Ho sôizōn heautòn sōthētō*

di shirleybettemple_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. uno ***
Capitolo 2: *** 02. due ***
Capitolo 3: *** 03. tre ***
Capitolo 4: *** 04. quattro ***



Capitolo 1
*** 01. uno ***


Quando era arrivato il momento, Athena Karatzanidi-Moysiadi aveva ceduto a un vizio estremamente comune tra le madri più impegnate e abbienti: quello di affannarsi alla ricerca di qualcosa da far fare ai suoi bambini piccoli.
Proprio quell'anno aveva preso il volo per la prima volta, e aveva solo questo da farsi perdonare, per cui trascorreva l'estate a rimuginare su come impegnare la più piccola dei suoi figli, una volta che gli altri tre erano stati occupati.
Orestes frequentava un corso di inglese la cui insegnante non si curava per niente del fatto che fosse un bambino, imponendogli ritmi di studio a dir poco folli per chiunque; Iphigeneia, contro l'aspettativa generale, al presentarsi della lista proposta dalla madre aveva con sicurezza affermato di volere frequentare danza classica, e un paio d'anni dopo, proprio quelli che le separavano, anche Paraskevì l'aveva accompagnata nell'impresa.
In qualche modo, le figlie di Athena trovavano sempre il modo di sfuggirle tra le dita, di uscire dagli schemi anche quando ci rientravano perfettamente, ma lei, nel '92, non aveva ancora minimamente idea della portata di quel semplice pensiero.
Cleopatra era arrivata in una famiglia di già cinque persone, stranamente accolta di buon grado. Anche Athena, che non aveva mai voluto essere madre, era riuscita in qualche modo a uscire dagli schemi. Non era sicura di esserne contenta, perché uscire dai contorni l'aveva sempre spaventata più di un po', ma non poteva far altro che raccogliere da terra il guanto di sfida.
Era un giorno d'estate quando varcò la porta della Grand Jeté di Nea Ionia per la terza prima volta, il caldo era soffocante e sua figlia era agitata, e aveva deciso di manifestarglielo non stando ferma nemmeno un secondo, guizzando a destra e a sinistra con la manina sudata che teneva ben protetta nella sua.
L'insegnante si era chinata sulla bambina con un sorriso aperto e incoraggiante, e con un gesto delicato le aveva scostato una ciocca di capelli biondo miele dalla fronte, e così l'aveva conquistata.

 

Cleopatra non era una bambina difficile.
Il susseguirsi di quelle parole lasciava la stessa Athena, che aveva già messo al mondo non uno, non due, ma ben tre terremoti, incredibilmente perplessa. Era sicura che un giorno anche la più piccola tra i suoi figli si sarebbe alzata dal letto in piena notte per saltare in braccio ad uno dei due genitori, stanchi e assonnati e ancora spaventosamente giovani.
Il peso di una famiglia le faceva sentire i calci degli anni futuri ben assestati al centro della schiena, e se lei si sentiva già vecchia, chi non la conosceva, per strada, le faceva i complimenti per la dedizione che dimostrava nei confronti dei suoi fratellini minori.
In fondo alla sua mente, l'idea di essere percepita ancora come una ragazza se ne stava accartocciata in un angolo al sicuro, consapevole di essere un tesoro dal valore inestimabile, e di mantenerla sana.
Partire per gli Stati Uniti l'aveva fatta rinascere, e Athena si stava impegnando con tutte le sue forze per far sì che né il marito né i figli se ne accorgessero. Ad aiutarla a nasconderlo interveniva spessissimo Helios, che per lei aveva sviluppato lo strano affetto dei fratelli troppo grandi rispetto a te, quelli che ti portano in braccio un po' oltre il limite prestabilito e ti sentono parlare di cose che a voce alta, con la luce spenta, non dovresti nemmeno nominare. Con lui e con la sua scaltra intelligenza aveva sviluppato un rapporto d'affetto quasi trasparente, che era lì e nessuno lo sapeva, come sarebbe successo a Socrates e Afroditi, amica di famiglia da solo qualche anno. Ma non ne aveva ancora idea nessuno.

 

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Capitolo 2
*** 02. due ***


La bambina non-difficile di Athena aveva finalmente deciso di dare qualche segno di cedimento. Era il 1996 e nel frattempo le era nata un'altra sorella, che al momento aveva un paio di mesi e, per la gioia di tutti, aveva trattenuto la madre a casa con loro.
Cleopatra avrebbe compiuto sette anni di lì a breve, e aveva dato alla sua mamma una notizia profondamente sconvolgente: l'hobby a cui si era dedicata con ogni singolo battito del suo cuore per così tanto tempo l'aveva stancata.
Sua sorella Iphigeneia aveva abbandonato la danza classica in favore dell'arte da poco - tutti sapevano che ciò fosse dovuto alla morte di Helios, che le aveva lasciato in eredità il vizio del fumo e un accendino con cui mantenerlo, ma come sempre in casa Moysiadis si tendeva a far finta di niente, e così la ragazzina ne aveva parlato solamente col gemello, suo confidente per virtù divina ancor più che per scelta, perché Iphigeneia Moysiadi odiava parlare di ciò che aveva in testa, ma alle volte doveva pur farlo, e i suoi genitori non c'erano mai. 

Quando l'ora non più figlia minore di Athena aveva detto a chiare lettere di voler lasciare il balletto sulle orme della sorella più grande, l'aveva stupita non poco. Già da così piccolina Cleopatra aveva sempre mostrato un animo combattivo e dedito a tal punto da farle scordare qualunque cosa non concernesse anche in minima parte l'obiettivo che si era figurata; la noia, in quel corpicino minuto e sempre avvolto da fiocchi e volant, non sembrava avere spazio d'esistere. Eppure le sue parole l'avevano dipinta di mille colori e poi sbattuta in faccia alla madre, ancora un po' dolorante e nervosa come un uccello in gabbia, come un disegno appena terminato su un banco d'asilo. 
Per un attimo, Athena era stata presa dal timore che la bimba volesse soltanto starsene a casa, come certe volte capitava ai bambini, ma bastò qualche secondo a guardarsi le scarpe e a riflettere, e poi la piccola buttò indietro la testa con indomito entusiasmo e annunciò di aver visto un programma televisivo che l'aveva tenuta incollata allo schermo fino a notte fonda - si chiamava Stars On Ice, e nel cast c'era una certa Katia Gordeeva che era famosissima e acclamata dal pubblico con boati assordanti, anche se Cleopatra il suo nome non è che sapesse proprio pronunciarlo così bene. 
Athena, dal canto suo, non aveva mai sentito nominare né il programma né la persona in questione, e quando chiese spiegazioni alla figlia si sentì rispondere che voleva assolutamente iniziare a fare pattinaggio artistico.

 

Solo l'insistenza di Cleopatra, caramelle all'arancia alla mano e fiocco rosso tra i capelli chiari, era riuscita a smuovere Iphigeneia dal suo personalissimo rifugio antiatomico nella cantina di casa. L'aveva tormentata per ore, sotto consiglio di Athena, perché la accompagnasse insieme a lei a vedere la pista di pattinaggio, che in linea d'aria era perfettamente corrispondente all'Olympiakó Stádio - quella scoperta l'aveva accesa di curiosità verso un posto nuovo che non aveva mai visto.
Dal canto suo, Athena si chiedeva perché mai dovesse far fare a sua figlia, greca figlia di greci e residente ad Atene, proprio pattinaggio artistico, sul ghiaccio, una cosa che ai greci figli di greci residenti ad Atene non era per niente familiare. Le piste permanenti dalle loro parti praticamente non esistevano - lei aveva dovuto guidare fino a ben oltre il Pireo per portare una piccoletta di sette anni a soddisfare il suo bisogno di non stare ferma, e sapeva bene di non poter colpevolizzare nessun altro per quella strana richiesta se non se stessa, e forse un po' Socrates, che dalla morte del fratello passava sempre meno tempo a casa e sempre più chissà dove, e per quella ragione lasciava i figli in balìa della televisione fino a tarda notte, e per questo il mostriciattolo aveva avuto modo di vedere Stars On Ice e di scoprire quella Gordeeva. Sarebbe spettato a lui portarcela per tutto il resto dell'anno, ma in cuor suo Athena sapeva benissimo che ci sarebbe andata con il proastiakò insieme ad Orestes e Iphigeneia, che nel tragitto sembrava essersi risvegliata dal torpore del lutto e stava guardando la strada con troppo interesse perché fosse soltanto casuale. Nel frattempo, usava una mano per fare il solletico alla piccola Artemisia ancorata al seggiolino proprio accanto a lei, e così tenerle compagnia.
Giù dalla macchina e finalmente dentro la struttura, la figlia più grande di Athena teneva in braccio la piccolina, che guardava con tacito interesse il nuovo ambiente sconosciuto, mentre il terremoto in divenire masticava le sue caramelle all'arancia con un'ansia quasi violenta.
A seguire i più piccoli c'era un ragazzo di poco più di vent'anni che si chiamava Spyros come lo stadio*, e al centro della pista un gruppetto di sì e no una decina di bambini si rincorreva in circolo e non si allontanava più di tanto dalla bandiera ellenica incastrata sotto le trame del ghiaccio. 






* Lo stadio olimpico di Atene prende il nome di Spyros Louis, maratoneta medaglia d'oro olimpica nel 1896.

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Capitolo 3
*** 03. tre ***


La bimba si stringeva forte nel suo cappottino, e allo stesso modo stringeva il sacchetto delle caramelle, ora vuoto e appallottolato nel suo pugno destro - mamma e sorelle stavano sugli spalti, obbligate dalla distanza spazio-temporale da casa, per cui non era valsa la pena ritornare indietro e lasciarla lì per la prima lezione.
Spyros era in ginocchio di fronte alla panca incastrata nel corridoio lucido, e di un verde oliva accecante, che faceva da preludio al bianco sporco della pista, segnato da decine e decine di lame.
Mentre il maestro spiegava alla piccola che cose fantastiche le avrebbe insegnato a fare di lì a pochi minuti, il branco di bambinetti pestiferi si era infine spostato verso i bordi e a quello si aggrappava, mentre un tizio quasi pelato con una sciarpa svolazzante al collo faceva il giro alla guida di un enorme aspiratore per garantire almeno un minimo di sicurezza. Nel frattempo imprecava a mezza voce proprio contro qualche malaka tra gli allievi.
Il ragazzo stava assicurando bene un paio di pattini nuovi ai piedi di Cleopatra. Una volta finito sollevò la manica della sua giacca a vento rosso fuoco per rivelarle una strabiliante collezione di elastici per capelli, spiegando come di giorno in giorno avesse sempre qualcuno dai capelli lunghi lunghi come i suoi a cui distribuirli. Si esibì in un sorriso fraterno mentre le chiedeva il permesso per farle, con mano delicata come una piuma di cigno, una bella coda di cavallo che le assicurasse una vista perfetta. La piccola avrebbe ricordato quello come il momento in cui, fissando un punto imprecisato oltre a Spyros e di fronte a sé, aveva desiderato per la prima volta di avere i capelli scuri come le gomme di quegli strani affari su cui ora doveva addirittura camminare. 

Rovinò per terra dopo una lotta strenua contro la forza di gravità e le caviglie tozze da bambina; si era quasi arrotolata su se stessa per ammortizzare il colpo, ed era finita per scivolare in avanti a velocità, fino a ritrovarsi in ginocchio. Non pianse.
Come l'avevano abituata a fare a danza, nell'impossibilità di alzarsi per via dell'inatteso e pesante ostacolo rappresentato dai pattini affilati, offrì una mano all'aria nella speranza che qualcuno la prendesse e l'aiutasse ad alzarsi.
E così fu.
Quando tirò su la testolina con fare per metà grato e per metà profondamente indispettito, trovò gli occhi furbi di un ragazzino ossuto e dall'aria divertita.
Quello era stato l'esito del suo primissimo incontro con Louka Rhodia, di cui avrebbe scoperto il nome solamente due settimane dopo, alla decisione di Spyros di farli pattinare in coppia. 

Loukas Rhodia aveva solo nove anni ed era già in grado di essere strano e imprevedibile come un adolescente. Le stava abbastanza antipatico, ma non poteva dirlo a voce alta, né al maestro né alla sua mamma. Così, aveva confidato in Iphigeneia, una sera in cui il sole era appena calato e il caldo invece non se n'era accorto, e le due sorelle passeggiavano mano nella mano per il mercato delle pulci di Monastiraki.
Iphigeneia teneva una sigaretta nell'altra mano e al momento lasciava che il vento se la portasse via tutta - il fumo saliva pigramente verso il cielo e scappava lontano. Per una volta, lei aveva di meglio da fare: doveva ascoltare il lamentarsi pigolante della sua sorellina.
Gli occhi di Cleopatra si perdevano tra braccialetti e ninnoli sparsi sul panno beige di una bancarella stretta e lunga, e nel frattempo le parole si inseguivano l'un l'altra spingendosi fuori a vicenda: non sopportava come Loukas pretendesse sempre di dirigere il gioco, seppure sapesse benissimo che lui avesse già preso il ghiaccio come una cosa seria e che lo frequentasse da quando aveva tre anni. Era legittimo che lo facesse, ma lei non era disposta a sottostare. In questo, era figlia di sua madre, sorella delle sue sorelle, nipote dei suoi zii, e Iphigeneia le sorrise mentre ci pensava, e la incalzava a farsi valere sul suo nuovo partner. Molto più di lei la minore era stata brava a farsi amici negli anni di scuola e di danza, per un carattere relativamente più accomodante di quello della sorella e senza dubbio meno cupo e più solare, e più teso verso battaglie senz'armi. 
Loukas Rhodia non era il tipo da piacere ad una bambina di sette anni che mamma e papà ce li aveva ormai solo teoricamente, e che doveva cercare nei suoi fratelli la mano che la tenesse su per attraversare strade trafficate senza strisce.
Loukas il fratello non sapeva proprio farlo - era un figlio unico viziato di due genitori che lo tenevano nella bambagia e lo coltivavano come un germoglio pronto a dare chissà che razza di meravigliosi frutti - l'avevano indirizzato al pattinaggio artistico quando l'hockey non aveva soddisfatto il suo bisogno d'arte.
Non era abituato a condividere le attenzioni, né i giochi, né il ghiaccio.
A volte, in palestra, le pestava i piedi, e Cleopatra sapeva benissimo che lo faceva apposta, perché era troppo bravo perché fosse un caso, per quanto le dolesse ammetterlo. Raccontò anche quello ad Iphigeneia, stringendole forte la mano per attirarne ancor più l'attenzione: Loukas era cattivo con lei e Spyros non se ne accorgeva mai.
Elaborarono un piano insieme: dalla prossima lezione in poi, avrebbe ricambiato tutti i suoi dispetti.

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Capitolo 4
*** 04. quattro ***


Era la settimana dopo l'ottavo compleanno di Cleopatra e lei era seduta sui grandi spazi pubblicitari a margine della pista, e dondolava i piedi senza pattini mentre Spyros Ioannopoulos la rimproverava, cercando di nascondere alla bell'e meglio il sorrisetto fiero che tentava di farsi strada tra le pieghe morbide delle sue labbra.
Nessun hai capito perché non si deve fare? riusciva a porre freno al moto d'orgoglio della bambina - finalmente Loukas l'aveva pagata e lei non avrebbe mai potuto essere più felice. L'aveva visto uscire dallo spogliatoio coi capelli sparsi in testa come il pelo rado di un cane con la rogna, i ciuffi stretti in pugno e le nocche bianche, in netto contrasto con le guance rosse, livide di rabbia.
Aveva urlato il suo nome a gran voce per farlo presente a Spyros, e far sì che lui facesse qualcosa.
Venne fuori che Spyros sapeva benissimo dei contrasti tra i due piccoli partner, e che era stato ad aspettare, per tutto quel tempo, che fosse Cleopatra a fare una mossa eclatante come quella. Nel muoverle la sua critica impacciata rideva sotto i baffi.
Quando i capelli di Louka ricrebbero del tutto, erano pronti per le Regionali. 



Il 25 Settembre del 1996, Loukas Rhodia e Cleopatra Moysiadi si tenevano per mano come campioni ufficiali dell'Attica, medaglie d'oro al collo e fiori gialli e azzurri e rosa tra le braccia, il numero uno poco sotto i loro pattini.
Era la prima volta che Loukas la prendeva per mano fuori dalle figure, e nessuno dei due sapeva ancora che sarebbe stata una pietra miliare della storia sportiva dell'intera Grecia.
​Insieme ai capelli, il ragazzino aveva perso chili e chili di prepotenza, e aveva imparato ad ascoltarla descrivere le nuvole nel cielo, a sentirla parlare del tempo e delle speranze che iniziavano ad avere in comune, che si insinuavano fin troppo spesso forse più in un'intercapedine di silenzio che non nelle loro conversazioni quotidiane.
Da quando avevano assegnato loro un allenatore, e non più solo un maestro, i due avevano iniziato a vedere fiori dappertutto, e ad intonare sottovoce l'Ýmnos is tin Eleftherían mentre si allacciavano i pattini, e a ripassare perfino nel sonno.
Il coach Giorgos Alafouzos corse incontro ai bambini e li abbracciò così stretti da tirarli giù dal podio con sé, come a prefigurarsi già quanto sarebbe stato fiero di loro di lì a dieci anni. 

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