Incidente

di tixit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno ***
Capitolo 2: *** Secondo Giorno ***
Capitolo 3: *** Terzo Giorno ***



Capitolo 1
*** Primo giorno ***


Primo giorno

April si svegliò in un letto di ospedale. La stanza le sembrava familiare eppure non lo era, lo stesso per l'odore nell'aria, un misto di detersivi ed umanità, e per il suo corpo.
Le faceva male.
Ma in un modo lontano ed ovattato.

Le era già successo, registrò, non era nulla che non potesse gestire.
Con la punta delle dita sfiorò le mani del Dottor Hunt - "Sei tornato a prendermi, quindi..." mormorò con la gola che le faceva male.

L'uomo annuì. "Hai avuto un incidente."

"Danni permanenti?" si sentiva serena nel dirlo, Dio non le avrebbe mai dato niente che lei non potesse sopportare. Vide Owen rabbrividire - stava pensando a quello che avrebbe potuto essere e fortunatamente non era stato. Quindi non era stato, pensò con sollievo.

"Nessuno." lui fece un sorriso timido, "Non sei grave. E' che non volevo lasciarti sola."

Le strinse la mano e lei chiuse gli occhi e sorrise.

"Se te lo stai chiedendo non l'abbiamo detto a Jackson. Sei stata registrata come Jane Doe. Probabilmente lo scoprirà, ma tra qualche giorno."

"Perché?"

L'uomo si passo una mano sul volto a disagio, "Sono divorziato anche io," disse "e non so se in una circostanza... se ci fosse un'ultima persona da salutare, una sola, non so sarebbe giusto che fosse Amelia. Mia madre, mia sorella... loro, invece... mi sembrerebbe più... giusto. Verso di loro."

Lei annuì in modo quasi impercettibile, capiva. Genitori, figli, fratelli, sorelle, sono legami che non scegli e che non puoi spezzare, persone che si amano nonostante non siano, forse, quelle che avresti scelto e persone che ti amano nonostante tu non sia ciò che, forse, avrebbero voluto.

"Ma non stai morendo eh" aggiunse Owen in fretta con aria preoccupata e April si trattenne dal ridere. "Comunque stanno arrivando."

April gli strinse la mano, giusto una pressione delle dita, di più non le riusciva.

"Lo stesso se mi servisse qualcuno per aiutarmi a stare bene. Egoisticamente, intendo... non so," sospirò, "non so se vorrei Amelia accanto a me. E' una donna in gamba, ma è complicata, ha bisogno di attenzione ma anche di non esser giudicata, di compagnia ma anche di spazio, tanto spazio, e di sesso, ma non di amore, però vuole abnegazione e disponibilità, tutte cose che fanno parte di una relazione, ma senza la relazione..."

April si mosse a disagio. Ripensò al suo matrimonio, al tempo che aveva preso per sé, in Siria, e come avrebbe voluto ricostruire tutto una volta tornata.
Una volta in un museo aveva visto dei pezzi provenienti del Giappone e qualcuno le aveva spiegato che quando un vaso, un oggetto considerato prezioso, si rompeva, nell'antichità, l'uso era ripararlo inserendo dell'oro - non si nega il danno, lo si ripara ed è prezioso perché ci ricorda che siamo umani, che le cose possono capitare, che le cose belle si possono rompere, ma si possono anche riparare.

"Non che io mi lamenti ma alla fine non resta lo spazio per me. Non ne occupo tanto, non ho un ego così grosso, però, se dovessi avere bisogno per una volta di sentirmi al centro... non sarebbe lei." April annuì e lui le sorrise "Lo stesso per te, l'ho notato in questi anni, ti impegni molto in quello che fai e la gente lo prende per scontato."

"Un talento minore."

"Un talento diverso, dove non c'è spazio per essere delle star. Nessuno di quelli che fa il nostro lavoro vincerà un premio per un intervento avveniristico, che richiede mesi di ideazione, pianificazione, test, con un paziente che ha solo quel problema e che viene preparato perché si presenti al dunque al massimo delle sue condizioni fisiche, pronto per il peggio." 

"Lo so."

"Noi ci limitiamo a non farli morire, se si può. Una cosa semplice." le strizzò l'occhio divertito e lei sorrise, "Per cui non credo che Amelia, che ha bisogno di questo aspetto... di sentirsi "speciale" anche nel lavoro, e che ha bisogno che i suoi pazienti non muoiano mai, non so se lei sarebbe giusta per me, se stessi male. Se avessi bisogno di essere al primo posto, intendo, di prendere senza dare niente. E non credo lo sarebbe Jackson per te."

"Nella buona e nella cattiva sorte, in salute in malattia..." recitò April a voce bassa, sentendo un peso proprio intorno al cuore.

"Appunto, quando si arriva al divorzio non è detto che manchi la stima, o l'affetto o..." l'uomo arrossì in imbarazzo, "una buona intesa fisica. Ma manca l'impegno, il desiderio di esserci anche quando bisogna fare un passo indietro e mettere l'altro al primo posto. Il tenere duro quando serve. Non è altruismo, non è bontà, è la scelta nella cattiva sorte, nella malattia... accettare che a volte non si può e non si deve essere il numero uno. Non è una cosa per tutti. Come il nostro lavoro, in fondo." 

"E' andata." sussurrò la ragazza, "è andato, so che vede un'altra... non sarebbe... giusto... che stesse qui." poi chiuse gli occhi perché quel discorso così breve le aveva risucchiato ogni energia.

Lui le sorrise e le accarezzò la mano. 

Rimase lì fino a che non la vide riaddormentarsi.

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Capitolo 2
*** Secondo Giorno ***


Secondo giorno

Il sogno era stato tremendo, aveva rivissuto il suo matrimonio. Del matrimonio che non era stato.

Ogni attimo. Fino al momento in cui Jackson si era alzato per reclamarla, sapendo di aver già vissuto quell'esperienza. Al quel punto si era svegliata, con il cuore nella gola e gli occhi pieni di lacrime.

Da Matthew non era stata scelta dalle circostanze, o da un impulso indisciplinato del cuore, ma dal combaciare dei loro pezzi, dalla semplicità anche un po' scontata del loro possibile futuro insieme - lui non era un seduttore o un ragazzo abituato ad interessare una donna.
Era bello, Matthew era davvero bello, bello in un modo in cui lei non sarebbe mai stata. Ma i suoi primi approcci erano stati un vero disastro - le scappò un sorriso - non l'aveva conquistata, non c'erano stati trucchi o effetti speciali, semplicemente erano stati giusti insieme. Ridicoli, forse, agli occhi degli altri, con quella loro fede ingombrante, quel desiderio di fare la cosa giusta anche nei dettagli che agli altri sembravano da poco - ah il sesso! - ma giusti l'uno per l'altra.

Le sembrò un bene, in prospettiva, non averlo sposato - se il destino del suo primo figlio era dipeso da qualcosa che portava dentro di sé, sarebbe successo anche con Matthew e sarebbe stato terribile. La perdita di un figlio devasta la fede, lo aveva sperimentato - non era una cosa che avrebbe voluto per Matthew, quello mai. 

Non esiste la possibilità per un credente di accettare in un modo semplice che nei piani di Dio ci sia la morte di tuo figlio - un angelo scese a fermare la mano di Abramo con Isacco, non te lo insegnavano da bambini a catechismo? non deve succedere, non sul serio, non è nell'ordine naturale delle cose. Soprattutto non c'è un bene maggiore che lo giustifichi, e non c'è riparazione che compensi. Né fine.

Meglio a lei che a Matthew, in fondo era stata lei quella che aveva fatto sesso in un bagno con un uomo che non sapeva di amare. Era lei che era scappata da un altare, e aveva perso un bambino e tentato e tentato e tentato e poi aveva firmato i documenti di un divorzio.
Era lei che era abituata a rimettere insieme i cocci, con tanta pazienza.

Forse lui sarebbe venuto in Siria con lei. Matthew aveva una vita semplice, non era un Avery, non aveva responsabilità verso una fondazione, degli ospedali, della gente che lavorava. E non era abituato anche al lato piacevole di essere una persona speciale - non era il montarsi la testa, Jackson era un bravo ragazzo, era il dare per scontate certe attenzioni, certe possibilità ed amarle. Il sentirsi importante.

La Siria l'aveva cambiata, aveva smesso di considerare il suo lavoro qualcosa in cui avrebbe dovuto dimostrare il proprio valore, era diventato solo un mezzo per permettere agli altri di crescere e per crescere assieme a loro. 

Owen aveva ragione, non le importava più di brillare, non più di tanto, lei non era Amelia, non era Maggie, non era Jackson.
Lei era solo un vaso che si era rotto e che bisognava rimettere assieme.

La prima responsabilità di Matthew sarebbe stata verso loro due, come coppia, pensò con un sospiro, forse lui sarebbe venuto con lei, forse avrebbero pregato assieme esausti, tenendosi per mano, alla sera, per poi confortarsi come un uomo ed una donna che si appartenevano.
A volte aveva guardato con ansia le jeep con i medici nuovi in arrivo, sperando di vedere il volto di Jackson. Ma non era lei la cosa più importante della sua vita.

O forse sarebbe successo qualcosa di terribile - un giorno l'ospedale da campo era stato colpito da un missile. Della gente come lei - come Matthew - era morta.

Rabbrividì.

Un'ora dopo arrivò sua madre, scortata da Owen, la madre di Jane Doe, una donna che ad un certo punto credeva di aver perso tutti i suoi legami con il mondo.

Lei non le chiese niente, si limitò a sederle accanto e a tirare fuori un libro.
Owen invece le aveva portato dei cioccolatini ed era scappato via intimidito. Le scappò un sorriso, mentre ne scartava uno - era la prima volta che un uomo le faceva un regalo del genere. Non era successo nemmeno con Jackson. Le parve ironico che il classico gesto d'amore fosse venuto dal suo mentore, un po' padre, un po' fratello maggiore, un po' angelo custode, pronto a riacciuffarla e rimetterla in carreggiata.  

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla voce di sua madre, sentendosi al sicuro, come quando era bambina, nella fattoria in cui era cresciuta.   

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Capitolo 3
*** Terzo Giorno ***


Terzo giorno

Il terzo giorno vennero le sue sorelle e pianse.
Erano state al suo matrimonio, quello che non era mai avvenuto, le solite stronze che conoscevano la sua vecchia sé e ci erano affezionate.

E' il guaio di quando si cambia con tutto il cuore e tanto sforzo, che tu quello che eri non lo vorresti più vedere intorno, ma poi salta fuori che c'era gente che lo adorava e ora si comportava come se tu fossi un assassino perché gli hai ucciso il migliore amico. O sua sorella.

Kimmie le confessò che aveva odiato l'idea che lei si sposasse a Seattle. Che April non ci restasse male, era bello sapere che lei studiava lì, faceva figo per via del mare a due passi e per via di tutte quelle montagne lì dietro l'angolo, una cosa da farti venire le vertigini, e gli scogli nell'acqua, così belli da vedere.
Ma studiare è una cosa temporanea, lo sanno tutti, come fare un anno di volontariato all'estero. Poi però si mette su casa e lei, la casa di sua sorella, lei, Kimmie, l'aveva sempre immaginata a un quarto d'ora da casa sua. Un quarto d'ora con il vecchio trattore, per intenderci. Non con la macchina figa di Jackson Avery.
Kimmie voleva farsi tutti i cazzi dei figli di sua sorella e spiegarle perché li stava educando malissimo e vederli diventare amici dei suoi e sapere che insieme avrebbero fatto scemenze tenendole segrete e che sarebbe toccato a lei il ruolo della castigamatti, cosa che tutto sommato le piaceva da impazzire perché era la sorella maggiore. E alle sorelle maggiori toccano sempre ruoli da Vecchio Testamento.

Libby le disse che detestava Jackson, si capiva che era un tipo che non aveva mai visto un maiale da vicino, se non cotto alla brace. E non aveva mai portato calzini rammendati, o preparato un banchetto per una fiera, o risparmiato un dollaro dopo l'altro per un concerto in un altro Stato ed era il classico tipo che al liceo l'avrebbe snobbata o riso di lei per tutta una serie di cose di cui invece adesso si sentiva orgogliosa, ma che allora la mettevano a disagio. Come i vestiti comodi per la fattoria ma che sembravano usciti da un catalogo di altri tempi, tutti cotone 100% e fantasie a fiorellini, delicate, mentre a lei, Libby, sarebbe piaciuto, certi giorni, indossare una maglietta degli AC DC e delle inutili borchie sui suoi stivali.
E Jackson avrebbe snobbato anche sua sorella April al liceo perché portava gli occhiali da secchiona ed i vestiti che piacevano tanto alla mamma e che le rendevano lontanissime, tutte e quattro, da un oggetto sessuale con buona pace del secolo che vende oggetti mercificando l'immagine del corpo femminile e perché stava nel gruppo dei goffi, dei timidi e di quelli che di solito non guardi mai due volte.
E aggiunse che se l'aveva guardata, se aveva guardato April, una di loro, era solo perché una sera se l'era scopata ed aveva trovato che era piacevole. Una gradevole sorpresa.
Ed aveva pensato che di quella gradevolezza poteva averne quanto ne voleva senza offrire nulla in cambio e poi decidere di non volerne più, per poi magari all'occorrenza volerne ancora. Aveva pianificato un divorzio mentre ancora se la scopava, accidenti!

E lei Libbie, lei odiava Jackson per questo e anche per altre cose, che però adesso non era il caso.

Era qui che lei aveva pianto, pianto disperata mentre le sue sorelle avevano riso per farle capire che non c'era niente su cui piangere, e poi l'avevano consolata e ingozzata di cibo cucinato apposta per lei, cosa che l'aveva fatta piangere ancora di più perché se le immaginò, che s'erano sicuramente alzate nel cuore della notte apposta per lei, per quella versione di lei che ancora amavano nonostante lei la detestasse, e per quella versione che accettavano anche se non ci andavano sempre d'accordo e che a volte proprio non capivano.

Comunque per le sorelle era chiaro, andare a Seattle era come andare a fare la spesa ad un discount, tutto finisce negli stessi sacchetti, si mescola in disordine, ma poi, una volta a casa, tutto deve finire nel giusto cassetto e non c'era un cassetto al mondo che potesse contenere allo stesso posto una April ed un Jackson.
E se Jackson l'avesse davvero amata avrebbe parlato molto prima del giorno del suo matrimonio o avrebbe taciuto per sempre. Non le avrebbe chiesto di scegliere, oltre a lui, Jackson, pure l'umiliazione di Matthew, e lei se ne prendeva la responsabilità perché lei aveva scelto, ah se aveva scelto. Lo aveva umiliato davanti alla sua famiglia ed ai suoi amici. Umiliato per uno che l'aveva già assaggiata - tante volte, pensò April, tante volte negli sgabuzzini di quell'ospedale, senza ritegno, senza un pensiero, senza dire una volta aspetta che ti porto a casa stasera, lo facciamo in un letto, o in cucina va bene, ma in posto dove siamo solo noi, dove non c'è niente di furtivo, dove non saremmo ridicoli se ci dovessero scoprire, dove c'è tutto il tempo per le chiacchiere del dopo e la dolcezza - e poi l'aveva lasciata andare. Le aveva visto organizzare un matrimonio, ma non aveva detto niente.

Per riprendersela aveva preteso in cambio l'umiliazione di un uomo. E della donna che diceva di amare.


Owen arrivò nel tardo pomeriggio e si offrì di portarle a fare un giro. April comprese che le avrebbero pulito casa, fatto la spesa, e riempito il frigorifero e che poi sarebbero tornate in ospedale da lei, senza farsene chissà poi che vanto - erano delle Kepner, erano brave persone, erano pragmatiche e non la facevano tanto lunga.

Il sorriso di Owen, bonario e un po' triste le fece capire che lui capiva - aveva una famiglia anche lui, aveva una sorella, che era simpatica ma era anche lei una versione di se stessa diversa da quella che lui aveva amato (e protetto) da bambina.

Mentre era sola ripensò a quando Owen stava con Cristina: era stato in un limbo anche lui, con una donna che lo amava, ma non abbastanza da mettere loro due al primo posto. Cristina si era presa la compagnia, la conversazione, lo stimolo intellettuale, il sesso. E l'amore, la comprensione, la presenza costante. E il cibo cucinato con amore perché la Yang non sapeva cucinare e questo era triste perché tutti abbiamo una cucina in casa e tutti dobbiamo mangiare per sopravvivere e non serve diventare degli chef. Si, si, il lavoro, era vero, prendeva tanto tempo, ma dopo il lavoro doveva esserci una vita adulta, mentre loro nel ruolo di studenti era come se si ritenessero eternamente adolescenti.Cristina era il suo lavoro. Non era altro. E non c'era proprio niente che lei volesse dare ad Owen, nemmeno una frittata, perché questo dare non era nella sua natura e la Yang la sua natura la voleva rispettare, non tentare di modificare.

Allora aveva pensato che Owen sbagliasse, lo aveva pensato con tutto il cuore. Aveva pensato che Cristina era come una brutta abitudine che gli faceva solo male, come fumare e che era il caso di smettere.

Si chiese, tra le lacrime perché avesse faticato così tanto ad essere lucida con Jackson, mentre con Owen le era sembrato tutto malinconicamente chiaro. Si chiese il perché del Montana.

Si addormentò piangendo e senza una risposta.

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