Cháos di Roiben (/viewuser.php?uid=601789)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventitré ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo Venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo Trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentatré ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentotto ***
Capitolo 39: *** Capitolo Trentanove ***
Capitolo 40: *** Capitolo Quaranta ***
Capitolo 41: *** Capitolo Quarantuno ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno ***
Cháos
Capitolo
Uno
Sarebbe
senz’altro stata una notte piacevole, o quanto meno
accettabile, se
il nitrito di uno dei suoi incubi non lo avesse strappato a forza
dalla silenziosa contemplazione di una città addormentata.
Svogliatamente, e
con un
pizzico di irritazione, volta lo sguardo e ciò che vede gli
fa
sbattere ripetutamente le ciglia, insicuro di quanto gli si stia
realmente presentando di fronte agli occhi. Quello scompostamente
accomodato in groppa all’incubo è proprio lo
stesso spirito
dell’inverno che ha incontrato qualche mese prima e che
fastidiosamente ricorda di aver tentato di eliminare in più
di
un’occasione? Solleva un sopracciglio, interdetto.
«Jack
Frost?»
si accerta,
ancora incapace di processare a dovere la presenza del nuovo
arrivato.
L’interpellato
sorride
sfrontatamente mettendo in bella mostra la sua perfetta e
scintillante dentatura.
«Indovinato!»
esclama
allegro. «Sei svelto, eh» aggiunge, ironico.
Si porta un paio di
dita alla
tempia sinistra che ha appena preso a pulsare fastidiosamente.
«Che
razza di dannato vento
ti ha condotto fino a qui?» ringhia, molto più che
seccato
dall’improvvisata affatto gradita.
«Uhh,
come siamo ospitali,
Pitch».
«Vai
all’inferno e restaci,
Frost» ordina seccamente, congedando con un gesto imperioso
alcuni
incubi appena comparsi, apparentemente curiosi di scoprire qualcosa
in più sulla nuova presenza.
Lo spirito
dell’inverno,
lungi dal voler seguire il poco gentile invito del padrone di casa,
salta a terra, liberando della sua presenza la nera cavalcatura che
se la dà precipitosamente a gambe un attimo dopo, e si
avvicina
lentamente allo spirito oscuro, sventolando in aria il proprio
bastone e spandendo per i verdi prati qualche scomoda manciata di
fiocchi di neve fuori stagione.
«Senti,
non è che io sia
esattamente al settimo cielo per essere stato spedito qui»
precisa
Jack, sbuffando.
Pitch arriccia le
labbra e lo
fissa con disgusto. «Non ti trattengo. Sono certo avrai di
meglio da
fare» strascica.
«Ci puoi
scommettere, amico»
ghigna, trovandosi un momento dopo la nera lama di una falce puntata
al collo.
«Non sono
tuo amico» sputa,
orripilato.
«Ehm,
già, l’ho notato»
assicura Jack, sollevando le braccia e tentando invano di blandirlo.
Pitch assottiglia
lo sguardo e
lo studia brevemente poi, con lentezza, scosta la lama senza tuttavia
farla sparire. Sospira.
«Immagino
non te ne andrai
fintanto che non mi avrai messo a parte della motivazione della tua
presenza qui, dico bene?».
Jack torna a
ghignare e si
porta le mani alla nuca con fare casuale, piroetta un paio di volte,
congelando il prato curato e balza con leggerezza su un masso in
bilico sullo strapiombo sotto il quale scorre un fiume reso al
momento invisibile dall’oscurità.
«Credo di
no» conferma,
attendendo la reazione dell’altro.
Pitch, che non lo
ha mai perso
d’occhio per un solo istante, scuote il capo sconfortato e si
domanda che cosa abbia fatto di male, ultimamente, per essersi
meritato una punizione simile.
«Ottimo»
sbotta, intendendo
l’esatto contrario. «In questo caso sbrigati a
parlare, così che
io possa tornare a godermi la notte in santa pace» intima
seccato.
Un silenzio scomodo
si
stiracchia indolente e prolungato fra loro, mentre evidentemente lo
spirito dell’inverno riflette su come introdurre
l’argomento.
Pitch, nervoso, sta seriamente per esaurire la già limitata
pazienza
di cui dispone, e il tamburellare del suo piede contro il terreno ne
è un segnale tangibile. Ha una mezza idea di provare a farlo
a fette
e conservarlo in cantina per vedere se manterrebbe ancora le sue
proprietà surgelanti, quando finalmente lo sgradito ospite
sembra
decidersi a fornirgli una qualche parvenza di spiegazione.
«Manny
dice che tu puoi
aiutarci a fare luce su un problema che è comparso di
recente»
esordisce speranzoso.
Pitch lo fissa
interdetto, poi
allucinato, in seguito sbatte più volte le ciglia, infine
scuote
tristemente la testa.
«Sinceramente
e con tutto il
rispetto: che tipo di sostanza psicotropa ha assunto, di recente,
l’Uomo nella Luna?».
Con suo sommo
sconcerto,
nonché profonda costernazione, Jack scoppia a ridere,
tenendosi lo
stomaco fra le braccia e rotolandosi scompostamente a
mezz’aria,
agitando freneticamente le gambe. Pitch sospira di nuovo e si
massaggia le tempie, sconsolato, aspettando e pregando che finisca in
fretta. Se solo potesse, preferirebbe di gran lunga una morte veloce
e dignitosa; ma è già morto, disgraziatamente,
pertanto è
costretto a rassegnarsi al suo triste destino.
Molti, troppi
minuti dopo,
Jack sembra finalmente in grado di ritrovare un minimo di
tranquillità, senza peraltro perdere il sorriso.
«Ah,
fantastico! Ma lo sai
che non ti facevo così spiritoso?» esclama,
apparentemente
soddisfatto.
Pitch lo fissa
truce, le mani
che prudono fastidiosamente dal desiderio represso di stringersi
attorno a quel collo candido e immacolato, e stringere, e stringere.
“Oh, sì. Questo sarebbe superbamente
appagante” riflette
deliziato.
Il ghigno
spaventevolmente
sadico che compare sul volto dello spirito oscuro fa decisamente
passare la voglia di ridere a Jack.
«Uhm,
bene» soffia incerto.
«Senti» riprende debolmente, «so che te
ne frega poco dei nostri
problemi, ok? Solo… magari potresti giusto dare
un’occhiata.
Forse hai ragione e Manny stavolta vuole coinvolgere lo spirito
sbagliato, ma… E se non fosse così? Se, in
qualche modo, davvero
tu potessi essere la chiave per risolvere questo pasticcio?»
insiste.
Pitch lo sta
fissando in modo
piuttosto enigmatico e Jack si chiede se per caso non abbia detto
qualcosa di davvero offensivo.
«Un gran
bel modo per
chiedere l’aiuto di qualcuno, mh?» commenta infine
lo spirito
oscuro. «Secondo quale convinzione ritiene di potermi
coinvolgere
allegramente nei suoi sciocchi intrighi infantili?» sbotta
seccato.
Jack solleva gli
occhi al
cielo e finge di prendersi a bastonate in testa, esternando in tal
modo la sua frustrazione.
«Ah,
Pitch, perché sei
sempre così sospettoso? Il guaio c’è
davvero, e pare che nemmeno
North ci capisca nulla. Sono certo che l’Uomo nella Luna non
stia
cercando di fregarti, se è questo che ti
preoccupa».
Pitch lo guarda un
lungo
momento con aperto scetticismo, poi scuote la testa pieno di
compassione per quel povero idiota che gli sta davanti così
incrollabilmente persuaso delle sue sciocche convinzioni.
«Non mi
sorprende che tu sia
finito incastrato fra le fila dei guardiani. Con questa tua
ingenuità, chiunque potrebbe approfittarsi di te»
lo accusa.
«Non
è affatto vero!»
esplode Jack, sollevandosi dal masso e sprizzando nervose scintille
ghiacciate. «Io sono il padrone delle mie scelte e decisioni,
e
nessun altro» afferma sicuro.
«Buon per
te» ribatte
asciuttamente Pitch. «Ma per quanto mi riguarda non ho la
minima
intenzione di farmi coinvolgere in una delle vostre assurde avventure
al salvataggio di qualche sciocco bambino» rimarca
cocciutamente,
voltando la testa dall’altra parte.
Jack gonfia le
guance,
indispettito, e quando sbuffa il proprio scontento una nuvola di
ghiaccio ricopre la schiena dello spirito oscuro, il quale si volta
di scatto fulminando il colpevole con un’occhiataccia
inceneritrice.
«Ops»
pigola Jack,
saltellando rapidamente via dalla roccia per evitare di essere fatto
a brandelli dall’altro. «Senti, non l’ho
fatto apposta, ok?»
prova, nel disperato tentativo di salvare il salvabile.
«Sparisci-dalla-mia-vista-JACK
FROST!» ringhia Pitch, deciso più che mai a
liberarsene, in un modo
o nell’altro.
La lama della falce
fende
l’aria una misera frazione di secondo dopo che il suo
bersaglio si
è tolto dalla sua traiettoria. Jack guadagna velocemente
quota,
mettendo una più che ragionevole distanza di sicurezza
dall’altro
spirito evidentemente intenzionato a vendicarsi e sospira, un poco
deluso per l’esito dei suoi sforzi e anche in parte colpevole
per
aver involontariamente contribuito alla propria disfatta.
«Mi
dispiace!» esclama,
fluttuando a un’altezza ragguardevole.
«Ti
dispiacerà certamente di
più, se insisti a rimanere» minaccia Pitch,
spedendogli contro
un’ondata di sabbia nera nel tentativo di allontanarlo una
volta
per tutte, se non altro.
Miracolosamente, lo
spirito
dell’inverno sembra recepire il messaggio e, con
un’ultima
occhiata alla nera figura ferma sul ciglio dell’abisso, si
solleva
di qualche altro metro, lasciandosi afferrare dal vento e trasportare
lontano.
*
«Mi
dispiace. Ci ho provato,
davvero» assicura con ardore il guardiano del divertimento.
«Ne sono
certo, Jack» prova
goffamente a placarlo Nicholas. «Purtroppo, a questo punto,
non c’è
molto altro che possiamo fare, se non aspettare e sperare che Sandy
torni con qualche novità» ammette, scuotendo
stancamente la testa.
«Sarebbe
stato meglio mandare
direttamente lui» interviene Aster, scoccando
un’occhiata
sarcastica ai colleghi. «Aspettarsi un qualsiasi risultato
positivo
da Frost è semplicemente un’idea sciocca e una
perdita di tempo»
fa notare con stizza.
Jack stritola il
bastone fra
le dita, ricoprendolo di uno spesso strato di ghiaccio, e digrigna i
denti.
«Oh,
sicuro. Immagino che tu
avresti fatto di meglio, canguro» lo apostrofa tagliente.
«Non
chiamarmi così!» si
inalbera il coniglio.
«Finitela,
voi due!» tuona
Nicholas, facendo tremare pericolosamente il lampadario di cristallo
sulle loro teste dopo aver colpito il camino con un pugno. «I
vostri
bisticci non ci aiutano a trovare una soluzione al nostro
problema»
aggiunge con un tono più pacato ma al contempo di
ammonimento.
Le lunghe orecchie
di
Bunnymund si afflosciano, pendendo inermi ai lati della sua testa
pelosa, mentre Frost posa con leggerezza i piedi a terra e si
rannicchia su sé stesso, sospirando abbattuto.
«Scusa»
borbottano
all’unisono, fissandosi poi sorpresi e dedicandosi
vicendevolmente
un’occhiata carica di rancore.
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Capitolo 2 *** Capitolo Due ***
Capitolo
Due
Sanderson
purtroppo non è tornato con buone notizie per gli altri
guardiani.
La nota positiva è che pare che il loro nuovo avversario
intenda
prendersela con comodo, dato che nelle ultime ore nessuno di loro ha
riportato di possibili attacchi né a danno degli umani
né degli
spiriti; quella negativa è che fino a ora non hanno avuto la
possibilità di scoprire di chi (o cosa) si tratti,
brancolando
semplicemente nel buio, nonostante le indicazioni di Manny.
«Come
facciamo a proteggere i
bambini, se non sappiamo da chi vanno protetti?» obbietta
giustamente Toothiana, svolazzando freneticamente da un lato
all’altro della sala senza sosta, facendo venire il mal di
mare a
tutti.
«Dobbiamo
stare all’erta,
tenere d’occhio qualsiasi anomalia, essere pronti a
intervenire al
minimo accenno di pericolo. Ecco come» puntualizza con
decisione
Nicholas.
Sandy arriccia il
naso,
dubbioso, e scambia un’occhiata significativa con la fata.
«Dimentichi
che abbiamo dei
doveri. Se occupassimo le nostre giornate a scandagliare il pianeta
in cerca di un fantasma, chi si occuperebbe di raccogliere i ricordi
dei bambini, o di mandar loro bei sogni?» protesta Toothiana,
spalleggiata da Sanderson che annuisce convinto.
«Toothiana
ha ragione»
interviene Aster. «Fra non molto sarà Pasqua: non
posso perdere
giorni in una caccia senza meta. Le uova non si dipingono da
sole»
borbotta acidamente.
«Beh»
mormora Jack,
rigirandosi il bastone fra le mani, «io potrei prendere in
prestito
un paio di yeti di North e perlustrare i luoghi più
probabili». Fa
spallucce, incerto. «In fondo non ho poi molto da fare in
questo
periodo» ammette, pensando all’inverno ormai
passato.
«Sta
bene. Farò la mia parte
anch’io» conferma Nicholas con decisione.
«Scopriremo ciò che
c’è dietro le ultime stranezze».
«Hai
riflettuto sulla
possibilità che, di chiunque si tratti, non sia interessato
unicamente ai bambini?» ragiona la fata, fissandolo
preoccupata. «In
questo mondo esistono molti spiriti e creature pericolose, e la
maggior parte desidera solo arrecare sofferenza agli esseri umani. La
sofferenza degli adulti, spesso, è molto più
vasta, variegata e
appetibile».
«Se
Toothiana ha ragione» si
intromette Aster, guardingo, «noi che cosa
c’entriamo? Manny ci ha
mobilitati, ma noi siamo qui per proteggere i bambini e permettere
loro di crescere sereni». Scuote la testa, costernato.
«Spero non
pretenderà seriamente che noi si debba lavorare il doppio
per
salvaguardare anche gli adulti. Ci saranno certamente creature che
già se ne occupano, no?».
L’espressione
scioccata di
Sanderson vale certamente più di mille parole. Ma per non
lasciare
nulla al caso e rendere indelebilmente chiaro il concetto, un poco
della sua sabbia dorata assume forma umana e, dopo aver voltato le
spalle al pooka, si cala i pantaloni e gli mostra un bel paio di
luccicanti chiappe dorate. Detto
ciò, l’Omino dei Sogni abbandona la riunione,
deluso, e se ne
torna al suo duro lavoro di dispensatore di bei sogni.
Toothiana non
risparmia ad
Aster un’occhiata truce e segue presto le orme di Sanderson,
volando rapidamente fuori dal palazzo. Il guardiano della speranza
sposta lo sguardo alternativamente da Nicholas a Jack e ritorno, e
mugola indispettito.
«Che ho
detto?» si lamenta,
borbottando e sollevando esasperato le braccia al cielo.
*
Fra le sue mani
c’è un
vecchio libro dall’aspetto delicato e scritto fitto in una
qualche
lingua defunta da secoli; tuttavia la sua attenzione è
labile e non
è assolutamente in grado di concentrarsi sul significato di
ciò che
sta sotto i suoi occhi. Altrove vagano i suoi pensieri. È
una
creatura dalla natura curiosa, Pitch; lo è stato spesso
anche nella
sua vita precedente (nella sua unica vita, a ben vedere). Non fa
altro che tornare insistentemente alla sciocca conversazione avuta
giorni prima con il guardiano del divertimento e a
quell’indefinito
problema
comparso di
recente
del quale
ha farfugliato senza cognizione di causa. Di cosa potrebbe trattarsi?
Uno spirito maligno, forse? O qualcosa di peggio? Soffia uno sbuffo
irritato, ma l’irritazione è tutta per
sé stesso stavolta. Che
cosa mai dovrebbe importargli dei grattacapi occorsi ai guardiani?
«Assolutamente
niente, ecco
cosa» strascica velenoso.
Peccato non essere
sufficientemente persuasivo da convincere la sua testa a lasciar
perdere la questione. Solleva gli occhi al cielo, esasperato, e si
arrende all’evidenza che non riuscirà a
concentrarsi su null’altro
se prima non avrà risolto quel mistero. Sospira piano,
richiude
delicatamente il libro e, dopo averlo riposto con cura in uno
scaffale protetto, lascia la sua tana ed esce in superficie,
richiamando velocemente uno dei suoi incubi con maggior esperienza.
Presto quest’ultimo compare al fianco del padrone e lo studia
con
un pizzico di curiosità, come a voler comprendere le nuove
necessità
dello spirito.
«Un giro
di ispezione,
bellezza. Voglio dare personalmente un’occhiata a questo
fantomatico problema di cui vanno blaterando quei buoni a nulla dei
guardiani» spiega velocemente Pitch, prima di montare
fluidamente in
groppa allo stallone e incitarlo a partire.
*
Cavalca da quasi
un’ora,
stranamente rilassato nell’ormai mite aria notturna. Ancora
non ha
avvistato nulla di insolito, ma è presto per darsi per
vinto. Non
conoscendo la natura di ciò che sta cercando, non
può neppure avere
la certezza di dove sia più ovvio recarsi. Sostanzialmente
si muove
casualmente e senza meta, deciso a non lasciarsi frenare da comuni e
scontati ragionamenti sull’inutilità di agire
senza possedere la
giusta conoscenza. La cavalcatura che lo sta conducendo è
più che
sufficiente per guidarlo nella direzione giusta, basandosi sul suo
istinto unito alle sensazioni del proprio cavaliere.
In quel momento
stanno
sorvolando la tranquilla spiaggia di un’isola disabitata
sperduta
nell’Oceano Pacifico; niente luna a interferire e rendere
fastidiosa la sua spedizione, solo oscurità e stelle a
perdita
d’occhio: la sua notte ideale, insomma. Un lieve sorriso
increspa
appena le sue labbra e le sue gambe spronano l’incubo ad
aumentare
l’andatura già piuttosto sostenuta, facendoli
procedere spediti e
senza intoppi oltre l’ultima striscia di terra ferma e
più oltre,
in mare aperto.
Ed è
lì, apparentemente nel
bel mezzo del nulla mentre sorvolano la distesa di acqua scura, che
Pitch assottiglia lo sguardo, dopo aver individuato
un’anomalia
dove invece il paesaggio avrebbe dovuto essere monotamente uguale a
sé stesso. «Quello
cos’è?» chiede a nessuno in particolare,
occhieggiando criticamente ciò che ha l’aria di
una grossa, grigia
nuvola galleggiante a pochi metri dall’acqua.
Con un leggero
movimento del
polso ordina all’incubo di atterrare e, lentamente, planano
verso
la strana nuvola, atterrandovi come su di un morbido cumulo di
cuscini. Pitch è nervoso e la sua cavalcatura con lui.
Circospetto,
smonta dalla groppa e avanza di pochi passi, osservando attentamente
l’ambiente che lo circonda senza tuttavia riconoscere alcun
particolare famigliare.
D’un
tratto, praticamente
dal nulla, compare una figura pallida, dai capelli bianchi e coperta
di ampie stoffe grigie e argento bordate di porpora, ai fianchi due
spade corte e lucenti.
Pitch sgrana gli
occhi ma
riesce a impedirsi di sussultare per la sorpresa di ritrovarselo di
fronte senza preavviso alcuno. Ghigna dentro di sé per
l’ironia
della sorte: uno spirito ombra che si fa prendere alla sprovvista
dalla repentina comparsa di un fantasma (o di qualcosa che lo
sembra).
«Temo di
non conoscerti»
mormora pacato e guardingo, evitando di sbilanciarsi troppo con una
creatura sconosciuta e per tale ragione imprevedibile.
Il suo
interlocutore incrocia
le braccia al petto e reclina il capo, evidentemente incuriosito.
«Probabilmente
no, ma io
conosco te, o per lo meno la tua fama» replica lo sconosciuto.
Il nervosismo di
Pitch sale,
mentre fa del suo meglio per limitare le proprie reazioni.
L’incubo
alle sue spalle sbuffa e scuote la criniera, percependo lo stato
d’animo alterato del padrone.
«Potrei
dunque sapere con chi
sto parlando?» insiste Pitch con garbo stentato.
Ciò che
ottiene è un
irritante sorrisetto di scherno e un’alzata di spalle
disinteressata che contribuisce a dargli sui nervi.
«Ba’al
è il mio nome. Ma
poiché, ahimè, è un appellativo
oltremodo diffuso, posso dirti che
questo
Ba’al si fregia del titolo di Signore delle Tempeste, e tanto
ti
basti» insinua arrogantemente, senza mai perdere il suo
sorriso
supponente.
A dispetto
dell’atteggiamento
che mal dispone al contatto civile, Pitch si vede impallidire oltre
l’umana concezione alla scoperta di chi effettivamente si
trova a
fronteggiare. E poiché i guai non vengono mai soli, poco
dopo il
primo colpo ne giunge subito un secondo.
«Oh, e
questi» aggiunge
Ba’al, indicando la creatura oscura appena comparsa al suo
fianco
«è mio fratello Mot». Dopo aver
osservato, brevemente e con
attenzione, l’espressione di Pitch, annuisce piano.
«Posso
supporre, a giudicare dalla tua reazione, che tu ne abbia
già
sentito parlare» lo sbeffeggia.
Pitch geme
internamente,
rimpiangendo amaramente quell’innocuo libro che aveva fra le
mani
solo poche ore prima. Ma chi sapeva che quella notte avrebbe
incontrato sulla sua strada niente meno che la morte in persona.
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Capitolo 3 *** Capitolo Tre ***
Capitolo
Tre
«Hai
forse perduto il dono della parola, Pitch Black?» indaga
Ba’al,
confermando di conoscere lo spirito oscuro giunto fino a lui.
Pitch scuote la
testa,
tentando di disperdere gran parte della sua sorpresa e sconcerto.
«Non
proprio» soffia
incerto. «Semplicemente non mi aspettavo un incontro del
genere»
ammette. “E nemmeno l’auspicavo” aggiunge
mentalmente,
maledicendo non per la prima volta la sua curiosità.
Ba’al
ride, facendo
accapponare la pelle dello spirito oscuro e vacillare pericolosamente
la sua mente.
«Un modo
gentile per
affermare che ti sei ritrovato nel posto sbagliato al momento
sbagliato, immagino».
“Decisamente
sbagliato”
rincara amaramente Pitch, per nulla persuaso delle proprie effettive
possibilità di uscirne, in un qualunque modo. «Non
era mia
intenzione, in effetti» ammette di malavoglia.
«Ma sei
qui, ormai. Cercavi
qualcosa, nel tuo casuale errare?» chiede Ba’al,
incuriosito.
Pitch non sa come
rispondere.
Sì, cercava qualcosa, ma non aveva assolutamente idea che
fosse
quella la sua meta. Se ne avesse anche solo avuto sentore, sarebbe
più che volentieri rimasto comodamente seduto sulla sua
poltrona per
i successivi due o tre secoli. Ma tant’è, ormai ci
si trova in
mezzo e non c’è modo che possa tornare sui suoi
passi, non con
Ba’al che lo deride né, tanto meno, con Mot che lo
fissa senza
batter ciglio con i suoi occhi bui come l’abisso stesso.
Quella
creatura riesce a essere assolutamente spaventosa senza neppure
sollevare un dito né emettere suono.
«Dimmi,
Pitch Black, hai
paura?» insinua Ba’al divertito.
Pitch digrigna i
denti ma,
ancora una volta, decide di rimanere in silenzio.
«Tu sei
lo spirito della
paura. Dovresti portarla, non provarla» lo deride.
«Ebbene, per
quale motivo hai deciso di cercarmi, se ora che mi hai trovato ne sei
spaventato?».
Chiude gli occhi,
solo per un
breve istante, il tempo di insultarsi mentalmente per
l’ennesima
volta.
«Purtroppo
non avevo idea di
ciò che avrei trovato» soffia tra i denti,
spazientito.
Ba’al
sorride sornione e
scuote impercettibilmente il capo. «Capisco. Pensi ti
permetterò di
lasciare questo luogo indisturbato?».
Un sospiro
silenzioso. Sposta
velocemente lo sguardo sulla nera figura del fratello. Sa di non
avere via d’uscita.
«No,
anche se ammetto che lo
apprezzerei immensamente» replica rassegnato, ottenendo in
premio
una risata di scherno.
«Sei uno
spasso, seriamente.
Penso che mi divertirò parecchio con te» annuncia
allegramente
Ba’al, spedendo un lungo brivido di terrore su per la schiena
di
Pitch.
Il Signore delle
Tempeste
indirizza una fugace e penetrante occhiata al fratello, poi torna a
concentrarsi sullo spirito oscuro e con un ghigno eccitato estrae
simultaneamente le due spade dal fodero. Un misero battito di ciglia
più tardi Pitch, con un roco grugnito sconvolto, blocca a
stento il
primo affondo frapponendo fra sé e le due lame lucenti una
grossa
spada nera come l’ossidiana ma evidentemente molto
più resistente.
Stringe i denti, impedendosi categoricamente di cedere al panico, e
spinge bruscamente lontano il suo avversario, levandosi
immediatamente dalla traiettoria del seguente attacco. Ha
già il
fiato corto e una spalla mezza slogata per quel primo brusco impatto,
ciò nonostante si sforza di mantenere la concentrazione per
non
perdere la testa (in nessun senso possibile). Nonostante la mole
ragguardevole, Ba’al si rivela anche incredibilmente veloce e
Pitch
fatica non poco a tenergli testa; ha persino la sensazione che si
stia in qualche modo trattenendo, forse per verificare le sue
effettive capacità, ma non è certo se sia un
fatto positivo o meno,
al momento. Pitch è troppo occupato a conservare il suo
corpo tutto
d’un pezzo per avere anche il tempo di riflettere seriamente
sul
comportamento di quella creatura.
Dal riecheggiante
cozzare
delle lame scaturisce, non si sa come, un lampo abbagliante che
impatta violentemente contro Pitch, scaraventandolo a diversi metri
di distanza. Non ha neppure trovato il fiato né la forza per
gridare
e ora sbatte freneticamente le ciglia sugli occhi appannati e si
sforza di rimettersi in piedi in modo da non offrire
all’altro un
facile bersaglio.
È nei
guai: grossi, enormi,
monumentali guai. Ma qualcosa è imprevedibilmente scattato
dentro di
lui; una piccola parte di sé che a quanto pare ha deciso di
giocarsela e dimostrare a quel maledetto sbruffone che Pitch non
è
per nulla una facile preda, ma un avversario di tutto rispetto.
«Già
stanco, Pitch Black?»
ronza irritantemente Ba’al al suo indirizzo.
«Non
ancora» ringhia Pitch,
incenerendolo con un’occhiata torva.
Ba’al
sfodera un enorme
ghigno, apparentemente soddisfatto e disgustosamente felice.
«Molto
bene» soffia minaccioso.
“Si
direbbe che il Signore
delle Tempeste sia nato con le spade in mano” riflette
confusamente
Pitch, muovendosi veloce per evitare l’ennesimo fendente
diretto al
suo collo. La sua lama nera vortica sinuosamente attorno al suo busto
e frena con un secco schianto l’avanzata del metallo
scintillante;
torce con decisione il polso e la lama scivola svelta sulla fredda
superficie fino a incontrare diversa consistenza. Il grido furioso di
Ba’al avverte Pitch che la sua ultima mossa azzardata
è
inaspettatamente andata a segno nel momento in cui il filo della sua
spada ha quasi reciso l’avambraccio del suo sfidante.
Ba’al si
è allontanato di
scatto e ora lo fissa con occhi infuocati. Pitch è
perfettamente
consapevole di aver appena firmato la propria condanna scatenando
l’ira dell’altro, tuttavia le sue opzioni non
lasciavano molto
spazio di manovra. In definitiva meglio farsi polverizzare opponendo
fiera resistenza piuttosto che tentando inutilmente di fuggire,
almeno per come la vede lui.
«Te la
stai godendo, Pitch
Black?» esclama Ba’al alterato.
«Affatto»
replica Pitch,
asciutto, restando in guardia per il prossimo attacco.
Gli occhi di
Ba’al guizzano
di un’emozione violenta che non riesce a individuare. Invece
si
irrigidisce quando lo vede storcere le labbra in un sorriso malvagio.
«Ti
dirò: io invece ammetto
di essere felicemente sorpreso. Erano secoli che non mi capitava
sotto mano una creatura ostinata come te».
Pitch arriccia il
naso,
disgustato. «Ma come sono fortunato» sibila
sarcastico.
«Puoi ben
dirlo» conferma
sinistramente, prima di tornare repentinamente all’attacco,
apparentemente più eccitato di quanto già non
fosse in precedenza.
Con la coda
dell’occhio,
mentre è decisamente occupato a difendersi
dall’agguerrita
offensiva, Pitch nota il volto quasi annoiato di Mot che, alle parole
del fratello, solleva gli occhi al cielo sbuffando. Evidentemente non
condivide l’entusiasmo di Ba’al
nell’impegnarsi a fare a pezzi
il prossimo a suon di fendenti e montati; dev’essere al
contrario
un fervente sostenitore dell’uso del potere elementale giusto
al
momento giusto. Pitch, un poco annebbiato dalla fatica accumulata, si
ritrova a dargli pienamente ragione giusto mentre riesce per puro
miracolo a schivare la punta di una delle due spade diretta al suo
petto.
Ora sì,
comincia seriamente a
essere esausto, al contrario di Ba’al che sembra diventare
più
veloce mano a mano che il tempo trascorre. “Chissà
se accetterebbe
una piccola pausa” si chiede stancamente, boccheggiando sotto
il
peso di un affondo repentino. Pensare che un tempo le sue
preoccupazioni maggiori si limitavano a scovare nuovi, esilaranti
modi per spremere un po’ di terrore agli esseri umani.
“Bei
tempi, quelli” riflette amaramente.
Pochi istanti dopo
un altro di
quei lampi accecanti lo scaraventa nuovamente al suolo con la testa
ronzante. A fatica si rimette seduto, giusto in tempo per distinguere
vagamente una delle spade di Ba’al calare sul suo capo. Fa
pressione sul terreno con i talloni e la lama manca di un soffio la
sua testa, trapassa la sua spalla sinistra e li va in frantumi,
indebolita dalle ombre. Il contraccolpo lo rispedisce lungo disteso e
troppo stordito persino per gridare. Si limita invece ad ansare
stremato e ad attendere che Ba’al la faccia finita una volta
per
tutte. La sua attesa dura tuttavia più del previsto e,
mentre la sua
attenzione va’ alla deriva galleggiando nel grigio torpore,
inaspettatamente l’incubo che per tutto quel tempo aveva
nervosamente osservato il duello, spostandosi in circolo attorno ai
due spiriti, si lancia in avanti e pianta un morso deciso nel braccio
ancora armato di Ba’al, strappandogli la spada superstite e
anche
una pesante imprecazione tutta a beneficio dei maledetti spiriti
oscuri e dei loro irritanti e molesti cani da guardia.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo Quattro ***
Capitolo
Quattro
L
’incubo non si attarda ad ammirare il proprio operato, invece
coglie l’occasione propizia e, senza tante cerimonie,
agguanta
l’Uomo Nero per la collottola e lo carica di peso sulla
propria
groppa poi, dopo una fuggevole occhiata a Ba’al, si risolleva
rapidamente in volo, allontanandosi da quel posto disgraziato di gran
carriera.
Mot inarca
scetticamente un
sopracciglio, osservando con un misto di contrarietà e
divertimento
il fratello ancora intento a ringhiare i suoi improperi al vento.
«Per
quale motivo, se è
lecito chiedere, li hai lasciati fuggire?» si informa a quel
punto
Mot, dopo aver di nuovo recuperato il suo cipiglio annoiato.
Ba’al si
volta bruscamente
verso di lui e sembra proprio intenzionato a farne uno spirito allo
spiedo. Brontola sommessamente, somigliando a un sordo tuono.
«Quella
dannata copia mal
riuscita di un cavallo ha rovinato tutto!» si lamenta
lagnoso. «E
da quando, comunque, i cavalli hanno i denti di una tigre?»
borbotta
indignato, agitando in aria il braccio offeso e facendo scuotere
mestamente la testa di Mot.
«Avresti
potuto sbarazzarti
di entrambi facilmente, fratello. Ma hai preferito giocare con quello
stupido spaventapasseri vestito da corvo» lo rimprovera
bonariamente.
«Faccio
quello che mi pare»
si impunta Ba’al, pestando i piedi a terra come un moccioso
di
cinque anni.
Mot solleva per
l’ennesima
volta gli occhi al cielo e sospira, decidendo di lasciare perdere
quella discussione per evitare di arrabbiarsi seriamente a causa
l’infantilità del fratello. Invece osserva
l’orizzonte oltre il
quale sono scomparsi quei due e si augura che non finiscano con il
diventare un problema.
*
L’incubo
che attraversa il
cielo buio, filando come una saetta, è confuso e decisamente
spaventato. La creatura con la quale si sono scontrati non era certo
uno dei soliti spiriti da quattro soldi che a volte incontrano in
giro per il mondo; avrebbe fatto a pezzi entrambi, se un pizzico di
fortuna non li avesse favoriti permettendogli di tagliare la corda,
trascinando con sé il suo spirito oscuro. Trema al ricordo
della
facilità con cui si è liberato dei suoi denti e
si augura di non
doverlo mai più rincontrare, per nessun motivo. Come se non
bastasse, il suo padrone è ancora riverso sulla sua schiena
e non ha
mai accennato a muoversi durante tutto il tragitto. È un
po’
impensierito, in effetti; non ha idea di che altro fare a quel punto.
Certo, lo ricondurrà alla loro tana, ma poi? Tornare a casa
sarà
sufficiente a sistemare le cose? Volta un poco il capo a osservare
brevemente la scura figura abbandonata sulla sua groppa e dubita
sinceramente che rientrare al rifugio servirà a far tornare
tutto a
posto. Soffia uno sbuffo angosciato, piegando le orecchie e
sentendosi tremendamente spaesato, ora, senza una vera guida.
Individuata
l’entrata del
covo vi si introduce con cautela, facendo attenzione a evitare
accuratamente ostacoli che normalmente non noterebbe. Alcuni degli
incubi più giovani si affacciano curiosi dalle gallerie ma
si
ritraggono in fretta al loro passaggio, senza veramente osare
sporgersi troppo né tantomeno avvicinarsi. Giunto
all’ampia grotta
principale, richiama con un sottile nitrito un vecchio compagno;
quando quest’ultimo li raggiunge, sorpreso, rimane un momento
impalato a fissare la scena inattesa che si trova davanti, poi lancia
un’occhiata indagatrice all’altro incubo, senza
però ottenere
alcun chiarimento, salvo una seccata scrollata di capo e un raspare
nervoso sul grigio pavimento roccioso. Proseguendo oltre quella sala,
più lentamente del consueto, volta solo per un breve istante
il muso
facendo capire al compagno di stargli dietro, poi scende per il
ripido pendio che conduce alle camere private dello spirito e
lì
finalmente si ferma, indeciso sulla prossima mossa. Il suo padrone,
fino a quel momento, non ha mai dato cenno di essere cosciente, e il
palpabile nervosismo che sente nel compagno appena giunto non
è
minimamente d’aiuto. Sbuffa agitato; protesterebbe a viva
voce, se
solo ne avesse l’opportunità. Tutta quella
situazione è una
follia: lui è un incubo, non un valletto, e nemmeno un
condottiero.
Prendere decisioni, o far fronte a urgenze, non è il suo
compito,
che diamine! Una nuvoletta grigiastra esce dalle sue narici dilatate
nel momento in cui sbuffa sonoramente tutta la sua frustrazione.
Piano, ripiega le sottili zampe sotto di sé, permettendo al
compagno
di scostare lo spirito facendolo scivolare sul piccolo baldacchino
nel quale normalmente riposa. Un fievole mugolio abbandona le labbra
strette dello spirito, ma null’altro ne esce, acuendo il
senso di
impotenza dei suoi incubi. Quello dei due che lo ha ricondotto a
casa, nonostante non ne abbia per nulla voglia, si risolve a tornare
là fuori: deve assolutamente trovare qualcuno disposto a
dare
un’occhiata al loro padrone, perché avere gli
zoccoli va bene se
vuoi cavalcare veloce come il vento, ma non va affatto bene se devi
rimettere insieme brandelli di spirito oscuro.
“Bleah” si ritrova
a pensare, sconfortato, avvertendo persino un po’ di nausea
all’idea.
Purtroppo si rende
conto solo
nel momento in cui torna all’aria aperta che è
ancora notte fonda
e, accidenti, quante possibilità possono esserci che riesca
a
scovare qualcuno di utile a quell’ora? “Forse,
però…”
tentenna, preoccupato. Solleva gli occhi al cielo stellato, sapendo
di non avere molte altre scelte, a quel punto. Prende quota, facendo
vagare lo sguardo attorno a sé; sale ancora, sempre
più in alto,
senza mai smettere di scandagliare l’oscurità
fitta, e molti
minuti dopo, finalmente, i suoi sforzi vengono premiati nel momento
in cui individua alcuni sottili e sparuti filamenti dorati che si
dipanano oltre le scogliere perdendosi al di là della
foresta.
Nervosamente ne individua la provenienza e parte spedito in quella
direzione, augurandosi di poter rivedere le stelle della sera
seguente.
Se la situazione
fosse
differente, se tutti loro potessero ancora contare su una buona guida
affidabile e una buona scorta di paura alla quale attingere, se di
fronte a sé ci fossero solo case buie e bambini
addormentati, non si
sognerebbe mai di avvicinare quello spirito in particolare,
soprattutto non da solo; purtroppo nulla di tutto ciò
è a portata
di naso, al momento, pertanto deve rischiare e sperare che le cose
vadano nel verso giusto, per una volta.
*
L’Omino
dei Sogni solleva
repentinamente lo sguardo, sorpreso, nel momento in cui sente un
forte nitrito provenire da qualche metro più in alto.
Lassù, un
poco discosto dal punto in cui si trova lui, può a fatica
scorgere
la nera sagoma di quello che facilmente etichetta come incubo. Uno
piuttosto grosso, a ben vedere. Fra le sue piccole mani appaiono due
lunghe e sottili fruste dorate, ma non fa nulla per usarle, troppo
occupato a osservare la creatura del buio ferma a distanza di
sicurezza e il suo inspiegabile comportamento: si limita a
osservarlo, palesemente nervoso, senza accennare ad attaccarlo
né ad
andarsene. Sanderson reclina il capo e lo studia attentamente.
È
strano che un incubo solo si avventuri così vicino al
guardiano dei
sogni, ben conoscendone i pericoli. “Perché questo
lo sta
facendo?” si domanda, suo malgrado stupefatto.
*
L’incubo
è spaventato ma sa
che deve farsi avanti, in un modo o nell’altro. Cautamente,
un
passo per volta, si avvicina allo spirito dorato. Quando
l’Omino
dei Sogni fa schioccare in aria una delle sue fruste,
l’incubo
ripiega indietro le orecchie e scalcia terrorizzato ma, facendo
violenza sul suo stesso spirito di sopravvivenza, rimane lì,
tremando senza però accennare a fuggire.
“Sempre
più strano”
riflette Sanderson, attendendo pazientemente una mossa
dell’incubo.
Ma poiché quello sembra molto combattuto su come muoversi,
decide di
farsi avanti lui e, lentamente per non spaventarlo più del
necessario, comanda alla sua nuvola dorata di andare incontro alla
creatura d’ombra. Incredibilmente quello rimane piantato al
suo
posto, come in attesa di essere raggiunto. “Che cosa
vuoi?” si
decide a indagare Sanderson, parlando direttamente
all’essenza
della creatura. L’incubo solleva repentinamente le orecchie e
lo
fissa sconvolto, abbassa prudentemente il capo e pensa intensamente a
ciò che desidera. “Aiuto” esclama
mentalmente, pregando di
essere compreso. In qualche modo sembra funzionare: Sanderson lo sta
ancora osservando, ma ora ha gli occhi spalancati e increduli.
“Aiuto, da me?” chiede, un po’ confuso e
parecchio frastornato.
L’incubo scuote il muso su e giù in una decisa
conferma e il
guardiano, fugacemente, si domanda se non sia il caso di prendersi un
periodo di vacanza, se quelli sono i sintomi del troppo lavoro.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo Cinque ***
Capitolo
Cinque
C
on molta circospezione e un forte senso di turbamento, Sandy accetta
di seguire lo strano incubo per accertarsi di quale possa essere il
problema che lo ha spinto a chiedergli aiuto. Fa ancora parecchia
fatica a credere che una cosa simile sia appena accaduta, ma gli
è
sufficiente osservare l’andatura nervosa e sostenuta della
creatura
del buio che lo precede di poco per accettare i fatti per quello che
sono.
Nel momento in cui
giungono al
covo dell’Uomo Nero, il guardiano scruta attorno a
sé con
preoccupazione e un certo disagio, chiedendosi se sia una scelta
saggia continuare a seguire l’incubo anche dentro quel
labirinto
sotterraneo. E se si trattasse di una trappola di Pitch? Se fosse
tutto un elaborato piano per catturarlo e… usarlo,
in qualche maniera? Solleva lo sguardo e incontra quello dorato
dell’incubo che lo fissa, apparentemente più
ansioso di quanto lo
sia lo spirito stesso. Sospira, rassegnato. Se desidera sapere che
cosa sta succedendo, dovrà proprio decidersi a fare la sua
mossa,
oppure finiranno con il rimanere bloccati in eterno in quella scomoda
situazione ai limiti della realtà.
L’incubo
sbuffa nervoso e
Sanderson annuisce piano. “Sì,
d’accordo, vengo” conferma,
seguendo la sua bizzarra guida giù per gli oscuri cunicoli
della
tana di Pitch Black.
*
Le gallerie sono
veramente
scure come l’inchiostro, tanto che l’unica luce a
disposizione
del guardiano è quella che emana dal suo stesso corpo. Le
grotte che
di tanto in tanto si spalancano di fronte ai suoi occhi stupiti, al
contrario, sembrano possedere fonti di luce alternative che
rischiarano fiocamente l’ambiente senza però
creare bagliori
fastidiosi.
L’incubo
tuttavia non si
ferma mai in nessuna di queste, ma prosegue deciso, scendendo sempre
di più senza badare affatto agli innumerevoli occhi dorati
che
compaiono sinistramente negli antri bui e che seguono il loro cauto
avanzare.
Alla fine anche il
loro
cammino ha termine proprio di fronte a uno stretto arco oltre il
quale il guardiano può chiaramente distinguere una modesta
stanzetta
dalle pareti in legno e dal pavimento in pietra nera levigata.
“Una
camera da letto” riflette Sanderson, sorpreso. Curioso si
guarda
intorno e infine individua il piccolo baldacchino in rame sul quale
è
adagiato lo spirito oscuro al quale appartiene.
Il guardiano sgrana
gli occhi
e velocemente si avvicina alla figura distesa, accertandosi del fatto
che si tratti effettivamente di Pitch, ma anche che non sembra
semplicemente addormentato, quanto piuttosto privo di sensi.
“Cosa gli
è capitato?”
domanda confuso, voltandosi a incontrare lo sguardo allarmato
dell’incubo.
Purtroppo
quest’ultimo non
sembra nella condizione di fornirgli delle risposte, limitandosi ad
agitarsi senza sosta sul posto. Così Sanderson torna a dare
attenzione all’altro spirito e, dopo un più
accurato esame, nota
uno squarcio che parte dalla spalla sinistra e termina a
metà del
petto. “Qualcosa lo ha aggredito” si ferma a
riflettere, senza
tuttavia riuscire a immaginare cosa. Forse qualche grosso animale
magico? Ma il danno appare un po’ troppo netto e lineare per
essere
stato provocato da qualsivoglia genere di artigli. Quindi? Il
guardiano non ha una risposta alle proprie domande, e comunque
ritiene che in quel momento la precedenza vada al modo in cui poter
essere d’aiuto allo spirito oscuro. Incerto, si accosta
maggiormente e allunga una piccola mano a sfiorare i lembi
danneggiati della veste di Pitch, ma lo spirito oscuro si tende e
mugola a quel contatto appena accennato, così il guardiano
si scosta
velocemente e rimane a fissarlo con preoccupazione crescente.
“Non
posso fare molto,
purtroppo” ammette all’indirizzo
dell’incubo. Stiracchia un
piccolo sorriso mentre questi abbassa mestamente le orecchie.
“Forse
potrei portarlo da Nicholas” propone incerto.
L’incubo trema e
scuote violentemente il capo, atterrito. “Ma lui non gli
farebbe
del male. Inoltre ha molte più conoscenze di quante ne abbia
io.
Forse saprebbe come aiutare il vostro padrone” insiste con
maggior
convinzione. Attende, paziente, mentre la creatura del buio
scalpiccia su e giù per la stanza, agitata.
“Potresti
accompagnarlo tu stesso, così che tu possa accertarti che
sia al
sicuro” aggiunge incoraggiante.
Prima di
arrischiarsi a
spostarlo da dove si trova, Sanderson prova sperimentalmente a
sfiorare l’altro spirito in un punto qualsiasi che non sia
danneggiato. Quando nulla di spiacevole accade, crea quattro larghi
nastri con la sua sabbia dorata e li guida ad attorcigliarsi attorno
alle ginocchia e alle braccia di Pitch, così da sollevarlo
agevolmente e posizionarlo comodamente su di una morbida nuvoletta
dei sogni. Ci prova, ma a quella visione non riesce proprio a
evitarsi di ridacchiare, piuttosto divertito
dall’assurdità di
quanto sta vedendo. Uno sbuffo contrariato da parte
dell’incubo
dietro di lui gli rammenta che non stanno giocando e che sarebbe
opportuno sbrigarsi. Così salta a sua volta sulla nuvola al
posto di
comando, fa segno all’incubo di fare strada e insieme
ripercorrono
a ritroso il dedalo di cunicoli oscuri che li riporterà
all’aria
aperta.
*
Sfrecciano a gran
velocità
nella notte, diretti al Polo Nord. Sandman di tanto in tanto corregge
la rotta in modo da rimanere nel lato buio del pianeta;
l’incubo
che lo segue da presso sembra apprezzare questa accortezza e immagina
che con tutta probabilità sarebbe lo stesso anche per il suo
padrone. A tratti non può fare a meno di voltarsi indietro e
osservare crucciato la figura ancora priva di sensi di Pitch,
chiedendosi per l’ennesima volta con chi mai possa essersi
scontrato per finire in quello stato pietoso, ma immancabilmente
scuote la testa senza poter trovare una risposta. Si augura che, una
volta sveglio, accetti di fornirgliela lui stesso; anche se, in
effetti, qualche dubbio su quella possibilità ce
l’ha. Perché
dovrebbe farlo? Non ha mai apprezzato particolarmente l’aver
a che
fare con lui; si sono sempre accanitamente detestati dal primo
momento in cui si sono incontrati, dopotutto. No, in realtà
è Pitch
che sembra odiarlo, peraltro per un motivo totalmente sbagliato, e
Sanderson dal canto suo non ha mai cercato davvero di parlare
seriamente con lui per provare a chiarire l’equivoco.
“Forse
però, questa volta, chissà…”
soppesa il guardiano, in qualche
modo fiducioso.
Un forte nitrito
allarmato lo
riporta bruscamente al presente, giusto in tempo per rendersi conto
che ormai sono praticamente arrivati: di fronte ai loro occhi
già si
scorgono le variopinte e caratteristiche luci della fabbrica di
Nicholas St. North. Sandy sorride, più rilassato, e porta la
propria
attenzione sull’incubo, trovandolo prevedibilmente
più nervoso di
quanto già non fosse stato in precedenza.
“Non
preoccuparti. Andrò
avanti da solo e cercherò un modo per spiegare il problema,
così
che nessuno provi a farvi del male” lo rassicura gentilmente.
L’incubo
si limita a un
piccolo sbuffo e a un’occhiata di sbieco, visibilmente
scettico
riguardo al piano messo a punto dal guardiano. Ma poiché non
sembra
ci siano altre possibilità realizzabili al momento,
titubante
annuisce e insieme atterrano leggeri sulla distesa di neve a lato
dell’enorme edificio. Sanderson salta giù dalla
nuvola, fa segno
all’incubo di attenderlo lì e si avvia per entrare.
Dopo aver
facilmente superato
gli yeti di guardia, trotterella per i vasti e colorati corridoi e si
augura di avere la fortuna di poter trovare lì anche
Toothiana. In
effetti si accontenterebbe di non dover spiegare subito la faccenda
ad Aster, rimandando quest’altro problema a un momento
più
tranquillo. Per sua immensa fortuna non si scorgono altri guardiani
in giro per l’edificio e riesce a scovare Nicholas
esattamente dive
si aspettava di trovarlo: nel suo studio.
«Oh,
Sandy. Bentornato! Come
mai già qui a quest’ora?» lo accoglie
benevolmente il padrone di
casa.
Sanderson struscia
con leggero
imbarazzo un piedino a terra e riflette attentamente su come spiegare
gli ultimi accadimenti all’amico. Non è poi
così semplice come
aveva sperato; ma Nicholas sembra comunque intuire che qualcosa non
va dal singolare atteggiamento dell’Omino dei Sogni.
«Problemi
in vista, Sandy?»
chiede infatti con espressione seria.
L’altro
annuisce, fissa uno
sguardo preoccupato su di lui e tende una piccola mano, chiedendogli
silenziosamente di seguirlo. Così lo conduce fuori dalla sua
fabbrica, cosciente che nulla come la realtà dei fatti
potrà
spiegare a North ciò che angustia i pensieri del guardiano
dei
sogni.
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Capitolo 6 *** Capitolo Sei ***
Capitolo
Sei
Nicholas
è fermo in mezzo alla neve, con la bocca e gli occhi
spalancati, da
interi minuti ormai. Sanderson sospetta che più che della
famigerata
meraviglia qui si parli di puro sconcerto, ma saggiamente decide di
tenere per sé le proprie supposizioni e rimane fermo ad
attendere
rispettosamente che il collega guardiano riprenda a funzionare.
«Sandy…»
borbotta
titubante. «Questo non è uno dei tuoi strambi
sogni, vero?».
L’Omino
dei Sogni gonfia le
guance, indispettito. Che diamine, i suoi sogni non sono affatto
strambi! Tuttavia Nicholas è ancora imbambolato a fissare il
vuoto e
Sanderson decide magnanimamente di soprassedere a
quell’insulto; si
limita invece a scuotere lentamente la testa in segno di diniego, ad
afferrare nuovamente la sua mano e a trascinarlo (per così
dire) un
poco più avanti, in modo da provare a fare chiarezza nei
dubbi
dell’amico.
Nicholas adocchia
sospettoso
l’incubo piantato fermamente al fianco del padrone (peraltro
apertamente ricambiato), poi sposta lo sguardo sulla figura
dell’Uomo
Nero e cruccia il volto, visibilmente turbato.
«Sembra
abbia avuto il suo
bel da fare per uscirne tutto intero» commenta, studiando
accuratamente le sue condizioni.
Sanderson, tenutosi
in
disparte per lasciargli lo spazio necessario, annuisce, nonostante ne
sappia esattamente quanto lui. L’unico che con tutta
probabilità
conosce le risposte, oltre a Pitch, è il suo incubo; ma il
guardiano
non ha ancora trovato il modo per convincerlo a spiegargli
l’accaduto.
«Dobbiamo
portarlo dentro.
Non è una buona idea restare tutti qui all’aperto.
Se trovasse le
sue tracce e volesse finire il lavoro, saremmo prede ben
facili»
riflette cupamente North. Quando Sandy lo fissa indagatore, Nicholas
scuote il capo e indica al compagno di dirigere la sua nuvoletta
entro le mura del palazzo senza aggiungere null’altro.
Seppur nervoso,
l’incubo
decide di seguire la piccola comitiva, per nulla intenzionato a
lasciare solo il suo padrone, non con quel tipo di compagnia, per lo
meno.
*
«Sandy,
per favore, mandi un
messaggio agli altri?» rompe il silenzio concentrato North,
ancora
intento a scrutare Pitch e il danno arrecatogli.
L’Omino
dei Sogni si scrolla
di dosso il senso di irrealtà che lo ha ingabbiato dal
momento in
cui, quella stessa notte, ha incontrato sulla propria strada un
incubo e si scosta appena dai due spiriti per fare ciò che
gli è
stato chiesto. Tre piccole colombe dorate si staccano da lui e, dopo
aver volteggiato un paio di volte per la stanza facendo agitare
l’incubo presente, guadagnano l’aria aperta e
scompaiono veloci
nella notte ormai agli sgoccioli, dirette verso i tre guardiani
assenti.
Nel frattempo
Nicholas ha
scostato una mano dalla veste nera di Pitch e regge fra le dita il
frammento di qualcosa di indefinito che brilla in modo insolito.
Sanderson si accosta prudentemente e osserva incuriosito ora il
frammento ora il collega che appare perplesso e forse un po’
sorpreso.
«Non
capisco che materiale
sia. Sembra metallo, ma non credo si tratti proprio di questo. Questa
luce che emana…» mormora dubbioso, facendo
rotolare il frammento
sul grande palmo della sua mano. Solleva gli occhi su Sandman e lo
fissa con sguardo calcolatore. «Hai mai visto nulla del
genere,
Sandy?».
Accostandosi ancora
un poco
per poter vedere meglio, Sanderson poggia le dita sul frammento e le
fa scorrere lentamente, aggrottando la fronte. Magia di luce?
È
questa la sensazione che sta avvertendo a contatto di quel qualcosa
di indefinito? Se così fosse, significherebbe che una
creatura della
luce ha presumibilmente attaccato e cercato di distruggere
l’Uomo
Nero. La domanda seguente, a quel punto, sarebbe: perché?
Risolleva lo
sguardo su
Nicholas e per alcuni istanti si fissano reciprocamente, in cerca di
una risposta che sfugge loro. Il guardiano dei sogni decide che sia
il caso di condividere le proprie impressioni e posa delicatamente
una piccola mano su quella a confronto enorme dell’amico, poi
si
concentra e mostra
al guardiano della meraviglia i propri pensieri al riguardo.
*
«Uno
spirito della luce,
forse?» tituba Nicholas, dopo aver riflettuto su
ciò che il collega
gli ha mostrato.
Sanderson solleva
brevemente
le spalle a mostrare le proprie perplessità.
«Indagheremo»
promette
Nicholas. «Ora… Come facciamo con
Pitch?» chiede, un po’
impensierito. «Ce ne sono a decide, di questi, lì
dentro» fa
notare, indicando lo squarcio sotto la veste nera. «Non penso
sia un
bene, per lui. È possibile sia questa la ragione per cui non
ha
ancora riaperto gli occhi».
Sanderson si
mordicchia le
labbra, nervoso. Lui di certo non può essere
granché utile, dato
che non può avvicinarsi troppo al danno senza provocargli
fastidio.
Nicholas sembra comprendere il problema e trae un profondo e un
po’
stanco sospiro. Proprio in quel momento, dalla porta si affaccia uno
yeti che avverte i presenti dell’arrivo di Toothiana.
*
North e Sandy
raccontano ciò
che possono alla fata, che tutto sommato non appare troppo
contrariata per le ultime novità, quanto piuttosto
impensierita.
Dopo aver attentamente ascoltato i due amici, chiede il permesso di
poter dare un’occhiata all’ospite inatteso.
Nicholas solleva un
sopracciglio, incerto.
«Non so
se è una buona idea.
E poi fra non molto saranno qui anche Jack e Aster
e…» si
stropiccia le mani, un po’ nervoso, prima di continuare.
«Beh, a
dire il vero preferirei che ci fossi anche tu. Sarebbe
d’aiuto».
Toothiana, che era
parsa
crucciata dal rifiuto di Nicholas, torna serena e addirittura
ridacchia, intuendo il vero problema.
«Hai
paura che Aster possa
buttar giù il tuo palazzo, dopo aver saputo?»
insinua irriverente.
Nicholas borbotta
una mezza
esclamazione di sorpresa, un po’ imbarazzato per essere stato
scoperto così in fretta, ma alla fine annuisce piano e
spalanca
supplichevolmente gli occhi nella speranza di impietosire la fata. La
tattica, fra l’altro, pare funzionare piuttosto bene, dato
che
Toothiana emette un rumoroso sospiro ma poi annuisce concorde,
facendo ritornare sul viso di North un gran sorriso riconoscente.
«Ma
quando avremo scongiurato
incidenti disastrosi per la tua fabbrica, mi permetterai di entrare
in quella stanza» intima perentoria, indicando con un dito
piumato
la porta rossa e ben chiusa oltre cui Nicholas ha momentaneamente
sistemato Pitch.
«Mph…
Come vuoi» concede,
seppur ancora titubante.
Presto
però torna a essere un
fascio di nervi, in particolare quando da una galleria poco discosta
dai loro piedi compare il guardiano della speranza, accompagnato da
una mezza dozzina di uova guerriere.
«Dunque,
dove sta il
problema?» sbotta seccato il pooka.
«Ehm…»
gracchia North,
occhieggiando con apprensione l’artiglieria che si
è portato
appresso il collega. «Non è proprio un problema,
Aster. O meglio,
potrebbe esserlo, ma non in questo preciso momento» divaga,
colto da
incipiente senso di catastrofe.
«Cioè?»
ringhia Aster,
sventolando una spada piuttosto affilata a qualche centimetro dalla
barba di Nicholas, facendolo indietreggiare di un passo.
North fissa
Toothiana,
implorante; questa gli lancia uno sguardo decisamente contrariato e
incrocia le braccia al petto, svolazzando di fronte ad Aster e
costringendolo in questo modo ad abbassare l’arma.
«Ci sono
alcune recenti
notizie che dovresti conoscere, ma non riguardano il problema di cui
abbiamo discusso in questi ultimi giorni; per lo meno, non credo, ma
ci sono senz’altro molti dettagli che dovranno essere
chiariti
nelle prossime ore, immagino. Adesso tuttavia fai il favore di levare
di mezzo il tuo piccolo esercito e di mettere via quella spada: mi
rende nervosa» ordina categorica.
Bunnymund la fissa
sospettoso
per un minuto intero, sposta brevemente lo sguardo da North a Sandy
(silenzioso come sempre), sbuffa seccato e ringhia un paio di ordini
alle sue uova, le quali si ritirano velocemente, sparpagliandosi
all’esterno dell’edificio per sorvegliarne il
perimetro. Con un
secco clangore rinfodera la spada e incrocia a sua volta le braccia.
«Cominciate
a spiegare»
impone risoluto. «E che sia un racconto
convincente» avverte
minaccioso.
In
realtà Nicholas, Sanderson
e Toothiana hanno dovuto tenere a bada l’impazienza di Aster
per
una mezz’ora buona, sostenendo che sarebbe stato molto
più
semplice attendere anche Jack e spiegare tutto una volta sola. Come
immaginavano non è stata per nulla un’impresa
semplice ma, alla
fine, la ferma risoluzione dei tre l’ha spuntata sulle
insistenze
del pooka.
*
«Che
cosa?!».
Ovviamente Aster
non ha preso
esattamente bene la notizia e, mentre Jack inizialmente si limita a
fissare gli altri con sguardo vacuo e leggermente allucinato per poi
iniziare a ridacchiare alla sola idea dell’Uomo Nero
alloggiato
nella fabbrica di giocattoli di Babbo Natale, il coniglio di Pasqua
si esibisce in una lunga, elaborata e considerevole sequenza di
improperi a beneficio sia di Pitch che delle sconsiderate decisioni
prese da Sandy e North.
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Capitolo 7 *** Capitolo Sette ***
Capitolo
Sette
«Siete
forse impazziti? Che vi dice il cervello?» rimarca Aster, per
nulla
propenso ad accettare docilmente quella situazione.
Jack è
appeso con una gamba
al lampadario e, decisamente annoiato, passa il tempo creando
graziosi pendagli ghiacciati fra i bracci che sorreggono le
luminarie. Sanderson galleggia sulla sua nuvoletta e nei momenti che
ritiene adatti propone allo spirito dell’inverno nuove idee
per dar
forma alle decorazioni. Toothiana cammina nervosamente lungo le
pareti del salotto, fermandosi di tanto in tanto a lanciare occhiate
di disapprovazione ora ai due aspiranti arredatori ora ai guardiani
ancora impegnati in quell’inutile discussione. Nicholas ha
rischiato innumerevoli volte di far andare in mille pezzi le sue
sculture di ghiaccio e anche le decorazioni di Jack. Aster batte
nervosamente il piede a terra e rizza il pelo a ogni nuova uscita
buonista di North.
«Senti,
non è poi la fine
del mondo. Ti comporti come se stessimo tradendo i nostri principi,
ma non è affatto così».
«Certo
che sì!» sbotta il
pooka, inviperito. «Non puoi ospitare in casa tua una
creatura
malvagia come quella e aspettarti che i tuoi colleghi ti diano la
loro benedizione. Abbiamo ancora dei doveri verso i bambini, se per
caso l’avessi scordato».
«Niente
affatto! Ma sembra
invece che tu hai scordato che, in fondo, è stato proprio
Manny a
suggerirci di chiedere la sua collaborazione» esclama North,
esasperato.
«Ah,
certo. Come se le idee
dell’Uomo nella Luna fossero poi così geniali.
Personalmente non
avrei mai preso in considerazione di coinvolgere Jack Frost e
nominarlo addirittura
guardiano» ringhia, indicando lo spirito appeso al
lampadario.
«Dovremmo essere responsabili e giudiziosi, attenti alle
sorti dei
piccoli umani» rincara, spalancando gli occhi fissi su Jack.
«Ti
sembra forse che lui lo sia?».
Nicholas adocchia
fuggevolmente il guardiano del divertimento e serra le labbra,
seccato.
«È
stato scelto per le sue
qualità» insiste.
«Oh,
sicuramente. Ti dirò:
io, di certo, ne avrei fatto volentieri a meno» lo informa il
pooka.
«Io
pure» assicura Jack,
mentre osserva distrattamente i due colleghi a testa in giù.
«Jack!»
esclama North,
attonito e oltraggiato.
«Cosa?»
replica, per nulla
impressionato. «Ti ricordo che nessuno mi ha convocato per
questo
grande
onore.
Sono stato sequestrato dai tuoi yeti» obbietta, con aria
disinteressata.
«Visto?»
esclama Bunnymund,
vittorioso.
«Ma…
ma…» balbetta
Nicholas, sconcertato. «Insomma, questa è tutta
un’altra
faccenda. Qui non si parla di Jack e della sua nomina a guardiano, ma
del fatto che forse c’è davvero bisogno di aiuto
per risolvere il
mistero di cui ci ha parlato Manny» replica frustrato.
«Prima di
tutto bisognerebbe
stabilire se l’Uomo nella Luna sia realmente una guida
affidabile.
E poi c’è da capire quanto possiamo stare
tranquilli con l’Uomo
Nero in mezzo ai piedi» insinua Aster.
«Non
è nemmeno cosciente!»
protesta Nicholas, turbato dal fatto che il collega stia mettendo in
discussione anche le loro poche certezze. «E di qualcuno
dobbiamo
pur fidarci».
«Ah
sì? Beh, io mi fido di
me stesso, al momento» lo avverte con tono affilato.
Nicholas spalanca
gli occhi,
sbigottito, e dà un altro pugno alla mensola del camino,
facendo
crollare diversi cristalli di ghiaccio dal lampadario e rischiando di
mandare Jack gambe all’aria.
«Ehi!»
protesta questi.
«Zitto,
tu!» lo aggredisce
North, frustrato.
Così il
guardiano del
divertimento, imbronciato, si sposta sul davanzale della finestra,
preferendo ammirare il paesaggio innevato all’esterno della
fabbrica, piuttosto che tollerare altre parole velenose.
«Stai
dicendo che non siamo
affidabili?» indaga Nicholas con una sfumatura pericolosa
nella
voce.
Aster, lungi
dall’esserne
intimorito, torna a incrociare le braccia e lo fissa duramente.
«Sto
dicendo che le vostre
ultime decisioni mi hanno fatto riflettere parecchio sulla vostra
capacità di giudizio. E mi domando se sia una buona idea
continuare
ad affidarvi il benessere di giovani umani, se quello di stanotte
è
il risultato delle vostre migliori intenzioni» ribatte
asciutto.
*
Sanderson
è un po’ stufo di
sorbirsi quei due che non fanno altro che discutere dalla mattina
alla sera, che non hanno mai fatto altro se non rinfacciarsi torti
immaginari nei secoli trascorsi da che si conoscono. Non ha certo la
pretesa che cambino il loro modo di vedere il mondo e coloro che lo
popolano, questo naturalmente no, ma sperava che con il tempo
avrebbero se non altro cercato un punto di incontro per facilitare la
collaborazione del gruppo. Forse lo hanno perfino fatto,
chissà; ma
la verità è che niente è mai stato
sufficiente per quelle due
teste calde, e da molto tempo ormai manca fra di loro chi conosce il
modo per trattare con entrambi, per vedere le loro qualità e
indirizzarle al meglio.
Un po’
deluso e frustrato,
il guardiano dei sogni decide di prendersi un attimo di pausa e,
silenziosamente, si allontana dalla sala, avventurandosi per i
corridoi del palazzo già frementi di vita a
quell’ora del mattino.
La veloce efficienza degli yeti, contrapposta e perfettamente
bilanciata dalla disorganizzazione confusionaria degli elfi, riporta
un sorriso tranquillo sul suo volto.
Svolta un angolo e
si trova a
fissare, perplesso, l’incubo di Pitch accucciato proprio
fuori
dalla sua porta. Avrebbe creduto sarebbe rimasto ostinatamente
accanto a lui in attesa che riaprisse gli occhi e avesse nuove
direttive da dargli, invece appare piuttosto giù di morale e
per
nulla intenzionato a oltrepassare la soglia.
“Ehi, che
succede? Come mai
non sei dentro a fargli compagnia?” chiede incuriosito.
L’incubo
risolleva il capo
un istante, ma presto torna a poggiarlo mestamente sulle zampe,
soffiando tristemente una nuvoletta grigia dalle narici. Sanderson,
per quanto non avvezzo a quel genere di creatura, trova quel
comportamento quantomeno insolito e decide che valga la pena di
approfondire la questione.
“Non si
è ancora
risvegliato?” riprova, ottenendo questa volta un minuscolo
cenno di
diniego. “Posso… uhm… entrare a dare
un’occhiata?” azzarda,
non del tutto sicuro che ciò gli venga permesso.
In effetti
l’incubo lo fissa
intensamente per un lungo momento, prima di dare prudentemente il
proprio consenso. Sandman gli regala un sorriso incoraggiante e,
piano, socchiude l’uscio rosso quel tanto che basta per
sbirciare
all’interno. L’incubo aveva ragione: Pitch non si
è mosso di una
virgola e non sembra neppure in procinto di farlo.
Cauto, entra e si
richiude la
porta alle spalle, sorvolando la stanza sempre a bordo della sua
nuvoletta dorata e approdando con essa vicino alla testiera del
baldacchino. Si mette comodo e decide di passare il tempo osservando
con incuriosito interesse la buia figura distesa e immobile. Sembra
quasi congelata nel tempo; una nera statua di marmo in attesa di un
soffio di vita. Ma Sanderson sa che nessuno potrà mai
donarglielo;
non in quella vita e forse neppure nelle prossime.
*
Un maledetto
incubo, che altro
se no? Sperava di essere ormai assicurato contro questo genere di
esperienza, data la sua nuova professione. Evidentemente si
è
ingannato perché, ovvio, quella difficilmente potrebbe
essere la
realtà.
Digrigna i denti,
anelando di
svegliarsi prima di impazzire definitivamente. Qualcosa lo sta
divorando, letteralmente, un pezzetto per volta e senza nessuna
fretta. Se non sapesse di essere già morto da un paio di
millenni
almeno, o di essere invischiato in una spiacevole visione onirica,
probabilmente il dolore attualmente provato gli farebbe perdere i
sensi. Naturalmente non può essere così
fortunato, certo che no;
quando mai lo è stato, d’altronde? Quindi, sembra
proprio sia
costretto a partecipare
al disgustoso banchetto, evidentemente in veste di portata
principale.
*
Sanderson
d’un tratto
spalanca gli occhi. Ha visto le sopracciglia dello spirito oscuro
aggrottarsi o si tratta solo di un abbaglio? Chiede alla nuvoletta di
accostarsi un poco e osserva con morboso interesse e un pizzico di
speranza i lineamenti apparentemente immoti di Pitch. Nulla accade
per lunghi, deludenti minuti. Il guardiano si imbroncia e sta quasi
per ritrarsi e ponderare di lasciare la stanza, quando un lieve
movimento delle ciglia nere attira nuovamente tutta la sua
attenzione. Sorride, eccitato, e si appollaia praticamente sopra la
testa dell’Uomo Nero, impaziente di assistere
all’evolversi della
faccenda. Tuttavia le cose non vanno come si aspettava, e
l’Omino
dei Sogni scopre poco dopo che l’Uomo Nero non si limita a
portare
incubi agli umani, li sperimenta anche personalmente.
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NOTE
BUIE e POLVEROSE:
Sognare
di essere mangiati
Può
accadere che la vittima sbranata e divorata viva sia il sognatore
stesso. Questi incubi sono legati al tema dei confini personali,
ovvero al bisogno di imparare a difendersi e porre dei limiti alle
intrusioni altrui. Essere mangiato nei sogni infatti, riflette un
chiaro messaggio dell’inconscio: una parte del sognatore si
sente
“cannibalizzata”, assorbita, divorata, schiacciata
da qualcosa o
da qualcuno; oppure un Sé Psichico vulnerabile non ha
più lo spazio
per manifestarsi, “divorato”
com’è da un altro Sé Primario.
Le
immagini di cannibalismo nei sogni che si manifestano con
aggressività, violenza ed un’altissima carica
emozionale,
riflettono il carattere di urgenza della situazione che si sta
vivendo, e la necessità di “vedere”
(acquisire consapevolezza)
ciò che sta accadendo dentro o fuori di sé.
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Capitolo 8 *** Capitolo Otto ***
Capitolo
Otto
Allunga
cautamente un braccio e sfiora con la punta delle dita la sua fronte
contratta. Reclina il capo, pensoso, osservando le sue ciglia
vibrare, senza tuttavia permettere alle palpebre di sollevarsi. Si
chiede se ci sia la possibilità di far scivolare un poco del
suo
potere fra le ombre che occludono la mente dello spirito oscuro.
Forse potrebbe riuscire a scacciare l’incubo abbastanza a
lungo da
permettergli di ridestarsi. Ma poi? Sanderson non crede che avrebbe
piacere di ritrovarsi in balia dell’Omino dei Sogni subito
dopo
essere sfuggito a uno dei suoi incubi più implacabili.
Sbuffa,
frustrato, e fa scorrere i polpastrelli in una specie di carezza un
po’ distratta, quasi infantile, sorridendo nel notare il naso
ora
arricciato di Pitch, probabilmente frutto dell’essere
infastidito
senza potersi ribellare.
Un’idea
bizzarra si insedia
nei suoi pensieri. Ci riflette su, la rigira con cura, valutandola
nelle sue sfaccettature mentre solletica con interessanti immagini la
sua mente illuminata. Infine fa spallucce, accantona inutili
ragionamenti che per lui sono semplice fumo impalpabile e si
raddrizza, dirigendo la sua nuvoletta fuori dalla camera e nuovamente
nella sala in cui sono ancora riuniti gli altri guardiani, sempre
occupati a discutere. Vola fino a raggiungere la fata e tira
dolcemente alcune verdi piume delle sue ali, così da farsi
notare da
una guardiana piuttosto concentrata nel seguire quello che ormai ha
tutti i sintomi di un battibecco in piena regola.
«Sandy»
soffia,
occhieggiandolo sospettosa, «dov’eri
finito?».
Sul paffuto viso di
Sanderson
si allarga un enorme sorriso che preoccupa un poco Toothiana. Ma una
delle sue piccole mani ha già afferrato quelle della fata e
lei
permette di buon grado al collega di condurla dove ritiene meglio.
Tanto quei due testoni in salotto ne avranno ancora per molto, molto
tempo.
*
Si blocca di botto,
all’inizio
di uno dei tanti corridoi, trovandosi a fissare negli occhi un grosso
incubo acciambellato di fronte a una delle porte della fabbrica.
L’incubo la fissa di rimando e sbuffa innervosito per la
comparsa
inattesa di un nuovo guardiano.
«Sandy»
bisbiglia nuovamente
Toothiana, «dove mi stai conducendo, esattamente?»
si informa
nell’incertezza.
Sanderson non
risponde, invece
indica, con un grosso sorriso stampato in faccia, giusto il punto in
cui sosta l’incubo, spronandola a riprendere il cammino. La
fata lo
adocchia, indecisa.
«Sei
certo si tratti di una
buona idea?» si assicura.
Sanderson annuisce
convinto e
a lei non resta che sospirare e seguirlo con la dovuta cautela. Nota
tuttavia, non senza una buona dose di stupore, che l’amico
guardiano sembra avere una qualche influenza sull’incubo che,
invece di tentare di attaccarli, li osserva attento e nel momento in
cui giungono di fronte all’uscio si scosta così da
permettere loro
di passare. Toothiana scuote la testa, stranita dal bizzarro
comportamento della creatura, ma si guarda bene dal protestare e
approfitta di quell’inaspettata fortuna per riuscire
finalmente a
dare un’occhiata curiosa all’ospite di North.
Ospite che, nota
Sanderson,
non sembra intenzionato a ridestarsi ora più di quanto non
lo
sembrasse nel momento in cui è giunto fino a lì.
“Beh, tanto
peggio” riflette, deciso a dare una bella scossa alla
situazione.
“Mi sono portato appresso l’artiglieria pesante
proprio per
questo, in fondo”. Ridacchia beato fra sé,
scatenando maggiormente
la curiosità di Toothiana la quale lo squadra sospettosa.
«Quindi,
come mai hai deciso
di portarmi qui?» indaga. Non che le dispiaccia, ben inteso;
era
dalla notte precedente che fremeva dalla voglia di varcare quella
stupida soglia rossa e sbirciare dentro proprio come farebbe un
bambino la mattina di Natale. Ma Nicholas è tanto cocciuto
che
temeva di dover aspettare ancora a lungo. Invece lì con lei
c’è
l’Omino dei Sogni che ghigna strofinandosi le manine
eccitato. No,
dico: ghigna! Toothiana scuote nuovamente la testa, sempre
più
perplessa e preoccupata, infine si avvicina al baldacchino per
soddisfare finalmente la sua voglia di gossip.
*
«Nicholas
ha già qualche
teoria su cosa possa essere accaduto?» mormora Toothiana
all’indirizzo di Sanderson.
Il guardiano dei
sogni si
limita a negare e sollevare di poco le spalle, mostrando quanto poco
ne sappiano dei fatti della notte appena trascorsa. La osserva
raccogliere alcuni frammenti di quello strano materiale luminescente
dallo squarcio ancora aperto e studiarli con interesse. Nemmeno lei
sembra in grado di comprenderne l’origine, ma al contrario di
chi
l’ha preceduta accantona momentaneamente le domande, strofina
i
palmi l’uno contro l’altro e ne porta uno sopra la
veste nera,
quasi poggiandovelo contro. Sanderson si sporge e socchiude le labbra
in una O
pressoché perfetta, ammirando il lavoro della collega che
sembra in
grado di attirare i frammenti a sé come farebbe una calamita
con il
ferro. Qualche minuto dopo una discreta quantità di
luccicanti
frammenti è radunata sul comodino al loro fianco e Toothiana
annuisce soddisfatta, mentre Sanderson vorrebbe tanto chiederle come
ci sia riuscita, ma è distratto dalla veste nera di Pitch
che ha
stabilito, evidentemente, che il pericolo è ormai cessato ed
è
quindi ora di riprendere una forma dignitosa; sottili filamenti
d’ombra si intrecciano lentamente fra loro creando una fitta
trama
e ricoprendo nuovamente lo spirito oscuro. Toothiana e Sanderson si
guardano per un istante, sorpresi, poi Sanderson sorride esaltato e
Toothiana, lungi dall’aver esaurito la propria
curiosità, si
riaccosta, afferra un lembo della veste nera fra indice e pollice e
la scosta appena, sbirciando al di sotto. Sanderson si accende come
una lampadina, si allunga con uno scatto fulmineo e scansa la mano
della fata con una decisa pacca, fissandola indignato. Toothiana
sbuffa, gli indirizza una linguaccia indispettita e incrocia le
braccia al petto.
«Volevo
solo vedere se le
ombre avevano riparato anche i danni sul suo corpo» prova
impacciatamente a giustificarsi.
Sanderson tuttavia
le lancia
un’occhiataccia d’avvertimento, senza minimamente
dare credito
alle sue scuse. Poi però rammenta il motivo reale per cui
era andato
a cercarla; si colpisce la fronte con un sonoro schiocco e attira di
nuovo l’attenzione della fata, indicandole poi Pitch ancora
evidentemente poco interessato a tornare cosciente.
«Cos’hai
in mente? Credi ci
sia qualche altro problema?» indaga Toothiana, perplessa.
Sanderson sospira,
frustrato.
Com’è difficile, certe volte, comunicare con gli
altri.
Materializza di fronte a loro farfalle e pesciolini dorati,
visibilmente allegri nei loro svolazzi aerei, poi li manda in polvere
bruscamente sostituendoli con una creatura tutta pelo ispido e denti
acuminati che pare intenta a sbranare ogni cosa. Infine anche
quest’ultima scompare in uno sbuffo dorato e
l’Omino dei Sogni
fissa la fata con espressione eloquente.
«Dici che
si è procurato un
incubo grazie a tutta questa faccenda?» tenta, dubbiosa.
Sanderson annuisce
con foga,
soddisfatto del buon lavoro di squadra, e torna a fissarla con
aspettativa.
«E…
noi dovremmo provare
a…» incespica, senza smettere di cercare indizi
sul volto del
collega «farlo sloggiare?» conclude.
Il guardiano dei
sogni si
illumina d’immenso, letteralmente, spandendo abbaglianti
ondate di
luce per la stanza e costringendo Toothiana a socchiudere gli occhi,
infastidita.
«Va bene,
d’accordo Sandy»
sbotta contrariata. «Spegni l’interruttore un
minuto, adesso, o mi
verrà l’emicrania».
Sanderson mette il
broncio e
si affloscia sulla sua nuvoletta, con la sensazione di essere
fortemente incompreso, da qualunque prospettiva la si voglia vedere,
che galoppa rumorosamente nel suo petto millenario.
«Quindi,
come facciamo?»
chiede lei in tono pratico.
Di nuovo si
fissano, incerti
sul da farsi, poi una lampadina si accende sul capo di Sanderson, il
quale indica prima la fata, poi sé stesso e infine le mostra
un
bicipite contratto con espressione risoluta.
«Uniamo
le forze?» ipotizza
la fata nello sforzo di risolvere il rebus del collega.
L’Omino
dei Sogni annuisce
ancora e indica anche Pitch.
«Ah, e
come conti di
convincerlo a collaborare?» domanda perplessa e un
po’ incredula,
salvo poi scuotere in aria una mano come a scacciare un insetto
fastidioso. «Non importa, ho capito. Facciamo quello che ci
riesce
meglio e confidiamo che decida di venirci incontro, se non altro nel
suo stesso interesse» conclude con decisione.
Sanderson solleva i
pollici in
aria e sorride di nuovo, facendo levare gli occhi al cielo a
Toothiana.
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Capitolo 9 *** Capitolo Nove ***
Capitolo
Nove
Evidentemente
non poteva essere sufficiente la nitida e raccapricciante sensazione
di farsi strappare brandelli di carne a morsi. Ora ci si mette
perfino il fuoco; anche se, a ben vedere, somiglia maggiormente
all’essere lanciato in una fornace, un po’ come
è capitato alla
strega di Hansel e Gretel, ma su larga scala. Se almeno gli riuscisse
di aprire gli occhi; ma no, ovviamente, sembrano incollati e, per
quanto si agiti, pare proprio non serva a nulla se non a
intensificare il bruciore, esattamente come se ciò che fosse
rimasto
del suo corpo si stesse lentamente disfacendo in cenere. Decisamente
spiacevole. Che altro può fare, ormai? Non riesce a udire la
propria
voce, mentre grida. Sarà un cattivo segno?
Brevi lampi di
immagini
sfocate compaiono inaspettatamente dietro le sue palpebre serrate, o
più probabilmente direttamente nella sua testa dolorante.
Purtroppo
non ha la possibilità di distinguere molto, data la
velocità con
cui scompaiono senza neppure lasciargli il tempo di individuare
qualche particolare conosciuto né tantomeno un nesso logico.
“Argh!
Sembra di stare in
mezzo al sole, che diavolo!”. Farebbe dannatamente comodo un
bicchiere d’acqua, a quel punto. Mentre quel poco che rimane
della
sua sanità mentale va allegramente a farsi una passeggiata,
si
chiede distrattamente se sul sole vendano i ghiaccioli al limone.
*
Toothiana sbuffa,
seccata e un
po’ affannata, lisciandosi le piume stropicciate prima di
fissare
Sanderson con occhi un po’ preoccupati.
«Non
sembra che sia servito a
molto, dopo tutto. Forse abbiamo sbagliato approccio»
ammette,
incerta. «Ho come l’impressione che siamo perfino
riusciti a
peggiorare la situazione» dubita, un po’
scoraggiata per il
fallimento.
Sanderson posa una
mano su
quella di Toothiana, cercando invano di confortarla, e nel mentre
riflette intensamente sul loro insuccesso, su dove esattamente
abbiano sbagliato e su come poter porre rimedio. Sarebbe utile avere
a disposizione un altro spirito oscuro, in effetti; è
probabile che
la loro natura, non essendo compatibile con quella di Pitch, non crei
i giusti presupposti perché i loro poteri, anche se
congiunti,
trovino un varco per arrivare alla coscienza dello spirito sopito.
Già, ma dove dovrebbero trovarlo? Non è che
l’Omino dei Sogni
abbia vaste conoscenze fra le creature
dell’oscurità. Forse
potrebbero tentare semplicemente con quell’incubo appostato
fuori
dalla porta, ma chissà perché dubita possa essere
d’aiuto per
togliere dai piedi quello che attualmente ha sequestrato
l’Uomo
Nero. “Certo che è proprio assurdo!”
sbotta, frustrato. “Da
quando in qua l’Uomo Nero ha gli incubi? E comunque, chi
dovrebbe
approfittarne, se quello che li controlla è troppo occupato
a
viverne uno?”. Naturalmente non ci sono risposte valide
all’orizzonte e Sanderson è ancora in alto mare
nella sua ricerca
di una soluzione.
«Sandy,
pensavo…»
interviene Toothiana, distogliendo il collega dalle sue
elucubrazioni. «Potrei interpellare una delle pixies. Credo
sia
possibile che conoscano una via d’uscita da questo pasticcio,
oppure qualcuno che ce la possa indicare. Che ne pensi?».
Il guardiano dei
sogni non ha
maturato idee migliori nel frattempo, quindi si dichiara disposto a
tentare quella strada. Annuisce, esitante, sperando che quella nuova
proposta consenta loro di approdare alla giusta soluzione.
*
Sa di essere in
missione ma,
mentre si inoltra nel bosco silenzioso, il profumo di resina e
clorofilla fa spuntare sul suo volto un sorriso di piacere. Erano
anni che non capitava da quelle parti, ma non dubita affatto che le
altre la riconoscerebbero comunque al volo; hanno la memoria lunga e
molto tempo per accumulare ricordi e pensieri. Una piccola cascata
rumoreggia poco distante e la avvisa che manca poco, ormai.
«Toothiana».
Una voce fonda e
affilata
accoglie la venuta della guardiana. Piano si volta, cercando nel
fitto dei rami fino a individuare la fonte di quella voce.
«Eresseie»
sospira
Toothiana, seguendo la figura nel suo planare dolcemente verso il
suolo.
È un
poco più alta del
guardiano dei sogni, quando si posa leggera sul tappeto di muschio,
ma le sue membra sono sottili e un po’ spigolose, la pelle
è verde
come le foglie delle rose e gli occhi neri come il carbone sul viso
affilato; le sue ali sono grandi e ricordano le foglie secche
d’autunno, sia nella forma che nel colore.
La sta osservando
con
un’intensità che risulta in qualche modo
sgradevole, tanto da
farla agitare sul posto, nervosa.
«È
molto che non ti fai
vedere da queste parti» l’accusa in tono vibrante,
fomentando il
suo disagio.
«Lo so.
Non me la sono
sentita di tornare» ammette in un bisbiglio.
«Adesso
però sei qui»
rimarca la pixie, senza mai distogliere lo sguardo duro.
«Giurerei
che non si tratti di una visita di cortesia» aggiunge
sarcastica.
Toothiana sapeva
che non
sarebbe stata una chiacchierata facile, ma sperava ingenuamente che
il tempo avesse mitigato il rancore. Così non è,
evidentemente.
Scuote la testa lentamente, sbirciando il volto contratto della pixie
alla ricerca di un qualunque segnale positivo, senza trovarne alcuno.
«No, non
lo è» è infine
costretta a chiarire. «Avevo bisogno di parlarti».
La risata incredula
della
pixie la fa rabbrividire d’angoscia.
«Adesso
parli perfino, con
me? Ma davvero? Strano, considerato che l’ultima volta non ne
hai
voluto sapere!» sbotta velenosa.
Toothiana sospira,
avvolgendosi le braccia attorno al busto. «Eresseie, ci sono
troppe
cose che non sai…».
«E che
mai saprò, visto e
considerato che non hai mai avuto intenzione di parlarmene».
Annuisce,
concordando
silenziosamente con quella verità. «Ho i miei
motivi, ma di sicuro
non è per sfiducia o cattiveria che tengo te o chiunque
altro allo
scuro di molti fatti. Comunque sia, il motivo per cui sono qui
è un
altro: mi serve il tuo aiuto, la tua conoscenza».
La pixie la squadra
incredula,
scuotendo la testa senza un’idea chiara su come replicare a
tanta
sfacciataggine gratuita.
«Ma ti
senti quando parli?
Con che diritto ti presenti dopo decenni pretendendo che io non solo
me ne stia buona e zitta ma perfino mi adoperi per qualche tuo
assurdo piano?» esclama oltraggiata.
«Non
pretendo. Non è questo
che sto facendo. Ti sto solo… chiedendo di
aiutarmi» geme
Toothiana.
«Per
quale motivo dovrei
farlo?» si intestardisce.
«Perché
ne hai la
possibilità» ribatte la fata, un poco alterata.
Poi, recuperando un
tono più dolce e pacato, propone «Forse potresti
semplicemente
ascoltare le mie parole e decidere se valga la pena. Che ne
pensi?»
pigola incerta.
La pixie, che non
ha mai
smesso di scuotere la testa contrariata, sbuffa e, se possibile,
indurisce ulteriormente lo sguardo.
«Penso
che non avrei mai
dovuto immischiarmi nei fatti di una maledetta fata dei ranghi
superiori. Mia nonna me lo ripeteva in continuazione:
“Eresseie,
non dare mai retta ai nobili, portano solo guai”. Come aveva
ragione» geme piagnucolosa.
Ciò
nonostante, con sommo
stupore di Toothiana, le fa cenno di seguirla e insieme si involano
verso la colonia delle pixies insediate nelle profondità del
bosco.
La fata spera ardentemente che tanta fatica venga in qualche modo
ricompensata, perché quella si è già
ampiamente rivelata una
giornataccia, fin dal primo minuto.
*
L’espressione
scettica
dipinta sul volto di Eresseie parla chiaro su quanto poco creda allo
sconclusionato racconto appena udito dalla bocca di Toothiana.
«Da
quando in qua te la fai
con le creature dell’oscurità?
Dev’essere una tendenza recente,
visto quanto ti infastidiva la nostra compagnia solo qualche anno
fa».
La fata serra
strettamente le
labbra, in parte offesa dal giudizio impietoso della pixie, ma anche
consapevole di aver involontariamente coltivato quest’astio
nei
suoi confronti.
«Non me
la faccio con le
creature oscure, Eresseie» precisa piccata, cercando comunque
di
mantenere un tono tranquillo per evitare di peggiorare
l’umore già
cupo della pixie. «È semplicemente qualcosa che
è successo, un
imprevisto, e stiamo cercando un modo per risolverlo senza peggiorare
ulteriormente la situazione».
«Sì?
E io che dovrei fare,
secondo te?».
Toothiana stringe
forte le
braccia al petto, cercando di farsi forza per non mollare tutto e
tornare ai suoi adorati e confortanti impegni.
«Speravo
potessi darci una
mano. Forse le tue conoscenze del… settore
potrebbero esserci utili. O magari, non so, conosci qualcuno a cui
possa rivolgermi e chiedere una consulenza» tenta, cauta.
«Una
consulenza?» soffia
Eresseie in tono apertamente derisorio. «Mi hai forse
scambiata per
un’assistente sociale, Toothiana? Io mi occupo solo della mia
gente
e del loro benessere, e ti avverto che la tua presenza qui, oggi, mi
sta complicando non poco la vita».
La guardiana della
memoria ha
la netta impressione di star sprecando il proprio tempo e le proprie
energie in un progetto irrealizzabile. Tornare dalle pixies
è stato
probabilmente un errore; sperava di avere qualche suggerimento, ma ha
evidentemente mancato di tenere conto del rancore che le portano da
anni e che non pare avere una data di scadenza. Già, ha
fatto
proprio male a presentarsi come se nulla fosse e con
l’apparente
pretesa di essere aiutata.
«Ho
capito. Mi dispiace di
avervi procurato disturbo. Adesso me ne vado, non
preoccuparti»
assicura, apprestandosi a riprendere la strada di ritorno.
Si è
appena staccata da terra
quando una mano sottile e affusolata si serra con inaspettata forza
attorno al suo polso. Toothiana riporta lo sguardo a terra e nota gli
occhi della pixie puntati nei suoi con espressione dura ma anche
determinata.
«Quanto
è importante questa
cosa?» pretende di sapere, senza allentare la presa.
Toothiana poggia
nuovamente i
piedi a terra e ricambia il suo sguardo, soppesando la situazione.
«Stavamo
seguendo una pista,
io e i miei colleghi guardiani, riguardo un possibile pericolo che, a
detta di Manny, sta per abbattersi sul nostro mondo. È
possibile
che…» tentenna.
«Potrebbe
averlo trovato
prima di voi» comprende immediatamente la pixie, incupendosi
ulteriormente al cenno affermativo della fata. «E allora,
forse, so
a chi possiamo chiedere consiglio» la sorprende.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo Dieci ***
Capitolo
Dieci
«Eresseie,
dove stiamo andando?» tenta la fata, pur sapendo che
difficilmente
otterrà una risposta esauriente.
«Non
posso dirtelo. Lo vedrai
quando saremo arrivate» replica sbrigativamente la pixie.
Volano veloci
dirette verso il
continente europeo. Toothiana non sa bene cosa pensare di quella loro
spedizione, ma confida nella radicata lealtà della sua guida
e si dà
da fare per tenere il passo e scongiurare così
l’eventualità di
perderla di vista.
Giunte sul
Mediterraneo, la
pixie atterra leggera su di uno sperone di roccia che si affaccia
sull’acqua e, a piedi e lentamente, si inoltra in un anfratto
che
presto si rivela un’ampia caverna semi-nascosta dalla
rigogliosa
vegetazione. La fata è un po’ perplessa ma non
commenta e, al
contrario, segue con decisione la pixie all’interno, curiosa
di
capire il motivo per cui si trovano in quel posto.
«Chi
è la creatura piumata
che hai condotto con te?» chiede improvvisamente una voce
delicata
ma esigente.
Eresseie si blocca
sul posto e
costringe Toothiana a fare altrettanto, poi china la testa, fissando
il terreno ai suoi piedi.
«Una
fata, che è anche una
guardiana» risponde di buon grado la pixie.
Toothiana si guarda
intorno,
ma non è in grado di individuare la proprietaria della voce
che ha
dato loro il benvenuto. Invece osserva lo strano atteggiamento quasi
deferente della sua accompagnatrice con una certa sorpresa.
«Sentivo
proprio l’acuta
mancanza di un tale incontro» replica sarcasticamente
l’ancora
ignota creatura. «E perché, di grazia, siete
giunte fino a qui?»
insiste.
Toothiana sta per
aprire bocca
e ribattere, ma Eresseie le dà una gomitata piuttosto
dolorosa
(maledette ossa appuntite!) che la zittisce all’istante.
«La mia
accompagnatrice reca
con sé un problema e spera di poter ottenere da voi un
consulto»
risponde la pixie al suo posto.
La fata ora la
fissa stranita,
stentando a credere che si tratti della stessa pixie che solo qualche
ora prima faceva tanto la difficile per uno sgarbo vecchio di qualche
decennio.
«Ma
davvero? Ero convinta
avessero già il loro personale oracolo onnipotente,
onnisciente e
onnipresente al quale aggrapparsi nei momenti di sconforto»
sibila
in tono cattivo la voce misteriosa.
Toothiana
assottiglia gli
occhi e arruffa le piume, agitando minacciosamente un pugno in aria e
ignorando l’occhiataccia di avvertimento di Eresseie.
«Chiunque
lei sia, non ha il
diritto di gettare fango sul nostro signore. E in ogni caso non
accetto calunnie da chi non ha nemmeno la buona creanza (o il
coraggio) di mostrarsi in volto» sbotta inviperita.
«Capisco»
soffia la voce in
tono minaccioso. Un’ombra si stacca dalle
profondità oscure della
caverna e avanza verso le due visitatrici indesiderate. «E
immagino
che, per aver arrecato disonore al tuo padrone, ora mi riempirai la
grotta e i vestiti di fastidiosissima polvere di fata»
chioccia,
mostrandosi infine agli occhi delle due.
Toothiana rimane
ferma sul
posto a fissare, interdetta, la creatura che le si staglia di fronte.
È una donna, indubbiamente. Una donna molto poco vestita e
inaspettatamente attraente: il corpo del colore della luna e tutto il
resto nero come la notte senza stelle, perfino la poca stoffa che le
copre a stento le grazie.
«Ebbene,
fata» riprende la
parola la donna, rimarcando con un certo disprezzo la parola fata,
«desideravi ardentemente vedermi, o mi inganno?».
Toothiana sta
ancora
disperatamente cercando di venire a patti con la forma presa dalla
voce indisponente. Quasi non si accorge di essere stata interpellata
e riceve, per questo, un’altra dolorosa gomitata da Eresseie
che la
fa bruscamente sussultare.
«Uhm…
Credo di sì» si
decide a rispondere, titubante.
«Credi?
Non sono qui per
perdere tempo con gente che non è neppure sicura del
perché si
trovi in questo mondo. Faresti meglio a schiarirti le idee, fata, e
in fretta anche, prima ch’io perda la pazienza».
“Se
evitasse di aprire bocca
sarebbe certamente più piacevole” si ritrova a
pensare Toothiana,
guardandosi bene dall’esporre ad alta voce i propri pensieri.
«Sono qui
per chiedere
consiglio. Eresseie pensa che voi potreste fare al caso
nostro»
tenta.
«Nostro
di chi?» indaga
sospettosa.
«Mio e
dei miei colleghi,
naturalmente» specifica di buon grado.
La donna reclina
graziosamente
il capo di lato e distende le labbra morbide in un piccolo sorriso
ironico.
«Vedi,
fata» inizia,
parlando lentamente e con tono accondiscendente, «la vostra
specie è
stata, fin dalla sua primissima comparsa su questa terra, una delle
più noiose e moleste spine nel fianco delle rispettabili
famiglie
dei primordi. Siete riusciti, in un tempo ridicolmente breve, a
scombinare e mettere a soqquadro il già fin troppo precario
equilibrio di cui abbiamo da sempre goduto. E ora, dimmi, fata: quale
sconvolgente
e
tenebroso destino
ci attende nei prossimi giorni, per aver messo in allarme quella
piaga vivente dell’Uomo nella Luna?».
Toothiana rimane a
bocca
aperta per attimi che paiono infiniti. Che cosa sarà mai
saltato in
mente a Eresseie di condurla in quel luogo, al cospetto di quella
creatura, ovviamente sapendo che non sarebbe mai stata ben disposta
nei suoi confronti, essendo lei una guardiana. Ma Toothiana inizia a
pensare che comprendere il filo logico dei ragionamenti di una pixie
sia un caso disperato.
«Io…
Chiedo scusa, ma non
mi era stato detto che voi non nutriste particolare simpatia per noi.
Speravo, a dire il vero, di poter illustrare il problema che ci
affligge e, magari, ricevere in cambio qualche buon consiglio. Ma
vedo bene che ho mal riposto la mia fiducia» gracchia,
lanciando
un’occhiataccia alla pixie ferma al suo fianco.
«Io non
lavoro mai per gli
esseri umani, al contrario di voi. Ma suppongo che se la buona
Eresseie ti ha condotta da me abbia avuto le sue ragioni. Mi
incuriosirebbe scoprirle, in effetti. Quindi, gentilmente, vorresti
avere la decenza di spiegare, una buona volta, perché ti
trovi al
mio cospetto, fata?» invita, poco gentilmente.
Toothiana era
convinta che,
dopo aver avuto la malaugurata disgrazia di incappare nella figlia di
Pitch, i restanti suoi incontri futuri non avrebbero potuto che
essere più semplici e piacevoli. Sbagliava, indubbiamente.
Questa
qui deve necessariamente aver preso la laurea sul campo e forse
perfino un encomio per la sua ineguagliabile arroganza
nonché
capacità di mettere il prossimo a disagio.
«Manny ha
recentemente
rilevato quello che potrebbe rappresentare un pericolo, sia per il
mondo degli spiriti che per quello degli esseri umani» decide
comunque di provare a spiegare. «Abbiamo ritenuto possibile
che si
tratti di uno degli spiriti maggiori, probabilmente una creatura
oscura piuttosto potente, in caso contrario come spiegare che nessuno
di noi non sia ancora riuscito a individuarne le tracce?
Tuttavia…»
tentenna, indecisa.
La donna la fissa,
accigliata,
poi sbuffa impaziente. «Tuttavia? Ti avverto che non ho tutta
la
giornata da sprecare per ascoltare i tuoi ameni aneddoti sulle
indiscusse
doti dei guardiani».
La fata serra
strettamente le
labbra per impedirsi di maledirla e lasciare finalmente quel luogo
così inospitale, ma decide altrimenti, pensando che
dopotutto tanto
valga terminare la spiegazione ormai iniziata.
«Tuttavia
Pitch, uno spirito
oscuro di nostra conoscenza, sembra essere reduce da un recente,
disastroso scontro con una creatura dalla natura tutt’ora
ignota,
considerato che non è al momento desto per chiarirci il
mistero».
Con un pizzico di
genuina
sorpresa, Toothiana nota che l’interesse della donna sembra
essersi
improvvisamente ridestato. Non ha la più pallida idea di
quale
particolare del suo racconto abbia condotto a tale risultato, ma non
intende certo gettare alle ortiche questa nuova, inaspettata
opportunità.
«Dimmi
qualcosa in più su di
lui» ordina senza mezzi termini. «Come siete venuti
a conoscenza di
questa sua disavventura? E dove si trova in questo momento?».
La guardiana, di
buon grado,
raccoglie in egual misura pazienza e idee e, con cura, fornisce
all’ancora misteriosa creatura le delucidazioni richieste. Si
augura, francamente, che dopo tante chiacchiere, quest’ultima
accetti di fornire loro l’assistenza di cui necessitano, od
oltre a
perdere una marea di tempo si ritroverà esattamente al punto
di
partenza, ovvero con nessunissima soluzione per uscire dal pasticcio
in cui si stanno cacciando sempre di più.
Al di là
di ogni pessimistica
previsione, la creatura ascolta con inattesa cura tutto ciò
che la
fata ha da dire sull’argomento e, infine, accenna perfino un
vago
sorriso affatto derisorio.
«Molto
bene, fata. Diciamo
che mi hai convinta. Non apprezzo particolarmente il freddo, in
realtà, ma confido che la dimora di questo St. North sia
adeguatamente riscaldata» replica pomposamente.
Toothiana solleva
un
sopracciglio, interdetta. «Intendete venire al Polo Nord di
persona?» si accerta, dubbiosa.
«Ovvio
che sì!» esclama
vivace, indirizzandole uno sguardo calcolatore. «Ma non
aspettarti
che vi segua in volo. Non ho la minima intenzione di congelare nel
tentativo di oltrepassare il circolo polare. Mi trasferirò
direttamente là, ci vorrà un attimo»
afferma sicura, guadagnandosi
un’occhiata attonita dalla fata. «Se lo desiderate,
per evitare di
perdere tempo, posso portarvi con me» offre, magnanima.
Quasi la mascella
di Toothiana
casca a terra, sconvolta dal repentino cambio di atteggiamento di
quella donna indisponente. Ma certo la guardiana non si
lascerà
sfuggire l’opportunità di risparmiare ore di
scomodo volo.
«Se per
voi va bene, accetto
con piacere» si affretta a confermare, temendo che altrimenti
possa
cambiare idea, volubile com’è. «Chiedo
scusa se vi sembro
sfacciata, signora» aggiunge, vedendola già
più che pronta a
partire. «Ma voi, esattamente, chi siete?» domanda,
comunque
decisamente confusa dalla piega presa dagli eventi.
Un nero
sopracciglio della
donna scatta bruscamente verso l’alto, irritato.
«Tipico!»
sbotta, seccata. «Vi presentate alle porte degli altri per
chiedere
favori e neppure sapete con chi state parlando. Ah, ma
perché mai me
ne sorprendo ancora?» si lagna con uno sbuffo.
«Sia!» decreta
ferrea. «Confido che non dimenticherai questa
informazione» sibila
minacciosa. Sorride sinistramente, osservando la fata negare
velocemente e con foga. «Molto bene. Nyx, questo è
il mio nome.
Della notte profonda io sono la signora incontrastata»
declama,
pavoneggiandosi.
*
«Potrebbe
sembrare il
contrario, fata, ma ti assicuro che non ho tutto questo tempo da
perdere» sbotta seccata. «Entro questo millennio,
possibilmente»
borbotta acidamente.
Toothiana sospira,
chiedendosi
come potrà mai spiegare agli altri l’ingombrante
presenza di
questa donna. Non ha comunque molto tempo per piangersi addosso, dato
che Nyx, evidentemente stufa di aspettare i comodi altrui, afferra
senza troppi complimenti le due creature alate, una per ogni braccio,
e tutte e tre insieme svaniscono, lasciando la grotta più
buia di
quanto già non fosse.
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Capitolo 11 *** Capitolo Undici ***
Capitolo
Undici
Sono
ore, ormai, che Nicholas e gli altri guardiani si chiedono dove possa
essere sparita Toothiana. Perfino Sanderson, che ne conosceva le
intenzioni, sta riflettendo sul motivo che possa averla trattenuta
così a lungo e per il quale non sia ancora tornata.
Non molto, in
verità, è
cambiato da quando la fata è partita dalla fabbrica di
North.
L’unica vera nota positiva è che, finalmente,
Aster e Nicholas
hanno smesso di discutere e insultarsi in favore della comune
preoccupazione per le sorti della collega. Jack, stranamente
silenzioso e immobile, scruta gli altri aggirarsi nervosamente per la
sala e, di tanto in tanto, sposta lo sguardo confuso su Sandman,
trovandone il comportamento un po’ troppo bizzarro perfino
per le
sue abitudini. È quasi sicuro che stia nascondendo qualcosa,
ma non
gli va di credere che lo faccia senza pensare ai possibili pericoli
in cui potrebbe essere incappata Toothiana.
«Se
andassimo a cercarla?»
propone a bassa voce, stufo di starsene con le mani in mano ad
aspettare.
«Sì,
certo, e dove di
preciso?» replica Aster, sarcastico.
Jack aggrotta le
sopracciglia,
seccato, ma lancia un ennesimo sguardo a Sanderson, augurandosi che
si faccia finalmente avanti. Nicholas nota lo scambio di occhiate,
anche se non è sicuro di comprenderne il motivo.
«Sandy»
prova comunque, «tu
sai qualcosa di Toothiana?».
L’Omino
dei Sogni, preso in
contropiede, si limita a fare spallucce e a mordicchiarsi
nervosamente un labbro. Nicholas affila lo sguardo, ormai certo,
così
come lo è Jack, che il guardiano dei sogni sia al corrente
di
qualche particolare ma, evidentemente, non abbia intenzione di
condividerlo con loro.
*
Sono ancora
impegnati nelle
loro riflessioni senza sbocco, quando al centro del salone compaiono
dal nulla tre figure avvolte in una nebbiolina scura. Aster
rispolvera la sua spada, puntandola con decisione sugli intrusi, lo
stesso fa Jack con il suo bastone, indirizzandolo contro di loro.
Sanderson ha invece riconosciuto Toothiana in una delle tre figure e
solleva rapidamente una mano a fermare gli altri. Nicholas, dal canto
suo, ha notato l’indecisione dell’Omino dei Sogni
e, aguzzando la
vista, riesce a sua volta a scorgere la fata.
«Toothiana!»
tuona,
sollevato di rivederla tutta intera.
Ora che la nebbia
scura si è
dissolta, i guardiani possono facilmente vedere chi hanno di fronte e
sia Jack che Nicholas sgranano gli occhi per la sorpresa.
«Hai
portato con te una
pixie?» chiede North, stranito e confuso.
«Ehm…
Già, sì» commenta
Toothiana, ben sapendo quanto la pixie sia decisamente
l’ultimo dei
loro mille problemi. E come se l’avesse chiamato, ecco che si
fa
sentire il più recente e… vistoso.
«Pooka,
ti consiglio
caldamente di far sparire quello stupido temperino arrugginito, a
meno che tu non voglia finire in un pentolone di acqua bollente in
compagnia di sedano, carote e cipolla» sibila Nyx, offesa per
la
pessima accoglienza.
Aster, esterrefatto
inizialmente dalla mise
della donna e in seguito dalla sua minaccia ben poco velata, rizza il
pelo e, suo malgrado, indietreggia di un paio di passi.
«Chi
diamine è questa
donna?» gracchia, un po’ scosso.
Toothiana si
affretta a
raggiungere il pooka e ad appoggiare con decisione una mano sul suo
braccio armato, convincendolo a riporre ancora una volta la sua
spada, per la salute mentale di tutti i presenti. Poi decide sia
giunto il momento di fare le dovute presentazioni, nonostante sia
ormai chiaro che due di loro già abbiano riconosciuto almeno
la
pixie.
*
«Ancora
non capisco per quale
motivo le hai portate da noi» borbotta Aster, per nulla
rassicurato
dalla presenza di Nyx né tantomeno dai suoi occhi cupi
puntati
addosso.
«Perché
ci serviva
consiglio» ribadisce Toothiana per la milionesima volta.
«Portano
solo problemi, altro
che consiglio» mugugna in un mormorio appena udibile, attento
che
l’unica a udirlo sia la fata.
Inaspettatamente,
al posto
dell’ennesimo rimprovero, Toothiana sorride e annuisce,
confondendo
un poco il guardiano della speranza che la guarda con aspettativa
sperando in un chiarimento.
«Portano
problemi, è vero.
Ma credo comunque che possano anche aiutarci a risolverne qualcuno
dei più grossi» lo accontenta di buon grado.
Nel frattempo Jack
e Nicholas
sembrano decisi a fare realmente conoscenza con Eresseie, la quale
tutto sommato non sembra dispiacersene troppo. Sanderson invece
scruta incuriosito Nyx, sobbalzando un poco nel momento in cui viene
direttamente interpellato dall’oggetto delle sue attenzioni.
«Tu sei
il Sandman, giusto?».
Sanderson annuisce
e allunga
una mano in un gentile gesto amichevole. Ma Nyx arriccia
ostentatamente il naso e si scosta appena.
«Preferirei
evitare, se non
ti dispiace. Non amo la sabbia dei sogni, credo di esserne
allergica»
soppesa distrattamente. Poi riporta l’attenzione su un
guardiano
dei sogni un po’ deluso. «Dato che ai tuoi colleghi
piace perdere
tempo, che ne pensi di mostrarmi la via per raggiungere il vostro
ospite? In fondo sono qui per questo motivo» annuncia,
sorprendendo
ancora una volta Sanderson.
Si guarda un
momento intorno,
constatando la veridicità dell’osservazione di
Nyx, torna su di
lei e, titubante, annuisce. Le fa cenno di seguirlo e rimane per un
breve istante a fissarne gli occhi, confuso, con
l’impressione di
aver scorto un fugace baluginio al loro interno.
*
Quando Nyx scorge
l’incubo a
guardia della porta rossa, un largo sorriso un po’
inquietante
spunta sul suo viso, dandole un aspetto ancora più strano e
in
qualche modo sinistro. L’incubo balza velocemente in piedi e
raddrizza le orecchie, sbuffando stordito dall’insensato
avvicendarsi di creature sempre più bizzarre. Sanderson
sposta lo
sguardo dalla donna all’incubo, chiedendosi se si sia perso
qualche
passaggio ma senza trovare una risposta, come al solito.
Raggiunto
l’uscio, Nyx passa
una mano nella folta criniera della creatura oscura, senza smettere
di sorridere, poi poggia la mano sulla superficie levigata della
porta e la serratura scatta facendola socchiudere. Sanderson aggrotta
la fronte ma non alza un dito per impedire alla donna di varcare la
soglia e richiudersela silenziosamente alle spalle, lasciando
l’Omino
dei Sogni in compagnia di un altrettanto attonito incubo.
“Donne!”
sbotta
mentalmente Sanderson, decidendo di prendere posto sulla sua comoda
nuvoletta e attendere pacificamente sul lato opposto del corridoio.
*
Il ghigno sinistro
stampato
sul delicato viso di Nyx si ammorbidisce, mutando in un tenue
sorriso. Lo sapeva, se lo aspettava, eppure non riesce a non essere
comunque un po’ sorpresa nel ritrovarsi davanti a lui.
Stranezze
della vita (o della non-vita, secondo i punti di vista).
Si accomoda leggera
sul bordo
del giaciglio su cui poggia lo spirito oscuro e trascorre i
successivi, lunghi minuti a osservarlo, annotando mentalmente le
differenze così come i particolari rimasti immutati;
è ancora
pallido come un cadavere, questo è certo, in compenso sembra
perfino
più magro di quanto rammentasse, e ha… le ciglia
più scure?
Sbuffa una mezza risata, ritenendola un’idea piuttosto
ridicola, ma
solleva comunque appena lo sguardo, curiosa di sbirciarne i capelli e
notandoli effettivamente più neri. Si imbroncia,
indispettita:
nessuno può avere i capelli più neri dei suoi,
accidenti!
“Non
è giusto” mugugna
capricciosamente dentro di sé.
“È… oltraggioso, ecco”
rincara.
Poi riflette che,
in effetti,
potrebbe benissimo essere merito
delle ombre e si rasserena un po’, compiaciuta da quella
facile
spiegazione. Il suo sguardo si sposta sul comodino lì a
fianco e
nota per la prima volta la presenza dei frammenti luminescenti; ne
sfiora uno, ritraendo in fretta le dita con una smorfia risentita.
«Ba’al»
sussurra
contrariata, cominciando finalmente ad avere un quadro più
preciso
di ciò che potrebbe essere accaduto realmente.
Torna su Pitch, si
accosta di
poco e lo scruta con maggior attenzione. «Non riesci a
uscirne?»
chiede in un fievole mormorio. Reclina curiosamente il capo,
studiando gli impercettibili movimenti del suo viso. «Una
volta non
gli avresti mai lasciato lo spazio per entrare, tantomeno per
intrappolarti. Dov’è finito quello
spirito?» insiste, sembrando
convinta di poter ottenere la sua agognata risposta. Invece ottiene
solo un prolungato silenzio e un pizzico di irritazione in
più.
Solleva gli occhi al cielo, scocciata, e scivola ancora un poco
più
vicina.
«D’accordo,
ci penso io, se
proprio è necessario» borbotta, abbassandosi ora
tanto da sfiorare
con la punta del naso il suo zigomo spigoloso. «Poi non dire
che non
faccio mai nulla di gentile» recrimina, soffiando tiepido
fiato nel
suo orecchio.
Inspira, chiude gli
occhi,
poggia la fronte contro la tempia dell’Uomo Nero e una
manciata di
secondi dopo quest’ultimo rantola un grido strozzato e
strabuzza
gli occhi, facendoli saettare freneticamente attorno, confusi e un
po’ spaventati.
«Beh,
bentornato, tesoro. Non
c’è di che» sbotta Nyx con sarcasmo.
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Capitolo 12 *** Capitolo Dodici ***
Capitolo
Dodici
Il
secondo strillo di Pitch, questa volta scioccato, fa vibrare i vetri
della stanza e caracollare l’incubo di nuovo addosso
all’entrata,
mentre Sanderson tenta invano di convincerlo a smetterla di raspare
convulsamente contro il legno laccato, tanto è protetto da
incantesimi contro i danni da urti ed esplosioni (misura attuata da
Nicholas dopo essere stato costretto a rifare per l’ennesima
volta
gli arredamenti della fabbrica in seguito ai maldestri tentativi di
cooperazione degli elfi).
«Che
accidenti ci fai tu
qui?!» esplode Pitch, fissando attonito la donna placidamente
adagiata al suo fianco.
«Gran bel
modo di
ringraziare. Sei proprio un villano» si lagna Nyx, un
po’ offesa
dall’atteggiamento aggressivo dell’Uomo Nero.
«E in ogni modo
sono io quella che dovrebbe chiederti che
cosa
ci fai tu qui»
fa acidamente notare.
Pitch, confuso,
aggrotta
entrambe le sopracciglia senza mai perderla d’occhio. Scuote
la
testa, si blocca immediatamente scoprendo in ritardo quanto il
restare immobile faccia molto meno male e non dia
l’impressione di
avere cocci di vetro che sbatacchiano all’interno della
scatola
cranica, infine si decide a usare la sua arma super segreta: gli
occhi grandi da cucciolo abbandonato.
«Non
capisco» aggiunge, per
dovere di cronaca.
Nyx arriccia le
labbra,
stizzita, poi però sospira e si arrende
all’evidenza di dover
spiegare la situazione a quel cocciuto somaro di Pitch Black.
«Può
essere che tu abbia
notato quanto l’arredamento di questa stanza non sia del
solito,
monotono nero e sfumature affini» prova, pensando che
cominciare dai
fatti semplici e immediatamente dimostrabili sia la tattica migliore
in quel caso.
«Mh»
commenta solo Pitch,
non particolarmente toccato dalla spiegazione.
«Dèi,
sei proprio inutile
certe volte!» lo accusa, stressata. «Ok, bene.
Riproviamo con
questo: che cosa rammenti dell’ultimo giorno?».
«Ehr…»
tenta Pitch, preso
in contropiede. Che diamine ricorda? Vuoto. Apparentemente il nulla
più assoluto. Pessima notizia, non c’è
che dire. «Non molto, a
dire il vero» media, pigolando debolmente e sperando di non
essere
crudelmente aggredito dall’arpia che siede al suo fianco.
Nyx digrigna i
denti,
spazientita, e inizia a tamburellare le unghie sul comodino, affatto
lieta per quella situazione incresciosa.
«Sei
riuscito a peggiorare
drasticamente dall’ultima volta in cui ci siamo
incontrati» tiene
a far notare, infischiandosene dell’occhiata attonita e un
po’
risentita di Pitch. «Dato che sembra che la tua testa sia
più vuota
del solito, vorrà dire che dovrò aggiornarti io
stessa» esclama
drammaticamente. «In questo momento ti trovi nella
coloratissima e
fin troppo caotica fabbrica di Babbo Natale» spiattella senza
il
minimo tatto, godendosi l’espressione raccapricciata
dell’Uomo
Nero. «E non è tutto, naturalmente. Pare che ti
abbia portato fin
qui niente meno che l’Omino dei Sogni in persona, e che la
Fata dei
Dentini abbia provveduto ella stessa a risanare un danno che ti eri
procurato scontrandoti con una figura apparentemente misteriosa. Ma
io sono piuttosto certa di sapere di chi si tratti: Ba’al. E
chissà, forse ad assistere c’era perfino il suo
caro fratellino
Mot» ipotizza allegramente.
Pitch è
bianco come un
lenzuolo candeggiato e tiene le labbra strettamente serrate
nell’improbabile tentativo di non strillare agghiacciato
dall’impietoso resoconto appena udito. “Donna
infernale” sbotta
mentalmente, maledicendola oggi esattamente come già
accaduto
nell’ultima occasione in cui ha dovuto sorbirsela. E poi,
finalmente, rammenta la causa scatenante delle sue attuali sciagure
che, stranamente, non è Jack Frost, ma un duo poco
raccomandabile di
divinità unito alla sua scarsa lungimiranza
nonché stupida
curiosità. Sospira, per nulla rassicurato
dall’aver rammentato la
nottata trascorsa; ha come la sensazione che non sia che
l’inizio e
che, in un futuro fin troppo prossimo, avrà modo di pentirsi
ancora
e ancora della propria sconsideratezza.
«Che
guaio» mormora fra sé,
dimenticando per il momento di avere compagnia.
«Puoi
dirlo forte, tesoro»
lo rimbecca Nyx.
«Evita,
te ne prego, di
chiamarmi in quel modo» supplica Pitch, stremato.
Nyx increspa le
labbra in un
poco simpatico ghigno. «E come preferisci che ti chiami? Uomo
Senza
Cervello? Gran Signore della Sfortuna? Magari Re del Monocromatico
Deprimente. Suona bene, direi» indugia, sembrando intenta a
riflettere realmente su quella possibilità.
«Non
direi proprio» sibila
fra i denti Pitch, chiedendosi perché, fra tutti, proprio
lei
dovesse capitarle fra capo e collo dopo una nottata infame come
quella e un risveglio molto più che traumatico.
«Uffa,
sei sempre così poco
collaborativo, tu, Uomo Irritante e Imbronciato» si lagna.
«Piantala!
Per favore, se…
devi per forza stare qui, non potresti almeno smetterla di
appiopparmi nomi improbabili e offensivi? Andrebbe benissimo anche se
restassi semplicemente zitta» propone speranzoso.
Le sue futili
speranze, come
già sospettava, vanno in fumo nel momento in cui lei lo
fissa
oltraggiata e riprende a tamburellare sul comodino. E poi sarebbe lui
quello irritante.
«Sei
assolutamente una
piccola pulce ingrata, ecco cosa!» sgola a pieni polmoni,
costringendolo a socchiudere le palpebre nella speranza di
affievolire il feroce mal di testa che lo ha assalito già al
suo
risveglio. «Ti ho destato io, se te lo stessi chiedendo. Ma
hai
pensato di elogiarmi per il mio ammirevole gesto di puro altruismo?
No! Ti sei forse prostrato adorante ai miei piedi? No! Hai osannato
la mia fausta e meravigliosa persona? Certo che no! Sai solo
lamentarti e nient’altro. Ma chi ti ha ripescato da quello
stupido
incubo? Io! Ecco chi. Se avessimo aspettato te avremmo già
fatto la
muffa! Sei un essere totalmente inutile!» ulula come una
banshee.
Pitch, angosciato,
si ritrae
infagottandosi stretto nelle coperte, pregando che possano fornirgli
un qualche tipo di protezione contro quella strega fuori di testa. In
fondo, per i bambini funziona discretamente, quindi perché
non
dovrebbe farlo anche per lui?
«Ebbene?!»
sbotta Nyx,
pretendendo di essere ascoltata.
«Ehm…»
tossicchia Pitch,
imbarazzato, senza avere la più pallida idea di cosa lei si
aspetti
esattamente. Forse potrebbe bastarle un semplice ringraziamento? Per
quanto dubiti che siano quelle il genere di mire della donna
infuriata che si agita e sbraita sul letto. Oh, beh, che ha da
perdere, in fondo? Tanto vale tentare: se andrà male
penserà a un
piano di riserva per sfuggire alle sue malefiche grinfie anche questa
volta. «Ehm…» ritenta, incerto.
«Grazie per il tuo aiuto. È
stato… uhm… prezioso» gracchia, poco
convinto ma comunque
speranzoso che possa tirarlo fuori indenne da quella situazione
spinosa.
Un sorriso
scintillante di Nyx
lo sorprende all’improvviso, suggerendogli di rimboccarsi
meglio le
coperte, almeno fino al mento a giudicare dall’espressione
spiritata della donna.
«Ma
certo! D'altronde, da che
mondo è mondo, ogni singola azione che la mia augusta
persona
intraprende è e sarà sempre e comunque
preziosa» si vanta
immodestamente con gli occhi che risplendono di luce propria
“Sì,
certo, come no. E io
sono la fata turchina” elucubra acidamente, scuotendo
prudentemente
il capo, sconsolato.
*
L’incubo
sta disperatamente
cercando di scardinare la maledetta porta da minuti interi, ma sembra
sia decisamente più complicato del previsto: non riesce ad
abbatterla e pare non sia possibile passarci attraverso. Come si
suppone debba sorvegliare l’incolumità del suo
padrone, se non può
nemmeno raggiungerlo? Sbuffa e scalpita, frustrato a causa degli
infruttuosi tentativi; è stizzito perché il
guardiano dei sogni con
il quale divide il corridoio non ha alzato neppure un dito per dargli
una mano, si limita a osservare il suo vano accanimento e i suoi
numerosi fallimenti con un atteggiamento fatalista che lo irrita a
morte. Se solo potesse lo prenderebbe a calci, ma sa bene che
equivarrebbe a un suicidio.
Si sta giusto
apprestando a
schiantarsi per l’ennesima volta contro quella stupida e
impenetrabile barriera, quando nel corridoio compare una nuova
figura, una che fa correre un brivido d’angoscia su per le
zampe
dell’incubo. “Quella è una
pixie” pensa sconvolto. E nel
momento esatto in cui Eresseie solleva lo sguardo individuando
l’incubo, quest’ultimo abbandona momentaneamente
l’idea di
raggiungere il suo padrone e se la dà a gambe levate,
correndo come
una saetta il più lontano possibile dalle grinfie di quella
malefica
creatura alata che, ghignando eccitata, prende a seguirlo come
un’ombra pregustando già una meravigliosa,
appagante cavalcata.
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Capitolo 13 *** Capitolo Tredici ***
Capitolo
Tredici
Un
tonfo particolarmente rumoroso proveniente dalla porta attrae
l’attenzione dei due occupanti della camera. Pitch solleva un
sopracciglio, perplesso, spostando lo sguardo indagatore su Nyx.
«Sai cosa
sta succedendo là
fuori?» chiede, un poco impensierito.
Nyx sghignazza,
immaginando
facilmente il motivo di tutto quel trambusto. «Il tuo cane da
guardia avrà certamente fatto la conoscenza della pixie che
mi sono
portata appresso» spiega, un po’ sibillina.
La fronte di Pitch
si aggrotta
nello sforzo di comprendere il significato di quelle parole.
«Il
mio… Epiales, vuoi dire?».
«Chi?»
chiede Nyx, a sua
volta confusa.
«Epiales,
il mio incubo. È
là fuori? E quella tua pixie?» indaga, sempre
più impensierito.
«Oh,
immagino che Eresseie
stia tormentando il tuo incubo. Sai, alle pixie piacciono i
cavalli»
commenta, con un ghigno sardonico. L’occhiata dura di Pitch
ha
l’inaspettato effetto di smorzare un po’ della sua
ilarità. Fa
spallucce, ora imbronciata. «Era solo per divertirsi un
po’» si
giustifica.
«Non con
i miei incubi»
sibila contrariato. Sospira lentamente, cercando di calmarsi.
«Potresti farlo entrare, così da levarlo dalle
manacce di quella
pixie invadente, per favore?» chiede con il massimo del garbo
e
della gentilezza che riesce a metterci data la situazione.
Nyx sbuffa, un
po’ delusa,
ma annuisce. «Come vuoi» conferma, raggiungendo
l’entrata e
socchiudendo l’uscio quel tanto da avvisare
l’incubo che la via
d’entrata è ora sgombra.
L’incubo
non ci pensa due
volte e, sottrattosi velocemente alle sgradite attenzioni di
Eresseie, si precipita dentro a una velocità tale da
slittare sul
liscio parquet e finire quasi per schiantarsi contro la parete
opposta. Nyx torna a sghignazzare brevemente, ma presto ritrova un
contegno più appropriato e si richiude ancora una volta
l’uscio
alle spalle. Ripresosi dal ruzzolone, l’incubo trotterella
fino al
baldacchino per sincerarsi finalmente dello stato del padrone,
trovandolo desto e attento.
Pitch allunga la
mano destra e
sfiora la fronte dell’incubo, accennando un piccolo sorriso
soddisfatto. «Stai bene, per fortuna. Non ti hanno fatto del
male,
vero?» si accerta, anche se non sembra aver riportato danni,
al
contrario suo.
Infatti, a
confermare le sue
speranze, l’incubo scuote piano il capo e soffia una piccola
nuvoletta grigia che diverte l’Uomo Nero. «Bene, ne
sono lieto»
mormora, abbassando le palpebre per un lungo momento.
«Così…
dai nomi ai tuoi
incubi» commenta improvvisamente Nyx, un po’
sorpresa e vagamente
divertita.
Pitch riapre gli
occhi, la
fissa un lungo momento e storce le labbra, infastidito. «Non
dovrei?» borbotta seccato. «Non ce
l’hanno tutti, a ogni modo,
solo gli esemplari più anziani e potenti» precisa.
Nyx osserva
l’incubo
accomodato a lato del baldacchino, poi Pitch che la sta fissando
torvo, sfidandola a deriderlo per quella sua abitudine curiosamente
umana. Abbozza un piccolo sorriso e annuisce appena.
«Ok».
«Ok?»
replica Pitch,
interdetto.
«È
quello che ho detto»
conferma Nyx, nuovamente divertita ma per tutt’altra ragione.
«Hai
anche un Phrike?» chiede incuriosita.
Pitch sfarfalla le
ciglia,
incerto su cosa pensare. «Sì» risponde
dubbioso, facendola quasi
sembrare una domanda.
«E me lo
mostreresti, un
giorno di questi?».
La fissa
intensamente, per
nulla sicuro che lei non lo stia di nuovo prendendo per i fondelli.
Non sembrerebbe, dopo tutto. «D’accordo»
concede, non trovando
motivo per negarle la richiesta. Inaspettatamente lei sorride felice,
turbandolo un pochino.
*
I minuti successivi
Pitch li
trascorre facendosi raccontare da Epiales i fatti accaduti a partire
dal momento in cui sono fuggiti dai due fratelli fino al suo
risveglio. L’Uomo Nero è un po’
frastornato a causa
dell’imprevedibile direzione presa dagli eventi e piuttosto
sconvolto nell’apprendere di come il suo incubo abbia
sconsideratamente deciso di presentarsi, tutto solo, al guardiano dei
sogni, mettendo seriamente a repentaglio la sua stessa esistenza
senza avere alcuna garanzia di successo. Sinceramente credeva che le
sue creature avessero maggior istinto di conservazione ma, come si
dice, spesso gli animali finiscono con il somigliare fin troppo ai
loro padroni.
Qualcuno bussa alla
porta.
Pitch risolleva lo sguardo, perplesso, poi lo sposta su Nyx,
apparentemente intenta a sistemare i frammenti della spada di
Ba’al
secondo una logica che evidentemente comprende unicamente lei. La
donna, sentendosi osservata, sbircia fugacemente al suo fianco e
inarca interdetta un sopracciglio.
«Che
c’è?» mugola
infastidita.
«Qualcuno,
là fuori, sembra
voglia entrare» la informa, non apparendo comunque molto
interessato
a scoprire chi né tanto meno a permettere
l’accesso allo
sconosciuto visitatore.
«Credi
che il capo di questa
baracca ce l’abbia qualcosa di forte da bere?»
chiede dal nulla
Nyx.
Pitch socchiude le
labbra,
confuso e sorpreso. «Non mi pare il caso che ti ubriachi in
compagnia di certa gente» fa rispettosamente notare.
Un piccolo, pigro
ghigno
risponde a quell’avvertimento. «Non
succederà. Voglio
semplicemente divertirmi un po’ come si deve. A che scopo
avere a
disposizione tanti soggetti così pittoreschi, se non si
può neppure
approfittarne?».
L’Uomo
Nero sbuffa ma, suo
malgrado, stiracchia un piccolo sorriso. «Fa come credi. Di
certo
non sarò io a impedirtelo» conferma di buon grado.
Con passo
ondeggiante, Nyx si
accosta all’entrata e socchiude nuovamente la porta, ma
questa
volta poggia mollemente una mano sullo stipite e riserva uno sguardo
indolente al disturbatore di turno.
«Fata, ci
si rincontra»
annuncia sarcastica.
Toothiana, piantata
in mezzo
al corridoio da una buona mezz’ora, arriccia appena il naso
ma si
fa comunque forza, cosciente che spuntarla con quella donna sia
praticamente impossibile, a meno che non sia lei stessa a volerlo.
«Mi
chiedevo se potrei
scambiare qualche parola con Pitch» soffia, incrociando
strettamente
le dita dietro la schiena e facendo sghignazzare Sanderson, ancora
comodamente appostato di fronte alla parete opposta del corridoio.
Nyx la scruta con
attenzione,
poi fa vagare con irriverenza lo sguardo su tutta la sua piumata
figura, infine torna nei suoi occhi un po’ impensieriti con
un’espressione di sufficienza e soffia uno sbuffo annoiato.
«No»
replica recisamente,
richiudendole la porta in faccia.
Pitch strabuzza gli
occhi,
sconcertato, poi ridacchia flebilmente, notevolmente sollevato dal
fatto che la folle creatura in sua compagnia abbia deciso di
affilarsi le unghie sulla pelle altrui, lasciandolo respirare una
volta tanto.
Nyx lo guarda per
un breve
momento e abbozza un sorrisetto indulgente. «Ti
diverti?» si
informa.
«Mi
rilasso. È differente»
replica pacato.
«Desideri
parlare con la
fata?» si accerta.
Pitch, suo
malgrado, storce il
naso. Sa bene che prima o poi gli toccherà: è
praticamente
intrappolato nell’insulsa fabbrica di quel
bell’imbusto di North,
come potrebbe sfuggire loro? In particolare nelle sue attuali
condizioni. Inoltre sospetta che un chiarimento su quanto accaduto
sia d’obbligo, se non altro per metterli in guardia
sull’effettivo
problema
con il quale avranno a che fare prossimamente. Sa tutto questo, ne
è
fin troppo cosciente al momento. Solo… non ora, non ancora.
«Preferirei
continuare a
rilassarmi, a dire il vero» ammette. “Fino a quando
posso ancora
farlo” si limita a pensare.
Nyx annuisce,
stranamente
comprensiva, e torna a giocare
con i frammenti luminescenti, sembrando intenzionata a trovare loro
la corretta disposizione.
*
«Quella
maledetta donna!»
sbotta Toothiana, inviperita come non lo era più stata da
molto
tempo.
Sanderson tenta di
tranquillizzarla con gentili e confortanti pacche sulle spalle,
sapendo che comunque la fata non avrà pace fino a che non
avrà
nuovamente la possibilità di oltrepassare quella soglia.
Sanno
entrambi che finalmente Pitch si è ridestato; la reazione
del suo
incubo è stata piuttosto eloquente, in effetti. E ormai
anche
l’Omino dei Sogni sembra convinto che il misterioso incontro
di
Pitch abbia a che fare con il recente problema giunto
all’attenzione
dei guardiani. In fondo Manny li aveva in qualche modo avvertiti che
l’Uomo Nero avrebbe potuto essere utile. Certo, nessuno si
sarebbe
mai aspettato che lo sarebbe stato in un modo tanto burrascoso,
né
tanto meno che le sue azioni avrebbero contribuito a coinvolgere
altre creature.
“Creature
oscure” ricorda
Sanderson, rammentando anche la sensazione della magia di luce
avvertita nello sfiorare il frammento estratto dalla spalla di Pitch.
Creature
dell’oscurità,
magia della luce, l’Uomo nella Luna e i suoi guardiani: che
cos’hanno in comune? In che modo si incastrano insieme?
Qualcosa
lega tutti loro a formare un unico quadro, ma cosa? Sanderson,
così
come Toothiana, sembra avere la speranza che Pitch possa fornire loro
qualche risposta. Qual è la speranza di Pitch?
|
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Capitolo 14 *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo
Quattordici
È
la
mattina del suo secondo giorno di permanenza in quel postaccio,
ormai. Nyx ha smesso di giocare con il suo puzzle improvvisato e
osserva il lieve ondeggiare della nera criniera di Epiales come
incantata. Piano, con attenzione, solleva il busto riportandosi
seduto; struscia la mano sinistra sul liscio tessuto del copriletto,
avvertendolo fresco sotto la pelle; ruota cautamente la spalla,
trovandola leggermente rigida ma, tutto sommato, in uno stato
più
che discreto; solleva lo sguardo, ora, trovandosi osservato con
interesse da quello nero della donna che, tuttavia, non apre bocca e
si limita a seguire con attenzione i suoi movimenti controllati. La
scruta, indeciso. È passato poco tempo ma, vista la
situazione,
sembra sempre troppo.
«Se…
te lo chiedessi, mi
accompagneresti?» soffia prudente.
«No»
replica lei, sollevando
un angolo delle labbra, «ti accompagnerei in ogni caso, anche
se tu
decidessi di voler andare da solo».
Pitch, che era
rimasto un po’
turbato dal suo iniziale rifiuto, si ritrova invece a ghignare
soddisfatto, per una volta, dal fare dispotico della maledetta
strega.
«Bene»
soffia, più
tranquillo. «Ora, vediamo se riesco a reggermi in piedi, poi
ci
facciamo i fatti dei guardiani».
Nyx sgrana gli
occhi, poi
ridacchia felice. «Andiamo in esplorazione?».
«Direi di
sì» conferma
Pitch, divertito dall’evidente entusiasmo di Nyx a
quell’allettante
prospettiva.
Con prudenza poggia
i piedi
sul caldo parquet, si rimette in piedi, traballa leggermente, si
aggrappa con le lunghe dita della mano destra alla folta criniera di
Epiales e soffia uno sbuffo un po’ deluso: gli ci
vorrà ben più
di qualche giorno per tornare degnamente operativo. Il problema
è:
hanno tempo a sufficienza perché ciò accada?
Pitch si augura di sì,
ma non ci giurerebbe affatto.
Con gli occhi
appena un poco
sgranati si volta verso Nyx, la quale si limita ad attendere
silenziosa. «Ti scoccia se quel giro ce lo facessimo a
cavallo? Non
sono poi così sicuro di poter arrivare molto lontano, a
piedi».
Nyx ghigna
lupescamente,
spargendo brividi d’angoscia su per il collo
dell’Uomo Nero. «Uh,
ma che dolce
che sei: una romantica cavalcata fra i giocattoli e le renne»
strascica divertita.
Lui però
si limita a
riservarle un’occhiataccia ammonitrice, invece si concentra
sul suo
incubo e, con un pizzico d’affanno, si issa in groppa
digrignando i
denti nel momento in cui una pioggia di stelline oscura per un
istante la sua vista.
«Ehi,
tutto a posto, tesoro?»
indaga Nyx, in effetti un po’ impensierita.
«Meravigliosamente»
gracchia
Pitch con pesante sarcasmo, ignorando l’appellativo usato.
«Coraggio, salta su» la invita, allungando perfino
una mano per
offrirle galantemente un appoggio.
Nyx arriccia le
labbra in un
piccolo sorriso e si affretta ad accettare la sua mano, accomodandosi
alle sue spalle e sospirando soddisfatta. «In marcia verso il
tramonto, mio prode cavaliere» blatera, quasi in estasi
mistica.
«Risparmiami,
te ne prego»
supplica Pitch, spronando l’incubo a incamminarsi.
*
Epiales non
è poi così
convinto che bighellonare senza una meta apparente per quel palazzo
zeppo di lucine colorate, yeti pelosi e trilli fastidiosamente
giubilanti sia un’idea felice. Si consola pensando che, se
non
altro, con loro c’è Nyx che, sarà anche
una pazza psicopatica, ma
è di certo una delle creature più potenti nella
cerchia delle loro
non poi vastissime conoscenze. Per fortuna sembra essere dalla loro
parte, riflette. Ha riportato indietro il suo padrone e già
questo è
più di quanto chiunque altro abbia mai fatto per loro.
Sotto le sue zampe,
all’improvviso, compaiono a tradimento tre di quei malefici
elfi
senza cervello. Per un puro miracolo riesce a evitare di inciampare
sui loro ridicoli cappellini tintinnanti, ma sbuffa forte,
manifestando la sua totale contrarietà per quella gita
inattesa e
assolutamente sgradita, almeno all’incubo.
«Tranquillo»
mormora pacato
Pitch, passando gentilmente un palmo sul lucido collo nero.
L’Uomo
Nero comprende alla
perfezione il cupo stato d’animo del suo incubo. In effetti
lo
condivide almeno in parte. Ma non può negare di essere anche
parecchio curioso: non capita tutti i giorni di poter girovagare
indisturbati per il quartier generale di uno dei propri nemici. La
volta precedente era decisamente di fretta e, con tutto quello che
aveva da organizzare, non ha certo potuto concedersi tempo a
sufficienza per notare ogni singolo, interessante dettaglio. Questa
volta è differente: non ha idea di dove si trovino quei
cinque, ma
fintanto che non incapperà in uno di loro o fra le zampacce
di
qualche guaio peloso, si godrà di certo il privilegio di
scorrazzare
impunemente in quel posto assurdo e troppo pieno di luci e colori.
«Ci
vorrebbero un paio di
occhiali da sole» commenta a un certo punto Nyx, leggermente
infastidita.
«Com’è
vero» replica
Pitch, totalmente d’accordo con lei, per una volta.
«Mi
piacerebbe sapere a chi
giova tutto questo spreco di fasti ed energia» lamenta la
donna.
«Casa mia è adornata giusto da qualche lucciola e,
tuttalpiù, da
fate del fuoco, coboldi e folletti dispettosi».
Uno sbuffo proviene
sia da
Epiales che da Pitch. «Già, me lo ricordo
piuttosto bene» rimarca
con sarcasmo.
«Oh,
suvvia, non dirmi che
sei ancora arrabbiato per quel piccolo e innocente
scherzuccio» tuba
Nyx, ridacchiando.
L’Uomo
Nero volta di poco il
capo e le lancia un’occhiataccia decisamente seccata.
«Quello che
tu chiami innocente
scherzuccio mi è
costato i quattro mesi seguenti per far ricrescere dei capelli
decenti e riavere uno straccio di guardaroba decoroso» sibila
contrariato, ma scuotendo subito dopo la testa, conscio del fatto che
non otterrà mai, in nessun caso, un minimo di comprensione
né tanto
meno delle scuse degne di tale nome.
«Beh, ora
i tuoi capelli sono
assolutamente perfetti» bisbiglia al suo orecchio, nel
tentativo di
consolarlo almeno un po’.
«Mph!»
soffia piccato,
rifiutandosi di aggiungere altro sull’argomento ma spronando
invece
l’incubo affinché li conduca al piano superiore.
«L’esplorazione
continua!
Riusciranno i nostri eroi a giungere al terrazzo sani e salvi? I
pericoli incombono e il tempo stringe: non resta che affidarsi alla
benevolenza divina» declama Nyx, tutta presa dal loro recente
obbiettivo.
Nel mentre Pitch
sospira e dà
una comprensiva pacca sul collo a Epiales, il quale darebbe una zampa
per poter essere nuovamente nella cupa tranquillità del covo
dell’Uomo Nero.
*
Nel loro casuale
peregrinare,
infine i tre giungono senza preavviso a quello che sembra loro un
caldo salotto appartato e dotato di un grosso camino acceso a
illuminare gentilmente l’ampio ambiente.
All’interno della stanza
c’è qualcuno. Parole sommesse giungono fino alla
coppia in groppa
all’incubo; le voci, conosciute ormai per esperienza, di
almeno due
dei cinque guardiani.
Il più
silenziosamente
possibile, Pitch scivola a terra facendo segno a Nyx di non fare
rumore. Poi, attenti, si avvicinano ancora e si dispongono
all’ascolto.
«Forse tu
hai ragione,
Toothiana. Sandy e io avevamo qualche dubbio, sì.
Eppure…».
Il momento di
silenzio si
protrae, innervosendo Pitch, fermo in attesa nell’ombra.
Digrigna i
denti, frustrato, ma fortunatamente la conversazione riprende prima
che la voglia di fare qualcosa di sciocco prenda il sopravvento sul
suo buon senso.
«Quella
era magia di luce.
Sandy lo può confermare. Non è vero,
Sandy?».
Pitch immagina
l’Omino dei
Sogni arrabattarsi come suo solito nel tentativo di spiegare le sue
ragioni.
«Credi
che questo ci dia la
certezza che i due fatti non siano collegati?».
Questa è
la fata. Sembra
seccata dall’evidente reticenza di North.
«Manny ha
parlato di guai. Un
pericolo per umani e spiriti. Ma che pericolo può esserci in
creature che usano magia di luce?».
Di nuovo quel
testone di
North, poi più nulla per diversi minuti. Se li figura
crucciati e
intenti a spremersi inutilmente le meningi.
«Per
quale motivo uno spirito
della luce non potrebbe diventare un pericolo per gli altri spiriti o
per il mondo degli umani?».
Pitch sgrana gli
occhi,
sorpreso. Quella è la voce di Frost, non può
ingannarsi. Frost ha
un cervello? Rettifica: Frost ha un cervello e lo sa perfino usare?
“Il mondo sta drammaticamente per finire, di
sicuro” riflette
sconvolto.
«Jack».
Una voce grave,
Bunnymund, spezza il silenzio sceso opprimente poco prima.
«Uno
spirito della luce, per sua stessa natura, è una creatura
benevola.
Non farebbe mai intenzionalmente del male al prossimo»
ragiona il
pooka.
Una risata
sarcastica e
vagamente sinistra invade improvvisamente la stanza, facendo saltare
in piedi la combriccola dei guardiani al completo. Freneticamente si
guardano intorno e, infine, è come sempre Sanderson a
individuare
per primo il problema e segnalarlo agli altri.
«Pitch!»
esclama Toothiana,
sorpresa, svolazzando verso l’entrata del salotto, desiderosa
più
che mai di andargli incontro e poter finalmente scambiare quelle
dovute spiegazioni con lui.
«Corretto,
fata» soffia
asciutto, scrutando freddamente i presenti riuniti e affilando lo
sguardo sul pooka già in assetto di battaglia.
«Quella non ti
servirà, coniglio» avverte, arricciando
sdegnosamente il naso alla
vista di quell’insulsa lama puntata addosso.
«Che fai
qui, Pitch? Ti
diverti a spiarci in casa nostra, ora?» ringhia Aster,
affatto
intenzionato a deporre le sue armi.
«Per
nulla. Ero semplicemente
curioso di ascoltare le vostre inutili teorie su ciò che vi
aspetta
nel prossimo futuro».
Nicholas spalanca
gli occhi e
fa qualche speranzoso passo avanti. «Tu sai, dunque.
Toothiana
diceva il vero».
«Sì,
purtroppo conosco
l’identità del vostro problema: per mia sfortuna
mi è capitato di
incontrarlo di recente» conferma cupamente. «Ma
dubito avrete
piacere nel venirne a vostra volta a conoscenza» ammette,
posando
una discreta occhiata sullo spirito dell’inverno che, da
parte sua,
lo fissa interdetto per quell’inattesa, piccola attenzione.
«E allora
inizia a parlare e
non farci perdere altro tempo prezioso» sbotta acidamente
Aster.
«È
sempre di una gentilezza
così squisita il vostro collega peloso?» chiede
incuriosita Nyx,
palesando agli altri la sua presenza che, in mezzo a tanta
agitazione, era completamente passata inosservata.
«E tu sei
sempre così
scortese?» esclama irritato Aster, venendo ripagato con una
coppia
perfettamente sincronizzata di occhiatacce raggelanti che lo
convince, almeno per il momento, a rimettersi seduto e ascoltare di
buon grado le ultime novità.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo Quindici ***
Capitolo
Quindici
«Si
tratta di due fratelli» decide di spiegare Pitch.
«Quello dei due
con il quale mi sono scontrato è certamente il
più irascibile e
impulsivo, ma non per questo il più pericoloso. Si chiama
Ba’al;
per sé stesso usa l’appellativo di Signore
delle Tempeste, ma
gli esseri umani, per molto tempo, lo hanno considerato anche e
soprattutto il dio della fertilità».
«Quel
Ba’al?» commenta Nicholas, confuso, scuotendo la
testa.
«Quello,
esattamente»
conferma l’Uomo Nero.
«Ma…
Non ha senso. Perché
dovrebbe rappresentare un pericolo? E per quale motivo ti avrebbe
attaccato? Lo hai offeso in qualche modo?» si intestardisce
Nicholas.
Pitch assottiglia
lo sguardo e
digrigna i denti. «Niente affatto! Non ha alcun bisogno di un
pretesto per giocare
con le sue vittime, quello. E io sono capitato lì per
sbaglio,
nemmeno sapevo chi avrei incontrato. Non è mia abitudine
andare ad
attaccar briga con creature tanto potenti quando non posso neppure
contare sulla mia piena forza» sibila contrariato.
«Non
è certo la prima volta
che sopravvaluti le tue possibilità» commenta
Aster.
«Pooka,
non sai di cosa
parli» ringhia Pitch, perdendo definitivamente la pazienza.
Una mano
di Nyx si posa piano sul suo braccio e lui le lancia
un’occhiata
obliqua, chiedendo silenziosamente spiegazioni. Lei tuttavia si
limita a un minuscolo sorriso enigmatico che sembra comunque servire
allo scopo di alleviare un poco la tensione. «Un conto
è
pianificare una battaglia e perderla a causa di un intervento non
previsto» decide di proseguire, nonostante tutto.
«Tutt’altra
faccenda sarebbe presentarsi da solo e senza copertura in casa di
creature di cui si ignora totalmente la provenienza e le
potenzialità. Questo sarebbe un suicidio, altro che
tattica» sbotta
seccato.
Nicholas fa roteare
gli occhi,
già esausto per quella discussione che ancora non
è approdata a
nulla di utile. «Quindi, Pitch, perché credi che
ti abbia
attaccato? Senza un motivo… non è normale.
Potrà anche essere
impulsivo e avere, come hai detto, un carattere difficile, ma si
tratta pur sempre di una creatura della luce. Non cercano battaglia
per il gusto di far del male».
«Ah
no?» sogghigna Pitch.
«Strano, perché a me è sembrato proprio
che lo stesse facendo
esattamente per quel motivo».
Jack lo fissa
attento,
stringendo con più forza il suo bastone senza realmente
rendersene
conto.
«Pitch,
non può essere,
ragiona…» tenta Nicholas.
«Che
cosa, esattamente, ti fa
sentire tanto sicuro che ciò non possa accadere?»
ribatte Pitch,
riuscendo in qualche modo a mantenere un tono tranquillo.
«Ma
proprio perché stiamo
parlando di una creatura della luce, è chiaro!» si
impunta il
guardiano della meraviglia.
Pitch lo osserva
quasi con
curiosità. Poi, suo malgrado, sposta lo sguardo in quello
limpido
dello spirito dell’inverno e reclina leggermente il capo di
lato.
«Tu che ne pensi, Frost? Credi che nessuna creatura della
luce possa
comportarsi in modo meschino e, addirittura, malvagio?».
Jack è
nuovamente sorpreso
per essere stato inaspettatamente interpellato, ma presto dimentica
la sorpresa e riflette seriamente sulla domanda che gli ha posto
l’Uomo Nero. «Forse no. Forse… dipende
dalla volontà di ognuno»
mormora incerto.
Gli occhi di Pitch
si sgranano
impercettibilmente. Ghigna, incredibilmente appagato per quella
piccola rivelazione. «Molto giusto, Jack Frost»
soffia, per una
volta senza traccia di sarcasmo.
«Questo
è impossibile, te ne
rendi conto?» interviene Aster, contrariato.
«Stiamo vaneggiando su
una improbabile interferenza di un essere che non dovrebbe neppure
comparire sulla famosa lista nera di North né, tanto meno,
di Manny.
È chiaro che stiamo perdendo tempo a scambiarci inutili
opinioni su
di uno spirito della luce, quando invece dovremmo darci da fare per
scovare una creatura oscura che presto diventerà un problema
tangibile» protesta veemente.
«Ma
davvero?» mormora Pitch,
quasi distrattamente. «A parte il fatto che non si tratta di
uno
spirito, non nel modo in cui lo intendete normalmente voi guardiani,
ma di una divinità, attuale o meno che sia non è
poi di così
basilare importanza a questo punto. In secondo luogo, mi piacerebbe
realmente comprendere cosa ti faccia avere tanta sicurezza nel fatto
che, unicamente in funzione del fatto che si serva di magia di luce,
non possa semplicemente decidere di spazzare via la vostra insulsa
base con tutto l’emisfero boreale annesso in un colpo
solo?»
ringhia, di nuovo terribilmente a corto di pazienza.
«Perché
mai dovrebbe fare
una cosa simile?!» si inalbera Aster, saltando in piedi e
sventolando un pugno verso Pitch.
«Perché
può! Idiota di un
pooka, non lo capisci? Siete davvero ottusi fino a questo punto?
Seriamente, pensate che qualcuno con un minimo di cervello e con
troppo potere non possa avere la tentazione di usarlo nel modo
sbagliato? Non è certamente basandovi sul tipo di magia che
usa che
potrete giudicare le intenzioni di chiunque. Uno spirito oscuro
è
tale solo e semplicemente in virtù dell’origine
del suo potere, ma
non è affatto matematico che lo usi per fare del male al
prossimo,
né per scopi malvagi, come invece sembrate pensare voi.
Dipende
soprattutto da ciò che decide di farne, o di non farne.
È la
volontà quella che davvero conta, l’intento con
cui agisce, non
l’origine di un potere. È chiaro? No?
D’accordo, prendete Frost:
è un guardiano; lo ha accettato non certamente per le vostre
belle
facce, ma perché gli stanno a cuore i bambini e la loro
felicità.
Ora però togliere i bambini all’equazione,
aggiungete trecento
anni senza rapporti con nessuno, sommate il suo potere e la giovane
età in cui ha perso la vita. Che cosa ottenete? Nessuna
idea? Ve lo
dico io, allora: un maledetto spirito dell’inverno furioso
con il
mondo e tutti i suoi insulsi abitanti, desideroso e ben felice di
congelare tutto il vostro dannato pianeta! Ecco cosa
ottenete»
sbraita, ansimando per la fatica di reggersi in piedi.
Un lungo silenzio
cala sulla
sala e i suoi presenti. Jack non sa perché quella sera
sembra essere
costantemente e sgradevolmente al centro dell’attenzione, e
si
sente un po’ troppo nervoso al riguardo.
«Jack non
lo farebbe mai»
borbotta Nicholas, incerto.
«Dici?».
Tutti si voltano,
compreso
Pitch, dato che a parlare per ultimo è stato proprio Jack
Frost.
«Io,
invece, penso che Pitch
possa avere ragione» prosegue Jack, tentando di spiegarsi.
«Che
cosa mi rimarrebbe, dopo tutto, se non avessi i bambini con cui
scherzare?» mormora, cosciente delle sue
possibilità. «Forse Ba’al
non è stato così fortunato» riflette,
con un pizzico di tristezza.
Un piccolo, storto
sorriso
increspa le labbra secche di Pitch. «Forse, ben
più probabilmente,
la compagnia del fratello non ha contribuito a indirizzarlo nel modo
giusto» ribatte pacato.
Toothiana e
Nicholas sollevano
uno sguardo pensieroso su di lui.
«Chi
è, quindi, il
fratello?» chiede infine il guardiano della memoria.
«Ah,
buona domanda, fata. Il
suo nome è Mot» rivela, spostando brevemente
l’attenzione su
Aster che si è appena irrigidito nell’udire quel
nome. «Pare che,
dopo tutto, il nostro buon pooka cominci a farsi un quadro
più
preciso del problema, mh?». Sogghigna senza il minimo
divertimento.
«Ebbene, Mot è generalmente considerato il custode
e sovrano
dell’oltretomba, ma non è solo questo,
è anche e soprattutto
un’entità primordiale, quella del caos e della
distruzione, in
effetti la personificazione della morte. È una creatura
oscura, non
semplicemente per il tipo di potere di cui dispone, piuttosto per il
modo in cui agisce, in cui ha sempre agito a ben vedere. I suoi scopi
sono sempre stati per lo più egoistici e maligni, e nutro
forti
dubbi che questa volta possa essere differente». Ora che
l’attenzione di tutti è su Pitch, si rende conto
di quanto in
effetti risulti spiacevole. «Ora, signori, parlatemi
nuovamente di
quanto buona e cara possa essere una creatura della luce. Poi,
già
che ci siete, ricordate di prendere in considerazione il suo caro
fratellino, e fatemi sapere il risultato. Non c’è
fretta,
naturalmente; è solo un insignificante pianeta ai margini di
una
galassia, dopo tutto» ironizza con tono macabro.
*
È
stanco, accidenti. Ha
proprio bisogno di sedersi. Per sua sfortuna si trova in un salone
pieno zeppo di guardiani. Ma, in fin dei conti, non ha tutte queste
possibilità fra cui scegliere; o si mette comodo e risparmia
energie, oppure finirà presto per stramazzare al suolo, e il
pavimento è sempre troppo duro per aver voglia di caderci
sopra di
peso. Così infila le dita della mano destra nella criniera
di
Epiales, chiedendogli silenziosamente di fargli strada e, cauto, si
accomoda su un enorme tappeto vicino al camino, sospirando di
sollievo.
«Sei
ancora tutto intero,
tesoro?» spunta la voce di Nyx alle sue spalle.
«Più
o meno» mugola. «E
non chiamarmi in quel modo» aggiunge automaticamente ma con
ben poca
convinzione.
Nyx sorride e gli
scompiglia i
capelli, godendosi uno sbuffo scocciato di un quasi inerme e molto
imbronciato Uomo Nero.
«Un gran
discorso» lo
incoraggia.
«Sì,
certo» borbotta Pitch,
affatto convinto. «Non sono granché sicuro che sia
giunto
decentemente a destinazione» ammette.
«Lo ha
fatto, invece» lo
informa Nyx. «Forse non per tutti» concede
titubante, «ma quel
Frost ha di certo ricevuto il messaggio, forte e chiaro»
conferma,
osservando Pitch abbassare le palpebre e rilassare appena le spalle.
«È
un inizio» concede
pensieroso.
«È
un buon inizio» lo
corregge lei, sedendosi al suo fianco e godendosi il piacevole calore
del camino scoppiettante.
ˇ
ˇ
ˇ
ˇ
ˇ
L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Ebbenedunque
(?), questo è IL
capitolo! Ovvero, il motivo per cui ho dovuto spremermi le meningi e
mettere su tutto questo ambaradan.
In
sintesi, un bel dì di fine settembre mi godevo un buon bagno
caldo,
tranquilla, pacifica e senza crucci, quand’ecco comparire un
pensiero non mio. Pitch
maledetto guastafeste
aveva evidentemente deciso di scocciarmi con uno dei suoi discorsetti
etico/filosofici. Mentre mi lavavo i capelli lui aveva già
attaccato
a chiacchierare di intenzioni e uso dei poteri (che pareva lo zio di
Peter Parker durante uno dei suoi insegnamenti saggi e profondi).
Sono
rimasta a rimuginarci per qualche giorno e a crogiolarmi
nell’indecisione, poi mi son detta che poteva valer la pena
di
provarci, così ho deciso di scriverlo. Certo,
però, non potevo
metter lì il bel discorsetto di Pitch campato per aria,
ché non
avrebbe avuto molto senso. Così mi sono dovuta costruire un
retroscena in cui il sermone
di Pitch avesse un filo logico. Questo è il risultato, e il
qui
presente capitolo ne è la realizzazione, più o
meno precisa (meno,
probabilmente, visto che non sono riuscita a replicare le parole
esatte del discorso originale). Purtroppo una volta messo in moto, il
racconto ha preso una sua direzione e io gli sono andata dietro
arrancando e protestando a viva voce (senza peraltro essere degnata
di uno sguardo che sia uno). Spero di riuscire a chiudere la faccenda
entro i trenta capitoli, ma non ci giurerei, quindi già mi
scuso in
partenza se dovesse procedere oltre.
Questa
è la triste storia della mia sorte sfortunata e di come mi
son
ritrovata costretta a scervellarmi per metter giù questa
idea
(ghghgh!).
Grazie
per l’attenzione e alla prossima!
Roiben
|
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Capitolo 16 *** Capitolo Sedici ***
Capitolo
Sedici
Appoggiato
di schiena, sul fianco dell’incubo accovacciato a terra
davanti al
camino, sta piuttosto comodo, deve proprio ammetterlo. Neppure il
lieve brusio delle voci dei guardiani riesce a disturbarlo. Forse
è
solo lo stress accumulato, ma ha come l’impressione di
galleggiare
senza peso nel calore ovattato. Non è una brutta sensazione,
dopo
tutto; potendo scegliere, certamente preferirebbe quello alla
precedente esperienza immerso in un incubo fino al collo. La sua
mente si inceppa, torna per un breve momento a funzionare, poi un
confortante buio senza sogni lo prende con sé, cullandolo
dolcemente.
*
Si rende
improvvisamente conto
di essersi assopito nel momento in cui si ridesta bruscamente,
sgranando gli occhi e trattenendo il fiato. Di fronte a lui di nuovo
Nyx, la quale però stavolta non pronuncia una parola e si
limita a
osservarlo con un’ombra di sorriso sulle labbra. Tutto
intorno a
lui la sala accogliente nella quale si è addormentato senza
neppure
avvedersene.
«Cosa?»
soffia con voce
roca.
«Scusa,
so che avresti di
gran lunga preferito continuare a riposare, ma questa gente insiste
nell’affermare che ci sono delle domande a cui vorrebbero tu
rispondessi».
Pitch fa vagare lo
sguardo per
la sala, incontrando nella sua breve ispezione quei cinque impiastri
ancora fermi esattamente dove li aveva lasciati. Sbuffa.
«Domande?
Che altro vogliono
sapere da me? Non sono loro quelli che dovrebbero salvare il
mondo?»
protesta debolmente.
Nyx si lascia
sfuggire una
piccola risata. «Temo tu li stia sopravvalutando, tesoro.
È già un
miracolo che riescano a portare a casa la loro pelle; che riescano
addirittura a salvare il mondo, dà retta a me, è
semplicemente
improponibile».
Pitch cruccia le
sopracciglia
e la scruta interdetto, poi si imbroncia. «Beh, non mi
aspettavo
fossi una loro fan, ma ammetto che speravo fossi leggermente
più
propositiva» lamenta con leggero sdegno.
«Davvero?»
ghigna,
incrociando le braccia sotto il seno. «E sentiamo: cosa
vorresti che
faccia?».
L’adocchia
perplesso, torna
un momento a fissare i guardiani, infine sospira sconfortato.
«Potrebbero almeno prendersi la briga di sollevare il
posteriore e
venire qui loro, se davvero hanno tutta questa frenesia di ottenere
informazioni» borbotta piccato.
«Buona
idea» sussurra
imprevedibilmente Nyx contro il suo collo, facendolo trasalire.
«Glielo vado a dire. Sarà un vero
piacere» commenta allegra,
tirandosi in piedi baldanzosa e ancheggiando verso il gruppetto
riunito.
Pitch, nemmeno a
dirlo, non è
poi così sicuro che sia una buona idea, ma fa spallucce,
pensando
che in fondo se la sono ampiamente meritata per tutti i guai che gli
hanno fatto passare e che, con ogni probabilità,
continueranno a
fargli passare anche in futuro. Che se la vedano loro con quella
sottospecie di divinità scellerata e inarrestabile. Si
lascia
scivolare nuovamente nel dormiveglia con un’espressione beata
dipinta in volto e non sente per nulla la baruffa creata a puntino da
Nyx con i cinque guardiani.
*
«Noi?!
Vorrai scherzare,
donna? Non mi interessa affatto chi tu sia, bella; puoi pure essere
il dio supremo delle galassie, per quanto ne so, ma non hai nessun
diritto di darci ordini. E quel buono a nulla, fannullone di Pitch
Black può benissimo scomodarsi a venire fin qui e spiegarci
per bene
tutto quello che sa di questi due… fratelli»
sbotta Aster,
profondamente indignato.
Mantiene un
cipiglio
ostinatamente battagliero nonostante lo sguardo nero e insondabile di
Nyx lo stia in qualche modo inghiottendo nelle sue
profondità, per
risputarlo poi fuori mezzo mangiucchiato. Nyx, suo malgrado,
è molto
impressionata dall’assurda testardaggine di quello stupido
pooka;
fa degnamente concorrenza a quella dello stesso Uomo Nero, non
c’è
che dire. Ma sta divagando, chiaramente, e continua in ogni caso ad
avere una missione
da portare a termine, che è esattamente ciò che
intende fare, con
le buone o con le cattive. Stringe le labbra, la sua espressione si
rabbuia ulteriormente, qualcosa smuove i suoi capelli che prendono a
ondeggiare somigliando ai frangenti di un mare in tempesta mentre lo
spazio attorno a lei crepita in modo inquietante.
Toothiana
deglutisce
nervosamente; se non fosse ricoperta di piume a quel punto sarebbe
sicuramente verdognola per l’angoscia. Afferra un braccio di
Aster
e lo stritola tanto da farlo sussultare di dolore. Lui le lancia
un’occhiata interdetta e lei ricambia con una allarmata,
pregandolo
silenziosamente di lasciar perdere i suoi inutili principi e di fare
quello che dice Nyx, così da evitare spargimenti di sangue
inopportuni e fuori stagione.
Jack,
dall’angolo più
defilato, sbuffa scocciato e si fa avanti. «Stiamo solo
perdendo un
sacco di tempo inutilmente. Voi fate un po’ come vi pare, io
posso
certamente spostarmi di qualche stupido metro; di certo non
finirò
per liquefarmi solo perché Pitch si trova vicino al
camino»
borbotta stizzito, saltellando oltre gli altri che lo fissano
attoniti e atterrando leggero e con grazia di fronte a Epiales, il
quale si limita a raddrizzare le orecchie e osservarlo di sottecchi,
sfidandolo silenziosamente a fare una qualunque mossa azzardata
contro il suo padrone.
Jack ridacchia
divertito e
scuote la testa, agitando una mano nell’aria con noncuranza.
«Non
ti dar pensiero; io sto buono, giuro» assicura scherzosamente.
In qualche bizzarro
modo
Epiales sembra realmente rassicurato sulle intenzioni dello spirito
dell’inverno e quindi distoglie la sua attenzione da lui,
tornando
a osservare con nuova aspettativa gli altri guardiani, provando
perfino a indovinare chi sarà il prossimo, ma fallendo,
seppur di
poco.
Infatti,
contrariamente alle
previsioni dell’incubo che avrebbe puntato su Toothiana, il
guardiano seguente è Sanderson, seguito comunque a ruota
dalla fata.
Nicholas lancia un’occhiata furtiva ad Aster e Nyx, ancora
fermi in
mezzo al salone e apparentemente bloccati in una fase di stallo, poi
decide di ignorare loro e i loro screzi e seguire invece
l’esempio
degli altri. Nyx, dal canto suo, affila lo sguardo poi, senza alcun
preavviso, allunga rapidamente una mano e afferra con insospettabile
forza le lunghe orecchie morbide e pelose del pooka, trascinandolo di
peso verso il caminetto.
«Lasciami,
maledetta arpia!»
protesta a viva voce Aster, tentando invano di liberarsi.
«Taci,
pooka, o di te non
rimarranno neppure le ossa» profetizza sinistramente Nyx,
ottenendo
un guardiano della speranza raggelato dall’orrore e rigido
come uno
stoccafisso che si trascina appresso lasciando antiestetici graffi
sul lucido parquet di Nicholas.
*
«Ora che
si fa?» domanda
incuriosito Jack, tutto intento a studiare l’incubo, cercando
di
distrarre la sua attenzione dal morboso studio degli altri guardiani.
Nyx non risponde,
invece si
china e sfiora appena con le dita una caviglia dell’Uomo
Nero, i
cui occhi un istante dopo si spalancano vigili.
«Cosa?»
mormora fiocamente.
«Hai
compagnia, temo» lo
aggiorna zelante, indicando il gruppo riunito intorno a loro.
Pitch si sofferma a
fissare
Nyx, che ancora tiene stretto Aster e non sembra affatto intenzionata
a mollare la presa tanto presto. Solleva un sopracciglio,
incuriosito, come a voler chiedere spiegazioni, ma lei scrolla le
spalle e arriccia le labbra in un’ombra di ghigno, senza
tuttavia
fornire ulteriori dettagli.
«Che cosa
vi serve?» si
decide quindi a domandare ai cinque in paziente attesa.
Nicholas e
Toothiana si
scambiano un’occhiata e, di comune accordo, Nicholas sembra
delegare alla fata quel compito.
«Vorremmo
che ci raccontassi
cosa è accaduto durante il tuo incontro con Ba’al
e suo fratello;
se hanno in qualche modo accennato a progetti per il futuro.
Qualunque particolare che ti sembri utile per poter comprendere
meglio con chi avremo a che fare» spiega paziente.
“Ha
senso” ammette fra sé
Pitch, sospirando un poco contrariato ai suoi stessi pensieri.
«Mot
non ha praticamente aperto bocca e, per la maggior parte del tempo,
è
apparso annoiato; ma sospetto sia semplicemente una facciata per
impedire a chicchessia di indovinare i suoi pensieri. Nessuno dei due
ha accennato in alcun modo a ciò che intendono fare; se non
fossi a
conoscenza di quella sottospecie di profezia dell’Uomo nella
Luna,
a quest’ora non nutrirei alcun genere di sospetto nei loro
confronti. Apparentemente si fanno gli affari loro».
«Ma?»
incalza Toothiana.
Pitch ghigna al suo
indirizzo.
«Erano insieme. Non è certo qualcosa che si vede
tutti i giorni. È
risaputo che quei due, normalmente, sono agli antipodi e perennemente
in rotta. Perché, dunque, erano insieme? Questa è
senz’altro la
domanda più importante dopo: “Che intenzioni
hanno?”. Inoltre
c’è quella nuvola grigia, nel mezzo
dell’oceano».
«Quale
nuvola?» scatta
Toothiana, sorpresa e impensierita, mentre con la coda
dell’occhio
nota una reazione simile anche da Sanderson.
Pitch scuote
prudentemente la
testa, incerto. «Non ne sono sicuro. Nel momento in cui
l’abbiamo
avvistata, io e il mio incubo, non sembrava esserci nessuno nei
paraggi. I due fratelli sono comparsi in un secondo momento, come se
fino ad allora si fossero celati agli occhi di un osservatore
esterno».
Toothiana soppesa
le parole di
Pitch, intenta; osserva brevemente Nicholas e Sanderson, quindi
annuisce impercettibilmente.
«Stanno
senz’altro
progettando qualcosa, lontani dall’attenzione di
tutti» ipotizza
tetramente.
«È
probabile» concede Pitch
senza sbilanciarsi eccessivamente. «Ba’al
è indubbiamente una
creatura molto potente, ma non sembra per nulla abbastanza scaltro da
ideare un piano nell’ombra. Al contrario il fratello potrebbe
farlo
senza problemi. Mi domando in che modo sia riuscito a convincere
Ba’al a seguirlo nei suoi piani; deve necessariamente aver
fatto
leva sugli argomenti giusti» riflette pensieroso.
Toothiana si
mordicchia
nervosamente un’unghia, poi si blocca, sgranando gli occhi, e
osserva mestamente il piccolo danno involontario. «Come
possiamo
riuscire a scoprire ciò che hanno in serbo?» si
domanda, un po’
scoraggiata.
«Osservando
le loro mosse.
Possibilmente senza essere individuati» risponde di buon
grado
Pitch.
Toothiana socchiude
le labbra,
sorpresa. «Un’azione di spionaggio? Non sono certa
che qualcuno di
noi disponga dei mezzi necessari» dubita.
Pitch chiude gli
occhi e
poggia un momento il capo sulla schiena dell’incubo. In che
razza
di enorme pasticcio sta andando a cacciarsi? «Per quello che
può
servire, i
mezzi,
come li chiamate voi, potrei averceli io» ammette
controvoglia.
La fata lo fissa
con aperto
stupore, ora. L’Uomo Nero si agita nervosamente sul posto,
certo di
aver aperto bocca a sproposito.
«Lo
faresti davvero?»
soffia, persino emozionata all’idea.
Pitch storce il
naso,
disgustato. «Non fraintendermi, fata. Se ne avessi
l’opportunità
lascerei questo vostro pianeta e tutti i loro abitanti al loro misero
destino. Purtroppo non dispongo più materialmente delle
risorse per
allontanarmi da qui e tornare a casa; pertanto, dato che ho
intenzione di continuare a godermi l’esistenza ancora a
lungo, per
mia somma disgrazia temo di essere costretto a fornire il mio
contributo. Mi auguro che si riesca a risolvere questa sgradevole
situazione anche se, devo ammetterlo, visto e considerato il genere
di creature con le quali abbiamo a che fare, non ci giurerei
affatto».
Mentre Pitch si
gode le
espressioni attonite e turbate dei guardiani, Nyx ne approfitta per
farsi quattro risate, sempre ben accette, a danno delle semplici
menti limitate.
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Capitolo 17 *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo
Diciassette
«Come
procedono i preparativi?».
Una smorfia
infastidita
deturpa per un breve momento il viso altrimenti immoto di
Ba’al.
«Come previsto, fratello» strascica, mettendoci una
buona dose di
aperto sarcasmo nell’ultima parola. «Le fate dei
ghiacci sono
state allertate e sono pronte a fare la loro parte non appena lo
riterremo opportuno. Ho provveduto a inviare un messo anche ai draghi
d’argento; sono pochi ma serviranno comunque allo scopo.
Alcor e
Mizar sono posizionati ai due poli come hai suggerito, e da
lì si
mantengono in contatto mentale; procederanno a un nostro
segnale» lo
aggiorna, con lo sguardo fisso sul fondo dell’oceano.
«Notizie
rassicuranti»
commenta solo Mot, voltando le spalle.
«Fratello»
mormora Ba’al,
senza distogliere l’attenzione dalla sua osservazione.
«Dimmi».
«Per
quale motivo Phanês
dovrebbe palesarsi? Non lo ha mai fatto in circostanze
simili»
obbietta, incuriosito piuttosto che in pensiero per il loro piano.
«Probabilmente
non lo farà.
È solo un semplice diversivo» ammette Mot,
attendendo in silenzio
di conoscere le impressioni del fratello.
«Per
stanare e prendere lui»
comprende finalmente Ba’al, distogliendo lo sguardo dagli
abissi
per riportarlo sulla schiena di Mot.
«O
lei» aggiunge Mot.
Ba’al
socchiude le labbra e
sgrana impercettibilmente gli occhi. «Questo, sì,
lo costringerà a
uscire allo scoperto» sibila, incerto fra rabbia ed euforia.
Mot al contrario si
limita ad
annuire per poi scomparire inghiottito dalle tenebre.
*
«A cosa
pensi?».
La voce di Pitch
è appena un
mormorio che quasi si perde nello scoppiettio del camino. Nyx
distoglie comunque l’attenzione dalle fiamme danzanti e la
sposta
sullo spirito alle sue spalle.
«Penso a
ciò che hai detto
alla fata, al motivo per il quale i due fratelli dovrebbero
collaborare».
«E?»
incalza Pitch, la
fronte aggrottata.
Scuote la testa,
confusa. «Non
riesco a trovarne. Quei due si detestano dall’alba dei tempi.
Che
ragione potrebbe mai esserci per…».
«Qualcosa
o qualcuno che
entrambi odiano più di quanto non facciano già
fra di loro, per
esempio» offre di buon grado l’Uomo Nero.
Nyx solleva di
scatto la testa
e lo fissa negli occhi. «Qualcuno» rimugina
nervosamente. «Forse
c’è qualcuno che rispecchia questa
descrizione».
Pitch assottiglia
le palpebre
e si fa più attento, allungandosi impercettibilmente e senza
avvedersene verso di lei. «Chi?» chiede, fremendo
per l’impazienza.
Lei sospira e torna
a fissare
le fiamme. «Mio padre» soffia.
*
Il silenzio si
allunga,
pesante, tanto da rendere nervoso l’incubo che non scalpita
per la
sala solo perché il padrone è ancora appoggiato
al suo fianco. Quel
posto non gli piace, ma ancora meno gli va a genio il discorso nel
quale sono invischiati l’Uomo Nero e la dea della notte.
Quanto
meglio sarebbe poter essere là fuori a sgranchirsi le zampe,
illuminati solo dalle stelle amiche e sollevati in alto dal vento
gelido. Ovviamente ciò non è ancora possibile;
non fintanto che non
sapranno come sistemare quel recente pasticcio. Sbuffa tristemente,
chiedendosi quanto a lungo dovrà ancora pazientare.
«Quale
dei due?» si informa
Pitch in tono sarcastico.
Nyx arriccia il
naso,
infastidita. «Idiota» sbotta, senza tuttavia
particolare astio.
«Quello che porta con sé la Luce»
aggiunge più pacata.
«Phanês»
prova Pitch,
ricevendo un cenno di conferma dalla donna. «Per quale motivo
ce
l’avrebbero con lui?» indaga.
«Una
serie di ragioni, a dire
il vero». Avvicina una mano alle fiamme; ne avverte il
calore, ma
non è propriamente una sensazione fisica, quanto
più una
consapevolezza interiore. Se lo desiderasse potrebbe toccarlo senza
incorrere in alcun danno; potrebbe perfino accarezzarlo, come se
fosse una bestiola un po’ ruffiana, giocarci come Frost fa
con i
fiocchi di neve. Chiude gli occhi e continua a vedere quelle fiamme
attorcigliarsi proprio davanti a lei. «Posso solo ipotizzare.
Una
delle principali è un annoso problema: a chi spetta,
realmente, la
supremazia su un dato dominio, o su un intero mondo? Sospetto che
nessuno abbia una vera risposta, forse neppure mio padre. Alcuni di
noi sono nati
in periodi molto simili ma da luoghi differenti. Chi stabilisce il
diritto di usare un determinato potere? È follia, se vuoi il
mio
parere. Io stessa non sono certo l’unica a poter detenere il
controllo sulla notte. Mi sono mai lamentata per questo? No di certo;
perché mai dovrei farlo?».
*
«Toothiana,
ho bisogno di
parlare con te» si fa avanti Nicholas in un momento
imprecisato di
quella lunga giornata.
Jack solleva un
momento gli
occhi dal suo esame approfondito delle condizioni del suo bastone e
nota Sandy mordicchiarsi nervosamente un pollice, mentre osserva
pensieroso Toothiana e North che si stanno già allontanando.
Aggrotta le sopracciglia e si rimette in piedi.
«No».
Sanderson smette di
torturarsi
le dita e guarda confuso lo spirito dell’inverno, seguito a
ruota
dagli altri guardiani.
«Come?»
indaga Nicholas,
incerto.
«Ho
detto, no. Abbiamo un
obbiettivo, giusto? Siamo tutti dalla stessa parte, qui, no? Hai
insistito tu stesso per fare di me un guardiano, o mi sbaglio? Beh,
adesso non te ne puoi andare a nasconderti dietro qualche stupida
porta a confabulare con Toothiana e mollarci qui. Con che diritto
pensi di poter escludere noi altri da questa faccenda? Non ci siamo
forse tutti dentro?» espone convinto, allargando le braccia a
includere tutti i presenti. «In un modo o
nell’altro?».
«Che ti
dicevo?» mormora Nyx
all’orecchio di Pitch facendogli storcere il naso,
infastidito.
«Jack ha
ragione: tutti noi
siamo ormai coinvolti in questa faccenda» conferma Aster,
sorprendendo un po’ il guardiano del divertimento.
Toothiana, dal
canto suo,
ridacchia discretamente, godendosi l’evolversi di
quell’interessante discussione e pensando che, per una volta
tanto,
Nicholas non avrà vita facile nelle sue decisioni.
Nicholas sospira
pesantemente,
osservando attentamente ogni presente. «Tu cosa pensi,
Sandy?»
chiede infine, rivolto all’Omino dei Sogni.
Omino dei Sogni che
distende
le labbra in un enorme sorriso soddisfatto, prima di estendere il suo
potere inglobando tutti i presenti in una grossa cupola dorata.
«Ehi!»
protesta Pitch,
adocchiando con un pizzico di preoccupazione Epiales che gli si
è
accucciato alle spalle strabuzzando gli occhi terrorizzato.
Sanderson si volta
repentinamente e offre un silenzioso gesto di scuse al piccolo
gruppetto in nero ancora vicino al camino, poi torna a fissare North
e annuisce con la massima serietà, confermando
così le precedenti
parole di Aster e Jack.
Nicholas si passa
stancamente
una mano sulla nuca e annuisce a sua volta. «Va bene, ho
capito.
Avete ragione voi: dobbiamo collaborare, questa volta; non è
più
tempo di decisioni solitarie, immagino» ammette titubante,
nonostante tutto restio a coinvolgere tutti loro in una situazione
che potrebbe facilmente rivelarsi rischiosa. Piano, sposta
l’attenzione su Nyx e Pitch. «Quanto tempo pensate
che potremmo
avere a disposizione per prepararci?».
Pitch sgrana
impercettibilmente gli occhi, preso alla sprovvista da quella domanda
diretta, ma rimane in silenzio e invece rivolge la propria attenzione
alla donna in sua compagnia, la quale sbuffa, visibilmente scocciata
per la sgradevole piega degli ultimi eventi.
«Posso
solo ipotizzare, non
sono certo una veggente. Secondo i miei calcoli sospetto stiano
già
predisponendo il loro piano. Non penso avremo più di un paio
di
settimane prima che decidano di attuarlo».
«Due
settimane?» geme Aster.
«Nemmeno sappiamo che intenzioni abbiano. Come faremo a
essere
pronti in tempo?».
«Non lo
saremmo comunque,
pooka» si premura gentilmente
di contraddirlo l’Uomo Nero. «Tuttavia si
può cercare di radunare
le forze a nostra disposizione e tenerci pronti per ogni evenienza.
È
piuttosto probabile che, se già non l’hanno fatto,
chiedano il
supporto di altre creature magiche, chiaramente dotare di
capacità
potenzialmente distruttive: spiriti del fuoco e dei ghiacci, per
esempio».
Nyx annuisce
concorde.
«Eccellente analisi. Dovremmo quindi trovare il modo per
difenderci
da questa probabilità».
«Potrei
essere d’aiuto»
propone l’appena giunta Eresseie, la quale si è
presa del tempo
per studiare la situazione e ascoltare i pareri degli spiriti
presenti.
«Come?»
chiede Nicholas,
interessato a quel punto a qualunque genere di supporto e idea.
«Conosco
diverse creature
magiche, e lo stesso vale per la mia gente. Posso inviare messaggi al
mio popolo, allertare tutti e chiedere loro di contattare ogni
spirito e creatura che possa essere utile per contrastare quei due
fratelli e i loro alleati» spiega.
Un mezzo ghigno
soddisfatto
spunta sulle labbra di Nyx, la quale si affretta ad appoggiare la
proposta della pixie e, eventualmente, a offrire il proprio
contributo nella ricerca di alleati.
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Capitolo 18 *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo
Diciotto
Una
mano si poggia sulla superficie lucida di un grande specchio ovale
riccamente ornato da volute bronzee. Tutto, attorno
all’oggetto, è
oscurità e silenzio; ma di fronte, riflessa, si trova la
buia figura
di Mot che osserva con evidente trepidazione il sé stesso
dall’altra
parte, attendendo che qualcosa accada. Finalmente il vetro scintilla
e il riflesso scompare, lasciando al suo posto l’immagine di
qualcosa che non è lì: una foresta di alberi neri
sovrastati da un
cielo violaceo. Qualcosa si muove ai margini della cornice, fino a
occupare una buona fetta dello spazio disponibile.
«Credevo
di averti chiesto di
non cercarmi per qualunque futile sciocchezza, Mot. Ricordo male io,
forse?» sibila la nuova figura, facendo trasalire il
visitatore.
«Ne sono
consapevole» si
affretta ad ammettere, nella speranza di placare
l’interlocutore.
«E vi assicuro che ho atteso fino a che ho potuto, nel
tentativo di
non disturbarvi. Ora però, purtroppo, non mi è
più possibile
procrastinare oltre».
«Qual
è il problema,
dunque?» ringhia in tono minaccioso, facendo indietreggiare
l’altro
di qualche incerto passo.
«Qualcuno
si è reso conto
dei nostri movimenti. Informatori mi avvertono che, chiunque essi
siano, stanno già lavorando per prendere
provvedimenti» soffia,
costernato.
La figura al di
là dello
specchio assottiglia le palpebre e un sordo raspare metallico mette
in agitazione il già precario equilibrio mentale di Mot.
«Come
hanno potuto scoprirlo?
Possibile che non riusciate a portare avanti un solo misero piano
senza che i dettagli di quello stesso piano divengano di dominio
pubblico?!» sbotta seccato.
Mot ha la forte
sensazione che
finirà molto male. Era perfettamente cosciente che
avvertirlo
avrebbe portato guai, ma forse, in questo caso, deve proprio aver
sottovalutato l’impatto che la notizia avrebbe avuto sulle
imprevedibili reazioni di una creatura come quella. Non ha la
certezza di quale sia l’errore che li ha condotti a quel
punto ma,
in quel momento, vorrebbe disperatamente poter tornare indietro nel
tempo ed eliminarne preventivamente tutte le possibili cause, in modo
tale che ora non sia lui stesso a doverne pagare le conseguenze,
rischiando di venire eliminato senza possibilità di ritorno.
«Sono
desolato…» tenta,
sperando irragionevolmente di trovare la maniera per cavarsela anche
questa volta.
Dal modo in cui gli
occhi
viola di colui che si trova oltre il portale lo fissano, crede che le
speranze già esigue si stiano assottigliando sempre
più fino a
scomparire.
«Sono
secoli che studio un
modo per riprendermi il posto che mi spetta; uscire, finalmente, da
questo… mondo.
Credi seriamente che qualche vostro insulso errore possa mandare
all’aria tutto il mio accurato lavoro? Finirai in polvere
prima che
ciò avvenga» tuona minaccioso.
«Troverò
un modo per
rimediare» soffia Mot, atterrito e tremante, maledicendo la
sua
folle idea di coinvolgere quello stupido impiastro di suo fratello,
oltre al giorno stesso in cui si è visto costretto a servire
colui
che ancora lo fissa con astio, probabilmente occupato a scegliere per
lui la fine più lenta e dolorosa.
«Me lo
auguro» replica
asciutto. «Non aspetterò altri seimila anni. Non
ne aspetterò
neppure uno. Uscirò da qui e lo farò prima di
quanto tu possa
credere o… auspicare» insinua maligno.
L’incarnato
di Mot è cereo,
ora. Non sa assolutamente se augurarsi che le parole appena udite si
realizzino al più presto, oppure mai.
*
«Sei
più pallido del solito,
fratello. Qualcosa ti angustia?» lo accoglie Ba’al,
suo malgrado
divertito dalle apparenti disgrazie occorse a Mot.
Quest’ultimo
fa stridere i
denti e a stento si trattiene dal colpirlo. «La tua
stupidità mi
angustia, fratello»
sibila, mentre l’aria attorno a lui tremola e sfrigola.
Ba’al
solleva gli occhi al
cielo e sbuffa, scocciato. «Questa volta cosa avrei fatto per
guadagnarmi l’ennesimo insulto, sentiamo».
Nel mentre Mot sta
seriamente
prendendo in considerazione l’eventualità di
liberarsi da quel
fardello inutile dandolo direttamente in pasto a
quell’abominevole
creatura, Fuinur, la quale non aspetta altro se non accanirsi su un
qualunque responsabile delle sue attuali disgrazie. Scuote la testa,
ancora fortemente combattuto sul da farsi, ma poiché deve
ancora una
risposta acida all’idiota di fronte a lui, lo fissa con
evidente
astio e sbotta «Quello che fai ogni minuto della tua
superflua
esistenza che non trascorri dormendo: agisci a tuo insindacabile
piacimento senza mai prima riflettere sulle conseguenze!».
«Ah, ti
sei di nuovo alzato
con il piede sbagliato» conclude Ba’al, asciutto e
leggermente
annoiato.
Mot ringhia e gli
lancia
un’occhiata che farebbe inacidire il latte. «Io ti
ucciderò, un
giorno o l’altro, e quello sarà di certo il giorno
migliore della
mia disgraziatissima esistenza» decreta lugubre, prima di
allontanarsi a grandi passi in modo da scongiurare
l’eventualità
di un fratricidio prematuro.
Ba’al, un
po’ sorpreso per
l’animosità, eccessiva perfino per i canoni del
fratello, lo
osserva dileguarsi nel nulla senza ulteriori spiegazioni e si chiede,
non per la prima volta da che tutto ha avuto inizio, cosa realmente
stia tramando Mot e, soprattutto, quanto esattamente ciò li
metterà
nei guai, inimicandosi il resto di spiriti e divinità
presenti nel
loro mondo. Scuote la testa, un po’ preoccupato per non
essere
ancora stato in grado di scoprire nulla di rilevante. Spera,
insensatamente, che le cose per loro finiscano bene, ma ha la netta
sensazione che così non sarà, purtroppo. Sbuffa
nuovamente, scrolla
le spalle e decide, per svagarsi un po’ e smettere di
arrovellarsi
troppo, di andare a infastidire qualche sciocco spirito.
*
Da uno dei
lucernari della
fabbrica di North plana un grosso incubo, seguito da altri tre molto
più piccoli. Tutti trotterellano nervosamente, seguiti dagli
sguardi
inquietati dei guardiani, fino a raggiungere l’Uomo Nero, il
quale
ha preso posto su di un comodo divano vicino a una specie di piccola
foresta di abeti; Nyx ha provato a capirne il motivo, ma
l’unica
spiegazione è stata: «Mi piace il profumo che
emanano» che l’ha
comunque lasciata piuttosto perplessa.
«Che
notizie portano?» si
informa a un certo punto Toothiana, impaziente di sapere qualcosa in
più; qualunque cosa, a quel punto.
Pitch in
realtà sta ancora
cercando di assimilare le informazioni raccolte dalle sue piccole
spie, ma il suo colorito cinerino non promette nulla di buono.
«Come
sospettavamo, sembra non ci sia un buon affiatamento fra quei
due»
si decide a spiegare, partendo un po’ vigliaccamente dalla
parte
più facile della storia.
«Stanno
già litigando,
dunque?» si informa Nicholas, interessato.
«In
verità non hanno mai
smesso» fa notare, un po’ impaziente ma anche
visibilmente a
disagio.
«Che cosa
c’è che non va,
Pitch?» incalza Toothiana, preoccupata
dall’evidente reticenza
dell’Uomo Nero.
«Stanno
radunando alleati»
li informa, indeciso.
«Questo
l’avevamo messo in
conto, mi pare» replica Aster.
Pitch annuisce,
lentamente.
«Ba’al è preoccupato. Sa che il fratello
nasconde qualcosa» si
decide a rivelare, infine, «ma non è riuscito a
scoprire di cosa
possa trattarsi. Mot… lo ha minacciato» soffia,
ancora più
pallido di poco prima.
«Minacciato?»
dubita
Nicholas, incapace di credere che l’astio fra i due fratelli
possa
portare a tanto.
«Credi
che ciò che nasconde
Mot al fratello sia pericoloso… per noi?» chiede
timidamente Jack.
L’Uomo
Nero solleva lo
sguardo sullo spirito dell’inverno e deglutisce. Piano,
annuisce.
«Mot ne sembra spaventato. Qualunque sia questo segreto, se
è in
grado di far perdere in quel modo la calma a Mot è
certamente
pericoloso, per chiunque» mormora un poco tremante.
«Dobbiamo… È
assolutamente necessario intensificare le indagini. Dobbiamo scoprire
cosa nasconde. Continuare a brancolare nel buio
non…». Scuote la
testa, ora decisamente agitato.
«Troveremo
un modo per venire
a capo del mistero, non temere» prova a rassicurarlo Nyx,
posandogli
delicatamente una mano sulla spalla.
Lui la fissa con
gli occhi un
po’ sgranati, soffiando un appena udibile «Non so
come».
*
«Questo
che nome ha?» chiede
con insolita gentilezza Nyx, mentre fa scorrere leggera una mano sul
braccio di Pitch, ora appoggiato al bracciolo, indicando
l’incubo
giunto alla testa dei piccoli ricognitori ma rimasto alla fabbrica
dopo che gli altri tre sono ripartiti, tornando ai loro incarichi.
Pitch sposta
confuso lo
sguardo su di lei e segue un po’ a fatica la direzione dei
suoi
pensieri e della sua attenzione, comprendendo infine il significato
della sua domanda. «Lumbar» mormora, facendo
drizzare le orecchie
dell’incubo interpellato. Un incerto sorriso sfugge dalle sue
labbra sottili e allunga una mano per farlo avvicinare e passare
mollemente le dita nella sua criniera svolazzante.
Nyx ghigna
divertita,
innervosendo un poco sia l’incubo che il padrone.
«E li metti al
corrente dei loro nomi, da quello che posso vedere»
sottolinea
scherzosamente.
Pitch non
può fare a meno di
arrossire leggermente, prima di borbottare, piccato «Ovvio
che sì,
altrimenti che senso avrebbe lambiccarsi per sceglierne il
nome?».
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Capitolo 19 *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo
Diciannove
Un
frullio d’ali fa sollevare molte paia d’occhi
simultaneamente e,
poco dopo, nella sala si riversano alcune pixies, fra le quali
Eresseie che sembra guidare il gruppo. Molte di loro sono creature
minuscole, del tutto simili a ramoscelli d’albero con
attaccate
poche foglie secche; ciò nonostante volano agilmente e a
velocità
sostenuta, tanto che in alcuni momenti sembrano quasi scomparire nel
nulla per riapparire un momento dopo in un punto differente.
«Portiamo
notizie» esordisce
Eresseie con inquietante gravità. «Notizie davvero
pessime».
Nessuna delle nuove
arrivate,
al momento, pare avere interesse per i due incubi presenti, in
compenso ogni spirito all’interno della fabbrica è
fortemente
concentrato nell’attesa di scoprire quale cattiva nuova hanno
in
serbo per loro.
«Di cosa
si tratta, questa
volta?» decide di farsi avanti a quel punto Nyx, notando con
facilità il nervosismo delle pixies.
È ancora
Eresseie,
evidentemente, a incaricarsi di fornire una risposta.
«Abbiamo
ragione di credere di aver scoperto il segreto che Mot nasconde con
tanto accanimento e, purtroppo, ha tutte le ragioni del mondo per
volerlo mantenere a tutti i costi. Si tratta di un demone»
spiega,
non sapendo bene a chi rivolgersi fra i vari presenti e decidendo
così di fissare lo sguardo sul fuoco.
«Un
demone?» soffia Nyx,
preoccupata, mentre l’incarnato di Pitch cede un altro
po’ di
colore per la causa.
Eresseie annuisce
gravemente,
visibilmente agitata. «Crediamo si tratti di un demone
piuttosto
antico; le creature magiche più giovani non ne conservano
memoria,
ma alcune divinità sostengono di averne sentito parlare.
Sembra sia
stato… sigillato, diversi secoli addietro».
«Sigillato?»
si fa avanti
Toothiana, un po’ confusa.
«Esatto.
Lo hanno confinato
in uno spazio al di fuori del tempo; un mondo a parte o, forse, una
dimensione a parte, non lo so, non sono molto pratica di questo
argomento» ammette la pixie.
Nyx invece
annuisce,
comprendendo. «Accadeva di sovente nei tempi antichi, quando
ancora
il mondo era giovane e abitato da creature potenti e potenzialmente
pericolose. Lasciarle libere di muoversi su questo piano
dell’esistenza avrebbe significato mettere a repentaglio la
vita di
molti, mortali e immortali. Pertanto spesso si decideva di unire le
forze per sigillare queste creature in luoghi al di fuori di questo
mondo, laddove non potessero arrecare danno» spiega paziente.
«E come
sopravvivevano, senza
un vero posto in cui vivere?» chiede a quel punto Jack.
Nyx gli offre un
mesto
sorriso, prima di rispondere «Normalmente non sopravvivevano
affatto» facendolo trasalire per l’orrore.
«Pochi di noi
avrebbero avuto le capacità sufficienti a estinguere
personalmente
la loro esistenza. Ma confinandoli in spazi adatti c’era la
quasi
certezza che sarebbe bastato attendere che il tempo lavorasse al
nostro posto».
«Questo
è…» gracchia
Jack, sconvolto «terribile».
«Forse»
ammette Nyx, senza
mai distogliere lo sguardo da quello dello spirito
dell’inverno.
«Eppure, allora, le scelte non erano molte: si poteva
lasciare che
uno di quei demoni fuori controllo circolasse liberamente lasciandosi
alle spalle unicamente morte e distruzione, oppure decidere di
fermarlo prima che divenisse ingestibile. Noi siamo
divinità, Frost,
ma neppure le divinità sono infallibili, contrariamente a
ciò che
potrebbe pensare la gente» ammette cupamente.
*
«Questo
demone non ha fatto
la stessa fine degli altri, però. Non è morto,
è ancora lì, vivo
e probabilmente infuriato con voi» ragiona Pitch con aria
crucciata.
Nyx non
può che convenirne.
«Già… Se Eresseie dice il vero abbiamo
un enorme problema che ci
attende al varco» ragiona amaramente.
«Mi sono
documentata con
attenzione, prima di venire qui a farvi rapporto» precisa la
pixie,
un po’ offesa dalla loro reticenza a credere nelle sue parole.
Nyx stiracchia uno
stentato
sorriso. «Non stavo certamente insinuando la tua malafede, mi
limitavo a prendere in esame ogni possibilità. Comunque, hai
idea di
chi sia questo demone redivivo?».
Ognuno dei presenti
si fa a
quel punto ancora più attento, impaziente di avere un quadro
completo del disastro che si sta per abbattere su loro tutti.
Eresseie
però scuote la
testa, incerta. «Non ne so molto su questo fronte. Non ne ho
mai
sentito parlare personalmente né mi è mai
capitato di incontrarne
le tracce. Conosco il suo nome, però; forse sai di chi si
tratta. Si
chiama Fuinur; così almeno lo ha chiamato Mot»
spiega la pixie.
Anche Nyx
però non sembra
avere le idee chiare su chi possa realmente essere questo demone
misterioso. «Non mi dice nulla, a essere sincera. Sembra un
soprannome. Forse un tempo possedeva un vero nome che è
andato
perduto assieme al suo ricordo» ipotizza.
«Siamo
punto e a capo,
dunque» lamenta Pitch in tono desolato.
«Non
proprio» interviene
Nicholas. «Sappiamo che quasi sicuramente
c’è questo demone
antico che guida le azioni di Mot e, tramite di lui, quelle del
fratello Ba’al. È abbastanza sicuro che il demone
vorrà vendetta
contro quelli che secoli fa lo hanno imprigionato al di là
del
nostro mondo…» elenca paziente.
Nyx a quel punto
sgrana gli
occhi, incredula. «Mio padre» soffia, visibilmente
turbata e forse
anche spaventata.
Pitch aggrotta le
sopracciglia
e la fissa confuso, imitato dagli altri presenti. «Tuo padre
cosa?»
incalza, proprio come il mal di testa incipiente, pronto a esplodere
in tutta la sua gloria funesta.
«È
lui il legame che
cercavamo fra i due fratelli e il demone. Lui è la chiave,
ne sono
quasi certa, ormai» mormora Nyx fra sé. Poi si
volta a fissare, uno
a uno, gli altri spiriti. «Ascoltate, voi, seguite il mio
ragionamento: un demone antico, tanto che di lui si sono perse le
tracce e la memoria; due divinità che non si sono mai
sopportate,
fratelli che si odiano ma che, improvvisamente, collaborano a un
progetto comune. Mio padre deteneva la conoscenza e il potere
sufficienti per esiliare, da solo, un demone antico e potente in una
dimensione esterna alla nostra, probabilmente un demone molto
pericoloso per la sopravvivenza stessa di questo mondo così
come lo
conosciamo. Mot e Ba’al, per quanto astio possano mai provare
l’uno
nei confronti dell’altro, hanno comunque trovato un
obbiettivo
comune: strappare a mio padre le sue conoscenze per tornare a essere
ciò che rappresentavano in passato ma che hanno perduto
proprio a
causa dello scorrere inesorabile del tempo» espone tutto
d’un
fiato.
Pitch è
ancora profondamente
concentrato sulle parole della donna, ma non più tanto
incredulo. «È
lecito aspettarsi che Mot abbia ritenuto più saggio
nascondere al
fratello, non propriamente degno di fiducia a suo parere, la sua
alleanza con questo demone».
Un enorme ghigno si
apre sul
volto un momento prima cupo di Nyx; fa un po’ spavento, ora,
tanto
che Aster crede opportuno porre una maggior distanza fra la donna e
sé stesso. «Esatto!» esulta la dea della
notte, facendo trasalire
tutti, nonostante vi fossero in qualche modo preparati.
«Dunque»
si fa avanti
Nicholas, non completamente convinto delle conclusioni dei due,
«Mot
e questo demone, Fuinur, sono alleati contro…»
prova, incerto.
«Mio
padre» conferma Nyx,
decidendo di venirgli incontro.
«E
quindi, chi sarebbe tuo
padre?» chiede a quel punto Jack, curioso e impaziente,
appoggiato
senza esitazione dal resto dei guardiani.
Nyx nota, con la
coda
dell’occhio, Pitch dietro di lei trattenersi con evidente
fatica
dal ridacchiare, così gli assesta una poco cortese gomitata
nelle
costole e gli rifila un’occhiata inceneritrice, alla quale
lui
replica con un piccolo ringhio di protesta per poi incrociare le
braccia e sbuffare seccato.
«Phanês,
mio padre, è una
divinità primigenia creata molto, moltissimo tempo fa,
quando
l’universo non era che un neonato, dall’unione
delle forze di due
entità già esistenti: il tempo e il destino,
Chronos e Ananke. Lui
era…». Nervosamente si scompiglia i capelli,
indecisa su come
spiegare qualcosa di così complesso. «Era stato
creato per portare
la vita nel cosmo: luce della conoscenza e semi del futuro. Era il
principio di tutto dal quale venne alla luce il mondo; in
realtà lui
ERA tutto… ma non ne era granché interessato; non
era interessato
a detenere quel potere, pertanto lo passò al proprio
successore, che
sarei io» borbotta Nyx, imbarazzata oltre ogni misura per
essere
costretta a rivelare dettagli un po’ troppo personali.
Jack sfarfalla le
ciglia e
spalanca la bocca, sorpreso. «Quindi tu adesso sei il Grande
Capo
dell’Universo?».
Pitch sbuffa una
risata
divertita e si guadagna una seconda gomitata dalla dea della notte.
«No,
Frost, non lo sono. Lo
ero, in un certo senso, ma neppure io ero interessata a questo tipo
di… privilegio,
non lo sono mai davvero stata. Così a mia volta lo cedetti a
mio
figlio» spiega, più paziente di quanto credesse
possibile.
«Ugh! Hai
anche un figlio?»
chiede Jack, a quel punto molto più che confuso e ormai
potenzialmente pronto a tutto.
«Beh,
sì» borbotta Nyx, al
colmo dell’imbarazzo. «L’ho chiamato
Ouranós».
«Che nome
idiota» commenta
imprudentemente Pitch, beccandosi la sua terza gomitata della
giornata.
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Capitolo 20 *** Capitolo Venti ***
Capitolo
Venti
È
intento a osservare la neve che scende silenziosa fino a perdita
d’occhio. La luce opaca del pomeriggio non infastidisce
troppo i
suoi occhi, non quanto le voci confuse dei guardiani alle sue spalle
riescono a fare con le sue orecchie, per lo meno.
«Quindi
cosa possiamo fare a
questo punto?» domanda gravemente la voce di Nicholas.
«C’è modo
per mettersi in contatto con tuo padre e avvertirlo che qui sulla
Terra abbiamo un problema?».
Nyx lo osserva a
lungo,
soppesandolo, poi scuote debolmente il capo. «È
evidente che non lo
conoscete affatto. Sono millenni, ormai, che non si mostra ad anima
viva (né morta, se è solo per questo). Di certo
non sarà qualche
futile tentativo di rivolta e ripresa del potere da parte di due
divinità dimenticate a convincerlo a rifarsi vivo»
spiega,
leggermente seccata.
«D’accordo,
ma quel demone
è tutt’altra faccenda. E in fondo, se davvero
è stato tuo padre a
esiliarlo, avrà avuto anche le sue buone ragioni, ma proprio
per
questo potrebbe essere interessato a sapere che ora sta probabilmente
progettando di tornare in libertà» cerca di far
notare Toothiana.
Appoggia la fronte
sul vetro
freddo e sospira di piacere, richiudendo un momento gli occhi. I
pensieri si sono fatti troppo gravosi da qualche ora a questa parte;
avrebbe urgente bisogno di una lunga, silenziosa e tranquilla
vacanza. Un gran peccato che quello, decisamente, non sia il momento
opportuno per prendersi un periodo di ferie.
«Potrebbe,
sì, ma è una
decisione che spetta unicamente a lui e a nessun altro»
è la
replica senza apparente via d’uscita di Nyx.
«Qualcosa
però dovremo pur
fare. Di certo non possiamo restarcene con le mani in mano ad
aspettare che quella creatura rischi di distruggere il nostro
mondo»
protesta Toothiana.
Nyx,
inaspettatamente, ghigna.
«Non mi pare d’aver mai affermato nulla di simile,
fata. Se anche
non possiamo far conto sull’intervento di mio padre, abbiamo
comunque noi stessi su cui contare, per non parlare di tutti coloro
che sono e saranno dalla nostra parte. Quindi, per carità,
non
venire a parlare a me di starsene
con le mani in mano».
Un angolino delle
sue labbra
punta timidamente verso l’alto. Lentamente socchiude gli
occhi,
ammirando la candida distesa che può scorgere al di fuori,
sempre
più fiocamente illuminata dalla luce esterna che va
scarseggiando.
Epiales, poco discosto alla sua destra, emette un debole sbuffo
sconfortato e si raggomitola su sé stesso, impaziente di
tornare là
fuori.
«Hai mai
incontrato un
demone?» domanda Jack, timidamente ma con evidente
curiosità.
«Qualcuno
sì, ma gran parte
di loro ora non esistono più. Non ho mai avuto
l’opportunità di
conoscere personalmente un demone abbastanza forte da sopravvivere in
una dimensione aliena, né tanto meno per tornare a
raccontarlo.
Tutto sommato non sono poi molti coloro che potrebbero
permetterselo»
replica Nyx, pensierosa.
«Ma sono
tutti quanti
malvagi?» insiste lo spirito dell’inverno.
«Voglio dire: nessun
demone si è mai rivelato una brava persona?».
«I demoni
sono creature
magiche, non persone» tiene a precisare Nyx.
«Comunque sia, non
sono in grado di rispondere alla tua domanda. Nella mia personale
esperienza nessun demone ha mai rivelato di avere buone intenzioni.
Ma è anche vero che, se le avessero avute, con buona
probabilità
nessuno di noi li avrebbe notati né presi in considerazione.
Quindi,
tutto sommato, posso immaginare che sia perfettamente plausibile che
i demoni buoni
esistano, o comunque siano esistiti».
«Esistono
tutt’ora»
bisbiglia Pitch, distogliendo momentaneamente l’attenzione
del
paesaggio esterno.
«Davvero?»
si affretta a
chiedere Jack, stupefatto ed elettrizzato insieme.
«Sì,
davvero. Solo qualche
anno fa ne ho incontrati alcuni sulla mia strada: loro non hanno
infastidito me e io non ho infastidito loro. Posso certamente dedurre
non fossero interessati a creare scompiglio» commenta pacato,
tornando presto a ignorare i guardiani in favore del ben più
interessante spettacolo della natura al lavoro.
*
«Stai
bene, tesoro?» mormora
Nyx, accostatasi dopo diverso tempo trascorso a osservarlo in
silenzio.
«No»
replica con voce
malferma, «e smettila di chiamarmi in quel modo»
sibila
contrariato.
La donna sorride e
poggia il
capo sulla sua spalla. «Mi diverte farlo. No, non
è esatto, in
realtà mi diverte la tua reazione quando lo faccio. E
comunque non
hai mai risposto alla mia domanda: come dovrei chiamarti?».
«Pitch.
Suppongo sia più che
sufficiente. Puoi anche non chiamarmi, in effetti; non mi offenderei
di sicuro, anzi» borbotta un filo seccato, ma il suo viso
è un poco
più rilassato e meno buio di quanto non fosse solo un
momento prima.
Nyx gli si struscia
addosso
come un eccentrico felino e Pitch sospira rassegnato e borbotta una
mezza imprecazione contro le maledette divinità che si
prendono
sempre troppe libertà.
«Dimmi
cosa ti turba. So che
c’è qualcosa, lo vedo. Di che si
tratta?» torna alla carica Nyx,
affatto intenzionata a demordere e lasciare in sospeso la faccenda.
«Non
potresti semplicemente
lasciarmi in pace?» si lagna Pitch, conscio di quanto le sue
proteste siano perfettamente inutili.
«Certo
che no, tesoro.
Io desidero sapere, pertanto tu dovrai soddisfare il mio
desiderio»
dichiara altezzosa.
«Tsk! Sei
solo un’arrogante
dittatrice» afferma seccamente, rifiutandosi di tacere il suo
disappunto.
«Probabile»
miagola con un
ampio ghigno.
Riappoggia la
fronte al vetro,
chiude gli occhi, trae un lungo sospiro e si prende ancora un piccolo
momento di silenzio. «Ti sembrerà forse un
pensiero sciocco, dopo
tutto questo tempo, ma la verità è che sono
stanco della guerra, ne
ho semplicemente abbastanza, vorrei solo… un po’
di tranquillità,
nulla di cui dovermi preoccupare, nessuna battaglia da dover
affrontare, solo… pace. Solo questo» soffia,
strizzando con forza
le palpebre sugli occhi stanchi.
Per lunghi minuti
il silenzio
accompagna i pensieri di entrambi, spezzato unicamente dai loro
fievoli respiri. Poi lei si appoggia leggermente alla schiena di lui
e passa piano le dita di una mano nei suoi capelli un poco
scompigliati.
«Sono
morbidi» sussurra
appena fra sé, e quasi lui non è in grado di
sentirla, di certo non
ha compreso le sue parole, e infatti la fissa perplesso. Ma lei
scuote il capo e posa un minuscolo bacio sulla sua tempia facendogli
aggrottare le sopracciglia, ancora più dubbioso di quanto
già non
fosse in precedenza. «Mi dispiace» offre, questa
volta in tono
abbastanza alto da permettergli di comprendere.
Eppure, dal modo in
cui ancora
lui la guarda, non si direbbe abbia realmente afferrato il
significato delle sue parole, tutto sommato. Solo sgrana leggermente
gli occhi, udendo quelle due parole uscire dalla bocca di lei per
forse la prima volta nella sua vita praticamente eterna, e ne resta
più che sorpreso, quasi sconvolto in realtà.
Vorrebbe chiedere
spiegazioni, ma ora il sorriso di lei è divenuto triste e un
po’
rassegnato, per questo non se la sente di complicare ulteriormente lo
stato attuale delle cose con domande forse inopportune. Quindi tace e
si fa bastare quelle due parole, all’apparenza
così piccole e
senza grande importanza, ma in realtà pregne di un
significato
certamente più grande.
Richiude mollemente
gli occhi,
ancora una volta, e si gode quel momento, le sue dita sottili che
districano i capelli, il suo peso leggero contro la schiena, il
freddo oltre il vetro, il silenzio ristoratore e tranquillizzante, il
lontano e attutito scoppiettio della legna nel camino. Tutto sarebbe
perfetto, se là fuori non si stesse preparando una guerra,
l’ennesima.
*
Piove da ore,
ormai, e da ore
se ne sta immobile sotto quella pioggia, fissando il mare sotto di
sé
senza realmente vederlo. Riflette; non ha mai avuto molte
possibilità
per comprendere i ragionamenti del fratello, in passato, ma ora tutto
sembra drasticamente peggiorato dall’ostinazione che ha nel
tenerlo
all’oscuro di qualche particolare che, evidentemente, ritiene
troppo importante per volerlo condividere con lui. Il suo sguardo si
fa affilato, stringe le dita mentre i suoi pugni fremono nello sforzo
di frenare i suoi impulsi meno nobili. Non può
più aspettare,
presto gli eventi muteranno, presto gli ingranaggi del loro piano
inizieranno a mettersi in moto, non c’è
più tempo per attendere
che il fratello decida finalmente di volergli parlare, dovrà
obbligarlo lui, in qualche modo, se davvero vogliono avere anche una
sola possibilità di sopravvivere al loro stesso piano.
Svanisce nel nulla,
mentre
lentamente la pioggia scema d’intensità fino ad
arrestarsi
completamente, e quando riappare lo fa in un luogo che non è
un
luogo, ma l’assenza stessa di ogni forma
d’esistenza; tranne loro
due, a quanto pare. La sua grande mano piomba decisa sulla spalla del
fratello, provocandogli un lieve sussulto.
«Non ho
il ricordo di averti
invitato a venirmi a trovare» sibila Mot, visibilmente
contrariato
per l’inattesa presenza del fratello nel suo mondo privato.
«Se
avessi atteso un tuo
invito, fratello, avrei senz’altro atteso in
eterno» lo deride
apertamente Ba’al, serrando le dita sulla sua spalla, affatto
intenzionato a permettergli di fuggire, non questa volta.
«Ebbene,
cosa vuoi?» sbotta
Mot, irritato dall’atteggiamento più arrogante del
solito
dell’altro.
Impreparato, nota
lo sguardo
di Ba’al prendere un’inquietante sfumatura
metallica.
«Voglio
la verità» ribatte
asciutto.
Mot sbuffa.
«La verità è
sopravvalutata, pensavo lo sapessi».
Inaspettatamente,
Ba’al
ghigna in maniera sinistra e le sue dita affondano dolorosamente
nella spalla del fratello.
«Non
giocare con me. Non vuoi
scoprire quello che posso fare quando sono realmente adirato,
fratello» minaccia stentoreo.
Lo fissa, ora a
occhi
sgranati, sorpreso ben più di quanto sia auspicabile per
quella
presa di posizione. Che fare? Non ha la certezza di poter realmente
avere la meglio in uno scontro diretto con lui. Che fare? Estinguersi
per mano del demone, o rischiare una fine simile per mano del
fratello?
«Raccontami
cosa sta
veramente succedendo» lo invita Ba’al, quasi con
gentilezza.
«Potrebbe esserci una terza scelta, per te. Il tuo destino
non deve
per forza essere segnato, esattamente come il mio» soffia,
malinconico, pregando silenziosamente che accetti di offrire loro una
possibilità.
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Capitolo 21 *** Capitolo Ventuno ***
Capitolo
Ventuno
Nel
momento in cui apre gli occhi si accorge di non essere in grado di
muoversi, nonostante i suoi vani tentativi di divincolarsi dalla
posizione rannicchiata a ridosso della parete. Sebbene abbia gli
occhi aperti si rende conto di non riuscire a distinguere nulla
attorno a sé, solo il buio e un irreale silenzio che permea
lo
spazio all’apparenza vuoto.
«Si
è ridestato» commenta
una voce monocorde nelle vicinanze.
«Era
tempo che lo facesse,
dopo quasi un intero giorno. Si vede che è abituato a
poltrire, il
signorino» replica di rimando una seconda voce in tono di
scherno.
«Chi
siete? Dove siamo?»
pretende allora di sapere.
«Siamo
nel mio mondo» lo
informa la prima voce, sempre priva di particolari inflessioni.
«Non
dirci che non ti va a
genio» aggiunge la seconda voce, quasi con allegria.
«E noi che
avevamo preparato una così bella accoglienza; una sorpresa
tutta per
te».
Rabbrividisce e
digrigna i
denti, spaventato ma anche molto in collera. «Che cosa volete
da me?
Chi siete?» insiste, deciso a capire qualche cosa in
più di quella
situazione che si prospetta davvero pessima.
Una risata che,
tutto sommato,
non sembra nemmeno molto divertita accoglie le sue richieste ancora
insoddisfatte. Lo spostamento d’aria, seppur fievole, che
avverte
accanto a sé lo persuade che almeno uno dei proprietari
delle voci
si sia avvicinato.
«Vuoi
davvero saperlo? Non
preferiresti, invece, rimanertene beatamente nell’ignoranza?
Potrebbe essere preferibile» soffia proprio contro il suo
viso,
facendolo sussultare impreparato. «Fratello, che ne pensi,
gli
diciamo come stanno le cose?».
Un piccolo sbuffo
proveniente
da più lontano precede un breve silenzio, riempito poco dopo
da una
risposta un po’ annoiata. «Fa come credi. Per
quello che conta,
l’importante è che resti
dov’è, in quali condizioni non mi
interessa affatto» è il poco rassicurante responso.
«Ah, sei
sempre così noioso,
fratello. Il tuo problema è che non ti sai divertire, ecco
perché
sei sempre così cupo e sembri perennemente arrabbiato con il
mondo».
«Non ti
è mai passato per la
testa che in verità io lo sia realmente?».
«Il mondo
non ce l’ha con
te, perché mai tu dovresti avercela con il mondo? Ah, ma
tanto che
ci ragiono a fare con te? Nemmeno mi stai ad ascoltare, con la scusa
che io sono quello stupido e ignorante».
«Non
è una scusa, lo sei
veramente» replica, e questa volta nel suo tono
c’è evidente
derisione.
Il disgraziato
prigioniero si
chiede, con un pizzico di preoccupazione, se la loro sia una tattica
per innervosirlo ulteriormente o se siano seriamente così
folli da
mettersi a discutere fra loro quando al contrario dovrebbero, in
teoria, assicurarsi che lui sia sotto il loro controllo. O no?
«Ehm…
Chiedo scusa» prova
con un po’ d’impaccio. «Uno di voi
vorrebbe, cortesemente,
illuminarmi sul motivo della mia presenza qui?».
«Non
usare quella parola nel
mio mondo!» scatta il proprietario della prima voce, ora
palesemente
contrariato.
«Sai,
dovresti proprio farti
curare per questa storia della fotofobia. Non ti fa bene scattare in
questo modo alla minima parola sbagliata» interviene la
seconda voce
con fare curiosamente amabile. «Comunque abbiamo un ospite,
adesso. Allora, signor ospite, al mio fratellino non piace molto la
luce e nemmeno sentirne parlare. Ma in fondo come dargli torto: vive
quasi sempre in questo… posto
in cui non si vede mai nulla di interessante; ma che dico, qui non si
vede assolutamente nulla. Ma sto divagando; parlavamo di noi. Ebbene,
io sono Ba’al e lui è mio fratello Mot, e quanto a
te sei qui
perché abbiamo bisogno di scambiare un paio di parole con il
tuo
caro nonnino, se per te non è troppo disturbo
naturalmente».
I pensieri
vorticano
furiosamente nella sua testa. Se prima era tutto assurdo, adesso
è
pura follia. Suo nonno? Nessuno lo vede più da…
beh, millenni.
Come sperano, quei due mentecatti, di poterci addirittura parlare?
«Le
vostre pretese non hanno
il minimo filo logico, e non ve ne rendete nemmeno conto! Non avete
speranze di parlare con Phanês, nessuno sa come mettersi in
contatto
con lui, neppure io» precisa seccamente.
«Oh, ma
questo lo sappiamo
bene, cucciolo» mugola Ba’al, strattonando fra le
dita i ricci del
loro prigioniero. «Ma, vedi, tu sei semplicemente
un’esca, e non
per tuo nonno come potresti credere».
Sgrana gli occhi,
continuando
comunque a scorgere unicamente il buio insondabile. Se ha ben
interpretato le parole di Ba’al, presto saranno guai seri per
tutti.
*
Un minuscolo
oggetto volante e
piumato non meglio identificato finisce a cozzare contro il suo naso
mentre sta procedendo pensieroso, aggirandosi per i lunghi corridoi
stranamente silenziosi della fabbrica di giocattoli. Solleva
distrattamente un braccio e agita la mano a scacciare
l’irritante
molestatore, ma è presto costretto a prendere atto della
testardaggine del sopracitato molestatore quando questi torna alla
carica, apparentemente deciso a staccargli il naso a beccate. Affila
lo sguardo, irritato, e afferra fra due dita le frenetiche ali che
sbatacchiano sotto i suoi occhi, scostando la palla di piume da
sé
quel tanto che basta per identificare l’assalitore.
Una maledetta fatina dei denti, che altro se no?
«Irritante
creatura» sbotta
seccato, «si può sapere che vai
cercando?».
Per tutta risposta
quella
torna ad agitarsi, cinguettando come un’ossessa e tentando
invano
di liberarsi dalla sua presa, con l’evidente intenzione di
riprendere a punzecchiarlo con rinnovato accanimento.
«La fai
finita tu,
immediatamente, o preferisci forse che ci pensi io a farti
desistere?» minaccia, scrollandola leggermente.
La cosetta
piumata,
affatto
persuasa dalle sue minacce, lo fissa invece con profonda indignazione
e agita i minuscoli pugni al suo indirizzo, rendendo indelebilmente
chiaro quanto non sia affatto disposta a passare sopra alla sua
sgradita presenza in quel posto.
Pitch la fissa
truce, poi
sbuffa scocciato e, inaspettatamente, molla la presa sulle sue ali,
lasciandola un attimo basita per la sorpresa.
«Sparisci
all’istante dalla
mia vista, insulsa seccatura» sibila, incrociando le braccia.
«E
già che ci sei, fai il favore di avvertire le altre tue
compari che
non tollererò ulteriori azioni sovversive ai miei danni. Vi
saranno
gravi ripercussioni se mai ciò dovesse accadere»
dichiara serio,
muovendo poi una mano in un veloce e perentorio gesto di congedo.
La fatina schizza
da una parte
all’altra del corridoio, agitando ancora un momento i
pugnetti, poi
si allontana senza mai smettere di vociare, allertando con il suo
soave
passaggio tutti gli abitanti del palazzo.
*
«Si
può sapere con chi ce
l’avevi questa volta?» chiede Nyx, spuntando senza
preavviso alle
spalle dell’Uomo Nero.
Lui, per tutta
risposta,
sbuffa e fa schioccare la lingua sul palato. «Una delle
seccanti
aiutanti della fata dei dentini. Pare intendesse avanzare le sue
rimostranze perché la mia presenza qui rovina
l’arredamento
luccicante del posto» bercia sarcastico.
Nyx si lascia
involontariamente sfuggire una mezza risata, ma subito si interrompe
all’occhiata assassina che Pitch le riserva.
«Oh,
suvvia, sono certa non
ti infastidiranno oltre» tenta, per nulla certa delle sue
stesse
parole.
«Me lo
auguro. Ci sono
questioni molto più urgenti e rilevanti che richiedono
l’attenzione
di tutti. Di certo una discussione su quanto il nero stoni sulle
varie nuance di rossi e verdi non dovrebbe affatto essere in cima
alla lista delle priorità!» protesta veemente e un
pizzico offeso.
Si blocca però all’improvviso, occhieggiando
perplesso e
impensierito l’occhiata languida che gli sta indirizzando Nyx
in
quel momento. «Cosa?» chiede incerto.
«Sono
piuttosto sicura che si
possano senz’altro trovare modi creativi per accoppiare il
nero e
il rosso, tesoro»
miagola, accostandosi lentamente e posando le piccole mani sul suo
petto.
Pitch socchiude le
labbra e
aggrotta le sopracciglia, interdetto e allarmato, piuttosto certo di
essersi perso qualche importante particolare, che ora come ora sembra
sfuggirgli, riguardo alla nuova e imprevista direzione presa dalla
situazione. Non è più molto sicuro di cosa
aspettarsi, ma
trattandosi di lei di certo non ci può essere nulla di buono
in
vista.
«Non ho
la più pallida idea
di cosa tu stia parlando, ma preferirei di gran lunga se evitassi di
fissarmi in quel modo e di mettermi le mani addosso. Metti i
brividi»
ammette, angosciato e decisamente a disagio.
Nyx sfarfalla le
ciglia per
lunghi istanti, poi emette un lungo sospiro un po’ deluso e
sbatte
piano e brevemente la fronte contro il petto dell’Uomo Nero,
scostandosi in fretta e fissandolo di traverso.
«Un bel
giorno ti ritroverai
con le mani in mano e senza il minimo indizio su cosa farne»
commenta, osservando con profondo sconforto la sua espressione ancora
piuttosto perplessa e decidendo di lasciar cadere l’argomento
per
il bene della sanità mentale di entrambi, almeno per il
momento.
L’Uomo
Nero solleva comunque
un sopracciglio, scettico e piuttosto confuso dal bizzarro
comportamento della donna. Tuttavia pensa bene di evitare di
approfondire la questione, nell’illusoria speranza che si
risolva
da sola se non stuzzicata.
«Quindi,
desideravi qualcosa
in particolare, oppure sei qui solo per divertirti come al solito
alle mie spalle e passare il tuo tempo in modo gradevole?» si
informa, con un eccesso di acidità perfino per i suoi canoni.
Infatti lei lo
fissa
interdetta e un poco impensierita. «Quella fatina doveva
essere più
aggressiva di quanto immaginassi. Che problema hai? Ti è
appena
venuto il ciclo? Sei piacevole come un alluce contro lo spigolo del
comodino». Una rapida sbirciatina alla sua espressione la
informa
che, forse, potrebbe aver appena detto qualcosa di sbagliato.
«Pitch?».
«Non…
osare. Sono stanco di
essere deriso. Credi di avere il diritto di insultarmi? Ti diverte
mortificarmi ogni volta che ti senti annoiata? Ebbene, trovati
qualcun altro che ti allieti, io ne ho abbastanza» sibila,
prima di
scomparire nell’ombra.
Nyx per un lungo
momento si
perde in un batter di ciglia, attonita, senza riuscire a capacitarsi
di cosa mai possa essere accaduto in quegli ultimi minuti di tanto
grave da giustificare una reazione così violenta. Scuote la
testa
senza trovare una risposta.
«Uhm…
Mi dispiace
disturbarti in questo momento, ma…» borbotta un
po’ imbarazzato
Jack Frost, il quale ha svoltato l’angolo del corridoio nel
quale
stavano discutendo Pitch e Nyx giusto mentre l’Uomo Nero
perdeva
definitivamente le staffe.
La donna, ancora
piuttosto
confusa, solleva lo sguardo sul nuovo venuto e silenziosamente lo
interroga per capire il motivo della sua presenza lì.
«Di
là nel salone sono
arrivate altre pixies con qualche novità; così
dicono, almeno. Ma
insistono nel voler parlare direttamente con te.
Così… ecco, mi
hanno spedito a cercarti» prova impacciatamente a spiegare
Jack,
sbirciando prudentemente il cipiglio serio della donna. «Stai
bene?»
chiede dunque, spostandosi a disagio da un piede all’altro e
spandendo rivoli di ghiaccio per il corridoio.
«Potrebbe
andare meglio, in
effetti» ammette Nyx, turbata prima
dall’imprevedibile reazione
dell’Uomo Nero e poi dalla richiesta delle pixies. Se
desiderano
parlare con lei, allora forse la situazione sta nuovamente cambiando;
forse già gli eventi hanno preso una direzione precisa dalla
quale
potrebbe essere difficile tornare indietro. Già, ma per
scoprirlo
dovrà infine decidersi a incontrare i nuovi messaggeri.
«D’accordo,
Frost, fai strada. Ti seguo e vediamo che novità hanno per
noi».
Così,
insieme, i due si
incamminano per raggiungere nuovamente il salone di Nicholas ed
essere finalmente aggiornati. Nel frattempo, dietro una delle
numerose porte identiche l’una all’altra,
un’ombra ascolta ciò
che accade nel corridoio e riflette. Lunghe dita, pallide a sottili,
scorrono lente fra i capelli neri. Un sospiro abbandona tremolante le
labbra esangui.
«È
iniziata».
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Capitolo 22 *** Capitolo Ventidue ***
Capitolo
Ventidue
«Siete
qui, finalmente!» esclama Toothiana vedendo entrare Jack e
Nyx.
Le pixies presenti
in sala
planano leggere fino a raggiungere la donna appena giunta e una di
loro sembra prendersi l’onere di fare da portavoce, dato che
questa
volta fra loro non è presente Eresseie. Le racconta che sono
state
avvicinate da alcune fate del fuoco in possesso di informazioni e che
queste ultime riguardavano proprio i due fratelli di cui è
stato
ampiamente discusso fra le creature all’interno della sala.
«Dicono
che ora hanno con
loro qualcosa che può interessarvi, signora. Ma sono state
poco
chiare sia sul modo in cui lo hanno saputo che sull’esatta
natura
di ciò che effettivamente hanno con sé e possa
aver a che fare con
voi. Abbiamo ugualmente creduto nostro dovere venire per mettervi al
corrente di quanto scoperto» termina la piccola pixie,
comunque
nervosa per aver saputo portare notizie tanto incomplete.
Nyx nel frattempo
sta
rimuginando sulle ultime novità. Non riesce a immaginare che
vi sia
qualcosa che possa premerle e che in quel momento si trovi nelle mani
di Ba’al e Mot, tanto più che non ha mai posseduto
molto e nulla
di davvero importante né tanto meno insostituibile.
«Siete
certe che abbiano
proprio parlato di qualcosa?»
indaga perciò, decisa a venire a capo del problema.
Le pixies si
scambiano sguardi
irrequieti; sono visibilmente in ansia, tanto che perfino il
guardiano del divertimento sente che qualcosa di brutto è
nell’aria.
«Beh, in
realtà le loro
esatte parole sono state: “I due fratelli divini hanno preso
ciò
che era della signora della notte”» ammette la
piccola pixie,
occhieggiando cauta la donna di fronte a sé.
Gli occhi bui di
Nyx sono
socchiusi e concentrati su qualche particolare che, evidentemente,
non è ciò che le sta davanti.
«Ciò che era… mio» mormora
incerta. «Mio». Serra le labbra, scuote la testa e
solleva lo
sguardo, perdendosi un attimo a fissare il cielo oltre il grande
lucernario sul tetto; allora i suoi occhi si spalancano di
comprensione. «Ciò che era mio» soffia
con voce strozzata. «Non è
possibile. Come…?» tentenna, spaventata davvero
dopo molti, troppi
secoli.
«Che cosa
succede?»
interviene Nicholas, facendosi prudentemente avanti, preoccupato per
l’espressione angosciata che tutti possono ora facilmente
osservare
sul volto della donna.
Nyx sfarfalla le
ciglia,
confusa, e infine mette a fuoco la sgargiante figura di North che le
sta parlando nel tentativo di comprendere il suo turbamento.
«Loro…
hanno catturato mio
figlio» bisbiglia, incerta su come comportarsi.
«Cosa?
Perché mai?!»
esclama Toothiana, sorpresa.
«Io
non…» tentenna Nyx,
scuotendo il capo.
«Che cosa
facciamo, ora?
Dovremmo cercare di aiutarlo?» dubita Jack, un po’
spaventato a
quella prospettiva.
«Certo
che no, Frost. A meno
che tu non voglia fare esattamente il loro gioco» replica
asciutto
Pitch, comparso alle spalle dei presenti senza che neppure le pixies
e Nyx se ne rendessero conto.
Quest’ultima
si volta e lo
fissa confusa, sia per le sue parole che per la sua presenza
lì.
«Potrebbero fargli del male» ipotizza con un lieve
tremito nella
voce delicata.
Pitch reclina il
capo e inarca
un sopracciglio. «Ne dubito. Non sarebbe saggio da parte
loro;
sarebbe anzi una mossa piuttosto stupida. Vogliono tuo padre; questo
lo abbiamo stabilito. Posso supporre che credano di poterlo
convincere a mostrarsi, se tu
fossi la posta in gioco. A loro non interessa affatto di tuo figlio e
neppure a tuo padre; questo lo sai tu e lo sanno anche Ba’al
e Mot;
ma quei due sperano che almeno tu abbia una qualche influenza su
Phanês». Assottiglia gli occhi e un lieve ghigno
gli deforma le
labbra sottili. «Ce l’hai?» chiede con
sarcasmo.
Nyx è
indecisa se prenderlo a
calci o aggrapparsi al suo collo sperando in un abbraccio che
probabilmente non giungerebbe in ogni caso. Sbuffa seccata.
«No, non
ce l’ho. Nessuno ce l’ha, né mortale
né immortale. Non è più
interessato a questo pianeta dai tempi della sua creazione».
Pitch annuisce, a
suo modo
compiaciuto. «In ogni caso presentarti da loro non sarebbe
una mossa
saggia né tanto meno intelligente. Di certo non aiuterebbe
tuo
figlio, né men che meno loro. Stanno lavorando per riportare
Phanês
nel mondo delle creature viventi per conto del demone, anche se forse
Ba’al non ne è ancora al corrente e probabilmente
crede di agire a
vantaggio loro e del loro futuro».
«Dovremmo
quindi lasciarlo
nelle mani di quei due?» sibila Nyx, ora piuttosto incredula.
Sgrana
gli occhi quando Pitch le porge un piccolo cenno di assenso.
«Fin
troppo presto si
renderanno conto da soli di quanto inutile sia stata la loro
mossa»
spiega paziente.
«E allora
se ne libereranno!»
esclama costernata.
Lui scuote il capo.
«Mi
deludi. Certo che non lo faranno. Eliminare lui significherebbe avere
una quantità di divinità e altre creature magiche
inviperite e
oltraggiate, ben più che disposte a far loro abbassare la
cresta. E
loro non desiderano affatto inimicarsi l’intero mondo degli
spiriti
ed esseri immortali; desiderano riavere indietro il loro antico
splendore, ma con una mossa simile di sicuro non lo
otterrebbero».
Abbozza un piccolo sorriso notando Nyx annuire piano.
«Spero
che non ce l’avrà
con me, dopo questo» borbotta turbata.
Pitch incrocia le
braccia e il
suo sorriso si accentua. «Se è intelligente a
sufficienza
comprenderà facilmente la tua decisione. In caso
contrario… Beh,
fossi in te prenderei in considerazione l’idea di
disconoscerlo».
Ancora una volta
Nyx sgrana
gli occhi ma, un istante dopo, scoppia in una risata inaspettata da
tutti i presenti, perfino da lei stessa. «E io che credevo ti
fossi
rammollito in tutti questi secoli a inventare stupidi incubi per i
poppanti» sbotta.
L’Uomo
Nero solleva gli
occhi al cielo e sbuffa, ma si esime dal replicare dato che, in
fondo, lei gli ha appena fatto un complimento, seppur con ben poca
gentilezza.
«Quindi
non ci muoveremo per
cercare Ouranós?» indaga Toothiana per accertarsi
di aver ben
compreso il senso del dialogo fra l’Uomo Nero e la Signora
della
Notte.
«No,
fata. Per lo meno non
adesso» conferma Pitch, osservando con un pizzico di
divertimento
molti dei presenti sospirare di sollievo a quella rassicurazione.
Bene, se non altro quelle zucche vuote sembrano aver finalmente
compreso quanto effettivamente possano rivelarsi pericolosi quei due
fratelli, vista l’apparente facilità con la quale
hanno catturato
Ouranós.
*
«Sembri
molto più in forma
in queste ultime ore» riflette Nyx, soppesando con
curiosità la
nera figura di Pitch.
Lui le lancia una
discreta
occhiata e si limita ad annuire, innervosendo un poco la donna che,
al contrario, si aspettava un qualche genere di spiegazione al
riguardo.
«Posso
chiederti come ci sei
riuscito? Avevi lasciato intendere che ti ci sarebbero voluti
più di
un paio di giorni per recuperare energie sufficienti» gli
rammenta,
indispettita.
Pitch stiracchia un
pigro
ghigno. «L’ho detto, vero?» mormora, con
tutto l’intento di far
saltare i nervi a Nyx, cosa che peraltro sembra riuscirgli in modo
impeccabile. Sospira, conscio di dover comunque vuotare il sacco, se
vuole evitare di subire sgradevoli ritorsioni. «Ebbene,
è possibile
che tu non vi abbia prestato particolare attenzione, ma negli ultimi
giorni, in questo posto, si è accumulata una pesante cappa
di
tensione e di sentimenti poco piacevoli. Pare proprio che i recenti
fatti abbiano un po’ incrinato la spensierata sicurezza di
questi
sempliciotti» spiega leggero.
Nyx allora
comprende e i suoi
occhi si sgranano impercettibilmente e scintillano di oscuri
bagliori. «Paura» soffia.
L’Uomo
Nero annuisce
soddisfatto. «Paura, esattamente» conferma,
inspirando a fondo
quasi a incamerarne una generosa boccata.
«Ma…
tu non sei spaventato
da questa situazione?» indaga lei con aria critica.
«Perché, nel
caso te lo stessi chiedendo, io un po’ lo sono».
«Su
questo non ho dubbi.
Dimentichi troppo spesso che posso sentirla» le ricorda
paziente.
«Comunque sia, certo che lo sono; solo uno sciocco non
proverebbe
timore al nostro posto».
La fronte di Nyx,
un momento
prima perfettamente liscia e levigata come candido marmo, si aggrotta
per la confusione. «Qualcosa è cambiato, quindi.
Un tempo questo ti
avrebbe intralciato» obbietta pensierosa.
«Sì,
un tempo» concorda
Pitch, rallentando il passo e piegando leggermente il capo verso la
sua accompagnatrice. «Ma ho avuto un anno intero per
lavorarci su;
dall’ultima occasione in cui sono stato beffato da questa
debolezza. Ho riflettuto molto e ho trovato il modo per ovviare al
problema. Provare timore di fronte a un pericolo è normale,
un
istinto automatico che non può essere eliminato. Ma
può essere
isolato, invece, e tenuto sotto debito controllo» rivela,
compiaciuto.
Nyx solleva lo
sguardo in
quello brillante di Pitch e gli offre un piccolo sorriso.
«È quello
che hai fatto?».
«È
quello che ho fatto»
conferma con un cenno di assenso. «Commettere un errore
è
perdonabile. Trascurare di correggerlo è da stolti.
L’incontro con
Ba’al non è certamente stato una tranquilla
passeggiata fra le
margherite; in effetti lui, con il fratello al fianco, è
stato
piuttosto terrorizzante. Malgrado ciò Epiales non mi ha
aggredito,
approfittando della mia debolezza, come invece era accaduto la scorsa
primavera; al contrario è accorso in mio aiuto e mi ha
portato in
salvo» racconta Pitch, non potendosi evitare di rabbrividire
leggermente al ricordo dello scontro con Ba’al.
«Quindi
ora sei in grado di
dominare la tua paura così che non intralci il controllo che
hai su
quella degli altri?» si accerta Nyx.
«Proprio
così» conferma
Pitch.
D’un
tratto arresta i suoi
passi nel mezzo del corridoio che stavano lentamente percorrendo,
costringendo Nyx a fare altrettanto, e sbuffa sonoramente con una
marcata nota di esasperazione. Di fronte a loro vi sono altre due di
quelle seccanti fatine dei denti, pronte più che mai a dare
nuovamente battaglia.
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Capitolo 23 *** Capitolo Ventitré ***
Capitolo
Ventitré
Sta
riflettendo, con lo sguardo da lungo tempo perso nella confortevole
oscurità, sulle loro effettive possibilità di
approdare a una
soluzione accettabile; non può fare a meno di chiedersi il
motivo
per il quale la loro mossa non abbia ancora sortito i risultati
sperati. Forse che quel fanfarone buono a nulla di Ouranós
non sia
poi così importante per la sua famiglia? Che fare, ora? Se
nemmeno
sequestrare il nipote di Phanês ha contribuito a smovere la
situazione, cos’altro potrebbe farlo a quel punto?
D’un
tratto si irrigidisce e
scatta in piedi, pietrificato; ansioso si guarda attorno senza
tuttavia notare nulla di diverso dal solito, placido buio. Spalanca
gli occhi nel nulla, avvertendo nuovamente una sgradevole sensazione
strisciare nella sua testa; qualcuno lo sta chiamando. No, non
qualcuno, il demone. Che abbia infine deciso di toglierlo di mezzo,
dati gli scarsi risultati dei loro sforzi, e proseguire da solo alla
ricerca di un modo per evadere dalla sua prigione? China il capo,
consapevole di non poter ignorare per molto ancora il suo insistente
richiamo, a meno che non intenda impazzire del tutto. In silenzio
trae un sospiro sconfortato e raccoglie la forza sufficiente a
raggiungere il portale e colui che si trova oltre a esso.
«Non
posso certo stupirmi di
non aver ancora ricevuto buone nuove, se questa è la tua
normale
solerzia» crede opportuno di insultarlo Fuinur, dandogli
così un
caldo
benvenuto al suo cospetto.
«Sono
desolato, mio signore»
soffia, incapace di pensare ad altro che non sia la propria
dipartita, probabilmente imminente e dolorosa.
«Puoi ben
immaginare cosa me
ne faccia della tua desolazione» rimbrotta, impaziente.
«Esisti al
solo scopo di servirmi, attualmente, ed è proprio
ciò che farai,
Mot» ordina seccamente.
«Naturalmente,
mio signore»
conferma Mot, non potendo fare altro al momento.
Il demone ora
osserva quasi
con curiosità la buia figura di fronte a sé,
trovandola perfino più
miserabile del solito. «Lungi da me darmi pensiero per la tua
infima
esistenza, tuttavia non posso fare a meno di notarlo e mi chiedevo
per quale motivo, ultimamente, appari al mio cospetto in cotali,
deplorevoli condizioni».
Mot sgrana
impercettibilmente
gli occhi dietro i neri capelli che oscurano in parte il suo viso.
Che dire? Non la verità, se davvero tiene a procrastinare
ancora un
poco la propria fine. «Non… sono giorni di agio
quelli che sto
vivendo, purtroppo. Come sapete, la mia famiglia non tiene
particolarmente in conto la mia esistenza né
l’idea di supportarmi
nei miei progetti» tenta, sperando di non apparire in nessun
modo
offensivo.
Il demone
occhieggia con
malcelato disprezzo la patetica figura di fronte al suo sguardo e
soffia una mezza risata annoiata. «Capisco. Dovresti
riflettere
sull’opportunità di cambiare famiglia; creartene
una a tua
immagine e somiglianza potrebbe giovare al tuo spirito»
suggerisce
con poco trasporto e ancor meno tatto.
“Cambiare
famiglia?” si
chiede confusamente Mot. “E di quella attuale cosa dovrei
farne?”
si interroga, non potendosi evitare di rabbrividire al solo pensiero
delle possibilità a sua disposizione. «Vi
ringrazio per il
suggerimento e la vostra comprensione» si risolve invece a
dire a
voce alta. «Perdonate la sfacciataggine, mio signore, ma qual
è il
motivo della mia presenza qui, oggi?» si interessa, sperando
di
abbreviare quanto possibile lo sgradito incontro per potersene
tornare a piangersi addosso immerso nel suo mondo privo di luce.
«Ah,
sì, il motivo. Sei qui
per servirmi, ovviamente. Poiché tutti i vostri miseri
sforzi non
sono valsi assolutamente a nulla e non mi hanno portato alcun
risultato tangibile, ho deciso di prendere personalmente in mano la
situazione. Ho trascorso questo breve tempo dal nostro ultimo
incontro esaminando la situazione e studiando (con estremo interesse,
aggiungerei) le pedine in gioco. Ebbene, forse stenterai a crederlo,
ma ho individuato una possibile soluzione al mio attuale
cruccio»
esclama Fuinur, vittorioso.
“Di male
in peggio” pensa
cupamente Mot, domandandosi chi altri stia per pagare per questa
follia. «Vi ascolto, mio signore» conferma pacato.
«Uno
scambio: qualcuno di
idoneo prenderà il mio posto in questo mondo fittizio,
permettendomi
così di tornare a calcare i piedi su un suolo reale e a
respirare
vera aria, finalmente!» esulta estasiato.
*
Ba’al
ritrova il fratello
immobile e silenzioso nella solita, deprimente oscurità.
Solo che
questa volta Mot ha il volto più scuro del mondo in cui vice
e Ba’al
lo osserva teso, mentre la preoccupazione per la loro sorte si
impenna drasticamente.
«Fratello»
bisbiglia cauto,
avvicinandosi lentamente. «Cos’altro è
accaduto?» chiede senza
però azzardarsi ad alzare la voce. Per quanto abbia
pazientemente
atteso, solo un prolungato e cupo silenzio risponde alle sue domande.
«Altri guai, è così?» sospira
scoraggiato.
«Sì»
soffia Mot e la sua
voce è appena udibile nonostante il profondo silenzio che li
circonda.
«Raccontami.
Ti ascolto,
fratello» lo incoraggia come può, sapendo tuttavia
quanto a poco
servano le sue buone intenzioni.
Incredibilmente
viene invece
accontentato e Mot, con tono grave e sfiduciato, prova realmente a
raccontare a Ba’al del suo ultimo e sconcertante incontro con
il
demone.
«Che
fosse pazzo era già più
che ovvio, ma questa sua idea è… una follia,
semplicemente»
sbotta Ba’al alla fine della narrazione.
«Indubbiamente»
concorda
Mot. «Purtroppo non ho l’opportunità di
esprimere questo tipo di
parere personale a quella creatura».
«Immagino»
sibila con
sarcasmo Ba’al, assolutamente contrariato. «Che
cosa facciamo?».
Mot solleva
lentamente lo
sguardo sul fratello e lo osserva attentamente, fissandolo come se
quella fosse la prima volta in cui se lo ritrova davanti. Scuote la
testa, quasi più confuso di prima.
«Devo… trovare il modo per
accontentare la sua volontà. Non mi è possibile
fare altrimenti a
questo punto» ammette.
«Sta
bene. Hai già in mente
un modo per farlo? Come ci avviciniamo a sufficienza senza rischiare
che ci polverizzino a vista?» insiste Ba’al, deciso
a scoprire le
loro carte.
Mot fa lentamente
scorrere le
mani tremanti fra i capelli, scostandoli brevemente dal viso, e
sospira. «Non noi, fratello, io solo. Se ci presentassimo in
massa
sarebbe molto più pericoloso e finiremmo con
l’essere facilmente
individuati prima ancora di aver preso ciò che ci
interessa».
«Stai
scherzando?» ringhia
Ba’al, costernato. «Non ci penso nemmeno a lasciare
che tu ti
presenti lì da solo!» sbotta.
«Ba’al»
soffia, incerto.
«Questo non è come uno dei tuoi soliti passatempi.
Non si tratta di
un gioco. Vi sarà certamente radunata una ragguardevole
quantità di
spiriti ed entità assortite. Non possiamo permetterci di
sottovalutare la situazione in questo caso, capisci?».
L’occhiata
truce che gli scocca Ba’al lo fa deglutire ansioso e a
disagio.
«Capisco
che stai diventando
folle quasi quanto quel maledetto demone!» sibila furioso.
Mot scuote il capo.
«Non è
follia, è prudenza. Quel qualcosa che tu dimentichi
costantemente di
mettere in conto, fratello».
«Smettila
di deridermi! So
benissimo che non è un gioco, capisco perfettamente che si
tratta di
un azzardo. Non resterò a contare le gocce nel mare mentre
vai a
farti ammazzare per ordine di una creatura che avrebbe già
dovuto
essere estinta da millenni. Non lo capisci che sono preoccupato per
te?» sbraita Ba’al, ormai fuori di sé.
Le labbra ceree di
Mot si
dischiudono appena in una piccola smorfia confusa e sorpresa.
Aggrotta le sopracciglia mentre i suoi occhi non smettono un istante
di scrutare il volto del fratello in cerca di indizi o di un barlume
di chiarezza. «Per me? Non…
Perché?» balbetta incerto con voce
tremolante.
Ba’al
soffia uno sbuffo
irritato. «Per fortuna dovevi essere quello intelligente
della
famiglia, vero? Cosa c’è da capire, fratello?
Credi forse mi
farebbe piacere se una qualche accozzaglia di spiriti ti facesse del
male? Continui a dimenticare che abbiamo un legame, noi due. Se
qualcuno può ammazzarti, fratello, quello devo essere
unicamente io»
afferma con decisione, scatenando a sorpresa la pacata
ilarità di
Mot che, con discrezione, ridacchia stranamente confortato dalla
dichiarazione di odio/amore del fratello.
«Verrai
con me, fratello?»
domanda allora, con un leggero sorriso nella voce.
«Puoi
giurarci» conferma
Ba’al, ghignando soddisfatto.
*
Nei suoi occhi
chiari è
ancora riflesso il bagliore argentato della luna che, a poco a poco,
si affievolisce fino a lasciare nuovamente posto al buio della notte.
Socchiude stancamente le palpebre, sospira e riflette su come
spiegare agli altri ciò di cui è appena venuto a
conoscenza. Ma non
esiste un modo semplice, questo lo sa; è un dovere a cui
deve
adempiere ed è esattamente ciò che
farà. Lentamente indietreggia e
si allontana per raggiungere i suoi ospiti.
«Jack».
Lo spirito
dell’inverno si
volta a quel richiamo e sorride. «North! Dov’eri
sparito?»
esclama allegro. Poi nota la sua espressione crucciata e il sorriso
svanisce, spazzato via dalla tensione. «Altre brutte
notizie?».
«Non
buone, purtroppo»
conferma Nicholas. «Sai dove sono gli altri?»
chiede, dato che nel
guardarsi intorno non riesce tuttavia a individuare nessun altro a
parte loro due, una manciata di elfi e qualche fatina dei denti.
Jack annuisce,
pensieroso.
«Sandy è con uno degli incubi di Pitch.
Stanno… uhm…
chiacchierando, credo, su in cima al lucernario» indica, con
lo
sguardo rivolto verso l’alto.
Anche Nicholas a
quel punto
sposta lo sguardo al soffitto e riesce a distinguere la brillante
figura dell’Omino dei Sogni stagliarsi contro il nero del
cielo
notturno. Annuisce, poi scuote la testa un po’ sconcertato.
«Toothiana,
Bunnymund e un
paio di pixie sono invece giù in laboratorio, con i tuoi
yeti»
prosegue Jack, ora comodamente appollaiato sulla spalliera di una
sedia. «Ho visto Nyx e Pitch, una mezz’oretta fa,
che facevano una
delle loro passeggiate con quell’incubo che è
arrivato con lui.
Non ho idea fin dove siano arrivati, a furia di camminare. Scommetto
che hanno girato questo posto più loro due negli ultimi tre
giorni
che tu negli ultimi cinquant’anni» ghigna
dispettoso.
Nicholas incrocia
le braccia
al petto e aggrotta le sopracciglia. «Che vorresti dire,
spiritello?» borbotta, abbozzando nonostante tutto un sorriso
divertito.
«Oh,
proprio nulla» esclama
Jack, sollevando le mani in segno di resa. «Te li vado a
ripescare,
se vuoi» offre di buon grado, immaginando che abbia qualcosa
di
importante da riferire a tutti.
Nicholas annuisce.
«Sì,
grazie. A Toothiana e Aster penso io. Tu va’, ora»
lo sprona con
un gesto impaziente della mano.
Così
Jack schizza fuori dal
salone come una bufera e svolazza rapido per i corridoi infiniti,
seguendo l’odore strano ma anche familiare di quella donna un
po’
matta ma che, tutto sommato, a lui sta piuttosto simpatica. Spera non
sia capitato qualcosa di brutto a suo figlio, ma immagina che lei
sarebbe comunque fra le prime a saperlo. Chissà, forse Manny
ha
avuto un’altra delle sue trovare ai confini della
realtà, e loro
ci andranno di mezzo, come ogni volta del resto. Sbuffa un
po’
scocciato ma subito dopo fa spallucce, rassegnato
all’inevitabile,
e sorride nell’individuare la coppietta in nero a cavallo del
solito incubo un po’ stravagante.
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Capitolo 24 *** Capitolo Ventiquattro ***
Capitolo
Ventiquattro
«Ehilà!
Un’altra cavalcata romantica al chiaro di luna?»
esclama Jack,
svolazzando sopra le teste dei due cavalieri e ridacchiando
allegramente.
Entrambi sollevano
gli occhi
sul guardiano del divertimento e Pitch storce la bocca in una smorfia
infastidita. «Ragazzino screanzato» borbotta,
facendo sogghignare
Nyx alle sue spalle.
«Ohi, io
non sono un
ragazzino!» protesta Jack, agitando convulsamente il bastone
in aria
e riempiendo tutti di soffici fiocchi di neve.
«Ah no,
eh?» sibila Pitch,
guardandolo storto.
«No di
certo: ho trecento
anni, io» si pavoneggia, gonfiando un po’ il misero
petto di
adolescente.
«Non ne
dimostri nemmeno un
decimo» osserva Nyx, sorridendo sorniona.
Jack si imbroncia,
incrocia le
braccia e sbuffa sonoramente, senza ben sapere se lei lo stia o meno
prendendo in giro. «Voi due non siete per nulla gentili,
sapete?»
si lamenta, accomodandosi sul capo dell’incubo, indispettendo
non
poco sia Pitch che l’incubo stesso.
«Ti
aspettavi seriamente che
lo fossimo?» indaga l’Uomo Nero, fissandolo con
scetticismo.
Gli occhi del
giovane
guardiano diventano grandi e sorpresi. «Uhm, beh…
forse no»
concede titubante, prima di lanciare uno strillo sconcertato, senza
avere il tempo di completare i suoi pensieri, dato che
l’incubo
sotto di lui, stanco di trasportare in quel modo lo spiritello,
scrolla il capo facendolo volare gambe all’aria.
«Nemmeno il tuo
incubo è molto simpatico» conviene Jack, un poco
risentito,
toccando terra con leggerezza.
«Non fa
parte delle sue
qualità, in effetti» ammette Pitch. «Ma
a ben vedere i suoi
compiti non lo richiedono» aggiunge pragmatico.
«C’è un motivo
particolare per il quale ti trovi qui, apparentemente deciso a
tediare la nostra serata?» si informa, già
stremato dall’avercelo
intorno.
«Uh,
giusto!» prorompe Jack,
esultante. «North dice che ci sono altre novità;
credo abbia
parlato con Manny».
Pitch arriccia il
naso,
disgustato alla sola menzione di quel nome, ma rimane in silenzio e
fa cenno al guardiano di proseguire pure.
«Così
mi ha chiesto di
trovarvi. Il tempo di radunare gli altri e sapremo che
c’è di
nuovo nell’aria. Nulla di buono, comunque, a giudicare dalla
faccia
scura che aveva quando ci ho parlato» commenta Jack,
già meno
allegro alla prospettiva delle cattive notizie in arrivo.
«Si
prospetta forse una nuova
catastrofe?» medita Nyx.
«O
più semplicemente
l’evoluzione di quella già in corso»
deduce Pitch, già sentendo
in arrivo un’emicrania nuova di zecca.
*
Pitch fa
scricchiolare i
denti, nervoso, e tamburella rapidamente le dita sul bracciolo della
poltrona rossa sulla quale è seduto già da
diversi minuti senza
aver ancora ascoltato una sola sillaba di spiegazione. Inizia a
essere piuttosto stanco e frustrato di dover attendere in quel posto
che qualcuno si decida a parlare, finalmente. Una mano di Nyx, seduta
accanto a lui, si posa con delicatezza sul suo avambraccio,
probabilmente con l’intento di placare il suo nervosismo.
Sbuffa,
soffiando fuori l’aria dalle narici con impazienza.
«Ebbene?»
sibila, rompendo
il silenzio teso. «È possibile conoscere il motivo
di questa
riunione,
o siamo stati invitati qui solo per prendere il tea con i
pasticcini?» strascica velenoso.
Nicholas, che si
trova dal
lato opposto della stanza proprio di fronte a lui, stira le labbra
contrariato ma resiste stoicamente alla tentazione di insultarlo e
maledirlo in lingue varie e assortite, invece trae un profondo
respiro e annuisce lentamente. «D’accordo,
sì, hai ragione»
ammette riluttante. «Sono stato contattato da Manny, questa
sera.
C’erano… notizie importanti in ballo. A quanto
sembra le cose si
complicano con questa nuova minaccia del demone».
«Meraviglioso!»
sbotta d’un
tratto Nyx, facendo sussultare molti. «Meno male che
c’è il Nano
nella Luna a tenerci aggiornati, altrimenti che faremmo?»
rimarca
con pesante sarcasmo.
Pitch,
lì accanto, trattiene
a stento una risatina e si limita a increspare le labbra; Jack,
più
in fondo, non è così discreto e sghignazza invece
senza troppo
pudore.
«È
l’Uomo
nella Luna, non il
nano!»
esclama Toothiana, oltraggiata.
Gli occhi scuri di
Nyx la
osservano con compatimento. «Fata, o hai la vista difettosa o
la
memoria corta. Quel tappo calvo dell’uomo ha giusto il nome.
Sono
abbastanza sicura che mentalmente non si sia mai evoluto oltre la
pubertà» insinua maliziosa.
«Come
osi, tu, malefica
vipera svergognata!» scatta a quel punto la fata, levandosi
in aria
e additandola con ira.
«Stolto
ammasso di piume, ti
ordino di astenerti dal parlare di ciò che non
conosci» replica
Nyx, a sua volta infuriata per la totale mancanza di adeguato
rispetto alla sua persona.
Mentre le due si
fissano in
cagnesco da un lato all’altro della sala, pronte a venire
alle mani
da un momento all’altro, Nicholas e Pitch seguono la scena
con
preoccupazione crescente e per un momento si adocchiano l’un
l’altro con aperta ansia, decidendo silenziosamente ma di
comune
accordo di intervenire prima che la situazione degeneri oltre.
Così
Nicholas si fa incontro a Toothiana, tentando di attirare la sua
attenzione e convincerla a tornare con i piedi per terra e a deporre
le armi (in tutti i sensi, considerato che poco prima la fata ha
sguainato le sue sottili sciabole gemelle). Nello stesso momento,
dall’altra parte, Pitch accosta silenziosamente e con molta
cautela
Nyx, provando a parlare lentamente con lei. Tuttavia, dato che
né
Nicholas né Pitch sembrano ottenere risultati apprezzabili,
si
uniscono a loro anche gli altri, mettendosi fra le due contendenti
con gran sprezzo del pericolo. Quando però Toothiana fa
scintillare
una delle sue sciabole in aria e Nyx sembra pronta a scatenare
l’inferno proprio lì in mezzo al luccicante salone
di North,
Nicholas si lancia letteralmente sulla fata, agguantandola e
bloccandole ali e braccia contemporaneamente, mentre Pitch
impacchetta una Nyx furibonda in un nugolo di filamenti
d’ombra,
mettendolesi di fronte così da bloccarle la visuale sulla
fata. Poco
a poco gli animi sembrano placarsi; Toothiana, con un po’
d’affanno, smette di scalciare istericamente per liberarsi
dalla
presa di Nicholas, e Pitch abbozza un piccolo sorriso tremolante
indirizzato a Nyx, la quale invece lo sta guardando in modo truce e
ben poco rassicurante, affatto lieta di essere legata come un salame.
«Sei
più tranquilla, ora?»
soffia, prudente, allungando una mano a scostare i lunghi capelli
finiti davanti agli occhi fiammeggianti.
«No»
ringhia, «e se non mi
liberi immediatamente rimpiangerai amaramente di non essere morto
quando ne avevi l’opportunità» minaccia,
facendo sgranare gli
occhi e mancare il respiro a un attonito Uomo Nero.
La fissa sconvolto
e
visibilmente ferito, si allontana di un paio di passi e con un rapido
gesto della mano fa svanire le catene d’ombra che la tenevano
stretta. «Vai all’inferno» sibila,
voltandole le spalle e
abbandonando a grandi passi la sala.
*
Il silenzio
è pesante fra i
presenti, opprimente, neppure il frusciare di una piuma si avverte.
Quando Sanderson mostra chiaramente uno sguardo allarmato e la sua
urgenza di parlare si tramuta in improvvisi bagliori di luce mista a
sabbia dei sogni, finalmente i guardiani e gli spiriti presenti
sembrano ridestarsi dall’attonita confusione.
Nicholas vorrebbe
provare a
chiarire con calma e tornare al motivo per cui si sono riuniti, ma
prima ancora che tutti riescano a tornare a sedersi e ascoltare, il
lampadario al centro della sala vibra vistosamente facendo tintinnare
le decorazioni in cristallo; un istante dopo anche il pavimento trema
e un boato rompe definitivamente il lungo silenzio, mettendo tutti in
allarme.
«Che cosa
sta accadendo,
Nicholas?» esclama Toothiana, tornando in aria mentre al suo
fianco
Aster e Jack sono già pronti per fronteggiare un possibile
attacco.
Nicholas si guarda
intorno,
smarrito, cercando di capire la situazione. In quel momento due yeti
molto allarmati irrompono in sala iniziando a parlare uno sopra
l’altro. Nonostante sia abituato a trattare con loro, il
guardiano
della meraviglia stenta a comprendere ciò che stanno
praticamente
urlando. «Silenzio! Uno per volta» ordina
bruscamente, zittendo
entrambi e indicando loro di spiegarsi con calma. Nel tempo che i due
impiegano per organizzarsi, un altro assordante frastuono manda in
frantumi le finestre di un lato del salone e a quel punto Nyx, di un
pallore spettrale e un po’ grigiastro, scatta in piedi e si
precipita oltre le grandi porte, investendo i due sfortunati yeti che
si trovavano sulla sua strada e svanendo oltre il corridoio alla
velocità della luce.
Giunta a tempo di
record sul
lato opposto del palazzo è però costretta ad
arrestarsi di botto e
a trattenere bruscamente il fiato, momentaneamente paralizzata dalla
visione di quell’ala della fabbrica che appare ora
completamente
sventrata da qualcosa che sembra aver provocato un’esplosione
verso
l’esterno. Lentamente si affaccia oltre le rovine ai suoi
piedi e
osserva con angoscia il profondo crepaccio di ghiaccio e neve che si
estende per molti metri e scompare nell’oscurità,
ma neppure
l’aria gelida del circolo polare riesce a distoglierla dai
suoi
assordanti pensieri su ciò che potrebbe essere realmente
accaduto.
Un sottile e spento
nitrito
alle sue spalle riesce invece nell’impresa di attirare la sua
attenzione; piano si volta e fissa lo sguardo in quello dorato di un
incubo: Epiales, che la scruta di rimando, pregandola in silenzio di
fare qualcosa.
Un baluginio oscuro
brilla nei
suoi occhi spalancati nel momento in cui, forse, comprende.
«Erano
qui» mormora, senza fiato. «Maledetti»
ringhia, mentre nuvole nere
ricoprono il cielo oscurando la luna.
ˇ
ˇ
ˇ
ˇ
ˇ
L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Sono
abbastanza insoddisfatta per non essere riuscita a trovare una valida
alternativa all'espressione «Vai all'inferno».
Presupponendo che
Pitch, in quanto alieno
(o se non altro esterno alle usanze terrestri), non possa realmente
considerarsi religioso, o almeno non affiliato ad alcuna religione
corrente sulla Terra, sono rimasta un po' delusa nel non aver trovato
una maledizione più adatta al soggetto in questione e
soprattutto al
momento.
Quindi,
nulla, se mai a qualcuno dovesse sovvenire una soluzione migliore,
sono tutta orecchi (od occhi, nella fattispecie).
Obbligatissima,
Roiben
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Capitolo 25 *** Capitolo Venticinque ***
Capitolo
Venticinque
La
delusione e la rabbia che sente in quel momento offuscano ogni altra
percezione. Forse è questo il motivo per il quale non
avverte per
tempo l’appressarsi di una presenza estranea, anzi due. Nel
momento
in cui se ne rende conto è ormai tardi per correre ai ripari
e
rimane solo il tempo di prendersi mentalmente a calci e di sfoderare
una parte del potere nuovamente acquisito in quegli ultimi giorni
agitati.
Eccoli di nuovo:
sono comparsi
davanti ai suoi occhi sgranati esattamente come era accaduto giorni
addietro su quella nuvola grigia in mezzo all’oceano. La
differenza
è che questa volta sembrano avere parecchia fretta e nessuno
dei due
si perde in convenevoli. A sorpresa, è Mot ad aprire le
ostilità;
la sua maschera di tranquilla noia è ora visibilmente
incrinata e
Pitch può chiaramente notare, questa volta, tutto il suo
nervosismo
ed è perfino in grado di avvertirne la paura. Peccato non
avere a
disposizione il tempo sufficiente a sfruttarla e ad assimilarne
almeno una piccola parte, avrebbe certamente fatto un gran comodo in
quel contesto, ma tant’è, ora ha ben altro a cui
pensare, per
esempio a come evitare di venire spazzato via dai poteri oscuri del
dio dell’oltretomba.
Si scansa con
rapidità, e il
colpo lanciato da Mot, invece di ridurlo a brandelli, crea una
voragine nelle mura dell’edificio perdendosi
all’esterno senza
altre conseguenze. Nessuno di loro trova il tempo di perdersi in
chiacchiere; Pitch raggiunge il soffitto con un balzo, richiama a
sé
la concentrazione necessaria per fondersi con le poche ombre presenti
e scivola lesto il più lontano possibile, poi torna alla sua
forma
umana e scaglia con forza un’onda di sabbia nera che manca
Mot di
poco ma travolge Ba’al al suo posto, spedendolo a incrinare
un
altro muro della fabbrica di giocattoli di North. L’edificio
trema
un lungo istante, poi ritrova stabilità. Mot ha
già contrattaccato,
ignorando le bestemmie del fratello e bloccando momentaneamente Pitch
in una nera bolla fuori dallo spazio e dal tempo. Per sua disgrazia
nota che la sua offensiva ha funzionato solo in parte;
all’interno
della bolla, sabbia oscura vortica con sempre maggior
velocità,
incrinando la superficie lucente del suo piccolo buco nero.
«Fratello,
che stai facendo?»
ringhia Mot, occupato a mantenere in piedi la propria creazione.
«Vuoi darti una mossa, prima che qui salti tutto per
aria?» esclama
allarmato e con evidente affanno.
Qualcosa di dorato
brilla
nell’oscurità fitta della bolla, poi un tuono
sconquassa
l’edificio e l’esplosione che segue sventra
definitivamente
quell’ala del palazzo, spedendo in orbita Ba’al e
alcuni
sfortunati yeti che passavano per caso da quelle parti. Mot
è in
qualche modo riuscito a farsi scudo e a scampare all’urto,
così
con gli ultimi rimasugli di lucidità intercetta Pitch nel
vuoto
momentaneamente formatosi e lo trascina con sé di peso,
scaraventandolo negli abissi neri del suo bel mondo oscuro.
*
Un colpo
sperimentale alla
barriera di buia energia, che ha come unica conseguenza di farlo
incespicare all’indietro, gli suggerisce di risparmiare le
forze
per un momento più opportuno, quindi si limita a fissare lo
sguardo
sulla scura figura dall’altro lato del campo di forza.
«Sei
molto più potente di
quanto fossi durante il nostro precedente incontro,
spaventapasseri»
constata Mot, osservandolo con fastidiosa attenzione.
Gli occhi di Pitch
scintillano
di rabbia mal trattenuta. Rimane in silenzio, però, senza
mai
distogliere lo sguardo e attendendo il suo momento. Quando ha ripreso
i sensi, in seguito al brusco atterraggio in quel mondo, si
è reso
presto conto di essere solo in quel luogo, eccettuato il suo creatore
Mot. Si è chiesto che fine abbia fatto il fratello; non
crede
affatto alla possibilità di essersi liberato di lui
così
facilmente, eppure non è ancora tornato e Mot sembra nervoso
e
inquieto per quell’assenza.
«Che cosa
sei, tu?» chiede
d’un tratto Mot, facendo vagare gli occhi sulla sua figura
affilata.
Pitch fa un passo
indietro,
allontanandosi dalla barriera, e piega leggermente il capo in muta
sorpresa. «Credevo lo sapessi già»
obbietta perplesso.
«Conosco
il modo in cui ti
chiamano gli esseri umani, ma non è questo ciò
che sei» replica
Mot con tono pacato.
Sembra abbia
ritrovato buona
parte del suo equilibrio e della sua irritante compostezza, riflette
Pitch, pensieroso. «Il prodotto della possessione di creature
oscure
di molteplice e differente natura ma con obbiettivi comuni»
si
risolve a spiegare, non trovando motivo per evitare la domanda. Si
agita però, innervosito all’occhiata
improvvisamente interessata
di Mot.
«Non uno
spirito, né un
demone e neppure un dio. Forse una creatura magica, ma non comune
come le ninfe, i satiri o i coboldi» soppesa.
Pitch arriccia il
naso,
profondamente disgustato da quel paragone ignobile. «Non
offendere,
dio. Potresti avere a pentirtene, un giorno» lo avverte con
un
sibilo alterato.
Inaspettatamente
Mot sorride,
o forse ghigna
sarebbe un termine più appropriato, in quel caso.
«Se i miei piani,
per cause di forza maggiore, non fossero altri, credo sarebbe
interessante osservarti più da vicino, chiunque tu sia. Mio
malgrado, qualcun altro ti reclama» soffia il dio, scatenando
un
brivido lungo la spina dorsale di Pitch.
«Qualcun
altro?» indaga
preoccupato. Socchiude le labbra, colpito dalla consapevolezza, e
fissa lo sguardo pieno d’orrore in quello rassegnato del dio.
«Il
demone» mormora spaventato.
Mot a quelle parole
sgrana gli
occhi e avanza di un passo. «Sai di lui? Come?»
chiede confuso.
Pitch serra le
labbra e si
rintana meglio che può nell’oscurità,
conscio tuttavia
dell’inutilità del suo tentativo, vista la natura
della creatura
che si trova a fronteggiare.
«Come?»
insiste Mot, quasi
ringhiando di frustrazione per la mancanza di collaborazione di
Pitch.
«È
importante?» gli rivolta
contro lo spirito. «Cambierà le nostre sorti,
forse?» lo
schernisce cupamente.
Mot ha preso ad
andare avanti
e indietro di fronte alla barriera, come una fiera in gabbia, anche
se in effetti quello in gabbia è Pitch. L’Uomo
Nero invece si
limita a osservarlo, sentendo la paura dell’altro
strisciargli
addosso, in alcuni momenti fin quasi a sommergerlo.
«Non
c’è un modo» rompe
il silenzio Mot. «L’ho cercato, a lungo e invano,
ma non l’ho
trovato. Quel… quella cosa
non ha nulla di umano, nemmeno un’anima né un
cuore. E non c’è
un modo per fermarlo».
«È
stato fatto, però»
tenta Pitch, cauto.
Mot si volta di
scatto e lo
fissa, sgomento e come spiritato. «Oh, sì. Ma
dov’è, ora, colui
che lo ha fatto?» ringhia furioso. «Scomparso!
Totalmente
irrintracciabile. Nemmeno della sua stessa famiglia si interessa
più»
grida frustrato.
E allora Pitch
comprende,
finalmente. «Era per questo. Questo era il motivo per cui
cercavate
di attirare la sua attenzione».
Il ghigno disperato
di Mot
torce dolorosamente qualcosa nel petto di Pitch. «Conosci
forse un
motivo più valido? Neppure il mio stolto fratello ha creduto
a lungo
a quella panzana del ritorno in auge, figuriamoci» esclama.
«Forse se
aveste tentato di
spiegare il problema agli altri…» dubita Pitch.
«Lui lo
avrebbe scoperto
immediatamente!» grida Mot, ormai fuori di sé e
molto lontano dalla
sua falsa immagine di placida indifferenza.
Pitch lo fissa a
lungo e serra
le labbra in una linea dura e sottile. «Qual è la
mia parte in
questo vostro disegno?».
Mot sospira e si
lascia cadere
seduto a terra. «Non nostro, ormai. Suo, purtroppo»
ammette
sconfitto.
«Suo?»
rantola, nuovamente
spaventato. «Vuoi dire che…» affanna.
«Ho
cercato di guadagnare
tempo, ma alla fine lui si è stancato di aspettare. Tu
sei… il suo
nuovo piano, a quanto pare».
*
Presto i guardiani
al completo
raggiungono l’ala distrutta del palazzo e lì
ritrovano Nyx, in
compagnia di due degli incubi di Pitch, apparentemente intenta a
scrutare nella notte fonda. Nicholas non può fare a meno di
guardarsi attorno con aria sconsolata, registrando via via gli
ingenti danni alla sua fabbrica; piano, si china a raccogliere i
resti di quello che una volta doveva essere un grosso arco lungo, di
cui non rimangono che pochi pezzi appena riconoscibili.
Dov’è il
proprietario di quell’arco? E dell’alabarda
spezzata laggiù in
fondo? I resti delle armi che appartenevano ai suoi yeti giacciono
ora ai suoi piedi, ma degli yeti non v’è
più traccia; Nicholas
teme che chiunque abbia ridotto il palazzo e le armi in quel modo sia
con buona probabilità anche il responsabile della scomparsa
degli
yeti.
«Chi
è stato? Chi ha fatto
questo?» domanda con voce dura, rivolto a Nyx. Quando lei si
volta
finalmente e lo fissa con sguardo un po’ perso, lui arriccia
le
labbra contrariato e scuote la testa. «Tu lo sai,
vero?» l’accusa.
«Dovresti
saperlo anche tu,
guardiano» replica Nyx con voce spenta. Torna a voltarsi
verso
l’esterno, al cielo coperto di nubi e chiude gli occhi.
«Hanno
ucciso i tuoi aiutanti, St. North. Sono venuti per lui, lo hanno
preso e nel farlo hanno distrutto parte di questo posto e dei suoi
abitanti. Probabilmente neppure se ne sono resi conto»
pondera
amareggiata. Respira l’aria gelida della notte, stringe le
palpebre
e serra i pugni. «Come potremo trovarli, se si sono ormai
rintanati
nel loro mondo? Come riuscirò a ritrovarlo?»
bisbiglia con
disperazione, senza avere idea di ciò che potrà
fare per riaverlo.
Jack guarda a lungo
i due
incubi che sembrano così persi in mezzo a loro. Epiales e
Lumbar
ricambiano il suo sguardo di ghiaccio e i dubbi dello spirito
dell’inverno trovano una risposta chiara, una che forse
avrebbe
preferito ignorare. «I due fratelli hanno portato via
Pitch»
soffia, un po’ sorpreso e costernato. Trattiene bruscamente
il
fiato al lieve cenno di assenso della dea della notte e, non per la
prima volta, si chiede cosa li aspetta in un futuro fin troppo
vicino.
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Capitolo 26 *** Capitolo Ventisei ***
Capitolo
Ventisei
Una
cupa luce violacea riesce in qualche modo a penetrare la fitta
oscurità del dominio di Mot ma, a giudicare dalla reazione
sconvolta
del padrone di casa, non deve trattarsi di un fatto positivo, e Pitch
immagina con fin troppa precisione il motivo di tanta agitazione.
Lentamente fa un mezzo giro su sé stesso e osserva, con il
fiato
sospeso, lo strano bagliore proveniente da quella che sembra la
lucida superficie di uno specchio il quale, tuttavia, riflette un
mondo differente da quello in cui si trovano ora lui e Mot.
«Che
cos’è?» mormora in
apprensione.
Volta di poco il
capo e
sbircia il suo silenzioso interlocutore, trovandolo più
pallido del
solito e intento a fissare con orrore lo strano riflesso.
«La
dimensione in cui è
stato relegato il demone» decide infine di rispondere Mot,
gettando
Pitch nello sconforto più totale.
Dunque è
quello? Non
immaginava potesse essere tanto vicino. Come riuscirà a
sfuggire
alla trappola in cui lo hanno condotto, se non è in grado di
spostarsi attraverso le ombre e la prigione del demone è a
così
pochi passi da lui? La risposta è semplice e chiara,
così ovvia da
dargli la nausea: non ci riuscirà.
Il bagliore oltre
lo specchio
aumenta gradualmente; si direbbe una sorta di alba aliena, dopo
tutto. Pitch assottiglia le labbra in una tirata smorfia di
preoccupazione. Non sa ciò che lo attende, e questo
più d’ogni
altra cosa lo spaventa. Non ha nessuna voglia di essere buttato in
una dimensione sconosciuta e dato in pasto a creature ignote; ha
già
fatto da pasto ad altre creature immonde, in passato, e non gli garba
proprio l’idea di replicare l’esperienza. Eppure
non vede alcuna
via d’uscita dall’attuale situazione in cui
è stato trascinato,
per quanto duramente ci si stia impegnando. Fa un passo indietro,
mentre i suoi occhi attenti scorgono fugaci ombre aggirarsi al di
là
della barriera che lo separa dall’altro mondo. Oh, detesta
sentirsi
in trappola, odia non avere il controllo su ciò che gli
succede
intorno. Ringhia, un suono basso e disperato, e trema lievemente;
infine indirizza uno sguardo di allarme e rimprovero a quella
maledetta e inutile divinità, ferma alle sue spalle come uno
stoccafisso.
“Che
razza di guaio hai
combinato?” esclamano i suoi occhi indignati. “Fai
qualche cosa,
stupido!” pregano silenziosamente.
Per sua sfortuna
Mot, in quel
momento, non è in condizioni molto migliori delle sue,
tutt’altro
in effetti, e risponde alle sue implorazioni con un’occhiata
un po’
vacua e rassegnata, mandando in frantumi le sue già esili
speranze.
Sembra addirittura più terrorizzato di quanto non lo sia
Pitch
stesso, il che è assurdo, considerato che non è
Mot quello che sta
per essere risucchiato in una dimensione prigione come dono e
riscatto per la liberazione di un demone millenario e, con buona
probabilità, anche piuttosto sanguinario. L’ultima
occhiata che
gli riserva, prima che il cielo oltre lo specchio schiarisca fino ad
assumere una delicata sfumatura lillà, è pregna
di accusa e
disprezzo, e Pitch prova dentro di sé almeno un pizzico di
soddisfazione nel vederlo sussultare colto dalla consapevolezza del
disastro che sta per abbattersi su tutti loro.
“Diamine,
alla buon’ora”
pensa cinicamente.
Ma infine il tempo
per pensare
e sfornare recriminazioni si esaurisce e, a stagliarsi contro il
cielo estraneo, c’è ora un’imponente
figura che Pitch fatica a
immaginare come appartenente al famoso demone del quale hanno
così a
lungo discusso in compagnia dei guardiani. La creatura demoniaca
ghigna, evidentemente soddisfatta da ciò che vede, e allunga
una
mano verso la superficie riflettente. Pitch sgrana gli occhi,
sorpreso e costernato nel constatare che, pur trovandosi in
un’altra
dimensione, il demone è potente a sufficienza da poter agire
anche
in quel loro mondo oscuro. Attorno a lui la barriera eretta da Mot
sfrigola e vacilla, dissolvendosi infine nel nulla come semplice fumo
sospinto lontano da un vento impetuoso.
In teoria ora Pitch
sarebbe
libero di allontanarsi da quel posto, ma in pratica non ne trova il
tempo poiché, con un gesto rapido e imperioso, il demone
blocca i
suoi movimenti e perfino i suoi poteri, trascinandolo con decisione
incontro allo specchio. Pitch digrigna i denti, tenta invano di
scalciare e scrollarsi di dosso le invisibili catene che lo tengono
avvinto e immobile, fa saettare febbrilmente lo sguardo
all’intorno
nella ricerca di una qualunque via d’uscita che non trova,
infine
chiude gli occhi e si concentra; non riuscirà mai a
raccogliere
abbastanza energie per liberarsi dalle costrizioni del demone, ma
può
utilizzarne una parte per mandare un messaggio all’unico
possibile
alleato nelle vicinanze, dato che il raggio d’azione del suo
potere
al momento è irrimediabilmente limitato.
“Trovala.
Dille ciò che sta
accadendo. Portala qui!” ordina imperioso, tremando per lo
sforzo
di mettere insieme quei pochi pensieri e farli arrivare a
destinazione con la forza necessaria.
Una sensazione di
gelo lo
invade improvvisamente e sa che è ormai troppo tardi per un
qualunque altro tentativo. Infine la sua coscienza lo abbandona e il
suo corpo ricade inerte poco oltre il varco dello specchio.
*
È una
creatura decisamente
particolare quella che si fa strada attraverso l’impalpabile
barriera fra le due dimensioni e, con inusitata grazia, poggia infine
sul buio terreno ai suoi piedi. A una prima occhiata non molti
penserebbero a lui come a una creatura demoniaca, men che meno una
delle più antiche e potenti, visto l’aspetto con
il quale si
presenta. I suoi occhi, leggermente allungati, hanno l’iride
del
colore dell’ametista, ma presentano la pupilla verticale
tipica dei
rettili; i suoi capelli sono lisci, lunghi fino alle natiche e
candidi come la neve appena caduta; ha le labbra sottili e pallide,
di un tenue lillà, che hanno la tendenza ad arricciarsi in
un ghigno
malevolo e dalle quali spuntano piccole zanne perlacee e acuminate;
la sua pelle dai riflessi vagamente azzurrati, non celata da alcun
genere di abito, è costellata da piccole scaglie argentee e
resistenti come diamanti; dalle scapole si spalancano due grosse ali
bianche e membranose, incrostate qua e là dalle stesse
scaglie che
ricoprono il resto del corpo, facendole apparire cangianti; le sue
orecchie terminano con una piccola punta in cima e fremono di tanto
in tanto, attratte dai rumori che solo alcuni dei suoi simili e pochi
animali riescono a percepire.
Gli occhi del
demone, colmi di
stupita malizia, vagano per il mondo oscuro nel quale è
tornato
libero. Inspira a fondo l’aria pensante del posto e sorride
per un
fugace momento, ricordando acutamente un bambino di fronte alla
vetrina di una pasticceria.
«Questo
posto è orrendo,
Mot» fa notare con sadico divertimento, spostando brevemente
l’attenzione sull’atterrita divinità
accucciata a poca distanza
da lui. «Dovresti seriamente pensare di dargli una ripulita,
di
tanto in tanto» suggerisce con disinteresse.
Mot non risponde;
si limita a
tenere ostinatamente la testa reclinata al suolo e lo sguardo
prudentemente basso, impegnandosi a non incontrare mai gli occhi del
demone e augurandosi che lo interpreti come un segno di rispetto,
anziché di ribrezzo.
Il demone, per
quanto strano
possa sembrare, riesce evidentemente a distinguere i particolari
celati dalla perenne oscurità che permea il mondo di Mot e
storcere
il naso, per nulla attratto da ciò che vede.
«Ammetto
che mi aspettavo
un’accoglienza più… come dire,
calorosa. Dove hai lasciato il
tuo caro fratellino?» chiede, vagamente incuriosito, facendo
inconsapevolmente irrigidire Mot, il quale spera vivamente che
Ba’al
non sia tanto idiota da decidere di presentarsi a casa sua proprio
ora che il demone sta testando la libertà appena ritrovata.
Fuinur
scuote il capo, un po’ contrariato per la desolazione del
posto e
per l’accoglienza ancora più deprimente.
«Sei un pessimo padrone
di casa, lasciatelo dire. Ma ti perdono: hai portato a termine
l’incarico che ti ho assegnato in modo incredibilmente
efficiente,
e questo mi dà piacere. Farò in modo di non
dimenticarlo e di
trovare il giusto premio per i tuoi sforzi» promette.
Mot assume una
sfumatura
cadaverica e smette di respirare, soppesando l’idea di farla
finita
seduta stante in modo da risparmiarsi un futuro carico di morte e
dolore. Purtroppo dentro di lui è rimasto ancora un poco di
senso
del dovere e una scomodissima dose di coscienza: lasciare il mondo
nelle mani di quell’essere è assolutamente
un’opzione da
scartare.
Tremando
leggermente a causa
della tensione, accentua il proprio inchino e, con voce smorzata e un
po’ roca, si sforza di replicare alle parole del demone, nel
tentativo di compiacerlo. «Ne sarei immensamente onorato, mio
signore. Vivo per soddisfare i vostri desideri» mormora
rispettoso.
Il demone stira le
labbra in
un ghigno ferino e le sue mani si serrano strettamente,
scricchiolando, forse desiderose di chiudersi attorno a qualcosa di
maggiormente appagante della mera aria. «È
esattamente ciò che
farai, mio caro Mot. Ma non ora; ora voglio godermi il mondo nel
quale sono nato e che mi fu strappato millenni or sono. Da troppo
tempo, ormai, manco da questi luoghi» soffia, con un lieve
moto di
reale nostalgia.
Un attimo dopo le
sue ali si
spalancano e con una vigorosa spinta lo portano velocemente lontano
da quel luogo di tenebra e desolazione, fino alla luce del sole che
ha quasi dimenticato la sua esistenza.
Mot osserva cauto
il rapido
allontanarsi del demone e rilascia un tremulo sospiro, spostando lo
sguardo allo specchio che ancora riflette il mondo alieno
dall’altra
parte. Piano, passa le dita di una mano sugli occhi e le fa scorrere
fra i capelli, incerto su come agire ma ben conscio di dover fare
qualcosa per rimediare al grosso pasticcio di cui si è reso
partecipe. Già, ma cosa fare, ora che tutto sembra perduto?
|
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Capitolo 27 *** Capitolo Ventisette ***
Capitolo
Ventisette
Trascorrono
poche ore prima che Mot venga finalmente raggiunto dal fratello. Non
se ne rende conto immediatamente, troppo concentrato nella spasmodica
ricerca della soluzione a quel disastro che si ritrova fra le mani.
Ba’al, innaturalmente silenzioso, passa alcuni lunghi minuti
a
osservare con cautela la figura prostrata del fratello, sentendosi in
colpa per averlo lasciato solo in un brutto momento come quello,
infine si fa avanti.
«Fratello»
mormora in tono
prudente e insolitamente delicato.
Pur con tutta la
sua
attenzione, osserva Mot sussultare, visibilmente scosso.
«Sei qui.
Stai bene?» soffia
Mot, incerto.
Un po’
confuso, a Ba’al
occorre qualche secondo per metabolizzare le parole del fratello.
«Sì, io… Perdonami, ho avuto qualche
difficoltà e non sono
riuscito a tornare prima» prova impacciatamente a
giustificarsi.
«Cos’è accaduto?» chiede, ora
seriamente preoccupato
dall’espressione tirata ed esausta di Mot.
«Il
peggio» ammette,
abbassando lo sguardo sconfitto.
«È…
Si è liberato?»
tenta Ba’al con apprensione. Tutto ciò che ottiene
è un cenno
d’assenso. «Cosa facciamo?» insiste,
cominciando seriamente ad
allarmarsi.
Mot scuote il capo
e si
stropiccia stancamente gli occhi, prima di provare a offrire una
risposta. «Temo dovremo cercare aiuto».
Ba’al
emette un piccolo
singhiozzo sorpreso, poi geme scoraggiato. «La figlia di
Phanês»
deduce.
«Sì,
purtroppo. Ora come ora
non vedo altre possibili soluzioni» replica con cautela.
Inoltre
quello spirito oscuro lo ha, molto poco gentilmente, esortato a darsi
una mossa e parlare con la donna, e Mot sente di dovergli almeno un
tentativo.
«È
pericoloso» protesta
Ba’al.
«Lo
so» concede Mot.
«Proveranno
a farci a pezzi»
ringhia, frustrato.
«So anche
questo» assicura
il fratello, indirizzandogli un lieve sorriso di scuse.
Ba’al
sbuffa, decisamente
contrariato, ma non trovando soluzioni migliori acconsente di
malavoglia all’idea del fratello e, insieme, recuperano il
loro
dimenticato prigioniero e partono per il Polo Nord nella speranza di
salvare il salvabile e forse anche le loro ormai misere esistenze di
reietti.
*
Non trovano neppure
il tempo
di poggiare decentemente i piedi sul lustro pavimento
dell’entrata
del palazzo che una violenta raffica di ghiaccio misto a vento,
sabbia dorata e nebbia oscura investe Mot, il quale si trovava alla
testa del piccolo gruppo, scaraventandolo brutalmente fra le braccia
del fratello che, preso decisamente in contro piede, incespica fino a
schiantarsi contro il portone di accesso.
Nel trambusto che
segue
Ouranós assesta un calcio alle gambe di Ba’al e
ritrova
definitivamente la libertà, mentre l’offeso
borbotta per il dolore
e lancia irripetibili improperi contro i marmocchi viziati. Mot si
è
accasciato inerte ai suoi piedi, evidentemente intontito dal colpo
ricevuto, e Ba’al si muove veloce, creando una barriera di
elettricità che impedisce alla seconda offensiva di arrivare
a segno
e metterli in ginocchio.
«Basta!»
esclama, irritato e
un po’ sconvolto. «Non siamo qui per creare
problemi, ma solo per
parlare» chiarisce, digrignando i denti nello sforzo di
mantenere
sollevata la barriera, dato che il fratello ancora non dà
segni di
ripresa.
«Come ti
aspetti che possiamo
crederti?» sbotta Nyx, trattenendo il figlio dietro alle
proprie
spalle, intenzionata a fargli da scudo. «Raccontane
un’altra,
forse ti andrà meglio» replica con sarcasmo.
«Avete preso mio
figlio, e poi avete preso anche
Pitch. Non siete affatto i benvenuti» ringhia infuriata,
spedendogli
contro un’altra ondata del proprio potere, sorretta dal
contributo
di Jack e Sanderson.
«Ve lo
abbiamo riportato
senza un solo graffio il dannato damerino principe del
firmamento!»
grida Ba’al, allarmato di fronte a una situazione che sembra
voler
solo peggiorare. Non può nemmeno muoversi per tentare di
scansarsi
da quell’attacco incrociato, o rischierebbe di far scoprire
il
fratello momentaneamente fuori gioco.
«Dove
avete portato Pitch?»
esclama di rimando Nyx, per nulla toccata dal tentativo di
Ba’al.
Quest’ultimo
sussulta,
inorridito dal rapido degenerare degli eventi. Se ora le raccontasse
la verità, probabilmente quella pazza lo incenerirebbe
seduta stante
senza nemmeno prendersi la briga di ascoltare il resto della storia.
“Maledetta dea della notte. Dannatissimo demone. E accidenti
anche
a me!” si rimprovera mentalmente, frustrato da quella
situazione
fin troppo scottante. Trasale quando avverte la punta delle dita
iniziare a congelarsi; la sua barriera sta cedendo e loro presto
finiranno, nel migliore dei casi, surgelati per i prossimi due o
trecento anni. “No, no, no, no…”
supplica, tremando e serrando
gli occhi per concentrarsi e rafforzare la barriera.
«No»
soffia una voce un po’
fievole a poca distanza da lui.
Ba’al si
permette un
minuscolo sospiro di sollievo, riconoscendo il tono pacato del
fratello.
«Devo
parlarvi del demone. È
importante e piuttosto urgente» continua Mot, con tutta la
calma che
riesce a metterci, nonostante sia ancora accovacciato a terra,
poggiando la schiena alle gambe del fratello.
Nyx aggrotta le
sopracciglia,
osservando con sospetto gli occhi del custode dell’oltretomba
e
scorgendovi un qualcosa di inusuale. Improvvisamente e bruscamente
interrompe l’offensiva, senza tuttavia abbassare la guardia
ma
facendo brevemente cenno all’Omino dei Sogni e allo spirito
dell’inverno di cessare momentaneamente le
ostilità.
Ba’al,
stremato, ringrazia
sentitamente la sua buona stella e si accascia a sua volta, poggiando
le ginocchia a terra e il capo sulla spalla di Mot, il quale
stiracchia un debole sorriso comprensivo e posa una mano sul suo
braccio in rassicurazione.
«Comincia
a spiegare e fai in
modo di essere molto convincente» lo ammonisce la dea della
notte,
guardandolo duramente.
*
Nyx sospira
stancamente,
massaggiandosi le tempie doloranti, imitata dai guardiani riuniti nel
salone di North. Il riassunto dei recenti avvenimenti offerto
nell’ultima mezz’ora da Mot non è
confortante: un demone libero
di vagare indisturbato per il loro mondo non è certamente da
prendere alla leggera, e Pitch ora intrappolato in un’altra
dimensione è un dolore sordo nel fondo del suo cuore.
«Si
può sapere per quale
assurda ragione non avete cercato una soluzione al problema prima
che si presentasse? E perché mai, per gli dèi,
siete arrivati ad
avvisarci solo ora, a cose fatte?» sbotta Nyx, frustrata nel
non
riuscire a scorgere la luce in fondo a quel lungo tunnel soffocante.
Ba’al
distoglie prontamente
lo sguardo e finge malamente di ammirare le decorazioni della
fabbrica di giocattoli, mentre Mot gli lancia una rapida e rassegnata
occhiata per poi risolversi a cercare di spiegare le proprie ragioni.
Prima, però «C’è modo di
poter avere una tazza di tisana
bollente? Mi sta scoppiando la testa» ammette, agitandosi
irrequieto
sulla scomoda sedia che lo ha ospitato fino ad allora.
Nicholas lo fissa
scettico.
Avrebbe una gran voglia di prenderlo a pugni, altro che tisana. Quel
tipo è il diretto responsabile della scomparsa, molto
probabilmente
della morte, di alcuni dei suoi yeti e della distruzione di
un’intera
ala del suo bel palazzo.
«Hai una
bella faccia tosta»
brontola stizzito. Ma si alza comunque, richiamando
l’attenzione di
uno dei suoi assistenti e chiedendogli di portare quanto richiesto e
qualcosa anche per tutti loro. «Ora vedi di parlare chiaro, o
qui
finiremo per perdere la pazienza» lo ammonisce severamente,
dopo che
Mot ha ottenuto la sua sospirata tisana da stringere convulsamente
fra le dita ghiacciate.
Cauto, il custode
dell’oltretomba annuisce, abbassando lo sguardo sulle proprie
mani
e radunando minuziosamente idee e ricordi. «I guai sono
iniziati
circa dodici anni fa. Inizialmente avevo davvero questa idea di
trovare un modo per riprendermi il posto che avevo perduto nel mondo.
Per anni, forse perfino secoli, ho cercato una soluzione che non
sembrava esserci. Ogni tentativo è stato vano, infatti;
nulla,
apparentemente, era in grado di darmi risultati apprezzabili e
duraturi. Un vero fallimento» ammette amareggiato.
Nyx aggrotta le
sopracciglia,
interdetta. «Quindi non era mio padre il tuo
obbiettivo?».
Mot la fissa un
momento, poi
scuote lentamente il capo. «Allora non credevo potesse
essermi
utile. Sapevo che difficilmente qualcosa o qualcuno avrebbe avuto
l’opportunità di attirare la sua attenzione,
così non ho mai
preso veramente in considerazione quella possibilità. Troppe
energie
da spendere per un progetto che con ogni probabilità si
sarebbe
comunque rivelato irrealizzabile» spiega ragionevole.
La dea della notte,
suo
malgrado, è costretta ad annuire, d’accordo con
l’analisi di
Mot. «Continua» ordina seccamente.
Mot stiracchia un
lieve ghigno
e l’accontenta. «Un giorno però, durante
le mie infruttuose
ricerche, trovai sulla mia strada una reliquia. Subito non fui in
grado di comprenderne la natura né la provenienza; quando vi
riuscii, ormai, era già troppo tardi: il danno, come si suol
dire,
era fatto» commenta amaramente.
«Di che
reliquia si
trattava?» si informa Toothiana, incuriosita.
Il custode
dell’oltretomba
sposta l’attenzione sulla fata, fa scorrere lo sguardo sul
resto
dei guardiani, delle pixies presenti e perfino di alcuni incubi
dall’aria incredibilmente fuori posto e derelitta
raggomitolati
l’uno accanto all’altro in fondo alla stanza. Un
po’ perplesso
e bizzarramente incuriosito scuote il capo, infine torna a
concentrarsi sul proprio racconto. «Uno specchio. Non era,
naturalmente, un semplice specchio; si trattava di un
portale»
rivela.
«Quello
nel quale è finito
intrappolato Pitch» avanza Nyx, comprendendo.
Mot annuisce.
«Sì, lo
stesso. Ma allora non sapevo ancora che fosse un oggetto tanto
particolare. Stavo appunto cercando di studiarne le caratteristiche
per scoprire se, in qualche modo, avrebbe potuto tornarmi utile. Fu
in quel frangente che smise di riflettere ciò che mi
circondava e
prese invece a mostrare un mondo al di fuori del mondo»
soffia,
ancora parzialmente atterrito al ricordo di quella scoperta.
Ba’al, su
una sedia accanto
a lui, si agita nervoso, lanciando di tanto in tanto occhiate incerte
e a tratti esasperate al folto uditorio riunito. Stanno perdendo una
gran quantità di tempo prezioso in nozioni assolutamente
superflue,
almeno a suo parere, quando invece potrebbero sfruttarlo per sfornare
qualche valida idea per risolvere il problema più imminente,
ovvero:
come arrestare il demone e i suoi progetti per il futuro che,
francamente, dubita siano di pace e amore per l’universo. Si
schiarisce la voce con discrezione e accenna a esprimere il suo
spassionato parere su tutta quell’assurda faccenda, ma prima
che
riesca a pronunciare anche una singola sillaba Mot gli propina un
violento pizzicotto al fianco che lo fa trasalire ed emettere un
urletto decisamente poco virile. Si volta di scatto, fissandolo in
modo truce e promettendogli, con un’unica occhiata furente,
una
vendetta sommaria e possibilmente sanguinosa. Mot riesce
incredibilmente ad aumentare la sua irritazione storcendo le labbra
in un ghigno palesemente divertito per poi tornare a prestare
attenzione al resto dei presenti.
Nyx, adocchiandoli
un po’
irritata e liberando un leggero sbuffo, interviene nel racconto, nel
tentativo di comprendere meglio i fatti e le motivazioni che hanno
guidato Mot. «Continuo a non capire per quale motivo, una
volta
scoperto di cosa si trattasse, hai tenuto nascosta
l’informazione
fino a ora. Di certo questo prolungato silenzio non può aver
giovato
né a te né tanto meno al nostro mondo».
«Evidentemente
no» conferma
Mot, torturandosi le mani e distogliendo lo sguardo. La sua titubanza
nel fornire una qualsivoglia genere di spiegazione è ormai
evidente
a tutti, ma nessuno, all’infuori del fratello, ne immagina il
motivo. «Lo avrei fatto» soffia, fremendo
d’angoscia, «se solo
ne avessi avuto l’opportunità. Purtroppo non ne ho
trovato il
tempo» tentenna, mordicchiandosi le labbra.
Un colpo di tosse,
che ricorda
fin troppo da vicino una risata malamente trattenuta, attira
l’attenzione di tutti. «Vuoi dire che negli ultimi
dodici anni non
hai trovato nemmeno dieci minuti del tuo prezioso tempo per avvertire
qualcun altro della tua scoperta?» chiede con sarcastica
incredulità
Ouranós.
Ba’al
è già pronto a
scattare in piedi e ad annodargli quella stupida lingua impertinente,
ma ancora una volta Mot lo blocca, questa volta posando delicatamente
una mano sul suo braccio. Le sue labbra sono livide e serrate
strettamente in una linea dura e sottile.
«Da
dodici anni a questa
parte, per essere sincero, non sono più totalmente padrone
della mia
esistenza. Qualcun altro la controlla al mio posto» sibila,
trattenendo a stento la propria collera.
«Cosa
vuoi dire? Chi dovrebbe
averne il controllo, se non tu stesso?» torna alla carica Nyx.
Mot posa leggero un
palmo sul
proprio petto e sospira stancamente avvertendolo tristemente
immobile. «Il demone» soffia con appena un filo di
voce.
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Capitolo 28 *** Capitolo Ventotto ***
Capitolo
Ventotto
«Non
capisco» si fa sentire, inattesa, la voce incerta di Jack,
dopo che
un lungo e scomodo silenzio ha ammantato la sala. «Se il
demone era
rinchiuso in un’altra dimensione, come avrebbe potuto
controllarti?».
«Jack ha
ragione. Il padre di
Nyx l’ha sigillato molti secoli fa: come poteva cacciare il
naso
nel nostro mondo mentre ancora era prigioniero?» obbietta
Nicholas,
corrucciato.
«Non nel
nostro mondo» tenta
di spiegarsi Mot, anche se le espressioni incerte e sospettose dei
presenti non lo incoraggiano a essere particolarmente loquace.
Nervosamente si massaggia il petto e fa vagare uno sguardo un
po’
spaesato per la stanza. Sussulta quando la mano del fratello si posa
piano sulla sua spalla, ma a quel gesto risponde comunque con un
tremulo sorriso e un impercettibile cenno di assenso. «Non
avrebbe
avuto sufficiente potere che gli permettesse di influenzare un intero
pianeta, tuttavia ce l’aveva per agire su tutto
ciò che si trovava
a breve distanza dal portale».
Nyx raddrizza la
schiena, ora
decisamente interessata, e presta maggior attenzione alle parole di
Mot, certa ormai che fra non molto potrà finalmente avere
qualche
buona risposta alle sue pressanti domande.
«Davvero?
Breve quanto?» si
interessa Toothiana.
«Pochi
metri, in realtà»
l’accontenta di buon grado Mot. «Purtroppo
più che sufficienti a
mandare alla malora ciò che rimaneva della mia
già non
particolarmente rosea esistenza» borbotta acidamente.
«Non
tenerci sulle spine e
deciditi a raccontare quel che hai da dire» lo rimprovera
Nicholas,
stanco di tutto quell’inutile tergiversare.
Così Mot
trae un profondo
respiro, affatto lieto di dover rivelare certi dettagli delle proprie
disavventure a creature verso le quali non è per nulla certo
di
poter riporre la propria fiducia, ma sapendo di non avere comunque
molte altre possibilità, a meno che non intenda tornare a
strisciare
ai piedi di quell’essere immondo e senza scrupoli.
«Prima ancora
che trovassi la possibilità di comprendere la situazione, il
demone
comparve di fronte a me oltre l’effimera barriera fra i
nostri due
mondi e…» tentenna, deglutendo tensione e
sgranando appena gli
occhi per abbassarli nuovamente sulle mani tremanti. «E si
impossessò di un pezzetto del mio cuore» mormora
appena,
illudendosi di non essere udito.
Per sua disgrazia
può
facilmente avvertire alcuni dei presenti trasalire ed emettere
bruschi respiri sgomenti nell’assimilare le sue parole.
«Ehm…
scusate, qualcuno di
voi vorrebbe spiegarmi?» chiede ancora Jack, sempre
più confuso.
Nyx, scura in volto
e con una
fosca luce negli occhi, senza mai distogliere l’attenzione da
Mot
si prende la briga di offrire allo spirito dell’inverno un
chiarimento. «Il demone ha utilizzato le sue arti magiche per
influenzare ciò che aveva a portata di mano. In pratica
immagino che
gli siano state sufficienti poche semplici parole o, addirittura, un
gesto per strappare a questo sciocco una parte del suo cuore e
conservarlo per poterne controllare il proprietario».
Mot sussulta a
quella sintesi
impietosa e stringe convulsamente le labbra ormai grigiastre e le
dita sulla tazza ormai fredda.
«Accidenti,
che tatto!»
esclama Ba’al indignato, riflettendo sul fatto che spesso il
fratello lo accusa di insensibilità, ma lui non si
è mai spinto a
insultarlo in quel modo.
La donna ghigna al
suo
indirizzo, sfidandolo silenziosamente ad aggiungere altro. Vedendolo
però affatto intenzionato a recriminare oltre, sbuffa
annoiata e
decide di proseguire. «E quindi, dopo essere divenuto la sua
docile
pedina, hai pensato bene di tenerti l’accaduto esclusivamente
per
te. Sentiamo, dunque: quanto tempo è trascorso prima che ti
rendessi
finalmente conto di avere le mani legate, che da solo non avresti
avuto alcuna possibilità di uscire da quel
pasticcio?».
Forse, dopo tutto,
non è
stata un’idea saggia presentarsi a questa gente in cerca di
sostegno, rimugina Mot, maledicendosi ancora una volta per le proprie
decisioni sconsiderate.
«Sei mesi
fa mi ha coinvolto
nel suo progetto fittizio alla riconquista del potere. Immagino che
in precedenza se la sia sempre cavata da solo» interviene
Ba’al,
stanco di vedere il fratello, bersagliato dalle parole acide degli
altri, divenire più cupo e costernato a ogni minuto
trascorso. «Non
penso tuttavia che ciò possa servirci a fare passi avanti
contro
quell’animale» fa scontrosamente presente.
«Probabilmente
no» concede
Nyx. «Ma è comunque interessante scoprire fin dove
arriva la
stupidità di certa gente» aggiunge con velenosa
cattiveria,
osservandoli entrambi sbiancare e compiacendosi oltremodo dei
risultati ottenuti. Ah, se solo ci fosse stato anche Pitch a
incoraggiarla e darle man forte, sospira affranta. E a tal proposito:
«Perché il demone ha scelto Pitch come
contropartita per poter
riottenere la libertà?» domanda con
serietà, intenzionata ad avere
spiegazioni valide.
Osserva
Ba’al agitarsi
nervosamente sul posto, poi osserva Mot che appare tutto intento a
esaminare i bordi sfilacciati della sua casacca scura ornata da fregi
argentei. Assottiglia lo sguardo nel rendersi conto che nessuno dei
due sembra desideroso di rispondere alla sua domanda. Sbuffa,
irritata per la perdita di tempo e un po’ offesa per la poca
considerazione. «Voi due non uscirete da questo posto
insulso…».
«Ehi,
questo è il mio
palazzo!» protesta Nicholas, rosso in viso per
l’indignazione.
«Silenzio,
vecchiaccio
rubicondo e sovrappeso!» ringhia Nyx, adirata per essere
stata
interrotta sul più bello del suo interrogatorio a scopo
intimidatorio. «Nessuno ha chiesto il tuo parere. E loro sono
miei
ostaggi» sibila, fissando Mot e Ba’al e soppesando
le sue opzioni.
«Posso farci quello che mi pare» aggiunge, facendo
trasalire non
solo le due sfortunate divinità ma anche il resto dei
presenti.
Ba’al,
abbastanza
terrorizzato da quella donna pazza da legare, dà
un’eloquente
gomitata al fianco del fratello per spronarlo a offrirle ciò
che
desidera, prima che lei decida di volerli usare come stuzzicadenti.
Mot ringhia e borbotta, più che altro perché la
gomitata è giunta
proprio sui lividi lasciati dal precedente scontro messo in opera al
fine di accoglierli in grande stile, ma si risolve comunque ad
annuire, comprendendo bene di non avere in mano altre carte da
giocare.
«Al
demone era necessaria una
creatura idonea; se gli fosse andato bene chiunque, probabilmente non
avrebbe esitato a provvedere allo scambio già nel momento in
cui gli
capitai fra le mani. Ma evidentemente il portale (o i suoi custodi)
non funziona in questo modo: non può essere ingannato tanto
facilmente. Inoltre il demone, non avendo possibilità di
agire su
vasta scala, per molto tempo non ha avuto modo di mettersi sulle
tracce del candidato ideale. Suppongo che abbia sfruttato il
collegamento con il sottoscritto per mettersi alla sua
ricerca».
Lo sguardo truce
che gli
indirizza Nyx lo fa annaspare per un lungo, penoso momento.
«Un
collegamento, eh?»
sibila la donna, che dall’irritazione sembra essere passata
direttamente alla rabbia. «Quindi è
così che quella creatura è
entrata in possesso delle informazioni necessarie: per tramite
tuo»
ringhia, mentre le sue dita affusolate si contraggono scricchiolando
sinistramente. «E tu, come conoscevi certi particolari? Da
dove hai
tratto le tue preziose informazioni, quelle che hai passato al demone
come farebbe un cagnolino devoto con il proprio adorato
padroncino?».
Mot serra
strettamente le
labbra e la fissa con odio, desiderando di staccarle la testa ma
purtroppo conscio di non poterselo permettere, vuoi perché
lei gli
serve per provare a sistemare il tremendo pasticcio in cui si trovano
tutti, ma anche e soprattutto consapevole che lei è troppo
potente
perfino nel caso in cui decidesse di allearsi con suo fratello nel
tentativo di eliminarla dalla faccia della Terra così come
di
qualsiasi altro mondo conosciuto e non.
«Ho le
mie fonti» borbotta,
molto più che seccato.
Il ghigno malevolo
che compare
sulle labbra di Nyx gli scatena un lungo fremito di pura angoscia.
«Ma
davvero?» lo deride lei.
«E credi seriamente che le tue preziose fonti ti sarebbero di
qualche utilità là dove molto presto
deciderò di spedirti se
continuerai a ostinarti a fare il reticente?» minaccia ben
poco
velatamente, gustandosi l’occhiata atterrita e abbastanza
terrorizzata di Mot.
«Mi
ricordi vividamente mio
padre» mormora il custode dell’oltretomba,
avvertendo il fratello
irrigidirsi al suo fianco. «Nessuno scrupolo, solo un
obbiettivo e
un buon piano per raggiungerlo senza mai badare ai costi»
riflette amaramente. Solleva gli occhi in quelli di Nyx e annuisce
piano. «D’accordo, vuoi sapere da dove ho ricavato
le informazioni
che sono servite al demone per agire? È così
semplice, in realtà:
da voi. Lo spirito oscuro ha inviato le sue sentinelle per
controllare i nostri movimenti; suppongo che il mio ingenuo
fratellino non ne abbia minimamente ravvisato la presenza, ben poco
accorto com’è. Al contrario io ne ho notato gli
spostamenti e ho
presto compreso di essere osservato» rivela acidamente.
«Non mi
hai detto un bel
niente!» protesta Ba’al, risentito.
Mot solleva un
sopracciglio,
scettico. «Che cosa, esattamente, avrei dovuto dirti? Che ci
spiavano mentre eravamo tutti intenti ad accapigliarci come due
idioti per un misero frammento di considerazione? Non essere sciocco,
fratello. Non sarebbe comunque stato utile mettertene al corrente;
anzi, molto probabilmente saresti riuscito, ancora una volta, a
complicare tutto quanto e a rovinare i miei piani. Ciò che
invece ho
fatto io è stato molto semplice: preso atto di essere
osservato, ho
a mia volta studiato le piccole spie e ho trovato presto il modo per
connettermi a loro senza che se ne rendessero conto e dessero quindi
l’allarme. In questo modo, da osservato sono diventato
l’osservatore e, attraverso i loro stessi occhi attenti, ho
potuto
studiare la situazione e il suo rapido degenerare. E lui,
attraverso me, ha visto e sentito ciò di cui necessitava e
si è
preso ciò che gli premeva per i suoi scopi e i suoi
bisogni»
spiega, stanco e amareggiato. «Fino a ieri non avevo affatto
compreso ciò di cui avesse realmente bisogno ma,
osservandolo più
da vicino, ammetto di aver tratto le stesse conclusioni del
demone».
«Sarebbe?»
sbotta Nyx,
spazientita da tante inutili parole.
«Il
vostro amico, quello che
da queste parti usano chiamare Uomo
Nero,
in realtà è
un curioso puzzle dalle più strane e disparate
caratteristiche. Può
diventare facilmente un contenitore, perfino un’arma; ma in
questo
caso era una chiave, o forse sarebbe più corretto definirlo
un
biglietto di sola andata. E ha funzionato: ha sbloccato le custodie
del portale con una semplicità disarmante, poi il demone
deve averle
confuse in qualche modo, così che mentre la chiave apriva
l’accesso
all’altra dimensione il demone avesse il tempo di sgusciarne
fuori
indisturbato. Ecco qua» soffia Mot, allargando le braccia a
sottolineare l’attuazione del diabolico piano del demone.
«”Ecco
qua” un
accidente!» strilla Nyx, saltando in piedi e facendo
indietreggiare
gli astanti. «Quella creatura gira a suo piacimento nel
nostro
mondo, ora, e la colpa è solo tua. Idiota!» sbotta
a pochi
centimetri dal suo naso, calando poi un pugno sulla sua testa a
sottolineare quanto vuota essa sia.
Mentre Mot si
massaggia
mestamente il capo e Ba’al picchietta comprensivamente una
mano
sulla sua spalla, i guardiani, le pixies e tutti gli altri presenti
si guardano l’un l’altro con ansia, senza sapere
cosa aspettarsi
dopo lo spettacolo al quale hanno appena assistito e le parole che lo
hanno preceduto e che non sono state affatto rassicuranti.
«Madre»
bisbiglia cautamente
Ouranós.
«Cosa?!»
scatta Nyx, che al
momento si sente decisamente fuori fase (più del solito, in
ogni
caso).
«Credo
dovremmo avvertire gli
altri, che si preparino a un probabile scontro» suggerisce
ragionevolmente.
Nyx soppesa la
proposta del
figlio, tamburellando un piede a terra con le braccia strettamente
incrociate sotto il seno. Sposta lo sguardo all’intorno,
cercando
di farsi un’idea sulle loro probabilità, infine
sospira. «Molto
bene, procedi pure. Eresseie penserà al popolo fatato.
Tenetevi in
contatto e aggiornatemi sugli sviluppi» decreta. Poi si
allontana
dal centro del salone, diretta al gruppo di incubi radunatosi
nell’angolo più lontano e dà un gentile
strattone alla criniera
di Epiales. «Accompagnami» mormora in modo che sia
lui solo a
udirla.
«Madre»
interviene
nuovamente Ouranós. «Che cosa hai intenzione di
fare?» indaga
preoccupato.
Lei lo fissa a
lungo,
accarezzando distrattamente il collo affusolato dell’incubo
al suo
fianco, poi sposta lo sguardo sui due fratelli ancora seduti e
apparentemente troppo scossi per pensare di far parte di un qualunque
piano d’azione. D’un tratto sul suo volto pallido
si spalanca un
ghigno macabro e foriero di sventure che fa accapponare la pelle a
tutti, persino agli incubi. «Credo che prenderò
questo incubo,
quelle due zucche vuote inchiodate alle sedie e che farò un
piccolo
viaggio fino al mondo oscuro dove abita il nostro custode
dell’oltretomba. Credo anche che, una volta scovato il
portale,
troverò il modo per accedere a quella stupidissima
dimensione. E
credo proprio che mi riprenderò ciò che mi
appartiene e poi
prenderò a calci quel maledetto demone che ha avuto il
malaugurato
ardire di portarmelo via» sibila minacciosa, adocchiando
ognuno dei
presenti e sfidandoli a contraddirla. «Tutto
chiaro?» sibila,
ricevendo frettolosi cenni di assenso. «Qualche
obiezione?» si
accerta, stavolta ottenendo rapidi e convinti cenni di diniego.
«Molto bene. Tenetemi aggiornata sugli sviluppi»
ordina perentoria,
prima di avanzare risoluta e a grandi passi verso i due fratelli,
afferrare Mot per i capelli e trascinare entrambi fuori dalla sala.
«Muoversi!» sbotta, prima di svanire avviluppata
dalla notte in
compagnia di un incubo e due divinità decisamente
recalcitranti.
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Capitolo 29 *** Capitolo Ventinove ***
Capitolo
Ventinove
«Ahi,
ahi! Fermati, mi fai male, donna» si lagna Mot, strattonato
qua e là
da Nyx e seguito a ruota dal fratello che però è
troppo occupato a
sghignazzare per trovare anche il tempo di accorrere in suo aiuto.
«Tu
chiamami donna
in quel modo ancora una volta e ti prometto che do fuoco a te e ai
tuoi capelli» replica Nyx, con pochissima pazienza ma una
massiccia
dose di irritazione.
Epiales
è in coda alla
ristretta comitiva e di tanto in tanto non può fare a meno
di
scuotere il capo, desolato di trovarsi in mezzo a gente che non
sembra in grado di convivere civilmente nemmeno mezzo minuto senza
saltarsi alla gola. Si chiede se ci sia realmente qualche concreta
possibilità di ritrovare il loro padrone e, se
così fosse, in che
condizioni. Soffia una grigia e triste nuvoletta e trotterella
incontro alle tre divinità svitate, sperando che almeno una
delle
tre abbia idea di dove stiano andando.
«Non puoi
avere accesso al
mio mondo, a meno che tu non sia accompagnata o invitata»
tiene a
precisare Mot.
«Oppure
che tu abbia almeno
una parte di sangue in comune» aggiunge Ba’al per
dovere di
cronaca, guadagnandosi un’occhiata furente dal fratello ma
rispondendo con un’alzata di spalle poco partecipativa.
«Ottimo.
Quindi posso
staccarti la testa e usarla come lasciapassare» esclama
allegramente
Nyx, gustandosi la sfumatura verdognola assunta da Mot.
«Preferirei
aprire i cancelli
con le mie mani, se per te è lo stesso» gracchia
in risposta.
«A me
basta raggiungere
quello stupido specchio» replica acida. «Di quello
che vorrai fare
della tua vita gretta e miserevole in seguito sono unicamente affari
tuoi. L’importante è che eviti di starmi fra i
piedi» conclude
cupamente.
«Senz’altro»
assicura,
annuendo più che convinto. D’un tratto si blocca,
sibilando a
causa delle dita di Nyx ancora saldamente aggrappate ai suoi capelli
con caparbia ostinazione, afferra il fratello per un polso e osserva
brevemente l’incubo piantare di nuovo i denti nel braccio
libero di
Ba’al. Scuote appena la testa, crea attorno a loro una bolla
scura
e trasferisce tutti all’interno del suo dominio.
«Benvenuti»
borbotta seccato, strattonando il capo per liberarsi finalmente dalla
stretta di Nyx. «Fate pure come foste a casa
vostra» strascica
svogliatamente, facendo un passo indietro e ruotando prudentemente il
collo per sgranchirsi un po’.
Lì, a
poca distanza dalla
coda di Epiales, si mostra finalmente il portale, nella sua consueta
forma di antico specchio.
*
Una stilettata
infuocata, che
sembra conficcarglisi in un fianco, lo ridesta bruscamente facendolo
annaspare. Si scansa rapido e si guarda attorno, scoprendo in questo
modo che la sensazione di doloroso bruciore non era semplice
impressione, ma evidente realtà (se di realtà si
può parlare,
considerato che quel luogo
non dovrebbe neppure esistere).
Una piccola
creatura tutta
aculei e fiamme si appressa con imprevista rapidità e Pitch
si
riscuote da torpore e sconcerto, indietreggiando e affibbiando un
calcio deciso al tipetto poco rassicurante, spedendolo a ruzzolare
fra gli arbusti pietrificati poco lontani. Celere si rimette in
piedi, si attarda in una breve ispezione del luogo affatto ameno e
decide presto di arrampicarsi su di un’altura a breve
distanza
nella speranza di farsi un’idea più precisa sulle
condizioni di
quel nuovo ambiente.
È
arrivato in cima da qualche
minuto, ormai, ed è intento a osservare ciò che
gli mostrano gli
occhi spaziando sul paesaggio che si estende ai suoi piedi: pietra e
rocce, per lo più. Non tutte grigie, a voler essere sinceri,
molte
sono invece quarzi colorati o qualcosa di simile, ma nessuna vera
presenza di acqua, né ovviamente di piante. Quelle che lo
sembravano
sono al contrario elaborate sculture di roccia. A destra, sul suo
orizzonte, può intravvedere del fumo uscire dalla cima di
un’altra
altura: vulcani, quindi.
«Grandioso:
pietre, lava,
animaletti pungenti, ancora rocce… Un posticino adatto a un
bel
pic-nic» bercia disgustato ma anche piuttosto impensierito.
Il cielo sopra la
sua testa
ora è quasi bianco, nessuna nuvola in vista, ma in alto,
quasi allo
zenit, due sfere luminose emanano un bagliore lattiginoso e un
discreto tepore. Le sue labbra si storcono in una smorfia
amareggiata. Il posto non è certo dei più
ospitali e la voglia di
esplorare caverne per sottrarsi alla luce eccessiva non è
poi molta;
quante probabilità ci sono che incappi in qualche altra
simpatica
creatura, felice dell’opportunità di staccargli
una gamba (o
entrambe) a morsi? E chissà se qualcuna di loro è
in grado di
provare un qualsiasi genere di sentimento, oltre al basilare impulso
di mera sopravvivenza. Invero si augura che così sia, o
finirà con
il languire in quel postaccio disgraziato, privo di una qualunque
fonte di sostentamento. Sospira, pensando che dopo tutto la Terra era
mille volte più accogliente e che, tutto sommato, avrebbe
davvero
desiderio di farvi ritorno; buffo, considerato che sarebbe stato
più
che pronto a levare le tende solo qualche settimana prima, avendone
l’opportunità.
Un fruscio fuori
posto lo
distrae dai suoi malinconici pensieri: volta le spalle, incerto, e
scarta bruscamente di lato per evitare di essere investito da
un’altra di quelle assurde creature. “Questa qui
vola” pondera
sconcertato. Brutta, bruttissima notizia: dovrà
necessariamente
tenere gli occhi ben aperti per il futuro.
«Questa
me la paghi»
ringhia, annotandosi l’ennesima disgrazia per il giorno in
cui Mot
ricapiterà sulla sua strada.
*
Al momento Mot
è ben deciso a
mantenere una buona distanza dalla dea della notte che da qualche
minuto è intenta a maledire lo specchio che le si trova di
fronte,
reo di non concedere nemmeno un briciolo di collaborazione alle tre
divinità lì radunate.
«Perché
non mi mostra altro
che noi e il tuo orribile mondo?» sbotta Nyx, frustrata.
Mot si morde la
lingua per
evitarsi di risponderle per le rime. È incredibilmente
stanco di
ascoltare le parole denigratorie di chiunque capiti nella sua
dimensione e si senta in dovere di criticare il posto a cui
appartiene. Quella è casa sua e nessuno è stato
invitato per il suo
piacere; per quale ragione, dunque, devono costantemente offendere la
sua creazione?
«Non ne
ho idea» ribatte
succinto.
Nyx gli lancia
un’occhiata
inceneritrice, digrigna i denti e torna a voltarsi verso lo specchio
che, imperterrito, seguita a riportarle il suo riflesso. Le ha
provate tutte per convincerlo a mostrarle quell’altra
dimensione,
ma ogni suo sforzo è stato vano e del mondo in cui
è racchiuso
Pitch non ha potuto scorgere neppure un misero frammento. Sospira,
esausta, e si siede a terra continuando a osservare il portale e a
ponderare sulla maniera per aggirarlo. Deve riuscirci in qualche
modo, non può lasciarlo lì dentro. Non
è neppure in grado di avere
la certezza che lui esista ancora, ma se ci fosse anche solo una
possibilità che sia così, allora dovrà
trovare la chiave per farlo
uscire. Già, ma come?
«Credo
che tuo padre potrebbe
essere in grado di farlo funzionare» suggerisce a un certo
punto
Mot, notando che la donna sembra essere a corto di idee e speranze.
Nyx sbuffa senza
però
metterci troppo astio. «Non è qui per
ragguagliarci, al momento»
borbotta indispettita.
«Potresti
provare a
richiamarlo, allora. Lo ha creato lui, dopo tutto, e saprà
di certo
come riaprirlo» insiste Mot.
Nyx volta il capo,
lo fissa
seccata e si imbroncia leggermente. «Non mi darebbe retta.
Non l’ha
mai fatto» sibila cupamente.
Mot sospira e si
agita un po’
nervoso. «Evidentemente non prestava ascolto. Ma questa
è una
situazione un po’ più problematica. Forse se
insistessi
riusciresti a infastidirlo a sufficienza da attirare finalmente la
sua attenzione».
Il ghigno
sarcastico che
compare sulle labbra della donna non promette bene. «Vuoi
dire che
dovrei trasformarmi in un petulante e capriccioso moccioso bisognoso
di attenzioni?».
Il custode
dell’oltretomba
si lascia sfuggire un sorrisetto impertinente. «Se servisse
allo
scopo, non vedo perché no. In fondo, come usano dire i
mortali: a
mali estremi, estremi rimedi».
Nyx sbuffa ma,
questa volta, è
più divertimento che contrarietà.
«Molto bene» decide. Con tutta
calma si rimette in piedi, chiude per un lungo momento le palpebre,
raccoglie un profondo respiro e… inizia a strillare e
pestare i
piedi a terra, costringendo Mot e Ba’al a tapparsi le
orecchie per
scongiurare la sordità perenne. Perfino la lucida superficie
del
portale si increspa come l’acqua di uno stagno in un giorno
ventoso, quasi in protesta di tanto fracasso.
Ba’al
adocchia Mot con
disagio, Mot si lascia sfuggire un lieve sorrisetto e
un’alzata di
spalle. Entrambi rimangono fermi in attesa di scoprire chi si
stuferà
prima: Nyx senza più fiato nei polmoni, oppure
Phanês con i timpani
danneggiati.
Il responso finale
giunge nel
momento in cui l’oscurità attorno a loro va
letteralmente in
pezzi, spazzata via da una luce violenta che porta con sé un
vago
tepore e una nuova creatura. Mot è stato costretto a serrare
gli
occhi delicati e schermarli dietro le mani, ma ha visto a sufficienza
da sapere che questa scommessa è stata appena vinta da Nyx.
«Per
tutti gli dèi, si può
sapere che cosa ti è preso, figlia degenere?»
sbotta il nuovo
venuto con sguardo allucinato.
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Capitolo 30 *** Capitolo Trenta ***
Capitolo
Trenta
Nyx
s’è fatta scura in volto e ha tutta
l’aria di essere a un passo
da una catastrofica esplosione di rabbia. Ringhia, e Ba’al
sussulta
e afferra Mot per la vita, allontanandolo precipitosamente da quei
due.
«Che cosa
è preso a me?»
sibila in tono basso e pericoloso la donna, scatenando un tremito
angosciato nei due fratelli che, seppur lontani, si sentono ancora
troppo esposti. «Sei folle? Un dannatissimo demone vecchio di
migliaia di anni e vendicativo è appena evaso dalla
dimensione in
cui lo avevi rinchiuso e tu te ne sei fregato! Ho dovuto
letteralmente dare di matto per smuoverti dal tuo mondo immaginario e
dalle tue futili occupazioni! E tu vieni a chiedere a me che cosa mi
è preso?» grida a tutto volume.
Phanês in
tutto questo non ha
battuto ciglio e la osserva con una nota di curiosità, quasi
avesse
di fronte a sé una nuova specie di creatura mai vista, della
quale
studiare le caratteristiche. In compenso non sembra per nulla toccato
dalla novità appresa da lei.
«Francamente
non vedo motivo
di fare tanto chiasso per un singolo demone. Se è stato
esiliato una
volta sarà senz’altro possibile farlo
nuovamente» commenta con
disinteresse.
Nyx al contrario
sembra più
che mai desiderosa di saltargli al collo e farla finita una volta per
tutte. In fondo nessuno ha mai sentito la necessità di
averlo fra i
piedi; chi vuoi che si accorga se lei lo fa fuori. Sorride di un
sorriso maligno.
«Sai, tu
sei mio padre e di
te credo di conoscere più di quanto possa dire chiunque
altro in
questo o in altri mondi. Voglio fare una scommessa con te: se vinco
io ascolterai ciò che ho da dire e ci aiuterai a rimettere
il demone
al suo posto; se al contrario dovessi vincere tu… beh, sarai
tu
stesso a stabilire la tua condizione».
Lui la osserva, ora
incuriosito. «Non desidero nulla, né da te
né da alcun altro. Mi è
sufficiente poter tornare a occuparmi unicamente dei miei
pensieri»
offre accomodante.
«Così
sia» decreta Nyx,
allargando l’inquietante sorriso. «Scommetto che
non hai la più
pallida idea di quanto tempo sia trascorso da quando il demone
è
stato da te esiliato nel mondo che hai creato per lui».
Phanês
aggrotta la fronte,
evidentemente preso in contropiede. «Tempo? A che scopo
dovrei
tenere il conto del suo trascorrere? Il mio tempo è
infinito»
replica, interdetto dalla strana domanda postagli dalla figlia.
Il brillio oscuro
che
scintilla sinistramente negli occhi della dea innervosisce questa
volta tutti i presenti, suo padre compreso. «Questo, credo,
decreti
in maniera inoppugnabile la mia vittoria, padre. Comunque, caso mai
la notizia possa avere una qualche attrattiva o rilevanza ai tuoi
occhi, il conteggio complessivo è di circa settemila
anni… anno
più, anno meno» offre sorniona, gustandosi lo
sconcerto di ogni
anima presente e perfino di quelli che un’anima non ce
l’hanno.
«E ora ti chiedo la cortesia di voler tenere fede al
patto» gli
rammenta, mentre il ghigno vittorioso scompare sommerso
dall’impazienza. «Per prima cosa» ringhia
con furia, additando lo
specchio lì a fianco «riapri il portale»
ordina categorica.
Lui la fissa
confuso. «Ricordo
tu abbia asserito che il demone fosse fuggito» tenta incerto.
«L’ho
detto» afferma
asciutta. «Ed è fuggito imbrogliando le tue
guardie e scambiando sé stesso con qualcun altro»
sbotta, seccata e
impaziente per l’inutile perdita di tempo. «Io
rivoglio quel
qualcuno e tu
mi aiuterai a riaverlo» esclama fissandolo minacciosa.
«Molto
bene» accetta Phanês
con un soffio, già ampiamente stremato dalla discussione.
«Sia
fatta la tua volontà».
*
A sue spese, Pitch
scopre che
in quel mondo assurdo esistono cose
ben peggiori di un intrico fiammeggiante con le ali; creature
più
grosse di lui e, apparentemente, munite di artigli decisamente troppo
affilati per i suoi gusti. Così ora, poiché
è deciso più che mai
a evitare di sprecare preziose energie, si aggira tetramente fra le
sculture pietrose con la veste che ciondola a brandelli, e deve
ringraziare unicamente la sua agilità e prontezza di
riflessi per
non aver riportato danni ben peggiori.
«Che
schifo di posto»
borbotta cupamente, strattonando con stizza un lembo di veste
impigliatasi in alcuni spuntoni di roccia.
Chissà,
forse dovrebbe
seriamente riflettere sulla possibilità di rinnovare il suo
abbigliamento; magari qualcosa di più pratico ed essenziale.
La
raccapricciante immagine di una nera tutina aderente in spandex
cangiante lampeggia fugace nella sua mente e lui rischia di
inciampare in una crepa, si fa verde di orrore e scuote il capo con
decisione per scacciare l’idea e ogni sua minima traccia
dalle
profondità del suo cervello.
«Non sto
bene, affatto. È
questo posto, per forza» tenta di rassicurarsi, deglutendo a
vuoto,
deciso a non prendere in considerazione l’idea di dover dire
definitivamente addio alla sua sanità mentale.
C’è
troppa luce. È
pallida, ma non a sufficienza; riesce comunque a farlo sentire stanco
e confuso, e questo è male. Un istante dopo spalanca gli
occhi e
balza in alto mentre la formazione rocciosa su cui stava camminando
va in frantumi, disintegrata da una figura che poco prima non
c’era:
una figura vagamente umana, questa volta. Rapido rispolvera la spada
e atterra con leggerezza poco più in là, ponendo
la lama di
traverso a protezione e studiando criticamente la nuova presenza.
«Chi
sei?» tenta, curioso di
capire se questa disponga di una mente sufficientemente sviluppata da
comprendere il linguaggio umano.
Ottiene un ghigno
che cataloga
immediatamente come derisorio, poi una lieve risata.
«Conoscere
il mio nome non ti
sarà utile dove sto per spedirti, mostro» replica,
per nulla
rassicurante.
Pitch inarca un
sopracciglio,
sorpreso e leggermente offeso. «Mostro a me?»
ringhia, soppesando
per un breve momento l’idea di ributtargli contro le sue
stesse
parole: “Tu che cosa saresti, quindi?”. Invece
indurisce lo
sguardo. «Sei tu che vivi in questo luogo. Sono certo avrai
notato
che c’è di peggio in giro» rimarca senza
abbassare la guardia.
“Ti basterebbe darti un’occhiata allo specchio, per
esempio”
pensa acidamente.
«Può
darsi» concede, «ma
sei qui: questo fa di te il mio principale obbiettivo».
Un lieve sussulto
è tutto ciò
che si permette a quella considerazione. «Il tuo obbiettivo
è appena fuggito usando me come lasciapassare»
sibila contrariato.
«Ci terrei a farti notare che se questo è il tuo
lavoro lo fai in
modo pessimo».
E sì,
è perfettamente
cosciente di aver appena finito di insultare una creatura nata
probabilmente per dare la caccia a coloro che vengono sigillati in
altre dimensioni, ma la sua frustrazione è salita a picchi
preoccupanti di recente e non è riuscito in alcun modo a
frenare la
lingua.
«Bene per
lui, male per te»
commenta sinteticamente il cacciatore.
“Ecco,
appunto” mugugna
dentro di sé con un certo astio. Il lato positivo
è che il
cacciatore non sembra particolarmente agile né veloce. Forse
può
dipendere dal fatto che il suo corpo è ricoperto da una
sorta di
pesante armatura che, a prima vista, sembrerebbe un carapace. Il lato
negativo è che, come scopre velocemente, non è il
caso di
accostarglisi troppo, poiché emana una quantità
di calore
considerevole, tanto che potrebbe facilmente rischiare di incenerirlo
se solo riuscisse ad afferrarlo. Ma Pitch non ha la minima intenzione
di lasciarsi intrappolare da quel tipo caloroso,
invece decide sia giunto il momento di abbandonare il campo e,
rapido, scatta via guadagnandosi un’imprecazione frustrata la
cui
eco man mano si affievolisce fino a sfumare nel nulla.
«Posto
orribile. Abitanti
decisamente peggiori» sbuffa, risalendo a lunghe falcate
un’erta
scoscesa nella speranza di avere un po’ di pace, almeno per
qualche
tempo.
*
Epiales, ben deciso
a rimanere
al riparo nel buio fintanto che Phanês si trova nei paraggi,
è
barricato alle spalle di Mot il quale, al momento, indossa un
improbabile paio di occhiali da sole molto vintage e a sua volta
scruta l’andazzo da dietro la protezione offerta
dall’ampia
schiena del fratello. Epiales sbuffa e Mot annuisce convinto,
assolutamente concorde con i pensieri dell’incubo.
Ba’al,
scrutando la coppietta alle proprie spalle, scuote la testa desolato
e torna a seguire gli sviluppi dello scontro fra Nyx e suo padre.
Phanês si
avvicina allo
specchio, senza un solo grammo di fretta, e sfiora la cornice con un
lievissimo tocco dei polpastrelli, accendendo una serie di fregi, a
prima vista caratteri appartenenti a un qualche linguaggio arcaico
ormai ampiamente caduto nell’oblio. Nyx socchiude le labbra e
assottiglia le palpebre, impaziente ma anche curiosa di scoprire cosa
accadrà di lì a poco. Finalmente il portale
smette di rimandare le
loro immagini riflesse e, al loro posto, mostra un mondo delle
sfumature del viola.
«Eccolo»
mormora Mot a
disagio.
Nyx distoglie per
qualche
momento lo sguardo dal portale e lo sposta sul custode
dell’oltretomba, il quale annuisce impercettibilmente,
confermando
i suoi sospetti e regalando un altro po’ di speranza alla dea
della
notte.
«Bene.
Puoi tenerlo aperto?»
domanda, pratica.
Phanês la
scruta brevemente.
«Posso, ma unicamente dall’esterno. Non mi
è dato di controllarne
i flussi dall’altra dimensione, poiché non vi
appartengo» spiega
paziente.
«Oh, non
ha importanza.
Intendo entrare io stessa» replica Nyx, voltandosi di nuovo
indietro. «Vieni con me, Epiales» ordina.
L’incubo
la fissa allarmato,
sposta l’attenzione su Phanês e appiattisce le
orecchie
all’indietro, scalpitando nervoso.
Nyx rotea gli
occhi, seccata.
«Non ti sfiorerà nemmeno con un dito, se
è di questo che ti
preoccupi» decide di rassicurarlo, scoccando
un’occhiata di
avvertimento a Phanês che però si limita a fare
spallucce,
totalmente disinteressato al dramma dell’incubo spaventato.
«Muoversi!
Non ho tutta la
vita davanti» sbotta Nyx spazientita.
«Tecnicamente…»
prova
Phanês.
«Non una
parola!» ruggisce,
interrompendolo rudemente, irritata da tanta indecisione.
Possibile si siano
messi tutti
d’accordo per farle sprecare tempo? A nessuno, oltre a lei,
importa
di un intero pianeta sull’orlo di un grave pericolo e di
Pitch
bloccato in un mondo sbagliato? Eppure credeva che almeno ai suoi
incubi sarebbe interessato il destino del loro padrone. E quei due
impiastri buoni a nulla di Mot e Ba’al, aveva avuto
l’impressione
che fossero pentiti per aver contribuito alla liberazione del demone.
Chissà, forse si è solo illusa. Stanca di
attendere, con passi
decisi raggiunge il terzetto, acciuffa il recalcitrante Epiales per
la criniera e lo strattona volente o nolente verso lo specchio.
«Rendetevi
utili e restate a
guardia del portale. Tornerò il più in fretta
possibile» afferma,
rivolta ai due fratelli e, dopo un’ultima occhiata di
ammonimento
al padre, si addentra nella dimensione dalla quale è evaso
il
demone, sperando di riuscire a ritrovare Pitch e riportarlo sulla
Terra tutto d’un pezzo.
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L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
A
costo di sottolineare l’ovvio: il capitolo trenta non
è la conclusione di questo racconto (purtroppo per me,
aggiungerei).
La questione è che, in corso d’opera, si sono
aggiunti più
particolari (e problemi) di quanti ne avessi preventivati
inizialmente, così ho necessariamente dovuto dilungarmi, sia
nei
fatti che nelle spiegazioni. Ci sono perfino alcuni personaggi in
più
rispetto a quanti me ne ero figurata al principio (uno di questi
è
comparso a tradimento e senza chiedermi autorizzazione , e si
è
perfino permesso di ritagliarsi il suo pezzo di palcoscenico
così, a
suo insindacabile giudizio… tzé!).
Di
fatto, i capitoli rimanenti saranno circa una decina. Al momento sto
terminando il trentanove e, mi pare, si sia quasi giunti
all’epilogo
ormai. Sono fiduciosa, quindi. Incrocio le dita e minaccio una buona
quantità di divinità assortite
affinché si decidano a mollare la
presa.
A
presto e grazie a tutti coloro che seguono Cháos!
Roiben
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Capitolo 31 *** Capitolo Trentuno ***
Capitolo
Trentuno
Le
stelle, o qualunque cosa sia ad agire da fonte di luce per quel
mondo, pare stiano declinando verso un tramonto che rende tutto un
po’ azzurrognolo. Non ha incontrato altre creature poco
amichevoli,
e di questo è immensamente grato; per contro avverte un
principio di
infiacchimento e teme che dipenda da quel posto e dal fatto che
lì
perfino le basilari emozioni siano aliene tanto quanto le creature
che vi risiedono, e non possano dunque contribuire a risanare la sua
fame.
Non ha idea di quanto a lungo sarà costretto a rimanere
confinato lì
dentro, e inizia a comprendere fin troppo chiaramente il motivo per
il quale pochi fra i demoni che vi sono stati sigillati siano
riusciti a sopravvivere, considerando che le alternative sono solo
due: languire d’inedia e noia, oppure trovarsi a dover
sfidare
l’ignoto e rischiare in ogni momento di finire in pasto a uno
qualunque dei mostriciattoli famelici che si aggirano lì
attorno.
Nemmeno a dirlo, nessuna delle due opzioni gli pare allettante.
Chissà se riuscirà ad adattarsi alle
novità del luogo abbastanza
velocemente da poter tornare in forze oppure finirà sbranato
ben
prima, si interroga acidamente. Sbuffa. Non è trascorso
neppure un
giorno (se di giorni ancora si può parlare, dopo tutto) e
già si
sta piangendo addosso come una povera, sfortunata donzella.
“Se
questo non è patetico” riflette, osservando il
cielo virare
all’indaco. Forse dovrebbe prendere in considerazione la
possibilità di iniziare a cercarsi un rifugio per la notte;
non ha
idea se sia vivibile come lo è sulla Terra, una volta calata
l’oscurità. Tuttavia la prospettiva di esplorare
anfratti e
caverne alla mezza luce di un imbrunire ormai alle porte non lo
alletta particolarmente; quasi quasi preferirebbe surgelarsi
all’aperto ma con una buona visuale su potenziali minacce.
Poi
riflette che, in effetti, non è detto che quel cielo
estraneo
disponga di un qualche genere di illuminazione notturna, e di certo
lui non è solito portarsi appresso fonti di luce tascabili.
Arriccia
il naso in una smorfia contrariata al solo pensiero:
“Figurarsi,
l’Uomo Nero che se ne va a passeggio con una lampada. Quando
mai?”.
È
proprio mentre riflette sul
da farsi che i suoi occhi intercettano un movimento inatteso
all’orizzonte; osserva con maggior attenzione e
ciò che individua
non gli va per nulla a genio: un intero stormo di animaletti
dalle intenzioni palesemente poco amichevoli si sta rapidamente
dirigendo incontro al punto in cui si trova lui. Sperava di avere un
po’ di tranquillità, ma la pausa fra uno
spiacevole incontro e
l’altro è purtroppo durata un’inezia, o
per lo meno tale è ciò
che ha percepito. Si rimette dunque in piedi, osserva ancora per un
momento l’ultima novità che si sta velocemente
appressando, si
guarda intorno individuando presto la via più breve per
abbandonare
il suo momentaneo rifugio e, dopo un fugace sospiro rassegnato, si
allontana addentrandosi in un folto intrico di concrezioni rocciose
alla ricerca di un nuovo posto tranquillo e augurandosi che le
ramificazioni attorno a lui possano rendere difficoltoso un eventuale
tentativo di attacco diretto. Ciò che però non si
aspettava è di
trovarsi poco dopo di fronte a una figura imponente, sbucata
apparentemente dal nulla, dall’aspetto di un enorme leone,
azzurro
e con gli occhi fiammeggianti.
«Questo
posto diventa sempre
più assurdo» bercia a bassa voce, studiando
cautamente l’animale,
o quello che appare come tale.
«Cosa
sei?» chiede
improvvisamente una voce profonda che proviene da quello che Pitch
non è più troppo sicuro di poter ritenere un
semplice animale,
seppur di taglia extra-large.
«Uno
spirito» replica
guardingo, senza mai staccare gli occhi da quelli della creatura.
Creatura che alle
sue parole
di spiegazione assottiglia lo sguardo e snuda zanne lunghe quanto un
suo braccio. Pitch deglutisce a disagio ma non azzarda a fare una
mossa, non senza conoscere le intenzioni né le
potenzialità di ciò
che gli si para di fronte.
«Non
dovresti trovarti qui»
lo ammonisce la creatura con tono duro.
Con una smorfia
amareggiata
serra le labbra e tacita un ringhio esasperato. «Ne sono
piuttosto
consapevole. Non mi trovo qui per mia scelta, tuttavia» fa
notare,
asciutto.
La cosa
avanza di un passo e Pitch, ancora immobile, ha un fremito che sa
molto di disperazione. Che fare? Se ora tentasse di fuggire potrebbe
ritrovarsi diritto nelle poco accoglienti fauci di quel gatto troppo
cresciuto. Mentre pondera sulle proprie possibilità e sul
proprio
incerto destino, maledicendo la sua sorte avversa, il suo sgradito
interlocutore solleva repentinamente uno sguardo affatto lieto al
cielo ormai livido ed emette un sordo brontolio minaccioso.
«Arpie»
ringhia, e i suoi
muscoli si gonfiano.
Pitch trattiene il
fiato e
indietreggia lievemente. Un fruscio distrae per un attimo la sua
attenzione e un attimo dopo piume piovono dal cielo mentre le zampe
del leone fanno a fette gli sfortunati volatili che si erano
avvicinati troppo alla fiera.
«Odio le
arpie» brontola il
leone.
«Mh»
soffia Pitch in un
ansito appena udibile, ora tremando visibilmente perché non
è
affatto riuscito a scorgere i movimenti del leone quando ha fatto a
pezzi i visitatori piumati. Chissà, forse non
avrà la fortuna di
vedere una nuova alba, questa volta.
*
Sono
così vicini l’uno
all’altro che, nell’oscurità, sembrano
un unico grumo
fuligginoso e vibrante. Ba’al si muove irrequieto sul posto,
facendo vagare in continuazione lo sguardo tra Phanês e il
fratello;
Mot invece respira a stento e fissa senza quasi batter ciglio la
scintillante figura ferma al fianco dello specchio. Nessuno dei due
osa aprire bocca, uno troppo nervoso per trovare parole sensate da
dire, l’altro troppo sorpreso, incredulo di trovarsi davvero
di
fronte a quel
dio.
Phanês,
dal canto suo,
osserva entrambi con una punta di curiosità e il resto
dell’ambiente
con malcelata disapprovazione.
«Orbene,
temo di non avere il
piacere di conoscere i vostri nomi» prova allora ad attaccare
bottone, stanco di quell’atteggiamento cupo che gli provoca
spiacevoli sentimenti cui non è per nulla avvezzo.
Mot sgrana gli
occhi e smette
del tutto di respirare, Ba’al invece si schiaffa il palmo di
una
mano sul viso e scuote il capo, poi dà una leggera spinta al
fratello perché si decida a dire qualcosa. Così
Mot riprende a
respirare, scocca un’occhiata risentita al fratello e
incrocia le
braccia, sbuffando.
«Credevo
dovessi sapere tutto
di tutti, tu» recrimina, un po’ deluso.
Phanês lo
fissa con aperta
sorpresa e, contro ogni buon senso, ridacchia.
«Mi hai
forse scambiato per
una comare pettegola? Non sono è mia abitudine farmi gli
affari
degli altri, tutt’altro direi. Conosco il mondo, questo
sì; so
come funziona, come farlo funzionare, perfino come fare in modo che
smetta di funzionare. So come creare la vita e come
toglierla».
Mot sussulta, colto
alla
sprovvista da una constatazione avanzata con una candida
semplicità
che stona decisamente con il significato delle parole appena udite.
«È
possibile ch’io sia
male informato, ciò nonostante avevo avuto
l’impressione tu fossi
latore di luce e vita, piuttosto che dispensatore di morte»
replica
incerto.
E Phanês
sorride di un
sorriso un po’ particolare, quasi paterno.
«Così dicono, amico
mio. Ma la vita e la morte fanno parte di un unico ciclo. Inoltre
dimentichi che questo» fa presente, picchiettando lievemente
una
mano sulla cornice dello specchio «l’ho creato io,
e non
certamente per regalare un giardino di piaceri a chi vi ho sigillato
all’interno».
Il custode
dell’oltretomba
deglutisce, ora decisamente a disagio per la piega spiacevole presa
dalla conversazione. «Temo allora di essere stato male
informato, in
questo caso» soffia contrito.
«Forse. O
più semplicemente
sono stati omessi particolari non graditi» ammette
Phanês con tono
leggero. «Ora, torniamo a noi: sapete chi sono,
evidentemente, o
comunque ne avete un’idea di base. Al contrario, io ancora
non ho
idea di chi siate voi, seppur inizio a sospettare qualcosa, in
effetti».
*
Il posto non
è certamente di
quelli dove organizzerebbe volentieri una festicciola: è
deprimente,
alienante e ospita specie viventi di cui non sospettava minimamente
l’esistenza e per le quali avrebbe più che
volentieri desiderato
continuare a ignorare la presenza. Peccato non poterselo permettere,
a meno di non puntare a ritrovarsi mutilata a marcire in qualche
canalone.
«Non mi
piace quello che
vedo» lamenta in tono stizzito e preoccupato insieme.
«Per non
menzionare ciò che non vedo» aggiunge in un
sospiro. Dà un leggero
colpetto con la mano al collo di Epiales, qualcosa che a suo modo
appare perfino amichevole, continuando a guardarsi intorno senza
sosta. «Tu riesci a sentire qualcosa?» chiede
all’incubo, nella
speranza che almeno uno di loro sia un grado di ritrovarlo in fretta,
così da abbandonare quel posto che le mette
un’inspiegabile ansia
addosso.
Purtroppo per i
loro progetti,
Epiales scuote il capo desolato e continua a trottare
nell’aria e
ad aguzzare la vista per non rischiare di perdersi alcun movimento,
sia esso di possibili nemici oppure (e sarebbe di gran lunga
preferibile) di amici.
«Dobbiamo
sbrigarci, o questo
posto finirà col distruggerci» lo mette in guardia
Nyx,
inutilmente, dato che anche Epiales riesce ad avvertire le insidie di
quel luogo, che non si limitano a creature pericolose e
potenzialmente mortali come immaginavano inizialmente. Sembra infatti
essere l’ambiente stesso causa di problemi; entrambi
l’avvertono:
un mondo che pare in grado di assorbire la vita, prosciugando
l’ospite. “Ottimo lavoro, padre” riflette
amaramente, non
potendo fare a meno di chiedersi come il demone abbia potuto
sopravvivere millenni rinchiuso lì dentro, quando a loro
sono
bastate poche ore per avvertire lo sfilacciarsi delle loro esistenze.
Stanno ancora
cavalcando,
mentre la volta
celeste
schiarisce
fin quasi al candore, quando senza alcun preavviso vengono circondati
da piume e artigli fino a oscurare il cielo stesso, ed Epiales lancia
un acuto nitrito di orrore, prima di precipitare al suolo con il suo
carico. L’impatto non è dei più
morbidi, ma il peggio ancora deve
arrivare, e se ne rende conto quando sottili unghie acuminate aprono
profonde slabbrature nel suo lucido manto sabbioso, permettendo a
quella dimensione di alterarne la sostanza e renderlo pesante e
rigido. Grida ancora, disperato, e cerca la donna nella speranza che
da essa provenga aiuto e sostegno, ma Nyx è a sua volta nei
guai e
non sembra, tutto sommato, che troverà il tempo per salvare
l’esistenza di entrambi. E allora, affatto disposto a cedere
tanto
in fretta, si scrolla di dosso con violenza un paio di quei corpi
piumati e affilati e sferra un calcio risoluto a un terzo, e poi a
un quarto, e non è importante quanti siano dopo tutto, ma lo
è
piuttosto il fatto che finiranno con il pentirsi amaramente di
essersi messi sulla sua strada.
Ha le fauci
profondamente
piantate nell’ala di uno di quei mostri, e scrolla
convulsamente il
capo nella sadica speranza di strappargliela dal dorso, quando
avverte un cambiamento nell’aria pesante,
l’improvviso innalzarsi
della temperatura circostante e poi una grossa macchia celeste
saettare in un angolo del suo campo visivo, frantumando aria, artigli
e ali in un caotico gracchiare tumultuoso. Un potente ruggito fa
tremare le rocce circostanti, poi intorno solo corpi straziati e
piume bruciate.
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L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Un
paio di considerazioni da spendere sul mio leone.
Lui
è quello che è spuntato senza permesso e senza
essere doverosamente
annunciato. Azzurro, peloso, ardente e con il nome compreso nel
prezzo. Al che io ho alzato le mani e ho detto: “Fai quel che
ti
pare, basta che non mi allontani troppo dal finale”.
È
un parente alla lontana di un altro leone, un pochetto più
famoso:
Graógramán, la Morte Multicolore di Michael Ende,
presente nella
Storia Infinita. Il mio non cambia colore ed è
più grosso.
Per
ulteriori dettagli, rimando ai prossimi capitoli.
Un
saluto,
Roiben
|
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Capitolo 32 *** Capitolo Trentadue ***
Capitolo
Trentadue
«Per
quale motivo, dunque, ti trovi qui?» torna a chiedere la
fiera,
questa volta usando un tono pacato che lo lascia stupito e
interdetto.
Non che gli siano
rimaste
molte scelte, giunto a quel punto, ma è pur costretto ad
ammettere
che al momento il suo interlocutore non pare intenzionato né
a farlo
a brandelli (come invece è appena accaduto alle sfortunate
arpie)
né, curiosamente, a intimidirlo.
«Vi sono
stato trascinato
contro il mio parere, a dire il vero, proprio da colui che ha
abbandonato questo mondo» ammette.
Il leone lo scruta
attentamente, visibilmente pensieroso; i suoi occhi bruciano e in
qualche modo sembrano impedirgli di sottrarsi a quello sguardo.
«È
andato, dunque, come
sospettavo» riflette gravemente. «Tua è
pertanto la
responsabilità?» vuol capire.
Pitch sussulta,
preso in
contropiede. «Mia? Come può essere mia, se a
nessuno è venuto in
mente di chiedere un mio parere, se altri hanno stabilito di usarmi a
loro piacimento per scopi di cui non ero stato opportunamente messo
al corrente?» sbotta, dimenticando momentaneamente di curarsi
della
suscettibilità dell’altro. Lo ricorda bene,
invece, quando nota le
zanne candide fare bella mostra di sé in quello che, poco
dopo,
interpreta come un feroce ghigno.
«Sono
stato ingannato. E da
quel che vedo non sono il solo» commenta.
Pitch non riesce a
trattenere
un broncio scontento, e il leone, alimentando la sua costernazione,
ridacchia con un suono agghiacciante e metallico.
«Tu…
conosci il modo per
uscire da questo mondo?» chiede invece, speranzoso.
«Non
è un mondo, spirito»
lo contraddice il leone. «E no, non ho idea di come
permetterti di
tornare al luogo cui appartieni» mormora, in qualche modo
dispiaciuto.
L’Uomo
Nero sospira e scuote
il capo. «Quello nessuno lo saprebbe fare, allo stato attuale
dei
fatti. Mi accontenterei di fare ritorno alla Terra, ora come
ora»
replica, e il leone lo osserva interdetto e confuso da parole che non
riesce a interpretare né può realmente
comprendere. «Forse però
sapresti trovare la via che conduce al varco fra le due dimensioni.
Con un po’ di fortuna, dall’altra parte potrebbe
esserci qualcuno
di mia conoscenza con il quale trattare per la mia
liberazione»
ipotizza, mentre la speranza si riaccende.
Strano come si
senta più
forte e meno oppresso da quando ha incontrato quella creatura
formidabile. Si sofferma a osservarlo per pochi istanti, chiedendosi
di cosa possa realmente trattarsi: un essere magico, forse? Di certo
non un semplice animale.
«In
questo sì, posso esserti
di aiuto. Ci sono stato spesso, sulle tracce del demone»
rivela,
risollevando un altro poco il morale di Pitch che, inaspettatamente,
si permette un lieve sorriso. «Non ora, però. Il
buio, qui, non è
il momento adatto per muoversi. Finiremmo certamente col perderci, in
tutti i sensi» rivela criptico.
Pitch tuttavia
decide di non
indagare oltre, affatto certo di voler davvero comprendere e
preferendo invece fidarsi della parole del suo momentaneo compagno di
disavventure. Su espresso invito del leone, cercano e trovano un
degno riparo, per quella che Pitch definisce notte per pura
abitudine, in un profondo anfratto fra le rocce.
«Vieni
qui, accanto a me»
mormora il leone, dopo essersi raggomitolato contro la parete. Poi
sfodera un altro di quei ghigni che fanno rabbrividire, aggiungendo
«Prometto di non assaggiarti» che non invoglia
esattamente ad
accettare il suo invito.
Eppure Pitch decide
altrimenti, inspiegabilmente attratto dalla vicinanza
dell’imponente
figura che perfino accucciata lo supera abbondantemente in altezza,
lui che basso non lo è più stato da quando ha
superato
l’adolescenza. Il manto, di un improbabile azzurro,
è bollente
sotto la sua mano quando la allunga prudentemente per sfiorarne il
fianco, ma avverte anche altro oltre all’intenso calore,
qualcosa
che lo fa sospirare di inatteso piacere.
«Che cosa
sei?» soffia
confuso, replicando involontariamente la prima domanda postagli dalla
fiera.
Ora il leone sembra
quasi
sorridere, ma non risponde e invece socchiude le fauci e afferra
lievemente un lembo della veste di Pitch, traendolo a sé e
obbligandolo a sedersi al suo fianco.
«Dormi,
se puoi, o almeno
cerca di riposare» mormora, posando finalmente il capo a
terra e
chiudendo gli occhi.
Pitch invece fissa
il nulla a
occhi spalancati, rigido come una statua, chiedendosi il motivo di
tutto quello che sta capitando. Ma poco per volta il manto caldo del
leone allontana le sue preoccupazioni e scioglie i suoi pensieri,
trascinandolo al buio, un buio caldo e piacevole nel quale è
dolce
lasciarsi trasportare.
*
Un brusco sussulto
e si desta
con ancora impressa in mente l’ultima immagine di un sogno, o
forse
era un ricordo.
«Hai
avuto un incubo?»
sospira una voce fonda ma lieve sopra di lui.
«No,
un… sogno, credo»
incespica Pitch, confuso. «Eppure…»
tenta incerto.
«Cosa ti
turba?».
Scrolla le spalle e
sospira.
«Ho l’impressione di aver già fatto
questo sogno. Oppure di
averlo… vissuto» tenta.
«Memorie?»
propone,
abbassando il capo fino a sfiorare i neri capelli con il muso.
«Se
lo desideri, potrei aiutarti» offre tranquillo.
Pitch solleva gli
occhi e li
fissa in quelli fiammeggianti del leone. Reclina il capo, incerto.
«Come?».
Inaspettatamente e
con sua
enorme costernazione il leone sporge la lingua e gli dà una
discreta
lappata in viso, sghignazzando alla vista dell’espressione
indignata dello spirito.
«Questo
era… assolutamente,
ignobilmente disgustoso» sbotta alterato.
Se un felino
può sorridere,
ebbene quel
felino in particolare lo sta certamente facendo, contribuendo forse
involontariamente a irritare lo spirito.
«Oh,
suvvia, non te la
prendere a quel modo. Sembravi triste, intendevo semplicemente
distrarti un po’. In fondo ha funzionato, no?»
insinua
ridacchiando.
Pitch assottiglia
gli occhi e
lo fissa truce, fa schioccare la lingua sul palato e soffia un
rumoroso sbuffo decisamente contrariato.
«Non so
veramente come
ringraziarti» bercia sarcastico, passandosi nervosamente una
manica
sul viso per ripulirsi alla bell’e meglio.
«Figurati»
mormora il leone,
osservandolo con soddisfazione.
Superato lo
sconcerto iniziale
e soffermatosi a osservare con più attenzione le proprie
condizioni,
Pitch aggrotta la fronte, un po’ sorpreso.
«Sei tu,
non è vero?»
chiede, provando a ricercare una spiegazione a ciò che vede
e sente.
«Io
cosa?» ribatte il leone,
non seguendo la direzione dei pensieri dello spirito.
«Lo avevo
già notato in
precedenza, ma ora è più evidente. Dal momento in
cui ti ho
incontrato non avverto più la spossatezza che grava su
questo posto.
Come ci riesci? È una sorta di scudo protettivo?»
indaga
incuriosito.
Per lunghi istanti
il leone lo
scruta indeciso, poi torna a offrire quel suo strano sorriso.
«Qualcosa del genere, in effetti, ma non esattamente. Io sono
collegato al nucleo di questa dimensione; attraverso di me scorrono
energie che mantengono in piedi questo luogo. Normalmente i flussi
che mi attraversano sono dannosi; lo sono, per lo meno, per le
creature che risiedono qui. Tu sei… un’anomalia,
una bizzarra
eccezione».
Pitch storce il
naso,
disgustato. «Un’anomalia, eh? Ma che
fortuna» strascica velenoso.
«È
una buona cosa, perché
te la prendi?» chiede il leone, incerto sui motivi che
spingono lo
spirito a reagire in quel modo.
Sospira e scuote la
testa.
«Non è importante. E hai ragione tu: in questo
caso è certamente
un fatto positivo» ammette suo malgrado.
«Dimmi… Parlami
piuttosto di lui, Fuinur. Lo hai mai incontrato? Lo conosci?»
cambia
repentinamente argomento.
Il leone
però lo fissa
interdetto, senza comprendere. «Di chi parliamo?».
Allora Pitch si
rende conto
che deve trattarsi davvero di una sorta di soprannome che non gli
appartiene realmente, così prova a chiarire. «Il
demone, quello che
è fuggito a mie spese».
«Oh»
soffia seccamente. «Il
demone di cui parli possiede un nome, uno che di certo io non
dimentico così facilmente, dovessero trascorrere altri
diecimila
anni. Si chiama Liùsaidh~dorcha, era sulla vostra Terra
quando
l’uomo non era che un buffo esperimento e ora è
tornato per il suo
piacere. Mi diletterebbe avere fra le zampe l’impiastro che
ha
permesso tutto ciò».
«A chi lo
dici» conviene
Pitch, asciutto. Poi si riscuote e un’idea imprevista gli
balena in
mente. «Tu… Anche tu avrai certamente un nome,
immagino»
incespica, un po’ imbarazzato.
«Come
tutti, piccolo spirito»
commenta il leone, divertito.
Pitch arriccia il
naso,
indispettito. «Si vede che non hai mai incontrato il
Sandman»
borbotta. «Comunque sia, puoi dirmi il tuo nome?»
insiste.
«Certo
che posso, ma lo farò
unicamente dopo che tu mi avrai detto il tuo» tratta il leone.
Solo a quel punto
l’Uomo
Nero si rende improvvisamente conto di aver trascorso ore a
discorrere con una creatura magica e indiscutibilmente potente senza
mai pensare di fare le dovute e civili presentazioni del caso.
«Giusto,
hai ragione, le mie
scuse. Il mio nome è Pitch Black, con chi ho il piacere di
parlare?»
chiede cortesemente.
«Aileliath,
custode di questa
dimensione».
*
Pitch osserva lo
spiraglio di
cielo che riesce a intravedere oltre le scure pareti rocciose
schiarire lentamente. È pensieroso; le ultime rivelazioni
gli hanno
inoculato tutta una serie di nuovi e in parte spiacevoli
interrogativi cui da solo non sembra in grado di dare risposte
soddisfacenti.
«Altri
pensieri, Pitch
Black?» mormora con gentilezza Aileliath.
«Pitch.
Solo Pitch andrà più
che bene» soffia lo spirito, un po’ a disagio. Il
leone annuisce
piano e rimane a osservarlo intento a soppesare le parole.
«Riflettevo sulle implicazioni di ciò che mi hai
detto, su ciò che
rappresenti per questo luogo. Se tu… se lo lasciassi,
continuerebbe
a esistere?» prova, incerto.
Aileliath si prende
il suo
tempo per trovare una risposta che risolva i dubbi di Pitch.
«Non ne
ho la certezza,
purtroppo. Non ho creato io questa dimensione e, pur comprendendone
in gran parte la natura, il funzionamento e i limiti, non sono in
grado di coglierne completamente l’essenza, né di
sapere se
rimarrebbe intatta priva della mia presenza». Ridacchia,
apparentemente senza un motivo. «Non suona come qualcosa di
tremendamente arrogante da parte mia?» chiede divertito.
«Forse,
ma immagino che pochi
abbiano il diritto di esserlo in una situazione paragonabile a quella
attuale» ammette Pitch. Poi solleva gli occhi e scruta in
quelli di
Aileliath. «Potrebbe essere necessaria la tua presenza sulla
Terra,
ora che il demone…. Liùsaidh~dorcha non si trova
più imprigionato
qui dentro» si decide infine a chiarire.
Aileliath posa il
capo a terra
e chiude gli occhi. Pitch accetta di buon grado la necessità
di
dover rispettare i suoi tempi e torna a guardare l’alba ormai
evidente, ricordando un cielo d’indaco e azzurri che desidera
poter
rivedere al più presto.
«Vorrei
venire sulla Terra,
poter finalmente concentrare le mie energie in qualcosa di
concreto»
riprende finalmente la parola il leone.
«Ma?»
dubita lo spirito,
avvertendo insicurezza nelle parole dell’altro.
«Chi ci
assicura che una
volta lontano dalla dimensione cui appartengo io resti ciò
che sono?
Se c’è la possibilità che questo luogo
si annulli in mia assenza,
potrebbe essere vero anche il contrario, non credi?» soppesa
Aileliath.
«Potrebbe»
concede Pitch,
attendendo un seguito.
Ora è
Aileliath a fissare gli
occhi di Pitch. «Pensi ci sia posto, per me, in quel
mondo?»
mormora appena.
Pitch sgrana gli
occhi e trema
leggermente, poiché non è certamente il
più indicato per dare quel
tipo di rassicurazioni, perché per lui non
c’è mai stato davvero
un posto, in nessuno dei mondi in cui si è ritrovato.
Aileliath annuisce
e sforza un
debole e tremolante sorriso. «Verrò con te sulla
Terra. Ciò che
accadrà in seguito non sta a noi stabilirlo».
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Capitolo 33 *** Capitolo Trentatré ***
Capitolo
Trentatré
La
luce è ormai chiara all’esterno. Aileliath ha
offerto a Pitch di
condurlo fino al portale che collega le due dimensioni permettendogli
di accomodarsi sul suo dorso. Accomodarsi, evidentemente, di fatto
è
un’allegoria: quando, seppur titubante, Pitch ha accettato,
non
aveva idea che sarebbe stata un’impresa quasi disperata
rimanere
saldo al suo posto su una scheggia impazzita e a malapena visibile a
occhio nudo; ma ha stretto i denti, facendo buon viso a cattivo
gioco, aggrappandosi con tenacia alla folta criniera del leone e
tenendo gli occhi fissi davanti a sé, deciso a non farsi
sbalzare
via nella folle corsa verso il mondo reale.
Ma poi qualcosa
cambia, una
sensazione strana e quasi incomprensibile invade i suoi sensi e le
sue dita strattonano i lunghi crini di Aileliath, nel disperato
tentativo di attirarne l’attenzione.
«Aspetta.
Fermati un momento,
ti prego» soffia, a corto d’aria e confuso.
Inaspettatamente
Aileliath lo
sente davvero e rallenta gradualmente fino ad arrestarsi su un alto
sperone da cui possono spaziare per le infinite pianure rocciose e le
vaste foreste di pietra.
«Qualcosa
non va?» chiede
impensierito, scrutandolo negli occhi.
Pitch scuote
lentamente il
capo, un po’ intontito e un po’ perplesso.
«Non… Credo di aver
sentito qualcosa» tenta invano di spiegare.
Il leone lo osserva
ora
incuriosito e attende paziente che lo spirito trovi la via per
spiegarsi.
Ma Pitch non ha
idea di quale
sia la via giusta. Si guarda attorno, smarrito, massaggiandosi le
tempie che pulsano, e non riesce ancora a spiegarsi da dove provenga
quella sensazione avvertita poco prima. Distrattamente accarezza fra
le dita il pelo caldo di Aileliath, e mentre i suoi polpastrelli si
muovono scivolando morbidamente, nella sua testa al pelo azzurro si
sostituisce il ricordo di fine sabbia nera e lucente. Allora spalanca
gli occhi e può sentirli con chiarezza.
«Sono
qui, da qualche parte»
mormora sorpreso.
Aileliath aggrotta
la fronte e
lo fissa interdetto. «Di chi stai parlando?» indaga.
Ed è
Pitch questa volta a
sorridere. «Di qualcuno che chiamerei volentieri
amico» commenta
sibillino. Solleva lo sguardo sull’orizzonte apparentemente
infinito e si concentra. «Da quella parte» indica
alla loro
sinistra, allungando un braccio. «Possiamo raggiungerli, non
sembrano troppo lontani» soppesa quietamente.
Aileliath si limita
ad annuire
e ad avvertire Pitch con un sintetico «Reggiti»
prima di scattare
in avanti e riprendere l’andatura suicida di poco prima.
*
Il cupo ringhio del
leone
sotto di lui lo avverte del problema prima che lo facciano i suoi
stessi occhi. Di nuovo quelle strane creature alate, un vero e
proprio stormo stavolta, raggruppate in un punto preciso che sembra
coincidere con la destinazione a cui puntava Pitch.
«Arpie»
sibila Aileliath
adirato, riuscendo perfino ad aumentare l’andatura.
Ed è
proprio nel momento in
cui il leone balza incontro alla nuvola di piume che Pitch scorge due
nere figure, riconoscendole entrambe. Allora lascia la presa sulla
criniera, ritrovandosi prevedibilmente proiettato nell’aria,
manovra agilmente per ritrovare l’assetto giusto, richiama
ancora
una volta fra le proprie mani la spada e fa a fette le arpie che si
sono miracolosamente salvate dall’ira di Aileliath,
muovendosi fra
un corpo straziato e l’altro con movimenti leggeri e
controllati e
poggiando infine i piedi al suolo proprio accanto al suo incubo.
Epiales lo sta
fissando con
occhi grandi che scintillano dell’oro del sole e trema con
violenza, le sottili zampe lo reggono a stento. Ma quando Pitch si
accosta lentamente accetta con gratitudine l’inatteso calore
di una
mano conosciuta. “Shh, tranquillo. Va tutto bene”
sembra dire
quel semplice gesto, ed Epiales non desidera altro, perché
è un
incubo ed è nato per portare brutti sogni ai bambini, non
morte ai
mostri alati che cercano di distruggere gli spiriti per bene.
«Pitch,
qui c’è anche una
donna. È amica tua?» interviene una voce fredda ma
stranamente
gentile.
Così
l’Uomo Nero abbandona
con lieve titubanza il fianco dell’incubo e raggiunge la voce
di
poco prima. Ma Epiales non ci sta a essere lasciato indietro e
trotterella appresso alle spalle del padrone senza mai perderlo di
vista, nemmeno quando si accorge che la voce buona proveniva da una
montagna di pelo azzurro che lo fa incespicare per la sorpresa e
tremare di sgomento.
«È
tutto a posto. Lui è un
amico» lo rassicura l’Uomo Nero, che sembra sapere
sempre di cosa
hanno bisogno i suoi piccoli incubi.
“Un
amico” riflette
Epiales. “Mai avuti amici tanto grandi”. E
accidenti se questo lo
è: enorme, molto più di quattro grossi purosangue
uniti. Scuote il
capo, stordito dalla notizia e da ciò che vede. Ma la
montagna
azzurra ha per lui un sorriso benevolo ed Epiales decide che non
importa quanto sia alto e grosso, quanto possa sembrare spaventoso,
se riesce a offrirgli doni così rari.
*
Quando Pitch si
inginocchia al
suo fianco, attorniato da un incubo traumatizzato e da un custode
dimensionale a forma di leone, lei non sembra avvedersene e seguita
imperterrita a rimanere ancorata alla sua beata incoscienza. Pitch
è
molto invidioso, al momento: quanto vorrebbe anche per sé un
po’
di sano buio in cui riposare, sprofondato in un accogliente e
dolcissimo nulla. Scuote il capo e sfiora i suoi lunghi capelli con
la punta delle dita. Infine si decide a tornare nel mondo degli
esseri senzienti, raccoglie fra le braccia la dea della notte ancora
nel dolce limbo dei sogni e si volta, scoprendosi morbosamente
osservato sia da Epiales che da Aileliath, ed entrambi sembrano
sconvenientemente intenti a sogghignare saputi, al punto che Pitch
inarca un sopracciglio e arriccia il naso, stizzito.
«Ebbene,
che vi prende ora?»
sbotta, spazientito per quel teatrino messo in piedi dai due.
Aileliath
ridacchia, spandendo
un suono metallico per la piana deserta. «Sei molto buffo
quando sei
in imbarazzo, perfino tenero».
L’Uomo
Nero spalanca la
bocca, impallidisce e poi snuda i denti affilati in un sordo ringhio.
«Ritira immediatamente quello che hai detto!»
sibila alterato.
«Nemmeno
per sogno. È quello
che penso» insiste il leone, inchiodandolo sul posto con il
suo
sguardo di fuoco.
Prima che Pitch
possa
esplodere definitivamente, Epiales lo distrae con un discreto
colpetto del muso sulla spalla, ricordandogli che ha un obbiettivo e
anche dei doveri verso l’incubo e la donna che sorregge fra
le
braccia. Sbuffa, contrariato, ma comunque decide sia il caso di
lasciar correre per questa volta.
«Dobbiamo
arrivare al
portale» ricorda, più a sé stesso che
agli altri a quel punto.
Ma Aileliath
annuisce comunque
in risposta e attende che Pitch sia montato in sella al suo incubo
prima di riprendere la marcia verso il passaggio che li
condurrà
sulla Terra.
*
«Come ci
liberiamo del
demone?» domanda di punto in bianco Ba’al, e non
è per nulla
sicuro a chi si stia rivolgendo, se al fratello ormai in fase di
depressione acuta oppure al padre squilibrato della pazza furiosa. Ma
a quel punto, tutto sommato, poco importa; gli basterebbe ottenere
una risposta, da chiunque sia disposto a offrirgliene una,
perché
forse è vero che il mondo non crede più in loro,
ma loro hanno
ancora bisogno del mondo per continuare a esistere.
Phanês lo
scruta con
inaspettata attenzione, una mano sempre poggiata alla cornice dello
specchio per tenere aperto il portale, l’altra impegnata a
sfarfallare nell’aria pesante e a creare piccole lucciole
che accendono l’oscurità, contrariando non poco
Mot.
«Sembrate
certi che non sia
possibile tornare a sigillarlo in un’altra
dimensione» soppesa
tranquillo.
«È
già uscito, indenne, da
una di quelle dimensioni» gli ricorda Ba’al.
«Cosa ti fa pensare
che la prossima potrebbe trattenerlo?» insinua.
Phanês
abbozza un sorriso
enigmatico. «Esiste una sola via d’entrata e
d’uscita per ogni
dimensione. Sarebbe sufficiente trovare un luogo sufficientemente
protetto e nascosto in cui custodirla» propone.
«Mio
fratello l’ha trovata,
per sbaglio, in una grotta come tante ce ne sono. Forse nessuno si
è
impegnato nel cercare un luogo adatto, non lo escludo. Ma allora mi
chiedo: quanto affidabili siete, voi che vi arrogate il compito di
liberare questa Terra dalle insidie di creature mortali e nemmeno vi
premurate di sorvegliare affinché nessuno ci finisca addosso
per
puro caso?» sbotta allucinato.
«Per puro
caso, dici?»
soffia dolcemente Phanês. «Esiste forse il caso?
Puoi realmente
affermare che, invece, tuo fratello non fosse destinato a imbattersi
in questo specchio?».
Negli occhi di
Ba’al brilla
un sentimento crudo che innervosisce Mot.
«Io non
credo nel fato»
ringhia, e senza riflettere gli scaglia contro un fulmine che
tuttavia il destinatario scansa con un piccolo gesto annoiato della
mano libera, lasciando basito Ba’al.
«Neppure
io, in verità. Sono
assolutamente favorevole al libero arbitrio, checché se ne
dica in
giro» commenta con leggerezza.
Mot, che ha seguito
l’avanzare
della discussione in un silenzio di tomba, scuote il capo desolato e
lo volta infine a osservare il paesaggio oltre il portale,
riflettendo però con serietà sulla domanda
iniziale del fratello e
cercando alacremente una risposta valida, una risposta che finora non
ha udito.
È
così, tenendo gli occhi
fissi sullo specchio e la mente occupata in pensieri complessi, che
per primo scorge un cambiamento nel paesaggio altrimenti sempre
uguale dall’altro lato della liscia superficie trasparente.
Socchiude le labbra senza poter trattenere la sorpresa e titubante si
avvicina al varco, attirando con i suoi movimenti
l’attenzione di
Ba’al e Phanês che, a loro volta, scrutano lo
specchio.
«Che mi
venga un colpo! Sono
loro, tornano sul serio» sbotta Ba’al, esternando
inconsapevolmente la medesima incredulità che coglie i
compagni.
Dall’altro
lato del varco,
ancora lontani ma in rapido avvicinamento, tutti ora possono scorgere
l’incubo nero che porta con sé lo spirito oscuro e
la dea della
notte. Ciò che tuttavia turba le tre divinità
è una quarta figura,
più imponente e minacciosa, nonché di un colore
assolutamente fuori
luogo.
«Quello
che accidente è?»
si prodiga ancora una volta di chiedere Ba’al, dando voce ai
dubbi
collettivi.
Mot scuote il capo,
confuso.
«Non ne ho idea» ammette con un filo di voce,
nervoso per quella
nuova sorpresa.
«Dovrebbe
trattarsi del
custode» immagina Phanês, aggrottando le
sopracciglia, suo malgrado
impressionato da tale imprevisto.
«Avrei
preferito non avere il
piacere di conoscerlo» conclude Ba’al,
assicurandosi le simpatie
del fratello.
*
Pitch si volta un
poco alle
sue spalle e ghigna leggermente all’indirizzo di Aileliath.
«Hai
visto: persino il comitato di benvenuto».
Il leone scuote il
capo ma
ridacchia, non mancando di sorprendere ancora una volta
l’incubo.
«Forse
dovresti essere più
gentile. In fondo ci hanno tenuta aperta la porta».
L’Uomo
Nero fa scattare in
alto entrambe le sopracciglia e solleva un angolo della bocca,
piacevolmente sorpreso.
«Credo
proprio tu sia
sprecato in questo posto. Uno con il tuo senso dell’umorismo
meriterebbe un vero pubblico, degno del tuo talento» scherza,
stranamente leggero in un momento in cui al contrario la
preoccupazione per le sorti di tutti dovrebbe annichilirlo.
«Avresti
un ottimo futuro».
«Me lo
auguro» borbotta
Aileliath, rispondendo alle parole di Pitch ma pensando ad altre
situazioni.
Epiales rallenta
l’andatura
e Pitch riporta l’attenzione sul varco e sulle tre
divinità che li
attendono poco oltre. Quello che brilla
nell’oscurità come una
supernova dev’essere il padre di Nyx, Phanês. Gli
altri due sono
più discosti e ne intuisce il disagio persino a distanza.
Rafforza
la presa di un braccio sulla vita della dea della notte e stringe le
dita della mano libera alla criniera dell’incubo.
«Piano,
ora» mormora,
guardingo, per nulla certo di come verrà accolto il loro
ritorno.
Phanês
accosta il viso al
varco e lo studia con interesse. Non sembra particolarmente in
pensiero per la figlia, mentre appare decisamente interessato al
leone e in parte anche allo spirito oscuro.
«Così,
tu sei la creatura
che ha preso il posto del demone» commenta nel momento in cui
Pitch
e il suo seguito giungono alle soglie dello specchio.
«Sono
Pitch» conferma,
reclinando leggermente il capo e provando a comprenderne le
intenzioni. «E tu sei Phanês, dico bene?»
si arrende infine, di
fronte all’evidenza di quanto oscure possano essere le
intenzioni
di uno spirito della luce.
Phanês
mostra ancora una
volta il suo sorriso enigmatico. «Proprio così. Ma
venite,
coraggio» invita, scostandosi in modo da lasciare spazio a
sufficienza perché l’incubo superi il portale con
Pitch e Nyx.
Aileliath,
titubante, osserva
i suoi nuovi amici passare oltre e tornare nel loro mondo, e per la
prima volta avverte il vuoto profondo della solitudine ammantare il
suo petto. Ma è solo un breve momento; quando Pitch si volta
i suoi
occhi dorati lo scrutano e sa di non essere stato dimenticato. Pitch
smonta da cavallo, lancia un’occhiata arcigna ai due
fratelli,
scarica Nyx ancora priva di sensi fra le braccia di Phanês e
allunga
una mano oltre la barriera, distendendo le dita e mostrando il palmo
aperto in un palese invito. Aileliath annuisce, poi le fiamme nei
suoi occhi inghiottono la sua intera figura che implode fino a
raggiungere le dimensioni di una grossa mela di fuoco azzurro. Con
leggerezza si posa sulla mano dello spirito che richiude le dita e
ritira il braccio fino a portare con sé il piccolo globo
fiammeggiante.
«Benvenuto
sulla Terra»
mormora, osservando con soddisfazione il fuoco azzurro continuare a
bruciare anche al di fuori del luogo cui è sempre
appartenuto.
|
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Capitolo 34 *** Capitolo Trentaquattro ***
Capitolo
Trentaquattro
Quando
le sue lunghe dita sottili si ridistendono, Aileliath si scosta e
riprende la sua forma leonina, scrolla il capo, si stiracchia
piantando gli artigli nell’oscurità ed emette un
sordo brontolio
soddisfatto che fa sogghignare Pitch. Infine solleva gli occhi,
scrutando attento ciò che lo circonda e, suo malgrado,
storce il
muso.
«Quasi
quasi preferivo
dall’altra parte» commenta.
E Pitch, senza
riuscire a
trattenersi, scoppia a ridere, imprevedibilmente imitato da
Ba’al e
Phanês che si divertono ai danni del povero Mot.
«Molto
divertente» sibila
fra i denti quest’ultimo.
Ma è
un’imprudenza, la sua,
perché in questo modo attira spiacevolmente su di
sé l’attenzione
generale. Aileliath assottiglia lo sguardo e snuda le zanne.
«Così
sei tu» ringhia,
avanzando minacciosamente di un passo.
Mot sgrana gli
occhi,
allarmato, e rapido trova rifugio dietro le spalle del fratello, il
quale lo fissa incredulo, sbottando «Oh, certo, grande
idea!» e
studiando con crescente nervosismo gli scintillanti artigli bene in
vista del leone.
Per loro fortuna,
dopo aver
riservato una fuggevole occhiata al riflesso ancora visibile
dell’altra dimensione, Pitch decide di intervenire
nell’arduo
tentativo di sedare gli animi e si avvicina ad Aileliath con passo
deciso, posando sul suo fianco una mano per attirare la sua
attenzione, al momento totalmente concentrata sul custode
dell’oltretomba.
«Comprendo
bene il tuo
rancore, e in parte sento di poterlo condividere» soffia
pacato,
riuscendo nell’impresa di far spostare su di sé lo
sguardo
affilato del leone. «Tuttavia temo si tratti di un momento
poco
opportuno per… certe
rimostranze. C’è
ancora un demone che si aggira liberamente per questo mondo, vorrei
ricordarti. E questo, nostro malgrado, deve avere la precedenza su
qualsiasi altra questione rimasta in sospeso» espone
ragionevolmente.
«E di chi
è la
responsabilità?» ringhia Aileliath, frustrato.
Pitch annuisce,
concorde.
«Risolveremo anche
quel problema. A tempo debito» promette, accennando un
incerto
sorriso.
Il leone chiude gli
occhi,
sospira e annuisce, seppur restio ad accettare tale situazione.
Solo a quel punto
Ba’al e
Mot si azzardano a trarre un cauto sospiro di sollievo.
Phanês
invece, estraneo a certi turbamenti eppure intrigato dalle
novità in
vista, rimane in silenzio e si limita al suo solito sorriso
snervante.
*
L’entrata
in scena del
gruppetto male assortito che compare in mezzo al salone di Nicholas
non può certamente passare inosservata. Il padrone di casa
spalanca
gli occhi a quella vista e avverte con chiarezza le ginocchia cedere
per lo sgomento. Toothiana e Sanderson sono incerti se ridere di
sollievo per la consapevolezza che tutti quanti abbiano fatto
ritorno, più o meno sani e salvi, o tremare costernati per
la
sorpresa. Gli incubi dell’Uomo Nero, che erano inizialmente
accorsi
a dare il bentornato al loro padrone, fanno precipitosamente marcia
indietro alla vista di Phanês e Aileliath, rincantucciandosi
nell’angolo più buio alla loro portata. Aster
rizza il pelo e fa
stridere i denti, ma evita prudentemente di azzardare una mossa,
fissando con soggezione il padre di Nyx, il quale oltre alla figlia
regge anche una versione ridotta del portale ora ben più
simile a
uno specchietto da trousse. Jack non sa più dove posare il
proprio
sguardo eccitato, ma dopo vari ripensamenti alla fine decide di
fiondarsi direttamente sul leone, il quale suo malgrado fa un passo
indietro scostando il capo con incerta sorpresa.
«Wow, un
leone azzurro!»
esclama lo spirito dell’inverno da una distanza irrisoria.
«Che
forza!» aggiunge, sfiorando la criniera con le dita.
«Ouch, brucia!
Figo! Io sono Jack Frost, tu come ti chiami? Ma sei veramente
azzurro? Non avevo mai visto un leone così grosso! Sei un
leone? Da
dove vieni? Sei così caldo, sembri un vulcano,
però peloso… e
azzurro… Vabbè!» blatera a briglia
sciolta senza quasi riprendere
fiato, confondendo Aileliath con il suo incessante cicaleccio.
Pitch segue la
scena
coprendosi la bocca con il dorso di una mano per celare il proprio
divertimento, ma gli occhi luccicano smascherando il trucco.
Aileliath gli rivolge uno sguardo incerto e sconvolto, ottenendo
unicamente un’alzata di spalle e un sorrisino canzonatorio
che lo
fa sbuffare. Ruggisce indispettito, facendo sì che lo
spirito
dell’inverno si scosti di poco, ma questo sembra renderlo
perfino
più entusiasta di prima, quindi inizia a volteggiargli
attorno con
esuberanza, facendo venire il mal di mare al disgraziato leone.
«Aileliath»
sbotta infine il
diretto interessato.
Jack boccheggia e
aggrotta le
sopracciglia, dubbioso.
«È
il mio nome» spiega,
rimarcando ciò che ritiene ovvio e augurandosi di aver con
questo
placato la curiosità di quello che sembra ai suoi occhi un
ragazzino
un po’ troppo esuberante.
«Ah,
bello! E come mai sei
qui? E perché hai questo colore? Come conosci
Pitch?» insiste Jack,
tutto preso dalla novità.
E Aileliath, per
una frazione
di secondo, si ritrova a rimpiangere il tetro silenzio del luogo che
lo ha visto nascere, poi scuote il capo e sospira, lanciando
un’occhiata d’accusa a quello che ritiene il
maggior responsabile
delle sue attuali sciagure.
«Ehi, sai
sputare fuoco come
i draghi, tu?» lo interrompe sul più bello Jack,
fissandolo
speranzoso.
«Uh?»
trasecola Aileliath,
che non ha affatto seguito i contorti ragionamenti del ragazzino.
«Certo che no! Che domande sono?» sbotta seccato.
«Oh»
sospira Jack,
visibilmente deluso. «Ma allora che fai di bello?»
ritenta, affatto
arreso per la scarsa collaborazione dell’altro.
Pitch ridacchia,
Aileliath
pondera che effettivamente una bella fiammata a quel punto sarebbe
utile per rimettere al loro posto un paio di spiriti molto seccanti.
«Attualmente
sono
disoccupato» ringhia stizzito. «Fino a qualche
giorno fa ero un
custode, il guardiano a presidio di…» tenta di
spiegare.
«Urca!
Veramente? Io pure
sono un guardiano, che coincidenza» esclama Jack, tutto
ringalluzzito per la scoperta di quell’inaspettata notizia.
«Sì?»
bercia sarcastico
Aileliath, digrignando i denti, indeciso se mordere lo spirito
dell’inverno oppure fare a pezzettini l’Uomo Nero
che non si sta
rotolando a terra dalle risate solo per una questione di etichetta.
*
«Manny
non aveva parlato di
questo» mormora Nicholas, frastornato
dall’insensato susseguirsi
di episodi sempre più inaspettati.
Aster lo fissa con
un pizzico
di compassione nello sguardo. «E non ti è passato
per la mente che
l’Uomo nella Luna non ne sapesse proprio nulla di demoni e
divinità
fuori di testa?» lo interroga, a suo modo incuriosito.
Nicholas gli lancia
un’occhiata oltraggiata e liquida la domanda con un gesto
impaziente della mano. «Sciocchezze» replica
succinto, avanzando
cautamente ma con decisione verso Phanês e gli altri,
tallonato da
Toothiana e Sanderson. Quest’ultimo è impegnato a
scrutare con
ansia e curiosità l’inaspettata figura del padre
di Nyx che al
contrario non appare per nulla interessato ai guardiani, non quanto
mostra di esserlo al leone per lo meno.
«Lei…
sta bene?» si
arrischia a chiedere Nicholas, indicando la dea abbandonata contro
Phanês.
«Esiste
ancora. Si
riprenderà» commenta l’interpellato
senza dilungarsi.
Toothiana a quella
risposta
spalanca gli occhi, poi serra le labbra in una severa smorfia e
scuote il capo. «Dovremmo portarla in camera, così
che possa
riposare» incalza, notando il palese disinteresse di lui.
Phanês,
crucciato per essere
stato disturbato durante la sua contemplazione di qualcosa di ben
più
interessante, sposta svogliatamente lo sguardo limpido sulla fata e
la osserva con un malcelato fastidio. «Ho forse dato
l’impressione
d’avere interesse in un tuo parere?» chiede
retoricamente.
Ba’al si
schiaffa il palmo
d’una mano sulla fronte. Mot, che al momento è di
nuovo in
possesso della sua quasi
perfetta maschera di pura impassibilità, sposta con vago
interesse
gli occhi ora su Phanês ora sul gruppetto di guardiani.
Toothiana
arruffa le penne e stringe i pugni, allettata dall’idea di
usarne
uno per fare un occhio nero a quel bell’imbusto tirato a
lucido da
cui, non dubita, Nyx deve aver ereditato il suo carattere
impossibile. Inaspettatamente compare al suo fianco Pitch che riesce
a distrarre le sue poco pacifiche attenzioni posando una mano sulle
sue contratte.
«Se
nessuno ha nulla in
contrario, penserò io stesso a condurre Nyx in una delle tue
stanze»
offre l’Uomo Nero, rivolgendosi prevalentemente a North.
«Ammetto
di avere un certo debito di riposo, e ne approfitterei per stendermi
un po’ a mia volta» soffia pacato.
Senza attendere
replica
alcuna, si avvicina a Phanês, abbozzando un tiepido sorriso
che
spera possa risultare rassicurante e stende le braccia, lasciando ben
intendere di volersi riprendere ciò che aveva ceduto non
molto prima
per questioni meramente pratiche. In realtà Pitch ha notato
che lo
scarno interesse di Phanês, oltre che sul leone, in poche
occasioni
si è posato anche su di lui, così ha pensato di
sfruttarlo per
convincerlo
a collaborare. E in effetti Phanês si dimostra più
che disposto a
rendere Nyx allo spirito oscuro, per nulla preoccupato di possibili
conseguenze, ma anzi intrigato dalla prospettiva stessa.
Quando, dopo aver
raccolto Nyx
nelle proprie braccia, Pitch volge le spalle a Phanês
trovandosi a
fronteggiare i guardiani che ora sono diventati quattro, abbozza un
piccolo ghigno di scherno a beneficio del loro miserevole fallimento
e della sua plateale vittoria, poi finalmente si allontana per
tornare a respirare aria in tutta libertà.
*
Sospira, dopo aver
delicatamente adagiato Nyx sul colorato piumone che ricopre il letto
di quella stanza, e si concede qualche momento per osservarla senza
temere nulla. Sorride, un minuscolo incurvarsi di labbra, e scosta
lunghe ciocche di neri capelli dal suo viso candido.
Amici,
li ha definiti solo poche ore prima di fronte ad Aileliath. Certo che
lo sono: chi altri avrebbe messo a repentaglio la propria esistenza
nel tentativo di trarlo d’impaccio dal colossale guaio in cui
s’era
cacciato (non certo per sua volontà)? Scuote il capo,
esasperato.
Probabilmente lei non sarebbe affatto lieta di udire quella parola,
amici, accostata al suo nome; sono ben altre le di lei ambizioni,
ovvio. Non è uno stupido; sciocco forse sì, di
tanto in tanto con
la testa smarrita in tutt’altri pensieri, ma mai abbastanza
da non
vedere certi inequivocabili segnali, no, questo no. Ma, ah, si
è
scelta decisamente l’obbiettivo sbagliato, questa volta; non
è
affatto pronto, forse non lo sarà mai dopo tutto (o non ne
avrà il
tempo, visto il modo in cui si sta mettendo la situazione
ultimamente).
«Sei
proprio un idiota»
borbotta, rivolto a sé stesso. E ha la certezza che, per una
volta
tanto, lei sarebbe totalmente d’accordo con lui.
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Capitolo 35 *** Capitolo Trentacinque ***
Capitolo
Trentacinque
Dovrebbe
riposare, ne è perfettamente consapevole, peccato che
l’idea di
stendersi e chiudere gli occhi gli metta addosso i brividi. Le sue
recenti disavventure non hanno per nulla giovato alla sua
serenità
mentale, ma quel che maggiormente lo preoccupa è il futuro
che li
attende. Sospira e si sofferma a immaginare ciò che i
guardiani in
compagnia di spiriti e divinità assortite staranno facendo
nell’ormai eccessivamente affollato salone di St. North. Con
ogni
probabilità saranno intenti a discutere e mettere in dubbio
le loro
possibilità, le possibilità del loro mondo;
trovare il modo per
tirarlo fuori dai guai, ancora una volta. Strofina le dita sulle
tempie, sfiora le palpebre chiuse, stira le labbra scontento e torna
a fissare Nyx, che ignara continua a giacere addormentata. Gli manca
casa sua; tutte e due, in effetti, ma al momento quella più
a
portata di mano sarebbe la sua tana, buia e tranquilla, accogliente e
senza pretese. Purtroppo al momento non può farvi ritorno.
«Non
ancora» soffia,
arricciando le labbra in un piccolo broncio deluso e amareggiato.
*
Sobbalza allarmato,
rendendosi
conto di essersi inavvertitamente assopito nonostante il suo parere
contrario, a causa di un frastuono proveniente dal cuore del palazzo,
parrebbe. Si guarda attorno, ma tutto sembra essere intatto,
esattamente come lo aveva lasciato prima di cedere alla stanchezza.
Poi un altro boato riecheggia lungo le pareti e turbato si alza in
piedi, fissando nervosamente prima l’uscio e poi la finestra
che dà
sull’esterno. Un mugolio fuori posto distoglie infine la sua
attenzione, portandola al giaciglio sul quale è adagiata la
dea
della notte che, giusto in quel momento, sfarfalla debolmente le
ciglia ridestandosi quindi con un borbottio infastidito.
«Ma che
succede?» mugola con
voce impastata.
Suo malgrado Pitch
sbuffa una
soffice risata, attirando inesorabilmente su di sé tutta
l’attenzione di lei. Lei che, resasi conto di non essere da
sola,
spalanca gli occhi e balza a sedere con uno scatto sconcertante.
«Pitch!»
ulula, a una
frequenza che rischia di infrangere le vetrate della finestra.
L’interessato
arriccia il
naso, infastidito, e borbotta «Ottimo spirito di
osservazione».
Ciò che
tuttavia non si
aspettava è la rapidità con la quale Nyx scatta
in piedi e si
catapulta direttamente su di lui. Può solo limitarsi a un
insignificante passo indietro, incerto e sconcertato, prima di
trovarsi avvinghiato nella letale morsa delle sue seppur esili
braccia.
«Sei
tornato!» esclama,
apparendo sconvolta.
«Ma,
veramente…» tenta,
dubbioso.
Il suo tentativo
viene
troncato sul nascere quando lei si scosta un poco, liberandolo dalla
sua presa stritola ossa e gli rifila uno schiaffo che per un soffio
non gli stacca la testa dal collo. Lui si volta, con qualche
difficoltà e una serie di preoccupanti scricchiolii,
decisamente
molto seccato, ma anche questa volta non trova il tempo di aprire
bocca per esibire le sue giuste rimostranze.
«Stupido!»
strilla,
appioppandogli un pugno sulla spalla (quella che prima
era perfettamente sana, e grazie tante).
«Insomma,
sei impaz…»
ritenta, invano.
Non paga, senza
apparente
soluzione di continuità, torna a stringerglisi addosso,
riuscendo a
non soffocarlo solo in virtù della sua supposta e non
completamente
comprovata immortalità. Stremato, soffia un tiepido mugolio
che
vorrebbe essere di protesta ma si limita a incrinare appena
l’aria
attorno.
«Mi hai
spaventata a morte»
bofonchia invece lei, con il viso seppellito nella sua veste.
Pitch solleva gli
occhi al
cielo e, liberando a fatica un braccio, picchietta con garbo una mano
sulle sue spalle, sperando di riuscire a calmarla quel tanto da poter
tornare libero di respirare adeguatamente.
«Dovrei
considerarlo un
complimento? Se mai te ne fossi scordata, stai ancora parlando con
l’Uomo Nero» si sforza di scherzare.
«Simpatico»
biascica, non
sembrando per nulla intenzionata ad allentare la presa.
*
«Iniziano
a dolermi le ossa»
mormora Pitch, senza neppure troppa convinzione.
Tuttavia,
inaspettatamente lei
sembra cogliere il discreto invito e, anche se visibilmente
reticente, allenta la presa limitandosi a rimanere appoggiata al suo
petto.
«Mi
dispiace» bisbiglia,
senza mai sollevare lo sguardo ma tenendo testardamente il capo
accostato a lui.
«Figurati.
Torneranno come
nuove in poche ore» sdrammatizza, senza accennare a scostarsi.
L’atteggiamento
di lei lo
impensierisce e vuol essere certo che sia tutto a posto, prima di
tornare ai propri pensieri.
«Non per
quello» ribatte,
scuotendo debolmente la testa. «O meglio, magari anche
per quello, ma non solo».
Pitch aggrotta le
sopracciglia, ora decisamente confuso, ma rimane in silenzio, non
sapendo come ribattere a quelle parole cui non riesce a dare un
senso. Invece, senza neppure avvedersene, solleva un braccio e lo
avvolge attorno alle piccole spalle candide.
Nyx riporta
finalmente lo
sguardo su di lui e Pitch avrebbe di gran lunga preferito che non lo
facesse, perché nei suoi occhi neri c’è
qualcosa di oscuro che
l’ultima volta non era lì. Deglutisce e attende,
augurandosi che
non vi siano altre cattive notizie all’orizzonte.
«Per…
ciò che ho detto
nell’ultima occasione» chiarisce, continuando a
fissarlo con
insistenza, come ad accertarsi che lui abbia effettivamente compreso.
«Ero adirata» prosegue, provando a spiegarsi a
dovere, «desideravo
unicamente… potermi muovere in libertà e
distruggere un po’ di
cianfrusaglie inutili. Invece mi avevi…» tentenna,
incerta.
«Intrappolata»
soffia,
venendole in soccorso.
Nyx accenna un
sorriso e
annuisce piano. «Sì, esattamente. Per un momento,
solo un breve
istante, ti ho odiato» ammette, curvando le labbra
all’ingiù nel
vederlo sussultare. Di nuovo scuote la testa. «Ho commesso un
errore. Sono stata sciocca e avventata. Ma non ti avrei mai fatto del
male, non sul serio». Ancora lo guarda, ora con una muta
preghiera
nello sguardo, la speranza che lui possa crederle.
«Cercavo
solamente di evitare
che qualcun altro ci andasse di mezzo» bisbiglia Pitch,
distogliendo
gli occhi da lei.
«Ed
è proprio ciò che è
accaduto: qualcuno ne ha fatto le spese» replica Nyx,
assottigliando
le labbra contrariata e posando una mano sul suo petto.
«Tu»
soffia, piegando le dita come a voler afferrare qualcosa che non le
appartiene.
Pitch storce la
bocca e
solleva le spalle. «Già, beh, non è una
novità, dopo tutto»
rimarca sarcastico.
Nyx torna a
stringerlo, ma
questa volta lo fa con garbo, così da evitare di
polverizzare le sue
costole.
«Mi
perdoni, quindi?» decide
di accertarsi.
Sospira e si
scompiglia i
capelli fra le dita. «Ho forse qualche
alternativa?» recrimina
debolmente.
Lei ridacchia e si
perde a
disegnare figure astratte sulla sua veste nera. «Dipende, in
effetti, da quanta fantasia riusciresti a metterci» prova.
Tutto quello che
ottiene, come
del resto già sospettava, è uno sbuffo
sconfortato, prima che lui
si sciolga definitivamente dalla stretta, allontanandosi e
lasciandola di nuovo sola con la sua frustrazione.
*
«Non mi
interessa affatto se
sei un custode di una qualche assurda dimensione che non conosce
nessuno. Tu non puoi venire qui e spiaccicare i miei elfi con le tue
zampacce. Hai capito?» ringhia Nicholas, punzecchiando
Aileliath con
un dito, incurante di bruciacchiarselo a ogni tocco, troppo furente
per il suo comportamento sconsiderato.
«Non
l’ho fatto apposta!»
esclama, evidentemente non per la prima volta, il leone, tenendo gli
occhi fissi sul dito minaccioso
e mugolando stremato per quella discussione inutile. Per qualche
minuscolo elfetto finito per errore sotto le sue zampe, quante
storie! E sono comunque ancora vivi, anche se non propriamente
vegeti. Sbuffa, annoiato e seccato da tante recriminazioni.
Pitch, da poco
comparso sulla
soglia del salone, ma ancora in ombra, osserva con scetticismo la
discussione in atto e si domanda se fossero quelli i motivi per i
rumori molesti che aveva avvertito in precedenza dalla camera da
letto. Poi però rivolge l’attenzione a un altro
punto del salone,
notando Ba’al seduto a terra a gambe incrociate e con il muso
lungo, e Mot con l’aria decisamene contrariata e un
preoccupante
tic al sopracciglio destro. Ciò fa nascere
nell’Uomo Nero certi
sospetti sul reale responsabile del frastuono avvertito.
Frost è
seduto sul camino e
sembra impegnato in un’accesa discussione con le fatine di
Toothiana. Pitch si chiede come riescano a comunicare decentemente
ma, riflettendoci meglio, è probabile che disponendo di una
similare
dimensione celebrale siano comunque sulla stessa lunghezza
d’onda.
Epiales, in un
angolo in
ombra, sta evidentemente ragguagliando Lumbar e gli altri compagni
sugli ultimi fatti avvenuti durante la sua assenza, e lo stesso fanno
gli altri con lui, aggiornandosi a vicenda. Pitch annuisce
soddisfatto, lieto che almeno i suoi incubi conoscano la situazione e
siano quindi pronti alle conseguenze, cosa che non può
certamente
affermare dei guardiani che, al contrario, sembrano troppo impegnati
in futili discussioni totalmente prive di utilità
strategica. Ma, in
fondo, per quale motivo dovrebbe ancora stupirsi? Sono guardiani,
dopo tutto: la loro massima aspirazione è quella di
allietare
marmocchi viziati. Ebbene, avranno certamente qualche serio problema
nel continuare a farlo, se Liùsaidh~dorcha
deciderà di cancellare
l’umanità intera dalla faccia della Terra; tutto
sta a farglielo
notare, ora.
Con la massima
discrezione si
schiarisce la voce, attirando istantaneamente e come prevedibile
l’attenzione di tutti i presenti su di sé.
«Desolato di dovervi
disturbare durante le vostre necessarie e improrogabili
attività di
pianificazione» esordisce sarcastico, avvertendo Nyx alle
proprie
spalle ridacchiare. «Sono gravemente conscio che, nei vostri
convulsi impegni, potrebbe esservi sfuggito questo particolare di
poco conto. Ciò non di meno vorrei, mio malgrado, farvi
notare che
c’è ancora un demone a piede libero che
attualmente minaccia
l’esistenza dei vostri preziosi bambini (e dei loro genitori,
in
effetti) con la sua sola presenza» sibila, lanciando
un’occhiata
malvagia a Mot e osservandolo impallidire. «Suppongo potremmo
trovare del tempo per dedicare una minima parte della nostra
attenzione anche
a questo irrisorio
problema, non ne convenite? Ovviamente, lungi da me tediarvi oltre.
Si tratta, dopo tutto, di una semplice opinione personale»
ringhia,
con poca pazienza e ancor meno comprensione per lo sgomento altrui.
Da dietro i folti
rami di un
enorme abete si fa avanti Phanês, scintillante più
di quanto
potranno mai essere le luminarie di St. North, e lo scruta con
sguardo calcolatore e una preoccupante curva sulle labbra.
«Potrei
avere un’idea per
risolvere questo piccolo problema, in effetti».
|
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Capitolo 36 *** Capitolo Trentasei ***
Capitolo
Trentasei
«Sei
folle» sbotta Pitch dopo aver ascoltato con crescente
sgomento
l’idea balorda di Phanês. «Potrebbe
esserti sfuggito il fatto che
sono uno spirito oscuro».
Phanês
curva le labbra
nell’ennesimo sorriso inquietante e scuote appena il capo.
«In
realtà no. Non credo comunque possa rappresentare un reale
ostacolo,
in questo caso».
«Ripeto:
sei folle» ringhia
l’Uomo Nero, fissandolo duramente mentre una sgradevole
sensazione
di panico l’assale.
Le dita di Nyx
sfiorano con
prudenza la sua mano, ma lui si scosta bruscamente, guardandola con
rancore quasi la ritenesse corresponsabile del supposto piano del
padre.
«Potrebbe
funzionare davvero»
bisbiglia la donna, tentando di arrivare a lui e fargli comprendere
la validità dell’idea.
Lui però
le indirizza un
ghigno amareggiato. «Certo, oppure potrebbe cancellare quel
poco che
resta della mia esistenza» ribatte, suo malgrado spaventato.
Poi
torna a dare attenzione a Phanês e incrocia le braccia,
sollevando
il mento con aria di sfida. «Inoltre si dà il caso
che siate stati
prima tu e poi Mot a creare il problema. Mi domando, pertanto,
perché
non dobbiate quindi essere voi stessi a immolarvi per risolverlo.
Sono tutti bravi a trovare soluzioni sulla pelle degli altri»
recrimina.
Ma dato che nessuno
dei
presenti sembra disposto a concedergli nulla, storce il naso e scocca
all’assemblea raccolta un’occhiata rabbiosa, prima
di voltarle le
spalle e abbandonarla ad ampie falcate.
*
«Beh»
borbotta Aster, dopo
qualche momento di imbarazzante silenzio, «mi secca doverlo
ammettere, ma ho proprio paura che abbia ragione lui, in questo
caso».
«Possibile»
conviene
Nicholas, scrutando un momento il coniglio di Pasqua. «Ma se
invece
fosse l’unica buona possibilità?».
Aster sbuffa,
scuotendo il
muso. «L’ho già sentita, questa. E
comunque… lo convincerai
tu?» ghigna, vedendo il collega sbiancare.
«Dovrebbe
essere una sua
scelta, no?» chiede Jack, confuso.
Entrambi
annuiscono, anche se
può facilmente notare la loro titubanza.
«Avrebbe
dovuto essere
presente mentre ne discutevamo» insiste.
«Aveva
altri pensieri per la
testa» fa notare Nicholas.
«Ora si
chiamano pensieri?»
insinua d’improvviso Mot, in parte divertito, ma per lo
più stanco
di ascoltare parole che non conducono ad alcuna soluzione.
«Può
darsi che il marmocchio abbia ragione» concede, mentre Jack
si
imbroncia all’epiteto con cui lo ha descritto la
divinità, «ma il
problema rimane e nessuno dei presenti ha avuto idee
migliori».
«Cosa
proponi?» taglia corto
Nicholas, il quale mal sopporta quella creatura stizzosa e
inclemente.
«Uno di
noi si assumerà
l’incarico di parlargli e riportarlo a più miti
consigli» spiega
pratico.
Aster incrocia le
braccia e
tamburella una zampa a terra. «Ma davvero? E chi speri di
convincere
a rischiare la testa?».
Mot ridacchia,
nonostante non
ci sia proprio nulla di divertente. «Hai paura,
coniglio?» soffia
malevolo.
Il naso del pooka
vibra di
indignazione, ma poi le punte delle orecchie si piegano verso il
basso. «Già, è così. E per
tua sfortuna non sono l’unico»
rimarca, facendogli segno con il capo alle sue spalle.
Quando Mot si
volta, Ba’al
lo sta fissando scettico e infastidito.
«Non
guardare me, fratello.
Non ho la minima intenzione di scontrarmi di nuovo con lui. Due volte
sono state più che sufficienti».
«Lo
farò io» li sorprende
una voce inattesa.
Tutti questa volta
rivolgono
uno sguardo incerto alla dea della notte. La verità
è che nessuno
si aspettava realmente la sua collaborazione, neppure suo padre.
«Nei sei
sicura?» chiede
infatti Toothiana, un po’ preoccupata.
«Non vedo
alternative»
borbotta spazientita. «E non fissarmi in quel modo, fata.
Potrei
sempre cambiare idea e spedirci te al mio posto» minaccia
capricciosamente.
«No,
grazie» soffia la fata,
negando con forza e facendo anche un paio di passi indietro per
sicurezza. «È tutto tuo» garantisce.
Nyx ghigna, facendo
rabbrividire tutti i presenti nessuno escluso. «Questa me la
segno.
Ricorda bene le tue parole, fata, perché non ci saranno
sconti né
ora né in futuro».
*
«Vattene»
sibila Pitch,
ascoltando il suono dell’uscio che si apre e di pochi passi
che si
avvicinano. «Non intendo parlare con te, né stare
ad ascoltare la
tua scadente retorica» ringhia, scostando lo sguardo e
soffermandolo
sull’esterno del palazzo visibile dalla finestra della camera.
Ovviamente Nyx non
appare
intenzionata a seguire le sue richieste (non che nutrisse molte
speranze in tal senso), al contrario si richiude la porta alle
spalle, accostandosi infine alla nera figura ancora ferma in muta
contemplazione della neve che scende dolcemente.
«Pensi
sia qui per
persuaderti, forse?».
Distoglie un
momento gli occhi
dal biancore esterno, fissandoli brevemente in quelli della donna al
suo fianco. «Non è così?».
Lei tenta una
smorfia che
ricorda vagamente un sorriso. «No, non è
così» conferma.
Una risata vuota
scuote il suo
petto. «Bugiarda» soffia roco. «Sparisci,
non ti ascolterò
oltre».
«Pitch»
prova ancora.
«Sparisci,
ho detto» sbotta,
alzando pericolosamente la voce.
Stringe le labbra,
intenzionata forse a controbattere, ma si ferma prima e annuisce
piano, prima di lasciarlo nuovamente solo.
«Bugiarda»
mormora appena,
dopo aver udito la porta richiudersi e i suoi passi farsi distanti.
*
Quando solleva gli
occhi,
incontra quelli vagamente incuriositi del padre, e arresta i suoi
passi proprio di fronte a lui.
«Per
quale motivo hai voluto
provare, se già sapevi di non avere
possibilità?» chiede lui, in
qualche modo realmente interessato a comprendere la dinamica dietro i
ragionamenti della figlia.
«Non lo
so. Ero pronta ad
accettare un suo rifiuto, ma… La verità
è che non ci ho neppure
provato».
Reclina il capo di
lato. «Hai
avuto paura?».
Solleva un angolo
delle
labbra, anche se ben lontana dall’essere divertita.
«Ne ho ancora,
in effetti. Ma sono motivi del tutto differenti da quelli che tu, o
tutti gli altri, potreste credere».
Phanês
scuote il capo,
perplesso e interdetto. «Ho avuto modo di parlare con
Aileliath,
mentre riposavi. Quel demone è una creatura molto
particolare».
«Certo.
Scommetto che lo
vorresti aggiungere alla tua collezione di stramberie» lo
deride.
Mostra i denti
scintillanti in
un sorriso beato. «Sì, mi farebbe oltremodo
piacere. Ma temo sia
purtroppo fuori dalla mia portata» ammette dispiaciuto.
«Lo
è sempre stato» mormora
Nyx, annuendo nel comprendere. «Per questo hai creato quella
dimensione. Speravi di riuscire a controllarlo, invece hai fallito
nel tuo intento e hai quindi deciso di lasciarvelo e provare a
dimenticartene, credendo così di risolvere il problema. Ma
quel
problema è rimasto, nonostante tutto il tuo impegno, e ha
messo
radici profonde e inestricabili» lo accusa senza mezzi
termini.
Phanês
annuisce, concorde.
«Desidera la mia vita» spiega impassibile.
Nyx assottiglia gli
occhi e lo
scruta a fondo. «E tu intendi offrirgli invece quella di
Pitch».
Scrolla le spalle,
senza mai
distogliere lo sguardo da lei. «Una vita per una
vita».
*
Hanno gli occhi del
medesimo
colore, loro due, eppure sono così diversi in ogni altra
cosa: l’uno
è fuoco, l’altro ghiaccio; l’uno
è memoria di un tempo antico,
l’altro ha l’anima di un bambino. Si guardano e
sanno che,
nonostante tutto, sono simili e complementari ma, più di
tutto,
hanno pensieri in comune.
«Sai
dov’è?».
Annuisce. Sorride.
Si
avvicina, senza paura.
«Accompagnami».
«Sì».
Aileliath segue
Jack con
lunghe falcate silenziose, tenendo gli occhi puntati sul volo
indisciplinato del piccolo spirito dell’inverno. Aileliath
ora è
felice di trovarsi sulla Terra, in mezzo a creature bizzarre e a loro
modo simpatiche, soprattutto il giovane guardiano che gli fa strada
in quel momento. È semplice dimenticare certi orrori
vissuti, in
compagnia di qualcuno il cui cuore riesce a vedere il bello e il
buono perfino in mostri suoi pari.
Jack plana di
fronte a una
porta apparentemente identica a tutte le altre, allunga una mano, ma
tituba e piano la ritrae, tenendo lo sguardo fisso sulla superficie
lignea che si ritrova davanti e perdendo il suo bel sorriso
splendente.
Aileliath ha
rallentato la
propria andatura fino a posare le zampe a pochi passi dallo spirito,
osservandolo incerto e attendendo una qualche reazione che non viene.
«Cosa
succede?» bisbiglia
perplesso.
Jack si volta e nei
suoi occhi
vede preoccupazione e smarrimento.
«Tu…»
tenta, deglutendo a
fatica «puoi fare qualcosa?».
Aileliath aggrotta
la fronte e
si appressa, piegando il capo fino a raggiungere il volto del giovane
guardiano. Lo osserva posare una mano sulla porta, creando
involontariamente sottili arabeschi di brina, così poggia a
propria
volta la fronte sull’uscio e avverte finalmente la presenza
oltre
quella sottile barriera.
«Apriresti
la porta per me,
piccolo spirito?» chiede gentilmente.
Ancora una volta
Jack annuisce
e finalmente preme sulla maniglia, scostandosi poi così da
lasciare
via libera all’ingombrante mole del leone al suo fianco.
*
«Pitch
Black» sussurra
dolcemente Aileliath, una volta trovato l’accesso alla camera
che
ospita lo spirito oscuro.
«S-solo…
solo P-Pitch»
soffia con voce rotta, ancora scosso dai brividi e singulti e con i
capelli totalmente all’aria.
Aileliath sorride e
posa il
naso sotto il mento appuntito dello spirito, invitandolo a sollevare
il viso e osservando il suo sguardo liquido.
«Sono…
perduto, vero?».
Piano, il leone
scuote il
capo. «Sarò con te».
Pitch si morde un
labbro, si
rialza da terra e posa il volto in mezzo al petto di Aileliath,
sospirando. «Siamo condannati entrambi, allora»
rettifica con
amarezza.
«Può
darsi» concede con
tono tranquillo.
«Non sono
preparato per…
questo» geme, affondando il naso nella folta criniera e
strattonandone il morbido pelo fra le dita sottili.
«Forse»
tentenna Aileliath.
«Credo che Phanês sottovaluti alcuni dettagli, in
realtà. Tu sei
molto diverso da ciò che sembra credere lui».
«Non ne
dubito» gracchia
acidamente. «Considerando che sono poco più di
un’ombra».
«No,
sbagli» ribatte,
strusciando il muso fra i capelli scompigliati. Ghigna. «Vuoi
un’altra leccatina?».
«Non
azzardarti» intima
Pitch con un sordo ringhio, scostandosi di botto. «O giuro
che ti do
fuoco» minaccia stizzito.
Aileliath esplode
in una
risata metallica e gioiosa, dandogli uno scherzoso buffetto alla
spalla. «Non puoi. Il fuoco risponde al mio volere»
ammonisce,
godendosi lo sbuffo scocciato dello spirito.
«Ci sarai
anche tu, assieme
agli altri?» chiede Pitch, titubante.
«Mi
è stato chiesto»
conferma Aileliath, scrutandolo con attenzione. «Se deciderai
di
farlo, io sarò lì. Se deciderai di non volerlo
fare, sarò comunque
con te».
Pitch annuisce e
stringe più
forte il pelo caldo contro di sé, tremando appena.
*
«Se tutto
questo non
servisse? Insomma, a me pare una gran pagliacciata. Non capisco per
quale motivo Phanês sia convinto di poter risolvere tutto
servendosi
di un semplice spirito oscuro» borbotta Ba’al,
imbronciato e molto
confuso.
Mot sospira,
levando gli occhi
al cielo e soppesando l’idea di farlo tacere con un colpo in
testa.
«Credevo
l’avessi compreso.
Non sei stato ad ascoltare anche tu, forse? Lo ha spiegato in modo
chiaro e semplice, dopo tutto» prova speranzoso.
Ba’al
incrocia le braccia,
per nulla persuaso. «Sarà chiaro per te, che sei
sempre così
acuto,
ma a me sono parse solo un gran mucchio di fandonie»
rimbrotta
acido.
«Ha la
forte sensazione che
ci sia molto di vero, invece. Ho appurato io stesso che, al contrario
di ciò che pensi, quello non affatto un semplice
spirito oscuro».
«E con
questo?» rimbecca
ostinato.
Mot lo fissa truce;
vorrebbe
prenderlo a calci fino a rompersi un piede, ma poi sospetta si
sentirebbe terribilmente in colpa, e solo soprattutto.
«Perché
credi che il demone
lo abbia scelto per il suo scambio? Pensi fosse tanto sprovveduto da
pescare a sorte e sperare in un colpo di fortuna? Quella creatura non
si è mai affidata al caso; conosceva già le
risposte, e sono le
stesse, guarda caso, a cui è evidentemente giunto anche
Phanês».
«Ovvero?»
insiste Ba’al,
ignorando cocciutamente lo sguardo alterato del fratello, deciso ad
avere qualche buona risposta a sua volta.
Il fratello
sospira, arreso, e
riflette sul modo più semplice per spiegare a quella testa
dura un
concetto che a lui era parso così ben delineato invece.
«Immagina
che ognuno di noi
sia il sole, d’accordo? Possediamo una grande energia, certo,
ma
solo una minima parte di essa giunge a destinazione, ovvero sulla
Terra. Tutto quello che siamo in grado di fare è produrre un
poco di
luce e di calore, ci sei? Bene. Ora, invece, immagina che quello
spirito oscuro sia una sorta di grossa lente di ingrandimento:
cattura una minima parte del nostro potere, la luce del sole, e ne
ricava un’arma potente, in grado di bruciare. Immagina ancora
se,
quindi, potessimo raccogliere la forza di ognuno di noi e farla
scorrere attraverso di lui; verrebbe in qualche modo convogliata in
un unico punto, esattamente come fa la lente con i raggi del
sole»
spiega con inusuale pazienza.
E Ba’al a
quel punto sembra
finalmente comprendere. «Ne scaturirebbe l’unione
delle nostre
forze, ma compresse e potenziate» ipotizza pensieroso.
Il fratello
annuisce concorde.
«Forse perfino migliorate».
«Forse»
tentenna. «Cosa ti
fa pensare che funzionerebbe davvero? Cosa lo fa pensare a
Phanês?»
dubita.
Mot scruta negli
occhi del
fratello, conscio che la verità non lo ha ancora raggiunto,
non del
tutto. «Lui non lo sa. È un’ipotesi.
Vuole tentare».
Sgrana gli occhi,
Ba’al, ora
consapevole. «Ma se non funzionasse…»
cerca di protestare.
«Avrà
tentato» lo
interrompe prontamente. «Troverà
un’altra soluzione» conferma.
Ba’al
assottiglia lo
sguardo. «Comincio a pensare che, dopo tutto, il demone non
abbia
tutti i torti a volere la sua testa».
*
Quando Pitch,
ricompostosi e
ritrovata una parvenza di calma, apre infine la porta deciso a uscire
e fare ritorno al salone per annunciare la propria decisione, si
ritrova a fissare stranito lo sguardo desolato e rassegnato di Lumbar
che, orecchie basse, regge in groppa lo spirito dell’inverno
il
quale, al contrario, sfoggia un invidiabile sorriso raggiante proprio
all’indirizzo di un Uomo Nero molto poco in vena di scherzi.
Uno
scuro sopracciglio si inarca di scatto e tremola nello sforzo di
controllare l’impazienza.
«A cosa
devo questa gentile
visita?» bercia infatti, mentre le dita prudono dalla
tentazione di
finire il lavoro iniziato non molte notti prima sulla soglia del suo
covo.
Jack, lungi
dall’essere
impressionato né tantomeno intimorito
dall’atteggiamento
aggressivo di Pitch, rincara il proprio sorriso e si permette perfino
di strizzargli un occhio, rischiando nell'inconsapevolezza di far
definitivamente saltare i nervi dell’Uomo Nero.
«Nulla di
speciale, Pitch.
Volevo solo essere sicuro che stessi bene» spiega, lasciando
per un
momento Pitch di sale.
Socchiude un lungo
istante le
labbra, indeciso sul da farsi, poi avverte dietro di sé la
calda
presenza di Aileliath avvicinarsi e le sue spalle si rilassano
impercettibilmente.
«Ho
decisamente avuto giorni
migliori, Frost. Grazie per il tuo interesse» borbotta
imbarazzato
eppure in qualche modo grato.
Il sorriso di Jack
sfuma
appena, divenendo più morbido. «Ho parlato con
Toothiana e gli
altri: se deciderai di rifiutare, noi saremo dalla tua parte»
lo
informa inaspettatamente.
Il cipiglio critico
di Pitch
lascia il posto a un’espressione interdetta e sorpresa.
«Cosa?»
bisbiglia attonito, incerto di aver ben compreso.
Ora il sorriso
è quasi
completamente svanito dal viso candido dello spirito
dell’inverno,
ma la sua voce rimane tranquilla quando cerca di spiegarsi.
«Nessuno
di noi guardiani ha
davvero desiderio di vederti sparire, Pitch. So che, visti i
trascorsi, sembra assurdo, ma… ecco…
c’è un motivo per cui ti
trovi qui, e dev’essere un motivo maledettamente buono,
così come
lo è il motivo per la nostra di presenza. Non vogliamo che
le cose
cambino, nessuno di noi lo vuole, capisci? Non davvero, non per
sempre».
«Mh»
commenta solo Pitch, un
po’ troppo confuso e costernato per trovare di meglio da
replicare.
Una sensazione di
inatteso
calore compare al suo fianco e Pitch si volta piano, ritrovandosi
osservato da Aileliath.
«Ti avevo
avvertito. Non
tutto è come sembra, devi solo provare ad avere un
po’ di fiducia»
lo rimprovera bonariamente.
Pitch arriccia il
naso e
scuote lentamente il capo. «Non sai di cosa parli»
protesta
debolmente.
Aileliath sorride,
Jack invece
ridacchia divertito, prima di abbandonare la provvisoria cavalcatura
e librarsi in volo, salutando e promettendo loro di attenderli nel
salone di North.
«Sono
nuovo in questo vostro
mondo, ma credo di sapere piuttosto bene di cosa parlo. Non
dimenticare mai ciò che ti ho detto, io non lo
farò» promette
solenne Aileliath, accompagnando Pitch e Lumbar lungo il cammino.
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Capitolo 37 *** Capitolo Trentasette ***
Capitolo
Trentasette
Caldo,
brillante, puro: questo è il sole. Una sensazione quasi
dimenticata
durante tutti quei secoli spesi a trovare una via d’uscita
che non
sembrava esistere. Ma eccola di nuovo, ora, più intensa che
mai,
tanto da tramutare il solito ghigno sprezzante in un vero sorriso di
puro piacere. Gli esseri umani sembravano convinti che i demoni
fossero creature oscure e prediligessero pertanto le
profondità
umide e buie del sottosuolo; Liùsaidh~dorcha, inutile dirlo,
ama il
cielo azzurro, il vento pungente, le nuvole sfilacciate e veloci, il
sole abbacinante e le vette più immacolate. Luce, questo
è
l’elemento che nutre il suo spirito, questo il suo reale
potere.
Stolti esseri umani, e altrettanto inette divinità; sono
convinti di
sapere ogni cosa, ma ignorano la vera natura di ciò contro
cui hanno
l’arroganza di combattere. Sospira, le orecchie fremono,
negli
occhi il riflesso dorato del sole, le labbra non perdono ancora la
loro morbida curva verso il cielo. Tempo per ritrovare ciò
che è
quasi andato perduto e goderne la riscoperta, cullarsi nel ritrovato
piacere; tempo per sé stesso e per i bisogni del suo corpo,
del suo
spirito; tempo per ritrovare il giusto equilibrio e non rischiare di
cadere ancora. Dopo, solo in un secondo momento penserà a
ottenere
il cuore di quell’abbietta creatura di luce che lo ha
sprofondato
in un limbo oscuro senza ritorno, e sarà doloroso. Piccole
zanne
perlacee scintillano al riverbero dei raggi del sole mentre ringhia
di soddisfazione.
«Attendere,
ancora per poco»
mormora, sollevando il mento e tendendo il capo per farsi ancora
più
vicino al sole.
Le sottili pupille
si
restringono ulteriormente, gli occhi brillano e un sospiro vibra roco
nella sua gola.
*
Le sue labbra si
schiudono
lievemente, obbedendo alla sua costernazione, mentre ode Aileliath
brontolare con un ringhio sordo e prolungato. Il grande salone
è
stato sgombrato di tutti i mobili e le suppellettili di dubbia
utilità; sul lucido parquet di legno scuro è
stato tracciato un
disegno bianco che ricopre almeno la metà della superficie a
disposizione. “Un maledettissimo pentacolo” sbotta
mentalmente,
allucinato. I suoi passi sono lenti e nervosi mentre si muove in
circolo attorno a quell’orrendo scarabocchio. Storce il naso
e
anche nel suo petto vibra un piccolo ringhio contrariato.
«Da dove
arriva questa
pagliacciata pacchiana?» sibila, scrutando gli occhi dei
presenti.
Ci sono un
po’ tutti, nota,
radunati evidentemente per non farsi sfuggire nemmeno un battito di
ciglia del grande
momento.
«In
effetti da me» commenta
monocorde Phanês, osservandolo con fastidiosa attenzione.
Accenna un ghigno
sfrontato al
suo indirizzo. «Non hai decisamente la stoffa
dell’artista» lo
deride, avvertendo alle sue spalle lo sbuffo divertito di Aileliath.
Ora il cipiglio di
Phanês
sembra perfino seccato. Gongola, trattenendo il sorrisetto di
soddisfazione che preme per mostrarsi.
«È
geometria essenziale. Non
servono abilità nel disegno» protesta
prevedibilmente. «Era
necessario per officiare il rito» spiega.
Solleva un
sopracciglio. «Ti
sei portato avanti senza neppure avere la certezza che sarebbe
servito?» insinua.
Può
addirittura scorgere
della sorpresa nei suoi occhi, ora. Stanno facendo grandi passi in
avanti. Con un po’ di tempo in più a sua
disposizione Pitch ha
ormai la quasi certezza di poter persino giungere a vederlo adirato.
Drammaticamente, il suo tempo così come quello della Terra
scarseggia. Sospira debolmente e tenta di allentare la propria ansia,
poi torna a muoversi per la sala, percorrendo la lignea superficie
con passi calmi ma decisi, fino ad arrestarsi nel centro esatto del
pentagono schizzato con poca cura da quel borioso dio
senz’anima.
«Quando
siete comodi»
bercia, lottando con sé stesso per non perdere
lucidità e ragione.
Il primo a
muoversi,
raggiungendo uno dei cinque vertici è Aileliath, il quale si
ferma
proprio di fronte ai suoi occhi e si siede con garbo, scoccandogli
un’occhiata d’intesa e offrendogli un sorriso
tranquillo. Sospira
di nuovo, ingoia aria e saliva e fissa i propri pensieri nello
sguardo di fuoco del leone, recuperando un po’ della calma
perduta
tanto velocemente quanto sgradevolmente.
Alle sue spalle
scorge
muoversi, con la coda dell’occhio, Nyx e suo figlio
Ouranós;
entrambi si fermano in corrispondenza della sua spalla destra, mentre
dietro quella sinistra si posizionano i cinque guardiani che portano
con loro espressioni un po’ spaesate e insicure. Sapessero
quanto
ci si sente lui, in quel momento.
Al suo fianco
destro si
accostano Mot e Ba’al con certe facce che, in altri contesti,
potrebbero significare tempeste in arrivo, ma non è quello
il caso
(o forse sì?). I suoi incubi si raggruppano alla sua
sinistra e
vengono velocemente raggiunti dalle pixies in compagnia di altri
spiriti dei boschi, da alcuni yeti di St. North e da un fastidioso
nugolo di rumorose fatine dei denti.
Osserva con
apprensione Phanês
aggirarsi per la sala, percorrendo un circolo attorno al pentacolo.
Lo studia mentre questi sembra intento a recitare versi
incomprensibili e agitare in aria le mani, il tutto a occhi chiusi,
fatto che porta Pitch a chiedersi come mai non sia ancora andato a
scontrarsi con una parete o uno dei molti spiriti presenti.
Stiracchia un pallido ghigno nell’immaginare la possibile
scena e
Aileliath gli risponde prontamente con uno scintillio divertito negli
occhi.
Infine
Phanês si ferma fra
Mot e Nyx, le sue dita fremono velocemente e i contorni del disegno
sfumano, poi brillano argentei e quando il bagliore sta per divenire
accecante, obbligando molti dei presenti a socchiudere gli occhi, il
pentacolo svanisce dal pavimento riflettendosi invece sul soffitto ed
emanando oscurità in luogo della luce precedente.
Se solo il
nervosismo e la
preoccupazione non lo stessero corrodendo dolorosamente, Pitch
potrebbe perfino ammettere di essere impressionato, almeno un poco.
La verità è che spera vivamente di concludere in
fretta
quell’insulso rito, in un qualunque modo, purché
smetta una volta
per tutte di torturare le sue percezioni fin troppo sollecitate. Ma
forse, chissà, deve aver sperato con troppa
intensità, perché
improvvisamente il bagliore argenteo e la luce oscura si fondono nel
mezzo ed è uno spasmo d’agonia, e vorrebbe
chiudere gli occhi per
non dover anche vedere, ma non è in grado di muovere neppure
un
muscolo mentre tutto diventa luce cangiante e ghiaccio rovente. Un
unico vacuo pensiero sosta qualche momento nella sua mente persa:
“I
fearlings erano più compassionevoli”.
*
Livore,
incredulità, paura.
Doveva andare così? Questa era la vera meta? No, voleva
servirsi di
lui per liberarsi di una minaccia, forse la sola ancora esistente. Ma
ora, che cosa faranno ora? In che modo potranno impedire il peggio,
se lui
non è più? Il custode è di nuovo in
piedi, lo osserva chino sul
fagotto color fuliggine aggrovigliato a terra. Quando suo padre gli
si fa incontro ringhia minaccioso e fa scattare all’esterno
gli
artigli affilati. Scuote la testa, pensieri ovattati si frantumano e
ricompongono senza dargli tregua. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe
dovuto fermarli, avrebbe dovuto impedirglielo; avrebbe dovuto, ma non
lo ha fatto, e ora non le resta che una misera manciata di se
confusi e nessuna reale speranza, unicamente un futuro incerto al
quale ha timore di guardare.
*
Lo ha avvertito con
chiarezza,
defluire dalla propria oscura essenza per accumularsi in un unico
punto, al centro di tutto, assieme a quello del resto dei presenti.
Ha dovuto trattenere il respiro, colto da un momento di panico e
insieme di sorpresa. Si è reso conto che, anche volendolo,
non
sarebbe stato in grado di trattenere a sé il proprio potere,
non nel
momento in cui il rito è stato attivato e ha prepotentemente
preteso
il conto. Si è sentito perfino spossato per lunghi,
interminabili
istanti, e ha temuto il peggio; ma quando i bagliori si sono fusi
insieme è tornato a respirare e, suo malgrado, a trarre un
sospiro
di sollievo. Poi tutto è precipitato e il suo sospiro gli si
è
incastrato in gola.
*
Le possenti zampe
sono
saldamente piantate al centro del salone, gli artigli scintillano
sinistri conficcati nel parquet. Nonostante il rito abbia prosciugato
parte delle sue energie, il fuoco è scaturito
prepotentemente al suo
comando tracciando uno stretto circolo ardente attorno a lui,
a loro. Digrigna i denti, trattenendo a stento la sua furia se non
altro per evitare di distruggere buona parte dell’edificio
che li
ospita, ma è faticoso e in un attimo di distrazione quasi
azzanna
alcuni degli incubi che si erano imprudentemente avvicinati per
soccorrere il loro padrone. Prova profondo dispiacere per le loro
espressioni allarmate e per la loro evidente confusione, ciò
nonostante non dispone della lucidità sufficiente per
preoccuparsene. Il suo corpo trema di ansia e sgomento. Reclina il
capo e sfiora con il naso il fagotto stropicciato ai suoi piedi,
cercando di sentire, pregando di sentire. Struscia piano sulla pelle
sottile del suo collo, poi preme gentilmente sulla spalla e lo
sospinge appena, con cautela, e trema ancora, di paura questa volta.
«Svegliati,
avanti»
sussurra. «Se non ti svegli ti lecco di nuovo»
minaccia, provando
un sorriso che muore prima di nascere.
*
Si scambiano
un’occhiata,
lui e Jack. Il giovane guardiano sembra sconvolto, ma come dargli
torto? Lo è anche Sanderson. Nessuno di loro si aspettava
quello e
ora non sanno fare altro che rimanere a guardare, senza alcuna idea
che possa risolvere la situazione. Non che sia una novità,
in
effetti: negli ultimi tempi non hanno mai risolto molto, nonostante
abbiano fatto sempre il possibile per offrire il loro contributo.
Ciò
che hanno davanti al momento, tuttavia, è molto oltre le
loro
normali mansioni e decisamente al di fuori delle loro attuali
possibilità. E, beh, non è che quelli
più capaci di loro abbiano
mostrato di avere molta più fortuna in effetti, figuriamoci
buonsenso. Da parecchio, ormai, il buon senso non è
più di casa.
Solleva gli occhi
di scatto e
un piccolo punto esclamativo esplode sopra il suo capo mentre fissa
con sorpresa e sbigottimento l’enorme sagoma di Aileliath al
centro
del salone. Il fagotto si è mosso, e non per essere stato
gentilmente sospinto dal leone, ma dopo che questi ha sfiorato il suo
viso accartocciato con la punta della lingua. Ora spalanca la bocca,
Sanderson, perché il fagotto accartocciato ha appena
borbottato un
irripetibile insulto al povero Aileliath.
*
Si lascia
sgraziatamente
ricadere a terra con uno sbuffo rumoroso, incurante di potersi
procurare l’ennesimo livido di quella lunga, infinita
disavventura.
Osserva con incerto sollievo una mano dello spirito oscuro sventolare
con fastidio e scacciare una coppia di fatine entusiaste e
cinguettanti, mentre si risolleva finalmente da terra con qualche
scricchiolio di troppo. Non sa se essere grato che quel pallone
gonfiato di Phanês abbia avuto ragione, oppure irritato per
il
medesimo motivo. La verità è che, segretamente,
sperava in un
fallimento su tutta la linea, uno teatrale possibilmente, magari
perché no, uno che lasciasse tutti un po’ delusi
ma nessuna
vittima al seguito, e a quel paese anche la delusione a quel punto.
Invece il piano di Phanês sembra aver dato i suoi frutti e
Ba’al
non è per nulla certo di cosa aspettarsi, ora;
perché, d’accordo,
hanno un’arma potenzialmente letale a disposizione, ma
ciò non
significa che resterà salda nelle loro mani.
L’assurdità di tutto
è che suo fratello non sembra aver preso in dovuta
considerazione
quella possibilità, o forse lo ha fatto ma non ne appare per
nulla
impensierito, la quale opzione è perfino peggiore della
precedente.
Scuote il capo, afflitto, e si augura che non crolli tutto ancora una
volta addosso a loro, distruggendo nuovamente quel poco che rimane
della loro famiglia.
*
Le sue mani
tremano, la nausea
che avverte a picchi irregolari lo costringe a respirare
profondamente, a concentrarsi davvero nel farlo, a meno che non
intenda vomitare lì, sul bel parquet di St. North. Non che
gli
importi un accidente del parquet, neppure delle espressioni ansiose
dipinte sulle facce raccolte attorno a loro. Il suo unico interesse
è
riuscire a trattenere tutto insieme, perché la testa gli
scoppia e
ha l’impressione che se allentasse anche solo per un secondo
il
controllo finirebbe con il cadere a pezzi, e nessuno lì
dentro
avrebbe l’improbabile fegato né tantomeno le carte
in regola per
raccattarli tutti e rimetterli insieme, seppur rattoppati alla belle
meglio. Ha sibilato un paio di improperi molto fantasiosi a quella
montagna di pelo che ha lo spiacevole vizio di ricoprirlo di bava, ma
non ha nessuna intenzione di lasciare che si allontani, neppure di un
solo passo, perché senza la sua vicinanza finirebbe sommerso
dalle
poco gradevoli e molto ingombranti attenzioni di ogni maledetto
spirito o divinità presente, e questa è
assolutamente l’ultima
eventualità che desidera. Allora rantola alla disperata
ricerca
d’aria ed equilibrio e serra inestricabilmente le dita nella
pelliccia di Aileliath, intimandogli silenziosamente di restare
dov’è.
Il custode accosta
il muso e
lo studia con attenzione. «Dimmi come ti senti»
esige con
decisione.
Lo spirito solleva
il volto e
nel suo sguardo guizza un bagliore d’oro e tenebra. Arriccia
le
labbra in un orrido sogghigno. «Non vuoi saperlo»
soffia in un
sibilo sfiatato.
Con le sopracciglia
aggrottate
in un cruccio contrariato, Aileliath sembra perfino buffo.
«Desidero
conoscere la
verità. Il fatto che potrebbe non piacermi non mi
farà certo
desistere» lo sfida senza timore.
Scrolla il capo,
Pitch, ma non
per la contrarietà (non solo, almeno). A momenti
ciò che vede non è
lì, e ciò che si trova lì non
può invece vederlo.
«Infastidito»
borbotta
finalmente. «Una sensazione sgradevole, poi
un’altra più
spiacevole le si sovrappone, e un’altra ancora, e di nuovo,
e…
non sembra avere fine» ammette con sconforto.
«Chiedo
scusa» li sorprende
impreparati una voce tranquilla da poco distante. «Potrei
avvicinarmi un momento per…».
La proposta di
Phanês viene
fermamente bocciata da un ruggito di Aileliath che fa tremare le
vetrate. A eccezione di Phanês, ogni singola creatura
presente fa
almeno un paio di prudenti passi indietro.
«Se
preferisci farti
strappare il cuore dal sottoscritto anziché attendere che lo
faccia
Liùsaidh~dorcha, prego, avvicinati pure» offre il
leone con
affettata cortesia.
Le labbra strette
di Phanês
sono sintomo di fastidio, non certo di timore, ma Pitch può
senz’altro farselo bastare, per il momento.
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Capitolo 38 *** Capitolo Trentotto ***
Capitolo
Trentotto
Può
avvertirne la presenza, ora, nonostante l’enorme distanza che
li
separa. Reclina appena il capo di lato, interdetto: da quanto
può
percepire non sembra, in effetti, che il demone abbia
un’eccessiva
fretta di creare scompiglio. Un’altra stranezza, cui tuttavia
non
sa darsi una spiegazione plausibile.
«Gli
altri sono pronti per
partire» mormora Aileliath, appena comparso al suo fianco
sulla
cupola che funge da lucernario del palazzo.
Sospira e riapre
gli occhi
scorgendo il cielo stellato davanti a sé. «Che
partano, per quanto
può interessarmi. Io attenderò» sibila
seccato.
Pur non volendolo,
percepisce
la confusione e la curiosità del custode, ma non se ne
dà troppo
pensiero.
«C’è
forse qualcosa di cui
vorresti parlarmi?» prova dunque Aileliath.
Scuote il capo.
Probabilmente
dovrebbe sul serio parlarne, ma non è ancora certo di quale
sia
effettivamente il problema, è solo conscio che esista, e
Pitch ha
tutta l’intenzione di scoprire di cosa possa trattarsi, prima
di
fare un solo passo, sia esso verso la rovina o verso un qualche
genere di vittoria.
«Non
è il momento. Ora
lasciami, ho bisogno di riflettere» soffia con decisione,
prima di
tornare a scrutare nel vuoto di fronte a sé.
*
«Che vuol
dire che non verrà
con noi?» ringhia Mot, scrutando con gelo Aileliath piantato
come un
colosso davanti a lui.
«Esattamente
ciò che ho
detto» commenta asciutto il leone, ghignando mentalmente nel
notare
la maschera di impassibilità del dio sgretolarsi e venire
meno.
«È
assurdo. A che scopo
avremmo attuato il rito, se lui se ne resta qui a fissare il cielo
stellato come fosse un maledetto oracolo imbottito di
allucinogeni?!»
sbotta alterato Mot, provocando il divertimento non solo del leone,
ma perfino del suo stesso fratello.
«Beh, in
fondo ha accettato
di prestarsi al rito, non di accompagnarci al massacro» gli
fa
ironicamente notare Aster, godendosi in modo più che palese
la
rabbia impressa nel volto sbattuto del custode
dell’oltretomba.
Mentre Aster e Mot
si sfidano
a un duello all’ultimo sangue fatto di sguardi incendiari e
battutine sarcastiche, Nyx solleva gli occhi bui e preoccupati in
quelli limpidi e brucianti di Aileliath nell’evidente ricerca
di
una qualche spiegazione. Il leone si lascia docilmente sondare ma non
accenna a un solo passo nella sua direzione, fatto che indispettisce
ulteriormente la dea della notte.
Al contrario Jack
si accosta
alle sue spalle e soffia un alito di brina sulla sua criniera,
attirandone discretamente l’attenzione.
«Sei
preoccupato anche tu,
piccolo spirito?» chiede gentilmente.
Jack lo osserva un
momento e
si mordicchia pensosamente un labbro, prima di dare una risposta.
«Sono confuso» ammette.
Aileliath annuisce
comprensivo. «Lo è anche lui, ora».
«Uhm…
Per questo non è qui
assieme a noi, adesso?».
Il custode si
limita ad
annuire e sorridere al giovane guardiano, il quale non può
fare a
meno di ricambiare con un pizzico di speranza in più.
*
Le sue dita stanno
ancora
pigramente scorrendo sulla folta pelliccia bianca di Alcor, nel
momento in cui percepisce il primo cambiamento: un odore
nell’aria
che un momento prima non c’era. Le sue orecchie vibrano,
interessate ed eccitate, smaniose di udire qualcosa che confermi la
novità. Il pelo sul collo del lupo accucciato al suo fianco
si
gonfia e un sordo brontolio lascia la gola di Alcor in una dolce,
risonante melodia di attesa e anticipazione.
«Sono
vicini» mormora
Liùsaidh~dorcha, mostrando le zanne in uno sbilenco sorriso
soddisfatto. «Va’, chiama tuo fratello e avverti
gli altri»
comanda, lasciando la via libera al lupo e disponendosi a
un’attesa
che spera sarà breve. Assottiglia gli occhi osservando
l’orizzonte
ancora vuoto. «Il nostro sole sta arrivando»
soffia, storcendo le
labbra in un amaro sorriso. «Presto anche la sua luce
sarà spenta».
*
Il luogo in cui
giungono
infine non ricorda affatto l’eventuale teatro di un prossimo
scontro tra forze divergenti. Tutto ciò che può
scorgere Aileliath
è una morbida collina ricoperta di erba verde e profumata,
un
laghetto blu appena increspato dalla brezza gentile su di un lato, il
cielo turchese sopra le loro teste, punteggiato da candide nuvole e
sullo sfondo un picco innevato; nessun demone in vista, né
altre
creature magiche fatta eccezione per loro stessi. Eppure tutti loro
sono consapevoli che quello è il posto giusto, devono solo
attendere. Ma che cosa, esattamente? E per quanto tempo?
«Il tuo
demone non conosce le buone maniere» ghigna Nyx, rivolta al
padre.
«Non lo sa che gli ospiti si accolgono con un sorriso e un
inchino,
offrendo loro qualcosa da bere?».
E, oh, è
davvero esilarante
osservare l’irritazione crescere sul volto di
Phanês. Se solo
potesse gli scatterebbe una foto e la conserverebbe per Pitch. Dubita
tuttavia che un congegno umano sarebbe in grado di cogliere e salvare
un tale, estatico momento.
Una risata morbida
e divertita
la ripesca dalle sue estemporanee riflessioni riportandola
bruscamente al presente.
«Mia
bella signora, io sono
un impeccabile padrone di casa. Tuttavia non vedo ospiti degni
d’essere accolti» replica a tono
Liùsaidh~dorcha. Dolcemente
atterra sul prato di fronte al gruppo di spiriti e divinità,
facendo
spaziare lo sguardo su tutti i presenti con un misto di
curiosità e
soddisfazione. «Mi duole ammettere che non vi aspettavo
così
presto. Speravo, in effetti, di avere il tempo per godermi un
po’
di buona luce, prima di spargere sangue» lamenta con un
piccolo
broncio e uno sbuffo appena seccato. «Ovviamente, avrei
dovuto
immaginare che saresti venuto il prima possibile, non fosse altro che
per il mero gusto di arrecarmi disturbo in un momento di stupenda
tranquillità» sbotta ora, rivolgendosi
direttamente a Phanês.
Il dio incrocia le
braccia al
petto e solleva scettico un sottile sopracciglio. «E ci sono
riuscito?» si informa asciutto.
Le pupille del
demone si
restringono fissandosi nello sguardo freddo di Phanês.
«Per tua
sfortuna sì, e ti prometto che pagherai anche per
questo» sibila
minaccioso.
Assorto, Aileliath
osserva le
due creature fronteggiarsi e riflette, e mentre riflette gli sovviene
lo sguardo pensoso di Pitch, apparentemente rivolto al nulla che
aveva di fronte. Qualcosa gli sfugge, esattamente come doveva essere
accaduto allo spirito oscuro, e Aileliath è intenzionato a
trovare
la risposta, la giusta chiave di lettura. Non ha però il
tempo di
esaminare con la giusta attenzione la faccenda per giungere a una
qualche conclusione poiché, di lì a poco,
sull’innocua collina
placida e verdeggiante compaiono altre creature: dal laghetto
fuoriescono un gruppo di nøkken in forma di alti cavalli,
lucidi e
di un grigio perlaceo; dalla radura di giovani alberi poco oltre la
curva della collina sbucano alcune kitsune dal manto chiaro e dalle
molteplici code; dal cielo terso planano stormi compatti di fate del
fuoco e dei ghiacci; poco dopo, al loro seguito e muovendo grandi
masse d’aria a colpi d’ala, si avvicinano anche una
manciata di
enormi draghi dalle scaglie argentee; a fianco del demone, infine,
balenano due forti luci cristalline che assumono presto forma di
grossi lupi bianchi.
«Direi
che possiamo anche
smetterla di fingere cortesia, ora» conclude
Liùsaidh~dorcha. «È
ormai giunto il tempo» è il suo ultimo commento,
prima che la
collina smetta di essere un tranquillo luogo di comunione con la
natura e diventi invece il campo di battaglia che ogni presente si
era aspettato di trovare fin dall’inizio.
*
La prima mossa,
contrariamente
alle previsioni di molti, è dei lupi che, di punto in
bianco, si
separano dal demone per scagliarsi su Ba’al e Mot. Alcor e
Mizar
non raggiungono però il loro obbiettivo poiché
Ba’al solleva
prontamente una solida barriera di elettricità che non solo
impedisce ai lupi di arrivare a loro, ma li rigetta indietro fra
pelo bruciacchiato e uggiolii sommessi.
Nel frattempo i
nøkken
approfittano della distrazione generale per bloccare le ali delle
pixies fra rami e alghe e i folletti si vedono così
costretti ad
accorrere in loro aiuto per impedire che vengano trascinate in fondo
al laghetto.
I cinque draghi
d’argento
scendono rapidi scegliendo come preda il grosso leone che spicca fra
tutti, mentre Nyx e Ouranós vengono presto circondati da una
moltitudine di volpi dagli occhi rosseggianti che creano attorno a
loro un vuoto in grado di isolarli da chiunque altro sia presente.
A tale vista i
guardiani
vorrebbero intervenire, ma scoprono fin troppo in fretta di avere
problemi ben maggiori da fronteggiare, per esempio un’intera
squadriglia di fate di ogni foggia e dimensione che devono trovare il
modo di tenere a bada ma senza esagerare, considerando che Toothiana
ha fatto loro un esasperante predicozzo sulla sorellanza e la
lealtà
e l’unione e tutta una serie di gran
belle cose simili,
salvo dimenticare che al momento quelle simpaticissime creature
stanno dalla parte del demone e, contrariamente a loro, sono ben poco
fraterne e più che disposte a levarli di mezzo in via
pressoché
definitiva. Così Jack svolazza a zig zag per il cielo,
affannato,
sforzandosi di schivare i minuscoli globi di fuoco che instancabili
le piccole fatine gli gettano contro, e Toothiana fa quel che
può
ribattendo gli attacchi con le sciabole come si trovasse a giocare
una partita di baseball, e una volta ha perfino colpito (per sbaglio,
evidentemente) una delle fate del fuoco che è precipitata al
suolo
fumante, facendo venire una mezza sincope a Toothiana che,
maledizione, non aveva calcolato la traiettoria con sufficiente
precisione. Ovviamente a Nicholas, Aster e Sanderson sono capitate le
fate dei ghiacci, e Nicholas, che pensava di essere ampiamente
vaccinato contro le bufere di neve, scopre nel momento meno opportuno
di aver fatto male i suoi conti, per non menzionare le orecchie
surgelate di Aster e la sabbia cristallizzata di Sanderson.
Phanês si
guarda intorno,
scorgendo battaglie più o meno cruente ovunque diriga lo
sguardo, e
scuote la testa contrariato, occhieggiando Liùsaidh~dorcha
con astio
e un certo nervosismo, aspettandosi da lui una mossa che non sembra
voglia giungere.
«Riesci
ad apprezzare quello
che vedi, per una volta?» lo sbeffeggia il demone, sorridendo
al suo
indirizzo.
«È
qualcosa di molto
stupido» replica Phanês, visibilmente deluso.
«Mi meraviglio che
tu non lo comprenda. Cosa, per l’esattezza, conti di ottenere
con
questa farsa?».
Il debole sorriso
svanisce
dalle labbra di Liùsaidh~dorcha, sostituito da una smorfia
amareggiata. «Mi aspettavo ciò che probabilmente
non potrà mai
accadere» ammette serio. «Pensare che ho
perseverato nel cullare la
speranza per tutto questo tempo, ecco qual è la parte
peggiore, la
più patetica. Sei una creatura così vuota e
meschina, e neppure te
ne rendi conto. Ma adesso basta, è tempo di andare
oltre» mormora,
con gli occhi fissi in quelli impassibili della divinità.
*
Le kitsune hanno
creato
attorno a madre e figlio una solida illusione, tanto che per quanto
facciano non sembrano in grado di trovare una via d’uscita.
Nyx
grida di frustrazione in seguito all’ennesimo, fallito
tentativo di
liberarsi dall’effimera prigione di quelle ingannevoli
canaglie
pelose, e Ouranós è tentato di strapparsi i ricci
a manciate, non
sapendo in che modo uscire da quel pasticcio né tantomeno
come
placare l’ira funesta della madre.
«Se le
prendo, ah, parola mia
che strappo loro quelle maledette code e le riduco a dei
barboncini!»
sbotta infuriata, spostandosi freneticamente alla ricerca di una
falla che le permetta di liberarsi e portare a compimento la sua
minaccia.
*
«Gah!
Quelle piccole pesti
intriganti! Mi hanno congelato la coda!» si lamenta a gran
voce
Aster.
Jack, non lontano,
nonostante
sia ancora impegnato a evitare di prendere fuoco, trova persino il
tempo di sghignazzare per le recenti disgrazie del guardiano della
speranza, attirandosi fra le altre cose un’occhiataccia dal
diretto
interessato e un borbottante ammonimento da North.
«Ouch!»
strilla,
ritrovandosi con i capelli strinati dal fuoco dopo essersi
imprudentemente distratto nell’ammirare l’ottimo
lavoro delle
fatine dei ghiacci. «Ehi, dico, fate un po’ di
attenzione!»
protesta, agitando il bastone e congelando in un colpo solo un intero
stormo di fatine del fuoco.
«Jack!»
tuona Toothiana,
indignata.
«Cosa? Mi
sono solo difeso.
Mi hanno bruciato i capelli, quelle» prova a difendersi lo
spirito
dell’inverno, indicandosi febbrilmente la chioma affumicata.
«Avresti
dovuto prestare più
attenzione» lo rimprovera.
Jack gonfia le
guance,
indispettito. «Beh, e loro allora avrebbero potuto evitare di
far
comunella col nemico» rilancia offeso.
A
quell’uscita, chissà
perché, tutti i colleghi lo fissano in modo strano, perfino
Sanderson. Così a Jack non rimane che fare spallucce,
agitare
nuovamente il bastone e surgelare un’altra generosa manciata
di
fatine; questa volta è toccato a quelle dei ghiacci.
*
Aveva creduto non
avrebbe
avuto noie eccessive nel fronteggiare qualche drago, nonostante le
dimensioni più che ragguardevoli. Evidentemente si
è ingannato:
questi draghi d’argento non sputano fuoco come ogni drago che
si
rispetti (o di cui ha sentito parlare dal giovane spirito
dell’inverno, comunque), certo che no; loro producono venti
gelidi
con le grandi ali e, non contenti, sputano fastidiosissimi getti di
brina, ghiaccio e quant’altro, cose che neppure sulle piste
da sci
si sono mai viste. Non che Aileliath possa temere più di
tanto
qualche spruzzata di neve, si intende, ma resta comunque irritante, e
la nebbiolina ghiacciata ha lo sgradevole effetto di ostacolare la
sua vista, così che nel momento in cui uno o più
di quei grossi
pipistrelli cala in picchiata su di lui, può solo affidarsi
all’udito per scansarsi in tempo ed evitare di essere
travolto e
fatto a brandelli. Sì, decisamente seccante.
*
È
impegnato a tenere d’occhio
gli spostamenti di Mizar e a mantenere le distanze di sicurezza per
evitare che quest’ultimo colga
l’opportunità di prendersi
qualche brano del suo corpo, quando scorge con la coda
dell’occhio
Alcor strappare fra le zanne la nera barriera di Mot e puntare
direttamente al collo del fratello. Allora, suo malgrado, distoglie
lo sguardo da Mizar e indirizza un fulmine contro Alcor, conscio di
non poterlo mettere fuori gioco ma con la speranza di riuscire almeno
a frenare se non arrestare il suo attacco. Il fulmine passa accanto
alle orecchie piegate del lupo costringendolo a mutare la sua
direzione e a incespicare di lato; nel tempo che impiega per
scrollarsi di dosso il fastidio, Mot lo ha già inglobato in
una
bolla dimensionale e respinto lontano. Non trova tuttavia modo di
felicitarsene poiché la sua attenzione è
catturata da un rauco
grido del fratello. Velocemente si volta e sgrana gli occhi nello
scorgere Ba’al e Mizar avvinghiati e impegnati a terra a
strapparsi
brani di pelo, vestiti e pelle nel tentativo di sopraffare il proprio
avversario. Ringhia, frustrato, dà una rapida occhiata alla
posizione di Alcor, ancora lontano e alle prese con il suo
incantesimo, infine decide di correre in soccorso di Ba’al,
che
sembra averne decisamente bisogno, considerato che si sta malamente
rotolando nella polvere sovrastato dal grosso lupo. Si concentra e
raccoglie le proprie energie per convogliare il poco buio presente
fra i suoi palmi, lo espande mentalmente e infine lo scaglia contro
Mizar, arrestando i suoi movimenti e allontanandolo faticosamente dal
fratello fino a sollevarlo da terra. Il lupo, ben scontento di
quell’idea, gonfia i muscoli ed emette sordi brontolii, ma
pare non
avere la forza necessaria a infrangere l’oscurità
che lo tiene
saldamente ancorato a mezz’aria.
«Allontanati»
soffia Mot,
tremando e ansimando senza osare allentare l’attenzione sul
buio e
sulla sua preda.
Ba’al,
malconcio e piuttosto
scosso, distoglie lo sguardo da Mizar e lo indirizza al fratello, poi
deglutisce spaventato, rendendosi conto del fatto che non è
certo in
condizioni migliori delle sue. Digrignando i denti si riscuote dalla
sorpresa e striscia via, barcollando un poco per rimettersi in piedi,
poi un po’ zoppicando e un po’ oscillando instabile
sulle gambe,
segue l’ordine di Mot e si allontana dal lupo, raggiungendo
il
fratello.
«Che cosa
fai?» mormora
quando gli è accanto.
Mot storce le
labbra violacee
in una smorfia derisoria. «Cerco il modo per liberarci di
loro, dato
che non possiamo batterli» rantola a stento, mentre la sua
pelle
perde progressivamente colore e definizione.
Ba’al lo
fissa allucinato e
poggia una mano sul suo petto. «Non dire fesserie.
L’unico
risultato che otterresti sarebbe quello di consumare inutilmente le
energie fino a dissolverti» sbotta allarmato.
«E non
è forse ciò che
desideri?» sospira il fratello, gli occhi che schiariscono
fino alla
trasparenza.
«No»
ringhia Ba’al,
strattonandolo per la blusa e costringendolo a dargli retta.
«Guardami. Smettila di… di fare qualunque cosa tu
stia facendo,
stupido» ordina, anche se la sua somiglia molto
più a una
preghiera.
Sussulta quando Mot
si volta
finalmente per guardarlo, scorgendo i suoi occhi così vuoti.
«Cercavo
di impedire che
quella bestia ti divorasse» alita, barcollando e finendo per
poggiare inerte contro Ba’al.
Incerto, poggia le
mani sulle
sue spalle (ridicolmente piccole se paragonate alle proprie), poi lo
circonda con le braccia e sospira, deglutendo amarezza e paura.
«Lo fai
nel modo sbagliato,
fratello» protesta debolmente al suo orecchio, passando piano
le
dita di una mano nei suoi capelli e trovandovi ciocche grigie.
«Lo
faccio nell’unico modo
che mi è consentito, fratello»
replica, accasciandosi infine esanime fra le braccia di Ba’al.
*
Ha commesso un
tremendo
errore. Avrebbe dovuto saperlo si trattasse di una pessima idea
condurre il suo popolo in quella battaglia. Non è forse suo
il
compito di proteggere e preservare la sua gente dai pericoli di un
mondo che non è mai maturato? Ha giurato di portare avanti
quel
compito, ma a conti fatti le prove l’accusano esattamente del
contrario: la sua famiglia, quella stessa che mai l’ha
abbandonata,
ora si trova in pericolo e, per quanti sforzi faccia, non sembra
essere in grado di mantenere la parola data a sé stessa.
Urla di
rabbia, mentre colpisce l’ennesimo nøkken al muso
con una fronda,
arma di fortuna raccolta da terra nella disperazione del momento,
frulla le delicate ali per ruotare su sé stessa e ne
allontana un
altro con un calcio sul naso. Stringe i denti e graffia, stringe i
denti e inghiotte un singulto, stringe i denti e ricaccia indietro le
lacrime; ci sarà tempo più tardi per piangere una
parte della sua
famiglia andata perduta fra le limpide acque del laghetto.
Più
tardi, se Eresseie ancora sarà viva, avrà forse
l’opportunità di
ascoltare il silenzio opprimente e desolante di un cuore infranto.
ˇ
ˇ
ˇ
ˇ
ˇ
L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Un
po’ di aria fritta a proposito di Alcor e Mizar, a questo
punto.
Ho
fatto un mélange, una sorta di ibrido fra mondi
diversi ma che, secondo la mia personale visione, si accostano
discretamente bene.
Mizar
è una stella doppia bianco/blu facente parte della
costellazione
dell’Orsa Maggiore, che assieme ad Alcor forma una stella
doppia.
Ora, a voler proprio essere fiscali, Mizar e Alcor (la sorella
sfigata, perché Mizar è più luminosa e
anche meno distante) sono
due delle stelle di un sistema stellare composto da sei stelle totali
(ma quante volte ho scritto “stelle”? bah!).
Dall’altro
lato abbiamo la mitologia norrena, con i suoi lupi. Per qualche
motivo i vichinghi tendevano ad associare la figura del lupo a caos e
distruzione, tant’è che i più
famigerati lupi mitologici sono:
Mánagarmr, il divoratore del globo lunare; Skǫll
e Hati, fratelli, che corrono nella volta celeste
all’inseguimento
rispettivamente di Sól (il sole) e Máni (la luna)
allo scopo di
mangiarseli; Geri (avido) e Freki (divoratore), che affiancano
Óðinn
e mangiano carne al posto suo; e poi ovviamente Fenrir, il mio lupo
preferito (e figlio di Loki, il mio dio preferito) che ha staccato
una mano a Týr (il dio della guerra), è stato
legato dagli Æsir
che lo temevano, fino al sopraggiungere del Ragnarök (il
crepuscolo
degli dèi) quando finalmente si è liberato,
unendosi al resto di
coloro che portavano distruzione e poi uccidendo
Óðinn.
Ora,
bene, io ho preso due stelle: Alcor e Mizar; due lupi: Skǫll
e Hati, e ho mescolato il tutto. Quindi abbiamo due lupi bianchi
ultraterreni a cui non piacciono né la luna né il
sole. Siccome qui
la luna è Manny e il sole Phanês… beh,
giungete alle vostre
conclusioni.
Roiben
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Capitolo 39 *** Capitolo Trentanove ***
Capitolo
Trentanove
Il
cielo d’un tratto si fa cupo, nuvole plumbee si frappongono
dense
fra il luminoso sole e la terra desolata. Ombre nere come inchiostro
sfrecciano sull’erba tenera e investono come una tormenta il
gruppo
di kitsune radunato su una dolce altura, sparpagliandole,
arruffandole e facendole volare all’aria, spezzando di
conseguenza
l’incanto ordito ai danni della dea della notte e del figlio.
Alcune di quelle ombre si solidificano e prendono forma, arrestandosi
a pochi passi dal gruppo di nøkken e pixies; zoccoli neri
battono
sul terreno attirando l’attenzione delle creature
dell’acqua.
Altre ombre si alzano in quota fino a sfiorare le ali dei draghi
d’argento, attorcigliandosi dispettosamente attorno ai loro
colli
squamosi e alle loro zampe artigliate, facendoli sbuffare forte e
costringendoli a scendere al suolo.
L’inattesa
figura di un alto
cavallo dal setoso manto perlaceo e dagli occhi cinerini cala al
suolo fra i lupi bianchi e le due divinità stremate,
interrompendo
momentaneamente le ostilità. In groppa al destriero un certo
spirito
oscuro fin troppo noto e ormai ampiamente dato per disperso.
Ba’al
vorrebbe dirgliene
quattro, ma non è poi così sicuro di avere il
fiato sufficiente per
farlo. Dal canto suo Mot ha già le sue belle
difficoltà a restare
ancorato a questo mondo per sprecare ulteriori energie nel notare la
ricomparsa di Pitch Black.
Pitch, a voler
puntualizzare,
non sembra particolarmente interessato a Ba’al e Mot,
né tanto
meno alle loro disavventure; invece osserva Alcor e Mizar con una
certa curiosità, peraltro perfettamente ricambiato dai due
lupi che
mostrano i denti ma non l’aperta intenzione di tornare
all’attacco.
Poi Pitch
d’un tratto
sorride. «Cercavo Liùsaidh~dorcha, in effetti.
Sapreste dirmi dove
posso trovarlo?» chiede con garbo.
Mizar ruota il capo
e lo fissa
dubbioso, Alcor decide invece di sedersi perché quella
è stata una
giornata decisamente movimentata come da molto tempo che non ne
vedevano di simili. Mizar quindi fissa il fratello e i suoi occhi
gialli sono apertamente interdetti e parecchio confusi. Alcor
riderebbe, se potesse, ma è un lupo e può
unicamente scuotere il
capo e sbatacchiare la coda a terra, divertito. I suoi occhi grigi si
soffermano in quelli del cavallo, poi in quelli dello spirito;
annuisce, si rimette in piedi e si allontana, facendo in questo modo
capire allo spirito oscuro che, se davvero desidera una risposta,
dovrà proprio seguirlo, dato che Alcor non ha un modo
migliore per
dargliela.
Pitch e il suo
cavallo (cui
Pitch ha voluto a tutti i costi dare un nome: Alioth) si scrutano un
lungo momento vicendevolmente, poi lo spirito fa spallucce e sprona
la sua cavalcatura perché tenga il passo dei due lupi.
Ba’al,
attonito per il
totale disinteresse dimostrato nei loro confronti da quel bastardo
dell’Uomo Nero, borbotta pesanti ingiurie fra i denti e
stringe la
presa dietro la schiena del fratello, trascinando entrambi in un
angolo più riparato in cui trovare un poco di ristoro e di
riposo.
*
Il prato e parte
della collina
e del lago sono ora rigidamente presidiati da numerose squadre di
neri incubi i cui occhi dorati rappresentano al momento le uniche
fonti di luce presenti sul posto, considerato che le pesanti nuvole
hanno richiamato una notte prematura che neppure Nyx sarebbe in grado
di evocare con tanta disinvoltura.
Aileliath, senza
mai perdere
di vista i draghi atterrati sull’erba e anch’essi
circondati da
incubi, avanza guardingo facendosi incontro a quelli che crede di
riconoscere come due dei suoi recenti amici e principali aiutanti
dell’Uomo Nero. A dargli ragione, infatti, poco dopo dal
gruppo
compatto si distaccano due incubi che si affrettano a raggiungerlo.
«Buon
tempismo!» esclama
gioioso, visibilmente lieto di rivederli al loro fianco. Solleva gli
occhi al cielo plumbeo e li riabbassa su Lumbar ed Epiales.
«Opera
vostra?» domanda, sinceramente incuriosito.
I due incubi
scuotono il muso,
negando, e gli trotterellano intorno, felici di averlo ritrovato sano
e salvo, proprio come desiderava il loro padrone.
«Non sono
riuscito a vedere
Pitch. Dove si trova, ora?» chiede speranzoso.
Epiales adocchia
Lumbar,
incerto, ricevendo un’identica occhiata insicura. Di nuovo
scuotono
il capo, questa volta dispiaciuti per la delusione che adombra gli
occhi di Aileliath.
«D’accordo,
in qualche modo
riusciremo a scovarlo. Adesso però sarà meglio se
diamo un’occhiata
alle condizioni degli altri» propone, guardandosi attorno con
leggera preoccupazione e invitando i suoi neri amici ad andare con
lui.
*
Insieme, non molto
più tardi,
ritrovano i cinque guardiani presi nell’occupazione di fare
una
ragionevole stima dei danni accusati in seguito allo scontro con le
fatine, mentre queste ultime sembrano tutte intente a fare smorfie e
linguacce ai pochi incubi sopraggiunti a dare un taglio alla futile
diatriba.
«Ohi,
ciao!» esclama Jack,
il primo a individuare l’appena sopraggiunto Aileliath.
Il custode sorride,
sia per
averlo ritrovato più o meno illeso e ancora piuttosto
pimpante, sia
per la capigliatura totalmente sconvolta e reduce da parecchie
bruciature, seppur superficiali.
«Come
state? Tutti ancora
interi?» chiede gentilmente.
«Ah,
figurati, solo qualche
graffio» sdrammatizza Nicholas.
«Sì,
e ghiaccio ovunque»
lamenta Aster, parecchio contrariato. «Frost a confronto
è un dolce
coniglietto» commenta.
«Io?»
dubita Jack di
rimando, strabuzzando gli occhi. «Ma non eri tu il batuffolo
soffice
e tenero?» sogghigna, prendendo agilmente quota quando Aster
punta
una spada su di lui ma senza smettere di ridersela beato.
*
Il suo passo
nervoso e
marziale rallenta sensibilmente nel giungere nei pressi del laghetto,
fino quasi a fermarsi. Ruota il capo, facendo vagare uno sguardo
costernato all’intorno, deglutisce e serra le dita facendo
scricchiolare le nocche.
«Madre»
mormora la voce di
Ouranós alle sue spalle.
«Osserva.
Non dimenticare.
Questo è ciò che accade nel momento in cui cerchi
di scaricare le
tue responsabilità su altri» replica con durezza.
Ouranós
si sofferma cogliendo
frammenti di distruzione e sospira avvertendone il peso.
«Cosa
possiamo fare?» domanda, fissando ora gli occhi sulla schiena
della madre.
«Cerchiamo
chi ancora esiste
e lo aiutiamo a raccogliere ciò che non è
più» replica asciutta,
riprendendo lentamente ad avanzare in mezzo alle macerie di quelle
che un tempo erano creature speciali
*
Alcor e Mizar si
fermano
infine al limitare di uno strapiombo scavato con pazienza da un fiume
che scorre qualche metro più sotto, serpeggiando a valle.
Sollevano
entrambi il muso puntando gli occhi al cielo e lo stesso fa Pitch,
scrutando ansioso le nubi contro le quali finalmente individua due
figure che si fronteggiano, incuranti del finimondo che fino a
qualche minuto prima metteva in subbuglio l’altrimenti pacata
tranquillità del luogo. Torna a posare gli occhi a terra con
un
sospiro e accenna un gesto di ringraziamento ai due lupi,
congedandoli silenziosamente, prima di spronare Alioth; questi, dopo
poche eleganti falcate sull’erba, si solleva agilmente in
aria,
librandosi leggero e prendendo via via velocità, diretto con
decisione verso le due figure avvolte nella densa cappa di grigie
nuvole di pioggia.
Nel farsi
più vicini Pitch
nota dettagli che da lontano gli erano sfuggiti: la figura di
Phanês
sembra aver perduto parte della luminosità che di norma la
contraddistingue; le scaglie di Liùsaidh~dorcha al contrario
brillano di riflessi dorati, quasi fossero in grado di immagazzinare
la luce e rimandarla moltiplicata; le labbra di Phanês sono
distorte
in una piega amara che poco gli si addice; negli occhi del demone,
quando è solo a poche falcate da loro, scorge qualcosa che
gli
ricorda triste malinconia. Scuote la testa, confuso ma anche deciso a
dare un significato a ciò che può vedere.
Nonostante tutto, nessuno
dei due prova paura, e Pitch ne deduce che debbano essere entrambi
degli sconsiderati e con seri problemi mentali. D'altronde vivere
così a lungo non sempre assicura la saggezza; loro,
certamente, ne
sono la dimostrazione pratica e lampante: un’esistenza
prolungata,
se gestita male, porta a squilibri mentali, e Pitch, beh, ne sa
qualcosa.
Socchiude le labbra
in una
muta espressione di sorpresa quando scorge una mano del demone
torcersi e Phanês aggrottare le sopracciglia e digrignare i
denti.
Liùsaidh~dorcha sta probabilmente mettendo in pratica
qualcuno dei
suoi giochetti ai danni della divinità. Con le ginocchia fa
pressione sui fianchi di Alioth, indicandogli di virare di modo da
scivolare dietro al demone e, nel passaggio, afferra con forza il
bordo di una delle sue ali e strattona trascinandoselo dietro per
diversi metri, prima che il demone trovi modo di reagire.
Liùsaidh~dorcha si contorce su sé stesso,
richiudendo le ali
attorno alle spalle e facendo perdere la presa allo spirito,
precipita per qualche istante al suolo poi spalanca le ali e,
piroettando in volo, riprende velocemente quota.
«Cosa
credevi di fare?»
ringhia contro lo spirito.
Pitch accenna un
sorrisino
divertito. «Distrarti?» domanda retoricamente.
Liùsaidh~dorcha
volta di
scatto la testa e vede Phanês planare dolcemente verso terra.
«Maledetto,
come osi?» sputa
adirato.
Pitch non si
scompone, invece
affila lo sguardo e lo osserva con più attenzione, scorgendo
ciò
che fino a quel momento lo aveva reso dubbioso e irrequieto.
«Tu
sei… un demone della luce?» mormora,
disinteressato alle sue
minacce ma non ai dettagli che ora può ben vedere, forse
anche
grazie al rito.
Liùsaidh~dorcha
sembra
congelarsi per un lungo momento, poi allunga le dita di una mano e
cerca palesemente di farlo secco con un deciso attacco che Pitch
scansa all’ultimo istante, sorpreso. La sua sorpresa, durata
il
tempo di un battito, è dovuta soprattutto alla conferma
indiretta
alla sua domanda: il demone lo ha attaccato condensando la propria
energia in un fascio di luce.
«Grazie
per la risposta»
replica, perfino divertito.
«Muori,
insetto!» sbraita il
demone, tornando all’attacco, evidentemente deciso a
sbarazzarsi di
lui per poi tornare a occuparsi della divinità.
«Già
fatto, spiacente»
comunica lo spirito, abbandonando momentaneamente la cavalcatura per
evitarle brutte conseguenze e scoprendo in quel modo di potersi
reggere sospeso in aria del tutto autonomamente.
«Interessante»
mormora fra sé.
Liùsaidh~dorcha,
frustrato e
adirato, segue con ostinazione i mutevoli movimenti di Pitch,
incapace di credere a come possa riuscire a scansare così a
lungo la
sua giusta punizione per tanta insopportabile sfrontatezza. Eppure,
per quanto si stia dando da fare, non è ancora stato in
grado di
colpirlo. Ringhia e si lancia all’inseguimento, intenzionato
ad
abbattere quell’indisponente creatura una volta per tutte.
«Fermati,
vigliacco!»
sbraita al suo seguito.
Pitch volta appena
il capo e
ghigna, facendo ribollire il sangue del demone.
«Se non
riesci a starmi
dietro è forse colpa mia?» insinua, ridacchiando e
godendosi il
ringhio imbestialito del demone.
Dovrebbe rispondere
all’offensiva, probabilmente; sarebbe fuor di dubbio la
scelta più
sensata e forse la miglior strategia. Il problema è che non
ne ha
voglia, si scopre invece molto più interessato a osservarlo
agitarsi
e sfoderare le sue indiscutibili abilità. Forse spera di
condurlo al
limite della pazienza e vedergli far scintille, in tutti i sensi.
Sì,
sarebbe certamente una delizia. Ridacchia, poi scuote la testa
perché
quello non è certamente un comportamento confacente al suo
carattere: imprudente, sconsiderato, dannoso, decisamente
irragionevole. Che diamine gli hanno fatto quei pazzi con
quell’insulso rito? L’aria fresca sul suo viso e
fra i suoi
capelli è molto piacevole, però. Aggrotta le
sopracciglia e di
nuovo scuote la testa, ormai persuaso di star perdendo totalmente la
ragione. Vira bruscamente per evitare un altro attacco da parte del
demone e stavolta ruota su sé stesso per poter osservare con
agio la
creatura che lo sta inseguendo con tanto accanimento, sprecando fra
le altre cose una marea di preziosa energia
nell’eventualità di
ridurlo in polvere, senza tuttavia tenere conto che sopra di loro non
c’è il brillante sole cui è tanto
legato Liùsaidh~dorcha, ma
grevi nuvole plumbee frutto dell’astuzia di Pitch.
«Non mi
dirai che sei già
stanco» strascica lo spirito con mellifluo divertimento.
Il demone emette un
urlo rauco
e imbestialito, di nuovo cerca di colpirlo e di nuovo manca il
bersaglio. «Io ti distruggo, insulso scarto» sbotta
frustrato.
«Sì?
Ma guarda, davvero? E
come mai sono ancora perfettamente intero? Batti la fiacca,
eh?» lo
deride Pitch, osservando le pupille del demone restringersi fin quasi
a scomparire nel viola e le zanne schioccare di rabbia.
Sospira,
comprendendo che non
può tirarla ancora per le lunghe. Se una creatura come
quella
perdesse il controllo sarebbero guai seri per tutti. Chiude gli occhi
per un solo istante e scompare dalla visuale di
Liùsaidh~dorcha per
riapparire un momento dopo sopra di lui. Afferra saldamente entrambe
le ali e, dopo aver piantato un tallone fra le sue scapole, le blocca
con fermezza facendolo precipitare pesantemente in basso.
«Lasciami
immediatamente!»
grida Liùsaidh~dorcha, contorcendosi come una serpe nel
tentativo di
divincolarsi dalla sua presa.
«Non
credo proprio» rifiuta
fermamente Pitch, scorgendo il terreno avvicinarsi a gran
velocità.
«Sono davvero curioso di ascoltare il rumore che produce un
demone
cadendo a terra».
Qualche istante
più tardi
aumenta impercettibilmente la pressione del tallone e strattona con
forza il tessuto membranoso e candido che ancora trattiene fra le
mani, udendo un latrato di protesta da parte del demone, infine
facendo leva contro la schiena di Liùsaidh~dorcha abbandona
la presa
e balza agilmente lontano nel momento stesso in cui il demone va a
schiantarsi pesantemente lungo il greto del fiume.
«Niente
male» mormora
soddisfatto, alludendo al sordo boato prodotto dall’impatto e
alla
nube di detriti sollevata in aria dall’urto.
Leggero, Pitch
ricade
morbidamente poco distante, posandosi con garbo sugli scogli scampati
alla recente distruzione, in attesa che Liùsaidh~dorcha si
scrolli
di dosso l’intontimento e torni a ringhiargli contro le sue
amabili
minacce. Non è tuttavia quello che si aspettava
ciò che accade di
lì a poco.
«Dovevo
immaginarlo»
borbotta infatti la voce del demone in tono stizzito ma del tutto
ragionevole.
Pitch reclina il
capo,
incuriosito. «Di cosa parli?».
Liùsaidh~dorcha
solleva il
volto appena graffiato e punta su di lui i suoi occhi indagatori.
«Ti
hanno usato per arrivare a me, esattamente come io ho fatto per
riprendermi la libertà». Scuote la testa con aria
seccata e un po’
afflitta. «Avrei fatto meglio a trovare il modo per
costringerti in
quel luogo».
Lo spirito
socchiude gli occhi
e stira le labbra, contrariato. «Dovrai perdonarmi se non mi
dolgo
del fatto che tu non ci abbia pensato prima» rimbrotta
sarcastico.
Ed ecco un altro
fatto che non
si aspettava: il demone accenna un sorriso alle sue parole, uno che
non è affatto un ghigno.
«Mi
costringi a rimpiangere
che non sia stato tu a trovare quello specchio. Giurerei che avrei
potuto guadagnare qualche anno in più di vera
luce» ipotizza
stranamente pacato, perfino sereno.
Pitch lo osserva e
non
capisce. Qualcosa è cambiato, ma quando? Perché?
«Cos’è
che non so?»
pensa, rendendosi conto solo in un secondo momento di aver espresso
la domanda ad alta voce.
«Ah,
scommetterei fin troppi
dettagli, giovane spirito» offre Liùsaidh~dorcha
in tono
palesemente divertito.
«Ho
più di duemila anni»
protesta Pitch, sforzandosi di non mettere il broncio.
«Certo»
sorride nuovamente
il demone, guardandolo con un brillio negli occhi, «e io ne
ho circa
diecimila in più rispetto a te».
Notizia che
ammutolisce Pitch
per lunghi istanti che paiono infiniti.
«Un’eternità» commenta
in un soffio costernato.
«Non
proprio, ma quasi, sì»
concorda Liùsaidh~dorcha, ripulendosi lentamente dalla
polvere
sollevata.
«Perché
eri lì dentro?»
decide quindi di chiedere lo spirito.
Il demone continua
a
osservarlo mentre si accomoda sull’acciottolato e ascolta il
mormorio del fiume. «Ch’io sia un demone non
è forse motivo
sufficiente?» propone di buon grado.
Ma lo spirito
scuote la testa,
facendo pochi passi che lo conducono a sfiorare l’acqua.
«Non se
parliamo di Phanês. Non credo a lui possa realmente
interessare la
natura di una creatura, ne convieni?» chiede attento,
notandolo
irrigidirsi impercettibilmente alla menzione della divinità.
«A
quell’essere non
interessa di niente e di nessuno, neppure di chi dovrebbe
rappresentare la sua famiglia, condividendone il sangue»
sibila
Liùsaidh~dorcha.
Pitch annuisce
concorde.
«Giusto. Dunque perché? Tu, evidentemente, gli
interessavi».
«Sì»
ammette
Liùsaidh~dorcha, «è così. E
lui interessava a me, mio malgrado».
A quelle parole gli
occhi di
Pitch si sgranano appena, si fa più attento e in silenzio
rimane in
attesa di un seguito.
Liùsaidh~dorcha
si sofferma
ancora una volta a osservarlo, poi ghigna, facendo rabbrividire lo
spirito.
«Desidero
fare un patto»
propone improvvisamente.
«Con
me?» si stupisce Pitch.
«Esatto.
Io ti parlerò di
ciò che ti preme sapere e tu, in cambio, mi racconterai la
tua
storia».
Pitch schiude le
labbra e
spalanca gli occhi, deglutisce, riflette febbrilmente e, infine, per
quanto reticente, accetta il patto annuendo gravemente e guardando
con preoccupazione un nuovo ghigno fiorire sulle labbra del demone e
spalancarsi fino a trasformarsi in una risata soddisfatta.
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Capitolo 40 *** Capitolo Quaranta ***
Capitolo
Quaranta
«C
’era una volta un giovane demone invaghito delle albe
dorate»
narra Liùsaidh~dorcha, adocchiando con divertimento palese
la
smorfia esasperata comparsa sul volto serio ai limiti del tignoso
dello spirito oscuro. «Cosa succede? Pensavo volessi
ascoltare ciò
che ho da raccontare» punzecchia, sbeffeggiandolo con ironia.
«Pensavo
volessi spiegarmi il
motivo della tua protratta reclusione» rimbecca acidamente
Pitch.
«È
esattamente ciò che ho
intenzione di fare, per questo tuttavia è necessario partire
da
molto lontano nel tempo» si giustifica pigramente
Liùsaidh~dorcha,
non mancando di ghignare compiaciuto.
Pitch si massaggia
le tempie,
iniziando a pentirsi di avergli accordato la propria attenzione e,
soprattutto, libertà di parola. «Bene, in questo
caso ti pregherei
di voler iniziare e di farlo velocemente, prima che la mia pazienza
si esaurisca definitivamente» minaccia in un sibilo seccato.
«Ah,
questa sì mi piacerebbe
vederla» insinua Liùsaidh~dorcha.
«Fossi in
te non ne sarei
troppo convinto» bercia Pitch, sogguardandolo con astio
crescente.
«D’accordo»
si risolve il
demone, dispiegando un poco le ali e scuotendole leggermente per
ripulirle dalla polvere e dagli ultimi fastidiosi detriti.
«Tutto
risale a circa ottomila anni fa. A quel tempo, come ho accennato, ero
ancora relativamente giovane, per gli standard di un demone che si
rispetti, ovviamente. La verità è che
necessitiamo di molto tempo e
svariate esperienze per apprendere, per maturare. Io non lo ero
ancora, purtroppo, e questa è stata probabilmente la mia
maggiore
rovina. La seconda è stata incontrare Phanês. La
terza non essere
stato sufficientemente accorto da vedere ciò che, in un
altro
momento, sarebbe parso palese».
Pitch ascolta in
silenzio. Di
tanto in tanto averte l’istinto di intervenire per chiedere
maggiori delucidazioni, ma con decisione lo mette a tacere, convinto
sia meglio tenere le sue mille domande per sé fino al
momento più
opportuno. Quindi lo lascia parlare di buon grado, ansioso di
scoprire ciò che si cela dietro interminabili secoli di
segreti
gelosamente mantenuti.
«Lui
sapeva essere
affascinante, a modo suo, e l’attrattiva che riusciva a
esercitare
su creature come il sottoscritto era vasta a davvero
pericolosa».
Scuote la testa, esasperato dai suoi stessi pensieri. «Se
solo lo
avessi incontrato più tardi le cose sarebbero andate
diversamente.
Ma allora la mia ingenuità superava di gran lunga le mie
conoscenze
e la mia ragione. Come uno sciocco mi sono lasciato abbagliare dalla
sua luce, cieco all’oscurità che si nascondeva nel
suo cuore e
ancora oggi insudicia la sua fittizia esistenza» sibila con
evidente
ira.
In quel momento
Alioth
ricompare percorrendo un’insenatura del fiume, passeggiando
adagio
e senza preoccupazioni apparenti. Pitch e Liùsaidh~dorcha,
momentaneamente distratti da quella nuova presenza, si soffermano per
qualche lungo momento a osservare il manto lucido e i muscoli
guizzanti del destriero.
«È
molto bello» soffia
Liùsaidh~dorcha, rapito. «Lo hai creato
tu?».
Pitch annuisce e
mormora un sì
un po’ distratto, intento come il demone a seguire
l’incedere di
Alioth, poi sorride divertito. «La mia prima creazione dotata
di
anima… o quasi» ammette con leggero imbarazzo.
Liùsaidh~dorcha
distoglie con
un po’ di difficoltà lo sguardo da Alioth e lo
fissa sullo spirito
oscuro. «Per quale motivo lo avresti fatto?» indaga
incuriosito.
Lo spirito
socchiude
leggermente gli occhi abbassando lo sguardo a terra. «In
verità ciò
che avevo in mente principalmente era creare un tracciatore, qualcosa
in grado di scovarti a colpo sicuro. Ho così messo insieme
le mie
conoscenze e le capacità di quelli che si sono uniti per il
rito».
Risolleva gli occhi puntandoli su Alioth. «Quello
è il risultato.
La mia volontà ne ha fatto un segugio, le mie speranze gli
hanno
donato una parvenza di vita» tenta incerto.
«Quello
che posso vedere è
molto più di una parvenza, spirito. Non vi
scorrerà sangue, forse,
ma di certo vi scorre coscienza e vita. Credo tu abbia fatto un
ottimo lavoro, per essere alla tua prima prova» commenta il
demone.
Per qualche arcano
motivo,
Pitch arrossisce leggermente all’udire tali parole e
tossicchia
ulteriormente imbarazzato.
*
«Intendevi
ucciderlo?»
riprende la parola lo spirito oscuro, adocchiando per un breve
momento il volto del demone e scorgendolo incupirsi nuovamente.
«Phanês, intendo. Era tua volontà
togliergli la vita?» rettifica,
per quanto non lo ritenga così necessario.
«Per
certi versi mi sarebbe
piaciuto, sì» ammette il demone, poi scrolla le
spalle. «Dubito
sia possibile, tuttavia. La sua esistenza non è minimamente
simile a
quella di alcun altra creatura esistente o esistita» pondera
crucciato.
Pitch,
inaspettatamente,
sbuffa una piccola risata. «Ti dirò: a me pare
stessi svolgendo un
eccellente lavoro» commenta ironico.
Liùsaidh~dorcha
lo fissa
sbigottito. «Beh… Uh…
Grazie?» tenta incerto. «Mi era parso di
capire tu stessi dalla sua parte» prova, confuso.
Pitch solleva un
sopracciglio,
sarcastico. «Demone, forse non ti è chiaro; io sto
da un’unica
parte: la mia».
L’occhiata
che gli scocca
Liùsaidh~dorcha è un misto di sorpresa e vivo
interesse. «Questa
sì è una valida notizia. Dunque, in tutto questo,
come sei arrivato
ad allearti con il dio della luce in persona?».
Pitch assottiglia
lo sguardo e
sbuffa. «Hai un bel coraggio a fare domande simili. Dovrei
forse
rammentarti che mi avete messo in mezzo voi? Non mi dire che con gli
anni la tua memoria vacilla come le gambe di un vecchio»
sogghigna.
«Per parte mia, ti assicuro, avrei senz’altro
preferito godermi in
santa pace una buona lettura nel mio salotto silenzioso e appartato.
Ma ovviamente sembra fosse chiedere troppo, non è
vero?» sbotta
alterato. «Prima il maledetto Uomo nella Luna con i suoi
giochetti e
le sue pensate da tossicomane, poi quell’abominevole custode
dell’oltretomba con il fratello guerrafondaio e
iperattivo»
recrimina, facendo nervosamente avanti e indietro fra il pietrisco e
l’acqua, evidenziando il suo elenco sulle sottili dita di una
mano.
«E d’un tratto, senza affatto comprendere come, mi
ritrovo conteso
fra una divinità psicotica e un demone malato»
ringhia frustrato.
Liùsaidh~dorcha,
ben lontano
dal sentirsi offeso, sorride sornione osservandolo con intensa
curiosità, fatto che irrita ulteriormente Pitch.
«Che
c’è?!» sbraita
infatti quest’ultimo, ormai giunto al limite della pazienza.
«Trovo tu
sia una creatura
interessante» commenta Liùsaidh~dorcha in tono
pacato. «Cos’è
che fai, esattamente, nel tuo tempo libero?» si informa
pacifico.
Pitch digrigna i
denti,
seccato. «Sono l’Uomo Nero!» esclama
indignato.
«Uhm…
Questo dovrebbe dirmi
qualcosa?» indaga Liùsaidh~dorcha.
Pitch boccheggia,
freme di
rabbia, poi sbuffa e si lascia ricadere seduto a terra, rassegnato.
«Avevi detto che mi avresti spiegato come stanno le cose fra
voi,
prima» protesta debolmente.
Liùsaidh~dorcha
ghigna. «Ho
cambiato idea. Sono volubile, io. Quindi, ora raccontami di te, poi
io ti narrerò di come sono andati i fatti dopo che ebbi
incontrato
Phanês» tratta con subdolo divertimento.
«Mascalzone»
rimbrotta
Pitch, sbuffando per l’ennesima volta. Ciò
nonostante si risolve
ad accettare quel cambio di programma e si dispone a raccogliere le
idee per narrare al demone della propria esistenza e delle numerose
peripezie che ne sono conseguite.
*
Liùsaidh~dorcha
è accigliato
quando Pitch giunge al termine della sua narrazione. Solleva gli
occhi a un cielo ancora denso di nubi cupe e il suo cruccio si
accentua. «Non sono certo di riuscire a
comprendere» riflette a
voce bassa, dopo un lungo silenzio un po’ teso.
«Non
contare sulla
possibilità ch’io torni a ripetere tutto da
capo» lo avverte
Pitch, stizzito.
Liùsaidh~dorcha
aggrotta la
fronte e piega le labbra in una smorfia contrariata. «Non
è quello
che intendevo, spirito. Ciò che non comprendo è
il motivo per il
quale hai accettato di prestarti al gioco di quelle
divinità»
chiarisce.
«Non
l’ho fatto» replica
Pitch.
Il demone affila lo
sguardo.
«Certo che sì. In caso contrario non ti troveresti
in questa
situazione».
Lo spirito sospira,
quasi
annoiato. «Forse» dubita, scuotendo il capo.
«La tua presenza in
questa storia non mi lasciava molto margine di decisione, in
realtà».
«L’avevi,
invece. Potevi…»
d’improvviso tentenna, indeciso.
«Cosa?»
strascica Pitch.
«Girarmi dall’altra parte, forse? Non potevo sapere
quali fossero
le tue intenzioni. Questo posto è l’unico,
attualmente, nel quale
mi sia consesso di restare, anche se molti preferirebbero di gran
lunga non avermi fra i piedi».
«Oh,
così ora sarebbe colpa
mia?» sbotta Liùsaidh~dorcha.
«Ovvio
che sì!» ribadisce
Pitch con un ringhio sordo. «Tua e di quella
divinità scellerata
cui non importa di nulla e nessuno» accusa con fermezza.
Il demone lo fissa
truce con
le labbra strette in una smorfia insieme adirata e contrita.
Dà
l’idea di essere a un passo da un’esplosione di
rabbia in piena
regola.
«Phanês
mi ha esiliato in
quella maledetta dimensione nella quale a malapena sentivo di essere
in vita, dimenticandosi perfino della mia esistenza. Mi ha ingannato,
usato, e poi… poi gettato!» grida, facendo tremare
il suolo.
«Nessuno, neppure un dio, può permettersi di
usarmi e liberarsi di
me! Ho ucciso per molto meno» sibila freddamente.
Il timore che forse
Liùsaidh~dorcha si aspettava di scorgere nello spirito non
fa invece
per nulla capolino sul viso di Pitch, al suo posto un piccolo ghigno
sfrontato.
«Bene,
infine qualche buon
chiarimento inizia a farsi strada nel groviglio di menzogne»
mormora
soddisfatto.
Liùsaidh~dorcha
ringhia
adirato, poi sobbalza impreparato nel momento in cui Alioth gli
sfiora il collo con il muso, facendo ridacchiare Pitch, seguito a
ruota da Liùsaidh~dorcha.
«Me lo
posso tenere?» soffia
dolcemente, carezzando il collo setoso della cavalcatura.
«Può
darsi» tentenna lo
spirito. «Che cos’hai da offrirmi in
cambio?» azzarda con occhi
luccicanti.
Il demone sposta
l’attenzione
da Alioth a Pitch e viceversa. «Che cosa vorresti?»
arrischia.
«Oh,
molte cose, in verità.
Ma, ammetto, ora come ora mi accontenterei di tornarmene a stare in
santa pace nella mia comoda tana» tratta cautamente.
Le dita di
Liùsaidh~dorcha,
intrecciate alla lunga criniera di Alioth, si ripiegano
imprigionandone i crini.
«Pace,
quindi» pondera
pensieroso.
«Sarebbe
auspicabile, sì»
ammette Pitch.
Liùsaidh~dorcha
scuote la
testa. «E lasciare che Phanês se la cavi senza
danni, dopo tanti
secoli spesi a cercare il modo più doloroso per fargliela
pagare?»
sibila, e nella sua voce si avverte un tremito d’angoscia.
Pitch sospira e fa
stancamente
scorrere una mano fra i capelli. «Non puoi ucciderlo, lo hai
detto
tu stesso, e non puoi neppure fargli del male prendendotela con
qualcun altro, considerato che a lui non importerebbe»
argomenta
ragionevole.
Liùsaidh~dorcha
digrigna i
denti, frustrato. «Ho le mani legate, è questo che
cerchi di
dirmi?» accusa stremato.
Un angolo delle
labbra di
Pitch si solleva, stupendo un poco il demone. «No, cerco di
dirti
che probabilmente sbagli approccio. Credo, invece, che dovresti
riflettere sulla possibilità di ripagarlo con la sua stessa
moneta»
suggerisce, con una luce diabolica che scintilla in fondo ai suoi
occhi dorati.
Liùsaidh~dorcha
si fa attento
e interessato. «Cosa suggerisci?» chiede infatti
trepidante.
«Invero,
pensavo potremmo
fargli una piccola improvvisata, noi due, se l’idea ti
garba»
offre, rispondendo di buon grado al malvagio sorriso comparso sul
volto del demone.
*
Il suo sguardo si
sposta
lentamente dalla piana verdeggiante ai suoi piedi al cielo plumbeo
che ancora permane con insistenza sopra la sua testa. Sospira,
chiedendosi se non ci sia qualcosa
che possa fare per riportare tutto com’era da principio.
Purtroppo,
nemmeno lui ha potere a sufficienza da annullare ciò che
è fatto e
riavvolgere il tempo; per questo servirebbe Chrónos, ma
nessuno
potrebbe mai convincerlo a tanto, per nessun motivo al mondo,
salvezza di tutti loro compresi. A volte si domanda a che serva
essere divinità immortali se non è dato loro di
sfruttare appieno i
loro poteri. Scuote il capo e indugia ancora una volta sulle nere
sentinelle schierate con precisione su quello che per beve tempo
è
stato un sanguinoso campo di battaglia; poi la sua attenzione viene
attirata da un punto preciso in cui l’aria sembra tremolare e
di lì
a poco, dal nulla, compare quello strano spirito oscuro che di nuovo
lo sorprende con la sua presenza inattesa. Aggrotta le sopracciglia
ma non muove un passo, attendendo che sia l’altro a palesare
le
proprie intenzioni. Infatti Pitch non attende molto prima di farsi
avanti con decisione e scrutarlo con uno sguardo che non è
però in
grado di decifrare.
Phanês,
indispettito per
l’ostinato e prolungato silenzio dello spirito, aggrotta la
fronte.
«Quali sono le tue intenzioni, spirito? E che ne è
stato del
demone?» si risolve infine a sindacare, poiché
infastidito dalla
mancanza di reazioni dell’altro.
«Oh, ero
semplicemente
curioso» replica Pitch senza particolari sfumature nel timbro
della
voce.
La
divinità assottiglia le
palpebre, sospettoso. «Di cosa stai parlando?»
pretende di sapere.
«Ma di
te, naturalmente. Si è
mai parlato d’altro, del resto?» insinua lo spirito.
Phanês,
incerto, sta per
ribattere nel tentativo di comprendere, ma nei fatti non ne trova il
tempo dato che alle sue spalle l’aria tremola ancora una
volta e
presto alla coppia si unisce Liùsaidh~dorcha. La
divinità si volta
repentinamente e sgrana gli occhi, colto improvvisamente dal dubbio.
«Che
cosa…» prova.
Ma scorge le labbra
del demone
piegarsi in un ghigno divertito e una mano fendere l’aria.
D’un
tratto si ritrova rinchiuso in una bolla che sfrigola di luce e
oscurità unite assieme; allunga un braccio, sfiorandone la
superficie con le dita, e scopre che essa è creata anche con
la
propria energia.
«Come?»
domanda sorpreso.
«È
piuttosto semplice, in
effetti: tu stesso hai voluto fornirmi quel potere» spiega
Pitch,
ragionevole.
«Perché
tu potessi usarlo
contro il demone, così da proteggere questa Terra»
protesta Phanês.
Pitch scuote il
capo e lo
osserva di traverso, visibilmente deluso. «Niente affatto.
Questo è
ciò che intendevi far credere agli altri, e forse ci sei
perfino
riuscito, ma certo non è il motivo per cui tu
lo hai fatto».
«No di
certo» interviene
Liùsaidh~dorcha, che nel frattempo si è accostato
alla bolla e
fissa torvo il volto del dio. «La tua motivazione
è più meschina:
temevi che in questi lunghi secoli, poiché ero
inspiegabilmente
sopravvissuto, fossi divenuto troppo potente perfino per te e, di
conseguenza, avrei potuto eliminarti» ringhia, arrabbiato
perché in
effetti avrebbe avuto davvero piacere se le paure del dio si fossero
rivelate veritiere. «Purtroppo per me non è
così; temo mi ci
vorrebbero ancora molti altri secoli e, chissà, forse nel
frattempo
anche i tuoi poteri aumenterebbero, non lasciandomi speranza
alcuna»
ammette contrariato.
«Tuttavia»
riprende la
parola Pitch, «esiste comunque un modo per porre un limite a
ciò
che puoi fare. Noi crediamo (e con noi
intendo Liùsaidh~dorcha e io, ovvio, ma anche diversi altri
spiriti
cui il tuo atteggiamento non garba particolarmente, in
realtà) che
questo mondo possa funzionare perfettamente in autonomia, senza
nessunissima necessità della tua presenza».
«Per
questo motivo» aggiunge
Liùsaidh~dorcha, offrendo un tirato sorriso «ci
siamo accollati il
compito di… Come avevi detto, Pitch?» chiede,
rivolgendosi allo
spirito.
«Toglierlo
di mezzo, se ben
ricordo» offre Pitch.
«Oh
sì, giusto: di toglierti
di mezzo.
Suona
bene, no?» ghigna soddisfatto.
Ora
Phanês li fissa entrambi,
visibilmente adirato, e sia Pitch che Liùsaidh~dorcha
sentono di
aver infine realizzato la loro miglior impresa.
«Vi
pentirete di ciò che
state facendo» profetizza Phanês, sibilando con
rabbia.
Liùsaidh~dorcha
annuisce.
«Probabilmente succederà, ma dovrà
passare molto, molto tempo
prima che ciò possa realmente accadere. E chissà
se per quel
momento esisterà ancora un mondo in cui potrai
vivere» insinua
minaccioso. «Può darsi che per allora qualcuno di
più grande venga
creato e prenda più degnamente un posto che mai ti
è interessato»
soffia, con un misto di dolore e speranza.
Pitch schiude le
dita di una
mano, rivelando lo specchio ancora in versione ridotta, annuisce
all’occhiata di Liùsaidh~dorcha e si concentra sul
potere di
Phanês per riportarlo alle normali dimensioni.
«Vorrei
augurarti un
gradevole soggiorno, ma dubito francamente tu possa trovarlo di tuo
gusto» chioccia, fissando Phanês negli occhi.
«Usa il tuo tempo in
modo più produttivo, questa volta» suggerisce,
prima che lui e
Liùsaidh~dorcha guidino la bolla oltre il varco
dell’altra
dimensione.
Per un momento le
incisioni
sulla cornice brillano dorate, infine tornano a svanire così
come il
riflesso sulla dimensione viola. Liùsaidh~dorcha trae un
sospiro
tremolante e rimane qualche momento a contemplare il loro riflesso.
«Sei
pentito?» mormora cauto
Pitch.
Liùsaidh~dorcha
sposta lo
sguardo sullo spirito e scuote la testa. «No, non lo sono.
Sono
solo… triste, credo».
Pitch annuisce e
con un lieve
gesto della mano riduce nuovamente le dimensioni dello specchio,
facendolo poi scivolare in una delle molte tasche della sua veste.
«Bene,
perché non sono certo
mi piacerebbe ritrovarmelo davanti così presto»
ammette, suo
malgrado nervoso.
«Non
succederà» replica
duramente Liùsaidh~dorcha. «Non sono così
folle da pensare di tornare sui miei passi» prova a
rassicurarlo.
«Ma ritengo comunque opportuno che sia tu a tenere quel
portale. Lo
custodirai certamente meglio di quanto abbia fatto lui».
Un incerto sorriso
distende le
labbra di Pitch. «Per quanto posso immaginare, perfino Frost
potrebbe svolgere un lavoro migliore».
*
L’aria
tremola ancora una
volta e dal nulla compare Alioth che trotterella senza esitazioni
incontro allo spirito oscuro e al demone, curva il collo in un arco
flessuoso e struscia il muso sulla spalla del demone.
«Avevi
ragione, sembra. È
proprio un segugio questa tua creatura» commenta
Liùsaidh~dorcha
ritrovando un pizzico di serenità e carezzando
tranquillamente la
serica criniera di Alioth.
«Ho fatto
un lavoro discreto,
una volta tanto» concorda Pitch, quasi sorpreso dalla
rapidità con
la quale li ha ritrovati.
«Quindi,
che ne dici,
vorresti lasciarmelo?» ritenta Liùsaidh~dorcha,
speranzoso.
Pitch aggrotta le
sopracciglia
e pondera la richiesta con serietà, mentre osserva Alioth
bearsi
delle attenzioni del demone.
«Potrei
accettare» soppesa
cauto.
Liùsaidh~dorcha
avverte
distintamente la sua reticenza, ma decide di rimanere in silenzio e
attendere la decisione dello spirito, qualunque essa sia.
«Credi di
potermi far ben
sperare che lui non mi servirà più?»
indaga Pitch, ancora
crucciato.
Liùsaidh~dorcha
accenna un
piccolo sorriso. «Questo è il mondo in cui sono
nato e nel quale ho
vissuto la parte migliore della mia esistenza. Non cerco un luogo
differente ove continuare a vivere. Il suo sole è la mia
vita
stessa. Pensi sarei tanto sciocco da mettere a repentaglio tutto
questo per futile orgoglio, forse?».
Pitch reclina il
capo e lo
soqquadra interessato. «Lo saresti?» insinua
malizioso.
Liùsaidh~dorcha
mostra le
zanne in un ghigno divertito. «No, spirito, neppure fra un
milione
di anni il mio cervello sarebbe tanto marcio da elaborare una simile
follia» assicura convinto.
Pitch si avvicina
lentamente,
fa scorrere morbidamente le dita lungo il collo di Alioth e piano
annuisce. «Sta bene, è tuo» concede
pacato. «Bada, però:
pretendo che venga rispettato e trattato in modo degno»
sibila,
assottigliando lo sguardo.
Un brillio
divertito scintilla
negli occhi di Liùsaidh~dorcha. «Sarà
mia premura prendermene cura
nel migliore dei modi» promette solenne.
«Mi
fido» mormora Pitch,
allungandosi a sussurrare qualcosa nelle orecchie di Alioth.
«C’è
dell’altro, tuttavia» aggiunge.
Liùsaidh~dorcha
spalanca gli
occhi in una plateale espressione esasperata. «Creatura
pretenziosa!» sbotta, suo malgrado divertito. «Ad
averlo saputo
prima…» commenta, scuotendo la testa con una certa
ilarità negli
occhi. «Avanti, esponi questa tua nuova richiesta, e vediamo
sino a
che punto giunge l’avidità umana».
Pitch, in quella,
affila lo
sguardo. «Non sono umano» sibila, scoccando
un’occhiata velenosa
al demone. «E neppure particolarmente avido, a dir la
verità»
soppesa pensieroso.
«Stavo
solo scherzando,
accidenti» prova a giustificarsi Liùsaidh~dorcha,
un po’ nervoso
a quel punto.
«Per il
futuro ti suggerirei
di evitare, a meno che tu non abbia desideri sucidi» lo
ammonisce.
«La morte non ha minimamente mitigato la mia pazienza
né la mia
capacità di sopportazione» spiega crucciato. E a
un cenno
affermativo del demone si risolve a esporre finalmente la sua
richiesta. «Hai con te qualcosa che non ti appartiene.
Desidero che
tu me lo dia».
Ora
l’espressione di
Liùsaidh~dorcha è apertamente sorpresa.
«Mi avevi concesso di
tenerlo» protesta debolmente, un po’ confuso dai
giri mentali
dello spirito.
Pitch arriccia il
naso,
seccato. «Non Alioth, testa di legno!» sbotta,
negando con aperta
esasperazione. Ma scorgendo la confusione dilagante sul volto del
demone comprende di dover necessariamente chiarire la propria
richiesta. «Tu hai sottratto a Mot una parte di lui. Pretendo
ora
che tu la renda» dichiara duramente.
Liùsaidh~dorcha
è ancora
parecchio sorpreso, in effetti. «Pensavo lui non ti
piacesse»
dubita crucciato.
«Infatti
lo detesto»
conviene Pitch senza minimamente scomporsi.
«Ma…
allora…» tentenna,
sempre più confuso.
«So
ciò che significa
continuare a esistere dopo che una parte importante di sé
stessi è
stata strappata via. Non è una situazione che augurerei al
mio
peggior nemico. E lui non lo è, nonostante tutto»
decide di
chiarire Pitch.
Liùsaidh~dorcha
lo sta
guardando insistentemente negli occhi da parecchio, nella vana
speranza di decifrare ciò che si cela nella fitta
oscurità. Infine
sospira sconfitto e, anche se con leggero rammarico, si risolve ad
accettare anche quella richiesta. Titubante, posa una mano sul
proprio petto, chiude gli occhi e si concentra. Poco dopo un fievole
bagliore argentato illumina la sua pelle cilestrina, poi le sue dita,
fino ad abbandonare lentamente il suo corpo e accoccolarsi
nell’incavo della sua mano.
«Sei
molto lontano dall’idea
che ho sempre mantenuto riguardo gli spiriti oscuri» commenta
con
curiosità. «Chiunque, in effetti, potrebbe finire
con l’esserne
ingannato» chiosa divertito.
Pitch increspa le
labbra in un
sorriso sinistro. «Ci ho fatto spesso affidamento»
ammette con
leggerezza. Allunga un braccio e distende le lunghe dita della mano,
mostrandosi impaziente di riottenere la sua cauzione, e solo quando
il fumoso bagliore argentato serpeggia docile nel suo palmo si
permette un lieve sospiro soddisfatto. «Lieto per la tua
gentile
collaborazione» offre sardonico, indirizzando un ghigno
sprezzante
al demone.
Liùsaidh~dorcha
sbuffa.
«Gentile
collaborazione,
dici? Perché, al contrario, ho avuto l’acuta
sensazione che fossi
assolutamente disposto a ridurmi in cenere, casomai avessi avuto
l’ardire di rifiutare?» borbotta un tantino
stizzito.
Pitch scrolla le
spalle con
lieve disinteresse. «Chissà» mormora
distratto. «Dopotutto potrei
non essere ciò che ci si aspetta da uno spirito
oscuro» valuta,
creando una piccola barriera per la sua nuova conquista e intascando
anche quella.
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Capitolo 41 *** Capitolo Quarantuno ***
Capitolo
Quarantuno
«Quei
tuoi nøkken hanno complicato non di poco un problema
già piuttosto
gravoso» soppesa Pitch, pacato, osservando da lontano lo
scorcio di
paesaggio nei pressi del laghetto.
Liùsaidh~dorcha
storce le
labbra in una smorfia insofferente. «Avrebbero fatto meglio a
rimanere nei loro boschi, com’è sempre
stato» sibila contrariato.
Pitch annuisce
piano.
«Probabilmente sì. Tuttavia la presenza del tuo
piccolo esercito
era una preoccupazione che non poteva essere ignorata così
facilmente».
«È
comunque colpa mia,
dunque» borbotta Liùsaidh~dorcha. Pitch lo
soqquadra, limitandosi a
riservargli un’espressione di ovvietà.
«Beh, mi rincresce»
sbotta nervoso, «ma per quanto io possa dispiacermi, non
è che ci
sia seriamente qualcosa che sia in mio potere fare».
«Lo
so» concorda Pitch, «ma
questo non risolve il problema. Temo sarebbe per te opportuno evitare
di mostrarti, ora; potrebbe facilmente risultarne un pericolo, sia
per loro che per te» precisa con garbo.
Liùsaidh~dorcha
annuisce, suo
malgrado. «Sì, probabilmente hai
ragione» soffia, sollevando
mestamente lo sguardo al cielo ancora livido. Sospira. «Mi
troverò
un posticino riparato che non infastidisca altri» promette
titubante.
Pitch offre un
piccolo
sorriso. «Un’ottima idea. Ma ricorda che mi devi
ancora una
conclusione degna a quel racconto che mi avevi promesso. Non sperare
che me ne dimentichi; di rado mi succede di lasciar cadere i ricordi
nell’oblio».
Liùsaidh~dorcha
solleva
nuovamente gli occhi al cielo, stavolta con esasperazione.
«Vuoi
anche il mio sangue, spirito?» borbotta stremato.
Uno sbuffo di
risata e Pitch
nega paziente. «No, quello te lo puoi tranquillamente
tenere»
concede magnanimo.
«Dèi,
quale bontà d’animo!»
ringhia stizzito, sbuffando un momento dopo affranto e rassegnato.
«D’accordo, suppongo quindi che avremo modo di
rincontrarci»
soppesa pensieroso.
«Ci puoi
scommettere»
conferma Pitch, scostandosi poi di qualche passo e osservando il
demone sollevarsi in aria e infine allontanarsi silenzioso, svanendo
presto nel grigiore dell’orizzonte, tallonato
d’appresso da
Alioth.
*
Mille pensieri
affollano la
sua mente sovraccarica mentre si avvicina con passi lenti al piccolo
rifugio che si sono conquistati i due fratelli. Cosa deve dire agli
altri? Tutto quanto è escluso, nel modo più
assoluto; le
probabilità che comprendano sono tanto esigue da rasentare
il nulla.
E a lei? A lei cosa rivelare? Dovrà per forza di cose
ammettere il
proprio voltafaccia, o per lo meno ciò che tale
apparirà agli occhi
dei più. Sospira e spera, con forza, che almeno Aileliath
rimanga
ancora una volta al suo fianco. Non che non possa, allo stato attuale
dei fatti, permettersi di fronteggiare tutti quanti,
foss’anche in
un’unica volta, e tuttavia proprio non se la sente di farlo,
non lo
auspica, non lo desidera affatto.
Solleva lo sguardo,
giungendo
a destinazione, e si impegna a far frusciare in modo sufficientemente
rumoroso la sua veste, così che Ba’al, allertato,
possa avvertire
per tempo il suo arrivo. Nota con un pizzico di dispiacere i suoi
occhi farsi enormi e allarmati, scorgendolo, ma rimane in silenzio
fingendo di non aver visto il lampo di paura nel suo sguardo,
né
sentito il suo panico scorrergli addosso turbolento. La sorpresa
passa comunque velocemente, sostituita dal più prevedibile
astio e,
al suo avanzare apparentemente indisturbato, da sospetto. Sposta
l’attenzione su Mot, il cui aspetto ricorda da vicino quello
di una
bambola di pezza reduce da un’esistenza lunga e tormentata e
troppi
lavaggi sbagliati; in sostanza si presenta di un grigio dominante e
talmente smorto che Pitch si chiede se, durante la sua assenza, non
sia passato da custode dell’oltretomba a ospite fisso del
regno dei
morti. Ma a un esame più accurato individua lievi e faticosi
movimenti che confermano il fatto che sia tuttora in vita (per quanto
ancora, non saprebbe dirlo). Un paio di passi ancora e ode
Ba’al
brontolare e far stridere i denti. Sembra indeciso se tentare
un’impossibile fuga o un ancor più improbabile
attacco.
Saggiamente sembra invece optare per una momentanea resa, seppur
guardinga, permettendogli di accostarsi infine senza mai perderlo di
vista un solo istante.
Pitch si accoscia
accanto a
Mot e le dita di Ba’al stringono le spalle del fratello fino
a
sbiancare. L’Uomo Nero solleva gli occhi e posa il suo
sguardo in
quello del signore delle tempeste, attendendo una qualche reazione
che non arriva. Piano, con estrema cautela, infila una mano in tasca
e ne estrae uno dei suoi bottini della giornata. Gli occhi di
Ba’al
si sgranano, trattiene il respiro, un piccolo brivido lo percorre da
capo a piedi, deglutisce ansioso ma rimane fermo in silenzio,
attendendo la successiva mossa dello spirito oscuro.
Il campo protettivo
apposto da
Pitch svanisce e le sue dita lasciano scivolare con garbo
ciò che
trattenevano, consentendo che trovi da sé la strada per
ricongiungersi al suo proprietario.
Sia Ba’al
che Pitch, con il
fiato sospeso per l’anticipazione, restano a guardare le
spire
argentate che sinuose vengono riassorbite dal corpo di Mot. Questi
emette un flebile mugolio e socchiude le labbra in un piccolo
sospiro; le sue sopracciglia si aggrottano leggermente e la medesima
cosa fanno quelle di Pitch, il quale dopo un veloce sguardo a
Ba’al
per conferma allunga una mano e posa la punta delle dita sulla fronte
di Mot, trovandola piuttosto simile a quella di una statua di marmo.
Assottiglia le labbra, contrariato dall’esito di quel piccolo
esame, e scuote appena il capo.
«Non una
mossa, intesi?» si
accerta rivolgendosi a Ba’al che, per quanto seccato,
annuisce per
conferma.
Velocemente Pitch
scandaglia
dentro di sé, scegliendo con cura la sorgente adatta, poi
lascia che
una parte di essa gli scorra dolcemente attraverso fino a raggiungere
Mot. Il custode dell’oltretomba, a
quell’operazione, mugola
tendendosi per un breve istante, poi torna tranquillo mentre il suo
respiro diviene finalmente regolare e, nota con compiacimento Pitch,
un colorito più vitale riempie la sua figura poco prima
smorta e
spettrale.
Annuisce
soddisfatto, si
risolleva e, mentre si dispone ad allontanarsi, Ba’al sembra
riprendersi dal suo momento di incredulità, stringe con
forza a sé
il corpo ancora immoto del fratello e solleva gli occhi sullo spirito
oscuro che già ha preso il sentiero in direzione del resto
del
gruppo.
«Tu non
mi piaci» esordisce
con voce rauca.
Pitch interrompe i
suoi passi
e volta un poco il capo verso Ba’al. «Lo stesso
vale per me»
assicura.
Ba’al
cruccia leggermente la
fronte, poi trae un lento respiro. «Terrò bene a
mente ciò che hai
fatto oggi. Sono… Siamo in debito con te» ammette,
evidentemente
di malavoglia, senza smettere di scrutare lo spirito oscuro con
sospetto.
Inaspettatamente le
labbra di
Pitch si arricciano in un sogghigno divertito. «Mi auguro che
lo
ricorderai se mai, in futuro, cercassi qualche povera vittima da
importunare e avessimo l’infausta occasione di incrociare
nuovamente le nostre strade».
Ba’al
strabuzza gli occhi,
incredulo, poi ridacchia. «Sei un maledetto
bastardo».
«Lieto tu
l’abbia
finalmente compreso» concorda pacatamente Pitch, riprendendo
la
propria strada senza ulteriori indugi.
*
«Come
sarebbe a dire che era
qui?» sbraita Nyx, lanciando occhiate truci al povero
Aileliath.
«Quello
che ho detto» tenta
invano, zittendosi all’ennesimo ringhio rabbioso della dea
della
notte.
«Perché
mai io non ne sapevo
nulla? E dove mai si trova, quindi? Ha lasciato i suoi tirapiedi di
ronda ed è scomparso di nuovo!» sbotta
spazientita, guadagnandosi
sguardi risentiti da ogni singolo incubo presente, i quali tuttavia
non sembrano sufficienti a scalfire per nulla tutta la sua vena
polemica ormai liberata. «Insomma, si può sapere
dove diamine si è
cacciato adesso?!» strilla a pieni polmoni, prendendosela con
il
leone poiché non ha ancora ottenuto una parvenza di
spiegazione.
Aileliath borbotta
infastidito
«E io che cosa ne posso sapere? Sono forse la sua
segretaria?»
sollevando il muso con stizza e voltandole le spalle stanco di tante
inutili parole.
«Ehi, tu,
dove vai? Non ti ho
detto che potevi andartene!» protesta vivacemente Nyx.
«Non ho
bisogno del tuo
permesso per camminare, né per decidere che ne ho abbastanza
di
stare ad ascoltare le tue lagne».
Dall’alto
ramo di un albero
non molto distante le labbra dell’Uomo Nero si arricciano in
un
sorrisetto divertito. Silenzioso scivola fra le ombre e si accosta
non visto al leone.
Aileliath, ancora
concentrato
nel ritrovare una parvenza di calma, sobbalza appena avvertendo un
leggero tocco lungo il suo fianco, ma decide comunque di proseguire
nel suo cammino e socchiude gli occhi, inspirando a fondo. Quando
crede di trovarsi a una distanza sufficiente, senza fermarsi mormora
con cautela «Pitch? Sei di nuovo qui?».
«Pare
proprio di sì»
bisbiglia di rimando lo spirito, seguendo il leone.
«Perché
non riesco a
vederti?» indaga crucciato. Poi scuote il capo.
«Stai bene?»
preferisce invece accertarsi innanzitutto.
«Discretamente»
tentenna
Pitch. «A momenti mi sento molto poco me stesso, per il resto
direi
non poi così male» commenta perplesso.
«Cos’è
capitato? Come mai
sei stato lontano per così tanto tempo?» insiste
Aileliath,
impensierito.
Non ha la
possibilità di
scorgerlo, al momento, ma Pitch ha appena aggrottato le sopracciglia,
interdetto. «Tanto quanto, esattamente?».
«Direi
per lo meno dieci ore,
forse di più» risponde di buon grado. Non
avvertendo più il tocco
dello spirito, rallenta il passo e lo chiama a bassa voce.
Pitch si
è fermato e sta
ripensando agli ultimi eventi, chiedendosi come abbia fatto a non
rendersi conto del trascorrere di tutte quelle ore; non ne ha
avvertite nemmeno la metà e, durante il loro trascorrere,
senza
neppure avvedersene né conservarne la consapevolezza, ha
perfino
tenuto in piedi la sua fitta barriera di nuvole e il legame con i
suoi incubi. Scuote la testa e si chiede se anche quello sia un
effetto collaterale del rito. Se così fosse, stanno
diventando
davvero eccessivi e decisamente imprevedibili.
«Pitch»
borbotta con
attenzione Aileliath, sempre più preoccupato per il lungo
silenzio
dello spirito.
«Succedono
fatti
inspiegabili» commenta finalmente Pitch con tono grave.
«Ho
bisogno di vederti.
Troviamo un posto lontano da sguardi non richiesti, vieni»
propone
il leone, e Pitch lo segue di buon grado.
*
Aileliath sgrana
gli occhi,
poi li assottiglia. «Sei proprio certo di sentirti bene? Hai
un
pessimo aspetto; abbastanza spaventoso, in realtà»
è la prima cosa
che gli fa notare dopo aver finalmente avuto la possibilità
di
vederlo.
«Mh…
Gentile da parte tua
rimarcare la mia scarsa avvenenza» borbotta Pitch, un filo
offeso.
Aileliath rotea gli
occhi e
scuote il capo. «Sai che non intendevo quello. Hai delle
occhiaie
spaventose». Ghigna, in un fugace balenio di zanne.
«Ora sì
faresti una gran paura a quei poveri bambini. Anzi, scommetto
riusciresti a far venire gli incubi perfino ai loro genitori»
commenta divertito.
«Non
scherzare!» ringhia
Pitch contrariato, masticando risentimento. «Vorrei proprio
vedere
te, al mio posto, trattare con quel dannato demone».
Il leone torna
cupamente serio
e inizia a passeggiare nervosamente avanti e indietro. «Lo
hai
trovato, quindi. Com’è andata? Ti ha creato
problemi?» domanda
impensierito.
«Qualcuno,
in effetti»
tentenna l’Uomo Nero. Infine decide di parlargli e spiegargli
come
stanno le cose, perché ha proprio bisogno di un buon
ascoltatore con
cui confidarsi e lui è attualmente il solo adatto a quel
compito.
Così,
mentre riprendono a
camminare dato che sembra che nessuno dei due sia in grado di
rimanere fermo troppo a lungo, Pitch raccoglie i pensieri e le
sensazioni accumulate nelle ultime ore e prova a renderne partecipe
Aileliath.
*
Sospira e rimpiange
amaramente
di non disporre di dita adatte a massaggiarsi le tempie, visto il mal
di testa che avverte in aumento. Certo, qualche sprazzo di
verità
già l’aveva subodorata in precedenza, dopo aver
incontrato Phanês
e averci parlato, e anche dopo il rito e l’apparentemente
inspiegabile comportamento tenuto dallo spirito oscuro. Ma chi
avrebbe mai potuto immaginare una conclusione simile? Fraintendimenti
di tali proporzioni non erano minimamente stati presi in
considerazione. Eppure ora tutto sembra tornare in modo talmente
preciso da far spavento.
«Sei…
uhm… adirato?»
mormora Pitch con prudenza.
Aileliath solleva
lo sguardo
sullo spirito e nota solo in quel momento il nervosismo impresso sul
suo volto. Prova un sorriso un po’ tremolante e un lieve
diniego.
«No, non lo sono. Ti ho ascoltato, e capisco. Inoltre le tue
parole
mi hanno chiarito molti dubbi sorti ultimamente» assicura
pacato.
Pitch si permette
un piccolo
sospiro e rilassa le spalle, strofinando i polpastrelli sulle
palpebre chiuse.
«Sei
stanco?» chiede
Aileliath in tono gentile.
«Orribilmente»
ammette
Pitch.
Annuisce.
«Ti accompagno a
casa» propone.
Una piccola risata
inattesa
sfugge dalle labbra dello spirito. «Sarebbe bello. Ma non lo
sarebbe
altrettanto ritrovarsi sulla soglia una dea della notte che strilla
infuriata facendo sbiancare i miei incubi e anche i miei
capelli»
pondera, parte divertito e parte spaventato.
«Non
essere sciocco. Dovrebbe
prima scoprirlo» fa notare il leone.
Pitch lo fissa un
momento,
scuote il capo e si lascia scivolare a terra. «Lo farebbe, e
ben
prima di quanto sia auspicabile. Così verrei svegliato tanto
bruscamente che con tutta probabilità non riuscirei a
riprendere
sonno per i successivi dieci anni» commenta con fatalismo.
«Ma lei
non…» prova
inutilmente Aileliath. Infine annuisce gravemente, suo malgrado
d’accordo con le fosche previsioni dello spirito.
«Bene, ma io
sarò lì a garanzia che non cerchi di
strangolarti… o peggio»
offre coraggiosamente.
Pitch solleva un
angolo delle
labbra e si limita ad annuire.
*
«Oh!
Ehilà, Pitch!» esclama
allegro Jack, agitando freneticamente una mano all’indirizzo
dell’Uomo Nero e del leone.
Pitch lancia
un’occhiata di
sbieco ad Aileliath e solleva lievemente le spalle. «E addio
effetto
sorpresa» mormora, non eccessivamente contrariato,
considerando
l’attuale situazione.
Nel momento in cui
ogni
singolo paio d’occhi si posa su di loro Aileliath deglutisce
nervoso e borbotta «Sono ancora in tempo per lasciarti alle
luci
della ribalta e dileguarmi?».
Pitch, pur conscio
dei
possibili rischi, dà le spalle alla piccola folla in attesa
e fissa
lo sguardo in quello imbarazzato del leone, distende la fronte e
sospira. «Non ho intenzione di trattenerti, se è
tua volontà
allontanarti da qui».
Il naso di
Aileliath freme e i
suoi occhi dardeggiano velocemente dallo spirito oscuro ai guardiani
e alle altre creature presenti, tornando infine in quelli chiari
dell’Uomo Nero, il quale sembra attendere con pazienza una
sua
parola.
«Niente
da fare. Preferisco
di gran lunga essere presente e perfettamente cosciente del momento
della fine» fa drammaticamente presente.
Pitch inarca un
sopracciglio e
ghigna piano. «Contento tu» commenta soltanto,
riavviandosi
lentamente incontro agli altri.
La sua schiena
torna a
irrigidirsi di propria iniziativa, scorgendo Nyx farsi largo fra la
piccola calca con la palese intenzione di raggiungerlo per prima.
Assottiglia lo sguardo e fra scricchiolare i denti, ma non rallenta
la propria andatura e, quando lei è ormai a pochi passi,
solleva
rigidamente il mento e la soqquadra duramente, facendo sfumare un
poco dello slancio della donna, la quale si arresta poco prima di
arrivare fino a lui.
«Dunque
è vero: sei qui»
soffia Nyx, indecisa.
«Così
pare» conferma Pitch,
asciutto, evitando di concederle più del necessario.
«Perché
sei sparito in quel
modo?» insiste Nyx, in parte sollevata di ritrovarlo tutto
intero,
ma anche insicura su come comportarsi a quel punto. «Avremmo
potuto
esserti d’aiuto» tenta titubante.
Pitch scuote il
capo e
sospira. «Perseverare nel raccontarti menzogne non ti
servirà a
cambiare la realtà dei fatti. Mi stupisce che
l’esperienza che ti
porti dietro non ti abbia ancora insegnato a evitare questo
errore».
«Pitch,
sai che non ho mai
voluto danneggiarti» prova ancora.
«Lo so?
Sul serio? Mi inganno
o non eri forse stata tu a esserti offerta di persuadermi ad
accettare la ragionevole
proposta di tuo padre?» le ricorda in tono vagamente
canzonatorio.
«Non
è mai stata mia
intenzione…».
«No?»
la interrompe. «Che
cosa ti ho appena consigliato? Non vuoi dunque ascoltare? Non vuoi
conoscere la verità? Neppure se è qualcun altro a
mostrartela?»
sibila.
Nyx lo scruta con
evidente
diffidenza, le sue labbra strette fremono, forse di indignazione,
forse di timore. «Di quale verità stai parlando? E
chi dovrebbe
detenerla, tu forse?».
«Non io.
Io sono solo ombra,
ricordi? Come potrei mai fare luce sui tuoi dubbi?» mormora.
La rabbia
sotterranea sfuma e
nei suoi occhi resta solo dolore e paura mentre ancora lo guarda
sentendo la speranza dissiparsi inesorabilmente. «Desidero
capire,
voglio sapere, e accetterò di farlo anche dalle tue labbra,
se
sapranno darmene l’opportunità» offre
risoluta.
Sospira piano, il
cipiglio
affievolisce e muta in sguardo pacato. Annuisce e si appoggia contro
il fianco di Aileliath che ha caparbiamente assistito in silenzio
allo scambio fra i due. «Sia come desideri, dunque. Confido
che
vorrai comunque concedermi qualche momento per congedare degnamente
tutti coloro che tanto a lungo hanno atteso e, infine, anche i miei
incubi» mormora, e senza attendere replica si allontana da
lei,
deciso a offrire a tutti quanti la possibilità di tornare
alla loro
vita dopo aver saputo che, anche questa volta, la Terra
sopravvivrà
a sé stessa e alle creature che porta alla vita essa stessa.
*
Toothiana
dà l’impressione
di volerlo esaminare approfonditamente
per accertarsi delle sue effettive condizioni, ma l’occhiata
di
biasimo di Aster e, soprattutto, quella omicida di Pitch la
persuadono a non sfidare troppo la sorte.
«Quindi
abbiamo ancora una
demone in libertà, da qualche parte nel nostro
mondo» ricapitola
Nicholas.
«Certamente
più d’uno, in
effetti» lo corregge Pitch. «Ma sì,
Liùsaidh~dorcha è ancora a
piede libero e lo sarà fintanto che non
costituirà una seria
minaccia per questo pianeta».
«E pensi
che già non lo
sia?» domanda criticamente Aster.
«A ben
vedere, immagino non
lo sia mai veramente stato» afferma con una sicurezza fin
troppo
disarmante e ben poche spiegazioni che ne giustifichino
l’origine.
Aster infatti
arriccia il naso
e tamburella una zampa a terra. «Seriamente, dovremmo tenere
in
considerazione la tua teoria e confidare
nella tua parola?»
commenta con pesante sarcasmo.
Un sorriso
piuttosto sinistro
si spalanca sul volto dell’Uomo Nero. «In
effetti… No» commenta
leggero. Affonda una mano in una delle tasche della sua veste e ne
estrae uno specchio, quello
specchio, offrendolo loro. «Ecco, se lo desiderate potete
tenerlo e
provare a farlo uscire. Magari riuscireste perfino a farvi accennare
qualche interessante particolare del passato,
chissà». Scrolla le
spalle, apparentemente disinteressato. «A ben vedere, io ho
certamente altro da fare che non sia custodire una reliquia
dimenticata e il suo proprietario».
Accenna a porgerla
ai cinque
guardiani, ma stranamente
tutti fanno per lo meno un paio di passi indietro in sincronia
pressoché perfetta, e Jack ridacchia nervosamente
all’espressione
fintamente accigliata di Pitch.
«Sciocchezze!»
prorompe
Nicholas, facendo sobbalzare i colleghi. «Sono certo tu
meriti la
nostra piena fiducia» esclama con allegria inquietante,
ignorando
bellamente le occhiatacce che gli rivolgono Aster e Sanderson.
«E
noi, poi, non abbiamo proprio tempo per stare dietro a un portale
magico. C’è tanto da fare!» sbotta
nervoso.
Piano, Pitch ritira
la mano
tesa e lo specchio con lei, reclinando mollemente il capo di lato.
«Certo» strascica, «ovviamente»
si limita a commentare, lasciando loro il dubbio sulla
veridicità di
quella resa apparentemente indolore. «Bene, poiché
non sembra
esservene ulteriore necessità, credo sia tempo di congedare
i miei
incubi» prosegue con calma, sogguardando brevemente Epiales,
il
quale è rimasto lì accanto a studiare lo
svolgersi del colloquio e,
all’annuncio di Pitch, ha come l’impressione che un
enorme peso
gli sia infine scivolato via dalla schiena.
Così
l’Uomo Nero dà loro
le spalle e dopo un rapido gesto della sua mano tutti gli incubi
presenti sul campo scompaiono e il cielo lentamente torna sereno.
Dopo qualche ulteriore passo che lo allontana dagli altri, volta di
poco la testa e inarca un sopracciglio. «Spero, e vogliate
perdonarmi la schiettezza, non dovremo rincontrarci fino a che non
sarà trascorso molto, molto tempo» e un sorriso
divertito increspa
le sue labbra nello scorgere le espressioni attonite e oltraggiate
dei guardiani.
*
La sua espressione
soddisfatta
svanisce presto nel momento in cui scorge Nyx che lo fissa con
insistenza, in attesa che lui la raggiunga.
«C’è
da dire che non è
tipo da darsi per vinto facilmente» considera Aileliath in un
basso
borbottio.
Pitch annuisce
concorde, poi
si rinchiude in un silenzio cupo fino al momento in cui, dopo essersi
accomodato al fianco di lei e aver fissato a lungo il cielo ormai
buio, la sente inspirare nervosamente e nota il suo trattenersi a
stento dal sollecitargli una spiegazione.
«Conoscevi
le sue intenzioni,
dico bene?» esordisce con voce fredda.
Nyx trasale. Era
convinta di
essere preparata a sufficienza a quel confronto, ma deve proprio aver
fatto male i suoi calcoli.
«Non del
tutto. Avevo
compreso, in un secondo momento, quanto ne fosse spaventato. Tuttora
non ne conosco le ragioni» spiega.
«Le sue
preoccupazioni non
sono mai state rivolte a questo mondo. Temeva per sé stesso,
dopo
aver appurato quale fosse effettivamente il demone sfuggito alla
reclusione».
«Ci aveva
spiegato che il suo
piano avrebbe assicurato la salvezza della Terra» tituba Nyx.
«Solo
menzogne» la
interrompe bruscamente. «L’unica assicurazione che
desiderava era
per la sua esistenza. Quel demone… forse è vero
che non sarebbe
riuscito a sconfiggerlo; sosteneva che tuo padre sarebbe sempre stato
un passo davanti a lui, intoccabile. Credo si sbagliasse. Avrebbe
potuto eliminarlo, se solo ci avesse creduto fermamente, e lo sai
perché?».
Nyx scuote
lentamente il capo,
attonita e spaventata.
«Perché
Phanês, nella sua
smania di creare l’arma che gli potesse consentire di
eliminare per
sempre la minaccia, ha commesso un grossolano errore: ha permesso che
il rito prosciugasse una parte del suo potere, e poi si è
presentato
(con assurda incoscienza, a mio modesto parere) a
Liùsaidh~dorcha
senza rendersi conto di non essere più
all’altezza. Tuttavia non
perché, come sembrava pensare, il demone fosse divenuto
realmente
più potente di lui, quanto piuttosto perché
Phanês ha scioccamente
sprecato le proprie forze in un progetto destinato al
fallimento».
Pitch si lascia andare a un’amara risata. «Armare
uno spirito
oscuro contro una minaccia superiore: quale arrogante eresia».
Nyx solleva gli
occhi e lo
osserva attentamente. Socchiude le labbra, le avverte tremare.
«E
tu… lo sapevi?».
Pitch le riserva
un’occhiata
gelida. «Non sono un veggente. Come si suppone io possa
conoscere
fatti di cui non sono stato testimone né opportunamente
ragguagliato? Certo che non ne sapevo nulla. Ma, contrariamente a
quei sempliciotti dei guardiani, uso i miei occhi per osservare con
cura, e ho due orecchie perfettamente funzionanti che mi permettono
di ascoltare e comprendere ciò che odono.
Liùsaidh~dorcha avrebbe
potuto mandare il suo piccolo esercito a radere al suolo la fabbrica
di St. North già poche ore dopo essere fuggito, o
addirittura
presentarsi personalmente per reclamare la sua vendetta. Non ha fatto
nulla di tutto ciò. Certo, intendeva vendicarsi, ma era
anche
consapevole di essere in svantaggio dopo tanto tempo lontano dal suo
elemento: la luce. Si è dimostrato prudente, in un certo
senso;
aveva la necessità di riacquistare la propria forza e per
far ciò
ha preso tempo, contrariamente a quanto messo in atto da tuo
padre».
«Ma lui
voleva ucciderlo!»
protesta Nyx con veemenza.
Pitch storce le
labbra,
contrariato. «E con questo? Anche Phanês lo voleva
morto, se ben
rammento. Per nessun altro motivo ha fatto ciò che ha fatto
a me. Ma
Liùsaidh~dorcha aveva un ottimo incentivo per volerlo morto.
Ti sei
chiesta, invece, quale fosse lo sprone che spingeva
Phanês?».
«Lui…»
tenta Nyx,
interrompendosi incerta.
«Lui,
cosa? Non per la Terra, non per Ouranós, nemmeno per te, e
certamente non per noi spiriti. Nessuno di questi motivi lo ha spinto
alla sua decisione. Ebbene, non lo indovini?».
Nyx scuote
debolmente il capo,
confusa. «Non lo so. Ma tu… forse sì.
Dimmelo, dunque» prega.
Poggia
delicatamente la nuca
contro un masso alle sue spalle e sospira. «Oh, ma non
è ovvio, a
questo punto? Per paura. Lui aveva paura della propria fine; la
temeva come mai avrebbe temuto null’altro a questo mondo.
Dopo
tanto tempo, il pensiero di poter improvvisamente smettere di
esistere lo atterriva a tal punto da spingerlo a rischiare tutto nel
tentativo di salvare ciò a cui teneva maggiormente:
sé stesso».
«Solo
ipotesi!» sbotta Nyx,
incredula di fronte a quella possibilità.
«Ipotesi,
dici? Eppure
fondate su fatti concreti. Non si è forse presentato al
mondo, dopo
millenni di assenza, nel momento in cui ha subodorato problemi
riguardanti Liùsaidh~dorcha? Non si è forse
premurato di
raccogliere su quel demone indiscrezioni da chi gli è stato
molto
vicino negli ultimi tempi: Aileliath?» ricorda, indicando il
leone
poco distante da loro. «Non è forse stato lui
stesso ad avanzare la
proposta di fornire a uno spirito oscuro di dubbia origine e
moralità
il potere sufficiente a estinguere la vita stessa su questa Terra? E
non ha poi trascinato con sé volontari del tutto ignari
della reale
situazione, senza minimamente esitare nel sacrificarne
l’esistenza
pur di scongiurare la realizzazione dei piani di
Liùsaidh~dorcha?».
«Lo ha
fatto» ammette in un
lieve alito Nyx. «Ma…».
«No,
nessun ma,
non questa volta» la interrompe Pitch. «Sai quali
sono state le
conseguenze delle sue decisioni. Altri ne hanno pagato il prezzo.
Ebbene, ora avrà certamente molto tempo per comprendere i
propri
errori e, forse, pentirsene, per quanto non ci conterei
troppo».
Detto
ciò si rimette in
piedi, venendo presto affiancato da Aileliath, e mostra
l’intenzione
di voler partire.
«Pitch»
soffia Nyx,
allungando una mano con il proposito di fermarlo in qualche modo. La
ritira però con prudenza, dopo aver notato lo sguardo ancora
carico
di risentimento dello spirito.
«Non ho
più nulla da
aggiungere» conferma Pitch. «Ora, se vuoi scusarmi,
vorrei tornare
alla mia tana e ai miei doveri».
Serra le labbra con
forza e
rilascia un tremulo respiro. «Non
c’è… nulla che io possa dire
per… convincerti a restare, ancora per un po’?
Darmi… una
possibilità?» tenta.
Pitch increspa le
labbra in un
sorriso desolato. «Nessuna delle tue parole potrà
servirti,
fintanto che dalle tue labbra usciranno menzogne» sibila.
«Ho
bisogno di silenzio, ora; silenzio e pace» mormora quasi fra
sé.
Le dà le
spalle. Si allontana
con lenta decisione, seguito dal fruscio delle soffici zampe di
Aileliath. Infine svanisce nel buio della notte serena, in cerca di
un po’ di riposo, finalmente, e forse della pace tanto
agognata,
almeno fino alla prossima guerra.
FINE
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L’Angolino
Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a
cui piace
maltrattarlo)
Non
sono esattamente una sostenitrice dei finali allegri e sdolcinati,
non so se l’avete notato? E Pitch non è certo un
personaggio che
si presta. Per questo, probabilmente, andiamo d’accordo.
Però non
volevo neppure essere troppo cattiva e infierire sulla desolazione
generale, quindi gli ho lasciato Aileliath, ho fatto in modo che
fosse carino
con i guardiani e ho evitato che prendesse a calci Nyx per aver
contribuito a cacciarlo nei guai fino al collo.
In
quest’ultimo capitolo è stato molto più
ciarliero del suo solito.
Aveva bisogno di levarsi qualche sassolino dalle scarpe, e non se la
sentiva di portare avanti questa necessità coi fatti,
perché non
riesce a rendersi ben conto di come poter usare la magia di cui si
è
ritrovato a disporre e non voleva finire con il far crollare tutto
sulle loro teste. Quindi ha usato le parole. Poteva andare peggio.
Spero
di aver contribuito, con questo racconto, a chiarire il punto di
vista di Pitch in quanto spirito oscuro, anche se non ne sono molto
sicura. Quello che diceva nel capitolo quindici lo pensava davvero, e
in effetti non mi sento di dargli torto, visto quello che riescono a
combinare certi soggetti “della luce”.
Mi
piacerebbe riuscire a mettere insieme qualche parola
in più su quanto accaduto tra quei due piantagrane di
Phanês e
Liùsaidh~dorcha, giusto per provare a chiarire la situazione
scatenante, il perché il demone sia finito a girarsi i
pollici in
una dimensione esterna. Magari potrei accennare anche qualcosa su lui
e lei,
ovvero l’Uomo Nero e la dea della notte, prima che i
guardiani si
mettessero di mezzo come al solito. Vedremo che si può fare.
Detto
questo, desidero ringraziare infinitamente i poveri lettori che hanno
seguito fin qui, in particolar modo Emma Wayne e _Anthos_ che si sono
perfino presi la briga di scrivermi e farmi conoscere un loro parere.
E
nulla, a presto, spero.
Roiben
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