A Crazy Love in San Francisco

di StrongerH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno: ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro: ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque: ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei: ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette: ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo:


Ci sono molte cose in cui non sono brava. La geografia, ad esempio. O accettare i complimenti, o ancora, riuscire ad ambientarmi in un posto totalmente nuovo. 

Allo stesso modo, ci sono molte cose di cui ho paura. I ragni, i vicoli bui… Si, lo so, sono un cliché. Essere morsa da un serpente o morire per annegamento. 

Ecco, in quest’esatto momento preferirei farmi mordere da centinaia di serpenti piuttosto che entrare nell’aula magna per assistere al discorso di inizio anno e di orientamento. 

Okay, forse sono un po’ esagerata. Mi farei mordere da dieci serpenti piuttosto che entrarci. 

Do un’ultima occhiata alla me riflessa nel vetro della bacheca e sussulto. Sembro esattamente una matricola, una piccola matricola indifesa e spaesata. Una sfigata, a dirla tutta. 

Reprimo la voglia di scappare a gambe levate e afferro la maniglia aprendo lentamente la porta. Alcuni ragazzi sono seduti a chiacchierare tra di loro, altri stanno guardando il telefono. Nessuno guarda me, grazie a Dio. Tiro un sospiro di sollievo e mi accomodo su una delle sedie vuote. 

Quando ho fatto domanda a questa Università, mia madre è letteralmente impazzita. Ho rifiutato l’ammissione alla Columbia, e per poco non si è strappata i capelli. La Columbia era la mia prima scelta da sempre. Il college prestabilitomi dai miei genitori, anche loro ex-alunni della Columbia. Ero destinata ad arrivarci, frequentarla e laurearmi diventando un brillante avvocato, come i miei genitori. Peccato che qualcosa sia andato storto. E da New York  mi sono trasferita a San Francisco, esattamente dall’altra parte degli Stati Uniti. 

Inutile dire che i miei genitori quasi non mi rivolgono più la parola, hanno anche minacciato di tagliarmi i fondi, peccato per loro che il mio fondo fiduciario non possa essere toccato da nessuno a parte me, e da quando ho compiuto diciotto anni (ovvero l’anno scorso) ne sono ufficialmente l’unica intestataria. 

Così sono riuscita a pagare interamente la retta per tutti e tre gli anni, e con quello che mi è avanzato, ho affittato un appartamento a due chilometri dal campus. Mi toccherà lavorare per non far finire subito i soldi che rimangono sul conto, ma ci riuscirò. Ho già avvisato la segreteria di aver bisogno di lavorare, così hanno sviluppato un orario che possa permettermi di lavorare il pomeriggio e frequentare le lezioni di mattina. Andrò a trovarmi un lavoro subito dopo che questa specie di “incontro” sarà finito. 

L'incontro finisce, e dopo aver avuto varie delucidazioni sui corsi e via dicendo, decido di correre all'arrembaggio e cercarmi subito un lavoro come si deve. Inutile dire che non so fare praticamente niente. Se mi azzardassi ad avvicinarmi ad una macchinetta per il caffè, sono sicura, la brucerei. Non so fare cocktail, dato che sono astemia, il massimo che ho bevuto è stata una birra, se non contiamo un shot di tequila, ma solo perché me l'hanno praticamente buttato giù per la gola senza il mio consenso. Quindi non optiamo per i bar. Potrei provare a fare la cameriera... se non fosse che ho la coordinazine mano-occhio inesistente e per quanto sono goffa dovrei usare lo stipendio per ripagare tutti i piatti e bicchieri rotti. No, niente cameriera. Potrei provare facendo la segretaria... e se dovesse capitarmi uno di quei capi molesti, che allungano le mani? Oh santo Dio, proprio no. 

L'idea mi arriva quando su una bacheca leggo "Cercasi Addetta/o Biblioteca anche senza esperienza". Strappo il foglio dalla bacheca e mi segno la via su Google Maps. Arrivo alla biblioteca in meno di cinque minuti, e un ragazzo biondo, molto attraente è dietro il bancone, a rimettere i libri apposto. Mi avvicino timidamente e lui mi fa un sorriso enorme, folgorante da quanto sono bianchi i suoi denti.

«Ti sei persa tesoro?» mi chiede sorridendo ancora. Scuoto la testa e gli mostro il foglio. 

«Uuuh, sei qui per il lavoro! Perfetto, lo adorerai!» batte le mani e apre il varco per farmi entrare dietro il bancone. Sussulto un attimo quando lo lascia sbattere per richiuderlo e tutti si voltano a fissarci «Continuate a fare quello che stavate facendo, nerd.» conclude il ragazzo, per poi guardarmi.

«Ma come... senza colloquio?» chiedo. Insomma, non che io sia un asso nei lavori, ma dovrebbe essere di consuetudine fare un colloquio o dei giorni di prova prima di assumere qualcuno.

«Senti cuoricino, sarò onesto. Non c'è nessuno in due mesi si è fatto avanti, tu sei la mia salvezza. Accetta il lavoro.» quasi mi implora, e sorrido. «D'accordo, accetto.» annuisco e lui sbatte di nuovo le mani, per poi guardare in cagnesco tutti quelli che si sono girati nuovamente a guardarci. 

«Quando incomincio?» 

«Anche subito tesoro. Poggia lì le cose, ti spiego come si fa.»

Tante spiegazioni, e due ore dopo, sono seduta alla scrivania catalogando i libri in ordine alfabetico. Mash si avvicina a me. 

«Lo vedi il biondino lì nell'angolo?» ridacchia. Annuisco «Bene, mi ha appena fatto delle avance esplicite. Sembro un tipo facile se ci pomicio dietro l'ultimo scaffale?» strabuzzo gli occhi. Mash è gay, come ho fatto a non pensarci prima! 

«Vuoi il mio onesto e sincero parere?» annuisce e mi sorride «Si, sembreresti un tipo facile da una botta e via.» lui ridacchia.

«Era proprio quello che volevo sentirmi dire.» 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno: ***


Capitolo uno:

 

Un mese dopo…

 

Mi chiudo il portone dietro le spalle e comincio a correre verso la mia macchina. Sono abbondantemente, stupidamente ed inevitabilmente in ritardo, Mash mi ucciderà. Mi catapulto in macchina e guido fino al negozio, riesco fortunatamente a trovare parcheggio lì vicino e sotto la pioggia corro fino all’entrata. 

Mi chiudo la porta alle spalle con un forte rumore provocando uno sguardo stranito da tutti i presenti. Prendo un respiro e mi avvicino alla scrivania. Sono riuscita a trovare un lavoro tranquillo e abbastanza vicino a casa mia. Lavoro nella biblioteca più vicina all’Università, quindi è lecito che ci siano un sacco di ragazzi che incrocio anche per i corridoi del campus. 

«Ciao.» biascico a Mash mentre continuo a riprendere fiato. 

«Di nuovo in ritardo, Kat.» mi ammonisce. Alzo gli occhi al cielo. Tra tutti i miei difetti, quello che spunta quasi sempre fuori è che sono sempre, e dico sempre, in ritardo. Non che io lo faccia apposta, ovviamente. 

«Ciao anche a te Kat, com’è andata la tua giornata?» gli faccio il verso. Lui sorride impercettibilmente e si volta a riporre dei libri a posto. Mash è una delle prime persone che ho conosciuto a San Francisco, è al secondo anno di giornalismo, e più che lavorare qui, cerca solo di ottenere crediti extra. È dolce, simpatico, sensibile e ovviamente gay. 

«Stavo per spararmi in bocca mentre l’ennesimo secchione di giurisprudenza mi ha chiesto il manuale di Diritto Civile.» 

«Immagino, quanto sconforto deve averti creato.» lo prendo irrimediabilmente in giro. 

«Stavo per venirti a prendere per capelli dal tuo appartamento.» 

Ridacchio all’idea e incomincio a catalogare i libri che sono stati riportati indietro. 

In poco più di un mese che sono qui, mi sento quasi a casa. È come se mi sentissi più me stessa qui, che a New York, ma di questo non mi stupisco. È ovvio che mi senta più me stessa qui, dato che a New York fingevo un giorno sì e l’altro pure. Continuo a pensare a tutti gli anni sprecati nell’essere perfetta per la mia famiglia… 

Non tenere i capelli così Kat… Non accavallare le gambe Kat, tienile su un lato… Sorridi e annuisci Kat. Scuoto la testa. Ho perso così tanto fingendo di essere chi non ero, e me ne pentirò ogni giorno della mia vita.

«Sento le rotelle del tuo cervello macchinare fino a qui.» cantilena Mash. Sbatto più volte le palpebre cercando di riprendermi. 

«Perché non la smetti di rimuginare su qualsiasi cosa tu stia rimuginando e non vieni con me stasera alla festa?»

«Lo sai come la penso.» cerco di ricordargli. Odio le feste. Le detesto. Odio tutte le persone ubriache, odio l’odore di alcol, la musica a palla, la confusione. Forse perché al liceo non partecipavo quasi mai alle feste, perché preferivano invitare i miei cugini piuttosto che me, o forse perché l’unica festa a cui avevo partecipato non era finita nel migliore dei modi.

«Potresti fare uno sforzo, è sabato sera!» mi ricorda. Ma per me il sabato sera non è niente di che. Tornerò a casa, mi preparerò qualcosa da mangiare e poi mi abbufferò di popcorn davanti alla tv vedendo Netflix. 

«Penso che tornerò a casa e mi vedrò qualcosa su Netflix.» annuncio. 

Lo sento sbuffare dietro uno scaffale. 

«Hai diciotto anni!» mi rimprovera.

«Quasi diciannove.» gli ricordo.

«Appunto, sei giovane, bella e simpatica. Devi goderti di più la vita Kitty Kat!» 

Odio quel nomignolo, fa riaffiorare in me ricordi che ho cercato di reprimere per anni. Ma quando Mash mi chiama così, il mio cuore si riscalda un po’.

«Ci penso, okay?» Lui alza le braccia al cielo come segno di vittoria. 

«È un passo avanti rispetto al classico “No” secco.» si protrae verso di me e mi scocca un sonoro bacio sulla testa. 

Il turno finisce velocemente, e le sette arrivano quasi senza che me ne accorga. Come se fosse il nostro rituale, Mash si avvicina alla campanella appesa al muro e la suona con forza. 

«Si chiude!» urla ai ragazzi che sono rimasti, facendomi ridacchiare. 

Chiudiamo la biblioteca e mi dirigo verso la macchina. 

«Allora, ci vieni alla festa?» 

«Mash…» incomincio, ma lo vedo scuotere la testa. 

«Chiamami se cambi idea.» dice allontanandosi. 

So che il college è fatto anche di nuove esperienze, che bisogna crescere e cambiare, ma forse non sono ancora pronta. 

Arrivata a casa mi faccio una doccia veloce e mi fiondo sul divano con la mia enorme ciotola di popcorn, pronta a scegliere qualcosa da guardare. 

Scorro la home di Netflix, e niente mi attrae, il mio telefono vibra e lo prendo dal tavolino. 

Un messaggio in segreteria. Il numero non lo conosco. Porto il telefono all’orecchio e premo play. “Dovresti chiamare i tuoi genitori, sono in pensiero. Sei andata via senza nemmeno salutarli.” la voce di mia cugina risuona nell’altoparlante. Ho un groppo in gola. “Comunque fosse per me puoi anche non farti sentire oppure mandarli a cagare in giapponese. Hai fatto bene ad andare via, mi manchi. Fa la brava a San Francisco, e divertiti.” Cass è sempre stata l’unica della famiglia a capire come mi sentissi, anche perché pure lei è andata via per un periodo. È dovuta tornare a New York quando mio zio ha imposto ai suoi tre figli di incominciare a lavorare nell’azienda di famiglia per capire quale dei tre l’avrebbe ereditata un giorno. Per quanto orgogliosa possa essere Cass, non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di sconvolgere l’azienda di famiglia con idee nuove, che molto probabilmente faranno venire un attacco di cuore a mio zio, ma detto francamente, se lo merita tutto. Cass è completamente diversa dai gemelli. Cedric e Charlotte sono esattamente come i miei zii vorrebbero. Spocchiosi, aggressivi, fin troppo agguerriti. Nonostante Cass sia qualche anno più grande di me e dei gemelli, per me è sempre stata la sorella che non ho mai avuto. Farei di tutto per lei, per vederla sorridere. Lei ha fatto così tanto per me… mi ha salvata quando non credevo che potesse accadere. E nonostante i chilometri che ci separano, ci sarà sempre un legame tra di noi. 

Mi guardo intorno e tutto d’un tratto mi rendo conto che forse dovrei provare a divertirmi, lo devo a me e a Cass, e se fosse qui con me sicuramente mi rimprovererebbe. 

Digito il numero di Mash e attendo che risponda.

«Non ci credo che mi stai chiamando.» 

«Credici, dov’è la festa?» 

«Ti passo a prendere tra quindici minuti. Se non sei giù me ne vado.» 

Ridacchio «Va bene, corro.»

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Capitolo 3
*** Capitolo due: ***


Capitolo due:

 

Esattamente quindici minuti dopo sono giù, con addosso un semplicissimo abito nero e un paio di converse ai piedi. Una giacca di jeans sulle spalle. Mash accosta e mi fa salire sulla sua macchina. «Dovrò segnarmi questo giorno sul calendario, Kat Evergreen sta venendo ad una festa!» 

Alzo gli occhi al cielo.

«Se lo ripeti un’altra volta mi butto fuori dall’auto in corsa.» 

Lo sento ridere e sorrido a mia volta. 

«D’accordo, non lo ripeterò più.» 

Arriviamo alla festa e la casa della confraternita è enorme. È una di quelle case in legno, e l’acronimo degli Alpha Kappa Lambda in lettere greche è affisso sul punto più alto della casa, anche se credo di essere l’unica a riconoscere le lettere. Mash cammina davanti a me spensierato, si guarda intorno e sorride salutando le varie persone che gli si presentano davanti. Alcune ragazze lo guardano adoranti, se solo sapessero! 

Entrati in casa ci catapultiamo in una realtà completamente diversa. Avevo sentito parlare delle feste universitarie, più che altro ne avevo viste a bizzeffe nei vari film, ma nulla poteva prepararmi a questo. Ci sono luci stroboscopiche ovunque, persone che ballano tutte ammassate e l’odore di alcol nell’aria quasi fa ubriacare anche me. Perdo Mash in un nano secondo e sbuffo cercando di riconoscere la sua chioma biondo cenere tra la folla. Mi decido a trovare almeno qualcosa di analcolico da bere, così mi faccio spazio tra la folla cercando a tentoni un tavolo con qualcosa sopra. Dopo diversi tentativi trovo una cucina e sul ripiano diverse bottiglie d’alcolici, poi intravedo delle lattine di Diet Coke, e mi ci fiondo. Ne prendo due e decido che ho bisogno di aria, così mi faccio spazio per uscire sul giardino posteriore. C’è un mucchio di gente anche qui, tutti ballano a ritmo di musica e sembrano divertirsi. E io mi sento completamente a disagio. Apro una lattina e sorseggio un po’, almeno finché un ragazzo totalmente sbronzo non mi viene addosso facendomi cadere tutta la Diet Coke sul vestito e parte dei capelli. Mi farfuglia qualcosa che somiglia vagamente ad un "Scusa" e sparisce tra la folla.

Mi catapulto in casa alla ricerca disperata di un bagno, se non mi sciacquerò i capelli Dio solo sa cosa mi ritroverò in testa tra un paio d’ore. Salgo le scale nonostante le varie coppiette che si stanno sbaciucchiando e i ragazzi sbronzi per terra, per sbaglio pesto la mano ad uno di loro che mugola dal dolore ma non si sposta. Dannazione, fa che non si svegli. Il ragazzo sta quasi per aprire gli occhi, così faccio la cosa che mi viene meglio fare: fuggo via.

Cerco di aprire diverse porte, ma alcune sono chiuse a chiave, altre sono già occupate da gente che fa non so che cosa, e non ho alcuna intenzione di scoprirlo. Alla fine apro una porta a tentoni. È una stanza abbastanza grande, quasi patronale. Un enorme letto con delle lenzuola nere giace di fronte a me poggiato alla parete. Molti poster sono posizionati sui muri, una libreria piena di libri e CD è posizionata sulla sinistra, e proprio accanto a quella libreria intravedo una porta. Mi ci fiondo e scopro con felicità che è un bagno. Mi sciacquo i capelli sporchi con l’acqua calda e faccio il possibile per togliermi la Diet Coke anche dal vestito. Sto per uscire dalla porta, quando sento qualcuno entrare, e una voce sicuramente femminile ridacchiare. Sento il rumore di un peso che cade sul letto, e un’altra risatina. Oh mio Dio… Non staranno mica… 

Nel silenzio tombale riconosco un gemito e impallidisco. 

Sono chiusa in un dannato bagno, e dall’altra parte delle porta qualcuno sta facendo sesso. Divento istantaneamente rossa e mi copro il volto con le mani. 

Nella mia testa vorticano diverse idee. Esco dalla porta gattonando sperando che non mi vedano? Direi di no. Aspetto che finiscano e poi esco? E se ci mettessero ore? Assolutamente no. 

Alla fine opto per l’idea più assurda ma che allo stesso tempo potrebbe funzionare. 

Mi scompiglio i capelli, sbavo un po’ la matita nera sotto gli occhi e faccio scendere un po’ la giacca dalla spalla. Mi preparo allo show. 

Apro la porta e fingo di cadere per terra. Una voce maschile roca biascica un “Porca troia” e la ragazza urla.

«Chi diavolo sei?» urla il ragazzo, che non riesco a vedere bene. Vedo solo i suoi capelli scuri lunghi un petto nudo, anche in semi luce riesco a vedere dei tatuaggi. 

«S-sc-scusate…» biascico. «Dooove s-sono?» 

Sento il ragazzo sbuffare. 

«Nel posto sbagliato al momento sbagliato.» mi ricorda. 

«Ooohh!» urlo e ridacchio «Scusate l’interruzione!» 

Sento la ragazza ridacchiare «È ubriaca marcia.» 

«Già…» il ragazzo approva. 

Ci sono cascati in pieno. 

Raggiungo la porta a tentoni e la apro spalancandola, per poi richiudermela alle spalle. 

Tiro un sospiro di sollievo e mi raddrizzo, mi pettino alla ben e meglio  i capelli e mi pulisco la matita nera sotto gli occhi. Aggiusto la giacca e mi dirigo verso le scale. La porta dietro di me si apre e io mi volto di scatto. 

Ho un attimo la vista annebbiata, ma poi metto a fuoco il ragazzo. È a torso nudo, i tatuaggi tempestano le sue braccia e parte del suo petto, i capelli lunghi e lisci gli arrivano quasi sotto le orecchie e il ciuffo minaccia di coprirgli gli occhi color ghiaccio. Mi sta fissando, e non sembra contento. Attraversa il corridoio con grandi falcate e mi raggiunge. Mi prende per il braccio. 

«Che ci facevi in camera mia?» è spaventosamente vicino.

«I-io ero… in… in bagno.» balbetto. 

Una luce scintilla nei suoi occhi. 

«Perché non mi sembri poi così tanto ubriaca adesso?» chiede. Faccio mente locale per un secondo. Come si comporterebbe una ragazza ubriaca? 

«Infatti! I-io non sooono ubriaaaaca!» biascico cantilenando. Lui si acciglia. 

«Hai preso qualcosa dalla mia camera?» mi stringe il polso, mi sta facendo male. 

«Oh… nooo, no… certo che no… dovevo fare pipì!» ridacchio, e lui alza gli occhi al cielo. 

«Frequenti la San Francisco State?» 

«Mhh-mh!» continuo con la farsa della finta ubriaca. 

Lui annuisce e si gratta il mento con un accenno di barba. 

«Allora saprò dove trovarti se dovesse mancare qualcosa.» Poi si volta, lasciandomi alla vista della sua schiena possente e delle sue spalle larghe, e va via, sparendo nella camera da cui è uscito. 

Ma perché queste cose capitano solo a me?

 

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Capitolo 4
*** Capitolo tre: ***


Capitolo tre:

 

La sveglia suona ma io sono già sveglia, e sto preparando il caffè. Sono ancora stordita per la serata di ieri, e ora come ora il caffè è l’unica cosa che potrebbe farmi riprendere. Il telefono squilla e io alzo gli occhi al cielo.

«Mash?» 

«Kitty Kat! Buongiorno!» 

«Sei fin troppo felice stamattina…» ammetto. Lo sento ridacchiare.

«Non mi ricordo niente di ieri sera…» 

«Questo perché ho guidato io, ti ho accompagnato a casa, e da casa tua sono tornata a piedi.» 

«Dici sul serio? Sei un angelo Kitty Kat!» Ridacchio e lo sento fare lo stesso. 

«Ci vediamo dopo al campus?» 

«Si ovvio, sarò il bello e impossibile che tutte guardano, ma che verrà solo da te.» so che sta ammiccando anche se non posso vederlo.

«Li senti da lì i conati?» chiedo beffarda. 

Chiudo la telefonata e sorseggio una tazza di caffè bollente. Finalmente riesco a svegliarmi e finita la tazza, mi fiondo in doccia. 

Alle nove in punto sono al campus, ed entro nella classe di Letteratura Inglese come un uragano. Mi fiondo sulle ultime file e appena poggio il sedere sulla panca espiro. Ho ancora sonno, nonostante la tazza enorme di caffè, e vorrei solo poggiare la testa sul banco e dormire, se non fosse che questo corso vale la metà dei miei crediti di quest’anno. Qualcuno si siede accanto a me e sobbalzo. 

«Ti ho spaventata?» una voce roca… Oh no, aspettate. È la voce roca. È lui. Mi volto di scatto e i miei occhi si incatenano ai suoi. 

«Si, no… non… non fa niente.» balbetto. Sembro un’idiota assurda. Lui mi sorride e si posiziona, lasciando lo zaino accanto a lui. Poggia i gomiti sul banco. 

«Baby, mi stai fissando.» dice impassibile. Divento rossa in un nano secondo e mi volto. 

«Non ti stavo fissando.» 

«Si invece.»

«No.» sbuffo accigliata. 

Lo sento ridacchiare e alzo gli occhi al cielo. Guardo verso le altre file e noto delle ragazze. Ci stanno fissando, e sembrano palesemente arrabbiate. Abbasso lo sguardo e il professore entra. 

Lui si poggia allo schienale e si porta le mani dietro la nuca. 

«Ti ricordi qualcosa di ieri sera?» chiede dopo un po’. Avvampo e non mi volto verso di lui. So che se mi voltassi in questo momento sverrei per l’imbarazzo.

«Ieri sera?» 

«Si, eri alla festa no?» chiede. Dio ti prego, se esisti, uccidimi adesso.

«Oh beh, si… non ricordo granché…» ridacchio dall’imbarazzo e me ne pento subito. Cosa diavolo mi prende. 

«Immaginavo.» ha un tono quasi saccente, e mi volto di scatto. 

«In che senso scusa?» mi acciglio. 

Mi sfoggia uno dei suoi migliori sorrisi, e quasi mi sciolgo. 

«Ti ho vagamente incontrata ieri alla festa, non eri ridotta molto bene.» Divento rossa all’istante e lui mi sorride di nuovo. 

«Non bevo spesso, non reggo bene l’alcol.» Non bevo mai! 

«Non fa niente, sei stata…» si blocca, come se ci stesse pensando «Divertente, sì… proprio divertente.» Vorrei schiaffeggiarlo per togliere dalla sua faccia quell’aria da saccente, come se lui fosse meglio di me da ubriaco. 

La lezione finisce e io mi fiondo fuori. Il ragazzo mi si avvicina e mi ferma. Mi scosta una ciocca di capelli mettendola dietro l’orecchio. «Ti volevo dire una cosa.» gli scocco un’occhiataccia. 

Si avvicina al mio orecchio. 

«La prossima volta, quando vuoi origliare qualcuno che scopa, dovresti recitare meglio.» mi sussurra all’orecchio, e poi scompare nella folla. 

 

 

All’ora di pranzo decido di mangiare qualcosa di veloce con Mash al bar, così ordiniamo un’insalata e una pepsi a testa. 

Mentre spilucchiamo le nostre insalate, il ragazzo dell’ora di Letteratura Inglese entra assieme ad un gruppetto di ragazzi. Ha addosso una camicia a quadri nera e grigia, una canotta bianca sotto e dei jeans skinny, ma così skinny che mi chiedo se riesca a respirare. 

Quasi come se mi perseguitasse, mi scocca un’occhiataccia, e va a sedersi su un divanetto. Sono cosciente che metà delle ragazze presenti lo sta fissando con aria sognante, ma mi stupisco quando vedo anche Mash farlo.

«Mash, stai sbavando.»

«Non posso farci niente… Quel ragazzo trasuda sesso da tutti i pori!»  A volte mi stupisco della sua sfacciataggine.

«A proposito di questo… ieri è successa una cosa.» 

«Te lo sei fatto?» mi scocca un’occhiata perversa e io arrossisco all’istante.

«Cosa? No! Come ti viene in mente!» gracchio. 

«Sarebbe stata la volta buona!» mi prende in giro come suo solito. La realtà dei fatti è che ora come ora non ho alcuna voglia di perdere tempo in una relazione, che quasi sicuramente finirebbe nel giro di un paio di settimane. Ho bisogno di pensare a me stessa, dopo aver pensato per così tanto tempo agli altri. Nonostante questo, Mash continua ad appiopparmi ragazzi che ha conosciuto e che secondo lui potrebbero piacermi. Una volta mi ha anche chiesto se fossi lesbica, dato che scartavo tutti i suoi prescelti. 

«Comunque.» continuo bevendo un sorso di Pepsi «Ieri sera un ragazzo mi ha urtato mentre bevevo una Diet Coke, e mi ha sporcata tutta.»

«No, ma dai? La fine del mondo insomma.» continua a prendermi in giro e io gli tiro uno schiaffo sul braccio.

«Fammi finire, idiota!» lui alza gli occhi al cielo e sventola la mano per farmi continuare. 

«Entro in una camera per pulirmi e trovo un bagno, così mi sciacquo con calma finché non sento la porta chiudersi e qualcuno amoreggiare sul letto…» 

In questo momento ho finalmente l’attenzione di Mash. Lui spalanca gli occhi e si avvicina di più, segno che è ufficialmente pronto a sentire la storia. 

«Era lui.» dico indicandolo vagamente «Che si stava dando da fare con una. Ho dovuto fingere di essere ubriaca marcia per uscire.» 

«Ha fatto finalmente qualcosa di emozionante, Kitty Kat!» dice portandosi la forchetta alla bocca. 

«E oggi me lo ritrovo a lezione di Letteratura Inglese.» 

«La solita fortunata!» 

«Non direi di essere fortunata.» alzo gli occhi al cielo mentre lui mi interroga con lo sguardo. 

«Ha scoperto che mentivo, che non ero ubriaca, e ha pensato che lo stessi spiando.» Mash scoppia in una risata fragorosa e non ne vuole sapere di smettere. Sta attirando tutta l’attenzione su di noi. 

Alzo gli occhi al cielo. A volte fare dei discorsi con Mash è praticamente impossibile. 

Finiamo il nostro pranzo, e quando andiamo a pagare, noto con disappunto che ora è lui che sta fissando me. Ha un’espressione indecifrabile: gli occhi sono assottigliati e le labbra increspate. Gli scocco un’occhiata e pago velocemente, uscendo dal bar. 

 

Le lezioni finiscono velocemente, e oggi fortunatamente non sono di turno alla biblioteca, così decido di pulire accuratamente tutta casa, dato che c’è un caos non indifferente. Sono sicura che se in questo momento mia madre entrasse in questa casa, urlerebbe e poi stramazzerebbe sul suolo. Quasi quasi mi vien voglia di chiamarla. Mi guardo intorno e mi pento di aver preso una casa così grande. Nonostante avessi la possibilità di approfittare di una camera in dormitorio, ho preferito avere la mia privacy in una casa affittata, ma la megalomane che è in me ha preso il sopravvento e ora mi ritrovo con un’enorme appartamento da pulire, tutta da sola. Qualcuno bussa alla porta, così mi affretto ad aprire.

Una ragazza dai lunghi capelli biondi mi si presenta difronte. È bella da togliere il fiato, e quasi vorrei saltare alla gola per la gelosia. Spalanca i suoi grandi occhi marroni e le labbra carnose si aprono in un sorriso, e io faccio altrettanto, sorridendole a mia volta.

«Ciao… Scusami… Mi sono trasferita qui ieri e mi sono resa conto che non ho fatto la spesa… Avresti per caso un po’ di sale?» mi chiede arrossendo. 

«Certo, entra pure!» dico amichevolmente, anche se non è da me. Insomma… io non sono mai amichevole. Una parte di me però mi costringe ad essere più simpatica, devo comportarmi come una normalissima ragazza di diciannove anni. Non come una pazza reietta.

La bionda mi sorride contenta ed entra, chiudendosi la porta alle spalle. 

«Sono Beck, comunque.» dice allungandomi la mano. 

«Kat.» gliela stringo, poi mi volto verso lo scaffale. Mi maledico di non aver messo a posto prima, dato che Beck si sta guardando intorno, spero solo che non mi giudichi per le condizioni disastrose in cui versa questo appartamento. 

«Allora, sei del primo anno?» mi chiede Beck, e annuisco.

«Letteratura Inglese» Tiro fuori il barattolo del sale e lo poggio sulla mensola, mentre cerco qualcosa in cui travasarlo.

«Bello. Io ero indecisa tra Arte e Giornalismo. Poi ho scelto Arte. Sono al secondo anno.» si appoggia con i gomiti alla mensola e mi sorride. 

«Come mai ti sei appena trasferita? Non volevi più stare nel dormitorio?»

Lei scuote energicamente la testa, e sbuffa.

«Ho lavorato un’intero anno per potermi permettere di affittare un appartamento. Sai, ho una borsa di studio, i miei non potevano permettersi la retta, figuriamoci una casa in affitto.» 

In questi casi mi sento a disagio. Io non ho dovuto sgobbare così tanto per riuscire a pagare sia la retta sia l’affitto, e mi dispiace che lei stia avendo tutti questi problemi. 

«Come mai hai deciso di lasciare il dormitorio?» chiedo curiosa. Lei si accomoda su una sedia e si porta una mano tra i capelli setosi. Poi do un’occhiata ai miei, che assomigliano su per giù ad un pagliaio. 

«Avevo una compagna di stanza, Avery. Era simpatica all’inizio. Siamo diventate amiche in pochi giorni, le ho confidato tutto. Anche che con il mio ragazzo le cose non stavano andando poi così bene. Lei mi capiva, in un certo senso. Era come se fosse la sorella che non ho mai avuto.» fa una pausa. Le porgo un bicchiere con dell’acqua e lei mi ringrazia sorridendo. Mi accomodo accanto a lei.

«Beh, dopo sei mesi eravamo praticamente inseparabili. In qualsiasi posto fosse Avery, c’ero anch’io e viceversa. Stavamo anche pensando di affittare un appartamento insieme. Fino a un mese fa.» scuote la testa nuovamente, e vedo che ha gli occhi lucidi. 

«Se non vuoi parlarne…» comincio ma lei fa cenno di sì con la testa. 

«L’ho trovata a letto con il mio ragazzo, era venuto per farmi una sorpresa. Solo che in camera mia non ha trovato me, ma Avery. E hanno avuto la geniale idea di scopare. Diciamo che di essere venuto è venuto, e la sorpresa c’è stata, ma solo quando li ho visti con i miei occhi.»

Sussulto e mi copro una mano con la bocca. 

«Che stronzi!» dico istintivamente. Lei annuisce. 

«Non immagini che dolore è stato per me. Avery era la mia unica amica qui, e Brad era il mio ragazzo da ben tre anni. Ho dovuto convivere un mese con Avery che mi chiedeva scusa ogni secondo, convinta che potessi perdonarla. Avrei potuto anche farlo, se solo non l’avessi sentita ogni notte ridacchiare al telefono con Brad.» Spalanco gli occhi per la sorpresa. Non solo la sua migliore amica è andata a letto con il suo ragazzo, ma ha continuato anche a sentirlo?

«Mi dispiace così tanto Beck…» Sono sincera. Lei mi sorride. 

«Ora sto un po’ meglio, non so quanto potrò ancora tenere l’appartamento, ma di sicuro non tornerò lì.» 

Annuisco. È strano parlare con una ragazza dopo aver passato molto tempo con Mash. Non che la sua compagnia sia brutta, però mi mancava una figura femminile. Mi avvicino a lei e le poggio una mano sulla spalla. Odora di fragola e muschio. 

«Ti va di mangiare assieme stasera? Sono da sola.» 

Lei spalanca gli occhi, quasi stordita. «Dici sul serio?» mi chiede con una vocina. Annuisco. La sua bocca si apre in un sorriso raggiante e annuisce. 

Prepariamo parlando del più e del meno, e ci sediamo a tavola. 

Mentre ci rimpinziamo di pollo con le patate, lei prende il telefono e le scintillano gli occhi.

«Beck?» 

«Scusami, mi è arrivato un invito ad una festa. E ci sarà un ragazzo per cui ho una cotta…» ammette. Le sorrido e controllo il mio telefono. È arrivato anche a me. 

«Vuoi andarci?» le chiedo. E immediatamente me ne pento. La sera scorsa è stato un puro caso. Mi sono sentita a disagio, ma così tanto a disagio che niente mi farà venir voglia di tornarci. 

«Vorrei… ma non è il mio ambiente. Non vado alle feste o cose del genere… sarà per quello che sono una sfigata.» abbassa lo sguardo sul suo piatto, e quasi mi viene voglia di abbracciarla.

«Non sei una sfigata Beck. Sei una bellissima giovane donna, simpatica e intelligente. E noi andremo a quella festa.» Dannata me.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro: ***


Capitolo quattro:

 

La festa questa volta non è in una confraternita, bensì in una vera e propria casa. Anzi, è una reggia. È così tanto grande che quasi assomiglia a casa mia a New York. Storco il naso e faccio finta di niente. Beck è raggiante. Ha addosso un vestito pieno di paillettes dorate e delle scarpe aperte nere sotto. Io invece sono rimasta sui casual, come mio solito. Ci facciamo un varco tra la folla per entrare e la folla si triplica quando entriamo. La casa è invasa da persone che non ho mai visto, è un caos infernale. La musica è al massimo del volume, così tanto alta che quando Beck si volta per parlarmi vedo solo le sue labbra muoversi. 

«Come?!» urlo per farmi sentire. Lei si avvicina a me. «Dicevo se ti andava di prendere qualcosa da bere!» urla anche lei. Annuisco e cerchiamo di farci spazio per arrivare alla cucina. Dopo dieci minuti buoni di gomitate nei fianchi delle persone per riuscire a passare, riusciamo ad arrivare in cucina, e quasi vorrei urlare dalla disperazione, odio essere in mezzo a tutta questa gente. 

Beck si volta verso di me con in mano una bottiglia di tequila. Scuoto la testa «Sono astemia!» urlo per sovrastare la musica, lei annuisce e mi passa una lattina di Sprite, che accetto volentieri. La tengo volutamente lontana dai capelli e dai vestiti. Non vorrei succedesse ciò che è successo ieri. 

Dopo aver preso da bere usciamo fuori in giardino dove riusciamo a respirare. 

«Sono io o è enorme questa casa?!» chiede Beck. Alzo gli occhi al cielo «Si direi di si.» 

Mentre balliamo a ritmo di musica, completamente rilassate, Beck si irrigidisce di colpo. «Beck?» chiedo confusa. 

«È-è qui.» balbetta lei nel mio orecchio.

«Ma chi?»

«Il ragazzo… per cui ho una cotta.» ridacchio.

«Uuh-uuh! E chi sarebbe?» 

Lei indica un ragazzo vicino alla piscina. Per un momento mi casca la mascella. È il ragazzo di ieri, di oggi… l’incubo!

«Lui?!» dico indicandolo meglio. Lei ridacchia.

«Ma no! Non Jayden, non sono così scontata!» ridacchia di nuovo. 

Tiro un sospiro di sollievo, ci mancava pure che fosse innamorata del maniaco, al quale ora posso associare il nome Jayden. 

«Il ragazzo accanto a lui, Ethan…» dice con occhi sognanti. Mi volto a guardarlo, ed effettivamente capisco perché sta quasi sbavando. È alto quanto Jayden, ha la pelle olivastra e degli occhi verdi che si vedono anche a chilometri di distanza. Guardandoli non so chi dei due sia più bello, anche se gli occhi continuano a cadermi su Jayden, che non si è minimamente accorto della mia presenza. E ringrazio Dio per questo. 

«Perché non vai a parlarci?» mi stupisco del mio consiglio, dato che nemmeno io avrei il coraggio di andare a parlare con un ragazzo che mi piace, ma so che forse adesso è la cosa più giusta da dire a Beck. 

«Oddio… Non lo so… E se non gli piacessi? E se…» la blocco portandole una mano sulla bocca.

«Tu farnetichi troppo, andiamo è solo un ragazzo!» ridacchio, anche per stemperare la tensione. 

Non ho il tempo di accorgermi di quello che sta succedendo, che mi ritrovo la mano di Beck nella mia. Beck marcia verso Ethan e tiene me stretta al suo fianco. Impallidisco all’istante, perché faccio due più due. Io e Beck stiamo andando a parlare con Ethan e di conseguenza, con Jayden. Una parte di me mi sta urlando di correre a gambe levate, scappare a casa, e chiudermi nell’armadio. L’altra parte di me, quella più razionale, mi urla di scappare a prescindere. Lui è di spalle appena arriviamo, mentre Ethan ci sorride. 

«Salve signore!» 

«Ehi» dice Beck. Oh andiamo Beck! Potresti fare meglio di così.

«Ciao.» bofonchio io, e appena Jayden sente la mia voce, si volta di scatto. I suoi occhi si incatenano ai miei, e tutto il resto accanto a noi scompare. Ci sono solo i suoi occhi di ghiaccio fissi nei miei, e quasi mi si blocca il respiro. Cosa diavolo mi sta succedendo? Distolgo  lo sguardo per spezzare quella specie di incantesimo, e punto gli occhi su Ethan. 

«Sei nel mio stesso corso di Arte Contemporanea giusto?» chiede Ethan sorridendo a Beck. E lei annuisce e sorride. 

«Sono Beck, e lei è la mia amica Kat.» dice indicando prima lei e poi me. Lui annuisce. 

«Ethan, piacere. E lui è…» 

«Jayden.» risponde lui, al posto di Ethan. Freddo e distaccato. 

 

Mentre Beck e Ethan non fanno che parlare di Arte, seduti su una panchina intorno ad un piccolo falò,  io mi stringo nella mia giacca di jeans e guardo altrove, anche se sono cosciente che Jayden mi sta fissando. È accanto a me, su un’altra panchina. 

«La vuoi smettere di fissarmi come un maniaco?» chiedo sottovoce così che possa sentirmi solo lui. 

Lo sento irrigidirsi un attimo al mio fianco, poi rilassarsi. 

«Non sono un maniaco, Kat.» pronuncia il mio nome come se fosse nato per essere pronunciato da lui. Alzo gli occhi al cielo. Si sta comportando da maniaco… Oh andiamo chi voglio prendere in giro. 

«Potresti essere un sociopatico megalomane con manie ossessivo-compulsive.» bofonchio a disagio. Lui ridacchia accanto a me.

«È la cosa migliore che ti è venuta in mente?» 

Faccio l’enorme sbaglio di voltarmi a guardarlo. Mi scocca uno di quei sorrisi che Mash chiama “strappamutande”, dannazione. 

«Allora, cosa studi?» cambio discorso, cercando di non sembrare noiosa, anche se so di esserlo al cento percento. 

«Arte della comunicazione con specializzazione in marketing.» lo guardo stranita. 

«E perché eri nel corso di Letteratura Inglese?» 

«Per aggiungere crediti, dovevo scegliere un paio di corsi extra. Erano quasi tutti pieni, e le opzioni erano: Letteratura Inglese e Arti Visive, oppure Biologia Molecolare e Chimica Inorganica Avanzata.» 

«E suppongo che tu non sia un asso in biologia o chimica…» ridacchio, e lui sembra seccato. 

«In realtà non sono poi così difficili, semplicemente preferivo il contesto letterario e artistico, piuttosto che scientifico.»

Ecco l’ennesima figura di merda, gli ho dato praticamente dell’ignorante e stupido, che idiota. «Certo, capisco.» annuisco, e porto la mia attenzione sulla lattina di Diet Coke, che ora sto stritolando tra le mani. 

«Jaaayyy!» ci voltiamo di scatto, e una ragazza dai capelli rosso fuoco si avvicina a lui, sedendosi sulle sue ginocchia. «Mi sei mancato!» ridacchia. È un po’ sbronza, ma riconosco il genere. Oca, stupida e con un ego smisurato. Mi fissa con una freddezza assurda, e i suoi occhi si chiudono in due fessure. Ho quasi paura che si metta a ringhiare. Aggiungiamo alla lista dei complimenti anche: malefica e figlia di Satana. 

Lui le accarezza i capelli. «Reiley, ciao.» la sua voce diventa più roca. 

La rossa fa una risata nasale, e subito alzo gli occhi al cielo. Mi alzo dalla sedia e Beck mi guarda, ma la tranquillizzo con lo sguardo, Ethan è completamente affascinato da lei, e le sorride dolcemente quando si volta di nuovo verso di lui. Sono quasi gelosa. Decido di fare una passeggiata nei dintorni, e dato che il giardino è immenso, incomincio a camminare tranquillamente. Il telefono squilla, e inconsciamente rispondo senza vedere chi mi sta chiamando. 

«Pronto?»

«Katniss…?» la voce di mia madre riecheggia nell’altoparlante e mi blocco sul posto. 

«M-mamma?» balbetto. Oh no, no, no, no. Catastrofe. È più di un mese che non rispondo alle sue chiamate. Il sangue mi si congela nelle vene.

«Mi hai risposto, finalmente.» gracchia. Non ricordo una sola volta in cui la voce di mia madre sia stata amorevole. 

«Per sbaglio.» borbotto. La sento sbuffare. 

«Ora che il tuo piccolo esperimento è finito, puoi tornare a casa? Abbiamo parlato con il rettore della Columbia, ti ammetteranno se dimostrerai di volerlo.» Una parte di me vorrebbe urlare in questo momento. Non sono scappata via per un dispetto, o perché sono una figlia ingrata. Sono scappata via per il mio benessere fisico e psicologico, perché restare in quella casa, con loro… dopo le cose che sono successe… Mi mette i brividi anche solo pensarci. 

«Questo è il punto mamma, non voglio andare alla Columbia.» cerco di tenere i nervi saldi, respiro, ma il mio corpo è ancora bloccato, i miei piedi non ne vogliono sapere di fare anche solo un altro passo, e ho le gambe così molli che potrei accasciarmi a terra da un momento all’altro. 

«Stai rinunciando ad andare ad un’università della Ivy League per frequentare quella bettola della San Francisco State? Dio santo Katniss! Cosa ho fatto di sbagliato per avere una figlia come te?» ha alzato il tono della voce. Mi tremano le mani.

«Lo sai benissimo cosa hai fatto.» sibilo. 

«Smettila con quella storia signorina, è un capitolo chiuso.» biascica lei. 

Vorrei urlare, strapparmi i capelli, tornare a New York solo per dare fuoco a quella casa nella quale non mi sono mai sentita a mio agio. 

«Non è chiuso, è chiuso per voi. Ho delle ferite che non si chiuderanno mai mamma, lo sai? E la colpa è solo vostra. E voi siete troppo egoisti e orgogliosi per ammettere la verità. Dimenticami mamma, cancella questo dannato numero, e sparisci dalla mia vita.» ho le lacrime agli occhi, so che sto per piangere e vorrei solo scappare via di qui. Mia madre non risponde neanche, chiude la telefonata, e come per magia, mi sblocco, cadendo in ginocchio sul prato fresco. Mi rialzo e a passo svelto mi avvicino verso Beck.

«Ehi io… devo andare.» farfuglio in preda al nervoso. Beck mi guarda negli occhi e si alza di scatto.

«Kat, è tutto okay?»

«Si, no… non lo so. Vorrei solo tornare a casa.» biascico. So che sono quasi in lacrime. 

«Ethan, potresti accompagnarla tu?» chiedo, e lui annuisce velocemente, ma Beck scuote la testa.

«Sei mia amica, non ti lascio tornare a casa da sola, così.» si volta verso Ethan, lo saluta con due baci sulle guance e si danno appuntamento per domani, poi mi prende per mano e incominciamo a camminare. 

Passiamo di fronte a Jayden e alla rossa, e lui mi fissa negli occhi. Per la prima volta, non è annoiato o distaccato, ha lo sguardo preoccupato, e ho paura che lo sia per me.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque: ***


Capitolo cinque:

 

Ho passato la notte in bianco, nella mia testa riecheggiavano le parole di mia madre, e lo sguardo di Jayden. Dopo essermi rigirata nel letto almeno una centinaia di volte, ho scalciato via le coperte e ho guardato l’orario, erano le cinque in punto. Mi sono arresa, alzandomi per preparare il caffè.

La giornata è passata in un baleno, le lezioni sono state quasi noiose, e fortunatamente non ho incrociato nemmeno una volta Jayden per i corridoi, o nelle aule. 

Sono seduta alla scrivania, catalogando i libri che sono stati riportati, e oggi Mash non c’è. Mi ha avvisato prima per telefono, bofonchiando qualcosa tipo “Sto vomitando anche l’anima, non aspettarmi oggi.” E così eccomi qui, da sola, nella biblioteca quasi deserta, alle sei e quarantacinque del pomeriggio. Tiro un sospiro di sollievo, fra un quarto d’ora potrò chiudere e tornare a casa. Il tintinnio del campanello della porta principale mi avvisa che qualcuno è entrato. Non alzo nemmeno lo sguardo per controllare chi è, o almeno, fin quando la persona in questione non si schiarisce la voce davanti alla scrivania. 

Alzo gli occhi dal pc e gli occhi penetranti e color ghiaccio di Jayden mi colpiscono in piena faccia, come un pugno. «Ehi.» sussurra, sorridendomi. Prendo un lungo respiro. «Ciao.» dico monotonamente, in questo momento ho una paura fottuta. E se dovesse chiedermi cosa è successo ieri sera? Se volesse indagare? Oh ma chi prendo in giro! Perché un tipo del genere dovrebbe indagare su ciò che è successo a me. 

«Mi serve un libro.» sussurra. 

«Cercatelo?» Lui ridacchia, facendo accigliare una studentessa poco distante da noi. 

«Andiamo, Kat. Aiutami a trovarlo, so che sai meglio di me dove potrebbe trovarsi.» 

Alzo gli occhi al cielo e esco dal bancone, facendo ricadere l’apertura piano dietro di me per non causare rumore. «Cosa ti serve esattamente?» chiedo portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro. Lui abbozza un sorriso. «Teorie della comunicazione negli anni ’80.» 

Mi fiondo al terzo scaffale in alto, e cerco di prenderlo. Lui mi vede annaspare e al posto di prenderselo da solo, poggia le mani sui miei fianchi, e istintivamente il mio cuore incomincia a battere più forte del normale. Mi manca un po’ il respiro e divento rossa come un pomodoro. Mi solleva agilmente e senza sforzi e io conficco le unghie nella copertina semi-rigida del libro. Quando mi riporta giù, mi fa voltare e mi sfila il libro dalle mani.

«Grazie.» mi sorride, e se ne va. 

Ritorno al mio solito posto, con il cuore che mi martella nel petto, e le emozioni scombussolate. Non che io sia completamente estranea nel rapportarmi con l’universo maschile, ma mai nessun ragazzo mi ha toccata o sfiorata come ha appena fatto lui. Sento i fianchi bruciarmi, proprio dove aveva le mani, anche senza contatto diretto con la pelle, adesso ho dei piccoli brividi su tutto l’addome e le braccia. Bevo un sorso d’acqua per farmi passare questa sensazione da ragazzina undicenne e cerco di concentrarmi nel finire le ultime cose da fare. Sento la porta riaprirsi, e sto quasi per sentenziare che stiamo per chiudere, quando riconosco il suo odore. Si poggia con i gomiti sul bancone e mi sorride sornione. 

«Stavo pensando, hai qualcosa in programma più tardi?» è cauto mentre me lo chiede, e mi sembra assurdo che lui mi faccia una domanda del genere.

«Non so, dipende cosa intendi con “più tardi”.» mormoro io. In realtà non ho un cavolo di niente da fare, ma in tutte le commedie romantiche che ho visto, la ragazza se l’è sempre tirata un po’. Lui mi scocca uno dei suoi soliti sorrisi “strappamutande”. 

«Tipo, fra dieci minuti?» 

Oh…

Oh!

«Ahm, niente in programma per ora.» farfuglio mettendo alcuni libri dritti sulla scrivania. 

«Perfetto, ti aspetto fuori.» bisbiglia e si dirige verso la porta, lasciandomi alla visuale delle sue spalle perfettamente muscolose e toniche e del suo sedere, proprio niente male. Oh mio dio, ma cosa sto dicendo?

Suono la campana, e tutti capiscono di dover andare via, in dieci minuti sono fuori dal negozio. Lui è fuori, poggiato ad una bella macchina decappottabile, che suppongo sia la sua. Mi sorride e mi fa cenno di avvicinarmi. 

«Perfettamente puntuale, come un orologio svizzero.» mi prende in giro, e io arrossisco lievemente. Apre lo sportello e si accomoda. Poi mi guarda, sbatte la mano più volte sul sedile del passeggero, facendomi capire di accomodarmi lì. Non me lo faccio ripetere due volte.

Dieci minuti dopo siamo difronte all’entrata della sua confraternita, e l’euforia che avevo un po’ scompare. Credevo fossimo stati solo lui ed io, ma che ingenua che sono. Sento già la musica provenire dall’entrata, e subito mi si blocca il respiro.

«Oh, io non… potresti accompagnarmi a casa?» balbetto confusa, e lui si acciglia. 

«Cosa? Perché?» chiede confuso. Vorrei spiegargli che non ho intenzione di stare ad una festa di una stupida confraternita, non con lui, ma mi limito solo a dire «Non sono in vena per una festa oggi.» 

Lui mi sorride «Ma non ci siamo fermati qui, devo salire un attimo in camera a prendere il portafogli, torno subito.» mi spiega velocemente, poi spalanca lo sportello e corre dentro casa. 

Due minuti dopo esce, chiudendosi la porta alle spalle e passandosi una mano tra i lunghi capelli color cioccolato. 

«Posso sapere dove stiamo andando?» mormoro timidamente. Oh dannazione Kat! Smettila di parlare come una bambina delle elementari. 

«A cena. Ho una fame assurda, e tu?» chiede titubante. Come si può rifiutare del cibo? 

«Muoio di fame.» ammetto, e lo sorprendo a sorridere mentre guarda la strada. 

 

 

Siamo in questo ristorante nella periferia di San Francisco, è piccolo, accogliente e privato. È esattamente il tipo di ristorante che adoro. Sfoglio il menù alla ricerca di qualcosa da mangiare, e i miei occhi si soffermano sul menù con il Double Cheeseburger. Il mio stomaco brontola esprimendo il suo consenso. Non vorrei sembrare troppo ingorda, ma… Andiamo! Il Double Cheeseburger è stato il mio primo amore. Ho una relazione profonda con lui. 

Una ragazzina si avvicina sorridendoci, per poi fissare Jay con gli occhi sgranati. «C-cosa posso p-portarvi?» balbetta. Ecco, ci mancava anche lei. 

«Per me un menù Double Cheeseburger, con patatine maxi.» Lo guardo scioccata, e lui rivolge uno sguardo su di me. «Per te?» chiede. «Esattamente lo stesso.»

Quando i nostri panini arrivano li addentiamo come se non mangiassimo da mesi, e di tanto in tanto ci sorridiamo. Lui posa il panino e io faccio altrettanto, spiluccando le patatine. 

«Allora, non sei di qui?» domanda lui. Brutto discorso da affrontare.

«No, sono di New York. Manhattan più precisamente.» specifico. 

«Uh-uh, la signorina viene dall’Upper West Side.» 

«Upper East Side in realtà.» bofonchio. Lui annuisce.

«Ci sono stato. È spettacolare. A mio padre è anche venuta l’idea di comprare una casa lì, ma le cifre sono esorbitanti e comunque nessuno della mia famiglia era pronto a trasferirsi così.» 

«E tu? Sei di San Francisco?» chiedo bevendo un sorso di Diet Coke, lui annuisce.

«Si, Nob Hill, abbiamo un attico che da sulla California Street.» spalanco gli occhi, quel quartiere è il più bello di tutta San Francisco. È un sogno abitare lì. 

«È per questo che preferisci vivere nella confraternita? È più vicino?» 

Lui annuisce «Sarebbe impossibile per me dal centro arrivare in orario alle lezioni. Così ho preferito la stanza di una confraternita.» 

«Capisco, e… di che si occupa la tua famiglia?» domando istintivamente, pentendomene subito dopo, perché so che mi farà la  stessa domanda.

«Oh beh, mio padre ha fondato un po’ di anni fa, questa società che offre servizi digitali, telemarketing, comunicazione… insomma una specie di azienda pubblicitaria a trecentosessanta gradi. Mano a mano si è espanso, e adesso viaggia parecchio per controllare tutte le sue strutture di persona.» annuisce, ma non sembra febbricitante nel parlarne.

«Figo, e come si chiama?» chiedo. Magari mi è capitato di vedere uno dei suoi stabilimenti in giro per New York. 

«West Communication & Management.» ammette e strabuzzo gli occhi. «Oh mio dio, John West è tuo padre?» chiedo sgomenta. 

Alcuni anni fa, quando facevo l’ultimo anno delle medie, i miei assistettero un uomo per una denuncia penale. La denuncia riguardava la West Communication & Management, non ricordo precisamente per che cosa, ma i miei genitori vinsero alla stragrande, portando via alla West un ingente somma di denaro di risarcimento per l’uomo in questione. 

Lui annuisce «L’azienda di tuo padre è quotata in borsa!» gli sorrido, e lui sventola la mano. «Tutta fortuna.» ridacchia. «E i tuoi invece?» mi si crea un nodo allo stomaco. Una parte di me vorrebbe mentirgli, l’altra però sa che devo fare la cosa giusta.

«Sono entrambi avvocati, specializzati in più ambiti. Dal divorzio alle cause penali. Non hanno mai perso una causa. Hanno uno studio a New York.» ammetto. Lui annuisce «Fieldsman & Co?» chiede. Scuoto la testa. 

«Evergreen & Bower Association.» ammetto. 

Lui annuisce un attimo, poi si blocca di scatto. 

«Aspetta, i tuoi genitori sono Gerald Evergreen e Brooke Bower?» Annuisco aspettandomi che lui si alzi dal tavolo e vada via. Invece non lo fa, anzi. Scoppia a ridere. «I tuoi genitori hanno fatto il culo a strisce a mio padre diversi anni fa. Mi ricordo tutti i milioni che gli avete fatto sganciare per la causa Davis contro West. Assurdo.» ridacchia. 

«Non… non sei arrabbiato?» 

«Perché dovrei? Mio padre se l’è cercata. E se i tuoi genitori sono i migliori avvocati di tutta New York ci sarà una ragione.» ammette, e io tiro un sospiro di sollievo. «Sono contenta che la pensi così, sarebbe stato imbarazzante.» 

 

Dopo la cena, mi riaccompagna a casa. Parcheggia esattamente di fronte al portone e mi sorride. «Ti va un caffè?» chiedo. Un caffè?! Alle dieci di sera?! Davvero Kat, era la cosa migliore che potevi inventarti? Che stupida. 

Contro tutte le aspettative, lui sorride ed annuisce, slacciandosi la cintura di sicurezza. Il viaggio in ascensore è imbarazzante a livelli cosmici. L’ascensore è minuscola, e ci ritroviamo uno di fronte all’altro, poggiati con la schiena ai rispettivi muri, con i nostri piedi che si toccano. 

Arrivati al piano, fatico nel cercare le chiavi in borsa, e quando finalmente le trovo mi rendo conto che mi tremano le mani. Spalanco la porta e accendo la luce. Che genio che sono stata mettendo apposto stamattina per via dell’insonnia. Si accomoda sul divano e si guarda intorno. Vedere Jayden West in casa mia, mentre si scompiglia i capelli è assurdo. Fino a due giorni fa avrei voluto prenderlo a cazzotti, e adesso è lì, sul mio divano, mentre aspetta che io gli prepari il caffè. Roba da matti. 

«È carino qui. Quanto paghi?» chiede continuando a guardarsi intorno. 

«Ottocento cinquanta al mese.» E si, lo so che è una cifra assurda, ma come ho già spiegato, la piccola megalomane che è in me prese il sopravvento non appena misi piede per la prima volta in questa casa. 

«Caspita, un bel po’, ma te lo puoi permettere no?» chiede coscienzioso. Sento un rantolo salirmi dallo stomaco. Pensare che pago questa casa con i soldi dei miei genitori mi fa gelare il sangue. Ma era l’unica soluzione per me. 

«Nemmeno tu navighi in acque torbide.» lo sfotto, e lui annuisce sorridendo. «Touché.» 

Preparato il caffè mi accomodo accanto a lui, porgendogli la tazza. 

«Posso farti una domanda?» mi chiede nel bel mezzo del silenzio. Annuisco senza dire nulla, e ho una brutta sensazione. 

«Come mai da New York hai attraversato tutta l’America per venire alla San Francisco State? Insomma, c’è la Columbia, la Berkeley o anche Yale che è relativamente vicina. E ho nominato le più rinomate.» mi guarda curioso. 

«Oh… avevo bisogno di staccare un po’. E mi ha sempre incuriosito il Sud della West Coast. Avete le spiagge migliori, il panorama perfetto per chi è nato e cresciuto nel caos totale di New York.» ammetto, e in parte è la verità. Lui annuisce con poca convinzione. 

«Senti, so che ci conosciamo da tipo due giorni ma… c’è qualcosa che non va? Ieri sei letteralmente scappata via dalla festa dopo essere stata al telefono. È successo qualcosa?» chiede. Non è curioso, è solo… preoccupato? 

«Ah perché mi guardavi mentre eri occupato con la rossa?» chiedo di getto. Brutta lingua biforcuta. Il mio meccanismo di autodifesa si è attivato automaticamente. Non appena le persone che mi conoscono cercano di capire qualcosa di più intimo su di me, scatto come una molla e le allontano. La realtà dei fatti è che ho una paura fottuta di dover spiegare come mi sento, cosa provo… È troppo, e non sono ancora pronta. 

«Cosa? Ma che c’entra Riley ora con questo?» 

«Nulla, senti. È stata una bella serata, ma ora gradirei che tu te ne andassi.» ammetto, abbassando lo sguardo. Quando lo riporto su di lui, è accigliato. Sbatte nervosamente la tazza sul tavolo di legno e si incammina verso la porta. D’un tratto si blocca. «Senti Kat, se ho fatto o detto qualcosa di inopportuno, mi basta solo che tu me lo dica. Sul serio.» 

Scuoto la testa energicamente. «Ti prego Jay, va via.» sento le lacrime pungermi gli occhi, e le mani incominciano a sudare. Sto per avere una delle mie crisi, e lui deve uscire fuori da qui immediatamente. 

Lo supero e spalanco la porta. Non se lo fa ripetere un’altra volta, mi lancia un’ultima occhiata e poi sparisce nel pianerottolo. 

Stupida, stupida, stupida. 

Corro in camera mia e incomincio a piangere, le gambe non riescono a reggere il mio peso e cado in ginocchio, per terra, singhiozzando. 

Perché deve essere tutto difficile… Perché sarò sempre sbagliata? Respiro l’aria fresca e singhiozzo. Ora che Jay non c’è, ne sento quasi la mancanza. 

Spalanco la porta dell’appartamento e corro giù, facendo le scale. Appena sbuco fuori lui sta salendo in macchina.

«Jay!» urlo. Si volta a guardarmi. «Mi dispiace.» singhiozzo fra le lacrime. 

Lui scende dalla macchina, si avvicina cauto. E poi fa una cosa totalmente inaspettata. Mi abbraccia. 

Mi abbraccia così forte che perdo l’equilibrio e mi ritrovo con tutto il corpo sorretto solo da lui. Poggio la testa sul suo petto e inspiro il suo profumo, e mi rilasso. 

«Kat, qualsiasi cosa sia successa, mi dispiace. Sappi solo che io sarò sempre qui, se ne avrai bisogno. Siamo amici no?» mi sorride, scompigliandomi i capelli. E il mio cuore si blocca. 

«Si, certo.» farfuglio. Siamo solo amici, e nient’altro. 

Forse è giusto così.

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Capitolo 7
*** Capitolo sei: ***


Capitolo sei:

 

È passata più di una settimana dal mio “non-appuntamento” con Jayden. Lo ammetto, è stato difficile cercare di evitarlo per tutto questo tempo, ma è stata la cosa migliore da fare. In questa settimana, io e Beck abbiamo stretto ancora di più i rapporti. Ogni mattina lei mi ha aspettata fuori dal suo appartamento per andare assieme al campus, e ogni sera, dopo il turno alla biblioteca abbiamo mangiato assieme. Mash la adora, dice che è la persona giusta per me, perché nonostante sia timida quasi quanto me, ha un bel caratterino. Dice che ho bisogno di qualcuno come Beck accanto a me, che mi aiuterà a, cito testuali parole, “Uscire fuori le palle.”

Siamo diventati un terzetto, e lo adoro. In qualsiasi situazione, tranne alle lezioni, non sono mai sola. Che sia Beck o Mash sono sempre al mio fianco. Dopo avermi vista parecchio diversa negli ultimi giorni, ho dovuto raccontargli di ciò che è successo con Jayden, e entrambi mi hanno dato della stupida. Per loro sarà anche una scelta stupida, ma per me, che devo fare i conti con i fantasmi del mio passato, è stato essenziale allontanarmi da lui. 

Ci sono riuscita fino ad oggi.

Siamo seduti in caffetteria, Beck e Mash parlano di non so cosa, e io sorseggio il mio cappuccino per rilassarmi, mentre rileggo gli appunti delle ultime lezioni. Il gruppetto di Jayden entra, e Ethan si fionda al nostro tavolo abbracciando Beck. 

«Ehi straniera.» la saluta, e lei diventa rossa. «Sei sparita ultimamente.» la rimbecca, e lei annuisce, guardandomi. «Ho avuto da fare.» mente, e lui le accarezza la testa con fare protettivo. Mash si presenta come suo solito, e Ethan si siede accanto a lui. Beck mi guarda con gli occhi sgranati. So che in questo momento Jayden è dietro di me. Lo avverto dal suo profumo che mi arriva dritto nelle narici quasi come uno schiaffo in pieno volto. 

«Kat.» la sua voce mi fa sussultare un attimo. Mi volto a guardarlo. «Ehi Jayden.» lo saluto timidamente. Ma perché mi sto comportando così?

«Potresti venire un attimo fuori? Ho bisogno di parlarti.»
Annuisco e mi alzo, lasciando la tazza sul tavolo. Usciamo fuori, e lui poggia la schiena al muro. 

«Perché mi hai evitato in questi giorni?» Sapevo che se ne sarebbe accorto, Jayden non è stupido. «Non ti ho evitato, ho avuto da fare.» cerco di mentire, ma non sono mai stata brava in questo. «Pensi che possa crederti?» Una nota di disappunto traspare dalla sua voce, e una parte di me vorrebbe scappare a gambe levate. «Dovresti, perché è esattamente ciò che è successo.» bofonchio. Lui alza gli occhi al cielo. «Hai saltato almeno tre lezioni di Letteratura questa settimana.» 

«Mi stai spiando per caso?» 

«No che non ti sto spiando!» sbuffa lui esasperato «Mi preoccupo per te. Dopo l’ultima volta che abbiamo parlato sei completamente sparita. Non dire che hai avuto da fare! Hai accuratamente evitato i posti dove sapevi di potermi incrociare. È il primo giorno che ti vedo alla caffetteria dopo più di una settimana.» Mi stritolo le mani, cercando di farmi venire in mente qualcosa con cui controbattere. 

«Non sono stata molto bene e ho dovuto fare alcuni turni in più in biblioteca, tutto qua.» continuo a mentire, cercando di non guardarlo negli occhi. Lui si avvicina a me, e mi afferra il braccio con una mano. «Kat… Smettila di mentire.» mi sussurra, e il mio cuore comincia a battere molto più velocemente. Odio l’effetto che mi fa. Odio come divento quando è vicino a me. 

«Devo andare ora, Jayden. Ci sentiamo.» farfuglio. 

«Kat… non scappare.» quasi mi supplica. «Non sto scappando.»

«Oh si invece, senti. Ne parliamo stasera? Davanti ad una pizza? Diciamo alle… Nove?» mi chiede, e appena il mio stomaco sente la parola “pizza” incomincia a brontolare. «Oh beh…» farfuglio. Lui mi scocca uno dei suoi sorrisi “strappamutande” «Non accetterò un no come risposta, Kat.» Alzo gli occhi al cielo. «Okay, okay!» sbuffo, e rientro nella caffetteria. 

 

La giornata passa così veloce che maledico me stessa di aver accettato l’invito, non che comunque Jayden mi abbia lasciato altre possibilità. Mentre si avvicina l’orario il mio cuore comincia a battere più veloce neanche fossi una quindicenne al suo primo appuntamento. Beck entra in casa senza nemmeno bussare e si butta sul divano.

«Il tuo divano è molto più comodo del mio letto, è ingiusto.» si lamenta, stravaccandosi. «Allora hai accettato l’appuntamento con Jay?» chiede curiosa, poggiandosi su un gomito. «Ho dovuto.» borbotto. 

«Non hai dovuto, ti piace, non mentire con me.»

«Si, okay, forse mi piace. Ma non spero in niente di più di una semplice amicizia.» farfuglio. O forse no, ma in ogni caso, ciò che spero non ha importanza. Ho fatto più di quattromila chilometri per riprendermi me stessa, per riuscire ad amarmi e non ad amare solo gli altri, e non commetterò altri errori. Sono stanca di dovermi curare sempre degli altri, con nessuno che si cura di me. Sono stanca di tutto il peso che ho sulle spalle, voglio solo finire la mia carriera universitaria, laurearmi, e trovare il lavoro dei miei sogni, il più lontano possibile da New York e dalla mia famiglia. 

«Vorrei darti i miei occhi per farti vedere lo sguardo di Jay ogni volta che tu sei nella stessa stanza con lui. Sembra sparire qualsiasi altra persona, guarda solo te. È da pazzi non ammetterselo e continuare a vivere con due belle fette di prosciutto sugli occhi.» Ridacchio all’idea, ma poi torno seria. 

«Beck, stai fraintendendo tutto, sul serio. Siamo amici, semplicemente amici.» 

«Vuoi continuare con questa cazzata del “Siamo amici”? Bene, accomodati. Ma ti dirò una cosa, Jayden Parker non ha mai, e sottoscrivo mai, avuto amiche donne. Se le porta solo a letto. E dubito che abbia avuto voglia di incominciare proprio con te.» mette le braccia conserte e mi scocca un’occhiata accusatoria.

«Tutti possono cambiare Beck.»

«Jayden Parker non è “tutti”.» dice virgolettando con le dita l’ultima parola. E per la prima volta non posso che darle ragione. 

Jayden Parker non è tutti. Sarà il modo in cui mi guarda, o quel dannatissimo sorriso… o quegli occhi magnetici, ma mi suscita qualcosa che non ho mai provato in tutta la vita. Ha provato a scavarmi dentro il giorno dopo avermi conosciuta, si è interessato a me nonostante fossi una semplice e sfigata matricola. È strano da dire, ma mi piace. Mi piace il modo in cui mi fa sentire, il modo in cui mi fa ridere, il fatto che è totalmente e spassionatamente se stesso, e che non finge. Mi piace come mi fa sentire tranquilla quando sono con lui, non mi fa sentire inadeguata o fuori posto. Quando sono con lui, è come se fossi al posto giusto nel momento giusto. E questa cosa mi scombussola e anche parecchio. Non sono mai stata abituata a rimuginare così tanto sui miei sentimenti, insomma… Alle superiori non ero Miss Popolarità, anzi tutt’altro. Ho due amiche contate, Jessie e Gwyneth, che mi messaggiano ogni giorno. Sono riuscite entrambe ad entrare alla Cornell, anche se inizialmente puntavano alla Columbia, anzi… tutte e tre puntavamo alla Columbia, poi i piani sono cambiati, loro non sono state accettate, e io ho gentilmente declinato l’accettazione, preferendo quella della San Francisco State. Solo e soltanto con loro due mi sono sempre sentita a mio agio, erano le mie uniche alleate a New York, e devo ammettere che mi mancano. Davvero tanto. 

«Terra chiama Kat! Iuuh-uhh!» mi richiama Beck, facendomi scivolare via i pensieri. 

«Stavo pensando…» borbotto.

«A come ti porterai Jayden Parker a letto?» sogghigna lei, alzando le sopracciglia. Divento istintivamente rossa e mi copro il volto con le mani. «Kat, stai diventando rossa come se ti avessi descritto un pomp…» la fermo con la mano e scuoto la testa. «Smettila Beck.» cerco di fermarla. Ma lei mi scocca un’occhiataccia. «Oh andiamo, non fare la pudica ora! Non sto parlando di niente di scandaloso!» ridacchia, e io mi sento andare a fuoco le guance. 

«Okay, sono vergine. D’accordo?» farfuglio. Mi sento andare la faccia in fiamme ancora di più e so anche che ho gli occhi rossi, mi sta venendo da piangere. Non che io non abbia mai voluto farlo, ma non è stato semplice per me trovare qualcuno con cui condividere qualcosa di così importante al liceo. Ero praticamente un’emarginata. L’unico ragazzo che mi si è avvicinato era Bryan Welsh, siamo usciti due volte, è stato il ragazzo a cui ho dato il mio primo bacio, in realtà primo ed unico bacio. Era uno dei giocatori di Football della scuola, amico di mio cugino. Stava andando bene, fin quando Cedric e Charlotte lo hanno preso in giro perché usciva con me. Da quel giorno Bryan non mi ha più rivolto la parola, anzi… ha incominciato a prendermi in giro per i corridoi come facevano tutti. È stato snervante e brutto da morire. Il ragazzo di cui mi ero fidata, a cui avevo dato il mio primo bacio… mi trattava male esattamente come tutti gli altri. Dopo qualche mese si è messo con Charlotte, e stanno ancora assieme. Sono passati tre anni. 

«Oh… beh, non è poi così grave.» balbetta lei. 

«Non è poi così grave Beck? Sono al primo anno del college, e non ho mai dato più di un bacio.» la rimbecco. Lei sventola la mano e ghigna. «Si può recuperare, e chi meglio di Jayden Parker?» 

Alzo gli occhi al cielo e le tiro un cuscino. 

«Allora, dato che devi fare colpo.» si alza e mi analizza. Ho messo le prime due cose che ho trovato nell’armadio. «Questo outfit…» dice indicandomi dalla testa ai piedi «È rivoltante, sul serio! Dove diavolo li hai trovati ‘sti vestiti?» Alzo gli occhi al cielo «Non sono male.» 

«Andrebbe arrestato chi te li ha venduti, che obbrobrio. Andiamo.» mi afferra per la mano conducendomi verso camera mia, e poi spalanca l’armadio. Incomincia a buttare per terra le cose che non vanno bene e io vorrei mettermi ad urlare, ci vorrà un secolo per rimettere tutto apposto. 

«Okay questo potrebbe andare.» dice lanciando sul letto un vestito che non ho mai avuto il coraggio di indossare. È un tubino bordeaux con un’ampia scollatura a barca. È troppo corto e troppo scollato, e… Oh mio Dio, proprio no. 

«Mettici questo sopra.» butta sul letto una giacca in jeans color nero strappata e con delle scritte bianche. «E infine…» si accovaccia per vedere le scarpe e sceglie un paio di converse color bordeaux. «Per non sembrare troppo in tiro. Sexy e casual.» mi fa l’occhiolino. Poi raccoglie i vestiti e me li poggia sulle braccia. «Ora cambiati, ti do cinque minuti.» 

Esattamente cinque minuti dopo sono nei suoi vestiti e mi guardo allo specchio. Devo essere sincera, ciò che vedo mi piace. Il tubino valorizza le mie curve, ma la giacca di jeans fa in modo che non siano fin troppo visibili. E in realtà il vestito non è nemmeno poi così corto, come me lo immaginavo. 

«Allora? Ci metti una vita!» urla lei entrando in camera, per poi bloccarsi di scatto non appena mi vede. «Uuuh-uhh! Sei uno schianto!» batte le mani e io sorrido timidamente. «Jayden dovrà trattenersi parecchio!» ridacchia e mi abbraccia. 

Non ho alcuna intenzione di truccarmi, così metto solo un po’ di mascara. Alle nove in punto Jayden suona al mio citofono. «Scendo.» biascico e mi volto verso Beck, sto tremando. 

«Kat, sei stupenda. Non complessarti, fidati di me.» mi rassicura e mi da un bacio sulla guancia «Io resto qui per scroccarti Netflix.» sorride e scuoto la testa. «Creati un nuovo profilo, non scombussolare  il mio. I pop-corn sono nel terzo ripiano a sinistra, e ti consiglio il genere Fantasy. Buona visione Beck.» 

«Sei la migliore!» urla mentre chiudo la porta. 

 

Arrivo giù e apro il portone, e Jayden si blocca a guardarmi. «Wow.» dice a bocca aperta. «Cosa?» chiedo timidamente, e lui schiocca la lingua «Sei bellissima Kat.» mi sorride, e addirittura mi apre lo sportello del passeggero, e lo ringrazio. 

 

Arriviamo al ristorante. Ci fanno accomodare ad uno dei divanetti in pelle, siamo così vicini che le nostre gambe si toccano sotto il tavolo, la cameriera arriva e ci sorride, ordiniamo una pizza a testa e una valanga di patatine fritte. 

«Allora, mi eviterai ancora?» chiede lui e io alzo gli occhi al cielo. «Non ti stavo evitando Jay.» Sta volta è lui ad alzare gli occhi al cielo. «No sul serio, è che…» mi blocco, non so cosa dirgli. «Lascia stare okay? Voglio solo sistemare le cose.» borbotta lui e mi paralizzo sul mio posto mentre lui mi sfiora la coscia con la mano. «È tutto apposto Jay.» cerco di rassicurarlo, e lui scuote impercettibilmente la testa. «Non ho molta esperienza con le amicizie femminili, mi sto abituando a non fare il cazzone…» si rimprovera e istintivamente poggio una mano sulla sua spalla. Si volta e mi guarda dritto negli occhi. Il cuore mi rimbomba nel petto.

«Te la stai cavando bene, considerando che mi offrirai una bella pizza e tante… tante patatine fritte!» lo prendo in giro e lo sento rilassarsi al mio fianco. 

La serata procede bene, parliamo di tutto. Mi racconta di avere altri due fratelli, uno più grande e uno più piccolo. Il maggiore si chiama Tyler e ha due anni più di lui, si è già laureato e lavora nell’azienda del padre, nella sede di Boston. Il piccolo, Sebastian, va ancora alle superiori, è al suo ultimo anno e mira ad una delle scuole della Ivy League, è ancora indeciso tra Harvard e Princeton. Mi mostra una loro foto, di tutti e tre assieme e devo ammettere che la somiglianza è devastante. Il più piccolo è praticamente la sua fotocopia, con i suoi capelli scuri portati lunghi e scompigliai e gli occhi color ghiaccio. Ammette che è un play boy esattamente come lui, a differenza di Tyler, che è sempre stato il più timido dei tre, nonostante sia il primogenito. Mi racconta alcuni dei suoi ricordi più folli, come quando assieme ai suoi amici delle superiori ha dato forato le gomme all’auto del preside, facendoci dei graffiti sopra per poi scappare, o quando hanno fatto scoppiare una bomba blu nel laboratorio di scienze. Ridacchia ed è parecchio rilassato, dice però di non rimpiangere i vecchi tempi da testa calda. Mi chiede della mia famiglia e gli racconto dei miei cugini, dato che sono figlia unica. Non specifico il rapporto con i gemelli, ma quello con Cass sì. Gli parlo di come mi abbia aiutata a sentirmi a mio agio, a sviluppare la forza di non farmi mettere i piedi in testa. Mi confesso con lui, spiegandogli quanto mi manca e quanto vorrei averla qui affianco a me ogni giorno. Lui annuisce senza mai interrompermi e a fine serata, dopo aver divorato le pizze e le patatine fritte usciamo sorridenti dal ristorante. Saliamo in macchina convinta che mi stia riportando a casa, ma quando lo vedo guidare verso la città mi acciglio. 

«Dove stiamo andando?»

«In un posto. Fidati.» dice inserendo la marcia. 

Dieci minuti dopo siamo di fronte al Golden Gate Bridge, seduti sull’erba ad un’altezza incredibile. Sotto di noi c’è un picco altissimo, e se cadessi di qui sicuramente morirei per l’impatto con l’acqua. Rabbrividisco pensandoci e mi tiro un po’ più su. Ma la vista è da togliere il fiato. Le luci della città scintillano sotto i miei occhi e il rumore dell’acqua che si infrange sulla scogliera è rilassante. 

«Mi hai portata qui per uccidermi e gettare il mio cadavere nell’Oceano Pacifico?» ridacchio e lui mi scocca un’occhiataccia. «Come hai fatto a scoprirlo!» mi prende in giro facendomi sorridere. 

«Grazie per la serata Jay.» 

«Di niente baby.» sulle mie braccia si formano dei piccoli brividi per via del nomignolo e sorrido come un’ebete. Porta un braccio sulle mie spalle e mi attira verso di lui. Ho la schiena poggiata contro il suo petto, ma al contrario, al posto di essere nervosa, mi rilasso all’istante. Porto una mano sulla sua e comincio a disegnargli dei cerchi invisibili sul dorso. Lo sento inspirare e poi espirare pesantemente, per poi stringermi più forte a se. È una strana situazione, una parte di me mi dice che non dovrei farlo e forse ha ragione, ma l’altra parte di me urla di non far finire quel momento. Di continuare a stare tra le sue braccia, perché è la sensazione più bella del mondo. Mi accoccolo più vicino a lui e poggio la testa tra il suo collo e la spalla. Mi bacia sulla fronte e mi sento protetta, come se in questo momento nulla potesse farmi paura o ferirmi. 

«Jay?» mormoro. 

«Si?» mi risponde lui. 

Mi volto e non ci penso due volte, portando il cervello su off. 

Lo bacio. 

Si blocca un attimo per il gesto inaspettato, poi porta una mano sul mio fianco e mi stringe più forte, baciandomi con più foga. Mi mordicchia le labbra e un gemito esce dalla mia bocca senza nemmeno che me ne accorga. La sua lingua mi accarezza le labbra, quasi stesse chiedendo il permesso, e io schiudo le labbra facendola entrare. Ci stiamo assaporando, godendoci questo momento improbabile ma comunque perfetto. D’un tratto lui si stacca, inspirando e distoglie lo sguardo. 

«Forse è meglio che ti riaccompagni a casa.» mugugna e io annuisco abbassando lo sguardo. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Dio che patetica che sono… 

Saliamo in macchina e per tutto il tragitto guardo fuori dal finestrino, letteralmente schiacciata sullo sportello. Non riesco a quasi a respirare, mi viene da piangere e mi sento così stupida. Arrivato sotto casa spalanco lo sportello e corro verso il portone. Lui non mi ferma, né mi saluta. Ringrana la marcia e va via nella notte, lontano da me. 

Appena entro nel mio appartamento Beck mi guarda e sorride. «Beh? Raccontami tutto!» ridacchia facendomi spazio sul divano, ma la prima cosa che riesco a fare è scoppiare a piangere. Mi abbraccia accarezzandomi i capelli. «Dimmi solo se ti ha fatto del male.» scuoto la testa e singhiozzo involontariamente. 

«Non so cosa sia successo, ma appena lo becco gli taglio le palle.»

Ridacchio all’affermazione e lei mi sorride. «Sono serissima, nessuno fa soffrire la mia amica e la passa liscia. Nemmeno Jayden Parker.» Abbraccio Beck stretta, e lei poggia il mento sulla mia testa. Ho solo bisogno di questo ora, ho solo bisogno che Jay sparisca dalla mia mente.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette: ***


Capitolo sette:


Nei giorni seguenti ho faticato parecchio a dimenticare ciò che è accaduto con Jayden. Beck è ancora sul piede di guerra, ogni volta che lui è ad una minima distanza da noi, lei si schiera davanti a me e gli scocca un’occhiataccia che farebbe rabbrividire pure Malefica della Bella Addormentata. Dopo diversi giorni così, anche Jayden ha deciso di evitarmi e dimenticare ciò che è successo, più che altro facendolo platealmente davanti a tutti, mostrandosi in ogni occasione con Riley, la rossa della festa. Non ho voluto darci peso, anche se ho un groppo allo stomaco che non ne vuole sapere di andar via. A tutte le lezioni di Letteratura Inglese si era seduto dalla parte opposta della classe e non mi ha mai calcolato di striscio. In cuor mio non sapevo se esserne felice o no. Ethan si è accorto ben presto che qualcosa non andava, dato che faticava a vedere Beck spesso, perché ovviamente essendo il migliore amico di Jayden, ovunque lui fosse, Ethan era con lui. Alla fine ha chiesto spiegazioni e Beck gli ha spiegato la situazione, non che io ne fossi contenta ovviamente, ma cosa potevo fare? 

Ethan si è scusato con me per il comportamento di Jayden almeno cento volte, e ad ogni volta Beck gli rispondeva che non spettava a lui chiedere scusa. Ethan è stato molto dolce con me e Beck nei giorni seguenti, ha preferito passare il tempo con noi che con Jayden, e mi sono sentita un po’ a disagio per questo. Sapevo che a Jay non facesse piacere, ma una parte di me era contenta che lui fosse rimasto da solo con Riley, dato che negli ultimi giorni sembrava parecchio seccato della sua presenza. 

Oggi a pranzo Ethan ci ha invitate ad una festa, Beck ha specificatamente detto che se io non avessi accettato, nemmeno lei e Mash avrebbero messo piede nella confraternita, e così, pur di non rovinare il sabato sera ai miei amici, ho accettato, anche se di malavoglia. 

 

Sono le nove in punto, e Beck parcheggia fuori dalla confraternita. La casa brulica di gente, proprio come la prima volta che ci ho messo piede. L’atmosfera è la stessa, ma a differenza della prima volta, né Mash né Beck si allontanano da me. Mi stanno accanto come se fossi fatta di cristallo e potessi rompermi da un momento all’altro. Proprio mentre passiamo di fronte alle scale un flashback mi passa per la mente. Io che salgo, cerco una camera e finisco in quella di Jayden per sbaglio. Io che fingo di essere ubriaca e Jayden che mi rincorre per il corridoio chiedendo spiegazioni, una parte di me vorrebbe ritornare a quella sera e non salire mai quelle maledette scale, non entrare in quella fottuta stanza. Eppure l’ho fatto, non si può cambiare il passato, e ora ne pago le conseguenze. Ho una morsa allo stomaco e distolgo lo sguardo dalle scale, mentre seguo Beck e Mash che si accomodano su uno dei divani liberi in soggiorno. 

«Giochiamo al gioco della bottiglia!» urla un ragazzo sedendosi per terra davanti a noi. Mash ridacchia e Beck alza gli occhi al cielo.

«Non ti sembra un po’ da liceali?» chiede Beck portandosi le braccia al petto. 

«E quindi? È divertente!» urla di nuovo il ragazzo. 

Beck si volta verso di me, e io vorrei dire “Assolutamente no.”, ma so che continuerei a rovinare la serata a tutti, dato che non sono di compagnia.

«Okay dai, giochiamo.» rispondo tranquilla. Beck mi sorride poggiando una mano sulla mia gamba e Mash mi scompiglia i capelli. 

In pochi minuti si aggiungono altre sette o otto persone, tra cui Ethan. La bottiglia gira e colpisce Mash. 

Il ragazzo lo guarda attentamente. «Obbligo o verità?» 

«Verità.»

Il ragazzo lo guarda attentamente. «Sei gay?» chiede alzando un sopracciglio. Mash scoppia a ridere. «Non è ovvio?» dice passandosi una mano tra i capelli biondi e scoccando un’occhiolino al ragazzo, facendoci ridere. 

Il ragazzo alza gli occhi al cielo e poi li punta dritti in quelli di Mash. «Buono a sapersi.»

Il gioco continua, e sta volta è Mash a girare la bottiglia, che finisce su Beck. 

«Obbligo o verità?» chiede.

Beck ci pensa su un attimo. «Obbligo.» risponde, e un “uhh-uhh” si leva in aria, Beck arrossisce lievemente.

«Bacia Ethan.» ghigna Mash, e Beck gli scocca un’occhiataccia per poi alzarsi e inginocchiarsi davanti ad Ethan. Lo bacia pacatamente, e Ethan porta una mano dietro la sua nuca, stringendola più forte. Quando qualcuno ulula un “Prendetevi una stanza!” Beck si stacca da Ethan e torna a sedersi tra me e Mash. 

Beck gira la bottiglia, e sta volta finisce su un ragazzo che non conosco. Ha i capelli scuri e corti, e gli occhi altrettanto scuri, dalla stazza sono sicura che giochi a football e anche la maglietta che ha indosso lo testimonia. «Obbligo o verità?» chiede Beck e il ragazzo risponde verità.

«Chi è la ragazza più carina in questo cerchio?» chiede Beck. Il ragazzo ci guarda tutte, una per una, poi fissa il suo sguardo su di me, facendomi diventare rossa. 

«La ragazza che hai accanto.» dice indicando me, e io impallidisco. Beck sorride. «È proprio vero!» urla e mi abbraccia, facendomi vergognare ancora di più. 

Sto per alzarmi ed andare via, quando il ragazzo gira la bottiglia e finisce proprio su di me. 

«Obbligo o verità?» mi chiede con uno sguardo incuriosito. 

«Verità.» rispondo velocemente.

«Ti piace qualcuno?» chiede di nuovo, e io mi blocco un attimo. Mi piace qualcuno? La risposta dovrebbe essere “no”, ma se ripenso a Jayden, a come mi sono sentita con lui, vorrei urlare di sì. Penso alle sue labbra sulle mie, a quando mi ha chiamata “baby”, a come mi ha fatta sentire quella sera, ed è innegabile che io provi qualcosa per lui. Mentirei, e sarebbe stupido mentire, dato che Beck e Mash sono accanto a me e mi guardano stupiti. 

«Sì.» farfuglio, e il ragazzo mi sorride. Se solo sapesse a chi sto pensando. 

 

Alla fine del gioco, la bottiglia mi ha toccata solo un’altra volta e mi hanno costretto a bere un bicchierino di vodka, che schifo. Ho ancora il saporaccio in bocca. Dopo aver finito la partita, decidiamo di uscire fuori in giardino, e Beck mi costringe a ballare con lei. Mi sento impacciata, mentre lei muove i fianchi a ritmo di musica, vorrei avere un po’ della sua sicurezza, sentirmi un po’ più a mio agio. Dopo mezz’ora decido di dover andare in bagno, Beck ha intenzione di seguirmi pure lì, ma le dico di continuare a ballare, che riesco a cavarmela da sola. Ci metto un po’ a convincerla, e alla fine mi ritrovo a risalire le scale come l’ultima volta. Impacciata e nervosa, schivo le varie persone accasciate sulle scale, e di nuovo, per sbaglio, pesto la mano ad un ragazzo. Sorrido all’idea, è come un  déjà-vu. 

Questa volta riesco a trovare il bagno, e ci entro cauta, ringraziando Dio e tutte le divinità perché non c’è nessuno all’interno. Chiudo la porta e mi sbrigo. 

Tiro lo scarico e mi guardo un attimo allo specchio, la mia faccia assomiglia a quella di uno zombie e faccio pena, apro il rubinetto e faccio scorrere un po’ d’acqua, poi mi sciacquo la faccia. 

Esco fuori dal bagno, per scendere giù, ma qualcuno mi afferra per il polso.

«Ehi.» è il ragazzo del gioco della bottiglia, che mi sorride. È sbronzo, e lo si vede dal fatto che non riesce quasi a reggersi in piedi. «Dovrei scendere giù dai miei amici.» dico cercando di divincolarmi dalla sua stretta, ma senza riuscirci.

«Perché non resti un po’ con me?» farfuglia lui, avvicinandosi a me, e bloccandomi con la schiena al muro. «No davvero, devo andare.» 

Sono nel panico, puzza di alcol e sudore, e il suo petto è così pesante che quasi mi toglie il respiro. «Lasciami andare.» urlo, ma lui non ne vuole sapere. Incomincia a baciarmi il collo e io mi divincolo più che posso, ma è tutto vano. È il doppio di me, non riuscirei ad abbatterlo nemmeno se mi iniettassi degli steroidi. 

Urlo un’altra volta mentre porta una mano sulla mia coscia, che schifo. Ho le lacrime agli occhi e vorrei solo andare via. 

Ma proprio mentre sto per urlare un’altra volta, succede qualcosa. Non riesco a vedere chi, ma il ragazzo si becca un pugno in faccia così forte, che stramazza al suolo. Mi accovaccio per terra coprendomi la testa con le braccia e scoppio a piangere. 

Solo quando sento una frase mi blocco.

«Non. La. Devi. Toccare. Mai. Più.» urla Jayden, e ad ogni parola che pronuncia, sferra un calcio al ragazzo che cerca di coprirsi la faccia con le braccia. Alzo lo sguardo e Jayden è fuori di se. 

Mi alzo di scatto e lo blocco.

«Basta!» urlo e lui si volta a guardarmi. Ha gli occhi rossi, e lo sguardo fa paura persino a me. 

Non mi dice niente, mi prende la mano e mi tira verso la fine del corridoio. Passo davanti ad alcuni che hanno visto la scena e mi guardano. 

Apre la porta di camera sua, mi fa entrare e se la richiude alle spalle.

«Kat… ti… ti ha fatto qualcosa?» balbetta, portandosi una mano sulla fronte. 

Scuoto la testa, non riesco nemmeno a parlare. La vista di Jayden che mi salva da quel viscido bastardo è ancora impressa nella mia mente.

«Giuro su Dio che se ti ha fatto qualcosa torno lì e lo ammazzo!» urla, ma io scuoto di nuovo la testa. «No…» la mia voce esce in un sussurro. Lui si avvicina a me, e mi abbraccia così forte da togliermi il respiro, ma sta volta mi piace… Perché non è un ragazzo qualunque a farlo, è Jayden. 

«Kat…» mi sussurra all’orecchio. «Mi dispiace così tanto…» farfuglia tenendomi ancora stretta. Non riesco a parlare, e lui indietreggia, facendomi sedere sul suo letto. Si siede accanto a me. 

«Sono sincero… mi sono comportato da schifo… È solo che…»

«Lascia stare Jayden, va bene così.» non ho voglia di starlo a sentire, di sentire che non gli piaccio e che quel bacio non ha significato nulla per lui. 

«Kat, fammi parlare…» interviene lui, ma mi alzo di scatto.

«Sai che c’è? No. Non mi va di sentire ciò che hai da dire, non mi va di sentire le tue scuse. Quello è che successo quella sera è da dimenticare. Ho sbagliato a baciarti e me ne sono pentita.» non è per niente vero, non me ne sono pentita, lo rifarei altre cento volte… ma so che per lui non è la stessa cosa. «Ora se non ti dispiace vorrei solo andarmene.» apro la porta e scappo letteralmente via, lo sento rincorrermi, chiamarmi, ma non ho voglia di sentirmi dire che sono una fantastica amica per lui quando io non riuscirei più a fingere con lui. 

Corro verso Beck e la prego di andare via. Lei non se lo fa ripetere due volte, lascia Ethan e mi prende per mano, e senza dare spiegazioni a nessuno, mi accompagna verso la macchina.

 

Passo tutta la notte a pensare a me e a Jayden, a cosa sarebbe potuto succedere se le cose fossero andate diversamente, ma come ho già detto, non possiamo cambiare il passato, possiamo solo decidere che piega prenderà il nostro futuro. Cerco di addormentarmi, ma nella mia testa c’è la consapevolezza che ora più che mai devo dimenticare Jayden ed andare avanti con la mia vita, e con il mio futuro in mano. Proprio mentre sto per chiudere gli occhi, il citofono squilla e rimbomba per tutta la casa. Mi alzo e rispondo. 

«Kat, scendi.» è la voce di Jayden, e mi tremano le mani. «Perché dovrei? Sono le tre di notte, Jay.» cerco di sembrare il più pacata possibile. 

«Sul serio Kat, ti prego, scendi.» la voce è cantilenante, e mi rendo conto che ha bevuto. 

Scendo velocemente e lo trovo seduto sul gradino, con la testa tra le mani.

«Jay… che ci fai qui?» 

«Kat… io… io dovevo parlarti.» balbetta, cercando di rialzarsi.

«Hai bevuto?» alzo gli occhi al cielo, e lui annuisce. «Un po’.» mente.

«Jayden…» incomincio, ma lui finalmente riesce a rialzarsi e mi si para davanti. «Ascoltami okay? Io… tu… Oh Dio perché è così difficile.» biascica dandosi uno schiaffo sulla fronte. «Dovresti tornare alla confraternita Jay.» 

«Non voglio tornare alla confraternita… io voglio stare qui con te.» si lamenta, come un bambino capriccioso. È tenero in questo momento, Jayden Parker che non riesce a parlare, e farfuglia davanti a me. «D’accordo, saliamo.» concludo.

Non sono pazza da legare, e so che ho promesso a me stessa di dimenticare Jayden, ma non posso lasciarlo ubriaco fradicio sul gradino del mio palazzo. Lo tiro e lo porto verso l’ascensore. Quando entriamo dentro casa lui si accascia sul divano e brontola. 

«Mi ascolti ora?» borbotta cercando di tenersi il più dritto possibile, e io mi siedo accanto a lui pazientemente. Annuisco e lui sembra essere più tranquillo.

«Mi dispiace Kat… Sul serio. Ho provato a fare finta di niente… A non pensare a te… Ma non ci riesco.» il mio cuore prende a battere più forte e mi stritolo le mani, cercando di tranquillizzarmi. Nella mia testa ripeto “Devi dimenticarlo.” come un mantra, ma non sembra funzionare. Mi prendo un momento per guardarlo meglio, e mi rendo conto che non c’è una parte che non mi piace di lui. 

I suoi capelli scompigliati e i suoi occhi così chiari che riuscirebbero a guardarmi dentro, le sue labbra carnose e leggermente screpolate, l’accenno di barba che lo rende più uomo… Dio quanto è bello. 

«Cosa stai dicendo Jayden?» farfuglio, e lui si volta a guardarmi, tenendo i suoi occhi dritti nei miei. 

«Sto dicendo che ora che sei nella mia vita… non voglio e non posso restarti lontano. So che sembro egoista… Ma…» si porta una mano tra i capelli, scompigliandoli ancora di più. 

«Ma?» 

«Ma ti voglio Kat.»

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