More than what you think

di cabin13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 ***
Capitolo 2: *** #2 ***
Capitolo 3: *** #3 ***
Capitolo 4: *** #4 ***
Capitolo 5: *** #5 ***
Capitolo 6: *** #6 ***
Capitolo 7: *** #7 ***
Capitolo 8: *** #8 ***
Capitolo 9: *** #9 ***



Capitolo 1
*** #1 ***


 

 

Zittisco la sveglia prima che inizi a trapanarmi i timpani con il suo insopportabile bip bip. Non sarebbe necessario e inoltre mi farebbe perdere la poca concentrazione che ho. È da circa venti minuti che sono seduto sul letto, l’abat jour accesa e il libro di fisica aperto sulle ginocchia nel disperato tentativo di capirci qualcosa.

Stamattina inizia il giro di interrogazioni della suddetta materia e io sto pregando perché avvenga un miracolo cosmico e il prof non mi chiami alla lavagna – pena una F assicurata. Quello bravo in matematica è Hunk, io devo annaspare per riuscire ad ottenere una minima sufficienza.

La dislessia non aiuta di certo, sarebbe più semplice se la dannata E con cui è indicata l’energia non si trasformasse continuamente in una lettera diversa!

Sbuffo chiudendo di scatto il libro, borbotto un’imprecazione in spagnolo e mi alzo di malavoglia. Mi tolgo pigramente la T-shirt con cui ho dormito e mi dirigo verso il bagno.

Fiuto nell’aria il profumo esotico che mima1 ha comprato quando ci siamo trasferiti qui nel Queens, dopo che lei e papà si sono lasciati. Il profumo mi ricorda tanto Verdadera Beach, la spiaggia su cui sono praticamente cresciuto: ho imparato a surfare ancor prima di camminare, ho pizzicato le mie prime note sulle corde di una chitarra e ho avuto il mio primo due di picche da Estrella Díaz.

È un’essenza che associo all’idea di casa. L’ha presa talmente tanto tempo fa che ormai si è impregnata sulle nostre pelli.

Siamo venuti negli Stati Uniti circa tre anni fa, io frequentavo il primo anno delle medie mentre Luís e Verónica erano già alle superiori. Mio fratello Marco invece è rimasto a Cuba, all’epoca gli mancava solo un anno per finire la triennale. Credo che adesso lui viva con la sua fidanzata e con abuelita2, alla nonna non è mai piaciuto abitare da sola.

Passo davanti alla stanza di mima in punta di piedi, deve aver finito di lavorare molto tardi ieri e non voglio disturbarla. Lei e Luís svolgono un sacco di lavori per mantenerci, Verónica invece è ansiosa di terminare gli studi alla facoltà di biologia marina così finalmente potrà trovarsi un lavoro da poter chiamare tale. “Così finalmente ci trasferiremo in un appartamento più grande di uno sgabuzzino” dice ogni volta.

Io sogno di diventare pilota, di poter entrare alla NASA ed esplorare le migliaia di stelle che circondano. A mima non piace l’idea, ogni volta che ne parlo storce il naso e qualcosa nei suoi occhi cambia. È un bagliore strano, che non mi riesco mai a spiegare.

Vado a lavarmi la faccia, mi metto un paio di jeans e una maglietta grigia, dopodiché prendo il mio giubbotto preferito – una giacca sui toni del verde marrone, con un cappuccio bianco – e raccatto lo zaino buttandoci dentro con mala grazia il libro di fisica.

Sono seduto al tavolo in cucina intento a sgranocchiare una fetta della torta avanzata ieri sera – Verónica è una cuoca bravissima – quando sento Luís alzarsi. Si sveglia sempre dopo di me, ma è lui che mi porta a scuola, anche perché è di strada per andare al lavoro. Ha sempre insistito per accompagnarmi e per non farmi prendere la metro, nonostante le mie iniziali proteste di riuscire a cavarmela da solo.

Hola, Lancey – mi saluta mio fratello entrando nella stanza. Taglia anche lui un pezzo del dolce di Vero e finiamo di mangiare assieme.

Alle sette meno cinque usciamo di casa e prendiamo la macchina, non c’è molto traffico dato che la rush hour, come la chiamano qui, di solito si aggira intorno alle otto e mezzo o nove.

Luís è sempre molto attento quando guida, controlla la strada e si guarda intorno, fa attenzione anche ai passanti. Mima dice che se riesco a passare quest’anno con voti abbastanza buoni potrò finalmente iniziare a studiare la teoria per la patente… Sarebbe anche ora!

Superiamo due incroci, poi svoltiamo a destra e mio fratello accosta la macchina. Lo saluto e scendo dall’auto, ma prima che possa chiudere la portiera mi chiama. – Hey Lancey, pa’a hoy… mucha mierda!3

---

Soppeso la mia arma, abbastanza leggera da non pesarmi sul braccio e abbastanza pesante da non schizzarmi via dalle mani. Non male. È un coltello di bronzo celeste lungo quanto il mio avambraccio, con un’elsa dello stesso materiale. L’impugnatura è però rivestita da una fascia di cuoio (o forse pelle) che facilita la presa e l’aderenza.

Chiunque l’ha realizzata dev’essere un fabbro eccezionale. Keith dice che gli artefici sono i ragazzi della Capanna Nove, ma onestamente fatico a credere che un tale oggetto sia stato plasmato da così tanti semidei. Sembra più il lavoro di un’unica persona.

Osservo il mio riflesso sul piatto della lama, è difficile per me abituarsi a una nuova arma. Giocherello con le perline della mia collana – una per ogni anno al Campo –, ripensando alla mia fidata lancia. Nel corso del tempo era diventata un’estensione del mio braccio e ho tenuto il muso a Keith per parecchi giorni quando me l’ha brutalmente spezzata durante la Caccia alla Bandiera l’anno scorso. È da quasi dodici mesi che ho questo pugnale e non ci ho neancora preso la mano.

Sento i passi di qualcuno alle mie spalle, sta entrando nell’arena. So che è Keith e so anche che avrà quasi sicuramente la solita espressione corrucciata sotto i ciuffi neri che gli adombrano il viso; finge sempre di essere scocciato da queste “lezioni” in cui mi aiuta a maneggiare il coltello. In parte l’ho costretto io, per riparare il danno fatto alla mia lancia e in parte si è offerto volontario lui.

Il figlio di Ares ha la fama di essere ribelle e scorbutico, ma è anche il migliore spadaccino del Campo. E un mio caro amico.

– Sei pronta Pidge? – mi chiede mettendosi al centro dello spiazzo e contemporaneamente facendo roteare la spada di legno che usa per gli allenamenti.

Con un balzo mi metto in piedi e mi metto in posizione di difesa, pronta a parare un suo attacco fulmineo. Ho i sensi all’erta, complice anche l’iperattività che contraddistingue molti semidei.

Il moro si lancia all’assalto, mena un fendente diretto al mio petto. Schivo e mi porto di lato sfruttando il terreno di sabbia rossa per scivolare e rendere il movimento dei piedi più rapido, alzo il braccio e tengo il coltello trasversalmente con la lama rivolta verso il basso. Le due lame si incrociano con un rumore secco, Keith fa forza per vincere la mia resistenza, sento il polso cedere.

Velocissima, sposto il braccio e mi allontano con un salto all’indietro. Il mio avversario si ritrova così in una posizione sbilanciata e io devo cogliere l’occasione: è messo male, non è perfettamente fermo sulle sue gambe.

È questione di un nanosecondo, siamo di nuovo faccia a faccia. Si è protetto dal mio affondo usando come scudo uno dei para braccia e l’arto con la spada è libero. Prima che possa caricare il colpo, lo centro con un calcio nell’addome e lo spedisco a una distanza di sicurezza. I suoi lineamenti non nascondono una smorfia infastidita, non se l’aspettava.

Torna all’attacco più aggressivo di prima, evito un fendente ma non il pugno sulle costole che mi prende totalmente alla sprovvista. Avverto i polmoni svuotarsi di colpo; Keith non è tanto grosso di stazza, ma è veloce e proprio per questo riesce a far male. Sento il sibilo della sua arma avvicinarsi alla mia testa e tento di difendermi in qualche maniera, alzando il coltello e fermando la sua lama, ma la mia resistenza è debole. La mano si piega e il pugnale viene sbalzato via, mentre Keith ferma l’affondo a un centimetro dal mio collo.

– Non sei andata male – commenta – Hai migliorato molto il tuo equilibrio. E anche la velocità.

Gli sorrido in risposta mentre mi chino per raccogliere la mia arma. Sono soddisfatta, undici mesi fa non sarei durata così tanto contro di lui: la prima volta che ci siamo scontrati, mi ha disarmato e messo KO in meno di dieci secondi.

– Peccato che tu abbia girato il polso alla fine – mi sta dicendo – Dovevi tenere il pugnale con la lama verso il basso, saresti riuscita a fare più forza.

– Mi si stava storcendo il polso… Comunque vedrò di ricordarmene la prossima volta che lotteremo. Magari riuscirò a batterti! – scherzo dandogli un buffetto sulla spalla.

Keith borbotta qualcosa che suona come un “credici” e poi si unisce alle mie risate.

– Ragazzi! – chiama una voce all’improvviso.

Lacey, una ragazzina della Capanna di Afrodite, corre verso di noi tutta trafelata, ha il fiatone e sembra parecchio scossa. – Keith, Katie, finalmente vi ho trovati!

Entra nell’arena e si ferma posando le mani sulle ginocchia, ansima pesantemente. – Dovete andare subito alla Casa Grande! Chirone vuole parlarvi, sbrigatevi!

 

 

 


1mima è "mamma" nello spagnolo di Cuba
2abuelita è "nonnina"
3per oggi, buona fortuna! (spagnolo)





Hola gente
Questa AU nel mondo di Percy Jackson mi è venuta in mente un po' grazie a una fan art che ho trovato su internet e un po' perché io sono patita di questo fandom (come si nota dal mio nome) e amo ficcarlo un po' ovunque in tutte le altre serie che seguo!
Nella seconda parte ho inserito Pidge e Keith come buoni amici perché onestamente io come brotp (non come coppia) ce li vedo molto e mi piacerebbe che il loro rapporto venga approfondito un po' di più andando avanti nella serie dato che in 5 stagioni questi due interagiscono ben poco... Secondo me potrebbero essere ottimi amici, mi ispirano un sacco! ^^
Lo so che questo capitolo è risultato un po' corto, ma il prossimo dovrebbe essere più lungo (e spero non risulti noioso)
Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta
Alla prossima gente
Adios

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Capitolo 2
*** #2 ***


 

Mi porto due dita alle tempie sperando vivamente che non mi venga un gran mal di testa.

Sarà un quarto d’ora che Lance non sta zitto, sta imprecando contro il mondo intero in spagnolo: quando parla nella sua lingua madre, se possibile, diventa ancora più logorroico del solito. In più, io non capisco una parola di quello che sta dicendo e praticamente mezzo corridoio ci sta fissando.

– Lance – provo a chiamarlo un paio di volte, ma zero. Potrebbe anche andare a fuoco la scuola e lui continuerebbe a sproloquiare tutto concitato.

– Lance! – strillo a questo prendendolo per le spalle magre, è più basso di me solo di pochi centimetri. Il mio migliore amico sobbalza preso alla sprovvista e poco ci manca che faccia un infarto, ma finalmente chiude la bocca e sta ad ascoltarmi. – Amico, se ti chiama in fisica ti copro io! Sperando di non farmi beccare da Altean, s’intende…

Mi sono appena messo nei guai da solo dato che il professor Altean sembra avere occhi sia davanti che dietro, ma non potevo ignorare la situazione di cacca in cui si trova Lance. Non mi piace vedere le persone in difficoltà, mi fa sentire inutile ed è una sensazione che detesto.

Lo conosco da quando si è trasferito a New York e da altrettanto sono al corrente del suo problema con la dislessia, che lo svantaggia a scuola. Quando me l’ha confessato era parecchio titubante, temeva che potessi mutare la mia opinione su di lui e iniziare a considerarlo uno stupido – sue testuali parole. Non so neanche io perché gli abbia taciuto per tutto questo tempo di trovarmi nella sua stessa condizione…

– Ah, ti adoro Hunk! – esclama passandomi un braccio attorno alle spalle e scompigliandomi i ciuffi castano scuro.

Ridacchio con aria compiaciuta mentre mi sistemo la fascia arancione che porto annodata in fronte. Me l’ha regalata mia madre, ci ha ricamato sopra il simbolo Maori della famiglia, un simbolo appartenente alla cultura del suo Paese d’origine – le isole di Samoa.

Prendo dall’armadietto il mio libro di storia, la mia materia della prima ora. Lance invece ha inglese e prego mentalmente tutte le entità dell’universo che non faccia qualche stupidata delle sue: la settimana scorsa si è addormentato a metà della spiegazione e si è svegliato di soprassalto urlando qualcosa come “arriva uno tsunami, no… Atlantide!”. È diventato lo zimbello dell’intera classe. La Terrington gli ha fatto una ramanzina di mezz’ora, poi l’ha spedito dal preside ed è rimasto in punizione tutto il pomeriggio.

Ci dirigiamo alle rispettive aule. La lezione di storia non è poi così male, se si esclude la voce monotona e soporifera del prof. Devo lottare con le mie palpebre per non crollare addormentato, sono realmente interessato.

Incrocio le braccia sul banco e vi poso il mento sopra, giusto per cambiare posizione.

La mia testa, però,  è pesante e il mio corpo ancora mezzo assonnato si sente davvero stanco, gli occhi non riescono a mettere a fuoco la lavagna. E il signor Dave ha una voce così rilassante…


Sto camminando in un bosco, è buio e non vedo a un palmo dal naso. Capisco che si tratta di una foresta perché sento lo scricchiolio delle foglie secche sotto i miei piedi e qualche raggio fugace di luna illumina delle fronde sopra la mia testa. Non ho mai visto questo posto in vita mia – non assomiglia neppure per sbaglio a Central Park, in più non conosco nessun posto del genere qui a New York –  e non ho la minima idea di dove mi stia dirigendo.

Non credo nemmeno di essere davvero io la persona che sta camminando. Percepisco una sensazione strana, come se non fossi davvero me stesso.

Le mie guance impallidiscono non appena sento parlare: adesso ne sono davvero sicuro, non sono io. La voce che impreca non è la mia, ha un vago accento sudamericano, ma è molto meno marcato di quello di Lance. Si sta sarcasticamente lamentando della scarsità di luce.

È una cosa assurda, sono l’ospite indesiderato nella mente di qualcun altro.

Solleva una mano e la porta davanti a sé, il palmo rivolto verso l’alto. I miei occhi – o i suoi? – osservano le lunghe dita affusolate, noto che i polpastrelli sono sporchi di una qualche sostanza scura e ha un paio di calli.

Un rumore mi fa trasalire. È stato un suono metallico decisamente poco rassicurante, come di un albero che viene spezzato da qualcosa di molto molto grosso. Il mio primo istinto sarebbe quello di filarmela a gambe levate e invece… restiamo?

Si sta avvicinando, non mi piace per niente. Sento il cuore rimbombarmi a mille nelle orecchie, fa quasi più rumore quello che non il boato.

La persona del mio sogno rimane ferma immobile con la mano a mezz’aria, sembra propensa ad andarci in contro. O è estremamente brava a nascondere la sua paura oppure è totalmente fuori di testa.

No, no, no!

Il baccano si fa più vicino e stavolta anche il ragazzo misterioso sussulta. Forse si è finalmente reso conto che camminare in mezzo al bosco a notte fonda finendo in bocca a chissà quali esseri non è stata propriamente una grande idea. Però è testardo, non si smuove.

Due grandi luci rosse si fanno largo tra le fronde. Un grido spaventato mi si smorza in gola e anche il latinoamericano che non è Lance deglutisce a vuoto, è agitato, le ginocchia tremano eppure non cede.

Quella cosa, qualunque cosa sia, compie in due passi gli ultimi metri che ci separano da lei.

La mano del ragazzo si è illuminata, ha appena preso fuoco e la cosa più spaventosa è che lui sembra non esserne minimamente preoccupato

Ho davanti l’inimmaginabile: un drago! Grande almeno quanto un camion e interamente di metallo, le scaglie che brillano sotto la luce lunare e le ali affilate come rasoi ripiegate sulla schiena.

E io non posso fare a meno di gridare.


Il trillo della campanella mi sveglia bruscamente, quasi perdo l’equilibrio e scivolo giù dalla sedia per la sorpresa. Mi arriva qualche occhiata scettica, ma nessuno commenta niente e neanche il signor Dave fa domande; credo che non si sia nemmeno accorto del mio pisolino fuori programma.

Anche se chiamarlo pisolino è un eufemismo. Non credo sia normale sognare di gente che prende fuoco e affronta creature che dovrebbero esistere solo nelle favole per bambini, o al massimo nei film in stile Signore degli Anelli.

Lance diventerebbe matto se sapesse che ho fatto un sogno così simile al suo quando la settimana passata l’ho rimproverato proprio per la stessa identica cosa. Ha passato un paio giorni insistendo che la storia di Atlantide gli fosse sembrata davvero reale nella sua testa.

Devo avere un’aria davvero stravolta in viso perché il mio migliore mi osserva inarcando un sopracciglio quando lo raggiungo ai nostri armadietti. Abbiamo qualche momento di pausa prima della lezione successiva.

– Tutto bene? – mi chiede indagando la mia espressione. Non sono sicuro di potergli rispondere in tutta onestà, ma vengo salvato in corner dalla campanella che annuncia l’inizio dell’ora successiva.

L’esperimento nel laboratorio di chimica si rivela molto più noioso di quanto ci potessimo immaginare: Lance si diletta con dei disegnini senza senso sui bordi del foglio – su cui sono scribacchiati ben pochi appunti – e io trascorro il tempo a fissare l’orologio perso nei miei pensieri.

La lezione di matematica non è tanto differente, chiacchieriamo poco; con la coda dell’occhio vedo Lance che ripassa fisica, il quaderno nascosto sotto quello degli esercizi di algebra. La temutissima interrogazione del professor Altean è l’ora successiva e lui fatica a memorizzare tutte le formule e i teoremi. Io non ci riuscirei neanche se volessi, a studiare. Sono nervoso, non so come parlarne con lui senza farlo saltare su come una molla – aveva ragione lui, sembrava davvero che fossi io il protagonista della scena, esattamente come nel suo sogno. Forse non è una coincidenza.

Lance è un fascio di nervi quando usciamo dall’aula. Cammina a scatti e ignora pure il fatto che gli siano passate accanto un paio di cheerleader – di solito impazzisce quando le vede, entra in modalità flirt e spara qualche pessima frase delle sue per fare colpo.

Si siede nel posto accanto al mio, ha un tic al piede e non riesce a stare fermo.

Porca miseria, così agita anche me. È possibile venire contagiati dalle… farfalle nello stomaco? Mi premo di nuovo le dita sulle tempie, sperando inutilmente di ritrovare la calma. Sento il cervello lavorare a mille e non so neppure il perché.

Il professor Altean entra in classe con la sua andatura bizzarra e un po’ barcollante e posa la valigetta sulla cattedra con un gran fracasso. Sento Lance imprecare qualcosa che suona come un “Puta mierda” e il suo naso sprofonda maggiormente tra le pagine del libro.

Deglutisco a vuoto. Questo giorno sembra diventare ancora più strano ogni minuto che passa. Il signor Coran sta fischiettando una melodia assurda in una lingua che di primo acchito mi pare incomprensibile. Canticchia a bassa voce, ma dopo un paio di secondi mi abituo e riesco persino ad afferrare qualche parola.

Senza tanti preamboli ci ricorda che oggi è il primo giorno di interrogazioni e dà un’occhiata al registro, passandosi una mano sui grandi baffi arancioni che gli adornano il viso.

– Garrett, McLain! Sentiamo un po’ voi due!

Sbianco di colpo, così come Lance. Sta scherzando, spero! Questo ce l’ha con noi! E adesso chi cacchio ci suggerisce? Non avevo minimamente messo in conto che potesse estrarne due, di vittime sacrificali. Se avesse chiamato solo me o lui, l’altro avrebbe tentato in qualche maniera di passare le risposte all’interrogato, ma così se ne va ogni speranza di poter guadagnare un paio di voti in più.

Con facce da funerale io e Lance ci alziamo dalle nostre sedie e ci prepariamo per quella che sarà un’interrogazione di fisica lunghissima.

---

Neppure quando scopriamo che oggi in mensa ci sarà la pizza Hunk sembra dare cenni di vita. Non sembra esserci rimasto male per la C ottenuta in fisica, certo, un po’ deluso lo è – del resto fisica è la sua materia preferita – ma sembra esserci qualcos’altro che lo turba.

Tento, per la seconda volta di questa mattina, di chiedergli cosa c’è che non va. Lui smette di masticare la sua fetta di pizza al salamino e deglutisce, ci scambiamo una lunga occhiata, la sua fronte si corruccia e immagino stia riflettendo se dirmelo o no.

Vorrei tanto potermene uscire con qualche battuta ironica per sdrammatizzare, ma non mi viene in mente nulla e non credo nemmeno che possa davvero funzionare.

Hunk abbassa lo sguardo mentre si pulisce le mani con un tovagliolo, tartassa le sue dita scure e attorciglia il fazzoletto fino a strapparlo. Sono sorpreso dalla sua reazione, non l’ho mai visto così titubante.

– In realtà… ci sarebbe qualcosa – esala alla fine, dopo avermi tenuto sulle spine per qualche interminabile minuto.

Quando inizia a raccontare, devo trattenermi dal gridare qualche chabacanería1 e quasi non credo alle mie orecchie.

A dire la verità, fino a prima che mi rivelasse del suo sogno di stamattina, persino io stesso credevo che la storia di Atlantide fosse stata solo l’incubo più scemo e al contempo reale che una mente umana potesse aver mai creato. Insomma, non capita quasi a nessuno di ritrovare se stesso in una civiltà immaginaria e vedere un tizio gigantesco che sbuca dall’acqua e con un’onda anomala cancella un’intera isola! Però è vero che la sensazione di essere i protagonisti del sogno faceva credere di trovarsi nella realtà, altrimenti non avrei insistito con questa storia di Atlantide per giorni interi. Queste sensazioni sono un gran casino.

Hunk conclude la spiegazione e mi osserva mogio, con aria dispiaciuta. Si aspetta qualche mia escandescenza e sarei davvero tentato di dare di matto, perché la storia è davvero assurda. Non capisco come possano essere possibili due sogni così simili.

Sospiro e do una pacca sulla spalla al mio migliore amico. – Maggio ci sta facendo diventare quimbaos2, asere! – rido.

La sua espressione si fa un po’ confusa e le sue sopracciglia si aggrottano…

Cavoli, mi sa che non era inglese, quello! Ho ancora qualche difficoltà ad usare la lingua di qui, spesso inserisco molte parole spagnole nel mio discorso e, ovviamente, Hunk non le capisce. Devo aver usato un accento buffo, però, perché gli angoli della sua bocca sono incurvati verso l’alto.

Nel complesso è un cipiglio talmente assurdo che non posso fare a meno di scoppiare a ridere senza ritegno, scrollando le spalle con leggerezza. Le mie risate sono contagiose e Hunk non ce la fa a rimanere serio, lo vedo che si morde le labbra, gonfia le guance e poi non resiste più.

– Amico, si può… sapere… che cavolo… hai detto? – quasi annaspa per articolare la frase, le parole interrotte dai suoi continui risolini. La tensione che abbiamo accumulato questa stamattina si sta finalmente scaricando.

Sto ancora ridendo quando mi alzo in piedi e con il mio vassoio del pranzo mi dirigo verso il cestino per buttare i residui del mio pasto. La pattumiera sta vicino a una porta verde senza scritte che è sempre chiusa e che sospettiamo sia lo sgabuzzino dei bidelli o degli addetti alla mensa – nessuno ha mai indagato la cosa e nessuno se ne interesserà mai.

Asere? Asere vuol dire “amico” a Cuba! – gli spiego con un sorriso mentre getto nel bidone la mia bottiglia vuota. – E invece quimbao significa—

La frase rimane in sospeso, non riesco a terminarla che improvvisamente la porticina verde si spalanca di colpo, un grande boato riecheggia nella sala pranzo e nei corridoi circostanti e qualcosa di grande e lanciato alla massima velocità mi investe in pieno.





1volgarità in sapgnolo cubano
2matto in spagnolo cubano




 
Hola gente
Eccomi qui con il secondo capitolo!
Ho avuto qualche difficoltà a scrivere la prima parte perché non volevo concentrarmi troppo sulle parti poco importanti (le ore di scuola tra la 1 e fisica) per non scrivere un papiro ripetitivo ma non volevo nemmeno liquidare il tutto con tre sbrigative righe... Ho provato a fare un misto e spero di esserci risucita ^^
Il sogno di Hunk non l'ho inserito a caso per allungare il capitolo, ha un suo senso che verrà spiegato andando avanti con la storia...
Ringrazio Miss Marvel MJ che ha messo la storia tra le preferite e Cesi2002 che l'ha messa tra le ricordate! Ringrazio chi recensirà e chi leggreà e basta
Alla prossima gente
Adios

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Capitolo 3
*** #3 ***


 

 

Sento il mio stesso respiro rimbombarmi nella testa, è pesante e affannato, non sono sicuro di riuscire a reggere ancora per molto.

I loro sibili raggiungono le mie orecchie e mi fanno rabbrividire. Digrigno i denti e stringo i pugni, i muscoli mi stanno chiedendo pietà ma non sono intenzionato a mollare; se proprio devo, preferisco mille volte morire per la fatica che per mano loro.

Il mio braccio buono è bollente e pulsa di dolore, il sangue sta sgorgando da una ferita poco sotto la spalla e rende la mia pelle viscida e appiccicosa. La mia presa sulla spada è debole, le dita serrate sull’impugnatura sembrano scricchiolare e le ossa paiono sul punto di spezzarsi.

Da quanto tempo sto combattendo? Minuti? Ore?

Svolto a destra e poi due volte a sinistra, ho perso l’orientamento molto tempo fa: questi corridoi sono tutti uguali per me, senza un mortale è impossibile districarsi in questo dedalo di vie.

I miei piedi slittano sul terreno roccioso, devo conficcare le unghie nella roccia per fermare la mia corsa, il naso a un centimetro dalla parete di quello che è un vicolo cieco. Il cuore fa una capriola, i polmoni sono come in fiamme, ma i muscoli scattano. Scattano per farmi fare marcia indietro da quella che potrebbe essere una trappola mortale. Per come sono ridotto ora, se venissi messo con le spalle al muro non durerei nemmeno cinque minuti contro due di quegli esseri.

Con questo imprevisto ho perso quel poco vantaggio che avevo, corro a più non posso, il suono delle loro voci che mi ferisce le orecchie e l’orrore che percuote il mio intero corpo.

Trattengo a stento un gemito quando una delle loro lance fende l’aria a pochissimi millimetri dalla mia schiena. Sento il tessuto della maglietta che si lacera, ma per fortuna la mia carne non è stata colpita.

La cosa strana è che, tra una falcata e l’altra, la mia mente si sta lucidamente immaginando il tribunale degli Inferi. E sta pregando mio padre per intercedere presso Ade e concedermi un posto nell’Elisio quando invece dovrebbe odiarlo per avermi spedito a morire in questo incubo. La mia parte razionale si è ormai arresa a questa evidenza, eppure qualcosa nel mio subconscio, una vocina acuta e disperata, mi sta ancora spronando a lottare, a sforzare me stesso per trovare una via – una qualunque via d’uscita che mi faccia seminare le dracene alle mie costole.

Il Fato, a quanto pare, sembra essere d’accordo con la mia ragione. Incappo nell’ennesimo bivio, tre strade che si diramano davanti ai miei occhi. L’imprecazione in greco che ringhio tra i denti è piuttosto colorita, ma non ho tempo di stare a pensare: prendo una direzione a caso svoltando così repentinamente che temo di venire tradito dall’instabilità dei miei stessi piedi.

Guadagno qualche metro, le dracene sono lente e goffe e si scontrano tra loro nel girare per inseguirmi.

Il cunicolo è leggermente più largo rispetto agli altri, ma non abbastanza da permettermi di maneggiare liberamente la spada – non che ne abbia l’energia sufficiente –, tuttavia riesco a muovermi con più agilità.

La voce del mio subconscio si fa più insistente, è quasi abbastanza forte da convincere anche la mia parte razionale a sperare di trovare davvero un’uscita.

Digrigno i denti e mi mordo con forza le labbra. Il condotto termina lì! Non ci sono nuovi bivi, la strada si interrompe bruscamente.

Le dracene si stanno avvicinando, stavolta sono davvero spacciato. Forse l’unica estrema soluzione che mi resta è quella di finirmi con la mia stessa arma… Il mio orgoglio e la mia testardaggine si rifiutano categoricamente di permettere a quei mostri di sventrarmi come fossi uno dei pupazzi che gli Auguri usano a Nuova Roma. Non avranno il piacere di sentire le mie urla e di udirmi supplicare di avere pietà, implorarle di smettere di dilaniare la mia carne godendosi l’ebbrezza del mio sangue che sgorga dal mio corpo agonizzante.

Se lo possono sognare.

La parete finale della galleria si avvicina sempre di più e man mano che ci corro incontro, si rendono più nitidi i contorni che non riuscivo a scorgere nella penombra. Una porta.

Una porta!

Tra tutti i numi, forse è stata proprio Elpis – o Spes, come vi pare – a udire le mie mute preghiere. O magari è stata Tyche, la Fortuna, ad ascoltarmi. Ringrazio mentalmente entrambe, lo stomaco che si sta attorcigliando e una nuova scarica di adrenalina pervade di un’ulteriore forza le mie spossate membra.

La mia mano si serra sulla maniglia e tira e spinge e tira di nuovo, ma quella sembra bloccata e non si muove. Irrigidisco le spalle, non possono essersi davvero presi gioco di me.

“Ti prego, no, ti prego, no” è l’unico pensiero che la mia testa sta ripetendo in un grido silenzioso, come in un loop.

Con la forza della disperazione alzo la mia spada e infilo la lama poco sopra la serratura. Faccio leva con tutte le energie che mi restano e al contempo premo tutto il lato sinistro contro la superficie della porta. Spingo, grido, le mie imprecazioni coprono i sibili delle dracene sempre più vicine. Da un momento all’altro so che mi salteranno addosso, ma non ci voglio pensare.

Questa. Dannata. Porta. Deve. Muoversi. Subito!

La fessura si allarga quel tanto che mi permette di infierire con la lama sul chiavistello, non smettendo di spingere nemmeno per un secondo.

Sollevo la testa di scatto, quel poco che mi basta per schivare i denti della prima donna-serpente lanciata verso di me. È sicura della sua vittoria, così tanto che ha addirittura abbandonato la sua lancia.

Non posso staccare le mani dall’elsa della spada, perciò sollevo un piede e lo schianto contro il suo muso. Il mostro sbatte contro lo stipite di roccia in cui la porta è incassata e spero con tutto il cuore di essere riuscito almeno a stordirla un po’.

A malapena lo percepisco, il crack secco che anima la serratura e la rende di colpo più morbida. Non c’è nemmeno bisogno di piegare la maniglia, io e la dracena siamo un carico talmente pesante per la porta che i cardini ruotano su se stessi facendola spalancare di botto.

Sono sbilanciato, mi viene a mancare un appoggio e non posso far altro che cadere, un piede sempre premuto contro la donna viscida e qualcosa di verde-marrone che incontra la nostra traiettoria venendone preso in pieno.

---

Credevo che il sogno di stamattina fosse abbastanza strano da fondermi il cervello, invece il karma oggi si sta mettendo parecchio d’impegno per smentirmi e farmi impazzire del tutto.

Il mio migliore amico è appena stato travolto da un… un… non so bene cosa cavolo sia uscito da quella diamine di porta che tutti consideravano sigillata, so solo che l’ha preso in pieno e io sono totalmente paralizzato dalla paura per riuscire a muovere anche un solo singolo muscolo.

Attorno a me è il panico, tutti gli studenti si alzano di botto dalle loro sedie, lasciano cadere i loro vassoi e si va a creare un fuggi fuggi generale, ma nella mia testa tutti i suoni sono ovattati.

“Andiamo Hunk, reagisci! Fai qualcosa!” ordino a me stesso. Il mio respiro si velocizza, mi sto agitando, il battito del mio stesso cuore mi sta rimbombando nelle orecchie.

“Qualcosa che non implichi andare in iperventilazione” mi rimprovero. “Cazzo, si tratta di Lance!”

Qualcosa in me si smuove. Non posso abbandonare il mio migliore amico filandomela assieme a tutti gli altri! Ignoro la voce di un professore che mi intima di allontanarmi subito, di mettermi al sicuro, afferro il mio vassoio usandolo a mo’ di scudo e compio il primo passo per avvicinarmi.

– Via, via! Portate via di qui gli altri studenti, me ne occupo io! – un grido squillante riesce a raggiungere le mie orecchie e assomiglia vagamente al tono del signor Coran, ma non me ne curo.

La massa che ha travolto Lance si agita, con orrore noto macchie rosse che sporcano il pavimento e prego ogni tipologia di divinità che non sia quello del mio amico.

Qualcosa fa per alzarsi e d’istinto stringo le dita sul vassoio alzandolo maggiormente a schermarmi il volto, ma permettendomi comunque di controllare la scena. Non ho idea di cosa fare. Dovrei farmi coraggio e provare a tirare fuori Lance da quello che sembra un aggroviglio di corpi giganteschi? Dovrei aspettare e vedere di chi – o cosa – si tratta per evitare che salti addosso anche a me?

Il fiato mi si mozza in gola quando qualcuno riesce davvero a rimettersi in piedi. Un ragazzo massiccio con una maglia che una volta doveva essere stata arancione sta reggendo malamente per il braccio un Lance stordito e in visibile stato di shock.

E sta puntando una spada alla gola di una donna verde. Che non ha le gambe.

Poco ci manca che le mie, di gambe, cedano sul serio.

Lui… lui ha una cicatrice che gli attraversa orizzontalmente il volto all’altezza del naso, ha un ciuffo bianco latte e corti capelli neri, è coperto di sangue dalla testa ai piedi e ha una specie di braccio metallico, inoltre sta impugnando un’arma vecchia di millenni come se fosse niente.

Invece lei… lei ha due code di serpente laddove ci dovrebbero essere gli arti inferiori.

Mi sento mancare, la testa ronza e sento l’impellente bisogno di sedermi per non finire davvero lungo disteso. Sobbalzo di colpo quando mi sento toccare d’improvviso sulla spalla, mi giro di scatto spostando il vassoio e mi trovo faccia a faccia con il prof Altean. – Resisti Hunk – mi dice – Non mi puoi mollare proprio adesso! Ti assicuro che alla fine, tutto questo avrà un senso.

Non so neanch’io perché mi ritrovi ad annuire alle sue incomprensibili parole con l’espressione più sconvolta dell’intero pianeta, lo sto facendo e basta.

La donna-serpente ne approfitta per strisciare indietro, si trascina con le mani sul pavimento  e si sposta verso l’apertura da cui è uscita.

– Sssbrigati, portami le mie armi! – parla con una voce che ricorda una lama che graffia contro la pietra.

Quello che mi fa trasalire ancora di più è quell’imperativo “sbrigati”. Quante cavolo sono?!

Il mondo sembra proprio avercela con me, perché dalla porta verde esce in tutta calma una seconda donna-serpente armata di tutto punto: ha una corazza che le riveste il busto, un elmo e ha in mano due lance.

– Ssssembra che potremmo avere un lauto passsto oggi – commenta la nuova arrivata leccandosi le labbra con la lingua bifida – Tre sssemidei e addirittura un sssatiro.

Sudori freddi mi percorrono la schiena. Perché ha detto tre? E che diamine sono un satiro e un semidio? Le meningi stanno lavorando a mille affollandomi la testa di interrogativi a cui non riesco a trovare risposta, i pensieri sono confusi e privi di ogni logica.

Il professor Altean non mi aiuta di certo; si para di fronte a me ostruendomi la visuale, lo sento scambiare due parole con il ragazzo che mi inquietano non poco. – Shiro, sei vivo…

Perché è così meravigliato? Perché questo Shiro dovrebbe essere morto?

Il suddetto giovane liquida la domanda con un sbrigativo “Te lo spiegherò più tardi” poi, con poca grazia, trascina Lance e lo butta tra le braccia del professor Coran. Appena in tempo, perché uno dei mostri si è scagliato contro di lui e i suoi artigli hanno lacerato l’aria laddove un secondo prima c’era la testa del mio migliore amico.

Il mio insegnante di fisica si volta verso di me e, con la stessa velocità di Shiro, affida a me il compito di sorreggere Lance. – Non muovetevi da qui! – ci intima.

Non posso far altro che annuire, non me ne sarei andato comunque: sono paralizzato dalla paura. Passo il braccio del mio amico intorno alle mie spalle, mentre osservo sconvolto il signor Coran che si lancia addosso a una delle serpi per impedire che questa prenda alle spalle il misterioso ragazzo.

Lance si massaggia la testa e mugugna qualcosa di incomprensibile, credo che non sia nemmeno inglese ma sorvolo sulla cosa. Gli chiedo come si senta e ricevo in risposta delle parole che suonano come “uno schifo”, tuttavia non ho tempo per decifrare il suo borbottio, mi butto di scatto sulla destra per schivare una delle donne che è stata scagliata nella nostra direzione.

È una dracena, quella roba” mi sussurra qualcuno da un angolino remoto del mio cervello. Detto con franchezza, non che mi interessi tanto; l’unica cosa su cui mi focalizzo al momento è l’evitare che uno di quei mostri mi stacchi di netto la testa dal collo.

– Hunk, ma che cazzo sta succedendo? – la domanda di Lance è flebile e, nonostante lui sia vicino al mio orecchio, fatico davvero a sentirlo.

Tento di riassumergli la situazione nella maniera più chiara e concisa che mi è possibile, mentre i miei occhi restano fissi sulla battaglia per tenere d’occhio quelle… quelle dracene.

Shiro e Coran non se la stanno cavando male, rispondono velocemente ai loro attacchi e il ragazzo le tiene a bada con la sua spada nonostante la sua espressione mostri evidenti segnali di fatica.

La mia mascella – e dallo schiocco che sento immagino anche quella di Lance – tocca terra quando vedo partire per sbaglio una delle scarpe del prof. Ha appena scagliato un calcio verso il muso di una delle creature, ma l’ha mancata in pieno e per la foga una delle sue Adidas è volata per la mensa…

Rivelando degli zoccoli.

Degli zoccoli caprini.

Okay, Hunk, respira. È solo un brutto sogno, è per l’ansia dell’interrogazione; tra poco ti sveglierai nel tuo letto e riderai di tutto questo.

– Ma che cazz…? – sento l’imprecazione del mio amico come se il suono l’avesse prodotto la mia stessa testa.

Come in un rallentatore, ci voltiamo all’unisono l’uno verso l’altro e ci guardiamo negli occhi con aria sconvolta giusto per assicurarci che anche l’altro stia vedendo esattamente la stessa cosa.

A malapena la sentiamo la voce di Shiro che, da distante, ci raggiunge e ci avverte di spostarci dal tavolo. Nella foga del movimento credo di essermi trascinato dietro il vassoio – che avevo precedentemente usato come scudo e poi ributtato sul tavolo quando il prof mi aveva mollato tra le braccia il mio amico cubano. Il rumore secco della platica che sbatte contro il pavimento va a sommarsi all’urto che causa una donna-serpente quando infrange la superficie di legno.

I secondi successivi sono per me un tornado di avvenimenti che fanno vorticare la mia mente all’impazzata.

Scorgo Shiro che con un colpo trancia in due una delle dracene. Ricordo Lance che allunga un piede per avvicinarsi al vassoio a terra. La donna-serpente sul tavolo si volta verso di noi con un sibilo da far accapponare la pelle. Né il prof né l’altro ragazzo riescono a raggiungerci in tempo, il mostro si butta verso di noi leccandosi le labbra con la lingua bifida. I muscoli si paralizzano per l’ennesima volta, il fiato mi si blocca in gola e il massimo che riesco a fare è proteggermi sollevando i gomiti davanti al viso.

– Non il mio amico, puta de mierda1! – sento strillare, e so che è Lance. E un pochino me lo aspetto – sentendomi uno sporco codardo in fondo al cuore – perché lui è una di quelle persone che mette gli altri prima di se stesso.

Quello che non mi aspetto, invece, è il vassoio che si schianta in pieno sul viso della dracena. La donna vola con una forza inaudita dall’altra parte della mensa travolgendo un paio di sedie durante la sua corsa.

Sposto le pupille dal mostro al mio migliore amico, ha un’aria più sconvolta della mia, il fiato corto e il torace che si dilata e si contrae per cercare di calmarsi.

Tutto finisce quando Shiro corre nella direzione della creatura, si avventa su di lei con un balzo e le trapassa il petto con la spada. Lei strabuzza gli occhi, boccheggia e poi diventa polvere dissolvendosi nel nulla.





1brutta puttana (letteralmente "puttana di merda")




Hola gente

Eccomi qui con il terzo capitolo! Mi sono divertita parecchio a scriverlo, specialmente il pov di Hunk che dà di matto... Onestamente credo questo sia il miglior capitolo che finora sono riuscita a fare tra tutte le mie storie... ne vado fiera! XD

Ringrazio Miss Marvel MJ, Luna_Baka_Neko e Cesi2002 che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite

Ringrazio chi recensirà e chi leggerà e basta.. e niente, sono stata traumatizzata dalla 6 serie (quando cazzo esce la 7?!?!?).. Voi l'avete già vista? ç_ç O_o XP (I'M DEAD)

Alla prossima gente

Adios

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Capitolo 4
*** #4 ***


 

Il signor Coran sta effettuando una chiamata. Si potrebbe dire che sia al telefono, se solo ne stesse usando uno.

Dopo tutto il merequetengue1 che è appena successo, il nostro prof di fisica si è avvicinato al rubinetto della mensa, l’ha aperto, poi ha tirato fuori dalla tasca una moneta che non assomigliava manco per sbaglio a un qualsiasi spicciolo da 10 o 25 cent e l’ha buttata nel lavello mormorando qualcosa.

Ho trattenuto un grido sorpreso quando davanti a lui si è materializzato una specie di schermo composto da goccioline d’acqua su cui era delineato il volto di un uomo barbuto. Parlano a bassa voce, perciò mi è difficile capire cosa si stiano dicendo, riesco ad afferrare solo alcune parole slegate tra loro.

Hunk si è finalmente rimesso in piedi, l’incontro con quei mostri l’ha sconvolto da cima a fondo. Si è avvicinato a Shiro e adesso lo sta squadrando con un’espressione che è un misto tra timore e curiosità. Ha uno sguardo assorto, immagino si stia mordendo la lingua per non tempestarlo di domande.

– Tutto a posto? – chiede perplesso il ragazzo inarcando un sopracciglio e posando le sue iridi scure sul mio migliore amico.

Quest’ultimo incrocia prima i suoi occhi e dopo i miei, i suoi lineamenti si corrucciano in un’aria confusa e una mano sale automaticamente a grattare la nuca in un gesto istintivo – tipico di Hunk quando è nervoso o molto imbarazzato.

– Escludendo il fatto che una specie di rettile umano ha quasi schiacciato Lance, ha tentato di morderci la faccia, ci ha chiamato con un nome assurdo e che nessuno di noi due ha idea di cosa sia tutto questo trambusto… Escludendo questo, sì, direi che va benissimo! – sbotta più brusco di quanto anche lui si potesse aspettare.

Non ha tutti i torti. Finora nessuno dei due si è degnato di spiegarci cosa diamine stia succedendo, il che è piuttosto irritante.

Noto che il ragazzo ha irrigidito i muscoli e la linea della sua bocca si è fatta più sottile. Suppongo stia riflettendo se dircelo o meno, ma non fa in tempo a proferire parola che il professor Altean torna da noi. Ha finito di chiamare – sempre se si possa dire così – e ci informa che è meglio se ci allontaniamo dalla porta verde e ce ne andiamo prima dalla mensa e poi da scuola: parlerà lui con mima e la mamma di Hunk per spiegare loro tutto quanto.

Io e il mio migliore amico ci scambiano uno sguardo stralunato. Ho sempre pensato che questa scuola fosse piena di gente assurda, ma non mi sarei mai aspettato una gabbia di matti tale.

– Non possiamo stare qui – interviene Shiro anticipando le nostre eventuali proteste – Potrebbero arrivare altre dracene e voi due sareste un bersaglio troppo facile. Inoltre io non credo di riuscire a durare ancora per molto in queste condizioni.

– Ho sentito Chirone – aggiunge il signor Coran, riferendosi più al guerriero che a noi – gli altri stanno venendo a prenderci con i pegasi. Faremmo meglio ad uscire di qui e ad andargli incontro.

---

Pidge quasi scoppia a piangere, mentre io mi sento d’improvviso le ginocchia molli e le orecchie ovattate.

Shiro.

Shiro è tornato.

Sembra quasi un ritorno dall’Oltretomba, lo davano tutti per morto. Dopo oltre un anno, invece, le voci disfattiste che circolano sia qui sia al Campo Giove sul fallimento della sua impresa vengono finalmente smentite.

Coran ha appena inviato un messaggio-Iride a Chirone, che ha incaricato me e Katie di raggiungerli con i pegasi. Sono nel Queens e non sarebbero nemmeno tanto lontani dal Campo, ma non avrebbe senso lasciarli a loro stessi con il figlio di Zeus ferito e stremato e anche due nuovi ragazzi. Non potremmo permetterci di riperderli di nuovo ora che sono appena tornati.

La figlia di Atena ha le mani tremanti, quasi non riesce a sistemare la cinghia della sella di Timballo da tanto trema. Sia il signor Altean che Chirone sono stati molto sbrigativi a riferire la notizia, ma è praticamente certo che con Shiro ci siano anche Matt e Sam Holt, rispettivamente fratello e padre della mia amica.

Guido sbuffa e pesta uno zoccolo a terra quando vede che mi sto avvicinando a lui reggendo una capezza. I pegasi non sono abituati ad essere bardati, sono rarissime le volte in cui capita di doverlo fare e quindi non mi è facile convincerlo a stare fermo finché gli metto le briglie. Mi ci vogliono cinque minuti buoni e un bel po’ di imprecazioni in greco per fissare anche l’ultimo laccio della bardatura – io non sono un fenomeno coi pegasi, in tutti gli anni qui al Campo li avrò cavalcati una volta sola. Forse.

Se non altro questo riesce a distrarre un po’ Pidge, sento i muscoli rilassarsi inconsciamente quando mi giunge alle orecchie la sua risata.

Lasciamo la stalla dei pegasi in groppa a Guido e Timballo e con altri due animali al seguito, non ci curiamo degli sguardi stupiti che si sollevano verso di noi. Chirone ci ha intimato di fare il più presto possibile, né loro né noi siamo al sicuro fuori dai confini del Campo perciò prima torniamo e meglio è.

Sono in testa al gruppo, il vento che mi scompiglia i capelli e mi entra negli occhi impedendomi di tenerli totalmente aperti. Nonostante sia pieno maggio a questa quota e a questa velocità l’aria è parecchio pungente, si infila sotto la maglietta e mi rende più chiaro come mai non mi abbia mai aggradato combattere su un cavallo.

– Quello è il quartiere del Queens! – grida Pidge indicando di fronte a lei. – Coran ha detto che la scuola è all’incrocio tra la Sessantaseiesima e la Strada 108, quella vicino al più grande dei due laghi del Flushing Meadows Park!2

Il parco con il lago non è difficile da trovare, è il più grande di tutto il distretto e spicca tra i palazzi e le strade grigie con il suo colore smeraldino.

Ci abbassiamo di quota per avere una migliore visione dei dintorni, ma, al contrario di quanto mi aspetto, cercare la scuola non si rivela un problema. Il mio sguardo viene attirato da un gran trambusto che si sta verificando poche centinaia di metri davanti a noi: c’è della  gente che strilla e sta uscendo frettolosamente da… da quella che sembra una scuola!

– Pidge! – la chiamo. – Passiamo dal cortile, dobbiamo evitare quel muro di gente!

Lei urla un qualcosa che suona come un “Ricevuto” e con i pegasi planiamo verso il campo da football deserto. Complice la Foschia, che prego Ecate non ci faccia sembrare qualcosa di ancora più assurdo agli occhi dei mortali, tocchiamo terra senza incontrare nessuna rogna.

Quasi ruzzoliamo giù dalle nostre cavalcature da tanto impazienti siamo. Se prima riuscivo a contenere tutta la mia ansia per far calmare anche la figlia di Atena, adesso sono un fascio di nervi che non può essere trattenuto da nulla. Il mio unico pensiero fisso adesso è ritrovare Shiro e riportarlo sano e salvo al Campo.

Sguaino la mia spada e poi, senza aspettare Katie ma certo di averla subito dietro di me, corro verso il portone spalancandolo con un calcio secco. Mi pongo in posizione di difesa, pronto a saltare addosso a chiunque mi si pari davanti per intralciarmi il cammino.

Per un interminabile attimo rimango spiazzato quando mi trovo faccia a faccia con uno sconvolto Coran che ha la mano ancora bloccata a mezz’aria protesa nell’atto di allungarsi per afferrare la maniglia. Con l’altro arto sta trascinando per il polso un ragazzo piuttosto alto e secco che sta strillando qualcosa in una lingua incomprensibile.

– Devo dirlo a mima, a Luís, a Vero! A qualcuno! – sbotta alla fine in un idioma che riusciamo a comprendere. – E anche Hunk deve. Non possiamo sparire così, senza lasc… Chi cavolo sono loro?! – si irrigidisce non appena i suoi occhi incontrano quelli di Pidge e i miei.

Il signor Coran esita, credo non sappia da dove cominciare a spiegare tutto quanto, il che è strano dato che questa dovrebbe essere routine quotidiana per lui.

– Ascolta Lance, glielo diremo. Avvertiremo tutti e faremo in modo che capiscano la situazione, ma i primi che devono capirla siete proprio tu e Hunk e per fare ciò devi fidarti di noi, va bene? – lo rassicura alle sue spalle una voce calma e profonda che conosco fin troppo bene.

I miei muscoli si muovono da soli, prima che me ne possa rendere conto sono già corso verso Shiro mollando la mia spada qualche parte dietro di me e buttandomi a capofitto tra le sue braccia. Lo stringo in un abbraccio fortissimo seppellendo la faccia nella sua maglia. Le sue mani mi circondano le spalle e il suo fiato mi solletica i ciuffi corvini.

È come un fratello per me, il sapere che la sua impresa era fallita più di un anno fa e che lui era disperso – se non peggio – mi aveva distrutto. Prego tutti gli dei che questo non sia solo un sogno, perché mi si spezzerebbe ancora di più l’anima; per mesi ho immaginato di poterlo raggiungere e salvare dall’inferno in cui si trovava e adesso che lo sento davvero, reale, in carne ed ossa sotto le mie mani desidero che questo momento possa non finire mai.

Con riluttanza mi separo da lui, non è propriamente il momento più adatto per farsi travolgere dalle emozioni anche se vorrei fargli mille domande.

– Ci… ci sei solo… solo tu? Non… non si è salvato… nessun altro? – balbetta Pidge. È quasi un sussurro la sua frase, ma ha il potere di farmi ghiacciare dentro.

Mi volto verso di lei, il suo viso è molto pallido e le labbra sono strette in una linea sottile, posso vedere come tiene rigidi i muscoli e i pugni serrati fino a far sbiancare le nocche.

– Pidge, io… No… Non lo so. Non lo so, i ricordi sono frammentati. Non sono nemmeno certo siano davvero ricordi o allucinazioni. Mi… mi dispiace – mormora il figlio di Zeus distogliendo lo sguardo dai suoi occhi color nocciola.

La piccola figlia di Atena non dice niente, abbassa la testa e irrigidisce ancor di più le sue membra. Non proferisce parola e questo mi fa sentire ancora peggio. Uno strano senso di colpa inizia ad opprimermi il cuore, Katie è venuta con me convinta dalle parole di Chirone che assieme a Shiro fossero tornati anche suo padre e suo fratello, ma sembra quasi che gli dei – se non addirittura il fato – vogliano prendersi gioco delle sue speranze: l’illusione con cui è partita si spegne bruscamente come una fiammella colpita da una bomba d’acqua.

Sam e Matt Holt sono ancora dispersi nel Labirinto.

---

Lo stomaco mi si contorce non appena il mio sguardo si posa sull’unico pegaso rimasto libero.

Stringo maggiormente la presa sulla sella di quello che se non ricordo male è Timballo – mi confondo sempre tra lui e Guido – mentre Pidge dà il segnale al cavallo per levarsi alto in volo.

Coran e Keith, con rispettivamente seduti dietro Lance e Hunk, ci seguono a pochi metri di distanza. Io ho insistito per andare con Katie, voglio parlarle, dirle che mi dispiace, che è tutta colpa mia dato che ero io a guidare l’impresa. Inoltre sono preoccupato per lei; mi sarei agitato di meno se si fosse messa a piangere e avesse cercato di nasconderlo, ma la linea in cui si è indurita la sua bocca e la fiamma che ha cominciato a bruciarle negli occhi mi fanno presagire il peggio. La conosco, so quanto testarda sia.

Apro la bocca, prendo fiato e faccio per parlare, ma lei mi stoppa prima che io possa proferir parola.

– Se vuoi scusarti, sappi che non è necessario – dice, come se mi avesse letto nel pensiero. – Eravate nel Labirinto, perdersi è molto facile. Anche con un mortale a indicarvi la strada.

Fa una pausa di qualche secondo, poi si lascia andare ad un sospiro che sembra quasi di stanchezza. – Io e Keith non abbiamo mai creduto che voi foste morti. E non intendo crederci adesso. Mi arrenderò all’evidenza che mio padre e mio fratello non ci siano più solo quando me lo sentirò dire da un figlio di Ade.

Di colpo mi sembra che l’aria intorno a noi si sia fatta più fredda e tagliente, un brivido mi percorre la spina dorsale facendomi tremare dalla testa ai piedi. Pidge non si vuole fermare di fronte a niente.

Le poso la mano buona sulla spalla. – Li troveremo, puoi starne certa.

L’occhiata che mi riserva la piccola figlia di Atena è strana, è come se fosse sollevata nel sentirmi pronunciare queste parole e allo stesso tempo non ci credesse; nel suo sguardo è presente una velata sfumatura di scetticismo. Non la biasimo, chiunque può pronunciare frasi così vuote: immagino che nei primi tempi, al Campo, sia lei che Keith se lo siano sentito dire un sacco di volte da ogni altro semidio e Chirone stesso. Ed è questo che mi spinge a rinforzare la mia promessa, a non rendere la mia rassicurazione vana e illusoria come quella di tutti gli altri.

– Lo giuro sullo Stige.




1caos, casino (spagnolo cubano)

2questo luogo esiste davvero (ho cercato su Google Maps), è una scuola ma non ho idea di come sia veramente in realtà: io ho preso "in prestito" solamente il luogo. Il Flushing Meadows Park è il più grande parco del distretto del Queens e ha due laghi all'interno (ho cercato su internet pure questo)





Hola gente

Eccomi qui con il quarto capitolo, spero vi piaccia!

Non ho nulla da aggiungere, se non ringraziare Miss Marvel MJ, Luna_Baka_Neko, Cesi2002, EngelDreamer e Raja (ditemi che li ho scritti giusti!) che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite

Ah no, qualcos'altro c'è: se qualcuno segue "Le sfide di Apollo", sappia che non tengo conto di questa saga nella storia perché è ancora in corso e quindi chissà cosa potrebber succedere, conoscendolo, zio Rick potrebbe trollarci per benino... tra l'altro "il labirinto di fuoco" esce domani, aiuto non sono pronta psicologicamente! X_X

Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta

Alla prossima gente

Adios

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Capitolo 5
*** #5 ***


 

Ci stiamo dirigendo fuori città, verso nord. Il ragazzo seduto davanti a me è di poche parole, ho provato a domandargli quale sia la nostra meta e mi ha risposto solamente con un borbottio non identificato facendomi desistere dal chiedergli molte altre cose che mi vorticano nella mente.

Durante il volo incontriamo un vuoto d’aria improvviso, il cavallo alato si alza e poi si abbassa come se fossimo su una giostra per bambini solo che il movimento è mille volte più brusco e io devo premermi una mano sulla bocca per non rischiare di rimettere tutto il mio pranzo. Nemmeno il moro alle redini si aspettava una cosa del genere, infatti lo sento imprecare coloritamente: di primo acchito pare quasi che si stia inventando le parole da talmente sono incomprensibili, ma in qualche secondo mi accorgo di capirle e mi rendo conto che è la stessa lingua della canzone del signor Coran di stamattina.

Mi faccio un appunto mentale di ricordarmi per il resto della vita questo giorno come “giornata del delirio”. Forse ha ragione Lance, maggio ci ha fatto davvero impazzire. Sì è così, io e il mio migliore amico verremo ricordati come i primi due studenti ad essere andati fuori di testa per colpa della scuola. Non ha senso, ma è l’opzione più logica che il mio cervello riesce a trovare.

L’ennesimo vuoto d’aria mi causa un gemito sofferente, spero con tutto il cuore che manchi davvero poco all’arrivo.

Come se mi avessero letto nel pensiero, i cavalli alati – pegasi mi dice la stessa vocina che mi ha nominato le dracene – cominciano a scendere di quota. Abbiamo passato il quartiere del Queens e sotto di noi si estendono solamente campi e prati. In lontananza riesco a vedere delle colline verdeggianti, è lì che ci stiamo dirigendo. Man mano che ci avviciniamo, sulla più alta iniziano a delinearsi i contorni di quello che deduco essere un pino, accanto cui ci sono una statua assurda che brilla sotto il sole e un… un… un drago!

Uno strillo spaventato sfugge dalle mie labbra e sento Lance fare lo stesso: anche lui è rimasto sconvolto dalla bestia.

Prima che possiamo iniziare a protestare – perché io non ho la minima intenzione di scendere vicino a un mostro gigantesco potenzialmente in grado di arrostirmi, specialmente dopo il mio sogno di stamattina – i pegasi stanno già sorvolando l’area. Mi giungono alle orecchie le imprecazioni in spagnolo del mio migliore amico e io, d’impulso, senza pensarci troppo, mi spiaccico contro la schiena del ragazzo moro stritolandolo in un abbraccio terrorizzato.

– Non dovete agitarvi, calmatevi! – la voce di Shiro è ovattata e viene in parte portata via dal vento. – Quello è il drago Peleo e protegge i confini del Campo. Più o meno.

– Che cavolo significa “più o meno”? – strilla Lance abbandonando finalmente lo spagnolo.

– È una lunga storia. Smettila di muoverti, adesso! O ci farai perdere l’equilibrio e precipitare! – risponde il prof Altean girandosi di scatto verso di lui e fulminandolo con lo sguardo. Le sue parole riescono a zittire il logorroico cubano in meno di un secondo: è un nuovo record imbattibile, ne sono impressionato e tra me e me mi viene quasi da ridacchiare.

Superiamo la grande collina senza che il mostruoso bestione ci degni di un minimo sguardo, al che traggo un sospiro di sollievo.

Il Campo Mezzosangue si rivela essere proprio l’equivalente di un campo estivo, solo che è in mezzo al nulla più completo e non è registrato su Google Maps. Intravedo delle baracche disposte a formare un’omega, ci sono degli spiazzi affollati da ragazzi impegnati in varie attività, un laghetto, una mensa a cielo aperto, dei campi di pallavolo e una grande capanna. Qualcuno dal basso ci indica e attira l’attenzione degli atri, perché ben presto tutti i campeggiatori si ritrovano con il naso puntato per aria e gli occhi che seguono la nostra traiettoria.

Atterriamo nei pressi della capanna più grande, l’unica che non forma insieme alle altre la omega. Veniamo accolti da un drappello di adolescenti tutti vestiti con la stessa T-shirt arancione che hanno Shiro e i due che comandano i pegasi. I miei occhi si spalancano all’inverosimile e rimango stordito dal casino che mi trovo di fronte, sono spiazzato e vengo pervaso da una sensazione di disagio. Osservano me e Lance con curiosità, come se fossimo una nuova attrazione turistica. O le prossime prede da sbranare.

– Largo, largo! Spostatevi! – borbotta un vocione imperioso. Un omone molto più alto degli altri si fa strada dividendo il gruppo di ficcanaso in due ali. Ha una camminata strana, il corpo e le braccia sembrano quasi essere scoordinati rispetto al movimento che compie con le gambe. In realtà, tutto il busto in sé pare qualcosa di a sé stante rispetto agli arti inferiori.

E appena me lo ritrovo di fronte ne capisco il motivo.

Mi chiedo inutilmente che problemi abbiano questi semidei con le gambe: prima le dracene e adesso questo. Un tizio che è per metà uomo e per metà è uno stallone bianco di prim’ordine e porta una faretra su un gilet di velluto e una camicia come se niente fosse.

Le orecchie fischiano all’impazzata, la testa ronza talmente forte che non riesco nemmeno a sentire quello che Lance sussurra al mio orecchio.

Ho sognato di prendere fuoco davanti a un drago metallico, il mio migliore amico è stato investito da un non-morto e dei mostri vecchi di migliaia di anni, siamo fuggiti dalla scuola in compagnia del nostro prof di fisica a bordo di cavalli volanti, abbiamo scoperto che un altro drago, in carne e ossa stavolta, se ne sta bello tranquillo appollaiato su una collina fuori da New York City a sorvegliare un campo che nemmeno dovrebbe esistere e adesso ci troviamo faccia a faccia con un centauro.

Potrei dire che sia io che Lance la prendiamo con filosofia e ci mettiamo a ridere chiedendo dove sia la telecamera perché di sicuro tutto questo è un gigantesco scherzo di pessimo gusto, ma in realtà…

…Sveniamo. Ci scambiamo uno sguardo scioccato e poi collassiamo eroicamente a terra.

---

Essere svenuti fa schifo. Totalmente. Ho la bocca impastata e un sapore indefinibile sulla lingua, i muscoli sono stanchi e la testa fa così male che sembra mi abbiano preso a martellate. Le orecchie ancora ovattate captano in lontananza dei suoni indistinti che via via si fanno sempre più nitidi e intensi. Strizzo le palpebre ed emetto un grugnito di lamento prima di aprire gli occhi e tirarmi su di scatto, finalmente sveglio.

Poco ci manca che mi prenda una capocciata contro qualcuno che si trova seduto affianco a me e che mi sbotta contro. – Ma dico, sei scemo?!

A parlare è stata una ragazzina minuta che avrà un paio d’anni in meno di me. Ci impiego qualche secondo per mettere a fuoco il suo viso e riconoscere che è la stessa che guidava uno dei pegasi; quando l’ho vista a scuola mi sembrava più grande. È uno scricciolo, è così piccola che la maglia arancione intorno a lei pare quasi un vestito. Mi fulmina con lo sguardo, la calda tonalità color miele dei suoi occhi che stona con la cupa occhiataccia che mi sta rifilando.

Rimango a fissarla con un’espressione ebete in faccia, non mi curo neanche di rispondere all’insulto. Mi prendo qualche secondo per guardarmi in giro. Sono in una stanza abbastanza grande, con molti letti e un armadio enorme. Ci sono dei tavolini pieni di cianfrusaglie da dottore – riconosco una garza, uno stereoscopio e qualche siringa – e un paio di ragazzi che continua a fare avanti e indietro tra i tavoli e i giacigli.

Riconosco Shiro, steso in un letto poco lontano da me. È cosciente, ma vedo che ha il corpo pieno di bende e persino una fasciatura intorno alla testa; in effetti, quando è sbucato fuori dalla porta verde a scuola, il suo aspetto non era dei migliori, sembrava più morto che vivo. Al suo capezzale c’è l’altro ragazzo di questa mattina, il moretto che girava con la spada.

Tra gli altri pazienti non riconosco nessun altro. Dove cavolo è finito Hunk?

Faccio per chiederlo alla ragazzina vicino a me, ma appena torno a concentrarmi su di lei, è la prima a parlare. – Era ora che ti svegliassi – mugugna – Comunque… quando dormi, sbavi1. Non te l’ha mai detto nessuno?

Se prima parevo un ebete, adesso sembro ancora più beota. Ci impiego un bel po’ ad assimilare le parole e altrettanto per capire che non sono complimenti, ma la piccola castana mi pianta in asso prima che possa aprir bocca e risponderle a tono.

Alle mie spalle sento un risolino divertito. Mi giro di scatto per incenerire il comebola2 che non se ne è stato zitto e mi trovo a guardare gli occhi del moretto vicino a Shiro. Sta ghignando e non si sta nemmeno preoccupando troppo di nasconderlo.

– Che c’è di così divertente que te haga reír de esa manera3, zazzera? – non mi curo nemmeno di parlargli in una lingua che possa capire. Se non afferra il significato, tanto meglio: magari farà una faccia ridicola come fa Hunk di solito.

Hunk! Dove diavolo è finito?

Non aspetto nemmeno la risposta del moro, scivolo giù dal materasso e mi fiondo fuori dalla stanza scansando malamente un biondino in infradito.

La luce del sole mi ferisce gli occhi, devo schermarmi il volto con la mano per proteggermi. Rimango attonito dal merequetengue che mi ritrovo davanti, non ho idea di che direzione prendere per iniziare a cercare il mio migliore amico.  Un paio di ragazzi mi passano davanti e mi guardano incuriositi, ma poi continuano per la loro strada e non si fermano a parlarmi.

Sobbalzo dalla sorpresa quando sento qualcuno artigliarmi il braccio con poca grazia. Di nuovo mi trovo faccia a faccia con la ragazzina dell’infermeria.

–Dove cavolo stai andando? – mi domanda con uno sguardo che potrebbe incenerirmi seduta stante. – Dovevi aspettare che tornassi io!

– Devo trovare Hunk! E poi tu has volado como Matía Perez4 senza dire niente.. Che ne so io che poi torni? – protesto, deglutendo a vuoto quando incontro le sue iridi. Sembrano oro fuso.

La piccola castana inarca un sopracciglio e mi fissa torva. – Sono andata ad avvertire Chirone e il tuo amico, stavo venendo a tirarti giù dal letto. Sempre che tu ti riferisca a questo.

Mi gratto la nuca con evidente imbarazzo; sono agitato e penso a malapena a quello che dico, figuriamoci se mi preoccupo dell’idioma!

Lei fa le spallucce e, sempre con la sua mano posata sul mio braccio, mi fa strada. Finché camminiamo noto quanto sia minuta la sua figura: la sua testa non raggiunge nemmeno la mia spalla.

Svoltiamo l’angolo di una grande struttura, la stessa davanti alla quale siamo atterrati questa mattina e nella quale è inglobata anche l’infermeria dove mi sono svegliato. Trovo Hunk seduto sui gradini d’ingresso, tranquillissimo, intento a chiacchierare insieme a una corpulenta ragazza mulatta con uno sbarazzino taglio a caschetto. Ha dei fiori intrecciati tra i capelli scuri, che le danno un’aria innocente.

– Oh, eccoli! – esclama la mora indicando me e la piccoletta.

Il mio migliore amico balza in piedi come se fosse stato punto da qualcosa, strilla il mio nome e mi corre in contro, scansa la ragazzina davanti a me e mi stritola in un abbraccio in grado di frantumarmi le costole. Ci mette talmente tanta enfasi che mi ritrovo con i piedi sollevati un paio di centimetri da terra. Ricambio la stretta come riesco, le braccia che non si sollevano più di tanto per via della sua presa.  Mi spiega che siamo svenuti entrambi – non che non ci fossi arrivato –, che lui si era ripreso prima di me e che finché mi aspettava per parlare ha stretto amicizia con la mora che si chiama Shay ed è figlia di Demetra – quest’ultima parte non sono sicuro di averla capita bene, ma è decisamente l’ultima delle mie domande.

Veniamo riportati alla realtà da un tossicchiare imbarazzato alle nostre spalle. È il tizio con il corpo da cavallo e la camicia elegante. Chirone.

Shay fa un cenno di saluto ad Hunk e ci lascia da soli con l’uomo cavallo. Lui ci fa gesto di seguirlo all’interno della casa e noi non abbiamo altra scelta se non ascoltarlo, anche perché finalmente tutte le nostre domande avranno una risposta. Spero. Noto distrattamente che anche la brunetta dell’infermeria è con noi; adesso che ci penso non so nemmeno il suo nome.

Chirone ci fa sedere attorno a un tavolino piuttosto scalcinato e si piazza in piedi di fronte a noi, giusto per sembrare più imponente di quanto non lo sia già. Una delle sedie è già occupata dal signor Coran che ci saluta con un cenno allegro.

– Dunque, voi due in questo momento vi trovate al Campo Mezzosangue. Non lo trovate sulle cartine geografiche, è un campo inaccessibile a chi non è come voi e inoltre è protetto da confini insuperabili.

– Avete presente il drago sulla collina? E la statua e il pino che gli stanno vicino? – s’intromette la ragazzina. – Bene, la statua e il pino sono… ehm… magici. Tengono fuori dal campo i pericoli. Il drago fa la guardia alla statua e al pino, perché senza di quelli per noi sarebbe una lotta continua.

– Una lotta continua… contro cosa? – inarca un sopracciglio Hunk.

– Ecco, questo è il prossimo punto. – dice il centauro passandosi una mano sulla barba – Ciò che ci minaccia è vecchio di millenni. Conoscete la mitologia greca e romana, no? – quando ci vede annuire, seppur poco convinti, prosegue. – Non sono solo racconti di fantasia. Gli dei, i mostri, i semidei, tutto ciò esiste veramente.

– Le dracene che ci hanno attaccato stamattina sono solo una piccola parte dei nostri “nemici” – il prof Altean prende per la prima volta la parola. – I mostri come loro vivono per uccidere i semidei; li rintracciano per il loro odore, che li contraddistingue dalle persone normali. Normalmente un semidio, da solo, non dura molto là fuori, specialmente se non ha avuto alcun tipo di addestramento e non ha le armi necessarie.

– Coran è un satiro, anche lui è in grado di percepire l’odore dei semidei e proprio per questo il suo compito è quello di trovarli e portarli qui al Campo Mezzosangue – spiega Chirone.

– Un… un satiro? – ripeto, sconvolto. Ecco spiegato il motivo degli zoccoli caprini! Il nostro professore di fisica è un uomo-capra!

– No, no, no, aspetta un secondo, frena un attimo – interrompe il mio migliore amico – Anche quando ci hanno attaccato in mensa le dracene ho sentito questa parola, “semidei”. Che cavolo significa?

– Ma che cazz..?

– Katie… – il centauro rimprovera con lo sguardo la ragazzina che stava per imprecare coloritamente alla domanda di Hunk. La piccola castana, Katie, alza gli occhi al cielo ma si zittisce.

Chirone torna a concentrarsi su di noi. – Un semidio è il frutto dell’unione di un dio e di un mortale. Ci sono alcuni tratti che li accomunano, tipo l’iperattività o la dislessia. La prima è dovuta ai sensi più sviluppati, che sono quelli che potrebbero salvarvi la pelle in un combattimento, mentre la dislessia è causata dal vostro cervello. Nel senso, la vostra mente non è impostata per leggere l’inglese o qualche altra lingua, ma il greco antico.

Quest’ultima rivelazione mi colpisce particolarmente, a tal punto che mi giro di scatto verso il prof Altean e gli punto contro un dito. – Lei stamattina stava cantando! Stava cantando in greco antico! È per quello che all’inizio le parole mi parevano strane…

La mia constatazione sembra smuovere qualcosa in lui, perché lo vedo sistemarsi in una posizione impettita e alzare il mento con orgoglio mentre si sistema la giacca. – Esattamente, figliolo! È un antico canto della Tracia che ci tramandiamo di generazione in gen…

– Quindi… quindi… Visto che siamo entrambi dislessici… – lo interrompe Hunk prima che possa dilungarsi in uno dei suoi monologhi senza né capo né coda. Per i primi due secondi non vi do peso, ma man mano che il mio cervello elabora quello che ha detto capisco che c’è qualcosa che non va: ha detto entrambi?! Non faccio in tempo a questionare, però, perché il mio migliore amico prosegue con il suo ricapitolare tutto il discorso. – …Che capiamo il greco antico, che abbiamo attraversato questi presunti confini magici e che un paio di dracene ha provato a sbranarci… noi siamo… siamo...

– Siete due semidei. Siete figli di un dio dell’Olimpo.





1cit. Annabeth Chase ("Il ladro di fulmini")... Non ho resistito, DOVEVO metterla!

2stupido, che non capisce niente (spagnolo cubano)

3[cosa c'è] che ti fa ridere in questo modo?

4sei sparita senza lasciare traccia (modismo cubano)





Hola gente

Eccomi con il sesto capitolo!

La parte in cui Chirone spiega a Lance e Hunk tutta la storia non mi convince moltissimo, ma onestamente non sapevo come finire il capitolo e quindi boh, ho inserito questa specie di """"cliffhanger"""... anche perché sarebbe venuto fuori un capitolo lunghissimo senza nè capo nè coda se avessi inserito proprio tutte tutte le informazioni in quest'unica parte

Il prossimo capitolo è già pronto, ma non lo pubblicherò fino a quando non avrò ultimato anche il settimo (in fase di lavorazione) e iniziato l'ottavo... Spero di riuscire a scriverli in fretta perché il sesto è più movimentato e interessante e mi è piaciuto molto scriverlo!

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha recensito i capitoli passati

Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta

Alla prossima gente

Adios

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Capitolo 6
*** #6 ***


 

Per essere due che sono crollati come due sacchi di patate non appena hanno visto Chirone, i novellini hanno preso piuttosto bene la notizia bomba. Certo, ci hanno impiegato un po’ per afferrare il concetto e quando il mulatto ha chiesto cos’è un semidio ho creduto che ci stesse prendendo in giro. Per un po’ sono stati in un silenzio così tombale che ho temuto fossero svenuti di nuovo, poi il più alto e secco dei due ha iniziato a sproloquiare così velocemente che non ho capito metà delle frasi: qualcosa riguardo l’avvertire una certa Mina – o era Mima? Era un nome assurdo – che lo veniva a prendere a scuola, credo. In seguito ci si è aggiunto anche il ragazzone amico di Shay e a quel punto ho iniziato a preoccuparmi seriamente per i miei poveri timpani.

Si sono zittiti solo quando Coran ha strillato loro dietro. Il satiro li ha portati in bagno e ha mostrato loro i messaggi Iride spiegando che i cellulari e i dispositivi tecnologici non vanno usati perché è come sparare un razzo segnalatore per tutti i mostri nelle vicinanze – qualcosa del tipo “ehi, sono qui, venite pure a sbranarmi”.

L’hanno guardato con tanto d’occhi quando lui ha tirato una dracma nel lavello e ha recitato la solita formula per la dea Iride. Il tizio che mi ha quasi tirato una testata ha fatto un salto quando nel getto d’acqua è apparsa una donna di mezz’età dalla pelle abbronzata e i capelli castani.

– Lance! – ha esclamato sollevata. Ha chiamato poi altri due ragazzi, i fratelli di questo Lance immagino, e sono stati a chiacchierare venti minuti buoni in spagnolo, cosicché nessuno a parte loro ha capito qualcosa di quello che si stavano dicendo.

Dopo Lance è toccato anche all’altro, Hunk, però almeno la sua chiamata è stata più breve e in una lingua capibile. Non sono stata ad origliare l’intera conversazione e non sono andata a domandare i dettagli al ragazzone, ma da quanto ho capito sua madre sa. Esattamente come mio padre.

Coran ha rassicurato entrambe le donne e i ragazzi: “finché sono al Campo non corrono alcun rischio” sono state le sue parole, poi ha chiuso la comunicazione e ha gentilmente sbolognato a me l’ingrato compito di far da guida ai nuovi arrivati.

Abbiamo appena passato il campo di pallavolo, piuttosto affollato per quella che mi sembrava una partita tra le case di Ares e Nike, e adesso stiamo attraversando i campi di fragole. Incrociamo per caso Juniper e Grover e i loro occhi sembrano due palle da biliardo quando si rendono conto che lei ha la pelle verde: spiego che è una driade, uno spirito dei boschi, e giusto per non dovermi ripetere quando arriveremo al laghetto li informo anche dell’esistenza delle naiadi.

Mostro loro la fucina in cui lavorano i figli di Efesto, l’armeria e l’anfiteatro dove ci si riunisce la sera, per poi spostarmi verso la parte più importante: le capanne per i semidei.

– Una volta le casette erano solo dodici come gli dei maggiori, – comincio non appena ci avviciniamo – ma dopo la seconda guerra con i Titani sono state aggiunte anche quelle per i figli delle divinità minori – non mi dilungo troppo nei dettagli, anche perché non sono nemmeno sicura che mi stiano ascoltando. Si stanno guardando in giro come se fossero due bambini al luna park. Tra me e me spero di non essermi comportata come loro la prima volta che io e Matt siamo arrivati qui.

Presento brevemente le varie capanne e le divinità a cui sono dedicate e aggiungo che le capanne di Era e Artemide sono solo onorarie, dato che la prima è fedele solo a Zeus e la seconda ha fatto voto di castità.

– A seconda del loro genitore divino i semidei vivono in una di queste capanne e…

– Tu in quale abiti? – mi interrompe Lance con curiosità squadrandomi dalla testa ai piedi e poi spostando lo sguardo sulle capanne, come se stesse cercando qualcosa nel mio aspetto che possa aiutarlo a collocarmi in una delle casette.

Con un sospiro gli indico la Capanna Sei e vedo le sue sopracciglia corrucciarsi. – Uh, Demetra giusto?

Ma almeno mi stava ascoltando?! Era troppo impegnato a fissare le figlie di Afrodite o mi sta prendendo in giro? Devo ricordarmi che è al Campo da meno di dodici ore e che l’ho appena inondato di informazioni per non mandarlo a farsi un giretto nel Tartaro. – Mmh no. Atena. Quella di Demetra è la Capanna Quattro, quella col tetto d’erba.

– E Shiro e l’altro ragazzo? – chiede Hunk.

– Shiro è figlio di Zeus e Keith di Ares – rispondo indicando le rispettive casette, ma prima che possano fare qualsiasi altra domanda su di loro o sui loro padri riprendo il filo del mio discorso. – Vi stavo dicendo… i semidei vivono nelle capanne a seconda del loro genitore divino, tuttavia per sapere chi è il loro genitore devono venire riconosciuti da quel dio. Voi siete due indeterminati, quindi starete nella casa di Ermes. È il protettore dei viandanti.

I due ragazzi si scambiano uno sguardo indecifrabile, ma proseguiamo senza che loro dicano nulla. Mostro loro il laghetto delle canoe sperando di cavarmela con una semplice e breve spiegazione di quello e anche del padiglione-mensa e del muro di arrampicata.

Ma è qui che succede il finimondo.

---

È da quando abbiamo finito la chiacchierata con Chirone e il signor Coran che Lance non mi sembra lo stesso. Nel senso, siamo rimasti entrambi piuttosto scossi da tutta questa storia dei miti greci, ma il mio migliore amico pare perso nei suoni pensieri ed è parecchio taciturno.

E da quel che so io, Lance non è mai taciturno.

Non ci scambiamo nessuna battuta, neppure parliamo finché la piccola semidea ci fa un tour guidato dell’intero Campo. Chiediamo a Katie qual è il suo genitore divino e quelli di Shiro e del moro che scopro chiamarsi Keith, ma nemmeno in questo frangente Lance mi rivolge direttamente la parola.

Alla fine non ce la faccio più a resistere e, quando ci fermiamo vicino a un laghetto di cui non mi curo neanche tanto, arrivo dritto al punto.

–Ehi, Lance… – lo chiamo titubante.

Lui si volta verso di me al rallentatore, in faccia ha stampata un’espressione indecifrabile che però riesce inspiegabilmente a farmi rabbrividire. Non capisco questo suo repentino cambio d’umore.

– Abbiamo parlato con Chirone e hai pure visto tua mamma, ma… ma sei… sei sicuro che sia tutto okay al cento per cento? – chiedo tutto d’un fiato mentre giocherello nervosamente con le dita.

Inarca un sopracciglio e mi fissa come se mi fossero spuntate tre braccia. – Perché me lo chiedi? – replica dopo qualche di silenzio assoluto, interrotto solo dallo scrosciare dell’acqua nel laghetto.

– No, così. È che ti vedevo strano… Ma… ma se è tutto a posto, perfetto! – esclamo grattandomi la nuca con una mano. Gli sorrido, anche se non sono pienamente convinto dalla sua risposta; è come se stesse tenendo qualcosa di negativo solo per sé. Lo so che spesso fa così perché non vuole pesare sugli altri con i suoi problemi, ma l’ultima volta che si è comportato in questo modo ne è risultato fuori un grandissimo e incasinatissimo equivoco che ci ha fatto litigare.

Le labbra di Lance si uniscono in una linea dura e sottile, le sue pupille si muovono prima a destra e poi a sinistra, i suoi pugni si stringono. Un rumore insolito fa saettare per un breve momento il mio sguardo sulla superficie del lago, ma lo distolgo subito quando la vedo liscia come l’olio.

– Sì, sai… ci sarebbe qualcosa, a dire la verità – parla alla fine, e il suo tono mi inquieta ancora più della sua espressione di prima. È velenoso e sembra quasi che una lama stia raschiando la pietra, mi terrorizza.

Oddio, è sempre Lance, non c’è niente di cui aver paura! Al massimo ti tirerà un cazzotto sul naso come l’altra volta. Eppure non riesco a far meno di tremare quando lo vedo avanzare di due passi verso di me. Rivolgo una disperata occhiata a Katie, ma la piccola castana è sconvolta quanto me.

– Prima, quando stavamo parlano con Chirone… – inizia il mio migliore amico e, quando il rumore mi arriva alle orecchie, è più forte di me, mi volto verso il laghetto e guardo apprensivamente l’acqua agitarsi.

– Hunk, sono io che ti parlo, non il lago! – strilla lui – …Quando prima eravamo da Chirone hai detto che siamo dislessici. Entrambi. Ma da che io ho memoria, tu non mi hai mai detto di essere dislessico! Y no te hagas el distinto conmigo,1 ti ho sentito quando l’hai detto!

Alle orecchie mi giunge la distante imprecazione della figlia di Atena e un rombo mi fa ghiacciare il sangue nelle vene. Il livello del laghetto è aumentato incredibilmente, poco ci manca che superi gli argini. E quel che è peggio è che l’acqua sta ribollendo.

– In tre anni non ti sei mai preso il disturbo di confidarmelo! – continua Lance e, man mano che il suo tono si alza di volume, diventa più intenso anche il rombo – Neanche un minimo accenno, mai, zero. Così a fare la figura di quello che tutti ritenevano el comebolas era siempre yo!2

– Io… volevo parlartene – tento di spiegare, anche se non so bene cosa dirgli. Perché è vero, gliel’ho tenuto nascosto e non ho nemmeno un motivo preciso per averlo fatto.

– Mmh… E quando? – sbotta lui incrociando le braccia. Se le occhiatacce potessero uccidere, a quest’ora sarei morto già tre volte.

– Non lo so, – ammetto alzando i palmi davanti a me – ma ti giuro, ti giuro che volevo. Non riuscivo mai a trovare il momento adatto.

– In tre anni non hai mai trovato il momento giusto?!

Una colonna d’acqua si alza di colpo spaventando noi e gli altri semidei nei paraggi, lo scroscio è assordante e devo lottare contro me stesso per non iniziare a gridare spaventato. Credo che Lance non se ne sia nemmeno accorto, concentrato com’è a sfogare la sua rabbia. – Almeno inventati una scusa migliore!

Dal pilastro parte un getto orizzontale che sfiora la schiena del mio migliore amico e travolge in pieno Katie, è ad altissima pressione e la ragazzina ruzzola lontano, completamente fuori dal nostro campo visivo.

– Sei il mio migliore amico, Hunk, e lo sai quanto sia importante per me la fiducia! – la massa d’acqua si alza ulteriormente e sento prosciugarmisi tutta la saliva che ho in gola, deve essere un incubo quello che sto vivendo. Non è minimamente possibile che quella roba sia stata creata da Lance e vada di pari passo con la sua rabbia.

– Lance – lo chiamo piano, come se lui fosse un animale incattivito e io quello che lo deve fronteggiare – Stai straparlando, capisco che tu sia arrabbiato ma…

La frase rimane interrotta a metà, perché un getto identico a quello di prima mi investe colpendomi nello stomaco e mi sbalza indietro di almeno tre metri. Rotolo sul terreno sassoso cercando di proteggermi alla bell’e meglio, ma rimedio comunque un paio di graffi sui gomiti. Mi rialzo soffocando un’imprecazione tra i denti: ma che cavolo? Si è bevuto il cervello per caso?!

Una saetta arancione mi passa accanto e si lancia contro il mio amico. Ci impiego qualche secondo a realizzare che è Katie e che sta per suonargliele, è totalmente fuori controllo: non l’ho mai visto così, nemmeno nelle nostre litigate peggiori si è comportato in questo modo.

La piccola figlia di Atena schiva abilmente uno schizzo e poi un altro, è così rapida che faccio fatica a seguirla. Con un balzo evita un terzo getto, si porta alle spalle di Lance e gli salta praticamente in groppa.

– A nanna, esagitato!

Ha in mano un coltello e per un momento il fiato mi si mozza in gola, ma la mia tensione diminuisce quando mi accorgo che è al contrario, l’elsa contro il collo del mio amico e la lama dalla parte opposta. Colpisce un punto sulla nuca una volta, ma serve solo a far irritare Lance ancora di più, lui prova a togliersela di dosso, ma la piccola castana resiste. Avvicinandomi mi accorgo che ha le unghie conficcate nella clavicola del moro, sta digrignando i denti e sta caricando un nuovo colpo.

Lance sta imprecando in spagnolo, mi si stringe il cuore a vederlo così furioso e il mio senso di colpa cresce man mano. Definire casino questa situazione è un eufemismo, dire che è successo per causa mia è al cento per cento vero.

Il mio amico riceve una seconda botta sulla testa, e stavolta è abbastanza potente da stordirlo e farlo finire KO. Katie lo posa – più o meno – delicatamente sul terreno a pancia in giù e rinfodera il pugnale.

La colonna d’acqua torna nel lago con un fragore assordante, noi e i semidei nei paraggi ci proteggiamo dagli spruzzi che si sollevano schermandoci il viso con le braccia, ma chi si trova vicino all’argine come noi viene comunque inzuppato dalla testa ai piedi.

Io e la piccola castana ci osserviamo con tanto d’occhi, le strette spalle di lei che si alzano e si abbassano a una rapida frequenza segno che ha il fiatone. L’espressione di Katie è scioccata quanto la mia, ma nasconde una velata… scocciatura?

– Beh, – commenta alla fine con una smorfia che è un misto tra l’infastidito e l’ironico – almeno uno di voi due è stato riconosciuto. Ave allo svenuto Lance, figlio di Poseidone.



 

1e non fare il finto tonto con me

2e lo stupido ero sempre io!




 
Hola gente
Dopo mesi in cui non aggirnavo, speravate di esservi liberati di me e invece no, rieccomi qui a tormentarvi!
Questo capitolo era pronti già da questa estate, ma ho preferito aspettare a pubblicarlo fino a quando il mio pc non sarebbe tornato dalla riparazione perché lì avevo l'unica copia del capitolo 7...
E anche perché, lo ammetto, iniziando My Hero Academia ho un pochino accantonato Voltron. Sto comunque aspettando il 14 dicembre in preda ai peggio scleri perché non so cosa aspettarmi dalla s8 e ci sono un paio di cosette che ho trovato su instagram che mi fanno tirare madonne (e non poche)
Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta
Alla prossima gente
Adios

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Capitolo 7
*** #7 ***


 

Shiro si riprende in fretta, complici la sua forte costituzione fisica e l'ambrosia che gli ho dato.

Ho visto il suo viso adombrarsi di incertezza quando si è reso conto che stava per afferrare il pacchetto nella mia mano con la protesi di bronzo celeste e quindi si è bloccato di colpo. Non so come abbia fatto ad ottenere il braccio metallico, chi gliel'abbia dato o come faccia ad essere collegato ai suoi nervi, ma lì per lì non mi è interessato. Ho solo provato un'enorme rabbia nei confronti degli ignoti che gli hanno fatto questo. Gli ho preso la mano in bronzo e l'ho stretta tra le mie posandogli sul palmo l'ambrosia. Mi sono sentito sollevato quando ho visto le sue labbra incurvarsi in un timido sorriso.

Spero che l'ambrosia lo aiuti anche a ricordare il suo anno nel Labirinto, a chiarire cos'è successo veramente e che fine abbiano fatto Sam e Matt Holt.

Rivolgo un cenno di saluto a Will Solace, il figlio di Apollo capo dell'infermeria, ma la mia attenzione viene immediatamente catturata dal movimento della tenda all'ingresso. Chirone è appena entrato con Coran al seguito e si sta avvicinando al letto di Shiro. È raro che il centauro venga direttamente in infermeria, ma non può aspettare che il figlio di Zeus si rimetta completamente per sapere l'accaduto.

In tutta onestà, spero vivamente che non ci siano dietro di nuovo i Titani, perché l'ultima guerra contro di loro è stata terrificante: la popolazione del Campo è stata praticamente dimezzata e il mondo ha rischiato di non esistere più.

Il direttore del Campo Mezzosangue ci saluta con fare cortese ma comunque sbrigativo e passa subito al sodo. La missione che guidava Shiro era puramente esplorativa, i tre si sono offerti volontari per sondare il terreno e capire quanto fosse esteso il nuovo Labirinto, ricreatosi dopo la morte di Dedalo avvenuta circa cinque anni fa. Sono volati a Nuova Roma – solo dopo aver offerto un bel po' di tributi a Zeus – e poi si sono diretti ad Alcatraz, dove è presente l'unico ingresso attualmente conosciuto di questo continente.

La prima uscita li ha portati a Sacramento, non molto lontano dal loro punto di partenza, e la seconda fino a Denver, in Colorado. Hanno contattato me e Pidge un'ultima volta prima di rimettersi in marcia verso est, poi non abbiamo più avuto loro notizie.

E alla fine Shiro è apparso in una scuola del Queens.

– Ricordo davvero poco. – sospira amareggiato quest'ultimo in risposta a una domanda di Chirone – Sam ci stava conducendo in direzione della East Coast, ci aveva appena fatto superare un bivio pericoloso quando all'improvviso siamo stati attaccati. Erano in molti, un sacco di mostri. Ci hanno sopraffatto in poco tempo, erano troppi per noi tre, ci hanno disarmato e poi messi KO. Come avevo già detto a Coran, del resto non ricordo nulla, solo immagini frammentarie.

Il satiro e il centauro si scambiano un'occhiata allarmata. Così tante creature del Tartaro che brulicano nelle viscere del Labirinto, non è certo qualcosa di positivo...

Le mie riflessioni si interrompono di colpo, spezzate da un grido sofferente di Shiro. Il mio amico ha la schiena inarcata in avanti, le gambe piegate con un'angolazione innaturale sotto il lenzuolo, i muscoli stanno tremando e con le dita si sta artigliando le tempie. Respira pesantemente, la bocca aperta in una smorfia di dolore e gli occhi spalancati a fissare il vuoto. La protesi in bronzo si sta illuminando di una luce fredda e inquietante, devo conficcarmi le unghie nei palmi per non alzarmi e scappare lontano dall'infermeria.

– Shiro, o miei dei, cosa ti sta succedendo? Shiro? Shiro! – lo chiamo, disperato. Sento il sangue affluirmi in testa, il battito del mio stesso cuore che mi rimbomba in gola e le mie pupille che si spostano freneticamente da lui a Chirone ai tavolini pieni di arnesi nel vano tentativo di trovare qualcosa che plachi la sua sofferenza.

– Lui... lui vuole il potere – cantilena il figlio di Zeus – Vuole combattere... Vuole distruggere!

Sono paralizzato dalle sue parole. Non ho mai visto Shiro ridotto in questo stato, il Labirinto l'ha fatto impazzire, ha completamente stravolto la sua memoria e adesso lo fa farneticare su un misterioso lui che attacca semidei senza ucciderli ma vuole comunque distruggere tutto.

Coran e Chirone stanno tenendo il figlio di Zeus per evitare che schizzi fuori dal letto o che possa far male a se stesso, le unghie hanno grattato la tempia sinistra, mentre a destra la pelle si sta arrossando sotto le dita in metallo che il satiro sta tentando di smuovere.

– Will! Will! – urlo riprendendomi all'improvviso. Salto via dalla sedia pronto a fiondarmi alla ricerca del dottore biondo, ma non ce n'è bisogno. Il ragazzo è già accorso ed è appena dietro di me, tiene in mano una siringa piena di un liquido bianchiccio; picchietta con urgenza le dita contro il tubo per far uscire in fretta l'aria.

Aiuto Chirone ad afferrare il braccio buono di Shiro, il centauro riceve un pugno nel costato e io rischio una gomitata in faccia, ma alla fine riusciamo a tenerlo disteso per permettere al figlio di Apollo di iniettargli quello che sembra un calmante o un antidolorifico. Il mio amico strilla, tuttavia rilassa subito i muscoli, abbassa anche la protesi di bronzo e il suo respiro ritorna lento e regolare, i suoi occhi non sono più due pupille dilatate all'inverosimile – anzi, sono piuttosto languidi, ma immagino sia un effetto del liquido.

Io e i presenti ci scambiamo un'occhiata piuttosto preoccupata, non è prudente riprendere il discorso di prima quando è stato proprio quest'ultimo a causare l'attacco di panico – sempre che si chiami così – nel figlio di Zeus. Inoltre, adesso è poco cosciente: Will ci informa che nel giro di dieci o quindici minuti si sarà completamente addormentato.

– Ho dovuto iniettargli il calmante – si scusa il giovane – Non c'erano altre alternative...

– Non ti preoccupare, Will – dice Chirone posandogli una mano sulla spalla, poi guarda me e Coran. – Sarà meglio continuare domani mattina... – E detto questo, esce dall'infermeria al piccolo trotto.

Anche il satiro ci rivolge un rapido saluto e lascia la stanza. Io invece mi riavvicino alla sedia che ho occupato praticamente per tutto il pomeriggio e che, in seguito alla breve "colluttazione" di poco fa, è finita rovesciata per terra un metro dietro di me. Con calma la rimetto in piedi, la trascino verso il letto di Shiro e faccio per sedermi di nuovo, sebbene il mio povero didietro non ne possa più di starsene seduto sulla plastica dura e scomoda.

– Ehi, Keith – la tranquilla voce di Solace giunge alle mie spalle e mi fa sobbalzare. Credevo se ne fosse andato anche lui con Chirone e Coran, mi sono completamente dimenticato del fatto che l'infermeria è come una seconda abitazione per lui. Quando mi giro verso di lui per guardarlo in volto, noto che ha messo al collo lo stereoscopio.

– Non hai mangiato nulla da quando tu e Pidge siete tornati al Campo – riprende passandosi una mano tra i ciuffi biondi – Tra un paio d'ore c'è la cena, è meglio se mangi qualcosa. Non ti preoccupare, io tanto dovrei restare qui comunque: Holly e Laurel ci sono andate giù pesanti con la loro ultima gara...

Un sorrisino divertito incurva le sue labbra e anch'io non posso fare a meno di ridacchiare debolmente, quelle due figlie di Nike sono incubo ogni volta che si presenta loro un'attività vagamente competitiva. Fortuna che la mia capanna è riuscita a farsele alleate per la prossima Caccia alla Bandiera.

Il mio sguardo cade un'ultima volta sulla figura addormentata di Shiro e poi incrocia le iridi celesti di Will. Alla fine mi convinco a smuovermi, complice anche il mio stomaco che gorgoglia ricordandomi che, in effetti, sto davvero morendo di fame.

Il figlio di Apollo mi saluta con una pacca sulla spalla che io ricambio timidamente, dopodiché mi dirigo all'esterno della stanza.

Giusto in tempo per vedere un'enorme colonna d'acqua rompersi e ricadere laddove dovrebbe esserci il laghetto delle canoe.

---

Non sono certo di sapere dove mi trovo. Vedo solo la coltre buia di fronte a me spezzata da fulmini e lampi bianchi. Davanti miei occhi appare Will Solace, il dottore figlio di Apollo, mentre sta maneggiando uno stereoscopio; non so cosa stia facendo e non sono nemmeno sicuro che sia una scena reale, i contorni sono confusi e man mano che i secondi passano riesco sempre meno a metterlo a fuoco.

Un improvviso flash accecante mi costringe a serrare le palpebre e di riflesso mi agito. Cos'è questa luce? Che cosa sta accadendo?

La mia inquietudine aumenta sempre di più, sento il sudore che inizia a colarmi lungo le tempie.

Le membra diventano di ghiaccio non appena mi rendo conto dell'ambiente in cui sono capitato. È tutto molto confuso e in penombra, ma non mi ci vuole più di un'occhiata per capire dove mi trovo.

No. Non di nuovo.

Non il Labirinto.

Non l'arena

Non lui.

I mostri sugli spalti si agitano, gridano, ruggiscono, inneggiano allo spargimento di sangue – il mio sangue. Lui siede sul suo trono, in prima fila, ansioso di assistere allo spettacolo che segnerà la mia fine.

Un sibilo mi giunge alle orecchie, è accanto a me. Una dracena provvista di armatura, spada e scudo. Il suo orribile volto non si mette a fuoco, è un miscuglio di linee e curve e colori che mi danno il mal di testa, in più puzza in maniera così schifosa che percepisco il vomito risalire su per la mia gola.

Sono solo, Sam è sparito e non ho idea di che fine abbia fatto Matt.

Sono disarmato, come mia unica difesa ho un misero scudo tra l'altro bucato e con questo, nell'arena, non potrò far altro che posticipare di poco la mia morte.

– Tu e il figlio di Atena sssarete i primi, figlio di Zeusss – mormora la dracena, la sua lingua bifida che si protende verso di me causandomi conati di vomito. Il tanfo del suo alito mi ostruisce la gola, è soffocante.

– L'erede di Perse non avrà nemmeno una degna partita contro i vosssstri inutili Campi – continua ghignando.

Ho le vertigini, le sue parole rimbombano dolorosamente nella mia testa, la mia parte violenta vorrebbe schiantarle cranio contro la parete più e più volte per farla tacere, ma so che subito dopo verrei finito all'istante dalla mostruosa orda che popola l'anfiteatro. Potrei fulminarne qualche decina, ma mi ritroverei senza forze per affrontare i rimanenti.

– Lui vi sssoverchierà tutti, vi disssstruggerà ssssenza batter ciglio. E poi vi darà il privilegio di una morte lenta e atroce; vi darà il privilegio di diventare la sssssua energia.

Adesso è troppo! La sua voce è troppo! Sembra il rumore di una lama raschiata contro la roccia, o il suono fastidioso prodotto dal metallo che stride contro altro metallo. Mi ferisce le orecchie, non la sopporto più.

Con un grido disumano mi lancio su di lei e la atterro, mi metto a cavalcioni e comincio a tempestarla di pugni. Non mi interessa di cosa accadrà dopo, questo mostro deve lasciarmi in pace e basta. Deve lasciare in pace me e l'intero Campo.

La dracena non prova nemmeno a contrattaccare i miei colpi, tenta di parare e al massimo schiva qualche cazzotto. Non so perché non mostri la sua solita aggressività e nemmeno mi importa, al momento conta solo la sua morte tramite i miei pugni.

Non è rilevante nemmeno il rumore ovattato in sottofondo, non me ne curo: so già chi è.

Ma il rumore si fa più forte, devo sbrigarmi. Devo finire quest'orrida creatura prima che l'orda di mostri possa ghermirmi.

Devo muovermi. Devo muovermi.

Un pugno sullo zigomo, un altro sulla mandibola, un altro ancora sul naso.

– Shiro! Shiro ti prego, torna in te! – il suo urlo disperato ha il potere di bloccarmi per un attimo. I mostri non mi hanno mai chiamato per nome, nemmeno sapevano qual è.

E infatti subito dopo rabbrividisco. Sono disgustato da me stesso, i muscoli paralizzati e il senso di colpa che si mischia assieme a quello di nausea nella mia gola diffondendosi in tutta la mia anima.

La luce dell'ambiente circostante si è fatta più intensa, piacevole. Anche i lineamenti confusi del volto della dracena si sono resi nitidi.

Ha un'espressione terrorizzata, il labbro gonfio, il naso sanguinante, un grosso livido sulla guancia destra e tanti altri graffi sulla faccia, ma dai suoi tratti inequivocabili riconosco immediatamente il viso di Will Solace.




Hola gente
No, non sono morta e no, non vi libererete di me da questo fandom! Nell'ultimo periodo l'ispirazione mi ha un po' abbandonato e poi ci si sono aggiunti anche il mio pc rotto che mi ha quasi fatto perdere tutto questo capitolo e lla scuola che mi ha seppellito sotto tonnellate di roba da studiaree, perciò la storia sta andando a rilento lo so, I'm sorry.
Spero che l'html non mi sballi l'ultimo paragrafo, ogni tanto ha voglia (?) e si diverte a cambiare le dimensioni del carattere senza che io possa sistemarle - non ho ancora capito come qunado perché o come lo fa, ma mi fa girare un sacco...
RIngrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta
Alla prossima gente (si spera entro breve)
Adios

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Capitolo 8
*** #8 ***


 

La confusione e le chiacchiere che rimbombano nella mia testa sono tremende, tengono la mia mente a metà tra la veglia e l'oblio quando in realtà vorrei soltanto sprofondare in un sonno infinito. Un fortissimo dolore si sta diffondendo per tutto il mio cranio a partire dalla nuca come una ragnatela e una vocina mi sta esortando a strillare contro chi sta borbottando per zittirlo malamente.

Le voci sembrano crescere di intensità; è come se mi stessero perforando i timpani, non riesco più a fingere di dormire ancora. Con un mugugno infastidito aggrotto la fronte e strizzo le palpebre, poi provo lentamente a mettermi seduto.

– Ma allora la tua è una fissa! – sbotta qualcuno di molto vicino.

Ho ancora gli occhi chiusi, ma mi sembra di essere su una giostra impazzita da quanto mi gira la testa. Il cervello ci impiega parecchi istanti, sia a convincermi ad aprire gli occhi, sia a capire che quel qualcuno che ha parlato è una ragazza.

Mi trovo di fronte ai lineamenti sfocati del viso scocciato di Katie. Non ho idea del motivo per cui si lamenti così tanto, ma non mi ci sto ad arrovellare per molto non appena mi rendo conto di chi c'è intorno a noi.

Siamo circondati da un buon numero di ragazzi in maglietta arancione che ci fissano con un'espressione a metà strada tra curiosità e timore. Non vedo Hunk, credo sia tra le ultime file o perlomeno c'è qualcuno che ha corporatura e capelli simili ai suoi – spero davvero che sia lui, sono ancora parecchio stordito.

Sento i loro mormorii concitati, confabulano tra loro e ogni tanto mi gettano qualche occhiata apprensiva. Ovvio che stanno parlando di me, ma vorrei sapere di cosa: con tutta questa gente intorno mi è difficile addirittura concentrarmi. E sì che di solito stare al centro dell'attenzione non mi dispiace...

I miei occhi si posano su Chirone e Coran e il ragazzo con la zazzera dell'infermeria che sta accanto a loro. Una parte di me si domanda perché cavolo non li abbia notati subito, un'altra zittisce la prima: "No añadas más dolor, gracias".1

Chirone prende la parola e i borbottii diminuiscono notevolmente, tutti ascoltano curiosi.

– Lance, – mi dice con un tono pacato che mi turba per non so quale motivo – sei stato riconosciuto dal tuo genitore divino.

– Beh, non proprio in via ufficiale – la piccola figlia di Atena interrompe il centauro con nonchalance mentre scruta con fare critico la mia persona – Diciamo che però i suoi poteri sono inequivocabili.

I miei... poteri? Rimango a bocca aperta. In un flash, il mio cervello si vede scorrere al rallentatore tutti gli avvenimenti di oggi, dalla battaglia con Shiro contro le dracene fino al tour per il Campo con Hunk e Katie. Il ricordo della mia stessa rabbia mi travolge come un'onda, rivedo il laghetto e la sua acqua che ribolle in maniera inquietante. Poi tutto è confuso, un miscuglio di grida e acqua rombante, e finisce solo quando la mia testa pulsa di un dolore acuto a cui seguono alcuni secondi di buio. Mi hanno colpito, non devo aver perso i sensi per lungo tempo perché il sole è ancora sulla linea dell'orizzonte.

Non appena il flashback finisce mi rendo conto di essere carponi, con i pugni stretti tra i fili d'erba e il fiato grosso. La bocca dello stomaco pare essersi chiusa di colpo e la gola è secca, come percorsa da una sostanza corrosiva. Non sono nemmeno sicuro di riuscire più a parlare, ma ho domanda che è ormai un chiodo fisso e ho bisogno di risposte. ¿Qué pasó? Cos'è successo?

Rimettersi dritto pare un'impresa titanica e in questo momento non sono nemmeno certo di avere la coordinazione necessaria.

È un bagliore azzurro sul terreno di fronte alle mie mani che mi spinge a rialzarmi. Ci impiego parecchi secondi a tornare in posizione eretta, mi sembra di essere uno di quei bambini che si tira su in piedi per la prima volta, il corpo barcollante alla ricerca del suo baricentro.

Alzo il viso e sgrano gli occhi quando lo sguardo incontra la fonte di questa luce, giusto proprio sopra la mia testa. È una sagoma un pochino sbilenca, distorta, dai contorni mutevoli come se un vento inesistente la stesse agitando. Tuttavia, è chiaro che il simbolo sia una lancia acquamarina a tre punte. Un tridente.

La folla arancione davanti a me mi prende alla sprovvista, rimango completamente sbigottito non appena mi rendo conto che tutti quanti, Chirone, il signor Altean, gli altri ragazzi, si sono inginocchiati davanti a me. Hunk è uno degli ultimi a compiere il gesto, osserva imbarazzato gli altri semidei e poi fissa a lungo i suoi occhi nei miei.

Le sue pupille scure si incatenano alle mie, trasmettono confusione e un senso di colpa che in qualche maniera pare contagiare anche me. Ne rimango turbato: so che il casino appena accaduto tra noi è anche colpa mia, ma l'orgoglio che si agita in me insiste nel ribadire che Hunk è la causa di tutto. Lu si china solo quando la mano di un ragazzino accanto a lui gli strattona i jeans facendo cenno di imitare gli altri.

Dopo che il mio migliore amico si è abbassato, mi rendo conto di com'è ridotto l'ambiente intorno a noi. Sono pietrificato, davvero i miei poteri hanno causato tutto questo?

Le canoe sono quasi tutte ribaltate e semidistrutte, un paio sono addirittura volate fin sul prato sradicando arbusti ed erba e al pontile di legno a cui erano ormeggiate manca qualche asse, mentre qualcun'altra è spezzata. Gli argini e il terreno vicino a me hanno perso il loro colore verdeggiante e ora sono di un torbido marrone fangoso.

Chino il capo mentre, senza quasi accorgermene, i miei pugni si stringono fino a farmi male. Per un litigio ho quasi distrutto un laghetto, sono terrorizzato al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se fossi avessi concentrato tutti i poteri contro Hunk.

Sono ancora convinto che lui mi debba pedir perdón2 per non essersi fidato di me, ma la colpa di tutto questo caos è anche mia e perciò so che dovrò fare il possibile per riallacciare il rapporto con il mio migliore amico.

---

Il padiglione della mensa è un grandissimo spiazzo a cielo aperto diviso in due aree: da una parte ci sono all'incirca una ventina di tavoli, ognuno identificato con il simbolo di un genitore divino, e dall'altra si trova il buffet della cena.

È proprio in fila per quest'ultimo che siamo io e Shay. La figlia di Demetra si è offerta di accompagnarmi e lungo tutto il breve tragitto non abbiamo fatto che chiacchierare del più e del meno, soprattutto di cose riguardanti il Campo.

– Il tuo amico Lance è stato riconosciuto da uno dei Tre Pezzi Grossi, uno dei tre dei più potenti – mi sta spiegando in questo momento.

– È per questo che tutti al laghetto lo fissavano in modo strano?

– Esattamente. I figli di Zeus, Poseidone e Ade hanno poteri molto vasti e il tuo amico, se si allena a controllarli, potrebbe essere ben più distruttivo di oggi – continua lei – Un figlio di Poseidone piuttosto famoso qui al Campo è riuscito a creare un uragano per combattere un Titano, una volta.

– Due figli di Poseidone... E di Zeus e Ade ce ne sono?

Shay annuisce, mentre avanza di qualche metro per ricompattarsi alla fila. – Oltre a Shiro ci sono altri due figli di Zeus: una non vive in nessun Campo e l'altro fa spesso avanti e indietro tra New York e il Campo Giove. È dove stanno i mezzosangue romani, ma ti spiegherò tutto con calma. Se iniziassi a parlarti anche dei Romani ci capiresti meno di prima...

Annuisco, un po' intontito dalla valanga di informazioni che sto ricevendo. Credo di star partendo per la tangente, non mi è mai capitato di provare così tanti ed eterogenei stati d'animo tutti in un giorno e forse la mia mente non riesce più a star dietro alle novità.

– Ade ha due figli anche lui: una romana al Campo Giove e un ragazzo.

Shay gira il viso verso la fila dietro di lei, dandomi così le spalle – nella coda, io sono dietro a lei – e con un cenno mi mostra due ragazzi poco più avanti di noi: uno lo riconosco, è Keith, il moro che è arrivato a scuola in pegaso assieme a Katie. Quello accanto a lui sembra essere suo fratello maggiore, solo con la pelle olivastra, delle vistose occhiaie scure e degli abiti che contrastano con l'arancione acceso delle t-shirt degli altri.

– Quello con la maglia nera è Nico Di Angelo. Ha un aspetto un po' tetro che tiene le persone a distanza, ma se sai come prenderlo in realtà è simpatico...

La fila avanza ancora un po', adesso Keith e Nico stanno prendendo il loro cibo mentre davanti a noi ci sono ancora cinque o più ragazzi.

I due mori hanno i loro piatti in mano e sembrano aver finito, tuttavia, prima di andare a sedersi, entrambi prendono qualche pezzo di cibo e lo buttano in quello che a prima vista mi era parso una sorta di barbecue. Con un tocco sulla spalla chiamo Shay e lei intuisce subito la mia domanda.

– È un braciere per le offerte agli dei. Bruci un po' di cibo per loro e loro lo annusano... Suona strano, ma a loro piace.

L'immagine di un dio che ha del cibo bruciato davanti e se lo sta sniffando è una delle più comiche e assurde che la mia mente si sia mai figurata, ma vista la dose di stranezze a cui sono stato sottoposto oggi non ho nemmeno la forza di scoppiare a ridere come avrei fatto di solito.

Finalmente arriva il mio turno al buffet. Sul braciere brucio un paio di patatine fritte, Shay mi ha detto che si può fare una preghiera agli dei, anche se, in tutta onestà, non so per cosa pregare. Magari esiste un dio in grado di rimettere a posto le amicizie?

Con il mio piatto cammino un po' incerto verso il tavolo della mia capanna provvisoria, la Undici. Shay mi ha spiegato che bisogna sedersi al tavolo della propria capanna, anche se non ho ben capito il perché. Inoltre, mi ha avvertito di stare attento ai figli di Ermes, non perché siano cattivi o cosa, ma dato che il loro padre è il dio dei ladri e delle astuzie è meglio far capire loro che non sono uno che si fa fregare facilmente.

Sono frastornato dal caos che regna a quel tavolo. Sono così loquaci da farmi venire il mal di testa e ognuno sta parlando sopra gli altri senza attendere il suo turno, quindi ne risulta un chiacchiericcio incomprensibile cui rinuncio ad unirmi. Scambio solamente un paio di battute con un ragazzo dai tratti elfici e disordinati ricci castani, ma poi il mio sguardo va inevitabilmente a posarsi sul tavolo dove Lance sta cenando da solo.

Lo sbircio di sottecchi, ma la sua espressione è seria e impassibile. Torno a concentrarmi sul mio hamburger, addentandone un pezzo anche se non ne sento davvero il sapore: è più per fare qualcosa e tenere la mente e il corpo impegnati.

Al termine della cena, vengo accompagnato dal capo-Cabina al mio nuovo dormitorio. Il capo si rivela essere il castano con cui ho parlato al tavolo, si chiama Connor e mentre stiamo camminando mi racconta che fino all’anno scorso era in carica assieme a suo fratello maggiore Travis e che adesso che Travis è al college gli fa un po’ strano essere rimasto da solo. Il suo modo di parlare è coinvolgente, più di una volta mi ritrovo a ridere insieme a lui per qualche aneddoto divertente che mi ha raccontato e, senza che me ne renda conto, siamo già davanti all’entrata della capanna Undici.

Sarebbe un’area piuttosto grande, ma il caos che regna sovrano – come c’è finita una ciabatta attaccata al soffitto? – la fa sembrare molto più piccola e soffocante. Connor si fa largo tra la moltitudine di coperte, cuscini e vestiti  che affollano il pavimento della capanna, fino ad avvicinarsi ad un armadio con le ante scalcinate da cui prende un lenzuolo e un guanciale. Mi sbatte tra le mani quest’ultimo, dopodiché stende il telo su uno dei materassi vicino all’ingresso, materasso che, noto solo ora, è rivestito da un lenzuolo solo per metà.

– Siamo un po’ pieni, come puoi vedere – mi dice il figlio di Ermes – Sei fortunato, però: da quello che mi dicono, Kinkade non scalcia molto quando dorme. James Griffin è peggio.

Dalle mie labbra non sfugge altro che un “Ah” strozzato, mentre ascolto il mio capo-Cabina spiegarmi qualcosa che sicuramente dovrò farmi ripetere.

Non so come mai, ma la consapevolezza di tutti gli eventi accaduti in questa giornata sembra colpirmi per davvero solamente adesso. Ho paura di quello che potrà accadere domani, vorrei poter riavvolgere tutto e tornare a quando io e Lance eravamo in ansia per una banale interrogazione di fisica e non c’erano satiri, semidei o qualsiasi altra faccenda più grande di me in cui finire invischiati.

 

 

1"non aggiungere più dolore, grazie"

2chiedere scusa

 


Hola gente
Sono in ritardissimo con questo capitolo, I know e mi dispiace tantissimo perché questa storia non voglio certo abbandonarla.
Era un capitolo pronto da mesi, ma non volevo pubblicarlo fino a quando non sarei riuscita ad imbastire il capitolo 9, il problema è che quest'ulitmo non ne vuole sapere di essere messo per iscritto e perciò non ho idea di quando arriverà. La trama in testa ce l'ho, devo solo trovare il miglir modo per mettere giù le cose...
Al solito spero che non mi si sballi l'ultimo paragrafo, anche se so già che è una causa persa perché questo programma mi odia ma vabbé...
Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta
Alla prossima gente
Adios

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Capitolo 9
*** #9 ***


 

Tra Shiro e Will non so chi sia messo peggio. Il dottore biondo ha uno zigomo violaceo e la pelle di collo e torace arrossata laddove la mano metallica del figlio di Zeus l’ha afferrato. Quando stamattina sono entrato in infermeria con Nico, l’italiano è trasalito alla vista di come era ridotto il suo ragazzo.

Dal canto suo, Shiro non è messo tanto meglio. Le ferite stanno pian piano guarendo, ma è dal punto di vista emotivo che mi sta preoccupando. Ha un’espressione livida in viso e lo so che si sta accusando per quello che è successo a Solace. Ma non è certo colpa sua se il Labirinto l’ha quasi portato alla pazzia, è stato anche abbastanza forte da riscuotersi da quelle allucinazioni quando ha udito le grida del figlio di Apollo.

Mi rivolge un flebile saluto, a malapena solleva la testa. È straziante vederlo così e mi fa sentire completamente inutile. Sono negato con i discorsi motivazionali, io – Pidge dice che lo sono con le relazioni personali in generale, ma lei è una degna concorrente –, e non so bene cos’altro dire se non ripetere che non è stata colpa sua. Peccato che come frase suoni alquanto vuota e priva di senso.

Prendo una sedia e la accomodo vicino al letto del mio amico.

– Ehi, sono riuscito a salvarti un po’ di ciambelle dalla colazione… – gli dico con un sorriso, nella speranza di rompere il ghiaccio e tirarlo un po’ su di morale. Va matto per le ciambelle e qui al Campo se ne riempiva sempre almeno due piatti ogni mattina.

Dall’altra parte della stanza Will non protesta per quello sgarro nella dieta del suo paziente, perciò poso il tovagliolo ricco di leccornie sul lenzuolo. Gli occhi del figlio di Zeus si illuminano e un piccolo sorriso si accenna sulle sue labbra. È davvero triste vederlo ridotto così, anche se è una buona cosa che si metta a sorridere. Il Labirinto non l’ha piegato del tutto, un po’ del vecchio Shiro è ancora rimasto in lui.

– Tre donut? Oh Keith… lo sai che posso fare di meglio – gracchia. È un commento divertito, che cerca di spezzare la tensione.

Di riflesso mi ritrovo a sorridere anch’io, per la sua battuta che mi alleggerisce il cuore sia perché chiunque abbia tentato di distruggergli la mente e fargli a pezzi il corpo non c’è riuscito: Shiro se n’è sempre uscito con pessime spiritosaggini che facevano più piangere che altro ma non per questo ha mai smesso di farle e anche adesso, più di là che di qua e con il senso di colpa per aver picchiato Will e perso la famiglia di Pidge, sta provando a rialzarsi, a tornare quello che tutti conoscono.

Quando ha quasi finito anche l’ultimo dolcetto, mi arrischio a tornare sull’argomento “Labirinto”. Non che mi piaccia farglielo ricordare, ma se non vogliamo che il nostro Campo venga spazzato via bisogna capire cos’è la minaccia che si annida in quei corridoi sotterranei, e Shiro è l’unico che può dare delle informazioni.

– Uh, senti Shiro… – comincio titubante. – Ti… ti ricordi quello che hai detto ieri finché parlavi del Labirinto? Della persona che… vuole distruggere?

L’espressione del figlio di Zeus si rabbuia si colpo. – Ricordo un’arena di gladiatori, c’erano dracene e altri mostri, ma è un’accozzaglia di flash confusi. È difficile mettere insieme i pezzi. – sospira, tormentandosi le dita con la protesi. – Il loro capo so che si chiama Zarkon ed è un essere millenario, affamato di potere oltre ogni limite. Con lui c’è una… maga, credo, ma davvero non ti so dire di più.

Spero che quando riferiremo a Chirone lui la prenda meglio di me. Il mio cuore perde un battito, la mascella che si serra e il respiro che si fa più lento e pesante mentre elaboro le poche informazioni che mi ha appena raccontato. Non è molto ma hanno comunque lo stesso effetto di una bomba.

Non sono i Titani o Gea, quelle due guerre sono state devastanti per entrambi i Campi, tuttavia non è che la cosa mi conforti molto, il pericolo c’è comunque e non possiamo sottovalutarlo. Non dobbiamo farci cogliere impreparati.

– E Sam e Matt? Almeno loro sono vivi?

– Lo erano l’ultima volta che li ho visti. – mormora con espressione afflitta. – Non… non ho idea di cosa abbiano fatto loro o di dove li abbiano portati.

Sento lo stomaco stringersi in una morsa quasi dolorosa, un groppo alla gola mi impedisce di rispondergli, ma la mia mente sta lavorando a mille; centinaia sono le possibilità. Forse… forse Sam sta facendo loro da guida attraverso le trappole del Labirinto, dato che solo un mortale è in grado di orientarcisi: sarebbe prigioniero dei nemici, ma perlomeno avrebbero una ragione per tenerlo in vita il più a lungo possibile.

Chi mi preoccupa è Matt. Se non era nell’arena con Shiro, dove può essere finito? Un solo semidio alla mercé di centinaia di mostri…

No. Mi rifiuto di immaginare il peggior scenario possibile, lui è vivo. Deve essere vivo. Voglio condividere l’ottimismo e la testardaggine di Pidge. Perché se fosse il contrario, io non oso immaginare come reagirebbe la figlia di Atena; credo sarebbe capace di avventurarsi negli Inferi e riportare indietro le anime con le sue stesse mani, o morirebbe provandoci, e nemmeno Ade in persona potrebbe fermarla.

– Potrei chiedere a mio padre… – si fa avanti Nico.

Mi sono quasi dimenticato che ci fossero anche lui e Will in infermeria, la conversazione con Shiro ha catturato tutta la mia attenzione, ma anche loro devono aver sentito tutto del resoconto del Labirinto. E considerando che hanno affrontato due guerre più di me – contro i Titani e poi la madre terra Gea l’anno successivo – sanno bene quanto rischia il Campo se non ci mobilitiamo all’istante.

– Io non sono riuscito a percepire niente, è difficile distinguere una morte vera e propria quando l’intero posto è impregnato di morte in ogni suo singolo angolo. – commenta con una smorfia.

Non so bene come replicare all’intervento del ragazzo, perciò mi limito a rivolgergli un cenno di ringraziamento. Le labbra di Shiro si incurvano verso l’alto in un timido sorriso, sebbene il sollievo del gesto non raggiunga anche i suoi occhi. Quelli restano opachi, distanti.

– Questa cosa potrebbe aprire le porte a una nuova, terza Grande Profezia. – interviene Will, cupo. – Sia durante la guerra con i Titani che quella con Gea, a far da sfondo c’era sempre una profezia dell’oracolo…

– Una profezia che invierebbe i prescelti in una missione totalmente suicida! – esclama allora Shiro. – Ancor più delle solite imprese!

Tutto questo non è molto rincuorante: se le usuali profezie dell’oracolo portano sempre un presagio di morte per chiunque sia il destinatario, le Grandi Profezie portano la cosa a un livello superiore, prevedendo la dipartita dei loro destinatari e anche di chiunque altro.

Ci sarebbe da sperare che il dottore abbia sbagliato alla grande con questa ipotesi o che noi siamo saltati alle conclusioni troppo presto, ma sarebbe un’effimera illusione: i racconti di Shiro sono già abbastanza per intuirlo e inoltre non è un caso che il figlio di Zeus sia riapparso dopo un anno nel Labirinto proprio nello stesso luogo in cui si trovavano due nuovi semidei.

Una Terza Grande Profezia e una terza guerra si stanno avvicinando sempre di più.

---

Hunk e Lance hanno detto di avere entrambi quindici anni, cioè gli stessi di Keith e due più di me, ma l’attuale atteggiamento dell’ispanico sembra smentire quanto stabilito. È quasi tutta la mattinata che comportamento infantile e irritante apatia si alternano, manco avesse due teste che pensano per conto proprio come il dio Giano.

Siamo nell’arena da ormai quasi tre ore e l’unico che sembra aver fatto qualche timido progresso è solo il semidio più robusto. Non si è trasformato in chissà quale macchina assassina, ma a furia di provare e riprovare sta cominciando ad apprendere qualche mossa di combattimento basilare. Il suo compagno di allenamento è Ryan Kinkade, un afroamericano della Capanna Undici, il quale gli sta spiegando come ottimizzare le potenzialità del suo nuovo martello di bronzo.

Ci ha impiegato un po’ per trovare l’arma più adatta a lui: l’armeria trabocca dei più disparati oggetti, quelli di Efesto si sono dati un gran daffare tra spade, lance e persino moderni fucili di precisione. Ogni nuovo arrivato al Campo ha solo l’imbarazzo della scelta.

Motivo per cui non riesco a capire come mai il figlio di Poseidone si sia intestardito solo sulla spada. È una cosa che mi manda ai pazzi, il suo modo di fare non ha alcun senso.

La voglia di prendere il mio pugnale e ficcarglielo in luoghi che certo non si scorderà per almeno il prossimo secolo è davvero tanta, ma dubito che Chirone la possa prendere bene se vado a dirgli che ho appena dato la possibilità al dio del mare di rinnovare il suo astio contro mia madre.

Tra i nostri genitori non è mai corso buon sangue: la contesa di Atene in cui Poseidone ha creato i cavalli e Atena l’ulivo, la maledizione di Medusa – lei e Poseidone dissacrarono un tempio della dea – e gli schieramenti opposti durante la guerra di Troia. Non sono in buoni rapporti nemmeno ora che Percy Jackson e mia sorella Annabeth – considerati due eroi qui al Campo – hanno una relazione stabile e da anni convivono a Nuova Roma, nel Campo romano dall’altra parte del Paese.

È fastidioso osservare Lance combattere – o meglio, prenderle – contro Nadia Rizavi. Non ci prova neanche ad ascoltare le dritte della figlia di Ermes, quando lei gli parla è come se fosse su un altro pianeta. Poi però mugugna e si lamenta ogni volta che la spadaccina lo fa finire col sedere sulla sabbia rossa.

– Andiamo, te l’ho detto anche prima, amico! – sbotta per l’ennesima volta Nadia, la punta della spada che sfiora il viso del semidio. – Non è il polso che devi irrigidire quando dai un colpo, altrimenti perdi forza e hai una presa da schifo sull’elsa!

Il più alto è disteso a terra, i gomiti poggiati sul terreno per tenere sollevato il busto, e la ridicola espressione con cui osserva la giovane dalla pelle olivastra è un misto di stupore e stizza, con gli occhi spalancati e la bocca semichiusa.

– Primo, non sono tuo amico. – sputa velenoso, mentre lentamente si rialza e si spolvera i vestiti. – Secondo, è tutta la mattina che mi massacri. Mi sembra più che normale che dopo un po’ io inizi a perdere colpi, no?

In nome di Atena, ma fa sul serio o ha solo un pessimo senso dell’umorismo? È dall’inizio degli allenamenti che sta “perdendo colpi”!

Anche Kinkade e Hunk hanno ormai interrotto la loro sessione e adesso scoccano al ragazzo un’occhiata in tralice. Sembra che il secondo stia pure per aggiungere qualcosa, però ci ripensa quasi subito e serra le labbra in una linea sottile. I suoi lineamenti mutano in un’espressione rattristita e anche se non lo conosco quasi per niente un po’ mi dispiace vederlo ridotto così: dopotutto, prima di tutto questo casino, mi è parso che lui e Lance fossero buoni amici.

Non ho tempo per stare a rifletterci su, però, perché il tremore delle spalle di Nadia mi riporta alla realtà. La schiena della figlia di Ermes è in tensione e non ci vuole un genio per intuire che è sul punto di perdere le staffe. L’ho vista un paio di volte in cui le è partito l’embolo, non è mai una buona cosa per il destinatario della sua ira, chiunque esso sia. Non so cos’abbia nel cervello quell’ispanico, ma di certo non deve avere molto istinto di autoconservazione.

Dalla mia postazione sul gradone più basso dell’arena scatto in piedi e mi fiondo verso di loro, frapponendomi tra i due prima che a Rizavi possa venire in mente di ridurlo a fette o staccargli la testa dal collo. Anche Kinkade si è avvicinato e sta convincendo Nadia a mollare la sua arma, la voce così rilassata e persuasiva che a volte mi domando come faccia ad essere figlio di Ermes e non Afrodite.

Mi volto verso Lance e lo osservo con l’occhiata più torva di cui sono capace. Ha intuito di aver fatto una cavolata, dato che lo vedo impallidire e stringersi nelle spalle, come a volersi fare piccolo-piccolo. Forse mormora anche un “mi dispiace” ma è difficile afferrare perché è un indistinto borbottio a mezza bocca, non capisco nemmeno se è inglese o spagnolo.

– Senti, Lance, – il tono con cui mi rivolgo a lui è scortese e imbronciato – che ne dici se ti porto a fare un giro così ti calmi un po’, eh?

Le sue pupille color del mare incrociano le mie castane in un’occhiataccia furente e non so dire chi in questo momento sia più desideroso di incenerire l’altro con lo sguardo. È una questione di orgoglio, adesso; non ho la minima intenzione di cedere per prima e darla vinta a questo tizio che non riesce a prendere la cosa sul serio. Poco mi importa che sia un novellino arrivato il giorno prima, il suo amico è nella sua stessa situazione ma non si sta comportando di merda come lui.

– Okay. – grugnisce alla fine, il viso contratto in una smorfia che tradisce tutta la sua irritazione.

Oh beh, pure io preferirei affrontare un manipolo di mostri assetati di sangue e invece mi tocca portarlo via da lì prima che qualcuno abbia la (saggia) idea di passarlo a fil di spada; non è l’unico che avrebbe bisogno di una dose di entusiasmo sparata in endovena.

Attraversiamo i campi di fragole – la cui produzione è la principale attività economica del Campo nel mondo mortale – e riconosco Shay e alcune delle sue sorelle indaffarate insieme a delle driadi a prendersi cura delle piantine e rivolgo loro solo un cenno di saluto sbrigativo mentre cammino a passo di marcia, Lance alle mie calcagna che mi segue senza fiatare. Curvo verso sinistra e proseguo in direzione della Casa Grande, che per nostra fortuna appare deserta. Non avrei proprio voglia di incrociare Chirone o il direttore del Campo, il signor D (che sarebbe il dio Dioniso, è relegato qui per aver violato una ninfa vietata da Zeus o roba del genere).

Superiamo il pino di Talia, l’albero che crea una barriera magica di protezione intorno al Campo. A rinforzare il confine, sui suoi rami c’è posato il mitico Vello d’Oro dagli straordinari poteri curativi – recuperato anni prima da Percy, Annabeth e l’ex capo cabina di Ares, Clarisse – e a guardia di esso c’è il gigantesco drago Peleo, quello che li ha spaventati il giorno precedente.

Costeggiamo i campi di pallavolo, dove si sta disputando un’accesa partita tra le case di Nike e… Nike. Quegli invasati dei figli della vittoria sono così competitivi che si stanno sfidando di nuovo per chissà quale stupido motivo, tipo stabilire qual è la salsa migliore da mettere sulle costolette alla griglia o che so io. Non invidio per niente il povero satiro che ha l’ingrato compito di arbitrare.

Alla fine raggiungiamo la zona circostante l’anfiteatro: quasi nessuno bazzica per quest’area, soprattutto la mattina, quindi è l’ideale per lasciare che Lance finalmente si calmi un po’. Siamo al limitare del confine magico e possiamo osservare le colline verdeggianti che si estendono a perdita d’occhio nella campagna di Long Island. Chiudo gli occhi e inspiro a pieni polmoni, avverto il calore del sole quasi estivo che mi bacia la pelle e percepisco il profumo della natura rigogliosa.

– Senti… – con un mormorio sommesso Lance mi ricorda della sua presenza. – Ti spiacerebbe sederti anche tu? Così mi metti ansia.

Di nuovo quello sguardo torvo. È seduto qualche passo avanti a me e si è voltato nella mia direzione. Sarei tentata di fare il contrario solo per come mi sta osservando adesso, ma ho davvero voglia di stendermi tra i ciuffi d’erba a contemplare il panorama perciò mi accomodo a qualche metro di distanza.

Non so per quanto rimaniamo così, a guardare verso l’orizzonte ognuno perso nelle sue riflessioni con in sottofondo il vociare lontano degli altri campeggiatori impegnati nelle proprie attività. Il mio pensiero va a mio padre e a mio fratello, dispersi chissà dove nei meandri del Labirinto: non ho mai creduto che fossero morti né mai lo farò. Il mio piano di andare a cercarli – da sola o con Keith – non è cambiato nemmeno ora che Shiro è riapparso dopo un anno, devo solo aspettare che si rimetta del tutto così da poter carpire più informazioni possibili prima di avventurarmi sottoterra-

– Mi dispiace per prima.

A distrarmi dalle mie preoccupazioni è il sospiro sommesso del castano. Sta ancora guardando dritto davanti a sé, ma posso vedere come tiene la schiena e le spalle incurvate in avanti in una posa quasi afflitta. Le intende davvero queste scuse.

– Non so che cosa mi stia prendendo oggi… e anche ieri. Ho davvero fatto un merequetengue al laghetto.

– Se stai intendendo un casino hai proprio ragione... – mormoro di rimando. – Stamattina sei stato davvero stronzo con Nadia. A quest’ora saresti un sushi se non fossimo intervenuti io e Kinkade. Te lo saresti meritato, però.

Riesco a strappargli una risatina ed è piuttosto strano per me ritrovarmi qui con un ragazzo con cui non sono andata d’accordo negli ultimi due giorni a parlare come se niente fosse. Non sono quel tipo di persona che si sente facilmente a proprio agio con chiunque.

– Comunque, se ti può consolare, di solito gli arrivi al Campo sono più rocamboleschi. Più di uno qui è arrivato la prima volta con qualche mostro alle calcagna o con un aspetto che pareva più morto che vivo. Tu e Hunk avete avuto parecchia fortuna…

– Wow, tu sì che sai come far stare meglio la gente – sta facendo del sarcasmo, ma non c’è alcuna vena velenosa nella sua voce. Sembra una persona totalmente diversa dal ragazzo nell’arena di poco prima, tutta la sua aggressività è scemata piuttosto in fretta.

Faccio le spallucce. – Talento naturale.

Di nuovo il silenzio ci avvolge. Dopo qualche minuto stavolta sono io a spezzarlo. – Me la cavo meglio con la matematica e gli ingranaggi piuttosto che con gli umani… Però! Dall’alto della mia totale incapacità con le relazioni interpersonali posso dirti lo stesso che è meglio se ti chiarisci con il tuo amico; non puoi continuare a tenerti dentro tutto, soprattutto se poi te la prendi con gli altri a casaccio.

– Gli parlerò, solo… solo non subito.

– Posso dire che ti sei arrabbiato per una stronzata?

Si volta di scatto verso di me con una velocità tale da farmi credere che le vertebre del collo si siano scrocchiate. I suoi lineamenti affilati sono contratti in un’espressione imbronciata. – Stavi pure iniziando ad essermi simpatica… – brontola.

– Sono sincera. Renditi conto che ti sei incazzato con Hunk perché non ti ha detto che anche lui è dislessico! È una cazzata!

– Non è per la sua dislessia che estoy bolo!1 – controbatte il semidio buttando le braccia al cielo. – Io e Hunk ci siamo sempre confidati tutto e sapere che non mi ha detto una cosa così… così basilare… La fiducia per me è tutto!

Lo osservo con un sopracciglio inarcato, scettica. Per come la vedo io rimane sempre una motivazione del cavolo, ma decido di lasciare perdere: secondo me ci sono modi peggiori per tradire la fiducia di qualcuno e tacere una banalità del genere di certo non rientra tra questi. Non a tutti piace sbandierare ai quattro venti il loro deficit dell’attenzione, per quanto ne so io Hunk potrebbe essere uno di questi.

– Ma tu in tutti gli anni che lo conosci non hai mai notato niente di strano? – è la domanda che però mi sorge spontanea. – Proprio mai, zero totale?

Dal senso di colpa dipinto sulla sua faccia deduco che la risposta sia “no”, o al massimo un “quasi mai”. Il mio lato logico mi dice che è una cosa da idioti e mi esorta a farglielo notare, ma non riesco ad essere troppo dura di fronte a quegli occhioni lucidi, da cucciolo bastonato. E la cosa mi spiazza parecchio, perché di solito sono inflessibile: mio fratello me li faceva spesso quando eravamo piccoli per cercare di convincermi a fare qualcosa – la cosa buffa è che è lui il maggiore – e solo con gli anni ho imparato a resistere a quello sguardo ambrato da cerbiatto.

Con Lance però non ce la faccio, e la cosa mi irrita. Con quelle pupille color oceano sembra penetrarmi fin dentro l’anima e non mi piace che io mi stia perdendo ad osservare le mille sfumature dei suoi occhi: la tonalità predominante è il turchese, ma scorgo anche pagliuzze verdastre e azzurrine che danno movimento—

Ecco, lo sto facendo di nuovo. Torna nel mondo reale, Pidge!

Noto che Lance ha socchiuso le labbra come a voler dire qualcosa, ma non ne esce alcun suono. Credo che non sappia nemmeno lui cosa replicare alla mia domanda di poco prima, non ha nessuna giustificazione.

Dimentichiamo tutto, però, non appena udiamo un boato così forte da farci ghiacciare il sangue nelle vene. Scatto in piedi allarmata; cosa cazzo è successo? È uno dei ragazzi di Efesto che ha sbagliato qualcosa con un esperimento? Ma non avrebbe senso, la loro officina è da tutt’altra parte rispetto all’anfiteatro…!

Poi lo udiamo. Un urlo acuto e disperato, di puro terrore.

– Guarda, laggiù! – mi indica il figlio di Poseidone.

Sta puntando dritto davanti a sé, verso le colline a qualche centinaio di metri oltre il confine magico. Devo assottigliare gli occhi per poterlo scorgere, ma alla fine lo noto: un bagliore argenteo, come di metallo che riflette la luce del sole, e una figura più scura e imponente che ci si sta avventando contro. Mi si ghiaccia il sangue nelle vene quando mi rendo conto che il luccichio è metallo, il metallo di un’arma. E a tenerla in mano è una persona che se la sta vedendo brutta.

– Merda! Dobbiamo dargli una mano!

– Lance, no! Sei disarmato!

Ma è già troppo tardi. Il semidio si sta fiondando a rotta di collo giù dalla collina verso le due sagome in una missione suicida. Siamo troppo lontani perché qualcuno si possa accorgere del casino, la mia idea era di mandare lui a chiamare aiuto ma adesso dovremmo arrangiarci. Stringo con forza l’elsa del pugnale che ho appeso al fianco e mi lancio al suo inseguimento.

 

 

 

1essere arrabbiato





Hola gente

Dopo due anni che non bazzico per questo fandom (complici una pandemia mondiale e un blocco dello scrittore), finalmente riappaio con un nuovo capitolo! In realtà avrebbe dovuto essere più lungo, ma l'ultima parte è quella che continua a non convincermi... Ci voglio lavorare su, perché sono davvero determinata a terminare i dieci/quindici capitoli che avevo pianificato sin dall'inizio

Le cose sembrano un po' movimentarsi, non spoilero niente ma finalmente scriverò (o almeno ci proverò) qualche scena d'azione

Ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta

Alla prossima gente

Adios

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