cerco di giustificarmi. Devo aver mostrato molto più di quanto intendessi, se anche lui l'ha notato così tanto. Anche se Anna non è solo una collega per me.

Lui si sbottona i polsini della camicia che aveva arrotolato fino ai gomiti.

Lo vedo esitare. “Ha raccontato anche a te la storia di Lisi?” Mi chiede, guardingo.

Io mi mantengo sulla difensiva. “Sì... perché?” Fingo di non capire.

“No, niente. Pensavo fosse una cosa sua personale, e invece...”

Faccio del mio meglio per non cambiare espressione.

E invece niente. È una cosa sua personale, e me l'ha raccontata lei stessa mesi fa. Non puoi prendertela perché hai scoperto che si è confidata anche con me.

“No, beh, stiamo insieme tutto il giorno, non è che parliamo di lavoro, lavoro, lavoro...” Mi limito a dire, senza dilungarmi in dettagli. Non c'è bisogno che sappia altro.

No, decisamente non hai bisogno di sapere che, con Anna, abbiamo parlato dei nostri desideri da bambini, di come il rapporto con i nostri genitori ci abbia segnato. Di come per amore si sia disposti a fingere, di quanto faccia male soffrire in silenzio. Abbiamo riso fino alle lacrime. Abbiamo pianto fino a scoppiare a ridere. Ci siamo odiati, ma ci siamo anche amati. L'ho trattata male, ma l'ho anche baciata.

“No, certo... Non capisco perché non mi abbia mai detto che aveva continuato ad indagare. Avrei potuto aiutarla.” Mi dice in tono un po' deluso.

“Beh, sai com'è fatta lei, no? Deve risolvere sempre tutto da sola...” Mormoro soltanto.

“Sì, lo so com'è fatta.” Risponde, risentito, oltrepassandomi per prendere la giacca, che ha lasciato appesa a una sedia.

Io mi volto a guardarlo, facendogli solo un cenno quando esce.

Ho tanto cercato di nascondere il mio legame con Anna, e ho finito per tradirmi con una frase apparentemente banale, ma che è stata sufficiente a fargli capire quanto in realtà la conosca bene.

Perché so che l'ha intuito, almeno in buona parte.

Mi rendo conto di aver usato un modo talmente naturale da aver lasciato trasparire la nostra vicinanza.

 

Questa conversazione con Giovanni mi dà un sacco da pensare. E capisco all'improvviso quando Anna mi abbia donato di sé in così poco tempo.

Ti ha rivelato qualcosa di estremamente personale. Ti ha fatto entrare nel suo mondo privato, lasciandoti vedere ciò che vede lei.

Giovanni l'ha intuito, e se già prima tra noi c'era attrito, adesso le cose possono solo peggiorare.

 

***

 

Quando più tardi convochiamo Lisi, il Maresciallo si siede al posto di Anna, io mi appoggio al mobile poco dietro di lui. Preferisco darmi un margine di distanza, quando c'è quell'uomo, perché temo che non potrei rispondere di me. Ma anche per trattenere Cecchini, che è già molto teso.

Quando inizio l'interrogatorio, però, faccio un passo avanti.

“Che rapporto c'è tra lei e Dario Corsi?” Domando subito, andando dritto al punto.

“E chi è?” Ha la faccia tosta di rispondere.

Io e il Maresciallo ci scambiamo un'occhiata basita.

“Quello che stato ucciso e uno con cui lei ha un conto cointestato. Sicuro che non lo conosce?” Lo provoco.

Lui nega ancora, così io continuo. “E questa mail, che Lei ha inviato a Corsi? 'Non calcare troppo la mano coi Bonetti', cosa significa?”

“Boh.”

“Boh? Allora provo io,” dico, trattenendomi dal fare cose che non vorrei, “i Bonetti avevano bisogno di liquidi, le banche non glieli concedevano, arriva Dario Corsi, il salvatore, e gli offre dei finanziamenti.”

“Sì, Corsi è uno strozzino d'accordo con Lei!” Si infiamma subito Cecchini. “E volevate rovinare i Bonetti dandogli i soldi a usura. Poi magari Lei ha cambiato idea, è successo qualcosa, avete litigato e l'ha ucciso!”

“Io? Io non ho ucciso nessuno!” Ride Lisi.

Stavolta perdo completamente la pazienza.

“Lei è nei guai fino al collo! E ha solo una possibilità di dirci dove sono Anna Olivieri e Don Matteo!” Gli urlo in faccia.

“Ancora con questa storia? Io non ne so nulla. Nulla, nulla, nulla!” Si ostina a dire quello.

Anche il Maresciallo si alza in piedi. “Senti, che cosa vorresti dire, che è un caso, che quando hanno ucciso Corsi è stato lo stesso giorno in cui è scomparsa Anna?”

È la prima volta che lo sento chiamare Anna per nome. Forse non è preoccupato solo per Don Matteo, allora... Forse ho sottovalutato la sua posizione.

“Sì, è un caso! E allora?”

Vorrei solo prendere Lisi per il bavero della giacca e togliergli quel sorrisetto dalla faccia. Come osa continuare a mentire, dopo tutto il male che ha già fatto? Non so come faccio a trattenermi.

“Dicci dov'è Don Matteo! E Anna!” Gli chiede Cecchini in tono disperato. Cerco di calmarlo mettendogli una mano sulla spalla.

Mi accorgo di un'ombra che passa sul volto di Lisi, come se si fosse reso conto solo in questo istante che le persone di cui lui dice di non sapere nulla, sono persone che noi amiamo profondamente, e che il non sapere dove siano ha fatto perdere il controllo anche a noi. Però non dice nulla.

“Portalo via, forza, portalo via... Guarda che è meglio per te se non gli succede nulla!” Lo minaccia ancora Cecchini, ma Lisi non fa niente per impedirglielo, con la stessa espressione di qualche istante fa.

Mentre lo portano fuori, dall'ingresso entrano Chiara e Giovanni, trovandosi faccia a faccia con Lisi.

Vedo Chiara fermarsi di colpo. “Mi riconosci?” Sussurra. “Sono Chiara. Eri il migliore amico di mio padre, eri il mio padrino... Almeno una volta nella tua vita dovresti fare una cosa giusta e dirmi dov'è Anna, adesso...” Lo implora con voce rotta. Lui però continua a non fiatare, prima di continuare verso l'uscita. Lei fa per seguirlo ma Giovanni la trattiene, facendola poi sedere su una sedia lì accanto e raggiungendo spedito l'ufficio del Capitano.

“Posso sapere perché l'avete lasciato andare?” Chiede.

“Perché non abbiamo nulla di concreto contro di lui, e perché ha un alibi, è stato tutto il giorno all'azienda vinicola.” Spiego, cercando di mantenere la pazienza.

“E quindi? Qualcosa sa, potevate comunque arrestarlo!” Si scalda lui.

“Sì, fai l'avvocato e ti stupisci perché arrestiamo un uomo senza una prova?” Rispondo con lo stesso tono.

“Sì,” mi risponde, guardandomi dritto negli occhi, “se quell'uomo è coinvolto nella scomparsa della donna che amo.”

Il mio sguardo di rimando è di puro odio. Non osare. Non provocarmi.

“E allora lasciaci fare il nostro lavoro, mh? Lo stiam facendo seguire, magari ci porterà da Anna.” Rispondo, sprezzante.

Lui esce senza dire altro.

Non ci provare, Giovanni. Sto facendo di tutto, di tutto per trovarla. Perché anch'io l'amo, e il pensiero di perderla non riesco nemmeno a tollerarlo.

Cecchini si alza. “Vado a parlare coi Bonetti,” sospira.

Io mi limito a un cenno d'assenso, afferrando il telefono e ricominciando il giro di telefonate per intensificare ulteriormente le ricerche.

 

***

 

Quando torna, mi riferisce che forse ha intuito qualcosa. Un legame diverso tra Raffaella Bonetti e Claudio Lisi, non solo lavorativo, che forse è la chiave per venire a capo di questo caos.

Chiediamo agli altri agenti di fare un controllo sui tabulati, nel frattempo noi torniamo nell'ufficio di Anna.

Si siede sul divanetto, e io faccio lo stesso.

“Secondo Lei sta bene? Il Capitano, dico.” Mi domanda a voce bassa.

“Spero di sì, Maresciallo... la conosce anche Lei, è una testa dura.” Dico, per tentare di alleggerire la tensione.

Lui fa una piccola risata. “Sì... è che...” Sospira. “Io ho già perso una figlia nella mia vita. Non ne voglio perdere un'altra.” Confessa.

Io sento risalire il groppo in gola.

“All'inizio non la potevo vedere, facevo pure gli incubi perché pensavo che non mi sopportava e che la faceva apposta a contraddirmi. E invece poi ho capito che è una furba, una capace di tenere testa pure a Don Matteo. Ma pure che è una ragazza che ha sofferto tanto nella sua vita, anche se non m'immaginavo niente di questa storia. E se le è successo qualcosa e noi non riusciamo a trovarla...” Lascia in sospeso la frase, prendendosi la testa tra le mani.

“La troveremo, Maresciallo. Vedrà che starà bene. Abbiamo tutti bisogno di lei, qui.” Aggiungo. Lui alza finalmente lo sguardo, forse capendo fino in fondo ciò che voglio dire. Annuisce soltanto, prima di darmi una pacca sulla spalla e alzarsi, andando a controllare per qualche novità.

 

Quando convochiamo Raffaella Bonetti, dopo molta esitazione lei confessa di aver ucciso Corsi perché lui non voleva restituirle i soldi del prestito. Lisi a quanto pare si era pentito di aver organizzato una nuova truffa, e le aveva confessato tutto. Poi l'aveva aiutata a portare il cadavere di Corsi davanti casa sua, dove lo abbiamo trovato, e aveva procurato un alibi per entrambi.

 

Il maresciallo parte immediatamente per l'autorimessa dove ci è stato segnalato si stia dirigendo Lisi, insieme a Zappavigna e Ghisoni sperando di trovarci anche Anna, mentre io mi occupo di tutta la parte burocratica, anche se vorrei solo andare con loro. Informo Chiara delle novità, e lei arriva poco dopo insieme a Giovanni.

Passa un'ora, ma le lancette sembrano scorrere all'indietro, o troppo lentamente.

Nel momento in cui finalmente sentiamo arrivare l'auto, ci precipitiamo giù.

Quando Anna scende, sana e salva... penso di non aver provato mai tanto sollievo in vita mia.

Chiara corre immediatamente ad abbracciarla.

“Non piangere...” La consola Anna, come sempre pensando alla sorella prima di se stessa.

“Stai bene?” Le chiede comunque Chiara, accarezzandole il viso.

“Sì...”

Poi Chiara si avvicina a me. “Marco ha fatto di tutto per trovarti.”

Lei mi guarda per la prima volta da quando è tornata, e so che capisce immediatamente tutto quello che vorrei dirle.

“Grazie...” Sussurra. Sto per avvicinarmi quando arriva l'appuntato Barba, sceso dopo di noi.

“Bentornato, Capitano.” Le dice, stringendole le mani, ricordando quanto lei aveva fatto per lui quando era stato accusato ingiustamente. Anche da questo si nota quanto tutti si siano affezionati a lei nonostante i dubbi iniziali.

Ingoio la delusione quando lei procede, lasciandomi indietro.

Prima che passo, però, scende anche Giovanni, che le prende il viso tra le mani, sull'orlo delle lacrime.

“Pensavo di non rivederti più...”

Io mi lascio trascinare da Chiara per accompagnarla a casa, ma non resisto e mi volto di nuovo verso Anna. Mi blocco per un istante sui miei passi quando li vedo baciarsi.

No, ti prego, no. Non ricambiare il suo bacio. Ti prego.

Avrei dovuto esserci io al suo posto.

Se solo non avessi perso la testa...

Anche Chiara si gira, guardando prima me e poi loro.

“Finalmente...” Sussurra, prima di continuare a tirarmi verso casa.

Io la seguo senza reale volontà.

 

È tornato, e adesso, dopo questa situazione terribile, farà di tutto per non perderla più.

Cosa ho fatto? Cosa faccio?

 

Dopo aver riaccompagnato Chiara, torno in fretta in caserma, dove Anna sta terminando di scrivere la sua deposizione. Di nuovo nel suo ufficio. Di nuovo al suo posto.

Busso piano e lei solleva lo sguardo, invitandomi a entrare con un piccolo sorriso. Il viso stremato il segno più evidente di quanto successo in questi giorni.

Prendo posto di fronte a lei, come sempre.

Aspetto che finisca di scrivere in silenzio, poi quando posa la penna, le afferro le mani, stringendole forte. Lei ricambia la stretta.

Deglutisco a forza, sperando che per il momento basti quello che i miei occhi riescono a trasmettere.

La paura di non trovarti. Il dolore di poter far nulla. La speranza che stessi bene.

L'amore per te.

 

Restiamo così a lungo, senza parlare, a guardarci, le nostre mani ancora intrecciate.

Solo Cecchini, che entra dopo un po' per prendere la deposizione, lo nota, ma non dice nulla.

 

E adesso? Che succederà tra noi?

 
 

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Capitolo 21
*** Il bambino di Natale - parte 1 ***


 

IL BAMBINO DI NATALE - PARTE 1

 

Ormai sono passati un paio di giorni dal ritorno di Anna.

Chiara avrebbe voluto che restasse a casa almeno il giorno successivo, ma lei non ne ha voluto sapere, tornano immediatamente a lavoro.

Stamattina hanno mandato Ghisoni a dirmi di recarmi al piccolo museo per un furto di un'opera di valore perché il mio cellulare dà i numeri. Sono due giorni che non funziona, non riceve niente. Non è nemmeno problema dell'operatore, quindi aspetto che si decida a sistemarsi da solo, non mi va di cambiarlo.

Arrivo sul posto in ritardo rispetto agli altri, ancora cercando di convincere il cellulare a collaborare. Niente.

 

All'ingresso trovo Anna.

“Ehi, ciao,” la saluto. Lei ricambia, un po' nervosa. “Com'è la situazione?”

“Sono appena arrivata... tutto bene?”

“Sì sì sì, tutto bene, qua però sono due giorni che ho il telefono impallato e non mi prende le chiamate.” Le spiego, almeno sapranno per certo perché non mi avevano rintracciato.

“Ah. E i messaggi?”

“No, neanche quelli.” Sono praticamente irreperibile.

“Bene... andiamo.”

La seguo su per la scalinata, ancora a smanettare con quell'aggeggio.

“Ma perché non lo butti? È vecchio... Io lo butterei.” Fa lei a un certo punto, probabilmente già seccata di vedermi uscire pazzo con sto coso. Però no, non c'è bisogno.

“Ma che, me lo aggiustano.”

“Guarda, te lo compro io, non ti si può vedere con questo telefono!”

“Pensi che possiamo andare a lavorare o apriamo un dibattito sulla telefonia?” Le chiedo, ridacchiando. Che ha oggi, contro il mio telefono?

Le si limita a lanciarmi uno sguardo di sbieco prima di proseguire, presentandosi al direttore del museo.

“Ha chiamato Lei il prete?” Domanda. È vero, ho notato anch'io la bicicletta, giù nell'atrio.

“Sì, sono stato io,” conferma Dotti, “seguitemi.”

Lui si avvia e Cecchini che era già lì ne approfitta per commentare. “Lei è fissata che sono io...”

“Sì, ma che c'entra, Don Matteo? Che c'entra?” Ribatte Anna esasperata, seguendo poi il Direttore. Trattengo una risata, incamminandomi dietro di lei.

Il direttore ci spiega che hanno rubato solo la statua del Bambinello, di enorme valore e proprietà della Curia.

Cerchiamo indizi su come possa essere avvenuto il furto, indagando però anche sulla ragazza che è stata colpita durante il tentativo di furto.

Parliamo con il guardiano, padre della giovane, e il suo racconto ci sembra strano, così decidiamo di andare più a fondo.

 

Tornati in commissariato, mi occupo delle questioni burocratiche relative al caso, prima di entrare nell'ufficio di Anna, intenta a parlare con il Maresciallo, per chiederle un chiarimento.

“Scusi... che ci fai col mio telefono?” Chiedo, vedendoglielo in mano.

“Squillava e glielo stava portando,” mi risponde Cecchini.

“Ah... grazie. ma... non c'è nessuna chiamata qua.”

“Strano, 'sti telefoni...”

“Sta dando i numeri 'sto coso, mi arrivano le mail della settimana scorsa. 'Sto coso è rotto.”

“Bene...” Mormora Anna. Come, bene?

La fisso, interdetto.

“No, bene... che ti arrivano le mail, così non le perdi!” Risponde con ovvietà.

Giusto, in effetti.

“Senta Maresciallo, stasera andiamo al Duke a vedere la partita con Chiara. Viene anche Lei, Maresciallo?”

“No, non posso, stasera c'è l'ultima puntata di una fiction, devo vedere chi muore per ultimo.”

“Veniamo io e Giovanni,” esclama Anna.

No, il pretino no. Tutti ma non lui.

Tu vieni a vedere la partita?!” Chiedo, sarcastico. Ma se odia il calcio! È proprio forse la sola cosa che ci fa divergere completamente, questa.

“Allargo i miei orizzonti.” Si limita a ribattere lei. Sì, okay, ma il mezzo prete che c'entra?

Mi informo meglio. “Ah, come va con Giovanni? Ci state riprovando?” Di' di no.

“Perché?”

Che risposta è? Io volevo un sì o un no.

“Beh, non lo so, forse mi sono sbagliato nella prospettiva, ma... no, ho visto che...”

“Cosa?” Chiede lei con un cipiglio confuso.

“Vi stavate baciando! No?” Altro che sbaglio di prospettiva. Sbaglio di persona.

“Ma no... Siamo solo amici.”

Non 'solo amici' come noi due, vero? Vero?

Bussano alla porta dell'ufficio, ed entra Zappavigna con un fascio di rose rosse.

“Capitano, questi sono per Lei,” spiega, consegnandoglieli.

“Che è, il suo compleanno?” Si informa Cecchini, curioso come sempre.

“Veramente... no.”

Io osservo con tanto d'occhi. Non mi dire che il mittente è chi penso io.

“Ah... Giovanni.” Dice infatti Anna in tono piatto, leggendo il bigliettino annesso.

Io tento con tutte le mie forze di mostrarmi indifferente. Tengo gli occhi bassi sul cellulare, ma prima che possa impedirmelo, le parole mi escono di bocca senza che riesca trattenerle.

“Originale... attenta che tra un po' arriva là sotto col mandolino a farti la serenata.”

Bravo, Marco, non si vede che la cosa ti dà fastidio. Proprio per niente. Tu e la discrezione siete cose diverse, non c'è verso.

Dovresti darti una mossa invece di fare lo spiritoso.

Anna non ribatte, comunque non può perché Zappavigna ci comunica che tra i dipendenti del museo, c'è anche Remo Farina.

Il padre di Cosimo, ancora latitante per rapimento.

Ci mettiamo immediatamente in moto per tentare di rintracciarlo, chissà che non sia coinvolto anche in questa storia.

 

***

 

La sera, ecco che arriva il momento della partita.

Partita che, so già guarderò con scarsissima attenzione vista la presenza, più che di Chiara, di Anna e l'ex, Giovanni.

Come cavolo ci siamo finiti qui tutti e quattro non me lo spiego.

Già è difficile per me se ci sono entrambe le sorelle Olivieri, ma se si aggiunge il mezzo prete sono fregato. Ormai ho capito che è ancora innamorato di Anna e chiaramente sta provando a riprendersela, ma non ho ancora capito la posizione di lei al riguardo.

Cioè, appurato che il suo nervosismo delle ultime settimane fosse dovuto al ritorno di Lisi a Spoleto, sono a mani vuote rispetto alla sua ex relazione. In fondo non so davvero se si siano incontrati altre volte, magari mentre io non c'ero, visto che sono pure vicini di casa, ora.

Vero, lei mi ha detto che sono 'solo amici' in ufficio, ma questo non significa che sotto sotto non ci sia altro, magari un ritorno di fiamma. Non lo so, non riesco a decifrarla. Si tiene sempre sulla difensiva quando entriamo in argomento.

Non è che tu abbia tanto diritto di parlare, torna a farsi sentire la vocina ironica, anche se sei innamorato di lei e gliel'hai fatto in qualche modo capire, stai ancora con sua sorella. Lei è libera e può fare quello che vuole. Non le stai dando segni poi così concreti che vorresti stare con lei, visto che ti ostini a non voler lasciare Chiara.

Metto a tacere la vocina-grillo parlante che sinceramente a volte preferirei non avere giusto per non sentire il rimorso a ogni minima cosa, e cerco di dedicarmi alla partita, sorseggiando la mia birra.

Con mio enorme scorno, a un certo punto è proprio Giò a prendere la parola.

“Quando Anna mi ha invitato alla partita, non potevo crederci,” esclama con un sorrisetto soddisfatto.

Io le lancio uno sguardo seccato e godo nel vedere che lei sembra in imbarazzo.

Nemmeno io ci credevo quando me l'ha detto, in ufficio. Indifferente, e poi? Me lo ritrovo davanti e mi devo pure trattenere.

“Sì, in effetti tu odi il calcio...” commenta Chiara. In effetti, quindi che ci facciamo qui tutti e quattro, qualcuno me lo spiega?

“Uno non può cambiare idea?” È la risposta acida di Anna. Va bene se stiamo parlando di calcio. Se parliamo di quello seduto accanto a te, allora no.

“Vabbè, se l'ha cambiata lui, voglio dire...” Proprio non riesco a trattenermi. Tanto convinto prima, e ora torna e pretende che sia tutto come prima? No, mi rifiuto di lasciargli il campo vuoto così. “Giovanni, tu adesso sei convinto? Non è che fai avanti e indietro come Sant'Agostino?” Chiudi. Quella. Bocca. Marco. E che cavolo! Sempre a sproposito.

Chiara fa una risatina, ma capisco che è solo per reggermi il gioco, considerata la faccia tetra dei due colombi.

“No, sono sicuro.” Mi dice lui, guardandomi fisso negli occhi. Poi, con mio profondo orrore la sua mano scivola sulla coscia di Anna in un gesto così naturale che mi fa montare la gelosia a livelli inimmaginabili. “Ho capito che avrei rinunciato a qualcosa di molto più importante.” Afferma poi, rivolto verso Anna, che solleva lo sguardo incrociando il suo.

Non riesco a capire cosa provi lei in questo momento: sembra in imbarazzo, ma potrebbe esserlo per mille motivi diversi. Ma poi, questo qua, proprio ora se ne doveva uscire con le frasi da conquista alla Baci Perugina? Non se ne poteva stare a fare l'eremita in montagna, quella volta?

Io non riesco più a guardarli, così fingo di tornare a vedere la partita. “Ci hai messo un po' a capirlo, però...” Commento, fissando la tv posta in alto.

Te ne dovevi accorgere prima quanto lei fosse importante, Giò.

“Oh!” Tenta di bloccarmi Chiara, ma ormai la mia bocca agisce per conto suo.

“Con cose importanti dici la birra e il calcio? Là, non avete la parabola in seminario, no?” Sì, Marco, complimenti! Guarda che il discorso valeva pure per te! Guarda in che situazione siete per la tua mancanza di coraggio!

“Marco, basta.” Mi dice stavolta Chiara con un tono serio che non le avevo mai sentito prima.

Guardo di sfuggita Anna, e mi rendo conto che forse dovrei provare a tenere più a freno la lingua, perché è evidente che le mie parole hanno ferito più lei che altro. E poi non hai il diritto di comportarti così.

“Io direi che l'importante è che sia tornato. No?” Continua Chiara, cercando di arginare la cosa.

“Giusto,” concorda Giovanni.

Anna non fiata, ma mi lancia un'occhiata che, di nuovo, non riesco a interpretare.

È un misto tra rabbia e soddisfazione che mi fa capire che mi sono legato le mani da solo.

“Facciamo un brindisi,” propone Chiara. “Ai ritorni!”

Sì, possibilmente al ritorno dei miei neuroni. E del mio coraggio che sembra essersene andato in vacanza da quella sera in ufficio per via dell' “errore”.

Avvicino il bicchiere a quello di Chiara, mi trattengo dal dare un colpo secco a quello di Giovanni per farglielo finire addosso, ma quando arriva il turno con Anna siamo talmente distratti, oltre che nervosi per la scenetta di qualche istante fa, che lei si lascia scivolare il bicchiere. Versando però il suo drink sul mio cellulare.

La guardo malissimo.

“Non l'ho fatto apposta,” si giustifica lei, “guarda, te lo ricompro.” Per quanto sia perfettamente vero che è stato un incidente perché eravamo più impegnati a guardarci male che a controllare i bicchieri, la mia rabbia si scarica automaticamente nella risposta acida che le riservo.

“No, ancora, che ricompri! Dammelo, qui c'è tutta la mia vita.”

“Volevo essere gentile,” mormora lei.

Continuiamo a lanciarci occhiatacce per un po', e per la prima volta non riesco nemmeno a godermi la partita come si deve.

Non so nemmeno che hanno pensato Chiara e quell'altro su quella scenata, che per noi aveva assolutamente senso ma per loro no.

Cambiamo argomento, e io mi pento un pochino per come mi sono comportato. In effetti il cellulare non è che funzioni molto, me lo porto appresso per abitudine, ma se non si riprende sarò costretto a ricomprarlo davvero. Non è che l'innaffiatina abbia poi causato chissà quali danni ulteriori.

Rivolgo uno sguardo di scuse ad Anna non appena ne ho l'occasione, e dopo una breve esitazione, lei ricambia con un mezzo sorriso.

Non mi ha perdonato completamente, ma almeno adesso possiamo tornare a rivolgerci la parola e partecipare alla conversazione come due persone ragionevoli.

Lo so, ho esagerato. E non solo per il cellulare. Ma è più forte di me.

 

***

 

Il giorno dopo, quando passo in caserma per vedere se hanno novità, non trovo né Anna né il Maresciallo.

Chiedo come mai non ci siano, pensando che abbiano ricevuto novità sul caso, e invece la risposta che mi danno mi gela dentro: ieri sera il piccolo Cosimo si è sentito male, a quanto sembra è stato colpito da una forma aggressiva di leucemia e non ha molte speranze di sopravvivere; Anna e Cecchini sono all'ospedale da lui.

Torno a casa come uno zombie.

Mi sono affezionato a quel bambino, lo abbiamo fatto un po' tutti vista la sua storia, ma anche per il suo carattere vivace. Per quanto mi riguarda, ho cominciato a volergli bene davvero quando ci ha coinvolti per lo show con Carlo Conti.

Il maresciallo, poi, lo ha preso a cuore e per lui è una sorta di nipotino. Posso solo immaginare come possa sentirsi, dopo aver ricevuto una notizia del genere.

Capisco anche perché Anna sia rimasta con lui: così come Cecchini ha imparato a vederla come una figlia, come mi ha confessato lui stesso appena pochi giorni fa, anche lei lo considera un padre. Come se a entrambi fosse stata data una seconda possibilità. Anna ha perso suo padre, Cecchini ha perso sua figlia. Forse il destino ha voluto far loro un regalo.

È normale che adesso non abbia voluto lasciarlo da solo.

 

Mi do da fare nel pomeriggio per la cena di stasera con Chiara, qui a casa mia.

Ormai è quasi ora. Do un'occhiata al cellulare giusto per, ma niente, è ancora morto.

Sono andato a recuperare i calici per il vino e il piccolo vaso di fiori che avevo preparato quando lo sento prendere a squillare: stanno arrivando i messaggi, le chiamate e le mail di questi giorni, probabilmente tutti in una volta.

Mi affretto a prenderlo per controllare, quando tra i messaggi non letti ne noto uno di Anna.

Apro per primo il suo, il resto può aspettare.

Quello che leggo mi fa fermare il cuore.

Ho finalmente capito tutto di noi...ma forse non potrò mai dirtelo. Anche se sei l'uomo più impossibile che conosco e fai un pessimo brasato... IO TI AMO!!

Una rapida occhiata alla data e l'orario mi fa sapere che il messaggio l'ha inviato il secondo giorno del rapimento.

Leggo e rileggo le parole sullo schermo.

Mi ama. Ha scritto che mi ama.

Il furgone in cui era chiusa era destinato alla pressa, ha detto che ci sono arrivati vicini, forse l'ha mandato in quel frangente.

Poi il mio cellulare ha iniziato a dare i numeri e non mi è arrivato. Ecco perché ha cercato di distruggermi il telefono in questi giorni.

 

Mi ama.

 

Riesco a pensare solo a questo, e mi accorgo a mala pena di qualcuno che ha bussato alla porta. Sarà Chiara, quindi cerco di ricompormi e di decidere in fretta cosa fare mentre vado ad aprire.

 

Anna.

 

“Ciao...” Mi saluta. “Posso?”

Si fa strada da sé, io sono troppo sconvolto per riuscire a proferir parola subito.

È qua. È qua, e non avrebbe potuto avere più tempismo di così.

Perché è qua?

Di' qualcosa!

“Sì... ah, ho saputo di Cosimo... Mi dispiace un sacco.”

Lei abbassa lo sguardo, avanzando fino al soggiorno. Camminiamo vicinissimi, senza che nessuno dei due faccia niente per allontanarsi.

“Sì, stiamo cercando Farina. È l'unico modo per salvarlo...” Spiega con voce triste, poi nota la tavola apparecchiata. “Aspetti Chiara?”

“Sì... ma ti va mica di fermarti? Ho fatto il risotto di Città della Pieve, ti ricordi?” Tento. Vorrei davvero che restasse. Anzi, vorrei che la cena fosse solo per noi due.

Di' di sì.

“Non posso. Sono venuta solo...” Lascia cadere la frase abbassando lo sguardo.

Solo...?

“Che c'è?” Le domando d'istinto, stringendole piano il braccio.

Lei sospira profondamente e io ritiro la mano, chiedendole scusa e temendo di aver oltrepassato un limite che ci siamo silenziosamente imposti da quella sera dopo il drive-in.

Dopo qualche istante solleva lo sguardo. “Ho fatto una cosa stupida,” esordisce, “e volevo dirtelo.”

Fa che non sia quello che penso.

“Ero chiusa in quel furgone... pensavo di morire. E ti ho mandato un messaggio. Un messaggio inutile, stupido, idiota-”

“Lo so.” La interrompo con un sorriso prendendola per le spalle.

Anna sembra farsi prendere dal panico per un attimo. “Come, lo sai?” Sussurra.

“...Letto.” Rispondo soltanto, accennando al cellulare.

“Ah.” Abbassa lo sguardo, arrossendo, per poi tornare a guardarmi, in attesa che io continui.

Marco, non puoi sbagliare ora. Ha detto che ti ama. Sai che anche la sua è paura a questo punto.

Dille la verità.

“Ma so che... è una cosa che non vuol dir niente, perché eri in quella situazione, no?” Mormoro, pentendomene immediatamente e sperando che mi contraddica.

Lei resta immobile, e la delusione nel suo sguardo mi fa sprofondare il cuore.

“Però il mio brasato è buonissimo...”

Annuisce appena. “Io vado... salutami Chiara.” Mormora poi con un filo di voce e con un mezzo sorriso amaro, voltandomi le spalle a testa bassa senza ricambiare il mio saluto.

 

Ma si può essere più stupidi?

Ti rendi conto di quello che hai fatto?! Era la tua occasione! Come puoi anche solo aver pensato quelle cose? Sai che ha scritto la verità proprio per la situazione in cui si trovava. Pensava di morire, te l'ha detto lei stessa, cosa aveva da perdere a dirti qualcosa che non provava?

Ti ha scritto che ti amava, ha trovato il coraggio di venire qui e dirti di un messaggio che potenzialmente non avresti mai ricevuto, inizialmente per minimizzare la cosa fingendo che non contenesse niente di importante, ma quando le hai confessato di averlo letto, è ovvio che si aspettava una risposta diversa. Soprattutto dopo ieri sera. Dopo il drive-in. Dopo tutto quello che è successo tra voi.

E tu che fai? Le dici che non vuol dire niente! Sminuendo i suoi sentimenti. Ferendola probabilmente più di quanto fossi riuscito a fare finora, perfino più di Giovanni.

Lui quantomeno ha avuto il fegato di tornare e ammettere di amarla ancora.

Tu invece continui a negarlo, non solo a lei ma anche a te stesso.

 

Ora sì che l'hai persa davvero.

 

Mi lascio cadere sul divano dandomi dello stupido quando noto davanti a me il pouf.

Quel maledetto pouf.

È per quello che l'ho persa. Per una paura legata a quello che in fondo è solo un oggetto.

Lo colpisco con quanta più forza riesco a mettere, calciando e facendolo sbattere contro la libreria dall'altro lato della stanza, buttando poi la testa all'indietro sulla spalliera del divano.

L'amo più di ogni altra cosa al mondo, eppure l'ho persa. Per la mia fottutissima paura. Anche se so che Anna non è la mia ex.

Che farò, adesso?

 

Quando sento bussare alla porta, prego con tutto me stesso che sia di nuovo lei, che sia tornata a dirmi che sono io quello inutile, stupido e idiota, e allora le direi in ginocchio che ha ragione e cercherei di rimediare, ma so già che quando aprirò non sarà lei, ma Chiara.

 

Sua sorella.

 

Come ho potuto farle così male? Nemmeno mi riconosco.

 

Abbasso la maniglia e saluto Chiara, pentendomi di non aver pensato ad annullare la cena.

“Ciao!” Fa lei di rimando, abbracciandomi con trasporto come fa ogni volta, ma io sono paralizzato e non riesco a ricambiare.

“Qualcosa non va?” Mi chiede, e io cerco di inventarmi una scusa plausibile.

“No, no, è che... stavo pensando a Cosimo, sai, il bambino che sta da Don Matteo...”

“Ah, sì, ho saputo, me l'ha detto mia sorella... povero piccolo, che cosa terribile...”

Una fitta allo stomaco alla semplice allusione ad Anna. Come farò a superare la serata, di questo passo?

Ingoio il groppo in gola alla meglio, poi la invito ad accomodarsi.

Iniziamo a cenare e chiacchierare senza che io riesca a farmi coinvolgere più di tanto, e pregando che la mia scusa regga.

“...e sai, pensavo che se Anna ha invitato Giovanni a uscire con noi, ieri sera, forse si è finalmente decisa a dargli un'altra possibilità.”

Al solo sentire quel nome sollevo la testa di scatto.

“Dici?” Biascico, tentando di suonare indifferente.

“Sì... poi dopo quella cosa che le ha detto lui ieri sera... sai che ho scoperto che, subito dopo essere tornato, Anna gli aveva chiesto perché avesse cambiato idea? Lui inizialmente aveva dato una risposta vaga, poi a quanto pare ci aveva ripensato e si è presentato alla porta di casa di mia sorella dicendole che in realtà era tornato per lei, che aveva capito di aver commesso un errore perché stare senza di lei lo rendeva incompleto e che si era reso conto di amarla ancora. E che avrebbe fatto di tutto per lei.”

“Non... non lo sapevo, no.” Mando giù il boccone a forza, insieme al respiro che sembra essersi bloccato.

“Per questo dico che forse finalmente si è convinta. C'è stata malissimo quando lui le ha detto che voleva entrare in seminario, e sinceramente ha tentato di tutto per fargli cambiare idea, pure cose che non sono affatto da lei, tipo indossare quei vestiti... Ti ricordi, quello nero quando è venuta a cena con te? O quell'altro rosa di quella mattina?” Mi domanda Chiara, e per quanto speri si tratti di una domanda retorica, mi accorgo che invece lei sta aspettando una risposta.

“Sì, me lo ricordo.” Eccome, se me lo ricordo. Quando quella sera al ristorante sono rimasto letteralmente a bocca aperta trovandomi davanti il Capitano in minigonna, e mi sono reso conto di botto che, effettivamente, lei è prima di tutto una donna. Quell'altro colpo la mattina quando me la sono ritrovata davanti per caso con quel vestitino rosa da far girare la testa a chiunque... E ce n'è qualche altra, di occasione, da aggiungere alla lista. Un lungo abito nero e una pista da ballo all'aperto. Un altro abito in pelle e un palcoscenico. Un vestito verde in pizzo e un dannato pouf.

Anche con me ha fatto cose non proprio da lei, anche se al contrario di me erano a fin di bene, ma io ho combinato un casino lo stesso, pure se avevo intuito.

“Eh! Però Giovanni sembrava convinto... Invece a quanto pare non lo era così tanto. Ora che è tornato, magari anche lei si renderà conto che ci possono riprovare. Che è stata una specie di pausa. Sanno qual è stato il problema la prima volta, no? Possono evitare di fare lo stesso errore.”

“Mh...” mormoro, giusto per partecipare e non farmi chiedere un'altra volta cosa non vada.

Ingoio di nuovo il magone a tutte queste informazioni.

“Dopotutto, sono stati insieme cinque anni, mica un giorno. Si conoscono dalle superiori ma erano in classi diverse, hanno iniziato a legare di più all'università perché si sono iscritti allo stesso corso. Hanno iniziato a frequentarsi solo al terzo anno, e si sono messi insieme dopo che Anna è entrata all'Accademia. Anche se per poco hanno vissuto insieme, nemmeno mia madre lo sa, e poi hanno superato una relazione a distanza visto che lui ha continuato per diventare avvocato e lei ha intrapreso il percorso per diventare Capitano... certo, ci sono state incomprensioni, ma ora vivono nella stessa città. Funzionerebbe senza problemi secondo me. Anna era davvero innamorata di Giovanni, e mia sorella non è una che ammette di amare qualcuno tanto facilmente, anzi praticamente 'ti amo' lo ha detto solo a lui finora...” Fa una pausa, prima di aggiungere, “Gli ha dato praticamente tutto... è solo questione di tempo, ma sono sicura che torneranno insieme. Mi sembra veramente deciso, lui, stavolta.”

“Basta che lei sia felice...” sussurro allora, senza riuscire a dire altro. Non dopo le cose che ho appena saputo.

“Oh, lo sarà. Lui la conosce bene, ha un po' di cose da farsi perdonare, vero, però secondo me ci può riuscire. Chi lo sa, magari l'anno prossimo, a quest'ora staranno pure per sposarsi. Chissà.”

Io non fiato. Per quanto mi stia sforzando, le parole si rifiutano di uscire dalla mia bocca.

No. Non ci posso pensare. Mi rifiuto di pensarci.

Non può tornare con lui.

Mi ha detto di amarmi. È me che ama, non lui.

“Magari può sembrare scontrosa con lui, far credere che non le importi nulla di quello che le ha detto, ma mia sorella è fatta così, non dimostra mai niente di quello che prova davvero. Magari ha anche involontariamente dato corda a qualcuno in questo periodo, ma probabilmente l'ha fatto per evitare di pensare a lui...”

Un'altra fitta allo stomaco. L'ennesima stasera, ormai nemmeno le conto più.

Non può essere così, non può avermi usato per dimenticare Giovanni.

Non è vero che si tiene tutto dentro e non dimostra cosa prova, con me l'ha fatto un sacco di volte. Non può averlo fatto solo per sfogarsi e poi buttarmi da parte.

Non lei.

Non ci saremmo mai scambiati quel bacio quella sera, se fosse così.

Non saremmo stati a un passo da un altro se fosse stata solo finzione.

“Tu che ne dici?”

Non avrebbe potuto farmi domanda peggiore, e la cosa terribile è che devo necessariamente rispondere.

“Beh... è la sua vita, no? Saprà lei cos'è meglio per se stessa.” Mi limito a dire, soppesando una a una le parole perché non lascino trasparire nulla.

“Sì, probabilmente hai ragione... se dovesse servire però, le darò una spinta. È così sicura sul lavoro, e la migliore in qualsiasi cosa si cimenti, e poi finisce per essere terribilmente insicura nella vita privata. Non ne avrebbe motivo, se solo ascoltasse un pochino di più e si lasciasse andare.”

“Anna sa ascoltare molto bene gli altri,” mi lascio sfuggire prima che riesca a fermarmi. “Forse sono proprio gli altri a volte che non vogliono farsi capire. E non deve cambiare il suo modo di essere solo per piacere a qualcun altro.”

Chiara sembra spiazzata per un attimo, e temo di aver parlato troppo.

“Hai ragione... se si ama una persona, la si ama per quello che è. O almeno si dovrebbe.” Mormora a testa bassa. È stato qualcosa che ho detto, che l'ha ferita? Non era mia intenzione...

“Comunque... oggi sono stata in centro, e ho visto che hanno iniziato dei lavori...”

Tiro mentalmente un sospiro di sollievo per il cambio di argomento, anche se la mia mente resta ferma alla conversazione appena conclusa.

 

***

 

Stanotte non sono riuscito a dormire granché. Pensavo sempre alle cose che mi aveva raccontato Chiara, e non so più come comportarmi, di nuovo.

So che Anna era sincera in quel messaggio, ma mi chiedo perché cavolo le ho detto quelle cose.

Perché hai paura e sei solo un codardo, ecco perché.

 

Con queste parole deliziose che mi tartassano la mente entro in caserma, dove se possibile la mia pazienza viene minata ancora di più.

Cecchini ha lasciato credere a Cosimo di essere prossimi al Natale per via di un cappello di Babbo Natale che ha trovato per una coincidenza. Lui ovviamente si è intenerito, e gli ha anche promesso che avrebbero fatto l'albero, così stamattina nell'ufficio di Anna è venuto a chiederci di aiutarlo.

“Maresciallo, ma dove lo trovo un abete ad agosto, eh? Non lo può prendere finto?” Tento di dirgli.

“Già il Natale è finto, l'albero deve essere vero.” Ribatte lui, cocciuto.

“A me dispiace per Cosimo, davvero, ma questa è una pazzia! Anna, però, ti prego, di' qualcosa anche tu!” La supplico, visto che finora è rimasta appoggiata alla scrivania assorta nei suoi pensieri senza fiatare.

“Sì sì... è una pazzia...” Concorda. Oh, almeno qualcuno che ragiona. “Però se questa cosa è per il bene di Cosimo... il Natale... magari ne vale la pena, Marco!” Tenta dopo di convincermi. Non pure tu. Qualcuno deve pur farlo rinsavire.

“Conti pure su di me, Maresciallo,” sussurra poi lei con voce dolce rivolta a Cecchini, e il volto grato di lui mi fa vacillare un attimo.

Zappavigna ci interrompe aprendo la porta. “Capitano, Remo Farina è stato ripreso dalle telecamere di un autogrill vicino Spoleto, il giorno dopo la rapina.” Ci informa.

“Allora è lui! È qui!” Salta su Cecchini.

“Dobbiamo trovarlo prima che consegni la statua, allora.” Affermo.

“Dobbiamo trovarlo per Cosimo!” Mi corregge il Maresciallo, teso.

“Lo troveremo, glielo prometto,” cerca di calmarlo Anna con lo stesso tono di prima.

Lui le fa un cenno di ringraziamento prima di precipitarsi fuori.

Con questo coinvolgimento emotivo di tutti nelle indagini, non so come ne usciremo.

 

***

 

Più tardi, Cecchini in qualche modo riesce a convincermi ad accompagnarlo a cercare l'abete.

Tentiamo direttamente al vivaio più grande di Spoleto: se non ne troviamo lì, non c'è ragione di cercare da altre parti. Ovviamente di abeti non c'è traccia, e il proprietario si diverte a prenderci in giro per la richiesta. Anzi, per essere precisi, ci sfotte alla grande.

Finiamo per prendere una palma, che fra l'altro devo pure caricare in macchina io perché lui dice di avere mal di schiena.

La portiamo in ufficio, e io temo già i commenti.

“Bella,” fa infatti Anna appena la vede, “fa tanto Natale ai Caraibi.”

Per qualche motivo la sua battuta mi infastidisce.

“Allora guarda, la prossima volta vacci tu a cercare un abete fuori, vai. C'è un vivaio qua con una persona squisita. E poi, scusami, sei tu che lo incoraggi.” Le faccio notare, indicando Cecchini seduto alla sua scrivania oltre il vetro.

Lei lo osserva, un po' abbattuta. “Marco, adesso più che mai il Maresciallo ha bisogno di incoraggiamento.”

“Sì, peccato che sia uno spostamento nevrotico,” spiego, indispettito, e lei chiude gli occhi, esasperata, “perché lui pensa al Natale per rimuovere la verità su Cosimo... Un po' come te con Giovanni, diciamo,” mi lascio scappare.

“Scusa?” Chiede allora Anna, con uno sguardo che non promette niente di buono.

“Vabbè, dai, è chiaro, ci stai ricascando.” Le dico, amareggiato. Tanto ormai non ha senso negarlo.

Si è rivolta a me per non pensare a lui. Non avrei avuto speranze comunque con lei, se è ancora innamorata del pretino.

Lei mi rivolge un'occhiata delusa. “È chiaro che tu non hai capito niente. Né di Giovanni, né del Maresciallo e tantomeno di me.”

Sto per ribattere quando Cecchini entra.

“Il rapporto del RIS... ma... disturbo?” Ci chiede, notando probabilmente l'aria tesa.

Noi ci affrettiamo a negare, anche se è inutile. Io non riesco subito a concentrarmi sul lavoro, rivolgendole uno sguardo indispettito, poi finalmente mi decido ad ascoltare con più attenzione, ed è evidente che in questo caso c'è qualcosa che non va: un finto scasso, un depistaggio.

Arriviamo alla conclusione che dev'essere stato il custode ad aprire a Farina. Viene fuori che anche sua figlia era complice, non era lì per cenare come aveva detto inizialmente.

 

Se è vero che una parte del caso è stata risolta, resta da trovare Farina e recuperare la statua del Bambinello.

 

***

 

Riusciamo a rintracciare Farina, e ci affrettiamo a convocarlo in ufficio per l'interrogatorio.

Cerca di mentire facendo l'evasivo, ma stavolta è Anna la prima a stancarsi. Confermiamo il fermo intanto per il rapimento per il quale era ricercato, promettendogli che il resto non verrà lasciato impunito.

Prima che possa andare via, però, Anna si incarica di raccontargli della situazione di Cosimo.

Con nostro enorme shock, lui si rifiuta di presentarsi per la donazione del midollo, dicendo che tanto sarebbe stato inutile dare una speranza inesistente. Siamo costretti a lasciarlo andare con grande disperazione del maresciallo, che non si arrende e lo segue di sotto.

“Anna... non possiamo far niente, noi,” le dico, quando anche lei si alza.

“Non è per Farina, ma per Cecchini... c'è anche altro che lo coinvolge in questa storia.” Mi confessa senza però entrare nei dettagli, affrettandosi a correre dietro al Maresciallo.

Uno sguardo dalla finestra mi fa notare di come alla fine si occupi lei di lasciare Farina all'auto dell'Arma cosicché venga portato in carcere, dopo che il maresciallo aveva ceduto ai nervi.

Qualunque cosa sia, mi dà un'ulteriore conferma del forte legame che si è venuto a creare tra loro.

 

***

 

Quella sera stessa, Cecchini convoca me, Ghisoni e Barba in canonica, dove al mio arrivo sono già tutti presenti. Oltre noi, ci sono sua figlia Assuntina con Zappavigna – tornati insieme dopo il malinteso del bambino – Sofia e Seba, e naturalmente Natalina e Pippo. Anna non è venuta perché stasera era di turno, ma anche lei ha dato la sua disponibilità a collaborare a qualsiasi cosa.

Cecchini inizia a spiegarci il piano per il “C-Day”, ovvero il tentativo di far arrivare Cosimo dall'ospedale alla chiesa in Piazza Duomo facendo addobbare le vetrine con lucine e oggetti di Natale, con le luminarie per le strade e la gente vestita come se fosse inverno. Tutto per continuare a far sì che il bambino pensi di essere a dicembre. Per me continua ad essere una pazzia, e ho l'impressione che nessuno accetterà.

 

Comunque sia, mi obbliga ad andare con lui dal Sindaco il giorno dopo per far mettere le luminarie.

Gira e rigira, mi mette sempre in mezzo.

 

***

 

Finisco per accompagnarlo davvero, dal Sindaco, alla fine. Dopo qualche tentativo per limitare le luminarie alla via principale e dopo che lui fa abilmente leva sulla sua sensibilità, il Sindaco accetta.

 

È pur sempre un piccolo passo in avanti, ma è il resto che manca.

 

Usciamo dal Comune.

“È andata bene! Bene, bene, son contento!” Esclama.

“Sì, ma Lei è convinto che riusciamo a convincere tutta Spoleto?”

“Che fa, l'uccello del malaugurio? Cerco che sono convinto.” Mi rimbecca per la seconda volta con quest'epiteto. “Piuttosto, Lei dovrebbe convincere... chi sa Lei.” Mi dice poi, enigmatico.

Ora di che stiamo parlando?

“Che vuol dire?”

“Eh, che vuol dire...” fa, in tono leggermente esasperato. “Io convincerò tutta Spoleto a fare Natale a Ferragosto... Lei dovrebbe convincere... la Capitana a non sposarsi.”

Io mi blocco immediatamente sui miei passi, rivolgendogli uno sguardo scioccato.

“Ma che, Anna si sposa?” Domando. Non è possibile.

“Sì, si sposa, l'ho sentito io con le mie orecchie, ha detto 'sì'! Che cosa vuole fare?” Mi chiede in tono stavolta serio.

Io cerco di deviarlo. Ha già tentato altre volte di farmi ammettere cosa provo per Anna, non posso cedere ora. Soprattutto perché mi rifiuto di credere a quello che ho appena sentito.

“Io? Beh, io che devo fare, che c'entro? Se Anna... cioè, se il Capitano vuol sposarsi... beh... contenta lei...” Biascico. Bravo, rettificando col titolo invece del nome hai solo peggiorato le cose.

“E lei è contento?” Mi domanda allora Cecchini prendendomi alla sprovvista, tanto che non riesco nemmeno a rispondergli. Decido che preferisco riprendere a camminare senza dire nulla, non mi importa se così confermo i suoi dubbi, ma ho bisogno di pensare.

E di indagare.

 

Forse ha capito male... ma ha detto di averlo proprio sentito lui stesso...

Devo indagare. È l'unico modo. E la prima cosa da fare è verificare con i miei occhi: se davvero ha accettato la proposta di Giovanni – al solo pensiero sento montare la gelosia e lo sconforto più che mai – allora avrà l'anello di fidanzamento al dito.

 

Continuiamo verso la caserma, mentre lui cambia discorso e mi informa sul presepe vivente che vuole realizzare davanti alla chiesa.

Quando entriamo, notiamo che anche gli altri sono tornati e stanno discutendo. Si zittiscono di colpo quando ci avviciniamo, e dalle loro facce capisco che non hanno avuto molto successo, nonostante a Cecchini dicano il contrario.

Quando lui va da Cosimo per scrivere la letterina a Babbo Natale, chiedo conferma dei miei sospetti ad Anna.

“Non ha accettato nessuno, vero?”

“No,” risponde tetra lei, con gli occhi lucidi.

“Vabbè, c'era da aspettarselo, no?” Lei non mi risponde, facendo marcia indietro verso il suo ufficio. Io faccio lo stesso. “Novità sul caso? No? Il papà di Cosimo non ha confessato il tentato omicidio?” Lei fa ancora segno di no con la testa. “Ma neanche il committente s'è trovato?”

“No, niente...”

“E tu?” Tento poi. Lei mi guarda stranita. “No, dico... novità?”

“Dovrei averne?” Ribatte, confusa.

“No no, dico così per dire, magari tra te e Giovanni...” Vacci piano, così altro che discrezione... tanto vale che glielo chiedi direttamente.

“No, nessuna novità.” Conferma.

“Okay...” Rispondo solo, approfittando per dare un'occhiata alla sua mano sinistra che in questo momento regge il cappello. Niente anello. Forse allora Cecchini si è sbagliato.

Evidentemente però il mio sguardo non passa inosservato. “Che c'è, perché mi guardi la mano?” Mi chiede infatti lei. Bene, e ora come glielo spieghi?

“No, stavo guardando il cappello, la forma...”

Dalla sua faccia, è ovvio che non mi crede ma non dice nulla, tornando in ufficio.

Io però non mi arrendo. Decido di indagare oltre.

“Zappavigna, scusa,” lo chiamo sottovoce avvicinandomi alle scrivanie degli altri carabinieri. Lui è il più discreto tra tutti, mi posso fidare. “Tu hai mica visto se il Capitano ha degli anelli alle mani, tipo...” Mi guardo in giro per verificare che nessuno ascolti, e becco Ghisoni e Barba a origliare. “Che?” Faccio loro un cenno in modo che si facciano gli affari propri prima di tornare a rivolgermi a Zappavigna. “... di fidanzamento?”

“Assolutamente no,” risponde lui serio.

“Ah!” Commento allora, con un'espressione di sollievo che si fa subito strada sul mio volto.

“Anche perché non potrebbe,” aggiunge però lui, e mi sento crollare il mondo addosso un'altra volta. “A noi carabinieri non è concesso portare anelli in servizio, solo la fede matrimoniale perché, come noi, 'nei secoli fedele'.” Mi spiega.

Io mi volto a guardarla un attimo: come al solito è impegnata col lavoro e non lascia trasparire nulla.

“Grazie,” mormoro dandogli una pacca sulla spalla, ma a denti stretti.

Non poteva darmi notizia peggiore. Questa cosa degli anelli non la sapevo proprio.

 

Quindi Cecchini ha ragione, ha detto la verità. E di certo lei non è tenuta a raccontartela, è una cosa privata.

 

Rassegnati, ormai l'hai persa.

 

***

 

Cecchini ci raggiunge dopo qualche ora dicendoci che ha parlato con Farina, ed è convinto che se solo lui vedesse Cosimo cambierebbe idea sulla donazione di midollo. Ma io non posso lasciarglielo fare.

“Domani forse è troppo tardi!” Cerca di convincermi lui quando gli dico che comunque sia non posso fare niente nell'immediato.

“Ma io non posso!” Tento di spiegargli, guardando anche Anna nella speranza che almeno lei faccia qualcosa. Vedo che però anche lei è distrutta per questa cosa.

“Va bene, grazie! Grazie!” Fa allora Cecchini, arrabbiato. “Ho capito, ho capito! Lei se ne frega come tutti gli altri!” Mi dice, andando via sbattendo la porta e ignorando Anna che tenta di richiamarlo.

Io mi sento sprofondare.

“Scusalo...” sussurra lei, dispiaciuta.

“Ma lo capisco benissimo... che posso fare, io?” Le confesso con voce tremante.

Mi sto rendendo conto del perché lei lo abbia assecondato. Anche un piccolo gesto vale tanto, e l'impotenza in questi casi è terribile, perché davvero non c'è niente di concreto che possiamo fare per aiutarlo a stare meglio.

“Lo so... non è colpa tua.” Cerca di consolarmi. “La vita sa essere davvero ingiusta... non bastano le sofferenze che hanno già patito sia il Maresciallo che Cosimo... anche questa...”

Torno a sedermi di fronte a lei. Ci scambiamo un lungo sguardo demoralizzato, prima di rimetterci a lavoro.

 

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Capitolo 22
*** Il bambino di Natale - parte 2 ***


 

IL BAMBINO DI NATALE – PARTE 2

 

Per un po' dimentico la mia situazione con Anna, ma tutto mi torna prepotentemente alla mente una volta tornato a casa, in serata.

 

Ancora non riesco a crederci. Come può avergli detto di sì? Dopo il messaggio che mi ha mandato?

Afferro il cellulare che avevo posato sul tavolo per rileggerlo, il groppo in gola che torna a farsi sentire.

Però dopo quello che mi ha detto Chiara avrebbe senso... è venuta da me solo per non pensare a lui, e ora che è tornato alla carica, deciso, con l'intenzione di sposarla, è naturale che lei gli abbia detto di sì.

Però poi ripenso alle parole di Anna, a quello che mi ha detto quand'è venuta qui a casa mia, qualche giorno fa.

Pensavo di morire... e ti ho mandato un messaggio.

Torno a leggere probabilmente per la milionesima volta quelle frasi, e sento gli occhi pizzicare.

È stata a un passo dalla morte... e il suo ultimo pensiero sono stato io.

Ha pensato a me. Non a lui. Fra tutto quello che avrebbe potuto scegliere di fare in un momento come quello, ha pensato a me e mi ha mandato un messaggio per confessarmi quello che ad alta voce forse non avrebbe mai avuto la possibilità di dirmi.

Mi ha scritto che mi ama... e stando alle informazioni di Chiara, sempre a cena l'altra sera, Anna non è una che dice quelle due parole con tanta facilità, tutt'altro. Non che mi aspetterei niente di diverso, conoscendola.

Certo, Giovanni ha avuto una parte importante nella sua vita, non lo metterei mai in dubbio, ma nessuno dei due può negare che le cose siano cambiate molto negli ultimi mesi.

Quasi inconsapevolmente, io e Anna ci siamo avvicinati più di quanto avrei mai potuto immaginare... Mi sono innamorato di lei senza accorgermene, e adesso so che anche lei mi ama.

… E io l'ho trattata in quel modo.

Ho lasciato che la mia gelosia prendesse il sopravvento nel modo sbagliato, insieme all'insicurezza che tutto fosse troppo bello per essere vero.

Sento le lacrime scendere, ma non le asciugo. Non mi importa di piangere, anzi. Ha scritto delle cose bellissime, e mi si stringe il cuore pensando alla ragione per cui io adesso le sto leggendo.

 

Mi dico che è meglio berci su.

 

Mi alzo, dando un'occhiata alla piccola riserva di vino che tengo da parte, e l'occhio mi cade su una bottiglia in particolare: il Sagrantino di Montefalco. Come quello che avresti bevuto con Anna quella sera se non avessi mandato tutto all'aria.

Quale scelta migliore se non questa, mi dico, per brindare alla mia stupidità? Perfetto.

Prendo un calice, stappo e ne verso un po' appoggiando poi la bottiglia sul tavolino davanti al divano. Lo mando giù quasi tutto in un sorso.

 

In men che non si dica, la bottiglia è già a metà.

E io non ho smesso di pensare un secondo al casino che sono riuscito a combinare.

 

Come? Come ho potuto farmela scivolare dalle mani così? Era fatta, cavolo! Era praticamente fatta!

Okay, forse non all'inizio, quando ci siamo baciati quella volta a casa sua, ma dopo quell'episodio abbiamo imparato a conoscerci meglio, abbiamo passato un sacco di tempo insieme... praticamente ogni momento libero dopo il lavoro... Non solo per le lezioni di cucina, abbiamo anche visitato qualcuna delle bellezze dell'Umbria, insieme. E avevo intuito anche un certo interesse da parte sua... ero deciso ad agire... e poi mi sono ritrovato a quel ristorante con sua sorella, e le cose hanno cominciato ad andare per il verso sbagliato.

Altra cosa che ancora non mi spiego è perché io abbia iniziato a uscire con Chiara. Sì, è carina, simpatica e tutto... ma non è Anna. E il mio cervello non perde occasione per ricordarmelo. Ogni dannata volta che sento il rumore dei suoi passi, so già che non è Anna che sta arrivando perché lei non indossa i tacchi quasi mai. Quando parlo con Chiara, so che alcuni argomenti sono tabù perché non voglio che li sappia, mentre con Anna so di poter discutere di qualsiasi cosa senza problemi... anche per quei dettagli strettamente personali per cui chiunque altro mi giudicherebbe, ma Anna no, so che a lei posso dire tutto perché non si fermerà alla superficie. Quando incrocio lo sguardo di Chiara, mi trovo davanti dei begli occhi marroni... ma che non hanno niente di quel verde che mi ha attratto fin dal primissimo istante, apparentemente freddo all'inizio ma che ho imparato a leggere a volte fin troppo bene in questi mesi. Andando un po' più a fondo, ci trovo dentro tutto quello che di lei ho imparato ad amare: la sua determinazione, la forza di carattere, la passione che mette in ogni cosa, la sua capacità di non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio... E ancora un passo oltre, ci sono quei tratti che mostra solo di rado: la fragilità per un passato difficile, talvolta l'insicurezza di essere donna e non sentirsi all'altezza, una sensibilità spiccata verso chi ha bisogno di una mano d'aiuto, e una dolcezza ben celata che si rivela soltanto in momenti speciali ma che sa rubare il cuore. E lei ha rubato il mio senza che me ne rendessi conto, e senza che sentissi il bisogno di riaverlo indietro.

Io ho avuto la fortuna di vivere ogni sfaccettatura del suo carattere, anche quelle meglio nascoste e invisibili ai più.

 

Ed è stata lei a lasciarmelo fare, però io non ho saputo comprenderlo quando avrei dovuto.

Ho scoperto quel giardino incantato, ma non ho saputo apprezzarlo appieno nella sua celata bellezza.

E adesso ho smarrito la strada che mi conduceva lì. Ho perso lei.

 

Mando giù l'ennesimo bicchiere e sento la testa farsi più leggera, tanto che inizio a non avere più totalmente controllo dei miei pensieri.

 

La mia mente inizia a portarmi dove non vorrei.

Dietro alle mie palpebre adesso chiuse cominciano a scorrere immagini di Anna, radiosa accanto a lui, Giovanni, che alla fine è riuscito a riconquistarla, al suo anulare sinistro un anello di fidanzamento che brilla in tutto il suo splendore, accecandomi, ma dal quale non riesco a distogliere lo sguardo, mentre loro due danno a tutti la bella notizia del loro imminente matrimonio.

 

Mi sforzo di scacciare via questi pensieri assurdi, ma il mio cervello ha evidentemente intenzioni diverse.

Me la ritrovo nuovamente davanti, vestita di bianco, a dirmi che è la donna più felice del mondo perché sta per sposare l'uomo della sua vita – un uomo che non sono io, ma lui – che ha capito di amare ancora nonostante tutto, mentre torna a ripetermi che il nostro bacio è stato un errore, insieme a tutto quello che abbiamo condiviso.

 

Sento risalire la bile in gola solo all'idea di essere obbligato a guardare una scena così.

Mando giù un altro bicchiere. Altra immagine nella mia testa.

Loro due, insieme a casa di lei, dopo una cena a lume di candela che lei ha preparato, e un bacio come quello che li ho visti scambiarsi fuori dalla caserma qualche giorno fa, poi lui che lascia scivolare le mani sui suoi fianchi, prima di tirare lentamente giù la zip del vestito verde che lei aveva indossato per me tempo addietro...

 

Mi alzo di scatto, il bicchiere che finisce a terra in mille pezzi.

No. Non posso permetterlo. Non posso.

Non posso accettare che Anna sposi Giovanni senza far niente, senza nemmeno tentare di impedirlo.

Ha detto che mi ama. Mi ama. Non può sposare lui. Non può.

Non posso lasciarglielo fare, non mi posso arrendere così.

Anche se ha già accettato la sua proposta di matrimonio – il mio cuore si stringe all'idea che sia già troppo tardi – forse vale la pena fare un tentativo.

Devo provare... devo dirle che l'amo, devo spiegarle perché ho reagito in quel modo quella sera e dirle che lei non ha fatto niente di male e non è colpa sua.

Le chiederò perdono in ginocchio, farò qualsiasi cosa, se questo servirà a darmi un barlume di speranza per noi due.

Ho commesso uno sbaglio dopo l'altro. Non la posso perdere così. Il solo pensiero mi fa impazzire.

 

Per la prima volta dopo mesi il mio cervello ha un'idea brillante, aiutato probabilmente dall'alcol che mi scorre nelle vene in questo momento: vai da lei e confessale il tuo amore. Tanto, peggio di così non può andare. Se ti rifiuta, almeno potrai dire di aver tentato sul serio, non come hai fatto finora. Forse gli ha detto di sì solo perché pensava che con te non ci fosse più niente da fare. Non è detto che sia tutto perduto.

È la serata perfetta: so già che Chiara non è a casa, quindi Anna sarà da sola.

Spero.

Mi blocco un istante. E se c'è lui?

Non cercare scuse. Tanto meglio se c'è pure lui, almeno si renderà conto che non sei stato solo tu a combinare casini. Anzi, grazie al suo, di casino, tu e Anna vi siete avvicinati più di quanto avresti mai immaginato. Più di quanto lui sappia. Errore o no, vi siete baciati. Vai, ora!

 

Afferro le chiavi e il cellulare, avviandomi a passo spedito verso casa di Anna. Meglio a piedi, non mi fido di prendere la moto. E poi è meglio schiarirmi le idee nel frattempo, la bottiglia era ormai quasi vuota.

 

Sono passate le nove di sera quando arrivo al portone del palazzo, trovandolo fortunatamente aperto.

Salgo le scale più in fretta che posso e quando sono finalmente davanti alla porta del suo appartamento, prendo un bel respiro e suono il campanello.

È proprio Anna ad aprirmi, un'espressione sorpresa in viso che però dura solo un istante.

“Ciao... Chiara è andata a fare pilates,” mi informa, convinta che io stia cercando lei.

“Sì, sì, lo so, infatti io sono qui per te,” le dico a voce bassa, entrando senza aspettare che lei mi inviti dentro e sbattendo appena contro la porta. Avanzo nel soggiorno, cercando di raccogliere il coraggio per dirle quello che provo.

Avverto il suo sguardo confuso su di me. “Tutto bene?” Mi chiede, perplessa.

Io riesco solo ad annuire e biascicare un 'Sì', ma non devo averla convinta. “Marco, hai bevuto!” Comprende immediatamente, sbarrando gli occhi.

“Un pochino sì, se no credo che non sarei qua,” ammetto con un mezzo sorriso incerto, che lei ricambia senza però capire che cavolo ci faccio a quest'ora mezzo ubriaco a casa sua.

Faccio un passo avanti, poi raccolgo tutto il coraggio che riesco a mettere insieme e finalmente glielo dico.

“... Non ti sposare.” La prego. La mia voce trema.

La sua espressione sconcertata mi dice che si starà chiedendo come l'ho saputo, visto che lei non mi ha detto nulla.

“... Sposarmi? Non-”

“No, però fammi finire, ti prego, perché non ce la faccio...” Lei tenta di dirmi qualcosa ma io non la lascio parlare, se mi interrompe è la fine. “... È difficile, ti prego...”

Lei si arrende. “Vai.” Concede, incrociando le braccia in attesa.

Adoro quando mette su quel finto cipiglio infastidito.

Inspiro profondamente prima di proseguire.

“Io ti amo,” ammetto subito, e lei spalanca gli occhi accennando un sorriso che mi incoraggia ad andare avanti, “e il messaggio che mi hai mandato mi ha fatto quasi piangere... anzi, leva il quasi. Io all'inizio ti odiavo, mi stavi antipatica, ma tanto...” Le ride alle mie parole, e per me è solo uno stimolo ulteriore per continuare. “E poi ho capito... che tu sei una intelligente, sei tosta, sei determinata... ma sei anche sensibile, emotiva...” le dico, accennando alle lacrime che vedo luccicare nei suoi occhi verdi che adesso brillano più che mai, “e sei una che davanti al male si sa ancora commuovere. ...E ti amo.” Concludo, la gola che torna a stringersi immaginando tutti i possibili scenari che potrebbero delinearsi da questo momento in poi.

Lei esita un istante, anche se il suo sguardo resta pieno di dolcezza, poi finalmente prende la parola.

“Se mi ami, perché... per-... Quella sera...”

Io le lancio uno sguardo divertito. Lo sapevo che saremmo andati a parare là, ma stavolta le spiegherò ogni cosa. Non ha più senso nascondersi. Non sarebbe stata lei se non avesse chiesto.

“Ti ho preparato la cena... io,” sottolinea con un sorrisetto, “sono venuta a casa tua, eravamo da soli... perché te ne sei andato? E quella sera ti sei messo insieme a mia sorella!”

Chiudo gli occhi per un istante prima di tornare a guardarla.

“Perché ho avuto paura quando hai spostato quel... pouf,” confesso, finalmente.

Lei però ha uno sguardo perso. Non si ricorda, ovvio che non ha capito che il problema è stato quello, come poteva? L'hai cacciata via subito dopo!

“Che pouf?” chiede infatti, confusa.

Io sospiro allontanandomi di qualche passo, più che altro per scaricare la tensione, poi inizio a spiegarle tutto.

“Io, quando stavo con la mia ex fidanzata, la prima cosa che mi ha buttato via è quel pouf su cui guardavo le partite. Poi ha buttato via le mie uscite allo stadio, la moto, i grassi idrogenati, poi i miei amici, ha buttato via...” elenco, mentre lei cerca di stare al seguito del mio discorso, chiudendo gli occhi e spostando i capelli su un lato, comprendendo finalmente qual è stato il tassello che ha fatto saltare tutto. “Alla fine è riuscita a cambiarmi perfettamente. E sai cos'ha fatto? Ha buttato via anche me! 'Eh, non eri più quello di prima'...” Finisco, citando le parole della mia ex al primo confronto dopo aver scoperto che mi tradiva.

Lei resta un attimo a soppesare le mie parole, poi si avvicina, un lampo di preoccupazione passa nelle sue iridi verdi. “Tu hai paura che io... voglia cambiarti.” Sussurra.

“No!” nego subito, stringendole le spalle per rassicurarla. “No, no, no, beh, tu non sei Federica! Tu non vorrai mai cambiarmi, lo so... E so che ci potremo amare... senza cambiarci. Ti prego,” la imploro stavolta, prendendole il viso fra le mani e obbligandola a guardarmi di nuovo, “non sposare Giovanni. Lo so che gli hai già detto di-”

“No.” Mi interrompe Anna con un sorrisetto, alzando per un istante gli occhi al cielo.

Ammetto di essere confuso. No... cosa?

“Gli ho detto di no, Marco. Non posso... non lo amo più.” Ammette, prima di raddrizzare le spalle e aprirsi in un sorriso.

Allora è questo che tentava di dirmi all'inizio, quando l'ho pregata di non sposarsi. Avevo ragione... ama me! Ama me!

Resto a guardarla ancora per un istante, il sollievo evidente sul mio volto, e faccio per baciarla quando lei gira il viso, sollevando una mano per impedirmi di fare altro, lanciandomi però uno sguardo di scuse.

“Co- ma è per Chiara?” Penso al volo. “Scusa... io... ho sbagliato con lei-” le confesso, sperando che capisca.

“No, non è per Chiara... cioè, anche per Chiara però non solo...” Mi spiega con gli occhi bassi, prima di stringermi le mani tra le sue. Io non so che aspettarmi a questo punto. Cosa ci potrebbe essere, adesso, che ci impedisce di stare insieme, se non è sua sorella? “Marco, è che io... non posso promettertelo...”

“Cosa?” Chiedo, senza capire.

Lei solleva lo sguardo, un velo di dispiacere ad offuscarlo. “Che ci ameremo senza cambiarci.”

“Ma perché?” Il mio è un sussurro disperato. Lei mi guarda come a dirmi che la mia è una richiesta impossibile per ovvi motivi, ma io non riesco a capire. Non voglio capire. Perché non possiamo? Non andiamo bene, così?

Anna deve averlo intuito, perché decide di continuare.

“Io sono cambiata in questi mesi,” spiega. “Ho imparato ad avere più fiducia in me stessa, ho accettato la mia femminilità... ho anche messo il push-up,” aggiunge con espressione seria che, se da un lato mi fa ridere, dall'altro non posso dire che si riferisca a una cosa passata inosservata. “L'ho notato, sì...” Ammetto con un po' di imbarazzo.

“Eh sì, lo so.” Commenta lei con la stessa espressione di prima.

“... Cosa?!” Chiedo d'istinto, arrossendo da matti. Cioè, pensavo di essere stato discreto e invece mi sono fatto beccare per bene a fissarla... praticamente sempre, se se n'è accorta con tanta facilità?

Lei ride, divertita dal mio imbarazzo crescente, ma poi riprende il discorso, tornando di nuovo davvero seria. “Sono cresciuta... anche grazie a te. Però è inevitabile che si cambi. Io... io cambierò te, e tu cambierai me... e questo è stare insieme...” Tenta di spiegarmi. Alla mia espressione dubbiosa, prova ancora a farmi recepire il messaggio. “È un viaggio, non lo sai dove ci porta... Si perdono delle cose, se ne prendono altre.... si cambia! È bello cambiare, è bellissimo cambiare... insieme.” Sussurra, ma dall'ombra che passa sul suo viso so già che ha capito.

 

Non ce la faccio. Non riesco a sopportare l'idea che anche lei mi dica che non è possibile restare così per sempre, proprio ora che avevo ritrovato un equilibrio.

La osservo di nuovo: ha gli occhi lucidi, ma non piange.

“Io, è meglio che vada.” Mormoro, oltrepassandola per andar via dal suo appartamento, di nuovo, come quella volta.

So già che non mi fermerà.

 

Ha provato a farmi ragionare, ma ha saputo toccare il mio principale punto debole come solo lei poteva fare: la paura di cambiare.

Solo che questa è una cosa che non sono sicuro di riuscire a poter mettere da parte.

Per quanto l'ami, non sono certo di poter accettare il compromesso.

 

***

 

Se stanotte non sono riuscito a dormire ripensando a quanto successo ieri sera e finendo per farmi venire il mal di testa, complice anche l'alcol che avevo bevuto prima, è niente rispetto all'ira che mi monta dentro alla notizia che mi danno una volta arrivato in commissariato: Farina è scappato.

Entro come una furia nell'ufficio di Anna, dove trovo già Cecchini che tiene lo sguardo fisso a terra.

“Come ha fatto a fuggire? Eh? Non l'ha mica accompagnato all'ospedale a trovare il figlio?” Gli chiedo immediatamente, urlando. Lui non fiata.

“Questa è un'altra delle sue belle follie! Come il Natale a Ferragosto, e come tutte le cose che-”

“Basta!” Mi ferma Anna, prendendo all'improvviso la parola. Noto una scintilla di rabbia nel suo sguardo. “Non è colpa del Maresciallo, è colpa mia! Il prigioniero ci ha detto che se l'avessimo portato dal bambino avrebbe confessato. È stato un modo per scappare di prigione, e l'ha fatto. Fine.” Mi dice, perentoria, piantando gli occhi nei miei.

Io non ci vedo più, e il fatto che stia difendendo Cecchini a spada tratta mi fa ulteriormente arrabbiare. Faccio un passo in avanti, minaccioso. “E quand'è che il Farina avrebbe deciso di collaborare, Capitano?” Le chiedo con freddezza, calcando di proposito sul suo titolo. Se è così che deve andare d'ora in poi tra noi due, meglio cominciare fin da subito a ridefinire i nostri posti.

Anna naturalmente non si lascia impressionare, e avanza anche lei verso di me senza abbassare lo sguardo. “Ieri sera, Dottore.” Replica con il mio stesso tono.

Al solo sentire la sua allusione a ieri sera, mi infurio ancora di più. “E perché non m'ha detto niente, Capitano, quand'eravamo insieme?” La provoco.

Non mi importa che ci sia Cecchini presente, può pensare quello che vuole. Ho chiuso con entrambi. Lui ha tradito la mia fiducia ed è la causa di tutti i problemi che ho avuto con Anna, che ha detto di amarmi ma mi ha sbattuto in faccia l'unica cosa che non riesco ad accettare.

“Perché era tardi.” È la sua risposta gelida.

“Ah.” Commento soltanto. Perché era tardi, o forse perché mi sono distratto mentre tu mi spezzavi il cuore un'altra volta.

“Non avrei dovuto lasciare il Maresciallo da solo, è stata una mia leggerezza.” Conclude, assumendosi tutta la colpa dell'accaduto.

“Io dovrò riferirlo ai vostri superiori,” li informo freddamente.

“Bene.”

Decido di andare via immediatamente, non voglio stare in questa stanza un minuto di più. “Lasciarsi sfuggire un prigioniero così non è una gran cosa per la tua carriera, Capitano,” le faccio presente prima di uscire, sapendo bene quanto lei ci tenga e quanto questa consapevolezza le farà male.

“Certo, Dottore,” replica lei, senza lasciarsi intimidire. “Lo prendiamo, Farina!” Mi informa in tono deciso, prima che io chiuda la porta, sbattendola.

 

***

 

Cerco di far sbollire un po' la rabbia camminando senza una vera meta per le vie di Spoleto per diverse ore. Poi mi ricordo che stasera deve venire Chiara a cena e io non ho nemmeno pensato a cosa preparare.

Ignoro il groppo in gola al pensiero di quante cose siano successe in meno di ventiquattr'ore, così penso velocemente agli ingredienti che mi servono e mi affretto a comprarli prima di tornare a casa e mettermi ai fornelli.

 

Nel pomeriggio, decido che soltanto cucinando non riesco a distrarmi davvero, per cui prendo gli auricolari e li indosso, sintonizzandomi sulla radio parrocchiale. So che più o meno verso quest'ora Don Matteo trasmette la sua omelia, magari sentire le sue parole mi potrà aiutare a fare chiarezza, o perlomeno a calmarmi.

 

Con mia enorme sorpresa, però, non è la voce del sacerdote quella che sento, ma quella del Maresciallo Cecchini.

Per un attimo ho la tentazione di cambiare stazione, ma poi ci ripenso e mi metto ad ascoltare le sue parole. Di tutte le frasi meravigliose che dice per Cosimo, due mi colpiscono maggiormente: quando ammette che all'inizio lo detestava perché legato in qualche modo a un ricordo terribile ma di cui lui non aveva colpa, e di come pian piano l'amore per quel bambino lo aveva cambiato, perché l'amore questo fa, trasforma anche se non ce ne rendiamo conto, anche se all'inizio l'idea può farci paura. E che forse non è poi così folle pensare di poter trasformare il mese di agosto in Natale, se fatto per amore.

 

Queste parole mi ronzano per la mente per il resto del pomeriggio.

E mi fanno capire che ho sbagliato tutto. Che la mia paura di cambiare è altrettanto folle, ma di una follia errata, perché irrazionale e insensata.

Come ha cercato di spiegarmi Anna ieri, è inevitabile che si cambi. È normale, fa parte dell'essere umano. E inoltre, lei non ha mai parlato di cambiare me nel senso di volermi snaturare e farmi diventare quello che non sono, ma ha tentato di farmi capire che sarebbe un cambiarci a vicenda, com'è giusto che sia. Smussare gli angoli, cedere e concedere anche solo per un sorriso che fa battere il cuore. Amare vuol dire anche questo.

Lei stessa ha ammesso di essere diversa, anche per merito mio. E anch'io lo sono grazie a lei, anche se ieri ho avuto paura ad ammetterlo. Ho commesso un errore enorme con lei, soprattutto considerato che di questo dato di fatto ero già a conoscenza. L'avevo già confessato a me stesso un sacco di volte, di essere cambiato quando lei è entrata nella mia vita.

Solo che ieri, quando Anna mi ha messo di fronte alla realtà dei fatti come solo lei è capace di fare, il passato è tornato a perseguitarmi come un fantasma di cui non mi riuscivo a liberare, per paura.

Nemmeno più paura di cambiare, a questo punto.

Paura di lasciarmi amare.

 

Decido che è arrivato il momento di prendere il coraggio a due mani e sperare che Anna non mi mandi definitivamente a quel paese, anche se me lo meriterei, e che accetti di darmi un'altra possibilità.

Prima però devo dire la verità a Chiara.

Anna si è tirata indietro per lei. Tocca a me adesso sistemare le cose.

Anche se non so come fare, perché nonostante tutto sarà terribile farle male.

 

***

 

Quando lei si presenta, la sera, noto che è un po' nervosa, e questo mi fa esitare un attimo.

Se già c'è qualcosa che non va, io peggiorerei tutto. Ma non posso scappare, non stavolta. Devo solo trovare il momento giusto.

La cena è stranamente molto silenziosa, ma io non oso chiederle cosa abbia.

Una volta terminato, ci sediamo sul divano con una partita in tv che non ho idea di come stia andando perché non la sto davvero seguendo, mentre cerco il modo adatto per dirle tutto.

A un certo punto è lei che prende la parola.

“Marco,” esordisce, mettendosi a sedere più dritta, “tu mi sposeresti?” Chiede candidamente con un sorriso.

Io mi blocco. Ho sentito bene?

“Co-... sposarti?” Ripeto, per essere sicuro di aver capito. Male, spero.

“Sì! … non dico adesso, dico anche fra due, tre anni, insomma... parlo ipoteticamente. Mi sposeresti? Onesto.”

La mia faccia deve esprimere puro panico, e non so come rispondere senza ferire i suoi sentimenti, anche se so che devo farlo. Di certo non immaginavo di doverle dire la verità così, mi ha completamente spiazzato.

“Sposarti è... è una cosa... importante, cavolo... Eh, una cosa così su due piedi...” Balbetto. Non voglio dirle un 'no' secco, non sono così insensibile. Sì, però se te l'avesse fatta Anna, una domanda così, sai bene che la tua risposta sarebbe stata completamente diversa. E senza esitazioni. Ma Anna non lo farebbe mai. Ecco la differenza principale tra loro: Anna mi conosce, Chiara in realtà no.

“Quindi non sono una tipa da sposare,” asserisce lei con un tono che mi stringe il cuore.

“Sì! Perché? Sei da sposare!” Cerco di rettificare, alzandomi in piedi. Non sarò io a farlo, ma non significa che non lo sia. Noto il suo sguardo incerto. “Sei bellissima, sei intelligente, mi fai divertire che non hai idea, e stare con te è stupendo...” elenco con sincerità, ma lei per qualche motivo non ha la reazione che mi sarei aspettato.

“Dai, Marco...” mi blocca, alzandosi a sua volta.

“Cosa?” Chiedo, sulla difensiva.

“Marco...” mi dice, con un tono leggermente esasperato, mettendosi di fronte a me e incrociando le braccia. “Tu non mi ami.” Mi dice con certezza assoluta, ma il resto non me lo sarei aspettato mai e poi mai. “Ami Anna, vero?” Chiede, ma capisco che non è una vera domanda. Sentire l'amarezza nella sua voce mi dispiace più di quanto pensassi. Io però non riesco a rispondere nulla, e il mio silenzio conferma ulteriormente le sue supposizioni. “Me ne sono accorta da un po'... E vabbè, peccato. Pensavo davvero saresti stato quello giusto,” ammette. “Tu e Anna siete gli unici che non mi avete mai trattata da scema.”

Finalmente riesco a recuperare la parola, e mi avvicino. “A me dispiace, davvero...” Le scuote la testa come a voler minimizzare, ma io mi sento in dovere di scusarmi, è il minimo che posso fare. “No, no, no, te lo giuro... io non volevo prenderti in giro...” Provo a spiegarle, sinceramente.

“Marco, ma che prendere in giro, ma che c'entra?” Mi contraddice lei, e so che ha capito che le mie intenzioni erano delle migliori. “Abbiamo semplicemente fatto un pezzetto di vita insieme, fine.”

“Okay...” riesco solo a dire, distogliendo lo sguardo.

“E comunque non ti avrei mai sposato, lo dicevo ipoteticamente.” Precisa, e mi rendo conto che anche lei stasera era alla ricerca di un modo per chiudere le cose tra noi con la minor sofferenza possibile. Capisco anche di non essere stato poi tanto sottile in sua presenza, specialmente quando c'era anche Anna. Non siamo mai riusciti davvero a nascondere l'attrazione tra di noi, per quanto ci impegnassimo era impossibile.

“Okay...” ripeto.

Mi guarda ancora per qualche istante, poi mi saluta con un leggero bacio sulla guancia, prima di prendere la borsa e dirigersi verso la porta.

Prima di uscire, però torna a voltarsi verso di me.

“Comunque,” dice, in un tono che non ammette scuse, “se ti fai scappare Anna sei un idiota.”

Dopo un ultimo sguardo, apre la porta sparendoci dietro e lasciandomi lì impalato ad annuire, sorridendo come uno stupido perché ha perfettamente ragione.

 

È arrivato il momento di lasciarsi alle spalle ogni paura, stavolta in modo definitivo.

 

Chiara's pov

 

Torno a casa a piedi, usando quei pochi minuti di tragitto per riordinare le idee e decidere come dirlo ad Anna.

 

L'ho capito da un pezzo, ormai, che Marco ama lei. E so perfettamente che lei lo sa. E che lo ricambia.

L'ho capito da tanti piccoli dettagli che ho messo insieme come tessere di un puzzle, e che mi hanno fatto vedere il quadro completo con estrema chiarezza.

L'ho notato dai loro battibecchi, che poi battibecchi non erano mai ma si trattava di un puro e semplice flirtare, in modo anche decisamente consapevole. L'ho visto quando, quella volta che siamo stati tutti e tre al castello, loro due abbiano praticamente passato tutto il tempo a parlare per conto loro, escludendomi forse senza volerlo. Ho sentito la frase di Marco sul giardino incantato nascosto dentro a una fortezza apparentemente inespugnabile, e ho intuito subito che si riferiva a lei, era chiaro dallo sguardo completamente perso che le aveva rivolto, uno sguardo che per me non ha mai avuto.

L'ho capito alla mia festa di laurea (che hanno organizzato insieme dietro consiglio di Anna, visto che io non gli avevo mai raccontato né di Cenerentola né del drive-in a cui giocavamo da piccole), quando hanno passato tutta la serata insieme e io ho fatto finta di non accorgermene, così come ho finto di non sentire i commenti delle mie colleghe convinte che lui fosse il suo ragazzo, o di non vedere quando hanno ballato quel lento insieme, stretti sotto le luci basse della pista, a concedersi un momento per loro due prima di tornare alla realtà.

Ho avuto conferma che avevo intuito bene quando ho notato l'ombra sul volto di Marco alla vista di Giovanni che baciava Anna con passione sulla porta della caserma quando l'hanno riportata sana e salva dopo che l'avevano rapita.

Senza contare l'uscita a quattro la sera della partita. Ho finto di nuovo, ignorando la gelosia palese di Marco per la presenza di Giovanni e le sue parole per mia sorella. Il suo astio per il fatto che lui avesse lasciato il seminario perché ancora innamorato di Anna.

Così ho deciso di verificare le mie ipotesi, e la sera dopo a cena gli ho raccontato tutte quelle cose – per la maggior parte completamente vere – su Anna e Giovanni. Anche se in realtà sapevo bene che lei non provasse più nulla per Giovanni se non semplice affetto, ho gonfiato un po' alcuni dettagli facendogli credere che lei avesse deciso di dargli un'altra possibilità. L'ho provocato per bene, tentando di persuaderlo del fatto che lui fosse stato solo una distrazione solo perché lei non pensasse a Giovanni, usando la stessa 'accusa' dell'ex di mia sorella per capire che effetto avrebbe avuto su di lui, sul fatto che in teoria lei non ascolti. Mi sono anche giocata la carta della verginità: ho ripensato all'episodio di qualche mese prima quando il maresciallo aveva inventato tutta quella storia su una sua presunta gravidanza, e a come mia sorella ci fosse rimasta male anche per quello, perché con Giovanni non stavano insieme da parecchio – segnale evidente che qualcosa aveva iniziato a incrinarsi già da prima. So bene che agli uomini dà fastidio venire a conoscenza di questo tipo di informazioni sulle donne di cui sono innamorati, e la sua reazione è stata esattamente quella che mi aspettavo: è diventato bianco in volto ed è riuscito solo a dirmi a mezze parole che contava solo la felicità di mia sorella... non avrebbe potuto darmi risposta più azzeccata per fugare ogni dubbio.

 

Sapevo che doveva essere successo qualcosa tra loro poco prima e che la tensione non era solo dovuta alla situazione di Cosimo, avevo visto Anna uscire da casa sua con un'espressione in viso che raramente le avevo visto: sconfitta.

Non le ho chiesto nulla dopo, anche perché il comportamento di Marco una volta entrata aveva confermato tutto.

So che Anna sa benissimo che Marco è innamorato di lei, e anche lei lo è. Non so come ho fatto a crederle quella volta quando le ho chiesto se lui le piacesse e mi ha risposto di no. Ripensando a quell'episodio, mi è venuto in mente di quanto fosse restia a farci ospitare da lui, e non perché non lo sopportava, tutt'altro.

Non immagino come deve essersi sentita quando le ho detto che ci eravamo baciati. Quando ci vedeva insieme. Quando ha accettato di preparare la cena al posto mio lasciandomi casa libera. Quando abbiamo parlato al negozio quando mi ha aiutato a scegliere il mio vestito per la laurea.

Non ho fatto attenzione abbastanza da mettere insieme tutti i tasselli all'inizio, se solo me ne fossi accorta prima a quest'ora non saremmo in questo casino.

 

Mia sorella mi ha fregato l'uomo di cui mi stavo innamorando, è vero. È anche vero però che io di ragazzi, a lei, ne ho fregati parecchi negli anni, con la consapevolezza di farlo per giunta. In sua difesa devo dire che con Marco lei è arrivata prima, e nonostante i miei tentativi, lui ha continuato ad avere occhi solo per lei.

Sarebbe finita comunque tra noi due, mi sono comportata male con lui perché mi rendo conto di avergli mostrato solo cose non vere di me. Un motivo in più per farmi da parte.

Spero solo che a questo punto facciano la scelta giusta.

 

Una volta tornata a casa, faccio di tutto per trattenere le lacrime, perché comunque mi ha fatto male chiudere la nostra storia. Trovo Anna seduta sul divano a guardare un film, così mi siedo accanto a lei togliendomi le scarpe con fare nervoso. Ovviamente lei nota subito che c'è qualcosa che non va, se ne accorge sempre.

“Chiara, che hai?” Mi chiede per la seconda volta.

“Niente...” rispondo. “Ho lasciato Marco.”

“Ah... come mai?” Mi domanda allora con voce incerta, senza riuscire a celare del tutto un briciolo di felicità, cosa davvero non comune per lei perché in genere sa controllarsi alla perfezione.

“Anna,” la riprendo per una volta io, seria, “Marco ama te, e lo sai.”

Lei abbassa lo sguardo, capendo che è inutile negare. “Mi dispiace. Non... volevo.” Mormora, ma davvero non dovrebbe scusarsi. Per cosa, poi? Perché si è innamorata di un uomo che la ricambia? Non è stata lei a farmi male. “E comunque tra me e Marco non è successo niente.” Precisa con lo stesso tono.

Non avevo dubbi su questo. 'Niente' di consapevole, magari, perché ci sono quel ballo e tutto il resto da tenere in conto, però capisco che si sta riferendo a qualche possibile bacio che non c'è stato.

Decido di farle capire che non ce l'ho con lei, non potrei mai.

“Dai, così siamo pari con Marco Ginami.” Le dico, tornando a guardarla. Dalla sua espressione capisco che non si ricorda. “Quello della 5^B che ti ho fregato quando stavamo al liceo,” spiego, alludendo al ragazzo per cui si era presa una cotta tremenda e che, fra l'altro, la ricambiava, ma io mi ero scoperta gelosa di lei perché aveva conquistato senza saperlo il ragazzo che piaceva anche a me e glielo avevo soffiato via sotto il naso di proposito.

“Ah...” mormora, facendo mente locale. Poi però ridacchia anche se ha appena scoperto che l'avevo fatto apposta all'epoca, e io ricambio il sorriso.

Faccio un respiro profondo. “Mi sa che ci vuole un po' di gelato..” propongo poi.

“Cioccolato e panna,” diciamo all'unisono, e per un attimo mi ritrovo catapultata a quand'eravamo piccole e litigavamo o eravamo tristi, e allora prendevamo una vaschetta di gelato con questi due gusti e la condividevamo per far pace e tirarci su. Adesso naturalmente la questione è più grave, ma non significa che non possiamo superarla.

Siamo sorelle, e non permetterei mai a nessuno di dividerci, neanche a un uomo.

Marco, poi, so che la ama veramente, quindi so di lasciarla in buone mani anche se significa che per un po' dovrò convivere con la sofferenza di vederli insieme. Lei per me l'ha fatto.

 

Nelle ore successive, Anna mi racconta tutta la storia, tutto quello che è successo tra lei e Marco in questi mesi e di cui io non sapevo nulla.

Capisco di aver fatto la scelta giusta mettendomi da parte.

Ora spero solo che Marco non sbagli. O giuro che lo picchio, le lezioni di pilates servono anche a questo.

 

Marco's pov

 

Dopo quello che è successo con Chiara ieri sera, ho deciso che un buon modo per cercare di farmi perdonare è dare una mano per il Natale di Cosimo.

Ho sbagliato anche in questo, e ho detto delle cose che non pensavo anche a Cecchini, devo delle scuse anche a lui, sperò che capirà.

Ci penso un po' su, e poi opto per un vestito di Babbo Natale, completo di barba e panzetta.

Così la sera vado all'ospedale, sperando di non essere arrivato tardi.

Ho appena oltrepassato l'ingresso quando sento un rumore in strada: è proprio Cecchini, anche lui vestito da Babbo Natale a bordo di una slitta bellissima.

Entra, portandosi in spalla un sacco pieno di regali, per fermarsi non appena mi nota.

“Ma è Lei!” Borbotta, dopo avermi lanciato un'occhiataccia. Io mi limito ad annuire.

“Come, Lei era contrario, non voleva farlo, il Natale...” Mi prende in giro. “Vabbè, la perdono, a Natale siamo tutti più buoni,” concede poi, e io mi sento un po' più leggero.

Mi fa cenno di seguirlo per andare da Cosimo, e la porta del reparto ci viene aperta dal primario, molto confuso ma che ci lascia passare.

Appena voltato l'angolo, scopriamo però che non siamo i primi ad arrivare: c'è già qualcuno vestito di rosso ad osservare il bambino da dietro il vetro, e il mio cuore salta un battito.

Anna.

I nostri sguardi si incrociano quando lei si volta, e leggo la sorpresa nei suoi occhi verdi al vedermi lì, insieme alla consapevolezza di cosa implichi la mia presenza.

“Ma è Lei!” Esclama di nuovo Cecchini, stavolta al settimo cielo nel vedere Anna.

“Sì...” risponde appena lei, prima di tornare a rivolgersi a me. “Marco...” sussurra, ancora incredula.

Io riesco solo a sorridere perché so che ho fatto la scelta giusta, a venire.

“Grazie, veramente, grazie,” le dice il Maresciallo, felicissimo. Il fatto che lei sia qui dimostra quanto tenga sia a lui che a Cosimo, e so che farebbe di tutto per renderlo felice. “Mi fa veramente tanto piacere.”

Lei sorride. “Come sta il bambino?”

Lui le lascia intendere che la situazione non è delle migliori, così cerco di smorzare la tensione.

“Che dite, andiamo tutti e tre da Cosimo?”

“Eh sì, dai, tre è il numero perfetto! Abundum!” Accetta subito il Maresciallo, ma come al solito Anna è la voce della ragione.

“No, io credo che sia meglio che vada Lei, Maresciallo, è più giusto così.”

Lui sorride, grato, e si volta per andare da Cosimo, non prima di averci rivolto un ultimo sguardo apprensivo.

Adesso siamo soli.

“Che dici, andiamo o ci facciamo ricoverare alla neuro, subito?” Le propongo allora.

“Andiamo,” accetta lei con altrettanto buonsenso.

 

Una volta fuori, Anna non resiste.

“Non ce la faccio più, sto morendo di caldo,” esclama, ed effettivamente noto solo in quel momento che il suo costume è di velluto. Ad agosto, non è proprio il massimo.

Costume che, fra l'altro, le sta meravigliosamente.

“Wow,” commenta poi vedendo la slitta illuminata. Resta ad osservarla per un attimo prima di girarsi verso di me con uno sguardo incerto.

“Non avevi detto che questa cosa del Natale era una pazzia?” Mi fa notare, incrociando le braccia.

“Sì, l'ho detto, mh-mh,” confermo con un sorriso.

“E allora perché sei venuto?” Domanda allora, guardinga.

Stavolta non ho più paura.

“Perché ho sentito un pazzo che diceva che per amore si può e si deve cambiare,” le dico semplicemente, e con mia enorme gioia vedo un piccolo sorriso incresparle le labbra.

“... e non eri tu quello che aveva paura di cambiare?” Mi chiede allora, la voce che trema appena.

“Io non ho paura di cambiare, no,” dico con sicurezza, “Se lo facciamo assieme?”

Stavolta Anna sorride davvero, e mi chino a baciarla con un'intenzione ben precisa: smorzare la tensione tra noi.

Infatti, come previsto, lei scoppia a ridere contro le mie labbra... più o meno.

“Che cosa c'è?” Fingo di non capire.

Lei mi lancia un'occhiata divertita. “Ti potresti togliere la barba? Per favore!”

Io tiro giù la barba finta puntandole un dito contro per prenderla in giro. “Tu stai cercando di cambiarmi, così, eh? Stai cercando di cambiarmi!” La provoco, ma sempre ridendo. Lei sta al gioco.

“... E anche la panzetta deve sparire!” Commenta.

Io la stringo con fare protettivo. “No, questa è mia, ci tengo! Come Sarkozy, non-”

Il mio farfugliare è interrotto da un suo sospiro esasperato, prima di ritrovarmi con le sue mani sulle guance e le sue labbra sulle mie.

Finalmente.

Finalmente sono libero di baciarla come volevo fare da mesi. Come avrei voluto che succedesse quella sera, quando venne a casa mia. Ma adesso questo momento non potrebbe essere più perfetto di così, con questa improbabile atmosfera natalizia in piena estate a circondarci e rendere tutto ancora più sublime.

Così mi lascio andare, prendendo il suo viso tra le mani e approfondendo il bacio senza incontrare nessuna resistenza da parte sua, anzi sento le sue mani scivolare a stringere le mie per qualche istante alla ricerca di un contatto ancora più intenso, prima che il desiderio di sentirla più vicina si impossessi di me; allora la stringo forte tra le braccia, con la voglia di non lasciarla andare mai più. Lei si abbandona al mio gesto lasciando che sia io a condurre il gioco per una volta, appoggiando le mani sul mio petto, proprio dove il mio cuore batte impazzito, e so per certo che può percepirlo con chiarezza attraverso la stoffa.

 

La magia si interrompe per un attimo quando avvertiamo la voce di Cecchini che parla con Cosimo nell'atrio dell'ospedale.

“Guarda quante luci, guarda che bella 'sta sli-” Si blocca di colpo notando me e Anna ancora intenti a baciarci come se fosse il nostro ultimo giorno da vivere. Noi ci separiamo bruscamente, rossi in viso per esserci fatti beccare così.

Mi ero completamente dimenticato del motivo per cui siamo qua.

Lui però non commenta, e dalla sua espressione so che è felice per noi.

“E loro due? Chi sono?” Chiede subito Cosimo.

Anna mi dà una gomitata affinché lo saluti con la mano.

“Eh, sono... gli... gli aiutanti di Babbo Natale!” Si inventa il maresciallo.

Il piccolo sembra crederci, però non è convinto. “Perché qui fa così caldo?” Chiede infatti, e mi fa una tenerezza incredibile. Io e Anna ci spostiamo di lato per farli passare, e noto i suoi occhi verdi velarsi di lacrime, così la stringo in un piccolo abbraccio.

Optiamo per andare in piazza in moto, visto che io sono venuto con quella.

Quando arriviamo lì, troviamo il presepe vivente già pronto con tutti i nostri amici a fare da figuranti, un meraviglioso abete arrivato da chissà dove, e tanta gente vestita con abiti pesanti come fosse inverno.

Alla fine il Maresciallo è riuscito nel suo intento, e tutto per amore di un bambino.

 

Quando finalmente Cecchini arriva a bordo della slitta insieme a Cosimo, è impossibile non notare come tutti si siano commossi.

Quando Cosimo, poi, esclama che non gli importa se suo padre non c'è basta che ci sia il maresciallo, non c'è volto che non sia bagnato dalle lacrime.

Abbraccio Anna d'istinto passandole le braccia intorno alla vita, ed è bellissimo sentirla così vicina in questo momento.

 

A rendere ancora tutto più incredibile arriva Remo Farina, il padre di Cosimo. Faccio un cenno ad Anna che non se n'era accorta, e lei si avvicina immediatamente, forse temendo che l'uomo possa avere cattive intenzioni. Io la seguo.

Quando Cecchini gli chiede cosa ci faccia lì, lui risponde che, come tutte le altre persone qui presenti, ha sentito il suo discorso alla radio parrocchiale.

Poi si rivolge ad Anna, riconoscendola come il Capitano.

“Adesso potete anche portarmi con voi,” dice soltanto, arrendevole, tenendo stretto il figlio.

La risposta di Anna però spiazza tutti, perfino me.

“Vada a messa,” sussurra con la voce intrisa di lacrime, “faremo dopo il nostro dovere. Si goda il Natale con suo figlio.”

Quando lei nota il mio sguardo sorpreso, annuisce appena per rassicurarmi della sua decisione, e io non posso che stringerla di nuovo a me posandole un delicato bacio sulla testa. Non potrei essere più orgoglioso di avere accanto una donna tanto meravigliosa.

 

Ci avviamo tutti verso la chiesa, quando accade una cosa davvero incredibile: dal cielo iniziano a cadere dei fiocchi di neve.

Ci fermiamo tutti, attoniti.

Io mi avvicino a Cecchini. “Maresciallo, ma come ha fatto?” Gli chiedo.

“Io non ho fatto niente...” mi risponde però lui con un tono incredulo.

“Ma è agosto, è...” biascico.

È una cosa impossibile, che nevichi di questi periodi. Eppure sta succedendo davvero, avverto chiaramente sulla pelle il brivido causato dai piccoli pezzetti di ghiaccio che continuano a venire giù come fosse dicembre.

“Ha visto, Maresciallo?” Esclama all'improvviso Don Matteo. “I miracoli esistono!”

Anna mi si avvicina in quell'istante con un sorriso incantevole sul volto, e io mi faccio guidare dall'istinto, ora che so di poterlo fare senza paura.

Torno ad abbracciarla posando nuovamente le labbra sulle sue. La bacio con trasporto mentre la sua mano sale ad accarezzarmi il volto, la neve che continua a cadere su di noi, troppo innamorati per curarci del resto.

 

Non mi importa della gente intorno, né di cosa potrebbero pensare tutte queste persone a vederci scambiare effusioni in mezzo alla piazza, conoscendo il nostro ruolo qui a Spoleto.

Per me in questo momento esistiamo solo noi due. Ho desiderato tutto questo per troppo tempo per rinunciarvi adesso.

Quando ci separiamo, negli occhi di Anna leggo tutto quello che finora avevamo dovuto tenere nascosto entrambi, ma che adesso non ha più senso celare.

“Ti amo,” mi sussurra a fior di labbra, e giurerei di aver sentito il mio cuore esplodere.

Le rubo un ultimo bacio prima di prenderla per mano e avviarci insieme verso la chiesa, per vivere questo Natale d'agosto fino in fondo. Con lei al mio fianco.

 
 

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Capitolo 23
*** Il bambino di Natale - bonus ***


 
 

IL BAMBINO DI NATALE - bonus

 

Una volta finita la messa, lasciamo che siano gli altri agenti in servizio ad occuparsi di riportare Farina in carcere, avvisando però l'ospedale che domattina verrà condotto lì per i test di verifica per la donazione di midollo.

Tocca a Cecchini riportare Cosimo in ospedale, non prima però che il bambino abbia strappato a tutti la promessa che lo andremo a trovare.

 

Don Matteo si avvicina a me e Anna subito dopo, mentre la gente inizia a tornare a casa.

“Grazie per quello che avete fatto per Cosimo, lo avete reso felice... E grazie soprattutto a te, Capitano, per averlo lasciato venire a messa con suo padre...” Ci dice, rivolgendosi ad Anna nell'ultima parte.

Lei accenna un piccolo sorriso. “Ho solo fatto quel che era giusto.”

“Non tutti lo avrebbero fatto. Tu invece ha scelto di seguire quello che il cuore ti ha suggerito di fare. E ti assicuro che non è un gesto che passa inosservato.” Sorride all'espressione timida di Anna prima di continuare, “E sono felice di vedere che alla fine tu abbia trovato la tua strada,” afferma poi, guardando me.

“Sì... L'ho trovata, e stavolta sono sicura che sia quella giusta,” replica lei con dolcezza, rivolgendomi un'occhiata in cui leggo tutte le emozioni che abbiamo provato questa sera.

“Adesso devo salutarvi... arrivederci, Capitano, Dottore...”

Noi ricambiamo il suo saluto, poi mi rivolgo ad Anna, curioso. “Cosa intendeva dire Don Matteo?”

Anna esita un attimo prima di rispondere. “Beh... quando ci hanno rapiti, mentre eravamo chiusi in quel furgone, abbiamo parlato un po'.”

“Ah, quindi avete finalmente fatto amicizia?” La stuzzico.

Lei abbassa lo sguardo, leggermente in imbarazzo. “Diciamo che abbiamo fatto progressi... e tra le altre cose, mi ha chiesto se fossi felice che Giovanni fosse tornato. Gli ho detto che non ne ero sicura. E ho capito che lui lo sapeva fin dall'inizio che Giovanni non avrebbe continuato il seminario, ma che aveva bisogno rendersene conto da solo. E poi mi ha detto che sperava che anch'io trovassi la mia strada. Non so come fa, ma aveva capito già tutto su noi due.” Sussurra, le guance rosse. “Anzi no, forse lo so. Lui e il Maresciallo stanno praticamente sempre insieme, lui ci avrà di certo messo la sua parte.”

“Ci puoi scommettere, su questo. A proposito di Cecchini... origlia alla tua porta.” Butto lì.

“Sì, lo so, lo ha fatto diverse volte... in ogni caso non potevi aver saputo della proposta in nessun altro modo,” ridacchia lei. “Solo che il 'sì' che ha sentito lui era riferito a tutt'altro, si dev'essere perso un pezzo.”

“Posso sapere a cosa?” Mormoro, pentendomene un attimo dopo. “No, scusa, non sono affari mi-”

“Se mi ricordassi quando avevamo scattato una foto che mi aveva portato,” mi blocca immediatamente Anna, “e io ho risposto di 'sì' perché ero convinta di averla persa, quella foto lì. Il mio primo lancio col paracadute. Peccato che non era la risposta che si aspettava Giovanni, perché quello stesso giorno ci eravamo messi insieme. Giusto per farti capire le diverse priorità. E non devi aver paura di chiedermi qualcosa, non più.” Mi rassicura, prendendomi per mano: un semplice gesto che ha il potere di calmarmi ancora una volta. Lei abbassa lo sguardo sulle nostre mani intrecciate prima di continuare. “E sinceramente sono contenta che il maresciallo quella sera si sia messo a origliare: al di là di com'è andata quella volta, se non l'avesse fatto non avrei avuto la dichiarazione d'amore più bella che potessi mai immaginare di sentirmi dire.”

Io mi sento arrossire, ma reggo il suo sguardo luminoso e le accarezzo una guancia con il dorso delle dita. “Mi dispiace di essere andato via. Ho avuto paura, ma una paura insensata, perché in fondo tu mi hai già cambiato. Sono un uomo migliore grazie a te.”

 

Anna's pov

 

Queste sue parole bastano a commuovermi. Eccola, la differenza principale con Giovanni: lui ha iniziato la sua proposta di matrimonio dicendomi che per me aveva superato una enorme paura, per poi però elencare miei difetti e tutto quello che secondo lui non va in me. E aveva aggiunto che con me si sentiva un uomo migliore. Marco, invece, ha detto di esserlo senza esitazione. E ha scelto di superare le sue paure con me. Perché un viaggio del genere lo si può fare solo insieme e sostenendosi a vicenda, non basta essere fianco a fianco.

“Ehi, cosa c'è? Ho detto qualcosa di sbagliato?” Mi sussurra Marco, stringendomi delicatamente a sé. Mai, mai avrei immaginato di sentirmi così a casa tra le sue braccia.

Scuoto la testa contro il suo petto. “No... sai, credo che se potessi scegliere rivivrei ogni momento che abbiamo passato per arrivare fin qui, compresi quelli non proprio piacevoli... perché so che tra noi adesso non c'è più nessun ostacolo a separarci.”

Il bacio che segue è forse il più dolce che ci siamo scambiati finora. Siamo soli, in mezzo alla piazza ormai deserta; sembra tutto così surreale e incredibile, eppure so che non sto sognando.

Se così fosse, non potrei avvertire con tanta chiarezza il mio cuore tamburellare impazzito contro il petto, né il suo braccio a cingermi i fianchi, il calore della sua mano a contatto con il mio viso.

Non potrei sentire le sue labbra muoversi delicatamente sulle mie, né quel suo 'ti amo' sussurrato mentre ci separiamo un momento per riprendere fiato, prima che torni a baciarmi con la stessa dolcezza.

Non so per quanto tempo restiamo qui. L'unica cosa che so per certo è che non voglio che questa favola finisca, non voglio che scocchi la mezzanotte e l'incanto abbia fine.

Per la prima volta, non ho paura di quello che provo, non ho paura di lasciarmi andare e vivere quello che desidero, senza timori o esitazioni.

Stringo più forte le sue mani. “Non andare via, stanotte...”

Marco spalanca gli occhi, la sorpresa evidente sul suo volto. So che tutto si sarebbe aspettato meno che questo. Anch'io fino a un attimo fa, ma non ho dubbi di volerlo con tutta me stessa. “Sei... sei sicura?”

“Sì.”

Lui scruta i miei occhi per qualche istante alla ricerca di un'ulteriore conferma, che trova immediatamente. Suggella quest'altro tacito accordo con un bacio a fior di labbra, poi ci avviamo lentamente verso casa mia.

 

Marco's pov

 

Quando Anna apre la porta di casa, l'aria è carica di tensione.

Non una tensione negativa, piuttosto un'attesa di qualcosa che sai già che non vedi l'ora che accada. Abbiamo ancora addosso questi improbabili abiti natalizi, che aggiungono una specie di magia al momento.

Ammetto di essere sorpreso di questa sua scelta.

Non che non lo voglia anch'io, anzi... mentirei se dicessi di non desiderarla da mesi, ormai.

Ma mai avrei pensato che succedesse... così. Nel modo più inatteso e meraviglioso possibile.

Le sfilo delicatamente il cappello.

“Ti ricordi quella volta, quando ti ho detto che non volevo portarti a letto?” Sussurro con un mezzo sorriso.

Lei annuisce, un po' incerta su cosa io voglia dire.

“Beh, non mentivo, perché non erano quelle le parole giuste. Adesso lo so, quali sono.” Asserisco, accarezzandole piano i capelli, mentre lei trattiene il respiro.

“Voglio fare l'amore con te.”

 

***

 

Quando mi sveglio la mattina dopo per via della luce del sole che filtra dalla finestra, per un istante non capisco dove sono. Un leggero peso che sento addosso mi fa abbassare lo sguardo: Anna è accoccolata sul mio petto, solo adesso mi rendo conto che ho un braccio mezzo addormentato perché devo averlo tenuto intorno alle sue spalle tutta la notte.

 

Ogni ricordo mi torna alla mente.

Le carezze, i baci, i sospiri... il desiderio di appartenerci. Nessun segno di imbarazzo, tra noi: in fondo, ci eravamo già spogliati delle nostre paure, era quella la parte più difficile. Toglierci i vestiti è stato facile. Amarci è stato meraviglioso. Ogni piccolo gesto era intriso di dolcezza, ogni carezza sulla sua pelle, le sue mani appena tremanti a insinuarsi tra i miei capelli, il mio nome appena un sussurro sulle sue labbra, la sua bocca che ho baciato non so più quante volte in questa notte d'amore.

Vedo i suoi occhi schiudersi lentamente, all'inizio confusi come dovevano esserlo i miei poco fa, ma poi vedo un piccolo sorriso farsi strada sul suo volto, e finalmente quello sguardo che stanotte è stato colmo di passione adesso torna ad incrociare il mio, e vi ci leggo dentro la mia stessa consapevolezza che sia tutto reale.

“Buongiorno,” mormoro, senza riuscire a resistere alla tentazione di un bacio.

“A te,” risponde Anna, coprendosi poi con il lenzuolo leggero.

Passiamo qualche minuto a scambiarci qualche altra coccola, prima che un altro bisogno si faccia sentire... la fame.

Mi propongo per preparare la colazione, tanto ormai casa sua la conosco come se fosse mia. Mi rivesto in fretta (meno male che avevo messo jeans e t-shirt sotto il costume da Babbo Natale) e poi mi metto a lavoro.

Lei mi raggiunge praticamente subito, in canotta e pantaloncini che ormai ho imparato ad associare al suo look casalingo. Non riesco a impedirmi di sorridere.

“Cosa c'è?” Mi chiede, curiosa.

“Niente, è che... mi sembra una cosa talmente normale, essere qui con te stamattina... come se fosse così tutti i giorni.”

“Sono felice di sapere che non sono l'unica a sentirla come qualcosa di familiare, allora.”

“L'ho pensato anche quella volta che vi ho ospitati a casa mia per il fatto dei tarli... quando ti ho vista scendere in divisa coi capelli sciolti. Anche se non mi sembravi tanto contenta di stare lì.”

Vedo che arrossisce appena. “Non lo ero in effetti, ma non per il motivo che pensi tu... Ogni volta che ero stata a casa tua, eravamo da soli... non mi dispiaceva stare con te, ma... Il maresciallo, e Chiara che si era messa in testa di conoscerti meglio... non era la situazione ideale, insomma.”

Quindi io ero convinto che fosse seccata di dover condividere casa con me, e invece... “Eri gelosa?”

“Eh, tu che dici? Stava succedendo come tutte le altre volte, solo che in questo caso era decisamente peggio: mi ero innamorata di te ma avevo paura a dirtelo, dopo quel bacio, quella volta... E poi è arrivata mia sorella che, come era già successo fin da quando eravamo ragazzine, con un sorriso è riuscita a fare quello che io non ero riuscita a fare in mesi, proprio per la paura di sbagliare di nuovo. Avete cominciato a frequentarvi, e io ho sperato fino all'ultimo che non succedesse niente tra di voi... quella sera, poi, è successo quel casino, e avevo deciso di lasciar perdere. A proposito, è stata un'idea di Cecchini, quella della 'cena di lavoro'.”

Io mi sento stringere il cuore pensando a quanto male ci siamo fatti a vicenda per un'incomprensione. Poi rifletto sull'ultima frase.

“Aspetta... significa che lui lo sa? Cioè, lo sapeva da prima, che tu...?”

“Sì...” Ammette Anna. “Ho dovuto dirglielo, alla fine. Ha cercato di aiutarmi, ma il destino remava decisamente contro.”

“Se è per questo, ha sgamato anche me,” ridacchio, “pensavo di averlo nascosto abbastanza bene, e invece a quanto pare no. Per questo continuava a fare battute e provocarmi da mesi... aveva capito i sentimenti di tutti e due, e voleva farci dare una mossa...” rifletto. “Comunque ti assicuro che il suo piano avrebbe funzionato, quella sera. Anche se ho combinato un disastro dopo l'altro con te, e non me ne pentirò mai abbastanza. Ma sappi che ho considerato le mie preghiere esaudite quando mi hai detto che lui non sarebbe venuto. Eri così bella che non c'ho capito più niente per un po'.”

Stavolta il viso di Anna diventa di un bel rosso acceso. “Lo so, me n'ero accorta... ma ti assicuro che io ero più in imbarazzo, per quella situazione non proprio da me. Cioè, per niente da me. L'ho fatto solo perché una minima speranza per noi ce l'avevo, e in fondo non mi ero sbagliata.”

La mia mano sale ad accarezzarle i capelli. “Non sai quanto me ne sono pentito, quando sono tornato a casa... mi sono lasciato prendere dalla rabbia, e dalla paura... anche se tu non c'entravi niente, perché non ti avevo spiegato cosa fosse successo. E poi mi sono trovato in quella situazione senza proprio rendermene conto all'inizio, ma che ho accettato perché comoda. Mi ero affezionato a tua sorella, ma il mio cuore continuava a ricordarmi che non eri tu. Non c'è mai stata partita in questo senso. Solo che non ero disposto ad ammetterlo all'inizio. Non fino alla sera del drive-in. Lì... beh, lì più che mai ho capito che non c'era storia... ho maledetto il cellulare non sai quante volte. Quello, e la mia mancanza di coraggio perché avrei dovuto spiegarti tante cose e non ero ancora pronto a farlo. Ah, e comunque alla festa di laurea tanti hanno pensato che noi due stessimo insieme.”

Nel frattempo, ci siamo seduti e abbiamo cominciato a mangiucchiare. Ma questo sfogo ci vuole, ci sono ancora tante cose da chiarire.

“Sì, so pure questo,” ride lei, portandosi una mano davanti alla bocca.

“Quindi l'hai sentito?”

“Non è che parlassero a voce bassa... ma non ho osato dire niente perché nemmeno tu le avevi contraddette, e il 'malinteso' non mi dispiaceva. Comunque Chiara non ti ha presentato esattamente per questo motivo... aveva intuito già che ci fosse qualcosa tra noi... ci ha lasciato fare. E poi qualcuno dei suoi colleghi mi aveva... ehm... rivolto qualche attenzione non gradita, e volevo mettere in chiaro che preferivo stare lì con te. Non potevo baciarti per ovvi motivi, ma potevo scegliere con chi passare la serata.”

“Ti ho invitata a ballare per questo,” ammetto con un ghigno soddisfatto, “li avevo notati anche io, e non ho apprezzato tanto quegli sguardi. Mi ha sorpreso quando hai accettato, e ammetto di essermene approfittato un po'. Un po' tanto, in effetti. Pensavo fossi arrabbiata per questo, poi, a lavoro, perché magari avevi pensato che stessi facendo il doppio gioco con te. E ho odiato il tempismo di Giovanni di tornare a Spoleto. Mi aveva mandato in tilt. Immaginavo fosse tornato per te, e il solo pensiero che tu passassi del tempo con lui mi faceva innervosire, anche se non avevo diritto di impedirtelo. Sì, avevo capito che anche tu provavi qualcosa per me, però non sapevo che effetto ti aveva fatto il suo ritorno, e il tuo comportamento era strano. Solo dopo ho capito che il tuo nervosismo di quei giorni era legato a tutt'altro.”

Anna inspira a fondo prima di rispondermi. “Un po' l'ho pensato, che volessi prendermi in giro, in realtà. Cioè, ci eravamo praticamente detti di amarci quella sera al drive-in, anche se in altri termini, però tu continuavi a stare con Chiara e non sopportavo di non capire cosa volessi tu. Però mia sorella era felice con te, e avevo deciso di mettermi da parte e basta. Al di là di tutto. Me la sarei fatta passare in qualche modo. Manco a farlo apposta è tornato Giovanni, ma ti assicuro che non ho mai avuto intenzione di tornare con lui. Non l'ho mai incoraggiato davvero. Gli voglio bene, ma niente di più. Non avrei mai potuto accettare la sua proposta, piuttosto sarei rimasta da sola. Per questo non capisco come hai fatto a credere che gli avessi detto di sì. Ti avevo scritto che ti amavo! Quando pensavo di stare per morire, ero a un passo dall'essere schiacciata da una pressa...”

“Lo so, sono stato un idiota pure quella sera. Non so nemmeno perché ti ho detto quelle cose. Ho capito che finché pensavi che il messaggio non mi fosse arrivato avevi voluto minimizzare il contenuto, ma so che dopo ti saresti aspettata una reazione diversa. E anch'io, onestamente. Non so da dove mi è uscito, di dirti che non voleva dire niente... Considerando come mi sono sentito quando ti hanno rapita... ho creduto di impazzire. Non sapevo dov'eri, se stavi bene... non sapevamo dove cercarti, non sapevamo niente di quell'indagine che avevi svolto per conto tuo... quando ho incontrato Lisi, avrei solo voluto prenderlo a pugni. Fargli male, fargli provare un minimo di quello che lui aveva causato a te... Quando si ostinava a dirci che non sapeva nulla di dove fossi, io non volevo credergli perché non avevo nessun altro appiglio per arrivare a te. Aveva detto la verità, ma ci ha condotti a te comunque. E vederti scendere sana e salva da quella macchina... è stato come tornare a respirare dopo una lunga apnea. Avrei tanto voluto almeno abbracciarti, quando sei tornata...”

Anna mi accarezza il dorso della mano con il pollice. “Lo so, anch'io l'avrei voluto... ma mi sono trattenuta perché non mi sarebbe bastato. Non dopo che il mio ultimo pensiero eri stato tu.”

“Perché hai baciato Giovanni, allora?” Chiedo mio malgrado, senza riuscire a impedirmelo.

“Per abitudine, credo... e perché avevo bisogno di conforto. Non potevo cercarlo a te, e lui si è trovato nel posto giusto al momento giusto, in un certo senso. Mi sono pentita di aver ricambiato praticamente subito. E lì sei stato tu, quello geloso. Non sei stato molto sottile, quando siamo andati a vedere la partita.” Fa un sorriso sornione che mi fa arrossire non poco.

“Ehi, che pretendevi? Ti avevo visto baciarlo, hai detto che saresti venuta con lui a vedere la partita, e lui ti aveva mandato un mazzo di rose rosse... che dovevo pensare? Non mi andava giù, che ci fosse pure lui, lì con noi, e mi dovevo pure sorbire l'ammissione che fosse tornato con la chiara intenzione di riconquistarti... anche se tecnicamente non potevo oppormi.”

“E io che dovrei dire? Tutte le volte che ti vedevo con mia sorella... quando hai cenato con lei qui a casa mia, e ho pure cucinato io per voi, vedi tu...”

“No, aspetta un secondo, in che senso?” Le chiedo. Se questo è vero, significa che Chiara mi ha mentito. Però da un altro punto di vista, conferma quello che ho sempre pensato sul loro rapporto.

Lei abbassa lo sguardo, un po' colpevole. “Nel senso che mia sorella non è poi così brava a cucinare, anzi sta messa peggio di me all'inizio... mi ha chiesto una mano, e mi è sembrato brutto dirle di no... Il premio per la persona più autolesionista va a me, come vedi...” Fa una mezza risata, ma io riesco solo a pensare che se solo ci fossimo decisi prima, se io quella sera non avessi avuto paura, ci saremmo evitati molto più male.

“Marco,” mi richiama all'attenzione Anna, e mi perdo in quel suo sguardo dolce. “Non devi colpevolizzarti, perché lo so che è questo che stai facendo, te lo si legge in faccia. Forse semplicemente dovevamo vivere tutte queste cose per poter stare insieme senza che ci fossero più barriere di alcun tipo tra di noi. Non eravamo pronti, né quando ci siamo baciati la prima volta... e nemmeno a casa tua, la sera del pouf. C'era ancora troppo da chiarire, da spiegare, da parte di tutti e due. Adesso però è arrivato il momento per noi, per amarci... amarci davvero.”

A queste sue parole non resisto, e torno a baciarla come se ne andasse della mia vita. Sento che sorride contro le mie labbra per il mio gesto improvviso, e approfitto della sua distrazione momentanea per prenderla in braccio e condurla al divano, la colazione lasciata a metà.

Lei non protesta, anzi, porta una mano tra i miei capelli avvolgendo le gambe intorno al mio bacino, facendo aderire i nostri corpi alla ricerca di un maggior contatto.

Ho appena infilato la mano sotto la sua canotta ottenendo un mugolio di consenso quando un rumore improvviso ci fa separare di scatto, facendomi quasi cadere a terra.

 

Il campanello.

 

Ci scambiamo uno sguardo a metà tra il perplesso e il terrorizzato. Chi può essere, a quest'ora del mattino? Sono da poco passate le otto, e Anna stamattina non è di turno.

Io mi metto a sedere, cercando di ricompormi mentre lei va ad aprire.

“Buongiorno, Capitano,” sento salutare la voce di Cecchini. Perfetto, me lo dovevo aspettare, che ci beccava. “Le volevo dire, visto che oggi è domenica, se a pranzo vuole ven-Dottore, buongiorno...!” Fa all'improvviso quando mi nota, sorpreso. “Non l'avevo vista...”

“Salve... non si preoccupi,” cerco di minimizzare in tono neutro, ma dalla sua faccia capisco che ha già fatto due più due. Lancio uno sguardo ad Anna, che ricambia arrossendo furiosamente.

“Se Lei è qua... immagino che abbiate fatto pace, a questo punto... a meno che non ho visto proprio male ieri sera, ma penso che non mi posso essere sbagliato due volte... anzi, penso che proprio la seconda volta quel bacio l'hanno visto tutti, in effetti...” ci stuzzica con fare divertito, è chiaro che se la sta godendo.

Ma sì, lui merita di saperlo per primo, quantomeno ufficialmente.

Mi avvicino ad Anna, cingendole la vita con un braccio. “Non s'è sbagliato, no...” Gli dico, prima di dare un bacio a fior di labbra alla mia fidanzata, che abbassa lo sguardo timidamente.

“Sono contento per voi, ci voleva questa bella notizia,” ci dice il Maresciallo in tono affettuoso, “saranno contenti pure gli altri in caserma, sono sicuro.”

“Come, in caserma?” fa Anna in tono allarmato.

“Capitano, l'avevano capito tutti ormai, che non eravate 'solo amici' come dicevate di essere... facevano tutti il tifo per voi.” Spiega Cecchini con un sorriso. “Naturalmente l'invito a pranzo vale pure per Lei, Dottore... ero passato per questo, me lo stavo dimenticando.”

Noi ci scambiamo uno sguardo per poi accettare la sua offerta, grati del suo appoggio.

Cecchini ci saluta, dandoci appuntamento a più tardi.

Una volta soli, non resisto e torno a baciare Anna. La mia Anna.

Quando ci separiamo, noto il suo sguardo divertito.

“Devo recuperare il tempo perduto...” mi giustifico, intrecciando le nostre mani.

“Sono d'accordo... mi sa che ci dobbiamo dare da fare, allora... Abbiamo un bel po' da recuperare,” risponde lei in tono giocoso, una scintilla maliziosa nel suo sguardo che sto imparando ad adorare ogni istante di più.

“Conviene cominciare da subito...”

 

Anna chiude gli occhi, stringendomi a sé per un bacio che mi lascia letteralmente senza fiato.

Cos'è che mi ha fatto innamorare di lei? L'onestà, la fiducia, e il fatto che lei, quando ama, ama fino in fondo.

E poi... perché lei bacia benissimo.

 

 

 

FINE

 

 

 

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