Let It Fly

di LarkaFenrir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cascata vermiglia ***
Capitolo 2: *** L'urlo dell'acqua ***



Capitolo 1
*** Cascata vermiglia ***


 

   Il tuo protagonista è un uomo sul finire dei trent'anni, che sa essere molto schivo. La storia comincia in un ristorante. Un amico intimo ha una malattia terminale. È una storia di vendetta. Il tuo personaggio fa il passo più lungo della gamba.
 

   - Di cosa volevi parlarmi?
   Continuo a giocare con il bicchiere mezzo vuoto di vino, mentre il sole di mezzogiorno crea riflessi rossastri sulla tovaglia. Li osservo sovrapporsi, cambiare forma e intensità, imitando il vortice dei miei pensieri.
   All'altro capo del tavolo Rian aspetta, gli occhi che cercano i miei.
   - …ho aspettato così tanto - esito, continuando a spostare il peso sulla sedia di vimini. Non sono mai stato bravo con le parole. Non è dato dal mio essere timido, nè dalla mancanza di fiducia o nella difficoltà a relazionarmi con gli altri. Credo che il vero problema sia insito nelle parole stesse. Cambiano forma continuamente… si nascondono, mentono. Anche quando riesci finalmente a scovarle, a trascinarle fuori dal loro tana, non sarai mai certo della loro vera natura. Finchè non verranno liberate di nuovo. Finchè non si saranno rivelate all'altro. Finchè…

   - Senti, per quante volte ti dovrò chiedere scusa? Mi dispiace. Non avrei dovuto arrivare in ritardo… sai come vanno queste cose. - No, non lo so. Non ho mai avuto un demone che abitasse la mia stessa pelle. Non l'ho mai sentito masticarmi le ossa. - Quanto hai aspettato, comunque? Venti, venticinque minuti? Il tempo non ha più importanza, nella mia condizione. Forse potresti imparare una cosa o due. Dacci un taglio e arriva al punto.
   
Devo zittire i pensieri. Rimetterli in ordine, prima di far trasparire una qualsiasi emozione. È Rian. È sempre stato un impaziente bastardo. Un approfittatore. L'uomo che ti ha rovinato la vita. La malattia non è bastata a redimerlo. È solo un concentrato di bugie, esacerbato dalla sorte avversa e dalla miseria. È Rian. È Rian. È Rian.
   
- Undici anni. - sussuro, alzando per un attimo lo sguardo. Lo vedo sbattere brevemente le palpebre in maniera confusa, un momento di incertezza. Mi concentro di nuovo sul bicchiere, sulle sue ombre infuocate. Il loro calore si trasmette al petto.
   - Non… non ho…
   - Undici anni! - la mia rabbia esplode, diventa solida e vibrante, si concentra in un singolo movimento. Il pugno sbatte con forza, sul tavolino di vetro. Un paio di persone si voltano. Calmo, devo rimanere calmo. Fisso i ricami sulla tovaglia. Ci sono delle briciole di pane, di fianco al piatto vuoto. Calmo.
   - Kate… - biascico. Un mormorio. Un lamento. Si mischia nelle onde rossastre. Una nuova cascata di sangue, il calore si spande al viso. Alle braccia.
   - Undici anni fa. Kate – cerco di mantenere il controllo. La mano comincia a contrarsi, rovesciando un po' del contenuto del bicchiere. Afferro il bordo del tavolo, lo sguardo fisso. - Me l'hai… rubata.
   Comincio ad annaspare. La vista annebbiata, cerco di aggrapparmi alla realtà. Un luccichio cattura la mia attenzione.
   - No. - Bugiardo. - Sappiamo entrambi che non è andata così. - Zittozittozitto… – E sappiamo anche perchè ti ostini a crederlo.
   Lo scintillio della lama è accecante. Mi brucia la retina. Mi invita, come il canto di una sirena.
   - Ci stavamo frequentando. Noi…
   - Stronzate! - Rian si alza di scatto. Un fremito di dolore gli fa quasi perdere l'equilibrio. - Sono sempre le solite stronzate, con te. Ne abbiamo già discusso. Ogni maledetta volta che mi chiedi di parlare, si arriva a questo. Speravo che questa volta sarebbe stato diverso. Sei un cazzo di disco rotto! - Sta' zitto. - Lo sai che se n'è andata quando ha cominciato a capire chi eri veramente. Cosa eri veramente. - Calmo. Calmo. Calmo.
   Il suo sorriso. I suoi capelli mossi. Rossi, come il veleno che mi scorre nelle vene.


   È un attimo.
   Il suo profumo, quella sera di metà maggio. Quando l'ho incontrata.
   Due settimane. Due misere settimane. Mi ha lasciato, fingendo che non ci fosse nessun altro nella sua vita.
   Oh, tesoro. Sapevamo entrambi che non era vero.
   
Le notti passate in macchina, sotto la sua finestra. Il tradimento.


   
- ...non è colpa mia! Potevi smettere. Potevi dire basta. Avresti potuto cambiare la tua vita, invece sei sempre rimasto un falli...
   
Un tonfo.
   
È tutto ciò che un corpo produce, dopo essersi accasciato su sè stesso. Lo fisso per un attimo, affascinato.
   
Un tonfo, ed una cascata rossa.
   Osservo meravigliato quel miracolo vermiglio. La stessa identica sostanza scorre nelle mie vene. Mi pulsa nelle tempie. È contenuta nella bottiglia sul tavolo.
   Mi abbandono sulla sedia, stanco.
   Un'altra cascata. Questa riempie il bicchiere.
   Dovevo controllarmi.
   
La testa tra le mani. Il rimorso.
   Dovevo controllarmi.
   
Un grido, una porta sbattuta.
   È avvenuto tutto troppo in fretta.
   
Delle mani mi scuotono, mi strattonano, mi tengono fermo.
   Il demone si sarebbe dovuto divertire per un po'.


 


   Prima storia con cui inauguro un nuovo esperimento, oltre che raccolta. Neanche a dirlo, la mia mente ha automaticamente voluto che finisse male… e che la vendetta non fosse propriamente giustificata. Forse.

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Capitolo 2
*** L'urlo dell'acqua ***


Una donna sul finire dei vent'anni, che può essere abbastanza cortese.
Un uomo sul finire dei vent'anni, che è molto alla mano.

La storia comincia in un centro commerciale.
Qualcuno è perseguitato da un'esperienza traumatica avvenuta in mare.
La storia parla di correre rischi.

Il tuo personaggio scopre delle verità sgradevoli.






Acqua.
La poteva vedere, la poteva sentire sulla propria pelle, scorrerle dal collo fino alla punta delle dita... avvolgerle le gambe, lambirle le cosce. I capelli gocciolavano, pregni di umidità e incollati alla nuca. Il rombo di una cascata lontana. Lo sciabordio dell'acqua che si apriva la strada su, su, su, lungo i corridoi, sotto le porte, al di sopra degli oblò, negli infissi. Le urla, solo in lontananza. Piedi che tagliavano l'acqua, che si tuffavano in cerca di un appoggio e passavano frettolosamente oltre.
Ed eccola lì, la moneta sommersa. Così vicina che avrebbe potuto allungare un piede e toccarla, spostarla più avanti. Un bagliore le si riversò nella mente fino ad inondarla e sommergerne ogni angolo.

Aveva 7 anni, ed era il suo compleanno. Sua madre avrebbe servito la torta di lì a poco, ma per il momento aveva ottenuto il permesso di rimanere a giocare con i suoi amici nella piscina dietro casa. Elizabeth era così fiera della propria piscina, o forse della dimestichezza di cui dava prova. Di come le sue piccole braccia fendevano l'acqua e di come le gambette battevano ritmicamente, tenendola a galla e sospingendola. Quelle stesse esili gambe che le avevano permesso di vincere così tante gare in piscina. Quelle esili gambe che stavano per tradirla, captando l'urlo per la prima volta in vita sua. Si irrigidirono, trascinandola verso il fondo. Anche con a testa completamente sott'acqua, l'urlo rimbombava nelle sue orecchie e nella sua anima. Ne poteva sentire le vibrazioni fin nelle ossa. Avrebbero potuto ghiacciare la superficie dell'acqua, negandole ogni possibilità di salvezza. Un urlo a cui la sua giovinezza ed innocenza non avrebbero potuto dare un significato... ma era l'urlo della morte stessa. L'urlo di migliaia di persone che avevano sentito le rude mani del tristo mietitore scivolargli lungo la schiena, mettendo a nudo la loro carne. Pochi istanti prima di sentirne l'abbraccio.

La folla vorticava attorno a lei. La masticava, la inghiottiva e la vomitava in insaziabili ondate. La moneta la scrutava ancora da sotto la superficie, giudicandola tra un'increspatura e l'altra. Niente più cascate, solo qualche gioco nell'acqua. Niente più urla dall'oltretomba, solo le grida di bambini che si rincorrevano per il centro commerciale.

Si passò due dita sulla fronte, asciugando il sudore gelido che si formava ogni volta. Non poteva dire di essersi abituata a quegli incubi ad occhi aperti, ma dopo quasi trent'anni si era sforzata di avere una vita normale... eccetto per l'acqua.

Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco anche l'ambiente che la circondava, lo notò. Un sorriso incuriosito e divertito, evidentemente ignaro dell'incubo che, ancora una volta, le si era spalancato sotto i piedi.
Cercò di abbassare lo sguardo. Non le piaceva interagire con gli sconosciuti, specialmente dopo una crisi.
Si mosse per alzarsi, ma le gambe ancora non collaboravano. Un formicolio le si dipanava dalla pianta del piede all'anca, come ogni volta. Era sempre una seccatura, ed oggi aveva decisamente un motivo in più per odiarle.

Nel frattempo lo sconosciuto si era avvicinato con fare baldanzoso, per niente imbarazzato.

Togliti quel sorisetto scemo dalla faccia! Riuscì a urlare nella sua testa, mentre ricacciava indietro le ondate di nausea. Se non fosse per queste due traditrici saresti già un ricordo. Un orribile ricordo.
- Ciao! Posso sedermi?
No. Lasciami in pace.
Ancora un tentativo, seguito da un lieve capogiro. La frustrazione e il panico montavano ad ondate, mentre il ragazzo si sedeva.
- Stai bene? Ti ho osservata per un minuto o due, mentre eri in fissa... hai localizzato Nessie?
Ma che diavolo... fissa? Nessie? Poi ha il coraggio di chiedere a me se sto bene...
- Niente di preoccupante, è sempre così. - Merda. Merdamerdamerda.
- Sempre...?
- Scusa, ma devo veramente andare.
- Interessante. Vai sempre rimanendo seduta?
Un sorriso smagliante. Che voglia di cavargli un dente dopo l'altro.
Però c'era qualcos'altro. Sincera preoccupazione. O era becera curiosità? Forse poteva concedere al mondo una tregua? In fin dei conti, non era colpa sua se era capitato nel momento sbagliato... con una ragazza ancora più sbagliata.
- Ti ringrazio per la tua premura. - ogni parola uno sforzo, per cercare di sembrare gentile. Anche adesso che aveva solo voglia di fargli fare una nuotata con quella stramaledetta moneta. - Ma davvero, sto bene. L'acqua gioca brutti scherzi.
- L'acqua... - si fece improvvisamente serio e distolse lo sguardo, gli occhi fissi sulle increspature.
Ma questo tizio da dove salta fuori? Non poteva capitare in un momento peggiore...
Riportò gli occhi sul suo viso, lo sguardo nuovamente radioso.
- Cos'è, sei un Marine in congedo? - chiese ridacchiando.
- Un... Marine... ? - aprì e chiuse la bocca un paio di volte.
Mi prende per il culo? Calma. Calma. Vuole solo darti una mano. Calma.
- Mi prendi per il culo?! - ...calma.
Adesso era lui quello ad essere perplesso. - Volevo solo fare dell'ironia. So che sembri stare bene, ma vederti andare in black out, la tua espressione...
- Vorrei vedere te! - la rabbia e la frustrazione di anni esplosero in un unico ringhio. Gli occhi ridotti a due fessure, diede forma all'incomprensibile.
- Per tutta la vita. Per tutta la vita non ho... - si interruppe, la nausea la riportava indietro. Trovò di nuovo la voce, sussurrando a se stessa. - Il freddo. L'angoscia. Le urla. - trattenne il fiato, come se le danzassero ancora sulla pelle. - E tu... - un indice puntato che si trasformò in pugno, in un artiglio pronto a serrarsi attorno alla sua gola e di nuovo un pugno - hai il coraggio di venire a fare l'imbecille con me. - chiuse gli occhi, cancellando finalmente la sua esistenza dal mondo. - Levati dai piedi, una buona volta!

Si alzarono all'unisono, un balletto provato e riprovato, ma che risultava essere una novità solo per una delle due parti.
L'attore consumato. Il ragazzo troppo vecchio.
Si avvicinò così sfacciatamente, ad un bacio dal suo viso.
Il suo sospiro portò la risposta ormai dimenticata:
- Dov'eri la notte del 14 aprile, nel 1912?

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