Eco, vista e voce

di gigliofucsia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Caro Diario... ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Dico Buonmandate ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Pio La Zappa ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Marianne... ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Il demone d'inchiostro ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Ladri ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: o il sacchettino o la vita ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Il tempio ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Inkontracto ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Il Contratto ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Ci vedo! ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: tre bicchieri ed una moneta. ***
Capitolo 13: *** capitolo 13: il linguaggio dei sordomuti ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Pio e la fine ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Caro Diario... ***


Eco

La voce e la vista

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

15 dicembre 1548

 

Caro Diario,

Io mi chiamo Eco Rondòn, è la prima volta che ti scrivo in tutti i vent'anni della mia vita e sono molto nervoso. Qualche mese fa non avrei potuto nemmeno provandoci. Vedi; è proprio di questo che vorrei scriverti. Vorrei confidarti cosa è cambiato in un mese. So che forse non mi crederai visto quanto è incredibile; ma so che non mi negherai la tua attenzione. Sono felice di parlare con te, o meglio, di scriverti in questo caso.

 

Cominciamo. Innanzi tutto, devi conoscere il cuore del problema. Fin dalla nascita, il mio mondo era formata dalla pura oscurità. Potevo muovermi, potevo sentire le voci delle persone intorno a me, ma non vedevo altro che oscurità. Ero cieco.

Ma lo capì solo dopo un certo punto. Il punto di svolta furono le storie e i libri. Capì subito che se non avevo idea di come era fatto il mondo non potevo immaginarmi ciò che mi leggeva mia mamma davanti al camino. Adoravo quando descrivevano nel dettaglio, perché riuscivo quasi a percepirlo nelle mie mani: il suo odore, sapore ma senza vederlo. Non esisteva il concetto di colore o luce nella mia testa. Ma ciò non mi dette problemi finché non provai il desiderio di scoprirlo.

La mia curiosità mi costò cara. Nessuno al mondo, nessun dottore, nessuna strega o mago avrebbe potuto darmi la vista. Caddi in uno stato di depressione così acuto da spingermi quasi al suicidio.

 

Ti sembrerà esagerato, ma lascia che ti spieghi.

Mia mamma leggeva a me, nel tentativo di farmi piacere, libri molto descrittivi che parlavano di viaggi. Io ne rimasi così affascinato perché sapevo che tutto ciò era fuori dalle mie possibilità. Il desiderio di viaggiare e vedere il mondo nacque in me e decisi che avrei fatto il viaggiatore. Lo desideravo con tutto me stesso.

All'inizio pensavo di potercela fare anche senza vedere. Dopo capì che era molto più difficile di quel che pensavo. Mio padre voleva di cedermi l'attività di famiglia, perché non aveva nessun altro a cui dare la sua fortuna. Poteva permettersi di pagare qualcuno per aiutarmi a leggere e scrivere lettere e documenti. Anche vedendo non mi sarebbe stato facile inseguire i miei sogni. E davanti alla montagna da affrontare; cominciai a cadere in un'oscurità ancora più profonda. Non puoi immaginare cosa ho provato.

Fu a quel punto. Mia madre decise di allontanarmi da un parente distante. Non fu per cattiveria. Pensava che un cambio d'aria mi avrebbe giovato. La vera storia, inizia quando tornai; quel giorno d'estate.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Dico Buonmandate ***


Percepii l'umidità dell'aria e il gorgogliare dell'acqua e capii di essere vicino a Nib; il mio paesino di nascita. Avanzavo con un bastone poco più alto di me, in una strada di campagna piana. Sapevo che non avrei trovato grandi ostacoli, conoscevo bene quella strada. Capì che ero in prossimità del villaggio quando sentì dei rumori quasi unici nel suo genere.

Un trotterellare tranquillo. Lo strisciare di ruote sul terreno. Il cigolio delle ruote di legno e sopratutto quel campanello acuto e celestiale. Il suo suono si introduceva nelle orecchie rendendoti sordo per un istante a tutto il resto.

Lo conobbi proprio grazie a quel campanello. All'epoca, io ero poco più che un ragazzino e quello era un rumore che non avevo mai sentito. Gli chiesi cosa fosse. Me lo fece toccare e da allora, ogni volta che lo sentivo, sapevo che c'era lui nelle vicinanze.

Quei rumori si fecero sempre più nitidi. Quando seppi di averlo davanti mi fermai e chiesi:

– Dico, Sei tu? – Sapevo che era lui, nessuno aveva un campanello come il suo al villaggio.

Sentì una voce grave mormorare un verso, poi tutti i rumori si bloccarono all'improvviso.

– è da un po' che non ti vedo! – ridacchiò. Lo sentì scendere dal carro e mi voltai verso di lui.

– Ciao Dico – mormorai.

– Eco! Finalmente! Cosa mi racconti? Come è andata dallo zio? – chiese.

– bene, é stato molto gentile, mi ha anche insegnato a difendermi – raccontai, grazie a lui sono potuto tornare a casa da solo: un grande traguardo per me.

Sentì la sua voce sorpresa.

– Non mi dire! Quindi non hai bisogno di aiuto con i banditi eh? Sei venuto fin qui da solo? –

– sì, non è stato difficile, basta avere una buona memoria per le indicazioni e un certo senso dell'orientamento –

– Hai incontrato qualche malintenzionato?

– Per fortuna no, non sono una preda abbastanza appetibile sembro un poveraccio.

– si, solo un disperato cercherebbe di derubarti. Io sto andando nel paese qui vicino per fare acquisti, ora che la stagione è buona posso fare ottimi affari con gli attrezzi agricoli, torno fra qualche giorno. Mi chiedevo se fossi interessato ad acquistare il campanellino per invalidi. L'ho trovato in oriente e vanno molto di recente, lo allacci sul tuo bastone così ogni volta che le persone lo sentiranno capiranno che sei cieco e potranno darti una mano.

Anche se non sarebbe stato male, non volevo avere un etichetta che avvertisse la gente dei miei problemi, anzi più mi fingevo normale e più era sicuro perché chiunque si sarebbe approfittato di un cieco e volevo evitare combattimenti il più possibile.

– In genere il prezzo è di 20 monete ma solo per te posso vendertelo a 18 –

Io ridacchiai.

– Il solito tirchio – commentai – grazie ma non mi interessa, vorrei evitare di gridare in giro il fatto che sono un cieco idiota pronto per i ladri–

Lui ridacchio:

– Sarai non vedente ma non sei non pensante...ora devo andare, felice di averti rivisto Eco. Ci vediamo! –

Due pacche sulle spalle e lo sentii rimontare sul carro e ripartire. Non vedevo l'ora di rincontrare anche gli altri.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Pio La Zappa ***


Cominciai a sentire odore di concime, versi di animali e un certo chiacchierio. Persone che passeggiavano e bimbi che giocavano. Andando a memoria, dovevo essere nel cuore del villaggio, lo capii quando sentì odore di stufato. Era della taverna di Marianne, l'unica a Nib.

Da lì, mi diressi verso la casa di un altro vecchio amico, molto più vecchio. Presi una strada sulla sinistra, se avessi spalancato le braccia sarei riuscito a toccare i muri prima che esse se estendessero. Con il bastone sfiorai il muro a destra, ero sicuro che alla terza incavatura avrei trovato la porta di Pio La Zappa.

Bussai. Sentì un familiare cigolare dei cardini e un profumo di patate, terra e legna bruciata. Chiesi umile:

– Scusate, Pio la zappa?

Dall'altro capo venne una voce catarrosa che rispose:

– Eco, sei tu? –

Io sorrisi, anche se lui non avrebbe potuto vedermi, e risposi:

– si, sono io. Sono appena tornato e... ho pensato di farti una visita –

– Lo immaginavo! – esclamo quasi ridendo – tu sei l'unico conoscente che ha una voce così bassa, entra e dimmi tutto! –

Lui era molto più anziano di me. Era un amico di mio padre, ma nonostante l'età è sempre stato come un amico per me. Era solo in casa. Sempre stato solo da quando lo conobbi. Mi portò in una stanza calda che dall'odore di patate, sospettavo fosse la cucina.

– Cosa mi racconti? Come è andata dallo zio? –

Io cominciai a raccontare.

– Ho imparato un sacco di cose, e più andavo avanti e più volevo vedere di più. Mi sono fatto accompagnare lungo i paesini vicini, è stato davvero divertente, certe volte mi piacerebbe vedere con i miei occhi tutto.

Lo sentì assentire con un mormorio indistinto:

– Io ormai ci ho fatto l'abitudine, non so se mi sentirei a mio agio. Hai detto che sei tornato da solo, per conto tuo, come hai fatto?! –

Io mi grattai i capelli ispidi, imbarazzato, e risposi:

– Ehm... Non è stato molto difficile, mi è bastato seguire le indicazioni e stare attento a dove mettevo i piedi. Lo zio è stato molto specifico. Dalla casa in campagna a destra verso le montagne, poi al bivio sul sentiero a sinistra, se ero sulla strada giusta l'avrei capito subito dal fiume, Sentivo il suo... comunque hai capito. Basta fare attenzione all'odore dell'aria, ai rumori, seguire le indicazioni ed è fatta.

Lo sentì mugolare:

– In effetti hai sempre avuto un buon senso dell'orientamento, non ti sei perso giusto? Hai incontrato qualche bandito? –

– No, no, niente del genere... sono stato molto cauto, so riconoscere i passi di un bandito, quando mi vedono fanno di tutto per essere silenziosi ma io li sento comunque –

– Cieco ma non stupido! Meno male, sei un tipo fortunato! – esclamò – Ogni giorno viene gente che tenta di fregarmi a me, lo sai cosa è successo di recente? Un anziano è trovato morto in casa sua. Una brutta faccenda e se il prossimo fossi io? Sono pure cieco!– io ridacchiai.

Passò i restanti minuti a farmi un reso conto di tutte le notizie di cui era venuto a sapere. Quando gli chiesi delle sue patate, mi disse che gli affari andavano molto bene, come al solito. Non sapevo se la gente comprava le sue patate perché erano buone o per aiutare un vecchio cieco, ma lui era convinto di avere le patate migliori del paese.

Quando me ne andai mi raccomandò di non stare fuori di notte, perché “ci sono i ruba-grana” come diceva lui. Io lo ringraziai e mi avviai verso casa. Dalla pressione del vento e la temperatura, doveva essere tardo pomeriggio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Marianne... ***


Data l'ora decisi di tornare a casa. I miei genitori furono felici di vedermi. Ci scambiammo le informazioni. Mio padre fu molto pressante con le domande. Avevo il sospetto che non si fidasse dello zio, ma non sapevo il perché. Sembrava che volesse conoscere tutto ciò che avevo fatto per filo e per segno.
Mia madre invece voleva sapere se mi era passata la depressione e io risposi di sì ma... anche se cambiare aria mi aveva fatto bene, il mio desiderio continuava ad intensificarsi. Ma era una sensazione piacevole, come un formicolio lungo i muscoli.
Chiacchierando, arrivò la sera. Io disfai la borsa in camera mia dissi a loro che dovevo salutare Marianne prima che si facesse mattina. Questo fatto confermava a loro che mi ero ripreso, quindi non fecero storie. Inoltre, non ero più un ragazzino.
L'aria della sera mi investiva mentre camminavo lungo le strade. Era così silenzioso che sentivo i miei passi rimbombarmi nelle orecchie. La notte aveva il suo fascino. Tra mille suoni riuscivo quasi a vederla.
Quando arrivai alla piazza centrale, sentì di nuovo quell'odore di stufato, seguito da un chiacchierio allegro. Mi diressi, senza timore, in quella direzione. Non incontrai resistenza quando toccai la soglia. Entrai e il calore e l'odore di stufato mi penetrò sotto la pelle. Rimasi sulla soglia cercando di sentire la voce di Marianne. Quel posto mi confondeva le idee ogni volta: troppe voci, troppi rumori, troppi odori. Era sempre lei a venire da me. Riconobbi subito i suoi passi e la sua voce. Aveva una voce bassa, priva di esitazioni e dei passi pesanti.
– Eco! Finalmente! Ma dove sei sparito per tutti questi anni?! Vieni ti accompagno al tavolo –
con una forza che stupiva, mi afferro il braccio. La segui trotterellando. Non capì dove mi stava portando perché il bastone non toccava più a terra. Voci e odori si scambiavano intorno a me. Mi parve di passare attraverso un sentiero stretto e pieno di curve. Ad un tratto lei si fermò e mi disse di sedermi. Mi chiese cosa desideravo con una certa fretta, come se volesse chiudere la questione in fretta. Io risposi, e sentì i suoi passi scomparire nella nuvola di voci intorno a me.
Era sempre stata una persona che non perdeva tempo in chiacchiere, ma mai l'avevo vista così agitata.
Passarono una trentina di secondi e la sentì ritornare. Lo stridio di una sedia, uno scricchiolio e poi cominciò:
– Devo dirti una cosa. Sono anni che aspetto. Ascoltami perché ne vale la pena –
– Perché tutta questa agitazione? Non ti ho mai vista così – La cosa mi faceva un po' ridere.
– si, lo so! Adesso ascoltami, tu hai sempre desiderato vedere giusto? –
Rimasi in silenzio per qualche secondo. Avevo già capito dove voleva andare a parare. Non riuscivo a capire. Nessuno poteva ridarmi la vista, per me questo era un dato di fatto.
– Si, ma solo un miracolo riuscirebbe a... – Non volevo sminuire le sue speranze, volevo solo essere realistico, ma lei mi precedette. Con un certa risatina rispose:
– C'è qualcuno che può far avvenire il miracolo! – Il mio cuore cominciò a correre come un carro.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Il demone d'inchiostro ***


 

Mi chiesi chi mai, fosse. Adesso più di prima, non volevo più darmi false speranze. Se proprio dovevo tentare, volevo essere sicuro di non rimanere deluso, perché se avessi subito un altro colpo temevo che non sarei sopravvissuto.

– Dici sul serio? Non mi stai prendendo in giro! –

– Non ti farei mai uno scherzo simile, so quanto sei sensibile, lascia che ti racconti una storia –

Sentì un ticchettio dal tavolo e un odore di stufato stuzzicò le narici. Cercai il cucchiaio e cominciai a mangiare con calma. Anche con lo stomaco in subbuglio per l'agitazione.

– Fu tre anni fa, me lo ricordo come se fosse ieri. Un tale, muscoloso, abbronzato, eroe di guerra, entrò nella mia locanda. Era diretto dal re per una ricompensa ai suoi servigi. Ma, pensava che la sua figura non fosse adatta ad un eroe di guerra desiderava tanto riavere la gamba destra, perché sembrava un invalido. Io sapevo che al tempio del demone di inchiostro, era possibile chiedere di esaudire un desiderio. Tutti lo sappiamo, anche quest'ultimo, ma nessuno va chiedere favori, nemmeno per questioni di vita o di morte. Lui era arrivato a Nib solo nella credenza che il demone d'inchiostro potesse ridargli la gamba. Mi chiese la direzione, ci sarebbe andato il giorno dopo. Io gli dissi tutto e lo avvisai che il tempio era una zona riservata ai monaci, nessuno sapeva se lo avrebbero lasciato passare. Lui però mi ringrazio e mi disse che ci sarebbe andato comunque perché valeva la pena tentare. Il giorno dopo... lui è tornato qui alla mia taverna...

Il mio stupore e la mia ansia mi stritolarono il cuore.

– L'ha avuta indietro? Come? –

– Non ne ho idea, tornò camminando senza stampelle. Tutti ci chiedevamo il perché. Lui ha riavuto la sua gamba, è perciò che te lo dico, perché quel soldato non era diverso da te. Puoi tentare, che ne dici?

Sarei dovuto andare in una zona riservata ai monaci, e parlare davanti ad un dio per la mia vista. Senza sapere se avrebbe accettato.

– devo... devo pensarci un attimo – risposi

lei rispose: – va bene comunque, se vuoi sapere la mia, è un'occasione da non perdere –

Sentì la sedia strisciare e sentì i suoi passi allontanarsi. Quando finii lo stufato, cercai la strada per l'uscita e me ne tornai a casa pensieroso.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Ladri ***


La mia testa ronzava di pensieri. Mentre sentivo gli animali notturni lanciare sussurri dalla finestra io ero ancora sveglio, con le mani sotto il mento senza darmi pace. Rimasi in quello stato a lungo. Non volevo andare a dormire. Dovevo decidere se correre il rischio. Una parte di me non voleva farlo, poteva essere tutta una fesseria e potevo fare la figura dell'idiota credulone. Ma anche senza pensarci avevo già deciso. Avevo il dovere di andarci in ogni caso, non potevo permettermi di lasciar perdere. Se c'era un modo per esaudire il mio sogno dovevo tentare. Se avessi fallito almeno mi sarei consolato dicendomi che avevo tentato.

Mi infilai tra le coperte e dormii. quando mi svegliai, mi avviai alla finestra. L'aria umida e fredda mi inondava il viso. Doveva essere circa l'alba. Non sentivo rumori in casa quindi i miei genitori dovevano essere ancora a letto.

Decisi di non dirgli niente. Non sapevo come avrebbero reagito e non volevo spiegarlo. Se uno di loro mi avrebbe detto di non farlo avrei rischiato di cambiare idea e ormai avevo preso la mia decisione. Se non sarebbe cambiato niente non ci sarebbe stato niente da raccontare. Non sapevo quanto tempo ci sarei stato quindi era meglio partire subito.

Quindi mi vestii, presi il bastone e scesi in strada. Sentì il canto dei galli, era decisamente l'alba.

Sapevo dove andare. Arrivai alla strada principale, e la percorsi finché non arrivai alla quinta strada sulla sinistra. Niente si muoveva a quell'ora. Il silenzio era palpabile. Quella era la strada per arrivare al monte. Era abbastanza per farci passare due persone.

Fu a pochi passi dall'entrata che cominciai a preoccuparmi. Mi pareva di aver sentito un suono leggero vicino a me. Un ticchettio leggero che sembrava risuonare nel silenzio dell'alba. Rimasi fermo e in ascolto. Ma era più una sensazione che altro. Sentivo dei sandali raschiare il terreno.

– C'è qualcuno? – mormorai

Un senso di claustrofobia mi prese. Mi sentivo come stretto in una morsa. I loro respiri vibravano nelle mie orecchie. Ce n'erano più di uno, forse tre. Mi avevano circondato.

– So che ci siete – tentai di tenere la voce ferma e le orecchie aguzze.

Se fossero state persone oneste, mi avrebbero risposto, quindi diedi per scontato che fossero poco di buono. Mi preparai a combattere. Allargai le gambe, presi il bastone con due mani, affiancandolo a me.

Capì tutta la questione quando sentì il mio sacchetto, attaccato alla cintura, alleggerire il suo peso.

Mi mossi senza pensarci. Scattai il bastone all'indietro. Lo impattare contro qualcosa di morbido. Poi udii, forte e chiaro, un tonfo e dei colpi di tosse. Il sacchetto impattò di nuovo contro la mia anca. E capì che avevo a che fare con dei ladri. Una voce sovrastò ogni suono:

– Ragazzi... Addosso! –

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: o il sacchettino o la vita ***


Il mio cuore fece un sobbalzo assurdo. All'improvviso arrivarono ai miei sensi una serie di informazioni per cui era impossibile che fallissi. Pensavano di avermi preso in contropiede attaccandomi tutti insieme ma, parola mia, se non ero più nei guai quando non facevano alcun rumore. Adesso potevo sapere con certezza che ne avevo due dietro e uno davanti. Quello davanti aveva i passi più pesanti quindi doveva essere una persona forzuta. Gli altri due, sopratutto quello di destra era il più lento anche se era leggero, mentre quello di sinistra era il più veloce.

Non sapevo se erano armati ma ero sicuro che se lo fossero stati non avevano ancora tirato fuori le armi altrimenti li avrei sentiti di sicuro.

Quello di destra sarebbe venuto per primo, Immersi il retro del bastone nel suo stomaco. Lungo la stessa linea colpii il forzuto davanti a me. Non era “robusto” era “grasso”. Il suo buzzo prominente lo fece indietreggiare senza cadere perché sentì il gemito ma non il tonfo. Mentre potevo sentire quello dell'uomo veloce alle mie spalle.

Usai quell'intervallo di tempo in cui i due compagni erano occupati per girarmi e attaccare il più lento. Ruotai il bastone a mezza altezza. Sentì un respiro soffocato e non colpii niente. Era lento ma era agile. Colpì invece quello accanto a lui, l'impatto era molto più duro, l'avevo colpito alla testa, e quando cadde non sentii alcun fiato da lui. Evidentemente si stava rialzando quando lo colpii e adesso era svenuto.

Pochi istanti dopo sentì un rumore che non volevo sentire. Quel sibilo che ti arriva alle orecchie quando una persona estrae un arma tagliente da un fodero. Dalla lunghezza del suono potevo dedurne che era un pugnale, niente di più.

Sentì quello grasso avvicinarsi a me da dietro. Non potevo colpirlo perché altrimenti avrei dovuto dare le spalle al tipo col pugnale, il che avrebbe significato la possibilità per lui di saltarmi addosso e ricattarmi con la lama alla gola. Decisi di indietreggiare verso il muro di un masso. Erano due e io ero uno con le spalle al muro, ma almeno potevo avere la certezza che avrebbero attaccato da davanti.

– Allora? Cosa vogliamo fare cieco? Hai intenzione di darci quei soldi o no? –

Se l'avessi fatto c'era la possibilità che mi lasciassero andare, ma poteva darsi anche il contrario.

Mi misi in guardia, aspettando che attaccassero di nuovo.

– Io non vi darò un bel niente! – mormorai in tono duro – se pensate di prendermi in giro perché sono cieco avete sbagliato di grosso! – ormai lo avevo detto, e ne ero anche fiero.

– così sia allora! – ruggì il grassone.

Sentì l'agile farsi avanti. Si fermò a pochi decimetri da me. Lasciai che si avvicinasse. Sapevo che era questione di istanti prima che calasse il pugnale su di me. Scattai di diversi centimetri verso destra. Ma avevo fatto male i miei calcoli perché subito dopo udii uno strappo. La lama mi strisciò lungo il braccio, il bruciore come se del fuoco liquido avesse invaso la ferita per poi colare verso il gomito. Comunque sia era l'occasione giusta. Ruotai il bastone e lo colpii alla testa. Lo sentì crollare a terra come un sacco di riso e la lama tintinnare sull'acciottolato. Puntai subito il bastone contro il grassone ma lui non si mosse.

– v-va bene hai vinto! M-me ne vado!-- e così fece. Lo sentì correre via.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Il tempio ***


Dopo quella disavventura, non mi preoccupai della mia ferita al braccio, perché non era niente di profondo. Continuai per la mia strada facendo attenzione. Cominciai a scalare il sentiero della montagna. Era poco inclinato, il viaggio fu quasi rilassante. Anche se non vedevo niente mi piacevano i suoni della natura.

Capii di essere arrivato al tempio quando sentii chiacchiere sommesse, quel tipo di chiacchiere mi ricordavano i monaci. Solo i monaci parlavano in modo così basso e complice.

Mi avvicinai con calma verso di loro, sentendo le loro voci diventare sempre più sonore. Poi si fermarono. A quel punto, anche io mi fermai, senza dire niente.

– tu devi essere Eco Rondòn,... ti stavamo aspettando – mormorò uno di loro con tono amabile.

Sentì il mio respiro mozzarsi per un secondo, per lo stupore. So cosa state pensando: Che Marianne li avesse avvertiti? No, non poteva essere sicura che ci sarei andato.

– Chi vi ha avvertito? se posso chiedere – borbottai, non mi aspettavo una risposta razionale, solo una risposta.

– Il sommo Demone dell'Inchiostro ci ha avvertito della tua venuta, ci ha detto perché sei venuto come ti sei procurato quella ferita... sei stato molto abile e coraggioso, giovane viaggiatore –

– Sapete proprio tutto – mormorai – quindi non c'é bisogno che io... –

– No, Lui ti sta aspettando, ma non possiamo presentarti con il braccio che gocciola sangue, prima cuciremo e puliremo il tuo taglio, Poi ti condurremo da lui – lo disse come se fosse una regola fondamentale.

Così fecero. Mi fecero sedere su una roccia. sentì la ferita venire inondata da acqua fredda, se possibile la fece bruciare ancora di più. Poi venne la parte peggiore, la mia pelle venne punta e trapassata e tirata da qualcosa. Fu lungo e anche doloroso. Quando ebbero finito temevo di muovere il braccio. L'unica cosa che mi diede sollievo, fu la loro cura nel pulire il mio braccio dal sangue che era colato lungo il braccio fino alle dita e gocciolando lungo il sentiero. Dovettero passarmi lo straccio lungo tutto il braccio, strofinarono a lungo come a voler togliere ogni traccia di sporcizia. Subito dopo strinsero la ferita, già di per se dolorante, con delle bende.

Tutto venne fatto con una cura e precisione che mi ricordarono una preparazione per un rito. La cosa mi fece piacere.

Mi spinsero in avanti, lungo un sentiero sassoso. Sentì un suono particolare, che non avevo mai sentito. Come qualcosa di pesante che veniva trascinato. Un suono che mi rimbombò lungo tutto il torace.

Il mio cuore cominciò a correre. Stavo per incontrare una divinità. Mai mi ero sentito più indegno, piccolo ed insignificante. Per un attimo preferii tornare indietro, ma era troppo tardi per tornare indietro. Avrei sopportato la pressione.

Mi guidarono in un luogo, molto più freddo e asciutto dell'esterno. Mi sembrava di essere entrato in un altro mondo. I miei passi rimbombavano, amplificandone il suono, che mi ritornava alle orecchie. Percepii un senso di confusione ai sensi. Non sapevo se quelli che sentivo erano solo i miei di passi o se c'erano altre persone. Cominciai a sentirmi molto nervoso, mi strinsi al mio bastone.

Quel suono trascinato si fece risentire. Quando sentii lo scatto capii che ero chiuso dentro.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Inkontracto ***


Per lunghi secondi non riusci a sentire altro che il mio respiro che rimbombava. Ero come una corda di violino. Qualcosa sarebbe successo entro poco, pensavo, e così accadde.

All'improvviso sentii rimbombare un'altra voce oltre alla mia. La sentii arrivare alle mie orecchie da tutte le direzioni, era come trovarsi in mezzo ad una folla.

– Salve giovane viaggiatore, Io sono Inkontracto, dalla tua gente chiamato “il demone dell'inchiostro” – la sentii almeno cinque volte, una voce così non l'avevo mai sentita. Non sembrava nemmeno una vera e propria “voce” mi ricordava, il sospirare degli alberi, qualcosa di oltre il mondo.

Io spostavo la testa ovunque, non riuscivo a capire da dove veniva la voce. Mi stringevo al mio bastone quasi preso dal panico. Mai mi ero sentito in quel modo, mai.

– Stai tremando giovane viaggiatore, non temere la mia presenza – quella frase, riuscì a calmarmi solo un minimo. Ma solo quello che ci voleva per pronunciare qualche parola

– S-scusate io... non so come dovrei rivolgermi a lei – borbottai preso dall'agitazione, sapere come mi dovevo rivolgere mi avrebbe aiutato a sopportare la situazione.

– Non vi preoccupate di questo, piuttosto... lascia che ti spieghi, perché le richieste siano così sporadiche – un silenzio che durò pochi istanti si riaccese, poi una sola voce arrivò alle mie orecchie. Finalmente sapevo che c''era una entità davanti a me che mi parlava, forse a distanza di qualche metro. Ma sapere che quell'entità non era un essere umano come me, mi trasmetteva l'impulso di retrocedere.

– Io, nonostante il mio stato, non posso sottrarre o aggiungere nulla al mondo, perché questo rovinerebbe il suo equilibrio e anche il più piccolo cambiamento potrebbe portare a conseguenze catastrofiche. Quindi, io non posso darti ciò che chiedi, senza avere qualcosa in cambio –

Il mio cuore, cominciò a colpire la cassa toracica sempre più velocemente. Ora capivo perché le persone non chiedevano spesso favori a lui. Dovevo fare uno scambio, e non sapevo di cosa.

– Quando quel soldato è venuto a chiedermi la sua gamba, disse di essere disposto anche a scambiarla con un braccio e così il contratto è stato fatto. Le persone non vengono da me per motivi futili perché se possono ottenerlo in altri modi non c'é motivo di stipulare un contratto con me. Ma tu sei diverso proprio perché io sono la tua unica tua speranza di realizzare i tuoi sogni, sapevo che prima o poi saresti venuto da me – Lui scandiva ogni parola, tutto ciò dava l'impressione di dare inizio ad un rito.

la sua voce si faceva man mano più vicina e più corporea. La mia testa era un uragano di pensieri e dubbi. Non ne sarei uscito fuori finché non avrei saputo i termini del contratto. Ma intorno a tutta quella confusione una cosa sola mi pareva chiara: la mia volontà, avrei scambiato la vista con qualunque cosa in mio possesso. A meno che...

– So cosa stai pensando, – disse – io posso dare qualcosa in cambio di un'altra cosa che abbia la stessa funzionalità. Barattare una vita per una altrui, posso farlo, ma non posso chiedere la vita di qualcuno per la vista di qualcun altro. Non chiederò niente che non sia in tuo possesso.

Quindi, Se vuoi vedere, è necessario che tu mi dia uno dei tuoi altri sensi, personalmente, scelgo quello che servirà meno al tuo scopo... per la vista, per vedere ciò che ti circonda e leggere, non chiederò l'udito, che ti permette di ascoltare le altre persone, Non il tatto che ti permette di aiutare e trasmettere quello che senti, quello che ti chiedo, è la tua voce – La mia voce voleva.

Il mio respiro si fermò... e poi riprese.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Il Contratto ***


Sarei diventato muto per il resto della mia esistenza? Ebbene, sì... avrei dato volentieri tutte le mie corde vocali pur di vedere qualcosa. Non era così importante. Una volta realizzato, di essere così disperato da accettare il compromesso, pronunciai le ultime parole della mia vita:

– La mia voce non è così importante, sono disposto a cederla, in cambio della vista –

La voce di Inkontracto era vicinissima, si era palesata in forma umana perché sentivo il suo fiato, che sapeva di polvere e pergamene.

– Allora... che il contratto venga stipulato – pronunciò

Sentì delle mani fredde e scheletriche sfiorarmi le tempie. E la stoffa... Lui non mi chiese nulla in proposito perché sapeva. Quella benda, era un modo per accettare la mia cecità, un atto simbolico che mi aveva sempre contraddistinto, per questo chiunque mi avrebbe riconosciuto subito solo vedendola.

– Lo so che il mio nome, le mie capacità e il mio aspetto non ispirano gli altri a considerarmi come un salvatore, ma questo è il mio scopo e lo porterò a termine. Adesso preparati, perché tra poco il tuo desiderio diverrà realtà dopo tanto soffrire –

Dei mignoli ruvidi sfiorarono il mio collo e i pollici le tempie. Il mio cuore ricominciò a battere forte. Io strinsi forte il bastone. Respirai in modo molto lento. Il silenzio si protrasse per lunghi secondi e più andava avanti e più cominciavo a sentirmi strano.

Sentii i miei sensi farsi confusi, la mia testa riempirsi di suoni e pensieri come se un'inondazione si stesse verificando dentro il mio cervello. Qualcosa che scombussola ogni cosa. Dopo lunghi secondi cominciai a “vederci” chiaro. Mi sentivo diverso. Mi calmai un momento poi sentì le sue mani ritirarsi. Lo sentii indietreggiare di pochi passi.

Dovevo aver finito. La cosa mi agitò ancora di più. Davanti a me era ancora nero perché non avevo ancora aperto gli occhi. Per qualche motivo l'idea di aprire gli occhi mi spaventava. Ma sapevo che sarebbe stato solo l'inizio.

– Apri gli occhi giovane viaggiatore –

Tutti i miei amici e parenti mi riconoscevano per quella benda . Un pezzo di un vestito che ho legato. Non sapevo di preciso il perché io l'abbia fatto, ma ora posso dare una risposta. Anche se aprivo gli occhi non cambiava niente, che io li tenessi chiusi o aperti l'oscurità era comunque presente. Per questo ho voluto coprirmi gli occhi per convincere me stesso che non ci vedevo perché semplicemente, tenevo gli occhi coperti e chiusi, volevo convincermi che ero io ad aver deciso di non vedere per non dare al destino un motivo per deridermi. Quando avrei “deciso” di ricominciare a vedere me la sarei tolta. Era rimasta legata al mio viso per più di quattordici anni, ed ora stavo per toglierla davvero.

Il pensiero di vedere dopo averla tolta mi sembrava così fuori dalla realtà che per un attimo ebbi il timore di farlo. Ma dopo un respiro profondo...

Appoggiai il bastone a terra. Tenni la schiena dritta e avanzai, con calma rituale, le dita verso il nodo dietro a testa. Allungai il dito nel primo nodo e lo sciolsi. Poi sciolsi il secondo e afferrai i due lembi di esso. Tolsi la benda dagli occhi ancora chiusi. La tenni stretta in una mano che lasciai cadere accanto alla gonna della tunica. A questo punto era giunto il momento; alzai di poco le palpebre e una luce debole mi apparve chiara alle mie pupille. Il mio cuore moltiplicò i batti dalla gioia. Alzai le palpebre ancora un po' finché non riuscii a vedere chi avevo davanti.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Ci vedo! ***


Sul momento non sarei riuscito a descriverlo a parole. Mi trasmise una un senso di, oscuro e misterioso. Era così curioso che mi misi a fissarlo, come incantato. Ero dentro ad un edificio alto, sembrava un tempio, era così ampio che i suoni rimbombavano ovunque. Un solo lampadario con delle candele dondolava dal soffitto e illuminava le colonne piene di incisioni. La mia prima pulsione fu quella di toccare tutto ma rimasi fermo. C'era una figura davanti a me che mi aveva ridato la vista. Era vestita di nero, il cappuccio le copriva il viso, riuscivo a vedere la pelle bianca come la neve e il viso scavato, non sembrava appartenere ad una persona viva.

Quello che illuminava le candele mi stupì ancora di più. Quante cose mi ero perso. In fondo alla navata c'era una statua che arrivava fino al soffitto, della stessa “persona che avevo davanti.

Il tempio era un antro buio ma ciò mi aiutò ad abituarmi. Senza guardare dove mettevo le mani tentai di raccogliere il bastone e attaccai la mia benda su di essa.

Anche se avessi potuto parlare non avrei saputo cosa dire. Per istinto cercai di ringraziarlo ma dalle mie labbra uscì un suono soffocato simile ad un soffio di vento. Fu allora che, mi domandai come fare.

Lui unì i palmi delle mani e fece un breve inchino e io lo imitai. Dopo ciò si voltò e andò alla sua statua. Quel suono trascinato rimbombò nel tempio e una luce bianca invase il posto. In quel momento mi parve la cosa più straordinaria del mondo. Vedere quella luce schiarire l'architettura così imponente era uno spettacolo.

Mi batteva forte il cuore solo a vederlo. Mi guardai intorno voltandomi verso la fonte della luce riuscivo a vedere un rettangolo luminoso come poche ombre umane. Sapevo che era giunto il momento di andare. Quando mi voltai vidi il Demone srotolare una pergamena sul leggio davanti alla sua statua. Una piuma venne estratta da un calamaio e volteggiò sulla pergamena creando un crepitio caratteristico.

Non vedevo l'ora di imparare a leggere e scrivere. Non ricordo di essere mai stato più felice in tutta la vita.

 

Uscii dal tempio e finalmente riuscii a vedere come appariva la foresta, il giardino. C'era l'erba verde, il sole sembrava farla risplendere. I monaci mi salutarono mentre mi dirigevo lungo il sentiero. Mai avevo avuto così tante domande come in quel momento. Lungo la strada non mi resi conto di ciò che avevo intorno finché non la toccai con mano, dovetti toccare la corteccia con la mano per rendermi conto che quelli erano alberi e mai mi sarei immaginato ciò che avevano in alto. Sembrava un uomo lato e magro con dei capelli ricci. Annusai l'aria e ascoltai i suoni per capire mentre guardavo la foresta. Finalmente conoscevo l'aspetto di animali che avevo solo sentito.

Quando vidi le casupole del villaggio da lontano il sole era alto. Le vidi in lontananza e temetti di perdermi nonostante conoscessi quelle strade alla perfezione. Pensavo che nemmeno il miglior pittore di tutti i tempi avrebbe potuto riprodurre tutta la bellezza del mondo che mi stava intorno. Mi sentì come immerso in un posto nuovo e mi persi tanto in ciò che ero in grado di vedere che non feci caso a dove stavo andando. Mi guardavo intorno con agitazione toccando qualsiasi cosa. Solo dopo aver vagato per le vie decisi di tornare a casa per dare la buona notizia ai miei.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: tre bicchieri ed una moneta. ***


Quando mi fermai davanti alla porta di casa mia vidi che era più grande del resto delle case. Aveva addirittura due piani. Bussai alla porta e la porta si aprì e i miei genitori apparirono sulla soglia. chiedendo dove fossi stato. Io li guardai e vidi i loro visi per a prima volta e vidi che erano molto più malinconici di ciò che mi aspettavo. Mi ritrovai per la prima volta, molto in difficoltà perché non potevo parlare e non potevo scrivere. Come raccontare? Entrai in casa pensandoci con intensità e mi sedetti al tavolo. Il mio respiro si fece pesante. Mio padre mi guardò con le sopracciglia cespugliose piatte mentre mia mamma mantenne un certo contegno.

–dove sei andato all'alba senza dirci niente? – chiese mio padre.

Io cercai di fargli capire ciò che mi era successo. Mi indicai la gola con il dito e poi incrociai le braccia in una X.

Quei gesti erano semplici, ma il messaggio arrivò subito e con prepotenza. Loro spalancarono gli occhi come presi da un fulmine.

– Non puoi parlare? – chiese mia mamma

– Cosa è successo? Perché non puoi parlare? – borbottò mio padre

Io raccolsi le idee, adesso arrivava la parte difficile. Indicai i miei occhi e poi loro. Loro aguzzarono gli occhi con fare confuso.Non avevano capito. Io appoggiai entrambe le mie mani sul petto e poi indicai i miei occhi e loro.

I loro sguardi tradirono sconcerto.

– non... non capisco, – mormorò con tono neutro mia mamma, ma quando la vedevo in faccia vedevo i suoi occhi luccicare.

Dovevo dimostrare che ci vedevo bene in qualche modo. Anni fa, c'era un solo gioco in cui non sarei mai riuscito a vincere, a causa della cecità. Mi alzai e presi tre bicchieri e una moneta che trovai nell'ingresso. Senza dire niente, loro capirono: li sfidavo a mettere la moneta in uno dei bicchieri e a scambiarli.

– Continuo a non capire – mormorò sua madre. Guardava i bicchieri con una mano sul fianco.

Mio padre aveva uno sguardo molto concentrato quando si mise a scambiare i bicchieri. Non si scambiò in modo lento, come a volermi facilitare il gioco. Io non esitai ad indovinare e a quel punto spalancarono gli occhi. Sembravano aver capito.

Ci fu un momento in cui ognuno rimase sbigottito, poi mia madre si avvicinò e chiese se ci vedevo davvero. Io annuii e a quel punto gli abbracci e le risate rimbombarono nella casa. Fu difficile per mio padre capire se era meglio insegnarmi prima le lettere o il linguaggio dei muti. Non vedeva l'ora di sapere tutto. Io allungai due dita tese per dire che preferivo imparare la lingua. Quel punto si doveva trovare qualcuno che la conoscesse e che potesse insegnarmela, il che non era facile. Fu allora che il mio amico mercante tornò in città.

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Capitolo 13
*** capitolo 13: il linguaggio dei sordomuti ***


Mio padre mi accompagnò da lui e quando venne a sapere che ci vedevo quasi non ci credeva. I suoi occhi si spalancarono.

– Mi... mi puoi vedere?! – esclamò indicandosi con il dito – ma è fantastico! Come è successo? –

Mio padre alzò le spalle e gli spiegò il problema.

– Quindi avete bisogno che qualcuno insegni a lui come si parla... va bene, posso fargli da mentore ma voglio un compenso e naturalmente le spese necessarie saranno a vostro carico.

Il solito tirchio. Mio padre si mise a contrattare per lunghi minuti finché non si decise un prezzo adeguato per il corso e il materiale. Veniva in casa mia una volta al giorno dopo l'ora di pranzo per insegnarmi i gesti che i sordomuti usano per farsi capire che non fu difficile da memorizzare ma forse ero io che morivo dalla curiosità. Ad ogni fine di lezione cercavo di esercitarmi.

Passai qualche mese ad imparare e ogni giorno mi facevo sempre la stessa domanda. E cioè, Come avrei fatto a parlare con Pio la Zappa. Sembrava l'inizio di una barzelletta: “Ci sono un muto e un cieco...”

Questo fu la parte più difficile. Pio la zappa non mi avrebbe lasciato spiegare se non avesse sentito la mia voce, mi aveva riconosciuto solo per quello. Avrei aspettato la fine del corso e poi avrei spiegato a gesti cosa era successo ai miei genitori.

Arrivò l'ultima lezione. Dico mi disse di spiegare come ero riuscito a vedere. Portò i miei genitori nella mia camera per assistere all'ultima lezione. Cominciai dal principio e arrivai alla fine e loro ci rimasero piuttosto straniti.

– impressionante, non ci avrei mai pensato – esclamò mia madre.

– be, non posso dire se io sarei stato contento dello scambio ma, se sei contento tu – mormorò mio padre. Io gli lanciai un sorriso un po' malinconico. Dopo tutto ero contento che capisse.

– Direi che ora sei pronto per affrontare il grande mondo, e mi raccomando, se hai bisogno di aiuto “grida” – pronunciò Dico con una risatina. Io incrociai le braccia e alzai il mento con lo sguardo più indifferente e offeso che riuscii a trovare. La stanza scoppiò a ridere.

Adesso era il caso di imparare a leggere e scrivere, ma prima volevo fare una visita a Pio La Zappa, probabilmente si stava chiedendo che fine avessi fatto. Lasciarlo solo in casa non mi piaceva affatto. Chissà cosa avrebbe detto se ci fossi andato da solo: “chi sei?! L'esattore delle tasse?... ah, ho capito, guarda che non mi freghi, tu sei un poco di buono... chiamo le guardie se non sparisci”. Quindi, volente o dolente, dovetti farmi accompagnare da mio padre in modo da spiegargli. Era una delle poche persone di cui il vecchio Pio si fidasse “ciecamente”.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Pio e la fine ***


Quando entrammo in casa sua. Era silenzioso. Seppe tutta la storia e il suo viso si abbassò. Sembrava giù di morale, nessuno aveva mai reagito in quel modo, sembrava che per lui fosse una triste notizia. Non avrei mai pensato che le sarebbe dispiaciuto così tanto.

Avevo la sensazione che pensasse di aver perso un alleato, dopo tutto, adesso non ero più cieco come lui. Ma io volevo ancora venire a trovarlo.

Lui non sapeva leggere o scrivere quindi decidemmo un modo in cui avrebbe potuto riconoscermi. Solo io avrei bussato due volte in modo lento e tre volte in modo veloce. A quel punto della discussione mi voltai verso mio padre e gesticolai :

– potrebbe – andare – anche – lui – al – tempio –

Mio padre spalancò gli occhi e lo riferì a Pio che con aria sconsolata mi rispose:

– grazie, dell'offerta, ma io sono troppo vecchio per queste cose, non lo sopporterei – lo disse con una risatina che si sforzava di essere allegra senza riuscirci.

Il problema era come parlarci dato che non poteva vedere. Venne fuori che lui conosceva le lettere dell'alfabeto e alcune parole, potevo disegnare le lettere sul suo palmo, lui avrebbe capito.

Ma, in fondo, non si rivelò molto indispensabile perché a volte, bastava, una pacca sulla spalla o una stretta di mano, per dirci tutto quello che dovevamo.

Rimasi a lungo a Nib, per imparare a leggere, scrivere e fare i conti. Mio padre era contento di cedermi l'attività di famiglia. Non era niente di impegnativo, dovevo stare dietro ai lavoratori, ai miei collaboratori e dare direttive.

Marianne quando la andai a trovare la vidi pienamente soddisfatta a fiera di se stessa. Non le interessava della mia voce, mi capiva anche con il linguaggio dei sordi. Anzi mi diede qualche dritta sui posti da visitare.

Ora come ora. C'è un paesino verso ovest che si dica conservi il primo muro costruito dagli uomini nella storia. Partirò per quel posto domani mattina.

Prendere il custodia il lavoro di mio padre perché mi permetterà di mantenere me e la famiglia e pagarmi i viaggi. Gli affari posso gestirli anche via lettera.

Ora che posso non mi fermerò finché non avrò esplorato tutto il mondo.

Il bastone è rimasto ad ammuffire in camera mia, così, quando tornerò posso ricordarmi della mia vita precedente. Così ho finito la mia prima pagina di diario. Da questa pagina in poi parlerò solo di ciò che vedrò durante i miei viaggi, spero che tu sia interessato.

 

Con affetto:

Eco Rondòn

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