Young and beautiful red (TMNT 2014)

di Stella Dark Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guai di tutti i colori ***
Capitolo 2: *** Come un'ombra ***
Capitolo 3: *** Toccata e fuga ***
Capitolo 4: *** Passione ***
Capitolo 5: *** Mosse azzardate ***
Capitolo 6: *** La cosa giusta ***



Capitolo 1
*** Guai di tutti i colori ***


Teenage Mutant Ninja Turtles:
Young and beautiful red
 
1
Guai di tutti i colori
 
“Sono tartarughe mutanti!”
April non si rese subito conto di averlo detto ad alta voce, ma poi, quando realizzò di averlo fatto davvero, avrebbe tanto voluto essersi mozzata la lingua prima. Lo sguardo si rimise a fuoco sul viso sorpreso di sua cugina Julie. E adesso? Ormai era tardi per tornare indietro e di certo non poteva fingere che si trattasse di uno scherzo. Il danno era fatto.
“Tartarughe mutanti?” Julie pronunciò quell’ultima parola come se avesse avuto della senape in bocca. Magari non le avrebbe creduto e sarebbe finito tutto con una risata. Magari! E invece no, perché poi il volto di Julie si illuminò come il sole e dalla sua bocca ricominciarono a sgorgare domande insistenti. Era come una bambina di fronte ad un trucco di magia, completamente estasiata. Continuava a salticchiare per l’emozione, facendo muovere tutto il divano su cui erano sedute, le sue guancie chiazzate di rosso e gli occhi azzurri che brillavano. Sì, decisamente si poteva scambiarla per una bambina, almeno fino a quando non si alzava in piedi rivelando così la sua notevole altezza di 174 centimetri e il suo corpo dalle forme perfette.
April cercò di spiegare con la massima serietà che tutto ciò che le stava rivelando doveva restare un segreto, ma sua cugina sembrava troppo concentrata su dettagli assurdi per dare importanza a questa cosa.
“Ma sono più umani o più tartarughe?”
April spaziò lo sguardo sul salotto, riflettendo: “Be’…devi considerare il fatto che hanno la pelle verde, un grosso guscio sulla schiena, la corazza sul petto e solo tre dita nella mano. Però sono molto alti, hanno gambe e braccia parecchio muscolose e…”
“Praticamente sono dei Dwayne Johnson verdi!”
A quella frase April si sentì quasi mancare. Se invece che sul grande e comodo divano color azzurro pastello fosse stata seduta su una sedia, sarebbe caduta giù battendo le natiche sul pavimento. Per quanto ci provasse, non riusciva proprio a trovare un elemento sensato nei discorsi di sua cugina.
“Io… Io devo andare un attimo in bagno, scusami.” Attraversò il salotto quasi di corsa e andò spedita verso il bagno, dove poi si chiuse dentro, le spalle contro la porta. Si era messa in un bel casino! Prese respiro e cercò di fare il punto della situazione. Conosceva Julie abbastanza da sapere che non sarebbe finita lì. Non appena lei fosse uscita da quella porta avrebbe ricominciato a tempestarla di domande assurde o imbarazzanti e si aspettava che fra queste ci fosse anche quella di portarla a vedere le tartarughe. Aveva bisogno di un consiglio da un esperto. Prese il cellulare dalla tasca della giacca gialla, che indossava praticamente sempre, e aprì la rubrica. Si portò  il cellulare all’orecchio e dopo il secondo squillo ricevette risposta. Parlò con voce incerta: “Donnie, credo di aver combinato un guaio.” Se c’era qualcuno in grado di trovare una soluzione, quello era Donatello.
Gli raccontò la situazione, senza mancare di scusarsi più volte per aver tradito il loro segreto e, una volta terminato, ormai convinta di doversi prendere una bella strigliata per essere stata così irresponsabile, si sentì dire…
“A questo punto direi che la cosa migliore è portarla qui e farla parlare con uno di noi, per cominciare.”
Incredibile. L’aveva scampata? Quasi non ci credeva. Era già pronta a pagare penitenza e invece…. Un momento. Incontrare uno di loro? Per cominciare?? Cioè le stava suggerendo di portare quella pazza e infantile di sua cugina nel loro rifugio? Be’, pensandoci bene, l’idea non era malaccio. Era consapevole di non poter fare nulla per impedire a Julie di ottenere ciò che voleva, ma per evitarle traumi e farle capire la serietà della faccenda era più saggio che li incontrasse uno alla volta. Ma chi farle incontrare per primo?
*
La telefonata a Donatello l’aveva calmata. Era quasi terapeutico parlare con lui. Erano bastati dieci minuti e poi era tornata dalla cugina con ritrovata serenità e le aveva detto tutto. Dopo aver sopportato pazientemente una serie di abbracci, esclamazioni infantili e la promessa di risentirsi presto, era infine riuscita ad andarsene da quell’appartamento e aveva preso l’ascensore per percorrere i dieci piani che la separavano dal suolo.
Julie era sua cugina di primo grado, ma tra loro c’erano differenze abissali sia fisicamente che caratterialmente. Lei era bruna, di altezza media, la pelle olivastra e una grande determinazione e serietà in tutto ciò che faceva. Julie invece era alta, aveva una chioma bionda da far invidia agli angeli e la sua pelle era chiara come il latte, un’autentica bellezza insomma, però il suo carattere aveva mille sfaccettature. Era gentile e dolce nel migliore dei casi, ma sapeva diventare infantile ed ossessiva per le cose più bizzarre. Era una brava ragazza, amava la danza classica, ma purtroppo era viziata da morire. Al contrario della sua, la famiglia di Julie era schifosamente ricca, i suoi genitori avevano tre ville sparse per il mondo e il padre le aveva comprato un appartamento da capogiro a Manhattan per i suoi diciotto anni, all’arrivo della primavera. Conoscendo lo zio Nick, doveva averlo fatto come mossa strategica, sperando che la vicinanza con lei, la cugina più grande e indipendente che lavorava come reporter, avrebbe saputo metterla sulla giusta strada. Sarebbe stato più facile andare sulla Luna con una navicella fatta di lattine di bibite gassate! E così, a partire da una mite giornata di metà maggio di quel già burrascoso anno 2014, April si era ritrovata a fare la spola tra il suo piccolo e umile appartamento di periferia a quello lussuoso di Julie, nel tentativo di convincerla a maturare un po’. Un mese di vita sprecato. Non poteva negare di adorare la compagnia della cuginetta, nella maggior parte dei casi, però i problemi erano cominciati quando Julie aveva intuito che lei stava nascondendo qualcosa e da allora era divenuta quasi insopportabile. April non poteva incolpare se stessa per essere esplosa e averle spiattellato tutto! Ridacchiò tra sé. Un po’ si sentiva sollevata nel condividere quel grande segreto con qualcuno di cui si fidava. Perché di Julie si fidava cecamente e sapeva che, nonostante il carattere capriccioso, era in grado di mantenere un segreto di quella portata. E poi loro due avevano sempre avuto un legame speciale, fin da bambine, in barba ai sei anni di differenza che c’erano tra loro!
April imboccò una via laterale, lasciandosi così il sole del tardo pomeriggio alle spalle. I suoi pensieri si concentrarono sulla questione più urgente. Doveva decidere chi dei quattro mutanti avrebbe incontrato Julie per primo. Raffaello era da scartare a priori. Ricordava bene il modo in cui si era presentato a lei la prima volta, usando la ‘voce da Batman’ e terrorizzandola facendole credere che l’avrebbe uccisa. Certo poi aveva scoperto che in realtà lui non era cattivo, però non voleva rischiare che facesse un’impressione simile a Julie, portandola a correre via a gambe levate e gridando per il terrore. Leonardo era una scelta migliore, con il suo modo di fare galante e cortese. Non faticava ad immaginare la scena di lui che accoglie Julie esibendosi in un regale inchino. Peccato che, conoscendo sua cugina, probabilmente l’avrebbe visto come una specie di eroe di un film o di un libro d’amore e avrebbe potuto benissimo cadere ai suoi piedi come una pera cotta giurandogli amore eterno. No, non stava esagerando, Julie poteva davvero reagire così! Donatello magari… Arricciò le labbra da un lato, dubbiosa. Lui era un gran bravo ragazzo, però la sua intelligenza e la sua abilità informatica, nonché quegli occhiali da vista, gli davano tremendamente un’aria da secchione! Julie si sarebbe annoiata a morte, ne era certa. Allora non restava che Michelangelo. Semplice, superficiale, bonaccione e simpatico, poteva intrattenere Julie facilmente. Già li vedeva immersi in chissà quale conversazione su mondi fantastici, oppure incollati alla tv a mangiare pizza o ancora ad ammazzarsi di videogiochi. In effetti quei due si somigliavano sotto molti aspetti, quindi avrebbero fatto subito amicizia. E così lui avrebbe finalmente smesso di farle avances inopportune! A questo pensiero lasciò un sospiro di sollievo e si sentì più leggera. Era affezionata a Mikey, ma a volte lui sapeva essere così… appiccicoso. Si fermò all’improvviso, pensando all’altra faccia della medaglia. Si sarebbe scrollata di dosso le sue attenzioni, vero, ma avrebbe avuto il coraggio di dare la sua cuginetta in pasto ad una tartaruga mutante adolescente  in piena tempesta ormonale? Un brivido le attraversò la schiena e il cuore le si strinse un istante. Era davvero così meschina o aveva ancora una coscienza? Riprese a camminare, svoltò un altro angolo e si ritrovò sulla strada di casa nel quartiere basso della città. La suoneria del cellulare la fece sobbalzare, tanto era persa in pensieri. Mise mano alla tasca della giacca con gesto automatico e lo estrasse. La foto di Julie riempiva lo schermo, April alzò gli occhi al cielo prima di rispondere.
“Ci siamo lasciate poco fa, Julie.” La voce le uscì più seccata di quanto avrebbe voluto.
“Lo so, ma volevo chiederti se hai preso una decisione! Te lo giuro, April, la tensione mi sta uccidendo! Fosse per me correrei subito nelle fogne a cercarli!” Al contrario di lei, Julie aveva la classica voce squillante da ragazzina e il suo tono si fece ancora più alto nell’aggiungere: “Hey! Potrei anche farlo! Vado alla ricerca delle tartarughe e lascio che sia il destino a decidere chi farmi incontrare per primo!”
April si batté una mano sulla fronte, era esausta, non poteva più sentire quelle assurdità: “No. Tu non farai niente di simile. Te lo proibisco. Anche perché ti perderesti di sicuro.”
“E allora dimmi chi incontrerò e quando! Dimmelodimmelodimmelo!” Insisté lei.
Basta, non ne poteva più, era come se nella mente avesse avuto una trottola impazzita che le sparava ad intermittenza dei flash rossi, blu, arancio e viola.
“Michelangelo!” Gridò, esasperata. Ancora una volta si fermò, rendendosi conto di quello che aveva appena detto. Oh oh…
Dal telefono arrivò un grido di gioia: “Quello arancio!”
“Ehm, aspetta, io…” Tentò di rimediare, ma la voce all’altro capo non glielo consentì: “Domani non ho lezione di danza, quindi potremmo vederci in mattinata. Facciamo alle dieci? Va bene allora! Un bacione cugina!”
Il bip pose fine alla conversazione ed April si ritrovò immobile con lo schermo del cellulare ancora premuto all’orecchio e alla guancia. Quella ragazza era davvero un uragano incontrollabile. Sbatté le palpebre due volte, perplessa. Aveva detto domani alle dieci, giusto? E l’avrebbe portata ad incontrare Michelangelo.
“Forse, dopotutto, non è una cattiva scelta. Si faranno compagnia a vicenda.” Minimizzò, facendo spallucce. Ora non le restava che richiamare Donnie e avvertirlo.
*
Lo sguardo vigile e severo e le dita della mano a lisciarsi i baffi, il Maestro Splinter stava esaminando con cura il grande atrio, magicamente pulito e ordinato. Non era stato difficile trovare un luogo dove stabilirsi, dopo che gli odiosi uomini di Shredder avevano distrutto il rifugio dove avevano vissuto per anni, tant’è che sotto la città c’era un mondo sotterraneo per lo più dimenticato -ad eccezione del sistema fognario e delle gallerie della metro. Avevano salvato il più possibile dalle macerie del vecchio rifugio, e poi, notte dopo notte, si erano dati da fare per setacciare le discariche della città e raccogliere tutto ciò di cui necessitavano per vivere. E molto altro. L’unico problema era quella pigrizia che si faceva strada in loro quando era il momento di riordinare e fare le pulizie. Non che la causa della notte passata in bianco per rendere quel luogo adatto ad accogliere un ospite.
“Mh. Va abbastanza bene, direi.” Sentenziò Splinter.
I quattro fratelli, che per tutto il tempo erano rimasti immobili, respirando piano, in attesa di sapere il giudizio del Maestro, finalmente poterono lasciare un sospiro di sollievo.
Michelangelo ridacchiò: “E’ stata una faticaccia, eh?”
“Mi chiedo a quale scopo.” Sbottò Raffaello, gesticolando: “Viene la cugina di April, e allora? E’ probabile che sarà disgustata da noi e magari andrà alle autorità per farci catturare tutti.”
“Tu e la tua malafede ve ne starete in camera, per fortuna. Non è difficile capire perché April non voglia farti incontrare sua cugina.” Sottolineò Donatello.
A quel punto intervenne Leonardo, con aria dubbiosa: “Già, anche se mio chiedo perché non abbia concesso a me l’onore di presentarmi per primo. Io sono l’unico della famiglia a possedere le qualità per far sentire un ospite a proprio agio. A maggior ragione se si tratta di una ragazza.”
Michelangelo scoppiò a ridere: “Sembra quasi che tu abbia delle mire su di lei! Ancora prima di vederla!” Dovette interrompere la risata sentendo la stretta del fratello Donatello sulla spalla e la sua voce all’orecchio: “A tal proposito, vedi di non farci fare brutta figura tu.”
“Hey, così mi offendi. Non ho intenzione di tradire la mia fidanzata.”
“Puah, fate quello che vi pare.” Concluse Raffaello, infastidito da quei discorsi. Voltò le spalle ai famigliari e aggiunse: “Forse non ci prenderà per mostri, ma per dei pagliacci da circo sì.” Invece di usare la rampa di scale, si aggrappò ad una trave e balzò al piano superiore, dove andò a rinchiudersi nella propria camera facendo sbattere la porta.
“Ma che gli è preso?” Chiese Michelangelo, sorpreso.
Fu Leonardo a dargli una risposta: “E’ sempre il solito. Farò in modo che stia lontano da Julie altrimenti rischiamo davvero di farle una cattiva impressione.” Non approvava il comportamento del fratello, come sempre. Credeva che dopo la grande lotta per salvare la popolazione della città, appena un paio di mesi prima, tra loro quattro non vi fossero più barriere, invece Raffaello poco alla volta si era richiuso nel guscio, soprattutto ora che April aveva fatto quella gaffe con la cugina. Lui invece era fiducioso, al riguardo. Sì, la notizia che il loro segreto fosse nelle mani di una nuova ragazza sulle prime lo aveva turbato, ma poi si era scrollato di dosso ogni timore. Se April riteneva la cugina degna di fiducia, perché loro non avrebbero dovuto fidarsi?
“Ora, figlioli, potete mangiare qualcosa prima dell’arrivo delle ragazze.” Il tono gioviale di Splinter pose fine al discorso e le sue parole scatenarono un’ondata di approvazione.
Dimenticando completamente il fratello scontroso, i tre si precipitarono sulle credenze della cucina per arraffare il loro tanto amato cibo spazzatura, ovvero tutto ciò di cui un corpo non necessitava ma che loro potevano trangugiare senza alcun rischio. Così, nel giro di pochi minuti, il tavolo divenne un campo di battaglia di patatine al formaggio, tranci di pizza riscaldata, spaghetti cinesi della sera prima e via dicendo. Una bella mangiata dopo una notte di lavoro se la meritavano! E mentre loro si riempivano lo stomaco, Splinter faceva meditazione nella sua sala personale e Raffaello se ne stava sdraiato sul letto ad osservare il soffitto con il suo tipico sguardo arrabbiato.
“Continuo a pensare che sia una pessima idea.” Sussurrò al vuoto, per poi imporsi di chiudere gli occhi e ricercare la cura del sonno.
*
Pigiamino leggero con maniche e gambe a trequarti, capelli raccolti in un mollettone, postazione sul tappeto tra il divano ed il tavolino e una ciotola colma di frutta tagliata a pezzetti. Ah e un episodio di ‘How I met your mother’ alla tv! Era questo il tipico modo di fare colazione di Julie, da quando si era trasferita in quell’appartamento. Una fetta di libertà guadagnata dopo anni di colazioni con amici di famiglia o ospiti a lei sconosciuti, e sempre abbigliata al meglio. Sembrava una vita fa…
“Barney mi fai morire!” Disse rivolta al personaggio, ridendo di gusto. Quella serie tv la metteva sempre di buon umore e poterla vedere di prima mattina, appena alzata, era una gioia. La sua risata non si era ancora spenta quando suonò il cellulare, diffondendo le note di una canzone di Lana Del Rey. Julie mise in pausa l’episodio e si alzò per andare  a prendere il cellulare dalla penisola della cucina, dove lo aveva lasciato. Un’ombra le attraversò lo sguardo nel vedere il nome sullo schermo. Prese respiro e rispose: “Ciao mamma.”
“Buongiorno tesoro! Spero di non averti svegliata.”
“No, stavo facendo colazione. Tra poco vedrò April e così…”
“Sono lieta che tu stia frequentando tua cugina. Vedrai che ti farà bene.”
Ecco che si comincia… Julie alzò gli occhi al soffitto: “Sì, mamma, lo spero anch’io.”
“A patto che tu non perda troppo tempo, però. Le lezioni di danza le frequenti?”
“Sì, regolarmente. Lo sai che mi piacciono. E poi vorrei essere scelta come protagonista per lo spettacolo che si terrà a luglio.”
“Oh è vero, lo spettacolo! Quasi lo dimenticavo. Se verrai scelta io e tuo padre verremo a vederti, probabilmente.”
Il che significava che il caso contrario non si sarebbero fatti vedere. Bene. Che genitori amorevoli.
“E invece le lezioni all’università?”
Julie si sentì raggelare. Il corso estivo era iniziato da due settimane e lei ci era andata solo qualche volta. Se lo avesse detto, di certo sua madre l’avrebbe uccisa per telefono. Per quanto fosse fisicamente impossibile. Si schiarì la voce e cercò di fingersi un po’ irritata: “Va tutto bene. Te l’ho detto cento volte!”
“Sì è vero, come io ti ho detto cento volte di impegnarti. Mi raccomando Julie. Non è stato facile convincere il rettore ad accettarti, coi voti che avevi al liceo. Tuo padre ha dovuto fare una generosa donazione affinché ti venisse data la possibilità di…”
Ora basta. Julie batté una mano sul ripiano: “Devi sempre ricordarmelo? Lo so bene che papà ha sganciato dei soldi per farmi accettare. Ma ti ricordo che anch’io dovrò fare la mia parte. Seguire il corso estivo e rilasciare un esame. E ti assicuro che ce la farò!”
Per qualche momento dal capo opposto del telefono non arrivò alcun suono. Poi un respiro profondo e un tono di voce tagliente: “Me lo auguro per te. Anche se mi chiedo perché tu non voglia prendere marito. Ci sono dei buoni partiti qui a Bel Air e così saresti sistemata.”
Inutile tentar di ragionare. La posizione sociale era al di sopra di tutto per sua madre. Oltre al denaro, ovviamente.
“Per ora voglio solo concedermi questa occasione. Se andrà male, ti prometto che penserò anche a questa opzione.” Il tono arrendevole e stanco, Julie terminò con un: “Ora scusami ma devo prepararmi. Ci sentiamo presto, mamma. Salutami papà.”
Un formale ‘buona giornata’ come risposta e la conversazione finì, lasciando Julie più abbattuta che mai. Abbandonò il cellulare sul ripiano e tornò a sedersi sul tappeto, stavolta però appoggiandosi al bordo dove era il bracciolo. Strinse le ginocchia al petto, come abbracciando se stessa per darsi conforto. Essere l’unica figlia di un uomo d’affari e di una donna che si vestiva di grandi marche, non era facile. Il denaro ti dava tutto, ma ti toglieva anche tutto. Fin da bambina aveva avuto solo il meglio, aveva visto praticamente tutto il mondo e conosciuto migliaia di persone. E questo, secondo lei, era la causa per cui ora non aveva sogni nel cassetto. Quello di iscriversi alla facoltà di lettere di New York era solo un capriccio, come anche quello di voler avviare una carriera come scrittrice di romanzi d’amore. Una scelta dettata dalla sua ammirazione per il personaggio di Carrie in ‘Sex and the City’, la sua serie tv preferita. Ma poi…quale amore? Conosceva quello per gli oggetti, non quello per le persone. Non per niente aveva perso i contatti con quasi tutti gli amici di Bel Air. L’unica persona al mondo a cui voleva bene davvero era April, la cugina più grande che fin da piccola aveva dimostrato di avere grandi progetti ed una determinazione sconfinata. Lei sì che era una tosta! La ammirava e a volte desiderava essere come lei.
Le prime frasi della canzone di Lana dicevano:   
I've seen the world, done it all
Had my cake now
Diamonds, brilliant, in Bel Air now

Ora poteva tranquillamente cancellare ‘Bel Air’ e scrivere al suo posto ‘New York’. Nuova città, nuova vita, nuovi…amici? Il suo sguardo s’illuminò, ricordandosi cosa stava per accadere.
“Vado ad incontrare le tartarughe mutanti!” Emise un gridolino d’entusiasmo, quindi balzò in piedi e corse a prepararsi.
*
“Ma ma ma credi che gli piacerò?” Starnazzò Julie, tanto che la sua voce riecheggiò per il tunnel che lei e April stavano percorrendo, inoltrandosi sempre più a fondo nei sotterranei della città. Se almeno avesse aspettato una risposta…invece no, riprese a parlare e gesticolare in preda al nervosismo: “Cioè, voglio dire, magari non avendo molta confidenza con le persone potrebbero pensare che voglio vederli per uno scopo...oscuro. O che magari sono una spia della NASA che vuole catturarli e portarli…”
“Julie, ti prego.” La zittì April, esausta di sentire i suoi vaneggiamenti e sentendo il mal di testa martellante che minacciava di farle esplodere il cranio. Smise di camminare e si piazzò davanti alla cugina per guardarla negli occhi, le mani sulle spalle: “Ascoltami, per favore. I tuoi timori sono irrazionali. Non c’è nessun motivo per cui tu non possa piacergli e, fidati, sono certa che non gli passa nemmeno per la testa l’idea che tu sia una spia o quant’altro. E ti dirò di più! Prima ho sentito nuovamente Donnie e ha detto che tutti loro sono entusiasti di conoscerti e di avere una nuova amica.” In qualche modo le sue labbra si erano curvate in un sorriso nel pronunciare quell’ultima frase e questo contribuì a calmare l’agitazione di entrambe. A volte poche parole gentili potevano fare miracoli. Nel caso di Julie, le regalarono un sorriso e la fecero smettere di sclerare! April la lasciò e le due si rimisero in marcia, in un clima più piacevole.
“Sai April… Volevo ringraziarti. Lo so che ti ho estratto quel segreto prendendoti per sfinimento, ma sono felice che poi tu abbia acconsentito a farmi entrare in questo vostro gruppo.”
Ora che la sua voce era dolce e tranquilla, sembrava un’altra persona. Una ragazza più mite e giudiziosa. La cugina che lei adorava. Per questo April le sorrise ancora una volta e rispose gentile: “Ti conosco da tutta la vita e presto o tardi credo che ti avrei raccontato tutto ugualmente. Quando li ho trovati mi sono resa conto di aver bisogno di loro, vedrai che per te sarà lo stesso.” Quindi volse lo sguardo in avanti e fece un cenno col capo: “Siamo arrivate.”
Entrò nell’ultimo tunnel che faceva da ingresso al rifugio, seguita a breve distanza da Julie.
“Mikey, siamo qui!”
La sua voce si espanse come un’eco nel silenzio del rifugio. Nell’atrio non c’era anima viva.
Dopo essersi concessi una colazione abbondante, i tre fratelli si erano poi dedicati ognuno ad un’attività di svago in attesa dell’ora X. Leo era andato nella sala dell’allenamento in compagnia della fedele Katana, Donnie si era piazzato al computer a fare qualche ricerca tecnologica e Mikey era andato nella sala dei videogiochi. Dove si trova ancora, addormentato sul divano, a russare come un treno a vapore! Perciò, ad accogliere le ragazze, ci fu solamente il vuoto.
April chiamò ancora: “Hey, Mikey! Ci sei?” Sperò che la prima impressione non facesse testo o Julie non sarebbe più tornata. Ma a guardarla, col naso all’insù e le labbra socchiuse ad osservare l’ambiente, era più probabile che non si facesse problemi al riguardo.
“Ma dove diavolo…?” Disse tra i denti, per poi imporsi di mantenere la calma. Cosa che Leo, dalla sala in cui si trovava, non riuscì a fare altrettanto bene. Continuare a non sentire la voce del fratello non era un buon segno. O forse sì. A conti fatti, se Mikey era sparito chissà dove, poteva andare lui ad accogliere l’ospite! Era dannatamente curioso di vedere Julie, quindi perché non approfittarne? Ripose l’arma e uscì dalla sala a passo sicuro.
“Benvenuta nel nostro rifugio, signorina!” Esordì, sorridendo e spalancando le braccia. L’occhiata interrogativa di April, mista a un rimprovero, non gli piacque molto, ma cercò di non dargli troppa importanza. Andò dritto dalla bellissima bionda che lo guardava con occhi sgranati e le praticò un elegante baciamano. “Posso darti del tu?”
“C-certo!” Il cuore le batteva così forte che quasi le scoppiava. Era emozionatissima. “Tu sei Leonardo, giusto?”
“Per servirti.” Cantilenò lui, con un sorriso affascinante che la fece arrossire.
April si sentì in dovere di intervenire: “Direi che può bastare, amico mio.” E per accentuare quelle parole, lo afferrò saldamente per un braccio per distoglierlo da quelle smancerie inappropriate. Poi aggiunse: “Noi dovevamo incontrare Michelangelo. Dov’è???”
Capita l’antifona, Leo si abbassò per parlarle all’orecchio: “Non ne ho idea.”
“Se lo trovo giuro che lo ammazzo.” Quindi sfoggiò un falso sorriso e si rivolse alla cugina: “Ma a questo punto è tardi per rimediare! Che ne dite di sederci e bere qualcosa?”
Julie non riusciva a staccare gli occhi da Leonardo, com’era comprensibile, e lui ne approfittò per tornare alla carica. Le porse il braccio: “Prego, ti accompagno al tavolo.”
Di tutto quel teatrino, Donnie non si era perso né una parola né un’espressione. Quando aveva udito la voce di April si era subito alzato dalla comoda poltrona girevole per andare a vedere cosa stesse facendo Mikey, ma poi aveva udito l’entrata in scena di Leo ed era rimasto come paralizzato. Va bene che voleva essere gentile e ospitale, ma c’era un limite! Dopo l’ennesima fanfaronata, si batté la mano sulla fronte, esasperato: “Ma che sta dicendo?” E inevitabilmente abbandonò la postazione per andare a salvare la situazione. Saltò fuori giusto in tempo per vedere una furiosa April dare una spinta a Leonardo per mandarlo a prendere delle bibite dal frigorifero.
“Hey ragazze, tutto bene?” Disse un po’ impacciato, nonostante i buoni propositi.
“Oh ma guarda! Un altro che non è Michelangelo!” La marcatura di April non fece che confermare il suo stato d’animo. Se avesse avuto un’arma l’avrebbe usata senza indugi!
Quando giunse al tavolo, Donnie si rivolse all’ospite: “Tu devi essere Julie. Piacere di conoscerti!”
“Tu invece sei Donatello, quello viola!”
Ora che lui la vedeva, e da vicino, poteva capire al volo il perché suo fratello stesse facendo il cascamorto. Julie era bellissima, aveva i lineamenti delicati come quelli degli angeli negli affreschi delle chiese che aveva visto nei documentari, i capelli d’oro e due occhi luminosi che gli ispirarono subito grande simpatia.
“Ti unisci a noi, Donnie?” Chiese Leo, con in mano due bottigliette di Coca-Cola, che andò subito a riporre su un vassoio assieme all’aranciata.
“Lo sapevo che finiva male.” Disse April tra sé, lasciandosi scivolare su una sedia. Una battaglia inutile, la sua, tanto valeva prendere le cose come venivano.
“Voi che ci fate qui? Questo incontro doveva essere mio!” Michelangelo attirò l’attenzione di tutti, arrivando di corsa come se avesse il diavolo alle calcagna. Nei suoi occhi tutto il disappunto per quella situazione.
April lo punzecchiò: “Colpa tua che non sei arrivato prima.”
Donnie aumentò la dose: “Dov’eri finito, fratello?”
“Ehm, io…” Si grattò la testa, imbarazzato: “Io mi sono addormentato dopo aver giocato ad una versione rimasterizzata di Monkey Island…”
“Io ci rinuncio!” Crollò April, definitivamente.
“Ti rendi conto, Mikey? Dovevi fare UNA-SOLA-COSA! Accogliere Julie! Era tanto difficile?” Sbottò Donnie.
“Oh a me non dispiace che si sia addormentato.” Leo posò il vassoio sul tavolo, prese una Coca e la aprì personalmente, quindi la porse a Julie con eccessiva eleganza: “Per te.”
“Mica l’ho fatto apposta! Lo sai che quando mi abbuffo dopo mi viene sonno! Pensavo che giocare mi avrebbe tenuto sveglio e invece…”
Più la discussione continuava, più Julie si sentiva confusa, più i toni di voce si alzavano. E Raffaello, che era riuscito ad addormentarsi nonostante il brutto presentimento per quell’intrusione nel loro rifugio, venne svegliato dalla confusione. I suoi occhi si aprirono di scatto, lo sguardo vigile totalmente privo degli effetti del sonno spezzato. Si sollevò dal materasso, lamentandosi: “Ma che sta succedendo laggiù?” Fece per aprire la porta con l’intenzione di scendere e ristabilire il silenzio, ma proprio quando afferrò la maniglia, una voce si levò su tutte.
“Vorrei restare un momento sola, per favore.” Una voce spezzata dal turbamento, senza dubbio. La voce di…Julie?
Il silenzio calò all’improvviso, per alcuni istanti, poi udì la voce di April: “Vieni, andiamo di là.” Raffaello male interpretò quel tono preoccupato. Si sentì come se gli fosse caduto un masso sullo stomaco. Lasciò andare la maniglia.
“Lo avevo detto. Ci vede come mostri e nient’altro.”
Se qualcuno lo avesse udito, avrebbe di certo notato la sfumatura di tristezza che colorava quelle parole, ma nessuno avrebbe saputo della profonda delusione che provava per se stesso nell’aver ragione.
*
April accompagnò la cugina alla sala dei videogiochi e la fece accomodare sul grande e malconcio divano di un colore indefinibile tra il grigio e l’azzurro. Vederla così spaesata la fece preoccupare. Le prese le mani tra le proprie: “Hey, va tutto bene?”
Qualche incerto cenno del capo e poi Julie rispose: “E’ tutto così…incredibile.”
“Lo so. La prima volta che li ho incontrati sono svenuta, l’hai dimenticato?” Abbozzò uno scherzo per aiutarla a riprendersi. Capiva perfettamente ciò che provava. Anche se l’aveva preparata psicologicamente, ritrovarsi di fronte a dei miracoli della scienza non era facile. Il suo sguardo venne catturato dall’ingresso di Splinter, l’unico dotato di pieno autocontrollo in quella pazza famiglia. Seguendo la traiettoria, Julie si voltò a vedere a sua volta. Gli occhi le si riempirono di ammirazione nel vedere di chi si trattava. Scese dal divano per mettersi in ginocchio, quindi chinò il capo con rispetto: “Maestro Splinter.”
“Sono lieto di conoscerti, figliola. Benvenuta.” La voce tranquilla e rilassata di chi era solito affidarsi alla meditazione e all’equilibrio tra corpo e spirito. Un grande uomo dalle sembianze di un topo.
“Grazie, Maestro. E’ un onore essere qui.”
“Ti prego, mettiti comoda. Sei nostra ospite.” La invitò con un cenno della mano, mentre prendeva posto su un pouf color vinaccia. Attese che lei si accomodasse nuovamente sul divano e poi chiese diretto: “I miei figli sono stati irrispettosi nei tuoi confronti?”
“Oh no no no!” Julie si rianimò subito e cominciò a gesticolare con un certo impaccio: “Mi hanno accolta in modo fantastico, davvero! Avevo solo bisogno di un minuto per… Sì insomma, è successo tutto all’improvviso, dovevo incontrarne solo uno e invece ne sono arrivati tre e poi hanno cominciato a discutere e…e… C’era un po’ di baccano e io…”
Era deliziosa. In lei non c’era traccia di negatività, era come una bambina che viene portata per la prima volta al Luna Park e, di fronte a tante cose nuove, non sa da dove cominciare. Sarebbe stato meglio se avesse gestito lui la situazione invece di lasciarla in mano a Michelangelo, che, come previsto, aveva combinato un guaio.
Sfoggiò un sorriso comprensivo, paterno, e disse: “Non temere, figliola, è comprensibile la tua reazione.”
“Comunque sto bene, giuro. Anzi mi dispiace essermene andata in quel modo, forse è il caso di tornare di là con loro e…” Sentendo Splinter ridacchiare, s’interruppe, perplessa. Si sporse di lato per parlare con April: “Perché ride?”
“Perché non c’è bisogno di tornare di là. I ragazzi stanno origliando da dietro la porta.” Sfoggiando un sorriso divertito, si voltò verso la porta appena nominata: “Potete entrare!”
Questa si mosse leggermente, come mossa dal vento, il che era impossibile a quella profondità! Un istante e fecero capolino le teste lisce e le fasce colorate dei tre fratelli, gli sguardi intimiditi e colpevoli. Julie abbozzò uno scherzo: “Vi prego entrate! Non ho intenzione di usarvi per fare il brodo!”
Donatello si fece avanti, assumendo la posa da professore in procinto di tenere una lezione: “Il brodo di tartaruga e la zuppa di tartaruga sono piatti tipici del sud est americano, più difficili da trovare a New York.”
Leonardo gli diede una spallata, imbarazzato: “Ma ti pare il momento di fare il secchione?”
“A me non piace nessun tipo di brodo, preferisco la pizza.” S’intromise Michelangelo, rigirandosi i pollici come un bambino che aveva combinato una marachella.
Che fosse opportuno o no, Julie non riuscì a trattenere una risata. Quei tre erano fantastici!
La sua risata pulita e vivace arrivò anche ai piani alti, precisamente alla camera da letto di Raffaello. Nell’udirla provò forte sorpresa, ovviamente, convinto com’era che l’incontro fosse andato male. Ma se lei stava ridendo forse non tutto era perduto. Incuriosito oltre ogni limite, mise da parte il cattivo umore e scese a dare un’occhiata.
“Eddai ragazzi, non fate i timidi! Non è proprio il caso!” Nella sala, April incoraggiò gli amici, sorridendo.
Mikey si avvicinò a Julie: “Scusa per prima. Non volevamo stressarti.”
“Non è nulla! Casomai sono io a dovermi scusare per essermi comportata così. Nel trambusto mi sono sentita strana e ho preferito ritirami un momento.”
Il viso di Mikey si accese di contentezza: “Allora ti piacciamo! Wow ho sempre desiderato avere una sorellina!”
Leo lo rimbeccò: “Ah davvero? Questa non l’avevo mai sentita.” Gli diede un buffetto sulla testa mentre gli passava davanti, quindi prese posto sul divano, accanto a Julie. “Non dargli retta, dice un sacco di fesserie tanto per dare aria alla bocca.”
Ora Julie ne era certa, con loro non si sarebbe mai annoiata!
“Hey un momento!” Contò con il dito le tartarughe quasi a volersi accertare di non sbagliare, ma era evidente che mancava qualcuno, quindi chiese: “Dov’è quello rosso?”
Donnie fece per rispondere, incerto: “Ehm, lui…” Ma fu Leo a puntare il pollice alle proprie spalle e dare una risposta concreta: “Il fenomeno è troppo impegnato a tenere compagnia a se stesso per unirsi a noi.”
Neanche a farlo apposta, Raffaello era proprio dietro la porta e aveva sentito. Dopo una simile presentazione, come faceva a farsi vedere?
“Perché non ci racconti di te, Julie?” Saltò fuori Mikey, un attimo prima di buttarsi sull’altro divano e puntellare un gomito sul bracciolo come segno di volerle darle tutta la propria attenzione. Per lo meno Donnie fu più discreto nel sedersi, anche se gli occhi puntati su di lei dicevano la stessa cosa.
“Io…va bene! A patto che anche voi mi raccontiate qualcosa!”
Il consenso fu unanime.
Da dietro la porta, Raph non si perse una sola parola. Più lei parlava e si raccontava a cuore aperto, più lui sentiva un qualche tipo di affinità. Il che era strano visto com’erano diversi. Lui amava i cibi salati, lei quelli dolci; lui ascoltava molto Hip-hop, lei musica Pop; lui amava l’azione, lei il romanticismo; il suo idolo era Vin diesel, lei prendeva a modello Sarah Jessica Parker. E solo per citarne alcuni. Però c’era qualcosa in lei, nel suo modo di parlare, di esprimersi e soprattutto nel cercare di schivare le domande più complicate, che gli permetteva di ‘sentirla’. Riusciva a percepire nella sua voce quella nota di insoddisfazione della vita, quel bisogno di trovare qualcosa per sentirsi completa. Cose che lui conosceva molto bene perché le provava fin da piccolo. La differenza tra loro era che lei aveva conquistato tutti fin dal primo istante, lui invece era incompreso e mal voluto dai suoi stessi fratelli. Non che facesse qualcosa per migliorare, però… Chissà, se fosse riuscito a parlare con lei, a conoscerla, magari…
“Allora siamo d’accordo, torniamo qui domani appena finisco di lavorare!”
La voce di April gli entrò nella mente come un razzo, facendolo tornare al presente. Non solo, le frasi che seguirono erano chiaramente di congedo, quindi le ragazze stavano per andare via. Il che significava che lui doveva sparire da lì. Subito. Eppure… Se invece fosse rimasto lì e si fosse presentato? Meglio tardi che mai e al diavolo quello che avrebbero pensato tutti. Oppure era meglio andarsene e rintanarsi in camera, facendo finta di niente? Una lotta interiore che non sapeva spiegarsi. C’era una terza opzione? Forse non aveva il coraggio di esporsi, ma almeno voleva vederla. Voleva dare un volto a quella voce dolce e simpatica che gli aveva tenuto compagnia per tutto il tempo che era rimasto in piedi fuori dalla porta. La porta, accidenti! Balzò via appena in tempo prima che questa venisse aperta. Il sottoscala era un buon posto dove non dare nell’occhio, un punto costantemente in penombra da cui si poteva vedere senza essere visti. Vedere era tutto ciò che voleva, se solo la sfortuna non l’avesse assalito impedendogli di farlo. Era incredibile come il gruppo fosse rimasto compatto attorno a quella ragazza, nemmeno fosse stata una celebrità con le guardie del corpo! Riuscì ad intravederla appena, giusto per sapere che era bionda e piuttosto alta. Fine. Se non era sfortuna questa… In breve il gruppo raggiunse il tunnel per uscire dal rifugio e tutti si prodigarono in saluti e ringraziamenti. E a lui non rimase altro che l’amaro in bocca. Che poi era una delusione inutile, tanto lei sarebbe tornata il giorno dopo, quindi perché preoccuparsi?
“Tu! Che diamine ci fai lì?”
Maledizione. Invece di sfruttare il momento buono era rimasto lì come un idiota e si era fatto scoprire. Leo gli andò incontro, lo sguardo sospettoso.
“Prima spari a zero su chi non conosci e adesso ti metti a spiare? Ma che ti dice il cervello?”
“Ero solo sceso a vedere se era tutto a posto.”
“Quindi? Hai cambiato opinione? Ti sei convinto che lei è una brava ragazza?”
“Io…” Allungò lo sguardo sull’ingresso, dove erano appena rientrati Splinter, Mikey e Donnie, i quali ora lo stavano guardando curiosi in attesa di una risposta.
Leo lo canzonò: “Allora? Ti piace così tanto che non riesci più a parlare?”
No. Non poteva accettare di essere deriso. Anche se aveva detto il vero, non gliel’avrebbe data vinta così. Divenne più serio che mai e disse amaramente: “Non mi piacerà mai una ragazzina ricca e viziata che guarda Sex and the City.” Gli era uscito senza pensare, di getto, come uno sputo. E già mentre lo diceva si rese conto di essersi scavato la fossa con le proprie mani. Ciò che non aveva previsto era la reazione di Leo. Si ritrovò le sue dita attorno al collo, all’improvviso, ed i suoi occhi freddi e minacciosi puntati contro.
“Julie è meravigliosa. A me piace tantissimo. E non ti permetterò di offenderla o di metterla a disagio.”
Donnie fece per fermarlo, ma Raph glielo impedì: “No. Lascialo finire.”
“Stai lontano da lei, fratello, o te la vedrai con me.” Lo lasciò andare e gli voltò le spalle, furioso.
Oltre alla minaccia, Raph dovette subire anche gli sguardi delusi degli altri due fratelli e del padre. Si sentiva come se fosse appena precipitato nel vuoto. Che cosa aveva fatto?

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Capitolo 2
*** Come un'ombra ***


2
Come un’ombra
 
La musica riempiva la stanza con le sue note rockettare, sullo schermo correvano strisce colorate pizzicate da mani immaginarie che suggerivano ad una scatenata Julie cosa premere sulla piccola chitarra che aveva tra le mani. La Wii non era un gioco, era un’esperienza. Gli ultimi accordi vennero eseguiti con tanto di mossa dei fianchi, per poi terminare con il sollevamento della finta chitarra in segno di trionfo. Gli applausi esplosero sia dallo schermo che attorno a lei.
“Wuuuuh, vai Julie!” Strillò April dal divano dove era seduta, sollevando le braccia.
Lei le rispose strizzando l’occhio, quindi si rivolse a Mikey, suo sfidante non che perdente della sfida: “Mai sottovalutare una ragazza! Anche se è di buona famiglia.”
Normalmente si sarebbe lagnato della sconfitta e avrebbe preteso una rivincita, ma non con lei. Perdere contro la sua nuova sorellina non era un dispiacere, esattamente come non era un vanto vincere contro di lei. Tutto ciò che la riguardava era semplicemente…piacevole.
“Sei stata fantastica! Mi hai praticamente stracciato!”
“Ma no, è stata solo fortuna. Vedrai che la prossima volta vincerai tu, Mikey.” Oltre ad essere bella e dolce era anche modesta. Praticamente impossibile trovarle un difetto.
“Hey, che ne dici se proviamo con un’altra canzone?”
“No! Adesso Julie è mia!” Saltò fuori Leo, all’improvviso, cingendole  i fianchi col braccio. Si scambiarono un sorriso complice, quindi lui si rivolse nuovamente al fratello: “Forse April ha voglia di sfidarti.”
La diretta interessata balzò giù dal divano e disse decisa: “Puoi dirlo forte! E sceglierò anche la canzone!” Si fece consegnare la chitarra dalla cugina con una teatralità che fece sorridere Donnie -seduto sul divano in silenzio a godersi le sfide-, neanche si fosse trattato del passaggio dell’ascia di guerra. April sapeva essere grintosa da paura quando era in vena.
Ora che aveva la sua bella tutta per sé, Leo la portò fino alla poltrona -parecchio malconcia e rattoppata che giaceva solitaria in un angolo-, dove poi si lasciò cadere di guscio trascinando anche lei. Julie lasciò un gridolino, per poi mettersi a ridere una volta atterrati nella massa informe. Si ritrovò di fatto seduta su di lui, con le gambe che scendevano elegantemente da un lato e le mani poggiate alla corazza del suo petto. Una posizione alquanto intima per due che si conoscevano da pochi giorni.
“La notte scorsa avevo una gran voglia di venire a trovarti, ma non sapevo come sbarazzarmi dei miei fratelli.” Disse lui, cercando con poco successo di farla sembrare una battuta. Cosa che evidentemente non era. Julie gli piaceva davvero e, per quanto lo riguardava, aveva avviato un vero  e proprio corteggiamento al quale lei pareva favorevole. Agiva liberamente di fronte agli altri, compresa April, forte del fatto che lei non pensava minimamente a ritenere serie le sue intenzioni. Per lei si trattava solo di simpatia, in fondo anche tra loro c’era un bel rapporto aperto e confidenziale, e questo sembrava renderla ceca sulla realtà dei fatti. Meglio così.
Julie si atteggiò a preziosa, fingendo di non aver capito il senso: “Non è molto carino da parte tua dire così. Scommetto che anche a loro farebbe piacere venire nel mio appartamento per razziare i viveri e far esplodere la tv.”
“E chi ti dice che io voglia fare questo?” La pungolò Leo, stringendola più forte a sé.  Come ogni volta, non ottenne altro che una risatina e un velato rimprovero: “Quanto sei scemo! Smettila! Sai cosa ti dico? Ora vado a sistemarmi i capelli e il trucco, così ti dai una calmata.”
“Eddai, non ne hai bisogno. Sei bellissima.”
“Questo voglio valutarlo io, se permetti.” E sfuggì alla sua presa con un movimento agile, rimettendosi in piedi. Passò accanto a quell’indemoniata di April, che sembrava aver fatto un patto col diavolo per massacrare Mikey alla sfida musicale, recuperò la pochette dal tavolino e scivolò fuori dalla sala sui suoi tacchi a spillo ondeggiando come un fiore al vento.
Il bagno del rifugio era enorme ed accessoriato già prima che i mutanti lo sistemassero, in più assomigliava molto a quello di una palestra. Anzi, probabile che l’intero edifico fosse davvero una palestra qualche decina di anni fa, prima di essere abbandonato e dimenticato. Ma era anche vero che non aveva senso costruire una palestra nel sottosuolo. In ogni caso i servizi avevano richiesto la minima manutenzione, di cui si era occupato Donnie, ed ora erano perfettamente funzionanti, salvo il fatto che erano riforniti solo di acqua fredda. Appena entrati ci si trovava di fronte ad una parete piastrellata che obbligava a svoltare a sinistra, dove s’incontrava subito un ampio mobile privo di ante che i mutanti usavano per riporre il necessario per la pulizia del corpo, subito seguito da una serie di lavabi ovali e collegati tra loro da un un’unica lastra di marmo nero. A ricoprire l’intera parete soprastante  vi era uno specchio che presentava non poche incrinature ma che era comunque sufficiente al proprio uso. In fondo, subito dopo i lavabi, si svoltava a destra per accedere al corridoio dei bagni, tre in tutto, ognuno con una porta che si poteva chiudere dall’interno. Dopo questi si prendeva il piccolo corridoio di sinistra dove c’erano tre orinatoi a muro ed infine, superati anche quelli, l’ultima svolta a sinistra portava alle docce, composte da quattro scomparti separati da muretti di appena un metro. In quel momento, uno era occupato da Raffaello. Il fatto che fosse una tartaruga mutante che viveva nel sottosuolo a stretta vicinanza con le fogne, non significava che amasse il sudiciume. Dopo gli allenamenti con le armi o quelli nella sua piccola palestra personale, era sua abitudine fare una doccia e pulirsi bene facendo uso di una saponetta. Come anche i suoi fratelli.
Finito di risciacquarsi, recuperò la bandana dal muretto dove l’aveva appoggiata e si occupò di lavarla sotto il getto d’acqua prima di indossarla nuovamente. Non era solo un pezzo di stoffa del suo colore prediletto, era un vero e proprio pezzo di lui e non se ne separava mai. Chiusa l’acqua andò a prendere l’asciugamano rosso appeso alla parete, accanto a quelli dei fratelli, se lo fasciò attorno ai fianchi e si avviò. Il cuore gli mancò un battito nel rendersi conto di chi c’era all’interno del bagno oltre a lui. Per un pelo non si fece vedere, ma fortunatamente i suoi sensi e le sue abilità di ninja lo aiutarono. Si concesse un istante per riprendere il controllo di sé, stando ben nascosto dietro la parete, e solo dopo si arrischiò a spiare la bella sorpresa. Julie era lì, di fronte allo specchio dell’ultimo lavabo -dove era più integro- e intenta ad applicarsi il lucidalabbra. Ora che poteva vederla nel dettaglio, era ancora più bella di quanto avesse immaginato mettendo insieme i frammenti di lei che aveva intravisto nei giorni scorsi. Poterla osservare da così vicino era un lusso, per lui, e poi aveva anche la possibilità di valutare il suo comportamento in un momento in cui credeva di essere sola. Certo che era davvero bellissima…
Il suo corpo era modellato da anni di danza classica, però la sua magrezza non era eccessiva come spesso capitava alle ballerine, anzi le sue curve erano piene nei punti giusti, ovvero nei seni che formavano un bel balconcino e nelle natiche tonde. Ed era slanciata. Gambe lunghe, braccia lunghe, busto lungo, non gli era difficile immaginarla innalzarsi verso il cielo come un angelo, se non fosse stato per quelle scarpe dai tacchi allucinanti che avevano tutta l’aria di essere costose. La mini color cipria e il top abbinato, a sacco con una fascia di paillettes che l’avvolgeva sopra i seni, erano l’equivalente di un cartello con segnale luminoso che diceva ‘Sono una ricca di Bel Air’. I capelli invece lo attraevano per la loro lucentezza, per la loro lunghezza fino a metà schiena dove ricadevano in boccoli naturali. Tremotino aveva trasformato la paglia in oro e poi l’oro nei capelli di Julie. Sì, in qualche modo doveva essere andata così. Riflessi allo specchio vide due grandi occhi azzurro chiaro, sormontati da sottili e scure sopracciglia. Il naso era sbarazzino, perfetto per una ragazza abituata ad avere tutto e a cui veniva perdonato tutto. E poi le labbra, nonostante la quantità industriale di lucido che ci stava spalmando sopra, erano di un rosa carne acceso e della forma di un bocciolo di rosa. In sintesi, nemmeno l’attrice più bella del mondo poteva sperare di eguagliarla.
“Ecco fatto!” Disse civettuola rimirandosi allo specchio. Ripose lo stick nella pochette e, mentre se ne andava, mandò un bacio al proprio riflesso.
Raph sorrise tra sé, non c’erano dubbi che lei sapesse di essere bella! Il suo sguardo si posò per caso sul ripiano di marmo. Aveva dimenticato il cellulare. Uscì dal nascondiglio dietro la parete e andò a prenderlo. Sapeva di non essere nel giusto, ma come farsi scappare una simile occasione? Anche la cover del cellulare la rispecchiava pienamente, una base rosa confetto con una decorazione fatta di gocce di cristallo colorate. Lo girò dalla parte dello schermo, nel toccarlo questo si accese e la mancanza di password gli consentì di accedere alle applicazioni. Magari con dita più sottili sarebbe stato più facile cliccare. Pensò bene di recuperare qualcosa dal mobile lì vicino da usare come penna. Il manico del suo spazzolino da denti poteva andare! Per prima cosa premette sulla cartella delle foto. Dalla ridotta quantità era presumibile che conservasse quasi tutto in una memoria esterna, mentre lì aveva tenuto solo quelle più importanti ritraenti se stessa in giro per il mondo. I paesaggi cambiavano, i vestiti cambiavano, l’unica cosa che restava tale e quale era il suo bel sorriso.
“C’è un’altra cosa che voglio vedere.” Bisbigliò a se stesso, quasi giustificandosi di quell’invasione della privacy. Cliccò sull’applicazione della musica. Come previsto, le cartelle raccoglievano in maggioranza i grandi successi di regine e principesse del Pop, ma lui voleva andare più a fondo. Cercò le canzoni preferite. Fra i vari titoli, andò a ricercare quella più ascoltata. La scritta diceva ‘Young and beautiful – Lana Del Rey’. Sapeva di conoscerla, di certo l’aveva sentita alla radio l’anno scorso, però non ricordava la melodia. Prese coraggio e cliccò sulla canzone per avviarla. Era più forte di lui, voleva sapere che cosa Julie avesse nell’anima. Chiuse gli occhi, immergendosi nella melodia suonata dal pianoforte. E poi arrivarono le parole. Era una sua impressione o le prime frasi parlavano di Julie? Fece in tempo ad ascoltare quasi tutta la traccia quando udì chiaramente…
“Un momento, Leo, devo aver lasciato il cellulare di là.”
Raffaello interruppe l’esecuzione e trafficò con quel dannato manico di spazzolino per chiudere tutto. Quando Julie entrò non vide altro che lo sfarzoso cellulare appoggiato al marmo nero.
*
Nel giro di pochi giorni a Julie era stato raccontato tutto, ma proprio tutto, della vita dei quattro fratelli e di Splinter. Solo una cosa era sfuggita loro, per una semplice svista.
“Avete un’automobile superaccessoriata?”
Julie era rimasta letteralmente a bocca aperta, gli occhi che luccicavano di meraviglia nel vedere quel mezzo di trasporto originale che un po’ ricordava le sembianze dei suoi amici mutanti.
Donnie diede uno sguardo all’auto e poi a lei, prima di esprimere la propria perplessità: “Ehm…è quello che ho appena detto.”
Julie si avvicinò di più all’auto, le mani in avanti come se volesse sfiorarla e allo stesso tempo ne avesse timore. “Oh mio Dio! E’ la cosa più bizzarra che io abbia mai visto. E’ così strana, così verde, così…fantastica!” Si voltò verso il gruppetto, sorridente come una bambina: “Facciamo un giro?”
“Ma certo!” L’entusiasmo di Mikey esplose: “E so già come assegnare i posti!” Corse fino all’auto e aprì le due portiere da un lato: “Io e la mia fidanzata stiamo sul sedile dietro, mentre davanti si mettono Julie e Leo alla guida. Invece Donnie, se proprio vuole venire con noi, può stare nel vano sul retro.”
Un’occhiata sbilenca da parte del nominato fu d’obbligo: “Che significa ‘se proprio vuole venire’?”
“Be’, sapendo che siamo due coppie potresti rimanere al rifugio. Non credo che tu abbia voglia di sentire i nostri amoreggiamenti.”
“Sono io che non ho voglia di sentirli, Mikey.” Lo apostrofò April, guardandolo severa e con le braccia incrociate al petto. Sembrava non avesse recepito il messaggio per intero, ovvero da chi era composta l’altra presunta coppia.
Leo intervenne: “Non preoccuparti Donnie, nessuno farà niente di imbarazzante. Tu stai alla guida e…” Prima che finisse la frase, April si gettò sulla cugina con un entusiasmo alquanto sinistro: “Julie si mette dietro con me e Mikey! Ottima idea, Leo. Tanto noi tre siamo i più sottili, non staremo in stretto!”
Nessuno obiettò. Tempo cinque minuti e l’auto era su strada, calda e sfrecciante tra le vie più tranquille della città. Ovviamente, oltre al buio della notte, il miglior modo per passare inosservati era tenersi lontani dal traffico e dalle strade principali, oltre che dagli sbirri che, vedendo un simile veicolo, li avrebbero fermati sicuramente.
April si sentiva in colpa per il modo in cui stava usando sua cugina per tenere a debita distanza Mikey, però accidenti non c’era altro modo! Quel mutante era pienamente convinto di avere una storia con lei e se le inventava proprio tutte per starle addosso. Con Julie a fare da divisore e a tenerlo occupato chiacchierando del più e del meno, almeno poteva godersi il viaggio e scambiare qualche parola con Donnie e Leo.
Scelsero come tappa d’arrivo il molo di Brooklyn, un posto che di notte diventava tranquillo come pochi altri. April respirò l’aria fresca della notte e disse sorridente: “Ero proprio qui quando ho visto per la prima volta i ragazzi in azione. Anche se quella volta non avevo idea di chi o cosa fossero.” Si voltò per vedere l’espressione di Julie, già pronta a rispondere ad eventuali domande, invece lei non le era accanto, era rimasta all’auto, con le spalle poggiate alla portiera e il cellulare fra le mani.
“Sorellina, è successo qualcosa?” Chiese Mikey.
Lei sollevò lo sguardo, le labbra incurvate in un sorriso incerto: “No, è solo… Mi stavo chiedendo perché Raffaello non stia mai con noi. Non l’ho visto nemmeno una volta da quando vi conosco.”
Silenzio di tomba. I tre fratelli si scambiarono delle occhiate.
“E’ colpa mia, vero?” Chiese diretta.
I ‘no’ che uscirono tutti assieme furono una conferma. Leo le andò accanto: “Tu non hai fatto niente di male, sappilo. E’ lui che è diffidente per natura.”
Donnie aggiunse: “E’ molto introverso e scontroso. E spesso ha delle idee sbagliate, come quella che si è fatto su di te. Però non è cattivo.”
“Non ho detto questo! Chi ha parlato di buoni o cattivi? Vorrei solo sapere cosa fare per conquistare la sua fiducia. Vorrei…essere sua amica.”
“Ci credi che io non ne sapevo niente di quello che hanno detto?” Saltò fuori April, seriamente: “Dovrete darmi delle spiegazioni voi tre. Io non volevo che Raph la incontrasse per primo per timore che la spaventasse, non avevo idea che avesse qualcosa contro di lei.”
E mentre loro si perdevano in mezze spiegazioni vaghe, Julie poté isolarsi nei propri pensieri. Non aveva il cellulare in mano per caso. Da alcuni giorni non faceva che guardarlo e rigirarselo tra le dita, interrogandosi. Aveva scoperto quasi subito che qualcuno aveva sbirciato le sue cose. E quel qualcuno non poteva che essere Raffaello, l’unico perennemente assente agli incontri. Dopo un primo momento di rabbia per quel gesto insensato, aveva esaminato tutto per bene ed era arrivata alla conclusione che lui si era interessato solo a due cose specifiche. Le sue foto personali e la sua canzone preferita. Ma perché? Se diffidava della sua buona fede, sarebbe stato più logico spiare la chat per controllare se aveva tradito il segreto. Invece no. Per quale motivo si era limitato a guardare le sue foto e ascoltare una canzone? Le sfuggiva il senso. Azzardando un’ipotesi, sembrava che volesse conoscerla, ma se era così perché continuare ad evitarla? Chi era Raffaello veramente? Più se lo chiedeva, più diventava impaziente di conoscerlo e affrontare la questione. Di lui aveva sentito quasi solo cose negative, eppure era convinta che ci fosse molto di più. Un lato nascosto, una sensibilità ben protetta, una timidezza irrazionale. Qualunque fosse la verità, ogni volta che ascoltava quella canzone non poteva fare a meno di pensare a lui, ad un’ombra con la fascia rossa che forse non desiderava altro che uscire alla luce.
*
I suoni e i rumori del videogioco mescolati alle frasi d’incitazione, oltre a riempire la sala si spargevano anche nel grande atrio del rifugio. Donnie, Julie e Mikey, in questo esatto ordine sul divano, erano concentrati ognuno sulla propria auto che sfrecciava sullo schermo a velocità folle. Nelle mani i fedeli controller i cui pulsanti venivano torturati da circa un paio di ore.
Julie si alzò di scatto dal proprio posto gridando: “Sìììììì!!! Haaaa!!! Finalmente il grande giorno è arrivato!” Gli occhi le brillavano sia di gioia che di soddisfazione. Era la prima volta che vinceva una corsa. Guardando il suo abbigliamento sembrava la pilota di una corsa clandestina, ovvero con jeans molto aderenti e molto bassi di vita con strappi strategici, stivaletti attillati di colore nero con tacco dodici, doppia canotta azzurro su grigio che non lasciava spazio all’immaginazione e capelli raccolti in una coda di cavallo che ondeggiava ad ogni minimo movimento. Sembrava la ‘gemella tosta’ della Julie che si era presentata il primo giorno
“Complimenti, Julie, ti sei meritata la vittoria.” Disse con tono diplomatico Donnie, che non aveva mai raggiunto il primo posto.
Mikey invece saltò fuori con un entusiastico: “Questa è la mia sorellina! Batti il cinque!”
Julie lo accontentò anche se scoppiò a ridere per quel cinque impossibile, dato che lui era in possesso di sole tre dita per mano. “Però adesso devo proprio fare una pausa, ragazzi. Una pausa che comprende la toilette, per intenderci.” Li informò, senza vergogna, come fossero semplicemente suoi fratelli.
“Io e Donnie invece faremo un altro giro di pista! Che ne dici?” Chiese Mikey, pungolando il fratello con il gomito.
Lui ci pensò alcuni istanti e poi disse: “L’ultima volta, però. Ho delle cose da fare dopo.”
Mikey si rimise in posizione e cominciò a pigiare i tasti del controller: “Io prendo il fuoristrada.”
“Hey, lo volevo io quello!” Ribatté Donnie.
“Ah, per favore, badate al mio telefono e se April chiama rispondete.” Aggiunse Julie, mentre usciva dalla sala.
Giusto un paio di minuti per fare quello che doveva e darsi un’immancabile aggiustata ai capelli e poi si diresse verso l’angolo in cui era il frigorifero, con l’intenzione di prendersi una bella bibita gassata. Si fermò nel vedere chi c’era proprio là davanti. Era più alto, più robusto, più muscoloso degli altri fratelli, sembrava una statua del colore del muschio, i suoi bicipiti erano tondi e grossi più delle palle da bowling. Il suo colore caratteristico era il rosso, che sfoggiava nei pantaloncini aderenti a mezza gamba, nei polsini e, a differenza degli altri fratelli che portavano una fascia sugli occhi, lui aveva una sorta di bandana che gli copriva la testa. Raffaello era una visione per gli occhi di Julie. Altro che Dwayne Johnson! In quel momento lui era di fronte al frigorifero chiuso, intento a scolarsi una bottiglia di birra bionda da un litro. Probabilmente sentì la sua presenza, perché all’improvviso smise di bere e si voltò di scatto a guardarla. Lo sguardo era quello di un duro, anche se i suoi occhi di colore verde chiaro brillavano e sembravano più attrarla che intimorirla.
“Finalmente ci incontriamo, bellezza!” Le disse, disinvolto.
Julie si sentì avvampare per quell’appellativo, scosse il capo per riprendersi e decise di mettere da parte la brava ragazza per far onore ai vestiti che indossava. Si avvicinò a lui con passo strategicamente lento e controllato e quando gli fu accanto disse con gran faccia tosta: “Finalmente, davvero. Cominciavo a pensare che i fratelli fossero tre.”
Lui ammiccò: “Probabilmente lo vorrebbero. Sono sicuro che ti abbiano già detto che io sono…”
“Quello tosto?” Lo interruppe lei: “No, non hanno usato questo termine, ma l’ho capito da sola. E ora che ti vedo ne ho la certezza. Anche se…” Fece un cenno alla bottiglia: “Una bionda non me l’aspettavo. Ti facevo più un tipo da bruna, una birra più forte.”
Raffaello abbozzò un sorriso di sfida: “Chissà, forse ho un debole per le bionde.”
Julie si sentì avvampare di nuovo e non riuscì a nasconderlo. Era solo una sua impressione o quel mutante era tremendamente sfacciato, arrogante e….attraente?
“Che stai facendo, Raph?” La voce arrivò dall’alto dell’atrio. Qualche balzo e Leo si piazzò di fronte a loro. Squadrò il fratello: “La stai infastidendo?”
Lui alzò le mani: “Parola mia si è avvicinata lei.”
Julie intervenne, sperando di non peggiorare le cose: “E’ vero. Sono stata io. Ero così curiosa di conoscere…”
Leo prese la parola, tenendo lo sguardo fisso su quello di Raph: “La pecora nera della famiglia? L’assetato di potere? La testa calda? L’incontentabile?”
Raph ridacchiò: “Confermo ogni parola, fratello.” Passò la bottiglia di birra a Julie e disse ad entrambi: “Ora, col vostro permesso, torno ai miei esercizi di pugilato.”
Julie lo osservò mentre correva e poi balzava fino a raggiungere la cavità dove appunto era la sua palestra personalizzata. Aveva il cuore che batteva come un tamburo.
“Vuoi un consiglio?” Leo attese che lei gli prestasse attenzione, quindi proseguì: “Lascialo perdere. Non troverai niente di buono.”
Julie si limitò a fare un cenno affermativo col capo, anche se non era per niente convinta. Aspettò che Leonardo se ne andasse, quindi sollevò la bottiglia per guardarne il contenuto neanche fosse stato una pozione magica. All’interno era rimasto l’equivalente di mezzo bicchiere di birra. Se la portò alle labbra e buttò la testa all’indietro per godersi la bevanda fresca e frizzantina che le scendeva nella gola assetata. Forse non una pozione magica, ma un elisir doveva esserlo per avere il potere di ricaricarla in quel modo. Bevuto l’ultimo sorso guardò la bottiglia vuota, soddisfatta, e sorrise tra sé sussurrando: “Raffaello.” Avrebbe tenuto quella bottiglia con se fino alla fine dei tempi, non avrebbe permesso a nessuno di sottrargliela e gettarla via.
Dall’alto, quasi nascondendosi dietro il sacco da box rosso e fingendo di fare qualcosa, Raffaello stava spiando Julie e osservando i suoi gesti e le sue espressioni. Non si perse un solo passo mentre lei tornava sorridente nella sala dei videogiochi. Abbozzò un sorriso: “Togliamo pure il forse. A quanto pare ho davvero un debole per le bionde. O almeno per questa.”
*
Nonostante il carico di pizze extralarge che portava quasi a stento, Julie giunse al rifugio col sorriso stampato sulla faccia. Un sorriso da furbetta che aveva combinato qualcosa, per la precisione. Appoggiò il carico sul tavolo e gridò: “Qualcuno vuole pizza calda?” Tempo tre secondi ed ecco che dai punti più disparati del rifugio saltarono fuori i tre fratelli, i quali si precipitarono da lei.
“Pizzapizzapizza!” Esultò Mikey, tanto contendo da avere gli occhi fuori dalle orbite, oltre che le mani nervose in attesa di afferrare il cibo tanto amato.
“Ciao, Julie! Non ti aspettavamo.” Anche Leo era particolarmente entusiasta.
“Volevo farvi una sorpresa!” Rispose lei, strizzando l’occhio giocosamente.
Tra un saluto e l’altro, le scatole erano state aperte e ora non restava che tuffarsi sulle pizze fumanti. Cosa che i tre fecero senza complimenti! Ma di lì a poco, dopo i primi bocconi, Donnie sollevò un dubbio: “E April?”
“Lei è ancora al lavoro. Non sa che sono qui. E non deve saperlo, ok?” E il sorriso furbo si riaccese alla massima potenza mentre lei parlava, sotto lo sguardo perplesso dei mutanti. Dettaglio che le fece chiedere: “Be’? Cosa? Ormai ho imparato la strada e posso venire da sola. E poi non ho bisogno che lei mi faccia da babysitter.”
Mikey, temendo che i fratelli la facessero arrabbiare -e portare via le pizze- con qualche frase inopportuna, si affrettò a dire: “E’ giusto. E’ in grado di venire qui da sola senza accompagnatori.”
Julie gli stampò un bacio sulla guancia: “Grazie, fratellino!” Quindi prese una fetta di pizza ai cinque formaggi e l’addentò.
Le prime due pizze si volatilizzarono, praticamente, e quando Donnie fece per aprirne una al salamino, Julie lo bloccò: “No, quella è per Raffaello. A proposito, dov’è?”
“Oh… Lui si sta allenando.”
“Allora vado a chiamarlo!” Felice, fece per correre verso la stanza dell’addestramento, ma Leo la raggiunse in un balzo e l’afferrò per il girovita: “Lascialo perdere, quello. Mangerà dopo.”
“S-sì infatti. Se lo disturbi lo farai arrabbiare e non è proprio il caso.” Aggiunse Mikey con un improbabile sorriso. In effetti anche Donnie sembrava a disagio, il che era strano.
Julie si morse un labbro: “Va bene. Allora ne terrò da parte una.” Lanciò un’occhiata di sbieco a Leonardo per indurlo a lasciarla andare e si precipitò sul cartone che conteneva quella al salamino. Nessuno glielo aveva detto, ma lei era sicura che fosse la preferita di Raph. Tutto in lui era piccante. O almeno così se lo era figurato al loro primo e unico incontro. Un incontro casuale dopo giorni e giorni che lui si aggirava come un’ombra senza mai uscire allo scoperto. Sperava che adesso le cose sarebbero cambiate e invece… La odiava così tanto?
Dovette attendere che l’abbuffata finisse per avere l’occasione di fare qualcosa. Declinò gentilmente l’invito ad unirsi a loro per una partita a ‘Call of Duty’, con la scusa di voler riordinare nel caso fosse tornato Splinter -in quelle ore assente per una delle sue tipiche escursioni- ma promettendo di raggiungerli appena finito. Si armò di birra fresca presa dal frigorifero e recuperò il cartone con la pizza che aveva tenuto da parte. Era decisa ad andare fino in fondo, ad ogni costo. Sguardo puntato in avanti e passo sicuro, andò dritta alla stanza dell’allenamento e aprì la porta dandole un calcetto col piede. Per lo meno le avevano detto la verità, Raffaello era davvero lì ad allenarsi. Nelle sue mani i pugnali Sai sembravano danzare, sottili e aggraziati strumenti che potevano dare la morte. O salvare una vita.
Pur avendo udito il rumore proveniente dalla porta, Raph fece le ultime mosse che doveva eseguire per completare una sequenza di attacco, e solo dopo averle fatte si voltò a vedere chi fosse entrato. Una vista sorprendente che lo lasciò quasi a bocca aperta. Julie era lì, con addosso un miniabito azzurro dalle spalline strette e la scollatura profonda, un paio di scarpe aperte e col tacco a spillo e i capelli sciolti sulle spalle. Diede importanza a ciò che teneva in mano solo quando lei fece un cenno col capo verso il basso.
“Ho pensato che avessi fame e sete.”
Che pensiero carino. Si era preoccupata per lui nonostante tutti le dicessero il contrario.
“Raffaello, so di non piacerti, anche se non ne conosco la ragione.”
Un brivido gli attraversò la schiena nel sentirla parlare così. Cosa stava dicendo? Gli piaceva moltissimo e solo il cielo sapeva quanto desiderava stare un po’ con lei. Perché si era messa in testa una cosa così sciocca?
“Ma io ci tengo a diventare tua amica e vorrei che il nostro rapporto fosse lo stesso che ho con i tuoi fratelli.” La sicurezza l’abbandonò all’improvviso, abbassò lo sguardo un istante e si fece piccola piccola: “Se lo vuoi anche tu.”
Lo voleva eccome, in barba alle minacce di Leo e alla sua stupida gelosia. Se solo fosse riuscito a dirglielo apertamente. Invece ripose i pugnali e disse solo: “Vieni.”
Il fatto che non l’avesse cacciata era già un buon risultato. Julie ne era davvero felice! Ora che non si sentiva più un fascio di nervi sarebbe stato più facile comunicare con lui. Con questa prospettiva gli si avvicinò e, sotto suo invito, si sedette sul pavimento. Scoperchiò la pizza, già tagliata a spicchi e fortunatamente ancora calda, e si rivolse a lui: “Tutta tua!”
Raph le lanciò un’occhiata riconoscente, prima di dire: “Mangiala insieme a me. Non hai quasi toccato cibo, prima.”
E lui come lo sapeva? Julie arrossì nel chiedergli: “Mi stavi guardando?”
Lui prese possesso del primo spicchio e le rispose fingendo noncuranza: “Solo alcuni minuti. Ho sentito il trambusto di là e ho guardato cosa succedeva.” Divorò metà fetta in un boccone, mugolando in segno di apprezzamento. “Salamino. La mia preferita.”
Julie accennò un sorriso. Ci aveva azzeccato sulla pizza e, a quanto pare, anche sul suo conto. In lui non c’era traccia di antipatia nei suoi confronti. Prese uno spicchio di pizza. Le cose stavano andando davvero bene.
“Ora però devi dirmelo. Perché hai fatto di tutto per starmi lontano?” Gli chiese con curiosità, mentre la degustazione proseguiva.
“Non è stata una mia scelta, te l’assicuro.” Bevve un sorso di birra e, una volta appoggiata, confessò: “Be’, all’inizio forse sì. Non mi faceva impazzire l’idea che qualcuno oltre April venisse qui. Ma poi mi sono ricreduto.”
“E allora perché ti nascondevi?” Incalzò lei.
Raph scacciò la questione con un movimento della mano: “Lascia perdere. Ti basti sapere che non ho nulla contro di te.”
Poteva andare come risposta? Non sarebbe riuscito a dirle che tutto era cominciato a causa del proprio dannato orgoglio, a cui erano poi seguiti dei malintesi e la minaccia di Leo. Osservò Julie mentre mangiucchiava una fetta. Era così carina con quel suo modo di fare innocente, le labbra un po’ arricciate mentre dava dei morsetti come una bambina. Dopo aver passato giorni a spiarla da lontano, ora poteva godersi tutto di lei, finalmente. Julie si accorse del suo sguardo, in un leggero imbarazzo le sue gote si arrossarono. Deglutì il bocconcino e si passò la lingua sulle labbra.
“E io che temevo mi odiassi perché non mi piacciono i supereroi della Marvel e della DC!” Abbozzò quello scherzo per togliersi d’impaccio.
Raph stette al gioco: “Oh questa devo ancora perdonartela! L’importante è che non mi tocchi Vin Diesel e i suoi film o sarò costretto a toglierti il saluto!”
Giocosa più che mai, Julie si sporse su di lui per provocarlo: “Quindi non posso dire che ha la faccia da scoiattolo?”
Le puntò un dito contro, trattenendosi dal ridere: “Tu stai giocando col fuoco, bellezza.”
“Uno scoiattolo sconvolto a cui hanno rubato le noccioline!” Insisté Julie, di conseguenza Raffaello allungò le mani per farle il solletico ai fianchi, ben disposto a giocare con lei.
The crazy days, city lights
The way you'd play with me like a child

Sentì quelle frasi della canzone come se ci fosse stato uno stereo acceso dentro la sua testa.
“Mi sa che l’ho trovata io la scoiattolina! Senti come squittisce!” La prese in giro Raph, per via dei suoni che emetteva sotto l’assedio del solletico. Le concesse il tentativo di liberarsi, giusto per continuare il gioco, e quando lei riuscì a scivolare via la intrappolò nuovamente, questa volta contro il pavimento. Le loro risate riempirono la stanza. Dio, non ricordava l’ultima volta che aveva riso così di gusto. Sempre che l’avesse mai fatto. C’era voluta lei per far uscire quel briciolo di allegria che teneva sigillata dentro di sé come in un bunker. Certo che…averla fra le proprie braccia, riuscire a sentire il suo respiro contro il viso da quanto erano vicini, vedere i suoi occhi cristallini fissarlo con intensità. Quasi non si accorse che le risate erano scemate, che tra loro era calato il silenzio. Aveva voglia di…
“Julie, dove sei?”
La voce di Mikey spezzò l’incantesimo, entrambi sussultarono. Raph si rialzò, lasciandola così libera di rimettersi in piedi.
“E’ meglio che io vada. Ormai ho promesso di partecipare a quella partita in multiplayer.” La voce aveva ancora una nota di divertimento, le gote erano ancora arrossate.
“Sì, nessun problema. Vai pure, qui ci penso io.” Con la mano indicò il cartone, sporco di residui di formaggio e pomodoro, e la bottiglia quasi vuota.
“Bene, allora… Ci vediamo. Sempre che tu non decida di sparire di nuovo!”
Raph ridacchiò: “Non ci penso proprio, bellezza.” La osservò uscire dalla stanza. Sì, le cose sarebbero cambiate d’ora in poi.
“Eccomi Mikey, scusami!”
Michelangelo la vide correre verso di lui e gli venne spontanea la domanda: “Ah eccoti! Che facevi?”
“Ehm, ero con Raffaello. Abbiamo mangiato la pizza al salamino.”
Lui la guardò con tanto d’occhi. Con Raffaello? Ma allora il fratello aveva cambiato idea su di lei. Che bella notizia! Mutò subito espressione nel dire: “Mi fa piacere. Ora vieni, ti stiamo aspettando!”
 *
In quei giorni April era stata maledettamente impegnata e quindi costretta a trascurare la cugina e gli amici. Almeno quella sera era riuscita a liberarsi prima ed aveva subito avvisato i mutanti che sarebbe andata a cena da loro. Aveva proprio voglia di vederli e stare in loro compagnia.
Entrò nel rifugio maledicendo la sua abitudine di indossare stivaletti col tacco. Sospirò spazientita: “Per venire qui dovrei mettermi qualcosa di più comodo, accidenti a me.” E l’attimo dopo sfoggiò un gran sorriso rivolto ai suoi amici che le stavano andando incontro: “Eccomi, scusate il ritardo!”
Michelangelo, da solito furbacchione, andò subito ad avvolgerle le spalle con un braccio: “Le belle ragazze si fanno sempre aspettare. E tu che sei bellissima hai diritto a farci aspettare ancora di più.”
April lasciò perdere quella fanfaronata, soprattutto perché il suo sguardo andò a posarsi sul tavolo dove attendevano bibite e secchielli ricolmi di bocconcini di pollo ancora fumanti.
L’unico che sembrava indifferente alla cenetta coi fiocchi che stava per avere luogo, era Leonardo. Mentre amica e fratelli si mettevano a tavola tra chiacchiere e risate, il suo sguardo nervoso era alla ricerca di qualcosa che, evidentemente, non c’era.
“Ma…Julie? Non cena con noi?” Si decise a chiedere, vedendo che l’ingresso continuava a restare vuoto.
April, che stava ascoltando le parole buffe e sdolcinate di Mikey, sempre pronto ad omaggiarla come fosse davvero la sua ragazza, volse lo sguardo a Leo e si affrettò a rispondere: “No, mi dispiace. Questa sera preferisce stare a casa a riposare. A quanto ho capito la sua insegnante di danza l’ha bacchettata per bene e lei è stanca morta.”
Se Leo non riuscì a mascherare la tristezza, Raph si obbligò a nascondere ciò che provava riempiendosi la bocca con i bocconcini di pollo. Avrebbe preferito morire piuttosto di essere schernito per i propri sentimenti. La verità era che sperava di vederla, soprattutto dopo il chiarimento che c’era stato tra loro, dopo quella mezzora da soli in cui avevano scherzato e giocato. Però non poteva dimenticare che lei aveva una vita al di fuori di quei sotterranei, una vita alla luce del sole, una vita popolata di persone con cui interagiva. Una vita che lui non poteva darle.
“Però prima sono passata da lei e mi ha detto di salutarvi tutti.” Aggiunse poi April.
Rassegnato, Leo prese posto e cominciò a mangiare, cercando di interessarsi ai discorsi dei fratelli. Fino a quando Donnie non saltò fuori con un: “Però mi dispiace sapere che Julie ha problemi alla scuola di danza. E ancor di più che tali problemi le impediscano di venire qui. Mi viene quasi voglia di andare da quella vecchia cornacchia della sua insegnate e spaventarla a morte.”
“Non esagerare! L’insegnante fa solo il suo lavoro. E’ comprensibile che pretenda di più a pochi giorni dallo spettacolo. Soprattutto dalla protagonista.”
“Sì, ma c’è modo e modo, secondo me. Sei perfino dovuta andare a vedere se stava bene.”
Per poco April non si strozzò nell’udire quelle parole. Cominciò a scuotere il capo ancor prima di riuscire a parlare: “Hai frainteso! Sono andata da lei perché mi ha chiesto di portarle le registrazioni del progetto Renaissance. E’ molto curiosa di vedere in che modo è cominciata la vostra mutazione e così vuole approfittare di questa serata di riposo per vedere i filmati.”
Il rumore di una sedia rovesciata fece voltare tutti gli sguardi in un’unica direzione. Raffaello. Si era alzato così bruscamente da far ribaltare la sedia e ora se ne stava lì fermo come pietrificato con lo sguardo basso e i pugni sul tavolo.
“Raffaello, cosa c’è?” Gli chiese Splinter.
“Io…” Qualche secondo per riprendersi ed ecco che dalla sua bocca uscì una risposta disinteressata: “Non ho più fame. Esco.” Mentre si allontanava lo seguì il silenzio, come succedeva spesso, ma appena uscì dal rifugio di fermò ad origliare e verificare che riprendessero le solite chiacchiere di sempre. Un vantaggio dell’essere perennemente scontroso era che chi gli stava attorno prima o poi si abituava e non ci faceva più caso. Soddisfatto, fece un cenno col capo e si diede alla corsa per raggiungere l’esterno.

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Capitolo 3
*** Toccata e fuga ***


3
Toccata e fuga
 
Le gambe ben stese sul divano, un cuscino dietro la schiena, calzini di cotone ai piedi infreddoliti, shorts che sparivano sotto ad una canotta oversize color giallo canarino e la videocamera collegata alla tv. Il piccolo paradiso personale di Julie. Niente al mondo l’avrebbe convinta a lasciare l’appartamento, quella sera, neanche il pensiero di una serata in compagnia. Che poi, in un certo senso, era lo stesso in compagnia dei suoi amici, ora di fronte ai suoi occhi in versione tartarughine domestiche. La voce squillante di una April bambina riempiva la sala, mentre sullo schermo si susseguivano le scene dei piccoli rettili che nuotavano tranquillamente dentro la vasca di vetro. Erano adorabili. Grazie alle macchie di colore dipinte sui loro gusci, Julie poté riconoscerli e constatare che i quattro fratelli avevano già differenze di carattere quando erano in forma animale. Perfino Raffaello era già un attaccabrighe! Eppure le veniva spontaneo seguirlo con lo sguardo, tenere d’occhio quella macchiolina rossa che lo caratterizzava.
All’improvviso qualcuno bussò alla finestra. Spaventata, ma comunque pregando che si fosse trattato solo di un uccello imbranato che aveva battuto contro il vetro, voltò lentamente il capo verso la finestra. Si rasserenò nel vedere che al di là del vetro c’era proprio Raffaello! Pigiò il tasto della pausa sul telecomando e saltò giù dal divano con l’agilità di una gazzella.
“Scusa il disturbo. Posso entrare?” Chiese scioccamente lui.
Julie ridacchiò: “Ma certo! Non ho intenzione di lasciarti appeso fuori dalla finestra!” L’aprì quanto poté perché lui potesse balzare all’interno e poi la richiuse.
“Prego, accomodati pure.” Lo invitò, indicando il divano con la mano.
Imbarazzato fino al midollo, Raph andò a sedersi, sperando di non sprofondare in quel divano che aveva tutta l’aria di essere parecchio morbido e poco resistente. Quando Julie si sedette accanto a lui il cuore gli mancò un battito. Odorava di bagnoschiuma al talco, il suo viso era totalmente privo di trucco e, vestita in quel modo, con quei buffi calzini arrotolati alle caviglie, assomigliava ad una decorazione di zucchero. Da ammirare, ma anche…da gustare. Se solo avesse potuto sfilarle gli abiti di dosso, baciarla e assaporarla tutta.
“Posso offrirti qualcosa?”
Una domanda di cortesia che doveva aspettarsi, ma che in quel momento lo fece sentire ancora più in imbarazzo, vista la vivida immagine nella sua mente. Si ritirò in se stesso e rispose quasi brusco: “No, non importa.”
“Io un tè caldo me lo bevo volentieri! Lo so che siamo in piena estate, ma la stanchezza mi fa sentire sempre infreddolita.” Disse lei, alzandosi dal divano per andare alla cucina che era al lato opposto della stanza. Riempì il bollitore e lo mise a scaldare sulla piastra.
“Sei sicuro di non volere niente?”
Sbagliato. C’era qualcosa cosa che voleva. Lei. Però non poteva dirglielo.
Julie aprì un’anta della credenza e ne estrasse una scatola di latta poco più grande della sua mano: “Questo è il mio preferito. Profuma come un bouquet ed ha un sapore dolce e fruttato. Ti va?”
Come poteva rifiutare se lei lo guardava con quegli occhi da micetta? Raph prese un lungo respiro come se dovesse dire chissà che cosa e invece tutto quello che gli uscì fu: “Va bene.” Due parole che la resero felice e accesero un luminoso sorriso sulle sue labbra. Osservò i suoi movimenti mentre preparava l’occorrente. Pendere due mug, mettere una bustina dentro ad ognuna lasciando l’etichetta a penzolare all’esterno, togliere il bollitore fischiante dalla piastra, versare l’acqua dentro le mug con molta attenzione. Ed infine venire verso di lui, tenendo le mug fumanti per i manici e posare il tutto sopra il tavolino. L’adorava in ogni piccolo gesto, era più forte di lui. E pensare che se fosse rimasto al rifugio si sarebbe perso tutto questo. Ora che lei aveva ripreso posto accanto a lui, magari poteva dirle qualcosa di gentile. In fondo aveva piantato in asso la famiglia nel bel mezzo della cena solo per andare da lei e… Un momento. Aveva quasi dimenticato il motivo principale per cui si era arrampicato fino a quel decimo piano e ora quel motivo era lì davanti a lui, fermo sullo schermo. Gli fece un certo effetto vedere se stesso, nella forma che aveva prima della mutazione. Il respiro gli si mozzò in gola.
“Perdonami, forse non è di tuo gradimento vedere questi filmati.”
La voce preoccupata di Julie gli diede la forza di riprendersi. Deglutì e rispose semplicemente: “No, io… Non ho alcun ricordo di quando il padre di April teneva me e i miei fratelli al laboratorio.”
La risposta la tranquillizzò subito, accennò un sorriso: “Tutto sommato vi trattavano bene. Voglio dire, lo so che eravate cavie da laboratorio, ma April e suo padre avevano cura di voi. Lei poi era così premurosa! Lo era anche con me quand’ero piccola, il che mi fa pensare che forse mi vedeva un po’ come un cucciolo da accudire. Come voi.”
La sua voleva essere una battuta innocente, questo Raph lo sapeva, però non poteva sopportare l’idea che lei lo vedesse così. Non era un dolce animaletto domestico, era un mutante, un adolescente dai muscoli pompati e un gran brutto carattere. E voleva che lei lo sapesse, ad ogni costo. Puntò il dito verso lo schermo, era così agitato che gli occhi quasi gli uscivano dalle orbite: “Quello non sono io, Julie. Forse un tempo lo sono stato, ma è accaduto prima della mutazione. La mia vita, quella vera, è cominciata nelle fogne, quando Splinter mi coccolava e mi rimboccava la copertina mentre dormivo. Lo capisci? Io sono….sono…” Gli mancarono le parole quando lei posò una mano sulla sua. Il suo sguardo era quello di una ragazza consapevole di essere da sola con un ragazzo. Il mondo era fuori da quella stanza e loro erano lì, uno accanto all’altra, incapaci di dar voce ai sentimenti che provavano l’uno per l’altra a causa di quella maledetta paura di non essere giusti per stare insieme. Julie distolse lo sguardo, poi la mano, e pigiò il tasto del telecomando per spegnere la tv. Lo schermo divenne nero, la piccola cassetta dentro la videocamera si fermò con uno scatto.
“Rimani un po’ con me.” La voce di Julie tremò leggermente, anche se aveva parlato piano.
Raffaello non riuscì a dire niente, era troppo confuso. Quando era con lei le emozioni si intensificavano e si amalgamavano tanto da non fargli capire più niente. Paura, rabbia, gioia, cosa provava? Per non lasciarla in sospeso a lungo, alla fine fece un cenno affermativo col capo. E fu la cosa giusta. Julie si spostò per essere più vicina a lui e posò la testa sulla sua spalla. Così, senza secondi fini, senza dire nulla. Allo stesso modo lui l’avvolse con un braccio, la mano sul suo fianco. Un contatto del tutto innocente che però gli fece venire le lacrime agli occhi per l’emozione di tenere stretta a sé la ragazza che, ormai ne era certo, amava.
*
La danza classica era sempre stato più uno svago che una passione, eppure fin da bambina Julie aveva mostrato di avere talento e grande coordinazione nei movimenti. Aveva solo otto anni quando le venne assegnata la parte di Maria ne ‘Lo Schiaccianoci’ di Čajkovskij e da allora aveva danzato in numerosi teatri della California, quasi sempre ottenendo il ruolo della protagonista femminile. Se avesse voluto, avrebbe tranquillamente potuto avviare una fiorente carriera come ballerina, invece la sua pigrizia e il suo impegno ridotto al minimo avevano fatto sì che i suoi momenti di gloria si limitassero a quelle poche ore sul palco e poi una volta uscita dai teatri la sua vita tornava quella di sempre. Danzare sulle punte era per lei solo un modo per trovare la pace interiore e non aveva nessuna intenzione di rovinare tutto facendolo diventare un lavoro. La stessa April era stata tentata di tirarle il collo la prima volta in cui sua cugina le aveva detto una cosa del genere. Ma ugualmente, dopo aver saputo che Julie si sarebbe esibita nel ruolo di Giselle, aveva chiesto l’onore e l’onere di poter curare il servizio riguardante il backstage dello spettacolo organizzato per raccogliere fondi che sarebbero andati ad un noto ospedale. Così, dopo giorni di lavoro dentro i camerini del teatro a fare interviste, era finalmente giunta la grande sera. Il servizio era ormai quasi al completo, non restava che filmare l’intero spettacolo da cui poi avrebbe estratto le scene più suggestive, perciò poteva goderselo dalla prima fila e di tanto in tanto controllare che la videocamera fosse posizionata nel modo corretto. L’unica cosa che le dispiaceva era il fatto che gli zii non fossero lì. Julie ci teneva tanto e invece loro avevano accampato una scusa per non presentarsi. Che egoisti.
Per l’occasione, ad April era stato dato in prestito un abito griffato color blu notte, con la gonna a strascico, niente spalline, e una serie di diamanti a creare il disegno di un’onda luccicante sul corpetto. Julie l’aveva aiutata a raccogliere i capelli in un elegante chignon e poi si era occupata di truccarla a dovere. Quella sera si sentiva davvero bella e non lo nascondeva! Quando le luci si abbassarono, April pigiò il pulsante di registrazione, sorridendo.
“Buona visione, ragazzi!” Sussurrò, chinando il capo verso il microfono della videocamera. Lo fece per un motivo preciso, ovviamente. Julie aveva invitato i quattro mutanti ad assistere allo spettacolo, senza pensare a come accidenti avrebbero potuto fare ad entrare a teatro senza attirare l’attenzione. Come sempre, Donatello aveva tirato fuori l’idea geniale per risolvere il problema: costruire un sistema di collegamento tra la videocamera di April e il monitor del loro rifugio per poter vedere lo spettacolo stando comodamente seduti sul divano a mangiare pizza e pop-corn.
“Ragazzi, sta per cominciare! April ha attivato la registrazione!” Disse Michelangelo, tutto eccitato, dal suo posto preferito del divano.
“Ok, ma stai calmo! Devono ancora aprire il sipario.” Sottolineò Leonardo, mentre si avvicinava con passo lento al divano.
Donatello invece si catapultò sul cuscino con una risata e subito dopo si sistemò gli occhiali. Era la prima volta che vedeva un balletto ed era emozionato al pensiero che la sua amica fosse la protagonista. Leonardo prese posto accanto a Splinter, seduto lì già da un po’.
Il sipario venne aperto e il palco si illuminò di luce gialla mettendo in evidenza un piccolo villaggio.
“Non vedo l’ora di vedere la nostra sorellina!” Starnazzò Michelangelo, con la conseguenza che gli altri fratelli lo zittirono con un sonoro “SHHH!!!”
“E Raffaello? Non guarda lo spettacolo con noi?” Chiese Leonardo a bassa voce, guardandosi attorno.
Splinter si schiarì la gola e rispose: “Conosci tuo fratello. Non è interessato a questo tipo di intrattenimento. E’ uscito senza nemmeno dire dove andava.”
Leonardo sbuffò dalle narici, contrariato: “Che idiota.”
Nessuno di loro avrebbe mai sospettato che si trovasse proprio a teatro. E invece lui era là, un’ombra dietro alla tendina chiusa di un palco rimasto vuoto. Nemmeno un gatto avrebbe saputo scorgere il lieve luccichio dei suoi occhi. Pur sapendo quanto fosse pericoloso intrufolarsi in un luogo così affollato -tra l’altro per raggiungerlo aveva dovuto attraversare mezza città alla luce del giorno-, aveva corso volentieri il rischio per poter vedere Julie con i propri occhi. E finalmente lei entrò in scena, dolce e soave come un vento di primavera. Il suo corpo snello era avvolto da un abitino dalle tinte pastello rosa e azzurro, i capelli biondi erano stati raccolti in uno chignon e decorati da una serie di nastri sciolti che facevano pendant con l’abito. Era bella da togliere il fiato.
I've seen the world, lit it up
As my stage now

Osservò la sua danza, i suoi movimenti delicati, come se si lasciasse trasportare da una forza invisibile.  Fin dalla prima volta che l’aveva vista le era parsa leggera come l’aria e ora avrebbe dato qualsiasi cosa per essere nei panni del bellimbusto che stava danzando con lei e che talvolta la sollevava come una piuma.
Channeling angels in a new age now
Sì, la desiderava. Voleva toccarla, sentirla nelle proprie mani, plasmarla come creta e…renderla sua. Non aveva mai fatto di quei pensieri prima d’incontrare lei. In fondo era una tartaruga mutante, l’accoppiamento era sempre stato un argomento tabù per lui e i suoi fratelli. Non erano animali e non erano uomini. Ma davvero le loro esistenze si sarebbero esaurite con la loro morte, senza lasciare nulla di se stessi in quel mondo che li aveva creati? Una domanda che si poneva ormai ogni giorno da quando Julie era entrata nella sua vita.
Ci fu un cambio di scena, al posto di Giselle e il suo bell’imbusto entrarono due file di ballerine che cominciarono a danzare come foglie nel vento. Fu un brusco risveglio per lui, un attimo prima era in balìa di una sorta d’estasi amalgamata ad un sogno e l’attimo dopo si ritrovò nella realtà e con un dolore al bassoventre che ultimamente si faceva sentire spesso. Abbassò lo sguardo. Quella parte di lui che aveva ignorato per tutta la vita, come fosse un oggetto inanimato, era viva e pulsante e reclamava soddisfazione. Un bisogno sia umano che animale.
*
Il balletto andò alla grande e di certo il giorno dopo i quotidiani ne avrebbero parlato bene. Inoltre, dopo lo spettacolo, molti spettatori avevano fatto ulteriori donazioni e questo per l’ospedale era una cosa importante. Julie era raggiante per la soddisfazione di quel successo e non vedeva l’ora di raggiungere il rifugio per condividere tale gioia coi suoi amici. Si mostrò quasi impaziente nella sala trucco, mentre il makeup artist le toglieva il trucco di scena ed insisteva per fargliene uno leggero da tenere in serata, assolutamente contrario a farla uscire da lì in stile acqua e sapone. Poi una veloce sciacquata sotto la doccia per rigenerare il corpo dopo la fatica, un vestitino rosa confetto senza spalline che le fasciava il seno e il busto e con una gonna che sembrava la corolla di un fiore, e finalmente poté raggiungere April e andare con lei al rifugio.
“Complimenti, Julie!” Gioirono in coro i fratelli e Splinter quando lei varcò la soglia. E anche se questo bastò ad accendere un sorriso sulle sue labbra, poi ci pensò la torta a farle venire le lacrime agli occhi!
Al centro del tavolo, che per l’occasione era stato apparecchiato con una raffinata tovaglia bianca e decorata da tovaglioli piegati a formare delle rose rosse, era stata messa in bella vista una torta ricoperta di panna e decorata con tanti fiorellini di zucchero. Gli occhi di Julie brillavano per l’emozione: “Oh! E’ bellissima, vi ringrazio!” Volse lo sguardo attorno e disse riconoscente: “Grazie a tutti! Siete sempre così carini con me!”
“Per la mia sorellina questo e altro!” Affermò Mikey, prima di aggiungere: “La torta all’interno è piena di cioccolato gianduia, come piace a te! Sono stato io a sceglierla!”
“Io l’ho fatta decorare coi fiori di zucchero per omaggiare la tua bellezza.” Disse Leo, lanciandole uno sguardo tutt’altro che innocente.
Donnie replicò: “Se si parla di meriti, allora io ho deciso di apparecchiare il tavolo con una tovaglia raffinata per rendere l’insieme più grazioso.”
Julie non poté fare a meno di ridere divertita: “Va bene, va bene! Avete fatto tutti un buon lavoro!”
Splinter, che si era tenuto dalla parte opposta del tavolo per non finire schiacciato nella mischia, commentò saggiamente: “La tua presenza qui riesce a tirar fuori il meglio di loro, figliola.”
Un ‘grazie’ detto a fior di labbra e un sorriso dolce valsero più di ogni altra cosa. L’affetto che le dimostravano la riempiva di gioia, ogni istante, e lei non mancava di fargli capire che per loro avrebbe fatto qualunque cosa. Erano loro la sua famiglia, adesso.
“Va bene, adesso basta con le smancerie, è ora di fare le foto!” Una piacevole interruzione, quella di April, già armata di cellulare e del suo focoso sguardo da reporter.
Fece diversi scatti di gruppo, coi fratelli che facevano versacci attorno ad una sorridente e bellissima Julie, seguite poi da un paio con lei e Splinter ed infine di lei solamente.
“Può bastare. Forza, tagliamo la torta!”
Donatello le chiese: “Hey April, tu non vuoi una foto con Julie?”
“Oh, noi ne abbiamo già fatte parecchie a teatro. Visto che eravamo entrambe in ghingheri abbiamo colto l’occasione!” Fece spallucce, minimizzando, quando in realtà era contenta di aver potuto immortalare quel ricordo con la cuginetta in abito di scena.
Leonardo si occupò di tagliare le fette e servirle, come anche lo spumante che era stato preso per l’occasione. Premure a cui Julie non badò particolarmente, troppo presa dalla bellezza delle rose che giacevano indisturbate sulla fascia centrale del tavolo, tra i bicchieri e la torta. Non appena ebbe finito di mangiare la fetta di dolce, posò la forchettina e ne prese una tra le dita. Era un tovagliolo di tessuto rosso, probabilmente seta, e arrotolato minuziosamente al fine di sembrare un bocciolo di rosa.
“E’ meravigliosa. Da chi le avete fatte fare?”
Si guardò attorno con sospetto nel sentir ridacchiare. Aveva detto qualcosa di buffo? Per fortuna ci pensò Mikey a darle una risposta: “Le ha fatte Raph in persona. Ci ha lavorato per giorni interi, da quando ha saputo che avremmo organizzato questa festicciola per te.” Il sorriso beffardo si spense dalle sue labbra nel ricevere un pugno dritto sulla testa. Si portò una mano alla parte colpita, frignando: “Ma che ti ho fatto?”
“Chiudi quella ciabatta, idiota.” Lo rimproverò il fratello, senza riuscire a nascondere l’imbarazzo. Se non avesse avuto la pelle verde, di certo sarebbe apparso paonazzo.
“E dai Raph, non c’è niente di male ad essere premurosi. Anche se nel tuo caso è alquanto incredibile, devo ammettere.” Sottolineò Donnie.
Raffaello si alzò dalla sedia e gridò: “Ti ci metti anche tu? Be’ allora non contate più su di me alla prossima festa. Andate al diavolo tutti!”
La sua reazione riuscì solo ad aumentare l’ilarità del gruppo. Perfino Splinter non riuscì a trattenersi dal ridere. Ma se si parla di Julie, era un altro discorso. Lei era rimasta così sorpresa dalla notizia che non sapeva cosa dire. Davvero Raffaello aveva fatto quelle rose per lei? Un lavoro del genere era complicato per una persona normale, figurarsi uno come lui che aveva le dita grandi come salsicciotti. Ci aveva messo tutto l’impegno, questo era certo. Ora c’era solo da chiedersi perché. Fu a questo che pensò mentre la serata procedeva allegramente, tra brindisi e chiacchiere, scherzi e complimenti. Quella sera era lei la star del gruppo. E poi all’improvviso…
“Ti andrebbe di fare un giro con me?”
Julie udì perfettamente quelle parole, ma lo stesso le ci vollero alcuni istanti prima di voltarsi e guardare chi le aveva pronunciate. Sgranò gli occhi: “Come, prego?”
Raffaello, immobile e col suo perenne sguardo omicida, ripeté: “Ti ho chiesto se ti va di fare un giro con me.”
“E per andare dove, di preciso?” S’intromise Leonardo, sospettoso.
“Dove mi pare, fratello.” Rispose lui, sfidandolo di proposito. Non gli avrebbe detto un’indicazione precisa nemmeno se Leo gli avesse puntato la lama della Katana alla gola. Dove voleva andare erano solo affari suoi.
April infranse l’improvviso silenzio, odorando la tensione tra i due fratelli: “Ma…stiamo festeggiando. Non so se... Forse sarebbe meglio se…”
Julie la interruppe con un sonoro: “Ci sto!” Balzò verso Raffaello e si aggrappò al suo braccio in un modo che non aveva ancora osato fare in pubblico. Questo comportamento fece insospettire tutti. Da quando si conoscevano, lei e Raph non si erano quasi rivolti la parola e ora all’improvviso sembravano voler scappare allegramente insieme!
Raffaello fece un cenno ad April: “Tranquilla, la riporto a casa io. Con me non corre pericoli.” Il suo sguardo profondo e quel tono di voce stranamente caldo, fecero arrossire entrambe le ragazze.
“B-be’, allora…” Balbettò April, facendo un cenno affermativo col capo per dare il proprio consenso. A lui tanto bastò, diede un’occhiata a Julie e anche lei, con le guance in fiamme, riuscì solo a fare un cenno affermativo, quindi la sollevò tra le braccia e disse pratico: “Tieniti aggrappata a me.”
Giusto il tempo che lei gli gettasse le braccia al collo e Raffaello balzò fuori dal rifugio.
Confusi, sospettosi e imbarazzati, gli altri mutanti ed April rimasero immobili ancora alcuni istanti senza dire parola, fino a quando Michelangelo abbozzò un: “Qualcuno sa spiegarmi cos’è appena successo?”
Nessuna risposta.
Julie si tenne aggrappata, senza provare la minima paura, per tutto il tempo che fu necessario a Raffaello di raggiungere il luogo che aveva scelto. Ovvero la cima di un grattacielo affacciato al mare. Un luogo incredibilmente romantico. Raffaello si fermò e attese che lei scivolasse giù dal suo corpo e rimettesse i piedi a terra, quindi le indicò il ciglio con la mano. Si sedettero uno accanto all’altra, le gambe a penzoloni nel vuoto tanto profondo che nemmeno le luci dei lampioni riuscivano a schiarire quell’altezza. Julie si dilettò a muovere le gambe avanti e indietro con fare da bambina, ma con le mani ben salde al bordo per sicurezza. Il suo sguardo non era interessato alla bella vista, l’unica cosa che voleva in quel momento era poter vedere nella mente di Raph e capire il perché l’avesse portata lì. Era la prima volta che si trovavano da soli all’esterno, forse per questo il cuore le batteva più forte? Con la coda dell’occhio cercò di guardarlo. Anche lui aveva una gamba penzoloni, l’altra invece era piegata a piramide e col piede puntato sul bordo, un braccio appoggiato al ginocchio e l’altro disteso al fianco. Il suo sguardo era fermo come a scrutare l’orizzonte.
Incapace di attendere oltre, Julie tentò un approccio: “Perché siamo qui?”
Senza muoversi, Raph rispose con un’altra domanda: “Ti sembra così strano essere sola con me? In fondo non è la prima volta.”
Vero, nella mente poteva rivedere chiaramente le immagini del giorno della pizza al salamino e la serata del tè. Come dimenticare? Ma poi, cosa voleva dire davvero? Sapeva che non gli avrebbe tirato fuori la verità, era troppo chiuso e introverso per aprirsi così all’improvviso senza motivo. Si morse le labbra, pensando a qualcos’altro da dire, quindi optò per un altro argomento: “Immagino che ti sarai annoiato a morte a vedere lo spettacolo. Mi dispiace. Mi sembra di vederti là sacrificato sul divano, coi tuoi fratelli a…”
“Io ero a teatro.” La interruppe lui, quasi con noncuranza.
“Cos…?”
Raffaello si voltò a guardarla: “Ero a teatro. Ben nascosto. Non potevo sopportare di vederti sullo schermo quando potevo vederti dal vivo.”
E questo cosa significava??? La stava prendendo in giro? Era una specie di test per vedere la sua reazione? Cosa diavolo…? Julie si rese conto di avere le labbra socchiuse, se le inumidì con la punta della lingua e richiuse la bocca, cercando di far finta di niente. Abbassò lo sguardo verso la punta delle scarpe, come se queste potessero dirle cosa fare. Doveva trovare una risposta al più presto o avrebbe fatto una figuraccia. Si schiarì la gola e si voltò di nuovo verso di lui, accennando un sorriso: “Molto divertente, Raph!”
Lui le lanciò uno sguardo interrogativo e ribatté: “Sono serio. Sono rimasto fino alla fine. Eri bellissima con entrambi i vestiti, quello da viva e quello da morta.”  
Julie ridacchiò divertita: “Il fatto che tu sappia della morte di Giselle è già una cosa sbalorditiva, te lo concedo!” Si sporse verso di lui per guardarlo dritto negli occhi: “Ma questo non significa che tu fossi l…” Non terminò la frase perché lui le occupò le labbra con un bacio improvviso. Dapprima sentì solo il calore tiepido delle sue labbra, poi quello umido del suo respiro contro il viso. Era talmente sorpresa che non riusciva a porsi domande e men che meno a muoversi. I suoi occhi puntati sul viso di lui, su quel verde reso più scuro dalla notte. Ed ecco che poi comparve il verde chiaro degli occhi, quando lui li riaprì. Il calore svanì quando scostò il viso dal suo.
Raffaello sentì un brivido dentro nel vederla così immobile, il timore della sua reazione lo bloccò a sua volta. Julie prese respiro, come ricordandosi di averlo trattenuto. I suoi occhi erano incollati a quelli di lui. Qualche istante ed ecco che si tirò su sulle ginocchia, gli intrecciò le braccia al collo e…ricambiò il suo bacio. Lui l’avvolse in un abbraccio, stringendola un poco al proprio petto. Il loro bacio si fece intenso e caldo e al sapore di panna e cioccolato gianduia, quello della torta che avevano mangiato. I respiri si amalgamarono creando sui loro visi un sottile strato umido. Julie con una mano corse lungo il suo collo e andò ad accarezzargli il capo, premendo le dita sulla bandana. La prima a separarsi fu lei, in modo repentino, tanto che le labbra emisero uno schiocco contro quelle di lui. Ma non ci fu tempo per le domande. Scivolò dal suo abbraccio, lo prese per mano e si distese a terra attirandolo a sé. Raffaello trovò subito il proprio posto fra le gambe di lei e si tenne sollevato sui gomiti, la corazza che sfiorava appena i suoi seni. Julie gli intrecciò ancora le braccia al collo e ripresero a baciarsi. Raph sentì le sue gambe stringerlo ai fianchi. La voleva. La voleva da impazzire. Sarebbe bastato abbassare i pantaloncini e insinuarsi sotto la sua gonna. Quasi in risposta al suo pensiero, Julie inarcò i fianchi verso di lui, incontrando la sua virilità che premeva prepotente. No… Stava accadendo troppo in fretta. Non era giusto per nessuno dei due. Raph le abbassò il corpetto del vestito e posò la mano su uno dei seni nudi. Era morbido e caldo e gli entrava nella mano alla perfezione. Prese a massaggiarlo lentamente, i mugolii di Julie gli confermarono che stava andando bene. Sembrava impossibile anche a lui di sapere cosa fare senza averlo mai fatto prima. Era dunque così naturale l’amore fisico? Lasciò le sue labbra e scese verso il suo collo per concentrare le attenzioni lì, sull’incavo delicato e sensibile. Julie gemette, ancora una volta inarcò i fianchi verso di lui. Prendendo l’iniziativa, lei dirottò le sue labbra dal collo al seno. Raffaello accettò il tacito ordine di buon grado, prese una rossa gemma tra le labbra e la stuzzicò con la lingua, mentre con la mano proseguiva il lavoro sull’altro seno. Qualunque cosa stesse facendo, sapeva di essere sulla pista giusta. Bastarono quelle semplici attenzioni a mandare Julie in estasi, a farla gemere nella notte incredibilmente silenziosa, sotto quella piacevole tortura.
Hot summer nights, mid July
When you and I were forever wild

La sua mente era intorpidita come se avesse bevuto alcolici, cosa che era sicura di non aver fatto dato che lo spumante era analcolico, ma questo le diede il coraggio di ricambiare il piacere che Raffaello le stava dando. Cercò di insinuare le braccia sotto di lui, seguendo la corazza ruvida, ma le fu impossibile arrivare con le mani dove voleva. Tentò un nuovo approccio, spostando una gamba per metterla fra quelle di lui. Obiettivo raggiunto. In prossimità del ginocchio sentì chiaramente la sporgenza dura e calda, cominciò a massaggiarla muovendo la gamba su e giù ad un ritmo regolare. Raffaello emise un mugolio di apprezzamento.
Nessuno dei due percepì il tempo che passava, che si trattassero di minuti o di ore, fatto sta che ad un certo punto lui scostò le labbra e immerse il viso fra i seni di lei per soffocare un suono roco di gola. Aveva raggiunto l’apice del piacere. Sfinito, Raffaello ebbe l’impulso di lasciarsi andare su di lei per riposare, ma si obbligò a tenersi sui gomiti o il suo peso l’avrebbe schiacciata. Sentì le sue dita accarezzargli il capo con dolcezza. Per quella sera avevano fatto abbastanza.
*
Quella notte, il pensiero di quanto era successo le si era stampato nella mente e non voleva andarsene. Alla fine non si erano detti niente. Semplicemente si erano rialzati in piedi, lui l’aveva presa in braccio e aveva balzato fra i grattacieli e i palazzi fino ad arrivare a quello dove lei abitava. Non le aveva dato il tempo nemmeno di salutarlo, appena si era voltata verso la porta automatica all’ingresso, lui si era subito dileguato nella notte. Forse era stato meglio così, in fondo. Che cosa gli avrebbe detto altrimenti? Un banale ‘ciao, a domani’ o un imbarazzante ‘ti è piaciuto’? O magari un ‘grazie’ per quello che lui le aveva fatto? Già, quello che le aveva fatto… Le immagini di quei momenti riaffiorarono, costringendola a tirare le lenzuola fin sopra il naso per la vergogna, anche se era da sola nel suo letto e la casa era talmente buia che non riusciva a distinguere la sagoma del lampadario appeso al soffitto. Era una situazione davvero bizzarra. Com’era possibile che fossero finiti così? E all’improvviso, poi! Sperava fortemente che lui nutrisse interesse per lei, ma mai avrebbe osato pensare che la desiderasse! E lei cosa provava? Era quella la domanda che doveva porsi davvero, quella a cui doveva rispondere col cuore prima che con la mente. Che era attratta da lui lo aveva già ammesso con se stessa, ma che altro c’era? Fino a che punto voleva spingersi in quella storia? Che poi, si trattava di una storia o era solo divertimento? Mikey corteggiava April apertamente, ma non aveva mai fatto nulla che facesse pensare a… Chiuse le palpebre con forza, si sentiva così imbarazzata a pensare a certe cose. Sbuffò spazientita e si girò sul fianco: “Accidenti a te, Raffaello.”  Aveva parlato con una nota di rabbia, sperando che sarebbe bastato a liberarla dai pensieri e dalle emozioni, ma non fu così. L’unica che poteva aiutarla era Lana. Aprì il primo cassetto del comò, accanto al letto, e ne estrasse gli auricolari. Quindi prese il cellulare e li collegò. Inforcò gli auricolari illuminata dalla luce dello schermo e poi con l’indice andò a ricercare la cartella delle più belle canzoni di Lana Del Rey.
“Ho bisogno di te, stanotte.” Selezionò la canzone che, ormai era chiaro, apparteneva a lei e Raph e chiuse gli occhi. Nelle orecchie si diffusero le note, mentre gli occhi della mente rivedevano Raffaello e tutti i ricordi in cui lui era presente. Incredibile, la canzone conteneva anche gli avvenimenti di quella sera di metà luglio. E addio sonno.
Il sole sorse, inondando la sua stanza di luce arancio sfumato di rosso, e le carezzò il viso con dita gentili. I suoi occhi erano aperti, ma sembravano vuoti a causa della stanchezza. E, a conti fatti, anche dentro si sentiva svuotata. Come avrebbe fatto a guardarlo in faccia e chiedergli che cosa aveva significato per lui? Come avrebbe fatto a guardare in faccia chiunque dopo quanto successo? Doveva solo pazientare e riprendersi, poi il resto sarebbe venuto da sé. Peccato che la pazienza non fosse il suo forte.
Era primo mattino quando lasciò l’appartamento, passo deciso e sguardo di chi non ha paura di niente. Non aveva nessuna intenzione di aspettare, doveva affrontare Raffaello subito. Era così determinata che per la prima volta in vita sua era uscita di casa senza curare troppo il proprio aspetto. Non che fosse sciatta, questo mai, però dopo la doccia aveva indossato un semplice paio di leggings blu, una maglia dello stesso colore dalla scollatura a barca che le lasciava le spalle scoperte e un paio di sandali con la zeppa. In più raccolse i capelli raccolti con un mollettone. E se non aveva pensato all’abbigliamento, non aveva nemmeno pensato al fatto che probabilmente i mutanti avevano fatto le ore piccole. Non per niente fu accolta da un silenzio tombale quando arrivò al rifugio sotterraneo, ad indicare che tutti stavano dormendo. Il primo impulso fu di andarsene, ma poi il buonsenso le disse che la situazione era a suo vantaggio. Se tutti dormivano poteva parlare con Raffaello indisturbata, no? Si armò di coraggio e, stando attenta a non fare rumore, salì le scale che portavano al piano dove erano le camere da letto. Per fortuna ricordava qual era la porta di Raffaello, altrimenti avrebbe fatto una figuraccia. Il problema era che non aveva il coraggio di bussare. La mano sollevata e chiusa a pugno retrocedette diverse volte, ma senza mai completare il movimento in avanti per colpire il legno. Il cuore le rimbombava nelle orecchie, accidenti.  Chiuse gli occhi e prese respiro.
“Conti fino a tre e poi bussi.” Si disse mentalmente, un istante prima di riaprire gli occhi. La mano in posizione, uno, due, tre… Due colpi non troppo forti. Se avesse svegliato un altro dei ragazzi sarebbe stata la fine. Non aveva fatto in tempo a ripensare a cosa dire che la porta si aprì, rivelando un Raffaello dall’aria sorpresa e gli occhi tutt’altro che assonnati. Per alcuni secondi rimasero fermi, gli sguardi incollati, fino a quando lui non la invitò ad entrare. Sì, meglio togliersi da quel corridoio!
Bene, ora però arrivava la parte difficile. La determinazione sembrava averla abbandonata non appena si era ritrovata lui di fronte. E ormai era tardi per tornare indietro. A stento riusciva a sollevare gli occhi su di lui, figurarsi mettersi a parlare di sentimenti! E lui non rendeva le cose più facili standosene lì fermo senza dire una parola. Aveva perso la lingua? Ok, doveva calmarsi, doveva rallentare i battiti del cuore, doveva regolare il respiro e far uscire la voce dalla gola. Ottimi propositi, se li avesse seguiti, invece si ritrovò a puntargli contro uno sguardo di fuoco e strillare: “Voglio sapere che cosa ha significato per te!” Peccato che appena finito di dirlo si ritrovò in preda al panico e aggiunse: “Ma solo se è una risposta positiva. Se invece è un ‘niente’ non voglio saperlo. Perché io… Io…”
Lui non reagiva. LUI-NON-REAGIVA. Era stata così stupida da volerlo affrontare quando evidentemente non era pronta ad accettare il peggio. Sarebbe stato meglio sprofondare nel pavimento e tanti saluti.
“Perché io… Io…” La voce incrinata. Oh no. Le lacrime no. Non adesso. Non con lui. Si voltò di scatto e si premette una mano sulla bocca. Maledizione, stava fallendo su tutti i fronti. Peggio di così non poteva andare. Eppure in qualche modo, non appena allontanò la mano, dalle labbra le uscì la verità: “Perché io ti ho pensato tutta la notte. E voglio sapere se anche tu hai pensato a me. Almeno un po’. Non chiedo tanto.”
Sentì il tocco della sua mano sulla spalla, la leggera pressione per farla voltare ed incontrare il suo sguardo. In quegli occhi verdi trovò qualcosa di dolce che non aveva mai visto prima. Poi sentì il tocco delle sue mani sul viso, i pollici scostare le lacrime dalle guance. E le labbra di Raffaello sulle sue.
Will you still love me
When I’ve got nothing but my aching soul?
La voce di Lana accompagnata dall’orchestra esplose nella sua mente, alimentata dalle sensazioni del momento, dal calore di quel bacio, dal suo respiro contro il viso, dalla sua pelle liscia e i bicipiti di ferro che lei stava toccando. Un momento incancellabile dalla memoria, con tanto di colonna sonora personalizzata.
Raffaello si separò dalle sue labbra, le stampò dei baci sulla guancia, raggiunse l’orecchio: “Non penso ad altro dalla prima volta che hai messo piede qui.” E di nuovo ritrovò la strada per le sue labbra, già umide e arrossate dall’intensità del bacio.
Julie si sollevò sulle punte e gli intrecciò le braccia attorno al collo, permettendogli così di stringerla più forte a sé, di far aderire i loro corpi. In tutta risposta, lui la sollevò da terra e la portò fino al letto dove poi si lasciò scivolare lentamente. Perfino attraverso la corazza Julie riusciva a sentire il suo cuore che batteva come un tamburo, una prova tangibile che era tutto vero, che ciò che provava era corrisposto, che d’ora in poi non sarebbe più stata sola. Forse.
Un rumore fece scattare Raffaello, il suo sguardo vigile rivolto alla parete. Qualcosa non andava.
“Raph?” Chiese lei con un filo di voce, approfittando di quella interruzione per riprendere fiato.
Qualche istante e lui abbassò lo sguardo su di lei: “Leonardo. Di regola, ora che si è svegliato andrà nelle stanze di Sensei per meditare con lui.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro, era evidente che il loro momento era finito e che lei doveva andarsene senza farsi vedere. Infatti Raffaello sbirciò fuori dalla porta per assicurarsi che il passaggio fosse libero e, con massima discrezione, l’accompagnò giù all’ingresso. Non una parola di saluto, esattamente come la sera prima.

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Capitolo 4
*** Passione ***


4
Passione
 
Una volta tornata a casa, decise di distrarsi facendo un po’ di decoupage, decorando un bauletto portagioie in legno che aveva tenuto dentro l’armadio per troppo tempo. Un lavoretto rilassante che però richiedeva molta attenzione e precisione nei dettagli. Sarebbe stato più saggio prendere in mano un libro e studiare, ma lei era tutt’altro che saggia. E poi come poteva concentrarsi quando nella mente continuava a rivivere quei momenti di abbandono tra le braccia di Raffaello? Avendo lo stomaco in subbuglio per il turbine di emozioni provate, nel primo pomeriggio fece un pranzo leggero con un’insalata e poi di nuovo a lavoro sul bauletto per dare gli ultimi ritocchi. Seguito poi da una buona dose di tv per non pensare. Senza accorgersene scivolò nel sonno.
Quando riaprì gli occhi le bastò un momento per sapere che non aveva voglia di fare nulla e di non vedere nessuno. Visto che stava calando la sera, tanto valeva approfittarne per coricarsi e fare una lunga dormita rigenerante. Casomai si sarebbe alzata per mangiare qualcosa più tardi, se la fame si fosse fatta sentire, anche se sperava tanto di fare un unico sonno fino al mattino. Si svestì. Lo sguardo incontrò per caso il riflesso sullo specchio. Ora che era rimasta solo con un reggiseno di pizzo e mutandine abbinate, era particolarmente sexy. Era bella, lo sapeva, ed era un peccato che non ci fosse nessuno ad apprezzarla. Fece per chinarsi ad accendere la lampada che era sul comodino, ma si bloccò sentendo due colpi alla finestra. Stava avendo un flashback? Sollevò lo sguardo. Incredibile ma vero, al di fuori del vetro c’era Raffaello in persona che la guardava con un piccolo ghigno compiaciuto. Cosa che le ricordò di essere in biancheria intima. Imbarazzata, prese al volo la vestaglia di seta bianca che teneva appesa accanto al letto e si coprì al meglio, quindi corse ad aprire la finestra. Raffaello entrò nella stanza con un salto, dopo essersi dato la spinta dal davanzale.
“Ti sei arrampicato di nuovo fin quassù!” Lo rimproverò, divertita.
Lui richiuse il vetro con cura, poi si voltò e la guardò di sbieco. “Nah! Stavolta ho usato la scala antincendio e poi ho sbirciato all’interno per vedere dove fossi.”
Julie scoppiò a ridere e tutta la tensione svanì all’improvviso. Magari ora avrebbero parlato, finalmente! Fece per porgli una domanda al riguardo, ma lui non le diede il tempo di parlare perché l’avvolse in un abbraccio e, con serietà, si mise a recitare: “Ma quale luce apre l’ombra, da quel balcone? Ecco l’oriente e Giulietta è il sole.
“Non so perché tu stia recitando Shakespeare, ma credo sia meglio se parliamo di noi d…
Lui la interruppe con un altro verso: “Ecco, parla. Oh parla ancora, angelo splendente!
Julie si fece seria, sentendosi beffeggiata: “Raffaello, per favore smettila. Seriamente.”
Oh, tu mi lasci con tanto desiderio!” La sua voce era ferma come anche il suo sguardo, non c’era traccia d’inganno nei suoi occhi.
E che desiderio puoi avere questa notte?” Recitò lei a sua volta, la voce le uscì fioca e sulle sue labbra era svanita ogni traccia di sorriso. Conosceva la battuta successiva, ma aveva bisogno di sentirlo dalle sue labbra per crederci.
Raffaello avvicinò il viso al suo e sussurrò contro le sue labbra: “Scambiare il tuo amore con il mio.” E dopo quell’ultima parola la baciò.
Will you still love me
When I’m no longer young and beautiful?

Non ci voleva un genio per capire che non avrebbero parlato nemmeno quella sera. Non con le parole, almeno. Ma se si parlava di linguaggio del corpo era un’altra storia.
Julie sollevò le mani su di lui, partendo dalle ampie spalle fece correre le dita sulla sua pelle liscia e fresca -non per niente era un rettile, aveva il sangue freddo!- soffermandosi sui bicipiti duri come marmo, per poi scendere lungo le braccia e sostare sui polsi. Separò le labbra dalle sue, lentamente, mentre riapriva gli occhi con la stessa lentezza. I loro sguardi d’incontrarono, quello di lui era apparentemente freddo ma nelle sue iridi verdi vibrava il desiderio che sentiva per lei. Era proprio vero, in quel momento le parole non sarebbero servite a nulla, tutto ciò che volevano dirsi potevano tramutarlo in gesti. Raffaello le slacciò la cintura della vestaglia e fece scivolare l’indumento dalle sue spalle, scoprendo così il suo corpo dalle dolci curve del colore del latte. Poi fu lei ad agire, a togliergli di dosso quel poco che aveva, come le cinghie che gli cingevano il busto, la cintura con i pugnali Sai, i polsini e…si fermò, scostò le mani in un improvviso timore. La sera prima si era fatta un’idea di cosa ci fosse dentro quei pantaloncini rossi, le era parso molto umano, ma ugualmente non era sicura di voler scoprire i dettagli. O forse sì? Senza distogliere lo sguardo dal suo, lui si chinò per slacciare i calzari e sfilarli dai grandi piedi. Allo stesso modo abbassò i pantaloni e se li sfilò dalle gambe. Julie non ebbe il coraggio di guardare in basso. Notò che aveva tenuto la bandana sul capo, dunque era vero che la considerava una parte di sé, un segno caratteristico, un pezzo d’identità. Lasciò che fosse lui ad avere il controllo della situazione, a spingerla delicatamente sul materasso, facendola stendere, e a sfilarle la biancheria di pizzo. Insinuò entrambe le mani fra le sue lunghe gambe, con le dita le sfiorò le cosce dall’interno e pian piano le dischiuse per creare uno spazio per sé, dove adagiarsi. Si stese su di lei, sfiorandola appena con la corazza, e ovviamente dando forza sui gomiti puntellati nel materasso. Una parte di lui aveva timore di farle male, di ferire la sua pelle delicata, l’altra invece desiderava donarle tutto e amalgamarsi a lei come un tutt’uno. Julie gli intrecciò le braccia al collo e lo attirò a sé per baciarlo. Basta coi timori e i temporeggiamenti, ora voleva solo unirsi a lui, entrare nella sua anima. I baci sulle labbra si esaurirono presto, la bocca di lui era assetata di altri nettari che andò a ricercare non solo sui seni, ma anche su quell’incavo caldo del collo che la faceva vibrare di piacere. Sentiva le mani di lei esplorargli le spalle, insinuarsi dentro al guscio per esplorare meglio il suo corpo in quei punti che alla luce non erano visibili, seguì l’impulso di scivolare all’indietro, di stamparle baci lungo quella linea immaginaria che andava dai seni fino all’ombelico, dove si soffermò qualche minuto per disegnarne la rotondità con la lingua, poi andò ancora più giù, dove la pelle era ancora più morbida e calda e odorava di una fragranza intima e piacevole. L’istinto gli suggerì di assaggiarla, di lasciare che la lingua seguisse le linee morbide. Julie gemette di piacere e inarcò i fianchi. Lui proseguì quell’esplorazione con interesse, colse le sensazioni che sembravano trasmettersi dal corpo di lei al suo e si fermò solo quando il dolore al proprio basso ventre si fece quasi insopportabile. Sollevò il capo e si tirò su per tornare nella posizione iniziale. Vide gli occhi di lei lucidi, le sue guancie arrossate, il respiro che le gonfiava i seni. Sapeva che era arrivato il momento, ma esitò. Tornò quella sensazione di timore, al pensiero di violarla, di perdere il controllo e diventare brutale. Come sentendo i suoi pensieri, Julie gli cinse i fianchi con le gambe, il guscio sulla schiena era così grande che riusciva appena a sfiorarsi le dita dei piedi, in ogni caso il messaggio era chiaro, gli stava dicendo di andare avanti, di prenderla. E lui non se lo fece ripetere.
Anche se andò molto lentamente, quell’intrusione le spezzò il fiato. Avrebbe dovuto aspettarselo. Il fisico di Raph era possente oltre misura, perciò era naturale che anche quelle dimensioni fossero fuori dalla norma. Invece i pensieri di lui erano giustamente rivolti alla sensazione avvolgente, di sicurezza, di calore, come se finalmente avesse trovato il proprio posto. Era questo che spingeva gli esseri viventi ad accoppiarsi? Ora lo capiva, era una cosa bellissima. Eppure il corpo gli stava chiedendo di più, i lombi erano attraversati da una scossa. Seguì quel bisogno di muoversi, di inarcare i fianchi in avanti, poi indietro, e farlo ancora e ancora, sempre più forte, sempre più veloce. Nella mente un piacevole torpore cullato dai gemiti di Julie che gli giungevano come una melodia. Non si sentiva più solamente nel proprio corpo, ma anche al di fuori, innalzato verso una nuova dimensione. Più si elevava più sentiva la necessità di raggiungere qualcosa al di sopra di tutto. Ma di cosa si trattava? Era solo nella sua mente o anche lei stava volando verso quella vetta? E se invece avesse perso il controllo, come temeva, e le stesse facendo del male? Se quei suoni fossero stati grida di dolore e non di piacere?  Se…? No, non doveva farsi intrappolare da pensieri negativi. Poteva sentirlo chiaramente, nel modo in cui lo stringeva fra le cosce, in cui assecondava i suoi movimenti in quella danza frenetica e soave allo stesso tempo. E allora si lasciò andare davvero, percorse quelle vie interiori e invisibili fino a quando non raggiunse la tanto bramata vetta che lo fece sentire completo. Fisicamente, invece, una barriera immaginaria lo trattenne. Emise solo un roco suono di gola mentre sentiva il calore del proprio piacere uscire e diffondersi in lei. Rimase immobile, si concentrò sulle proprie pulsazioni, ma poi, esausto e incapace di continuare a sostenersi, scivolò sul fianco. Emise un sospiro e finalmente si rilassò, la testa appoggiata al petto di lei.
I know you will, I know you will
I know that you will

Julie si chinò in avanti per riuscire a sfiorargli le labbra con un bacio e poi anche lei si lasciò andare a quella pace che si erano conquistati, alla calma della sera che nel frattempo era scesa.
*
Julie si svegliò. Il risveglio più sereno che avesse mai avuto. Quando aprì gli occhi non si sorprese di essere sola, dato che era giorno fatto. La luce bianca di un sole radioso si spargeva all’interno della stanza e su di lei. Si ritrovò avvolta dal dolce abbraccio della coperta color crema dai bordi ricamati a fantasie floreali. Aveva un vago ricordo di quando Raffaello l’aveva coperta durante la notte, sentendola rabbrividire, ma poi quando se n’era andato aveva provveduto ad avvolgerla come fosse un involtino primavera! Un pensiero premuroso e dolce. Spaziò lo sguardo attorno, mentre con la mente coglieva i ricordi di quella notte di passione. E d’amore. Non poteva essere altrimenti, l’unione dei loro corpi era stato semplicemente la conferma di quello che provavano l’uno per l’altra. Una cosa meravigliosa. La suoneria del cellulare animò il momento, facendo scattare Julie in avanti per prenderlo da sopra il comodino dall’altra parte del letto. Vide la foto di April. Si distese e rispose contenta: “Buongiorno, carissima cugina! E’ una splendida giornata, non trovi?”
Un momento di esitazione dall’altro capo dell’apparecchio e poi la voce dubbiosa di April: “Non credevo che andare a lezione ti rendesse così felice. Mi chiedo perché tu non ci vada più spesso, allora.”
Nel sentire la parola ‘lezione’ Julie sentì un masso crollarle sullo stomaco. Oh no. L’aveva completamente dimenticato.
“Ehm…”
“Aspetta un attimo: tu non stai affatto andando a lezione!”
“Ehm…”
“Non dirmi che sei ancora a letto!”
Julie si guardò attorno allarmata: “Hai installato una videocamera a mia insaputa?”
La voce di April tuonò: “ALLORA HO RAGIONE IO!!! Julie Morgan, ora sono le otto in punto il che significa che hai trenta minuti per alzarti da lì, indossare qualcosa e correre all’Università. Mi hai promesso che avresti ricominciato a frequentare in vista dell’esame finale e io ho intenzione di farti mantenere quella promessa. Anche nel rispetto dei tuoi genitori che ti hanno affidata a me.”
Mentre lei parlava, Julie si era già alzata dal letto ed era corsa all’armadio a prendere la prima cosa che le sarebbe venuta in mano. Sapeva che con April non c’era da scherzare.
“Va bene va bene, mi sto vestendo! Ora però fammi riattaccare, ho bisogno di entrambe le mani!” La pregò, saltellando su una gamba per infilare un paio di leggings neri.
“Ok. Per questa volta passa, però la prossima sarò molto più severa. Ah e non dimenticare il nostro incontro a pranzo al solito locale.” Terminò con tono più mite, evidentemente deliziata all’idea di gustare qualcosa di buono.
“Non temere, non lo dimenticherò. Un bacio, April.” Chiuse la telefonata e buttò il cellulare sul letto per essere finalmente libera di vestirsi in modo civile. Era così tardi che fu costretta a legare i capelli in una frettolosa coda di cavallo, oltre ad indossare delle scarpe da ginnastica che non s’intonavano gran che alla maglia color crema. Passò per la cucina per prendere dalla credenza una brioche confezionata, giusto per non morire di fame -non mangiava dal pomeriggio precedente!- e quasi per caso si accorse che sopra la penisola vi era un foglietto staccato dal blocco che teneva lì in genere per fare la lista della spesa. Lo prese in mano. Sulla carta decorata da cuoricini stampati, era scritto in calligrafia incerta:
9.30 p.m.
          R.”
Un appuntamento. Raffaello doveva aver faticato non poco per maneggiare la penna, considerando le dimensione delle tre dita della sua mano. Questo pensiero la fece sorridere, ma anche la gioia di vedere che aveva pensato a lei prima di andarsene. Si ricordò improvvisamente di essere in ritardo, posò il biglietto sul ripiano e corse fuori dall’appartamento a gambe levate.
*
La veranda del locale che April le aveva fatto scoprire era uno dei luoghi più confortevoli della città, con le sue piante profumate, i vetri sempre puliti e i tavolini di ferro battuto dalla forma aggraziata. Julie, con le gambe elegantemente accavallate e le mani intrecciate in grembo, guardava fuori con espressione serena mentre aspettava l’arrivo di April. Sul tavolino attendevano due tramezzini prosciutto e funghi e un bicchiere di milk shake alla fragola.
“Scusa il ritardo, ho avuto un contrattempo. Ho ordinato al primo cameriere che ho incontrato entrando.” Esordì April, posando la borsa a terra e prendendo posto di fronte alla cugina.
Julie le sorrise: “Nessun problema, ho ancora un po’ di tempo prima della lezione di danza.”
Arrivò il cameriere e posò sul tavolo una bottiglia di vetro di Cola Cola e un bicchiere vuoto che April si affrettò a riempire e scolarsi senza indugio.
“Wow, avevo una sete tremenda!” Ridacchiò, quindi cambiò argomento: “Ci ho pensato, sai? Alla nostra telefonata di questa mattina, intendo. Quando hai risposto la tua voce era dolce come uno zuccherino e adesso che ti vedo anche la tua espressione è così.”
Julie si schiarì la voce e rispose vaga: “Sì... Sono solo felice. Tutto qua.”
“Per quale motivo? E’ successo qualcosa di particolare?”
Particolare? Poteva definirsi così fare l’amore con una tartaruga mutante? Se solo avesse potuto dirglielo… Ma no, lei non avrebbe capito.
April notò un lieve rossore sulle guance della cugina, spalancò la bocca per la sorpresa: “No! Non ci credo! Devi dirmi tutto!”
Ecco, ben fatto.  Adesso non se la sarebbe scrollata di dosso in nessuna maniera, accidenti. Sospirò e disse con decisione: “Prima che tu me lo chieda: sì, sono innamorata. Sì, abbiamo passato la notte assieme. No, non posso dirti chi è.”
April scosse il capo, divertita: “Perché? Non abbiamo mai avuto segreti, noi.”
Era vero, fin da quando aveva memoria si erano sempre confidate tutto come due sorelle, ma questa volta non poteva proprio accontentarla. Si morse le labbra, i suoi occhi si velarono di tristezza: “E’ complicato, April. E non posso neanche spiegarti il perché. Ti basti sapere che un giorno te lo dirò, quando sarà il momento giusto.”
In effetti April non riuscì a nascondere di esserci rimasta un po’ male, anche se finse indifferenza: “Va bene, come vuoi.” Si sistemò sullo schienale della sedia giusto in tempo per l’arrivo del cameriere che le mise davanti un enorme panino ripieno di carne grigliata.
Julie ritrovò il sorriso ora che entrambe potevano gustarsi il pranzo! Anche se in parte era stata scoperta, aveva saputo gestire la situazione e di certo April non si sarebbe più intromessa. Ora doveva solo pensare a sopravvivere alla lezione di danza e poi tornare a casa per fare una doccia e vestirsi in modo adeguato per l’appuntamento con Raffaello.
“Ce la farò.” Pensò tra sé, carica di ottimismo.
“NON CE LA FARO’ MAI!” Frignò, correndo come una pazza, con il sole negli occhi che sembrava aver deciso di tramontare in quel momento solo per fare dispetto a lei.
Aveva calcolato tutto, le lezioni in facoltà alla mattina e poi quelle di danza al pomeriggio, ma non aveva previsto che l’insegnante la trattenesse per degli esercizi supplementari e per farle un discorsetto sul suo poco impegno. In più non aveva trovato un taxi libero che la portasse a casa e provare a prendere la metro sarebbe stato un suicido, a quell’ora. Peggio di così non poteva andare. Rincasò un paio di minuti prima dell’ora dell’appuntamento e si precipitò in camera da letto per vedere se Raffaello fosse già arrivato. No, per fortuna. Si chinò sulle ginocchia, riprendendo fiato. Ora la doccia era un obbligo, vista la sudata che aveva fatto! Aprì la finestra di uno spiraglio, nel caso lui fosse arrivato mentre lei era sotto la doccia, e poi si precipitò in bagno ad aprire il rubinetto dell’acqua calda. Gettò i vestiti nel cestone della biancheria sporca e decise di tenere lo chignon che si era fatta per la lezione di danza. Non aveva tempo di lavare i capelli. Quando entrò nella cabina doccia, già coi vetri ricoperti di vapore tanto l’acqua era calda, si sentì subito meglio. La doccia per lei era un vero e proprio rito di rilassamento, non solo un atto di igiene corporea. Sentire l’acqua scorrerle sulla pelle aveva il potere di immergerla in un limbo lontano dalla realtà, dai pensieri, dai problemi, da qualunque cosa non riguardasse il suo corpo. E di certo non la turbò il tocco di un paio di mani grandi che si posarono su di lei all’improvviso.
Raffaello era entrato senza fare il minimo rumore e ora era lì con lei nella cabina doccia, completamente nudo, tranne che per la bandana sul capo che teneva stretta come una seconda pelle. L’abbracciò da dietro, cingendole il girovita con un braccio, mentre con l’altra mano l’accarezzava seguendo il tragitto lungo il braccio per poi scendere sulla coscia. Le sue labbra s’immersero subito nell’incavo tra la spalla ed il collo, avendo ormai imparato quanto fosse sensibile quel punto.
Con la voce spezzata per il piacere, Julie abbozzò uno scherzo: “Dovremmo smettere di fare così ogni volta che ci vediamo!”
Lui fece scivolare una mano fra le sue cosce e premette le dita su quel punto che la faceva sobbalzare, tanto era delicato. Sussurrò al suo orecchio: “Vuoi che smetta?”
Julie sentì il calore del suo alito sull’orecchio, le sue labbra sfiorarle il lobo, e le dita di quella mano invadente che tra poco l’avrebbe fatta impazzire. Scosse il capo contro la sua spalla, in attesa di ritrovare un filo di voce per rispondere: “No.”
Lui prese a massaggiarla più intensamente, facendola gemere, poi con un pizzico di sadismo usò la mano libera per massaggiarle anche un seno. Sotto invasione, Julie sentì le forze abbandonarla e, nonostante il braccio di Raph la tenesse stretta in vita, sentì il bisogno di aggrapparsi a lui. Gettò un braccio all’indietro per ricercare il bordo del suo guscio al quale poi si aggrappò. Più i minuti passavano e più sentiva la sua virilità premerle contro la schiena. Fu lei ad andare oltre, a liberarsi con uno scatto e ricercare la parete piastrellata su cui appoggiare le mani, quindi si chinò leggermente in avanti e volse il capo per lanciare a Raph un’occhiata intensa. Un chiaro invito che lui colse al volo. La prese per i fianchi e inarcò i propri per entrare in lei, lentamente come aveva fatto la prima volta. Prese a muoversi in un ritmo tranquillo, giusto per non devastarla, ma andando ogni volta più a fondo nel movimento. Era così calda e morbida, così accogliente… Aumentò il ritmo, tenendola saldamente per i fianchi, e si concentrò sulle emozioni che stava provando. L’acqua calda si spargeva su di loro come un manto trasparente, il suo rumore si amalgamava ai suoi sospiri e ai gemiti di lei. La doccia era un luogo insolito per fare l’amore, eppure sembrava tutto così…perfetto.
Perso nella frenesia del piacere, Raffaello andò ancora più veloce e ancora più a fondo, sollevandola inconsapevolmente, tanto che Julie si ritrovò a stare sulle punte dei piedi, proprio come quando danzava. Avrebbe voluto che non finisse mai. Cosa che invece accadde dopo un tempo che non avrebbe saputo definire. Si adagiò all’indietro, sul corpo di lui, completamente priva di forze ed esausta, il sangue che le pulsava nelle orecchie e nel basso ventre, mentre un senso di completezza l’avvolgeva tutta sia nel corpo che nello spirito. Peccato che non riuscisse più a stare in piedi e che le palpebre continuassero a chiudersi pesantemente, fuori dal suo controllo. Si sforzò di aprire il vetro della cabina e andò subito a ricercare l’accappatoio appeso alla parete. Giusto il tempo di legare la cintura in vita e le gambe le cedettero, si ritrovò tra le braccia di Raph. La sollevò in braccio e la portò in camera da letto.
“C’è…c’è un asciugamano grande dentro il mobile, accanto al lavandino. Se vuoi usarlo per...” Sentì la voce di lui interromperla, un suono quasi lontano e ovattato: “Non preoccuparti per me. Riposa.”
Lei scosse il capo, tentò di riaprire gli occhi ma le palpebre sembravano essere diventate di piombo: “Dobbiamo….dobbiamo parlare.”
Percepì la morbidezza della coperta sotto di sé, il morbido cuscino sotto il capo e poi la voce sussurrata di lui: “Dopo.”
*
Si risvegliò bruscamente, inghiottita dall’oscurità. Tastò il letto in cerca di qualcosa ma trovò solo uno spazio vuoto. Se n’era già andato?
Andando letteralmente alla cieca trovò il cordone della lampada sul comodino e accese la luce. Per prima cosa guardò l’ampio letto, di fatto vuoto, ma poi il suo sguardo spaziò nella camera e andò a posarsi sulla sedia all’angolo. Era occupata da alcuni effetti personali di Raph, quali le cinghie e la cintola dei pugnali, mentre sotto vi erano i suoi calzari. Era impossibile che avesse lasciato lì quelle cose.  In risposta al suo pensiero, giunse un rumore dal salotto. Ora più tranquilla, scese dal letto e rimpiazzò l’accappatoio umido con la vestaglia di seta, poi sciolse i capelli dalle forcine, quindi uscì dalla stanza a passo felpato. Attraversò il piccolo corridoio e, prima di affacciarsi alla grande stanza che comprendeva sia il salotto che la cucina, vide lui. Si stava allenando con i pugnali Sai, ad illuminarlo solo alcune luci artificiali che arrivavano debolmente dall’esterno creando sulla sua pelle verde un effetto che la rendeva quasi blu. Rimase ferma dov’era, non voleva disturbarlo con la propria presenza, ma la sua precauzione risultò inutile quando lui, ancora girato di spalle, ruppe il silenzio: “Mi stai spiando?”
Sentendo il tono allegro, Julie rispose allo stesso modo: “Può darsi. La vista è particolarmente piacevole!”
Lui abbassò i pugnali e si voltò verso di lei, le labbra leggermente inarcate in un sorriso compiaciuto. Andò a posare i pugnali sul ripiano della penisola della cucina, mentre lei percorreva la breve distanza che li separava. L’accolse nel proprio abbraccio e chinò il capo per darle un bacio. Le sfiorò appena le labbra prima che lei si ritraesse, le mani contro la corazza per creare un distacco.
“Dobbiamo veramente parlare, Raffaello.” Il tono e lo sguardo seri avrebbero anche funzionato, se non fosse stato per il gorgoglio del suo stomaco che andò a rovinare tutto. Si portò le mani allo stomaco, imbarazzata.
“Hai fame?” Chiese Raph, ridendo, anche se la risposta era ovvia.
Julie sospirò: “E va bene. Magari prima mangiamo qualcosa.” 
Fece un’ordinazione ad una pizzeria d’asporto che sapeva essere aperta nonostante l’ora tarda e in una mezzora giunse il corriere con una pizza extralarge al salamino e due bottiglie di birra  ghiacciata. Julie mangiò quasi metà della pizza, provando un po’ di vergogna nel farsi vedere così affamata. Infine bevve un lungo sorso di birra. Attese che Raffaello finisse di bere la propria e, una volta posata la bottiglia vuota accanto alla sua, prese respiro per cominciare il discorso.
“Che cosa c’è tra noi?”
Sentendosi chiedere quella domanda così diretta, lui rischiò di scivolare dallo sgabello al quale era appoggiato -solo appoggiato, non seduto, altrimenti questo sarebbe crollato sotto il suo massiccio peso. La guardò con occhi sbarrati e disse la prima cosa che gli uscì dalla bocca: “Prego?”
Lei abbassò lo sguardo, timidamente, e prese a giocherellare con le proprie dita: “Non è una domanda difficile.”
Raffaello sospirò: “Lo so, è che… Non sono bravo in queste cose.”
Julie trovò un po’ di grinta e lo riprese: “Non pensarci neanche! Non chiuderti nel tuo guscio interiore per evitare il discorso! Voglio che tiri fuori la stessa sicurezza che hai quando facciamo l’amore!” Nell’udire quelle sue parole si rese conto che forse le cose non erano come credeva. Il dubbio la invase e uscì come una nota dolente nella sua voce: “Se…se per te è amore.”
Raffaello la guardò allarmato: “Ma certo che lo è! Come puoi dubitarne?”
“E allora dimmelo!” La voce ora le uscì un po’ stridula. Scese dallo sgabello e affiancò Raph all’altro capo della penisola. Posò una mano sulla sua: “Ho bisogno che tu lo dica, Raph. Ne ho bisogno perché…” Ricercò le parole giuste per esprimersi: “Per riuscire a credere che tutto questo è reale. Che noi siamo reali.”
Lui le strinse la mano, cercando di rassicurarla: “Te l’ho dimostrato. Non è sufficiente, per adesso?”
Julie non sapeva più come ribattere, anche se non stavano litigando l’ambiente era comunque caldo e lei non se la sentiva di essere la prima a fare una dichiarazione d’amore. Ma non voleva nemmeno interrompere il discorso. Alla fine optò per un neutrale: “Non lo so. Non riesco a capire come puoi essere così passionale nell’intimità e così freddo con le parole.” Prima che lui rispondesse, lo bloccò posandogli le dita sulle labbra: “Non voglio criticarti. Mi piace tutto di te, senza riserve, solo vorrei che ti aprissi un po’ di più con me.” Riabbassò la mano e fece alcuni passi per allontanarsi da lui, non sapendo più cosa aggiungere. Ora stava a lui decidere cosa fare.
Raph lasciò lo sgabello e si avvicinò a lei. Intrecciò le dita di una mano con le sue, poi si chinò e le sfiorò le labbra con un bacio. Posò la fronte contro la sua, gli occhi socchiusi, sembrava pronto per dichiararsi. Invece…
“Chiudi bene la finestra quando sarò uscito. In giro ci sono tipi pericolosi.”  Fece scivolare le dita dalle sue e si avviò verso la camera da letto da dove era entrato.
Julie rimase lì, sola, bloccata dalla tristezza e dalla delusione.
Will you still love me
When I'm no longer young and beautiful?
Will you still love me
When I've got nothing but my aching soul?

Ma cosa si aspettava? Non poteva pretendere che lui diventasse romantico a comando. Anche se la sera prima, con le frasi tratte da Romeo e Giulietta, l’aveva illusa che fosse possibile. Rise di se stessa, si sentiva così assurda. Raggiunse la camera con passo spedito, per chiarire il malinteso con Raffaello, ma quando entrò si rese conto che lui era già andato via. La sedia, dove prima erano le sue cose, ora era vuota e la finestra era socchiusa. Andò ad aprirla, speranzosa che lui fosse ancora lì, ma si ritrovò faccia a faccia col vuoto.
*
L’esperienza di vedere il diretta lo spettacolo con protagonista la loro amica, aveva così entusiasmato i fratelli che ancora ne parlavano. Per di più, si era accesa in loro l’idea di preparare loro stessi un piccolo show per lei, magari per quando avesse superato l’esame del corso universitario. Da un paio di ore erano immersi in un vero e proprio brainstorming, di cui Donnie si occupava di scrivere tutto a computer. Alla fine avrebbero fatto una votazione per stabilire quale idea realizzare. Per quanto riguardava Raffaello, tutto ciò che usciva dalla bocca dei fratelli era una fesseria, ovviamente, perciò lui non aveva ancora detto una parola.
“A questo punto non resta che votare.” Concluse Donnie, voltandosi sulla sedia girevole.
Mikey era tutto eccitato: “Sì! Vediamo con quale canzone Hip-hop ci esibiremo!”
Basta. Raph non ne poteva più di sentirli. Si alzò in piedi e lasciò l’angolo, dove era rimasto fermo e muto a braccia conserte, e si fece sentire: “Davvero siete così idioti? A lei non piace l’Hip-hop. E poi non vedo perché dobbiate obbligarla a guardare uno stupido teatrino allestito da voi.”
“Ma scusa! Se noi abbiamo accettato di guardare un balletto, e ci è piaciuto, credo sia giusto che anche lei apprezzi il nostro tentativo di avvicinarla al nostro genere preferito.” Replicò Mikey.
Raph spalancò le braccia, esasperato: “Per forza che ci è piaciuto! Era lei la protagonista! Ha il potere di rendere meravigliosa qualunque cosa.”
Leo lo canzonò: “Attento, Raph, così rischi di farle un complimento! Non è da te! E comunque  tu non hai visto lo spettacolo, quindi che ne sai?”
Raph si morse la lingua. Perché stare lì a perdere tempo? Tanto con loro era impossibile ragionare. E poi era così preso dalle emozioni degli ultimi giorni che stava quasi per tradirsi da solo. Una parola sbagliata e loro avrebbero capito che c’era qualcosa sotto.
“Tenetevi le vostre stupide idee. Io me ne tiro fuori.” Liquidò la faccenda così e lasciò la stanza dei computer.
“Ogni qualvolta i tuoi fratelli riescono a scalfire la tua armatura, tu batti in ritirata.”
Sentendo quella voce si voltò ed incontrò lo sguardo di Splinter, fermo di fronte all’ingresso delle sue stanze private. Che cosa aveva appena detto? Lui e le sue frasi enigmatiche…
“Voglio dire che quando intuiscono i tuoi veri sentimenti ti ritiri nel tuo guscio, zuccone!”
Gli leggeva anche nel pensiero adesso?
“Se hai bisogno di confidarti, puoi contare su di me. Questo lo sai. Sta a te decidere se continuare a portare il peso dei tuoi segreti da solo.” Chinò il capo in segno di saluto e tornò all’interno.
Raffaello si sentì come se fosse stato denudato e privato del guscio. Splinter non era solo il suo Maestro, era anche la persona che lo aveva cresciuto, una figura paterna in tutto per tutto. Forse era l’unico in grado di capirlo senza giudicarlo, l’unico ad amarlo in modo imparziale. E allora…
“Sensei.” Raggiunse la sala di corsa, dove, di fatto, Splinter lo stava aspettando. Era il momento di mettere da parte il ninja e far uscire l’adolescente.
“C’è…c’è una cosa che devo dirti, papà.” La voce timida ed incerta.
Splinter accennò un sorriso: “Allora siedi accanto a me, figliolo.” Con la mano indicò il posto libero sul divano e attese che lui si accomodasse.
Bene, ora non restava che cominciare a parlare. Il che era tutt’altro che facile.
“Vedi… C’è… C’è una ragazza. Che mi piace molto. Io e lei…”
“Ti interrompo subito.” La voce di Splinter aveva una nota divertita per l’ovvietà della cosa: “So per certo che nella tua vita ci sono solo due ragazze. E di queste due, direi che l’oggetto del tuo discorso non è April. Quindi è…” Gli fece cenno di proseguire, un incoraggiamento che poteva essere utile a dargli maggiore fiducia.
Raph lasciò un sospiro. Aveva recepito il messaggio.
“E’ Julie. E io sono innamorato di lei. Amo tutto di lei. Il modo in cui cammina su quei folli tacchi alti, i movimenti leggiadri del suo corpo quando danza…”
 All that grace, all that body
“Quei suoi occhi azzurro chiaro dove mi sono perso fin dalla prima volta che si sono posati su di me, le sue labbra che sembrano un bocciolo di rosa, le sue espressioni da bambina…”
All that face, makes me wanna party
Almeno questo era riuscito a dirlo senza intoppi.
“E…?” Incalzò Splinter.
“Da quando è entrata nella mia vita, qualcosa in me è cambiato.”
He's my sun, He makes me shine like diamonds
“Anche quando fingevo di non volerla conoscere, in realtà morivo dalla voglia di vederla e di parlarci! E quando finalmente è accaduto io…” Fece una pausa, quindi riprese: “Avrei dovuto mettermi da parte, per rispetto di Leo che la stava corteggiando. E ci ho provato, giuro! Ma lei mi cercava e poi sono stato io a cominciare a cercare lei e…” Si stava agitando, per questo Splinter gli posò una mano sul braccio e gli parlò con gentilezza: “Dimmi qual è il problema.”
“Non riesco a dirle ‘ti amo’. Non ci riesco perché, se glielo dicessi, non riuscirei più a rinunciare a lei. E prima o poi dovrò farlo. Non posso sperare che resterà con me, che accetterà una vita di buio e segreti per amor mio. Eppure, una parte di me è convinta che andrà tutto bene e saremo felici.”
“Capisco. Però, figliolo, non pensi che dovresti tenere conto anche dei suoi sentimenti? Che Julie ti sia affezionata è una cosa che posso intuire anche io, ma parlare di un sentimento più profondo forse non è appr…”
Raph ridacchiò, scuotendo il capo. Lo sguardo perso in un pensiero piacevole: “Ogni suo sguardo, ogni sua parola, ogni suo gesto è una dichiarazione d’amore nei miei confronti. Ne ho avuto la certezza la sera in cui ha ricambiato il mio bacio.”
A Splinter si rizzarono i baffi! Bacio? Un bacio tra loro due?
Raph proseguì: “E poi, la prima volta che abbiamo fatto l’amore siamo diventati una sola cosa. Non avrei mai creduto di provare una sensazione simile.”
Splinter divenne di pietra, nell’apprendere la notizia. Non che non augurasse al figlio ogni bene, ma…era possibile un’unione di quel tipo tra un’umana e un mutante? Si sentiva in imbarazzo solo a porsi tale domanda. Forse non era stata una buona idea spingere Raffaello a confessare. Ora sembrava stare meglio, ma lui? Chi l’avrebbe salvato dal trauma di quelle rivelazioni?
Raph all’improvviso si rialzò in piedi: “Ho deciso! Non voglio pensare alla fine e rovinare tutto quello che ho adesso. Il domani è domani, oggi è oggi. E io…” Fece un cenno con decisione: “Devo ordinare dei fiori.” Fece per andarsene ma ecco che si voltò a dare uno sguardo al padre: “Grazie per la chiacchierata, mi è stata molto utile.”
E mentre lui se ne andava, Splinter era sul punto di smettere di respirare. Già, troppe rivelazioni.
*
Due giorni. Due giorni trascorsi nella totale agonia senza avere notizie di lui, chiedendosi se tra loro fosse già finita o se Raph si stesse solo prendendo un po’ di tempo per riflettere. Non voleva essere la causa della loro rottura, anzi non voleva proprio che ci fosse una rottura! Era stato lui a sbagliare, no? Se le avesse detto cosa provava, senza giri di parole e senza esitazioni, quella discussione non avrebbe mai avuto luogo. Però anche lei non c’era andata leggera…
Il primo giorno lo aveva trascorso a fare shopping, alla disperata ricerca di qualcosa che la tirasse su di morale, come ad esempio oggetti frivoli e colorati oppure vestitini provocanti al limite della legge. Niente da fare. Il secondo giorno invece aveva tediato April, raccontandogli pressoché tutto ciò che la tormentava riferendosi all’immaginario Ricardo, originario del Messico, dalle idee focose ma con un caratteraccio impossibile. April, pur di non sentirla più, le aveva perfino consigliato di lasciarlo e trovare un ragazzo che fosse più mite, col risultato che Julie si era indispettita ancora di più e aveva lasciato il suo appartamento sbattendo la porta e gridando che era indignata dalle sue opinioni razziste. …la rabbia la faceva straparlare, purtroppo. Poi arrivò il terzo giorno. In mattinata, dopo una regale colazione in un ottimo locale in cui si era concessa una cioccolata calda accompagnata da una decina di pasticcini mignon, tornò a trovare April per scusarsi e le promise che avrebbe chiamato ‘Ricardo’ per sistemare le cose. Tradotto, avrebbe ingoiato il proprio orgoglio e sarebbe andata al rifugio delle tartarughe per incontrare Raffaello. Decise comunque di ripassare per casa per pranzare e darsi il tempo di pensare a come affrontare l’argomento senza il rischio di peggiorare le cose. Aveva appena posato la borsetta all’ingresso quando il campanello della porta suonò.
Nell’aprire, si ritrovò di fronte un corriere con in mano un mazzo di rose. Il ragazzo le sorrise: “La Signorina Julie Morgan?”
“Sì, sono io.”
“Prego, questo è per lei.” Le porse il mazzo, quindi la salutò toccandosi il frontino del cappello che aveva sul capo e andò dritto a prendere l’ascensore prima che le porte metalliche si richiudessero.
Julie richiuse la porta e andò fino al salotto, dove la luce era migliore, ad esaminare quel dono inaspettato. Si trattava di dieci boccioli di rose rosse, i cui gambi avevano tutti le spine, che attorniavano un delicato giglio bianco. Sbatté le ciglia un paio di volte, perplessa. Cosa significava? Lei non conosceva il linguaggio dei fiori e non aveva idea a chi rivolgersi per chiedere informazioni. Sbirciò tra le rose per cercare un possibile biglietto, muovendole attentamente con le dita per non ferirsi i polpastrelli. Ecco il biglietto! Lo prese tra l’indice e l’anulare e, guardandolo, constatò che l’unica cosa scritta era una lettera R.
“Raffaello?” Chiese a se stessa, valutando le possibilità su come avesse fatto a farle recapitare un mazzo di rose con tanto di biglietto firmato da lui in persona. Però quelle rose assomigliavano così tanto a quelle che lui aveva fatto coi tovaglioli, la sera dello spettacolo. Chi poteva essere stato se non lui? In ogni caso doveva decifrare il messaggio per capire di cosa si trattava. Messa alle strette, fece per andare a prendere il cellulare con cui connettersi ad internet, ma un’idea le balzò alla mente. Un unico giglio circondato da rose rosse con le spine. Ora capiva, non si trattava di linguaggio dei fiori ma di un messaggio molto più personale. Le rose rosse rappresentavano lui, Raffaello, il rosso era il suo colore e le spine indicavano il suo carattere difficile. Il giglio dunque era lei, o almeno il modo in cui la vedeva, pura, delicata, bisognosa di protezione. Sorrise, non era difficile immaginare che lui si sarebbe fatto in dieci pur di proteggerla.
“Ha ceduto per primo!” Disse, quasi ridendo. Non sarà stata la dichiarazione che voleva, ma solo il fatto che si fosse spinto al romanticismo era segno che a lei ci teneva davvero. Dopo questo, non aveva più motivo di esitare, tutto ciò che voleva era correre da lui.

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Capitolo 5
*** Mosse azzardate ***


5
Mosse azzardate
 
Fu accolta da esclamazioni entusiastiche quando giunse al rifugio, sia da parte dei fratelli che da parte di Splinter. Vedendo la busta di carta che teneva tra le braccia come un neonato, Mikey chiese incuriosito: “C’è qualcosa per noi lì, vero? Scommetto che è qualcosa di buono!”
“Sì, è così infatti!” Camminò verso Splinter e, mentre apriva la busta, disse: “Per il Maestro ho portato una succulenta….” Immerse la mano nella carta e ne tirò fuori il regalo: “Fetta di formaggio svizzero!”
I baffi di Splinter vibrarono di gioia: “Un pensiero squisito, mia cara. Ti ringrazio.” Prese la grossa fetta tra le mani, attento a non immergere i lunghi artigli nel formaggio.
“E poi…” Julie si voltò verso Mikey e gli diede la busta perché scoprisse da solo cosa c’era all’interno: “Questo è per il mio fratellino.”
Lui immerse la faccia nella busta e gridò: “Patatine al formaggio! Buoooone!” S’impossessò del pacchetto è gettò via la busta di carta, ma prima che potesse aprire e gustarsi il regalo, lei gli mise una mano davanti alla bocca: “Non adesso. E’ ora di pranzo.”
“Ha ragione lei, figliolo.” Affermò Splinter.
“Visto che sei qui, ti va di fermarti a mangiare con noi?” Le chiese Donatello.
“Sì, è un’ottima idea. Farebbe piacere a tutti noi se restassi.” Aggiunse Leonardo, sempre molto gentile.
Julie ricercò lo sguardo di Raffaello, una semplice occhiata per stabilire l’intesa tra loro, quindi si rivolse al gruppo: “Certo, ne sarei felicissima!”
Mikey la sollevò tra le braccia, facendola ridere: “Evvai! Così dopo giochiamo a Pacman insieme!”
Aiutandosi, in meno di un’ora prepararono un pentolone di maccheroni al formaggio e si misero a tavola. Julie prese posto di fronte a Raph di proposito, sia per poter scambiare occhiate allusive con lui sia per fare un giochino che moriva dalla voglia di provare. Attese la fine del pranzo, quando i piatti erano vuoti e Splinter raccontava aneddoti che catturavano l’attenzione di tutti. Julie si sistemò in posizione laterale e poggiò il gomito al bordo del tavolo per sostenersi il capo con una mano. Un paio di minuti ancora e...Raffaello sentì qualcosa sotto il tavolo sfiorargli la gamba. Sbirciò cauto e vide che si trattava del piede di Julie, aggraziato dentro la calza sottile color grigio perla. Risollevò lo sguardo e, approfittando del momento in cui lei lo stava guardando maliziosa, le lanciò uno sguardo interrogativo. Lei abbozzò un sorriso e rivolse lo sguardo nella direzione di Splinter, fingendo di ascoltare il suo racconto. Intanto sotto il tavolo il gioco continuava, il piede di lei si muoveva sensualmente sulla gamba di Raph, salendo sempre di più. Quando arrivò alla coscia, lui cercò di bloccarlo con la mano e, ad un’altra occhiata di lei, rispose con uno sguardo severo. Julie parve rassegnarsi, ma quando lui le lasciò andare il piede affinché lei potesse ritirarlo, giocò sporco e andò dritta alla meta. Raffaello sobbalzò sulla sedia, rischiando di cadere all’indietro, gridando: “Per tutti i diavoli!”
Ritrovarsi tutti gli sguardi perplessi puntati addosso fu un’ovvia conseguenza, tranne che per Julie, la quale si portò una mano alla bocca per soffocare una risata.
Raph, a bocca aperta e in totale imbarazzo, cercò di giustificarsi: “Ehm… No è che…” Puntò il dito verso Splinter e disse con tono convinto: “Adoro questa parte.”
“Bene. Apprezzo l’entusiasmo, Raffaello.” Disse lui col classico tono diplomatico, quindi attese che il figlio riprendesse posto per continuare il racconto.
Al termine, Julie aiutò Donnie a sparecchiare, come faceva sempre quando la invitavano a pranzo e a cena. Aveva appena finito di mettere i bicchieri nella lavastoviglie che Mikey le si avvicinò: “E ora Pacman!”
Lei disse incerta: “Sì, però… Prima dovrei fare una cosa, se non ti dispiace.”
Lui strabuzzò gli occhi: “Una cosa? Una cosa meglio di Pacman?”
“Ho promesso a Raph di seguirlo in camera sua.”
Il diretto interessato spalancò gli occhi: “In camera mia?”
Non potendo fare altrimenti, lei continuò allusiva: “Ma sì, non ricordi? Dovevi mostrarmi la tua collezione di…di…” Mosse la mano per incitarlo a dire qualcosa in fretta e per fortuna lui se ne uscì con: “Di lavori a maglia.”
Questa volta fu lei a restare di sasso. Cosa stava dicendo???
Mikey s’illuminò: “Ahhh ma certo! Tutte le cose che hai fatto in punizione! Be’ Julie, ne avrai per un po’ allora!”
“Esatto, quindi sarà meglio cominciare.” Agitato, Raffaello l’afferrò per il girovita e la portò via, balzando sulle pareti fino a giungere al piano dove erano le camere da letto. Entrato, fece sbattere la porta alle proprie spalle.
“Ma che ti è preso? Vuoi che ci scoprano?” La rimproverò.
Julie si difese prontamente. “Volevo stare sola con te!”
“E il giochetto sotto il tavolo?” Chiese, puntando il pollice dietro a sé.
“Ehm…” Fece spallucce: “Quello era solo per divertimento.”
“Allora vedi di stare attenta. Se sapessero di noi si scatenerebbe un putiferio.” La passò e camminò fino all’ampio letto, dove poi si sedette.
Presa dai sensi di colpa, Julie andò da lui, la voce triste: “Scusami. So che non possiamo esporci. Non ancora, almeno. Però se li abituassimo a vederci insieme, forse diventerebbe più facile. Prima o poi dovremo dirglielo che ci amiamo.”
“Lo so.” Raffaello sospirò, quindi allargò un braccio, invitandola. “Dai, vieni qui.” Lei prese posto sulle sue ginocchia e si lasciò avvolgere in un abbraccio. Un bacio ristabilì l’armonia tra loro.
“Io…volevo anche ringraziarti per i fiori. Ho capito il messaggio.” Gli disse lei, quasi sussurrando.
Raph accennò un sorriso: “Anche se non sono bravo con le parole, ci tengo a farti sapere cosa provo per te.”
“E va bene così, fino a quando non sarai pronto per dirmelo.” Abbassò lo sguardo: “Però una cosa te la devo proprio chiedere.”
Raph cominciò a sudare freddo, deglutì un nodo alla gola: “Dimmi.”
Lei esitò qualche istante e poi risollevò lo sguardo: “Hai davvero una collezione di lavori a maglia?”
Raffaello buttò fuori una risata: “Ah quello! Certo che è vero! Ti faccio vedere.”
And all the ways, I got to know
Your pretty face and electric soul

Si alzarono dal letto e lui andò ad aprire il grande e sbilenco armadio. All’interno c’era un po’ di tutto, come oggetti vecchi e rotti raccolti nel corso degli anni negli fogne o nei vicoli, ma fra tante cose facevano bella mostra anche degli articoli di maglieria. Julie allungò una mano verso una coperta di lana rossa che aveva l’aria di essere piuttosto ampia. Poi sfiorò un maglione dalla scollatura a barca, un berretto con ricamato sopra il simbolo giapponese di ‘famiglia’e un paio di polsini. Ogni cosa era fatta con cura, non c’era nemmeno un punto sbagliato.
“Wow... Mi fai sentire così misera. Io non saprei nemmeno come tenerli in mano i ferri!” Sdrammatizzò Julie.
Raph si passò una mano sul capo: “E’ una cosa che ho imparato da bambino, in punizione, appunto. Papà sa essere molto severo quando ci si mette. Però almeno ho imparato a fare qualcosa di utile, anche se ormai non indosso più questa roba.” Allungò il braccio e indicò col dito una maglia di cotone: “Questo l’ho portato parecchio, quando mi andava bene. Anni fa.”
“Questa però potresti ancora usarla, quando arriverà l’inverno.” Julie indicò una lunga sciarpa con tanto di frange.
Lui storse il naso: “Non so, non è il mio genere.”
“Forse conosco un modo per fartela apprezzare.” Julie gli portò le mani al petto e disegnò le forme tondeggianti della corazza. L’idea era quella di sedurlo. Gli sfiorò le labbra con un bacio e poi lo spinse all’indietro. Tentò ancora. E ancora. Come poteva smuovere una roccia? Un po’ irritata, disse tra i denti: “Potresti farmi la cortesia di cadere all’indietro quando ti spingo?”
“Oooh certo. Nessun problema.” Attese che lei lo spingesse ancora e si lasciò cadere, finendo lungo disteso sul materasso. Si sollevò sui gomiti e guardò la scena che aveva di fronte, con chiaro interesse.
Con mosse sexy, Julie si sfilò il top, restando con addosso solo il reggiseno di pizzo, la gonnellina plissettata e le calze autoreggenti. Fece roteare l’indumento e poi lo lasciò cadere a terra. Prese dall’armadio la sciarpa e con quella si esibì in una sorta di balletto alla burlesque, avvolgendosi le due estremità nelle mani, improvvisando qualche mossa sensuale che prevedeva anche calcetti all’aria e ondeggiamenti delle natiche.
“Adesso ti piace la sciarpa?” Gli chiese, provocante, passandosi l’accessorio lungo le spalle e poi portandosi un lembo alle labbra per mordicchiarlo.
Raph sollevò un sopracciglio: “In effetti non è male, ora che la vedo così.”
Julie fece qualche altra mossa sfacciata, facendogli intravedere le mutandine coordinate da sotto la gonna, e stringendosi la sciarpa attorno al busto come una corda. La dose di peperoncino era massiccia, Raph era pronto per scattare verso la preda e concedersi un succulento banchetto. Proprio in quel momento la porta si spalancò ed entrò Michelangelo. Il tempo si fermò.
“Cosa state facendo?”
Ottima domanda.
Rossa in volto e con gesti isterici, Julie finse di frugare nell’armadio: “Ok questa sciarpa mi piace, però ora voglio provare la maglia di cotone!” Detto fatto, prese l’indumento dalla gruccia e se lo infilò alla bell’e meglio, quindi si voltò verso Mikey: “Come mi sta?”
“Hey me la ricordo! E’ quella che Raph portava da bambino!” Analizzò attentamente la figura di Julie,  constatando che tutto sommato le donava davvero anche se era chiaramente di qualche taglia più grande e le maniche erano parecchio lunghe, però il modo in cui la scollatura le lasciava una spalla scoperta era davvero delizioso.
“Ti sta bene! Potresti tenerla!” Quindi chiese al fratello: “Che ne dici, Raph? Gliela regali?”
Lui, dopo essere rimasto immobile senza respirare, ritrovò la parola a fatica: “Eeehm…sì.”
“Bene!” Esultò Mikey: “Ah sono venuto a dirvi che siamo tutti nella stanza dei videogiochi, se volete unirvi a noi.”
Julie rispose sorridente: “Ok, arriviamo subito!”
Attese che se ne andasse e poi andò dritta a richiudere la porta, poggiandosi di spalle. Allungò lo sguardo verso Raffaello, fulminandolo: “Non hai chiuso a chiave!”
Colto in flagrante, lui si ritrovò senza parole, allora lei gli andò di fronte e lo guardò severa dall’alto: “Io faccio uno spogliarello e tu ti dimentichi di chiudere a chiave?”
“Ma-ma-ma io non sapevo che volessi fare…quello.” Minimizzò.
Julie, indispettita più che mai, sollevò i pugni con tutta l’intenzione di colpirlo, invece poi li agitò lungo i fianchi: “Non posso neanche picchiarti, accidenti. Mi farei male solo io.”
Intanto Mikey arrivò alla stanza dei videogiochi e prese posto su uno dei divani, accanto a Leo.
“Julie potrebbe fare la modella per Victoria’s Secret. E’ così bella in reggiseno!” Allungò una mano per prendere il controller dal tavolino.
“COSA?” Chiese Leo, scandalizzato. Ma prima che potesse mettere sotto torchio il fratello, arrivarono Raph e Julie. Vide subito la maglia rossa che stava indossando lei e che sapeva provenire dall’armadio di Raph. Quindi questo significava che…si era cambiata di fronte a lui?
*
Di tanto in tanto era piacevole trascorrere una notte di puro divertimento, correndo sui tetti e balzando tra i palazzi. Le tartarughe le davano un senso di protezione assoluta, ma anche di adrenalina quando uno di loro, di solito Leonardo, la portava appesa al collo facendo balzi acrobatici che la facevano sempre gridare e ridere. Però, da quando April le aveva fatto promettere di cominciare a prendere sul serio gli studi e seguire le lezioni con maggiore frequenza, quelle fughe notturne erano diventate alquanto rare se non addirittura semplici scorci di ribellione limitati alle sere. Quella sera in particolare, erano appena suonate le undici quando Julie, sfoggiando un’espressione tanto triste da intenerire anche un cuore di pietra, si rivolse ai ragazzi dicendo: “Temo che per me la festa sia finita. Devo tornare a casa.”
Nel lamento generale, Mikey si fece sentire più degli altri: “Eddai, rimani ancora un po’! Senza di te il divertimento è dimezzato!”
“Vero, però se vuole dimostrare che si sta impegnando davvero non può infrangere il giuramento così.” Disse Donatello, rendendo il fratello ancora più triste.
Julie sospirò: “Purtroppo è così. E poi fra pochi giorni sosterrò l’esame, quindi…” Sollevò le braccia a mezz’aria e le lasciò ricadere. Fosse stato per lei sarebbe rimasta più che volentieri in loro compagnia.
Leonardo fece per avvolgerle il girovita con il braccio: “Bene, allora direi di andare.”
“Ci penso io, Leo.”
La voce di Raffaello gli bloccò il movimento, voltò la testa di scatto verso di lui: “Non c’è bisogno, ho detto che lo faccio io.”
Raph gli lanciò uno sguardo di sfida: “Vogliamo far scegliere a lei?”
Leo strinse i pugni, pronto all’azione: “Com’è che ultimamente ti metti sempre in mezzo? E’ solo per dar sfoggio della tua forza o c’è dell’altro, eh fratello?”
Michelangelo si sporse verso Donatello e gli bisbigliò all’orecchio: “Mi sa che si stanno scaldando.”
Julie s’intromise tra i due litiganti: “Può bastare. Ci manca solo che litighiate per una sciocchezza del genere!” Cercò di sdrammatizzare, anche se in realtà il cuore le batteva per la paura. Da diversi giorni Leo si comportava in modo strano ed era diventato particolarmente possessivo quando si trattava di lei. Non voleva assolutamente essere motivo di ulteriori litigi tra quei due fratelli che già si scontravano su ogni cosa.
I due si separarono di una distanza di sicurezza, ma i loro sguardi continuarono a lanciare scintille, quindi lei riprese la parola: “Apprezzo le tue premure, Leo, ma… può riaccompagnarmi Raph. E’ veloce e tornerà da voi in un batter d’occhio.”
Raffaello lo sbeffeggiò: “Sentito, Leo? Dice che sono più veloce di te!”
“No, non ho detto questo.” Julie alzò il tono di voce e per punizione gli pestò un piede, cercando di metterci quanta più forza aveva per fargli almeno un po’ di male. I loro gusci saranno stati anche antiproiettile ma la pelle non poteva essere invulnerabile, accidenti. Il colpo parve andare a segno, o almeno il lamento di gola che Raph emise le suggerì questo.
Leo sospirò e si arrese: “E va bene. Come vuoi, Julie. Ora andate, si sta facendo tardi. Noi tre aspetteremo qualche palazzo più avanti.”
Raph prese Julie in braccio e attese che lei si aggrappasse saldamente al suo collo, quindi prese la rincorsa e partì come un razzo, diretto verso un altro tetto.
“Ciao Julie!” La salutò Mikey, sia con la voce che con il gesto della mano.
Vedendo Leo adombrato, Donnie gli chiese con poca discrezione: “Hey Leo, ma che ti prende?”
Lui scosse il capo e rispose con voce dura: “Lascia perdere.”
Raffaello impiegò meno di dieci minuti a raggiungere il palazzo dove viveva Julie. Abbandonò i tetti per posarla a terra sul piccolo vicolo a lato del palazzo, dove non c’erano fonti di luce che avrebbero tradito la sua presenza. Julie rimise piede a terra elegantemente prima di rivolgersi a lui con espressione beffarda: “Ti va una gara?”
Lui sollevò un sopracciglio con fare provocante: “Assolutamente sì!”
Ad un immaginario ‘via’, Julie scattò di corsa diretta verso l’entrata principale, mentre lui cominciò ad arrampicarsi usando i cornicioni del palazzo, spostandosi man mano verso il retro dove poi avrebbe usato le scale antincendio.
Julie salutò frettolosamente il portiere notturno e si precipitò verso l’ascensore che a quell’ora era sempre libero. L’attesa di raggiungere il decimo piano fu snervante, ma piuttosto che correre per le scale rischiando di inciampare e rompersi i denti davanti, preferiva quello! Sgusciò fuori dall’ascensore quando le porte ancora si stavano aprendo e, con le chiavi in mano, si gettò sulla porta del proprio appartamento. Era così accanita che la sorte non volle rallentarla con l’imprevisto della chiave che non entra nella toppa, così, tempo cinque secondi, fu dentro, sbatté la porta alle proprie spalle e corse alla camera da letto. Quando vi giunse, spalancò la bocca per la sorpresa e lasciò un sospiro assieme  ad una mezza risata. Fuori dalla finestra, appeso al cornicione, Raph la stava spettando con aria trionfante.
“Non è possibile! E pensare che ho preso l’ascensore per fare prima!” Gli disse capricciosamente, una volta aperta la finestra.
“Non puoi competere con una tartaruga mutante, bellezza.” Rispose, strizzando l’occhio.
Julie gli regalò un sorriso complice e si sporse per unire le labbra alle sue. Anche se la temperatura notturna di agosto aveva la tendenza a scendere, i loro baci avevano il potere di essere sempre caldi e di infonderle quel calore in tutto il corpo. Nel separarsi, le labbra emisero un piccolo schiocco. Julie guardò Raffaello negli occhi e disse con voce dolce: “Sai, ogni volta che ci salutiamo così, dal balcone, mi sembra di essere all’interno della storia di Romeo e Giulietta.”
“Con un finale diverso, spero!” Scherzò lui.
“Sì. Solo la parte più romantica. Quella che li vede incontrarsi di nascosto per scambiarsi giuramenti d’amore e baci.”
“Io preferisco le parti d’azione, quando litigano e duellano tra Montecchi e Capuleti.”
“Ma allora hai letto veramente il libro!” Cinguettò lei.
“Certo che l’ho letto! Mi giudichi veramente poco! Solo perché mi vanto della mia forza e il mio idolo è Vin Diesel, non significa che io sia analfabeta.” Si difese, punto nell’orgoglio.
Julie gli schioccò un altro bacio sulle labbra: “A proposito, dato che tu mi obblighi sempre a guardare i film di quel tizio, sappi che un giorno io ti incatenerò al divano e ti farò guardare tutta la serie di Sex and the City!”
Raph storse il naso: “E’ pieno di femmine isteriche che pensano solo alla moda, alla carriera e al sesso. Mi chiedo che cosa ti attragga di quella roba. Tu non sei così.”
“Neanche riguardo al sesso?” Lo pungolò di proposito, con la conseguenza che lui balzò dentro la stanza e prese Julie tra le braccia dicendo con voce sensuale: “Su di te non è un difetto.”
Le rubò le labbra con un bacio di fuoco e con le mani andò ad avventurarsi sotto la gonna. Le sue curve erano così armoniose che quando la toccava gli sembrava di sentire una melodia di violini risuonargli nella mente. Era innamorato alla follia di quella ragazza. Era prossimo ad insinuare le dita sotto al pizzo delle mutandine quando Julie lo forzò a fermarsi e ad interrompere il bacio. Si diede un istante per riprendere fiato e poi gli disse: “Perdonami, vorrei tanto ma domani sarà una giornata impegnativa per me. E poi i tuoi fratelli ti stanno aspettando. Non voglio che Leo si irriti ancora di più.”
Lui la lasciò andare, borbottando: “Che gran seccatura.” Fece qualche passo senza meta e riprese: “Non sai quanto vorrei poter stare con te senza tutti questi problemi. Non parlo delle lezioni, è giusto che tu ti metta d’impegno per raggiungere un obiettivo, però odio sentirmi sempre intrappolato dal segreto con la mia famiglia. Ora ne ho davvero abbastanza. Dovremmo diglielo e basta. E se a qualcuno non va bene, chissene.”
Lei confermò: “Lo faremo, Raph. Solo…” Arricciò le labbra e fece spallucce: “Dobbiamo trovare il momento giusto.”
E mentre loro parlavano, gli altri tre mutanti attendevano poco pazientemente al punto d’incontro. Anche se la parola ‘poco’, nel caso di Leonardo, era un eufemismo dato che non faceva che camminare avanti e indietro nervosamente.
“Ma dove diavolo è finito?” Chiese ad un tratto.
Donnie rispose tranquillo: “Si starà assicurando che lei rincasi sana e salva. Cosa c’è di strano?”
“Io dico che lo sta facendo apposta per darmi sui nervi.”
“E io dico che te la prendi troppo.”
Leo camminò ancora avanti e indietro per tre volte e poi sentenziò: “Vado a vedere cosa succede. Aspettatemi qui.”
Mikey gli mise le mani sulle spalle per bloccarlo: “Non se ne parla. Conoscendovi, vi mettereste a litigare anche senza motivo. Andrò io, ok?” Non gli diede il tempo di rispondere, saltò all’indietro e in un attimo si diede alla corsa, sperando che Leo non lo seguisse. Già immaginava di poter entrare nell’appartamento di Julie e magari sgranocchiare qualcosa di gustoso prima di salutarla. Sì perché, nella sua mente, Raffaello insisteva per accompagnarla solo per questo, per arraffare cibo dalla loro sorellina. A lui ci volle quasi un quarto d’ora, ma alla fine atterrò sul tetto del palazzo vicino con un salto acrobatico. Sollevò lo sguardo e disse tra sé: “Dunque, qual’era il piano dove vive Julie?”
Sollevò un dito con l’intenzione di mettersi a contare, ma il suo sguardo intravide qualcosa fare capolino da una finestra sul lato del retro. Si spostò per avere una visuale migliore e riconobbe Raffaello appeso al davanzale. Vide anche Julie, sporta leggermente dalla finestra.
Mikey si illuminò di gioia, sollevò un braccio che cominciò ad agitare e prese un bel respiro per gridare qualcosa che attirasse la loro attenzione, ma si bloccò. Il sorriso svanì e al suo posto arrivarono la sorpresa e l’incomprensione. Suo fratello e Julie si stavano baciando. Un bacio vero, non come quelli che aveva visto nei film. Per quanto fossero belli a vedersi, sapeva che ciò che stava guardando non andava bene. Non aveva idea che tra loro ci fosse qualcosa, non si era accorto di nulla. E ora li aveva di fronte agli occhi. Che gli altri sapessero? No, non lo sapevano. In loro presenza non facevano quelle cose e non dicevano nulla che potesse far intendere che avessero una relazione. Quindi era una cosa segreta. Anche se, per quanto lo riguardava, non c’era niente di male. Anzi era lieto che il suo fratellone tosto e la sua sorellina fossero innamorati, però un forte presentimento gli diceva che gli altri non l’avrebbero presa allo stesso modo. Soprattutto Leonardo.
*
Quell’esame si rivelò una faticaccia per Julie, soprattutto perché per la prima volta in vita sua aveva dovuto studiare interi libri e prepararsi per essere in grado di fare un discorso continuativo e di senso compiuto. Niente a che vedere col liceo, dove aveva preso il diploma più per l’importanza della sua famiglia che non per meritocrazia. Magari aveva incespicato un paio di volte e non era riuscita a rispondere in modo esauriente a tutte le domande che le erano state poste, però tutto sommato se l’era cavata. L’importante non era eccellere ma passare! Rincasò nel tardo pomeriggio, stanca e con tutta l’intenzione di buttarsi sul divano a guardare la tv e bere una quantità esagerata di tè freddo al limone. Posò il mazzo di chiavi sul mobiletto dell’entrata e si tolse i sandali con noncuranza. Un rumore sospetto attirò la sua attenzione.
“Chi c’è?” Tese l’orecchio, ma non ricevette risposta.
“April?” Era l’unica ad avere le chiavi del suo appartamento, magari era passata per farle un saluto. Ma se fosse stata lei avrebbe già risposto.
Julie lasciò l’ingresso e gridò ancora: “Raph, sei tu? Se è uno scherzo non è divertente.” Avrebbe tanto voluto che fosse lui, ma sapeva che era una possibilità remota a quell’ora. Si erano sempre incontrati dal tramonto in poi, per lui sarebbe stato troppo rischioso uscire di giorno.
Camminò a passi felpati fino alla cucina, dove impugnò un coltello per tagliare la carne, quindi con cautela si diresse verso la camera da letto da dove era venuto il rumore. Il cuore le batteva così forte che quasi le ferì i timpani con le pulsazioni. Attraversò il corridoio e contò nella mente: “Uno, due, tre.”
Balzò dentro la stanza vuota. Che non ci fosse nessuno era evidente, come lo era il fatto che qualcuno aveva rotto il vetro della finestra per entrare. Tenendo l’arma sollevata e stretta in pugno, Julie andò a controllare che fuori non ci fosse effettivamente nessuno. Rassicurata, abbassò la mano  e lasciò cadere il coltello sulla moquette. Scorse rapidamente la camera da letto, tutto sembrava in ordine, quindi non si era trattato di un ladro. La sorpresa arrivò quando entrò nel bagno e trovò una scritta sullo specchio fatta con uno dei suoi rossetti. Sfiorò quei segni rossi con la punta delle dita. Il messaggio diceva: “Stiamo risorgendo dalle ceneri. Per voi sarà la fine, tartarughe.” E sotto c’era una sorta di disegnino che lei riconobbe.
“Il Clan del Piede.” Disse con voce quasi tremula. Doveva assolutamente avvertire i ragazzi.
*
“E’ sicuramente il Clan del Piede.” Confermò Donatello, restituendo a Julie il cellulare dopo aver visto la foto che lei aveva scattato al messaggio sullo specchio.
“E a quanto pare ci tengono d’occhio da un po’ se sanno che Julie è nostra amica.” Aggiunse pensieroso Leonardo.
Raffaello strinse un pugno con rabbia: “E’ colpa nostra, avremmo dovuto essere più vigili. Se invece di entrare in casa sua per lasciare un messaggio l’avessero rapita o le avessero fatto del male io…”
Julie posò una mano sul suo pugno, per calmarlo: “Se non l’hanno fatto avranno avuto i loro motivi. Non credo siano interessati a me o al rapporto che ho con voi.”
“In ogni caso tu rimarrai qui fino a quando non avremo sistemato questa faccenda.”
Julie stava per ribattere, ma la voce mite di Splinter la fermò: “Sì, figliola, è meglio che tu rimanga qui dove possiamo garantirti protezione. Nessuno di noi se lo perdonerebbe se ti accadesse qualcosa.”
Il rumore di tacchi all’ingresso del rifugio attirò l’attenzione di tutto il gruppo e la voce di April riecheggiò tra le pareti: “Forse possiamo risolvere in fretta il problema.”
Donnie chiese prontamente: “Al telefono hai detto che hai delle informazioni. Di cosa si tratta?”
Prima di rispondere, April andò ad abbracciare la cugina e ad assicurarsi che stesse bene.
“Credo di sapere dove si nascondono, ma dobbiamo agire in fretta. Ho qui le coordinate.” Agitò il cellulare nella mano, fiera del proprio lavoro.
“E allora cosa aspettiamo? Andiamo e facciamo fuori quei maledetti.” Esordì Raffaello, con voce ringhiante. Fremeva dalla rabbia e dalla voglia di picchiare forte.
“Tu resti, Raffaello. In questo momento non sei in te, saresti solo d’intralcio.” Lo ammonì Splinter.
Lui lo guardò perplesso: “D’intralcio? Io voglio spazzarli via con una manata e ridurli in briciole. Dopo quello che hanno fatto a Julie….”
“Nulla è stato fatto alla sua persona, ringraziando il cielo. La tua collera è immotivata. Al tuo posto andrò io.”
Raph trasalì: “E io dovrei restare qui a non fare niente?”
Splinter posò una mano sulla sua spalla: “Proteggi Julie fino al nostro ritorno. E fai pace con te stesso.”
Lui scambiò un’occhiata con Julie, bastò per rendersi conto che stare con lei era più importante di ogni altra cosa. Prese respiro e rispose: “D’accordo, Maestro.”
April s’intromise: “Il sole sta tramontando, possiamo uscire con la vostra auto e percorrere strade secondarie per non dare nell’occhio. Poi al calare della sera sfrecciamo fuori città. In poco più di un’ora dovremmo esserci, se ho fatto un buon lavoro di calcolo e se le informazioni che ho raccolto in questi mesi sono attendibili.”
Mentre il gruppo s’incamminava, Leonardo si avvicinò a Julie e disse gentile: “Non temere, saremo di ritorno prima dell’alba.” Poi terminò con uno scherzo: “Pensi di riuscire a resistere così tanto accanto a Raph?”
“Vai al diavolo!” Lo rimbeccò lui, con tono tutt’altro che scherzoso.
Julie regalò a Leo un sorriso e lo osservò allontanarsi di corsa per raggiungere gli altri.
“Razza di presuntuoso sfacciato.” Si fece sentire ancora Raph, con disprezzo.
Julie gli andò vicino e gli prese le mani: “Invece di criticare, dovresti guardare il lato positivo. Siamo soli.”
Non sarà stato onorevole come pensiero, ma dopo essere stato messo da parte in quel modo a Raffaello venne naturale mandare al diavolo i suoi fratelli e suo padre e godersi il momento. Che andassero pure a divertirsi prendendo a calci quei bambolotti vestiti di nero, lui di certo si sarebbe divertito in un altro modo.
“Be’, allora… Che ne dici di andare in camera mia?” Chiese senza giri di parole.
Julie si mise a ridere: “Abbiamo l’intero rifugio tutto per noi!” Fece scivolare le mani dalle sue e prese a passeggiare in direzione della sala dell’allenamento, voltandosi un paio di volte per lanciargli delle occhiatine provocanti.
Messo piede nell’ampia sala, si guardò attorno con sguardo ammirato: “E’ un luogo così…affascinante.”
Raph abbozzò uno scherzo: “Devo confessarti che, da quando stiamo insieme, ho cominciato a vedere le armi con altri occhi e immaginare usi diversi dalla lotta.”
Lei stette al gioco: “Ad esempio?”
Raph si passò una mano sul capo, come cercando di sistemare una piega immaginaria della bandana, allora Julie lo pizzicò: “Cosa c’è? Hai paura che io mi spaventi?”
“No!” Parlò onestamente: “Ho paura che dirtelo ti stuzzichi la fantasia.”
Julie arricciò le labbra, indecisa se lasciar correre o approfondire l’argomento, ma alla fine vinse la curiosità. Doveva solo trovare il modo di fargli confessare. Magari con uno spogliarello? Le bastò un minuto per disfarsi del vestitino bianco e morbido con la scollatura a doppio risvolto, subito seguito dalle scarpette con l’immancabile tacco dodici che calciò via facendo i passi di un balletto, ed infine i leggings neri elasticizzati che si divertì a fiondare contro di lui. Rimasta solo con un completo intimo di pizzo color acquamarina, si avvicinò a Raffaello e gli sussurrò: “Qualche idea?”
Una parte di lui avrebbe voluto fermare tutto e riportare l’attenzione sul gruppo che era partito in cerca della cellula del Clan del Piede che ancora si nascondeva in città. Ma l’altra parte, quella offesa, gli bruciava da morire e chiedeva soddisfazione. Fu proprio pensando a questo che disse: “Legarti alla Katana di Leo che è appesa al muro e darti una lezione indimenticabile.” La voce quasi spezzata dall’eccitazione.
Julie si voltò e cercò con lo sguardo l’oggetto nominato. Sulla parete dietro a lei c’era proprio una Katana, dentro il rispettivo fodero, appesa al muro. Doveva essere quella di scorta, era sicura che Leonardo ne avesse portate due con sé quando era partito. Si voltò nuovamente, lo sguardo come a scrutare il corpo di Raffaello, poi le sue mani afferrarono i pugnali Sai appesi alla cintura, li estrasse e li lasciò cadere a terra. Subito dopo gli slacciò la cintura e la sollevò all’altezza del viso, quindi lo guardò negli occhi e gli ordinò: “Legami i polsi.” 
Non ci fu esitazione nei movimenti di Raffaello, semplicemente prese la cintura e fece quando richiesto.
“Ora portami là.” Ordinò ancora Julie, ma ora con tono di voce passionale.
Raffaello la sollevò in braccio e la portò fino al muro, dove poi si occupò di legare la cintura alla Katana. Ed ecco che le parole non furono più necessarie. Tutto cominciò con un bacio famelico, uno di quelli che tolgono il respiro da quanto sono potenti. Le gambe di Julie si tenevano salde attorno ai fianchi di lui, le mani di Raffaello si persero in carezze sul suo corpo, si unirono sulla sottile striscia elastica del reggiseno autoreggente e la spezzarono. Gettò via il tutto e fece lo stesso con le mutandine. Immerse il viso fra i suoi seni caldi e morbidi, li sfiorò con la lingua e poi risucchiò tra le labbra una delle rosse gemme. E nel contempo, dal basso, si dilettava a tastare la corposità delle sue natiche, addentrandosi di volta in volta verso l’interno fino ad arrivare a sentire sulla punta delle dita il suo nettare cremoso, segno che lei era pronta.
Julie, dal canto suo, avendo ben poca libertà di movimento, si rassegnò beatamente a quelle piacevoli attenzioni senza mancare di fargli sapere quanto fossero gradite attraverso mugolii e gemiti di piacere. E poi all’improvviso arrivò il momento dell’azione. Raffaello, con le mani che quasi tremavano dal desiderio, si vide costretto a strapparsi i pantaloni sul davanti per procedere. Il resto venne da sé. L’afferrò per i fianchi e la prese con passione, talvolta ansimando di piacere, talvolta ricercando il suo sguardo azzurro dentro il quale perdersi. Julie non si trattenne in alcun modo, né cercò di trattenere lui, totalmente presa dal turbine del piacere che, arrivando agli spasmi, si ritrovò perfino a stringere tra le mani la cintura con cui lui l’aveva legata e a tirare come se volesse spezzarla. Di cose piccanti ne avevano fatte da quando stavano insieme, ma quella che stavano facendo in quel momento le superava tutte! Le ricordava qualcosa che una vecchia amica di Bel Air le aveva fatto leggere qualche anno fa. Il primo libro di una trilogia particolarmente sconcia che, a suo parere, era meglio che non vedesse mai la luce. Chi avrebbe avuto il coraggio di ricavare un film da quel…come si chiamava… Cinquanta sfumature di qualcosa.
Nel raggiungere l’estasi, Raffaello si lasciò andare, gettò il capo all’indietro ed emise un forte gemito. Si sentiva come se stesse fluttuando. Gli ci vollero alcuni istanti per tornare in sé, poi sfiorò le labbra di Julie con un bacio e le sussurrò guardandola negli occhi: “Tutto ok?”
Lei mosse leggermente il capo e rispose con un filo di voce: “Sì.”
Raffaello sciolse i nodi della cintura per liberarle i polsi, vide subito i segni rossi che si era auto-inferta quando aveva tirato selvaggiamente. Nulla di grave, sarebbero spariti nel giro di poche ore. Julie gli intrecciò le braccia al collo e accennò un sorriso. “E’ stato bello?”
“Maledettamente!” Rispose lui con tono divertito, poi riprese più serio: “Però adesso avrei bisogno di una pausa. Andiamo di sopra?”
Lei rispose sorridente: “Pienamente d’accordo!”
Da quando la loro relazione era diventata stabile, Raph e Julie avevano trovato alcune occasioni per stare un po’ nella stanza di lui, senza destare sospetti, e così Julie aveva avuto modo di esplorare e curiosare. La camera da letto di Raffaello era disordinata e maltenuta, il letto era sempre disfatto -ancora di più da quando lo usavano assieme- le mensole ed i mobili erano ammaccati e contenevano oggetti della natura più disparata da riviste di bodybuilding a pupazzetti di supereroi con la testa ciondolante. Le pareti invece erano pressoché tappezzate di pagine di giornale sgualcite e frammenti di poster con stampata la faccia di Vin Diesel, il suo idolo. D’altra parte, più che un ninja, Raffaello era prima di tutto un adolescente!
Julie doveva essersi persa in pensieri guardando le pareti, perché la voce di Raph la sorprese dicendo: “Ti sei innamorata di Vin?” Il tono voleva essere serio, ma una vibrazione divertita lo tradì.
Julie sorrise al vuoto e, quando si voltò verso di lui, disse maliziosa: “Tranquillo, tu rimani il mio fustacchione pelato preferito! Subito seguito da Dwayne Johnson.” Si sporse su di lui  e gli stampò un bacio a fior di labbra: “Anche se…pensandoci bene…non credo che Dwayne avrebbe bisogno di riposarsi dopo una volta!”
Si stava entrando in zona piccante, dunque. Raffaello fece correre una mano sul corpo di lei e quando arrivò su una delle cosce le sollevò la gamba per far sì che lei fosse cavalcioni su di lui.
“Questo round è tutto tuo, bellezza.” Con una mano le sfiorò il viso e l’attirò a sé per baciarla.
Julie ricambiò il bacio e con la mano andò ad accarezzare la corazza sul suo petto, ruvida e dura come una roccia. Il che le fece riaffiorare una domanda che non gli aveva mai posto. Separò le labbra dalle sue e chiese timidamente: “Solo per curiosità…quando ti accarezzo così, senti qualcosa?” Scosse il capo e si schernì: “Che domanda idiota! Mi hai detto tu stesso di essere antiproiettile, quindi è impossibile che…” Si zittì ritrovandosi un dito di lui posato sulle labbra.
“Invece è una domanda sensata e la risposta non è così ovvia come credi. Non saprei dare una spiegazione scientifica, ma credimi se ti dico che sono sensibile al tuo tocco. Posso ricevere una scarica di proiettili senza sentire il minimo dolore, eppure riesco a percepire il tocco delle tue dita come una leggera vibrazione. Una cosa piacevole.” La rassicurò, parlandole con tono dolce, quindi le prese una mano e se la portò alle labbra per stamparvi un bacio.
Ora che sapeva la verità, Julie non aveva più bisogno di parole, tutto ciò che voleva era diventare un tutt’uno con lui. Prese a muoversi contro il suo corpo, lentamente, scivolando sulla sua virilità che ad ogni movimento che si faceva sempre più rigida. Non ci volle molto perché entrambi fossero pronti. Julie si sollevò dal suo petto e, bella come una dea nata dal latte e dall’oro, diede il via alla danza del piacere. Era così bella… Raffaello allungò un braccio e fece scivolare la mano fra i suoi seni, per poi discendere e sostare sul suo fianco. Non poteva essere un caso che lei fosse entrata nella sua vita. Un pensiero superficiale gli disse che in tutti i grandi film d’azione l’uomo più forte e più astuto aveva accanto una bellezza mozzafiato, invece il pensiero più ragionevole, quello che proveniva dal cuore e poi si annidava da qualche parte nella sua mente come una farfalla delicata, gli sussurrava che nel loro rapporto c’era molto di più, che il loro legame era qualcosa di ineguagliabile che nessuno avrebbe mai spezzato. Lei gli apparteneva completamente e lui apparteneva a lei. L’eco di questa scoperta si amalgamò nella melodia dei gemiti di lei, creando una dimensione in cui si sentì leggero come l’aria. Quando la danza terminò, fu con grande naturalezza che accolse la sua bella ragazza in un abbraccio protettivo in cui lei presto si abbandonò per scivolare nel sonno.

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Capitolo 6
*** La cosa giusta ***


6
La cosa giusta
 
Si risvegliò percependo il calore di un bacio sull’incavo della spalla. Il respiro di Raffaello che le sfiorava il collo e il viso, il suo braccio a cingerle i fianchi, alle spalle la sua presenza. Non ricordava di aver cambiato posizione. Si era addormentata sul suo petto e poi, evidentemente, nel sonno era rotolata giù e si era girata e lui aveva continuato a ‘proteggerla’ abbracciandola da dietro. I suoi gesti erano così romantici che talvolta dimenticava di sperare in quel ‘ti amo’ che lui non le aveva ancora detto e che lei continuava a soffocare nel petto per timore che lui sentisse il peso di tale confessione.
Essendosi accorto del suo risveglio, Raffaello aveva continuato a stampare baci sulla sua pelle, seguendo il tragitto del collo, svoltando sulla mandibola e poi sostando sulle labbra tiepide. Julie non aveva ancora aperto gli occhi, tanto era serena.
“Ti offendi se ti dico che sto morendo di fame?” La voce roca per il sonno e un gorgoglio di gola che avrebbe dovuto essere una risata.
Lui ridacchiò contro la sua guancia: “In effetti abbiamo saltato la cena!” La sciolse dall’abbraccio e scese dal letto permettendo così a Julie di godere della vista delle sue belle natiche scolpite.  Raggiunse l’armadio e cominciò a trafficare al suo interno. Ne tirò fuori un paio di pantaloni neri sgualciti, probabilmente recuperati da un cassonetto, e li indossò alla mala peggio anche se gli stavamo molto attillati, giusto per coprire la propria nudità. Poi si mise a cercare qualcos’altro e, in capo ad alcuni minuti, ne tirò fuori una maglia rossa, vecchia, larga, con le maniche strappate a metà braccio e la scollatura anch’essa strappata. Con fare giocoso, la lanciò addosso a Julie.
Lei scoppiò a ridere: “Come sei prepotente!” Sbirciò rapidamente la maglia e poi la indossò senza fare storie. Quando si alzò dal letto, fu Raffaello a beneficiare dello spettacolo. Era incredibile come anche il vestito più smesso addosso a lei diventasse un incanto. La maglia, che lui indossava qualche anno fa, le stava davvero larga, però il modo in cui le lasciava una spalla ampiamente scoperta e le gambe quasi del tutto nude, la rendeva un bocconcino delizioso. Julie recuperò una molletta per alzarsi i capelli, alcune ciocche sfuggirono subito e le incorniciarono il viso.
“Cosa c’è da mangiare?”
Lui fece un cenno col capo: “Vieni, dovresti saperlo ormai!”
La scelta ricadde su un cestino di alette di pollo che giaceva nel frigorifero dalla sera prima ma che per loro si rivelò una cena prelibata con la fame che avevano! Julie seduta sulle sue ginocchia, il cestino tra loro e salviette alla mano, mangiarono tutto di gran gusto, lasciando giusto gli ossicini ben ripuliti da ogni traccia di carne. Raffaello si occupò di posare a terra il cestino con gli scarti, mentre Julie afferrò la bottiglia di birra, che avevano già preparato sul tavolo, e ne bevve un sorso.
“Sono superficiale se dico che vorrei vivere sempre così? Io e te, sesso bollente e cibo non salutare?” Gli chiese, porgendogli la bottiglia.
Lui ne bevve una buona metà, quindi schioccò la lingua e rispose: “Penso la stessa cosa e sono assolutamente serio.” Le lanciò un’occhiata maliziosa e posò la bottiglia accanto al cestino, per poi riprendere il discorso: “Soprattutto per quanto riguarda il sesso bollente.”
“Avete sentito anche voi?” Chiese d’un tratto Donnie, arrossendo nonostante la pelle verde e sperando vivamente di non aver capito bene le ultime due parole.
Splinter non ebbe il coraggio fiatare.  Il disastro stava per compiersi, dunque.
“Sembrava la voce di… No, non è possibile! Non siamo ancora abbastanza vicini al rifugio. E poi perché Raph dovrebbe dire…?” Mikey s’interruppe da sé, ricordando la sera in cui li aveva visti alla finestra di lei. Allora lui e Julie erano arrivati a questo punto? Di già???
Una risatina femminile arrivò come un’eco, tutti si voltarono.
“Un tubo rotto. Un tempo doveva essere dell’acqua ma ora non è più utilizzato, a quanto pare.” Donnie si avvicinò e lo esaminò bene con gli occhiali speciali da lui fabbricati: “Sì, è così. E credo che sia collegato al nostro rifugio. O almeno questo spiegherebbe perché sentiamo le voci di Julie e Raph.”
Leonardo ringhiò: “Ma di cosa stanno parlando quei due? Mi era sembrato di sentire che…” Dal tubo arrivò ancora la voce di Raffaello: “Abbiamo reso la stanza degli allenamenti ancora più interessante.”
Seguì la voce di Julie: “Non credo che Leo la penserebbe allo stesso modo se sapesse che mi hai legato i polsi alla sua Katana!”
“La mia…!” Leonardo si morse le labbra per frenare il grido che gli stava esplodendo dal petto. Che cosa significavano quelle frasi? Perché suo fratello avrebbe dovuto legare Julie?
Ignaro di essere udito altrove, Raph avvolse in un abbraccio la sua bella ragazza e disse provocante: “Sai a cosa stavo pensando?”
Lei scosse leggermente il capo, lo sguardo socchiuso su quello di lui: “Cosa?”
“E’ da tre ore che non ti assaporo tutta.”
“E’…è tanto tempo?”
“Un’eternità.” Finì lui, con voce sospirata, per poi incollarsi alle sue labbra e stringerla più forte a sé.
Con sguardo shockato, April chiese un banale: “E’ uno scherzo, vero?”
“Non credo proprio.” Disse Leo, stringendo i pugni fino a far scricchiolare le ossa delle dita. Era furente di rabbia.
Mikey intervenne subito: “Non arriviamo a  conclusioni affrettate! Magari le voci che sentiamo sono quelle della tv! Staranno guardando un film! Un film...un po’ spinto.” Non credeva nemmeno lui a quello che stava dicendo, ma si sentiva in dovere di fare qualcosa prima che la situazione degenerasse.
April scosse il capo: “Voglio vedere coi miei occhi che cosa sta succedendo. E spero che ci sia una valida spiegazione.” Si rimboccò le maniche della giacca, più come gesto nervoso che altro, e riprese a camminare. Uno alla volta, gli altri la seguirono.
L’ultimo della fila rimase appunto Mikey che si portò una mano alla fronte con aria sconsolata: “Lo sapevo che era meglio avvertirli del nostro ritorno anticipato.”
*
Raggiunsero il rifugio in pochi minuti e ciò che si presentò davanti ai loro occhi non lasciò spazio a dubbi. Raffaello e Julie erano su una sedia della cucina, avvinghiati come due sanguisughe e intenti a baciarsi. In più le mani di lui si trovavano in un posto dove non avrebbero proprio dovuto essere.
Leo tuonò: “Raffaello!!!”
Le effusioni finirono all’istante, Julie saltò via come una cavalletta e cercò di stringersi addosso la maglia in modo da non lasciar vedere troppo, ma era evidente che sotto era nuda.
Raffaello, allarmato ma anche infastidito, si alzò dalla sedia ed esordì con un: “Cosa ci fate qui? Non dovevate stanare la cellula del Clan del Piede?”
Leo fece per avventarsi su di lui e prenderlo a cazzotti, ma Mikey lo bloccò in un forzato abbraccio. A rispondere, indignato e ironico, fu Donnie: “Grazie per averlo chiesto, fratello. E’ davvero premuroso da parte tua preoccuparti per noi.”
Raph sbuffò: “Hai capito cosa intendo. Non vi aspettavo così presto.”
Leo riprese la parola, visto che Mikey gli impediva i movimenti: “Hai una bella faccia tosta, sai? Noi là fuori a rischiare la vita mentre tu eri qua a divertirti.”
April squadrò la cugina da capo a piedi e disse indignata: “Da te mi sarei aspettata di tutto, ma questo… Non hai un briciolo di dignità.”
Julie, nonostante fosse dentro quella maglia oversize, si sentiva come se fosse vestita di sola carta trasparente. “Possiamo spiegarvi. Non è come credete.” La voce le tremava.
“Hai il coraggio di negare che stavi copulando con una tartaruga?”
Donnie la corresse con tono offeso: “Mutante, grazie.”
Lei sollevò una mano: “Scusa.” Poi tornò a rivolgersi a Julie: “Comunque la cosa non cambia. Sei disgustosa e non hai rispetto né di te stessa né di chi ti vuole bene.”
Raffaello fece un passo avanti e parlò in difesa della sua ragazza: “Stai esagerando, April. Il nostro unico errore è di avervi tenuta nascosta la nostra storia. Ma oltre a questo, io e lei non abbiamo fatto niente di male.”
Leo gridò: “Dammi un buon motivo per non spaccarti la faccia! Sei sempre stato così, un traditore, un meschino vigliacco! Non ti basta mai quello che hai, tu vuoi sempre di più!”
Raph lo guardò con disgusto: “Cosa intendi con ‘di più’? Una compagna di vita? Una ragazza che mi ami e che voglia stare con me? Qualcuno che non mi veda come un mostro o un abominio? Allora la risposta è sì, fratello, voglio di più. Anzi…” Avvolse Julie in un abbraccio e terminò: “Ce l’ho già e ti assicuro che non voglio altro dalla vita.”
Julie si rivolse ad April: “Fin da quando ero una bambina mi hai sempre ripetuto di trovare un sogno, qualcosa a cui dedicarmi anima e corpo. Ora l’ho trovato, April.”
Lei trasalì: “Ma ti senti quando parli? Questo è solo l’ennesimo capriccio. Non hai la minima idea di cosa dovrai affrontare se porterai avanti questa follia. Raffaello non è un cucciolo con cui giocare. E’ un miracolo della scienza.”
“Non sono solo questo!” La zittì Raffaello: “E tu lo sai bene. Io, i miei fratelli, nostro padre… Abbiamo dentro di noi più umanità di quanta ne abbiano molti uomini. Forse non potremo mai fare una passeggiata in una bella giornata di sole o andare al ristorante, ma ti assicuro che ci è concesso amare come chiunque altro.”
Splinter parlò saggiamente: “In questo ha ragione, April. La tua rabbia ti fa giudicare in modo errato.”
“Ma…” Sollevò il braccio e lo puntò in direzione dei due colpevoli: “Davvero puoi accettare questo? Non solo ci hanno tenuto la verità nascosta, ora hanno il coraggio di presentarsi così, seminudi, blaterando una marea di sciocchezze!”
Leo si liberò dalla stretta di Mikey con uno strattone: “Io la penso come lei. Non accetterò mai questa unione.” Fece per andarsene, ma la voce di Julie lo fermò: “Perché non ho scelto te.”
Si voltò, lo sguardo perplesso puntato verso di lei: “Come hai detto?”
Lei scandì bene le parole: “Perché non ho scelto te.”
Leonardo si ritrovò tutti gli sguardi puntati contro, dovette deglutire un nodo alla gola: “Ha-hai preso un granchio.”
“No, invece.” Si sciolse dall’abbraccio di Raffaello, ma mantenne comunque il contatto con lui sfiorandogli una mano: “Lo so fin dal primo momento. Non era solo gentilezza, la tua, era molto di più. Non sono sfacciata o vanesia nell’affermare che ti sei innamorato di me dal momento in cui mi hai vista.”
“Io non…” Abbassò lo sguardo. Non era in grado di negare, non poteva negare quel sentimento.
Julie continuò: “Però, questo è accaduto anche a me e Raph. Tu…” Spaziò lo sguardo: “Tutti voi avete fatto l’impossibile per tenerlo lontano da me con delle scuse. Non avete pensato alla possibilità che fossimo destinati ad innamorarci.”
April sospirò rumorosamente e si lisciò i capelli all’indietro con gesto nervoso prima di parlare: “Potresti, per favore, metterti qualcosa addosso? Sembri appena uscita da un locale notturno, maledizione. E poi direi che è il caso di andare.”
Raffaello, d’istinto, strinse Julie a sé e ribatté alle parole di April: “Dovrebbe restare qui, invece.”
April lo fulminò con lo sguardo: “E’ mia cugina, so cosa è meglio per lei. Sarà al sicuro nel mio appartamento.”
“Sarebbe più al sicuro qui con…”
“Raffaello!” La voce di Splinter riecheggiò tra le pareti del rifugio, tutti si voltarono verso di lui, apparentemente tranquillo con le mani giunte dietro la schiena, il capo basso e gli occhi chiusi. Li riaprì lentamente e sollevò lo sguardo su quel figlio ribelle: “Hanno bisogno di stare sole per potersi confrontare, come è giusto che sia. Tu invece verrai con me, nella mia sala, a meditare. E non accetto un rifiuto.”
Lo sguardo di Raph tremò, mentre rispondeva con sottomissione. “Sì, Maestro.” Tenendo un braccio attorno alle spalle di Julie, fece per accompagnarla alla sala dove vi erano ancora i vestiti gettati a terra, ma la voce di Splinter lo bloccò: “Subito, Raffaello.”
Sentendolo tremare per il disappunto, Julie accennò un sorriso e disse dolce: “Non preoccuparti, sistemeremo tutto.”
Lui le prese una mano e la sollevò fino alle labbra per stamparvi un bacio sul dorso, quindi la guardò intensamente e sussurrò: “Domani, se entro il calare della sera non sarai qui, verrò a cercarti. Non permetterò a nessuno di tenerti lontana da me.”
Leonardo, avendo visto il gesto sdolcinato, si voltò sbuffando e si impose di controllare i nervi che rischiavano di saltare come petardi da un momento all’altro. April se ne accorse.
“Mi dispiace per tutto questo. Mi sento responsabile per tutti i problemi che Julie sta causando.”
Lui scosse il capo: “Non dovresti, April.” Quindi balzò via, si aggrappò alla ringhiera che portava alle camere da letto e sparì nel buio.
*
Julie recuperò dal pavimento la biancheria intima strappata. Si sentiva così stupida, così a disagio. Ma cosa le era saltato in mente? April, Leo, Donnie, Mikey e perfino lo stesso Splinter erano partiti per una missione solo per lei, per la sua sicurezza. E lei cosa aveva fatto? Aveva spinto Raph a praticare giochini sconci e sadomaso come fosse stata una malata di mente.
Sistemò la biancheria alla meglio, legando in saldi nodi le estremità strappate. Giusto il tempo di arrivare all’appartamento di April e poi si sarebbe fatta dare un ricambio. Una volta indossati anche gli abiti e le scarpe, tornò all’atrio dove la cugina la attendeva impaziente, attorniata da Mikey e Donnie che se ne stavano zitti ed erano in evidente disagio. April allungò lo sguardo su di lei e subito le voltò le spalle per avviarsi al tunnel.
Julie salutò i ragazzi con un cenno del capo, si voltò un istante in direzione della sala in cui erano andati Raph e Splinter e dovette combattere l’impulso di andarli a salutare. Sarebbe solo stata una scusa per rivedere lui e dirgli con lo sguardo che lo amava. Rassegnata, uscì dal rifugio e imboccò il passaggio per raggiungere April prima che questa la richiamasse.
Ci misero una ventina di minuti ad arrivare a casa. Un’agonia per entrambe. Il silenzio tra loro era stato assordante. April le rivolse la parola solo per dirle di andare a fare una doccia, aggiungendo tra i denti che ‘puzzava di stagno’. Era davvero arrabbiata per dire una simile cattiveria, più rivolta a Raffaello che a lei. Comunque, la doccia servì a stenderle i nervi, anche se una sgradevole sensazione di vuoto la stava divorando. Almeno non dovette rivolgersi ad April per necessità dato che sua cugina si era già occupata di prepararle il letto della camera, che in precedenza era stata della sua coinquilina, e di farle trovare un pigiama per la notte e della biancheria intima pulita. La luce timida e delicata della abatjour l’accompagnò nella vestizione, come un’amica discreta. Julie avrebbe dovuto dormire, ne aveva un gran bisogno, ma invece di infilarsi sotto le coperte andò a sedersi di fronte all’armadio di legno scuro, sulla moquette morbida e confortevole. Strinse le ginocchia al petto, abbracciandosi, il mento appoggiato sopra. L’unica cosa che voleva, di cui aveva bisogno, era tornare da lui.
Arrivò presto l’alba ad accendere un nuovo giorno e lei ancora non aveva chiuso occhio. April la trovò così, ancora con la luce accesa sul comodino. Nemmeno lei aveva dormito, eppure per un inspiegabile motivo la carnagione di Julie era brillante, mentre lei sembrava uno straccio.
“Tieni, puoi mettere questi per oggi.” Le mostrò ciò che aveva in mano, ovvero un paio di leggings a mezza gamba e un vestitino semplice color crema. Li poggiò sul letto e disse con noncuranza: “Vado a farmi una doccia e dopo andrò al tuo appartamento a vedere se è tutto a posto, anche se dubito che qualcuno del Clan ci abbia fatto ritorno. Quei codardi sono fuggiti prima che li stanassimo. In ogni caso, credo sia meglio che tu non vada più a vivere là.”
Julie la guardò uscire dalla stanza. Non le importava niente dell’appartamento o di quel fottuto Clan. L’unica cosa che voleva era ricongiungersi a Raffaello. Decisa, si alzò da terra con agilità e andò a prendere i vestiti della cugina. Se la conosceva abbastanza, era certa che April sarebbe rimasta sotto la doccia a lungo, più che altro per rilassarsi sotto il getto d’acqua. Il che significava che lei aveva tutto il tempo per allontanarsi e raggiungere il rifugio.
*
Non permetterò a nessuno di tenerti lontana da me.”
Le parole di Raffaello erano come un’eco nella sua mente, che però si faceva sempre più forte man mano che si avvicinava alla meta. Di fatto Julie stava correndo verso il rifugio e non vedeva l’ora di arrivare. Era anche pronta a fuggire con lui, se si fosse rivelato necessario. Tutto pur di stare insieme. E poi accadde il fatto…
Mentre correva come portata dal vento, si sentì afferrare per il girovita con tanta forza che perse l’equilibrio e si ritrovò alla mercé dell’uomo che la stava stringendo. L’effetto sorpresa durò abbastanza perché l’uomo in nero potesse bloccarla e stringerla a sé. La sua voce le parlò all’orecchio con tono di scherno: “Avanti, stupida ragazzina. Chiamalo. Pregalo di venire a salvarti!”
L’avrebbe fatto comunque. Era troppo spaventata per fare altrimenti. Tentò di liberarsi ma fu tutto inutile, l’unica cosa che poteva fare era gridare a pieni polmoni: “RAFFAELLO!”
Il suo grido attraversò i tunnel e giunse chiaro fino al rifugio, dove tutti lo udirono. Raffaello, com’era comprensibile, reagì all’istante. Scambiò un’occhiata con Splinter, seduto vicino a lui,  abbandonò la posizione di meditazione e si precipitò all’atrio, dove stavano correndo anche i suoi fratelli.
“Avete sentito?” Chiese per primo Donnie.
“Sì, era la voce di Julie.” Mikey sembrava spaventato.
“Ha bisogno di aiuto.” Raph non aveva tempo da perdere in chiacchiere, doveva raggiungere la sua ragazza subito.
Leo tentò di fermarlo: “Aspetta. Le tue…” Niente da fare, si era già lanciato fuori dal rifugio. Sospirò, quindi si rivolse agli altri fratelli: “Avanti, prendiamo le armi e raggiungiamolo.”
Raffaello bruciò la distanza che lo separava da Julie, seguendo il suono dei suoi lamenti e delle sue grida. E poi la trovò.
“Eccolo qui il nostro Romeo.” Lo beffeggiò l’uomo in nero.
Raph ringhiò minaccioso: “Lasciala andare o io ti…”
“A-ah. Non lo farei se fossi in te.” Da dietro le spalle di Julie comparve una pistola, che l’uomo andò poi a puntarle alla tempia.
In quel momento arrivarono i fratelli armati e Splinter.
L’uomo sembrava divertito nel vederli: “Tutta la famiglia al completo. Bene, bene.”
Donnie gli porse una domanda: “Tu fai parte della cellula del Clan, vero?”
“Perspicace! Lo hai capito dai miei vestiti?” Lasciò una mezza risata perfida e poi divenne serio tutto a un tratto: “Speravate di ucciderci tutti e invece vi abbiamo fregato. Siamo fuggiti grazie al nostro infallibile sistema di allarme.”
“E tu perché sei rimasto?” Chiese Leo.
“Mi sono chiesto perché fuggire quando potevo fare qualcosa per il mio Clan. Sapete, non mi hanno creduto quando ho rivelato la mia scoperta. La notizia che una ragazza umana avesse una relazione con una tartaruga mostruosa, era troppo per loro. Mi hanno preso per pazzo. E così ho promesso di dimostrare che era tutto vero, ma…mi avete messo i bastoni tra le ruote prima che io potessi farlo.”
“Quindi ti hanno abbandonato. In poche parole.” La frase di Raph voleva essere un’offesa, che infatti andò a segno. L’uomo premette la canna della pistola più forte contro la tempia di Julie: “Sai dolcezza, un po’ credo di capire perché ti piaccia. Tralasciando la pelle verde e il guscio, è un bell’ammasso di muscoli. Anche se i tuoi gusti fanno di te una ragazza superficiale, oltre che una pervertita.”
Raph strinse forte i pugni, la voglia di ucciderlo era forte, ma come poteva senza rischiare che le sparasse? Fece un passo avanti, inutilmente. L’uomo la strinse più forte a sé. Julie era terrorizzata, i suoi occhi lacrimavano per la paura e il suo petto si gonfiava ripetutamente a causa dell’iperventilazione. Doveva fare qualcosa per salvarla.
Leo affiancò il fratello, la Katana stretta in pugno: “Che cosa vuoi, eh? Questa scenetta non porterà a niente. Siamo in cinque contro uno, lo sai di non avere scampo.”
“Io sarò anche uno, però sono l’unico ad avere una pistola. E la pollastrella è la mia carta per la salvezza. Quindi, ora voi ve ne state lì fermi mentre io contatto i miei capi e, quando arriveranno, sarete voi a non avere via di scampo.” Avvicinò le labbra all’orecchio di Julie e le ordinò: “Prendi il cellulare dalla tasca destra dei miei pantaloni. Non fare scherzi o giuro che ti ammazzo.”
La mano di Julie tremava come una foglia al vento, in quelle condizioni non sarebbe stata in grado di ribellarsi. Deglutì pesantemente, spezzando il fiato. Quanti secondi mancavano prima che svenisse? Con la mano si avventurò verso il basso, in cerca della tasca, lo sguardo disperato puntato su Raph. Con un pizzico di fortuna trovò il cellulare e lo estrasse dalla tasca, e con un pizzico di sfortuna questo le scivolò dalle dita tremanti.
“Puttanella.” Gridò l’uomo, alquanto contrariato: “Adesso ti faccio vedere io cosa…” La frase venne interrotta da un grido di dolore. April lo aveva colpito alla spalla con un tubo trovato nei tunnel. Il colpo improvviso fece cadere la pistola dalla mano dell’uomo, così, nell’attimo di confusione, April liberò la cugina.
Che fossero tutti preoccupati per lei era normale, ma fu un errore quello di attorniarla invece di pensare al nemico. Pochi istanti che bastarono all’uomo per recuperare il cellulare da terra e fuggire via di corsa. Se fosse riuscito a contattare i capi avrebbe vinto, le tartarughe sarebbero state finalmente catturate e lui avrebbe ottenuto la promozione che desiderava. Bastava solo una semplice telefonata. Non aveva calcolato che sottoterra non c’era segnale.
Il primo ad accorgersi della sua assenza fu Raffaello.
“Prendetevi cura di lei e portatela al rifugio.” Ordinò al gruppo, mentre affidava Julie a Leo. Non aveva nessuna intenzione di farsi scappare quel farabutto. Lo raggiunse in fretta, mentre lui ancora imprecava in attesa di trovare segnale e tenendosi il braccio ferito. Raph gli saltò addosso per atterrarlo. Per prima cosa gli tolse il cellulare di mano e lo scaraventò contro la parete, mandandolo in frantumi, quindi rigirò l’uomo come un calzino per poterlo guardare dritto in faccia. Nei suoi occhi lesse lo stesso terrore che poco prima era negli occhi di Julie, e in un attimo dimenticò cos’è la pietà.
Donatello arrivò qualche minuto dopo e trovò il fratello a tirare pugni come un dannato, maledicendo l’uomo che aveva tra le mani. Era totalmente fuori controllo, lo sguardo fisso sul volto insanguinato e tumefatto dai forti pugni. Bastò un’occhiata per capire che era il momento di fermarlo. Gli si avvicinò e cercò di prendergli il braccio con entrambe le mani: “Raph, adesso basta.”
Lui tentò di ribellarsi, quindi Donnie fu costretto ad intrappolargli il braccio usando tutta la forza che aveva. “E’ morto.” Gli disse con urgenza. Quelle parole parvero funzionare, o almeno aiutarono Raffaello a tornare presente. Lo sguardo ora era più lucido, se non addirittura turbato. Lasciò che il fratello lo aiutasse a rialzarsi e diede un ultimo sguardo al corpo senza vita dell’uomo in nero. La sete di vendetta si era placata, eppure qualcosa nel petto lo faceva stare male. Aveva picchiato a morte un uomo disarmato e ferito.
Fremette nel sentire il tocco del fratello sulla spalla. Si voltò di scatto verso di lui.
Donnie gli parlò con gentilezza: “Vai da Julie, qui ci penso io.”
*
Tornò al rifugio a passo lento, stordito da ciò che era accaduto e con una mano sporca di sangue. Il sangue dell’uomo che aveva ucciso. Allungò lo sguardo in cerca di Julie. Seduta su una sedia al tavolo, con un bicchiere d’acqua tra le mani, sembrava non sentire le parole di rassicurazione della cugina e del resto del gruppo che la circondava. Era visibilmente turbata, e a pieno diritto. Quando si accorse della sua presenza, abbandonò subito il bicchiere e scivolò fuori dal gruppo per correre incontro a lui. Non appena l’ebbe fra le proprie braccia, Raffaello si rese conto che stava tremando. Per una ragazza come lei, vissuta sotto una campana di vetro e perennemente al sicuro da tutto e tutti, non sarebbe stato facile superare il trauma di quella brutta avventura. E ora, in ginocchio sul pavimento e fronte contro fronte, nell’illusione di un conforto che non potevano darsi, Raph capì cosa doveva fare.
“Devi andartene.” La voce gli uscì in un sussurro, tanto la gola era stretta per lo sforzo di dire quelle maledette parole.
Julie spostò appena il capo per poter guardare lui negli occhi: “Cos…?”
E ora veniva la parte più difficile. Doveva dirle tutto guardandola negli occhi e senza tradirsi.
“Torna a Bel Air dalla tua famiglia. Non sei al sicuro qui e io non sono in grado di proteggerti.”
Julie scosse il capo con vigore: “No, non me ne vado! Il mio posto è con te, Raph.”
Era naturale che si opponesse, ma questo lo costrinse ad essere più convincente. A costo di spezzarle il cuore.
Si sforzò di essere adirato: “Con me? Davvero vuoi vivere dentro ad una fogna e rinunciare al mondo che c’è la fuori?”
“La fuori non c’è niente per me, dannazione!” Gridò Julie, gli occhi pieni di lacrime.
“Questo non è un problema mio.” Si alzò e si rivolse ad April: “Portala all’aeroporto e assicurati che salga sul primo aereo per Bel Air.”
Lei gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma poi, come comprendendo, fece un cenno affermativo col capo. Almeno lei aveva capito, al contrario degli altri che avevano tutta l’aria di volersi opporre a tale decisione.
Julie scattò in piedi, improvvisamente era spaventata come se avesse di nuovo una pistola puntata alla tempia. “Non puoi obbligarmi a lasciarti.”
“April, ti prego, PORTALA VIA!” Tuonò lui, disperato e prossimo a rimangiarsi tutto. Ma non poteva cedere, doveva farlo per il bene di Julie.
April obbedì, afferrò la cugina e si vide costretta a trascinarla via mentre lei tentava di opporsi, di divincolarsi, piangendo e gridando ‘no’. Una scena straziante per tutti i presenti, che costò a Mikey una lacrima.
Raph si impose di restare immobile, i pugni stretti lungo i fianchi e le braccia talmente in tensione che gli tremavano. E poi, quando la voce di lei si perse tra i tunnel, arrivarono le lacrime. A nulla valse il tentativo di fermarle, ora erano loro a comandare. Piccole gocce trasparenti che cadevano dalle palpebre chiuse, improvvisi singhiozzi che si levavano dalla gola e gli facevano scoppiare il petto.
Donnie arrivò in quel momento. Bastò un’occhiata tra lui e Leo per capire com’erano andate le cose, anche se la mano insanguinata di Raph aveva già parlato da sé.
“Tu sei convinto di aver fatto la cosa giusta, vero?”
Tutti gli occhi si puntarono su Leo. Perfino Raph aprì i propri e sollevò lo sguardo sul fratello. Avrebbe voluto rispondere a tono, ma non gli era fisicamente possibile in quel momento. Era in ostaggio delle lacrime e dei singhiozzi.
Leo riprese: “Lo sai anche tu che non sarà felice. E non venirmi a dire che lo hai fatto solo per la sua sicurezza! Sì, ciò che è accaduto è stato un duro colpo per tutti noi, ma è anche vero che si trattava di un folle emarginato dal suo stesso Clan. Lo hai sentito, no? Nessuno gli aveva creduto. Ha fatto tutto da solo. E ora il pericolo è cessato.”
Raph fece uno sforzo sovrumano per parlare: “E allora cos…?” Niente, era completamente assediato.
Leo gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla: “Vai a fermarla, prima che torni in superficie.”
Mikey si illuminò di gioia nel sentire quelle parole. Gli stessi Splinter e Donnie si sentirono sollevati, nonostante tutto. E Raph finalmente smise di singhiozzare, gli occhi spalancati sul fratello tanto era incredulo. Attese che Leo gli facesse un cenno, una conferma che era tutto vero, quindi scattò via e si diede alla corsa per raggiungere il suo futuro felice prima di perderlo per sempre.
“Non soffrirai nel vederli insieme?” Chiese Donnie, con premura.
Leo chiuse gli occhi e lasciò un sospiro. Tanto valeva dire la verità. Guardò il fratello e rispose semplicemente: “Sì. Ma sarebbe peggio non vedere più lei.”
Splinter accennò un sorriso d’orgoglio nei confronti di quel figlio che stava mostrando una maturità ed una forza d’animo che andavano ben oltre la sua età. Aveva agito per il bene della famiglia e aveva anteposto la felicità del fratello alla propria, anche se questo significava rinunciare alla ragazza che amava.
*
Era uscita dal rifugio un paio di minuti fa, ribellandosi e gridando, ora invece il suo pianto riecheggiava nel tunnel e, a quanto Raph poteva vedere, si lasciava sostenere da April come se non avesse le forze di reggersi da sola. Si sentì un mostro per averla ridotta così.
“Julie, aspetta!” Gridò, la voce spezzata dal pianto.
Will you still love me
When I'm no longer young and beautiful?

Lei si voltò, lo sguardo velato di sorpresa nel vedere che era proprio lui a correrle incontro. Si sciolse dall’abbraccio di sostegno di April e in pochi istanti si ritrovò in quello caldo e disperato del suo fidanzato-mutante. Raph stava ancora piangendo, come lei.
 “Non andartene, ti prego.”
Will you still love me
When I've got nothing but my aching soul?

“Ti amo. Resta con me.”
Era vero. Era tutto vero. Raffaello le aveva finalmente detto quelle parole che lei desiderava sentire da tempo. La disperazione si tramutò in pura gioia, le lacrime divennero gocce di luce sul suo viso arrossato.
I know you will, I know you will
I know that you will
“Anch’io ti amo.” Quasi non riuscì a dirlo, tanto forte era l’emozione, ma quel filo di voce bastò per suggellare quella promessa tra loro, quell’unione contro ogni regola della società e della comprensione. In poche parole, se loro volevano stare insieme perché non avrebbero dovuto farlo?
Non appena la scena si evolse in baci e carezze, April pensò bene di dileguarsi per lasciar loro un po’ di intimità. Sulle labbra aveva un accenno di sorriso che l’accompagnò fin dentro al rifugio.
Si portò le mani ai fianchi: “Per quanto incredibile, devo ammettere che sono contenta così. Vedendo Julie in quello stato, mentre la portavo via, mi sono sentita terribilmente in colpa e poi quando è arrivato Raph in lacrime…be’, potete immaginare!”
Se Splinter e Donnie si limitarono a ricambiare il suo sorriso, pienamente d’accordo con lei, Mikey invece si lasciò andare ad un acuto: “Sono strafelice che la mia sorellina vivrà qui con noi!”
April scosse il capo, divertita, per poi porre una domanda: “Per curiosità, chi è stato a fargli cambiare idea?”
Vedendo che Donatello puntava l’indice in una direzione precisa, April volse lo sguardo. Leo. L’unico in disparte, l’unico che non condivideva la ritrovata serenità del gruppo, l’unico ad avere uno sguardo privo di espressione. Nell’osservarlo, April capì che la storia non era finita. Esattamente come il colore che caratterizzava il mutante, il futuro si prospettava…blu.

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