Le due cetre

di FatSalad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Infanzia ***
Capitolo 2: *** Giovinezza ***
Capitolo 3: *** Età adulta ***
Capitolo 4: *** Vecchiaia ***



Capitolo 1
*** Infanzia ***


Mio padre mi raccontava sempre delle storie di quando era più giovane, mi prendeva sulle ginocchia e brontolava:
«Oh, oh, signorina Bom, come siamo diventate grandi!»
Lo diceva tutte le volte, ma non mi dava fastidio, anzi, era come un rituale, dovuto, certo, rassicurante. Io ridevo e sapevo che quello era il segnale: di lì a poco mio padre mi avrebbe raccontato una storia.
Il protagonista di quelle avventure strampalate era sempre il solito:
«Il giovane JinSoo...» sussurrava mio padre da sopra la mia testa ed io mi chiedevo come mai parlasse di sé in terza persona, finché non cominciai ad avere dei dubbi sul fatto che quel JinSoo fosse proprio lui. Forse addirittura tutte quelle storie erano inventate, ma io non volevo nemmeno contemplare quella possibilità. Dovevano essere vere, punto e basta.
Mi piaceva troppo seguire le vicende del giovane JinSoo e del suo amico, il giovane Ling.
Ling era alto e forzuto ed esercitava su di me uno strano fascino, probabilmente perché non veniva da Goryeo1 e si portava appresso un alone di mistero, con il suo buffo accento nasale interpretato in modo comico da mio padre.
Il giovane JinSoo, invece, era sempre descritto come un ragazzo basso e gracile, ma il suo sguardo era furbo come quello di una gumiho2.
«Il giovane Ling era figlio di un mercante di seta» spiegava mio padre «e vestiva colori sgargianti come un uccello dalle piume arcobaleno!»
Io allora immaginavo Ling rivestito di piume e nei miei assurdi pensieri sotto l'abito nascondeva due zampe di gallina, ma questo non lo dissi mai a mio padre.
Nei racconti JinSoo aveva fatto la conoscenza di Ling perché attratto dal ricco abito dello straniero e gli aveva venduto un orpello senza valore spacciandolo per un oggetto di gran moda. Un'impresa già di per sé eroica, considerato che i due non comprendevano l'uno la lingua dell'altro! Ling a quanto pare aveva dato la caccia al truffatore fin dentro ad un lago, quando aveva scoperto che quella patacca era un gioiello per signore. Così era nata la loro amicizia: perché Ling aveva salvato la vita al giovane ladruncolo che stava per annegare nelle acque insidiose del lago.
Ling veniva dal regno di Song3 e per qualche capriccio del destino i due ragazzi, che si erano conosciuti in circostanze così poco comuni, erano destinati a diventare grandi amici, benché fossero separati da una distanza tanto importante.
Mi appassionavo quando sentivo che si ritrovavano dopo lunghi mesi di separazione, che si impegnavano ad imparare qualche parola per poter meglio comunicare, che si scambiavano giocattoli e oggetti vari.
Mio padre era un uomo molto amorevole, non mi faceva mai mancare affetto o attenzioni, tenendomi compagnia con le sue storielle, cosicché non ho mai sentito la mancanza di una madre.
Avevo dodici anni quando papà mi parlò per la prima volta di una donna che si chiamava BuYeong.
Una mattina di primavera mi venne a svegliare, mi ordinò di ripiegare tutti i miei hanbok4 e li chiuse dentro un rettangolo di stoffa che si legò sulla schiena, poi mi prese per mano e camminando iniziò a raccontarmi una storia.
Era una storia diversa dal solito, non parlava di JinSoo e Ling, non v'erano avventure né scherzi a coronarne la trama, si trattava piuttosto del ritratto di una persona.
«BuYeong era la donna più bella di tutto il regno» disse mio padre guardando la strada di fronte a sé «così bella che tutti gli uomini desideravano vederla.»
Io ascoltai attenta, ricostruendo nella mia mente tutti i dettagli che mio padre seminava qua e là. Mi pareva quasi di vederla di fronte a me: una donna con la pelle chiara come la luce della luna piena, le labbra rosse come il sole al tramonto e la voce... ah!
«BuYeong aveva la voce più dolce e soave di qualsiasi uccello, più nitida e chiara di un mattino primaverile, più splendente della più preziosa perla mai vista!» descrisse mio padre.
Mi disse che il suo canto era così leggiadro che in poco tempo la sua fama si diffuse anche oltre i confini del regno e tutti i più ricchi signori giunsero ad ascoltare la leggendaria voce di BuYeong.
Un giorno un mercante la vide, la udì cantare e se ne innamorò perdutamente. Era un uomo bello, giovane e facoltoso e il suo amore era così sincero che in breve tempo riuscì a far breccia nel cuore della ragazza.
Fui sorpresa dal fatto che mio padre mi stesse narrando una vicenda amorosa, era una novità assoluta nel suo repertorio ed io non vedevo l'ora di scoprire come potesse concludersi quella nuova storia. Non fiatai e trattenni persino un colpetto di tosse, per paura che qualcosa potesse interrompere il racconto di papà.
Così non mi accorsi di dove i suoi piedi si erano fermati.
Egli fissò lo sguardo nel mio ed io, scioccamente, credetti che i suoi occhi si fossero fatti lucidi perché si era commosso per la sua stessa storia.
«BuYeong ebbe una bellissima bambina, che amava più della sua stessa vita, ma fu costretta ad abbandonarla precocemente, perché una malattia fece fermare troppo presto il suo cuore.»
Ero sul punto di protestare per quel finale così ingiusto e tetro, ma il racconto non era terminato.
«Mi sono preso cura di te, Bom, ma adesso devi tornare nella casa di tua madre.»
Le sue parole mi tolsero il respiro.
Capii che mio padre mi stava abbandonando e un ronzio fastidioso mi invase la testa.
Voltandomi riconobbi l’edificio difronte al quale ci eravamo arrestati: si trattava di un gyobang5.
Fu così che seppi che mia madre era stata una gisaeng e dunque dovevo iniziare il mio addestramento per diventare a mia volta un'intrattenitrice.


 
1Goryeo: antico nome della Corea, dal nome della dinastia che la unificò e regnò dal 936 al 1392
2Gumiho: volpe a nove code
3Song: dinastia che regnò sulla Cina dal 960 al 1279.
4Hanbok: abito tradizionale coreano
5Gyobang: struttura in cui vivevano le gisaeng

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Capitolo 2
*** Giovinezza ***


Mio padre commerciava in gioielli, bottoni di giada e anelli soprattutto, e prima che io nascessi aveva viaggiato spesso per affari, presentando le sue creazioni ai personaggi più in vista del regno. Credevo fosse per questo che non si era mai sposato: perché troppo impegnato a spostarsi di città in città. Quando però scoprii che mia madre era stata una gisaeng ed era deceduta poco tempo dopo la mia nascita, immaginai una diversa versione dei fatti. Forse mio padre, eccentrico e pieno di cuore come pochi, avrebbe accettato di sposare solo la donna che amava. C'era da aspettarselo da uno come lui. Solo che per togliere BuYeong dal gyobang servivano parecchi soldi, come per ogni gisaeng, e probabilmente il giovane JinSoo non ne aveva abbastanza. Chissà se adesso, col fiorire dei suoi commerci, avrebbe potuto riscattare l'amore della sua vita.
Mio padre mi aveva accompagnato alle porte del gyobang del distretto, mi lasciò nelle mani della haengsu1 e dopo quel giorno non lo vidi più.
Certe volte chiedevo a SulBi – questo era il nome della haengsu – se potevo scrivere almeno una lettera a mio padre, perché in alcuni momenti sentivo tantissimo la sua mancanza, ma SulBi trovava sempre il modo di eludere la mia richiesta, finché non capii che forse mio padre non voleva più notizie di me. Riguardo mia madre, invece, non fui mai molto curiosa di scoprire qualcosa. D’altra parte, chi poteva parlarmi di una donna morta tanti anni prima? La più anziana all'interno del gyobang era SulBi che, a quanto diceva lei, aveva 24 anni. Solo una volta provai a chiederle se avesse conosciuto mia madre, ma lei disse di non ricordare e in effetti, se anche fosse entrata nel gyobang quando mia madre era ancora in vita, doveva essere molto più giovane di lei a quei tempi. Così smisi di chiedere anche di mia madre, avevo vissuto bene tanto tempo senza una mamma, non avevo intenzione di cercarne tracce adesso che avevo scoperto che ne avevo una e che aveva condotto quella vita.
In poco tempo fui costretta a mettere i miei sentimenti di nostalgia e delusione da parte e tutte le mie energie furono risucchiate dall'educazione che mi veniva impartita. Sapevo già ricamare un poco, ma imparai anche a comporre versi, dipingere e suonare, oltre ad una serie di espressioni e atteggiamenti che avrei dovuto adottare nel versare da bere ai clienti.
Se però era vero che mia madre aveva avuto una voce soavissima, a me non l'aveva trasmessa. Come musicista invece non me la cavavo affatto male e in poco tempo imparai a destreggiarmi tra diversi strumenti, passando con disinvoltura da uno all'altro. Quelli che preferivo erano gli strumenti a corde, come le cetre, con il loro suono languido e struggente, riuscivano ad esprimere quel senso di abbandono che provavo quando tornavo col pensiero alla mia casa. Non lo ammisi mai con nessuno e quando debuttai mi fu concesso di suonare perlopiù musiche allegre o di sottofondo, nessuna che avesse a che fare con le urla stridenti che tenevo dentro di me.
Un giorno uno yangban2 venne a farmi visita dopo aver richiesto per sette giorni consecutivi la mia compagnia al suo tavolo e mi omaggiò di un kayagum, una cetra a dodici corde, di ottima fattura. Il giorno seguente, mentre ancora mi rallegravo per quel dono inaspettato, uno yangban invidioso mi regalò un komungo, una cetra a sei corde, che produceva un suono più basso e solenne dell'altro strumento.
Fu in quel modo che scoprii con sorpresa che conducendo quella vita avrei potuto avere tutto ciò che desideravo, ma ciò che volevo veramente era solo rivedere mio padre e nessuno avrebbe potuto soddisfare il mio sogno.
Decisi di dare un nome ai miei due nuovi strumenti, senza ovviamente confidarlo a nessuno, dato che era solo una sciocchezza da bambina. Chiamai JinSoo la cetra a dodici corde e Ling quella a sei, così, mentre le suonavo, rievocavo i racconti di mio padre dando voce ai due protagonisti con il suono delle corde.
«Questo è JinSoo che distrae un uomo che sguscia dei frutti secchi» pensavo tra me, mentre suonavo con la cetra a dodici corde delle note alte e allegre come il blaterare di un ragazzo.
«Arriva Ling che di soppiatto sottrae qualche frutto mondato al signore» e immaginavo qualche nota lunga e inaspettata con la cetra a sei corde, carica di suspense.
«Ora Ling fa cadere una ciotola e il signore che è stato gabbato si rende conto della marachella e li rincorre. JinSoo e Ling scappano!» e le mie dita si rincorrevano veloci sulle corde, schizzando rapide da una nota all'altra. «Si dividono, Ling svolta un angolo e l'uomo lo perde di vista: è salvo! JinSoo scavalca un muretto e... splash! Cade su un cumulo di letame di cavalli. Perdendo ogni voglia di avvicinarsi a lui, l'uomo dimentica in fretta la sua vendetta...»
Trovavo un lieve conforto nel suonare in quel modo le avventure e le disavventure di JinSoo e Ling, che ricordavo a memoria, senonché l'impossibilità di suonare entrambe le cetre nello stesso momento a volte mi metteva maggiore malinconia addosso: era come se i due vecchi amici d'infanzia fossero destinati a non incontrarsi mai più.
I due strumenti musicali furono i primi regali importanti che mi furono fatti, e posso confessare con un certo orgoglio che furono solo i primi di una lunga serie. In particolare, cominciai a ricevere quantità a fondo perduto di seta da parte di un mercante straniero.
Il signor Dao era un distinto commerciante di seta che veniva da Oriente. Non sapeva una parola della nostra lingua, per cui, quando visitava il nostro gyobang rimaneva sempre in silenzio, mangiava, beveva volentieri, ma rimaneva serio e distaccato. Chiedeva sempre la mia presenza e gli piaceva enormemente starsene ad ascoltare la mia musica.
La cosa che mi sembrava più strana era che, a differenza di quanto raccontavano alcune colleghe dei loro clienti, il signor Dao non aveva mai provato ad avvicinarsi a me.
«Bom, cara» mi diceva qualcuna «a volte non c'è bisogno di avvicinarsi tanto per farti sapere che ti desiderano! Non hai visto il modo in cui ti osserva? Prova a far caso a quello.»
Seguii il suggerimento, ma, mi parve, lo sguardo del mercante era quanto mai impassibile e non tradiva alcun tipo di desiderio.
«Ma Bom, come puoi essere così ingenua!?» faceva un'altra «Se non sei tu a renderti desiderabile ai suoi occhi te lo farai scappare!»
Non mi stupii per quelle parole, la notte sentivo spesso i rumori e gli ansiti di qualche collega che aveva trovato il modo di introdurre all'interno del gyobang un amante, dopo averlo sedotto con parole allusive e sbattere di ciglia. Non era un comportamento consentito, in verità, ma il più delle volte cercavamo di essere solidali tra di noi e non facevamo le spie con la haengsu perché quello era l'unico modo per sperare di migliorare la nostra vita: trovare un gibu3. Non che fossimo trattate male all'interno del gyobang, ma ciascuna, dentro di sé, anelava ad una maggiore libertà, ad andare al mercato la mattina, uscire al sole d'estate e abitare in un edificio da chiamare “casa”. Trovare un protettore poteva darci tutto questo, se eravamo fortunate. Diventare concubine di un uomo ricco ci dava questa speranza, perciò non giudicavo chi provava con ogni mezzo ad accaparrarsi un possibile salvatore.
Anch'io, decisi, mi sarei giocata il tutto per tutto.



 
1Haengsu: gisaeng della classe più elevata che si occupavano della preparazione delle nuove gisaeng
2Yangban: funzionari del governo
3Gibu: impropriamente “marito” di una gisaeng



Il mio angolino
"I'm not dead" diceva qualcuno...
Presto posterò il prossimo capitolo, per ora spero di aver reso bene l'atmosfera "orientaleggiante" e l'ambientazione storica. Per le note, ho cercato di sfruttare il dono della sintesi, ma per i più interessati credo che sulla buon vecchia wikipedia ci sia abbastanza per soddisfare eventuali curiosità. Alla prossima,
FatSalad

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Capitolo 3
*** Età adulta ***


Avevo diciannove anni quando decisi di giocarmi il tutto per tutto.
Il nome che mi diedero i miei genitori doveva essere stato scelto col favore degli dei, infatti, tutti gli avvenimenti più importanti della mia vita si svolsero in un giorno di primavera1. Non fece eccezione quello, che stravolse completamente ogni mia certezza e non ho dubbi che il destino abbia disposto ogni cosa per l'esito che ebbe.
Il signor Dao aveva continuato a farmi visita periodicamente, senza mai tralasciare di portare in pegno della seta, con cui ricavavo tutti i miei abiti senza spendere una sola monetina.
Armata della mia cetra JinSoo, quella dal suono più acuto e allegro, decisa ad andare all'attacco del ricco straniero, riscaldavo le dita. Intanto, per darmi coraggio, ripetevo dentro di me una delle storie di mio padre, immaginando con quali note le mie cetre avrebbero potuto darle vita.
«JinSoo e Ling vedono un gruppo di uomini in cerchio, scrutano i loro movimenti e scoprono un contadino ai loro piedi che cerca di coprirsi la testa con le braccia mentre quelli lo ricoprono di calci e bastonate. JinSoo e Ling si lanciano uno sguardo. Il gruppo è formato da adulti alti e grossi, rozzi e violenti, ma i due giovani amici non sopportano quell'ingiustizia e, sfrontati, iniziano a lanciare sassi contro quella gentaglia. Coraggio!»
Mi presentai davanti al signor Dao con il mio abito migliore addosso ed un sorriso che, benché l'avessi provato tante volte davanti allo specchio, non mi calzava ancora a pennello. Fui sorpresa dal fatto che il mio cliente si fosse presentato insieme ad un tipo secco e curvo come un giunco piegato dal vento.
Ben presto scoprii che si trattava di un traduttore, Dao sussurrava qualcosa inclinando la testa di lato e l'omino allampanato mi riferiva nella nostra lingua, senza alcuna particolare inflessione.
Non mi disse granché, solo che apprezzava molto la mia musica, cosa che avevo già immaginato. Poi mi chiese se sapevo che le corde dello strumento che stavo suonando erano ricavate dalla seta. Sì, lo sapevo, ma non ci avevo mi pensato in quell'ottica: era come se non solo i miei vestiti, ma anche le mie adorate cetre fossero legate in qualche modo al signor Dao.
Sapevo che aveva arricchito immensamente la propria famiglia con il commercio, portando la seta sempre più a Occidente, dove, a quanto pareva, vi erano molte persone interessate a quella stoffa. Forse era grazie ai suoi innumerevoli viaggi che Dao aveva acquisito quell'aura di rispettabile mistero. Chissà quanti posti e quanti popoli avevano visto i suoi occhi, quante strane usanze aveva conosciuto, quanti sapori e quanti odori aveva sentito! Si diceva che in ogni luogo in cui faceva tappa abitualmente avesse un'intrattenitrice “di fiducia”, per ammirare bellezze da ogni parte del mondo e udire musiche ogni volta diverse.
Quella che suonai io quel giorno era una melodia nervosa e imprevedibile, come solo una truffa del giovane JinSoo poteva essere.
Pizzicando le corde riuscii a calmarmi, ma quando mi avvicinai al signor Dao per versargli da bere, non riuscii ad attuare il mio piano di seduzione. Mi sentivo troppo strana, mi sarebbe sembrato di ingannare con movenze e risolini fuori luogo quell'austero signore così corretto e generoso, che non aveva mai azzardato nemmeno a sfiorarmi una mano. Mi pentii, anzi, di non aver portato la cetra a sei corde per suonare qualcosa di più grandioso al mio ospite, qualcosa che si addicesse di più alla sua presenza importante.
In fin dei conti non fui in grado di fare niente quel giorno, il coraggio di JinSoo e Ling rimase imprigionato tra le corde di seta della cetra.
Quando il signor Dao si congedò, io, non contenta dell'esito della serata, provai a seguirlo. Sgattaiolai fuori dal gyobang pochi minuti dopo di lui, ma, appena ebbi messo la testa fuori, dimenticai in un attimo il ricco mercante.
Davanti ai miei occhi c'era mio padre.
«Papà...» sussurrai incredula.
Aveva qualche filo bianco, estraneo ai miei ricordi, tra i capelli, qualche ruga ai lati degli occhi e sulla fronte, ma era senza dubbio mio padre, che non vedevo da sette lunghissimi anni.
Come mossa da una forza invisibile, feci qualche passo nella sua direzione e solo quando lo sentii parlare mi resi conto che stava discutendo con qualcuno. Non capivo tutte le frasi, sia perché i due parlavano a bassa voce, sia perché, mi parve, non tutte le parole erano pronunciate in una lingua che conoscevo.
Una cosa capii:
«BuYeong» disse mio padre e mi sembrò che qualcosa luccicasse nei suoi occhi.
Allora chiesi ai giovani JinSoo e Ling di darmi il loro coraggio.
«Padre!» chiamai ad alta voce, troppo emozionata per aggiungere altro.
Mio padre si voltò verso di me e, mettendomi a fuoco, la sua espressione si fece di sorpresa e incredulità, mista a qualcos'altro che non seppi riconoscere.
«Bom...»
C'era qualcosa di strano in quella situazione, ma non sapevo cosa. Poi capii. A pronunciare il mio nome non era stato solo mio padre, ma anche il suo interlocutore: il signor Dao.
Mio padre, agile e minuto come le note della cetra a sei corde, stava accanto al fisico mastodontico del mercante straniero, perfetto per il suono solenne della cetra a sei corde. I due uomini, voltati verso di me, mi guardavano con occhi sgranati che tradivano sbigottimento ed affetto e fu a quel punto che un terribile sospetto mi strinse le viscere.
Boccheggiai, senza sapere cosa dire.
«Scusa» disse Dao con un accento dolce e strascicato.
Parve in difficoltà e di ciò che disse dopo capii solo “BuYeong... soldi... seta...”, poche parole, ma sufficienti a procurarmi una nuova consapevolezza.
D'un tratto tutto mi parve chiaro.
Ero come raggelata al centro della strada, incapace di muovere un solo muscolo, spaventata, avrei potuto crollare a terra da un momento all'altro, perché tutto attorno a me aveva cominciato a ruotare voticosamente
Mio padre fece un passo verso di me e con voce tremante disse:
«Bom... io...»
Non sapevo cosa stesse cercando di dirmi, sapevo solo che non avevo alcuna intenzione di ascoltarlo. Mi voltai e rientrai di corsa nel gyobang, al sicuro da ogni minaccia esterna, portandomi dietro tutti i miei sogni infranti.


 
1Bom significa primavera in coreano

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Capitolo 4
*** Vecchiaia ***


Fu così che, proprio quando il mio unico desiderio si avverava e rivedevo mio padre, iniziai a dubitare del fatto che fosse... mio padre. E proprio quando ero decisa a sedurre un uomo per trovare un gibu, scoprii che poteva rivelarsi il mio vero padre, di cui non avevo mai sospettato l'esistenza.
Non riuscii a dormire quella notte, il pavimento era più duro di come lo ricordassi, le coperte più fredde di quanto mi fossero mai parse e la mia testa pesante come un macigno.
Tutto ciò era sbagliato. Il signor Dao era l'uomo che avrebbe potuto comprarmi per darmi una vita migliore, non poteva essere... non poteva essere altro!
Ero convinta che il mercante innamorato di BuYeong, quello che era rimasto incantato dalla sua voce, quello che era mio padre fosse JinSoo, che commerciava in gioielli e mi aveva cresciuta con amorevole attenzione. Ero sicura che fosse così. Cercavo di far riaffiorare alla mente le parole esatte che mio padre aveva pronunciato per raccontarmi di mia madre, convinta che avesse detto “un mercante di gioielli s'innamorò di Buyeong” e “dal nostro amore nacque una bellissima bambina di nome Bom”, ma erano passati troppi anni e i miei ricordi erano sfumati. Di una cosa però ero certa: JinSoo non mi aveva mai detto “Non sono tuo padre”.
Perché allora per tutto quel tempo me l'aveva fatto credere?
In una sola notte la persona che più avevo amato nella mia vita perse tutta la mia stima: mi aveva tradito. Anche il ricco e cordiale mercante di seta Dao, con le sue frequenti visite e i suoi generosi doni mi aveva in qualche modo tradito: perché non aveva mai accennato al fatto di conoscere mia madre o JinSoo? Perché aveva continuato a visitarmi senza rivelare la sua vera identità? Col suo comportamento mi aveva invece indotto a progettare di sedurlo!
Sconvolta, da quel giorno decisi che non avrei più suonato le avventure del giovane JinSoo e del giovane Ling, avrei suonato senza pensare a niente e non avrei più accettato le visite del signor Dao.
Per molto tempo me la cavai benissimo e vissi fingendo che niente fosse cambiato, relegando i ricordi di quel giorno infausto in un remoto angolo della mia mente.
Vidi uscire dal gyobang tutte le mie compagne, una dopo l'altra. Una fu riscattata da un ricco funzionario, alcune partirono alla volta di locande in cui finivano quasi tutte le gisaeng troppo vecchie e le altre furono portate via dentro una cassa da morto per essere cremate e sepolte ai piedi della collina a cui l'edificio dava le spalle.
Io, invece, grazie alle mie cetre, divenni sempre più famosa e potente, fino a diventare la nuova haengsu.
Un giorno, sulla soglia dei trent'anni, mi ammalai gravemente. Le epidemie decimavano spesso i gyobang, ma, disponendo di maggiori risorse rispetto alle semplici gisaeng, potevo sperare di farmi curare con i metodi migliori e più costosi, che le altre non potevano permettersi, benché non fossi più giovane come loro. A seguito della malattia convissi per molto tempo con una fastidiosa tosse, ma ebbi salva la vita. Nelle settimane successive alla fase più acuta del malore, iniziai a far arrivare nella mia stanza un medico quasi tutti i giorni, mi facevo visitare e accettavo di bere gli intrugli amari che mi proponeva di volta in volta. Pian piano sentivo le forze ritornare e non ero più preoccupata per la mia vita, ma qualche giorno dopo accadde un evento impensabile: JinSoo si presentò al gyobang. Senza farsi annunciare entrò nella mia stanza ed io, convinta che si trattasse del medico giunto per la consueta visita, non glielo impedii e mi ritrovai nella stessa stanza con l'uomo che avevo chiamato “padre” per quasi tutta la mia vita.
Erano anni che non lo vedevo, ma mi parve lo stesso uomo di sempre, solo con un incisivo in meno che gli dava un'espressione un po' buffa. Era minuto e piuttosto avvenente, col suo particolare carisma racchiuso negli occhi ancora vispi, d'altra parte non doveva avere ancora cinquant'anni.
Rimasi ferma e muta di fronte a lui, decisa a non guardarlo negli occhi e a non rivolgergli la parola.
«Signorina Bom... come siete cresciuta...» mormorò lui, rompendo il silenzio e percepii uno strano tremore nella sua voce, ma non mi mossi.
JinSoo bevve del liquore in silenzio, come se fosse a suo agio, come se quella fosse casa sua, poi, dopo qualche bicchiere, proprio come avveniva quando ero piccola, cominciò a raccontarmi una storia.
«Ling Dao fece di tutto per trovare i soldi per riscattare BuYeong. Ha portato la sua seta ai confini del mondo, si è spinto dove nessuno aveva mai osato arrivare per diventare più ricco. Amava molto BuYeong, in maniera totale, ma quando tornò... lei non c'era più. Io avevo giurato a tuo padre che mi sarei preso cura di voi, così ti presi nella mia casa quando BuYeong morì e ti ho amata come una figlia, Bom.»
Non capivo perché era venuto nel gyobang quel giorno, dopo tanto tempo, a raccontarmi quella storia. Non sapevo nemmeno perché gli stessi permettendo di starsene seduto nella mia stanza a sorseggiare makgeolli1, ma quando iniziò a raccontare mi resi conto della verità: JinSoo, che fosse il mio vero padre o meno, mi mancava terribilmente.
«Papà...» dissi, smarrita, mentre la voce gli si incrinava.
Sentivo le lacrime agli occhi e qualcosa di pungente in gola.
Piangemmo in silenzio, senza guardarci e JinSoo mi rivelò finalmente, tra i singhiozzi, il motivo per cui era venuto a cercarmi. Aveva i soldi, mi disse, e mi avrebbe riscattata con l'aiuto del signor Dao, mio padre, che soffriva notevolmente da quando non gli permettevo più di vedermi. Dao aveva predisposto tutto affinché io potessi essere libera di decidere dove avrei vissuto una volta uscita dal gyobang e pregava solo che ne fossi fuori il prima possibile, giacché si preoccupava per la mia salute.
Quando i nostri occhi furono asciutti, con una certa fatica a causa della debolezza lasciata dalla convalescenza, presi le mie cetre e per la prima volta accompagnai il suono con le parole.
«Il giovane JinSoo» sussurrai incerta pizzicando la cetra a dodici corde «gioca d'azzardo con un signore pomposo.»
«Bom, cosa...?»
«Finge di essere uno sprovveduto e convince l'uomo a fare scommesse sempre più alte.»
Poco a poco la mia voce si faceva più sicura e le note scorrevano una dietro l'altra dalle mie dita. Di colpo, abbandonai la cetra e presi quella a sei corde.
«Ma il giovane Ling è lì, dietro al vecchio furfante, è uno straniero che nessuno potrebbe temere, ma sa comunicare con JinSoo e allora gli rivela in anticipo ogni mossa del vecchio.»
Andai avanti per molto tempo e JinSoo si commosse, stupito dal fatto che ricordassi a memoria tutte le storie che mi raccontava da piccola.
Non sapevo se avrei accettato l'offerta di JinSoo e di Ling Dao, ormai ero abituata all'idea di essere una gisaeng, ero una haengsu.
Non sapevo se avrei rivisto mio padre, se l'avrei perdonato per il suo silenzio, come avevo perdonato JinSoo.
Non sapevo cosa avrei fatto, ma avevo capito, finalmente, il significato di quelle storielle.
Avevo capito che il giovane Ling era sempre quello che ne usciva meglio, il vincitore, l'eroe intonso ed era così che JinSoo aveva sempre cercato di farmi conoscere il suo migliore amico, di farmi conoscere mio padre.


 
1Makgeolli: vino di riso



Il mio angolino
E... questo è quanto, siamo giunti alla parola fine. Fin dall'inizio avevo idea di scrivere un racconto breve (pensavo addirittura che sarebbe rientrato tutto in un solo capitolo) e che ricordasse le atmosfere e la mentalità orientale, dove tutto è dominato dal destino già scritto. La storia di Bom è questo, ma con JinSoo e Ling ho voluto anche "spezzare una lancia" nei confronti della creatività delle persone. Per quanto riguarda la scelta dei titoli dei capitoli, beh, credo che si spieghino da soli!
Grazie a chi mi ha seguito fin qui!
FatSalad

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