Lettere (non) d’amore

di Lawrence of DW
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera prima ***
Capitolo 2: *** Lettera seconda ***
Capitolo 3: *** Lettera terza ***
Capitolo 4: *** Lettera quarta ***



Capitolo 1
*** Lettera prima ***


1.
La verità è che non son capace,
avrei voluto scriverti qualche appassionata poesia d’amore, struggente da togliere il fiato.
La mia passione è però appassita, da tempo si è rattrappita come un fiore che, passato il gelo, giace scurito in un angolo del vaso.
Ho smesso di vivere in un mondo a colori nel tentativo di sfuggire dalle brutture del mio tempo. Non mi ero accorta che rinchiusa al sicuro nel mio castello avevo smesso di sentire il profumo dei fiori.
Ci volevano i tuoi capelli a ricordarmi com’è morbida, rossastra l’aria che entra in una sera di primavera; che le nuvole all’imbrunire sembrano viola pennellate distratte; che l’azzurro è il colore dell’infinito.
Ci volevano i tuoi occhi castani per farmi sentire di nuovo la dolcezza delle castagne, le tue labbra sensuali per ricordarmi quanta estate si nasconda in una pesca.
Sulle tue ciglia anche le lacrime sembrano rugiada, colpita dal sole brilla, come le stelle in quelle notti serene in cui passeggio, chiedendomi a cosa pensi, se mi pensi, quali costellazioni scrutino i tuoi occhi e quali sogni si celino nell’incavo del tuo collo.
Avrei voluto, come quella scimmia di uno ZOO[1], amarti con parole non d’amore di una passione leggera, leggiadra,
ma non son capace.
Così ti osservo. Distante spettatrice, dalle poltrone di un teatro, del volteggiare di un sogno.
 
[1] Mai letto Zoo o lettere non d’amore? (Viktor Šklovskij, Zoo o lettere non d’amore. Sellerio editore Palermo, 2002)

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Capitolo 2
*** Lettera seconda ***


2.
 
Oggi ho affrontato un campo di fiori. Le margherite sferzavano le mie caviglie mentre camminavo con gli occhi bassi, ipnotizzati dal dondolio dell’erba. Non ho sentito il canto della cicala, nella sua assenza mi è sovvenuto che non mi eri accanto.
Ho ascoltato un po’ di musica, ho aperto la finestra, goduto del calore del sole sulla mia pelle, del verde delle foglie nei miei occhi. Ti penso e rivedo le tue forme nelle curve sinuose dei rami, nel fogliame che si agita leggero, infastidito dal vento.
La finestra della mansarda di quel palazzo, davanti alla mia stanza, ricorda i tuoi occhiali. Forse sono solo io che ovvio alla tua mancanza disegnandoti nei miei pensieri.
Il sole di questa primavera atipica è splendido, fa il prezioso, non si mostra spesso e quando si palesa, lo fa con la dolcezza tipica di un abbraccio.
È come te; un sole che sa sempre cosa fare.
Non capita mai a sproposito.
Ho studiato un autore[1] che scrive d’amore dopo che gli è stato imposto il divieto d’usare parole d’amore. A me nessuno ha imposto un bel niente, eppure non posso dirti quanto ti amo.
Un bel problema.
La primavera odora di fiori freschi e natura; tutto è profumato.
Anche il cielo terso ha il suo aroma, così come le domeniche di sole e le mie giornate migliori.
Quelle odorano di te.
 
[1] Viktor Šklovskij, Zoo o lettere non d’amore. Sellerio editore Palermo, 2002

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Capitolo 3
*** Lettera terza ***


3.
Ogni volta che pronuncio il tuo nome, per ogni lettera è come se assaggiassi un cucchiaino di miele: castagno, millefiori, eucalipto, fiori d’arancio, acacia. Ogni lettera ha un sapore diverso, un aspetto di te che mi piaci e mi sfuggi tra le dita come il fumo delle sigarette che ami tanto fumare.
Ogni cucchiaino serve ad ovviare all’amaro che mi lasciano in bocca i tuoi commenti leggeri; crudeli. Mi torturi e non so nemmeno bene perché, forse hai capito che vivrei respirando i tuoi sospiri e te ne dispiaci. Non sono degna di amarti così disperatamente. Furiosamente.
Forse anche io ho perso il senno girovagando sulla luna, alla ricerca del tuo sorriso.
Mi ripeto spesso che mi basterebbe essere un coriandolo nella tua esistenza, ma la verità è che vorrei affondare nella tua vita, nella tua intimità, nei tuoi pensieri. Vorrei esser per te il porto sicuro in cui ormeggiare la gondola, tirare i remi in barca, riposare le tue stanche braccia. Ma non c’è posto per me nella tua nave.
L’arca è piena, i leocorni sono rimasti indietro.
Il caso, disgraziato, ha voluto che gli fosse affidato il tuo amore per me.

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Capitolo 4
*** Lettera quarta ***


4.
 
Mi hai detto: “Ti voglio bene, ma...”
In quella congiunzione c’erano tutti i “non ti amo” del mondo.
Ho teso l’orecchio, attendevo che quel coccio si infrangesse.
Pensavo sarei crollata, terremotata, come i muri della città.
Il colpo è stato sordo, ma la torre ha retto.
Tra la frustrazione, folle, si è fatta strada la paura. Ora che ogni speranza si è dissolta che ne sarà del profumo dei fiori?
Il mondo tornerà ad essere bianco e nero, ora che il mio sole si è spento?
Ma il glicine sotto casa, a dispetto di ogni previsione, è sopravvissuto al gelo; è carico di boccioli odorosi che frusciano al vento spandendo il loro odore. Il cielo è ancora azzurro, seppur tinto di nuvole lunghe come le lacrime portate via dalla bufera. I giorni continuano ad odorare di buono, di vivo, anche se non rispondono all’appello le mie giornate migliori.
Nonostante tutto si direbbe che questa passione, sbocciata sulla linea delle tue gote, sulle tue labbra colme d’affetto, mi abbia donato una primavera eterna.
E di questo te ne sarò per sempre grata.

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