L'ultima notte al mondo.

di aladoni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Scivoli di nuovo ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - L'amore è una cosa semplice ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - L'ultima notte al mondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Scivoli di nuovo ***


 
CAPITOLO I – Scivoli di nuovo
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Prossima fermata: Verona, Porta Nuova.
Next station: Verona, Porta Nuova.
 
Si chiudono le borse, si aprono gli occhi, si spegne la musica. Emma, Chiara, Filippo, Damiano, Giulio e Fabiano si preparano a scendere.
“Rega, mi son fatto una dormita spettacolare!” sbiascica Fabiano, stiracchiandosi con poca finezza. Chiara e Emma si scambiano uno sguardo divertito.
Chiara, lasciando un veloce bacio sulle labbra di Damiano, sorride a quest’ultimo e si alza per prendere la sua valigia - che, per una semplice weekend a Verona, tanto piccola non è - e si allaccia la giacchetta di pelle nera, spostandosi i capelli biondi fuori dal colletto.
Giulio e Filippo continuano ad ascoltare Tiziano Ferro, come un mantra, preparandosi al concerto della sera dopo. Due spilungoni - uno moro e l’altro biondo - che cercano disperatamente di stare comodi su quelle poltrone del vagone della classe economica.
“Se penso che domani andiamo a Gardaland, posso sentirmi male!” esclama entusiasta Damiano, alzandosi in piedi. Il suo metro e novantacinque si fa notare, in un fascio di muscoli e di boxer verde oliva. Chiara sbuffa: lo stile del suo ragazzo è decisamente discutibile, non c’è niente da fare. Non si sa vestire.
Emma ridacchia mentre afferra la borsa, arrampicandosi alla bell’e meglio sul bracciolo della poltrona, sorridendo a Giulio.
Quale bizzarro incastro di persone, che è questo. Pensa.
Ex compagni di classe, ritrovati per uno strano scherzo del destino tre anni dopo, probabilmente.
Giulio, Filippo e Damiano sono amici dal liceo, hanno fatto il viaggio di maturità insieme, lasciandosi tutto e tutti alle spalle. Chiara e Damiano, sebbene diversissimi ideologicamente e nel carattere, stanno insieme da quasi cinque anni, partendo da una scommessa fatta un Capodanno di troppo tempo fa. Nessuno gli avrebbe dato una lira, a quei due, e invece eccoli lì, a incastrare tutti loro in un viaggio alquanto alternativo. Fabiano invece è l’ultimo ad essersi unito in quella classe, un po’ strana, piena di stronzi, piena di falsi, ma anche di buoni amici. Veniva da Cuba, dove i genitori hanno lavorato per anni, e si è inserito in un gruppo già formato, creando scompigli ulteriori. Un percorso liceale molto faticoso, non c’è che dire.
Chiara e Emma sono amiche dal terzo anno di liceo, dopo un breve ma intenso alternarsi di odio-amore per colpa di Damiano. Emma aveva avuto una cotta per lui, ogni tanto ci ripensa ancora, ma con un sorriso sulle labbra. Quell’orso dai modi burberi ora non può essere nient’altro che un suo carissimo amico. Sebbene non sia una capacità tipica del carattere di lui, dimostrarlo. Ma lei lo sa. Ma quella stupida cotta le brucia ancora…
Se poi mi metto a pensare al perché io mi sia voluta immischiare in questo problema, finisce male, si dice mentalmente lei, mentre si avvia verso il portellone del vagone 12. 
I ragazzi la seguono a ruota.
Scendono tutti. L’afa di agosto li colpisce in pieno.
“E ora?” chiede Fabiano, mentre arrotola le cuffiette per riporle nella loro custodia di plastica. Maniacale, pensa Emma con orrore.
“E ora ci fumiamo una bella sigaretta e poi andiamo a casa.” dice Filippo, tirando fuori dalla tasca dello zaino un pacchetto di Philip Morris blu. Emma gli si accosta, “Me ne alzi una, Pippo?” chiede.
Lui la guarda insistentemente per qualche secondo, poi le lancia il pacchetto.
Giulio sbuffa, è circondato da fumatori. Guarda l’orologio a muro della stazione. 14.36
L’appuntamento con la proprietaria della casa è alle 15.00
“Vogliamo avviarci?” chiede Chiara. Tutti annuiscono.
Che il viaggio abbia inizio.
 
 
 
Aprile, 2018, qua e là.
Durante un’inusuale chiamata Skype a quattro, Giulio e Damiano da Berlino, Chiara da Roma e Emma da Madrid, i lunghi racconti e le ultime novità hanno portato a una lieve nostalgia per i ‘vecchi tempi’, alla spensieratezza degli anni del liceo, alle litigate e gli screzi, e poi infine al rivivere i ricordi più simpatici e piacevoli passati in compagnia.
“Andiamo a sentire Tiziano Ferro!” propone Chiara, cui sguardo non è fissato sulla webcam, ma da qualche altra parte nello schermo del computer. Tutti ridono leggeri, fantasticando.
Giulio, realistico come sempre: “Oh ma sì, che ci vuole a trovarci tutti nella stessa città, nello stesso giorno?” Dalla finestra della chat in cui compare Chiara si ode un sonoro sbuffo, eco del sogno infranto. Damiano sorride alla webcam: “Dai dicci, quando sarebbe?”
Il sorriso raggiante della sua ragazza, organizzatrice compulsiva di viaggi, è la ricompensa per essere stato al gioco. Anche Emma ci scherza su, fomentando quelle fantasticherie.
“È quest’estate! Quattro date, a fine luglio e prima metà di agosto. Roma, Milano, Torino e Verona.” inizia la bionda, di nuovo presa da una finestra del suo computer.
“Tu, Dam, dovresti essere a Roma verso fine luglio, corretto?” chiede. Damiano annuisce.
“Tu, Giulio, ci hai detto che quest’anno non farai lo stage per la banca di Berlino, e che ti è saltato il viaggio con la tua famiglia, no?” insiste, aspettando un altro assenso.
“E tu, Emma, hai deciso di lasciare l’appartamento a fine luglio, appena dopo le tue praticas.
Practicas.” ride l’amica interpellata, per poi annuire.
“E allora andiamo a Torino o a Verona! Le date sono 5 e 10 agosto. Io non ho ancora nulla da fare, voi?” esclama a una piccola camera Chiara, l’eco della sua voce in differita che rimbalza sulle reti di due nazioni differenti.
“In caso, Torino no. La conosco e non mi è piaciuta.” brontola Giulio.
“A Verona si mangia molto bene.” continua Emma.
“E da lì si va a Gardaland!” la butta lì Damiano, divertito.
 
 
 
Agosto 2018, Verona.

Verona sfila davanti ai loro occhi, bella ed eterna anche lei, come Roma, la loro città natale. Qualche foto, una capatina veloce al bar in una vietta un po’ angusta, poi di nuovo tutti in marcia.
Chiara e Emma chiacchierano tra loro più avanti.
Dietro, il quartetto di maschi se la ride indicando persone e parlando di stupidaggini. 
“Che te ne pare?”  chiede Chiara, aspirando un tiro da un’altra sigaretta.
Emma alza le spalle. “Verona è bellissima, me la ricordavo così!” dichiara sorridendo alla sua amica. Chiara sorride di rimando e si guarda un attimo intorno, per poi concentrarsi sulla figura che l’affianca. Emma le sorride, con quel suo nasino e le labbra sottili. Quei capelli castani che da poco ha imparato ad ammansire, con le punte rovinate da quella stupida scommessa che l’ha vista costretta a tingersele di viola alla maturità: non ha la pazienza di stare appresso ai suoi capelli, e a distanza di anni le sue punte sono tornate a chiederle il conto.
“E per quanto riguarda la compagnia, invece? Ci siamo allargati.” chiede, sospettosa.
Emma sorride “Non mi dispiace, lo sai.”
Oh, non saprei.
 
 
All’incrocio tra via Valerio Catullo e via Corte Farina si trova il portone con il numero civico 12 e, di fronte ad esso, una anziana figura dal rovinato vestito a fiori. Chiara ed Emma si avvicinano, riconoscendo - tramite la loro visita su Google Maps Streetview - il portone della loro casa per il fine settimana. La signora lì davanti, di conseguenza, deve essere Giada Bellagi, la proprietaria.
Le ragazze si fanno strada, superando quei quattro bradipi, affiancando la signora.
“Benvenute!”
“Buon pomeriggio!” risponde Emma, sorridente.
La signora si sporge un po’ per vedere i ragazzi girare l’angolo, poi torna a guardare le due giovani donne che sono di fronte a lei.
“Tutto bene il viaggio, mie care?” chiede, sorridendo cortese alle ragazze e intavolando con loro una rapida conversazione.
Chiara, immedesimatasi nella perfetta versione di mamma-accompagnatrice, estrae il suo portafoglio dalla borsa, cercando al suo interno la ricevuta di avvenuta prenotazione e la Carta d’Identità.
“Tutto in regola, siamo noi.” afferma, indicando tutti.
La proprietaria sorride e tira fuori il mazzo di chiavi. “Orbene dunque! Vi mostro la casetta. Ci sono state delle leggere modifiche all’appartamento, rispetto alle ultime foto caricate sul nostro sito: un’esigenza dei vecchi inquilini. Ma non temete,” tranquillizza, “ci sono sei posti letto e due bagni, che è fondamentale.” 
 
Un salotto luminoso, orientazione ad est, una cucina americana con un tavolo bianco e due comodi divani dalla fantasia un po’ dubbia, si presentano agli occhi dei giovani ragazzi.
Il corridoio stretto e lungo mostra cinque porte in legno bianche.
Non erano una matrimoniale e 2 camere con letti singoli? pensa Chiara, dando un’occhiata alle stanze. Assottiglia lo sguardo, tentando di far quadrare il tutto.
“Il cambiamento di cui parlava sono i due letti matrimoniali al posto del letto a castello e i due letti singoli, signora?” dice, con voce leggermente tirata.
Damiano e Filippo si scambiano uno sguardo strano, leggermente divertito.
Non pensano alla stessa cosa, però. Solo che ancora non lo sanno.
La signora si gira, il viso luminoso, l’espressione rilassata.
“Come vi avevo accennato, l’ultimo gruppo di persone che è arrivato qui - ed ha lasciato la casa esattamente ieri - erano tre dolci coppie. Ci hanno chiesto di cambiare la sistemazione dei letti. Sono stati qui due mesi, sapete? Non si poteva certo dire di no. Spero la questione non vi metta in difficoltà. In caso contrario, chiedo scusa. Ora chiamo immediatamente mio figlio Albertino per trovare una soluzione.” dice, con tono calmo e accondiscendente.
È questione di un battito di ciglia. Chiara si accinge a sorridere, dicendo che sì, grazie, sarebbe fantastico. Emma rilascia un brevissimo sospiro, non sapendo neanche bene perché. Giulio e Damiano si lanciano una brevissima occhiata, mentre Fabiano inizia ad elaborare una teoria tutta sua. Basta niente, a volte. Tutto ciò scompare, come un castello di carte al vento, senza brutalità.
Così, semplicemente.
“Non c’è alcun problema, signora. Possiamo tranquillamente dividerci in coppie con le camere, così come sono.” dice Filippo, sorridente, con la sua faccia da schiaffi, quella voce un po’ roca, quegli occhi azzurri che se la ridono.
Puff. Così se lo ricorderà Emma, il suono del castello di carte che viene spazzato via.
Puff, non c’è più. Tre grandi matrimoniali.
La signora si apre in un sorriso radioso: “Oh, ma sarebbe fantastico! Dovete sapere che mio figlio Albertino è molto indaffarato, deve stare appresso a quella bisbetica della moglie, ha altri due lavori… sarebbe stato un dramma chiamarlo per aggiustare questa situazione! E l’ultima cosa che vorrei è dargli fastidio, quasi a ferragosto.” conclude, con voce affranta, gelando Chiara e Emma.
Cosa si può dire a una donna così, adesso?
Filippo annuisce, fingendo di comprenderla. È un bravissimo attore, pensa Emma.
Terribilmente bravo. E lei l’ha sempre saputo.
“Nessun problema, davvero. Ci organizziamo tranquillamente tra di noi. La casa è stupenda, complimenti.” conclude, poggiandosi con nonchalance sulla mensola del corridoio.
Emma perde qualche secondo di troppo ad ammirarlo.
Chiara annuisce e si gira, dando le spalle alla signora, osservando i ragazzi.
“Ma sì! Emma ed io siamo in una matrimoniale, voi decidete liberamente.” dice, pensando logicamente. Filippo sorride e scuote la testa. Emma sbianca leggermente. Fabiano accompagna la signora Bellagi fuori dalla porta, firmando per tutti il foglio di check-in e garantendo di farsi sentire, in caso di necessità.
 
Alla fine del corridoio, le voci si mischiano, le frasi si interrompono, i pensieri rimangono inespressi.
“Ma no! Chia, ti pare che vi dividiamo? Te e Dam vi prendete una camera, e noi ci dividiamo le altre.” dichiara con una semplicità disarmante Filippo.
Giulio sorride, ha capito. “E come dovremmo dividerci. Io ed Emma?”  chiede, sorridendo alla diretta interessata. Emma sorride di rimando, pensando che no, non vorrebbe davvero dividere Chiara e Dam solo perché è l’unica ragazza spaiata.
“Alla fine ci siamo visti tutti nelle peggiori delle condizioni, tra i 100 giorni e i capodanni vari. Non sarà poi un dramma!” dichiara lei, sdrammatizzando. Con Giulio ci ha dormito un pomeriggio.
Con Fabiano no, in effetti, ma non sarebbe un problema.
Con Filippo sì, sempre lì, a quei maledetti 100 giorni. E forse non è il caso di ricordarlo a voce alta.
Giulio sorride e aspetta pazientemente.
“Apposta! Siamo come fratelli, no?” chiede Filippo, alzandosi in piedi e posizionandosi alle spalle di Emma.
“Decisamente…” borbotta lei, sorridendo a Chiara.
“Quindi una coppia vale l’altra, purché non roviniamo il fine settimana alla vera coppia della casa!” continua Filippo, passando un braccio intorno alle spalle di Emma. Lei annuisce, confusa.
“Allora Emma ed io dormiamo insieme. Nessun problema vero, chica?” lo interrompe Giulio.
“Nessun problema, sei come un fratello per me.” dice Emma sorridendogli e avviandosi a lasciare le sue cose nella seconda stanza. Gli altri seguono la sua iniziativa.
Filippo la guarda entrare in una stanza e sorride sbieco.
 
 
 
Aprile 2014. Anno della maturità.

“Di che parlate, belle signore?” chiede Filippo. L’aula della 5D è completamente coperta da un chiacchiericcio assordante, dovuto all’ora di buco imprevista. Emma e Manuela, la sua compagna di banco, stanno tranquillamente sedute ai loro posti, chiacchierando come tutti gli altri. Filippo, la camicia azzurra arrotolata sulle braccia, quella sua mano sempre lì a toccarsi i capelli - un terribile tic che ha qualcosa di affascinante - e quel suo sguardo divertito, si avvicina alle due ragazze con indifferenza, aspettando una risposta.
“Oh, stavamo parlando di te proprio!” lo prende in giro Emma, sorridendogli.
Manuela ride ed annuisce “Di quanto Emma sia innamorata di te” continua il gioco, facendo ridere la sua amica mora. Filippo posa lo sguardo prima su Emma, poi su Manuela.
Sorride leggermente.
“In questo caso, dovresti farti raccontare da Emma le cose che le farei, se solo fossimo anche per una sola, benedetta volta, da soli, lei ed io.” dice candidamente prima di voltar loro le spalle, lasciandole così, leggermente basite. Emma diventa completamente paonazza.
 
 
 
Agosto 2018, Verona.

Damiano si avvicina a Filippo, ridendo “Che intenzione avevi?” chiede.
Filippo sorride e si mette lo zaino in spalla “Assolutamente nulla. Pensavo solo che fosse un'opzione valida, tanto quanto la sua.” dice, tranquillo, indicando Giulio. Damiano borbotta un "sì, sicuro". Giulio scoppia a ridere e Filippo scuotendo la testa si rivolge al suo amico: “Comunque sia, a che gioco stai giocando, tu?”
Giulio alza le mani, afferra il suo zaino e si avvia a lasciare la sua roba nella camera da letto, per poi tornare verso il salotto.
Dalla camera matrimoniale in fondo, si sente Chiara urlare “Tra un’ora usciamo! Ho prenotato la visita guidata all’Arena!”
"Non correre", ammonisce Giulio, superando Filippo. Non correre.  





















**** 
Ciao car@ lettore/lettrice. Se sei arrivat@ fino a qui, lasciami dire due parole in più.
"L'ultima notte al mondo" è una breve storia senza pretese, nata come idea di one-shot almeno tre anni fa, e abbandonata nella cartella insieme ad altre idee, mai più toccate. Sono un po' arrugginita (e forse l'avrai notato dallo stile del capitolo, o forse no) perché sono anni che, al di là dei saggi universitari e poche piccole idee, non torno a scrivere con continuità. 
Stasera è tornata la voglia di farlo e di impegnarmi. Il capitolo è stato spezzato, l'idea ampliata, la tastiera sfiorata di nuovo.
La fantasia non è mai andata via, quella proprio no!
Spero di ritrovarti ( e ritrovarmi) già al prossimo capitolo! E, come sempre, avere dei feedback sarebbe bello! 
Buona notte, 
Chiara
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - L'amore è una cosa semplice ***


CAPITOLO II – L’amore è una cosa semplice.
 



 
Maggio 2014, anno della maturità.
 
“Cerca su internet la traduzione della versione, Fab.” dice Filippo, poggiandosi allo schienale della sedia del bar dove lui, Fabiano ed Emma si erano dati appuntamento per studiare. Emma è al bancone del bar, ordinando tre caffè e due tramezzini, la gonna a pieghe e quel golf color panna che la fanno sembrare tanto una bambina delle elementari.
Filippo la osserva per un secondo ancora, poi torna a guardare Fabiano.
“Questa troia della prof… Non ci poteva dare semplicemente tre autori? No! Tutti gli autori che abbiamo fatto e tutti i testi! Non finiremo mai di studiare!” dichiara, osservando l’amico di fronte a sé. Emma si avvicina a loro, posa il portafogli rosa sul tavolo e si siede accanto a Filippo, aprendo poi il libro di letteratura latina.
“Da dove vogliamo cominciare?”
“Dal caffè.”
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Ora che sarai un po' sola tra il lavoro e le lenzuola, presto dimmi tu come farai? Ora che tutto va a caso, ora che non sono più un peso, dimmi quali scuse inventerai?
 
La camera da letto è spaziosa, il letto matrimoniale sembra accogliente, una bellissima finestra che dà sulla stradina. Emma, seduta sul lato di sinistra, osserva Filippo, alto e snello, poggiato allo stipite della sua porta.
“Quindi, vogliamo dormire così?” chiede lui.
“Non ti piace la divisione delle stanze? Volevi forse dormire con il tuo amichetto Giulio?” domanda lei, togliendosi le scarpe. “E comunque”, continua in un tono velatamente aspro, “questa è la disposizione più corretta, voi vi siete aggiunti per ultimi.”  
Filippo sorride ad occhi chiusi, ma non risponde.
“Con il tuo permesso, andrei a farmi la doccia nel bagno libero.” gli comunica Emma, fronteggiandolo. Filippo si fa da parte, osservandola.
“Non posso farla prima io?” la butta lì, senza trovare altri spunti di conversazione.
Emma scoppia a ridere e scuote la testa “Scherzi?! Sei lentissimo, una vera prima donna. Io ci metto al massimo dieci minuti, poi la doccia è tutta tua.” dice e si incammina nel corridoio, l’asciugamano velocemente tirato fuori dalla valigia, insieme al beauty case. Filippo resta immobile, ascoltando la porta chiudersi e la serratura del bagno scattare.
 

Nell’arco di quaranta minuti erano stati tutti catapultati fuori casa, poi di corsa alla visita dell’Arena di Verona. Poco dopo a prendersi un aperitivo, in serenità, prima del concerto. Chiara, esaltata all’idea di essere riuscita a portare a termine il piano del viaggio e del concerto, faceva da apripista all’entrata dello stadio, seguita a ruota da tutti gli altri. Con somma gratitudine di Fabiano e Filippo, la ragazza non li aveva costretti a recarsi al concerto  se non con appena mezz’ora d’anticipo, quindi si trovavano lì, quasi alle 21, a cercare di ritagliarsi uno spazio tra le prime file, birre in mano e posizione compatta.
 
In apertura Lo stadio, con un “bellissimo!” – descrizione delle ragazze – Tiziano Ferro pieno di energie, padrone del palcoscenico e ipnotizzante.
Abbracciata a Damiano, Chiara canta a squarciagola le canzoni, serena come poche volte in quel turbolento anno, grata per l’amore che quel burbero ex compagno di scuola era stato in grado di offrirle, senza pretendere mai troppo indietro. Tizianone sembrava parlare e cantare di loro, rifletteva la biondina. Delle difficoltà iniziali, dei primi tempi della loro relazione: iniziata per gioco, causa di scontri con Emma e portata avanti quasi più per senso del dovere che per vero interesse, la sua storia con Damiano era presto diventata qualcosa di bellissimo, poi di difficilissimo. L’incongruenza caratteriale era stata la prima scintilla, poi l’inevitabile immaturità di tutte e due – Damiano più di lei, ovviamente – durante gli anni del liceo, infine la distanza per motivi di studio. Mentre gli accordi di Ti scatterò una foto fanno impazzire il pubblico, Chiara torna con la mente alle telefonate difficili dei primi tempi, alla rabbia di saperlo a Berlino con Giulio, due uomini soli in esplorazione di un mondo che non la vedeva inclusa, in un momento in cui la fragilità della loro relazione le sembrava insormontabile, così come la convinzione e l’ansia di vedersi sfuggire dalle mani tutto quanto. Poi ripensa a Giulio, sempre delicato, distaccato ma presente, disposto a intermediare per loro nei momenti di maggiore criticità. Ed Emma, compagna di gioie e dolori, quasi persa con quella stupida scommessa e una gelosia infantile – era sempre stata Emma ad avere avuto una cotta per Damiano, non lei – che avevo reso Chiara cieca davanti gli sforzi della migliore amica di farsi estinguere, quasi violentemente, quei sentimenti per il ragazzo dell’altra. E poi il riavvicinamento, inevitabile e allo stesso tempo sofferto, delle due migliore amiche, alla fine della maturità. Una confessione cuore a cuore, simboleggiando il ritorno di quell’alchimia che le aveva sempre caratterizzate.
In uno slancio di affetto Chiara abbraccia Emma, tirandosela appresso e allontanandola dalla sua postazione tra Giulio e Filippo.
“Ti voglio bene!” le urla, facendo piangere l’amica.
Questo concerto ci ha rese entrambe emotive, pensa Chiara, scoppiando a ridere mentre la moretta cerca un fazzoletto nella borsa.
“Ti voglio bene anche io.”
Con L’ultima notte al mondo le due amiche ondeggiano insieme, cantando a squarciagola e rovinando il video di Fabiano, saltellando davanti alla telecamera tra linguacce e sbracciate. Chiara nota che Filippo le osserva fissamente. Osserva Emma, si corregge mentalmente, prestando attenzione a quel punto alla direzione dello sguardo della migliore amica, orgogliosamente fisso sul palco, nonostante l’intensità di quello di Filippo. Deve bruciare, uno sguardo fisso così, riflette la ragazza. Ostinata, Emma si rifiuta di osservare il biondo compagno di scuola, neanche sulle note de Il regalo più grande, quando tutta la comitiva si stringe in un abbraccio un po’ goffo. Quando Giulio abbraccia Emma da dietro, molleggiando con lei e inquadrandola con la telecamera del proprio cellulare, Chiara sposta il proprio sguardo su Filippo, occupato a scolarsi tutta la sua birra. Sarà un lungo fine settimana.
 
Cantando Troppo buono, la mente torna al liceo, ambiente che inevitabilmente li fece unire e poi separare a causa di incomprensioni, parole non espresse, altre sparse senza l’accortezza necessaria. Ne era passato di tempo da allora, e loro avevano imparato a scherzarci su, seppellendo l’ascia di guerra e i rancori nel passato. Più o meno.  Alcune verità bruciavano più di altre, marcate come cicatrici sulla pelle di alcuni soggetti specifici, destinate a diventare segni sempre più sbiaditi, ma pur sempre indelebili. Osservando nuovamente Emma, occupata a farsi aprire la birra da Damiano, Chiara si chiede se per lei sarà possibile chiudere quella brutta parentesi, una volta per tutte. Andare avanti, prima di spezzarsi definitivamente, prima di ammettere di non farcela più e buttare la spugna. In cuor suo sperava di sì.
 
 
Maggio 2014, anno della maturità.
 
“Io non ce la faccio più!” geme Fabiano, buttando la testa sul libro, esausto. Emma sospira e si appoggia alla spalla di Filippo, sconfortata. Siamo un pessimo gruppo studio, pessimo! Filippo le circonda le spalle con un braccio, salendo poi con la mano sul suo collo, tra i suoi capelli, facendole una lieve pressione in una sottospecie di massaggio. Emma rilascia un sospiro, di certo non se lo aspettava.
Filippo resta immobile, la schiena ancora poggiata, le gambe mollemente divaricate, Emma sulla sua spalla, la sua mano tra i capelli di lei, impegnata in quel lento movimento circolare.
Dopo istanti che sembrano ore, Fabiano rialza la testa. “Ricominciamo?” chiede. Emma si scosta lentamente, annuendo. Si appoggia allo schienale, le gambe incrociate, gli occhi sul libro.
Il braccio di Filippo di nuovo lì, a un passo da lei, poggiato innocuamente sullo schienale di lei.
“Sì. Ricominciamo.” sospira lei, ricominciando a leggere.
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Scusa sai non vorrei mai disturbare,
ma vuoi dirmi come questo può finire?
 
C’è un’aria strana quella sera, nel tornare a casa in silenzio, dopo un concerto durato ore, i piedi e la schiena doloranti, tutti un po’ brilli. Chiara e Damiano salutano tutti velocemente, trascinandosi in camera da letto tra una risata e un bacio rubato da lui. Gli sguardi divertiti dei ragazzi fa pensare ad Emma che, tutto sommato, sembrava di essere tornati al liceo: gli ormoni a palla, gli sguardi complici. A proposito di sguardi, riflette Emma versandosi un po’ d’acqua in un bicchiere, Filippo aveva passato tutta la sera a guardarla. Peccato non riuscissero a dirle nulla quegli sguardi. La verità è che ancora adesso, riusciva a fargli mancare il respiro. Si maledice mentalmente da sola, dirigendosi rapidamente in camera e lanciando rabbiosamente la borsetta sul letto. Questa rimbalza e cade per terra, facendola sbuffare nuovamente. Giulio le aveva detto, prima di salire a casa, che sarebbe andato per primo in bagno, così da lasciarle il tempo di mettersi il pigiama. Ricordando di risparmiare a Giulio l’appellativo di bambinetto liceale, si chiude la porta alle proprie spalle.  
 
Filippo è da un po’ di tempo che pensa che il tempo per loro non è stato clemente, proprio mai. Mentre la osserva sgusciare via, sempre così di fretta quando c’è lui nei dintorni, riflette a come fare per sistemare quella situazione leggermente antipatica. Emma riusciva a mandarlo al manicomio, anche solo con uno sguardo. Come tutti quelli che mi ha negato questa sera, ragiona. Leggermente infastidito da sé stesso, augura la buonanotte a Giulio e segue Fabiano in camera, pronto a lasciarsi alle spalle anche quella giornata.
 
 
Classe III D 2012, Roma.
 
E nutro un dubbio: non sarà mai inutile, ascoltarne l’eco. Sarò quello che non ti aspettavi. L’amore è una cosa semplice, e adesso te lo dimostrerò. So farti ridere ma mai per caso, sono io.
 
 
Una mano l’afferra al volo, impedendole di chiudere il suo armadietto. Emma si gira, osservando Filippo che, sorridendo, la prende per ballare sulle note di una canzone tutta sua. La ragazza si lascia trasportare, ridacchiando da quell’assurdo slancio da parte dell’amico. Molleggiando come due scemi, Emma ripensa alla giornata difficile che avevano avuto, e dei tentativi disperati di salvare il mondo, come aveva detto lui, solo qualche minuto prima.
“Siamo stati bravi, eh?” chiede lui, facendole fare una piroetta. Emma ride e gli torna vicino, continuando a ondeggiare. “Tu sei stato bravo. E falso, come tuo solito.” ribatte, senza alcuna traccia di cattiveria. Che Filippo potesse essere dolce come la seta ma in realtà falso come i soldi del Monopoli, era una sfaccettatura che non tutti avevano avuto il privilegio di imparare a distinguere. Lei sì, tra i loro scambi e le ore passate insieme a preparare i discorsi per i consigli. Filippo accenna un impreciso casquè, risollevando subito la compagna di studi.
“L’ho fatto per una buona causa, lo sai. Non mi piace essere così.” dice, come a voler sminuire quel lato del suo carattere. Poi la osserva, rallentando il ritmo del loro balletto. “Comunque io alle persone mi affeziono. A te voglio bene”, ammette, facendola sorridere felice, perché anche lei gli voleva bene. 
Anche qui, penserà Emma più avanti nell’arco degli anni, ripercorrendo spasmodicamente tutti i loro momenti, sei stato un maestro nel fare casini.  
 
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
“Comunque la scenografia ideata da Tizianone era da dieci, non trovi?”
“Decisamente. Quei quadri rotanti, la scelta dei colori. Si è superato!”
“Concordo. Mi sono anche un po’ emozionata, devo ammetterlo.”
“Emma Molinari che non si commuove? Sarebbe stato strano l’opposto. A cosa ti faceva pensare, si può sapere?” chiede Giulio, guardando la sua compagna di letto sdraiata ad appena dieci centimetri di distanza. Emma si gira supina, mani intrecciate all’altezza del diaframma. “Non so, un po’ di cose. Un po’ di passato.” gli dice, enigmatica. L’ex compagno di classe annuisce, poco propenso ad indagare oltre. Giulio Gentili era tutto, meno che un impiccione. La riservatezza era una qualità che gli amici apprezzavano in lui, Emma compresa.
“Vuoi un po’ d’acqua?” chiede dopo qualche minuto la ragazza, scostando le lenzuola per alzarsi. Giulio risponde affermativamente e ringrazia, tornando a guardare qualcosa al cellulare. In maniera silenziosa, considerando che avevano fatto quasi le tre di notte, Emma sguscia fuori dalla stanza e si dirige verso la cucina. La figura di un ragazzo alto e snello, messa in controluce dal tenue giallo dei lampioni di Verona che entra per la finestra, lo rende pericolosamente misterioso. Filippo, sua croce e, giusto sporadicamente in tutti quegli anni, anche delizia. 
 
 
 
Classe III D, 2012, Roma.
 
Qualche ora prima Filippo ed Emma si trovavano nel bagno degli uomini, lei seduta su uno dei lavandini, lui affacciato alla finestra, a pensare al discorso da fare ai professori, quel pomeriggio. Filippo le offre una sigaretta, ma la ragazza declina, contraria a fumare nei bagni della scuola.
“Allora, come procediamo?” chiede lei, concentrata.
Una nuvola di fumo le avvolge il viso, facendola sbuffare.
“Da quale punto vuoi partire? Sulle proteste per l’insegnamento, seguiamo il tuo piano, e diciamo che l’abbiamo fatto perché ci sentiamo altamente impreparati per quello che succederà alla maturità. E che volevamo farlo notare.” risponde Filippo.
“D’accordo. Ma dobbiamo evitare di far sentire i professori degli incompetenti, Fil. Non lo sono.” ribatte lei, osservandolo. Il ragazzo sorride all’amica, raddolcito dal suo lato così umano. Neanche una settimana prima si erano rifiutati di fare un compito in classe, consegnando le verifiche in bianco e abbandonando l’aula dopo neanche dieci minuti, e lei ora si preoccupava di aver ferito i sentimenti del professore di Matematica. “Saremo buonissimi, piccola Molinari. Diremo a Jacopini che è bravissimo, ma che non lo capiamo. Un po’ come dire ‘ti lascio, ma è colpa mia, non tua’. Vedrai che andrà alla grande!” le dice, ridendo della faccia contrariata dell’amica.
“Così non va bene!” gli ringhia lei, offesa dalla mancanza di tatto dell’amico.
“Come no? Io sempre così faccio!” chiede Filippo, tra il serio e il faceto.
Emma sospira e scuote la testa, anche un po’ spazientita dal cambio di discorso.
“Questo perché sei una bestia, Filippo. Non si lasciano le fidan…”
“Non chiamarle così!” la interrompe subito lo studente, fingendosi scandalizzato.
Emma scende dal lavandino e gli si avvicina, scocciata.
“Non si lasciano le ragazze così!” ripete, rimarcando sul termine utilizzato.
Filippo annuisce, soddisfatto. “Ma nel mio caso è vero. Il problema sono io, non loro.” risponde, sicuro di sé.
“Fidati, ti credo.” freccia lei.
“Mi stai dicendo che sono insopportabile, per caso? Perché ti ricordo che, in questo bagno, quella insopportabile sei decisamente tu. Sempre con la mano alzata in classe; sempre carina con i professori; sempre così terribilmente brillante!” elenca Filippo, in maniera teatrale. Emma ridacchia e gli colpisce la spalla con un leggero pugno, per farlo smettere. “Quello che intendo dire, cretino, è che se tu smettessi di fare il bello e dannato della situazione, che non si affeziona mai alle ragazze e che deve far credere di provare gusto nel fare lo stronzo, forse le tue relazioni funzionerebbero.” dichiara, convinta. Era un’osservazione a cui era arrivata da qualche mese, da quando il loro ruolo di rappresentanti di classe li aveva portati a passare più tempo assieme.
Filippo storce la bocca, prende lo zaino e ripone sigarette e accendino nella tasca davanti. “Questo è esattamente l’errore che fanno tutte, Emma. Credere che io sia così per chissà quale trauma infantile, o mancanza di amore da parte di mia mamma. Come se avessi chissà quale stupido scudo eretto a proteggermi. Pensano tutte di potermi cambiare. Prima mi vengono dietro perché sono così, poi sperano che io cambi. Illuse.” afferma, sorridendo. Emma resta ad osservarlo mentre se ne va, quel veloce “Ti aspetto giù!” gridato dal corridoio, lasciato sospeso.
Illuse.
 
 
Agosto 2018, Verona.
 
Se si parla di confini, se si parla di limiti umani. La pazienza di amare, di urlare. E mi sono promesso che non ti cercherò, forse mai più. Stavolta sarai tu a guardarmi. Ho promesso a me stesso: “non penserò a te”, forse mai più.
 
 
“Ancora sveglia?” chiede Filippo, notando la presenza di Emma alle proprie spalle.
“Sono venuta a prendere un po’ d’acqua. E tu che ci fai in piedi? Fabiano russa troppo?” chiede lei, accostandosi al ripiano della cucina. Il biondo ridacchia e le si accosta, prendendo una tazza dalla mensola sopra la sua testa.
“Abbastanza. A dire la verità avevo un po’ di pensieri per la testa, in ogni caso.” le confessa, aspettando poi il proprio turno per riempire la tazza d’acqua. Emma annuisce, rigida. Fa per dargli la buonanotte, quando nota il gesto dell’ex compagno di mettere la tazza nel microonde.
“Ti stai facendo una camomilla?!” chiede, incapace di trattenere la propria curiosità. Lei non lo può sapere, ma Filippo di spalle ha sorriso, lieto di aver trovato una scusa per trattenerla qualche secondo in più.
“Una tisana, a dire il vero.”
“Tu sei tutto matto. Fanno trenta gradi!”
Lui si gira, poggiandosi al ripiano. Emma, pantaloncini, canottiera e due bicchieri d’acqua tra le mani, lo osserva a debita distanza.
“Ne vuoi una?” chiede, divertito. La ragazza lo guarda, corrucciando la fronte.
“Non mi hai sentito? Faranno trenta gradi, Filippo.”
“Che vuoi che ti dica, Ems. È un’abitudine che ho preso da qualche anno. Mi aiuta a rilassarmi, anche con il caldo. In più, una saputella come te dovrebbe saperlo: bere bevande calde quando la temperatura è così alta, aiuta il corpo ad acclimatarsi.” le dice, canzonandola.
“Questo è quello che fanno in Cina, o magari i Beduini, mica a Verona!” ribatte lei, poggiando i bicchieri sull’isoletta della cucina, tra di loro.
Con un po’ di sforzo in più, pensa Filippo, magari riesco a farla rimanere ancora qualche minuto qui, con me. Si gira velocemente, prende un’altra tazza e la riempie d’acqua.
“Forza, donna di mala fede, ora ti faccio provare.”
“E dimmi, ti porti le tisane da casa? In quello zainetto che avevi al liceo?”
“Ho notato che la gentile proprietaria di casa ci ha lasciato un’interessante varietà di tisane ed infusioni, e alcune di queste non le ho ancora mia provate. Vai, scegli tu quale vogliamo prendere.” la stuzzica, lanciandole la scatoletta con tutte infusioni sparse.
“Tu non stai bene…” sente borbottare, e sorride. Emma si siede sullo sgabello della cucina, intenta a leggere i cartellini di tutte quelle varietà.
“Zenzero e liquirizia, bleah!” dichiara. Filippo si avvicina, rimanendo pur sempre dall’altro lato dell’isola, e afferra qualche bustina.
“Ti dirò, oltre a fare benissimo all’organismo, l’accostamento di sapori non è per niente male. Pizzica un pochino, quello sì.”
Emma lo osserva, incredula.
“Chi sei tu e che ne hai fatto di Filippo Restilli, tutta virilità e cocktail Negroni Sbagliato?” chiede, sconvolta. Il ragazzo in risposta si gira a prendere le due tazze, torna ad osservare la varietà di infusioni, e decide per una scelta più soft: frutti rossi, camomilla e timo.
Le passa la tazza e si appoggia nuovamente al tavolo.
“Quando a Trento due bar su tre hanno un’offerta più ampia di tisane che di amari, ti abitui a tutto. E ti ripeto, dovresti fidarti di quello che ti dico: un toccasana.”
La smorfia della ragazza è eloquente. Fidarti di quello che ti dico, come no.
“Resto dell’idea che tua sia tutto matto,” inizia lei, soppesando le parole da usare, “ma credo che questa non sia neanche la tua più grande stranezza.”
“Grazie.”
“Non voleva essere un complimento.”
“Oh, lo so. Ma per lo meno stiamo parlando da quasi dieci minuti, quindi ti ringrazio.”
Ora la rigidità di Emma è evidente, Filippo se ne rende conto.
“Sei sempre così fastidiosamente diretto.”
“Grazie.”
“Ti assicuro che, con quel fastidiosamente, la mia intenzione era farti capire che non si trattasse di un complimento.”
“So anche questo. Eppure, sono fatto così, no? Lo sai.”
“L’ho sempre saputo.”
Era ora di smorzare la conversazione, o quell’espressione pensierosa della piccola Emma avrebbe potuto perforare il muro, ne era certo.
“Per ora mi ritengo soddisfatto. Prova la tisana e poi giuro che non ti importuno più.” Le dice, sorridendo cordiale. Emma scuote la testa e si avvicina la tazza alle labbra, soffiando piano. Dopo un primo sorso ne fa un altro, poi sorride appena.
“È buona.”
Il ragazzo annuisce e si mette a bere la sua di tisana, soddisfatto.
“Per il resto, come stai?” azzarda, vedendola così tranquilla a sorseggiare dalla tazza con una mucca disegnata sopra. Piccola Emma.
Come risvegliatasi dallo stato di trance, la ragazza sospira e si alza dallo sgabello.
“Stanca, a dire il vero. Me ne torno in camera. Grazie per la tisana, ‘notte.”
Filippo chiude gli occhi e annuisce, augurandole una buonanotte.
Quando il rumore della porta che si chiude preannuncia la sparizione di Emma, il ragazzo torna alla finestra, a bere la sua squisita tisana, cercando di trovare la pazienza per capirla. Un tempo erano stati in perfetta sintonia.
 
 
Classe III D, 2012, Roma.
 
Emma camminava nervosa, ripercorrendo i propri passi ancora e ancora, in attesa di essere chiamata nell’aula dove il consiglio dei professori si stava svolgendo, e con toni accesi, da quello che riusciva ad ascoltare dall’altro lato della porta. Bell’idea, quella di farsi eleggere rappresentante di istituto, pensa lei. Poco distante, poggiato comodamente contro lo stipite della porta, il suo collega, rappresentante insieme a lei, e sua personalissima spina nel fianco, giocava tranquillamente al cellulare.
“Potresti calmarti?” chiede Filippo, rivolgendole uno sguardo divertito. Emma sbuffa e gli avvicina, nervosa. “Non li senti come urlano? Non sono contenti, Fil!” sbraita lei, cercando di mantenere il tono della voce basso. Filippo sospira e mette via il cellulare, per dedicarsi completamente alla sua compagna di avventure. “Non abbiamo fatto niente.” Afferma, serafico.
“Ma che grande sciocchezza!” esclama ironica la ragazza, spintonandolo un po’.
“Abbiamo consegnato la simulazione della seconda prova in bianco e abbiamo scioperato con la professoressa di Lingue. Per non parlare dell’altro problema!” gli ricorda lei, sconfortata. Bellissima idea, si ripete. Voleva solo fare ‘del bene’, Emma, candidandosi alle elezioni. Le sarebbe piaciuto poter usare il suo buon rapporto con i professori per mitigare la situazione in classe. Mai si sarebbe aspettata di dover fare la rappresentate nell’anno in cui, tutti loro, avevano dato prova di sublime stupidità. Filippo le sorride e, con un occhiolino, le ripete: “Fidati di me. Non abbiamo fatto niente”. La risposta stizzita della compagna di classe viene interrotta dal professore di religione, un simpatico uomo di mezza età che esce dalla stanza dei colloqui. Li osserva, così vicini, e sorride divertito.
“Ah ragazzi, c’è un’atmosfera strana qui dentro...” afferma, facendo sospirare la studentessa. Filippo, sereno, le passa una mano intorno al fianco, come per darle sostegno. Il professore sorride.
“Ve lo avevo già detto qualche mese fa, ma una combinazione migliore per rappresentare la classe non poteva uscire. Siete proprio una bella coppia!” esclama. Emma e Filippo sorridono, divertiti in parte da questa storia. Era un mantra che si erano sentiti ripetere spesso, dal verdetto delle elezioni. Tutti i professori si erano trovati piacevolmente sorpresi nel vedere il duo incaricato a rappresentare la classe intera. Conoscendoli da qualche anno ormai, concordavano nel trovare la coppia Emma Molinari e Filippo Restilli un duo abbastanza esplosivo, eppure funzionale. “Tu così pacata e sincera, Emma. E tu impulsivo e buon oratore, Filippo. Vi compensate” aveva detto loro la professoressa di Filosofia, quando erano andati a consegnare il foglio con le loro firme. Il professore di Italiano e Latino, entrato in quell’istante nell’aula docenti, aveva concordato, aggiungendo quanto “le loro personalità si equilibrassero”, affermando qualcosa sul potenziale di un loro avvicinamento, per lo meno nel campo professionale. 
“Quanto è grave, Prof?” chiede Emma, riportando l’attenzione sulla dinamica del consiglio dei professori.
“State per scoprirlo. Sono uscito a chiamarvi.” Afferma lui, aprendo nuovamente la porta per farli passare. Filippo prende la mano della giovane compagna, pratica ormai di routine dal loro primo incontro con i professori. Emma gliela stringe ed entrano insieme, pronti ad affrontare anche quel problema.
Il professor Agile, conscio che il gesto fosse tanto una strategia “politica” dei ragazzi – sicuramente idea di quel Machiavelli del suo studente preferito – quanto un atto di infusione di coraggio e premura da parte del ragazzo, ridacchia tra sé e sé. Decisamente una coppia esplosiva.
 
 

Agosto 2018, Gardaland.
 
“Restilli, sei un deficiente!” urla Emma, scandalizzata. L’ex compagno di classe l’aveva appena spinta dentro a una delle fontane di Gardaland, mentre Fabiano aveva fatto lo stesso con Chiara, in quel momento intenta a provare a tirarlo dentro con sé.
“Avevi detto di avere caldo!” si scusa lui, ridendo. Emma lo spintona, scocciata.
Un gruppo di ragazzi, avendo osservato tutta la scena, fischia in direzione della moretta, tristemente conscia di stare indossando una canottiera bianca, ormai trasparente. “Guardate che ha fatto, quell’idiota!” continua lei, avvicinandosi a Giulio in cerca di conforto. Giulio, tranquillamente seduto su una panchina all’ombra insieme a Damiano, scuote la testa divertito.
“Non mi sorprenderebbe se parte del loro piano fosse stato quello di farvi partecipare a Miss Gardaland Bagnata” afferma, osservando anche le condizioni della maglietta dell’altra amica. Filippo si avvicina alle spalle di Emma, strofinandole velocemente le mani lungo le braccia, come per riscaldarla. La ragazza sbuffa e si gira.
“Dammi la tua maglietta” comanda, glaciale. Filippo ride e si spoglia velocemente, passandole la lunga T-shirt grigia che la ragazza si infila prontamente. “Stavi meglio prima.” confessa, ridacchiando. Emma lo guarda arresa e si dirige verso Chiara, avviandosi verso la fila di un altro gioco.
“Anche tu stavi meglio prima. Questo sfoggio di addominali ti fa solo apparire più montato di quanto tu già non sia. Comunque lo sai che prima o poi ti uccide, sì?” chiede Damiano al biondo, ancora divertito dalla scena delle due ragazze interamente fradicie.
“Molto probabile,” conferma Filippo, con un sorrisino, “ma mi ero stufato di quella falsissima cordialità.” continua, confessando agli amici il fastidio per quell’atteggiamento così distaccato.
“Forse”, inizia Fabiano, riavvicinatosi al gruppo di amici, “se non avessi fatto tutte quelle cazzate a scuola, sareste ancora ottimi amici.” Afferma, facendo annuire gli altri ragazzi della comitiva. Filippo ringrazia mentalmente la riservatezza della piccola Emma che negli anni aveva permesso loro di sviluppare quel personalissimo rapporto, senza dover passare per la Santa Inquisizione dell’organo della classe, o peggio, della comitiva rappresentata dai qui presenti. E che lo protegge in questo momento da una ramanzina che altrimenti sarebbe stata molto più lunga, nonché basata su fatti più recenti.
“Bella testa di cazzo che sei stato, l’anno della maturità!” riprende il discorso Damiano, portando Giulio a confermare: “Hai veramente fatto un casino, quell’anno.” ammette, portandolo con la mente a quei tempi.
 
 
Maggio 2014, anno della maturità.  
 
Erano ore che stavano ripassando Filosofia, con scarsi risultati. Giulio sdraiato per terra, Damiano con il telefonino intento a terminare una partita di Candy Crush, Emma e Filippo seduti sul divano a gambe incrociate, con Fabiano che, di tanto in tanto, lanciava loro le carte delle caramelle che Chiara aveva portato dopo pranzo prima di andarsene a sbrigare delle commissioni. All’ennesimo vuoto di memoria di Filippo, Emma sbuffa e si lascia cadere indietro sui cuscini, stanca e affamata. Erano da poco passate le sette, il brontolio proveniente dalla sua pancia non era passato inosservato.
“Basta così: lo considero un segno divino e vado a comprare del gelato!” esclama Fabiano, ricevendo un applauso da parte di Giulio, improvvisamente rinsavitosi.
“Ti accompagno, devo lasciare questa stanza o impazzisco! Nessuna offesa, Ems. Grazie per l’ospitalità, come sempre!” dice il ragazzo, facendo sorridere la moretta.
“Non mi offendo mica. Andate e intanto io faccio altro caffè.” comunica, forzandosi a lasciare quella comodissima postazione per preparare un’altra moka. La simulazione della terza prova era programmata per il giorno seguente e un’intera sessione di studio era stata fissata d’urgenza. Curiosa combinazione, riflette la ragazza, lasciando i quattro uomini a spulciare tra i loro averi per compare il gelato. Non che non fossero tutti più o meno amici, quello no. Ma il piano ufficiale era, come sempre, sessione di studio tra donne, lei e Chiara, un duo formidabile. Damiano, furbo e disperato, si era aggiunto quasi subito, facendo cedere la propria fidanzata a suon di moine e sussurri vari. E poi la voce si era sparsa ed Emma era rinomatamente di indole accondiscendente, così che il gruppo di sei si era formato. Con il calendario di Fabiano alla mano, i ragazzi si erano impegnati a seguire un rigoroso piano di studi in vista della maturità: all’inizio doveva essere solo un ripasso occasionale, ma presto si era trasformato nella promessa di passare i prossimi venti giorni insieme, dalla fine della scuola fino agli orali. Casa Molinari era stata proposta come sede centrale, e gli ospiti si erano impegnati di non far mancare mai merenda, cibo, sigarette.
Il rumore della porta di casa che viene chiusa informa dell’uscita dei due ragazzi. Damiano si porta lentamente in camera di Emma, gridandole dal corridoio che sarebbe andato “a riposare gli occhi per qualche minuto”, mentre la ragazza armeggiava in cucina con la moka.
“Sono stato così pessimo, prima?” chiede Filippo, entrando in cucina.
Emma sbuffa, impegnata a stringere al massimo quella vecchia macchinetta. La guarnizione era orribilmente danneggiata e il caffè usciva per la maggior parte da sotto, a dire la verità.
“Siamo solo tutti stanchi, Fil. La prof non doveva inserire la sua materia nella simulazione con solo due giorni di preavviso.”
“Si suppone che siamo tutti belli che preparati, ormai!”
“Sì, beh, non direi proprio.”
“Lascia, faccio io.” si offe il ragazzo, togliendole la moka dalle mani. 
“E comunque,” continua lui, una volta acceso il fornello, “ti volevo dire che il tuo è veramente il peggior caffè che io abbia mai bevuto. Mi dispiace, ma veramente non lo sai fare!” esclama, ridendo. Emma scoppia a ridere, colpendolo con lo straccio.
“Fammi capire,” inizia, “ti apro casa, ti cibo, ti sopporto e ti ascolto ripetere, e mi dici che il mio caffè fa schifo? Sei proprio un ingrato!”
Il ragazzo scoppia a ridere e la rincorre fuori dalla cucina, in un infantile quanto divertente giocare ad acciuffarsi. Quando l’afferra per la vita, sollevandola di peso, le urla dei due richiamano Damiano, che si affaccia dalla porta della camera da letto giusto in tempo per vedere il suo amico mentre fa il solletico alla compagna di studio, per poi fiondarla sul divano. Scuote la testa e torna in camera, attendendo il gelato.
Emma, nell’atterraggio sui cuscini, si trascina dietro il ragazzo, facendoli finire entrambi sul divano. Le risate continuano ad echeggiare per qualche minuto, la guancia di lui premuta sul suo sterno.
“Hai ragione,” confessa Emma, “il mio caffè è davvero pessimo. La mattina infatti ci pensa Chiara, che è sempre la prima ad arrivare.”
Filippo sorride e alza lo sguardo, osservando quelle labbra sottili e il naso piccolo.
“Non puoi essere brava in tutto, lo sai.” le dice, poggiandosi sui gomiti per non gravarle troppo addosso. Da sotto, la ragazza sguscia un pelo indietro, arrivando a poggiare la schiena al bracciolo del divano.
“Non saper fare il caffè però è abbastanza grave, non trovi?” chiede lei, passando una mano tra i capelli del compagno di classe.
“Hai altre qualità, non preoccuparti.” risponde Filippo, mettendosi a sedere con le gambe di lei sulle proprie.   
“Tipo?”
“Tipo…” inizia, passando distrattamente le dita sulle gambe di Emma, continuando a guardarla.
“Tipo il tuo cervello, o la tua ironia.”
Emma ridacchia, rovesciando la testa all’indietro per farsi una veloce coda ai capelli.
“O tipo queste gambe.” conclude lui, a bassa voce.
La coda della ragazza si trasforma in una disordinata crocchia, lasciata in sospeso al sentire quelle quattro parole. Il sorrisino di Filippo la porta a sorridere, confusa.
Crema, cioccolato e pistacchio! Damiano mi dispiace, ma l’affogato alla nutella non te lo abbiamo preso. Non scassare e accontentati!” si sente dall’ingresso.
Il rientro degli amici con il gelato interrompe quel loro momento.
 
 
Agosto 2018, Gardaland.
 
L’euforia di Damiano, omone di quasi due metri ma con ancora tanti tratti infantili, aveva fatto alzare tutto il gruppo alle sette del mattino. Non erano concessi ritardi, nel suo rigidissimo piano d’azione. Dovevano essere tutti pronti nel giro di un paio d’ore, così da prendere il trenino che li avrebbe portati al parco giochi per le dieci e mezza. Una lunga, divertente e spensierata giornata tra montagne russe e cibo spazzatura li attendeva. Emma e Chiara, più per mancanza di iniziativa dei ragazzi che per chissà qualche gesto di galanteria, erano state le prime ad entrare in doccia. Mentre i ragazzi facevano colazione, le ragazze avevano avuto modo di preparare dei zanetti con il minimo indispensabile – acqua, soldi, qualche asciugamano e i biglietti dell’entrata al parco divertimenti. In un silenzio quasi religioso, visto che nessuno di loro si poteva definire un attivo mattiniero, avevano tutti rispettato il piano e avevano raggiunto il treno delle 09.30, senza intoppi. Giulio era riuscito anche a permettersi un caffè al bar della stazione, con calma.
 
Gardaland si presentava, in quella caldissima giornata d’agosto, come una manna dal cielo. Anche se erano tutti abbastanza stanchi, Gardaland permetteva loro di staccare un po’ la spina dalla convivenza forzata delle ultime ore, con un ventaglio di possibilità tra giochi a tema, prati all’ombra dove riposare, locande dove mangiare qualcosa. I ragazzi si lanciano immediatamente verso le attrazioni adrenaline, lasciando alle ragazze i propri zaini, mentre queste due decidono di passare prima per il bar e prendersi un caffè. Mentre, con la mappetta del parco attrazioni alla mano, decidevano il loro itinerario, segnando i must do che sicuramente avrebbero voluto fare anche i ragazzi, chiacchierano del più e del meno.
 
 
 
Sei panini, tante birre e molte ore dopo, il gruppetto eterogeneo stava uscendo dall’ultimo gioco, L’albero di Prezzemolo, pensato per i bimbi più piccoli, ma che era riuscito a mettere a disagio anche la stessa Emma, che di anni ormai ne aveva ventitré.
“Vi assicuro che non credo sia adeguato a dei mimi umani, quell’albero!” continua, borbottando delle scuse in risposta alle battutine di Filippo e Damiano.
“Ti ha spaventato persino Prezzemolo, dentro la cucina.” le ricorda Filippo, abbracciandola velocemente. Le risate di tutti i compagni le fanno perdere il broncio, e il braccio intorno alle spalle di lei non la disturba più di tanto.
“Non era Prezzemolo ad avermi indisposto, idiota,” inizia Emma, fissando il volto dell’alto biondo accanto a sé e dandogli un veloce pizzico sul fianco, “bensì di quell’uomo cattivo che voleva impadronirsi dalla casa!”
“Amore, non li ascoltare!” esclama Chiara, lacrime agli occhi e a braccetto con il fidanzato, piegato in due dalle risate.
“Comunque,” fa Filippo, ancora tranquillamente vicino alla piccola moretta, “vogliamo andare a cena e a prenderci qualcosa da bere? È la nostra ultima sera a Verona.” chiede, trovando in Emma un’alleata, che risponde con un grande sorriso e un elenco di trattorie in cui li avrebbe voluti portare.
“Perfetto, io non passerei neanche da casa. Scendiamo dal trenino e andiamo, che dite?” chiede Giulio. L’assenso da parte di tutti decreta il piano della serata.















*********
Buona sera, car@ lettore/lettrice. 
A distanza di molti mesi eccomi qui, con il secondo capitolo di L'ultima notte al mondo. È con serenità che posso dirti che non si tratterà di un altro capitolo lanciato in aria così, da solo, bensì che il suo seguito (altri tre o quattro capitoli) arriverà in maniera più regolare, d'ora in avanti. Questo perché, nel leggere la splendida recensione e messaggio di una amica di penna qui su EFP, mi sono ricordata di quanto mi piaccia scrivere e di quanto la costanza sia fondamentale per portare a termine anche la più tranquilla delle storie. Quindi, senza ulteriori indugi, ti lascio, sperando che il capitolo sia stato di tuo gradimento e che la tua curiosità di sapere qualcosa in più su questo dinamico gruppo possa spingerti a pazientare in attesa del capitolo 3!

Buona notte, 
Chiara.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - L'ultima notte al mondo ***


Capitolo III – L’ultima notte al mondo
 
 
 
 
 
Luglio 2015, Roma.
Sei più forte di ogni bugia e se la gente ferisce, è perché tu sei migliore e lo capisce (bene).
 
 
“Matteo! Non mi avevano detto i ragazzi che ora lavori qui!” esclama Emma, vedendo arrivare il giovane cameriere verso il loro tavolo. In una specie di anniversario, gli ex studenti della VD avevano deciso di rincontrarsi a un anno di distanza dalla maturità, per festeggiare forse il fatto di essere ancora tutti vivi, seppur in un senso molto teatrale: erano arrivati a non sopportarsi quasi più, dentro quelle quattro mura della classe al terzo piano. La verità è che aver allentato i rapporti aveva reso tutto indiscutibilmente più facile. L’idea di una cena, proposta da Riccardo, in memoria dei bei vecchi tempi, non era quindi sembrata una follia. Il ristorante sul lungo fiume romano era vicino alla scuola, stesso posto dove avevano anche celebrato la fine degli esami, l’anno prima, con tutti i professori. Emma poi, che stava iniziando a pensare alla possibilità di andarsene in Erasmus l’anno seguente, considerava questa cena come un’ottima opportunità per schedare tutti i suoi ex colleghi. Una pratica forse un po’ bambinesca, anche lei lo sapeva, ma le piaceva pensare di avere buon occhio per le amicizie – sicuramente meno per gli amori – e quindi voleva capire quali rami potare e quali, invece, salvare. Chiara, seduta di fronte a lei, ovviamente era da salvare. Forse anche Damiano, intento a salutare Matteo, il cameriere loro coetaneo nonché ex collega, ma di un’altra sezione. Alcuni dei loro compagni non si erano presentati, ma probabilmente perché avevano già portato a termine quella potatura che Emma ambiva a concludere, per evitare di fare gli stessi errori del passato. Giulio e Riccardo stavano scegliendo il vino, mentre Maria – taciturna ma dolce ex compagna di classe – cercava di contare quante Cacio e pepe andassero ordinate in questa ingombrante tavolata.
Era un po’ come tornare indietro nel tempo, alla serata di festeggiamenti post maturità, ma era anche diverso. Emma non riusciva a capirlo fino in fondo, ma le sembrava di vederli già tutti un po’ più maturi, sicuramente più estranei. Non ricordava, per esempio, che Riccardo – dopo aver lasciato Costanza, la ex migliore amica di Emma – avesse iniziato a frequentare Giulia, una ragazzina del IIID. O che Leonardo – imbecille di prim’ordine durante le lezioni di inglese – fosse in realtà così taciturno e elegante, nonché appassionato di Virginia Woolf. Di Filippo però sì che si ricordava, la giovane Emma. Vuoi perché parte del gruppo della classe con cui era più in contatto, vuoi per altre ragioni. Il ragazzo, come chiamato, si gira verso la sua direzione, sorride e le lancia il tappo della bottiglia d’acqua.  La ragazza gli fa una linguaccia e gli rilancia il cerchietto di plastica, per poi concentrarsi sul suo amico cameriere.
“Come sta andando?” chiede, dando le spalle alla tavolata per dare due baci a Matteo.
“Molto bene, molto bene. Sono contento. Mi piace stare qui. Quando non c’è troppa gente, poi, mi fanno anche dare una mano in cucina,” comincia il ragazzo, contento, “e mi fanno preparare qualche piatto!”
“Ma è fantastico! Sono molto contenta!” risponde la ragazza, abbracciando l’amico.
“E tu, come stai?” chiede lui, gentile.
“Al solito, in sessione d’esami. Accaldata!” dice Emma, sventolando il tovagliolo vicino al viso, in un gesto plateale. Matteo annuisce, poi lancia un’occhiata veloce dietro le spalle di lei, verso Filippo.
“E con lui?” chiede. Emma si volta, cercando di capire chi fosse quel lui.
“Chi?”
“Filippo. Tutto bene, sì?” continua Matteo, sempre con tono pacato. Emma sorride, confusa. Annuisce.
“Meno male. Lascialo perdere Ems, è un mio caro amico ma non fa proprio per te!”
“Matté,” inizia Emma, piano, “non capisco a cosa tu ti stia riferendo.”
“Di quello che è successo l’anno scorso tra voi.”
Emma si poggia contro lo schienale della sedia, braccia incrociate e fronte corrucciata.
“Come?”
Matteo ridacchia e scuote la testa. “Ok! Recepito il messaggio: ‘tra voi non è mai successo niente’” dice, mimando il gesto delle virgolette con le dita.
“No Matteo, tu non capisci”, continua Emma, stranita, “tra noi non è veramente mai successo niente.” Afferma.
Il ragazzo la guarda stupito, poi un fievole “Oh” gli sfugge dalle labbra.
“Devo averti confuso con un’altra Emma, sicuramente.”
“Matteo,” ringhia la ragazza, scaldandosi, “dimmi cosa sai e chi te l’ha detto.”
“Ma niente, davvero…”
“Matteo!”
Il ragazzo sposta il peso da un piede all’altro, tornando a guardare oltre le spalle di Emma, probabilmente in cerca di aiuto. Filippo se ne sta tranquillo seduto tra Giulia e Maria, chiacchierando con Riccardo dall’altro lato del tavolo.
“Io non so molto, mi è arrivata solo la voce…” inizia, ed Emma lo incalza, impaziente.
“Pare che, durante il vostro studio insieme, voi due abbiate fatto cose.”
“Quali cose?”
“Cose, Ems. Soprattutto tu. Non farmelo dire, lo sai cosa intendo.”
“Io gli avrei fatto un pompino?!”
Matteo geme, in difficoltà. Poi annuisce. Emma, mano alla bocca e cuore a mille, chiede con voce tremolante: “Da chi l’hai saputo, Matté?”
“Te l’ho detto…voci…”
“Da. Chi. L’hai. Saputo.”
“Me lo ha detto Possi del VA, a cui, a quanto pare, glielo aveva detto Merluzzi del VB.” Confessa, in difficoltà.
“Mi dispiace, Ems. Non lo sapevo.” termina, lasciando l’amica con le mani intrecciate, lo sguardo nel vuoto. Merluzzi era capitano della squadra del liceo scientifico, l’anno prima. Alcuni dei ragazzi di classe sua giocavano in quella squadra.
Emma osserva Filippo, entrambe le braccia poggiate sugli schienali delle due ex colleghe, il sorriso divertito di chi sta ascoltando una storia piacevole, tutto elegante in quella camicia celeste. E di nuovo, forse notando lo sguardo fisso su di sé, Filippo incontra lo sguardo di Emma.
La ragazza scuote la testa e gli indica il bagno, poi si avvia. Filippo, dopo qualche istante di confusione, si scusa e si alza da tavola, raggiungendo la mora dietro la porta del bagno.
In quella squadra liceale di pessimi giocatori di calcetto vi era anche Filippo.
 




 
Agosto 2018, Verona.
 
Avevano passato tutto il resto della serata in una piccola trattoria dietro l’Arena, provando piatti tipici e riempiendo i bicchieri con un – discutibile – vino della casa. L’atmosfera era cosi ilare e tranquilla che si erano trovati a spendere ore, seduti su quelle sedie, i gomiti poggiati sulla tovaglia a quadri, le guance arrossate per l’alcool e il tono di voce che si alzava, sempre di più, insieme alle risate sguaiate e alle battutine. Era stato tutto perfetto, dalla sincronia dei loro gusti alimentari, al piacere comune di condividere in maniera gioviale la tavola e il vino, persino i turni per andare a fumare sembravano concordati in anticipo. I sei ragazzi sembravano pezzi di un meccanismo più complesso, destinati a incastrarsi alla perfezione in ogni singola mossa, ogni singolo pensiero: Damiano e Chiara, dolci ma mai smielati; Giulio esilarante e brillante nel trascinare la conversazione senza mai far cadere il silenzio; Fabiano e Filippo, capaci di argomentare e dibattere senza mai portare la conversazione su temi spinosi; e Filippo ed Emma, seduti vicini, complici come forse non lo erano stati da anni. Nulla, durante quella cena, avrebbe potuto far pensare che, paradossalmente, quel gruppo non si ritrovasse nella stessa stanza per più di due ore da anni, per lo meno. Presi in coppie – come Chiara ed Emma, indivisibili – o in blocchi da tre, quattro o tutti e sei, ognuno dei ragazzi partecipava armoniosamente a quel quadretto, senza una nota di stonatura. Una volta pagato il conto poi, avevano deciso di andare a prendere un amaro in un bar della piazza principale, le risate che li accompagnavano durante il tragitto per le stradine vuote di Verona.
 
 
 
 


 
 
Luglio 2015, Roma.
 
“Piccola Emma, che c’è?” chiede Filippo, entrando sorridendo nel bagno del ristorante. La ragazza è poggiata ai lavandini, spalle allo specchio e sguardo fisso sulle punte delle scarpe. Una parte di lei si vergognava anche solo all’idea di dover confrontarlo con questa storia, e l’altra parte pregava fosse tutto un malinteso. Ma con Restilli nulla era mai veramente lasciato al caso, e lo avrebbe imparato, prima o poi. Alza lo sguardo e si avvicina al compagno di scuola.
“Cosa avresti detto tu a Merluzzi del VB?” chiede, tono calmo e sguardo fisso.
Filippo inarca le sopracciglia e ridacchia: “Ems, non ti seguo.”
“Sì che mi segui benissimo, invece. Come hai osato?” insiste, innervosendosi.
“Ma di cosa stai parlando?!” Ora anche la compostezza di Filippo si era macchiata di quell’atmosfera gelida che, realizza improvvisamente, l’aveva seguito dentro il bagno non appena vi aveva messo piede.
“L’anno scorso. Negli spogliatoi della scuola… cosa avresti detto?” chiede lei, facendo centro. Filippo strabuzza appena gli occhi. È un movimento involontario e infinitesimale, dato che il ragazzo recupera immediatamente il controllo della situazione: “Ems, stai esagerando… io non ho detto nulla, non so quale voce ti sia arrivata”.
“Neghi di aver raccontato ai tuoi amichetti di spogliatoio che io ti avrei fatto delle cose durante il nostro studio?”
“Non è forse così?” tenta di cambiare discorso lui, buttando la palla in un campo che decisamente sapeva gestire meglio: il sesso.
“Balle! Ma che cazzo dici?! Non abbiamo fatto nulla, tu ed io!” esclama Emma.
“Ma infatti, scherzavo, stai tranquilla,” inizia, alzando le mani in segno di resa.
“Lo so che non abbiamo fatto nulla…” aggiunge, dandole ragione.
“E allora perché Matteo Pucci è venuto da me chiedendomi come stesse andando tra noi?”
“Ma che ne so, probabilmente è geloso!” risponde il ragazzo, ora chiaramente alterato. Il perché Marco avesse sentito il bisogno di confrontare e, probabilmente, confortare Emma era una notizia nuova alle sue orecchie.
“Filippo! Tu hai detto ai tuoi compagni di squadra che ti ho fatto un pompino!” e la sgancia, Emma, la storia che aveva appena inclinato – nuovamente, e forse definitivamente – il loro rapporto. Filippo se ne accorge subito, che non sarebbe stato facile uscire da quella situazione da vincitore. Chiaramente non aveva previsto che la storia lasciasse le mura di quello spogliatoio maschile, anche se l’argomento era – chiaramente, di nuovo – un gustosissimo nuovo scoop. Specialmente considerati i soggetti implicati.
“Ma che esagerazione… non ho mai specificato nulla.” ammette.
“Ma perché non c’è mai stato nulla! Perché l’hai fatto?” chiede di nuovo lei.
“Non ho fatto nulla, Ems. I ragazzi hanno insistito che stavamo passando un sacco di pomeriggi insieme e lo sai come sono le chiacchiere da spogliatoio, diventano oscene con poco. Io non ho mai detto nulla.” conclude, cercando di passare per il buono della situazione. Emma, sconsolata, lo guarda con rimorso – forse verso di lui, sicuramente verso sé stessa – e chiede, con tono arreso: “Ma non hai mai neanche negato, dico bene?” Il ragazzo, di fronte a quest’ultima affermazione tace, colto in flagrante. Perché mai un ragazzo di diciassette anni dovrebbe negare di aver ricevuto un piacevole lavoretto di bocca dalla sua carina compagna di classe? All’epoca quella domanda non se l’era posta. Il silenzio di Filippo è la risposta che Emma stava aspettando. La ragazza annuisce e lo scansa, aprendo la porta del bagno. Con gli occhi lucidi e le guance rosse torna velocemente al tavolo, prende le sue cose e si incammina verso l’uscita, senza neanche salutare. Filippo esce dal bagno qualche istante dopo, sul viso la maschera di un sorriso raggiante. Torna a sedersi al tavolo, come se niente fosse. La sua cena sarebbe proseguita e Matteo si poteva scordare la mancia.
 
 
 




 
Agosto 2018, Verona.
 
“Speravo riuscissi dalla camera per prendere un bicchiere d’acqua.”
“Addirittura! Mi hai aspettato qui in salotto tutto questo tempo?” chiede la ragazza.
Filippo annuisce, facendo ridere Emma. “E dimmi, come mai?”
“Perché speravo di poter parlare con te, questa volta per davvero.”
Emma sospira e si lascia cadere sul divano, incrociando le gambe e facendo cenno al ragazzo di raggiungerla. Quell’amaro dopo cena la stava rendendo molto più docile e incline a parlare.
“E allora vai, parla.” O meglio, ad ascoltare.
Filippo sorride e si siede, le ginocchia di lui a toccare quelle di lei, il busto ruotato per poterla guardare negli occhi.
“Possiamo smetterla di avere questo rapporto così freddo, per favore?
“Non so di cosa tu stia parlando. Questo rapporto è perfetto per noi.”
“Non lo è, e lo sai. Sei molto distante, non mi è concesso neanche farti una battuta che subito ti alteri!”
“Ah, scusa, non pensavo di star ferendo i tuoi sentimenti! E comunque non è vero.”
“Sai benissimo che invece è così. Lo sai che ti voglio bene e non mi piace vederci così distanti…”
“Certo, quanto amore tra di noi…” dichiara, ridacchiando sarcasticamente.
“Smettila, Emma. Fai la seria.”
“Ora vuoi fare il serio?” chiede, mettendo il broncio. Poi sospira, chiude gli occhi e confessa: “Ti accontento subito: sei un idiota. E sono seria.”
Filippo annuisce e si poggia contro lo schienale del divano. “Così va meglio. Che altro?” chiede, facendo innervosire la moretta. Quel ragazzo poteva mantenere quella dannatissima facciata seriosa per ore, volendo. Non era possibile neanche farlo desistere. L’alcool ora la rendeva stanca, appesantita. Il nervosismo non aiutava.
“Ti aspetti che le cose tra di noi vadano stupendamente, quando neanche sapresti dirmi cosa siamo?”
“Questo non è vero, siamo amici di vecchia data…” Emma rotea gli occhi, sbuffando, “che hanno un rapporto un po’ particolare.” conclude Filippo.
“Le tue bravate da macho alfa le faresti rientrare nel ‘rapporto particolare’?”
“A liceo ero un idiota, lo sai. Non volevo farti stare male.”
“Già. Beh, potevi impegnarti un po’ di più.”
“Lo sto facendo adesso. Ti sto chiedendo scusa, non ti basta?”
Non le bastava, certo che no. Ma meglio negare ché ammettere la sconfitta.
“Scuse accettate! Amici come prima!” esclama, con una ilarità un po’ forzata. Gli batte una pacca sul ginocchio, poi fa per alzarsi, ma Filippo la trattiene per un braccio, riportandola sul divano.
“Non scappi così, Ems. Se te ne vai in camera, giuro che mi metto a gridare il tuo nome e sveglio tutti.” minaccia, facendola, a malincuore, sorridere.
“Fili, non so che vuoi che ti dica, lasciamo le cose come stanno e andiamo a dormire, ok?”
“Di cosa hai paura?”
“Di nulla, ho solo sonno.”
“Hai paura del confronto? Di me?”
Di me stessa.
“Di passare ore su questo divano, sprecando ore di sonno.”
“Hai paura di me?” chiede nuovamente, la mano ancora sul braccio di lei.
“No, non ho paura di te.” afferma, ed era la verità. Certo che non aveva paura di lui. Le promesse le aveva infrante tutte, quindi c’era ben poco da rovinare, per cui le aspettative di Emma erano molto basse. Ma la piccola Emma, svegliata da tutto quell’alcool, stava cominciando a gridare, nella testa, nel cuore e dagli occhi, che qualcosa andava detto, che forse andava fatto un ultimo tentativo. Ma era una vocina probabilmente troppo fievole per farsi strada tra tutti quei ricordi antipatici, quelle frasi non dette, quel rancore maturato negli anni.
“Credo fermamente che non ci sia più nulla da dirci. Ne abbiamo avuto di tempo, e adesso ritengo che sia tardi.”
“Io però non sono d’accordo. Questo viaggio è una benedizione. E poi… io ti voglio ancora.”
Emma, impegnata a lanciargli frecciatine d’odio, resta sorpresa da quella dichiarazione. Esplicita e totalmente inappropriata. Quando aveva deciso di imbarcarsi in quell’avventura veronese – perché, con Filippo nel gruppo, un viaggio di piacere non lo era più – aveva pensato a come evitare di ucciderlo, per lo più. Il primo giorno aveva deciso che avrebbe optato per un po’ di sano sarcasmo, qualche occhiataccia e una cordiale freddezza, giusto per evitare di rovinare il weekend a tutti. Quella mattina, invece, si era ritrovata a pensare che forse, abbandonare quel risentimento e provare ad essere un minimo più carina avrebbe potuto facilitare il passaggio verso situazioni più rosee, concedendole del tempo per abituarsi, per lasciar perdere, per dimenticare. Tuttavia, quel ragazzo non aveva nessuna intenzione di lasciarla al comando del loro rapporto, ne era oramai convinta. Si era così abituato ad avere il coltello dalla parte del manico, Filippo Restilli, che piuttosto che dargliela vinta avrebbe sganciato la bomba, l'ultimo asso nella sua manica: la verità, o meglio, una parte di essa.
 “Filippo…”
“È così, non c’è nulla che possa fare per impedirlo. Sei così bella, buona e dolce. Simpatica e arguta, accattivante e semplice.  A volte mi dimentico di tutte queste tue qualità. Ma d’altronde non ci vedevamo da mesi, quindi non è interamente colpa mia. Mi hai sempre fatto quest’effetto, Ems.”
“Della serie ‘lontana dagli occhi, lontana dal cuore’ eh? Dai, basta.”
“Lo sai quello che intendo. Al liceo ho fatto l’idiota, ma stavo cercando di dirti esattamente questo. E anche dopo, in questi anni.”
Emma strattona il braccio e si libera dalla presa, poi si alza. Doveva assolutamente uscire da quella situazione o se ne sarebbe pentita per il resto dei suoi giorni.
“Smettila. Le cose sono andate in questo modo per un sacco di motivi, non solamente per qualche scaramuccia sciocca tra di noi. E due giorni di cordiale convivenza non possono certo far luce su tutto.”
“Lo so,” inizia Filippo, alzandosi a sua volta e avvicinandosi alla ragazza, “ma questo non cambia il fatto che tu mi faccia provare tutto questo, da anni ormai. Te lo ripeto.”
“Filippo, abbi pietà di me…”
“Sono serissimo.”
“Anche io, la devi smettere.”
“Perché?
“Perché se non la smetti, finisce male.”
Male sarebbe noi due che ci baciamo?” chiede lui, avvicinandosi ancora di qualche passo e sorridendo.
“Male nel senso che ti tiro un calcio nelle palle.”
Il ragazzo ride e le va di spalle, bloccandole quel suo lento indietreggiare verso il corridoio. Emma si gira per fronteggiarlo, stanca.
“Sono abbastanza sicuro che ti dispiacerebbe.” continua il ragazzo.
“Non mi tentare.”
“Sono anche sicuro che tu voglia baciarmi tanto quanto lo voglia io” dichiara, notando come lo sguardo della compagna si sia posato più volte sulle labbra di lui.
“Questo perché sono vagamente alticcia, e tu mi stai troppo vicino.” ammette Emma.
“Smettila di resistermi.”
“Smettila di provocarmi, Filippo.”
“Non sto provocando, sto cercando di chiudere questa storia. Sto cercando di farci essere entrambi onesti con noi stessi per poter andare avanti.”
“E dimmi,” chiede Emma, ormai a pochi centimetri dalla più assoluta distruzione, “l’onestà deve necessariamente passare per un bacio? Non può essere tutto questo un po’ meno fisico e un po’ più chiacchierino?”
“Quest’ultima è sempre stata una tua fastidiosissima dote. Almeno, fino a quando non mi hai tolto il saluto.”
“Te lo eri meritato.”
“Vero, ma adesso non mi merito di essere trattato così.”
Emma non risponde, incrocia le braccia al petto e si sofferma a guardare i propri piedi.
“Ti chiedo scusa, di nuovo. Mi sono comportato male al liceo. Ti voglio bene, e lo sai da anni. Non ho mai voluto fare qualcosa che tu non volessi, ne sono certo. Ho forse tirato un po’ troppo la corda. Ma ora siamo qui, tutti e due. E ti sto chiedendo di guardarmi…”
“No.” Non le bastava, neanche lontanamente. E quella volta alla cena di classe? E a Madrid? E a casa di Giulio? E tutte le altre? Quante maschere hai addosso Filippo, al punto da non riuscire neanche a vedere la realtà?
“Non fare la bambina!”
“E tu non fare la testa di cazzo!” risponde piccata, infastidita da quel rimprovero. Aveva tutto il diritto, lei, di essere offesa. Mica lui, che invece se ne stava lì davanti, cercando di passare per il buon samaritano di turno, volenteroso di seppellire l’ascia di guerra, così facilmente. 
Filippo sorride e le solleva con due dita il mento, incontrando gli occhi di lei.
“Posso?”
“No.”
Lui sorride e avvicina il viso di qualche millimetro.
“Posso, Ems?”
“Sarebbe meglio di no.”
“Posso?”
Ed è Emma a baciarlo, alla fine.
Aveva paura di sé stessa. E aveva ragione ad averne. Perché Filippo forse la provocava, ma era lei a rispondere. Sempre. Come quella notte.
 
 
 
 



Anno della maturità 2014, terrazzo di casa di Damiano, Roma.
 
 
Inventerai che non hai tempo; inventerai che tutto è spento; inventerai che ora ti ami un po' di più; inventerai che ora sei forte e chiuderai tutte le porte. Ridendo troverai una scusa.
 
“Parliamo un attimo, ti va?” domanda Chiara, avvicinandosi ad una Emma seduta al tavolino fuori della terrazza di Damiano, sola. Emma la osserva e annuisce, togliendo i piedi dalla sedia per farla sedere.
“Volevo chiederti formalmente scusa…” inizia la bionda, ma Emma scuote la testa e ribatte: “Per cosa? Non hai niente per cui chiedere scusa.”
“Invece sì. Non mi sono comportata bene per un bel po’ di tempo, e vorrei scusarmi. Ero gelosa, e lo sai. Ti ho messo in una posizione difficile, anche perché in realtà non volevo farti scegliere tra me e Dam. Spero questo tu lo sappia.” confessa.
Emma sorride e annuisce, poggiando la mano sul ginocchio della migliore amica, tranquilla.
“Stiamo parlando di una cosa successa un po’ di tempo fa, ormai.”
“Sì, ma non ne abbiamo mai parlato per bene. Non volevo farti stare male.”
“Lo so. So anche che non deve essere stato facile, dato il tuo caratterino, cercare di rimanere indifferente mentre la tua migliore amica e il tuo ragazzo esploravano una nuova faccia di quella amicizia, considerato che la sottoscritta aveva una cotta paurosa per lui.”
“In ogni caso, io mi sarei dovuta fidare di te. Invece ho dubitato e ci ho fatto allontanare.”
“Ma se ci siamo riavvicinate, quest’anno!”
“Più per tuo buon cuore, che per merito mio. Lo sai, cosa intendo: non siamo più state le stesse, da quando ho dato sfogo alla mia gelosia stupida. Mi dispiace.”
Chiara si vergona a ricordare a voce alta la scena di quella triste serata in albergo, ad Atene. Le due ragazze erano state scelte direttamente dal preside per partecipare a un progetto europeo di volontariato, insieme ad altre scuole. In veste di rappresentanti ufficiali, avevano avuto la possibilità di spendere tre giorni nella capitale greca, a contatto con studenti di altri paesi e alle prese con un interessante piano triennale di cooperazione. Si trovavano in un limbo particolare, le due amiche, per via della gelosia di Chiara, e il viaggio si era presto trasformato in una sessione di tensione e cose non dette. L’ultima notte, sedute su uno dei due letti della camera d’albergo, una risposta sbagliata di Emma aveva portato Chiara ad esplodere, trattandola quasi con disprezzo nel ricordarle quanto le cose fossero cambiate, di come Damiano avesse scelto di stare con lei, e non con la mora. Che era ora che Emma si rendesse conto di non avere nessuna possibilità, visto che le cose tra loro stavano andando così bene.
“Scuse accettate. Mi è dispiaciuto vederti così intransigente nonostante le mie promesse, lo ammetto. Ma l’ho anche capito, sai? Per questo ho fatto di tutto per farmi passare quella stupida cotta, perché non volevo che si mettesse tra noi.”
“E invece io, ingigantendo tutto, ho fatto proprio l’opposto. Una stronza! E tu così buona, fin dal principio. Emma, mi dispiace veramente tanto.”
Emma sorride divertita, ripensando alla sera di capodanno di qualche tempo prima: ubriaca, felice e piena di confidenza, era andata a cercare Damiano, probabilmente per dichiararsi, forse per finire a fare una sciocchezza e basta. In ogni caso, una volta trovato l’omone solo e sbronzo in camera da letto, aveva passato un’oretta a sedurlo – o a coccolarlo, cercando di non farlo vomitare – e una parte di lei, probabilmente la più lucida, aveva capito di non essere ricambiata. Così, dopo un bacio sulla guancia e la promessa di tornare con dell’acqua fresca, Emma aveva lasciato Damiano in posizione supina ed era uscita dalla stanza. Di ritorno dalla cucina, distrattasi dalla pietosa scena di Ludovica e Giulio accovacciati per terra a mangiare gli avanzi di lenticchie, aveva trovato Costanza – all’epoca ancora la sua migliore amica – a gridare per i corridoi, minacciando Chiara di rovinarla, per aver osato fare un torto del genere a Emma. Poi la notizia: Chiara e Damiano si erano appena baciati per una scommessa, in quella stessa camera da letto in cui appena pochi minuti prima Emma aveva tentato un imbranato approccio. Al di là della sorpresa – Emma era sicura che Chiara non fosse interessata a Damiano – la prima reazione della mora fu di accettazione: ora aveva la certezza di essere semplicemente la migliore amica di Damiano, nulla più. Probabilmente neanche per una scommessa lui l’avrebbe baciata, anche fosse solo per risparmiarle un ulteriore dispiacere.
 “Il vero dramma, in tutta questa storia” le ricorda la mora, “è stato quando mi hai preso di peso e mi hai portato in bagno. Lì, mentre da ubriaca facevi pipì, mi hai chiesto scusa per aver ‘tradito’ la nostra amicizia”.
Chiara sorride imbarazzata, sia per l’imbarazzante scena, sia per il fattaccio commesso. “A quanto pare, non ne ho fatta una giusta con te, da quando ho baciato Damiano…”
“Ma piantala! Ti ricordo che ti ho dato immediatamente il benestare per la vostra relazione, considerando che io non gli interessavo ed era inutile impedirvi di aver qualcosa, visto che io non l’avrei mai avuto. E da allora non mi sono mai pentita di questa decisione, e lo sai. Tuttavia, la situazione mi è sfuggita di mano… per farmi passare la cotta per Dam, ho finito per fare un casino.”
Me ne sono accorta. “Filippo?” chiede Chiara, sorridendo dolcemente.
Emma sbuffa e si passa una mano tra i capelli, sconsolata.
“Non per scaricare tutta la colpa su di te… ma pur di non continuare a pensare al tuo ragazzo in altri termini che non fossero di sincera amicizia, mi sono ritrovata a dare più attenzioni, e forse troppe elucubrazioni mentali, ad un’altra situazione. E ora, non so, la suddetta situazione è diventata un po’ complessa.” ammette, con una risata nervosa.
“Perché dici questo?”
“Perché non so cosa ci sia, tra me e Filippo, amore. Non ho idea di che cosa siamo, sinceramente. Ma sono sicura che quel ragazzo sia uno stronzo!” esclama, facendo sorridere entrambe.
“Prima non ci filiamo,” continua, “e pensavo fosse anche un idiota montato, lo sai, poi durante il terzo anno diventiamo amici, almeno credo. Giochiamo, scherziamo, andiamo d’amore e d’accordo. Fare i rappresentanti di classe ci ha unito, l’hai visto anche tu! L’hanno visto tutti, a dire il vero, persino i professori. Poi arriva il quarto anno, i giochini diventano battutine, le battutine diventano sguardi strani, credo. Non lo so, a dire il vero. Questo è quello che ho percepito io. Due bicchieri di vino di troppo e lui rovina tutto, come se niente fosse. Ah, che cosa imbarazzante, non mi ci far pensare neanche! Cretina io, senz’ombra di dubbio!”
“Cosa è successo?” chiede Chiara, ignara. Emma scuote la testa, negandole l’accesso a quel ricordo imbarazzante – per sé stessa, per le sue speranze, per la sua dignità – e prosegue: “Lascia stare, credimi. Prima o poi te lo racconterò. Quello che conta è che poi lui se ne va in scambio, e tanti cari saluti. Finiamo l’anno, ci sta di mezzo l’estate e poi torna qui, a scuola. Settembre scorso. Era così palese che mi stesse antipatico?” domanda, in maniera quasi retorica. Emma aveva provato in tutti i modi a far capire a quel belloccio che il loro rapporto si era deteriorato, probabilmente in maniera definitiva. All’inizio gli aveva addirittura tolto il saluto, poi si era limitata a una fredda cordialità.
“All’inizio sì. Poi però vi siete riavvicinati, no? Avete studiato insieme tutto il secondo semestre, praticamente.” continua Chiara, ricordando le sessioni di studio iniziate a fine aprile, prima ancora che divenisse un appuntamento fisso di gruppo. Era così grata di aver di nuovo accesso anche a quella mini parte di Emma, quella che raramente la porta ed esporre i dubbi, le insicurezze. Era tornata a confidarsi, in tutto e per tutto, e Chiara si ripromise di farne tesoro, così come di non permettere mai a niente e a nessuno – men che meno a sé stessa – di rischiare di perdere di nuovo tutto questo.
Emma geme e chiude gli occhi, poi sbuffa. “Mi sa che lì è stato un errore mio. Lui continuava a fare il carino, il simpatico, il tipo tranquillo che non si lascia abbattere dalle situazioni. E così, essendo sfacciato come pochi, io ho ceduto! Ho smesso di tenergli il muso. Poi Agile ci ha messo a fare un lavoro di gruppo insieme – per educazione civica, ricordi? – e abbiamo dovuto passare un paio di pomeriggi a studiare. Poi, hai visto anche tu, siamo andati avanti fino a l’altro giorno. Però, non so, mi sembra ci sia qualcosa di profondamente marcio in tutto questo.”
“Si comportava in maniera strana, durante il vostro studio? Ha detto qualcosa?”
Pfff, quell’uomo è difficile da leggere. Non so, ti ho detto. Qualcosa è successo, ma niente di ché.”
Chiara la incalza, curiosa.
Emma, le mani sul viso a coprirsi, imbarazzata dalle parole che sta per pronunciare, abbassa notevolmente il tono di voce, quasi a renderlo un sussurro.
“Mi vorrei sotterrare, Chia. Non lo sa nessuno, nessuno! Durante lo studio, o anche quando ci mettevano al banco insieme, noi… ecco… ogni tanto ehm… ci facevamo i grattini.”
Grattini? In che senso? Dove?”
Emma sprofonda sulla sedia, in difficoltà.
“Lo sai che mi piace fare i grattini, che mi rilassa,” inizia, come a mo’ di scusa, “e quindi sì, ci facevamo i grattini sulle braccia, sul collo, sulle gambe. Ero per lo più io a farli, spesso distrattamente, ma a volte me li chiedeva esplicitamente.”
“Ha un qualcosa di malizioso.”
“LO SO! È quello che ho pensato anche io! Dio, questo ragazzo riesce a trasformare una cosa innocente come i grattini in qualcosa di erotico!”
“Addirittura, in qualcosa di erotico?”
“Sì beh, gli veniva duro…”
“COSA?!” esclama Chiara, alzando la voce. I pochi superstiti della serata alcolica stavano giocando a pallone con la musica a tutto volume, un po’ più in là.
“Zitta, zitta! Lo so, è assurdo. Ma te lo giuro, i miei grattini glielo facevano venire duro, sempre. All’inizio non lo avevo capito e poi, beh, diciamo che quel ragazzo ha qualcosa che non passa molto inosservato.”
“Questo da dei semplici e innocui grattini?”
“Non ho mai detto che fossero innocui.” ammette con vocina mozzata Emma.
“Quindi ci stavi provando? O ci stava provando lui?” cerca di capire l’amica, confusa.
“No. Non credo. Non lo so. Forse. Io forse un po’ di più, ma non siamo mai andati oltre a questo. Una sola volta siamo finiti a farci i grattini a letto, in camera mia…”
“Come scusa?!”
“Ah, Chiara, non te lo so spiegare! Stavamo ripetendo sul letto, poi lui mi ha chiesto dei grattini per rilassarsi. Poi mi ha chiesto se potevamo metterci un po’ più comodi, e siamo finiti in una posizione ambigua: io contro la ringhiera del letto e lui steso tra le mie gambe, accarezzandole ad occhi chiusi, la testa sulla mia pancia. E ci siamo lasciati un po’ trasportare dalla situazione, finché non è entrato Fabiano, che stava ripetendo storia nell’altra stanza.”
“Oh, mio Dio. Che ha detto?”
“Per fortuna ha bussato prima di entrare! Ci siamo spostati e via, fine. Certo, lui con la camicia un po’ sbottonata e fuori dai pantaloni, ed io sicuramente rossa come un peperone.”
“E poi?”
“E poi basta. Questo è stato il culmine di quest’anno. Nelle settimane successive abbiamo quasi sempre ripetuto in gruppo, quindi non è mai successo chissà cosa di strano. Mah, forse ho voluto vederci più cose di quante in realtà ce ne siano dietro. Alla fine, è sempre stato un po’ così, l’abbiamo solo voluto portare su un livello un po’ più piccante. Non gli piaccio, lo so. E ti posso assicurare che ci sono moltissimi lati della sua personalità che non sopporto!” conclude e ridono entrambe.
“Ma il vero problema è un altro, vero? Che in realtà a te lui piace, e ti fa stare male questo suo comportamento.”
“Mmh, questo tuo essere così diretta non mi era mancato.”
“Dai, amore...”
“Sì, beh, credo di sì. Penso che mi piaccia da un po’. Anzi, so che mi piace da un po’ ma, peggio ancora, so che penso a lui da un bel po’ di tempo. Quando le cose hanno iniziato a farsi interessanti e complicate.”
“Ovvero?”
“Da quando ho iniziato a dare spazio a Filippo nei miei pensieri, dici?” chiede Emma, buttando giù l’ultimo sorso di vino dal bicchiere di plastica. Riflette un attimo mentre si accende una sigaretta. Espira.
“Direi dal terzo anno, da quel viaggio di ritorno dalla Grecia. Ma se volessi essere totalmente onesta con me stessa, probabilmente già dal primo giorno di scuola del primo anno, quando è entrato in classe con quella sua faccia da ‘sono il più figo dell’universo’.”













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Buona Pasquetta a tutti! Questo è il terzo di sei capitoli, ci stiamo avvicinando alla fine. Molti nodi vengono al pettine, anche se dovrete aspettare il prossimo per una maggiore delucidazione! Mi scuso per il ritardo, come al solito. Il prossimo capitolo, tuttavia, è già pronto. Conto di riguardarlo e pubblicarlo tra una settimana o poco più. 
Vi auguro una piacevole giornata e, come sempre, grazie. 

Chiara

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