We are the World/Michael Jackson

di Moonwalker_Deppiana
(/viewuser.php?uid=1058202)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione! ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Un nuovo giorno ***
Capitolo 4: *** La radura ***
Capitolo 5: *** L'albero ***
Capitolo 6: *** Il passaggio ***
Capitolo 7: *** La caduta ***
Capitolo 8: *** Neverland ***
Capitolo 9: *** Michael Jackson ***
Capitolo 10: *** Magia ***
Capitolo 11: *** La sala da ballo ***
Capitolo 12: *** Il ranch ***



Capitolo 1
*** Prefazione! ***


PREFAZIONE 


Buon salve a tutte/i le/i Moonwalker e non!

Questa è la prima Fanfiction che scrivo su Michael Jackson, quindi vi chiedo di non giudicarmi male al primo capitolo senza aver scoperto prima le sue magie e il suo finale, che ha davvero dell'incredibile. Quando poi giungeremo tutti quanti insieme alla fine -sempre che lo vogliate-, be', allora vi lascerò libero consenso di dire tutto ciò che volete, critiche non costruttive incluse.

Detto questo, comincio con chiarirvi alcuni punti per evitare problematiche nel corso della stesura di We are the World.

•Motivo per cui è nata la storia.

La storia nasce per un semplice motivo, che per me è molto importante e per altri un po' infantile: l'infanzia mancata.

Come Michael, neanch'io ho avuto modo di divertirmi molto nella mia adolescenza. Certo, a differenza sua e dei suoi fratelli, che hanno girato il mondo per regalarci più di un sorriso, la mia è stata proprio una dura crescita, quasi peggio di una lunga tortura. Questo è dipeso dal fatto che a sette anni mio padre è finito in carcere e quindi ho dovuto prendere il posto di mamma a casa intanto che ella andava a lavoro per portare un piatto caldo in tavola (talvolta diveniva quasi impossibile).

I giorni passati a ridere e a giocare sono pochi, se voglio paragonarli a quelli in cui ho pianto e sperato la morte più di qualunque altra cosa al mondo. E non sono mancati nemmeno quei giorni in cui io e la mia famiglia abbiamo patito la fame e nessuno si è presentato alla nostra porta per chiederci se stavamo bene, se avevamo bisogno di una briciola di pane o di un po' di latte a colazione. Quindi qui non troverete una di quelle storielle d'amore dove una Moonwalker incontra Michael e lo sposa dopo tante insidie e bla bla bal, bensì su una ragazza che sogna di poter essere bambina per un giorno e che poi questo sogno divenuto reale le farà comprendere di voler essere piccola per sempre, perché il mondo degli adulti non la soddisfa né si sente a casa.

Questa ragazza vivrà magiche avventure basate in una sola indimenticabile giornata, che regalerà una speranza al mondo e una speranza al suo voler essere bambina dimenticato da qualche parte e che tornerà indietro per riprenderla con sé e non lasciarla mai più.

•Le sue origini.

Principalmente questa storia non doveva chiamarsi We are the World, ma Geewyngland. Non ho proprio idea da dove sia venuto fuori questo strambo titolo, perché anche la sua origine era un po' fuori dal normale: ero stesa al sole e non stavo pensando a nulla quando, come un fulmine, mi è passata tra i pensieri un'avventura fantastica.

Geewyngland era il regno di un benestante ragazzo che abitava in un luogo nascosto all'occhio umano che, troppo scettico nel credere alla magia, non riusciva a vederlo. E c'era questa ragazza, Ro, che da sempre coltivava una certa passione per il paranormale e tutte le altre cose impossibili. Una notte, mentre dormiva, il suo sogno prese vita e fino all'alba poté divertirsi in quel mondo tanto cercato e poi trovato.

Ovviamente questa mia idea è stata subito scartata, quindi, chi fosse interessato, può crearci una propria storia CITANDO l'autrice originale sotto la descrizione. Sarò ben felice di leggerla qualora nascesse, e di lasciare inoltre un mio personale giudizio.

•L'ispirazione.

L'ispirazione per la nuova storia è nata quando, un caldo pomeriggio noioso, mi ero messa a computer ad ascoltare le canzoni di Michael Jackson. Nella cartella, per via del mio essere pignola e cinica, le tengo in ordine alfabetico e quando sono giunta a We are the World... l'idea mi ha attraversato rapidamente la testa! La storia è nata in maniera così naturale che ho sospeso le altre fiction per finirla nel minor tempo possibile e condividerla con voi.

La canzone è così perfetta, così meravigliosa che si è sposata benissimo con la mia infanzia passata e con quella del mio idolo. È stato come un soffio di vento che spazza via ogni cosa, liberando la strada da ogni inquietudine. Un Michael e una ragazza che insieme salvano il mondo, che insieme salvano i bambini e vivono la loro infanzia spensierata.

We are the World, We are the Children.

•Personaggi.

Un altro punto che mi va di chiarire sono i personaggi.

Or dunque, ci tengo a sottolineare che in questa storia non parlerò molto del Michael Jackson artista (ci sono già troppe storie a farlo), bensì vi parlerò di un semplice Michael che fa pazzie e si comporta da perfetto ragazzino qual era. Al suo fianco ci sarà Rossana (il nome verrà spiegato nella stesura della storia), che sarei io sotto l'aspetto di un altro nome perché il mio, che sarebbe Anna, mi fa schifo.

Ora penserete subito che si tratta di una storia sdolcinata... ma no! Ci sarà un bacio, non lo nego, ma innanzitutto è un racconto fantastico, che si baserà oltremodo sulla magia recondita nella spensieratezza dei bambini; spero vi possa piacere lo stesso.

•Il suo scopo.

Be'... mmh... La storia non credo abbia un vero e proprio scopo. Anzi, a dire il vero potrebbe sembrare una fiction-no-sense, ma se tanto bisogna darle uno scopo, allora dico una sola cosa: divertirsi e sognare insieme!

Spero di riuscire a strapparvi qualche sorriso, di rubare un angolino remoto nei vostri pensieri -che mai la cancelleranno- e di lasciarvi impresso nel cuore un pizzico di magia che vi condurrà fino alla fine di questa magica avventura.

•Neverland.

Come luogo magico per questa incantevole avventura ho scelto Neverland. Però vi chiedo di non aspettarvi troppo nelle descrizioni: mi sono aiutata con alcuni video e alcune foto su Michael, ma non essendoci mai andata non sono stata in grado di aggiungere altro al racconto su questo fantastico ranch. Alcune cose le ho buttate giù a mio piacimento, quindi spero di non aver combinato uno dei miei soliti pasticci. In tal caso mi scuso in anticipo.

•We are the World.

Nei vari capitoli troverete spesso il ritornello della canzone We are the World, questo perché è stata lei la vera autrice che ha ispirato questa storia e l'ha condotta fino alla stesura dell'epilogo. Quindi direi che possiamo cominciare anche col prologo, che segue subito dopo questo piccolo spazio per i chiarimenti. Spero di trovare qualche stellina accesa e, magari, anche qualche recensione.

Un bacio e buon inizio di magia!
                          ~

Nota: Ci tengo a precisare che non è Emma Watson la co-protagonista che accompagnerà Michael in questa avventura, né ci saranno riferimenti al nuovo film della Bella e la Bestia. Semplicemente ho inserito la sua immagine in copertina perché non ho trovato un altro abito dorato che si sposa alla perfezione con la giacca indossata dal mio idolo in We are the World.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prologo ***


PROLOGO


«Ro, quante volte devo ricordarti di non lasciare la stanza del cucito a soqquadro?»

Una madre stressata -nonché soffocata- dai troppi dispiaceri della vita non può lontanamente immaginare il dolore che prova un figlio in quanto per tutta la vita ha subito la mancanza di qualcosa molto essenziale per una crescita più facile, la stessa che rifiuta di accettare perché vien più facile vivere nelle proprie illusioni. Ebbene, Rossana non voleva accettare l'idea di avere già vent'anni e di essere ormai cresciuta per fare di testa sua senza badare alle conseguenze, ma di certo non era colpa sua se le leggi di questo mondo ostile implicano che il divertimento, ad una certa età, deve essere scartato per creare un futuro basato solo sul denaro, il lavoro e la maturità.

Pertanto no! Per lei si poteva essere felici e maturi anche con poco, perché l'amore è abbastanza sufficiente da mutare ogni ostilità. Peccato solo che sua madre, di nome Karen, la pensava diversamente: a vent'anni non si può giocare sulle giostre né a nascondino oppure coi gavettoni. Questo è dipeso dal fatto che la sua famiglia l'ebbe costretta a lavorare a sedici anni, perché allora il mondo era più ostile di quello di oggi.

A quei tempi, per trovare una briciola di pane, bisognava sudare; oggi basta sporcarsi il nome, commettere qualche sciocchezza di cui ci pentiamo troppo tardi e di già si hanno dei vestiti autografati addosso -inclusa una famiglia a carico. Allora anche lei era cresciuta senza un'infanzia e di conseguenza non comprendeva quanto sua figlia, suo contrario, la desiderasse indietro perché, senza volerlo, Karen aveva strappato quel piccolo mondo di fantasia a sua figlia, plagiandola a studiare intensamente per diplomarsi in qualcosa che lei neppure bramava.

Rossana non ambiva ad essere una persona importante nel mondo del lavoro né ad essere importante nel cognome, bensì una scrittrice bambina incastrata nel corpo di un'adulta capace di regalare alla gente avventure fuori dal normale, colpi di scena inaspettati ed epiloghi fuori dall'immaginazione del lettore. E ci sarebbe riuscita... costi quel che costi! Avrebbe coronato quel suo obiettivo nonché si sarebbe ripresa indietro ciò che le era stato rubato e strappato per mancanza di comprensione.

«A cosa serve rassettare una cosa, se qualche ora dopo è punto e a capo?»Mugugnò nel sonno la ragazza.

Era esteticamente simile a sua madre: snella, alta neppure un metro e quarantacinque e con i capelli ondulati che passavano dal castano scuro al castano chiaro a contatto col sole. Gli occhi, seppur li detestasse perché affascinata da quelli azzurri, erano di un luccicante color nocciola che divenivano sfumati d'ambra se esposti ai raggi di luce intensa; sua madre aveva lo stesso sguardo, fatta eccezione per quei corti capelli biondi che cadevano mossi appena sulle spalle; alta come sua figlia e il fisico leggermente sciupato dal lavoro.

L'unica vera differenza tra loro due era il modo di pensare: Rossana si comportava come una ragazzina spensierata nel suo mondo distante dal normale, là dove essere adulti e maturi non era necessario purché ci fosse amore e divertimento, mentre Karen sembrava un'adulta di sessant'anni, con i pensieri raggrinziti e le energie mandate a farsi benedire dalla stanchezza di sopportare quella vita.

Questa piccola discordanza le induceva spesso a litigare anche per piccolezze e cose superficiali, tipo rassettare una stanza, fare i piatti o comportarsi come una persona matura. Ma forse era la stessa Karen che non voleva capire sua figlia... Oppure era la stessa Rossana che non si sforzava oltre di farsi comprendere da sua madre. O poteva anche darsi che nessuna delle due sapeva cosa significasse sorridere, vivere di quelle piccole cose che portano ilarità senza validi motivi. E poteva anche essere che Karen preferiva vivere in quel mondo che Rossana sperava di cambiare unendo le forze piuttosto che continuare a lottare, perché le cose da sole non cambieranno mai: c'è bisogno di unione, di amore. Le parole da sole non bastano... e non basteranno mai.

A tutto questo, Rossana vi avrebbe posto rimedio scrivendo un romanzo d'avventura misto alla grande magia recondita in lei, in quei piccoli gesti fatti senza un senso valido come quando si urla per la troppa euforia e si ha voglia di saltare, in semplici persone che insieme possono fare la differenza tra le cose. E lo avrebbe scritto molto presto!

«Almeno potresti evitare di lasciare fogli volanti sparsi per casa assieme agli spilli che finiscono sul tappeto quando ti cadono?»La rimproverò Karen.

«Va bene, ma ora posso tornare a dormire? Grazie!»La congedò Rossana.

«No, la colazione è pronta. Alzati!»Rispose severamente sua madre, uscendo dalla camera di sua figlia, che subito dopo sbuffò.

Seppur fosse controvoglia, la ragazza mise da parte le coperte e si decise ad alzarsi dal letto: sua madre non ammetteva repliche. Pertanto prese a guardarsi intorno per consentire alla vista assonnata di divenire più nitida e focalizzare bene il mondo che l'avvolgeva al di fuori del suo rifugio fantastico.

Non aveva una stanza particolarmente grande e neppure troppo piccola. Era sufficiente da contenere quelle semplici pareti bianche su cui albergavano scintillanti adesivi a tema marino. L'alto soffitto del medesimo colore ospitava un semplice lampadario trasparente a cupola, mentre il pavimento lucido era circondato da un grazioso tappeto color sabbia con su raffigurati dei coralli che passavano dal rosso all'arancione. Il letto matrimoniale, accollato alla parete centrale, era ornato da coperte acquatiche e cuscini a forma di pesce chirurgo; in un angolo vi era sistemata una piccola scrivania occupata da trucchi e altro, e alla sua destra una finestra che portava sul piccolo balcone, dove ella uscì per prendere un po' d'aria.

«Pronta a cominciare un'altra noiosissima giornata.»Sospirò, accogliendo il vento mattutino sul viso mentre rientrava in camera.

Alla sinistra del letto vi era un piccolo armadio in legno azzurro, che Rossana aprì per frugarvi dentro qualcosa di comodo da indossare. Alla fine scelse la prima cosa che le capitò a tiro: una maglia di paillettes bianche e un jeans chiaro con cristallini sul fondo. Dopodiché sistemò i vestiti sul letto e si diresse nell'altra sua stanza, quella accanto alla camera matrimoniale dei suoi genitori.

A differenza loro, che avevano una comune camera con letto matrimoniale dalle coperte color cappuccino al centro della parte bianca, un armadio con specchio frontale nero, un comò che faceva angolo di una sfumatura mogano scuro e un piccolo balcone che s'affacciava in strada, era la più grande di tutta quanta la casa.

Ogni cosa, là dentro, era a soqquadro: tessuti sparsi per i vari mobili, per terra, incastrati sotto la porta; spilli gettati alla rinfusa in giro, una scrivania bianca nell'angolo completamente soffocata da cartacce, sottovesti colorate e macchina da cucito occupata da piccoli cristallini e paillettes; Rossana usava quella sua seconda stanza per cucire e scrivere i suoi romanzi quando aveva ispirazione per farlo; tra le due cose, però, amava di più cucire.

Era stata sua nonna ad insegnarle le tecniche basi per imparare a creare abiti distinti e all'avanguardia. E ispirata dai personaggi che lei stessa creava per i suoi racconti, Rossana passava intere ore a creare i Cosplay più scintillanti che fossero mai stati creati nella loro semplicità. Uno tra questi era l'abito che aveva scelto di far indossare al personaggio della sua nuova storia per salvare il mondo...

«ROSSANA, LA COLAZIONE SI RAFFREDDA! QUANTO TEMPO CI VUOLE?»Le urlò sua madre dalla cucina.

Sbuffando per l'ennesima volta, la ragazza prese una borsa nera da un mobiletto accanto alla porta e la gettò sul letto dell'altra stanza, per poi incamminarsi di malavoglia nello stretto e lungo corridoio di casa, dove vi era quel portaombrelli con attaccapanni all'angolo della porta d'ingresso occupato per lo più dalle sue borse scintillanti di paillettes oppure cristallini Swarovski; era una casa abbastanza spaziosa da contenere tre persone, con un banco rialzato che s'affacciava nello stretto spazio.

La cucina era meno spaziosa della seconda camera di Rossana. Nel suo piccolo, tuttavia, riusciva a contenere un tavolo di legno bianco al centro di sei posti a sedere, una semplice cucina grigia che faceva angolo a destra e a manca, un mobiletto per la televisione e, dall'altra parte, una bella cristalliera con bomboniere e porcellane; accanto ad essa, una piccola porta che conduceva ad un'altra camera usata come ripostiglio; un balcone più grande degli altri collegava la finestra del bagno da un lato e quella del ripostiglio dall'altro, affacciandosi sul retro del giardino di casa dove si scorgeva quel piccolo piano rialzato.

«Buongiorno, papà!»Salutò la ragazza, dando un semplice bacio sulla guancia di suo padre che, come sempre, sedeva al suo posto preferito: capotavola. Diceva che lo rendeva superiore, ma questo solo per cercare di rubare un sorriso a sua figlia, perché, da quel che ricordava, non l'aveva mai vista sorridere realmente tranne che per una mezza smorfia delle labbra.

Era un uomo leggermente corpulento, scuro di pelle e coi capelli tagliati corti; un piccolo accenno di barba nera gli circondava il mento e le labbra. Il Signor Ducato lavorava da anni come parcheggiatore e per via dei conflitti con gente disonesta e senza cuore era finito in prigione per disguidi, ma ormai considerava questa storia come acqua passata e quindi si concentrava ogni mattina sull'abbondante colazione prima di dirigersi a lavoro sotto quel sole rovente in estate e tiepido in inverno.

«Buongiorno a te, tesoro!»La salutò mentre ella sedeva alla sua destra, di fronte a sua madre che le passò una ciotola di latte e cereali e brioches al cioccolato su un vassoio. «Dormito bene?»

«Solo fin quando una vipera senza cuore non è venuta a svegliarmi.»Lamentò Rossana, lanciando uno sguardo in cagnesco a sua madre.

«Chi dorme non piglia pesci.»Le disse ella.

«Basta che te ne esci con queste sparate...»

«Basta!»Intervenne il Signor Ducato. «Non serve a niente litigare tutte le sante mattine. Piuttosto... che programmi hai per oggi?»

«Dormire fino a mezzogiorno, immagino.»Bofonchiò sua moglie.

«Be', allora la tua immaginazione si è sbagliata!»La schernì Rossana. «Oggi vado al parco abbandonato per rilassarmi e buttare giù qualche riga: sono alle prese con un romanzo che ho in mente di pubblicare.»

«Oh, bene! Di cosa parla?»Sorrise suo padre.

«Non mi va di parlarne, scusami.»Concluse Rossana, tuffando in bocca una bella cucchiaiata di latte e cereali.

I suoi genitori si guardarono di traverso: Rossana era una ragazza particolarmente riservata e faceva molta fatica ad aprirsi con loro. Anzi, preferiva sviare sempre l'argomento piuttosto che affrontarlo, esattamente come aveva appena fatto. Questo perché credeva che nessuno dei due fosse capace di comprenderla, quindi a cosa serviva sprecare il fiato se il muro ascoltava meglio di due paia d'orecchie?

La colazione passò in completo silenzio, spezzato ogni tanto da qualche risolino da parte della famigliola perché alla televisione stavano trasmettendo gli episodi di Tom e Jerry. Dopodiché il Signor Ducato andò a lavoro e Rossana aiutò sua madre con le pulizie domestiche (di malavoglia), dirigendosi infine in camera per prendere gli abiti dal letto e chiudersi in bagno per una grande rinfrescata, così dopo avrebbe avuto le idee più chiare e scrivere sarebbe stato molto più facile.

Il bagno di casa Ducato era un piccolo stanzino molto accogliente. Ogni singola piastrella scintillava di bianco e di dorato per via delle piccole lucine sistemate a mo' di serie di lampadine natalizie agli angoli. Al centro vi era una comoda vasca da bagno con doccia incorporata e cestello appeso alla parete con tutti i saponi adatti; un piccolo lavabo ospitava sulla parete una piccola specchiera bianca: un lato era riservato a Rossana e sua madre, l'altro al babbo quando si faceva la barba (il che capitava raramente per via della sua pigrizia -una cosa in comune con sua figlia). E oltre alla finestra che conduceva sul balcone, vi era la toilette.

Rossana poggiò gli abiti sul lavabo prima di darsi una lavata rapida, perché la voglia di uscire e mettersi all'opera cominciava a farsi sentire.

A contatto con l'acqua, i nervi si sciolsero e la mente fu abbastanza sgombra da concentrarsi sulla scrittura senza essere colta alla sprovvista da intoppi o blocchi dello scrittore. Al che si asciugò frettolosamente con un asciugamano bianco, indossò gli abiti scelti e uscì dal bagno per entrare nello sgabuzzino accanto, dove vi era una piccola lavatrice già pronta al carico. Lì Rossana vi infilò il pigiama prima di recarsi in camera ed infilare nella borsa l'occorrente che le serviva per scrivere: fogli volanti, una matita scura, gomma per cancellare e temperino, seguito da una bottiglia d'acqua e un pacco di biscotti nel caso avesse avuto fame.

Era una bella domenica (suo padre lavorava sette giorni su sette) e quindi una passeggiata non le guastava di certo.

«Io esco!»Annunciò, infilandosi in tasca le chiavi di casa e spalancando la porta d'ingresso.

«Non fare tardi come al solito.»Le disse sua madre, rientrando in casa dopo aver tolto il bucato asciutto dallo stendi abiti sul balcone. «Anzi, dammi prima una mano!»

«Mi dispiace, mamma, ma sono impaziente di cominciare a scrivere. Ciao!»Si congedò Rossana, un ghigno malefico stampato sulle labbra.

Si lasciò alle spalle quella povera donna sbigottita, perché tanto non l'avrebbe compresa né Rossana sperava più di tanto che ella la comprendesse. In fondo lei non era in grado di farlo: voleva costringerla a crescere... Come poteva comprenderla? No, meglio andare a rifugiarsi in quel piccolo parco abbandonato all'angolo della strada, dove poteva aprire il portale magico per entrare nel suo mondo fantastico ed essere bambina quanto voleva. E non correva neanche il rischio di essere interrotta, perché il parco era stato isolato da anni a causa di liti, stupri e siringhe sparse ovunque; vi era un nastro di divieto, ma Rossana vi entrava lo stesso per nascondersi nella fitta vegetazione.

A causa della sua chiusura, il parco abbandonato vantava una folta erbaccia e un mucchio di alberi circondati dalla crudeltà del mondo, che riuscivano a nasconderla bene agli occhi dei passanti. Ma tanto tutta la zona sapeva che ella andava lì ogni volta che poteva: aveva la testa più dura del marmo e pertanto avevano deciso di lasciar perdere con le ramanzine, visto che faceva orecchie da mercante e non prestava ascolto a nessuno; tra l'altro non dava nemmeno fastidio.

Il suo posto preferito in tutta quella natura morta era un grande albero al centro di tutto. Le radici erano spuntate fuori dal suolo creando un leggero varco nel centro, che la ragazza usava per sedersi.

Il grande tronco appuntito e graffiante le dava sempre molto fastidio alla schiena, eppure ogni volta l'ispirazione non poteva attendere oltre, altrimenti sarebbe svanita e lei avrebbe rischiato di perdere la sua idea. Per questo ispirò ed espirò un piccolo grammo d'aria prima di poggiare la borsa al suolo e tirare fuori tutto l'occorrente che si era portata dietro per scrivere. Poggiò i fogli sulle ginocchia e con la matita cominciò a tambureggiare nei pensieri per trovare la giusta parola che avrebbe dato inizio al racconto, il che si rivelò molto faticoso, visto che ogni sillaba portava via con sé una sua storia e una sua frase non adatta all'inizio del prologo.

Non poteva neppure iniziare la trama con la parola chiave 'amicizia', perché da quando si erano trasferiti in quel quartiere, quando era piccola, non aveva mai trovato un singolo amico; non ne aveva mai avuti, a dire il vero. Non sapeva cosa fosse l'amicizia né cosa fosse l'amore in sé o il sorriso. Questo è dipeso perché l'intero mondo la giudicava strana, pazza, ma lei non era più diversa dagli altri. Semplicemente cercava qualcuno con cui giocare e convertire il mondo: chi ha mai detto che gli adulti non possono divertirsi come i bambini? Chi ha mai detto che per giocare bisogna avere un'età infantile? Chi ha mai detto che l'amore è solo sesso?

«Dai, Rossana, concentrati!»Si disse sbuffando.

Poi... eccola lì! Finalmente la parola chiave adatta per iniziare a scrivere era arrivata: l'infanzia.

Rossana decise di scrivere ciò che aveva sempre voluto di essere, ciò che le era stato portato via e che voleva riprendersi anche se era frutto della sua immaginazione. Per prima cosa, però, si fermò a decidere il titolo che avrebbe dato il nome al romanzo, e di certo la parola 'infanzia' non era molto originale. Quindi pensò e ripensò finché non ricordò il titolo di un sogno, che poi diede vita a tutto il resto.

 

Titolo:

We are the World.

 

Luogo o mondo magico:

Neverland.

 

Personaggi:

...

 

Sui personaggi esitò un attimo, perché voleva dei nomi originali, forse anche un po' bizzarri: i classici erano roba vecchia e noiosa. E scavando a fondo nei suoi pensieri riuscì a sentire una piccola vocina che le suggerì qualcosa...

 

Personaggi:

Perugina&Michael.

 

Aveva scelto Michael come nome perché, all'udire di quella vocina, si era ricordata che nel suo sogno c'era un ragazzo che si chiamava proprio in quel modo. Non riusciva a ricordarlo bene, ma aveva fisso nella mente il suo sorriso: contagioso, di una dolcezza infinita. E be', visto che la pronuncia era gradevole e le piaceva, perché non usarlo? Ma poi... perché non riusciva a ricordarlo?

Quando chiudeva gli occhi e si concentrava sul suo ricordo riusciva a vederlo, ma questo finché tutto non svaniva così come arrivava. Inoltre le restava anche il ricordo di una canzone nata mentre pensava e pertanto cominciò a cantarla senza rendersene conto:

 

 

We are the World, We are the Children

We are the ones who make a brighter day

So lets start giving.

Theres a choice we're making

We're saving our own lives

It's true we'll make a better day

Just you and me.

(Noi siamo il Mondo, Noi siamo i Bambini

Noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce,

quindi cominciamo a donare.

È una scelta che stiamo facendo, stiamo salvando le nostre stesse vite,

davvero costruiremo giorni migliori,

tu ed io.)

 

 

Il suo canto fu interrotto dallo squillo del cellulare: aveva creduto di averlo perso una settimana addietro e invece era stato dimenticato in borsa. Allora guardò annoiata la schermata e sbuffò alla vista del nome Mamma sopra al numero telefonico. Rispose. Subito cominciarono le lamentele da parte di Karen, perché era ora di pranzo inoltrata e lei ancora non era rientrata a casa.

Rossana cercò di giustificarsi dicendole di aver perso la cognizione d tempo -perché effettivamente era così- e che non aveva idea di avere il cellulare in borsa -lei mica le aveva detto che era sempre rimasto là dentro?!-, ma i suoi tentativi furono vani in confronto alle urla di sua madre.

«Con te è sempre la stessa storia!»Agganciò quest'ultima.

«Con te è sempre la stessa storia!»Le fece il verso Rossana, gettando di nuovo il cellulare nella borsa.

Mise via sbuffando i fogli che aveva usato per scrivere, raccolse le sue cose sparse per terra e, i biscotti alla mano perché avvertiva i morsi della fame, si alzò e si incamminò verso la volta di casa. Al che, senza neanche rendersene conto, mentre cantava, aveva scritto due capitoli. E non si rese conto neanche che qualcosa, dietro di lei, stava mutando.

 

 

Nota: ci tengo a precisare che non ho descritto mio padre né mia madre per questioni di privacy, e di aver usato Quincy Jones e Karen Faye come presta-volto. Spero non vi dispiaccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un nuovo giorno ***


CAPITOLO 1

UN NUOVO GIORNO

 

La stanza del cucito di Rossana era avvolta da metri e metri di tessuti dorati tagliuzzati e sparpagliati qua e là. Un manichino in polistirolo con asta in ferro a tre piedi ospitava un ampio isolatore a campana rivestito da una sottile sottoveste d'Organza dorata, seguita sull'orlo da uno strato baldanzoso di Nylon con contorno nero per fare da contrasto; un altro strato di balze più grande, dello stesso materiale, vi ricadde sopra l'attimo dopo con una seconda sottoveste del medesimo colore, seguita da tante altre per amplificare l'aspetto della gonna; mancava, però, ancora qualche strato, incluso lo stretto corpetto che Rossana non aveva ancora cucito.

A questo la ragazza vi ripose subito rimedio: s'alzò da terra e si avvicinò alla sua amata scrivania imbrattata da fogli volanti, penne, matite e quant'altro; accanto a tutto ciò vi era una bella macchina per cucire bianca pronta all'utilizzo.

Rossana aprì uno dei cassetti in legno della scrivania e tirò fuori dei cartoncini, degli spilli, un pennarello che mise tra i denti e una forbice, incluso un metro azzurro attorcigliato intorno al collo. Dopodiché tornò a terra e rovesciò tutto sul pavimento, escluso il metro e il pennarello: per realizzare il corsetto aveva bisogno delle giuste misure e di un esatto bozzetto per aiutarsi con la realizzazione. E non dovette nemmeno fare tanto sforzo, perché lo trovò tra gli altri fogli sparsi per la stanza e pertanto cominciò a studiarlo in ogni punto.

Il bozzetto da lei stessa creato mostrava un luminoso corpetto stretto in tinta con l'abito. Lungo la schiena aveva un nastrino nero con bordi dorati che servivano a chiuderlo al posto della monotona cerniera. Nel davanti vi erano degli intrecci di rush dorati, seguiti da cristallini neri luccicanti e una fascia di fiori luminosi sui fianchi contornati di nero; le spalline sottili erano un intreccio di glitter scuri e dorato col bordo in piccole balze di Nylon.

Per realizzarlo, Rossana si servì del nastro intorno al collo in modo tale da prendersi le misure, per poi riportarle sul foglio col pennarello, tracciando le sagome sul cartoncino che in seguito tagliò con le forbici. Con l'aiuto degli spilli per bloccare il tessuto sulla sagoma stesa a terra, la ragazza riuscì a tagliare il corpetto e sistemarlo sotto la macchina per cucirlo e legarlo al resto dell'abito come fanno i bambini con le costruzioni.

Il rumore dell'ago che s'infilava in maniera ripetitiva nel tessuto era l'unico ronzio nell'aria che vibrava per la stanza del cucito, ma il risultato fu abbastanza soddisfacente da ignorare addirittura la fatica: il corpetto le era venuto esattamente come immaginato e disegnato.

Il guaio maggiore fu quando Rossana dovette cucirlo sulla gonna in Organza, perché, per via dell'isolatore che si bloccava dappertutto, fu costretta a cucirlo a mano. Fu una completa seccatura, visto che ci impiegò due ore intere, ma la fatica fu ricompensata dalla perfetta riuscita dell'abito. Ora le restava solo l'ultimo strato da cospargere a casaccio di cristallini in Hotfix, utilizzando un apposito applicatore per strass comprato Online.

Tra varie scottature, lunghe sudate e a volte anche svogliatezza perché non aveva voglia di applicarli, Rossana riuscì a completare il tutto in una settimana. L'abito ora splendeva di dorato e nero a contatto con la luce del sole che filtrava dalla finestra, e mentre lo osservava seduta a terra per trovare qualche punto saltato nelle balze o perché era incredula di averlo completato così in fretta rispetto agli altri Cosplay, prese a canticchiare la stessa canzone che da tempo la perseguitava:

 

 

We are the World, We are the Children

We are the ones who make a brighter day

So lets start giving

Theres a choice we're making

We're saving our own lives

It's true we'll make a better day

Just you and me.

(Noi siamo il Mondo, Noi siamo i Bambini

Noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce, 

quindi cominciamo a donare.

È una scelta che stiamo facendo, stiamo salvando le nostre stesse vite, 

davvero costruiremo giorni migliori,

tu ed io.)

 

 

La pace e la serenità del momento furono interrotte dall'improvviso cigolio della porta.

Rossana, avvolta dai tessuti e imbrattata nei capelli di glitter, sollevò lo sguardo dall'abito per scrutare sua madre dritta negli occhi. Quest'ultima aveva nelle mani due tazze belle fumanti di cioccolato caldo. Indossava intorno alla vita un grembiulino a fantasie floreali e sedette su un puff lì accanto alla figlia, porgendole in seguito una delle due tazze.

Tra loro ci fu silenzio, sguardi penetranti e tensione seguita da medianti pensieri. Nell'aria altro vi era che il solo fastidioso tic tac delle lancette dell'orologio verde appeso alla parete, proprio sulla porta, che segnava quasi l'ora di cena. Poi una delle due prese parola...

«È un altro dei tuoi Cosplay?»

...era stata Karen, la mamma di Rossana.

«Sì.»Fu la risposta laconica di quest'ultima.

Karen diede uno sguardo in giro in cerca di parole giuste da dire, per avviare così una conversazione pacata con sua figlia senza arrivare ad inveirsi contro come al solito. Ma capirla... Capirla era un'impresa: Rossana viveva in un mondo tutto suo, dove nessuno, neppure lei che era sua madre, aveva la chiave per accedervi. E forse era la suddetta a non voler far entrare nessuno nel suo mondo, perché gli stessi nessuno avrebbero mai capito quello che lei disperatamente cercava di far capire.

«Sto provando con tutta me stessa a capirti...»Cominciò Karen, riflettendo sulle parole. «Ma non ci riesco, Ro... Non ci riesco.»

«E non riuscirci allora.»Disse sarcasticamente Rossana. «È così semplice!»

Che cosa si aspettava? Che sua madre capisse tutto di punto in bianco? Bah!

«Io voglio solo il tuo bene, Ro, non il tuo male.»

«Allora perché vuoi strapparmi a tutto questo? Perché vuoi costringermi a crescere, ad essere quella che non sono?»

«Perché è giunto il momento di farlo.»Le sussurrò sua madre con un nodo alla gola.

«Non è un motivo valido per cambiarmi, mi dispiace.»Decise sua figlia, mettendo da parte la cioccolata per tornare ad ispezionare le balze del Cosplay.

«Rossana, non sei più una bambina... Non puoi più sognare: il mondo va avanti e per sopravvivere bisogna combattere... Io voglio vederti lavorare!»

«È questo il mio lavoro, mamma!»Esclamò Rossana, stufa di quella continua discussione che mai arrivava da nessuna parte. «Creare Cosplay e scrivere libri per migliorare il mondo! È questo quello che realmente voglio fare! È questo quello che sogno di essere, che già sono!»

«Migliorare il mondo... IL MONDO NON SARÀ MAI MIGLIORE! IL MONDO È QUESTO: UNA CONTINUA LOTTA PER SOPRAVVIVERE!»

«E CHI TI DICE CHE IO NON SIA IN GRADO DI SOPRAVVIVERE A TUTTO QUESTO?»

«GUARDATI INTORNO, ROSSANA!»Sbottò Karen, alzandosi di scatto dal puff e rovesciando la cioccolata sul pavimento. «QUI NON C'È NIENTE PER SOPRAVVIVERE!»Esclamò fredda. «Ci sono solo cartacce e tessuti...»

«Mamma, lascia stare! Non capisci mai niente: hai perso la speranza!»Decise sua figlia, le lacrime trattenute con estrema fatica.

Finiva sempre così.

Ogni volta che comunicava con sua madre, l'atmosfera si riscaldava ed entrambe finivano con l'inveirsi contro senza mai comprendersi, senza cercare di chiarirsi o discutere come gente civile. Ma lei... Sì, lei avrebbe cambiato le cose! Lei, col suo libro, con We are the World, avrebbe cambiato il mondo. Avrebbe insegnato a quegli scettici come continuare a sognare, come divenire bambini seppur restando adulti, come credere e riconquistare la speranza perduta e come salvarsi col potere dell'unione. Avrebbe convertito lo scetticismo con la fantasia, il lavoro con un pizzico di magia rinchiusa in qualsiasi mente umana, perché quello che realmente serve per convertire il mondo e renderlo un posto migliore è collaborazione, amore. Solo unendo le forze le cose possono cambiare, e Rossana lo aveva capito più di chiunque altro.

Ma questo, la suddetta, dubitava che sua madre l'avrebbe mai compreso: lei era rinchiusa nel suo mondo oscuro dove non riusciva ad uscirne per ammirare la luce esterna di quelle cose che a primo impatto ci sfuggono. Le era bastato ammirarla mentre osservava i suoi lavori per comprendere lo scetticismo celato in quello sguardo freddo, che ormai appariva a suo agio in quel mondo imperfetto e che non era intenzionata a cambiare o, perlomeno, provarci.

Al che Karen sbuffò.

Decise di affacciarsi alla finestra per prendere una boccata d'aria fresca, ma l'unica cosa che realmente prese fu la propria testa tra le mani: Rossana era l'unica figlia che aveva... Perché era così complicato avere un rapporto con lei? Cosa stava sbagliando nei suoi confronti?

Mentre si crogiolava in certe domande senza trovarvi una risposta adatta con una Rossana che riprese a canticchiare lì intrappolata nel suo mondo di sogni, di fantasticherie, un leggero venticello entrò in camera senza preavviso e fece volare via da una mensola accanto alla scrivania dei bozzetti ben diversi dai Cosplay che lei stessa aveva creato: erano schizzi di una scena da ballo intrisa di luccichio.

Incuriosita da essi, Karen si allontanò dalla finestra per osservarli meglio da vicino, raccogliendone uno a caso da terra e immergendo lo sguardo nella figura illustrata, là dove vi era una ragazza simile a sua figlia unita in ballo con un ragazzo dai capelli ricci e la pelle scura che non aveva mai visto prima. Lo sfondo era un intreccio di polvere dorata cosparsa alla rinfusa su un'opaca striscia nera che, contornata di marrone ambrato, dava vita ad una scintillante sala da ballo. In basso, sulla destra, vi era una scritta opalescente che pertanto recitava: We are the World (Noi siamo il Mondo).

Un altro schizzo, invece, totalmente differente dal ballo e sempre spazzato via dalla brezza fresca penetrata dalla finestra lasciata aperta, mostrava due ragazzini in veste da pirati. La ragazzina sulla destra sembrava una Rossana da adolescente, sui dieci/undici anni; sulla sinistra vi era lo stesso ragazzo sconosciuto della sua stessa età e dai capelli Afroamericani. In basso, come l'altro bozzetto, vi era una scritta opaca: We are the Children (Noi siamo i Bambini).

I due bozzetti erano completamente distinti tra loro tranne che per un piccolo dettaglio ben visibile che li accomunava: il volto del ragazzo era stato disegnato di profilo, come se Rossana avesse dimenticato il suo volto...

«Chi è questo ragazzo?»Le domandò sua madre.

Rossana, rimasta ferma e sconcertata (non permetteva a nessuno di guardare o giudicare i suoi disegni, perché erano una parte recondita in lei che gli altri non potevano capire), decise di lasciar perdere l'abito per guardare sua madre negli occhi: forse, almeno per una volta, avrebbe compreso...

«È Michael!»Rispose. «È venuto a trovarmi nei sogni un paio di volte e, seppur non riesco a rammentarlo bene, lo trovo un vero folle!»Sorrise. Abbassò lo sguardo. Poi lo rivolse a sua madre. «Anche lui vive in un mondo tutto suo. Come me, non ha avuto un'infanzia perché ha girato il mondo con i suoi fratelli per inseguire il sogno americano, ma questo non lo ha mai sconcertato, anzi, a Neverland è riuscito a trovare la sua infanzia perduta, e dice che anch'io posso fare lo stesso andando lì... e fidandomi di lui.»

«Neverland?»Domandò scetticamente sua madre.

«Un mondo fantastico, mamma!»Esultò Rossana; sua madre era sgomenta. «Giostre, animali, divertimento, magia... È tutto lì!»

«Lì dove?»

«A Neverland! Il ranch fantastico di Michael Jackson!»

Gli occhi nocciola di Rossana straboccavano di luce intensa, ma la sua ilarità... svanì subito dopo.

«Rossana, non esiste alcun ranch chiamato Neverland né un ragazzo famoso che si chiama in quel modo!»

«Invece esistono, mamma! Devi solo trovare il coraggio di cercarli in te stessa.»

«Rossana, smettila di vivere in un mondo fatto di menzogne!»L'apostrofò sua madre. «Non hai più tempo per sognare!»

Rossana passò dall'essere felice all'essere mesta con uno battito di ciglia. Sulle labbra le era apparsa una mezza smorfia di compassione mista a disgusto verso quella donna che aveva perso la sua battaglia contro il mondo, e con un filo di voce le disse:

«È come pensavo: ti sei arresa.»

«Solo perché non comprendo ciò che realmente vuoi farmi capire.»Si giustificò sua madre.

«Tanto non capiresti comunque.»La schernì sua figlia voltandosi di spalle.

Fece finta di essere impegnata con una balza fuori posto, così sua madre sarebbe uscita alla svelta dal suo mondo: lei non si sentiva a casa, era questo quello che Karen non capiva né si sforzava di capire. Lei credeva che il lavoro era tutto nella vita, che a sua figlia non mancava nulla perché il denaro era sufficiente per sopravvivere. E invece qualcosa le mancava, esattamente quella cosa che le vietava la sopravvivenza: la libertà di poter scegliere chi e come essere.

Karen diede un altro rapido sguardo ai bozzetti e all'abito che sua figlia stava fintamente sistemando prima di avvicinarsi alla porta. Certo, non poteva negare che Rossana avesse una buona fantasia e che quel vestito aveva un qualcosa di particolare, di accattivante, ma... Gli occhi le caddero su un altro modello appeso alla parete grazie a un chiodo affisso nel muro e una gruccia nera che lo sosteneva.

Era semplice, fatto di un morbido tessuto azzurro con merletti bianchi intorno alle corte maniche, sull'orlo della gonna lunga fino alle caviglie e sullo scollo del seno. E non poté neanche non ammirare quelle graziose scarpe col tacco dorate ornate da un luccicante merletto nero, che nel centro era tenuto fermo grazie ad una pietra luccicante a forma di fiore del medesimo colore; erano carine anche quelle ballerine scintillanti di glitter azzurri poggiate su una mensola alla destra della porta.

«Tra poco è pronta la cena.»Le disse prima di uscire dalla stanza.

«Non ho fame!»Tagliò a corto Rossana.

«Come vuoi.»Concluse Karen, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandola lì nel suo mondo.

Il silenzio avvolse Rossana così come la catasta di pensieri che le offuscarono totalmente la testa, tormentandola, facendola sentire in colpa per come si era comportata con sua madre. Ma era più forte di lei provare astio verso quella donna morta sia dentro che fuori, perché le impediva di scegliersi l'avvenire che più bramava, che più le stava bene, e le vietava di essere quello che realmente era: una bambina cresciuta. Karen non le dava libertà di scegliere se continuare a vivere in quel mondo devastato dalla crisi o se vivere nella fantasia pur restando nella realtà. In fondo chiedeva solo di potersi divertire, almeno per una volta, come se si trattasse della sua infanzia ritrovata.

 

 

We are the World, We are the Children...

(Noi siamo il Mondo, Noi siamo i Bambini...)

 

 

Rossana distolse lo sguardo dall'abito per ammirare il meraviglioso cielo stellato fuori dalla finestra. Un'ampia luna stava popolando l'enorme spazio atmosferico blu ornato da piccoli astri luminosi. Lo stesso venticello fresco prese a soffiare lievemente su tutta quanta la città, là dove vi erano case illuminate, famiglie allegre che passeggiavano per strada, bambini intrappolati nel loro magico mondo fatto di sogni e sorrisi e dove nessuno impediva loro di entrare.

«Come vorrei poter essere bambina anche solo per un giorno.»Sospirò la ragazza con lo sguardo rivolto al cielo.

'Cosa fanno le stelle quando il buio si dissolve nei raggi scottanti del sole? E la luna? Lei sogna? Lei riesce a sognare un'avventura incantata col sole per un intero giorno?'

Questo era ciò che la ragazza stava pensando ammirando il cielo prima di destarsi.

«Tsk! Sto fantasticando troppo, che stupida!»

Chiuse la finestra, spense la luce e si chiuse la porta di quella camera rimasta ancora una volta a soqquadro alle spalle, dirigendosi nell'altra dopo una doccia rinfrescante e stendendosi a letto per riposare.

Il sonno non giunse subito, perché la mente era troppo affollata dai vari pensieri. Ma quando la stanchezza ebbe la meglio su Rossana, ella si era di già rifugiata in quel sogno dove Michael andò a farle visita, invitandola a visitare il suo mondo magico per un intera giornata esattamente come bramava.

 

*

 

Un nuovo giorno era da qualche ora spuntato all'orizzonte. Il sole splendeva alto nel cielo, la natura cantava e Rossana, dapprima costretta da sua madre a rassettare la stanza del cucito, decise di passare il resto della mattinata alla scrivania affinché terminasse una buona parte del romanzo, il quale era quasi giunto al termine. Perché ormai We are the World era divenuto il suo unico obiettivo e, soprattutto, la sua infanzia da conquistare. La stessa che per il momento fu costretta a mettere da parte in quanto sua madre le chiese di andare a ritirare il pane dal fornaio a due isolati da casa.

Seppur di malavoglia, la ragazza mise da parte i fogli volanti che utilizzava per scrivere e uscì dal suo mondo per portare a termine la propria incombenza.

La città era tutto un bollore di raggi solari ustionanti, questo perché era mezzogiorno inoltrato. Infatti il fornaio del Signor Stewart era molto affollato e se non fosse stato per il fatto che doveva solo ritirare il pane, Rossana se ne sarebbe già andata: si sentiva sempre a disagio a stare in contatto con quella gente dall'animo spento e mesto. Fatta eccezione per il titolare, che era l'unica persona a non danneggiarle i sogni e le speranze: l'aveva vista crescere nella sofferenza e quindi bramava regalarle almeno il beneficio di quell'illusione che, secondo lui, si stava creando intorno ad ella per non soffrire più di quanto già soffrisse, come se fosse la sua autodifesa personale per non consentire agli altri di farle ulteriormente male.

Il fornaio del Signor Stewart era un piccolo locale costituito da due vetrine sempre lucide: nella parte destra vi erano pizze ripiene e margherite appena sfornate, mentre in quella accanto vi erano panini a tartaruga e filoncini intrecciati; c'era anche molta altra roba, tipo pasta, taralli... Era il posto più profumato di tutta quanta la zona e il suo pane era quello più richiesto dai cittadini.

Il Signor Stewart era un uomo simpatico, un po' tarchiato e corpulento, con un piccolo paio di baffi sotto al naso, un volto paffuto, le guance rosse ed era quasi senza collo. Aveva cinquant'anni inoltrati, ma se li portava abbastanza bene. Era padre di tre bellissimi figli (due maschi e una femmina, avuti con la donna scomparsa due anni or sono per malattia), di cui due si erano sposati e l'altra si era fidanzata da poco. In segreto aveva un'altra figlia: Rossana.

Ebbene sì, il Signor Stewart la considerava parte della sua famiglia: era stato lui a prendersi cura della ragazza quando Karen andava a lavorare sotto la pioggia o al carcere per far visita a suo marito, portando raramente con sé la figlia per non arrecarle altro male; oggi lo aveva fatto solo perché non era riuscita a farlo allora, credeva la ragazza.

«Oggi niente litigi con mamma?»Le domandò il fornaio quando, incartato il pane, lo porse alla ragazza.

«No.»Sorrise ella. «Mi sono rintanata nel mio mondo fino a poco fa.»

«Un altro romanzo da pubblicare su uno di quei siti tecnologici?»

«Su Wattpad, Signor Stewart. E comunque no: questo sarà un cartaceo.»

«Oh-oh! Come mai questa decisione?»

«Voglio cambiare il mondo con solo sogni e sorrisi. Nient'altro!»

Rossana aveva già pubblicato qualche storia su uno di quei siti scaricabili su Play Store e una di queste parlava di una ragazza affetta da Lupus che, fino alla fine, ha combattuto contro l'amore per poter essere felice con l'uomo che amava più di tutto il resto e che, come lei, soffriva di una malattia senza cura: la Vitiligine.

Il Signor Stewart l'aveva letta dal cellulare di Rossana perché non era un fanatico della tecnologia e le sue recensioni erano sempre le più lunghe, sincere e veritiere. Anzi, talvolta la facevano morire dal ridere perché in ogni cosa, in ogni frase, vi doveva sempre essere una battuta da parte di quell'uomo che da anni la sopportava.

«Hai già previsto la sua uscita?»Le domandò il suddetto con un ampio sorriso sul volto.

«Diciamo quando avrà raggiunto la perfezione.»Fu la semplice risposta ambiziosa della ragazza.

«Be', quando questo accadrà, sai già dove trovarmi.»

«Lo so, grazie infinite!»

Salutato il Signor Stewart, Rossana uscì dal locale per avviarsi lungo la strada di casa con un nuovo obiettivo a popolarle la mente: concludere il libro. Quindi, una volta consegnato il sacchetto col pane a sua madre senza aggiungere altro e dimenticandosi di chiudere la porta d'ingresso, la ragazza camminò a passo svelto lungo il corridoio e raggiunse la stanza del cucito, dove, sulla scrivania, aveva lasciato il lavoro in sospeso.

A prima entrata, come nei giorni passati, la ragazza si aspettava di perdersi con lo sguardo nello scintillio dell'abito sistemato sul manichino nell'angolo più vistoso e luccicante della stanza, ma appena varcata la soglia un'amara sorpresa era lì che l'attendeva: l'abito era sparito...

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La radura ***


CAPITOLO 2

LA RADURA


Il manichino in polistirolo nella stanza del cucito di Rossana era vuoto, esattamente come quello accanto e le mensole su cui vi erano poggiate le scarpe; lo stesso valeva per le grucce appese lungo la parete che, solo pochi minuti prima, ospitavano vari capi d'abbigliamento e accessori luminosi. Ma la devastazione maggiore fu scoprire che i cassetti della scrivania erano stati aperti e messi a soqquadro: qualcuno aveva rubato non solo gli abiti al quale Rossana aveva sudato ore e dato se stessa per perfezionarli, ma anche i bozzetti di We are the World We are the Children, quelli che ritraevano il gioco dei pirati e il ballo con lui, con Michael.

Era scomparso anche un altro bozzetto, quello che Rossana aveva smesso di applicarsi perché non aveva ispirazione per concluderlo: un armadio comune all'esterno e un gigantesco guardaroba all'interno con quel pizzico scintillante di magia che ella vedeva in ogni singola cosa. E questo fu abbastanza sufficiente da mandarla in bestia e dare di matto, a tal punto da sbattere i cassetti della scrivania e buttando a terra alcune matite e spilli e infine urlare, adirata, per il corridoio di casa con stizza crescente mentre camminava a passi fermentati per raggiungere in fretta e furia quella dannata cucina e fronteggiare sua madre.

Il suo piccolo volto era incandescente di rabbia, con gli occhi spalancati e rossi più del fuoco e della lava ardente dei vulcani. In lei, quel povero cuore stava battendo così forte da arrecarle dolore al petto e nausea allo stomaco, questo perché le era stata strappata un pizzico di quella magia che era in grado di portarla nella sua infanzia da trovare. E in tutto ciò Karen apparve sgomenta, sbigottita per l'atteggiamento inaudito e fuori luogo di sua figlia.

Lei non aveva la più pallida idea di cosa fosse accaduto nella sua seconda stanza, anche perché le uniche volte in cui vi aveva messo piede era stato per chiamarla oppure consegnarle il materiale che la suddetta acquistava Online quando riusciva a risparmiare sui piccoli lavoretti che svolgeva. Inoltre non si era affatto allontanata dalla cucina negli ultimi minuti né qualcun altro vi aveva messo piede, e pertanto suo marito, sbigottito tanto quanto lei e tornato in anticipo da lavoro perché era una giornata vuota, ne era testimone.

Tutto sommato, però, Rossana non volle darle retta e quindi sfogò la sua collera, la stessa che per giorni e mesi interi l'aveva soffocata a tal punto da renderla acida, scontrosa e tremendamente sarcastica verso i suoi genitori, che per lei erano pronti a sacrificarsi, a dare la vita anche se, forse, nel modo sbagliato.

«SMETTILA DI TOCCARE LE MIE COSE!»Inveì Rossana contro sua madre.

«MA DI COSA STAI PARLANDO? NON SONO NEPPURE ENTRATA IN CAMERA TUA!»Esclamò quest'ultima alquanto allibita.

«E ALLORA I BOZZETTI E TUTTO IL RESTO SONO SPARITI DA SOLI, COME PER MAGIA?!»

«Tesoro, forse li hai spostati...»Provò a persuaderla suo padre.

«No, papà! Erano là prima che uscissi!»Insistette la ragazza, rossa di rabbia.

«Io non ho toccato niente!»Si difese Karen. «Non mi sono allontanata dalla cucina neanche per andare in bagno!»

«ALLORA DOV'È FINITA LA MIA ROBA?»

«IO NON LO SO!»

Uno strepito isterico riempì l'aria.

Frustrata e ferita nell'orgoglio, Rossana volse gelidamente le spalle ai suoi genitori per uscire di casa, sbattendosi la porta d'ingresso alle spalle e facendo cadere giù il portachiavi dal muro e la ghirlanda di finti fiori che lei stessa aveva fatto per noia.

Fu in quel momento che suo padre scattò dalla sedia e la raggiunse prima che ella oltrepassasse il vialetto immacolato di casa Ducato: Rossana era sempre stata così. Aveva un carattere lunatico e si stizziva con facilità. Spesso era di pessimo umore per giorni interi perché il passato continuava a tormentarla, ma lui, che era suo padre e sapeva quanto stesse soffrendo a causa sua (era finito in carcere nel pieno della sua crescita e questo non aveva favorito ad una crescita migliore), non poteva lasciarla andare così, senza spiegazioni. Ma Rossana era disposta a tutto al di fuori di voler dare spiegazioni: quel mondo così scettico, monotono e totalmente sbagliato non meritava nemmeno una parola. Altresì voleva solo stare da sola e basta.

Dopotutto stava chiedendo poco e non troppo, no?

«Ro, aspetta!»La fermò per un braccio suo padre, il cuore pronto a scoppiargli nel petto.

«Per favore, papà, lasciami andare!»Lo supplicò la ragazza mentre un rivolo di lacrime salate cominciò ad imperlarle le guance, segnando così la sua resa e mettendo in evidenza quella debolezza soppressa per anni perché voleva dimostrarsi forte.

Al che suo padre la lasciò andare per consentirle di andare a rifugiarsi lì nel suo mondo magico, dove era libera di potersi dimostrare forte e felice, allegra e spensierata, e non debole e mesta e dall'aria cupa come si era esposta in quel momento. Per di più quella fu la sua prima volta in cui la vide piangere da adulta...

Il Signor Ducato abbassò il capo, comprensivo, e rientrò in casa con un tremendo vuoto allo stomaco, lasciandola lì da sola, a piangere prima di sorpassare il piccolo vialetto di ghiaia nera col giardino verdeggiante ben curato e cosparso di margherite e seguire la strada che conduceva al parco abbandonato.

E corse via!

Rossana ci mise solo un minuto per raggiungere il parco abbandonato, ma... lì la stava attendendo un'altra sconvolgente sorpresa: i resti deturpati di quello che un tempo era un parco giochi per bambini erano scomparsi, dissolti nel nulla assieme a quell'edera di cui non vi era più alcuna traccia. Al loro posto era apparsa una scintillante radura avvolta dal verde incontrastato di una natura del tutto nuova, quasi magica, con tanto di canti di animali che albergavano in essa in tutto il suo splendore.

L'odore dell'erba appena tagliata le pizzicò piacevolmente da subito il naso, a riempirle i polmoni di aria fresca, pulita. Il canto allegro delle cicale nascoste nei nidi coperti dalle chiome folte degli alberi le inebriò inaspettatamente l'udito, inducendo i nervi contratti a rilassarsi, a perdersi in quella nuova avventura surreale. Lo splendido verde abbagliante e luminoso dei dintorni le catturò completamente lo sguardo, impossessandosi del marrone chiaro dei suoi occhi che, a contatto con la luce del sole, divenne di un meraviglioso nocciola ambrato.

L'umido da sotto le guance si era ormai asciugato senza lasciare alcuna traccia della comparsa inaspettata di quelle lacrime sfuggite al suo autocontrollo, mentre lo stupore via via avanzava in lei: dov'era finito il parco abbandonato? Cosa era esattamente accaduto a quel luogo del tutto rinvigorito?

Sgomenta, Rossana cominciò a camminare nella fresca erba verde bagnata di rugiada, immergendosi passo per passo in quel nuovo e straordinario mondo mai visto prima.

Gli alti alberi dalla folta chioma fogliosa emanavano un buon profumo di fiori e frutti appena sbocciati; una graziosa sorgente di acqua verde, nascosta dai cespugli, ospitava a sé una scrosciante cascata azzurra; lungo il sentiero vi erano altri cespugli, questa volta di fragole, di more, di ciliegie e tanti altri; un sentiero di sassi apriva il suo recondito passaggio verso un qualcosa che lasciò la ragazza interdetta: vi erano delle frecce impresse nel suolo.

Proprio così!

Lungo lo stretto sentiero cosparso di sassolini bianchi vi erano esattamente delle frecce tinte al suolo con della vernice dorata e contornata di nero. Con un nodo alla gola, Rossana si immerse in esse per seguire la loro strada e man mano che avanzava nei passi incerti e ammaliati allo stesso tempo, il sole andò diradandosi per far sì che il buio ornato di stelle oscurasse la radura. La stessa che prese vita nel luccichio di quelle piccole, luminose lucciole che spuntarono nei paraggi per accerchiarla come fosse una lunga catena magica pronta a trasformarle gli stracci che indossava in abiti sfavillanti; ma nulla di tutto ciò accadde.

«Wow!»Sussurrò tuttavia Rossana, facendo per toccare una piccola lucciola che, a contatto con la sua pelle, si dissolse in scintille dorate, per poi rinascere in esse qualche istante dopo come accade alle Fenici.

Ma il vero incanto avvenne soltanto in seguito.

Le lucciole che stavano accerchiandola nel loro scintillante bagliore dorato si disposero in fila indiana per creare un'enorme freccia luccicante, la stessa che andava terminando in un sentiero buio, totalmente oscurato dalla notte e appartato nella nuova boscaglia.

Quell'assenza di luce indusse gli occhi della ragazza a spalancarsi per il timore di incappare in qualche trappola, in qualche animale feroce o inciampare in qualche arbusto. Ma tutta questa negatività andò scemando non appena uno sbadiglio improvviso, causato da uno sbuffo di scintille di lucciola sulle palpebre, si impossessò delle sue gesta, inducendola a seguire il sentiero spianato nel suo cammino perché, improvvisamente, le era venuto sonno e il corpo si stava comandando in autonomia.

Eppure lei... Oh, lei non aveva intenzione di addormentarsi, di farsi comandare a bacchetta! Lei era curiosa di sapere cosa ci fosse oltre quel buio anche se l'idea di attraversarlo l'atterriva di non poco, perché ci doveva essere un motivo se lucciole insistevano tanto nell'indicarle quel punto col loro scintillio. Quindi perché no? Aveva quell'unica occasione e ormai era troppo tardi per tirarsi indietro: la curiosità ebbe la meglio sulla paura. Al che si armò di ardimento e pertanto seguì la freccia.

Il cuore le batteva forte contro il petto, gli occhi si persero nel buio dei dintorni e il corpo oltrepassò una lunga tenda fatta di fitte liane umide. Puff! Quest'ultime scoppiarono in scintille verdi alle sue spalle, che andarono a disperdersi nell'aria prima di mutare in una luccicante serie di luci verdognole, lì intrecciate agli alti alberi immersi in quel piccolo sentiero circolare.

Al centro di tutto ciò, ecco che apparve la magia più grande che risiedeva in quel luogo nascosto all'occhio scettico del mondo dormiente nella sua illusione: l'albero più grande che Rossana avesse mai visto in vita sua e anche il più strano dell'intero universo, di cui in sé aveva qualcosa che lo distingueva dagli altri alberi.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** L'albero ***


CAPITOLO 3

L'ALBERO

Enormi radici intrecciate tra loro, per metà affogate nel pulito terreno spugnoso, sbucavano fuori dal suolo erboso costituito da un verde scintillante, rendendo il maestoso albero di una bellezza unica, mai vista né creata o nata prima di allora. Radici piccole e delicate andavano confondendosi, sinuose, con quelle spesse, forti e vistose, formando così un perfetto intreccio tra Cielo e Terra. Un lungo, possente tronco rugoso e di una meravigliosa corteccia graffiante sorreggeva quella che, in cima e piena di ramoscelli, era una perfetta, folta chioma di piccole e grandi foglie che il vento portò a ondeggiare con sé nell'aria.

Assieme a tutto quanto, la brezza portò via anche della polvere glitterata di un verde così intenso spazzato dal prato nei dintorni, il quale si confuse come pioggia nelle pozzanghere con lo scintillio delle lucciole e delle lucine dorate sparse nei paraggi, illuminando il buio e accendendo la notte di magia.

Immersi tra le foglie e appesi a quei piccoli ramoscelli che si susseguivano tra loro nei punti meno alti, fino ad intrecciarsi alla folta chioma dell'albero, vi erano graziosi fiori dai petali lisci e vasti nei colori, arricchiti con sfumature particolari e accattivanti nella loro unica bellezza. Ma essi non erano semplici fiori come quelli visti all'ingresso della radura incontaminata e sbocciata come le margherite in primavera, bensì erano germogli colorati che mutavano in frutti freschi, succosi e buoni da mangiare o da trasformare in bibite rinfrescanti.

Il fiore di un brillante giallo chiaro assumeva, per esempio, nella sua incantevole metamorfosi, l'aspetto di una gustosa banana o limone se le sue sfumature erano chiare; quello arancione diveniva una piccola clementina e quello rosso era una succosa mela del medesimo colore; il rosa altro non diveniva che una squisita ciliegia, mentre il viola una bella mora capace di contornarti il labbro come fosse un nuovo rossetto appena comprato o un livido grossolano arrecato da un'infezione; il fiore rosso scuro era un bel lampone, ma ce n'erano tanti altri, forse più di quanto ce ne possiamo immaginare.

Rossana constatò ben presto che quei fiori mutavano in prelibati frutti solo per pochi secondi prima di riaffiorare nella forma originale se non li si afferrava per mangiarli o per necessità. E lei... Oh, lei aveva un po' di fame! Al che si avvicinò ammaliata -e anche un po' comandata da una forza interiore sconosciuta- al grande albero, arrampicandosi appena lungo il tronco per afferrare il primo fiore dal ramo più basso, dove al centro della mano destra apparve una succosa mela rossa che, titubante, portò alla bocca con lentezza e ne assaporò l'essenza con un deciso morso.

Frush!

Un'ondata di vento caldo accerchiò Rossana lì dov'era, illuminandola di luce intensa e dorata. I capelli ondeggiarono liberi e leggeri nella calorosa brezza che portò dolci carezze sulla pelle mentre un sapore unico e succoso si diffondeva, delicato, per tutto quanto il corpo, centrandosi nella bocca dello stomaco e placando la sua fame con quel semplice morso; si sentì improvvisamente sazia, a tal punto che non ebbe bisogno di dare una seconda dentata al frutto ancora avvolto nella mano, il quale tornò ad essere un piccolo fiore spazzato via dalla natura per rinascere in un altro ramo di quel grande albero e lasciare così spazio ad un secondo frutto in attesa della sua prima metamorfosi.

«Ma che razza di posto è mai questo?»Si chiese dunque Rossana mentre si guardava intorno con sguardo perso, ammaliato.

In seguito si apprestò a girare intorno al maestoso albero per studiarne i magici lineamenti racchiusi in esso, come a voler scovare il trucco che lo rendeva magico. Il suo grande tronco rugoso emanava un buon profumo di legno nuovo, un'aroma che non le dava affatto fastidio, altresì infondeva protezione, sicurezza... Si sentiva come se fosse vicina a casa, il che poteva sembrare assurdo quando insensato, eppure in quella radura Rossana sentiva che lì, da qualche parte, vi era l'ingresso per raggiungere ciò che da tempo stava cercando, quel posto recondito dove risiedeva la sua infanzia, la sua vera dimora.

Al che un sorriso limpido, privo di quella tristezza che l'aveva accerchiata solo qualche minuto prima, le increspò delicatamente le piccole labbra rosee dall'arco superiore simile a un cuore. Una sua mano si poggiò, spavalda e delicata, sulla meravigliosa corteccia dell'albero già sfiorata in precedenza, la quale le solleticò le dita di un profondo piacere. E tale fu la sua sorpresa quando, ritraendola, se la ritrovò cosparsa da piccoli, luccicanti glitter argentei, i quali si sparsero per aria creando una scintillante pioggerella che non emanava lo sgradevole odore del fango bagnato, bensì un profumo che Rossana aveva già sentito da qualche parte, ma non ricordava dove.

Mentre si crogiolava nei meandri dei pensieri sgomenti accatastati l'un l'altro per trovarvi risposta, un lampo di luce abbagliante le attraversò rapido la mente, inducendola a rammentare quel paragrafo scritto poco tempo addietro per il suo romanzo, lo stesso che pertanto recitava:

 

 

Sfiorando la punzecchiante corteccia del maestoso albero,

Perugina creò una candida pioggia di glitter argentei apparsi

lì nel palmo della sua mano. Dalla loro scia si rese conto di

aver già sentito, da qualche parte, quella delicata essenza che

impregnò la pioggia di un profumo piacevole e privo del fango piovano.

Eppure di quell'odore familiare ella non aveva che un vago ricordo.

Ma la reale magia di quel luogo incantato, di quel maestoso albero erano

i suoi frutti: quelli della povertà.

Chiunque fosse stato in grado di trovare quel piccolo fiore che mutava

in un prelibato frutto, con un solo morso placava la fame e lo stomaco

si riempiva di piacere. I frutti potevano essere trovati soltanto da chi

necessariamente ne aveva bisogno; davanti all'avarizia essi appassivano per

mai più rinascere. E Perugina... lei fu l'unica che vide apparire al centro

dell'albero un simbolo.

 

 

Ora che ci pensava...

Lo sguardo di Rossana scattò dalla pioggerella di glitter profumati alla corteccia ruvida e maestosa dell'albero che aveva davanti: come aveva fatto a non notarlo prima?

Proprio nel centro, così come aveva scritto in We are the World, apparve un simbolo scolpito nel legno a forma di mano. Secondo quanto riportato nel romanzo, quella era la giusta chiave per accedere al suo mondo magico, lì dove poteva andare a riprendersi l'infanzia perduta, lo stesso capace di ridarle indietro ciò che con gli anni aveva perso. Bastava solo un gesto, un solo passo e il portale magico si sarebbe aperto lì in quella radura incantata.

 

 

Decisa a riprendersi indietro ciò che la vita le aveva sottratto

contro la propria volontà, afferrandola nell'ingenuità da

ragazzina, Perugina allungò, decisa, una mano verso la chiave

ed attese che il passaggio magico per Neverland si aprisse.

 

 

Neverland era il mondo magico che Rossana aveva scelto per il suo romanzo, quello che l'aveva accompagnata ogni notte nei sogni e che aveva dato vita a We are the World. E se ciò che stava avvenendo equivaleva ad una possibile realtà e non a un altro dei suoi sogni fatti a occhi aperti quando, senza volerlo, si distraeva nei meandri infiniti del cielo turchino e cominciava a fantasticare con la musica al massimo nelle orecchie, allora doveva solo appoggiare la propria mano su quel simbolo della medesima forma e far scattare la serratura verso la dimensione parallela, dove forse avrebbe giocato con la magia, avrebbe riso sulle giostre e, soprattutto, avrebbe potuto conoscere lo stesso Michael che con la sua allegria l'aveva accompagnata lungo le intemperie di quei sogni pronti a mutare in incubi.

Spesso le era sembrato addirittura di ascoltare la sua voce, di sentirlo cantare, ma non rammentava bene neanche quel dettaglio. Tuttavia ora le bastava così poco per avere chiarezza e ricordarsi di lui, del suo viso, della sua voce. Doveva compiere solo un gesto, solo un passo per andare dall'altra parte e giocarci insieme, voltando le spalle e dicendo addio a quella vita mesta e monotona che era costretta a condurre per sopravvivere all'Inferno; un solo secondo, un solo attimo per riconquistare l'infanzia perduta e altrettanto bramata.

Solo un gesto, solo un passo...

«Perugina allungò, decisa, una mano verso la chiave ed attese che il passaggio magico per Neverland si aprisse.»Recitò Rossana ad alta voce, apprensiva.

La mano destra, seppur trepidante per l'ansia, era già tesa a metà altezza, pronta a sfiorare quella fatidica chiave per andare a rifugiarsi nel suo angolo recondito. Gli occhi lucidi erano talmente assorti in quella piccola magia pronta a mutare in realtà da non badare a al suo cuore febbrile pronto ad esploderle contro il petto, quasi offuscandole lo sguardo che della nitidezza umana non aveva più niente.

Tutt'intorno a lei c'era vento. Lo stomaco si era aggrovigliato a causa delle forti emozioni. Rossana sentiva ogni cellula del corpo fremere dall'eccitazione. Le orecchie stavano già captando un dolce canto angelico. C'era quasi... Stava per scappare... Neverland era lì... L'albero si stava illuminando... Il simbolo era a un palmo della sua mano... Tremava... Non capiva più nulla... Sentiva caldo... e freddo allo stesso tempo...

«Rossana!»

La magia si dissolse nel suo incanto eterno e la radura magica scomparve senza lasciare avvisi di un possibile ritorno. Il parco abbandonato tornò ai suoi antichi fasti, accompagnato dalla sua erba alta e gli alberi malati per mancanze di cure, l'edera incolta che pizzicava l'olfatto e il mortorio che popolava in giro. Il maestoso albero col suo passaggio segreto aveva lasciato soltanto un semplice ricordo nella mente sconvolta di Rossana, il buio tornò nitido di giorno e il mondo disagiato di tutti i giorni riaffiorò nella sua luce opaca, spenta e priva di calore. E lì in piedi, di fronte a lei, c'era Karen.

La donna aveva le lacrime agli occhi e il volto affranto, questo perché litigare con Rossana era l'unica cosa che detestava in tutto l'universo: bramava capirla, essere partecipe di quelle piccole cose che ella voleva condividere con lei, ma era così complicato che entrambe si lasciavano andare in malo modo, inveendosi contro senza mai comprendersi. Questa volta però, lei davvero non c'entrava nulla con la sparizione delle cose nella stanza del cucito di sua figlia. Certo, non approvava il suo perdere tempo con disegni strambi, scrittura e quant'altro, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di farle una cattiveria del genere: poteva mai perdersi in tali scemenze?

Tutto, ma tranne quello!

Tuttavia sua figlia era rimasta apatica, quasi sconvolta. Non stava provando né esprimendo alcun tipo di emozione. Si sentiva semplicemente come svuotata... Ma svuotata da cosa?

«Mi spiace per le tue cose... per non essere la madre che desideri... ma non sono stata io a portarti via la roba... Non lo farei mai, Ro!»Singhiozzò sua madre mentre la stringeva forte a sé. «Sto cercando di comprenderti, ma tu non mi aiuti...»

Immobile, Rossana combatté contro tutte le sue forze per trovare il coraggio di parlare, di sbloccarsi, di avviare una conversazione con quella donna apparentemente distrutta.

«Se... Se non sei disposta a cambiare, mamma, non potrai mai comprendere quanto male ho dentro.»Disse alla fine la ragazza con lo sguardo perso alle spalle di sua madre, là dove poco prima vi era il maestoso albero col portale magico diretto a Neverland.

Il sonno le era passato così come le era venuto, questo perché la radura che l'aveva accerchiata se l'era portato via con sé, senza lasciare una sola traccia di essa e slegando quelle catene invisibili che sembravano telecomandarla. Ma poi il perché le avesse fatto venire sonno Rossana non seppe spiegarselo. Bensì si rese conto che forse una cosa le era rimasta, quella che confermava la reale esistenza e non immaginazione della radura di poc'anzi: lo stomaco sazio e sgombro dalla rabbia, dalla frustrazione, dal pianto versato per la prima volta davanti a suo padre.

In gola ancora riusciva a percepire il succoso sapore dei frutti della povertà, e quel profumo emanato dalla pioggia di glitter... No, non lo avrebbe dimenticato tanto facilmente come le era già accaduto nei giorni passati.

«Io... Io cambierò!»Esclamò sua madre. «Ti prometto che mi sforzerò di cambiare... Devi solo lasciarmi più tempo.»

«È da tutta una vita che ti do tempo.»Sospirò Rossana, senza lasciarle spazio per assimilare l'ennesimo colpo subito. «Andiamo a casa, sono stanca.»Disse evasiva. «Il tempo è lungo e impetuoso prima che un raggio di sole spazzi via ogni tempesta.»

Karen non comprese il significato di quelle parole, e neppure Rossana che le aveva dette solo perché era ravveduta di non aver aperto prima il portale, di aver atteso troppo tempo cincischiando sulle emozioni e che adesso non aveva più modo di oltrepassare la soglia di quel suo mondo magico parallelo alla realtà, ai sogni.

Pertanto si apprestò a seguire sua madre al di fuori del parco abbandonato, guardandosi un'ultima volta indietro prima di raggiungere quella piccola abitazione che era tutto fuorché casa sua.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il passaggio ***


CAPITOLO 4

IL PASSAGGIO


Un maestoso cielo blu si stava affacciando beatamente sulla California. Erano esattamente le due e mezza del mattino e gli astri scintillanti sembrarono accordarsi con la Luna affinché la notte tenesse sveglia una piccola sognatrice di mondi fantastici, la quale sognava di poter cambiare il mondo col potere della sua infanzia da ritrovare.

Costei era Rossana.

Il suo sguardo color ambra, oscurato dal buio che dominava il mondo esterno e la sua stanza, era perso in qualche fantasia o, per meglio dire, assorto in quel ricordo che la conduceva a qualche ora addietro, perché la mente era tutto un continuare a rimuginare su quell'assurda magia che per qualche minuto le aveva offuscato i sensi, facendole credere di poter finalmente raggiungere Neverland e riprendersi l'infanzia perduta ormai da anni.

Quel che era successo al parco abbandonato era stato di una tale assurdità così elevata che, se lo avesse divulgato in giro, la gente probabilmente ci avrebbe riso su, perseguitandola ogni volta che ne avrebbero avuto l'occasione. Eppure Rossana... Lei non ci trovava alcunché di divertente. Anzi, credeva in ciò che aveva visto. Era accaduto l'impossibile, sì, ma una parte di sé aveva sempre creduto che, da qualche parte, esisteva per davvero la magia e che bisognava semplicemente trovarla nei posti più improbabili, esattamente come accade nei libri. E il posto più improbabile dove essa si era manifestata dopo anni di ricerca, era stato proprio lo stesso parco abbandonato che utilizzava come scappatoia.

Quel misero parco deturpato, dall'edera incolta e abbandonato da anni era mutato nella magia più naturale che la Terra avesse mai ospitato nella sua grandezza rovinata dalle menti contorte degli umani. Era divenuto la scorciatoia più brillante di tutta quanta la California, così verde e luminoso da abbagliare lo sguardo dei passanti. E da passante quale era stata, Rossana ne era rimasta altresì abbagliata, ma innanzitutto ammaliata e nonché incantata.

Tuttavia non era solo il parco abbandonato a tenerla sveglia quella sera, bensì anche il ricordo del grande, maestoso albero di fiori che mutavano in frutti prelibati capaci di saziare lo stomaco con un semplice morso, e da quei meravigliosi petali dalle mille sfumature accarezzate delicatamente dall'aria pura che vi aleggiava nei dintorni.

Pertanto stava rimuginando sulle sue grandi radici esposte al di fuori del terreno completamente incontaminato, a quel possente tronco che le aveva impregnato la mano di glitter profumati da un'essenza annusata nei sogni e... e a quel simbolo a forma di mano scolpito nel centro della corteccia ruvida e solleticante, che se soltanto fosse riuscita a toccare, ad aprire quel passaggio...

Rossana sospirò rassegnata: quel che è fatto era fatto.

Si girò quindi dall'altra parte del letto dando le spalle al cielo, alla Luna e agli astri che ornavano con grazia quella sera, a quella sua bramosia di tornare indietro nel tempo e pigiare il segno prima che sua madre riuscisse ad infiltrarsi nella sua magia, interrompendo ogni contatto con l'impossibile e strappandola ancora una volta a un passo dalla sua infanzia. Avrebbe fatto in modo di affrettare le cose, di poggiare la propria mano al centro dell'albero e catapultarsi dall'altra parte senza guardarsi indietro se soltanto avesse avuto un'altra occasione.

Ma ormai ogni cosa, ogni magnifica stranezza si era dissipata nel nulla, né esisteva una macchina del tempo per tornare indietro anche solo di poche ore. Quindi chiuse gli occhi e cercò disperatamente di dormire, anche se il che risultò praticamente impossibile nonostante avvertisse la stanchezza addosso come fosse una camicia da notte appiccicata al corpo per il sudore: gli occhi si rifiutarono di obbedirle e il cervello fu restio ad abbandonare il pensiero della radura verdeggiante, perché in lei ancora udiva il fruscio delle piante, il canto degli uccelli, l'odore dell'erba appena tagliata e il rilassante scrosciare della cascata nascosta tra gli alti cespugli.

«Uff!»Sbuffò ancora una volta Rossana.

Mise da parte le coperte e si tirò su, allungò una mano verso la lampada sul comodino, l'accese e cominciò a frugare rumorosamente nell'armadio, andando alla ricerca di qualcosa a caso da poter indossare: aveva bisogno di uscire, di tornare al parco abbandonato anche se lì non vi era più niente di magico. E sì, era molto tardi, lo sapeva bene, ma sentiva che doveva farlo... E lo avrebbe fatto!

Indosso quindi una semplice felpa blu col cappuccio sulla testa, un jeans chiaro, scarpe basse e infine prese dalla scrivania la sua fidata borsa di paillettes nera, infilandoci nell'interno i fogli volanti per completare il suo romanzo (doveva apportare qualche modifica qua e là: c'era qualcosa che, se equivaleva a ciò che aveva vissuto, non la concepiva come all'inizio), la matita e tutto ciò di cui avrebbe potuto avere bisogno. Dopodiché non le restò altro da fare se non uscire dalla sua stanza di soppiatto, quasi in punta di piedi per sgattaiolare all'ingresso e uscire di casa come un ladro senza svegliare i suoi genitori: se l'avessero beccata in flagrante, a quell'ora tarda della notte, per lei sarebbero stati guai seri.

Ma al diavolo i guai!

Rossana riuscì a sgattaiolare dalla sua stanza e a raggiungere l'ingresso senza essere vista né sentita. Nei passi guardinghi aveva dato uno sguardo fugace alla stanza del cucito, ma niente: gli abiti e i bozzetti non c'erano. Al che giunse davanti alla porta di casa, fece scattare lentamente la serratura -ovattando il suono con la felpa per non farle fare un clack rumoroso- e uscì, chiudendosela alle spalle e correndo via dalla sua abitazione senza voltarsi indietro né mettendo via il cappuccio dalla testa: doveva passare inosservata, se mai qualcuno l'avrebbe vista.

In casa Ducato, intanto, i suoi genitori non si erano accorti di nulla e continuarono a dormire tranquilli avvolti nell'oscurità che inondava la loro dimora.

Le strade del quartiere dormiente erano tutte deserte. I vari lampioni che costeggiavano gli angoli dei marciapiedi illuminavano gli oscuri sentieri percorsi da Rossana, di cui i passi erano impazienti di arrivare a destinazione. Il cuore le batteva forte contro il petto per la corsa, una costola cominciò a dolerle per lo sforzo e il respiro divenne presto un cumulo di affanni pesanti. Ma nulla di tutto ciò le importava più di quanto quella curiosità che la spinse a chiedersi cosa avrebbe trovato, di lì a pochi minuti, al parco abbandonato. Perché forse la radura era tornata, forse aveva una seconda chance di varcare il passaggio magico per entrare nelle grazie sublime di Neverland...

Il suo cammino affrettato e soffocante era accompagnato dallo stesso limpido cielo blu costeggiato di astri, gufi e grilli, che impregnarono la notte coi loro dolci canti rilassanti. Non un animale notturno si mostrò al suo passaggio né la sua corsa si arrestò per riprendere fiato nonostante il corpo lo richiedesse.

E poi... Eccola lì!

La sua magia era riaffiorata, così come quel deturpato parco abbandonato era mutato di nuovo in nella splendida radura verdeggiante avvolta nel buio naturale della Terra: adesso sì che poteva fuggire e riavere la sua unica occasione di andare a riprendersi l'infanzia perduta, di poter portare via da quel luogo magico quel qualcosa che, non seppe come, era riuscita a dimenticare già una volta nel suo mondo parallelo. E sapeva, inoltre, che da lì avrebbe potuto portare via con sé anche un briciolo di amore per cambiare il mondo al meglio.

Or dunque, senza pensarci su né perdendo altro tempo, Rossana s'immerse nella radura incantata e percorse con sicurezza lo stesso sentiero che l'aveva guidata, solo poche ore prima, all'albero maestoso contenente il passaggio magico. Superò quindi le frecce impresse nel suolo senza badare a dove mettesse piede, senza rendersi conto che la notte era mutata di nuovo in giorno. Ma qualcosa... Qualcosa non era rimasto uguale in quella magica radura verde: l'albero aveva assunto una nuova forma.

Le sue radici non spuntavano più dal suolo intrecciandosi tra loro per creare un varco nel terreno in cui ella poteva sedersi comoda e scrivere i suoi romanzi. Al loro posto erano apparsi piccoli scalini lisci che terminavano sotto la stretta fessura di una porta ad arco. La meravigliosa, folta chioma verde era immobile, priva di fiori mutanti in frutti della povertà, e non vi era più traccia, al centro del tronco, di quel simbolo a forma di mano in cui risiedeva la chiave per aprire il passaggio. Bensì c'era solo quella semplice porta di legno chiusa a chiave.

Perché sì, travolta dall'emozione e dalla voglia di scappare nel suo mondo, Rossana provò ad aprirla, ma senza la chiave nessun cardino sarebbe mai scattato, cigolando. Questo implicò la porta a rimaneva chiusa, come sigillata nella corteccia maestosa di quel nuovo albero, illuminata dalla luce del sole che, oltre gli alberi, stava sorgendo nell'ombra della radura. Ma lei... No, non sapeva dove procurarsi la giusta chiave per aprirla!

«Non è giusto...»Biascicò Rossana, lo sguardo mesto, un groppo in gola e il corpo pesante di piombo.

Si abbandonò al peso della sua stessa tristezza, inginocchiandosi al suolo per liberare la prima lacrima che le segnò il volto abbacchiato, deluso e arrabbiato al tempo stesso col mondo. E fu solo grazie a un raggio di speranza che le illuminò la mente che Rossana, lì ferma dov'era, ricordò di aver già cambiato qualcosa nel suo romanzo quando era tornata a casa, quel giorno, e... e quel qualcosa era proprio l'albero.

Sì! In We are the World aveva scritto di una seconda possibilità, di un secondo passaggio magico... Oh, sì! Eccolo lì quel paragrafo che pertanto recitava:

 

 

Al suo ritorno, Perugina non trovò lo stesso albero di quella mattina.

Altresì al suo posto

apparve la luce di una nuova speranza, di una seconda possibilità per

accedere a quel mondo magico dove,

senza ricordarsene, aveva già lasciato una volta qualcosa.

Lì trovò una porta.

Di quella porta non aveva accesso né una chiave. Al che si chiese

dove mai fosse, dove potesse cercarla, finché non le apparve davanti:

stava fluttuando a qualche centimetro di distanza dalla porta ad arco,

mimetizzandosi nelle lucciole e disperdendosi nei suoi luccichii dorati.

Aveva una bellissima forma a cuore, era in ottone e possedeva due piccole alucce

nere adagiate nei lati. Prenderla era difficile, ma mai

impossibile: bastava essere sicuri e ardimentosi.

 

 

Spinta da una nuova scarica di adrenalina che le portò il volto ad illuminarsi di un nuovo sorriso ammiccante, Rossana abbandonò i fogli del suo romanzo al suolo e si sollevò da terra, avanzando sicura verso quella finta scala dove, sotto lo sguardo assopito dalla meraviglia, nacquero nuovi fiori di un dorato bordato di nero, sbuffando di scintille ornate dallo stesso identico profumo che, sicura, aveva già sentito.

Non le importò, in quel momento, di ricordare dove o quando, perché la chiave era la sua priorità: non avrebbe avuto una terza occasione.

La piccola chiave dorata, a forma di cuore e in ottone, stava svolazzando nelle sue ali nere scintillanti sopra la porta. Con gesti non affrettati ma altresì delicati, Rossana riuscì ad afferrarla e... puff! Sparì in uno sbuffo di scintille luccicanti, le quali andarono ad infiltrarsi negli spiragli stretti della porta, la stessa che si illuminò di luce dorata e che indusse la serratura a scattare, senza cigolare o aprirsi più del dovuto.

«La mia unica occasione...»Sospirò Rossana, senza guardarsi indietro per un possibile ripensamento né soffermandosi sulle emozioni: le bastava così poco...

Armandosi di ardimento, Rossana poggiò le mani sulla superficie della porta e, ignorando il cuore che inconsapevolmente le era arrivato in gola, la spinse di lato. Una dolce brezza fresca e luminosa le offuscò delicatamente i sensi e il corpo sembrò fremere di una nuova vita, di una nuova voglia di vivere, come se qualcuno le stesse tenendo le mani affinché si alleggerisse dal piombo. Ma nessuno le era accanto, altresì furono i suoi passi ad avanzare, lenti, nel turbinio luminoso che la tenne sospesa nel vuoto senza sprofondarvi all'interno dei suoi segreti.

Un passo, due passi, tre passi...

La porta ad arco si chiuse alle sue spalle con l'avanzare del cammino, il passaggio era vuoto e tranquillo davanti a sé, finché all'improvviso...

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La caduta ***


CAPITOLO 5

LA CADUTA
 

...finché all'improvviso Rossana non si ritrovò a precipitare nel vuoto.

Il corpo perse ogni contatto col mondo esterno. Ogni singola particella si contrasse dal terrore, offuscata da un'ondata gelida arrecata dal panico che crebbe in lei mentre precipitava. I polmoni smisero di pompare ossigeno, mentre il cuore accelerò così rapido nei suoi battiti da provocarle quasi un arresto cardiaco immediato. Braccia e gambe erano tese nel buio di quel vuoto in cui non si scorgeva la sua fine. Tutto era avvolto dal vento, lo stesso che le stava frustando violento il volto e che le fece capire di non essere intrappolata in uno di quei sogni strazianti che la inducevano, l'attimo dopo, a svegliarsi di soprassalto.

Rossana strepitò con tutta l'aria che aveva in corpo, ma nessuno riuscì a sentirla.

I suoi erano strepiti di panico, di paura, di terrore nello schiantarsi al suolo e farsi male. La propria eco si diffuse nell'aria, che a quella rapidità efferata rese l'udito ovattato, come quando ci entra dell'acqua nelle orecchie o quando finisce la musica ad alto volume nelle cuffiette e i suoni si susseguono tra loro in fastidiosi ronzii, distanziandosi pian piano dal resto e spaesandoci per un istante.

Tutt'intorno non vi era un semplice appiglio a cui aggrapparsi per impedire al vuoto di risucchiarla nei meandri dei suoi abissi interminabili. Le sue stesse lacrime la accerchiarono come quel vento che spazzò per aria delle piccole scritte in scintille dorate, ondeggianti nel vuoto come bandiere fluttuanti nel cielo di notte: apparivano, scoppiavano, scomparivano... Ma che razza di scherzo era mai quello, si chiese. Non era affatto divertente!

Spezzoni del suo stesso romanzo le fecero vivere l'incubo più efferato che avesse mai vissuto in tre secondi, i quali ogni volta ci danno l'impressione di durare un'eternità per poi scoprire, al nostro risveglio, che sono stati il nulla. Ma la cosa peggiore fu rammentare che era stata lei la creatrice di quel vuoto senza fine, di quella caduta ripida e pericolosa senza un appiglio a cui aggrapparsi e trarsi in salvo, di quello scherzo di cattivo gusto... Come aveva potuto scrivere una cosa del genere? A cosa stava pensando?

Le testuali parole di We are the World pertanto recitavano:

 

 

Il passaggio luminoso si dissipò nel buio, là dove

non vi era possibile scorgere la sua fine e Perugina vi annegò

in esso senza trovare via d'uscita.

Il cuore le aumentò di battiti, l'aria sembrò dissiparsi dai polmoni

e l'euforia lasciò spazio al panico, alla paura di cadere e farsi male.

Intorno a lei non vi era un solo appiglio a cui aggrapparsi né altro per trarsi

in salvo ed evitare quella fine ormai vicina. Al che strepitava forte,

ma nessuno poté udirla

perché era sola, in compagnia del vento e della sua eco. La stessa che si

profuse nell'aria assieme a piccole scritte dorate che scoppiarono

nel bagliore rassicurante di un nuovo mondo che l'accompagnò oltre il

portale già chiuso alle sue spalle per non consentirle di tornare indietro: era arrivata a destinazione.

 

 

Nello stesso istante in cui la scritta cominciò a ondeggiare freneticamente nell'aria, scoppiando e dissipandosi nel buio fino ad annebbiarle la vista, Rossana sbatté violentemente il capo contro il nulla: la sua caduta altro non era stata che un semplice incubo, il quale l'aveva indotta a svegliarsi di soprassalto nel cielo turchino del parco abbandonato. La bocca era arida, così come lo era quella gola dolente. La fronte imperlata di sudore e il cuore che con i suoi battiti accelerati indussero gli occhi a spalancarsi così tanto da dare l'impressione di stare per saltare fuori dalle orbite: era stato tremendo.

Gli effetti collaterali di quei momenti colmi di pura efferatezza la lasciavano sempre trepidante, agonizzante nella sua paralisi completa, sia fisica che mentale ogni volta che ciò avveniva. Non un muscolo obbediva ai suoi comandi, non un pensiero si fece largo nella mischia confusionaria di quel cervello aggrovigliato dallo shock. E lo sgomento, di certo, non gioi a favore di nulla, per non parlare poi di quel suo respiro irregolare, che la indusse a credere di stare respirando qualche gas stordente.

In sé Rossana era talmente agitata da non rendersi conto che qualcosa, lì intorno, era cambiato. Anzi, si sforzò di reagire con tutte le sue forze alla paralisi mentale e fisica che l'ebbe presa in ostaggio, combattendo contro la forza di volontà affinché il corpo reggesse il suo stesso peso; una volta in piedi fu un disastro totale: era bastato un semplice passo per cadere al suolo e, questa volta, il dolore fu terribilmente reale. Reale come quella dolce melodia sparata nell'aria da quel vento puro, fresco.

L'aveva già sentita, ma dove?

Rossana fece per tirarsi su e fu in quello stesso istante che lo sguardo annegò in un sentiero di acciottolato bianco, il quale le apparve più familiare del suono nell'aria. Perché sia esso che la melodia erano parte dei suoi sogni, del suo romanzo... del suo mondo!

«Non può essere?!»Esclamò apprensiva, sollevando lo sguardo verso il mondo incontaminato che mostrava, non il cielo turchino del parco abbandonato, ma quello di Neverland.

Uno stormo di piccoli uccelli, accompagnati da una sottile striscia di scintille dorate, le mostrò il fatidico mondo dove poter portare via la sua infanzia e quella cosa che, accidentalmente, aveva già dimenticato lì una volta. Un ranch di oltre tremila acri era avvolto da una lussureggiante natura incontaminata, la stessa dove i magici sorrisi regnavano da sovrani in ogni angolo. Un meraviglioso verde brillante, a contatto col sole cocente, accompagnava gli ampi giardini fioriti dall'erba tagliata e umida di rugiada lungo i campi da tennis. E poi eccolo lì l'albero che aveva mutato di nuovo la sua forma e si era trasformato nel Geeving Three, lo stesso del passaggio segreto e quello in cui Michael appariva nei sogni, dicendo di stare ascoltando il vento perché, se si resta ad ascoltarlo, porta nuove cose da scrivere o vivere con la fantasia.

«Wow!»Sussurrò quindi la ragazza, sorridendo radiosa e col viso illuminato da una bellissima luce nuova.

Si alzò da terra nonostante il dolore al braccio in cui, durante la caduta, vi era finita su con tutto il peso corporeo, e pertanto cominciò a pulirsi... Non era possibile! Uno degli abiti che era scomparso dalla sua stanza del cucito lo stava ora indossando! Quello di un azzurro chiaro, col pizzo bianco e lungo appena oltre le ginocchia, sulle maniche e sullo scollo del seno. Come ci era finito lì?

Sgomenta, Rossana deglutì prima di seguire, a passi incerti, il sentiero in acciottolato bianco spianato nel suo cammino, guardandosi intorno senza tralasciare neanche un dettaglio, un angolo segreto: tutto era esattamente come lo aveva sognato e immaginato. Non una singola anomalia era presente nell'aria, non una cosa era fuori posto da come l'aveva scritta. Gli uccellini e le cicale si stavano nascondendo tra le chiome degli alberi tutt'intorno per cantare in allegria, e poi eccola lì quella piscina a forma di chiazza di vernice creata nel magico suolo di acciottolato grigio ben curato; uno scivolo al lato accompagnava un piccolo trampolino dove potersi catapultare nell'acqua cristallina con un salto, in cui, splendente, il cielo si specchiava in essa; un piccolo spiazzo era occupato da un tavolo bianco con intorno delle sedie del medesimo colore.

Accorgendosi poi di avere la fronte ancora imperlata di sudore, Rossana si avvicinò, decisa nella sua insicurezza, al bordo della piscina per darsi una rinfrescata senza però svegliarsi da quel magico sogno, specchiandosi nella piatta acqua cristallina là dove l'immagine della sua figura si riflesse come fosse davanti ad uno specchio. E come la protagonista del suo romanzo, attratta dal luccichio del sole, si sporse in avanti affinché riuscisse ad allungare una mano verso la liscia superficie per sfiorare il suo riflesso; non riuscì a sfiorarlo né si tirò indietro quando l'acqua si sollevò dalla pozza in piccole bollicine trasparenti per curarle il braccio leggermente sbucciato e pulirle il viso con un semplice, morbido sbuffo di bolle fresche.

Per lo stupore, Rossana indietreggiò e cadde all'indietro intanto che la mente elaborava ed assimilava quel paragrafo che pertanto recitava:

 

 

Dapprima che la sua mano riuscisse a sfiorare l'ombra del sole sull'acqua immobile

della piscina come fosse uno specchio, la pozza vibrò e uno sbuffo di bollicine trasparenti

le circondò il braccio, guarendolo. Il viso fu sgombro da ogni traccia del mondo

reale, rinfrescato da quella magica avventura che le arrecò una nuova luce nello sguardo,

e da lì si propagò in altre zone del corpo, tipo quel cuore ora battente di vita o di quei pensieri

che, seppur sgomenti per il cambiamento apportato, erano liberi di respirare.

E Perugina... Lei si mise in cammino affinché scoprisse ogni incanto recondito in quel lussureggiante

verde incontaminato di Neverland, quel mondo tutto da vivere ed esplorare e dove non vi era altra chance per tornare.

 

 

Era esattamente quel che stava ora pensando Rossana: visitare ed ammirare ogni segreto assopito in quel fantastico mondo avvolto dalla felicità. Tant'è che abbandonò subito il pensiero della piscina dall'acqua di nuovo immobile e avanzò decisa lungo i viali, che si aprivano a destra, a manca, avanti e indietro e orizzontali e verticali. Magari ogni tanto sostava per ammirare le sinuose farfalle bianche poggiate, leggiadre, sui fiori colorati sparsi qua e là per berne l'essenza o perché le piaceva accecarsi con quel sole limpido spianato nel lontano cielo, ma subito dopo riprendeva l'avventura, saltellando senza un domani perché spinta da una scarica di adrenalina che le si formò nel cuore sino a propagarsi per il resto del corpo.

E sorrideva. Ora per davvero sorrideva.

Una nuova, emozionante ilarità si era impossessata del suo corpo a tal punto da indurla ad esplodere con la fantasia ogni singolo viale, proprio come una bambina allegra intrappolata nel suo mondo immaginario. In seguito si si inchinò esausta presso un'aiuola di fiori rossi e bianchi, e mentre sfiorava i loro petali con dolcezza, come a voler impregnare su di loro le sue carezze, la bocca assunse il comando e canticchiò la stessa melodia che negli ultimi giorni l'aveva accompagnata dappertutto: We are the World.

Tutto era tranquillo, sereno e lontano dallo scetticismo della gente. Quando, ad un tratto, qualcuno la chiamò... Chi era?

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Neverland ***


CAPITOLO 6

NEVERLAND



Colta alla sprovvista e col cuore martellante forte contro il petto per l'apprensione mista alla paura che, se soltanto si fosse voltata, tutto quanto sarebbe potuto scomparire di nuovo così come si era rimaterializzato, Rossana esitò un attimo prima di porgere una rapida occhiata ad una gentil donna alle sue spalle, la quale, sorridente, l'aveva chiamata. Vestiva con semplici abiti da cameriera di tessuto rosa con grembiule e cuffia per capelli color bianco e, ora che l'osservava meglio, la ragazza ebbe la netta certezza che fosse uno dei personaggi inventati per il suo libro.

In We are the World quella donna fungeva da cameriera improvvisata, da un ruolo poco credibile perché, non avendone mai avuta una in casa, Rossana non era riuscita a darle molto spessore né un ruolo armonioso, ben preciso e coerente col personaggio. Tuttavia l'aveva descritta in maniera adeguata, come una donna di statura media dai capelli color rame raccolti in una crocchia ordinata e due splendidi occhi verde tempesta in contrasto con le guance rosee di natura. Non era molto in carme e nemmeno troppo magra, l'unica sua pecca era di non possedere un nome tutto suo, perché la sua creatrice, per mancanza di idee e originalità nello scegliere qualcosa di adatto alla sua persona, non era riuscita a darglielo. Ma, se non errava, non aveva bisogno di chiamarla in nessuno modo in quel momento, perché ella era lì per un unico motivo: ordine del padrone di quel vasto ranch.

Costui era la stessa persona che aveva in possesso quel magnifico mondo avvolto dall'incanto sia naturale che magico e, secondo lo svolgimento della storia, Rossana sapeva che egli era a conoscenza del suo arrivo, come sapeva anche del perché l'aveva mandata a chiamare: dovevano incontrarsi. La stessa persona che era andata a trovarla ogni notte nei sogni l'aveva invitata a visitare il suo ranch più volte e, alla fine -anche se non sapeva dirsi come questo fosse stato possibile-, Rossana aveva accettato l'invito.

Al che la paura che tutto potesse scomparire di nuovo passò così com'era arrivata e un nuovo sorriso radioso le increspò il volto di ilarità.

«Lui mi sta aspettando, non è così?»Domandò la ragazza, abbassando di poco il capo mentre giocherellava con le dita nell'orlo dell'abito per il poco imbarazzo creatosi.

«La prego di seguirmi.»Fu la semplice, solidale risposta della donna.

Stava per incamminarsi lungo il viale spianato davanti a sé, quando Rossana... Sì, doveva chiederglielo: aveva aspettato troppo tempo prima di giungere a destinazione.

«Perché?»Chiese. «Perché dopo tutto questo tempo? Perché non subito dopo avermelo chiesto? Perché mi ha fatto entrare qui solo adesso?»

«Sono desolata, non mi è consentito parlarvene.»Si inchinò la donna con sincero rammarico. «Questa incombenza spetta al padrone.»

«Naturale, certo!»Sorrise Rossana. «Chiedo perdono.»

Come aveva fatto a dimenticarsi di una cosa così abbastanza ovvia? Eppure era lei l'autrice del romanzo, di quel sogno ora reale. Era lei la marionettista che aveva provato divertimento nel comandare a bacchetta e muovere a suo piacimento le marionette di quel mondo parallelo alla realtà. Si poteva essere più sbadati di così? Inoltre c'era anche da dire che tutto era successo così in fretta che né la mente né il corpo erano riusciti ad elaborare ogni cosa alla perfezione, e pertanto le fu naturale commettere quei piccoli errori che, per fortuna, erano talmente futili da non danneggiare il corso dell'avventura.

E or dunque, emozionata, la scrittrice del romanzo contro la cattiveria del mondo esterno sorrise alla donna e si inchinò al suo cospetto con cordialità.

«Da questa parte, prego.»Le disse soave la donna priva di nome.

Le indicò con la mano destra quella semplice stradina stesa in tutto il suo fascino proprio lì davanti. Ma, intimidita, Rossana abbassò il capo, chiedendo se, cortesemente, poteva farle strada: la mente era così aggrovigliata tra i vari pensieri che non riusciva più a ricordare la giusta direzione per arrivare a lui, al bambino cresciuto dei suoi sogni. E guarda caso, ogni cosa sembrò riaffiorare solo quando la donna sorrise e le fece strada, svoltando di angolo in angolo e schiarendole sempre più le idee.

Ogni singola cosa era uguale a come l'aveva sognata e trascritta nel suo romanzo non ancora pubblicato. Riconobbe quella grossa pozza d'acqua impressa nel terreno con sassi sparsi qua e là e il rilassante scrosciare delle piccole cascate bianche e incontaminate che albergavano in quell'incanto, di cui centro vi era una piccola rotonda ornata da fiori bianchi e rossi perfettamente allineati tra di loro. Tutt'intorno vi erano alberi verdi dalle chiome piccole e luccicanti alla luce del sole; lo scintillio della natura verdognola si confondeva col cielo e con la cristallina pozza scrosciante.

Ma quella non era l'unica meraviglia di Neverland recondita a chi non era in grado di sognare. Anzi, non era neanche la metà delle meraviglie racchiuse in quel mondo avvolto dal canto, dai colori e dove poter rifugiarsi anche solo per poche ore e scappare un attimo dalla vita di tutti i giorni, pesante e monotona, fredda e senza un senso per cui andare avanti e viverla nell'illusione che qualcosa, nel domani, possa cambiare

Rossana voltava continuamente il capo a destra e a manca con ancora l'intento di non perdersi nulla con lo sguardo. Lei e la donna che aveva davanti svoltarono pressoché in un'altra stradina incendiata dal sole rovente, e poco più avanti di loro vi era un sentiero di acciottolato bianco che ospitava a sé un piccolo gazebo, dove all'interno vi era un tavolino e delle comode sedie a divanetto su cui potersi rilassare. Da un lato vi era anche un grazioso banco per il barbecue che, come da romanzo, ogni notte si illuminava grazie a dei graziosi lampadari semplici appesi al tettuccio in legno. Al di fuori, una graziosa fontanella rotonda faceva scrosciare una piccola spirale d'acqua troppo piccola per raggiungere il cielo.

Poi, appena oltre l'angolo, Rossana aveva arrestato improvvisamente il proprio cammino perché il cuore impazzì e gli occhi si spalancarono al massimo della loro possibilità: in lontananza, seppur poco udibili, riuscì a percepire le note esatte di quella splendida canzone che l'aveva accompagnata durante la trascrizione del romanzo, durante i sogni e durante i momenti di sconforto di quei giorni passati in completa noia e solitudine:

 

 

When you're down and out, theres seems no hope at all

But if just believe theres no way we can fall

Let us realize that a change can only come

When we stand together as one.

We are the World, We are the Children

We are the ones who make a brighter day so lets star giving

Theres a choice we're making

We're saving our own lives it's true we'll make a better day

Just you and me.

(Quando sei triste e stanco, sembra che non ci sia alcuna speranza, ma, se tu hai fiducia, non possiamo essere sconfitti.

Rendiamo conto che le cose potranno cambiare solo quando saremo uniti come una sola cosa.

Noi siamo il Mondo, noi siamo i Bambini

Noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce, quindi cominciamo a donare.

È una scelta che stiamo facendo, stiamo salvando le nostre stesse vite, davvero costruiremo giorni migliori, tu ed io.)

 

 

Senza avervi fatto caso, Rossana si ritrovó a canticchiare la stessa canzone, perché inspiegabilmente fu spinta da una leggerezza mai provata prima di allora. La donna che le stava facendo strada e che in seguito si fu fermata accanto ad essa, sorrise e disse:

«Vedo che conosce la canzone del padrone.»

«Del padrone?»Si sbigottì la scrittrice di quel vasto regno verdeggiante, interrompendo il proprio canto e sgranando gli occhi per lo stupore. «Mi spiace contraddirla, ma questa canzone l'ho scritta io per il mio romanzo.»

«Sono sicura del contrario.»Disse paziente la donna. «Il padrone ha scritto questa canzone in collaborazione con Lionel Richie per USA FOR AFRICA* , ed è stata prodotta da Quincy Jones.»

«No! Insisto nel dirle che è mia: l'ho sognata!»

«E io insisto nel confermare la mia risposta.»

Qualcosa in Rossana cambiò...

«Ma allora, se non è mia, come faccio a... a conoscerla?»

...il suo sorriso, che sfumò in un broncio mesto e altresì spento.

«Evidentemente il padrone ha trovato il modo di passarvela attraverso i sogni.»

«Attraverso i sogni?»Chiese sgomenta Rossana. «Lei crede che... Perché proprio me?»

«Mi dispiace, questo non mi è dato sapere. La storia segue un suo corso ed io c'entro ben poco con essa.»Fu la semplice risposta della donna.

Desolata, porse alla ragazza un breve inchino prima di riprendere il cammino lungo il viale che stavano seguendo prima di arrestarsi. Nella mente di Rossana, invece, tornò vivido il ricordo di quel paragrafo che pertanto recitava:

 

 

Canticchiando la canzone che l'aveva accompagnata nelle notti turbide, la donna che stava accompagnando Perugina dal padrone sorrise, sorpresa che ella conoscesse We are the World.

Perugina non fu restia nel dirle che era stata lei a creare quel brano, che era opera sua, ma questa certezza vacillò quando la stessa donna le fece assaporare una piccola, amara verità: non era lei l'autrice della canzone, ma il padrone e Lionel Richie, in seguito prodotta da Quincy Jones.

Perugina cercò nel silenzio qualcosa che le schiarisse le idee, ma alla donna non era dato sapere, perché anche quella non era un'incombenza che spettava a lei: non aveva un ruolo in questa parte della storia e lei lo aveva saputo solo in secondo momento.

 

 

Pressoché non le restò altra scelta se non quella di adattarsi alle sue stesse regole, Rossana tacque e continuò a seguire la donna senza emettere neanche più un suono, perché tutto quanto era così perfettamente inaspettato da rimandarle la mente in subbuglio e chiedersi quale altre pazzie aveva commesso nella stesura della storia.

Negli anni aveva sempre immaginato quella sua avventura a Neverland in maniera totalmente diversa da come la stava vivendo. Nei suoi sogni era semplicemente a casa, e quando varcava la soglia della cucina era lì che accadeva la più grande magia di un portale apertosi nel pavimento per condurla nel suo mondo. Nel suo libro, tuttavia, aveva scelto un ingresso diverso e inaspettato: un albero, che le era sembrato più accattivante per i lettori. E per quanto inaspettato fosse, non poté fare a meno di confermare la sua tesi e di ritornare a sorridere, perché in un modo o in un altro era riuscita ad arrivare lì e ora poteva riprendersi l'infanzia perduta.

«Ci siamo quasi!»Annunciò la donna.

Per Rossana fu come ridestarsi da un improvviso sogno ad occhi aperti, il quale l'aveva indotta a distrarsi nei vaneggiamenti più sgomenti che potessero crearsi nella sua mente catatonica: se non errava, proprio dietro l'angolo doveva esserci la dimora del padrone...

E infatti eccola lì!

Una graziosa casupola di legno spuntò, maestosa, tra gli alberi che la stavano circondando con grazia. Piccoli, scintillanti fiori ornavano quel verdognolo giardino dall'erba tagliata e ben curata. Quattro scalini di acciottolato bianco circondato da piantine verdi e fiori chiari, rossi e gialli spuntavano nel sentiero immacolato. Aiuole cosparse da petali blu e ancora scarlatti spuntavano al centro di tutto, anche in quei giardinetti costeggiati di fascino naturale. Altri quattro gradini più distorti separavano Rossana e la donna da quella piccola abitazione in legno, al che sembrò divenire più grande e potente via via che si avvicinavano.

La scrittrice di quel vasto mondo avvertiva il proprio corpo fremere sotto il suo stesso peso, vacillando in un'agitazione inaspettata con gli occhi che si separarono dall'acciottolato per offuscarsi in quel sogno divenuto reale. Il cuore le era letteralmente impazzito nel petto, quasi sembrava volesse urlare a quel nuovo mondo la sua immensa ilarità di essere finalmente lì.

Un sorriso spontaneo andò ad incresparle le labbra in quella piccola essenza magica che solo una smorfia infantile può portare con sé, illuminandole il volto di luce intensa e propria, la stessa di chi ha ritrovato ciò che aveva perduto. I piedi e le gambe sembrarono comandarla a camminare senza timore. Quella mente che fino a poc'anzi era catatonica, ora sembrava destarsi tra i pensieri, portando un piccolo paragrafo a oscillare in quei sensi stregati:

 

 

All'angolo della via che stava costeggiando, lo sguardo di Perugina annegò in una graziosa casetta di legno ornata dall'incanto di quel mondo magico che, con gesti delicati, le fece illuminare il volto di una luce così appariscente da ridarle indietro ciò che aveva perso e che, senza farvi caso, aveva riperduto.

Ad attenderla poco prima dell'ingresso per quella casa, che all'apparenza sembrava piccola, vi era la più inaspettata delle sorprese...

 

 

I sensi di Rossana scattarono!

La mente tornò affollata peggio di prima e il cuore sembrò arrivarle direttamente in gola, a tal punto da soffocarla. Questo accadde perché proprio davanti all'ingresso vi era una figura che, composta e con le braccia riportate dietro la schiena ampia e perfetta, stava misurando il suolo a grandi falcate, facendo avanti e indietro senza mai stancarsi.

Al che Rossana, deglutendo quel cuore che la stava soffocando, avanzò verso la figura a passi lenti, incerti e decisi allo stesso tempo. Lenti perché sentiva di nuovo il piombo sulle gambe; incerti perché era travolta da qualcosa che non riusciva a spiegarsi; decisi perché quello doveva essere lui. E fu proprio suddetto, ora di spalle, ad arrestare i propri passi.

«Ti stavo aspettando!»Esclamò.

Rossana ebbe un blocco istantaneo di tutti e cinque i sensi: non poteva essere, si disse.

 

 

*We are the World è un brano musicale del 1985, scritto da Michael Jackson e Lionel Richie; fu prodotto da Quincy Jones e inciso a scopo benefico dagli USA FOR AFRICA (nel nome USA non è l'acronimo di United States of America, ma di United Support Artists) un supergruppo statunitense di celebrità della musica pop, riunitesi secondo modello della Band Aid di Do They Know It's Christmas?. I proventi raccolti con We are the World furono interamente devoluti alla popolazione dell'Etiopia, afflitta in quel periodo da una disastrosa carestia. Gli USA FOR AFRICA chiusero, con il brano We are the World, il Live Aid.

(-Cit. Wikipedia).

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Michael Jackson ***


CAPITOLO 7

MICHAEL JACKSON


Lo stesso ragazzo che da giorni era andato a trovarla nei sogni, che le aveva dato la possibilità di essere lì e che Rossana non riusciva a rammentare bene sì voltò, rivelandosi: Michael Jackson. Lo stesso Michael Jackson che era riuscito a mettersi in contatto con lei quando dormiva, lo stesso autore che aveva scritto e cantato We are the World, facendole credere di essere lei l'autrice. Era la stessa e identica persona descritta tra le pagine del suo romanzo, colui che adesso rammentava in ogni sua singola particella.

Era lui, era lì... Era Michael, Michael Jackson.

Quella sua dolce voce pacata, mista a quell'attacco di ridarella che nei sogni non era riuscito a domare ma che allo stesso tempo era capace di rassicurare, si sposava alla perfezione con quello splendido uomo lì in piedi davanti a lei. Aveva una bella pelle scura ed era più alto rispetto alla sua ospite. E quel sorriso... Cavolo! Quel sorriso che le stava porgendo era la fine del mondo per l'inizio di uno migliore. In sé aveva un tale bagliore da indurre a sorridere nonostante non vi fosse voglia. Un paio di occhiali da sole -dalle lenti molto scure- gli ricadevano su quel piccolo ma allo stesso tempo perfetto naso, e magnifici riccioli neri accurati sul capo gli conferivano un aspetto da angelo sceso in Terra per trarre in salvo chi ne aveva bisogno.

Indossava lo stesso abbigliamento scelto da Rossana per il personaggio maschile del suo romanzo: lungo il busto gli cadeva su misura una raffinata giacca rossa scintillante di paillettes, ornata tutt'intorno da luccicanti drappeggi e ghirigori dorati che davano vita a quella splendida fascia del medesimo colore, la quale scendeva dalla spalla fino a raggiungere uno dei due stretti fianchi; al centro vi era una sottile striscia blu di paillettes.

Lungo la vita, invece, era steso un quasi aderente pantalone nero in cotone, corto all'incirca cinque centimetri sulle caviglie per lasciare scoperti i calzini bianchi accurati dentro dei mocassini lucidi e dal tacco basso. Alla mano, costituita da magnifiche dita lunghe e affusolate, vi era uno scintillante guanto di paillettes scuro.

Impalata e ammaliata dinanzi a quel fascino, la mente di Rossana si fermò un attimo per recitare testuali parole tratte da uno dei suoi paragrafi di We are the World:

 

 

Una giacca rossa di scintillanti paillettes accompagnava il look di Michael con drappeggi e ghirigori dorati, costituito una fascia cadente su una spalla per terminare lungo uno dei due fianchi. Un pantalone nero e breve di cinque centimetri sulle caviglie lasciava scoperti quei calzini bianchi; i lucidi mocassini scuri li ospitavano nel loro interno.

Morbidi riccioli neri accurati sul capo gli incorniciavano quel perfetto volto dalla pelle scura, occupato da un paio di occhiali scuri sul naso piccolo e perfetto. Ma mai quanto quel sorriso contagioso o quel guanto di paillettes nero calzato a una delle due mani dalle dita lunghe e affusolate.

E, come una saetta improvvisa, Perugina ricordò una cosa: aveva disegnato lei quel look, quindi...

 

 

«...quindi l'abito deve essere qui, da qualche parte.»

Esattamente come una rapida saetta, Rossana ricordò di aver disegnato e poi nascosto lei stessa il bozzetto di quel look indossato da Michael, perché insicura se fosse un bell'intreccio di colori. E se lui si trovava lì, allora doveva esserci anche il resto: sua madre non aveva toccato niente... Forse c'entrava Michael... Forse stava traendo conclusioni affrettate, forse no...

Troppi pensieri ad offuscarle i sensi.

Rossana non riusciva ad elaborare alcunché in quella mente affogata nello sgomento più totale. L'unica cosa a tenerla ancora viva in quel mare affollato era il pensiero che, forse, il suo abito si trovava lì, a Neverland. E se non si stava sbagliando, se era stato Michael a prenderlo, allora nel suo ritorno avrebbe dovuto porgere le più sentite scuse a sua madre, la quale era stata incolpata ingiustamente dalla suddetta. Ma questo divenne subito un pensiero troppo distante per porvi ulteriori indugi: Rossana si era persa inconsapevolmente nelle lenti scure dell'uomo che aveva davanti dal labbro superiore scuro e coperto da un sottile strato di barbetta e quello inferiore di un bellissimo rosa fragola.

Tuttavia non poté perdersi ancora per molto in esso, perché la storia doveva continuare il suo corso e in esso vi era quella scena che vedeva Michael scendere gli scalini che lo separavano da Rossana, avvicinandosi a quest'ultima e interrompendo così la loro piccola e allo stesso tempo lunga distanza.

Da subito un buon profumo pungente si fece largo nei respiri dell'autrice di We are the World, lì ferma e ciondolante, perché il corpo era avvolto stretto da un'infinità di emozioni da non riuscire a descriverne neanche una. Era come se quel profumo fosse suo da sempre e... ed era lo stesso che aveva respirato nei sogni, nella pioggia di glitter!

Adesso riusciva a ricordarlo, riusciva a farla sentire ancora più protetta e, inoltre, le stava infondendo calore. Ma questo fu semplicemente arrecato da quella mano affusolata e nascosta nel guanto nero di paillettes che, con grazia, afferrò la sua per assestargli sopra un caldo e sentito bacio.

Lì un paragrafo inaspettato si fece largo tra la folla di pensieri:

 

 

Annientando la piccola distanza che li separava, Michael scese alcuni gradini e le fu vicina, inchinandosi e infondendole calore sulla mano tramite un dolce, caldo e sentito bacio di benvenuto.

Il cuore di Perugina esplose in un battito efferato per la sua debole incolumità. Il calore che l'aveva avvolta la fece sentire come protetta, come fosse a casa, come un soffio di vento pronto a confondersi con l'aria per spazzare via ogni cosa.

 

 

Il cuore, sì!

Il cuore le stava battendo così forte contro il letto da arrecarle un lieve e piacevole soffocamento, mentre il corpo si rifiutò ancora una volta di obbedirle. Eppure Rossana riuscì a farsi rispettare e, afferrando gli orli dell'abito azzurro che indossava, imbarazzata, si inchinò al cospetto del padrone. Sulla mano ancora avvertiva la pressione di quelle morbide labbra e il loro affascinante calore, e gli occhi... si persero in quel nuovo paragrafo apparso chissà dove:

 

 

Persa nel suo calore e altresì anche nel suo sguardo mascherato dalle lenti scure, Perugina comandò il suo corpo affinché le obbedisse ad inchinarsi. Afferrò quindi gli orli dell'abito azzurro e dal merletto bianco che indossava e si inchinò all'uomo affascinante che aveva davanti, il quale la stava osservando in silenzio.

Un silenzio che solo l'attimo dopo si rivelò essere il sorriso più dolce che avesse mai visto e che diede vita alla magia più pura che fosse mai esistita.

 

 

Sollevato lo sguardo, Rossana cercò di parlare, ma risultò molto difficile per l'agitazione. Non si perse d'animo, comunque, e quindi si sforzò di dire:

«Sono... sono felice di essere qui, Signor Jackson.»

«Oh, no! Chiamami Michael.»Le sorrise egli.

Non seppe spiegarsi come fosse possibile ciò, ma ella non avvertì più alcun tipo di disagio. Altresì era imbarazzata da tanta bellezza e da quel sorriso bianco, che esprimeva serenità, bontà e anche un pizzico di magia.

E quella voce...

«È stato un lungo viaggio?»

...era qualcosa di inspiegabile.

«Ehm... veramente...»

Rossana era rimasta interdetta, spiazzata.

Arrivare lì non era stato esattamente un lungo viaggio così come lo stava definendo lui... OH, MA SÌ CHE ERA STATO LUNGO! Era da troppi anni che lei sognava di poter approdare in un mondo nuovo, che scappava dalla vita reale per andare a rifugiarsi nei sogni. Quindi come poteva non essere stato un lungo viaggio? Lei, che aveva sperato da tutta una vita di svegliarsi lì e non in camera sua, poteva affermare e sottoscrivere che il viaggio era stato interminabile, immensamente chilometrico! Lei, che aveva sempre voluto scrivere We are the World ma che non era ancora abbastanza matura da capire l'importanza delle cose, aveva sudato per raggiungere il suo sogno, la sua infanzia.

Quante volte, poi, si era seduta alla scrivania con l'intento di scrivere e... puff! L'idea svaniva subito perché era stanca di camminare a vuoto senza mai essere soddisfatta o di trovare qualcosa, lungo il cammino, che la soddisfacesse? E Michael... lui sembrava saperlo... Anzi, lui sapeva molto più di quanto sapesse Rossana, e glielo fece intuire il suo modo semplice di continuare a sorridere senza mai contraddirsi o scomporsi nella disciplina dei suoi gesti.

«Non era ancora il suo momento.»Disse, riferendosi al romanzo che Rossana non era riuscita a scrivere in passato.

«E perché adesso lo è stato?»Gli domandò ella: se in qualche modo c'entrava lui con la sua dimenticanza, perché aveva scelto quel momento? Che cosa aveva più degli altri?

«Perché col tempo sei cresciuta e maturata pur restando sempre la stessa.»Le spiegò Michael. «Hai compreso nel complesso le problematiche del mondo, e per questo ti sei posta un ottimo obiettivo: unire le forze per annientare la povertà e rendere il mondo un posto migliore.»

Rossana rimase una seconda volta spiazzata. Sgranò gli occhi e, col cuore di nuovo battente troppo forte contro il petto che comportò la mancanza di forze, gli chiese:

«Tu come fai a saperlo?»

«Non adesso, tesoro.»Le disse dolcemente Michael. «Vieni con me!»

«Dove?»

«A scoprire il nostro mondo.»

Michael porse a Rossana, con un gesto galante, il proprio braccio per farle strada. Dal canto suo, la ragazza lo afferrò con timidezza e seguì i suoi calmi passi. In sincronismo salirono i pochi gradini che li separavano dalla porta e varcarono il pavimento lucido di quell'ingresso ombreggiato dall'abitazione in legno.

A tenerli compagnia, in sottofondo, vi era quel battito percepibile di due cuori che, confusosi in un'unica essenza vitale, portò il corpo della ragazza a trepidare di curiosità. Questo perché oltre quella porta in legno, dentro quella piccola casa, vi era nascosta la magia di quel mondo: quella di Neverland. 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Magia ***


CAPITOLO 8

MAGIA



Polvere di stella, scintille dorate.

La casa sembrò espandersi, divenendo più grande di quanto apparisse all'esterno. Il suo magnifico rivestimento in legno luccicava a contatto coi roventi raggi del sole che, curioso, stava penetrando dalle finestre per ammirare quel loro magico momento. Non un grammo di polvere era presente in quell'ambiente ornato da vari soprammobili preziosi, e poco vicino all'entrata vi era una scala del medesimo rivestimento che conduceva ai piani superiori.

Ma né Michael, né tanto meno Rossana imboccarono in essi, altresì si spostarono a sinistra, là dove uno stretto corridoio apparve ampliato non appena varcarono la soglia di quel grande salotto ombreggiato dalle sofisticate pareti bianche. Davanti all'ampio divano posto in un angolo, si affacciava un bel focolare incastrato nella parete di mattoni dall'aspetto antico. Il luccicante lampadario appeso al soffitto era spento, ma a contatto con la luce, che ancora stava infiltrandosi in casa per seguirli nel piccolo tour alla scoperta di Neverland, luccicava di essenza propria.

Poco più avanti, adiacente al camino, vi erano due scalini e Michael invitò la sua ospite a lasciarseli indietro, scalandoli con disinvoltura e delicatezza nelle movenze. Si ritrovarono, quindi, davanti ad una porta in legno scuro che, al loro passaggio, scomparve in quella graziosa, ampia cucina completamente rivestita dello stesso materiale delle porte e del pavimento, esattamente come il resto delle altre cose ancora da scoprire in quell'abbagliante dimora: bastava un solo fiammifero per incendiare il tutto.

Dietro al piano cottura in acciaio vi era accurata una donna allegra e ilariata che, a conoscenza dell'arrivo di un ospite speciale, si era messa a cucinare una semplice merenda a base di crostata di mele e the freddo al limone. Solo in secondo momento Rossana si accorse che ella era la stessa persona la quale l'aveva accompagnata dal padrone: era scomparsa al suo fianco in uno sbuffo di scintille argentee senza che se ne fosse accorta, perché troppo impegnata a scrutare quel ragazzo a lungo sognato.

«Grazie, cara! Puoi andare!»La congedò cordialmente quest'ultimo.

La donna inchinò il capo per poi di uscire dalla cucina utilizzando una porta secondaria, che apparve un solo secondo prima di scomparire di nuovo. Quindi Michael, che dal modo calmo e sereno che stava mostrando sembrava esserci abituato, invitò la sua ospite ad accomodarsi su uno dei sgabelli posti all'angolo della cucina, lì dove vi era il piano in marmo per poter mangiare perfettamente lucidato. Ma Rossana non riusciva a smettere di guardarsi intorno, o meglio dire che non trovava modo di distogliere lo sguardo da tutto quello che la stava circondando con fascino: come poteva essere che una cosa così piccola all'esterno fosse inaspettatamente grande all'interno? Poteva essere un'illusione ottica dovuta al legno battuto dal sole rovente o semplicemente stava fantasticando oltre ogni confine?

Il battito instancabile di quel suo cuore indisciplinato le offuscò i sensi appena l'uomo che aveva accanto si accomodò alla sua sinistra, sedendo su uno degli sgabelli situati vicino al piano in marmo per mangiare. Con un gesto semplice e delicato, quasi studiato, si portò il bicchiere di the alle labbra e ne bevve un leggero sorso prima di metterlo via e sistemarsi meglio gli occhiali sul naso. Attraverso essi, poté scrutare Rossana irrigidirsi per l'imbarazzo: non aveva mai avuto un contatto così riavvicinato con un ragazzo...

Dai polmoni le entrava ed usciva non aria, bensì il suo dolce profumo, lo stesso sognato per così tante volte da divenire l'unica essenza capace di rianimarla nelle giornate cupe. Al che cercò anche di concentrare i pensieri su altro, tipo le luci dorate che stavano divertendosi ad aleggiare tutt'intorno, o sul delizioso aspetto della crostata di mele. Ma era tutto vano e la mente si rifiutava di obbedirle, di pensare ad altro.

Fu Michael che, seppur fosse più intimidito di lei -in certi versi-, ruppe il ghiaccio.

«Poco tempo fa ero restio a mangiare cibo spazzatura.»Disse sorridendo.

«Perché?»Gli domandò Rossana sforzandosi di non arrossire, sollevando di poco lo sguardo per ammirarlo attraverso le lenti scure.

«Perché da ragazzo ho sofferto di acne.»Spiegò allora egli.

«Che risposta laconica e futile per un uomo così decoroso!»Esclamò la ragazza, ritrovando l'ardimento perduto e sedendogli più rilassata accanto, afferrando la sua fetta di crostata senza però osare mangiarla: aveva lo stomaco completamente avvolto da troppe emozioni, che le veniva difficile ingerire qualcosa.

Era come se avesse appena smesso di cibarsi di un abbondante pasto da re e stare lì per lì pronta a sboccare in conati. Tuttavia non volle sembrare scortese né schizzinosa verso la donna che si era data tanto da fare per sfornare una crostata degna di nota, quindi fece uno sforzo e ne morse un angolino. Era molto buona, e lo sarebbe stata il doppio se soltanto Michael avesse smesso di ammirarla con quel suo unico modo di fare.

Perché sì, l'uomo seduto a tavola con ancora gli occhiali da sole sul naso, la stava ammirando in silenzio, e quando Rossana incrociò di poco il suo sguardo smascherato non poté trattenersi dal ridere: la sua piccola sognatrice aveva subito girato il capo dall'altro lato, arrossendo più di quanto arrossivano le sue guance attaccate dal Lupus.

«Perché pensi che la mia risposta sia laconica e futile?»Le chiese Michael, sviando l'argomento altrove in modo da farla sentire a suo agio.

«Perché ognuno di noi ha sofferto almeno una volta di acne, ma mettersi a dieta evitando il cibo spazzatura mi sembra un po' eccessivo... Io non ci riuscirei mai!»Rispose ella che, stranamente, cominciava a sentirsi già meglio, a suo agio.

«Significa che sei molto golosa e la golosità è un peccato.»

«Ma è anche vero che si vive una volta sola.»

«Appunto! Quindi converrai con me che la salute è importante.»

«Le schifezze sono la mia importante salute.»Concluse Rossana, guardandolo senza più arrossire e sorridendogli ilariata.

Michael, dal canto suo, rimase a fissarla negli occhi prima di scoppiare a ridere per l'incapacità di trattenersi: da ragazzo era stato anche lui molto goloso, come darle ulteriormente torto? Difatti nella mente riaffiorò il ricordo di suo padre, il quale, ogni volta che tornava a casa dal lavoro, portava ai figli delle ciambelle; in una sua canzone disse che l'amore è, appunto, una ciambella.

«Sono stato anch'io molto goloso... di ciambelle!»Ammise, tornando a sorseggiare il suo the.

«La golosità è un peccato.»Lo schernì scherzosamente Rossana.

«È un peccato lasciare i dolci a marcire.»

Rossana non ebbe di che rispondere e pertanto trascinò Michael nel suo sorriso, uno di quelli genuini che ti rinfrescano la giornata. E quando tutto quanto si placò, ella assunse un'espressione seria.

«Sei goloso anche di buona musica, per questo hai creato una canzone magica, così profonda e veritiera.»Disse un po' mesta.

«Cosa stai cercando di dirmi?»

«Ho saputo che We are the World è stata scritta da te e da un altro cantante.»Disse Rossana. «Per un attimo ho creduto fosse stata una mia creazione...»

«Ci sei rimasta male?»Le domandò Michael.

«No.»Sorrise Rossana, ammirandolo. «In fondo sono solo una scrittrice di romanzi, non una cantautrice. E poi cosa importa?»Esclamò in seguito. «Scritta da me o da te o da Lionel Richie ha poca importanza: resta comunque una splendida canzone, capace di toccarti l'anima infondendo speranza a chi l'ascolta e ricca di significati che la gente ignora per orgoglio o per codardia.»

Silenzio.

Michael non proferì più parola. Altresì rimase fermo, immobile sullo sgabello prima di afferrare le mani di Rossana nelle sue e accarezzarle, a piccoli gesti circolari, la pelle bianca. Quel tocco fu sufficiente a lasciarla in stasi, col cuore che ricominciò a battere forte contro il petto e coi pensieri così ingarbugliati tra loro da spaesarla, arrecandole turbamento e un abissale vuoto allo stomaco stranamente piacevole.

«Io sono sicuro che We are the World, così come Beat It e Billie Jean, era già stata scritta da qualche parte e attraverso qualcosa è arrivata a noi.»Disse Michael. «E io ho deciso di trasferirla a te... Te la regalo, visto che ti piace tanto!»

«Perché proprio io?»

«Perché tu sei come me: vuoi rendere il mondo un posto migliore. Un'oasi di sorrisi e...»

«...e magia.»Concluse Rossana; Michael sorrise solidale. «Cos'è per te la magia?»

«Evasione!»Fu la semplice risposta di Michael. «Evadere dalla realtà per rifugiarsi in un altro mondo, magari dove ci sono un'infinità di bambini capaci di regalarti qualcosa attraverso un sorriso.»Spiegò. «E per te, invece?»Si rivolse a Rossana. «Cos'è la magia?»

«È l'infanzia che non ho mai avuto.»Rispose quest'ultima.

«Immagino che sei fuggita per ritrovarla, non è così?»

«Già.»Ammise la ragazza. «Tu pensi che qui riuscirò a trovarla? Perché, sai, ho perso anche un'altra cosa, che però non ricordo nel dettaglio.»

«Scopriamolo insieme!»

Alzandosi dallo sgabello, Michael le porse una mano per scortarla nel seguito del tour per la casa. Rossana decise di lasciar perdere la crostata e il suo the e si lasciò guidare all'uscita della cucina, oltrepassando la sala da pranzo che, di sfuggita, aveva visto vuota. Insieme, quindi, si incamminarono nei pressi dell'abitazione, lasciandosi alle spalle lo stretto corridoio che avevano percorso per entrare in un salotto secondario, là dove vi era un grazioso pianoforte nero posto in un angolo.

Rossana lasciò andare la mano calda di Michael per avvicinarsi ad esso. Con le dita passo in rassegna la liscia superficie tirata a lucido, sorridendo e arrivando felicemente a quei tasti bianchi accompagnati da quelli neri. E senza riuscire a pensare a ciò che stava facendo, sedette sulla piccola panca lì davanti e seguì lo spartito musicale così da creare la giusta melodia del suo regalo: We are the World. Di questa canzone non conosceva la giusta melodia, ma improvvisamente riaffiorò nei ricordi uno spartito musicale, come se egli fosse filtrato nelle tempie...

Dal canto suo, Michael sorrise e le si avvicinò. Prese posto a sedere sulla panca alla sua destra, portandosi i piedi sotto il sedere e comportandosi come fosse una cosa normale, da tutti i giorni. Questo comportò un attacco di ridarella spontanea in Rossana, che l'attimo dopo si placò per lo sbigottimento più totale: i calzini bianchi dell'uomo erano divenuti spaiati, ovvero uno giallo e uno arancione... come da romanzo!

 

 

Avvolti dalla sinfonia di We are the World, non creata dal pianoforte ma dal sorriso di Perugina, quest'ultima si sorprese quando vide i calzini bianchi di Michael trasformarsi in due colori spaiati: giallo e arancione.

Quel piccolo attimo di puro stupore, mischiato alla più grande stranezza del momento, andò a creare una nuova magia capace di riscaldare il cuore di chi era nei paraggi, questo perché We are the World divenne il canto sinfonico e profondo di quell'ambiente avvolto da una sola essenza: l'unione per cambiare le cose.

Ma prima che tutto quanto si manifestasse nel suo luccicante scintillio, una cosa assurda successe proprio sotto gli occhi attenti di Perugina: i calzini dell'uomo seduto al pianoforte tornarono...

 

 

... tornarono bianchi ed egli sorrise: Rossana era una delle poche scrittrici che, mentre scriveva, si confondeva da sola per poi giocare a fare la spiritosa con le sue marionette. E in sorte le era toccato lui e quei poveri calzini, che da bianchi divennero spaiati per poi tornare allo stato iniziale.

Ma!

«Avrei preferito che li lasciassi spaiati, i miei calzini: mi piacciono strambi!»Confessò Michael. «Non parliamo poi di quelli con le paillettes: mi fanno impazzire!»

«Nel mio sogno ci hai ballato.»Rise Rossana, rammentando quel sogno strano in cui Michael fronteggiò uno specchio e si mise a ballare con ai piedi dei calzini luccicanti di paillettes argentee.

«Li stavo sperimentando, a dire il vero.»Disse ilariato egli.

«Certo!»Cominciò a ridere Rossana.

Michael si lasciò trascinare dalla spensieratezza del momento prima di ricomporsi e... Sì! Fu in quel momento che accadde una di quelle magie inaspettate che ti regala la vita, una di quelle meraviglie che lasciano il segno nell'aria: le dita di Michael si persero nello strimpellare i tasti del pianoforte, creando la giusta catena di note di We are the World, per poi iniziare a cantarla con quella splendida, profonda voce angelica capace di trasferirti in un'altra dimensione.

 

 

There comes a time when we hear a certain call

When the world must come together as one

There are people dying end its time to lend a hand to life

There greatest gift of all.

(Arriva un momento in cui abbiamo bisogno di una chiamata, quando il mondo deve tornare unito.

C'è gente che muore ed è tempo di aiutare la vita, il più grande regalo del mondo.)

 

 

Spinta e plagiata da un'improvvisa voglia di unirsi al canto, col cuore martellante di nuovo forte contro il petto perché i sensi stavano combattendo contro la timidezza che le avvampò leggermente il volto, Rossana si unì al canto. La sua voce si intrecciò alla perfezione con quella di Michael, e fu egli stesso ad accompagnarla nelle giuste note strimpellate sul pianoforte e insegnandole quando aumentare o diminuire di tono.

 

 

We cant go pretending day by day that someone, some where will soon make a change

We are all a part of Gods grat big family

And the truth, you know, love is all we need.

(Non possiamo andare avanti fingendo di giorno in giorno che qualcuno, da qualche parte, presto cambi le cose.

Tutti noi siamo parte della grande famiglia di Dio e, lo sai, in verità l'amore è tutto quello di cui abbiamo bisogno.)

 

 

I raggi del sole rovente batterono in ritirata, mentre piccole lucine dorate cominciarono a cadere dall'alto soffitto senza raggiungere mai il pavimento, scomparendo altresì nell'aria come fosse pioggia che non sfiora il suolo. Due sguardi -uno ambrato e l'altro mascherato- si incrociarono in un solo mondo per creare un'unica voce magica, che dissipandosi nella magia incominciò a cantare immersa in quel fantastico scintillio splendente, dove sagome di bambini fatte di glitter iniziarono a ballare in armonia intorno alla stanza, a rincorrersi, a giocare tra loro per poi perdersi e dissolversi in polvere di stella.

 

 

We are the World, We are the Children

We are the ones who make a brighter day

So lets start giving

Theres a choice we're making

We're saving our own lives

It's true we'll make a better day

Just you and me.

(Noi siamo il Mondo, noi siamo i Bambini

Noi siamo quelli che un giorno porteranno la luce, quindi cominciamo a donare.

È una scelta che stiamo facendo, stiamo salvando le nostre stesse vite, davvero costruiremo giorni migliori, io e te.)

 

 

Un dolce coro di voci statunitensi s'innalzò nell'aria prima di dissiparsi nel nulla assieme a quella piccola, grande magia che li aveva accerchiati anche solo per pochi minuti. La luce del sole rifece il suo ingresso in casa, sbirciando quei due bambini cresciuti appena svegliatisi da un sogno fatto ad occhi aperti, un sogno che li aveva trascinati in un mondo fatto di pura infanzia scintillante di glitter. E né Rossana, né tanto meno Michael pronunciarono una singola parola, perché guardarsi in silenzio era la cosa più efficiente di qualunque altra: i gesti valgono più di mille parole. Ma l'attimo di silenzio fu presto spezzato dallo stesso Michael che, delicato nei gesti, allungò una mano verso quel volto ora non più tracciato dall'imbarazzo per sfiorarlo con una semplice carezza riscaldante. Le affusolate dita lunghe e al tempo stesso perfette le portarono dietro l'orecchio una ciocca di capelli ribelli, e guardandola attraverso gli occhiali le disse:

«Seguimi! Devo mostrarti una cosa.»

Porse a Rossana la mano guantata dal guanto nero di paillettes e la invitò ad alzarsi dalla panca per condurla, a passo svelto, verso una porta apparsa nell'esatto momento in cui un vecchio pendolo, lì nei dintorni, cominciò a suonare, rammentandogli che non poteva perdere altro tempo: aveva solo poche ore prima di arrivare alla conclusione del romanzo. E seppur sgomenta da tanta fretta, la ragazza lo seguì oltre la rampa di scale in legno poco distante dall'ingresso, raggiungendo così il piano superiore.

Tra i vari corridoi costeggiati di porte sparse qua e là, Michael scelse la più grande, ovvero quella che, scorrendo e situata in fondo al corridoio centrale, si apriva a destra e a manca. Ma prima di ciò si fermò a scrutare Rossana con sguardo vacuo; in secondo momento afferrò le due maniglie d'oro per aprire le ante.

Puff!

Appena le porte scorsero di lato, Rossana si irrigidì sul momento: lei conosceva quella stanza... Era la sala da ballo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La sala da ballo ***


CAPITOLO 9


LA SALA DA BALLO



Un'ampia scalinata dal rivestimento tirato a lucido si apriva a destra e a manca fino a convergere col centro della sala, là dove vi era presente un enorme spazio ovale dalla superficie liscia che avvolgeva delicatamente la stanza per ballare. I preziosi lampadari scintillanti erano ornati da cristallini luccicanti di luce intensa, dorata, che ogni sera oscillavano nel loro bagliore specchiandosi nell'ambiente circostante. Le enormi finestre sparse per la stanza, di cui il sole riuscì a rifugiarsi nel vetro privo di aloe e trasparente per non perdersi nulla di ciò che dal libro stava avverandosi nella realtà, erano drappeggiate e ornate da meravigliose tende di tessuto pregiato color ambra, intrecciate a stendardi e corde dorate che, nel fresco venticello infiltratosi anch'esso nella sala, ondeggiavano nell'aria emettendo ai ghirigori di splendere.

Lungo le alte pareti dal rivestimento cerato vi erano accurate possenti armature con spade sguainate e puntante verso l'alto, dove dei prestigiosi soppalchi erano addobbati e riservati per gente importante che assisteva ai balli senza parteciparvi o semplicemente si soffermava a chiacchierare con gente benestante; piccole lampade scorrevano lungo il rivestimento in legno per illuminare e riscaldare gli angoli più remoti. Vi seguivano, inoltre, quadri di bambini allegri che si rincorrevano divertendosi per tutta Neverland. Ognuno di loro raffigurava un mondo diverso e un paesaggio del tutto fantasioso. Tipo c'era quel quadro che mostrava tre bambine ilariate, le quali andavano rincorrendosi lungo una splendida vallata verdeggiante e di fiori primaverili; oppure quello che mostrava un Michael spensierato accerchiato da bambini che, come lui, sorridevano gioiosi di essersi ritrovati.

Il resto dei quadri che scorrevano lungo la liscia superficie mostravano i restanti bambini impegnati in giochi buffi e divertenti, ognuno di loro perso in quel piccolo mondo immaginario dove gli adulti non hanno la giusta chiave per accedervi. Oppure c'era quell'immagine significativa che mostrava un intreccio di mani al fine di creare una forma sferica dipinta di blu e verde per simulare il mondo e la sua unione con l'amore. Ma tra tutte quelle figure intrappolate in pregiate cornici dorate vi fu soltanto una che catturò l'attenzione di Rossana: uno scintillante miscuglio di colori che si completavano tra di loro, unendosi in ogni singola parte per dare vita al suo bozzetto scomparso, il quale mostrava una ragazza fasciata in uno sfavillante abito dorato con intrecci neri; al suo fianco, un ragazzo vestito in egual sfumature con capelli ricci e sguardo prigioniero di chi vi immergeva dentro il proprio.

Era una danza. Erano Perugina e Michael, appartenenti a We are the World.

«Il mio bozzetto!?»Esclamò sbigottita la ragazza.

Lasciò andare, senza preavviso, la mano del ragazzo che l'aveva condotta lì, silenzioso e in disparte, ammirandola mentre si avvicinava alla sua opera perduta nel mondo reale. Ed ella, con lo sguardo totalmente assorto, scese le scale che si aprivano alla sua destra in una corsa tanto affrettata quanto sbigottita, facendole ignorare quel che stava accadendo proprio sotto i suoi stessi passi, perché effettivamente qualcosa era successo.

Dal canto suo, Michael rimase guardarla, taciturno, dal soppalco in cima alle scale senza osare distrarla o ometterle la corsa turbolenta, perché fu la stessa autrice di quella magia a bloccarsi appena oltre l'ultimo gradino della scalinata frontale: le note di We are the World stavano inondando l'intero spazio ovale della sala da ballo, mentre una leggiadra lucina argentea, profusa all'ambrato del rivestimento in legno, scintillava su ogni scalino calpestato nella corsa. Perché era proprio questo che ella non aveva notato nella sua fretta di raggiungere il quadro.

Ma non solo: quel piccolo scintillio musicale le aveva fatto indossare l'abito perduto per una manciata di secondi prima di scomparire ancora una volta in piccole sfumature di tessuto dorato e ornato di nero...

In tutta risposta, Michael scese lentamente le scale musicali, le quali, come acceduto in precedenza, suonarono e si illuminarono allo stesso tempo. Con voce dolce, profonda e mielata, mentre le si avvicinava, recitò uno di quei paragrafi racchiusi nel romanzo di Rossana. Le stesse parole, la stessa profondità diedero a quest'ultima l'impressione che egli avesse già letto We are the World, quelle pagine non ancora rese pubbliche, che nessuno, a parte lei, aveva lontanamente sfiorato col pensiero.

«La rampa di scale si accese di musica scintillante nei passi fermentati di chi sopra vi stava correndo o semplicemente scendendo. Le dolci note di We are the World ornarono la luce ambrata dei gradini, completando il tutto con una spruzzata di pura essenza magica che si profuse nell'ignota consapevolezza di aver indossato la magia prima che essa scomparisse.»Disse Michael, occhi contro occhi e stupore contro serietà e, forse, anche un po' di rabbia verso quel paragrafo letto senza consenso.

«Come hai fatto a leggerlo senza che me ne accorgessi?»Gli domandò Rossana, ma Michael tacque.

Al che quel suo sguardo taciturno non rispondeva al groviglio di domande che le attanagliava i pensieri, la ragazza si guardò intorno spaesata, senza badare all'abito perduto riapparso su di lei ancora una volta per poi scomparire subito dopo mentre andava alla ricerca di qualcosa che non ricordava, dando le spalle al padrone di quella dimora e ritrovandosi affogata nei meandri delle pagine del suo stesso romanzo, le quali le offuscarono i sensi con l'amaro-dolce di quelle parole che pertanto recitavano:

 

 

Mentre si perdeva con lo sguardo che girovagava in cerca di qualcosa lì intorno, ignorando la magia che per pochi attimi l'aveva avvolta nel suo fascino dorato e bordato di nero, Perugina fece fronte con l'amara verità: quello che non trovava era il quadro contenente il suo bozzetto, scomparso una seconda volta così all'improvviso.

Al suo posto non vi era rimasta alcuna traccia della sua presenza di poc'anzi, tranne per quelle piccole scintille dorate che fecero apparire una porta in fondo alla sala da ballo...

Dove conduceva?

 

 

Ridestandosi alla svelta da quello stato catatonico e alquanto confusionale tra realtà e immaginazione, Rossana sollevò lo sguardo verso il quadro col suo bozzetto e... era scomparso! Al suo posto non vi era rimasta alcuna traccia che giustificasse la sua affascinante presenza, bensì apparve una porta scintillante di legno mogano in fondo alla sala da ballo, così come da paragrafo rammentato...

«Michael, dov'è finito il mio bozzetto?»Chiese Rossana, rivolgendosi al padrone con apprensione, che per tutto il tempo era rimasto fermo e immobile lì dov'era, in silenzio e con le mani giunte dietro la schiena.

Questo perché lui sapeva... Lui sapeva ed era innanzitutto a conoscenza dell'intera vicenda narrata su carta. Lui conosceva ogni paragrafo, ogni pagina, ogni parola scritta, cancellata e dopo riscritta da capo perché molto spesso l'insicurezza gioca tiri mancini. Ma la storia doveva seguire il suo naturale corso e lui non era nessuno per cambiare o modificare lo svolgimento; non aveva voce in questo capitolo: spettava a Rossana.

Pertanto le rispose:

«Prova a cercare la risposta in te stessa.»

«In me stessa?»Lo guardò con sgomento la ragazza. «Come?»

«Hai scritto tu tutto questo... dovresti averla tu la risposta.»Le sorrise Michael.

Rossana si stava specchiando in quelle sottili lenti scure senza comprendere il senso di quelle parole, quando la catatonica realtà volle farle rammentare, come uno schiaffo, che la risposta alla sua domanda si nascondeva realmente in lei, perché dopotutto We are the World era frutto della sua fantasia, perché, se ci pensava, era lei la marionettista che aveva guidato le sue marionette passo per passo, perché aveva scelto in prima persona di creare quegli attimi catatonici capitolo per capitolo; era stata lei a creare quella lunga catena di cose bizzarre, di sparizioni e apparizioni improvvise, di momenti improvvisati e follie residue dietro ogni angolo. Ed era sempre stata lei a creare quel paragrafo che, avvolto da un coro angelico, sussurrò nell'aria testuali parole:

 

 

La marionettista aveva scelto per le sue marionette attimi folli e improvvisati, momenti e sparizioni improvvisi e inaspettati. Ma aveva anche regalato loro un'altra indimenticabile follia che, per quanto bizzarra fosse, era tutta da vivere ed esplorare.

Fu la stessa marionettista a scoprire la nuova, bizzarra follia che avrebbe regalato, a lei e a Michael, un magico mondo non ancora nato né migliorato. Un nuovo, magico mondo da cambiare, da avvolgere in una sublime magia bianca che avrebbe preso le sembianze ambrate di un qualcosa da esplorare e custodire nei ricordi finché la morte non avrebbe spento quella fiammella oscillante sia nella mente che nel cuore. Perché in fondo, se ci si pensa sopra, i ricordi vanno custoditi anche lì.

 

 

«Un altro mondo...»Biascicò ad alta voce la ragazza, persa nei suoi stessi pensieri.

Lo sguardo era totalmente abbagliato da quella porta in legno mogano ora illuminata dai persistenti raggi solari, eppure ella era indecisa se immergersi in quel nuovo mondo o lasciar perdere la cosa... Ma la seconda ipotesi fu presto scartata, perché la Perugina del suo romanzo non si era data per vinta neppure un secondo, né vi aveva rinunciato, seppur fosse una marionetta, a scoprire la magia di un altro mondo: ogni avventura era un passo per aiutare il pianeta a migliorarsi e a rendere la Terra un posto migliore. Quindi perché no? Con Michael, lei doveva scoprire cosa si nascondeva dietro quella porta che aveva fatto scomparire il quadro col suo bozzetto.

Pertanto, imbarazzata dal gesto che aveva appena compiuto, ovvero prendere Michael per mano, Rossana si diresse verso la porta scintillante, ma l'ingresso verso essa apparve sprangato con fili di magia dorata, chiodi luccicanti e catene luminose. Una barriera bianca -semi trasparente- respinse la sua mano dal piccolo pomello ambrato, lasciandole sparsa per il corpo una scarica di brividi che le fecero rammentare di essersi dimenticata una cosa molta importante per far apparire la chiave.

«L'intreccio delle mani... Ricordi il quadro?»Le sorrise Michael.

Infatti quel paragrafo recitava:

 

 

La porta scintillante apparve sprangata al passaggio delle marionette: fili di magia dorata, chiodi luccicanti e catene luminose accompagnavano una barriera bianca da un luccichio semi trasparente affinché bloccasse loro la strada. Questa impediva loro di sfiorare il pomello ambrato e quindi lo scatto della serratura.

Al che Perugina comprese di dover procurarsi la giusta chiave per accedere a quell'incanto in cui avventurarsi, ma non aveva idea di dove fosse e né dove cercarla. Poi un lampo di genio le attraversò rapidamente il corpo grazie alle parole di Michael, le quali le fecero ricordare che la chiave era facile da ottenere: un semplice intreccio di mani per simulare il mondo, così come facevano i bambini nel quadro appeso alla parete nei dintorni. Una piccola sfera umana da avvicinare alla porta e... puff!

Il nuovo mondo avrebbe aperto un varco nell'inaspettato futuro svelato.

 

 

Mentre faticava in se stessa nel cercare le giuste parole per chiedere a Michael di creare la chiave, quest'ultimo la precedette nei gesti al fine di unire le loro mani per dare vita ad una piccola sfera che simulava il mondo e la sua unione. Al che la avvicinarono alla porta sorridendo radiosi e... puff! La serratura ebbe uno scatto, i fili di magia dorata, i chiodi scintillanti e le catene luminose scoppiarono in spruzzi magici e con essi anche la barriera, che si dissolse lentamente nell'aria.

All'interno della porta una sola cosa si scorgeva, ovvero quell'abbagliante fascio di luce che si dissipò nel buio circostante: il nuovo mondo si era aperto un varco nell'inaspettato futuro svelato...

«Vieni!»La incoraggiò Michael, spingendo la porta di lato e invitandola a seguirlo nella stanza; Rossana abbassò il capo e, con ancora impresso nella mano il tocco delicato del ragazzo, lo superò oltre la soglia.

La stanza che ora avevano davanti era la copia in piccolo di una graziosa sala da film. Sedie dal tessuto rosso si susseguivano perfettamente allineate nella piccola platea che avvolgeva in essa il palco, il quale ospitava un lungo ed ampio telo bianco dove la luce della cinepresa proiettava qualcosa. Il nuovo mondo si era aperto un varco nell'inaspettato futuro svelato, recitava il paragrafo, e questo stava a dire che la marionettista aveva comandato le sue marionette ad assistere ad un film futuro, distante poche ore prima di avverarsi.

Pressoché Michael aveva preso posto a sedere nella fila centrale invitandola a seguirlo e prendere posto, Rossana lo raggiunse e sedette al suo fianco sulla sedia rossa dalla comoda imbottitura, preparandosi psicologicamente a tutto quello che stava per vedere.

Ma era realmente pronta?

Rossana provò a cercare la risposta in se stessa e... Sì! Era da tutta una vita che sperava di vivere un'avventura folle e, pertanto, niente e nessuno avrebbe vietato la rinascita di quel suo unico momento a disposizione.

«Sei pronta?»Le chiese dolcemente Michael, prendendole quella mano dove poco prima aveva lasciato un segno indelebile: il suo calore.

«Sono pronta da una vita.»Confessò Rossana, sorridendogli ammaliata.

Le luci di spensero nel battito emozionato di due cuori che battevano rincorrendosi nell'aria e... puff! A grande sorpresa, sullo schermo apparve il bozzetto perduto di Rossana.

Tutto quanto si fermò.

La marionettista rimase come pietrificata sul momento. Gli occhi e la bocca le si spalancarono nello stupore di quella magia che aveva aperto un varco nell'inaspettato futuro svelato. E il vero inaspettato fu vedere il bozzetto prendere vita: i personaggi spuntarono dalla cornice e la melodia di We are the World  li seguì in quella morbida danza capace di cambiare il mondo. Bambini apparivano per poi scomparire dallo schermo in un cumulo di scintille dorate. L'abito ricamato ondeggiava nel vento per sposarsi con la giacca nera e dorata del ragazzo, mentre il Michael e la Perugina del disegno tornarono magicamente bambini: We are the Children (Noi siamo i Bambini).

Puff!

La scena cambiò e le marionette del romanzo di ritrovarono su una nave da pirati. Lì accadde ciò che Rossana non ebbe l'occasione di ammirare, perché le immagini sullo schermo scorsero così rapidamente da mandarle lo sguardo in confusione; in essa lo schermo si spense e le luci si accesero, e né Michael, né Rossana proferirono parola: cos'era successo? Perché il futuro era sbiadito così rapidamente?

 

 

... perché il futuro era stato solo un'illusione. Perugina bramava ardentemente riavere indietro quel che aveva perso perché era una parte di sé, a tal punto da illudersi di vederlo apparire sullo schermo in forma reale, come se fosse la protagonista di quella scena.

Ma poi... no! Non stava realmente fissando uno schermo da film né vi fu alcun avvenimento svelato nel futuro, bensì era ferma e impalata nella sala da ballo e stava ammirando ciò che era suo: il quadro col bozzetto.

 

 

E in effetti, quando tutto era finalmente cessato, Rossana e Michael si ritrovarono seduti davanti allo schermo bianco, lì dove non vi era alcuna immagine... Ma questo com'era possibile? Tutto era sembrato così reale, così vero...

«Va tutto bene?»La persuase Michael e... No, non poteva essere!

Erano lì fermi come delle statue nella sala da ballo, gli occhi puntati verso il bozzetto appeso alla parete...

«Michael!?»Lo guardò. «Cosa...?»

«Non spaventarti: sei caduta nella tua stessa illusione.»Le sorrise dolcemente Michael. «L'inaspettato futuro svelato, ovvero il We are the World del romanzo. In pratica, secondo quanto letto, la protagonista stava sognando ad occhi aperti.»

«Io non capisco...»Disse Rossana.

«Seguimi!»Cambiò discorso Michael. «Il tempo vola e noi non possiamo perdere tempo.»

«Eh?»Si sbigottì Rossana. «Michael, io voglio sapere cosa è successo mentre osservavo il mio bozzetto... Non cambiare discorso!»

«Da questa parte!»Disse ancora lui.

Si incamminò in tutto il suo fascino verso una porta appartata all'estremità della stanza, bloccandosi con la mano guantata sulla maniglia per osservare la sua ospite. Quest'ultima aveva lo sguardo totalmente sbigottito: era l'avventura più strana e pazzesca che avesse mai scritto o vissuto anche solo di fantasia... Wow! Si erano sentite così anche le sue marionette?

Rossana non ebbe tempo per pensarci su e darsi una risposta concreta, perché raggiunse Michael (il vestito riapparve per poi scomparire e, ancora una volta, ella non vi fece caso) e insieme oltrepassarono l'uscio.

E ora? Cosa l'attendeva?

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il ranch ***


CAPITOLO 10

IL RANCH


L'uno al fianco dell'altra, Michael e la sua ospite stavano oltrepassando uno stretto corridoio oscurato dall'assenza di luce, porte o finestre. Nell'aria, fatta eccezione per il flebile risuonare di passi sul pavimento in legno che si diffondevano pigramente nel piccolo ambiente circostante, chi sicuri e consapevoli e chi incerti e apprensivi, non vi era alcun tipo di ronzio.

Il dolce profumo emanato da chi le era accanto e la guidava nell'oscurità, inconsapevolmente, stava riempiendo i polmoni della ragazza di aria pura intanto che il coro di We are the World tornava a diffondersi in quella magica avventura scritta in un romanzo non ancora uscito in libreria. Piccole vocine stavano ornando quello spazio buio, avvolto dal silenzio, vuoto, insinuandosi caldamente nell'udito sino a scorrere nell'anima e raggiungere quel piccolo organo battente chiamato cuore, portando con sé un qualcosa che andò disperdendosi per tutto il corpo ormai non più teso nonostante il groviglio di pensieri che s'accatastavano l'uno dietro l'altro.

Una parte di Rossana sapeva che ogni tassello del puzzle avrebbe raggiunto la sua giusta casella vuota per completare l'immagine di ciò che stava costruendo pezzo dopo pezzo, portando così chiarezza tra i pensieri e destreggiarli nella giusta maniera per renderli nitidi e comprensibili. Ma l'altra parte, quella incredula, che cosa sapeva, esattamente? Forse era solo questione di tempo, di attendere qualche ora per scoprire la verità sulla storia che doveva seguire il suo corso: se era entrata -in qualche modo bizzarro- nel suo romanzo e quello non era un sogno né stava divenendo pazza, allora tutto avrebbe avuto un senso e un proprio percorso da seguire.

Eppure lei aveva bisogno di capire in quel momento, non di attendere oltre. Doveva capire come aveva fatto ad arrivare lì, a ritrovarsi immersa nelle pagine del suo romanzo, come era riuscita, dopo tanto tempo, a calpestare quel magico mondo tanto sognato quanto ambito. Doveva capire perché, tra tanti altri sogni, Michael aveva scelto proprio il suo: di sogni ce ne sono a valanghe e spesso combaciano tra loro, no? E poi c'era una cosa ancora più importante da capire: come aveva fatto Michael ad entrarle nei sogni e leggere quel che aveva scritto?

Intenzionata a scoprire ciò, Rossana modificò i propri passi, passando dall'incerto al determinato; ma la sua determinazione crollò quando un flebile fascio di luce le fece ricordare un'altra parte del romanzo...

 

 

Piccoli passi andavano intrecciandosi nel cammino buio di due anime intrappolate da uno stretto corridoio privo di luce. Il battito di un cuore sgomento andava riempiendosi di calore grazie a quell'esotico aroma sparso per aria e i pensieri catatonici ben presto divennero ben presto più irrisolti che mai.

Ma loro non erano da soli.

In sottofondo vi erano le dolci note di We are the, le quali li stava accompagnando lungo lo spazio impregnato di passi e domande circostante, crogiolandosi in quelle risposte mancate di cui le fitte tenebre andarono dissolvendosi in quella preziosa luce solare che portò alle porte una nuova, magica ed inaspettata dimensione: il ranch!

 

 

Un grazioso fascio di luce bianco avvolse nella sua morbida spirale magica Michael e Rossana, dove nei loro sguardi apparve, in tutto il suo esteso fascino, il ranch, quel vasto incanto avvolto da una delicata brezza di metà mattina che oscillava nei raggi incandescenti del sole imperioso sparso nel lontano cielo turchino, così difficile da raggiungere ma facile sa sognare. Il dolce canto degli uccelli stava accompagnando il verde della natura sparpagliandosi in quei campi fioriti dal profumo che si dissipava nell'aria rendendola vitale.

Fiori, alberi e fontanelle ornavano, nella loro maestria, quel magnifico ranch di all'incirca tremila acri vissuto nella fantasia del passato, quella dei sogni futuri e anche nella realtà del presente. Ogni cosa era esattamente come Rossana l'aveva immaginata e sognata per dare così vita al suo magico mondo parallelo; tutto era al suo posto, persino le foglioline che, col frusciare del vento, cadevano al suolo perché l'autunno era quasi alle porte.

«Da questa parte.»Le disse Michael, guidandola lungo i vari viali che permettevano alla gente esterna di immergersi nel ranch.

Insieme seguirono un ampio sentiero di un magnifico prato verde. Gli alti alberi, sia spogli che folti e fluenti, ombreggiavano quelle alte montagne innevate sulla cima stagliate contro l'orizzonte, quest'ultimo ornato da un voluminoso turchino in cui uno sguardo ambrato e stupefatto andò perdendosi in esso. E fu proprio allora che si materializzò, in uno sbuffo improvviso di scintille argentee, una lunga staccionata bianca che separava il verde prato dall'azzurro smosso di quelle acque cristalline di una pozza poco profonda, là dove Rossana andò a specchiarsi.

Michael si tenne in disparte, i gomiti poggiati sulla staccionata bianca mentre la sua ospite a malapena vi aveva poggiato su le mani per osservare attentamente il proprio riflesso nell'acqua: era sbigottita, sgomenta... Ma non riusciva a non sorridere, ad illuminarsi di ilarità, perché era finalmente a casa, perché ora poteva convertire lo scetticismo e la povertà del mondo reale con quella splendida magia recondita sia nel suo romanzo che nella canzone ricevuta in dono: We are the World. E il ranch... Chi non avrebbe sognato, almeno una volta, di annegarvi nelle sue grazie verdeggianti?

«Guarda meglio oltre l'orizzonte.»Le suggerì poco dopo Michael, sorridendo radioso.

«Perché? Oh...»

Sotto la folgorazione della stessa autrice di quella realtà parallela e apparentemente strana per quanto magica fosse, l'acqua in cui si stava specchiando oscillò, sibilando nelle proprie bollicine trasparenti come se una forza invisibile vi stesse soffiando all'interno attraverso un'enorme cannuccia grande quanto una pertica. Era come assistere a un vulcano pronto all'eruzione, come al crollo di una montagna e... splash! Nell'urlo estasiato che lanciò Rossana e dal sorriso appena sparso sul volto di Michael, a distanza, spuntarono dalla pozza due grossi fili d'acqua che schizzarono in alto, verso il cielo, quasi a volerlo sfiorare per giocare assieme alle nuvole e confondersi col canto animato degli uccelli che volavano nei suoi dintorni.

Ma la magia non ebbe fine lì.

«Wow!»Esclamò Rossana in un sussurro uscito dall'anima.

Simile ad una folata di vento imperiosa che spazza via qualsiasi cosa nei paraggi, un fascio di luce dorata fece apparire al largo del verde orizzonte un grazioso ponte che conduceva dall'altra parte del ranch, lì dove vi erano recondite altre meraviglie ancora da scoprire, da immortalare nell'album dei ricordi. E come se vi fosse una mano di pennello ad intingere la tela, il tutto assunse una nuova luce, ossia quella di chi non vede l'ora di incappare in un'altra magica stranezza avventuriera.

«Seguimi!»Disse Michael dopo aver usato la staccionata come batteria. «È giunto il momento.»

«Il momento per cosa?»Lo guardò sgomenta Rossana, ma non ricevette alcuna risposta.

Michael la guidò con grazia attraverso un fresco sentiero erboso che si espandeva maestosamente alla loro sinistra. Insieme, in completo silenzio, raggiunsero l'immacolato sentiero fatto di ciottoli chiari che andavano rincorrendosi lungo il ponte.

Là, il cantautore di We are the World stava camminando con le mani giunte dietro la perfetta schiena, mentre la sua ospite preferì riportarle lungo il davanti dell'abito perché imbarazzata dal silenzio; allo stesso tempo non smise un solo secondo di roteare il capo a destra e a manca per non perdersi nulla di quel ranch, finché non arrestò i propri passi al centro del ponte per guardare in basso, là dove l'acqua cristallina era oscurata dalle ombre delicate di quelle due cavità sotto la struttura ad arco fino a spuntare dall'altra parte.

Fiori rossi ornavano le piccole sponde leggermente inumidite dall'acqua. Alberi dalle chiome folte si stagliavano boriosamente contro l'orizzonte mozzafiato esteso alle loro spalle. Il vento nei paraggi accarezzava tutto, anche i capelli della marionettista, la quale, sorridendo e più sicura grazie a quella morbida carezza, affiancò l'uomo che l'aveva accolta nella sua vita e gli afferrò il braccio che lui stesso le stava gentilmente offrendo, lasciandosi guidare ovunque egli bramasse condurla.

Pertanto lo scrosciare rilassante dell'acqua li accompagnò lungo un sentiero parallelo alla struttura ad arco, dove vi era un asfalto bianco che conduceva a un muretto poco alto fatto di mattoni che passavano dal chiaro al scuro secondo la luce del sole. E fu lì che, con un gesto galante della mano, Michael invitò la sua ospite ad accomodarsi al suo fianco. Quest'ultima non si sentiva neanche più imbarazzata come poco prima, anzi, parlare con lui anche solo di brufoli o cibo spazzatura era stato talmente sufficiente che persino il silenzio non aveva più valore, né rammentava cosa fosse il disagio: era come conoscerlo da sempre...

Tuttavia non poté evitare di zittirsi ancora una volta per guardare altrove, tipo la fiorina alle sue spalle fatta di fiori bianchi intrecciati a quelli arancioni; oppure di guardare il terreno davanti a sé; o meglio, immergere lo sguardo nel lontano cielo turchino. Ma no, niente era lontanamente paragonabile a Michael, lo stesso di cui Rossana stava ammirando attraverso gli occhiali scuri e perdersi in quella sua dolce voce che, accompagnata da un'improvvisa stretta di mano nei suoi confronti, cominciò a sciogliere -anche solo in parte- il groviglio annidato nei suoi pensieri: in testa aveva un nido, non un cervello.

«C'è un motivo per il quale tu sei qui.»Cominciò a dirle Michael anche se con difficoltà. «Io non sono molto bravo con le parole perché mi imbarazzo facilmente, per questo ti chiedo di aiutarmi.»

«Cosa devo fare?»Chiese a sua volta Rossana.

«Devi solo dirmi cosa brami di più sapere.»Fu la semplice risposta di Michael.

Cosa bramava di più sapere... Praticamente tutto!

Rossana bramava sapere ogni cosa. Bramava sapere perché lui conosceva il suo romanzo per filo e per segno, bramava sapere come aveva fatto ad entrarle nei sogni, come era riuscito a condurla all'interno di... di... Alla fine scelse la domanda principale, ovvero quella che avrebbe sciolto ogni nodo nei pensieri e che avrebbe fatto chiarezza su parecchie cose rimaste in sospeso; il resto poteva aspettare.

«Be'... ehm... Come... Come sei venuto a conoscenza del mio mondo?»

«Mi hai aperto tu la porta.»Le rispose Michael, sorridendo.

«Quale porta?»Si sbigottì la ragazza.

«Quella di casa tua.»Rispose egli, immergendosi in un racconto filato che da solo non avrebbe saputo cominciare. «Era il giorno del tuo diciottesimo compleanno, precisamente il venti dicembre. Era poco prima della mezzanotte, stavi aspettando tuo padre che quella sera si era attardato al lavoro per guadagnare del pane in più. Avevate in programma, seppur fosse tardi, di uscire insieme e fare un giro in piazza come una normale famiglia, senza litigi o l'inveirsi contro.

«Quel giorno non hai voluto una festa per via dei parenti che non volevi invitare né vedere: se non ti conoscono nel momento del bisogno, tu non conosci loro per il divertimento. Altresì ti sei accontentata di un tablet di sottomarca per non rovinarti il momento e anche perché, secondo la tua logica, le festività passano, mentre invece i regali restano. Ah, l'hai anche scassato...»

«Me lo hanno scassato!»Lo interruppe Rossana: mica era colpa sua se il tablet le era caduto di mano e si era rotto sul touch? Era stato... un incidente, ecco!

«Comunque sia, tuo padre era in ritardo.»Riprese Michael senza scomporsi. «Tu continuavi ad osservare l'orologio, ma alla fine ti sei stufata e sei andata in camera per ascoltare un po' di musica. Avevi già scelto una traccia a caso, quando qualcuno suonò alla porta. Il tuo alter ego subito ha creduto che fosse tuo padre e quindi sei corsa ad aprire, solo... hai visto me.»

«No, Michael! Questo è impossibile: non c'era nessuno là fuori...»

«In quel momento la tua mente ha rimosso il ricordo di avermi visto perché io ho voluto così: inconsapevolmente mi hai sbarrato l'ingresso verso il tuo mondo immaginario attraverso i sogni ed io ho deciso di osservarti da lì; mi incuriosivi. Col tempo sono riuscito a scavare nei tuoi meandri più reconditi e fu allora che trovai la vera magia... quella che da tempo stavo cercando ma che non trovavo: i sogni non sono più limpidi come una volta, questo perché non tutti pensano a salvaguardare il mondo, ma in te... in te ho trovato luoghi incontaminati, sorprese dietro ogni angolo e una grande scarica di magia che non ho mai visto in vita mia!»Esclamò Michael, prendendola felicemente per le spalle. «In te ho visto il sorriso puro di una bambina che non si è mai arresa, che nel mondo reale ha indossato magnificamente la maschera della tristezza, che per le strade ha smarrito la sua infanzia e perso qualcosa che ad oggi non ricordi ma che hai trovato. E sai cosa? Io so di cosa si tratta...»

«Davvero?»Lo interruppe Rossana, illuminandosi di speranza, il cuore che prese a batterle forte contro il petto. «Ti prego, Michael, dimmi cos'è!»

«Non posso, piccola, mi dispiace: devi scoprirlo da sola... Così hai voluto.»

«Ma non è giusto, questo è giocare sporco!»Esclamò ella con sarcasmo. «Hai incrementato la mia voglia di sapere e... e hai detto che era il momento di sapere...»

«Solo quello che più bramavi sentirti dire, se ben ricordi.»

«Ma io voglio sapere tutto!»

«Non lo hai specificato. Hai scelto una sola cosa, mi dispiace.»La guardò egli con fare mesto; Rossana si spense e il volto si incupì, delusa.

«Io voglio sapere cos'è...»Disse poco dopo.

«Lo scoprirai molto presto, te lo prometto!»Esclamò Michael, illuminandola con un nuovo raggio di speranza. «Adesso ti è dato sapere che ho scelto te perché sei quella giusta, quella che completa il nostro puzzle: cambiare il mondo è anche una mia priorità. Questo è un obiettivo che mi sono prefisso di raggiungere e credo che il tuo romanzo, unito alla nostra canzone, possano fare la differenza, perché là fuori c'è bisogno di collaborazione, di amore e soprattutto non bisogna mai smettere di credere nei propri sogni.»

«Quindi tu...?»

«Ero già nel tuo mondo quando hai cominciato a scrivere il romanzo che stai vivendo. Eri così decisa, così insicura anche del titolo... È stato in quel momento che ho deciso di trasferirti la parola chiave che ha dato vita a tutto questo.»

«Ma allora... We are the World è tuo, non mio...»

«Non l'ho mica scritto io!»Esclamò Michael, sorridendo. «Ho solo aggiungo qualche scemenza per divertirmi un po' con te, ma il resto era già scritto tutto nel cuore.»

«Però... perché solo adesso?»Gli chiese incuriosita Rossana.

«Perché solo adesso hai avvertito la forte necessità di scappare verso casa.»Rispose Michael. «Hai mollato il tuo scudo, hai lasciato cadere le armi e ti sei lasciata andare al dolore. In questo modo non ti sei resa debole come pensi, bensì ti sei solo sentita stanca di essere forte e per un giorno hai espresso il desiderio di voler essere la bambina che non sei mai potuta essere. Tu mi hai chiamato e io sono arrivato.»

«Ah, sì? E dov'eri quando sono caduta nel tunnel?»

«Io ero acquattato dietro l'albero e ti ho protetta con la pioggia di glitter, perché avevi creato un varco di paura a causa di un incubo che voleva impossessarsi della purezza infantile, ma che hai sconfitto risvegliandoti in ciò che più bramavi vedere: il tuo mondo.»Le confessò Michael. «Ho cercato di modificare la storia facendoti venire sonno, ma poi ho capito che per crescere bisogna affrontare ciò che più ci spaventa e quindi mi sono solo limitato a proteggerti dall'interferenza. Certo, dopo ti sei sentita svuotata, ancora una volta non ricordavi me e continuavi a sentire la canzone, ma solo perché volevo regalarti una cosa diversa seppur confusa nella sua bellezza. E per farmi perdonare da questa scemenza ti ho regalato la canzone, quella che canti mentre scrivi, mentre cuci... mentre fai tutto, insomma!»

«Molte cose sono più chiare adesso.»Sorrise appena Rossana, lo sguardo di nuovo basso.

«Eppure non sembri felice...»

Rossana sospirò.

«Ho voluto un giorno diverso, questo sì, ma continuo a credere di non averti chiamato... neanche ci conosciamo a fondo!»

«Lo credi davvero?»Sghignazzò Michael; Rossana lo guardò sgomenta. «E nei sogni, allora, chi ti veniva a trovare? L'altro me?»

«Appunto, Michael!»Lo apostrofò ella. «Non riuscivo a ricordarmi di te neanche dopo i sogni... lo hai ammesso tu stesso, no?»

«Perché ho voluto io così! Non sono quel giorno diverso che volevi vivere?»

«Tu sei solo strano! Ma... tutto questo quando finirà?»

«Non chiedermelo più, tesoro.»Cambiò espressione egli. «La storia deve seguire il suo corso.»

 

 

In tutto il suo fascino scintillante di paillettes colorate che gli risaltava la carnagione scura, Michael si sollevò dal muretto nella sua affascinante statura e porse a Perugina il proprio braccio senza aggiungere altro sull'argomento. Questo perché era giunta l'ora di andare a scoprire un'altra meraviglia celata in quel ranch pronto a rianimarsi nei suoi incanti luccicanti, avvolgendosi di una scarica magica rilasciata dal canto della natura e, cosa più importante, induceva a scoprire uno dei suoi segreti più belli: gli animali.

 

 

Esattamente come recitava quel paragrafo, Michael accarezzò le mani di Rossana prima di tirarsi su, sorridendole e porgendole un proprio braccio per scortarla altrove, chiudendo l'argomento senza aggiungere altro in merito alle sue domande ancora irrisolte. Quindi disse: «Andiamo?»; Rossana, dal canto suo, sorrise, afferrò il braccio e lasciò perdere anch'essa l'argomento, chiedendo invece: «Mi porti a vedere gli animali?»

«Può darsi.»

«Non puoi essere, anche solo per mezzo secondo, un libro aperto?»

«Non posso farci niente se la mia scrittrice mi ha manipolato a suo piacimento.»

Colpita e affondata.

«Permaloso!»Esclamò Rossana.

«Golosona!»Si difese scherzosamente Michael.

«Senti chi parla, l'amore è una ciambella!»

Fu solo guardandosi negli occhi e sorridersi che Rossana rilassò i nervi e si lasciò condurre lungo un viale di ciottoli bianchi oltrepassando gli altri, approdando nel magnifico mondo degli animali dove vi erano alte giraffe dal collo lungo, bellissime tigri chiuse in gabbia e tanti altri; un grazioso scimpanzé vestito con un'allegra salopette di jeans si avvicinò a Michael; egli lo prese in braccio come fosse il suo bambino e solo allora Rossana constatò che avevano lo stesso profumo.

«BUBBLES!»Esclamò esaltata, ricordandosi di aver, nei sogni, giocato con egli.

«Esatto!»Le confermò l'uomo vestito di paillettes rosse. «È un birbantello! Spesso mia madre lamenta il fatto che il suo profumo le ricorda il mio.»

«E non pensi che abbia ragione?»Rise Rossana.

«No!»Esclamò Michael fintamente piccato. «In verità sì.»

Lasciò andare lo scimpanzé affinché egli fosse libero di arrampicarsi su qualsiasi cosa nei dintorni anche solo per consentirgli di mangiare, per poi afferrare le mani di Rossana e dirle con un ampio sorriso:

«Voglio presentarti Louis.»

«Il tuo lama?»

«Aspettami, torno subito!»

Michael sparì da qualche parte nei paraggi, ma Rossana non seppe mai dove perché nel romanzo non vi era specificato. Altresì lo vide riapparire, qualche minuto dopo, oltre una gabbia di animali che si trascinava dietro un bel esemplare di lama bianco. Era poco più alto di lui, aveva una bella gobba macchiata di marrone e un pelo fluente. Aveva due magnifici occhi neri e Michael lo teneva al guinzaglio da una redine di cuoio.

Come un piccolo paragrafo inserito nel romanzo, Michael raccontò alla sua ospite che quel lama lavorava in un circo e trascinava sempre carichi molto pesanti. Lì a Neverland, invece, trascinava i bambini in giro per il ranch.

«Avevo anche una femmina. Si chiamava Lola, ma...»

«...sfortunatamente è stata attaccata dai tuoi cani.»Lo precedette lei.

«È una storia triste.»Sospirò lui.

Ma Rossana... lei come faceva a saperlo? Sì, aveva scritto qualcosa di simile nel suo libro, ma questo solo perché una piccola voce glielo aveva sussurrato all'orecchio... credeva di averlo solo immaginato, non che tutto fosse vero! Che c'entrasse lo zampino di Michael?

«Non fare domande!»Esclamò quest'ultimo dapprima che ella glielo chiedesse. «La storia segue il suo corso passo dopo passo. »

Dopodiché si trascinò via Louis, dicendole di attenderlo lì.

Nel frattempo Rossana si avvicinò alla gabbia di tigri per osservarle da vicino senza però osare avvicinarsi troppo. Avevano un magnifico pelo dorato con lunghe strisce nere; possedevano enormi zampe e la bocca era popolata da fauci spaventosi, capace di sbranarti con un solo balzo felino e un morso affamato. Poi avvertì un "psss" dietro di sé, quindi si voltò e...

«Oh, Santo cielo!»

... il cuore le saltò in gola.

Rossana ebbe il coraggio di appiattirsi contro la gabbia delle tigri pur di non stare troppo vicino a Michael, perché quest'ultimo era tornato da lei con un lungo serpente bianco attorcigliato intorno al collo. Con la mano priva di guanto lo stava accarezzando come fosse un animaletto docile, di tremendo fascino. La sua ospite, dal canto suo, lo trovava viscido e raccapricciante nonostante fosse lei stessa l'autrice di quel paragrafo che, a pensarci, non era neanche sicura di averlo scritto per sua volontà.

 

 

Chiedendole di attenderlo lì mentre riponeva Louis al giusto posto, Michael si allontanò qualche minuto prima di ritornare alle gabbie delle tigri con una nuova sorpresa viscida ad avvolgerlo: un serpente.

Perugina si ritrovò appiattita contro le gabbie col cuore pronto a balzarle fuori dal petto, spaventata e disgustata anche solo da quel sibilo proveniente dall'animale, di cui la lunga coda stava avvolgendo la stretta vita di Michael e gli strisciava intorno al collo. La mano di egli, a gesti delicati, gli stava accarezzando la testa viscida e sorrideva come se avesse tra le mani un esserino da coccolare.

Dal canto suo, Perugina bramava una sola cosa: vederlo sparire!

 

 

«Come ho potuto scrivere una cosa del genere?»Si chiese Rossana, ansante.

«Scusa, ho approfittato della tua distrazione.»Confessò Michael.

«Cosa hai osato fare?» Si irrigidì la sua ospite.

«C'è sempre tempo per rispondere a questa scemenza.»Concluse Michael, leggermente imbarazzato. «Questo esemplare è...»

«Saltiamo questa viscida spiegazione e fallo sparire!»Lo interruppe Rossana, indignata da quella strisciante presenza.

«Cosa? Perché? È così bello e dolce...»

«Tsk! Ma ti senti?!»

«Io mi sento, ma tu rammenti?»

«Cosa? Che mi sono distratta continuamente? Be', scusami se continuavi a bisbigliarmi parole incomprensibili all'orecchio per infastidirmi: sei peggio delle zanzare, quando ti ci metti!»

«No, intendo che ogni lettore, prima di pubblicare la propria opera, revisiona i capitoli per eliminare ciò che secondo lui non ha importanza.»

«Sì, e quindi?»Domandò ora sgomenta la ragazza.

«Il tuo romanzo è ancora in fase di revisione, quindi puoi ancora convertire questa viscida scena che, secondo te, non ha molto senso in quanto sia futile. Ma permettimi una cosa: io la trovo molto eccitante!»Si espresse Michael, tornando a giocare col serpente.

Mentre roteava gli occhi al cielo per l'assurdità di quel gioco serpentesco, Rossana avvertì uno strano pizzicorio nelle mani e... puff! Le apparvero le giuste pagine scritte a mano di quella scena, lì dove vi era incisa la descrizione e tutte le altre cose riguardanti il serpente di Michael, una gomma e una matita; non ci pensò due volte.

Sbuffando perché il monologo era lungo e ameno, riuscì a rintracciare il giusto paragrafo per revisionarlo: il serpente spariva solo alla fine del papiro... Ma lei non aveva voglia di aspettare! Quell'essere non le piaceva e... Doveva eliminarlo! Non gli avrebbe mai fatto del male, ma c'erano cose migliori da raccontare al posto dei serpenti e quindi tracciò una spessa riga sulla descrizione dell'animale. Puff! La pagina tornò come nuova, senza cancellature né papiri inutili e il serpente si dissolse in glitter argentei.

«Hai cancellato la mia descrizione... L'hai trovata noiosa?»Sorrise Michael, per nulla piccato. «Eppure sono uno scrittore provetto.»

«Da quando sei così vanitoso?»Gli domandò Rossana, incrociando poco dopo le braccia al petto.

«Io non sono mica vanitoso.»Si difese egli.

«Come no! Comunque resta il fatto che non ti ho autorizzato ad influenzare la mia storia con tali scemenze!»

«Volevo solo renderla più accattivante.»

«Ma a chi vuoi che importi tanto dei serpenti?!»

«Importa a me.»Sorrise Michael.

«Ma non a me, che sono l'autrice!»Esclamò Rossana.

«Stiamo forse litigando per dei serpenti?»

Silenzio. Poi...

«Consideriamolo solo un behind temporaneo.»Decise Rossana, concludendo così la lite.

«Temporaneo e divertente, ma ora basta. Non possiamo più attardarci: ci resta poco tempo.»Disse Michael, serio, porgendole il proprio braccio.

«Poco quanto?»Si incupì Rossana, mutando la propria espressione: non era pronta ad abbandonare tutto...

«Non ora.»Le rispose egli, comprensivo. «È giunto uno dei momenti tanto attesi del romanzo.»

«Quale?»

«Quello di essere bambini per un giorno!»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3738861