Memories

di DewoftheGalaxy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Paglia ***
Capitolo 2: *** Chiara ***
Capitolo 3: *** Fantasmi di guerra ***



Capitolo 1
*** Paglia ***


 

Mi depongono sulla paglia, o almeno credo che sia paglia: al tatto lo sembra, anche se con mani, piedi e costato insanguinati e coperti di pezze è difficile dirlo.
Poi non vedo neanche bene, tutto ciò che vedo è sfocato, sfocatissimo ed i rumori sono ovattati, distanti, anche se qualche parola riesco a capirla.
Credo di avere la febbre perché ho caldo, caldissimo, come nel deserto d’Egitto quando marciavo con frate Illuminato per andare a parlare con il Sultano. E poi sono già stato malato tante volte perché sono di salute… beh… ecco diciamo….cagionevole.
Ma in questi ultimi anni la mia salute è peggiorata.

 

 

È difficile abituarsi di nuovo alla paglia, forse perché da anni il mio materasso è il terreno e questo corpo, “Frate Asino” che è pigro e facile alle tentazioni, ormai è troppo debole e stanco.
Però la paglia mi ricorda dove sono nato.
Io sono nato in un stalla, come Gesù Bambino.
Era il 26 settembre 1182 o almeno così Maman mi ha sempre detto.
Mia madre, Maman, si chiama Pica de Bourlemont  ed è nata in Provenza ( infatti è grazie a lei che so parlare francese) mentre mio padre, Papa, si chiama Pietro di Bernardone e fa (o meglio faceva perché adesso l’attività suppongo sia passata al mio fratellino visto che sia Papa che Maman vengono spesso a trovarmi di recente) il mercante di tessuti ed era il più ricco e famoso di tutta Assisi.
Maman…Papa…dove siete ora? Abbiamo fatto pace non vi ricordate….?
Maman…Papa….

 

 

Maman mi ha detto che quando sono nato ero piccolo, perciò temeva che non sarei vissuto a lungo, ma che ho emesso un grido talmente forte che quasi spaccavo i timpani a tutti, bue e asinello compresi, e che avevo già la testolina coperta da capelli neri come una notte senza stelle.
E che, soprattutto, mi fece battezzare Giovanni, non Francesco.
In Francesco mi cambiò nome Papa quando tornò dalla Francia, perché lui non era presente quando nacqui.
Un onore a quella terra di fortuna.
Francesco, “Il francese”.
Francesco di Pietro di Bernardone.

 

 

Sfioro la paglia con la punta delle dita, la sento.
È morbida.
Morbida come i tessuti della bottega di Papa dove io e il mio fratellino, Angelo, di quattro anni più piccolo di me, giocavamo.
Angelo…Angioletto ( il nomignolo con il quale se lo chiamavo così si arrabbiava sempre)….lui che è nato con i riccioli biondi e gli occhi verdi…non sembriamo fratelli noi due….
Angioletto, Angioletto….vuoi giocare ancora?

 

Mi chiamavi Chicco e da allora quello è diventato il mio nomignolo.
Chicco.
Come i chicchi del grano dorato che d’estate circonda Assisi.

 

Ed il piccolo Chicco non conosceva bene Frate Sole e Sora Luna come ora, però sapeva riconoscere i versi degli animali, li capiva, capiva la loro lingua e per questo gli altri bambini lo prendevano in giro.
Non so perché ma con gli animali ho sempre avuto questo rapporto….di fratellanza.
Ed è così facile capirli! Sono nostri fratelli! Tutti creati dal Signore come il Sole, la Luna e le stelle…perché è così difficile comunicare con creature che ci sono così affini?

 

 

Mi pare di sentire le nostre voci di bambini felici e quella di Maman che ci chiama.
Maman! Maman, ma cherie Maman, sei tu quella persona sfocata che vedo ora china su di me? Sei tu?

 

<< Maman! Maman! >> chiamo.

 

No, non puoi essere te….qui sono a San Damiano, da Chiara e dalle sue consorelle, i frati mi hanno portato qui per farmi curare da Chiara….

 

Ho la febbre alta. Ho caldo. Mi fa male la testa.
Ma ripenso alla mia infanzia fra i vicoli di Assisi ed è un pensiero fresco, sì fresco.
Come la salvietta bagnata che ora la figura sfocata ( Chiara ?) sta posando sulla mia fronte. È una benedizione in questo caldo di delirio febbrile…è…è…non lo so.
La febbre prende corpo e mente, non lascia pensare lucidamente.
Però mi ricorda l’acqua che scorga dalle mille fontane di Assisi.

 

 

Ed io che le vedevo andando a scuola nella vicina chiesa di San Giorgio, dove noi bambini studiavamo chini sulle mille parole latine per evitare la verga del maestro.
Credo di aver giocato più di uno scherzo al pover’uomo….
Ricordo le sferzate della verga sulle mani, le risento…fanno male…fanno tanto male. Rivedo i suoi occhi color del ghiaccio.

 

 

Giro il viso dall’altra parte, non ci voglio pensare, non voglio ricordare.
Ma Assisi sì che la voglio ricordare.

 

 

Assisi, mia dolce Assisi, sei ancora arroccata sul Subasio mia cara città? Le tue vie sono ancora un saliscendi di vicoli, stradine, piazzette e viuzze? I tuoi tanti ulivi argentati e i tuoi campi di papaveri sono ancora lì vero? Ma certo, mio paesino sperduto fra le verdi e ridenti colline umbre, dove le comari chiacchierano dalla mattina alla sera e si sa tutto di tutti, altrimenti lo saprei.

 

 

Però ricordo anche le notti trascorse fra le vie della mia amata città, le notti nelle brigate di amici, ubriachi fradici dopo la taverna.
“Francesco, re della gioventù” mi chiamavano.
Ed ero veramente il re di quelle feste e della gioventù: mio padre era ricco, io il suo rampollo….perché non approfittarne? Il vino scorreva a fiumi, così come le risate e la musica, i giochi con i dadi….

 

 

E c’è troppa luce. Qui, ora, in qualunque angolo di San Damiano io sia, c’è troppa luce. Mi da fastidio, ho gli occhi malati…sono quasi cieco…perché c’è così tanta luce?
C’era tanta luce anche in taverna? Non mi ricordo….

 

 

Ma ora sonno e non mi interessa ricordare.
Mi addormento ma il mio sonno è popolato di ricordi, visioni: persone che ho conosciuto, le loro voci…poi suoni, volti….
Tutto si mischia insieme, tutto diventa un casino ed io non reggo.
Mi sveglio di soprassalto.

 

<< Basta! Basta! Basta! Andate via! >>

 

Accanto a me una voce gentile unita ad una mano morbida mi convince a ritornare a dormire.
Dice che è tardi, che sono molto stanco e che devo riposare.
Chiara sei tu? Sì lo so che sei tu, grazie pianticella.

 

 

Questa volta, pur delirante di febbre e ricordi, dormo tranquillo.

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Capitolo 2
*** Chiara ***


Chiara….mia dolce e bella Chiara, di sicuro ora proverai pena nel vedermi in questo stato: sfinito, esausto, colpito da mille malanni.

 

 

Pianticella mia, sorella mia. Noi due siamo fratelli in Dio, quasi gemelli direi, visto che ci capiamo con un solo sguardo.
Puoi capire molto di una persona guardandola negli occhi.
Quant’è vero.

 

E io ti amo Chiara, ma non di quell’amore.
Ti amo come amo gli uccelli del cielo e gli animali della terra, ti amo come amo le montagne con le cime coperte di neve e i torrenti cristallini, ti amo come amo i campi di papaveri e di grano e la luce che filtra fra le cupole verdi degli alberi.

 

Ma perché l’amore deve essere per forza di quel tipo?
Perché è così difficile accettare che l’amore non possa essere anche un fuoco, sì un fuoco, di cui le anime bruciano per un Padre che ci ama?
Cristo é morto e risorto per amore.
Ed era, ed è, l’amore più bello di tutti.

 

Oh Chiara….

 

Mi fanno male le Ferite, le Piaghe, mi sanguinano.
Stigmate, le Ferite di Cristo crocifisso, un avvenimento mai successo in tutta la storia.
Poteva riceverle un Padre della Chiesa, oppure un santo martire ed invece… è successo a me.
Ma perché? Perché io? Io sono solo un pazzo, un folle, un giullare di Dio, sto al dì sotto del pezzente, sono solo terra.
Perché io? Non lo saprò mai.

 

Tu Chiara dici che é perché ho amato tanto.
Io non lo so.
So che mi fa male il costato, mi sanguina, lo sento.
E sento pure la tua mano, Chiara, che mi pulisce e mi cambia le pezze zuppe di sangue.
Solo tu e Frate Leone sapete di queste Ferite, nessun altro, é un segreto e nessuno dovrà scoprirlo fino alla mia morte.

 

 

Mi ricordo di averti vista tante volte da bambina sai? Una figurina bionda che seguiva la madre o le amiche mentre andava al mercato o in chiesa.
Forse abbiamo parlato, quando tu eri bambina, ma non ricordo.
Forse ti sei unita anche tu all’euforia generale che prendeva noi giovincelli quando cadeva la neve, ma non ricordo.
Sento un caldo insopportabile che non mi fa pensare bene.

 

Dove sono gli stracci freddi? Ne ho bisogno! Ho caldo, tanto, tanto caldo!

 

Ma per fortuna arrivano presto e la loro presenza mi ristora.

 

Un ricordo di noi due ce l’ho Chiara ed é quello del nostro primo vero incontro, poco prima che scoppiasse la guerra ed i tumulti con i nobili.

 

Tu eri una ragazzina che correva fra le viti con un cesto in mano, di prima mattina, quando le allodole cantavano e la città si risvegliava.
Io un ragazzo a cavallo ed appena tornato da una notte di baldoria con gli amici.
Ti notai e scesi da cavallo.
Ti bloccai nel tuo cammino.

 

<< Ma buongiorno madamigella… >>

 

Tu mi risposi solo con un cenno del capo e cercasti di svignartela.
Io ti segui.

 

<< Ehi aspetta! Dove vai? >> 

 

<< In un luogo.. >> Rispondesti soltanto tu che continuasti a camminare.

 

<< Tu sei Chiara vero? La figlia di Favarone di Offreduccio degli Scifi! Io sono… >>

 

Ti girasti. << Francesco di Pietro di Bernardone, sì lo so. Tuo padre é il mercante più ricco di tutta Assisi e fornisce le stoffe alla mia famiglia… >>

 

<< Vedo che sei informata. >>

 

<< E tu vedo che non mi vuoi fare il sommo piacere di andare via >>

 

Sorrisi. << Tosta la ragazzina... >>

 

Sbagliai a pronunciare quelle parole perché poco dopo mi tirasti un calcio sul piede.

 

<< Non ti azzardare mai più a chiamarmi ragazzina capito? >>

 

Mi massaggiai il piede. << Capito…Ma io ti seguo lo stesso. >>

 

E così fu: tu continuavi a camminare ed io a seguirti.
Ero curioso e ficcanaso come tutti i giovani della mia età.

 

Dopo un po’ ti fermasti e ti girasti verso di me ancora una volta.
Il tuo volto non era più irritato come quando ti avevo chiamato “ragazzina” poco prima.
Era calmo.

 

<< Per favore… >> Mi chiesi tu con voce tranquilla e gentile, ma che lasciava trasparire il fatto che ormai ti eri arresa alla mia presenza. << Vai via… >>

 

<< Ma perché?.. >> Non capivo. << Devi per caso incontrare un spasimante segreto? >> 

 

Io risi, tu per niente.
Sospirasti.

 

<< Almeno non dire a nessuno quello che stai per vedere.. >>

 

Giurai di mantenere il segreto e dopodiché andammo un poco avanti, fino a un mucchio di rovine e teli.
E dove c’erano dei lebbrosi.

 

Lebbrosi.
Io li detestavo, mi facevano disgusto, non potevo sopportare la loro vista.
Tu invece Chiara tirasti fuori dal cesto del pane e cominciasti a servirli e pulire le loro piaghe.

 

<< Lebbrosi?… >> Riuscì a dire soltanto io, la voce mi era morta in gola.

 

<< Sì, lebbrosi. >> Rispondesti tu come se fosse la cosa più naturale del mondo.

 

Io me la diedi a gambe.

 

Ci rincontrammo molte volte in seguito, soprattutto dopo la guerra quando io cominciavo ad aprire gli occhi ma……a ripensarci ora a quell’episodio, in questo delirio febbrile, mi viene da sorridere.
Non avevo ancora capito allora il valore della carità, dell’amore fraterno.
No, non avevo ancora capito, ma tu sì.

 

Tu Chiara sapevi tutto prima di me.
Sbaglio o sotto le belle vesti indossavi un cilicio e una ruvida stoffa da serva? Sbaglio o rifiutavi i cibi più gustosi e li destinavi invece ai poveri?
Tu avevi già incontrato Cristo, a me invece ci vollero la guerra, un periodo di malattia e dei sogni per farlo.

 

Chiara, Chiara, mia bellissima Chiara, tu sei una luce di nome e di fatto, una luce che cerca di nascondersi nel chiostro ma che fuori illumina tutto.
Una colomba bianca e pura, una principessa del Suo Regno, un’amante della povertà.

 

Stammi vicino ora Chiara, te ne prego, come hai sempre fatto.
Ora ho bisogno di te più che mai, vedi come sono….ti prego, ti prego.

 

Continua a pregare per il mondo, mia pianticella, continua ad essere nel mondo pur non facendone più parte.

 

Sento qualcosa sulle labbra. Cos’é? É caldo e buono e mi fa venire sonno.
É latte.
Mi stai dando del latte per caso? 

 

Percepisco la tua mano che mi solleva il capo, il bordo di una ciotola sulle labbra e delle gocce che mi colano dal mento.
Bevo avidamente e subito dopo sento una salvietta che mi pulisce bocca e mento.

 

Il latte mi tranquillizza ma non riesco a deglutirlo.
Allora sento la tua mano morbida e profumata massaggiarmi la gola per farlo.

 

<< Stai calmo. >> Ti sento dire. << Il latte é per farti dormire meglio. >>

 

Le palpebre mi si fanno pesanti e sbadiglio, mentre per poco riesco a vedere la tua immagine non sfocata, ma vivida, che mi sorride premurosa alle luci di San Damiano.
Deve essere notte, o sera. Non lo so, ma vedo che ci sono accese tante candele.

 

Cercando si trattenere, inutilmente, un ultimo sbadiglio, cerco la tua mano.
Tu me la prendi, la stringi e mi sorridi ancora di più.

 

Poco prima di entrare nel mondo dei sogni sento un tuo bacio sulla mia fronte calda.

 

<< Buonanotte e sogni d’oro Chicco. >>

 

Buonanotte e sogni d’oro anche a te, pianticella mia.

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Capitolo 3
*** Fantasmi di guerra ***


Poi arrivò la guerra.
Ma una guerra, si sa, non scoppia senza una motivazione.
E la motivazione che fece scoppiare la guerra fra Perugia ed Assisi era una rivolta.
Oh sì, una rivolta.

 

 

Era il 1198 quando i cittadini di Assisi si rivoltarono contro i nobili ed il rappresentante dell’imperatore che abitava nella Rocca Maggiore, Corrado di Urslingen.
Avevo sedici anni.
Ricordo gente che brandisce torca, urla, cavalli impazziti e le dimore dei nobili derubate e profanate.

 

 

No, no, che brutti ricordi! Non li voglio! Che se ne vadino, che se ne vadino ora!

 

 

Giro il viso dall’altra parte e un guizzo azzurro attraversa il mio campo visivo.
I tuoi occhi Chiara, i tuoi occhi di bambina, di ragazzina spaventata, quella stessa che avevo incontrato poco prima a prendersi cura dei lebbrosi in segreto. 

 

 

Azzurri come l’ala di una ghiandaia.

 

 

Correvi dietro ai tuoi genitori e alle tue sorelle più piccole, i capelli biondi che si muovevano nel vento.
Ti chiamai: << Chiara! >>

 

 

Tu ti girasti e mi vedesti.
Ci guardammo.
Un incrocio di sguardi, chiaro in scuro, azzurro in marrone.
Il tempo mi parve infinito.

 

 

Accennasti un sorriso nonostante i tuoi occhi emanassero paura per ciò che stava succedendo.

 

 

<< Vieni dentro. >> Fu la voce di tuo padre, che ti spinse dentro la carrozza, a interrompere il nostro legame.
Tu ti affacciasti a guardarmi e i cavalli partirono.
Lontano.
A Perugia.

 

 

Il tempo passò, quattro anni per l’esattezza, prima che le nostre strade si incrociassero di nuovo.
Tu crescevi a Perugia in esilio, insieme a tante altre famiglie nobili lì rifugiatasi, ed imparavi ad essere un vera dama degna del tuo rango. Io nella città nemica a leggere con fervore romanzi cavallereschi e sognare avventure gloriose sul campo di battaglia.

 

 

E quei sogni divennero realtà nel 1202, quando scoppiò la guerra fra Assisi e Perugia.

 

 

Io ero tutto infervorato: grazie all’esser nominato cavaliere volevo diventare nobile e così partii con la benedizione di Maman e Papa per Collestrada, luogo della battaglia, una piana fra Perugia ad Assisi.

 

 

I miei sogni però erano solo bugie.
Lì non c’erano armature luccicanti e bellissime donzelle dalle bionde trecce. Lì c’era l’orrore.
Morte.
Distruzione.
Sangue.

 

 

No! No! Queste immagini non le voglio vedere! Andatevene Via! Via! Non vi voglio!

 

 

Ma non se ne vanno: vedo cavalieri grigi come cadaveri e spade sporche di sangue.
Perché non ve ne andate! Via! Via! Via!

 

 

Ho caldo, caldissimo…..

 

 

Mii sembra di vedere una figura avvicinarsi a me…chi è? È sfocata, come tutte le cose che vedo ora, ma ha qualcosa in mano…cos’è?
È una spada! È un cavaliere perugino e vuole colpirmi.

 

 

Urlo.

 

 

Il mio urlo probabilmente sarà risuonato fra le mura di San Damiano disturbando Chiara e compagne.
Ma è solo un illusione della febbre Francesco! Perché urli?

 

 

Non lo so.

 

 

In quel momento stavo sdraiato sul terreno in attesa della mia morte, vedevo la spada avvicinarsi e brillare alla luce di quel poco sole che usciva dalle nubi grigie.
Chiusi gli occhi.
E sentii il cadavere del perugino cadere sopra di me.

 

 

Cosa?

 

 

Riaprii gli occhi.

 

 

Un cavaliere assisano che conoscevo, Bernardo di Quintavalle, ricco signore di qualche anno più grande di me, mi troneggiava sopra.
Mi diede una mano a rialzarmi.

 

 

<< La guerra non è un posto per ragazzini. >> mi disse prima di ritornare a combattere.

 

 

La guerra non è un posto per ragazzini.

 

 

Quanto era vero.

 

 

Ed io ero solo un ragazzino imbevuto di letture su nobili cavalieri ed amori cortesi.
Di fantasie.
Solo fantasie del mio mondo immaginario.

 

 

Il mondo vero era un altro e me ne stavo rendendo conto in quella battaglia.

 

 

Sento una sensazione in gola e poi in bocca.
Sputo sangue.
Emottisi. L’hanno chiamata i tanti medici che mi hanno curato finora. Sputare sangue misto a catarro.
Ormai ci sono abituato.

 

 

Anche in guerra c’era sangue…sì c’era…

 

 

Comunque Assisi perse e vi furono pochissimi morti ma molti prigionieri, fra cui anch’io e visto che ero figlio di un ricco fui gettato in prigione insieme ai più benestanti. E fu lì, nelle celle di Perugia, che ti rincontrai Chiara.

 

 

Tu venivi a dare pane ai prigionieri insieme a tua madre Ortolana e alle tue sorelle Penenda, Caterina e Beatrice.

 

 

<< Francesco? >> Fu l’unica parola che dicesti vedendomi tra le sbarre.

 

 

<< Chiara? >> Risposi io.

 

 

Ci sorridemmo ma il tuo volto fu subito velato da preoccupazione.

 

 

<< Sei…sei andato in guerra?! Stai bene?… >>

 

 

<< Beh se sono qui e riesco a parlarti! >>

 

 

Ridemmo.
Non ci vedevamo da anni, da quattro anni per l’esattezza, eppure lì sembravano solo pochi giorni. Forse già allora cominciava a mostrarsi il nostro magico legame?

 

 

Notai un piccolo libro emergere fra le pieghe della tua veste verde chiaro

 

 

<< Che libro hai lì? >> Chiesi io. << È un libro sui cavalieri? >> 
Già solo al vedere un libro dovevo pensare che era sui cavalieri…Ma all’epoca pensavo solo a quello?

 

 

Tu ridesti leggermente.

 

 

<< No, è il Vangelo! >>

 

 

<< Il Vangelo? >>

 

 

<< Sì il Vangelo, vorresti leggerlo? >> Me lo passasti fra le sbarre. << Ma mi raccomando: non farti vedere dalle guardie! >>

 

 

Sentimmo la voce di tua madre Ortolana risuonare nel corridoio.

 

 

<< Chiara! È ora di andare! >>

 

 

<< Vengo madre! >>

 

 

Mi sorridesti un’ultima volta e mi diedi il pane.

 

 

<< Ciao Francesco, alla prossima. >>

 

 

Ti alzasti e corresti via, lanciandomi un tuo ultimo sguardo azzurro.

 

 

<< Alla prossima…Chiara. >>

 

 

Nonostante la lettura del Vangelo prendesse la maggior parte delle mie giornate ( ora lo leggevo con occhi nuovi e le sue parole mi entravano nel cuore) in prigione capivo di non stare bene.

 

 

La mia salute cagionevole ora soffriva di quel luogo malsano: faceva freddo, sia di notte che di giorno, vi era sempre un tanfo di umidità e in giro circolavano topi.

 

 

D’improvviso invece del caldo estenuante che provo sempre sento freddo.
Freddo.
Quello stesso freddo della prigione, quello delle pietre gelide e delle notti nebbiose.

 

 

Mi copro completamente con la coperta lasciando scoperto solo il viso.
È un freddo….non lo so come sia, la mia mente in questo momento non riesce a formulare niente.
So che sto tremando dal freddo, tremando come un pulcino bagnato, tremo…

 

 

Solo ora però sento quanto sono sudato per questo febbre.
Oh mamma…

 

 

<< Freddo…fa freddo…ho tanto freddo…>>

 

 

Sento una mano calda, ma di quel caldo sano di quando stai bene, posarsi sulla mia fronte gelata e per poco mi fa smettere di tremare.
O almeno credo che la mia fronte sia gelata, la percepisco così anche se di sicuro sarà bollente.

 

 

Sei tu Chiara, lo so e mi pulisci la bocca dal sangue di poco fa.

 

 

<< Stai calmo Francesco, è solo un sintomo della febbre. >>

 

 

Lo spero.

 

 

Nel frattempo ricordo i giorni in prigione, dove i miei compagni piangevano e dicevano di sentirsi abbandonati.
Eppure io ero felice e, nei momenti in cui non leggevo (o rileggevo ) il Vangelo, guardavo l’azzurro del cielo oltre l’unica piccola finestrella quadrata della nostra cella.
E ridevo.
E sorridevo
E gioivo

 

 

<< Ma non lo sapete che io diverrò un gran principe e che tutto il mondo si inchinerà davanti a me? >> Rispondevo ai miei compagni che mi chiedevano perché fossi così felice.

 

 

Perché mentre la mia anima scopriva un nuovo mondo e il mio corpo cadeva vittima delle febbri, lassù nell’azzurro vedevo forse un presagio di quel vago avvenire.

 

 

 

 

 

 

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