Maracaibo

di Adeia Di Elferas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Al Barracuda ***
Capitolo 2: *** Le Machine Pistole ***
Capitolo 3: *** La Verde Luna ***
Capitolo 4: *** Quattro colpi di pistola ***
Capitolo 5: *** Una pinna nera ***
Capitolo 6: *** Ventitré mulatte ***



Capitolo 1
*** Al Barracuda ***


 

Il Barracuda quella sera era gremito di gente e l'aria era resa quasi irrespirabile dal fumo e dagli effluvi degli alcolici che i numerosi clienti stavano consumando a man bassa.

Le ballerine che si erano esibite fino a quel momento avevano avuto solo il compito di scaldare un po' l'ambiente, ma era solo lei che tutti stavano aspettando. Più le esibizioni si avvicendavano e l'ora si faceva tarda, più nel locale l'attesa diventava palpabile.

Era come se l'elettricità di quel momento rendesse tutti tesi come corde di violino. La giornate calde e infinite del Venezuela erano lontani ricordi, nel salone del Barracuda. Là, tra le luci soffuse e il chiacchiericcio coperto da musica abbastanza scadente, ci si dimenticava del sole e della fatica e si pensava solo alla notte e a lei.

Le ultime due ragazze, che si erano prodigate in un difficile numero di cui nessuno si era curato, avevano appena lasciato il palco e, finalmente, i musicisti avevano messo in resta i loro strumenti per qualche istante.

Le luci si abbassarono e il silenzio avvolse in un lampo il locale.

Si udì solo il rumore ovattato dei suoi passi, i piedi scalzi che sembravano accarezzare il palco di legno, e poi, mentre un unico riflettore la illuminava, Zazà finalmente si mostrò al suo pubblico.

Gli uomini presenti, estatici, non riuscirono nemmeno ad applaudire, calamitati dal suo fascino e dalla grazia che sapeva trasmettere. C'era qualcosa, in quella donna cubana, in grado di cancellare tutto lo sporco del mondo. Emanava una forza che le donava quasi un'aurea di santità. Era qualcosa di così prepotente, che perfino le donne che lavoravano al Barracuda, quando si esibiva lei, smettevano di fare qualsiasi cosa stessero facendo e si mettevano a guardarla.

E anche quella notte, quando cominciò a ballare, benché fosse completamente nuda, non perse nemmeno un grammo della sua purezza.

I suoi capelli neri si muovevano come lingue di fuoco scuro, la sua pelle bruna rifletteva la luce e le ombre con un altalenarsi quasi mistico, e il guizzo dei suoi giovani muscoli le donava l'aspetto di una silfide appena scappata da un bosco.

Per una decina di minuti, non si sentì altro rumore nella sala se non la leggera musica che accompagnava il suo spettacolo e il suo respiro che, nelle ultime frenetiche mosse di danza, si era fatto veloce e quasi disperato.

Finì il suo ballo inginocchiata in terra, la testa piegata in avanti, i capelli lunghi e un po' mossi che la coprivano quasi per intero, e le spalle sottili e ben delineate che si alzavano e si abbassavano veloci.

Quando il Barracuda tornò immerso nel buio, scoppiò un applauso frenetico. In un colpo solo, tutti gli uomini che fino a pochi istanti prima erano rimasti zitti, rapiti dalla sua immagine, erano tornati a essere animali incontenibili. Fischiavano, gridavano, chiedevano il bis, offrivano soldi per averla e cercavano un modo per raggiungerla dietro al palco.

Gli addetti alla sicurezza fecero abbastanza fatica a tenere a bada la folla, come capitava tutte le notti.

Non c'era volta che il ballo di quella donna lasciasse il pubblico indifferente. Era quasi come se tutti seguissero una sorta di copione non scritto.

Lei ballava, senza risparmiarsi, mostrandosi completamente, come volesse regalarsi così com'era, e poi, appena spariva, si scatenava il finimondo e tutti la invocavano e la rivolevano.

Zazà, però, si era già infilata una vestaglia ed era già nel suo camerino. Un ambiente angusto, in realtà, molto poco consono a tutti i soldi che faceva fare al proprietario di quel postaccio con le sue brevi esibizioni.

Era lei la vera attrazione del Barracuda.

Era lei la vera attrazione di Maracaibo.

 

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Capitolo 2
*** Le Machine Pistole ***


 

Era ormai di nuovo vestita di tutto punto e si stava controllando allo specchio. Il suo viso giovane e fresco aveva cambiato espressione.

Non era più ammantato dall'innocenza che aveva saputo mostrare sul palco, né era alleggerito dalla spensieratezza della sua età.

Si ravviò i lunghi capelli neri e poi si fissò un momento alla luce della lampada. Nel mezzo della sua ampia fronte si era formata una ruga di preoccupazione e i suoi occhi scuri riflessi nello specchio ricambiavano il suo sguardo con severità.

Quella era la vera Zazà. Una donna che si era creata da sola, scappando da Cuba e approdando a Maracaibo con nulla se non il proprio aspetto e la propria intraprendenza.

Qualcuno bussò alla porta e così, dopo aver deglutito ed essersi imposta di tornare la dolce ballerina che tutti conoscevano al Barracuda, la giovane chiese: “Chi è?”

“Sono io.” rispose una voce che conosceva anche troppo bene.

Si morse le labbra carnose e poi, alzandosi in fretta, andò alla porta e l'aprì appena: “Ti avevo detto di non venire qui mai. Ti avevo detto di mandare il ragazzo.”

“Si tratta di un affare delicato.” sussurrò Pedro, occhieggiando dentro al camerino per accertarsi che fossero del tutto soli.

“Entra.” lo invitò lei, chiudendo subito la porta alle spalle dell'uomo.

Il capitano della Verde Luna si passò una mano sulla spessa barba corvina e poi rivolse i suoi occhi stretti e chiari verso Zazà, guardandola in modo strano.

La donna restò come sempre molto colpita dall'aspetto di quell'uomo. Quanto aveva neri barba e capelli, tanto aveva gli occhi azzurri come il ghiaccio e la pelle nivea. Era un miracolo, secondo lei, che riuscisse a fare la vita del marinaio, stando sotto al sole tutto il giorno, senza mai ustionarsi.

“Avanti, parla.” disse dopo un po' la ballerina, impaziente.

Pedro soffiò e poi riferì: “Un carico di machine pistole. Domani notte. Devi venire sulla mia nave a prenderle.”

Zazà cominciò a pensare poi annuì: “Va bene. Ma dopo il mio spettacolo.”

“Prima.” la corresse lui, facendo una breve smorfia: “Prima, che dopo ho paura che...”

“E poi dove la metta la roba?” chiese a quel punto la giovane, allargando le braccia: “Non posso certo lasciare un carico d'armi in questo camerino...”

“Puoi invece.” tagliò corto Pedro: “E lo farai.”

La donna strinse i denti. Aveva saputo fin dal primo giorno che entrare nel traffico d'armi con Cuba si sarebbe rivelato un affare tutt'altro che semplice. Ma non poteva rinunciare.

“Lo farò.” accettò, ma poi, come se se ne fosse già pentita, indicò la porta al suo collaboratore e gli disse: “Adesso vattene. Se ti vede il mio capo, mi fa storie. Non vuole che porti uomini nel camerino senza dirglielo.”

Quell'ultimo inciso risvegliò in Pedro un'inquietudine che non aveva nulla a che fare con le machine pistole: “Invece se glielo dici e dividi con lui l'incasso gli va bene, vero?”

Il volto di Zazà tornò per un istante quello ruvido e intransigente della ragazza che era arrivata profuga da Cuba anni prima. L'uomo la riconobbe benissimo. Quella era la donna che amava.

“Non sono affari tuoi.” tagliò corto lei, indicandogli di nuovo la porta: “Ci vediamo domani sera alla Verde Luna.”

Pedro non insistette e annuì, andando verso l'uscio. Tuttavia, appena prima di lasciarla, si sentì in dovere di fare un'altra domanda, questa volta d'interessa a metà strada tra il professionale e il privato.

“E Fidel?” chiese, gli occhi azzurri al pavimento e le spalle larghe un po' incurvate.

“Non c'è e non dovrebbe tornare se non settimana prossima.” rispose Zazà, guardando l'uomo che aveva davanti, così grande e grosso, farsi indifeso come un pulcino nel dire quel nome.

“Meglio così.” commentò piano lui e, accennando un saluto militare, lasciò il camerino di soppiatto così come vi era arrivato.

 

 

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Capitolo 3
*** La Verde Luna ***


 

Sul porto la notte era scura. Lo sciabordio irrequieto del mare era accompagnato dal cigolare incerto delle barche ormeggiate e Zazà dovette coprirsi la gola con lo scialle, perché cominciava a tirare vento.

Si preparava tempesta, così aveva sentito dire in città e probabilmente era vero. Anche lei sentiva nel petto un temporale e non sapeva come uscirne.

Il suono secco del tacco dei suoi sandali di corda che battevano ritmici sulla banchina sembrava quasi il ticchettare di un orologio. C'era qualcosa di inquietante in quella scena, e Zazà si sentiva come la protagonista di una tragedia annunciata.

Quel giorno non aveva fatto altro che pensare a Fidel. L'amore che provava per quell'uomo era quanto di più velenoso potesse esistere, eppure non riusciva ad allontanarsene.

Le aveva insegnato il gusto della passione e l'aveva portata a credere che nessuno a parte lui potesse farla sentire così desiderata e amata. Ma poi era arrivato Pedro e così, quando Fidel era lontano, Zazà spesso si lasciava ammaliare dalle attrattive del bel capitano, dimenticandosi per qualche ora la gabbia in cui si era andata a cacciare da sola.

Finalmente riconobbe il profilo della Verde Luna e così seguì il molo fino all'imbarcazione del suo amante e fece un fischio, come faceva sempre, e l'uomo uscì dalla stiva e l'aiutò a salire a bordo.

La barca era abbastanza instabile. Anche se le acque del porto erano molto più tranquille di quelle del mare aperto, si stava apparecchiando una mareggiata e quindi nemmeno la Verde Luna ne era immune.

“Dove sono le armi?” chiese a voce bassa la donna, una volta che Pedro l'ebbe accompagnata nella stiva.

Questi, una lampada in mano, indicò una piccola cassetta di legno e disse: “Sono qui. È poca roba, alla fine... La consegna doveva essere più ingente, ma...”

“Non importa.” disse Zazà, lo scialle che le copriva a stento le spalle lisce e il sottile abito di cotone che avvolgeva le sue forme in modo da metterle in risalto.

Pedro la guardò assorto, illuminandola con la torcia. La cosa strana di quella ragazza, si trovò a pensare, era come riuscisse ad apparire eterea e immacolata quando ballava nuda, salvo poi mostrarsi come la donna più terrena e carnale del mondo, una volta rivestita.

“Zazà...” sussurrò l'uomo, avvicinandolesi.

La cubana comprese al volo cosa il capitano volesse da lei. Non aveva tempo per lui, quella notte, però. Doveva essere di ritorno al Barracuda molto presto, in modo da avere anche il tempo di nascondere le armi.

Però, quando Pedro si chinò verso di lei e le strappò un bacio, la donna avvertì il suo sentore di sole e mare e con una mano corse subito alla sua schiena ampia e forte e così dimenticò in un batter d'occhio le armi, il Barracuda e perfino Fidel.

L'uomo appoggiò la torcia su una cassa poco lontana da loro e poi tornò tra le braccia della ballerina, le grandi mani che indagavano il suo corpo da ninfa, correndo sulle cosce e poi salendo fino al collo.

Senza dirsi altro, tanto Zazà quanto Pedro si lasciarono per un po' il mondo alle spalle, concentrandosi solo l'una sull'altro.

In cerca di un appoggio, scartando subito le pareti umide e malconce della stiva e altrettanto il pavimento, la ragazza si sistemò su alcune casse di nitroglicerina che, messe a quel modo, diedero a lei e a Pedro l'illusione di avere un grande letto da condividere, come due innamorati che non avessero avuto alcun motivo di nascondersi.

Nella stiva quasi del tutto buia, l'eco del vento e delle onde che si ingrossavano battendo contro le alte pareti della Verde Luna venivano quasi del tutto risucchiate dai loro sospiri e dalle promesse da innamorati che si scambiavano mentre i loro corpi si cercavano e così, immersi nel loro piccolo mondo, nessuno dei due si accorse di un rumore molto diverso che arrivava dal ponte della nave.

 

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Capitolo 4
*** Quattro colpi di pistola ***


 

All'inizio aveva cercato nella cabina di comando, poi sottocoperta e solo alla fine aveva intuito che Zazà e Pedro potessero essere nella stiva. Assieme.

Non aveva voluto credere, all'inizio, a quello che gli aveva detto che la sua donna lo tradiva con quel misero marinaio. Non aveva voluto dar retta alle voci che li volevano amanti da anni. Non aveva voluto in alcun modo prestar fede a quelli che avevano giurato di averli visti insieme in atteggiamenti inequivocabili. Ma poi, quella sera, era arrivato al Barracuda senza annunciarsi e gli era stato detto che Zazà era appena uscita. Tornato in strada, nell'aria calda e sperduta della notte di Maracaibo, con il vento che spirava dal mare promettendo tempesta, l'aveva vista.

Camminava veloce, sui suoi alti sandali di corda, il corpo statuario avvolto da un leggero abito di cotone e uno scialle chiaro sulle spalle, in contrasto con i lunghi capelli neri che si libravano leggeri a ogni passo, sospinti dal soffio che arrivava dalla costa.

Non era difficile, per lui, passare inosservato. Se non fosse stato così bravo a farlo, probabilmente l'avrebbero ucciso molti anni prima.

L'aveva seguita fino al porto e lì l'aveva vista salire sulla Verde Luna. All'inizio, malgrado tutto, aveva cercato di convincersi ancora che fosse lì solo per affari. Però, il modo in cui Pedro le aveva stretto la mano, aiutandola a salire, il breve sorriso che si erano scambiati...

Quando l'attesa si era fatta troppo lunga, aveva capito che i sospetti erano fondati e si era deciso a vederci chiaro, a costo di soffrire come un cane.

I suoi passi lenti lo condussero fino alla scala che scendeva nella stiva. Un gradino dopo l'altro, la pistola già in pugno, scese nella pancia della barca e, appena in fondo alla rampa, li vide.

Illuminati da una torcia, Pedro e Zazà erano davanti a lui, coricati su delle casse di legno. Il marinaio stava sopra di lei e la donna, nuda come quando ballava, ma molto meno eterea di quando si dimenava per la musica, lo stringeva a sé con furia, quasi con rabbia.

Gli occhi scuri della cubana si aprirono per un solo istante, mentre le sue labbra sfioravano l'orecchio del suo amante e quello che vide la raggelò.

“Fidel!” gridò, terrorizzata e anche Pedro, richiamato alla realtà da quell'urlo, spalancò gli occhi e si voltò per vedere se Fidel fosse davvero lì.

La pistola stretta nella mano che tremava – per la prima volta, da che maneggiava le armi, non aveva la mano ferma – Fidel impallidì nel vedere i due amanti che, presi dal panico, cercavano maldestramente di rivestirsi e di schermirsi con le mani.

Il suo cuore tremò e, prima di riuscire a parlare o fare altro, premette il dito sul grilletto. Una, due, tre, quattro volte.

Pedro ricadde sulle casse di nitroglicerina morto e ancora mezzo nudo. Zazà lo fissò per una manciata di secondi, l'odore ferroso del sangue e quello pungente degli spari che le pizzicavano il naso.

Tornò a guardare Fidel che, ora, puntava l'arma contro di lei.

Lasciò cadere in terra il vestito, trovando inutile cercare di rivestirsi, a quel punto, e fece l'unica cosa che il suo istinto le suggerì: correre.

Lasciandosi il suo amante morto alle spalle e l'uomo della sua vita con ancora la pistola alta, ma incapace di usarla, Zazà riuscì a tornare sul ponte e da lì saltò sul molo.

Conosceva bene Fidel. Sapeva che non l'aveva uccisa sul colpo perché per lui era importante, ma sapeva anche che, nel giro di qualche minuto, avrebbe fatto i suoi calcoli e non le avrebbe permesso di salvarsi.

Così, pensando che l'unica soluzione fosse scappare il più lontano possibile, nuda come quando ballava al Barracuda, scelse una barca di medie dimensioni che sembrava deserta, vi salì e accese il motore.

Mentre il cuore ancora le batteva all'impazzata, uscì dal porto, immergendosi nelle acque tenebrose della notte e sentì solo una vaga eco della voce di Fidel che, dal porto, invocava disperato il suo nome.

 

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Capitolo 5
*** Una pinna nera ***


 

Fuggire, fuggire... Ma dove? Zazà era abbastanza abile, in mare, ma le onde si stavano ingrossando e senza carte nautiche sottomano né stelle era quasi impossibile capire dove stesse andando.

La costa si allontanava sempre di più, e con essa anche il cadavere di Pedro e il furore di Fidel, ma davanti a lei c'era solo buio.

Il vento impetuoso rendeva quasi difficile respirare e il dondolio della barca le stava dando la nausea.

Mare forza nove, ecco cos'era. Con quel tempo, nemmeno i marinai più esperti si azzardavano a lasciare il porto. Invece lei, una donna sola, senza vestiti e senza più un posto in cui tornare, stava sfidando l'ira della natura.

Aveva cominciato a piangere senza avvedersene, quando, nel fragore della tempesta che cominciava a riversare su di lei anche una pioggia intensa e gelata, soprattutto per quella stagione, un rumore sinistro la fece voltare di scatto.

L'albero maestro si era spezzato di netto. Difficile dire se per il vento, se perché già malmesso o se per pura sfortuna.

L'impatto con il ponte fu tremendo e Zazà, che era aggrappata al timone con tutte le sue forze, si vide sbalzare in aria, per poi ricadere rovinosamente in mare.

Il sapore del sale, l'acqua che entrava nel naso, invadendole i polmoni, l'incapacità di capire dove fosse, e la confusione. Tutto la portò a pensare che la sua fine fosse arrivata.

Rimase immobile, lasciando che il mare entrasse in lei e che la corrente la trasportasse negli abissi e invece, come a premiarla per il suo coraggio, le onde la riportarono a galla.

Immersa nel mare nero come il cielo che vi si specchiava, Zazà tornò a respirare a fatica, senza sapere cosa fare. Poteva nuotare? Ma verso dove?

Un'onda la travolse, togliendole di nuovo il fiato, e poi si imbatté in un pezzo di legno, probabilmente uno degli ultimi resti della barca con cui aveva cercato la fuga.

Si aggrappò a quella illusione di salvezza e, appena gli occhi smisero di lacrimarle per via della salsedine, si guardò attorno per capire che fare.

Quando l'andare delle onde glielo permetteva, riusciva a scorgere in una direzione abbastanza precisa qualche luce, segno della costa che aveva appena lasciato. Mentre scrutava l'orizzonte, però, un dettaglio le fece venire i brividi.

Come una bandiera, nella notte scura, si stagliava una pinna nera. La donna, sconvolta, cominciò a mulinare le gambe, per allontanarsi, ma il pescecane nuotava veloce e stava andando verso di lei.

Sentì il morso nella coscia, rude, famelico, e fu sicura che sarebbe morta così.

Però, sentirsi per la terza volta nell'arco di una notte sul punto di morire, le diede una forza che non sapeva di avere.

Mentre il sangue usciva copioso dalla sua carne, rendendo la bestia ancor più affamata, Zazà prese il pezzo di legno a cui si era aggrappata e, sfruttando uno spuntone di ferro che ne usciva, cercò di colpire il pescecane.

Non seppe nemmeno lei come fece a colpirlo, ma dopo qualche minuto molto convulso, il grosso pesce la lasciò andare e nuotò lontano, come se improvvisamente avesse capito di aver davanti una preda troppo difficile da conquistare.

Appena il pescecane fu lontano, come se avesse ricevuto un preciso ordine dall'alto, la tempesta cominciò ad acquietarsi.

Le onde si fecero meno intense e la pioggia diminuì fino a smettere. Il vento si affievolì e alla fine rimase solo una leggera brezza e, passate le nuvole, perfino la luna tornò a illuminare il mare nero come inchiostro in cui Zazà stava andando alla deriva.

Debole per il sangue perso, stremata per la lotta che aveva dovuto intraprendere, disperata per la consapevolezza di aver perso tutto quanto in un'unica notte, la giovane cubana che aveva fatto sognare Maracaibo chiuse gli occhi e si abbandonò alla corrente, confidando in una forza superiore che le desse aiuto.

 

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Capitolo 6
*** Ventitré mulatte ***


 

“Prego, Sir. Da questa parte, Sir...” fece il cameriere, scortando l'inglese fino a una porta che sembrava chiusa da tempo: “Mi segua, Sir...”

Lo straniero fece come gli veniva detto e quando il venezuelano aprì quella porticina, un nuovo mondo gli si aprì davanti agli occhi. Il locale squallido e spento che faceva da facciata non era nulla in confronto a quel salotto incredibile.

Mobilia di pregio, drappi di seta, profumi inebrianti... Sembrava un paradiso in terra.

“Prego, Sir.” fece di nuovo il cameriere, indicandogli una poltroncina imbottita: “Potete vedere, Sir.” gli disse, con un inglese molto stentato, indicando il salone.

L'uomo si accomodò e si fece accendere la pipa. Squadrò con attenzione gli altri avventori di quello che gli era stato presentato come un bordello di lusso. Erano quasi tutti stranieri e quei pochi che sembravano del posto davano l'idea di avere tanti di quei soldi da non saper più dove infilarli.

“Se poi vuole, Sir, ragazze incontrano di là.” proseguì il cameriere, indicando una tendina che evidentemente divideva il salotto dalle camere da letto.

L'inglese ringraziò e si prese qualche minuto per valutare la situazione. Contò in tutto ventitrè mulatte, tutte giovani e bellissime che ballavano come matte su una musica caraibica appena accennata.

Sui vari tavolini si potevano vedere bottiglie di rum e strisce di cocaina purissima. Un trattamento da re, difficile da trovare in quella città.

“Ecco, arriva Madame, Sir.” fece il cameriere, indicando con il dito scuro un piccolo palco, la cui tenda che dava sul retro era appena stata aperta.

L'uomo si sistemò meglio e puntò lo sguardo verso quella direzione. Si rese conto con stupore che anche tutti gli altri, mulatte comprese, stavano facendo quello che stava facendo lui.

Nel silenzio più totale, una donna dalla pelle bruna si presentò sul palco. Una splendida regina di centotrenta chili, le cui forme, per quanto abbondanti, non avrebbero potuto essere più dolci ed eteree.

Quando cominciò a ballare, il salotto di cui era proprietaria e padrona indiscussa, restò immobile a fissarla, rapito come un tempo era stato rapito il Barracuda.

Negli occhi scuri di quella cubana, ormai non più nel fiore degli anni, né nel fiore della forma, si poteva scorgere la discesa all'inferno e la risalita. Come un Lucifero cacciato dal cielo che, dopo una tragica caduta, fosse riuscito a tornare in paradiso e a riconquistarlo.

Le sua movenze la rendevano leggera e impalpabile, una creatura ultraterrena. E benché fosse completamente nuda, non aveva nulla di volgare, nulla di grossolano, né di rozzo.

Era la classe, l'eleganza e la purezza della vita stessa, la forza che aveva saputo battere la morte e la cattiveria.

“Chi è?” chiese in un sussurro l'inglese, senza staccare gli occhi da quella meraviglia.

Il cameriere, che fissava parimenti la sua padrona, disse: “Voi non conosce storia di Maracaibo?”

L'uomo scosse appena il capo e confessò: “Molto poco, temo...”

Allora il venezuelano sospirò e attese che lo spettacolo della sua regina fosse terminato. Dopo gli applausi scroscianti – che la donna, al contrario di come faceva da giovane, restò ad ascoltare fino alla fine – finalmente il ragazzo parlò di nuovo.

“La mia signora – disse, con gran serietà, mentre versava del rum al nuovo cliente del salotto – è una donna di gran pregio, Sir.”

Gli parlò a grandi linee dell'arrivo misterioso della regina, di come fosse stata trovata quasi morta su una spiaggia, reduce dall'attacco di un pescecane che l'aveva morsa, ma che non era riuscito a ucciderla, e di come, in pochissimo tempo, fosse riuscita a far fortuna, mettendosi in proprio con quel locale.

“Lei è la nostra regina.” convenne una delle mulatte che si era avvicinata all'inglese, sedendoglisi sulle ginocchia: “Pensa, straniero... Se sarai cortese, ti farà vedere, nella pelle bruna, una zanna bianca come la luna...”

 

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