Wasteland: Il mondo perduto

di ElasAster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Terra.
Mi sono appena svegliato dall'unità criogenica del mio bunker. Sono fermo, seduto su di essa, da ormai, quella che penso sia, mezz'ora buona. Ho la testa in fiamme e sento il mio corpo come se fosse appena nato. Non mi sento più il tatto, non mi sento più il corpo, non mi sento più in grado di camminare, ma, dopo qualche minuto, provo a dare un po' di carico in più alle gambe.
Con uno sforzo immane e le gambe che protestano, tento di mettermi in piedi con molta fatica a causa del torpore e l'equilibrio viene a mancare.
Tutt' a un tratto mi sento debolissimo e la testa mi gira come una giostra. Provo a risedermi sul lettino dell'unità criogenica, ma, nel cercarlo con la mano, perdo completamente l'equilibrio, cadendo a terra.
Provo ad ammortizzare il colpo con il braccio, ma finisco solo col peggiorare la situazione. Cado sul gomito e questo mi provoca un fortissimo dolore, acuto, proprio nel punto d'impatto con il pavimento.
Ci riprovo dopo qualche minuto. Questa volta mi sembra di non avvertire altre debolezze, probabilmente lo shock della caduta ha fatto riprendere il cuore a battere correttamente ed il sangue a girare come dovrebbe.
Mi guardo intorno ma non riesco a vedere null'altro che buio. Di fronte a me si para con prepotenza l'oscurità assoluta.
So che il bunker è relativamente piccolo, quindi provo a procedere tastando l'aria e tutto quello che mi si para davanti.
Ad un certo punto sento il muro freddo e, procedendo a tatto, trovo un interruttore.
Provo a farlo scattare, ma ancora non vedo nessun cambiamento. Sento, però, un leggero fischio elettronico che mi ricorda molto quel fastidioso rumorino che impostai, chissà quanto tempo fa, come errore energetico.
Immaginando che si tratti di un malfunzionamento dell'impianto elettrico provo a cercare la porta blindata e, dopo qualche metro, la trovo sulla parete vicina.
Provo a girare il volano per aprirla, ed ecco che la porta, emettendo un rumore meccanico, si apre.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

All'apertura della porta sento uno spiffero freddo accarezzarmi le gambe e mi ritrovo su un piccolissimo pianerottolo illuminato da una debole luce soffusa.

Davanti a me, c'è una lunga scaletta a pioli che porta in superficie. Ma prima di uscire, penso sia meglio dare un'occhiata più approfondita al mio bunker.

Infatti, vicino alla porta c'è un baule di alluminio da cui recupero un piccolo kit di sopravvivenza abbastanza completo.

Il kit in questione è composto da un machete, una borraccia vuota, uno zaino, un acciarino e una Beretta da 9mm con rispettive munizioni.

Spero di trovare dell'acqua fresca, altrimenti non resisterò al lungo.

A questo punto penso che non mi resti che uscire all'aria aperta per esaminare la situazione e decidere il da farsi.

La scaletta cigola sotto i miei movimenti, ma malgrado sia visibilmente ossidata e malmessa, sembra reggere ancora il mio peso.

Spalanco la grata che mi sovrasta e mi guardo attorno, rimanendo parecchio deluso. Speravo che la natura avesse preso il sopravvento sul mondo come le ho sempre visto fare.

Di fronte a me si staglia la desolazione, nessuna traccia di vita, nessuno in giro, niente di niente.

Prendo un bel respiro, segno che l'aria è ancora respirabile.

La terra brulla si sgretola sotto i miei passi e poco più in là vedo un albero, o almeno il piccolo tronco secco e morto che ne resta. Mi avvicino e controllo il tronco, per assicurarmi di non trovare qualcosa che possa nuocermi in qualche modo, come uno scorpione, una tarantola o chissà che altra diavoleria.

Dopo essermi accertato di essere in sicurezza, appoggio le mani sul tronco stretto e inizio a spingere.

Sento la terra sollevarsi un po' sotto ai miei piedi e poi qualcosa che si spezza.

Le radici secche si rompono, facendo cadere il tronco a terra e sollevando una piccola nube di polvere.

Mi accovaccio e vedo che sotto la base del tronco è tutto secco, probabilmente non piove da mesi o addirittura anni.

Ad un certo punto inizio a pensare. E se avessi sbagliato ad ibernarmi? Se fosse stato inutile e fosse stato meglio rimanere a morire con gli altri? Adesso non mi sarei ritrovato a lottare contro una morte ancora più lenta e dolorosa come morire di fame o di sete.

La malinconia mi assale e quella pistola assume tutta un'altra aria. Dapprima un oggetto di difesa ora diventa una via di fuga dalla sofferenza, dalla fame e dal dolore.

Mi stendo a terra e ripongo l'arma nello zaino, prima che mi venga qualche idea idiota da suicida.

Dopo qualche minuto steso al sole con gli occhi chiusi mi rimetto seduto, la luce che con le palpebre chiuse mi faceva vedere un lucente rosso, ora mi fa vedere tutto blu attorno a me.

A questo punto penso che stare lì non serva a nulla, quindi mi adopero per trovare traccia di qualche costruzione e soprattutto viveri.

Un po' più in là vedo un'altura e decido quindi di salirci sopra, magari posso vedere se c'è qualcosa di raggiungibile.

Guardando da una parte non vedo nulla ma, girandomi, ad un paio di chilometri di distanza, vedo un agglomerato di edifici.

Mi appunto mentalmente la posizione di questa minuscola montagna e mi incammino con lo zaino in spalla, il machete nel fodero, la borraccia legata allo zaino ed una tenue speranza dentro di me.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Zaino in spalla, machete nel fodero, borraccia appesa allo zaino e Beretta infilata nella sua tasca laterale. Sotto il sole battente mi faccio forza e cerco di raggiungere i caseggiati distanti. 

Il cielo è di un blu intenso che fa quasi male agli occhi. Sotto i miei passi sento gli scarponcini un po’ secchi e rigidi. Penso che, in teoria, dovrebbero ammollarsi un po’ man mano che li si usa. Mi sento fresco e riposato, ma ben cosciente di far tesoro di questa sensazione, poiché sono sicuro che non la proverò per un bel pezzo. 

Camminando in quella desolazione, percepisco in contrasto che c’è ancora vita da qualche parte, in qualche flebile ed apparentemente irrilevante forma. “Ci sarà ancora la falda acquifera?” Mi chiedo, dal momento che non c’è la minima traccia d’acqua in superficie. 

Ad un certo punto mi imbatto in un piccolo crepaccio, che fortunatamente, nel punto in cui mi trovo, non è troppo largo, quindi lo scavalco con un salto neanche impegnativo. Per curiosità, mi stendo a terra, onde evitare di caderci dentro, mi affaccio dal dirupo. Il fondo è piuttosto buio, ma viene illuminato da della luce che riesce a filtrare da un punto più largo a poche decine di metri da me. Sul fondo vedo delle rocce coperte in parte da uno strato verde, che identifico in buona fede come muschio. “Beh, già che c’è del muschio è un buon segno, magari la falda c’è ancora. Anche perché non saprei proprio da dove altrimenti prederebbe l’umidità.” 

Vista la possibilità di trovare fisicamente dell’acqua, mi riempio di speranza e avanzo con passo deciso, quasi accelerato, verso le costruzioni e, arrivato sul posto osservo gli edifici. Sono degli edifici diroccati, probabilmente abbandonati da parecchio tempo, il quale non ha avuto pietà su di loro. Entro in quello che sembra quello più grande. Il fabbricato è costruito su un solo piano, con un unico grande salone, il quale presenta un pavimento in pietra e dei vecchi mobili in legno. Tra di essi mi sembra di riconoscere dei telai metallici di letti, poco meno di una decina. “Forse qui si sono rifugiate delle persone per cercare di sopravvivere a questa crisi. Che è successo allora?” I materassi e le loro imbottiture sono ormai un lontano ricordo, tuttavia ci sono gli altri edifici da esplorare. 

Entro nell’edificio subito adiacente e mi ritrovo davanti un bancone di legno e qualche tavolo nella stanza. Sembra una specie di bar o comunque un punto di ritrovo sociale e di passatempo, del resto non è che ci si potesse svagare con molto altro, immaginate le condizioni. I tavoli logori sembrano, a giudicare dal tipo di buchi e di corrosione, mangiati dagli insetti. “Allora non tutto è perduto. Dai che posso farcela.”. Anche se, a giudicare dalle condizioni di sopravvivenza, sostenersi con soli insetti per tanto tempo è una soluzione improponibile. "Come potrei mai catturarli?". Mi immagino a disotterrare da terra insetti e mangiarli con disgusto, immagine orripilante quanto probabile, dal momento che non ci sono altre alternative. Ok per il cibo, il quale chiamarlo tale è un insulto ad una succulenta e nutriente bistecca al sangue. Meglio non pensare a queste cose, o la mia situazione mentale peggiorerà in modo esponenziale. Limitiamoci a pensare che abbiamo trovato dove stabilirci e dormire.

Prendo una roccia da terra e inizio a rompere i tavoli, in modo da ricavarci un po’ di legna da ardere. Decido di rompere la legna ricavando combustibile, anche se non completamente, dal momento che intendo preservarmene un po’ da impiegare, o perlomeno provarci, nella creazione di un materasso di fortuna. Preso il legno, lo carico nello zaino e torno nel rifugio. Nel mentre, il sole è arrivato al massimo zenit, infatti sento picchiare veramente forte sul mio corpo, con la pelle che si lamenta del raggio caldo. 

 Dopo aver portato il legno al rifugio, il mio passo successivo, sarà la raccolta di cibo e acqua. Mi assale l’angoscia, dal momento che un conto è immaginare, un altro è mettere in pratica. Sono certo che non sarà una passeggiata trovare viveri. 

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