Epilogue - The one where we can choose

di Hypnotic Poison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Bonus ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


EPILOGUE: THE ONE WHERE WE CAN CHOOSE




Saturday


Il mondo sembrava sottosopra.
Se quello era davvero il mondo.
Qualcosa tirava all'altezza dell'ombelico, risucchiandoli, comprimendoli, il rimbombo di suoni e scene che si fondeva alle loro carni bruciando senza sosta tutto ciò che incontrava.
«Non ho più voglia di giocare.»
«Good luck, kitty cat. See you around.»
C'era dolore fisico, c'erano cuori in mille pezzi, c'era la sensazione di vuoto allo stomaco durante un giro della morte sulle montagne russe, la scarica di adrenalina che ne seguiva e l'euforia della libertà mista a paura. C'era il pizzicore dei graffi sulla pelle e delle lacrime sulle guance, la nausea di una trottola senza sosta e l'ottundimento da mille pensieri che si moltiplicavano accartocciandosi furibondi senza risposte, soluzioni, decisioni.
« Per una volta, avresti fatto tu un passo verso di me. »
Tutto continuava a girare, girare, su se stesso e sottosopra, e si rivoltava, un vortice di luce e immagini senza tregua che si avviluppava intorno a loro come un serpente, avanti e indietro, e poi avanti di nuovo. Occhi dappertutto, e sorrisi, e urla, e finte risate, e unghie, e ancora occhi, e ricordi, come rami appena sbocciati che si intricavano a loro e tiravano feroci, avvolti come spire che mozzavano il fiato nei polmoni in fiamme.
Basta.
«Sei caduta nella trappola delle tue favolette, conosci il principe azzurro e nel giro di un anno decidi di sposartelo.»
Basta.
«Ma ho smesso di essere l’unico che scende a compromessi.»
Basta!
I palmi di Ichigo batterono sul sentiero di terra color ocra, la pelle morbida che stridette all’attrito, e lei riprese coscienza del peso del suo corpo, del dolore alle ginocchia premute per terra, dei muscoli indolenziti. La testa continuò a girarle e si costrinse a tenere gli occhi chiusi per controllare la nausea, lo stomaco raggelato e il cuore pesante, e quelle lacrime che sentiva già pizzicarle le palpebre.
Quanto era durato?
Le immagini continuavano a vorticarle in testa implacabili, ognuna una scheggia nel petto, un frammento di rabbia per la sua testardaggine e i dubbi e tutte le volte che non sapeva dire di no.
Una risatina divertita e squillante, quasi a conferma, spezzò il silenzio.
«Viaggetto interessante, vero?»
Yuko stava passeggiando languida in mezzo a loro, a passi larghi e tranquilli, le code del vestito che sfioravano i quattro in terra. La sigaretta, nel suo beccuccio, continuava tranquillamente a rilasciare nuvole di fumo, senza parvenza di starsi consumando.
« E poi non ditemi che non vi avevo avvertito! »
Kisshu si lasciò cadere di schiena, a braccia aperte, cercando di riempire i polmoni e borbottando sottovoce: « Vaffanculo te e la tua risatina del cazzo. »
Yuko, ovviamente, poté sentirlo, ma si limitò a scuotere le spalle gongolante mentre ritornava al suo trono sospeso in aria: « Ah, ve l'avevo detto che voi siete il mio passatempo preferito. Così sciocchi, ingenui. Pensate sempre di sapere cos'è meglio per voi e non accettate ragioni. È così intrigante vedervi cadere. »
Ryo si alzò su gambe instabili, cercando gli occhi di Ichigo e porgendole una mano per aiutarla a tirarsi in piedi, ma lei continuò a boccheggiare in ginocchio.
« L'hai fatto apposta? » domandò alla donna in fronte a loro.
Lei rise, una mano che le coprì la bocca rossa in maniera infantile: « Io? Non c'entro proprio nulla. Non so nemmeno cos'abbiate visto, anche se a giudicare dalle vostre facce, è andato tutto esattamente come vi avevo avvertito sarebbe andato. »
Appoggiò le braccia sui braccioli puntuti del suo trono nero, guardandoli con occhi stretti.
« Come pensate di sentirvi, ora? »
Ryo la ignorò, così come ignorò la nausea che gli stava stringendo lo stomaco, si accucciò vicino alla sua fidanzata e le scostò i capelli dal viso, afferrandola per le spalle: « Ichigo, forza, alzati, dobbiamo andarcene da qua.»
Lei si alzò come fosse un automa, gli occhi fissi sul terreno polveroso: « … voglio sapere se sono cose vere,» mormorò con un filo di voce, « Voglio … »
« Ah, voglio, voglio, voglio, » Yuko le fece il verso con una vocina acuta, alzando gli occhi al cielo con aria scocciata, « Quindi proprio non l'hai capito che è proprio questo che vi causa così tanti problemi. E io che pensavo che magari questi viaggetti vi avrebbero fatto capire qualcosa. Così ottusi, » appoggiò la guancia al pugno chiuso, sospirando scontenta « Costanti delusioni, voi umani.»
Kisshu non prese nemmeno la briga di correggerla nuovamente, più concentrato sul tirare in piedi una Minto che, contrariamente al suo solito, non aveva ancora spiccicato parola e sembrava più pallida del normale.
« Stai bene? » le domandò sottovoce, scostandole le ciocche disordinate che le cadevano attorno al viso per prenderglielo tra le mani.
Lei scosse la testa in una maniera che non voleva dire né sì né no, puntò lo sguardo anche lei verso il suolo mentre il labbro inferiore le tremò appena, senza che riuscisse a emettere suono.
« E' un po' tardi per preoccuparsi di questo, non credi, Kisshu? » commentò divertita Yuko.
« Tortorella? »
La mora lo ignorò, guardò da sopra la sua spalla la donna avvolta di nero: « Come ce ne andiamo da qua'? » domandò con voce roca.
« Minto. »
Kisshu la chiamò con tono più fermo, cercando di voltarle il volto quanto bastava, ma lei rimase stoicamente rigida, le iridi scure piantate in quelle divertite della padrona di quel posto. Questa rise ancora un po', mosse rapidamente le dita: « Avete già deciso di privarvi della mia compagnia? »
« Sinceramente non è la compagnia migliore che abbia mai avuto, » sibilò il verde, per poi riconcentrarsi sulla sua ragazza, « Mi vuoi rispondere? »
« Kisshu, smettila,» lei si scostò infastidita, allontanando le sue mani e facendo qualche passo di più verso Yuko, « Per favore, mi faccia uscire da qua. »
« E io che credevo che voi Mew Mew non scappaste mai, » replicò sarcastica la donna, controllandosi le unghie laccate di nero, «Credi che sarà così facile lasciare indietro i risultati della vostra stessa cupidigia?»
« Intanto andarcene sarebbe un ottimo passo avanti, » Ryo sbottò, i palmi ancora stretti attorno alle spalle di Ichigo, « Davvero, non credi di aver già ottenuto abbastanza divertimento per oggi? »
« Per me non c'è un oggi, o un domani, o un quando, Shirogane, » Yuko rise quasi con gusto, un movimento sinuoso del polso e la sigaretta che le ricomparve fumante tra le dita, « Ma se per voi è davvero così importante lasciare questo luogo… »
« Vorrei tornare alla vita reale, grazie. »
Yuko prese un lungo tiro, il fumo che volò fino ai quattro, poi sorrise in maniera inquietante: « Sappiate, però, che solo perché lasciate questo posto, non significa che esso lascerà voi. »
Kisshu aggrottò la fronte: « Cosa — ? »
Ma la donna aveva già schioccato le dita, avvolgendoli nella stessa luce abbagliante che li aveva inghiottiti all'andata. Il tempo di un battito di ciglia, della familiare morsa fredda allo stomaco, un tuono lontano, e si ritrovarono seduti tra i vapori umidi della grotta su Gea.
Il sibilo lento delle esalazioni non venne interrotto, erano troppo sbigottiti per poter davvero parlare, le interiora ancora rivoltate e acide, le teste pesanti e confuse. Ripercorsero in silenzio il sentiero che li aveva portati fino a lì, senza quasi utilizzare le torce dei cellulari, i segni rossi sulle pietre che diventavano via via sempre più visibili all'avvicinarsi dell'uscita. L'odore e la frescura dell'aria pulita li investirono sul volto come un toccasana, e si affrettarono ad allontanarsi da quel luogo buio.
Solo una volta all'aria aperta, Ryo studiò contemporaneamente l'orologio al polso e lo schermo del cellulare.
« Sono… passati soltanto quarantacinque minuti in tutto, » borbottò confuso, «Com'è possibile… ? »
« Direi che di cose impossibili ne abbiamo viste abbastanza, » esclamò acida e sardonica Minto, le braccia strette al torso, « Non saprei nemmeno più come stupirmi oramai. »
La punta di rabbia nella sua voce non risultò estranea nemmeno a Ichigo, che tentò di avvicinarsi all'amica, una mano tesa verso di lei: « Minto-chan, io …»
La mora, però, reagì come prima, scostandosi di scatto con fastidio e astio: « No. Ho odiato quest'idea dal principio, non c'è stato verso di farvelo capire perché come al solito avete voluto fare solamente come interessava a voi, e guardate in cosa ci siamo cacciati! »
« Passerotto, non è così — »
Kisshu venne interrotto dall'occhiata di pura collera che la mora gli rivolse, un po' troppo tremore salato nelle sue iridi, e lei si voltò di scatto, deglutendo il groppo che sentiva in gola prima di esclamare con voce roca: « Voglio andare a casa.»
« D'accordo, » scambiandosi uno sguardo con Shirogane, l'alieno riprese la testa del gruppo, camminando molto più veloce di quanto avesse fatto all'andata.
Anche in quel momento, nessuno osò proferir parola, avvertendo il cambiamento nell'atmosfera, il tumulto di pensieri che li aveva invasi. Ichigo si strinse di più nel cappotto che portava, ben conscia che il Sole di quel mattino stesse riscaldando il pianeta molto di più di quanto lei potesse avvertire, eppure non aveva il coraggio, in quell'istante, di avvicinarsi al corpo rassicurante di Ryo come faceva di solito. Rimase ultima, il fiato corto non per gli sforzi di quelle camminate, lo sguardo che oscillava tra la schiena del suo fidanzato e quella della sua migliore amica, a pochi passi da lei eppure così lontana.
Il destino gli risparmiò almeno di incontrare qualcuno, l'albero con il pannello per aprire il portale che si stagliò a pochi metri da loro come un totem di sollievo. Kisshu quasi schiaffò la mano sopra il tronco, e tutti e quattro si catapultarono fuori dal passaggio senza voltarsi indietro.
Si ritrovarono al Caffè così presto che nemmeno Keiichiro stesso era arrivato, approfittando degli orari più tranquilli del weekend. Minto quasi si catapultò fuori dalla dispensa, precedendo tutti gli altri fino alla porta sul retro, che aprì di forza appoggiandoci il suo peso.
« Cerchiamo di non distruggere le cose, magari, » commentò piano Ryo.
« Vai a quel paese, Shirogane, » rimbrottò la mora, « Se proprio ne fossi così preoccupato te la ripagherei.»
Kisshu intimò al biondo con un'occhiataccia di non azzardarsi ad aprir bocca, sfiorando una mano della sua ragazza: « Meglio se andiamo, eh? »
« L'hai capito, finalmente, » borbottò sottovoce lei, limitandosi a porgergli un dito.
Ichigo le lanciò uno sguardo colpevole, fece per avvicinarsi a lei: « Minto-chan, ascolta — » ci riprovò ancora, ma la mora scosse la testa, evitando di guardarla.
« Non avrei mai dovuto darti retta, Momomiya, » sibilò.
L'alieno fu svelto a stringerle il polso e teletrasportarli nel loro appartamento, mal sopportando anch'egli lo sguardo da cucciolo bastonato della rossa e ben sapendo che la situazione avrebbe solo potuto degenerare.
Il silenzio della loro casa – solitamente così accogliente e rassicurante - cadde su di loro come una cortina quasi minacciosa, una tensione palpabile che correva tra i loro corpi e che probabilmente non avevano nemmeno mai provato. E nessuno ebbe il coraggio di ammettere a se stesso che quella casa assomigliava terribilmente a una di quelle che gli erano state mostrate in quella folle mattinata.
Minto sbatté la sua borsetta a terra, rimanendo immobile nell'entrata, i pugni stretti lungo i fianchi e il volto verso il pavimento. Kisshu fece un sospiro, passandosi irritato una mano tra i capelli.
« Pensi che sia un deficiente per aver accettato quest'idea di merda. Dillo, su. »
La mora prima emise uno sbuffo poco convinto, poi fu presa da una risatina tra l'isterico e il cattivo: «Ovviamente sarebbe finita così. Non ne sono nemmeno stupita, guarda. Ovunque mi giri tu e Ichigo, tu e Ichigo, sempre tu e Ichigo. »
Un'ombra buia cadde sul volto dell'alieno: « Non abbiamo registrato altro, eh? »
« Sono stanca di avere sempre questa cosa sbattuta in faccia! » Minto non si accorse nemmeno di star urlando, sbattendo il piede a terra.
« Cazzo, Minto, sono passati quasi quindici anni. »
« Evidentemente no. »
« Secondo me ti fa comodo far fare sempre a me la parte del cattivo, quando sai benissimo anche tu cos'hai visto,» sbottò irato lui, seguendola mentre marciava furibonda verso il salotto, « Pensi sia stato così elettrizzante vedere una versione di te che se ne andava tra le braccia di qualcun altro? »
Lei si sentì punta sul vivo, l'orgoglio che reagì ruggendo: « Come se non si fosse capito benissimo che tu come al solito avevi fatto chissà quale idiozia. »
Kisshu sbatté rabbiosamente il palmo contro il muro, facendola sobbalzare: « Ma mi stai prendendo per il culo? »
« Vuoi forse negarlo?! »
« No, perché a me sembra di aver visto la nostra relazione andare a puttane perché la principessina è incapace di cambiare una virgola o fare un compromesso! »
Minto voltò il viso dall'altra parte, mordendosi un labbro: « Forse se fossi stato meno concentrato a far da cavalier servente a Ichigo… »
« Porca puttana, Minto, non provare a cambiare discorso! » la voce arrochita del verde rimbombò per l'intero appartamento, « Anzi, il problema è proprio quello, la tua totale incapacità di provare a cambiare qualsiasi cosa!»
« Se c'è qualcuno che dovrebbe cambiare qualcosa, quello sei tu! » strillò di rimando lei, « Sempre con le stesse fisse … ! »
« Sei tu quella con le fisse! Come se io non mi facessi il culo tutti i santissimi giorni per questa relazione, con te che al primo minimo dettaglio sbagliato o momento difficile ti metti a fare la stronza egoista. »
« Allora perché non te ne vai, eh? » Minto cercò di dargli una spinta, le gote infuocate e gli occhi che brillavano di rabbia, « Se è tutto così difficile per te! »
« Perché io non sono quello che si arrende al primo tentativo! »
« Evidentemente non hai fatto abbastanza tentativi con Ichigo, alla fine ha scelto Shirogane lo stesso. »
« Ah, oppure sì, al penultimo giro mi sembra di avercela pure fatta. »
La vide irrigidirsi prima di dargli una spallata e oltrepassarlo, diretta verso la camera da letto, di cui fece sbattere la porta. Kisshu fece un respiro profondo e si strinse l'attaccatura del naso, cercando di placare il sangue che gli ribolliva nelle vene.
« Questa situazione sta diventando paradossale, » esclamò a voce alta così che lo potesse sentire, un passo lento alla volta per recuperare la calma, « Vorrei solo farti notare che, in ogni caso, non siamo in nessuno di quei mondi che pensiamo di aver visto, e che io qui ho scelto te. Quindi smettila di comportarti da deficiente e stammi ad ascoltare, visto che proprio non puoi fare a meno di scappare senza poter ammettere che in realtà ti rode il culo perché ti hanno sbattuto in faccia quanto anche tu possa essere impossibile. »
« Io sarò anche impossibile, » Minto si voltò con odio verso di lui non appena udì il soffio leggero del teletrasporto che aveva imparato a riconoscere negli anni, « Ma almeno non sono un coglione che muore dietro ad una stronza che non si accorgerebbe di niente nemmeno se glielo scrivessero in fronte. »
Fu il turno di Kisshu di raggelarsi, un familiare tirare della pelle cicatrizzata sul suo petto.
« Vuoi proprio tirare fuori questa storia allora, eh? » mormorò con una collera che non riconosceva da molto tempo, « Allora sì, d'accordo, l'ho amata, e sì, perfetto, sono morto per lei. Bene, lo sappiamo. A volte vorrei che non fosse stato così, ma non ci posso fare nulla. Vuoi cambiare il passato, per caso, o vuoi metterti in testa che mi sono messo l'anima in pace da un sacco di tempo? »
« L'anima in pace?! » ripeté stridula lei, quasi sconvolta e ancora di più arrabbiata.
« Sai benissimo cosa intendo! »
« No, non lo so! »
« Senti, Minto, vaffanculo eh, » Kisshu l'aggirò, entrando dentro la cabina armadio che condividevano, «Ti stai comportando come se fosse successo davvero! »
« Mi sembrava tutto parecchio reale! »
«Ci fossi almeno andato a letto… ! »
Minto, che l'aveva raggiunto, si ammutolì di colpo, la bocca che si strinse in una linea sottile mentre due lacrime traditrici si affacciarono negli occhi scuri.
« Ti sarebbe piaciuto, eh? »
Il verde non riuscì nemmeno a guardarla, prese un borsone nero dal ripiano più alto dell'armadio e cominciò a gettarci dentro delle magliette a casaccio.
« Mi sono rotto i coglioni, » sibilò furente, gli occhi dorati anneriti, « Mi sono rotto i coglioni di dover essere trattato come se qualcosa che non è nemmeno successa fosse tutta colpa mia, e come se la verità di quello che provo non contasse un cazzo. Non vuoi ascoltarmi, bene, allora stattene per i cazzi tuoi. »
« Oh andiamo, vuoi fare il drammatico ora? » lei rimbrottò di rimando, senza ottenere risposta. Kisshu la oltrepassò, così furioso da camminare a passi pesanti verso la porta d'ingresso, il borsone gettato su una spalla. La mora lo seguì, il cuore che batteva violento contro al petto.
« Non abbiamo finito, sai! »
« Oh, invece sì, dolcezza, non ho intenzione di stare qui a prendermi dell'altra merda. »
« Kisshu, guarda che se esci da quella porta … ! »
Lui si voltò appena, guardandola sprezzante: « Ma dai, non dirmelo: non mi verresti a prendere. Figuriamoci, se la principessa si abbasserebbe mai a qualcosa di talmente ignobile. »
« Kis — »
Minto fece un passo avanti, ma lui le lanciò un ultimo sguardo carico di collera, e si chiuse la porta alle spalle sbattendola senza remore.


Ryo lanciò di nuovo un'occhiata alla fidanzata seduta nel sedile affianco, che non aveva ancora aperto bocca da quando avevano lasciato il Caffè. Aveva passato tutta la durata del tragitto in macchina fino a casa in silenzio, voltata il più possibile verso il finestrino, i lunghi capelli rossi che facevano da cortina per nasconderla quanto più potesse dalla sua vista.
Non che lui fosse di un umore migliore, visti i risultati di quella scampagnata. Già doveva ammettere di essere un rancoroso di natura, e doveva passarne del tempo prima che lui potesse andare oltre certe cose. Se poi determinate cose gli venivano fatte passare sottomano con immensa tranquillità e solo ed esclusivamente per colpa sua…
Fece appena in tempo a far entrare l'auto in garage e spegnere il motore, che Ichigo già caracollò fuori dall'abitacolo verso la scala che portava direttamente in casa, la borsa stretta al petto.
« What the… »
Ryo le corse dietro, per una volta contento che i suoi geni di gatto non si fossero completamente acquietati dopo tutti quegli anni, e la raggiunse appena oltre l'ingresso, afferrandola piano per un polso.
« Ichigo, aspetta, aspetta. »
La voltò verso di lui e, come si aspettava, aveva già le guance rigate dalle lacrime.
« Ho rovinato tutto! » pigolò disperata, quasi vergognandosi troppo per ricambiare il suo sguardo « Io volevo solo che – che fosse tutto… ! »
Ryo sospirò e la strinse a sé, sussurrandole piano all'orecchio perché calmasse i singhiozzi che la scuotevano.
« E' stata una stronzata, d'accordo, ma non è la fine del mondo. »
Ichigo gli si aggrappò alla camicia come un gattino affamato: « Non mi odi? »
Il biondo non riuscì a esimersi dall'alzare gli occhi al cielo: « Ovvio che non ti odio, scemotta. In questo preciso istante non sono molto contento né fiero di averti dato retta, e devo dirti che sono anche abbastanza incazzato per tutta questa questione, ma non posso odiarti, capito? »
La rossa replicò con un mugolio confuso, strusciando il viso contro il suo petto.
« Non doveva andare così… » sussurrò poi.
L'americano sospirò ancora, si spostò appena per prenderle il viso tra le mani: « Ichigo, ascoltami bene, » le asciugò un'ultima lacrima, piantando le iridi chiare nelle sue, « Non è cambiato assolutamente nulla, d'accordo? Tutto quello che abbiamo visto probabilmente non è nemmeno reale. D'accordo, ci vorrà un po' per riprenderci dallo shock, ma è tutto come prima. Quello che conta è qui e ora, nient'altro. Non c'è nient'altro. Io ti amo, e ho tutta l'intenzione di sposarti tra due settimane e passare il resto della mia vita con te, fanculo a impossibili mondi paralleli. »
Ichigo tirò su con il naso e poi annuì, abbassando di nuovo lo sguardo prima di stringerlo in un abbraccio, cercando il suo calore.
« I love you, Red,» le ripeté lui a bassa voce, lasciandole un bacio sulla testa.
Rimasero abbracciati ancora qualche istante, Ryo che continuò ad accarezzarle piano la schiena finché non fu sicuro che si fosse calmata un po'.
« Credo che andrò a farmi un bagno, » mormorò infine lei, passandosi un'ultima volta i dorsi sulle guance per cancellare il pizzicore delle guance.
« Vuoi che ti raggiunga? » le domandò il biondo.
Ichigo tentò di abbozzare un sorriso: « Magari dopo, ti spiace? Voglio solo… rintontirmi. »
« D'accordo, » Ryo le diede un buffetto sul naso, « I'll make us pancakes for brunch, alright? »
La rossa tentò nuovamente di sorridere e annuì pigramente, dirigendosi al piano superiore con lentezza. L'americano rimase a guardare la sua schiena, le spalle un po' incurvate, finché non sparì nel corridoio, poi lanciò la testa all'indietro ed esalò esausto.
« What the fucking fuck. »


**


Retasu asciugò con un panno l'ultimo piatto che le passò Pai e lo ripose accorta nella credenza, rivolgendo un sorriso di ringraziamento al marito.
«Abbiamo fatto un po' tardi stasera, » commentò lui, lanciando un'occhiata all'orologio appeso alla parete.
La verde si accarezzò sovrappensiero il pancione: « E' sabato, dopotutto, e c'era una marea di vestitini dei fratellini di Purin-chan ancora in perfette condizioni, non è stato semplice scegliere qualcosa senza di lei. E poi mi sembrava che tu e Taruto foste davvero impegnati con la Playstation. »
L'alieno ignorò quel commento e la seguì in salotto, pronto a rilassarsi mezz'ora con uno di quegli sciocchi programmi umani.
« Più che altro, non ho sentito né Ichigo-chan né Minto-chan, oggi, » continuò la moglie, aggrottando preoccupata la fronte, « Di solito il sabato sera facciamo sempre qualcosa… era oggi che dovevano andare su Gea? »
Pai sbuffò irritato: « Non mi dire che hanno continuato a dare retta a quella storia. I passaggi nel portale vengono controllati, lo sa quell'idiota di mio fratello? »
« Sono sicura che - » Retasu aveva già preso in mano il cellulare, quando il trillo del campanello l'interruppe. Si scambiò uno sguardo con il viola, incuriosita. « Non stavamo aspettando nessuno, vero? »
« Non che io sappia. »
Pai si alzò dal divano, incerto, e controllò dal buco dello spioncino un istante prima di sbuffare. Retasu lo guardò interrogativa, ma gli occhioni blu si tinsero di preoccupazione quando vide chi sostava dall'altra parte dell'uscio, grondante di pioggia.
« Kisshu-kun! » esclamò allarmata « Che succede? Che ci fai qui? Perché hai… ? »
Lui ignorò palesemente il fatto che la mewfocena si fosse concentrata sul borsone nero ai suoi piedi, e cercò di sbarazzarsi di quanta più acqua possibile sui gradini dell'ingresso: «Scusate l'interruzione e la mancanza di preavviso, ma… mi sarebbe molto comodo il vostro divano, per un po'. »
« Che hai combinato? »
Retasu lanciò un'occhiataccia al marito e lo costrinse a scostarsi così che Kisshu potesse entrare: « Non c'è nessuno problema,» si affrettò a incoraggiarlo, «Vai subito in bagno a farti una doccia prima che ti prenda la polmonite, ci sono gli asciugamani puliti nel mobiletto blu. Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo intanto? »
« Pesciolina, tu sei la migliore, ma sono a posto, grazie, » le rivolse una smorfia in cui lei non poté non scorgere la tristezza, « Mi basta solo un cuscino e dodici ore di dormita. »
« D'accordo, se cambi idea fammi sapere, non è un problema, » la verde gli ricambiò il sorriso, cercando di apparire rincuorante, « Ti preparo il tatami nella camera del bambino, tanto per altri tre mesi sarà vuota.»
Kisshu annuì appena, bofonchiando un grazie poco convinto, e si chiuse in bagno, il rumore dell'acqua corrente che seguì poco dopo.
« Io però vorrei sapere che diamine ha combinato prima di dargli asilo politico,» borbottò Pai.
Retasu gli diede un colpetto sul braccio: «Non vedi che faccia aveva? Deve essere successo qualcosa di grave. Dici che devo chiamare Minto-chan e dirle che è qui? »
« Qualcosa mi dice che è l'ultima preoccupazione di Aizawa, in questo momento. »
La moglie soppesò il cellulare che ancora stringeva, poggiandoselo contro al mento mentre rifletteva, poi lo sbloccò e digitò velocemente.


Ichigo era stesa sul letto a fissare il vuoto del soffitto quando il cellulare le trillò a pochi centimetri dall'orecchio. Lo cercò a tentoni con un grugnito, troppo spossata anche solo per girarsi di pancia, e se lo fece cadere sul naso non appena se lo portò di fronte.
« Ahia, » si lamentò da sola, digitando tre volte il codice prima di beccarlo.

Kisshu è qui da me. Ha una cera un po' brutta, sai se è successo qualcosa con Minto-chan?

 
Sentì il cuore affondarle colpevole nello stomaco; emise un mugolio incerto, appoggiandosi le mani sugli occhi come se ciò avrebbe contribuito a farla pensare meglio. Si sarebbe data una pacca in testa da sola. Fece un paio di respiri profondi, poi tese l'orecchio: anche se era sabato sera ormai avanzata, Ryo era chiuso nel suo studio probabilmente impegnato a scaricare la tensione con dei videogiochi – non che lei potesse biasimarlo, dopotutto, anzi, era stato così incredibilmente paziente con lei… e lei aveva bisogno davvero di starsene un po' da sola in silenzio, a riordinare i pensieri.
Rotolò giù dal letto e camminò a piedi scalzi sul largo tappeto bianco, sentendosi nervosa come non mai. Non si ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva litigato con Minto, e dopo quella mattina… prese un'altra boccata d'aria, raggiunse la finestra dal vetro bagnato e ci appoggiò la fronte, cercando un po' di frescura mentre scrollava lentamente l'elenco dei nomi in rubrica.
Il cellulare squillò a vuoto cinque o sei volte, ogni trillo un battito più forte del suo cuore, finché non si udì il click della linea che finalmente trovava risposta.
Ichigo sbatté le palpebre un paio di volte, a disagio per il silenzio dall'altra parte: « Minto-chan? »
Poté udire un po' di staticità, prima che la risposta arrivasse in un sospiro nervoso: « Dimmi. »
« Ehm, ciao, » Ichigo picchiettò l'unghia del dito indice contro al vetro, seguendo il tragitto di una goccia, « Volevo sapere come stavi, Reta-chan mi ha scritto perché — »
« Francamente, Ichigo, non mi interessa. »
La rossa rimase appena spiazzata, la voce gonfia dell'amica incapace di non far trasparire gli evidenti indizi del pianto: « Minto-chan, io… »
« Tu, tu, tu, sempre tu, » l'interruppe con astio la mora, « Lo abbiamo capito, direi, che questo è il problema, no? Volevi il tuo bel lieto fine, be', complimenti. »
Ichigo si morse il labbro inferiore, gli occhi che già cominciavano a pizzicare: « Lo sai che non volevo che… pensavo sarebbe stato… »
« Come, Ichigo, come?! » non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva sentito Minto strillare sul serio, « Devi crescere, è ora di smetterla di credere alle favole! Santo cielo, ma dopo tutto quello che abbiamo passato da quando avevamo tredici anni, tu davvero credevi che sarebbe andato tutto come nel tuo stupido libro? Per quanto io stessi con un diamine di alieno di un altro pianeta, la realtà delle relazioni è comunque molto diversa dalle tue fantasie di Cenerentola, quindi la prossima volta che ti fai assalire dal panico pre-matrimoniale, abbi la grazia di lasciarmi fuori e smetterla di rovinarmi la vita! »
Nonostante il gelo che le calò addosso nel sentire quelle parole, a Ichigo non sfuggì il riferimento en passant a Kisshu, che le fece stringere ancora di più lo stomaco in una dolorosa morsa. Era abituata alla tendenza al melodramma, a volte, di Minto, però…
« Mi dispiace, » balbettò, la gola stretta in panico, « Minto-chan, ma stai - »
« Lasciami stare, Ichigo, » la gelò la mora, e buttò giù il telefono senza darle il tempo di replicare.
Ichigo rimase ferma una manciata di istanti, il senso di colpa che pesava come un macigno su di lei, un presentimento di abbandono e solitudine che le assalì l'esofago, rendendole ardui i respiri e appannandole la mente.
La voce di Ryo che chiamò il suo nome dall'uscio della camera la fece sobbalzare, eppure non poté sopportare la vista del suo viso preoccupato, della sua postura rigida e tesa, della ruga tra gli occhi che le ricordava terribilmente certi sguardi che le aveva rivolto sofferente quando avevano avuto quindici anni. Scosse la testa e lanciò il telefono sul letto, sorpassandolo di corsa e rifugiandosi nella stanza degli ospiti, la testa che crollò sulle ginocchia strette al petto mentre crudeli lacrime di colpa le bruciarono le guance.



§§§
Su le mani chi mi odia e pensa io sia un'autrice terribile! :D Buonasera carissimi,  il popolo ha parlato su Facebook e quindi ho mantenuto la promessa :3
Questo è il primo dei tre capitoli dell'epilogo così sudato di questa serie così crudele ;) Ovviamente io non mi pronuncio su come andrà a finire  perché altrimenti dove sarebbe il divertimento? :D
Intanto sappiamo che sono tornati a casa, vediamo chi arriva al matrimonio ;)
Grazie ovviamente a chi mi supporta e sopporta costantemente, la sezione è un po' calata in questi ultimi tempi ma credo sia normale, visto ceh sta arrivando l'estate ^^''''' Anche se una parolina fa sempre piacere <3 Prometto che mi saprò far perdonare in qualche modo LOL
Il prossimo capitolo non dovrebbe tardare molto, dipende dalla quantità di lavoro che mi appiopperanno! Datemi una quindicina di giorni almeno di pazienza, altrimenti i dilemmi si risolvono troppo in fretta :P
A presto e un bacione a tutti!

Hypnotic Poison


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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Sunday

 

 

Zakuro sbatté le palpebre un paio di volte, fissando le tre ragazze davanti a lei. Quando aveva ricevuto il messaggio di Retasu, la sera prima, che invocava una riunione di emergenza al Caffè e le comunicava che Kisshu si era accasciato nella cameretta del bambino in costruzione, non aveva certo pensato che quella sarebbe stata la storia che si sarebbe sentita raccontare.

«Fatemi capire bene. Siete andati su Gea per cercare una caverna magica, dove avete incontrato una specie di strega in un labirinto uscito dal nulla, che vi ha fatto vedere solo mondi alternativi in cui non siete insieme?» 

Ichigo e Minto, senza guardarsi ma tenendo gli occhi fissi sulle rispettive tazze di caffè, annuirono all'unisono.

La viola si scambiò un'occhiata sgomenta e preoccupata con Retasu, seduta in mezzo alle due amiche, poi sospirò, scostandosi la frangia dalla fronte: « Ma perché vi cacciate sempre in questi casini?»

«Non è stata una mia idea!» saltò subito su Minto, «E' stata Ichigo a continuare a insistere per giorni!»

«E anche se Ichigo insiste, tu puoi sempre dirle di no, » replicò con fare di materna ramanzina la modella, «Soprattutto quando sono idee che non fanno bene a nessuno. »

« Be', dipende, » mormorò la mora, le guance rosse per il rimprovero e il viso corrucciato, « Certe cose è meglio saperle prima che dopo. »

Zakuro guardò Ichigo, che non aveva ancora aperto bocca e continuava a giocherellare con il suo cucchiaino.

«Oppure certe cose sono solo sciocche idee messe in testa da una chissà quale pazza psicopatica che avete incontrato. Sempre che l'abbiate incontrata davvero e non sia stata solo una brutta allucinazione da chissà quali elementi alieni.»

«Era vera,» la rossa pigolò così piano che quasi non la sentirono «Posso sentire ancora il suo profumo e l'odore di sigaretta. Non era solo un'allucinazione.»

Zakuro la fissò preoccupata, si sporse in avanti per sfiorarle una mano: «D'accordo, ma non vuol dire che le cose che vi ha fatto vedere fossero vere. O che fossero la sola risposta a domande che non so nemmeno perché tu ti faccia. Se davvero ci sono altri mondi da qualche parte, allora non ce ne sono solo tre.»

Un trillo del cellulare le ricordò che la sua ora libera era finita, e sospirò ancora, raccogliendo le sue cose. 

«Non fatevi prendere dal panico, okay? Non è cambiato assolutamente nulla rispetto a due giorni fa. Siete sempre le stesse persone, con gli stessi sentimenti.»

Le tre la salutarono sottovoce, Retasu che prontamente si prodigò a sostituire il caffè nelle tazze con delle tisane, e Zakuro uscì dalla porta sul retro, infilandosi gli occhiali da sole e pescando il cellulare dalla borsa oversize mentre camminava spedita verso l'auto che l'attendeva. Bastarono un paio di squilli, e lei non riuscì a trattenersi dallo sbottare: «What the fuck's wrong with you all

Ryo, dall'altra parte della linea, esalò irritato: «You've talked with the nutcases, I see

Zakuro si infilò in auto, ringhiando sottovoce: « E' inutile che ti arrabbi con loro – o con Ichigo – se non avevate tutta quella voglia di andarci – perché avevate capito che forse, forse non era una buona idea! -  dovevate dire di no! E non provare a dire che lei stesse insistendo, sai! »

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, sorpreso da quello sbotto così improvviso: «It almost sounds like you care,» ironizzò poi.

Il silenzio che seguì gli fece capire che la sua battuta aveva sortito l'effetto opposto.

« Che cosa dovrei fare, eh? Pensi che non le abbia già parlato? »

«Insisti,» replicò lei, controllandosi il trucco in uno specchietto, « Se c'è una cosa che dovresti aver capito è che serve ripetere per far passare qualcosa in quella testolina dura. »

« Non ho molto tempo per convincerla che va tutto bene, » la modella poté percepire il nervosismo dell'amico come se l'avesse avuto davanti, « Quell'altro che se ne va di casa, poi, non è molto d'aiuto. »

« Non farti condizionare da Minto e Kisshu, non ha niente a che fare con voi due. »

« Da quello che ho visto, ne ha avuto fin troppo. »

Zakuro esitò un istante: « Tu come stai? »

Ryo sospirò ancora, probabilmente stava macinando i chilometri nel suo studio: « La parte razionale di me si sta mandando sonoramente a fanculo per aver solo ceduto ad una stronzata simile e star a rimuginare sopra un mucchio di idiozie, ben sapendo che sicuramente è stato tutto influenzato da quella donna maledetta. Dall'altra parte…  Ichigo sai com'è fatta. Fosse per me, passerebbe anche, chissene frega, ma lei  »

« Vedrai che lo capirà. È solo nervosa, è sempre stata così. »

Ci fu un tentennare dall'altra parte: « Do you think she'll… ? »

« No, » Zakuro non lo lasciò nemmeno finire, « A costo di passare ogni notte in bianco per le prossime due settimane a farle funzionare il cervellino. »

« I'll hold you up to that. »

 

**

 

Tuesday

 

 

Pai chiuse la porta di casa con un tocco di tallone, allentandosi subito la cravatta e esalando piano, il peso della giornata lavorativa sulle spalle che si allentò un poco nel tepore della casa. Dal vago profumo che aleggiava per le stanze dedusse che anche Retasu fosse a casa, a rilassarsi tra i fornelli per uno dei suoi soliti manicaretti.

Un paio di piedi che spuntavano dal divano lo avvertì che, però, anche quella sera avrebbe dovuto condividere le doti culinarie di sua moglie.

Mollò la ventiquattrore poco vicino all'entrata, intenzionato a lasciarla lì fino alla mattina successiva, e marciò verso il salotto, scoccando un'occhiataccia al fratello minore, steso scomposto sul sofà con le braccia incrociate sulla faccia.

« Dimmi che almeno ti sei alzato da stamattina. »

Kisshu rimase immobile: « Tecnicamente sì, dalla stanza del bambino a qui, dal divano alla televisione, dalla televisione al frigo, qualche visitina al bagno. »

Pai alzò gli occhi al cielo e si portò una mano alla fronte: « Pensi di darti malato ancora per molto a lavoro? »

« Pensi di continuare a stressare a lungo? »

Retasu apparve all'improvviso, le mani sui fianchi e un cucchiaio di legno in pugno, il pancione avvolto dal grembiule che le aveva regalato Keiichiro, una posa che al viola ricordò spaventevolmente sua madre.

« Vi ho già chiesto di non litigare, per favore, » li rimproverò dolcemente, « Tra dieci minuti è pronto, Pai, vieni ad aiutarmi ad apparecchiare. E tu, Kisshu-kun, vatti a rinfrescare, per piacere.»

Pai osservò quasi irritato come il fratello obbedisse alla verde, alzandosi con un lamento svogliato e scomparendo dentro il bagno.

« Potresti almeno farti aiutare da lui, » borbottò.

Gli occhioni blu lo gelarono all'istante: « Kisshu-kun è nostro ospite e sta passando un momento difficile. Credi davvero che gli piaccia passare le giornate sul nostro divano? »

« Non è colpa mia se lui e la sua ragazza hanno dei momenti da imbecilli e seguono Momomiya nelle sue scapestrate idee. »

« Abbi solo pazienza, d'accordo, » Retasu abbassò la voce non appena sentì scorrere la porta del bagno, «Avresti anche tu bisogno di supporto se ti fosse successo qualcosa di simile. »

Pai avrebbe voluto replicare che a lui non sarebbe mai potuto succedere qualcosa di simile perché pensava fin troppo alle cose prima di compierle, ma vista la nube scura che sembrava aleggiare sopra la testa del fratello quando questi entrò in sala da pranzo, decise di soprassedere, almeno per mantenere la pace con sua moglie.

Kisshu si sedette pesantemente, la frangia scompigliata che gli cadeva sopra gli occhi e che continuava a spostarsi indispettito. Sorrise appena a Retasu quando lei gli mise il piatto davanti – colmo due volte il suo, notò il viola, ma non poté non essere d'accordo dato che lui stesso sospettava che il fratello non si alzasse poi così spesso per andare verso il frigo – e iniziò a mangiare svogliato, in silenzio. Presenza fissa accanto a lui era il cellulare, posto a schermo in giù sul tavolo come se non avesse poi così brama di controllare le notifiche, ma in ogni caso sempre lì, raggiungibile alla prima minima vibrazione.

Non che avesse vibrato poi così spesso negli ultimi giorni.

Retasu si schiarì appena la gola, una mano che accarezzava placida il pancione: « Kisshu-kun, lo sai che no voglio farmi gli affari tuoi, e che sei sempre il benvenuto a rimanere per tutto il tempo necessario. »

Entrambi i fratelli Ikisatashi si irrigidirono, il maggiore che lanciò uno sguardo di avviso alla verde, il minore che continuò a giocherellare con il riso nel piatto emettendo un grugnito.

« Però, ecco, un po’ mi preoccupo del fatto che tu stia sempre chiuso in casa a deperirti, da solo. »

« Non preoccuparti, pesciolina, la solitudine può essere un toccasana, » replicò in fretta lui, cercando di apparire convinto ma non alzando nemmeno lo sguardo dalle verdure che infilzava con le bacchette.

« D’accordo, ma… per caso hai parlato con Minto-chan in questi giorni? »

Pai allungò una mano per stringerle il ginocchio, sapendo che stava aprendo il vaso di Pandora, ma Retasu tenne lo sguardo fisso su Kisshu, la sua mano sinistra che si era stretta a pugno non appena la mora era stata nominata.

« Sai, non credo sia molto interessata a parlare con me, » soffiò piano, la frangia scura a coprire gli occhi.

Lei ignorò la leggera pressione di avvertimento sulla gamba, continuando a fissare il viso rabbuiato dell’alieno: « Sì, ma tu ci hai provato? »

Kisshu dovette trattenersi per non spezzare con uno schiocco delle dita le bacchette che teneva in mano, esalando lentamente e ricordandosi di chi aveva di fronte.

« Retasu, ti ringrazio dell’interessamento, ma non sono esattamente dell’umore per discutere dei miei tentativi di ottenere una risposta da una segreteria telefonica. »

Pai esalò senza farsi notare, ben più avvezzo della Mewfocena alle rispostacce irritate di Kisshu e ai suoi sbotti di rabbia e quindi in qualche modo sollevato che la presenza della verde fosse abbastanza per contenerle, mentre Retasu osservò l’ospite ancora qualche istante prima di stringersi nelle spalle.

« Fai come tu ritieni sia più opportuno, ma io non credo che il modo migliore per fare pace con Minto-chan sia rimanere sul divano a borbottare come un pentolone. »

Stranamente, Kisshu non replicò, limitandosi ad affossare ancora di più tra le spalle e a spostare il cibo nel piatto senza ingerirne altro. Il fratello maggiore si sarebbe aspettato di vederlo alzarsi con stizza e marciare verso la sua camera sbattendo la porta come molto spesso aveva visto farlo fin dopo l’adolescenza, invece rimase seduto fino a fine della cena, alzandosi per primo solo per sparecchiare senza emettere suono, Retasu che lo congedò con un sorriso comprensivo e una carezza alla schiena.

Pai lo guardò uscire infine dalla stanza senza dire una parola, voltandosi poi verso la moglie quando poté essere sicuro di essere un po’ di più fuori dalla portata del suo udito fine.

« Credo che tu l’abbia rotto. »

Retasu sciacquò un piatto e alzò gli occhi al cielo, sorridendo appena: « E’ perché io sono paziente con lui.» 

« Tu non hai dovuto dividerci case e astronavi per più di vent’anni. »

Retasu gli lanciò un’occhiata divertita, poi esalò piano e smise di insaponare il bicchiere che reggeva: « Dici che ho fatto male a chiedergli di Minto-chan? Non volevo farlo star male, ma non posso far finta di nulla… »

« Io credo che lui non si aspettasse la tua ultima risposta, » commentò il viola, « Ma qualcuno dovrà pur sgridarlo, di tanto in tanto. Soprattutto quando si comporta come un adolescente a trent’anni suonati.»

« Si vede che essere musoni e scontrosi è una cosa di famiglia. »

Mentre Pai lanciava un’occhiata molto poco divertita alla moglie, il musone in questione usciva dal bagno in cui si era buttato acqua in viso per gli ultimi cinque minuti per abbandonarsi poco elegantemente con uno sbuffo sul tatami della camera che stava occupando, senza preoccuparsi di accendere la luce. Steso a faccia in giù sul materasso, sbloccò il cellulare con un tocco di pollice e controllò di nuovo le  notifiche, ben sapendo che non avrebbe trovato quello che cercava.

La risposta alla domanda di Retasu, ovviamente, era che no, non aveva la minima notizia di Minto da quando le aveva sbattuto la porta in faccia la domenica passata. Per una volta, non aveva avuto lui la forza di essere il primo a cedere.

Non era del tutto vero, in realtà. La sera prima aveva provato a telefonarle, dopo aver passato ore a fissare la notifica dell’ultimo accesso della mora nell’app di messaggistica, fermo alla mattina. Il cielo solo sapeva quanto lei si stesse sforzando di non utilizzarla, di apparire sempre lontana, distante e irremovibile, e la cosa non faceva che farlo arrabbiare ancora di più. Aveva pigiato il pulsante di chiamata rapida più per continuare a battibeccare con lei e sbatterle in faccia la sua totale tendenza a defilarsi davanti ai problemi, ma il telefono non aveva nemmeno squillato che la vocina robotica della segreteria telefonica l’aveva informato che il numero selezionato non era disponibile.

O forse, più probabilmente, Minto aveva deciso di bloccarlo fino a data da destinarsi deviando tutte le sue telefonate in segreteria. E perciò, lui non ci aveva nemmeno più riprovato, troppo incazzato per decidere di dargliela vinta anche quella volta.

Il commento della sua dolce cognata, però, continuava a ronzargli fastidiosamente nelle orecchie e a pizzicargli il petto. Se c’era una persona alle cui buone intenzioni lui non poteva che credere, quella era decisamente Retasu. E il fatto che addirittura Retasu, tra tutti, gli avesse detto in faccia di fare qualcosa…

Era anche vero che la neo signora Ikisatashi fosse molto più amica con la sua ragazza – si ostinò a non cedere a spiacevoli prefissi – e che quindi potesse essere relativamente di parte, desiderosa che la situazione si risolvesse soprattutto in vista delle svariati incontri sociali che si sarebbero svolti da lì a poco. E come darle torto, dopotutto? Il problema era proprio quello, sempre quello: Retasu aveva ragione, per poter fare pace con Minto avrebbe dovuto alzarsi e fare qualcosa.

Qualcosa che proprio non aveva voglia di fare. Per quanto gli mancasse come aria, non riusciva a sottrarsi a quel maledetto orgoglio che sembrava essere il muro più grande tra di loro.

Il cellulare ronzò al suo fianco, facendogli perdere un battito. Lo afferrò di scatto e lo sbloccò senza nemmeno controllare da chi provenisse il messaggio, il cuore che gli affossò nello stomaco con un travaso di bile quando poté leggere le parole sullo schermo.

 

Non è che siccome lavori per me ti puoi permettere di prenderti “giorni di malattia” come se piovessero.

 

Kisshu sbuffò, digitando furiosamente la risposta.

 

Lavoro DA te, non PER te. E mi sembra che tu mi abbia fatto firmare una cosa chiamata “contratto” dove erano esattamente specificati i miei diritti, giorni di malattia compresi. E considerato che il mio sistema immunitario è tre volte più efficace del tuo non vedo cosa stai a rompere…

 

Poté immaginare Shirogane nella sua villetta elegante, probabilmente rintanato nel suo studio davanti allo schermo al plasma, una fidanzata sicuramente più ragionevole della sua appallottolata al suo fianco (per quanto Retasu avesse cercato di parlare piano, con l'acqua corrente in sottofondo, lui era riuscito a cogliere spizzichi e bocconi dei suoi aggiornamenti a Pai, ognuno una fitta in più allo stomaco).

Non dovette attendere molto perché il suo cellulare vibrasse di nuovo, la lucina brillante che gli perforò le cornee.

 

Potresti almeno smetterla di fare l'eremita? Stai peggiorando la situazione per tutti.

 

Ho già i miei problemi, vuoi davvero dirmi che dovrei prendermi a carico pure i tuoi con Ichigo?

Non è colpa mia se quelle due sono più in sintonia di pane e burro.

 

…in realtà non si parlano da sabato scorso. E il fatto che Ichigo sappia della tua pessima decisione decisamente non aiuta.

Te lo devo dire io di andarle a parlare prima che venga una crisi isterica a tutti e quattro?

O ti serve un ennesimo gancio di Zakuro?

 

Kisshu emise un gemito di stizza, agitando il cellulare per aria come se avesse potuto scrollare al contempo l'americano per la collottola. E forse avrebbe pure dovuto farlo, ma non aveva nemmeno voglia di alzarsi da quel materasso per andare a prendere il piattino di dolce che Retasu gli aveva messo così gentilmente davanti la porta.

 

Ti ricordo che tra meno di due settimane dovrei sposarmi.

 

Ecco, allora pensa ai cazzi tuoi che io penso ai cazzi miei.

 

Lanciò il cellulare lontano, mirando giusto per il cuscino così da non doverlo osservare sfracellarsi contro al pavimento. Lo sentì vibrare un altro paio di volte, ma decise che ci avrebbe pensato al mattino. Forse. Se c'era una cosa che non gli serviva, era Shirogane che veniva a dirgli come comportarsi, per di più per risolvere i suoi, di problemi.

Anche perché sicuramente nessuno stava rompendo le scatole a quel modo a Minto, poteva giurarci.

Sentì il brivido di rabbia percorrergli le vene a pensare a lei, e ne attinse tutta la forza che gli serviva per rimanere lì, a fissare il soffitto buio, e aspettare che ricominciasse un altro giorno.

 

 

**

 

Wednesday

 

 

Ryo terminò di accendere anche l'ultima candela nello stesso istante in cui sentì chiudere la porta di ingresso dall'altro lato della casa. Agitò il fiammifero per spegnerlo e raddrizzò il vaso di rose, schioccandosi poi il collo mentre aspettava in silenzio.

E dire che aveva sempre pensato che con gli anni si sarebbe affievolito il nervosismo pre-appuntamento con Ichigo.

Udì i passi pesanti della rossa lungo il corridoio, gli attimi di silenzio in cui lei probabilmente trovava il post-it che le aveva lasciato attaccato al muro e ponderava sul significato del messaggio. Non ci volle molto perché comparisse all'entrata del salotto, lo sguardo confuso da tutte quelle candele accese nella stanza buia che si riflettevano contro le pareti, e dai cuscini sistemati in terra attorno al tavolino da caffè.

« Che stai combinando? » domandò divertita.

Ryo rimase seduto ad aspettarla, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse secca la sua gola. Come se non bastasse già la pressione di quella data ormai così vicina e la spiacevole sensazione che la sua fidanzata non stesse bene quanto dichiarasse, e che perciò molte cose potessero dipendere anche dall'esito di quella serata.

« Te l'ho detto, ti ho fatto una sorpresa, » rispose, indicando con un cenno del capo il bigliettino che lei teneva ancora tra le mani.

Ichigo sorrise contenta e lo raggiunse, guardandosi intorno con la stessa espressione di meraviglia che poteva avere una bambina al luna-park: « Quale sarebbe l'occasione? »

« Non posso fare una sorpresa alla mia futura moglie? » la prese in giro lui, allungando una mano per stringere la sua e tirarla a sedere di fianco a lui.

Lei arrossì a quelle parole e gli si accoccolò più vicina, inclinando il viso quando l'americano le poggiò il palmo sulla guancia e gliela accarezzò, strappandole un sospiro da gatto soddisfatto.

« In realtà… ti ricordi di quando eravamo a Boston, a casa mia per l'ultima sera del viaggio? »

Ichigo annuì con un sorriso: « E' stato il nostro primo viaggio insieme. »

Ryo continuò ad accarezzarla, sfiorando appena le ciocche rubino che le scappavano dalla coda di cavallo, passando lo sguardo su ogni singola linea del suo viso come se non potesse averne abbastanza: « E la sera è venuto quel temporale incredibile che ha fatto saltare la corrente all'intero isolato e ci ha costretti a rimanere in casa quando saremmo dovuti uscire per l'ultima sera a festeggiare in uno dei ristoranti migliori della città? »

« Avevamo l'aereo la mattina dopo ed era stato cancellato per il vento troppo forte. »

Fu il biondo ad annuire, quella volta: « Ti ricordi cosa mi hai detto? »

Lei storse il naso in una smorfia contenta e arrossì ancora un po' di più: « Che forse era destino che rimanessimo insieme un giorno di più senza nessuno attorno, e che non c'era altro luogo in cui avrei voluto essere. »

« And something else. »

« E' stata la prima volta che ho detto di amarti.»

Ryo sorrise e le passò il pollice sulle labbra rosse prima di poggiare la fronte contro quella di lei: « Erano anni che sognavo di sentirtelo dire, » ammise con un sorriso e abbassò la voce, « Non avrei mai immaginato potesse essere così bello.» (*)

Ichigo lo baciò di slancio, stringendosi a lui e sospirando contenta, il calore del ragazzo che le pervase il corpo e circondandola, come sempre, della calma che la faceva sentire a casa, il cuore che batteva forte e un pizzico di senso di colpa che glielo comprimeva.

« Per questo ho voluto ricreare quel momento, anche se la corrente c’è ancora, » continuò a bassa voce lui, sfiorandole il naso con il proprio, facendola ridere, « Lo so che questo è un momento… particolare e stressante, ma non c’è altra cosa che mi importi se non continuare a sentirtelo dire per il resto della vita, e continuare a dirtelo per il resto della vita. »

La rossa annuì, il senso di colpa che le afferrò un po’ più stretta la gola e la costrinse ad abbassare lo sguardo mentre giocherellava con le dita di lui: « Vorrei non avere mai insistito così tanto… » pigolò dopo un po’.

Ryo la costrinse a guardarlo di nuovo negli occhi, tentando di sorridere: « Guardala da un altro punto di vista, magari è stato solo un modo per testarci. Io sono ancora convinto che sia stato tutto un trucco di quella Yuko, ma sono più convinto che mai di non volerti lasciar andare. Non importa quello che succede. Soprattutto se non è reale. »

Lei avrebbe voluto rispondere che le pareva assolutamente reale, ma si limitò ad annuire ancora, gli occhi color cioccolato che pizzicavano impudenti.

« Ichigo, vorrei che tu fossi tranquilla e sicura, d’accordo? »

« Io sono sicura, » ribatté lei, anche se a Ryo sembrò mancasse un po’ di convinzione, « E’ che… tutto questo casino… e Minto-chan… »

« Le passerà, » il biondo riprese ad accarezzarle la schiena, notando la lieve pelle d’oca che le aveva coperto le braccia nude, « Lo sai come è fatta, a volte con lei le cose si moltiplicano e lei scoppia tutta in una volta. Ma non vuol dire che non ti voglia più bene, sappiamo benissimo come siete fatte. Cane e gatto.»

Ichigo arricciò il naso, colpito da uno dei soliti buffetti, poi sbuffò piano, ripensando ai messaggi senza risposta che aveva mandato anche quella mattina.

« Non è colpa mia se Kisshu-kun… » abbozzò appena, il discorso che cadde in un’ovvia direzione.

Ryo sentì lo stomaco contrarsi in un attacco di gelosia che non provava da anni e che cercò di mantenere sotto controllo, vista la continua assurdità della situazione. Anche se non poteva negare nemmeno a se stesso di essersi rotolato un po’ troppo spesso nel letto, negli ultimi giorni, a ripensare a determinate scene a cui aveva assistito inerme.

« Non era vero, ginger. E anche se lo fosse stato, anche se ci fosse una milionesima possibilità che fosse qualcosa di concreto, non era il nostro mondo. Neanche lontanamente. »

A forza di ripeterlo, forse si sarebbe convinto del tutto anche lui.

Ichigo annuì, si guardò intorno nel salotto poco illuminato e dal profumo intenso di rose, osservando tutto quello che lui aveva fatto per lei, per ricordarle di uno dei loro momenti più importanti. Per dirle tutto quello che non riusciva a dirle con le parole, e per farla stare bene nonostante tutto. Lui continuò a fissarla, le portò i capelli dietro l’orecchio: « Ricordi cosa è successo dopo che siamo rimasti bloccati a casa? »

L’espressione di Ichigo mutò in una tra l’imbarazzato e il divertito mentre il naso si tingeva di rosso, e il biondo scosse la testa, ridendo compiaciuto.

« Before that, silly kitten. »

Gli occhioni cioccolato si illuminarono di golosità: « … avevi cucinato tu quella cosa svuotafrigo americana.»

« Un grilled cheese sandwhich, » rise lui, « E le fragole col cioccolato. Non molto romantico, ma efficace.»

« Un po’ come te, » lo prese in giro la rossa.

Ryo le fece il verso, poi indicò la cucina con un cenno del capo: « Cosa pensi ti aspetti di là? »

La rossa trillò contenta, lanciandogli le braccia al collo con così tanta foga da portarlo a terra, fortunatamente su un cuscino morbido che frenò la caduta. L'americano la strinse forte, baciandola tra le risate, e per un momento, si dimenticarono entrambi del perché avessero avuto bisogno di quella serata.

 

 

**

 

Friday

 

 

Kisshu spostò nervosamente il peso da un piede all'altro, le mani affossate nelle tasche e il cappuccio della felpa rossa accartocciato sul collo giusto per riparare gli spifferi di brezza serale. Se fosse stato umano, probabilmente avrebbe dedicato il suo tempo a una sigaretta per farsi passare il nervoso, ma lui invece non poteva sopportare quel puzzolente marchingegno che anneriva i polmoni – un altro dei tanti modi in cui gli umani si autodistruggevano, pensò tra sé e sé.

Non che lui non fosse un campione in autodistruzione, ecco.

Scosse la testa e si concentrò di nuovo sulle porte della palestra dove sapeva che Minto aveva allenamento a giorni alterni. Tra poco le sue tre ore serali sarebbero finite, sarebbe scesa da quelle scale e avrebbe compiuto i duecento metri che la separavano dal loro appartamento, dove lui l'avrebbe aspettata con qualche rimasuglio della sera prima riscaldato, una pizza per cui l'avrebbe sgridato, o un suo miserabile tentativo di cucinare qualcosa di commestibile incasinando tutta la cucina, per la quale lei si sarebbe arrabbiata minacciandolo di fargli vedere la maniera corretta di grattugiare qualcosa direttamente sulla sua pelle prima di tirarlo a sé e baciarlo, sotto sotto soddisfatta di saperlo provare per lei.

Se tutto fosse stato normale, però.

Udì il vociare del corpo di ballo prima di vedere le decine di persone che uscivano allegre e ciarlanti, soddisfatte di un'altra giornata compiuta. Alcune, nello scendere, lo riconobbero, lanciandogli occhiatine curiose e a volte fin troppo amichevoli, ma lui ci diede ancora meno peso del solito, concentrato solo nel cercare una figurina dalla testa d'ebano.

Minto scese tra gli ultimi, parlottando distratta con due suoi colleghi, e Kisshu non riuscì a contenere un moto di stizza e sciocca gelosia. Lei camminava tenendo gli occhi bassi, non lo notò fino all'ultimo, a tre gradini e circa dieci passi da lui, quando si fermò tenendo brusca il respiro.

« Tutto okay, Minto-chan? » le chiese il ragazzo più vicino a lei, alto e muscoloso. Gli avrebbe fatto volentieri ingerire la propria lingua.

Lei annuì e gli sorrise: « Non mi aspettavo la… sorpresa, tutto qui. Voi andate pure, ci vediamo domattina.»

La salutarono, ma l'alieno non si fece scappare le occhiatine che gli mandarono – come se a lui fosse importato, o come se avessero mai potuto fare qualcosa.

La mora gli si avvicinò guardinga, non diminuì in ogni caso i dieci passi che li separavano. Kisshu poteva contarle le rughe attorno agli occhi da lì.

« Minto-chan? » gli uscì più in un ringhio che in una battutina.

« E' gay, » taglio corto lei, « E mi conosce da quando ho cinque anni. »

 Kisshu annuì, il piede che continuava a strusciare agitato per terra: « E' quasi settimana che non ti fai viva.»

Minto strinse così forte la cinghia del borsone che le nocche le divennero bianche: «Non mi sembra di aver visto il tuo nome sul display.»

« Devo sempre essere io a dover chiedere scusa? »

« Non sono stata io quella che è uscita sbattendo la porta con una borsa di vestiti dietro. »

« E certo, sarebbe stata una passeggiata stare sotto lo stesso tetto, poi. »

Gli occhi scuri di Minto si accesero di rabbia a quel sarcasmo: « Almeno ci avremmo provato. »

Lui accusò il colpo, i ricordi di quel momento infinito dentro a quello stupido labirinto che lo assaltarono alla giugulare, spezzandogli il respiro. Non riusciva nemmeno a guardarla in faccia senza sentirsi la mano dalle lunghe unghie nere stringersi attorno al cuore e stritolarlo. Ben conscio, d'altronde, che forse Yuko c'entrava davvero poco o nulla.

« Tu non ci hai provato per un cazzo, però, » sibilò, più cattivo di quanto avrebbe voluto essere, « Proprio come abbiamo visto. »

La vide rabbrividire, alzare il viso e stringere le labbra come faceva tutte le volte che non voleva piangere: « Scusami, ero più impegnata a guardare te che muori dietro a Ichigo. »

Kisshu alzò gli occhi al cielo, esausto di quel discorso, ma non riuscì ad aprire bocca che lei aveva già ricominciato a parlare.

« Lascia perdere, non ho voglia di parlarne. »

Si girò e fece per andarsene, ma Kisshu si lanciò in avanti, afferrandola per un braccio. La strinse dolcemente, la voce che gli calò di qualche ottava.

« Non mi scrivi, non mi rispondi, non mi parli, fai finta che io non esista da quando ho fatto la stronzata di uscire da quella porta. Mi stai lasciando? »

Minto rimase voltata, gli occhi fissi sul pavimento, ma lui poteva sentire il suo tremare sotto le sue dita, quasi poteva percepire il cuore che, come il suo, batteva come un pazzo.

Quando lei continuò a non rispondere, fece scivolare il palmo lungo il suo braccio, cercando la mano di lei ma raggiungendo solo il polso chiaro: « Mi stai lasciando, Minto? »

La mora girò appena il viso verso di lui, continuando a evitare il suo sguardo: « Ci vediamo giovedì alla cena di prova di Ichigo. »

Sgusciò via, le dita che sfiorarono quelle di lui. Kisshu rimase fermo a guardarla andare via, la sensazione di freddo che si fece più intensa e la rabbia che ricominciò lentamente a ribollire.

 

 

**

 

Saturday

 

 

Il momento peggiore era l’istante dopo aver aperto gli occhi, quando la realtà della situazione le ripiombava addosso con la massa di una montagna.

Minto esalò piano, la sensazione di freddo alla bocca dello stomaco che si espandeva di nuovo dopo averle dato una leggera tregua durante la notte. Aveva le coperte tirate fino sotto il naso, ma continuava ad avvertire piccoli brividi incresparle la pelle.

Una parte di lei aveva sperato di rivederlo, di vederlo tornare, di trovarselo davanti al teatro proprio come era successo; un’altra parte, però, quella di lei che la conosceva meglio, aveva temuto il momento, conscia che non sarebbe ancora riuscita a farsela passare del tutto.

Era andata peggio di quanto si sarebbe aspettata. Non era riuscita a parlargli, non aveva potuto soprassedere sulla rabbia che sentiva provenire da lui, che le ricordava come una vocina nella testa che quasi si vergognava di più della lei alternativa, di tutti i suoi difetti ingigantiti sbandierati al vento.

Lei non era Ichigo; non era convinta ciecamente che gli amori sarebbero durati per sempre come nelle favole e che tutto sarebbe andato romanticamente e perfettamente in una nuvola rosa. Si era sempre convinta di essere libera e indipendente, perché così era cresciuta.

Non aveva messo in conto, però, che si sarebbe mai davvero sentita così sola.

Si girò sulla schiena sprofondando tra i cuscini, poggiò le mani sul viso mentre sospirava lentamente per far scendere il nodo alla gola che l’accompagnava da una settimana a quella parte.

Il cellulare sul comodino prese a vibrare in quel momento, facendole venire un colpo. Lo afferrò di scatto, il cuore in gola, ma il display le mostrò una chiamata in corso e altre tre perse da Ichigo. Le tornò in mente solo in quell’istante, notando la data in alto, che le aveva promesso settimane prima di accompagnarla all’ultima prova dell’abito da sposa.

Fece schioccare la lingua e spinse un pulsante sul cellulare, facendo smettere il ronzio della suoneria mentre la telefonata continuava a squillare a vuoto. Non ce l’avrebbe fatta a sopportare anche quella, e se doveva essere sincera, non ne aveva nemmeno voglia. Lei e Ichigo non si erano ancora parlate, e sapeva che non sarebbe stata quella l’occasione giusta. Voleva solamente stare lì, nel letto, a far finta che tutto il resto attorno a lei non esistesse.

 

 

Ichigo interruppe la telefonata con un sospiro e lanciò il cellulare nella borsa appoggiata sul pouf, controllandosi un'ennesima volta allo specchio.

« Ichigo, ci sei? »

Si girò lenta e aprì la tenda che chiudeva la cabina, allargò un poco le braccia: « Che ne pensi? »

Zakuro, appoggiata con una spalla alla parete del camerino, la guardò con aria critica, sfiorandole il tessuto delicato dell'abito bianco: « Dico che sei bellissima, ma sei magra, » alla rossa non sfuggì l'accenno di rimprovero e preoccupazione, « Ma mi sembra che vada bene. Forse potremmo farlo allargare un pelo solo qui così sarai più comoda, che dici? »

Ichigo si voltò ancora verso lo specchio, studiandosi preoccupata: « Non sarà un po' tardi? »

« C'è ancora una settimana, non credo sarà un problema. »

Confabulò con la sarta lì accanto, che aveva seguito la creazione dell'abito da sposa fin dall'inizio. Era stata Minto a consigliare quella boutique, ovviamente, e la mora aveva seguito passo passo ogni singolo step di tutto quel matrimonio, più un'organizzatrice in seconda che una damigella d'onore. E ora che non c'era, Ichigo non riusciva a scacciare quel maledetto groppo in gola e la sensazione di essere completamente fuori controllo.

« Se te lo togli possono iniziare a sistemarlo da subito, » le disse Zakuro, che si era presentata all'appuntamento dell'ultima prova con lei senza che nemmeno glielo chiedesse. Avrebbe tanto voluto che la calma dell'amica si trasferisse un po' su di lei.

Si cambiò in silenzio ma veloce, già stanca di stare lì, controllando ogni tanto il cellulare.

« Le va bene un'ultimissima prova giovedì prossimo, signorina Momomiya? Così poi potremmo finalizzarlo, lavarlo e stirarlo per il gran giorno. »

Lei annuì, la voce fiacca. « Minto aveva detto che sarebbe passata lei a ritirarlo, la mattina della cerimonia…  »

Zakuro le sorrise: « Posso farlo ritirare io, non c'è problema. Potete anche venire tutte da me a prepararvi quella mattina, staremo anche più larghe. Lasciamo Ryo un po' nel suo brodo.»

Ichigo abbozzò una risatina, terminò di fissare l'appuntamento con la sarta e si diresse finalmente fuori dal negozio.

« Grazie, Zakuro-san. Non ero molto in vena, oggi. »

La modella le appoggiò solo una mano sulla spalla in un gesto di silenziosa consolazione, poi si infilò direttamente al posto di guida nella piccola utilitaria di città che Ichigo sapeva aver preso apposta per non attirare troppo l'attenzione (diversamente da qualcuno di loro conoscenza).

Guidarono in silenzio fino alla casa che la rossa condivideva con Ryo, solo il sottofondo della radio su un canale americano a riempire l'abitacolo. Non che Zakuro fosse mai troppo chiacchierona, ma Ichigo sapeva che le stava lasciando libertà di riflettere e stare un po' tra i suoi pensieri, al tempo stesso dandole tutto l'appoggio di cui necessitava solamente essendo lì. Forse nessuno ci riusciva bene quanto Zakuro, ora che ci pensava, lei con il suo atteggiamento un po' da mamma, un po' da sorella maggiore.

Eppure, lei continuava a pensare a quanto le sarebbe servito avere Minto accanto a sé in quel momento.

La piccola automobile si fermò svelta davanti al suo cancello, e la modella le sorrise: «Ci penso io allora, d'accordo? »

Ichigo le rispose con un sorriso che cercò di rendere il più sicuro possibile nella sua incredibile sincerità, scese poi dall'auto stringendo la borsetta a sé, la mente un po' più pulita e il petto meno pesante.

Quando entrò in casa, il silenzio le fece capire che probabilmente Ryo si era rintanato nel suo studio. Salì le scale e appoggiò l'orecchio contro la porta dell'ultima stanza in fondo, riconoscendo i rumori di uno dei suoi tanti videogiochi. Quando entrò – ovviamente senza bussare – lo trovò infatti seduto sul divano di pelle scura, davanti alla TV da 75 pollici appesa alla parete, una battaglia spaziale in corso.

« Hello ginger,» la salutò quando gli si sedette accanto, un'occhiata breve per non distogliere lo sguardo dai nemici, « Fammi finire questa col Falcon e ci sono. Pensavo portassi a casa il vestito. »

Lei sorrise: « Devono finire di sistemarlo. E poi non potevo mica rischiare che tu andassi a ficcanasare in giro, porta male! »

Ryo le lanciò un'occhiatina sarcastica, poggiò il joystick sul tavolino da caffè e la tirò a sé, lei che si sedette sulle sue ginocchia: «Guarirai mai dal tuo essere superstiziosa, gattina nera? »

Ichigo storse il naso, si inclinò verso di lui, i ciuffi più lunghi della frangetta che gli solleticarono le guance: « Forse avresti dovuto cambiare strada quando mi hai incontrata. »

Lui sbuffò contrariato, le scostò i capelli dal viso prima di baciarla dolcemente, le solleticò i fianchi con la punta delle dita. « E qualcosa da mettere sotto al vestito l'hai presa? »

La rossa rise divertita: « Fooorse. Ma tanto non puoi avere l'anteprima nemmeno di quello. »

« Ma davvero, » l'americano puntualizzò ogni sillaba, continuando a farle il solletico mentre le dita sgusciavano già sotto la camicetta di lei, « Scommetto che posso avere l'anteprima di qualcos'altro, però.»

Ichigo rise e si lasciò baciare, stringendosi a lui e cercando il calore del suo corpo. Aveva bisogno di lui, di sentirlo, di rincuorarlo. Aveva bisogno di far finta che non ci fossero crepe, dentro al suo cuore. Aveva solo bisogno di addormentarsi, per poi svegliarsi e sapere che tutto era finito, tutto era andato a posto.

 

 

**

 

Wednesday

 

 

Ichigo emise un lamento esasperato e lanciò la mappa della sala per il ricevimento lontano da lei sul tavolo della cucina, poi si prese la testa tra le mani. La sua wedding planner le aveva raccomandato di finalizzare la disposizione degli ospiti ad ogni tavolo, ma ad ogni sua mossa sembrava che le cose peggiorassero solo. Gemette piano, la radio impostata su uno dei canali preferiti di Ryo che continuava a trasmettere canzoni americane anni '90 che le stavano solo facendo venire il mal di testa. Aveva creduto che approfittare di quel pomeriggio da sola, così raro ultimamente, sarebbe stata l'occasione perfetta per dare gli ultimissimi, necessari tocchi alla cerimonia più importante della sua vita, e invece non era riuscita a combinare assolutamente nulla. Aveva bisogno della mente pratica, razionale e ordinata di Minto, come praticamente per ogni altro passaggio di quel dannato matrimonio.

Peccato che la sua migliore amica nonché damigella d’onore persistesse nel non rivolgerle la parola da quel dannatissimo sabato.

Aveva ormai perso il conto di quanti messaggi le avesse mandato che non erano mai stati degnati di una risposta, alcuni addirittura non erano nemmeno mai stati letti. Minto non si era mai fatta vedere nemmeno al Caffè, e lei aveva avuto la nettissima sensazione che il suo fine non fosse solamente evitare un certo alieno (come se costui, poi, si fosse mai fatto vedere, aveva sue notizie solamente da quella buon'anima di Retasu e ciò decisamente non l'aiutava).

Non poteva darle troppo torto, dopotutto, però non le stava neanche più bene prendersi tutta la colpa per quell’enorme disastro, Minto stessa era stata messa di fronte all’evidenza che il suo caratterino non fosse dei più accomodanti.

Emise un altro gemito nel silenzio della casa, poi si alzò di scatto e recuperò borsa e giubbottino di jeans, prendendo di corsa la porta. Se le maniere forti erano quelle che servivano, sarebbero state quelle che avrebbe usato.

Decise di percorrere a piedi il tragitto fino a casa dell'amica, così da prepararsi anche un discorso da farle nel mentre, scegliere con cautela le parole giuste da usare per spiegarle al meglio ciò che lei provava, e darle anche il tempo di ritornare da danza (e se la conosceva, Minto si era quasi sicuramente prenotata delle sessioni di allenamento extra per non rimanere da sola in casa in balia dei suoi pensieri). Sperava solo che la mora avrebbe avuto un attimo di pazienza per starla ad ascoltare.

Concentratissima nelle sue riflessioni, si fermò di botto quando la vetrina di un supermercato alla sua destra catturò la sua attenzione. Forse era un segno del destino, si disse, forse l’universo davvero la stava ascoltando nelle sue richieste di far tornare tutto a posto nel minor tempo possibile. Si catapultò dentro, ormai più convinta che mai, pestando probabilmente qualche piede mentre si affrettava tra le corsi per prendere tutto il necessario. Uscì trionfante in un tempo record di circa sette minuti, lei che di solito – quando veniva mandata da Keiichiro a scovare un ingrediente fondamentale per il Café – passava almeno cinque minuti a leggere ogni etichetta. Prese fiato solo quando si rimise di nuovo in marcia, il bottino fieramente stretto al petto, cercando di ricomporsi. Non poteva credere a quanto le battesse forte il cuore al pensiero di presentarsi senza invito sull’uscio della ballerina e parlare con lei, come se all’improvviso fosse tornata una ragazzina di tredici anni.

Anche se decisamente i problemi che stavano sfilando davanti a loro in quegli ultimi tempi non erano molto diversi da quelli avuti tutti quegli anni prima.

Avvertì un leggero timore pizzicarle la gola quando il profilo del palazzo in cui abitava Minto si stagliò dall’altra parte dell’incrocio a pochi metri da lei. Attraversò con calma, fece un respiro profondo e pescò nella borsa la copia delle chiavi che Minto le aveva dato per qualsiasi emergenza ci fosse mai stata visto quanto vivevano vicine. Sapeva che l’amica non le avrebbe certo aperto volontariamente in quel momento, lei non aveva voglia di attirare l’attenzione mettendosi a saltare fino all’ultimo piano di quel palazzo, perciò si poteva benissimo classificare il tutto come un’evenienza improrogabile. Si lasciò quindi entrare nella lobby elegante, dove l’attendevano quattro ascensori completamente vuoti. Continuò a battere il piede a terra dal nervosismo mentre attendeva che uno di questi scendesse al pian terreno, e il cuore non smise di premerle forte contro al petto come un tamburo ad ogni piano che guadagnava durante la salita.

L’appartamento di Minto – e di Kisshu, si obbligò a sottolineare mentalmente due volte a penna rossa - condivideva l’ultimo piano di quello stabile con solamente un’altra abitazione, offrendogli una metratura non da poco. Dopotutto, era stato un regalo del signor Aizawa per il venticinquesimo compleanno della figlia, una specie di bonus prematrimonale per donare sia a lei che alla madre un po’ tranquillità e pace mentale (la signora Aizawa, infatti, non aveva mai preso in troppa simpatia il mezzano degli Ikisatashi, e riducendosi via via i loro viaggi a causa dell’età che avanzava, aveva iniziato a lamentarsi nemmeno troppo sobriamente che figlia e fidanzato continuassero ad abitare con loro sotto l’enorme tetto di villa Aizawa. Poco importava che data la quantità di stanze persistessero a incontrarsi poco in ogni caso, ma dopotutto Minto aveva pur dovuto prendere quel caratterino da qualcuno).

Ichigo si schiarì la gola, fece un altro paio di respiri e finalmente si decise a suonare, il dito che tremò appena quando lo spinse sul bottoncino bianco con pochissima convinzione. Non udì nulla per i primi due minuti, cominciando a temere che Minto in realtà non fosse in casa. Riprovò a suonare, poi bussò e chiamò a bassa voce il nome dell’amica, sempre senza ottenere risposta. Pigiò l’orecchio contro il legno della porta, quasi tentata di farsi spuntare le orecchie da gatto per sentire un po’ meglio, ma le sembrava che tutto fosse assolutamente immobile dall’altra parte.

E questa volta non poteva assolutamente usare le chiavi, si disse. Un conto era aggirare il portone principale, praticamente un luogo pubblico, un altro era infiltrarsi così barbaramente nella vita privata di Minto senza che lei gliel’avesse chiesto. L’avrebbe sicuramente uccisa se l’avesse fatto, e di certo non in una maniera gentile.

Decise perciò, controllando l’orologio, che almeno avrebbe aspettato una mezz’oretta. Magari Minto era ancora agli allenamenti, o come lei aveva deciso di camminare per schiarirsi la testa. Ryo non sarebbe tornato a casa prima delle nove in ogni caso, aveva un mucchio di tempo che preferiva non passare sola a casa sua nemmeno lei. Con uno sbuffo, e già triste al pensiero della fine del suo bottino prezioso, si sedette sullo zerbino (pure questo aveva l’aspetto costoso) e appoggiò la schiena contro la porta, sperando di risparmiarsi almeno l’umiliazione di incontrare la vicina di casa, che a quanto ne sapeva lei era una vecchia vedova ereditiera poco incline a cose fuori routine ed estranei.

Fortunatamente, solo dieci minuti dopo udì il ping dell’ascensore, le porte che si aprirono per rivelare la mora, la borsa da danza sulla spalla e i capelli bagnati che le scorrevano in riccioli sulla schiena.

Ecco, se Minto Aizawa si faceva beccare in giro con i capelli scomposti, voleva dire che le cose davvero non andavano.

Gli occhi della ballerina si alzarono dal pavimento e si strinsero in due fessure arrabbiate non appena misero a fuoco la rossa. Questa scattò in piedi, le mani in avanti in un gesto di preghiera.

« Ti prego non mi cacciare. Ho bisogno di parlarti. »

Minto la squadrò da capo a piedi mentre lentamente percorreva il corridoio fino a lei: « Non ti ho dato le mie chiavi di casa perché potessi accucciarti sul mio tappetino. »

« Me le hai date per le emergenze, e questa direi che lo è, » mormorò Ichigo, facendosi da parte quanto bastasse perché l’amica potesse aprire la porta, « Ti ho portato un’offerta di pace! »

La mora osservò il contentuo della busta di cotone che le aveva messo fieramente sotto il naso, due contenitori di gelato e un DVD di Titanic ormai ricoperto di condensa.

« Lo so che è il tuo punto debole, l’abbiamo guardato insieme troppe volte. »

La ballerina sospirò, rimase ferma sull’uscio un paio di istanti prima di entrare lasciando la porta aperta.

« Sei davvero sicura che mangiare del gelato prima del tuo matrimonio sia una scelta saggia? »

« Se ti fa felice, chissene frega. Tanto mi hai aiutato a scegliere l’abito più comodo del mondo. »

Ichigo ne approfittò per sgattaiolare dentro subito, si chiuse la porta alle spalle come per impedire a Minto stessa di scappare e la seguì fino in salotto, dove lei buttò a terra il borsone nero e si tirò su i capelli in uno chignon disordinato, stringendosi di più nella felpa che indossava e che la rossa riconobbe subito essere troppo larga perché appartenesse a lei.

« Sono abbastanza stanca, Ichigo, » Minto fu la prima a rompere il silenzio, evitando lo sguardo dell’amica e concentrandosi su azioni automatiche come mettere quel diamine di gelato in frigorifero prima che le gocciline d’acqua le macchiassero irrimediabilmente il tavolo da pranzo, « Quindi per favore, dimmi cosa vuoi. »

La rossa non poté negare il fatto che la sua migliore amica avesse un aspetto esausto, la bocca tesa in una linea dura e delle profonde borse sotto gli occhi, le guance addirittura più scavate del solito. Forse non aveva fatto tanto male a portarle del cibo come pegno del perdono.

« Voglio che facciamo pace,» esalò tutto d’un fiato, con la paura di non riuscire a dirlo altrimenti, « In questo momento più che mai ho bisogno che tu stia al mio fianco, sia spiritualmente che materialmente. Altrimenti non riesco a fare nulla. »

Vide le nocche di Minto stringersi attorno alla maniglia dello sportello del frigorifero, il viso coperto da questo: « … non ti è passata ancora la botta di egoismo? »

« Minto-chan, lo sai benissimo che se potessimo tornare indietro, lo farei subito e cancellerei tutto quello che abbiamo fatto. Mi sento davvero in colpa per avervi convinti tutti ad andare su Gea, e vorrei averti ascoltato. Avevi ragione, d’accordo? Ma… io non sono colpevole delle cose che Yuko ci ha fatto vedere. E come dice sempre anche Ryo, magari è stato fatto tutto apposta da lei per metterci alla prova. E se continui a dare la colpa a me per ciò che hai visto, allora scusami, ma sei tu l’egoista. »

La ballerina prese un respiro profondo e rumoroso, si avvicinò al tavolo per poggiarvi sopra le mani, dandole la schiena.

« Tu sei la mia migliore amica, » riprese Ichigo, azzardando un passo vicino a lei, « E mi fa male pensare che posso essere la causa perché tu stia male, ma anche la mia colpa si ferma ad un certo punto. Voglio pensare che… che io e te possiamo passare sopra anche a queste cose e cercare delle soluzioni insieme. Voglio che tutto torni esattamente come prima se non meglio, e lo so che lo vuoi anche tu e lo sai che io non c’entro in tutto e che possiamo sistemare le cose. E poi mi serve la mia damigella d’onore, perché sto impazzendo. Non arrivo nemmeno alla cena di prova di domani senza di te.»

Minto rise appena, scosse la testa: « Ah, Ichigo, a volte vorrei davvero tanto che tu facessi meno parte della mia vita. »

« Mi vuoi troppo bene perché sia vero. E ti diverti un casino a bistrattarmi e farmi comportare come una bambola ogni volta che andiamo in un negozio, soprattutto ultimamente. »

La mora si voltò, scrutandola con quegli occhioni nocciola in cui Ichigo non poté che leggere dolore. Poi esalò esasperata e scosse di nuovo la testa, sorridendole un po’ più rilassata: « D’accordo, andiamo a trangugiare calorie superflue. »

 

 

 

 

(*) Date a Cesare quel che è di Cesare – questa frase è stata scritta dalla nee-sama Ria, perché a me ste cose mielose non vengono ed ero in crisi mistica. (Testuali parole, quando me l’ha mandata la mia reazione è stata di rispondere “Che rifiuto, se venissero a dirla a me gli scoppierei a ridere in faccia” xD).

 

 

 

§§§

Buon pomeriggio fanciulle! Aggiornamento ultra-rapido perché tra poco – come al solito – cambieranno un po’ di cose nella mia routine e volevo finire questa ff prima di prendermi un po’ di meritate vacanze :3

Come alcune di voi speravano, qualcuno un po’ di pace l’ha fatta o forse no? Mwahah, quindi potrebbero essere tutti sulla strada giusta per ritornare alla normalità. Ma come al solito non posso promettervi nulla, altrimenti dove sarebbe il divertimento? ;) Anche perché il caldo mi sta uccidendo, potrebbe sempre spingermi a fare colpi di testa :P

Cercherò di arrivare con l’ultimo capitolo i più velocemente possibile, questa settimana mi arriva anche un’anima candida a cui io dovrò insegnare i ferri del mestiere, quindi potrei essere distratta ^^’’’’’’

Un ringraziamento specialissimo a Sissi1978 e Ryanforever che sono fedelissime nelle recensioni, e a Ria che mi beta e mi sopporta e mi suggerisce mielosità per me inconcepibili :D E ovviamente grazie a tutti voi che decidete di arrivare fin quaggiù!

Un bacione a tutti e buon weekend <3

 

HP

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


 

 

Thursday

 

 

Ichigo si controllò un’ennesima volta allo specchio, in cerca di ogni minimo dettaglio fuori posto. Si voltò per osservare il modo in cui il corto vestito mono-manica nero, di un morbido tessuto arricciato, le abbracciava le forme, poi sistemò le increspature dolci e rigide dorate che le incorniciavano la spalla destra, aggrottando la fronte perché l'ennesimo ritocco continuava a non convincerla. E dire che le era piaciuto così tanto quell'abito quando l'aveva trovato da non avere avuto il minimo dubbio che sarebbe stato ciò che avrebbe indossato alla sua cena di prova.

Anche se era vero che al tempo aveva avuto molti meno dubbi su tante cose.

Fece un respiro e si sistemò un'ultima volta i capelli – per l'occasione portati indietro solo da un lato da un pettinino anch'esso dorato e morbidamente arricciati – prima di passare sulle labbra uno strato veloce di rossetto matte rosso scuro.

« Baby, are you ready? We can't be late. »

La voce allegra di Ryo la raggiunse in bagno, provocandole un brivido di nervosismo più del solito.

« Mi metto le scarpe e ho fatto, » rispose sottovoce.

Lui comparve sulla porta, elegante nella camicia bianca, facendo penzolare i suoi sandali neri intrecciati da un dito: « Al suo servizio, principessa. »

La rossa scosse la testa e alzò gli occhi al cielo mentre li afferrava di scatto: « Sono costosi, » borbottò.

« Really, I would have never thought so. »

Decise di ignorare il suo sarcasmo e si sedette sulla vasca da bagno per allacciarsi le scarpe. Il cuore le stava battendo forte contro il petto, portandole una fastidiosa sensazione di mancanza d’aria nei polmoni. Deglutì forte, cercando di schiarirsi i pensieri e far calare il tappo che provava nelle orecchie.

E pensare che fino a quel pomeriggio era andato tutto bene.

Aver fatto pace con Minto, la giornata precedente, aver passato una serata tranquilla sul suo divano a cercare di distrarla con gelato, pettegolezzi e particolari organizzativi critici del suo matrimonio l’aveva riempita di una calma che non si era resa conto di mancare da un po’. Il sorriso della sua migliore amica e il modo in cui in cinque secondi le aveva risolto la disposizione degli ospiti, al tempo stesso, le avevano riportato di nuovo a galla i sensi di colpa, soprattutto quando si era soffermata sulle occhiaie scure della ballerina. Ma le era sembrato tutto un buon segno, in fondo. Aveva pensato che se Minto aveva accettato di ragionare con lei, non si sarebbe preclusa la possibilità di ragionare al più presto possibile con Kisshu, e le aveva confidato borbottando ciò che era successo e come si erano salutati al loro ultimo incontro. Ichigo non aveva voluto altro che anche quella sera passasse perché così tutto si potesse finalmente rimettere a posto.

Non aveva calcolato che tutta l’ansia di tutta quella circostanza sarebbe piombata su di lei non appena si fosse infilata quel maledetto vestito nero.

Fece un altro respiro e si alzò dalla vasca da bagno, soffermandosi un secondo per confermare di avere equilibrio sui tacchi di dieci centimetri – per quanto le piacessero, non riusciva ancora a capire come Zakuro potesse camminare su cose del genere come se stesse camminando scalza sul parquet, ma dopotutto, lei non era una modella rinomata in tutto il mondo. 

Uscì nel corridoio, agguantando nel frattempo la pochette nera lucida che aveva appoggiato sulla libreria lì davanti esattamente con l’intento di non dimenticarsela. Ryo stava aspettando all’inizio delle scale, l’attenzione rivolta al telefonino stretto in mano; la luce del corridoio era spenta, quella che proveniva dal piano di sotto era l’unica che lo colpisse, scolpendogli ancora di più i tratti magri e ben disegnati del viso. Ichigo si fermò a osservarlo, il cuore che accelerò i battiti gonfiandosi di necessità e amore per quel ragazzo, un briciolo di consapevolezza che le scoppiettò allegramente nello stomaco. Si avvicinò a lui in fretta, una mano che si posò sulla sua nuca per tirarlo vicino, l’altra che sgusciò attorno alla sua vita.

« Sono pronta. »

Ryo sorrise e le baciò la fronte, evitando accuratamente le labbra tinte: « Brava gattina. Saremo incredibilmente in orario. »

Lei chiuse gli occhi, godendosi il calore del corpo contro al suo, la sensazione delle labbra contro la sua pelle: « I love you. »

L’americano rise e le prese il viso tra le mani, sfiorandole il naso col proprio: « Aaah,  ma questo non vale, vestita così… »

« Ti piaccio? » domandò contenta lei, stringendogli i palmi e allontanandosi quanto bastava per farsi ammirare.

« Sempre, ginger, » rispose lui e la riagguantò per la vita, « Ma non posso mostrarti esattamente quello che penso o faremo tardi. »

Ichigo rise e si agganciò al suo braccio così da essere sicura di un appoggio mentre scendevano lentamente le scale, il cuore un po’ più tranquillo come tutte le volte che sentiva il profumo del suo fidanzato così vicino a lei. Si strinse ancora a lui, lanciandogli un sorriso, tentando di tenere sotto controllo anche l’ansia che sentiva indugiare alla bocca dello stomaco. Ryo le aprì la portiera della macchina quando arrivarono in garage, sorreggendola per la mano mentre lei scivolava sul sedile basso mugugnando come al solito su quanto quel veicolo fosse affascinante quanto scomodo.

« Lo sai che un certo giorno dovremmo cambiare macchina, no? » lo prese in giro mentre iniziavano a sfrecciare tra le vie affollate della città.

Ryo le lanciò un’occhiata divertita dal sotteso di quella frase: « A quel punto, ginger, mi limiterò a comprarne una tutta per te così da tenere la mia bambina per i viaggi in solitaria. »

« La tua bambina, ma sei serio? » sbuffò lei, offesa per finta, pescando il cellulare dalla pochette e scorrendo i messaggi che le erano arrivati con un pollice coperto dallo smalto scuro che Minto le aveva applicato “prima della manicure vera e propria per sabato, così avrebbe smesso di mangiarsi le unghie”.  «Spero che gli altri arrivino dopo di noi, » continuò dopo poco, « Così sarà meno imbarazzante entrare nel ristorante. »

La mano destra di Ryo si posò sul suo ginocchio per darle conforto: « Ci sono solo persone che conosci da una vita, non preoccuparti. E poi è per questo che bisogna essere puntuali. »

« Ora non ti puoi lamentare. »

L’americano le diede una stretta giocosa, poi le lanciò un’occhiata veloce, studiando il volto tondo impegnato a rispondere ai trecento messaggi che sapeva esserle arrivate sul gruppo chat con le altre ex Mew Mew. Gli sembrava calma, anche se stanca. Non che lui fosse così ingenuo da pensare che tutto fosse completamente a posto, e gli rodeva ammettere che probabilmente quel goccio di angoscia che provava non si sarebbe acquietato finché non l’avesse vista accanto a lui in bianco, una fede di oro bianco sicura al suo anulare. L’aver fatto pace con Minto, almeno, sembrava aver avuto un effetto non da poco sull’umore della rossa, e lui era anche certo di dovere almeno una bottiglia di vino pregiato a Zakuro, che l’aveva presa sotto la sua ala negli ultimi giorni ancora più del solito.

Doveva resistere soltanto fino a dopodomani, si disse, e poi tutto sarebbe andato a posto come i pezzi di un puzzle.

Guidarono in silenzio, lui che continuò ad accarezzarle la gamba nuda mentre Ichigo canticchiava sottovoce tranquilla le canzoni che passavano alla radio.

Il ristorante che avevano scelto, sotto consiglio e influenza di Zakuro, aveva riservato loro un’intera sala privata per quella cena – molto più intima della cerimonia che si sarebbe celebrata da lì a poco -, con una lunga tavolata imbandita di centrotavola fioriti e candele, al centro della stanza completamente circondata da vetrate da cui si potevano ammirare tutte le luci della città. Ichigo non riuscì a trattenersi, spalancando occhi e bocca estasiata dall’eleganza di quel luogo.

« Minto sarà invidiosissima! » trillò divertita, girando su se stessa per osservare al meglio il luogo.

Ryo alzò gli occhi al cielo, il portafoglio improvvisamente più leggero anche dopo la contribuzione dei signori Momomiya per quella serata e il pensiero della bottiglia di vino per una certa lupa già quasi del tutto scartato, e le premette una mano sull’incavo della schiena per condurla dentro verso il tavolo a parte in cui erano già stati composti dei bicchieri di champagne.

« Facciamo un brindisi prima che arrivino tutti gli altri, che dici? » fece per passarle un flûte, ma poi si fermò a pochi millimetri dalle sue dita, « Anche se devi promettere di non esagerare. »

Ichigo storse il naso e afferrò il sottile gambo di cristallo: « Non essere troppo Shirogane. È la mia penultima sera da donna libera, dopotutto. »

« Ah-ah, divertente, davvero, » lui scosse la testa e batté appena il bordo dorato contro quello che teneva lei, « Alla mia simpaticissima fidanzata. C’è voluto tanto per farcela, ma tra due giorni finalmente la gattina più bella di Tokyo sarà mia. »

« Saresti tu quello simpatico? » gli fece il verso lei, poi gli strinse la mano e se la portò dietro la schiena per tirarsi più vicina a lui, guardandolo negli occhi, « C’è voluto tanto ma ne vale la pena, no? »

« I would wait my whole life for you, red, » Ryo le sfiorò appena le labbra, i rumori degli invitati poco lontani che cominciavano ad arrivare, ma lei sentì lo stomaco contrarsi solo a quel contatto, alla voglia e alla tenerezza che riusciva a trasmetterle solo così. Avrebbe voluto essere capace, in quel momento, di dimostrargli altrettanto, ma una voce conosciuta la distrasse, facendola ridere.

« Ma non bisognava aspettare la prima notte di nozze per tutte queste smancerie? »

Ichigo si illuminò nel vedere la seconda testa più bionda del loro gruppo, e si staccò da Ryo per andare a stringere Purin in un abbraccio caloroso.

« Ce l’hai fatta, allora! »

« Non potevo mica perdermi le nozze del decennio! » replicò lei, tutta un sorriso, « Sono atterrata stamattina giusto per l’occasione! »

« Ovviamente Taruto non ti mancava e non ha avuto niente a che fare con il tuo arrivo anticipato.»

« Vecchia, sarà anche il tuo matrimonio ma ci sono giusto un paio di piante qua che potrebbero tornare utili,»

Ichigo rise ancora e prese sottobraccio Purin, impaziente di farsi raccontare qualcosa del suo ultimo viaggio in Cina.

Ben presto la ventina di altri ospiti cominciò ad arrivare, riempendo la sala giusto in tempo per l’aperitivo di benvenuto con un chiacchiericcio allegro, ognuno indossando una rivisitazione del tema oro e nero che Ichigo aveva tanto voluto per quell’occasione. Molte paia di occhi, soprattutto i pochi colleghi di Ryo che poteva ormai considerare amici e che erano poco avvezzi alla sua presenza, si voltarono speranzosi verso Zakuro non appena lei fece il suo ingresso, come al solito cercando di mescolarsi alla folla senza riuscirsi troppo, Purin che richiamò subito la sua attenzione. Ryo fece appena in tempo ad alzare il calice nella sua direzione in segno di saluto, prima che una raggiante Sakura raggiungesse la coppia di fidanzati con affianco uno Shintaro ancora non troppo contento di dover lasciar andare Ichigo.

La modella sorrise appena nel vedere l’espressione di disagio e arresa del biondo, poi esaminò la sala in cerca di una testa corvina di sua conoscenza che aveva lasciato a cuocere nel suo brodo abbastanza a lungo.

Minto stava salendo le scale in quel momento, il viso di qualcuno che avrebbe preferito davvero fuggire da lì. La modella la vide prendere un respiro e drizzare le spalle prima di entrare nella sala, proprio come avrebbe fatto un secondo prima di entrare in scena sul palco, un sorriso di circostanza davvero studiato che le si disegnò sulle labbra coperte di rossetto scarlatto. Si fece largo tra la gente e la raggiunse, Minto che la osservò da capo a piedi prima di rivolgerle un sorriso stanco.

« Stai per dirmi che è solo una cosa che hai trovato in fondo all’armadio, vero? » cercò di scherzare, riferendosi allo slip dress nero con un ghirigoro dorato leggero sul busto.

Zakuro sorrise e le passò un calice di champagne: « Omaggio di un photoshoot dell’anno scorso. »

La mora scosse appena la testa e prese subito un sorso, il dito indice che picchiettò nervoso sul gambo del bicchiere: « E’ molto bello, qui. Era da un sacco che volevo provarlo, ma le sale sono sempre riservate per eventi del genere. Ovvio che Shirogane sia riuscito a farsi spazio. »

La modella sbuffò sommessa: « Se lo meritano, non credi? »

Minto sospirò grave, cercando la figura morbida dell’amica tra gli altri: « Già… »

La viola la studiò un istante, incerta se aprire il vaso di Pandora. Ancora non aveva intravisto Pai o Retasu tra gli invitati, e viste le ultime coordinate di un altro fratello Ikisatashi, dedusse che nemmeno lui fosse già arrivato. La ballerina salutò Purin con una mano, e Zakuro sperò che Taruto le avesse fatto un resoconto veloce della situazione, così da evitare ulteriori catastrofi.

« Ti va se sabato mattina facciamo tutto a casa mia? » le domandò « Ho già detto a Ichigo che avrei fatto ritirare il vestito così saremmo state più libere, e ho tanto spazio vuoto in ogni caso. E meno oggetti fragili.»

Minto cercò di ridere: « Sì, me l’ha detto Ichigo che l’hai accompagnata tu sabato scorso, » Zakuro non mancò il tono leggermente irritato, come una frecciatina perché lei invece non aveva potuto godere della sua presenza, « Comunque a me va bene qualsiasi cosa, tanto so già che le verrà un attacco isterico e faremo tardissimo. »

Zakuro la osservò scrutare preoccupata la folla prima di prendere un sorso, poi schioccare la lingua e guardarla da sotto in su.

« Non c’è bisogno che vieni a controllarmi, comunque, onee-sama, » mormorò piano, « Sto bene, davvero. Sono grande e vaccinata, posso sopravvivere a una cena. »

La Mew lupo annuì, ben poco convinta: « Volevo solo sapere come stavi. Non mi hai risposto ultimamente.»

« Ho guardato poco il cellulare, » mentì lei, evitando lo sguardo viola, « Comunque… tutto okay. Ho solo voglia di rilassarmi, stasera.»

« Sono stata più vicina a Ichigo perché pensavo lei avesse più bisogno di te, » sentenziò Zakuro, « E perché se anche fossi venuta a dirti ciò che pensavo, qualcosa mi dice che tu non mi avresti comunque ascoltata.»

La mora sembrò accusare il colpo, annuì svogliata: « Lo so, e… ti ringrazio di avermi lasciato spazio. Io e Ichigo abbiamo già… risolto, in ogni caso.»

L’altra non domandò dell’altra persona coinvolta nella questione, ma fece solo un cenno della testa verso il tavolo con gli aperitivi: « Prendiamo qualcosa, ti va? »

Minto assentì subito, contenta del poter tallonare l’amica e cercare silenzioso conforto da lei tutta sera, seguendola tra la gente e reimpostando automatica il sorriso che in tutti quegli anni di ballo aveva imparato a ostentare convinta.

 

 

Retasu uscì dal taxi con uno sbuffo, una mano sul pancione e l’altra che si protese a stringere quella che Pai le stava porgendo per aiutarla.

«Dovremmo essere all’ultimo piano, » esclamò il marito, « Questo posto sarà assolutamente da Momomiya, vero? »

« Sarà elegantissimo, » lo riprese lei divertita, avviandosi su per la scalinata dell’entrata « Kisshu-kun, ci sei? »

Questi stava indugiando sul marciapiedi, fissando con aria nervosa quel palazzo: « Sì, voi andate su, io vi raggiungo tra cinque minuti. »

Gli occhioni blu di Retasu lo scrutarono preoccupati, ma lei mormorò un okay e si incamminò insieme a Pai lungo l’androne. Quando rimase da solo – per quanto da solo poteva essere in centro a Tokyo – Kisshu prese un respiro profondo, l’adrenalina che gli rombava nel petto da quel pomeriggio. Era da così tanto che aspettava quel momento, come una scolaretta agitata, e ora quasi temeva ciò che sarebbe potuto succedere. Doveva lottare contro il suo corpo perché i piedi si staccassero dal suolo e si muovessero verso l’entrata. Si passò una mano tra i capelli e poi infilò un dito nel colletto della camicia, tentando di allargarlo per riuscire a respirare meglio.

Si convinse che in ogni modo sarebbe andata, quello era il momento di risolverla. Non ne poteva più di non sapere, di non capire, di essere lasciato da solo con i suoi pensieri e la sua rabbia. Fece un altro respiro, esalando piano tra i denti, lo stomaco che si contorse tra l’ansia e la stizza che non era riuscito a farsi andare via in due settimane. In barba a tutte le regole, evitò l’ascensore, per lui decisamente claustrofobico, e si teletrasportò dietro l’angolo della sala da cui sentiva provenire un vocio allegro. Sbirciò appena per confermare che fosse quello lo spazio riservato ai futuri signori Shirogane, si stirò appena con le mani la camicia, ed entrò, il cuore che gli martellava in petto.

Non lo fece nemmeno apposta, ma sapeva che ormai era diventata quasi un’azione automatica: i suoi occhi individuarono subito la figura minuta ed elegante di Minto tra la folla, la chioma scura che lo chiamava a lei. Sentì il petto dolergli, la mancanza che sentiva che lo schiacciò come un macigno e che gridava perché andasse da lei, l’orgoglio che lo teneva lì inchiodato. Come aveva previsto, Zakuro le stava vicina, intrattenendola in una conversazione che sembrava abbastanza casuale, ma lei gli dava le spalle quindi non poteva ancora vedere il suo viso. Iniziò a muoversi ed incrociò invece lo sguardo della modella, che aveva cercato apposta. Si sarebbe aspettato di vederla minacciosa come al solito nei suoi confronti, invece le iridi lillà sembrarono quasi incalzarlo, una muta adesione nei suoi confronti.

O forse lui era impazzito del tutto.

Si fermò un secondo, a pochi metri da loro due, giusto mentre Zakuro si allontanava con una scusa che lui non udì ma che non sembrò allarmare la Mew bird. Kisshu prese un ultimo respiro e si avvicinò del tutto a lei, la gola in una morsa e le mani che si strinsero da sole.

«Stasera la damigella d’onore è più bella della sposa.»

Minto avvertì un brivido freddo nel percepire Kisshu dietro di sé, una calma inaspettata nella sua voce. Si voltò lentamente, stringendo il bicchiere che teneva in mano.

«Ciao, Kisshu

Lui la guardò con un sorriso accennato, riempendosi gli occhi di lei dopo quella settimana. Indossava una elegante tuta di seta nera con dei pantaloni a palazzo, accollata davanti ma che le lasciava la schiena scoperta fino a sotto le fossette di Venere, un fiocco dorato dai lunghi nastri che si chiudeva intorno al collo, lasciato libero dai capelli acconciati in una bassa crocchia sapientemente disordinata.

Forse anche gli altri l’avrebbero capito, ma lui, che ormai poteva leggerla come un libro aperto, sentì il cuore raggelarsi e scendere vertiginosamente nello stomaco a vedere l’ombra di tristezza sul suo volto, e sapere che – anche involontariamente – lui ne era la causa.

Non avrebbe potuto resistere oltre.

Si schiarì la gola, trovandola improvvisamente secca, e cercò di mantenere una certa compostezza mentre le porgeva la mano e faceva un cenno verso la veranda del ristorante: «Parliamo un attimo?»

La solita Minto lo avrebbe guardato storto, sibilandogli di non azzardarsi a fare scenate in pubblico e che certe cose andavano tenute per i momenti privati, invece annuì in silenzio, ignorò il suo palmo e lo seguì semplicemente, senza emettere fiato.

Uno splendido giardino artificiale, con i sentieri in ciottolato e tanti alberi in fiore, si stagliò davanti a loro, in contrasto con le pareti completamente a finestra com’era il ristorante, e i rumori della cena si acquietarono dietro al vetro della porta. Minto sospirò, appoggiandosi alla ringhiera e guardandolo, aspettando.

«Vivere in casa di Retasu e Pai sta diventando stretto,» Kisshu cercò di scherzare con una finta risata, poggiando anch’egli un braccio sul parapetto. Si sarebbe aspettato che lei gli rispondesse a tono, arrabbiata, qualcosa sulle linee del allora forse non saresti dovuto uscire di casa, imbecille, e invece spostò lo sguardo per fissare la città sotto di loro, annuendo poco convinta.

Kisshu si rese conto che non aveva mai visto la ragazza così vulnerabile, e di quanto lo stesse consumando lentamente. Non riusciva nemmeno a ritrovare quella collera nei suoi confronti che l'aveva alimentato nella testardaggine di ignorarla come lei stava ignorando lui, svanita all'improvviso nel guardarle il volto. E dire che aveva almeno tentato di prepararsi tutto un discorso, mantenere un certo atteggiamento, almeno tentare di fare il sostenuto, ma non si sarebbe mai aspettato di trovarsela davanti così… sconfitta. Come se si fosse aspettata un certo risultato da quell’incontro e non avesse possibilità di scelta, di cambiarne l’esito.

« A cosa pensi? » le chiese, senza nemmeno ponderare sul perché di quella domanda.

Minto si strinse nelle spalle, giocherellò con il bracciale d’oro bianco che indossava: « Non avevamo mai litigato così. »

« C’è sempre una prima volta per tutto, no? »

« Non necessariamente. »

Kisshu annuì, strinse la bocca in una linea sottile: « Non hai risposto alla domanda che ti ho fatto la settimana scorsa. »

La vide trasalire, continuare a fissare le proprie mani: « Credo che sia tu quello venuto a lasciarmi, no? »

Lui fece schioccare la lingua e sbuffò: « Non giocare la carta della vittima, Minto. Sai benissimo che le cose non stanno così. Non sarei qui a parlarti altrimenti. »

Un barlume del fuoco che l’accendeva sempre sembrò riapparire: « Mi verrebbe da pensare che mi si concederebbe almeno la grazia di lasciarmi faccia a faccia, dopo tutto questo tempo. »

« Non ho smesso un secondo di amarti, né ho mai pensato di lasciarti, » sbottò arrabbiato lui, cercando di regolare il volume della voce, « Quindi per una volta smettila di dire stronzate e ascoltami. »

Minto sembrò farsi più piccola, spostò nervosamente il peso da un piede all’altro intanto che continuava a evitare lo sguardo dorato che sentiva perforarla.

« Mi manchi, passerotto. A volte non vorrei, perché rende tutto più difficile, ma è così. Ed è normale, perché sono schifosamente innamorato di te da sei anni, e non ho intenzione di buttare la nostra storia nel cesso per i giochetti mentali di una disturbata,» Kisshu si passò rabbiosamente una mano nei capelli, scompigliandoli ancora di più, prendendo fiato dopo aver sciorinato quelle parole quasi senza pensarci, « A te non è piaciuto ciò che hai visto, ma non puoi farmene una colpa, perché non sono stato io a fare quelle cose. E non è piaciuto neanche a me quello che ho visto, sai, la differenza è che poi certe cose di te in effetti si sono avverate.»

La mora sussultò e strinse le labbra, le nocche che si tinsero di bianco attorno al bicchiere, così tanto che giudicò più sicuro poggiarlo su un tavolino di legno lì accanto.

«… è difficile fare i conti con i propri difetti sbandierati ai quattro venti e ingigantiti di sei volte, » sussurrò dopo un po’.

« Sì, specialmente quando si è una viziata permalosa, orgogliosa e maledettamente testarda. Tutti aggettivi che puoi usare anche con me, la differenza è che io per te mi faccio il culo in ogni caso. »

« Vuoi ricominciare a litigare? » la voce tremula non nascose ciò che lei stava cercando di celare standogli davanti di profilo, il viso girato verso le piante.

Kisshu sospirò piano: « No, passerotto, però, non posso neanche far finta di nulla. »

« Credi che non l’abbia capito? » la sentì tirare appena su con il naso, « Credi che sia stata a farmi i cavoli miei tutto il tempo, che non sia stata male da morire a ripensare a tutte le cose orribili di me che ci hanno mostrato? Per te è sempre tutto così… semplice. Tu sei quello sempre con i sentimenti chiari e facili, quello che si butta nelle cose senza pensare, per me invece… »

L’alieno fece un passo verso di lei, ma nello stesso istante Minto ne fece uno indietro, stringendosi le braccia intorno al petto.

« Stare come sono stata in questi giorni, senza di te… » scosse la testa, il viso rivolto verso il basso, « Mi ha fatto paura. »

« Io non voglio starci senza di te, » lui tentò di nuovo di avvicinarsi, cercò di incontrare i suoi occhi senza riuscirci, «Se ho capito qualcosa da questa esperienza, è che non voglio smettere di lottare per quello che abbiamo. Anche se a volte dovrò fare il lavoro per due perché tu hai la testa troppo dura. Ma non posso essere l’unico che lotta, e che si piega a certi compromessi. Sei così flessibile tu, poi, potresti sforzarti anche di esserlo in quella testolina. »

Minto gli lanciò un’occhiataccia, poco divertita dalla sua battutina: « Non te ne dovevi andare. »

« Lo so, ho fatto una stronzata. Tu però potevi venirmi a cercare. Ora che siamo giunti a questa conclusione, cosa? Credi che sia saggio rinfacciarci i se e i ma? »

« … hai passato troppo tempo con Retasu, stai quasi diventando una persona matura. »

Kisshu rise piano e le si avvicinò ancora, il suo odore che gli solleticò piacevolmente le narici, infondendogli una calma che gli era mancata: « Ci sono un po’ di cose di te che cambierei, tortorella, ma non potrei mai cambiare te. Credo di essere decisamente certo del fatto che tu sia la donna della mia vita, e lo sai che quando mi fisso faccio fatica a cambiare idea. »

La mora lo guardò da sotto in su, come se stesse riflettendo sulla cosa, poi sospirò: « Lo sai che… ho paura di perderti. È irrazionale pensare a te e Ichigo, lo so, però è incancellabile e… » scrollò le spalle, scostando lo sguardo con una punta di vergogna a dover ammettere di riportare ancora a galla quel discorso ormai antico.

« Tortorella, lo so. Anche Shirogane non è felice che Masaya sia stato invitato al matrimonio e che lui e Ichigo si scambino gli auguri di Natale, come Pai non è felice che Retasu abbia avuto una cotta per il biondino. Lo capisco, ma più che dirti che ormai per me è solo un ricordo anche abbastanza infelice, non posso fare altro. Se non dimostrarti tutti i giorni quello che provo per te. Però tu mi devi venire incontro. »

« Ho esagerato, » ammise dopo un attimo Minto, e lui poté vedere quanto le stesse costando pronunciare quelle parole, « Ma ho avuto paura. Era tutto più grande di me. »

« Non è molto difficile essere più grande di te. »

« Idiota. »

Lui rise e fece un altro passo avanti: « Anche io ho esagerato, tortorella. E mi dispiace, davvero. Però da un lato credo ci abbia fatto bene. Ci ha messo davanti degli specchi enormi e ci ha fatto capire molte cose. »

Minto annuì, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi: « Non ti azzardare mai più ad andare via di casa. »

« Non ti azzardare mai più tu a dire che non sei la cosa più importante della mia vita. »

Lei non rispose, ma fece un passo avanti e gli cinse il torso con le braccia, appoggiando il mento alla sua spalla e sospirando nel sentire la familiarità del suo profumo. Kisshu la strinse forte a sua volta, inspirando l’odore della sua pelle e approfittandone subito per riconquistare con le labbra la pelle liscia delle spalle.

«Lo sai che ti amo da impazzire,» le sussurrò all’orecchio, « Non ho intenzione di farti liberare di me così facilmente. E se proprio vuoi saperlo, ho tutta l’intenzione di dimostrartelo come si deve e ricordartelo ogni dannatissimo giorno dopo giorno dopo giorno, per il resto della vita. Specialmente le volte che te lo scorderai. »

Minto si staccò appena per guardarlo, curiosa e confusa: « … stai dicendo che - »

« Ah-ah-ah, » la interruppe lui, sogghignando, una mano che scese pericolosamente sotto al livello della sua vita: « Questo è il grande momento di Shirogane e Ichigo, non possiamo rovinarglielo. Pazienta un po’.»

Minto sussultò e strinse gli occhi, divertita, poi sospirò irritata: « Sei davvero un idiota. »

Lui rise e le prese la guancia per baciarla, incurante degli ospiti dall'altra parte della vetrata.

Solo Ichigo, però, li stava guardando, mordendosi un labbro. Si arricciava nervosamente una ciocca di capelli attorno al dito, desiderando che quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco le sparisse. Era contenta per la sua migliore amica, ovviamente; non c’era assolutamente l’ombra di dubbio su quello, l’aveva desiderato fortemente da quando aveva visto la sua espressione fuori dal Caffé, appena tornati da quel viaggio dell’incubo. Al tempo stesso, però, una parte di lei era tremendamente invidiosa. Aveva parlato e riparlato con Ryo, aveva cercato incessamente il suo calore in tutti quei giorni e sapeva che per lui non era cambiato nulla. In lei non erano cambiati i sentimenti, di quello era certa, ma…

C’era sempre un piccolo, misero, insignificante ma che le faceva paura. 

Avrebbe voluto mettere una pietra sopra tutto e poter affermare che non sentiva né dubbi, né rabbia, né colpa.

Avrebbe voluto fare quello che sapeva – ogni tanto – Minto fosse più brava di lei a compiere: riuscire a parlare di certi argomenti come un'adulta, pensare razionalmente e senza mettere da parte il cuore al tempo stesso.

Uno scoppio di risa la distrasse e lei sobbalzò, ritornando al presente. Ryo stava parlando con alcuni colleghi di lavoro, ma continuava a lanciarle occhiate preoccupate, e lei non poteva sopportare di sapere che lui temeva se ne sarebbe andata proprio in quel momento, che gli dicesse che il matrimonio stava saltando. Si odiava per quello. E si odiava perché non sapeva come risolverlo.

Lui le si avvicinò e le sorrise, le sfiorò una guancia: «Tra cinque minuti inizieranno a servire la cena. Dovremmo cominciare a far sedere tutti.»

Lei annuì, nonostante i tacchi si sporse in punta di piedi e gli lasciò un bacio che, sperava, potesse essere rassicurante. Ryo lo fece durare qualche secondo di più del necessario, poi ridacchiò: «Credo che tuo padre non approverà queste smancerie almeno fino a sabato.»

Ichigo storse il naso, ironica: «Chi ti dice che dopo gli andrà bene?»

Lui le diede un buffetto sulla fronte: « Point taken. »

Le prese la sedia e l'aiutò a sedersi, prendendo poi posto accanto a lei mentre tutti gli altri commensali si riunivano intorno a loro. Ichigo vide Zakuro sorridere contenta verso Minto e Kisshu, ovviamente non mano nella mano ma che camminavano vicini, i visi un po’ più illuminati rispetto a prima. La rossa cercò lo sguardo dell'amica mentre si sedeva due sedie più in là dalla parte opposta, e Minto ricambiò un sorriso leggero, un'ancora di salvezza. I camerieri iniziarono a sfilare intorno a loro, ogni piatto accuratamente spiegato a lei e a Ryo e di cui era sicura della bontà, che però lei non riusciva a gustarsi a pieno.

Le sembrò che tutta la cena stesse passando velocemente mentre lei era avvolta da una bolla. Poteva sentire il tintinnio delle posate sui piatti, il chiacchiericcio vivace, la mano di Ryo sul suo ginocchio, il sapore del vino sulla lingua, ma c'era sempre un ronzio di sottofondo che la distraeva e la portava lontano da lì.

Avrebbero dovuto essere i giorni più felici della sua vita, e lei si sentiva come se stesse rovinando tutto.

I camerieri avevano appena portato via i piatti dei secondi quando Minto si alzò, facendo rintoccare piano la forchetta sul bicchiere di champagne per attirare l’attenzione, la tavolata che si acquietò pian piano.

« Buonasera a tutti, » salutò elegantemente, un sorriso cordiale in viso, « E’ mio onore e onere, in quanto damigella d’onore, offrire a Ichigo e Ryo un brindisi anche in occasione di questa piacevole serata. »

Un mormorio di incoraggiamento felice si levò dagli invitati mentre Ichigo arrossiva imbarazzata e Shirogane l’avvolgeva con un braccio intorno le spalle, lasciandole un bacio veloce sui capelli scarlatti.

« Sarò breve, dopotutto devo lasciare il meglio per dopodomani, » l’ammiccare della mora scatenò un paio di risate, e Ichigo si chiese come l’amica – che lei poteva vedere ancora scossa e stanca – poteva sempre comportarsi così perfettamente, « L’unica cosa che mi preme dire stasera, oltre a ringraziare i signori Momomiya per averci offerto questa splendida cena, è che finalmente posso augurare a quei due testoni tutta la felicità del mondo. Anche se, avessero aspettato un anno di più, io avrei vinto la mia scommessa.»

Gli invitati risero ancora, Shirogane che scosse la testa ben poco divertito dalle continue battute su quanto ci avesse messo effettivamente a conquistare Ichigo, e Minto continuò tranquilla.

« Vi conosco ormai da quindici anni.  Vi sopporto da quindici anni, e Shirogane, dovresti seriamente ringraziarmi per fare costantemente da supporto morale alla tua dolce metà, » la suddetta protestò fievolmente, e Minto fece un respiro, il dito indice sinistro che batteva sul tavolo che tradiva il suo nervosismo, « E Ichigo… sei la mia migliore amica. Per quanto tu sia impossibile a volte, è davvero un onore essere la tua damigella d’onore. Siete ahimé terribilmente perfetti insieme, vi guardate ancora come due sedicenni in piena tempesta ormonale, e io vi auguro tutta la felicità del mondo. »

Ichigo sentì il cuore gonfiarsi di affetto mentre si specchiava nelle iridi scure della ballerina, un’improvvisa impressione di sollievo a quell’ennesima conferma che sarebbe stata al suo fianco, che l’aveva perdonata, e annuì commossa, appoggiandosi di più su Ryo, che continuava ad accarezzarle il braccio.

« Prometto che avrò altri racconti molto più esaltanti sabato sera, dopotutto come dicevo siamo amiche da una vita quindi un pochino dovreste tremare, ma ora torniamo a concentrarci sulla cena e a goderci il resto della serata! »

Un giro di applausi salutò Minto mentre si risiedeva, Kisshu che le mormorò qualcosa all’orecchio che la fece arrossire e alzare gli occhi al cielo. Ichigo si alzò di scatto e girò intorno al tavolo, raggiungendola per abbracciarla d’impeto.

« UffffMomomiya se mi spettini poi… ! »

« Grazie, » esclamò la rossa, sedendosi con ben poca grazia sulle ginocchia dell’amica, la quale comprese subito che non si stesse riferendo solamente al discorso che aveva appena terminato. « Ciao, Kisshu-kun. »

« Ciao micetta, » rispose lui, divertito dall’espressione già scocciata di Minto per tutte quelle inutili effusioni (e probabilmente anche dalle dita di lui che persistevano nello sfiorarle svagato la curva della schiena, proprio dove terminava la scollatura della tutina), « Elegantissima stasera. »

« Vi state divertendo? » tastò le acque lei, incerta su quanto potesse effettivamente indagare in quel momento.

« Prima che tu piombassi il tuo dolce peso su di me, sì, » borbottò Minto, cercando di farla spostare, «Pensi di rimanere qui a fare la bambina ancora per molto? »

Ichigo rise e le si strinse al collo un’ultima volta, Purin che ridacchiò rumorosamente poco più in là e esclamò a gran voce di star scattando una foto che avrebbe usato contro di loro alla prima occasione utile.

« Allora vado. Ci vediamo dopo? »

« Siamo letteralmente a mezzo metro di distanza, Ichigo. »

Mentre la rossa si alzava, e Minto ricercava contegno assicurandosi che l’acconciatura fosse assolutamente a posto, Zakuro le osservò con un sorriso soddisfatto e materno, prima di prendere un sorso dal suo bicchiere e scambiarsi uno sguardo di intesa con Ryo, che annuì e sembrò esalare piano il respiro che aveva trattenuto tutto quel tempo.

 

 

**

Friday

 

Ichigo prese un sorso di caffè, facendo penzolare i piedi dall’isola della cucina su cui era seduta, addosso soltanto la camicia stropicciata del pigiama, osservando con aria abbattuta Ryo che metodicamente si preparava un intruglio proteico che le faceva venire il voltastomaco solo a guardarlo.

« Sei tu quella che vuole rispettare le tradizioni, sai,» la prese in giro divertito, « Io dormo molto bene nel mio letto. »

« Anche Zakuro-san lo dice,» borbottò in risposta lei, « Non bisogna vedersi la notte prima. »

L’americano rise, si fece spazio tra le sue gambe nude per poggiare la fronte contro la sua: « Hai paura che scappi in queste trenta ore? »

« Ha detto la sera, non l’intera giornata. »

Ryo le prese le mani e se le portò attorno alla vita, baciandola dolce: « Tanto non mi avresti considerato comunque. Devi andare con Minto e le altre alla spa per un massaggio, no? E poi lo so che andrete in giro per shopping dell’ultimo minuto e a una cena ben più cara di quanto mi piacerebbe. »

La rossa mugugnò poco convinta, conscia delle tempistiche di Minto quando si trattava di fare la pace con Kisshu, e si strinse di più a lui, avvolgendogli anche le gambe intorno alla vita come un piccolo koala: «Non puoi andare in palestra dopo? »

« Ginger, devo portare quei documenti in ufficio prima di sparire per due settimane in un resort delle Bahamas. »

Lei fece una smorfia contenta al pensiero della loro luna di miele, strusciandosi un poco contro di lui: « E’ abbandono di consorte. »

« Futura consorte, e non ci provare, » Ryo le diede un buffetto sul naso, strappandole un altro bacio prima di districarsi da lei, « Devo andare, o farò tardi. »

« Okaay, » Ichigo rabbrividì appena alla mancanza di calore, piegò la testa di lato e sporse il labbro inferiore come una bambina indispettita, « Almeno scrivimi. »

Lui annuì, le scostò appena la frangia dagli occhi per poterli osservare bene: « Tranquilla, red, d’accordo?»

Ichigo annuì in silenzio, chiudendo le palpebre all’ultimo bacio che le diede e che le sembrò durare qualche istante più del dovuto, lo salutò con un a domani sussurrato e lo seguì con lo sguardo mentre si allungava nel corridoio per prendere la borsa da palestra.

Non appena sentì chiudere la porta, il silenzio l’avvolse pesantemente. Aveva evitato il più possibile di rimanere in casa da sola per lunghi periodi di tempo, cercando costantemente le attenzioni del biondo, per quanto avesse cercato anche di schiarirsi la testa quanto più potesse. Tamburellò con le dita sul bordo dell’isola, sbuffando nel ricontrollare l’orologio e vedere che persisteva integerrimo a segnare le nove del mattino, un orario che per lei continuava a essere impensabile.

Sarebbe probabilmente impazzita se non avesse trovato nulla da fare fino alle due di quel pomeriggio, da sola con la sua angoscia. Ma non poteva nemmeno disturbare le altre, a quell’ora, già le avrebbe viste più tardi, e tutta la mattina dopo… solo a pensarci le si mozzava il fiato in gola. Non era una brutta sensazione, non del tutto, di quello era convinta – assomigliava molto all’eccitato gorgoglio che aveva provato alla bocca dello stomaco tutti i primi appuntamenti che aveva avuto con Ryo, ormai così tanti anni prima, l’euforia dell’attesa che le faceva battere forte il cuore (e spesso spuntare le orecchie e la coda da gatto). Si tastò previdenziale la testa, giusto per controllare che in quel momento non stesse succedendo qualcosa di simile – e pregando sommessamente che non succedesse il giorno dopo, sarebbe stato un guaio non da poco – e sbuffò di nuovo, le dita che continuavano a torturare il povero piano di marmo. Allontanò la tazza di caffè, ben conscia che le stesse facendo più male che bene, e con un saltello si rimise a terra, iniziando a girovagare pe casa ripassandosi mentalmente ogni dettaglio della cerimonia.

Se fosse rimasto qualcosa da fare, si sarebbe almeno concentrata su quello. Invece era più che sicura che tutto fosse a posto, aveva ricontrollato con la sua wedding planner la sera prima, con Minto anche, e avrebbe verificato il tutto di nuovo appena dopo pranzo. E sperava davvero che il giorno successivo non avrebbe ricevuto messaggi inquietanti dall’organizzatrice, non aveva proprio voglia di dover fronteggiare qualsiasi problema che per lei, lo sapeva, si sarebbe ingigantito più del necessario. Contò sulle dita ogni cosa che si ricordava, dalla taglia del vestito delle damigelle all’indirizzo del negozio già fornito a Zakuro, al numero di centrotavola per il ricevimento. Aveva pure risolto quale tinta di rossetto nude indossare, e della manicure si sarebbe occupata la SPA.

Nemmeno lei riusciva a credere che tutto fosse già pronto.

Anche se forse, una cosa da fare in fondo c’era.

Si bloccò nel mezzo del corridoio, tre dita ancora alzate e la bocca spalancata. Se davvero voleva partire per il resto della sua vita con il cuore più convinto che mai, con quell’infinitesimale paura che la stava mangiando dentro… poteva esserci una soluzione. Poteva sfruttare il fatto che fosse così presto, che non ci fosse nessuno con lei, che anche Keiichiro fosse impegnato per gli ultimissimi preparativi per il suo matrimonio e…

Fece dietrofront senza indugiare, diretta al suo armadio. Come aveva fatto a non pensarci prima? Come poteva esserle sfuggita la risposta a tutte le sue domande?

La parte più razionale di sé – quella allenata da Ryo in anni e anni – le ricordò che forse l’aveva evitata proprio perché non era detto che sarebbe stata effettivamente la tattica giusta per risolvere la questione, visto che era stata essa stessa il principio di tutto quel casino. Ma d’altronde, come peggio poteva andare? Se avevano già risolto il novantanove percento dei problemi scaturiti, sarebbero stati risolti un’altra volta, se necessario. E comunque, stavolta sapeva cosa avrebbe affrontato, cosa l’aspettava, e magari c’era l’infinitesima possibilità che le cose andassero come lei chiedeva.

Succedeva poco spesso, ma succedeva.

Si vestì in fretta, cacciandosi un cardigan un po’ grosso sopra il vestitino primaverile – era maggio, a Tokyo, ma si ricordava la temperatura ostile della sua destinazione - agguantò il giubbino di jeans e la borsetta, e si catapultò fuori, senza pensarci, guidata soltanto dal suo istinto.

 

 

Minto si svegliò per i baci che Kisshu le stava lasciando languido sul collo, il corpo caldo premuto contro al suo, i vestiti della sera prima ancora arrotolati per terra ai piedi del letto. Aprì un occhio solo quanto bastava per dare uno sguardo alla sveglia sul comodino.

« Sono le nove e un quarto, » mugugnò mezza addormentata e mezza divertita, « Ieri notte abbiamo fatto le cinque. »

Lui le sfiorò un fianco con la punta dell'indice: « Ma dobbiamo recuperare, non trovi? »

Minto rise, girandosi sulla schiena così da poterlo vedere in faccia: « Mi stai dicendo che ieri sera non abbiamo recuperato? »

Kisshu ghignò come un birbante: « Non è mai abbastanza! »

Lei finse di borbottare, ma intrecciò le braccia dietro al suo collo e ricambiò i baci, ridacchiando e sospirando contro di lui.

« Stiamo tutto il giorno a letto, » le mormorò, il viso premuto nell'incavo della sua spalla, « Guardiamo un film, ci facciamo le coccole, ci facciamo portare una pizza… »

« Guarda che il matrimonio è domani, sono a dieta ferrea! »

« Posso assicurarti che non sarà una pizza a rovinare questo fisico da urlo. E poi non ho detto di non avere intenzione di bruciare molte calorie. »

Minto storse il naso, passandogli piano le mani tra i capelli: « E' perché tu non hai visto quanto è stretto il vestito di domani. Oltre che rosa, ma vabbè.»

« E per quanto io non veda l'ora di adorarti in quel vestito, ti posso assicurare che non ti farò uscire da questo letto. »

La mora rise piano, il respiro che si spezzò appena quando la bocca fresca di Kisshu scese allettante nell’incavo dei seni: « Ho un appuntamento oggi pomeriggio con le ragazze alla nuova SPA, è un ingresso speciale. »

« Te lo faccio io il massaggio. »

« Kisshu! »

L’alieno rise, poi finse di mettere il broncio: « Allora dillo che non vuoi passare del tempo con me. »

Minto alzò appena gli occhi al cielo: « Non posso passare tutto il giorno con te oggi. Ma da domenica sono una donna libera. »

« Libera un corno. »

Le fece il solletico, ridendo anche lui quando la vide contorcersi cercando di fermarlo, il viso tra il divertito e l’arrabbiato, prima che le catturasse le labbra rubandole il sospiro di sollievo. La baciò lentamente, sistemandosi meglio tra le sue gambe per poter far combaciare ogni millimetro possibile di pelle, desiderando semplicemente avvertire tutto il tepore del suo corpo, il bisogno e la delicatezza con cui Minto si stringeva a lui, i mormorii spezzati di flebile pizzicore ogni volta che le sfiorava le anche con la punta delle dita. Aveva ancora gli occhi pesanti del sonno mancato la sera prima, passata molto di più a parlare in realtà, a rimettere insieme i pezzi e a farsi promesse di guardare avanti invece che ancorarsi al passato, che a suggellare il tutto facendo l’amore, ma ora voleva solo accertarsi che fossero davvero lì, carne contro carne e cuore contro cuore, senza bisogno di frasi o discorsi.

« Potresti essere così docile e paziente anche fuori dalle lenzuola, » le mormorò, un lampo divertito nelle iridi fulve.

« Tu non imparerai mai a stare zitto nei momenti opportuni, » replicò lei.

Kisshu rise, le accarezzò un’ultima volta i fianchi, stava già per infilare le dita intorno al bordo dell’intimo che Minto indossava quando il cellulare della mora si mise a vibrare insistentemente sul comodino. Lui grugnì insoddisfatto, concentrando la bocca sul suo punto preferito del collo della ragazza.

« Non rispondere. »

« Potrebbe essere importante, » borbottò lei controvoglia, allungando una mano alla cieca per afferrare il telefono, « Metti che è quell’isterica di… »

Si bloccò prima di terminare la frase, studiando le due chiamate perse e il messaggino che l’attendevano sullo schermo. Kisshu smise di baciarla, alzò la testa per incontrare il suo viso confuso e tinto di una vaga preoccupazione.

« … Ichigo, » spiegò lei, « Dice che potrebbe fare tardi oggi pomeriggio perché deve fare delle commissioni e di non cercarla perché non sentirà sicuramente il telefono, e se Ryo la cerca di informarlo. »

Si scambiarono un’occhiata impensierita, pensando entrambi la stessa cosa. Minto picchiettò un’unghia sullo display del cellualre, incerta sul da farsi, prima che Kisshu glielo levasse dalle mani per appoggiarlo di nuovo al suo posto, e intrecciasse le dita con le sue, portandole le braccia sopra la testa.

« Lascia che faccia, » le mormorò, « Tanto non riesci a farle cambiare idea, e io in questo momento non ho nessuna voglia di star dietro a Ichigo. Ci pensi dopo. »

« E se si caccia di nuovo nei pasticci? »

« Passerotto, » Kisshu quasi guaì, lamentoso, allungandosi su di lei, « Non possiamo sempre farle da baby sitter. Se la caverà, qualsiasi cosa voglia fare. Vorrei pensare a noi, che dici? »

Minto indugò un secondo, lo guardò arricciando il naso: « So io a cosa vuoi pensare. »

Lo vide ghignare contento: « Mi puoi forse biasimare? »

 

 

Come aveva previsto, il Caffé era completamente vuoto, Keiichiro aveva deciso di chiuderlo apposta i due giorni prima della cerimonia per terminare in pace la notevole torta di nozze (per cui aveva chiesto il gentile supporto nella manodopera ad un pasticcere di sua conoscenza) ed evitare potenziali catastrofi ad essa correlata. Ichigo scelse comunque la porta sul retro ed entrò di soppiatto, quasi in punta di piedi, scendendo con cautela i gradini fino al piano di sotto perché non scricchiolassero.

Ora capiva perché Pai non avesse mai gradito del tutto che anche le ragazze avessero diritti di accesso controllati al portale su Gea.

Ichigo fece un respiro profondo, ferma davanti allo scaffale dei coloranti alimentari, prima di appoggiare il palmo sul legno e far scattare il pannello che nascondeva lo scanner delle impronte digitali. A differenza degli Ikisatashi, a cui bastava semplicemente il riconoscimento della mano, lei dovette digitare un codice apposta, misura precauzionale in più per non allarmare né l’uno né l’altro capo del portale quando un essere non alieno cercava di avere accesso.

Il trillo positivo le fece capire di essersi ricordata la sequenza giusta di numeri, e lei dovette premere con tutta la schiena, puntellandosi sui piedi, per far scivolare lo scaffale e aprire lo spazio per il portale. Digitò nuovamente il suo codice e, al secondo trillo della giornata, la luce flebile di Gea la invitò a passare dall’altro lato.

Ichigo si lanciò dentro, sapendo che non avrebbe dovuto indugiare un istante di più per non perdere la convinzione che aveva, e subito si mise a correre in direzione della grotta. Una parte di lei avrebbe voluto avere con sé il ciondolo Mew, ancora funzionante dopo tutto quel tempo, per potersi trasformare in Mew Berry e saltare molto più velocemente, ma il costume rosa sgargiante con quell’irritante campanella avrebbe decisamente attirato troppo l’attenzione.

Arrivò all’entrata della caverna con il fiatone e i muscoli del collo che dolevano tanto si era guardata in giro per essere sicura che fosse troppo presto anche per gli abitanti di quel pianeta. Si piegò appena sulle ginocchia per riprendere fiato e farsi coraggio, ben rimembrando l’atmosfera cupa ed inquietante di quel luogo. Avrebbe tanto voluto non essere da sola, ma dopotutto, era una questione che solo lei poteva risolvere.

Fortunatamente non le ci volle molto per ritrovare i segni rossi sulle pietre, i vapori della caverna che subito le fecero apparire un accenno di mal di testa. Raggiunse veloce lo spiazzo, che si ricordava molto più grande e meno minaccioso, e vi si mise subito al centro, pestando i piedi per terra.

« Yuuko! » gridò, con un’audacia che non sapeva nemmeno lei da dove provenisse, « Yuuko, ho bisogno di parlarti! Riesci a sentirmi? »

L’eco delle sue parole fu la sola risposta che ottenne, mescolato ai sibili del vapore che usciva dalle crepe attorno a lei.

« Yuuko, per favore! Lo so che ci sei, da qualche parte! »

Le sembrò di avvertire un borbottio lontano, e per un istante si chiese se non fosse solo la sua mente che scambiava speranzosa il gorgoglio del suo stomaco per un segnale che qualcuno la stesse davvero ascoltando. Rimase in silenzio ancora un po’, girando su se stessa per controllare ogni centimetro di quel luogo, desiderando di poter sentire una voce, anche spaventosa come l’ultima volta, che le rispondesse.

« Yuuko, ti prego, » implorò ancora, un accenno di fastidiose lacrime che le pizzicarono gli occhi.

All’improvviso, la terra sotto i suoi piedi cominciò a tremare minacciosa, un boato che avvolse l’intera caverna, i vapori che sembrarono farsi più forti e densi. Ichigo strinse forte le palpebre, preparandosi alla caduta di cui ancora il suo fondoschiena si ricordava, ma le scosse si fermarono in pochi secondi, il rumore che scemò pian piano mentre la condensa sui suoi vestiti si raffreddava, facendola rabbrividire.

Era forse un uccellino quello che sentiva cantare?

Si tolse lentamente le mani dalle orecchie e aprì solo un’occhio, preoccupata. Non era decisamente più nella caverna, ma non sembrava nemmeno nel labirinto che si era aspettata di vedere. Sembrava piuttosto che il suolo sotto di lei, così latteo e vaporoso, fosse quello di una nuvola.

Aprì di scatto gli occhi e sobbalzò, tastando con cura il terreno per essere sicura che non cedesse. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per abituare gli occhi a quella luce così intensa, molto diversa da ciò per cui si era preparata. In quel luogo non c’era assolutamente nulla, per quanto lei potesse vedere, soltanto nuvole bianchicce che si avviluppavano l’una sull’altra senza apparente fine. Eppure, era sicura di poter sentire i cinguettii lontani di qualche volatile, come a prenderla in giro mentre lei cercava disperata di vederne almeno uno per essere sicura di non star perdendo del tutto la ragione.

« Hai finito di saltellare come un grillo impazzito? »

Dovette trattenere un gridolino di spavento, sussultando un’ultima volta mentre si voltava verso la voce svogliata e piccata di Yuuko, stesa questa volta su un trono che sembrava fatto della stessa sostanza del suolo intorno a loro.

« A-allora mi hai sentita, » boccheggiò la rossa.

La donna roteò gli occhi: « Come facevo a non sentirti, sberciavi come una pazza. Non è molto cortese, sai, mettersi a urlare in casa di qualcun altro. »

Ichigo aggrottò la fronte: « La caverna è casa tua? »

« E’ una metafora, ragazzina. Comunque. Cosa vuoi. »

Lei si morse un labbro, a disagio per la schiettezza con cui quella donna si stava rivolgendo a lei.

« Ehm… io… »

« Anche io non ho tutto il tempo del mondo, sai. »

« Ci hai fatto vedere solo cose orribili, » le parole scivolarono veloci dalla lingua della rossa, che strinse i pugni lungo i fianchi, « E tutti continuano a dire che l’hai fatto apposta, come per prenderci in giro. A me non interessa, » scosse la testa, cercando di mantenere salda la voce, « Ma… ma ti prego. Domani devo sposarmi, e mi basta anche solo un mondo, uno sprazzo piccolissimo di felicità. Non chiedo tanto. »

Yuuko la osservò per qualche istante, la guancia posata sul pugno chiuso, poi lanciò la testa all’indietro e rise ad alta voce, le labbra di un rosso intenso che scoprirono i denti perfetti: « E la felicità ti sembra poco, umana? Tsk, tsk, tsk, » prese un respiro profondo e fece finta di asciugarsi una lacrima con un indice magro, « Sei proprio recidiva, allora. E io che pensavo di avervi spaventato abbastanza. Eppure ve l’avevo detto che questo luogo non vi avrebbe lasciati facilmente. »

La strega si stiracchiò come un gatto e si lanciò giù dal trono, atterrando con perfetto equilibrio sui tacchi a spillo, facendosi vicina alla ragazza.

« Però devo rendertene conto, non molli facilmente, » commentò, « O forse sei solo testarda e non vuoi fare i conti con la realtà dei fatti. »

« Quella non era la realtà, » Ichigo avrebbe tanto voluto allontanarsi, ma resistette stoica, fissando le iridi scure, « Lo sai benissimo anche tu. E anche se fossero stati altri mondi davvero esistenti, da qualche parte, allora sicuramente non erano gli unici. »

« Hai imparato bene la filastrocca, vedo, » Yuuko la prese in giro, piegando ancora la testa di lato ed osservandola con aria divertita, « Immagino che i tuoi preziosi amici abbiano formato un circolo protettivo intorno a te per convincerti a non far saltare in aria il matrimonio dopo che le tue favolette sono state infrante. »

Le nocche della rossa diventarono bianche tanto stava stringendo i pugni: « Io sono convinta di volermi sposare. Amo Ryo più di qualsiasi altra cosa al mondo. »

Un sorriso inquietante si stese sulla bocca scarlatta della strega: « E allora perché sei qui? »

Ichigo tentennò un secondo, il cuore che le batté così forte contro al petto da spezzarle il respiro: «Perché non mi piace essere presa in giro per pura cattiveria. »

Yuuko la fissò come se stesse ponderando qualcosa, senza smettere di sorridere, poi sospirò rumorosamente: « Devo capire se Shirogane sia un ragazzo molto fortunato, o estremamente sventurato. »

La rossa si corrucciò, confusa: « Cosa - ? »

Ma Yuuko aveva già alzato una mano, e con un sorriso perfido schioccò le dita: « Bon voyage. »

 

 

 

 

 

 

§§

Voi pensavate che questa ff avrebbe avuto una fine normale, eh? ;) E invece…. ^^

Buon pomeriggio mie dolci <3 Mi sono tenuta un po’ da parte quest’ultimo capitolo anche perché, come vedete, ci sono un paio di cose che devono proseguire ;) E trovandomi momentaneamente in “vacanza forzata” (ah, i cambi di contratto, che belli -____- ) mi sto rilassando molto tra Playstation e divano mentre aspetto segnali divini sul mio futuro xD Quindi non sono molto nella forma mentis per scrivere, ma ovviamente sapete che cerco sempre di impegnarmi!

Siete contente? Siete soddisfatte, oppure vi ho fatto arrabbiare molto di più? :D Non potevate certo aspettarvi che da un’autrice crudele come me arrivassero cose belle tutte insieme :3

Se avrete ancora voglia di sapere come andrà a finire, solito trucchetto: pubblicherò una one-shot a sé che andrà a far parte della serie, dove vedrete dove va a finire Ichigo. Questo è l’unico spoiler che posso farvi ;) Voi mi raccomandato, seguite anche dalla spiaggia, cercherò di tenervi aggiornate anche attraverso FB :D

E ora, prima che le note diventino più lunghe della storia, colgo l’occasione per ringraziare Sissi1978, ryanforever, Ria e mobo per le recensioni e il supporto dell’ultimo capitolo <3 E ovviamente grazie a tutti i lettori silenziosi :D

Un bacione, a presto, e in bocca a l lupo a chi si trova in fase esami!

Hypnotic Poison

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Capitolo 4
*** Bonus ***


 

Saturday

 

«Dov’è Ichigo? »

« In che senso “dov’è Ichigo?” »

 

 

Il rumore dei tacchi a spillo rimbombava minaccioso, così forte nel silenzio assoluto di quella mattina. Le strade erano gremite di persone frettolose che volevano godersi il weekend soleggiato, ma i loro suoni non oltrepassavano quella specie di bolla invisibile in cui stava passeggiando. Il suo aspetto, il suo incedere deciso avrebbero sicuramente attirato l’attenzione di chiunque, ma invece nessuno si curava di lei, pur se tutti le cedevano il passo e si facevano largo per non ostacolarle il cammino. Il fumo di quella sigaretta inesauribile la seguiva ondeggiando lento, emanando un vago odore di rose invece che la prevedibile puzza di tabacco. Schioccò appena le dita per far cadere un po’ di cenere sfrigolante e portò indietro i capelli, sorridendo appena soddisfatta, le labbra ancora più rosse del solito.

Gli umani non cambiavano mai, non importava quanto tempo passasse tra una visita e l’altra. Sempre di corsa, sempre imprudenti, sempre più concentrati sui loro problemi che su quelli altrui, spesso più grossi. Sempre così inconsci di tutto ciò che li circondava e che avrebbero potuto perdere, a meno che non li mangiasse direttamente il naso. Eppure, a volte, lei li trovava così affascinanti nella loro caparbietà, nei loro sentimenti, nelle loro decisioni che anche a lei sembravano incredibili.

Ovviamente, non avrebbe mai voluto prendere il loro posto.

Tirò appena le code del lungo vestito nero mentre prendeva una curva a destra, ormai vicina alla sua destinazione. Si soffermò un istante a pensare se, vista l’occasione, fosse il caso di un cambio d’abito, e con una risatina soffocata schioccò le dita, cambiando il colore del tessuto in un blu petrolio scuro. Un po’ più adatto, ma sempre tenebroso, in ogni caso.

 

 

« Siamo in casa, non possiamo averla persa. »

« E’ chiusa a chiave quella porta, sì? »

 

 

La vecchia chiesetta in stile occidentale si stagliò di fronte a lei, che sospirò poco impressionata. Era tutta una scena, ovviamente, tutto per stile. Non doveva nemmeno stupirsi, quella ragazzina era stata così prevedibile fin dall’inizio che quasi non era stato divertente giocare un po’ con lei. Anche se doveva ammettere che era rimasta stupita dalla sua cocciutaggine e dalla resilienza che tutti e quattro avevano dimostrato; ogni volta che li rincontrava (anche se purtroppo loro non potevano né saperlo né ricordarselo), una parte di lei doveva lottare perché non fosse troppo di parte nei loro confronti.

Però doveva ammettere che era davvero divertente intrattenersi con loro. E specialmente dare sui nervi a quel tenace di un biondino.

Oh be’, si disse ridacchiando ancora, i tacchi che magicamente sembravano immuni alla ghiaia che circondava la piccola e romantica costruzione, almeno in quella situazione lui era riuscito a ottenere il suo agognato premio. Tanto valeva fargli ancora un altro, piccolo, banalissimo regalino.

Si appoggiò soddisfatta ad una delle ultime colonne, in ombra pur sapendo che nessuno avrebbe mai potuto vederla, spiegò le labbra in un sorriso divertito, e schioccò le dita.

 

 

« Ammettilo che vuoi farmi venire una crisi isterica. E metti giù quella ciambella! »

« … ho fame perché sono nervosa. »

« No, tu hai sempre fame. Cosa ti salta in testa sparire così!»

 

 

Ichigo fece un respiro profondo e gemette sottovoce mentre si lisciava per l’ennesima volta le pieghe invisibili del corpetto attillato: « Ho la nausea. »

« Hai la nausea perché stamattina ti sei divorata quattro ciambelle e due croissant invece che lo yogurt e la frutta che ti avevo suggerito. Meno male che la onee-sama ti ha fatto allargare il vestito.»

« No, no, è una nausea diversa. »

Zakuro le si avvicinò sorridendo, porgendole il bouquet: « Andrà tutto bene, tranquilla. Posso far entrare i tuoi? »

La rossa esalò piano, un piede che batteva nervoso a terra: « Ancora due minuti. »

« Dopotutto, se fosse in orario proprio oggi di tutti questi giorni, apriti cielo, » Minto scherzò sarcastica, ma non sfuggì a nessuno la nota emozionata e allegra nella sua voce. Ichigo le fece una smorfia, stringendo forte le dita attorno al rigoglioso mazzo di fiori. Non vedeva l’ora di oltrepassare quella porta e raggiungere Ryo. Voleva iniziare il prima possibile ufficialmente il resto della loro vita insieme. Quasi non credeva che il momento fosse davvero arrivato, che finalmente fossero lì, a così poca distanza dal futuro. Sentiva le farfalle nello stomaco agitarsi piacevolmente, spingerla a uscire da quella stanza e correre a ricordargli quanto lo amasse.

Ecco, però magari in un’altra vita avrebbe deciso di non avere oltre 150 invitati.

Le venne da sorridere e si impose di non mordersi il labbro, rovinando il rossetto nude che Minto le aveva applicato con la solita maestria. La mora le si avvicinò in quel momento, aggiustandole piano i ciuffi liberi dello chignon scomposto e assicurandosi che il velo fosse saldo.

« A posto? » le domandò sottovoce.

Ichigo si specchiò negli occhi scuri dell’amica, e sorrise di rimando: « Prontissima. »

 

 

 

 

 

 

 

§§§

Ma buonasera fanciulle <3 Non so se vi aspettavate questo “bonus” extra di spiegazioni finali, ma mi sono sentita buona – anche dopo essere sopravvissuta a un weekend con Ria ;) – e ho deciso non solo di pubblicarlo, ma di farlo anche abbastanza in fretta :3 Anche perché voglio concludere la serie e andarmene in vacanza per un pochetto, senza pensare troppo alle ff :D

Siamo quindi arrivati ufficialmente alla conclusione di A Thousand Worlds To Break Our Hearts!! Ammettetelo che pensavate sarebbe andata molto peggio ;) Spero che questo mini ending abbia dissipato completamente i vostri dubbi e le vostre domande, in fondo anche Yuuko si è dovuta ricredere ;) A questo proposito, vediamo chi mi coglie le citazioni e soprattutto chi capisce che “regalo” ha scelto di fare a Ryo (aiutino/spoiler: no, non è il ritrovare Ichigo, lei si era semplicemente nascosta da qualche parte in casa di Zak a mangiare XD).

Grazie a chi ha seguito fedelmente tutta la serie fin dal principio e anche chi ha fatto un salto ogni tanto: Ria, ryanforever, Sissi1978, Endorphin_94, Querdenker, mobo, Red Inkheart, Akatsuki, PervincaViola, Erisuchan, mergana, Verde Pistacchio.

Spero di tornare presto, rinfrescata e con nuove ide :D Un bacione a tutti e buona estate!!

 

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