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Il
mondo sembrava sottosopra.
Se
quello era davvero il mondo.
Qualcosa
tirava all'altezza dell'ombelico, risucchiandoli, comprimendoli, il
rimbombo di suoni e scene che si fondeva alle loro carni bruciando
senza sosta tutto ciò che incontrava.
«Non
ho più voglia di giocare.» «Good
luck, kitty cat. See you around.»
C'era
dolore fisico, c'erano cuori in mille pezzi, c'era la sensazione di
vuoto allo stomaco durante un giro della morte sulle montagne russe,
la scarica di adrenalina che ne seguiva e l'euforia della libertà
mista a paura. C'era il pizzicore dei graffi sulla pelle e delle
lacrime sulle guance, la nausea di una trottola senza sosta e
l'ottundimento da mille pensieri che si moltiplicavano
accartocciandosi furibondi senza risposte, soluzioni, decisioni.
«
Per una volta, avresti fatto tu un passo verso di me. »
Tutto
continuava a girare, girare, su se stesso e sottosopra, e si
rivoltava, un vortice di luce e immagini senza tregua che si
avviluppava intorno a loro come un serpente, avanti e indietro, e poi
avanti di nuovo. Occhi dappertutto, e sorrisi, e urla, e finte
risate, e unghie, e ancora occhi, e ricordi, come rami appena
sbocciati che si intricavano a loro e tiravano feroci, avvolti come
spire che mozzavano il fiato nei polmoni in fiamme.
Basta. «Sei
caduta nella trappola delle tue favolette, conosci il principe
azzurro e nel giro di un anno decidi di sposartelo.» Basta. «Ma
ho smesso di essere l’unico che scende a compromessi.» Basta!
I
palmi di Ichigo batterono sul sentiero di terra color ocra, la pelle
morbida che stridette all’attrito, e lei riprese coscienza del peso
del suo corpo, del dolore alle ginocchia premute per terra, dei
muscoli indolenziti. La testa continuò a girarle e si costrinse a
tenere gli occhi chiusi per controllare la nausea, lo stomaco
raggelato e il cuore pesante, e quelle lacrime che sentiva già
pizzicarle le palpebre.
Quanto
era durato?
Le
immagini continuavano a vorticarle in testa implacabili, ognuna una
scheggia nel petto, un frammento di rabbia per la sua testardaggine e
i dubbi e tutte le volte che non sapeva dire di no.
Una
risatina divertita e squillante, quasi a conferma, spezzò il
silenzio.
«Viaggetto
interessante, vero?»
Yuko
stava passeggiando languida in mezzo a loro, a passi larghi e
tranquilli, le code del vestito che sfioravano i quattro in terra. La
sigaretta, nel suo beccuccio, continuava tranquillamente a rilasciare
nuvole di fumo, senza parvenza di starsi consumando.
«
E poi non ditemi che non vi avevo avvertito! »
Kisshu
si lasciò cadere di schiena, a braccia aperte, cercando di riempire
i polmoni e borbottando sottovoce: « Vaffanculo te e la tua risatina
del cazzo. »
Yuko,
ovviamente, poté sentirlo, ma si limitò a scuotere le spalle
gongolante mentre ritornava al suo trono sospeso in aria: « Ah, ve
l'avevo detto che voi siete il mio passatempo preferito. Così
sciocchi, ingenui.
Pensate
sempre di sapere cos'è meglio per voi e non accettate ragioni. È
così intrigante
vedervi cadere. »
Ryo
si alzò su gambe instabili, cercando gli occhi di Ichigo e
porgendole una mano per aiutarla a tirarsi in piedi, ma lei continuò
a boccheggiare in ginocchio.
«
L'hai fatto apposta? » domandò alla donna in fronte a loro.
Lei
rise, una mano che le coprì la bocca rossa in maniera infantile: «
Io? Non c'entro proprio nulla. Non so nemmeno cos'abbiate visto,
anche se a giudicare dalle vostre facce, è andato tutto esattamente
come vi avevo avvertito sarebbe andato. »
Appoggiò
le braccia sui braccioli puntuti del suo trono nero, guardandoli con
occhi stretti.
«
Come pensate di sentirvi, ora? »
Ryo
la ignorò, così come ignorò la nausea che gli stava stringendo lo
stomaco, si accucciò vicino alla sua fidanzata e le scostò i
capelli dal viso, afferrandola per le spalle: « Ichigo, forza,
alzati, dobbiamo andarcene da qua.»
Lei
si alzò come fosse un automa, gli occhi fissi sul terreno polveroso:
« … voglio sapere se sono cose vere,» mormorò con un filo di
voce, « Voglio … »
«
Ah, voglio, voglio, voglio, » Yuko le fece il verso
con una
vocina acuta, alzando gli occhi al cielo con aria scocciata, «
Quindi proprio non l'hai capito che è proprio questo che vi causa
così tanti problemi. E io che pensavo che magari questi viaggetti vi
avrebbero fatto capire qualcosa. Così ottusi, » appoggiò
la
guancia al pugno chiuso, sospirando scontenta « Costanti delusioni,
voi umani.»
Kisshu
non prese nemmeno la briga di correggerla nuovamente, più
concentrato sul tirare in piedi una Minto che, contrariamente al suo
solito, non aveva ancora spiccicato parola e sembrava più pallida
del normale.
«
Stai bene? » le domandò sottovoce, scostandole le ciocche
disordinate che le cadevano attorno al viso per prenderglielo tra le
mani.
Lei
scosse la testa in una maniera che non voleva dire né sì né no,
puntò lo sguardo anche lei verso il suolo mentre il labbro inferiore
le tremò appena, senza che riuscisse a emettere suono.
«
E' un po' tardi per preoccuparsi di questo, non credi, Kisshu? »
commentò divertita Yuko.
«
Tortorella? »
La
mora lo ignorò, guardò da sopra la sua spalla la donna avvolta di
nero: « Come ce ne andiamo da qua'? » domandò con voce roca.
«
Minto. »
Kisshu
la chiamò con tono più fermo, cercando di voltarle il volto quanto
bastava, ma lei rimase stoicamente rigida, le iridi scure piantate in
quelle divertite della padrona di quel posto. Questa rise ancora un
po', mosse rapidamente le dita: « Avete già deciso di privarvi
della mia compagnia? »
«
Sinceramente non è la compagnia migliore che abbia mai avuto, »
sibilò il verde, per poi riconcentrarsi sulla sua ragazza, « Mi
vuoi rispondere? »
«
Kisshu, smettila,» lei si scostò infastidita, allontanando le sue
mani e facendo qualche passo di più verso Yuko, « Per favore, mi
faccia uscire da qua. »
«
E io che credevo che voi Mew Mew non scappaste mai, » replicò
sarcastica la donna, controllandosi le unghie laccate di nero, «Credi
che sarà così facile lasciare indietro i risultati della vostra
stessa cupidigia?»
«
Intanto andarcene sarebbe un ottimo passo avanti, » Ryo sbottò, i
palmi ancora stretti attorno alle spalle di Ichigo, « Davvero, non
credi di aver già ottenuto abbastanza divertimento per oggi? »
«
Per me non c'è un oggi, o un domani, o un quando,
Shirogane,
» Yuko rise quasi con gusto, un movimento sinuoso del polso e la
sigaretta che le ricomparve fumante tra le dita, « Ma se per voi è
davvero così importante lasciare questo luogo… »
«
Vorrei tornare alla vita reale, grazie. »
Yuko
prese un lungo tiro, il fumo che volò fino ai quattro, poi sorrise
in maniera inquietante: « Sappiate, però, che solo perché lasciate
questo posto, non significa che esso lascerà voi. »
Kisshu
aggrottò la fronte: « Cosa — ? »
Ma
la donna aveva già schioccato le dita, avvolgendoli nella stessa
luce abbagliante che li aveva inghiottiti all'andata. Il tempo di un
battito di ciglia, della familiare morsa fredda allo stomaco, un
tuono lontano, e si ritrovarono seduti tra i vapori umidi della
grotta su Gea.
Il
sibilo lento delle esalazioni non venne interrotto, erano troppo
sbigottiti per poter davvero parlare, le interiora ancora rivoltate e
acide, le teste pesanti e confuse. Ripercorsero in silenzio il
sentiero che li aveva portati fino a lì, senza quasi utilizzare le
torce dei cellulari, i segni rossi sulle pietre che diventavano via
via sempre più visibili all'avvicinarsi dell'uscita. L'odore e la
frescura dell'aria pulita li investirono sul volto come un toccasana,
e si affrettarono ad allontanarsi da quel luogo buio.
Solo
una volta all'aria aperta, Ryo studiò contemporaneamente l'orologio
al polso e lo schermo del cellulare.
«
Sono… passati soltanto quarantacinque minuti in tutto, » borbottò
confuso, «Com'è possibile… ? »
«
Direi che di cose impossibili ne abbiamo viste
abbastanza, »
esclamò acida e sardonica Minto, le braccia strette al torso, « Non
saprei nemmeno più come stupirmi oramai. »
La
punta di rabbia nella sua voce non risultò estranea nemmeno a
Ichigo, che tentò di avvicinarsi all'amica, una mano tesa verso di
lei: « Minto-chan, io …»
La
mora, però, reagì come prima, scostandosi di scatto con fastidio e
astio: « No. Ho odiato quest'idea dal principio,
non c'è
stato verso di farvelo capire perché come al solito avete
voluto fare solamente come interessava a voi, e guardate in cosa ci
siamo cacciati! »
«
Passerotto, non è così — »
Kisshu
venne interrotto dall'occhiata di pura collera che la mora gli
rivolse, un po' troppo tremore salato nelle sue iridi, e lei si voltò
di scatto, deglutendo il groppo che sentiva in gola prima di
esclamare con voce roca: « Voglio andare a casa.»
«
D'accordo, » scambiandosi uno sguardo con Shirogane, l'alieno
riprese la testa del gruppo, camminando molto più veloce di quanto
avesse fatto all'andata.
Anche
in quel momento, nessuno osò proferir parola, avvertendo il
cambiamento nell'atmosfera, il tumulto di pensieri che li aveva
invasi. Ichigo si strinse di più nel cappotto che portava, ben
conscia che il Sole di quel mattino stesse riscaldando il pianeta
molto di più di quanto lei potesse avvertire, eppure non aveva il
coraggio, in quell'istante, di avvicinarsi al corpo rassicurante di
Ryo come faceva di solito. Rimase ultima, il fiato corto non per gli
sforzi di quelle camminate, lo sguardo che oscillava tra la schiena
del suo fidanzato e quella della sua migliore amica, a pochi passi da
lei eppure così lontana.
Il
destino gli risparmiò almeno di incontrare qualcuno, l'albero con il
pannello per aprire il portale che si stagliò a pochi metri da loro
come un totem di sollievo. Kisshu quasi schiaffò la mano sopra il
tronco, e tutti e quattro si catapultarono fuori dal passaggio senza
voltarsi indietro.
Si
ritrovarono al Caffè così presto che nemmeno Keiichiro stesso era
arrivato, approfittando degli orari più tranquilli del weekend.
Minto quasi si catapultò fuori dalla dispensa, precedendo tutti gli
altri fino alla porta sul retro, che aprì di forza appoggiandoci il
suo peso.
«
Cerchiamo di non distruggere le cose, magari, » commentò piano Ryo.
«
Vai a quel paese, Shirogane, » rimbrottò la mora, « Se proprio ne
fossi così preoccupato te la ripagherei.»
Kisshu
intimò al biondo con un'occhiataccia di non azzardarsi ad aprir
bocca, sfiorando una mano della sua ragazza: « Meglio se andiamo,
eh? »
«
L'hai capito, finalmente, » borbottò sottovoce lei, limitandosi a
porgergli un dito.
Ichigo
le lanciò uno sguardo colpevole, fece per avvicinarsi a lei: «
Minto-chan, ascolta — » ci riprovò ancora, ma la mora scosse la
testa, evitando di guardarla.
«
Non avrei mai dovuto darti retta, Momomiya, » sibilò.
L'alieno
fu svelto a stringerle il polso e teletrasportarli nel loro
appartamento, mal sopportando anch'egli lo sguardo da cucciolo
bastonato della rossa e ben sapendo che la situazione avrebbe solo
potuto degenerare.
Il
silenzio della loro casa – solitamente così accogliente e
rassicurante - cadde su di loro come una cortina quasi minacciosa,
una tensione palpabile che correva tra i loro corpi e che
probabilmente non avevano nemmeno mai provato. E nessuno ebbe il
coraggio di ammettere a se stesso che quella casa assomigliava
terribilmente a una di quelle che gli erano state mostrate in quella
folle mattinata.
Minto
sbatté la sua borsetta a terra, rimanendo immobile nell'entrata, i
pugni stretti lungo i fianchi e il volto verso il pavimento. Kisshu
fece un sospiro, passandosi irritato una mano tra i capelli.
«
Pensi che sia un deficiente per aver accettato quest'idea di merda.
Dillo, su. »
La
mora prima emise uno sbuffo poco convinto, poi fu presa da una
risatina tra l'isterico e il cattivo: «Ovviamente sarebbe
finita così. Non ne sono nemmeno stupita, guarda. Ovunque mi giri tu
e Ichigo, tu e Ichigo, sempre tu e Ichigo. »
Un'ombra
buia cadde sul volto dell'alieno: « Non abbiamo registrato altro,
eh? »
«
Sono stanca di avere sempre questa cosa sbattuta
in faccia! »
Minto non si accorse nemmeno di star urlando, sbattendo il piede a
terra.
«
Cazzo, Minto, sono passati quasi quindici anni. »
«
Evidentemente no. »
«
Secondo me ti fa comodo far fare sempre a me la parte del cattivo,
quando sai benissimo anche tu cos'hai visto,» sbottò irato lui,
seguendola mentre marciava furibonda verso il salotto, « Pensi sia
stato così elettrizzante vedere una versione di te
che se ne
andava tra le braccia di qualcun altro? »
Lei
si sentì punta sul vivo, l'orgoglio che reagì ruggendo: « Come se
non si fosse capito benissimo che tu come al solito avevi
fatto chissà quale idiozia. »
Kisshu
sbatté rabbiosamente il palmo contro il muro, facendola sobbalzare:
« Ma mi stai prendendo per il culo? »
«
Vuoi forse negarlo?! »
«
No, perché a me sembra di aver visto la nostra relazione andare a
puttane perché la principessina è incapace di cambiare una virgola
o fare un compromesso! »
Minto
voltò il viso dall'altra parte, mordendosi un labbro: « Forse se
fossi stato meno concentrato a far da cavalier servente a Ichigo… »
«
Porca puttana, Minto, non provare a cambiare discorso! » la voce
arrochita del verde rimbombò per l'intero appartamento, « Anzi, il
problema è proprio quello, la tua totale incapacità di provare
a
cambiare qualsiasi cosa!»
«
Se c'è qualcuno che dovrebbe cambiare qualcosa,
quello sei
tu! » strillò di rimando lei, « Sempre con le stesse fisse … ! »
«
Sei tu quella con le fisse! Come se io non mi
facessi il culo
tutti i santissimi giorni per questa relazione, con te che al primo
minimo dettaglio sbagliato o momento difficile ti metti a fare la
stronza egoista. »
«
Allora perché non te ne vai, eh? » Minto cercò di dargli una
spinta, le gote infuocate e gli occhi che brillavano di rabbia, « Se
è tutto così difficile per te! »
«
Perché io non sono quello che si arrende al primo
tentativo!
»
«
Evidentemente non hai fatto abbastanza tentativi con Ichigo, alla
fine ha scelto Shirogane lo stesso. »
«
Ah, oppure sì, al penultimo giro mi sembra di avercela pure fatta. »
La
vide irrigidirsi prima di dargli una spallata e oltrepassarlo,
diretta verso la camera da letto, di cui fece sbattere la porta.
Kisshu fece un respiro profondo e si strinse l'attaccatura del naso,
cercando di placare il sangue che gli ribolliva nelle vene.
«
Questa situazione sta diventando paradossale, » esclamò a voce alta
così che lo potesse sentire, un passo lento alla volta per
recuperare la calma, « Vorrei solo farti notare che, in ogni caso,
non siamo in nessuno
di
quei mondi che pensiamo
di
aver visto, e che io qui
ho
scelto te.
Quindi smettila di comportarti da deficiente e stammi ad ascoltare,
visto che proprio non puoi fare a meno di scappare senza poter
ammettere che in realtà ti rode il culo perché ti hanno sbattuto in
faccia quanto anche tu possa essere impossibile. »
«
Io sarò anche impossibile, » Minto si voltò con odio verso di lui
non appena udì il soffio leggero del teletrasporto che aveva
imparato a riconoscere negli anni, « Ma almeno non sono un coglione
che muore dietro ad una stronza che non si accorgerebbe di niente
nemmeno se glielo scrivessero in fronte. »
Fu
il turno di Kisshu di raggelarsi, un familiare tirare della pelle
cicatrizzata sul suo petto.
«
Vuoi proprio tirare fuori questa storia allora, eh? » mormorò con
una collera che non riconosceva da molto tempo, « Allora sì,
d'accordo, l'ho amata, e sì, perfetto, sono morto per lei. Bene, lo
sappiamo. A volte vorrei che non fosse stato così, ma non ci posso
fare nulla. Vuoi cambiare il passato, per caso, o vuoi metterti in
testa che mi sono messo l'anima in pace da un
sacco di tempo? » «
L'anima in pace?! »
ripeté stridula lei, quasi sconvolta e ancora di più arrabbiata.
«
Sai benissimo cosa intendo! »
«
No, non lo so! »
«
Senti, Minto, vaffanculo eh, » Kisshu l'aggirò, entrando dentro la
cabina armadio che condividevano, «Ti
stai comportando come se fosse successo davvero! »
«
Mi sembrava tutto parecchio reale! »
«Ci
fossi almeno andato a letto… ! »
Minto,
che l'aveva raggiunto, si ammutolì di colpo, la bocca che si strinse
in una linea sottile mentre due lacrime traditrici si affacciarono
negli occhi scuri.
«
Ti sarebbe piaciuto, eh? »
Il
verde non riuscì nemmeno a guardarla, prese un borsone nero dal
ripiano più alto dell'armadio e cominciò a gettarci dentro delle
magliette a casaccio.
«
Mi sono rotto i coglioni, » sibilò furente, gli occhi dorati
anneriti, « Mi sono rotto i coglioni di dover essere trattato come
se qualcosa che non è nemmeno successa fosse tutta colpa mia, e come
se la verità di quello che provo non contasse un cazzo. Non vuoi
ascoltarmi, bene, allora stattene per i cazzi tuoi. »
«
Oh andiamo, vuoi fare il drammatico ora? » lei rimbrottò di
rimando, senza ottenere risposta. Kisshu la oltrepassò, così
furioso da camminare a passi pesanti verso la porta d'ingresso, il
borsone gettato su una spalla. La mora lo seguì, il cuore che
batteva violento contro al petto.
«
Non abbiamo finito, sai! »
«
Oh, invece sì, dolcezza, non ho intenzione di stare qui a prendermi
dell'altra merda. »
«
Kisshu, guarda che se esci da quella porta … ! »
Lui
si voltò appena, guardandola sprezzante: « Ma dai, non dirmelo: non
mi verresti a prendere. Figuriamoci, se la principessa si
abbasserebbe mai a qualcosa di talmente ignobile. » «
Kis — »
Minto
fece un passo avanti, ma lui le lanciò un ultimo sguardo carico di
collera, e si chiuse la porta alle spalle sbattendola senza remore.
Ryo
lanciò di nuovo un'occhiata alla fidanzata seduta nel sedile
affianco, che non aveva ancora aperto bocca da quando avevano
lasciato il Caffè. Aveva passato tutta la durata del tragitto in
macchina fino a casa in silenzio, voltata il più possibile verso il
finestrino, i lunghi capelli rossi che facevano da cortina per
nasconderla quanto più potesse dalla sua vista.
Non
che lui fosse di un umore migliore, visti i risultati di quella
scampagnata. Già doveva ammettere di essere un rancoroso di natura,
e doveva passarne del tempo prima che lui potesse andare oltre certe
cose. Se poi determinate cose gli venivano fatte
passare
sottomano con immensa tranquillità e solo ed esclusivamente per
colpa sua…
Fece
appena in tempo a far entrare l'auto in garage e spegnere il motore,
che Ichigo già caracollò fuori dall'abitacolo verso la scala che
portava direttamente in casa, la borsa stretta al petto.
«
What the… »
Ryo
le corse dietro, per una volta contento che i suoi geni di gatto non
si fossero completamente acquietati dopo tutti quegli anni, e la
raggiunse appena oltre l'ingresso, afferrandola piano per un polso.
«
Ichigo, aspetta, aspetta. »
La
voltò verso di lui e, come si aspettava, aveva già le guance rigate
dalle lacrime.
«
Ho rovinato tutto! » pigolò disperata, quasi vergognandosi troppo
per ricambiare il suo sguardo « Io volevo solo che – che fosse
tutto… ! »
Ryo
sospirò e la strinse a sé, sussurrandole piano all'orecchio perché
calmasse i singhiozzi che la scuotevano.
«
E' stata una stronzata, d'accordo, ma non è la fine del mondo. »
Ichigo
gli si aggrappò alla camicia come un gattino affamato: « Non mi
odi? »
Il
biondo non riuscì a esimersi dall'alzare gli occhi al cielo: «
Ovvio che non ti odio, scemotta. In questo preciso
istante non
sono molto contento né fiero di averti dato retta, e devo dirti che
sono anche abbastanza incazzato per tutta questa questione, ma non
posso odiarti, capito? »
La
rossa replicò con un mugolio confuso, strusciando il viso contro il
suo petto.
«
Non doveva andare così… » sussurrò poi.
L'americano
sospirò ancora, si spostò appena per prenderle il viso tra le mani:
« Ichigo, ascoltami bene, » le asciugò un'ultima lacrima,
piantando le iridi chiare nelle sue, « Non è cambiato assolutamente
nulla, d'accordo? Tutto quello che abbiamo visto probabilmente non è
nemmeno reale. D'accordo, ci vorrà un po' per riprenderci dallo
shock, ma è tutto come prima. Quello che conta è qui e
ora,
nient'altro. Non c'è nient'altro. Io ti amo, e ho tutta
l'intenzione di sposarti tra due settimane e passare il resto della
mia vita con te, fanculo a impossibili mondi paralleli. »
Ichigo
tirò su con il naso e poi annuì, abbassando di nuovo lo sguardo
prima di stringerlo in un abbraccio, cercando il suo calore.
«
I love you, Red,» le ripeté lui a bassa voce,
lasciandole un
bacio sulla testa.
Rimasero
abbracciati ancora qualche istante, Ryo che continuò ad accarezzarle
piano la schiena finché non fu sicuro che si fosse calmata un po'.
«
Credo che andrò a farmi un bagno, » mormorò infine lei,
passandosi un'ultima volta i dorsi sulle guance per cancellare il
pizzicore delle guance.
«
Vuoi che ti raggiunga? » le domandò il biondo.
Ichigo
tentò di abbozzare un sorriso: « Magari dopo, ti spiace? Voglio
solo… rintontirmi. »
«
D'accordo, » Ryo le diede un buffetto sul naso, « I'll make
us
pancakes for brunch, alright? »
La
rossa tentò nuovamente di sorridere e annuì pigramente, dirigendosi
al piano superiore con lentezza. L'americano rimase a guardare la sua
schiena, le spalle un po' incurvate, finché non sparì nel
corridoio, poi lanciò la testa all'indietro ed esalò esausto.
«
What the fucking fuck. »
**
Retasu
asciugò con un panno l'ultimo piatto che le passò Pai e lo ripose
accorta nella credenza, rivolgendo un sorriso di ringraziamento al
marito.
«Abbiamo
fatto un po' tardi stasera, » commentò lui, lanciando un'occhiata
all'orologio appeso alla parete.
La
verde si accarezzò sovrappensiero il pancione: « E' sabato,
dopotutto, e c'era una marea di vestitini dei fratellini di
Purin-chan ancora in perfette condizioni, non è stato semplice
scegliere qualcosa senza di lei. E poi mi sembrava che tu e Taruto
foste davvero impegnati con la Playstation. »
L'alieno
ignorò quel commento e la seguì in salotto, pronto a rilassarsi
mezz'ora con uno di quegli sciocchi programmi umani.
«
Più che altro, non ho sentito né Ichigo-chan né Minto-chan, oggi,
» continuò la moglie, aggrottando preoccupata la fronte, « Di
solito il sabato sera facciamo sempre qualcosa… era oggi che
dovevano andare su Gea? »
Pai
sbuffò irritato: « Non mi dire che hanno continuato a dare retta a
quella storia. I passaggi nel portale vengono controllati, lo sa
quell'idiota di mio fratello? »
«
Sono sicura che - » Retasu aveva già preso in mano il cellulare,
quando il trillo del campanello l'interruppe. Si scambiò uno sguardo
con il viola, incuriosita. « Non stavamo aspettando nessuno, vero? »
«
Non che io sappia. »
Pai
si alzò dal divano, incerto, e controllò dal buco dello spioncino
un istante prima di sbuffare. Retasu lo guardò interrogativa, ma gli
occhioni blu si tinsero di preoccupazione quando vide chi sostava
dall'altra parte dell'uscio, grondante di pioggia.
«
Kisshu-kun! » esclamò allarmata « Che succede? Che ci fai qui?
Perché hai… ? »
Lui
ignorò palesemente il fatto che la mewfocena si fosse concentrata
sul borsone nero ai suoi piedi, e cercò di sbarazzarsi di quanta più
acqua possibile sui gradini dell'ingresso: «Scusate l'interruzione e
la mancanza di preavviso, ma… mi sarebbe molto comodo il vostro
divano, per un po'. »
«
Che hai combinato? »
Retasu
lanciò un'occhiataccia al marito e lo costrinse a scostarsi così
che Kisshu potesse entrare: « Non c'è nessuno problema,» si
affrettò a incoraggiarlo, «Vai subito in bagno a farti una doccia
prima che ti prenda la polmonite, ci sono gli asciugamani puliti nel
mobiletto blu. Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo intanto? »
«
Pesciolina, tu sei la migliore, ma sono a posto, grazie, » le
rivolse una smorfia in cui lei non poté non scorgere la tristezza, «
Mi basta solo un cuscino e dodici ore di dormita. »
«
D'accordo, se cambi idea fammi sapere, non è un problema, » la
verde gli ricambiò il sorriso, cercando di apparire rincuorante, «
Ti preparo il tatami nella camera del bambino, tanto per altri tre
mesi sarà vuota.»
Kisshu
annuì appena, bofonchiando un grazie poco
convinto, e si
chiuse in bagno, il rumore dell'acqua corrente che seguì poco dopo.
«
Io però vorrei sapere che diamine ha combinato prima di dargli asilo
politico,» borbottò Pai.
Retasu
gli diede un colpetto sul braccio: «Non vedi che faccia aveva? Deve
essere successo qualcosa di grave. Dici che devo chiamare Minto-chan
e dirle che è qui? »
«
Qualcosa mi dice che è l'ultima preoccupazione di Aizawa, in questo
momento. »
La
moglie soppesò il cellulare che ancora stringeva, poggiandoselo
contro al mento mentre rifletteva, poi lo sbloccò e digitò
velocemente.
Ichigo
era stesa sul letto a fissare il vuoto del soffitto quando il
cellulare le trillò a pochi centimetri dall'orecchio. Lo cercò a
tentoni con un grugnito, troppo spossata anche solo per girarsi di
pancia, e se lo fece cadere sul naso non appena se lo portò di
fronte.
«
Ahia, » si lamentò da sola, digitando tre volte il codice prima di
beccarlo.
Kisshu
è qui da me. Ha una cera un po' brutta, sai se è successo qualcosa
con Minto-chan?
Sentì
il cuore affondarle colpevole nello stomaco; emise un mugolio
incerto, appoggiandosi le mani sugli occhi come se ciò avrebbe
contribuito a farla pensare meglio. Si sarebbe data una pacca in
testa da sola. Fece un paio di respiri profondi, poi tese l'orecchio:
anche se era sabato sera ormai avanzata, Ryo era chiuso nel suo
studio probabilmente impegnato a scaricare la tensione con dei
videogiochi – non che lei potesse biasimarlo, dopotutto, anzi, era
stato così incredibilmente paziente con lei… e lei aveva bisogno
davvero di starsene un po' da sola in silenzio, a riordinare i
pensieri.
Rotolò
giù dal letto e camminò a piedi scalzi sul largo tappeto bianco,
sentendosi nervosa come non mai. Non si ricordava nemmeno l'ultima
volta che aveva litigato con Minto, e dopo quella mattina… prese
un'altra boccata d'aria, raggiunse la finestra dal vetro bagnato e ci
appoggiò la fronte, cercando un po' di frescura mentre scrollava
lentamente l'elenco dei nomi in rubrica.
Il
cellulare squillò a vuoto cinque o sei volte, ogni trillo un battito
più forte del suo cuore, finché non si udì il click
della
linea che finalmente trovava risposta.
Ichigo
sbatté le palpebre un paio di volte, a disagio per il silenzio
dall'altra parte: « Minto-chan? »
Poté
udire un po' di staticità, prima che la risposta arrivasse in un
sospiro nervoso: « Dimmi. »
«
Ehm, ciao, » Ichigo picchiettò l'unghia del dito indice contro al
vetro, seguendo il tragitto di una goccia, « Volevo sapere come
stavi, Reta-chan mi ha scritto perché — »
«
Francamente, Ichigo, non mi interessa. »
La
rossa rimase appena spiazzata, la voce gonfia dell'amica incapace di
non far trasparire gli evidenti indizi del pianto: « Minto-chan, io…
»
«
Tu, tu, tu, sempre tu, » l'interruppe con astio la mora, « Lo
abbiamo capito, direi, che questo è il problema, no? Volevi il tuo
bel lieto fine, be', complimenti. »
Ichigo
si morse il labbro inferiore, gli occhi che già cominciavano a
pizzicare: « Lo sai che non volevo che… pensavo sarebbe stato… »
«
Come, Ichigo, come?! » non
ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva sentito Minto strillare
sul serio, « Devi crescere, è ora di smetterla di
credere
alle favole! Santo cielo, ma dopo tutto quello che abbiamo passato da
quando avevamo tredici anni, tu davvero credevi che sarebbe andato
tutto come nel tuo stupido libro? Per quanto io stessi con un diamine
di alieno di
un altro
pianeta, la realtà delle relazioni è comunque molto diversa dalle
tue fantasie di Cenerentola, quindi la prossima volta che ti fai
assalire dal panico pre-matrimoniale, abbi la grazia di lasciarmi
fuori e smetterla di rovinarmi la vita! »
Nonostante
il gelo che le calò addosso nel sentire quelle parole, a Ichigo non
sfuggì il riferimento en passant a Kisshu, che le
fece
stringere ancora di più lo stomaco in una dolorosa morsa. Era
abituata alla tendenza al melodramma, a volte, di Minto, però…
«
Mi dispiace, » balbettò, la gola stretta in panico, « Minto-chan,
ma stai - »
«
Lasciami stare, Ichigo, »
la
gelò la mora, e buttò giù il telefono senza darle il tempo di
replicare.
Ichigo
rimase ferma una manciata di istanti, il senso di colpa che pesava
come un macigno su di lei, un presentimento di abbandono e solitudine
che le assalì l'esofago, rendendole ardui i respiri e appannandole
la mente.
La
voce di Ryo che chiamò il suo nome dall'uscio della camera la fece
sobbalzare, eppure non poté sopportare la vista del suo viso
preoccupato, della sua postura rigida e tesa, della ruga tra gli
occhi che le ricordava terribilmente certi sguardi che le aveva
rivolto sofferente quando avevano avuto quindici anni. Scosse la
testa e lanciò il telefono sul letto, sorpassandolo di corsa e
rifugiandosi nella stanza degli ospiti, la testa che crollò sulle
ginocchia strette al petto mentre crudeli lacrime di colpa le
bruciarono le guance.
§§§ Su
le mani chi mi odia e pensa io sia un'autrice terribile! :D Buonasera
carissimi, il popolo ha parlato su Facebook e quindi ho
mantenuto la promessa :3
Questo è il primo dei tre capitoli dell'epilogo così sudato di questa
serie così crudele ;) Ovviamente io non mi pronuncio su come andrà a
finire perché altrimenti dove sarebbe il divertimento? :D
Intanto sappiamo che sono tornati a casa, vediamo chi arriva al
matrimonio ;)
Grazie ovviamente a chi mi supporta e sopporta costantemente, la
sezione è un po' calata in questi ultimi tempi ma credo sia normale,
visto ceh sta arrivando l'estate ^^''''' Anche se una parolina fa
sempre piacere <3 Prometto che mi saprò far perdonare in qualche
modo LOL
Il prossimo capitolo non dovrebbe tardare molto, dipende dalla quantità
di lavoro che mi appiopperanno! Datemi una quindicina di giorni almeno
di pazienza, altrimenti i dilemmi si risolvono troppo in fretta :P
A presto e un bacione a tutti!
Zakuro sbatté le
palpebre un paio di volte, fissando le tre ragazze davanti a lei. Quando aveva
ricevuto il messaggio di Retasu, la sera prima, che
invocava una riunione di emergenza al Caffè e le comunicava che Kisshu si era accasciato nella cameretta del bambino in
costruzione, non aveva certo pensato che quella
sarebbe stata la storia che si sarebbe sentita raccontare.
«Fatemi
capire bene. Siete andati su Gea per cercare una caverna magica, dove avete
incontrato una specie di strega in un labirinto uscito dal nulla, che vi ha
fatto vedere solo mondi alternativi in cui non
siete insieme?»
Ichigo e Minto, senza
guardarsi ma tenendo gli occhi fissi sulle rispettive tazze di caffè, annuirono
all'unisono.
La
viola si scambiò un'occhiata sgomenta e preoccupata con Retasu,
seduta in mezzo alle due amiche, poi sospirò, scostandosi la frangia dalla
fronte: « Ma perché vi cacciate sempre in questi
casini?»
«Non
è stata una mia idea!» saltò subito su Minto, «E'
stata Ichigo a continuare a insistere per giorni!»
«E
anche se Ichigo insiste, tu puoi sempre dirle di no, » replicò con fare di materna ramanzina la modella,
«Soprattutto quando sono idee che non fanno bene a nessuno. »
« Be', dipende, »
mormorò la mora, le guance rosse per il rimprovero e il viso corrucciato, «
Certe cose è meglio saperle prima che dopo. »
Zakuro guardò Ichigo, che non aveva ancora aperto bocca e continuava a
giocherellare con il suo cucchiaino.
«Oppure certe cose sono solo sciocche idee
messe in testa da una chissà quale pazza psicopatica che avete incontrato.
Sempre che l'abbiate incontrata davvero e non sia stata solo una brutta
allucinazione da chissà quali elementi alieni.»
«Era
vera,» la rossa pigolò così piano che quasi non la sentirono «Posso sentire
ancora il suo profumo e l'odore di sigaretta. Non era solo un'allucinazione.»
Zakuro la fissò
preoccupata, si sporse in avanti per sfiorarle una mano: «D'accordo, ma non
vuol dire che le cose che vi ha fatto vedere fossero vere. O che fossero la
sola risposta a domande che non so nemmeno perché tu ti faccia. Se davvero ci
sono altri mondi da qualche parte, allora non ce ne sono solo tre.»
Un
trillo del cellulare le ricordò che la sua ora libera era finita, e sospirò
ancora, raccogliendo le sue cose.
«Non
fatevi prendere dal panico, okay? Non è cambiato assolutamente nulla rispetto a
due giorni fa. Siete sempre le stesse persone, con gli stessi sentimenti.»
Le
tre la salutarono sottovoce, Retasu che prontamente
si prodigò a sostituire il caffè nelle tazze con delle tisane, e Zakuro uscì dalla porta sul retro, infilandosi gli occhiali
da sole e pescando il cellulare dalla borsa oversize
mentre camminava spedita verso l'auto che l'attendeva. Bastarono un paio di
squilli, e lei non riuscì a trattenersi dallo sbottare: «What the fuck'swrong
with youall?»
Ryo, dall'altra
parte della linea, esalò irritato: «You'vetalked with the nutcases, I see.»
Zakuro si infilò in
auto, ringhiando sottovoce: « E' inutile che ti
arrabbi con loro – o con Ichigo – se non avevate
tutta quella voglia di andarci – perché avevate capito che forse, forse non era una buona idea! - dovevate dire di no! E non provare a dire che
lei stesse insistendo, sai! »
Il ragazzo
rimase in silenzio per qualche istante, sorpreso da quello sbotto così
improvviso: «Italmostsoundslikeyou
care,» ironizzò poi.
Il
silenzio che seguì gli fece capire che la sua battuta aveva sortito l'effetto
opposto.
« Che cosa dovrei
fare, eh? Pensi che non le abbia già parlato? »
«Insisti,»
replicò lei, controllandosi il trucco in uno specchietto, «
Se c'è una cosa che dovresti aver capito è che serve ripetere per far
passare qualcosa in quella testolina dura. »
« Non ho molto tempo
per convincerla che va tutto bene, » la modella poté percepire il nervosismo
dell'amico come se l'avesse avuto davanti, « Quell'altro che se ne va di casa,
poi, non è molto d'aiuto. »
« Non farti
condizionare da Minto e Kisshu, non ha niente a che
fare con voi due. »
« Da quello che ho
visto, ne ha avuto fin troppo. »
Zakuro esitò un
istante: « Tu come stai? »
Ryo sospirò ancora,
probabilmente stava macinando i chilometri nel suo studio: «
La parte razionale di me si sta mandando sonoramente a fanculo per aver
solo ceduto ad una stronzata simile e star a rimuginare sopra un mucchio di
idiozie, ben sapendo che sicuramente è stato tutto influenzato da quella donna
maledetta. Dall'altra parte…Ichigo sai com'è fatta. Fosse per me, passerebbe anche, chissene frega, ma lei…»
« Vedrai che lo capirà.
È solo nervosa, è sempre stata così. »
Ci
fu un tentennare dall'altra parte: « Doyouthinkshe'll… ? »
« No, » Zakuro non lo lasciò nemmeno finire, « A costo di passare
ogni notte in bianco per le prossime due settimane a farle funzionare il
cervellino. »
« I'll
hold you up to that. »
**
Tuesday
Pai chiuse la porta
di casa con un tocco di tallone, allentandosi subito la cravatta e esalando
piano, il peso della giornata lavorativa sulle spalle che si allentò un poco
nel tepore della casa. Dal vago profumo che aleggiava per le stanze dedusse che
anche Retasu fosse a casa, a rilassarsi tra i
fornelli per uno dei suoi soliti manicaretti.
Un
paio di piedi che spuntavano dal divano lo avvertì che, però, anche quella sera
avrebbe dovuto condividere le doti culinarie di sua moglie.
Mollò
la ventiquattrore poco vicino all'entrata, intenzionato a lasciarla lì fino
alla mattina successiva, e marciò verso il salotto, scoccando un'occhiataccia
al fratello minore, steso scomposto sul sofà con le braccia incrociate sulla
faccia.
« Dimmi che almeno ti
sei alzato da stamattina. »
Kisshu rimase
immobile: « Tecnicamente sì, dalla stanza del bambino
a qui, dal divano alla televisione, dalla televisione al frigo, qualche
visitina al bagno. »
Pai alzò gli occhi
al cielo e si portò una mano alla fronte: « Pensi di
darti malato ancora per molto a lavoro? »
« Pensi di continuare a
stressare a lungo? »
Retasu apparve
all'improvviso, le mani sui fianchi e un cucchiaio di legno in pugno, il
pancione avvolto dal grembiule che le aveva regalato Keiichiro,
una posa che al viola ricordò spaventevolmente sua madre.
« Vi ho già chiesto
di non litigare, per favore, » li rimproverò dolcemente, « Tra dieci minuti è
pronto, Pai, vieni ad aiutarmi ad apparecchiare. E
tu, Kisshu-kun, vatti a rinfrescare, per piacere.»
Pai osservò quasi
irritato come il fratello obbedisse alla verde, alzandosi con un lamento
svogliato e scomparendo dentro il bagno.
« Potresti
almeno farti aiutare da lui, » borbottò.
Gli
occhioni blu lo gelarono all'istante: « Kisshu-kun è nostro ospite
e sta passando un momento difficile. Credi davvero che gli piaccia passare le
giornate sul nostro divano? »
« Non è colpa mia se
lui e la sua ragazza hanno dei momenti da imbecilli e seguono Momomiya nelle sue scapestrate idee. »
« Abbi solo pazienza,
d'accordo, » Retasu abbassò la voce non appena sentì
scorrere la porta del bagno, «Avresti anche tu bisogno di supporto se ti fosse
successo qualcosa di simile. »
Pai avrebbe voluto
replicare che a lui non sarebbe mai potuto succedere qualcosa di simile perché
pensava fin troppo alle cose prima di compierle, ma vista la nube scura che
sembrava aleggiare sopra la testa del fratello quando questi entrò in sala da
pranzo, decise di soprassedere, almeno per mantenere la pace con sua moglie.
Kisshu si sedette
pesantemente, la frangia scompigliata che gli cadeva sopra gli occhi e che
continuava a spostarsi indispettito. Sorrise appena a Retasu
quando lei gli mise il piatto davanti – colmo due volte il suo, notò il viola,
ma non poté non essere d'accordo dato che lui stesso sospettava che il fratello
non si alzasse poi così spesso per andare verso il frigo – e iniziò a mangiare
svogliato, in silenzio. Presenza fissa accanto a lui era il cellulare, posto a
schermo in giù sul tavolo come se non avesse poi così brama di controllare le
notifiche, ma in ogni caso sempre lì, raggiungibile alla prima minima
vibrazione.
Non
che avesse vibrato poi così spesso negli ultimi giorni.
Retasu si schiarì
appena la gola, una mano che accarezzava placida il pancione: « Kisshu-kun,
lo sai che no voglio farmi gli affari tuoi, e che sei
sempre il benvenuto a rimanere per tutto il tempo necessario. »
Entrambi
i fratelli Ikisatashi si irrigidirono, il maggiore
che lanciò uno sguardo di avviso alla verde, il minore che continuò a
giocherellare con il riso nel piatto emettendo un grugnito.
« Però, ecco, un po’
mi preoccupo del fatto che tu stia sempre chiuso in casa a deperirti, da solo.
»
« Non preoccuparti, pesciolina, la solitudine può essere un toccasana, »
replicò in fretta lui, cercando di apparire convinto ma non alzando nemmeno lo
sguardo dalle verdure che infilzava con le bacchette.
« D’accordo,
ma… per caso hai parlato con Minto-chan in questi
giorni? »
Pai allungò una
mano per stringerle il ginocchio, sapendo che stava aprendo il vaso di Pandora,
ma Retasu tenne lo sguardo fisso su Kisshu, la sua mano sinistra che si era stretta a pugno non
appena la mora era stata nominata.
« Sai, non credo sia
molto interessata a parlare con me, » soffiò piano, la frangia scura a coprire
gli occhi.
Lei
ignorò la leggera pressione di avvertimento sulla gamba, continuando a fissare
il viso rabbuiato dell’alieno: « Sì, ma tu ci hai
provato? »
Kisshu dovette
trattenersi per non spezzare con uno schiocco delle dita le bacchette che
teneva in mano, esalando lentamente e ricordandosi di chi aveva di fronte.
« Retasu, ti ringrazio dell’interessamento, ma non sono esattamente
dell’umore per discutere dei miei tentativi di ottenere una risposta da una
segreteria telefonica. »
Pai esalò senza
farsi notare, ben più avvezzo della Mewfocena alle
rispostacce irritate di Kisshu e ai suoi sbotti di
rabbia e quindi in qualche modo sollevato che la presenza della verde fosse
abbastanza per contenerle, mentre Retasu osservò
l’ospite ancora qualche istante prima di stringersi nelle spalle.
« Fai come tu ritieni
sia più opportuno, ma io non credo che il modo migliore per fare pace con
Minto-chan sia rimanere sul divano a borbottare come
un pentolone. »
Stranamente,
Kisshu non replicò, limitandosi ad affossare ancora
di più tra le spalle e a spostare il cibo nel piatto senza ingerirne altro. Il
fratello maggiore si sarebbe aspettato di vederlo alzarsi con stizza e marciare
verso la sua camera sbattendo la porta come molto spesso aveva visto farlo fin
dopo l’adolescenza, invece rimase seduto fino a fine della cena, alzandosi per
primo solo per sparecchiare senza emettere suono, Retasu
che lo congedò con un sorriso comprensivo e una carezza alla schiena.
Pai lo guardò
uscire infine dalla stanza senza dire una parola, voltandosi poi verso la
moglie quando poté essere sicuro di essere un po’ di più fuori dalla portata
del suo udito fine.
« Credo che tu l’abbia
rotto. »
Retasu sciacquò un
piatto e alzò gli occhi al cielo, sorridendo appena: « E’
perché io sono paziente con
lui.»
« Tu non hai dovuto dividerci case e astronavi per più di
vent’anni. »
Retasu gli lanciò
un’occhiata divertita, poi esalò piano e smise di insaponare il bicchiere che
reggeva: « Dici che ho fatto male a chiedergli di
Minto-chan? Non volevo farlo star male, ma non posso
far finta di nulla… »
« Io credo che lui
non si aspettasse la tua ultima risposta, » commentò il viola, « Ma qualcuno
dovrà pur sgridarlo, di tanto in tanto. Soprattutto quando si comporta come un
adolescente a trent’anni suonati.»
« Si vede che essere
musoni e scontrosi è una cosa di famiglia. »
Mentre
Pai lanciava un’occhiata molto poco divertita alla
moglie, il musone in questione usciva dal bagno in cui si era buttato acqua in
viso per gli ultimi cinque minuti per abbandonarsi poco elegantemente con uno
sbuffo sul tatami della camera che stava occupando, senza preoccuparsi di
accendere la luce. Steso a faccia in giù sul materasso, sbloccò il cellulare
con un tocco di pollice e controllò di nuovo lenotifiche, ben sapendo che non avrebbe
trovato quello che cercava.
La
risposta alla domanda di Retasu, ovviamente, era che
no, non aveva la minima notizia di Minto da quando le aveva sbattuto la porta
in faccia la domenica passata. Per una volta, non aveva avuto lui la forza di
essere il primo a cedere.
Non
era del tutto vero, in realtà. La sera prima aveva provato a telefonarle, dopo
aver passato ore a fissare la notifica dell’ultimo accesso della mora nell’app di messaggistica, fermo alla mattina. Il cielo solo
sapeva quanto lei si stesse sforzando di non utilizzarla, di apparire sempre
lontana, distante e irremovibile, e la cosa non faceva che farlo arrabbiare
ancora di più. Aveva pigiato il pulsante di chiamata rapida più per continuare
a battibeccare con lei e sbatterle in faccia la sua totale tendenza a defilarsi
davanti ai problemi, ma il telefono non aveva nemmeno squillato che la vocina
robotica della segreteria telefonica l’aveva informato che il numero selezionato
non era disponibile.
O
forse, più probabilmente, Minto aveva deciso di bloccarlo fino a data da
destinarsi deviando tutte le sue telefonate in segreteria. E perciò, lui non ci
aveva nemmeno più riprovato, troppo incazzato per decidere di dargliela vinta
anche quella volta.
Il
commento della sua dolce cognata, però, continuava a ronzargli fastidiosamente
nelle orecchie e a pizzicargli il petto. Se c’era una persona alle cui buone
intenzioni lui non poteva che credere, quella era decisamente Retasu. E il fatto che addirittura Retasu,
tra tutti, gli avesse detto in faccia di fare qualcosa…
Era
anche vero che la neo signora Ikisatashi
fosse molto più amica con la sua ragazza – si ostinò a non cedere a spiacevoli
prefissi – e che quindi potesse essere relativamente di parte, desiderosa che
la situazione si risolvesse soprattutto in vista delle svariati incontri
sociali che si sarebbero svolti da lì a poco. E come darle torto, dopotutto? Il
problema era proprio quello, sempre quello: Retasu
aveva ragione, per poter fare pace con Minto avrebbe dovuto alzarsi e fare
qualcosa.
Qualcosa
che proprio non aveva voglia di fare. Per quanto gli mancasse come aria, non
riusciva a sottrarsi a quel maledetto orgoglio che sembrava essere il muro più
grande tra di loro.
Il cellulare
ronzò al suo fianco, facendogli perdere un battito. Lo afferrò di scatto e lo
sbloccò senza nemmeno controllare da chi provenisse il messaggio, il cuore che
gli affossò nello stomaco con un travaso di bile quando poté leggere le parole
sullo schermo.
Non è che
siccome lavori per me ti puoi permettere di prenderti “giorni di malattia” come
se piovessero.
Kisshu sbuffò,
digitando furiosamente la risposta.
Lavoro DA te, non PER te. E mi sembra che tu mi abbia fatto
firmare una cosa chiamata “contratto” dove erano esattamente specificati i miei
diritti, giorni di malattia compresi. E considerato
che il mio sistema immunitario è tre volte più efficace del tuo non vedo cosa
stai a rompere…
Poté
immaginare Shirogane nella sua villetta elegante,
probabilmente rintanato nel suo studio davanti allo schermo al plasma, una
fidanzata sicuramente più ragionevole della sua appallottolata al suo fianco
(per quanto Retasu avesse cercato di parlare piano,
con l'acqua corrente in sottofondo, lui era riuscito a cogliere spizzichi e
bocconi dei suoi aggiornamenti a Pai, ognuno una
fitta in più allo stomaco).
Non
dovette attendere molto perché il suo cellulare vibrasse di nuovo, la lucina
brillante che gli perforò le cornee.
Potresti
almeno smetterla di fare l'eremita? Stai peggiorando la situazione per tutti.
Ho già i miei problemi, vuoi davvero dirmi che dovrei prendermi
a carico pure i tuoi con Ichigo?
Non è colpa mia se quelle due sono più in sintonia di pane e
burro.
…in
realtà non si parlano da sabato scorso. E il fatto che Ichigo
sappia della tua pessima decisione decisamente non aiuta.
Te lo
devo dire io di andarle a parlare prima che venga una crisi isterica a tutti e
quattro?
O ti
serve un ennesimo gancio di Zakuro?
Kisshu emise un gemito
di stizza, agitando il cellulare per aria come se avesse potuto scrollare al
contempo l'americano per la collottola. E forse avrebbe pure dovuto farlo, ma
non aveva nemmeno voglia di alzarsi da quel materasso per andare a prendere il
piattino di dolce che Retasu gli aveva messo così
gentilmente davanti la porta.
Ti
ricordo che tra meno di due settimane dovrei sposarmi.
Ecco, allora pensa ai cazzi tuoi che io penso ai cazzi miei.
Lanciò
il cellulare lontano, mirando giusto per il cuscino così da non doverlo osservare
sfracellarsi contro al pavimento. Lo sentì vibrare un altro paio di volte, ma
decise che ci avrebbe pensato al mattino. Forse. Se c'era una cosa che non gli
serviva, era Shirogane che veniva a dirgli
come comportarsi, per di più per risolvere i suoi, di problemi.
Anche
perché sicuramente nessuno stava rompendo le scatole a quel modo a Minto,
poteva giurarci.
Sentì
il brivido di rabbia percorrergli le vene a pensare a lei, e ne attinse tutta
la forza che gli serviva per rimanere lì, a fissare il soffitto buio, e
aspettare che ricominciasse un altro giorno.
**
Wednesday
Ryoterminò di accendere anche l'ultima
candela nello stesso istante in cui sentì chiudere la porta di ingresso
dall'altro lato della casa. Agitò il fiammifero per spegnerlo e raddrizzò il
vaso di rose, schioccandosi poi il collo mentre aspettava in silenzio.
E
dire che aveva sempre pensato che con gli anni si sarebbe affievolito il
nervosismo pre-appuntamento con Ichigo.
Udì
i passi pesanti della rossa lungo il corridoio, gli attimi di silenzio in cui
lei probabilmente trovava il post-it che le aveva lasciato attaccato al muro e
ponderava sul significato del messaggio. Non ci volle molto perché comparisse
all'entrata del salotto, lo sguardo confuso da tutte quelle candele accese nella
stanza buia che si riflettevano contro le pareti, e dai cuscini sistemati in
terra attorno al tavolino da caffè.
« Che stai
combinando? » domandò divertita.
Ryo rimase seduto
ad aspettarla, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse secca la
sua gola. Come se non bastasse già la pressione di quella data ormai
così vicina e la spiacevole sensazione che la sua fidanzata non stesse bene
quanto dichiarasse, e che perciò molte cose potessero dipendere anche
dall'esito di quella serata.
« Te l'ho detto, ti
ho fatto una sorpresa, » rispose, indicando con un cenno del capo il
bigliettino che lei teneva ancora tra le mani.
Ichigo sorrise
contenta e lo raggiunse, guardandosi intorno con la stessa espressione di
meraviglia che poteva avere una bambina al luna-park: « Quale
sarebbe l'occasione? »
« Non posso fare una
sorpresa alla mia futura moglie? » la prese in giro lui, allungando una mano
per stringere la sua e tirarla a sedere di fianco a lui.
Lei
arrossì a quelle parole e gli si accoccolò più vicina, inclinando il viso
quando l'americano le poggiò il palmo sulla guancia e gliela accarezzò,
strappandole un sospiro da gatto soddisfatto.
« In realtà… ti
ricordi di quando eravamo a Boston, a casa mia per l'ultima sera del viaggio? »
Ichigo annuì con un
sorriso: « E' stato il nostro primo viaggio insieme. »
Ryo continuò ad
accarezzarla, sfiorando appena le ciocche rubino che le scappavano dalla coda
di cavallo, passando lo sguardo su ogni singola linea del suo viso come se non
potesse averne abbastanza: « E la sera è venuto quel
temporale incredibile che ha fatto saltare la corrente all'intero isolato e ci
ha costretti a rimanere in casa quando saremmo dovuti uscire per l'ultima sera
a festeggiare in uno dei ristoranti migliori della città? »
« Avevamo
l'aereo la mattina dopo ed era stato cancellato per il vento troppo forte. »
Fu
il biondo ad annuire, quella volta: « Ti ricordi cosa
mi hai detto? »
Lei
storse il naso in una smorfia contenta e arrossì ancora un po' di più: « Che forse era destino che rimanessimo insieme un giorno di
più senza nessuno attorno, e che non c'era altro luogo in cui avrei voluto
essere. »
« Andsomething else. »
« E' stata la prima
volta che ho detto di amarti.»
Ryo sorrise e le
passò il pollice sulle labbra rosse prima di poggiare la fronte contro quella
di lei: « Erano anni che sognavo di sentirtelo dire, »
ammise con un sorriso e abbassò la voce, « Non avrei mai immaginato potesse
essere così bello.» (*)
Ichigo lo baciò di
slancio, stringendosi a lui e sospirando contenta, il calore del ragazzo che le
pervase il corpo e circondandola, come sempre, della calma che la faceva
sentire a casa, il cuore che batteva forte e un pizzico di senso di colpa che
glielo comprimeva.
« Per questo ho
voluto ricreare quel momento, anche se la corrente c’è ancora, » continuò a
bassa voce lui, sfiorandole il naso con il proprio, facendola ridere, « Lo so
che questo è un momento… particolare e stressante, ma non c’è altra cosa che mi
importi se non continuare a sentirtelo dire per il resto della vita, e
continuare a dirtelo per il resto della vita. »
La
rossa annuì, il senso di colpa che le afferrò un po’ più stretta la gola e la
costrinse ad abbassare lo sguardo mentre giocherellava con le dita di lui: « Vorrei non avere mai insistito così tanto… » pigolò dopo
un po’.
Ryo la costrinse a
guardarlo di nuovo negli occhi, tentando di sorridere: «
Guardala da un altro punto di vista, magari è stato solo un modo per
testarci. Io sono ancora convinto che sia stato tutto un trucco di quella Yuko, ma sono più convinto che mai di non volerti lasciar
andare. Non importa quello che succede. Soprattutto se non è reale. »
Lei
avrebbe voluto rispondere che le pareva assolutamente reale, ma si limitò ad
annuire ancora, gli occhi color cioccolato che pizzicavano impudenti.
« Ichigo, vorrei che tu fossi tranquilla e sicura, d’accordo? »
« Iosono sicura, » ribatté lei, anche se a Ryo sembrò mancasse un po’ di convinzione, « E’ che… tutto
questo casino… e Minto-chan… »
« Le passerà, » il
biondo riprese ad accarezzarle la schiena, notando la lieve pelle d’oca che le
aveva coperto le braccia nude, « Lo sai come è fatta, a volte con lei le cose
si moltiplicano e lei scoppia tutta in una volta. Ma non vuol dire che non ti
voglia più bene, sappiamo benissimo come siete fatte. Cane e gatto.»
Ichigo arricciò il
naso, colpito da uno dei soliti buffetti, poi sbuffò piano, ripensando ai
messaggi senza risposta che aveva mandato anche quella mattina.
« Non è colpa mia se Kisshu-kun… » abbozzò appena, il discorso che cadde in
un’ovvia direzione.
Ryo sentì lo
stomaco contrarsi in un attacco di gelosia che non provava da anni e che cercò
di mantenere sotto controllo, vista la continua assurdità della situazione.
Anche se non poteva negare nemmeno a se stesso di
essersi rotolato un po’ troppo spesso nel letto, negli ultimi giorni, a
ripensare a determinate scene a cui aveva assistito inerme.
« Non era vero, ginger. E anche se lo fosse stato, anche
se ci fosse una milionesima possibilità che fosse qualcosa di concreto, non era
il nostro mondo. Neanche lontanamente. »
A
forza di ripeterlo, forse si sarebbe convinto del tutto anche lui.
Ichigo annuì, si
guardò intorno nel salotto poco illuminato e dal profumo intenso di rose,
osservando tutto quello che lui aveva fatto per lei, per ricordarle di uno dei
loro momenti più importanti. Per dirle tutto quello che non riusciva a dirle
con le parole, e per farla stare bene nonostante tutto. Lui continuò a
fissarla, le portò i capelli dietro l’orecchio: « Ricordi
cosa è successo dopo che siamo rimasti bloccati a casa? »
L’espressione
di Ichigo mutò in una tra l’imbarazzato e il
divertito mentre il naso si tingeva di rosso, e il biondo scosse la testa,
ridendo compiaciuto.
« Beforethat, sillykitten.
»
Gli
occhioni cioccolato si illuminarono di golosità: « …
avevi cucinato tu quella cosa svuotafrigo americana.»
« Ungrilledcheesesandwhich, » rise lui, « E le fragole col cioccolato.
Non molto romantico, ma efficace.»
« Un po’ come te, »
lo prese in giro la rossa.
Ryo le fece il
verso, poi indicò la cucina con un cenno del capo: « Cosa
pensi ti aspetti di là? »
La
rossa trillò contenta, lanciandogli le braccia al collo con così tanta foga da
portarlo a terra, fortunatamente su un cuscino morbido che frenò la caduta.
L'americano la strinse forte, baciandola tra le risate, e per un momento, si
dimenticarono entrambi del perché avessero avuto bisogno di quella serata.
**
Friday
Kisshu spostò
nervosamente il peso da un piede all'altro, le mani affossate nelle tasche e il
cappuccio della felpa rossa accartocciato sul collo giusto per riparare gli
spifferi di brezza serale. Se fosse stato umano, probabilmente avrebbe dedicato
il suo tempo a una sigaretta per farsi passare il nervoso, ma lui invece non
poteva sopportare quel puzzolente marchingegno che anneriva i polmoni – un
altro dei tanti modi in cui gli umani si autodistruggevano, pensò tra sé e sé.
Non
che lui non fosse un campione in autodistruzione, ecco.
Scosse
la testa e si concentrò di nuovo sulle porte della palestra dove sapeva che
Minto aveva allenamento a giorni alterni. Tra poco le sue tre ore serali
sarebbero finite, sarebbe scesa da quelle scale e avrebbe compiuto i duecento
metri che la separavano dal loro appartamento,
dove lui l'avrebbe aspettata con qualche rimasuglio della sera prima
riscaldato, una pizza per cui l'avrebbe sgridato, o un suo miserabile tentativo
di cucinare qualcosa di commestibile incasinando tutta la cucina, per la quale
lei si sarebbe arrabbiata minacciandolo di fargli
vedere la maniera corretta di grattugiare qualcosa direttamente sulla sua pelle
prima di tirarlo a sé e baciarlo, sotto sotto soddisfatta di saperlo provare
per lei.
Se
tutto fosse stato normale, però.
Udì
il vociare del corpo di ballo prima di vedere le decine di persone che uscivano
allegre e ciarlanti, soddisfatte di un'altra giornata compiuta. Alcune, nello
scendere, lo riconobbero, lanciandogli occhiatine curiose e a volte fin troppo
amichevoli, ma lui ci diede ancora meno peso del solito, concentrato solo nel
cercare una figurina dalla testa d'ebano.
Minto
scese tra gli ultimi, parlottando distratta con due suoi colleghi, e Kisshu non riuscì a contenere un moto di stizza e sciocca
gelosia. Lei camminava tenendo gli occhi bassi, non lo notò fino all'ultimo, a
tre gradini e circa dieci passi da lui, quando si fermò tenendo brusca il
respiro.
« Tutto okay, Minto-chan? » le chiese il ragazzo più vicino a lei, alto e
muscoloso. Gli avrebbe fatto volentieri ingerire la propria lingua.
Lei
annuì e gli sorrise: « Non mi aspettavo la… sorpresa,
tutto qui. Voi andate pure, ci vediamo domattina.»
La
salutarono, ma l'alieno non si fece scappare le occhiatine che gli mandarono –
come se a lui fosse importato, o come se avessero mai potuto fare qualcosa.
La
mora gli si avvicinò guardinga, non diminuì in ogni caso i dieci passi che li
separavano. Kisshu poteva contarle le rughe attorno
agli occhi da lì.
« Minto-chan? » gli uscì
più in un ringhio che in una battutina.
« E' gay, » taglio
corto lei, « E mi conosce da quando ho cinque anni. »
Kisshu annuì, il
piede che continuava a strusciare agitato per terra: « E'
quasi settimana che non ti fai viva.»
Minto
strinse così forte la cinghia del borsone che le nocche le divennero bianche:
«Non mi sembra di aver visto il tuo nome sul display.»
« Devo sempre essere
io a dover chiedere scusa? »
« Non sono stata io
quella che è uscita sbattendo la porta con una borsa di vestiti dietro. »
« E certo, sarebbe
stata una passeggiata stare sotto lo stesso tetto, poi. »
Gli
occhi scuri di Minto si accesero di rabbia a quel sarcasmo: «
Almeno ci avremmo provato. »
Lui
accusò il colpo, i ricordi di quel momento infinito dentro a quello stupido
labirinto che lo assaltarono alla giugulare, spezzandogli il respiro. Non
riusciva nemmeno a guardarla in faccia senza sentirsi la mano dalle lunghe
unghie nere stringersi attorno al cuore e stritolarlo. Ben conscio, d'altronde,
che forse Yuko c'entrava davvero poco o nulla.
« Tu non ci hai
provato per un cazzo, però, » sibilò, più cattivo di quanto avrebbe voluto
essere, « Proprio come abbiamo visto. »
La
vide rabbrividire, alzare il viso e stringere le labbra come faceva tutte le
volte che non voleva piangere: « Scusami, ero più
impegnata a guardare te che muori dietro a Ichigo. »
Kisshu alzò gli occhi
al cielo, esausto di quel discorso, ma non riuscì ad aprire bocca che lei aveva
già ricominciato a parlare.
« Lascia perdere, non ho
voglia di parlarne. »
Si
girò e fece per andarsene, ma Kisshu si lanciò in
avanti, afferrandola per un braccio. La strinse dolcemente, la voce che gli
calò di qualche ottava.
« Non mi scrivi, non
mi rispondi, non mi parli, fai finta che io non esista da quando ho fatto la
stronzata di uscire da quella porta. Mi stai lasciando? »
Minto
rimase voltata, gli occhi fissi sul pavimento, ma lui poteva sentire il suo
tremare sotto le sue dita, quasi poteva percepire il cuore che, come il suo,
batteva come un pazzo.
Quando
lei continuò a non rispondere, fece scivolare il palmo lungo il suo braccio,
cercando la mano di lei ma raggiungendo solo il polso chiaro: « Mi stai lasciando, Minto? »
La
mora girò appena il viso verso di lui, continuando a evitare il suo sguardo: « Ci vediamo giovedì alla cena di prova di Ichigo. »
Sgusciò
via, le dita che sfiorarono quelle di lui. Kisshu
rimase fermo a guardarla andare via, la sensazione di freddo che si fece più
intensa e la rabbia che ricominciò lentamente a ribollire.
**
Saturday
Il
momento peggiore era l’istante dopo aver aperto gli occhi, quando la realtà
della situazione le ripiombava addosso con la massa di una montagna.
Minto
esalò piano, la sensazione di freddo alla bocca dello stomaco che si espandeva
di nuovo dopo averle dato una leggera tregua durante la notte. Aveva le coperte
tirate fino sotto il naso, ma continuava ad avvertire piccoli brividi incresparle
la pelle.
Una
parte di lei aveva sperato di rivederlo, di vederlo tornare, di trovarselo davanti al teatro proprio come era successo;
un’altra parte, però, quella di lei che la conosceva meglio, aveva temuto il
momento, conscia che non sarebbe ancora riuscita a farsela passare del tutto.
Era
andata peggio di quanto si sarebbe aspettata. Non era riuscita a parlargli, non
aveva potuto soprassedere sulla rabbia che sentiva provenire da lui, che le
ricordava come una vocina nella testa che quasi si vergognava di più della lei alternativa, di tutti i suoi difetti
ingigantiti sbandierati al vento.
Lei
non era Ichigo; non era convinta ciecamente che gli
amori sarebbero durati per sempre come nelle favole e che tutto sarebbe andato
romanticamente e perfettamente in una nuvola rosa. Si era sempre convinta di
essere libera e indipendente, perché così era cresciuta.
Non
aveva messo in conto, però, che si sarebbe mai davvero sentita così sola.
Si
girò sulla schiena sprofondando tra i cuscini, poggiò le mani sul viso mentre
sospirava lentamente per far scendere il nodo alla gola che l’accompagnava da
una settimana a quella parte.
Il
cellulare sul comodino prese a vibrare in quel momento, facendole venire un
colpo. Lo afferrò di scatto, il cuore in gola, ma il display le mostrò una
chiamata in corso e altre tre perse da Ichigo. Le
tornò in mente solo in quell’istante, notando la data in alto, che le aveva
promesso settimane prima di accompagnarla all’ultima prova dell’abito da sposa.
Fece
schioccare la lingua e spinse un pulsante sul cellulare, facendo smettere il
ronzio della suoneria mentre la telefonata continuava a squillare a vuoto. Non
ce l’avrebbe fatta a sopportare anche quella, e se doveva essere sincera, non
ne aveva nemmeno voglia. Lei e Ichigo non si erano
ancora parlate, e sapeva che non sarebbe stata quella l’occasione giusta.
Voleva solamente stare lì, nel letto, a far finta che tutto il resto attorno a
lei non esistesse.
Ichigo interruppe la
telefonata con un sospiro e lanciò il cellulare nella borsa appoggiata sul
pouf, controllandosi un'ennesima volta allo specchio.
« Ichigo, ci sei? »
Si
girò lenta e aprì la tenda che chiudeva la cabina, allargò un poco le braccia: « Che ne pensi? »
Zakuro, appoggiata con
una spalla alla parete del camerino, la guardò con aria critica, sfiorandole il
tessuto delicato dell'abito bianco: « Dico che sei
bellissima, ma sei magra, » alla rossa non sfuggì l'accenno di rimprovero e
preoccupazione, « Ma mi sembra che vada bene. Forse potremmo farlo allargare un
pelo solo qui così sarai più comoda, che dici? »
Ichigo si voltò ancora
verso lo specchio, studiandosi preoccupata: « Non sarà
un po' tardi? »
« C'è ancora una
settimana, non credo sarà un problema. »
Confabulò
con la sarta lì accanto, che aveva seguito la creazione dell'abito da sposa fin
dall'inizio. Era stata Minto a consigliare quella boutique, ovviamente, e la
mora aveva seguito passo passo ogni singolo step di
tutto quel matrimonio, più un'organizzatrice in seconda che una damigella
d'onore. E ora che non c'era, Ichigo non riusciva a
scacciare quel maledetto groppo in gola e la sensazione di essere completamente
fuori controllo.
« Se te lo togli
possono iniziare a sistemarlo da subito, » le disse Zakuro,
che si era presentata all'appuntamento dell'ultima prova con lei senza che
nemmeno glielo chiedesse. Avrebbe tanto voluto che la calma dell'amica si
trasferisse un po' su di lei.
Si
cambiò in silenzio ma veloce, già stanca di stare lì, controllando ogni tanto
il cellulare.
« Le va bene
un'ultimissima prova giovedì prossimo, signorina Momomiya?
Così poi potremmo finalizzarlo, lavarlo e stirarlo per il gran giorno. »
Lei
annuì, la voce fiacca. « Minto aveva detto che sarebbe
passata lei a ritirarlo, la mattina della cerimonia…»
Zakuro le sorrise: « Posso farlo ritirare io, non c'è problema. Potete anche
venire tutte da me a prepararvi quella mattina, staremo anche più larghe.
Lasciamo Ryo un po' nel suo brodo.»
Ichigo abbozzò una
risatina, terminò di fissare l'appuntamento con la sarta e si diresse finalmente
fuori dal negozio.
« Grazie, Zakuro-san. Non ero molto in vena, oggi.
»
La
modella le appoggiò solo una mano sulla spalla in un gesto di silenziosa
consolazione, poi si infilò direttamente al posto di guida nella piccola
utilitaria di città che Ichigo sapeva aver preso
apposta per non attirare troppo l'attenzione (diversamente da qualcuno di loro
conoscenza).
Guidarono
in silenzio fino alla casa che la rossa condivideva con Ryo,
solo il sottofondo della radio su un canale americano a riempire l'abitacolo.
Non che Zakuro fosse mai troppo chiacchierona, ma Ichigo sapeva che le stava lasciando libertà di riflettere
e stare un po' tra i suoi pensieri, al tempo stesso dandole tutto l'appoggio di
cui necessitava solamente essendo lì. Forse nessuno ci riusciva bene quanto Zakuro, ora che ci pensava, lei con il suo atteggiamento un
po' da mamma, un po' da sorella maggiore.
Eppure,
lei continuava a pensare a quanto le sarebbe servito avere Minto accanto a sé
in quel momento.
La
piccola automobile si fermò svelta davanti al suo cancello, e la modella le
sorrise: «Ci penso io allora, d'accordo? »
Ichigo le rispose con
un sorriso che cercò di rendere il più sicuro possibile nella sua incredibile
sincerità, scese poi dall'auto stringendo la borsetta a sé, la mente un po' più
pulita e il petto meno pesante.
Quando
entrò in casa, il silenzio le fece capire che probabilmente Ryo
si era rintanato nel suo studio. Salì le scale e appoggiò l'orecchio contro la
porta dell'ultima stanza in fondo, riconoscendo i rumori di uno dei suoi tanti
videogiochi. Quando entrò – ovviamente senza bussare – lo trovò infatti seduto
sul divano di pelle scura, davanti alla TV da 75 pollici appesa alla parete,
una battaglia spaziale in corso.
« Hello ginger,» la salutò quando gli si sedette accanto, un'occhiata breve
per non distogliere lo sguardo dai nemici, « Fammi finire questa col Falcon e ci sono. Pensavo portassi a casa il vestito. »
Lei
sorrise: « Devono finire di sistemarlo. E poi non
potevo mica rischiare che tu andassi a ficcanasare in giro, porta male! »
Ryo le lanciò
un'occhiatina sarcastica, poggiò il joystick sul tavolino da caffè e la tirò a
sé, lei che si sedette sulle sue ginocchia: «Guarirai mai dal tuo essere
superstiziosa, gattina nera? »
Ichigo storse il naso,
si inclinò verso di lui, i ciuffi più lunghi della frangetta che gli
solleticarono le guance: « Forse avresti dovuto
cambiare strada quando mi hai incontrata. »
Lui
sbuffò contrariato, le scostò i capelli dal viso prima di baciarla dolcemente,
le solleticò i fianchi con la punta delle dita. « E
qualcosa da mettere sotto al vestito
l'hai presa? »
La
rossa rise divertita: «Fooorse.
Ma tanto non puoi avere l'anteprima nemmeno di quello. »
« Ma davvero, »
l'americano puntualizzò ogni sillaba, continuando a farle il solletico mentre
le dita sgusciavano già sotto la camicetta di lei, « Scommetto che posso avere
l'anteprima di qualcos'altro, però.»
Ichigo rise e si
lasciò baciare, stringendosi a lui e cercando il calore del suo corpo. Aveva
bisogno di lui, di sentirlo, di rincuorarlo. Aveva bisogno di far finta che non
ci fossero crepe, dentro al suo cuore. Aveva solo bisogno di addormentarsi, per
poi svegliarsi e sapere che tutto era finito, tutto era andato a posto.
**
Wednesday
Ichigo emise un
lamento esasperato e lanciò la mappa della sala per il ricevimento lontano da
lei sul tavolo della cucina, poi si prese la testa tra le mani. La sua wedding
planner le aveva raccomandato di finalizzare la disposizione degli ospiti ad
ogni tavolo, ma ad ogni sua mossa sembrava che le cose peggiorassero solo.
Gemette piano, la radio impostata su uno dei canali preferiti di Ryo che continuava a trasmettere canzoni americane anni '90
che le stavano solo facendo venire il mal di testa. Aveva creduto che
approfittare di quel pomeriggio da sola, così raro ultimamente, sarebbe stata
l'occasione perfetta per dare gli ultimissimi, necessari tocchi alla cerimonia
più importante della sua vita, e invece non era riuscita a combinare
assolutamente nulla. Aveva bisogno della mente pratica, razionale e ordinata di
Minto, come praticamente per ogni altro passaggio di quel dannato matrimonio.
Peccato
che la sua migliore amica nonché damigella d’onore persistesse nel non
rivolgerle la parola da quel dannatissimo sabato.
Aveva
ormai perso il conto di quanti messaggi le avesse mandato che non erano mai
stati degnati di una risposta, alcuni addirittura non erano nemmeno mai stati
letti. Minto non si era mai fatta vedere nemmeno al Caffè, e lei aveva avuto la
nettissima sensazione che il suo fine non fosse solamente evitare un certo
alieno (come se costui, poi, si fosse mai fatto vedere, aveva sue notizie
solamente da quella buon'anima di Retasu e ciò
decisamente non l'aiutava).
Non
poteva darle troppo torto, dopotutto, però non le stava neanche più bene
prendersi tutta la colpa per quell’enorme disastro, Minto stessa era
stata messa di fronte all’evidenza che il suo caratterino non fosse dei più
accomodanti.
Emise
un altro gemito nel silenzio della casa, poi si alzò di scatto e recuperò borsa
e giubbottino di jeans, prendendo di corsa la porta. Se le maniere forti erano
quelle che servivano, sarebbero state quelle che avrebbe usato.
Decise
di percorrere a piedi il tragitto fino a casa dell'amica, così da prepararsi
anche un discorso da farle nel mentre, scegliere con cautela le parole giuste
da usare per spiegarle al meglio ciò che lei provava, e darle anche il tempo di
ritornare da danza (e se la conosceva, Minto si era quasi sicuramente prenotata
delle sessioni di allenamento extra per non rimanere da sola in casa in balia
dei suoi pensieri). Sperava solo che la mora avrebbe avuto un attimo di
pazienza per starla ad ascoltare.
Concentratissima
nelle sue riflessioni, si fermò di botto quando la vetrina di un supermercato
alla sua destra catturò la sua attenzione. Forse era un segno del destino, si
disse, forse l’universo davvero la stava ascoltando nelle sue richieste di far
tornare tutto a posto nel minor tempo possibile. Si catapultò dentro, ormai più
convinta che mai, pestando probabilmente qualche piede mentre si affrettava tra
le corsi per prendere tutto il necessario. Uscì
trionfante in un tempo record di circa sette minuti, lei che di solito – quando
veniva mandata da Keiichiro a scovare un ingrediente
fondamentale per il Café – passava almeno cinque
minuti a leggere ogni etichetta. Prese fiato solo quando si rimise di nuovo in
marcia, il bottino fieramente stretto al petto, cercando di ricomporsi. Non
poteva credere a quanto le battesse forte il cuore al pensiero di presentarsi
senza invito sull’uscio della ballerina e parlare con lei, come se
all’improvviso fosse tornata una ragazzina di tredici anni.
Anche
se decisamente i problemi che stavano sfilando davanti a loro in quegli ultimi
tempi non erano molto diversi da quelli avuti tutti quegli anni prima.
Avvertì
un leggero timore pizzicarle la gola quando il profilo del palazzo in cui
abitava Minto si stagliò dall’altra parte dell’incrocio a pochi metri da lei.
Attraversò con calma, fece un respiro profondo e pescò nella borsa la copia delle
chiavi che Minto le aveva dato per qualsiasi emergenza ci fosse mai stata visto
quanto vivevano vicine. Sapeva che l’amica non le avrebbe certo aperto
volontariamente in quel momento, lei non aveva voglia di attirare l’attenzione
mettendosi a saltare fino all’ultimo piano di quel palazzo, perciò si poteva
benissimo classificare il tutto come un’evenienza improrogabile. Si lasciò
quindi entrare nella lobby elegante, dove l’attendevano quattro ascensori
completamente vuoti. Continuò a battere il piede a terra dal nervosismo mentre
attendeva che uno di questi scendesse al pian terreno, e il cuore non smise di
premerle forte contro al petto come un tamburo ad ogni piano che guadagnava
durante la salita.
L’appartamento
di Minto – e di Kisshu, si obbligò a sottolineare
mentalmente due volte a penna rossa - condivideva l’ultimo piano di quello
stabile con solamente un’altra abitazione, offrendogli una metratura non da
poco. Dopotutto, era stato un regalo del signor Aizawa
per il venticinquesimo compleanno della figlia, una specie di bonus prematrimonale
per donare sia a lei che alla madre un po’ tranquillità e pace mentale (la
signora Aizawa, infatti, non aveva mai preso in
troppa simpatia il mezzano degli Ikisatashi, e
riducendosi via via i loro viaggi a causa dell’età che avanzava, aveva iniziato
a lamentarsi nemmeno troppo sobriamente che figlia e fidanzato continuassero ad
abitare con loro sotto l’enorme tetto di villa Aizawa.
Poco importava che data la quantità di stanze persistessero a incontrarsi poco
in ogni caso, ma dopotutto Minto aveva pur dovuto prendere quel caratterino da
qualcuno).
Ichigo si schiarì la
gola, fece un altro paio di respiri e finalmente si decise a suonare, il dito
che tremò appena quando lo spinse sul bottoncino bianco con pochissima
convinzione. Non udì nulla per i primi due minuti, cominciando a temere che
Minto in realtà non fosse in casa. Riprovò a suonare, poi bussò e chiamò a
bassa voce il nome dell’amica, sempre senza ottenere risposta. Pigiò l’orecchio
contro il legno della porta, quasi tentata di farsi spuntare le orecchie da
gatto per sentire un po’ meglio, ma le sembrava che tutto fosse assolutamente
immobile dall’altra parte.
E questa volta non poteva assolutamente
usare le chiavi, si disse. Un conto era aggirare il portone principale,
praticamente un luogo pubblico, un altro era infiltrarsi così barbaramente
nella vita privata di Minto senza che lei gliel’avesse chiesto. L’avrebbe
sicuramente uccisa se l’avesse fatto, e di certo non in una maniera gentile.
Decise
perciò, controllando l’orologio, che almeno avrebbe aspettato una mezz’oretta.
Magari Minto era ancora agli allenamenti, o come lei aveva deciso di camminare
per schiarirsi la testa. Ryo non sarebbe tornato a
casa prima delle nove in ogni caso, aveva un mucchio di tempo che preferiva non
passare sola a casa sua nemmeno lei. Con uno sbuffo, e già triste al pensiero
della fine del suo bottino prezioso, si sedette sullo zerbino (pure questo
aveva l’aspetto costoso) e appoggiò la schiena contro la porta, sperando di risparmiarsi
almeno l’umiliazione di incontrare la vicina di casa, che a quanto ne sapeva
lei era una vecchia vedova ereditiera poco incline a cose fuori routine ed
estranei.
Fortunatamente,
solo dieci minuti dopo udì il ping dell’ascensore, le porte che si aprirono per rivelare
la mora, la borsa da danza sulla spalla e i capelli bagnati che le scorrevano
in riccioli sulla schiena.
Ecco,
se Minto Aizawa si faceva beccare in giro con i
capelli scomposti, voleva dire che le cose davvero non andavano.
Gli
occhi della ballerina si alzarono dal pavimento e si strinsero in due fessure
arrabbiate non appena misero a fuoco la rossa. Questa scattò in piedi, le mani
in avanti in un gesto di preghiera.
« Ti prego non mi
cacciare. Ho bisogno di parlarti. »
Minto
la squadrò da capo a piedi mentre lentamente percorreva il corridoio fino a
lei: « Non ti ho dato le mie chiavi di casa perché
potessi accucciarti sul mio tappetino. »
« Me le hai date per
le emergenze, e questa direi che lo è, » mormorò Ichigo,
facendosi da parte quanto bastasse perché l’amica potesse aprire la porta, « Ti
ho portato un’offerta di pace! »
La
mora osservò il contentuo della busta di cotone che
le aveva messo fieramente sotto il naso, due contenitori di gelato e un DVD di Titanic ormai ricoperto di condensa.
« Lo so che è il tuo
punto debole, l’abbiamo guardato insieme troppe volte. »
La
ballerina sospirò, rimase ferma sull’uscio un paio di istanti prima di entrare
lasciando la porta aperta.
« Sei davvero sicura
che mangiare del gelato prima del tuo matrimonio sia una scelta saggia? »
« Se ti fa felice, chissene frega. Tanto mi hai aiutato a scegliere l’abito
più comodo del mondo. »
Ichigo ne approfittò
per sgattaiolare dentro subito, si chiuse la porta alle spalle come per
impedire a Minto stessa di scappare e la seguì fino in salotto, dove lei buttò
a terra il borsone nero e si tirò su i capelli in uno
chignon disordinato, stringendosi di più nella felpa che indossava e che la
rossa riconobbe subito essere troppo larga perché appartenesse a lei.
« Sono abbastanza
stanca, Ichigo, » Minto fu la prima a rompere il
silenzio, evitando lo sguardo dell’amica e concentrandosi su azioni automatiche
come mettere quel diamine di gelato in frigorifero prima che le gocciline d’acqua le macchiassero irrimediabilmente il
tavolo da pranzo, « Quindi per favore, dimmi cosa vuoi. »
La
rossa non poté negare il fatto che la sua migliore amica avesse un aspetto
esausto, la bocca tesa in una linea dura e delle profonde borse sotto gli
occhi, le guance addirittura più scavate del solito. Forse non aveva fatto
tanto male a portarle del cibo come pegno del perdono.
« Voglio che facciamo
pace,» esalò tutto d’un fiato, con la paura di non riuscire a dirlo altrimenti,
« In questo momento più che mai ho bisogno che tu stia al mio fianco, sia
spiritualmente che materialmente. Altrimenti non riesco a fare nulla. »
Vide
le nocche di Minto stringersi attorno alla maniglia dello sportello del
frigorifero, il viso coperto da questo: « … non ti è
passata ancora la botta di egoismo? »
« Minto-chan, lo sai benissimo che se potessimo tornare indietro,
lo farei subito e cancellerei tutto quello che abbiamo fatto. Mi sento davvero
in colpa per avervi convinti tutti ad andare su Gea, e vorrei averti ascoltato.
Avevi ragione, d’accordo? Ma… io non sono colpevole delle cose che Yuko ci ha fatto vedere. E come dice sempre anche Ryo, magari è stato fatto tutto apposta da lei per metterci
alla prova. E se continui a dare la colpa a me
per ciò che hai visto, allora scusami, ma sei tu l’egoista. »
La
ballerina prese un respiro profondo e rumoroso, si avvicinò al tavolo per
poggiarvi sopra le mani, dandole la schiena.
« Tu sei la mia
migliore amica, » riprese Ichigo, azzardando un passo
vicino a lei, « E mi fa male pensare che posso essere la causa perché tu stia
male, ma anche la mia colpa si ferma ad un certo punto. Voglio pensare che… che
io e te possiamo passare sopra anche a queste cose e cercare delle soluzioni
insieme. Voglio che tutto torni esattamente come prima se non meglio, e lo so
che lo vuoi anche tu e lo sai che io
non c’entro in tutto e che possiamo
sistemare le cose. E poi mi serve la mia damigella d’onore, perché sto
impazzendo. Non arrivo nemmeno alla cena di prova di domani senza di te.»
Minto
rise appena, scosse la testa: « Ah, Ichigo, a volte vorrei davvero tanto che tu facessi meno
parte della mia vita. »
« Mi vuoi troppo
bene perché sia vero. E ti diverti un casino a bistrattarmi e farmi comportare
come una bambola ogni volta che andiamo in un negozio, soprattutto ultimamente. »
La
mora si voltò, scrutandola con quegli occhioni nocciola in cui Ichigo non poté che leggere dolore. Poi esalò esasperata e
scosse di nuovo la testa, sorridendole un po’ più rilassata: «
D’accordo, andiamo a trangugiare calorie superflue. »
(*)
Date a Cesare quel che è di Cesare –
questa frase è stata scritta dalla nee-sama Ria,
perché a me ste cose mielose non vengono ed ero in crisi mistica. (Testuali
parole, quando me l’ha mandata la mia reazione è stata di rispondere “Che
rifiuto, se venissero a dirla a me gli scoppierei a ridere in faccia” xD).
§§§
Buon pomeriggio fanciulle! Aggiornamento
ultra-rapido perché tra poco – come al solito – cambieranno un po’ di cose
nella mia routine e volevo finire questa ff prima di
prendermi un po’ di meritate vacanze :3
Come alcune di voi speravano,
qualcuno un po’ di pace l’ha fatta o forse no? Mwahah,
quindi potrebbero essere tutti sulla strada giusta per ritornare alla
normalità. Ma come al solito non posso promettervi nulla, altrimenti dove
sarebbe il divertimento? ;) Anche perché il caldo mi sta uccidendo, potrebbe
sempre spingermi a fare colpi di testa :P
Cercherò di arrivare con l’ultimo
capitolo i più velocemente possibile, questa settimana mi arriva anche un’anima
candida a cui io dovrò insegnare i ferri del mestiere, quindi potrei essere
distratta ^^’’’’’’
Un ringraziamento
specialissimo a Sissi1978 e Ryanforeverche sono fedelissime nelle recensioni,
e a Ria che mi beta e mi sopporta e
mi suggerisce mielosità per me inconcepibili
:D E ovviamente grazie a tutti voi che decidete di arrivare fin quaggiù!
Ichigo si controllò
un’ennesima volta allo specchio, in cerca di ogni minimo dettaglio fuori posto.
Si voltò per osservare il modo in cui il corto vestito mono-manica nero, di un
morbido tessuto arricciato, le abbracciava le forme, poi sistemò le
increspature dolci e rigide dorate che le incorniciavano la spalla destra,
aggrottando la fronte perché l'ennesimo ritocco continuava a non convincerla. E
dire che le era piaciuto così tanto quell'abito quando l'aveva trovato da non
avere avuto il minimo dubbio che sarebbe stato ciò che avrebbe indossato alla
sua cena di prova.
Anche
se era vero che al tempo aveva avuto molti meno dubbi su tante cose.
Fece
un respiro e si sistemò un'ultima volta i capelli – per l'occasione portati
indietro solo da un lato da un pettinino anch'esso dorato e morbidamente
arricciati – prima di passare sulle labbra uno strato veloce di rossetto matte
rosso scuro.
« Baby, are you ready? We can't be
late. »
La
voce allegra di Ryo la raggiunse in bagno,
provocandole un brivido di nervosismo più del solito.
« Mi metto le scarpe
e ho fatto, » rispose sottovoce.
Lui
comparve sulla porta, elegante nella camicia bianca, facendo penzolare i suoi
sandali neri intrecciati da un dito: « Al suo
servizio, principessa. »
La
rossa scosse la testa e alzò gli occhi al cielo mentre li afferrava di scatto: « Sono costosi, » borbottò.
« Really,
I would have never thought so. »
Decise
di ignorare il suo sarcasmo e si sedette sulla vasca da bagno per allacciarsi
le scarpe. Il cuore le stava battendo forte contro il petto, portandole una
fastidiosa sensazione di mancanza d’aria nei polmoni. Deglutì forte, cercando
di schiarirsi i pensieri e far calare il tappo che provava nelle orecchie.
E pensare
che fino a quel pomeriggio era andato tutto bene.
Aver
fatto pace con Minto, la giornata precedente, aver passato una serata
tranquilla sul suo divano a cercare di distrarla con gelato, pettegolezzi e
particolari organizzativi critici del suo matrimonio l’aveva riempita di una
calma che non si era resa conto di mancare da un po’. Il sorriso della sua
migliore amica e il modo in cui in cinque secondi le aveva risolto la
disposizione degli ospiti, al tempo stesso, le avevano riportato di nuovo a
galla i sensi di colpa, soprattutto quando si era soffermata sulle occhiaie
scure della ballerina. Ma le era sembrato tutto un buon segno, in fondo. Aveva
pensato che se Minto aveva accettato di ragionare con lei, non si sarebbe
preclusa la possibilità di ragionare al più presto possibile con Kisshu, e le aveva confidato borbottando ciò che era
successo e come si erano salutati al
loro ultimo incontro. Ichigo non aveva voluto altro
che anche quella sera passasse perché così tutto si potesse finalmente
rimettere a posto.
Non
aveva calcolato che tutta l’ansia di tutta quella circostanza sarebbe piombata
su di lei non appena si fosse infilata quel maledetto vestito nero.
Fece
un altro respiro e si alzò dalla vasca da bagno, soffermandosi un secondo per
confermare di avere equilibrio sui tacchi di dieci centimetri – per quanto le
piacessero, non riusciva ancora a capire come Zakuro
potesse camminare su cose del genere come se stesse camminando scalza sul
parquet, ma dopotutto, lei non era
una modella rinomata in tutto il mondo.
Uscì
nel corridoio, agguantando nel frattempo la pochette nera lucida che aveva
appoggiato sulla libreria lì davanti esattamente con l’intento di non
dimenticarsela. Ryo stava aspettando all’inizio delle
scale, l’attenzione rivolta al telefonino stretto in mano; la luce del
corridoio era spenta, quella che proveniva dal piano di sotto era l’unica che
lo colpisse, scolpendogli ancora di più i tratti magri e ben disegnati del
viso. Ichigo si fermò a osservarlo, il cuore che accelerò
i battiti gonfiandosi di necessità e amore per quel ragazzo, un briciolo di
consapevolezza che le scoppiettò allegramente nello stomaco. Si avvicinò a lui
in fretta, una mano che si posò sulla sua nuca per tirarlo vicino, l’altra che
sgusciò attorno alla sua vita.
« Sono pronta. »
Ryo sorrise e le
baciò la fronte, evitando accuratamente le labbra tinte: «
Brava gattina. Saremo incredibilmente in orario. »
Lei
chiuse gli occhi, godendosi il calore del corpo contro al suo, la sensazione
delle labbra contro la sua pelle: « I love you. »
L’americano
rise e le prese il viso tra le mani, sfiorandole il naso col proprio: « Aaah,ma questo non vale, vestita così… »
« Ti piaccio? »
domandò contenta lei, stringendogli i palmi e allontanandosi quanto bastava per
farsi ammirare.
« Sempre, ginger, » rispose lui e la riagguantò
per la vita, « Ma non posso mostrarti esattamente
quello che penso o faremo tardi. »
Ichigo rise e si
agganciò al suo braccio così da essere sicura di un appoggio mentre scendevano
lentamente le scale, il cuore un po’ più tranquillo come tutte le volte che
sentiva il profumo del suo fidanzato così vicino a lei. Si strinse ancora a
lui, lanciandogli un sorriso, tentando di tenere sotto controllo anche l’ansia
che sentiva indugiare alla bocca dello stomaco. Ryo
le aprì la portiera della macchina quando arrivarono in garage, sorreggendola
per la mano mentre lei scivolava sul sedile basso mugugnando come al solito su
quanto quel veicolo fosse affascinante quanto scomodo.
« Lo sai che un certo giorno dovremmo cambiare
macchina, no? » lo prese in giro mentre iniziavano a sfrecciare tra le vie
affollate della città.
Ryo le lanciò
un’occhiata divertita dal sotteso di quella frase: « A
quel punto, ginger, mi limiterò a
comprarne una tutta per te così da tenere la mia bambina per i viaggi in
solitaria. »
« La tua bambina, ma sei serio? » sbuffò lei,
offesa per finta, pescando il cellulare dalla pochette e scorrendo i messaggi
che le erano arrivati con un pollice coperto dallo smalto scuro che Minto le aveva
applicato “prima della manicure vera e propria per sabato, così avrebbe smesso
di mangiarsi le unghie”.«Spero che gli
altri arrivino dopo di noi, » continuò dopo poco, «
Così sarà meno imbarazzante entrare nel ristorante. »
La
mano destra di Ryo si posò sul suo ginocchio per
darle conforto: « Ci sono solo persone che conosci da
una vita, non preoccuparti. E poi è per questo che bisogna essere puntuali. »
« Ora non ti puoi
lamentare. »
L’americano
le diede una stretta giocosa, poi le lanciò un’occhiata veloce, studiando il
volto tondo impegnato a rispondere ai trecento messaggi che sapeva esserle
arrivate sul gruppo chat con le altre ex MewMew. Gli sembrava calma, anche se stanca. Non che lui fosse
così ingenuo da pensare che tutto
fosse completamente a posto, e gli rodeva ammettere che probabilmente quel
goccio di angoscia che provava non si sarebbe acquietato finché non l’avesse
vista accanto a lui in bianco, una fede di oro bianco sicura al suo anulare.
L’aver fatto pace con Minto, almeno, sembrava aver avuto un effetto non da poco
sull’umore della rossa, e lui era anche certo di dovere almeno una bottiglia di
vino pregiato a Zakuro, che l’aveva presa sotto la
sua ala negli ultimi giorni ancora più del solito.
Doveva
resistere soltanto fino a dopodomani, si disse, e poi tutto sarebbe andato a
posto come i pezzi di un puzzle.
Guidarono in silenzio, lui che continuò
ad accarezzarle la gamba nuda mentre Ichigo
canticchiava sottovoce tranquilla le canzoni che passavano alla radio.
Il ristorante che avevano scelto, sotto
consiglio e influenza di Zakuro, aveva riservato loro
un’intera sala privata per quella cena – molto più intima della cerimonia che
si sarebbe celebrata da lì a poco -, con una lunga tavolata imbandita di
centrotavola fioriti e candele, al centro della stanza completamente circondata
da vetrate da cui si potevano ammirare tutte le luci della città. Ichigo non riuscì a trattenersi, spalancando occhi e bocca
estasiata dall’eleganza di quel luogo.
« Minto sarà
invidiosissima! » trillò divertita, girando su se stessa per osservare al
meglio il luogo.
Ryo alzò gli occhi
al cielo, il portafoglio improvvisamente più leggero anche dopo la
contribuzione dei signori Momomiya per quella serata
e il pensiero della bottiglia di vino per una certa lupa già quasi del tutto
scartato, e le premette una mano sull’incavo della schiena per condurla dentro
verso il tavolo a parte in cui erano già stati composti dei bicchieri di
champagne.
« Facciamo un brindisi
prima che arrivino tutti gli altri, che dici? » fece per passarle un flûte, ma poi si fermò a pochi
millimetri dalle sue dita, « Anche se devi promettere di non esagerare. »
Ichigo storse il naso
e afferrò il sottile gambo di cristallo: « Non essere troppoShirogane.
È la mia penultima sera da donna libera, dopotutto. »
« Ah-ah, divertente,
davvero, » lui scosse la testa e batté appena il bordo dorato contro quello che
teneva lei, « Alla mia simpaticissima
fidanzata. C’è voluto tanto per farcela, ma tra due giorni finalmente la
gattina più bella di Tokyo sarà mia. »
« Saresti tu quello
simpatico? » gli fece il verso lei, poi gli strinse la mano e se la portò
dietro la schiena per tirarsi più vicina a lui, guardandolo negli occhi, « C’è
voluto tanto ma ne vale la pena, no? »
« Iwouldwaitmywhole life for you, red, » Ryo le sfiorò appena le labbra, i rumori degli invitati
poco lontani che cominciavano ad arrivare, ma lei sentì lo stomaco contrarsi
solo a quel contatto, alla voglia e alla tenerezza che riusciva a trasmetterle
solo così. Avrebbe voluto essere capace, in quel momento, di dimostrargli
altrettanto, ma una voce conosciuta la distrasse, facendola ridere.
« Ma non bisognava
aspettare la prima notte di nozze per tutte queste smancerie? »
Ichigo si illuminò nel
vedere la seconda testa più bionda del loro gruppo, e si staccò da Ryo per andare a stringere Purin
in un abbraccio caloroso.
« Ce l’hai fatta,
allora! »
« Non potevo mica
perdermi le nozze del decennio! » replicò lei, tutta un sorriso, « Sono
atterrata stamattina giusto per l’occasione! »
« OvviamenteTaruto non ti mancava e non ha avuto niente a che fare con
il tuo arrivo anticipato.»
« Vecchia, sarà anche il
tuo matrimonio ma ci sono giusto un paio
di piante qua che potrebbero tornare utili,»
Ichigo rise ancora e
prese sottobraccio Purin, impaziente di farsi
raccontare qualcosa del suo ultimo viaggio in Cina.
Ben presto la ventina di altri ospiti
cominciò ad arrivare, riempendo la sala giusto in tempo per l’aperitivo di
benvenuto con un chiacchiericcio allegro, ognuno indossando una rivisitazione
del tema oro e nero che Ichigo aveva tanto voluto per
quell’occasione. Molte paia di occhi, soprattutto i pochi colleghi di Ryo che poteva ormai considerare amici e che erano poco
avvezzi alla sua presenza, si voltarono speranzosi verso Zakuro
non appena lei fece il suo ingresso, come al solito cercando di mescolarsi alla
folla senza riuscirsi troppo, Purin che richiamò
subito la sua attenzione. Ryo fece appena in tempo ad
alzare il calice nella sua direzione in segno di saluto, prima che una raggiante
Sakura raggiungesse la coppia di fidanzati con affianco uno Shintaro
ancora non troppo contento di dover lasciar
andare Ichigo.
La modella sorrise appena nel vedere
l’espressione di disagio e arresa del biondo, poi esaminò la sala in cerca di
una testa corvina di sua conoscenza che aveva lasciato a cuocere nel suo brodo
abbastanza a lungo.
Minto stava salendo le scale in quel
momento, il viso di qualcuno che avrebbe preferito davvero fuggire da lì. La
modella la vide prendere un respiro e drizzare le spalle prima di entrare nella
sala, proprio come avrebbe fatto un secondo prima di entrare in scena sul
palco, un sorriso di circostanza davvero studiato che le si disegnò sulle
labbra coperte di rossetto scarlatto. Si fece largo tra la gente e la raggiunse,
Minto che la osservò da capo a piedi prima di rivolgerle un sorriso stanco.
« Stai per dirmi che è
solo una cosa che hai trovato in fondo all’armadio, vero? » cercò di scherzare,
riferendosi allo slip dressnero con un ghirigoro dorato leggero sul busto.
Zakuro sorrise e le
passò un calice di champagne: « Omaggio di un photoshoot
dell’anno scorso. »
La mora scosse appena la testa e prese
subito un sorso, il dito indice che picchiettò nervoso sul gambo del bicchiere:
« E’ molto bello, qui. Era da un sacco che volevo
provarlo, ma le sale sono sempre riservate per eventi del genere. Ovvio che Shirogane sia riuscito a farsi spazio. »
La modella sbuffò sommessa: « Se lo meritano, non credi? »
Minto sospirò grave, cercando la figura
morbida dell’amica tra gli altri: « Già… »
La viola la studiò un istante, incerta
se aprire il vaso di Pandora. Ancora non aveva intravisto Pai
o Retasu tra gli invitati, e viste le ultime
coordinate di un altro fratello Ikisatashi, dedusse
che nemmeno lui fosse già arrivato. La ballerina salutò Purin
con una mano, e Zakuro sperò che Taruto
le avesse fatto un resoconto veloce della situazione, così da evitare ulteriori
catastrofi.
« Ti va se sabato
mattina facciamo tutto a casa mia? » le domandò « Ho già detto a Ichigo che avrei fatto ritirare il vestito così saremmo
state più libere, e ho tanto spazio vuoto in ogni caso. E
meno oggetti fragili.»
Minto cercò di ridere: « Sì, me l’ha detto Ichigo che
l’hai accompagnata tu sabato scorso, » Zakuro non
mancò il tono leggermente irritato, come una frecciatina perché lei invece non
aveva potuto godere della sua presenza, « Comunque a me va bene qualsiasi cosa,
tanto so già che le verrà un attacco isterico e faremo tardissimo. »
Zakuro la osservò
scrutare preoccupata la folla prima di prendere un sorso, poi schioccare la
lingua e guardarla da sotto in su.
« Non c’è bisogno che
vieni a controllarmi, comunque, onee-sama, » mormorò
piano, « Sto bene, davvero. Sono grande e vaccinata, posso sopravvivere a una
cena. »
La Mew lupo
annuì, ben poco convinta: « Volevo solo sapere come
stavi. Non mi hai risposto ultimamente.»
« Ho guardato poco
il cellulare, » mentì lei, evitando lo sguardo viola, « Comunque… tutto okay. Ho
solo voglia di rilassarmi, stasera.»
« Sono stata più
vicina a Ichigo perché pensavo lei avesse più bisogno
di te, » sentenziò Zakuro, « E perché se anche fossi
venuta a dirti ciò che pensavo, qualcosa mi dice che tu non mi avresti comunque
ascoltata.»
La mora sembrò accusare il colpo, annuì
svogliata: « Lo so, e… ti ringrazio di avermi lasciato
spazio. Io e Ichigo abbiamo già… risolto, in ogni
caso.»
L’altra non domandò dell’altra persona
coinvolta nella questione, ma fece solo un cenno della testa verso il tavolo
con gli aperitivi: « Prendiamo qualcosa, ti va? »
Minto assentì subito, contenta del poter
tallonare l’amica e cercare silenzioso conforto da lei tutta sera, seguendola
tra la gente e reimpostando automatica il sorriso che in tutti quegli anni di
ballo aveva imparato a ostentare convinta.
Retasu uscì dal taxi con uno sbuffo, una mano sul pancione
e l’altra che si protese a stringere quella che Pai
le stava porgendo per aiutarla.
«Dovremmo
essere all’ultimo piano, » esclamò il marito, « Questo
posto sarà assolutamente da Momomiya, vero? »
« Sarà
elegantissimo, » lo riprese lei divertita, avviandosi su per la scalinata
dell’entrata « Kisshu-kun, ci sei? »
Questi
stava indugiando sul marciapiedi, fissando con aria nervosa quel palazzo: « Sì, voi andate su, io vi raggiungo tra cinque minuti. »
Gli
occhioni blu di Retasu lo scrutarono preoccupati, ma
lei mormorò un okay e si incamminò
insieme a Pai lungo l’androne. Quando rimase da solo
– per quanto da solo poteva essere in centro a Tokyo – Kisshu
prese un respiro profondo, l’adrenalina che gli rombava nel petto da quel
pomeriggio. Era da così tanto che aspettava quel momento, come una scolaretta
agitata, e ora quasi temeva ciò che sarebbe potuto succedere. Doveva lottare
contro il suo corpo perché i piedi si staccassero dal suolo e si muovessero
verso l’entrata. Si passò una mano tra i capelli e poi infilò un dito nel
colletto della camicia, tentando di allargarlo per riuscire a respirare meglio.
Si
convinse che in ogni modo sarebbe andata, quello era il momento di risolverla.
Non ne poteva più di non sapere, di non capire, di essere lasciato da solo con
i suoi pensieri e la sua rabbia. Fece un altro respiro, esalando piano tra i
denti, lo stomaco che si contorse tra l’ansia e la stizza che non era riuscito
a farsi andare via in due settimane. In barba a tutte le regole, evitò
l’ascensore, per lui decisamente claustrofobico, e si teletrasportò
dietro l’angolo della sala da cui sentiva provenire un vocio allegro. Sbirciò
appena per confermare che fosse quello lo spazio riservato ai futuri signori Shirogane, si stirò appena con le mani la camicia, ed
entrò, il cuore che gli martellava in petto.
Non
lo fece nemmeno apposta, ma sapeva che ormai era diventata quasi un’azione
automatica: i suoi occhi individuarono subito la figura minuta ed elegante di
Minto tra la folla, la chioma scura che lo chiamava a lei. Sentì il petto
dolergli, la mancanza che sentiva che lo schiacciò come un macigno e che
gridava perché andasse da lei, l’orgoglio che lo teneva lì inchiodato. Come
aveva previsto, Zakuro le stava vicina,
intrattenendola in una conversazione che sembrava abbastanza casuale, ma lei
gli dava le spalle quindi non poteva ancora vedere il suo viso. Iniziò a
muoversi ed incrociò invece lo sguardo della modella, che aveva cercato
apposta. Si sarebbe aspettato di vederla minacciosa come al solito nei suoi
confronti, invece le iridi lillà sembrarono quasi incalzarlo, una muta adesione
nei suoi confronti.
O
forse lui era impazzito del tutto.
Si
fermò un secondo, a pochi metri da loro due, giusto mentre Zakuro
si allontanava con una scusa che lui non udì ma che non sembrò allarmare la Mewbird. Kisshu
prese un ultimo respiro e si avvicinò del tutto a lei, la gola in una morsa e
le mani che si strinsero da sole.
«Stasera la damigella d’onore è più bella
della sposa.»
Minto avvertì un brivido freddo nel
percepire Kisshu dietro di sé, una calma inaspettata
nella sua voce. Si voltò lentamente, stringendo il bicchiere che teneva in
mano.
«Ciao, Kisshu.»
Lui la guardò con un sorriso accennato,
riempendosi gli occhi di lei dopo quella settimana. Indossavauna elegante tuta di seta nera con dei pantaloni a
palazzo, accollata davanti ma che le lasciava la schiena scoperta fino a sotto
le fossette di Venere, un fiocco dorato dai lunghi nastri che si chiudeva
intorno al collo, lasciato libero dai capelli acconciati in una bassa crocchia
sapientemente disordinata.
Forse anche gli altri l’avrebbero capito,
ma lui, che ormai poteva leggerla come un libro aperto, sentì il cuore
raggelarsi e scendere vertiginosamente nello stomaco a vedere l’ombra di tristezza
sul suo volto, e sapere che – anche involontariamente – lui ne era la causa.
Non avrebbe potuto resistere oltre.
Si schiarì la gola, trovandola
improvvisamente secca, e cercò di mantenere una certa compostezza mentre le
porgeva la mano e faceva un cenno verso la veranda del ristorante: «Parliamo un
attimo?»
La solita Minto lo avrebbe guardato
storto, sibilandogli di non azzardarsi a fare scenate in pubblico e che certe
cose andavano tenute per i momenti privati, invece annuì in silenzio, ignorò il
suo palmo e lo seguì semplicemente, senza emettere fiato.
Uno splendido giardino artificiale, con i
sentieri in ciottolato e tanti alberi in fiore, si stagliò davanti a loro, in
contrasto con le pareti completamente a finestra com’era il ristorante, e i rumori
della cena si acquietarono dietro al vetro della porta. Minto sospirò, appoggiandosi
alla ringhiera e guardandolo, aspettando.
«Vivere in casa di Retasu
e Pai sta diventando stretto,» Kisshu
cercò di scherzare con una finta risata, poggiando anch’egli un braccio sul
parapetto. Si sarebbe aspettato che lei gli rispondesse a tono, arrabbiata,
qualcosa sulle linee del allora forse non
saresti dovuto uscire di casa, imbecille, e invece spostò lo sguardo per
fissare la città sotto di loro, annuendo poco convinta.
Kisshu si rese conto
che non aveva mai visto la ragazza così vulnerabile, e di quanto lo stesse consumando lentamente. Non riusciva nemmeno a
ritrovare quella collera nei suoi confronti che l'aveva alimentato nella
testardaggine di ignorarla come lei stava ignorando lui, svanita all'improvviso
nel guardarle il volto. E dire che aveva almeno tentato di prepararsi tutto un
discorso, mantenere un certo atteggiamento, almeno tentare di fare il sostenuto, ma non si sarebbe mai aspettato di
trovarsela davanti così… sconfitta. Come se si fosse aspettata un certo
risultato da quell’incontro e non avesse possibilità di scelta, di cambiarne
l’esito.
« A cosa pensi? »
le chiese, senza nemmeno ponderare sul perché di quella domanda.
Minto si strinse nelle spalle, giocherellò
con il bracciale d’oro bianco che indossava: « Non
avevamo mai litigato così. »
« C’è sempre una
prima volta per tutto, no? »
« Non
necessariamente. »
Kisshu annuì, strinse
la bocca in una linea sottile: « Non hai risposto alla
domanda che ti ho fatto la settimana scorsa. »
La vide trasalire, continuare a fissare le
proprie mani: « Credo che sia tu quello venuto a
lasciarmi, no? »
Lui fece schioccare la lingua e sbuffò: « Non giocare la carta della vittima, Minto. Sai benissimo
che le cose non stanno così. Non sarei qui a parlarti altrimenti. »
Un barlume del fuoco che l’accendeva
sempre sembrò riapparire: « Mi verrebbe da pensare che
mi si concederebbe almeno la grazia di lasciarmi faccia a faccia, dopo tutto
questo tempo. »
« Non ho smesso un
secondo di amarti, né ho mai pensato di lasciarti, » sbottò arrabbiato lui,
cercando di regolare il volume della voce, « Quindi per una volta smettila di
dire stronzate e ascoltami. »
Minto sembrò farsi più piccola, spostò
nervosamente il peso da un piede all’altro intanto che continuava a evitare lo
sguardo dorato che sentiva perforarla.
« Mi manchi,
passerotto. A volte non vorrei, perché rende tutto più difficile, ma è così. Ed
è normale, perché sono schifosamente innamorato di te da sei anni, e non ho
intenzione di buttare la nostra storia nel cesso per i giochetti mentali di una
disturbata,» Kisshu si passò rabbiosamente una mano
nei capelli, scompigliandoli ancora di più, prendendo fiato dopo aver
sciorinato quelle parole quasi senza pensarci, « A te
non è piaciuto ciò che hai visto, ma non puoi farmene una colpa, perché non
sono stato io a fare quelle cose. E non
è piaciuto neanche a me quello che ho visto, sai, la differenza è che poi certe cose di te in effetti si sono
avverate.»
La mora sussultò e strinse le labbra, le
nocche che si tinsero di bianco attorno al bicchiere, così tanto che giudicò
più sicuro poggiarlo su un tavolino di legno lì accanto.
«… è difficile fare i conti con i propri
difetti sbandierati ai quattro venti e ingigantiti di sei volte, » sussurrò dopo un po’.
« Sì, specialmente
quando si è una viziata permalosa, orgogliosa e maledettamente testarda. Tutti
aggettivi che puoi usare anche con me, la differenza è che io per te mi faccio
il culo in ogni caso. »
« Vuoi ricominciare a
litigare? » la voce tremula non nascose ciò che lei stava cercando di celare
standogli davanti di profilo, il viso girato verso le piante.
Kisshu sospirò piano: « No, passerotto, però, non posso neanche far finta di
nulla. »
« Credi che non l’abbia
capito? » la sentì tirare appena su con il naso, « Credi che sia stata a farmi
i cavoli miei tutto il tempo, che non sia stata male da morire a ripensare a
tutte le cose orribili di me che ci hanno mostrato? Per te è sempre tutto così…
semplice. Tu sei quello sempre con i
sentimenti chiari e facili, quello che si butta nelle cose senza pensare, per
me invece… »
L’alieno fece un passo verso di lei, ma
nello stesso istante Minto ne fece uno indietro, stringendosi le braccia
intorno al petto.
« Stare come sono stata
in questi giorni, senza di te… » scosse la testa, il viso rivolto verso il
basso, « Mi ha fatto paura. »
« Io non voglio
starci senza di te, » lui tentò di nuovo di avvicinarsi, cercò di incontrare i
suoi occhi senza riuscirci, «Se ho capito qualcosa da questa esperienza, è che
non voglio smettere di lottare per quello che abbiamo. Anche se a volte dovrò
fare il lavoro per due perché tu hai la testa troppo dura. Ma non posso essere
l’unico che lotta, e che si piega a certi compromessi. Sei così flessibile tu, poi, potresti sforzarti
anche di esserlo in quella testolina. »
Minto gli lanciò un’occhiataccia, poco
divertita dalla sua battutina: « Non te ne dovevi
andare. »
« Lo so, ho fatto
una stronzata. Tu però potevi venirmi a cercare. Ora che siamo giunti a questa
conclusione, cosa? Credi che sia saggio rinfacciarci i se e i ma? »
« … hai passato
troppo tempo con Retasu, stai quasi diventando una
persona matura. »
Kisshu rise piano e le
si avvicinò ancora, il suo odore che gli solleticò piacevolmente le narici,
infondendogli una calma che gli era mancata: « Ci sono
un po’ di cose di te che cambierei, tortorella, ma non potrei mai cambiare te. Credo di essere decisamente certo
del fatto che tu sia la donna della mia vita, e lo sai che quando mi fisso faccio
fatica a cambiare idea. »
La mora lo guardò da sotto in su, come se
stesse riflettendo sulla cosa, poi sospirò: « Lo sai
che… ho paura di perderti. È irrazionale pensare a te e Ichigo,
lo so, però è incancellabile e… » scrollò le spalle,
scostando lo sguardo con una punta di vergogna a dover ammettere di riportare
ancora a galla quel discorso ormai antico.
« Tortorella, lo so. Anche Shirogane non è felice che Masaya
sia stato invitato al matrimonio e che lui e Ichigo
si scambino gli auguri di Natale, come Pai non è
felice che Retasu abbia avuto una cotta per il
biondino. Lo capisco, ma più che dirti che ormai per me è solo un ricordo anche
abbastanza infelice, non posso fare altro. Se non dimostrarti tutti i giorni
quello che provo per te. Però tu mi devi venire incontro. »
« Ho esagerato, »
ammise dopo un attimo Minto, e lui poté vedere quanto le stesse costando pronunciare
quelle parole, « Ma ho avuto paura. Era tutto più grande di me. »
« Non è molto
difficile essere più grande di te. »
« Idiota. »
Lui rise e fece un altro passo avanti: « Anche io ho esagerato, tortorella. E mi dispiace, davvero.
Però da un lato credo ci abbia fatto bene. Ci ha messo davanti degli specchi
enormi e ci ha fatto capire molte cose. »
Minto annuì, lasciando cadere le braccia
lungo i fianchi: « Non ti azzardare mai più ad andare
via di casa. »
« Non ti azzardare
mai più tu a dire che non sei la cosa più importante della mia vita. »
Lei non rispose, ma fece un passo avanti e
gli cinse il torso con le braccia, appoggiando il mento alla sua spalla e
sospirando nel sentire la familiarità del suo profumo. Kisshu
la strinse forte a sua volta, inspirando l’odore della sua pelle e
approfittandone subito per riconquistare con le labbra la pelle liscia delle
spalle.
«Lo sai che ti amo da impazzire,» le
sussurrò all’orecchio, « Non ho intenzione di farti
liberare di me così facilmente. E se proprio vuoi saperlo, ho tutta
l’intenzione di dimostrartelo come si deve e ricordartelo ogni dannatissimo
giorno dopo giorno dopo giorno, per il resto della vita. Specialmente le volte
che te lo scorderai. »
Minto si staccò appena per guardarlo,
curiosa e confusa: « … stai dicendo che - »
« Ah-ah-ah, » la
interruppe lui, sogghignando, una mano che scese pericolosamente sotto al
livello della sua vita: « Questo è il grande momento di Shirogane
e Ichigo, non possiamo rovinarglielo. Pazienta un
po’.»
Minto sussultò e strinse gli occhi,
divertita, poi sospirò irritata: « Sei davvero un
idiota. »
Lui rise e le prese la guancia per
baciarla, incurante degli ospiti dall'altra parte della vetrata.
Solo
Ichigo, però, li stava guardando, mordendosi un
labbro. Si arricciava nervosamente una ciocca di capelli attorno al dito,
desiderando che quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco le
sparisse. Era contenta per la sua migliore amica, ovviamente; non c’era
assolutamente l’ombra di dubbio su quello, l’aveva desiderato fortemente da
quando aveva visto la sua espressione fuori dal Caffé,
appena tornati da quel viaggio dell’incubo. Al tempo stesso, però, una parte di
lei era tremendamente invidiosa. Aveva parlato e riparlato con Ryo, aveva cercato incessamente
il suo calore in tutti quei giorni e sapeva che per lui non era cambiato nulla.
In lei non erano cambiati i sentimenti, di quello era certa, ma…
C’era
sempre un piccolo, misero, insignificante ma
che le faceva paura.
Avrebbe
voluto mettere una pietra sopra tutto e poter affermare che non sentiva né
dubbi, né rabbia, né colpa.
Avrebbe
voluto fare quello che sapeva – ogni tanto – Minto fosse più brava di lei a
compiere: riuscire a parlare di certi argomenti come un'adulta, pensare
razionalmente e senza mettere da parte il cuore al tempo stesso.
Uno
scoppio di risa la distrasse e lei sobbalzò, ritornando al presente. Ryo stava parlando con alcuni colleghi di lavoro, ma
continuava a lanciarle occhiate preoccupate, e lei non poteva sopportare di
sapere che lui temeva se ne sarebbe andata proprio in quel momento, che gli
dicesse che il matrimonio stava saltando. Si odiava per quello. E si odiava
perché non sapeva come risolverlo.
Lui
le si avvicinò e le sorrise, le sfiorò una guancia: «Tra cinque minuti
inizieranno a servire la cena. Dovremmo cominciare a far sedere tutti.»
Lei
annuì, nonostante i tacchi si sporse in punta di piedi e gli lasciò un bacio che,
sperava, potesse essere rassicurante. Ryo lo fece
durare qualche secondo di più del necessario, poi ridacchiò: «Credo che tuo
padre non approverà queste smancerie almeno fino a sabato.»
Ichigo storse il naso,
ironica: «Chi ti dice che dopo gli andrà bene?»
Lui
le diede un buffetto sulla fronte: « Pointtaken. »
Le
prese la sedia e l'aiutò a sedersi, prendendo poi posto accanto a lei mentre
tutti gli altri commensali si riunivano intorno a loro. Ichigo
vide Zakuro sorridere contenta verso Minto e Kisshu, ovviamente non mano nella mano ma che camminavano
vicini, i visi un po’ più illuminati rispetto a prima. La rossa cercò lo
sguardo dell'amica mentre si sedeva due sedie più in là dalla parte opposta, e
Minto ricambiò un sorriso leggero, un'ancora di salvezza. I camerieri
iniziarono a sfilare intorno a loro, ogni piatto accuratamente spiegato a lei e
a Ryo e di cui era sicura della bontà, che però lei
non riusciva a gustarsi a pieno.
Le
sembrò che tutta la cena stesse passando velocemente mentre lei era avvolta da
una bolla. Poteva sentire il tintinnio delle posate sui piatti, il
chiacchiericcio vivace, la mano di Ryo sul suo
ginocchio, il sapore del vino sulla lingua, ma c'era sempre un ronzio di
sottofondo che la distraeva e la portava lontano da lì.
Avrebbero
dovuto essere i giorni più felici della sua vita, e lei si sentiva come se
stesse rovinando tutto.
I
camerieri avevano appena portato via i piatti dei secondi quando Minto si alzò,
facendo rintoccare piano la forchetta sul bicchiere di champagne per attirare
l’attenzione, la tavolata che si acquietò pian piano.
« Buonasera a
tutti, » salutò elegantemente, un sorriso cordiale in viso, « E’ mio onore e
onere, in quanto damigella d’onore, offrire a Ichigo
e Ryo un brindisi anche in occasione di questa
piacevole serata. »
Un
mormorio di incoraggiamento felice si levò dagli invitati mentre Ichigo arrossiva imbarazzata e Shirogane
l’avvolgeva con un braccio intorno le spalle, lasciandole un bacio veloce sui
capelli scarlatti.
« Sarò breve,
dopotutto devo lasciare il meglio per dopodomani, » l’ammiccare della mora
scatenò un paio di risate, e Ichigo si chiese come
l’amica – che lei poteva vedere ancora scossa e stanca – poteva sempre
comportarsi così perfettamente, « L’unica cosa che mi preme dire stasera, oltre
a ringraziare i signori Momomiya per averci offerto
questa splendida cena, è che finalmente
posso augurare a quei due testoni tutta la felicità del mondo. Anche se,
avessero aspettato un anno di più, io avrei vinto la mia scommessa.»
Gli
invitati risero ancora, Shirogane che scosse la testa
ben poco divertito dalle continue battute su quanto ci avesse messo
effettivamente a conquistare Ichigo, e Minto continuò
tranquilla.
« Vi conosco ormai
da quindici anni. Vi sopporto da quindici anni, e Shirogane, dovresti seriamente ringraziarmi per fare
costantemente da supporto morale alla tua dolce metà, »
la suddetta protestò fievolmente, e Minto fece un respiro, il dito indice
sinistro che batteva sul tavolo che tradiva il suo nervosismo, « E Ichigo… sei la mia migliore amica. Per quanto tu sia
impossibile a volte, è davvero un onore essere la tua damigella d’onore. Siete ahimé terribilmente perfetti insieme, vi guardate ancora
come due sedicenni in piena tempesta ormonale, e io vi auguro tutta la felicità
del mondo. »
Ichigo sentì il cuore
gonfiarsi di affetto mentre si specchiava nelle iridi scure della ballerina,
un’improvvisa impressione di sollievo a quell’ennesima conferma che sarebbe
stata al suo fianco, che l’aveva perdonata, e annuì commossa, appoggiandosi di
più su Ryo, che continuava ad accarezzarle il
braccio.
« Prometto che
avrò altri racconti molto più esaltanti sabato sera, dopotutto come dicevo
siamo amiche da una vita quindi un pochino dovreste tremare, ma ora torniamo a
concentrarci sulla cena e a goderci il resto della serata! »
Un
giro di applausi salutò Minto mentre si risiedeva, Kisshu
che le mormorò qualcosa all’orecchio che la fece arrossire e alzare gli occhi
al cielo. Ichigo si alzò di scatto e girò intorno al
tavolo, raggiungendola per abbracciarla d’impeto.
« Uffff – Momomiya se mi spettini poi… ! »
« Grazie, » esclamò la
rossa, sedendosi con ben poca grazia sulle ginocchia dell’amica, la quale
comprese subito che non si stesse riferendo solamente al discorso che aveva
appena terminato. « Ciao, Kisshu-kun.
»
« Ciao micetta, »
rispose lui, divertito dall’espressione già scocciata di Minto per tutte quelle
inutili effusioni (e probabilmente anche dalle dita di lui che persistevano
nello sfiorarle svagato la curva della schiena, proprio dove terminava la
scollatura della tutina), « Elegantissima stasera. »
« Vi state
divertendo? » tastò le acque lei, incerta su quanto potesse effettivamente
indagare in quel momento.
« Prima che tu
piombassi il tuo dolce peso su di me,
sì, » borbottò Minto, cercando di farla spostare, «Pensi di rimanere qui a fare
la bambina ancora per molto? »
Ichigo rise e le si
strinse al collo un’ultima volta, Purin che ridacchiò
rumorosamente poco più in là e esclamò a gran voce di star scattando una foto
che avrebbe usato contro di loro alla prima occasione utile.
« Allora vado. Ci
vediamo dopo? »
« Siamo letteralmente a
mezzo metro di distanza, Ichigo. »
Mentre
la rossa si alzava, e Minto ricercava contegno assicurandosi che l’acconciatura
fosse assolutamente a posto, Zakuro le osservò con un
sorriso soddisfatto e materno, prima di prendere un sorso dal suo bicchiere e
scambiarsi uno sguardo di intesa con Ryo, che annuì e
sembrò esalare piano il respiro che aveva trattenuto tutto quel tempo.
**
Friday
Ichigo prese un sorso
di caffè, facendo penzolare i piedi dall’isola della cucina su cui era seduta,
addosso soltanto la camicia stropicciata del pigiama, osservando con aria
abbattuta Ryo che metodicamente si preparava un
intruglio proteico che le faceva venire il voltastomaco solo a guardarlo.
« Sei tu quella che
vuole rispettare le tradizioni, sai,» la prese in giro divertito, « Io dormo
molto bene nel mio letto. »
« AncheZakuro-san lo dice,» borbottò in risposta lei, « Non
bisogna vedersi la notte prima. »
L’americano
rise, si fece spazio tra le sue gambe nude per poggiare la fronte contro la
sua: « Hai paura che scappi in queste trenta ore? »
« Ha detto la sera, non l’intera giornata. »
Ryo le prese le
mani e se le portò attorno alla vita, baciandola dolce: «
Tanto non mi avresti considerato comunque. Devi andare con Minto e le
altre alla spa per un massaggio, no? E poi lo so che andrete in giro per
shopping dell’ultimo minuto e a una cena ben più cara di quanto mi piacerebbe. »
La
rossa mugugnò poco convinta, conscia delle tempistiche di Minto quando si
trattava di fare la pace con Kisshu, e si strinse di più a lui, avvolgendogli anche le
gambe intorno alla vita come un piccolo koala: «Non puoi andare in palestra
dopo? »
« Ginger, devo portare quei documenti in ufficio prima di sparire per
due settimane in un resort delle Bahamas. »
Lei
fece una smorfia contenta al pensiero della loro luna di miele, strusciandosi
un poco contro di lui: « E’ abbandono di consorte. »
« Futura consorte, e non ci provare, » Ryo le
diede un buffetto sul naso, strappandole un altro bacio prima di districarsi da
lei, « Devo andare, o farò tardi. »
« Okaay, » Ichigo rabbrividì appena alla
mancanza di calore, piegò la testa di lato e sporse il labbro inferiore come
una bambina indispettita, « Almeno scrivimi. »
Lui
annuì, le scostò appena la frangia dagli occhi per poterli osservare bene: « Tranquilla, red, d’accordo?»
Ichigo annuì in
silenzio, chiudendo le palpebre all’ultimo bacio che le diede e che le sembrò
durare qualche istante più del dovuto, lo salutò con un a domani sussurrato e lo seguì con lo sguardo mentre si allungava
nel corridoio per prendere la borsa da palestra.
Non
appena sentì chiudere la porta, il silenzio l’avvolse pesantemente. Aveva
evitato il più possibile di rimanere in casa da sola per lunghi periodi di
tempo, cercando costantemente le attenzioni del biondo, per quanto avesse
cercato anche di schiarirsi la testa quanto più potesse. Tamburellò con le dita
sul bordo dell’isola, sbuffando nel ricontrollare l’orologio e vedere che
persisteva integerrimo a segnare le nove del mattino, un orario che per lei
continuava a essere impensabile.
Sarebbe
probabilmente impazzita se non avesse trovato nulla da fare fino alle due di
quel pomeriggio, da sola con la sua angoscia. Ma non poteva nemmeno disturbare
le altre, a quell’ora, già le avrebbe viste più tardi, e tutta la mattina dopo…
solo a pensarci le si mozzava il fiato in gola. Non era una brutta sensazione,
non del tutto, di quello era convinta – assomigliava molto all’eccitato
gorgoglio che aveva provato alla bocca dello stomaco tutti i primi appuntamenti
che aveva avuto con Ryo, ormai così tanti anni prima,
l’euforia dell’attesa che le faceva battere forte il cuore (e spesso spuntare
le orecchie e la coda da gatto). Si tastò previdenziale la testa, giusto per
controllare che in quel momento non stesse succedendo qualcosa di simile – e
pregando sommessamente che non succedesse il giorno dopo, sarebbe stato un
guaio non da poco – e sbuffò di nuovo, le dita che continuavano a torturare il
povero piano di marmo. Allontanò la tazza di caffè, ben conscia che le stesse
facendo più male che bene, e con un saltello si rimise a terra, iniziando a
girovagare pe casa ripassandosi mentalmente ogni dettaglio della cerimonia.
Se
fosse rimasto qualcosa da fare, si sarebbe almeno concentrata su quello. Invece
era più che sicura che tutto fosse a posto, aveva ricontrollato con la sua
wedding planner la sera prima, con Minto anche, e avrebbe verificato il tutto
di nuovo appena dopo pranzo. E sperava davvero che il giorno successivo non
avrebbe ricevuto messaggi inquietanti dall’organizzatrice, non aveva proprio
voglia di dover fronteggiare qualsiasi problema che per lei, lo sapeva, si
sarebbe ingigantito più del necessario. Contò sulle dita ogni cosa che si
ricordava, dalla taglia del vestito delle damigelle all’indirizzo del negozio
già fornito a Zakuro, al numero di centrotavola per
il ricevimento. Aveva pure risolto quale tinta di rossetto nude indossare, e della manicure si sarebbe occupata la SPA.
Nemmeno
lei riusciva a credere che tutto fosse già
pronto.
Anche
se forse, una cosa da fare in fondo
c’era.
Si
bloccò nel mezzo del corridoio, tre dita ancora alzate e la bocca spalancata. Se
davvero voleva partire per il resto
della sua vita con il cuore più convinto che mai, con quell’infinitesimale
paura che la stava mangiando dentro… poteva esserci una soluzione. Poteva
sfruttare il fatto che fosse così presto, che non ci fosse nessuno con lei, che
anche Keiichiro fosse impegnato per gli ultimissimi
preparativi per il suo matrimonio e…
Fece
dietrofront senza indugiare, diretta al suo armadio. Come aveva fatto a non
pensarci prima? Come poteva esserle sfuggita la risposta a tutte le sue
domande?
La
parte più razionale di sé – quella allenata da Ryo in
anni e anni – le ricordò che forse l’aveva evitata proprio perché non era detto
che sarebbe stata effettivamente la tattica giusta per risolvere la questione,
visto che era stata essa stessa il principio di tutto quel casino. Ma
d’altronde, come peggio poteva andare? Se avevano già risolto il novantanove
percento dei problemi scaturiti, sarebbero stati risolti un’altra volta, se
necessario. E comunque, stavolta sapeva cosa avrebbe affrontato, cosa
l’aspettava, e magari c’era l’infinitesima possibilità che le cose andassero
come lei chiedeva.
Succedeva
poco spesso, ma succedeva.
Si
vestì in fretta, cacciandosi un cardigan un po’ grosso sopra il vestitino
primaverile – era maggio, a Tokyo, ma si ricordava la temperatura ostile della
sua destinazione - agguantò il giubbino di jeans e la borsetta, e si catapultò
fuori, senza pensarci, guidata soltanto dal suo istinto.
Minto
si svegliò per i baci che Kisshu le stava lasciando
languido sul collo, il corpo caldo premuto contro al suo, i vestiti della sera
prima ancora arrotolati per terra ai piedi del letto. Aprì un occhio solo
quanto bastava per dare uno sguardo alla sveglia sul comodino.
« Sono le nove e un
quarto, » mugugnò mezza addormentata e mezza divertita, « Ieri notte abbiamo
fatto le cinque. »
Lui
le sfiorò un fianco con la punta dell'indice: « Ma
dobbiamo recuperare, non trovi? »
Minto
rise, girandosi sulla schiena così da poterlo vedere in faccia: « Mi stai dicendo che ieri sera non abbiamo recuperato? »
Kisshu ghignò come un
birbante: « Non è mai abbastanza! »
Lei
finse di borbottare, ma intrecciò le braccia dietro al suo collo e ricambiò i
baci, ridacchiando e sospirando contro di lui.
« Stiamo tutto il giorno
a letto, » le mormorò, il viso premuto nell'incavo della sua spalla, «
Guardiamo un film, ci facciamo le coccole, ci facciamo portare una pizza… »
« Guarda che il
matrimonio è domani, sono a dieta ferrea! »
« Posso assicurarti che
non sarà una pizza a rovinare questo fisico da urlo. E poi non ho detto di non
avere intenzione di bruciare molte calorie. »
Minto
storse il naso, passandogli piano le mani tra i capelli: « E'
perché tu non hai visto quanto è stretto il vestito di domani. Oltre che rosa,
ma vabbè.»
« E per quanto io
non veda l'ora di adorarti in quel vestito, ti posso assicurare che non ti farò
uscire da questo letto. »
La
mora rise piano, il respiro che si spezzò appena quando la bocca fresca di Kisshu scese allettante nell’incavo dei seni: « Ho un appuntamento oggi pomeriggio con le ragazze alla
nuova SPA, è un ingresso speciale. »
« Te lo faccio io il
massaggio. »
« Kisshu! »
L’alieno
rise, poi finse di mettere il broncio: « Allora dillo
che non vuoi passare del tempo con me. »
Minto
alzò appena gli occhi al cielo: « Non posso passare tutto il giorno con te oggi. Ma da domenica
sono una donna libera. »
« Libera un corno. »
Le
fece il solletico, ridendo anche lui quando la vide contorcersi cercando di
fermarlo, il viso tra il divertito e l’arrabbiato, prima che le catturasse le
labbra rubandole il sospiro di sollievo. La baciò lentamente, sistemandosi
meglio tra le sue gambe per poter far combaciare ogni millimetro possibile di
pelle, desiderando semplicemente avvertire tutto il tepore del suo corpo, il
bisogno e la delicatezza con cui Minto si stringeva a lui, i mormorii spezzati di
flebile pizzicore ogni volta che le sfiorava le anche con la punta delle dita.
Aveva ancora gli occhi pesanti del sonno mancato la sera prima, passata molto
di più a parlare in realtà, a rimettere insieme i pezzi e a farsi promesse di
guardare avanti invece che ancorarsi al passato, che a suggellare il tutto
facendo l’amore, ma ora voleva solo accertarsi che fossero davvero lì, carne
contro carne e cuore contro cuore, senza bisogno di frasi o discorsi.
« Potresti
essere così docile e paziente anche fuori dalle lenzuola, » le mormorò, un
lampo divertito nelle iridi fulve.
« Tu non imparerai
mai a stare zitto nei momenti opportuni, » replicò lei.
Kisshu rise, le
accarezzò un’ultima volta i fianchi, stava già per infilare le dita intorno al
bordo dell’intimo che Minto indossava quando il cellulare della mora si mise a
vibrare insistentemente sul comodino. Lui grugnì insoddisfatto, concentrando la
bocca sul suo punto preferito del collo della ragazza.
« Non rispondere. »
« Potrebbe
essere importante, » borbottò lei controvoglia, allungando una mano alla cieca
per afferrare il telefono, « Metti che è quell’isterica di… »
Si
bloccò prima di terminare la frase, studiando le due chiamate perse e il
messaggino che l’attendevano sullo schermo. Kisshu
smise di baciarla, alzò la testa per incontrare il suo viso confuso e tinto di
una vaga preoccupazione.
« …Ichigo, » spiegò lei, « Dice che potrebbe fare tardi oggi
pomeriggio perché deve fare delle
commissioni e di non cercarla perché non sentirà sicuramente il telefono, e
se Ryo la cerca di informarlo. »
Si
scambiarono un’occhiata impensierita, pensando entrambi la stessa cosa. Minto
picchiettò un’unghia sullo display del cellualre,
incerta sul da farsi, prima che Kisshu glielo levasse
dalle mani per appoggiarlo di nuovo al suo posto, e intrecciasse le dita con le
sue, portandole le braccia sopra la testa.
« Lascia che faccia, »
le mormorò, « Tanto non riesci a farle cambiare idea, e io in questo momento
non ho nessuna voglia di star dietro a Ichigo. Ci
pensi dopo. »
« E se si caccia di
nuovo nei pasticci? »
« Passerotto, » Kisshu quasi guaì, lamentoso, allungandosi su di lei, « Non
possiamo sempre farle da baby sitter. Se la caverà,
qualsiasi cosa voglia fare. Vorrei pensare a noi, che dici? »
Minto
indugò un secondo, lo guardò arricciando il naso: « So io a cosa vuoi pensare. »
Lo
vide ghignare contento: « Mi puoi forse biasimare? »
Come
aveva previsto, il Caffé era completamente vuoto, Keiichiro aveva deciso di chiuderlo apposta i due giorni
prima della cerimonia per terminare in pace la notevole torta di nozze (per cui
aveva chiesto il gentile supporto nella manodopera ad un pasticcere di sua
conoscenza) ed evitare potenziali catastrofi ad essa correlata. Ichigo scelse comunque la porta sul retro ed entrò di
soppiatto, quasi in punta di piedi, scendendo con cautela i gradini fino al
piano di sotto perché non scricchiolassero.
Ora
capiva perché Pai non avesse mai gradito del tutto
che anche le ragazze avessero diritti di accesso controllati al portale su Gea.
Ichigo fece un respiro
profondo, ferma davanti allo scaffale dei coloranti alimentari, prima di
appoggiare il palmo sul legno e far scattare il pannello che nascondeva lo
scanner delle impronte digitali. A differenza degli Ikisatashi,
a cui bastava semplicemente il riconoscimento della mano, lei dovette digitare
un codice apposta, misura precauzionale in più per non allarmare né l’uno né
l’altro capo del portale quando un essere non alieno cercava di avere accesso.
Il
trillo positivo le fece capire di essersi ricordata
la sequenza giusta di numeri, e lei dovette premere con tutta la schiena,
puntellandosi sui piedi, per far scivolare lo scaffale e aprire lo spazio per
il portale. Digitò nuovamente il suo codice e, al secondo trillo della
giornata, la luce flebile di Gea la invitò a passare dall’altro lato.
Ichigo si lanciò
dentro, sapendo che non avrebbe dovuto indugiare un istante di più per non
perdere la convinzione che aveva, e subito si mise a correre in direzione della
grotta. Una parte di lei avrebbe voluto avere con sé il ciondolo Mew, ancora funzionante dopo tutto quel tempo, per potersi
trasformare in Mew Berry e saltare molto più
velocemente, ma il costume rosa sgargiante con quell’irritante campanella
avrebbe decisamente attirato troppo l’attenzione.
Arrivò
all’entrata della caverna con il fiatone e i muscoli del collo che dolevano
tanto si era guardata in giro per essere sicura che fosse troppo presto anche
per gli abitanti di quel pianeta. Si piegò appena sulle ginocchia per riprendere
fiato e farsi coraggio, ben rimembrando l’atmosfera cupa ed inquietante di quel
luogo. Avrebbe tanto voluto non essere da sola, ma dopotutto, era una questione
che solo lei poteva risolvere.
Fortunatamente
non le ci volle molto per ritrovare i segni rossi sulle pietre, i vapori della
caverna che subito le fecero apparire un accenno di mal di testa. Raggiunse veloce
lo spiazzo, che si ricordava molto più grande e meno minaccioso, e vi si mise
subito al centro, pestando i piedi per terra.
« Yuuko! » gridò, con un’audacia che non sapeva nemmeno lei da dove
provenisse, « Yuuko, ho bisogno di parlarti! Riesci a
sentirmi? »
L’eco
delle sue parole fu la sola risposta che ottenne, mescolato ai sibili del
vapore che usciva dalle crepe attorno a lei.
« Yuuko, per favore! Lo so che ci sei, da qualche parte! »
Le
sembrò di avvertire un borbottio lontano, e per un istante si chiese se non
fosse solo la sua mente che scambiava speranzosa il gorgoglio del suo stomaco
per un segnale che qualcuno la stesse davvero
ascoltando. Rimase in silenzio ancora un po’, girando su se
stessa per controllare ogni centimetro di quel luogo, desiderando di poter
sentire una voce, anche spaventosa come l’ultima volta, che le rispondesse.
« Yuuko, ti prego, » implorò
ancora, un accenno di fastidiose lacrime che le pizzicarono gli occhi.
All’improvviso,
la terra sotto i suoi piedi cominciò a tremare minacciosa, un boato che avvolse
l’intera caverna, i vapori che sembrarono farsi più forti e densi. Ichigo strinse forte le palpebre, preparandosi alla caduta
di cui ancora il suo fondoschiena si ricordava, ma le scosse si fermarono in
pochi secondi, il rumore che scemò pian piano mentre la condensa sui suoi
vestiti si raffreddava, facendola rabbrividire.
Era
forse un uccellino quello che sentiva cantare?
Si
tolse lentamente le mani dalle orecchie e aprì solo un’occhio,
preoccupata. Non era decisamente più nella caverna, ma non sembrava nemmeno nel
labirinto che si era aspettata di vedere. Sembrava piuttosto che il suolo sotto
di lei, così latteo e vaporoso, fosse quello di una nuvola.
Aprì
di scatto gli occhi e sobbalzò, tastando con cura il terreno per essere sicura
che non cedesse. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per abituare gli
occhi a quella luce così intensa, molto diversa da ciò per cui si era
preparata. In quel luogo non c’era assolutamente nulla, per quanto lei potesse
vedere, soltanto nuvole bianchicce che si avviluppavano l’una sull’altra senza
apparente fine. Eppure, era sicura di poter sentire i cinguettii lontani di
qualche volatile, come a prenderla in giro mentre lei cercava disperata di
vederne almeno uno per essere sicura di non star perdendo del tutto la ragione.
« Hai finito di
saltellare come un grillo impazzito? »
Dovette
trattenere un gridolino di spavento, sussultando un’ultima volta mentre si
voltava verso la voce svogliata e piccata di Yuuko,
stesa questa volta su un trono che sembrava fatto della stessa sostanza del
suolo intorno a loro.
« A-allora mi hai
sentita, » boccheggiò la rossa.
La
donna roteò gli occhi: « Come facevo a non sentirti,
sberciavi come una pazza. Non è molto cortese, sai, mettersi a urlare in casa
di qualcun altro. »
Ichigo aggrottò la
fronte: « La caverna è casa tua? »
« E’ una metafora,
ragazzina. Comunque. Cosa vuoi. »
Lei
si morse un labbro, a disagio per la schiettezza con cui quella donna si stava
rivolgendo a lei.
« Ehm… io… »
« Anche io non ho tutto
il tempo del mondo, sai. »
« Ci hai fatto
vedere solo cose orribili, » le parole scivolarono veloci dalla lingua della
rossa, che strinse i pugni lungo i fianchi, « E tutti continuano a dire che
l’hai fatto apposta, come per prenderci in giro. A me non interessa, » scosse la testa, cercando di mantenere salda la voce, «
Ma… ma ti prego. Domani devo
sposarmi, e mi basta anche solo un mondo, uno sprazzo piccolissimo di felicità.
Non chiedo tanto. »
Yuuko la osservò per
qualche istante, la guancia posata sul pugno chiuso, poi lanciò la testa
all’indietro e rise ad alta voce, le labbra di un rosso intenso che scoprirono
i denti perfetti: « Ela felicità ti sembra poco, umana? Tsk, tsk, tsk, »
prese un respiro profondo e fece finta di asciugarsi una lacrima con un indice
magro, « Sei proprio recidiva, allora. E io che pensavo di avervi spaventato
abbastanza. Eppure ve l’avevo detto che questo luogo non vi avrebbe lasciati
facilmente. »
La
strega si stiracchiò come un gatto e si lanciò giù dal trono, atterrando con
perfetto equilibrio sui tacchi a spillo, facendosi vicina alla ragazza.
« Però devo rendertene
conto, non molli facilmente, » commentò, « O forse sei solo testarda e non vuoi
fare i conti con la realtà dei fatti. »
« Quella non era la
realtà, » Ichigo avrebbe tanto voluto allontanarsi,
ma resistette stoica, fissando le iridi scure, « Lo sai benissimo anche tu. E
anche se fossero stati altri mondi davvero esistenti, da qualche parte, allora
sicuramente non erano gli unici. »
« Hai imparato bene
la filastrocca, vedo, » Yuuko la prese in giro,
piegando ancora la testa di lato ed osservandola con aria divertita, « Immagino
che i tuoi preziosi amici abbiano formato un circolo protettivo intorno a te
per convincerti a non far saltare in aria il matrimonio dopo che le tue
favolette sono state infrante. »
Le
nocche della rossa diventarono bianche tanto stava stringendo i pugni: « Iosono convinta
di volermi sposare. Amo Ryo più di qualsiasi altra
cosa al mondo. »
Un
sorriso inquietante si stese sulla bocca scarlatta della strega: « E allora perché sei qui? »
Ichigo tentennò un
secondo, il cuore che le batté così forte contro al petto da spezzarle il respiro:
«Perché non mi piace essere presa in giro per pura cattiveria.
»
Yuuko la fissò come
se stesse ponderando qualcosa, senza smettere di sorridere, poi sospirò
rumorosamente: « Devo capire se Shirogane
sia un ragazzo molto fortunato, o estremamente sventurato. »
La
rossa si corrucciò, confusa: « Cosa - ? »
Ma Yuuko aveva già alzato una mano, e con un sorriso perfido
schioccò le dita: « Bonvoyage. »
§§
Voi pensavate che
questa ff avrebbe avuto una fine normale, eh? ;) E
invece…. ^^
Buon pomeriggio mie
dolci <3 Mi sono tenuta un po’ da parte quest’ultimo capitolo anche perché,
come vedete, ci sono un paio di cose che devono proseguire ;) E trovandomi
momentaneamente in “vacanza forzata” (ah, i cambi di contratto, che belli -____- ) mi sto rilassando molto tra Playstation e divano mentre
aspetto segnali divini sul mio futuro xD Quindi non
sono molto nella forma mentis per scrivere,
ma ovviamente sapete che cerco sempre di impegnarmi!
Siete contente? Siete
soddisfatte, oppure vi ho fatto arrabbiare molto di più? :D
Non potevate certo aspettarvi che da un’autrice crudele come me arrivassero
cose belle tutte insieme :3
Se avrete ancora
voglia di sapere come andrà a finire, solito trucchetto: pubblicherò una one-shot a sé che andrà a
far parte della serie, dove vedrete dove va a finire Ichigo.
Questo è l’unico spoiler che posso farvi ;) Voi mi raccomandato,
seguite anche dalla spiaggia, cercherò di tenervi aggiornate anche attraverso FB :D
E ora, prima che le
note diventino più lunghe della storia, colgo l’occasione per ringraziare Sissi1978, ryanforever,
Ria e moboper le recensioni e il supporto dell’ultimo
capitolo <3 E ovviamente grazie a tutti i lettori silenziosi
:D
Un bacione, a
presto, e in bocca a l lupo a chi si trova in fase
esami!
Il
rumore dei tacchi a spillo rimbombava minaccioso, così forte nel silenzio
assoluto di quella mattina. Le strade erano gremite di persone frettolose che
volevano godersi il weekend soleggiato, ma i loro suoni non oltrepassavano
quella specie di bolla invisibile in cui stava passeggiando. Il suo aspetto, il
suo incedere deciso avrebbero sicuramente attirato l’attenzione di chiunque, ma
invece nessuno si curava di lei, pur se tutti le cedevano il passo e si
facevano largo per non ostacolarle il cammino. Il fumo di quella sigaretta
inesauribile la seguiva ondeggiando lento, emanando un vago odore di rose
invece che la prevedibile puzza di tabacco. Schioccò appena le dita per far
cadere un po’ di cenere sfrigolante e portò indietro i capelli, sorridendo
appena soddisfatta, le labbra ancora più rosse del solito.
Gli
umani non cambiavano mai, non importava quanto tempo passasse tra una visita e
l’altra. Sempre di corsa, sempre imprudenti, sempre più concentrati sui loro
problemi che su quelli altrui, spesso più grossi. Sempre così inconsci di tutto
ciò che li circondava e che avrebbero potuto perdere, a meno che non li
mangiasse direttamente il naso. Eppure, a volte, lei li trovava così
affascinanti nella loro caparbietà, nei loro sentimenti, nelle loro decisioni
che anche a lei sembravano incredibili.
Ovviamente,
non avrebbe mai voluto prendere il loro posto.
Tirò
appena le code del lungo vestito nero mentre prendeva una curva a destra, ormai
vicina alla sua destinazione. Si soffermò un istante a pensare se, vista
l’occasione, fosse il caso di un cambio d’abito, e con una risatina soffocata
schioccò le dita, cambiando il colore del tessuto in un blu petrolio scuro. Un
po’ più adatto, ma sempre tenebroso, in ogni caso.
« Siamo in casa, non
possiamo averla persa. »
« E’ chiusa a
chiave quella porta, sì? »
La
vecchia chiesetta in stile occidentale si stagliò di fronte a lei, che sospirò
poco impressionata. Era tutta una scena, ovviamente, tutto per stile. Non
doveva nemmeno stupirsi, quella ragazzina
era stata così prevedibile fin dall’inizio che quasi non era stato divertente
giocare un po’ con lei. Anche se doveva ammettere che era rimasta stupita dalla
sua cocciutaggine e dalla resilienza che tutti e quattro avevano dimostrato;
ogni volta che li rincontrava (anche se purtroppo loro non potevano né saperlo
né ricordarselo), una parte di lei doveva lottare perché non fosse troppo di
parte nei loro confronti.
Però
doveva ammettere che era davvero divertente intrattenersi
con loro. E specialmente dare sui nervi a quel tenace di un biondino.
Oh
be’, si disse ridacchiando ancora, i tacchi che magicamente sembravano immuni
alla ghiaia che circondava la piccola e romantica costruzione, almeno in quella situazione lui era riuscito a
ottenere il suo agognato premio. Tanto valeva fargli ancora un altro, piccolo, banalissimo regalino.
Si
appoggiò soddisfatta ad una delle ultime colonne, in ombra pur sapendo che
nessuno avrebbe mai potuto vederla, spiegò le labbra in un sorriso divertito, e
schioccò le dita.
« Ammettilo che vuoi farmi
venire una crisi isterica. E metti giù quella ciambella! »
« … ho fame perché
sono nervosa. »
« No, tu hai sempre
fame. Cosa ti salta in testa sparire così!»
Ichigo
fece un respiro profondo e gemette sottovoce mentre si lisciava per l’ennesima
volta le pieghe invisibili del corpetto attillato: « Ho
la nausea. »
« Hai la nausea
perché stamattina ti sei divorata quattro ciambelle e due croissant invece che
lo yogurt e la frutta che ti avevo suggerito. Meno male che la onee-sama ti ha fatto allargare il vestito.»
« No, no, è una nausea
diversa. »
Zakuro
le si avvicinò sorridendo, porgendole il bouquet: « Andrà
tutto bene, tranquilla. Posso far entrare i tuoi? »
La
rossa esalò piano, un piede che batteva nervoso a terra: «
Ancora due minuti. »
« Dopotutto, se
fosse in orario proprio oggi di tutti questi giorni, apriti cielo, » Minto
scherzò sarcastica, ma non sfuggì a nessuno la nota emozionata e allegra nella
sua voce. Ichigo le fece una smorfia, stringendo forte le dita attorno al
rigoglioso mazzo di fiori. Non vedeva l’ora di oltrepassare quella porta e
raggiungere Ryo. Voleva iniziare il
prima possibile ufficialmente il resto della loro vita insieme. Quasi
non credeva che il momento fosse davvero arrivato, che finalmente fossero lì, a così poca distanza dal futuro. Sentiva le
farfalle nello stomaco agitarsi piacevolmente, spingerla a uscire da quella
stanza e correre a ricordargli quanto lo amasse.
Ecco,
però magari in un’altra vita avrebbe deciso di non avere oltre 150 invitati.
Le
venne da sorridere e si impose di non mordersi il labbro, rovinando il rossetto
nude che Minto le aveva applicato con
la solita maestria. La mora le si avvicinò in quel momento, aggiustandole piano
i ciuffi liberi dello chignon scomposto e assicurandosi che il velo fosse
saldo.
« A posto? » le
domandò sottovoce.
Ichigo
si specchiò negli occhi scuri dell’amica, e sorrise di rimando: « Prontissima. »
§§§
Ma
buonasera fanciulle <3 Non so se vi aspettavate questo “bonus” extra di
spiegazioni finali, ma mi sono sentita buona – anche dopo essere sopravvissuta
a un weekend con Ria ;) – e ho deciso non solo di pubblicarlo, ma di farlo
anche abbastanza in fretta :3 Anche perché voglio concludere la serie e
andarmene in vacanza per un pochetto, senza pensare troppo alle ff :D
Siamo
quindi arrivati ufficialmente alla conclusione di A ThousandWorlds To Break OurHearts!! Ammettetelo che pensavate sarebbe andata molto
peggio ;) Spero che questo mini ending abbia
dissipato completamente i vostri dubbi e le vostre domande, in fondo anche Yuuko si è dovuta ricredere ;) A questo proposito, vediamo
chi mi coglie le citazioni e soprattutto chi capisce che “regalo” ha scelto di
fare a Ryo (aiutino/spoiler: no, non è il ritrovare Ichigo, lei si era semplicemente nascosta da
qualche parte in casa di Zak a mangiare XD).
Grazie
a chi ha seguito fedelmente tutta la serie fin dal principio e anche chi ha
fatto un salto ogni tanto: Ria, ryanforever, Sissi1978, Endorphin_94, Querdenker,
mobo, Red Inkheart, Akatsuki, PervincaViola, Erisuchan, mergana, Verde
Pistacchio.
Spero
di tornare presto, rinfrescata e con nuove ide :D Un bacione a tutti e buona
estate!!