Prodigal Son

di Spoocky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Disclaimer: Nessuno mi ha pagata per scirivere questa storia e non riceverò alcun compenso per essa (sigh!)

Warning: essendo Castiel un senzatetto all'inizio della Nona stagione, per ovvi motivi questa storia tratterà di denutrizione e delle sue conseguenze. NON intendo giustificare ne sponsorizzare in alcun modo un disturbo dell'alimentazione! ANORESSIA E BULIMIA SONO MALATTIE GRAVI! Se ne presentate i sintomi o conoscete qualcuno che ne è affetto, avvisate subito un medico. 

Buona Lettura ^.^

 
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.  Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.
(Luca 15, 13-20)

Un brivido scosse tutto il suo corpo scarno.
Pioveva a dirotto e il vento gelido penetrava negli strati di vestiti come fossero carta velina, colpendolo direttamente nelle ossa.
Non mangiava da quasi due giorni ormai e lo strato di grasso corporeo che avvolgeva le sue membra si era dissolto da settimane mentre il metabolismo incontrastabile del suo corpo, ora umano, aveva  cominciato ad intaccare i muscoli. Aveva indosso gli stessi indumenti da settimane ma, se quando li aveva sottratti alla lavanderia gli andavano bene, ora pendevano informi come alghe dal relitto che era diventato.
Negli ultimi mesi, trovare cibo era una difficoltà costante e aveva ormai dimenticato il tempo, sempre che ce ne fosse stato uno, in cui non aveva sentito lo stomaco contrarsi in spasmi inutili nel tentativo di digerire il nulla. Quando poteva dare per scontata la propria abilità di camminare per ore senza stancarsi, quando non aveva bisogno di dormire, né di ripararsi dalla pioggia.
Quando non doveva scappare dai suoi simili.
Tutto questo era nel passato, ormai.
Ora non era altro che un vagabondo, un fragile umano in fuga da se stesso e perseguitato dalla propria famiglia.
Senza una casa a cui tronare, senza una meta a cui arrivare.
Completamente solo, perso nello spazio e nel tempo.

A quel punto il freddo gli era indifferente, come la fame che lo divorava, la sete che gli raschiava la gola e il peso che da qualche giorno gli gravava sul petto, impedendogli di respirare bene.
Non avvertiva nemmeno più il dolore delle vesciche ai piedi e dei tagli che si era procurato nei suoi vagabondaggi. Neppure quello delle lame dei suoi fratelli, quelle due volte che erano riusciti a rintracciarlo.
Il dolore più forte era il vuoto che occupava il suo cuore e la sua mente: niente più voci dei suoi fratelli e sorelle come rumore di sottofondo ma soprattutto niente più Sam e Dean che lo pregavano ad ogni ora del giorno e della notte, niente più commenti sarcastici o imprecazioni.
Solo un vasto, gelido silenzio.
E la steppa del suo cuore era più desolata dell’esterno, per quanto impervio questo potesse essere.

Ormai il suo corpo era al limite, sapeva che non sarebbe riuscito a trascinarsi fino ad un ricovero per senzatetto e l’unico rifugio che fosse riuscito a trovare era la chiesa di quartiere, una chiesa cattolica – a giudicare dal cartello sul sagrato – e intitolata a San Luca Evangelista.
Il sole era tramontato presto in quella piovosa giornata di metà novembre e pur non essendo sera inoltrata, il campanile aveva da poco battuto le sette, non c’era più nessuno in giro.
Nessuno che non avesse un luogo in cui passare la notte.
Tranne lui.

Con un sospiro, Castiel raccolse le ultime forze di cui il suo corpo disponeva per trascinarsi sulla scalinata marmorea.
Appena prima di appoggiarsi al portone d’ingresso per accertarsi che fosse aperto fu colto da un’esitazione: e se fosse troppo tardi e la chiesa fosse già stata chiusa? E se l’avessero cacciato via? Non sarebbe stata la prima volta.
Poi però pensò che avrebbe comunque potuto rannicchiarsi in un angolo del porticato di fronte all’ingresso e trascorrere lì la notte.
Avrebbe comunque patito il freddo ma almeno sarebbe stato relativamente all’asciutto e non avrebbe dovuto camminare ancora.
Non ce l’avrebbe fatta, comunque. 

Si pesò sulla porta d’ingresso, riponendo tutte le sue esili speranze in quel gesto, e questa cedette catapultandolo in un mondo di mogano, vetrate e marmo.
Per un momento rimase immobile alla fine della navata, ancora tremante per il freddo, la pioggia e la fatica.
I suoi occhi rimasero intrappolati nel crocefisso ligneo che campeggiava sull’altare, tra le candele.
Non si accorse nemmeno di stare avanzando, lasciandosi dietro una scia d’impronte bagnate, mentre con lo sguardo scorreva sulla scultura, come a volerne memorizzare ogni particolare.

Divenne improvvisamente consapevole del battito del proprio cuore, diventato così pesante e gonfio da causargli dolore al petto con ogni pulsazione.
Bump
Il corpo di quell’uomo, pallido e provato come il suo, quasi luminescente sul legno scuro della croce.
Bump
Le sue braccia, aperte e distese, quasi a volerlo accogliere.
Bump
I chiodi nei polsi e nei piedi, la corona di spine, la ferita nel costato.
Bump
Tanto sangue e tanto dolore, come il suo.
Il figlio di Dio, abbandonato dal Padre, solo e in agonia.
Come lui.
Tump

Improvvisamente le sue gambe si scontrarono contro un ostacolo e cadde, ritrovandosi in ginocchio sui gradini che portavano all’altare, incapace di muoversi e di distogliere lo sguardo dal crocefisso.
Lacrime amare cominciarono a scorrergli sul volto e sul collo fino al colletto già inzuppato della camicia.
Non riusciva a smettere di tremare.
Si sentiva intrappolato in un’agonia senza tempo, mentre tutto intorno cessava di esistere.
“Ehi!” una voce improvvisa al suo fianco rimbombò nella navata laterale.

Terrorizzato, Castiel si riscosse e tentò di alzarsi ma il movimento fu troppo brusco per il suo fisico debilitato ed ebbe un violento capogiro.
Due braccia robuste fermarono la sua caduta e lo sorressero, impedendogli di crollare a terra.
“Perdonami, figliolo: non volevo spaventarti. Forse è meglio se ti siedi. Ecco, piano. Piano.”
Lo sconosciuto gli passò un braccio intorno alla vita e si fece passare uno dei suoi sulle spalle, praticamente lo trascinò di peso fino ad uno dei banchi sulla sinistra.
Castiel si accasciò contro lo schienale di legno, respirando affannosamente mentre l’uomo gli teneva una mano su una spalla per impedirgli di collassare.
Poco a poco, il mondo intorno smise di ruotare vertiginosamente e riuscì a mettere a fuoco il suo soccorritore: un uomo di età indefinita, con i capelli ricci ed una folta barba castano scuro.
Un sacerdote.
Aveva un’aria estremamente famigliare ma l’ex angelo non riusciva a ricordare dove lo avesse già visto.

“Ti senti meglio, figliolo?”
“S-sì, grazie.”
L’uomo si sedette accanto a lui, prendendogli le mani tra le proprie e strofinandole per scaldarle.
“Come ti chiami, figliolo?”
“C-Castiel …” avrebbe voluto dire ‘Clarence’ ma il suo vero nome gli scivolò tra le labbra senza che se ne accorgesse prima che fosse troppo tardi.
“Castiel. L’angelo del giovedì. Questa è la tua giornata,allora.”
“Non saprei, è giovedì?”
“Sì, Castiel: è giovedì. A proposito, io sono Padre Christian.” Una breve pausa, in cui il sacerdote si accigliò e strinse forte le dita dell’angelo “Ma tu hai le mani gelate, Castiel. Perché non vai a casa?”
Un tremito violento scosse da capo a piedi il corpo emaciato dell’ex angelo.
“La prego, Padre. Non mi cacci! Io non …” rabbrividì di nuovo, e si voltò perché il sacerdote non vedesse le sue guance arrossarsi per la vergogna.
Ma l’uomo raccolse la sua guancia scarna in una mano e con dolce fermezza lo costrinse a guardarlo in faccia: “Tu non hai una casa a cui tornare, vero?”
“No.” Sussurrò.
“Da quanto non mangi, Castiel?”
“Non … non lo so. Non me lo ricordo.”
“Resta qui. Ti porto qualcosa.”
Padre Christian si allontanò rapidamente ma, prima di sparire nella porticina da cui era arrivato, si voltò verso Castiel: “Non te ne andare, Castiel. Per favore.”

Anche volendo l’ex angelo non avrebbe potuto allontanarsi.
Era talmente debole da non riuscire a tenere gli occhi aperti, e nemmeno la testa dritta. Si abbandonò contro il legno, con la fronte appoggiata su una spalla mentre aspettava che il sacerdote facesse di lui qualunque cosa avesse voluto.
Per un momento immaginò che potesse essere un angelo e nella sua mente, resa paranoica dallo sfinimento, si cristallizzò la teoria che fosse andato a chiamare rinforzi per liberarsi di lui una volta per tutte.
Ma qualcosa nel profondo del suo animo, una sensazione viscerale, lo convinse di potersi fidare di quell’uomo e di lasciarlo fare.
Anche se gli sembrava troppo bello per essere vero.
Perché quel semplice contatto umano, per quanto piccolo, era quanto di meglio avesse avuto in quegli ultimi mesi e ormai disperava di ottenere anche solo un briciolo di affetto che lenisse le piaghe della sua anima.

Dovette essersi assopito perché sobbalzò quando Padre Christian gli appoggiò di nuovo una mano sulla spalla, questa volta per allungargli una pagnotta ed una bottiglia da mezzo litro di un liquido rosso scuro.

“E’ succo al mirtillo.” Specificò il sacerdote “Mi dispiace ma non ho nient’altro in casa.”
Castiel esitò prima di accettare il cibo ma quando lo fece le mani gli tremavano tanto che l’altro uomo dovette sostenerle con le proprie perché non facesse cadere nulla.
“Posso ...” non aveva il coraggio di chiedere “D- davvero? Sono per me? P- posso mangiare?”
L’uomo sorrise: “Certo. Fai piano, però: non andare a star male!”
Lentamente l’ex angelo sbocconcellò la pagnotta, alternandola con piccoli sorsi di succo e masticando lentamente perché, dopo i giorni di digiuno, anche quel banale alimento era squisito ed egoisticamente voleva far durare quel piacere il più a lungo possibile.

Mentre mangiava, il sacerdote allungò una mano – con gesti misurati, perché vedesse cosa stava facendo – e gliela posò sulla schiena, non curante del fatto che la giacca fosse fradicia.
Non disse né fece altro ma Castiel sentì il bisogno improvviso ed irrefrenabile di confessarsi.
La sua storia scaturì come un fiume in piena tra le sue labbra.
Tutta la sua storia: non omise nulla, nemmeno i particolari più atroci.
Si sentiva al sicuro in quella chiesa mai vista, con accanto uno sconosciuto che gli sembrava di conoscere da sempre e che lo accolse in un abbraccio quando fu sopraffatto dalle emozioni e scoppiò a piangere.
“Shh, shh. E’tutto a posto, Castiel. Tranquillo, tranquillo. Shh, andrà tutto bene.”
Per qualche motivo quelle parole non furono le solite inani litanie di conforto ma lo raggiunsero con il peso di un giuramento e l’ex angelo avvertì nel proprio intimo la certezza che sarebbe davvero andato tutto bene.

Tuttavia lo sforzo di quel pianto disperato e la sensazione di svuotamento che ne conseguì furono troppo per il suo corpo già stremato dalle privazioni e si afflosciò tra le braccia di Padre Christian.
Il sacerdote lo aiutò a stendersi sulla panca con la testa accanto alle sue ginocchia: “Riposa, figliolo.  Riposa tranquillo: ci sono io qui con te. Non sei solo, non lo sei mai stato e non lo sarai mai. Sono sempre stato e sarò sempre con te. Ti voglio bene, figlio mio.”
Le ultime parole dell’uomo si persero nel vuoto mentre Castiel precipitava in un sonno esausto.
Per tutta la notte fu inconsciamente consapevole del calore dell’uomo seduto accanto a lui e della sua mano sulla sua schiena.
Ma quando riaprì gli occhi la mattina seguente, di lui non c’era traccia.

Ancora confuso e stordito, l’ex angelo si alzò e si trascinò verso l’uscita.
Apparentemente non era cambiato nulla: era sempre debole e malconcio come prima, ma in una delle sue tasche tintinnò qualcosa che prima era sicuro non ci fosse.
Accigliandosi frugò nello scomparto in questione fino a trovare la fonte di quel bizzarro rumore ma quando aprì la mano per vedere di cosa si trattasse poco mancò che svenisse per lo stupore: alla luce del sole mattutino brillarono alcuni dollari in moneta. Nient’altro che spiccioli ma sufficienti per una telefonata al Kansas.

Chiama Dean!

Per un secondo la voce di Padre Christian risuonò forte e chiara nella sua mente, stampandovi un imperativo inappellabile.
Per la prima volta dalla Caduta, Castiel sapeva cosa fare.
Facendo ricorso alle sue minime riserve di energia si diresse verso la cabina telefonica più vicina.

Durante il percorso i capogiri e la nausea andarono peggiorando tanto che, quando arrivò al telefono pubblico, la vista gli si era tanto appannata da non permettergli di distinguere altro che la macchia rossa della cornetta.
Chiamò a raccolta tutta la sua volontà per coprire i pochi metri che lo separavano dalla destinazione ma riuscì appena a sfiorare l’intelaiatura di metallo quando le gambe gli cedettero del tutto.
Si accasciò sul marciapiede, sapendo che non si sarebbe rialzato.
Non da solo.
Aveva ormai perso anche l’ultimo barlume di speranza e si era rassegnato a cedere così vicino alla meta, con il gusto amaro della sconfitta sulle labbra e il dolore della disperazione nel petto, quando accadde qualcosa.

La terra sembrò tremare e un rombo di tuono scosse il cielo.
Un’enorme macchia nera invase il suo campo visivo e una figura indistinta – un gigante? – ne emerse, puntando dritto verso di lui.
Sentì quella che poteva essere una voce, ma non riconobbe le parole.
Certo che i mietitori, se non la Morte in persona, fossero venuti a prenderlo si abbandonò completamente al vuoto che minacciava di sopraffarlo.
Qualcosa di caldo e morbido – una mano? – intercettò la sua testa prima che sbattesse sul marciapiede. 


Note:
Questa parte della storia è dedicata ad una persona per me molto cara che ha fatto tanto per me in uno dei momenti più difficili della mia vita. Non credo la leggerà mai, ma è giusto scriverlo.

Il passaggio del crocefisso è ispirato al mio recente studio delle opere di William Congdon, vi allego il link di una tra quelle che mi hanno colpito di più: http://associazioneliveart.it/wp-content/uploads/2017/05/CROCEFISSO-2-193x300.jpg



 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Il Disclaimer è lo stesso del capitolo precedente. Non so se esista il copyright per la Bibbia ma confermo che non è Parola mia, quella.
Il Warning è lo stesso.

Buona Lettura ^.^ 
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
(Luca, 20 -24)

“Mio Dio, Dean: è lui!”
Sam accarezzò delicatamente quel volto pallido, cullandolo delicatamente tra le mani: l’onnipresente ombra di barba era leggermente più lunga del solito così come i capelli lerci ed aggrovigliati, la pelle era praticamente incolore ed orribilmente tesa sulle ossa, le palpebre invece erano avvolte da lividi scuri che facevano sembrare le orbite ancora più incavate.
Ma quello era Castiel, non c’erano dubbi in proposito.
Lo abbracciò forte, stringendolo a sé nonostante il timore inconscio di spezzargli le ossa, tanto sembrava fragile.
Solo allora si accorse che bruciava di una febbre latente e gli venne da piangere.
Raccolse la sua nuca in un palmo e si portò la sua testa su una spalla, senza preoccuparsi dell’unto dei capelli né dell’odore. Anzi, seppellì il naso tra le ciocche scompigliate e inalò profondamente: dopo mesi di ricerche infruttuose avevano quasi rinunciato alla speranza di rivederlo e quel corpicino scheletrico, malato, divorato dalla fame e dalla fatica, avvolto da stracci umidi e consunti, era più di quanto avesse potuto immaginare.
Senza esitare oltre lo raccolse dal marciapiede e lo prese in braccio – pesava così poco! - per portarlo all’Impala dove suo fratello aspettava, pietrificato dallo shock, appoggiato alla portiera aperta del guidatore.

Guardando il fratello avvicinarsi con il corpo inerte del loro più caro amico tra le braccia, Dean Winchester non poté trattenere un singhiozzo.
Come se qualcuno avesse inserito un pilota automatico, fece il giro del cofano e corse ad aprire la portiera posteriore, dal lato passeggero.
Prima che Sam potesse adagiare Castiel sul sedile, il fratello maggiore stese una mano sulla fronte dell’amico e gli tirò indietro i capelli.
Gli piangeva il cuore a vederlo così ma per qualche motivo non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo volto emaciato.
Rimase a fissarlo per diversi minuti, mentre cercava di metabolizzare quello che aveva davanti.

Ad una certa però Sam ne ebbe abbastanza ed interruppe la sua contemplazione schiarendosi rumorosamente la gola.
Dean rabbrividì da capo a piedi ma si spostò a sufficienza per lasciarlo entrare.
Il Winchester più giovane si lasciò cadere sulla panca imbottita, avendo cura di non sbatacchiare troppo il corpo tra le sue braccia, e il fratello richiuse la portiera.

Per arrivare al bunker ci sarebbe voluto quasi un giorno intero di guida rispettando il limite.
Ma Dean Winchester seguiva un’interpretazione molto soggettiva del codice stradale e riuscirono a completare il tragitto in meno di dodici ore, comprese le soste per usare il bagno e per comprare da mangiare. Durante una di queste, Sam stressò il fratello perché gli procurasse almeno una bottiglia di succo di frutta.
Sbuffando e brontolando, il cacciatore ottemperò alle sue insistenti richieste e insieme al sacchetto con il pranzo gli lanciò una bottiglia di succo all’ACE, il primo che gli fosse capitato a tiro.
Stava per lanciargli un commento sarcastico tra i bocconi del panino che gli riempivano la bocca e quasi si strozzò quando vide cosa suo fratello avesse intenzione di fare: sorreggendo la testa di Castiel nell’incavo del gomito, gli stava versando una piccola quantità di liquido in bocca, per poi massaggiargli la gola ed aiutarlo a deglutire.
“Coraggio, Cas. Solo un po’: ce la puoi fare! Bravo. Bravo.”

Prendendosi mentalmente a calci, Dean distolse lo sguardo e si rimproverò per non aver pensato la stessa cosa.
Non che avesse effettivamente una qualche colpa, semplicemente c’erano troppe cose da mettere in fila in quel momento.
Solo la voce del fratello lo riscosse dal vortice dell’autocommiserazione: “Dean? Dean! Sta reagendo: guarda!”
Effettivamente, Castiel si era tirato un po’ su e riusciva ad inghiottire spontaneamente.
Non era molto, ma era già un passo avanti.

Per tutto il viaggio di ritorno, l’ex angelo non riprese conoscenza. Rimase immobile, alternativamente in braccio a Sam o steso sul sedile.
Non manifestò in alcun modo la necessità di usare il bagno ma i fratelli lo attribuirono alla grave disidratazione.
Perché quel relitto umano non poteva essere un angelo.
Non più.
Il suo stato era la conferma dell’orribile realtà che Kevin aveva anticipato loro: per cacciare gli angeli Metatron avrebbe dovuto usare la Grazia di un angelo. Ma non ci voleva un profeta per capire chi fosse il disgraziato di turno.

Fu quindi un sollievo immane per i fratelli parcheggiare nel garage del bunker e scendere di corsa la scalinata per ricoverare Castiel in una stanza libera.
Scelsero la numero 15: accanto a quella di Kevin e di fronte a quelle dei fratelli.
La sua stanza.

I vestiti dell’ ex angelo erano sparsi sul pavimento, insieme ad una quantità di asciugamani, pezze bagnate e attrezzature per il Pronto Soccorso.
Nel gomito sinistro avevano inserito l’ago di una flebo, collegato ad una sacca di soluzione bilanciata che iniziasse ad integrare le sostanze nutritive perse e ad una bottiglia di antibiotici ad ampio spettro, entrambe gentile omaggio di una vecchia conoscenza di Sam.

Sul corpo scarno avevano trovato diversi lividi e tagli, alcuni dei quali manifestavano un principio d’infezione, ma ciò che li sorprese di più fu il tatuaggio: poche righe in quello che sembrava Enochiano, in inchiostro nero sul suo fianco sinistro, poco sopra l’ombelico.
Fu Kevin a farlo notare, i due fratelli erano troppo scioccati dal costato sporgente dell’amico per farci caso anche se era evidentissimo sul pallore della pelle. Ebbe anche la cortesia di decifrarlo e spiegare loro come fosse una precauzione per non essere rintracciato dagli angeli.
Nel prestargli soccorso si accorsero anche del rumore inquietante che facevano i suoi polmoni. C’era sicuramente del liquido. Ipotizzarono un’infezione respiratoria e aumentarono la dose di antibiotici.
Ma non era ancora finita.

Dean stava sfilando le calze al malato mentre Sam e Kevin finivano di rasarlo e tagliargli i capelli, quando vide qualcosa che gli fece accapponare la pelle.
I piedi di Castiel erano peggio di un campo minato: ovunque erano spuntate vesciche, alcune delle quali si erano poi rotte dando origine a vere e proprie piaghe, e l’epidermide circostante era pallida e raggrinzita.
Per fortuna non c’era traccia di cancrena e le dita erano ancora intatte, ma quella vista gli strappò un gemito e sentì gli occhi iniziare a bruciargli.
Raccolse quegli arti devastati tra le mani e vi posò sopra la fronte, invocando silenziosamente il perdono dell’amico e di un Dio che non aveva mai visto né sentito.
Chiese perdono per essere la causa di tanta sofferenza: per colpa sua e del fratello una creatura celeste aveva patito il peggio della condizione umana.

Nemmeno si accorse di stare in quella posizione finché non sentì una mano posarglisi sulla spalla e scuoterlo con fermezza.
Voltandosi si ritrovò a fissare il viso rigato di lacrime del fratello: “Non è stata colpa tua, Dean. Non è stata colpa tua, né mia, né di Cas. Non è stata colpa di nessuno: non c’è niente che potessimo fare per impedirlo. Però, questa volta, possiamo rimediare. Possiamo prenderci cura di lui e rimetterlo in sesto. Non lo perderemo di nuovo, te lo prometto.”
Dean emise un sospiro frastagliato ed annuì senza dire nulla, sapeva che se avesse aperto la bocca avrebbe pianto e non voleva. Era il fratello maggiore e la sua famiglia contava su di lui per avere un riferimento saldo.
Inghiottì il nodo che gli si stava formando in gola e si rimboccò le maniche.
Insieme, lui e Sam lavarono e medicarono i piedi dell’ex angelo al meglio delle loro possibilità, avvolgendoli in garze e retine sterili.
Poi gli infilarono un paio di vecchi pantaloni della tuta di Kevin – quelli dei Winchester sarebbero stati troppo larghi per essere comodi – e una maglietta stinta ristrettasi in lavatrice, testimonianza ineluttabile dei primi esperimenti con le lavatrici del bunker.

Poiché, nonostante gli antibiotici, la febbriciattola persisteva gli appoggiarono una pezza di stoffa umida sulla fronte prima di rimboccargli le coperte sulle spalle.
Spedirono Kevin a dormire e Sam lo seguì poco dopo.
Dean rimase tutta la notte al capezzale dell’amico, pregando per la sua vita.

Immagini, suoni e colori si ingarbugliavano davanti a lui in un intreccio confuso.
Frattali ed oscurità impenetrabili, luci ed ombre si alternavano e intersecavano nella sua testa.
Caldo e freddo.
O un calore soffocante che gli bruciava le ossa, o un gelo atroce che lo stringeva in una morsa impietosa. Nessuna via di mezzo.
Non riusciva a respirare.
Colpi di tosse violenti scuotevano il suo torace, accompagnati da un dolore profondo e da un bruciore insopportabile.
Tutto intorno a lui, mani invisibili si affaccendavano per sorreggerlo ed accudirlo: gli rimboccavano le coperte, gli somministravano impacchi freddi e medicine, gli davano da bere acqua fresca a piccoli sorsi.
Era tutto così caotico.
Tutto così spaventoso.

Castiel trascorse i primi due giorni di convalescenza in preda alla febbre e alla tosse.
Non aveva le risorse fisiche per agitarsi o delirare ma non era comunque del tutto cosciente: tremava e si lamentava, ogni tanto diceva qualche parola sconnessa, ma per lo più dormiva.
La vecchia conoscenza di Sam fornì loro i medicinali necessari per domare l’infezione, rivelatasi una bronchite in piena regola, e la terza notte dal suo ritorno al bunker finalmente la temperatura scese ad un livello ragionevole.
Il giorno dopo la febbre sparì del tutto. Lo trovarono in un lago di sudore, tanto da dover gli cambiare bende, vestiti e lenzuola.
C’erano tutte le premesse perché riprendere presto conoscenza.
 
La prima cosa di cui si rese conto fu l’assenza dell’ormai onnipresente sensazione di bagnato. Era asciutto, al caldo e disteso su qualcosa di morbido. Possibile che i mietitori lo avessero portato in Paradiso? Metatron non aveva chiuso i Cancelli?
Gemette piano e subito una mano calda iniziò a strofinargli la fronte, tirandogli indietro i capelli.
Il contatto gli strappò un altro gemito, questa volta di sollievo perché quella mano la conosceva: “S-Sam? D-Dean?”
“Sì, Cas: sono Sam. Come ti senti?”
“N-non lo so… debole, confuso… non capisco.”
“Va bene, tranquillo. Ce la fai ad aprire gli occhi?”
Castiel annuì e poco altro poco riuscì a socchiudere le palpebre, la stanza era in penombra ma riconobbe una delle camere da letto del bunker. Seduto alla sua destra, il più giovane dei Winchester. Solo allora riconobbe la sagoma enorme che lo aveva raccolto dal marciapiede.
Gli sorrise e Sam scattò in piedi, correndo alla porta: “Dean! Dean! Si è svegliato, vieni!”
“Ti ha vegliato tutta notte.” Aggiunse,  con un tono più pacato, sedendosi sul letto accanto all’amico “sono appena riuscito a spedirlo a farsi una doccia.”
“Quanto…” un attacco di tosse improvviso lo costrinse ad interrompersi.
Sam provvide subito a sollevargli la testa per aiutarlo a bere un po’ d’acqua: “Fai piano: sono giorni che non metti niente nello stomaco e non voglio che tu stia male. Hai sofferto abbastanza.” Ripose il bicchiere sul comodino “Tornando alla tua domanda di prima, sei rimasto incosciente per tre giorni. Quando ti abbiamo trovato eri più morto che vivo e avevi la febbre. Hai fatto gli ultimi giorni con la bronchite. Ci hai fatto prendere una paura! Adesso però non pensiamoci: stai già meglio e noi ci prenderemo cura di te finché ne avrai bisogno, è questo che conta.”
“Come mi avete trovato?”
“Un messaggio anonimo con una tua foto e le coordinate.” Dean si introdusse di prepotenza nella conversazione, sfregandosi con un asciugamano i capelli ancora grondanti “Abbiamo corso un rischio ma ne è valsa la pena.”
Castiel rimase a bocca aperta: “Siete partiti alla cieca? Con solo un messaggio anonimo?” Di nuovo la tosse e Sam gli sollevò le spalle, disegnandogli dei cerchi sul petto con il palmo della mano per aiutarlo a respirare.
Dean sedette sull’altro lato del letto, appoggiando una mano sulla testa dell’amico: “Era più di quanto avessimo ottenuto da soli in mesi di ricerche, è stato un salto nel vuoto ma valeva la speranza che fossi ancora vivo. E poi, ormai sappiamo uccidere praticamente ogni cosa, non avremmo avuto problemi: alla mal parata avremmo fatto un viaggio a vuoto.”
Castiel sentì le palpebre appesantire di nuovo, si guardò intorno e, trovandosi circondato dall’abbraccio della sua famiglia, per la prima volta dopo mesi si addormentò tranquillo.
 
Lo svegliarono due ore dopo per fargli bere una ciotola di minestra.
 
 
I giorni successivi seguirono lo stesso ritmo: ogni due o tre ore lo svegliavano per dargli una ciotola di brodo, una tazza di latte, un bicchiere di succo o un infuso caldo.
Poi iniziarono ad integrare con yoghurt, purea di mela cotta o banana, purè di patate, strani frullati di carne o verdura, e budini.
La solita vecchia conoscenza di Sam procurò loro degli integratori ipercalorici da inserire nella sua dieta e, nel giro di una settimana dal suo risveglio, cominciò a riprendere peso.
Non avevano modo di accertarsene perché, in tutto questo, Castiel era ancora costretto a letto: si alzava solo per andare in bagno e per fortuna le stanze da letto avevano una stanzetta con un gabinetto, quindi non doveva fare che pochi passi e sempre sostenuto da qualcuno.
Però le forze gli stavano tornando: riusciva ora a stare seduto e anche a leggere da solo, era in grado di sostenere una conversazione e di seguire la trama di un film.
Non era molto, ma era un passo avanti
 
Si comportò sempre in modo irreprensibile. Non si lamentava quando gli cambiavano le bende, accettava qualunque bevanda o alimento gli venisse offerto e prendeva le medicine.
Inizialmente un atteggiamento tanto remissivo sconcertò i Winchester, ma poi capirono: il loro amico non si sarebbe aspettato di sopravvivere alle avversità della condizione umana ed era perciò talmente grato del loro aiuto da non opporre resistenza.
Aveva gradualmente imparato anche ad iniziare il contatto, senza limitarsi a subirlo passivamente. Diverse volte prese la mano ad uno dei fratelli tra le proprie, stringendola quanto più gli fosse possibile, e altre dava degli strani buffetti sulle spalle a Kevin, o faceva loro delle smorfie strane che volevano essere un ammiccamento o un sorriso.
Su di lui erano strane, se non inquietanti, ma lentamente ci stava prendendo la mano.
 
Ogni tanto il dolore delle piaghe e l’angoscia dei mesi precedenti però si facevano sentire.
Lungi da lui tuttavia disturbare per chiedere aiuto che non fosse spontaneamente offerto, ragion per cui i fratelli presero le loro contromisure.
Installarono un walkie talkie  su una sedia in un angolo buio della stanza e fecero a turno per piazzare il gemello in una delle loro durante la notte.
Spesso capitò che uno di loro si precipitasse dall’altra parte del corridoio per soccorrere l’amico in lacrime.  Ogni volta Castiel si aggrappava loro con tutte le sue forze, seppellendo il viso nei loro vestiti e stringendosi tanto contro di loro da sembrare di voler diventare parte integrante del loro abbigliamento.
Era rimasto da solo per troppo tempo in esperienze dolorose per chiunque ma senza la maturità emotiva sufficiente per razionalizzarle e ora cercava di compensare.
Per Sam fu più semplice sopperire a questo suo bisogno perché era sempre stato molto fisico nelle proprie dimostrazioni d’affetto, Dean invece fu preso in contropiede: suo padre non l’aveva abituato ad esprimere le proprie emozioni in alcun modo e di certo non gli aveva insegnato ad abbracciare un amico in difficoltà.
Infatti, glielo aveva insegnato Sammy e se all’inizio rispose in modo automatico e forzato, pian piano si lasciò andare e scoprì di trovare l’esperienza confortante tanto quanto l’ex angelo.
Non l’avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura.
 
Finalmente Castiel fu in grado di gestire pasti dalle porzioni normali senza che ci fosse bisogno di spezzettarli durante la giornata.
Era un piacere vederlo trascinarsi in cucina per la colazione, perennemente imbronciato – scoprirono presto che non era una persona mattutina – e con i capelli arruffati.
Spesso brontolava con Kevin sulla difficoltà di alcune varianti di Enochiano davanti ad un piatto di pasta o ad un’insalata.

Altre volte continuava a fare domande assurde su funzioni fisiologiche basilari o su particolari infinitesimali di film o serie che guardavano insieme per passare il tempo tra un tomo e l’altro: “Dean, ma quando il signor Scott teletrasporta qualcuno, come fanno ad essere sicuri che poi sia la stessa persona quando torna? Una volta scisse le molecole ricostruiscono esattamente la persona o quella è una semplice copia? Si può scindere la mente in molecole?”
Oppure se ne saltava fuori improvvisamente con considerazioni precisissime che andassero a smontare quanto trasmesso sullo schermo. Come quando confermò l’impossibilità fisica delle dimensioni del T.A.R.D.I.S. salvo un eccezionale paradosso spaziotemporale: quella volta nessuno, nemmeno Kevin con la sua matematica avanzata, riuscì a tenergli dietro. O come quando insistette nello spiegare loro per filo e per segno i fatti storici alla base di Game of Thrones.
A volte era talmente fastidioso che Dean gli lanciava addosso un cuscino pur di farlo tacere, ma era il suo modo di partecipare ai loro hobby e alle loro passioni.
Era il suo modo di imparare ad essere umano.
 
Ed era come se ci fosse sempre stato, tanto che era ormai impossibile per i fratelli immaginare di non averlo con loro.
Ormai era parte della famiglia.
 
Castiel, Angelo del Signore.
Castiel Winchester.
 
Come il nome scritto sui documenti d’identità – veri documenti, non copie o falsi – che Sam e Dean gli avevano procurato.
 
Castiel Winchester.
Il figlio perduto, tornato a casa.
 
- The End -

 
Note:

Le croci nelle pause non sono messaggi subliminari: sono cruces flilologorum, che di solito si usano in Filologia per indicare una dizione incerta della quale non è possibile stabilire un'interpretazione sicura. 
Morale? L'università fa male!

Grazie infinite per aver letto! 

 

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