Altro che il Ragnarok: Vanir e parenti, gioie e lamenti

di shilyss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vanir brava gente ***
Capitolo 2: *** Piani che variano di minuto in minuto ***
Capitolo 3: *** A mali estremi, estremi rimedi ***
Capitolo 4: *** Le relazioni pericolose ***
Capitolo 5: *** Il tempismo, questo sconosciuto ***



Capitolo 1
*** Vanir brava gente ***


Vanir brava gente

 
C’era qualcosa di sommamente confortante, nel lungo turpiloquio cui Loki si abbandonò mentre camminava avanti e indietro nella camera da letto di una bettola da quattro soldi alla periferia di Vanheim. Forse, decise Thor, l’articolata sequela di insulti, minacce e imprecazioni di suo fratello gli appariva familiare perché era un miscuglio rivisitato delle peggiori battute da caserma che circolavano tra le truppe di Odino. Il dio degli inganni, come lui del resto, le aveva apprese quando non era che un dodicenne imberbe e gracilino. Ricordò con nostalgica gioia la prima volta che si erano ritrovati a condividere il rancio con un branco di nerboruti guerrieri Asi. Loki indossava quel suo assurdo elmo cornuto che gli calzava ancora un po’ troppo grande e guardava con aria schifata e terrorizzata l’inquietante zuppa di chissà cosa che gli era toccata in sorte, domandandogli con una vocetta spaventata e ansiosa quanti dei loro compagni d’arme, secondo lui, ci avessero sputato dentro.

All’epoca, Loki sembrava un ragazzino adorabile. Era il classico cucciolo di casa affettuoso dagli occhioni sinceri che ogni tanto, per farsi notare, si inventava qualche buffo, adorabile, scherzetto. Quando qualche sua marachella veniva scoperta, si limitava a chiedere scusa con un sorrisetto furbo e irresistibile, letteralmente adorabile, che aveva il malefico effetto di far sciogliere il cuore dei loro genitori. Certo, a voler essere obiettivi, Thor doveva ammettere che i giochi di Loki avevano degli standard tutti loro. Quel piccolo muta forma maledetto, a soli otto anni, aveva deciso di tramutarsi in serpente al solo scopo di farsi prendere in braccio e infilzargli la mano con un pugnale. Che bello scherzo. A ogni modo, quando si erano trovati per la prima volta a dover mangiare con gli altri soldati Asi, entrambi avevano deciso di tenersi i crampi allo stomaco dovuti alla fame e gettare via la brodaglia. Si era trattata di un’idea di Loki particolarmente lungimirante: all’arrivo delle nuove reclute, l’anno successivo, avrebbero partecipato anche loro al disgustoso benvenuto.

Ora però non era il momento di lasciarsi andare a dolci e soffici ricordi. Il problema era serio e reale. Suo fratello non la smetteva di maledire e imprecare e ragionare ad alta voce, proponendogli la rivisitazione del più turpe linguaggio di Asgard mescolato alla più sopraffina delle dialettiche. Un sorriso gli spuntò dalle labbra e fu subito intercettato dall’altro.

“Cosa c’è da ridere, illuminami.” Loki gli si parò davanti con le braccia incrociate dietro la schiena e gli occhi fiammeggianti d’ira. “È tutta colpa tua, zucca vuota che non sei altro.”
“Penso che tu stia dando un po’ troppa importanza a tutta la vicenda.”
“Oh. Ma guarda. Tu pensi! Sarebbe una novità.”
“Loki…” l’ammonì il tonante.

L’ingannatore non gli badò. “Hai perso la nonna di Sigyn!” esplose, “lei mi ha buttato fuori per colpa tua! Spiegami come si fa, dimmi come sei riuscito a perdere un’innocua vecchina! Il grande Thor, il dio del tuono il Re degli Asi… che non riesce a tenere d’occhio una donna anziana.”
“Vale anche per te. Tu dov’eri, genio? E poi piantala. Sigyn è solo vittima degli ormoni e nonna Ufa tornerà."
“Non si chiama Ufa,” si spazientì il mago. “Così la chiama Sonje che ha quattro anni. Il suo nome è Ullfriaehdkkeh” disse, aspirando l’acca, calcando la d e facendo capire a Thor perché Sigyn avesse insistito tanto per dare alla loro bambina un nome Asi.
“Ufa è meglio. Dai, Loki, non fare così. Ti farà rientrare prima o poi. Zio Vili ci darà una mano a trovarla.”
“Zio Vili?! Quel vecchio ubriacone inaffidabile?”
 

Il dio degli inganni era infinitamente abile nella difficile arte di dipingere con pochissimi aggettivi azzeccati le persone. Il suo ritratto del fratello del compianto Odino non rappresentava un’eccezione, anzi. Vili Borson era stato un grande guerriero Asi, ma i suoi atteggiamenti e lo stile di vita quantomeno discutibile che aveva scelto di adottare lo avevano allontanato da molto tempo dalla corte di Asgard, con sommo disappunto di Loki e Thor bambini.

Ai due fratellini Odinson, quello zio con lunghissimi capelli e folti baffi biondi che ai banchetti raccontava di come lottasse con gli orsi, staccasse le teste di pesce a morsi e frequentasse bettole di malaffare, piaceva in maniera incredibile. Era il loro eroe. Ridevano fino a soffocare quando l’imponente guerriero si metteva a raccontare le sue avventure pecorecce, e rimanevano letteralmente incantati di fronte ai doni che portava loro: zanne di povere bestie divorate dal famelico uomo, bruttissime statue intagliate quando la sua capanna nel bosco veniva letteralmente sepolta dalla neve, coltellacci affilati che facevano aggrottare la fronte persino al severo Odino.

Se fosse possibile fare una proporzione, potremmo dire che l’adorazione che i principini Asi tributavano al parente fosse direttamente proporzionale al sommo disgusto che il signore di Asgard nutriva per lui. Il motivo dell’insofferenza di Odino era abbastanza lampante. I popoli stranieri stimavano moltissimo la forza e la temperanza Asi, il coraggio e la fierezza dei loro guerrieri e l’indomito coraggio che li spingeva a combattere anche nelle situazioni disperate, ma ne criticavano aspramente i modi ritenuti barbari e rozzi. Per darvi un’idea di questo concetto, vi basti considerare che la prima volta che Sigyn ragazzina aveva visto Loki Laufeyson era rimasta molto colpita dal suo aspetto: il mago non era solo molto bello, ma rappresentava il primo esemplare di Ase che vedeva e differiva completamente dall’idea che si era fatta di quel popolo di nerboruti guerrieri.

Si era aspettata di trovarsi al cospetto di un omone dallo sguardo truce alto almeno due metri, con baffi, barba e capelli lunghissimi, avvolto nelle pellicce e ricoperto di armi affilate e sporche. Inconsapevolmente, aveva fatto un ritratto assolutamente affidabile e veritiero di Vili, ma grandissimo era stato il suo stupore nel vedere Loki: era quello il fiero figlio di Odino, il terribile dio dell’inganno? Si era ritrovata davanti un giovane uomo sbarbato, elegante e dal sorriso affascinante, vestito sì con un mantello bordato di pelo e abiti in cuoio e tessuto, ma dall’aria distinta e per nulla selvaggia, ad eccezione forse di quello sguardo allo stesso tempo furbo feroce. Ma questa, è un’altra storia*.
Il punto ora è che Odino, a suo tempo, aveva deciso di svecchiare e rendere più moderna l’idea che si aveva all’estero degli Asi. Il suo spiccato senso della pubblicità e del marketing, concetto midgardiano che evidentemente trovava proseliti anche ad Asgard, gli aveva fatto mettere su una campagna lunga secoli che si proponeva l’ambizioso programma di far cambiare nettamente idea ai Nove Regni tutti. Basta dunque, con l’idea che gli Asi fossero un popolo di barbari guerrafondai che vivevano in capanne di legno, razziavano i popoli vicini grazie ai loro drakkar veloci e mangiavano senza posate. Ci voleva un’immagine nuova, più confortevole, capace di adeguarsi alla morale delle genti vicine, prime tra tutti gli altezzosi e bigotti Vanir, che si lavavano continuamente le mani prima di fare qualsiasi cosa. Il primo passo per migliorare l’opinione degli Asi all’estero era stato quello di liberarsi di tutti i parenti che avrebbero potuto affossare maggiormente la già traballante percezione degli alleati. Inutile dire che Vili** e le sue canzoni fatte a suon di rutti rientrassero nel progetto.

L’altro passo era stato quello di spingere, anzi sfruttare il più possibile l’appeal dei due figli maschi. Il giovane Thor, irruente e scapestrato com’era, suscitava ancora diverse perplessità nei re e negli ambasciatori stranieri, sebbene la sua forza prodigiosa e il bell’aspetto lo rendessero simpatico ai più, ma Loki si era rivelato davvero un elemento indispensabile alla politica estera di Odino. Al contrario del fratello era colto, educato, gentile. Parlava perfettamente le lingue dei vari alleati, ne conosceva gli usi e i costumi ed evitava caldamente di offenderli con battute o azioni sconsiderate. Mangiava con le posate, non eccedeva con il vino, assecondava quel tanto che bastava i suoi interlocutori per poi portare a casa promesse e accordi ignobilmente vantaggiosi per gli Asi, ma soprattutto, era la prova vivente di come l’educazione di Asgard non producesse solo ed esclusivamente macchine da guerra prive di cervello e amanti delle volgarità, tutt’altro.

A forza di sentirsi inculcare questi concetti nella testa, i due principi avevano finito per assimilare e fare propri i desideri del padre. Loki si era persino convinto che la sua intelligenza e i modi di fare posati che fingeva di adottare naturalmente, un giorno, lo avrebbero condotto diritto al trono al posto di quella zucca vuota del fratello. Eh sì, perché il giovane dio dell’inganno quando ancora teneva la sua chioma rigidamente pettinata all’indietro non solo mortificava un po’ il suo indubbio fascino selvaggio, ma nascondeva la sua natura di Ase vendicativo, bilioso e anche un po’ folle. Anche questa è un’altra storia***: quello che conta è che con gli anni Thor e Loki si erano abituati a considerare zio Vili per quello che era: una figura macchiettistica con uno scarso senso dell’igiene legata al passato, capace di creare situazioni profondamente imbarazzanti.

Era stato per tutte queste ragioni che Loki aveva assottigliato pericolosamente gli occhi quando Thor e il vecchio zio Vili erano venuti a fargli visita a Vanheim. L’inopportuna visita si inseriva in uno dei momenti più problematici della vita dei Vanir: quella del Solstizio, una ricorrenza in cui si si festeggiavano le giornate che tornavano ad allungarsi, si addobbava qualunque cosa mobile e immobile con ghirlande e biancospini, ci si ingozzava di cibo altamente calorico e si stava in famiglia. A Loki Laufeyson non servì sfoggiare la sua proverbiale astuzia per intuire che c’era lo zampino di sua moglie, nella nefasta visita.

Sigyn adorava il Solstizio fin da quando era bambina e se c’era una cosa di cui si era sempre rammaricata, era che in quel giorno ricorresse anche la dipartita del vecchio Odino. La trovava una coincidenza proprio triste e, sull’onda emotiva che le suscitava quella consapevolezza aveva, una volta lontana, offerto dei biscotti al miele a Loki. L’anno successivo aveva replicato lo stesso iter in camera da letto, quello dopo ancora lo aveva fatto in veste di moglie e con una bimba urlante in braccio. Pian piano la frugoletta era cresciuta, e all’ultimo Solstizio il fiero dio degli inganni aveva avuto la soddisfazione di ricevere ben due porzioni di biscotti. Al tempo non aveva dato importanza alla promessa che gli aveva fatto Sigyn. Mentre si ingozzava di dolcetti, aveva annuito distrattamente alla bionda sposa che gli assicurava come l’anno seguente avrebbe invitato anche gli Asi per l’importante ricorrenza, in modo tale che la piccola Sonje**** potesse trascorrere la festività in compagnia dello zio Thor.

Sonje Lokadottir era entrata come un uragano nelle vite dei suoi genitori: finché non aveva emesso il primo vagito li aveva letteralmente tenuti sotto scacco e dopo, ve l’assicuro, non era stata assolutamente da meno. Da Sigyn aveva ripreso il viso dolce e lo sguardo liquido e grigio, da Loki i capelli nerissimi, il broncio, lo sguardo torvo, il sorriso furbetto e, probabilmente, la chiacchiera. Thor aveva decretato che era innamorato di lei e sosteneva fosse la bambina più bella di tutti i Nove Regni. Diceva anche di non capire come avesse fatto quell’idiota slavato di suo fratello a contribuire alla creazione di tanta perfezione.

Ora, che la principessa e futura regina dei Vanir volesse ospitare quel rompiscatole di Thor, ci poteva anche stare. Del resto il tonante adorava la sua unica nipotina, ma che alla festa del Solstizio di Vanheim fosse presente anche quel truce soggetto che rispondeva al nome di zio Vili, era un’eresia. Della ricorrenza Vanir a Loki piacevano nell’ordine i biscotti e il cibo, ciò che Sigyn gli faceva e si lasciava fare sotto le coperte spinta dal freddo e dalla passione, e l’entusiasmo di quel piccolo tornando ambulante di sua figlia di fronte agli addobbi e alla neve. Basta. Tutto il resto era un’agonia che sopperiva col punto uno della sua scaletta in attesa del punto due. A ben pensarci, avrebbe dovuto invertire quella parte del suo elenco, ma questo non cambia il senso della nostra storia.

L’interminabile banchetto allestito da Njord era straziante. Il vecchio re non la finiva mai di raccontare sempre gli stessi noiosi eventi con una identica sequenza di parole. Ogni tanto esclamava quanto fosse bella e somigliante a sua nipote o a qualche altra parente deceduta millenni prima la piccola Sonje, per poi precipitare di nuovo nel suo infinito ripetersi. Poi c’era da sopportare Freyr. La questione dei suoi debiti, alla fine, era venuta a galla. Colpa di Sigyn. Nell’accordo matrimoniale che aveva stipulato con l’Ase, era stato decretato che fosse messa al corrente degli affari finanziari del dio degli inganni. Poteva non comprendere la natura di certi investimenti e il modo in cui l’Ase giocasse con i cambi, ma vide e riconobbe il buco gigantesco creato dalla corona di Vanheim nei confronti di Loki. Era incinta, all’epoca. La pancia le si vedeva discretamente, e l’Ase passava serate intere a spalmarle creme e unguenti sulla pelle tesa. Sbuffava mentre lo faceva, ma portò avanti il compito fino alla fine per evitare che le rimanessero segni troppo evidenti sulla sua bella pelle morbida. Ad ogni modo, Sigyn guardò i conti e vide a quanto ammontava il debito di Freyr e si sentì male. Di fatto, mezza Vanheim era già di proprietà di Loki.

Gli chiese per quale motivo non lo avesse detto a suo nonno, a lei, a Freya a chiunque. Successe una mezza tragedia – ma anche questa è un’altra storia, che si concluse con la confessione di Freyr a Njord. Il vecchio re, incredibilmente, sapeva tutto da anni. Aveva ammesso di essere a conoscenza di cosa facesse il figlio e del suo evidente problema con l’alcool e gli era toccato pure ringraziare il dio dell’inganno per la discrezione che aveva mantenuto su tutta quella vicenda. Loki ovviamente ne aveva approfittato per strafare, come al suo solito. Le cose andavano sempre bene, quando se ne occupava personalmente, e l’unica volta in cui gli erano sfuggite quasi di mano era stata quella volta che Theoric, quell’essere privo di attributi virili, si era lagnato con Njord in persona. Il re si era stizzito al ricordo di quella vicenda e questa non è neanche la sede opportuna per sviscerare il rapporto tra l’anziano sovrano di Vanheim e il prode e arrogante dio dell’inganno. Vi basti sapere che a Njord Loki piaceva un sacco, davvero. Adorava quel suo atteggiamento da figlio di una gigantessa quale era e stravedeva per le sue trovate crudeli. Ciononostante, era impazzito quando si era accorto di non essere proprio l’unico ad avere un debole per l’Ase, in famiglia. Alla fine aveva dovuto ammettere che una piccolissima parte di lui si era messa a gongolare, all’idea che la sua progenie potesse sfoggiare un po’ del carisma e dell’astuzia del figlio adottivo di Odino. Per questo motivo la scoperta della dipendenza dall’alcool e da mille altre cose di quella delusione ambulante di Freyr non aveva sortito poi questa grande reazione in lui. Suo figlio era inabile al lavoro di re e col fegato praticamente squagliato, sua figlia tra incantesimi e gatti non ci pensava proprio a fare la regina. Rimaneva Sigyn, che alla fine della fiera lo aveva positivamente colpito impalmando proprio quel figo del dio degli inganni.

Njord, sebbene fosse decisamente in là con gli anni non si era del tutto bevuto il cervello, non ancora perlomeno. Tra sé e sé aveva deciso che Sonje sarebbe diventata regina di Vanheim nel momento stesso in cui l’aveva presa in braccio per la prima volta, ma si era dimostrato estremamente elusivo su chi e in quale veste gli sarebbe succeduto nel futuro prossimo. Sulla carta tutto avrebbe lasciato pensare che i genitori della piccola dovessero essere i prossimi sovrani, ma Njord era un vecchio eclettico e adorava i colpi di teatro e in più non desiderava affatto dare a Loki un valido motivo per accorciargli l’esistenza. Il suo ragionamento era astuto quanto semplice. Finché non rendeva nota la sua decisione, l’Ase aveva il guinzaglio corto.

Una questione spinosa che certo non era il caso di affrontare la sera del Solstizio e che la vista di Vili non contribuì a migliorare, anzi.
Possiamo dire senza temere di esagerare che il piano elaborato a suo tempo dal compianto Odino per dare un’immagine positiva degli Asi e coltivato con cura per secoli, venne bellamente distrutto da Vili nel tempo record di dieci minuti, e fu principalmente per questo motivo che quando Sigyn buttò fuori casa il marito per avergli smarrito la nonna materna, Lingua d’Argento non dimostrò alcuna particolare propensione ad affidarsi alle dubbie capacità del parente.

Diciamo la verità: Loki era proprio infuriato con quel pecoraro avvinazzato di Vili. Gli aveva fatto passare una delle serate più brutte della sua vita da quando era alla corte di Njord, seconda solo a quella volta che Freyr gli aveva vomitato sugli stivali poco prima di un appuntamento galante.

Non appena si era seduto al tavolo, aveva confermato un pregiudizio da sempre esistente tra i Vanir nei confronti degli Asi, che il dio degli inganni si era sforzato in tutti i modi di sfatare: aveva iniziato a mangiare senza posate e si era lamentato perché il cuoco di Njord aveva tolto la testa e le interiora del pesce che era stato appena servito. La simpatica esternazione aveva fatto illividire Loki e generato una fragorosa risata nervosa di Thor, ma erano stati i Vanir quelli più colpiti dalla vicenda.

Tutto in Vili era imbarazzante, a cominciare dal modo in cui addentava lo stinco di maiale alla faccia schifata che faceva di fronte alla vellutata di purè condita con fiori di zucca e altre sofisticate amenità tipiche della ricca e ricercata cucina di Vanheim. Beveva rumorosamente, mangiava a bocca aperta e quando non era intento in queste due fondamentali attività, ne approfittava per mortificare tutti con i suoi racconti imbarazzanti. I soggetti preferiti ovviamente erano Loki e Thor, neanche a dirlo.

“Ricordami perché è qui,” sibilò il dio degli inganni al fratello.
Il tonante fissò il piatto tragicamente vuoto. “Non ha mai festeggiato il Solstizio di Vanheim,” esordì.
“A tutto c’è un perché,” fu la laconica risposta.
“Si sente molto solo da quando nostro padre non c’è più,” insistette l’altro, cercando di smuovere il cuore di pietra di Loki.
Lingua d’Argento gli rivolse un’occhiata di puro, assoluto odio. Erano lì da meno di due ore, quei due deficienti, e già gli avevano rovinato la giornata, la settimana, l’anno. “Nostro padre,” sillabò torvo, “non lo voleva vedere neanche dipinto. Ha raschiato personalmente con le unghie tutti gli affreschi che avevano la sua faccia volgare sopra. Cosa gli manca esattamente? Il suo disprezzo?”
 

Ovviamente aveva ragione. Thor sbuffò maledicendo mentalmente l’insopportabile pedanteria di quel rompiscatole di suo fratello e le sue tragedie. D’accordo, zio Vili aveva abitudini pecorecce, ma era vecchio e malato e gli era toccata la sfiga di non morire in battaglia: che doveva fare, lasciarlo in un ospizio a importunare le infermiere? Ci aveva provato, ma era stato richiamato con urgenza per riprenderselo. E poi il Solstizio era una ricorrenza da trascorrere rigorosamente in famiglia e dove tutti si sforzavano di essere più buoni: con che faccia avrebbe ammesso di aver lasciato il povero zio Vili da solo?

“Con la faccia di un uomo intelligente,” fu la severa risposta di Loki, “caratteristica che non ti appartiene.”
Per avere un’idea di cosa fosse esattamente il Solstizio per i Vanir, dovete pensare al Natale midgardiano: gli ingredienti che caratterizzavano le due festività erano praticamente gli stessi, dalle litigate con i parenti all’odore di cucinato che impestava le case per giorni, passando per lo scambio di doni simbolici. All’appello non mancava nemmeno la tradizionale visione del classico una “Una poltrona per due”. Nel regno di Njord si chiamava “Un trono per due” ovviamente, e raccontava la storia di come Loki e Thor si fossero aspramente combattuti mentre si litigavano il sobrio scranno d’oro di Odino. Come tutte le opere di finzione, la commedia si concedeva alcune licenze poetiche che il dio degli inganni classificava sotto il nome di spazzatura, senza se e senza ma. Verso la fine della trama, Loki si pentiva amaramente di essersi comportato da maledetto sociopatico senza controllo e chiedeva perdono al padre e al fratello, per poi andarsene tutto solo soletto in esilio su Vanheim. Qui incontrava un’improbabile fatina munita di bacchetta che gli indicava la via per trovare qualcosa di più importante dell’oro e del potere, vedeva Sigyn e si innamorava di lei giurandole eterno amore e sottolineando tre volte – che imperdonabile errore di sceneggiatura! – che era sincero.
Loki iniziava a imprecare precipitando in un crescendo di volgarità più o meno dal punto in cui il suo alter ego teatrale iniziava il suo monologo su quanto era dispiaciuto per aver seminato il caos in giro per i Nove Regni. Pentito un corno, diceva, e continuava imperterrito inframezzando le sue considerazioni con una serie di risate nervose. Col piffero che gli aveva chiesto scusa, al vecchio e a quel tonto di Thor. Li aveva sconfitti piuttosto, stracciati e ridotti a doversi abituare di nuovo a mangiare le teste di pesce, finché non lo avevano supplicato di stipulare un accordo.
L’invettiva quell’anno trovò finalmente dei commentatori altrettanto informati dei fatti e pronti a dire la loro. Il dio del tuono e zio Vili si divertirono moltissimo alla rappresentazione, ma il primo si sentì in dovere di puntualizzare che la vittoria di Vanheim non era stata proprio schiacciante, e se Loki non avesse bluffato pesantemente, avrebbero vinto gli Asi, come al solito. Vili aggiunse che gli scarti del pesce erano una prelibatezza di Asgard e il nipote doveva farla finita di fare lo snob come Odino, perché piacevano pure a lui.

Calò il silenzio. Sonje, la voce dell’innocenza, storse la boccuccia e tirò la manica al genitore commentando con uno squillante ma accorato “davvero papà?” che spezzò qualunque cosa ci fosse nel petto dell’Ase.
Il dio degli inganni sibilò a denti stretti che trovava il sapore del suddetto piatto un po’ troppo aspro e si affrettò a spiegare, per la cento miliardesima volta da quando era nato, che si trattava di un’usanza ormai morta appannaggio solo degli accattoni di Asgard, di cui Vili condivideva per scelta le abitudini e le usanze.

Non gli credette nessuno, probabilmente perché Freya, per essere gentile con i parenti acquisiti, aveva chiesto al cuoco di corte di recuperare qualche scarto e servirlo agli Asi, cosa che fu prontamente fatta proprio mentre Loki tentava di arrampicarsi sugli specchi. Il vecchio zio si gettò sulla leccornia mentre Lingua d’Argento ancora parlava, seguito subito dopo da Thor, che si giustificò con il fratello facendo spallucce. La figuraccia con i Vanir ormai era stata fatta, spiegò a bocca piena, tanto valeva approfittarne.

“Nostro padre ti sta guardando dal Valhalla e piange,” fu la tagliente risposta dell’offeso dio degli inganni. Poi fu costretto a mangiare anche lui, perché non avrebbe sopportato che quei due deficienti di Vili e Thor gli dicessero che faceva lo schizzinoso come un Vanir qualunque.
Lo spettacolo degli Asi che banchettavano con le loro stranezze culinarie destò curiosità mista a disgusto in tutti i presenti ad eccezione di Sonje e di Ullfriaehdkkeh, la compita nonna di Sigyn.

Ora signori lettori, è giunto il momento di lasciare Loki e Thor nell’imbarazzo e spendere due parole per questa anziana e pia donna che chiameremo, per la nostra manifesta incapacità di pronunciarne correttamente il complicato nome Vanir, Ufa. La nonnina di Sigyn e consuocera di Njord era una sacerdotessa laica che parlava con gli alberi, sussurrava alle piante e ai fiori e altre amenità simili. Viveva in un onirico isolamento contemplativo e sembrava sempre persa in un mondo tutto suo. Dicevano che alla sua morte si sarebbe trasformata in uno di quegli spiriti che proteggono i boschi e le sorgenti e conosceva le rune bene quasi quanto Loki. Il dio degli inganni e tutta Vanheim la trattavano con una profonda deferenza e rispetto, e l’aspetto esile e quasi etereo della vecchina contribuiva a suscitare questo atteggiamento: aveva lunghissimi capelli bianchi e grandi occhi di un azzurro chiarissimo e intenso. Parlava raramente e a bassissima voce e girava sempre avvolta in ampie vesti nere, stretta com’era nel perenne e disperato lutto per la perdita del marito avvenuta qualche secolo prima. Per spiegarvi un po’ meglio la situazione, vi basti sapere che Sigyn aveva affrontato coraggiosamente di fronte a Njord e a Freyr le conseguenze della sua relazione con il dio degli inganni. A testa alta aveva difeso la sua scelta controcorrente e in aperto contrasto con la morale di Vanheim, ma si era sentita come una bambina impaurita nel momento in cui aveva dovuto spiegare alla nonna di aver conosciuto approfonditamente Loki Laufeyson ben prima delle frettolose nozze. Ufa si era molto turbata sentendo quella confessione. Non aveva parlato per due giorni, poi le aveva messo le mani sulla pancia e aveva decretato che sarebbe nata una femmina.

Il giorno del Solstizio, la pia donna alzò lentamente gli occhi vacui verso Vili e Thor e Loki e disse con la sua voce bassa e cantilenante che era giusto non sprecare nulla dei doni della natura, neanche le teste di pesce, e così finì la discussione. Il secondo round dello scontro di civiltà tra Vanir e Asi ebbe luogo nella delicata fase dello scambio dei doni. Freyr e Freya erano, ognuno per i propri motivi, già ubriachi da un pezzo, Sonje saltellava allegra in cerca dei suoi regali. Sigyn, invece, osservava preoccupata Vili Borson domandandosi se in vecchiaia anche Loki avrebbe adottato un paio di lunghi baffi e si sarebbe tolto il cerume in pubblico e rammaricandosi, allo stesso tempo, per non aver potuto vedere in che stato si erano ridotti Odino e Laufey. Nel mentre, cercava anche di rispondere alle domande personali che le rivolgeva Vili con più grazia possibile: sì, Loki assolveva tutti i suoi compiti di marito e lei non si poteva lamentare. Non capiva a cosa si riferisse con precisione quando parlava di scettri e bastoni e lance e nemmeno lo voleva sapere – era una bugia quest’ultima, ma detta a fin di bene.

Ma torniamo ai regali. Chiunque abbia dei simpatici pargoletti in casa saprà – o ricorderà, che gioia immensa è il momento in cui finalmente si dà un senso alla giornata e si scartano i regali. Sonje era praticamente l’unica bimba al noiosissimo tavolo dei Vanir e smaniava per tre motivi: voleva scartare i suoi regali, giocare con i suoi regali e assaggiare le teste di pesce. L’iniziale schifo era stato superato quando il particolare piatto era stato servito anche a suo padre e lui se lo era mangiato. Sonje non voleva essere da meno, e aveva iniziato a protestare ottenendo solamente una bisbigliata e frettolosa promessa da parte del dio degli inganni che le assicurava come, presto e lontano da occhi indiscreti, le avrebbe concesso di assaporare l’antico e controverso piatto Asi. Che ci volete fare, Loki era un tipo diplomatico e far assaggiare alla figlioletta mezza Vanir la tipica leccornia equivaleva a sputare in faccia a quel vecchio bilioso di Njord durante il Solstizio. Se Ufa appoggiava la severa cucina di Asgard che non ammetteva l’esistenza di alcun tipo di scarto, il re di Vanheim schifava quelle usanze e certo non desiderava che la sua unica nipotina le facesse proprie. Le teste di pesce insomma potevano causare una frattura diplomatica neanche troppo leggera in seno ai Vanir stessi, grazie a quel demente di Vili: Ufa e Njord si sopportavano a malapena. Lei lo chiamava “Vecchia Scopa,” lui optava per un sempre classico ma poco originale “strega.” Ecco perché quella cena doveva finire il prima possibile.

Lingua d’Argento distrasse sua figlia e tutta la sala proponendole di andare a scartare finalmente i regali. Gli occhioni grigi della bambina brillarono di gioia, e l’Ase si dileguò tirando un sospiro di sollievo. Non ne poteva più, davvero. La piaga ambulante che corrispondeva al nome di Njord si ingozzava di tartine tutto il giorno e di Vanheim si occupava ormai per modo di dire. Si infilava la corona, si sedeva su quel fottuto trono e si addormentava durante le udienze o si stancava dopo dieci minuti chiedendogli la cortesia di gestire la situazione. Cosa che Loki ovviamente faceva perché era nato per essere Re, ma in veste solamente ufficiosa, dato che quella vecchia scopa – qui Ullfriaehdkkeh aveva proprio ragione – si era messo in testa di crepare con addosso la sua fottuta corona. Poi c’era da gestire Freyr, che sbraitava di essere il legittimo successore al trono di Vanheim ma era sbronzo per la metà del tempo. “Non sono io che ti allontano dall’eredità di tuo padre,” gli aveva ricordato qualche minuto prima con un sorriso falso, “ma la tua cirrosi.”

A peggiorare la ridente situazione, insomma, mancavano solo Thor e quel truce soggetto di Vili, cui ovviamente Loki non aveva fatto alcun regalo. Eh sì, perché anche gli adulti si scambiavano doni, la sera del Solstizio. Ad essere sinceri, l’ingannatore non si doveva occupare nello specifico di queste quisquiglie. Era Sigyn a ordinare e impacchettare i doni per tutti, quindi probabilmente quel caprone di Thor e quello zotico di Vili avrebbero avuto un pensierino carino infiocchettato con un nastro rosso, e così tutti i presenti, lui compreso. A infastidire il dio degli inganni, era il fatto di dover apporre sulla piccola pergamena che accompagnava ogni pacco pure la sua sigla, cosa che avveniva ogni anno su supplica della bionda principessa circa dieci minuti prima dell’inizio della cena. A lui toccava rimediare solo due doni: quello per la moglie e quello per la figlia. Sfregandosi le mani osservò il risultato della prima delle sue opere geniali.

A Loki piacevano moltissimo le esternazioni di potere, specie quando era il suo. Stravedeva per le parate, le statue celebrative, le solenni rappresentazioni e, ovviamente, le feste in suo onore. Si crogiolava nel leggere poemi e storie che parlavano di lui e, sotto sotto, non gli dispiaceva nemmeno troppo Un trono per due, anche se per onestà intellettuale doveva criticarne le forti lacune. Del resto parlava di lui e lo osannava, e tanto bastava. Insomma, adorava essere adorato, e per questo motivo Sigyn diceva che ci sapeva fare con i bambini. Lui li stupiva con le sue magie e i suoi racconti, loro lo consideravano il miglior mago, guerriero, stratega, eroe dell’Universo tutto, senza cui Thor non era in grado nemmeno di tirarsi su le braghe. Provava un innegabile piacere anche nel mostrare quanto fosse geniale e magniloquente grazie alle sue trovate intelligenti. Dopo essersi sincerato che tutto fosse a posto, lanciò un’occhiata soddisfatta all’enorme pacco che campeggiava nell’ampio portico e ordinò che dalla sala tutti fossero fatti chiamare.

Sonje arrivò praticamente saltellando e trascinando per una mano Sigyn. Vide un incarto gigantesco di colore rosso e impazzì, letteralmente. Si coprì il viso con le mani, chiese a suo padre se era per lei col più tenero degli sguardi e l’Ase le porse un nastro e le disse di tirare. La bimba eseguì e tutti i presenti rimasero semplicemente a bocca aperta.
“Oh Loki, ci sei riuscito. Stavolta ti sei davvero superato,” boccheggiò Sigyn, che sapeva benissimo in che cosa consistesse il regalo, ma aveva dubitato fino all’ultimo circa la sua fattibilità.

“Un ponicorno! Un ponicorno! Papà è un ponicorno vero!” gridò la minuscola principessa saltando e correndo verso la cosa che più desiderava in assoluto: un cavallino bianco e un po’ tremante dallo sguardo languido cui era stato legato un gigantesco fiocco rosso dotato, come suggerisce il nome, di un’elegante protuberanza che sanciva innegabilmente la sua appartenenza ai più noti Unicorni. Sonje abbracciò la creatura, poi corse verso i genitori e saltò letteralmente in braccio al padre stampandogli un sonoro bacio a schiocco sulla guancia, infine trascinò Sigyn a fare la conoscenza del tremante esserino promettendole che sì, lo avrebbe curato tutti i giorni, gli avrebbe messo la coperta la sera e si sarebbe impegnata a nutrirlo con attenzione. Il dio degli inganni assistette alla scena con somma gioia. Aveva fatto felice la sua bambina e stupito tutta Vanheim con quel regalo rarissimo e quasi impossibile: era un eroe.

Se Loki si degnasse di spiegare a noi patetici midgardiani che cosa fosse esattamente un ponicorno, il suddetto userebbe all’incirca queste parole: i ponicorni erano degli incroci tra dei cavallini miti, dolci e buoni come i nostrani pony ma più alti – come la giumenta deliziosa di Sigyn cui il dio degli inganni salvò la vita, per intenderci, – e i più comuni unicorni che tutti conosciamo. Bestiacce infami dentro, queste ultime, dotate di una cattiveria insita spettacolare. Gli incroci che derivavano da queste due tipologie di cavalcature avevano creato i ponicorni per l’appunto: creature miti dolci e bellissime. Venivano allevate quasi esclusivamente ad Alfheim ed era lì che Loki era andato a recuperare il puledrino. Gli Elfi avevano brontolato pesantemente e solo le insistenze e le manipolazioni del dio degli inganni avevano permesso che il ponicorno giungesse dalla piccola Sonje. Non si trattava di un regalo impulsivo, anche se la richiesta veniva da una bambina di quattro anni.
Mentre la bimba baciava e accarezzava il nuovo compagno di giochi, Sigyn si volse verso il marito sbattendo le lunghe ciglia nere, in attesa del suo dono, e in quel preciso istante il dio degli inganni fu attraversato da una consapevolezza pungente e dolorosa che quasi gli strappò una sonora bestemmia. Qualche testa, giù in quella cloaca puzzolente che rispondeva al nome di Nidavellir, sarebbe saltata. Il corriere che doveva portargli il prezioso plico contenente una tiara disegnata da lui di indicibile bellezza, non era giunto a destinazione.

Continua...
*Mi riferisco a “Tutte le tue bugie,” la long fic collegata a questo scritto.
**Se segui le altre mie storie legate a “Tutte le tue bugie” ovvero la raccolta di shot “Oltre l’inganno,” ti sarà capitato di sentire nominare più volte Vili. Finalmente, eccolo qui! Vili Borson è effettivamente fratello di Odino nel mito norreno. La caratterizzazione pecoreccia del personaggio è completamente opera mia.
***Raccontata nel primo Thor.
****Anche la piccola Sonje è un parto della mia mente.
Credevate che scrivessi solo cose drammatiche, eh?? E invece "Surprise!"
Orbene, eccoci giunti a questo appuntamento pre-pasquale. Dedico questo capitolo a E, che insiste sempre nel farmi scrivere cose allegre. Grazie, o Lettore, per essere giunto fino a qui e avermi dedicato il tuo tempo
Recensisci questa storia e forse Loki regalerà anche a te un bellissimo ponicorno!

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Capitolo 2
*** Piani che variano di minuto in minuto ***


2
Piani che variano di minuto in minuto
 

Nei dieci minuti seguenti Loki Laufeyson riuscì nell’ordine a resistere all’impulso di scatenare una guerra, fingere con Sigyn che stesse andando tutto magnificamente bene e capire cosa fosse andato storto nel suo piano altrimenti perfetto: una delle ametiste che aveva richiesto doveva essere sostituita. I Nani lo avevano avvertito già dal pomeriggio, ma Vili, quell’ubriacone senza pudore maledetto, si era dimenticato di consegnarli il messaggio fatale. Il povero deficiente che aveva commesso l’errore di sbagliare Ase, o meglio, di ritenere che consegnarlo al baffuto guerriero valesse come averlo posato sulla scrivania dell’ingannatore, non saltò mai fuori unicamente perché, nel breve periodo, Loki aveva cose più urgenti di cui occuparsi: assicurarsi l’amore di una moglie affettuosa, devota, che gli stimolava l’ormone ed era anche brava a letto, ad esempio.


Una donna come Sigyn non dava eccessivamente peso all’opulenza del dono ricevuto. Si lusingava, ovviamente, se le venivano regalati gioielli e amava rimodernare spesso il suo guardaroba, ma non pretendeva che suo marito le portasse chissà che tesori, purché ci pensasse. A mortificarla terribilmente sarebbe stato il fatto che quel maledetto figlio di uno Jotunn non avesse badato nemmeno a raccoglierle un fiore. Ecco cos’era disturbante. A ciò occorreva aggiungere che il matrimonio tra Loki e Sigyn si reggeva, come tutte le unioni, su una serie di compromessi, equilibri, abitudini. Entrambi provavano a mettercela tutta per far funzionare le cose, perché la passione che mettevano sotto le coperte non poteva certo bastare a tenerli insieme. Ci volevano una dose di dolcezza (da parte di lei soprattutto) e la volontà di prendersi cura l’uno dell’altra.


Erano stati amanti clandestini prima, e marito e moglie subito dopo, perdendosi completamente l’essenziale fase del fidanzamento. Si erano ritrovati nella peggiore delle situazioni possibili, con un bimbo in arrivo ed esperienze di vita completamente differenti, eppure, dopo qualche momento di iniziale smarrimento, avevano deciso di impegnarsi. Loki era uno scaltro guerriero e politico con un bagaglio di esperienze spaventoso, Sigyn una ragazza di buona famiglia cresciuta al riparo dalle brutture del mondo. Lei era ottimista e sognatrice, lui pragmatico e cinico. Ora, sarebbe troppo smielato dire che i piccioncini si riempivano di piccolissime carinerie reciproche, ma è esattamente così che andava: Sigyn gli portava le tisane calde quando lui tramava fino a tardi, infilava i piedi perennemente freddi tra le sue gambe per scaldarsi e si addormentava stringendoglisi contro, e lui cercava di donarle la parte migliore di se stesso, posto che ne avesse una. Si imponeva di passare del tempo insieme e fare caso a quello che per lei era importante, fosse anche aggiustare in pieno inverno una finestra della serra affinché non si rovinassero i suoi fiori. Non era questo grande sacrificio dato che l’ingannatore tutto pativa tranne il freddo, ma tant’è.

Ecco, sarebbe bastato un fiore, un rametto, una poesia scritta di getto, un segnalibro buffo per far felice Sigyn: non servivano le sontuose tiare né le sete di cui certo non era priva: il regalo più bello che le aveva fatto fino a quel momento, era stato uscire di notte per raccattare le foglie di un medicamento, una sera in cui la donna aveva la febbre. Peccato che non ci fosse neanche questo, stavolta.
 


“Beh, che vai frignando? I tuoi piani variano di minuto in minuto, no? Fatti venire in mente un altro regalo!” si spazientì Thor. (1)

Erano chiusi nel gabinetto trasformato in pensatoio d’emergenza da troppi minuti. Loki parve riflettere su pro e contro, infine sospirò. “Certo. Un altro piano, certo. Userò i gioielli di nostra madre,” sentenziò sicuro.

L’idea parve a entrambi i fratelli Odinson fantastica, tanto che Thor iniziò immediatamente a invocare Heimdall offrendosi di aiutare l’ingannatore, ma Loki lo bloccò prontamente.
“Non lascerò che tu scelga il regalo di Sigyn,” s’impose.

Quel cretino di Thor allargò il sorriso sotto la barba incolta. “Sei davvero innamorato, fratello!” commentò quasi lussandogli la spalla con una delle sue pacche cameratesche.

“Sceglieresti qualcosa di inappropriato, inadatto,” glissò Lingua d’Argento. “Brutto persino, anche se nostra madre aveva gioielli meravigliosi. Senza dubbio prenderesti qualcosa di, come dire, agée.”

“Grazie della fiducia.”

“Non è una questione di fiducia. Abbini troppi colori, Thor. Non hai gusto. Vai in giro come un pezzente,” infierì l’ingannatore ormai totalmente a ruota libera. Thor non era vanesio come il fratello adottivo, ragione per cui se ne fregò bellamente dei deliri stilistici dell’altro. Con un “allora arrangiati, deficiente”, troncò il discorso e fece la cosa più giusta di tutte: si sedette sul gabinetto e osservò l’altro utilizzare una delle sue mille abilità.
 

 
“Avanti, sbrigati Heimdall! Apri il Bifrost!” invocò Lingua d’Argento sicuro. Ci fu un momento di tetro silenzio e attesa, poi una voce dall’alto, flebile e un filo sarcastica, irruppe nell’angusta camera. (2)

“Ah Loki, sei tu. Che sorpresa,” fu il laconico commento del Guardiano.

L’Ase deglutì. “Vero?!” Si allentò leggermente il colletto e insistette sotto lo sguardo divertito del tonante. “Avrei fretta, per cui apri il Bifrost.”

Di nuovo cadde il silenzio. “Ora hai bisogno di me?” domandò Heimdall ironico. Aveva diversi sassolini da togliersi dagli stivali. “Mi hai congelato, tentato di uccidere, licenziato,” ricordò gelido. “Com’è che dicevi? Che ero inutile e tu ti muovevi liberamente, dico bene? Esistono sentieri che collegano i mondi di cui io ignoro l’esistenza…”

“Sei stato irriverente e sei una fottuta spia! Adesso apri!” lo zittì Loki furente.
“Una volta mi hai definito un portiere guardone.”

Era evidente come, tra le mille qualità che Heimdall potesse vantare, certo non comparivano la misericordia e il perdono. Non c’era neanche da biasimarlo, per questo. Loki negli anni era stato qualcosa di fastidioso come una zanzara, insopportabile come un attacco di dissenteria e odioso come il lunedì mattina per un comune di midgardiano. Quella sua inquietante capacità di mutare forma e la mancanza di qualsiasi scrupolo nell’usarla, lo avevano reso il compagno migliore di giochi che Thor potesse desiderare e, allo stesso tempo, la sua personale croce.

L’ingannatore roteò gli occhi al cielo esausto. “Non può essere solo colpa mia. I rapporti si rovinano in due, prenditi le tue responsabilità!”

Fu la goccia che fece traboccare il vaso, perché quelli di Heimdall non erano semplici sassolini nella scarpa, ma travi maledette. Per colpa di quel ragazzino spocchioso, quel disastro ambulante, nei secoli si era beccato i peggiori insulti possibili da Odino e non crediate che l’inizio della fine si era manifestato quando, quel gran figlio d’una gigantessa, aveva deciso di far entrare alla festa per l’incoronazione di Thor un gruppo di Jotunn infuriati, promettendogli la possibilità di fregarsi lo Scrigno degli Antichi Inverni: le problematiche erano nate prima, molto prima.

Quando l’altero dio dell’inganno era alto meno della metà e trotterellava ancora per Asgard con un orsetto di pezza tirato per una zampetta, puntando pericolosamente verso ogni spigolo ecco, quello era stato l’inizio della fine. Si nascondeva, il frugoletto adorato, mutando forma, per le Norne, e trovarlo diventava impossibile, una cosa da sguerciarsi. Com’è Heimdall che ti perdi sempre Loki, gli domandava Odino preoccupato, e a lui toccava giustificarsi con perifrasi asciutte e politically correct perché non si può dire al proprio datore di lavoro e sovrano che il figlio adottivo cinquenne dimostra un’attitudine alla delinquenza più unica che rara. Non gli si può spiegare che quel bimbetto dallo sguardo limpido come una sorgente di montagna e all’apparenza tanto obbediente e disciplinato, ha il potere di distruggere tutto ciò che tocca con quelle sue dita infantili.

“Sai che ti dico, Loki? Va’ per i sentieri noti a te solo.” Ecco, finalmente glielo aveva detto. Il Guardiano si sentì sollevato come non mai. Riuscì a vedere il fiero principe mordersi le labbra offeso e deglutire dalla rabbia, consapevole com’era della battuta pungente e del riferimento molto poco nobile: eppure, la vittoria non era ancora perfetta e totale come quel buonuomo meritava. Loki di Asgard esplose letteralmente e batté i piedi per terra.

“Ho dieci minuti, maledetto idiota!” inveì.

Heimdall si gustò il suono disperato della voce dell’altro. “Allora corri, Loki, corri.” (3)
Ci vollero due minuti di lunghi e lenti respiri perché il dio degli inganni elaborasse una risposta che non assomigliasse alle urla inarticolate del fu Odino Borson (4). Si massaggiò le tempie provate dal troppo tramare, sempre di fronte allo sguardo curioso del fratello, e si abbassò finalmente nel tentativo di convincere per l’ennesima volta quel precisino insopportabile del guardiano ad assecondarlo.

“Se non vado e torno dal Palazzo di Asgard in dieci minuti,” disse col più ragionevole dei toni e un sorriso inquietante stampato sulla faccia, “Sigyn mi caccerà fuori di casa e io tornerò ad Asgard. Sai che significa, vero? Che noi saremo costretti a vederci tutti i giorni. E noi questo non lo vogliamo, dico bene?”

Il portale si aprì in un fascio di luce e Loki vi sparì dentro. È difficile decidere chi sia opportuno seguire, adesso, se il tonante o il suo scaltro fratello. Partiamo dal primo: Thor.



Il sovrano degli Asi era un inguaribile ottimista, persino quando si approssimavano le tragedie familiari. Uscendo dal pensatoio di fortuna, ad ogni modo, capì immediatamente che sarebbe servita tutta la sua diplomazia e il suo coraggio per sopravvivere a quella giornata e sentì un’acuta nostalgia di suo fratello. Quest’ultimo, se fosse stato presente, avrebbe imprecato e maledetto le Norne puntualizzando che Thor forse era coraggioso, ma certo non diplomatico. Per lui i diplomatici erano dolcetti midgardiani di forma cubica, stop. A terrorizzare maggiormente il nostro eroe, fu la tragica consapevolezza di aver lasciato Vili Borson solo con dei Vanir per ben dieci minuti.

“Tu e tuo fratello dovete staccare il cordone ombelicale che vi lega. O meglio, non vi ha mai legato perché la buonanima di tuo padre l’ha raccattato su un picco di ghiaccio, però Thor seriamente: credevo che aveste smesso perlomeno di andare in bagno insieme.”

Prima che uno sconvolto dio del tuono potesse replicare, il baffuto uomo si prodigò nello spiegare come i due pestiferi nipotini fossero stati pressoché inseparabili fino alla veneranda età di dodici anni. Fu un racconto tenerissimo, che sciolse il cuore di Sigyn: si immaginò i due frugoletti treenni che si addormentavano insieme in una tenda fatta di cuscini e lenzuola, non immaginando neanche la portata disastrosa dei danni causati dai due piccoli criminali. Li ricordava bene Vili, però, che pensò di illustrare agli eleganti ospiti le innocenti marachelle dei due fratelli, compresa quella volta che avevano disperso le ceneri del patriarca dei Nani e con il vaso che lo contenevano avevano…

“Zitto! Basta! Non lo vogliono sapere!” tuonò Thor. “Loki quando tornerà ti strapperà la lingua e io ti terrò fermo, così vedrai come lavoriamo bene in coppia!”

“Noi lo vogliamo sapere,” rispose serafico Njord con gli occhi che brillavano di curiosità.

“Da dove tornerà Loki?” s’informò Sigyn con la voce di una nota leggermente più alta del normale.
“Dal gabinetto,” mentì prontamente il tonante.

“Deve essere davvero disperato, per averti chiesto di levarti di mezzo,” constatò il baffuto Ase contrito. “Colpa della cucina Vanir che è costretto a ingurgitare, povero ragazzo!”



Se il disagio avesse potuto manifestarsi in forma umana, avrebbe preso le sembianze del dio del tuono. Capì immediatamente perché suo padre non aveva mai invitato il fratello a nessunissimo evento pubblico e gli mancò Loki in maniera atroce. Eppure, una parte di lui era contento che l’altro non fosse presente. Gli aveva evitato un dolore. Sigyn, che era una pessima cuoca, si sentì punta sul vivo di fronte all’accusa mossale indirettamente dall’Ase. Le vennero in mente tutte le volte che Loki, dopo aver mangiato uno dei suoi manicaretti, le chiedeva gentilmente una tisana che, tra le altre cose, aveva proprietà digerenti, e si domandò se non stesse inavvertitamente avvelenando il marito. Njord, che pure adorava il dio degli inganni, puntualizzò che se l’Ase stava male era per il troppo idromele che ingurgitava e per il suo apparato digerente di barbaro avvezzo a nutrirsi delle interiora del pesce.
 


Frattanto, il nostro eroe era finalmente giunto a destinazione, aveva avuto modo di accaparrarsi uno dei gioielli più belli sfoggiati a suo tempo dall’amata madre e stava correndo da Heimdall. Il guardiano lo fissò torvo.

“Ci rincontriamo,” lo salutò senza particolare gioia.

“Ovvio. Sono passato qui otto minuti fa,” ricordò l’Ase. “Adesso apri di nuovo il portale, da bravo.”

Il severo protettore del Bifrost lo squadrò dall’alto in basso. “Hai gusto con i gioielli.”

“Ho gusto in tutto,” puntualizzò Loki fiero.

Heimdall assottigliò gli occhi. “E le reliquie…”

Il dio dell’inganno sgranò gli occhi verdissimi e trasparenti, sorpreso. “Non so proprio a cosa tu ti stia riferendo.”

“Io ti conosco,” fu l’irremovibile risposta.

Loki sospirò spazientito. “E io ho fretta,” ribatté roteando gli occhi al cielo. “Ricordi quella storia che ci siamo raccontati prima? È la sera del Solstizio, se Sigyn non avrà il suo regalo mi prenderà a calci e mi butterà fuori di casa!” sillabò come se stesse rivolgendosi a un povero derelitto e non a Heimdall.

Questi si concesse un sorriso. “Hai paura di una donnina delicata come Sigyn?”

“Ne dovresti avere tu. Verrò qui a rovinarti l’esistenza ogni giorno!”

“Perché ti sei nascosto al mio sguardo mentre eri nel palazzo, Loki?”

“Perché è casa mia, guardone.”

“Loki,” iniziò il guardiano tetro, “se tu hai trafugato…” iniziò, ma non completò mai la frase: il dio degli inganni decise che aveva perso troppo tempo in attesa che il portale si aprisse, ed esplose in un impeto d’ira travolgente e melodrammatica. Puntò il dito contro l’altro e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. “Apri questo fottuto portone, Heimdall o quant’è vero che sono il dio dell’inganno prenderò quella spada e la infilerò dritta dritta…”

“Apro, apro.”
 


Pochi secondi dopo, uno stravolto Loki usciva finalmente dal gabinetto con un’aria stropicciata particolarmente sospetta e un sorriso tronfio sulle labbra sottili. Avanzò con passo deciso fino al capannello di gente che si era creato attorno a quel vecchio pedante di Njord, rendendosi conto, con un istante di ritardo, quale fosse l’ameno argomento del discorso. Sigyn vedendolo gli si avvicinò, carezzandogli la guancia affilata e sbarbata.

“Oh, tesoro, non lo sapevo proprio.”

L’Ase lanciò un’occhiata interrogativa a Thor e quello si limitò a stringersi nelle spalle e a indicare Vili, che rideva beato e raccontava i dettagli della sua esistenza miserabile a Freyr.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto portare per decenni l’apparecchio ortodontico con il baffo,” sussurrò la donna posandogli un lieve bacio sulle labbra sottili.
 
Ebbene sì, il sorriso fascinosissimo e sghembo del dio dell’inganno non era il frutto di una squisita mescolanza genetica, ma merito della perizia e delle bestemmie di un dentista Nanico che era stato ampiamente foraggiato dalle Casse di Risparmio Aesir. Odino buonanima soleva dire che Loki aveva la Lingua d’Argento, ma il sorriso era sicuramente d’oro, dato che gli era costato fior di milioni. Il dispendio economico, tuttavia, nulla era stato in confronto al tormento patito dal figlio adottivo. Colpa di quei fottuti geni Jotunn. Il bel ghigno dell’Ase era stato ottenuto con una serie di tiranti e fermi che si completavano nell’installazione del cosiddetto baffo, un diabolico strumento di tortura fonte di estremo disagio. Thor bambino non aveva dimenticato un giorno di beffare il fratello minore per quella fastidiosa trappola. Il momento in cui, ormai adolescente fatto, il dio degli inganni si era fatto strappare l’appendice di ferraglia dolorosa dalla bocca, aveva festeggiato tutta la notte. E si era scoperto anche un po’ figo.

“È stata una sciocchezza, una lieve correzione,” bofonchiò l’Ase a disagio, scostandosi.

“Lieve un corno, Loki! Ho visto serpenti marini con arcate più ordinate delle tue! Eh no, il ragazzo non aveva il sorriso perfetto come adesso, no” puntualizzò maligno Vili.

Sigyn aggrottò la fronte e pregò mentalmente che la sua adorata bambina non avesse ereditato dal padre la brutta caratteristica, mentre il dio degli inganni si lanciava in torve minacce nei confronti del troppo sincero parente. Questi specificò serafico che ce ne sarebbero state da dire molte anche su Thor, dato che nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza si era ritrovato a sfoggiare un fisico ben diverso da quello attuale. Insomma, i fieri figli di Odino, da bambini, non erano affatto questo splendore, tutt’altro. (5)

“Ma perché non vediamo che meraviglioso dono ha fatto mio fratello alla sua bellissima moglie!”

Il dio del tuono era riuscito miracolosamente a catalizzare l’attenzione di Njord e Freyr e Freya, ma soprattutto di Sigyn, sul vero senso del Solstizio: l’ostentazione dei regali. La bionda Vanir sbatté le palpebre leggermente truccate, accennò un lieve sorriso, e Lingua d’Argento ne approfittò per ghignare svelando, una volta di più, i prodigi dell’ortodonzia dei Nani e il potere del denaro degli Asi. Le porse finalmente un astuccio di velluto contenente un paio di orecchini e un anello di squisita fattura. Smeraldi e diamanti bianchi e rosa si incastravano tra loro creando un perfetto disegno floreale, di impareggiabile bellezza e grazia. Nessuno avrebbe mai detto che Loki aveva scelto quella parure quasi a caso, tirando una carrellata di bestemmie come nemmeno nelle peggiori bettole intorno al porto di Asgard che servivano pessimo rum.

“Oh Loki! Io…” boccheggiò la bionda esterrefatta.

“Mia Sigyn,” la interruppe l’Ase, “era da tanto tempo che volevo darti questi gioielli,” esordì serissimo. “Nostra madre, la mai abbastanza pianta regina Frigga, un giorno quando ero poco più di un ragazzo…”

“E portavi ancora quell’orrenda cosa in bocca,” aggiunse Vili.

L’ingannatore finse di ignorarlo e andò avanti. “Mia madre mi chiamò e disse: Loki, quando troverai la donna giusta per te, voglio che tu le dia questi preziosi, come pegno.”

“Secondo me ha detto risarcimento,” borbottò Freyr.

“O ringraziamento per essertelo portato via,” commentò Thor.

Stoico e impassibile, Lingua d’Argento continuò il suo discorso. La vendetta sarebbe arrivata a tempo debito. “Mia madre era una donna nobile e davvero eccezionale: tu le saresti piaciuta immensamente, Sigyn.”

Il tonante incrociò al petto le poderose braccia. “Certo che le sarebbe piaciuta. Ti sopporta.”

“Appartengono alla Casa di Odino da migliaia di anni. Indossali con orgoglio,” concluse, ignorando completamente che la deliziosa parure di Frigga era stato un acquisto recentissimo della sovrana, fatto commissionare di persona per consolarsi di qualcuna delle molte decisioni scriteriate e discutibili del marito.

La principessa dei Vanir, com’è ovvio, rimase colpita dalle parole del marito e dalla bellezza del dono. Gli buttò le braccia al collo, lo baciò e gli diede il suo, di regalo: un rarissimo testo di magia oscura, rimediato con moltissima pazienza grazie all’intercessione di un mercante.
 


Anche Vili aveva portato dei doni, purtroppo, perché il bello dell’imbarazzo e del disagio è che sono pozzi senza fondo dentro cui si può sprofondare anche se si è Re o potenziali tali. Occorre sorvolare sugli orribili manufatti in pelliccia che Loki e Thor ricevettero in dono e che si ripromisero di gettare nel camino, non appena Vili si fosse ubriacato abbastanza, ma senz’altro merita di essere menzionato il dono che l’anziano Ase consegnò alla sua tenera nipotina: una scimitarra con l’elsa in osso su cui, probabilmente, il fratello di Odino aveva lavorato tutto l’inverno. La bimba osservò l’arma letteralmente estasiata, Sigyn cacciò un urlo disarticolato in cui qualcuno ravvisò il nome di Loki, l’ingannatore si affrettò a togliere dalle mani della piccina la lama.

“Zio Vili è davvero un dono magnifico,” esordì sfoderando un sorriso falsissimo, “ma Sonje è troppo piccola per poterci giocare.”
Il vecchio Ase barbuto scosse la testa. “Ma non credo proprio: quello che usasti per accoltellare Thor, a otto anni, te lo regalai quando avevi circa la sua età,” ricordò puntuale e implacabile. (6)

Il dio dell’inganno non sapeva da dove cominciare, per spiegare al parente quante cose sbagliate c’erano nella sua frase. Scosse la testa, chiuse gli occhi e fece sparire la scimitarra bofonchiando che era inutile, una battaglia persa, e tanto valeva provare a insegnare a un gregge di pecore le equazioni di secondo grado.

“In effetti credo che avessimo la stessa età,” ricordò Thor con un sorriso nostalgico. “Capisco che vuoi fare il padre modello, fratello, ma Sonje è mezza Asi. O Jotunn. O quel che vuoi che sia. E quell’arma è il tipico regalo con cui giocherebbe ogni bambino di Asgard.”
“Ma qui siamo a Vanheim,” ricordò Loki tra i denti, tentando di mantenere la calma, “e mia moglie è una Vanir e non desidera sapere che io e te a otto anni ci accoltellavamo.”
 


Il dio del tuono non rimase a sentire le paturnie e le discussioni messe in atto da quella piaga ambulante del fratello. Si dedicò a certe erbe terapeutiche dispensate dall’imperturbabile Ufa, che sorrideva gentile un po’ a tutti. A Thor la vecchina era molto simpatica, soprattutto perché aveva un’evidente difficoltà nel pronunciare il nome di suo fratello. O forse, non le interessava farlo in maniera corretta, chissà. Non c’era verso di farle dire in maniera distinta Loki.

“Foki sta ancora lamentandosi per il regalo del vostro amabile zio?” domandò svagata.

“Loki, nonna Ufa. Si chiama Loki,” la corresse il tonante assaggiando uno degli intrugli della sapiente. Quella annuì convinta.
“Foki, certo. Si agita troppo. È così un bel coltello!”

Thor avrebbe tanto voluto parlare del bilanciamento delle armi e dell’affilatura delle lame, ma l’eterea nonnetta si mise a parlare delle sue felci, dei suoi oleandri e di chissà che altra pianta cui era legata da un profondo affetto e, com’era assolutamente prevedibile, l’attenzione di Thor precipitò ai minimi storici. Cercò suo fratello con l’intento di proporgli una sfida virile come la gara di sputi, il braccio di ferro o scommettere su chi riusciva a mangiare più rapidamente tra i due, ma Sua Noia Mortale era stato bloccato da Njord e da un vecchietto decrepito. Questi, con il poco alito di vita che gli restava, illustrava convinto un problema apparentemente di fondamentale importanza: l’abolizione di una legge suntuaria che impediva alle nobildonne di Vanheim di indossare parrucche, una questione davvero essenziale, e quell’idiota di suo fratello, anziché creare una copia di se stesso e prestare attenzioni a lui, era lì ad annuire, a metà strada tra lo schifato e l’infastidito. (7)

Occorre dire, a onor del vero, che quella osservata con palese biasimo da Thor era a tutti gli effetti una copia. Il vero dio degli inganni era in altre faccende affaccendato. Fatto sta che il Re degli Asi iniziò a vagare per la festa con aria annoiata e fu lì, mentre reggeva un corno vuoto e si guardava attorno sbuffando, che Freya gli si avvicinò, lasciando che il suo sguardo chiaro e leggermente annebbiato dall’alcool scivolasse con studiata lentezza sui muscoli scolpiti e guizzanti dell’Ase.

“Dimmi un po’,” sorrise, “ma tu sei prestante come tuo fratello?”

Il Re degli Asi gonfiò il petto, lusingato dalle parole dell’ancora molto appetibile donna. “Ma certo!” rispose pronto, rinvigorito dalla possibilità di poter gareggiare con quell’insopportabile pedante di suo fratello. In fondo, Odino li aveva tirati su così, a suon di sfide e competizioni spesso non troppo sane, e adesso che erano uomini fatti, i due non perdevano occasione di misurarsi in sfide nobilissime o profondamente svilenti e cretine. Si divertivano anche con poco, insomma. Così Thor ridacchiò soddisfatto, mentre Freya allungava la mano ingioiellata per tastargli il bicipite d’acciaio, e ragionò solo successivamente sull’inquietante portata nascosta nella battuta della donna.

“Aspetta un attimo,” la interruppe, “che ne sai tu di quanto è prestante mio fratello?”

Freya inumidendosi le labbra si guardò attorno, per evitare che qualche orecchio indiscreto potesse udirla. “Non avrai mica pensato che ospitassi Loki solo perché è intelligente, vero?”

Thor esitò un istante. “No?”

“Tuo fratello è un brillante casinista,” esordì la Vanir a disagio, “ma se non era figo stai pur certo che poteva mendicare alla mia porta fino al Ragnarok,” puntualizzò ferma. (8)

“Ma quindi, tu e mio fratello…”

“Qualche volta, sì,” ammise la figlia di Njord esausta. “Ma quando Sigyn era ancora una ragazzina, prima che… non spifferare niente, eh? Non stavano insieme, allora! Se lei lo scoprisse sarebbe la fine!”

Thor aggrottò la fronte: improvvisamente, tutta una serie di battute bofonchiate a mezza bocca da Odino sui Vanir, acquistarono un senso nuovo.
 


Più tardi Sigyn, dolcemente raccolta sotto le coperte, mugolò appena sentendo le labbra perfide dell’Ase sfiorarle il collo. “Hai dimenticato il mio regalo e lo sei andato a cercare in fretta e furia ad Asgard,” bofonchiò aprendo pigramente un occhio, “insegni, di nascosto, a nostra figlia come si usano i pugnali e, come se non bastasse, tuo fratello stanotte si è appartato con mia zia. Ti odio, Loki Laufeyson.”

L’ingannatore sogghignò malefico. “I Nani hanno avuto un problema con un’ametista, nostra figlia è mezza Ase e tua zia non è da buttar via,” soffiò continuando l’assalto. Lasciò scivolare la mano sul fianco della moglie, artigliando la seta morbida della camicia da notte che indossava per sollevarla.

“Che vorresti dire con questo?” Sigyn si irrigidì voltandosi completamente. Lo guardò con sospetto, aggrottando le sopracciglia.
Loki le rubò un bacio. “Mezza Jotunn è più corretto, certo,” acconsentì.

“Non mi riferivo a quello,” insistette la donna. “Che cos’era quell’allusione a zia Freya?”

Resosi conto del pericolo imminente, l’ingannatore corresse rapido il tiro. “Che le Vanir si mantengono bene e Thor era ubriaco. Lascia che si divertano,” propose, e tornò a baciarla. Il Solstizio era una festa orrendamente faticosa, Njord un vecchio rompipalle e Ullfriaehdkkeh non la piantava di sbagliare il suo nome chiamandolo in quel modo deficiente. Heimdall si sarebbe, prima o poi, accorto del piccolo souvenir – o sarebbe stato meglio chiamarlo dovuto indennizzo? – che si era portato via dalla Sala delle Reliquie di Asgard, e il dio dell’inganno ora non voleva altro che divertirsi un po’.

“Pensi che mia zia sia attraente?”

Ecco, appunto. Era riuscito a guadagnare una posizione estremamente vantaggiosa, intrappolando la sua graziosa mogliettina sotto il suo corpo, ed ecco che quella ricominciava con la lagna.

“Penso che tu sia attraente, di tua zia non me ne è mai fregato di meno,” insistette convinto. Sigyn, per il momento, gli credette.
 
 


“Fratello, bentrovato. Ti avevo detto di non eccedere con gli intrugli di Ullfriaehdkkeh.”

Era mattina. Loki Laufeyson sedeva nella sua sala da pranzo, a capotavola, e aveva quell’aria perfettina che Thor e Sigyn trovavano, per ragioni fortunatamente diverse, assolutamente intollerabile. Il primo detestava quell’atteggiamento impomato che il dio dell’inganno si ostinava a sfoggiare, la seconda trovava irresistibile il marito quando le si presentava davanti scarmigliato e ghignante.

Ad ogni modo, il dio degli inganni aveva insopportabilmente ragione. Thor cercò di metterlo a fuoco e barcollò grattandosi la testa fino al tavolo. “…Come fai a pronunciarlo di prima mattina,” domandò in un rantolo sofferente.

Quello spalmò del miele su una fetta di pane. “Spiccate proprietà linguistiche, credo.”

Thor grugnì e si versò una bevanda ottenuta dall’essicazione di certi semi coltivati nell’estremo sud di Vanheim e che rassomigliava vagamente al caffè.

“Che notte! Che notte! Freya fa delle cose che…”

“Lo so,” tagliò corto l’Ase bevendo una tazza della mistica bevanda. “Risparmiami i dettagli.”

Il re di Asgard comprese e addentò una fetta di torta, ma poi fu vinto dalla curiosità. Del resto, la sala da pranzo era ancora deserta, di Sigyn e della bambina non c’erano ancora tracce. Si sporse verso il fratello con aria complice. “Senti ma anche a te…”

Loki lo fulminò con lo sguardo. “Possiamo cambiare argomento?”

Thor annuì, ma poi, di nuovo, fu vinto dalla curiosità. “Ma tutte le Vanir fanno…”

“Davvero pensi che risponderò a questa domanda?!” Lingua d’Argento si era sporto verso di lui e aveva pronunciato la frase tra i denti. Per fortuna o somma sventura, la splendida chiacchierata venne interrotta prima che il dio dell’inganno si lanciasse in una lunga invettiva sulle post-sbronze moleste di quel gran cretino del Re degli Asi, che ben conosceva e di cui l’ultima chiacchierata non rappresentava che la triste punta di un ben più vasto iceberg. Il fraterno momento, ad ogni modo, venne interrotto da un messaggero pallido in viso, che consegnò lesto un biglietto a Loki e scappò via senza attendere alcuna risposta.

Si rivelò una mossa assai saggia, dettata dall’istinto di conservazione dell’uomo.

Il fiero Lingua d’Argento lesse le poche e scarne righe, si accigliò, impallidì. Passò il foglio a Thor e anche il tonante s’incupì. “Che significa questo? Vili ha rubato la Laxdaela?”

“Cosa vuoi che ne sappia?! Hai visto, me lo hanno detto adesso!” esplose Loki con voce incrinata.

La Laxdaela (9) non era una semplice barca Asi: era il più bel drakkar che fosse mai stato costruito nei Nove Regni. Era un oggetto di culto, un sogno proibito, un orgoglio nazionale, un simbolo. Aveva la prua abbellita con un rostro bellissimo, a forma di drago. Era un drakkar velocissimo, aerodinamico, confortevole e tutta una serie di aggettivi che facevano piangere di gioia qualsiasi Ase. Se lo era fatto costruire Padre Tutto e aveva rappresentato, per Loki e Thor, un vero e proprio mito irraggiungibile. Quante volte si erano picchiati per decidere chi, tra i due, dovesse pilotarlo! Il dio del tuono l’aveva infine donato al fratello come regalo di nozze e segno di pace, in un modo più o meno spontaneo. Lingua d’Argento, infatti, si era lamentato del suo braccio malmesso ed era riuscito a instillargli un senso di colpa tale che il Re degli Asi si era deciso a cederglielo.



Continua...

Caro Lettore che sei arrivato fin qua,
Grazie per il tempo che mi hai dedicato giungendo fino a codeste ultime righe finali. Grazie per avermi testimoniato il tuo apprezzamento in ogni modo. La Fatina dell’Ispirazione promette che spedirà zio Vili in tutto il suo vichingo splendore da te, se non nutrirai la sua magia o la nutrirai, non si è ben capito. O forse preferivi un ponicorno da Loki? Non lasciare che dalle sue alucce piovano glitter sulla mia tastiera! Colgo l’occasione per rispondere a qualche FAQ:

Finirò mai tutte le long che ho in corso che, attualmente, ammontano a 5?
Sì, leggerai la fine di tutte le mie storie, se lo vorrai chiaramente. Non posto mai una fiction di cui non ho ben chiari gli sviluppi. Come Lettrice, mi dispiace non leggere la fine delle storie che seguo, e quindi mi pare giusto non dimenticare questo principio da Autrice.

Con che criterio aggiorni?
Settimanalmente, cercando di rispettare un ordine cronologico. Tuttavia, la Fatina dell’Ispirazione elargisce la sua magia prevalentemente alle storie più seguite. Quindi, se vuoi che una storia venga aggiornata con più frequenza, devi solo farmelo sapere! Ricorda: una storia molto amata è una storia spesso aggiornata!

P.S.
A martedì ;) (nel pomeriggio troverete già la prossima storia) e… a chi piacciono gli AU?!
 
  1. Una delle battute di Loki in Thor: Ragnarok.
  2. Tutta questa scena è un omaggio al primo Thor, dove intuiamo i rapporti tesi tra il guardiano e Loki, con quest’ultimo che fa lo splendido e viene prontamente zittito da Heimdall.
  3. Corri Forrest, corri! (da Forrest Gump).
  4. Di nuovo, nel primo Thor.
  5. Che Thor bambino fosse paffutello ce lo rivela Taika Waititi.
  6. Di nuovo, un omaggio a Thor: Ragnarok.
  7. Per la gara di sputi rimando alla mia fiction “Tutte le tue bugie”. Per la gara a chi mangia più velocemente, Loki l’ha disputata davvero nell’Edda in prosa (sic). E ha perso. Le leggi suntuarie erano norme medievali che stabilivano e regolavano l’abbigliamento, impedendo alle persone di ostentare in maniera eccessiva la propria ricchezza.
  8. Nella Lokasenna Loki racconta come Freya sia di ampie vedute e liberissimi costumi.
  9. La Laxadaela è una saga islandese. Ho scelto il nome per affibbiarlo a questo drakkar di mia invenzione che avete già incontrato in “Tutte le tue bugie.” Ho immaginato che, come oggi, anche allora le navi vichinghe avessero un nome femminile.
S.

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Capitolo 3
*** A mali estremi, estremi rimedi ***


A mali estremi, estremi rimedi

 

“Un Solstizio bellissimo, Sigyn cara, bravissima: invitare Thor è stata un’idea davvero graziosa.”

 

Sedute nell’ampio soggiorno del palazzo del dio degli inganni, Freya e la nipote ricamavano una serie di copertine, lenzuolini e ammennicoli vari da distribuire alle classi meno abbienti di Vanheim. Si trattava di una di quelle opere pie che facevano parte dei doveri di ogni principessa che si rispetti e che la moglie di Loki detestava con tutte le sue forze. In mezz’ora scarsa di cucito, era riuscita a pungersi circa quindici volte e ora aveva almeno otto polpastrelli fasciati. Il dio dell’inganno non aveva saputo trovare una spiegazione all’incapacità manifesta della moglie, anzi. Si era domandato come potesse Sigyn ricucire meglio le persone che un bottone. Di fronte agli scempi che creava, all’inizio aveva cercato di mentire dicendole che i suoi ricami in fondo – davvero molto in fondo – erano graziosi, ma lei a un certo punto lo aveva gelato.

“Li trovi orrendi. Chiunque abbia gli occhi giungerebbe a questa conclusione.” L’Ase si era stretto nelle spalle e aveva annuito.

 

Ma torniamo a noi: dunque, Sigyn detestava ricamare e Freya ciarlava circa la necessità di invitare più spesso il prestante dio del tuono a Vanheim. “Ma dov’è, a proposito? Non sarà ritornato ad Asgard?” domandò con finta ingenuità.

La giovane donna si punse per l’ennesima volta. “È a fare l’idiota con il fratello. Presi da soli sono gestibili, ma insieme diventano due deficienti. Conoscendoli, torneranno direttamente domani con qualche storia assurda.” E ammaccati e feriti e con gli strascichi delle loro disavventure dietro, rifletté con una certa qual nota di amarezza pensando alle ultime amene imprese, ma questo preferì non dirlo ad alta voce.

 

“Oh, suvvia Sigyn, che ti prende? Sono aitanti, giovani, belli, prestanti. Lascia che si divertano.”

“Prestanti, già: e tu lo sai bene.” Sigyn aggrottò la fronte e guardò Freya con severità. “Zia, Thor è il fratello di mio marito.”

“Adottivo,” puntualizzò quella. (1)

“Sono cresciuti insieme, hanno combattuto e giocato insieme e tu hai passato la notte con lui! È imbarazzante! Mia zia con mio cognato?” (2)

“Non mi lascio mai sfuggire un Ase quando me lo trovo di fronte, bambina: sarebbe uno spreco.” La simpatica massima venne declamata ad alta voce, sorseggiando una tazza di tè. “Quelli sanno fare bene solo due cose, combattere e…”

Sigyn mollò finalmente l’orrido ricamo e quasi saltò sulla sedia. “Eh? Che stai dicendo? Quali altri Asi hai frequentato?” C’era un dubbio che le ronzava in testa da quando aveva più o meno smesso di indossare i vestiti da bambina e che non aveva mai trovato una precisa conferma. Gli interessati glissavano e cambiavano in fretta argomento o la fissavano come se avesse detto chissà che orrida bestemmia, ma quel giorno Sigyn era certa che avrebbe scoperto la verità. Dopo una notte in compagnia del tonante, Freya era troppo in vena di chiacchiere e confidenze per trattenersi come sempre faceva. La giovane principessa mise le mani sui fianchi e le si avvicinò. L’altra fu colta da un lieve imbarazzo. Prese a tormentare uno dei ricci biondi che era sfuggito all’austera acconciatura. “Definisci frequentato,” sorrise. (3)

“Zia Freya! Hai parlato come se li collezionassi.”

“Che non sarebbe una cattiva idea,” constatò la donna ripensando alle acrobazie della notte precedente. “Beh, oltre Thor ho avuto qualcun altro, lo confesso.”

Sigyn sgranò gli occhi grigi. “Zia,” disse pronunciando ogni parola con estrema lentezza, “non mi stai mica dicendo che tu e Loki avete…”

“Odino,” si affrettò a spiegare l’altra gesticolando con le sue belle mani inanellate. “Odino aveva il suo perché, quand’era un po’ più giovane.”

La rettifica di Freya non ottenne l’effetto sperato. La nipote scosse la testa sconvolta. “Odino?! Il padre di mio marito, mio suocero? Sei andata a letto con mio suocero e mio cognato?”

 

Detta così, in effetti, la cosa pareva abbastana inquietante, ma la figlia di Njord non si scompose affatto.

“Adottivo pure questo, tesoro,” minimizzò. “E comunque la passione per gli Asi è qualcosa che, mi pare, hai ereditato tu da me. O no?”

L’inguardabile ricamo della principessa finì per terra. “Io non ho la passione per gli Asi, io ne ho sposato uno e basta.”

“Un bel colpo, te l’ho sempre detto. Rimanere incinta di Sonje è stata la cosa migliore che ti sia capitata, altrimenti non saresti riuscita a farti sposare mai,” fu l’orgogliosa risposta.

“Grazie per la fiducia.” Sigyn non era affatto sollevata, anzi. La fissava critica, con un sopracciglio sdegnosamente inarcato e un pizzico di stizza per nulla velata. “Io sono felice con Loki, ma perché devi metterla su questo piano? Non sono una derelitta che non poteva trovare di meglio e deve baciare il pavimento dove passa Lingua d’Argento. Se io ho fatto centro sposando lui, Loki ha fatto centro sposando me, te l’assicuro.”

“Oh, tesoro!” Freya l’abbracciò stretta ricorrendo a una delle tecniche che metteva sempre in atto con l’adorata nipote. “Ma certo che non poteva trovare una moglie migliore, ma il dio degli inganni ha delle qualità che si trovano raramente. Ricordatelo sempre. Fattelo dire da una che ne sa.” (4)

 

Sigyn si divincolò dalla presa della parente alzandosi di scatto e puntandole il dito fasciato contro. Aveva capito. “Ci sei stata a letto. Oh, per le Norne, quanto è durata?” esplose. Non aveva più dubbi e, in verità, aveva sempre trovato piuttosto inverosimile che sua zia si fosse lasciata scappare il dio dell’inganno, ma le erano sempre mancate le prove di quel tradimento retroattivo, ma non per questo meno schifoso.

Freya non mollò. Rimase impassibile di fronte alla furia della nipote, arrivando anzi a fronteggiarla con il suo solito piglio elegante e da gran dama. “Oh, piccina, pulcina mia adorata quanto sei gelosa! Ma via, cosa vai a pensare! Io e Loki insieme!”

“Sai zia, è strano,” ribatté Sigyn furente. “Avrai visto Odino quante volte, in vita tua? Dieci? Eppure, nonostante il poco tempo a disposizione, hai ammesso di esserci andata letto. Thor si sarà fermato a dormire qui a Vanheim non più di un paio di notti, ma nemmeno lui ti è sfuggito. Loki vive qui da anni,” sillabò con estrema lentezza, “e mi vuoi far credere che non sia mai successo niente? Credi sia cretina?”

“Appena arrivato qui era così sconvolto e arrabbiato!”

“Era furioso e meditava vendetta. Zia, ti odio!”

Una piccolissima e insignificante parte di Freya si sentì in colpa per essersi fatta trascinare dalla passione con il dio degli inganni, ma poi il ricordo della strigliata che gli aveva dato a suo tempo e della simpatica ginnastica che per un periodo troppo breve avevano consumato assieme oscurò tutto il resto.

“Sigyn, è successo quando eri bambina, per qualche mese! Si è stancato quasi subito, ama le novità. Tu avevi dodici, forse tredici anni! Neanche sapeva della tua esistenza, a momenti! Quando è iniziata tra voi, non ci frequentavamo più da un pezzo, te lo giuro! A proposito, ma quando è iniziata, tra voi?”

“Mio suocero, mio cognato e mio marito! Freya! E stavate buttando me, nel Tempio, me! Per aver avuto un solo, unico uomo!”

Sigyn era esasperata. C’era ancora qualche deficiente, a Vanheim, che la guardava dall’alto in basso perché lei si era concessa al dio dell’inganno prima che fosse pronunciato tra di loro vincolo nuziale. Alcune sue amiche d’infanzia, in totale buona fede, le avevano chiesto se non fosse stato più conveniente, per lei e la sua reputazione, inventare la storia che Loki l’avesse totalmente sedotta con qualche incanto malefico, anziché sbandierare ai quattro venti di essersene innamorata. Persino lui, il cretino, si era rivelato d’accordo con la becera opzione, ricordandole saccente quanto si fosse speso per addossarsi tutta la colpa della loro relazione. (5)

“Beh, ma io mi sono adoperata affinché quel disgraziato si prendesse le sue responsabilità. Che ci vuoi fare, cucciola? È questione di immagine, pubblicità e furbizia.”

Sigyn si muoveva avanti e indietro per la stanza, furente. Freya e Loki insieme. Respirando lentamente, si ripeté che non era una novità e che già lo sapeva. Non bastò a calmarla. “Immagine, pubblicità e furbizia,” ripeté nervosa.

 

****

 

Non servì Heimdall, per ritrovare la Laxdaela. Bastò un povero pescatore che scese al fiordo, vide la barca e pensò fosse caduta dal cielo. Il bellissimo drakkar non era in acqua e non era nemmeno sulla rena. Si trovava sul prato poco distante. Quando i due fratelli Odinson raggiunsero il luogo del misfatto, rimasero per una manciata di minuti a fissare le onde che si infrangevano pigramente sulla spiaggia e il suo albero spezzato che penzolava mesto, la polena visibilmente scheggiata.

Una guardia che era a distanza di sicurezza, riconoscendo la figura altera del dio degli inganni immobile nei pressi della nave, gli corse incautamente incontro. “Altezza! C’è un uomo nudo nel drakkar! Forse è morto!”

Loki si voltò con esasperante lentezza. Era a braccia conserte e il suo viso non lasciava trapelare nulla. Nemmeno il suo fascinosissimo sorriso laterale gli increspava le labbra, stavolta.

“Non è morto,” spiegò con un soffio. “Se fosse morto, le Norne benigne avrebbero liberato i Nove Regni da una piaga come non s’è n’è mai vista una. È vivo. È ancora vivo per tormentarci.”

“Ora capisco perché nostro padre ti scambiava sempre per lui. Vi accomuna la vostra, come dire? Capacità distruttiva, ecco.” Thor era al suo fianco e fissava l’assurdo scempio della nave incagliata nel prato senza muoversi. Infine, sospirò. “Dobbiamo andare. È nostro dovere.” (6)

Avanzarono in silenzio, lentamente: quando giunsero in prossimità della Laxdaela, Loki sfiorò con dolore gli intarsi scheggiati, le minuscole righe che a detta di Sigyn c’erano sempre state, l’indistinguibile bozzo che aveva causato Thor quando, una volta, aveva attraccato il drakkar al molo con troppa foga. Il tonante salì per primo. “Oh per le Norne, che schifo! Prestami il mantello!”

“Sei pazzo?”

Il dio degli inganni rabbrividì al solo pensiero che un suo indumento potesse toccare i gioielli di famiglia del fastidioso parente, ma nondimeno montò agilmente sul drakkar per vedere il disgustoso spettacolo di Vili ubriaco e nudo. Aveva organizzato un festino, il maledetto. Due botti di idromele erano state versate sul pregiatissimo legno del ponte, un velo femmineo giaceva accartocciato poco distante. L’Ase lo prese con la punta del pugnale e lo gettò per coprire strategicamente il parente. Poi, siccome era una persona dotata di un tatto estremo, lo svegliò con una pedata sul fianco.

“Maledetto ubriacone, cos’hai fatto?” ruggì.

 

Vili Borson si riscosse leggermente, asciugandosi la saliva che gli colava impietosamente dal labbro. Si sfregò gli occhi e si ritrovò davanti le facce livide e severe dei suoi due nipotini.

“Un giro,” spiegò grattandosi amenamente. “State diventando noiosi, voi due. Avete questo drakkar e che ci fate? Le gitarelle sul fiordo? La fai guidare a tua figlia?”

“Io ho un drakkar, Thor non ha niente,” sibilò Loki serafico. Sorrideva, ma non c’era gioia in lui. Il suo era, piuttosto, il ghigno amaro di chi sta per crollare. La bellissima nave degli Asi costruita con un solo, immenso tronco quasi millenario, orgoglio della flotta di Asgard, dono meritatissimo di quel caprone di suo fratello, era stata spiaggiata e violata da quel maledetto ubriacone che si stava ancora sfregando i gioielli di famiglia e puzzava come un secchio della spazzatura. Su quel drakkar, Sigyn si era dovuta togliere le scarpe per non rovinare il legno e così aveva dovuto fare Sonje. L’Ase si occupava personalmente di lavare e spolverare la polena decorata con un drago, lustrare le belle assi, controllare e pulire la chiglia. Una volta sua moglie aveva inavvertitamente fatto cadere un corno di idromele sul legno. Non si erano parlati per tre giorni.

La mattina del quarto, Sigyn era entrata nello studio dove lui si era sdegnosamente ritirato a dormire e gli aveva detto che il suo risentimento era irritante e fuori luogo e non ne poteva più di quella stupida barca. Loki, impassibile, si era messo a spiegarle con voce incolore tutti i passaggi necessari per creare un drakkar così bello. Esasperata dalla tiritera del marito e con una bambina di un paio d’anni che le frignava addosso, gli aveva detto una frase lapidaria. “Perché non ci metti una branda e non ci dormi pure?”

Il dio dell’inganno l’aveva trovata un’idea davvero meravigliosa, e per questo l’aveva perdonata e si era fatto perdonare invitandola nell’alcova messa a punto per l’occasione.

 

 

Ora, finché Vili era dentro la Laxdaela, Loki non poteva fare assolutamente nient’altro che sfoggiare un sorriso simile a un ringhio e sforzarsi di non impugnare i suoi leggendari coltelli perché il sangue del parente avrebbe macchiato per sempre il legno del drakkar. Bloccato dall’amara consapevolezza, l’ingannatore guardava e pensava a inenarrabili vendette trasversali e non che prevedevano il saccheggio, l’omicidio, la gogna sulla pubblica piazza e tutta un’altra serie di belle cosette.

“Beh,” disse il simpatico zio legandosi il foulard femmineo come fosse un pareo midgardiano, “il sole è già alto e io avrei un appuntamento. È stato un vero piacere, ragazzi.”

 

****

 

Era davvero una brutta giornata quella, decise Sigyn. Sonje era impazzita dietro al suo adorabile e dolcissimo ponicorno dai grandi occhioni pucciosi, che era stato ribattezzato Friffri, un nome quasi impronunciabile che era un chiaro indice delle ascendenze Vanir della piccola; il maledetto pugnale d’osso che quel maniaco di Vili aveva regalato alla bambina era pressoché introvabile e Loki, ovviamente, era disperso con suo fratello e non c’era mai quando serviva. O meglio, quasi mai. La porta d’ingresso si aprì con un tonfo e il passo nervoso e marziale dell’ingannatore risuonò tetro sulle assi di legno.

“Sigyn, Vili ha rubato la Laxdaela, l’ha schiantata in una pineta, ha rotto l’albero e l’ha violata,” fu il suo tetro annuncio detto a denti stretti.

“In che senso l’ha violata?”

“L’ha usata per sbattersi qualche compiacente donnaccia,” spiegò tra i denti. Meditava vendetta, era palese, e sul bel viso affilato spiccava un simpatico occhio nero, regalo di Vili. Se non fosse stato per Thor, che lo aveva bloccato per evitare di perdere in maniera tragica l’ennesimo parente, il dio dell’inganno avrebbe fatto pagare al figlio di Bor il suo affronto con il sangue, riesumando per l’occasione qualche antica e bella punizione scaldica. Si era dovuto accontentare di gridare maledizioni orrende mentre il fratello lo teneva fermo, invece, con suo sommo dispetto.

 

Ora, in un’altra occasione, o meglio se Sigyn non avesse scoperto che quel disgraziato del marito e sua zia avevano avuto una relazione, Loki sarebbe stato curato amorevolmente dalla sua bionda e seducente mogliettina, ma così non stava avvenendo. L’Ase intuì che qualcosa di nefasto era accaduto in sua assenza, era troppo intelligente per non accorgersene, ma finse di ignorare quella vocina martellante che gli suggeriva come fosse decisamente in pericolo.

Sigyn inarcò un sopracciglio. “Sulla nostra branda?”

“Sulla nostra branda.”

“Brucia tutto, per carità,” sibilò la donna con un gesto rapido della mano.

“L’ho già fatto.”

“Io ho un problema più serio della Laxdaela. Mia nonna è sparita,” annunciò Sigyn. Era sempre molto paziente, tollerante e carina con suo marito, questo era vero, ma c’erano delle occasioni in cui aveva bisogno che lui la ascoltasse, la seguisse nei suoi ragionamenti e, soprattutto, facesse ciò che lei gli diceva. Per le cose importanti Loki doveva esserci, anche su questo si reggeva il precario equilibrio del loro matrimonio.

“Sarà a cercare radici e intrugli nel bosco,” minimizzò l’Ase. Andare a caccia di Ullfriaehdkkeh era la cosa che desiderava fare meno di tutte in assoluto, seconda solo a fare le spugnature a quel maledetto ubriacone sfascia drakkar di Vili che, per inciso, doveva morire nel più lento e tremendo dei modi.

“Trovala Loki. Vai da Heimdall e fatti dire dov’è.” Il tono di Sigyn era spaventosamente incolore.

“Da Heimdall… non ce n’è bisogno, credo.”

“…Cos’hai fatto, Loki?”

“Cosa dovrei aver fatto?” L’attacco è la miglior difesa, ricordò il dio degli inganni. “Senti Sigyn, non ho davvero tempo di cercare quella vecchia pazza scriteriata di tua nonna e seguirla nelle sue esplorazioni bucoliche. Il drakkar è da riparare, da rimettere in acqua e…”

“Loki Laufeyson, sei andato a letto con mia zia.”

 

Continua…

 

 

L’angolo di Shilyss

Caro Lettore,

Vuoi più Shilyss nella tua vita?

Ogni settimana ti domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i fondi del caffè o le Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?

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Ebbene, forse ho un presente per te. Shilyss approda sui social. Vinci la timidezza e seguimi in questo magico mondo delirante ricco di avventure! Potrai avere accesso a contenuti inediti e specialihttps://www.facebook.com/Shilyss/

Nel frattempo, voglio ringraziare di CUORE quanti seguono, ricordano e preferiscono questa storiellina senza pretese. Grazie, lo faccio per voi. Se vorrete continuare a nutrire la dolce Fatina io ve ne sarò grata perché una storia recensita è una storia felice. Friffri è il nome del mio adorato cavallo a dondolo che, ovviamente, non posseggo più. La Laxadaela è una mia invenzione. Il nome è rubato da una saga islandese edita da Iperborea che ha il medesimo nome, ma tutta la storia che ci gira intorno è invenzione mia, così come i Vanir intesi in questa maniera.

 

1 La battuta che specifica il fratello adottivo è mutuata da The Avengers e Thor: Ragnarok, ovviamente.

2 La battuta di Sigyn è un omaggio di quella che Thor rivolge a Loki in The Avengers.

3 La battuta di Freya è un omaggio di quella che Loki rivolge a Frigga in Dark World.

4 Il genere comico mi consente di calcare su determinati aspetti, nevvero, ma Freya nella Lokasenna (il testo scaldico con protagonista Loki, tradotto come Gli insulti di Loki, attribuisce a svela comportamenti piuttosto liberali (e libertini): Il dio dell’inganno sostiene infatti che “non c’è uomo, elfo o dio con cui tu non sia stata,” attribuendosi, di fatto, l’ennesima liaison.

5 Questa storia è raccontata nella mia prima fic, Tutte le tue bugie.

6 Come si evince sia nel capitolo 1 di Oltre l’inganno sia in Tutte le tue bugie.

Per i prossimi aggiornamenti, visitate la pagina fb…

 

Shilyss

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Capitolo 4
*** Le relazioni pericolose ***


Le relazioni pericolose

 

“Ma figurati!” L’Ase rispose meccanicamente, regalandole un ghigno affascinante dei suoi, ma la bionda Vanir parve non apprezzare particolarmente la battuta, che riconobbe come falsa peggio di una moneta da tre euro.

“Stai mentendo a me?” Scandì ogni parola con estrema, terrificante lentezza. Sigyn era una mogliettina adorabile, comprensiva, affettuosa e intelligente, ma non amava essere presa in giro dal suo affascinante maritino. Le domande retoriche erano un chiaro e inequivocabile segnale d’allarme in tal senso. Loki ne era perfettamente a conoscenza, ma quello che lo fregava, facendolo precipitare puntualmente in una marea di casini da cui spesso Thor doveva tirarlo fuori non senza qualche colorita imprecazione, era il suo maledetto orgoglio. Era così pieno di sé, così convinto della propria mente brillante e certo della stupidità altrui, da prendere sottogamba alcune questioni che avrebbe dovuto affrontare con un pizzico di tracotanza in meno. Ecco perché non resistette all’impulso di fare sfoggio delle proprie qualità. A sua difesa va detto che sdilinquirsi in una patetica menzogna sarebbe stato indegno, ma noi siamo convinti che ci sia modo e modo di dire le cose – e forse anche Sigyn è della nostra opinione.

“Sono il dio dell’inganno. Io mento e… sorpresa! Inganno.” Bisogna proprio dirlo. I Nani erano creature taciturne e simpatiche quanto una multa della municipale, ma a raddrizzare i denti erano dei maestri. Lo splendente sorriso di Loki illuminò la sala, stupì per un nanosecondo Sigyn, ma non lo salvò dalla tempesta.

“Freya ha confessato.”

Freya. Non zia. Nella mente di Loki non suonò un campanello d’allarme, ma direttamente l’olifante per ritirare le truppe, un lai di morte. Era gelosa, la sua biondissima sposina. Quando erano amanti clandestini, l’aveva stuzzicata abbastanza da sapere che la principessa Vanir era gentile e tollerante fino a un certo punto, oltrepassato il quale scattavano, nell’ordine, la rappresaglia e la tragedia. Certo, direte voi, il dio dell’inganno non può cedere al terrore di fronte a una donnina esile e fragile come Sigyn: non stiamo certo parlando di Thanos, eppure, signori Lettori, vi invito a considerare le ben poche alternative che aveva a sua disposizione il nostro altrimenti sempre scaltro Loki. Privo della Laxdaela, con una reliquia che scottava nascosta in qualche pertugio e Thor che girava liberamente per casa, il dio dell’inganno aveva bisogno più che mai che lei non lo esiliasse dal loro talamo proprio in quei tragici giorni.

“Molto tempo fa,” confessò con un’alzata di spalle, come se la cosa non significasse assolutamente niente.  

“Passerò il resto della mia esistenza a immaginarvi insieme,” soffiò lei con un filo di voce. “Trova mia nonna, Loki. E, finché non lo hai fatto, non tornare.”

Fu allora, esattamente allora, che Loki sbagliò. Da fiero e sbruffone Ase qual era, incrociò le mani dietro la schiena e proruppe in una frase tragicamente esatta, ma dalle conseguenze nefaste. “Ok, io e Freya ci siamo divertiti parecchio, ma sai quand’è successo, piccola Vanir petulante? Te lo ripeto, molto, molto tempo fa, per le Norne, quando tu non eri che una bambina lagnosa con le trecce. Non vale come tradimento, lo capisci?!”

“Quando ero una bambina lagnosa,” ripeté Sigyn con spaventosa calma. “E gli altri ragazzini mi prendevano in giro. Mentre mi tiravano le trecce, tu facevi con lei le cose che fai con me.”

L’Ase non se la sentì di smentirla, perché la fantasia di Freya toccava vette sorprendenti persino i canoni di Asgard, ma lentamente iniziò a capire il punto dove voleva arrivare a parare la sua mogliettina: Freya era sempre stata lodata e ammirata per la sua sfacciata e insindacabile bellezza, mentre Sigyn, la dea della fedeltà, era stata per lungo tempo la classica bimbetta bruttina che era decisamente migliorata con il tempo.

Il primo ballo a cui aveva partecipato avrebbe potuto essere un totale disastro se lui, spinto dalla noia, mosso a una qualche forma di vaga pietà e sempre disponibile a ingraziarsi quel vecchio bacucco di Njord, non l’avesse trascinata al centro della sala. Il re dei Vanir, consapevole delle scarse attrattive di Sigyn, aveva apprezzato il gesto battendo le mani e qualche nobiluomo di Vanheim aveva riconosciuto che sì, la piccola nipotina non faceva parte dell’opulenta tappezzeria, anche se rispetto alla formosa zia non era proprio niente di che.

“Il tuo problema, Sigyn cara, è che con i ragazzi non ci hai mai saputo fare. Eri insicura e goffa. Tutti lo percepivano. Ti dicevo anche allora, mi pare, che dovevi credere un po’ più in te stessa.” La sentenza di Loki giunse non tanto perché lui era un’anima nera votata all’auto sabotaggio, ma per la cattiva abitudine di voler avere sempre l’ultima parola.

 

È così che il nostro affascinante e sempre molto figo dio dell’inganno dalla lingua decisamente troppo lunga si ritrovò a dover dividere la camera con il fratello, così come vi è stato narrato nel capitolo 1 di questa delirante storiella. Dopo aver finito il lungo turpiloquio, Loki Odinson o Laufeyson o come cavolo l’aveva registrato l’Agenzia delle Entrate di Asgard, s’appuntò mentalmente i nomi di tutte le più malfamate bettole di Vanheim. Da lì avrebbero iniziato la tediosa ricerca del maledetto zio Vili, considerato la miccia che aveva innescato una reazione a catena tanto funesta.

Il furbo Ase srotolò sul tavolo unticcio della pensioncina in cui s’era rifugiato la mappa dov’erano contrassegnati i locali dove avrebbe condotto suo fratello. Una smorfia schifata gli attraversava il bel viso affilato.

“Quando hai preparato questa… cosa?” domandò perplesso il re degli Æsir.

“Freyr ha una fidanzata in ogni locale o giù di lì,” spiegò laconico l’ingannatore. “Era mia abitudine andarlo a raccattare quando si ubriacava troppo.” aggiunse pieno di sussiego.

Thor afferrò il corno d’idromele – caldo e di qualità pessima – che Loki aveva sorseggiato un momento prima non senza sfoggiare una smorfia schifata ingollandone beato tutto il contenuto. “E da dove spunta tanta gentilezza?”

“Da nessuna parte. Lo ricattavo. Suo padre non avrebbe mai visto di buon occhio le sue scelte. A me non poteva fregare davvero di meno chi frequentasse, come, quando o perché, ma qualcuno doveva pur versare qualcosa per il mio disturbo.”

Thor annuì, stravaccandosi sulla sedia mezza zoppa gentilmente offerta dalla locanda e certo del fatto che ora il suo prolisso fratello avrebbe sfogato parte della sua repressione raccontandogli i ridenti anni in cui covava rancore verso Asgard e passava le sue giornate a risollevare il PIL di Vanheim. Consapevole del fatto che l’unico modo per zittirlo sarebbe stato prenderlo a martellate sui denti o imbavagliarlo e legarlo e conscio che tanto, prima o poi, si sarebbe ristabilito o liberato, annuì in attesa che l’altro raccontasse. Cosa che, naturalmente fece.

“Tu non immagini quanto sia snervante essere interrotti nel bel mezzo della redazione di un trattato o di un appuntamento galante da un servitore balbettante e incapace di spiegare i concetti in maniera chiara e precisa una sera sì e l’altra pure. Certe notti mi toccava prima sorbirmi Njord, poi tranquillizzare Freya, quindi finire di lavorare affinché questo regno non precipitasse nell’anarchia, impedire a Sigyn di fare sciocchezze e…” si interruppe, tirando su col suo regale e drittissimo naso. “Senti anche tu questo fetore simile al formaggio andato a male? Maledizione, Thor, rimettiti immediatamente quegli stivali!”

Thor, invece che obbedire, valutò fosse più utile e proficuo immergersi nella tinozza non troppo pulita che giaceva nella zona della stanza adibita a bagno e divisa da un separé traballante.

“Che sciocchezze faceva Sigyn!?” domandò dopo che si fu immerso, perché di sentire la commovente storia di suo fratello che bussava a ogni topaia in cerca di un Freyr tanto ubriaco da vomitarsi addosso non aveva la benché minima voglia. Conosceva i metodi di suo fratello e aveva dimestichezza anche con le bettole e non era difficile capire in che modo Loki fosse diventato il maggior contribuente di Vanheim.

“Sigyn era la principessina delle cause perse,” sibilò l’ingannatore tra i denti. C’era stata quella volta in cui, per far scappare una sua domestica da Vanheim non aveva trovato niente di meglio da fare che cercare di impegnare i suoi gioielli[1], per esempio, o quando si incaponiva per cambiare qualche consuetudine vecchia come il cucco o proteggere qualche banda di diseredati. Thor ascoltava suo fratello suo malgrado, lasciando che l’altro si sfogasse e arrivasse al punto: raccontare gli slanci civici della mogliettina, alla fine, era un modo contorto e subdolo per elogiare una volta di più sé stesso. Certo, l’affare dei gioielli al tempo doveva avergli fatto andare il sangue al cervello, dedusse il tonante. S’immaginò la scena – Loki che sbiancava riconoscendo i preziosi, che entrava nella bottega del losco rigattiere facendogli vivere il quarto d’ora più brutto della sua vita, che estorceva bellamente qualche favore o oggetto luccicante per il disturbo di dovergli rivolgere la parola e, infine, immaginò la colorita e fantasiosa sequela di minacce con cui si era accomiatato. Tutto nella norma, insomma, tranne che per un particolare divertente.

“Certo che per Sigyn ti sei preso una sbandata epocale, fratello. Riconoscere gioielli che non metteva da anni…”

Se Loki avesse potuto incenerire con lo sguardo il separé e quell’idiota del fratello ancora in ammollo nella tinozza, lo avrebbe fatto. “Si tratta di spirito d’osservazione, intelligenza e memoria,” sibilò scandendo con lentezza ogni sillaba.

Thor uscì dalla tinozza ridacchiando, ma non volle infierire ulteriormente. S’accomiatò dal fratello augurandogli una serena notte e stendendosi sul pavimento lercio. Che Loki approfittasse pure del letto, illudendosi di uscirne indenne: glielo cedeva ben volentieri – le pulci che infestavano cuscino e materasso avrebbero senz’altro apprezzato il loro elegante ospite, quella notte. Tempo due minuti e s’addormentò come un sasso, allietando il dio degli inganni con un concerto del proprio naso. Infastidito dal prurito per i morsi dei parassiti e dal russare orrendo di Thor – non per niente era il dio del tuono, Loki maledisse una volta di più zio Vili. Lo attendeva una lunga, lunghissima, estenuante notte.

***

“Loki, chiariscimi un concetto. Tu possiedi mezza Vanheim. Palazzi, ville, terre, laghi, miniere. La tua dichiarazione dei redditi è più alta di quella di Njord e Freya messi insieme, giusto?”

Naturalmente.”

“Ecco, allora mi spieghi per quale motivo abbiamo dormito in questo schifo di bettola anziché andare, che ne so, nella tua casa al mare, in montagna, nel tuo capanno da caccia o nella rimessa della Laxdaela? Saremmo stati meglio. Anche in mezzo a un bosco infestato da troll saremmo stati meglio. Soprattutto tu.”

Loki arricciò il naso e si guardò nell’ovale annerito che un tempo era stato uno specchio. A un certo punto, nel cuore di quell’orribile notte, si era alzato per prendere a calci Thor nel disperato tentativo di farlo smettere di russare. Il tonante si era risvegliato quel tanto che bastava per difendersi col Mjollnir e stordire il fratello, per poi rimettersi a ronfare cambiando semplicemente il ritmo del proprio leggerissimo respiro. L’ingannatore valutò il proprio occhio nero alla luce smorta di quell’alba che preannunciava un giorno orribile.

“Le mie lussuose proprietà sono affittate affinché i miei forzieri si riempiano ulteriormente. Quelle di cui dispongo, però, sono protette da delle rune segrete,” spiegò con una certa riluttanza.

A Thor quella spiegazione fece abbastanza schifo. “E quindi?”

“E quindi,” rispose Loki con scocciato sussiego, “ho dimenticato nel mio palazzo principale, dove ci sono mia moglie e mia figlia, la pergamena tascabile con le suddette rune segrete.”

“Tu hai una pergamena tascabile dove segni le rune che ti consentono di aprire le tue case?? Non le sai a memoria?”

Loki lo gelò con lo sguardo. “Le scrivo proprio per non doverle imparare a memoria, no??”

Chiarito questo fondamentale passaggio di trama, i due fratelli lasciarono la bettola più in fretta che poterono, contravvenendo all’antico adagio degli Æsir secondo cui la colazione era il pasto più importante della giornata. S’incamminarono per i peggiori vicoli della capitale di Vanheim con lo stomaco che brontolava, sperando di rintracciare Vili e di iniziare a cercare la venerabile Ullfriaehdkkeh, di professione mistica, nonna di Sigyn ed elemento necessario affinché quest’ultima riaccogliesse il dio dell’inganno nella sua lussuosa, confortevole e soprattutto pulita casa.

Non lo vedevano da quando, solo il giorno prima, lo avevano rinvenuto nudo e ancora sotto gli effetti di una colossale sbronza sullo splendido drakkar di Loki, da cui se l’era squagliata prima che l’ingannatore potesse dimostrare allo zio quanto il suo animo fosse naturalmente incline al perdono e alla clemenza, ma nutrivano delle speranze sul fatto che presto avrebbero trovato il buco in cui si era nascosto. Una volta scovato, Loki aveva una serie di ideuzze niente male su quali leve tirare per convincerlo a collaborare nel ritrovare Ullfriaehdkkeh. Occorre dire che fu meno facile di quanto pensassero e che il censimento di Loki non era completo. Scoprì che gli erano sfuggite due o tre topaie illegali. Fu in una di queste, la terzultima della loro lista riveduta e corretta, che trovarono Vili. Non ebbero la fortuna di trovarlo vestito neanche questa volta, ma anche se è difficile crederlo non fu questa la cosa peggiore, no.

Vili Borson era sveglio e, strano a dirsi, sobrio. Stava pranzando a letto con delle succulente teste di pesce innaffiate da un vinello Vanir niente male – aveva personalmente suggerito al cuoco della fetida locanda la ricetta – e banchettava con quella che presentò agli esterrefatti e affamati nipoti come la sua novella sposa.

“Non so se a questo punto rientrerai mai a casa, fratello,” mormorò Thor poggiandogli una mano sulla spalla. “Ma sai che vuol dire questo? Che passerà tutte le festività con te.”

Loki non rispose immediatamente. Fissò il novello sposo ringraziando mentalmente le Norne che fosse coperto dalla vita in giù col lenzuolo e che esibisse solo il petto villoso, si ostinò nel non fissare nonna Ufa, i cui lunghissimi e nivei capelli fungevano da provvidenziale scialle e si rivolse alla neo acquisita prozia con una voce incolore.

“Ullfriaehdkkeh, ha davvero sposato quest’ubriacone maledetto?”

La mistica sorrise. “Zoki caro,” soffiò con la sua voce bassa e cantilenante, “sei il primo della famiglia a farci gli auguri! Gradisci due deliziose teste di pesce?”

 

Continua, purtroppo per Loki

 

L’angolo di Shilyss

Care e cari,

Arieccomi. Si dice che la via che conduca all’inferno sia costellata di buoni propositi – o era buone intenzioni? Beh, fa lo stesso. A ogni modo non aggiorno questa storia dal 15/07/2018 – mi manca aggiornare e scrivere come allora, tanto. E non è per mancanza d’ispirazione che non lo faccio. Tanta gente negli anni mi ha chiesto di portare avanti questa storia e io, in numerose occasioni, ho pensato e immaginato e desiderato proseguirla, ma niente. Poi tra ieri e oggi ho scritto questo capitolo, che vi pubblico praticamente così, con una rilettura veloce e basta. Dovrei finire Accordo e Confessioni (cosa che sto facendo, soprattutto il primo ha bisogno di una veloce rilettura perché detesto le incoerenze e il momento è complicato), Scintille e Giochi… e anche creare qualcos’altro, naturalmente.

Il fatto è che mi è impossibile scrivere una sola storia e portare avanti solo quella, è un meccanismo che anziché focalizzare la mia produttività ammazza la creatività. Spero di risolvere questo annoso problema, perché Sigyn e Loki sono un pezzo di me da tanto tempo e rappresentano un rifugio felice.

 

Io non so se qualcuno del tempo che fu è rimasto o se questa storiella guadagnerà nuovi lettori, ma spero che vi piaccia e che vi diverta. E se volete sapere che fine ho fatto, sbirciate la mia pagina facebook (la trovate nella bio) e scrivetemi pure lì.

 

Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: sono piccole cose, ne convengo, ma danno più di quanto crediate e so’ pure gratis XD. A parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

 

A presto,

Shilyss



[1] Come nel capitolo 5 di Tutte le tue bugie, che è la mia prima long, ma è tanto bellina a mio parere: datele un’occhiata!

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Capitolo 5
*** Il tempismo, questo sconosciuto ***


Il tempismo, questo sconosciuto

Riprende, purtroppo per Loki
Il primissimo impulso del bel Loki di Asgard fu quello di ignorare l’acquolina in bocca che gli provocavano quelle squisite teste di pesce croccanti al punto giusto e di chiudere gli occhi e la porta di fronte a quello spettacolo sinceramente brutto e parecchio imbarazzante. Gli si pararono davanti tutta una serie di eventi a cui quel pecoraro maledetto di Vili avrebbe partecipato, perché a Vanheim nessuno lavorava a parte lui, che era nato per essere re e per aumentare di almeno un punto percentuale il PIL. In quel regno di fricchettoni, midgardianiamente parlando, si festeggiava anche la qualunque e quel vecchiaccio di Njord era capacissimo di indire una giornata di riposo collettivo anche in onore del fatto che si era (finalmente) tagliato le unghie. Ecco un’altra immagine che avrebbe voluto lavare via dalla propria testa con l’aceto, pensò, perché non si creda che gli Æsir erano degli zozzoni, tutt’altro. Era prassi che si facessero tutti il bagno almeno una volta a settimana. Poi, ovviamente, l’eccezione c’era sempre – ogni riferimento a Vili è puramente casuale – ma il dio dell’inganno sapeva bene come, a questo mondo, il bastone faceva lo stregone, simpatico modo di dire norreno.

Loki non aveva però tenuto conto che Thor era un pozzo senza fondo e che quando si trattava di mangiare (e di mangiare le succulente teste di pesce, poi), non guardava in faccia nessuno e dimenticava la dignità. La sua già traballante dignità. Il tonante quindi riaprì la porta, abbracciò calorosamente lo zio e la nuova zia acquisita, accettando di buon grado l’idromele e il brunch che l’accompagnava.
“Cosa fai, deficiente??” sibilò Loki inorridito, osservando il fratello e la sua irritante capacità di vedere sempre il corno mezzo pieno.
L’altro alzò le spalle. “Che ti sembra? Faccio colazione,” bofonchiò a bocca piena. “Sbrigati, o non te ne lascerò nemmeno mezza!”

Loki Laufeyson o Odinson, le cartelle dell’Agenzia delle Entrate facevano ancora molta confusione su questo punto, assottigliò gli occhi, reprimendo con una certa fatica l’impulso di lanciare un’incudine o direttamente la porta contro Thor, non tanto perché volesse evitare di causare del male fisico all’altro, ma per la puntuale consapevolezza che, dopo il colpo, il primo figlio di Odino lo avrebbe malmenato di rimando. Quindi inspirò ed espirò lentamente e, come sempre, decise di attuare il piano più banale di tutte, quello che Loki aveva collaudato la prima volta più o meno durante la fase della lallazione. Raggirare quel caprone ingordo in modo tale da piegarlo al suo volere. Il lettore non deve pensare che Loki Odinson o Laufeyson, in quest’ambiguità Loki ci sguazzava e i vigili urbani non ci si raccapezzavano, provasse piacere a ingannare così suo fratello. Thor si lasciava manipolare con una facilità esasperante. Era più semplice intortare lui che la sua adorabile figlioletta quattrenne, per dire. Sonje, al contrario dello zio aveva capito piuttosto velocemente le strategie malefiche del suo affascinante papà.

“Vili si è sposato con Ufa! Sigyn non ne sarà felice!” sibilò.
Thor annuì e gli diede una manata sulla schiena. “Ma tutta Asgard sì, fratellino,” annunciò staccando con un morso una delle ultime teste. “Penso che vivrete benissimo qui, nella fertile Vanheim. Insieme. Vi verrò a trovare ancora più spesso, giuro!”
Di fronte a questa commovente promessa, Loki dimostrò una volta di più la sua somiglianza col fu Odino Borson sfogandosi con un urlo inarticolato e belluino, talmente tanto disperato e carico d’odio che fu avvertito anche nello studio del guardone dei Nove Regni, Heimdall.

Udendolo, il custode del Bifrost e dio della viabilità di Asgard rifletté amabilmente su due impellenti questioni: la prima, che quella disgrazia ambulante di Loki non doveva per nessun motivo tornare a vivere con gli Æsir; la seconda, che non aveva ancora capito cosa diamine avesse rubato quel figlio d’uno Jotunn di liberi costumi durante la sua rapida visitina a casa di mamma e papà. Non aveva preso nessuna delle reliquie di Odino, né le armi incantate o i libri di magia proibita né, tanto meno, le scorte di cereali di cui Thor andava particolarmente ghiotto. A Loki non fregava niente dei cereali. Li rubava al fratello per dispetto, punto. La mattina, lui faceva colazione con tutt’altro – Heimdall era abbastanza certo di ricordare che ingurgitava ettolitri di una bevanda nera d’importazione, coltivata dagli Elfi o dai Nani, piuttosto amara e rigorosamente senza zucchero, cui accostava i famosi dolcetti al miele di Vanheim. A detta di molti, erano l’unica cosa commestibile che la sua biondissima mogliettina sapesse cucinare. Ma i cereali erano lì dove dovevano stare e così tutte le cose preziose e/o pericolose conservate nel palazzo di Asgard. Dunque, che cos’era fregato quel disgraziato semina guai? Nel tentativo di venire a capo di quel mistero, il povero Heimdall s’improvvisò persino svuota cantine e andò a rovistare nei sotterranei del palazzo. Lì, in mezzo alle varie stramberie accumulato nei secoli dalla Bor buonanima e Odino pace all’anima sua, rintracciò persino una scatola che conteneva il vecchio baffo di Loki. Sì, parliamo proprio dell’orribile strumento di tortura inventato e montato da un dentista Nanico con una spiccata propensione all’imprecazione libera, l’oggetto responsabile del sorriso smagliante e seducente di Loki.

“Ma tu guarda se dobbiamo tenere in cantina pure ‘sto schifo,” bofonchiò il guardiano, ripromettendosi di buttare quella ferraglia al primo cassonetto. Ma poi, mentre si puliva la mano sui pantaloni, notò qualcosa. Sul momento non lo riconobbe, o meglio, non capì che cosa stava guardando, un po’ come era avvenuto quando aveva aperto la scatola con l’apparecchio per i denti di Loki e si era trovato davanti un groviglio orribile di fili metallici, ma poi comprese esattamente che cosa stava fissando ed ebbe una chiara visione dei progetti di quel mentecatto maledetto di Loki.

Abbastanza lontano da Asgard, ma non troppo, come il dio dell’inganno presto avrebbe ricordato a proprie spese, il nostro affascinante antieroe era quasi riuscito a convincere suo fratello, il nobile e sempre affamato Thor, a schierarsi dalla sua parte nel tentativo di annullare le nozze tra Vili e Ufa. Aveva iniziato col dire che c’era qualcosa di profondamente sbagliato e pure un po’ immorale, nel fatto che la famiglia reale di Asgard si stesse avvitando su sé stessa insieme a quella di Vanheim. Questa era stata la sua tesi iniziale. Sia Vili che Thor, tuttavia, gli avevano fatto notare che lui, alla fine, era stato adottato e che con la schiatta di Odino c’entrava fino a un certo punto. Il dio del tuono soprattutto puntualizzò questo aspetto con un certo risentimento, perché insieme al sangue del fu Padre Tutto e al trono di Asgard aveva ereditato anche la tendenza ad appesantirsi sul girovita.

“Prova a mangiare meno teste di pesce,” suggerì Loki, caustico e maligno.
Thor non se la prese. Conosceva quella disgrazia ambulante di suo fratello da quando aveva iniziato a muovere i primi passi e sapeva benissimo che la sua cattiveria derivava da una dose di genuina invidia.
“Capisco il tuo punto di vista,” concesse dopo aver spazzolato il suo brunch e aver innaffiato la gola con un bel goccio di idromele. “E, in effetti, guardarli è sinceramente inquietante. Credi che l’abbia drogata con qualche intruglio?”
Loki strinse le labbra. “Temo sia più probabile che lei abbia drogato lui.”
Il dio del tuono annuì e stava per concedere il proprio aiuto al fratello – almeno così il nostro buon figlio d’una gigantessa credeva fermamente, quando il portale del Bifrost si spalancò di fronte a loro costringendolo a esclamare tutt’altra frase.
“Heimdall! Qual buon vento!”
“Già, qual buon vento,” gli fece eco Loki a denti stretti.
Il guardiano si piantò di fronte all’ingannatore puntandogli contro un dito accusatore. “Tu! Tu, piaga malefica, sventura su due gambe, odioso tra tutti gli Æsir! So cos’hai fatto!”
“Cos’ha fatto, stavolta?”
Loki si strinse nelle spalle. “Io non ho fatto niente,” disse candidamente. “Loro hanno fatto e consumato, e questo è davvero orribile.”
Heimdall gettò un’occhiata a Vili e Ufa che, intenti a tubare come due colombi, sembravano non aver fatto caso alla sua improvvisa venuta. Cosa tra l’altro probabilmente vera, pensò Loki, perché erano tutti e due un po’ duri d’orecchie.
“Perché mai orribile? L’amore non conosce età, deficiente. Sono una bella coppia, invece,” sentenziò il guardiano del Bifrost. “Bellissima!”
Aveva degli interessi personali che lo spingevano a caldeggiare il matrimonio di Vili Borson. Il fratello di Odino era una maledetta spina nel fianco, solo di poco meno fastidiosa di Loki stesso. Nella sua mente, Heimdall pensò che Vanheim era diventato, per lui, il corrispettivo del paese in cui mandava a mani levate tutti i suoi personali nemici. Un luogo ideale lontano dalla sua persona, dove gli scocciatori si stavano radunando a uno a uno. Prima Loki, poi quell’ubriacone di Vili. La vita gli sorrideva, finalmente, le Norne erano favorevoli, gli usignoli cantavano sui rami degli alberi (o, almeno, così gli pareva). Scoppiò a ridere senza neanche accorgersene, tanto che, per un momento, dimenticò la questione per cui aveva lasciato Asgard.
“Ma che gli prende, è pazzo!? Sarà il caso di abbatterlo, prima che faccia danni,” suggerì Loki a suo fratello.
Thor scosse la testa. Era abituato alle soluzioni drastiche del dio dell’inganno. “È il troppo stress, però, ora che mi ci fai pensare, avrebbe bisogno di una vacanza.”
“Una lunga vacanza, sì, in un posto circondato da un alto muro di cinta e chiuso da lingue di fuoco.” La fantasia di Loki si era scatenata andando forse un pochino oltre il seminato, dato che il tonante gli scoccò un’occhiataccia di rimprovero. Le lingue di fuoco erano un tantino eccessive.
Ma Loki figlio di Odino amava gli eccessi e i mirabolanti effetti pirotecnici, proteggeva le arti e le scienze, collezionava testi rari, disegnava linee d’abbigliamento e di drakkar, finanziava la ricerca, si occupava dell’import/export di Vanheim, patrocinava il concorso che premiava ogni anno il miglior allevatore di cavalli e, insieme a Thor, quello per il caprone più bello, gestiva la difesa dei Vanir e imprendeva in una serie di altre attività che non hanno assolutamente nulla a che fare con il capitolo, avendo il solo e chiaro scopo di tributare Loki stesso, un uomo bello, affascinante e dalle moltissime virtù, come ben sappiamo, ma non esente da qualche insignificante difettuccio, come quel breve attacco di cleptomania che lo aveva spinto a trafugare un piccolo e insignificante oggetto.

Heimdall smise di ridere e riacquistò il suo contegno. “Tuo fratello,” disse a Thor, “ha compiuto un’azione gravissima. Nella sua ultima visita ha rubato un prezioso oggetto magico che tuo padre e tuo nonno custodivano gelosamente!”
Thor lanciò un’occhiata esasperata all’ingannatore. “Loki, ma insomma!”
“È colpa tua, almeno in parte, fratello. Tu hai portato a casa mia Vili, che si è dimenticato di dirmi che il regalo per il Solstizio che avevo fatto a Sigyn non era stato consegnato, mettendomi in una spiacevolissima situazione. Per questo, carico di stress, sono corso ad Asgard a prendere qualcosa di degno dai gioielli di mamma.”
Thor effettivamente si sentiva un po’ colpevole per il disguido, ma ragionò anche sul fatto che qualsiasi cosa Loki si fosse intascato non dovesse essere tanto pericolosa. I Nove Regni erano ancora lì, tutti integri. Certo, Heimdall sembrava furibondo, ma Heimdall era sempre furibondo con Loki perché era di natura rancorosa. Loki tutto era fuorché facile da gestire, vero, ma spesso i suoi scherzi erano innocui. Non sempre, certo, soprattutto perché a volte anche gli scherzi innocui prendevano pieghe tragiche – o tragicomiche, ma, oggettivamente, Heimdall a volte esagerava e nell’ultimo periodo era un po’ stressato. Questo giudizio forse un po’ frettoloso e superficiale di Thor non deve sorprenderci, del resto. Il dio del tuono abbracciava la filosofia del Mjollnir, che consisteva più o meno in questo: qualsiasi problema poteva risolversi con una martellata bene assestata. Se c’era Loki di mezzo, magari le martellate potevano diventare due o tre, ma come diceva Odino quando eccedeva con i cicchetti di idromele, la famiglia non te la scegli e ognuno di noi ha i suoi difetti e perlomeno Loki quando si sfilava gli stivali non faceva appassire le piante, cosa che succedeva abbastanza spesso quando zio Vili si metteva in libertà. E poi la fiera per il caprone più bello si sarebbe tenuta di lì a una settimana circa e Thor adorava quest’appuntamento annuale. Suo fratello aveva tanti squilibri, è vero, ma gli piaceva brindare col miglior idromele ed era un giudice severo nella decisione su quale bestia dovesse ricevere l’ambito premio Miglior Caprone dell’Anno. Giudizio su cui loro due erano sempre d’accordo.
“Che avrà mai preso di così fatalmente importante, su! Siamo ancora tutti qui, vivi!” specificò con un largo sorriso.
A Heimdall quella risposta non piacque per niente, come non gradì lo sghignazzo malefico, a stento trattenuto, di Loki. “Non lo diresti, se sapessi cos’ha preso.”
Thor cominciò a spazientirsi. “Che sarebbe…”
Heimdall prese un gran respiro e, finalmente, svelò le fatali parole. “Il Grattaschiena dell’infinito, Thor. Il Grattaschiena dell’infinito.”
Ci fu un momento di silenzio. Un momento di pathos, si direbbe in una storia seria. Fuori si sentì un corvo gracchiare. Sia Loki che Heimdall erano in attesa di una reazione del dio del tuono alla tremenda rivelazione. L’ingannatore teneva intrecciate le braccia dietro la schiena e guardava in basso, a Heimdall tremava il labbro inferiore dall’ira e dalla preoccupazione.
“E se lo tenesse,” proruppe infine Thor. “Te lo regalo, fratello. Un impiccio in meno.”
“Fratello, la tua generosità mi riempie il cuore di gioia. Accetto con gratitudine,” rispose Loki con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Heimdall strabuzzò gli occhi. “Non stai dicendo sul serio! Tu non conosci il suo potere!” boccheggiò incredulo. “Non sai quello che fai!”
“Cosa potrà mai fare il Grattaschiena dell’infinito!?” esplose il dio del tuono. “Ho un castello pieno zeppo di ciarpame, Heimdall. Papà nell’ultimo millennio ha cominciato ad accumulare roba peggio di uno scoiattolo, proprio come nonno Bor. Il risultato? Il palazzo di Asgard è un disastro. Una discarica. Iniziamo a svuotare le cantine, tiriamo fuori tutta quella robaccia che teneva là dentro! Reliquie le chiamava lui, ma quali reliquie! Copie del guanto dell’infinito, ma che ci dobbiamo fare con le copie! L’apparecchio per i denti di Loki, ma non sarà ora di buttarlo, che schifo? E poi le dichiarazioni dei redditi che risalivano al tempo in cui io e Loki andavamo a scuola e papà aveva qualche regno in meno intestato. Ma basta! Ha una collezione di pitali, lo sapevi? No, Heimdall, non si può campare così, te lo dico io. Adesso svuotiamo tutto e anziché tenerci ‘sta robaccia inutile, ci faccio costruire una mega palestra come dico io!”
Loki, in silenzio, annuiva, ma si capiva perfettamente che si stava divertendo più di quanto fosse lecito. Le urla belluine del tonante erano riuscite a distogliere anche Vili e Ufa dal loro romantico tubare. La nonnina di Sigyn sussurrò che era favorevole al repulisti auspicato da Thor. Si confacevano perfettamente alla sua teoria, secondo cui dovremmo liberarci di quegli oggetti che non ci suggeriscono nulla di piacevole. E certamente l’apparecchio usato da un Ase adolescente non può ispirare nessuna sensazione positiva se non lo schifo e la sorpresa.
Heimdall, invece, forse era un accumulatore seriale come e quanto Odino, perché tentò con ogni mezzo di convincere il suo sovrano a non agire d’impulso.
“Thor, amico mio, il grattaschiena dell’infinito non è un oggetto da regalare a cuor leggero! È potente e utile!”
Il dio del tuono si voltò di scatto nella sua direzione. “Perché, che fa?”
“Ti consente di grattarti in ogni punto della schiena,” intervenne Loki.
La voce di Heimdall si fece bassa e grave. “Capito, Thor!? Ogni punto!”
Thor ragionò per qualche secondo sull’informazione ricevuta. Soppesò il desiderio di avere una nuova palestra alla necessità di grattarsi la schiena e alla (surreale) situazione e poi decise. Come erede di Padre Tutto e re di Asgard, era stato abituato fin dall’infanzia a prendere delle decisioni anche difficili nel tempo di un battito di ciglia.
“Te ne regalo due di questi affari, fratello.”
“Troppo magnanimo!” osservò Loki, ma si vedeva che era soddisfatto. Gli brillavano gli occhi e fu portato a pensare che quella giornata, iniziata in maniera pessima, forse avrebbe potuto riservargli qualche piacevole sorpresa. Forse.

Archiviato il problema del grattaschiena dell’infinito, restava la questione delle nozze tra Ufa e zio Vili, ma Heimdall almeno in questo aveva ragione: l’amore non ha età e Loki Odinson o Laufeyson, l’ambiguità era ben lungi dal risolversi, doveva mettere da parte il suo disgusto e, nel caso, prendere una qualche pozione per impedire che gli venisse un’ulcera.
“In fondo,” provò a convincerlo Thor, “lei ti ha detto di non tornare finché non avessi trovato la nonna. Beh, l’hai trovata.”
Loki si lasciò convincere da questa logica stringente: era esausto. Profondamente e terribilmente stanco di tutti e tutto. S’immaginò il proprio studio, sepolto dalle scartoffie che si erano accumulate durante la sua breve assenza, ripensò con fastidio alla Laxdaela violata, il suo bellissimo drakkar tutto da ripulire, meditò sulle molte trame di cui Thor era all’oscuro, ma che necessitavano del suo celere intervento e decise che sì, zio Vili era una calamità ingestibile che adesso apparteneva a quella svitata di Ullfriaehdkkeh.
Una delle tante disgrazie su cui lui non poteva intervenire, tipo le tasse, i brufoli, la ritenzione idrica e le eruzioni vulcaniche. C’erano e basta.
Dunque, parlottando tra sé e sé, s’incamminò insieme al fratello e alla coppia di novelli sposi verso la sua dimora abituale, augurandosi che la sua dolce metà fosse almeno un po’ sollevata nel rivederlo.


Se nel corso della notte appena trascorsa Loki era stato malmenato da Thor e mangiato vivo dalle pulci, a Sigyn non era andata molto meglio. Nel castello dove viveva con suo marito, naturalmente, regnavano l’igiene e la pulizia e nessun parassita era annidato nel suo letto, ma la litigata con Loki e la preoccupazione per le sorti della sua nonnina adorata le avevano impedito di dormire per più di due ore filate. Si era girata e rigirata tra le coperte maledicendo il dio dell’inganno e la sua capacità di incasinare tutto quello che toccava. Anche le cose più semplici. Poi c’era la questione Freya, naturalmente. A mente fredda, usando la logica, Sigyn sapeva che essere gelosa del turbolento e complicato passato di Loki era un atteggiamento che non tutelava la sua sanità mentale. Era ancora infuriata e trovava tutta la questione degli amanti Æsir di sua zia molto inquietante, ma a farle inviperire era stato un altro fattore: l’avevano tenuta all’oscuro per anni. Ecco cosa la rattristava. Così, un paio d’ore prima dell’alba, si era decisa finalmente ad alzarsi dal letto e a seguire uno dei suggerimenti di nonna Ufa: mettere in ordine, liberandosi del superfluo per riprendere il controllo della propria esistenza.
Così l’aveva trovata Sonje al mattino quando, in camiciola da notte e tirando per una zampa il fedele Gatto Tooh, l’animale di pezza con gli occhi a bottone dono del suo zio preferito, era comparsa sulla soglia della camera da letto.
“Mamma, quando torna papà?” domandò sfregandosi gli occhioni grigi ancora gonfi di sonno.” Voleva che Loki le insegnasse a usare quel maledetto pugnale e a cavalcare il tenero ponicorno che dormiva, beato lui, nella sua stalla riscaldata e dotata di ogni comfort. La bimba si guardò attorno aggrottando la fronte: nella stanza regnava il caos più totale. C’erano vestiti e accessori praticamente ovunque. In un’altra occasione, Sonje avrebbe supplicato la madre di farle provare tutti quegli abiti bellissimi, ma in quel momento era ancora troppo assonnata per ragionare sulle infinite possibilità offerte da quel tappeto di tessuti colorati. Le sue priorità erano la colazione e una visitina al suo dolce ponicorno.
Sigyn le scompigliò i ricci neri e le diede un bacio. “Tornerà presto con nonna Ufa,” spiegò – si augurò.
“Quanto presto?” insistette Sonje, sospettosa.
“Se ti giri, lo scoprirai,” ghignò una voce dietro di loro. Sonje urlò di gioia e corse ad abbracciare l’adoratissimo padre, sorvolando sulla sua aria stropicciata e sul leggero fetore che emanava.
Sigyn invece rimase perfettamente immobile, nella stanza messa a soqquadro.
“Ho trovato Ullfriaehdkkeh,” le disse l’ingannatore.
“Ne sono lieta,” ribatté lei, sostenuta. L’efficienza di Loki l’indispettiva un po’. Lui riusciva a essere bello e affascinante anche con un occhio pesto e l’aspetto di uno che è scivolato malamente dentro una pozza di fango, mentre in lei c’era sempre qualcosa di fuori posto, di goffo, decise. Come quando era una ragazzina impacciata e, ai balli, nessuno si degnava di notarla.
In quel momento, per esempio, nonostante lui sembrasse un vagabondo, era lei, con le maniche arrotolate in una stanza ricoperta di vestiti buttati a casaccio, che pareva una disperata. In realtà il suo modo di tranquillizzarsi creando ordine rispondeva a una delle principali massime di nonna Ufa che, nella sua profonda e infinita saggezza, sosteneva come per creare l’ordine ci volesse prima il disordine. Filosofia che anche Loki appoggiava, neanche a dirlo.
“Lei e zio Vili sono convolati a giuste nozze, Sigyn. Si amano profondamente.”
Lei impallidì. “Eh!?” sbottò.
Forse aveva dormito troppo poco. Forse aveva le allucinazioni. Magari stava sognando.
Loki ripeté la frase non una, ma due volte. Alla terza volta, raccontò per filo e per segno come lui e Thor avessero ritrovato Ullfriaehdkkeh e Vili, avendo tuttavia il buonsenso di sorvolare su nudità varie. Mentre parlava, aggrottando la fronte come aveva fatto sua figlia, osservava il caos che regnava nella stanza.
“Mi stai dicendo che tuo zio Vili è diventato il mio nonno acquisito!?” sibilò infine.
“Si amano molto,” precisò Loki. “E comunque sì. Questo ti rende una mia cugina acquisita.” Meglio dirlo subito, decise.
“Al prossimo solstizio regalerà anche a me qualche arma brutalmente affilata?”
“Temo di sì. Solo io e Thor abbiamo il privilegio di ricevere delle mutande di pelliccia.” Loki lo disse con un tono di voce a metà tra il serio e il faceto, ma, per Vili, la biancheria intima di pelo era qualcosa di sommamente chic e raffinato. Quel babbione esterofilo di Odino non tutelava mai abbastanza la rude manifattura asgardiana, frutto di generazioni di pirati e pecorari costretti a litigarsi il cibo con gli animali selvatici. Nel tempo Padre Tutto si era imborghesito, cedendo alle lusinghe delle mutande in 100% cotone o in misto seta, infiacchendo lo spirito forastico dei suoi figlioli adorati con i morbidi tessuti in fibra naturale, da molli Vanir fricchettoni, ma lui, Vili figlio di Bor, uomo duro e puro, non rigettava le antiche tradizioni, non si vergognava di essere un Ase e indossava mutande di pelliccia. Anche a Vanheim, dove in inverno le minime non andavano quasi mai sotto lo zero. Sì, zio Vili era un protettore dell’artigianato Æsir nel mondo e un suo esportatore, anche. Per quanto potesse sembrare allucinante a Loki, il cui animo corrotto si era piegato all’ideale internazionale di Odino, le mutande di pelliccia fruttavano un certo reddito a Vili, che le vendeva ad ambigui principi biondi guerrieri di altri mondi, talmente innamorati di questo comodo capo d’abbigliamento da sfoggiarli senza pantaloni.
Un brivido scosse l’inorridita Sigyn, ma prima che potesse replicare, nonna Ufa comparve sulla soglia, oltrepassò Loki e abbracciò forte sua nipote.
“Oh, Sigyn cara, dobbiamo organizzare una magnifica festa di nozze. Coki e Thor sono stati così gentili e premurosi a farci gli auguri per primi!”
“Un’altra festa!?” gemette Loki.

Continua, purtroppo per Loki...

Shilyss

L’angolo di Shilyss
Bentrovati, Cari Lettori e care Lettrici!
Alcuni riferimenti presenti in questo capitolo (il Baffo di Loki, la questione dell'oggetto rubato e la violazione del drakkar di Loki) erano cose scritte negli altri capitoli che, spero, qualcuno di voi ricorderà ancora! L'acquirente delle splendide mutande di pelo è un chiaro omaggio a He-Man (l'He-Man degli Anni Ottanta). Questo capitolo nasce dal fatto che su fb ho chiesto qualche storia volevate che aggiornassi e, a grande richiesta, incredibilmente, avete chiesto 'sta cosa qua: quindi ciò vuol dire che a) volete che aggiorni qualcosa in particolare? Chiedete (su fb o qui) e po' esse che vi sarà dato. b) siete in tanti ad amare zio Vili e Loki non vi approva per niente, sapevatelo :P
Per contattarmi non su Efp, cercate la mia pagina su FB. Anche se non la aggiorno spesso ce l’ho sempre sotto gli occhi ;)

Ringrazio di cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. ♥ Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo. A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Sempre Vostra,
Shilyss

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