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di Cioccolasha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questo gioco non è divertente ***
Capitolo 2: *** Tempo di crescere ***
Capitolo 3: *** Una Nuova Vita ***
Capitolo 4: *** Benvenuto Ichiro! ***
Capitolo 5: *** Più complicato del previsto ***
Capitolo 6: *** Dodici anni dopo, a Clarines ... ***



Capitolo 1
*** Questo gioco non è divertente ***


Questo gioco non è divertente

Aveva sempre pensato che i giochi tra fratelli fossero divertenti. 
Qualcosa come cavalcare bastoni di legno immaginandoli  valorosi destrieri oppure costruire fortezze inespugnabili fatte di cuscini di velluto.
Date le circostanze, evidentemente si sbagliava, o forse era semplicemente il fatto che non tutti hanno per fratello maggiore Izana Winstaria.
"Onii-san, questo gioco non è divertente" provò a protestare come aveva fatto molte altre volte.
"Fa silenzio! Un servitore non osa lamentarsi con il proprio sovrano."
"Ma io non sono un servitore!"
"Ti ho detto di smetterla, Zen!"
Sembrava più una punizione, che un gioco: rimanere in piedi al centro dell'enorme salone, a reggere con tutta la forza che i suoi cinque anni gli permettevano un enorme vassoio d'argento pieno di leccornie; tutto quello che erano riusciti a sgraffignare intrufolandosi nelle cucine, senza però poterle toccare. Erano tutte destinate al ragazzino di fronte a lui, che se ne stava placidamente accomodato sul massiccio trono d'oro e di velluto, la testa a ciondoloni e la solita espressione annioata dipinta in volto.
Non aveva ricordi di avergliene vista una diversa.
"Finiremo nei guai se ci scoprono, Izana."
"Sciocchezze! A quest'ora non viene mai nessuno qui. Troppo impegnati con le scartoffie per badare a noi ... Adesso, da bravo, passami una tortina alla cannella, non quella! Quella grande!"
Zen avanzò di qualche passo, barcollando sotto il peso eccessivo ed allungò la mano verso il dolce, cercando di reggere il vassoio con un braccio solo, ma così facendo il peso si sbilanciò e l'oggetto finì a terra con un fragore metallico che rimbalzò fra le pareti di marmo, rovesciando tutto il suo contenuto sul prezioso marmo lucidato.
Gli occhi azzurri del maggiore fiammeggiarono di rabbia, mentre con un balzo aggraziato scendeva dal trono e si avvicinava con fare minaccioso al fratellino.
"Zen" fu l'unica sillaba che uscì dalle sue labbra contratte in una linea severa.
"Mi dispiace ... io ..." tentò di giustificarsi il più piccolo, inginocchiandosi per cercare di rimediare al danno fatto, ma poi ci ripensò e si allontanò di qualche passo, gli occhi celesti serrati in attesa di una sgridata coi fiocchi.
Che però non arrivò mai.
Un spostamento leggero d'aria al suo fianco lo spinse ad aprire timidamente un occhio, poi anche l'altro ed a constatare che Izana non lo aveva degnato di uno sguardo, ma piuttosto si stava avvicinando spedito all'uscita, uno sguardo di fredda indifferenza dipinto in volto.
"Onii - san?"
"Mi hai deluso Zen" rispose l'altro risoluto un istante prima di varcare la soglia.
"Un'altra volta."
No, decisamente non era così, che due fratelli avrebbero dovuto giocare, pensò mentre una lacrima scorreva per la guancia rosea lasciando una scia salata sulla pelle.
Il fruscio di una veste leggera ed un profumo di spezie lo riportò all'improvviso alla realtà.
"Madre?" 
L'abbraccio caldo in cui potè rifugiarsi, lo ripagò di ogni ingiustizia.



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Angolo autrici:
Ave popolo di Efp!
No, non state sognando. Siamo davvero tornate e nelle prossime settimane vi terremo compagnia con una raccolta di one shot tutte dedicate ai nostri beneamati protagonisti =3
Per iniziare in bellezza ecco a voi uno stalcio dell'infanzia di Zen e del suo *tossisce* adorabile *si strozza* fratellone. Speriamo che sia di vostro gradimento.
Intanto vi diamo appuntamento alla prossima settimana!
Cioccolasha e Hope.

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Capitolo 2
*** Tempo di crescere ***


Tempo di crescere
 
Raji Shenazard era il legittimo erede al trono del regno di Tanbarun.
Alla veneranda età di sette anni aveva imparato che essere principe è una gran cosa: nonostante tu sia solo un bambino tutti obbediscono ai tuoi ordini, s'inchinano al tuo passaggio e fanno tutto al posto tuo, senza che tu debba nemmeno chiedere.
Le giornate trascorrono all'insegna del gioco, al nascondersi dalle balie, allo sgraffignare cibo dalle cucine.
Nessuno ti sgrida o ti rimprovera, anche perchè nessuno ha abbastanza autorità per farlo, l'unica persona che potrebbe, anzi, dovrebbe è troppo presa dai suoi doveri per badare a te. Gli altri bambini, i figli dei servi, non hanno il permesso di giocare con te e le camicie da indossare hanno il colletto troppo rigido.
Alla veneranda età di sette anni, Raji aveva imparato che essere principe non è sempre una gran cosa.
Gli capitava spesso di rifletterci sopra, anche in quel momento, mentre una delle guardie di suo padre lo scortava lungo il corridoio immerso nel silenzio, se non fosse stato per i tacchi dei loro stivali che battevano ad intervalli regolari sulla pietra chiara.
Il re aveva richiesto la sua presenza nella sala del trono ed non aveva la più pallida idea di cosa aspettarsi.
Suo padre era sempre stata una presenza pallida nella sua vita, un'ombra che gli scompigliava i capelli di tanto in tanto e poi si allontanava, silenziosa e fugace com'era arrivata.
Raji non aveva mai pensato che la cosa gli pesasse, finchè poteva fare tutto ciò che voleva non gli serviva altro.
O almeno così credeva.
"Padre" mormorò a capo chino, come la guardia gli aveva intimato di fare un'istante prima di varcare il pesante portone di legno intarsiato.
Il pavimento perfettamente lucidato gli restituiva l'immagine di due occhi scuri carichi di timore riverenziale ed un corpicino snello ed aggrazziato.
Una volta si era ritrovato a passare per il giardino retrostante il castello, e si era imbattuto nel maestro d'armi che, dopo averlo squadrato per un istante, gli aveva detto che il suo fisico era adatto per la danza, e non per la spada.
Non aveva ancora capito se si trattasse o meno di un complimento.
"Guardami Raji."
La voce di suo padre era bassa, profonda, rassicurante, veniva quasi spontaneo ubbidirle.
La sua figura era retta, fiera e maestosa, Raji si sentì invadere dall'ammirazione mentre questa lo osservava rassicurante.
"Mi hanno riferito che sei parecchio vivace e che spesso ignori ciò che ti viene detto."
Non era certo la frase che si era aspettato. 
"Ehm ..." farfugliò in imbarazzo, senza sapere come rispondere.
Il re scoppiò in una sincera, ma pur breve risata. "Non preoccuparti, figliolo. Non ti ho convocato per rimproverarti della tua condotta, sei ancora un bambino in fin dei conti."
Raji si sentì sollevato, ma la sua gioia non durò a lungo.
"Tuttavia" continuò infatti il re dopo qualche istante di silenzio. "I tuoi doveri di principe ereditario non possono attendere ancora a lungo." Prese un bel respiro e cercò con lo sguardo quello del figlio. "Da oggi in avanti ho deciso di assegnarti un precettore."
"U-un precettore?" ripetè Raji confuso. Non aveva mai avuto un precettore, a stento sapeva cosa fosse.
"Il giovane figlio del mio consigliere" rispose il sovrano, indicando con un cenno della mano un uomo alto e dal fisico asciutto che fino al quel momento era rimasto in disparte nel più completo silenzio. Sentendosi chiamare avanzò di qualche passo e si prostrò in un profondo inchino, come a dimostrare che non poteva esistere onore più grande.
Il re sorrise, probabilmente compiaciuto della sua decisione, e si apprestò a continuare. "Sarà un'insegnante perfetto. Eccelle in discipline come la poesia, la storia, la filosofia e nelle arti della spada e del corpo a corpo, il tutto essendo solo pochi anni più grande di te."
 "Ma io ... " fece per protestare il principe, le lacrime ad appannargli gli occhi. Perchè mai avrebbe dovuto avere un precettore? Aveva solo sette anni e pensava che la sua unica preoccupazione sarebbe stata divertirsi ancora per lungo tempo.
Il padre lo zittì con un gesto. "La mia decisione non si discute Raji, è ora che tu inizi a comportati come un vero principe."
E detto questo, lo congedò.
 
Sentì i battenti chiudersi rumorosamente, ma non si voltò certo a guadare. In ogni caso, le lacrime gli avrebbero impedito di vedere ugualmente.
Non piangeva perchè era arrabbiato. Frustrato, piuttosto. O forse spaventato da quella situazione che gli era piombata addosso e non poteva fare niente per evitarla.
L'ultima cosa che gli avevano riferito prima di intimargli di uscire era che avrebbe conosciuto il suo nuovo precettore il giorno seguente.
Già lo odiava, quel precettore. Se lo immaginava occhialuto, gobbo a furia di stare chino sui libri e con uno strano accento.
Lo avrebbe sicuramente costretto a stare ore ed ore chino su volumi polverosi, e lui avrebbe detto addio alla sua amata libertà.
Aveva solo sette anni, non sapeva niente di come si fa il principe. Voleva continuare a fare il bambino, ad essere semplicemente quella peste che correva per il cortile spaventando le galline.
"Ehi ragazzino, tutto ok?" lo apostrofò una voce sconosciuta.
Timidamente, Raji alzò il viso ed incrociò due occhi grigi che lo guardavano curiosi. Il ragazzo che lo sovrastava non doveva essere molto più grande di lui, ma nonostante ciò il giovane principe non potè fare a meno di sentirsi intimorito.
Era alto, coi capelli color sabbia, avvolto in lungo mantello.
"Ti sei perso? Dov'è la mamma?" chiese senza aspettare che il più piccolo rispondesse.
"La mamma ... non c'è più" sussurrò appena Raji, volgendo il suo pensiero a quei due fagottini appena nati, ora accuditi dalle balie.
L'espressione del giovane si addolcì ed intenerito s'inginocchiò per arrivare all'altezza del principe. "E' per questo che piangevi?"
Raji scosse piano la testa, strofinandosi con forza gli occhi, certo, quel ragazzo era uno sconosciuto e pareva non avere la minima idea di sapere con chi stesse parlando, ma qualcosa nei suoi occhi gli dicevano che non vi era nulla da temere.
Questi gli porse un fazzoletto immacolato ed affettuosamente gli scompigliò i capelli. "Io sono nuovo qui, mi chiamo Sakaki" si presentò cordialmente.
"Raji" mormorò il principe sentendosi improvvisamente ed inspiegabilmente al sicuro.
Entrambi non sapevano che quell'istante sarebbe stato l'inizio di tutto.
 
-
 
Raji inarcò un sopraciglio, a metà fra il curioso e lo spazientito. "Uh? Si può sapere cos'è quel ghigno?" 
Sakaki si affrettò a far sparire quell'accenno di sorriso ed immergersi nuovamente nella lettura. "Nulla, stavo solo ripensando ... al nostro primo incontro."
 
 
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Angolo autrici:
Sera a tutti!
Come promesso siamo tornate con un nuovo capitolo di questa nuova raccolta, questa volta dedicato a questi due ragazzuoli dolci dolci che io shippo un casino perchè sì credo di averlo già accennato in "Remember Me" *prende fiato*, ma vabbè non è questo l'importante. L'importante è che nonostante le varie correzioni e revisioni del testo sono riuscita a pubblicare puntuale, hip hip urrà per me!
Raji sarà anche un emerito idiota, ma sotto sotto (ma proprio sotto) ha un buon cuore ed è anche un principe saggio ( anche se a modo suo).
Sono ormai le undici e mezza ed io sto delirando, quindi entrambe vi diamo appuntamento alla prossima settimana con un capitolo tutto dedicato al nostro amatissimo Obi!!!
Cioccolasha e Hope.

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Capitolo 3
*** Una Nuova Vita ***


Una Nuova Vita


Le carovane di mercanti procedevano in fila indiana attraverso gli ombrosi boschi che apparivano incendiati dalle ultimi luci del sole che andava spegnendosi oltre l'orizzonte.
Era stato un viaggio tranquillo e senza troppi intoppi, tuttavia non sapevano che sopra di loro, nascosti tra le fronde, otto paia di occhi seguivano ogni loro movimento, nell'attesa del momento più propizio per sferrare il loro attacco.
“Che ne pensi?” chiese la prima figura incappucciata volgendosi verso il complice alla sua sinistra, che mantenne lo sguardo fisso sul loro obiettivo.
“Non hanno una gran copertura, né una difesa efficace per contrastarci. Che cosa trasportano?” “Soprattutto pellame e tappeti pregiati, ma anche vari tipi di carne secca, salsicce, formaggi e barili di vino. E mi è parso di intravedere un baule, dove probabilmente vengono protetti medicinali, intrugli o pozioni varie”
“Molto bene. Io mi concentrerò sul primo, voi pensate a neutralizzare gli altri. Ci ritroveremo al solito posto più tardi” disse, ricevendo un cenno d'assenso dai compagni i quali, muovendosi ordinatamente come un piccolo esercito, si coprirono il viso e indietreggiarono nell'ombra, rimanendo immobili e in silenzio fino a quando il primo carro passò proprio sotto di loro.
Con un agile balzo il secondo bandito , dalla figura più snella e lanciata, balzò sopra la prima carrozza, attirando l'attenzione del cocchiere. 
“Ehi, chi diavolo sei tu?!” sbottò, ma non fece in tempo ad aggiungere altro che fu scaraventato giù dal veicolo. Appropriandosi delle redini il ladro spronò ancora di più il cavallo che scattò in avanti con un forte nitrito.
Sentiva alle sue spalle i compagni che afferravano avidi tutto ciò che potevano, scatenando una gran confusione e atterrimento tra i carovanieri, colti decisamente impreparati da quell'attacco a sorpresa.
Seguendo il piano che avevano precedentemente preparato, continuò imperterrito per la sua strada; le grandi ruote cigolavano pericolosamente lungo il percorso sterrato mentre la vettura proseguiva a tutta velocità per poi immettersi in una stradina laterale e addentrarsi sempre di più nel folto del bosco, facilitata dal calare delle tenebre che scendevano inesorabilmente.
Fece rallentare delicatamente il destriero per poi balzare giù agilmente; sospirando profondamente si appoggiò al fianco del veicolo, incrociando le braccia al petto e chiudendo gli occhi in attesa: ormai quelle piccole scorribande erano all'ordine del giorno, rubavano un po' ovunque per vivere, anzi sopravvivere, eppure quel gruppo di sbandati lo aveva accolto dopo un lungo peregrinare che lo aveva portato ad allontanarsi da cattive compagnie che lo avevano condotto su una pessima strada, dove il furto era solo l'ultimo dei suoi problemi. Anzi, era un abile combattente ed era agile e attento, lo era sempre stato, e molte tecniche apprese in passato ogni tanto tornavano utili, soprattutto in quelle occasioni.
Non passò molto tempo che udì uno scalpiccio di passi che si avvicinavano che lo distrassero dai suoi pensieri, seguito da un cigolio che indicava il passaggio di una seconda carrozza che infatti comparve tra le fronde, guidata da una figura che portava il cappuccio sollevato per nascondere la faccia, dalla quale però proveniva un ghigno soddisfatto. Dietro si potevano intravedere gli altri tre complici che ridacchiavano compiaciuti per il bottino appena ottenuto. Appena si riunirono tutti insieme si scambiarono sguardi compiaciuti e lanciando gridi e schiamazzi di gioia e ripartirono, scivolando via protetti dal manto cupo della notte che li celava da sguardi indiscreti.
Giunsero al loro covo e si prepararono a festeggiare in grande stile, avevano ottenuto un gran bottino quella sera e avevano intenzione di consumarlo tutto, festeggiando fino a notte fonda.
A notte ormai inoltrata tutti erano crollati per la stanchezza e il vino, solo uno di essi si ritirò dalla stanza dove si erano svolti i festeggiamenti e salì fino al tetto della catapecchia che condividevano in quattro, sdraiandosi e portando le mani dietro la testa si perse a contemplare il cielo stellato, inseguendo chissà quali pensieri.
“ Sempre in solitudine tu, eh?” Una voce ruppe il silenzio, portandolo a chiudere gli occhi e sospirare profondamente.“E tu sempre tra i piedi eh?” rispose a tono ricevendo in risposta un verso stizzito. Si tirò lentamente a sedere mentre la persona che aveva parlato si sedette accanto a lui, un po' barcollante, reggendo in mano una bottiglia; prese un lungo sorso e voltandosi verso il compagno chiese: “ Ho sentito che stai pensando di andartene... è la verità?”
Non ricevette risposta, ma il suo silenzio era chiaro “Perché?” chiese con voce leggermente tremante.
“Sono stanco di rubare e depredare. Voglio qualcosa di meglio, voglio capire se posso avere uno scopo nella vita, se riesco a essere qualcosa di più di un semplice bandito” disse con tono tranquillo e piatto, come se stesse parlando del tempo e non di una scelta che gli avrebbe cambiato per sempre la vita.
“E non pensi a noi? Siamo la tua famiglia!” disse con rabbia, scostando lontano la bottiglia e assumendo una preoccupante tonalità di rosso. “ Sei solo un'egoista! Sbruffone!” disse gettandosi sul compagno e tempestandogli il petto di pugni facendolo sdraiare nuovamente sulla schiena senza opporre resistenza e senza assumere alcuna espressione “Ti odio! TI ODIO!” cominciò a singhiozzare finché i colpi divennero sempre più deboli fino a cessare del tutto.
“Ehi, non fare così. Ascoltami... Torou.” disse sollevandole il viso e incrociando i suoi grandi occhi gialli con quelli arrossati e lucidi di lei. “ Non posso più fare questa vita. Sento che ho bisogno di cambiare, di cercare qualcos'altro. Non sono tipo da restare spesso in un unico luogo, e tu lo sai bene. Io cerco l'avventura, il pericolo, magari un posto che possa sentire totalmente mio. Forse ora non mi capisci, e forse non mi capirai mai. Ma devo andare via.” concluse osservandola e ricambiando il suo sguardo serio e un po' annebbiato dall'alcool.
“Sei solo uno stupido” rispose con il suo solito garbo, ma il suo sguardo si addolcì subito. Si accoccolò contro di lui, chiudendo gli occhi “Ti prego, resta con me stanotte. Se davvero è l'ultima...” non volle terminare la frase ma si abbandonò contro di lui e si addormentò. Il ragazzo rimase ad osservarla per un po', poi sollevò lo sguardo verso il cielo e chiuse gli occhi, domandandosi in cuor suo se stesse davvero facendo la cosa giusta.
Partì alle prime luci dell'alba, senza salutare nessuno né voltarsi indietro, non era il tipo da addii o sentimentalismi vari, era come un'ombra: fuggevole, evanescente e inafferrabile. E tale doveva rimanere.
Dopo due giorni di viaggio giunse in una cittadina portuale. Il suo intento era quello di rifocillarsi per poi proseguire il cammino, quando alcune voci giunsero alle sue orecchie: una ragazza dai curiosi capelli rossi era ospite nel palazzo reale e tutti si chiedevano chi fosse.
“Certamente è inusuale come colore di capelli, ma non vedo cosa ci sia di così straordinario..” pensò tra sé e sé quasi annoiato. Poi scrollò le spalle e decise che in fondo non gliene importava poi molto.
Tanto non si sarebbe fermato a lungo in quel posto, era troppo affollato, il porto richiamava una grande quantità di persone provenienti da ogni parte, e l'ultima cosa che voleva era attirare l'attenzione; sarebbe immediatamente ripartito, magari dopo aver trovato qualcosa da mettere sotto i denti. Lasciò la strada principale per non destare sospetti e, inoltrandosi in viottoli stretti e bui, si allontanò dalla zona portuale, senza accorgersi che una figura incappucciata lo seguiva a breve distanza.
Dopo aver raggiunto una distanza ragionevole dalla folla, decise di mettersi alla ricerca di un ostello o altri posti del genere; si imbatté in uno che pareva essere tale, quasi invisibile all'angolo di una stradina secondaria, anonimo e discreto, proprio quello che faceva al caso suo.
Soddisfatto, entrò trovandosi subito in un ambiente piccolo e ammuffito, illuminato solo dalla fioca luce che proveniva da una finestra in un angolo.
Non c'era nessuno al suo interno, tranne quello che probabilmente era l'oste che stava trafficando sul retro a giudicare dagli spostamenti e dal gran vociare che avvertiva con il suo udito finissimo.
Si accomodò silenziosamente al tavolo più lontano dall'ingresso, non voleva attirare sguardi troppo curiosi o invadenti, si sarebbe accontentato anche di un pezzo di pane, poi sarebbe ripartito al più presto.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorse della porta d'entrata che cigolava facendo entrare una figura incappucciata che, guardatasi intorno con malcelata discrezione, si diresse verso l'unico tavolo occupato dal giovane forestiere che sollevò lo sguardo non riuscendo però a scorgere il viso del suo misterioso interlocutore.
“Ho un'interessante proposta per te, nulla di che, un lavoretto semplice e pulito, verrai pagato molto bene. Ah, immagino che non ci sia bisogno di dirlo, ma in ogni caso...” arrivò subito al sodo, senza nemmeno presentarsi e facendo scivolare lentamente la mano verso la cintura sfoggiando un lungo pugnale affilato riccamente intarsiato “Dovrai tenere la bocca chiusa su tutto, compresa questa piccola chiacchierata, altrimenti non importa dove tu ti nasconda, io ti troverò e ti farò passare le pene dell'inferno. Sono stato chiaro?” concluse minaccioso abbassando la voce dato che l'oste era appena rientrato nella sala fischiettando un motivetto allegro.
Obi non si scompose e mantenne un'espressione neutra mentre levava un braccio per attirare l'attenzione dell'oste: “Sarebbe possibile avere un assaggio della tua migliore selvaggina? E una brocca di vino” disse ricevendo un breve cenno del capo dall'uomo che sparì immediatamente in quella che probabilmente era la cucina.
Tornò a rivolgere la sua attenzione all'uomo che stava ritto di fronte a lui e che non aveva mosso un muscolo. “ E cosa ti fa credere che io sia davvero qualificato per..” fece un cenno rapido con la mano “..qualsiasi cosa tu mi stia chiedendo di fare?”
L'altro sogghignò “Non credere di essere così furbo. Chiunque saprebbe riconoscere un mercenario quando lo vede. E il tuo atteggiamento, la tua schiettezza, persino i tuoi movimenti furtivi ne sono la prova”
Obi scoppiò in una grossa risata. “E tu sei solo un nobile da quattro soldi che non vuole sporcarsi le mani e lascia fare tutto il lavoro alla 'feccia' come me, dico bene?” disse scoccandogli uno sguardo di sfida ma prima che l'altro potesse reagire lo precedette “Risparmiami le tue patetiche scuse, ho visto la tua arma, è talmente ben elaborata e raffinata che non potrebbe appartenere ad altri se non a voi ricconi che credete di poter ottenere tutto solo con il denaro, corrompendo la povera gente che farebbe di tutto pur di guadagnare qualche misero spicciolo in più. Li conosco quelli come voi, ho lavorato per parecchi di loro e ormai non mi sorprendo più di niente” disse gelido, ora non rideva più ma il suo sguardo appariva più minaccioso che mai.
Si interruppe quando l'oste si avvicinò lentamente al tavolo posando un piatto colmo di carne dall'aspetto squisito e un boccale da cui quasi strabordava vino rosso sangue.
Senza fare troppi complimenti Obi si gettò sul cibo divorando senza alcun ritegno tutto quello che aveva davanti senza degnare di uno sguardo l'uomo davanti a lui che cominciò a fremere di rabbia
“Come si permette questo ragazzino di parlare così a me... vatti a fidare di questi mercenari, non meritano nemmeno un briciolo della mia considerazione.. eppure, eppure devo fare qualcosa, quella ragazzina non può passarla liscia, non così.. E va bene, se con le buone non ha funzionato devo ricorrere ad altri mezzi, di certo un ragazzetto avido come lui non potrà rifiutare la mia offerta” sogghignò crudele prima di infilare una mano sotto il pesante mantello ed estraendo un sacchetto di cuoio che fece cadere sul tavolo con un pesante tonfo, segno che doveva essere ben generoso, a giudicare dal vago tintinnio che si udì subito dopo: “ Questo è solo un anticipo, a lavoro compiuto ti verrà dato il resto.. Non mi capita spesso di essere così generoso, ti consiglio di approfittarne finché puoi, la mia pazienza ha un limite, ed è pericolosamente vicino” sibilò furioso avvicinando il volto a quello del giovane che continuava a ingozzarsi senza dare segno di aver ascoltato nemmeno una parola.
L'uomo a quel punto perse le staffe; afferrò il bavero del suo sgradito interlocutore e lo strattonò, facendogli quasi andare di traverso l'enorme boccone di carne che stava ingoiando senza alcun ritegno. “Senti un po' ragazzino, tu non sai chi sono io, potrei farti arrestare in questo preciso momento, non ho tempo da perdere con un marmocchio come te, io ti...”
“Calma vecchio, attento a ciò che dici. Posso diventare molto pericoloso se voglio, non sfidarmi. In un attimo ti ritroveresti con la gola squarciata senza che nemmeno te ne renda conto” lo minacciò l'altro improvvisamente gelido come il ghiaccio. Lo guardò con quei suoi occhi gialli che ora incutevano terrore, mentre l'altro deglutiva visibilmente; non l'avrebbe mai ammesso, ma quel ragazzino tutto a un tratto era diventato terrificante “Voglio almeno il doppio, ora e a lavoro terminato. E non mi bastano i soldi. Voglio delle garanzie.”
“Cioè? Che vorresti dire? Non giocare con me ragazzino, altrimenti io.. “ “Tu cosa? Andrai a denunciarmi alle guardie?” lo schernì l'altro “Non ho dubbi che lo faresti. Ma lascia che ti dica una cosa, amico” marcò bene l'ultima parola “Se proverai a fregarmi, non uscirai vivo da qui. Voglio un accordo scritto, qui e ora” L'altro digrignò i denti, ma non aveva altra scelta “Che cosa vuoi” “Devi essere un pezzo grosso per fare una richiesta del genere. E certamente non vorrai che una richiesta del genere arrivi alle orecchie sbagliate.. o addirittura a quelle della famiglia reale.
Perciò ecco cosa farai: tu mi darai una completa immunità e una volta che avrò compiuto il lavoro mi farai trovare un cavallo e dei viveri al cancello sud di questa cittadina, assieme a una bella somma di denaro. E ovviamente mi lascerai andare senza farmi seguire da nessuno; da quel momento sarà come se non ci fossimo mai visti, e per quanto mi riguarda sarò ben lieto di non vedere più la tua orrenda faccia” concluse serafico lanciandogli uno sguardo di sfida.
L'uomo davanti a lui tremava di rabbia e indignazione, era stato incastrato da uno sciocco ragazzetto arrogante, e ora non poteva fare nulla, aveva le mani legate, e per quanto la parola di uno sporco mercenario non valesse molto, la voce si sarebbe sparsa in fretta e lui sapeva bene che anche un solo sospetto o un pettegolezzo di troppo lo avrebbero portato alla rovina.
Con la rabbia in corpo che bruciava più del fuoco, si rivolse all'oste in tono sgarbato: “ Procuraci in fretta carta e penna. Dobbiamo concludere un affare” ordinò imperioso mentre l'uomo si affrettava a procurargli ciò che gli era stato richiesto con una certa fretta, timoroso di quello che sarebbe potuto accadere, mentre Obi terminava soddisfatto il suo succulento pranzetto.
Una volta messo su carta l'accordo, impresse su della cera sciolta a caldo il sigillo impresso sul prezioso anello che portava al dito come segno di maggiore garanzia, nonostante si fosse opposto fino all'ultimo. Ma il luccichio di una lama che brillava sotto il tavolo e mirava diretta alla sua cintola gli aveva fatto mancare tutto il coraggio, e da codardo qual'era, si era piegato a tutte le richieste che l'altro gli aveva fatto.
Obi fischiettò soddisfatto, avrebbe accumulato un bel gruzzoletto da quella semplice missione, ora non restava che prepararsi. Si avviò verso l'uscita soddisfatto, ma all'ultimo momento si girò verso l'oste “Il mio caro amico si è gentilmente offerto di pagare il pranzo. Complimenti, era tutto squisito. Vero amico?” si voltò beffardo verso l'altro che gli lanciò uno sguardo assassino, mentre usciva e veniva accolto dai luminosi raggi solari che facevano capolino da una fitta coltre di nuvole.
Mentre si avviava verso il castello nella sua mente risuonavano le parole dettagli dall'uomo. 
"Uccidi la donna dai capelli rossi che si aggira al castello. La sua presenza è una minaccia per tutti, va eliminata. Il suo nome è Shirayuki”

 
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Angolo autrici:
Il lupo perde il pelo ma non il vizio. 
Ecco un altro capitolo che arriva in ritardo, ma spero ci perdonerete, visto che parla di uno dei personaggi più amati.
Abbiamo ripescato gli stralci di trama che nell'anime accennano al passato di Obi ed ecco qui la nostra versione.
Speriamo sia di vostro gradimento.
Noi vi diamo appuntmento al prossimo capitolo.
Cioccolasha & Hope

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Capitolo 4
*** Benvenuto Ichiro! ***


Benvenuto Ichiro!

La luna era ormai sorta da ore e con la sua pallida luce illuminava il cielo di un intenso blu cobalto, punteggiato da miriadi di piccole stelle luminose.
Tutto taceva nel palazzo reale del regno di Clarines, i cui abitanti erano immersi in un sonno profondo, tutti tranne uno.
Nelle stanze reali nell'ala est del palazzo, una giovane donna osservava pensierosa la luna che splendeva alta nel cielo, persa in pensieri che avevano turbato il suo già agitato sonno.
Dopo essersi rigirata per ore tra le morbida lenzuola felpate, data la stagione invernale che si stava avvicinando, avendo cura di non svegliare il marito che dormiva beatamente al suo fianco, si era alzata e si era avvicinata lentamente alle grandi vetrate trasparenti che si affacciavano sugli splendidi giardini reali, illuminati dalla fioca luce del grande astro notturno che conferiva loro un'atmosfera quasi spettrale.
Con un sospiro stanco si appoggiò alla finestra, passando distrattamente una mano sulle morbide curve che ormai da qualche mese le avevano addolcito le forme, soffermandosi soprattutto a sfiorare in una dolce carezza il rigonfiamento che spuntava leggero da sotto la camicia da notte che indossava e che quasi le impediva di vedersi le punte dei piedi, tanto era enorme e ingombrante, almeno a parer suo. Inoltre si sentiva sempre più stanca e affaticata, talvolta le sembrava quasi di essere un peso, nonostante Zen la rassicurasse tutte le volte, confortandola e standole vicino il più possibile.
Quella gravidanza era stata un'enorme sorpresa, per entrambi, eppure non sarebbe tornata indietro per nulla al mondo: aveva una vita felice, e l'arrivo di qualcuno in più avrebbe reso il tutto ancora più gioioso.
Sorrise nel ricordare quella volta in cui aveva comunicato al marito che sarebbe diventato padre: Zen era sbiancato, paralizzandosi all'istante e diventando quasi del colore dei suoi capelli, svenendo subito dopo (“È stato per la gioia” avrebbe precisato dopo essersi ripreso poco più tardi, offeso dalle risatine di Kiki e Mitshuide che avevano assistito alla scena, mentre Obi si rotolava per terra dal ridere, con le lacrime agli occhi 'Peccato che mi sia perso la scena' aveva poi ridacchiato, fulminato subito da un'occhiataccia di Zen, che aveva fatto scatenare una risata generale, che aveva sollevato l'atmosfera).
In tutti quei mesi si era preso cura di lei nel più amorevole dei modi, non facendole mancare nulla, senza lasciarla mai sola e diventando leggermente ossessivo, tanto da chiedere aiuto a Mitshuide per allontanarlo e farlo svagare un po' con qualche allenamento prima che impazzisse del tutto, anzi per quello erano già sufficienti le sue paranoie.
All'inizio si era spaventata: come poteva lei, che non aveva nemmeno mai avuto una madre, riuscire ad esserlo a sua volta?
Il terrore e il panico si erano impossessati di lei, ma Zen, che forse la conosceva meglio di quanto lei conoscesse se stessa, l'aveva rassicurata: “Amore mio, qualsiasi cosa succeda, ti prometto che io starò sempre al tuo fianco, e sono sicuro che sarai una splendida madre, la migliore del mondo” le aveva detto carezzandole delicatamente una guancia, facendo dissolvere all'istante tutte le sue paure e preoccupazioni come nebbia al sole.
Zen invece era pazzo di gioia: infatti tutte le sere, prima di andare a dormire, si stendevano sul letto e parlava al figlio per ore, estasiato, riempiendole la pancia di baci e continue carezze e coccole, e sorrideva felice quando avvertiva sotto il tocco della sua mano la forma di un piedino o una manina.
Ormai mancava poco al termine, si sentiva un po' nervosa ma cercava di mascherare il tutto sotto una maschera di apparente calma e tranquillità, concentrandosi solo sul suo bambino e sul pensiero che tra qualche settimana lo avrebbero tenuto tra le braccia. Solo ora si rendeva conto di quanto amasse quella creaturina che portava in grembo, avrebbe affrontato il mondo intero per lui, senza alcun timore o esitazione.
Si era persa così tanto nei suoi pensieri che la schiena aveva cominciato a dolerle da tanto che era rimasta in piedi; si voltò per tornare a letto, era opportuno che riposasse un po'. Zen sarebbe andato su tutte le furie se l'avesse vista sveglia a quell'ora della notte.
Fece per avvicinarsi quando una fitta lancinante la fece piegare dal dolore, facendole emettere un gridolino acuto; si portò velocemente la mano al basso ventre e cominciò a respirare affannosamente, socchiudendo gli occhi a causa delle continue fitte che le scuotevano il corpo.
Zen, udito tutto quel trambusto, socchiuse leggermente un occhio, chiedendosi cosa fosse tutto quel baccano, ma quello che vide accanto a sé fu il letto vuoto e la sua Shirayuki in piedi vicino al letto che ansimava sempre più forte, con le lacrime agli occhi, che lo chiamava, nonostante la sua voce somigliasse più a un lamento.
Scattò immediatamente a sedere come una molla e si precipitò da lei, avvolgendola con le braccia: “Amore mio, che sta succedendo?” “Credo.. credo che sia il momento.. sta per..” non riuscì a finire la frase che una contrazione più forte la fece gridare dal dolore mentre il marito accanto a lei era impallidito: “Ma no, non è possibile.. mancano ancora due settimane..” farfugliò inebetito. Vedere Shirayuki così sofferente gli spezzava il cuore, sapeva che doveva muoversi e fare qualcosa, andare a chiamare qualcuno, ma era come se il suo corpo fosse diventato di pietra.
“E CREDI CHE SIA UNA QUESTIONE IMPORTANTE ORA?!? ZEN, TI PREGO!” strillò la giovane, piegandosi ancora di più e gemendo dal dolore.
Dopo l'ennesimo urlo straziante Zen parve destarsi all'improvviso e, dopo averla accompagnata sul letto e fatta sdraiare, spalancò la porta della stanza e si trovò di fronte Obi che, come ogni sera, montava la guardia nei corridoi del castello “Arji! Ho sentito gridare e sono corso qui. Cosa è..” “NON È IL MOMENTO DI BADARE A QUESTE SCIOCCHEZZE! CORRI SUBITO A CHIAMARE KIKI E MITSHUIDE E MANDALI QUI! FAI VENIRE ANCHE UN DOTTORE AL PIÙ PRESTO! SHIRAYUKI STA PER PARTORIRE”
Udite quelle parole, Obi sgranò gli occhi sorpreso, ma scattò immediatamente verso le stanze delle due guardie mentre Zen rientrava velocemente nella stanza.
Shirayuki era sdraiata sul letto, madida di sudore, mentre le contrazioni si facevano sempre più forti e più ravvicinate ogni minuto che passava. Teneva gli occhi chiusi e Zen le si avvicinò, prendendole la mano e stringendola forte.
Shirayuki aprì gli occhi “Zen.. ho paura.. non so se ce la faccio..” disse con le lacrime agli occhi mentre un'altra fitta la fece sussultare, portandola a stringere gli occhi e stringendo forte la mano di Zen, che però non fece una piega:
“Non dire così, vedrai che andrà tutto bene, sta arrivando il dottore, presto starai meglio vedrai” le disse, sporgendosi verso di lei e baciandole teneramente la fronte.
Dei passi affrettati risuonarono nel corridoio finché Obi non fece capolino nella stanza seguito da quello che probabilmente era il dottore e subito dietro Kiki e Mitshuide: “La prego, la aiuti” implorò Zen angosciato, mentre l'uomo si avvicinò lento alla giovane “Non vi preoccupate principe Zen, ho fatto nascere molti bambini, voi compreso. Andrà tutto bene. Ora però devo chiedervi cortesemente di uscire dalla stanza” concluse, al che Zen si voltò preoccupato verso Mitshuide che era rimasto in un angolo immobile, ma nemmeno lui poteva farci molto.
La guardia si accostò leggermente al principe “Zen Tenka, sicuramente il dottore sa quello che fa. La nostra presenza sarebbe solo d'intralcio qui” Si voltò verso Kiki e incrociò il suo sguardo, rivolgendole un semplice cenno del capo. A quel punto Kiki si avvicinò a Zen: “Non si preoccupi principe, rimarrò io con lei” disse seria, calmandolo un pò, grato che Shirayuki avesse qualcuno vicino ad assisterla.
Uscirono tutti e tre dalla stanza, accompagnati da Obi, e subito Zen cominciò a fare avanti e indietro davanti alla porta della stanza; ogni tanto le urla di Shirayuki rompevano quell'angoscioso silenzio, tanto da portare il giovane principe a mordersi le labbra a sangue e a torturarsi impaziente le mani.
Odiava essere impotente, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di alleviare alla sua Shirayuki tutto quel dolore, ma purtroppo non poteva farci niente.
La natura doveva fare il suo corso.
“Dovete avere pazienza per queste cose principe. Potrebbero occorrerci delle ore” gli fece notare Mitshuide, mollemente appoggiato alla parete, ma Zen parve non ascoltarlo. Sperava solo che tutto finisse.
E al più presto.
Era ormai l'alba quando la porta si aprì e spuntò il viso di Kiki: “Ci siamo” disse, facendo scattare Zen, che nel frattempo si era seduto vicino alla porta, fermando il suo incessante andirivieni dato che Obi si era lamentato dicendogli che 'gli stava facendo venire il mal di mare'.
Tutto pareva essersi fermato, i tre erano tutti con lo sguardo puntato sulla porta nuovamente chiusa, in attesa.
Dopo quella che parve un'eternità, un piccolo vagito risuonò nel corridoio, seguito da un pianto acuto che, se avesse potuto, avrebbe certamente svegliato l'intero castello,
“Però, sentitelo come strilla, sembra una piccola aquila” disse Obi, con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro. Anche Mitshuide sorrideva, e si voltò verso il principe “Complimenti, vostra altezza” gli disse, rivolgendogli un breve inchino. Ma quando sollevò la testa si accorse delle lacrime che rigavano il viso di Zen e rimase un attimo interdetto, finché il giovane gli corse incontro e gli si aggrappò al collo, piangendo e ridendo allo stesso tempo “Sono diventato papà..” gli sussurrò all'orecchio, visibilmente emozionato.
La porta si aprì lentamente e comparve Kiki, che senza dire una parola fece un cenno a Zen, invitandolo a entrare. Questi, prendendo un profondo respiro, entrò nella stanza: il dottore era di spalle e si stava risciacquando le mani in un catino pieno d'acqua lì vicino, le maniche del camice bianco arrotolate fino ai gomiti.
All'udire la porta aprirsi, si voltò e si inchinò alla vista di Zen per poi avvicinarsi “Complimenti, vostra Altezza. Vostro figlio è sano e forte come un leone. Anche sua moglie sta bene, è stato un parto lungo e ha bisogno di un po' di riposo. Tornerò tra poco per controllarli entrambi.” gli rivolse un cenno del capo e si congedò silenziosamente.
Solo allora Zen rivolse la sua attenzione al grande letto matrimoniale sul quale era appoggiata Shirayuki: appariva stanca, ma i suoi occhi brillavano di felicità. Tra le braccia stringeva un minuscolo fagottino che si muoveva appena e dal quale spuntava un piccolo ciuffo di capelli candidi.
Con gli occhi lucidi dall'emozione, si avvicinò lentamente; Shirayuki sollevò lo sguardo e incrociò quello del marito, sorridendogli radiosa “Zen..”lo chiamò, ed egli si chinò, lasciandole un tenero bacio a fior di labbra, per poi osservare per la prima volta il volto di suo figlio.
Era così piccolo.. aveva gli occhi chiusi e un'espressione quasi imbronciata e corrucciata che lo rendevano davvero adorabile.
“Vuoi prenderlo in braccio?” gli chiese Shirayuki, mentre Zen sussultò sorpreso “No, io non.. non sono capace..” balbettò impacciato. E se lo avesse fatto cadere? E se non fosse riuscito a tenerlo nel modo corretto? Shirayuki gli sorrise dolcemente: “Non preoccuparti, ti faccio vedere io.. Ecco così, prendilo piano.. tienigli la testa sollevata..” gli disse mentre glielo adagiava tra le braccia.
Rimase a contemplarlo adorante, era incredibile la sensazione che provava nello stringere suo figlio al petto, sentiva come uno strano calore che lo avvolgeva tutto, e un forte senso di protezione nell'osservare quel bimbo così' piccolo.
Suo figlio.. ancora gli sembrava strano che fosse accaduto realmente, ma non poteva essere più fiero e orgoglioso. Aveva un'espressione così tranquilla e beata che sarebbe rimasto a guardarla per sempre.
Accanto a lui Shirayuki emise un piccolo sbadiglio “Non preoccuparti, rimango io con lui. Tu riposa pure” le disse Zen amorevole. Shirayuki gli rivolse un'occhiata grata e gli sussurrò dolcemente un 'ti amo' prima di chiudere gli occhi e addormentarsi rapidamente.
I primi raggi del sole cominciarono ad illuminare la stanza mentre Zen si accomodò su una poltroncina accanto a Shirayuki, facendo attenzione a non stringere troppo il piccolo. Aveva paura di fargli male, era così fragile e indifeso..
Da quel momento promise a se stesso che non avrebbe permesso a niente e nessuno di fargli del male. Guardò sua moglie che riposava e poi suo figlio; ora aveva la sua famiglia e si sentiva l'uomo più fortunato del regno. Li avrebbe difesi a qualunque costo, avrebbe dato la vita per loro; una nuova vita iniziava ora al palazzo, loro tre insieme.
E non avrebbe potuto essere più felice.

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Angolo autrici:
C: "Sob!" si asciuga una lacrima
H: le picchietta una spalla "Ehm ... Ciocco!"
C: "Che c'è?! si accorge dei lettori che le guardano confusi "Oh ... salve a tutti voi!"

Sappiamo che ormai avrete abbbandonato la speranza di vederci pubblicare puntuamente, c'est la vie, nessuno è perfetto.
Passando al capitolo .... QUANTO E' TENERO ZEN CHE DIVENTA PAPA' ME LO SPUPAZZEREI TUTTO!
Ok, sono calma ... più o meno.
Una scena dedicata alla nascita del primogenito di Zen e Shirayuki era d'obbligo, e concorderete con me che Hope ha fatto un ottimo lavoro.
Quindi se la storia (o meglio, le storie) degli abianti di Clarines continuano ad appassionarvi fatecelo sapere e non perdetevi il prossimo capitolo.
A presto!
Cioccolasha & Hope

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Capitolo 5
*** Più complicato del previsto ***


Più complicato del previsto

Non era mai stato così nervoso in vita sua.
Le ginocchia gli tremavano e la fronte era imperlata di sudore.
Deglutì rumorosamente e si allentò il colletto che sembrava volerlo soffoccare.
Ogni centimetro del suo corpo era un fascio di nervi, a causa della figura che davanti a lui lo guardava con occhi interrogativi e carichi di aspettativa. Ma nonostante ciò si sforzò di continuare.
"Kiki ..." sussurrò, ma si rese conto di come la sua voce non fosse più di un bisbiglio roco; tossì un paio di volte e s'impose di continuare.
"Tu sei la donna che amo" pronunciò diventando rosso come un pomodoro maturo. "Siamo sempre stati insieme noi due ... in tutti questi anni ho imparato a conoscere sia la tua forza che il tuo coraggio, come quelli di un uomo."
Aspetta, cosa?
"No! Non che tu sia un uomo! Ma ... oh accidenti!"
Stava facendo la figura del perfetto imbecille, tutta colpa del cuore che gli pulsava furioso nel petto facendo un gran fracasso ed impedendogli di pensare.
Aveva perso il filo. Il bel discorso che si era preparato stava svanendo come nebbia al sole. Si domandò se non avesse fatto meglio a scriverselo sulla mano, ma dubitava che sarebbe stata ancora leggibile, visto quanto gli stavano sudando.
"Ehm ... quello che sto cercando di dire ..." cercò di deglutire di nuovo, ma gli si fermò tutto in gola.
"Mivuoisposare?" pronunciò tutto d'un fiato, con una voce che assomigliava di più ad un rantolo strozzato, mostrando una scatolina di velluto ed aprendola, rivelando al suo interno un anello sobrio, elegante ma raffinato; proprio come la sua Kiki.
La figura dinnanzi a lui lo osservò silenziosa per lunghi istanti, prima di prendere un bel respiro.
"No."
Se un macigno gli fosse caduto in testa avrebbe fatto meno male. Mitsuhide sentì il sangue defluire dal petto per andarsene chissà dove e gli arti farsi pesanti.
Si accasciò a terra, meditando di nascondersi da qualche parte a piagnucolare per il resto dei suoi giorni.
La figura sorrise divertita, prima di inginocchiarsi di fronte a lui e picchiettargli un dito sulla nuca.
"Sai che non ti sposerà mai se le farai un discorso come questo."
"Lo so Obi" rispose la guardia nascondendi il viso fra le mani. "E' solo che quando sono con lei non ci capisco più niente... E TU non sei certo di aiuto!" esclamò puntando con fare accusatorio l'indice verso la testa dell'altro, dove una parrucca bionda faceva bella mostra di sè.
Obi se la lisciò con aria compiaciuta. "Che? Ma mi dona, non trovi?"
Mitsuhide sbuffò, non voleva neanche sapere dove se l'era procurata.
"Riproviamo" sospirò rimettendosi in ginocchio.
L'altro gli agitò le mani davanti al viso. "No, no, no. Siamo qui da due ore ed è arrivato il momento del mio pisolino. Senza contare che il capo mi starà cercando per staccarmi la testa a morsi."
"Non ci provare, eravamo d'accordo che mi avresti aiutato finchè non ci sarei riuscito."
"Ehi! Io ho accettato solo perchè mi hai promesso una scorpacciata alla miglior taverna del paese."
"Bell'amico che sei." Il ragazzo dai capelli verdi lo guardò torvo prima scrollare il capo sconsolato. "Ma hai ragione, non ci riuscirò mai."
"Sciocchezze, hai solo bisogno della giusta ispirazione. Vediamo..."
Obi si guardò intorno per qualche istante, come se l'ispirazione potesse piovere dal cielo da un momento all'altro.
"Trovato!" gridò ad un tratto, facendo arrestare il cuore dell'altro per lo spavento.
Afferrò un rastrello poggiato alla parete, si sfilò la parrucca e la poggiò sul manico.
"Ta daaaan!" esclamò orgoglioso come un papà che vede il figlio muovere i primi passi.
Mitsuhide non seppe mai dove trovò l'autocontrollo di non prenderlo a calci seduta stante.
"Assolutamente no."
Obi, non scomponendosi di una virgola, rimirò la sua creazione grattandosi il mento con fare pensieroso. "Hai ragione, non ha nè il mio fascino nè la mia personalità" constatò, risistemandosi la parrucca sul capo.
Mitsuhide aveva tanta voglia di scappare in un paese straniero e darsi all'allevamento di pappagalli, tanto peggio di così.
"Ci sono!" esclamò Obi battendosi il pugno sul palmo, con l'aria di uno che ha appena avuto l'idea del secolo.
Si diresse verso la porta a passo spedito, prima che l'altro potesse strillargli poco virilmente di lasciar perdere, che ne aveva abbastanza e che se avesse avuto una pala si sarebbe sotterrato seduta stante.
"Vado a chiamare Ojou-san, essendo una ragazza ne capirà molto di più di noi di tutta questa roba della prorposta."
Questa roba?
"Inoltre se il capo vedrà che sono con lei ed il pargolo gli passerà la voglia di appendermi ad un albero per gli alluci."
A giudicare da come gli illustrava il suo piano, doveva esserne molto compiaciuto.
"Cosa? No!" Mitsuhide lo afferrò per un polso. "E' una pessima idea. Mi imbarazzerei ancora di più di fronte a lei."
Obi lo guardò offeso, come aveva osato giudicare il suo piano 'una pessima idea'?
"A questo punto perchè non aspetti che sia Kiki a chiederti di sposarla? Sono sicuro che a lei riuscirebbe benissimo."
"Aiutami!" lo supplicò Mitsuhide mostrandogli le mani incrociate in segno di preghiera.
Obi sospirò rassegnato. "Ok, io non volevo farlo, ma tu non mi lasci scelta."
Mitsuhide non ebbe tempo di chiedergli esattamente cosa, che si ritrovò con la schiena premuta contro la parete, con le braccia di Obi ai lati del viso.
"Ma che ..."
"Shhhh" gli intimò Obi, in punta di piedi per far sì che i loro visi fossero uno di fronte all'altro.
"Kiki" gli soffiò in viso, facendolo divenare rosso fino alla punta dei capelli.
"Ti farò un'offerta che non potrai rifiutare" ammiccò prendendogli il mento fra le dita.
La guardia lo guardava con gli occhi talmente sbarrati che avrebbero potuto benissimo uscirgli dalle orbite in qualsiasi momento.
"Obi" gracchiò "Che stai ..."
Non fece in tempo a finire la frase che la porta del magazzino si spalancò. "Mitsuhide sei qui? Zen ti sta cercand ..."
Kiki pensava di averle viste tutte in vita sua, ma di fronte alla scena di Mitsuhide, talmente rosso che avrebbe potuto accendere un falò se solo avesse immerso la faccia in una catasta di legna, fra le braccia di Obi che indossava una parrucca bionda; dovete ricredersi.
Li fissò impassibile per lunghi istanti. "Scusate, non sapevo foste occupati. Ripasso dopo." E detto questo se ne andò.
I due uomini rimasero a fissare la luce del sole che filtrava dalla porta lasciata aperta, prima che il cervello di Mitsuhide ricollegasse i neuroni e si rendesse conto di quel che era appena successo.
Senza pensarci due volte, spintonò Obi di lato e si precipitò fuori. "Kiki aspetta, non è come credi! Posso spiegarti!"
Obi lo osservò allontanarsi, arrotolandosi una ciocca d'orata attorno ad un dito.
"Forse dovrei farmi biondo."

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Angolo autrici:
Eccoci qua. Mostruosamente in ritardo come al solito (mea culpa), ma penso ormai ci abbiate fatto l'abitudine.
Per la penultima storia della raccolta, avevamo voglia di scrivere qualcosa di divertente. E cosa c'è di più esilerante di Obi con indosso una parrucca bionda che aiuta il povero ed impacciato Mitsuhide?
Speriamo di essere riuscite a strapparvi una risata e vi diamo appuntamento alla settimana prossima per l'ultimo ( e grazie a Dio già pronto) capitolo.
Un bacio,
Cioccolasha & Hope.

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Capitolo 6
*** Dodici anni dopo, a Clarines ... ***


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Dodici anni dopo a Clarines...


Era una calda giornata di sole e la quiete del palazzo reale era rotta solo dal ritmico fragore di spade che si scontravano. 
“Tieni la guardia alta Takumi!” 
“Abbassa il gomito e bilancia meglio il peso, Ichiro!”
I due giovani che si fronteggiavano nel piazzale assolato si sfidarono con lo sguardo, sudati e ansimanti, stressati dall'intero pomeriggio passato ad allenarsi, ma entrambi decisi a non deludere i propri padri, che in disparte li osservavano correggendo ogni tanto la postura o l'impugnatura.
I due spadaccini sembravano eguagliarsi in forza e agilità, nonostante ciò bastò un solo istante di distrazione da parte del più piccolo perché l'altro, con un abile movimento del polso, lo disarmasse con estrema maestria. La spada volò lontano ed atterrò nella polvere con un rumore fragoroso.
Il volto del principe si aprì in un sorriso orgoglioso verso il figlio, che si voltò nella sua direzione in cerca di approvazione, sorridendo nel vedere l'espressione compiaciuta di Zen.
Nel frattempo il giovane rivale si dirigeva verso la propria spada, il capo chino per nascondere il rossore che gli imporporava le gote, mentre le lacrime facevano capolino ai lati dei suoi occhi castani.
Inspirò rumorosamente col naso, non osando alzare il viso. Aveva timore di scorgere la delusione sul volto del padre: lui era il suo eroe, non avrebbe mai voluto dargli un dispiacere. Si decise a sollevare lo sguardo solamente quando sentì la presenza di una mano forte e rassicurante sulla sua spalla.
“Sono fiero di te Takumi” gli sussurrò Mitshuide all'orecchio prima di scompigliarli con affetto i capelli biondi: “Su, vai a congratularti con Ichiro.” 
“Si papà” rispose questo tornando sui suoi passi. Mentre i ragazzi si scambiavano una stretta di mano e qualche consiglio su come migliorarsi, Zen si avvicinò a Mitshuide. “Ichiro è diventato bravo con la spada” si complimentò la guardia. Zen gonfiò il petto “Grazie, ha preso tutto dal padre”
La guardia alzò gli occhi al cielo e gli mollò uno scappellotto dietro la testa. “Smettila di fare il pallone gonfiato, è stato tutto merito di mia moglie” sentenziò tutto orgoglioso.


“Etciù” esclamò la bionda.
“Salute cara” rispose Shirayuki sorridendo, tornando poi a dedicarsi alle sue amate piante.
“Sento come se qualcuno stesse parlando di me” disse continuando a cullare il piccolo fagottino che teneva tra le braccia; questi emise un piccolo vagito, aprendo lentamente due occhioni color lavanda ed esibendo un sorriso sdentato.
“Qualcuno qui ha bisogno di attenzioni” disse Shirayuki.
“Reclama sempre le mie cure, come suo padre. A volte non so chi dei due sia più 
bambino, tra lui e Mitshuide.” 
“Non me ne parlare, a volte non so se sgridare Zen o Ichiro per le bravate che combinano insieme.” 
“Per fortuna che Takumi è un bravo fratello maggiore” disse con un lieve sorriso riportando lo sguardo sul bimbo che teneva tra le braccia che, quasi come se fosse stato chiamato, agitò una manina e si aggrappò al colletto della madre.
Shirayuki li guardò intenerita, lo sguardo pieno di nostalgia. “Mi ricordo quando Sakura era piccola, che gioia tenerla tra le braccia! Dopo Ichiro non pensavo che avrei avuto l'occasione di diventare madre così presto.” 
“Devo confessarti che quando ho scoperto di aspettare Takumi ero molto spaventata, non credevo di essere all'altezza, crescere un figlio è un'impresa più grande di qualsiasi duello che io abbia affrontato nella mia vita.”
“Ma io sapevo che saresti diventata un'ottima madre” si intromise una terza voce. Mitshuide cinse con un braccio la vita della moglie, sporgendosi per dare un leggero bacio sulla fronte del figlio.
“Com'è andato l'allenamento?” chiese Shirayuki mentre anche Zen la raggiungeva. “Non me ne parlare, hanno deciso di allenarsi ancora un po', ma noi siamo vecchi per queste cose ormai.” 
“Parla per te Zen” disse Mitshuide indispettito. 
“Ma se sono più piccolo di te!” rispose a tono Zen, mettendo il broncio. Shirayuki guardò Kiki, esasperata. “Che ti dicevo? Peggio di un bambino” disse alzando gli occhi al cielo mentre tutti scoppiarono in una allegra risata.
Zen si guardò intorno, accorgendosi in quel momento dell'assenza della figlia. “Dov'è Sakura?”
“Obi l'ha accompagnata nelle scuderie” lo informò Shirayuki, ricominciando il suo lavoro che aveva in precedenza interrotto. 
“Che ci va a fare nelle scuderie?” chiese Zen sospettoso guardandola di traverso.
“Ma come caro, non ricordi della sua lezione di equitazione? Daisuke-kun le sta insegnando a cavalcare.”
Una vena cominciò a pulsare convulsamente sulla tempia del principe. “E CHI SAREBBE QUESTO DAISUKE?” tuonò Zen, scandendo ogni sillaba con veemenza.
“Il nuovo stalliere” si intromise Kiki. 
“Un bravo ragazzo” aggiunse Mitshuide annuendo e punzecchiandolo col gomito.
Zen lo fulminò con lo sguardo. “E dovrei lasciare mia figlia da sola con un perfetto sconosciuto?! Gli insegnerò io ad avere paura del secondo principe di Clarines!” Shirayuki lo guardò supplichevole: “Ti prego tesoro non metterla in imbarazzo...” Ma non riuscì a finire la frase poiché il marito era già partito in quarta verso le scuderie con un'espressione assassina dipinta in volto.
I tre adulti rimasti indietro lo guardarono allontanarsi veloce e deciso. “Alla faccia del vecchietto” disse Mitshuide grattandosi la testa. La moglie alzò le spalle “Pensa se fosse toccata a te una situazione del genere.” 
Mitshuide la guardò preoccupato. “Naaah” esclamò facendo un gesto con la mano come per scacciare un pensiero fastidioso.


“Eccoci arrivati, Ojou-san.” 
“Grazie zio Obi. Aspettami qui fuori, non ci metterò molto” disse Sakura ringraziandolo con un cenno del capo.
Aprì il pesante portone d'ingresso che cigolò annunciando il suo ingresso. “Si può?” chiese timidamente la principessa venendo accolta dal nitrito del giovane puledro bianco che la aspettava legato al suo palo, accudito da un ragazzo dai capelli neri.
“Benvenuta principessa” disse con un lieve inchino. Lei arrossì “Ti ho detto mille volte che puoi chiamarmi Sakura.” 
“Se cio vi aggrada ... Sakura” ripeté lui, arrossendo lievemente a sua volta “Pronta per la lezione?” Lei annuì decisa, avvicinandosi per aiutarlo a sellare il cavallo, cercando di non pensare a quanto fossero vicini e allo strano effetto che le facevano i suoi occhi verde foresta.
Non poteva immaginare che la sua presenza provocasse la minima reazione nel giovane cuore dello stalliere; più di una volta il ragazzo si era ritrovato a sospirare con gli occhi sognanti pensando alla bella principessa dagli occhi blu zaffiro e dai lunghi capelli rossi quanto il frutto dell'albero di cui portava il nome.
Era un tormento costante averla vicino, sentire il suo profumo o ascoltare il suono armonioso della sua voce e non poterla toccare, stringerla a sé e confessarle il sentimento che lo struggeva ormai da tempo.
Ma no, non avrebbe potuto, non avrebbe mai nemmeno osato, lei era una principessa e lui non si sentiva all'altezza; così si accontentava del tempo che gli era dato trascorrere con lei.
“Dovete sempre assicurarvi che la sella sia sempre ben salda” disse chinandosi per mostrarle le stringhe di cuoio che passavano sotto il ventre dell'animale “Altrimenti la caduta sarà assicurata”.
Lei fece cenno di aver capito e si avvicinò per prendere le briglie che Daisuke le porgeva e nel farlo le loro mani si sfiorarono per un istante. Entrambi si ritrassero, le gote arrossate ed il cuore che martellava forte nel petto.
“Scusatemi” disse lui dopo qualche istante, imbarazzato. “Non fa niente” rispose lei distogliendo lo sguardo, probabilmente per non mostrare quel sorriso che le solcava il volto.
Lottando contro l'istinto che le diceva di scappare via e di andare a chiudersi nella sua stanza a scrivere il nome di Daisuke circondato da mille cuori, Sakura si avvicinò timidamente al cavallo; era ancora alle prime armi quando si trattava di cavalcare, ma con le amorevoli cure di Daisuke contava di migliorare in fretta, lei da parte sua si sarebbe impegnata al massimo.
Mise un piede sulla staffa e cercò di issarsi sul dorso del cavallo, ma le gambe le tremavano ancora per l'emozione e prima di rendersene conto perse la presa.
Lanciò un grido e chiuse gli occhi attendendo l'impatto con il suolo... che però non arrivò; invece due forti braccia l'avvolsero nella loro stretta di ferro.
Sorpresa, spalancò gli occhi e si voltò di scatto ritrovandosi con il viso a pochi centimetri da quello del giovane. Il suo respiro le si infrangeva sul volto, la sua presenza emanava un piacevole calore, il suo sguardo era carico di sollievo.
Un silenzio imbarazzante era calato tra loro. “Mi hai salvata” sussurrò la principessa, le guance che si coloravano a causa della vicinanza. “Non sopporterei che tu ti ferissi” rispose lui senza pensarci, dimenticandosi completamente con chi stava parlando, stringendo di più la presa sui fianchi per sentirla più vicina. Sakura non rispose, era solo un'impressione o il viso di Daisuke si stava avvicinando sempre di più? Per un istante si spaventò e pensò di ritrarsi, invece rimase immobile, aveva aspettato quel momento dalla prima volta che l'aveva visto, ora non voleva sentire nient'altro che le labbra del giovane sulle sue.
“GIÙ LE MANI DA MIA FIGLIA!”
Entrambi si voltarono di scatto sorpresi e il giovane si affrettò a far scendere la principessa per poi chinare il capo rispettoso mentre Sakura teneva lo sguardo basso, non osando nemmeno sbirciare verso il padre. La figura di Zen appariva enorme e incombeva sui due ragazzi mentre i suoi occhi blu lanciavano saette dirette verso il povero stalliere
“Ehm.. Arji... se è tutto sotto controllo qui io andrei...” Obi fece capolino con il viso dalla grande porta di legno, aveva visto entrare Zen come una furia, ma non era stato in grado di fermarlo, prevedendo il motivo di tanta rabbia che sprizzava dai suoi occhi che erano più minacciosi del normale; quando si trattava della figlia Zen diventava iperprotettivo e assillante, quella povera ragazza avrebbe dovuto faticare non poco per tenere a bada il suo fin troppo apprensivo padre, questo era poco ma sicuro. Zen, senza voltarsi, tuonò: “CON TE FARÒ I CONTI PIÙ TARDI OBI.” 
Accidenti, è proprio arrabbiato. pensò Obi divertito alzando gli occhi al cielo. Se uno sguardo potesse uccidere quel ragazzo sarebbe già morto e sepolto. Si affrettò a defilarsi mentre il principe tornò a rivolgere la sua attenzione ai due giovani che non si erano mossi di un millimetro.
“Padre... per favore... non stavamo facendo niente di male provò a parlare Sakura, ma Zen la interruppe: “Tu non parlare. E TU!” si rivolse allo stalliere che sobbalzò intimorito “Dammi una valida ragione per cui io non debba cacciarti in questo momento!” 
“PADRE!” sgranò gli occhi Sakura, preoccupata dalle parole minacciose di Zen “Mi stava solo aiutando a salire a cavallo, ma non sono stata attenta e sono caduta. Se non ci fosse stato lui mi sarei fatta seriamente male!” protestò avanzando decisa e incrociando gli occhi blu cobalto del padre, di cui aveva ereditato il colore. Non avrebbe mai permesso che Daisuke se ne andasse, lui era troppo importante per lei. Zen la guardò torvo e si avvicinò minaccioso al giovane che era ancora a capo chino.
Prese un profondo respiro e, tentando di calmarsi, assunse un certo contegno, era pur sempre il principe di Clarines! “Guardami ragazzo”.
Daisuke alzò leggermente lo sguardo, intimorito, trovandosi faccia a faccia con Zen. “Sia chiaro, tu non mi piaci per niente. Sakura è ancora una bambina e non ho alcuna intenzione di lasciarla in mani assolutamente non meritevoli di lei. D'ora in poi ogni lezione di equitazione, che a quanto ho sentito farà con te, si svolgerà sotto la mia stretta sorveglianza. Non ti staccherò gli occhi di dosso nemmeno per un attimo e se ti azzarderai anche solo a sfiorarla con un dito te ne farò pentire amaramente. Sono stato chiaro?” 
“S-sissignore!” rispose il giovane scattando sull'attenti.
Zen lo guardò un'ultima volta poi si voltò di scatto e afferrò il braccio della figlia. “Andiamo Sakura” e cominciò a trascinarla con forza verso la porta d'uscita. La giovane, quasi inciampando sui suoi stessi piedi, si voltò verso Daisuke rivolgendogli un sorriso, quasi come a scusarsi per il comportamento del padre, al quale il giovane rispose con un occhiolino.
Sakura sospirò sollevata, per fortuna non si era offeso dopo la scenata del padre, non avrebbe potuto sopportare di vederlo triste.
Dopo aver spalancato il grande portone di legno Zen si fermò e chinò leggermente il capo con un lieve rossore sulle guance. “Comunque... grazie per averla salvata” detto questo uscì di corsa chiudendo la porta dietro di sé con un tonfo.
Una volta nel cortile iniziò a camminare tutto impettito. Gliele ho cantate pensò orgoglioso e soddisfatto di sé stesso, nessuno poteva mettere in discussione la sua autorità.
“ZEN WINSTALIA!”
Si fermò di colpo e sbarrò gli occhi, nessuno tranne... sua moglie.
Shirayuki gli sbarrava la strada, le braccia incrociate al petto, gli occhi verdi che emanavano scintille. “Che hai combinato lì dentro?”
In un istante tutta la sua spavalderia si sciolse come neve al sole e si fece piccolo piccolo per tentare di nascondersi dallo sguardo della moglie, invano. “Ecco... io... lui stava... le staffe, e poi le briglie...” 
“È inutile che ti giustifichi, le tue urla si sentivano fin dentro la serra!” esclamò lei aggrottando le sopracciglia. “Daisuke è un bravo ragazzo e non c'è alcuna ragione per cui tu debba controllare nostra figlia quando sono insieme, quello è compito di Obi!”
Zen con un filo di voce, tentò di giustificars. “Lei è la mia bambina, e lo sarà sempre.. io devo proteggerla... e poi uno stalliere... lei merita di meglio”. In quell'istante Shirayuki pensò che se non lo avesse amato così tanto lo avrebbe certamente strangolato. E poi avrebbe chiesto a Obi di aiutarla a nascondere il cadavere, ne sarebbe stato più che ne felice, ne era sicura.
“Anche io ero solo un'erborista. Vuoi forse dire che avresti meritato di meglio?” disse mentre una vena le pulsava minacciosa sul collo.
Zen sbiancò, rendendosi conto solo in quel momento di quello che aveva detto. “NO! Certo che no!” esclamò tentando di correggere quell'errore madornale “Quello che intendevo dire è che..”
“Basta! Ho sentito abbastanza!” girò i tacchi e se ne andò spedita. Zen le corse dietro disperato. “No amore aspetta! Posso spiegarti!”
Sakura li guardò allontanarsi ammutolita, ma in cuor suo ringraziò sua madre, che era sempre dalla sua parte.
Aspettò che i due scomparissero dietro l'angolo, si voltò e ricominciò a correre verso le scuderie.
“Daisuke!” esclamò precipitandosi di nuovo all'interno, dove il giovane aveva ripreso diligentemente il suo lavoro; si immobilizzò, non potendo credere alle sue orecchie. Si voltò giusto in tempo poiché una figura dai capelli rossi gli stringesse le braccia intorno alla vita
“Sakura?” sussurrò incredulo. Lei non disse nulla, si limitò a stringerlo forte e poggiò il capo sul suo petto mentre lui le circondava la vita e le poggiava un delicato bacio sulla fronte. Chiuse gli occhi, non sapeva cosa sarebbe successo d'ora in poi, sapeva soltanto che voleva stare con lui.


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Angolo autrici:
eeeeccoci si nuovo qui per l'ultima volta (questa volta davvero purtroppo) per questo capitolo sui bellissimi children delle nostre coppie. Ah ... certo e Daisuke che sarà figlio di qualcuno ... lo spero per lui.
Speriamo di essere riusciti a suscitare il vostro interesse con questi momenti di vita quotidiana, di avervi fatto sorridere almeno un po' e vi ringraziamo per l'enoooooooooorme pazienza.
Hope, ti ringrazio di nuovo infinitamente e mi congratulo per il tuo talento ed impegno, si vede che nelle storie che scrivi metti tutta te stessa.
Non ci resta che dirvi ancora "grazie" e mandarvi un grande abbraccio, sperando che negli anni futuri vi verrà voglia di rileggere questa ff.
Un bacio,
Cioccolasha & Hope.

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