Noi, persi nel silenzio di una menzogna

di Shireith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mentre fuori piove ***
Capitolo 2: *** Consigli di moda ***
Capitolo 3: *** Visite poco furtive ***
Capitolo 4: *** L’amore platonico di un gatto per i dolci ***
Capitolo 5: *** L’amore platonico di un gatto per i dolci: effetti collaterali ***
Capitolo 6: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 7: *** Sempre la tua Ladybug ***
Capitolo 8: *** Al chiaro di luna ***
Capitolo 9: *** Di condizioni sfavorevoli e trovate bizzarre ***
Capitolo 10: *** È solo in nome della scienza ***
Capitolo 11: *** Disegnando un certo gatto ***
Capitolo 12: *** E la luna sta a guardare ***
Capitolo 13: *** Il mio faro nella notte ***
Capitolo 14: *** Di idee che vengono per nuocere ***
Capitolo 15: *** Quando le distanze non contano ***
Capitolo 16: *** Persi in noi stessi ***
Capitolo 17: *** Sul filo del rasoio ***
Capitolo 18: *** Uno strano fastidio ***
Capitolo 19: *** Festa di Halloween ***
Capitolo 20: *** Ciò che non fu un addio ***
Capitolo 21: *** Marinette non è gelosa della nuova amica di Chat Noir ***
Capitolo 22: *** Quando Plagg è adorabile e Tikki lo scarafaggio-topo più bello di sempre ***
Capitolo 23: *** Gatto per un giorno ***
Capitolo 24: *** Vorrei solo poterti amare ***
Capitolo 25: *** Regali di compleanno ***
Capitolo 26: *** Anche i gatti sanno cantare ***
Capitolo 27: *** Sorpasso della linea ***
Capitolo 28: *** Salvataggio ***
Capitolo 29: *** Sul perché non tradire mai un kwami (e meno che mai Plagg) ***
Capitolo 30: *** Tentato furto ***
Capitolo 31: *** Come un ciclo che si ripete ***



Capitolo 1
*** Mentre fuori piove ***


#01. «Sei ferito. Per favore, rimani qui per la notte. Per favore.»

Mentre fuori piove

  Fuori, quella sera, c’è la pioggia. Perentoria, sembra che essa voglia rivendicare il proprio predominio sulla città: il suo getto è incessante, regolare, ma anche gentile, pacifico. La pioggia che ha sorpreso Parigi non si fa odiare, la domina con leggiadra ed eleganza.
  Marinette ha sempre amato la pioggia, quel giorno come anche tutti gli altri: ne ama il silenzio, ne ama il modo in cui s’infrange sui tetti, con un tamburellare regolare che esercita su di lei un effetto calmante. Le piace ancora di più dedicarsi alla sua arte, con un tale immaginario a tenerle compagnia. Solo l’esuberanza non richiesta della sorte può, talvolta, bussare alla sua porta e varcarne la soglia senza invito, forse per il puro piacere di porre fine alla sua serenità.
  Marinette avverte un tonfo provenire dall’esterno, qualcosa che s’infrange con violenza contro la botola che da camera sua conduce a un piccolo balcone. La ragazza non vuole darvi peso, decretando che non valga la pena esporsi alle intemperie per un’inezia; altri rumori sospetti, tuttavia, giungono nuovamente alle sue orecchie – questa volta, giurerebbe siano dei lamenti umani. Ora teme che, dopotutto, la pioggia che tanto ama non si sia curata di infliggere qualche danno.
  Marinette risale lungo le scalette che conducono al suo letto e, inginocchiatasi, fa leva sulle proprie braccia e riesce ad aprire la botola. Fili argentei subito la investono, bagnandole il volto, la capigliatura, le spalle e una parte del letto, ma non le importa. A importarle, ora, è solo ciò che ha di fronte: i suoi occhi, un attimo prima, l’hanno immediatamente riconosciuto, inviando un segnale d’allarme al suo cervello. Vestito d’una tuta nera che ricopre ogni centimetro del suo corpo, i capelli biondi e sbarazzini ora intrisi d’acqua piovana, la figura che vede distesa a terra sul balcone di casa sua non può essere altri che lui.
  Chat Noir.
  Avverte una fitta originarsi all’altezza del petto, mentre un campanello d’allarme continua a trillare con insistenza nella sua mente. D’istinto, Marinette s’issa sulle proprie gambe e risale lungo la botola, compiendo poi due passi in direzione del giovane supereroe, che ancora non dà segni di essere cosciente – segni di vita è un’ipotesi a cui si rifiuta anche solo di pensare.
  «Chat Noir?» chiama, in quello che assume la forma di un sussurro supplichevole. Con una mano gli cinge il collo e gli inclina il volto nella sua direzione, mentre con l’altra applica una leggera pressione sul suo polso alla ricerca disperata di uno scoglio di speranza a cui aggrapparsi.
  Respira.
  Marinette s’abbandona a un sospiro sollevato. «Chat Noir?» chiama di nuovo – e nel suo tono di voce si avverte la sua gioia.
  L’eroe, questa volta, risponde all’appello: lentamente, i suoi occhi verdi vedono di nuovo la luce. Chat Noir li punta in direzione di Marinette, abbandonandosi a un sorriso stanco ma felice quando la riconosce. «Sentivi la mia mancanza?» scherza.
  Marinette ride. Nei momenti di crisi, il suo compagno d’avventure ha sempre avuto un modo tutto suo di gettare acqua sul fuoco – perché le vuole bene, a Marinette come alla sua alla sua collega, perché non vuole farla preoccupare. «Vieni dentro» dice, esortandolo a seguirla all’interno di camera sua.
  Chat Noir obbedisce, scendendo lungo la botola dopo di lei, richiudendola poi dietro di sé: si muove lentamente, con cautela, segno che è ferito – non gravemente, si augura Marinette nella sua mente.
  La ragazza scende lungo le scalette che separano il letto dal resto della camera – a terra avranno più possibilità di movimento – e fa cenno a Chat Noir di seguirla: il giovane l’ha capito già da prima, ma esita quando si rende conto dello stato del letto di Marinette e della ragazza stessa. «Mi dispiace di aver causato tutto questo disastro.»
  Marinette è intenerita dalla sua timidezza ed educazione. «Non ti preoccupare» cerca di rassicurarlo con premura. «Perché sei venuto qui, piuttosto? Che cos’è successo?»
  Chat Noir, sempre lentamente, inizia a scendere le scalette in direzione della giovane. «Tre rapinatori hanno tentato di saccheggiare il Louvre. Avevano diversi ostaggi.»
  Marinette si blocca, sconcertata dalla notizia. «Come stanno?»
  «Bene» risponde Chat Noir, rassicurando il suo cuore in tumulto con un caldo e gentile sorriso. «Sono arrivato giusto in tempo per fermarli.»
  «È per questo che sei ferito?»
  «Sì. Dopodiché ero confuso, stordito, ma non potevo tornare a casa. Mentre vagavo per la città senza una meta, mi sono ricordato dei nostri incontri passati, così ho pensato… be’, di venire qui.» Ora che è più lucido, Chat Noir pensa che la sua sia stata una pessima idea, ancora di più di quanto non lo sembrasse già mentre, stanco e ferito, vagava alla ricerca di un posto sicuro. «Scusami.»
  Marinette gli regala un sorriso. «Non scusarti. Sono felice che tu abbia deciso di venire da me, almeno so che non sei in pericolo.»
  Chat Noir ricambia il gesto, aprendosi in un sorriso gentile. «Grazie.»
  «Tieni, asciugati» dice poi l’altra, protendendo nella sua direzione uno dei due asciugamani presi mentre l’altro ancora stava scendendo le scalette. L’eroe parigino lo accetta tra le sue mani, cominciando a frizionarsi i capelli biondi.
  Marinette lo imita, ma con poco entusiasmo, perché ancora provata da un pensiero che la tormenta dal momento in cui Chat Noir le ha fatto menzione della rapina sventata al Louvre.  «Dove… Dov’era Ladybug, in tutto ciò?» Sa, in verità, dove sia stata Ladybug per tutto il tempo. Ha, tuttavia, una maschera da mantenere – e, in cuor suo, spera che la risposta di Chat Noir l’aiuti a capire che cosa pensi l’eroe della sua assenza, se sia adesso arrabbiato con lei. Si sente così sporca, Marinette, che non ha neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
  «Non c’era.»
  «Perché no?»
  «Non lo so.»
  «Sei arrabbiato?»
  «Perché dovrei?» Pone quella domanda con un’ingenuità tale che la stilettata che Marinette avverte all’altezza del petto fa ancora più male che se Chat Noir le avesse risposto in modo affermativo, dicendole che sì, era arrabbiato con Ladybug per non essersi presentata.
  «È… perché la ami?» Non è giusto, pensa, che Chat Noir perdoni le sue negligenze in nome del forte sentimento d’amore che prova nei suoi confronti.
  «No» risponde l’altro, cogliendola una seconda volta di sorpresa. «Ladybug tiene alla salvezza dei cittadini di Parigi quanto me, e sono sicuro che se non si è fatta viva c’è una ragione più che valida. Probabilmente non ha sentito i telegiornali.»
  Era più di un’ora, infatti, che Marinette non era entrata in contatto con nessun dispositivo elettronico: televisione, cellulare, computer… niente, tutto spento. Non aveva potuto sapere, quindi, della rapina. Tuttavia si sente stupida, negligente, perché sa che, se le cose fossero andate diversamente, nemmeno starebbe avendo quella conversazione con Chat Noir, ora.
  Marinette deglutisce, trattenendo a stento il desiderio di dare un sonoro schiaffo alla ragione e abbracciarlo forte quasi fino a farlo soffocare. «Sono sicura che sarà felice di sapere che stai bene.» Vuole, senza far calare la maschera, ricordargli che, benché non lo ami, Ladybug tiene a lui quanto lui tenga a Ladybug.
  «Non ne dubito» risponde Chat Noir, e questo l’allieta un po’, perché almeno adesso sa che l’eroe è consapevole di tutto l’affetto che prova per lui.
  «Ti sei dichiarato, poi?» chiede, continuando a mantenere le apparenze – e anche genuinamente curiosa di sapere che cosa ne pensi Chat Noir del suo rifiuto.
  «Sì.»
  «Com’è andata?»
  «Mi ha rifiutato, come immaginavo.»
  Di nuovo, Marinette si sente sporca, ingiusta nei confronti di un giovane così innamorato di lei che sarebbe disposto a sacrificare la sua vita in nome della sua salvezza. Quanto vorrebbe dirgli che le dispiace, che non si merita tutto ciò; vorrebbe dirglielo con così tanta foga che potrebbe urlare, non curandosi di farsi sentire dai suoi genitori. «Mi dispiace.»
  Chat Noir scuote il capo, guardandola con il sorriso sulle labbra. «Non devi, non è colpa tua. Mi ha rifiutato, questo sì, ma è stata onesta. Non mi ferirebbe mai di proposito, Ladybug.»
Lo sto facendo ora.
  «Tu, invece? Ti sei dichiarata?» Chat Noir è sollevato che Marinette gli abbia posto quella domanda, introducendo così la conversazione, perché, benché non gli piaccia ammetterlo ad alta voce, è genuinamente curioso di saperne di più sul conto di colui di cui la ragazza è innamorata. Forse lo conosce? Non lo sa, ma è certo di una cosa: chiunque sia il fortunato, Chat Noir si chiede quanto speciale sia per essere stato in grado di rubare il cuore dell’amica.
  Marinette soffia sulle labbra con divertimento. «Come se ne fossi capace…» si rimprovera. «Forse è meglio così, dopotutto. Preferisco restare sua amica piuttosto che rovinare la nostra amicizia.»
  Chat Noir non reputa veritiero ciò che dice. «Io mi sono dichiarato, e lei mi ha respinto, però niente si è rovinato, nel nostro rapporto. Anzi, forse, se glielo dicessi, sarebbe finalmente capace di vederti con occhi diversi. Solo uno stupido non si innamorerebbe di te.»
  A quel commento inaspettato, la ragazza arrossisce. «Forse hai ragione tu» gli concede. È la stessa cosa le ha sempre detto Alya: se mettesse Adrien al corrente dei suoi sentimenti, quello potrebbe iniziare a provare lo stesso. E se anche ciò non dovesse succedere, Marinette ne soffrirebbe, ma a lungo andare sarebbe felice di essersi liberata di un tale peso dallo stomaco.
  Chat Noir, intanto, si sistema i capelli arruffati, notando che sono quasi del tutto asciutti. «Mi presteresti un ombrello?»
  Quella domanda strappa Marinette dai suoi pensieri e la giovane scuote il capo per ritornare alla realtà, ricordandosi che Chat Noir è ancora lì con lei. «Per fare cosa?»
  «Non ci tengo a bagnarmi di nuovo mentre ritorno a casa. I gatti non amano l’acqua, è un fatto risaputo.»
  «Non puoi tornare a casa, sta ancora piovendo. E tu sei ferito» osserva Marinette, gettando prima uno sguardo alla finestra, che li separa dalla pioggia che fuori ancora imperversa, e poi un altro al giovane, che porta ancora i segni del suo servizio da eroe di quella sera.
  «Ora sto meglio.»
  «Forse, ma non puoi rischiare.»
  Chat Noir esita un attimo. «Sei sicura che posso rimanere? Non disturbo?»
  «Certo che no» gli assicura, di nuovo intenerita dall’educazione e discrezione del giovane eroe mascherato – non lo credeva così, tempo prima, quando ancora non lo conosceva bene.
  «Allora va bene.» Ad accettare non è tanto lo Chat Noir ferito, quanto piuttosto l’Adrien che odia restare solo: non vuole tornare a casa così presto, conscio che lì la sua unica compagnia saranno quattro mura buone solo a contenere tutta la sua solitudine.
  Marinette ripassa a mente i progetti che aveva in mente per quella sera. «Ti piacciono i film romantici?»


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Capitolo 2
*** Consigli di moda ***


#02. «Posso scegliere, principessa?»

Consigli di moda

 La giornata di Marinette era iniziata nel migliore dei modi, senza che nessun ritardo si aggiungesse alla lista di quelli che già aveva; quella stessa mattina, poi, Alya le aveva riferito una notizia che non avrebbe potuto renderla più felice. In quel quadro, non s’aspettava di certo la visita di un certo gatto proprio nel momento della fatidica scelta.
  «Chat Noir!» esclamò dunque il suo nome, lasciando che entrasse all’interno della sua stanza. «Che cosa ci fai qui? Non dirmi che un altro akumizzato ce l’ha con me.» L’ultima volta, per cause che non erano dipese dalla sua volontà – era davvero mortificata di aver accidentalmente offeso quella ragazza –, era stata pochi giorni prima, e preferiva evitare che si trattasse di un’altra di quelle situazioni.
  «No, tranquilla» la rassicurò Chat Noir, sorridendole. «Ieri, però, hai perso questo, e ci tenevo a restituirtelo.» Così dicendo, il giovane protese una mano nella sua direzione, mostrandole che cosa stringeva tra le dita.
  Marinette lo riconobbe subito come il portafortuna regalatole da Adrien il giorno del suo compleanno. «Temevo di averlo perso per sempre…» disse, ricordandosi quanto si fosse sentita male pochi giorni addietro, quando aveva realizzato di non portarlo più al polso. Si era anche recata sul luogo dello scontro e aveva perlustrato ogni singolo centimetro, ma niente.
  «È importante, per te?» domandò l’altro.
  «Tantissimo. Me l’ha regalato il… un mio caro amico.» Stava per dire “il ragazzo che mi piace”, tuttavia, benché si trattasse di Chat Noir, non si sentiva a suo agio nel rivelare l’identità della persona che amava.
  A quelle parole, Adrien avvertì una sensazione di calore all’altezza del petto: era estremamente confortante, per lui, che Marinette, che riteneva una sua carissima amica, avesse una tale opinione sul suo conto. Mentre pensava, si concesse solo in quel momento la libertà di guardarsi attorno, notando curiosamente che sulla chaise-longue della ragazza erano adagiati diversi abiti. «Ti stai preparando per un evento importante?»
  «Sì, più o meno.»
  «Ha a che fare con quel ragazzo che ti piace?»
  Marinette arrossì lievemente. «Sì.»
  Di lì a breve, la sua intera classe si sarebbe riunita per un’uscita di gruppo: ciò, pensò Chat Noir, significava quindi che Marinette aveva una cotta per qualcuno dei suoi compagni?
  «Sei nervosa?»
  «Abbastanza» ammise. «E Alya è irraggiungibile – sai, la ragazza che gestisce il Ladyblog
  «Sì, ho presente.» Chat Noir la osservò avvicinarsi alla chaise-longue e ispezionare il vasto guardaroba sparso là sopra con aria nervosa e indecisa. «Posso aiutarti io» s’offrì, ben lieto di poter dare una mano all’amica.
  Marinette lo guardò decisamente poco convinta. «Tu?»
  «Che cos’è tutto questo scetticismo? Guarda che me ne intendo parecchio, io!» affermò sicuro, cominciando ad atteggiarsi come aveva fatto durante il loro primissimo incontro come Chat Noir e Marinette. «Non posso scegliere, principessa?»
  «No. E non chiamarmi “principessa”!» protestò, i flirt di Chat Noir sempre fuori luogo.
  «Ci penserò su» rispose l’altro, e Marinette capì che sarebbe presto tornato a tormentarla con quel nomignolo. «Comunque» continuò lui «non stavo scherzando, prima: me ne intendo davvero.»
  Marinette fletté il busto in avanti per prendere un abito, poi tornò a reggersi verticalmente e puntò nuovamente il suo sguardo in direzione di Chat Noir, non ancora convinta di quello che affermava.
  L’altro colse la sfida e proseguì: «Il rosa va molto quest’anno. Questo e quello non vanno bene insieme, perché…» Per svariati minuti continuò a sfoggiare le sue conoscenze nel campo della moda, riuscendo a convincere ancora di più Marinette quando le mostrò la sua scelta finale sul completo che avrebbe potuto indossare quel pomeriggio.
  «E va bene, hai vinto!» fu costretta ad ammettere, decretando che l’abbinamento scelto dal giovane era il più adatto all’uscita di quel pomeriggio: non troppo elegante, non troppo trasandato. «Comunque non sapevo che i gatti s’intendessero di moda.»
  «Abbiamo molteplici talenti, noi gatti!»

Ammetto che non mi piace il nomignolo principessa, anzi... però, ehi, devo seguire i prompt!

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Capitolo 3
*** Visite poco furtive ***


#03. Gatto adottato
Visite poco furtive

  
 Non c’era niente di più bello che fare finalmente ritorno a casa dopo una lunga e sfiancante giornata di scuola. O almeno questo pensava Marinette prima di raggiungere il soggiorno di casa sua e trovare ad aspettarla Chat Noir, che se ne stava comodamente seduto sul divano mentre sorseggiava un tè caldo.
  Quasi un minuto dopo il suo arrivo, Sabine si accorse finalmente di lei. «Marinette!» esclamò la donna concitata, dirigendosi verso di lei a passo svelto. «Guarda chi è venuto a trovarci!» Sia sua madre che suo padre le sembrarono lei che assisteva a una sfilata di Adrien senza maglietta – era una buona cosa che certi pensieri se li tenesse per sé. In quel frangente, Marinette sarebbe stata eccitata quanto i suoi genitori, se non fosse stato per il fatto che lei e Chat Noir combattevano il crimine insieme quasi tutti i giorni. Lo stesso Chat Noir, tra l’altro, sotto la cui maschera si celava Adrien, il suo fidanzato. Decise tuttavia che in quel momento era il caso che anche lei indossasse una maschera.
  «Chat Noir! A casa mia! Wow!» Gliel’avrebbe fatta pagare, poco ma sicuro.
  «Siamo nel mirino di un akumizzato?» Sua madre lo chiese con fin troppa eccitazione, come se rischiare potenzialmente di morire fosse una bella cosa.
  «No, ho solo bisogno di parlare con vostra figlia» disse, indicandola con un cenno del capo.
  «È nel mirino di un akumizzato?» domandò nuovamente Sabine, emozionata. Di nuovo, sembrava che per la donna fosse una buona cosa che sua figlia fosse il bersaglio di uno degli scagnozzi di Papillon.
  Chat Noir inarcò un sopracciglio. «No…?» Perché sembrava dirlo con felicità, la signora Dupain-Cheng?
  «Ehm, mamma,» s’intromise Marinette, «se Chat Noir vuole parlarmi, credo sia il caso di farlo in privato. Sarà sicuramente a proposito dell’akumizzato che ce l’aveva con me l’altro giorno…» Così dicendo, Marinette ghermì Chat Noir per un braccio e lo condusse in camera sua. Non appena la botola si chiuse dietro di loro, il suo atteggiamento nei confronti del giovane cambiò. «Adrien!» disse a voce bassa. «Che cosa ti è saltato in mente?»
  L’altro accorciò le distanze tra loro e le cinse la vita con le braccia, attirandola a sé per stamparle un bacio sulle labbra. «Avevo bisogno di vederti. Non sei felice che io sia qui?»
  Marinette si catturò il labbro inferiore tra i denti: perché doveva fare così? Lo sapeva che era il suo punto debole, eppure si divertiva a stuzzicarla. «Sì, però i miei genitori non sanno che io e te, Adrien, stiamo insieme, figurarsi se sanno di Chat Noir. È pericoloso.»
  La relazione amorosa tra i due ragazzi era iniziata da poco tempo, ed entrambi non erano ancora preparati a gestire la notizia con i loro familiari e amici: i genitori di Marinette avrebbero dato di matto, Alya avrebbe dato di matto, le loro compagne di classe avrebbero dato di matto, la nonna di Marinette in Italia avrebbe dato di matto… un sacco di gente avrebbe dato di matto, in realtà. Il padre di Adrien, poi, era imprevedibile. I due giovani, quindi, avevano preferito tenere la notizia per sé, i primi tempi. E, a dirla tutta, nasconderlo a tutti aggiungeva un po’ di pepe alla cosa.
  «Lo so, ma avevo bisogno di vederti» ribadì Adrien.
  Marinette sorrise contro la sua spalla. «Non avevi la febbre, tu?» A causa di quello, erano tre giorni che non avevano la possibilità di vedersi nemmeno a scuola.
  «Sì, ma mi è passata questa mattina. Mio padre ha voluto che rimanessi a casa solo per precauzione.»
  «Va bene. Però, davvero, lo sai che non puoi presentarti qui nei panni di Chat Noir. Non potevi almeno aspettarmi in cima al balcone?»
  «Non sapevo se saresti tornata subito a casa o se ti saresti fermata da qualche parte con Alya. Non mi andava di aspettare così tanto sapendo che mio padre potrebbe notare la mia assenza da un momento all’altro. E poi i tuoi genitori mi hanno visto dalla finestra… A proposito, sono davvero dei grandi fan di Chat Noir. Sai che mi hanno proposto di adottarmi come gatto domestico?»
  Marinette rise. «Non saprei, ho sempre creduto che preferissero i cani.»
  «I cani sono sopravvalutati.»

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Capitolo 4
*** L’amore platonico di un gatto per i dolci ***


#04. Omicidio da croissant («Sono due mesi che non mangio qualcosa di dolce e ora ucciderei per un po' di croissant. Aiutami, principessa.»)

L’amore platonico di un gatto per i dolci


 Con un ultimo balzo, Chat Noir atterrò sulla cima della torre Eiffel, lasciando poi andare la ragazza che fino a un attimo prima teneva stretta a sé per evitare che cadesse. «Sai, con questa, ho perso il conto di quante volte un akumizzato ce l’aveva con te» commentò ironico.
  «Non lo faccio mica apposta!» ribatté l’altra. Era vero, diverse persone erano state akumizzate per colpa sua, ma mai Marinette aveva offeso qualcuno volontariamente o per il puro piacere di farlo.
  «Puoi fare concorrenza a Chloé» continuò Chat Noir, che, a dirla tutta, aveva perso il conto di quanti compagni di classe fossero stati akumizzati a causa della sua amica di vecchia data.
  Marinette si sporse oltre il parapetto, gettando un’occhiata mesta e pensierosa al panorama sottostante. Parigi era così vasta che strade ed edifici correvano in tutti e quattro i punti cardinali senza che se ne riuscisse a vedere la fine.
  Chat Noir, nel vederla in quello stato, pensò di aver tirato troppo la corda e si diede mentalmente dell’idiota. «Scusami, sono stato uno stupido. Non volevo ferirti.»
  Marinette si voltò a guardarlo, sinceramente colpita dall’educazione e discrezione che facevano trasparire quelle scuse inaspettate. Ladybug si era da subito fidata del suo collega, ma fino a non molto tempo prima non avrebbe mai pensato che fosse un giovane tanto sensibile e premuroso.
  «Non l’hai fatto» gli assicurò, regalandogli un sorriso che l’altro trovò confortante. «So che stavi solo scherzando.» Dicendo così, la ragazza si volse di nuovo e tornò ad ammirare le bellezze della ville lumière. Chat Noir si unì a lei, salendo sul parapetto e rannicchiandovisi sopra.
  «Perché sei così giù di corda, allora?»
  Marinette si concesse alcuni brevi istanti di silenzio prima di rispondere a quella domanda. «Non mi piace l’idea di aver causato l’akumizzazione di così tante persone.»
  Chat Noir capì di che cosa stesse parlando: sulla sua fedina penale non c’erano che un paio di nomi, eppure si sentiva colpevole per ognuno di essi. Pensò ad esempio a suo padre, che era stato vittima di Papillon per colpa del suo furto ai danni di un libro che il genitore custodiva con gelosia. Non era stata sua intenzione recare al padre uno sconforto tale da permettere a Papillon di captare i suoi sentimenti negativi, infatti si ripeteva continuamente di essere stato solo involontariamente l’artefice di tutto quello; il senso di colpa, però, rimaneva.
  «Non devi assolutamente sentirti colpevole» iniziò Chat Noir, osservandola con espressione magnetica non appena Marinette fece viaggiare lo sguardo fino alle iridi verdi del ragazzo. «Sono stati gesti involontari. Tutti sbagliamo, l’importante è rendersene conto e ritornare sui propri passi. E tu questo lo fai, sempre. Non credo di ricordare una sola volta in cui tu non abbia chiesto scusa per i tuoi errori.»
  Per un paio di secondi, Marinette rimase intenta a fissarlo senza proferire parola, colpita, nel profondo del suo cuore, dall’alta opinione che Chat Noir aveva appena dimostrato di avere di lei. Agli occhi sfuggì persino una lacrima di commozione, perciò Marinette si apprestò a farla andare via con la manica della giacca. Tornò poi a guardare Chat Noir negli occhi e disse: «Grazie. Mi sento meglio, ora.»
  Il giovane mascherato le sorrise di rimando, felice di essere parte della ragione per cui la ragazza si era nuovamente aperta in un sorriso bellissimo.
  Seguì un breve silenzio, che entrambi si concessero per ammirare le bellezze della città che aveva dato loro i natali: quella sera, come tutte le sere, Parigi si vestiva di una molteplicità di luci tutte diverse tra loro per colore e intensità. Era un panorama mozzafiato, che scavava nelle loro carni fino a raggiungere i loro cuori, dove vi si depositava donando candore.
  Poi Marinette credette di avere un’idea. «C’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi?»
  Chat Noir le lanciò un’occhiata perplessa. «Non serve.»
  «Io però voglio farlo» insisté. «Qualsiasi cosa.» Il suo sguardo era sicuro, determinato a non accettare un no come risposta.
  Per qualche strana ragione – forse era ancora in parte provata dall’incidente del primo giorno –, Marinette si dimostrava sempre piuttosto chiusa quando Adrien era nei paraggi. Con Chat Noir, invece, la ragazza assumeva un atteggiamento più aperto e determinato, che la rendeva quasi irriconoscibile dalla Marinette a cui Adrien era abituato nei loro tête-à-tête – anche se, in verità, bastava vederla interagire con altri compagni di classe per rendersi conto della sua vera natura. Data la sua testardaggine, quindi, Chat Noir pensò che non fosse il caso di perseverare, tanto non avrebbe mai ceduto. «Se proprio insisti accetto.»
  Marinette sorrise contenta. «Che cosa posso fare per te, allora?»
  Chat Noir iniziò a pensare, poggiando con teatralità il mento sull’unghia affilata dell’indice destro. Doveva considerare per bene tutte le opzioni che aveva a sua disposizione, perché quella, del resto, poteva essere la sua unica possibilità di chiedere un favore a cui la ragazza era obbligata a rispondere di sì. Poi l’illuminazione arrivò.
  Assottigliando gli occhi fino a ridurli a due fessure, Chat Noir le lanciò un’occhiata furba. «Sai, si dice in giro che i tuoi genitori gestiscano la miglior pasticceria della città.»

  Fu così che, a seguito di un favore ricambiato, Marinette imparò che i gatti – o meglio, un gatto – andavano matti per i dolci. Nel caso di Chat Noir, poi, si trattava di ogni singola tipologia di dolci. Torta di mele? Buona. Bignè? Buonissimi. Macaron? Ottimi. Croissant? Jackpot!
  Quella sera di qualche giorno prima in cui si erano ritrovati sulla cima della torre Eiffel, Chat Noir le aveva rivelato che sembravano essere passati anni – due mesi, parlando da un punto di vista letterale – da quando non metteva sotto i denti qualcosa di dolce, e ora avrebbe ucciso per un po’ di croissant, i suoi dolci preferiti. Marinette, dunque, aveva accettato di buon grado di fargli assaggiare quelli che preparava suo padre – buonissimi, a detta sua.
  Da quel giorno, la sua abitazione sembrava essere diventata la seconda dimora di Chat Noir. Non era corretto, secondo Marinette, dire che a Chat Noir piacessero i dolci: lui amava i dolci. La ragazza era piuttosto certa che, se avesse potutone, Chat Noir ne avrebbe sposato uno, che poi avrebbe mangiato – tecnicamente parlando, quello era classificabile come omicidio in nome del suo amore per i dolci?
  «Non direi. I croissant sono inanimati.»
  «E tu sposeresti cose inanimate?»
  «Sono croissant!»

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Capitolo 5
*** L’amore platonico di un gatto per i dolci: effetti collaterali ***


#05. «Ti avverto…»

L’amore platonico di un gatto per i dolci: effetti collaterali


 «Organizzi una festa?»
  Marinette trasalì, irrigidendosi e lasciando cadere a terra lo scatolone che stringeva tra le mani. Poi si voltò per vedere chi fosse il possessore di quella voce. «Chat Noir, sei tu…» disse sospirando. «Mi hai fatto prendere un colpo.»
  «Ah, scusa.»
  Marinette s’inginocchio a terra nell’intento di recuperare ciò che poco prima le era scivolato via dalle mani, Chat Noir che subito l’aiutava. «Che cosa ci fai qui, comunque?»
  «Passavo da queste parti e ti ho visto maneggiare queste cose di fronte all’entrata del negozio dei tuoi. Organizzi una festa, ho ragione?» chiese, avendo adocchiato, tra la roba che Marinette aveva lasciato cadere a terra, una serie di indizi che suggerivano proprio quell’opzione.
  «Sì» confermò infatti Marinette. «È il compleanno di mia madre e io e mio padre vogliamo organizzarle una festa a sorpresa. Mio padre l’ha portata fuori per pranzo, perciò non se l’aspetta.»
  Chat Noir sorrise, aiutandola intanto a riporre nello scatolone le ultime cose che Marinette aveva fatto rovesciare. «È un bel pensiero.»
  Marinette, tuttavia, era in ritardo sulla linea di marcia: i suoi genitori e gli invitati sarebbero arrivati a breve, e c’erano ancora da sistemare le decorazioni e le cibarie. «Chat Noir, hai da fare?»

  Per una buona mezz’ora, Chat Noir s’improvvisò assistente personale di Marinette: l’aiutò a sistemare le decorazioni, ad aggiungere gli ultimi ritocchi alla torta che Tom Dupain aveva magistralmente preparato per sua moglie e infine a disporre al meglio sui tavoli i vari spuntini che erano nel menù della festa. Tuttavia, arrivato il turno di croissant di vari gusti – cioccolato, marmellata, crema e qualche altra tipologia che Adrien avrebbe rincontrato nei suoi sogni più beati –, Marinette realizzò di avere un problema. Un grande problema.
  «Che dici, posso prenderne uno?»
  La ragazza sospirò: non serviva che lo chiedesse, ma lo faceva per divertirsi, perché sapeva che non avrebbe potuto dire di no. Era stata lei, dopotutto, a volersi sdebitare per tutte le volte che l’eroe parigino l’aveva tratta in salvo da un akumizzato di Papillon, quindi come rifiutare, se aveva fatto una promessa? «Va bene» acconsentì con poco entusiasmo. «Ma ti avverto: ce ne sono in tutto trentacinque, non prenderne più di tre! Io devo andare un attimo di sopra, mi fido.»
  «Tranquilla, si può fare completo affidamento su Chat Noir!»

  Non si poteva fare il minimo affidamento su Chat Noir. Questo pensava Marinette mentre, dopo essere tornata al piano di sotto, era intenta a contare i croissant superstiti a seguito del passaggio di Chat Noir. Su trentacinque, il ragazzo ne aveva mangiati dodici. Che cos’aveva al posto dello stomaco, un aspirapolvere? Un buco nero? La borsa di Mary Poppins? Non lo sapeva, ma forse avrebbe dovuto indagare a fondo sulle vere origini di quel gatto dallo stomaco di un elefante.
  Sospirando, Marinette prese il biglietto che Chat Noir le aveva lasciato sul tavolo e ne lesse il contenuto.

Il dovere chiama, principessa! (Falso: non aveva niente da fare.)
Mi dispiace per i croissant. All’inizio ne ho mangiati solo due (sempre falso), ma poi ho continuato a mettere a punto i preparativi per la festa (ancora più falso) e mi è venuta fame.
Ma mi farò purrdonare presto, lo prometto!

  Marinette roteò gli occhi, non trattenendo però un sorriso al gioco di parole di Chat Noir. Un fatto curioso della sua doppia identità era che, sotto certi aspetti, aveva imparato a conoscere meglio quel giovane nei panni di Marinette di quanto avesse mai fatto nei panni di Ladybug. Certo le due cose erano strettamente collegate. Se non fosse stata Ladybug, infatti, Marinette non si sarebbe mai fidata di Chat Noir fin dal loro primo incontro, anzi, forse non l’avrebbe nemmeno mai fatto avvicinare. Se non fosse stata Marinette, invece, Ladybug non avrebbe ancora pienamente compreso tutte le sfaccettature della personalità di Chat Noir.

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Capitolo 6
*** Fraintendimenti ***


#06. «Mi hai tratto in salvo da un'akuma portandomi in braccio come se fossi tua sposa e adesso tutta Parigi ci shippa.»


Fraintendimenti


 Adrien viene da te tra un’ora. Non c’è di che.
  Nel leggere quel messaggio, Marinette s’illuminò in un sorriso radioso: se si trattava di lei e Adrien, era piuttosto certa che Alya fosse la loro fan numero uno – nonché, questo era certo, la sua più grande salvatrice.
  In un lavoro di gruppo a sorteggio organizzato dalla professoressa Bustier, Marinette era capitata assieme a Nino, e Adrien assieme a Kim. Alya, a cui era capitato Max, aveva proposto a Kim di fare cambio, poiché tra lei, Adrien e Max, l’intesa più forte era indubbiamente con quest’ultimo – il che era però solo una scusa. Una volta ottenuto Adrien, quindi, Alya gli aveva rivelato che le sarebbe piaciuto poter far coppia con Nino così che potessero passare un po’ più di tempo insieme – un’altra scusa. Adrien, di fronte a quella richiesta, aveva accettato senza il benché minimo problema, non disdegnando affatto l’idea di lavorare a un progetto scolastico in compagnia di Marinette.
  La giovane era contentissima. Sapeva che non sarebbe successo niente che potesse far evolvere il loro rapporto da una semplice amicizia a qualcosa di più, tuttavia ogni passo che compievano in quella direzione, per quanto piccolo potesse essere, era comunque un traguardo, per lei.
  C’era quindi qualcosa che poteva andare storto?
  Assolutamente sì.
  Poiché aveva ancora tempo prima dell’arrivo di Adrien, Marinette decise di concedersi un po’ di tempo per sé mentre giaceva comodamente a letto. Poi, all’improvviso, ricevette un messaggio che la fece rizzare in piedi come una molla, rischiando anche di sbattere con la testa contro il soffitto di camera sua: secondo le parole che le aveva appena scritto Alya, in giro per i social si era sparsa la notizia che lei e Chat Noir fossero una coppia.
  Marinette, allarmata, volle subito accertarsi se fosse vero o meno: a quanto pareva, si spettegolava che lei e Chat Noir si frequentassero da quando qualcuno aveva scattato loro alcune foto mentre Chat Noir la portava in salvo da un akumizzato. In braccio. Come fosse sua sposa, a detta di molti.
  In quel momento, Marinette desiderò poter sparire.
  A distrarla dai suoi pensieri fu l’improvviso bussare che sentì provenire dalla botola che da camera sua conduceva al balcone. Ipotizzando già chi potesse essere, Marinette l’aprì. Subito la figura nera di Chat Noir entrò trafelata all’interno della stanza, senza troppe remore, siccome, a onor del vero, non era la prima volta che ciò succedeva.
  «Dunque, domanda veloce» iniziò quello, Marinette che intanto scendeva le scalette e lo raggiungeva a terra.
  «Ho letto il pettegolezzo che gira su di noi?» lo intercettò.
  «Immagino che la risposta sia sì.»
  Marinette si lasciò cadere sulla sedia girevole con uno sbuffo, lanciando uno sguardo sconsolato allo schermo del cellulare.
  «Mi dispiace davvero tanto» disse Chat Noir, sinceramente mortificato per il malinteso. «Non volevo che accadesse niente di tutto ciò.»
  Adrien sapeva bene che cosa volesse dire essere protagonista dei pettegolezzi che i mass-media divulgavano sul suo conto, e ormai, nonostante continuassero a dargli fastidio, ci aveva fatto l’abitudine. Come Chat Noir, poi, neanche gli importava così tanto, perché la maschera che indossava proteggeva la sua vera identità. Qualsiasi falsità diffusasi in giro sulla sua vita amorosa, tutto ciò che gli importava era che cosa ne pensasse la sua collega: Ladybug era intelligente, anche lei era al centro di pettegolezzi assolutamente infondati, dunque non ci avrebbe mai dato peso – non che potesse darle troppo fastidio, comunque, perché Chat Noir sapeva di non essere ricambiato.
  Marinette, invece? Era una comune cittadina, che non amava far parlare di sé per il semplice vanto di essere al centro dell’attenzione; Chat Noir, poi, sapeva che la giovane aveva una cotta per un ragazzo, e quel pettegolezzo che ora girava su di loro non avrebbe di certo giovato alla sua causa.
  «Lo so che non è colpa tua» ribatté lei. «Anche se, effettivamente, avresti potuto evitare di trarmi in salvo come fossi tua sposa.»
  «Che cosa?» Marinette gli mostrò lo schermo del suo cellulare. «Oh.»
  «Già.»
  «È… è del tutto decontestualizzata!» esclamò, pur non stupendosi affatto che ciò non avesse dissuaso le persone dallo spettegolare.
  «È orribile che pur non conoscendomi, la gente possa pensare di saperne più di me sulla mia stessa vita sentimentale.»
  Adrien conosceva quella sensazione: essere trattato come un oggetto su cui spettegolare per proprio divertimento, senza tener conto di star procurando un torto alla persona in questione. Disdegnava l’idea che Marinette, un’amica a cui teneva tantissimo, dovesse vivere quell’esperienza. Che dovunque andasse corresse il rischio di essere additata come “la ragazza di Chat Noir”, quando tutto ciò che aveva fatto lui era averla tratta in salvo da un akumizzato di Papillon.
  «Marinette?»
  La ragazza si voltò nella sua direzione. «Cosa?»
  «Non ti preoccupare: sistemo tutto io.»
Come?, avrebbe voluto chiedergli, ma non fece nemmeno in tempo a schiudere le labbra che Chat Noir era già schizzato via.

***

 «Il tasso di criminalità è diminuito parecchio da quando ci siamo noi due a difendere la città.»
  «Con due supereroi in circolazione ci pensi due volte prima di sfidare la legge.»
  «Peccato che non tutti siano dello stesso parere.»
  Ladybug e Chat Noir, appostati sulla cima di un edificio, stavano osservando la polizia locale portare in custodia i ladri di cui avevano appena sventato un tentativo di rapina.
  «Non rischiamo di ritrasformarci da un momento all’altro come nostro solito, ma devo comunque andare» disse a un certo punto Ladybug.
  Poco dopo la visita di Chat Noir a casa sua era stato lanciata al telegiornale la notizia di una rapina in corso, e Marinette era subito ricorsa alla sua trasformazione per recarsi sul posto e sventare i piani dei criminali. Ora, però, erano i suoi impegni civili a chiamarla: Adrien sarebbe arrivato da lei da un momento all’altro.
  «Solo un attimo, Ladybug. Avrei da chiederti un favore.»
  La voce e l’espressione di Chat Noir erano gravi, e Ladybug si preoccupò. «Qualcosa non va?»
  «Ti ricordi di Marinette, quella ragazza che ho tratto in salvo un paio di volte dalle akuma di Papillon?»
  «Sì» confermò. «Perché me lo chiedi?»
  «L’ultima volta, quindi ieri, ci hanno scattato alcune foto che, senza contesto, sono equivoche. In poche parole, la gente ora pensa che stiamo insieme. A me non dà tanto fastidio, la gente neanche sa chi ci sia sotto la maschera… però detesto l’idea che Marinette sia al centro di pettegolezzi del tutto infondati.» Ladybug sorrise d’istinto, sinceramente intenerita dalla sua preoccupazione per lei nei panni di Marinette, che per Chat Noir non era che una conoscente. «Io vorrei davvero aiutarla,» continuò il collega, «ma l’unica idea che mi è venuta in mente potrebbe non piacerti. Anzi, mi correggo: non ti piacerà sicuramente.»
  Qualsiasi cosa fosse, Marinette avrebbe fatto di tutto pur di far sì che i pettegolezzi su di lei e Chat Noir si zittissero una volta per tutte. «Va’ avanti» lo esortò a proseguire.
  «Credo che l’unico modo per tagliare fuori Marinette da tutto ciò sia concentrare l’attenzione della gente su di me e un’altra ragazza, ma per farlo ci vorrebbe qualcosa di grosso.»
  Ladybug assottigliò gli occhi. «Non credo di seguirti…»
  «Prima di Marinette, c’era un’altra persona con cui mi… shippavano. Tu.»
  «Oh.»
  Chat Noir sospirò rumorosamente. «In altre circostanze, sarebbe l’ultima cosa che ti chiederei di fare, ma voglio davvero aiutare Marinette. Non è giusto che la gente diffonda dicerie sul suo conto per colpa mia.»
  Ladybug gli credeva: nonostante l’amasse – l’aveva scoperto da non molto tempo, e a volte la notizia ancora la spaesava –, sapeva che Chat Noir non avrebbe mai approfittato di tutta quella situazione per trarne un beneficio personale. Poteva vedere che era sinceramente dispiaciuto per ciò che stava accadendo – senza che dovesse esserlo fino a quel punto, per di più, perché la colpa di quel pettegolezzo non era da addossare a lui.
  «Ladybug…?» la richiamò all’attenzione Chat Noir, vedendola assente da una manciata di secondi. La giovane tornò ad alzare lo sguardo su di lui, puntando i suoi occhi azzurri dritti nei suoi. «Scusami» mormorò Chat Noir. «Stavo pensando solo a come aiutare Marinette, ma mi rendo conto solo ora che tutto ciò non piacerebbe neanche a te. Non avrei dovuto chiedertelo, mi dispiace.»
  «Facciamolo.»
  Chat Noir la guardò con occhi sgranati. «Dici sul serio?»
  «Sì. Se è per preservare la privacy di Marinette, allora così sia.»
  Le voci che sarebbero girate su di lei e Chat Noir dopo la diffusione della notizia sarebbero state certamente pesanti da digerire, soprattutto all’inizio, ma, come per il suo collega, sarebbe stato comunque più semplice che farlo nei panni di Marinette, poiché nessuno sapeva chi si nascondesse dietro la maschera di Ladybug. E poi non era come se già mezza Francia non credesse ai pettegolezzi che li vedeva coinvolti in una relazione amorosa.
  «O-Ook, grandioso!»
  «Possiamo fare più tardi, però? Devo incontrarmi con un amico e non vorrei dargli buca.»
  Chat Noir, improvvisamente, si ricordò di Marinette: non di Chat Noir e Marinette, bensì di Adrien e Marinette. «Più tardi va benissimo!»
  I due si volatizzarono in due direzioni differenti, senza sapere che si sarebbero rincontrati di lì a pochissimo.

***

  «Io ne ero certa! Cioè, tecnicamente no, non potevo saperlo con certezza, ma me lo sentivo!»
  Marinette rise mentre Alya, dall’altra parte del suo telefono – erano alle prese con una videochiamata –, continuava il suo sproloquio sul “segreto” di Ladybug e Chat Noir venuto alla luce quello stesso giorno dopo una foto che li ritraeva in situazioni piuttosto intime.
  A dirla tutta, Marinette aveva pensato che diffondere quella falsità per destare l’attenzione da lei e Chat Noir – il che aveva funzionato – le avrebbe dato fastidio, poiché, nonostante il mondo ne fosse all’oscuro, lei sapeva di essere Ladybug. Ma, al di là di ogni aspettativa, era finita per prendere l’intera faccenda sul ridere. La privacy di Marinette, la sua vera identità che doveva avere a che fare con il mondo ogni singolo giorno, era al sicuro da ogni pettegolezzo, se non da quelli più innocui, già rivisti, non interessanti abbastanza da attirare di nuovo l’attenzione su di lei. Che ad essere al centro di quegli stessi pettegolezzi fosse Ladybug le dava un pochino fastidio, sì, ma perché avrebbero dovuto preoccuparla? In ogni caso, già molto prima di tutto quello, molta gente aveva avanzato ipotesi su di loro. C’era di tutto: fanpage, fanart, addirittura fanfiction… perché preoccuparsi ora? La gente avrebbe comunque continuato a parlare anche se avessero smentito per anni interi.
  Marinette, ora, era più occupata a pensare che sarebbe stata eternamente grata a Chat Noir per tutto ciò che aveva fatto per lei. Sapeva bene che al suo collega non interessava essere riuscito a strapparle un bacio, no: tutto ciò che voleva era che Marinette non fosse più al centro di un pettegolezzo meschino e infondato, e ci era riuscito.

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Capitolo 7
*** Sempre la tua Ladybug ***


#07. Marinette protegge Chat Noir


Sempre la tua Ladybug


 «È la terza volta che hai l’onore di salvare il mondo assieme a Chat Noir: eccitante, eh?»
  «Tutte le fortune a me!» esclamò Marinette, ostentandosi felice come non mai all’idea di salvare Parigi – non di certo il mondo – assieme a Chat Noir. A onor del vero, era un’attività che svolgeva quasi tutti i giorni, ma non si poteva permettere di rivelare quel dettaglio.
  «Credo che Ladybug sia impegnata, altrimenti sarebbe già qui» commentò Chat Noir, che un’altra volta aveva provato a contattare la collega tramite il suo bastone allungabile.
  «Un supereroe come te è più che sufficiente, no?» cercò di ingigantire il suo ego Marinette per amor di divertimento.
  «Sì, hai ragione» rispose quello, vaneggiandosi come durante il loro primo incontro, quando Papillon aveva trasformato Nathaniel, che all’epoca aveva una cotta per Marinette, in Dessinateur.
  A strapparli da quel momento di spensieratezza ci pensò un forte rumore, che, giungendo alle loro orecchie assieme alle urla di loro concittadini, gli fece capire che l’akumizzato non era lontano.
  «Resta qui!» Con l’ausilio del suo bastone allungabile, Chat Noir compì un lungo balzo dalla cima del palazzo su cui si erano fermati a quella di un altro, percorrendo così il tratto di strada che lo separava dal nemico.
  Non appena fu sicura che fosse lontano abbastanza, Marinette fece per trasformarsi, pianificando già che, come le precedenti volte, avrebbe detto a Chat Noir che lei, Ladybug, era giunta sul luogo dello scontro e aveva portato in salvo Marinette. Non poté tuttavia attenersi ai suoi piani, poiché, qualche istante dopo, vide Chat Noir essere scaraventato nella sua direzione. L’eroe atterrò sul tetto dell’edificio in maniera brusca, rotolando per un paio di metri prima di fermarsi.
  «Chat Noir!» esclamò Marinette, allarmata, correndogli subito in contro. «Tutto bene?»
  «Sì» rispose l’altro, che si sentiva solo un po’ frastornato. «Quella tizia però ha come arma un fono gigante, bisogna stare attenti. Ladybug potrebbe non farsi viva per un po’, quindi, finché ci sono solo io, sei sotto la mia stretta sorveglianza.»
  «Ehm, ne sei certo? Non credi sia meglio lasciarmi in un posto sicuro e affrontare l’akumizzato
  «L’affronterò mentre posso vederti.»
  «Come vuoi tu» gli concesse Marinette, non vedendo altra via di fuga. Credeva, comunque, che la lotta avrebbe distratto Chat Noir abbastanza da permetterle di uscire dal suo campo visivo e di trasformarsi poi in Ladybug quando non sarebbe più stata sotto il suo occhio vigile.
  Chat Noir la prese in braccio e la portò il più lontano possibile dall’akuma, correndo e saltando a gran velocità da un tetto all’altro. «Rimani qui» le disse quando raggiunsero la cima di un edificio da cui la figura della ragazza sarebbe stata visibile anche da lontano. «Se l’akumizzato cerca di raggiungerti scappiamo di nuovo, ok? Tu non ti preoccupare.»
  Mentre Chat Noir tornava ad occuparsi del nemico, Marinette pensò che fosse estremamente dolce, da parte sua, preoccuparsi a tal punto. Certo lei, Ladybug, non aveva bisogno di essere protetta da un akumizzato, ma questo Chat Noir non poteva saperlo: vedendola come una civile, voleva solo farle sapere che, pur essendo il bersaglio di un individuo ostile, era totalmente al sicuro, con lui.
  In quel momento, il kwami della Coccinella fece capolino dalla sua borsetta. «Marinette, dobbiamo fare qualcosa.»
  «Lo so, Tikki, ma non possiamo farci vedere da Chat Noir. E, soprattutto, non possiamo che sia Papillon, attraverso l’akumizzato, a vederci.»
  Pochi attimi dopo, Marinette vide Chat Noir avvicinarsi nuovamente a lei, prenderla in braccio e andare alla ricerca di un altro posto sicuro.
  Adrien era preoccupato: non riusciva a trattenere il nemico per più di cinque minuti, ma non poteva permettersi di dirlo a Marinette – anche se era piuttosto certo che la ragazza l’avesse già capito da sé.
  Mentre il giovane si apprestava a balzare di tetto in tetto nell’intento di allontanarsi il più possibile, un forte getto d’aria li investì in pieno, scaraventandoli diversi metri più in là: Chat Noir strinse Marinette a sé e le fece da scudo quando entrarono in collisione con le mura esterne di un edificio. L’impatto fu piuttosto violento e il giovane non riuscì a trattenere un lamento.
  «Chat Noir!» esclamò il suo nome Marinette, allarmata. Lo accolse tra le sue braccia mentre si accertava se stesse bene o meno, dovendo purtroppo constatare che era momentaneamente svenuto. La ragazza guardò in tralice la figura del nemico che si avvicinava pericolosamente a loro, giurando a se stessa che non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
  «Marinette, dobbiamo fare qualcosa!»
  Sapeva che Tikki aveva ragione, ma non poteva permettersi di trasformarsi in Ladybug di fronte all’akumizzato sapendo che, attraverso i suoi occhi, Papillon sarebbe stato in grado di vederla. Quindi ebbe un’idea.
  Sfruttando la mole del nemico, Marinette afferrò Chat Noir e deviò in un vicolo, cominciando a strisciare come un serpente tra le vie urbane di Parigi che si ramificano per chilometri e chilometri alla base di alti palazzi. L’akumizzato era robusto, dunque non poteva permettersi di seguirla; era anche forte, certo, ma non abbastanza da poter sradicare dal terreno gli edifici che le facevano da scudo.
  Momentaneamente al sicuro, Marinette s’intrufolò quindiin uno spacco tra due fabbricati – era così modesto di larghezza che poteva a malapena essere chiamato strada – e adagiò Chat Noir al terreno, ripromettendosi che sarebbe tornata da lui non appena si fosse trasformata.
  «Grazie di tutto, chaton» gli disse, offrendosi la libertà di posargli un bacio sulla guancia. Poi si allontanò di poco, la distanza necessaria che serviva ad assicurarle che il collega, sebbene fosse per lo più incosciente, non la vedesse mentre si trasformava.

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Capitolo 8
*** Al chiaro di luna ***


#08. Baci felini

Al chiaro di luna


 In quel silenzio cui entrambi s’erano prestati, Chat Noir si concesse il tempo di osservarla ancora – come se la sua vista gli fosse nuova, come se non conoscesse ogni suo singolo dettaglio: si concentrò sulle gote un po’ arrossate e sulle lentiggini che le punteggiavano, e giurò che avrebbe potuto perdersi per sempre nei suoi occhi color oceano.
 Seguì i lineamenti evidenziati dalla luce pallida della luna e scese più in basso, dove le labbra piene erano arcuate in un sorriso che esisteva solo e soltanto per lui.
 Le sorrise a sua volta, sporgendosi un po’ oltre la ringhiera su cui era rannicchiato e schiudendo le proprie labbra sulle sue.

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Capitolo 9
*** Di condizioni sfavorevoli e trovate bizzarre ***


#09. Coda-cintura


Di condizioni sfavorevoli e trovate bizzarre


 «Marinette…» Tikki si sporse un poco dalla borsetta della sua portatrice, invocando il suo nome con tono allarmato.
 «Lo so che hai recuperato energie, Tikki, ma non posso trasformarmi davanti a lui, né posso lasciarlo qui» disse la ragazza, tornando a guardare Chat Noir con espressione preoccupata. Non era del tutto certa, in realtà, che il collega sarebbe riuscito a ricordarsi ciò che aveva visto in quello stato di confusione provocatogli dall’akumizzato, tuttavia sarebbe stato troppo avventato trasformarsi in Ladybug di fronte ai suoi occhi. Senza contare, poi, che si trovavano nel bel mezzo di una piazza, dove non c’era niente a offrirle copertura. Che cosa fare, quindi, con una Rena Rouge che necessitava aiuto e uno Chat Noir più dongiovanni del solito?
 «Ti amo, Ladybug!»
 Marinette sbuffò. «Non sono Ladybug, Chat Noir.»
 «Tecnicamente sì.»
 «Tikki.»
 «Scusa.»
 «Ladybug!» Chat Noir l’abbracciò forte a sé, strofinando la nuca contro l’incavo del suo collo.
 «Sì, sì, lo so, mi ami» disse, dandogli qualche pacca sulla spalla. E mentre quello continuava a scambiare con lei effusioni di vario tipo, la ragazza pensò di avere un idea. Sospirò, riuscendo a stento a credere a quello che stava per fare. «Sappi che è solo per il tuo bene, chaton

 Pochi minuti dopo, Marinette era intenta a osservare il risultato finale dell'unica soluzione che le era venuta in mente.
 «Credi che reggerà?» domandò Tikki.
 «Sì, almeno il tempo di trovare un posto per trasformarmi, così potremo aiutare Rena Rouge. E prima sconfiggeremo l’akumizzato di Papillon, prima Chat Noir tornerà alla normalità.» Così dicendo la ragazza si allontanò dal collega e andò alla ricerca di un luogo che le offrisse un riparo da occhi indiscreti mentre si trasformava in Ladybug, lasciando suo malgrado da solo uno Chat Noir che non era in sé.
 Dopo tutti i mesi passati a salvare Parigi assieme, Marinette aveva imparato che la coda-cintura del collega poteva tornarle molto utile. Certo finora l’aveva sempre usata combinata al Lucky Charm, mai per legare Chat Noir a un palo della luce.

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Capitolo 10
*** È solo in nome della scienza ***


#10. Erba gatta

È solo in nome della scienza


 Tutto era iniziato per gioco, quando Marinette aveva cominciato a chiedersi fino a che punto la trasformazione di Chat Noir influisse sulle sue capacità. Aveva imparato, nei panni di Ladybug, che i suoi movimenti diventavano felini e i suoi sensi s’acuivano: l'olfatto era maggiormente sviluppato, era in grado di vedere al buio e i suoni giungevano alle sue orecchie amplificati. Ma soprattutto – e questa era la parte che trovava più esilarante – era in grado di fare le fusa.
  Quali altri comportamenti felini era in grado di replicare? Gli piaceva il tonno? L’attiravano i gomitoli di lana? Oppure l’erba gatta?
  Così Marinette, per puro contributo scientifico, aveva deciso che avrebbe dedicato parte del suo tempo allo studio e alla scoperta di Chat Noir.

  La sua visita più recente avvenne tre giorni dopo, quando, intrapreso un giro nei dintorni per pura noia, Chat Noir la vide seduta sul balcone di casa sua.
  La raggiunse con movimenti felini, appostandosi sul muretto alle sue spalle e rimanendo lì a guardarla per un po’ senza che lei, persa nelle sue idee che stava imprimendo sulla carta, se ne rendesse conto.
  La sua presenza fu portata all'attenzione della ragazza soltanto quando si schiarì la gola e disse: «È davvero un bel disegno.»
  Marinette trasalì, voltandosi in direzione di quella voce per vedere chi avesse parlato. Lo riconobbe subito, e l’allarmismo di poco prima scemò in un istante. Era la prima persona a cui avrebbe dovuto pensare, siccome non era certo la prima volta che le faceva visita in quel modo, ma la sorpresa aveva momentaneamente offuscato la sua capacità di giudizio.
  «Grazie» disse, ritornando con la memoria al complimento del ragazzo.
  Quello le sorrise, e con un balzo si andò a sistemare di fronte a lei. «Come mai qui?»
  «Passavo da queste parti e ho deciso di fare un salto quando ti ho vista.»
  Per Marinette era bello ricevere sue visite, perché la sua compagnia la faceva sentire felice e serena; rispetto alle altre, tuttavia, quell’occasione era speciale, perché ora i suoi studi potevano ufficialmente avere inizio.
  «Ti va di venire dentro?»
  Chat Noir annuì, seguendola a ruota nel momento in cui la ragazza aprì la botola e s’intrufolò in camera sua. Una volta all'interno della stanza, lo colpì quasi subito uno strano presentimento, come se ci fosse qualcosa di diverso che finora non aveva mai notato – qualcosa che interessava l’aria, gli odori. Chiamò all’attenzione il suo senso dell’olfatto e partì alla ricerca di ciò che stava provocando in lui quelle strane sensazioni. Poi, sulla finestra che si apriva sulla scrivania della ragazza, trovò la causa di tutto quello in una piantina dal vaso bianco.
  Cominciò ad annusarla con interesse, trovandoci in essa qualcosa che non riusciva a spiegarsi, sentendo poi il bisogno di strusciarvisi con il volto. Passò un po’ di tempo prima che, dopo averla ispezionata a fondo, capisse quale potesse essere la vera natura di quella pianta.
  «Perché hai dell’erba gatta in casa?» domandò, alzando lo sguardo su una Marinette che lo osservava con un espressione a metà tra il divertimento e la soddisfazione.

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Capitolo 11
*** Disegnando un certo gatto ***


#11. «Stai… disegnando Chat Noir?»

Disegnando un certo gatto


 Marinette era, a onor del vero, una ragazza diligente, che prendeva la scuola e lo studio molto sul serio. Ogni tanto, tuttavia, sembrava che rimanere concentrata sulla lezione richiedesse uno sforzo tale da risultarle impossibile non distrarsi. Poco prima, quindi, la ragazza aveva preso mano al blocco da disegno che portava sempre con sé, mettendosi all’opera nella realizzazione di vari sketch man mano che la sua mente creativa le suggeriva nuove idee. Era pur vero che la moda era la sua più grande passione – nonché la sua aspirazione futura –, tuttavia, quando l’ispirazione bussava alla porta, non disdegnava cimentarsi in creazioni artistiche di altro tipo – le sue doti, dopotutto, glielo permettevano, quindi perché no?
  La ragazza creò dapprima una serie di capi d’abbigliamento, ispirandosi – come sempre – a tutto ciò che la circondava, integrando ed eliminando alcune caratteristiche di questa o quell’altra cosa.
  In tutto quel processo, sperava soltanto che la professoressa Bustier non la cogliesse con le mani nel sacco – per correttezza morale, ad ogni modo, cercava comunque di prestare più attenzione possibile.
  Alya, interessata alle attività creative della compagna di banco, allungò il collo per vedere che cosa stesse ideando. Notò che, a un certo punto, la ragazza si era persa nelle sue fantasie romantiche, mettendo da parte qualsiasi cosa stesse disegnando prima e concentrandosi ora su Adrien. Alya rise sotto baffi quando la vide intenta a scarabocchiare tanti piccoli scenari amorosi tra lei e il ragazzo, in alcuni dei quali erano già una coppia sposata e con dei figli – sì, ogni tanto Marinette le faceva paura.
  Ciò che la sorprese di più, però, fu quando la sua migliore amica mise da parte Adrien per cominciare a disegnare stralci di conversazione tra lei e Chat Noir o Ladybug e Chat Noir.
  Alya inarcò un sopracciglio: da quando Marinette era una tale fan dei due supereroi parigini? E da quando, soprattutto, era una tale fan di Chat Noir? Perché di Chat Noir ce n’era tanto, nei suoi schizzi.
  Forse anche troppo.

  «Quindi preferisci Chat Noir a Ladybug?»
  «No. Non lo so. Forse sì.»
  «Pensavo fossi fan di Ladybug.»
  «Anche Chat Noir ha il suo fascino.»
  «Sì, però ti facevo più tipo da Ladybug.»
  Marinette, anche perché di parte, non aveva mai nascosto ad Alya di essere fan di Ladybug. Da quando aveva avuto la possibilità di conoscere più a fondo Chat Noir, tuttavia, qualcosa era cambiato. Nonostante si fosse fidata di lui fin da subito perché conscia della sua devozione alla loro causa di salvatori di Parigi, inizialmente Marinette non avrebbe mai detto che sotto quella maschera si nascondesse un ragazzo estremamente dolce, gentile e dall’animo buono come il pane; un ragazzo che era sempre lì per lei, poco importava che fosse Marinette o Ladybug.
  Da quando Chat Noir aveva preso a farle visita con una certa frequenza, Marinette aveva un’opinione sempre più alta del suo collega in azione. Sotto diversi aspetti, poi, le ricordava sempre di più Adrien – ed era forse per questo che le piaceva tanto.

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Capitolo 12
*** E la luna sta a guardare ***


#12. Desiderio di essere toccato/a

E la luna sta a guardare

 Immersa nel buio della notte, la luna che ogni sera si riveste d’una luce pallida è ora un riflesso negli occhi cerulei di quella ragazza il cui tocco è per lui così familiare, così rassicurante che quasi assume la forma di quello materno. Il suo però è diverso, ha qualcosa di speciale: è sì un tocco d’amore, ma quell’amore che prima o poi diventerà inevitabilmente passione.
 Il portatore della sfortuna, affamato di quel tocco, dipendente da esso, ancora una volta lo reclama: strofina piano la testa sul grembo su cui è steso, e quasi ronfa quando lei torna a spettinargli i capelli biondi carezzandogli il capo.

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Capitolo 13
*** Il mio faro nella notte ***


#13. Incubi

Il mio faro nella notte

L’asfalto è d’un grigio freddo e su di esso si concentrano tante chiazze colorate d’un rosso scarlatto. Alcune sono piccole, altre più grandi, ma non sono né la portata né il numero a contare: si trattasse anche di una soltanto, Adrien non potrebbe ignorare la sua appartenenza a una parte di un essere umano che, innocente, si è trovato a fare da comparsa in un quadro di violenza a cui non appartiene.
  Non avrebbe mai pensato di poter detestare qualcuno più di Papillon, un individuo che, sfruttando poteri in principio benevoli per meri scopi egoistici, gioca con i sentimenti delle persone, intrufolandosi nell’intimità della loro mente, un’intimità personale che ogni essere umano ha il diritto di mantenere tale. Lo scenario che si presenta ora ai suoi occhi, tuttavia, gli sbatte in faccia la triste e crudele e realtà: che un qualsiasi individuo può, se quello è il suo volere, porre fine alla vita di tanti altri come lui. Che senso ha, dunque, vivere dalla parte della luce, se la linea che la separa dall’oscurità è poco più sottile d’un filo d’erba? Perché, si domanda, un individuo trae piacere dal ferire il prossimo? A quale scopo?
  Realizza allora che la vita non sempre ce l’ha, un senso. In un certo modo l’ha sempre saputo, perché la morte di una madre non è un avvenimento razionale; doverlo realizzare di fronte a tanta ovvietà, tuttavia, è ancora più doloroso – è una consapevolezza amara che assume la forma di una lama e si fa spazio nella sua carne, giungendo fino alle porte del suo cuore, trafiggendolo infine senza alcuna remora. È una pugnalata lenta, che lo tiene in equilibrio sul bordo di un baratro senza tuttavia lasciarlo cadere: la consapevolezza che la vita umana è appesa a un filo e che quel filo può spezzarsi per via del volere d’un folle non lo abbandonerà mai più, viaggerà con lui dovunque andrà.
   Quale sarà, alla fine, la portata del lutto che Parigi dovrà piangere? Quanti bambini rimasti senza genitori? E quanti genitori rimasti senza figli?


  Scatta a sedere mentre un grido strozzato erompe dalle profondità della sua persona turbata, e si ritrova sudato a boccheggiare come fosse a corto d’ossigeno. Si calma un po’ quando riconosce la familiarità delle quattro mura che lo circondano, e d’istinto lascia andare la presa sulle lenzuola, rilassando i muscoli prima tesi come corde di violino. Il suo animo, però, è ancora in tumulto, preda dei brutti ricordi che lo tormentano anche in sogno.
  Chiama a sé la trasformazione di Plagg e, una volta entrato nei panni di Chat Noir, striscia furtivo via dalla sua abitazione, l’occhio attento a evitare con cura ciascuna delle telecamere di sorveglianza che lo scrupoloso genitore ha voluto installare lungo tutto il perimetro della villa.
  Lontano dalle mura che l’hanno sempre protetto, Chat Noir s’aggira furtivo tra le vie dell’amata città che gli ha dato i natali. Parigi ha sempre suscitato in lui sensazioni positive, deliziandolo con la sua architettura mentre un alito di vento levatosi dalla Senna gli carezzava gentilmente il viso. Ora, tuttavia, quella stessa città gli è ostile: le sue strade, i suoi palazzi, perfino i suoi architravi gli ricordano la strage che si è consumata da così troppo poco tempo perché possa smettere di rivederla ogni volta che chiude gli occhi.
  Si sente come in balia di un mare in tempesta, Adrien, e né la sua città né la sua stessa casa riescono a proiettare in lui l’immagine di uno scoglio a cui appigliarsi per non essere trascinato via. Preda di un simile tumulto, che cosa gli rimane? Che cosa deve fare per trovare un rifugio che lo faccia sentire al sicuro dall’oscurità dei suoi stessi pensieri?
  Adrien, forse, crede di saperlo. È un’idea che, se detta ad alta voce, potrebbe suonare folle, ma lo sembra un po’ di meno se rimane rinchiusa tra le pareti della sua mente, dove anzi acquista un senso tale che lo stesso Adrien se ne stupisce.
  Giunge a destinazione in breve tempo, decidendo di appostarsi sulla sommità di un edificio che si erge frontalmente rispetto a quella che è l’abitazione di Marinette.
  Perché proprio lei, Adrien non lo sa con certezza. Forse il suo subconscio gli sta dicendo che tiene a Marinette più di quanto lui stesso creda. Dopotutto, non è una delle sue amiche più fidate? Marinette è amica di Adrien, ma è anche amica di Chat Noir, e, pensa, è probabilmente questo che lo fa sentire ben voluto: è stanco che solo Adrien venga apprezzato, che Chat Noir non sia neanche visto perché non è ciò che la società vuole.
  L’oscurità fitta della notte, combattuta solo dalla luce lunare e quella più fioca che si palesa dai lampioni, sembra giungere alla sua attenzione solo ora, rimembrandogli che Marinette è ospite tra le braccia di Morfeo. Adrien pare deluso, tuttavia non lo sfiora neanche l’idea di svegliarla per una solitudine interiore che, per quanto incombente sia, riguarda solo lui e nessun altro. Vuole scacciare via quella solitudine trovando conforto nell’affetto degli altri, ma non può farlo a discapito della loro quotidianità.
  Vuole dunque scappare via, Adrien, che ora si riscopre felice di quella fitta oscurità che lo avvolge, perché essa gli offre la possibilità di fuggire via da se stesso senza che la luce palesi al mondo la sua esistenza. È buffo – forse patetico – che l’unico affetto che vorrebbe ricevere adesso riguardi l’unica persona che si sente meno in diritto di disturbare.
  Lancia un ultimo sguardo nella direzione in cui, protetta da un muro, la ragazza sta riposando, ma un muro a celarne la sua figura non c’è più. Ora Marinette si palesa dinanzi ai suoi occhi, poggiata al parapetto del balcone mentre gli sembra che osservi in basso con smarrimento, come se anche i suoi sogni fossero non più felici ma turbolenti. Decide allora di avvicinarsi a lei, perché crede che un po’ di compagnia potrebbe giovare a entrambi.
  «Non riesci a dormire?»
  Presa alla sprovvista, Marinette trasalisce appena, ma si tranquillizza non appena riconosce il possessore di quella voce. «Non proprio.» Gli sorride, in cuor suo felice di vederlo lì: è buffo, pensa, che, in quel frangente, a fargli maggiormente piacere sia la compagnia di Chat Noir piuttosto che quella di Adrien o di Alya. Perché Chat Noir, del resto, è l’unico che possa capire cosa prova, poiché anche lui l’ha vissuta in prima persona, quella strage, e ha dovuto mettere da parte il suo bisogno di correre lontano da tale orrore in nome della salvezza degli abitanti di Parigi. Se non ci fossero stati loro, quante altre perdite avrebbe subìto la città?
  «Tu nemmeno?»
  «No, e credo tu possa immaginare perché.»
  Marinette annuisce. Vorrebbe quasi sputare fuori quella verità a lungo taciuta, mettere da parte la segretezza che il loro compito richiede e chiedere a Chat Noir di mostrarle chi si nasconda sotto la maschera, così da poter trovar conforto nel volto dell’unica persona che sa possa capirla. Vorrebbe concedere a Chat Noir la stessa possibilità, perché sì, può benissimo immaginare il perché il giovane non riesca a dormire.
  «E tu, tu perché non ci riesci?» Anche Marinette, si chiede, è stata testimone della strage consumatasi da poco nel cuore della loro città?
   Lei schiude le labbra per proferire parola, avvertendo però la bocca incredibilmente secca: capisce allora che non vuole parlare, perché non c’è niente da dire che i due non sappiano già. Il suo desiderio più grande è più semplicemente quello di potersi sfogare con qualcuno che sa che capirebbe senza spiegazioni, perché il ricordo di ciò di cui è stata testimone è impresso nella sua mente con una tale nitidezza che tentare di spiegarlo fa ancora troppo male.
  «Per lo stesso motivo… più o meno.»
  Anche la sua compagna di classe, quindi, ha assistito a qualcosa a cui non avrebbe dovuto assistere? È quella sola consapevolezza a fargli male, ma, allo stesso tempo, a sollevargli un po’ l’animo, perché adesso sa che sono in due a condividere lo stesso dolore. È tuttavia una riflessione egoista, e Adrien non riesce a capacitarsi di averlo pensato. Che discorsi sono? Come si può essere felici che una persona cui si vuol bene sia in grado di capire il nostro stesso dolore perché è anche il suo, di dolore?
  «Ti va di venire con me in un posto?»
  L'altra si volta a guardarlo con curiosità, poi gli sorride. «Dove?»
  «Lo scoprirai solo se decidi di seguirmi.»
  «I miei genitori mi hanno sempre detto di non fidarsi degli sconosciuti.»
  «Ah, quindi io adesso sarei uno sconosciuto? Bel modo di ringraziarmi per averti salvato la vita più di una volta.»

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Capitolo 14
*** Di idee che vengono per nuocere ***


#14. «Te l’avevo detto che era una pessima idea.»

Di idee che vengono per nuocere


 «È una pessima idea.»
  «Secondo me potrebbe funzionare.»
  «Ti farai male.»
  «No, tranquilla.»
  Ladybug gli lanciò un’occhiata scettica, decidendo tuttavia che continuare a insistere sarebbe stato inutile. Quindi, con il tintinnio sempre più insistente dei loro miraculous a ricordargli l’imminente trasformazione, i due si separarono.

  «Sei sicuro che sia una buona idea?»
  «Sei o no la creatrice del Ladyblog
  «Sì, ma questo cosa c’entra?»
  «Tu filma e basta, okay?»
  La presenza di Chat Noir nel bel mezzo del pomeriggio, quando i giardini adiacenti alla torre Eiffel erano gremiti di parigini e di turisti, non aveva attirato molta attenzione: la città era abituata all’ammirazione dei suoi cittadini per Ladybug e Chat Noir, dunque tutti avevano pensato che si trattasse di uno dei tanti ragazzi in cosplay. Venne riconosciuto solo quando, con un’agilità che solo il vero Chat Noir poteva possedere, il giovane riuscì velocemente a risalire lungo la torre Eiffel.
  Una volta in cima, Adrien indietreggiò di diversi passo rispetto al parapetto, poi prese la rincorsa e si lanciò oltre la ringhiera, lasciandosi cadere nel vuoto. Afferrò il bastone allungabile e lo impostò sulle giuste dimensioni affinché, planando, potesse generare attrito e rallentare la sua discesa verso il suolo.

  «Ahi!»
  Marinette inarcò un sopracciglio: ah, quindi adesso si lamentava pure? Di chi era stata l’idea? Chi aveva cercato di dissuaderlo?
  «È stato un gesto molto avventato» lo ammonì. «Ti saresti potuto ferire seriamente.»
  «Sarebbe andato tutto bene se non fosse stato per quell’imprevisto. Anche Ladybug era fiduciosa.»
Ha! Come no! Si era caldamente raccomandata di non lanciarsi in imprese avventate solo per testare i limiti delle loro capacità una volta trasformati, ma Chat Noir l’aveva ascoltata? Quando mai!
  «Ahia!»
  «Oh, scusa!»  


Immaginatevi Alya che sente bussare alla finestra di camera sua, vede che si tratta di Chat Noir e, mentre lei sclera/fangirla/va fuori di testa/un po’ tutte le precedenti, lui gli chiede se sarebbe disposta a riprenderlo mentre si lancia giù dalla torre Eiffel planando con il suo bastone allungabile. Perché Adrien/Chat Noir ha un lato un po’ impulsivo a cui piace il divertimento, quindi credo che fargli mettere in atto una tale idea non sia OOC. O almeno lo spero. In ogni caso fatemi sapere le vostre riflessioni in proposito!

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Capitolo 15
*** Quando le distanze non contano ***


#15. Gesti ridicolmente romantici

Quando le distanze non contano

 «Non sai quanto vorrei essere lì» disse, Marinette che aveva appena finito di raccontare le tante piccole pazzie compiute dai suoi genitori – ossia quasi sempre suo padre – perché «la mia piccolina sta per diventare una donna!».
  Marinette non capiva perché una tale eccitazione: i diciott’anni erano il raggiungimento della maggiore età, ma le cose non sarebbe cambiate da un giorno all’altro solo per quello. Non era come se si stesse trasferendo dall’altra parte del globo. Tom però non voleva sentire ragioni, era la sua piccolina.
  «Non è colpa tua se non sei qui» gli ricordò. «È il tuo lavoro, lo capisco.»
  «Lo so, ma vorrei comunque poter essere lì a festeggiare con te e con gli altri» sbuffò. «Sicuramente mi divertirei molto di più che a stare qui a fare da portavoce per mio padre.»
  «Ci rifaremo la prossima volta.»
  Marinette era, cronologicamente parlando, la prima del loro gruppo di amici a compiere gli anni: poco dopo ci sarebbe stato Nino, poi Alya e infine Adrien. Indubbiamente sarebbe stato l’ideale avere Adrien a festeggiare lì con loro – lì con lei –, ma non poteva fargliene una colpa se lavorare come modello per la maison di suo padre ogni tanto portava a intoppi del genere.
  «Marineeeette!» sentì all’improvviso la voce del genitore giungere dal piano di sotto.
  Rise. «Questo è mio padre che vuole sapere cosa ne penso dell’idea per la torta.»
  «Sta dando di matto, eh?»
  «Sembra che ci stiamo per sposare! Voglio dire, non che io e te— Non che non mi piacerebbe, però—»
  «Ho capito che cosa intendevi» la tranquillizzò lui ridendo. «E se dobbiamo essere del tutto onesti Alya mi ha detto in confidenza di quella cosa dei tre figli.»
  Marinette arrossì, maledicendo mentalmente la lingua lunga della sua migliore amica.
  «Quindi… tre figli, eh?» la stuzzicò l’altro, un tono di voce che suggeriva che ci stava trovando gusto.
  «Se non la finisci subito te ne darò tre tutti in una volta sola e lascerò te a casa a badare a loro per tutto il tempo.»
  «Potrei sempre affidarli a Plagg.»
  «Nei tuoi sogni!»
  Oltre alla voce di Plagg, Marinette ne udì quasi subito una terza chiamare Adrien con l’appellativo di “signor Agreste”.
  Il ragazzo sbuffò. «Mi vogliono. Ci sentiamo più tardi, okay?»
  «Sì, a più tardi.»
***

  Erano da poco passate le undici quando Marinette fece ritorno in camera sua dopo una serata passata con i suoi genitori. Di fronte ai loro occhi assonnati e sonori sbadigli, la giovane aveva osservato che non serviva che restassero svegli fino alla mezzanotte se il giorno dopo li aspettava un risveglio alla prima luce del mattino. Gli auguri glieli avrebbero dati poche ore più tardi, non serviva rimanere in piedi per farlo non appena scattata la mezzanotte.
  Tuttavia i piani di Marinette erano diversi: lei che era ancora giovane e piena di vita avrebbe aspettato, conscia anche del fatto che avrebbe ricevuto una chiamata da parte di Alya non appena le lancette dei secondi avessero superato il 12.
  Qualcos’altro, però, avvenne.
  A pochi minuti dalla fatidica ora, Marinette udì qualcuno picchiettare contro la botola del suo balcone. L’unico che negli anni gli avesse mai fatto visita in quel modo era Chat Noir, perché non era uso comune entrare in casa d’altri passando per il balcone, ma Marinette sapeva che non poteva essere lui.
  Curiosa, la ragazza risalì lungo le scalette che conducevano al suo letto e una volta qui aprì la botola, facendo capolino con la testa per vedere chi ci fosse.
  «Non si apre la porta agli sconosciuti, non te l’hanno insegnato?»
  Quella voce parlò alle sue spalle, una voce talmente familiare che non poté non riconoscerla non appena giunse alle sue orecchie. Sgusciò via da camera sua, la botola che si richiuse dietro di lei, e si volse nella sua direzione, incontrando il suo volto con un sorriso che esprimeva tutta la gioia che provava nel sapere che lui era lì.
  Con movimenti felini Chat Noir scese dal muretto su cui era rannicchiato e la raggiunse in uno schiocco di dita, stringendola a sé quando lei l’abbracciò. «Sorpresa» mormorò contro la sua nuca.
  Marinette si allontanò un po’ da lui solo per poterlo guardare negli occhi. «Che cosa ci fai qui?»
  «Potrei averti mentito giusto un po’ quando ho detto che non mi sarei liberato fino a dopodomani. In realtà il servizio fotografico finiva oggi.
  Lei s’aprì in un sorriso ancora più luminoso. Con Adrien andava a finire sempre così: era talmente tanto gentile e premuroso e dolce che ogni sua azione compiuta o parola detta per farle capire che l’amava erano così dolci che rendevano dolce anche lei, come se avesse appena ingurgitato la caramella con il più alto contenuto di zuccheri dell’intero pianeta. Adrien era dolce, dolcissimo, più dolce dei croissant che tanto amava.
  «I tuoi genitori ti aspettano di sotto?»
  «No, stanno dormendo.»
  «Bene, allora ti porto in un posto speciale.»
  Lo guardò perplessa. «Dove?»
  «E rovinare la sorpresa?»
  Marinette non replicò. Lasciò che Chat Noir la sollevasse da terra mentre lei rinforzava la presa delle sue braccia attorno al suo collo, lasciando che il giovane la conducesse verso la sorpresa di cui aveva parlato.
  «Chiudi gli occhi» si raccomandò l’altro. «E non sbirciare.»
  Sorrise. «Non lo farò.»
  Così, abbandonata tra le braccia del ragazzo, Marinette l’avvertì balzare via dalla superficie del suo balcone e atterrare sulla cima di un altro palazzo, continuando a spostarsi in quel modo finché non furono fermi e lei non capì che erano arrivati a destinazione.
  «Ora posso aprire gli occhi?» domandò, impaziente di posare la vista sulla sorpresa che l’aspettava.
  «Sì» acconsentì l’altro nel frattempo che l’adagiava al terreno.
  Marinette poté finalmente tornare a vedere, schiudendo le palpebre su ciò che si rivelò essere una barca ancorata a una sponda della Senna. Era di piccole dimensioni ma estremamente romantica, perché lungo tutto il suo perimetro correvano tante piccole candele che Adrien si era curato di posizionare poco prima, assieme anche a un tavolo apparecchiato con tutto l’occorrente per una cena per due.
  «Lo so che non è proprio l’ora adatta per una cena, però…»  Non ebbe mai l’occasione di finire quella frase, perché Marinette si abbandonò ancora una volta contro di lui e lo strinse forte a sé, mormorando un «Grazie» seguito da «È il regalo più bello che abbia mai ricevuto».
  Chat Noir le sorrise, abbracciandola a sua volta.
  In tutta la sua lunghezza, la Senna ospitava la barca nel punto in cui il museo d’Orsay si affacciava sul fiume principale della sua città. Adrien gli lanciò un’occhiata, osservando, sul lato nord della facciata, uno dei due grandi orologi che erano parte dell’architettura del monumento.
  «Marinette, guarda» disse, mostrando con una mano quello posto a sinistra.
  L’altra seguì il punto indicatole, posando lo sguardo sull’orologio e leggendone l’ora che aveva da poco sorpassato la mezzanotte.
  «Benvenuta ufficialmente nel mondo degli adulti» disse piano Adrien.
  Lei tornò a guardarlo dritto negli occhi. «Non dovrebbe essere un adulto a dirlo?»

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Capitolo 16
*** Persi in noi stessi ***


#16. Coccole, carezze, strofinamenti

Persi in noi stessi

 La schiena della ragazza adagiata contro il muro, che, benché freddo al tatto, le offre una comoda posizione, e lui che sicuramente non ha di che lamentarsi, con il corpo rannicchiato di fianco a quello di Marinette e la nuca pigramente abbandonata sul suo busto – se mai gli chiedessero che forma abbia per lui il paradiso, Chat Noir potrebbe rispondere descrivendo quello scenario. Un mondo in cui coesistono fatti e persone i cui destini si intrecciano tra loro in modo imprevedibile, un mondo che però a loro non interessa, perché il loro, di mondo, si concretizza nella sola esistenza dell’altro – nel suo volto, nella sua voce, nel suo tocco. Potrebbero passare l’eternità in quello stato e neanche se ne renderebbero conto.
 Ciò che Marinette ama di più di Adrien nella sua metamorfosi in Chat Noir è il desiderio di essere toccato, di essere accarezzato con gentilezza nei punti che più preferisce, come se l’influenza di Plagg generasse in lui la comparsa un vero e proprio istinto felino – e forse è davvero così, non lo sa con certezza. Sa solo che le piace quanto piace a lui, che la rilassa quanto rilassa lui.
 È rasserenante far correre le dita lungo le sue ciocche bionde ed esaminarne la morbidezza, come fossero le piume di un cuscino vergine di fabbricazione. Di tanto in tanto, poi, l’altro strofina la nuca contro di lei in un invito a silenzioso a proseguire, e ogni volta lei trova quel gesto talmente invitante che non può fare a meno di obbedire.

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Capitolo 17
*** Sul filo del rasoio ***


#17. Battito cardiaco


Sul filo del rasoio


 I suoni le arrivano ovattati. La vista pare sfocata, in bianco e nero. Tutto rallenta. Tutto tace.
 Chat Noir entra in contatto col terreno con una caduta violenta: la sua figura nera piove dal cielo all’improvviso, palesandosi ai suoi occhi atterriti come un fulmine a ciel sereno. La pioggia, intanto, è fitta, malinconica: lo scenario ideale per una tragedia.
 Marinette urla il suo nome a gran voce, le lacrime che si confondono tra i fili argentati che cadono su di loro. Tremante, gli si avvicina e si inginocchia di fianco a lui: la paura che non sia più lì incombe su di lei come un’ombra.
 Poi lo sente.
 È il suo battito.
Respira.

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Capitolo 18
*** Uno strano fastidio ***


#18. Guardia del corpo


Uno strano fastidio


 La prima volta che li aveva visti era successo a scuola.
 Come tutte le mattine stava risalendo su per le scale dell’istituto, quando a un certo punto, tra gli studenti lì radunati, aveva adocchiato Marinette intenta a parlare con un ragazzo. Era più alto di lei, forse anche un po’ di più di quanto non lo fosse diventato lui negli ultimi mesi, e, benché non lo conoscesse, Adrien aveva dato per scontato che frequentasse la loro stessa scuola. Nessuna di queste due cose, tuttavia, gli aveva dato fastidio. No, ad avergli dato fastidio era semplicemente il fatto che parlassero: non si era mai ritenuto una persona gelosa o possessiva, e infatti non lo era, ma c’era un certo qualcosa nel modo in cui quel ragazzo parlava a Marinette che non gli andava a genio.
 Erano i suoi occhi a tirargli un tiro mancino o ci stava definitivamente provando?
 Era un pensiero che non era riuscito a togliersi dalla testa per tutta la durata della mattinata scolastica. Aveva provato a concentrarsi sulla lezione, o ad ascoltare le parole del suo compagno di banco, ma sembrava che la sua mente amasse focalizzarsi sull’idea di Marinette intenta a scambiare due chiacchiere con un ragazzo in quel modo. Perché sì, c’era qualcosa di diverso nel modo in cui quei due parlavano rispetto a come Marinette parlava con lui o con altri compagni di classe. Quasi come se fosse interessata a lui. E, senza capirne il perché, era questo a dargli fastidio.
 
***
 
 Chat Noir atterrò sul balcone con un equilibrio perfetto, Marinette che ancora era stretta tra le sue braccia e teneva le proprie allacciate attorno al suo collo. Il giovane la lasciò andare e chiese: «Idee sul perché l’akumizzato ce l’abbia con te?»
Marinette sospirò. «Temo che abbia a che fare con un ragazzo della mia scuola.»
 Quella rivelazione attirò ancora di più l’attenzione di Chat Noir, e fu fortunato che l’altra fosse talmente persa nei suoi pensieri da non rendersene conto. «Perché lo pensi?»
 «Stamattina mi ha chiesto di uscire, ma io ho rifiutato.»
 Adrien sapeva bene che quello non era il momento adatto, ma una parte di lui non poté fare a meno di provarne sollievo. Di nuovo, il ragazzo si trovò confuso sulla natura di quei sentimenti: non sapeva cosa fossero o da dove provenissero, solo che l’idea di Marinette romanticamente interessata a un altro ragazzo gli dava un po’ fastidio. 
 «E come mai hai rifiutato? È… per via di quel ragazzo che ti piace?» domandò con discrezione, ricordando una sua precedente confidenza.
 Marinette arrossì un po’ e annuì senza aggiungere altro.
Adrien si ritrovò a pensare che sì, era pur vero che sapeva da un po’ che già un ragazzo aveva rubato il cuore dell’amica, ma finora era stato diverso, perché quella persona per lui non aveva mai avuto né un volto né un nome, era come se non esistesse. E sapeva anche che Marinette non era ricambiata – il che, chiaramente, non era qualcosa di cui gioirsi, ma probabilmente l’aveva aiutato a non dar peso alla cosa.
 «Michel» questo il suo nome, immaginò Adrien «è carino, e simpatico, e gentile… ma non è A—»   
 Qualsiasi nome la ragazza stesse per pronunciare le morì in gola, perché in quello stesso istante Chat Noir vide avvicinarsi a loro una figura dalle dimensioni considerevoli che subito riconobbe come l’akumizzato da cui l’aveva tratta in salvo poco prima. Realizzando di essersi un attimo dimenticato della sua esistenza, il giovane sollevò Marinette da terra e la trasse in salvo.
Vagò nei dintorni finché non fu sicuro che l’akumizzato non fosse abbastanza lontano dall’abitazione della ragazza, poi la ricondusse lì per assicurarsi che si trovasse in un ambiente sicuro. «Resta qui» le disse. «Ci penso io a proteggerti da quello lì, va bene?»
 Marinette gli sorrise e annuì, rimanendo lì a guardarlo dirigersi in direzione del nemico con movimenti ampi e fluidi.
Prima di trasformarsi in Ladybug, la ragazza si concesse un istante di tempo per pensare alla sua immensa sfortuna in questioni di cuore: Chat Noir era un giovane tanto gentile e premuroso e l’amava, ma lei non ricambiava. Aveva una buona opinione anche di Nathanaël e Michel, che entrambi si erano interessati a lei, ma anche in questo caso li aveva rifiutati – e, piccoli effetti collaterali, Papillon li aveva akumizzati.
 La verità era che per lei esisteva solo Adrien, ma lui probabilmente non avrebbe mai smesso di vederla come una semplice amica.

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Capitolo 19
*** Festa di Halloween ***


#19. «Ho creato per te una maschera da indossare all'infuori del costume.»


Festa di Halloween


 Sì, pensò Marinette, le visite di Chat Noir erano una recente novità che aveva accolto con piacere. Certo non le capitava di riceverne una ogni settimana, né tantomeno una ogni giorno, ma erano visite con una cadenza regolare che le permettevano, quando non indossava la maschera, di vederlo molto di più di quanto non succedesse prima. E, doveva ammetterlo, tutto ciò le faceva piacere. Chat Noir era di bella compagnia, una compagnia di cui raramente aveva l’onore di godere durante il loro servizio alla giustizia, perché, anche dopo aver debellato la minaccia di Papillon, era l’imminente trasformazione a chiamarli all’attenzione. Così, invece, avevano a disposizione tutto il tempo del mondo.
 L’ultima sua visita risaliva a poco più di una settimana prima. Stando a quanto le aveva detto, Chat Noir si era ritrovato a bussare alla sua finestra perché, annoiato, aveva deciso di richiamare a sé i poteri del suo kwami per tenersi impegnato in un semplice giro di piacere, durante il quale si era ritrovato a passare di fronte alla sua abitazione. Marinette non sapeva se stesse dicendo il vero o se invece si fosse trovato lì da lei di proposito, ma in ogni caso anche la seconda opzione non la disturbava affatto, anzi.
 Ad ogni modo, Chat Noir l’aveva colta in un momento in cui si stava dedicando alla realizzazione di un capo che la piccola Manon le aveva domandato di cucire per lei – o, per dire la verità, che la piccola Manon l’aveva costretta a cucire per lei mettendo in mostra quelli che Marinette definiva «occhi da cucciolo». Quindi, dopo avergli rivelato che era stata minacciata da una bambina alta la metà di loro («Ridi pure, ma sa essere molto più convincente di quanto tu possa credere!»), Chat Noir era stato informato che si trattava di un costume da Ladybug di cui Manon aveva bisogno per una festa di Halloween organizzata nel loro quartiere.
 «E tu ci andrai?»
 «Sì,» aveva confermato, «sarà divertente.»
 «E da cosa ti vestirai?»
 «Ladybug» aveva rivelato, lanciandogli un’occhiata per vedere come avrebbe reagito. 
 A quel punto Chat Noir aveva ricambiato lo sguardo con un sorriso furbo a velargli le labbra e aveva ribattuto: «C’è la possibilità che ci vedremo lì, allora.»
 «Verrai anche tu?»
 «Sicuro!»
 «Quindi vivi in questo quartiere?»
 «Ti piacerebbe saperlo, eh?» Non solo viveva in quel quartiere, ma non c’era neanche tanta distanza tra la sua abitazione e quella di Marinette; questo, però, la ragazza non poteva saperlo, e non c’era di certo niente che vietasse a Chat Noir di partecipare alla festa anche se fosse stato residente in un altro quartiere.
 «E che cosa indosserai?»
 «Ancora non lo so.»
 Ed era stato a quel punto che Marinette aveva avuto un’idea: far indossare a Chat Noir un costume da Chat Noir – sì, non serviva avere una grande fantasia per pensarlo, ma comunque.
 La prima volta, quando le aveva parlato del suo travestimento da Ladybug, Tikki si era detta preoccupata all’idea che qualcuno potesse riconoscerla, ma Marinette l’aveva rassicurata facendole presente che ci sarebbero state tante altre persone con lo stesso costume, sarebbe stato impossibile per qualcuno capire che era lei la sola ed unica. Lo stesso sarebbe successo per Chat Noir, motivo per cui questa volta Tikki non aveva protestato.
 Da circa una settimana, quindi, Marinette aveva preso a lavorare alla realizzazione di un costume da Chat Noir per Chat Noir. L’aveva ultimato da un solo giorno, e già non vedeva l’ora che l’altro si presentasse da lei per mostrargli il risultato finale.
 Non dovette attendere ancora a lungo, perché quello stesso pomeriggio Chat Noir era di nuovo lì a bussare alla sua botola.
«Posso entrare?» domandò quello quando Marinette andò ad aprire.
 «Sì, vieni pure» acconsentì, scendendo di nuovo le scalette e tornando a posare i piedi sul pavimento mentre Chat Noir la seguiva. Si avvicinò alla scrivania e prese qualcosa che gli mostrò dicendo: «Guarda un po’ qui!»
 Chat Noir sorrise di gioia, guardando il costume con stupore mentre lo prendeva dalle mani di Marinette e lo ispezionava tra le proprie. «È…»
 «… il tuo costume, sì! C’è tutto: coda, orecchie, maschera… le puoi indossare all’infuori della trasformazione ed essere comunque un fantastico Chat Noir.»
 «Wow» commentò l’altro, sinceramente colpito dalla qualità del suo lavoro. «Sai, avrei paura di farmi riconoscere, ma, come ha detto una persona che conosco, la gente è cieca.»

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Capitolo 20
*** Ciò che non fu un addio ***


#20.: «Credevo di averti perso.»
(Sequel de Sul filo del rasoio)


Ciò che non fu un addio


 Va tutto bene, cerca di ricordare a se stessa. Lui è ancora lì, non se n'è andato.
 Ogni suo tentativo di calmarsi è però vano, come un filo d’erba al vento si perde nell’aria in pochi secondi. E allora piange, Marinette, piange quelle lacrime che prima eran dolore e ora son gioia.
 L’altro alza lo sguardo su di lei, le sue lacrime che intanto si confondono alla pioggia, e le sorride. Un sorriso furbo e spavaldo, di quelli che, anche in un momento così delicato, Marinette trova in linea con la sua persona. «Credevi davvero di esserti liberata di me? Guarda che non è facile togliermi di mezzo.»
 «Come se te lo permettessi.»

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Capitolo 21
*** Marinette non è gelosa della nuova amica di Chat Noir ***


#21. Chat Noir passa una giornata con una civile


Marinette non è gelosa della nuova amica di Chat Noir



 La notizia aveva fatto la sua comparsa sui social prestissimo, diffondendosi a macchia d’olio in poche ore. Ladybug e Chat Noir, dopotutto, erano tra le figure più amate dell’intera Francia, e dunque l’opinione pubblica era pronta a dar credito alla benché minima indiscrezione pur di sollevare un nuovo caso su di loro. Che Chat Noir fosse andato in giro con quella che tutti già definivano «la sua nuova amica» non era quindi passato inosservato.
 E Marinette non era gelosa. Per niente.
 Chat Noir era collega di Ladybug e amico di Marinette, ma nel suo tempo libero poteva tenersi impegnato come meglio preferiva. Nelle sue vesti da supereroe aveva tutta la fama che un individuo potesse desiderare, e come persona, benché non conoscesse la sua vera identità, Marinette poteva supporre dal suo modo di porsi che fosse una persona ben voluta e con tanti amici.
 Anche lei aveva tanti amici che le volevano bene, una vita soddisfacente, e Chat Noir teneva molto a entrambe le sue identità, l’aveva dimostrato in molteplici occasioni. Di nuovo, quindi, non era gelosa. Anzi, era felice che, dopo che insieme l’avevano tratta in salvo dall’akumizzazione di Papillon, Chat Noir avesse avuto modo di conoscere meglio la ragazza in questione. Per quanto la riguardava poteva spendere il suo tempo con chiunque gli pareva, anche una qualsiasi civile di bell’aspetto.  

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Capitolo 22
*** Quando Plagg è adorabile e Tikki lo scarafaggio-topo più bello di sempre ***


#22. Marichat™, ossia Plagg e Marinette che interagiscono l’uno con l’altro.


Quando Plagg è adorabile e Tikki lo scarafaggio-topo più bello del mondo


 «Certo che ce ne avete messo di tempo, voi due. Ho perso il conto di quante volte ho pensato che ci foste finalmente arrivati, ormai avevo cominciato a perdere le speranze» sbuffò il kwami nero, levitando a mezz’aria tra i due giovani e guardano prima una e poi l’altro. «Adrien, il mio Camembert?»
 Il ragazzo gli lanciò un’occhiata scocciata. «Adesso?»
 «Chi ti ha portato fin qui con i suoi poteri?»
 «Ma se abitiamo dietro l’angolo!»
Marinette osservò il battibecco che ne seguì in silenzio, indecisa su quale ruolo assumere in quel bizzarro quadro.
 Dopo essere entrato trafelato dalla botola di camera sua, Adrien aveva subito sciolto la trasformazione, e il suo kwami si era per la prima volta palesato dinanzi ai suoi occhi. Il primo approccio, tuttavia, non era stato dei migliori: questi aveva infatti cominciato a sbuffare contro Adrien, rivolgendosi a un certo punto anche a lei. Adesso era tornato a sbuffare contro Adrien, lamentandosi e reclamando a gran voce il suo Camambert – era quello che mangiava?
 Tikki, che finora era rimasta in diparte, si avvicinò alla sua portatrice, fermandosi a pochi centimetri dal suo orecchio e dicendo: «Plagg non cambierà mai.»
 «Dovremmo intervenire?»
 «No, credo che se la caveranno.»
 Quando tornarono a prestare attenzione al battibecco, Marinette non era certa come fossero passati dal camembert ad Adrien che cercava di far capire a Plagg che non esistevano canzoni sul formaggio dato che «nessun essere umano è così squilibrato da scrivere una canzone sul suo amore per il formaggio, perché nessun essere umano non squilibrato ama così tanto il formaggio!».
 Tikki rise. «In realtà non è del tutto vero» osservò. «Agli inizi del IX secolo siamo stati affidati a due portatori che abitavano nella Spagna del sud, e quello di Plagg era davvero ossessionato dal formaggio.»
 Il commento era rivolto principalmente a Marinette, ma niente impedì a Plagg e Adrien di udirlo a loro volta. «Ah, Juan sì che era un buongustaio!»
 A quel punto Adrien aveva smesso di dare peso al diverbio iniziato con Plagg poiché attirato dalla figura di Tikki: per mesi si era chiesto come fosse il kwami di Ladybug, sia fisicamente sia caratterialmente, e ora aveva la possibilità di scoprirlo.  
 Marinette notò che Adrien stava osservando il kwami con un certo interesse e disse: «Si chiama Tikki.»
 L’esserino rosso viaggiò fino a raggiungere Adrien e si fermò a pochi centimetri dalla sua vista. «È un piacere poterti finalmente conoscere di persona, Adrien.»
 Al giovane bastò quello per capire che Tikki doveva essere tutto l’opposto di Plagg, ossia un kwami gentile, affabile e possibilmente senza un amore per cibi dall’odore sgradevole. «Che cosa mangia?» domandò, e nel frattempo protese un dito amichevole in direzione della diretta interessata.
 «Biscotti.»
 Come volevasi dimostrare.
 «Perché solo il mio kwami deve essere scorbutico e avere fisse strane?»
 «Scorbutico a chi?»
 Fu a quel punto che Marinette decise di seguire l’esempio di Adrien e di conoscere meglio il kwami del collega, sulla cui natura si era a lungo posta domande: a differenza sua, però, la ragazza si limitò ad osservarlo con attenzione, perché aveva l’impressione che Plagg, al contrario di Tikki, non fosse predisposto alle smancerie. Preferì dunque non concedersi troppe libertà, limitandosi a dire con un sorriso: «Io lo trovo adorabile.»
 Fu un commento che nessuno dei tre presenti si sarebbe aspettato. Plagg, tuttavia, non essendo affatto contrario alle lusinghe, accolse quel complimento con piacere. «Mi piaci, tu.»
 Tikki e Adrien si scambiarono un’occhiata.
 «La prima volta che ci siamo incontrate mi ha definito uno scarafaggio, un topo e poi uno scarafaggio-topo» disse il kwami.
 «Per me sei lo scarafaggio-topo più bello del mondo, però.»
 
 
 

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Capitolo 23
*** Gatto per un giorno ***


#23. Chat Noir nei panni di un vero gatto


Gatto per un giorno


 «Marinette!» Tikki levitò a pochi centimetri dai suoi occhi, pronunciando il suo nome con voce allarmata. 
 La giovane smise di concentrarsi su quello che stava facendo e abbassò il volume della musica, decisa a sentire che cosa il kwami avesse da dirle con tanta urgenza. Non fece tuttavia in tempo a chiedere ulteriori spiegazioni che subito l’esserino fece rotta verso lo schermo del PC della ragazza. E quando Marinette vide il servizio attualmente in onda non ebbe bisogno che Tikki le dicesse di alzare il volume, fu un gesto istintivo.
 L’eco della voce di Nadja Chamack si riversò nella stanza: con un tono di voce inquieto, la giovane giornalista stava descrivendo le scene che si susseguivano sullo schermo alle sue spalle. Con orrore, Marinette realizzò che si trattava dell’attacco dell’ultimo akumizzato di Papillon. E lei non era lì. E nemmeno Chat Noir, a quanto pareva. Parigi era in pericolo e loro due non erano ancora intervenuti? Begli eroi che erano, si disse con autocritica.
 Era sul punto di chiamare a sé i poteri di Tikki, ma qualcosa la fermò. All’improvviso, qualcuno aveva iniziato a grattare con insistenza – parecchia insistenza – contro la superficie della botola che conduceva al suo balcone. La ragazza si disse che poteva concedersi qualche secondo in più per capirne l’origine, dunque risalì lungo le scalette, si inginocchiò sul letto e aprì la botola per vedere chi vi fosse sulla cima del suo balcone.
 Prima che potesse rendersene conto un gatto nero s’intrufolò in camera sua, troppo velocemente perché potesse fare qualcosa.
«E questo adesso chi è?» si domandò, stranita dallo strano comportamento del gatto.
 «Marinette, guarda.» Tikki tornò a dirle di prestare attenzione al servizio in onda, e la giovane obbedì.
 Adesso Nadja Chamack stava parlando dei poteri di cui l’akumizzato disponeva, che gli permettevano di tramutare ogni singolo individuo nell’animale che più lo rappresentava.
 La ragazza capì che cosa ciò potesse significare e tornò a guardare il gatto nero con espressione sbalordita. «Credi che…?»
«… si tratti di Chat Noir?» l’anticipò Tikki. «Sì, è più che probabile.»
 Marinette s’inginocchiò di fronte al gatto e lo ispezionò con più attenzione, notando solo allora che l’animale aveva una campanello dorato a cingergli l’esile collo. Se aggiunto al fatto che si fosse presentato proprio da lei, aveva perfettamente senso dedurre che si trattasse del collega. Dopotutto era quello che facevano i poteri dell'akumizzato che stava attualmente minacciando Parigi, e indubbiamente ne avevano viste a bizzeffe, di cose altrettanto strane.
 «Chat Noir, sono Marinette. Riesci a capirmi?» L’animale spostò un po’ la testa di lato e la guardò con due occhi pieni di curiosità, ma non fece altro che potesse farle capire che riusciva a comprendere le sue parole. «Se riesci a capirmi graffia il pavimento tre volte.» Il gatto non lo fece, e Marinette sospirò sconsolata.
 «Forse è meglio che non sia in grado di comprendere ciò che succede intorno a lui, almeno puoi trasformarti senza correre il rischio di rivelargli la tua vera identità» le fece presente Tikki.
 «Sì, forse hai ragione tu» le concesse. «Però avrei dovuto essere lì con lui, avrei potuto evitarlo.»
 «Non è troppo tardi per entrare in azione. Sconfiggeremo l’akumizzato e riporteremo tutto alla normalità, come facciamo sempre» cercò di rincuorarla il kwami, sortendo sul suo animo gli effetti sperati.
 Marinette le sorrise con ritrovata risolutezza. «Hai ragione. Tikki, trasformami!»
 
Di quali sostanze hanno abusato le persone che hanno stilato i prompt? Di quali sostanze ho abusato io quando ho pensato: “Ma sì, partecipiamo! Sarà a divertente!”? Accidenti a loro! Accidenti a me!
Questo prompt l’ho lasciato tra gli ultimi perché quando l’ho letto per la prima volta non avevo la minima idea di cosa inventarmi. Ringrazio quindi Papillon per aver creato gli akumizzati, personcine poco carine che riescono però a tirarmi fuori dai guai. Questa volta però Marinette non c’entra niente con l’akumizzazione, quindi immagino che la colpa sia di Chloé. Dopotutto, guardando la serie abbiamo capito che se non è una allora è l’altra.
 

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Capitolo 24
*** Vorrei solo poterti amare ***


Scrivo le note prima della storia perché ho da fare un appunto.
Dunque, il prompt di oggi parlava di un Hanahaki disease!AU, una malattia che viene contratta a seguito di un rifiuto amoroso, a causa del quale nel soggetto interessato cominciano a crescere dei fiori, che vengono poi sputati/tossiti. A lungo andare, questi fiori possono bloccare la respirazione e condurre alla morte, e si può guarire in soli due modi: o venendo ricambiati dalla persona che si ama o, se ciò non è possibile, a seguito di un’operazione chirurgica, assieme alla quale però sparirebbe anche l'amore.
Ora, venendo a conoscenza di tutto ciò per la prima volta, mi sono informata meglio, e a quanto pare è un concetto molto ben visto nell’ambito dell’angst e del romanticismo. Personalmente, però, non sono d’accordo, anzi fatico a farmelo piacere. Scrivere di Marinette e/o Adrien che tossiscono fiori perché non ricambiati in amore sarebbe stato, per me, davvero difficile. D’altro canto non mi andava nemmeno l’idea di saltare un giorno o di abbandonare addirittura la challenge per via di un solo promtp, pertanto ho voluto rivisitare un po’ il concetto in chiave più realistica, come vedrete.
E niente, leggete e giudicate da voi.


Vorrei solo poterti amare


 Marinette non avrebbe mai pensato che amare avrebbe fatto così male.
 Mesi e mesi prima, il suo cuore aveva aperto – spalancato – le sue porte ad Adrien, che allora a malapena conosceva, in nome della cordialità che le aveva rivolto, una cordialità che prima era celata. Da allora, il suo cuore batteva in un modo in cui non aveva mai fatto per nessun altro prima d’ora.
 Era iniziato tutto durante i primi giorni di scuola, e all’inizio era stato davvero bello. Sentiva le farfalle nello stomaco ogni qualvolta pensasse ad Adrien – il che accadeva quasi sempre, poiché tutto, da quel giorno, sembrava ricondurre ad Adrien. Si era insinuato in lei come un chiodo fisso e da allora non la lasciava mai stare; ma quel chiodo fisso, a lungo andare, era divenuto quasi un tarlo fastidioso.
 Adrien non la amava. La vedeva come una buona amica, la stimava, la rispettava, si fidava di lei, ma non l’amava. E probabilmente non l’avrebbe mai fatto. Aveva scoperto, dichiarandosi, che Adrien pensava costantemente a un’altra, e ora quella consapevolezza la tormentava. Le sue radici erano affondate nel terreno della sofferenza, e così non faceva altro che soffrire e soffrire per un sentimento che imboccava una strada a senso unico, senza ritorno.
 Una stupida, ecco come si era sentita. Si era messa a nudo di fronte a lui, e quello, seppur con la sua solita educazione, con quella gentilezza che lo contraddistingueva da sempre, l’aveva rifiutata. Aveva riposto tutte le sue speranze in un amore che non aveva un futuro: doveva solo vivere nel presente, ma faceva male. Il suo stomaco, in cui prima svolazzavano tante allegre farfalle, era ora stretto in una morsa strettissima fatta di sentimenti ed emozioni negative.
 C’era una curiosa malattia, inventata, di cui aveva letto una volta: questa, che prendeva il nome di malattia di Hanahaki, si presentava nelle persone che, come lei, avevano ricevuto un rifiuto amoroso, e ciò provocava in loro una crescita di fiori che a lungo andare avrebbero bloccato le loro vie respiratore e li avrebbero condotti alla morte. Marinette lo trovava terribile, ora più che mai: quei fiori sarebbero cresciuti a ritmo costante e incessante, ricordando alla vittima che, benché amasse una persona con tutto il suo cuore, quella non ricambiava.
 Marinette ripensò al suo collega mascherato: era così che si sentiva, Chat Noir? Nonostante vi fosse una sofferenza di quella mole a tormentarlo, ogni giorni vestiva i panni del suo alter ego mascherato e salvava Parigi assieme a lei, la causa di tutto il suo dolore?
 Da quando capiva che cosa significasse essere rifiutati, era giunta alla conclusione che facesse male anche essere dall’altra parte. Sapeva che Chat Noir stava male, e già questo la faceva soffrire; ma sapere che stava male per colpa sua e che nonostante ciò non c’era niente che potesse fare era semplicemente devastante. Da una parte avrebbe voluto che Chat Noir la odiasse, cosicché avesse qualcuno contro cui incanalare la sua rabbia, la sua delusione, la sua frustrazione; dall’altra, però, era felice che il giovane non la incolpasse di niente, perché, dopo Adrien, era probabilmente la persona migliore che avesse mai conosciuto. Ed era anche quello a renderlo fantastico: il fatto che, nonostante tutto, fosse incapace di odiarla.
 Con Adrien, Marinette si sentiva allo stesso modo: perché odiarlo? Era il suo cuore a decidere chi dovesse amare, non la sua mente.
 E per lei era lo stesso, eppure avrebbe tanto voluto poter ricambiare anche Chat Noir, così da non doverlo più vedere soffrire, così da poter passare il resto della sua vita al fianco di un ragazzo che stimava al pari di quanto stimasse Adrien. Sarebbe stato così facile amare Chat Noir senza dover rinunciare ad Adrien.
 Era davvero così meschina?

***

 Prima di conoscere Ladybug, Adrien non si sarebbe mai aspettato di riuscire ad amare qualcuno in quel modo. Era stato come un fulmine a ciel sereno, che l’aveva colpito nel momento stesso in cui aveva realizzato quanto fosse fantastica, straordinaria e speciale la sua collega. Non sapeva nemmeno chi si celasse dietro quella maschera, eppure sapeva di amarla, ne era dannatamente certo.
 L’unico vero e incondizionato amore che avesse mai conosciuto era quello di sua madre – anche Gabriel l’amava, ma non era altrettanto bravo a dimostrarlo: quello per Ladybug, tuttavia, era qualcosa di molto diverso. Era un amore che gli faceva venir voglia di rischiare la sua vita per lei, sì, ma anche un amore che lo spingeva a desiderare il suo profumo, le sue labbra, la sua pelle. Era un amore bellissimo, che gli svuotava la mente di tutti i pensieri tranne che di uno soltanto: lei.
 Tuttavia, quando le aveva finalmente aperto le porte del suo cuore, Ladybug aveva rifiutato di entrarvi. L’aveva fatto con gentilezza, con rispetto, ma aveva comunque fatto male – malissimo. Anche ora era capace di avvertire quel rifiuto come una freccia che, scoccata dalla persona a cui più voleva bene, viaggiava a gran velocità nella sua direzione e gli trafiggeva il cuore nel modo più doloroso possibile.
 Dal giorno del rifiuto, ad Adrien capitava di sentirsi mal voluto dal suo stesso corpo. Era una finta, triste malattia, quella soprannominata di Hanahaki, a cui Adrien si sentiva ora analogo: sembrava che qualcosa simile a una sensazione spiacevole crescesse all’interno del suo stomaco, minacciando di divorarlo da un momento all’altro. Era terribile solo l’idea che l’amore, lo stesso che prima lo faceva sentire felice e leggero come una piuma, potesse rivelarsi deleterio a tal punto da mettere fine alla vita di una persona.
 Adrien un essere razionale, sapeva che si trattava solamente di una patologia inventata per chissà quale motivo; tuttavia, il concetto non si distanziava molto da quello che stava provando lui: non sarebbe morto, certo, ma la sola consapevolezza di un amore ricambiato gli faceva venir voglia di porre subito fino a quell’amore. Anche se fosse stato possibile, comunque, sapeva che non l’avrebbe mai fatto: c’era quella parte di lui che, per quanto doloro fosse, voleva continuare ad amare Ladybug, perché solo l’idea di vivere senza quel forte sentimento l’avrebbe distrutto.
 Adrien si domandava spesso se era così che si fosse sentita Marinette quando l’aveva rifiutata. Probabilmente si sentiva così anche adesso, in quello stesso istante. Non poteva saperlo, ma credeva di sì. Perché non poteva essere il solo, dei due, a essere tormentato da un amore non ricambiato? Perché doveva esserlo anche Marinette? Perché doveva esserne proprio lui la causa? Perché Marinette aveva dovuto innamorarsi e sviluppare di lui una concezione tanto rosea, quando tutti gli aggettivi che Adrien si sentiva degno di portare avevano una connotazione puramente negativa?
 Il cuore della sua amica aveva fatto sì che lei si innamorasse di lui senza tuttavia essere ricambiata, perché il suo, di cuore, apparteneva già ad un’altra. Se seguiva la ragione, quindi, Adrien sapeva di non avere colpe. I sentimenti, tuttavia, non si basano sulla logica: il solo pensiero di essere l’artefice della sofferenza dell’amica e di non poterla comunque aiutare lo distruggeva. Sentiva di non poter riuscire a rinunciare a Ladybug, eppure una parte di lui avrebbe tanto voluto dimenticarla con uno schiocco di dita, oppure poter far sì di amare sia lei che Marinette allo stesso di tempo, così da poter porre fine alla sofferenza di un’amica e persona eccezionale.
 Era davvero così meschino? Era davvero così egoista?

***

 Adrien si sentiva un mostro ogni volta che andava a trovare Marinette nei panni di Chat Noir: voleva che lei trovasse conforto nella sua compagnia, ma anche lui voleva trovare conforto nella compagnia della ragazza, e farlo quando era lui la causa del suo struggimento amoroso era orribile. Marinette soffriva per causa sua e nemmeno lo sapeva. La stava prendendo in giro. Avrebbe voluto fare un favore alla sua coscienza e mettere Marinette al corrente di tutto – vedere il disprezzo nei suoi occhi lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio con se stesso –, ma non poteva. Non poteva perché le loro identità dovevano rimanere un segreto. Ma, soprattutto, non poteva perché non era in grado di sopportare l’idea di essere odiato da Marinette. Ladybug era la ragazza che amava, ma, in qualche modo, Chat Noir avvertiva uno smodato bisogno di ricevere affetto da parte di Marinette.
 La giovane sembrava sempre contenta di vederlo, come in quell'occasione. Andò subito ad aprire la botola, regalandogli un sorriso un mentre lui entrava. «Che cosa ci fai qui?»
 «Volevo solo vedere se stessi bene.»
 Eccola lì, la solita frase cordiale che la faceva sentire ancora più sporca. Chat Noir andava da lei perché si fida, perché gli piaceva parlarle, perché voleva che lei si sentisse meglio quando sapeva che era giù di corda; eppure era inconsapevole che ogni singola parola di Marinette era una pugnalata alle spalle. Era lei Ladybug, la ragazza che gli aveva spezzato il cuore. Avrebbe tanto voluto dirgli la verità, urlargliela in faccia fino a rimanere senza voce, ma non poteva, aveva un’identità segreta da mantenere. C’era, inoltre, la paura costante che Chat Noir iniziasse ad odiarla, e lei, egoisticamente, non voleva che ciò accadesse. Voleva troppo bene a Chat Noir per rinunciare al suo affetto.
 Così, nascosti da una corazza di sorrisi e parole cortesi, quello che davano a vedere era solo una piccola, infima parte di ciò che provavano: entrambi dilaniati dal senso di colpa, dentro di loro imperversava una tempesta.

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Capitolo 25
*** Regali di compleanno ***


#25. Merce di Chat Noir


Regali di compleanno



 Marinette amava i compleanni: l’attizzava l’idea di avvicinarsi sempre di più al mondo degli adulti; le piacevano le feste, l’aria d’allegria che quelle portavano con sé, e le piacevano anche i dolci che preparava suo padre e i regali che riceveva. Quest’ultima opzione, unita alla sola esistenza di Adrien, era la ragione per cui sentiva che quell’anno il suo compleanno sarebbe stato più speciale del solito.
 Per la prima volta da quando erano diventati una coppia uno dei due avrebbe compiuto gli anni, e Marinette covava nel suo cuore la certezza che Adrien l’avrebbe reso unico e indimenticabile. E anche lei l’avrebbe fatto, una volta che fosse arrivato il suo turno. Aveva in mente così tante idee per sorprenderlo e viziarlo che non era certa di quante ne avrebbe scartate alla fine. Ma il compleanno di Adrien sarebbe caduto solo mesi dopo, dunque doveva aspettare e concentrarsi innanzitutto sul suo. Come lui l’avrebbe sorpresa non lo sapeva, ma non vedeva l’ora di scoprirlo.
 Il momento della verità non si fece attendere ancora a lungo: qualche ora più tardi, verso le prime ore del pomeriggio, Marinette udì qualcuno bussare alla botola di camera sua, e subito capì di chi si trattasse. Quando andò ad aprire, tuttavia, Chat Noir non entrò, bensì le disse di aprire una delle due grandi finestre che si trovavano in camera sua e di lasciare libera la via. La ragazza non capì la ragione di quella insolita richiesta, ma obbedì senza protestare. Pochi istanti dopo Chat Noir usò quella finestra per entrare nella stanza portando con sé un oggetto le cui dimensioni non gli avrebbero permesso di passare per la botola.
 A quel punto Marinette capì perché avesse voluto optare per la finestra, tuttavia era ancora confusa sulla natura di ciò che stringeva tra le mani. «Che cos’è quello?» domandò.
 Chat Noir sorrise e le porse l’oggetto. «Il tuo regalo.»
 L’altra gli lanciò un’occhiata scettica. «Ma il mio compleanno è solo tra una settimana.»
 «Oh, questo lo so» ribatté, «infatti questo è solo il primo di sette regali preparatori.»
 «Ora sono confusa.»
Adrien rise. «Ogni giorno della settimana riceverai da parte mia un diverso regalo a tema.»
 «Sette regali diversi?»
 «Otto con quello principale» rettificò l’altro, come se ricevere otto regali fosse la cosa più normale del mondo.
 «Ce n’è anche uno principale?»
 «Te l’ho detto che gli altri sette saranno solo preparatori.»
 Marinette non ci poteva credere: amava i regali, ma mai avrebbe pensato che ne avrebbe ricevuti addirittura otto dalla stessa persona. Era lusingata da tutto ciò, dalla dolcezza che quel pensiero portava con sé, solo la preoccupava una certa cosa.
 Tornò a guardare Chat Noir e chiese: «Non hai speso una fortuna, vero?» Si sentì in colpa a porgli una tale domanda dopo che lui si era dimostrato così attento nei suoi confronti, tuttavia non le piaceva l’idea che Adrien spendesse più di quanto avrebbe fatto un normale adolescente, in particolar modo perché sapeva che non avrebbe potuto ricambiare allo stesso modo.
 Adrien le avrebbe regalato il mondo intero, ma anche se avesse potuto non l’avrebbe mai fatto, deciso com’era a rispettare quel suo pensiero che comprendeva, rispettava e condivideva. Per cui le sorrise per l’ennesima volta e rispose: «Resterai sorpresa da quanto poco li ho pagati.»
 Ed era così: pensando ai “regali preparatori”, Adrien aveva deciso di puntare sul messaggio, non sul valore che avevano sul mercato. Sapeva che Marinette avrebbe preferito così, e lui era d’accordo.
 Sollevata, Marinette sorrise. «D’accordo,» disse, «allora apriamo questo primo regalo.»
 «Un attimo, prima il bigliettino.»
 La ragazza notò solo allora che sul retro del pacchetto vi era appiccicato un bigliettino. Lo prese tra le mani e lesse: Per farti ridere.
 Lanciò ad Adrien un’occhiata perplessa: «E questo cosa vorrebbe significare?»
 «Apri il regalo e lo scoprirai.»
 Marinette obbedì. Tolse come meglio poté lo scotch e strappò via la carta che confezionava il regalo, ritrovandosi tra le mani un quadro raffigurante Chat Noir che subito riconobbe come uno degli innumerevoli gadget che si potevano trovare a Parigi sui supereroi che la città e tutto il Paese stesso tanto veneravano.
 «Per ricordarti quant’è bello il ragazzo che ami» scherzò l’altro.
 E come diceva il biglietto, Marinette rise di gusto. «Sei un idiota.»
 «Il tuo idiota.»
 Si trattava di un regalo molto semplice, ma a Marinette non importava affatto: era il messaggio a importare, l’ennesima prova che Adrien a lei ci teneva, e tanto anche.

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Capitolo 26
*** Anche i gatti sanno cantare ***


#26. Serenate di mezzanotte
(Sequel de Le distanze non contano)



Anche i gatti sanno cantare


 Il viaggio di ritorno dalla Senna alla sua abitazione parve più breve di quanto lo fosse sembrato poco prima, quando Adrien si era presentato a casa sua nelle vesti di Chat Noir e l’aveva condotta verso la sua sorpresa di compleanno.
 Il giovane atterrò con agilità sulla superficie del balcone, lasciando che Marinette scivolasse via dalle sue braccia e tornasse a reggersi sulle sue gambe.
 «Ti è piaciuta la sorpresa?» fu la domanda che le porse con sincera curiosità.
 Marinette gli sorrise, abbracciandolo quasi d’istinto. «E c’è bisogno di chiedermelo?»
 Adrien rise piano: no, a ben pensare non ve n’era alcun bisogno, perché la ragazza aveva passato l’ultima ora a dimostrargli tutto il suo affetto ringraziandolo più volte e assicurandosi che capisse quanto fantastici risultassero ai suoi occhi lui e i suoi tanti gesti d’amore.
 «Ma il regalo più bello è la tua presenza, ed è l’unico di cui mi importi veramente.» Pronunciò quelle parole dal nulla, eppure suonarono perfettamente naturali, perché quello che aveva detto non era nient’altro che la verità. Era stata la voce del suo cuore a guidare le labbra, forse ancora prima che la sua parte razionale se ne rendesse conto.
 Adrien pensò che quella sola affermazione avesse il potere di portare il suo cuore a impazzire. Improvvisamente volle poter fare ancora di più, voleva esagerare fino a farla sentire la persona più felice del globo, quindi ebbe un’idea. «E se ti dicessi che non è finita qui?»
 Marinette sciolse l’abbraccio solo per poterlo guardare meglio negli occhi: le mani dell’uno erano ancora posate sui fianchi dell’altra, ma ciò non era definibile come un abbraccio. «Non dirai mica sul serio.»
 «Eccome se sono serio» ribatté con convinzione. «Mi pongo alla tua mercé e ti do il permesso di fare di me quello che vuoi. Vuoi che balli per te? Che canti per te? Perché io posso cantare. Jukebox Chat Noir al tuo servizio!» disse, esibendosi in inchino teatrale in linea con la sua persona.
 Marinette rise, cercando tuttavia di mantenere un tono di voce basso per via dell’ora. «Ma se è notte fonda!»
 «Posso fare piano. E poi ho una bella voce.» Così dicendo, il giovane tornò a cingerle la vita con le braccia, posando una mano sulla sua spalla destra e l’altra sulla zona bassa della schiena. In quella posa cominciò a muoversi lentamente in circolo, Marinette che lo assecondava senza la minima esitazione per via della totale fiducia che riponeva in lui.  

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Capitolo 27
*** Sorpasso della linea ***


#27. Sin

Sorpasso della linea


 «Mio padre lo adorerà.»
  «Dici così di ogni modello che ti mostro.»
 «Non è colpa mia se sono tutti validi! È colpa del tuo talento.»
 «Sei un bugiardo. Ma anche il ragazzo più dolce del secolo.»
  Era primavera. Le finestre, in camera di Marinette, erano socchiuse: lasciavano penetrare una rinfrescante brezza pomeridiana che accarezzava gentilmente i volti dei due ragazzi. I raggi del sole si univano a quello scenario, gettando sulla stanza quella luce luminescente e naturale che era tanto cara a Marinette: la preferiva di gran lunga a quella artificiale, troppo anonima, troppo fredda.
Il regalo più bello di tutti, però, era la presenza di Adrien: ogni volta che poteva, il ragazzo vestiva i panni di Chat Noir e la andava a trovare. Quei tipi di incontri erano i più segreti, i più romantici: nessun adulto necessitava di essere informato, potevano incontrarsi quando il cuore più lo desiderava.
 Marinette riprese possesso del suo blocco da disegno, sfogliandone le pagine alla ricerca di un altro modello che credeva avrebbe fatto al caso suo. «Che cosa ne pensi di questo?» chiese, porgendo nuovamente il quaderno a Chat Noir, seduto sul bordo della chaise-longue. «Onesto.»
 «Marinette, lo sai che adoro ogni tua singola creazione.» Non poteva farci niente: era vero.
 Da un lato Marinette apprezzava che Adrien l’amasse a tal punto, ma dall’altro avrebbe desiderato poter ottenere da lui un parere più critico. In ogni caso, comunque, sapeva che ad Adrien piacevano davvero tutti i suoi lavori e che non lo diceva solo perché accecato dal suo amore per lei.
 «Anche mio padre ti stima tanto.»
 «Ma non vuol dire che gli piacerà qualsiasi cosa io proponga» ribatté. «E poi non sarà l’unico giudice del concorso.»
 Facendo leva sui piedi, Marinette si spinse con la sedia dalla chaise-longue alla scrivania, continuando poi a girovagare in quel modo per tutta l’ampiezza della stanza alla ricerca di solo lei sapeva cosa.
 Adrien la trovò semplicemente adorabile. Tuttavia, siccome era pur sempre preoccupato per lei, aspettò che le fu vicina abbastanza per ghermirle il polso con una mano e attirarla a sé, accogliendola poi in grembo. «Ti preoccupi sempre troppo. Andrà tutto bene, vedrai» mormorò contro il suo collo, schiudendo poi le sua labbra in un bacio in quella stessa zona.
 «Adrien» rise quando le loro pelli che si sfioravano generarono in lei una sensazione di solletico. Era, tuttavia, un tocco piacevole, applicato in un’area del suo corpo piena di terminazioni nervose. Marinette decise di lasciarlo fare, inclinando leggermente la testa all’indietro per concedergli un accesso migliore. In così poco tempo si erano ormai già completamenti dimenticati della conversazione che stavano avendo prima.
 La ragazza desiderava toccarlo, ma il tessuto di cui era fatto il suo costume da supereroe glielo impediva: perciò affondò le mani nei suoi capelli, giocando con i suoi ciuffi biondi e arruffandoli più di quanto non lo fossero già in precedenza.
 La primavera aveva portato con sé una temperatura mite, di conseguenza Marinette non indossava che una semplice maglietta a maniche corte: Adrien, desideroso di qualcosa che non aveva mai posseduto, giocherellò un po’ con l’orlo prima che, incerto, decidesse di sfilargliela lentamente. Si aspettava che Marinette rispondesse negativamente, invece acconsentì senza opporre resistenza, benché fosse anche lei un po’ esitante.
 Nella mente della ragazza, intanto, aveva iniziato a trillare un campanello d’allarme: sapeva che stavano raggiungendo un punto di non ritorno, ma non voleva fermarsi.
 All’improvviso, però, fu Adrien a fermarsi, allontanandosi da lei e guardandola con un’espressione vogliosa ma al tempo stesso insicura. «Forse dovremmo…»
 «Non vuoi che…?»
 «No, no. Solo che… il letto. Qui sarebbe un po’ scomodo.»
 Marinette rise a voce bassa. «Giusto.»
Il tempo di spostarsi dalla chaise-longue a una piattaforma più comoda e pratica e Adrien era già di nuovo alla ricerca di ogni singolo centimetro della pelle di Marinette.
 «Adrien» rise l’altra a un certo punto.
 Il giovane si puntellò sui gomiti e la guardò confuso. «Cosa?» domandò, pensando di star sbagliando qualcosa.
 «Il tuo costume.»
 Adrien realizzò solo allora di essere ancora nei panni di Chat Noir e rise. «Oh, giusto. Plagg, ritrasformami.»
 La trasformazione venne sciolta e il kwami nero fuoriuscì dal suo miraculous del ragazzo. L’esserino nero stava per dire qualcosa, ma si interruppe quando li vide nel bel mezzo di qualcosa che non lasciava spazio a dubbi di alcun tipo. «Tikki! Dove sei?»
 Con il secondo kwami andato, Adrien tornò a guardare Marinette negli occhi. «Sei sicura?» Doveva accertarsi che lo volesse davvero, perché sapeva che di lì a poco sarebbe stato sempre più difficile fermarsi.
 «Sì» rispose con convinzione. Era calma, rilassata: si fidava di lui. Adrien tornò a stendersi su di lei, distribuendo una scia di basi lungo il collo.
 «Solo che…» iniziò lei tra un sospiro e l’altro.
 «Nino mi ha fatto prendere un paio di precauzioni.»

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Capitolo 28
*** Salvataggio ***


#28. Ostaggio
(Sequel de Uno strano fastidio)


Salvataggio


 Chat Noir sapeva bene che se Ladybug non poteva essere lì non era colpa di nessuno dei due e che la collega aveva sicuramente ottimi motivi che giustificavano la sua assenza. Infatti non ce l’aveva con lei. No, lui ce l’aveva con se stesso: era lui l’unico supereroe attualmente disponibile a garantire sicurezza ai cittadini di Parigi, com’era potuto succedere? Perché proprio lei?
 Con l’animo in tumulto, Chat Noir lanciò un’altra occhiata all’akumizzato: costui, manovrato da Papillon per via dei suoi sentimenti d’amore nei confronti di Marinette, era riuscito a sottrarla alla protezione di Chat Noir e l’aveva condotta con sé sulla cima dell’edificio più alto.
 Per il giovane era difficile intervenire, perché il nemico l’avrebbe visto avvicinarsi e avrebbe cercato di impedirglielo, oppure sarebbe scappato. Chat Noir avrebbe volentieri cercato di contrastare l’akumizzato in uno dei due possibili scenari, tuttavia doveva tener conto della presenza di Marinette, e non voleva in nessun modo mettere a repentaglio la sua incolumità. D’altro canto il nemico teneva a Marinette, dunque non c’era il rischio che potesse farle del male. La ragazza doveva solo temporeggiare finché Chat Noir non fosse riuscito a trovare un modo sicuro per intervenire.
 Era sicuro che se si fosse avvicinato muovendosi tra i tetti come suo solito sarebbe sicuramente stato visto prima del dovuto, dunque ebbe un’idea. Scese dall’edificio su cui si era appostato per avere una visuale migliore e una volta a terra corse in direzione di quello in cima al quale si trovavano Marinette e l’akumizzato, deciso ad arrampicarsi sulla sua superficie grazie alle sue doti feline.
 Una volta in cima si sporse oltre il parapetto con una parte del viso, scoprendo quanto bastava per analizzare lo stato attuale della situazione con i suoi occhi.
 Marinette doveva essere spaventata, ma era brava a non darlo a vedere: stava conversando con il nemico in tranquillità, il che gli aveva dato tempo di raggiungerla e ora di trarla in salvo.
 Sfruttando l’elemento sorpresa, Chat Noir si palesò dal suo nascondiglio e attirò l’attenzione dell’akumizzato: costui, non aspettandosi la sua comparsa, non riuscì subito a processare l’avvenuto, e Chat Noir ne approfittò per coglierlo alla sprovvista. Riuscì a raggiungere Marinette e a prenderla tra le sue braccia prima che l’altro se ne rendesse conto, dunque cercò di allontanarsi il più lontano possibile sfruttando la sua velocità superiore.
 I due giovani tornarono a toccare finalmente terra nei pressi di un parco gremito di persone: Chat Noir, furbo, l’aveva scelto appositamente perché Marinette potesse confondersi tra la folla e non essere trovata.
 Alle sue indicazioni la ragazza annuì, e Chat Noir la lasciò con la promessa che avrebbe tenuto occupato il nemico finché non fosse sopraggiunta anche Ladybug. Dopodiché Marinette lo vide sparire nell’oscurità della notte.
 Assicuratasi che fosse abbastanza lontano, la giovane andò alla ricerca di un luogo appartato che le offrisse protezione da occhi indiscreti, e una volta qui richiamò a sé i poteri di Tikki e si trasformò.

***

 Era passato appena un quarto d’ora quando Marinette sentì qualcuno bussare alla botola di camera sua. Non solo capì immediatamente che si trattava di Chat Noir, ma già prima di allora era certa che avrebbe ricevuto una sua visita perché lui voleva sapere come stava.
 Quando Marinette aprì la botola, la pelle del suo viso fu accolta dal clima fresco e invitante di quella sera di maggio, perciò decise che invece di far entrare Chat Noir in camera sua sarebbe stata lei a raggiungerlo all’esterno.
 Il giovane, recepito il messaggio, andò a sedersi sulla ringhiera con movenze che a Marinette ricordarono quelle di un vero felino. «Non voglio disturbarti,» ci tenne a chiarire, «sono venuto qui solo per accertarmi che stessi bene.»
 L’altra gli sorrise con premura. «Lo so, e la risposta è sì.» Così dicendo lo raggiunse, sporgendosi oltre il parapetto e perdendosi un attimo nella contemplazione della ville lumière sotto il cielo blu scuro della sera.
 Se ci ripensava, ad Adrien dava ancora fastidio l’idea di Marinette interessata a un ragazzo in carne ed ossa di cui lui conosceva nome e volto. Tuttavia c’era una cosa che la ragazza doveva sapere, ed era giusto che glielo dicesse. «Sai, dopo che Michel è tornato alla normalità ha chiesto subito di te. Voleva dirti che era sinceramente dispiaciuto per quello che è successo.»
 Era un’informazione di cui Marinette non era a conoscenza, perché dopo che l’akuma era stata purificata l’uso del suo Lucky Charm aveva esaurito quasi del tutto le energie di Tikki, dunque Ladybug aveva dovuto dileguarsi con effetto immediato.
 «Inoltre non dovresti essere arrabbiata con lui» continuò Chat Noir. «Quello che è successo è solo colpa di Papillon, che sfrutta le emozioni delle persone quando sono più vulnerabili.»
 Marinette annuì. «Lo so, Michel è un bravo ragazzo.» «Quindi hai cambiato idea? Ci uscirai?»
 La giovane doveva ammettere che, quando l’aveva conosciuto tramite Alya, quell’idea l’aveva sfiorata, e allora aveva pensato che forse non sarebbe stato male dargli una possibilità. Nel momento della verità, però, aveva esitato, poi aveva risposto di no. Inizialmente, il perché di quel gesto sfuggiva anche a lei, ma ora gli appariva più chiaro che mai.
 «Come mai?»
 «Perché non è Adrien.»
Sì, era semplicemente quella la verità: Michel non era Adrien. Per quanti ragazzi sembrassero incrociare il suo cammino – Nathanaël, Michel, Chat Noir stesso –, Adrien era Adrien. Forse non sarebbe mai riuscita a diventare per lui più di una semplice amica, ma per il momento quello era un sentimento che niente poteva cambiare, se non, lentamente, lo scorrere stesso del tempo.
 Chat Noir strabuzzò gli occhi. «A... Adrien?» chiese, incerto. Era fortunato che Marinette fosse talmente presa dai suoi pensieri da non avere la possibilità di accorgersi della sua reazione.
 «Sì» confermò la ragazza, che a rivelare quell’informazione così intima a Chat Noir si sentiva completamente a suo agio. «Lo conosci?»
 «Sì, è piuttosto famoso» riuscì a stento a dire Adrien.
 Non avrebbe mai pensato che tra tutti i ragazzi, Marinette si fosse innamorata proprio di lui. Perché, poi? Era un’altra delle sue fan?
 «Come mai proprio lui? Perché è bello?»
 Con sua sorpresa, la ragazza scosse la testa.
 «No. Sai, all’inizio lo detestavo anche, perché mi ero fatta un’idea sbagliata di lui. Mi sono ricreduta quando mi sono resa conto della sua gentilezza» rivelò, un sorriso a velarle le labbra al pensiero del giorno di pioggia in cui Adrien le aveva fatto dono del suo ombrello, un gesto che con la sua semplicità era stato in grado di conquistare il suo cuore.
 Chat Noir era senza parole: non aveva mai sentito nessuno riferirsi a lui con aggettivi come gentile invece che bello o ricco.
 «E perché ti ha rifiutato?» Era genuinamente curioso di udire la risposta a quella domanda, perché non riusciva a pensare a un modo in cui la ragazza avesse capito che per loro due non c’era futuro.
 «Tecnicamente non l’ha fatto, in realtà. Non mi sono mai dichiarata, però l’ho sentito mentre diceva a un’altra ragazza che sono solo un’amica, per lui. E a questo punto non so le cose mai cambieranno.»
 Adrien dovette realizzare nella sua mente che ciò era dannatamene vero: voleva un bene dell’anima a Marinette, ma il suo cuore apparteneva comunque a Ladybug. Un giorno o l’altro Marinette avrebbe dovuto ricevere la stessa risposta che aveva ricevuto lui da Ladybug: scusami, ma nel mio cuore c’è un’altra persona. E solo ora che si trovava da quella parte realizzava che rifiutare era duro tanto quanto essere rifiutati.
 «Forse hai ragione tu,» tornò a dire dopo qualche minuto di silenzio, «ma in ogni caso non sarebbe colpa tua.»
 Marinette annuì. «Lo so.»
 «È meglio che vada, ora» disse Chat Noir, che in cuor suo era troppo scombussolato dalla rivelazione di Marinette per riuscire a rimanere lì ancora per molto.
 «D’accordo» rispose l’altra. «Ciao, allora.»
 «Ciao.»
 Quel saluto fu accompagnato da un sorriso, poi Chat Noir si lanciò nel buio e in brevissimo tempo era già sparito nell’oscurità della notte. E mentre faceva ritorno a casa sua a passo svelto, il ragazzo si ripromise più volte che le cose con Marinette non sarebbero finite lì. Qualsiasi fosse stata la conclusione di tutta quella storia, negativa o positiva che fosse, Marinette meritava di averne una.

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Capitolo 29
*** Sul perché non tradire mai un kwami (e meno che mai Plagg) ***


#29. «Contrariamente a quanto pensano molte persone, preferisco i cani ai gatti.»

Sul perché non tradire mai un kwami (e meno che mai Plagg)


 Chat Noir raggiunse la modesta abitazione dei Dupain-Cheng atterrando con un balzo sul balcone. Bussò gentilmente alla botola e Marinette non dovette nemmeno chiedere o immaginare chi fosse: se qualcuno arrivava dal suo balcone, quel qualcuno non poteva essere che Chat Noir.
  «Disturbo?» chiese il suo ignaro collega mascherato quando la ragazza aprì la botola, facendo capolino con la testa.
  Gli sorrise. «No, entra pure.»
  Chat Noir obbedì, seguendola all’interno della stanza e richiudendo poi la botola dietro di sé. Si andò ad accomodare sul bordo della chaise-longue, acquattandosi come fosse un gatto vero. «Sei impegnata?»
  «Sì, a fare da baby-sitter.»
  «Manon?»
  «Non proprio.»
  Prima che il giovane potesse chiedere chi fosse il bambino o la bambina a cui doveva badare, da sotto la chaise-longue su cui era seduto spuntò un cagnolino: Chat Noir, colto alla sprovvista, sussultò sul posto e cadde all’indietro. Marinette scoppiò a ridere.
  Il ragazzo riemerse da dietro la chaise-longue e, ancora seduto sul pavimento, vi si appoggiò con i gomiti mentre la fissava con aria imbronciata. La sua risata, però, era contagiosa, perciò ben presto finì a ridere con lei.
  Marinette si ricompose. «Scusami. Immaginavo che preferissi i gatti, però non pensavo che i cani ti piacessero così poco.»
  «Infatti i cani mi piacciono,» ribatté, «ma quello è sbucato dal nulla e mi sono spaventato.»
  Marinette prese in braccio il cane in questione, sorreggendolo con una mano e accarezzandolo con l’altra.
  Osservandolo meglio, Chat Noir si rese conto solo allora che si trattava di un cucciolo. «Come si chiama?» chiese mentre lei si avvicinava con l’animale tra le braccia..
  «Bucky. È di un’amica dei miei genitori che è fuori città per qualche giorno e ci ha chiesto di badare a lui.» Chat Noir allungò una mano in direzione del cane e gli concesse dei grattini dietro un orecchio. «Quindi i cani ti piacciono?» indagò Marinette.
  «Sì» ribadì lui. «Anzi, sembrerà incredibile, ma, contrariamente a quanto pensano molte persone, preferisco i cani ai gatti.»

   Adrien si svegliò di soprassalto, come strappato con violenza dalle calde e rassicuranti braccia di Morfeo. Avrebbe desiderato potersi concedere un altro po’ di riposo, ma, stando all’intensità della luce solare che filtrava dall’ampia vetrata, doveva essere già ora di alzarsi. Non aveva preso in considerazione l’idea che fosse ancora più tardi finché non gettò un’occhiata pigra alla sveglia poggiata sul comodino.
 «È tardissimo!» esclamò, schizzando fuori dalle coperte e cominciando a spogliarsi del pigiama saltellando nei presi del letto. «Plagg!» chiamò.
 Il kwami nero fece capolino da dietro il cuscino a fianco del quale dormiva quasi tutte le notti e, con un sonoro sbadiglio, prese a levitare all’altezza di Adrien. «Oh, sei già sveglio» commentò con aria annoiata. «Avrei scommesso che ci avresti messo più tempo.»
 «Cosa…? Plagg! Hai spento tu la mia sveglia?» Silenzio. «Plagg?»
 Il kwami gli lanciò un’occhiata truce. «Io i cani li odio.»

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Capitolo 30
*** Tentato furto ***


#30. Marinette!burglar e Chat Noir!vigilante


Tentato furto


 Intrufolandosi nell’abitazione degli Agreste, Marinette, che ormai la conosceva molto bene, fu accorta a evitare che le telecamere di sorveglianza la riprendessero. Riuscì a raggiungere la camera di Adrien senza che nessuno la notasse, e, una volta dentro, sciolse la trasformazione: se Gabriel o Nathalie l’avessero sorpresa nella camera di Adrien, sarebbe stato molto più facile dare spiegazioni nei panni di Marinette che in quelli di Ladybug, essendo i due in una relazione da mesi – sarebbe stato comunque imbarazzante ed equivoco, certo.
 «Sei sicura sia una buona idea?» domandò per la seconda o terza volta Tikki.
 «Assolutamente sì.»
 Marinette era solitamente più che disposta a seguire i consigli di Tikki, e, come il kwami, sapeva valutare bene le scelte che faceva; quella volta, però, era diverso. Adrien aveva osato dire che lei non possedeva le sue stesse abilità furtive, che non sarebbe mai stata capace di commettere un furto come ne sarebbe stato capace lui. Ma Marinette era determinata a dimostrargli il contrario. Così avevano scommesso che sarebbe riuscita a trafugare da camera del ragazzo l’ultimo CD di Jagged Stone cui Adrien teneva tanto per via dell’autografo che era riuscito a strappare al cantante in persona.
 Era un venerdì mattina e Adrien si trovava a scuola: Marinette no, perché era riuscita ad assentarsi dandosi malata. Era l’occasione perfetta per portare a termine il furto.
 La ragazza iniziò a frugare dappertutto, anche nei posti più strani e impensabili: non era un lavoro facile, considerate le dimensioni della stanza di Adrien – perché non poteva avere una camera normale come qualsiasi altro essere umano, quel ragazzo?
 «Stai cercando qualcosa?»
 Marinette sussultò e si girò di scatto, incontrando, poco distante da lei, lo sguardo di uno Chat Noir che la osservava con furbizia mentre teneva in mano l’oggetto che lei avrebbe dovuto rubare.
 «Tu dovresti essere a scuola!» esclamò lei.
 «E tu dovresti essere malata!» esclamò di rimando lui.
Touché.
 In ogni caso, però, non era il caso di dargli ragione. Al contrario, Marinette ne approfittò per lanciarsi nella sua direzione e sfilargli il CD dalle mani, tentando poi la fuga richiamando a sé la trasformazione di Tikki.
 «Non vale così!» protestò Adrien.
 «Non hai mai detto che non potevo rubartelo da sotto il naso!» E tecnicamente era vero: oltre a non aver specificato quel dettaglio, nei termini della scommessa non v’era neanche il divieto di fuggire mentre Adrien la inseguiva. No, bastava che lei riuscisse a rubare il CD e a portarlo al sicuro all’interno delle mura di camera sua.

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Capitolo 31
*** Come un ciclo che si ripete ***


#31. Reincarnation!AU


Come un ciclo che si ripete


 È notte. La luna, fuori, è alta nel cielo, un faro nella notte che si oppone al buio più totale.
  Nel silenzio che quell’oscurità porta con sé, un lamento strozzato si leva dalle labbra di un giovane che colpe non ha. «Non puoi chiedermi di farlo…» geme.
  «William» ripete lei, calma nonostante la situazione.
  «No…» Singhiozza mentre si aggrappa stretto al corpo dell’amata, attirandola a sé intanto che le lacrime che gli rigano il volto s’infrangono contro il suo abito.
  Lei lo guarda con le labbra velate di un sorriso: non è così che desiderava morire, ma un potere come quello porta con sé responsabilità che il cuore le impedisce di ignorare. Lei questo lo sa – l’ha sempre saputo –, e ha fatto una promessa. Ha promesso che avrebbe adempiuto ai suoi doveri, non importa quali ostacoli avrebbe dovuto superare o quali sacrifici avrebbe dovuto compiere lungo il cammino.
  La giovane donna tossisce, sputa sangue.
  «Elizabeth…» geme l'altro. «Elizabeth, rimani con me…»
  «Lo sai che non posso.» La ferita che si apre all’altezza del petto, lì dove il cuore ha quasi smesso di battere, la sta velocemente conducendo oltre la linea da cui, se sorpassata, non c’è più ritorno.
  William non si cura del fluido denso e rosso che, originatosi lì dove la morte reclama la sua amata, fluisce copioso lungo le pieghe dell’abito che indossa – s'infiltra tra le sue mani, s’infrange sul terreno. «Mi dispiace…»
  La principessa sorride di nuovo, zittendolo con uno «ssh» appena sussurrato – lo soffia piano sulle labbra, così piano che assume quasi la forma di un normale sospiro.
  William riesce appena a coglierlo, tuttavia non vuole darle ragione, non questa volta: vuole incolparsi di non aver fatto abbastanza, perché se la sua negligenza non può spiegare quell’atto di crudeltà che Dio gli ha rivolto, allora cosa può?
  I due kwami, intanto, levitano a mezz’aria, silenti come due statue. Non fiatano, non vogliono farlo, perché sanno che le parole non servono. Nessuna emissione di voce può rendere meno doloroso ciò che l’amara sorte ha scelto per i loro portatori – così giovani, così innamorati.
  «William… al fronte… ti aspettano… Devi andare, Primo Cavaliere del re.»
  Anche ora, Elizabeth non potrebbe essere più bella. Fa correre le dita tremanti lungo i lineamenti del suo viso, soffermandosi poi sulle sue labbra ancora morbide.
  «Lo so. Solo un attimo.»
  Attende con lei che la morte si stanchi di aspettare di giocare e dia la sua sentenza definitiva, e intanto le scosta di lato qualche ciocca di capelli e preleva i suoi orecchini. Prima che giunga la fatidica ora, William si china su di lei e schiude le sue labbra in un ultimo bacio d’addio, che porta con sé l’amarezza di un amore che ora, lo sa, non vivranno mai più.
Addio, mia principessa.
  In lontananza, il silenzio della notte è spezzato da urla concitate di uomini, esseri umani che forse di umanità ora hanno ben poco, perché la guerra e il massacro di anime innocenti che essa porta con sé gliel’hanno strappata via senza alcun riguardo.
  Plagg e Tikki vi sono così abituati che di nuovo non dicono niente.
***

«Sarò il tuo cavaliere per il ballo di stasera, principessa.»
  Queste sono tra le prime parole che Chat Noir rivolge a Marinette nel loro primo incontro in quelle vesti. Non appena giungono all’udito di Tikki, ben nascosta all’interno della borsetta di Marinette, il kwami quasi non perde un battito.
  Le parole cavaliere e principessa sono per lei fin troppo familiari, perché riportano alla memoria il ricordo di due giovani portatori che, come quelli a cui lei e Plagg sono stati ora affidati, si sono perdutamente innamorati l’uno dell’altro, e di quell’amore ne hanno tratto i momenti più belli della loro vita. Elizabeth e William, tuttavia, sono tra i portatori più giovani che i due kwami abbiano mai perso: entrambi devoti alla loro causa, hanno visto in faccia la morte molto prima del tempo – prima Elizabeth, e quella stessa notte anche William.
  In Marinette e Chat Noir Tikki rivede molti tratti della loro persona che li accomunano a William ed Elizabeth, con la differenza che Marinette e Chat Noir sono ancora più giovani. Eppure, nonostante la loro età, sono due portatori tra i più degni e più meritevoli. Sono così simili a William ed Elizabeth che Tikki quasi ha paura – e probabilmente anche Plagg è dello stesso avviso, pensa.
  Il kwami della fortuna sa che i tempi sono cambiati e che la realtà attuale offre prospettive più rosee di quelle di una volta, ma nel suo cuore v’è sempre il timore che ogni volta si tratterà di una di quelle volte in cui lei e Plagg hanno dovuto dire addio ai loro portatori prima del tempo. Ormai ha cominciato a credere che sia destino che i portatori della fortuna e della sfortuna di ciascuna generazione si innamorino l’uno dell’altra, ma Tikki non vuole che sia destino che di nuovo finisca come con William ed Elizabeth e tutti quegli altri che prematuramente hanno perso la vita in nome della salvezza del genere umano.


 Il prompt di oggi mi è piaciuto e non mi è piaciuto al tempo stesso. Mi è piaciuto perché sono dell’idea che il passato dei kwami sia un argomento molto, ma molto interessante, soprattutto perché, a seconda del luogo geografico e del periodo storico in cui si trovano i portatori, il contesto varierebbe parecchio. Seconda cosa, lo so che Miraculous è un programma pensato principalmente per i più piccoli, tuttavia non è da dimenticare che i kwami, avendo vissuto sin dai tempi dell’antico Egitto – se non tutti almeno Plagg, siccome lui e Tikki sono rappresentati come lo yin e lo yang –, avranno sicuramente assistito in prima persona a ingiustizie di tutti i tipi, in primis le guerre, perdendo così alcuni portatori a una giovane età. E si fosse anche trattato di cause naturali, ci vuole comunque una grande forza per andare avanti e ripetere ogni volta lo stesso schema: avere un nuovo portatore, affezionarvisi e poi perderlo. È sicuramente tra gli aspetti più brutti – se non l’aspetto più brutto – dell’avere duemila anni.
  L’aspetto del prompt che mi faceva meno gola era il fatto della reincarnazione: poiché il concetto mi ispira ben poco, non ho mai letto né tantomeno scritto storie di questa tipologia, di conseguenza è il primo tentativo in quanto scrittrice e non so quanto sia convincente il risultato finale. Ho cercato di affrontare la sfida esplorando un mio headcanon personale secondo il quale Plagg e Tikki sono sempre – o quasi – affidati in coppia, perché, ripeto, nella serie stessa rappresentano lo yin e lo yang, e dunque per me ha senso che coesistano insieme. Inoltre mi piace pensare anche che la Ladybug e lo Chat Noir di ogni generazione finiscano inevitabilmente per innamorarsi l'uno dell'altro ogni singola volta.
  E con questa storia si conclude ufficialmente la raccolta. Devo ammettere che un po’ sono sollevata, perché pubblicare una storia al giorno per un intero mese è stato un po’ sfiancante: i tempi erano quelli che erano, e ogni volta avevo un chiodo fisso che mi tormentava ricordandomi di pubblicare in tempo. Però chiaramente l’ho voluto io, e questo non vuol dire che non sia stata una bella sfida.
  In ogni caso la raccolta si è guadagnata un piccolo seguito, quindi grazie, ma grazie davvero a tutti quelli che l’hanno aggiunta alle proprie liste e/o recensita nel corso di tutto il mese! Grazie anche per le recensioni ricevute in quest'ultima settimana, a cui prometto di rispondere il prima possibile.
  E niente, ora non mi resta altro da fare se non darvi l’ultimo saluto della raccolta!

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