Rain Time di Yoshiko (/viewuser.php?uid=1750)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 7: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 8: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 9: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 10: *** Nono capitolo ***
Capitolo 11: *** Decimo capitolo ***
Capitolo 12: *** Undicesimo capitolo ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo capitolo ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo capitolo ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo capitolo ***
Capitolo 16: *** Quindicesimo capitolo ***
Capitolo 17: *** Sedicesimo capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciassettesimo capitolo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
La pubblicazione di Rain
è stata possibile solo grazie al sostegno e
all’incoraggiamento di Kiki S autrice anche lei su EFP, di
cui ormai non posso più fare a meno. Senza la sua preziosa
amicizia, la sua immensa pazienza, l’aiuto per la correzione
dei testi ma soprattutto le idee e i ragionamenti, i consigli e le
riflessioni portate avanti in centinaia di email, non sarei mai
riuscita ad arrivare, dopo tanti anni, al capitolo finale della terza
parte della serie di Time.
Prologo
Ogni volta che partiva per l’Italia era la stessa solfa e
Mark era davvero stufo di tutte le sue fan. Lui non era Ross, non aveva
la pazienza di sopportarle. Le loro attenzioni non lo lusingavano.
Piuttosto i loro starnazzi lo urtavano, gli ferivano le orecchie e gli
arrivavano dritti al cervello. Fitte dolorose si propagavano da
lì verso la nuca e lungo la schiena, peggiorando il mal di
testa che lo assillava dalla mattina. Si affrettò verso
l’entrata dei gate scortato dagli addetti alla sicurezza
dell’aeroporto Internazionale di Narita. Una volta
attraversate le porte a vetri sarebbe stato al sicuro… e al
silenzio. Lanciò un’occhiata ai due uomini che lo
accompagnavano. Li odiava, li detestava. Non sopportava il semplice
fatto di avere bisogno di quei tizi per raggiungere il proprio volo.
Lui non era una femminuccia debole e indifesa, Dio quanto non tollerava
tutto ciò! Le sue fan gli toglievano il piacere di tornare
in Giappone. Per non parlare poi dei giornalisti appostati
lì sul marciapiede, pronti ad assalirlo non appena era sceso
dal taxi. Detestava le loro stupide domande, la loro
curiosità. “Come si sente a partire di nuovo per
l’Italia?” bene, si sentiva, se non fosse stato
costretto a subire il loro assillo ogni volta. “Pensa che
anche quest’anno la Juventus vincerà il campionato
di Serie A?” “Secondo lei quale sarà
l’incontro più impegnativo?”
“E la squadra più forte?” neanche avesse
la palla di vetro. “Crede che scenderà in campo ad
ogni incontro?” sì, lo pensava. Altrimenti che
andava a fare dall'altra parte del mondo? “È in
buoni rapporti con i suoi compagni di squadra?” “E
con il capitano?” pessimi. “Salvatore Gentile le ha
perdonato il pugno?” erano forse affari loro? “Sua
madre deve essere orgogliosa di lei…” quando poi
mettevano in mezzo la sua famiglia andava fuori di testa, raggiungendo
in un attimo il limite della sopportazione. A quel punto si doveva
censurare.
-Mark!-
Una voce si alzò sopra le altre, una voce che gli
sembrò di riconoscere e che lo fece trasalire. Si volse
verso le ragazze che continuavano a starnazzare come oche ma non
riuscì a capire da dove provenisse quel grido. Si
avvicinò alle transenne e si sporse nella calca. Era una
voce che gli era fin troppo nota. Quasi familiare. Tese le orecchie tra
tanta confusione, chiedendosi come avesse fatto a notarla. O forse se
l’era semplicemente sognata. Non la udiva più. Non
scorse nessun volto conosciuto e mancò pochissimo che una
giovane fan riuscisse ad afferrargli la maglia. Si tirò
indietro con un balzo e si volse per proseguire.
-Mark!-
Si bloccò di nuovo, a chiedersi incredulo se quel grido
fosse frutto della sua immaginazione o addirittura non fosse un effetto
collaterale del mal di testa. Riprese a guardarsi intorno, a
scandagliare le facce che lo circondavano. D’un tratto alla
sua sinistra, dietro un gruppo di giovani, riuscì a scorgere
una testa che svettava di parecchio sopra le sue fan urlanti. Era Ed
Warner. Che accidenti ci faceva lì? Si erano già
salutati il giorno prima. Si rivolse alla scorta.
-Quello laggiù è un mio amico.-
Uno degli uomini annuì, scavalcò la balaustra e
raggiunse l’ex portiere della Toho, attualmente nel
Nagoya Grampus, una squadra della J-League. Le oche si fecero indietro
tra starnazzi di protesta, soprattutto quelle che, lì ormai
da ore, erano riuscite ad accaparrarsi i posti migliori addosso alle
transenne. Ed riuscì ad avvicinarsi. Stringeva in una mano
una valigia di un tenue color lilla e trascinava con sé
qualcuno che cercava di nascondersi dietro la sua schiena per sfuggire
all’interesse di tutta quella gente riunita lì.
-Parti anche tu, Ed?- domandò Mark quando il portiere gli
porse la valigia. Lui la prese e la depositò ai propri
piedi.
Warner si lasciò sfuggire un sorrisetto e spinse davanti a
sé chi lo seguiva. La ragazza si sbilanciò contro
le transenne, urtando il torace di Mark con la visiera di un cappellino
ben calcato sul capo a nasconderle il volto. Lui scattò
indietro sorpreso e chinò la testa per capire chi avesse
davanti. Quando la riconobbe, la fissò incredulo.
-Jenny? Che accidenti ci fai qui?-
-Parto.-
-Davvero? E dove vai?-
-Possiamo parlarne dopo?- si guardò intorno intimorita, fin
troppo consapevole che quello non era né il momento delle
domande, né quello delle spiegazioni. Si era avvicinata a
Mark sotto gli occhi delle ragazze accalcate lì per lui e i
loro sguardi le trapassavano la schiena, trasmettendole una sensazione
per niente piacevole. Poi le udì.
-Chi è quella? La conosci?-
-Mai vista! Ma se vuoi il mio parere, la trovo piuttosto ordinaria.-
-Come osa stare così vicino a Mark?-
-Non sarà la sua fidanzata!-
-Scherzi? Se avesse la fidanzata lo sapremmo!-
-Se non si allontana da lui l’ammazzo!-
-Ti do volentieri una mano!-
Poco lontano si sparlava di Jenny. Si sentivano le frasi, i mormorii
arrivavano fino a loro. Chi era per accaparrarsi Mark? Come osava
imporre accanto a lui la sua presenza? L’uomo della sicurezza
si accostò.
-Non è il caso di indugiare ancora.-
Landers si riscosse e annuì. Aiutò Jenny a
scavalcare le transenne e la spinse davanti a sé per cercare
di proteggerla dagli sguardi malevoli puntati su di lei. Le ragazze non
apprezzarono la sua preoccupazione e un mormorio contrariato si
levò dalla folla. Jenny lo udì chiaramente e si
accostò di più a Mark, aumentandone suo malgrado
l’intensità. Chinò il viso a terra, si
strinse addosso la borsa che portava a tracolla e procedette svelta.
Non si era mai trovata in una situazione simile e non le piaceva.
Compatì con tutta se stessa Amy, che momenti simili era
costretta ad affrontarli in continuazione. Lanciò
un’occhiata rapida da sotto la visiera del cappellino,
più di tutto temeva gli obiettivi dei giornalisti. Ne aveva
visti così tanti, fuori, e nessuno doveva sapere che era
lì. Assolutamente nessuno.
Ed le si affiancò dall’altra parte, trascinandosi
dietro il trolley lilla che aveva ripreso in mano.
-Riuscire a raggiungerti è stata un’impresa,
Mark.-
-Per salutarmi?-
Il portiere rise di cuore.
-Anche.-
Landers abbassò sull’amica uno sguardo curioso.
Non la vedeva da più di un anno. L’aveva sentita
sporadicamente al telefono, ma dopo quella volta a Furano, non si erano
più incontrati. Il cappellino le nascondeva gran parte del
viso ma gli era bastato lanciarle un’occhiata veloce per
accorgersi che Jenny era cambiata. Era dimagrita molto, anche troppo.
Così tanto che sotto la mano che le teneva sulla spalla,
sotto strati di vestiti e sotto il giacchetto, sentiva
l’omero sporgere appuntito. Era diventata sottile come
un’alice, talmente sottile che un colpo di vento se la
sarebbe portata via in un attimo. Non si era truccata, o almeno non
molto, e la sua pelle risaltava pallida contro i capelli scuri che le
incorniciavano il viso, sotto la visiera. Ciocche scomposte e
disordinate spuntavano qua e là dal cappello che doveva
essersi infilata in fretta e furia per proteggersi
dall’interesse della gente. Si fermarono al sicuro dietro le
porte a vetri dell’accoglienza della Business Class, dove
né giornalisti né fan potevano più
raggiungerli. Tirando un sospiro di sollievo per averla scampata, Mark
diede voce alla sua curiosità.
-Dov’è che stai andando? Dai tuoi?-
Lei si tolse il cappellino e una cascata di capelli scuri cadde
giù fino a metà schiena. Erano lunghi, molto
più lunghi di come li portava di solito. Lisci e profumati.
Quando li liberò, una piacevole fragranza di shampoo ai
fiori gli arrivò alle narici. Gli venne voglia di toccarli,
di scostarglieli dal viso prima che lo facesse lei. Si trattenne per
pochissimo.
Jenny tolse di mezzo il cappellino ficcandolo nella borsa e
legò rapida i capelli in una coda. Poi lo fissò
dritto negli occhi.
-Vengo con te, Mark.-
-Con me dove?-
-In Italia, a Torino.- sostenne il suo sguardo sgomento senza fare una
piega. Frugò nella borsa e ne tirò fuori il
biglietto dell’aereo. Glielo sbandierò sotto gli
occhi -Vedi? Sono sul tuo stesso volo… Anche se tu sei in
prima classe e io in seconda.-
-Stai scherzando?-
-Per niente. Non avevo abbastanza soldi per la prima classe. A me il
viaggio non lo paga la Juventus.- si accorse che Ed sorrideva, allora
fissò Mark e le sembrò che fosse esageratamente
sconvolto -Se vuoi posso far finta di non conoscerti.- e
lanciò un’occhiata vaga in direzione delle porte a
vetri oltre le quali le fan stavano cominciando a disperdersi.
-Non è per loro, non è per la seconda
classe…- il giovane si guardò intorno -Che fine
ha fatto Philip?-
Jenny sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata ed era
pronta ad affrontarla. Nonostante ciò i suoi occhi si
schiusero di fastidio.
-Non c’è. Cosa c’entra?-
-C’entra Jenny, c’entra moltissimo. Sono sicuro al
cento per cento che non vuole che vieni in Italia. Con me poi.
Figuriamoci.- lanciò un’occhiata a Ed che si
limitò ad alzare le spalle -Cos’è?
Avete litigato?-
-Ci siamo lasciati.- lo disse tenendo il volto abbassato, non ebbe il
coraggio neppure di guardarlo.
Lui la fissò incredulo.
-Impossibile.- aspettò invano quasi un minuto che si
smentisse. E invece lei non fece una piega, non gli disse che era uno
scherzo, neppure tirò su gli occhi -Quando? Non ne sapevo
niente.- continuò ad osservarla scettico -Ho capito.
È uno dei vostri soliti litigi. Discutete sempre, non fate
altro.-
Jenny tirò su il viso di scatto, gli occhi brillarono di
amarezza.
-Non abbiamo litigato, ci siamo lasciati. Non stiamo più
insieme.-
Mark diede un’occhiata a Ed che continuava ad assistere al
loro dialogo in silenzio.
-Fatico a crederlo.-
-Non crederci, per me fa lo stesso. Ora andiamo?-
Landers annuì.
-Io vado, tu rimani. Anzi, torni a Furano a far pace col tuo ragazzo.-
Jenny lo fissò seria. Era già abbastanza doloroso
così, senza che Mark facesse tutte quelle storie.
-Smettila per favore, non ho voglia di scherzare.-
-Sto parlando sul serio.-
-Anch’io.- la giovane gli sbandierò di nuovo il
biglietto sotto gli occhi -Vengo con te. Oltretutto l’ho
pagato una fortuna.-
Mark respirò un paio di volte, totalmente incapace di
gestire la situazione. Non poteva impedire in nessun modo che Jenny
salisse sul suo stesso aereo. Solo Philip poteva farlo e, sfortuna
delle sfortune, in quel momento non era lì.
Chissà che fine aveva fatto quel cretino! Che si fossero
lasciati davvero? Maledetto bastardo e maledetta testarda.
Incrociò lo sguardo di Ed e all’improvviso si
chiese cosa ci facesse anche lui lì. Ed e Jenny si erano
incontrati per caso oppure il portiere era suo complice? Gli
rifilò uno sguardo seccato, poi si rese conto che non poteva
perdere l’aereo per le paturnie di quei due.
Sospirò rassegnato. Avrebbe avuto tutto il tempo di pensare,
una volta in Italia, a cosa dire a Callaghan se e quando si fossero
sentiti, se e quando l’amico avesse scoperto
dov’era finita la sua ragazza. E poi magari, dopo un paio di
settimane, con un po’ di buona volontà da parte di
lei, sarebbe riuscito a rispedirla a casa. Si volse a guardare Ed, fece
per dirgli qualcosa ma lui lo prevenne.
-Buon viaggio.- indietreggiò di un passo -E fatti sentire
ogni tanto.- “in bocca al lupo”, avrebbe voluto
aggiungere, ma poi pensò fosse meglio non infierire.
Salutò anche Jenny e se ne tornò a casa.
L’aereo decollò, il segnale luminoso che obbligava
a tenere le cinture allacciate si spense e Mark se ne
liberò. Un secondo dopo una hostess molto giovane e graziosa
si avvicinò per chiedergli se voleva bere qualcosa.
-Una coca-cola.- rispose distratto, poi la richiamò -Questo
posto è libero?- le indicò la comoda poltrona
extra confortevole accanto alla sua, dalla parte del finestrino.
-Sì.-
Mark respirò rapido un paio di volte, fissandola negli occhi
così profondamente da immobilizzarla dov’era. Non
si rese neppure conto dell’imbarazzo della donna, non
capì che non era la sua occhiata burbera ma il suo fascino
ombroso ad impietrirla in mezzo al corridoio. Mark stava riflettendo,
stava cercando una soluzione ad un problema che lo assillava e che
voleva risolvere all’istante. Pensando bene alle conseguenze
di ciò che avrebbe detto, si buttò a capofitto in
una delle più grandi balle che la sua mente avesse mai
partorito.
-Mentre salivo sull’aereo ho visto un’amica in
seconda classe. È possibile farla sedere qui?- fece una
pausa e tirò un altro respiro prima di continuare
-È incinta e vorrei che facesse il viaggio in Business.-
-Attenda un secondo, vado a chiedere.-
Mark la inchiodò dov’era con un’occhiata.
-L’ultima volta che ha viaggiato in quelle condizioni, la mia
amica ha vomitato sui pantaloni del vicino… che gli era
troppo vicino. Qui invece c’è spazio, non
soffrirà di claustrofobia come le succede di solito.-
sperò che fosse un incentivo sufficiente a convincere
l’equipaggio dell’aereo a mettergliela accanto
-È nel posto 24D. Sono pronto a pagare la differenza, se
necessario.- fece il gesto di sfilarsi il portafoglio dalla tasca
posteriore dei pantaloni.
La donna annuì seria e raggiunse le tendine tirate, dove i
suoi colleghi si affaccendavano pronti a servire bevande e snack.
Mark abbassò gli occhi sul portafoglio che aveva finito per
prendere in mano. Lo fissò incredulo. La frottola era stata
geniale, credibile, perfetta, ma come cazzo gli era venuto in mente di
aggiungere che era disposto a pagare la differenza? Se davvero a fine
viaggio gli avessero portato il conto, avrebbe dovuto pagare sul serio.
Accidenti a Jenny! La sua testardaggine gli sarebbe costata quanto un
mese di stipendio di sua madre! Si affrettò a rinfilarsi il
portafoglio in tasca e a farlo sparire.
Lanciò un’occhiata nervosa agli altri passeggeri,
sperando che nessuno avesse udito le sue parole. Se non
c’erano testimoni, all’arrivo in Italia avrebbe
potuto ritrattare. La Business Class era pressoché deserta.
Un uomo, due posti avanti a lui, già dormiva spaparanzato
sul sedile reclinato. Altri due ospiti sulla sinistra erano
così presi a smanettare lo schermo touchscreen incassato
davanti a loro, da non fare caso a lui. Sicuramente nessun altro aveva
sentito. Si volse a fissare l’oblò e
posò gli occhi su terra e oceano inframmezzati da filamenti
nubiformi. Il sole era già basso. Lo avrebbero inseguito
verso occidente arrivando in Italia poco prima del tramonto.
Jenny arrivò pochi minuti dopo dietro la hostess, stringendo
tra le mani un bicchiere d’acqua, la borsa e una rivista.
Aveva l’espressione confusa e si guardava intorno. Quando lo
individuò, lo fissò interrogativamente.
-Che succede?-
-Succede che viaggi qui con me. Lì dietro non ti ci lascio,
da sola.- replicò brusco mentre lei spalancava gli occhi
sgomenta.
La hostess posò il cuscino e la coperta della giovane sulla
poltrona accanto a Mark.
-Si accomodi.-
Jenny non si mosse, la guardava impietrita. La donna le sorrise, poi si
allontanò per tornare al proprio lavoro. Allora
assalì Mark restando in piedi, senza fare un passo verso
quel lussuoso posto.
-Sei impazzito? Non ho i soldi per pagarlo!-
-Non lo paghi tu.-
Jenny cambiò colore.
-Paga la Juventus?-
-No, pago io.-
-Non voglio!-
-Allora faremo metà per uno.- la liquidò con un
gesto brusco della mano. Era già stufo di lei e di tutte le
sue storie -Adesso siediti, sei d’intralcio.-
Continuando a stringere al petto il proprio bagaglio, Jenny vide la
hostess tornare spingendo il carrello delle bevande. Si
scostò per farla passare e si lasciò cadere sul
sedile, sconvolta.
-Non ci posso credere…-
-Neanch’io posso credere che tu sia su questo aereo.
è totalmente assurdo!- Mark le lanciò
un’occhiata di fuoco -E ora che siamo partiti, puoi anche
vuotare il sacco!-
Lei finse di non capire e perse tempo a sistemarsi intorno le proprie
cose.
-Che sacco?-
-Cos’è successo con Callaghan? Perché
avete litigato?-
-Non è successo nulla, è finita e basta.- gli
lanciò un’occhiata e capì che lui
continuava a non crederle.
-E da quando?-
-Parecchio.-
La hostess tornò verso di loro.
-Desidera qualcosa da bere?-
Jenny scosse la testa. Il trasferimento dalla seconda alla prima
classe, la preoccupazione di quanto le sarebbe costato quel posto, il
comportamento assurdo di Mark e il pensiero di Philip le avevano chiuso
lo stomaco. Non aveva voglia di niente.
-Se ha bisogno di qualcosa siamo a disposizione.- insistette la donna
solerte.
La giovane annuì con condiscendenza, sperando che si
togliesse di torno alla svelta. Voleva dire a Mark che non aveva
bisogno della business, né di tutte quelle attenzioni. Ma
quando furono di nuovo soli, lui l’anticipò.
-Circa un mese fa ho parlato con Philip al telefono e non mi ha detto
niente. Gli ho persino chiesto di salutarti…- ricordava
perfettamente la telefonata. La ricordava soprattutto perché
l’amico gli era sembrato non freddo ma glaciale. Certo non
avrebbe mai pensato che lui e Jenny si fossero lasciati. Gli aveva
persino chiesto quando si sarebbero sposati. Ora che ci pensava, Philip
aveva sviato la domanda così abilmente che Mark si era
dimenticato di insistere. Tornò a guardare l’amica
-Dove pensa che stai andando? Dai tuoi?-
-Non pensa nulla, Mark. Non ci sentiamo più.-
La fissò dubbioso, immaginando la faccia di Philip nel
momento esatto in cui sarebbe venuto a sapere della fuga della
fidanzata in Italia. Era certo che l’amico non
l’avrebbe perdonato tanto facilmente di averla portata con
sé. Non poté fare a meno di sorridere, poi si
volse di nuovo verso Jenny che lo fissava stizzita.
-Cosa c’è di divertente?-
Lui fece spallucce.
-Sarà pur vero che vi siete lasciati, ma scommetto quello
che ti pare che quando Callaghan verrà a sapere dove sei e
con chi, s’incazzerà da matti.-
Jenny scosse la testa. Mark continuava a confondere la loro separazione
con un semplice litigio. Fece per farglielo presente ma lui la
precedette ancora una volta. Aveva troppe cose da chiederle.
-Come sei riuscita a prenotare il mio stesso volo?-
-Ho chiamato Ed e mi sono fatta dare giorno e orario di partenza.-
-Dove hai trovato il numero di telefono di Ed?-
Jenny distolse gli occhi.
-Me lo ha dato lui al ryokan. Ricordi? Avevo chiesto il numero a tutti.-
Mark annuì, ricordava perfettamente che lo aveva fatto per
poter rintracciare Philip in ogni momento durante i ritiri della
nazionale.
-E perché accidenti avresti deciso di venire proprio in
Italia?-
I suoi occhi si colmarono di amarezza.
-Perché non so dove altro andare.-
Mark ammutolì, il dolore di Jenny trasudò dalle
sue parole anche se lei cercò di sorridere per nascondere
l’angoscia che aveva dentro.
-Dai tuoi nonni?-
Lei scosse la testa, mentre un’altra staffilata di sofferenza
le trapassava il petto.
-Il ryokan è di David… Non riesco a
starci…- mormorò con un filo di voce.
Mark la guardò mentre il dolore dell’amica
diveniva quasi palpabile. Si affrettò a continuare, per non
lasciare che quel maledetto nome seguitasse ad aleggiare tra loro.
-Non hai pensato ad andare in America dai tuoi?-
-Preferisco te all’assillo dei miei genitori.-
riuscì a dare un timbro più sicuro alla sua voce
tremante, quasi sorrise -Dovresti esserne contento.-
-E dove pensi di stare?-
-Magari a casa tua?- tentò speranzosa -Ovviamente solo
finché non riesco a trovare una sistemazione migliore.- se
Mark avesse rifiutato di ospitarla sarebbe stata la fine. Non aveva
abbastanza soldi per vivere per giorni in un hotel.
Lui si aspettava che lo avrebbe detto, ma scosse lo stesso la testa,
sconcertato e infastidito.
-Ti sei organizzata bene, a quanto pare. E senza neppure avvertirmi.-
-Se te lo avessi detto ti saresti rifiutato.- lo guardò e
poiché la sua espressione non le piacque, cercò
di sdrammatizzare -Hai paura che rovini la tua reputazione di single?-
-Ho paura che quando verrà a saperlo il tuo
ragazzo…- cominciò a dire e si corresse vedendola
aggrottare la fronte -Il tuo ex ragazzo… mi
ucciderà.-
Jenny sbuffò seccata. Come poteva fargli entrare nella zucca
che si erano lasciati? Perché continuava a non crederle? Poi
ripensò a tutte quelle fan che erano andate a salutarlo
all’aeroporto. Forse altrettante lo aspettavano in Italia. Le
venne un dubbio e fu presa dal panico. Impallidì e si tese,
terrorizzata.
-Mark, hai la ragazza a Torino? Sto venendo a disturbarti?-
Lui sorrise dei suoi timori e le fece cenno di no. Non aveva la ragazza
in Italia e Jenny non sarebbe mai stata un disturbo. Una preoccupazione
in più sì, ma un disturbo assolutamente no.
-Meno male.- la morsa allo stomaco si allentò e lei
tirò un sospiro di sollievo.
-Meno male un corno! Dove lo trovo il tempo per starti dietro?-
-Non mi serve una balia! Ho bisogno soltanto che mi ospiti per qualche
giorno… nient’altro! Non avevo neppure bisogno che
mi facessi venire qui.- indicò la Business Class
con un gesto della mano.
-Te l’ho già detto. Là dietro in mezzo
a tutta quella gente non ti ci lascio!-
-Cosa pensi che possa succedermi? Siamo su un aereo!- un brivido le
corse su per la schiena. Mark aveva intenzione di starle
così addosso anche in Italia?
Lui non le rispose e restò a guardarla pensieroso. Nella sua
casa di Torino c’era un viavai continuo. I compagni della
Juventus si presentavano spesso da lui senza neppure avvisare,
organizzando tornei di playstation che andavano avanti anche tutta la
notte, fino alla mattina. Dal Giappone riportava sempre le ultime
novità e loro aspettavano frementi il suo ritorno. Era stato
un buon metodo, quello dei videogiochi, per farsi amici i compagni di
squadra, immancabilmente diffidenti nei confronti di ogni nuovo
arrivato. La playstation lo aveva salvato, o meglio lo aveva aiutato a
integrarsi in modo rapido e indolore. E ora, la prima cosa da fare una
volta a Torino, sarebbe stata allontanare proprio quegli amici da casa
sua.
Jenny si volse e i loro occhi s’incrociarono. Lei
percepì preoccupazione nel suo sguardo e l’ansia
l’assalì.
-Mi ospiterai?- gli chiese ancora, quasi supplichevole.
-Solo finché non troveremo una sistemazione migliore.-
Jenny gli sorrise così sollevata e così
riconoscente che Mark ebbe una stretta al cuore, tornando
immancabilmente a chiedersi che accidenti fosse successo tra lei e
Philip. Possibile che si fossero davvero lasciati? Più lo
pensava e meno riusciva a crederci. Quei due erano nati per stare
insieme, come poteva essere finito tutto da un giorno
all’altro? E la cosa che lo sconcertava di più era
che la notizia non gli era arrivata. Possibile che nessuno lo sapesse?
Neppure Bruce, nemmeno Evelyn? La guardò sospirando piano.
Se Jenny non aveva intenzione di parlarne, congetturare su di loro non
lo avrebbe portato a niente e non avrebbe certo risolto il problema
della sua presenza lì. Visto che ormai era
sull’aereo insieme a lui, avrebbe fatto bene a rassegnarsi in
fretta. Smise di pensare a ciò che lo aspettava una volta a
Torino, il viaggio era troppo lungo per cominciare già ad
angustiarsi. Si chinò a frugare nello zaino che teneva tra i
piedi e ne tirò fuori un paio di riviste acquistate
all’aeroporto.
Quando cominciò a sfogliarle, Jenny gli lanciò
un’occhiata distratta, poi si volse verso il finestrino e
rimase a guardare il cielo azzurro e le nuvole che si accalcavano sotto
l’aereo, ammucchiate una sull’altra come tanti
cumuli di ovatta. Sembravano così morbide che veniva voglia
di toccarle. Per l’ennesima volta si chiese se non avesse
preso la decisione sbagliata. Aveva fatto bene ad andarsene? A lasciare
Furano, la casa, gli amici? Non aveva avvertito Grace, neanche Patty o
Amy. Non l’aveva detto neppure ai suoi genitori, a cui
pensava di telefonare dall’Italia. Del resto aveva esitato
fino all’ultimo, fino alla mattina in cui si era svegliata
piangendo nella sua camera del ryokan dei nonni, un dolore sordo nel
petto, il cuore che batteva all’impazzata. Aveva sognato in
un’unica notte la violenza di David e l’ultima
discussione con Philip nei corridoi dello stadio di Sapporo, le parole
precise che si erano rivolti, il suo sguardo di fuoco, la sua
espressione adirata. Aveva rivissuto di nuovo la scena, quasi al
rallentatore, e finalmente, quella mattina, aveva preso atto di essere
rimasta sola. Aprendo gli occhi su quell’incubo, aveva
realizzato che Philip l’aveva davvero lasciata.
E allora, disperata, aveva mollato anche i nonni. Se n’era
andata persino da loro, perché mettere piede nella cucina
dove lei e Philip avevano fatto spensieratamente colazione decine di
volte, la faceva star male. Osservare l’ala moderna del ryokan, la grande
vetrata che dava sul giardino e tutte le costose modifiche fatte dai
McFay le toglieva il respiro. Non era riuscita a trovare in nessun
luogo, in Giappone, un conforto al suo cuore spezzato. Prima di
Shintoku aveva provato a raggiungere i suoi a New York, ma era stata
incauta. Un giorno sua madre l’aveva pescata a piangere e
lei, ingenua, le aveva confidato che con Philip si erano lasciati. La
mamma ne era stata addolorata, ma suo padre non aveva trovato niente di
meglio da fare che cercarle un marito. Una mossa che lei non aveva
capito subito. Era successo durante l’ennesima e noiosissima
cena con gli amici dei suoi, quando un avvocato trentenne le si era
avvicinato e le aveva fatto delle avance fin troppo esplicite. Era
già la terza volta che succedeva in due settimane, e lei
aveva intuito di colpo quali fossero i progetti di suo padre. Il giorno
dopo aveva discusso furiosamente con lui mentre sua madre restava da
una parte, in silenzio, a guardarli spaventata, incapace di intervenire
in difesa della figlia. Aveva resistito da loro ancora un mese, poi
aveva fatto le valigie ed era tornata in Giappone per rifugiarsi dai
nonni. A Shintoku non aveva retto più di quindici giorni e
aveva scelto l’unica alternativa che le era venuta in mente.
Seguire Mark in Italia. Lì sarebbe stata tranquilla
perché era sicura che dopo quel terzo grado
sull’aereo, lui si sarebbe stancato di fare domande. In
fondo, come le aveva chiaramente detto a Shintoku un paio di anni
prima, non gliene fregava niente né di Philip né
dei loro litigi.
Si volse di scatto quando lo sentì soffocare un insulto. Si
volse, incrociò il suo sguardo sgomento e lo vide chiudere
di colpo il giornale. Si sporse verso di lui.
-Cos’hai?-
Mark strinse la rivista tra le dita poi la infilò svelto
sotto le altre, ammucchiate sul tavolinetto aperto. Le
lanciò un’occhiata inquieta. Lei non
capì il motivo di quel bizzarro comportamento e
continuò a fissarlo. Il giovane accennò un
sorrisetto tirato, che gli incurvò solo un angolo della
bocca. Prese un’altra rivista e si agitò a disagio
sul sedile, cercando una posizione comoda.
La curiosità si scatenò bruciante. Jenny si
sporse nel corridoio, allungò una mano e cercò di
afferrare la rivista che Mark aveva così bruscamente
accantonato. Lui scattò in avanti e posò con
violenza il palmo della mano sui giornali, impedendole di prenderla.
-Cosa c’è?-
Il ragazzo afferrò tutto il mucchio e lo tirò
indietro.
-Niente.-
-Mark, fai vedere…-
Landers strinse le riviste tra le dita e la fissò negli
occhi, sgomento. Era vero, accidenti! Quei due si erano lasciati sul
serio!
-Fa’ vedere, Mark!- era sicura che si trattasse di qualcosa
che la riguardava e ciò le fece paura. Cosa poteva esserci
di tanto terribile su quel giornale, se l’amico le impediva
di metterci sopra gli occhi? Quando lui scosse la testa, Jenny si
alzò e si piazzò al centro del corridoio.
-Non essere assurdo! A costo di farmi mandare dalla nonna una copia di
ogni rivista che hai acquistato, vedrò quello che mi stai
nascondendo!-
Mark la fissò a bocca aperta. Non poteva assolutamente
permettere che Jenny mettesse gli occhi su ciò che aveva
visto lui. Forse c’era un errore, magari aveva guardato male.
Del resto, non appena aveva posato lo sguardo sulla foto e gli era
sfuggito l’insulto, aveva richiuso la pagina
all’istante. Forse non si trattava di Callaghan…
Continuò a fissarla negli occhi. Se lui c’era
rimasto di merda, come avrebbe reagito Jenny? Magari bene, visto che
ormai doveva essersi abituata all’idea di essere tornata
single, dopo tanti anni… Merda, stentava ancora a crederci!
Abbassò lo sguardo sulle sue mani tese verso di lui.
L’anello di Philip era sparito. Le dita di Jenny erano
sottili, scosse da un leggero tremito, e così pallide che le
vene azzurrine risaltavano in trasparenza.
Capitolò, tanto non poteva fare altro. Le porse in silenzio
il giornale. Non c’era bisogno che la nonna le mandasse un
bel niente. Dovevano restare su quell’aereo ancora dieci ore,
non avrebbe potuto tenerglielo nascosto per tutto il viaggio. Appena si
fosse addormentato, o fosse andato in bagno, Jenny avrebbe frugato
nello zaino e avrebbe sfogliato ogni pagina fino a trovare
ciò che cercava.
Lei strinse convulsamente la rivista spiegazzando la copertina.
Tornò al suo posto e la sfogliò rapidamente,
voltata verso l’oblò. Non aveva idea di
ciò che avrebbe trovato e preferì dargli le
spalle. Fece bene. La foto che Mark avrebbe voluto tenerle nascosta le
scatenò dentro un dolore incontenibile. Philip era stato
fotografato a baciare una ragazza. Li osservò, tutti e due,
mentre una sofferenza immensa le trafiggeva il cuore. Fu un dolore
quasi fisico, deglutì a vuoto e lottò per
ricacciare indietro le lacrime finché il groppo che le era
salito in gola si sciolse. Riuscì a rimandare
l’aria nei polmoni, mentre la foto le si stampava a fuoco
nella testa. Si volse verso Mark, il suo volto era una maschera
impassibile mentre gli restituiva la rivista.
-La riconosci?- lui scosse la testa e lei proseguì -Era
negli studi televisivi di Kyoto. È Julie Pilar, la modella
in costume.- su quelle ultime parole la sua voce si incrinò
e non poté farci niente. Ingoiò l’aria
e riuscì a continuare.
Landers si sporse nel corridoio e le tolse il giornale dalle mani, gli
occhi sgomenti sulla foto. Jenny aveva ragione, era proprio lei.
Sollevò di nuovo lo sguardo verso l’amica, mentre
l’ira contro Callaghan gli scoppiava dentro. Avrebbe
dirottato l’aereo per poter tornare in Giappone e prenderlo a
pugni. Come aveva potuto farlo? Dopo tutti quegli anni, dopo tutto
quello che avevano condiviso e sofferto insieme, come aveva potuto
lasciarla? E per chi?
-Mi dispiace.- riuscì a dirle soltanto.
Lei scosse la testa, mentre le lacrime le riempivano gli occhi. Si
volse verso il finestrino, verso il cielo, e cercò di non
pensare a niente. Non voleva pensare a niente. Si passò una
mano sugli occhi e li premette per frenare le lacrime. Che senso aveva
adesso piangere? Per cosa poi? Lei e Philip si erano lasciati mesi
prima, era normale che lui frequentasse un’altra ragazza. O
pensava forse che sarebbe rimasto fedele al suo ricordo? Quale ricordo?
Quello dei loro ultimi litigi? Delle incomprensioni, dei silenzi, delle
cose non dette che avevano allargato il baratro scavato da David? I
sentimenti che provavano l’uno per l’altra erano
sprofondati nella sfiducia e nell’incomprensione, in un
altalenante alternarsi di confusione e sofferenza, fino
all’ultimo giorno in cui si erano rivolti la parola. Jenny si
passò una mano sul viso mentre le lacrime le salivano di
nuovo agli occhi. Le scacciò con uno sforzo e
tornò a fissare fuori dal vetro. Il cielo si stava tingendo
d’arancio e quello spettacolo di nubi dai profili dorati
sarebbe stato bellissimo se non fosse stato offuscato da tanta
sofferenza.
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Capitolo 2 *** Primo capitolo ***
Primo capitolo
Philip
camminava pensieroso accanto a Julie Pilar lungo il viale principale
di Sapporo. Quando indossava i tacchi, la ragazza era alta quasi
quanto lui. Teneva i capelli legati in una coda che le ricadeva su
una spalla e aveva sul volto un’espressione soddisfatta.
Sembrava
davvero assai felice, ma con quella felicità Philip non
aveva nulla
a che fare. La sua gioia era legata al contratto appena firmato con
uno studio televisivo che le aveva assegnato la parte di protagonista
in una serie tv. Non vedeva l’ora di aprire il copione che
teneva
in borsa e cominciare a studiarne le battute. Recitare, essere al
centro degli obiettivi delle telecamere e delle macchinette
fotografiche era ciò che amava di più al mondo e
finalmente, dopo
tanti sacrifici, era riuscita a ottenere un ruolo importante. Sarebbe
stato un ottimo punto di partenza per arrivare sul grande schermo.
Fino a Hollywood, perché no?
-Andiamo
a festeggiare?-
Philip
annuì, cercando di ignorare le prime fitte di un mal di
testa che
stava per scoppiare. Lei sorrise raggiante e quando lui non
ricambiò,
Julie si chiese, e non era la prima volta, perché fosse
sempre così
serio, perché non si godesse la vita. Erano giovani,
accidenti!
Giovani, famosi e anche ben pagati! Potevano permettersi qualsiasi
cosa, togliersi ogni sfizio! Eppure Philip era imbronciato per la
maggior parte del tempo, pure quando tutti gli altri intorno a lui si
divertivano. Non riusciva assolutamente a capirne il perché.
Sospirò
e osservò i minuti che scorrevano sull’orologio
digitale
dell’antenna tv di Sapporo. Era una bella giornata di sole,
il
cielo splendeva d’azzurro ma faceva molto freddo. Intorno a
loro la
neve ricopriva ogni cosa. Nel viale che stavano percorrendo erano
iniziati i lavori di costruzione delle immense sculture di ghiaccio
del Festival della Neve che avevano reso Sapporo famosa in tutto il
mondo. Lei assisteva allo spettacolo da quando era bambina, suo padre
aveva fatto parte di uno dei comitati, ed era così abituata
all’evento che ora l’attività che
ferveva intorno a lei non la
incuriosiva più.
Tornò
ad osservare Philip di sottecchi, poi gli prese una mano e
intrecciò
le dita con le sue. Lui si volse e accennò un sorriso, il
massimo
che gli riuscì di fare. Non serrò la stretta ma
non ritirò neppure
il braccio, continuando a camminare tenendola per mano. Ogni tanto
qualcuno li riconosceva e si fermava a guardarli, se non arrivava
addirittura a chiedere un autografo o una foto. Julie era orgogliosa
di lui. Obiettivamente Philip era molto più decorativo del
suo
ultimo fidanzato e anche se a volte la trascurava, formavano una
bella coppia che non passava inosservata. Sulle copertine delle
riviste avrebbero fatto una splendida figura se solo lui si fosse
prestato a lasciarsi fotografare insieme. Succedeva di tanto in tanto
che la sua apatia le desse sui nervi, ma era lo stesso convinta che
doveva tenerselo stretto, almeno finché non avesse ricevuto
una
proposta migliore.
-Ti
dispiace se invito alcuni amici?- chiese ad un tratto,
l’improvviso
e vago timore che se l’umore di Philip non fosse migliorato,
la
loro cena romantica si sarebbe rivelata di una noia mortale. Quella
sera aveva voglia di divertirsi e gli unici due momenti dove Philip
risultava più attivo, era in campo e sotto le lenzuola.
-No.
Invita chi ti pare.-
-Perfetto…-
Julie tirò fuori il cellulare dalla borsetta. Senza
mollargli la
mano prese a fare una serie di telefonate.
Amy
quella mattina si era alzata alle cinque e aveva accompagnato in
bicicletta Julian a correre lungo il fiume. A quell’ora
faceva
freddo, non era ancora completamente giorno e banchi di nebbia si
levavano dall’acqua che scorreva placida e silenziosa nel
canale,
ma era il momento migliore perché in giro non
c’era nessuno. Aveva
pedalato dietro al fidanzato con la sciarpa che le svolazzava sulle
spalle e le guance arrossate dal freddo, ripassando mentalmente il
programma della giornata. La mattina era libera, ma Julian doveva
andare all’università quindi lei lo avrebbe
raggiunto all’ora di
pranzo per mangiare insieme da qualche parte. E il pomeriggio sua
madre le aveva chiesto di accompagnarla a fare la spesa. A cena era
stata invitata al compleanno di sua zia e probabilmente lo avrebbe
rivisto solo il giorno successivo.
Erano
rientrati da poco a casa di Julian, e il ragazzo era appena uscito
dalla doccia spargendo negli ambienti profumo di shampoo e
bagnoschiuma. I coniugi Ross erano al lavoro e Amy si era appropriata
della cucina per preparare la colazione ad entrambi. Riempì
le tazze
di caffè, imburrò due fette di pane alla zucca
che la madre di
Julian aveva sfornato la sera prima, travasò la frutta
tagliata in
piccoli pezzi in una ciotola di media grandezza, recuperò il
barattolo del miele, le uova sode, il filetto di salmone e, riempito
un capiente vassoio, lo raggiunse nel salotto dove avrebbero mangiato
spaparanzati sul più comodo divano.
Julian
sedeva tra i cuscini, nelle mani una delle riviste che avevano
comprato poco prima di rientrare. Era così immerso nella
lettura che
non si accorse del suo arrivo.
-Cosa
stai leggendo?-
Lui
alzò il viso, voltò il giornale e le
indicò una foto.
-Guarda
qui.-
Amy
appoggiò il vassoio sul tavolino e si avvicinò. I
suoi occhi si
spalancarono di sconcerto.
-È
Philip!- non si accorse di strappargli la rivista dalle mani
perché
ciò che stava osservando era qualcosa di così
sconvolgente da
risultare assurdo. Lo incalzò sconvolta -Julian! Chi
è questa? Cosa
significa? Dov’è Jenny?-
-Amy
non ne ho idea…-
Gli
occhi di lei si socchiusero indagatori, quasi sospettosi.
-Si
sono lasciati? Tu lo sapevi?-
-Assolutamente
no! Sono sorpreso quanto te!-
-Io
non sono sorpresa! Sono furiosa!- gli restituì la rivista
nello
stesso modo brusco in cui gliel’aveva tolta e si
precipitò fuori
dal salotto. Nell’ingresso recuperò la borsa
appoggiata come al
solito sulla bella panca in legno, accanto all’appendiabiti,
e
cercò il cellulare. Non credeva ai propri occhi, non voleva
credere
a quello che aveva appena visto. Doveva esserci un errore.
Sentì la
voce del fidanzato che la chiamava dall'altra stanza.
-Amy,
che stai facendo?-
-Sto
telefonando a Jenny!- tornò da lui col cellulare incollato
al viso.
Lo lasciò squillare per un tempo infinito, rispose la voce
automatica della segreteria telefonica, poi cadde la linea.
Riprovò
al fisso senza successo e fissò affranta il fidanzato -A
casa non
c’è e il telefonino è spento.-
-È
presto, forse sta ancora dormendo… Riprova più
tardi. -
Amy
annuì, si sedette accanto a lui, e riprese la rivista che
giaceva
sul tavolino. Sfogliò le pagine e recuperò la
foto.
-Lei…-
indicò Julie confusa -Devo averla già vista da
qualche parte…-
eppure il suo nome in quel momento non le diceva nulla.
Julian
le si accostò e i capelli della fidanzata gli sfiorarono il
mento.
-Non
ricordi? È la modella che stava facendo un servizio
fotografico
negli studi di Kyoto.-
Amy
si volse scioccata.
-Hai
ragione! È proprio lei!- posò di nuovo gli occhi
sulla pagina e
sospirò. Appoggiò la testa contro la spalla del
fidanzato e il suo
sguardo indugiò oltre i vetri della grande finestra del
salotto, da
cui si scorgeva il giardino. Gli alberi erano spogli, scheletrici, i
rami innalzati verso il cielo brumoso di quella mattina di gennaio, a
supplicare il ritorno della bella stagione -L’ultima volta
che
siamo andate insieme a Fujisawa, Jenny mi ha detto che con Philip era
tutto a posto!- -Forse
te lo ha detto per non farti preoccupare, o forse era tutto a posto
davvero. È passato un sacco di tempo.-
Amy
richiuse il giornale e lo lasciò sul tavolino. Julian aveva
ragione.
Erano passati mesi da quando aveva accompagnato l’ultima
volta
l’amica a incontrare Nicole a Fujisawa. Si
accoccolò contro Julian
che profumava di buono, mentre un brivido di dispiacere le faceva
pizzicare gli occhi -Vorrei tanto sapere se si sono lasciati o se
Philip si è fatto beccare a provarci con un’altra.
Jenny ha già
sofferto così tanto…-
Lui
le prese una mano e intrecciò le dita alle sue.
-Ecco
spiegato il motivo per cui non è voluta venire a Tokyo
quando ho
giocato contro Philip.-
-Era
prima di Natale.- lo guardò -Pensi che si fossero
già lasciati?-
-Forse
sì, visto che non è venuta.-
-A
me ha detto che stava preparando un esame
all’università.- le sue
labbra presero una piega di disappunto. Non poté accettare
che
l’amica le avesse mentito, non dopo tutto ciò che
avevano passato
insieme. O forse le aveva mentito proprio per questo…
Alzò gli
occhi su Julian -Perché non provi a chiamare Philip per
chiedergli
di Jenny?-
Lui
scosse piano la testa.
-Non
voleva parlarne prima, figuriamoci adesso se non stanno più
insieme.- le circondò le spalle con un braccio e
l’attirò contro
di sé -Oggi studiamo da me?- le propose accantonando
l’argomento.
Non aveva davvero il tempo di angustiarsi per loro, era troppo
occupato a proteggere la propria, di relazione. Il suo rapporto con
Amy aveva cominciato a scricchiolare dal maledetto giorno in cui, a
forza di rimuginare su un esame che stava per sostenere, pressati
dall’adrenalina dell’ansia i pensieri avevano
vorticato per un
istante nella direzione sbagliata, facendogli perdere tutta la
concentrazione. Così, da un momento all’altro,
invece di ripassare
mentalmente il programma d’esame, si era ritrovato a
chiedersi se
Amy si fosse offerta di accompagnare Jenny a Fujisawa da Nicole per
tutte quelle volte perché era davvero preoccupata per
l’amica o se
l’avesse spinta la speranza di poter incontrare Price, con
cui
aveva dimostrato, l’ultima volta che si erano visti, di
andare
sempre più d’accordo.
-Julian,
non possiamo studiare insieme. Oggi pomeriggio devo andare da mia
madre. E poi tu devi preparare l’esame di anatomia, io quello
di
sociologia. Sono due cose completamente diverse.-
-Allora
facciamo così. Visto che io tra una settimana ho
l’esame e tu ce
l’hai tra un mese, stasera aiutami a ripassare gli schemi.-
-Stasera
sono a cena con i parenti.-
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo. A lei sfuggì un
sorriso, poi il
cellulare le squillò. Si scostò da Julian e lo
prese. Ascoltò in
silenzio l’interlocutore, l’espressione
improvvisamente seria e
tesa ad incassare la notizia, poi disse un’unica frase.
-Arrivo
subito, mandami l’indirizzo…-
Julian
la fissò.
-Che
succede?-
-Evelyn
ha avuto un incidente. È qui a Tokyo, in ospedale. La
raggiungo.-
*
Poco
oltre la dogana, davanti alle porte a vetri che si aprivano e
chiudevano di continuo lasciando uscire i passeggeri del loro stesso
volo, camminando accanto a Mark, Jenny notò cinque o sei
giornalisti
armati di macchinette fotografiche. Si fermò bruscamente al
centro
del corridoio e una coppia anziana che procedeva alle sue spalle per
poco non la travolse. Anche se non era colpa loro, i due si
scusarono, poi la superarono e varcarono l’uscita. Lei
neppure li
notò, gli occhi sui giornalisti.
-Sono
qui per te?-
Mark
fece spallucce.
-Immagino
di sì.-
Jenny
si diede della stupida per non aver pensato che a Torino, come in
Giappone, la stampa sarebbe stata ad aspettarlo. Da quel poco che ne
sapeva (una volta con Amy aveva spulciato il suo fan club), anche in
Italia Mark aveva un sacco di fan. Lui continuò a camminare
ma Jenny
non lo seguì. Aveva deciso che nessuno doveva sapere che lei
era a
Torino, quindi bisognava impedire in tutti i modi che li
fotografassero insieme. Ritirò fuori il cappellino dalla
borsa, si
sciolse i capelli e se lo calcò bene in testa. Poi si
guardò
intorno alla disperata ricerca di una via di fuga. La trovò
più
avanti.
-In
bocca al lupo, Mark.-
Le
porte automatiche si aprirono e Landers finì in pasto agli
obiettivi
dei fotografi, voltato indietro, gli occhi sgomenti su Jenny che
fuggiva via.
-Dove
vai?-
-Non
voglio passare per la tua fidanzata! Ci vediamo dopo!- agitò
la mano
in un saluto frettoloso e imboccò un’altra uscita.
Colto
di sorpresa Mark non ebbe neppure il tempo di fermarla. Circondato
dai reporter che scattavano e dai flash che lo accecavano, si accorse
sconcertato che nella fretta di tagliare la corda Jenny gli aveva
lasciato persino la valigia.
-Mark!-
Il
richiamo lo fece sussultare. Si girò di scatto verso la
calca
dell’uscita, mentre la sua mente dava un volto a quella voce.
Rob
Aoi si teneva in equilibrio sulla balaustra. Con una mano sollevata
in aria, si sbracciava per attirare la sua attenzione. Mark non
riuscì a capacitarsi della sua presenza lì e
quando si accorse che
non era solo, si chiese se fosse ancora in tempo a darsela a gambe.
Poi si ricordò di Jenny e si rassegnò, non troppo
ma abbastanza da
caricarsi i bagagli e andare verso quel bel comitato di accoglienza.
Abbozzò un sorriso stentato agli obiettivi e raggiunse
scontento Rob
Aoi, Dario Belli e Salvatore Gentile, chiedendosi quale malefica
congiuntura astrale li avesse condotti all’aeroporto di
Caselle.
Salvatore
Gentile lo accolse con gli occhi azzurri colmi di ironia e le mani
ficcate nelle tasche di quella che doveva essere sicuramente una
costosissima giacca a vento griffata. Come al solito il suo
abbigliamento era impeccabile, sembrava appena uscito dalla
pubblicità di una rivista di moda. Maledetto esibizionista
del
cazzo.
-Bentornato
Landers… Com’è andato il viaggio?-
-Come
al solito.- lo odiava. Odiava quell’insopportabile biondo
quasi
quanto odiava Price. Detestava la sua esuberanza, la sua sicurezza,
il suo egoismo, la sua superbia, il suo protagonismo, il suo voler
essere sempre al centro dell’attenzione, la sua maledetta
arroganza
da bambino viziato. Non lo sopportava, era un borioso pallone
gonfiato che si credeva chissà chi e siccome era nella
Juventus da
più tempo di lui, si divertiva a ricordarglielo in
continuazione in
qualsiasi modo. Lo fissò scontento. Era sicuro che
l’antipatia
fosse reciproca. E allora, come accidenti gli era saltato in mente di
presentarsi all’aeroporto? Poi capì. Gentile era
lì soltanto per
il piacere di lasciarsi fotografare dai giornalisti riuniti per
accogliere lui, non quel coglione di biondo ossigenato che non poteva
bearsi della gloria dei rientri, visto che giocava in patria.
E
infatti Gentile ora sorrideva ai fotografi che, seguendo Mark, lo
avevano raggiunto e individuato. Fissò appagato gli
obiettivi,
scostandosi con un gesto molto glamour i capelli biondi come
l’oro
dagli occhi azzurri come il cielo che, solo per essere fatti in quel
modo, mandavano in visibilio il novanta percento della popolazione
femminile del pianeta. Dopodiché si staccò dalla
balaustra.
-Non
ti sei fatto fotografare abbastanza, Landers?- ebbe persino la faccia
tosta di chiedergli, come se fosse Mark e non lui a bearsi di tanta
attenzione.
Landers
soffocò un insulto, poi pensò a Jenny scomparsa
chissà dove e il
desiderio di rispondergli a tono, come faceva di solito, si dissolse
all’improvviso, scalzato dalla preoccupazione. Si
guardò intorno.
Dove accidenti era finita? Non la vedeva da nessuna parte.
-Ti
serve una mano?- gli chiese Dario Belli indicando le valigie.
Landers
non ci pensò due volte. Gli affibbiò il bagaglio
dell’amica e
tornò a guardarsi intorno sempre più in ansia.
Nessuna traccia
della ragazza. Possibile che neanche fosse arrivato e già
l’avesse
persa?
-Come
mai così carico stavolta, Mark?-
Rob
gli parlò in italiano per non escludere Salvatore e Dario
dalla
conversazione. L’altro sospirò e gli rispose nella
stessa lingua.
-Quella
valigia non è mia.-
Gentile
scoppiò a ridere.
-L’hai
rubata?-
Landers
lo insultò in giapponese, afferrò il proprio
trolley e s’incamminò
nella direzione in cui aveva visto sparire Jenny. Dario
seguì
pensieroso il suo percorso, chiedendosi se fosse stata davvero una
buona idea, quella di Rob, di venire a prenderlo. Non sembrava per
niente contento di vederli. Lo richiamò.
-Dove
vai? L’uscita è dall’altra parte.-
-Lo
so!-
Mark
proseguì testardo nella direzione sbagliata, rimediandosi
un’occhiata scettica da parte di Salvatore.
-è
scemo o cosa?-
Belli
scosse la testa.
-Stavolta
il fuso orario deve averlo rincoglionito parecchio.- guardò
Aoi che
trotterellava fiducioso dietro Mark, lasciandoli soli -Che facciamo?-
Salvatore
alzò le spalle.
-E
che vuoi fare? Ormai siamo qui…- borbottò -Chi
cazzo ce l’ha
fatto fare di venire?-
-Rob…-
-Ricordami
di prenderlo a sberle la prossima volta che cerca di trascinarmi da
qualche parte!-
Superarono
tre o quattro uscite, vari bar e negozietti di souvenir e due stand
di Rent a Car. Landers si fermò soltanto quando raggiunse il
banco
delle informazioni turistiche. Dario e Salvatore si guardarono
stupiti ma comunque sollevati che quella via crucis nei corridoi
dell’aeroporto a dribblare i viaggiatori avesse trovato una
fine.
Nessuno dei due notò la ragazza ferma a parlare in inglese
con
l’impiegata, ma videro perfettamente Mark raggiungere di
corsa lo
stand delle informazioni.
-Non
fare mai più una cosa simile!-
Sotto
gli occhi stupiti dell’impiegata e quelli ancor
più sbigottiti di
Jenny, Landers le premette una mano sulla spalla e la voltò
facendole fare una piroetta.
-Mark,
mi hai fatto prendere un colpo!-
-Come
t’è saltato in mente di allontanarti? E se ti
fossi persa?- era
così ovvio che se Jenny fosse sparita, o fosse stata rapita,
Philip
l’avrebbe ucciso che lui non si sentiva di rischiare.
-E
quella chi è?-
Fermo
accanto a Gentile, Dario Belli fece spallucce.
-Sicuramente
sua sorella…-
-Sua
sorella ha quattordici anni!- Salvatore lo sapeva bene
perché in
casa di Mark aveva adocchiato le foto della sua famiglia. Sgomento,
incapace di darsi una risposta e in preda ad una curiosità
bruciante, abbassò gli occhi su Rob che li fissava ancor
più
strabiliato -Quella è la sua ragazza? Si è
portato dietro la
fidanzata?-
-Non
lo so!-
-La
conosci?-
-È
la prima volta che la vedo!-
-Giura!-
-Giuro!-
Belli
e Gentile si scambiarono un’occhiata apertamente sorniona. Lo
sgomento stava lasciando il posto ad un profondo divertimento condito
di viscerale curiosità.
-Landers
s’è trovato finalmente una ragazza! E pure
carina…-
La
esaminarono curiosi come mai lo erano stati. Che Mark si fosse
portato dietro una donna rappresentava un avvenimento. Jenny era
distrutta dal viaggio e si vedeva. Era pallida, gli occhi stanchi,
senza un filo di trucco, i capelli divisi in ciocche disordinate. La
camicetta e i jeans si erano sgualciti a forza di stare seduta
sull’aereo e avvolgevano il suo corpo sottile senza
valorizzarne
neppure una curva. Non era molto alta, ma per essere una giapponese
neanche eccessivamente piccola. La prima cosa che attrasse la loro
attenzione furono i suoi capelli scuri, lisci e lunghi sulla schiena.
Erano una cascata corvina, un po’ spettinata ma stupenda,
dello
stesso colore del cioccolato fondente. Salvatore Gentile non
riuscì
a staccarle gli occhi di dosso. Il suo sguardo si spostò sul
suo
viso, sui suoi tratti orientali, minuti, da bambola. Sulla pelle
rosea e vellutata, di porcellana, sugli occhi castani, splendenti,
sulle ciglia lunghe e scure. Bella. La ragazza di Mark era
decisamente attraente.
-Siamo
appena arrivati e già sparisci senza dirmi niente!
Cominciamo
proprio bene!-
-Non
arrabbiarti Mark. Non era mia intenzione farti preoccupare.- Jenny
tentò di placarlo con un sorriso che avrebbe incantato
chiunque e
che ebbe il suo effetto immediato sui tre ragazzi immobili a fissarla
-Mi seccava che ci fotografassero insieme.- infilò volantini
e
depliant dentro la borsa, rendendosi conto di averne presi
così
tanti da non riuscire più a richiuderla.
Mark
non seppe cosa replicare, improvvisamente costretto a riconoscere con
se stesso che Jenny non aveva tutti i torti. Era meglio se nessuna
foto che li ritraesse insieme arrivasse in Giappone.
-Sì
va bene, ma la prossima volta avvertimi!-
-L’ho
fatto!-
-Non
all’ultimo momento!-
-D'accordo.-
gli sorrise ancora, conciliante -Dov’è la mia
valigia?-
Landers
si volse e gliela indicò. Jenny individuò i
ragazzi poco discosti e
tornò a fissare l’amico, gli occhi spalancati
dalla sorpresa. Si
aggrappò al suo braccio, improvvisamente intimorita.
-Mark,
chi sono quelli?-
-Non
volevi conoscerli, i miei amici?- la schernì.
Jenny
gli lanciò un’occhiata, poi riconobbe Aoi. Si
irrigidì. Era la
prima volta che lo incontrava di persona e di questo doveva essere
grata alla mania di Philip di tenerla lontana dai compagni di
squadra. Ma se lui avesse visto una sua foto? Se l’avesse
riconosciuta? Quasi tremava quando il giovane si avvicinò.
-Benvenuta
in Italia, mi chiamo Rob.- le porse una mano che Jenny strinse
titubante, senza lasciare la felpa di Mark a cui era rimasta
attaccata. Si sforzò di sorridergli.
-Jenny…
piacere…-
-Siamo
felicissimi di conoscerti, finalmente!- e la felicità
trasparì
davvero, dal suo sorriso.
Mark
lo guardò perplesso.
-“Finalmente”
cosa?-
-Finalmente
conosciamo la tua ragazza!- Rob sprizzava gioia da tutti i pori
-Perché non c’era da nessuna parte la notizia che
ti sei
fidanzato?-
-Perché
non è la mia ragazza!-
Gli
occhi di Aoi si spostarono da lui a lei confusi, incerti, chiaramente
delusi. Si rivolse a Jenny.
-Davvero
non sei la sua ragazza?-
-No,
non lo sono.-
-E
allora come mai siete arrivati insieme?-
-Cosa
te ne frega? Jenny è un’amica. È venuta
a Torino per studiare
l’italiano e la ospiterò solo per qualche giorno!
E poi fatti gli
affaracci tuoi, Aoi!-
Jenny
confermò le parole di Mark annuendo convinta, poi
lanciò
un’occhiata ai due italiani che li avevano raggiunti.
-Benvenuta
in Italia.-
La
giovane si volse. Il ragazzo che aveva parlato era indubbiamente
Dario Belli, riconobbe i suoi capelli tendenti al ramato e gli occhi
verdi con bagliori di smeraldo. Notò che dal vivo era molto
meglio
che in tv piantato tra i pali della porta. Ad Evelyn avrebbe fatto
piacere saperlo, lei le notava, queste cose. Gli sorrise e si
presentò in un inglese perfetto, stringendo la mano che
Dario le
porgeva. L’altro ragazzo, quello biondo, continuò
invece a
fissarla con un misto di curiosità e apprezzamento. Lampi di
luce
illuminavano a tratti i suoi occhi grigio-azzurri e Jenny credette di
scorgervi bagliori di malizia. Era affascinante tanto quanto Belli,
se non di più, ma di una bellezza diversa, forse
più virile. Si
sporgeva dietro l’amico, perfetto nel suo silenzio
così carico di
aspettative e illuminato solo da sguardi ed espressioni. Jenny era
sicura di averlo già visto ed era certa che anche lui
giocasse a
calcio, ma non riusciva a ricordare il suo nome.
Mark
era stanchissimo e voleva andare a casa, ma notò
perfettamente lo
sguardo insistente e interessato con cui Gentile stava studiando
l’amica. I suoi occhi non l’avevano mollata un
attimo. Gli diede
fastidio, più di quanto fosse normale. Parlò in
italiano a tutti e
tre.
-Trovarvi
qui è stata una piacevole coincidenza, ma visto che Jenny ed
io
siamo stanchi, ora ce ne andiamo a casa. Ci vediamo un altro giorno.-
Gentile
si irrigidì e distolse malvolentieri gli occhi dalla
ragazza, per
posarli sulla faccia da schiaffi di Landers. Era andato fino
all’aeroporto solo perché Belli e Aoi avevano
insistito fino alla
nausea. A lui non interessava scarrozzarlo a casa. E ora che era
lì,
quel deficiente senza speranza si permetteva addirittura di
scacciarlo.
-Non
hai bisogno di un passaggio?- domandò ostile -Ho la macchina
qui
fuori.-
-In
divieto di sosta.- precisò Belli con un misto di
divertimento
-Speriamo che non te la portino via o ci tocca tornare a piedi.-
-A
cosa dovrebbe servirmi un passaggio se esistono i taxi?- rispose
secco Mark cercando di togliere la valigia di Jenny dalle mani di
Dario.
Belli
non glielo permise, fece un passo indietro e lo fissò dritto
negli
occhi.
-È
la tua ragazza, Landers?-
-Assolutamente
no! Jenny muoviti.- la spronò.
-Se
non è la tua ragazza perché è con te?-
Mark
si volse imbestialito, incrociando lo sguardo curioso di Gentile.
-Saranno
fatti miei, che dici?!- fremette impaziente. Non vedeva l’ora
di
togliersi di torno quelle tre piattole.
-Fatti
tuoi o no, prima o poi lo scopriremo. E non è una promessa,
sappilo!-
Jenny
avrebbe voluto capirci qualcosa, ma quelli parlavano in italiano e a
lei il senso della conversazione sfuggiva completamente.
Incrociò
per un istante gli occhi insistenti di Gentile e si ritrovò
ad
arrossire. Quando distolse lo sguardo dal biondo, ebbe un flash. Si
volse verso Mark.
-È
lui che hai preso a pugni in campo?-
L’amico
trasalì.
-Ti
pare il momento?-
-L’hai
preso a pugni o no?-
Mark
sbuffò.
-Ti
assicuro che se lo meritava!-
-Ma
gioca con te nella Juventus!-
-E
allora? Se lo meritava lo stesso!-
Gentile
approfittò dell’esitazione di Mark per farsi
avanti.
-Se
non ti dispiace, Landers, vorrei presentarmi.- con un lampo azzurro
sorrise a Jenny e le tese la mano.
Un
secondo prima che le loro dita si sfiorassero, Mark lo
scostò con
una spinta e si piantò tra loro.
-Tieni
le tue zampacce lontano da lei!- la tirò dietro di
sé, fuori dalla
sua portata.
A
Gentile il suo gesto non andò giù.
-Cos’è
Landers? Sei geloso? Eppure hai appena detto che non è la
tua
ragazza…-
-Il
fatto che non sia la mia ragazza non ti autorizza a fare il
cascamorto con lei!-
-Mi
stavo presentando!-
-Con
quella faccia da deficiente? Ma chi vuoi prendere in giro?- si
caricò
i bagagli, strappando dalle mani di Dario la valigia
dell’amica, e
si diresse insieme a lei verso l’uscita e il parcheggio dei
taxi.
Gli sarebbe costato un patrimonio tornare a casa con
l’autista
invece che con l’autobus, ma non ne poteva davvero
più di quei
tre.
-Perché
stiamo scappando?-
-Non
stiamo scappando, Jenny. Stiamo andando a casa.- rispose senza
rallentare -Non sei stanca? Non vuoi riposare?-
Uscirono
dal terminal e percorsero un buon tratto di marciapiede. Mark
sbuffava a raffica ed era così scontento che Jenny
rinunciò a
rivolgergli la parola e lo seguì docile. Non capiva ma non
importava, quello che contava era che l’amico la ospitasse a
casa
sua. Dopo alcune decine di metri di silenzio, raggiunsero i taxi. Una
macchina spuntò dal nulla con un'accelerata e
frenò bruscamente
mentre attraversavano le strisce pedonali. Balzarono indietro
spaventati.
-Sicuro
Landers che non vuoi venire con noi?-
Mark
ammutolì. Dario Belli sorrideva dietro al finestrino
spalancato del
passeggero di un’alfa romeo molto rossa e molto lucida. La
riconobbe subito. Era la maledetta Giulietta di Gentile. Jenny
improvvisamente capì, si aggrappò al giubbotto
dell’amico e lo
scosse.
-Ci
stanno offrendo un passaggio?-
Fu
Aoi a risponderle, affacciato dietro, un gomito
sull’intelaiatura
del finestrino.
-Proprio
così, ma lui non vuole. Testardo...-
-Jenny,
prendiamo un taxi.- tentò ancora Landers, cercando di
evitare
l’inevitabile.
Lei
per la prima volta puntò i piedi. La sua irragionevolezza la
urtò
nel profondo.
-Accetta,
per favore. Sono stanca.-
Quando
udì la traduzione di Rob, Gentile tirò
bruscamente il freno a mano,
spalancò lo sportello e scese in mezzo alla strada inveendo
contro
Mark.
-Maledetta
testa dura! Sei più cocciuto di un mulo!-
costeggiò la macchina,
aprì il portabagagli e ficcò dentro la valigia di
Jenny. Poi si
fermò davanti a Landers, le mani sui fianchi -Se la mia
offerta ti
fa schifo, vacci da solo col taxi! La tua Jenny te la portiamo a casa
in macchina.-
-Primo:
non è la mia Jenny…-
Dietro
di loro un taxi strombazzò perché la Giulietta,
ferma in mezzo alla
strada, bloccava il traffico. Salvatore volse le spalle a Mark senza
aspettare che quello finisse il suo elenco.
-Vuoi
darti una mossa?- gridò l’autista sporgendosi dal
finestrino.
-Me
ne sto andando, sei cieco?- gridò Gentile verso il taxi. Poi
rimontò
al posto di guida -Aoi, fai salire la ragazza.-
Rob
annuì perché stavolta la testardaggine di Mark
aveva superato ogni
limite. Scese dalla macchina, prese Jenny per la giacca e la
tirò
verso lo sportello aperto.
-Vieni,
ti accompagniamo a casa.-
Lei
esitò, lanciando a Landers un’occhiata indecisa.
-Per
favore, Mark… Non essere ostinato.- lo implorò di
nuovo. Poi montò
accanto a Rob, troppo stanca per continuare ad assecondare
l’amico
nelle sue assurde fissazioni. Lo guardò colpevole,
chiedendosi
quanto la stesse odiando per quel tradimento.
Alla
seconda strombazzata, Mark capì di aver perso.
Serrò i pugni e si
decise. Infilò con un moto di stizza le borse nel
portabagagli e
salì dall’altro lato. Gentile partì
accelerando stizzito e il
segnale sonoro della cintura di sicurezza ferì i loro
timpani finché
non se l’allacciò.
-La
tua cocciutaggine è sconvolgente! E più hai torto
e più ti
intestardisci!-
-Sei
tu che sei testardo! Ti ho detto che non ci serviva un passaggio!-
Si
guardarono in cagnesco attraverso lo specchietto retrovisore, poi gli
occhi di Salvatore si spostarono su Jenny.
-La
tua ragazza è distrutta, non lo vedi?-
-Non
è la mia ragazza!-
Voltata
ad osservare la strada al di là del vetro, la voce di Jenny
arrivò
pacata, esausta e bassissima.
-Piantala
Mark, mi sembra di sentirti litigare con Benji.-
Rob
si volse di scatto meravigliato. Ciò che udì lo
lasciò di stucco.
-Conosci
Benji? Benji Price?-
-Poco…
L’ho incontrato giusto una volta.-
Jenny
si sforzò di sorridergli e Rob ne rimase incantato. Porca
miseria
quanto era carina… La osservò con rinnovato
interesse, mentre una
miriade di domande gli vorticavano nella testa. Ne scelse una a caso.
-Quanto
pensi di fermarti a Torino?-
Jenny
lo guardò incerta. Non ne aveva idea. Non riusciva neppure a
pensare
che prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa, soprattutto dopo aver
visto la foto di Philip e Julie Pilar che si baciavano.
-Non
lo so.-
-Resterai
da Mark?-
Lei
alzò gli occhi su Landers e gli sorrise.
-Speriamo!-
-Se
non ti ospita lui puoi stare da me! Io abito a Milano, sono sicuro
che ti piacerebbe, come città.-
Mark
sbuffò.
-Spegni
la lingua, Aoi. Siamo stanchi.-
Quando
arrivarono a destinazione, Salvatore spense il motore e smontarono
tutti. Mentre frugava nello zaino in ricerca delle chiavi, Landers
lanciò loro un’occhiata. Doveva liberarsi degli
amici, ma in che
modo? Era troppo stanco, non riusciva a pensare. Aprì la
porta,
accese la luce dell’ingresso e si scostò per
lasciar passare
Jenny. Come aveva temuto, anche gli altri tre s’imbucarono.
Philip
si svegliò perché un raggio di sole gli batteva
sul viso. Filtrando
prepotente e luminoso da una fessura tra le tende, aveva finito per
disturbagli il sonno. Alzò una mano per ripararsi dalla
luce,
l’ombra di un mal di testa gli aleggiava tra le tempie
perché la
sera prima aveva esagerato con la birra. Si sollevò
leggermente e si
accorse che Julie giaceva nuda, rannicchiata contro di lui.
Sospirò
e chiuse gli occhi. Quando lasciò ricadere la testa sul
cuscino,
fitte lancinanti gli trapanarono il cervello.
-Philip?-
Era
bastato un piccolissimo movimento per svegliarla. Julie aveva il
sonno decisamente troppo leggero, non riusciva mai a tagliare la
corda di nascosto. Si girò, la giovane lo stava fissando. Si
liberò
da quel corpo morbido e caldo aggrovigliato al suo, lanciò
un’occhiata all’orologio e si alzò.
-È
tardi.- radunò in fretta i propri vestiti sparpagliati un
po’
ovunque senza ricordare né quando né come se li
era tolti, e sparì
nel corridoio per infilarsi in bagno.
Julie
sbadigliò, afferrò il copione dal comodino e
cominciò a
sfogliarlo. Quando Philip si riaffacciò in camera ormai
vestito e
pronto per andarsene, gli lanciò appena
un’occhiata, presa com’era
dalle proprie battute.
Lui
la salutò altrettanto distrattamente mentre afferrava il
cellulare
dal comodino accanto al letto. L’aveva dimenticato acceso per
tutta
la notte e ora la batteria era da ricaricare. Aveva ricevuto cinque
messaggi e non ne aveva sentito arrivare neppure uno. Leggendoli
lasciò la stanza.
S’infilò
le scarpe e uscì di casa. Julie abitava
all’undicesimo piano ma
Philip non chiamò l’ascensore. Aveva bisogno di
muoversi, aprì la
porta di sicurezza che immetteva sulle scale e le imboccò
con gli
occhi sul display del telefonino. Cancellò tre messaggi
pubblicitari. Ne trovò uno di sua sorella, voleva invitarlo
a cena
quella domenica. Le scrisse subito di no. Un altro era di Julian che
gli chiedeva come stava. Ross si faceva sentire raramente, occupato
com’era tra Amy, le partite della J-League, le lezioni e gli
esami
all’università. Gli rispose che stava una favola e
si ficcò il
cellulare in tasca. Raggiunse in fretta la macchina che Julie aveva
parcheggiato dall’altra parte della strada. Era stata lei a
guidare, al ritorno dalla birreria. Philip glielo aveva lasciato fare
perché durante la cena aveva mandato giù una
birra dietro l’altra
fin quando aveva cominciato a vederci doppio. A quel punto si era
fermato ma non si era sentito lo stesso abbastanza sobrio da mettersi
al volante.
Ripensò
all’amica di Julie che gli era rimasta appiccicata tutta la
sera e
che gli aveva riempito di continuo il bicchiere. Era anche grazie a
lei se quando era uscito dal locale era brillo. Le aveva prestato
così poca attenzione che ricordava a mala pena il suo volto.
L’unica
cosa che gli era rimasta impressa, oltre la sua voce, erano stati i
tentativi di attirare i suoi sguardi, prima accostando di
più la
sedia alla sua e poi mettendogli addirittura una mano sulla gamba.
Ripensò alla piacevole sensazione di quelle carezze. Prima
di
versargli da bere con tanta sollecitudine, lei gli aveva lasciato il
suo numero di telefono e magari poteva provare a chiamarla, una
volta. Tirò fuori le chiavi, fece scattare la chiusura della
macchina e prima di salire gettò il telefonino sul sedile
del
passeggero.
Era
una fortuna che quella mattina si trovasse a Sapporo perché
gli ci
sarebbe voluto del tempo per tornare a Furano e guidare lo rilassava.
Dopo una sera e una notte passate con Julie Pilar, dopo ore a fingere
di divertirsi ma con il cervello intasato da tracce di sensi di colpa
che non avevano nessuna intenzione di abbandonarlo, cercando di
dimenticare Jenny e non riuscendo a farlo, aveva bisogno di non
pensare a niente. Forse doveva provare a sballare come facevano ogni
tanto i suoi compagni di squadra. Anche lui e Peter erano stati
invitati ai loro festini nell’appartamento di Daniel Baird,
l’attaccante del Sapporo, ma finora avevano sempre rifiutato.
Eppure una volta voleva provare ad andare. Ne aveva sentito parlare
spessissimo negli spogliatoi, con gran divertimento e risate. Dalle
mezze frasi e dagli accenni prudenti dei compagni, che raramente si
lasciavano sfuggire una parola di troppo davanti a chi non
partecipava, pareva che durante quei raduni girasse un sacco di roba.
Philip non aveva idea di cosa, finora non gli era mai interessato
saperlo ma adesso si trovò a pensare che quella fosse
l’occasione
buona per provare ciò di cui tanto si parlava, almeno una
volta
nella vita, visto che si sentiva proprio una schifezza.
Alle
spalle di Mark, Aoi sgusciò in casa come
un’anguilla e subito dopo
di lui avanzò Gentile che piazzò una mano sulla
porta per tenerla
aperta quando Landers tentò invano di richiudergliela in
faccia.
-Non
ci inviti ad entrare?-
-No!-
-Non
ci offri neppure da bere?-
-Non
c’è niente, né da bere né da
mangiare.-
-Allora
dovremo andare a fare la spesa.-
-Dovremo?-
Jenny
fece finta di non udire il tono polemico che trasudava di nuovo dalla
voce di Mark. Tanto avevano ripreso a parlare in italiano e neanche
volendo avrebbe capito. Si guardò intorno. La casa era ben
arredata,
nuovissima e straordinariamente ordinata. Chi accidenti faceva le
pulizie lì dentro?
Lui
la vide imbucarsi nel salotto, afferrò la sua valigia lilla
e la
chiamò.
-Vieni,
ti faccio vedere la tua stanza.- lanciò
un’occhiata torva agli
altri e proseguì in italiano -Non muovetevi da qui!-
-Quindi
possiamo restare? Perfetto!-
Mark
strinse le dita intorno maniglia della valigia per reprimere
l’istinto di saltare addosso a Gentile e strozzarlo.
Salì le scale
e precedette l’amica nella camera degli ospiti. Ospiti che
finora
non aveva mai avuto. Jenny l’avrebbe inaugurata.
Le
pareti erano verde mela, il parquet era quasi completamente nascosto
da un tappeto grigio chiaro. Il letto matrimoniale era accanto alla
finestra, carico di cuscini di tutte le misure. Le tende erano
bianche con decorazioni di foglie verdi. Tra il letto e la finestra
c’era un tavolino di legno con un paio di cassetti, un lume
sul
ripiano e uno sgabello ricoperto da un cuscino. Di fronte al letto,
un piccolo mobile di bambù bianco era sovrastato da due
mensole su
cui erano impilate in bell’ordine alcune scatoline di cartone
colorato e qualche soprammobile insignificante. Sull’ultima
parete,
quella in cui si apriva la porta, era accostato un armadio di legno
scuro a quattro ante.
-Il
bagno è in fondo al corridoio.-
Lei
si lasciò cadere su quel letto morbido e così
pieno di cuscini.
Annuì guardandolo raggiante.
-Molto
meglio di un hotel!-
La
felicità di Jenny lo colpì nel profondo, era da
più di un anno che
non la vedeva così. E di momenti simili Jenny ultimamente
doveva
averne vissuti davvero pochi, soprattutto se lei e Philip si erano
lasciati. Ora ce l’aveva davanti, poteva constatare con i
propri
occhi che l’amica era in qualche modo sopravvissuta a Kyoto.
Ma a
che prezzo? Non poteva capirlo, addirittura immaginarlo, ma per la
prima volta da più di dodici ore fu contento di aver deciso
di
ospitarla. Se solo non ci fossero stati quei guastafeste ad
aspettarlo all’aeroporto e ora dentro casa, al piano di
sotto…
Uscì dalla stanza mentre lei si guardava ancora intorno e
rientrò
dopo pochi minuti con una pila di asciugamani. Jenny era in piedi
davanti alla finestra, osservava case ed edifici che la circondavano.
Oltre i tetti di tegole rosse si innalzavano imponenti le Alpi,
ricoperte di neve sulla cima. Il sole stava tramontando e i ghiacciai
riflettevano l’aria dorata.
Mark
appoggiò gli asciugamani sul letto e tornò verso
la porta.
-Cercherò
di liberarmi di quei rompicoglioni.- aveva già una mezza
idea -Mi
faccio accompagnare a fare la spesa, poi li mando al diavolo.-
Dario
Belli osservò Gentile che camminava su e giù
davanti alla porta
d’ingresso, lanciando alle scale occhiate insistenti e
interessate.
Sembrava in preda alla forte tentazione di seguire Landers di sopra.
Gli si avvicinò, gli serrò un braccio e
arrestò il suo
andirivieni, fissandolo indagatore.
-Senti
un po’… Hai mica intenzione di provarci con la
ragazza di
Landers?-
Sul
volto del biondo comparve un sorrisetto divertito.
-Non
è la sua ragazza, l’ha detto lui.-
-E
tu gli credi?-
-Certo!-
-Solo
perché ti fa comodo.-
Gentile
fece spallucce e lui lo incalzò.
-Se
non è la sua ragazza, allora che ci fa qui?-
-Questo
non lo so. Ma se continua a dire che non stanno insieme, ho tutto il
diritto di provarci.-
-Lei
ti interessa solo per fargli un dispetto.-
Salvatore
gli rispose con un sorriso furbo.
-Non
è graziosa?-
-Certo
che lo è…-
-E
ti risulta che io mi lasci scappare le belle ragazze?-
-Landers
le sta addosso, finirete per litigare.-
Gentile
fece spallucce.
-E
allora? Lo facciamo sempre.-
Mark
comparve sul pianerottolo e Dario accantonò il discorso con
un
ultimo assennato consiglio.
-Lasciala
perdere, è meglio per tutti.-
Il
traffico era pazzesco e Philip impiegò quasi tre ore a
raggiungere
Furano. Durante la notte tra le montagne aveva nevicato e in alcuni
tratti, dove il manto stradale continuava ad essere ghiacciato, si
procedeva a passo d’uomo tra granelli di sale chimico gettati
dagli
addetti alla manutenzione delle autostrade. Il sole splendeva su
tutto quel bianco accecante e il riverbero gli feriva gli occhi. Il
mal di testa alla fine era scoppiato e lui non vedeva l’ora
di
arrivare a casa, gettarsi sul letto della sua stanza e aspettare che
passasse.
Aveva
approfittato di quel giorno di riposo dagli allenamenti per tornare a
Furano e portare a sua madre i panni da lavare. Dormiva spesso dai
suoi, ultimamente. Fare il pendolare tra Sapporo e Furano a lungo
andare era stancante, ma da quando Jenny aveva portato via tutte le
sue cose dal loro bell’appartamento in centro ed era sparita,
non
era stato più capace di rimetterci piede. Il pensiero di
dormirci
anche solo per una notte lo raggelava.
Avevano
trovato la loro casa ideale circa un anno prima dopo giorni e giorni
di ricerche: un attico che il suo nuovo stipendio di calciatore
professionista gli consentiva di permettersi senza problemi. Dava
sulla strada principale di Sapporo, quella stessa che il giorno prima
aveva percorso a piedi con Julie, dalle ampie vetrate delle stanze si
vedeva la torre dell’orologio di acciaio rosso e bianco
svettare
nel cielo azzurro. Il panorama sulla città era fantastico.
Il grande
viale su cui si affacciava il balcone che correva per tutta la
lunghezza dell’appartamento era pieno di giardini e fontane.
Era il
luogo più animato e frequentato di tutta la città
e in quei giorni
d’inverno stava diventando uno spettacolo bellissimo con le
enormi
sculture del Festival della Neve. I grandi cumuli di ghiaccio erano
lì pronti ad essere modellati dalle squadre delle
associazioni. Li
aveva visti il giorno prima, ma non con Jenny, come aveva immaginato
che sarebbe successo, con Julie. E non dalla loro casa, ma dalla
strada. Jenny non c’era più e lui aveva disertato
l’appartamento,
continuando a pagarne l’affitto perché prima o poi
doveva
tornarci. Le sue cose erano ancora lì e non poteva
continuare a fare
il pendolare all’infinito. Non era coerente. Per la sua
smania di
star lontano da quel luogo così pieno d’angoscia,
che trasudava
sofferenza persino dalle pareti, al campo arrivava sempre tardi,
finiva per saltare gli allenamenti, le riunioni, i raduni. E se
avesse cambiato casa? Se avesse traslocato in un monolocale in
qualche altro quartiere della città? Ci pensava da giorni,
gliel’aveva suggerito persino Peter, ma non riusciva a
decidersi.
Un trasloco significava tornare nell’attico a preparare
scatoloni
ed era molto più facile evitare di metterci piede.
Tenendo
una mano sul volante si passò l’altra indietro tra
i capelli,
lasciandola indugiare per un attimo sulla nuca. Se il mal di testa
gli avesse consentito di prendere sonno, a casa dei suoi si sarebbe
ficcato a letto. L’indomani lo aspettava
un’alzataccia all’alba
per fare il tragitto inverso, con la speranza che la neve non
bloccasse le strade e riuscisse ad arrivare per una volta puntuale
all’appuntamento con i compagni di squadra.
Parcheggiò
davanti casa all’ora di pranzo. Infilò la chiave
nella serratura e
quando aprì la porta si trovò faccia a faccia con
sua sorella. Gli
prese un colpo e la fissò ostile.
-Che
ci fai qui?-
Non
esisteva un solo motivo per cui Kate dovesse trovarsi in casa. Sua
sorella era felicemente sposata con il dirigente di
un’agenzia
immobiliare. Abitavano ad Asahikawa ed era raro che tornasse dai
genitori. Piuttosto erano loro ad andare da lei, togliendosi di torno
per intere e rilassanti giornate durante le quali Philip aveva la
casa a sua completa disposizione. Si guardò intorno e
tirò un
sospiro di sollievo non vedendo traccia di Willy, il suo piccolo e
petulante nipote. O era rimasto a casa sua con il padre, oppure era
con i suoi a far spese da qualche parte, o magari al cinema o
chissà
dove.
-Questa
è anche casa mia.- rispose Kate infastidita -Mamma ha detto
che non
ha tue notizie da tre giorni. Che fine hai fatto?-
-Ho
avuto da fare.- Philip imboccò le scale trascinandosi dietro
la
borsa piena di panni da lavare.
-Perché
hai spento il cellulare? Peter Shake ti sta cercando da ore!-
-Si è spento da solo, ho la batteria scarica. Che vuole?-
-Vuole
avvertirti che oggi pomeriggio è in programma una seduta
straordinaria di allenamenti e alle quattro ti aspetta al campo.- lo
seguì sulle scale, lo osservò infilarsi in bagno
e svuotare la
borsa nel cesto dei panni sporchi -Ovviamente non ci andrai, visto
che sei qui…-
-Sei
perspicace, come al solito.- la schernì lui. Riprese
stizzito la
borsa praticamente vuota, e le passò accanto urtandole un
braccio.
Non si scusò.
-Deficiente…-
Kate
lo seguì fin dentro la sua camera e lo vide in piedi,
davanti
all’armadio, a rinfilare nella borsa dei panni puliti senza
fare
troppa attenzione che non si spiegazzassero. La donna si
guardò
intorno. Era quasi un anno che non metteva piede nella stanza del
fratello, ma notò subito un unico, grande cambiamento.
-Dov’è
finita la foto tua e di Jenny?-
-Non
c’è.-
-Vi
siete lasciati?-
Lui
fece finta di non sentirla, sforzandosi di concentrarsi su
ciò che
stava facendo. Kate scosse la testa incredula, perché quel
silenzio
non poteva che essere un assenso. Un moto di dispiacere le
serrò lo
stomaco. Erano stati insieme per anni, lui e Jenny, ed era convinta
che si sarebbero sposati. Anche la mamma e il papà ne erano
convinti. Loro lo sapevano? Sicuramente no, altrimenti
l’avrebbero
avvertita. Fissò il fratello. Philip non aveva reagito alla
domanda,
non aveva cambiato espressione. Solo gli occhi, per un attimo,
avevano scintillato di dolore. Evidentemente la ferita era ancora
aperta e sanguinava.
-Il
pranzo è quasi pronto.- disse prima di lasciare la stanza
-Mangi?-
Lui
scosse la testa e chiuse la borsa. Era stato uno stupido a tornare a
casa. A fare cosa poi? A lasciare che Kate s’impicciasse
della sua
vita? La sua assurda frenesia di fuggire da Sapporo l’aveva
riportato a Furano quando invece avrebbe dovuto essere lì.
Adesso
non gli restava altro da fare che ripartire di corsa e presentarsi
agli allenamenti del pomeriggio, prima che il mister si stancasse di
lui e lo scacciasse dalla squadra, convincendo la società a
non
rinnovare il suo contratto.
Erano
le otto quando la serratura della porta d’ingresso
scattò. Mark la
spalancò con il piede, le mani cariche di pacchi.
-Jenny!
Dove sei?-
-Di
sopra!-
-Vieni
giù! Ho portato la pizza! E non solo, purtroppo.-
Fuori
Rob e Dario scaricarono sul vialetto il resto della spesa, compresa
una cassa piena di bottiglie di birra. Gentile entrò in casa
a mani
vuote, il cellulare tra le dita, gli occhi abbassati sul display che
gli illuminava il viso di una tenue luce azzurra. Stava rispondendo
ad un messaggio, e a dare una mano non ci pensava proprio.
Jenny
spuntò sul pianerottolo del primo piano gocciolante, appena
uscita
dalla doccia. A coprirla solo l’asciugamano che si teneva
stretto
al petto e le arrivava a metà coscia. Una cascata di capelli
ancora
bagnati le ricadeva intorno al viso.
-Non
ho capito…- cercò Mark con gli occhi e lo vide
sollevare la testa
di scatto, fissandola incredulo. Poi, accanto a lui, mise a fuoco
anche Gentile.
Salvatore
alzò il viso dal cellulare, attirato dalla sua voce, e le
parole del
messaggio si confusero perdendo significato. Nel suo sguardo
trapelò
dapprima meraviglia poi, dopo un secondo, divertito apprezzamento.
Non disse nulla ma le dedicò un sorriso formato-privato, di
quelli
che promettevano un rapporto unico e speciale. Sotto i suoi occhi
Jenny divenne paonazza. Fece un passo indietro, stringendosi addosso
l’asciugamano mentre Gentile, lo sguardo su quella pelle nuda
che
l’asciugamano non poteva nascondere, inviò il
messaggio senza
neppure finire di comporlo.
Mark
spintonò l’italiano verso la cucina mentre quello
puntava i piedi
per impedirglielo. Poi si volse furibondo verso Jenny piantata
lì,
immobile come una statua.
-Vai
subito a vestirti!-
Lei
sobbalzò al rimprovero.
-Mi
hai chiamata tu!- gli gridò addosso, un secondo prima di
sparire
oltre l’angolo del muro. S’infilò in
camera furiosa e richiuse
la porta con una tale violenza da far risuonare il tonfo per tutta
casa. Poi, immobile al centro della stanza, si portò
incredula le
mani alle guance. Le sentì bollenti. Si volse e si
guardò nello
specchio appeso alla parete. Era arrossita, anzi, era paonazza.
Davanti a Mark, davanti a Gentile, aveva appena fatto una madornale
figura di merda.
Ancora
piantato nell’ingresso, Salvatore
s’infilò il cellulare in
tasca, incapace di credere a tanta fortuna.
-Va
sempre in giro per casa così, Landers?-
-Perché
invece di dire stronzate non dai una mano?-
-Scherzi?
Prima mi inviti e poi mi fai sgobbare?!-
-Io
non ti ho invitato, sei tu che ti sei imbucato!-
-Vorrei
vedere! Ti sto facendo l’autista da ore! E poi la pizza l'ho
offerta io!-
Mark
sbuffò.
-Era
il minimo che potessi fare.-
-Il
minimo che potessi fare per riuscire a dare un’occhiata
più da
vicino alla tua amica.- e cacchio se c’era riuscito -Non
penserai
mica di tenerla chiusa in casa, lontana dal resto del mondo? E per di
più mezza nuda? Non è giusto che te la godi solo
tu!-
Mark
divenne scarlatto.
-Non
mi godo proprio niente!- lanciò un’occhiata a Rob
e Dario che
portavano in cucina spesa e birre -E poi il resto del mondo chi
sarebbe? Tu?-
-Certo
che sono io! Non ti fidi di me?-
Mark
lo fissò ostile.
-No,
ma mi fido di lei. A Jenny non interessano i palloni gonfiati.-
Salvatore
s’irrigidì a quel mezzo insulto.
-Che
ne sai?-
-Lo
so, la conosco da anni.- Mark non sapeva nulla dei gusti di Jenny, ma
quel borioso italiano era distante anni luce da Philip e
l’amica
non avrebbe mai potuto provare interesse per lui.
Dario
si affacciò nel corridoio, imbronciato.
-La
smettete di bisticciare? La pizza si fredda e la partita comincia.-
Jenny
comparve sulla porta della cucina titubante, guardinga, ancora piena
di imbarazzo, portando con sé un profumo di bagnoschiuma ai
fiori. I
capelli, asciugati in fretta e in furia e ancora umidi, le ricadevano
sciolti sulle spalle, un velo di trucco nascondeva la stanchezza del
viaggio. Gli occhi guizzarono timorosi nella stanza in cerca del
biondo italiano e quando lo trovò non ebbe il coraggio di
incrociare
il suo sguardo. Abbassò il viso e arrossì. Lui se
ne accorse e si
volse verso Dario, ridendo lusingato.
-Hai
visto? Ho già fatto colpo!-
-E
ti pareva…-
Mark
li udì e sussultò. Lasciò perdere i
cartoni della pizza e si
volse. Scorse Jenny immobile sulla soglia, una mano sullo stipite, le
guance arrossate, gli occhi luccicanti e un’aria imbarazzata
che la
rendeva estremamente graziosa. Come se ciò non bastasse, per
i gusti
di Mark l’amica indossava una camicetta troppo scollata e una
gonna
troppo corta. La guardò mentre gli si accostava.
-Non
avevi detto che ti saresti liberato di loro?-
-Avevo
dimenticato la partita.- lui represse la stizza, prese tre birre per
il collo e spinse Gentile fuori dalla cucina. Lei li seguì
per un
tratto, curiosa.
-Che
partita?-
-Barcellona
contro Amburgo.- Mark le rispose dal salotto mentre Gentile si
lasciava cadere su una poltrona.
-Sai
una cosa Landers? Non ho mai avuto una ragazza giapponese.-
-E
non l’avrai.-
Gli
occhi azzurri di Salvatore brillarono di divertimento.
-Il
caso vuole che in questo momento sia libero come l’aria.-
-Davvero?
Che fine ha fatto Clarissa?-
Lo
sguardo dell’italiano si oscurò.
-Ci
siamo lasciati.-
-E
perché?- ecco un’altra coppia scoppiata! Che
accidenti stava
succedendo in quel periodo? Gentile si irrigidì, nei suoi
occhi
passò un lampo di scontento che non riuscì a
mascherare.
-Non
sono affari tuoi. E comunque sono sicuro che Jenny non ha mai avuto
un ragazzo italiano.-
-E
allora? Jenny non colleziona fidanzati.-
Lui
e Dario si scambiarono un’occhiata d’intesa, pronti
a metterlo in
imbarazzo.
-È
vergine?-
-No
che non lo è!-
-Come
fai a saperlo? Continui a insistere che non è la tua
ragazza…-
Mark
li fulminò. Afferrò la birra e ne
mandò giù una sorsata
risentita.
-Sai
che ti dico, Dario?- insistette Gentile -Landers ci ha provato ma non
c’è riuscito.-
-Stavolta
la penso esattamente come te.-
-Non
ci ho provato, razza di cretini! Jenny per me è come una
sorella!-
-Tranquillo,
la tratterò bene la tua “sorellina”.-
rise Salvatore.
-Tu
non devi neanche provarci!-
-Perché
no? Lascia che sia lei a decidere, è grande abbastanza.-
Jenny
li osservò curiosa dalla cucina, decidendo che Gentile aveva
una
bella voce. Profonda, melodica come l’acqua che scorre,
l’acqua
dei suoi occhi. Ascoltava a tratti una conversazione che non riusciva
a capire. Li sentiva ridere, Mark rispondere a tono, e temeva
fortemente che stessero parlando di lei perché aveva udito
più
volte pronunciare il proprio nome. Poi Salvatore sollevò lo
sguardo
dalla birra e la scorse attraverso il corridoio. Le sorrise cordiale,
lei arrossì e fece un passo indietro, nascondendosi dietro
l’angolo
per evitare i suoi occhi. Si diede della stupida. Stava reagendo come
una quindicenne e non riusciva a capire il perché. Si
riscosse, si
disse che non poteva restare tutta la sera in cucina da sola, pure se
Gentile l’aveva vista mezza nuda. Si fece coraggio ed
entrò nel
salotto. Per fortuna almeno Dario e Rob le lanciarono
un’occhiata
distratta, tornando a spartirsi la pizza. Si avvicinò
titubante al
divano e si appollaiò sul bracciolo accanto a Mark, tesa
come una
ragazzina. Lui le porse uno spicchio di pizza.
-Perché
non mi hai detto che giocava Holly?-
-L’avevo
dimenticato.-
Philip
giaceva bocconi sul divano. Nel silenzio dell’ampio salone
della
villa percepiva ancora il rombo dei bassi della musica che gli aveva
martellato il cervello per tutta la serata. Non sapeva di cosa si
fosse intontito. Un po’ incerto e dubbioso aveva attinto a
caso tra
quello che gli avevano proposto, confezioni di pasticche
così
illegali che chi tra i ragazzi le aveva procurate, aveva rischiato
non solo l’arresto ma anche il posto in squadra e lo
sputtanamento
pubblico. Il leggero senso di colpa che l’aveva assalito
mentre
allungava la mano verso il tavolo, tra anfetamine, nitrito di amile,
rush, acido salicilico ed ecstasy, era stato spazzato via
dall’occhiata ironica che Daniel Baird aveva scambiato con
gli
altri, sicuri che Philip non avesse le palle per mandar giù
quella
roba. Uno stupido orgoglio e la voglia di dimostrare che lui non
valeva meno di loro, l’aveva spinto ad afferrare una pasticca
e a
inghiottirla insieme alla birra. Sapeva perfettamente che il fatto di
non aver mai voluto partecipare a quelle feste lo aveva fatto
diventare, insieme a Peter Shake, lo zimbello della squadra.
Convinto
che l’effetto sarebbe stato immediato, era rimasto immobile
per
alcuni minuti, seduto ad aspettare che succedesse qualcosa sotto gli
occhi divertiti dei ragazzi che gli stavano intorno. Invece la prima
mezz’ora non aveva provato niente, nemmeno un leggero
stordimento.
Solo ad un certo punto della serata, il battito del suo cuore aveva
cominciato ad andare a tempo con i bassi e la musica gli era entrata
dentro. Vampate di calore lo avevano avvolto, tanto che si era
sfilato la felpa restando in maglietta. Il suo malumore era stato
scalzato da un’euforia inspiegabile e una voglia
irresistibile di
divertirsi, che lo aveva spinto tra gli ospiti che ballavano, nel
mucchio in mezzo agli altri. Una ragazza con uno striminzito
vestitino fucsia e i capelli legati in una coda si era messa a
ballare accanto a lui, sempre più vicina fino a
strusciarglisi
addosso. Ad un certo punto Philip le aveva posato le mani sui fianchi
e lei gli aveva circondato il collo con le braccia. Avevano
cominciato a baciarsi e si erano spostati a poco a poco ai lati della
pista. Nelle ore successive si erano dati alla pazza gioia in una
stanza al piano di sopra. Poi ad un certo punto la giovane era
scomparsa, Philip era andato in bagno, aveva vomitato anche
l’anima
ed era tornato nel salotto privo di forze, dove si era lasciato
cadere bocconi su uno dei divani, sotto gli occhi divertiti e un
po’
fatti dei compagni.
Ora
si sentiva come se il suo corpo si fosse spaccato in due. Lo stomaco
era sottosopra, protestava per la nausea e lo stimolo a vomitare gli
arrivava a ondate nel cervello. Ma non aveva più niente da
espellere, s’era già completamente svuotato. La
testa, la mente, i
pensieri, tutto era sprofondato in una nebbia da cui ogni tanto
emergeva un ricordo vago, un pensiero inutile. L’intontimento
lo
avvolgeva con un piacevole torpore, tenendogli lontano dalla mente
ogni idea e ogni concetto. Anche sforzandosi, e non gli andava certo
di farlo, non riusciva a pensare a nulla. Il vuoto assoluto. Neppure
ricordava la ragazza con cui si era divertito quella notte. Neppure
si rendeva conto, a tratti, di dove si trovasse e di cosa ci facesse
lì, se non fosse stato per la nausea che lo assaliva e lo
riportava
sul confine della consapevolezza.
Se
ne stava riverso su quel divano un po’ appartato da almeno
due ore,
il viso girato verso la spalliera, l’altra guancia incollata
alla
tela spessa dei cuscini. A parte le proteste del suo stomaco
scombussolato, finalmente stava bene ed era felice. Sul suo volto
aleggiava l’ombra di un sorriso, quella notte aveva
soddisfatto
tutti i sensi.
D’un
tratto qualcuno gli sollevò un braccio e glielo
lasciò ricadere
brusco. La mano urtò dolorosamente contro l'intelaiatura del
bracciolo del divano, la fitta gli raggiunse il cervello, poi si
dissolse nel nulla.
-Callaghan
è andato.- rise una voce maschile. Forse era Daniel.
-Per
essere la prima volta ha reagito bene.-
-Tocca
invitarlo di nuovo. È stato uno spasso!-
Una
risata gli rimbombò nelle orecchie. Un moto di fastidio lo
invase e
la nausea lo assalì ancora. Forse non l'avrebbe
più abbandonato. Si
chiese chi lo stesse sfottendo, cercò di aprire gli occhi ma
non ci
riuscì, continuò a vedere nero e dopo quello
sforzo, abbandonò
ogni tentativo di riscuotersi.
-Chiamate
Shake così se lo viene a riprendere.-
Quella
frase lo fece riemergere di nuovo, e stavolta in modo ancora
più
brusco, dagli spessi strati di ovatta che gli avvolgevano il
cervello. No, non Peter. Non voleva assolutamente che qualcuno che lo
conosceva da anni lo vedesse ridotto in quello stato. Tentò
di
sollevare il braccio che pendeva inerte a terra, ma non
riuscì ad
agitare neppure le dita che sfioravano il pavimento.
Aveva
bisogno di tempo. Un minuto, due, tre… qualche istante
ancora per
riuscire a connettere, per riallacciarsi addosso gli arti che erano
finiti chissà dove. A forza di provare tornò
gradualmente padrone
della sua mano. Agitò le dita e un formicolio
fastidiosissimo gli
salì su per la spalla, fin sulla nuca e sul cuoio capelluto.
Fece un
altro sforzo e spostò la gamba. La lasciò
scivolare a terra e
appoggiò un ginocchio sul pavimento. Quei semplici,
stupidissimi
movimenti lo sfiancarono. Si prese del tempo per riposare. Volarono
altri minuti, dieci, quindici, poi un trillo prepotente e improvviso
gli risuonò nelle orecchie, seguito subito da alcune voci
concitate
che si avvicinavano.
Peter
entrò nel salone guardandosi intorno. Come posò
gli occhi sul volto
sfatto dell’amico, la preoccupazione lasciò il
posto all’ira.
-Cosa
gli avete dato?-
Baird
rispose stizzito.
-Callaghan
si è servito da solo!-
Shake
scostò bruscamente Richard Hall che era sul suo percorso, si
avvicinò a Philip e si chinò su di lui. Doveva
portarlo via da lì
e farsi promettere che non ci avrebbe più rimesso piede.
-Vieni,
ce ne andiamo.- gli afferrò un braccio e cercò di
tirarlo su -Ce la
fai a camminare?-
Philip
non credeva di avere la forza di rispondere, ma invece
assentì,
chinando appena la testa. Aiutato da Peter si mise in piedi, malfermo
sulle gambe, gli occhi offuscati.
Uscirono
in strada e l’aria gelida della mattina lo riscosse.
Aggrappato al
compagno per non scivolare sul ghiaccio, barcollò fino alla
macchina. Peter aprì lo sportello e
l’aiutò a infilarsi dentro.
Poi gli agganciò la cintura di sicurezza, perché
Philip da solo non
era in grado di farlo. Richiuse sbuffando lo sportello, salì
dall’altro lato e si sedette al suo fianco.
-Che
cazzo combini, Philip? Che ci facevi lì con loro?-
Lui
si volse e gli lanciò un’occhiata stanca, confusa.
-Niente…-
-Niente?-
alzò la voce, furioso -Il loro “niente”
non ti è mai piaciuto!
Ora invece ci sei andato. Perché?-
Philip
chiuse gli occhi e posò la nuca contro il poggiatesta,
continuando a
restare in silenzio.
-Hai
provato anche tu? Anche tu hai mandato giù quelle schifezze,
vero?
Come hai potuto farlo? Hai sempre disapprovato… Abbiamo
sempre
disapprovato.- tacque un istante e abbassò lo sguardo sul
contachilometri fermo a zero. Poi si volse di scatto -Se ti vedesse
Jenny! Se lo sapesse!-
Philip
fu scosso da un fremito e si volse, cercando di mettere a fuoco quel
volto che conosceva da quando erano bambini.
-Non
c’entra niente lei! Non voglio che la nomini!-
-Perché?
Altrimenti che fai? Mi prendi a pugni?-
La
sua provocazione cadde nel vuoto. Philip non aveva la forza neppure
di rispondergli. Fremente di indignazione, Peter lo riempì
d’insulti
finché non si fu sfogato abbastanza. Poi puntò
gli occhi sulla
strada, mise in moto e partì.
Dopo
quel barlume di lucidità che gli aveva richiesto lo stesso
sforzo
che gli ci era voluto per trasferirsi dal divano alla macchina,
Philip scivolò di nuovo nel torpore. Ma adesso non era
più tanto
piacevole. Immagini di Jenny si accavallavano nella sua testa una
dietro l’altra e non aveva abbastanza energie per scacciarle.
Le
parole di Peter non finivano di riecheggiargli nella mente,
rimbalzando impazzite come le palline di un flipper. L’amico
aveva
ragione, Jenny non avrebbe mai voluto e proprio per questo era valsa
la pena. Ce l’aveva ferocemente, furiosamente e
disperatamente con
lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa che lei avesse disapprovato. Il
tempo e la sofferenza avevano cancellato molti particolari dei loro
litigi e Philip aveva finito per dimenticare fino a che punto e
quante volte le sue parole l’avessero ferita. Quando
l’ira
dell’ultima discussione era evaporata, ne era rimasto come
inaridito, con un vuoto dentro che aveva sentito subito la
necessità
di riempire. Allora aveva provato e riprovato a chiamarla sia al
cellulare e che a casa, per fare la pace, per scusarsi, per
riavvicinarla a sé. Lei non aveva mai risposto,
né all’uno, né
all’altro telefono. Così, dopo un paio di giorni
di tentativi, era
salito in macchina ed era tornato a Furano, arrivando fin sotto casa
sua. Aveva parcheggiato lungo il marciapiede, era sceso ed era
rimasto sgomento ad osservare a naso in su porte e finestre
completamente sbarrate. Il panico l’aveva assalito. Si era
avvicinato al cancello e aveva suonato. Nessuno aveva risposto. La
cassetta della posta traboccava di volantini, nessuno la ritirava
più. Aveva lanciato un’altra occhiata alla casa e
aveva capito che
Jenny non c’era, non c’era più da
giorni. Era risalito in
macchina e se n’era andato. Il giorno dopo non era tornato a
Sapporo e aveva saltato gli allenamenti per restare per buona parte
della giornata seduto in macchina davanti casa di lei. Non
l’aveva
vista. Era ritornato il giorno dopo e quello dopo ancora per tutta la
settimana, intervallando le sue visite ad inutili telefonate. Poi
Peter lo aveva chiamato e gli aveva detto chiaro e tondo che se
avesse continuato a saltare gli allenamenti, avrebbe rischiato il
posto in squadra. Così era ripartito, con la certezza che la
casa
era vuota e che Jenny se n’era andata. La delusione e
l’angoscia
si erano tramutate in collera e con il passare dei giorni
l’ira
verso chi l’aveva abbandonato senza neppure una parola, aveva
distorto i ricordi. Adesso non era più lui ad averla
lasciata nei
corridoi dello stadio di Sapporo durante il loro ultimo litigio, ma
lei ad essere sparita senza avvertirlo e senza dargli spiegazioni,
senza neppure dargli il tempo di scusarsi, di chiederle perdono. La
nuova versione dei fatti aveva attenuato lo shock
dell’abbandono e
il dolore del distacco, lo aveva giustificato quando aveva deciso di
distrarsi con un paio di ragazze amiche di amici. Era rimasta
radicata dentro di lui mentre chiamava Julie per la prima volta al
cellulare, quando aveva cominciato a vedersi con lei. Aveva
continuato a credere per giorni che la colpa di tutto fosse di Jenny,
ne era rimasto convinto fino a quel momento. Uscito dalla villa di
Daniel, dopo le parole di Peter, gli erano tornate davanti agli occhi
chiare e nitide le finestre sprangate della bella casa alle pendici
di Furano. E ora nella macchina dell’amico, seduto accanto a
lui,
intontito dalle anfetamine, Philip capì finalmente che la
colpa era
sua. Solo ed esclusivamente sua. Era lui ad aver sbagliato tutto. Con
un tuffo al cuore si rese conto che forse non l’avrebbe
più
rivista, che probabilmente l’aveva persa per sempre.
Peter
guidò in silenzio. Era furioso e non sapeva che fare. Non
gli andava
di portare Philip da lui (Grace si era fermata, quella notte) ma non
si fidava neppure a riaccompagnarlo a casa. L’amico non
metteva
piede nel suo appartamento da mesi e non se la sentiva a lasciarcelo
da solo, così all’improvviso e per di
più in quello stato. Mentre
era fermo ad un semaforo si frugò nelle tasche,
tirò fuori il
cellulare e spinse il tasto invio.
-L’ho
preso, è qui con me.- disse quando Grace gli rispose -Cosa
faccio?-
Le
parole di Peter si fermarono nel limbo in cui la mente di Philip
continuava a galleggiare e persero di significato prima di assumere
un senso.
-Non
mi fido a lasciarlo da solo...- un’altra pausa -Va bene.-
Peter
chiuse la comunicazione e posò il cellulare sul sedile, tra
le
gambe. Lanciò un’occhiata a Philip che teneva gli
occhi chiusi.
Scosse la testa e tornò a seguire la strada.
Si
fermò nel parcheggio riservato al condominio,
smontò e suonò al
citofono. Mentre aspettava che Grace rispondesse, osservò il
compagno che aveva lasciato in macchina, immobile sul sedile. Teneva
gli occhi chiusi, la testa abbandonata contro il vetro del
finestrino, forse dormiva. Probabilmente non si era neppure accorto
che erano arrivati.
La
ragazza comparve avvolta nel cappotto. Sotto l’orlo
spuntavano i
pantaloni del pigiama. Erano le sei di mattina, stava appena
cominciando a fare giorno, era domenica e in giro non si vedeva
nessuno.
-Allora?-
il suo fiato si condensò in tante gelide nuvolette.
Stringendosi una
mano nell’altra si fermò accanto a Peter e
lanciò un’occhiata
malevola alla macchina. Non restava praticamente mai a dormire
lì e
per una volta che lo faceva, Philip le aveva rovinato la festa -Come
sta?-
-Puoi
vederlo da te. Non si muove neppure.-
-Sta
dormendo?-
-Non
ne ho idea. L’ho trovato così.-
-Portiamolo
su.- sospirò la ragazza aprendo lo sportello.
Philip
crollò sul divano, su cui lo spinsero neppure troppo
gentilmente. Si
rannicchiò su se stesso, sprofondò il viso tra il
bracciolo e lo
schienale e rimase così, immobile. Non aveva detto una
parola mentre
erano nell’ascensore, né mentre percorrevano il
corridoio, Grace
che lo sosteneva da una parte, Peter dall’altra. Non li aveva
neppure ringraziati, forse non si rendeva neanche conto di dove
fosse.
Grace
gli gettò una coperta addosso, poi si accostò a
Peter e lo prese
per mano, restando a guardarlo perplessa.
-Cos’ha
mandato giù?-
Il
ragazzo scosse la testa.
-Non
voglio neppure saperlo.- si staccò da lei e si
lasciò cadere su una
poltrona -Baird ha detto che si è servito da solo e
probabilmente
non lo sa neppure lui.-
Grace
lo guardò, poi tornò ad osservare Philip e
sospirò abbattuta.
-Perché
si comporta così?- le venne quasi da piangere per la stizza
-Se ci
fosse Jenny lei saprebbe… Non glielo
permetterebbe… E lui non lo
farebbe…- gemette lasciando tutte le frasi a metà
-Non lo farebbe
mai!- lo guardò ancora un istante, affranta, poi
sentì il cellulare
squillare. Lo aveva lasciato in camera da letto e corse a
recuperarlo.
Non
riconobbe il numero che comparve sul display.
“Grace.”
-Jenny?-
la sorpresa fu immensa, non sentiva l’amica da giorni.
“Grace,
sei sola? Ti disturbo?”
-C’è
Peter, di là…- e c’è anche
Philip, avrebbe voluto aggiungere ma
non lo fece -Alla buonora! Sai da quanti giorni ti sto cercando? Mi
hai fatta preoccupare.- la sentì sospirare e le
sembrò lontanissima
-Dove sei?-
“Devi
promettermi che non lo dirai a nessuno.”
-E
a chi vuoi che lo dica?- si affacciò nel corridoio e vide
Philip
disteso sul divano, gli occhi chiusi, profondamente addormentato. O
forse svenuto, collassato, per quanto ne sapeva. Peter gli aveva
sistemato meglio il plaid sulle spalle perché non prendesse
freddo.
“A
Peter, per esempio.”
-Se
non devo dirglielo, non glielo dirò. Sai che mantengo sempre
le
promesse.-
Jenny
udì un rumore e si volse. Salvatore Gentile era fermo sulla
porta
della cucina, la guardava e le sorrideva.
-Non
vieni di là?-
-Arrivo
subito.- gli indicò il telefono, lui capì e si
ritrasse.
“Jenny,
chi è con te?” l’aveva sentita parlare
in inglese “Sei di
nuovo a New York?”
-No,
sono in Italia.-
“In
Italia?” lo sgomento la portò quasi ad urlare.
Abbassò subito la
voce, il timore che Peter l’avesse udita. Per sicurezza
chiuse la
porta “Come accidenti ci sei finita, in Italia?”
-Con
l’aereo, Grace.- non voleva perdersi in chiacchiere, voleva
solo
rassicurarla che stava bene -Senti, scusa, ti devo lasciare. Mi
stanno aspettando.-
“Questo
è il tuo numero, Jenny? Posso chiamarti qui?”
-No,
non lo è. Ti chiamerò io.- la salutò,
riagganciò e ripose il
cordless di Mark nell’ingresso, sperando che
l’amico non si
accorgesse che aveva fatto una telefonata intercontinentale con i
suoi soldi.
Tornò
in salotto e si sedette sul divano accanto a Mark, fissando lo
schermo della tv, sentendo i ragazzi parlare ma pensando a Grace, a
quello che l’amica stava facendo. A cosa avrebbe pensato
della voce
di Salvatore che aveva udito, se sarebbe davvero riuscita a mantenere
il segreto. Aveva dovuto chiamarla per forza, Grace, o si sarebbe
preoccupata sul serio e lei non voleva. Succedeva troppo spesso,
ultimamente, che l’amica fosse in pena per lei. Non
riuscì a
concentrarsi sulla partita e la conversazione in italiano si confuse
presto nella sua mente stanca. Si addormentò tra i cuscini
senza
accorgersene e non fu l’unica a farlo.
-Mark,
la partita è finita.- Rob gli mise una mano su un ginocchio
e lo
scosse.
Lui
aprì gli occhi, intontito dal sonno.
-Chi
ha vinto?-
Il
ragazzo lo guardò con un sorrisetto di scherno.
-Non
te lo dico, così impari a dormire mentre gioca Holly.-
-Vaffanculo
Aoi.- soffocò uno sbadiglio, riemergendo goffamente dai
cuscini. Si
tirò su e si guardò intorno. Dopo il risultato
della partita, il
secondo pensiero fu per Jenny. La cercò con lo sguardo e se
la
ritrovò accanto, anche lei profondamente addormentata. Si
era
raggomitolata su se stessa e poggiava la fronte contro il suo
braccio. La gonna le era salita un po’ sulle gambe e dalla
scollatura della camicetta si scorgeva il merletto bianco del
reggiseno. Distolse immediatamente gli occhi.
-Il
fuso orario è una brutta bestia, eh?- gli sorrise Dario
tornando
dalla cucina dove era andato a gettare i cartoni della pizza.
Mark
si alzò a fatica, si sentiva distrutto. Si chinò
su Jenny che
continuava a dormire indisturbata, le posò una mano sulla
spalla e
la scosse. La giovane si rannicchiò su se stessa, i capelli
le
scivolarono davanti nascondendole il viso.
-Jenny?-
Si
girò dall’altra parte, così insonnolita
da dimenticare la
presenza degli altri ragazzi. Mark la fissò interdetto, poi
accompagnò gli amici nell’ingresso. Fu con un
sospiro che richiuse
la porta dietro di loro. Tornò nel salotto e si
caricò Jenny tra le
braccia. Lei non fece una piega. Era uno scricciolo, leggera come una
piuma. La portò di sopra senza sforzo, la
depositò sul letto, la
ricoprì e finalmente, dopo una giornata distruttiva che era
cominciata in Giappone ed era finita in Italia ventisei ore dopo,
riuscì finalmente a ficcarsi sotto le coperte.
Alle
quattro Jenny si svegliò di soprassalto. Aveva sognato
Philip e una
versione più soft del loro ultimo litigio. Si mise seduta
sul letto,
si passò una mano sugli occhi umidi, accese la luce del
comodino e
si guardò. Era ancora completamente vestita. Fece mente
locale,
ricordò la cena in salotto e la pizza con Gentile, Belli e
Aoi. Non
riuscì a spiegarsi come avesse fatto ad arrivare in camera.
Si alzò
per andare in bagno e quando tornò esitò davanti
al tavolino, gli
occhi puntati sul cassetto chiuso. Voleva vedere di nuovo la foto che
aveva ritagliato dalla rivista di Mark quando lui era uscito per fare
la spesa insieme agli altri. L'aveva nascosta lì dentro ma
adesso
voleva averla ancora sotto gli occhi, il desiderio che la vista di
Philip e Julie, oltre a farla soffrire, la riscuotesse e le desse la
forza di andare avanti in un momento in cui la sua vita sembrava
essersi fermata, che la spingesse a dimenticarlo. Doveva smettere di
sperare che prima o poi lui sarebbe tornato. Se avesse avuto
intenzione di farlo lo avrebbe già fatto, non avrebbe
lasciato che
trascorresse tutto quel tempo. E sicuramente non si sarebbe lasciato
fotografare con un’altra. Jenny allungò una mano
per aprire il
cassetto, poi sentì bussare alla porta. Sussultò,
si scostò dal
tavolino e si lasciò cadere sul letto.
-Jenny?-
Mark fece capolino nella stanza -Non dormi?-
-Non
ci riesco.-
-Neanch’io,
maledetto fuso orario.- il ragazzo si sedette sul letto e Jenny si
scostò per fargli spazio.
-Sono
andati via?-
-Da
un bel pezzo ormai.-
-Come
sono arrivata qui?-
-Ti
ho portata in braccio.-
Le
guance di lei si colorirono di rosso.
-Maniaco!-
Lui
la fissò incredulo.
-Maniaco?
Come puoi darmi del maniaco? Ho provato a svegliarti ma ti sei girata
dall’altra parte!-
-Non
è vero!-
-Sì
che lo è!-
Jenny
si portò le mani al viso.
-Non
ci posso credere… Non posso essermi addormentata davanti a
tutti.-
non davanti a Gentile, a Belli, ad Aoi. Forse aveva addirittura
russato!-
-Che
problema c'è? Anch'io mi sono addormentato. Non ho neppure
visto
com'è finita la partita!-
Lei
cambiò argomento, pur di scacciare l’imbarazzo.
-Benji
non aveva firmato il contratto col Bayern? Perché gioca con
l’Amburgo? Non lo sapevo.-
Certo
che non lo sapeva. In quell’ultimo anno era stata troppo
concentrata a dedicarsi a se stessa, a cercare di superare il trauma
della violenza di David e a ricostruire con Philip un rapporto
lacerato. Non sapeva niente del contratto di Benji così come
non era
andata al matrimonio di Patty e Holly, l’unica a mancare. E
non
solo era mancata. Quando quella sera Philip era rientrato da
Fujisawa, non gli aveva chiesto nulla. Soffriva troppo per riuscire
ad essere felice della gioia degli altri. E così, tra le
altre cose,
aveva perso anche la notizia della rinuncia di Benji a quella che
avrebbe potuto essere l’occasione della sua vita.
-Perché?-
ripeté sgomenta.
Mark
fece spallucce.
-Lo
stai chiedendo alla persona sbagliata. Se Price ha un dubbio non
viene certo a confidarsi con me. Probabilmente qualche clausola del
contratto non gli è piaciuta e ha deciso di rinunciare. O
forse
puntava ad un’altra squadra… Vallo a sapere.-
-Eppure
a Kyoto mi era sembrato entusiasta.- s’interruppe di colpo e
non
riuscì a continuare. Abbassò gli occhi sulle dita
spasmodicamente
serrate tra le pieghe del lenzuolo. Deglutì e
ingoiò il disagio.
Era
la seconda volta quel giorno che finivano per accennare prima a
David, poi a Kyoto. Due parole che erano sinonimi e Mark sapeva bene
quali traumatici ricordi scatenassero. Eppure, nonostante la tensione
che aveva irrigidito il suo corpo, Jenny riusciva a parlarne. Era un
bel passo avanti da quando l’aveva vista a Furano
l’ultima volta.
-Perché
tu e Philip vi siete lasciati?-
La
ragazza si volse di scatto e lo guardò tesa.
Esitò un secondo,
prima di rispondere.
-Non
mi va di parlarne.-
-Non
andrei a dirlo a nessuno.-
-Mi
fido, Mark… Ma non voglio parlarne, davvero.- le faceva
troppo male
e soprattutto sarebbe dovuta scendere in particolari troppo privati e
intimi.
-Chi
sa che sei qui?-
-I
nonni. E poi Ed ma soltanto perché avevo bisogno dei
dettagli del
tuo volo.-
-Potevi
chiamare me.-
-Mi
avresti chiesto notizie di Philip.-
Mark
seppe che lei aveva ragione, lo avrebbe fatto. Sospirò.
-Ai
tuoi non hai detto niente?-
-No.-
-Saranno
sicuramente preoccupati.-
-No,
pensano che sia a Shintoku. La nonna mi terrà il gioco
ancora per
qualche giorno. E poi per mio padre un posto vale l’altro.
Che sia
qui con te o a casa non fa nessuna differenza.- tirò su il
cuscino e
se lo ficcò dietro le spalle per appoggiarsi contro la
spalliera del
letto -Ci sentiamo sì e no una volta ogni tre-quattro mesi.
Persino
mia madre non mi chiama quasi mai.-
Mark
l’ascoltò in silenzio, pieno
d’interesse, perché non sapeva
praticamente nulla della famiglia di Jenny. Aspettò che
continuasse.
-Mio
padre adora il suo lavoro e mia madre, nient’altro.- distolse
gli
occhi da lui e continuò con una sfumatura di amarezza
-Guadagna
parecchio e mi ha sempre dimostrato il suo affetto con un cospicuo
versamento mensile sul mio conto in banca. Da quando sono tornata in
Giappone e sono diventata indipendente, cioè praticamente
dal liceo,
i soldi che mi invia sono quasi raddoppiati. E sai perché?
Perché
ho finito di essere un peso per lui. Per anni a mio padre veniva
assegnato un nuovo incarico ogni sei mesi. In prima e seconda
elementare ho cambiato quattro volte scuola.- abbassò gli
occhi
sulle coperte che stringeva tra le mani -Poi a mia madre hanno detto
che a quell’età così tanti cambiamenti
rischiavano di rendermi
psicologicamente instabile. Allora ha avuto l’idea geniale di
parcheggiarmi a Shintoku dai nonni.- la sua voce
s’incrinò -In
terza media mio padre ha fatto un errore ed è stato
retrocesso. La
sua punizione è stata un anno in Giappone, a Furano. I
momenti più
belli della mia vita. Sistemati i suoi affari, appena ha potuto, se
n’è tornato a New York.- di nuovo un sorrisetto
ironico le incurvò
le labbra e concluse, per rassicurarlo -Li avvertirò che
sono in
Italia ma domani, con calma.-
-E
a Philip non dirai nulla?-
-Credi
che gli interessi saperlo? Ha altro per la testa, hai visto anche
tu.-
Mark
capì che si riferiva alla modella.
-Secondo
me gli interessa lo stesso.-
Lei
non si lasciò convincere.
-Non
sono tenuta a dirglielo. Non stiamo insieme.- lo fissò negli
occhi
-E poi vorresti davvero che lui sapesse che sono qui, ospite a casa
tua?-
Mark
valutò la domanda e decise di no. Era meglio che
l’amico ne
restasse all’oscuro. Presto avrebbe cominciato a tentare di
convincere Jenny a tornare in Giappone e se ci fosse riuscito
quell’assurda convivenza si sarebbe risolta. Le sorrise
rassicurante.
-Vedrai
che tutto si sistemerà.-
Lo
disse perché ci credeva davvero. Si alzò, le
diede la buona notte e
la lasciò, richiudendosi la porta alle spalle. Non
tornò in camera.
Doveva approfittare che in Giappone fosse già mattina per
fare una
cosa che gli premeva. Scese al piano di sotto stringendo tra le dita
il telefonino, entrò in cucina e richiuse la porta dietro di
sé,
per essere sicuro che Jenny non lo udisse.
-Ed,
sei uno stronzo bastardo! Come hai potuto farmi una cosa simile?-
Warner
dall’altra parte del mondo rimase senza parole. La sorpresa
di
vedere il cellulare squillare con il nome di Mark sul display in una
costosissima telefonata intercontinentale fu niente rispetto allo
sgomento prodotto dalle brusche parole che il suo ex capitano gli
rivolse così, all’improvviso.
-Io
mi fidavo di te! Mi fidavo ciecamente di te! E tu che hai fatto? Mi
hai mollato questo immenso, incommensurabile casino tra capo e collo,
come se io qui non avessi già abbastanza rogne! Ma che ne
sai tu di
cosa significhi vivere all’estero e giocare in una squadra
con un
difensore che è uno stronzo pallone gonfiato?-
“Mark…”
tentò inutilmente di arginarlo.
-E
se lo venisse a sapere Callaghan? Se qualche giornalista ficcanaso ci
beccasse insieme e la foto arrivasse in Giappone? Se Callaghan
scoprisse che mi sono portato Jenny a Torino, sarebbe capace di
uccidermi! Lo sai, vero?-
“Mark,
non credo che…”
-E
poi che accidenti significa che si sono lasciati? Chiama Philip e
chiediglielo! Io non posso, mi costerebbe una fortuna, come mi sta
costando una fortuna parlare con te!-
Ed
avrebbe voluto fargli presente che finora aveva detto sì e
no tre
parole, ma non ci riuscì. Mark sembrava un fiume in piena.
-Devi
assolutamente scoprire cos’è successo. Sguinzaglia
Harper e
quell’impicciona della sua fidanzata e richiamami
immediatamente
appena scopri qualcosa. Non posso tenermi Jenny in casa, se quei
deficienti della mia squadra la individuano non la finiranno
più! E
poi c’è quel coglione di Gentile che ha
già iniziato a ronzarle
intorno.- fece una pausa per riprendere fiato -Era
all’aeroporto! È
venuto a prenderci. Non glien’è mai fregato un
cazzo di me, potevo
anche crepare e lui avrebbe fatto i salti di gioia, e
all’improvviso
è venuto all’aeroporto per accompagnare me e Jenny
a casa. È
trapelata qualche notizia in Giappone? A Narita qualcuno ci ha
fotografati? Hai controllato?-
“Non
mi pare…”
-Non
è questione “che ti pare”! Devi
controllare, devi esserne
sicuro! Il problema non è solo Callaghan! Qui succede un
casino
anche se lo scoprono gli altri! Nessuno di loro me la perdonerebbe.
Né Tom, né Holly! E quel cretino di Price non mi
lascerebbe più
campare!-
“Va
bene Mark, controllerò.”
-Perfetto.
Se scopri qualcosa fammi sapere. Anzi, mandami una mail con le prove.
Ci sentiamo.- e riagganciò.
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Capitolo 3 *** Secondo capitolo ***
Secondo
capitolo
Bruce
scese sul marciapiede e richiuse lo sportello del taxi con tale
vigore che l’autista lo redarguì dal finestrino
aperto. Lui non lo
udì. Si precipitò verso l’ingresso
dell’ospedale, salì con due
falcate quattro scalini, superò le porte a vetri che si
aprirono
automatiche e si aggrappò al banco
dell’accettazione. Da quando
Evelyn l’aveva chiamato un paio d’ore prima mentre
era in pieno
allenamento, dicendogli che aveva avuto un incidente, non aveva
smesso di correre. Aveva interrotto gli esercizi, aveva costretto
l’allenatore a lasciarlo andare e si era scapicollato fino
alla
periferia di Tokyo, in quello sperduto ospedale in cui la fidanzata
era stata trasportata con l’ambulanza.
Evelyn
lo vide entrare, si alzò dalle sedie di plastica
dell’ampia sala
d’attesa e lo chiamò. Bruce si volse, la
individuò e le corse
accanto. Le prese una mano, il sollievo di vederla sana e salva gli
tolse la voce. Puntò gli occhi sul cerotto che le decorava
la
fronte, poi abbassò lo sguardo nel suo.
-Che
ci fai qui, Bruce?-
-Come
che ci faccio qui? Che razza di domanda è?-
Amy
gli arrivò alle spalle con due tazze fumanti.
-Ciao
Bruce, vuoi anche tu del caffè?-
Gliene
allungò uno ma lui rifiutò, però fu
contento di vederla.
-Quando
sei arrivata?-
-Un’oretta
fa.-
La
osservò mentre lei porgeva ad Evelyn uno dei bicchieri.
-Grazie
per essere venuta.-
-Figurati.-
Amy
tornò verso le sedie di plastica e si sedette, lasciandoli
soli.
Bruce le lanciò un’occhiata, poi si rivolse alla
fidanzata.
-Che
accidenti è successo?-
Lei
fece spallucce.
-Il
tizio che Mike ed io dovevamo intervistare non ha gradito le mie
domande. Così è salito in macchina e ci ha
investiti.-
-Ti
ha investita perché non gli sono piaciute le tue domande?-
la fissò
dall’alto in basso e viceversa, notando anche le bende che le
fasciavano il polso -Ti sei fatta male?-
-Niente
a parte questo.- si portò la mano alla fronte -A Mike
è andata
peggio. Si è fratturato un piede. Mentre si scostava
è finito
contro il paraurti.-
Bruce
non riuscì a credere alle proprie orecchie.
-Chi
accidenti ti hanno mandato a intervistare?-
Lei
alzò di nuovo le spalle con noncuranza. Non si era fatta
niente e le
dispiaceva solo che la sua prima intervista di una certa importanza
fosse andata a finire così.
-Sarebbe
stato un bello scoop. Pare che lui sia coinvolto in un traffico di
droga e…-
Bruce
spalancò gli occhi.
-Merda!
Ti hanno mandato a incontrare uno spacciatore?-
-No,
lui non spaccia, organizza la distribuzione. E poi non voleva andarci
nessuno, così mi sono offerta io.- lo vide sconvolto e
tentò di
rassicurarlo -Un articolo su di lui sarebbe stato pagato più
che
bene!-
-Tu
sei matta Eve! Rischi la vita per i soldi?-
-No,
non per i soldi!- si accalorò pestando i piedi -Se fossi
riuscita a
fare l’intervista, avrebbero smesso di lasciarmi i pezzi
più
noiosi! Mi sono stancata di recensire film e intervistare donne in
pensione che consigliano alle casalinghe come passare il tempo
libero. Non è questo quello che voglio!-
-Vuoi
farti ammazzare?-
-È
stato un incidente.- il cellulare che la ragazza teneva in mano
squillò. Abbassò gli occhi sul display e
sbuffò -Porca miseria, è
ancora mia madre! è
la quarta volta che chiama!-
-E
ci credo! Sarà preoccupatissima.-
Lei
gli allungò il telefonino.
-Le
parli tu?- vedendo che lui esitava insistette -Dille che sono dentro
e che mi stanno visitando.- e accettò la chiamata,
costringendo così
Bruce a rispondere. Tornò a sedersi accanto ad Amy, per bere
il
caffè prima che si freddasse. Osservò il
fidanzato che camminava
avanti e indietro nella hall parlando al cellulare, cercando
imbarazzato di contenere la preoccupazione di sua madre -Non
c’era
bisogno che venisse fin qui.-
-Si
è preoccupato. Non sei contenta?-
-Ha
fatto due ore di viaggio per nulla. Sto benissimo.-
-Almeno
non dovrai tornare a casa da sola.-
Evelyn
annuì, osservando pensierosa il corridoio che portava al
pronto
soccorso. Quanto ci metteva Mike? Che gli stavano facendo? Bruce le
tornò accanto e le restituì il cellulare.
-Tutto
a posto?- gli chiese preoccupata.
-Sì.
Forse per oggi non ti chiamerà più.-
-Speriamo…-
Mike
arrivò zoppicando sulle stampelle, un piede ingessato. Era
un uomo
sulla cinquantina, che faceva quel lavoro da due decenni e che,
conscio del pericolo, l’aveva seguita controvoglia
nell’avventura
che l’aveva tanto entusiasmata. Evelyn si alzò e
gli andò
incontro, ma non riuscì ad avvicinarsi. Lui
sollevò una stampella e
gliela puntò addosso furioso, facendola saltare indietro per
non
essere colpita.
-Tu
sei una pazza! Io con te non ci lavoro più. Ho
già chiamato il
direttore e l’ho avvertito.-
Evelyn
lo fissò incredula, senza parole. Si accorse che parecchie
teste
erano voltate verso di loro.
-Mike,
è stato un incidente!-
-No!
Te la sei cercata!- si guardò -Anzi, me la sono cercata! Non
dovevo
lasciarmi convincere, in fondo tu sei l’ultima arrivata! Cosa
ne
capisci di come si fa un’intervista? Di come si avvicina la
gente?-
Ad
Evelyn si riempirono gli occhi di lacrime, poi sentì
qualcuno
posarle una mano sulla spalla e alzò il viso verso Bruce che
le si
era avvicinato.
-Mike,
mi dispiace…- cercò di scusarsi.
-Certo
che ti dispiace! Come fa a non dispiacerti? Mi hai messo fuori uso
per un mese!-
-L’assicurazione
ti pagherà e…-
-Sì,
mi pagherà! Ma con te ho chiuso!- la superò e
imboccò l’uscita.
Lo videro sparire oltre le porte, saltellando sulla gamba sana con
l'aiuto delle stampelle.
-Eve,
non te la prendere.- Amy la fissò negli occhi pieni di
lacrime -Sei
ancora agli inizi, devi solo imparare come funziona il tuo lavoro.-
*
Philip
era tornato a casa tardissimo, la sera prima. Aveva salutato al volo
suo padre che sedeva sul divano a guardare la tv, era passato davanti
alla cucina tanto per farsi vedere da sua madre e aveva trovato Kate
seduta al tavolo. Si erano scambiati uno sguardo, un saluto risicato
ed era salito in camera. Quella settimana lei e suo figlio si erano
trasferiti da loro, con valigie e giocattoli al seguito. Qualcosa tra
Kate e suo marito non stava andando bene. Forse era un difetto di
famiglia, quello di distruggere i rapporti affettivi.
Prima
di questo seccante trasloco, Philip aveva già il suo bel
daffare per
cercare di evitare di pranzare e cenare con i suoi. Non era
più
abituato a farlo. Dalla fine del liceo si era praticamente trasferito
a casa di Jenny, teneva lì le sue cose e i suoi vestiti e si
riaffacciava dai suoi solo due o tre volte al mese, spesso insieme a
lei, giusto per farsi vedere ogni tanto. I suoi genitori adoravano
Jenny ed erano sempre contenti quando la portava con sé.
Adesso
tutto questo era finito e lui evitava il più possibile di
stare con
loro, anche se aveva rioccupato la sua stanza. Odiava essere tornato
a casa a ventidue anni, ma non riusciva a prendere la decisione di
tornare a vivere a Sapporo. Si sarebbe ritrovato troppo solo e in
quella sua totale solitudine si sarebbe arrovellato su ciò
che
tentava disperatamente di dimenticare.
Evitare
il pranzo con i suoi era facile, spesso a quell’ora era ad
allenarsi. Evitare la cena era più complicato. Alcuni giorni
arrivava alla fine degli allenamenti così distrutto che non
vedeva
l’ora di infilarsi a letto. Negli spogliatoi si dilungava
sotto la
doccia, poi si vestiva così lentamente che gli altri se ne
andavano
lasciandolo per ultimo. Per essere sicuro di non trovare i suoi
ancora a cena evitava la superstrada e prendeva la provinciale,
allungando il percorso di chilometri. A volte ne approfittava per
passare davanti casa di Jenny, osservare le finestre chiuse e
costringersi a rassegnarsi che lei non ci fosse più. Quando
sua
madre ad una cert’ora non lo vedeva rientrare, gli lasciava
la cena
in un piatto coperto. Philip rincasava in silenzio e mangiava da
solo, in cucina, senza neppure scaldare il cibo per fare prima,
mentre i suoi guardavano la tv in salotto. Qualche volta, se era
particolarmente sfortunato, trovava sua madre ancora occupata a
lavare le stoviglie della cena. Se capitava che lui tornasse
all’improvviso dopo aver avvertito che sarebbe rimasto fuori,
era
completamente inutile che le mentisse dicendo che non aveva fame. Lei
ricominciava a cucinare e dopo averlo servito gli si sedeva di
fronte, tentando di intavolare una conversazione che restava un
monologo fino alla fine. In genere Philip non aveva voglia di parlare
e dopo qualche domanda a cui rispondeva a monosillabi, sua madre se
ne tornava sospirando in salotto dal marito. Tutte quelle premure gli
davano fastidio. Sarebbe stato molto più semplice se lei
l’avesse
ignorato. A casa, in quella casa, desiderava passare il più
possibile inosservato.
Ora
che sua sorella e suo nipote si erano trasferiti nella vecchia stanza
di lei, i suoi sforzi per diventare invisibile cadevano nel vuoto. Li
vedeva ovunque, lo chiamavano in continuazione, tentavano di
coinvolgerlo in discorsi che non lo interessavano e certe volte sua
sorella insisteva per aspettarlo e poter cenare insieme. Philip aveva
finito per fare l’impossibile per non tornare a casa
né a pranzo
né a cena. A volte gli capitava persino di non riuscire a
mangiare
né a casa né fuori e i jeans avevano cominciato
ad andargli larghi.
La mattina si alzava presto, molto presto, e si precipitava in
macchina senza fare colazione. Lo scopo di quelle alzatacce era
filarsela prima che suo nipote si svegliasse. Il bambino lo adorava.
Più Philip cercava di ignorarlo e di evitarlo, di fare finta
che non
esistesse, più quello gli trotterellava dietro, si
aggrappava alle
sue gambe, tendeva le manine verso di lui per farsi prendere in
braccio, lo chiamava in ogni momento e faceva i capricci quando
capiva che non avrebbero giocato insieme. E Philip, nonostante il
primo giorno ci avesse provato con tutta la buona volontà e
avesse
ritentato anche il secondo e il terzo, si era reso conto di non avere
la pazienza per dedicarsi al nipotino. Era irascibile, scontroso, in
poche parole intrattabile. Ogni capriccio e ogni richiesta di Will
peggiorava il suo umore già nero, creando una miscela
esplosiva che
faticava a controllare.
Era
in un esausto dormiveglia quando udì i suoi passetti sul
corridoio.
Si sentì sprofondare. La tortura ricominciava.
Lanciò un’occhiata
rapida alla sveglia. Erano appena le sei e mezza, che diavolo ci
faceva già in piedi? Will si aggrappò alla
maniglia della porta e
riuscì ad aprirla. Sapeva farlo benissimo ma non aveva
ancora
imparato a bussare. Philip fu veloce. Si girò
dall’altra parte, si
tirò su le coperte fin sopra la testa e finse di dormire. Fu
un
comportamento profondamente stupido. Solo sua madre, vedendolo ancora
addormentato, avrebbe richiuso la porta e l’avrebbe lasciato
in
pace. Neppure sua sorella si sarebbe preoccupata di non disturbarlo,
figuriamoci Will.
-Phi-i!-
la elle non riusciva proprio a pronunciarla quindi si fermava alla
prima sillaba -Phi-i!- lo chiamò di nuovo con la sua voce
squillante. Avrebbe svegliato anche un cadavere.
Caparbio
rimase immobile nel letto, continuando a fingere di dormire. Per
chiunque sarebbe stato chiaro che dopo quelle grida era ormai ben
sveglio. Ma per Will no, se non si muoveva significava che dormiva.
Il bambino si avvicinò al letto e con una forza che il
ragazzo non
si aspettava gli tirò via le coperte dalla testa.
-Phi-i!
Giochiamo!-
-Will,
vieni qui.- la voce di sua madre gli fece credere per un attimo di
averla scampata. La donna si avvicinò al letto e prese il
bambino
per mano -Philip è stanco. Lascialo dormire.-
Non
l’avesse mai detto. Il bambino cominciò a frignare.
-Giochiamo!
Phi-i, giochiamo!- sfuggì in qualche modo al controllo della
nonna e
si arrampicò sul letto, salendo su di lui. Gli
infilò un piedino
tra le costole e un gomito sul collo.
-Phi-i!
Giochiamo?- gli domandò avvicinando la testolina alla sua
faccia,
per metà caparbiamente sprofondata nel cuscino.
Philip
tenne gli occhi ben serrati e il fiato caldo del nipote gli
accarezzò
il viso. Sentì profumo di dolci. Di cioccolato. Will doveva
aver già
fatto colazione o quanto meno doveva essere riuscito a sgraffignare
qualcosa dalla cucina. Aprì un occhio e si
ritrovò il suo viso così
vicino che i loro nasi quasi si sfioravano. Vedendolo sveglio, il
volto di Will si illuminò di felicità.
-‘ma,
ho sonno.- tentò di dire sapendo perfettamente che era
inutile
spiegare quel semplice concetto al bambino. Non avrebbe recepito.
-Vieni
Will.- ripeté lei avvicinandosi e sollevandolo tra le
braccia
-Lascialo tranquillo.-
Quel
gesto e quelle parole scatenarono una crisi. Goccioloni di lacrime
cominciarono a sgorgare dagli occhi di Will e come ovvia conseguenza
iniziarono le urla.
Mentre
sua madre richiudeva la porta portandolo con sé e i pianti
continuavano nel corridoio, Philip infilò la testa sotto il
cuscino,
innervosito dalla confusione ma ancor più dai sensi di
colpa. Non
gli andava di giocarci ma neppure di farlo piangere. Ormai
s’era
svegliato, cosa gli costava dargli retta per un po’? Tanto
più poi
che quella mattina sarebbe tornato a Sapporo e per tutto il giorno
non l’avrebbe visto. Sua sorella e Will erano a casa da poco
più
di una settimana e lui non era riuscito a trovare la voglia di
dedicare al nipotino neppure un pomeriggio. Era veramente un pessimo
zio.
“Patty!”
Amy le perforò quasi un timpano quando rispose al telefono
“Sono
giorni che cerco di chiamarti. Che fine avete fatto?”
-Siamo
stati fuori. È successo qualcosa?-
Holly
abbassò il volume della tv e si volse con
un’espressione tra
l’interrogativo e il preoccupato.
“Un
sacco di cose. Evelyn è stata quasi investita ed
è finita in
ospedale! Lo sapevi?”
-No
che non lo sapevo! Sta bene? Cos’è successo?-
“È
andata a intervistare un tizio, pare che fosse coinvolto in un
traffico di droga. Lo ha intercettato sotto casa e alla seconda
domanda lui ha cominciato a dare di matto. Evelyn ha insistito
finché
quello è salito in macchina e ha investito lei e il
fotografo che
era con lei!”
-Dio!
S’è fatta male?- si accorse che Holly la guardava
dal divano,
dov'era rimasto seduto.
-Chi?-
-Evelyn.-
“Per
fortuna niente, solo qualche graffio. È già
tornata a casa. Il suo
collega invece si è fratturato un piede. E poi ti volevo
dire di
Philip…”
-Che
ha fatto Philip?-
“Devi
assolutamente vederlo. Ti ho mandato una mail. Accendi il computer,
dopo ti richiamo.”
Patty
sospirò, si avvicinò alla scrivania del
modernissimo soggiorno
della loro casa di Barcellona, lanciò un’occhiata
al mare azzurro
che si scorgeva dalle finestre e accese il portatile. Holly la
guardò.
-Che
è successo?-
Lei
alzò gli occhi, intercettando la sua occhiata perplessa.
-Evelyn
è andata a intervistare un tizio e quello invece di
risponderle ha
investito lei e il suo collega fotografo. E poi non so cosa sia
successo a Philip… Amy ha detto che devo assolutamente
vedere la
mail che mi ha mandato.- scostò la sedia e si sedette
davanti al pc
che si avviava.
-Evelyn
si è fatta male?-
-No,
niente per fortuna.-
-Che
razza di gente!-
Patty
annuì.
-Era
una persona coinvolta in un traffico di droga. Come possono mandare
lei ad intervistare un uomo simile? È appena arrivata, non
ha
esperienza!-
-Forse
ci è andata lei perché non voleva andarci nessun
altro.- Holly
lanciò un’occhiata alla tv, sintonizzata sulla NHK
giapponese. Era
ora del notiziario sportivo ed era curiosissimo di sapere i risultati
degli incontri della J-League -E Philip?-
-Adesso
vediamo.-
Patty
aprì la casella di posta e l’allegato della mail
la lasciò
sbigottita. Spostò gli occhi su Holly per dirgli qualcosa ma
non
fece in tempo. Il telefono squillò di nuovo. Era sempre Amy.
“Riesci
a vedere la foto?”
-Certo
che la vedo!-
Holly
si alzò curioso e la raggiunse, chinandosi sul monitor.
Patty posò
il cordless sul ripiano e accese il vivavoce.
-A
quando risale l’articolo?-
“È
sul numero di questo mese. L’hai riconosciuta?”
-No
che non l’ho riconosciuta! Chi accidenti è?-
Fu
Holly a risponderle, appoggiato alla spalliera della sedia.
-È
la modella di Kyoto.-
Amy
lo udì e le sfuggì un’esclamazione di
disappunto.
“Anche
Julian ha capito subito di chi si trattava… Curioso, vero?
Io ci ho
messo un po’ per riconoscerla.”
Holly
si mosse a disagio.
-Probabilmente
l’abbiamo guardata meglio di voi.-
Patty
non commentò. L’ottima memoria di Holly in quel
momento non era un
problema ma lo era ciò che quella foto significava.
-Philip
e Jenny si sono lasciati?-
“Non
lo so, non ne ho idea. Immagino di sì, a meno che Philip non
le stia
mettendo le corna.”
-Scherzi?-
le rispose Holly -Non lo farebbe mai!-
Patty
lo guardò sgomenta.
-Lasciarla
sì e metterle le corna no?-
“Patty,
ho provato a chiamare Jenny. Lo sto facendo da quando quella
maledetta foto mi è capitata sotto gli occhi. Non risponde e
il
cellulare è staccato. Le ho intasato la casella di posta di
messaggi
ma niente, sono preoccupata.”
-Hai
provato a telefonare a Grace?-
“Sì.
Mi ha detto che non la vede dalla partita che Philip ha giocato
contro Ed mesi fa. L’avete vista? Quando l’hanno
espulso.”
-Sì,
l’abbiamo vista.- confermò Holly.
“È
riuscita a parlarle al telefono solo una volta, l’ha chiamata
a
Shintoku. Ma ora non è neppure lì e la nonna non
ha voluto dirle
dov’è andata. Patty, sono veramente preoccupata.
Non so che fare.”
-Forse
è a New York dai suoi.-
“E
allora perché non risponde alle mail?”
-Magari
non ha internet?-
“Grace
aveva il numero di New York e me lo ha dato ma ho paura a chiamare.
Lei non lo ha fatto. Se i suoi non sanno dov’è li
facciamo
preoccupare inutilmente.”
-Ma
Amy! I suoi genitori sanno sicuramente dov’è!-
“Lo
penserei anch’io se non ricordassi quanto si è
arrabbiata quando
le abbiamo suggerito di chiamare i suoi dopo quello che era successo
a Kyoto.” Patty lo ricordava perfettamente “Quindi
se non sanno
dov’è, cosa dico?”
-Amy,
hai provato a sentire Mark?- suggerì Holly -Forse lui sa
qualcosa.
Magari si sono sentiti. Oppure lui ha sentito Philip e sa cosa sta
succedendo.-
“Oh…”
mormorò la ragazza sorpresa da
un’eventualità che non aveva preso
in considerazione “Sai che potresti avere ragione?”
-Ci
pensiamo noi, Amy.- le disse Patty -Dobbiamo comunque telefonargli.
Se ho novità ti faccio sapere.-
“Anche
se non ne hai, per favore. Sono preoccupatissima.”
Patty
l’accontentò, poi la salutò e chiuse la
comunicazione. Si alzò,
tornò verso il divano e si lasciò cadere sui
cuscini. Posò il
cordless sul tavolino e si appoggiò alla spalliera, fissando
Holly
che la raggiungeva con il portatile in mano. Le si sedette accanto e
posò il computer sul ripiano, vicino al telefono.
-Credi
che sia per questo motivo che Jenny non è venuta al nostro
matrimonio?- Patty si sporse verso il tavolino e abbassò lo
schermo
fin quasi a chiuderlo sulla tastiera. Quel bacio non voleva vederlo,
le faceva male.
-Non
lo so… Penso di no. Philip mi è sembrato sincero
quando ha detto
che Jenny non se la sentiva di vedere nessuno.-
Patty
annuì. Ricordava perfettamente la telefonata con cui
l’amica le
aveva fatto gli auguri.
“Mi
dispiace tantissimo” le aveva detto con voce rotta
“ma non posso…
non ci riesco. Verrà Philip.” e Patty non aveva
insistito. Lei e
Holly si erano sposati ad aprile, quasi un anno prima. Era passato
troppo poco tempo da quello che David le aveva fatto.
Scacciò il
pensiero. Dopo la cerimonia, in un attimo di tranquillità,
Patty si
era avvicinata a Philip e gli aveva chiesto notizie
dell’amica. Il
giovane era stato reticente, non riusciva praticamente a parlarne.
Aveva dovuto fare uno sforzo e la sua risposta era stata vaga. Non
era stato neppure in grado di guardarla negli occhi mentre riferiva
le condizioni della fidanzata con poche, essenziali parole.
“Parla
spesso con Nicole.” aveva ammesso con una punta
d’amarezza,
facendole capire ancora una volta quanto soffrisse di non poterla
aiutare in nessun modo. “Credo…” si era
corretto “…spero
che stia meglio.”
Era
rimasto con loro solo il tempo della cerimonia, disertando la cena al
ristorante. In pensiero per Jenny era partito subito per tornare a
Furano. Patty sospirò. Dal loro matrimonio erano passati
molti mesi.
Cos’era successo nel frattempo?
Il
telefono di casa squillò nel momento preciso in cui Mark
usciva
dalla doccia. Si avvolse in un asciugamano, socchiuse la porta e si
affacciò nel corridoio.
-Jenny,
rispondi?-
La
sua voce arrivò da sotto, dalla cucina dove la sentiva
spadellare.
-No!
È troppo probabile che non sia per me!-
-Senti
chi è! Puoi sempre riagganciare!-
-E
se riconoscessero la mia voce?-
-Le
persone che conosci mi chiamano molto meno spesso di quanto
immagini!-
-Non
rispondo Mark.-
Il
ragazzo sbuffò, s’infilò sulle gambe
ancora bagnate i pantaloni
della tuta e scese in fretta le scale, passandosi un asciugamano sui
capelli che gocciolavano ancora. E se si trattava di sua madre che
voleva dirgli qualcosa d’importante? Raggiunse il telefono
nel
momento in cui smetteva di squillare. Merda! Succedeva sempre
così!
Si affacciò in cucina. Jenny stava riempiendo le ciotole di
riso. Lo
vide e alzò gli occhi.
-Chi
era?-
-Non
lo so, non ho fatto in tempo a rispondere!-
l’accusò quasi -E se
era urgente?-
-Allora
sicuramente richiameranno.- incrociò il suo sguardo -Come
possiamo
tenere nascosto il fatto che io sia qui se mi metto anche a
rispondere al tuo telefono?- si fermò un istante di troppo a
guardare il suo torace nudo e muscoloso, uno spettacolo che era una
gioia per gli occhi di qualunque ragazza -Dimentico sempre il motivo
per cui hai tutte quelle fan.-
Mark
la fissò incredulo, persino imbarazzato. Poi il telefono
ricominciò
a squillare. Si volse e uscì nel corridoio, felice di avere
una
scusa per tagliare la corda.
-Patty?-
Jenny
lo udì, il bicchiere che teneva in mano quasi le
scivolò dalle
dita. Lo posò al volo sul tavolo e corse verso la porta,
terrorizzata. Mark incrociò per un istante i suoi occhi
sorpresi,
poi si liberò rapidamente dell’interlocutrice.
-Non
ti sento, Patty. Aspetta, ti richiamo…-
riagganciò senza esitare.
-Che
voleva?-
-Cerca
te!-
-Me?
E perché mi cerca qui?-
Mark
si passò l’asciugamano intorno al collo, lasciando
che le due
estremità gli pendessero sul petto. Se le afferrò
con le mani.
-Perché
voi donne siete contorte! Amy ha trovato la foto di Philip sulla
rivista e ti sta cercando da giorni. Visto che non è
riuscita a
contattarti, ha chiamato Patty. Sono preoccupate e vogliono sapere se
ho tue notizie!-
Lei
annuì, seguendo il ragionamento.
-Ma
perché dovresti avere mie notizie proprio tu?-
-Perché?-
le fece eco -Per lo stesso motivo per cui sei qui, suppongo…-
Jenny
non fu sicura di aver compreso l’allusione, ma non le
importò.
-Che
le hai detto?-
-Hai
sentito, no? Le ho detto che l’avrei richiamata.- fece una
pausa
-Allora?-
-Allora
cosa?-
-Che
devo dirle?-
-Quello
che vuoi, basta che non le dici che sono qui. Chissà cosa
penserebbe
se lo sapesse…-
Mark
si asciugò nervosamente una goccia d’acqua che dai
capelli gli era
scivolata sul torace e stava rotolando verso il basso, procurandogli
un fastidiosissimo prurito. Jenny aveva ragione. Non poteva dire a
Patty che lei era in Italia e per di più ospite a casa sua.
-E
allora che le dico?-
-Non
che ci sia molto da scegliere. O le dici che non lo sai, oppure le
dici che sai che sono a New York dai miei.-
Mark
restò a fissarla poco convinto, poi il telefono
squillò di nuovo.
-Maledizione!
Quant’è insistente!-
A
Jenny sfuggì un sorriso.
-Probabilmente
ha paura che non la richiami perché costa troppo.-
-Mi
metti nei casini e hai anche la faccia tosta di prendermi in giro.-
la fulminò con un’occhiata infastidita e
tornò nel corridoio.
“Mark,
allora?”
Si
ritrovò Jenny accanto. La giovane si sporse oltre il suo
braccio e
dopo aver dato un’occhiata al tastierino del telefono, accese
il
vivavoce. Se parlavano di lei, voleva sentire.
-Non
trovavo più il tuo numero…-
“Non
fa niente. Adesso mi senti?”
-Perfettamente.-
“Hai
notizie di Jenny? Non riusciamo a contattarla.”
-No,
non so nulla. Hai provato a chiedere a Price?- che andasse a
infastidire il portiere, accidenti -Forse sua madre ne sa qualcosa.-
“Forse.”
ripeté la giovane poco convinta “Puoi chiamare
Philip?”
-Per
dirgli cosa?-
“Per
chiedergli se ha notizie di Jenny.”
-Non
mi pare proprio il caso.-
“Ma
forse lui sa dov’è!”
-Allora
fallo chiamare da Holly!-
“Scusa
ma non sei preoccupato? Ti sto dicendo che non abbiamo più
notizie
di Jenny e come minimo dovrebbe prenderti un colpo!”
La
conversazione cominciava a diventare imbarazzante, si chiese come
interromperla.
-Cosa
te lo fa pensare?-
“Il
tuo comportamento. A Shintoku le stavi sempre appiccicato.”
A
Jenny venne da ridere e gli si accostò di più.
Incrociò il suo
sguardo contrariato e gli strizzò un occhio.
-Non
mi pare proprio.-
Patty
lasciò perdere.
“Mi
prometti di avvertirmi se la senti?”
Mark
non volle legarsi ad una promessa che non poteva mantenere,
così
evitò persino di mentirle ancora.
-Perché
dovrei sentirla?-
“Quante
storie.” si spazientì lei.
Il
giovane sbuffò.
-Senti
Patty, sono appena rientrato a casa dopo quattro ore di allenamenti e
tra pochissimo devo riuscire. Magari ci sentiamo con calma un altro
giorno…- sì, col cavolo.
“Va
bene. Ti saluta Holly.”
Mark
riagganciò e tirò un sospiro profondo. Poi si
volse a guardare
Jenny, rimasta pensierosa accanto a lui.
-Sembra
davvero preoccupata. Forse dovresti chiamarla.- la vide scuotere la
testa -A meno che tu non voglia incontrarla.- lo disse prima di
pensarlo e un secondo dopo nella sua mente prese forma una diabolica
speranza. Se fosse riuscito a mollare Jenny da Patty avrebbe
svoltato. Era tornato a Torino da poche settimane ma Gentile gli
aveva reso la vita impossibile. Lo braccava, lo tartassava, lo
marcava stretto, lo seguiva fino a casa, offrendosi di accompagnarlo
e passarlo a prendere ogni santo giorno di allenamento, con la
morbosa speranza di riuscire ad incontrare Jenny. Perché si
era così
intestardito? Eppure quante volte gli aveva detto che lui a Jenny non
interessava e non sarebbe mai interessato? Non ne poteva più
di
averlo addosso.
-Incontrarla
dove?-
-A
fine mese giocherò contro Holly a Barcellona.-
Lei
scosse di nuovo la testa.
-Ti
aspetterò a casa.- si volse e tornò in cucina
-Mangiamo?-
Mark
annuì ma prima fece un salto al piano di sopra a finire di
vestirsi.
Nonostante i riscaldamenti accesi, faceva davvero freddo.
*
Philip
si infilò la maglietta della squadra. Non era la divisa
ufficiale
con cui scendevano in campo durante gli incontri. Era una maglietta
di cotone da allenamento, che riportava il logo del Sapporo sul
petto. Non l’aveva più indossata da quando aveva
discusso con
l’allenatore durante la partita contro il Nagoya di Ed
Warner, il
peggior incontro della sua vita. Aveva smesso di indossarla per
protesta, infilandosi magliette prese a casaccio
dall’armadio. Gli
era capitato di allenarsi con quella della nazionale, con quella
della squadra dell’università e con anonime maglie
della nike o
dell’adidas. L’uomo aveva capito il messaggio e non
gli aveva
rivolto la parola fino al giorno prima, quando Philip si era
finalmente deciso a chiedergli scusa, perché tanto
continuare in
quel modo non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Ormai
vestito e pronto a scendere in campo per una nuova giornata di
faticosi allenamenti, riordinò i propri abiti
nell’armadietto, ci
ficcò anche la borsa e si sedette sulla panca per
allacciarsi con
calma gli scarpini. Anche quel giorno aveva mal di testa. Un violento
mal di testa. Le tempie gli pulsavano e l’analgesico che
aveva
presto una mezz’ora prima al bar del centro sportivo non
aveva
ancora fatto effetto. L’emicrania ultimamente lo
martirizzava,
aveva cominciato a soffrirne quasi tutti i giorni. Scoppiava
all’improvviso ed era talmente forte e violenta che solo
mandando
giù una dose doppia di antidolorifici riusciva a farsela
passare.
Dopo ogni crisi restava intontito per tutto il giorno successivo,
stordito dagli strascichi del dolore e dai farmaci.
Con
una gamba piegata contro di sé, il tacco dello scarpino sul
bordo
della panca, strinse i lacci e chiuse gli occhi, poggiando per un
istante la fronte sul ginocchio alla ricerca di un sollievo che non
trovò.
Peter
lo guardò afflitto, ripensando alla scena del giorno prima.
Finiti
gli allenamenti, dopo una lotta all’ultimo sangue con il
proprio
orgoglio, Philip si era scusato con il mister ammettendo di aver
agito in modo inqualificabile durante la partita contro il Nagoya.
Daniel Baird aveva assistito insieme a Richard Hall e qualcun altro,
gongolando di piacere.
L’umiliazione
che Philip si era imposto per mantenere in squadra il ruolo che gli
spettava e meritava, non aveva modificato il suo atteggiamento. Il
malumore non si
era dissolto
e continuava a starsene per la maggior parte del tempo per conto suo
con la testa chissà dove. Anzi, forse era ancora
più assente di
prima, facendo chiaramente capire a tutti, pure
all’allenatore, che
non era stata la situazione all’interno della squadra a
turbarlo.
Peter un’idea su cosa lo angustiasse se l’era fatta
ormai da
tempo, da quando Grace gli aveva riferito che non riusciva a trovare
Jenny da nessuna parte. A casa non c’era. Da Shintoku se
n’era
andata e quando aveva provato a cercarla di nuovo al ryokan,
la nonna, scusandosi infinite volte, non aveva voluto dirle che fine
avesse fatto. Peter non era sicuro che alla fine fosse riuscita ad
avere sue notizie. Di Jenny, Grace non aveva più parlato.
Tornò
a fissare Philip e si domandò se lui sapesse dove fosse. Poi
si
chiese perché insistesse a frequentare quelle scialbe
ragazze degli
ultimi mesi (compresa la modella con la puzza sotto al naso) e non
facesse niente per ritrovare Jenny, con cui sì che avrebbe
potuto
essere felice. La domanda lo tormentava ma non si azzardava a
fargliela. Philip gli avrebbe ricordato che non erano fatti suoi.
Continuò
ad osservarlo abbattuto. Da quando aveva messo piede negli
spogliatoi, Philip non aveva detto una parola e anche quel giorno
sembrava non stare bene. Peter sospirò depresso. Il suo
compagno di
scuola, di squadra e di vita per anni, colui che pensava di conoscere
perfettamente, era diventato un vero enigma. Non era più il
Philip
di una volta. Quello che si faceva in quattro per gli altri, per la
sua squadra e per gli amici, quello che amava Jenny e avrebbe fatto
di tutto per stare con lei per sempre. Era un altro, una specie di
ombra di se stesso, che aveva appena l’energia per star
dietro
all’università, agli esami, agli allenamenti, alle
riunioni di
squadra e alle partite del campionato. E pensare che quando erano
entrati insieme nel Sapporo avevano scommesso che nel giro di pochi
mesi ne sarebbe diventato il capitano. Visto come si stavano mettendo
le cose, sarebbe stato già tanto se fosse riuscito a farsi
ingaggiare anche per la stagione successiva.
Mentre
aspettava che anche gli altri fossero pronti, Peter ripensò
con
amarezza a quando era andato a riprenderlo da Baird, strafatto di
chissà-che-roba-non-voleva-nemmeno-pensarci. Philip aveva
impiegato
un’intera giornata per tornare in sé. Era rimasto
incosciente sul
divano per ore, mentre lui e Grace uscivano a fare la spesa,
preparavano il pranzo e mangiavano. Si era riscosso verso le sei,
aveva ammesso a disagio di avere un mal di testa lanciante, li aveva
ringraziati con un filo di voce e se n’era tornato a Furano.
Peter
lo fissò di nuovo mentre si premeva le tempie con le dita,
intontito
e sofferente. E più lo guardava più si convinceva
che fosse tornato
da Daniel e lo avesse rifatto chissà quante volte ancora. Lo
osservò
mentre annodava lentamente i lacci dell’altro scarpino. Tutto
era
cominciato un anno e mezzo prima, dopo il viaggio a Kyoto.
Lì era
accaduto qualcosa, qualcosa tra lui e Jenny si era spezzato.
L’amica
era tornata da sola, sconvolta, scioccata. Philip l’aveva
seguita
poco dopo e, un giorno dopo l’altro, la loro vita si era
trasformata, rendendoli entrambi due persone completamente diverse.
La cosa terribile era che né lui, né Grace, per
quanto ci avessero
provato, erano stati in grado di aiutarli.
*
Marianne
Weiland lo aspettava fuori dal campo e quando Benji la raggiunse, lei
gli si aggrappò al collo sorridendo, accostò le
proprie labbra alle
sue e gli ficcò la lingua in bocca. Il portiere non rispose
al bacio
perché scoppiò a ridere e, con un filo di
imbarazzo, la scostò da
sé. Benché da un lato lo divertissero e gli
facessero piacere, non
riusciva ad abituarsi a quegli assalti, soprattutto se avvenivano
davanti all’invidia dei compagni. E questo pure se era
proprio con
la sua carica sensuale che Marianne lo aveva attratto fin da subito.
Nonostante Benji vivesse in Germania da più di dieci anni,
la
riservatezza giapponese faceva parte di lui e certe effusioni
preferiva tenerle per la camera da letto.
La
ragazza che lo aveva aspettato impaziente fuori dal cancello, aveva
una cascata di capelli dorati e splendenti che le sfioravano le
natiche. Li teneva per lo più sciolti, perché
sapeva che attiravano
inevitabilmente gli sguardi dei maschi, forse ancora più del
suo
fisico mozzafiato e del suo volto da bambola. Erano una criniera
dorata e liscia, che brillava alla luce del sole e che sulle punte
inevitabilmente si arricciava anche quando le giornate non erano
umide. A Benji piaceva, dopo l’amore, farsi scorrere quei
boccoli
tra le dita e vederli poi riarrotolarsi quando li lasciava liberi di
ricadere sulla schiena nuda di Marianne.
Le
posò le mani sui fianchi caldi, sotto il cappotto che teneva
slacciato, e la guardò nei suoi splendidi occhi turchesi.
-Sei
pronto? Possiamo andarcene?-
-Dov’è
che hai così fretta di fuggire?-
Lei
sbuffò.
-Non
lo immagini?- gli volse le spalle fingendosi offesa, lui le
circondò
la vita sottile con un braccio, si caricò la borsa sportiva
su una
spalla e s’incamminò verso il parcheggio.
Lo
immaginava perfettamente. L’attrazione che lui provava nei
suoi
confronti era la stessa che provava lei. Quando si incontravano, non
vedevano l’ora di gettarsi una nelle braccia
dell’altro. Era la
prima volta che gli succedeva di essere così attratto
fisicamente da
una donna e non riusciva a capacitarsene. Dipendeva da lei, dalla sua
esuberanza, dalle sue risate divertite quando giocavano tra le
lenzuola. Dopo quasi due mesi che si frequentavano, continuavano a
mantenere gli stessi ritmi appassionati dei primi giorni, senza
annoiarsi neppure un minuto.
I
giovedì erano diventati una routine. Marianne lo raggiungeva
al
campo, si rifugiavano nel suo appartamento, amoreggiavano per ore e
poi uscivano a cena insieme. Lui la portava a mangiare nei ristoranti
più rinomati, più eleganti e più
costosi di Amburgo. E Marianne
apprezzava. Mangiava con gusto, assaggiava ciò che lui le
offriva,
allungando graziosamente la forchetta attraverso il tavolo. Ogni
tanto gli accarezzava le dita, il dorso della mano, il braccio,
dovunque riuscisse ad arrivare. I suoi piedi danzavano sotto il
tavolo, alla ricerca continua di un contatto. Ogni volta che si
sfioravano era una scarica d’elettricità.
Marianne
quel pomeriggio indossava un abito cortissimo che la fasciava stretta
e che a malapena si intravedeva sotto l’orlo del cappotto di
panno
turchese, come i suoi occhi. Il soprabito, forse cucito su misura,
non nascondeva nulla del suo corpo mozzafiato, che i compagni di
Benji avevano apprezzato, come facevano di solito, mentre le
passavano accanto per raggiungere il parcheggio. Ai loro commenti lei
aveva risposto a tono, con una punta di malizia, agitando i capelli
biondi che avevano luccicato ai raggi del sole. Era così
bella che
Benji non si stancava mai di guardarla e a volte finiva per pensare a
lei anche quando non erano insieme.
In
realtà anche lui non vedeva l’ora di arrivare a
casa. Quel giorno
meritava tutti gli assalti della ragazza, si era guadagnato le sue
attenzioni. In campo aveva dato il meglio di sé, non
c’era stato
un goal, non c’era stato un litigio. Tutto era filato liscio
e
adesso, dopo tanta fatica e tanta tensione, non vedeva l’ora
di
appropriarsi del corpo di Marianne e lasciarsi andare insieme a lei.
A
pensarci bene la compagnia di una donna che gli desse tutte quelle
soddisfazioni, senza troppe pretese, senza troppi capricci, se
l’era
conquistata davvero. Erano mesi ormai che la porta
dell’Amburgo
rimaneva inviolata. Non avevano mai perso una partita, erano in testa
alla classifica subito dopo il Bayern, e quel fine settimana, per
chiudere in bellezza il girone d’andata, avrebbero sconfitto
la
squadra di Schneider.
*
Evelyn
rispose con poche parole al messaggio di Philip che le chiedeva come
stava e accantonò il cellulare sul tavolino. Sapeva
più o meno
tutto di quello che l’amico stava combinando su in Hokkaido e
non
approvava. Da quando aveva visto la foto di lui e Julie Pilar su una
rivista, aveva cominciato a tenerlo d’occhio. Per farlo era
riuscita ad instaurare una specie di amicizia con un giovane
fotografo di Sapporo, Bob Waley, che grazie ad uno scambio di favori
si era dimostrato disponibile a non perderlo di vista. Ogni tanto si
sentivano e lui la metteva al corrente di ciò che
l’amico
combinava. Tutto quello che veniva a sapere su Philip, Evelyn se lo
teneva per sé. Non diceva nulla a Bruce, neppure una parola,
neppure
un accenno. Il fidanzato aveva la lingua troppo lunga. Non ne aveva
parlato con Patty quando l’amica l’aveva chiamata
da Barcellona
dopo l’incidente per sapere come stava. Non si era confidata
neppure con Amy, con cui si sentiva più spesso e con cui
ogni tanto
si vedeva. Ogni tanto, con discrezione, chiedeva anche ai compagni se
avevano notizie di Philip e finora Tom si era rivelato la fonte
più
attendibile perché gli capitava di sentire spesso Peter
Shake.
L’unica
cosa che Evelyn non sapeva, che assolutamente non aveva scoperto
neppure con tutta la ragnatela di agganci che pian piano stava
intessendo, era dove accidenti si fosse cacciata Jenny.
Com’era
riuscita a far perdere così bene le sue tracce? Neppure la
nonna
s’era fatta sfuggire una parola. Di lei non sapevano niente
neanche
Meryl e Grace. Nessuno. Forse era a New York? Ma allora
perché tutto
questo mistero? Vagò a caso tra la miriade di finestre di
google
aperte sul desktop alla ricerca di qualche notizia da approfondire e
continuò a pensare a Philip. Ridusse a icona gli articoli e
andò a
pescare la foto dell’amico che baciava la fotomodella.
Perché lui
e Jenny si erano lasciati? E da quanto tempo?
Poggiò
il portatile sul tavolino, sollevò le gambe e le distese sul
divano.
Lavorava da ore e gli occhi stavano cominciando a farle male. Si
massaggiò distrattamente il polso. Il giorno prima aveva
tolto la
fasciatura ma quando usava il mouse a lungo ancora le doleva.
Lanciò
un’occhiata oltre i vetri della finestra. Vivere in una casa
da
cui, nelle giornate limpide, si riusciva a scorgere il monte Fuji dal
salotto era un lusso che aveva sempre sognato. La cima conica della
montagna era imbiancata dalla neve e lo sarebbe rimasta fino ad
aprile inoltrato. Quest’anno voleva fare almeno una volta con
Bruce
un salto alle terme di Hakone per rilassarsi e prendersi una pausa
dal lavoro.
Tornò
a spostare gli occhi dal paesaggio alla foto che campeggiava sul pc.
Cosa ci trovava Philip in Julie Pilar? Aveva lasciato Jenny per lei?
Non riusciva a credere che l’amico si fosse messo con una
tipa del
genere. Che avesse preferito lei a Jenny era inconcepibile. A Philip
piacevano così? Pilar sembrava piuttosto la donna perfetta
per
Benji. Una bella attricetta, abbastanza famosa da non farlo
sfigurare, un gingillo con cui uscire la sera, con cui farsi
fotografare dai giornalisti e da portarsi a letto. Che
c’entrava
Philip con lei?
Dopo
il primo e fortuito incontro a Kyoto negli studi televisivi, Evelyn
aveva avuto modo di rivedere la fotomodella durante una conferenza
stampa. Le era sembrata una ragazza estremamente superficiale a cui
interessavano soltanto due cose: soldi e fama. Philip non era che un
mezzo per raggiungerli entrambi. Aveva cercato su internet le sue
precedenti storie e aveva notato che Pilar cambiava ragazzo a
intervalli regolari. Questo le permetteva di finire spesso sulle
copertine dei giornali di gossip. Per ogni intervista, come Evelyn
sapeva bene, le testate sborsavano migliaia di yen.
Era
inconcepibile che Philip permettesse a qualcuno di sfruttare la sua
immagine per fare soldi. Nell’ultima intervista a Julie, che
si
augurava che l’amico avesse letto, la giornalista era
arrivata
addirittura a chiederle se stavolta aveva trovato l’uomo
giusto da
sposare. E quella maledetta stronza aveva persino risposto di
sì!
E
in tutto questo, dove accidenti era finita Jenny? Era impossibile che
di lei non fosse rimasta traccia. Aveva chiesto a Bob Waley di
pattugliare il campo del Consadole Sapporo alla ricerca
dell’amica.
Il giovane aveva fatto di più. Era riuscito a porre qualche
discreta
domanda ai giocatori, senza però ottenere nulla. Philip era
nella
squadra da appena un anno e i nuovi compagni non conoscevano
abbastanza bene Jenny da poter avere notizie di lei.
L’avevano
vista così raramente che la maggior parte di loro non
ricordava
neppure che faccia avesse. L’unica cosa che Evelyn era
riuscita ad
ottenere, e non da Bob, era il numero di telefono di Grace, che
però
non aveva risolto il problema.
Lasciò
perdere quelle riflessioni, doveva prepararsi e si stava facendo
tardi. Si alzò e si spogliò lungo il percorso
verso il bagno,
ficcando poi tutti i vestiti nel cestino dei panni sporchi.
S’infilò
sotto la doccia pensierosa. Era sabato sera e ancora non aveva
preparato il suo programma di lavoro per la settimana successiva.
Avrebbe finito per passarci tutta la domenica. Tornò in
camera da
letto per indossare il vestito che aveva scelto. Un abito semplice,
color melanzana, corto al ginocchio con le maniche lunghe. Niente di
speciale ma in fondo era una cena informale.
La
chiave che scattava nella serratura della porta d’ingresso la
fece
sobbalzare. Alzò gli occhi sull’orologio, erano
già le sei e
mezza. Aveva passato un pomeriggio a riflettere sulle sorti di Philip
e Jenny senza riuscire a produrre neppure due righe da presentare al
caporedattore.
Bruce
la chiamò, lasciando cadere la borsa sportiva sul parquet.
Evelyn
udì il tonfo sordo mentre percorreva il corridoio. Lo
trovò
nell’ingresso, era seduto a terra a slacciarsi le scarpe da
ginnastica.
-Che
c’è per cena?- alzò gli occhi e la
fissò. Evelyn lo aveva
raggiunto in mutandine e reggiseno. La sua espressione stanca si
trasformò in un largo sorriso, carico di aspettative
-Pensandoci
bene possiamo anche saltarla, la cena…-
Lei
rise e gli si accostò. Bruce si mise in piedi e la prese tra
le
braccia, osservando il taglio sulla fronte, sotto la frangetta, che
stava guarendo a poco a poco. Passò le mani sulla pelle
calda e
ancora umida della schiena, sprofondò il viso tra i suoi
capelli e
li sentì profumati di doccia.
-Assolutamente
no.- lei gli stampò un bacio sulle labbra -Andiamo dai tuoi.-
-Ancora?!
Sono distrutto, non mi va di riuscire.- mentre tornava a casa aveva
programmato la serata. Voleva mangiare qualcosa, spaparanzarsi sul
divano insieme a Evelyn, guardare un film e andare a letto presto.
Anche se adesso, tenendola tra le braccia, i suoi programmi avevano
cambiato ordine. Voleva andare a letto presto, mangiare qualcosa,
spaparanzarsi sul divano e guardare un film.
Lei
lo fissò costernata.
-Mi
dispiace Bruce, non sono riuscita a rifiutare.-
-Lo
so. È per questo che mia madre chiama sempre te quando deve
invitarci.- la lasciò e sospirò -Cosa ci prepara?-
Evelyn
fece spallucce.
-Mi
sembrava brutto chiederle il menu.-
-Ti
fai troppi problemi.-
-Per
forza, è tua madre!-
-A
che ora dobbiamo essere lì?-
Lei
lanciò un’occhiata all’orologio.
-Verso
le otto, come al solito.-
Bruce
la prese per mano e la precedette in camera da letto.
-Allora
abbiamo tutto il tempo che ci serve.-
-Tutto
il tempo per fare cosa?-
-Indovina?-
-Non
eri stanco?-
-Sì,
prima. Adesso non più.-
*
Mark
smontò e richiuse lo sportello appagato, talmente
soddisfatto che
lungo tutto il tragitto in macchina, seduto accanto a Salvatore che
guidava, non era riuscito a smettere di sogghignare. Quel coglione di
Gentile aveva tentato in ogni modo di organizzare una cena romantica
con Jenny ma lui gliel’aveva boicottata. Non avrebbe passato
quel
maledetto San Valentino con l’amica in un ristorante a lume
di
candela, come avrebbe invece desiderato.
Avanzando
sotto i portici, il respiro che si condensava in nuvolette, le mani
ficcate nelle tasche per difenderle dal rigido inverno torinese, la
sciarpa ben avvolta intorno al collo, si volse a guardare
l’italiano
che procedeva svelto accanto a lui, altrettanto infreddolito.
-Se
continui a parcheggiare in divieto di sosta prima o poi ti porteranno
via la macchina.-
-Quando
succederà smetterò di farlo.- Salvatore
proseguì, chiaramente
pensieroso.
Mark
sapeva perfettamente che era in ansia per la cena. Voleva far colpo
su Jenny e non era sicuro di riuscirci. Gli sfuggì un
sogghigno
mentre l’altro continuava, perplesso.
-Forse
per stasera dovevo scegliere il sushi…-
-Il
sushi? Ma se ti ha sempre fatto schifo!-
-Magari
Jenny lo avrebbe apprezzato.-
-Ne
mangiamo a bizzeffe di sushi in Giappone. Non lo sai?- e poi il
giapponese non costava mica poco. Quelle composizioni di pesce crudo
artisticamente sistemate su vassoi di bambù, avevano prezzi
da
capogiro che, era sicuro, Gentile per Jenny avrebbe speso senza farsi
mezzo problema. Meglio qualcosa di più economico, come una
pizzeria
per esempio. Con una ventina di euro se la sarebbe cavata.
Lanciò
un’occhiata a Gentile e lo vide annuire.
-Allora
ho fatto bene a scegliere qualcosa di tipico.-
Mark
esultò. Le premesse per una buona riuscita della serata
c’erano
tutte. Autoinvitandosi aveva impedito a quel mentecatto di restare
solo con Jenny, aveva evitato il sushi dirottando l'amico su un'altra
tipologia di ristorante e presto, molto presto, avrebbe fatto sparire
quel pacchetto con il fiocco rosso che l'italiano aveva recuperato
dai sedili posteriori della macchina e ficcato davanti, nel
portaoggetti.
Salvatore
si guardò intorno.
-Dov’è
questo benedetto fioraio?-
-Maledetto
direi, visto che Jenny si è intestardita a dare lezioni di
giapponese a sua figlia.-
-Se
la pagano bene...- l’italiano si passò una mano
tra i capelli
biondi per scostarli dagli occhi e seguì il compagno -E poi
è stata
in gamba a trovare lavoro così presto. In fondo è
qui da un mese.-
-Chiamalo
lavoro…-
Erano
quasi le otto, avevano una gran fame e Rob e Dario li aspettavano al
ristorante. Jenny era ferma davanti l’ingresso del negozio,
li
salutò con un sorriso contento e un mazzo di margherite in
mano.
-Bei
fiori.-
Lei
alzò gli occhi su Salvatore e sorrise, agitandoli nell'aria.
-È
una specie di mancia.- Jenny li seguì fino alla macchina e
prese
posto sui sedili posteriori.
Mark
si sedette davanti e si volse a guardarla.
-Non
è che per caso si tratta del figlio del fioraio e non della
figlia?-
Lei
lo guardò infastidita.
-Se
non ti fidi vai a controllare!-
Gentile
non poté capire nulla del loro botta e risposta in
giapponese, così
li ignorò e si concentrò sulla guida.
C’era poco da fare. Jenny
non capiva l’italiano, Landers era una frana in inglese e lui
non
parlava il giapponese. A volte comunicare diventava una vera fatica.
Così
stettero più o meno in silenzio per quasi tutto il tragitto,
ognuno
immerso nei propri pensieri. Salvatore continuava a chiedersi se
avesse scelto il ristorante giusto, Mark si domandava perché
l’amica
si fosse d’improvviso messa in testa di voler lavorare pur
non
avendone la necessità e Jenny, con una certa angoscia che
rischiava
di rovinarle la serata, se il mancato versamento mensile di suo padre
sul conto che condividevano fosse una dimenticanza o una decisione
scaturita dall’infelice frase con cui l’aveva
salutato quando era
andata via di casa. “Sai che
c’è?” gli aveva gridato dalle
scale con tutta la collera che aveva dentro “Al diavolo i
soldi! Io
qui non ci sto più!” e suo padre aveva reagito nel
modo più
ovvio, vale a dire tagliandole di netto i fondi. Ma quella sera Jenny
non ci voleva pensare.
Varcarono
una porta di legno di poche pretese, incassata in un signorile
palazzo bianco, al lato di una piazza su cui sorgeva uno degli
edifici storici di Torino, un museo in cui Mark non era mai entrato.
Da fuori il ristorante aveva un aspetto ordinario e lui credette
davvero che lo fosse, finché un cameriere in giacca e
papillon li
accolse impettito e li introdusse nella sala grande.
Jenny
spalancò gli occhi di fronte allo sfarzo che le si
aprì davanti e
che quella porta quasi dimessa non lasciava assolutamente intuire. Le
pareti erano ricche di stucchi barocchi ori e tappezzeria rosso
cremisi, specchi ovunque incassati nei muri, lampadari con gocce di
cristallo che riflettevano le luci in migliaia di bagliori. Sembrava
di essere appena entrati in una reggia. Seguì Salvatore
frastornata
da tanto lusso, mentre dietro di lei Mark imprecava contro
l’italiano.
Landers
era fuori di sé. Era stato fregato, Gentile
l’aveva clamorosamente
beffato! Di sicuro erano finiti nel locale più caro di
Torino. Ci
avrebbe scommesso qualsiasi cosa. Capì che questa era la sua
vendetta. Non aveva lasciato che Jenny passasse con lui quella serata
e Salvatore si era ingegnato per fargliela pagare cara, in ogni
senso.
-Maledetto
stronzo.-
Jenny
lo udì ma non si curò di lui. Si stava guardando
intorno e
procedeva distratta, osservando le pietanze sui tavoli occupati.
Diamine, Salvatore si trattava più che bene. Fu sicura
all’istante
che se fosse stato per Mark, non avrebbe mai messo piede in un
ristorante così di classe. Del resto anche lei,
lì in Italia,
probabilmente non si sarebbe potuta permettere una cena di quel
tenore. Mentre attraversavano le sale i commensali li seguirono con
lo sguardo, scambiandosi occhiate eloquenti subito dopo. Una ragazza
diede una gomitata al suo accompagnatore e gli indicò
Gentile con un
cenno della testa. Salvatore non si accorse di nulla e se lo
notò,
si mostrò del tutto indifferente all’interesse
suscitato dalla sua
apparizione. Jenny si era accorta già da un po' che dovunque
andava
veniva notato. Probabilmente ciò accadeva ormai da
così tanto tempo
che l'italiano non sembrava neppure rendersi più conto
dell’effetto
che faceva sulla gente.
-E
tu che ci fai qui?-
La
domanda di Mark la indusse a voltarsi. Individuò Rob e Dario
già
seduti, i bicchieri ricolmi di un liquido ambrato, degli stuzzichini
nel piatto e, accanto a loro, una ragazza che sorrise al saluto
scorbutico di Mark. Aveva un viso molto bello. Doveva essere
un’euroasiatica, solo gli occhi erano quelli di una
giapponese,
allungati però castano chiaro. Indossava una camicetta
bianca che
lasciava intravedere le curve di un seno generoso che Jenny le
invidiò non appena vi posò gli occhi.
-Mi
ha invitata Rob. Comunque anche a me fa piacere vederti, Mark.-
Quando
incrociò gli occhi di Jenny, la sconosciuta le
dedicò un altro bel
sorriso, tendendo la mano verso di lei.
-Finalmente
ti conosco. Sono un’amica di Rob, mi chiamo Carol.- le si
rivolse
in un giapponese perfetto ma con un leggero accento straniero -Se non
mi avessero già avvertito del contrario, penserei davvero
che sei la
fidanzata di Mark. Non l’ho mai visto portarsi dietro una
ragazza.-
A
Jenny sfuggì un sorrisetto, sollevò su Landers
un’occhiata
divertita e lui rispose sbuffando. Poi si sporse sul tavolo e le
strinse la mano.
-Mio
padre è giapponese, di Tokyo. Mia madre invece è
italiana. Sono
nata qui ma per fortuna mio padre ha avuto il tempo di insegnarmi la
sua lingua.-
Jenny
la guardò meglio, praticamente la esaminò. Aveva
i capelli tagliati
cortissimi sulla nuca e un caschetto così biondo da
risultare quasi
bianco. Sulla frangetta lunga che le ricadeva da un lato fin quasi al
mento, risaltavano tre sottili ciocche viola. Oltre alla sua curiosa
pettinatura, sfoggiava un make-up perfetto. Quando lei la
invitò a
farlo, Jenny le si sedette accanto e Gentile si affrettò ad
appropriarsi della sedia al suo fianco, prima che lo facesse Mark.
-Questo
è il mio posto, Landers. Non ci provare.-
-E
chi lo ha deciso?-
-Io!-
Carol
li guardò, poi abbassò gli occhi sulla ragazza.
-Che
carini, litigano per sedersi vicino a te.-
Jenny
arrossì.
-Litigano
perché gli piace farlo.-
Rob
la udì e rise.
-Hai
perfettamente ragione!-
Carol
afferrò il menù e lo aprì sotto gli
occhi di Jenny.
-Cosa
prendi da bere?-
-Non
so… acqua?-
-Scherzi?
Questo ristorante ha la selezione di vini migliore di Torino!-
Le
sventagliò davanti la carta dei vini e Jenny la prese.
Scorse rapida
i prezzi e si sentì mancare. Sessanta euro il più
economico, poi
centoquaranta, centottanta, duecentocinquanta…
Sperò che Mark non
l’avesse a portata di mano, sarebbe stato capace di alzarsi e
andarsene, o peggio farsi venire un infarto. Continuò a
leggere gli
importi: quattrocentocinquanta, seicentoquaranta, milleseicento,
tremilatrecento… La chiuse di botto e la restituì
a Carol.
-Non
capisco niente di vino.-
Carol
la guardò prima interdetta, poi divertita.
-Neanch’io.-
alzò gli occhi su Salvatore che le osservava, desideroso di
prendere
in qualche modo parte ad una conversazione in giapponese che non
capiva -Pensa tu al vino, visto che te ne intendi.- tornò a
rivolgersi a Jenny -Concentriamoci sui primi. Cosa vuoi?-
Jenny
abbassò gli occhi sull’altro menù e
studiò i prezzi accanto alle
pietanze. Neanche lì si sarebbero salvati. Altro che
ristorante
italiano a Tomamu, dove aveva prestato cinquemila yen a Mark. Qui
ogni piatto costava dai venti ai quaranta euro. Lanciò
un’occhiata
all’amico: fissava sgomento le due pagine che teneva aperte
davanti
agli occhi. Era diventato cinereo, probabilmente stava per venirgli
davvero un colpo.
-È
scritto tutto in italiano…- temporeggiò Jenny.
Lanciò un’occhiata
a Mark, quasi a chiedergli aiuto, ma lui continuava a tenere gli
occhi fissi sul menù, attonito, e non la guardava.
Sentì Gentile
sfiorarle una mano e si volse.
-Jenny,
che vuoi mangiare?-
Gli
dedicò il suo sorriso migliore.
-Scegli
tu per me.-
Carol
seguì il loro botta e risposta, poi sorrise.
-È
proprio preso… e sentiti fortunata! È pieno di
ragazze che gli
sbavano dietro e che darebbero qualsiasi cosa per essere al tuo
posto.-
-Anche
tu?-
-No,
per fortuna io no.- lanciò un’occhiata al biondo
-Non è il mio
tipo, per niente. Uno così ha troppe tentazioni, va a finire
che te
lo sfilano subito. Meglio lasciarlo direttamente alle altre. Comunque
Rob mi ha detto che sei qui da settimane. Se non l’avessi
saputo
solo ieri, sarei venuta a conoscerti molto prima. Sono sicura che ti
sei annoiata da morire, con Mark.- gli lanciò
un’occhiata -Rob mi
ha detto che non ti ha portata da nessuna parte.-
-Aveva
da fare, ho girato da sola.-
Lei
la guardò scandalizzata.
-Ma
ci sono posti in cui non puoi andare da sola! Pub, ristoranti,
locali, discoteche… Ti stai perdendo tutto il meglio!-
sospirò
-Fortuna per te che adesso ci sono io. Domani ti passo a prendere e
ti faccio conoscere i miei amici.- ci pensò -No, domani no
perché
lavoro. Va bene dopodomani?-
-Quando
vuoi.- figuriamoci, lei di tempo libero ne aveva a bizzeffe e non
sapeva come occuparlo -Che lavoro fai?-
Carol
le sorrise. Iniziava ogni frase con un sorriso che era una gioia per
l'umore.
-Mi
adatto a fare tutto quello che capita.- le strizzò un occhio
-Ho
studiato per diventare estetista a domicilio…-
abbassò la voce -In
nero… sai, di questi tempi… E poi lavoro
saltuariamente in un
centro benessere. Cosa si fa per campare.- allungò verso di
lei le
sue unghie perfettamente curate e decorate da disegni e brillantini.
Jenny le guardò ammirata -Insomma, mi attrezzo come posso. I
soldi
non bastano mai.-
-A
chi lo dici.-
Lei
la scrutò e le si accostò.
-Hai
bisogno di soldi?-
-Come
dici tu, non bastano mai.-
Carol
si guardò intorno guardinga. Nessuno faceva caso a loro e
proseguì,
scrutandola con attenzione. Le scostò una ciocca di capelli
dal viso
e gliela passò dietro l’orecchio.
-Sei
carina, graziosa.- prese atto, facendola arrossire -Se vuoi posso
mostrarti un modo per guadagnare bene in poco tempo…-
lasciò in
sospeso la frase, poi le si avvicinò così tanto
che Jenny percepì
il suo profumo solleticarle le narici e riuscì a individuare
pagliuzze dorate nelle iridi marroni -Ti interessa?-
La
giovane guardò Rob che rideva con Dario di qualcosa. Mark le
stava
osservando ma era dall’altra parte del tavolo, troppo lontano
per
udirle. Salvatore le lanciava delle occhiate curiose, ma lei e Carol
parlavano in giapponese e non poteva capire nulla di ciò che
si
dicevano.
Arrivò
il cameriere a prendere le ordinazioni.
-Potrebbe
interessarmi.- le disse in un sussurro -Che genere di lavoro?-
Carol
non le rispose. Si volse e ficcò una mano nella borsetta
appesa alla
spalliera della sedia in cerca del cellulare.
-Dammi
il tuo numero, ti chiamo e te lo spiego con calma. Questo non
è il
momento adatto per parlarne.-
Philip
frugò tra le sue cose alla disperata ricerca del gioco della
playstation che Peter Shake gli aveva prestato mesi e mesi prima.
Doveva ripescarlo alla svelta e ripartire per Sapporo al più
presto
o sarebbe arrivato in ritardo agli allenamenti che iniziavano alle
tre.
Era
chino ormai da troppo tempo su uno scatolone riesumato
dall’armadio
della sua camera da letto di Furano, nel quale aveva finito per
ammucchiare tutto ciò che non sapeva dove mettere, insieme a
qualsiasi cosa che lo riportasse con la mente ad un passato scomodo
da ricordare. Aveva accantonato a terra da una parte tutto quello che
gli era capitato sotto mano, persino un vecchio zaino che era
convinto di aver buttato da tempo. Trovò addirittura un
biglietto
dell’autobus vecchio di dieci anni, ma del gioco di Peter
nessuna
traccia.
Si
lasciò cadere seduto sul pavimento e si volse a guardare
l’ora.
Era quasi l’una, doveva darsi una mossa.
-Philip!
Il telefono!- la voce squillante di sua sorella riuscì ad
oltrepassare persino la porta chiusa.
Si
alzò sospirando e si affacciò nel corridoio,
rispondendo a Kate che
lo chiamava di nuovo. Scese le scale, afferrò
l’apparecchio e
riconobbe la voce di Tom dall’altra parte del filo.
“Tutto
bene?”
Se
Philip non avesse saputo che l’amico non era al corrente dei
più
recenti sviluppi della sua esistenza, avrebbe pensato che con quella
domanda lo stesse sfottendo. Ultimamente erano tutti preoccupati per
lui. Prima Julian, ora Tom. Ci mancava solo Mark e avrebbe fatto
bingo. Sperò che l’elenco finisse lì.
Rispose leggermente
scanzonato.
-Perfettamente.-
“Ti
ho disturbato?”
-Sto
per uscire, devo tornare a Sapporo.-
“Ho
provato a chiamarti al cellulare ma ce l’hai spento. Hai
ricevuto
la telefonata di Marshall?”
-Sì.-
Con
Freddie aveva parlato giusto quella mattina e, senza troppi
preamboli, il mister gli aveva ordinato di presentarsi domenica a
casa di Benji, a Fujisawa, dov'era in programma una riunione della
nazionale. Marshall l’aveva beccato in un momento poco
opportuno
(era in compagnia di Julie), e non era stato ad ascoltarlo con troppa
attenzione, ma pur non cogliendo la ragione di quell'incontro, aveva
acconsentito subito. L'improvviso cambio di programma gli avrebbe
permesso di sganciarsi dalla ragazza almeno per un paio di giorni.
Frequentare Julie per troppi giorni di seguito gli diventava pesante
e quando ciò accadeva, non vedeva l'ora di staccare la
spina.
Marshall gli aveva fornito la scusa perfetta per mollarla a Sapporo e
tagliare la corda.
Obiettivamente
a volte Philip proprio non la sopportava. Gli diveniva impossibile
riuscire ad adattarsi alla sua leggerezza e alla sua
superficialità.
Stava ore a parlargli di niente, annoiandolo a morte senza rendersene
conto, segnale di quanto fosse concentrata su se stessa. Loro due non
avevano nulla in comune, nessun argomento di conversazione, e a volte
Philip si trovava a chiedersi perché continuasse a
frequentarla.
Forse unicamente per sentirsi meno solo. Eppure c’erano
giorni in
cui rimpiangeva di non esserlo davvero, soprattutto quando gli
telefonava per raccontargli tutto quello che succedeva sul set, cose
che a lui non interessavano minimamente. Restava ad ascoltarla in un
silenzio ostile, sperando che finisse presto. Del resto era anche
vero che Julie si mostrava disponibile e accogliente ogni volta che
la cercava. Abitava da sola in un appartamentino in affitto a
Sapporo, dove Philip si rifugiava quando gli faceva comodo e quando
ricominciava a pensare al passato. Lei lo riceveva sempre a braccia
aperte, sorvolando sulle volte in cui non si faceva sentire per
giorni interi. Il tono interrogativo di Tom lo riscosse, riportandolo
alla realtà.
“Vieni
anche tu?”
Philip
si rese conto che non era stato ad ascoltarlo.
-Scusa
Tom, non ti ho seguito.-
“Holly
e Patty arrivano a Fujisawa venerdì. Benji torna
appositamente.
Abbiamo pensato di vederci un giorno prima per stare un po’
insieme. Nicole si è offerta di ospitare Julian, Amy, te e
Jenny.
Venite o no?”
Philip
tacque, colto alla sprovvista da una proposta che assolutamente non
si aspettava. Che poteva fare se non metterlo al corrente?
L’unica
cosa positiva era che, una volta avvertito Tom, lui lo avrebbe
sicuramente detto agli altri risparmiandogli di dar loro la notizia.
Era bene che, prima di incontrarli, gli amici avessero il tempo di
digerire la novità.
-Jenny
ed io non stiamo più insieme.-
Tom
ci mise un po’ a riordinare le idee.
“Non
lo sapevo. Mi dispiace.”
-Verrò
domenica mattina insieme a Peter, abbiamo già prenotato
l’aereo.
Scusa ma si sta facendo davvero tardi. Ciao.-
Dopo
aver riagganciato, l’umore di Philip, che era già
all’altezza
delle ginocchia mentre frugava nell’armadio, ora gli
calò sotto i
piedi. Risalì stancamente le scale e si richiuse in camera,
facendo
finta di non udire le domande di una sorella troppo curiosa che lo
incalzavano lungo i gradini. Si sedette sul letto e rimase a fissare
gli oggetti sparpagliati sul pavimento.
Per
l’ennesima volta si chiese cos'era che nella sua vita non
andava.
Era stanco di quell’apatia che gli toglieva la voglia di fare
tutto, di quei mal di testa che lo assalivano all’improvviso
e lo
svegliavano la notte. Era stanco della sua irascibilità, a
cui non
riusciva a dare una ragione e per la quale non trovava soluzione. Si
passò una mano sul viso e poi tra i capelli. Un raggio di
sole,
spuntato all’improvviso dal cielo nuvoloso e carico di neve,
si
incanalò attraverso i vetri e andò a colpire gli
oggetti
ammucchiati a terra alla rinfusa, riflettendosi su una superficie
lucida che spuntava da sotto un libro. Quel luccichio gli
finì negli
occhi e attirò la sua attenzione. Si alzò e si
chinò, trovando
finalmente il gioco che cercava. Che fortuna sfacciata! Peter
l’avrebbe finita di assillarlo. Lo gettò sul letto
e tornò a
fissare la superficie lucida che continuava a brillare, ferendogli
gli occhi. Riconobbe la foto sua e di Jenny che fino a qualche mese
prima era stata in bella mostra sulla scrivania. Erano ancora dei
bambini e gliel’aveva scattata Peter a scuola, il primo anno
del
liceo. Jenny era tornata dall’America da tre settimane e si
erano
appena messi insieme. La felicità che traspariva dai loro
volti gli
fece male. Si affrettò ad allungare la mano, afferrare la
cornice e
lanciarla dentro lo scatolone. La seguirono tutti gli altri oggetti
che erano rimasti fuori, seppellendola sotto uno spesso strato di
cianfrusaglie. Ripose la scatola nell’armadio e si
lasciò cadere
sul letto. Scostò il gioco di Peter che gli si era
conficcato
dolorosamente tra le costole e chiuse gli occhi, coprendoseli con un
braccio. Poi si ricordò che alle tre doveva essere a Sapporo
per gli
allenamenti, allora scattò in piedi e uscì di
corsa.
A
conti fatti Jenny aveva assaggiato almeno tre tipi di vini, che
Salvatore da una parte e Carol dall’altra, le avevano versato
nel
bicchiere, rimasto sempre mezzo pieno durante tutta la serata. Carol
aveva monopolizzato la conversazione per una buona mezz’ora,
chiedendole vita-morte-e-miracoli e lei si era destreggiata come
meglio aveva potuto, dicendo il meno possibile senza essere scortese.
Fortunatamente Carol non si era dimostrata troppo curiosa e aveva
risposto a tutte le domande che le aveva rigirato, dilungandosi molto
sulla sua infanzia metà italiana e metà
giapponese con un fratello
maggiore che la viziava più dei suoi genitori.
Poi,
ad un certo punto, Gentile si era stancato di essere ignorato. Ogni
sorriso seducente che rivolgeva a Jenny veniva appena notato, ogni
tentativo di conversazione cadeva nel vuoto. Era quasi un’ora
che
ascoltava le inutili chiacchiere dei compagni che gli sedevano
davanti a quel tavolo rotondo e lussuoso mentre la ragazza che
intendeva conquistare era girata dall’altra parte, a parlare
in
giapponese di qualcosa che non avrebbe mai potuto né capire
né
condividere. A cosa era servito portarla in quello spettacolo di
ristorante se poi lei neppure lo notava? Quando non ne poté
più, si
alzò per andare in bagno e lì decise che avrebbe
messo a tacere
Carol una volta per tutte. Tornò verso il tavolo attirando
ancora
parecchi sguardi, arrivò alle spalle della giovane, si
chinò su di
lei e accostò le labbra al suo orecchio. Il respiro caldo di
Salvatore le solleticò il collo facendola rabbrividire.
-Se
non smetti immediatamente di parlare con Jenny, ritiro l'offerta e
dovrai pagarti la cena da sola.-
Carol
si volse di scatto, incrociando un lampo azzurro di fastidio.
Salvatore era serio, fin troppo. Si fece veloce due conti e
capì
sgomenta che se lui avesse messo in atto la minaccia, per quella cena
avrebbe speso l’equivalente di cinque giorni di lavoro.
Così,
mentre il ragazzo tornava a sedersi al suo posto, a lei non rimase
altro da fare che sorridere a Jenny, dirle ancora qualcosa giusto per
concludere la conversazione, e voltarsi verso Rob che sedeva
dall’altro lato, per scherzare e ridere con lui.
Fu
quando Jenny si alzò che si rese conto che la testa le
girava.
Neppure il freddo delle Alpi riuscì a schiarirle le idee.
Così,
quando uscirono dal locale, si accostò a Mark e gli si
aggrappò al
braccio.
-Credo
di aver bevuto troppo vino.- più che crederlo, in
realtà ne era
convinta. Alzò gli occhi su di lui e tentò un
sorriso, ma il
ragazzo non ricambiò.
Mark
era furioso, ce l’aveva a morte con Gentile per aver scelto
quel
ristorante. Non aveva mai speso così tanto per una cena. Con
l’equivalente della sua parte, quando era ancora alle medie,
lui,
sua madre e i suoi fratelli erano andati avanti per un mese. Non
poteva davvero credere di aver speso tanto per aver mangiato due
stronzate di tonno, una foglia di radicchio con quattro chicchi di
riso tinti di vino rosso, un involtino alla salsa di mela e pepe, una
specie di muffin alle carote e formaggio e un dolce al cucchiaio non
ben identificato. Aveva evitato il vino per protesta, perché
le
bottiglie costosissime che Gentile s’era fatto portare a
tavola se
le sarebbe pagate da solo. Ma tanto, anche andando avanti per tutta
la cena con l’acqua, il conto era stato stratosferico. E lui
aveva
una fame da lupi. Lanciò un’occhiata a Jenny, che
non aveva tirato
fuori un euro perché Gentile aveva pagato per entrambi e
pure Carol.
Stizzito allungò il passo e lei vacillò per
stargli dietro. Quando
inciampò su un sampietrino, la sostenne.
-Mi
gira la testa.-
-Tra
mezz’ora ti ficcherai a letto e la testa non ti
girerà più.-
-Dici?-
Mark
non le rispose. Non lo sapeva e in fondo non gliene fregava niente.
In fin dei conti, la colpa del salasso era la sua. Aoi li
superò
lanciando loro un’occhiata divertita, poi raggiunse Gentile
che
stava salendo in macchina. Belli s’era già
accomodato davanti al
posto del passeggero, rabbrividendo al freddo di quella prima
metà
di febbraio.
-Speriamo
che non nevichi.-
Salvatore
annuì distratto, osservando Mark e Jenny che si avvicinavano
e
lanciando al ragazzo un’occhiata infastidita. Le stava
appiccicato,
non la mollava un attimo. Ora che s’era tolta di torno Carol,
ci si
era messo lui. Perché non si levava dai piedi una buona
volta?
Rob
seguì il suo sguardo e sorrise.
-Mark
t’aveva detto di smettere di versarle da bere.-
L’altro
fece spallucce.
-Tu
piuttosto avresti dovuto riaccompagnare Carol a casa.- erano in
troppi ad essere rimasti. Se voleva concludere qualcosa, doveva
restare solo con Jenny. Ma come poteva con Landers sempre intorno
come un mastino da guardia?
-Non
andava a casa ma a lavorare in discoteca.-
-E
allora dovevi andare in discoteca con lei.-
Aoi
scosse la testa ed entrò in macchina.
-Sono
a pezzi! Stamattina abbiamo fatto un superallenamento con i fiocchi,
vero Dario? Pensa che non volevo neppure venire, stasera.-
-Allora
potevi restartene a casa.-
-Carol
ha insistito parecchio.-
-Lo
immagino.-
Attraverso
lo specchietto retrovisore, Salvatore vide Jenny e Mark salire
finalmente in macchina. Lo stronzo le si era incollato addosso come
un adesivo. Spostò gli occhi su di lei, indugiando sulle
guance
arrossate dallo sbalzo di temperatura, sugli occhi resi brillanti dal
vino e sulle labbra tinte di nuovo da un rossetto, di sicuro opera di
Carol che, prima di lasciare il ristorante, l'aveva trascinata in
bagno.
-Mark…-
un filo di voce carico di imbarazzo uscì dalle labbra della
giovane
-Sono in uno stato pietoso, vero?-
-No,
e poi comunque non è colpa tua. Non avresti bevuto tanto se
qualcuno
non avesse insistito in maniera indecente a riempirti di continuo il
bicchiere.-
Mentre
Gentile s’infilava nel traffico del venerdì sera,
Jenny si accostò
di più a Mark perché sentiva freddo e il calore
del suo corpo era
gradevole. Sospirò esausta. Era stanca e non vedeva
l’ora di
arrivare a casa.
Quando
la macchina si fermò lungo il marciapiede,
l’italiano spense il
motore. Attese che Rob, Mark e Jenny scendessero e si volse verso
Dario.
-Visto
che non possiamo dormire tutti da Landers, se tra dieci minuti non
torno puoi andare da me.- si frugò nelle tasche e gli
consegnò le
chiavi di casa. Poi smontò e corse a raggiungere Jenny.
Entrarono
in casa insieme, dietro Mark che li precedeva accendendo le luci e
Aoi che si trascinava dietro la borsa. Se l’era portata fin
nel
ristorante, perché quella notte Landers aveva promesso di
ospitarlo.
Rob raggiunse in cucina il padrone di casa, mentre si versava un
bicchiere d’acqua.
-Dove
dormo?-
-Sul
divano. La camera degli ospiti l’ha occupata Jenny.-
-Posso
avere dell’acqua anch’io?-
Mark
annuì, prese un bicchiere dallo scolapiatti e glielo porse,
lasciando che Rob se lo riempisse dal rubinetto.
-Sono
pieno come un uovo.-
Bastò
la sua ingenua constatazione per rinfocolare il malumore di Landers.
-Maledetto
bastardo, sono sicuro che l’ha fatto apposta!-
-Chi?-
-Quel
pallone gonfiato di Gentile!-
-Ha
fatto cosa?-
-Ha
scelto il ristorante più caro di Torino, porco mondo!-
A
Rob sfuggì un sorrisetto.
-Sicuramente
voleva far colpo su Jenny!-
-Il
colpo per poco non l’ha fatto prendere a me!- si
appoggiò al
lavello -Ti rendi conto quanto abbiamo speso per cenare? E oltretutto
ho ancora fame! I piatti erano mezzi vuoti, tutti assaggi e
stuzzichini!-
-Io
ho mangiato bene e pure troppo.-
-Quello
stronzo! Mi dovrà restituire fino all’ultimo
centesimo! E con gli
interessi!-
Il
telefono di casa squillò improvviso. Gli occhi di Mark
corsero
all’orologio appeso sulla parete d’ingresso della
cucina. Erano
passate le undici quindi in Giappone erano quasi le otto del mattino.
Uscì nel corridoio, incrociò Jenny e Salvatore
fermi ai piedi delle
scale a parlare e ridere di qualcosa, e si affrettò a
rispondere.
“Mark,
stai dormendo?” era sua madre.
-No,
sono appena rientrato.-
“Sei
stato a cena fuori?”
Sbuffò.
-Non
farmici pensare, ma’…-
“Tua
sorella stamattina parte per la gita scolastica.”
-Dov’è
che va?-
“Kyoto,
Osaka e Nara. Ti voleva salutare.”
-Passamela.-
distolse gli occhi da Gentile e Jenny che parlottavano, i volti
vicinissimi che quasi si sfioravano e appoggiò la fronte
contro il
muro, affranto, perché con il prezzo della cena avrebbe
potuto
comprare una valanga di cose per i suoi fratelli e per sua madre.
Forse il fatto che la sua famiglia lo avesse chiamato proprio in quel
momento era un segno. Serviva a non fargli dimenticare che aveva
gettato al vento tutti quei soldi.
Salvatore
lo vide voltarsi verso la parete, così coinvolto dalla
telefonata da
non far caso a loro. Si chinò su Jenny e le sorrise. Gli
occhi erano
socchiusi e brillanti come stelle, e profumava di buono. Aveva
sentito, baciandola qua e là sulle labbra e sul viso, il
sapore e la
fragranza del suo corpo e non quella del fondotinta, della cipria,
del fard, come avveniva di solito. Jenny non si era coperta di strati
e strati di trucco. La sua pelle era vellutata come pesca, la grana
fine e liscia come la porcellana. Baciarla, posare le labbra su di
lei, era un piacere.
-Saliamo?-
Jenny
annuì, aveva sperato che glielo chiedesse. I baci di Gentile
le
piacevano, anche il suo odore le piaceva. Le piaceva come la
guardavano i suoi occhi, le piaceva affondare le dita tra i suoi
capelli d’oro, morbidi come la seta sulla nuca e induriti in
ciocche dal gel sulla fronte. Quella sera desiderava follemente che
l’abbracciasse e la baciasse. Il ragazzo le infondeva
tranquillità
e lei voleva sentirsi protetta e coccolata, soprattutto voleva
sentirsi amata. Voleva provare di nuovo la piacevole sensazione di
braccia forti che le circondavano la schiena, il calore e la
sicurezza che poteva infonderle un corpo maschile. Voleva provare di
nuovo il sapore e l’eccitazione dei baci, di qualsiasi bacio.
Era
la prima volta dopo molti mesi che qualcuno la prendeva tra le
braccia e lei aveva disperatamente bisogno di non sentirsi
più sola.
Mentre salivano le scale, sollevò il viso verso di lui. Era
così
vicina che se avesse fatto un altro minuscolo movimento, lo avrebbe
sfiorato. Scorgeva il suo bel viso attraverso il chiarore che veniva
da giù, dalle luci del salotto, il lampo azzurro dei suoi
occhi e
l’oro dei capelli. Obiettivamente Salvatore Gentile era
bellissimo.
Entrarono
insieme in camera da letto, Jenny accese la luce e fu contenta di
averla sistemata quella mattina, prima di uscire di casa. I libri sul
tavolino erano disposti in bell’ordine e il copriletto era
stirato
e teso, pronto ad essere stropicciato da loro. Salvatore
riaccostò
la porta tendendo indietro un braccio, senza neppure voltarsi. Poi la
prese tra le braccia e unì le proprie labbra alle sue.
Jenny
si perse, nei suoi baci. Non si accorse che lui le sbottonava
impaziente il cappotto finché non se lo sentì
scivolare giù dalle
spalle. Lasciò che cadesse a terra, non gliene
importò. Gli
circondò il collo con le braccia per accostarlo a
sé. I baci di
Salvatore le piacevano, così come le piacevano le sue
carezze. Le
piacevano i suoi occhi azzurri ombreggiati da ciglia dorate, i suoi
capelli del colore del grano, il suo profumo, la sua pelle calda, i
suoi muscoli. Le piaceva il suo sorriso, il suo sapore, le sue mani
che le percorrevano il corpo delicate. Le piaceva la sua voce, le sue
attenzioni, la sua allegria. Soprattutto non avrebbe mai creduto che
qualcun altro che non fosse Philip sarebbe stato in grado di
risvegliare il suo corpo in modo così eccitante. Eppure lui,
con i
suoi baci e le sue carezze, le stava stimolando tutti i sensi in un
modo così inatteso da renderla incapace di controllarsi.
Mark
li osservava in silenzio dalla soglia già da un paio di
minuti e
l’idea di essere di troppo non gli attraversò la
mente neppure un
istante. Li guardava baciarsi e rifletteva, perché non
riusciva a
farne a meno. Il conto salato che aveva pagato a cena gli ribolliva
nel sangue, ma il pensiero che lo angustiava di più era
Philip. Lo
conosceva da quasi dieci anni e dopo il burrascoso primo incontro
alle elementari avevano imparato a sopportarsi, poi a intendersi,
soprattutto in campo. Da quando si erano ritrovati insieme in
nazionale l’iniziale rivalità era scomparsa,
lasciando il posto
alla collaborazione e alla stima. Quante volte Philip gli aveva
passato degli splendidi assist per permettergli di segnare? Quante
volte Philip l’aveva appoggiato durante le innumerevoli
discussioni
che con il suo carattere poco incline alla diplomazia si era tirato
addosso in campo, negli spogliatoi, durante i ritiri? Pensò
che
nascondendogli la presenza di Jenny a casa sua aveva tradito la sua
fiducia. Fu costretto ad ammettere che aver deciso di ospitarla senza
dirgli niente non era ciò che avrebbe fatto un amico. Decise
che se
voleva rimediare in qualche modo, doveva fermare quella pazza della
sua fidanzata (o ex, come tanto insisteva a dire lei) e impedirle di
lasciarsi conquistare dal primo arrivato. Soprattutto poi se si
trattava di quel cretino di Gentile, che la seduceva dopo averla
fatta bere.
-Vattene.-
Jenny
sussultò e Salvatore si volse. Lo videro in piedi,
appoggiato sullo
stipite della porta socchiusa, le braccia incrociate al petto.
Gentile si irrigidì, poi si scostò dalla giovane
esasperato.
-Sono
stanco di te, Landers! Della tua gelosia, o invidia, o come diavolo
vuoi chiamarla! Togliti dalle palle una buona volta!-
Mark
si staccò dal muro e avanzò verso di loro.
-Sei
tu che devi toglierti dalle palle! Sei tu che devi tornartene a
casa!-
Parlò
di nuovo in italiano ma per Jenny il messaggio fu chiaro lo stesso,
perché lui indicò la porta con il braccio teso.
-Mark…-
cercò di avvicinarsi per placarlo, per dirgli che non doveva
intromettersi, che doveva lasciarli soli e uscire dalla sua camera.
La testa le vorticò in modo spaventoso e
barcollò. Il fatto di non
riuscire a tenersi in piedi in un momento simile non le piacque e
maledisse il vino che aveva mandato giù durante la cena.
Sentì
Salvatore continuare a parlare, in italiano. Non capì nulla.
-Pensi
di farle del bene, intromettendoti nella sua vita privata?-
-Penso
di farle del bene tenendola lontana da te!-
-Cos’è
che ti dà fastidio se stiamo insieme?-
-Tutto!
Tu non vai bene per lei! Non sei affidabile, non sei serio, non sei
maturo! Troppe ragazze ti ronzano intorno! Per non parlare dei
giornalisti, che se vi scoprissero insieme non le darebbero
più pace!- fece una pausa -Jenny non ha bisogno di te
né di tutto il
corredo di presunzione, di arroganza, di notorietà e di
ricchezza
che ti porti dietro! Possibile che tu non lo capisca?-
Salvatore
lasciò che quelle parole gli scivolassero addosso.
-E
allora di chi ha bisogno? Di uno come te?- vide gli occhi di Mark
lampeggiare e rise -Tu sei solo capace di impedirle di divertirsi, la
controlli come se fosse una bambina di sei anni. Non ti va bene se
esce la sera, se torna tardi, se lavora, se va a fare
shopping… Le
stai impedendo di vivere! La tua casa è una prigione!-
abbassò gli
occhi sulla ragazza che lo fissava sgomenta, come al solito esclusa
da una conversazione che non capiva. Tornò a rivolgersi a
Mark
-Jenny è in grado di decidere da sola cosa fare e con chi! E
sono
sicuro che te lo dirà non appena me ne sarò
andato!-
Sentirsi
prendere in causa continuamente alla giovane non piacque, ma ancora
meno ciò che leggeva sui loro volti. Si sarebbero azzuffati?
Lei non
voleva, non voleva assolutamente. Assistere al loro litigio, di cui
era la causa, la faceva stare male. L’atteggiamento
prepotente di
Mark nei confronti di Salvatore era inaccettabile. Immaginava che si
comportasse in questo modo perché era preoccupato per lei,
ma non
doveva permettersi di fare una piazzata simile in un momento
così
intimo. Ricacciò indietro le lacrime che premevano per
uscire e
cercò di nuovo di salvare il salvabile.
-Mark,
cosa gli hai detto?-
Lui
la ignorò, non le prestò attenzione. Si
comportò come se non
avesse parlato, come se non fosse presente, come se non esistesse.
-Credi
davvero che Jenny sia in grado di scegliere cosa sia meglio per lei
dopo tutto il vino che le hai fatto bere? O magari tu le tue donne le
seduci solo dopo che le hai fatte ubriacare?-
Fu
un’insinuazione meschina e bruciante. Le dita di Salvatore
cominciarono a prudere. Serrò e aprì i pugni un
paio di volte e lo
guardò furente, troppo tentato di scagliarglisi addosso.
Capì che
Landers sarebbe uscito da quella stanza soltanto dopo di lui. Pessima
serata, maledetto stronzo! Raccolse la giacca da terra e si volse
verso Jenny, che allungò una mano e strinse la sua, cercando
di
trattenerlo. Ma l’occhiata che lui le rivolse la
intimidì e non
riuscì a trovare le parole per farlo restare.
-Ci
vediamo domani.- la salutò brusco.
Uscì
urtando la spalla di Mark. Imboccò le scale di corsa in
preda ad
un'ira feroce. Non aveva bisogno di farle bere, lui, le donne, per
conquistarle. In genere gli cadevano ai piedi senza che muovesse un
dito. Sbatté la porta d’ingresso con violenza,
uscì sulla strada
e raggiunse la macchina. Dario fu contento di aver aspettato ancora
un po’.
-È
andata male?-
-Quel
bastardo di Landers! Lo detesto!-
Jenny
guardò l’amico pallida come un cencio, le mani
strette
nervosamente una nell’altra. Incredula, umiliata.
-Mark…
Perché lo hai fatto?-
-Perché
stava approfittando di tutto il vino che ti ha versato nel
bicchiere.-
-Non
è vero!-
-Jenny,
l’ho fatto per te!-
Lei
lo fissò, gli occhi spalancati, e non gli credette.
Indietreggiò,
urtò il letto con le gambe e finì seduta sul
materasso.
-No,
lo hai fatto per vendicarti della cena.-
-Be’
sì, anche.-
Le
salirono le lacrime agli occhi.
-Hai
rovinato tutto.-
-Tutto
cosa? Non c’era nulla da rovinare. Tu e Gentile non state
insieme!
Tra un mese e mezzo ti scadrà il visto e dovrai andartene.
Che senso
ha perdere tempo con lui?-
-Non
puoi capire…- come dirgli che quella era la prima volta che
qualcuno la baciava in quel modo, la toccava in quel modo dopo David?
Philip non si era più azzardato a farlo, scavando una
voragine tra
loro che a lungo andare li aveva allontanati per sempre -Che
accidenti te ne importa se mi diverto con qualcuno? Lui non lo sta
forse facendo?-
-Vorresti
andare a letto con Gentile solo perché Callaghan esce con
un’altra?
Solo per questo? Solo per ripicca?- tentò
un’ultima strada -A
Gentile non interessi, gli serve soltanto una ragazza per andare in
giro, per farsi vedere alle feste. Con te vuole divertirsi e
svagarsi, ora che è da solo. E dopo che lo avrà
fatto non ricorderà
neppure come ti chiami!- la fissò -Ti piacciono i tipi
così?-
-Sì!-
replicò polemica -Sono proprio i tipi così che
cerco!-
Mark
si irrigidì come se lei lo avesse schiaffeggiato. Poi decise
di non
crederle. Fortunatamente la settimana successiva era in programma la
partita contro Holly a Barcellona. Grazie al breve ritiro e al
viaggio in Spagna della Juventus, Jenny avrebbe avuto qualche giorno
di tempo per togliersi dalla testa Gentile e quella stupida
convinzione.
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Capitolo 4 *** Terzo capitolo ***
RT£
Terzo
capitolo
Jenny entrò in cucina con un diavolo per capello. Non sapeva
se era nervosa perché le stava per arrivare il ciclo o per
ciò che era successo la sera prima. O meglio per
ciò che per colpa di Mark non era successo. Non era sicura
di desiderare Gentile fino a quel punto, ma non avrebbe voluto mai e
poi mai essere interrotta in quel modo. Mark era stato brusco,
inopportuno e decisamente cafone. Certo, era un po’ brilla e
non poteva non ammetterlo. Ma non abbastanza da non essere in grado di
capire cosa fosse meglio per se stessa, accidenti!
Se lei non aveva gradito l’intrusione di Mark, Gentile doveva
averla detestata. Non aveva capito il significato delle parole di fuoco
che si erano scambiati (Mark si era guardato bene dal ripetergliele in
giapponese una volta soli), ma il tono era stato chiarissimo e
Salvatore non l’avrebbe dimenticato. Quei due avevano
aggiunto alla loro lista un altro motivo di disaccordo. Che deficienti!
Quando varcò la porta della cucina Mark era in un angolo,
appoggiato in piedi contro il ripiano a ruminare qualcosa con la bocca
strapiena. Vedendola smise di masticare, le guance ricolme di cibo,
gonfie ai lati come quelle piene di semi di un criceto. Lei non lo
guardò, lo intravide e basta perché si
rifiutò, furiosa com’era, di posargli gli occhi
addosso.
-Dove sei stata?-
-Ad accompagnare Rob da Carol e a fare un po’ di spesa.-
Jenny era uscita volentieri con Rob, con lui si trovava a suo agio. Era
sempre allegro, la divertiva e la distraeva. Nel tragitto da casa fino
in centro avevano chiacchierato tutto il tempo. Aoi aveva parlato a
raffica di ogni cosa e quando lei gli aveva chiesto informazioni su
Carol, lui aveva risposto a tutto. L’eccentrica ragazza
conosciuta al ristorante era stata un’amica di Gentile, prima
che di Rob, perché lavorava nella discoteca frequentata dai
calciatori della Juventus. E quando Salvatore aveva scoperto che era
giapponese per metà, le aveva presentato Aoi. Parlando con
Rob, Jenny aveva saputo che sua madre l’aveva chiamata Carol
perché fan sfegatata di un papa dei suoi tempi. E quando gli
aveva chiesto se tutti coloro che avevano occupato il tavolo al
ristorante la sera di San Valentino fossero single, il ragazzo le aveva
anche raccontato ridendo che l’unico ad avere la compagna,
fino a qualche ora prima, era stato Dario. Solo che, per qualche motivo
che il portiere non aveva voluto rivelare, lei lo aveva mollato proprio
quel giorno. Così aveva deciso di aggregarsi alla comitiva,
perché in una sera come quella del 14 febbraio meglio male
accompagnati che da soli.
Si avvicinò al frigorifero, l’aprì e
lanciò un’occhiata dentro. Ciò che vide
non le stimolò l’appetito e lo richiuse brusca.
Poi fissò il tavolo spiccio tranne per una tazza di
caffè colma per metà. Infine si guardò
intorno, in cerca di qualcosa.
-Dove sono i cioccolatini che mi ha regalato Salvatore ieri sera?-
Mark rispose mugugnando e lei si volse di scatto, ad osservarlo per la
prima volta con un brutto presentimento. Con un sorriso trionfante ma
stiracchiato dalla bocca piena di cibo, il ragazzo allungò
le mani aperte verso di lei. All’interno giacevano palline di
carta stagnola accartocciate tra le pieghe della pelle.
Deglutì vistosamente.
-Li ho mangiati tutti.- lo ammise contento, soddisfatto, appagato.
Jenny gli si avvicinò e lo guardò meglio. Le sue
labbra erano ancora sbaffate di cioccolata sciolta.
-Non li ho neppure assaggiati!-
Il ragazzo fece spallucce, si scostò e andò a
gettare quei rimasugli di incarti nel cestino dell’immondizia.
-Non erano un granché.-
-Erano miei!-
-Li hai lasciati in macchina.-
-E tu li hai presi per mangiarli!- era sgomenta, incredula.
-Non sei contenta? Ti ho appena evitato di ingrassare.-
Jenny pestò i piedi sul pavimento, furiosa.
Scostò bruscamente la sedia e vi si lasciò
cadere. Fremeva e la stizza stava cominciando a risultarle ingestibile.
Se avesse potuto gli avrebbe gettato addosso tutte le stoviglie di
quella maledetta cucina. Respirò a fondo, cercando di
calmarsi. Era un’impresa impossibile.
-Cosa gli hai detto ieri sera?-
Mark finse di cadere dalle nuvole.
-A chi?-
-Come a chi? A Salvatore!-
-Gli ho detto di andarsene.-
-E poi?-
Il ragazzo si avvicinò al frigorifero con un sorriso
sornione. Non aveva voglia di discutere di prima mattina e
cercò un modo per placarla. Aprì lo sportello,
lanciò un’occhiata dentro e tirò fuori
un succo d’ananas.
-Ne vuoi?-
-No.-
Prese la confezione del latte e gliela mostrò. Lei scosse la
testa. Mark allora le allungò uno yogurt. Jenny
balzò in piedi.
-Ti ho detto che non voglio niente!-
-Non fai colazione?-
-No!- lo fissò furiosa perché era chiaro che Mark
si stava divertendo. Si mise in piedi, gli volse le spalle e
uscì a testa alta, lasciandolo col frigorifero aperto e con
un’unica sola convinzione. Jenny stava diventando un
problema.
Richiuse lo sportello con violenza. A Torino desiderava vivere
tranquillo, essere lasciato in pace, rifarsi un’esistenza
lontano dalla preoccupazione quotidiana di tirare avanti una famiglia,
assumendosi la metà delle responsabilità di sua
madre. Jenny invece era una responsabilità. E neppure a
metà: piena, perché tutta a suo carico. Lo era
quando usciva di casa, quando andava in giro da sola per Torino in
cerca di un lavoro per guadagnare due spicci che non era neppure sicuro
le servissero, quando passava il suo tempo con Gentile. Su
un’unica cosa la sera prima l’italiano aveva avuto
ragione. Quando non erano insieme, quando non aveva Jenny sotto gli
occhi, quando non sapeva dove andava a ficcarsi, era in pensiero.
E lui odiava sentirsi così. Se proprio doveva preoccuparsi,
era giusto che lo facesse per la sua famiglia! E invece no! Jenny gli
era piombata tra capo e collo e si permetteva addirittura di stranirsi
perché lui aveva mangiato quei quattro cioccolatini schifosi
che le aveva regalato Gentile. Avrebbe dovuto ringraziarlo da quel
giorno fino alla morte, avrebbe dovuto essergli riconoscente per
l’eternità e oltre, di averle impedito, la sera
prima, di fare qualcosa di cui si sarebbe presto pentita. O forse non
era quello ad aver scatenato il suo malumore. Forse aveva capito da
sola che era stata sul punto di commettere un errore madornale e si
rifiutava di ammetterlo, piccola testarda. A meno che non fosse davvero
furiosa per i cioccolatini maledetti, che non valevano certo un
litigio. Si ripromise di ricomprarglieli, forse al supermercato li
avrebbe trovati in offerta visto che San Valentino era appena passato.
*
Philip non riuscì ad individuare l’istante preciso
in cui i suoi pensieri si riempirono di Jenny ma quando se ne rese
conto capì che stava succedendo già da parecchi
minuti. Non riuscì neppure a mettere a fuoco cosa
lo avesse spinto a pensare a lei, visto che si trovava nella bella casa
di Richard Hall, l’attaccante del Sapporo, un posto in cui
finora non era mai stato e quindi pieno di cose nuove da osservare.
Seduto su una sedia, il gomito appoggiato sul ripiano del tavolo,
assisteva insieme ai compagni di squadra alla partita di andata degli
ottavi di finale della Champions League, Barcellona-Juventus. Era
così immerso nei pensieri di lei da non essersi accorto che
Holly aveva segnato e adesso la sua squadra era in vantaggio. Un primo
piano volante riprese Mark mentre tentava di togliergli il pallone. Una
finta di Holly gli fece perdere l’equilibrio e Landers gli si
aggrappò al braccio per non cadere. Lo strattonò
e cercò di nuovo di togliergli la palla. Riuscì
ad avere la meglio solo quando lo spinse in ginocchio con un brutto
fallo. L’arbitro fischiò il calcio di punizione e
Holly si tirò su dolorante, l’espressione furiosa.
Inveì qualcosa contro Mark, poi improvvisamente
scoppiò a ridere, ricambiando il fallo con una poderosa
pacca sulla schiena e un’altra risata. Landers lo
fissò interdetto e mentre gli rispondeva, la telecamera si
allontanò in una ripresa panoramica del campo. I due si
confusero tra gli omini che costellavano il tappeto verde.
Philip si chiese cosa l’avesse spinto a pensare a Jenny.
Mentre il gioco riprendeva davanti ai suoi occhi e la Juventus si
lanciava di nuovo in attacco, scacciò la sua ex ragazza
dalla testa e si concentrò sulla partita. Del resto era
proprio per assistere all’incontro che si erano riuniti
lì. E, a dirla tutta, era stato lui ad aver suggerito ai
compagni di farlo, perché era tremendamente curioso di
vedere chi l’avrebbe spuntata tra Holly e Mark e il
satellitare lo aveva nell’appartamento in cui ancora non si
decideva a rientrare.
Ma presto la curiosità venne scalzata di nuovo dal pensiero
di Jenny. Quel giorno non riusciva a fare altro che rimuginare su
ciò che avevano passato prima di lasciarsi. Anzi, prima che
lui la lasciasse. Dopo quello che era accaduto a Kyoto aveva impiegato
settimane a riavvicinarsi alla fidanzata, vi si era dedicato con tutto
l’amore e la pazienza di cui era stato capace. Pian piano
Jenny si era riabituata a riaverlo accanto, si era riabituata alle sue
carezze, ai suoi baci. Per un periodo brevissimo era sembrato che tutto
fosse tornato alla normalità. Poi, da un giorno
all’altro, dentro di lui si era scatenato qualcosa di
violento, improvviso e inaspettato. Qualcosa di sconvolgente,
incontrollabile. Troppo concentrato sulle condizioni di Jenny, aveva
soffocato il proprio dolore e la propria sofferenza per giorni, per
settimane, ma ad un certo punto le sue ferite avevano cominciato a
suppurare. Non essere riuscito ad evitare ciò che le era
successo, non essere riuscito a proteggerla, non essere riuscito
neppure a intuire cosa stesse per accadere, alla fine aveva scatenato
nei confronti della fidanzata un senso di inadeguatezza smisurato. La
convinzione che se non avesse portato Jenny a Kyoto lei non sarebbe
stata violentata, aveva messo radici dentro di lui sempre
più a fondo, facendolo sentire disperatamente e
innegabilmente in colpa. Aveva cominciato a guardarla con
più attenzione, a studiare ogni suo gesto, ogni espressione,
per cercare di capire se lei lo considerasse colpevole e fingesse di
no. Aveva cominciato a convincersi che sotto sotto la sua presenza, le
sue carezze, i suoi baci non le facessero più piacere. E
come poteva essere il contrario? Come poteva sopportare che qualcuno la
toccasse dopo ciò che David le aveva fatto? Interrompeva
bruscamente le loro effusioni, si bloccava incapace di continuare. A
volte dubitava persino che lei volesse che continuasse, dopo il trauma
subito, dopo quello che McFay le aveva fatto. Così finiva
per pensare che Jenny tacesse e si sforzasse di sopportare
perché questo era l’unico modo per restare
insieme, perché non aveva il coraggio di mandare la loro
storia in frantumi.
L’agitazione tra gli amici ad un nuovo goal lo riscosse. Non
si preoccupò neppure di capire chi avesse segnato. Non gli
importava più. Quel giorno Jenny gli era entrata nella testa
e non sembrava volerne uscire. Pensò che non gli andava di
raggiungere i compagni della nazionale a casa di Benji. Non gli andava
di vederli. Era sicuro che ci sarebbero state anche Evelyn, Amy e Patty
e non voleva parlare con loro perché era certo che gli
avrebbero chiesto notizie di Jenny. Tremava all’idea di
incontrare Nicole e leggerle negli occhi rimprovero e disapprovazione.
Ricordava perfettamente le parole che gli aveva rivolto a casa di Jenny
quando era andata a trovarli a Furano insieme a Benji. E lui,
nonostante la sua buona volontà, i suoi consigli e i suoi
suggerimenti, aveva mandato tutto a puttane.
-Partita interessante, vero?- gli disse Richard Hall che gli sedeva
accanto.
Philip trasalì e cercò di concentrarsi sulla tv.
Lesse sullo schermo il rettangolo del tempo e del risultato e si
accorse che dall’ultima volta che il suo cervello si era
sintonizzato sull’incontro erano trascorsi quasi quindici
minuti. Holly stava vincendo e il secondo tempo era agli sgoccioli. Si
chiese come avrebbe preso Mark l’ennesima batosta. Lo vide da
vicino in un momento in cui la telecamera s’infilava tra i
calciatori. Il gioco era fermo e la palla veniva recuperata lungo il
bordo campo. Accanto a lui scorse un ragazzo biondo con la maglia
bianconera che gli si rivolse con un’espressione seria. Mark
rispose e l’italiano corredò la sua replica con
una rapida stretta sulla spalla. Quando si volse per tornare al suo
posto, Philip non fece in tempo a leggere il cognome stampato sulla
maglia ma vide il 6 subito sotto, riuscendo facilmente ad associare a
quel numero l’identità del giocatore della
Juventus. La telecamera volò sugli spalti, per puro caso
sfiorò il volto di Patty seduta in tribuna proprio sopra la
panchina del Barça, e i pensieri di Philip tornarono per
associazione di nuovo su Jenny. Se fossero stati ancora insieme
avrebbero visto quella partita nel loro bell’appartamento in
centro, molto probabilmente in compagnia di Grace e Peter Shake.
Avrebbero mangiato qualcosa, avrebbero commentato l’incontro.
Forse Jenny avrebbe chiamato Patty per congratularsi o forse lui Mark,
per consolarlo della sconfitta. Ad una certa ora Peter e Grace se ne
sarebbero andati e lui e Jenny sarebbero rimasti soli. Mentre
l’arbitro fischiava la fine dell’incontro, Philip
si fermò a riflettere con una nostalgia violenta su quello
che avrebbero fatto lui e Jenny da quel momento in poi. Con una punta
di masochismo si rese conto che con ogni probabilità sarebbe
andata a finire come al solito. E cioè avrebbero litigato.
Né più né meno come l’ultima
volta e tutte quelle precedenti. Lui l’avrebbe lasciata da
sola in camera, forse addirittura in lacrime, e avrebbe passato la
notte sul divano.
-Bell’incontro.-
Un commento lo distolse da quelle amare riflessioni. Prese la lattina
di birra dal tavolino e se la portò alle labbra.
L’aveva dimenticata e la bevanda si era scaldata. La bevve lo
stesso, poi seguì gli amici nell’ingresso. Li
salutò distratto e si avviò da solo verso la
macchina parcheggiata lungo il marciapiede. Mentre apriva lo sportello,
sentì qualcuno raggiungerlo di corsa. Quando si volse si
trovò Peter accanto.
-Mi dai un passaggio?-
-A casa?-
Shake scosse la testa.
-Lasciami alla stazione della metro. Devo andare da Grace.-
-Sali.-
Accompagnarlo non gli costava niente, era lungo la strada. Ma
commentare insieme a lui una partita che non aveva praticamente seguito
fu difficilissimo. Fortunatamente, dopo qualche tentativo poco
riuscito, Peter trovò un argomento di conversazione che
andasse bene a entrambi.
-Tu hai capito perché Marshall ci ha convocati?-
-Non lo so, dovrà dirci qualcosa.-
-E non poteva dircelo per telefono? Ci tocca andare fino a Fujisawa.-
-Che te ne importa? Il volo non lo paghi tu.-
-Avevo un impegno.-
Philip si volse a guardarlo con un mezzo sorrisetto.
-Con Grace? Dove dovevate andare?-
-A Osaka, a trovare sua zia. Fortuna che non avevamo ancora comprato i
biglietti!-
-Già, una bella fortuna.-
*
Amy allungò le gambe e si accomodò meglio sul
divano. Julian la guardò, poi posò sul tavolino
la tazza del tè. A casa di Price la ragazza sembrava tanto a
suo agio quanto lui era sulle spine. L’anno precedente era
stata lì spesso, quasi due volte al mese, accompagnando
Jenny da Nicole. Amy gli aveva detto che le sedute a cui a volte,
grazie al gentile consenso dei pazienti, le permetteva di assistere
come tirocinante, le erano preziose come l’oro visto il
percorso di studi che stava seguendo. Julian le credeva quando gli
diceva che le parole di Nicole le erano più utili di ore ed
ore passate all’università ad ascoltare i
professori, ma non era riuscito a rassegnarsi ai numerosi viaggi della
fidanzata a casa di Price. Durante i primi mesi Amy era andata
così spesso a Fujisawa che avevano dovuto sacrificare
parecchi week-end. E quando Julian si era stancato di passare quei
giorni solitari a studiare, aveva deciso di uscire prima con i compagni
di squadra, poi con quelli dell’università.
Infine, pur di non restare a casa da solo, aveva accettato di prendere
un aperitivo con qualche sporadica fan. A peggiorare tutto
quell’andirivieni della fidanzata, c’era il fatto
che nell’ultimo anno Price fosse tornato in Giappone
più frequentemente del solito. Così
frequentemente che non aveva perso neppure un incontro della nazionale.
Era imponente la casa di Benji, una villa su due piani circondata da un
giardino che le girava intorno. Dal grande cancello
d’ingresso non si riusciva a scorgerne la fine. Julian, che
era la prima volta che la vedeva, ne era rimasto sbigottito.
“Ora capisco perché da Miller si trovava
perfettamente a suo agio.”
“Hai visto che roba?” gli aveva sorriso anche Amy
“Quando siamo venute qui l’anno scorso, Jenny ed io
non credevamo ai nostri occhi.” Chissà che
accidenti di lavoro faceva il padre di Price…
La voce della fidanzata lo riscosse dalle proprie riflessioni.
-Benji non c’è?-
Julian le lanciò un’occhiata in tralice e lei se
ne accorse. Gli prese una mano e gliela strinse, chiedendosi cosa
avesse, cosa fosse a preoccuparlo. Il suo comportamento era diventato
svagato e scostante. Forse lo aveva infastidito il fatto che, da quando
erano arrivati a Fujisawa quella mattina, con un giorno
d’anticipo rispetto al resto della nazionale, lei aveva
trascorso parecchio tempo con Evelyn e Patty, che non vedeva da mesi?
Gli sorrise e Julian ebbe bisogno di un istante per riuscire a
ricambiare.
-Dopo la riunione di domani deve ripartire subito per Amburgo e aveva
dei giri da fare.- spiegò Holly -Ci raggiunge dopo con Tom.-
-E Philip? Non viene oggi?-
-Tom l’ha chiamato ma non è riuscito a
convincerlo. Arriva direttamente insieme agli altri.-
-Jenny?- domandò Julian.
-Ha lasciato a me e Holly un messaggio sulla segreteria telefonica. Ha
detto che stava bene e che avrebbe richiamato, ma non si è
più fatta sentire.-
Amy sospirò.
-Non ha detto dov’è?-
Patty scosse la testa e proseguì.
-C’è una cosa che mi lascia perplessa…-
-Cosa?-
-Non sentivo Jenny da mesi e ci ha telefonato per rassicurarci che
stesse bene subito dopo che ho chiamato Mark. Non è strano?-
-Forse si sono sentiti.- buttò lì Evelyn
sollevando poi gli occhi su Nicole che entrava con un vassoio carico di
bevande.
Amy si alzò e glielo tolse di mano. Mentre la donna la
ringraziava e tornava in cucina, lei si avvicinò al tavolo e
lo appoggiò davanti ai compagni. Bruce si versò
subito un bicchiere di tè freddo.
-Quando noi domani vedremo Philip, dovremo far finta di niente e
chiedergli notizie di Jenny come se non sapessimo che si sono lasciati,
oppure non gli chiederemo niente facendogli capire che sappiamo?-
La perplessità del ragazzo era complicata perché
lo era anche la situazione. Cosa dovevano fare con Philip?
-Probabilmente gli sembrerebbe strano se non gli domandassimo di lei.
Ma forse è indelicato andargli a chiedere notizie visto che
sappiamo.- tergiversò Holly, spostando lo sguardo su Nicole
che tornava con un vassoio di sandwich e un cesto di biscotti.
-Hai preparato per un esercito.-
La donna sorrise ad Amy.
-I biscotti sono anche per domani, andateci piano.-
Julian non prese niente, lo stomaco chiuso. Era quasi scioccante vedere
con quale familiarità la fidanzata si muovesse in quella
maledetta villa. Conosceva ogni camera, ogni stanza, ogni mobile come
se fosse casa sua. Scherzava con la governante, il cane le faceva le
feste, Nicole le si rivolgeva sempre sorridendo. Non vedeva
l’ora di tornare a Tokyo, nella sua di casa, e godersi in
pace la sua presenza. Da solo.
-Julian, sei su questo mondo?-
Il ragazzo si riscosse e vide che Bruce, di fronte a lui, gli
sventagliava una mano davanti al viso per attirare la sua attenzione.
-Cosa?-
-Vieni con noi a fare due tiri?-
Invece di rispondere si volse in cerca della fidanzata: fino ad un
istante prima era seduta al suo fianco e adesso non c’era
più.
-È salita a preparare la vostra stanza.- rispose Patty alla
sua domanda inespressa.
Allora Julian si alzò e li seguì fuori.
Amy osservava il giardino dallo studio del padre di Benji, attraverso i
vetri lucidi e brillanti. Aveva chiesto a Nicole di poter dare
un’occhiata ai suoi manuali di psicologia ma quando era
entrata nella stanza, le grida dei ragazzi avevano richiamato la sua
attenzione attirandola verso la finestra.
Il monte Fuji sembrava vicinissimo da lì.
L’imponente montagna bianca carica di neve e di ghiaccio, si
stagliava contro il cielo azzurro nella sua geometrica perfezione. La
forma conica la faceva sembrare scolpita, un’opera
d’arte creata dall’estro di qualche
divinità agli albori del mondo. Amy amava contemplare la sua
poetica bellezza ogni volta che poteva e nell’ultimo anno a
casa di Benji c’era riuscita piuttosto frequentemente. Ma il
monte Fuji era uno spettacolo che si godeva solo da lontano,
ammirandone la forma, il suo protendersi verso la volta celeste.
Più di così Amy non desiderava avvicinarsi. La
montagna sacra del Giappone, quella sua bellezza naturale nota in tutto
il mondo, nascondeva alle pendici discariche di rifiuti che solo
ultimamente iniziavano ad essere bonificate e foreste di suicidi in cui
nessuna persona sana di mente avrebbe mai voluto mettere piede. Un
brivido le corse su per la schiena, distolse gli occhi dalla bellezza
magnetica di quella cima e li abbassò nel giardino della
villa.
Holly, Tom e Bruce giocavano sul prato con il pallone e con Purin, il
piccolo labrador di Nicole color caramello. La bestiola era
così contenta di sgranchirsi le zampe insieme a loro che
saltellava esuberante su e giù per il giardino, con la
lingua penzoloni e la coda ondeggiante di felicità.
Julian si teneva lontano dal cucciolo come si teneva lontano da Benji.
Amy sapeva perché Julian non giocava. Julian non aveva un
buon rapporto con gli animali domestici. Anzi, a dirla tutta non aveva
con loro nessun tipo di rapporto. Non ne aveva mai avuti, non sapeva
gestirli e probabilmente l’esuberanza di Purin lo metteva a
disagio. Forse aveva paura che invece di assalire la palla, il cucciolo
se la prendesse con le sue caviglie.
Amy serrò le dita sul cotone pesante della tenda e
tirò un sospiro. Poco prima di rifugiarsi in quella stanza,
aveva confidato a Nicole la sua incertezza, la sua titubanza a
continuare il tipo di studi che aveva intrapreso. Le aveva detto che
non si sentiva più sicura dell’indirizzo che aveva
scelto, perché più si sforzava di comprendere le
persone e più esse diventavano un enigma. Nicole era stata
la prima ad ascoltare i suoi dubbi, non ne aveva parlato con Julian e
neppure con la sua famiglia. Nicole era rimasta in silenzio e
l’aveva lasciata sfogarsi. Poi si era messa a raccontare cosa
aveva significato per lei diventare una psicologa, il trauma che aveva
subito all’inizio della sua carriera. Nicole aveva cominciato
a esercitare la professione nella primavera in cui aveva terminato gli
studi, prima ancora di sposarsi con il padre di Benji. I primi pazienti
le erano arrivati tramite i contatti
dell’università e li riceveva nel soggiorno del
suo bilocale di Tokyo, dove viveva in attesa che il suo futuro marito
sistemasse i suoi ingarbugliati affari di famiglia. Il pregio
principale di Nicole era la cordialità, la stessa che aveva
dimostrato con Jenny. I suoi pazienti le piacevano quanto lei piaceva a
loro, e aveva il dono di metterli subito a loro agio. Dopo la
specializzazione in psicoterapia era andata avanti senza intoppi
finché un giorno era accaduto l’imprevedibile. Una
ragazza di quindici anni con una diagnosi di disturbo bipolare che
seguiva scrupolosamente la cura farmacologica prescritta tanto da
ottenere in breve tempo ottimi risultati e un perfetto equilibrio, si
era gettata da un ponte.
Mentre ascoltava il racconto di quella tragedia, ad Amy era corso un
brivido su per la schiena. La voce di Nicole non aveva tremato mentre
le confidava cose che forse neppure a suo marito aveva mai detto. Era
rimasta composta, quasi fredda, ma ad Amy si erano riempiti lo stesso
gli occhi di lacrime. E si era spaventata. Aveva scelto quel corso di
laurea per poter aiutare le persone e Nicole le aveva appena dato la
dimostrazione più tragica che ciò non sarebbe
stato sempre possibile.
Amy sobbalzò quando la porta alle sue spalle si
aprì e, prima di voltarsi, si passò una mano
sugli occhi.
-Tutto bene?-
Si volse e dedicò a Julian un sorriso stentato, spento.
-Sì. Ho parlato con Nicole... è
stato…- cercò la parola -Catartico.-
Il ragazzo le si avvicinò e lei gli finì tra le
braccia.
-È sempre così “catartico”
parlare con lei? È per questo che dici che ne hai bisogno?-
-Lei può insegnarmi molte cose, è un pozzo di
conoscenza. All’università studio sui libri, mi
riempiono la testa di teoria ma di pratica ancora niente. Non mi sono
mai trovata davanti una persona che ha bisogno di questo tipo di
assistenza… a parte Jenny che non sono stata in grado di
aiutare in nessun modo.- tacque ripensando alla ragazzina che si era
suicidata.
-Amy, non ti angustiare di nuovo. Come potevi aiutarla? Non hai ancora
né i mezzi né le conoscenze per farlo.-
-Eppure Patty…-
-Patty è un’altra storia. Dividevano la stessa
stanza, lei lo ha saputo subito e per questo è riuscita a
starle vicino in quei primi momenti. Ma poi Patty è tornata
a Barcellona mentre tu le sei rimasta accanto. Vieni, scendiamo.-
Erano le dieci in punto quando la mattina successiva si riunirono nel
salotto, con Benji che non riusciva a darsi pace di subire
un’invasione barbarica e non poterci fare niente. Freddie se
ne fregava altamente ma lui aveva una privacy da difendere,
maledizione! Una privacy così inviolabile che per sicurezza,
prima di scendere di sotto, aveva chiuso a chiave la porta della
propria camera, tante volte qualche compagno troppo curioso in cerca
del bagno, decidesse di impicciarsi delle sue cose.
Mentre anche gli altri prendevano posto sul divano e sulle poltroncine
radunate per loro, scostò una sedia dal tavolo da pranzo e
si accomodò al rovescio, i gomiti sulla spalliera e, chiaro
segnale che non aveva voglia di parlare con nessuno, il cappellino
calato sugli occhi a scrutare malevolo gli amici stravaccati
ovunque. Almeno Nicole aveva avuto il buon gusto di togliersi di torno,
risparmiandogli l’ironia e il sarcasmo di chi ancora non la
conosceva.
-Per quale motivo hai deciso di riunirci qui, Freddie?-
fulminò con un’occhiata Eddie Bright che
soprappensiero aveva appoggiato un piede (scalzo) sul cuscino di una
sedia. Quando incrociò il suo sguardo furioso,
l’ex attaccante della Toho si affrettò a
rinfilarlo nella pantofola.
L’uomo rispose con lo stesso tono paziente che avrebbe
impiegato per rabbonire un bambino capriccioso.
-Perché questa casa ha due caratteristiche fondamentali che
lo permettono.-
-E sarebbero?-
-È l’unico posto che io conosca che abbia un
salone abbastanza grande per ospitarci tutti e sia dotato di satellite
per seguire in diretta una partita trasmessa all’estero.-
-A Tokyo ci sono decine di locali che lo consentono. Basta prenotare in
anticipo.-
-Dobbiamo discutere di cose importanti e non ritengo opportuno farlo in
mezzo alla gente.- lo fissò -Adesso, se hai finito di
lamentarti, possiamo andare avanti.-
-All’inizio avevo pensato addirittura che fosse contento di
vederci.- ironizzò James Derrick indicando bevande e
stuzzichini in bella mostra sul tavolo, sgomitando poi Tom per
coinvolgerlo nel commento senza troppo curarsi che Benji lo udisse.
Becker rimase impenetrabile perché non gli andava di
discutere, né con Benji né con nessun altro.
Seguitò a osservare Marshall in attesa che proseguisse. Se
il mister li aveva riuniti lì doveva esserci sotto qualcosa.
Freddie accese la tv e la sintonizzò sul canale che gli
interessava.
-Holly…- Bruce gli si rivolse con un filo di voce -Tu sai di
che partita si tratta, vero?-
L’amico annuì ma non glielo disse.
-Ho già visto questo stadio.-
-A me sembra lo stadio di Torino.-
-Proprio quello, Danny.- annuì Marshall.
E quando il cameraman inquadrò la curva e una bandiera della
Juventus, il volto di Mellow si illuminò.
-Gioca Mark?-
Ed Warner annuì.
-Lo sapevi?-
-Certo che lo sapevo.-
Danny mise il broncio.
-E non mi hai detto niente?-
-Pensavo che lo sapessi anche tu!-
-Se almeno steste zitti!- li mise a tacere Benji sempre più
nervoso.
-Perché? Non capisci quello che dicono?- rise Ed ironico,
evitando di rimarcare il fatto che il cronista parlasse in italiano.
-Bene, Tom.- Marshall lo fissò alzando un po’ il
volume -Adesso traduci.-
-Come?- il ragazzo si agitò sulla sedia, gli sguardi degli
amici tutti puntati addosso.
-Sei stato in Italia, no?-
-Anni fa! Non ricordo più niente!-
-Su, non fare il modesto.- insistette Freddie, strizzandogli un occhio.
Tom si guardò intorno e si accorse che non solo Marshall, ma
anche i compagni lo osservavano in attesa, speranzosi di udire dalle
sue labbra la traduzione simultanea della cronaca della partita. Dire
che non era in grado era un eufemismo. Se avesse saputo che sarebbe
andata così, avrebbe inventato una scusa, qualsiasi scusa,
avrebbe dato buca proprio come aveva fatto Patrick Everett e si sarebbe
evitato la figuraccia.
-Io non capisco…- cercò di tirarsi indietro,
agitandosi a disagio sulla sedia.
-Certo.- annuì Bruce comprensivo -C’è
Jason che parla!-
Questa volta il silenzio fu assoluto e la voce del cronista
riempì la stanza.
“Da Torino trasmettiamo la diretta di Juventus-Inter,
una…”
-Allora? Che dice?- Marshall coprì con la propria domanda la
maggior parte delle parole, impedendo a Tom persino di
tentare di capire.
-Dice che… ehm… A Torino…- come
diavolo si chiamava lo stadio di Torino? Qualcosa che riguardava la
Juventus… Era sicuro che se glielo avessero chiesto in un
altro momento… Smise di arrovellarsi e proseguì
-L’Inter…- resettò e
ricominciò da capo mentre il cronista riprendeva con quella
serie di frasi per lui totalmente incomprensibili.
“Le tribune sono infuocate, i tifosi scatenati hanno
cominciato già a cantare i loro cori. Tra poco le squadre
entreranno in campo e…”
-Allora, Tom, che dice?- insistette Freddie.
Il ragazzo respirò profondamente e improvvisò.
-Dice che il tempo è magnifico per giocare, la temperatura
è di circa dodici gradi, lo stadio è pieno
all’inverosimile e non ci sono più posti liberi.
Che l’Inter è la grande favorita di questo
incontro e che…-
Danny si voltò di scatto.
-Ah sì?-
Tom ebbe un sussulto. Per un attimo pensò che Mellow avesse
imparato l’italiano seguendo le partite di Mark e adesso
volesse smentirlo.
-Vedremo se la favorita è l’Inter! Sarà
la Juventus a vincere!-
Becker capì che erano stati i pronostici a innervosirlo.
Decise allora di modificarli un po’ e farlo contento.
Così, senza prestare ascolto alla tv che continuava in una
lingua che non capiva, si ingegnò ad inventare.
-Ma se anche l’Inter è la favorita…-
continuò con voce atona -È senza dubbio la
Juventus che ha l’attaccante migliore.- per caso
incrociò lo sguardo scettico di Benji.
-Davvero ha detto questo?-
Dannazione. Tom serrò i pugni, anche stavolta aveva
esagerato.
-E poi? Che altro sta dicendo ora?- domandò Freddie -Quando
ci dà le formazioni delle squadre?
L’improvvisato interprete fremette. E le formazioni? Come se
le inventava?
Julian lo salvò.
-Le formazioni le ho già.- tirò fuori un foglio
accuratamente ripiegato, l’aprì e
l’allungò a Marshall. Preciso come al solito, Ross
aveva chiamato in Italia prima Mark, poi Rob e se le era fatte dare.
-Ah, bravo Julian.- Freddie si mise a leggere ad alta voce.
*
Erano arrivati allo stadio con la macchina di Gentile quasi
un’ora prima. Salvatore era passato a prenderli
puntualissimo, quasi in anticipo, e mentre i giocatori si cambiavano
negli spogliatoi, Jenny ammazzava il tempo girando per i negozi del
centro commerciale che sorgeva accanto allo stadio della Juventus.
C’era persino un supermercato dove poté esaminare
con calma tutti gli scaffali e trovare parecchi alimenti che non
conosceva. Amy ed Evelyn sarebbero andate in estasi di fronte a quella
tale quantità di biscotti e dolcetti, mentre Patty si
sarebbe fermata sicuramente di fronte allo scaffale della cioccolata.
Accantonò il ricordo delle amiche non appena
sentì riaffacciarsi la nostalgia. Mentre era alla cassa a
fare la fila, il cellulare le squillò.
“Dove sei?” le chiese Mark.
-Al supermercato. Sto uscendo.-
L’amico l’aspettava all’inizio dello
stretto corridoio che portava fino agli spogliatoi e agli ambienti
off-limit agli estranei, dove l’avrebbero fermata impedendole
di proseguire, sebbene il pass che portava appeso al collo la
qualificava come parente di un giocatore. Nonostante il viavai di
staff, assistenti, massaggiatori e personale paramedico, Aoi li
individuò e corse verso di loro.
-Ti ricordi come si arriva alle tribune?- le chiese Mark -Ti faccio
accompagnare da qualcuno?-
Era la prima partita a cui Jenny assisteva e, tanto per cambiare, lui
era preoccupato. Gli stadi italiani non erano come quelli giapponesi,
che durante gli incontri della J-League non si riempivano mai. Jenny
avrebbe visto la partita da sola e se avesse avuto bisogno di lui non
avrebbe potuto neppure telefonargli.
-Certo che mi ricordo.-
-Dopo il fischio d’inizio, e soprattutto dopo quello finale,
non muoverti di lì. Vengo a prenderti io.-
-La tua preoccupazione è fuori luogo, come al solito.- lo
fissò dritto negli occhi -Di cosa hai paura, Mark?-
-Non senti?- i cori sugli spalti erano così potenti che si
udivano fin lì.
Lei fece spallucce.
-Stanno cantando.-
-Si stanno scaldando.-
-Scaldando per cosa?-
-Mark, non metterle paura.- Rob si lisciò sul torace la
maglia della divisa nerazzurra che nella borsa si era sgualcita -Il suo
posto è in tribuna, ad un passo dalla stampa, nei sedili dei
vip. Non può succederle niente.-
Jenny sbiancò.
-Come ad un passo dalla stampa?- e se qualcuno l’avesse
fotografata e la sua faccia fosse finita in Giappone?
-Non ti preoccupare, non faranno caso a te.- la rassicurò
Mark. Era disposto persino a rischiare che qualcuno scoprisse che Jenny
era lì piuttosto che farle correre qualche stupido rischio
in curva tra i tifosi scatenati.
Lei lo guardò più tranquilla, poi sorrise a
entrambi.
-Non so davvero per chi tifare! Per favore, cercate di pareggiare!-
Finse di non udire la rispostaccia di Mark e si avviò per
raggiungere le tribune. Svoltando e risvoltando in quegli stretti
corridoi tutti uguali per chi non li frequentava abitualmente, perse
l’orientamento e alla fine fu costretta a chiedere
indicazioni ad un ragazzo dello staff. Quello, occhieggiato il pass dei
vip (Mark non le avrebbe mai fornito niente di meno),
l’accompagnò solerte fino al posto riservato a
lei. Quella era la prima partita della Serie A che poteva vedere dal
vivo e si trovò del tutto impreparata
all’atmosfera carica di aspettativa e di tensione che
impregnava lo stadio, da ogni singolo filo d’erba su per i
sedili degli spettatori, fino ai fasci di luce dei potenti riflettori
che facevano brillare l’aria notturna di una leggera e umida
nebbiolina così fredda da intirizzire fino alle ossa. In
Italia il calcio era completamente diverso da quello giapponese.
Sembrava più vivo, più palpabile. Si udiva, si
vedeva, si respirava. Mentre brividi di emozione le ricoprivano la
pelle delle braccia, le due squadre entrarono finalmente in campo tra
le acclamazioni dei tifosi.
Terminata la partita, Tom si afflosciò esausto addosso allo
schienale con un’unica e sola certezza. Al prossimo raduno
della nazionale giapponese avrebbe dato buca a tutti.
Benji si sporse sulla sedia e gli affibbiò una pacca sulla
spalla.
-Per non capire mezza parola di italiano, te la sei cavata bene.- lo
schernì in un sussurro.
L’altro si limitò a sprofondare ancora di
più nella poltrona. Seduto accanto a lui, Holly si
impietosì e gli allungò un bicchiere
d’acqua con un sorriso incoraggiante.
-Non è andata troppo male.-
-Avete osservato bene Salvatore Gentile e Dario Belli?-
domandò Marshall accantonando il blocco notes sul quale,
più che scrivere, aveva tracciato cerchi e linee con la
penna.
Evelyn, in fondo alla stanza, sorrise maliziosa.
-Certo che li abbiamo osservati bene.- mormorò piano e solo
Amy e Patty la udirono -Belli è molto carino ma Gentile
è veramente uno schianto.-
Le amiche, sedute al tavolo da pranzo nei posti più lontani
dalla tv, annuirono d’accordo. Evelyn aveva portato con
sé il computer e aveva preso appunti durante tutta la
partita. Adesso era pronta a trascrivere le opinioni dei compagni e del
mister per farsi un’idea più precisa degli aspetti
tecnici dell’incontro, sperando di tirar fuori un articolo
abbastanza interessante da proporre al direttore. Dopo
l’esito disastroso della sua ultima intervista, era stata
radiata dalla cronaca e ora non le restava che cimentarsi negli
articoli sportivi o continuare con le recensioni dei film e le rubriche
di consigli per casalinghe.
-Da vicino sono meglio.- sussurrò Amy -Una volta ho visto
certe foto di Gentile, su internet…- quasi
arrossì.
-Quella della pubblicità dei boxer di Armani l’hai
vista?- le andò dietro Evelyn -Da svenire. Ha un corpo
fantastico, meraviglioso. Muscoli da diventarci sceme.-
Patty le osservò curiosa.
-Fammela vedere, Eve.-
L’amica annuì e aprì il motore di
ricerca. Digitò alcune parole e quando finalmente la
trovò, l’ingrandì a tutto schermo e
girò il portatile verso Patty.
-Guarda che spettacolo.-
Scattata in bianco e nero, rappresentava Salvatore Gentile tra le
lenzuola di un letto disfatto, appoggiato sui gomiti, le mani
abbandonate sul materasso. Indossava una camicia bianca sbottonata che
ricadeva ai lati del suo corpo atletico, la pelle che riluceva,
mettendo in mostra i pettorali punteggiati dai capezzoli scuri e la
serie di muscoli addominali, così perfettamente scolpiti da
non sembrare veri. I jeans, con il primo bottone slacciato, erano un
po’ scesi sui fianchi per mettere in mostra
l’elastico dei boxer su cui campeggiava, ben leggibile, la
scritta della casa di moda. Con il viso voltato verso
l’obiettivo, fissava direttamente la macchinetta fotografica,
gli occhi chiari provocanti sotto ciuffi di capelli che gli ricadevano
sulla fronte, sensualmente spettinati dall’acqua o dal gel,
il naso perfetto, gli zigomi alti e un sorriso parecchio memorabile.
-È recentissima.- spiegò Evelyn a Patty
-È in giro da pochi mesi. Fa parte della collezione
primavera-estate.- agitò il mouse e zoomò sui
particolari -Quello che non capisco è perché
indossi i pantaloni. Di solito non li hanno.-
Amy sorrise.
-Va benissimo anche così.-
Bruce si volse e con un gesto stizzito fece loro cenno di tacere. Le
amiche arrossirono e tacquero per ascoltare in silenzio Marshall che
tirava le somme di quell’incontro. Nonostante
l’indimenticabile distrazione che l’aveva
deconcentrata, ad Evelyn dispiacque di aver perso parte della
conversazione.
-Aoi ha tentato continuamente, ma non è riuscito a superare
Gentile. è stato come se davanti a lui ci fosse un muro.-
-Perché Rob ha la stazza di una pulce.- rise Clifford.
Freddie incurvò le labbra alla battuta. Poi tornò
serio.
-Spero che aver assistito alla partita vi servirà a vincere
la prossima amichevole.-
-Ci servirà senz’altro.- mormorò Evelyn
soffocando una risata. Patty la sgomitò, sorridendo anche
lei.
Julian si raddrizzò sulla sedia.
-Quale amichevole?- sentiva parlare della partita per la prima volta.
Come mai nessuno aveva pensato ad informarlo? Per un attimo ebbe una
voglia matta di saltare al collo di Marshall e strozzarlo. Con tutto il
daffare che si dava! Per riuscire a parlare con Mark e Rob e ottenere
le formazioni in anteprima, aveva persino rinunciato a portare Amy a
cena.
Pure Benji fu così sorpreso che interruppe il suo mutismo di
protesta.
-Dobbiamo giocare una partita contro l’Italia?-
Ross gli lanciò un’occhiata esultante. Allora non
era l’unico ad esserne all’oscuro. Per sicurezza si
volse verso Holly.
Il ragazzo fissava il mister sgomento, pensando che queste cose doveva
saperle con mesi di anticipo per essere sicuro di poter partecipare.
Solo per puro caso quel giorno si trovava in Giappone ed era una
fortuna che fosse riuscito a prendere parte a quella riunione. La madre
di Patty si era operata di appendicite e la ragazza aveva insistito che
lui l’accompagnasse. L’indomani sarebbero rientrati
insieme a Barcellona.
-Quando?- domandò incredulo.
Mentre Julian gongolava dell’ignoranza dei compagni, Marshall
si rese conto che nella Japan Football Association qualcosa non aveva
funzionato a dovere.
-Non vi è arrivata la convocazione?-
Persino Bruce scosse la testa. E se non aveva ricevuto niente lui,
figuriamoci chi viveva dall’altra parte del mondo.
-Mi state prendendo in giro?- magari s’erano messi
d’accordo per fargli uno scherzo. Se nessuno sapeva ancora
niente e la convocazione non era arrivata, avrebbe dovuto fare i salti
mortali per ottenere il nullaosta dei suoi migliori giocatori.
-Assolutamente no.- Ed si grattò una guancia pensieroso.
Freddie si mise in piedi.
-Diamine che disastro!-
Ralph lo osservò incuriosito mentre lasciava la stanza
sconvolto, le mani affondate tra i capelli.
-E adesso dove va?-
Benji si stravaccò meglio sulla sedia.
-A chiamare Pearson.-
-Nessuno ne era al corrente?- Holly scrutò i compagni,
quelli scossero la testa e solo Julian parlò.
-Veramente sono mesi che la stanno organizzando, solo non sapevo che
finalmente ci fossero riusciti.-
-Perfetto.- sbuffò Holly affranto -Adesso che hanno trovato
il modo di ficcarla nel programma si sono dimenticati di avvertirci e
non si sa neppure se potrò partecipare.- lanciò
un’occhiata a Patty che sorrideva allo schermo del pc di
Evelyn e non fece caso né a lui né alla sua
angoscia -Speriamo che mi lascino giocare. La partita contro
l’Italia non voglio perderla per niente al mondo.-
Philip lo guardò scettico.
-Se sarà necessario Pearson andrà personalmente
fino a Barcellona ad elemosinare in ginocchio il tuo nullaosta.-
Accanto a lui Paul Diamond rise annuendo.
-Figuriamoci se non trovano il modo di infilarti in campo.-
Bruce si volse indietro, incuriosito dalle risatine che provenivano
dalla parte opposta del salotto.
-Cos’è che state guardando, Eve?-
-Vuoi vedere?-
-Certo.-
-Sicuro?-
-Sicurissimo.-
La ragazza rise, cliccò un paio di volte sul mouse e
voltò il pc, mostrando la foto di Gentile in boxer che
campeggiava a tutto schermo.
-Dovevo immaginarlo.- sospirò Bruce -Che te l’ho
chiesto a fare?-
-Quand’è che Armani chiamerà me?-
sospirò Yuma serio.
-Scordatelo Clifford, con la faccia che ti ritrovi non hai speranze.-
-Perché a chi vende mutande dovrebbe interessare la mia
faccia, Eve? Ho altre parti del corpo da valorizzare molto
più di tanti altri che...-
-Ti prego risparmiaci, Clifford.-
Yuma lanciò un’occhiataccia alla cugina ma tacque
per rispetto verso Amy e Patty.
-A proposito Tom…- riprese Evelyn senza dar peso alla
digressione del cugino -Che fine ha fatto la tua ragazza?
Perché non l’hai invitata?-
-Cosa c’entra lei adesso? Non stavi parlando di Gentile?-
-Io sono multitasking, non lo sapevi?-
-Che nel tuo caso significa rompicoglioni multipla.- Clifford si volse
verso Becker -Visto che Evelyn ha tirato fuori l’argomento...
non è che stai cercando di nascondercela, la tua ragazza,
come ha sempre fatto qualcuno di nostra conoscenza?- e fissò
ostentatamente Philip.
Il rientro di Marshall permise all’uno di risparmiarsi una
risposta e all’altro di ignorare il commento.
-Ho parlato con Pearson. La data della partita è stata
stabilita. Giocherete il 30 aprile.-
Holly strinse i denti. Mancavano appena due mesi.
-Del prossimo anno, vero?-
Marshall lo guardò storto.
-Di quest’anno. È un venerdì, ma
partiremo dieci giorni prima e io ti voglio presente da subito. Avete
bisogno di allenarvi insieme per riprendere ritmi e affiatamento visto
che Van Saal ti impedisce di partecipare praticamente a tutti gli
incontri della nazionale.-
Il ragazzo scosse la testa, dubitando fortemente di poter assecondare i
desideri di Marshall.
-Impossibile. Con così poco preavviso non riuscirete mai ad
ottenere il nullaosta. In fondo si tratta soltanto di
un’amichevole.-
-Pearson si giocherà le sue carte migliori.-
Holly lo sperò.
-E allora, se troverà Van Saal di buonumore,
otterrà il nullaosta al massimo tre giorni.-
Freddie lo guardò serio, giocherellando con il cordless che
aveva riportato con sé. Il mister del Barcellona era sempre
contrario a cedere i propri giocatori durante il campionato della Liga
e bisognava che la JFA cominciasse fin da subito le trattative. Kirk
doveva darsi da fare, erano già in ritardo. Se Van Saal
avesse continuato a non permettere a Holly di partecipare agli incontri
futuri, arrivare ai mondiali sarebbe stata un’utopia.
-Faremo l’impossibile.-
Paul sgomitò Philip e gli lanciò
un’occhiata d’intesa. Per il nullaosta di Holly
avrebbero fatto i salti mortali.
-Dove giocheremo?- domandò Benji picchiettando nervosamente
le dita sul bracciolo della sedia. Non era sicuro che per far entrare
in campo lui Pearson sarebbe andato fino ad Amburgo a chiedere in
ginocchio il nullaosta al mister. A disposizione della nazionale
c’era sempre quel guastafeste di Warner, che non solo era
disponibile, ma più che sufficiente per
un’amichevole. Aveva sentito dire che ultimamente lui ed
Everett organizzavano sedute di allenamento in coppia. Sorvolando sulla
natura di quell’improvvisa simpatia, loro che si erano sempre
ignorati a vicenda, gli sarebbe piaciuto moltissimo sapere come e dove.
Lanciò un’occhiata a Bruce, chiedendosi se quella
lingua lunga sarebbe stata in grado di soddisfare la sua
curiosità. Harper era un ficcanaso patentato e sapeva tutto
di tutti. E quello che non sapeva lui lo sapeva certamente la sua
fidanzata. Dopo avrebbe parlato con entrambi.
-A Torino, nel nuovo Stadio Juventus.- Marshall fu preso da
un’ispirazione improvvisa -A proposito…-
Recuperò una rubrica dal piano inferiore del tavolino a lato
del divano, sepolta sotto una mezza dozzina di riviste sportive lette e
stralette, sfogliò rapidamente le pagine e si
fermò al numero che cercava. Lo compose sul cordless e,
quando sentì squillare libero, accese il vivavoce e fece
cenno ai ragazzi di tacere.
“Pronto?” sentirono dire in italiano con un
sottofondo infernale di musica e risate.
Nel salotto non volò più una mosca.
-Mark, sono Marshall.-
Benji drizzò la schiena. Per la prima volta quel giorno,
l’infastidita indolenza cedette il posto alla
curiosità più pura.
-Che è questo casino? Sta festeggiando il pareggio?-
“Un attimo mister, non sento nulla… esco
fuori.”
-In Italia è passata mezzanotte.- Holly spostò
gli occhi dall’orologio a Freddie -Come faceva a sapere che
lo avrebbe trovato sveglio?-
-Non lo sapevo, ho fatto un tentativo.-
Il frastuono cessò di colpo e Mark tornò
chiaramente udibile.
“Mister, ora la sento. Che succede?”
-Ti è arrivata la convocazione per l’amichevole
che giocheremo a Torino contro l’Italia?-
“La che?”
-La convocazione.-
Benji in effetti ci aveva azzeccato. Mark stava proprio festeggiando il
pareggio. A dire la verità avrebbe preferito mille volte
tornare a casa da Jenny e ficcarsi sotto le coperte, ovviamente senza
di lei e nella propria stanza, nonostante ciò che
continuavano a insinuare i compagni nelle loro prese in giro.
Però Dario aveva insistito, poi ci si erano messi anche Rob,
Alex Marchesi e persino quel cretino di Gentile a cui in
realtà interessava soltanto tenerlo lontano da Jenny che,
dal giorno di San Valentino, considerava a tutti gli effetti (beato
fesso) la propria ragazza. E così alla fine era andato
insieme a loro a far bagordi e forse aveva bevuto troppa birra
perché adesso gli formicolava il cervello. Come se non
bastasse, già da qualche minuto sentiva
l’impellente bisogno di andare in bagno. In quel momento
così critico, le lungaggini di Marshall proprio non ci
volevano.
-Mark, ci sei?- ripeté il mister -Ti è arrivata o
no la convocazione?-
“La convocazione per cosa?”
-Per l’amichevole che giocheremo contro l’Italia!-
“Giocheremo contro l’Italia?”
Marshall si innervosì.
-Per favore smetti di farmi l’eco? Sì, giocheremo
contro l’Italia, proprio a Torino.-
“Venite qui?”
-Te l’ho appena detto.-
“Merda, non ci posso credere!”
-Sei contento?-
“Sono sconvolto!” le implicazioni di tutto
ciò si fecero strada nei pensieri di Mark nonostante
l’alcol gli facesse scoppiettare il cervello. Se i compagni
venivano a Torino, dove avrebbe potuto nascondere Jenny? Doveva
rispedirla in Giappone? Oppure chiuderla in casa e impedirle di uscire
ad ogni costo? Farla sparire? Magari infilare il suo cadavere
nell’armadio e... scosse la testa con forza. Diamine, quella
sera aveva proprio esagerato con la birra.
-Ti è arrivata la convocazione, Mark?-
“Non mi è arrivata nessuna
convocazione!” gemette disperato perché, se fosse
stato avvertito in tempo, si sarebbe organizzato. E invece
niente. Doveva tornare di corsa a casa per avvertire Jenny e studiare
con lei una strategia “Quand’è la
partita?”
“Mark, con chi stai parlando?”
“Sta’ zitto Aoi!”
-La partita è a fine aprile. Visto che Rob è
lì con te, potresti chiedergli se almeno lui ne ha avuto
notizie?-
Landers fece di meglio.
“Guardi, glielo passo.” gli mollò il
cellulare e tornò dentro in cerca di qualcuno che lo
riportasse a casa.
Marshall scambiò alcune parole con Aoi, poi
riagganciò.
-Bene, anzi, malissimo. Anche a loro non è arrivato nulla.-
li guardò facendosi forza -Comunque adesso risolviamo un
problema alla volta… Come al solito, finché Holly
non ha il nullaosta, la squadra ha bisogno di un capitano.-
Tutti gli sguardi si spostarono su Philip perché ormai
sapevano che sarebbe spettato a lui. Quello si appiattì
contro la spalliera della sedia e scosse subito la testa. Clifford rise
di quel tentativo di sottrarsi ad una scelta già fatta da
tempo.
-Non ricominciare a fare il modesto. Tocca a te!-
-Ma se non…-
-Anche Gamo è d’accordo.- lo interruppe Marshall.
Dopo quella serie di brutte notizie, non aveva la forza di sopportare
le sue proteste -Ne abbiamo già parlato.-
Philip si chiese come rifiutare un’offerta così
lusinghiera. Il mister lo voleva come capitano e lo volevano pure i
compagni, ma lui non lo desiderava. In quel momento non si sentiva in
grado di sobbarcarsi il peso della squadra, non ci stava con la testa,
non ci sarebbe riuscito. Gli era pesato persino arrivare fin
lì per assistere alla partita di Mark. Forse doveva
rinunciare alla convocazione, fingendo un infortunio che non esisteva.
Si volse verso Ross.
-Julian…- l’amico rifiutò prima ancora
di ascoltare il seguito. Allora guardò Becker, la sua ultima
speranza -Tom…-
-Vai benissimo tu, Philip.-
Marshall annuì, per lui quella decisione era presa e aveva
altre questioni da affrontare. Si volse verso le ragazze.
-Evelyn, prima che te ne vai ho un paio di cose da dirti. Puoi venire
con me un istante?-
La giovane lo guardò incuriosita, poi annuì e si
alzò per seguirlo fuori, lasciando il computer e le foto
sexy di Salvatore Gentile nelle mani di Patty e Amy.
Mentre scendeva le scale in pigiama e a piedi nudi, Jenny vide Mark
oltrepassare la soglia barcollando nel tentativo di richiudere la porta
d’ingresso con un calcio che fece cilecca. Gli corse
incontro, lanciò un’occhiata sul marciapiede
deserto, e serrò a chiave la porta.
-Ciao Jenny.-
Il ragazzo le sorrise, fece due passi incerti nell’ingresso,
inciampò nel tappeto e le crollò addosso. Le
cuciture del pigiama di Jenny scricchiolarono quando si
artigliò alla stoffa per non cadere. Lei non fu in grado di
sostenere tanto peso, perse l’equilibrio e finì
con la schiena contro il muro, restando senza fiato. Mark ci
arrivò di faccia, precisamente con la fronte. Lo schianto fu
tale da concedergli un barlume di lucidità.
-Merda!- si passò una mano tra i capelli, con
l’altra si puntellò sulla spalla di Jenny e
riprese l’equilibrio.
Lei arricciò il naso al suo respiro, puzzolente di alcol.
-Sei ubriaco!-
-Naaa…-
-Sì.-
Mark scrollò le spalle.
-Ho bevuto un po’, sì. Indovina di chi
è la colpa?-
-Tua.-
-Sbagliato!- fece qualche passo e raggiunse il corrimano delle scale.
Lei gli andò dall’altra parte e cercò
di sostenerlo come poté -La colpa è di quel
coglione di Gentile, che ha detto che non avrei retto tre birre. Tre
birre, ti rendi conto?- rise sguaiatamente -Ho vinto la scommessa!-
-E quante birre hai bevuto per ridurti così?-
-Non sono ubriaco, Jenny!-
Si volse con eccessiva foga. Le finì di nuovo addosso,
troppo vicino, la faccia tra i suoi capelli, con le labbra le
sfiorò la pelle dietro l’orecchio.
Sentì il suo profumo e si scostò, puntandole le
mani sulle spalle. Barcollò indietro e si scontrò
con la balaustra, a cui si aggrappò come un naufrago ad una
zattera di fortuna.
Lei non ne poté più.
-Smetti di agitarti, Mark! Finirai per farti male!-
Gli afferrò un braccio con decisione e riuscì
finalmente a trascinarlo nella sua stanza. Lo lasciò per
accendere la luce, Mark si strascicò verso il letto e cadde
a peso morto sul materasso.
-Maledetto bastardo…- mugugnò furente, la voce
impastata dall’alcol -E devo anche sopportarlo in
squadra…- atteggiò un sorrisetto -Almeno stavolta
ha pagato lui.-
Jenny rise. Non lo aveva mai visto così, per lei era
un’assoluta novità. Aveva i capelli arruffati
sulla fronte, gli zigomi arrossati dall’alcol e dal contrasto
tra l’aria gelida della notte e il calore della casa. I suoi
occhi neri brillavano lustri, vagando a caso nella stanza. Quando la
mise a fuoco sobbalzò.
-Che ci fai in camera mia?-
-Sai che ore sono?-
-Tardi?-
-Tardissimo. Infilati il pigiama.- gli si avvicinò con le
braccia tese per aiutarlo ma lui si trascinò scompostamente
indietro.
-Jenny! Non azzardarti ad allungare le mani!-
-Altrimenti che fai?- lo sfidò, poi gli sfilò la
felpa e lo lasciò in maglietta.
Mark recuperò di corsa il pigiama da sotto il cuscino. Quei
movimenti bruschi e affrettati gli costarono una dolorosa fitta alle
tempie. Scivolò senza forze sul letto mentre una
fastidiosissima nausea gli saliva dallo stomaco. Maledetto Gentile e le
sue sfide del cazzo. E maledetto lui che gli dava retta. Vide Jenny
alzarsi per posare la felpa sulla sedia e la salutò,
contento che si togliesse finalmente di torno.
-Buona notte.- sgualcì con più convinzione il
pigiama tra le mani -Se lo racconti a qualcuno ti uccido!-
-Lo dirò per prima a Evelyn!-
-Non oserai!-
-Chissà.-
Mark fremette. Perché Jenny era ancora sveglia? Glielo
chiese.
-Che ci fai ancora in piedi?-
-Veramente dormivo.-
-Mi hai sentito rientrare?-
-Sì, hai suonato.-
La fissò incredulo.
-Ma ho le chiavi!-
-Appunto. Come sei arrivato fino a casa? Ti ha accompagnato Salvatore?-
-Gentile? Figurati…- rise e la testa tornò a
pulsargli -Lui stava messo peggio di me!-
Sandy Winter e Clifford Yuma furono gli ultimi a lasciare il salotto.
La domestica di Benji li accompagnò fino alla porta
d’ingresso. Callaghan e Shake rimasero ancora qualche istante
soltanto perché glielo chiese Holly.
-Cosa c’è che non va, Philip?-
Il suo tono insopportabilmente conciliante lo mise subito sulla
difensiva. Gli sfuggì una smorfia spazientita.
-Assolutamente niente. Non credevo di dover guidare di nuovo la
squadra.-
Benji saltò su, ritrovando all’istante tutta la
stizza di quell’inizio giornata.
-Non dire stronzate Callaghan! Certo che te lo aspettavi! Come poteva
essere altrimenti?-
-Credevo che Holly avrebbe avuto fin da subito il nullaosta!- e che si
sarebbe sobbarcato tutte le grane di quei lagnosi dei compagni. Lo
pensò ma si costrinse a tacere per non mettersi contro anche
loro, gli unici che si stavano sforzando di capirlo.
Holly si sentì rimescolare dentro. Non poteva sopportare di
vederlo reagire in quel modo. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per
ottenere il nullaosta all’istante e avere subito la fascia.
Tirò un bel respiro e cercò di mostrarsi
diplomatico.
-Dovresti esserci abituato, ormai mi sostituisci spesso.-
Era vero, lo faceva da due anni. Holly, impegnato com’era con
la Liga Spagnola, non aveva la possibilità di seguire la
nazionale in tutte le partite. Che Philip facesse le sue veci nei
ritiri, negli allenamenti, negli incontri della coppa d’Asia,
nelle eliminatorie dei mondiali e nelle amichevoli era diventata la
prassi. Né Julian né Tom sembravano interessati a
prendere il suo posto, un posto che lui, soprattutto stavolta, avrebbe
volentieri mollato. Forse le grane non valevano la gloria.
Abbassò gli occhi a terra e strinse i pugni, ignorando le
occhiate che si scambiavano i compagni.
Il vero problema era che ormai tutto gli pesava, niente gli piaceva
più. Non c’era una cosa, una sola, che facesse con
passione. Lo scopo della sua esistenza era diventato cercare di
sopravvivere tenendosi alla larga dalle seccature. E quella che gli era
appena piombata addosso era una rottura di scatole bella grossa.
Sentì dietro di lui il frusciare della giacca di Peter.
Forse, rendendosi conto che la discussione stava andando per le lunghe,
era tornato a sedersi.
Guardò Amy quando lei si mosse per cambiare posizione sulla
sedia, forse messa a disagio dal silenzio ostile in cui era piombato il
salotto. Il suo sguardo non gli piacque. Nei suoi occhi scorse una
profonda tristezza, ma anche qualcos’altro che assomigliava
molto alla compassione. Si sentì umiliato.
Aveva udito perfettamente il mister dare sia a lei che ad Evelyn il
permesso di seguire la nazionale in Italia. Ma non era stato questo a
fargli tornare nella testa, ricorrente, il pensiero di Jenny. Il suo
ricordo era ricomparso nel momento stesso in cui aveva messo piede
nella villa di Price. L’anno precedente Jenny era stata in
quella casa innumerevoli volte per parlare con Nicole e
ascoltare i suoi consigli. Per sforzarsi di superare il trauma di
Kyoto, Jenny era entrata in quel salotto, si era seduta su quelle
poltrone, aveva visto quella casa, aveva mangiato e dormito,
lì dentro. Probabilmente vi aveva anche pianto fiumi di
lacrime mentre raccontava a Nicole, e forse anche ad Amy,
ciò che McFay le aveva fatto. Forse si era confidata proprio
lì, nel salotto, seduta sul divano su cui si era
spaparanzato Bruce occupandone gran parte e lasciando per due ore Paul
Diamond e Johnny Mason a dividere in due un cuscino e mezzo.
E poi c’erano le ragazze a ricordargliela. Ogni volta che i
suoi occhi si posavano su Evelyn, Amy e Patty, Jenny ricominciava a
mancargli da morire. Il fatto che non fosse lì con loro lo
angustiava, e rendersi conto che se fossero stati ancora insieme anche
lei avrebbe potuto seguirlo in Italia con il benestare della JFA, non
gli dava pace. Per finire in bellezza, accanto a quel pensiero
ricorrente aveva messo radici un nocivo rancore nei confronti di Julian
e Bruce che sarebbero stati accompagnati nella trasferta dalle
rispettive fidanzate.
Benji, già stanco di prendere di mira lo scontento di
Philip, che tra l’altro non reagiva rendendogli impossibile
sfogare il proprio nervosismo, trovò un modo migliore per
concludere degnamente quell’incontro. Afferrò il
cordless che Freddie aveva lasciato sul tavolo e lanciò
un’occhiata agli ultimi rimasti: Holly, Patty, Amy, Philip,
Evelyn, Bruce, Julian e Tom. E poi c’era Peter Shake,
così silenzioso e immobile che sembrava far pare
dell’arredo. Durante tutto l’incontro aveva parlato
poco o niente, restando muto accanto a Philip come a volerlo proteggere
da chissà cosa.
-Ce le vogliamo fare due risate?-
Senza attendere la risposta dei compagni, Benji spinse il tasto repeat,
poi accese il vivavoce. Il telefono squillò con un suono
profondo e penetrante, che portava con sé la distanza di due
continenti.
Jenny recuperò il cellulare dalla tasca del giacchetto di
Mark e glielo porse. Lui lanciò un’occhiata al
display.
-Merda, è di nuovo Marshall.-
-Marshall? E che vuole?-
-Te lo spiego dopo.- stavolta rispose direttamente in giapponese -Cosa
c’è, mister?-
“Landers, che accidenti ci fai ancora in piedi a
quest’ora?”
Riconobbe subito la voce. L’intonazione sardonica con cui
Benji pronunciava il suo nome era inconfondibile anche attraverso i
fumi dell’alcol. Fece per chiudere la telefonata.
“Non provare a riagganciare. Ti richiamerei. Ho anche il tuo
numero di casa.”
-Che diavolo vuoi, Price?-
Jenny tolse il telefono dalle mani di Mark, accese il vivavoce e
appoggiò il cellulare sul letto.
“Dov’eri quando Marshall ti ha chiamato?”
“Benji, non sono affari tuoi.” sentirono
chiaramente la voce di Amy.
Jenny si alzò di scatto, recuperò un foglio e una
penna dalla scrivania e tracciò alcune parole. Mark, che
l’alcol rendeva lento nelle risposte, fu grato del
suggerimento.
-Che ci fa Amy con te?-
“Ci siamo tutti.” si affrettò a
precisare Julian.
Jenny e Mark riconobbero la voce di Ross e si guardarono sorpresi.
-Tutti chi?- scribacchiò Jenny sul foglio.
“Landers, stai sviando il discorso…”
decise Price mentre Holly interveniva.
“Davvero Mark non ti è arrivata la convocazione
per la partita?”
Jenny scrisse alcune parole.
-Che partita?- lesse lui a pappagallo, poi lanciò
un’occhiata torva alla ragazza -So già che
partita!-
Nel salotto di Benji i ragazzi scoppiarono a ridere. Persino Philip
accennò un sorrisetto divertito.
“Bere gli fa uno strano effetto, non me n’ero mai
accorto.”
Jenny lo udì, sussultò sorpresa e sulle sue
labbra prese forma un’esclamazione soffocata. Si rese conto
troppo tardi di aver emesso un verso e lanciò a Mark
un’occhiata colpevole. L’avevano sentita?
L’avrebbero riconosciuta? Se fosse successo si sarebbe
scatenato il finimondo. L’amico trattenne addirittura il
respiro, incapace di distogliere gli occhi da quelli terrorizzati di
lei, mentre sentiva il battito del cuore rimbombargli nelle orecchie.
Patty ruppe il silenzio sgomento dei compagni.
“Mark, c’è qualcuno con te,
vero?”
Tutti l’avevano udita, tutti avevano sentito la voce di una
donna. E tutti avevano sul volto la stessa espressione di
incredulità. Solo le labbra di Tom si erano incurvate in un
sorrisetto mentre si godeva lo sgomento del portiere, che tutto si
sarebbe aspettato tranne che incappare in una situazione simile.
Dì di sì, suggerì Jenny annuendo
insistente, sperando così di mettere fine alla
conversazione. E alle domande.
-Sì.-
Mark lasciò ricadere la testa sul cuscino. Le vertigini lo
risucchiarono nel vuoto. Ora Philip avrebbe cominciato a gridare e
insultarlo, Benji e Bruce a ridere a crepapelle, le amiche a
commentare. Evelyn forse ci avrebbe persino scritto un articolo. Invece
non successe nulla di tutto ciò.
Holly tolse il telefono dalle mani del portiere.
-Scusaci Mark. Ci risentiamo un altro giorno, buona notte.- non
aspettò neppure che l’amico rispondesse e
interruppe subito la comunicazione.
-Questa poi!- Benji si alzò, gli strappò il
cordless dalle mani e lo posò bruscamente sul tavolo -Ha una
donna!-
Amy lo fissò con un sorrisetto divertito.
-E cosa c’è di strano?-
-Quale altro motivo potrebbe avere per restare sveglio fino a
quell’ora?- nella voce di Philip trasudò una punta
di rammarico. Persino Landers si era trovato la ragazza. Lui la perdeva
e Mark la trovava. La vita era davvero ingiusta.
Patty lo guardò. Era in piedi, vicinissimo alla porta e
stava per tagliare la corda. Teneva la giacca a vento su un braccio e
Peter Shake, accanto a lui, l’aveva già infilata.
Sgomitò Holly e lo fissò negli occhi. Quello
sospirò, costringendosi ad affrontare un argomento che senza
l’insistenza della moglie non avrebbe mai tirato fuori.
-Philip, hai notizie di Jenny? Sai dov’è?-
Lui si irrigidì e gli rivolse un’occhiata ostile.
-No, non lo so.- si rivolse a Peter -Andiamo o perderemo il treno.-
uscì insieme al compagno richiudendosi la porta
alle spalle.
Un sorriso sarcastico aleggiò sulle labbra di Benji.
-Curioso, non trovate?-
Tom lo guardò senza capire.
-Curioso cosa?-
-Che Landers sappia dov’è Jenny e lui no.-
-Non ho detto che Mark sappia dove si trova Jenny.- lo corresse Patty
-Ho detto che Jenny si è fatta sentire poco dopo che ho
chiesto a Mark notizie di lei.-
-Mi pare la stessa cosa.- Benji fece spallucce -Perché non
lo richiami per chiedergli il motivo di una tale coincidenza? Sono
sicuro che potrebbe stupirti.-
Lei lo guardò sconvolta.
-Certo non ora!-
-Anche domani, che differenza fa?-
Lei lo fissò sospettoso.
-Sai forse qualcosa che noi non sappiamo, Benji?-
-Non so niente, ma perché vi sembra così strano
che quei due si sentano?-
Amy tirò indietro la sedia.
-Jenny a noi non ha telefonato! Non ci ha detto
dov’è! Perché avrebbe dovuto dirlo a
Mark?-
-E perché avrebbe dovuto non dirglielo?-
mentre Amy se lo domandava, Bruce posò il bicchiere sul
tavolo. Guardò Evelyn.
-Quindi quali sono i programmi? Voi venite o no al ritiro a Yokohama?-
-È un ritiro, Bruce… e poi Gamo non ci vuole
assolutamente tra i piedi.-
-Quindi no?-
-No.-
Benji la fissò curioso.
-Che voleva da te Marshall?-
Evelyn gli sorrise.
-Che dessi un’occhiata ai nominativi dei giornalisti che
hanno fatto richiesta per accompagnare la nazionale in Italia.-
-Gli inviati?-
-Sì, quelli che saliranno sul nostro stesso aereo.-
-Sei diventata davvero importante se Marshall chiede addirittura
consiglio a te!- si stupì Tom.
Lei gli rispose mostrandogli la lingua.
-E tu, Holly, quando pensi di raggiungerci?-
-Non so neanche se riuscirò a giocare.- sbuffò,
appoggiò il gomito su un bracciolo e il viso sulla mano
-All’incontro mancano meno di due mesi e della convocazione
non ho visto neppure l’ombra.- lanciò
un’occhiata a Patty che se ne stava silenziosa già
da un po’. Sembrava soprappensiero -Che hai?-
-Continuo ad essere preoccupata per Jenny. Speravo che Philip ci
dicesse dov’è finita. Non è possibile
che sia sparita.-
Bruce fece spallucce.
-Se non lo sa neppure lui mi pare difficile che riusciamo a scoprirlo
noi.-
-Secondo me è andata in America dai suoi.-
commentò Evelyn, traendo la conclusione più ovvia.
-Riconsoliamoci.- intervenne Benji -Finalmente a Torino vedremo Mark
con una ragazza.-
-Prima che cominci a costruirti un film, sappi che quando
l’altra settimana ho giocato contro la Juventus, è
venuto a Barcellona da solo.-
Patty annuì.
-C’era il biondo?- si informò Evelyn curiosa
-Durante la partita gli hanno fatto un primo piano da paura. Non vedo
l’ora di guardarlo da vicino.- sospirò -Mi
piacerebbe intervistarlo.-
-Sì, ti piacerebbe.- Benji allungò verso di lei
il cellulare, aperto sulla galleria d’immagini.
Evelyn si sporse per guardare e quando riuscì a mettere a
fuoco la foto sul display spalancò gli occhi di stupore.
Diavolo, quella foto la voleva, doveva essere sua! Ritraeva Gentile
seduto su un muretto accanto a Schneider, entrambi avvolti in giacca e
sciarpe. Intorno a loro c’era la neve e, poco discosta, una
bellissima ragazza bionda.
-Ti assicuro che è uno spasso. Insieme ci siamo divertiti da
matti.-
Tom sbirciò il telefonino e diede la sua personale
interpretazione.
-Siete andati insieme a donne.-
Benji sorrise sornione.
-In campo è forte, persino Schneider ha avuto
difficoltà a superarlo.-
-Questa è la sua ragazza?- domandò Evelyn
indicando la giovane in piedi sullo sfondo.
-No, quella è la fidanzata di Schneider.-
-E Gentile la ragazza ce l’ha?-
Benji fece spallucce.
-Immagino di sì. Probabilmente ne avrà anche
più di una.-
-È un donnaiolo?- domandò Bruce con un senso
d’invidia, consapevole di non reggere il paragone.
-È italiano.-
-A proposito di ragazze…- Evelyn non si lasciò
sfuggire l’occasione -Bella la tua fidanzata. L’ho
vista l’altro giorno in una foto.-
Benji si irrigidì.
-Non è la mia fidanzata.-
-Però mi pare che risponda ai tuoi gusti.
Com’è che si chiama? Marie, Miriam…-
-Marianne.- si rassegnò a correggerla lui.
*
Mark aprì gli occhi a mezzogiorno e tredici. Fece per
tirarsi su ma rinunciò all’istante. Una fitta
lancinante gli attraversò la testa da una parte
all’altra con la stessa potenza di un proiettile.
-Postumi della sbronza.-
Il tono ironico di Jenny gli trapanò il cervello. Socchiuse
gli occhi e la vide. Era sulla soglia, un maglione verde acqua abbinato
ad un paio di jeans blu, le braccia incrociate al petto, i capelli
sciolti scostati da una parte e, ciò che lo
infastidì di più, il suo sorriso divertito. Lei
rappresentava la vendetta trasversale di Philip per il caffè
salato di tre inverni prima a Shintoku. Era la prima volta in vita sua
che beveva così tanto e non riusciva a sopportare che Jenny
avesse assistito alla sua performance della sera prima, di cui
ricordava tutto in modo molto confuso. Si augurò di non aver
fatto niente di umiliante o, se lo aveva fatto, di dimenticarlo fino
alla morte.
Mentre lui la guardava, Jenny si avvicinò e si sedette sulla
sponda del letto.
-Mal di testa, vero?-
-Per niente.- non gliel’avrebbe data vinta in nessun modo
anche se, mentre si metteva seduto, le sue tempie vennero attraversate
da un lampo di dolore -Che ore sono?-
-Quasi ora di pranzo. Sono appena rientrata.-
-E dov’è che sei andata?-
-A fare un po’ di spesa.-
Sorrise mentre osservava la faccia sfatta di Mark, incapace di
scrollarsi di dosso il rincoglionimento post-sbronza.
-Hai fame?-
-No, mi viene da vomitare.-
-Di che partita stavate parlando ieri tu e Benji?-
-Non ricordo.- le parole di Marshall avevano galleggiato per ore tra i
fumi dell’alcol e l’incoscienza del sonno e quella
mattina tornavano a fatica nel loro ordine. La telefonata del mister e
quella di Price a poca distanza l’una dall’altra,
si erano confuse e mescolate e adesso Mark non rammentava
più chi gli aveva detto cosa.
-Sforzati un po’.-
Lui lo fece con una mano sulla fronte, che gli pulsava in modo
terribile. Ebbe un fugace moto di compassione nei confronti del suo ex
allenatore delle medie, Jeff Turner, che spesso si era presentato al
campo completamente sbronzo. Fu davvero un attimo, un istante. Poi
arrivò nei suoi pensieri la conferma che Turner era molto
più fuori di testa di quanto avesse mai immaginato. Quale
persona sana di mente poteva sottoporsi volontariamente ad un simile
supplizio?
-A cosa stai pensando?-
La domanda di Jenny lo riscosse.
-Credo che dovremo giocare una partita contro l’Italia.-
Lei sbiancò.
-Stai scherzando, vero?-
Mark si risentì.
-Figurati se mi va di scherzare! Ho la testa che mi scoppia!-
-Non è possibile!-
-Come ti pare, Jenny.- non aveva nessuna voglia di discutere.
-Davvero dovete giocare contro l’Italia?-
-Ti dico di sì!-
Lei si guardò intorno nella stanza, quasi in cerca di una
via di fuga. Per quanto fosse incredibile, la partita con
l’Italia c’era. Ma forse poteva scamparla.
-Giocherete in Giappone, vero? A Tokyo, a Yokohama, a Saitama,
Kobe… Quando parti?- c’erano una miriade di
bellissimi stadi da sfruttare per quel quell’incontro
inaspettato.
-Non lo so. Marshall mi ha chiamato mentre ero al pub e intorno a me
c’era troppa confusione per riuscire a starlo ad ascoltare.-
-O forse dentro di te c’era troppa birra.- lo corresse
scettica, quasi infastidita. Lo guardò negli occhi, voleva
quell’informazione, era una questione di vita o di morte.
Mark le lanciò un’occhiata di fuoco.
-Ha parlato anche con Aoi, lui sicuramente se lo ricorda!
Perché non chiedi a Rob?-
Jenny recuperò all’istante dal comodino il
cellulare dell’amico e glielo porse.
-Chiamalo!-
A Mark la testa scoppiava, il dolore era diventato insopportabile.
-Ora?-
-Sì, voglio sapere!-
-Non me ne frega niente!- sbottò e si alzò di
scatto, rallentando all’istante i movimenti quando fu scosso
da una fitta. Strinse i denti innervosito dalla sua insistenza e dalla
sua invadenza. Tanto per cominciare, chi le aveva dato il permesso di
entrare nella sua stanza? -Io adesso mi faccio la doccia e mi vesto.-
scandì -Se non puoi aspettare, chiamalo tu.-
Mentre Jenny, seduta sul letto, cercava sconsolata e preoccupata il
numero di Aoi nella rubrica del telefonino, Mark
s’infilò in bagno ricordando che Marshall gli
aveva chiesto notizie di una convocazione che a quanto pareva non era
arrivata. Maledisse le lungaggini della burocrazia che avevano
incagliato il suo nullaosta in qualche ufficio. Lui la partita contro
l’Italia non voleva perderla. Si lavò la faccia,
dando al suo corpo ancora un po’ di tempo per svegliarsi.
Aveva bisogno di essere in forma e lo innervosiva parecchio il fatto di
sentirsi intontito. Incontrò nello specchio il riflesso del
suo sguardo e si impose di sentirsi meglio. Non aveva tempo per il mal
di testa e per i postumi della sbronza. S’infilò
nella doccia e aprì l’acqua.
La porta del bagno si spalancò all’improvviso e lo
spavento contrasse le sue dita intorno alla confezione del
bagnoschiuma, facendone uscire sulla spugna una quantità
esagerata.
-Jenny, esci immediatamente!-
Lei lo ignorò, pallida come un cencio, il cellulare stretto
tra le dita e Aoi in linea.
-Sai quando c’è la partita?- una nota di panico
trapelò nella sua voce, gli occhi fissi sulla sagoma nuda
del compagno che intravedeva attraverso i vetri smerigliati del box
doccia.
-Ti ho detto di uscire!- Mark chiuse il getto d’acqua e si
appiattì contro le mattonelle dell’angolo per
nascondersi da lei il più possibile.
-A fine aprile!-
-Maledizione Jenny! Lasciami fare la doccia in pace!-
Lei continuò per la sua strada, sciorinando tutte le
informazioni che Aoi le stava dando in tempo reale.
-E indovina un po’ dove giocate?-
“Jenny, perché Mark grida?”
-Non me ne frega niente dove giochiamo, cazzo! Esci immediatamente!-
La giovane proseguì imperterrita, perché quella
era una catastrofe. Appoggiò una mano sul vetro della
doccia, Mark balzò indietro, finendo con la schiena
appiccicata alle mattonelle gelate e le mani unite a coppa, insieme
alla spugna, a coprirsi le nudità, anche se da fuori Jenny
non avrebbe mai potuto vedere se non una vaga sagoma del suo corpo
completo.
-Qui a Torino, nello stadio della Juventus! Ti rendi conto? Dimmi se
non è sfortuna!-
-Io la chiamerei piuttosto fortuna!- urlò, costretto suo
malgrado a darle retta -Così almeno tu e quel cretino del
tuo ex potrete far pace!-
-Scordatelo!-
“Mark…” chiamò Rob che
sentiva a tratti la sua voce “Jenny, passami Mark!”
Lei si affrettò a mettere il vivavoce.
-Parla Rob, ti sente.-
“Mark, se non è arrivata la convocazione, non ci
sarà neanche il nullaosta e non potremo giocare!
È una tragedia!”
Landers esplose.
-Qui la tragedia la scateno io se Jenny non esce immediatamente dal
bagno!- starnutì due volte e visto che gli insulti non
stavano sortendo alcun effetto, cercò di mostrarsi
ragionevole -Possiamo parlarne tra cinque minuti? Ci metto un attimo,
ma lasciami fare la doccia in pace!-
Lei non gli rispose, Mark la sentì parlare con Rob. Poi, con
sollievo udì la porta richiudersi. Non vide più
la sua ombra oltre i vetri del box, riaprì l’acqua
e finì di insaponarsi infreddolito. Sotto la doccia non
riuscì a rilassarsi, il mal di testa non si era attenuato e
ora, mentre si asciugava, si sentiva peggio di prima. Avvolto
nell’accappatoio tornò in camera per vestirsi. Di
Jenny non c’era traccia. Scese le scale e si
affacciò in cucina. L’odore del cibo gli diede la
nausea. Guardò il pranzo imbandito sulla tavola, poi
alzò gli occhi sulla ragazza in piedi da una parte,
appoggiata contro il forno.
-Non mangio, togli quella roba.-
Lei annuì e sparecchiò.
-Non vuoi neppure un po’ di tè?- Mark scosse la
testa e lei continuò -Perché dovete giocare una
partita contro l’Italia proprio adesso? E proprio qui?-
-E che ne so? Mica l’ho deciso io!-
-Ma proprio qui?-
-Jenny, questa maledetta amichevole era in programma da mesi! Solo che
non riuscivano ad accordarsi per l’uso dello stadio!-
-Non ne sapevo nulla!-
-Quand’è l’incontro?-
-Il 30 aprile.-
-Il nullaosta non arriverà mai in tempo, forse non
potrò neppure giocare.- strinse i pugni contrariato -Merda,
giochiamo qui! Scendiamo in campo contro quel coglione di Gentile e io
non so neppure se potrò indossare la maglia della nazionale!
Che razza di sfiga!-
-A chi lo dici…- concordò, lasciandosi cadere su
una sedia.
Mark poteva anche non giocare, per quello che le importava. In ogni
caso Philip sarebbe stato presente e lei non voleva incontrarlo. Si
prese la testa tra le mani e chinò il viso. Che doveva fare?
Alzò gli occhi su Mark.
-Non voglio rivederlo.- ammise con uno sforzo -E non credo sia il caso
che lui mi trovi qui. Potrei andare a fare un viaggio da qualche
parte.- prese seriamente in considerazione l’idea -Venezia,
Firenze, Roma… Praticamente ovunque.-
Mark all’inizio aveva pensato esattamente alla stessa cosa,
che era meglio che si togliesse di torno, che gli amici, Callaghan in
particolare, non la trovassero a casa sua. Adesso invece, dopo averla
guardata, dopo aver scorto panico e preoccupazione nei suoi occhi,
decise che quell’occasione non poteva essere sprecata. Di
sicuro rivedendosi, quei due avrebbero finito per tornare insieme.
-Vi siete lasciati, no? Che problema c’è se vi
incontrate?-
Il problema c’era ed era grande perché Jenny
soffriva ancora per quel legame strappato anche se erano passati
giorni, settimane e mesi. Forse il dolore non sarebbe mai passato, si
sarebbe mescolato all’altro, quello più profondo,
e avrebbe dovuto conviverci per sempre. Forse ciò che aveva
provato (anzi provava ancora) per Philip non sarebbe mai cambiato.
Ascoltò Mark in silenzio, mentre lui proseguiva.
-Sii realistica, Jenny. Avete troppi amici in comune. Prima o poi
finireste per incontrarvi comunque. A meno che non tu non abbia
intenzione di non vedere più nessuno, esattamente come stai
facendo ora.-
-Anche a lui non farà piacere vedermi.-
-Questo lo dici tu. Io non ne sono sicuro.-
-Tu non sai com’è andata…-
-Non lo so perché non hai voluto dirmelo.-
Lei si mosse a disagio.
-Non è importante, ormai.-
Mark fece spallucce.
-Può darsi. Il tempo cambia le cose.-
-Ma non cancella il passato.- Jenny abbassò gli occhi sul
tavolo e sospirò.
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Capitolo 5 *** Quarto capitolo ***
Quarto
capitolo
Peter era certo che lo avesse rifatto almeno una volta. Il
venerdì precedente, dopo gli allenamenti, Philip era andato
via col gruppo di Daniel e quella decisione aveva parlato da
sé. Ad avvalorare il suo sospetto era bastato che
l’amico avesse evitato il suo sguardo quando alla sessione di
allenamento successiva aveva cercato i suoi occhi. Gli era bastato che
negli spogliatoi lo avesse salutato con un frettoloso
“‘giorno” e che fosse andato a posare la
borsa sportiva ben lontano da lui. Da quando erano tornati dal raduno a
Fujisawa, Philip era diventato ancor più inavvicinabile. Era
nervoso, saltava su per un niente ed era chiaro, almeno a lui, che
faceva un grande sforzo per non rispondere male a tutti.
L’atteggiamento del mister del Sapporo nei suoi confronti si
era decisamente ridimensionato quando sui giornali era uscita la
notizia che Philip avrebbe guidato la nazionale giapponese nella
partita contro l’Italia. A sorpresa i compagni di squadra
avevano cominciato a provare nei suoi confronti un certo rispetto e
Philip, per come la pensava lui, si stava comportando da stupido a non
sfruttare l'occasione per guadagnare la loro fiducia. Erano persino
arrivati a pensare che i suoi modi bruschi e il suo nervosismo
derivassero dalla responsabilità del ruolo che stava per
ricoprire nella nazionale giapponese. Peter era l'unico a sapere che
era così solo in parte.
Sull’aereo che li aveva riportati in Hokkaido, Philip gli
aveva detto chiaro e tondo come la pensava.
“Potrebbero farlo anche Julian e Tom, e invece loro si sono
tirati indietro.” il ricordo del rifiuto l'aveva innervosito
“Sai perché? Sai perché hanno risposto
di no?” erano domande retoriche e infatti aveva continuato
tutto d’un fiato “Perché hanno capito
che è una gran rottura di coglioni che non vale la
gloria.”
L’amico aveva alzato le spalle e l’aveva lasciato
sfogarsi.
“Devi ascoltare le lagne, sforzarti di smorzare i litigi,
appianare le divergenze, portare tutti all’ordine quando si
azzuffano. Sempre che non ci vada di mezzo anche tu. E vengono a
chiamarti ogni volta che c’è qualcosa che non va.
Non gliene frega niente se stai dormendo, se stai mangiando, se stai
facendo la doccia, se dopo il massacro di Gamo stai tirando finalmente
fiato. Non gli va bene nulla, dal pallone che non hanno ricevuto
perché qualcuno più veloce glielo ha fregato
mandando a puttane gli schemi di gioco, alla loro maglietta che qualcun
altro, negli spogliatoi, ha lasciato cadere per terra. Dal bagnoschiuma
che è finito perché chi ha dimenticato il proprio
ha usato quello degli altri a piacimento, alle prese del phon che non
bastano mai per tutti e c’è sempre chi impiega una
vita ad asciugarsi i capelli. E allora devi rimetterli in fila,
decidere chi c’era prima di chi, neanche fossimo
all’asilo. E oltre tutto ciò, quando qualcosa va
male, devi anche sorbirti i rimproveri di Gamo, perché se
nella squadra non regna l’armonia è solo colpa
tua, che sei il capitano.”
“Ma tu riesci bene a far andare tutti d’accordo. Lo
hai sempre fatto, fin dalle elementari. Ormai ci sei abituato. Sai
perfettamente come gestire queste situazioni. E poi gli altri li
conosci da anni, sei in grado di riportarli
all’ordine.”
Philip aveva scosso la testa, caparbio.
“Peter, non capisci. Un conto è rimproverare un
ragazzino di dieci anni troppo vivace, un conto pretendere che tipi
come Price, Landers o Yuma ti ubbidiscano e facciano quello che dici
tu. Loro, se ti metti a contrariarli, ti sbattono contro il muro senza
andare troppo per il sottile. Non c’è
storia… Ecco perché Julian e Tom hanno
rinunciato.”
Shake lo aveva ascoltato lamentarsi, convinto che
l’insofferenza del compagno non fosse dovuta solo a
ciò che stava elencando. Forse a scatenarla era stata la
domanda su Jenny che Holly gli aveva rivolto un attimo prima che se ne
andassero, o forse qualche altra ragione che lui non capiva. Del resto
aveva rinunciato da mesi a capirlo.
Fatto sta che più il tempo passava e più Philip
sembrava irrequieto e le puntate all’appartamento di Baird
non potevano che essere una conseguenza di quello stato
d’animo. Era chiaro, ne aveva parlato per ore con Grace, che
Philip stava cercando con tutti i mezzi di sottrarsi a una
realtà che lo faceva stare male. Che avesse poi scelto il
modo più sbagliato, non potevano farci niente.
Peter si sfregò le dita gelate mentre lo osservava fermarsi
a centrocampo per riprendere fiato. Il respiro ansimante si condensava
in nuvolette che si dissolvevano intorno a lui. Il malumore del ragazzo
era evidente anche da come correva, da come si muoveva, da come colpiva
la palla. Ormai lo conosceva troppo bene.
E Peter non sbagliava. Anche quel giorno, come molti precedenti, Philip
si stava allenando nervoso, scontento e con la mente da
un’altra parte. Pensava che se Jenny se n’era
andata non gli rimaneva altro da fare che cancellarla dalla testa e
andare avanti. Erano mesi che questa convinzione gli riecheggiava nel
cervello, e adesso più spesso che mai. Eppure era ancora
totalmente incapace di assumersi la responsabilità di
quell’ultimo litigio, anzi di quel disastro. Il dolore e la
sofferenza sarebbero stati troppo grandi da sopportare. Jenny non
c’era più e lui doveva dimenticarla, questo era
tutto. Al mondo non esisteva soltanto lei e come aveva detto Price a
Shintoku un paio di anni prima, non stava scritto da nessuna parte che
Jenny fosse la sua anima gemella. Anzi, visto com’erano
andate le cose, era chiaro che entrambi avevano preso
un’enorme cantonata. Ormai quello che doveva fare era
semplicemente non pensarci. Prima o poi, con il passare del tempo,
l’avrebbe dimenticata.
Grace osservava i giocatori infreddolita, mentre le azioni sul campo
circondato dalla neve si susseguivano ad una temperatura che sfiorava
lo zero. Nonostante il gelo, non era sola seduta in tribuna. A tenerle
compagnia c’erano alcuni grappoli di tifosi e di fan. Per
fortuna quel giorno Julie Pilar non si era fatta vedere. Non le piaceva
che venisse a cercare Philip fino a lì. Quello non era il
suo territorio, tanto meno lo era la caffetteria dove lui e lei si
erano fatti beccare a baciarsi dai giornalisti. Era stato indelicato,
da parte di Philip, farsi fotografare proprio lì, nello
stesso luogo in cui Jenny, davanti una tazza di cioccolata calda, aveva
spesso aspettato che lui finisse gli allenamenti e la raggiungesse per
bere qualcosa prima di tornare a casa insieme.
Spostò gli occhi sull’enorme edificio di mattoni
rosa della fabbrica del cioccolato più famosa del Giappone,
lo sponsor ufficiale della squadra della J-League di Sapporo.
L’enorme scritta rossa Chocolate Factory campeggiava
inconfondibile in cima al palazzo e, il logo azzurro con la scritta
bianca, era stampato sulle maglie da calcio a righe verticali rosse e
nere del club sportivo. La cioccolateria, con il suo bellissimo roseto,
sorgeva al di là della strada che la separava dal centro
sportivo, sul lato lungo del campo. Era sempre piena di visitatori e di
turisti anche nel periodo invernale, quando le rose non erano altro che
frasche spinose senza fiori né foglie e tutto era ricoperto
di neve e di ghiaccio. Era un posto tranquillo quello, non troppo
trafficato, splendido dalla primavera all’autunno con le rose
in piena fioritura. O meglio era stato splendido finché
Grace aveva potuto goderselo con Jenny. Adesso non lo era
più, raramente veniva ad assistere agli allenamenti e quando
lo faceva sentiva terribilmente la mancanza delle ore trascorse insieme
all’amica. Osservò i ragazzi che tornavano stanchi
negli spogliatoi, poi si mise in piedi, scese le scale e
varcò la porta del bar del centro sportivo.
Philip riuscì a seminare Peter mentre percorrevano il
corridoio, facendosi largo tra i compagni. Entrò negli
spogliatoi, recuperò il proprio asciugamano e si
ficcò sotto le docce. Sapeva cosa intendeva proporgli
l’amico e lui non aveva ancora trovato una scusa per
evitarlo. Se lo ritrovò accanto quando si sedette sulle
panche per finire di asciugarsi e rivestirsi.
-Vieni con noi stasera, Philip?-
Scosse la testa. Peter e Grace sarebbero andati a cena con Tony Brunor
e alcuni altri dell’ex Flynet. Lui a quella rimpatriata non
voleva assolutamente partecipare anche se Kenny il giorno prima lo
aveva chiamato e l’aveva supplicato di farlo
perché senza di lui, aveva detto, non sarebbe stata la
stessa cosa. In realtà sarebbe stato comunque diverso,
perché alla serata sarebbe mancata Jenny. Non gli andava.
Incontrare gli amici gli era diventato impossibile, era un sacrificio a
cui doveva sottrarsi perché ognuno di loro rappresentava un
ricordo felice che cozzava contro l’apatico guscio in cui si
era rinchiuso per riuscire a sopravvivere. Durante la serata si
sarebbero messi a rivangare i bei tempi degli allenamenti, dei tornei
scolastici, delle feste e delle scampagnate e prima o poi Jenny sarebbe
uscita fuori perché lei aveva sempre partecipato a tutto
ciò, sempre al suo fianco, sempre insieme. Era fuori
discussione. Quella sera non poteva assolutamente andare con loro.
-Sei sicuro?- Peter non si decideva a rassegnarsi. Philip era stato il
loro capitano per anni, che senso aveva incontrarsi se non veniva?
-Ho da fare.-
-Non ti serve neppure un passaggio?- sperava, durante il tragitto, di
riuscire a convincerlo.
-No.-
A Philip non andava di infilarsi in macchina con lui e Grace. Preferiva
mille volte attraversare la città con la metro, strizzarsi
tra la gente fino a scomparire nella massa, pensare ai fatti propri,
camminare nelle strade affollate, dove nessuno avrebbe fatto caso a
lui. Non aveva organizzato niente per quella sera, sperava che Julie lo
invitasse a casa sua. Aveva bisogno di un corpo femminile nel quale
perdersi per non pensare più a niente. Un corpo che gli
permettesse di dimenticarsi dei suoi casini, anche solo per breve tempo.
-Guarda che non è un problema.-
-No, devo fare dei giri.- si dilungò a cambiarsi fino a
quando Peter lo salutò e uscì.
Daniel Baird gli si accostò subito.
-Callaghan, perché non vieni da me stasera? Se ti va, puoi
portare anche la tua ragazza.-
Philip lo fissò attraverso le ciocche ancora umide che gli
scendevano sulla fronte e gli si conficcavano appuntite negli occhi. Le
scostò con un gesto infastidito e valutò la
proposta. Di portare con sé Julie non se ne parlava, ma
poteva accettare l’invito. E poi, se avesse trovato anche il
modo di divertirsi, tanto di guadagnato. Però…
Esitò a rispondere finché poté farlo,
valutando pensieroso i pro e i contro.
L’ospitalità gli faceva comodo, avrebbe potuto
passare la notte lì senza dover tornare fino a Furano. Ma
dopo le serate trascorse a casa del compagno si sentiva sempre
malissimo. Non poté evitare di chiedersi coscienziosamente
se quelle tre-quattro ore di euforia valessero la pena, se fosse il
caso di rischiare, ora che c’era anche la partita contro
l’Italia alle porte. Forse doveva darsi un freno, nel consumo
di quella roba. Insomma, che doveva fare? Neppure Julie
l’aspettava quella sera e se lei era impegnata avrebbe finito
col restarsene da solo a ciondolare per i bar. Del resto non si erano
sentiti per due giorni e Philip non era sicuro che lei fosse
disponibile. D’un tratto gli balenò
l’idea che Julie trascorresse quei periodi di stacco
frequentando qualcun altro. Si stupì di quanto la cosa non
lo toccasse.
-Allora?- insistette Daniel.
La sua parte più ribelle e irrazionale ebbe il sopravvento e
Philip si lasciò convincere. S’infilò
il giubbotto, chiuse la zip della borsa, si mise in piedi e
seguì Baird e gli altri fuori dagli spogliatoi.
*
Benji aveva fatto una cazzata e sapeva che avrebbe pagato. Nonostante
la superba atmosfera dell’Olympiastadion di Monaco, uno dei
più bei terreni di gioco della Germania, la partita di quel
pomeriggio era iniziata male. Il Bayern era più forte di
quanto avrebbero mai immaginato e ogni attacco era riuscito a penetrare
oltre la loro difesa. Nel primo tempo Benji era già
sfiancato per aver dovuto parare una serie infinita di tiri in porta,
tra cui quelli potentissimi di Stephan Levin, il capitano della
nazionale svedese, e di Sho Shunko, il capitano della nazionale cinese,
ingaggiati entrambi da una squadra che sembrava essere diventata
invincibile. A parte loro, dopo il vantaggio dell’Amburgo a
opera di Kaltz, in pratica l’intero Bayern era partito al
contrattacco e ogni giocatore avversario che poteva permettersi di
arrivare nell’area avversaria aveva tentato il goal. La
difesa dell’Amburgo aveva fatto acqua da tutte le parti. E
poi c’era stato quel maledetto litigio tra Schneider e Kaltz.
Kaltz non aveva mai dimenticato il tradimento di Schneider, che di
fronte ad un buon ingaggio aveva abbandonato l’Amburgo,
distruggendo senza rimorsi ciò che fino a quel momento era
stato il loro schema vincente: Benji in porta, Kaltz in difesa e
Schneider in attacco. Uno schema che era durato per anni, praticamente
da quando Benji, ancora ragazzino, era entrato in quella squadra. E
nonostante la scelta di Schneider avesse deluso anche lui, il portiere
non aveva potuto fargliene una colpa, perché sapeva bene che
un ottimo ingaggio era sempre un ottimo ingaggio.
Durante tutto il primo tempo, Kaltz era stato alle costole del biondo
attaccante dandogli il tormento, cercando di togliergli ogni palla che
gli finiva tra i piedi con marcature al limite
dell’espulsione. Schneider non aveva reagito, o meglio aveva
reagito in modo sportivo, continuando a giocare nonostante le
provocazioni del suo ex compagno di squadra. Ma, a pochi metri dalla
porta, Kaltz era entrato duro su Schneider nel momento in cui quello
cercava di infilare un goal. Erano saltati entrambi per intercettare la
palla, l’attaccante del Bayern era riuscito ad arrivare
più un alto e aveva colpito involontariamente Kaltz con una
gomitata in faccia. Benji s’era infilato tra loro e aveva
afferrato al volo il pallone evitando il goal. Erano finiti tutti e tre
a terra. Poi Schneider aveva avuto la grande idea di cominciare a
insultare il portiere giapponese. Continuando a stringere il pallone
tra le mani, Benji l’aveva fissato incredulo. Non capiva il
perché gli si stesse rivolgendo con quelle parole,
perché provasse verso di lui tutto quell’astio. In
fondo si conoscevano da anni. Era rimasto a guardarlo allibito, il
gioco fermo mentre si rimettevano in piedi. Poi
all’improvviso aveva capito che Schneider ce
l’aveva ferocemente con lui perché aveva rifiutato
l’ingaggio nel Bayern. Schneider aveva contato su di lui per
far diventare il Bayern la squadra più forte della Germania,
probabilmente anche dell’Europa. Benji, scegliendo di restare
nell’Amburgo, aveva mandato a puttane il suo sogno. Non era
stato in grado di rispondergli, di giustificarsi né,
quantomeno, calmarlo. E all’ennesimo insulto era stato Kaltz
a reagire. Col volto imbrattato dal sangue che gli usciva dal naso dopo
la gomitata di Schneider, lo aveva colpito con un calcio su una gamba,
facendo urlare l’attaccante di dolore e Benji di sorpresa.
Non contento Kaltz aveva cercato di scagliarglisi addosso per riempirlo
di pugni, mentre lo insultava e gli dava del traditore.
L’arbitro era arrivato di corsa, sventagliando il cartellino
rosso con cui aveva espulso Kaltz. Era stata una scena pietosa. Benji
non avrebbe mai voluto assistervi, non avrebbe mai voluto esserne la
causa. Kaltz era uscito dal campo con le lacrime che gli riempivano gli
occhi, sconvolto più dal litigio con Schneider che
dall’espulsione. E Benji s’era ritrovato a dover
incoraggiare la squadra, perché nonostante fossero ora
rimasti in dieci, dovevano continuare a giocare e chissà,
magari pure provare a vincere.
Come il gioco era ripreso, Schneider era ripartito
all’attacco e aveva tentato subito un tiro in porta. Era
risalito dal centrocampo indisturbato, nessuno della difesa
dell’Amburgo era stato in grado di fermarlo. Pochi minuti e
si era ritrovato faccia a faccia con Benji. Si erano guardati,
l’uno pronto a tirare, l’altro a parare,
dopodiché l’attaccante del Bayern aveva scagliato
contro la porta uno dei suoi tiri micidiali. Lui l’aveva
parato, senza fare neppure troppa fatica. Si erano guardati, aveva
letto sconcerto e stupore negli occhi di Schneider e il gioco era
proseguito. La sua rimessa era arrivata fino all’attaccante
dell’Amburgo, già pronto a partire in avanti. Dopo
due secondi Shunko l’aveva atterrato a pochi passi dal limite
dell’area di rigore.
Il calcio di punizione era stato a favore dell’Amburgo.
Lì era cominciato il disastro. Lasciando tutti a bocca
aperta, il desiderio sfrenato di dimostrare a Schneider che anche senza
di lui l’Amburgo era una squadra forte, Benji era partito di
corsa dalla porta, risalendo tutto il campo per appropriarsi della
punizione. Era arrivato in un lampo tra i compagni, colpendo la palla
con precisione e forza, indirizzandola nell’angolo in alto a
sinistra, dove il portiere non sarebbe mai arrivato. Ma Sho Shunko era
uscito dalla barriera, aveva fatto un salto da acrobata e aveva
intercettato il tiro con il piede destro. La palla era schizzata verso
Schneider che era rimasto quasi a metà campo ad aspettare
speranzoso quel tiro fortunato. Lo sgomento di Benji, del mister e di
tutti i compagni di squadra era stato immenso. Quando Benji si era
voltato, Schneider correva già lungo la fascia per
agganciare la palla, molto, troppo, più indietro di lui. Era
scattato velocissimo ma gli era sembrato di muoversi al rallentatore,
in confronto alla corsa dell’attaccante. Schneider filava
come un fulmine. Benji s’era sentito scoppiare il cuore nel
petto, la milza bruciare. Lo aveva superato, era rientrato nella
propria area ma Schneider aveva calciato un bolide che era stato
più veloce di lui e si era conficcato nella rete, un
microsecondo prima che Benji riuscisse ad afferrarlo.
L’incredibile spinta che aveva caricato nel tiro, aveva
scagliato Schneider contro i tabelloni pubblicitari intorno al campo.
Si era rialzato con una manica strappata e la spalla sanguinante, gli
occhi sul pallone aggrovigliato nella rete. Mentre Benji guardava
ancora incredulo la palla abbandonata, l’attaccante del
Bayern, osannato dal pubblico, era stato circondato
dall’equipe medica ed era stato portato via.
La partita era terminata su quell’azione e i compagni avevano
raggiunto Benji vicino alla porta, incapace di staccarsene,
traumatizzato dal disastro che vi si era appena svolto. Era finita. La
sua carriera nell’Amburgo era finita. Lo sapeva. Il mister
non l’avrebbe perdonato. Era stata una cazzata troppo grande.
La squadra si era mostrata solidale, anche se sconfitta. Nessuno aveva
avuto il coraggio di incolparlo di nulla. Nei corridoi dello stadio
Kaltz e Schneider si erano stretti la mano in un gesto di pace,
aggiungendo ulteriore delusione all’umiliazione che Benji
aveva subito.
Benji osservò in un silenzio tetro la schiuma della birra,
le file di bollicine che salivano ininterrottamente in superficie dal
liquido ambrato. Era in un pub, insieme ai compagni, ma non partecipava
ai loro discorsi che gli arrivavano a tratti. Recriminavano
l’esito della partita, maledicevano la squadra avversaria. Ce
l’avevano con Schneider che secondo loro aveva provocato
Kaltz per farlo espellere, cercavano un capro espiatorio su cui
indirizzare la loro stizza e la loro rabbia, evitando di addossare la
colpa a lui. Questo almeno finché sarebbe stato presente.
Poi, in sua assenza, avrebbero smesso di difenderlo, di giustificare il
suo colpo di testa. Lui era un professionista e non poteva permettersi
un errore simile. Lui era un portiere e doveva stare tra i pali.
Nessuno, neppure l’allenatore, gli aveva detto di correre a
calciare la punizione. Era stata una decisione sua e soltanto lui
avrebbe pagato. Si scolò l’ultimo sorso dal
boccale, lanciò un’occhiata al piatto che non
aveva toccato e si alzò.
-Dove vai?- gli domandò Kaltz.
-Torno a casa.-
Nessuno cercò di trattenerlo.
*
Patty e Holly sbucarono in superficie dalle scale della metropolitana e
si guardarono intorno. Non erano sicuri di aver imbroccato la direzione
giusta. E infatti la fontana era dall’altra parte della
piazza.
Patty rise.
-È la quinta volta che veniamo qui e non abbiamo ancora
imparato.-
Holly la prese per mano.
-Le uscite sono un labirinto.-
Quella sera, dopo aver visto in tv la partita di Benji, avevano sentito
la necessità di prendere un po’ d’aria.
Ciò che era successo all’Olympiastadion li aveva
raggelati, costernati. Spenta la televisione Holly aveva cominciato ad
agitarsi irrequieto, girando per casa senza niente da fare, senza una
meta, senza un motivo, mentre continuava a passargli davanti agli
occhi, in un replay angosciante e continuo, la corsa disperata di Benji
verso la porta, per cercare di riprendere una palla che si era
conficcata inesorabilmente nella rete. Era passato mille volte davanti
al telefono, lanciandogli occhiate indecise. Aveva preso di continuo in
mano il cellulare, pensando di mandargli almeno un messaggio. Era
andato in giro per casa con il telefonino stretto tra le dita, entrando
e uscendo dalle stanze, tornando da Patty, sparendo in camera, poi in
bagno, poi nel salotto, poi di nuovo in cucina e ancora nello studio.
Era uscito persino sul balcone ma non aveva avuto il coraggio di
chiamarlo. Aveva finito per orbitare tra il telefono e Patty, tra il
salone e la cucina, per quasi un’ora, mentre la moglie
rassettava e lavava i piatti, cercando una parola, un discorso da
affrontare perché l’exploit disastroso di Benji
l’aveva scioccato. Si erano scambiati poche frasi e poi erano
usciti.
Raggiunsero il semaforo e si fermarono sotto i lampioni accesi a
tingere di arancio le macchine che sfrecciavano, l’asfalto, i
marciapiedi, le aiuole, le due torri che svettavano a guardia della
Plaça d’Espanya. Faceva freddo ma in giro
c’era lo stesso tanta gente, turisti per la maggior parte,
perché la Fontana Magica attirava sempre una marea di
spettatori. S’incamminarono sul largo marciapiede in leggera
salita verso il Museo d’Arte della Catalogna, con la cupola
centrale e le torrette che risplendevano dei colori
dell’acqua. Fasci di luci azzurre venivano sparate nel cielo
della notte, creando raggi luminosi che venivano inghiottiti dal buio
della volta stellata. I due grandi viali pedonali erano rallegrati da
spruzzi continui, ciuffi d’acqua che d’estate, con
la nebbiolina che spargevano, erano una benedizione al caldo.
D’inverno un po’ meno e Patty e Holly se ne tennero
alla larga il più possibile, mentre avanzavano svicolando
tra la gente. Poi cominciarono a sentire la musica, gli occhi divertiti
e deliziati come sempre dalla cornice da favola che la fontana riusciva
a creare con i suoi spettacoli di spruzzi e colori. Trovarono posto
sulle scalinate del museo, nei pressi delle quattro grandi colonne, e
si sedettero sui gradini, Patty su quello più in basso,
Holly alle sue spalle che la stringeva a sé e la teneva al
caldo. Ascoltarono per un po’ la musica, osservarono
divertiti i ragazzi che ballavano intorno alla fontana, trascinati dal
ritmo e dalle luci. Poi lei gli strinse una mano, per attirare la sua
attenzione.
-Hai parlato con Benji?-
-Non ho avuto il coraggio di chiamarlo.-
Lei annuì.
-Chissà come si sente…-
-Un cretino senz’altro.-
Patty non seppe se ridere o preoccuparsi.
-Lo chiamerai?-
-Non lo so. Forse è meglio aspettare un po’. Non
sono sicuro che gli farebbe piacere. Probabilmente avrà
bisogno di qualche giorno per sbollire.-
-Che partita disastrosa…- sospirò -Hai chiesto a
Van Saal che fine ha fatto il tuo nullaosta?-
-Macché, non ne ho avuto il tempo. Quando abbiamo finito di
allenarci lui se n’era già andato.-
-Magari è già arrivato.-
-Pearson mi ha mandato un messaggio all’ora di pranzo e mi ha
detto che non ha ancora ricevuto nessuna risposta.- sospirò
-Non sono sicuro che riuscirò ad averlo.-
-Ma stavolta giocate qui in Europa, eviterai viaggi intercontinentali e
al ritorno non soffrirai neppure del fuso orario.-
-Credo che il problema sia che Gamo pretende che li raggiunga a Torino
da subito. Gli altri si fermano in Italia una settimana, quindi dovrei
saltare almeno una partita della Liga. A Van Saal non va
giù. Vuole che sia presente a tutte.-
-E non potresti tornare?-
Holly si chinò a guardarla. Il suo viso era a tratti giallo,
rosso, bianco, azzurro, in certi istanti scorgeva solo il luccichio dei
suoi occhi.
-Tornare?-
-Sì, tornare per giocare la partita della Liga. Siamo
così vicini, sono poche ore di volo…-
-Sai che non ci avevo pensato?-
Lei rise.
-Davvero?-
Holly tirò fuori il cellulare dalla tasca del giacchetto e
unì le mani davanti alla moglie, sporgendosi poi sulla sua
spalla per osservare il display. Aprì il calendario al mese
di aprile. La partita contro l’Italia grazie al cielo era di
venerdì e sabato sera poteva già essere a casa. I
compagni sarebbero atterrati in Italia una decina di giorni prima. Per
quanto riguardava la partita precedente…
-Possiamo arrivare a Torino quando ci arrivano anche gli altri, poi io
domenica mattina torno qui, gioco e riprendo l’aereo in
serata.-
-Dì a Van Saal che torni sabato sera, non domenica. Potrebbe
non andargli bene.-
-Hai ragione, tanto se partissi domenica mattina salterei comunque
mezza giornata di allenamento. Forse, a queste condizioni, la smette
una buona volta di fare tutte queste storie.-
-A Gamo andrà bene?-
-Immagino di sì, perché l’alternativa
è che non giochi per niente. Domani lo sento e glielo
propongo.-
-Chiama Pearson, di solito è lui che si occupa della
logistica.-
Holly rise.
-Hai ragione, come sempre.-
*
Carica d’aspettative, Jenny affrontò il centro di
Torino con una delle mappe che aveva preso all’aeroporto.
Svoltò l’angolo della via,
s’infilò sotto l’ombra dei portici e
cercò l’agenzia turistica giapponese che aveva
intravisto qualche giorno prima passeggiando con Carol. Ad un
osservatore poco attento le arcate facevano sembrare ogni lato della
piazza pressoché identico e dopo un po’ che
camminava si chiese se non avesse sbagliato, se non si fosse confusa
con qualche altra piazza, con qualche altro posto. Si pentì
di non essere passata più vicina al negozio, di non aver
approfittato del momento per entrarci e chiedere. Non lo aveva fatto
perché aveva avuto paura di perdere il lavoro ancor prima di
trovarlo. Anche Carol era alla continua ricerca di soldi e seppure era
molto probabile che lì fosse già andata, non
voleva rischiare di lasciarsi soffiare il posto da lei che, per giunta,
conosceva perfettamente l’italiano. Percorse ancora alcune
centinaia di metri, poi la individuò dall’altra
parte della strada. La fissò incredula, perché
era convinta di aver preso il marciapiede giusto. Lanciò
un’occhiata alla mappa, lasciò perdere e raggiunse
le strisce pedonali. Esitò davanti alla porta per
raccogliere le idee e lanciare un’occhiata ai fogli appesi
sulle vetrine. Come aveva immaginato, non c’era nessun avviso
di ricerca di personale.
Mark le aveva detto da subito, praticamente dal giorno del loro arrivo
a Torino, che lo pagavano abbastanza da consentirgli di mantenere
entrambi, mandare soldi alla madre e ai fratelli in Giappone e metterne
altrettanti da parte. Jenny gli aveva risposto chiaro e tondo che i
suoi soldi non le servivano, convinta com’era di potersela
cavare più che bene con ciò che suo padre le
metteva sul conto ogni mese. Invece le cose non erano andate affatto
così. Era in Italia da poche settimane quando aveva scoperto
con disappunto che l’offeso genitore le aveva tagliato
definitivamente i fondi nel momento in cui ne aveva più
bisogno. Eppure Jenny non poteva accettare né di dover
dipendere da Mark, né di non poter contribuire alle spese.
Non le restava altro da fare che inventarsi qualcosa che andasse a
rinfoltire alla svelta il gruzzoletto che le era rimasto e che si stava
sensibilmente assottigliando. Quei pochi euro sarebbero finiti presto
perché tutto a Torino costava molto più che a
Furano e lei non aveva nessuna intenzione di intaccare i risparmi per
le emergenze, ora che il suo futuro si era improvvisamente sbriciolato.
Forse doveva prendere sul serio l’idea di accettare
l’offerta che le aveva fatto Carol, prima che la giovane
trovasse qualcun’altra. Il problema più grosso era
come nascondere a Mark la sua assenza da casa durante la notte. Carol
le aveva suggerito di dirgli che si fermava a dormire da lei, ma Jenny
temeva che non ci sarebbe cascato. Sospirò e rimpianse
l’assegno di Brian McFay che giaceva inutilizzato in un
cassetto del salotto della sua casa di Furano. Ora sì che
quei soldi le avrebbero fatto comodo.
Tirò un respiro profondo, spinse la porta a vetri ed
entrò. Seduto dietro un’ampia scrivania ricolma di
depliant, calvo, grassoccio e sicuramente basso un uomo la
guardò sorridendo cordiale, scambiandola per una cliente.
Tolse la mano dal mouse e si allontanò dal pc su cui stava
lavorando, facendo scivolare sul pavimento di linoleum le rotelle della
poltroncina in cui era comodamente sprofondato.
-Buongiorno, posso esserle d’aiuto?-
Le fece cenno di accomodarsi ma Jenny scosse la testa e
restò in piedi. Rispose dedicandogli il suo miglior sorriso.
-Lo spero proprio. Sono in cerca di un lavoro e mi chiedevo
se…-
-Parla italiano?-
-No, però conosco molto bene l’inglese.-
Lui le sorrise, fastidiosamente divertito.
-Ma sa… non siamo a Londra.-
Jenny abbassò gli occhi, imbarazzata da un sarcasmo che
trovò fuori luogo. Aveva un disperato bisogno di lavorare e
quell’uomo non trovava di meglio da fare che prendersi gioco
di lei.
-Se non parla italiano non ci serve.-
La cartellina trasparente con il curriculum che Jenny teneva in mano si
spiegazzò leggermente tra le dita. Lo fissò
delusa.
-Ho capito. Grazie lo stesso.-
Si volse per uscire ma un attimo prima che varcasse la soglia, lui la
richiamò.
-Aspetti… Mi lasci il suo curriculum, ne parlerò
con la direttrice.-
Jenny lo allungò sul tavolo e l’uomo lo prese.
Diede una rapida occhiata ai suoi dati personali, poi alzò
gli occhi.
-Le farò sapere se avremo bisogno di lei.-
La ragazza ringraziò, salutò e si richiuse piano
la porta alle spalle con un filo di speranza.
-“Non siamo a Londra…”-
borbottò tra sé e sé, rifacendogli il
verso mentre infilava la mano nella borsa per recuperare il cellulare.
Aveva tolto la suoneria ed era il caso di rimetterla.
Sul display trovò tre chiamate perse. Era il ryokan. Si
preoccupò subito. La nonna la cercava? Perché? Un
secondo prima di far partire la telefonata, si chiese quanto le sarebbe
costata. Accantonò in fretta il pensiero perché a
forza di abitarci insieme, stava diventando come Mark. Diamine, aveva
assolutamente bisogno di trovare un lavoro. Poi Meryl le rispose e si
concentrò su altro.
-Sono Jenny. I nonni stanno bene?-
“Ciao Jenny.” la giovane sembrò felice
di sentirla “Sì, stanno benissimo,
perché?”
-Sul cellulare ho trovato tre chiamate dal ryokan. Avevo tolto
la suoneria e le ho viste solo ora. Cos’è
successo?-
“Non ne ho idea. Aspetta che chiamo la nonna.”
-Fai in fretta, per favore.-
“Corro.”
Jenny si augurò che lo facesse davvero e
s’incamminò sotto i portici verso il
McDonald’s in cui lavorava Carol. La sera prima la ragazza
l’aveva chiamata e le aveva chiesto di vedersi.
Chissà che voleva. Rabbrividì ma non di freddo.
La terrorizzava pensare all’arrivo di Philip a Torino. Era
così in ansia, aveva così paura di incontrarlo
che quando ci si fermava a riflettere, il cuore accelerava i battiti e
le mancava il respiro. La voce della nonna la fece sussultare.
“Jenny tesoro, come stai? Tutto bene?”
-Sto benissimo nonna, siete voi che mi avete cercata.- spinse la porta
del fast food e senza guardarsi intorno salì al piano di
sopra, dov’era più facile trovare un tavolo
libero. Nonostante l’odore penetrante di olio fritto, il
tepore era gradevole.
“Lo so, tesoro. Ti volevo avvertire che ieri mattina Philip
ha telefonato. Voleva sapere se eri qui.”
Le gambe di Jenny non ressero la notizia, quasi barcollò
verso un tavolino libero. Si lasciò cadere pesantemente su
una sedia di plastica. Deglutì l’aria,
tentò di parlare ma non ci riuscì. Dalla sua gola
provenne soltanto un singhiozzo soffocato.
“Jenny?” la voce della nonna la riscosse
“Jenny?”
-Sì, ci sono.- replicò lei, reprimendo le ondate
di sofferenza che tornavano ad avvolgerla, prima allo stomaco, poi al
centro del petto. Le venne da piangere e fece uno sforzo enorme per
ricacciare indietro le lacrime. Perché Philip la cercava?
Che voleva da lei? -Cosa gli hai risposto?-
“Che non c’eri.”
-Gli hai detto dove sono?- si passò una mano sul viso. Che
la nonna lo avesse fatto o meno, non sarebbe cambiato nulla.
“No tesoro. Ho mantenuto la promessa e poi lui non me
l’ha chiesto. Crede che tu sia dai tuoi a New York.”
Quanto si sbagliava Philip… Presto sarebbe arrivato in
Italia e si sarebbero ritrovati dalla stessa parte del mondo, nella
stessa città. Era così assurdo e così
ingiusto.
-Verrà qui.- ammise con un filo di voce.
“Come, tesoro?”
-La nazionale giapponese gioca contro l’Italia. Verranno
tutti qui!- Jenny la udì ridere di felicità.
“Oh tesoro, sono proprio contenta! Cercate di fare la pace,
è la cosa…”
Non volle udire il seguito e la interruppe brusca.
-Nonna, ho finito i soldi e devo scappare. Dai un bacio al nonno da
parte mia e salutami Meryl.- chiuse la chiamata e si passò
una mano sul viso.
-Stai piangendo?-
Jenny alzò di scatto gli occhi. Carol le era di fronte ma
impiegò alcuni secondi per riconoscerla. I suoi capelli
erano diventati rosso mogano e si erano innaturalmente allungati fin
oltre le spalle. -Sono io…- rise della sua sorpresa,
portandosi una mano ai capelli e lasciando scorrere le ciocche tra le
dita.
-Cos’hai fatto?-
La osservò mentre le si sedeva di fronte. Si era tolta la
divisa del Mc Donald’s ed era pronta per uscire.
-Ho un nuovo look. Ti piace?- non era una domanda perché era
evidente che Carol si piaceva da sé. Sembrava entusiasta del
cambiamento -Vuoi mangiare qualcosa?-
Jenny scosse la testa. Quella brevissima conversazione con la nonna le
aveva chiuso lo stomaco.
-E allora andiamocene. Non ne posso più di questa puzza di
fritto.- si annusò i vestiti -Non ho neppure il tempo di
lavarmi. Dovrò andare a casa della mia cliente con
l’odore delle patatine addosso…-
sospirò -Non vedo l’ora di ficcarmi sotto la
doccia!-
Percorsero il marciapiede in silenzio per alcuni minuti. Jenny si
angustiava per l’improvvisa telefonata di Philip alla nonna,
di cui non riusciva a capacitarsi, Carol totalmente presa da un
problema che voleva assolutamente risolvere, il problema per cui aveva
chiesto a Jenny di incontrarla. Fu lei a rompere il silenzio.
-Tu ci vai, vero?-
-Dove?-
-Al party di benvenuto per la nazionale giapponese. Salvatore ti ci
porta?-
-No, non ci vado. Non mi interessa.-
Carol si bloccò incredula e l’agguantò
per un braccio, costringendola a fermarsi.
-Come non ti interessa? Sai quante ragazze darebbero qualsiasi cosa per
poter partecipare? Diamine! Ci sono tutti i giocatori di due nazionali
e a te non interessa andare? Salvatore ti ha invitata?-
-Me l’ha accennato.-
-E tu non ti senti neppure un po’ lusingata?-
Jenny distolse gli occhi, incapace di risponderle ma desiderosa di
accantonare presto l’argomento. Carol si rese conto che la
sua incredulità non l’aveva toccata, sembrava
davvero non interessarle.
-Per favore, devi aiutarmi Jenny!-
-Aiutarti a fare cosa?-
Quando parlò di nuovo, la sua voce tremava
d’emozione.
-C’è una persona che mi piace tantissimo e che
voglio assolutamente conoscere. So che verrà qui a Torino e
so anche che non posso non approfittare di questa occasione per
incontrarla!-
-Una persona?- Jenny la fissò incredula -Di chi si tratta?-
La ragazza distolse gli occhi da lei. A disagio si ficcò le
mani nelle tasche del cappotto.
-Non posso dirtelo, è un segreto. Non lo sa nessuno.-
-Pensavo che stessi con Rob!-
Carol riprese a camminare e Jenny le andò dietro.
-Con Rob ci vediamo, ogni tanto. Lui è simpatico, mi fa
ridere…- le lanciò un’occhiata
imbarazzata -Ma c’è un’altra persona che
mi piace, oltre a lui. Devi aiutarmi a conoscerla, Jenny.-
Lei cercò di schermirsi.
-Non credo di poterlo fare, Carol. Il party non mi interessa, non ho
intenzione di andarci.-
-Perché? Sono sicura che Gentile ti ci porterebbe
volentieri. E pure Mark!- la vide irremovibile, allora tentò
un’altra strada -Almeno potresti provare a convincere Mark a
portarmi con lui?-
-Mark? Perché Mark? Non sarebbe meglio Rob? Lui lo farebbe
volentieri.-
-Non posso chiedere a Rob di portarmi a conoscere una persona che mi
piace più di lui! È eticamente scorretto!-
Jenny non seppe se ridere o prenderla sul serio.
-E il fatto che ti ci porti qualcun altro ti alleggerisce la coscienza?-
-Diciamo di sì.-
-Rob sarebbe stato senz’altro meglio.- sospirò
-Proverò a parlare con Mark.- non credette neppure per un
istante che sarebbe riuscita a convincerlo.
Presero insieme un caffè in un bar, poi Carol
scappò a ritoccare le unghie ad una delle sue clienti e
Jenny tornò a casa con la testa piena di preoccupazioni,
cercando di fare in fretta perché quello era il giorno in
cui la donna filippina faceva le pulizie e Mark si era dimenticato di
lasciarle il compenso sul comodino dell’ingresso.
Aspettò impaziente il tram, pensando che a tutti i problemi
che aveva adesso se n’era aggiunto un altro. A Carol piaceva
qualcuno della nazionale e voleva incontrarlo. Di chi poteva trattarsi?
Di Benji? Tom? Ed? Poteva essere chiunque. Sperava solo che non si
fosse presa una cotta né per Holly né per Julian.
In definitiva per nessun altro già impegnato. E se si fosse
trattato di Philip? Sarebbe stato talmente assurdo che le venne da
ridere.
*
Richard Hall era ubriaco come Philip non l’aveva mai visto,
ma nella semioscurità del salone, illuminato da un surrogato
di luci colorate da discoteca, il suo viso disfatto non era
particolarmente impressionante. Sedeva da solo al tavolino rotondo che
era stato spostato in un angolo del salotto per lasciare spazio al
centro. Philip era appena arrivato, non si era ancora neppure tolto la
giacca. Aveva individuato Richard e dopo aver afferrato al volo una
birra al tavolo del buffet, l’aveva raggiunto. Davanti al
compagno campeggiava l’intera raccolta di pastiglie a
disposizione degli invitati, un’abbondanza che
lasciò Philip di stucco. Che stava succedendo quella sera?
Cercò il padrone di casa ma non lo vide da nessuna parte,
chissà dove s’era ficcato.
-Come va la serata?- chiese al compagno.
Quello rise.
-Mai andata meglio! Guarda quanto bendiddio…-
indicò con le mani le allegre compresse di vari colori che
riempivano ciotole e piattini -Sono tutte così invitanti che
non riesco a decidermi.-
Philip accennò un sorriso, poi si guardò intorno
restando in piedi. Ogni volta che partecipava a una di quelle feste vi
trovava gente diversa. Soprattutto le ragazze, che per la maggior parte
sembravano essere uscite da riviste patinate e pubblicità di
moda. Come faceva Baird a trovarle? Era in contatto con qualche studio
televisivo o fotografico? Ma soprattutto come poteva, un tipo come
Baird, avere tanti amici? Era la persona più prepotente e
insopportabile che Philip avesse mai conosciuto. Superava per perfidia
persino alcuni suoi ex compagni di scuola del liceo. Ancora non
riusciva a spiegarsi come facesse Richard a sopportarlo. A guardarli
sembravano amiconi, stavano sempre appiccicati, dove andava
l’uno andava l’altro. Eppure Richard gli pareva di
tutt’altra pasta. Ma in fondo a lui che gliene importava?
Abbassò gli occhi sul compagno di squadra che esaminava le
pasticche pensieroso e si sedette al suo fianco, poggiando la birra sul
tavolo.
-Quante te ne sei fatto?-
-Neppure una. Devo ancora cominciare.-
-Dalla tua faccia non si direbbe. Che hai?-
-È colpa della birra, l’ho mandata giù
a stomaco vuoto.-
Una ragazza passò davanti a loro ancheggiando con quel
fazzolettino di gonna sui collant, il maglioncino incollato alle tette
che non valevano una seconda occhiata. Richard distolse lo sguardo
dalle sue natiche.
-Stasera la fauna non è un granché. La migliore
se l’è presa Daniel.-
Gli occhi di Philip vagarono per il salotto. Una ragazza lo
salutò, lui non la riconobbe ma rispose lo stesso con un
gesto della testa e l’accenno di un sorriso.
-Non te la ricordi, vero?- rise il compagno alla sua espressione
confusa -È la tipa con cui ti sei svagato la prima volta che
sei venuto qui.-
La curiosità spinse Philip a lanciarle una seconda occhiata
ma niente, buio fitto. Era umiliante che non ricordasse nulla di lei.
Cambiò discorso.
-Quindi Baird s’è preso la migliore.- rise -Ma non
è detto che lei sia disponibile.-
-Se la farà, te lo dico io. Daniel è stato
furbo.- Richard si allungò sul tavolo e afferrò
una piccola confezione bianca, anonima, che in mezzo a tutte quelle
anfetamine Philip non aveva neppure notato. L’aprì
con fare cospiratore e ne tirò fuori una bottiglietta di
vetro. Gliela mise sotto gli occhi -L’ha portata Dirk.-
-E chi è Dirk?-
-Il nostro fornitore.- rise sguaiatamente e la sua voce si perse nella
musica -Ci sono voluti mesi per rimediare questa roba! Qui in Giappone
è impossibile da trovare. Viene dagli Stati Uniti.-
ruttò -Questa bottiglietta è preziosa
più dell’oro, non hai idea di quanto valga. Daniel
s’è ritrovato una fila di coglioni che aspettano
il loro turno per provarla. Pagando una quota bella sostanziosa,
ovviamente.-
-Cos’è?-
Richard allungò la bottiglietta a Philip e quando lui fece
per prenderla ritirò di colpo la mano. Lo fissò
negli occhi.
-Sai mantenere un segreto, Callaghan?-
Lui annuì, serio. Richard gli porse di nuovo la boccetta e
Philip la strinse tra le dita. Era di vetro opaco marrone, come quella
di uno sciroppo per la tosse, ma molto più piccola. Aveva un
tappo di plastica e un’etichetta bianca con una scritta nera:
GHB. Philip lesse ma non capì. Posò la boccetta
sul tavolo e la spinse verso l’amico, perdendo subito
interesse. Quella sera aveva deciso di non strafare, non avrebbe
mandato giù niente di illegale. Si sarebbe limitato
all’alcol, e non troppo. Si guardò di nuovo
intorno mentre il suo stomaco, stimolato dalla birra, protestava per la
fame.
-Che c’è da mangiare?-
La sua domanda cadde nel vuoto. Hall borbottò qualcosa ma
Philip non capì. Era scivolato sul tavolo, la testa
sprofondata tra le braccia. Parlava da solo, biascicava parole
completamente incomprensibili. Era chiaro che gli aveva mentito,
chissà quanta roba aveva mandato giù. Gli si
accostò e gli posò una mano sulla spalla.
-Tutto a posto? Richard, ti senti male?-
Quello scoppiò a ridere, alzò il viso e lo
fissò. Aveva le guance arrossate e i capelli scuri e lunghi
gli ricadevano sugli occhi spiritati.
-Ci vuole poco a conquistare una donna, con quella roba! Sai
cos’è?-
L’amico scosse la testa.
-Roipnol.-
Quel nome non gli disse nulla. Richard se ne accorse e insistette a
spiegare.
-È impossibile che tu non ne abbia mai sentito parlare.- lo
fissò incredulo, un sorrisetto saccente -La chiamano anche
la droga dello stupro!-
A Philip parve che la musica tacesse di colpo, il tempo si fermasse.
Ogni nervo del suo corpo si bloccò, il gelo lo invase, il
cuore mancò un battito, i muscoli gli si tesero. Quella
parola, quell’ultima parola, gli si conficcò nel
cervello come una stilettata, si sentì precipitare in un
baratro dove non c’era più niente. Non
c’era la festa, non c’era la musica, non
c’erano le luci stroboscopiche, non c’era tutta
quella gente, non c’erano le anfetamine, non
c’erano le ragazze ancheggianti, non c’era quel
tavolo, la birra, non c’era Richard. Non c’era
nessuno, era solo in un baratro buio e profondo dove la luce non
arrivava e l’aria era irrespirabile. Durò un
istante, il tempo di un battito del cuore. Poi la musica
tornò ad assordarlo, i secondi ripresero a scorrere e lui a
vivere.
-Cos’hai detto?-
-Quella roba è un portento! Solo una mente malata poteva
metterla in commercio. È incolore, insapore e fa perdere
ogni resistenza fisica. Daniel non andrà in bianco, te lo
dico io!- si appoggiò alla spalliera della sedia e gli
puntò un dito contro, la sua espressione carica di
improvvisa disapprovazione -E ti dico anche che così non si
fa! Non si conquista in questo modo una ragazza. Che senso ha se poi
neppure ricorderà che hai scopato con lei?-
Philip si rese conto che non riusciva a muoversi. Guardava Richard con
gli occhi spalancati, pieni di orrore. Era bloccato lì, la
birra gli si era rivoltata in gola e nello stomaco. Hall
continuò a parlare, strascicando le parole.
-Gliel’ha messa nel cocktail, tra poco sarà cotta.
Lui se la scoperà e lei non ricorderà
nulla…- ripiombò con la testa sul tavolo.
Philip lo guardò sgomento, poi allungò rapido una
mano, afferrò la bottiglietta e la strinse tra le dita, gli
occhi fissi su quelle tre lettere. GHB. Infine reagì. Se la
infilò in tasca col desiderio di distruggerla e si
guardò intorno in cerca di Daniel. Doveva inventarsi
qualcosa. Non poteva non fare niente. Non poteva lasciar perdere, far
finta di non aver udito. Se ne sarebbe pentito fino alla morte. Quel
mostro di Baird aveva intenzione di approfittarsi di una ragazza inerme
e lui doveva fermarlo ad ogni costo. I suoi occhi guizzarono
tutt’intorno, al centro del salotto c’era una bella
calca e non riuscì a vederlo tra la gente che ballava.
Forse non era lì ma già dentro qualche stanza.
Forse aveva già finito. Forse non sarebbe riuscito a
fermarlo. Forse non avrebbe potuto fare niente neppure questa volta.
Eppure, maledizione, questa volta doveva almeno provarci!
Girò intorno agli ospiti costeggiando poltrone e divani e
imboccò il corridoio. Se lo trovò davanti di
colpo, accanto ad una porta appena socchiusa, la ragazza appoggiata
contro il muro. Il sollievo lo fece esitare, la situazione non sembrava
grave quanto aveva immaginato. Lui la baciava, tenendole una mano sulla
nuca. L’altra era sul suo seno. Le braccia della giovane
ricadevano lungo i fianchi, come gli arti senza vita di una bambola.
Philip riuscì a raggiungerli un attimo prima che lui
trascinasse la sua preda nella stanza.
-Baird.- gli posò una mano sulla spalla. Daniel si volse
lentamente, fin troppo, e gli dedicò un sorriso vacuo. Era
ubriaco anche lui.
-Ciao, Callaghan.-
-Chi è lei?-
La osservò. Indossava un abito nero senza maniche che le
arrivava alle ginocchia, con delle paillettes intorno alla scollatura
che brillavano vivaci molto più del suo sguardo. I suoi
occhi erano aperti ma rivolti verso terra e sembravano non vedere
nulla. Era lui a sostenerla, da sola non sarebbe riuscita a restare in
piedi.
-Ti piace?- le sollevò il volto con una mano per permettere
all’amico di guardarla. La giovane reagì
accennando un fievolissimo sorriso.
Philip scosse la testa. Poi afferrò la ragazza per il polso
e la tirò verso di sé, lontana dalla stanza e
lontana da Daniel.
-Sei un bastardo schifoso, Baird!-
Lui lo fissò incredulo, le labbra socchiuse, in cerca di
parole che non riusciva a pronunciare. Impiegò qualche
istante a reagire perché all’inizio non
capì. Lo vedeva annebbiato, il compagno. Evanescente come in
una nuvola di fumo. Quando fece un passo verso di loro, Philip
allungò un braccio e lo spinse indietro con violenza,
mandandolo ad urtare contro lo stipite della porta.
-Che fai?-
-Me ne vado.- sibilò Philip tra i denti, fremente di
indignazione -E lei viene con me.-
-Vuoi fartela tu?-
Philip fu tentato di mollargli un pugno e se non avesse dovuto tenere
in piedi quella tipa, lo avrebbe certamente fatto. La ragazza aveva
appoggiato la testa contro la sua spalla e non diceva nulla. Il suo
petto si alzava e si abbassava piano, al ritmo del respiro. La
guardò un secondo, poi tornò a fissare il
compagno di squadra. Quando parlò di nuovo, la sua voce
trasudava ira e disapprovazione.
-Cos’hai fatto? L’hai drogata?-
-Io? Ma ti pare?- un attacco di ilarità quasi lo
piegò in due. Poi fu scosso da un conato di vomito. Si
portò una mano alla bocca e divenne cadaverico. Lo
fissò con gli occhi spalancati e le labbra tese, poi si
volse e sparì dietro la porta del bagno.
Rimasto solo con la giovane che gli gravava addosso, Philip si chiese
d’un tratto se il suo eroico intervento non fosse stato
inutile. Forse in quelle condizioni Baird non avrebbe potuto
approfittarsi di nessuno e adesso lui, dopo ciò che gli
aveva appena detto, se l’era inimicato per
l’eternità. Si domandò se non avesse
fatto una stronzata. Probabilmente sarebbe dovuto restare al tavolo di
Richard a sparare cazzate insieme a lui e a banchettare con
l’ecstasy. Adesso cosa doveva farsene di quella tipa? Dove
lasciare quel corpo abbandonato contro il suo, completamente
incosciente e privo di forze? Si guardò intorno, illuminato
da un’idea. Poteva portarla in qualche stanza e metterla a
letto. Ma se poi fosse finita tra le grinfie di qualcun altro privo di
scrupoli come Daniel? O magari talmente fatto da non capire
più la differenza tra il morale e l’immorale?
Ormai aveva saputo, era intervenuto e non poteva assolutamente
lavarsene le mani. Eppure si era ficcato in un bel casino. Baird
già non lo sopportava, ora se la sarebbe legata al dito per
sempre. Bene, quella era senza dubbio l’ultima volta che
partecipava alle feste del compagno di squadra. Non sarebbe
più stato invitato e se per sbaglio fosse successo, avrebbe
rifiutato. Lo promise a se stesso. Non voleva avere casini, non sarebbe
più andato. Era chiaro che ciò che vi avveniva e
che si consumava non facevano per lui.
Raggiunse l’ingresso con quel carico ingombrante, nessuno
fece caso a loro. Insieme sembravano semplicemente una coppia che
lasciava la festa. Aprì la porta e fu fuori senza che
nessuno rivolgesse loro la parola.
Sulle scale la giovane rischiò di scivolargli, allora se la
caricò tra le braccia e la portò così,
semi svenuta, fin sul marciapiede. Solo quando fu per strada si rese
conto che lei era senza cappotto. A ricoprirla solo quel leggero
vestito nero. Si chiese per un attimo se fosse il caso di tornare
indietro, poi capì che sarebbe stato totalmente inutile. Non
avrebbe saputo dove andare a recuperare le sue cose. Raggiunse la
macchina, l’aprì e penò non poco per
riuscire a metterla seduta. Gambe e braccia ricadevano ovunque. Sotto
il sedile, contro il cambio, incastrate sul freno a mano, addosso al
cruscotto e nel portaoggetti…
Nonostante il freddo, nonostante il respiro gli si condensasse in
nuvolette, nonostante i fiocchi di neve che avevano cominciato a cadere
svolazzando nell’aria come farfalle, sudò per
riuscire a sistemarla sul sedile e ad allacciarle la cintura di
sicurezza. Si sfilò la giacca e gliela avvolse addosso,
richiuse lo sportello, girò intorno alla macchina e
salì dall’altra parte. Mise in moto, accese le
luci e si volse a guardarla. Lei teneva gli occhi chiusi, la testa
abbandonata da un lato, i capelli a ricoprirle parte del viso. Sembrava
essersi addormentata.
Imboccò la strada di casa, la strada che portava al suo
attico in centro. Non aveva altra scelta, con lei non poteva andare da
nessun’altra parte se non lì. Se solo avesse
saputo dove abitava, l’avrebbe riaccompagnata a casa. Ma lui
tutte le sue cose, il cappotto, la borsetta, il cellulare, le aveva
lasciate a casa di Baird. Era proprio un deficiente.
S’infilò nel parcheggio sotterraneo e si
fermò nello spazio riservato al suo appartamento. Erano mesi
ormai che non posteggiava più la macchina lì.
Scese, girò intorno alla vettura e aprì lo
sportello del passeggero. La guardò, ancora dormiva, beata
lei. Praticamente non si era mossa. Chi diavolo glielo aveva fatto
fare? Come gli era venuto in mente di portarsi a casa quella perfetta
sconosciuta? Avrebbe potuto restare con lei a casa di Baird, rimanerle
addosso come un cane da guardia, controllare che nessuno la
infastidisse, e si sarebbe risparmiato il viaggio e la fatica. Tirarla
fuori dalla macchina fu quasi più difficile che infilarcela.
Continuando a sbuffare come un mantice sotto il suo peso,
chiamò l’ascensore.
Le porte si riaprirono silenziosissime all’ultimo piano. Si
frugò disordinatamente nelle tasche, ne tirò
fuori le chiavi che aveva ritrovato, per fortuna, abbandonate da mesi
nel portaoggetti dell’auto, e fece scattare la serratura.
Entrare in quella casa fu come tuffarsi indietro nel tempo, in un mondo
ormai passato ma ancora pieno di sofferenza. Scacciò la
sensazione che lo attanagliava perché non era quello il
momento di lasciarsi andare a inutili nostalgie.
Si sfilò le scarpe, sollevò la giovane tra le
braccia, raggiunse la camera e la depositò piano sul letto.
Poi la ricoprì con un plaid e la lasciò sola a
riposare in pace. Rifece il tragitto inverso molto più
lentamente, mentre i ricordi di quella casa e di quella vita gli
lambivano la mente. Nel salotto si fermò davanti alla
portafinestra che dava sul balcone. Avanzò verso i vetri
chiusi, osservò le luci notturne della città che
splendevano contro un cielo di velluto nero, l’orologio della
torre della tv segnava le tre e un quarto. Aprì il pannello
scorrevole e uscì sul balcone. Venne investito dal freddo e
da una raffica di vento che portò con sé
minuscoli fiocchi di neve. Gli accarezzarono il viso con le loro
particelle di ghiaccio, un tocco sottile, effimero, evanescente. Philip
rimase immobile, gli occhi sulla città addormentata, il
rombo attutito di qualche macchina sporadica che percorreva il viale
decine di metri più in basso. Il silenzio di quella notte
avvolgeva tutto ma non avvolgeva il passato che era sempre
lì, nascosto e pesante, ancorato in fondo alla mente,
indelebile. Cosa ci faceva in quella casa in cui si era ripromesso di
non entrare più? Perché era tornato? Avrebbero
potuto trascorrere la notte in macchina. Meglio sugli scomodi sedili
che lì. Lei non si sarebbe accorta di niente e lui avrebbe
dormito lo stesso. Sapeva addormentarsi dovunque, se era stanco.
Rabbrividì quando una nuova raffica di vento gli
scompigliò i capelli. La neve gli finì negli
occhi e tra le ciocche inumidite dai fiocchi. Rientrò per
evitare una polmonite. Richiuse la finestra e accese i riscaldamenti.
Si sedette sul divano, davanti allo schermo della tv spenta e rimase al
buio, mentre i ricordi che aveva fatto così tanta fatica a
scacciare l’assalivano di nuovo. Adesso che aveva varcato la
soglia di casa, immerso in un ambiente troppo impregnato di essi, non
poteva far nulla per impedire loro di ronzargli intorno come satelliti
in orbita. Era impossibile ignorarli, e impossibile credere che il
passato un giorno sarebbe scomparso.
L’ultima volta che avevano dormito insieme in
quell’appartamento lo avevano fatto separati, Philip sul
divano e Jenny nel letto, nello stesso letto su cui aveva adagiato la
vittima di Baird. Quella sera era tornato tardi, quando aveva messo
piede in casa Jenny dormiva già ma aveva lasciato la luce
accesa dalla sua parte del letto e il pigiama ben ripiegato sul
cuscino. Si era fermato sulla soglia della stanza, l’aveva
guardata a lungo mentre una sofferenza atroce gli si era conficcata
dentro, ancora una volta. Jenny giaceva girata su un fianco, i capelli
scuri sparpagliati sul cuscino. La coperta le celava parte del viso e
lui riusciva a scorgere solo gli occhi chiusi e le guance ombreggiate
dalle ciglia. D’un tratto le aveva voltato le spalle ed era
andato in cucina dove si era versato dell’acqua.
Dalla cucina era passato in salotto, si era lasciato cadere sul divano
e aveva acceso la tv. Ricordava di essersi svegliato la mattina
successiva intorno alle sei, la televisione spenta, un plaid ad
avvolgerlo. Philip si era alzato, era arrivato in punta di piedi fin
sulla porta della camera da letto. Aveva visto Jenny ancora sotto le
coperte, ancora profondamente addormentata, rivolta verso la parte che
Philip aveva lasciato vuota per tutta la notte, il volto contro il suo
cuscino e tra le pieghe del pigiama che lui non aveva indossato. Era
sola e quasi persa in un letto che nella sua solitudine sembrava
immenso.
Era entrato silenziosissimo, aveva recuperato alcuni vestiti
dall’armadio ed era andato in bagno per cambiarsi. Nel giro
di dieci minuti, senza che lei si accorgesse di nulla, aveva lasciato
l’appartamento e si era recato al campo per lo stretching
della mattina. Era arrivato in un’ora indecente, il custode
non aveva ancora aperto i cancelli. Era rimasto al caldo, in macchina,
ad aspettare che arrivasse l’ora dell’appuntamento
con il resto della squadra e si era addormentato sul sedile
finché Peter, alle dieci in punto, aveva bussato sul
finestrino facendogli prendere un colpo.
Poi allo stadio, quello stesso giorno, era successo il disastro.
Avevano giocato contro il Nagoya Grampus di Ed Warner e per tutto il
primo tempo nessuna delle due squadre era riuscita a segnare.
L’incapacità di portare il Sapporo in vantaggio
l’aveva reso nervoso. Poi c’era stato un fallo.
Philip era rimasto sofferente a terra, a stringersi una gamba tra le
mani, puntini luminosi che gli danzavano davanti agli occhi. Nonostante
ciò, il gioco non si era fermato, lui aveva fatto uno sforzo
per ricacciare il dolore in un angolo del cervello, si era alzato e
aveva ripreso a correre.
Richard Hall aveva recuperato la palla e l’aveva allungata a
Peter. Baird era sull’altra metà campo,
completamente libero. Ma i suoi tiri erano pericolosamente imprecisi, e
Philip non si fidava a passare a lui. Ed Warner, tra i pali, era
già pronto a fermarlo. Philip era riuscito a liberarsi di
una marcatura, Peter gli aveva allungato la palla, poi un difensore del
Nagoya gli aveva fatto un altro brutto fallo. Stavolta aveva impiegato
più tempo a mettersi in piedi, fitte lancinanti che dalla
caviglia pulsavano nella testa. Il mister dalla panchina aveva fatto
alzare una riserva con tutte le intenzioni di sostituirlo. Quando
Philip se n’era accorto, si era sbracciato per fargli capire
che non sarebbe uscito, che ce la faceva ancora. Aveva cercato la
palla, l’aveva trovata a pochi metri di distanza tra un
gruppo di giocatori di entrambe le squadre. Li aveva raggiunti, con
l’appoggio di Richard aveva fatto tornare il pallone alla
squadra. Per uscire dalla mischia aveva mollato una gomitata allo
stesso giocatore che pochi minuti prima l’aveva buttato a
terra e questa volta l’arbitro aveva fischiato, il cartellino
giallo era spuntato tra le sue dita. Philip, il calzettone imbrattato
di sangue, il ginocchio sbucciato e una caviglia quasi fuori uso, non
ci aveva visto più. Aveva preso a protestare, infuriato,
avanzando dritto verso l’arbitro. Peter lo aveva trattenuto
mentre gli vomitava addosso una lunga serie di insulti che avevano
provocato un’immediata espulsione. Il mister lo aveva accolto
in panchina con tutto lo sdegno di cui era stato capace.
“Callaghan! Che accidenti combini?”
“Ho subito due falli e l’arbitro ha fatto finta di
niente!”
“E allora?”
“Allora dovevo lasciare che mi maciullassero le gambe?
È per questo che mi pagano?”
“Ti pagano per mandare la palla in rete, non per litigare con
l’arbitro!”
Philip aveva ingoiato una valanga di invettive, gli aveva voltato le
spalle ed era rientrato negli spogliatoi. Nei corridoi si era quasi
scontrato con Jenny. Trovarsi faccia a faccia con lei, con la sua
espressione sconvolta, era stato come ricevere l’ennesimo
schiaffo. I suoi occhi che lo fissavano sgomenti, preoccupati,
increduli, lo avevano fatto sentire un tale schifo che in quel momento
l’aveva odiata con tutto se stesso. L’aveva
assalita.
“Che vuoi?”
“Philip, cos’è successo?”
“Non l’hai visto? Non stavi seguendo la partita?
Cosa sei scesa a fare? Torna da Grace.” le aveva ordinato e
quando lei aveva cercato di protestare, l’aveva assalita di
nuovo “Torna in tribuna, non ti voglio qui!”
Jenny aveva chinato la testa, remissiva.
“Va bene, ci vediamo dopo.”
L’aveva guardata, aveva visto i suoi occhi riempirsi di
lacrime e si era sentito una schifezza. Jenny stava di nuovo soffrendo
per colpa sua, per l’ennesima volta in quell’ultimo
anno. Invece di scusarsi, era esploso. Un fiume di parole senza senso
gli era uscito dalle labbra.
“No, dopo non ci vediamo. È arrivato il momento di
chiudere, visto che non so più cosa ci facciamo insieme.
È molto meglio se ci lasciamo.”
Lei si era gelata, lo aveva fissato incredula.
“Stare con te è l’unica cosa che
desidero, Philip…” aveva tentato inutilmente.
Ma con nessuna parola, nessuna lacrima era riuscita a scalfire la sua
ira devastante. Non l’aveva ascoltata, aveva smesso persino
di guardarla, di vedere la sua amarezza, l’umiliazione che
aveva potuto leggere nella contrazione dolorosa del suo viso.
Le aveva voltato le spalle ed era rientrato negli spogliatoi fremente
di collera, incapace di calmarsi, ma convinto di aver fatto bene. Era
arrivata l’ora di lasciarsi, di mettere la parola fine a
qualcosa che non era più neppure un rapporto. Lui e Jenny
non si capivano più, a mala pena si parlavano. E allora per
quale motivo continuare a stare insieme e a farsi del male? Lei aveva
sofferto e soffriva ancora per colpa sua, perché lasciare
che le cose continuassero in questo modo?
Quel giorno era stato totalmente incapace di comprendere a cosa aveva
voltato le spalle. Non si era reso conto di cosa aveva scelto di
perdere, di cosa aveva deciso di privarsi, non era stato in grado di
vedere che genere di futuro, vuoto e senza senso, si era plasmato con
le proprie mani. Avrebbe impiegato giorni a capirlo ma alla fine il
rimorso sarebbe arrivato, più bruciante che mai.
Philip osservò il salotto immerso
nell’oscurità. Nonostante il buio riusciva a
scorgere i profili dei mobili che lo arredavano. Lo schermo piatto
della tv appeso al muro, la libreria a vetri in cui erano sistemati in
bell’ordine piatti e bicchieri e che nei piani più
alti conteneva i loro libri, i loro CD e i loro DVD, una collezione che
avevano creato insieme negli anni. Il divano su cui sedeva lo avevano
scelto insieme, i cuscini che lo abbellivano li aveva cuciti la nonna a
Shintoku. I suoi occhi vagarono a caso e si fermarono sulla porta
d’ingresso dell’appartamento, che risaltava nera
contro le pareti bianche.
Perché quel giorno allo stadio le aveva detto quelle cose?
Philip in vita sua non aveva mai trattato nessuno così male.
Allora perché aveva infierito con tanta crudeltà
sull’unica persona che amava più di se stesso e
che assolutamente non lo meritava? Aveva vinto lui, avevano vinto i
suoi sensi di colpa. L’aveva fatta andar via, se
l’era lasciata scivolare dalle dita… E adesso non
gli restava altro da fare che ricostruirsi una vita decente senza di
lei.
Alle sei e mezza la sconosciuta lo raggiunse nel salotto. Philip si era
appisolato, era crollato di stanchezza, ma la sentì arrivare
lo stesso. I suoi passi nel corridoio lo fecero saltare su come una
molla. La sua silhouette gli comparve davanti e
nell’appartamento appena rischiarato dall’alba per
un attimo, per un solo istante, fu certo di trovarsi faccia a faccia
con Jenny.
-Ciao…- la ragazza avanzò silenziosa a piedi nudi
sul morbido tappeto steso tra il divano e la tv. Rimase in piedi a
guardarlo curiosa, poi gli si accostò senza mostrare il
minimo timore -Dove siamo? Questa non è la casa di Daniel.-
-Da me.- la guardò. Al chiarore che filtrava dalle finestre
poté scorgere soltanto i tratti del suo bel viso e il
luccichio dei suoi occhi che lo fissavano curiosi.
-Perché?-
-Ti sei sentita male e ti ho portata via.-
-Davvero?-
Philip annuì, ma forse lei non gli credeva. Eppure
cos’altro poteva dirle? Che l’aveva salvata da un
rapporto sessuale non consenziente di cui non avrebbe ricordato nulla?
Che poi sarebbe stato davvero un rapporto non consenziente? Forse Baird
le piaceva e sarebbe stata contenta di concedersi a lui.
C’era anche la possibilità che Daniel non avesse
usato realmente quella roba di cui sentiva ancora la forma e la durezza
nella tasca dei jeans. Poteva semplicemente trattarsi del vaneggiamento
di un Richard ubriaco, a cui lui aveva creduto senza esitazioni.
Lei gli si sedette accanto.
-Mi chiamo Sheryl.-
-È un bel nome.-
-Grazie. Dov’è la tua ragazza? Sa che mi hai
portata qui?-
Philip s’irrigidì.
-Quale ragazza?-
Lei esitò, chiedendosi se avesse sbagliato.
-Ho visto le foto in camera, e…-
-Non ce l’ho la ragazza.-
Non si accorse neppure di mentirle, visto che in quel momento
frequentava Julie. Trattenne il fiato, sperando che non continuasse a
chiedere. Doveva aver visto le foto sue e di Jenny, quelle foto verso
cui, quando l’aveva depositata sul letto, aveva fatto bene
attenzione a non girarsi. Era passato davanti al comò ed era
riuscito a non posare gli occhi sul ripiano. In questo il buio gli era
stato immensamente d’aiuto. Eppure l’aveva
percepito lo stesso, il peso dei ricordi che quelle foto
rappresentavano. Li aveva percepiti fino a poche ore prima, da quando
aveva messo piede nell’appartamento, finché non si
era addormentato sul divano. Lo avevano frastornato, ne era stato
sopraffatto e lo avevano lasciato senza forze. Si alzò per
creare più spazio tra loro.
-Vuoi qualcosa da bere?-
Lei scosse la testa.
-Nulla grazie. Mi sento lo stomaco scombussolato.-
-Ti riaccompagno a casa?-
Lei rise.
-Sei impaziente di liberarti di me?- lo guardò.
Più il cielo si schiariva e più lei riusciva a
scorgere i tratti del suo viso -Giochi in squadra con Daniel?-
Philip annuì.
-Allora può darsi che ti abbia visto al campo.-
-È probabile.- anche se lui, di lei, non si ricordava per
niente.
Fu quando Sheryl andò in bagno che Philip ebbe il coraggio
di affacciarsi in camera da letto, il bisogno improvviso di posare gli
occhi sulle foto di cui lei gli aveva parlato. Si fermò
sulla soglia, mentre il sole che spuntava nel cielo latteo illuminava
il palazzo di fronte. I raggi si riflettevano sulle pareti lucide e
s’incanalavano a fasci dentro la stanza. Era moderna, forse
un po’ spoglia. Del resto non avevano fatto in tempo ad
arredarla completamente, si erano lasciati prima. Le foto che aveva
visto Sheryl erano quelle sul comò e raffiguravano Jenny da
sola, poi lui e Jenny, Jenny ancora una volta da sola, e poi di nuovo
insieme alla fattoria di Geral Pepper, sullo sfondo i campi di lavanda
in fiore. Philip non aveva messo più piede in quella camera
da quando Jenny se n’era andata, così non sapeva
neppure cosa lei avesse lasciato e cosa avesse portato via e solo in
quel momento si stava rendendo conto che lei aveva deciso di non
mettere in valigia le cornici, di non portarsi via i ricordi ma di
lasciarli a lui con tutto il loro insopportabile peso. Distolse gli
occhi dalle foto e li spostò sul letto. La coperta, sempre
perfettamente in ordine, era stata spiegazzata dal sonno di Sheryl e il
plaid giaceva ammucchiato da una parte.
-Dove sono le mie cose?-
La sua voce improvvisa lo fece quasi sussultare. Si volse a guardarla.
-Sono rimaste da Daniel.-
-Mi accompagni a prenderle?-
-È troppo presto, starà ancora dormendo.-
Lei diede un’occhiata alla sveglia sul comodino.
-Hai ragione.- gli sorrise -Intanto facciamo colazione, che ne dici?-
-Non ho niente da mangiare.-
-Non importa. Usciamo.- lo prese per mano e lo trascinò nel
corridoio -Non possiamo morire di fame e io ho una voglia matta di una
ciambella di Mr Donut.-
Quando furono sulla porta, Philip fu costretto a tornare indietro in
cerca di una giacca da metterle addosso.
Era ancora notte fonda quando Amy si mosse piano sotto le coperte e
tirò i piedi fuori dal letto. Li poggiò sul
parquet freddo e si alzò silenziosissima per non svegliare
Julian che le dormiva accanto. I genitori di lui erano in settimana
bianca e loro due ne avevano approfittato per stare un po’
insieme. Era ora che si decidessero ad andare a convivere, lui premeva
perché si organizzassero, ma qualcosa la frenava impedendole
di compiere quel passo. Forse era la prospettiva di rimanere sola per
la maggior parte del tempo ad aspettare che lui tornasse dagli
allenamenti o dalle lezioni all’università, che la
rendeva titubante dall’abbandonare la casa confusionaria dei
suoi genitori dove viveva con la sua splendida mamma, un fratello
maggiore, una sorella minore, due pesci rossi, un cane, un coniglio
nano e un padre che l’adorava.
S’infilò un cardigan verde acqua che usava come
vestaglia, cercò a tentoni le pantofole finite come al
solito sotto il letto e lanciò un’occhiata
timorosa al fidanzato. Julian dormiva a pancia in giù,
voltato dall’altra parte. Le coperte gli erano scese sulla
schiena e Amy esitò a ricoprirlo. Aveva paura che si
svegliasse. Lasciò perdere, tanto presto sarebbe tornata a
letto, e uscì dalla stanza in punta di piedi. Se si fosse
accorto che si era alzata, gli avrebbe detto che era andata in bagno.
Non le piaceva mentirgli ma in fondo sarebbe stato a fin di bene. Se
Julian avesse saputo cosa stava per fare, probabilmente avrebbero
finito per litigare.
I bisogni fisiologici, in quella fuga notturna, non
c’entravano niente. La realtà era
un’altra. Amy quella mattina aveva saputo di Benji, di quello
che era successo durante la partita contro il Bayern che risaliva ormai
a qualche giorno prima. Era stata Evelyn ad avvertirla. Amy era sicura
che anche Julian lo sapesse ma avesse preferito non dirle niente. Non
parlava mai volentieri con lei di Benji.
Era così dall’incidente dell’inverno di
quasi tre anni prima a Shintoku, quando lei gli era caduta addosso
mentre pattinava sul laghetto. L’aveva travolto schiantandolo
a terra, erano rimasti incastrati tra i rami di un albero caduto.
Avevano cercato di tirarsi su e ci erano riusciti solo
dopo alcuni inutili tentativi, l'ultimo dei quali
l'aveva fatta scivolare e le loro labbra si erano sfiorate. Julian
aveva assistito da lontano all’intera scena, tenuto fermo dai
compagni che si erano divertiti a spiarli senza intervenire. E quando
finalmente era riuscito a liberarsi di loro, l’aveva
raggiunta fuori di sé. E poi c’era stata la
questione della foto che Bruce aveva scattato a tradimento quando lei e
Benji, quello stesso giorno, si erano rifugiati nella stanza delle
ragazze a compilare un sudoku in santa pace. Non c’era niente
in quella foto, lei gli stava semplicemente cospargendo le labbra
screpolate di burro di cacao, un particolare che Bruce non era riuscito
neppure a riprendere. Ma erano venuti troppo vicini e la promessa fatta
a Benji di non dire nulla del maledetto burro di cacao aveva reso tutto
più complicato, facendo ingelosire e insospettire Julian
inutilmente. Agli occhi del fidanzato un niente assoluto aveva preso
proporzioni gigantesche e lei che, per mantenere la promessa, si era
imposta di non dargli spiegazioni, aveva sperato che presto o tardi
Julian se ne dimenticasse. Non era sicura che ciò fosse
avvenuto. E poi c’erano stati i frequentissimi viaggi a
Fujisawa per accompagnare Jenny da Nicole. L'amica all’inizio
era stata titubante, le aveva detto di non avere la forza di affrontare
la terapia. Preferiva restare a casa, se possibile cercare di
dimenticare tutto. Amy aveva insistito, le aveva detto di provare
almeno una volta, che poi poteva sempre lasciar perdere. Si era offerta
di farsi trovare all’aeroporto, di accompagnarla da Nicole e
restare con lei per tutto il tempo necessario. Jenny aveva avuto
bisogno della spinta e del sostegno di una persona amica e oltre Amy
non c’era nessun altro. Patty era a Barcellona con Holly,
Evelyn non era neppure da prendere in considerazione e Jenny voleva a
tutti i costi tenere Grace, la sua amica più cara, fuori da
quella storia. Philip non era mai stato preso in considerazione.
Nonostante la maretta sollevata da Julian per la sua scelta, Amy non si
era tirata indietro e aveva risposto al fidanzato che parlare con
Nicole prima e dopo la terapia, era almeno cinque volte più
interessante che ascoltare i suoi professori durante le lezioni
all’università.
E Julian aveva abbozzato finché aveva potuto, rispondendo
con la censura alla sua decisione di frequentare casa Price. Vero che
Benji per la maggior parte del tempo era in Germania, ma era vero anche
che un paio di volte si erano incrociati, in concomitanza con gli
incontri della nazionale. Con l’andare del tempo ogni
argomento che riguardasse Fujisawa e i week-end che lei passava
lì insieme a Jenny erano diventati tabù.
All’inizio Amy aveva reagito al suo fastidio raccontando a
Julian tutto ciò che succedeva, per dimostrargli che non
aveva proprio nulla da nascondergli. Ma poi l’entusiasmo che
lei lasciava involontariamente trapelare parlando delle lunghe
conversazioni con Nicole, aveva peggiorato la situazione. Alla fine
aveva capito che l’argomento non era assolutamente gradito e
semplicemente non ne avevano più parlato.
Quella mattina, dopo che Evelyn l’aveva chiamata per
raccontarle di Benji, aveva cercato disperatamente su internet notizie
più precise. In giapponese non aveva trovato quasi niente,
gli articoli in inglese che parlavano della sconfitta
dell’Amburgo si contavano sulla punta delle dita di una mano.
Allora aveva provato su youtube inserendo nella casella di ricerca il
nome di entrambe le squadre. Aveva trovato i momenti salienti della
partita e aveva salvato i vari link tra i preferiti. Aveva aspettato il
momento opportuno e quando, dopo pranzo, prima di raggiungere Julian
all’università, era rimasta finalmente sola in
casa, con Rascal il coniglio che saltellava qua e là sulla
scrivania mordicchiando le sue matite, era riuscita a vederla
praticamente quasi tutta. Era rimasta scioccata, impietrita, non aveva
fatto altro che pensarci per tutto il pomeriggio e la serata. E quella
notte le aveva tolto il sonno.
Accostò piano la porta della camera da letto, percorse tutto
il corridoio ed entrò nel salotto. Chiuse anche quella
porta, frugò nella propria borsa, tirò fuori una
carta prepagata per le chiamate internazionali (le sarebbe costato
molto meno che telefonare col cellulare) e afferrò il
cordless. Poi compose il numero di Benji. Aveva fatto i conti. Se in
Giappone erano le quattro di mattina, in Germania doveva essere quasi
ora di cena.
Fece squillare il telefonino del portiere per un tempo infinito,
finché non cadde la linea. Lui non le rispose, tuttavia non
riuscì a rassegnarsi a rinunciare. Era troppo preoccupata.
Decise di lasciar passare qualche minuto e riprovare. Raggiunse la
cucina, si versò un bicchiere d’acqua, poi
tornò nel salotto per un altro tentativo.
Benji era sprofondato nel divano di casa sua e cercava di riemergere
dall’incoscienza e dall’intontimento etilico. Il
trillo insistente del cellulare gli stava perforando i timpani e se
fosse riuscito a trovarlo lo avrebbe fatto smettere, con le buone o con
le cattive. Agitò le braccia intorno a sé,
tastando i cuscini. Lo sentiva persino vibrare, da qualche parte. Ma
chi cazzo era che rompeva i coglioni a quell’ora?
Incastrò le dita tra le pieghe della maglietta per cercarlo
nelle tasche dei pantaloni. Poi lo trovò quando mosse un
piede. Il cellulare era finito dalla parte opposta del divano, addosso
all’altro bracciolo. Riuscì a tirarsi su
scompostamente e ad afferrarlo, tutte le intenzioni di spegnerlo. Non
gli interessava sapere chi fosse. La testa gli faceva male, fitte di
dolore gli trapanavano il cervello. Strinse i denti mentre gli occhi
socchiusi e gonfi si abbassavano sul display illuminato. Quel bagliore
azzurro gli ferì lo sguardo. Si trovò a leggere
un numero che non conosceva di una chiamata proveniente dal Giappone.
Poteva essere chiunque, anche suo padre. Rispose in tedesco, brusco.
“Sono Amy.”
Il silenzio che provenne dall’altra parte del mondo, per lei
fu eloquentissimo. Benji non si aspettava una sua telefonata e non fu
contento di sentirla. Non quel giorno, non in quel momento, non in
quelle condizioni. L’assalì con voce roca,
sofferente, mentre allungava una mano verso il tavolo e prendeva un
bicchiere. Il ghiaccio non si era ancora sciolto del tutto.
-Cosa diavolo vuoi?-
“Benji, come stai?”
Le rispose con una risata secca, ironica, amara.
-Una favola! Sono stato appena mollato dalla mia squadra e dalla mia
ragazza. Come cazzo vuoi che stia?-
Amy non seppe quale delle due informazioni la sconcertò di
più, così ne scelse una a caso.
“Marianne?”
-Sì, quella stronza opportunista!-
Nonostante il suo tono scortese e i suoi modi bruschi, la
preoccupazione vinse la tentazione di riagganciare. Amy si fece
coraggio e cercò di proseguire.
“Cosa significa che la tua squadra ti ha mollato?”
il silenzio che seguì quella domanda fu interrotto da un
rumore strano che non riuscì a identificare. Una specie di
tintinnio.
-Significa che è andato tutto a puttane! Che
passerò il resto del campionato in panchina!- la sua voce si
spezzò di collera -Bastardi ingrati!-
Amy udì ancora il tintinnio e adesso riuscì a
metterlo a fuoco. Era ghiaccio che cozzava contro le pareti di un
bicchiere. Capì che Benji stava bevendo, molto probabilmente
qualcosa di forte. Non seppe cosa rispondergli, lo sentiva furioso e
terribilmente distante, molto più di quanto fisicamente lo
fosse davvero. Si bloccò, chiedendosi per un attimo cosa
avrebbe detto Nicole per tirarlo su di morale, per fargli sentire che
gli era vicina.
“Dove sei?”
-A casa! Dove cazzo credi che sia?- ci fu un secondo di silenzio -E
visto che non mi va di fare conversazione con nessuno, se hai finito
col tuo maledetto terzo grado ti saluto.-
Riagganciò di colpo, Amy non ebbe neppure il tempo di
salutarlo. Posò il telefono sul tavolino di fronte e si
strinse le ginocchia al petto. Benji non l’aveva mai trattata
in quel modo e non lo aveva mai sentito così. Lui era sempre
controllato, sapeva cosa faceva, riusciva ad affrontare ogni situazione
a testa alta, con la sua testardaggine, con la sua ostinazione, con il
suo sarcastico ottimismo. Gli occhi fissi sul cordless nero, si
rannicchiò sui cuscini e lasciò che
l’angoscia e la preoccupazione la riempissero, respirando
piano per non svegliare Julian.
Un senso di liberazione accompagnò il cellulare che Benji
gettò sul tavolino. La violenza dell’urto
staccò il coperchio posteriore e la batteria, che
scivolò a terra. Cosa cazzo voleva Amy da lui? Prenderlo per
il culo? Infierire insieme a Ross sulla sua umiliazione?
Non aveva mai sbagliato una volta, era stato per anni il miglior
portiere della Germania! Nel campionato precedente aveva fregato
persino Müller che alla fine si era fatto segnare da
Schneider. Lui no, lui non aveva lasciato passare una palla per
settimane! Si era fatto un culo immenso, era sempre stato presente agli
allenamenti! Era il vicecapitano dell’Amburgo, cazzo! E per
una volta che sbagliava, per un solo, unico e madornale errore, non
sarebbe sceso più in campo finché il mister non
avesse stabilito di averlo punito abbastanza! Cosa ci restava a fare in
Germania? Con la cazzata che aveva commesso si era giocato la carriera
e il posto di portiere titolare in ogni squadra della Bundesliga. E
oltretutto quella stronza di Marianne, come aveva saputo ciò
che era successo, era scomparsa, si era volatilizzata, nonostante i
regali che le aveva fatto, le centinaia di euro spese per portarla nei
posti più belli, costosi, di classe. Il mondo poteva andare
a farsi fottere tutto, lui non aveva bisogno di nessuno!
Alle due Jenny si svegliò di soprassalto. Aveva sognato
Philip e una versione più soft del loro ultimo litigio
avvenuto mesi prima nei corridoi del nuovissimo stadio di Sapporo.
L’episodio si era impresso a fuoco nella sua testa e
nonostante i mesi ormai trascorsi, ricordava ancora tutto
perfettamente, come se fosse successo il giorno prima. Philip era
particolarmente nervoso fin dalla mattina, o forse anche dalla sera
prima. Jenny non lo sapeva perché quando era rientrato a
casa lei dormiva già e non lo aveva sentito. Ma durante la
notte si era alzata e lo aveva trovato raggomitolato sul divano,
addormentato davanti alla tv accesa, come ormai succedeva troppo
spesso. Era rimasta a guardarlo dalla porta, gli occhi sul viso di lui,
illuminato dalle luci bianche e blu dello schermo. Poi si era fatta
coraggio ed era entrata portando con sé una coperta. Lo
aveva avvolto nel plaid, aveva spento la tv ed era tornata in camera.
Era riuscita a prendere sonno soltanto all’alba, la speranza
che Philip presto si svegliasse e la raggiungesse a letto. Quando aveva
aperto gli occhi era tardissimo e lui era già uscito.
Aveva pranzato da sola e poi aveva raggiunto lo stadio insieme a Grace.
Dagli spalti si era accorta che il malumore di Philip era sceso in
campo con lui, peggiorando con lo scorrere dei minuti. Poi
c’erano stati quei due falli, che l’arbitro aveva
fatto finta di non vedere o forse non aveva visto sul serio.
Dopodiché l’espulsione.
Jenny aveva chiuso gli occhi per non guardare Philip che usciva
adirato, sconfitto e umiliato. Si erano incontrati nel corridoio e non
appena aveva incrociato il suo sguardo, aveva capito che avrebbe fatto
molto meglio a non raggiungerlo. Quando lui l’aveva vista,
aveva reagito malissimo.
Jenny aveva provato il desiderio irresistibile di voltargli le spalle e
scappare, fuggire lontano per non ascoltare le parole che si erano
abbattute su di lei crudeli, senza senso, senza un motivo. Per sfuggire
al suo sdegno e alla sua collera, aveva abbassato gli occhi sul sangue
che gli imbrattava un ginocchio. Avrebbe voluto chinarsi e ripulirgli
la ferita come aveva sempre fatto, ma era rimasta impietrita dal suo
sguardo. Lui l’aveva prima aggredita, poi le aveva detto
chiaro e tondo che intendeva lasciarla. In quel momento aveva avuto
l’impressione che le lacrime l’avrebbero soffocata.
Aveva stretto inconsapevolmente le mani a pugno, come se ciò
avesse potuto darle forza. Si era rifiutata di far entrare quella frase
nella testa. L’aveva tenuta lontana per alcuni secondi,
finché aveva potuto farlo. Poi era giunta la consapevolezza
e lei era rimasta imbambolata in mezzo al corridoio, paralizzata da una
straziante sensazione di perdita, ad osservare le spalle di Philip che
si era voltato ed era sparito negli spogliatoi. Quella collera gelida e
indifferente, quella distanza, erano state più dolorose di
quanto avesse mai provato.
Era uscita dallo stadio in trance, brividi di freddo che le
percorrevano il corpo, le mani ghiacciate, gli occhi colmi di lacrime
che non volevano saperne di sgorgare. Non ricordava come aveva fatto a
tornare a casa. Nel tragitto dallo stadio al loro appartamento in
centro era sceso il buio più assoluto. Ricordava soltanto
che quando era entrata, il cellulare che Philip aveva dimenticato sul
comodino stava squillando. Si era avvicinata per guardare. Non aveva
riconosciuto il numero ed era stata tentata di rispondere, poi si era
detta che non era più suo diritto farlo. Lo aveva lasciato
squillare finché non era caduta la linea, poi era andata in
camera, si era gettata sul letto vestita e aveva cominciato a piangere.
Lo aveva fatto per ore, finendo per addormentarsi distrutta. Si era
svegliata la mattina successiva, il sole che entrava dalle finestre
spalancate, la realtà ad accecarla con tutta la sua
crudezza. Era sola. Philip non era tornato, non sarebbe più
tornato. Aveva radunato le proprie cose con la mente appesantita dalla
sofferenza e dalla disperazione, aveva ficcato i vestiti nella valigia
più capiente, poi aveva appoggiato le chiavi di casa sul
comodino, accanto al cellulare di Philip. Si era chiusa la porta alle
spalle e se n’era andata.
Aveva ricominciato a piangere non appena aveva messo piede nella sua
casa di Furano. Per tre giorni era rimasta sotto le coperte a
galleggiare nell’angoscia. La speranza che lui la richiamasse
e le chiedesse scusa si affievoliva man mano che le ore passavano, che
passavano i giorni. Aveva fluttuato in quel limbo di sofferenza per un
periodo indefinito, durante il quale si era alzata solo per andare in
bagno quando non aveva potuto proprio farne a meno. Non era riuscita
più a mangiare, neppure a scendere di sotto, a raggiungere
la cucina. Philip non l’aveva mai chiamata. Il quinto giorno
si era riscossa e si era rifugiata a Shintoku, pensando che la
tranquillità del ryokan
e l’affetto dei nonni l’avrebbero fatta sentire
meglio. Invece lì ogni cosa, ogni stanza, ogni luogo, ogni
strada, le ricordavano lui. O quando non le ricordavano Philip le
ricordavano David, e si sentiva ancora peggio. I giorni erano passati,
si erano accumulati uno sull’altro tutti uguali,
rincorrendosi in un’esistenza senza significato. Il tempo le
era scivolato addosso senza toccarla, senza scalfirla. Non pensava
più a niente, non voleva più niente, non le
importava di nessuno. Non reagiva neppure alle irritanti battute di
Kevin. Aveva smesso di dedicarsi alle traduzioni e aveva perso il
lavoro, non aveva più frequentato
l’università, non aveva più studiato
per gli esami. Le settimane si erano susseguite, a Natale e Capodanno
era andata a New York dai suoi. Poi era scappata anche da lì
ed era tornata dai nonni, dove era rimasta finché il
pensiero che il ryokan
era ormai di David si era fatto insopportabile. Allora le era venuto in
mente Mark e aveva deciso di provare a seguirlo per ricostruirsi uno
straccio di vita in un altro continente.
Jenny allungò una mano verso il tavolino e accese il lume.
Si guardò intorno, la camera verde le infuse
tranquillità. Il libro che stava leggendo la sera prima
giaceva tra le pieghe delle coperte su un lato del letto. Lo prese e lo
sfogliò osservando le foto. Era una guida di Torino in
giapponese, su cui aveva segnato con pazienza tutti i posti che avrebbe
voluto visitare. Riprese a leggere, cercando di scacciare il pensiero
di Philip e del suo arrivo in Italia che si faceva sempre
più vicino.
Referenze
fotografiche
Qui di seguito il link dei luoghi in cui si svolgono alcune scene del
capitolo: https://photos.app.goo.gl/EyDZ1wUkEcqYKCsB2
- Il roseto della cioccolateria che produce un biscotto famosissimo in
Giappone che equivale più o meno ai nostri Baci Perugina
perché il nome, Shiroi Koibito, vale a dire "Amanti
bianchi", fa riferimento alle due cialde unite insieme da una sfoglia
di cioccolato bianco. Roseto e cioccolateria sono al di là
della strada che costeggia il campo di allenamento del Sapporo;
- Il campo di allenamento del Sapporo;
- Il Sapporo Dome, costruito per i mondiali Korea-Japan del 2002.
L'Italia ha giocato, e vinto, la partita contro l'Ecuador. All'interno
della capsula in acciaio è custodito il campo da baseball
della squadra della città. Quando il Sapporo gioca in casa
una partita importante, o le temperature sono troppo rigide per
consentire di giocare all'apertoin un altro stadio della città, il campo da calcio viene fatto
entrare all'interno della copertura.
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Capitolo 6 *** Quinto capitolo ***
Quinto
capitolo
-Ecco Philip e Peter.-
Tom individuò gli amici tra i numerosi viaggiatori che
riempivano la hall dell’Aeroporto Internazionale di Narita.
Anche loro, come tutti gli altri, indossavano un completo elegante blu
scuro con lo stemma della JFA sul petto che li rendeva troppo simili e
immediatamente individuabili agli occhi dei giornalisti.
Philip e Peter erano in ritardo di quasi due ore
all’appuntamento, perché il maltempo aveva
impedito al loro aereo di decollare puntuale da Sapporo. Un tifone
imperversava da due giorni sull’arcipelago giapponese
nordorientale. Gli scrosci di pioggia e grandine che si stavano
abbattendo su Tokyo dalla sera precedente, in Hokkaido si erano
trasformati in una violenta bufera che durante la notte aveva invaso le
piste con svariati centimetri di neve. L’operazione di
pulizia, iniziata prima ancora che facesse giorno, aveva congestionato
il traffico aereo dell’intera nazione.
Gamo era entrato in fibrillazione dopo la prima ora di attesa. Aveva
preso d’assalto il box informazioni della business class e
aveva convinto il personale a mettersi in contatto sia con il pilota
del volo di Philip sia con quello, appena entrato in servizio, che
avrebbe affrontato il viaggio intercontinentale verso
l’Italia. Gamo non era disposto a rinunciare, per colpa del
maltempo, anche al suo secondo capitano e si sarebbe incatenato al
carrello del loro boeing pur di impedirgli di decollare senza di lui.
Grazie a Dio Callaghan e Shake erano infine arrivati.
Julie Pilar camminava altera accanto a Philip e Peter, dietro di loro,
conversava fitto fitto con Grace. Tom conosceva poco l’ex
manager della Flynet, si erano incontrati mesi prima sia a casa di
Jenny che nella fattoria di Gerald Pepper, ma la riconobbe
immediatamente nonostante quel giorno la mancanza dei grandi occhiali
che di solito le addobbavano il viso, la rendesse decisamente
più graziosa.
Lo sguardo di Tom si spostò di nuovo
sull’affascinante modella. Era sorpreso di vederla
lì, non credeva che Philip sarebbe arrivato al punto da
farsi accompagnare in un’occasione ufficiale. Accanto a lui
Clifford esternò il proprio stupore per lo stesso identico
motivo.
-Non ci posso credere! Callaghan s’è portato
dietro la donna! Dev’essere impazzito!-
I compagni risero. Lo sgomento di tutti era legittimo. Per la prima
volta Philip si presentava davanti all’intera squadra, allo
staff e agli allenatori in compagnia della ragazza che stava
frequentando. Finché lui e Jenny erano stati insieme, non
era mai accaduto.
-Ha capito che era inutile nasconderla. Le foto di Julie Pilar sono
ovunque.-
Ralph Peterson non aveva tutti i torti. Se anche Philip avesse
desiderato tenerla lontano dagli occhi degli amici come aveva fatto con
la sua precedente fidanzata, non avrebbe proprio avuto modo di
riuscirci.
Evelyn e Amy si scambiarono un’occhiata silenziosa.
-Callaghan ha fatto davvero un bel colpo!- approvò Bob
Denver frugandosi a casaccio nelle tasche in cerca di una penna che
sapeva benissimo di non avere -Credo che le chiederò un
autografo.-
Julie Pilar indossava un abito di lana rosso scuro che le arrivava
sopra il ginocchio e un paio di stivali neri col tacco alto. Il
cappotto scuro era sbottonato e le due estremità della
cinta ondeggiavano sui fianchi al ritmo dei suoi passi. I
capelli sciolti e lunghi le incorniciavano il viso. Era girata verso di
loro e il suo sguardo brillava di compiacimento e curiosità.
Il piccolo trolley che trascinava dietro di sé,
risvegliò la curiosità di Evelyn.
-Parte con noi?-
Amy sussultò.
-Mi auguro di no!-
-Come no!- gli occhi di Clifford furono attraversati da un lampo di
speranza -Speriamo di sì, invece!-
Philip si fermò molto prima di raggiungerli.
Poggiò la propria valigia a terra e si frugò
nelle tasche. Diede qualcosa a Julie, lei si sedette su una delle
poltroncine libere e si separarono. Mentre Philip, Grace e Peter
proseguivano verso la squadra, la modella tirò fuori il
cellulare dalla borsa e se lo accostò al viso.
Grace si risparmiò i saluti a Gamo e Marshall che conosceva
a mala pena di vista e proseguì verso le ragazze. Amy le
presentò Evelyn, dopodiché non lasciò
passare neppure un secondo per farle la domanda che più le
premeva.
-Hai avuto notizie da Jenny?-
-Nulla.-
Grace mentì, costretta a farlo nonostante
l’espressione di genuina preoccupazione che scorse sul suo
volto. Le dispiacque, sapeva quanto Amy fosse stata vicina a Jenny mesi
e mesi prima. Ma l’amica le aveva chiesto il silenzio e lei
lo avrebbe mantenuto. L’aspetto positivo di tutto
ciò era che presto l’avrebbe incontrata in Italia
e si sarebbe tolta da sola la preoccupazione e la curiosità
di sapere dove fosse finita.
Amy lasciò vagare affranta gli occhi sulle vetrate che
davano sulle piste e sulla pioggia battente che inondava
l’asfalto creando pozzanghere ampie come laghi. Evelyn, ferma
accanto a lei, tirò fuori il cellulare, lo puntò
addosso alla modella, rubò qualche foto senza che lei se ne
rendesse conto e sfoderò nei confronti di Grace tutto il suo
interesse di giornalista.
-Perché Julie Pilar è qui? Parte con noi?-
La giovane scosse la testa.
-Figuriamoci! Il calcio non le interessa minimamente.-
Evelyn sorrise.
-Mi sarei stupita del contrario.-
-Infatti. Le interessa soltanto se stessa. Doveva venire a Tokyo per
lavoro, così ha deciso di imbucarsi sul nostro stesso volo.-
lanciò un’occhiata poco entusiasta a Julie -E poi
ne ha approfittato per farsi fotografare con Philip. Le piace
così tanto mettersi in mostra…-
Amy si riscosse dal suo mutismo.
-Tu vieni con noi, Grace?-
Lei fece spallucce.
-Perché dovrei venire? Non sono la fidanzata di nessuno e
tanto meno una giornalista.- le strizzò un occhio mentre
Peter Shake le raggiungeva -Vado da mia zia a Osaka, mia cugina ha
appena partorito un bimbo.-
Evelyn riprese il suo terzo grado.
-Da quanto tempo stanno insieme quei due?-
Peter si irrigidì.
-Ti sbagli. Lei e Philip non stanno insieme, si vedono solo per far
sesso.- la sua intenzione era quella di difendere l’amico e
svilire la sua relazione con la tipa, ma ci riuscì
malissimo. Anzi non ci riuscì affatto.
Amy trattenne il fiato davanti a tanta schiettezza, ma Evelyn non fece
una piega. Si limitò ad incamerare l’informazione,
continuando ad investigare ancora.
-Te l’ha detto Philip?-
Peter incrociò quegli occhi che bruciavano di insoddisfatta
curiosità e si sentì improvvisamente a disagio.
Forse aveva parlato troppo. Guardò Grace in cerca di aiuto,
ma lei lo fissava contrariata e non disse una parola per levarlo
d’impaccio.
-In realtà no, diciamo che l’ho capito da solo.-
-Ha lasciato Jenny per mettersi con lei?-
-No!- Grace la fissò allibita -Come ti viene in mente? Pilar
non c’entra niente, lei e Philip si sono conosciuti mesi
dopo!-
Amy scosse mestamente la testa.
-Non è così. L’abbiamo incontrata un
anno fa a Kyoto. Stava facendo un servizio fotografico negli stessi
studi in cui è stato girato e montato lo spot della
J-League.-
Negli occhi di Grace passò un lampo di panico mentre
osservava Philip che tornava da Julie.
-Non lo sapevo.- si volse verso Peter -E tu?-
L’amico scosse la testa. Grace rabbrividì, il
terrore che l’ipotesi di Evelyn fosse esattamente la
verità. Sapeva che i problemi tra Philip e Jenny erano
cominciati a Kyoto, ma Julie non era mai entrata in quel poco che era
riuscita a capire e intuire durante quei lunghi e sofferenti mesi.
Jenny non le aveva detto nulla di lei, non ne aveva mai accennato.
Certo, Jenny non le aveva mai parlato neppure di ciò che era
successo a Kyoto e Grace, alla fine, si era rassegnata alla sua
decisione di tacere. Forse era il caso di rivelare alle ragazze che
avrebbero trovato l’amica in Italia. Poi decise di no, non
avrebbe mai infranto una promessa fatta a Jenny. Alzò gli
occhi sull’enorme orologio appeso alla parete.
-Devo andare, altrimenti perdo il treno. In bocca al lupo per la
partita.- sorrise e salutò, mentre Shake
l’accompagnava all’uscita.
-Peter e Grace stanno insieme?- domandò Tom facendo ai
compagni la stessa domanda che tempo prima si era posto al fienile di
Gerald Pepper, una domanda alla quale ancora non era riuscito a trovare
una risposta.
Bruce fece spallucce. Non gliene importava un fico secco. Tutta la sua
attenzione era concentrata su Julie. A Kyoto il copione su cui lei gli
aveva fatto l’autografo era inspiegabilmente sparito e quella
era l’occasione giusta, forse l’unica che avrebbe
mai avuto, per richiederglielo. Infatti non credeva neppure un
po’ che tra lei e il compagno sarebbe durata. Julie Pilar era
veramente troppo… troppo! per uno come Philip. Si
guardò intorno, in preda al timore che la modella si alzasse
e se ne andasse lasciandolo a mani vuote.
-Una penna… Avete una penna?-
-Cosa devi farci?-
-Voglio un autografo!-
Evelyn saltò su indignata.
-Gliel’hai già chiesto a Kyoto!-
-L’ho perso! Ho perso il copione su cui l’aveva
fatto.- lanciò un’occhiata sospettosa ai compagni
-O forse qualcuno di voi me l’ha rubato proprio
perché c’era il suo autografo.-
Julian rise.
-Sicuramente Philip, visto che poi ci si è messo insieme.-
Amy non gradì la battuta e gli lanciò
un’occhiata storta. Bruce, continuando a frugare nel proprio
bagaglio a mano, annuì deciso.
-Vai a vedere che era un suo fan sfegatato e che ce lo ha tenuto
nascosto!-
Tirò fuori una rivista tutta spiegazzata, lasciando i
compagni a bocca aperta. La faccia di Julie era sulla copertina. Non
solo la faccia in realtà. C’era anche il suo
succinto bikini azzurro, che mostrava molto più di
ciò che nascondeva.
-Perché hai una rivista di quella tizia nello zaino?- la
voce scioccata di Amy uscì quasi stridula -Evelyn, ti pare
normale?!-
-Che posso farci? Compra di tutto!-
-Fa’ vedere!- Julian gli tolse il settimanale dalle mani e lo
sfogliò. A Julie Pilar era dedicato un servizio completo
nelle prime pagine -Notevole.-
I ragazzi si accalcarono intorno alla rivista. Nella foto successiva
Julie Pilar occupava entrambe le facciate. Adagiata supina sul sedile
posteriore di una macchina, era stata fotografata orizzontalmente dalla
testa alle cosce. Indossava un bikini lilla molto chiaro, con delle
piccole decorazioni blu. L’illuminazione soffusa metteva in
risalto la pelle liscia e vellutata della pancia e la fossetta scura
dell’ombelico, formandole sul volto un’espressione
che, grazie alle labbra socchiuse, aveva un qualcosa di profondamente
sensuale. I suoi capelli erano scompigliati sulla fronte, come se
fossero stati mossi da un colpo di vento, e un’espressione
leggermente imbronciata la rendeva ancora più sexy.
-Porcaccia, Philip è veramente fortunato!- Clifford stava
praticamente sbavando -Ma ci pensate a mettere le mani su un corpo del
genere?- sospirarono in coro -Gira, Ross.-
Julian voltò pagina. Di nuovo un primo piano di Julie,
questa volta a mezzo busto, con indosso una banale camicia a quadretti
neppure troppo sbottonata. Ma nella pagina accanto, eccola di nuovo in
un costume rosa e bianco, seduta tra le lenzuola spiegazzate di un
letto, un gomito appoggiato sul cuscino. E poi, ancora, altre due
pagine di foto. Infine una specie di curriculum, una massa di
informazioni dettagliate che menzionavano la data di nascita, le scuole
frequentate poi i negozi dove si serviva abitualmente, perfino
l’indirizzo della sua casa natale e la pianta del suo
appartamento schizzata a mano.
-A chi interessa sapere tutte queste cose?- chiese Evelyn che stava
dando una sbirciata -E poi l’indirizzo attuale non
c’è e tanto meno ci sono notizie sulle sue
relazioni sentimentali.- rise divertita -In questa massa di
informazioni dettagliate mancano proprio quelle fondamentali.-
Julian richiuse la rivista e la restituì a Bruce. Evelyn
fissò il fidanzato.
-Se le chiedi un autografo giuro che stavolta non ti perdono!-
-Ma Eve!-
-“Ma Eve” niente!- gli strappò la
rivista dalle mani e gliel’agitò minacciosamente
davanti al viso. Il ragazzo balzò indietro -Devi smetterla
di comprare queste schifezze! E soprattutto di fare il cascamorto con
chiunque abbia due tette!-
Clifford rise della stizza della cugina.
-Quella non è chiunque! Tu sei chiunque, non Julie Pilar! E
se l’articolo fosse stato sul tuo giornale, non avresti mai
detto a Bruce di non comprarlo!-
Evelyn divenne paonazza.
-Fatti gli affari tuoi, Clif!- si rivolse a Bruce -Stai dalla parte
della concorrenza! È come se io tifassi per
l’Italia!- gli pestò un piede facendolo sobbalzare
con un grido di dolore.
-Eve!-
Ignari di tutto quel casino, Philip e Julie si salutarono senza
baciarsi, senza sfiorarsi, senza una stretta di mano. La ragazza
s’incamminò verso l’uscita e la
varcò. Non si girò indietro neanche una volta.
Philip rimase a guardarla finché non fu sparita, anche se i
suoi pensieri si erano allontanati da lei già da un bel
po’. Rifletteva su ciò che lo aspettava con la
squadra e che non lo entusiasmava per niente. Si riscosse e si volse
per raggiungere i compagni. Mentre percorreva il grande atrio
dell’aeroporto, all’improvviso si
irrigidì e si bloccò, totalmente incapace di
proseguire. Inchiodato sul pavimento non riuscì a fare
più neppure un passo. Dimenticò persino di
respirare mentre i suoi occhi fissavano sgomenti una fila di
poltroncine di plastica blu lungo le vetrate, sedili che in
quell’istante non erano occupati da nessuno. Li riconobbe
subito, il ricordo gli attraversò la mente fulmineo e
luminoso come una cometa: lui seduto lì con la divisa della
Flynet bianca e arancione, sudata e sporca dopo la partita, i
calzettoni macchiati di terra e di erba, un ginocchio escoriato che
aveva sanguinato fino alla caviglia. In una mano stringeva la fascetta,
l’altra ce l’aveva posata sul sedile della
poltroncina accanto. Jenny era inginocchiata davanti a lui, una
camicetta di un rosa molto tenue, la gonna blu scuro, i capelli
tagliati in un caschetto corto, le lacrime che le rigavano le guance,
in mano il fazzoletto con cui gli aveva ripulito la ferita. Quella
scena di tanti anni prima gli balenò davanti agli occhi con
un tale realismo che per un secondo fu convinto di vedere davvero se
stesso seduto lì, di fronte a Jenny, di sentire il suo
profumo nelle narici, percepire il corpo morbido di lei contro il suo
quando, un istante dopo, l’aveva stretta quella prima e
indimenticabile volta tra le braccia. Quando ancora avevano quindici
anni e lei stava partendo con sua madre per New York. Una fitta di
dolorosa nostalgia lo attraversò tutto, poi Ralph lo
raggiunse e lo riscosse con una pacca sulla schiena che lo
sbilanciò in avanti facendogli quasi perdere
l’equilibrio.
-Un bel bocconcino, eh? Non viene con noi?-
A Philip servì un istante per dare un senso a quelle parole,
per capire che Peterson si riferiva a Julie.
-Certo che non viene.- mai e poi mai avrebbe proposto a Julie di
accompagnarlo e sicuramente mai e poi mai lei lo avrebbe seguito. Con
un moto di fastidio si sganciò dal compagno,
perché non gli andava di udire altri commenti di quel tipo.
Si sedette pensieroso, in attesa dell’apertura del gate. In
quegli ultimi giorni il tempo sembrava aver accelerato
all’improvviso, trascinandolo in un turbine di azioni senza
senso. Come quell’assurda telefonata a Shintoku. Non riusciva
ancora a capacitarsi di un gesto di cui si era pentito non appena la
nonna gli aveva risposto. O come quella di consentire che per qualche
giorno Sheryl, che abitava ad Hakodate ma stava cercando lavoro a
Sapporo, dormisse nel suo appartamento lasciandole il letto e occupando
il divano. Forse questo era accaduto perché quella mattina
che avevano fatto colazione insieme si era ritrovato attratto molto
più da lei che da Julie. Certo non era altrettanto bella, ma
il fascino era poca cosa rispetto alla sua simpatica
personalità. E soprattutto non gli rompeva l’anima
chiedendogli di continuo cosa avesse.
-Philip? Sei ancora tra noi?-
Il tono insistente della domanda lo riscosse. Si volse verso Julian che
gli porgeva una rivista.
-Hai visto?-
-Cosa?- l’afferrò al volo, gli occhi stupiti sulla
foto di Julie che troneggiava in copertina. Aprì il giornale
e sfogliò le prime pagine, poi lanciò
un’occhiata ai compagni.
-Perché fai quella faccia? Non sapevi che la tua ragazza
facesse la modella?
-Certo che lo sapevo.-
Bruce gli fece l’eco, quasi nello stesso istante.
-Certo che lo sapeva! Tutti abbiamo visto che lavoro fa!-
Philip tornò ad abbassare gli occhi sulle foto. Sfogliando
ancora una volta le pagine si disse che forse doveva davvero mettersi
con qualcuna come Sheryl, più sensibile, più
simpatica e soprattutto più anonima. Non lo entusiasmava
sapere che altri maschi sbavavano sul corpo della ragazza che
frequentava. E pensare che quella era la prima volta in assoluto che si
soffermava ad osservare Julie così attentamente. Ma si
stancò presto di farlo. Dopo aver voltato un paio di pagine
perse completamente interesse, come succedeva sempre. Chiuse la
rivista, la restituì a Bruce e si sfilò dalla
tasca il cellulare che aveva preso a squillare. Si alzò e si
allontanò, ringraziando tra sé e sé
sua sorella che gli aveva evitato una prevedibile sfilza di commenti
imbarazzanti.
Nella Business Class dell’aereo, la curiosità dei
ragazzi nei confronti di Julie Pilar si era dissolta di colpo, scalzata
dall’eccitazione di dover affrontare di nuovo una trasferta
intercontinentale così lunga. Philip si accomodò
al proprio posto, si tolse la cravatta e la giacca e cercò
di rilassarsi. Non era la prima volta che sopportava un volo di dodici
ore con la nazionale al completo, ma quel giorno dover restare per
tutto quel tempo a stretto contatto con i compagni gli sembrava molto
più una gran rottura di palle.
Il segnale che obbligava a tenere allacciate le cinture di sicurezza si
spense e Amy, che fremeva per alzarsi, la sganciò e si mise
in piedi. Julian si scostò per lasciarla passare.
-Dove vai?-
-In bagno.-
Amy si chiuse nella toilette e si guardò allo specchio,
trovando nel proprio sguardo una preoccupazione che cercava in tutti i
modi di arginare. Per la prima volta in assoluto non le andava di
incontrare Benji. Non le andava addirittura più di quanto
non le era andato quasi tre anni prima, quando si era imbucata al
ritiro dei ragazzi a Shintoku, insieme a Patty, Evelyn e Jenny. Non
voleva vederlo, non dopo come lui l’aveva trattata. Cosa
poteva dirgli? Al telefono si era infuriato ed era molto probabile,
anzi pressoché certo, che in Italia la ignorasse fin da
subito. D’accordo, aveva sbagliato a chiamarlo. Probabilmente
prima di farlo avrebbe dovuto lasciar passare qualche giorno. Oppure, e
forse anche meglio, avrebbe dovuto non telefonargli affatto. Era stata
una stupida a credere che sarebbe stato contento di sentirla. Benji
l’aveva trattata a pesci in faccia e dopo aver scaricato su
di lei buona parte del suo nervosismo, aveva riattaccato. E ora, quando
l’avesse rivisto, cosa avrebbe dovuto fare?
Sospirò. Di sicuro sarebbe stato meglio stargli alla larga
ed evitarlo il più possibile. Non doveva assolutamente
permettergli di sfogare su di lei tutta la sua frustrazione, come aveva
già ampiamente fatto. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Evelyn sospirò e Bruce si volse.
-Che hai?-
Lei reagì irrigidendosi. Non si era neppure accorta di aver
esternato in quel modo la sua ansia. Socchiuse le labbra per
rispondergli, l’aereo prese un vuoto d’aria e le
parole le si bloccarono a metà. Lo stomaco le
salì in gola, vide Bruce stringere il bracciolo tra le dita
con una forza tale che la sua pelle sbiancò. Quella
terribile sensazione durò solo pochi istanti,
dopodiché il velivolo si stabilizzò. Ripresero a
respirare e tornarono a guardarsi.
-Niente, perché?-
-Perché stai sospirando da quando ti sei seduta
sull’aereo, o forse anche prima ma magari ci ho fatto caso
solo adesso. Ti rode per la storia di Julie?-
-Che storia?-
-Il fatto che volessi il suo autografo. In fondo poi non
gliel’ho chiesto, quindi è tutto a posto, no?-
-No, non è per l’autografo. Sono solo pensierosa.-
-Lavoro?-
-Sì.-
-Non puoi non pensarci, ogni tanto?-
Lei annuì distratta. Lanciò un’occhiata
a Philip che sedeva due posti più avanti e armeggiava con lo
schermo touch-screen del sedile. Probabilmente stava scegliendo un film
da guardare. Quando la hostess gli porse il pacchetto degli snack lui
lo prese e accennò un sorriso tirato.
Evelyn aveva urgente bisogno di parlargli. O meglio, non che fosse
così urgente, in fondo lo avrebbe avuto a portata di mano
per più di una settimana e l’occasione si sarebbe
in qualche modo presentata da sola. Il fatto era che voleva togliersi
il pensiero. Bruce la guardò, puoi guardò Philip,
poi tornò a guardare lei.
-Perché lo stai fissando?-
Evelyn trasalì.
-Chi?-
-Vuoi provare a richiedergli di nuovo che fine ha fatto Jenny?-
-Tempo perso, è chiaro che non lo sa.-
Poche file più in là Danny Mellow posò
una mano sul braccio di Ed per attirare la sua attenzione visto che era
già la seconda volta che lo chiamava e lui, preso da
chissà cosa, non se n’era neppure accorto.
-A cosa stai pensando?-
Il portiere gli rispose con un borbottio indistinto e spostò
gli occhi su Gamo che si era alzato per tirar fuori la sua
ventiquattrore dal portaoggetti sopra il sedile. L’ultimo
giorno del loro ritiro nel centro sportivo di Shizuoka, Ed era entrato
nello studio del mister in un momento in cui quello era da solo e lo
aveva minacciato di non salire sull’aereo se non gli avesse
garantito l’ingresso in campo durante la partita contro
l’Italia. Colto in contropiede, Gamo lo aveva guardato con la
bocca spalancata e aveva impiegato decisamente troppo tempo a
rispondergli. Ed si era sentito rimescolare dalla stizza e aveva
interpretato, probabilmente in modo corretto, la sua reazione.
“Ha già deciso di far giocare Price,
vero?”
Gamo aveva cercato di riprendere il controllo. Aveva tossito
imbarazzato, si era schiarito la voce e poi aveva sorriso, un sorriso
forzato, quasi una smorfia.
“Non ho deciso ancora niente, la formazione è
tutta da stabilire. Non ne ho parlato neppure con Marshall.”
“Non vengo in Italia se lei non mi assicura che
scenderò in campo.”
“Ed…” si era alzato e gli era andato
vicino.
Lui aveva fatto un passo indietro e aveva mantenuto le distanze.
“Allora?”
“Ed, cerca di capire. Non posso decidere da solo. Devo
consultarmi con Marshall, con Pearson… Della formazione non
abbiamo ancora discusso…”
“Lei può benissimo decidere da solo. Lo fa sempre,
e quando si mette in testa una cosa non ascolta nessuno.” gli
aveva lanciato un ultimatum “Se lei non mi dà la
garanzia che giocherò contro l’Italia, non
partirò con voi.” gli aveva voltato le spalle e
aveva raggiunto la porta “Ci dorma su e domani mattina mi
faccia sapere cos’ha deciso.” era uscito sbattendo
la porta e Gamo non aveva tentato di fermarlo.
Strinse i pugni e spostò gli occhi su Amy che stava uscendo
dal bagno con un’espressione cadaverica. L’aereo
sussultò di colpo, lei perse l’equilibrio e si
aggrappò al sedile di Tom per tenersi in piedi. Mentre la
ragazza arrancava con difficoltà verso il suo posto e Ted
Carter, una fila più in là, si lamentava del
rollio, si volse verso l’oblò. La pioggia fuori
era così fitta che non si vedeva niente. Il cielo era
grigio, compatto. Non si scorgevano neppure i profili delle nuvole.
L’acqua che scorreva sul vetro lasciava strisce frastagliate
che rendevano l’esterno ancora più indefinibile.
L’annuncio di una hostess obbligò chi si era
alzato a tornare seduto e allacciare le cinture di sicurezza.
Ed sentì Clifford ridere e Sandy rispondere lamentoso.
-Lasciami stare, mi viene da vomitare…-
-Non preoccuparti, mangerò io la tua cena.-
Danny si girò di scatto, perché Winters sedeva
proprio dietro di lui. Aveva assunto un colorito verdastro che non
presagiva nulla di buono.
-Non ci provare, Sandy! Se devi vomitare, alzati e vai in bagno!- gli
disse nauseato. Vide Yuma allungare al compagno la bustina per il mal
d’aria e fissò incredulo Ed che non sembrava per
niente colpito da quello spettacolo raccapricciante.
-Evelyn, nel prossimo articolo devi scrivere che Sandy Winters ha
vomitato addosso a mezza nazionale.- rise Yuma.
-Che schifo!- lei arricciò il naso disgustata -Puoi
scordartelo, non scrivo proprio niente del genere.-
Bruce fu d’accordo.
-A chi può fregargliene che Sandy soffre il mal
d’aria?-
La vocina di Winters sembrò arrivare
dall’oltretomba.
-Smettetela, sto quasi bene…-
-Sarà Sandy, ma io per sicurezza mi trasferisco.- Clifford
si alzò, nonostante il segnale che obbligava a tenere le
cinture allacciate non si fosse spento, e prese posto accanto a Paul
Diamond che stava guardando un film e non gli badò.
Ed distolse l’attenzione dagli amici e tornò a
chiedersi se veramente Marshall e Gamo avrebbero mantenuto la promessa.
Il mister alla fine aveva dovuto capitolare e Price sarebbe schiattato
di rabbia. Non vedeva l’ora che ciò accadesse,
persino Mark ne avrebbe goduto. Pensò all’amico
che li aspettava in Italia con un brivido di disagio. Era sicuro che ce
l'avesse ancora con lui per la questione di Jenny. Dopo la telefonata
velenosa che gli aveva fatto appena giunto a Torino, Ed aveva cercato
in tutti i modi di scoprire qualcosa in più sulla fine della
storia tra lei e Philip, ma anche chiedendo discretamente qua e
là, nessuno era riuscito a dargli l’informazione
che cercava. Persino durante l'incontro della nazionale a casa di Price
aveva tenuto occhi e orecchie ben aperti, sperando di carpire qualche
straccio di conversazione che riguardasse Jenny. Invece niente, non ne
avevano assolutamente parlato, non in sua presenza almeno. E questo
Mark non gliel’avrebbe perdonato.
A Philip non fregava assolutamente niente del film che stava seguendo,
anche perché la fantascienza non era il suo genere. Eppure
sembrava che tenere le cuffiette infilate nelle orecchie fosse un buon
deterrente per i compagni. Sentiva ogni tanto le loro voci, quando la
colonna sonora non gli sfondava i timpani, ma era da quasi
un’ora sull’aereo e ancora non si era avvicinato
nessuno. Grazie al cielo il temporale teneva tutti legati ai sedili. Le
scene si susseguirono senza senso davanti ai suoi occhi mentre si
chiedeva di nuovo se non fosse il caso di lasciare Julie e mettersi con
Sheryl. La tentazione era forte, ma purtroppo lei non abitava a Sapporo
mentre Philip aveva bisogno di una ragazza che soddisfacesse
necessariamente questo requisito, altrimenti non avrebbe avuto nessun
appoggio in quella città e sarebbe dovuto tornare ad abitare
in modo stabile nel suo appartamento. A meno che non avesse chiesto a
Sheryl di trasferirsi da lui... insomma qualsiasi cosa pur di non
affrontare l'attico da solo, almeno per i primi tempi… Ecco,
questa poteva essere una soluzione. Si chiese cosa ne avrebbe pensato
la ragazza, non sapeva neppure se fosse libera. Lei non glielo aveva
detto e lui non glielo aveva chiesto. Poi si domandò come
dire a Julie che tra loro era meglio finirla.
-Philip, dobbiamo parlare.-
Alzò la testa sorpreso. Gamo era in piedi al centro del
corridoio, proprio davanti a lui. Lanciò
un’occhiata al segnale delle cinture. Porca miseria, era
spento. Si volse verso l’oblò, il temporale
sembrava essere passato. L’aereo era salito di quota e ora al
di là del vetro si scorgeva soltanto un’infinita
distesa di azzurro pervinca. Si tolse le cuffiette e udì la
potente risata di Yuma. Gli lanciò un’occhiata e
lo vide colpire i ricci di Johnny Mason con la rivista di bordo.
Tornò a rivolgere la propria attenzione al mister.
-Parlare di cosa?-
Gamo abbassò la voce.
-Abbiamo un problema con la formazione.-
-Di già?- a Philip la notizia non fece per niente piacere.
Si alzò, seguì in silenzio l’allenatore
e insieme raggiunsero Freddie Marshall e Kirk Pearson. In quattro
presero posto nel minuscolo salottino della Business Class, con fare
molto più preoccupato che misterioso.
La nonna non fu l’unica a telefonarle. Poche ore prima che
l’aereo della nazionale giapponese atterrasse
all’aeroporto di Caselle, la chiamò anche Grace.
Jenny era sola in casa, erano le due del pomeriggio e Mark si era
fermato a pranzo al centro sportivo con i compagni della Juventus.
Sarebbe tornato più tardi, o forse sarebbe andato
addirittura a prendere gli altri all’aeroporto insieme a Rob.
Non le interessava saperlo. Quel giorno non le interessava nulla. Grace
la chiamò sul numero fisso che alla fine Jenny le aveva
dato, perché l’amica non sopportava più
di non poterle telefonare ogni volta che ne aveva voglia. Quando
rispose la sentì lontanissima, o forse era lei ad esserlo,
nel tentativo di estraniarsi dalle preoccupazioni di quegli ultimi
giorni.
“Philip sta venendo lì.”
-Lo so.-
“Riuscirete a chiarirvi?”
-Grace, non c’è nulla da chiarire.-
“C’è sempre qualcosa da
chiarire.” esitò, poi continuò
“Sai di Julie Pilar?”
Jenny non voleva assolutamente parlarne, ma fu costretta ad assentire.
“Hai visto la foto?”
-Sì.-
“Non ti devi preoccupare, sai? Lei è tremendamente
noiosa e poi non si tratta di una cosa seria… Si vedono
pochissimo.”
-Quanto basta per farsi fotografare.-
“È stato un colpo di sfortuna. Quando vedrai
Philip dovrai semplicemente far finta che Pilar non esista,
capito?”
Come se fosse facile.
-Grace, non farti strane idee. Viene qui per giocare contro
l’Italia, non per rimettersi con me.-
“Sarebbe intelligente da parte sua unire l’utile al
dilettevole…” le sfuggì una risatina
“Nel vero senso della parola. E tieni presente che per come
la penso io, tu sei l’utile e la partita è il
dilettevole. C’è Peter con lui, vedrai che ti
darà una mano.”
-Smettila di pensare che torneremo insieme.- la sua presunzione le dava
fastidio e cercò di smontarla -Anch’io sto con un
altro.-
La ragazza, dall’altra parte del mondo, impiegò un
secondo a fare due più due.
“Con Landers?” ricordava perfettamente che
l’anno prima Amy le aveva detto che Mark trattava Jenny in un
modo tutto speciale.
-Certo che no!-
“E con chi? Che sta in Italia non mi viene in mente nessun
altro… A parte Philip che sta arrivando.”
-Non esistono solo Mark e Philip.-
Grace rise.
“Per fortuna no, altrimenti io rimarrei zitella.”
Jenny non aveva voglia di scherzare, neppure di parlare.
Cercò di tagliare corto.
-Se continui a stare al telefono, ti arriverà una bolletta
da infarto.- la sentì sospirare.
“Già… eppure ho ancora un sacco di cose
da dirti. Quando pensi che lo incontrerai?”
-Il più tardi possibile e se posso evitare sappi che lo
farò.-
“Comunque sia, io tifo per voi due. In bocca al
lupo.”
Jenny riagganciò e posò il cordless sulla
scrivania. Si sedette davanti al ripiano, aprì il cassetto e
tirò fuori la foto che aveva ritagliato dalla rivista di
Mark il giorno in cui aveva messo piede in quella casa. Ricordava che
dopo averlo fatto era rimasta per ore con le lacrime agli occhi a
fissare il volto di Philip, a studiare la sua espressione e cercare di
capire cosa stesse provando mentre baciava Julie. Non era riuscita ad
immaginarlo. Il suo sguardo era celato dalle palpebre abbassate e in
quei mesi di lontananza il suo viso le era diventato completamente
estraneo.
Con l’inconsapevole proposito di scacciarlo dalla testa, dal
cuore e da ogni ricordo, per giorni si era detta e ripetuta
ininterrottamente che non ci sarebbe stato nulla di male ad accettare e
ricambiare le attenzioni di Gentile. Aveva tentato di convincersi,
davanti a quel bacio, che non lo avrebbe fatto per ripicca. Aveva
tentato di convincersi soprattutto che non lo avrebbe fatto per
dispetto, ora che sapeva che Philip sarebbe atterrato a Torino con la
nazionale giapponese. Ora che si sarebbero rivisti. Erano mesi che lei
e Philip si erano lasciati. Anzi, erano mesi che lui l’aveva
lasciata e nessuno poteva biasimarla se adesso stava frequentando
qualcun altro. Neppure lui.
Gentile le piaceva, le piaceva il suo modo di prendere le cose con una
risata, le piaceva il suo ottimismo, le piacevano le attenzioni che le
rivolgeva. Quando era con lui riusciva a lasciarsi alle spalle
più di un anno di sofferenze e persino a non pensare a
Philip. Con Mark viveva tranquilla ma con Salvatore riusciva ad essere
persino allegra. Lui non perdeva occasione per farla ridere e se dopo
tutti quei giorni di incessanti attenzioni gli avesse concesso qualcosa
di più oltre a qualche bacio, era sicura che non se ne
sarebbe pentita. Accettandola a casa sua Mark l’aveva
salvata, ma a tirarle su il morale era stato Salvatore. Per questo
motivo ad un certo punto aveva cominciato ad insistere con Mark
perché uscissero più spesso insieme, o lo
invitasse a casa. Landers non era stato contento ma aveva sopportato
l’irruenza del compagno di squadra solo esclusivamente per
lei. Perché con Salvatore lei rideva più spesso.
Ma quella sera, al party di benvenuto, non se la sentiva proprio di
andare.
*
Il maltempo era rimasto in Giappone, l’Italia li aveva
accolti con il sole e l’aria pervasa da un piacevole tepore
primaverile. L’hotel extra lusso di Torino era una favola. A
Bruce piacque subito e varcò l'imponente ingresso con gli
occhi spalancati di meraviglia. Poi vide Benji, Holly e Patty seduti
sui divanetti della hall e pieno d’entusiasmo corse loro
incontro, abbandonando senza remore la valigia sul pavimento di marmo
splendente, davanti ai piedi di Bob Denver che inevitabilmente ci
finì sopra.
-Siete già qui!-
Bruce fu il primo, poi arrivò Evelyn che esaminò
Patty dalla testa ai piedi con gli occhi scintillanti.
-Allora? Sei incinta?-
-Ancora no!- la giovane strabuzzò gli occhi,
arrossì e cercò Holly perché le desse
man forte di fronte a tanta mancanza di tatto. Ma cos'altro poteva
aspettarsi dall'amica? Ormai la conosceva fin troppo bene.
Holly non stava ascoltando o quanto meno faceva finta di non udire. Era
svicolato tra loro per togliersi di torno ed era finito precisamente al
centro dell’entusiasmo dei compagni, in un casino di voci che
si coprivano l’un l’altra.
-E che aspettate a riprodurvi?-
-La smetti di urlare, Eve? Sono cose private!-
-No che non lo sono! Holly è un personaggio pubblico e a me
uno scoop del genere frutterebbe una fortuna!- le prese le mani mentre
l’amica si scostava infastidita -Mi devi promettere, Patty,
che quando succederà sarò la prima a saperlo!-
Lei mise il muso, irritata. Era sempre la solita.
-Non lo so.- temporeggiò ma poi
l’accontentò, più che altro per
accantonare l’argomento.
Holly salutò Gamo, Marshall, Pearson e il resto dello staff
e della squadra. Poi arrivò Aoi, catapultandosi
all’interno dell’hotel come un turbine, urtando con
la valigia le porte a vetri che non si scostarono abbastanza
rapidamente al suo passaggio. Quasi ne scardinò una, si
scusò con il facchino dell’hotel, poi si
fermò al centro della hall piegato in due, le mani
puntellate sulle ginocchia, il fiato corto per la corsa, precisamente
davanti a Gamo.
-Alla buonora, Aoi!-
-Scusate, ho fatto tardi.- individuò Holly, il suo mito, e
gli dedicò un sorriso particolare. Poi tornò a
guardare Gamo -Allora? Qual è il programma di oggi? A che
ora ci alleniamo?-
-Porca miseria Rob! Dacci il tempo di prendere fiato!- lo
assalì Ralph Peterson -Siamo atterrati appena
un’ora fa!-
-E allora? Non avete voglia di sgranchirvi le gambe?-
-Se con sgranchirsi le gambe intendi prendere a calci una palla, direi
proprio di no.-
Aoi guardò Jason Derrick deluso.
-Davvero?-
-Certo!- Bruce si portò le mani ai fianchi, la pensava come
i compagni. Dopo un volo così lungo l’unica cosa
che aveva voglia di fare era la doccia. Magari anche un pisolino fino
all’ora di cena, dopodiché abbuffarsi alla festa
di benvenuto. Eccole lì, le sue tre priorità, a
cui non avrebbe aggiunto nient’altro.
Gamo sfogliò il blocco degli appunti su cui aveva
scribacchiato durante buona parte del volo. Poi alzò gli
occhi e dopo essersi schiarito la voce per attirare
l’attenzione su di sé, diede ordini brevi e
precisi.
-Le camere sono già assegnate, sapete con chi dovete dormire
quindi evitiamo il solito casino. Avete tre ore di tempo libero per
fare quello che vi pare. Tre ore, non un minuto di più! Alle
otto in punto vi voglio tutti nella hall. Non si accettano ritardi.-
Julian udì l’esatta metà delle parole,
occupato com’era ad osservare Amy e Benji. Era già
la seconda volta che notava che i loro sguardi si incrociavano e che la
fidanzata si affrettava ad abbassare il suo. E aveva anche notato che
non solo Amy non l’aveva salutato, ma che per i minuti
successivi aveva cercato di stargli lontana. Price aveva reagito
esattamente all’opposto e adesso la osservava insistente, le
labbra appena incurvate all’insù in
un’ombra di sorriso, ad aspettare paziente ma ostinato come
un cacciatore, che lei tornasse ad incrociare il suo sguardo.
Doveva esserci sotto qualcosa, Julian ne era sicuro. Raggiunse la
reception, recuperò in fretta le due card della stanza che
avrebbe occupato con Philip e lo cercò. L’amico
era fermo da una parte, insieme a Holly, Gamo, Marshall e Pearson.
Passando loro accanto gli mise in mano la sua card, poi si
affrettò a raggiungere Amy prima che lo facesse Benji. Non
ce ne fu bisogno. Lei, Evelyn e Patty erano già davanti
all’ascensore, pronte a salire nelle loro stanze.
Alle otto e un quarto Philip si piazzò davanti allo specchio
per annodarsi la cravatta. Julian era già sceso, lo aveva
incrociato nella hall prima ancora di salire in stanza. Non aveva
capito il motivo che aveva indotto il compagno a tornare giù
con tanta fretta, però era stato contento di rimanere solo.
Era in ritardo di quasi quindici minuti, ma non gli importava. Era
rimasto seduto ai tavolini del bar dell’hotel con Gamo,
Marshall, Pearson e Holly più di due ore a pianificare le
giornate che li aspettavano, bevendo un caffè dietro l'altro
per tener lontani gli sbadigli e la stanchezza. Anche Gamo, Pearson e
Marshall erano provati dalla traversata intercontinentale, ma Holly
aveva avuto energie per tutti ed era riuscito con le sue chiacchiere a
farli restare seduti lì per un tempo infinito. Philip ad un
certo punto non ce l’aveva fatta più e con la
scusa di una doccia, aveva tagliato la corda. Prima però,
mentre consumava il suo terzo caffè, Pearson aveva
telefonato a Mark per chiedergli quando aveva intenzione di
raggiungerli, visto che non si era ancora fatto vedere. Landers aveva
risposto di essere impegnato fino a sera e di potersi liberare soltanto
per la cena. Gamo aveva abbozzato. Era già abbastanza
preoccupato per il nullaosta di Holly, non desiderava angustiarsi anche
per Mark. Fino a quel momento l’unico via-libera che lo staff
della nazionale aveva ricevuto, e comunque ancora solo verbale, era
quello del mister dell’Amburgo che aveva lasciato Benji
libero di giocare l’amichevole. Philip immaginava il motivo
di tanta disponibilità ma non voleva pensarci. Infierire
sull’errore del compagno non era davvero il caso in un
momento in cui lui stesso stava sprofondando nelle disastrose
conseguenze dei propri.
Osservandosi riflesso nello specchio, notò le ombre scure
sotto gli occhi e le labbra tirate dallo scontento. Aveva bisogno di
dormire, non di partecipare a quel noiosissimo party. La cravatta
stringeva. Infilò un dito nel colletto della camicia per
allentarla, ma la sensazione di soffocamento non passò.
Forse non era la cravatta a soffocarlo, ma quella pseudo-esistenza che
stava vivendo piatta e grigia. Aveva pensato che prima o poi la sua
vita sarebbe tornata alla normalità, che sarebbe riuscito a
dimenticare, a dare un taglio al passato e guardare avanti. Si era
sbagliato di grosso, non era stato affatto così. Il passato
continuava a torturarlo con la stessa intensità, come se
fosse trascorso appena un giorno dal disastro che aveva rovinato la
vita di Jenny e, di conseguenza, la sua. Tornò verso il
letto e afferrò la giacca. Mentre se la infilava
udì bussare, poi la voce di Evelyn.
-Philip, sei pronto?-
Raggiunse l’ingresso sforzandosi di non essere scortese anche
se l’invadenza dell’amica lo innervosì.
Aprì la porta pronto a scacciarla ma, per un secondo, non la
riconobbe. Il lampo di sorpresa che gli attraversò gli occhi
fu così palese che lei soffocò una risatina
lusingata.
-Inutile che fai quella faccia, sono proprio io.-
Lui si lasciò sfuggire un sorriso e, incoraggiata dalla sua
reazione, Evelyn fece una mezza piroetta affondando i tacchi nella
moquette del corridoio.
-Significa che il vestito mi sta bene?-
-Sì, ti sta bene.-
Lei rise lusingata.
-La tua reazione è più entusiastica di quella di
Bruce.-
-Vedrai che apprezzerà il tuo vestito non appena si
sarà riempito lo stomaco.-
Risero entrambi.
-Non scendi? C’è un sacco di roba buona.-
tentennò la testa, passando il peso del corpo da un piede
all’altro -In effetti Bruce si sta abbuffando da una buona
mezz’ora e Clifford gli tiene compagnia. Sul cibo quei due si
trovano proprio…-
Mentre lei commentava le prodezze del fidanzato e del cugino dalla
soglia, Philip recuperò il cellulare, il portafoglio, la
card della stanza e spense la luce. Uscì e
s’incamminarono insieme verso l’ascensore.
-Mark è arrivato?-
-Non ancora.-
Philip non si stupì. Mark considerava qualsiasi tipo di
ricevimento di una noia insopportabile e oltretutto odiava vestirsi
elegante. Probabilmente si sarebbe presentato ancora più
tardi di lui, tanto non gli interessava che Gamo si arrabbiasse.
Avrebbe partecipato alla festa controvoglia e a metà serata
se la sarebbe filata per tornare dalla sua ragazza. Merda, moriva dal
desiderio di vederla, chissà se l’avrebbe portata
con sé.
Entrando nell’ascensore dietro l’amica, Philip
soffocò uno sbadiglio. Aveva per lo meno ventiquattro ore di
sonno arretrato e Gamo avrebbe fatto molto meglio a lasciarlo andare a
riposare invece di chiacchierare per un tempo infinito di cose che
erano già stabilite da mesi e di problemi che comunque non
avevano risolto. Come la scelta del portiere che sarebbe sceso in
campo. Avevano parlato di Benji, di Ed e di chi far giocare durante la
partita. Come al solito nessuno di loro aveva preso in considerazione
Alan Crocker. Alan era solo il terzo portiere più bravo del
Giappone e sarebbe riuscito a giocare una partita della nazionale
soltanto se Benji e Ed fossero morti entrambi. Al tavolo del bar
avevano messo Holly a conoscenza della nuova sparata di Warner
nell’ufficio di Gamo. Philip capiva il suo punto di vista ma
non condivideva assolutamente il suo modo di impuntarsi. Se Benji era
più bravo, c’era poco da fare. E poi, tra le
riserve, c’era pure chi non aveva mai giocato una partita con
la maglia della nazionale.
Marshall, che come al solito cercava di sedare gli animi, aveva
ricordato a tutti e tre che quella che stavano per affrontare era solo
un’amichevole. E a quel punto era intervenuto Holly che aveva
dichiarato senza peli sulla lingua che non si era fatto un mazzo tanto
a supplicare il nullaosta a Van Saal solo per stiracchiare un pareggio
o addirittura rischiare una sconfitta. Marshall e Gamo non avevano
saputo cosa rispondergli e Philip non aveva potuto fare a meno di
dargli ragione.
Lanciò un’occhiata a Evelyn che taceva, fissando
in silenzio i pulsanti dell’ascensore illuminarsi uno alla
volta man mano che scivolavano silenziosamente verso il piano terra.
Indossava un abito di un colore a cui non era in grado di dare un nome
preciso ma che gli fece pensare al giallo dorato della birra o a quello
ancora più chiaro dello champagne.
-Senti Philip…-
Si volse e si guardarono. L’espressione seria di Evelyn non
gli fece presagire niente di buono. In un improvviso attacco di
fifoneria, sperò di arrivare presto a destinazione.
Mancavano solo tre piani.
-Immagino che tu non voglia parlare di quei raduni, però io
devo farlo lo stesso per dirti che stai veramente rischiando di
metterti nei guai.- disse tutto d’un fiato.
Lui la fissò, stupito da un’introduzione di cui
non capì il senso, troppo convinto che il suo discorso
sarebbe stato su Julie Pilar o al peggio su Jenny.
-Quali raduni?-
Le porte dell’ascensore si aprirono ed Evelyn non ebbe modo
di continuare. Jason Derrick e Sandy Winters li intercettarono appena
misero piede nella hall.
-Philip, abbiamo un problema.-
-Che problema?-
-Gamo. Ci fa le poste.-
Evelyn lo guardò sconsolata mentre veniva preso
d’assalto dai compagni. Aveva perso l’occasione di
parlagli. Avrebbe dovuto trovare il modo di farlo più tardi,
perché ciò che aveva da dirgli era troppo
importante per lasciar correre.
-Che vuol dire che vi fa le poste?-
-Che controlla ciò che mangiamo!-
Li fissò scettico.
-E allora?-
Winters lo apostrofò incredulo.
-Come “e allora”?-
Bruce li raggiunse.
-Glielo avete detto?-
-Sì, ma pare che non gli importi.-
-Non ti importa? Spiegami allora che cavolo ci stiamo a fare qui se non
possiamo mangiare nulla!-
-Se non puoi abbuffarti come tuo solito, vorrai dire.- gli
sfuggì in sorrisetto di scherno -Evelyn mi ha appena detto
che tu e Clifford avete dato una bella ripulita al buffet…-
s’interruppe.
Evelyn. Si guardò intorno in cerca dell’amica e
non la vide più. Non gli dispiacque affatto, anzi fu
contento di essersene liberato. Di che raduni aveva intenzione di
parlargli? Forse lo immaginava, ma non volle pensarci. Tornò
a concentrarsi sui compagni.
-Non sono l’unico a lamentarmi.- Bruce si mise sulla
difensiva, i pugni premuti sui fianchi che gli spiegazzarono la giacca.
-Questo lo vedo, ma perché lo dite a me?-
-Perché devi fare qualcosa. Devi risolvere il problema,
altrimenti che senso ha che tu sia il capitano?-
La logica di Sandy fu spiazzante, ma rappresentava né
più né meno ciò che Philip aveva
illustrato a Peter Shake nell’aereo, durante il viaggio di
ritorno da Fujisawa. Essere capitano comportava una gran rottura di
coglioni e solo per questo Philip avrebbe mollato la fascia a chiunque,
seduta stante. Se i compagni poi cominciavano con le lamentele cretine
appena atterrati in Italia, quella maledetta fascia gli veniva soltanto
una gran voglia di bruciarla. Finse di riflettere, di concentrarsi sul
problema cercando in realtà la soluzione per scollarseli di
dosso.
-Distraetelo a turno mentre gli altri mangiano. Voi siete tanti e lui
è solo. Oppure mandate le ragazze a riempirvi i piatti. A
loro non può dire nulla.-
All’inizio il suo tono accondiscendente fece sorgere nei
compagni il sospetto che li stesse schernendo. Poi l’idea di
Philip fece breccia nel loro cervello, capirono che organizzandosi
poteva funzionare e si allontanarono soddisfatti.
A Torino Benji aveva scoperto di avere per le mani due problemi. Quella
sera sperava di risolverli entrambi e togliersi definitivamente la
preoccupazione. Il primo era il più rognoso. Si trattava di
intercettare Amy, farsi aiutare da lei a ricordare cosa le aveva detto
al telefono quando lo aveva chiamato ad Amburgo ed eventualmente
scusarsi. Il solo pensiero lo metteva di cattivo umore, lui non si
scusava mai. Ma cominciava a seccargli che lei lo evitasse da quando
era arrivata in hotel.
Il secondo problema, che in realtà non era un problema ma la
soddisfazione di una curiosità, era riuscire a carpire
qualche informazione in più sulla ragazza di Landers.
L’interesse che provava verso questa indefinita creatura era
impressionante, ma era ancora più sconvolgente il fatto che
quel pezzente si fosse trovato una compagna. Chi poteva provare
interesse per un tipo che non avrebbe tirato fuori un euro in regali,
ristoranti e romantici viaggi? Chi poteva uscire con una persona che
non avrebbe speso un centesimo per potare una donna a divertirsi? Quale
bizzarro essere dell’universo femminile poteva decidere di
raccattarsi un ragazzo così?
Individuò Aoi che spiluccava solo soletto spiedini al
formaggio e prosciutto cotto. Il ragazzo rappresentava in quel momento
l’unica, probabile e possibile fonte
d’informazione. Era quello che poteva saperne più
di tutti e Benji era deciso a spremerlo per bene per spillargli qualche
notizia piccante. Passò accanto a Marshall e Gamo,
accorgendosi mentre li superava che erano occupati in una fitta
conversazione con Julian. Accanto a Ross c’era il suo
immancabile angelo custode che quella sera indossava un abito piuttosto
semplice color melanzana. Non era per niente appariscente, aveva appena
uno scollo ricamato da perline e poi scendeva giù dritto
fino alle ginocchia, uno strato di chiffon che ne ricopriva un altro di
raso. Ma le stava bene. Benji tornò indietro, curioso di
sapere di cosa stessero parlando e di saggiare la ritrosia di Amy. Ne
avrebbe approfittato per rimarcare il ritardo di Mark, che ancora non
si vedeva.
Quando li raggiunse i tre smisero di parlare, facendogli sorgere il
dubbio che fosse proprio lui l’oggetto della loro
conversazione. Represse il fastidio e fissò Gamo negli occhi.
-Se stasera Landers non si presenta, lo lascia in panchina?-
-Non ci sperare.-
Ross alzò fastidiosamente gli occhi al soffitto, seccato
dalla sua intrusione nella conversazione. Benji lo ignorò e
posò su Amy uno sguardo ironico e stracarico di sottintesi.
Lei reagì abbassando il viso. Di che accidenti aveva paura?
Che la mangiasse?
Poiché era chiaro che se non si fosse allontanato, quelli
non avrebbero ripreso la conversazione, indispettito dal loro silenzio
li lasciò perdere tutti, allontanandosi con le mani nelle
tasche e la stessa strafottenza con cui si era accostato. Raggiunse Aoi
davanti al buffet.
-Com’è la ragazza di Landers?-
Rob si volse a guardarlo sbigottito. Uno spiedino mangiucchiato a
metà, la bocca piena e le guance rigonfie di formaggio,
deglutì il boccone, chiedendosi come avesse fatto a sapere
di Jenny. Lui era sicuro, anzi strasicuro, di non essersi lasciato
sfuggire niente con nessuno. Mark si sarebbe arrabbiato, avrebbe
pensato che fosse stato lui a spettegolare… Cavolo! Doveva
correre ai ripari! Prima di tutto, decise di togliergli dalla testa
un’errata convinzione che avrebbe causato solo guai.
-Non è la sua ragazza. Anche se abitano insieme è
soltanto un’amica.-
Benji mascherò malissimo la sorpresa di quella risposta ma
il caso volle che piuttosto che guardare lui, Aoi preferì
riempirsi il piatto per prendere e perdere tempo, lasciando al portiere
qualche istante per dissimulare lo stupore.
Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, Benji fissò
Rob con un sorriso compiacente. Come volevasi dimostrare, Aoi qualcosa
sapeva e adesso che aveva scoperto che la coppia conviveva, valeva
proprio la pena continuare l’interrogatorio. Chiese ad un
cameriere di riempirgli due bicchieri di champagne e ne porse uno al
ragazzo, sperando che l’alcol gli sciogliesse la lingua.
Voleva sfilargli più informazioni possibili.
-Lo so perfettamente, stavo scherzando.- ritrattò, sicuro
che Rob avrebbe difeso Landers a spada tratta. Doveva andarci piano. Si
guardò intorno, vide Winters e Diamond accostarsi al buffet,
prese Aoi per un braccio e lo tirò da una parte con un fare
da cospiratore che contagiò persino lui -Dicono tutti che
è strano che un tipo scorbutico come Landers ospiti a casa
una ragazza che non è la sua fidanzata.-
A Rob per un attimo sembrò di sentir parlare Salvatore e non
poté fare a meno di renderne partecipe il portiere. Il
pensiero di chi fossero quei “tutti” non lo
sfiorò neppure.
-Anche Gentile lo pensa. Mark le sta appiccicato e questo non gli va
giù. Vorrebbe che lei andasse ad abitare da lui,
gliel’ha chiesto un sacco di volte ma pare che Mark glielo
abbia proibito.-
Il commento spiazzò Benji che non ci capì
più niente.
-Quindi lei sta con Gentile?-
-Certo!-
Il portiere lo fissò, sforzandosi di districare la
confusione con cui Aoi gli aveva ingarbugliato il cervello. Se la
ragazza di cui stavano parlando era la fidanzata di Gentile, che fine
aveva fatto quella di Mark, la stessa che avevano udito al telefono? A
meno che… Aoi aveva detto che la fidanzata di Gentile
abitava da Mark. Allora si trattava della stessa persona? Mentre nella
sua testa frullavano miriadi di improbabili eventualità, Rob
proseguì.
-In effetti sembra più la ragazza di Mark che di Gentile e
questo fa andare in bestia Salvatore.-
Price lo fissò sgomento. Decise di mandare giù un
altro sorso di champagne. Quella sì che era una notizia
bomba. Dunque Gentile e Landers si stavano litigando la stessa
donna… Guardò Rob chiedendosi se
quell’assurdo interrogatorio sarebbe servito. Non gli stava
tirando fuori niente di sensato. Forse era meglio passare a qualcosa di
più pratico, ad una domanda facile che andasse al di
là del comportamento di Landers e del fastidio di Gentile.
-Tu la conosci, vero? Com’è?-
Rob sorrise.
-Forse a te non piacerebbe, non è particolarmente
appariscente.-
Questa poi…
-Cosa cazzo ne sai dei miei gusti?-
Rob corse ai ripari.
-Intendo dire che non somiglia per niente alla ragazza con cui stai
uscendo… La bionda.-
Il portiere represse un gesto di fastidio.
-Lascia perdere Marianne, quella stronza! Descrivimi la ragazza di
Landers.-
-Ma non è la ragazza di Landers!-
Benji serrò i pugni, stava per perdere la pazienza.
-Descrivimela lo stesso!-
-Ha i capelli neri lunghi fino qui.- Rob si toccò un gomito
-E poi è bella, dolce, intelligente, simpatica e soprattutto
molto, molto paziente. Altrimenti come potrebbe vivere con Mark?-
-Già, me lo chiedo anch’io.- la descrizione di Aoi
fu del tutto inutile. Non riuscì ad immaginarsela neppure
sforzandosi o meglio gli venne in mente una tipologia di ragazza comune
che poteva corrispondere ad un quinto della popolazione femminile del
pianeta -È alta? Bassa? Grassa? Magra?-
-È normale.-
Benji sospirò. Non era sicuro che i canoni di bellezza di
Aoi coincidessero con i suoi, ma il fatto che il ragazzo usasse il
termine “bella” e non “carina”
era già un punto in più per lei. A parte queste
inadeguate informazioni, chiaramente il compagno non avrebbe potuto
essergli d’aiuto. Toccava aspettare, avere pazienza e sperare
di incontrarla. Merda, stava morendo dalla curiosità. E se
l’avesse sedotta e gliel’avesse portata via di
casa? Quello sì che sarebbe stato un gran colpo! Avrebbe
fregato la ragazza a Gentile e fatto schiattare Landers di rabbia.
-Verrà stasera?-
-Penso di sì.- Aoi fece spallucce, poi raggiunse Jason
Derrick (o era James?), lasciando a turbinare nella mente di Benji una
mezza dozzina di punti interrogativi e di variabili
possibilità.
Mentre il portiere s’aggirava insoddisfatto, colse uno
stralcio di conversazione tra Ralph Peterson e Paul Diamond.
L’assurdità delle loro parole lo spinse a fermarsi.
-Scusa ma quanto avevi in inglese?-
-Che c’entra? Non sono io che vado in cerca della traduzione.-
-Io lo sapevo ma l’ho dimenticato!-
-Peggio per te… Dille un’altra cosa. Che
c’entra adesso il costume? Dille che sta bene col vestito che
ha addosso! Se le dici che vorresti vederla in costume, finirai col
farla scappare.-
Peterson sbuffò, si volse per tornare dalla ragazza italiana
a cui si era offerto di portare da bere e quasi si scontrò
con Benji. La sua espressione corrucciata si aprì in un
sorriso.
-Giusto tu… Sai come si dice costume in inglese?-
-Che costume?-
-Il costume da bagno.-
-Il bikini?-
-Sì quello.-
-Si dice bikini.- li guardò come se fossero impazziti -Non
lo sapevate? Pensavate che bikini fosse una parola giapponese?-
I due ci rimasero male, Benji scosse la testa incredulo e li
mollò a riflettere sulla loro ignoranza. Si trovò
d’improvviso sul percorso di Amy che stava tornando dal
tavolo del buffet con un bicchiere colmo di una bevanda rossa e
trasparente. Lei si bloccò, lo fissò interdetta,
poi abbassò gli occhi e cercò di superarlo. Lui
rise.
-Dove scappi?- allungò una mano per fermarla ma neppure la
sfiorò.
-Non vuole parlarti, lasciala in pace.-
La voce di Ross gli fece correre un brivido di fastidio su per la
schiena. Julian gli dedicò un’occhiata torva e si
allontanò dietro la fidanzata che era già
sgattaiolata via. Benji represse l’impulso di prenderlo a
sberle e tornò sui suoi passi. Vide Holly e Patty seduti ad
un tavolo insieme a Bruce, Evelyn, Philip e Clifford e li raggiunse.
Evelyn lo osservava curiosa.
-Hai fatto arrabbiare Julian?-
-Quello sfigato.-
Clifford rise ma non alzò gli occhi dal display del proprio
i-phone, con cui stava giocherellando già da svariati
minuti, approfittando del wi-fi gratuito dell’hotel. Evelyn
gli lanciò un’occhiata distratta, poi
guardò Holly.
-Che succede a Tom?-
-Non lo so, perché?- lo cercò e lo
trovò lontano, tra una palma e un cespuglio di fiori gialli,
forse delle margherite, ma non ne fu sicuro visto che lui di botanica
non capiva un fico secco.
Tom camminava avanti e indietro infervorato, col cellulare incollato al
viso, la giacca sbottonata, la cravatta che oscillava a destra e
sinistra come un pendolo. Era così contrariato che a tratti
arrivava persino a gesticolare, cosa che lo rendeva estremamente buffo.
Quando incrociò i loro sguardi curiosi e interessati, i suoi
occhi balenarono di fastidio e si allontanò da loro,
sparendo tra gli invitati.
Evelyn sospirò di curiosità.
-È al telefono da quasi mezz’ora.-
Bruce la fissò incredulo.
-Da mezz’ora? E non lo paga? Io per chiamare mia madre e
dirle che sono arrivato ho speso quasi otto euro e ci sono stato due
minuti.-
-Certo non sta parlando con sua madre.- rise Clifford senza alzare gli
occhi dal suo telefonino -Altrimenti avrebbe già
riattaccato.-
Evelyn annuì.
-Sta parlando con la sua ragazza.-
Holly cercò di arginare la curiosità dei
compagni.
-In ogni caso non sono affari nostri.-
Bruce annuì d’accordo, ma solo perché
aveva sete. Dopo essersi rinfrescato l’ugola, avrebbe
assillato gli amici e persino Tom per saperne di più. Il
problema adesso era che non gli andava di alzarsi e farsi largo tra gli
invitati per raggiungere il buffet. E magari farsi di nuovo
rimproverare da Gamo. L’escamotage di Philip aveva funzionato
fino ad un certo punto. Poi il mister aveva mangiato la foglia e non
s’era fatto più fregare. Spostò gli
occhi su Evelyn che, guarda un po’, stava fissando di nuovo
Philip.
-Mi vai a prendere un cocktail?-
Lei si irrigidì tutta.
-Non ci penso proprio, vacci da solo.-
Bruce sbuffò e, sentendola ridere, si volse verso Patty.
-Tu ci saresti andata per Holly, vero?-
-Holly ci sarebbe andato per me.- lo mise a tacere lei -Quindi vedi di
muoverti.-
Benji colse la palla al balzo.
-Visto che ci sei, Harper, porta qualcosa da bere anche per me.-
-Per me champagne.- gli andò dietro Clifford, poi
sobbalzò sulla sedia e fischiò di sorpresa -E
questa cos’è?- spostò gli occhi su
Philip e ghignò in un modo che a lui non piacque per niente
-Dì un po’, da quando le ragazze si conquistano
con le ciambelle di Mr Donut?-
L’altro non fiatò, lasciò che Yuma
voltasse il display verso di lui e scoppiasse in una risata. I compagni
si accalcarono per osservare la foto, Evelyn addirittura tolse il
cellulare dalle mani del cugino per guardare meglio. Mise a fuoco
l’immagine e si volse di scatto.
-Chi è questa, Philip?-
Lui si cucì addosso un’espressione candida e
innocente.
-Non saprei.-
Si trattava di Sheryl, ne era sicuro. Era bastato che Clifford
pronunciasse il nome del locale per intuire di essere stato fotografato
insieme a lei. Evelyn gli allungò il cellulare ma Benji si
appropriò del telefonino lasciandogli appena il tempo di
intravedere se stesso e Sheryl che uscivano dalla porta a vetri di Mr
Donut.
-Diamine, Philip. Da quando sei diventato un dongiovanni?-
Bruce lo fissò incredulo.
-Non stai con Julie Pilar?-
Lui si mosse a disagio sulla sedia.
-È solo un’amica.- anzi, conosceva Sheryl da
così poco tempo che non era neppure quello. Ma poi
perché accidenti si stava giustificando? Guardò i
compagni. Bruce e Clifford lo fissavano con evidente ammirazione, Patty
con un’espressione incredula. Evelyn era decisamente curiosa
e Benji aveva stampato in faccia un misto di divertimento e
comprensione. Poi arrivò Tom a toglierlo dagli impicci.
Spuntò tra loro come una furia, gli occhi scintillanti di
collera, gli zigomi chiazzati di rosso, le labbra tirate. La sua
irruzione portò un improvviso silenzio intorno al tavolo.
Scostò brusco una sedia e vi si lasciò cadere
borbottando qualcosa di molto simile ad un’imprecazione. Non
guardò nessuno e in un gesto d'ira incontrollata
gettò sul tavolo il cellulare che slittò lungo il
ripiano. Philip allungò svelto una mano e lo
agguantò al volo, un secondo prima che si schiantasse a
terra.
-Tutto bene?-
Tom lo fulminò con uno sguardo.
-Tutto bene un cazzo!-
Holly, che gli era vicino, quasi cadde dalla sedia. Clifford invece
scoppiò a ridere.
-Oggi è il giorno delle scoperte! Callaghan è un
casanova e il placido Becker è capace di incazzarsi! Si vede
proprio che siamo maturati.-
Tom lo guardò con gli occhi socchiusi, capendo in
quell’istante che non era stata una buona idea sedersi tra
loro. Si forzò di controllare la voce, e proseguì
in moto più pacato.
-Non sono incazzato, sono solo… alterato.-
La sua precisazione scatenò tra i compagni uno scoppio di
ilarità che si spense improvviso quando il cellulare che
Philip stringeva ancora tra le mani prese a squillare.
Fissarono il telefonino, poi guardarono Callaghan che lo teneva con la
punta delle dita come se scottasse e infine Tom che sotto i loro occhi
curiosi, reagì velocissimo. Si allungò sul tavolo
e lo strappò al compagno. Il nome di Amélie
lampeggiava sullo schermo. Ma quando lo ebbe preso, riuscì a
guardarlo e basta, incapace di decidersi a risponderle. Fremeva in
preda all’ansia e allo scontento, la schiena era rigida, si
accorse di respirare appena.
-Non rispondi?-
Tom reagì contro Evelyn come se lei gli avesse mollato un
pugno.
-Sono affari miei se lo faccio o no!- balzò in piedi, si
accostò il cellulare al viso e rispose con un secco -Che
c'è ancora!-
Gli occhi dei compagni rimasero fissi sulle sue spalle mentre si
allontanava di qualche passo alla ricerca di un minimo di privacy. Lo
udirono inveire.
-Per una volta, diamine! Per una volta!-
Clifford guardò Philip.
-Chi è?-
L’altro fece spallucce. Holly fissò lui per un
istante e subito dopo tornò ad osservare Tom. Doveva
preoccuparsi? Quel ritiro non cominciava bene per niente se Tom andava
fuori di testa già dal primo giorno. Lo vide chiudere la
telefonata con un gesto rabbioso. Restò in piedi, rigido
come un palo, finché Holly si alzò e gli si
avvicinò, pieno di buone intenzioni.
-Si può sapere che è successo?-
L’amico saltò su come una molla.
-No che non si può sapere!-
Bruce scambiò un’occhiata saputa con Clifford, poi
lo incalzò con voce setosa.
-Stavi parlando con tua madre? I tuoi hanno litigato di nuovo?-
-Mi spieghi come diavolo fanno a litigare se sono divorziati? E poi non
stavo parlando con i miei!- capì dal sorrisetto che
spuntò sulle labbra del compagno che Bruce si stava
divertendo a provocarlo.
-E allora con chi?-
Tom si irrigidì di colpo, Evelyn invece gli si
avvicinò e gli toccò un braccio.
-Con lei, vero?-
-Lei chi?-
-Amélie, la tua ragazza.-
Benji s’illuminò. Pensando di aver capito il
problema, lo guardò solidale.
-Ti ha mollato?-
Tom sobbalzò.
-No!-
-Ah, ancora no?- lo fissò deluso, poi continuò
-Allora se ti sta per mollare puoi chiedere a Philip di farti conoscere
qualche sua amica. Pare che sia diventato un esperto di ragazze, ne
frequenta persino due per volta.- strizzò l’occhio
a Callaghan che gli rispose sollevando il dito medio. Benji
ricambiò sorridente e continuò per la sua strada
-In fondo uomini e donne sono più o meno tutti
intercambiabili, sai Tom? Anche Philip, a questo punto, te lo
può confermare. Con le ragazze non bisogna farla tanto
lunga. Non conviene, si perde solo tempo. Se sono graziose e non
rompono, non c’è molta differenza tra una e
l’altra. Tutte hanno qualcosa di positivo e qualcosa di
negativo, basta imparare ad adattarsi… Vero Philip?-
-La smetti di mettermi in mezzo?-
Evelyn lasciò perdere le perle di saggezza del portiere, che
reputava idiozie fatte e finite e tornò a concentrarsi su
Tom.
-Quale sarebbe il problema?-
Lui si mosse a disagio sulla sedia.
-Non può venire.-
-Venire dove?-
-Venire qui, a vedere la partita!-
-E perché non può venire?- quella notizia deluse
Evelyn tanto quanto lui. Aveva sperato finalmente di poterla conoscere
e invece…
Clifford si spremette le meningi, qualcosa in tutto ciò non
gli era chiaro. A forza di far lavorare il cervello, trovò
ciò che non gli quadrava.
-Non è che è finta?-
Tutti gli occhi si spostarono su di lui.
-Finta?-
Annuì a Holly che lo osservava sorpreso.
-Sì, finta. Non è che quella tizia, Camelia o
come cavolo si chiama, sia in realtà una copertura?-
-Una copertura?- stavolta a fargli eco fu Tom.
Clifford continuò sulla sua strada, i ragazzi lo fissavano a
bocca aperta.
-Non è che in realtà la dolce metà di
Tom si chiama Harold?-
Nessuno, neppure Patty che era rimasta seria durante tutta la
chiacchierata, pensando per metà ai problemi di Philip e di
Tom e per l’altra metà ai propri,
riuscì a controllarsi. Scoppiarono a ridere così
fragorosamente che parecchi invitati si voltarono a guardarli.
L’unico a non ridere, a non asciugarsi le lacrime e a tenersi
la pancia, fu ovviamente Tom che li fissò con gli occhi
spalancati, il colorito cadaverico e due chiazze scarlatte che erano
tornate a decorargli le guance. Il divertimento dei compagni che non
riuscivano a riprendere il controllo, Bruce che era quasi scivolato
giù dalla sedia, Evelyn che si era nascosta il viso tra le
mani per non mostrare le tonsille al mondo, Philip che aveva poggiato i
gomiti sul ripiano del tavolo e si asciugava gli occhi, Benji che era
voltato di profilo e le sue spalle sussultavano, sarebbe stato persino
esilarante se l’oggetto di tanto divertimento non fosse stato
lui stesso.
Si eresse in tutta la sua statura e li guardò con un tale
astio che per un attimo, per un solo secondo, un brivido sgradevole
percorse la schiena di Holly.
-Ride bene chi ride ultimo.- si allontanò a testa alta, a
sfogare il fastidio ben lontano da loro.
-Ride bene chi non gliene frega un cazzo.- precisò Benji con
convinzione.
*
Jenny uscì dalla doccia decisa. Quella sera non sarebbe
andata neppure se Mark l’avesse implorata in ginocchio.
Neppure se Carol l’avesse minacciata di spifferare al
compagno dove passava tutti i venerdì sera e parecchi
sabati, neppure se Salvatore l’avesse supplicata
promettendole il mondo. Andare al party e incontrare Philip era un
suicidio, significava vanificare tutti quei mesi di sofferenza durante
i quali si era sforzata fino allo stremo di dimenticarlo.
L’indomani mattina presto, mentre Mark dormiva, sarebbe
uscita di soppiatto di casa, sarebbe andata alla stazione e avrebbe
comprato un biglietto per Roma. Aveva progettato tutto. Messi da parte
i soldi, preparata la valigia (occultata nell’armadio) aveva
deciso di tornare a Torino il primo maggio, quando ormai della
nazionale giapponese non fosse rimasta più traccia. E non le
importava se Salvatore, o peggio Mark, si fossero infuriati.
Si avvolse nel telo da bagno e pulì con un lembo
dell’asciugamano lo specchio offuscato dal vapore. Poi si
guardò. Aveva le occhiaie, le aveva da tre giorni e Mark
doveva averle sicuramente notate. Eppure non aveva commentato. Magari,
per una volta, era riuscito a mettersi nei suoi panni. Si
asciugò le braccia e il collo, poi si strofinò i
capelli finché smisero di gocciolare. Si passò il
telo sulle gambe e sulla schiena e se lo girò di nuovo
intorno al corpo. Aprì la porta del bagno e fece capolino
nel corridoio. Mark era ancora in camera, lo sentiva parlare, doveva
essere al cellulare con qualcuno. Stringendosi addosso
l’asciugamano Jenny raggiunse la propria stanza.
-E tu che gli hai risposto?- lo sentì chiedere, leggermente
teso.
S’infilò in camera e si chiuse la porta alle
spalle. Mark si sarebbe arrabbiato, voleva a tutti i costi che quella
sera andasse al party. Forse era ancora convinto che lei e Philip
sarebbero tornati insieme. Che ingenuo! La foto con Julie Pilar non gli
era bastata a fargli capire che tra loro era finita?
Si sedette sul letto e si asciugò meglio. In bagno
l’aveva fatto in fretta e furia e la sua pelle era ancora
accaldata e umida. Quella sera non voleva andare ma non era riuscita a
non promettere a Salvatore che lo avrebbe accompagnato. Ci
sarebbe rimasto malissimo. Poteva inventare un mal di testa, un malore,
un impegno… ma non ci sarebbero cascati, né lui
né Mark. Sospirò e lanciò
un’occhiata all’armadio, dove aveva lasciato il
vestito che Carol l’aveva convinta ad indossare, dopo averla
convinta ad acquistarlo. Lo aveva scelto lei, dicendole che la doppia
gonna era all’ultima moda ma Jenny non era sicura che le
stesse così bene quanto Carol aveva affermato. Bianco poi,
come un abito da sposa… Sospirò. In fondo il
problema non sussisteva, lei non sarebbe mai andata a quella festa,
incontrare Philip la terrorizzava troppo.
Ma perché lui aveva chiamato il ryokan? Erano
passati così tanti mesi da quando si erano lasciati,
perché ora la cercava? Voleva sapere se era a Shintoku.
Perché? Cosa gliene importava? Piegò le gambe
appoggiando i piedi nudi sul bordo del letto e nascose il viso nel
cotone umido dell’asciugamano. La sua telefonata, che aveva
aspettato per giorni, arrivava ormai troppo tardi. Eppure non riusciva
a non chiedersi con ansia che volesse da lei, perché si
fosse improvvisamente ricordato che esisteva. Perché non la
lasciava in pace?
Quella sera non poteva assolutamente andare. Non avrebbe avuto la forza
di rivederlo, né di affrontarlo. Vagò a caso
nella stanza per quasi cinque minuti, cercando disperatamente una scusa
che reggesse ai tentativi di Mark e Salvatore di convincerla ad
accompagnarli. Non riuscì a trovarne. Sussultò
quando udì Mark chiamarla da fuori.
-Jenny, sei pronta?-
-Non vengo!-
-Certo che verrai!- la sua voce si fece in un istante più
vicina, doveva essere subito dietro la porta.
-Ti ho detto di no!-
-Tra cinque minuti Gentile sarà qui!-
-Mark, non vengo!-
-Ne abbiamo già discusso!- entrò senza bussare e
trovò Jenny seduta sul letto con indosso soltanto la
biancheria intima. Divenne scarlatto e distolse subito gli occhi, ma il
suo spirito polemico non si sgonfiò e
l’assalì lo stesso.
-Non sei ancora pronta!-
-Esci immediatamente!-
-Perché non sei pronta?-
-Ti ho detto che non vengo!-
Senza guardarla Mark raggiunse di filato l’armadio pronto a
sceglierle un abito qualsiasi. Lei balzò in piedi,
cercò di intercettarlo ma non arrivò in tempo.
L’amico incappò nella valigia, accuratamente
nascosta dietro i vestiti appesi. La fissò stupito, sgomento
poi si volse.
-Hai intenzione di andartene, Jenny? Stai fuggendo?-
Lei arrossì, ricordò di essere mezza nuda e
afferrò dalla sedia il telo umido. Se lo strinse al petto e
tornò a guardarlo.
-Non sto fuggendo!-
-Sì che lo stai facendo! Hai persino fatto la valigia! Sai
cosa significa questo? Che hai il terrore di incontrarlo!-
-Non è assolutamente vero!-
-Certo che è vero!-
-No!-
-E allora vieni a questa maledetta festa! Credi che a me faccia piacere
partecipare?-
-La festa è per te, non per me!-
-Questa non è una scusa plausibile! Ci sono anche Amy, Patty
ed Evelyn e tu stai con Gentile, no? Perché non dovresti
accompagnarlo?-
-Non mi sento bene, mi sono venute.-
-Ma se ti sono appena passate!-
Lei sbiancò.
-Come accidenti fai a saperlo? Mi controlli?-
-Certo che no! Allora? Ti prepari?-
Mark lanciò un’occhiata all’orologio.
Aveva meno di quattro minuti per convincerla a vestirsi e poi Gentile
sarebbe arrivato. Perché tra i tanti difetti,
l’italiano doveva avere anche quello di essere maledettamente
puntuale? Agli allenamenti si presentava in ritardo cronico ma quando
si trattava di andare a divertirsi era peggio di un orologio svizzero.
Fece un rapido calcolo e arrivò alla conclusione che se
fosse riuscito a convincere Jenny ad andare con loro, sarebbero
arrivati con almeno un’ora di ritardo visto che lei non aveva
ancora cominciato a prepararsi. Sbuffò. Sapeva bene che Gamo
adorava la puntualità. La guardò. Gli era
davanti, strettamente avvolta nell’asciugamano, i capelli
tirati su da un mollettone, le gambe nude, i piedi scalzi sul parquet.
I suoi occhi non lo guardavano, erano fissi, testardi, sul tappeto
accanto al letto. Capì che doveva darle uno scossone, magari
anche minacciarla. Che quella sera incontrasse Philip era fondamentale
se voleva che quei due tornassero insieme. Raggiunse
l’armadio, fece scorrere sull’asta i vestiti
dell’amica e ne tirò fuori uno che, secondo lui,
poteva andare bene. Tornò verso di lei e lo gettò
sul letto nel momento stesso in cui il campanello di casa trillava.
-Se tra cinque minuti non sei pronta, ti ci porto di peso
così come sei!-
-Non oserai!-
-Non mettermi alla prova, Jenny! Ti assicuro che non ti conviene!-
distolse gli occhi dai suoi che si riempivano di lacrime. Non si
lasciò commuovere e uscì furibondo, sbattendo la
porta dietro di sé. Stupida, piccola testarda!
Imboccò le scale mentre Gentile suonava di nuovo.
-Arrivo, maledetto te!-
Perché non voleva vedere Philip? Perché aveva
così paura d’incontrarlo? Che accidenti era
successo tra loro? E se lei avesse ragione? Se Callaghan
l’avesse ignorata? Se non si fossero parlati o, peggio,
avessero litigato? E se, costringendola a venire quella sera, le cose
fossero peggiorate? Smise di farsi tutte quelle inutili domande e
aprì la porta.
Jenny si asciugò le lacrime con un gesto stizzito, poi
rimise a posto l’abito che Mark aveva scelto e
tirò fuori quello che aveva comprato insieme a Carol.
Salvatore si guardò intorno, poi scostò Mark ed
entrò, senza aspettare di essere invitato.
-Dov’è Jenny?-
-Sta finendo di prepararsi.-
-Offrimi una birra, sto morendo di sete.- si tolse la giacca e la
gettò sul divano -Si schiatta di caldo! Deve essere un
anticipo d’estate.- entrò in cucina,
aprì il frigorifero e si servì.
L’altro gli andò dietro e gli lanciò
un’occhiata seccata.
-Fai come se fossi a casa tua.-
Salvatore ignorò il suo sarcasmo.
-Domani iniziano gli allenamenti seri, eh? Fremo dalla voglia di
vedervi alle prese col pallone.-
-Fai poco il gradasso, potresti anche perdere.-
-Con delle schiappe come voi? Non essere ridicolo. È vero
che forse Hutton non giocherà?-
-Sta aspettando il nullaosta.-
-Peccato, allora vi stracciamo di sicuro.-
Mark non raccolse la provocazione.
-Neanch’io giocherò se non arriva il nullaosta.-
-E com’è che non ti è ancora arrivato?
E poi dite che i giapponesi sono efficienti.-
-Sono sicuro che da Torino non è proprio partito.-
-E che aspetti ad andare a chiedere?- Salvatore finì di
scolarsi la birra, poi lanciò un’occhiata
all’orologio -Ho fame.-
-Anch’io, maledizione!- Mark si accorse che i cinque minuti
che aveva concesso a Jenny erano scaduti, così si
affacciò sulle scale. Il primo piano era immerso nel
silenzio. Si volse verso Gentile -Senti, perché non cominci
a uscire?-
-È una cosa lunga?-
-Aspettaci in macchina.-
Il giovane trasalì.
-Cazzo! C’è Carol in macchina, me n’ero
scordato!-
-Hai portato Carol?-
Gentile fece spallucce.
-Ha insistito per venire e poi ho pensato che avrebbe potuto tener
compagnia a Jenny, visto che non conosce nessuno.-
-Potevi evitare, porca miseria!-
-Che te ne importa se viene? O hai paura che la scambino per la tua
ragazza?- rise -È questo il problema, vero?-
Mark si irrigidì, quel maledetto aveva colto nel segno.
Andare ad un party in quattro li faceva sembrare due stupide coppie. E
lui non voleva far coppia con nessuna delle due, né con
Carol, né tanto meno con Jenny.
-Chi cazzo ti ha detto di invitarla? Che ci faccio io con Carol mentre
tu te la spassi con Jenny?-
Gentile sbuffò.
-Quanto la fai lunga! Quando siamo lì mollala, tanto lei
è autosufficiente. E poi c’è Rob.-
Mark lasciò perdere quel problema perché prima ne
aveva un altro da risolvere. Cercò di togliersi
l’invadente italiano dai piedi.
-Raggiungila in macchina, arriviamo tra un minuto.- salì in
fretta le scale -Jenny? Sei pronta?-
Lei non rispose e Mark bussò. Il silenzio fu totale.
Cercò di aprire la porta e quando la trovò chiusa
a chiave capì furioso di essere stato fregato.
Bussò con più insistenza, facendo rimbombare la
casa di colpi.
-Jenny, apri la porta!-
-No!-
Era lì, la ragazza s’era barricata nella stanza.
-Apri ti ho detto!-
-No! Ti aprirò domani mattina. Vai a quel maledetto party e
lasciami in pace!-
Mark strinse i pugni, poi colpì la porta con una spallata.
Il legno non cedette.
-Jenny, apri!- un secondo colpo fece scricchiolare i cardini.
-Smettila!-
-Mi auguro che tu sia vestita, perché adesso entro e ti
carico in macchina così come sei!-
Jenny lanciò un’occhiata allo specchio appeso
sopra al comò. Per sicurezza aveva indossato
l’abito bianco, ma era certa che non si sarebbe mossa da
lì. Sapeva che l’amico stava bluffando, che non
avrebbe mai buttato giù la porta perché il giorno
dopo gli sarebbe costato troppo farla riparare.
Incuriosito dalle grida e dai colpi, Gentile si affacciò
sulle scale, il naso all’insù, giusto in tempo per
vedere Mark scagliarsi di nuovo contro la porta della stanza di Jenny.
Si irrigidì.
-Che cazzo stai facendo, Landers?-
L’altro si volse, dolorante e imbufalito. La cravatta aveva
perso la sua piega perfetta, la giacca gli pendeva da un lato, uno dei
bottoni si era slacciato. La camicia gli tirava sulla schiena e la
spalla gli faceva male.
-Vuoi che Jenny venga al party?- lo vide esitare, poi annuire -E allora
vai ad aspettare fuori!-
Con un’ultima spallata la porta cedette, la serratura
saltò e Mark piombò dentro. Lo slancio quasi lo
scagliò su Jenny, in piedi davanti al letto. Lo fissava
incredula, sgomenta, ma almeno vestita, le mani sulle labbra socchiuse
dallo stupore. Non le diede il tempo di reagire. La raggiunse come un
fulmine, si chinò davanti a lei,
l’afferrò per le ginocchia e se la
caricò su una spalla.
-Mark!-
Jenny era una piuma, ma si agitava come una pazza per farsi mollare.
Sentì i suoi pugni colpirlo sulla schiena, le sue dita
aggrapparsi alla giacca. Scalciò e lui serrò la
stretta sulle gambe.
-Lasciami andare, Mark!-
Mentre si voltavano per imboccare le scale, Jenny riuscì a
scorgere Gentile, in fondo alla rampa. Li fissava sgomento. Lo
chiamò, mentre i gradini scorrevano rapidi davanti ai suoi
occhi.
-Salvatore, aiutami!-
La sua richiesta cadde nel vuoto, l’italiano era
così stupito che non fece nulla. Un secondo dopo Jenny si
ritrovò sul marciapiede. Riprese ad agitarsi quando vide
l’alfa rossa di Gentile parcheggiata proprio davanti casa.
Carol aprì da dentro lo sportello del passeggero. Li
guardava e rideva, meravigliata e divertita.
-Che state combinando?- scattò loro una foto e la
inviò sul profilo whatsapp di Rob.
-Non voglio venire!- protestò Jenny sull’orlo
delle lacrime mentre Mark la scaricava sul sedile senza tanti
complimenti -Come hai osato?- si passò una mano tra i
capelli che le erano ricaduti sulle spalle. Il fermaglio non aveva
retto. Se lo sistemò come poté e fissò
il ragazzo con un’espressione carica di collera -Dove vuoi
portarmi così? Non ho la borsetta e neppure il cappotto!-
Mark si tirò indietro e la fissò dal marciapiede.
Le puntò l’indice contro.
-Non azzardarti a scendere! Prendo tutto io!- chiuse con violenza lo
sportello e si rivolse a Gentile -Sali e metti in moto, arrivo tra un
secondo.-
Durante il tragitto Jenny non disse una parola. Né a Carol,
che sedeva eccitata e felice accanto a lei e cercava inutilmente di
coinvolgerla nella sua euforia, né a Salvatore, che secondo
lei avrebbe dovuto impedire a Mark di comportarsi in modo
così prepotente e villano. Si strinse la borsetta addosso,
una borsa semivuota. L’amico aveva infilato dentro soltanto
il cellulare e un pacchetto di fazzoletti. Né lo
specchietto, né il pettine, né il rossetto per
rifarsi il trucco e neppure il suo mazzo di chiavi di casa. Imbecille!
Lo odiava da morire, forse non lo avrebbe mai perdonato.
Quando Salvatore rallentò, capì che erano
arrivati. Individuò l’hotel da lontano e
sentì Carol tendersi. Lanciò
all’edificio illuminato un’occhiata attraverso il
vetro del finestrino, poi si girò dall’altra
parte. Mentre Gentile si fermava davanti all’ingresso, si
sentì stringere lo stomaco dall’ansia. Mark scese
e richiuse lo sportello, poi aprì quello dalla parte di
Jenny. La ragazza non poté muoversi, il terrore
l’assalì.
-Scendi?- la pressò.
Lei provò a farlo ma non ci riuscì.
-Non ho nessun problema a caricarti di peso.- la minacciò
sicuro, convinto, stracerto che in un futuro non troppo lontano lo
avrebbe ringraziato per ciò che aveva fatto quel giorno.
Jenny si volse a guardarlo, gli occhi spalancati. I lampioni della
strada la illuminavano fievoli ma Mark la vide lo stesso, spaventata e
pallida. Per un microsecondo si chiese di nuovo se non avesse sbagliato
a costringerla a partecipare al party. Non sapeva come e
perché lei e Philip si fossero lasciati e c’era
anche la lontana possibilità che vedersi peggiorasse la
situazione. E se Philip non avesse voluto incontrarla? Si diede dello
stupido per un pensiero tanto assurdo. Callaghan avrebbe fatto i salti
di gioia a trovarsela lì. Certo, c’era quel
maledetto italiano tra i piedi, ma lui rappresentava un problema che
Philip sarebbe riuscito in qualche modo a superare. Su questo aveva la
massima fiducia nel compagno.
Gentile consegnò le chiavi all’autista
dell’albergo che avrebbe parcheggiato la sua Giulietta, poi
li guardò preoccupato. Mark era in piedi, davanti allo
sportello spalancato e a Jenny che continuava a restare immobile sul
sedile. Non voleva assistere di nuovo alla scena che si era svolta sul
marciapiede di casa di Landers. Non doveva assolutamente riaccadere
davanti a decine di giornalisti pronti a metterli in ridicolo sulle
pagine delle riviste di gossip. Si avvicinò,
scostò Mark e le sorrise. Jenny lo guardò con gli
occhi spalancati, poi tirò fuori un piede ed
esitò. Alle sue spalle Carol le rifilò uno
spintone sulla schiena.
-Sbrigati… E non mostrare le mutandine! Le indossi, vero?-
Jenny si volse incredula.
-Certo che le indosso!-
I flash cominciarono a scattare non appena uscì dalla
macchina e Jenny dovette costringersi ad uno sforzo enorme per
reprimere l’impulso di saltare di nuovo al sicuro
nell’abitacolo. Odiava farsi fotografare e i flash la
accecavano. Sperava che avrebbero smesso non appena avessero capito che
lei non era nessuno di importante, invece proprio perché non
era una faccia nota gli scatti aumentarono.
-Merda, cominciamo.- borbottò Mark.
Carol gli andò dietro, ma con un commento completamente
opposto.
-Dio, che emozione…-
Lui la fissò ostile.
-Tu! Non starmi appiccicata o penseranno che sei la mia ragazza!-
La giovane gli sorrise raggiante. Era troppo felice per offendersi.
-Tranquillo, ti ignorerò meglio che posso.-
Jenny alzò il viso su Salvatore. Si stava mettendo in posa
davanti ai giornalisti, beandosi della luce dei flash tanto quanto una
lucertola godeva dei raggi del sole. Il suo atteggiamento tronfio e
pieno di sé infastidì Mark.
-Montato esibizionista.-
-Che te ne importa?- lo zittì Carol -Se si concentrano su di
lui lasciano in pace noi. Entriamo?-
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Capitolo 7 *** Sesto capitolo ***
Sesto capitolo
Bloccata sul marciapiede, tra il viavai degli invitati, degli ospiti e
dei fan assiepati lungo la strada, attraverso le vetrate
dell’hotel Jenny scrutò la hall splendente di
luci. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non varcare l’ingresso
dell’edificio, per essere nella sua accogliente stanza,
meglio ancora se ficcata sotto le coperte, con la luce spenta, a
sforzarsi di non pensare a niente. La situazione le era sfuggita di
mano dal momento in cui Mark aveva scardinato la porta, se l'era
caricata su una spalla e l'aveva infilata in macchina. Un susseguirsi
di momenti così assurdi che non era riuscita a escogitare un
modo per evitare di mettere piede in quel maledetto edificio. O forse
non esisteva niente che le avrebbe impedito di farlo. Non ora che era
proprio a due passi dall’ingresso. Sarebbe dovuta restare a
casa, fare qualsiasi cosa purché Mark non la trascinasse
lì. Adesso era davvero troppo tardi. E non poteva neppure
rimanere sul marciapiede, in balia dei giornalisti e dei fan. Si
sforzò di avanzare verso quella marea di gente in attesa ma
le sue gambe non risposero. Si sentì come se i suoi piedi
fossero sprofondati fino alle caviglie nell’asfalto,
impedendole di proseguire. Gentile la superò senza toccarla,
fermandosi poco più avanti, tra lei e i fan. Jenny non
capì se lo fece per attirare l'attenzione o per nasconderla
e proteggerla dalla curiosità di tutte quelle persone.
Chissà, forse le due cose insieme. Mark si piazzò
al suo fianco, così vicino che se avesse sollevato appena il
gomito, lo avrebbe sfiorato. Dall’altro lato
arrivò Carol. Jenny era circondata, non poteva
più fuggire.
L’ingresso dell’hotel era transennato e ai lati del
tragitto che avrebbero dovuto percorrere c’era un mucchio di
gente: fan della nazionale italiana, di quella giapponese, giornalisti
e fotografi di entrambe le nazionalità. Impossibile
evitarli, impossibile nascondersi, impossibile sfuggire a quella
passerella.
Mark le piazzò così inaspettatamente una mano tra
le scapole da farla sussultare. Poi, senza tanti complimenti, la spinse
verso l’ingresso. I piedi di Jenny si sbloccarono di colpo e
lei barcollò in avanti, riuscendo finalmente a muovere un
passo.
-Non sarei dovuta venire…- la voce fu un rantolo e le
costò uno sforzo persino correggere il concetto -Non avresti
dovuto costringermi a venire, Mark.-
Lui alzò le spalle.
-Io continuo ad essere convinto del contrario.-
Le sorrise incoraggiante ma lei lo guardò torva,
perché non c’era assolutamente nulla da stare
allegri.
-Sbagli e presto te ne accorgerai.-
Mark seguitò a mostrarsi scettico, anche se qualche dubbio
era riuscita a farglielo venire. Tornò ad osservare i
giornalisti.
-Comunque ora è davvero troppo tardi per scappare. Ti stanno
fotografando e domani sarai sui giornali.-
Su questo l’amico aveva ragione. Anche se avesse continuato a
nascondersi, se fosse tornata a casa senza mettere piede
nell’albergo o se fosse riuscita ad evitare di incontrarlo
per tutta la durata della festa, Philip avrebbe saputo lo stesso che si
trovava a Torino. E cosa avrebbe pensato? Che era lì per
lui? Solo l’idea era agghiacciante. C’era
però un altro aspetto che l’ottusa
sensibilità di Mark non coglieva. Un conto era che Philip
incappasse nella sua foto sul giornale o da qualche altra parte nel
web, un altro, ben diverso, era arrivare in compagnia di Salvatore
Gentile al party di benvenuto organizzato appositamente per la
nazionale giapponese. -Non è stata una buona idea
costringermi a partecipare.- decise caparbia, mentre un brivido di
disagio le correva su per la schiena, trasmettendole uno spiacevole
presentimento. I suoi tacchi risuonarono sul selciato mentre si
avvicinava, dopotutto, all’ingresso dell’hotel. Era
circondata a destra e sinistra dai fan che premevano, vociavano,
ridevano, gridavano e si allungavano per farsi più vicini.
Quando Salvatore si fermò a salutarli le loro voci si
trasformarono in una specie di boato, un rumore molto simile al fragore
delle onde di un mare agitato che si schiantano contro gli scogli. Vide
una massa indistinta premere verso di loro, per avvicinarsi il
più possibile al calciatore italiano. Lei si tese, i suoi
occhi guizzarono sulle facce che li circondavano, la folla le fece
paura e intimidita si accostò a Salvatore.
Lui se la sentì addosso e abbassò gli occhi
gongolante.
-Sono tutti qui per me.-
Carol si lasciò sfuggire una risatina nervosa mentre si
affiancava.
-Non è una buona idea stargli appiccicata. Sono troppe le
fan venute qui per vederlo più da vicino.- le prese una mano
e la tirò da parte -È molto meglio se gli resti
lontana.-
Le dita di Jenny serrarono quelle della giovane, mentre il varco
intorno a loro premeva per restringersi. Carol superò
Salvatore che sorrideva agli obiettivi, si fece largo tra la gente e
trascinò l’amica avanti con sé,
cercando di raggiungere in fretta l’ingresso.
-Permesso… scusate. Dobbiamo passare… scusate.
Permesso.- invocò spintonando chi aveva approfittato della
ressa per oltrepassare le transenne.
Mentre loro proseguivano imperterrite, Carol che spingeva indietro
chiunque la intralciasse, dritta e spedita come un ariete da
sfondamento, l’italiano rimase da qualche parte alle loro
spalle, in posa sul marciapiede, alla portata dei cellulari, delle
macchinette fotografiche e dei selfie.
Jenny si ritrovò del tutto incapace di condividere
l’entusiasmo di cui era carica l’atmosfera. Non
avrebbe mai capito i misteri di tanto attaccamento verso i vip, era
qualcosa che andava al di là della sua indole, del suo
carattere e della sua comprensione.
Gli occhi di tutti, anche quelli degli addetti alla sicurezza, erano
focalizzati sul biondo giocatore e nessuno fece caso a loro, non
più di tanto almeno. Solo due o tre giornalisti mostrarono
un certo interesse e scattarono qualche foto. Il resto
dell’assembramento continuò a puntare il difensore
della Juventus, lasciandole libere di entrare nell’hotel.
Oltrepassate le porte a vetri, Jenny si fermò e si volse. Di
Gentile riusciva a malapena a scorgere un ciuffo dorato. Mark invece
era scomparso nella calca. Respirò a fondo, i nervi tesi.
-Cos’era quel casino?-
Carol rise.
-Non sapevi di uscire con una star?-
-Non immaginavo fino a questo punto! Lo faranno entrare?-
-Sì, tranquilla. Vogliono solo un po’ di foto e le
solite due o tre dichiarazioni sul prossimo incontro.-
osservò divertita la sua espressione tesa -Vedrai, Salvatore
sa gestirli e presto ti raggiungerà.-
Jenny annuì, anche se a ben vedere non era
l’assenza di Salvatore a preoccuparla di più. Ad
accartocciarle lo stomaco come un foglio di carta da cestinare, era
ciò che l’aspettava da quel momento in poi.
Avrebbe dato qualsiasi cosa perché ai suoi piedi si aprisse
una voragine in cui sprofondare, lì, al centro della sala,
nel luccicante pavimento di marmo. Aspettò, sperando che un
fulmine divino la sottraesse a quel supplizio. Invece non successe
nulla, così tirò ancora un profondo respiro e
sollevò lo sguardo. Eccola lì, alla fine era
nella hall. Aveva messo piede nell’hotel in cui alloggiava
Philip. I suoi occhi corsero ansiosi qua e là, quasi
aspettandosi di vederlo seduto sulle poltroncine o sbucare
dall’ascensore. L’ingresso dell’albergo,
in confronto alla ressa che avevano appena superato, era
incredibilmente vuoto a parte i due impiegati in giacca e cravatta
dietro l’enorme bancone della reception, un’isola
di legno scuro a forma di mezzaluna. Quell’hotel sembrava
davvero fin troppo tranquillo per ospitare due nazionali di calcio e
chissà quanti imbucati. Per un istante Jenny
pregò che avessero sbagliato albergo.
-Accidenti che lusso!- Carol si guardò intorno, ammirando
gli arredi di prima categoria -Quante stelle ha questo hotel? Che
invidia potersi permettere un posto simile!-
-Paga la Federazione.- la voce di Mark le raggiunse prima di lui.
Carol si volse e gli sorrise.
-Ancora meglio! Potete alloggiare in un posto simile a scrocco!-
-Io veramente dormo a casa mia.-
-Be’, hai perso un’occasione.- gli
strizzò l’occhio -Adesso ho capito
perché Rob fremeva per venire a Torino.-
-Ad Aoi non frega niente dell’hotel. Lui non vedeva
l’ora di incontrare gli altri.-
-Anch’io.- gli occhi di Carol si illuminarono
d’interesse ed emozione.
Bastarono quelle due parole perché Jenny ricordasse di colpo
che la ragazza era lì solo ed esclusivamente per togliersi
lo sfizio di vedere dal vivo la persona di cui pareva essersi invaghita
da un giorno all’altro. Tale era l’ansia che la
riempiva dalla testa ai piedi che aveva del tutto accantonato questo
scomodo particolare. E adesso non poté fare a meno di
tornare a chiedersi chi accidenti fosse il misterioso ragazzo, anche se
tremava all’idea di scoprirlo. Diamine, non voleva pensare
neppure a quello. Si volse di nuovo verso l’ingresso.
-Dov’è Salvatore?-
-Quel rincoglionito arriverà soltanto quando avrà
finito di pavoneggiarsi davanti ai suoi fan.- borbottò
indignato Mark -Ricordami di non andare più a nessun party
insieme a lui… Maledetti giornalisti! E maledetto imbecille!
I fan lo assaltano e lui si diverte. Neppure Ross è
così egocentrico e fanatico.- terminato lo sfogo
lanciò un’occhiata a Carol che li aveva mollati
per raggiungere la reception. La vide scambiare qualche parola con gli
impiegati e tornare felice verso di loro.
-La festa è nella sala da pranzo e nel giardino sul retro.
Che facciamo? Aspettiamo Salvatore?-
Jenny annuì subito, trovandola un’ottima scusa per
ritardare ancora un po’ l’inevitabile incontro con
i compagni. Mark, che stava morendo di fame, stabilì per
tutti che invece era ora di entrare.
-No, andiamo. Ci raggiungerà.-
-Aspettiamo Salvatore…- lo supplicò Jenny.
Lui socchiuse gli occhi.
-Temporeggiare non servirà a niente e lo sai perfettamente
anche tu. Piuttosto allontaniamoci da qui prima che i giornalisti si
stanchino di Gentile e vengano ad assillare pure noi.-
Jenny li seguì controvoglia fin sulla doppia porta del
grande salone. E quando fu lì non riuscì a
proseguire. Le sue gambe si bloccarono di nuovo, i tacchi piantati
nella moquette e Mark dietro di lei che cercava di spingerla dentro
ancora una volta, apparentemente senza successo.
La sala faceva la sua bella figura. Le pareti erano affrescate di
bianco e riquadrate con cornici di stucco di stile neoclassico. Al
centro di ogni cornice brillava un’applique romboidale di
vetro sfavillante. Il pavimento era ricoperto di moquette scarlatta, a
tinta unita al centro della stanza e riquadri e greche d’oro
che correvano su tutti e quattro i lati. La tappezzeria delle sedie era
dello stesso rosso della moquette e le tovaglie che ricoprivano i
tavoli rotondi scendendo fino a terra erano bianche e rosate. Ogni
tavolo era abbellito da composizioni floreali e candele accese. Lungo
la parete di fondo, oltre un arco, era disposto il buffet.
Tutt’intorno, a ravvivare la sala, erano state collocate
rigogliose piante verdi. Ma la cosa più fantastica di quella
stanza, era il soffitto. L’immensa distesa di bianco era
interrotta al centro da un’enorme vetrata a cupola in stile
liberty, con decorazioni geometriche a petali azzurri e celesti nel
cerchio esterno e gialli ed arancioni all’interno, ad imitare
i raggi del sole. Al centro della vetrata era appeso un enorme
lampadario acceso e sfavillante di miriadi di gocce di cristallo.
Camerieri si aggiravano tra i tavoli in abbaglianti camicie bianche.
Scivolavano discreti in mezzo alla folla di ospiti che chiacchieravano,
tenendo dritti i vassoi di flute di champagne perfettamente allineati.
Quella che all’inizio era sembrata un’enorme sala
da pranzo, a guardar meglio era in realtà costituita da due
ambienti affiancati. Uno più grande, dove si trovava
l’ingresso, e uno più piccolo in fondo, a cui si
accedeva attraverso due grandi arcate. Le sale erano separate dal lungo
tavolo del buffet e nella seconda si apriva un’ampia vetrata
che dava sul terrazzo.
Carol soffocò un’esclamazione di profonda
meraviglia. La sala in cui erano entrati era davvero splendida. Ma a
Jenny non fece lo stesso effetto. La guardò distrattamente,
incapace di godersi tanto lusso, mentre il panico tornava a stringerle
lo stomaco in una morsa. Cercava Philip nei volti degli invitati
più vicini, tra le persone che si erano girate al loro
ingresso. Fu quando i suoi occhi si posarono per caso su Patrick
Everett che si riempiva il piatto di pietanze e attraversava
l’arcata chiacchierando insieme a uno dei gemelli Derrick,
che capì che la nazionale giapponese era bene o male tutta
lì, nella sala più piccola, più
lontano da lei. Quella che si affacciava verso il giardino. Il salone
grande era occupato per la maggior parte dagli italiani,
così numerosi da convincerla che gli inviti erano fioccati
in abbondanza.
-Vieni Jenny.- Mark le posò una mano sulla spalla e la
spinse di nuovo verso l’interno della sala. Kirk Pearson
aveva alzato gli occhi dal buffet e lo aveva individuato, quindi ora
doveva assolutamente andare a salutarlo.
-Aspetta, per favore.- lo supplicò tesa, liberandosi dalla
sua stretta -Dammi ancora un istante…- niente da fare, non
lo vedeva. Non riusciva a vedere Philip da nessuna parte. Eppure doveva
esserci. Non era possibile che mancasse.
-Vai Mark.- gli sorrise Carol rassicurante -Resto io con Jenny.-
Il ragazzo ci pensò su, poi annuì.
Puntò Pearson, si stampò in faccia un sorriso
cordiale e lo raggiunse, lasciandole sole.
-Jenny, questo posto è fantastico.- Carol le strinse un
braccio, eccitata -E dal profumo sono sicura che il buffet non
è da meno.- la prese per mano -Andiamo a mangiare!-
Non ci provò neppure, a trascinarla con sé. Aoi
arrivò quasi di corsa, un calice di spumante che
rischiò di traboccare. I suoi occhi erano fissi su Carol.
-Chi ti ha fatta entrare?-
Lei sorrise radiosa.
-Jenny!-
-Ma se io non volevo neppure venire!-
Rob le guardò perplesso, un po’ scontento
perché la serata lambiva. I compagni erano esausti per il
lungo viaggio e il suo entusiasmo finora non era riuscito a scuoterli.
Holly se ne stava incollato a Patty e quando si separava da lei ronzava
intorno a Philip, facendogli delle richieste a cui l’altro
rispondeva sbuffando. Una metà della squadra era morta di
sonno, l’altra metà si abbuffava di pizza di
nascosto da Gamo. Insomma, nessuno gli dava retta ed era lì
lì per mescolarsi al gruppo degli italiani. Adesso, con
Carol, sapeva che si sarebbe divertito perché quando lei si
impegnava a svagarsi, era davvero uno spasso. In parte sollevato,
spostò l’attenzione su Jenny perché la
sua risposta piccata l’aveva stupito.
-Non volevi venire? E perché?-
-Questo genere di intrattenimenti non mi interessa.-
Carol la sgomitò maliziosa, pronta a prendersi gioco di lei.
-E quali sono gli intrattenimenti che invece ti interessano? Quelli che
ti offre Salvatore, ci scommetto!- Jenny arrossì, piena
d’imbarazzo, spingendola a ridere e continuare -Non devi
vergognarti, sai? È giusto così, vero Rob?-
-Certo, come no.- si limitò ad accontentarla poi
tornò a rivolgersi a Jenny -Pensa che sei l’unica
ad aver accompagnato un giocatore italiano. Gli altri sono venuti tutti
da soli.-
-Così possono fare casino indisturbati.- spiegò
Carol mentre Rob annuiva e rideva.
-Comunque… avete fame?-
-Cavolo sì che ho fame!- la ragazza lo prese
entusiasticamente sotto braccio -Se non ci porti subito a mangiare
stramazzo a terra! E poi, dopo che ci saremo rifocillate, dovrai
presentarci tutti, ma proprio tutti, i tuoi compagni di squadra. Non
vediamo l’ora di conoscerli, vero Jenny?-
Lei non la udì. Aveva ripreso a guardarsi intorno nervosa.
Più pensava a ciò che stava per succedere, e
più il suo stomaco si contorceva di angoscia. Altro che
fame! Le veniva da vomitare per l’ansia! Sentì i
palmi delle mani umidi di sudore e strinse le dita sulla borsetta per
asciugarle sulla tela. Incrociò gli occhi di Everett che li
fissava curioso e venne assalita dal terrore che la riconoscesse, anche
se era razionalmente improbabile. Due anni prima a Shintoku Philip
aveva impedito a Danny di farle una foto per mostrarla ai compagni di
squadra e dubitava che in seguito negli spogliatoi della nazionale
giapponese ne fossero girate altre. Su questa fissazione Philip era
stato irremovibile per anni e le cose non potevano essere certo
cambiate in quell’ultimo periodo in cui si erano lasciati. Ma
Pearson sì che la conosceva. L’aveva vista entrare
con Mark e anche se lei aveva abbassato gli occhi per evitare i suoi,
era sicura che l’avesse individuata. Si volse verso
l’uscita. La tentazione di andarsene fu sconvolgente. Era
ancora a due passi dalla porta del salone, non si era mescolata agli
invitati, indossava il cappotto e né Philip né
nessun altro l’aveva vista. Aveva tutto il tempo di sparire.
Più lo pensava e più il desiderio di andarsene
divenne impellente, incontrollabile. Fremette per farlo, indecisa.
Salvatore si sarebbe offeso, Mark si sarebbe infuriato e sarebbe stato
capace di correrle dietro, se l’avesse beccata a dileguarsi,
facendole fare la figuraccia definitiva. Che accidenti doveva fare?
Vide Everett avanzare verso di loro fendendo gli ospiti e il panico
l’assalì. Fece un passo indietro.
-Jenny? Cos’hai?-
Si volse verso Carol.
-Ho bisogno di un bagno.-
-Sì ma…- l’amica la squadrò,
qualcosa della sua espressione la mise in allarme -Stai bene?-
Jenny non le rispose. La paura di essere vista, scoperta e riconosciuta
divenne d’un tratto ingestibile e le tolse il fiato. Doveva
nascondersi da qualche parte, assolutamente. Imboccò
l’uscita così bruscamente che quasi si
scontrò con un cameriere. Lo sfiorò, lui si
scusò e Jenny ne approfittò per chiedergli dove
fosse la toilette. Ascoltò le indicazioni e poi
scappò via in cerca di un luogo tranquillo in cui reprimere
quella specie di attacco di panico che l’aveva assalita.
Rob la guardò sparire nel corridoio.
-Ma che ha?-
Carol alzò le spalle.
-Non voleva venire, ha fatto un sacco di storie.-
-Allora non era meglio lasciarla a casa? Magari non si sente bene.-
-Vado a vedere, torno subito.- si bloccò
all’improvviso, si tolse il cappotto e glielo porse -Lo porti
al guardaroba? Fa un caldo soffocante!-
Lui annuì.
-Mi trovi in giro.-
Jenny s’infilò nel bagno. Era deserto. Chiuse la
porta della toilette e vi si appoggiò contro, accasciandosi
contro il pannello di formica. Non se la sentiva, non ce la faceva. Non
sarebbe riuscita a restare lì, guardare Philip, salutarlo e
magari parlargli fingendo che tutto ciò che c’era
stato tra loro non fosse mai esistito. Non ne aveva la forza. Si
passò una mano sul viso per asciugare le lacrime che avevano
cominciato a sgorgare incontrollabili. Frugò nella borsa e
tirò fuori un fazzoletto. Mark non vi aveva infilato
praticamente niente ma i fazzoletti sì. Immaginava che le
sarebbero serviti, oppure si trattava di una banale coincidenza?
Sentì la porta esterna del bagno aprirsi e richiudersi.
-Jenny?-
Era Carol. Sospirò. Non poteva restare lì per
tutta la serata, l’amica non gliel’avrebbe
permesso. Respirò a fondo e quando il suo cuore
rallentò, cercò di rendersi presentabile. Insieme
alle lacrime sul fazzoletto rimasero le striature scure del rimmel e la
polvere brillante dell’ombretto. Non aveva lo specchietto con
sé (quello Mark non glielo aveva messo in borsa) quindi
avrebbe dovuto riparare ai danni fuori della toilette. Aprì
la porta e trovò Carol davanti ai lavandini a lisciarsi i
capelli. Incrociò i suoi occhi attraverso il riflesso dello
specchio.
-Che ti prende?-
-Non mi sento bene.- sminuì, anche se in realtà
si sentiva morire. Come aveva potuto, Mark, sottoporla a quella
tortura? Non le voleva neppure un po’ di bene?
-Ti sono venute?-
Esitò sulla risposta, poi capì che poteva essere
un’ottima scusa. Annuì.
-Guardati, sei un disastro.- Carol scosse la testa, le si
avvicinò e le ripulì con un dito una striatura di
rimmel sulla tempia che chissà come ci era finita -Vieni qui
che ti do una sistemata!-
A Jenny non importava del suo aspetto, perché tanto sapeva
che quando avrebbe incontrato Philip, non sarebbe cambiato nulla anche
se il trucco fosse stato perfetto. Ma fu più facile
lasciarla fare senza protestare che inventare scuse e mentirle sul
proprio comportamento e sulla propria mancanza di interesse per tutto
ciò che la circondava. Quando ebbe finito Carol si
scostò per consentirle di guardarsi e Jenny
stentò a riconoscersi nel riflesso del grande specchio che
riempiva la parete sopra i lavandini. Aveva impiegato poco
più di cinque minuti, Carol, a ritruccarla. Dalla borsetta
aveva tirato fuori di tutto e aveva dato il meglio di sé,
trasformandola praticamente in un’altra.
-Che te ne pare?-
Jenny si osservò a bocca aperta.
-Non sembro io.-
-Lo sei, lo sei.- rise divertita e lusingata.
-Sei bravissima.-
-Certo.- fece spallucce e l’adulò -Quando
c’è una buona base da cui partire… E
adesso lasciamo che Salvatore ti veda.-
Lei sussultò.
-Veramente preferirei tornare a casa.-
-Ma non possiamo! Siamo appena arrivate, non abbiamo neppure mangiato!-
Jenny capì che Carol l’aveva truccata per farla
restare. Ad andar via non l’avrebbe aiutata e, se proprio
voleva tagliare la corda, doveva cercare Salvatore e avvertire almeno
lui. Sentì che l’amica continuava a parlare e
tentò di concentrarsi sulla sua voce.
-E soprattutto devo assolutamente fare un’incursione tra la
nazionale giapponese! Rob ci ha promesso di presentarci
tutti-tutti… E come sai bene, non vedo l’ora che
ciò accada.- la fissò negli occhi -Togliti il
cappotto, hai un vestito stupendo e devi assolutamente metterlo in
mostra. Altrimenti che lo hai comprato a fare?-
-Me lo chiedo anch’io.- borbottò mentre Carol
allungava le mani e le sbottonava il soprabito prima che riuscisse a
farlo da sola. Non le lasciò alternative e Jenny si
rassegnò, almeno ad uscire dal bagno.
Nel corridoio trovarono Gentile, e non da solo. Jenny
impietrì, riconoscendo all’istante chi era con
lui, nonostante il ragazzo fosse voltato. La sua altezza, la sua
schiena, i muscoli delle spalle, i capelli tagliati corti sulla nuca,
le erano troppo noti. Si chiese per un secondo se avrebbe fatto in
tempo a tornare in bagno e nascondersi lì, lasciando
sprecato il sarcasmo con cui l’avrebbe accolta, poi
capì che no, non sarebbe riuscita a non farsi notare.
Salvatore aveva smesso di parlare, le stava sorridendo e aveva attirato
su di lei l’attenzione del suo interlocutore.
Benji si volse e la vide. Lo stupore del portiere, in confronto al
proprio, fu incommensurabile. La fissò incredulo, degnando
appena di un’occhiata Carol che si avvicinava e porgeva a
Gentile un cappotto.
-Consegnalo al guardaroba.- gli disse in italiano -Se Jenny continua a
tenerlo addosso va a finire che se ne va.- Salvatore lo prese e Carol
si allontanò in cerca di Rob, dentro di sé in un
certo qual modo sollevata di liberarsi del fardello che rappresentava
l’amica, quella sera senza nessuna intenzione di divertirsi.
Jenny la guardò ripassarle accanto, accennarle un sorrisetto
d’intesa e sparire dietro l’angolo, in fondo al
corridoio. Fu chiarissimo dal suo atteggiamento distratto che tra i
componenti della nazionale giapponese, non era il portiere ad
interessarle.
-Tutto bene, Jenny? Rob mi ha detto che sei corsa in bagno.- e infatti
Gentile aveva incrociato Price proprio mentre andava a cercarla.
Lei annuì a disagio, passando il peso del corpo da un tacco
all’altro, occhieggiando Benji senza avere il coraggio di
guardarlo dritto in faccia. Fu l’italiano ad avvicinarsi e il
portiere gli andò dietro. Jenny gli lanciò di
nuovo una timida occhiata di sfuggita, poi spostò lo sguardo
su Salvatore e tentò un sorriso.
-Mark voleva mangiare e io volevo aspettarti, così ho preso
tempo.- tornò inevitabilmente a occhieggiare
l’amico, quasi le sembrò di udire le rotelle del
suo cervello in piena attività. Salvatore glielo
presentò.
-Benji Price, il portiere della nazionale giapponese.-
A lui le sue parole suonarono così assurde e fuori luogo che
gli venne da ridere.
-Cioè? Devo far finta di non conoscerti?- le chiese nella
loro lingua.
Jenny scosse mestamente la testa.
-No, non importa ormai…- non poteva farci niente, Benji
l’aveva vista e del resto lui era solo il primo di una lunga
serie di incontri che si prospettavano uno peggiore
dell’altro. Tanto valeva mettersi l’anima in pace.
-Meglio così, perché sarebbe davvero ridicolo.-
gli venne di nuovo da ridere mentre si rivolgeva a Gentile in inglese
-Ci conosciamo già, Jenny ed io.- tornò a
guardare l’amica, dimenticando all’istante
ciò di cui stava parlando con l’italiano prima che
lei comparisse -Cos’hai fatto? Sei diversa…-
-Non lo so. Forse perché mi ha truccata chi lo fa di
mestiere.-
Salvatore le posò una mano sulla spalla.
-Jenny? Vi conoscete davvero?- la scrutò sorpreso e non
troppo entusiasta. Non era sicuro di essere contento di questa inattesa
novità.
Lei annuì svelta, mentre Benji continuava.
-Sei dimagrita.-
Lo guardò sospettosa.
-È un complimento?-
-No, se ti spariscono le tette.-
Jenny si tirò indietro con uno scatto, aggrappandosi
istintivamente al braccio di Gentile. La sua reazione improvvisa a
Salvatore piacque ancor meno, così rivolse al portiere uno
sguardo diffidente.
-Che le hai detto, Price?-
Benji fece spallucce.
-Niente, scherzavo.- tornò a parlare in giapponese e a
fissare l’amica dritto negli occhi -Che accidenti ci fai qui?-
La sua risposta fu un mormorio confuso e imbarazzato.
-Guarda, non lo so neppure io…-
-Sei venuta per Callaghan?-
-Assolutamente no! Ci siamo lasciati!-
-Vero, gira questa voce. Allora?-
-E allora sono qui da prima di voi!- s’infervorò a
quel punto -E se avessi saputo che sareste venuti a giocare in Italia,
non avrei messo piede a Torino neanche morta!-
Lui la irretì con un sorrisetto ironico.
-Quindi non ti fa piacere vedermi?-
Presa alla sprovvista, Jenny ammutolì e Benji ne
approfittò per continuare, perché bruciava di
curiosità.
-Che significa che sei qui da prima di noi? Ti sei trasferita in
Italia?- un scintilla di comprensione lo illuminò ma non fu
abbastanza splendente da fargli capire al volo come stavano
effettivamente le cose. Malgrado ciò la sua espressione si
riempì di stupore e sgomento e, travisando,
proseguì -No, aspetta! Come ho fatto a non capirlo? Ti sei
messa con Landers!-
-Non dirlo neppure per scherzo!- Jenny si strinse di più a
Salvatore -Io sto con lui!-
E fu in quel preciso momento che Benji capì e la
conversazione avuta con Rob un’ora prima acquistò
finalmente un senso. Del resto come poteva non essere lei la ragazza di
cui avevano parlato? Soltanto Jenny poteva imbucarsi a casa di Landers
e riuscire a scroccargli l’ospitalità. Soltanto
lei poteva stuzzicare l’interesse di Gentile anche se, porca
miseria, fino a pochi mesi prima l’italiano aveva una stanga
di ragazza niente male…
Nel frattempo Salvatore sbuffava come un mantice e li guardava
irritato. Nessuno dei due gli prestava attenzione e ciò lo
infastidiva non poco. Detestava essere ignorato e oltretutto Price e
Jenny parlavano tra loro in giapponese, impedendogli di capire
ciò che stavano dicendo. Cercò di nuovo di
infilarsi nella conversazione, fissando Benji risentito.
-Dimmi Price, com’è possibile che tu e Landers
abbiate conoscenze in comune? Da quando vi frequentate?-
A Benji sfuggì una smorfia di disappunto.
-Non ci frequentiamo affatto. È una storia lunga, dopo te la
racconto.- tornò a rivolgersi a Jenny, perché
c’era ancora una domanda che gli premeva di farle, anche se
la risposta a questo punto era scontata -Eri tu al telefono, vero? La
ragazza che abbiamo sentito quando abbiamo telefonato a Landers dopo la
partita contro Aoi… Eri tu?-
-Certo che ero io! Io ci abito, da Mark!-
Salvatore guardò prima una, poi l’altro sempre
più spazientito.
-Insomma, la smettete? Non ci sto capendo niente!- abbassò
gli occhi sulla giovane, ora irritato anche con lei -Li conosci tutti?-
-Tutti chi?-
-I giocatori della nazionale giapponese!-
-Ehm… Solo qualcuno.-
-E perché non me l’hai detto?-
-Era importante?-
-Certo che lo era! Ho invitato Carol solo per tenerti compagnia!-
-Pensavo che l’avessi invitata per Rob!- anche tenendo testa
al suo scontento, Jenny si ritrovò lo stesso ad abbassare
gli occhi a disagio. Il fatto di non avergli detto che conosceva buona
parte della nazionale giapponese era nulla in confronto a
ciò che continuava a tenergli nascosto. Se Gentile era
capace di stranirsi per così poco, come avrebbe reagito una
volta saputo di Philip? Perché ormai mancava davvero poco
prima che scoprisse la verità. Forse era il caso che glielo
dicesse lei? Lo guardò e rinunciò immediatamente.
Come al solito non trovò il coraggio di scaricare sugli
altri i suoi problemi.
Ma la sua espressione mortificata, le guance leggermente arrossate, le
labbra rosee che quando si socchiudevano in quell’espressione
tra l’imbronciato e il mortificato diventavano sensuali e
provocanti, ebbero l’effetto di far sorridere Salvatore. La
perdonò all’istante.
-Per esempio loro non li conosco.- mormorò Jenny spostando
gli occhi sul gruppetto che si avvicinava.
Gentile seguì il suo sguardo e vide due giapponesi mal
assortiti imboccare il corridoio. Uno era un colosso, alto quanto un
armadio, l’altro un tappetto delle dimensioni di Aoi.
Sbuffò.
-Non è un bel posto questo per parlare.-
-Già.- concordò subito Benji.
Clifford Yuma arrivò con l’inseparabile Sandy
Winters. Sul suo volto aleggiava un sorrisetto fastidiosamente
sarcastico.
-Fai comunella con il nemico, Price?- occhieggiò Jenny
-Be’, ne vale la pena.-
Il portiere alzò sul gigante della nazionale giapponese uno
sguardo ironico.
-Non puoi neppure immaginare quanto darei per avere Gentile al tuo
posto.-
-Per avere lui o la sua ragazza?-
Jenny non perse una parola. Non le piacque come Yuma si stava riferendo
a lei ma si sforzò lo stesso di restare impassibile, come se
il loro botta e risposta le fosse completamente incomprensibile.
-Entrambi. Gentile da far scendere in campo al posto tuo e lei per
giocarci di notte.-
Jenny sperò di non essere arrossita, che diavolo! Dopo
avrebbe preso Benji da una parte e… con stupore si accorse
che altri giocatori giapponesi imboccavano il corridoio e si
avvicinavano, come se la nazionale nipponica si fosse data appuntamento
proprio nei bagni e proprio in quel momento.
-Mollami tranquillamente in Italia, Price. Mi sono bastati due secondi
per mettere a fuoco una fauna che merita tutta la mia attenzione.
Questa festa è piena di succulenti bocconcini da mordere.-
-Bravo Yuma, mordi. Cerca però di non fare indigestione.-
Clifford travisò e interpretò la presa in giro
come un’esortazione tra pari. Annuì solerte. Poi
tornò ad osservare Jenny, valutandola come se stesse
scegliendo una camicia in un negozio.
-Quindi questo bel fiorellino bianco chi sarebbe?-
-La ragazza di Gentile.-
-Graziosa.- commentò -Presentala anche a noi.-
Benji guardò Jenny, davvero poco entusiasta di tutto quello
show. Un’idea gli balenò nella testa e le
strizzò un occhio. Avrebbe ripagato la strafottenza del
compagno con una bella presa per il culo.
-Come te la cavi con l’inglese, Yuma? È
cinese… o coreana, non ho ben capito, e non parla una parola
di giapponese.- rise, senza curarsi di nascondere quanto tutto
ciò lo divertisse.
Jenny non si azzardò a contraddirlo. La notizia non
scoraggiò Yuma che si prese qualche istante per fare mente
locale. Rispolverò le lezioni del liceo, avanzò
ancora di un passo e le parlò in un inglese così
terribile che lei stentò a capirlo. Neppure Tony Brunor, con
la sua pronuncia da incubo, alle medie aveva mai raggiunto quei livelli.
-Mi chiamo Clifford Yuma, molto piacere.-
Jenny si aggrappò più saldamente alla giacca di
Gentile, sollevata che quel gigante non le porgesse la mano. Temeva che
gliel’avrebbe stritolata.
-Lui è Sandy Winters.- proseguì Yuma, nominando
anche gli altri che si erano avvicinati e li avevano circondati
incuriositi -Lui Ralph Peterson e questo qui è James Derrick
che ha un fratello gemello identico. Due brutte copie così
uguali che nessuno li distingue.-
-Infatti sono Jason.-
Jenny avrebbe riso di cuore, se le circostanze non fossero state
così drammatiche. Invece non vedeva l’ora di
tagliare la corda. O magari di incontrare Philip una volta per tutte e
farla finita. Sgomenta si accorse che Gentile e Benji, accanto a lei,
si stavano invece divertendo da matti.
-Piacere.- rispose tesa, senza azzardarsi a pronunciare il proprio
nome.
Come accidenti era finita in una situazione così ridicola ed
esplosiva? Cosa sarebbe successo se ora fosse arrivato anche Philip?
Meglio darsi alla fuga. Alzò gli occhi su Gentile e gli
parlò in italiano, mettendo insieme una frase semplicissima
con le poche parole che aveva imparato con il tempo.
-Salvatore…- gli si aggrappò alla giacca -Andiamo
via?-
Lui annuì e si fece largo tra i giapponesi.
-Ci becchiamo dopo, Price.-
Passando loro accanto, Jenny riuscì ad imbastire un sorriso
risicato a Sandy che la salutava curioso sventagliando la mano. Li
sentì parlare, dietro di lei.
-Timida, la ragazza.-
-Già.-
-Come ha detto che si chiama?-
-Veramente non l’ha detto.-
-A me sembra di averla già vista da qualche parte.-
-Non dire stronzate, Sandy. È impossibile che tu
l’abbia già incontrata.-
-È proprio una bella rosellina.-
-Le rose hanno le spine, Yuma.-
-Non tutte, Price.-
Benji guardò Jenny allontanarsi. Clifford aveva ragione, non
tutte le rose avevano le spine, ma Philip sicuramente sì.
Callaghan era un cactus, e di quelli spinosi. Tornò
pensieroso. Che diamine ci faceva Jenny in Italia? Lei aveva detto di
non essere lì per Philip e il fatto che stesse con Gentile
faceva presupporre che non si trovasse a Torino neppure per Landers.
Impossibile che si fosse trasferita per l’italiano, neppure
lo conosceva. Quindi? Quindi lasciò perdere,
perché tanto sapeva che la mente delle donne era complicata
mica poco.
Jenny depositò controvoglia il cappotto al guardaroba. Con
Salvatore percorse un paio di corridoi, attraversarono il bar e un
salottino. Il piano terra dell’hotel era immenso e dopo aver
svoltato per l’ennesimo androne, Jenny perse
l’orientamento. Un problema enorme, se fosse stata costretta
a tagliare la corda. Salvatore la condusse fino in giardino e si
fermò per farglielo ammirare.
-Guarda che bello.-
Fuori, senza cappotto, Jenny fu investita dalla brezza della sera. Era
una strana notte d’aprile, una primavera calda e gradevole.
Alzò gli occhi verso il cielo. Il chiarore della luna era
offuscato dalle luci della città ma il disco argentato
spiccava lo stesso contro il buio della notte. Davanti a lei
c’era una bella piscina in muratura, incassata al centro del
pavimento di cotto rosso scuro, rallegrato da alberi e piante fiorite,
costellato qua e là di tavoli e gazebo. L’acqua
era agitata dalla corrente dei filtri e risplendeva di un azzurro
intenso che si rifletteva sulle tovaglie bianche dei tavoli
più vicini.
Gli invitati erano sparpagliati ovunque tra poltroncine di vimini,
tavole imbandite, luci incassate nel pavimento e celate tra i vasi di
fiori. Quello era proprio il posto che Jenny cercava. Era il luogo
ideale per scomparire nell’oscurità della notte e
sperare che nessun altro, a parte Benji, d’ora in poi la
notasse. Il luogo dove restare, paziente e tranquilla, fino
all’ora di andar via.
-Hai fame?- le chiese Salvatore.
-Per niente.-
-Sicura? C’è un sacco di roba buona.-
-L’assaggerò più tardi. Tu hai
mangiato?-
-Non ancora. Sono stato troppo occupato con i saluti.-
-Quelli dei fan?-
La guardò e rise, facendo sorridere anche lei.
-Anche.-
-Vai a mangiare allora. Ti aspetto qui.- si fermò sotto
l’ombra di una pergola e si sedette sui cuscini di una panca
di legno.
Lui esitò solo un istante, chiedendosi quanto fosse villano
lasciarla sola. Poi la fame vinse la galanteria, annuì e si
allontanò. Jenny lo vide raggiungere il buffet, scambiare
qualche parola con un cameriere del catering, prendere un piatto e
cominciare a servirsi. Due giovani invitati in giacca e cravatta, dal
fisico atletico e dalle spalle larghe, quindi al novanta percento
compagni della nazionale italiana, lo individuarono e lo raggiunsero.
Jenny distolse gli occhi da loro e si guardò intorno. Gli
amici erano sicuramente anche lì, da qualche parte, ed era
una vera fortuna che finora avesse incontrato solo Benji.
Individuò Tom e Bruce nei pressi del buffet, poi venne
distratta da Carol che, a pochi passi da lei, parlava animatamente con
Rob, facendolo ridere. Mentre li osservava curiosa, chiedendosi che
strano tipo di rapporto li legasse, Philip attraversò il suo
campo visivo così all’improvviso che per un
istante le mancò il fiato. Balzò in piedi e si
tirò indietro fino a nascondersi nell’ombra di un
cespuglio. Era proprio lì, a pochi metri, e camminava verso
la piscina. Evelyn procedeva accanto a lui e indossava un vestito che
le stava molto bene. Era del colore dell’oro, in raso lucido,
scollato davanti e incrociato sulla schiena. Una cinta di stoffa dello
stesso colore le cingeva la vita e l’abito scendeva
giù fluente fino al ginocchio, in pieghe di luce e di ombra.
Teneva in mano una pochette nera abbinata alle scarpe, aveva i capelli
raccolti in cima alla testa e la coda lunga e liscia le ricadeva
indietro, ondeggiando sulle spalle. Camminava accanto a Philip e
l’andatura frettolosa del ragazzo la costringeva quasi a
correre. Gli si rivolgeva con insistenza, ma a lui sembrava non
interessare neppure una parola di ciò che gli stava dicendo.
Quando la ragazza lo incalzò, piazzandoglisi davanti per
fermare la sua fuga, Philip rispose con un tiepido cenno della testa.
Poi cercò di superarla. Evelyn non glielo permise, gli
appoggiò una mano sul braccio e strinse la stoffa della
giacca, costringendolo ad arrestarsi così vicino a Jenny che
lei non perse una parola. Li guardò e trattenne il fiato,
sicura che l’avrebbero notata. Invece non lo fecero, erano
voltati verso la piscina e troppo occupati nella loro conversazione.
-Ma lo sanno tutti, Philip!-
La fissò scettico.
-Davvero? Tutti chi?-
Lei rispose piccata.
-Non ti fidi? Ti serve una lista?-
-Non mi serve niente, neppure continuare a parlarne.-
replicò lui, sullo stesso tono -Non devi impicciarti. Quello
che faccio non ti riguarda.-
-Davvero?- lo fissò sarcastica -Però riguarda chi
ti sbatterà in prima pagina, giusto?-
-Non ci sono mai finito.-
-Non ti sei mai chiesto il perché?-
Gli occhi del giovane lampeggiarono.
-Vorresti farmi credere che è grazie a te?-
-No! Non voglio farti credere niente, figuriamoci! Voglio solo che tu
capisca che devi smetterla!-
Philip la guardò dall’alto in basso, nervoso.
-Evelyn, vuoi dirmi tu quello che devo fare o non fare?- si
ficcò le mani nelle tasche e la guardò negli
occhi -Vuoi organizzarmi le giornate?-
Lei si spazientì.
-Oh insomma! Mi sto preoccupando per te!-
-Chi ti ha chiesto di farlo?- riprese a camminare, cercando di
sganciarla.
Evelyn lo guardò allontanarsi.
-Stupido testardo!- esitò solo un istante, poi gli corse
dietro e riprese a tampinarlo.
Jenny non capì il senso del loro dialogo, non fu
assolutamente in grado di dare una spiegazione logica a quel botta e
risposta e in fondo neppure le importò. Ciò che
contava era solo che aveva visto Philip ed era riuscita a sopravvivere,
anche se posare gli occhi su di lui dopo tutti quei mesi che non lo
vedeva le provocò una sofferenza che le salì
dritta agli occhi. Le lacrime premettero per uscire ma
riuscì a ricacciarle indietro. Si volse dall’altra
parte, per toglierselo da davanti. Tirò un respiro profondo
e si passò una mano sul braccio nudo, su e giù
nervosamente, fino ad incappare nel braccialetto che aveva al polso,
uno dei tanti regali di Gentile. Abbassò gli occhi
sull’intreccio delle maglie a cui le sue dita si erano
attorcigliate, il groppo che aveva in gola si sciolse e poté
finalmente respirare senza fatica. Quando Salvatore tornò da
lei, riuscì ad accoglierlo con un sorriso stiracchiato.
Lui le porse un bicchiere colmo di qualcosa di arancione e Jenny
accettò ringraziando. Mandò giù la
bevanda dolce, fresca e frizzante, dal sapore di alcol, frutta e
spezie.
-Il tuo vestito è adorabile. Mi piace come ti sta.-
Jenny arrossì per il complimento.
-Lo ha scelto Carol.-
-Ha scelto bene.-
Era bianco, due fasce di stoffa si incrociavano sul petto. Una era
arricciata in piegoline, l’altra costellata di strass e
brillanti argentati. Il corpetto era tenuto su da sottili spalline di
strass che davanti mostravano una profonda scollatura e scoprivano la
schiena. La gonna era di leggero chiffon e scendeva giù
dritta, fino alle caviglie, con uno spacco laterale che si apriva molto
in alto sulla vita. Sotto quella nuvola di velo s’intravedeva
la stoffa bianca di una seconda gonna a tubino che la copriva fino a
metà coscia. Lo spacco si apriva solo quando Jenny si
muoveva, per il resto del tempo la trasparenza rimaneva discreta.
Nel bagno, oltre al trucco, Carol le aveva sistemato anche i capelli,
legandoli stretti in uno chignon e lasciandole ad incorniciarle il viso
soltanto una lunga frangia laterale. Jenny l’aveva passata
dietro l’orecchio perché non le finisse negli
occhi, mettendo così in mostra gli orecchini luccicanti.
Mark le arrivò alle spalle, sbucando da chissà
dove e facendola sobbalzare. La scrutò con attenzione e un
filo di ammirazione. A casa non aveva avuto il tempo di esaminarla, ma
stava benissimo vestita così. Non vedeva l’ora che
anche Philip la vedesse ma se lei non si decideva una buona volta a
emergere dal nascondiglio in cui si era rifugiata, era impossibile che
ciò accadesse. Doveva fare qualcosa per smuoverla da
lì. Prima di tutto togliersi Gentile dai piedi.
-Il tuo allenatore ti sta cercando da almeno dieci minuti. Era pure
mezzo incazzato. Forse è meglio se vai a sentire che vuole.-
-Davvero?- gli occhi azzurri di Salvatore vagarono tra gli invitati.
Non ne scorse traccia -Dov’è?-
-Credo sia andato a cercarti dentro.- Mark finse indifferenza e
Salvatore ci cascò con tutte le scarpe.
-Jenny, torno subito.-
Lei lo guardò allontanarsi, poi spostò gli occhi
su Mark.
-Dov’è che va?-
Quello le rivolse un ghigno soddisfatto.
-Si toglie finalmente dalle palle. Ti sta addosso come un cane da
guardia. Quand’è che pensi di smetterla di
nasconderti e di andare a salutarli?-
Jenny spalancò gli occhi di sconcerto.
-Non ho niente del genere in programma.-
-Tanto prima o poi li incontrerai.-
-Allora succederà il più tardi possibile. Se ci
riesco, un attimo prima di salire in macchina per tornare a casa.-
Mark rise, fastidioso.
-Sappi che se volevi passare inosservata, non hai scelto il vestito
più adatto.- se invece le sue intenzioni erano quelle di far
pace con Philip, sembrava aver scelto l’abito migliore.
-Davvero? Eppure Philip ed Evelyn un attimo fa mi sono passati davanti
e non mi hanno notata.- gioì del suo disappunto -Finora mi
ha vista solo Benji. A parte Yuma, Winters e qualcun altro che
però non mi conosce di persona.-
-Ah… Price ti ha vista?- maledetta sfiga, tra tutti proprio
il portiere. Benji non si sarebbe mai sognato di andare a spettegolare
la presenza di Jenny ai quattro venti -E che ti ha detto?-
Lei fece spallucce.
-Nulla.-
Appunto. Mark sospirò.
-Hai mangiato?-
-Figurati! Sono così tesa che anche volendo non riuscirei a
mandare giù niente.- accantonò la stizza e si
aggrappò alla manica della sua giacca, sentendo il suo
calore attraverso le dita -Ci sto pensando da quando mi hai trascinata
fuori casa… cosa gli dirò se finiremo per
incontrarci?-
Lui si sforzò di mostrarsi comprensivo, anche se in
realtà stava facendo uno sforzo enorme per non sollevarla di
peso, come aveva fatto a casa, e scaraventarla al centro della festa.
-Perché lo chiedi a me? Non so neppure perché vi
siete lasciati!- le mise una mano sul braccio e la sentì
tremare -Il vestito ti sta benissimo ma finirai per prendere freddo.-
-Non sento nulla, ho solo paura.-
Julian, in piedi dall’altro lato della terrazza,
osservò Amy passeggiare con Patty intorno alla piscina. Poi
spostò gli occhi su Benji che rideva di qualcosa con Bob
Denver e Paul Diamond. Gli dava fastidio ammetterlo persino con se
stesso, ma lo stava tenendo d’occhio da quando avevano messo
piede in hotel quel pomeriggio, dal preciso momento in cui si era
accorto che sotto la visiera, saltuariamente, i suoi occhi avevano
cercato Amy. Ora, alla festa, le ronzava intorno in modo
così impercettibile che avrebbe fregato chiunque non lo
conoscesse. E Julian, per sua sfortuna o per sfortuna di entrambi,
aveva ormai un’idea piuttosto chiara di lui.
L’atteggiamento del portiere lo stizziva e nello stesso tempo
lo incuriosiva. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa voleva da
lei. Per sapere perché Amy, da quando si erano incontrati
nella hall, lo evitava in tutti i modi restandogli alla larga.
L’atteggiamento anormale di entrambi gli faceva intendere
chiaramente che qualcosa bolliva in pentola. Qualcosa di cui lui non
era al corrente. Ma cosa, porca miseria?
E se avesse desiderato soltanto confidarsi con lei? Parlarle dei suoi
problemi? Sfogarsi con una persona che non lo avrebbe schernito, non lo
avrebbe preso in giro e non lo avrebbe giudicato? Dopo la cazzata
contro il Bayern, Benji non aveva più messo piede in campo.
Il mister dell’Amburgo lo aveva lasciato assistere alle
partite dalla panchina. A livello professionistico tutto questo gli
dispiaceva. Nonostante la stronzata era un peccato che un talento come
Price venisse sprecato. A livello umano invece non riusciva a provare
per lui un briciolo di solidarietà ed era strasicuro che
Price non avrebbe neppure voluto che lo compatisse.
Durante il ritiro a Shizuoka a Julian era capitato per caso di udire
stralci di una conversazione tra Pearson e Marshall. Freddie aveva
detto a Kirk che Benji stava cominciando a prendere seriamente in
considerazione l’idea di tornare a giocare in Giappone e che
lo avrebbe fatto anche subito se avesse trovato una squadra della
J-League pronta ad ingaggiarlo con un buon contratto. Del resto,
nonostante la cazzata, Benji era uno dei migliori portieri della
Germania e senza dubbio il migliore del Giappone. Poteva permettersi di
alzare la posta e di scegliere, il maledetto. Julian sperava solo che
non capitasse nel Tokyo F.C. perché come compagno di squadra
non ce lo voleva. Esserlo in nazionale era più che
sufficiente. Con questa convinzione, si scolò
l’ultimo sorso di champagne nel bicchiere e tornò
verso i tavoli del buffet in cerca di qualcos’altro con cui
riempirsi lo stomaco.
Patty sgomitò Amy e si avvicinò con lei ad
Evelyn, seduta sola e sconsolata da una parte.
-Stai assillando Philip da ore, praticamente da quando siamo atterrati
in Italia. Che vuoi da lui?-
-Niente.- lesse sospetto nelle loro espressioni e imbastì la
prima balla che le attraversò la mente - È per
un’intervista.-
-Non te la rilascia?-
-Non vuole rispondere ad alcune domande.-
Patty la guardò dubbiosa.
-Domande su Jenny, magari?-
Evelyn s’impappinò.
-No, quelle su… Su Julie Pilar…-
accavallò una gamba sull’altra e si
appoggiò con la schiena alla spalliera. Si volse verso il
cugino quando lo sentì ridere forte. Clifford sedeva un
tavolo più in là e parlava fitto fitto con Bruce,
i gemelli Derrick, Sandy e Ralph Peterson.
Lui incrociò il suo sguardo e l’espressione
beffarda della ragazza lo mise sulla difensiva.
-Che vuoi, Eve?-
-Da te niente, figuriamoci. Hai già finito di mangiare? Hai
spazzolato da solo mezzo buffet!-
-Impossibile.- la zittì Bruce difendendo il compagno -Gamo
ci sta addosso.-
L’idea di Philip aveva funzionato per la prima
mezz’ora, poi il mister aveva capito, s’era
piantato su una sedia nei pressi delle pietanze e non s’era
più mosso da lì. L’espressione arcigna
con cui li seguiva ogni volta che si avvicinavano al buffet aveva fatto
passare la fame alla maggior parte della squadra.
Amy li guardò curiosa.
-Che stanno confabulando?-
Evelyn fece spallucce.
-Non lo so. Probabilmente stanno organizzando uno dei loro scherzi
idioti.- spostò gli occhi su Patty -Si sa qualcosa del
nullaosta di Holly?-
-Macché, ancora niente.-
-E di quello di Mark?-
Amy scosse la testa.
-Julian ed io ci abbiamo parlato un secondo fa e ha detto che non
è ancora arrivato…- lasciò cadere la
frase, distratta ad osservare un gruppo di giocatori italiani che,
davanti al buffet, erano scoppiati a ridere di gusto dopo aver
tracannato con convinzione e perfetto tempismo un sorso di liquido
marrone in un bicchiere minuscolo. Tra loro riconobbe Salvatore
Gentile, il centrocampista Alex Marchesi, Dario Belli e uno degli
attaccanti di cui non ricordava il nome anche se Julian, da quando la
partita dell’Italia era entrata nel programma della
nazionale, aveva occupato buona parte del suo tempo libero a
documentarsi meticolosamente su di loro, facendo imparare qualcosa
anche a lei.
-Beati loro che si stanno divertendo.- Evelyn lanciò
un’occhiata torva al gruppo della nazionale giapponese che
occupava il tavolo vicino, poi tornò ad osservare Gentile
che dei tre, indubbiamente era quello che attirava di più
l’attenzione.
-Quant’è sexy. Mi piacerebbe intervistarlo.-
Patty rise.
-Solo?-
-Certo che no.- abbassò la voce -Se potessi lo sbatterei su
un letto e poi gli strapperei i vestiti di dosso ma…-
sospirò teatralmente -Dovrò accontentarmi.-
-Prova a chiederglielo, magari un’intervista te la rilascia
volentieri.- la incoraggiò Amy -Mi pare abbastanza cordiale.-
Lei scosse la testa.
-Il mio inglese è pessimo, farei solo una brutta figura.-
-Magari Rob può darti una mano a tradurre.-
-Amy, sei un genio!- accolse entusiasta il suggerimento -È
una splendida idea!-
L’insistenza con cui continuava a fissare Gentile
attirò l’attenzione di Marchesi che
ammiccò e ne rise con i compagni.
-Gentì, tu fai proprio colpo sulle giapponesi. Devi avercelo
scritto nel DNA.-
Lui si compiacque del complimento, ma ci tenne a puntualizzare.
-Non solo sulle giapponesi, Alex.-
Belli alzò le spalle, con divertita pazienza.
-Sei il solito vanitoso narcisista.-
-È solo la verità.-
-Sentiamo un po’ cosa hanno da dirci, quelle tre
giapponesine.- propose Marchesi.
Si avvicinarono al tavolo chiacchierando e sgomitandosi, Alex, Dario e
l’attaccante, Matteo Solari. Salvatore andò dietro
ai compagni giusto per non perdersi la scena.
Evelyn comprese la manovra, balzò in piedi e si
lisciò le pieghe del vestito con gesti nervosi.
-Porca miseria, vengono qui!-
-Allora è la tua occasione per presentarti a Gentile.-
La ragazza fissò Patty con gli occhi di fuori.
-E adesso che gli dico?- si guardò intorno nel panico -Il
mio inglese fa schifo e se dico che fa schifo, significa che fa davvero
schifo.-
-Sapessi il mio…- rise Patty.
Il suggerimento arrivò dall’altro tavolo, dalla
voce di Clifford.
-Digli che hai visto la sua foto in mutande e che ti è
piaciuta al punto che ci hai sbavato sopra per un’ora.-
Uno scoppio di ilarità fece eco all’imprecazione
di Evelyn.
-Fatti gli affari tuoi!-
Amy non apprezzò la manovra degli italiani e
pensò che forse era il caso di tagliare la corda. Se
l’inglese di Evelyn e Patty faceva schifo, il suo era
obbrobrioso. Oltretutto la presenza dei compagni alle loro spalle
pronti a schernirle, non era per niente incoraggiante. Si
alzò anche lei, gli occhi fissi sul buffet.
L’arrivo degli italiani poteva essere un’ottima
scusa per andare a prendersi da bere. Patty si accorse del suo
tentativo di fuga e non lo apprezzò per niente.
-Che fai? Ci lasci?-
-Ehm… ho sete.-
Evelyn l’incenerì con un’occhiata
malevola.
-Ferma lì! Non puoi mollarci proprio ora!-
-Sei tu che vuoi conoscerlo, non io!- e quando si decise a defilarsi,
si rese conto che era ormai troppo tardi.
-Ciao!- le salutò Marchesi sollevando una mano -Cosa ci
fanno da sole degli splendori come voi?- lanciò
un’occhiata di sguincio al tavolo dei giapponesi, dove Bruce
aveva seguito il loro avvicinamento e adesso li fissava ostile.
-Rispondigli, Eve!- intimò Amy socchiudendo appena le
labbra. Poi con la coda dell’occhio individuò Aoi
che orbitava curioso nei pressi. Gioì di tanta fortuna -Rob,
vieni subito qui! Ci serve un interprete!-
Lui si avvicinò, trascinando con sé Carol che
aveva appena addentato un tramezzino. La giovane valutò la
situazione mentre inghiottiva il boccone. Appena poté farlo
senza sputacchiare molliche a destra e a manca, parlò.
-Questi brutti ceffi vi stanno infastidendo, per caso?-
-Sì.- sentirono Bruce rispondere dal tavolo vicino.
Evelyn non diede segno di averlo udito, ma si curò di alzare
la voce, perché arrivasse forte e chiara anche dietro di lei.
-Scherzi? Finalmente qualcuno si è accorto che ci siamo
anche noi!-
Fu Clifford a risponderle con una risata.
-Ci siamo accorti da un bel pezzo che ci sei. Non fai che rimbeccarci!-
Evelyn non li degnò di uno sguardo, i suoi occhi erano solo
per gli italiani, molto più belli che in foto. Roba da non
credere. Erano tutti affascinanti, alti, atletici, muscolosi.
Perché lasciarsi distrarre da tanto bendiddio?
Vide Marchesi fare un cenno ad un cameriere e quello si
accostò allungando il vassoio. Dario porse a ciascuna delle
ragazze un calice di champagne, accompagnandolo con un sorriso
seducente e un lampo dei suoi occhi smeraldo. Non erano solo belli, ma
anche galanti. Altro che quei musi lunghi che sedevano alle sue spalle!
E Bruce, che neppure un’ora prima, si era permesso di
chiederle di andargli a prendere da bere! Roba da matti!
-Alle ragazze giapponesi che sono una più bella
dell’altra!- propose Marchesi mentre Carol, ridendo
divertita, traduceva il brindisi a beneficio delle giovani.
Dall’altra parte della piscina Holly si aggirava inquieto,
cercando affranto Mark per sciorinargli una buona dose del programma
dei giorni successivi. Da quello che gli aveva riferito Pearson
all’inizio della serata, l’amico pareva essersi
testardamente rifiutato di alloggiare in hotel. Non avercelo a portata
di mano ogni momento, per organizzare qualche allenamento fuori
programma, a Holly dava fastidio parecchio. In realtà con
Mark avrebbe dovuto parlarci Philip, visto che era il capitano. Ma
quando aveva provato ad accennargli la cosa, l’amico
l’aveva ascoltato per metà, rispondendogli brusco
che aveva fame e che ne avrebbero discusso solo dopo che
s’era riempito lo stomaco. Holly lo aveva lasciato stare e si
era rifugiato accanto a Tom per sfogarsi con lui. Ma neppure Tom,
angustiato dalla telefonata con Amélie, gli aveva dato retta
più di tanto. Riguardo l’apatia di Philip si era
limitato a metterlo al corrente del fatto che sull’aereo,
dopo un’oretta di riunione con gli allenatori e lo staff, era
sprofondato nel suo comodo sedile di Business Class, aveva chiuso gli
occhi ed era entrato in catalessi, dormendo per tutto il tempo e
lasciando gli altri a fare il casino che volevano.
Ad Holly la notizia non aveva fatto né caldo né
freddo. Avrebbe parlato con Philip, che quest’ultimo lo
volesse o meno. Lo avrebbe costretto ad ascoltare, nonostante tutto e
nonostante Evelyn, che gli si era incollata addosso da quando era
comparso alla festa e non lo aveva mollato un secondo. Adesso Evelyn
era con Patty e Amy, le scorgeva dall’altro lato della
piscina, ma non trovava più Philip.
In compenso incappò in Landers. Passandogli accanto senza
notarlo, celato com’era dall’ombra di un pergolato,
riconobbe la sua voce. Si fermò e tornò indietro.
-Senti Mark…- cominciò ma si bloccò
perché scorse una figurina bianca dietro di lui, per
metà nascosta dalle spalle del compagno. La
curiosità lo assalì, si avvicinò di un
passo e cercò di scrutare
nell’oscurità. Se quella era la sua fantomatica
fidanzata, ora che ce l’aveva davanti voleva assolutamente
vederla -Scusa, non volevo disturbarti, ma dobbiamo parlare di cose
importanti e Philip non mi dà retta…-
strizzò gli occhi verso la giovane, per cercare di metterla
a fuoco.
-Figurati, sai che disturbo.-
Mark si scostò, lei venne investita dal chiarore delle
lampade e a Holly venne un colpo.
-Porca miseria, Jenny! Ti ho scambiata per…- dovette
raccogliere le parole per proseguire -Pensavo fossi la ragazza di
Mark!-
Il compagno si inalberò.
-Io non ce l’ho la ragazza!-
-Ma quel giorno, al telefono…- gli venne il dubbio e
fissò incredulo l’amica -Eri tu? Eri tu con lui
quel giorno?-
Mark sbuffò.
-Non so di quale giorno tu stia parlando ma è molto
probabile di sì. Jenny è in Italia ormai da un
po’.-
Holly li guardò sgomento, non riusciva a capire. Che ci
faceva Jenny in Italia?
-Vi siete messi insieme?-
-Ovvio che no! Ti ho appena detto che non ho la ragazza! Non mi hai
sentito?-
-Allora che ci fai qui?-
-Chiedilo a Mark! Io non volevo neppure venirci!-
A Landers sfuggì una risata.
-Credo che Holly intenda a Torino, non alla festa.-
Jenny gli lanciò un’occhiata furiosa, poi vide
l’amico annuire e tacque imbarazzata. Cosa poteva dirgli?
Neppure Mark parlò. Le frasi chiarificatrici e le
spiegazioni che si era preparato per affrontare quel tragico e
inevitabile momento gli sembrarono sciocche e infantili. Non appena
l’aveva vista, Holly aveva pensato che stessero insieme, che
Jenny fosse lì per lui. Lo avrebbero pensato anche tutti gli
altri, incluso Philip. Del resto, visto come si erano messe le cose,
visto che adesso erano lì sia lui che Jenny, nessuno avrebbe
mai creduto al fatto che la ragazza fosse venuta a Torino per stare
lontana dal suo ex. Che cazzo di mondo minuscolo! Da qualche parte
aveva letto che la Terra aveva più di duecento nazioni, e
allora perché quella maledetta amichevole era stata
organizzata proprio contro l’Italia?
-Philip ti ha vista?-
-No.-
-E adesso?-
Landers scattò sulla difensiva.
-E adesso cosa? Si sono lasciati, non lo sai?-
-Certo che lo so! Lo sanno tutti, figuriamoci… Appunto per
questo è un po’ strano che lei sia qui.-
abbassò gli occhi sull’amica -Scusa Jenny, non ce
l’ho con te. Sto solo cercando di capire…-
Lei si mosse a disagio, perché la preoccupazione di Holly
era anche la sua.
-Io infatti non volevo venire ma Mark mi ha costretta.-
-Certo! Dove sta scritto che siccome vi siete lasciati, dove
è lui non puoi stare anche tu?-
Holly era cosciente del fatto che Mark avesse ragione, ma sapeva anche
che Philip poteva diventare un problema. Philip, se c’era di
mezzo Jenny, si trasformava troppo facilmente in una grana. Come
avrebbe reagito davanti alla sua ex, dal momento che a Fujisawa non
aveva voluto ascoltare nulla che la riguardasse? La domanda successiva
nacque spontanea.
-Perché vi siete lasciati?-
-Non ci provare, Holly!- saltò su Mark -Sono mesi che glielo
sto chiedendo!- fissò Jenny -Se a lui lo dici, giuro che con
me hai chiuso!-
Lei scosse le spalle. Figuriamoci se aveva voglia di confidarsi con
Holly, e in quel momento poi. Si guardò intorno. Che fine
aveva fatto Gentile? Perché non veniva a salvarla da quei
due? Lo fece Carol.
-Jenny, ti sto cercando da un’ora.- si avvicinò
seccata -Hai mangiato? Marchesi è il solito cretino, sta
facendo lo scemo con…- si interruppe quando i suoi occhi si
posarono su Holly, poi si spalancarono di sconcerto e sorpresa. Si
volse di scatto a fissare l’amica, boccheggiò come
una cernia, dopodiché tornò ad osservare il
ragazzo. Poi di nuovo Jenny, con insistenza.
-Holly, lei è Carol.- la presentò -La ragazza di
Rob.-
La giovane si intromise, brusca.
-A parte che non sono la ragazza di Rob… scusateci un
secondo…- tirò Jenny da una parte e
abbassò la voce in un sussurro -Lo conosci? Conosci Oliver
Hutton?-
-Sì…-
-E perché non mi hai detto niente?-
Mark sgomitò divertito il compagno.
-Mi sa che hai fatto colpo.-
-Ti prego… ci mancherebbe solo questo!-
Carol approfittò di avere Jenny a portata di mano per
rimetterle in ordine la frangetta che lei si stava tormentando da
mezz’ora.
-Lo conosci!-
-Non mi hai detto che volevi conoscerlo.-
-Porca miseria, hai ragione!- la trascinò di nuovo verso i
due ragazzi e afferrò la mano che Holly non le aveva teso.
La strinse con convinzione tra le sue e gli sorrise cordiale, gli occhi
luccicanti -Non vedevo l’ora
d’incontrarti… Vero, Jenny?-
Lei alzò le spalle. Non lo sapeva, non ne aveva idea e
scoprirlo non le faceva piacere per niente. Incrociò lo
sguardo divertito di Mark e si chiese se invece lui ne fosse al
corrente. E adesso? Non le andava che Carol si mettesse a fare il filo
a Holly. Ma perché proprio lui, accidenti? E Patty?
Sussultò quando si sentì toccare una spalla. Si
volse. Era Salvatore che le porgeva un piatto ricolmo di cibo.
-Ti ho portato giusto due o tre cose. Le più buone, quelle
che devi assolutamente assaggiare.-
Jenny fissò sgomenta una montagna di manicaretti che se pure
fosse stata in piena forma, avrebbe impiegato due giorni a mangiare.
Guardò l’espressione inutilmente beota di Mark ed
ebbe la fortissima tentazione di lanciargli il piatto addosso. O forse
l’amico le sarebbe stato più utile per finire
tutto quel cibo. Spostò gli occhi su Holly che li osservava
sorpreso, nonostante Carol lo stesse inondando di chiacchiere fitte
fitte, così emozionata da ficcare nel suo giapponese dal
velato accento straniero qualche parola in italiano.
-Carol…- Jenny provò ad arginarla ma fu costretta
a interrompersi perché accanto a lei Salvatore prese a
illustrarle ogni singolo boccone di cui le aveva riempito il piatto.
-I grissini sono una specialità torinese, quello che li
avvolge è prosciutto crudo di Parma. Nei tramezzini
c’è tonno e carciofini, rucola e pomodoro. Le
penne al pesto sono un piatto tradizionale ligure, ti ho preso la pizza
con i funghi e una striscia di quella con le zucchine. Anche se quella
storicamente conosciuta è la pizza margherita, che ha preso
il nome di una regina d’Italia. Ma sa di poco. Poi ti ho
messo uno spiedino con i pachino e la mozzarella di bufala, devi
assolutamente assaggiarla perché è spettacolare.
La fanno vicino Napoli, ma bisogna trovare quella buona. E questa
è quella buona…-
Jenny tentò di ascoltare Salvatore e nello stesso tempo
l’istinto la spinse a cercare Patty e sperare che non li
avesse notati, che non si fosse accorta dell’interesse di cui
era oggetto suo marito. La vide con Amy ed Evelyn in piedi su un lato
della piscina, a chiacchierare con Rob, Dario e un paio di giocatori
italiani. Seduti ad un tavolo poco distante c’era mezza
nazionale giapponese. Clifford rideva forte, andando ad aumentare la
confusione nella testa di Jenny. A due passi da lei, un brusio
terribile di voci che cercavano di attirare la sua attenzione. Non
riuscì più a capire nulla, non seppe a chi dar
retta.
Alla fine fu Holly ad avere la meglio.
-Scusateci, Mark ed io dobbiamo parlare.- esordì con tale
insistenza che Carol ammutolì -Si tratta di una questione
urgentissima che non può proprio aspettare.-
afferrò il compagno per un braccio e lo trascinò
più in là. Tacque prima di parlare, poi
sussurrò tutto d’un fiato -Mark! Sento che sta per
succedere un casino! Me lo sento a pelle!-
-Che casino?-
-Perché non ci hai avvertiti che Jenny era qui?-
-Lei non voleva.-
-E adesso?-
-Adesso cosa?-
-Secondo te cosa succederà quando Philip la
vedrà?-
-Non ne ho idea. E non so neppure cosa succederà quando la
vedrà con Gentile.-
Quelle parole spinsero Holly a voltarsi di scatto e a prendere
consapevolezza di qualcosa che non aveva notato. Con gli occhi
spalancarti osservò l’amica e l’italiano
che parlavano vicinissimi, lui le aveva posato una mano su un fianco in
un gesto troppo confidenziale e le rivolgeva dolci occhiate del colore
del mare attraverso le ciglia brillanti come l’oro. Gli
sfuggì un’imprecazione e la sua preoccupazione
divenne incontenibile.
-Stanno insieme?-
Il compagno annuì ringraziando tremila volte il cielo che
quei due formassero una coppia. E pensare che era stato contrario fin
dall’inizio, che li aveva ostacolati in tutti i modi. Invece
Salvatore, frequentando Jenny, gli aveva praticamente salvato la vita.
Adesso nessuno avrebbe potuto dire, e neppure pensare, che
l’amica era in Italia per lui.
-Merda, e adesso?-
-Adesso cosa? Jenny e Philip si sono lasciati!-
-Lo so, è inutile che continui a ripeterlo! Pensi che a
Philip non importerà? Che vederli insieme non gli
darà fastidio? Sai benissimo com’è
fatto!-
-Se lo farà passare, il fastidio. Oppure tornerà
con Jenny, com’è giusto che sia.-
Holly s’illuminò di comprensione.
-È questo che vuoi! Vuoi che si rimettano insieme, ecco
perché l’hai costretta a venire alla festa!-
-Esatto! Gentile presto si stancherà e la
mollerà. E se Jenny e Philip non s’incontrano,
come fanno a sistemare le cose?-
-Non sai neppure perché si sono lasciati! Come puoi essere
sicuro che torneranno insieme?-
-Sono ottimista, Holly. E dovresti esserlo anche tu più di
me, visto che è nella tua natura.-
Il ragazzo sospirò. Vide Carol allontanarsi ridendo insieme
a Salvatore, lei che lo trascinava verso il buffet. Spostò
gli occhi su Patty e sul suo bel vestito rosso con la cinta nera. Era
sempre con le amiche e sorseggiava sorridendo un calice di champagne. I
giocatori italiani si erano allontanati, lasciandole sole. Doveva
andare subito da lei, dirle che Jenny era lì ed escogitare
insieme una strategia migliore di quella di Mark. Lasciò che
Landers tornasse da una Jenny sempre più in ansia, e si
affrettò a raggiungere la moglie. Clifford lo
intercettò.
-Che fine ha fatto Mark? Si è appena visto.-
Per forza, era pieno di cazzi e di mazzi quella sera, pensò
Holly e glielo indicò con un gesto vago perché
quello che faceva Mark non erano affari suoi, soprattutto ora che anche
Philip si era unito al gruppo e ascoltava.
Sospirò in sordina, tanto per non dover sentire qualcuno che
gli chiedeva cosa avesse, accantonò il “problema
Landers” (che inglobava anche il “problema
Jenny” e, di conseguenza, il “problema
Philip”) e studiò le facce dei compagni.
Sembravano tutti sazi, ma decisamente stanchi e assonnati. Rob aveva
avuto ragione quando si era lamentato che fossero poco ricettivi. Gli
sbadigli soffocati o palesi che fiorivano tra loro a ripetizione erano
il segno che il jet-lag stava cominciando a farsi sentire, nonostante
non fossero neppure le undici.
-Sta ancora traccheggiando con gli italiani?-
Holly evitò di spostare lo sguardo su Clifford e fece finta
di non udirlo. I suoi occhi si posarono invece su Philip che se ne
accorse e si affrettò a dirigere i propri da
tutt’altra parte. Il suo atteggiamento schivo non fu per
niente incoraggiante, e per la terza volta nel giro di pochi minuti si
chiese cosa sarebbe successo quando lui e Jenny si sarebbero
incontrati. Si ricordò d’un tratto che voleva
avvertire Patty, così la raggiunse e si chinò su
di lei per bisbigliarle l’incredibile notizia in un orecchio.
Philip spostò lo sguardo dal calice di champagne che
stringeva tra le dita ai compagni. Finalmente nessuno faceva caso a
lui, nessuno gli rompeva le palle. Gioì del fatto che, in
mezzo al mucchio, Evelyn e Holly non potevano più assillarlo
come stavano facendo dall’inizio della serata. Prima
l’una, poi l’altro, non avevano fatto altro che
tampinarlo mentre lui aveva sentito l’impellente bisogno di
stare tranquillo. Per cercare di sfuggire alla loro insistenza era
finito prima tra le fauci di Gamo, che aveva trovato utile riassumergli
il programma del giorno successivo; poi in quelle di Pearson, che gli
aveva accennato ad una conferenza stampa dei prossimi giorni e si era
raccomandato di cominciare a preparare le risposte alle domande di
routine che gli avrebbero inevitabilmente fatto. Del resto lui era il
capitano… Si era anche offerto, Pearson, di ripassarle
insieme, durante la colazione o durante il pranzo del giorno seguente,
quando Philip era disponibile. Lui aveva annuito e si era dileguato,
facendogli credere che sarebbe andato immediatamente a consultarsi con
Holly. Sì, col cavolo! Se cominciava così, quel
soggiorno in Italia non prometteva davvero niente di buono. Si era
allontanato da tutti, s’era fatto tranquillo il giro del
giardino, si era rifocillato e ora che si era ripreso dai loro assalti,
aveva deciso di raggiungere i compagni.
-Sicuramente Mark è rimasto con gli italiani
perché loro si stanno divertendo mentre voi sembrate delle
mummie.- ironizzò Evelyn, lanciando un’occhiata
curiosa a Patty che si voltava di scatto verso Holly e si aggrappava
con un gesto nervoso ai braccioli della sedia.
-Davvero?-
Il ragazzo annuì e le fece cenno di alzarsi. Si
allontanarono di qualche passo. Evelyn smise di guardarli quando la
risposta di Bruce spense in un secondo la curiosità
bruciante scaturita dal loro bizzarro atteggiamento.
-Sarà perché dopo un viaggio di dodici ore e con
sette ore di fuso orario di scompenso abbiamo bisogno di riposare e non
di fare i cretini?-
-Siete solo pappe molli… Ecco cosa siete!-
Clifford diede man forte al compagno, attaccando la cugina.
-Vai dagli italiani, Eve, se hai così tanta voglia di
divertirti! Nessuno di noi te lo impedisce. Vero Bruce?-
-Certo, tanto fai sempre come ti pare.-
Evelyn gli lanciò un’occhiata di fuoco e avrebbe
volentieri seguito il consiglio se fosse stata in grado di comunicare
con la squadra avversaria in modo perlomeno decente. Abbassò
gli occhi e fremette, mordendosi la lingua per spegnere la sgradevole
discussione. Amy se ne accorse e le posò una mano sul
ginocchio, comprensiva.
-Se Mark non viene qui, si vede che ha da fare.-
Philip si riscosse dall’apatia in cui era sprofondato e si
appoggiò con i gomiti al tavolo, guardando Danny che aveva
appena espresso quella perla di saggezza. Sospirò.
-E io quando ci parlo? Holly mi sta rompendo l’anima dal
pomeriggio.-
Peterson sbadigliò.
-Vai a chiamarlo. Un minuto te lo concederà.-
Nonostante ciò che aveva appena detto, Philip non
c’aveva mezza voglia. Che Mark non si facesse vedere era la
scusa perfetta per evitare di parlarci.
L’irreperibilità del compagno era un motivo bello
pronto da spiattellare a Holly, Pearson e Gamo, quindi per lui era
controproducente andare a cercarlo.
-Non ora.- Danny intervenne apprensivo -Adesso sta parlando con una
ragazza. Lasciatelo in pace.-
Clifford strizzò gli occhi, scrutando gli ospiti di qua e di
là.
-Come fai a saperlo? Io non lo vedo… Anzi, non li vedo.-
-La tua miopia sta peggiorando, Clif.-
-Io non sono miope! Harper!-
-Di sicuro con qualcuno Landers sta parlando, a meno che non gli
è partita la brocca.-
-Quella gli è partita da un pezzo.-
-Jason!- saltò su Danny offeso, ma nessuno gli
prestò attenzione.
-Mica Landers ha la donna?! Non ne sapevo niente!- Yuma
scostò la sedia e si alzò
-Dov’è? Devo vederla!-
Danny lo afferrò per la giacca.
-Perché devi rompergli le scatole, se è con una
ragazza?-
-Se è con la SUA ragazza, perché non ce la
presenta? Quest’atteggiamento assurdo sta diventando la
prassi, tra di noi?- fissò Philip che stavolta
reagì.
-Te ne sei mai chiesto il perché? Sei così brutto
che la faresti scappare!-
-Lui le donne le morde, non le fa scappare.- rise Benji rivolgendo a
Yuma un’occhiata carica di divertimento.
-Imbecille… Comunque io vado a conoscerla, voi restate pure
qui.-
-Manco morto, io vengo con te.-
Evelyn lanciò un’occhiata a Bruce che si alzava.
-Figurarsi se non s’impicciava.- disse ad Amy con un cenno
d’intesa.
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Capitolo 8 *** Settimo capitolo ***
Settimo capitolo
-Sono venuta al party come mi hai chiesto, Mark. Adesso posso
andarmene?-
Jenny si aggrappò alla sua giacca e lo fissò
implorante. Gentile si era allontanato con Carol e tardava a tornare.
Questo significava che se fosse riuscita a convincere l’amico
a non trattenerla ancora, poi sarebbe dovuta andare a cercarlo e
avvertire anche lui.
Mark lanciò un’occhiata all’orologio,
erano quasi le undici. Tentò di rassegnarsi
all’inevitabile.
-Davvero non vuoi salutare gli altri?-
-Voglio solo andare a casa.- strinse la borsetta tra le dita -Posso
chiamare un taxi. Non c’è bisogno che mi
accompagni e non c’è bisogno che mi accompagni
neppure Salvatore. Dammi solo le chiavi di casa e…-
-Landers, non ce la presenti la tua ragazza?-
Jenny sussultò, la voce di Philip si levò proprio
dietro di lei, vicinissima. Percepì nella sua domanda una
sfumatura beffarda, quasi di fastidio, e per un istante si chiese se
non l’avesse riconosciuta, se non si fosse avvicinato
apposta, se non intendesse schernirli perché li aveva visti
insieme. Si pietrificò, forse impallidì. Non
riuscì a muoversi, rimase imbambolata, rigida come una
statua. Lo sguardo sconvolto fisso negli occhi dell’amico che
le era di fronte.
Mark alzò il viso, spostando la propria attenzione da Jenny
a Philip fino a Clifford che sorrideva sornione e beffardo, e gli altri
che li circondavano pieni di curiosità. Non poteva credere a
tanta fortuna. L’interesse di quei ficcanaso aveva sbloccato
una situazione di stallo che stava andando avanti da quasi due ore. Fu
contento che li avessero raggiunti quasi come se avesse appena segnato
un goal.
-No. Non te la presento. E sai perché?- la sua voce
uscì controllata, le parole ben scandite anche se appena
ombreggiate da un velo d’ansia, perché in
definitiva l’atteggiamento spaurito di Jenny e quello
preoccupato di Holly gli avevano fatto venire molti dubbi sulla
decisione di portarla con sé a quella festa -Prima di tutto
perché non è la mia ragazza.- dalle labbra gli
sfuggì una smorfia ironica -E poi perché la
conosci già.- posò le mani sulle spalle di Jenny
che continuava a stargli davanti, immobile, il panico che le velava lo
sguardo. Era a dir poco terrorizzata.
Il vestito si mosse come un’onda bianca intorno alle gambe
della giovane, mentre Mark la voltava di colpo quasi fosse una bambola
e la costringeva a trovarsi faccia a faccia con Philip. Lei lo
guardò senza battere ciglio, cerea, una maschera
inespressiva sul volto. Il cuore le batteva all’impazzata, le
dita erano strette sulla borsa, le unghie affondate nel tessuto, quasi
a lacerarlo. Respirava appena ma riuscì a sostenere quello
sguardo che conosceva a memoria senza vacillare, senza abbassare il
proprio. Sarebbe voluta scappare, non le sarebbe importato della
figuraccia che avrebbe fatto con gli altri e ne fu tentata, ma Clifford
e i ragazzi avevano formato un semicerchio ad intrappolarla
lì dov’era, impedendole ogni via di fuga.
Il passato investì Philip come un pugno allo stomaco. La
curiosità e il divertimento scomparvero dai suoi occhi. Li
spalancò di colpo, le sue labbra si tesero, le spalle si
irrigidirono. Dimenticò all’istante di essere ad
una festa, circondato dai compagni. Divenne totalmente incapace di
udire i commenti e le battute degli altri che continuavano in
sottofondo tutt’intorno a loro. Non c’era
più niente davanti a lui, se non Jenny. Si guardarono per un
istante lunghissimo, lei terrorizzata, lui sgomento, praticamente sotto
shock. Poi si riscosse e si fece tornare la voce.
-Jenny?-
Il suo tono fu carico di sorpresa, di aspettativa. Spostò
per un secondo lo sguardo su Mark, in una domanda inespressa. Ma un
istante dopo tornò a fissare lei, perché erano
mesi che non la vedeva e ora che poteva farlo, che sapeva
dov’era, provava un sollievo immenso. Ma non capiva, non
riusciva a farlo. Jenny non poteva razionalmente trovarsi in Italia, a
Torino, in quell’hotel, nel loro hotel. Continuò a
fissarla incredulo per un interminabile istante finché le
guance di lei, sotto il suo sguardo così insistente, si
arrossarono nel modo che gli piaceva da impazzire. Le sorrise, o almeno
ci provò, teso com’era. Mosse un braccio per
toccarla, per assicurarsi che non fosse un miraggio, per accertarsi che
fosse reale, che fosse davvero lì, in carne e ossa. Lei si
tirò indietro di scatto e urtò Mark.
La mano di Philip ricadde pesantemente al suo posto. La sua reazione lo
colpì come una doccia ghiacciata. Era successo di nuovo,
dopo tutto quel tempo… Non si vedevano da mesi eppure non
appena lui aveva cercato di avvicinarla, lei si era tirata indietro.
Pur di non essere sfiorata era finita addosso a Landers. Un sospiro
amaro gli salì su per la gola e diede voce alla sua
delusione.
-Che ci fai qui?-
Lei lo fissò inespressiva, a parte il rossore che le
imporporava gli zigomi. Non seppe come rispondergli ma di una cosa fu
certa. Non voleva assolutamente che Philip pensasse che si fosse
imbucata al party per incontrarlo.
Il tempismo di Gentile fu perfetto. Si fece largo tra i giapponesi,
scostò Philip in modo brusco e raggiunse Jenny. Le
passò un braccio intorno alle spalle in un equivocabile
segno di possesso. I suoi occhi azzurri dardeggiarono di fastidio e
neppure Mark sfuggì alle sue frecciate stizzite.
-Tutto a posto?-
-È un casino.- rispose lei in italiano e un secondo dopo
tornò a guardare il suo ex, continuando in giapponese -Sono
con Salvatore.-
Mark si rese conto che in un secondo, con poche e semplici parole, con
una frase che avrebbe fatto meglio a tacere, Jenny aveva mandato a
puttane il suo primo incontro con Philip. Tutta la fatica che aveva
fatto per portarla lì era stata inutile, sprecata. Gentile
era spuntato nel momento peggiore, rovinando tutto. Lo
guardò e lo odiò più ferocemente del
solito. Lui ringhiò di rimando.
-Grazie per avermelo detto.-
A dire la verità, se anche Benji una manciata di minuti
prima non gli avesse spifferato tutto, gli sarebbe bastato posare anche
solo un istante gli occhi sull’espressione beota di Callaghan
per intuire che tra lui e Jenny doveva esserci, o forse esserci stato,
qualcosa. E ora che sapeva, negli occhi con cui quel deficiente la
guardava, riusciva a scorgere tracce di anni e anni di amore. Ma a lui
tutto ciò non importava, a lui di Callaghan non fregava un
cazzo. Jenny in quel momento era la sua ragazza e quel giapponese
doveva starle alla larga. Posò una mano sul corpo caldo e
morbido di lei, appena sotto la vita, sul fianco fasciato
dall’abito e l’accostò a sé.
-Stasera non riusciamo a starcene un attimo tranquilli.- le disse in
inglese.
Philip si irrigidì, spostò gli occhi dalla
ragazza all’italiano e poi dall’italiano
tornò su di lei. Jenny non lo guardava, ma lui si
perse lo stesso su quello sguardo che da anni era stato una sua
esclusiva e che adesso era riservato ad un altro. D’istinto i
suoi occhi si abbassarono sulla mano dell’italiano che le
spiegazzava la stoffa dell’abito, troppo vicino ad una
natica. La gelosia lo invase e gli serrò lo stomaco in una
morsa. Jenny era reale, non stava sognando, non era in preda alle
allucinazioni, ma non era lì per lui. Non era in Italia per
vederlo, non era alla festa per incontrarlo. Era lì con
Gentile e per Gentile.
-Maledetto guastafeste! Dovevi arrivare proprio adesso?- Mark fremette,
le dita strette a pugno e le unghie conficcate con forza nei palmi
delle mani. Aveva atteso per ore, per giorni, anzi per mesi questo
momento e quell’infame di Gentile aveva rovinato tutto.
Perché non crepava?
-Vengo a prendere ciò che è mio, Landers. E tu
avresti fatto bene a mettere le cose in chiaro.-
-E spianarti la strada?-
-Sarebbe stato meglio per tutti, anche per il tuo amico.-
-Col cazzo…-
Lo fulminò con una stilettata azzurra.
-Jenny ed io stiamo insieme!-
-Certo non per colpa mia!-
Dario Belli raggiunse il gruppo chiedendo gentilmente permesso.
Sbucò tra i gemelli Derrick, uno da una parte e uno
dall’altra identici. Li guardò stupito, per un
secondo pensò di vederci doppio. Sbatté le
palpebre un paio di volte.
-Mi sa che è meglio se mi fermo con l’alcol
stasera.- commentò soprappensiero, molto più
interessato a Gentile, che teneva Jenny accostata a sé, a
Mark che lo fissava astioso, a Callaghan immobile, granitico. Intorno a
loro la tensione era palpabile -Cos’è? Un
tentativo di suicidio?- rimproverò il compagno -Che ti ha
avvertito a fare Price se poi ti metti a far casino davanti
all’intera nazionale giapponese?-
Mark non credette alle proprie orecchie. Era colpa di quel maledetto
portiere del cazzo! Perché s’era immischiato?
Perché era andato da Gentile a spifferargli tutto?
-Metto i paletti, Dario. Marco il territorio, Jenny sta con me.-
incrociò lo sguardo di Callaghan prima di chinarsi su di lei
e baciarle la bocca.
Il gesto produsse il suo effetto persino sulla giovane, che avrebbe
volentieri evitato una scena del genere. Ma poiché non se lo
aspettava, non fece in tempo a scostarsi.
-Sei un deficiente, testardo fino all’ultimo.-
-Fatti gli affari tuoi, Dario.-
Mark gli sputò addosso tutta la sua rabbia.
-Non posso credere che tu abbia fatto una cosa così
meschina! Sei veramente un pezzo di merda!-
Philip li sentiva parlare ma non capiva nulla. Si sforzava di rendersi
conto che il bacio che Gentile aveva dato a Jenny non era stato altro
che un banale sfioramento di labbra, eppure lo aveva trapassato da
parte a parte con la stessa brutalità di una coltellata. La
fissò ma lei non lo guardava. Le guance di nuovo arrossate,
sembrava spaesata da quel dialogo concitato in una lingua che non
conosceva. Pareva spersa quanto lui.
Gentile la spinse lontano da loro con una leggera pressione della mano
tra le scapole e Philip la seguì con gli occhi mentre gli
passava accanto vicinissima, scortata dall’italiano. Per un
secondo vide risplendere sulla pelle nuda, vicino alla spallina bianca
del vestito, le tre minuscole cicatrici a forma di luna lasciate dai
denti di McFay. Segni che lei, finché erano rimasti insieme,
aveva cercato in tutti i modi di nascondergli.
-Cazzo Philip! Quella è Jenny?-
Clifford lo riportò brutalmente alla realtà. Una
curiosità divorante bruciava nei suoi occhi e in quelli dei
compagni. Facce stranote che però non riusciva a mettere a
fuoco. Indietreggiò di un passo, in un gesto estremo di
difesa alle loro inevitabili domande.
-È Jenny?- ci si mise anche Ralph -Davvero quella
è Jenny?-
-Sì, porca miseria!-
Gli occhi di Clifford lampeggiarono di stizza.
-Price, maledetto bastardo! Ci ha preso tutti per il culo! Aveva detto
che non la conosceva, che era cinese, forse coreana…-
Nonostante Mark bruciasse di collera nei confronti del portiere spione,
non riuscì a fare a meno di schernire il compagno.
-Sei proprio un idiota! Prenderti per il culo è facile come
rubare una foglia di lattuga a una lumaca.-
Sandy si accostò a Yuma e lo tirò per la manica
della giacca.
-Io te l’avevo detto che mi sembrava di averla già
vista da qualche parte.-
-Non ricominciare con i tuoi “te l’avevo
detto”!-
-Però te l’avevo detto!-
-Quindi per tutti questi anni ci hai nascosto una ragazza
così, Philip. Bravo!- fu il complimento ironico di Ralph
-Che bell’amico!-
-Scusa perché, che pensavi di farci con Jenny?- gli
domandò Mark, vagamente preoccupato. Ma nessuno fece caso a
lui.
Philip si ficcò le mani in tasca.
-Da quando siamo amici, Ralph?- gli rispose furente, lasciandolo di
sasso.
Clifford rise sguaiato.
-Hai ragione, sai? Giochiamo nella stessa squadra ma mica siamo amici!
Non mi sognerei mai di invitarvi alla mia festa di compleanno.-
-E chi ci verrebbe?- borbottò Mark, pensando che se Holly li
avesse sentiti si sarebbe strappato i capelli. Lui che lottava e si
dannava per l’armonia e l’affiatamento della
nazionale. Con questo suo atteggiamento scostante, Callaghan non gli
stava certo dando una mano.
-Comunque, tornando a Jenny…- riprese Clifford provocando
una smorfia di disappunto nell’espressione di Philip, che
sperava di averla scampata -Non ce l’hai mai presentata
perché avevi paura che qualcuno di noi te la fregasse, vero?-
-Che stronzata! Non ti sei mai visto allo specchio?-
-Vaffanculo Landers e non ci scassare. Piuttosto spara, Callaghan! Che
diamine ci fa la tua ex con Salvatore Gentile?-
-È appunto la mia ex! Per quale motivo dovrei saperlo?-
-Non stavate insieme? Ti avrà pur detto che veniva in
Italia.-
-Ci siamo lasciati! Perché avrebbe dovuto dirmelo?-
Clifford rise.
-Se ti ha lasciato per lui, Jenny ci ha senz’altro
guadagnato. Almeno la porta alle feste e soprattutto a conoscere i
compagni di squadra.-
Peterson annuì.
-Appena Gentile la molla un istante io mi presento. Che fai Clif? Vieni
con me?-
-Certo che vengo! Sono anni che sento parlare di lei e adesso voglio
togliermi qualche curiosità. Alla faccia tua, Callaghan, e
del tuo insensato egoismo!-
-Egoismo?- gli fece eco lui.
-Sì, egoismo, perché te la sei tenuta tutta per
te! Le cose belle vanno condivise!-
Philip stentava a seguire il senso delle loro proteste. Che accidenti
volevano da lui? Che andassero a presentarsi a Jenny, per quello che
gli importava.
-Sapete una cosa?- rifletté Jason lisciandosi una basetta
con le dita -Tra lei e Julie Pilar non so davvero chi scegliere.-
-Sai che ce ne frega, Derrick. Non devi scegliere tu, semmai Philip.-
-Philip ormai non ha più niente da scegliere, visto che non
stanno insieme.- rise Ralph -Tu chi preferisci, Clifford?-
Yuma tornò a fissare pensieroso la ragazza, oggetto di tanta
curiosità. Accarezzò con lo sguardo la scollatura
dell’abito che metteva in risalto la curva dei seni.
Indugiò sulla pelle nuda della spalla e del braccio, poi
risalì sulla linea del collo e sul volto grazioso. Aveva le
guance ancora leggermente arrossate, gli occhi scuri e brillanti.
Gentile le era accanto come una guardia del corpo e non la mollava. A
Philip quell'occhiata insistente diede fastidio.
-Non lo so. Devo esaminarla più da vicino per dare un
parere.-
-Hai ragione.- annuì Peterson -E se le piacciono i
calciatori può darsi che uno di noi abbia una
possibilità.-
Mark scosse la testa.
-Beati illusi…-
Evelyn spuntò tra loro, gli occhi che emanavano dardi di
interesse e stupore.
-Philip! Che accidenti ci fa qui Jenny?-
Si volse stralunato. Ci mancava solo lei e la sua prorompente
curiosità.
-Che ne so?-
-Sta con Gentile? Si è messa col biondo? Perché
non lo sapevo?- spostò gli occhi da Philip a Mark e
viceversa, cercando una risposta che non venne. Allora
proseguì, perché il desiderio di svelare quel
mistero era infinito, inarginabile -Come accidenti è
possibile? Tu lo sapevi, Philip?-
-No!-
-Lo immaginavo.- borbottò delusa. Guardò Mark,
pronta a riprendere l’interrogatorio, poi si accorse che
Patty si avvicinava a Jenny, lasciò perdere i ragazzi e le
raggiunse di corsa. Tanto valeva fare le domande alla diretta
interessata.
-Jenny! Che accidenti ci fai qui?-
-Ciao Patty…-
-“Ciao”?- la fissò incredula -Come
“ciao”? Sei sparita da mesi e mi dici
“ciao”? Andrebbe meglio un “Se mi metto
in ginocchio mi perdoni”?
Jenny le rivolse un sorriso fragile.
-Scusami… avevo bisogno di riprendermi i miei spazi.-
-Altro che spazi! Mi hai fatta morire di preoccupazione!
Perché non mi hai detto che eri in Italia?-
Già, perché?
-Lo avrei fatto, presto…- incrociò lo sguardo
cristallino di Gentile che si era fermato ad aspettarla e
accennò un sorriso -Lei è la moglie di Oliver
Hutton.-
-Lo so. Va tutto bene?-
-Sì, ora sì. Resto con lei, siamo amiche.-
La presenza di Patty sembrò tranquillizzarlo.
Così mentre Evelyn arrivava, gli occhi
sull’italiano da cui non riusciva a distogliere lo sguardo,
quello le lasciò sole.
-Porca miseria Jenny! Gentile ti ha baciata! State insieme?- le
scoccò un’occhiata carica d’invidia.
-Ciao Evelyn.-
-Be’ sì, ciao. Sai che hai una fortuna sfacciata?
Io, i ragazzi così, non riesco neppure ad avvicinarli per
intervistarli, mentre a te...-
-Eve!-
-Eve cosa? Io verrei di corsa in Italia se sapessi che mi sta
aspettando un simile esemplare di maschio.- sorrise maliziosa, come
solo lei sapeva fare -Non preoccuparti, sono felice di vedere che
c’è un tale leone accanto alla mia
amica…- abbassò appena la voce -Più
che un leone è un toro lì sotto, vero?-
Jenny non rispose, arrossì e basta mentre Evelyn traeva le
sue conclusioni, atteggiandosi a donna saputa.
-Ovvio. La natura non può rovinare un capolavoro del genere
con certi errori. Quindi com’è a letto?-
Jenny cambiò colore.
-Non sono affari tuoi nel modo più assoluto!-
-Hai ragione, porca miseria!- l’espressione seria e delusa di
Evelyn fu così comica da far ridere Patty e Amy -Ma a me
puoi dire com’è stato! Siamo amiche!-
-Neanche morta!-
-Diamine Jenny! Non è giusto! Tu puoi soddisfare tutte le
mie fantasie più perverse! Non sai cosa farei a quello
lì se solo potessi mettergli le mani addosso!-
Amy rise.
-A noi lo ha detto, dopo te lo racconto.-
Evelyn le lanciò un’occhiata in tralice, poi
continuò rivolta a Jenny.
-Spero che almeno tu ti sia sbizzarrita! Cavolo!-
-Basta per favore.-
-Jenny ha ragione, Eve.- Patty tentò di riportarla
all’ordine -Questo non è il momento adatto
né il posto giusto per parlare di certe cose.-
-A parte gli sproloqui di Eve, come stai, Jenny?-
s’informò Amy scrutandola con preoccupazione.
Ci pensò Evelyn a risponderle.
-Sta benissimo, è una bellezza. Non lo vedi?-
strizzò l’occhio all’amica che tornava
ad arrossire -Questo vestito ti sta bene, Jenny. Ha una splendida
scollatura sia davanti che dietro. Sono sicura che Philip ha
apprezzato. E non solo lui.- lanciò un’occhiata a
Clifford e agli altri che non le staccavano gli occhi di dosso e li
indicò con un cenno della mano -Sei dimagrita. Ti sei messa
a dieta?-
-No.-
-Da quanto tempo sei in Italia?-
-Un paio di mesi.-
-Diavolo, così tanto?- Evelyn tornò a guardare
Salvatore e incrociò per pura fortuna il suo sguardo
azzurro. Sussultò e arrossì, abbassando gli
occhi.
Quel barlume di timidezza le fece ridere.
-Sei tutto fumo e niente arrosto, Eve.- la prese in giro Amy dandole
una lieve gomitata.
Lei si sventagliò teatralmente il viso con una mano.
-È troppo bello e mi fa quest’effetto. Che ci
posso fare?-
Patty scosse la testa.
-Se hai finito di intontirci con le tue chiacchiere, vorremmo parlare
di cose serie.-
Jenny si ritrovò a pensare che la premessa di Patty sembrava
persino più pericolosa dell’esuberanza di Evelyn.
Non aveva nessuna voglia di parlare di cose serie, quali che fossero.
Né in quel momento, né con loro. Voleva solo
tagliare la corda, in realtà. E adesso che aveva visto
Philip e che lui aveva visto Gentile baciarla, era decisa a farlo il
prima possibile.
-Andiamo a sederci da qualche parte e ci racconterai con calma.-
Non sapendo come evitarlo, si lasciò trascinare verso i
tavoli. Mentre passava accanto ad una composizione floreale, vide Carol
chiacchierare al cellulare, lo sguardo abbassato sulle unghie laccate
che stava esaminando con un’attenzione tutta professionale.
Le tornò in mente il modo in cui aveva fissato Holly e un
istante dopo accantonò il problema. Ora aveva davvero altro
a cui pensare.
Philip si era liberato dall’assedio dei compagni infilandosi
in un capannello di invitati. Aveva costeggiato il tavolo del buffet e
aveva girato intorno alla piscina, facendo perdere le proprie tracce
tra tavoli, sedie e camerieri. Aveva bisogno di respirare,
perché da qualche minuto non riusciva più a
farlo.
Per un istante non l’aveva neppure riconosciuta, Jenny, visto
che tutto si aspettava tranne che incontrarla proprio lì.
Quando aveva posato gli occhi su di lei, aveva sentito qualcosa di
forte scuoterlo da dentro. Non sapeva cosa, forse l’emozione
di vederla, di saperla lì, di constatare che stava bene. Il
tutto era durato un attimo. Poi era arrivato Gentile che
l’aveva stretta a sé. A quel punto la stessa
identica emozione che l’aveva scosso, era andata in frantumi.
Attraverso la piscina la vedeva, il suo vestito bianco risplendeva alle
luci notturne del giardino. Le amiche le stavano intorno, i loro abiti
colorati si muovevano all’unisono, come i fiori di un prato
accarezzati dal vento. Erano di nuovo insieme, come lo erano state a
Shintoku prima in ritiro e, l’anno successivo, in vacanza. Se
da una parte la sensazione che i pezzi sparpagliati di un puzzle
stessero tornando pian piano al loro posto gli provocava un sentimento
di conforto, dall’altra non riusciva a far quadrare gli
eventi. Non c’era spiegazione al perché Jenny
fosse a Torino. Sapeva per certo che a Furano non c’era
più, perché qualche giorno prima di partire per
l’Italia era ripassato davanti casa sua e aveva trovato le
finestre ancora chiuse. Ma era straconvinto che fosse in America dai
suoi genitori. E invece no, non era a New York. Era in Italia.
Il tradimento di Mark poi gli bruciava. Perché non lo aveva
avvertito? Perché l’aveva lasciato
all’oscuro, facendogli fare la figura del fesso? A fissarla
inebetito, boccheggiando come una trota appena pescata?
-Una bella sorpresa, eh?-
Philip si volse. Benji gli stava alle spalle e lo guardava, anzi, lo
studiava, la giacca aperta e tirata indietro dalle mani ficcate nelle
tasche dei pantaloni. Aveva un’espressione pensierosa.
-Sicuramente una sorpresa.- si sforzò di rispondergli,
atono. Riprese a camminare, non voleva ascoltarlo.
Fu inutile, Benji gli andò dietro.
-Non sei contento?-
-Non stiamo più insieme.-
-Questo è ininfluente sul fatto che tu sia contento o meno.-
-Perché dovrei essere contento?- la domanda gli
salì su dritta dal cuore. Cosa c’era da essere
contenti a trovare Jenny con un altro? Era vero, si erano lasciati, ma
vederla con Salvatore Gentile era quasi insopportabile.
-Perché lei è qui.-
La risposta lo colse impreparato. Spostò gli occhi in quelli
dell’amico e non riuscì a rispondergli, non seppe
assolutamente cosa dirgli. Era vero, Jenny era lì. Ma poi?
Scosse le spalle in una replica che non venne e si allontanò
perché non aveva voglia di parlare né con lui,
né con nessun altro.
Benji rinunciò a seguirlo e raggiunse i compagni con un
sacco di domande da porre.
-Da quanto tempo te la tieni in casa, Landers?-
-Cosa ne sai?-
-Me lo ha detto lei.-
-Jenny?-
-Proprio.-
Incredulo si accorse che Julian lo fissava e, non era il solo,
disapprovava.
-Sta da te, Mark?-
Lui si difese passando all’attacco.
-Dove pensavi che stesse? In un hotel?-
-Non ho pensato nulla, non ne ho avuto il tempo. Piuttosto
bell’amico che sei… Ospiti l’ex di
Philip e neppure lo avverti.-
-Non stanno insieme!-
-E quindi pensi che non avrebbe voluto saperlo?-
-No che non lo penso, ma Jenny mi ha detto di non dirlo a nessuno. Cosa
dovevo fare?-
Benji scostò una sedia e si sedette tra loro.
-E adesso cosa farai?-
-Assolutamente niente! Non sta con me ma con Gentile. Io la ospito e
basta.-
-Ecco, appunto. Giusto questo volevo chiederti. Perché hai
lasciato che si mettesse con Gentile senza neppure provarci? Eppure
Jenny ti interessa, è lampante.-
Mark s’inalberò.
-Jenny non mi interessa! Non mi è mai interessata e se la
pensi in questo modo significa che non hai mai capito un cazzo.- si
accorse che anche gli altri lo fissavano scettici e un fremito di
stizza gli corse su per la schiena.
-Non ti interessa, eh? O ci hai provato e ti ha detto di no?-
-No, Price! Non ci ho provato!- lo fulminò con
un’occhiata di fuoco -Pensi che siamo tutti uguali a te? Che
davanti ad un paio di tette perdiamo la testa?-
-Mi stai confondendo con Bruce.-
-Lasciatemi fuori dalle vostre discussioni del cavolo.- si fece sentire
quello.
-Penso solo che sei un cretino, Landers, perché avresti
potuto approfittarne e toglierti lo sfizio.-
-Benji…- Holly tentò di metterlo a tacere.
-Se c’è un imbecille tra noi quello sei tu, Price,
che non avresti problemi a farti la ragazza di un amico. Ma questo
è niente! Perché sei andato a spifferare a
Gentile i fatti di Jenny e di Philip? Cosa cazzo gliel’hai
detto a fare?-
-Davvero pensi che non lo avrebbe capito? Che non se ne sarebbe
accorto? Non è deficiente come te.-
Landers scostò brusco la sedia e si alzò. Holly
si tese, pronto a intervenire se fosse saltato addosso a Benji per
strozzarlo e fargli rimangiare una volta per tutte le sue inaccettabili
insinuazioni. Invece si allontanò senza dire una parola, un
diavolo per capello, ringhiando in italiano qualcosa che non capirono.
Mark non s’era seduto al tavolo dei compagni per lasciare che
quel maledetto portiere lo insultasse a raffica o lo mettesse in
imbarazzo con le sue teorie da quattro soldi. Avrebbe voluto risolvere
la situazione, lui. Riflettere con loro e trovare il modo di
riavvicinare Philip a Jenny, o Jenny a Philip. Andava bene qualsiasi
cosa. Ma finché Benji non esauriva il repertorio della sua
stronzaggine, questo non era possibile.
Holly respirò a fondo, poi si rivolse al portiere.
-Sei ubriaco, Benji?-
-No, perché?-
-Allora per quale motivo l’hai assalito in quel modo?-
-Per favore, non vorrai mica difenderlo? Si è dimostrato un
coglione, non ha detto niente a Philip di Jenny, ti pare
giustificabile?-
-In effetti…- si trovò d’accordo Bruce.
-Philip sa difendersi da solo, non c’è bisogno che
lo fai tu.-
Benji spostò gli occhi su Julian.
-Lo so, ma mi interessava sapere se tra lui e Jenny
c’è stato qualcosa. Philip sa difendersi da solo,
hai ragione, ed è abbastanza intelligente da riuscire a
passare sopra al fatto che lei stia con Gentile. Ma che lei e Mark se
la siano spassata non potrebbe sopportarlo.-
Julian scosse la testa e gli lanciò un’occhiata
carica di sarcasmo.
-Un pensiero troppo altruistico per uno come te. Hai semplicemente
approfittato dell’occasione per insultarlo, visto che erano
mesi che non lo facevi più di persona.-
Benji scoppiò a ridere.
-Non hai tutti i torti, Ross.-
Finalmente solo, senza scocciatori in giro, Philip si sforzò
di ridare un ordine ai pensieri che gli ingarbugliavano la testa, che
gli sfuggivano prima che riuscisse a metterli a fuoco, che volavano via
eterei. Ma in fondo che bisogno c’era di pensare? Doveva solo
sforzarsi di razionalizzare, come faceva sempre, perché a
tutto c’era una spiegazione. Bastava trovarla. Se Jenny era a
Torino doveva esserci un motivo che non poteva certo essere Salvatore
Gentile. E doveva esserci un motivo anche per spiegare il silenzio di
Mark. Solo che lui, per quanto si sforzasse, non riusciva a
rispondersi. La sua mente sembrava essersi inceppata. Lanciò
un’occhiata rapida a Jenny che sedeva al tavolo con le
amiche, circondata da mezza nazionale giapponese. Quella sera stava
succedendo esattamente ciò che per anni lui si era dato da
fare ad evitare, con il risultato che ora la curiosità dei
ragazzi era inarrestabile perché al mistero che la
circondava si era aggiunta anche la sua relazione con Gentile.
Seduta al suo fianco Evelyn, infastidita da tanta invadenza,
tamburellava con le dita sulla tovaglia, ad ascoltare allucinata le
idiozie che i ragazzi sfornavano a raffica per attirare
l’attenzione di Jenny, per strapparle un sorriso, mostrando
invece, a suo parere, il peggio di loro. La bocca serrata dal fastidio,
una specie di invidia si stava facendo strada nella sua testa,
perché in fondo non le sarebbe dispiaciuto essere al centro
di tutta quell’attenzione. Sentì Patty ridere e
spostò gli occhi su di lei. Poi tornò a guardare
Jenny, rigida sulla sedia, la schiena dritta, profondamente a disagio.
Era chiaro che avrebbe desiderato essere ovunque tranne che
lì. Rispondeva come poteva, cercava di sorridere ed essere
gentile, ma Evelyn era quasi certa che dentro di sé stesse
ringraziando il suo ex di averle evitato per anni quella tortura.
Jenny tentava di mostrarsi interessata e cordiale, ma non riusciva a
concentrarsi sulla conversazione e sulle battute dei ragazzi. I suoi
occhi vagavano nel giardino in cerca di Philip. Non lo trovava, non lo
vedeva da nessuna parte. Chissà dov’era sparito.
Probabilmente se n’era andato, scontento di trovarla
lì dopo tutta la fatica che aveva fatto per riuscire a
liberarsi di lei. Il pensiero della sua fuga la ferì.
Serrò le dita sulla borsetta e i battiti del cuore
accelerarono. E lei? Lei se n’era andata da Furano proprio
per non incontrarlo per strada, magari mentre era a spasso con Grace o
a fare la spesa. Venire in Italia non era servito a niente.
Philip era lì e quella sera si erano ritrovati
così vicini da potersi toccare. Lui avrebbe potuto davvero,
eppure all’ultimo non lo aveva fatto. Anche se aveva proteso
la mano, era bastato che lei accennasse a tirarsi indietro per farlo
desistere. La sua esitazione l’aveva ferita nel profondo,
facendo tornare a galla un dolore che sperava di aver dimenticato. La
sofferenza invece era ancora tutta lì, pronta a farle di
nuovo del male. Ancora una volta, Philip aveva dimostrato che preferiva
arrendersi di fronte a quel che restava delle sue ferite, piuttosto che
affrontarle. Esattamente quello che aveva fatto per mesi, privandola di
lui. Davanti a tanto distacco e a tanta freddezza da parte sua, Jenny
non aveva neppure sentito l’impulso di piangere. Mentre negli
occhi di Philip balenavano lo sconcerto e la confusione, lei aveva
provato soltanto uno sconfinato senso di vuoto, di dolorosa mancanza.
Sussultò quando sentì qualcuno sfiorarle la
spalla. Alzò gli occhi di scatto e incrociò
quelli di Evelyn, supplichevoli.
-Coraggio, Jenny. Rispondi a mio cugino così si toglie dai
piedi con i suoi discorsi cretini.-
Lei alzò gli occhi su Clifford, confusa. Come poteva
rispondergli se non aveva ascoltato una parola?
-Eve, perché non vai a farti un giro?- rispose lui nervoso
-Magari in mezzo agli italiani, visto che ti piacciono tanto!-
-Non solo a me, vero Jenny?- mostrò la lingua al cugino e si
allontanò verso il buffet, lanciando un’occhiata
curiosa a Mark e Gentile che parlavano uno di fronte
all’altro a due passi dalle vivande. Peccato che lo stessero
facendo in italiano, avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa si
stessero dicendo.
L’ira di Salvatore era implosa, grazie anche ad un bicchiere
di costosissimo champagne ghiacciato che Belli gli aveva messo in mano
intimandogli di berlo d’un fiato.
-E così Jenny stava con quello sfigato!- mandò
giù un sorso della bevanda e finse un’espressione
sollevata -Meno male che si è accorta dell’errore!-
-Pallone gonfiato, come osi?-
Gentile gli rispose con un ghigno, poi cercò Philip tra la
gente e non lo trovò.
-Il tuo amico non ha le palle. Come ha visto che Jenny era con me, ha
tagliato la corda.-
Mark lo guardò di traverso, poi decise che non voleva
litigare. Quella serata lo stava stremando peggio di un allenamento con
Gamo. Il suo silenzio diede il via libera a Salvatore, che
continuò carico.
-Ha capito subito che non può competere, che perderebbe su
tutta la linea. In confronto a me lui è niente.-
-Lui è qualcosa più di te, idiota. In prestigio
ti frega. È il capitano della nazionale giapponese, tu non
sei neppure il vice di quella italiana.-
Gentile lo fissò interdetto. Non ci aveva pensato, porca
miseria. Gli bastò un attimo per riprendersi.
-Sta solo sostituendo Hutton. In realtà non conta niente.
È talmente insignificante che non ricordavo neppure il suo
nome.-
Mark lo fissò. In definitiva, che ci faceva lì
con lui? Perché lo stava a sentire? Per una volta che erano
avversari e poteva evitarlo alla grande, stava ancora a perdere tempo?
-Sono un cretino. Perché sto ad ascoltare le tue stronzate?-
gli voltò brusco le spalle e si allontanò a testa
alta. Di lui ne aveva abbastanza.
Salvatore gli mandò tremila maledizioni, poi andò
a recuperare Jenny per sottrarla all’interesse morboso dei
suoi connazionali. Everett e Peterson si scostarono quando si fece
largo senza chiedere permesso.
-Vieni con me.- le disse in italiano, porgendole una mano in un gesto
inequivocabile.
Lei si alzò subito, contenta di avere finalmente una scusa
per dileguarsi. Distribuì a casaccio qualche sorriso, poi si
allontanò con Salvatore.
-Quindi Callaghan è il tuo ex ragazzo.-
Lui le teneva una mano sul fianco, così la sentì
irrigidirsi. Si fermarono poco più in là, per
guardarsi negli occhi.
-Chi te lo ha detto?-
-Era un segreto?- ostentò indifferenza -Non mi pare, lo
sanno tutti.-
Jenny non riuscì a capire se le parole di Salvatore fossero
una semplice constatazione o nascondessero un rimprovero.
Qualcuno lo chiamò, salvandola da una risposta che non
veniva fuori. Si volsero entrambi. Davanti al buffet Dario Belli stava
facendo cenno al compagno di raggiungerlo. Era insieme ad Alex
Marchesi, il centrocampista della Juventus, e a Matteo Solari,
l’attaccante della nazionale italiana. Salvatore gli rispose
con un gesto impaziente di diniego, poi spinse Jenny ancor
più lontano da tutta quella confusione, fin sul bordo della
piscina. L’odore di cloro solleticò le loro
narici, lo sciabordio dell’acqua si mescolò alla
musica e il riflesso delle luci azzurre tinse i loro corpi.
-Io non volevo venire. Se non fosse stato per Mark lo avrei evitato
volentieri!-
-Non volevi venire per lui?-
Marchesi lo chiamò di nuovo. Adesso erano cinque o sei, a
cercare di attirare l’attenzione del ragazzo. Si erano
riuniti in un gruppetto rumoroso e Jenny desiderava tanto che andasse
da loro e la lasciasse a mortificarsi in solitudine. Lui
però sembrava di tutt’altro avviso.
-Dai Gentile, quanto la fai lunga!-
-Datti una mossa!-
Lui si volse e prese a gesticolare scocciato.
-Che palle che siete! Non vedete che sono occupato? Andate a rompere
l’anima a qualcun altro!-
-Ci puoi parlare dopo, con la tua ragazza!-
-Non state a seccarmi!- li liquidò spazientito e
tornò a guardarla -A me non frega niente, in definitiva, se
Callaghan è il tuo ex, però…-
-E che avrai da dirle di così importante?-
Uno scoppio di ilarità tra gli italiani.
-Facci la grazia, è per una foto.-
-Due minuti ci vogliono, mica di più. La tua ragazza non
scappa di certo.-
Salvatore ne ascoltò appena la metà, di quei
richiami. Infastidito, vomitò su di loro tutto il nervoso
che Landers aveva fatto affiorare con la sua tracotanza.
-Porca miseria! Mi lasciate in pace? Ho da fare, non lo vedete?-
Dario fece spallucce ma Alex Marchesi non si scoraggiò.
-Salvatò, dobbiamo fare una foto di gruppo, non una partita.
Quanto ci vorrà? Puoi degnarci della tua illustrissima
presenza per trenta secondi?-
Ma lui niente, non lo ascoltò. Continuava a fissare Jenny
che, a disagio, torturava la borsetta tra le dita.
-Senti, mi dispiace…- il vestito di lei risplendeva di blu e
quando si mosse lo chiffon si sollevò come un’onda
-Te l’avrei detto, alla fine. Forse non stasera, ma te lo
avrei detto…- lanciò un’occhiata ai
ragazzi che fremevano poco distanti, stufi di essere ignorati e di
dover aspettare i comodi del compagno per fare chissà cosa
-Vai da loro, ti stanno chiamando ancora. Ne riparliamo dopo, abbiamo
tutta la serata…- sorrise per convincerlo e
appoggiò una mano sul suo torace, accarezzando le falde
della giacca di qualche ottima marca italiana.
Una faccia divertita spuntò alle spalle di Salvatore in modo
così improvviso da farla gridare. Gentile neppure fece in
tempo a voltarsi. Due mani possenti si posarono sulla sua schiena e
premettero forte.
-Ma che cazzo…-
Si sbilanciò in avanti, travolse Jenny e la
trascinò in acqua con sé. Caddero con un tonfo,
sollevando una valanga di spruzzi. Ci fu un istante in cui le
conversazioni degli invitati presenti nel giardino si interruppero.
Persino il dj si distrasse, perse un giro e la musica si
ripeté, distorta.
Riemersero zuppi, increduli, bagnati e infreddoliti. Si guardarono
sgomenti, poi spostarono gli occhi sul bordo della piscina, dove
quattro o cinque calciatori italiani li indicavano e ridevano.
-Maledetti stronzi!- gli occhi di Salvatore Gentile saettarono sui
compagni -Siete dei pirla! Dei pezzenti! Dovete crepare, dovete!-
terminò il fiato, interruppe le invettive e
guardò Jenny.
I suoi capelli lunghi intrisi d’acqua si erano sciolti e ora
si allargavano a ventaglio alle sue spalle, fluttuando sulla superficie
azzurra. Lo chiffon del vestito le galleggiava intorno, smosso dalle
onde create dal loro stesso tuffo, modellandole intorno al petto una
specie di corolla. Davanti alla sua espressione sgomenta e avvilita,
l’indignazione nei confronti degli amici e del loro stupido
scherzo lasciò il posto alla preoccupazione. Le era caduto
addosso, l’aveva travolta ma per fortuna sembrava ancora
tutta intera.
-Stai bene? Ti sei fatta male?-
-Sto bene…-
I ragazzi italiani continuavano a sbellicarsi sul bordo della vasca,
mentre i pochi giornalisti ammessi alla festa si avvicinavano
all’acqua pieni di curiosità.
Salvatore digrignò i denti e una furia omicida gli
attraversò gli occhi.
-Maledetti, vi faccio a pezzi!-
-Com’è l’acqua?-
-Com’è l’acqua un cazzo!-
Marchesi rise di gusto.
-L’acqua fredda non ha placato i tuoi bollenti spiriti!-
-Ma vaffanculo fino a Natale, Alex!-
Seguì un attimo di silenzio, puoi un nuovo scoppio di
ilarità. Gentile avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma prima
doveva uscire da lì. Si volse verso Jenny, pronto a scusarsi
di nuovo e a issarla fuori dalla piscina. Non la vide più.
Gli prese un colpo, nel suo sguardo affiorò il panico.
-Dietro di te.- gli gridò Dario.
Allora si volse e la vide. Scorse il suo corpo nuotare
sott’acqua, risplendente d’azzurro. Raccolse
qualcosa dal fondo della vasca e riemerse poco distante, la borsetta
tra le mani. Salvatore la raggiunse con due bracciate.
-Cosa c’è? Tutto a posto?-
-Sì.- starnutì e aprì il gancetto
della pochette. Era colma d’acqua e il pacchetto di
fazzoletti che Mark vi aveva infilato galleggiava tra le sue mani. Il
cellulare, spento, restò adagiato sul fondo di raso blu. Lo
afferrò, lo tirò fuori dall’acqua e
cercò di accenderlo -Mi sa che si è
rotto…-
-Lascia perdere il cellulare. Usciamo che si gela.-
Gentile la spinse verso il bordo, l’afferrò per i
fianchi e la issò fuori della piscina. Era leggera come un
fuscello, nonostante il suo abito fosse intriso d’acqua.
Belli le afferrò un gomito e l’aiutò a
tirarsi in piedi. Poi la guardò amareggiato.
-Mi dispiace, sono degli animali…- con un cenno del capo
indicò i compagni che continuavano a sghignazzare. Ma non di
lei. I loro sguardi erano rivolti a Gentile che seguitava a insultarli
a raffica, incurante degli ospiti, dei giornalisti, incurante di tutti.
Amy raggiunse Jenny.
-Peccato per il vestito. Il cloro lo rovinerà?-
-Non mi importa del vestito…- starnutì
infreddolita, mentre gli occhi cominciavano a pizzicarle. Non era il
vestito ad angustiarla ma il fatto di sentirsi ridicola, intirizzita e
tremante davanti a tutti quegli spettatori. I capelli sciolti le
ricadevano in ciocche grondanti e disordinate sul petto e sulle spalle,
il vestito le si era incollato addosso. Sentiva l’acqua
ghiacciata scorrerle sulla schiena, sulle braccia e le gambe, fino ai
piedi, immersi in una pozza. Si mosse e l’abito si
adattò ad ogni piega del suo corpo, senza staccarsi. Con
orrore Jenny realizzò che forse, attraverso il tessuto
leggero, si intravedevano persino gli slip. E i giornalisti
continuavano a fotografarla. Si guardò intorno in cerca di
Mark, che forse avrebbe potuto fare qualcosa. Cosa, non lo sapeva
neppure lei. Non lo trovò. Dov’era finito?
Carol le scostò dal collo e dalle spalle le ciocche di
capelli che si erano incollate alla pelle, le sistemò alla
meglio le pieghe del vestito e infine, prendendo atto delle condizioni
in cui era ridotto quello che reputava un suo capolavoro, prese a
gridare insulti in italiano a chi aveva spinto Jenny in acqua.
-Che razza di uomini siete? Ci si comporta così con le
signore?- si portò i pugni ai fianchi e avanzò
verso Marchesi. Lui indietreggiò burlone, tirando fuori
un’espressione comicamente intimorita -Villani! Ignoranti!
Maleducati! Siete delle bestie! Vi dovrebbero tenere legati!-
Salvatore emerse con uno scroscio d’acqua, facendo leva sulle
braccia, i muscoli in tensione che tesero la stoffa della giacca.
Puntellò un ginocchio sul bordo e si mise in piedi, mentre
una cascata allagava il pavimento di cotto, grondando dai suoi abiti.
Gli occhi azzurri lampeggiarono di sdegno.
-Imbecilli! Che c’entrava Jenny?-
Marchesi si tirò prudentemente indietro.
-Lei c’è entrata per sbaglio.-
-Inutile che t’incazzi, Gentì. Sei tu che
l’hai spinta in acqua!-
Philip, dall’altra parte della piscina, seduto ad un tavolo
con Clifford e Ralph, assisteva in silenzio alla scena.
L’aveva seguita fin dall’inizio, non ne aveva perso
neppure un secondo perché nonostante avesse cercato di
evitare di posare lo sguardo sulla ragazza, non aveva fatto altro che
tenerle gli occhi addosso. L’aveva vista isolarsi dagli altri
e Gentile infervorarsi per qualcosa. Aveva provato un bruciante
fastidio quando lei gli aveva posato dolcemente una mano sui risvolti
della giacca, all’altezza del cuore, in un gesto simile ad
una carezza. Quando poi Gentile le era finito addosso travolgendola,
era quasi saltato in piedi, il terrore che Jenny non sarebbe riemersa.
Solo quando l’aveva vista tornare a galla, apparentemente
illesa, aveva ripreso a respirare. Ora la vedeva rabbrividire di freddo
e si sentiva gelare anche lui. In piedi sul bordo, lei gli dava le
spalle e i capelli lunghi, divisi in ciocche grondanti, le ricoprivano
la schiena per una buona metà. Non l’aveva mai
vista Jenny, con i capelli così lunghi. Avrebbe voluto
toccare quella cascata setosa e liscia, intrecciarla tra le dita e
lasciarla scorrere via, ficcarci dentro il viso e inebriarsi del suo
profumo che ormai non ricordava quasi più.
Mark si fece largo tra gli italiani e guardò Jenny
dall’alto in basso, con aria truce. Incrociò lo
sguardo di lei, fece per dirle qualcosa ma Patty sopraggiunse di corsa
e lo spinse da parte. Stringeva al petto due enormi teli da bagno. Ne
porse uno all’amica, l’altro Evelyn glielo tolse di
mano e si avvicinò a Gentile, con un atteggiamento timido
che non le si addiceva per niente. Allungò le braccia e lui
le sorrise, ringraziandola poi in inglese. E quando
l’interesse di Salvatore tornò sui compagni,
Evelyn si avvicinò alle amiche e si piantò
davanti a Jenny, le mani puntellate sui fianchi. La scrutò
divertita, indecisa se farle una foto. Lasciò perdere
perché immaginò che la cosa non le avrebbe fatto
piacere.
-Se cado io in piscina non mi dà retta nessuno e quando esco
sono ridicola.- borbottò contrariata -Ci cadi tu e ti stanno
tutti intorno, il vestito ti dona senz’altro più
di prima e il trucco non ti cola…-
Le ragazze risero, solo Carol restò seria.
-Per forza, l’ho truccata io! Sono una professionista!-
Jenny si passò l’asciugamano sul collo e sulle
braccia per arginare i rivoli d’acqua che venivano
giù ovunque, poi se lo avvolse intorno alle spalle e se lo
strinse addosso. Spostò gli occhi su Evelyn.
-Almeno tu non finirai sulle prime pagine di gossip.-
-Scherzi? Magari succedesse! Darei qualunque cosa per essere
fotografata insieme ad un fusto simile!- indicò Salvatore
con un cenno.
Jenny fece spallucce, poi chinò il viso e si
osservò l’abito incollato alle gambe. A parte il
freddo, era davvero in uno stato pietoso.
-E adesso?-
Amy le sorrise.
-Ti presterò i miei vestiti. Vieni in camera.-
-Non posso rientrare in queste condizioni.- abbassò gli
occhi a terra. Si era sfilata i sandali e i suoi piedi nudi sguazzavano
in un lago.
-Portali qui, Amy.- decise Patty pratica -Jenny può
cambiarsi nello spogliatoio della piscina.-
Salvatore le raggiunse, i capelli biondi avevano assunto una
tonalità più scura. Divisi in ciocche
gocciolanti, lasciavano ai suoi occhi tutto lo spazio necessario a
sfavillare e conquistare. Evelyn non riuscì a togliergli lo
sguardo di dosso mentre si liberava prima della giacca, gettandola su
una sedia di plastica, poi della camicia. Rimase in maglietta, i
bicipiti che spuntavano prepotenti dalle maniche corte, i pettorali
scolpiti che il cotone zuppo metteva in mostra, incollato come una
seconda pelle su quel corpo da favola.
-Ci sarebbe da ringraziare chi vi ha spinti in acqua…-
Jenny lanciò ad Evelyn un’occhiata storta, la
forte tentazione di gettarla in piscina. Si trattenne soltanto
perché non le parve il caso e si fece passare il nervoso
concentrandosi su Salvatore. Il ragazzo, sotto lo sguardo adorante di
Evelyn e di qualche altra invitata, che sembravano volerselo mangiare,
si passò un angolo dell’asciugamano sui capelli,
lasciando il resto del telo a penzolargli spiegazzato su una spalla e
sulla schiena. Lui si volse e vide Jenny tremare di freddo.
-Devi trovare qualcosa da metterti prima che ti ammali.-
-Amy mi presterà i suoi vestiti. Lì
c’è lo spogliatoio…-
Salvatore annuì.
-Già, è perfetto.-
La prese per mano e la trascinò verso la piccola costruzione
in legno bianco. La porta non era chiusa a chiave. Entrò per
primo, accese la luce e si guardò intorno mentre Jenny lo
seguiva dentro, stringendosi addosso l’asciugamano.
-E adesso che fai? Ti imboschi?- gli gridò dietro Marchesi.
-Ma lasciatemi in pace, rompicoglioni!- rispose senza voltarsi, alzando
il dito medio e richiudendo la porta con una manata. Quando furono soli
guardò Jenny -Sono dei cretini… degli infami! E
io ci gioco pure insieme… Affanculo li dovrei mandare,
altroché…- gettò
l’asciugamano su una sedia -Mi dispiace.-
-Non devi scusarti, non è colpa tua.-
-Il tuo vestito è rovinato.-
Lei gli sorrise.
-È solo un vestito.-
Salvatore concordò con una strizzatina d’occhio,
poi si sfilò la maglietta. Recuperò
l’asciugamano e se lo strofinò addosso. Jenny
indugiò ad osservarlo, chiedendosi se si fidasse davvero a
liberarsi dei vestiti, con quegli inaffidabili amici nei paraggi e
tutti quei giornalisti lì fuori, pronti a scattare foto su
di loro. Lei no, non ne aveva il coraggio, così
restò immobile al centro della stanza. Quanto ci metteva
Amy? Starnutì.
-Non ti spogli?-
Lui le si avvicinò a petto nudo e le tolse
l’asciugamano per aiutarla a slacciare l’abito
sulla schiena. Nell’istante in cui Jenny si tirava indietro,
sentirono bussare.
-Che vogliono adesso?- sbuffò Salvatore.
Jenny riconobbe la voce di Amy che la chiamava.
-Sono arrivati i miei vestiti.-
-Ah, bene.-
Lui andò ad aprire, prese i vestiti che Amy gli porgeva,
avvoltolati in un malloppo e sorrise al cellulare di Evelyn che ne
approfittò subito per scattare un paio di foto al suo corpo
mezzo nudo.
-Oggi è la mia giornata fortunata.- ringraziò lei
strizzandogli un occhio.
Lui le sorrise. Un secondo prima di richiudere la porta, gli
arrivò in mano un secondo fagotto di abiti. Lo
afferrò al volo e si trincerò nello spogliatoio.
-Un bel tuffo…-
Evelyn comparve alle spalle di Philip così improvvisa che
lui si volse di scatto, sorpreso. L’amica non lo guardava,
era china sul display del cellulare e faceva scorrere rapidamente
alcune immagini. Clifford, curioso, si sporse per guardare.
-Li hai fotografati?-
-Esattamente mentre cadevano in acqua.-
-Come hai fatto?-
-Ce li avevo inquadrati proprio in quel momento. Spero di riuscire a
tirarci fuori qualcosa. Sono una coppia che fa notizia, non ti pare?-
-Certo che mi pare.- Yuma lanciò a Philip
un’occhiata significativa -Con lui Jenny fa molta
più notizia che con te.-
-Pensi che me ne importi?- l’occhiata truce con cui lo
fulminò lo frenò dal continuare su quella strada.
-Vado a prendere un altro drink.-
-Ecco bravo.- Philip strinse i denti mentre Clifford si allontanava
-Togliti dalle palle.-
Evelyn accantonò il cellulare e si lasciò cadere
sulla poltroncina lasciata libera dal cugino.
-Sei nervoso stasera. Vuoi sapere cosa ho scoperto su di loro?-
Philip non rispose né sì né no e
mostrando il massimo ma finto disinteresse rimase ad ascoltarla mentre
lei sciorinava una serie di informazioni che non le aveva chiesto.
Jenny non ebbe il coraggio di cambiarsi davanti a Salvatore. Lo fece
nei bagni stretti e risicati dello spogliatoio, lasciandolo con i
vestiti che aveva rimediato a rispondere ai fastidiosissimi richiami
dei compagni asserragliati a sfotterlo al di là della porta.
Quando tornò da lui, rimase interdetta a fissare
ciò che indossava. Poi scoppiò a ridere.
-Cosa ti sei messo addosso?-
-Il senso dell’umorismo di Price.-
Tutto avrebbe immaginato, Jenny, tranne che vederlo vestito dalla testa
ai piedi dell’uniforme del Giappone, la felpa azzurra della
nazionale con il logo dell’adidas su una spalla, il simbolo
della JFA sul petto e una chiassosa scritta JAPAN che gli campeggiava
sulle spalle, bianca sullo sfondo blu.
-Vestito così i giornalisti ti adoreranno. Finirai su tutte
le prime pagine.-
-Non mi dona?- rise anche lui -S’intona ai miei occhi, non
trovi?-
Sì, in effetti trovava. E ad affascinarla era questa sua
capacità di sorridere di tutto. Salvatore Gentile sprizzava
energia da tutti i pori. A volte si imbronciava per niente come un
bambino viziato, faceva i capricci e puntava i piedi, ma una volta
passate le bizze tornava allegro e solare, contagiando chi aveva
intorno col suo carattere accentratore, sempre disposto a ridere e a
scherzare, a fare amicizia con tutti, la battuta sempre pronta.
-Vieni qui…- la prese tra le braccia e la strinse a
sé.
Jenny era fredda come un ghiacciolo e approfittò di quel
contatto per scaldarsi un po’. Lui le stampò un
bacio sulle labbra e si scostò, osservando critico i suoi
capelli bagnati. Li lasciò scorrere tra le dita.
-Dovresti asciugarli.-
Lei annuì, lo fissò nelle iridi celesti e colse
al balzo l’occasione per chiedergli ciò che aveva
desiderato da quando aveva messo piede in quell’hotel.
-Lo farò a casa, ce ne andiamo?-
-Vieni da me?-
Lei esitò solo per un secondo.
-Non è una grande serata questa. Non so se…-
Due violenti colpi sulla porta li fecero sobbalzare. Salvatore la
lasciò.
-Qualsiasi cosa, basta che ce ne andiamo da qui. O stasera faccio secco
qualcuno.-
Spalancò la porta e i suoi occhi dardeggiarono tra i
compagni. Quelli, come lo videro, scoppiarono a ridere.
-‘Cazzo ti sei messo addosso?-
-Che pirla, che sei! Hai cambiato squadra!-
Gentile stette al gioco.
-Che vi aspettavate, dopo avermi buttato in piscina?-
-Sai che la divisa del Jàpan ti sta bene?-
-A me sta bene tutto, pure niente.-
-Io non ti ci voglio, in squadra.- disse serio Mark, ma il suo sguardo
era divertito.
-Figurati io.- Salvatore lo superò e andò dritto
verso Benji che se la rideva in solitudine -Sei uno stronzo
geniale…- gli passò un braccio intorno alle
spalle e si mise in posa mentre qualche giornalista inquadrava entrambi
e li accecava con i flash.
Carol raggiunse Jenny. Era affranta.
-Stupidi idioti! Hanno rovinato la mia opera d’arte!-
frugò nella borsetta, tirò fuori un pettinino di
plastica da un euro e cercò di rimettere in riga le ciocche
zuppe dell’amica.
-Carol, lascia stare…- i denti del pettine trovarono un
nodo, Jenny gemette e si tirò indietro -Non fa niente.-
-Certo che fa! Eri così bella!- scoppiò a ridere
-Oddio, non che adesso tu non lo sia, intendiamoci…-
allungò di nuovo il pettine e glielo affondò tra
le ciocche, facendola sussultare.
-Per favore, basta così. Sono un disastro e mi fai male.- le
tolse il pettine e lo sfilò con precauzione da un groviglio
di capelli in cui si era ingarbugliato, senza andare né su
né giù.
-Ti sono cresciuti tantissimo.- notò Amy -Devi asciugarli o
ti prenderai un malanno.-
-Non importa. Salvatore ed io ce ne andiamo.-
-Di già?-
-È quasi mezzanotte, sono distrutta.- e lo era veramente.
Era stremata dal contrasto tra le sensazioni che provava, era stanca di
quella serata e di tutto ciò che le stava accadendo. Non ne
poteva più.
-Ci vediamo domani?-
Fu Carol a rispondere a Patty, carica di energia e di entusiasmo.
-Certo che ci vediamo domani! Volentierissimo!- ci pensò su
-Anzi, io resto ancora un po’.- strizzò
l’occhio a Jenny -Buon proseguimento, mia cara. E non
divertitevi troppo.-
-Non vieni?-
-A far cosa? Il terzo incomodo? Andate pure e scatenatevi anche per me.-
Jenny sospirò paziente e cercò Salvatore nei
dintorni. Un attimo prima era lì, adesso non lo vedeva
più. Voleva andare a casa, dove accidenti era sparito? Lo
vide tornare con una busta, nella quale infilò
l’abito bianco che le tolse dalle mani. Appeso ad un braccio
teneva il cappotto di Jenny che aveva recuperato al guardaroba.
L’aiutò a indossarlo.
-Patty, avverti tu Mark che ce andiamo?-
-Sì. Ci vediamo domani.- ribadì lei, come a farle
presente che non le avrebbe permesso di sparire di nuovo.
Jenny annuì, poi s’incamminò verso
l’uscita insieme a Salvatore, aggrappata al suo braccio, le
dita affondate nella manica della felpa azzurra di Benji, lo sguardo
chino a terra nel timore di incrociare gli occhi di Philip che, lo
sapeva, era lì da qualche parte e forse la stava osservando
mentre se ne andava insieme a Gentile, tirando le sue ovvie conclusioni
su come avrebbero trascorso il resto della serata.
Amy aspettò che Carol si allontanasse per servirsi un drink,
poi esternò tutta la sua perplessità.
-Perché Jenny è qui?-
-Certo non è venuta a vedere la partita.- Evelyn
infilò il cellulare nella borsetta. Adesso che Salvatore se
n’era andato, non sapeva più chi fotografare -Se
Jenny è riuscita a costruire un rapporto con Gentile non
è arrivata ieri.-
Patty le ascoltò in silenzio, accarezzando distrattamente i
petali di una rosa che si allungava verso di lei da una pianta carica
di boccioli.
-Sapete qual è la cosa peggiore? Che Mark sapeva che eravamo
preoccupate per Jenny e non ci ha detto che era qui.-
Amy non fu d’accordo.
-La cosa peggiore è che Jenny non si sia fatta sentire
sapendo che eravamo preoccupate per lei.-
-Jenny non deve rendere conto a voi di quello che fa. E non mi pare
carino rinfacciarglielo. Non ha passato un bel periodo, lo sapete
benissimo.-
Patty e Amy fissarono Evelyn allibite. Era la prima volta che la
sentivano esprimere un ragionamento tanto profondo. E sicuramente la
prima volta in assoluto che parteggiava per l’amica assente.
Oltretutto aveva ragione, quindi non ebbero davvero nulla da rispondere.
Dall’altra parte del giardino, Philip osservò
Jenny che lasciava la festa. Si ficcò le mani nelle tasche,
costeggiò la piscina e riuscì a svicolare tra i
compagni senza attirare l’attenzione. Solo Pearson lo
individuò mentre si dava alla fuga e cercò di
fermarlo. Ufficialmente voleva parlargli della conferenza stampa, in
realtà era preoccupato perché anche lui aveva
visto Jenny e Gentile insieme, ma Philip si inventò che
doveva andare in bagno e si sganciò in tre secondi.
Attraversò il salone e salì in camera.
Aprì la porta ed entrò nella stanza, senza
accendere la luce. Raggiunse la finestra rischiarata dalle luci della
città e poggiò la fronte contro il vetro senza
far caso al panorama notturno di Torino che si stagliava davanti ai
suoi occhi. Il freddo esterno fu un sollievo al mal di testa che stava
cominciando a salire. Respirò a fondo tentando di reprimere
delusione, ira, gelosia e frustrazione, ma più di tutto
un’immensa angoscia. Avrebbe voluto riformattarsi. Cancellare
tutti i file inutili della mente e sostituirli con sentimenti ed
emozioni più aggiornate. E invece era ancora lì,
di nuovo dopo mesi, a riesumare la sofferenza del passato.
Si portò stancamente le mani al collo e allentò
il nodo della cravatta. Poi se ne liberò e la
gettò sul letto. In quell’istante bussarono alla
porta.
-è aperto.-
-Perché sei al buio?-
L’ombra di Mark si stagliò scura sullo sfondo
luminoso del corridoio.
-Perché la luce non mi serve.-
-Vai a dormire?- entrò, accostò la porta e si
sedette sul letto di Julian. Philip seguì la sua avanzata,
si volse e si appoggiò con la schiena alla finestra.
-Cosa sei venuto a fare?-
-Non scendi?-
-Che te ne importa?-
Stettero qualche secondo in silenzio a studiarsi, poi Mark
parlò.
-Jenny è andata via.-
Philip non rispose, si limitò a fissarlo. Non riusciva a
scorgere la sua espressione, la stanza era troppo buia e Mark era
lontano dallo spacco di luce notturna che attraversava la finestra e si
posava su un angolo del pavimento, sul tavolo e su una poltroncina,
fasci di bianco nella stanza scura. Lo sentì sospirare, poi
tentare di nuovo un avvicinamento.
-Un anno è lungo da passare, dopo quello che è
successo. O forse è troppo breve,
chissà… Jenny sembra che si sia ripresa, che stia
bene.- cercò nei suoi occhi una conferma che non
trovò -So che è stata dura,
però…-
Philip lo mise bruscamente a tacere.
-No, non lo sai. Anche sforzandoti non arriveresti a immaginare neppure
la metà di ciò che abbiamo passato.- fremette di
fastidio. Quell’interesse per il suo stato d’animo
arrivava ormai troppo tardi.
-Sì, però…-
-Però un cazzo! Non capisci, non puoi farlo. Non ci
riuscirai mai! Quello stronzo ci ha cambiati, ha rovinato le nostre
vite, ci ha resi diversi… Tu non puoi sapere, non puoi
giudicare. Non hai neppure il diritto di parlare!-
-Datti una calmata, Callaghan! Non ti sto giudicando!-
-Ecco appunto, non farlo! Evitami le tue chiacchiere inutili.
Perché se volevi parlarmi, per prima cosa avresti dovuto
chiamarmi e avvertirmi che Jenny era qui. Poi dirmi tutto il resto.-
Mark si stranì.
-Perché avrei dovuto dirti di Jenny? Non vi siete lasciati?-
-Non cercare di fregarmi con le tue domande stronze! Se fossi stato al
mio posto, avresti preteso che ti chiamassi!-
L’altro ci rifletté un istante, per niente sicuro
che il compagno avesse ragione. Holly lo tolse dall’impiccio.
La porta socchiusa si aprì con un cigolio sommesso e la sua
testa comparve nello spiraglio.
-Gamo ci vuole tutti giù e vuole soprattutto te, Philip.-
*
Jenny si volse a guardarlo quando Salvatore le mise una mano sulla
gamba proprio sopra al ginocchio. Lui sembrava aver chiaro in mente
come aveva intenzione finire la serata. Per quale altro motivo, se non
per averla tutta per sé, l’avrebbe portata nel suo
splendido appartamento nel centro di Torino? Jenny sapeva benissimo
cosa si aspettava da lei. I suoi occhi azzurri così profondi
e limpidi erano carichi di desiderio.
Quando erano entrati Salvatore era andato in cucina, aveva preso una
birra per sé e un bicchiere d’acqua per lei, poi
era tornato in salotto e l’aveva fatta accomodare sul divano.
Adesso, dopo pochi minuti, la situazione si era già evoluta.
Chino su Jenny, la sua mano sotto la gonna risaliva lungo una gamba in
una carezza di cui lei non riusciva a godere, tesa com’era.
Avrebbe voluto lasciarsi andare, bearsi della sua compagnia, ma i
pensieri che le frullavano nella testa non glielo permettevano.
Continuavano ad andare a cozzare contro il volto di Philip, contro
l’espressione che gli aveva visto in faccia nel momento in
cui Salvatore l’aveva baciata. Ci stava provando con tutta se
stessa, eppure non riusciva a scacciare dalla testa il pensiero di lui.
Incapace di lasciarsi andare, rimaneva immobile agli approcci di
Gentile, i nervi tesi, il respiro corto.
Salvatore la guardò, intuendo la sua esitazione. Gli
sembrava quasi di tenere tra le braccia una bambola di porcellana.
Piccola, fragile, perfetta nella sua delicata bellezza e proprio come
una bambola, immobile e impassibile. In vita sua non gli era mai
capitato di trovarsi davanti a tanta reticenza. Le ragazze gli si
gettavano addosso nude prima ancora che alzasse un dito. Jenny no. Non
si muoveva e non sembrava né entusiasta né
lusingata dell’interesse che provava per lei. Si chiese se
non fosse stato meglio bere l’acqua e darle la birra. A
bloccarla dovevano essere per forza imbarazzo e timidezza.
Le accarezzò una guancia, si chinò su di lei e la
baciò. Le loro labbra si unirono, la lingua di Gentile si
fece strada nella bocca della giovane con dolce insistenza. Con una
mano sulla nuca la tenne accostata a sé, l’altra
le risalì lungo la gamba, sulla coscia fino al fianco, a
giocherellare con l’elastico delle mutandine. Jenny fu
percorsa da un involontario brivido di piacere mentre le dita calde di
lui le solleticavano la pelle. Senza staccarsi dal suo corpo, Salvatore
la spinse indietro e lei scivolò distesa. Le
sfilò i sandali liberandole i piedi, poi si
scostò per sfilarsi la felpa. Era eccitato e accaldato.
Jenny incrociò il suo sorriso, il lampo azzurro dei suoi
occhi carichi di apprezzamento e aspettativa. Le accarezzò
il collo con le dita, poi si sporse su di lei e sfiorò lo
stesso punto con le labbra. La giovane chiuse gli occhi, tutti i sensi
concentrati sulla bocca che la copriva di baci, scivolando senza fretta
verso il basso. Le mani di Gentile si ritrovarono sui bottoncini della
camicia di Amy, che sbottonò in rapida successione.
Scostò la stoffa abbassandogliela sulle spalle, e
avvicinò il viso ai suoi seni, aspirando il suo profumo, che
era buono anche se sapeva un po’ di cloro. Jenny socchiuse
gli occhi, lasciò che le sganciasse il reggiseno e
glielo togliesse. Fece del suo meglio per perdersi nella miriade di
sensazioni piacevoli che il ragazzo stava risvegliando sul suo corpo.
Le sue braccia forti e muscolose la sollevarono dal divano per
distendervela meglio. Sentì il cotone dei suoi pantaloni
premerle contro l’inguine, poi lo sentì
allontanarsi per sfilarle le mutandine. Solo in quel momento la
consapevolezza di ciò che stava per succedere le
piombò addosso come una secchiata d’acqua gelida.
Seppe che non era sicura di farcela. Cercò le sue mani per
fermarlo ma riuscì a intercettarne solo una, che Gentile
liberò subito dalla sua debole stretta. Non si accorse dei
suoi tentativi di allontanarlo. Riprese ad accarezzarla con maggior
convinzione e desiderio, forse presagendo la sua esitazione, timoroso
di veder sfumare l’opportunità di averla per
sé.
Ma lei non poteva, accidenti, non quella sera. Non la sera in cui aveva
rivisto Philip dopo mesi. Non ci sarebbe riuscita. Gli occhi
spalancati, reclinò la testa e cercò di
incrociare il suo sguardo. Salvatore le era sopra, la sua bocca sui
suoi seni. I capelli biondi di tutte le sfumature dell’oro
gareggiavano con la luce. Gli posò una mano sulla spalla,
sotto la pelle ambrata guizzavano fasci di muscoli tesi. Quando non
riuscì a scostarlo il panico l’assalì.
Affondò le unghie nella carne e lo allontanò con
una tale fermezza che Salvatore si bloccò
all’istante.
Sollevò il viso verso di lei, le guance arrossate
dall’eccitazione, le pupille dilatate, profonde come il mare,
onde che brillavano. Dopo il tuffo i capelli avevano perso la piega
fissata dal gel finendogli scomposti sul viso. Le sue labbra erano
strette in una linea sottile che aveva spento il suo sorriso. Quando
incrociò il lampo improvviso di terrore che le
attraversò gli occhi, si irrigidì.
-Non posso…- l’agitazione la spinse a parlare in
giapponese senza rendersene conto.
E se non si fosse fermato? Se avesse insistito? Se avesse voluto farlo
a tutti i costi? Se fosse successa di nuovo “quella
cosa”? La paura le attanagliò lo stomaco e fu
soltanto grazie ad uno sforzo di volontà che non si mise a
urlare. Ma impallidì e il respiro accelerò.
Salvatore non riuscì a capacitarsi della sua reazione. La
fissò incredulo, scioccato. Lei lo temeva, sembrava
addirittura terrorizzata. Lo guardava come se lui fosse lì
per farle del male. Non capì e non riuscì a
spiegarsi, non gli era mai successo niente di simile.
-Jenny?-
Lei si raggomitolò su se stessa, gli occhi sbarrati.
-Jenny, tutto bene?-
Annuì, il cuore che rallentava i battiti, l’aria
che tornava nei polmoni.
-Ti faccio paura?-
Lo guardò quasi ansimando, poi scosse la testa e
incurvò le labbra in un sorriso stentato.
-No, sto bene.- la voce le uscì così debole che
lui fu costretto ad accostarsi per udirla. Jenny si irrigidì
di nuovo -Mi dispiace…- gemette con voce rotta.
Scacciò il panico irrazionale che l’aveva invasa e
lo fissò dritto negli occhi, dove trovò
sconcerto, stupore e una certa dose di delusione. Le venne da piangere.
Salvatore aveva fatto così tanto per lei in quegli ultimi
mesi che l’ultima cosa che avrebbe voluto fare era
ringraziarlo in questo modo. Non desiderava offenderlo, non avrebbe
voluto rifiutarlo e neppure ferirlo, ma non ce la faceva ad andare
avanti. Quell’incontrollabile paura, quel terrore insensato
che l’aveva assalita così,
all’improvviso, l’aveva fatta piombare nel panico.
Le mani le tremavano ancora, il gelo la pervadeva, non riusciva a
capire, o forse capiva fin troppo bene cosa le stava succedendo. Il
ricordo si era risvegliato tutto insieme senza lasciarle scampo e se
ciò non fosse bastato, adesso che aveva visto Philip non
poteva. Non voleva più. Era stato un errore lasciarsi
portare a casa sua.
-Sicura di star bene?-
Jenny annuì di nuovo, cercò di riscuotersi dal
timore che la paralizzava. Si puntellò sul divano e si
voltò alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi, a disagio
per la propria nudità. Afferrò dal pavimento la
felpa di Benji e se la tirò addosso. Poi tornò a
guardarlo. Salvatore si era messo seduto e si passava nervosamente una
mano tra i capelli spettinati.
-Ho fatto qualcosa di sbagliato?-
-No…-
-E allora?-
-Il problema non sei tu.- riuscì a dire soltanto.
Lui scosse la testa innervosito e Jenny evitò di guardarlo,
i suoi occhi emettevano lampi azzurri, lampi di rimpianto e confusione.
Si alzò brusco e s’infilò in camera.
Tornò dopo pochi minuti indossando un paio di jeans e una
felpa sua, stavolta.
-Vuoi fare la doccia?-
Jenny lo guardò esitante.
-Giuro che non mi intrufolerò in bagno mentre ti stai
lavando.- scherzò ma il suo tono era troppo carico di
rammarico per riuscire a farla sorridere.
Però le sue parole la rassicurarono e annuì,
perché il tuffo in piscina l’aveva intirizzita, si
sentiva addosso l’odore del cloro e i capelli avevano urgente
bisogno di essere lavati con dello shampoo. Salvatore la
scortò nel bagno, le diede un paio di asciugamani puliti e
uscì richiudendosi la porta alle spalle.
Jenny si appoggiò al lavandino senza forze. Un giorno
avrebbe dovuto pure rifarlo, sarebbe dovuta pure tornare in
sé. Un giorno avrebbe dimenticato, non avrebbe
più pensato a come lui le aveva afferrato i seni strappando
il vestito azzurro della festa, cercando di trascinarla verso il letto
mentre lei si dibatteva, ignorando le sue suppliche, i suoi lamenti, le
sue inutili proteste, incapace di fermarsi, incapace di rispettarla.
Quella maledetta notte non era servito a niente provare a resistergli,
perché lui aveva fatto comunque i suoi comodi.
L’aveva immobilizzata sul letto con la forza dei suoi
muscoli, il sapore ferroso del sangue le aveva invaso la bocca,
l’aveva colpita, lividi sul volto e sulle cosce. Nonostante
il tempo interminabile che era trascorso da quel giorno, dai momenti di
panico che aveva affrontato, erano bastati solo pochi gesti di Gentile
perché le tornasse tutto in mente, ogni singolo dettaglio.
Forse Philip aveva avuto ragione a non volerla più toccare.
Forse lui aveva capito meglio di lei che non sarebbe stato
così facile superarlo.
Sprofondato nel divano, Salvatore pensò che se Landers fosse
venuto a sapere come Jenny lo aveva mandato in bianco lo avrebbe preso
in giro per l’eternità. Sarebbe stato
contentissimo, Landers, di sapere com’era andata a finire la
loro serata. Per questo motivo il pensiero di andare a riprendere lui e
Dario non gli passò neanche per la testa. Non vedendolo
tornare Belli avrebbe chiesto un passaggio a qualcun altro e avrebbe
liquidato il tutto con una risata, Mark si sarebbe infuriato e ben gli
stava. Che si arrangiasse. Si volse al rumore di passi nudi ed esitanti
sul parquet. Jenny aveva già finito e lo aveva raggiunto. Lo
fissava titubante dalla soglia, incerta, timorosa. Accennò
un sorriso imbarazzato, lo raggiunse e si sedette al suo fianco. La
felpa di Benji la faceva sembrare più minuta. Era davvero
come una bambola di porcellana. Piccola, fragile ma perfetta nella sua
delicata bellezza. Per impedirsi di saltarle di nuovo addosso, si
alzò.
-Farò una doccia anch’io.-
Jenny annuì e quando tornò da lei, la
trovò addormentata nella sua stanza, raggomitolata sul
letto. La punta delle dita spuntava appena dalle lunghe
maniche della felpa di Benji, che le stava così enorme da
arrivarle a metà coscia nonostante tenesse le gambe piegate.
I capelli lunghi erano sparpagliati sul cuscino, ancora umidi e
profumati di shampoo. L'azzurro scuro del cotone faceva risaltare con
forza il pallore della sua pelle, solo le labbra rosse spiccavano sul
suo volto, ombreggiato dalle lunghe ciglia abbassate.
Gentile si sedette sul letto al suo fianco e rimase a guardarla
incerto. L'acqua calda della doccia lo aveva calmato, aveva lasciato
che il getto portasse via lo scontento insieme alle tracce del cloro
della piscina. Il suo corpo infreddolito dal bagno improvviso si era
scaldato e rilassato, soffocò uno sbadiglio e
scostò le coperte, sfilandole da sotto il corpo di Jenny. Si
infilò nel letto e la ricoprì con cura, lei
continuò a dormire, il suo respiro leggero e silenzioso gli
sfiorò la fronte quando si chinò per scostarle
una ciocca di capelli dal viso e indugiare ad osservarla.
Poi spense la luce, si stiracchiò sul materasso,
ficcò le braccia piegate sotto il cuscino e
osservò per un po' le luci delle macchine che filtravano tra
le persiane, finché non si addormentò.
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Capitolo 9 *** Ottavo capitolo ***
Ottavo
capitolo
Philip dormì poco quella notte e non fu solo colpa del fuso
orario. Si girò e rigirò nel letto, incapace di
prendere sonno, mentre le immagini della festa si accavallavano una
dietro l’altra davanti ai suoi occhi sbarrati nel buio della
stanza. Si scervellò per ore, sui perché che non
capiva. Perché Jenny era in Italia, come ci era arrivata, da
quanto tempo, perché si fosse messa con Gentile, cosa aveva
provato a vederlo di nuovo, dopo che lui l’aveva lasciata,
dopo tutto quel tempo… E poi c’era quel fastidio
sordo, che premeva come un pungolo nel petto togliendogli il respiro,
di vedere Jenny insieme a un altro. Più del
perché la sua ex fosse lì, si angustiava che ci
fosse Gentile al suo fianco, al posto che lui stesso aveva occupato
fino a pochi mesi prima. Era una sensazione spiacevolissima che gli
saliva su per la gola e gli dava la nausea. E quando gli si
affacciavano inevitabili nella testa i pensieri di loro due insieme, di
ciò che avevano sicuramente fatto, un senso di impotenza lo
costringeva a stringere i pugni e serrare le labbra, smettendo di
respirare finché il dolore quasi fisico che provava non si
affievoliva fino a scomparire. Quella sera, quando aveva visto Gentile
baciarla, la sorpresa aveva spazzato via ogni altro sentimento, ma
adesso, nel buio della camera, nel mezzo della notte, soffriva
terribilmente di ciò che era stato costretto a guardare. I
suoi pensieri andavano inevitabilmente più in là
del bacio. Vedeva le mani di Gentile muoversi sulla pelle nuda di Jenny
e faceva uno sforzo enorme per scacciare dalla testa quelle immagini
devastanti. L’idea di loro due a letto insieme era
furiosamente inaccettabile. Conosceva Jenny dalle medie, stavano
insieme dal primo anno del liceo. Avevano scoperto l’amore
l'uno con l'altra e da quel momento non si erano più
staccati. I sei lunghissimi anni vissuti insieme erano stati per Philip
di una gioia e di una felicità senza pari. Poi, ad un passo
dal matrimonio, era comparso David McFay che aveva distrutto le loro
vite, le aveva sconvolte, aveva annientato anche loro. Nel giro di un
anno si erano allontanati fino a perdersi, fino a gettare
all’aria tutto il passato che avevano costruito insieme e il
futuro che avevano progettato. Il pensiero che adesso
l’italiano avesse preso il suo posto in tutto, facendo con
lei ciò che avevano fatto anche loro gli toglieva il sonno,
lo rodeva da dentro, lo faceva soffrire tremendamente.
Quella notte Philip si girò nel letto per ore, mentre il mal
di testa saliva ogni minuto di più, inarrestabile come la
marea. Ad un certo punto si alzò per andare in bagno e
quando tornò la luce del comodino di Julian era accesa. Con
la schiena poggiata contro il cuscino, l’amico stava
trafficando con il cellulare. Alzò gli occhi su Philip.
-Non riesci a dormire?-
-No. Ti ho svegliato?-
-In Giappone è mezzogiorno, per cui non credo che sia stato
tu a farlo.-
Philip tornò verso il letto e si ficcò sotto le
coperte.
-Ne approfitto per controllare la posta… Ti dispiace?-
-No.-
Si girò dall’altra parte e infilò la
testa sotto il cuscino. Alle sette meno dieci si svegliò di
nuovo, di soprassalto, in un bagno di sudore. Spalancò gli
occhi così sconvolto che in un primo momento non
riuscì neppure a capire dove si trovasse. Era stato lo
stesso sogno a svegliarlo, quell’incubo che mesi e mesi prima
lo aveva perseguitato per settimane in un susseguirsi di terribili
immagini legate tutte ad un’unica, grande sofferenza: la
villa di Kyoto di Miller, la gita a Nara da solo, l’albero
che aveva preso a pugni, David che scendeva dalla moto e veniva
assalito dal padre, le rose bianche fatte a pezzi, il livido sul volto
di Jenny. Poi le tempie ricominciarono a pulsare. Un dolore che
minacciava di fargli scoppiare la testa. Con le mascelle contratte
ascoltava quel martellamento incessante, gli sembrava di avere una
fucina dentro il cervello. A ogni colpo gli tremavano le palpebre e gli
spiragli di luce che filtravano dalla finestra gli opprimevano le
tempie.
Si volse verso il letto di Julian e lo trovò vuoto. Poi
sentì l’acqua scorrere in bagno e capì
che si era già alzato. Si tirò su e una fitta
insopportabile gli fece serrare gli occhi e trattenere il respiro.
-Cos’hai?-
Si volse. Julian era tornato in camera e lo guardava curioso. Indossava
ancora il pigiama.
-Mi scoppia la testa. Hai finito di lavarti?-
L’altro annuì e Philip si alzò, andando
con un passo incerto verso il bagno. Aveva bisogno di sentirsi bene,
non di un cerchio alla testa che non gli avrebbe dato tregua per tutta
la giornata. Mentre si lavava il viso, sprazzi dell’incubo
gli tornarono davanti agli occhi. Li scacciò con un gemito
soffocato, facendoli scorrere via insieme al sapone. Si tirò
su, puntellando le mani sul bordo del lavello, il volto gocciolante, i
capelli bagnati sulla fronte, lo sguardo sul proprio riflesso nello
specchio. Aveva gli occhi arrossati e cerchiati da una fievole ombra
scura, i capelli in disordine. Il sonno gli riempiva ancora lo sguardo,
su una guancia c’era una striscia rossa lasciata dal cuscino.
Non poteva dirsi propriamente in forma.
-Julian, faccio la doccia!-
La voce del compagno arrivò attraverso la porta chiusa.
-Io sono pronto, scendo. Sto morendo di fame.-
Philip gli rispose con un mugolio, poi si spogliò, chiuse
gli occhi e lasciò che l’acqua calda gli colpisse
il viso. Si chiese se avrebbe rivisto Jenny, quel giorno, e mentre lo
faceva non poté assolutamente evitare di ripensare
all’incontro della sera prima, a come lei lo aveva guardato,
quando Landers l’aveva fatta voltare. Nei suoi occhi non
c’era stato niente, né sorpresa né
gioia. L’aveva fissato seria, impassibile, senza che un
minimo gesto o un accenno di sorriso gli avesse permesso di intuire che
era contenta di vederlo. E come poteva esserlo, dopo ciò che
lui le aveva fatto? Dopo ciò che lui le aveva detto, dopo
come l’aveva trattata l’ultima volta che si erano
parlati? E poi, quando lui aveva cercato di toccarla, si era scostata.
Si era allontanata, aveva impedito che anche un solo dito la sfiorasse.
Era finita addosso a Mark, si era lasciata abbracciare da Gentile,
mostrando inesorabilmente che era soltanto il suo tocco a infastidirla.
Lui lo sapeva. Lo sapeva da mesi, lo sapeva da quasi un anno e questa
cosa lo aveva fatto quasi impazzire di dolore.
Prese ad insaponarsi furioso i capelli, sforzandosi di pensare al
programma della giornata. Non vedeva l’ora di scendere in
campo e sfogare sul pallone tutto il suo scontento.
*
Jenny si svegliò piangendo nel letto di Gentile, le dita
contratte sul lenzuolo spiegazzato, il corpo irrigidito, i piedi
ghiacciati. Mentre risaliva gradualmente dai successivi strati sempre
meno densi e vischiosi del sonno, si mosse piano, cercando di
ritrovarsi, cercando di capire cosa avesse sognato, cosa
l’avesse destata. Sentiva solo l’angoscia che
bruciava. Gli occhi spalancati nel buio della stanza, il cuore che le
batteva assordante nelle orecchie, Jenny cercò di respirare
perché l’aria le si era fermata in gola,
nell’urlo che non aveva emesso. Una boccata
d’ossigeno le inondò i polmoni e solo allora
provò a muoversi. Non ci riuscì, un peso sullo
stomaco la bloccava contro il materasso. Il panico
l’assalì, si irrigidì e poi
cercò di liberarsi. Tastò cautamente il braccio
caldo che la cingeva e ricordò dove si trovava. Salvatore
era disteso accanto a lei, sotto le coperte, e dormiva profondamente.
Non si era accorto del suo incubo, non si era svegliato. Il cuore smise
di assordarla e sentì il suo respiro tiepido accanto al
viso. Si volse ma non riuscì a vederlo. Nella debole luce
del giorno che filtrava dalla strada attraverso le persiane chiuse, fu
in grado di scorgere solo l’ombra scura del suo corpo e fili
dei suoi capelli dorati che sembravano accendere le lenzuola. Si
portò una mano al viso e lo sentì bagnato, le
lacrime le rigavano le guance. Poi lui si mosse.
-Jenny?-
Lei si irrigidì e si passò svelta le dita sugli
occhi. Insonnolito, Salvatore notò il gesto.
-Stai piangendo?-
-Ho avuto un incubo, non me ne sono neppure accorta.-
Lui non disse niente. Forse non gli interessava, forse era ancora
troppo assonnato per aver voglia di parlare, forse intuì che
era meglio non ficcare il naso. Nella penombra della stanza, Jenny
cercò un orologio ma non lo trovò.
-Che ore sono?-
Gentile allungò un braccio verso il comodino.
-Quasi le otto.- tornò a voltarsi verso di lei e
lasciò scorrere tra le dita una lunga ciocca nera che
giaceva sul cuscino. Indubbiamente gli piacevano, quei capelli
così scuri e setosi, dello stesso colore dei suoi occhi,
come il cioccolato fondente. Così scuri, così
diversi dai suoi. Ma non era solo quella cascata folta e liscia ad
attirarlo. C’era anche il suo corpo minuto, così
diverso da quello delle ragazze che finora aveva frequentato, modelle
alte e slanciate. La statura di Jenny non era di quelle che attirano
l’attenzione dei maschi italiani eppure la sua apparente
fragilità, la delicatezza delle sue forme erano un richiamo
irresistibile all’istinto di protezione di un uomo.
E poi c’era anche l’altro discorso. Il fatto che
Jenny fosse entrata nella sua vita in un momento critico, con il potere
di fare la cosa più importante di tutte: consentirgli di non
stare a rimuginare troppo sul tradimento della sua ex, un tradimento
che aveva annientato il suo amor proprio, ferito il suo orgoglio e dato
uno scossone non da poco alla sua immagine pubblica.
Tutto sommato la presenza di Jenny era stata una distrazione migliore
di innumerevoli serate passate in locali poco raccomandabili. Lei gli
aveva offerto su un piatto d’argento due stimolanti obiettivi
da perseguire: far incazzare Landers e cimentarsi in una nuova sfida di
seduzione, che si era evoluta in una relazione tranquilla e serena.
Jenny aveva rappresentato per Salvatore una manna scesa dal cielo a
tirarlo fuori dal tunnel di rabbia e frustrazione in cui
l’aveva gettato la scoperta del tradimento della sua
precedente ragazza. Era successo mentre lui era in convalescenza dopo
l’infortunio al ginocchio dovuto al brutto fallo di Louis
Napoleon durante una partita contro la Francia. Il periodo di stop
sportivo e la lunga e dolorosa riabilitazione li aveva allontanati. Lui
non aveva più potuto mantenere il ritmo della loro frenetica
vita sociale, ricca di inviti a cena, partecipazione a spettacoli, a
programmi televisivi, conferenze, eventi di beneficenza e eventi
pubblicitari. Così, una sera, anzi un giorno, la foto di lei
e del suo art-director che si baciavano sui sedili posteriori di una
macchina parcheggiata all’ombra di un albero, fuori del parco
del Valentino, era comparsa su una rivista patinata. A quel punto si
era scatenato il finimondo. Sui giornali Salvatore era diventato il
fidanzato tradito, abbandonato, inconsolabile, dal cuore spezzato e
persino “bello fuori e distrutto dentro”. Dire che
era stato umiliante era davvero poco.
Jenny si mosse al suo fianco, lui si girò e le fu addosso.
Gli bastò guardarla perché la tensione scaturita
da quei tormentati ricordi si sciogliesse. Sentì il suo seno
morbido premergli contro il torace, i fianchi contro il suo stomaco. Si
tirò su un gomito, puntellandosi sul materasso, accanto alla
spalla di lei, e con l’altra mano scese delicatamente, un
tocco quasi impalpabile, sul fianco, dove la felpa si era sollevata
lasciandolo a contatto con la pelle nuda e calda. Mosse le dita e
sentì la stoffa sottile delle mutandine,
dopodiché si chinò a baciarla.
Jenny si sforzò di non scostarsi di nuovo, di non
respingerlo ancora, come aveva fatto la sera prima. Ci provò
con tutta se stessa. Lo sentì infilarle una mano tra i
capelli e le dita scivolare dietro, sulla nuca. Serrò gli
occhi su quella carezza, concentrando i sensi su quel tocco innocente e
delicato, mentre Salvatore dischiudeva le labbra di lei con la lingua.
Se soltanto il bacio di Gentile avesse potuto farle
dimenticare… E invece no, fu peggio.
D’improvviso lo sguardo sconvolto di Philip comparve come un
fantasma dietro le palpebre serrate. Jenny fu scossa da un brivido e
poi, esattamente come era successo la sera prima, si
irrigidì. Stavolta Salvatore non fu colto alla sprovvista.
Forse se lo aspettava, chissà. Jenny lo vide tirare indietro
la testa. Aveva gli occhi colmi di passione, le pupille dilatate nelle
iridi azzurre. Le sembrò di scorgere un dilemma in fondo ai
suoi occhi, che risultavano chiari anche nella penombra. Forse voleva
insistere, provarci fino in fondo. Eppure si trattenne. Puntellandosi
sulle mani, si scostò, permettendole di allontanarsi. La
mortificazione di Jenny fu tale che le salirono le lacrime agli occhi.
-Posso andare in bagno?-
Quella frase raggiunse Salvatore come una ventata gelida, a raffreddare
i suoi bollenti spiriti. Si tirò indietro, accigliato.
-Certo che puoi.- la lasciò alzarsi, la cascata di capelli
scuri scese di colpo ad accarezzarle le spalle e si adattò
alle pieghe della felpa.
Lui la guardò deluso, profondamente contrariato. Non disse
altro, si limitò ad osservarla: il suo corpo spariva avvolto
dalla felpa che le stava enorme. La guardò uscire e sparire
nel corridoio.
Jenny girò l’angolo e quando capì che
lui non poteva più vederla si fermò, le gambe
tremanti, le forze appena sufficienti a tenerla in piedi. Si
appoggiò con le spalle al muro, le labbra serrate, sensi di
colpa che si mescolavano ad un infinito sollievo. Non era andata poi
troppo male, in fondo. Salvatore avrebbe potuto infuriarsi, finire con
l’insistere e prendersi ciò che voleva. Forse si
sarebbe spaventata, forse glielo avrebbe lasciato fare. Invece non era
successo niente di tutto questo e di ciò doveva essergliene
grata.
Si portò una mano al petto, dove il cuore batteva
all’impazzata. Respirò a fondo ma non
riuscì a scacciare quel senso di disagio, quasi di paura,
che l’aveva assalita mentre era sotto di lui, bloccata dai
suoi baci. Sapeva che sarebbe successo, Nicole l’aveva
avvertita. Non sarebbe stato così facile dimenticare. Eppure
niente in Salvatore le ricordava David. Né il suo volto,
né il colore dei suoi occhi, né il suo sorriso,
né il suo profumo, né la sua voce. Era solo una
costruzione della sua mente che mandava segnali di pericolo dove non
c’erano, perché Gentile aveva appena dimostrato, e
ben due volte, di non essere pericoloso. Salvatore poteva al contrario
rappresentare il suo “esperimento”, la sua
salvezza. Con lui doveva provare a lasciarsi andare, a superare le
proprie paure, a lasciarsi tutto definitivamente alle spalle. I suoi
baci le piacevano, lui le piaceva, e allora perché temere il
resto? Forse sarebbe stato tutto più facile se Mark, quella
sera di San Valentino, non li avesse interrotti.
Salvatore udì la porta del bagno chiudersi, poi si volse
verso il comodino e afferrò il cellulare. Lo accese e si
alzò. Una valanga di bestemmie gli invase lo schermo, Mark
ce lo aveva mandato in tutte le lingue. Lanciò occhiate
distratte al display mentre si vestiva, ridendo
dell’indignazione del ragazzo. La sera prima a mezzanotte e
un quarto aveva cercato di rintracciarlo e quando aveva capito che non
ci sarebbe riuscito aveva preso ad insultarlo. Fu contento di aver
spento il telefonino e di avergli dato buca, anche se neppure quel
pezzente di Landers avrebbe potuto disturbarlo visto che non aveva
fatto niente che potesse essere interrotto. Cercò di essere
ottimista, alla faccia di Mark, sicuro di trovare presto
un’altra occasione. Entrò in cucina sbadigliando e
puntò la caffettiera.
Jenny lo raggiunse che il caffè iniziava a gorgogliare,
spandendo il suo aroma nella cucina. Aveva indossato di nuovo i vestiti
di Amy che le stavano perfetti. Esitò quando i loro sguardi
si incrociarono, poi si fermò davanti a lui incerta,
l’espressione tesa da un leggero timore. Con la barba lunga
era ancora più bello perché la sua peluria, che
aveva tutte le sfumature dell’oro nelle tonalità
più calde, sottolineava la vampata azzurra dei suoi occhi.
Salvatore spense il fornello e, nonostante tutto ciò che non
gli aveva concesso, l’accolse con un sorriso.
-Hai fame?-
-Un po’.-
-Mi dispiace per il bacio di ieri sera.-
Lei spalancò gli occhi.
-Ti dispiace di avermi baciata?-
-Tu non volevi che lo facessi.-
Jenny abbassò il viso, ricordando l’imbarazzo del
giorno prima, quando l’aveva stretta a sé e le
aveva sfiorato le labbra con le proprie, metà nazionale
giapponese che li osservava sgomenta e Philip ad un passo che non aveva
reagito, come se la cosa non lo riguardasse.
-Ti ho baciata perché non mi è piaciuto come ti
ha guardata.-
-Chi?-
-Il tuo ex.-
Jenny si mosse a disagio.
-A lui non interesso più.-
Gentile versò il caffè nelle tazze che erano
già sul tavolo, chiedendosi se lo credesse davvero. Era
strasicuro che non fosse così, ma non era nel suo interesse
farglielo notare. Le porse la tazza e lei la strinse tra le mani, il
vapore e il profumo della bevanda che le solleticavano il viso e
l’olfatto.
-Mi riaccompagni a casa?-
-A casa?-
-Sì, voglio indossare i miei vestiti.-
-Non hai le chiavi, come pensi di entrare?-
-Se facciamo in fretta troviamo Mark ancora lì.- se solo il
cellulare avesse funzionato avrebbe potuto avvertirlo che stava
rientrando e lui l’avrebbe aspettata. Fu tentata di chiedere
a Salvatore di farlo, poi lasciò perdere.
-Landers ormai sarà uscito. I giapponesi iniziano gli
allenamenti alle nove e sono già le otto e mezza.-
-Davvero?-
-Me lo ha detto Aoi.-
-Ma io devo recuperare le chiavi, in qualche modo.-
Lui annuì.
-Ti porterò al campo. Ma prima andremo a fare shopping.-
*
Alle otto e trentacinque Mark raggiunse la sala da pranzo
dell’hotel. I compagni erano in piedi, sparpagliati tra i
tavoli, e stavano facendo man bassa della colazione a buffet. O almeno
ci provavano. Gamo si aggirava tra le pietanze e studiava con occhio
critico tutto ciò che si infilavano nel piatto.
Bruce raggiunse il tavolo che aveva deciso di occupare nello stesso
momento in cui lo faceva anche Mark.
-Merda, non è possibile… Gamo non ci lascia
mangiare!-
Holly lanciò un’occhiata critica al piatto del
compagno.
-Mi pare il contrario.-
-Avevo chiesto un’omelette al bacon ma il mister ha annullato
l’ordine.- si sedette affranto -E mi ha fatto rimettere a
posto un panino. Come accidenti si fa ad andare avanti così?
Io se non mangio non carburo.-
-Tu non carburi se non ti abbuffi.- Mark valutò serio il
vassoio del compagno pieno da scoppiare. Conteneva
un’abbondante porzione di insalata di patate e pollo, due
salsicciotti ripassati sulla piastra, una fetta di formaggio con due
rotelle di salame, un uovo sodo innaffiato di maionese, un toast con
burro e marmellata, una ciotola di yogurt con corn-flakes e un
croissant alla nutella. Lanciò un’occhiata
all’invitante buffet disposto su un lato della sala da
pranzo. Prima di andare a riempirsi il piatto, si lasciò
cadere sulla sedia libera che trovò sul suo percorso e
alzò una mano per chiamare il cameriere e ordinare il
caffè.
Rob gli arrivò accanto e lo guardò scontento.
-Mark! Quello era il mio posto!-
-Hai detto bene, “era”. Siediti da
un’altra parte.-
-No, cavolo!- neanche a parlarne. Rob voleva stare vicino a Holly. Si
era alzato prestissimo, era sceso nella hall alle sette sperando di
intercettarlo e lo aveva aspettato, con lo stomaco che protestava da
matti. E finalmente, quando Holly era comparso nella hall lo aveva
tampinato per sedersi al suo fianco, dall’altra parte di
Patty.
-Ci sono altri posti liberi, Landers.- s’immischiò
Philip, brusco -Qui c’è Aoi.-
Mark incrociò il suo sguardo glaciale, poi quello
supplichevole di Aoi che continuava a ronzargli alle spalle, il piatto
in mano, incapace a rassegnarsi a sedersi da un’altra parte.
-Rompicoglioni.- capitolò e gli lasciò il posto,
con la sensazione che il malumore di Philip e le lagne di Rob avrebbero
avuto un’influenza negativa su tutta la giornata.
Girò intorno al tavolo e si sedette tra Patty e Tom.
-Non hai fatto colazione?- gli chiese lei.
-Sono uscito presto per venire con l’autobus.- fu quasi un
lamento, da cui trasudò tutta la sua infelicità.
Se la sera prima invece di sparire con Gentile Jenny fosse tornata a
casa, quella mattina si sarebbe rimpinzato ciò che lei gli
avrebbe sicuramente preparato. Invece non s’era vista e
quando aveva provato a chiamarla aveva trovato il numero staccato.
L’aveva aspettata finché aveva potuto,
gironzolando per casa il più possibile. Poi era dovuto
uscire per non arrivare tardi. Adesso, oltre al fastidio, sentiva farsi
largo dentro di lui anche un velo di preoccupazione. Sapeva
dov’era, sapeva con chi e immaginava anche a fare cosa.
Sperava soltanto che Gentile non si stesse comportando da perfetto
stronzo quale era.
-Salvatore non ti ha dato un passaggio?-
Mark trasalì quando Rob lo nominò.
-Non lo vedo da ieri, il maledetto.- serrò i pugni sulla
tovaglia e spostò d’istinto gli occhi su Philip
che sorseggiava il caffè guardando da tutt’altra
parte. Si chiese cosa stesse pensando, se nella testa gli frullassero
gli stessi pensieri che assillavano anche lui. Fece per dirgli
qualcosa, per riscuoterlo quasi, ma Patty lo anticipò.
-Dov’è Jenny?-
-Non ne ho idea.-
-Mi hai risposto così anche due mesi fa quando ti ho
telefonato per chiederti sue notizie.-
Mark finse di non capire che Patty non aspettava altro che il momento
giusto per rinfacciarglielo. Cercò di evitare ogni polemica
e si sforzò di risponderle calmo.
-è stata lei a pregarmi di non dirti niente. Cosa dovevo
fare?-
-Dirmelo lo stesso! Stavo morendo di preoccupazione!-
Landers le dedicò un fastidioso sorrisetto.
-Fortuna che non sei morta.- la canzonò -Poi ti ha chiamata,
no?-
-No!- Patty si irrigidì -Mi ha lasciato un messaggio sulla
segreteria telefonica di casa quando sapeva che non avrei potuto
risponderle!-
-E perché te la prendi con me?-
-Dovrei ringraziarti?- lo vide alzare le spalle e si sentì
rimescolare -Sai dov’è o no?-
-No, non lo so. Ma lo immagino e dovresti immaginarlo anche tu
perché sai con chi è andata via ieri sera.-
Philip smise di mangiare, perché all’improvviso lo
stomaco gli si chiuse. Si stava sforzando di non ascoltarli, anche se
non riusciva a farne a meno. Continuando a tenere gli occhi bassi,
prese a girare il cucchiaino nella tazza per mescolare nelle due dita
della bevanda lo zucchero che ormai si era sciolto da un pezzo. Jenny
doveva aver trascorso la notte a casa dell’italiano e tutto
questo implicava necessariamente che avessero dormito insieme, facendo
ciò che lui non riusciva neppure a prendere in
considerazione. I muscoli dello stomaco gli si contrassero per
l’ansia, in uno spasmo strinse il cucchiaino tra le dita e le
nocche gli divennero bianche. Poi i suoi occhi tornarono a posarsi sui
compagni che avevano continuato a parlare, forse di Jenny, forse anche
di Gentile. Fu contento di non aver sentito. Mandò
giù il caffè di colpo, la smania impellente di
allontanarsi da loro e non ascoltare su di lei neppure una parola.
Posò la tazzina sul piatto, si alzò,
afferrò da sotto la sedia il borsone sportivo che conteneva
la divisa, gli asciugamani e il cambio e uscì dalla sala da
pranzo senza dire una parola. Gli amici lo seguirono con lo sguardo
finché riuscirono a vederlo, poi Landers incrociò
l’espressione rassegnata di Tom.
-Ha preso l’abitudine di fuggire quando si parla di Jenny.-
spiegò quello.
Patty annuì.
-È successo anche a casa di Benji.- il ricordo le fece
venire un dubbio -Dì un po’ Mark, quando alle
quattro e mezza di mattina Benji ti ha telefonato, lei era con te?-
-Non ricordo con precisione di quale sera stai parlando, ma immagino di
sì.-
-E noi che pensavamo di averti disturbato!-
-Chi vi ha mai detto il contrario? Stavo andando a dormire!-
-Appunto! Cosa ci faceva Jenny a casa tua a quell’ora?- lo
incalzò l’amica, decisa a vederci chiaro.
Mancavano ancora dei tasselli al puzzle che stava cercando di
ricostruire.
-Patty, la smetti per favore?- ringhiò -Stai diventando
assillante.-
Lei lo guardò offesa, poi capitolò.
-Va bene, la smetto! Ma almeno dimmi per quale motivo Jenny
è venuta in Italia!-
-Che ne so? L’ha deciso lei, mica io. Visto che lei e Philip
si sono lasciati, avrà voluto allontanarsi da Furano.-
-E allora perché è venuta a Torino da te e non da
noi a Barcellona?-
-Sicuramente temeva che le facessi il terzo grado come lo stai facendo
a me!-
Holly posò le posate sul piatto e smise di mangiare,
intenzionato a reprimere sul nascere quella che poteva diventare una
spiacevole discussione. Mark stava cominciando a innervosirsi sul serio
e Patty s’era messa in testa di farlo esplodere.
Rob lo anticipò, con la sua incontenibile
curiosità.
-Davvero Jenny è la ex fidanzata di Philip?-
-Certo che lo è.- Holly prese in mano la conversazione -Sono
stati insieme per anni.-
-Perché non me lo hai detto, Mark?-
-Che palle Aoi! Ti ci metti anche tu adesso? Per chi mi avete preso?-
-Per uno che sa e che non vuole parlare.-
Holly sospirò.
-Patty, per favore…-
-Ma è vero! Sapeva dov’era Jenny e non ha voluto
dircelo!- alzò gli occhi su Julian e Amy che si avvicinavano
al tavolo.
-Buongiorno Mark.-
-Buongiorno Ross.-
Amy lo salutò con un sorriso.
-Sei arrivato presto, ho vinto la scommessa!-
-Che scommessa?-
-Julian era convinto che non ti saresti presentato prima delle dieci.-
-Io sono sempre puntuale.-
Ross alzò le spalle e gli sfuggì un sorrisetto.
-Era una scommessa scaramantica.-
Rob lo guardò curioso.
-Cioè hai scommesso con la speranza di perdere?-
Julian annuì e si sedette accanto alla fidanzata. Poi
guardò Tom, l’unico a quel tavolo che provenisse
direttamente dal Giappone.
-Sei riuscito a dormire?-
-Poco.-
-Philip ed io siamo svegli dalle quattro.-
A Mark venne da ridere, si trattenne con uno sforzo.
-Per forza! L’incontro con Jenny deve avergli tolto il sonno.-
-Non c’è niente di divertente.-
borbottò Holly.
Amy si versò del tè, poi spostò gli
occhi su Mark.
-Che ci fa Jenny qui in Italia?-
Patty riuscì a stento a trattenere uno scoppio
d’ilarità.
-Non chiederglielo, Amy… Altrimenti dice che
l’assilli.-
Mark lanciò un’occhiata seccata a entrambe, quella
mattina la giornata iniziava proprio male. Si alzò.
-Sapete che vi dico? Ci vediamo al campo.-
-Non mangi?-
-Queste due m’hanno fatto passare l’appetito.-
Non lo raggiunse il campo, Mark. Gli bastò mettere piede
nella hall per cambiare idea. Philip sedeva solitario su una poltrona
di pelle nera, la borsa sportiva tra i piedi. Fissava serio la porta a
vetri dell’hotel che si apriva e chiudeva
sull’andirivieni degli ospiti e non lo vide avvicinarsi.
-Perché accidenti vi siete lasciati, tu e Jenny?-
Si volse di scatto e lo osservò in un modo che a Mark non
gradì affatto.
-Lei non te lo ha raccontato?-
-No, non mi ha detto niente.-
Philip provò un improvviso sollievo. Jenny non gli aveva
parlato di come l’aveva vergognosamente lasciata, non gli
aveva confidato quanto l’aveva fatta soffrire. Jenny aveva
scelto di tacere. Avrebbe dovuto essergliene grato, invece prenderne
atto servì soltanto a farlo sprofondare ancora di
più nella palude dei suoi sensi di colpa.
-Se non lo ha fatto lei, perché dovrei dirtelo io?-
-Per esempio per riconoscenza!-
-Riconoscenza per cosa? Per aver lasciato che si mettesse con Gentile
invece di provarci di persona?-
Il ragionamento di Philip gli rimescolò il sangue.
-Senti un po’, pezzo di cretino…- strinse i pugni
mentre gli occhi dell’amico lampeggiavano
all’insulto -Non è che per caso l’hai
lasciata tu per quello che è successo a Kyoto? Non
è che per caso non avere più
l’esclusiva ti ha fatto passare la voglia di starci insieme?
Spero in quella testaccia bacata che ti ritrovi, non sia arrivato a
pensare che la colpa di tutto sia di Jenny! Che lei abbia incoraggiato
quel maledetto! O che se le sia cercata! Perché se hai fatto
una cosa del genere sei davvero uno stronzo infame!-
Le accuse di Mark lo colsero impreparato e lo ferirono nel profondo.
Non aveva mai pensato neppure una volta ad una sola delle sue
supposizioni. Non erano quelli i motivi che lo avevano allontanato
inesorabilmente da lei. Landers non aveva capito niente, non ne sapeva
niente e non doveva neppure giudicarlo. Si alzò furioso, con
due passi lo raggiunse e lo fronteggiò.
-Cosa cazzo ne sai tu di quello che c’è stato dopo
Kyoto?- lo afferrò per la felpa, serrando con forza le dita
-È da ieri sera che metti bocca in qualcosa che non capisci!
Non azzardarti più a parlarne e neppure a sparare sentenze!
Tu non puoi permetterti di giudicarmi! Come ti ho già detto
ieri, non puoi assolutamente capire quello che abbiamo passato!-
Mark non si lasciò intimidire né dalle parole,
né dalla foga con cui venne assalito. Lo guardò
negli occhi colmi di collera, gli zigomi arrossati dall’ira.
-Quello che avete passato era un motivo in più per restare
insieme! Non dovevate sposarvi? E l’anello? Che
gliel’hai comprato a fare?- gli afferrò i polsi e
li strinse per farsi mollare.
Le domande di Mark seguitarono a entrargli dentro, affilate come lame.
-Vaffanculo Landers! Non puoi assolutamente capire!- lo scosse con
tutta la forza, facendolo ondeggiare.
-Cosa state combinando voi due?-
Si volsero all’unisono. Nella hall, davanti alle porte
dell’ascensore, c’era Marshall che li guardava e,
accanto a lui, Benji che sorrideva. Lo sgomento durò un
istante, poi il sollievo li assalì. Era una fortuna che
fosse stato Freddie e non Gamo a beccarli.
Philip mollò la stretta. La vergogna di essere stato
sorpreso durante uno scatto d’ira fece evaporare tutta la
collera che si era scatenata nei confronti di Mark. Lui era il
capitano, non poteva permettersi un comportamento simile. Doveva
sedarle lui, le liti. Non provocarle.
-Se avete voglia di scaldarvi, perché non andate al campo e
cominciate a correre? Evitiamo di finire sui giornali per queste
stronzate.-
Merda, i giornalisti! Philip non ci aveva neppure pensato! Eppure
c’erano, lì, nella hall, e li studiavano rapaci,
in cerca di notizie. Li avevano ascoltati? Che avevano capito? Si morse
la lingua, era un idiota.
-Benji accompagnali.- Marshall diede una rapida occhiata
all’orologio -Vado a sollecitare gli altri, non ci vuole
un’ora per far colazione!-
A Landers l’ordine piacque ancor meno che al portiere e,
uscendo dall’hotel, esternò tutta la propria
contrarietà.
-Allora ci controlli tu, Price?-
Lui sbuffò, poi emise la sentenza.
-Anche se è divertente guardarvi amoreggiare come due
piccioncini, per quanto me ne importa una volta al campo potete anche
massacrarvi di botte.- Benji lanciò un’occhiata a
Philip -Callaghan, lo sai, io tifo per te!-
Mark alzò le spalle, sentendo il proprio stomaco che
iniziava un allegro ritornello. Un moto di scontento lo
assalì. Per colpa delle amiche (Jenny compresa, anche se non
presente) e di quel cretino di Philip, alla fine non era riuscito a
fare colazione. Aveva persino ordinato un cappuccino e adesso il
cameriere non avrebbe saputo a chi servirlo. Che spreco!
Sperò che qualcuno se lo prendesse e non lo mandasse
indietro. S’incamminò a testa bassa, precedendo
Benji e Philip che lo seguivano in silenzio. Il portiere, dopo averli
scherniti con due frasi, sembrava non aver più niente da
aggiungere.
I campi sorgevano su un’ansa del fiume Po, a poche centinaia
di metri dall’hotel. Per raggiungerli bastava imboccare un
largo marciapiede, intervallato da tigli dalle foglie nuove e
verdissime e lampioni che la sera tingevano il lastricato grigio di
sfumature arancioni. Oltre le alte protezioni di reti
d’acciaio che circondavano i terreni di gioco il fiume
scorreva lento, il sole di quel mattino di tarda primavera che
baluginava tra le sue placide onde.
Rob arrivò di corsa e li superò, portando con
sé una ventata d’allegria che infastidì
tutti. Allungò a Mark la borsa che lui aveva dimenticato
nella sala da pranzo e li fissò entusiasta.
-Finalmente un po’ d’attività! Non vedo
l’ora di giocare con Holly!-
*
-È qui che vi allenerete?-
Mentre Salvatore faceva manovra per parcheggiare lungo il marciapiede,
Jenny osservò il centro sportivo che si estendeva davanti ai
suoi occhi, più in basso, in una zona di verde a ridosso del
fiume. C’erano quattro campi da calcio d’erba
curatissima, gli edifici degli spogliatoi in acciaio e vetro, un bar
con dei tavolini sparpagliati sul piazzale, un ampio parcheggio
recintato e custodito, riservato solo a chi aveva il permesso di
entrare. I tifosi e i giornalisti si accalcavano fuori, al di
là della recinzione dei campi.
-Sì. È vicino all’hotel. I tuoi amici
possono venirci a piedi.-
Lei si irrigidì.
-Non sono i miei amici.-
-Ah no? Rob non è un tuo amico? Landers non è un
tuo amico?- fermò la macchina, tirò il freno a
mano e spense il motore. Poi si volse a guardarla, sorrise e si
chinò su di lei così all’improvviso da
farla sussultare. La baciò, si scostò e
valutò divertito la sua espressione, per metà
imbronciata e per metà sorpresa -Ti bacio adesso, visto che
dopo non posso farlo. Va bene?-
Lei arrossì.
-Non ho mai detto che dopo non puoi baciarmi!-
Salvatore le accarezzò una guancia divertito.
-Allora ti bacio sia adesso che dopo.- cercò di avvicinarsi
ancora ma lei chinò il viso. Esitò incerto -Ti
sei offesa?-
Scosse la testa.
-Solo che…- esitò imbarazzata -Insomma, non
avresti dovuto comprarmi tutto questo.- indicò con un gesto
della mano gli abiti che indossava, poi sollevò di colpo gli
occhi che lampeggiarono di ironica amarezza -O forse hai voluto
ringraziarmi per la bella notte trascorsa insieme?-
-Non c’entra niente quello che non è successo
stanotte. Ti ho comprato i vestiti perché mi andava di
farlo, perché stiamo insieme, perché guadagno
più di te e posso permettermelo.- e perché voleva
che Callaghan capisse che tra loro non doveva intromettersi, ma questo
non glielo disse.
-E l’i-phone?-
-Il tuo cellulare non funzionava più.-
-Che motivo c’era di comprare quello più caro?
L’ultimo modello in commercio?-
Gli occhi di Salvatore si illuminarono di un lampo azzurro di
divertimento.
-Jenny, io le cose o le faccio bene o non le faccio. Non capisco
perché tu la prenda così. I soldi sono miei e li
spendo come voglio. Chiuso il discorso.-
Il ragionamento di Gentile non faceva una piega e fu costretta ad
accettarlo, anche se lui l’aveva lasciata per quasi
un’ora nelle mani di una commessa della Rinascente che
l’aveva rivestita dalla testa ai piedi, compresa la
biancheria intima. Smontò dalla macchina quando lo fece
anche lui e lo seguì sul marciapiede. Insieme imboccarono il
sentiero di ciottoli bianchi e grigi che s’infilava tra due
campi, li percorreva per tutta la lunghezza e sboccava
nell’edificio del bar.
Non riuscì proprio ad evitare di far scorrere lo sguardo
sull’erba per cercare Philip, consapevole che se voleva
dargli un’occhiata doveva approfittare di essergli lontana.
Farlo dopo avrebbe significato rischiare di incrociare i suoi occhi e
provare di nuovo quella devastante sensazione di vuoto che la sera
prima l’aveva lasciata senza forze.
La nazionale giapponese indossava le casacche d’allenamento e
si era divisa in due squadre, una azzurra e una bianca. Philip faceva
parte della squadra azzurra e correva verso la porta di Benji, gli
occhi fissi sulla palla che in quel momento era tra i piedi di Mellow.
Non avrebbe segnato, Jenny lo sapeva. Aveva visto giocare Benji contro
Holly e aveva imparato che solo pochi sarebbero riusciti ad infilare
una palla nella sua rete. Al massimo uno sfigatissimo autogoal di
Bruce, cosa già successa, che poteva coglierlo impreparato.
A parte ciò, Benji era diventato veramente troppo bravo.
Tra le due squadre giapponesi si susseguì una serie di
passaggi veloci ma approssimativi e il pallone finì tra i
piedi di Patrick Everett, della squadra azzurra. Paul Diamond, in
bianco, glielo tolse e lanciò lungo verso il centrocampo.
Sandy Winters lo agganciò e scartò uno dei
Derrick, lasciandolo a terra a riempirlo di parolacce.
-I passaggi non sono precisi.-
Jenny lo aveva notato da sola, così cercò di
giustificarli.
-Sono stanchi per il viaggio e per il fuso orario.-
-Quindi miglioreranno?- il tono dell’italiano
risultò scettico.
Lei si volse e l’espressione imbronciata ricomparve sul suo
viso.
-Certo che sì!-
Salvatore si appoggiò alla rete con le mani,
intrappolandola.
-Mi piace quanto ti arrabbi, i tuoi occhi diventano più
profondi e luminosi, le tue labbra si arricciano in un modo molto
sexy…- la fissò sorridente e proseguì
-E poi, quando ti faccio i complimenti e arrossisci, sei
bellissima…- si chinò per baciarla, quasi per
metterla alla prova.
Jenny gli puntò una mano sul torace e lo scostò,
reprimendo l’imbarazzo e affrontandolo con una sfumatura di
divertimento.
-Lo stai facendo apposta?-
-A fare cosa?-
-A starmi così scandalosamente vicino.-
Salvatore rise.
-Se potessi ti salterei addosso, non lo faccio per decenza.- si
scostò da lei, lasciandola libera di muoversi.
Jenny si guardò intorno, sperando che nessuno dei compagni
di Philip, né lui e né tanto meno le amiche, li
avessero notati. Le parve che stessero guardando tutti da
un’altra parte. Sospirò di sollievo. La
verità era che non si sarebbe mai sognata di andare al campo
se Mark la sera prima le avesse infilato nella borsetta anche la sua
copia delle chiavi di casa. Lui non lo aveva fatto e adesso doveva
mettere le mani su quelle del ragazzo per poter rientrare.
Ripresero a camminare uno accanto all’altra, Gentile che
svettava su di lei, molto più alto. Aveva ficcato le mani
nelle tasche della giacca e procedeva al suo fianco senza toccarla. Di
questo gli fu grata. Arrivarono dietro la porta di Benji e
lì si fermarono ad osservare il gioco che continuava
frenetico, Gamo dalla panchina che urlava ordini e consigli. Holly
correva verso di loro, la palla sembrava essere attratta dai suoi
piedi, tanto il suo dribbling era preciso. Scartò Julian e
saltò Clifford, ma quando vide che anche Tom gli andava
incontro per fermarlo, fece un lancio lungo verso Philip che correva
sulla fascia, a destra, in posizione migliore per tentare il gol. Il
compagno intercettò il passaggio e si preparò al
tiro mentre Peter Shake lo inseguiva per togliergli il pallone. Jenny
sapeva che se a Benji non riusciva a segnare neppure Mark, forse
neanche Holly, di certo non avrebbe potuto farlo Philip. Tuttavia
seguì interessata l’azione, incapace di togliere
gli occhi dalla sua espressione concentrata che conosceva
così bene, dalle gocce di sudore che gli imperlavano i lati
del volto, dai muscoli tesi delle braccia e delle gambe, pronti a
scattare.
Lo sguardo del giovane guizzò verso la rete e verso Benji,
per quel microsecondo necessario a prendere la mira, e proprio in
quell’istante nel suo campo visivo entrò qualcosa
che prima non c’era, un elemento di disturbo che lo distrasse
mentre colpiva il pallone. La sfera volò oltre la traversa,
così alta da colpire la recinzione proprio in cima. Per un
pelo non la oltrepassò. Benji alzò il viso per
seguirne la traiettoria con gli occhi, poi scoppiò a ridere.
-Da quando in qua i tuoi tiri sono così alti?-
Philip frenò lo slancio e si fermò, restando
piantato nell’area di rigore, le braccia tese lungo il corpo,
i pugni serrati, gli occhi sulla schiena di Benji che girava intorno
alla porta e recuperava la palla, incapace di credere di aver fatto un
errore così grossolano.
Gamo prese a sbraitare come un pazzo, spaventando a morte Bruce che
aveva raggiunto le panchine per mandar giù un sorso
d’acqua. La bottiglietta di plastica quasi gli
fuggì di mano.
-Callaghan! Cosa diavolo combini? Come hai potuto mancare la porta?-
Philip si volse di scatto verso la panchina, bianco come un cencio. Non
c’era giustificazione ad un errore simile. Non
c’era assolutamente. Non aveva nessuno davanti, oltre a
Benji. Nessuno dei compagni lo marcava.
Salvatore abbassò su Jenny uno sguardo carico di
divertimento.
-Ci ha visti e ha sbagliato.-
Lei avrebbe voluto negare ma non lo fece, non sarebbe stato lusinghiero
nei confronti di Philip. Era meglio che la pensasse così,
piuttosto che pensasse che il capitano della nazionale giapponese in
campo non valeva nulla.
-La tua presenza lo turba.- insistette l’italiano, facendola
arrossire e spingendola ad abbassare gli occhi sull’erba.
Poi Freddie afferrò il fischietto che gli pendeva al collo
ed emise un suono acuto per interrompere il gioco. Per quanto lo
riguardava, Gamo poteva pure arrabbiarsi, ma erano atterrati in Italia
solo il giorno prima e la stanchezza del lungo volo si faceva sentire
su tutti, capitano compreso.
-Dieci minuti di pausa!-
Salvatore non capì, ma osservò curioso i
giocatori raggiungere le panchine.
-Si fermano?- Jenny annuì e lui continuò
-Perfetto, vai a prendere le chiavi di Mark, così ti riporto
a casa.-
-Non vai ad allenarti?-
-A quest’ora?- alzò le spalle con noncuranza
-È troppo tardi, non ne vale la pena.-
-E il tuo allenatore non si arrabbia?-
-Come no? S’incazza da morire ma poi gli passa.-
Philip si passò un braccio sulla fronte per asciugarsi il
sudore e i suoi occhi tornarono a posarsi suo malgrado sulla causa del
tiro mancato. Non poté farne a meno. Jenny e Gentile avevano
raggiunto l’ingresso della recinzione ma lei non si decideva
ad entrare. Un cappotto di panno nero l’avvolgeva stretta e
le bande di un foulard azzurro le scendevano ai lati del collo. Mentre
si asciugava il sudore con l’asciugamanino che gli aveva
allungato Evelyn, continuò a osservarla mentre lei si
avvicinava, per fortuna da sola.
Jenny vide Mark tirarsi da parte con il cellulare stretto in mano.
Teneva l’asciugamano appeso al collo e gli occhi bassi sul
telefonino a digitare lo schermo mentre camminava spedito lungo la
linea laterale per allontanarsi dai compagni. Capì che
quello era il momento che aspettava e gli si accostò
guardinga, costeggiando il bordo campo fin quasi alla bandierina
d’angolo.
-Mark…- lui sobbalzò, Jenny si accorse di averlo
spaventato e rise -Tutto bene?-
-Tutto bene un corno! Ti stavo telefonando!-
-Perché?-
-Come perché? Per sapere che fine avevi fatto!-
-Lo sai che fine ho fatto! Ieri sera sono andata via con Salvatore!-
proseguì prima che potesse farlo lui -Sono venuta a prendere
le chiavi di casa.-
-Se te le do, io rimango senza.-
-Torno più tardi a riportartele. Tanto mangi con loro, no?-
Bruce li guardò parlottare distanti, poi raggiunse Holly e
lo tirò da una parte.
-Secondo me Philip ha sbagliato il tiro perché ha visto
Jenny.-
Holly si irrigidì e si lanciò
un’occhiata intorno, sperando che nessuno, soprattutto
l’amico tirato in ballo, avesse udito.
-Taci Bruce, non dirlo neppure per scherzo!-
-Secondo te? Non ho ragione?-
-Forse, ma stai zitto lo stesso.-
-Come se fosse un segreto… Tanto lo hanno capito tutti!-
-Piantala Bruce!-
Quando Mark andò a recuperare le chiavi nello spogliatoio,
Amy, Evelyn e Patty si avvicinarono a Jenny.
-Com’è stato?- s’informò
Evelyn curiosa.
-Com’è stato cosa?-
L’amica la sgomitò.
-Su che hai capito benissimo. Ti sei divertita stanotte?-
Jenny la fissò incredula e si rifiutò di
rispondere. Quello che faceva o non faceva con Salvatore erano
esclusivamente affari suoi. Si volse verso Amy.
-Grazie per i vestiti. Appena torno a casa li lavo e domani te li
restituisco.-
-Non ti preoccupare, non sono mica urgenti. Ne ho altri con me.- la
guardò con un sorriso contento -Avevo paura che non saresti
venuta.-
-Già, ed è stato un peccato che ieri sera te ne
sia andata così presto.-
-Non era presto, Patty. Era passata mezzanotte.- gli occhi le finirono
involontariamente su Philip.
Se ne stava seduto a terra tra Peter Shake e Julian e osservava
l’erba del campo con l’interesse professionale di
un giardiniere, evitando che i suoi occhi, lasciati liberi di vagare a
caso, si posassero su di lei.
Mark tornò verso Jenny e le diede le chiavi.
-Ricordati di riportarmele.-
-Ripasso più tardi.-
Evelyn li guardò e capì che quella sì
che era una notizia.
-Abiti da lui, Jenny?! Stai da Mark?!-
La meraviglia la indusse a gridare e la sentirono in troppi. Philip
reagì abbassando la testa, per impedire che gli amici
scorgessero sul suo volto l’incredulità e lo
sgomento. Jenny, da parte sua, decise che era meglio filare, tanto
più che aveva recuperato le chiavi e Salvatore la stava
aspettando.
-Ci vediamo dopo.-
Evelyn la guardò, un lampo d’interesse le
attraversò gli occhi.
-Quindi torni sul serio?- fece un passo verso di lei, la prese
sottobraccio e quasi la scortò verso l’uscita del
campo, dove Gentile l’aspettava -Jenny, dopo devo chiederti
un favore enorme. Un favore che solo tu puoi farmi.-
Lei si tese, il suo tono accattivante la mise in guardia.
-Che favore?-
-Te lo dico dopo, dobbiamo parlarne con calma. Dobbiamo organizzarci,
pianificare…-
Sorrise a Gentile e li salutò allegra, speranzosa. Forse,
grazie all’aiuto di Jenny, l’intervista al
fustaccio della Juventus sarebbe andata in porto. Tornò
felice dalle amiche, mentre Gamo fischiava la ripresa della partita
d’allenamento. I ragazzi rientrarono in campo borbottando
stanchi.
-Gentile è proprio bello. Jenny è una ragazza
fortunata.-
Amy la fissò perplessa. Dopo quello che l’amica
aveva passato un anno prima, non se la sentiva di dire che fosse
fortunata. Evelyn non l’aveva più vista dopo Kyoto
e nessuno si era preoccupato di raccontarle con quale enorme sofferenza
Jenny avesse dovuto affrontare l’amore incondizionato del
fidanzato e gli scioccanti incontri con Nicole.
Patty sembrò leggerle nel pensiero.
-Sarebbe stata più fortunata se fosse rimasta con Philip.-
Amy annuì, eppure Evelyn non sembrò convinta.
-Benji dice che stare lontani non può far loro che bene.-
-E quando l’ha detta questa cosa?-
-Ieri sera, ne stava parlando con Tom. Ha detto che uno si rende conto
di quello che ama solo quando lo perde.-
Patty sospirò paziente.
-Evelyn, Jenny e Philip si amavano anche prima. Non avevano bisogno di
lasciarsi per capirlo.-
-Vuol dire che ora lo capiranno meglio.-
-Non se Gentile le sta così addosso.-
Le ragazze si volsero. Non si erano accorte che Mark aspettava il suo
turno per entrare in campo e che aveva ascoltato ogni singola parola.
Evelyn sospirò.
-Anche io vorrei che mi stesse addosso uno così.-
-Callaghan!- il grido perentorio di Gamo li fece sobbalzare -Mettici la
concentrazione, quando giochi! Che altro hai da metterci? Landers,
dagli il cambio!-
Philip capì che l’allenatore lo aveva visto. Il
mister lo aveva visto sbagliare l’ennesimo passaggio,
mandando la palla in rimessa laterale. Merda, e adesso?
L’idea gli venne fulminea, raggiunse la panchina zoppicando
mentre Gamo lo esaminava con uno sguardo carico di collera.
-Ti sei fatto male?-
-Non è niente, solo un crampo.-
-Non ti ho mai visto giocare così male! Anzi…- si
corresse imbufalito -Non stai proprio giocando!-
-Mi dispiace, solo che non…-
-Non me ne frega niente che ti dispiace! Piuttosto mi interessa sapere
che hai intenzione di fare! Vuoi scendere in campo contro
l’Italia o preferisci restare in panchina?-
Philip si sforzò di reagire in qualche modo,
perché quando Gamo si straniva diventava pericoloso.
-Certo che voglio giocare! Non sono venuto fin qui per stare in
panchina!-
-Meglio così, Callaghan! Meglio così! Per oggi
sorvolo sulle tue prestazioni pietose, ma se domani non ti dimostri
all’altezza ti rispedisco in Hokkaido a fare compagnia agli
orsi. E non me ne frega niente che sei il capitano! È
chiaro?-
Annuì rapido, perché Gamo era capacissimo di
mettere in atto la minaccia.
-E adesso vai a farti la doccia così magari ti schiarisci le
idee!-
Philip lo fissò allibito, la bocca spalancata. Lo stava
cacciando dal campo! Lui era il capitano eppure l’allenatore
lo stava mandando via! Indietreggiò furioso, dimenticandosi
di zoppicare, e raggiunse la panchina per recuperare un asciugamano e
una bottiglietta d’acqua. Amy, pronta, gli porse entrambi
senza dirgli nulla. Le fu grato del suo silenzio e la
ringraziò con un cenno del capo. Nonostante
l’ordine di Gamo, per puro spirito di contraddizione si
sedette a terra, sull’erba, a togliersi il sudore dal viso.
Lo avevano nominato capitano senza che lui lo volesse, e adesso avrebbe
deciso da solo quando lasciare il terreno di gioco, non la ripicca di
un allenatore deluso da una prestazione pietosa. Non si accorse che
Marshall l’osservava pensieroso, le mani nelle tasche, in
piedi davanti alle panchine. Non sentì i due uomini parlare
di lui.
-Che accidenti ha Callaghan? Che gli prende? Ne sai qualcosa, Freddie?-
-Sarà semplicemente stanco del viaggio. Prima di
preoccuparci diamogli ancora un giorno di tempo.-
Gamo annuì, tornando ad esaminare Philip. Teneva gli occhi
fissi su qualche punto imprecisato del campo, non seguiva la palla,
sembrava distratto. Che aveva? Perché lo deludeva in quel
modo? Anni prima, durante il girone di qualificazione della Coppa del
Mondo Under19, Philip lo aveva sorpreso dimostrandosi perfettamente in
grado di tenere unita una squadra fatta a pezzi per l’assenza
di Holly, di Tom, di Mark, di Benji, i loro giocatori migliori.
Ricordava ancora come se fosse ieri che quando era stato nominato
allenatore della nazionale giovanile, con i suoi modi bruschi, la sua
intransigenza e i suoi metodi, aveva faticato non poco a ottenere il
rispetto e la stima dei ragazzi. E ci era riuscito soltanto grazie a
Philip, che ad un certo punto aveva capito che se volevano arrivare in
finale, l’unica cosa sensata da fare era diventare il tramite
tra l’allenatore e ciò che restava della loro
squadra.
I giocatori, soprattutto alcuni, non avevano preso bene né
la beffa della finta nazionale giapponese né la minaccia di
restare fuori dalla rosa dei prescelti se non si fossero dati da fare
sul serio. Gamo aveva mandato via Landers, Becker, i Derrick, Everett,
Yuma, costringendo Philip a prendere in mano una squadra distrutta,
sbandata, senza più certezze, senza gli elementi migliori. E
Philip era insperatamente riuscito a motivare e tenere uniti i
superstiti, incoraggiandoli incessantemente a tirar fuori il meglio di
loro, sia in campo che durante la convivenza del ritiro. Philip si era
praticamente immolato, aveva subito gli scazzi dei compagni, la collera
del mister, e aveva fatto il miracolo. Nella squadra attuale solo lui e
Holly, che comunque non aveva ancora ottenuto il nullaosta, avevano
altrettanto ascendente sui ragazzi. Philip li incitava quando era
necessario, li spronava, li consolava. Coordinava. Incoraggiava.
Dirigeva. Sosteneva. Insomma, Gamo contava così tanto su
Callaghan che era persino arrivato a perdonargli il ritiro-beffa a
Shintoku di due anni prima. Ma ora?
La quiete di Philip, seduto sull’erba, durò
pochissimo.
-Perché non parli con Jenny? Sono sicura che avreste molte
cose da dirvi.-
Il ragazzo sollevò gli occhi a fatica. Aveva sperato di
salvarsi, che le amiche avessero abbastanza tatto da lasciarlo in pace.
Forse Amy e Patty sì, ma Evelyn sicuramente no. Evelyn era
curiosa e aveva dimostrato già dalla sera prima che la
situazione sua e di Jenny le interessava moltissimo. Non le ripose, si
puntellò sulle mani e si tirò in piedi.
Uscì dal campo senza neppure guardarla, lasciandola di
sasso.
-Non ci posso credere, è scappato di nuovo. Secondo voi ho
detto qualcosa di sbagliato?-
Amy sospirò.
-È evidente che l’argomento Jenny non si
può toccare.-
-E come faremo a convincerlo a tornare con lei?-
-Non possiamo far niente per convincerlo, Eve. Deve capirlo da solo.-
-E se non ci riuscisse?-
-Allora è uno stupido.-
Philip si passò una mano tra i capelli e ne tirò
un ciuffo sulla nuca fino a sentire dolore. Lo aiutò a
riscuotersi. Evelyn non sapeva quello che diceva. Non si rendeva conto
che anche parlando con Jenny non avrebbe potuto risolvere nulla.
Ciò che si frapponeva tra lui e la sua ex non era qualcosa
di concreto. Non serviva parlarne. Era qualcosa di emotivo, qualcosa di
impalpabile, una specie di muro invisibile che in un anno non era
riuscito ad abbattere e che adesso era diventato invalicabile
probabilmente perché, senza accorgersene, era stato proprio
lui a renderlo sempre più alto. In quei mesi che erano stati
lontani, il pensiero di Jenny era rimasto sopito in un angolo della
mente, insieme ai ricordi delle sue carezze, al suo profumo, al piacere
dei suoi baci, alla felicità dei suoi sorrisi. Ora che tutto
ciò che aveva cercato di dimenticare era tornato ad essere
reale, ad avere un corpo, uno sguardo, una voce, che altro poteva fare
se non sforzarsi di non provare nulla?
Aprì la porta dello spogliatoio ed entrò. Stava
andando tutto storto. Jenny che compariva, l’incubo che
tornava, gli allenamenti che andavano in malora… Avrebbe
voluto mollare, se solo avesse potuto… Si tirò
via l’asciugamano dal collo e lo gettò sulla
panca. Poi si spogliò in fretta perché sapeva che
la partita d’allenamento stava per terminare, era questione
di minuti, e voleva godersi la doccia senza seccatori intorno. Non fece
in tempo. Si stava ancora lavando quando sentì la confusione
dei compagni che rientravano. Chiuse l’acqua e
afferrò l’asciugamano.
-Philip, ci sei?- lo chiamò Holly.
Non fece in tempo a rispondere che Mark cominciò a
sbraitare.
-Vaffanculo Peterson! Se mi marchi ancora così la prossima
volta ti spezzo una gamba!-
-Una frase del genere che esce proprio dalla tua bocca, Landers.- Benji
rise forte -Da quando il calcio è diventato uno sport da
femminucce?-
-Taci, Price! O ti ficco in gola quella merda di cappello!-
-Provaci, deficiente.-
-Questa non è una nazionale di calcio ma un circolo di
poeti.-
-Fai poco il principino, Ross, perché intanto t’ho
scavalcato due volte. Che facevi? Studiavi le costellazioni?-
-Quello lo faceva Callaghan!- rise uno dei Derrick -Ha lanciato il
pallone in orbita.-
-Nell’orbita di Salvatore Gentile.-
-E di Jenny.- aggiunse Bruce.
Risate. Ridevano di lui. Philip si sfregò il cotone sulle
braccia e sulle gambe, poi li raggiunse di là.
-Stai bene?- gli chiese Tom mentre gli altri, sudati, lo superavano e
si sparpagliavano nelle docce.
-Certo che sto bene!-
-Sparisci Sandy!- ringhiò Clifford -Io ho la precedenza su
di te, lo sai!-
-Che palle, sempre la stessa storia! Mai una volta che non mi tocchi
aspettare!-
James Derrick si avvicinò a Winters, costretto ad attendere
anche lui il proprio turno.
-Se non fosse così grosso ti aiuterei a farlo fuori.-
-T’ho sentito!- replicò Clifford continuando a
insaponarsi.
-E chissene frega! Non mi fai paura, sai?-
Bruce non ci aveva neppure provato, a conquistarsi una doccia. Era
stanco morto e non gli andava di affrontare la prepotenza dei compagni.
Non aveva abbastanza energie per farsi valere. Per ammazzare
l’attesa, si liberò dei calzini sudati e
puzzolenti. Poi alzò gli occhi su Philip che stava infilando
un paio di jeans.
-Insomma, cos’è che combini?-
L’amico si volse, stralunato.
-In che senso?-
Holly approfittò dell’incipit di Bruce per dirgli
chiaro e tondo ciò che pensava da quando Gamo lo aveva fatto
uscire dal campo.
-Sai che il mister non parla mai a vanvera, vero? Ci manca solo che ti
rispedisca in Giappone.-
-Non lo farà.- Philip si mostrò più
sicuro di quanto fosse in realtà.
-Sai che perdita.- borbottò Bruce polemico -Non stai
combinando un cazzo!-
L’altro si sentì rimescolare di stizza.
-Meno male che in squadra ci sei tu. Così è
sicuro che contro l’Italia vinceremo.-
-Hai proprio ragione, Philip!- rise Benji -La presenza di Harper
è fondamentale. Come farebbe quella pippa di Warner senza le
sue parate di faccia-da-culo?-
Holly si guardò nervosamente intorno in cerca di Ed. Non lo
vide, fortunatamente era nelle docce. Ma c’era Mark che
ringhiò qualcosa. Lo ignorò e spostò
gli occhi su Philip, intento ad indossare una maglietta e su Bruce
fermo di fronte, le mani puntate sui fianchi, che riprendeva a parlare.
-Sapere che Gentile si fa Jenny può darti il nervoso, lo
capisco ma…-
Philip si irrigidì. Sentirsi sbattere davanti ciò
che non gli dava pace dalla sera prima lo rimescolò e le
parole vennero fuori a valanga, in un estremo tentativo di difesa.
-Cosa capisci? Non puoi capire proprio un cazzo, Harper! Non puoi
capire neppure se ti sforzi! E poi cosa c’entra Jenny? Ci
siamo lasciati, cosa me ne frega se sta con Gentile?-
A Benji sfuggì un sorrisetto, la risposta del compagno gli
risultò improbabile. Philip se ne accorse e si tese.
-Che hai da ridere?-
Il portiere si limitò a scuotere le spalle, tanto ci
pensò Bruce a rispondergli.
-Ha da ridere perché non sei credibile. Perché a
te Jenny interessa ancora pure se ti sforzi di ignorarla…
Chi credi di fregare? E poi, se vedere Jenny con Gentile non ti desse
fastidio, non saresti neppure così nervoso!-
Philip scattò in piedi, facendo sobbalzare Holly.
-Ti ho detto che non capisci un cazzo, imbecille! La chiudi da solo
quella ciabatta o vuoi che ci pensi io?-
-Tu hai sbagliato il tiro in porta perché hai visto Jenny!-
Nello spogliatoio calò un improvviso silenzio, si udirono
soltanto gli schiamazzi di chi era nelle docce. Tom cercò
inutilmente di intervenire.
-Bruce…-
La collera offuscò la vista di Philip e gli tolse il fiato.
-Ho inciampato!-
Benji rise, non poté farne a meno.
-Che scusa stupida!-
-Sei proprio un cretino, Philip!- Bruce diede voce a tutto il suo
repertorio -Forse hai ragione! Forse è vero che di Jenny non
ti frega un cazzo! Sai che ti dico? Che ha fatto bene a mollarti e a
mettersi con Gentile, sei proprio un uomo senza palle!-
Philip serrò i pugni, conficcandosi le unghie nella carne.
Se Bruce voleva rinfacciargli il fatto che come capitano non stesse
dando il meglio di sé, si sarebbe sforzato di accettare il
rimprovero. Se lo avesse insultato perché in campo non si
era impegnato quanto avrebbe dovuto, ci sarebbe passato sopra. Se gli
avesse recriminato che non si stava affatto comportando come il suo
ruolo prevedeva, avrebbe potuto dargli ragione. Ma assolutamente gli
era impossibile accettare che infilasse Jenny nel loro litigio, che si
servisse di lei per ferirlo. Quello no, non poteva sopportarlo.
Esplose. Con due falcate lo raggiunse, lo afferrò per la
maglia e lo spintonò indietro, caricandolo con tutto il
proprio peso. Lo schiantò con violenza contro gli
armadietti, il frastuono del metallo colpito dal corpo del ragazzo
riecheggiò tra quelle quattro mura. L’urto
lasciò Bruce senza fiato.
-Vaffanculo Harper!- ringhiò, la tentazione incontenibile di
piantargli un pugno in faccia per togliersi da davanti quel muso da
scimmia. Ebbe voglia di fargli male, davvero male.
I polmoni svuotati, Bruce boccheggiò in cerca
d’aria. Sollevò le braccia, serrò le
dita intorno ai polsi di Philip e cercò di liberarsi dalle
mani del compagno che gli premevano sul collo, stringendogli la
maglietta con una tale forza da togliergli il respiro.
Holly gettò stizzito i pantaloncini su una panca e
balzò verso di loro.
-Che state facendo? Vi ha dato di volta il cervello?-
afferrò un braccio di Philip ma non riuscì a
smuoverlo.
-Non immischiarti, Holly! Fatti i fatti tuoi per una volta!- paonazzo,
Bruce cercò di nuovo di allontanare Callaghan -Questo
cretino ha bisogno di una lezione!-
-E vuoi dargliela tu?- domandò Mark incredulo, mentre le
labbra di Philip si incurvavano in un sogghigno.
L’urlo esasperato di Holly perforò i loro timpani.
-Questi sono fatti miei! Almeno finché farete parte della
mia squadra!-
-Non è la tua squadra, non sei il capitano!-
Le grida attirarono gli altri. Clifford comparve strofinandosi i
capelli che gli stavano dritti, sparati in aria più del
solito. Li guardò e rise.
-A che gioco state giocando? “Cambiare i connotati di Bruce
fino a renderlo figo”?-
-Impossibile.- rise Benji che si stava divertendo un mondo.
-Siete tutti dei cretini.- Holly lanciò
un’occhiata esasperata a chi gli stava intorno -Mark,
Clifford, datemi una mano a far ragionare queste due teste calde.-
Benji sospirò scontento: ecco, il divertimento era finito.
Philip si impose di calmarsi, più che altro per non sentire
più le urla di Holly. Scambiò con Harper un
ultimo sguardo incandescente e gli mollò la maglia.
L’amico si massaggiò la nuca e il bernoccolo
spuntato dall’urto con l’armadietto.
-Stupido cretino.-
-Piantala Bruce!- lo redarguì Holly -Non voglio
più sentire una parola!-
Philip finì di vestirsi in fretta, allontanando dalla mente
le loro chiacchiere. Li sentiva parlare ma non voleva ascoltarli.
Idioti, maledetti idioti e ancor più idiota era lui che
raccoglieva le provocazioni di quel ritardato di Harper.
S’infilò i calzini con gesti bruschi e nervosi,
poi fu la volta delle scarpe. Infine afferrò la borsa e
uscì dallo spogliatoio immusonito e furente, seguito dagli
sguardi sconcertati degli amici.
Holly puntò gli occhi in quelli di Mark.
-E adesso che facciamo?-
-Perché lo chiedi a me?-
-Perché Jenny vive con te.-
-E allora?-
-E allora falli tornare insieme!-
-Come se ieri sera non ci avessi provato! Era così semplice!
Si incontrano, si parlano, si chiariscono e tornano insieme. Ma si
è messo in mezzo Price a rovinarmi il piano e a mandare
tutto a scatafascio!-
-Mark, tu la facevi troppo facile.-
-No, non era facile, era lineare! Era una conseguenza causa-effetto!-
-Era un’idiozia che non avrebbe funzionato in ogni caso.-
-Non finché tra i piedi ci sei tu, Price.-
Il portiere alzò le spalle e si diresse verso le docce. Tom
lo tampinò, visto che ora era il suo turno di lavarsi.
-Stai ridendo da un’ora, Benji. Cos’è
che ti diverte tanto di questa situazione?-
-Come si stanno incasinando le cose. Sembra che qualcuno si sia messo
ad aggrovigliare tutto, giusto per far loro un dispetto.-
-Secondo me sarebbe meglio se evitassi di ridere dei loro problemi.
Philip è già nervoso, senza che continui a
sghignazzargli in faccia.-
-Problemi? Questi li chiami problemi? Sono stupidi litigi tra adulti
che ragionano come bambini. O magari di bambini che si spacciano per
adulti. Come non ridere di una simile farsa?-
Tom sospirò, affranto da tanto cinismo, mentre regolava
l’acqua della doccia. Alzò la voce per farsi
sentire, oltre il pannello divisorio.
-Potresti anche aver ragione, ma finché ci stanno male
c’è poco da divertirsi.-
-Ci stanno male perché hanno deciso così. Ci
vorrebbe un secondo a rimettere le cose a posto. Basterebbe affrontare
la questione con maturità… Ma come possono? Sono
troppo infantili. Comunque vedrai, a Philip e Jenny cambiare letto non
può fare che bene. È l’occasione buona
per capire se e quanto si amano.-
Tom lasciò perdere, perché il ragionamento del
compagno sembrava basarsi su solide motivazioni. Benji si
lavò e si asciugò in fretta per uscire da quello
spogliatoio che attanfava di sudore. Aveva un sacco di cose a cui
pensare. Non era solo la vita di Jenny e di Philip ad andare in pezzi.
Anche lui era sulla buona strada per perdere d’un botto tutto
ciò che aveva conquistato in anni e anni di fatica. Meglio
berci su una birra.
Freddie Marshall si sedette sconsolato al bar, ad arrovellarsi su una
serie di problemi che gli erano caduti addosso tutti insieme e che non
sapeva come risolvere. Per il primo, quello che più lo
angustiava, aveva chiesto aiuto a Pearson, anche se Kirk si era
già mosso da solo. Bisognava trovare al più
presto una nuova squadra per Benji se, al suo ritorno
all’Amburgo, la situazione non fosse migliorata. E
possibilmente una delle più prestigiose, altrimenti lui non
avrebbe accettato. Il secondo problema era riuscire ad ottenere in
tempi brevi il nullaosta di Holly, perché nonostante
l’accordo con Van Saal mirato a consentirgli di tornare a
Barcellona per giocare la partita della Liga in programma per la
prossima domenica, l’allenatore continuava a tardare ad
inviare quel maledetto documento. Poi c’era il nullaosta di
Mark che non arrivava. In questo caso il problema era la burocrazia
italiana, che si muoveva paurosamente a rilento. Alzò gli
occhi dall’aperitivo e intercettò Benji mentre
questi si avvicinava soprappensiero ai tavolini, assetato di silenzio,
di tranquillità e soprattutto di una buona birra ghiacciata,
pure se Gamo non avrebbe approvato. Lo chiamò e il ragazzo
gli si avvicinò guardingo, le mani ficcate nelle tasche, la
borsa su una spalla.
-Toglimi una curiosità, Benji.-
-Anche due, Freddie.-
-La ragazza che è venuta al campo insieme a Salvatore
Gentile è la fidanzata di Callaghan?-
Benji annuì.
-Ex fidanzata.-
-Gamo aveva qualche dubbio ma Kirk ne era sicuro.-
Certo che ne era sicuro, Pearson. A Kyoto l’aveva conosciuta
bene. Sentì che Marshall continuava e si sforzò
di ascoltarlo.
-Che ci fa qui?-
-Chissà…-
-C’era anche ieri sera, al party di benvenuto, vero?- il
giovane glielo confermò con un cenno del capo -Forse
è il caso di chiederle di non venire ad assistere agli
allenamenti.-
Il cervello di Benji prese a correre. Marshall gli aveva appena dato
modo di compiere per Philip e Jenny un gesto molto più
sensato dei pastrocchi di improbabile utilità di quel
cretino di Landers. -E glielo dice lei, a Salvatore Gentile, che non
può portarsi la ragazza al campo?-
-Quando è comparsa, Philip ha sbagliato il tiro.-
Benji sbuffò, maledicendo l’emotività
del compagno. Che bisogno c’era di cannare un tiro solo per
aver posato gli occhi su Jenny? Se Freddie se n’era accorto,
lo aveva notato sicuramente anche Gamo.
-Callaghan dice che ha inciampato.-
Marshall scosse la testa e tacque. Non era convinto e Benji non poteva
farci nulla. Anzi, più di così si rifiutava di
fare. In fondo cosa gliene fregava a lui di Callaghan? Non era mica suo
fratello. Aveva altri problemi molto più importanti da
risolvere, per esempio quello con Amy che continuava insistentemente a
ignorarlo. Si allontanò da Freddie con un’alzata
di spalle e raggiunse pensieroso il bancone del bar, per la tanto
sospirata birra. Poi arrivò Gamo e, per amore della
tranquillità, fu costretto a cambiare ordinazione.
*
Salvatore Gentile attraversò senza fretta il parcheggio,
regalando ai fan il suo miglior sorriso. Si tirò la borsa su
una spalla, imboccò il sentiero che conduceva agli
spogliatoi e lo percorse senza troppa fretta anche se era in uno
spaventoso ritardo. Odiava gli allenamenti in ogni loro forma e nessuno
sarebbe mai riuscito a fargliene fare più dello stretto
indispensabile. Il mister all’ora di pranzo lo aveva chiamato
furibondo per rimproverargli la sua scandalosa condotta. Era o no un
giocatore della nazionale? Erano o no in vista di una partita?
Si guardò intorno. Due dei quattro campi erano occupati, uno
dalla nazionale giapponese. Mentre passava accanto ai nipponici, li
osservò con un’occhiata divertita. Quelle schiappe
asiatiche non avevano nessuna speranza di vincere contro di loro eppure
continuavano ad allenarsi, con l’assurda convinzione di
riuscire a sconfiggerli. Roba da matti!
Spalancò la porta dello spogliatoio ed entrò,
piombando nel solito disordine e nell’olezzo acre delle
scarpe e dei calzini abbandonati. Quest’ultimi erano ovunque,
lo spogliatoio era un tripudio di calzini: sulle panche, negli
armadietti, che spuntavano dalle borse, ficcati disordinatamente nelle
scarpe. Si sfilò i vestiti con calma perché far
infuriare l’allenatore lo divertiva, era il suo secondo
passatempo, dopo il calcio. O forse il terzo, dopo le donne. Al quarto
posto far incazzare Landers e al quinto era arrivata una nuova sfida:
far schiattare di gelosia Philip Callaghan. La sera prima era bastato
che sfiorasse le labbra della sua ex per far infuriare sia
l’uno che l’altro. E non sarebbe stato male
approfittare dell’occasione per infliggere al capitano della
nazionale giapponese, oltre alla sconfitta della sua squadra, una bella
batosta sentimentale. A lui piaceva vincere su tutti i fronti.
Finì di spogliarsi. Indossando la divisa si concesse il
tempo di riflettere sull’aspetto negativo di tutto
ciò, vale a dire su come Jenny l’avesse mandato
gentilmente in bianco la sera precedente e quella stessa mattina.
Tirò con forza i lacci degli scarpini e li annodò
stretti, il suo rifiuto non gli andava proprio giù. Che
fare? Senza dubbio riprovarci.
Raggiunse i campi nel momento di pausa di entrambe le squadre, il
massimo della sfiga. Così dovette sorbirsi i rimproveri del
mister sotto gli occhi divertiti di Landers e compagni.
-Ti pare questa l’ora di presentarti?-
-È tardi?-
-A te non sembra?-
-Non troppo.-
Il mister fremette.
-E stamattina? Sei passato a farci un saluto?-
-Esattamente. Visto che non mi sono svegliato, ho pensato fosse
corretto almeno venire a salutare.- fece spallucce -Del resto come puoi
pretendere che mi alzi all’alba se mi costringi a partecipare
a stupide feste che durano fino a tardi?-
-E i tuoi compagni?-
-Li invidio.-
Si fissarono negli occhi azzurri, identici. Solo i capelli avevano una
tonalità diversa. Sale e pepe quelli di suo padre, biondi i
suoi. Per il resto erano uguali, sua madre lo diceva sempre, persino
nel carattere.
-Ieri sera sei stato il primo ad andartene!-
-Per forza! Invece di sbraitare e farti venire l’ulcera,
dovresti ringraziare il cielo che dopo il tuffo in piscina non mi sia
buscato un malanno.-
-Molto meglio che ti fosse presa una bronchite, almeno avrei avuto la
scusa per tenerti fuori!-
-Stronzate. L’Italia senza di me non vale una cippa.-
Rob rise, aggrappato alla rete, mentre traduceva a chi gli era accanto
il botta e risposta di Salvatore Gentile e dell’allenatore
della nazionale italiana.
Stanco di rimproverarlo, suo padre borbottò ancora qualcosa,
poi lo lasciò perdere. Salvatore sapeva che sarebbe andata a
finire così e si allontanò a testa alta, godendo
della vittoria dell’ultima parola. La presenza di Rob
aggrappato alla rete gli rovinò quel momento trionfale,
facendogli venire l’amaro in bocca. Le facce di quei musi
gialli accalcati alla rete erano divertite, Aoi doveva aver tradotto.
La cosa lo innervosì, soprattutto quando si rese conto che
Callaghan era nel mucchio degli spettatori. Mark sollevò una
mano e lo salutò.
-Ben arrivato!-
Salvatore si avvicinò controvoglia alla rete e lo
guardò dall’alto. Landers sovrastava i compagni ma
continuava ad essere più basso di lui.
-Che cazzo ti ridi?-
-Dov’è Jenny?-
-Saranno affari suoi?-
-Ho capito, non lo sai.-
Il suo sorrisetto di scherno colpì Salvatore
nell’orgoglio.
-Sta finendo una lezione. Ha detto che verrà più
tardi.-
Mark parve soddisfatto della risposta e si allontanò, mentre
i compagni intorno a lui si disperdevano.
Affondando i tacchetti nell’erba, Holly si
avvicinò a Patty che stava riponendo acqua e ghiaccio nella
borsa frigo.
-Bisogna fare qualcosa. Non ho mai visto Philip così.-
Lei richiuse il coperchio e annuì.
-Sta giocando proprio male.-
-Non sta giocando affatto, ed è ancora peggio. Sembra che
non gliene importi nulla.- lanciò un’occhiata al
mister -Se continua in questo modo Gamo non glielo
perdonerà. E neanch’io.- rifletté un
istante prima di continuare -Marshall stamattina ha chiesto a Benji se
non fosse il caso di impedire a Jenny di venire al campo.-
Patty lo guardò incredula.
-Marshall non può fare una cosa simile!-
-Non la farà… Benji dice che non lo
farà.-
Spostarono all’unisono gli occhi verso la recinzione. Jenny
era appena comparsa, come se l’avessero chiamata. Aveva
imboccato il vialetto di ghiaia e avanzava dritta verso di loro. Gli
occhi di Holly si trasferirono all’istante su Philip. Era
seduto a terra, un asciugamano appeso al collo, le gambe distese per
sciogliere i muscoli e le mani poggiate sull’erba dietro di
lui, a sostenere il peso della schiena rilassata. L’aveva
individuata e seguiva la sua avanzata, apparentemente incapace di
toglierle gli occhi di dosso.
-Lui la ama, Holly. Ce lo ha scritto in faccia.- la voce di Patty fu un
sussurro -Perché si sono lasciati?-
-Forse lo ha lasciato lei.-
-Impossibile.-
-Perché no? Dopo quello che è successo a Kyoto,
non voleva più averlo vicino.-
-Non è così.- provò a spiegargli il
suo punto di vista ma non ci riuscì. Uno dei Derrick
scoppiò a ridere, Patrick Everett gli diede
dell’imbecille e lei capì che quello non era il
momento di tirar fuori la questione. Porse a Holly una bottiglietta
d’acqua -Ne parliamo dopo.-
Jenny era al cellulare e Philip non riuscì ad evitare di
chiedersi con chi, mentre un moto di gelosia possessiva lo attraversava
da parte a parte come una scarica elettrica. Distolse lo sguardo quando
all’improvviso non fu più Jenny ad avanzare verso
il campo ma il passato ad andargli incontro. Osservandola si
trovò davanti all’oscurità che si
portava dentro da mesi. Fu per istinto di sopravvivenza che i suoi
occhi si sforzarono di mettere a fuoco l’unica macchia di
colore che aveva davanti, il mazzo di fiori che lei stringeva
nell’altra mano. Philip non ebbe dubbi che fosse un dono di
Gentile.
Più Jenny si avvicinava e più lui riusciva a
distinguere meglio i particolari. Aveva il cappotto sbottonato, che
lasciava intravedere una minigonna grigio perla fino al ginocchio. In
due giorni era la seconda volta che la vedeva con una gonna. Dopo
Kyoto, Jenny non l’aveva più indossata preferendo
i pantaloni, soprattutto jeans, più o meno corti ma meglio
se lunghi. Spessissimo, quasi sempre, lei aveva ribadito
l’inaccessibilità del suo corpo con una cintura
stretta in vita. Che adesso avesse deciso di rindossare gonne e abiti
era un’importante novità e Philip non
poté non chiedersi se lo facesse per Gentile o se
ciò significasse che era riuscita a superare almeno in parte
quella terribile fase della sua vita.
-Permettimi di dirti che sei stato proprio uno stupido a lasciartela
scappare.-
Philip si volse. Ralph Peterson osservava Jenny con ammirazione e la
piega di contrarietà che gli corrugava la fronte non era
certo rivolta a lei. Non seppe cosa rispondergli, annaspò
nelle parole e incrociò gli occhi impassibili di Julian, che
ebbe la decenza di tacere. Ma Ralph non lo fece. Era occupato ad
esaminare Jenny con tale approvazione, che non si accorse del fastidio
provocato dal suo commento.
-Io non l’avrei lasciata per Julie Pilar. Le modelle sono
poco affidabili, hanno troppi fan che girano loro intorno, troppe
tentazioni. Finiscono per metterti le corna e ti assicuro che non
è piacevole. A me è quasi successo.-
-Più che spiacevole direi umiliante.- rifletté
Julian.
Di tutte quelle frasi, una sola e unica affermazione colpì
Philip come una mazzata. Replicò di getto, senza starci
troppo a pensare.
-Non l’ho lasciata per Julie Pilar!- era sconvolgente che i
compagni la pensassero così. Doveva fare qualsiasi cosa
perché questa voce non girasse. Se poi fosse finita alle
orecchie di Jenny? Non l’aveva lasciata perché le
aveva preferito Julie. Julie Pilar era ricomparsa nella sua vita mesi e
mesi dopo, e se fosse stato ancora con Jenny non l’avrebbe
guardata due volte. A lui le tipe appariscenti come Julie interessavano
così poco che non era in grado di spiegarsi neppure
perché avesse deciso di frequentarla.
-Ti ha lasciato lei?- la curiosità di Peterson venne
ripagata da un’occhiata acida -Ho capito, non sono fatti
miei… Era tanto per parlare.-
Philip affondò le unghie nella terra, fece forza sulle
braccia e si tirò su nel momento in cui Jenny riponeva il
telefonino nella borsa.
La giovane fece il giro del campo e si fermò davanti al
terreno di gioco della nazionale italiana, i fiori in una mano,
l’altra sollevata all’altezza del volto, le dita
strette sulle maglie della rete. Attese paziente finché
Gentile si sganciò e la raggiunse.
Philip vide l’italiano lanciarsi un’occhiata
guardinga alle spalle, aggrapparsi alla recinzione e scalarla agilmente
come una scimmia. Arrivò in cima e saltò
giù dall’altra parte, atterrando accanto a Jenny
che, sgomenta, fece un passo indietro. Salvatore le tolse di mano il
mazzo di fiori e lo agitò di qua e di là
facendone cadere qualche petalo. Jenny cercò di
riprenderselo ma lui rise e lo sollevò in alto, sopra la
testa, impedendole di raggiungerlo. Jenny protestò, si
aggrappò al braccio del ragazzo e cercò
inutilmente di tirarlo giù. Alla fine rinunciò e,
imbronciata, arretrò dicendogli qualcosa. Lui cadde
improvvisamente in ginocchio e tese i fiori verso di lei,
offrendoglieli con le mani giunte e un sorriso radioso. Jenny lo
fissò incredula, le guance che si tingevano
d’imbarazzo. Si lanciò un’occhiata
rapida alle spalle, così rapida che non riuscì a
mettere a fuoco neppure i campi che si estendevano dietro di lei. Poi
tornò a guardare Gentile. Lui le disse qualcosa e rise.
Jenny gli strappò di mano il mazzo di fiori e se lo strinse
al petto, piena di vergogna, mentre l’italiano si alzava
ridendo.
-Che buffone.-
Philip si ritrovò Mark accanto. Non era stato
l’unico ad assistere allo show. Tornò a guardare
la coppia, Dario Belli li aveva raggiunti al di là della
recinzione.
-Stiamo cominciando la partita. Che fai? Giochi o no?-
Salvatore lo guardò serio.
-Davvero posso scegliere?-
-Imbecille.-
Jenny gli prese una mano.
-Torna ad allenarti, Salvatore.- lui fece spallucce, così lo
pressò -Ci vediamo dopo al bar.-
Si separarono davanti agli ingressi dei due campi. L’italiano
tornò dalla sua squadra, Jenny raggiunse le amiche. Un velo
di rossore le imporporava ancora gli zigomi.
-A che ora finiscono di allenarsi?- domandò tanto per dire
qualcosa.
-Non prima delle cinque. Giocheranno finché
c’è il sole.-
-Chi te li ha regalati? Gentile?- Evelyn le sollevò il
braccio finché i fiori non le sfiorarono il viso. Ne
aspirò il profumo -Che buono…-
Jenny le rispose con un sorriso. Pensasse quello che voleva, a lei non
interessava. Era stufa che Evelyn s’impicciasse della sua
vita. Allungò ad Amy una busta che conteneva i suoi vestiti
ripiegati e la guardò, piena di riconoscenza.
-Grazie, ieri mi hai salvata.- spostò il peso del corpo da
un piede all’altro -Adesso devo andare. Ci vediamo dopo.-
-Dov’è che vai?-
-A lavorare, sono in ritardo. A dopo.-
Philip, fermo a qualche metro dalla porta di Ed, la osservò
andar via. Warner distolse gli occhi dal compagno e li
spostò su Mark. Anche lui dal centro campo stava fissando
Jenny che si allontanava. Mentre si sistemava i guanti, si chiese se
prima o poi tutto quell’interesse per la stessa ragazza non
avrebbe portato guai seri all’intera squadra.
Come già aveva fatto al termine dell’allenamento
della mattina, Benji lasciò in fretta e furia gli spogliatoi
con i capelli ancora umidi, il cappellino attaccato al passante della
cinta dei jeans. Profumato di shampoo e di bagnodoccia,
varcò l’ingresso del bar e si diresse spedito
verso il bancone, per rifarsi della birra che per colpa delle stupide
riflessioni di Freddie e dell’arrivo improvviso di Gamo non
era riuscito a godersi prima di pranzo. Si arrampicò sullo
sgabello, sollevò gli occhi per ordinarla e si
ritrovò faccia a faccia con Jenny che gli sorrideva. La
fissò meravigliato.
-Che ci fai lì dietro?-
-Sto lavorando.-
-Davvero?-
-È solo per un paio d’ore, finisco quando ve ne
andate.-
-Come accidenti hai fatto a farti assumere?-
Jenny lo guardò, vagamente imbarazzata.
-Ci ha pensato Salvatore… Ma me la cavo bene… A
fare il caffè non ci vuole niente e, se ricordi, ho una
certa esperienza con i cocktail.- gli strizzò un occhio,
Benji rise e lei lo imitò. Poi tornò seria,
riacquistando un minimo di professionalità -Cosa prendi?-
-Una birra.- poggiò i gomiti sul ripiano e la
osservò meglio. Teneva i capelli legati in una coda e due
ciocche più corte le ricadevano ai lati del volto. Sui suoi
occhi c’era un’ombra di trucco e un velo di
rossetto le colorava le labbra. Il make-up di Jenny era sempre molto
discreto. Indossava una magliettina bianca con un nastro arricciato
dello stesso colore che le abbelliva una scollatura piuttosto profonda.
Quando si chinò sul lavandino, di fronte a lui, Benji
riuscì a scorgere l’ombra del reggiseno bianco.
Recuperata la birra, lei aprì la bottiglia e gli
riempì il bicchiere.
-Come mai da solo?-
Lui si guardò intorno.
-Cercavo Amy.-
-Amy? E perché?-
-Perché non mi parla.-
-L’hai fatta arrabbiare?-
Benji fece spallucce.
-Può darsi. Nicole è stata contenta di sapere che
stai bene.-
-Le hai detto che sono qui?-
-Non avrei dovuto farlo?-
-Certo che sì.-
-L’ansia di Patty che non ti trovava l’ha fatta
preoccupare.-
-Mi dispiace.- Jenny si guardò intorno e sperò
che qualcuno li raggiungesse presto. Benji era imprevedibile e
conversare con lui senza sapere dove sarebbero andati a parare la
metteva in agitazione. Erano troppe le cose di cui non voleva parlare.
Lui percepì il suo disagio.
-Di cosa hai paura? Che anch’io ti chieda perché
tu e Callaghan vi siete lasciati?-
Il timore le guizzò negli occhi e continuò a
tacere nervosa, mentre Benji sorseggiava la birra con evidente
godimento.
-So che non sono affari miei e ti assicuro che mi seccherebbe di
sentirmelo ribadire, da te o da Callaghan indifferentemente.-
Jenny fece per tirare un sospiro di sollievo, ma all’ultimo
si trattenne. Capì che non aveva finito. -Sai che sta
frequentando Julie Pilar?-
Lo sapeva, ma sentirselo spiattellare in faccia senza preavviso non le
fece piacere. Si sforzò di restare impassibile, anche se un
filo di angoscia l’attraversò tutta.
-Ho visto la foto su un giornale. Perché me lo dici?-
Benji alzò le spalle.
-Perché così non ti sentirai in colpa a
divertirti con Gentile. Anzi, fallo finché puoi.
Approfittane.-
Jenny appoggiò i gomiti sul bancone e si sporse verso di
lui, improvvisamente interessata.
-Perché?-
-E perché no?- Benji allungò una mano e le
passò dietro un orecchio una ciocca di capelli che le era
ricaduta sulla guancia -Non hai niente da invidiare a quella
fotomodella. Callaghan è un idiota.-
Il sorriso le sparì dalle labbra.
-Non giudicarlo, Benji. È stato un momento difficile per
tutti e due.- si morse la lingua quando si rese conto che lo aveva
appena difeso. Philip non meritava di essere difeso, non dopo come
l’aveva trattata.
Il portiere esitò solo un istante, poi annuì.
-Hai ragione.-
-Benji?-
Il portiere si irrigidì. Lasciò ricadere la mano
con cui le aveva sfiorato il viso e si portò il bicchiere
alle labbra. Neppure si volse, tanto aveva riconosciuto la voce. Holly
gli spuntò accanto insieme a Ross. Si sedettero lanciandogli
un’occhiata in tralice, poi Julian sorrise
all’amica.
-Lavori qui, Jenny?-
-Arrotondo. Anzi, devo dire che guadagno bene.- osservò
anche Holly -Cosa prendete?-
La risposta dei compagni le scivolò addosso senza lasciar
traccia. Non li sentì. Philip entrò nel bar
insieme a Mark e Tom. Parlavano, lui non l’aveva ancora
individuata e Jenny ebbe qualche istante per osservarlo. Teneva la
borsa su una spalla, aveva i capelli umidi per la doccia, indossava un
paio di jeans e la felpa della nazionale. Il suo viso era tirato di
stanchezza e forse di contrarietà. Quando spostò
gli occhi verso il bancone e i loro sguardi si sfiorarono, Jenny si
volse di scatto e prese dallo scaffale due bicchieri puliti. Si fece
ripetere le ordinazioni e servì i compagni.
Philip, preso atto della sua presenza, si sedette al tavolino
più lontano. Davanti a lui si apriva una grande vetrata che
si affacciava sui campi. La nazionale italiana si stava ancora
allenando. Tom lo seguì per non lasciarlo solo, Mark invece
decise di raggiungere Jenny al banco.
-Tra quanto finisci?-
-Appena ve ne andate.-
-Hai fatto la spesa?-
-No. Tu mangi con loro e io stasera ceno fuori.-
La scrutò indagatore.
-E con chi vai a cena? Con Gentile?-
-Con uno dei miei studenti. Mangiamo da Mc Donald’s in piazza
e gli correggo i compiti dell’università.-
Holly la guardò curioso.
-Cosa insegni?-
-Do lezioni private di giapponese ad uno studente universitario.-
Benji finì la birra e si alzò. Raggiunse Philip
al tavolo, lo guardò negli occhi e gli sorrise ironico.
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Un’altra sorpresa?- indicò con un cenno il banco
del bar.
Philip abbassò gli occhi stizzito.
-La vita è piena di sorprese.-
Il portiere gli scoppiò a ridere in faccia.
-Hai proprio ragione!-
*
Philip pensò che tutto sommato quella sera avrebbe fatto
meglio a non uscire. Il freddo era calato giù dai ghiacciai
delle Alpi e il vento soffiava forte, incanalandosi tra i palazzi.
Tirò su il colletto della giacca a vento e si
guardò intorno. C’erano parecchie persone in giro,
forse perché era sabato sera. Gruppi di ragazzi, coppie,
famiglie, come se l’intera città si fosse
riversata in strada. I bar e i ristoranti erano aperti e la gente
entrava e usciva senza sosta. Si accorse che Benji gli camminava
accanto solo quando parlò. E ciò che disse lo
fece sussultare.
-C’è Jenny.-
Philip si volse di scatto e si bloccò all’istante
quando la individuò al di là delle vetrine del Mc
Donald’s di Piazza Castello. Un Mc Donald’s che
già da solo, con quello stile barocco, pieno di stucchi e
dorature, attirava l’attenzione di chiunque non vi fosse mai
passato davanti. Jenny sedeva ai tavolini china su un libro e ascoltava
ciò che le stava dicendo il ragazzo che aveva di fronte.
Ogni tanto annuiva. Il giovane era girato di spalle e Philip non poteva
vederlo in faccia, ma riusciva a osservare bene Jenny, la sua
espressione concentrata, i capelli lunghi ordinatamente pettinati che
le ricadevano da un lato, una penna in mano a seguire il testo che
aveva davanti. Ad un certo punto alzò gli occhi verso il suo
studente e gli sorrise, mentre il suo sguardo si illuminava di
divertimento. Philip la fissò incantato perché
aveva dimenticato il calore di un sorriso che troppe volte era stato
per lui.
Un uomo lo urtò e si riscosse. Le persone continuavano a
passare, ripassare e incrociarsi sotto i portici e lui era rimasto
proprio in mezzo. Cercò i compagni tra la gente e non li
vide. Dovevano aver proseguito. La cosa non lo preoccupò,
anzi si sentì sollevato. Avrebbe potuto fare ciò
che voleva senza essere controllato, rimproverato o criticato. Si
spostò di lato e si appoggiò ad uno dei pilastri
dei portici, esattamente di fronte alla vetrata. Fuori era buio, Jenny
non avrebbe potuto scorgerlo neppure se lo avesse cercato,
consentendogli di restare a guardarla indisturbato. In fondo che male
c’era a starsene lì? Cosa c’era di
sbagliato se avesse passato qualche istante ad osservarla? Erano mesi
che non la vedeva, mesi lunghi come secoli.
S’infilò le mani in tasca e appoggiò la
schiena contro il muro per stare più comodo.
Sollevò un piede e si puntellò alla parete. Sotto
i portici il vento non entrava e il freddo era in qualche modo
sopportabile. E poi lui, al freddo, era abituato.
Continuava a fissare Jenny e più lo faceva, più
la vedeva diversa. Era come rifiorita. Ogni suo gesto, ogni sua
espressione gli sembrava differente da come l’aveva sempre
conosciuta, più decisa, più sicura di
sé, forse più affascinante. Fin dalla sera prima,
quando l’aveva vista nell’abito bianco, aveva
notato che qualcosa in lei era cambiato. Lo aveva capito meglio quel
pomeriggio al campo, quando era passata davanti a loro parlando al
cellulare, camminando con una sicurezza e una sensualità che
avevano giustificato gli sguardi e gli apprezzamenti degli amici. Non
riuscì ad evitare di confrontarla con Julie Pilar e
immediatamente si disse che preferiva mille volte Jenny. La
guardò per la prima volta come probabilmente la guardava
Gentile, vedendo ciò che aveva spinto David McFay verso di
lei. Scacciò il terribile ricordo e tornò ad
osservarla.
Quasi attirati dalla sua presenza invisibile, gli occhi della ragazza
si spostarono verso i vetri e fissarono la strada. Philip, celato
dall’ombra era così sicuro che non sarebbe
riuscita a vederlo che non si spostò né
cercò di nascondersi. Lo studente di Jenny
controllò l’orologio, poi prese il libro che lei
gli porgeva, lo infilò in uno zaino e si alzarono insieme.
Lei si avvolse in un’enorme sciarpa grigia appoggiata sulla
spalliera della sedia e si mise la borsa su una spalla. Lui
radunò i vassoi di entrambi e andò a svuotarli
nel cestino. Uscirono insieme dal Mc Donald’s rabbrividendo
di freddo al brusco e repentino cambio di temperatura. Il ragazzo la
salutò, attraversò in fretta la piazza e Jenny
rimase sotto i portici a guardarsi intorno, come indecisa su quale
direzione prendere. Poi si incamminò verso Philip, lo
superò senza notarlo e proseguì lungo la via.
Lui la seguì senza pensarci neppure un istante.
Costeggiarono Piazza Castello, attraversarono due incroci e mentre
cominciava a domandarsi se non fosse il caso di smettere di andarle
dietro, Jenny si fermò davanti a un bar e attese. Philip
rimase dall’altra parte della strada, chiedendosi cosa stesse
aspettando. Si rispose da solo quando vide Salvatore Gentile arrivarle
alle spalle, di soppiatto, allungare le braccia e stringerla a
sé. Jenny sobbalzò e le sfuggì un
grido terrorizzato, l’italiano rise divertito dello scherzo.
Nonostante le proteste, Gentile non la mollò. Continuando a
sorriderle si chinò su di lei e la baciò. Ma non
come l’aveva baciata quel pomeriggio al campo. Non quel bacio
veloce, di sfuggita. E neppure come l’aveva baciata alla
festa, sfiorando appena le sue labbra. Stavolta
l’attirò contro di sé, una mano sulla
nuca, tra le ciocche di capelli, e l’altra alla base della
schiena. A scioccare Philip fu la reazione di Jenny. Le sue braccia
circondarono il collo di Gentile, il suo corpo intero si
adattò a quello dell’italiano per ricambiare il
bacio. La risposta di lei gli fece male. Distolse gli occhi,
ciò che aveva visto poteva bastargli per tutta la vita. La
frustrazione, la gelosia e la stanchezza gli piombarono addosso tutte
insieme. Si guardò intorno cercando di orientarsi, per
ritrovare la fermata dell’autobus e tornare in hotel. Era
stato uno stupido a fermarsi davanti al Mc Donald’s. Avrebbe
dovuto proseguire insieme agli altri. Non stava più con
Jenny e quello che lei faceva (se lo ripeteva in continuazione) non
doveva assolutamente interessargli.
Mentre aspettava che il semaforo dei pedoni diventasse verde, non
riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi di nuovo. Non
li trovò più, Jenny e l’italiano erano
spariti chissà dove.
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Capitolo 10 *** Nono capitolo ***
Nono
capitolo
Benji mescolava l’ombra di zucchero con cui aveva addolcito
il caffè e ogni tanto lanciava occhiate pensierose ad Amy al
tavolo accanto, seduta a fare colazione vicino a Ross. Erano in Italia
da tre giorni e lei da tre giorni lo evitava. Non gli aveva mai rivolto
la parola, neppure una volta, e aveva fatto bene attenzione a non
restargli mai troppo vicino, soprattutto da sola. A Benji del suo
comportamento non sarebbe fregato molto se non si fosse accorto che
Julian ne gongolava. Se li sentiva addosso, gli occhi di Ross, ogni
tanto incrociava il suo sguardo e quando succedeva le labbra di
quell’imbecille si incurvavano in un sorrisetto. Era chiaro
che il fatto che Amy lo evitasse lo faceva godere immensamente. Benji
non lo sopportava più. Doveva chiarire al più
presto con Amy ciò che c’era da chiarire e
togliere dalla faccia di quel demente il suo sorrisetto di scherno.
Essere costretto a trascorrere la maggior parte del tempo insieme a
Ross, in campo o negli spogliatoi, non lo aiutava
nell’impresa. Quando poteva finalmente sganciarsi da lui e
dal resto della squadra, quello si incollava alla fidanzata. Il che gli
rendeva impossibile avvicinarsi alla ragazza.
Un’altra cosa che lo innervosiva dell’atteggiamento
di Amy, era che a lei sembrava andar bene il fatto di evitarlo. Si
mostrava offesa come una bambinetta viziata e non gli dava la
possibilità di chiarire. Tutto ciò era
profondamente ridicolo. Non ricordava molto delle parole che le aveva
rivolto la sera della telefonata e poteva starci che non
l’avesse trattata granché bene. Ma di chi era la
colpa? Chi le aveva chiesto di chiamarlo? Certo non lui. E Amy aveva
scelto il momento più sbagliato per farsi sentire, era stata
di un tempismo del cavolo. Possibile che non lo capisse? Eppure le
studiava, quelle cose! Era fin troppo evidente che lo faceva con scarso
profitto, porca miseria.
-Se Benji ci degnasse della sua attenzione, magari potremmo deciderlo
insieme.- le parole di Holly vennero seguite da un calcio in uno stinco
che lo fece sobbalzare.
Il caffè quasi traboccò dalla tazzina.
-La smetti di guardare Amy? Che accidenti vuoi da lei?-
-Cosa?- Benji non riuscì a capacitarsi di tanta arguzia
-Amy? Non sto guardando Amy!-
Ma Holly ci vedeva bene e ne approfittò per schernirlo.
-Allora ti sei invaghito di Julian. Comunque… Vuoi andarci
tu?-
-Dove?-
-Alla conferenza stampa.-
-Non ci tengo per niente.- un’idea
l’illuminò -Mandaci Ross. A lui piace farsi bello
davanti ai giornalisti, lo fa da secoli…- e avrebbe mollato
Amy da sola per qualche ora, dandogli
l’opportunità di avvicinarla. Le lanciò
un’occhiata distratta. Gli dava le spalle e non riusciva a
guardarla in faccia. L’unica cosa che vedeva di lei era la
curva della sua schiena e la nuca, lasciata scoperta dai capelli che
aveva tirato su in una coda. Un colpo sul piede lo riportò
in sé. Holly lo guardava sospettoso. Lasciò
perdere Amy, tanto era deciso a risolvere il problema appena possibile.
Anzi, addirittura quel giorno.
Jenny non seppe di preciso come e perché Mark
riuscì a convincerla ad accompagnarlo fino al campo. Forse
furono i suoi seducenti pettorali strizzati dalla maglietta bianca che
si fecero strada in cucina quando scese a fare colazione, o forse il
desiderio di vedere le amiche, o forse… Non volle pensarci,
non le interessava trovare una spiegazione. Ormai era lì,
insieme a Mark stava attraversando a piedi il parcheggio del centro
sportivo fino all’ingresso, e non le restava che raggiungere
le amiche.
-Copriti.-
L’ordine secco e improvviso la colse alla sprovvista.
Alzò gli occhi su di lui. Mark puntava verso i giornalisti,
accalcati intorno alla recinzione. Per raggiungere il cancello
avrebbero dovuto oltrepassarli. Lo vide infilare una mano nella borsa
che teneva su una spalla, tirarne fuori un cappellino e calcarsi la
visiera sugli occhi.
Jenny capì l’antifona e si tirò sul
viso la sciarpa che le avvolgeva il collo, lasciando fuori soltanto gli
occhi. Per star dietro a Mark, che aveva accelerato il passo, fu
costretta quasi a correre. Varcarono di filato l’ingresso dei
campi. Qualche fotografo scattò, qualche altro
provò a fermarli, ma tutto sommato se la cavarono. Anche
perché la maggior parte dei reporter e dei fan era
lì per la nazionale italiana.
In piedi a bordo campo Gamo percorreva pensieroso su e giù
la linea bianca, le mani ficcate nelle tasche della giacca, in attesa
che i ragazzi finissero di cambiarsi. Si fermò quando li
vide avvicinarsi, imbacuccati e quasi irriconoscibili. Il suo solito
cipiglio corrucciato si trasformò in
un’espressione canzonatoria.
-Cos’è? Avete svaligiato una banca?-
La sua ironia li lasciò interdetti. Si scambiarono
un’occhiata incerta, colti alla sprovvista da un umorismo che
non si aspettavano. Mark non seppe cosa rispondere, al suo fianco Jenny
scoppiò a ridere.
-Ci abbiamo provato ma è andata male.-
Gamo rimase serio, tuttavia stette allo scherzo.
-Peccato.-
Mark non gradì né la battuta del mister,
né la reazione dell’amica. Si tolse il cappellino
e sibilò un “Buongiorno” tra i denti
serrati. L’ironia di Gamo di prima mattina era dura da mandar
giù. Avrebbe voluto sparire ma esitò davanti al
campo deserto. I compagni erano in hotel a rimpinzarsi col buffet della
colazione oppure già a cambiarsi?
-Landers, che stai facendo piantato lì? Fila negli
spogliatoi!-
Il ragazzo soffocò un ringhio e i suoi occhi lampeggiarono
su Jenny, fulminando il suo divertimento con un’occhiata
carica d’astio. Ecco che con quella risposta assurda lei lo
aveva già innervosito. Era un’incosciente. Non
capiva che se avesse messo Gamo di malumore, quello se la sarebbe presa
con loro facendoli sputare sangue?
-Hai sentito quello che ho detto? Vai a cambiarti!-
Innervosito dal rimprovero, il ragazzo raggiunse di corsa gli
spogliatoi. Spalancò la porta e
s’infilò dentro.
-Alla buonora, Landers!- lo accolse Clifford -Come mai in ritardo? Sei
rimasto incollato al pigiama di Jenny e non riuscivi più a
staccarti?-
Le chiacchiere si spensero di colpo e gli sguardi dei compagni si
spostarono su di lui. Mark avanzò a testa alta, rigido come
un palo. Puntò Clifford e gli gettò la borsa
sportiva sui piedi.
-Non so se mandarti affanculo o prenderti direttamente a schiaffi. Tu
che preferisci?-
-Ma smettila idiota!- lo mise a tacere Julian distrattamente, troppo
preso ad osservare Benji di sottecchi per preoccuparsi dei battibecchi
dei compagni. Aveva notato che durante la colazione non aveva fatto
altro che lanciare occhiate ad Amy. Che accidenti aveva da guardare?
Che voleva? Che gli prendesse un colpo una volta per tutte, maledetto
lui. Mentre si sfilava le scarpe, sentì il cellulare
vibrargli nella tasca dei jeans. Lo riesumò contorcendosi un
po’ e lesse il messaggio della fidanzata: “Andiamo
a fare un giro con Jenny, ci vediamo a pranzo.” Ecco
sì, era meglio che Amy si togliesse di torno per un
po’ così Price avrebbe smesso di guardarla.
*
Davanti casa di Mark, Jenny porse la spesa ad Evelyn e frugò
nella borsa in cerca delle chiavi. Aprì la porta e
precedette le amiche nell’ingresso. La luce era accesa,
Malaya era nel salotto e stava passando l’aspirapolvere. La
signora filippina, che due volte alla settimana ripuliva casa da cima a
fondo, non si accorse del loro arrivo e continuò
indisturbata a girare intorno al divano. -Avete la donna di servizio?-
domandò Amy.
-Ce l’ha Mark. Gli ho detto che avrei potuto pensarci io ma
lui mi ha risposto che non voleva lasciarla senza lavoro. Tanto
più che dovrà richiamarla quando io
tornerò a casa.-
Evelyn la scrutò, piena di interesse.
-E quando avresti intenzione di tornare in Giappone?-
-Be’, ecco…- Jenny le tolse la busta e la
poggiò a terra -Non ho ancora deciso.-
Malaya si volse, le vide e spense subito l’aspirapolvere.
-Già di ritorno?- lanciò un’occhiata al
salotto ancora sottosopra -Finisco qui e vado via.-
-Può fare con calma. Siamo passate soltanto a posare la
spesa.-
-E per andare in bagno.- fremette Evelyn che aveva una certa urgenza.
Jenny le accompagnò su per le scale e indicò una
porta.
-Quello è il bagno. Vado a mettere a posto la spesa e vi
aspetto giù.-
Mentre Evelyn si chiudeva dentro, Amy rimase pazientemente nel
corridoio ad attendere il suo turno. Patty, non sapendo come ammazzare
il tempo, si affacciò curiosa in camera di Mark.
-Caspita! Non me lo immaginavo così ordinato!-
Amy la raggiunse. Il letto era perfettamente rifatto. Una maglietta e
un paio di pantaloni erano ripiegati sulla coperta. Negli scaffali le
riviste e i libri erano ben allineati e sul tavolo tutto era
meticolosamente in ordine.
-Tieni presente che è appena passata la donna delle
pulizie.-
Patty scoppiò a ridere.
-Hai ragione! Non ci avevo pensato! Vogliamo dare un’occhiata
anche alla stanza di Jenny?-
-Perché no?-
La camera dell’amica, dalle pareti color verde mela, era
invasa dalla luce del giorno. I raggi del sole battevano sui vetri,
filtravano attraverso le tende bianche, si allungavano sul letto
matrimoniale in legno scuro e si adagiavano su una miriade di cuscini
verdi e fiorati di tante forme e misure. Nell’angolo tra il
letto e la finestra c’era un tavolino che faceva da comodino
e da scrivania. Sul ripiano, un vaso di vetro verde dal collo sottile
conteneva una pianta strana, tre rametti costellati di foglioline
tonde. Un lap-top bianco occupava quasi tutto il tavolo e sulla destra,
accanto al mouse, era rimasto aperto un blocco notes azzurro e una
matita lasciata di traverso sui fogli. Lungo la parete erano allineati
un portapenne, dei soprammobili, un portaoggetti che conteneva dei
biglietti dell’autobus e quelli di vari locali. Sotto il
tavolo c’era uno sgabello in legno decorato da un cuscino in
patchwork e un cestino di vimini per la carta. Ai piedi del letto era
appoggiata una cassapanca, su cui Jenny aveva lasciato una sciarpa
bianca e alcuni libri. Sulla parete opposta al letto erano appese due
mensole con alcune foto appoggiate così, senza cornice, che
sovrastavano un mobiletto bianco con un cassetto e lo spazio per
ospitare due grandi contenitori di vimini che contenevano altri
indumenti gettati un po’ alla rinfusa. Sempre su quel lato
della stanza era disposta una poltrona con due cuscini.
Sull’ultima parete, quella della porta, un armadio marrone
scuro a quattro ante conteneva tutti i vestiti di Jenny.
Amy entrò dietro Patty guardandosi intorno. Posò
gli occhi su ogni particolare, chiedendosi come l’amica
avesse adattato a sé quell’ambiente, come lo
avesse fatto suo. Si avvicinò alle mensole,
guardò le foto. Una la raffigurava da sola in un giardino
pieno di fiori. In un’altra era insieme a Mark, Gentile e
Rob, le Alpi innevate sullo sfondo. Jenny era tra Salvatore, che le
teneva un braccio sulle spalle, e Aoi. Mark si teneva scostato e
scontento, le braccia incrociate al petto e la sciarpa stretta intorno
al collo. Amy sfiorò le foto con la punta delle dita.
-Jenny si sta ricostruendo.-
Patty si volse.
-In che senso?-
-Si sta ricostruendo una vita, dei ricordi…- si
chinò per leggere i titoli dei libri infilati nel mobiletto.
La maggior parte erano delle guide turistiche, forse i posti che aveva
visitato insieme a Gentile, o insieme a Mark, o magari da sola.
Patty girò intorno al letto e si sedette sullo sgabello del
tavolinetto, dandosi un’occhiata attraverso lo specchio tondo
appeso alla parete. Si sistemò i capelli e
osservò curiosa gli oggetti posati sul ripiano.
Amy la sentì smuovere qualcosa, rimise a posto un libro e si
volse.
-Cosa fai?-
-Cerco le tracce.-
-Le tracce di cosa?-
-Di Philip.- sfogliò rapidamente il quaderno e lo rimise al
suo posto. Poi aprì uno dei due cassetti e si
chinò per sbirciare dentro.
-Patty, che fai? Non frugare tra le sue cose…-
-Lo faccio a fin di bene.- a parte un’agendina che conteneva
qualche appunto, non trovò niente di interessante.
Aprì il secondo cassetto, quello a sinistra. Tirò
fuori un ritaglio di giornale accuratamente ripiegato e tenuto chiuso
da un fermaglio. Lo sfilò e lo aprì. Trattenne il
respiro trovandosi davanti la foto di Philip e Julie Pilar che si
baciavano. La sollevò verso Amy.
-Guarda!-
-Poi dite a me che sono curiosa!- rise Evelyn dalla soglia, facendole
sobbalzare.
Patty agitò insistente il ritaglio e le due si accostarono.
-E quindi anche Jenny l’ha vista.-
-A quanto pare…-
-Ecco perché è così fredda con Philip.-
-Non che lui sia particolarmente espansivo, Eve.-
Patty rimise a posto la foto e infilò la mano fino in fondo
al cassetto. Amy si guardò nervosamente alle spalle.
-Smettila di frugare, se Jenny ci scopre si arrabbierà.-
Lei non le diede retta, era troppo importante capirci qualcosa. Odiava
vederli così.
-Dobbiamo darci da fare per farli tornare insieme, Amy.-
agitò le dita e urtò un oggetto piccolo,
tondeggiante, vellutato e duro. Lo afferrò nel palmo della
mano e lo tirò fuori -Bingo! Guardate un po’ che
c’è qui!- fece scattare la chiusura della
scatolina blu e l’anello di Philip apparve, luccicando alla
luce del sole.
Amy si lasciò sfuggire un gemito, che cercò di
soffocare coprendosi subito la bocca con una mano.
-Lo ha portato con sé?!-
-Un ottimo segno, mi pare.-
-Sì, ma non ci sarà d’aiuto.-
-Forse dovrebbe vederlo Philip.- tentò Evelyn.
-E come? Non possiamo prenderlo.-
-Ma possiamo dirglielo, Patty!-
Amy si intromise.
-No, aspettate… Non possiamo dire niente. Non sappiamo come
sono andate le cose tra loro. E se peggiorassimo la situazione?-
-Amy! Patty?!-
La voce di Jenny le fece sobbalzare. Patty si affrettò a
richiudere la scatolina e a rimetterla dove l’aveva trovata.
Si alzò e uscì, ficcandosi in bagno. Amy rimase
ad aspettare il suo turno ed Evelyn scese. Attraversando il corridoio
lanciò un’occhiata nel salotto. Non
c’era traccia della colf. Entrò in cucina.
-Se n’è andata?-
-Sì. Laverà i pavimenti la prossima volta. Vuoi
bere qualcosa?- indicò quattro bicchieri e una confezione di
succo ai frutti tropicali che aveva messo sul tavolo.
Evelyn annuì e Jenny le riempì il bicchiere.
-Com’è vivere con Mark?-
-Be’… Non saprei...-
-Dai che lo sai benissimo.- la occhieggiò con un interesse
sconfinato che spinse Jenny, per una volta, a sbottonarsi un
po’.
-Per esempio è molto sexy quando esce dalla doccia e gira
per casa mezzo nudo.- sorrise spostando gli occhi su Patty che entrava.
-Lo immagino proprio. Ne abbiamo già avuto un assaggio un
paio di anni fa alle terme del ryokan.
È stato uno spettacolo mica male, ricordi? -
Jenny lo ricordava benissimo, praticamente le era rimasto impresso a
fuoco nella memoria. Così annuì, mentre Evelyn
continuava.
-Avresti dovuto fargli qualche foto, quando se ne andava in giro
svestito.-
-Perché?-
-Per me. Ti avrei dato la metà di quello che ci avrei
guadagnato.-
-Possiamo ancora metterci d’accordo. Mark non chiude a chiave
la porta quando fa la doccia, quindi…-
-Oh, davvero… Non vorrete mica…- Amy, appena
arrivata, le fissò prima una, poi l’altra,
inciampando nelle parole mentre esternava il proprio imbarazzo -Davvero
non…-
Evelyn la sgomitò con un sorrisetto malizioso.
-Fai la pudica ma saresti la prima ad acquistare la rivista. Alla
faccia di Julian!-
L’altra scosse la testa, incapace persino di accettare il
fatto che probabilmente Evelyn aveva ragione. L’avrebbe
comprata davvero, la rivista che conteneva le foto di Mark nudo? O no?
Oddio, non lo sapeva… Mentre mandava giù del
succo di frutta, si chiese se non fosse il caso di metterlo in guardia
per evitargli brutte sorprese.
Meno di un’ora dopo erano di nuovo nel centro di Torino.
Jenny aveva imboccato un lungo viale porticato che era sbucato ad
esedra in un’immensa, enorme piazza cinta da palazzi eleganti
e signorili color bianco e crema e costeggiata da larghi marciapiedi
porticati. In fondo alla piazza un ponte attraversava il Po. Oltre il
fiume, tra alberi e palazzi, in cima ad una scalinata sorgeva una
chiesa neoclassica a pianta circolare, preceduta da una facciata
colonnata simile ad un tempio greco e sovrastata da una cupola
perfettamente concava. Alle spalle della chiesa si scorgevano le
colline di Torino, costellate di ville signorili e di alberi.
Jenny si fermò a metà della piazza e
lasciò le amiche ad aspettarla sotto i portici, tra un
pilastro e l’altro. Tenendo una cartellina stretta al petto
entrò da sola in un’agenzia turistica. Il piccolo
esercizio commerciale dotato di una vetrina e una porta era incastrato
tra un bar e un negozio di scarpe di lusso.
Amy tirò fuori la macchinetta fotografica dalla borsetta e
scattò alcune foto alla bellissima piazza. La sua
vastità le dava una sensazione di libertà
assoluta.
-Raggiungiamo il ponte?- propose Evelyn che si era già
incamminata.
-No, aspettiamo Jenny.-
Il fiume non era proprio a due passi e se si fossero allontanate,
l’amica non le avrebbe ritrovate. Evelyn si
rassegnò subito. Tornò fino alla vetrina e
sbirciò dentro.
-Quanto ci mette? È già mezzogiorno…-
Dietro ai depliant appiccicati al vetro scorse Jenny, in piedi. Tra il
viaggio di Pasqua a Praga e il ponte del primo maggio a Parigi, vide un
uomo di mezza età che sfogliava la cartellina con cui
l’amica era entrata. Sperò che si sbrigasse.
Tirò fuori il cellulare dalla borsetta e si mise a scattare
foto a destra e a manca, quasi a casaccio.
-Stai diventando una maniaca, fotografi tutto.- la
rimproverò Patty che non ci teneva a finire sulla sua
traiettoria. Anzi, in genere la evitava accuratamente.
-Ne faccio tante perché spero un giorno di trovarci qualche
presenza paranormale. Sai quegli spettri che compaiono
all’improvviso nelle foto della gente? Quando meno te lo
aspetti, zack, becchi il fantasma che si è avvicinato mentre
eri in posa e adesso ti sorride da sopra la spalla.-
-Tu sei matta Eve…- Amy rabbrividì -Se mi
succedesse qualcosa del genere potrei morire.- si affrettò a
cambiare discorso -Piuttosto vorrei andare a Parigi…-
-Anch’io.-
-Tu dovresti farlo davvero, Patty, visto che sei così
vicina! E neppure questo mi dispiacerebbe. Che
cos’è?-
-Penso sia l’arena di Madrid, ma non ne sono sicura
perché non l’ho ancora vista.-
-E che ne dici di Londra?-
-Magari…-
Evelyn sorrise, non le avrebbe fatto per niente schifo visitare una
bella porzione di Europa. Il suo lavoro e quello di Bruce glielo
consentivano, allora perché non approfittarne un
po’ di più? Lasciò perdere le amiche e
i depliant e tornò ad osservare Jenny. Perché ci
metteva così tanto? Si era stufata di aspettare.
Smanettò ancora con il cellulare e per ammazzare il tempo
fotografò la foto che rappresentava la porta di Brandeburgo.
Forse poteva mandarla ai suoi facendo credere loro di averla visitata.
-Questa cos’è?-
Patty lesse il volantino.
-Berlino.- sgomitò Amy -Sono sicura che Benji ti inviterebbe
volentieri a fare un giro in Germania!-
-Ma se neppure ci parliamo!-
Evelyn alzò gli occhi dal display. In effetti aveva notato
da un bel pezzo che quei due si evitavano tanto quanto Jenny e Philip.
-E perché non vi parlate?-
Amy distolse gli occhi da lei e li posò al di là
della vetrina, sulla schiena di Jenny. La ragazza aveva voltato le
spalle all’uomo e stava tornando verso di loro. Il suo arrivo
le risparmiò una risposta.
-Come mai ci hai messo tanto?-
-Veramente ho fatto prestissimo. Così presto che devo
tornare.-
-Cos’è che gli hai dato?-
-Delle traduzioni. Ho tradotto dall’inglese al giapponese la
guida del Museo Egizio.-
-E che devi tornare a fare?-
-Deve pagarmi. Andiamo.- si affrettò sotto i
portici, il cellulare che teneva in borsa squillava.
Era Salvatore, bello pimpante.
“Ciao amore, sto andando al campo.”
-Non è tardi?-
“Mi sono svegliato poco fa. Ti passo a prendere a
casa?”
-Non sono a casa. Sono in centro, in piazza Vittorio.-
“Ti passo a prendere lo stesso. Aspettami al solito
posto.”
Jenny ripose il cellulare nella borsa e si volse verso le amiche.
-Abbiamo guadagnato un passaggio. Salvatore ci riporta al campo.-
L’alfa romeo rossa di Gentile comparve poco dopo e si
fermò a un lato della piazza. Jenny aprì lo
sportello del passeggero e chinò la testa per lanciare
un’occhiata al ragazzo.
-Non sono sola.-
Lui le sorrise e le strizzò un occhio.
-Me ne sono accorto. Salite!- quando furono tutte in macchina,
ingranò la prima e partì.
-È la prima volta che riesco a vederlo così da
vicino.- Evelyn si agitò sul sedile. Prima si sporse in
avanti, poi di lato, verso Amy e riuscì a scorgerne il
profilo -Porca miseria quant’è bello! I suoi
genitori hanno fatto un capolavoro: ovulo e spermatozoo deluxe! Deve
essere una bella soddisfazione!-
-Eve…- cercò di metterla a tacere Patty.
-Eve cosa? Tu non ce l’hai una voglia matta di toccarlo?
Beata te Jenny che puoi farlo quando vuoi. Spettinargli i capelli, per
esempio, o affondare le unghie nei suoi avambracci muscolosi.
Accarezzargli la schiena, ficcargli la lingua in bocca o…-
-Smettila Eve.- sussurrò Amy secca, infilandole un gomito in
un fianco.
Non servì a niente, lei continuò. Quel
chiacchiericcio così ispirato incuriosì
Salvatore, che lanciò un’occhiata curiosa ad
Evelyn attraverso lo specchietto.
-Che sta dicendo la tua amica?-
Jenny si agitò a disagio sul sedile.
-Delira. Non far caso a lei.-
La giovane si sporse tra i poggiatesta.
-Jenny, potresti dirgli che vorrei saltargli addosso? Giuro che non mi
offendo.-
Patty cercò di riportarla a più miti pensieri.
-Smettila dai, ci stai mettendo in imbarazzo.-
-E perché? Lui non capisce… purtroppo! Sai Jenny,
ora che hai messo le mani su un così bel pezzo di ragazzo
potrei darti dei consigli fantastici. Se non sai bene cosa farci, io ho
un sacco di idee.-
-Evelyn, sei incorreggibile.- Jenny si portò una mano alle
guance, se le sentiva in fiamme.
-Ho la netta sensazione che non sei ancora riuscita a tirar fuori il
meglio di lui.-
-Per favore, Eve…-
-Davvero Jenny, se mi ci metto posso diventare un pozzo di consigli.
Però ricordati che a me piacciono i dettagli, soprattutto
quelli un filo perversi.- s’illuminò
all’improvviso -Benji ieri mi ha detto che Gentile ha dei
gusti particolari, in fatto di sesso…- abbassò la
voce -È vero che non vuole che indossi le mutandine quando
sei a spasso con lui?-
Jenny sbiancò.
-Ti giuro che le ho!-
-Sicura?-
-Benji ti ha presa in giro.- Amy d’un tratto divenne ansiosa
di arrivare. E se Gentile avesse capito? O almeno avesse intuito dal
tono, da una parola, ciò di cui stavano parlando? Si sarebbe
sotterrata, che vergogna!
Holly afferrò l’asciugamano che gli porgeva Tom e
se lo passò furente sul viso. Si allontanò
dall’assembramento intorno alle panchine e si
lasciò cadere sull’erba più in
là, gli occhi su Philip che, assetato, si stava scolando in
solitudine mezzo litro d’acqua. Non c’era niente da
fare, per quanto lo stimolasse, sembrava totalmente incapace di gestire
la squadra. Come se non bastasse non si impegnava neppure in campo e
questo lo mandava su tutte le furie.
Tom si avvicinò e gli si sedette accanto.
-Io Philip lo vedo sempre peggio. E tu?-
-Io vorrei non vederlo più. Quando avete fatto il ritiro a
Yokohama era già così?-
-Più o meno.-
-Se potessi lo prenderei a schiaffi.-
-Puoi farlo se vuoi. Basta che non ti fai beccare da Gamo o da
Marshall. Di sicuro qualcuno che ti dà una mano lo
trovi… Prendi Mark, per esempio. Ogni volta che lo guarda
sbuffa.-
-Sto parlando sul serio.-
-Anch’io.-
Holly sospirò.
-Non riesco a capirlo.- si portò alle labbra la bottiglietta
d’acqua e dopo averne mandata giù una buona
sorsata, proseguì -Cioè, capisco che gli dia
fastidio vedere Jenny con Gentile. Ma non può essere
soltanto quello. Il Philip che conoscevo avrebbe reagito in un altro
modo, non così. Non lasciando perdere tutto. Philip
è testardo e ostinato e si accanisce sulle cose che non gli
riescono. Non rinuncia mai senza aver dato il massimo. Adesso invece
pare che non gli importi niente di niente.-
-Hai ragione.- convenne Benji che si era avvicinato per ascoltare
-è seccante vedere come si piange addosso.-
-Non è che proprio si pianga addosso.-
-Inutile che lo difendi, Tom.-
-Non lo sto difendendo! E non si piange addosso. Non si lamenta e non
rompe le scatole a differenza di tanti. E a parte la parentesi di ieri
con Bruce…-
-Non cambierebbe nulla se non ci fosse. Che ve lo siete portato a fare?
Potevate lasciarlo in Siberia.-
Holly e Tom si scambiarono un’occhiata.
-Ce l’hai con lui, Benji?-
-Non più di quanto ce l’abbiate voi con lui per
come non sta guidando la squadra e per come non sta giocando.- Price si
tolse il cappellino e tenendo la visiera tra le dita di una mano, si
accucciò davanti a loro, i gomiti sulle ginocchia -Date
retta a me. Se non si dà una svegliata non
riuscirà a riprendersi Jenny.-
-Chi ti dice che ha intenzione di farlo?-
-Darsi una svegliata o riprendersi l’ex ragazza?-
Tom accennò un sorriso.
-Entrambe, direi.-
Lui gli rispose per metà divertito.
-Chi non vorrebbe una ragazza come Jenny? Alla festa l’altra
sera era davvero uno schianto, non vi pare?-
Rise e si tirò su, lasciando i due amici a guardarsi stupiti
e sospettosi. Lo videro rinfilarsi il cappellino, avvicinarsi a Philip
e dirgli qualcosa. Non udirono le parole ma videro l’altro
annuire.
Poi Gamo fischiò, era ora della solita partita di
allenamento che veniva dopo gli esercizi. La partita era obiettivamente
il momento che tutti i ragazzi preferivano per cui si affrettarono a
tornare in campo.
-Dobbiamo tenerlo d’occhio.- decise Holly mettendosi in piedi.
-Chi dei due?-
-Entrambi.-
Le ragazze comparvero al centro sportivo una mezz’ora
più tardi. Jenny scese dalla macchina per ultima, e per
ultima si avviò verso i campi. Gentile la lasciò
andare con le amiche, promettendole che avrebbe fatto un salto dalla
squadra italiana e dopo l’avrebbe portata a pranzo in un
ristorante in cui non era mai stata, da dove si vedeva il panorama di
tutta Torino. Jenny fu più allettata dalla notizia che se ne
sarebbero andati in fretta da lì che dal locale che lui le
prometteva. Non aveva nessuna voglia di incontrare Philip e non
riusciva a spiegarsi perché ogni giorno finisse per
ritrovarsi al campo anche negli orari in cui non era di turno al bar.
Sospirò, raggiunse Evelyn e la prese per un braccio.
-Che altro ti ha detto ieri Benji?-
Gli occhi dell’amica sfavillarono.
-Su Gentile, intendi?-
Jenny annuì.
-Un sacco di cose interessanti.-
-E queste cose interessanti…- che avrebbe evitato volentieri
di conoscere -Le ha dette solo a te?-
Evelyn la scrutò.
-Se vuoi sapere se le ha sentite anche Philip, non hai bisogno di fare
tanti giri di parole. Puoi chiedermelo chiaro e tondo.-
Jenny si morse nervosamente il labbro inferiore. Parlare con Evelyn era
snervante. Incrociò lo sguardo di Amy che stava tornando
verso di loro.
-Jenny non ti devi preoccupare.- Amy le sorrise -Benji l’ha
presa in giro ed Evelyn, ingenua com’è,
c’è cascata con tutte le scarpe.-
-Ingenua io? Scherzi, Amy? Ti assicuro che io di ingenuo non ho proprio
niente.- si volse verso Jenny e i suoi occhi lampeggiarono. In un
secondo annullò la distanza che la separava da lei. Le fu
addosso, le infilò le mani all’interno del
cappotto sbottonato e gliele piazzò sui fianchi, facendosi
largo con le dita attraverso le pieghe del maglione e quelle della
gonna, fino a incontrare la pelle nuda. Jenny saltò indietro
ma non riuscì a liberarsi dell’amica. Si
sentì palpare sulle natiche, la sentì afferrare
l’elastico degli slip e tirarlo. Profondamente indignata le
puntò le mani sulle spalle e la spinse indietro, le guance
in fiamme.
-Eve! Che accidenti fai?-
-Non scaldarti Jenny, stavo solo controllando se Benji mi ha presa in
giro o no.-
-Come ti permetti?- si strinse addosso il cappotto, gli occhi
brillavano di indignazione -Ti avevo già risposto in
macchina!-
Evelyn fece spallucce.
-Pensavo che ti vergognassi ad ammetterlo!-
Jenny soffocò un’imprecazione. Ci mancava solo la
curiosità di Evelyn a rovinarle la giornata.
Voltò loro le spalle stizzita e si allontanò
verso il campo degli italiani. Non vedeva l’ora che Gentile
tornasse e la portasse via. Si abbottonò il cappotto fino al
mento, rabbrividendo alla sensazione delle mani di Evelyn che la
palpavano ovunque. Sentì le amiche parlare alle sue spalle,
forse di lei, ma non le importò. Respirò a fondo,
cercando di reprimere la collera.
Amy le lanciò un’occhiata affranta. Poi si
accostò ad Evelyn, che si era seduta in panchina come se
niente fosse. Ora che la sua curiosità era stata
soddisfatta, aveva perso completamente interesse per Jenny e
giocherellava col cellulare osservando le foto scattate quel giorno,
forse in cerca del fantasma.
-Eve, perché la infastidisci?-
-Io non la infastidisco.-
-L’hai appena fatto. Lasciala in pace.-
-Ero curiosa.-
Patty si avvicinò.
-Se non avesse avuto le mutandine avresti scritto un articolo sui gusti
erotici di Gentile?-
Evelyn sollevò il viso di scatto.
-Certo che no!-
-E allora?-
-Ve l’ho detto! Era solo curiosità!- fece
spallucce e tornò ad abbassare gli occhi sul display.
Amy si sedette accanto a lei.
-Cosa stai guardando?-
-Le foto che ho fatto all’agenzia.-
-Hai fatto delle foto all’agenzia? E cosa accidenti
c’era da fotografare?-
-Jenny mentre era dentro e voi guardavate le offerte per le vacanze.-
le allungò il telefonino -Non ti sembra che questo tizio le
stia un po’ troppo addosso?-
Patty vide Amy irrigidirsi di fastidio.
-Eve per favore, adesso non metterti pure ad inventare storie che non
esistono!-
-Ma guarda!- insistette lei.
Anche Patty si rifiutò di farlo.
-Evita Jenny, per favore. La sua situazione mi pare abbastanza
incasinata senza che ti ci metta anche tu a mescolarla ancora.-
-Vuoi vedere, almeno?- era di nuovo partita per la sua strada.
-No, non mi interessa.-
-Bene!- rigirandosi il cellulare tra le mani, si alzò e
raggiunse Jenny.
-Cosa le abbiamo appena detto?- Amy la guardò, poi
puntò su Patty uno sguardo incredulo -Vai a fermarla.-
-E come? Non ha mica un interruttore, che posso spegnerlo.-
respirò a fondo per calmarsi, cercando di reprimere il
fastidio. Conosceva Evelyn da anni e sapeva come arginare la sua
curiosità quando assillava lei. Ma Jenny no, Jenny non
sapeva che per farla contenta bastava darle spago per un po’
fino a che non si stancava. Ormai aveva capito da tempo che Jenny non
era in grado di gestire Evelyn ed Evelyn non aveva idea di come
prendere Jenny. QEra ormai certo che quel giorno avrebbero finito col
litigare.
Sotto gli occhi sgomenti di Amy e di Patty, la ragazza raggiunse Jenny
e la squadrò dall’alto in basso.
-Quell’uomo all’agenzia non ti stava un
po’ troppo vicino?-
L’amica si volse e la fissò sgomenta.
-Che stai dicendo?!-
-Che fa? Ci prova?-
-No!-
-A me pare di sì!-
-Mi stava chiedendo dei chiarimenti sulla traduzione!-
-Così vicino?- Evelyn si fece scorrere le foto sotto gli
occhi, ne scelse una e gliela piazzò davanti -Guarda!-
L’altra trasecolò.
-Mi hai fotografata? Eve! Chi ti ha dato il permesso?-
-Io fotografo chi mi pare!-
-Non me!- cercò di toglierle il cellulare per cancellare le
foto ma Evelyn non glielo permise -Ammettilo! Quello ci stava provando!-
-Non ammetto proprio niente! Tu hai le visioni!-
-Anche il mio cellulare le ha?-
-Insomma la smettete?-
Patty le aveva raggiunte, Amy si mise fisicamente tra loro.
-Io?-
-Sì, Jenny. Anche tu. La smettete di discutere?-
-Che accidenti vi prende?-
-Evelyn mi palpeggia, mi fotografa! Si inventa le cose!
Perché date la colpa a me?-
-Non ti stiamo dando nessuna colpa, vi stiamo dicendo solo di
smetterla.-
Ad Evelyn sfuggì una risatina ironica.
-Se torni da quel tizio vedrai che ti darà una buona
mancia!-
Jenny boccheggiò, la tentazione di schiaffeggiarla fu
fortissima. Le mani ficcate nelle tasche e serrate a pugno le
impedirono di farlo. Non riuscì a parlare, la voce le
morì in gola. Non emise un suono, la fissò
sgomenta. Fu Amy a parlare.
-Eve, adesso basta!-
-Basta cosa? Se Jenny non l’ha capito bisogna che qualcuno
glielo dica!-
Jenny ritrovò la voce, che risuonò stridula di
collera.
-Non c’è niente da capire Evelyn! Smettila con le
tue stupide insinuazioni! Prima Salvatore, adesso il signor Morris!
Lasciami in pace! Cosa accidenti ci sono venuta a fare qui?- furiosa
volse le spalle alle amiche e imboccò il vialetto diretta al
bar. Era meglio aspettare Salvatore lì piuttosto che insieme
a loro, piuttosto che con Evelyn.
La videro sparire oltre la porta del locale.
-Eve, mi sa che hai esagerato.-
-L’ho fatto per il suo bene. L’ho avvertita e ora
farà attenzione.-
Patty la fissò ironica.
-Cioè, dovrebbe anche ringraziarti?-
-Sì, dovrebbe proprio farlo!-
-Callaghan, la smetti di dormire?-
Il richiamo di Benji, secco e brusco, lo riportò al gioco,
nel campo, tra i compagni che si passavano la palla continuando la
partita, come se il litigio tra Jenny ed Evelyn non avesse avuto luogo.
Eppure Philip l’aveva visto. Non aveva udito una parola ma
non si era perso un gesto. Si volse indietro e Benji lo
assalì.
-Cretino! Davanti a te!-
Philip scorse un movimento veloce alla sua sinistra. Quando si
girò, Rob lo aveva appena superato portando la palla con
sé.
-Che cazzo fai?- Benji guadagnò furibondo l’altro
lato della porta, mentre Clifford correva a marcare Aoi -Muoviti
imbecille!-
-Modera i termini, eh?!-
-Un cazzo!-
Il portiere continuò ad insultarlo, distraendolo. Philip non
vide Mark agganciare il passaggio di Aoi, non lo vide scagliare il
tiro. Successe tutto in un attimo. Il tiger shot gli affondò
negli addominali, strappandogli il fiato dai polmoni.
Scivolò in ginocchio, la vista annebbiata dalla violenza
dell’urto. Boccheggiò in cerca d’aria.
-Oh, scusa Philip! Ti ho svegliato, per caso?- Mark lo
scavalcò senza fermarsi e recuperò la palla,
proseguendo l’azione come se niente fosse.
-Pezzo di merda…-
Il secondo tiro finì dritto nelle mani di Benji. La parata
fermò il gioco e i ragazzi ne approfittarono per riprendere
fiato. Mark tornò da Philip che si metteva in piedi, i denti
stretti e una mano sullo stomaco acciaccato.
-Allora? Quand’è che ci farai la grazia di tornare
a giocare come si deve?-
-Sei il capitano, Philip. Vuoi mettertelo in testa? Dovresti dare il
meglio di te, non ciondolare in campo come uno zombie.-
Philip si raddrizzò, gli occhi che passavano da Landers a
Price.
-Sono anni che do il meglio di me! Adesso è finito e vi
dovete accontentare!- arrancò verso il bordo campo e si
lasciò cadere sulla panchina.
-Ma vaffanculo!- gli gridò dietro Mark.
Amy si avvicinò preoccupata.
-Ti ha fatto male?-
Altro che male, porca miseria! Il tiger shot lo aveva spaccato a
metà come una noce di cocco, ma non poteva mica dirglielo.
-No… è che mi ha preso impreparato.-
sì, magari.
Afferrò la bottiglietta d’acqua che lei gli
porgeva e si chiese se non potesse approfittare del fatto di essere il
capitano per sbattere Mark in panchina una mezza giornata. Mentre ci
rifletteva seriamente, vide Gentile entrare nel loro campo e fermarsi a
guardare il gioco che riprendeva senza di lui. Bob Denver era entrato
al suo posto.
L’italiano se ne stette per qualche minuto a seguire la
palla, le mani ficcate nelle tasche. Gli abiti che indossava quel
giorno gli stavano così bene addosso che sembrava appena
uscito dal set di un servizio fotografico, il bastardo.
D’un tratto Salvatore gridò qualcosa in italiano e
scoppiò a ridere. Philip spostò gli occhi sui
compagni e vide Mark che si tirava su da terra dolorante.
Quando udì la voce di Gentile, il ragazzo alzò di
scatto il viso.
-Che ci fai lì? Chi ti ha dato il permesso di entrare?!-
Salvatore neppure gli ripose.
-Due giorni di allenamento insieme a queste schiappe e sei diventato
una pippa anche tu!-
-Vaffanculo! Sparisci!-
-Non provare a negarlo, ti ho appena visto cadere!
Cos’è? Sei inciampato? Ti hanno fatto lo
sgambetto?-
Landers puntò la panchina.
-Te ne vai da solo o vuoi che ti sbatta fuori a calci?-
Riuscì a fare solo pochi passi, perché Holly lo
intercettò.
-Mark, piantala!- sentì sotto la sua presa i muscoli del
compagno guizzare di stizza -Cosa pensi di fare?-
-E me lo chiedi? Buttarlo fuori a calci in culo!-
-Se assiste alla partita da dietro la recinzione o dalle panchine, che
differenza fa?-
-Ci sta insultando!-
Holly tirò un profondo respiro paziente.
-Se ci insulta da fuori o da dentro, che differenza fa?-
-Ne fa di differenza, cazzo!- Mark si liberò di lui -Da
dietro la recinzione non posso gonfiarlo di botte ma dentro il campo
sì!-
-Smettila, deficiente! Torna al tuo posto!- Holly incrociò
gli occhi di Philip e quasi sperò che si alzasse per dargli
manforte. Invece lui non fece nulla. Rimase a guardarli curioso, quasi
deluso.
Gentile lasciò perdere Mark e si avvicinò a
Patty.
-Dov’è Jenny?-
-È andata al bar.-
L’uscita di scena di Salvatore bastò a dissolvere
all’istante i bollenti spiriti di Landers, e anche quelli di
Evelyn.
*
Patty posò le posate nel piatto, ripose il tovagliolo
accanto al bicchiere e alzò gli occhi su Mark, alle prese
con un ultimo boccone di insalata. Gli stava risultando difficilissimo
infilzare quelle ultime rachitiche foglie di rucola con la forchetta.
Alla fine le prese con due dita e se le ficcò in bocca. Lui,
nel piatto, non lasciava mai niente.
-Hai visto cosa c’è nel cassetto della scrivania
di Jenny?-
-Quando sei stata a casa mia, Patty?-
-Stamattina.-
-Ah sì?-
Benji drizzò le antenne.
-E com’è casa di Landers? Una catapecchia?-
-Per niente, anzi è piuttosto carina. Ma non è
della sua casa che intendo parlare.- fissò Mark -Voglio
sapere se hai visto cosa c’è nel cassetto!-
-No che non l’ho visto! Non frugo tra le sue cose! E non
dovresti farlo neppure tu!- spiattellò papale papale anche
se in realtà una volta l’aveva fatto, di frugare
tra le cose di Jenny. Una sera, agli inizi della loro convivenza,
passando davanti la porta della sua camera rimasta socchiusa,
l’aveva vista seduta sul letto versarsi delle gocce in un
bicchiere d’acqua. Glielo aveva visto fare anche qualche sera
dopo. Così un giorno che era tornato e non l’aveva
trovata in casa, era salito nella sua stanza e aveva curiosato un
po’. Aveva trovato un flaconcino nel cassetto del tavolo e
aveva scoperto che Jenny se ne serviva per dormire. Un paio di
settimane dopo aveva notato la confezione nel cestino
dell’immondizia e quando aveva fatto un secondo sopralluogo
in camera sua, non aveva più trovato traccia di medicinali
simili.
La replica dell’amico fu un rimprovero a cui Patty
reagì arrossendo di vergogna.
-Però in questo caso avresti dovuto farlo.-
-Perché?-
-Ho trovato l’anello che le ha regalato Philip.-
-E allora?-
-E allora se a lei di Philip non importa più nulla,
perché se lo sarebbe portato dietro?-
-Chi ti ha detto che non gliene importa più nulla?- la sua
espressione confusa lo fece sorridere -Dai retta a me, Patty. Non
cercare di capirli perché non ci riusciresti. Io sono
settimane che ci sto provando e non sono arrivato a niente.-
-Mi sarebbe risultato strano il contrario. Non brilli per
sensibilità né per arguzia.-
Mark ignorò il commento di Benji, posò la
forchetta nel piatto e lanciò un’occhiata a Philip
che sedeva dall’altra parte della sala, tra Tom e Peter Shake.
-Jenny sa di Julie Pilar.- continuò Patty -Insieme
all’anello, nel cassetto tiene la foto di loro due che si
baciano.-
-Ah, ecco dov’era finita.-
Patty fissò Mark negli occhi.
-Philip ha lasciato Jenny per mettersi con quella fotomodella?-
-E che ne so? Lei non mi ha detto niente e ieri quando ho provato a
parlargli, Philip mi ha assalito.-
-Quando vi siete azzuffati nella hall davanti ai giornalisti?-
-Veramente non ci siamo azzuffati, Price. Dovresti metterti un paio di
occhiali, se non ci vedi. O magari posso darti un pugno in faccia e
vedere se la tua vista migliora.-
Holly sbuffò spazientito.
-Hai proprio rotto, Mark. Ieri con Philip, oggi con Gentile e ancora
non hai finito. Hai sempre voglia di saltare addosso alla gente. Quando
la smetterai di avercela col mondo intero?-
-Sei saltato addosso anche a Jenny?- rise Benji con finta innocenza.
Holly lo trafisse con un’occhiata omicida. Stanco di
ascoltarli battibeccare, si alzò e raggiunse Philip.
Patty lo seguì con gli occhi.
-Avete deciso chi va alla conferenza stampa?-
-L’ha deciso il mister.- Benji le rispose con un sorrisetto
carico di sarcasmo -E sono proprio curioso di sapere cosa
dirà Callaghan, visto quant’è loquace
in questi giorni.-
Patty lanciò a Philip una seconda occhiata perplessa.
-Deve andare proprio lui?-
-Certo, è il capitano.-
A Benji venne da ridere.
-Landers gli darà una mano… Vero?-
Davanti all’hotel li aspettavano due taxi. In uno salirono
Marshall e Pearson, nell’altro presero posto Holly, Philip e
Mark che, per stare più comodo, scelse il sedile davanti,
accanto all’autista. Osservando le vie e i palazzi di Torino
che scivolavano via alla stessa blanda velocità del traffico
che intasava le strade del centro, Philip si ricordò
improvvisamente che al suo arrivo in Italia non aveva telefonato a
Julie, nonostante le avesse promesso di farlo. Non seppe se ridere
della dimenticanza o preoccuparsi. Julie si sarebbe infuriata, al
minimo ci era rimasta male. Ma in fondo che gliene importava? Non era
abbastanza ipocrita con se stesso da non ammettere che con lei aveva
costruito un rapporto egoistico in cui si sfruttavano a vicenda. Lei si
serviva della sua popolarità per aumentare la propria,
facendosi fotografare quando erano insieme, e lui usufruiva del suo
corpo. Non era un accordo tanto male, visto l’andazzo degli
ultimi mesi. Ma oltre a questo non c’era
nient’altro. Nonostante le numerose notti passate nel suo
letto, di lei non gli importava. E se all’inizio
c’era stato qualcosa che l’aveva attirato verso la
modella, ora non era più in grado di ricordare cosa fosse.
Neanche impegnandosi riusciva più a trovare un motivo che lo
spingesse a continuare a frequentarla. Da quando si erano separati
all’aeroporto il pensiero di lei non lo aveva sfiorato una
sola volta. Ora che aveva rivisto Jenny, ripensare che fino a qualche
giorno prima aveva dormito nel suo letto gli provocava una sorta di
fastidio.
-Vero, Philip?-
Si volse verso Holly.
-Vero cosa?-
Mark rise.
-Hai portato il pallone così lo sveglio?-
-Vaffanculo.-
Holly sospirò.
-Perché oggi non mi dà retta nessuno? Stamattina
Benji, adesso tu…-
-Magari perché dici solo stronzate.- lo schernì
Mark -Patty almeno ti ascolta?-
-Finora sì.- si accorse che Philip era tornato ad osservare
la strada e si sentì rimescolare dentro, di rabbia e
frustrazione. Sbuffò, gli posò una mano sul
braccio per richiamare la sua attenzione e lui si volse,
l’aria un po’ svampita -Cos’hai
intenzione di dire alla conferenza stampa?-
-Quello che vuoi.- tentò un sorriso accondiscendente che non
ebbe il risultato sperato. Così cercò di correre
ai ripari -Perché non parli tu?-
-Pensi che se potessi non lo farei? Il capitano sei tu, Philip. O te ne
sei dimenticato?-
-Come potrei dimenticarlo? Non fate altro che ricordarmelo anche se lo
sarò solo per qualche giorno. Presto arriverà il
tuo nullaosta e i giornalisti dimenticheranno la mia esistenza. Secondo
me dovresti parlare tu fin da subito…-
Holly cominciò a scocciarsi.
-Le faranno a te le domande, Philip.-
-Tu credi? Io penso invece che vogliano sentir parlare te.-
Tornò ad osservare la strada, gli incroci, i semafori, i
negozi, le vie che percorrevano, la gente. Sospirò mentre
tornava ad estraniarsi, udendo appena il brusio delle voci di Holly e
Mark. Si sforzò di ascoltarli ma non riuscì a
concentrarsi sulle loro parole. Holly poteva anche incazzarsi, ma non
era colpa sua se da quando si erano rivisti Jenny gli riempiva la
testa. Non che prima ciò non avvenisse, ma adesso accadeva
in continuazione: praticamente colmava tutti i suoi pensieri. Se fosse
dipeso da lui avrebbe evitato persino di vederla, di incontrarla, di
parlarle. E invece lei era lì e l’unica cosa che
poteva fare era sforzarsi di ignorare la sua presenza. Un comportamento
che doveva a Jenny, ma soprattutto a se stesso. Che l’aveva
lasciata a fare, altrimenti? Che senso aveva avuto cercare di
ricostruirsi una vita da solo se ora qualcosa era tornato a galla e lo
spingeva di nuovo verso di lei? A cosa era servito smettere di
frequentarsi se adesso ogni volta che incrociava il suo sguardo sentiva
un fiotto caldo riempirgli il cuore?
Era perfettamente consapevole che mesi prima con il suo comportamento e
con le sue parole l’aveva ferita nel profondo.
L’aveva lasciata, e anche male. Eppure che altro avrebbe
potuto fare? Aveva dimostrato quanto fosse incapace di difenderla, di
proteggerla, di non farla soffrire. La sua incompetenza e la sua
inettitudine l’avevano distrutta. Come avrebbe potuto
arrogarsi il diritto di restare al suo fianco? Non era più
giusto lasciare che qualcuno davvero in grado di farlo si prendesse
cura di lei? Ora certo, aveva seri dubbi che questo qualcuno fosse
Salvatore Gentile, ma che diritto aveva di giudicarlo? O di giudicare
le scelte di Jenny?
Ricordò con una fitta dolorosa l’ultima volta che
si era fermato sotto casa sua con la speranza assurda di vederla, anche
solo per un attimo. Aveva accostato la macchina al marciapiede, era
sceso confuso e preoccupato dalla sua improvvisa sparizione. Appoggiato
allo sportello chiuso, gli occhi sull’elegante villetta
abbandonata, si era chiesto per l’ennesima volta che fine
avesse fatto. Era rimasto ad osservare le finestre sbarrate per un
tempo lunghissimo, mentre il panico l’assaliva, mentre lo
invadeva la consapevolezza che Jenny se n’era davvero andata
per sempre. E mentre la certezza di averla persa definitivamente gli
faceva pizzicare gli occhi, l’anziana vicina era uscita sul
vialetto e si era avvicinata. A Philip non stava simpatica. Era una
vecchia impicciona che nel corso degli anni aveva fatto la spia ai
genitori di Jenny quando tornavano da New York, parlando loro delle sue
numerose visite (anche notturne) alla ragazza.
“Jenny non c’è. L’ho vista
andar via con una valigia quasi un mese fa.”
Philip si era limitato ad annuire, continuando a restare appoggiato
allo sportello. La donna era rientrata e lui non aveva potuto fare
altro che risalire in macchina. Quella era stata l’ultima
volta che era sceso sotto casa di Jenny. Le volte successive si era
limitato a passarci, magari allungando un po’ il percorso e
dando un’occhiata alle finestre senza fermarsi. I giorni, le
settimane, i mesi si erano susseguiti e non le aveva più
riviste aperte. Adesso, in Italia, aveva finalmente capito il
perché.
Il taxi si arrestò di fronte ad un imponente edificio. I
giornalisti erano assiepati ai lati di un enorme portone spalancato su
un signorile atrio col pavimento di marmo, da cui partiva una scalinata
che conduceva ai piani superiori.
-Che palle…- si lagnò Mark mentre scendeva e i
flash lo accecavano -Sempre la solita storia! Non ne posso
più! Che accidenti avranno da fotografare?!-
Philip fu completamente d’accordo. Lasciò che lo
superasse e s’impegnò a scomparire dietro la sua
schiena. Avrebbe preferito mille volte passare il tempo libero a
concentrarsi sui suoi problemi per cercare di risolverli ed ecco invece
dov’era finito! Perché doveva essere lui il
capitano in attesa che lo divenisse Holly? Perché non
Julian? Perché non Tom?
Philip aveva visto giusto quando aveva supposto che i giornalisti
avrebbero voluto sentir parlare Holly. E da parte sua Holly
rivelò una voglia matta di rispondere alle loro domande.
Philip lo lasciò fare. Si accomodò sulla sedia di
plastica imbottita e mollò tutto nelle mani del futuro
capitano della nazionale, concentrando le proprie energie a soffocare
il mal di testa che era tornato ad affacciarsi. Non vedeva
l’ora di rientrare in hotel per prendere
un’aspirina. Sentì Mark agitarsi accanto a lui e
si volse a guardarlo. Fissava la platea e muoveva appena le labbra,
concentrato.
-Che stai facendo?-
-Conto quanti sono.-
-Perché?-
-Più sono e più siamo famosi.-
Philip l’osservò incredulo.
-E da quando ti interessa essere famoso? Prima non volevi neppure che
ti fotografassero!-
-Se sono famoso guadagno di più.- replicò con un
ghigno.
Marshall tossicchiò furente per zittirli, ma non ce ne fu
bisogno. Il sorrisetto compiaciuto di Landers aveva già
tolto a Philip la voglia di ascoltarlo. A lui in quel momento non
importava né essere famoso, né guadagnare tanto.
Quello che aveva adesso gli bastava, e comunque non erano i soldi a
mancargli. Cercò di concentrarsi sulle parole convincenti di
Holly, che era strasicuro di vincere quella cacchio di amichevole.
Quante volte l’aveva sentito parlare così? Quante
volte lui stesso aveva risposto in quello stesso modo a quelle stesse
identiche domande? Si sforzò di non sbadigliare in faccia a
tutti e cercò di attendere pazientemente che la conferenza
stampa terminasse.
Finalmente, ad un certo punto, Pearson controllò
l’orologio, si alzò e si rivolse
all’intera sala.
-Abbiamo tempo solo per un’ultima domanda.-
Una penna scattò in alto dalla prima fila, ad un passo dai
ragazzi. Era un uomo sulla quarantina, capelli neri tagliati corti e
appena brizzolati sulle tempie. Agli angoli degli occhi, socchiusi di
concentrazione, piccole rughe sparivano sugli zigomi alti e
pronunciati. La pelle era olivastra, scura quasi quanto quella di Mark,
segno che l’uomo doveva passare parecchio del suo tempo
all’aria aperta. Teneva in mano un i-phone, sollevato verso
di loro. Forse stava registrando.
Kirk annuì, dandogli la possibilità di parlare.
Il reporter puntò gli occhi sui ragazzi e avvolse Philip in
uno sguardo carico di aspettativa. La sua voce forte e chiara
risuonò nella sala.
-Callaghan, l’attuale ragazza di Salvatore Gentile
è la sua ex fidanzata, vero?-
La domanda, inaspettata e improvvisa, colse tutti di sorpresa. Philip
neppure tentò di nascondere lo sconcerto.
Trasalì, forse persino impallidì.
Fissò gli occhi strafottenti e in parte divertiti del
giornalista e socchiuse le labbra, più per inalare
l’aria che per parlare. Doveva rispondere? Esitò.
-È vero, allora?- lo pressò il giornalista -La
fidanzata di Gentile è la sua ex ragazza?-
Mark fremette di stizza. Che Jenny fosse stata la fidanzata di Philip
non erano assolutamente affari di nessun altro se non loro. Si
alzò di scatto, la sedia cadde a terra alle sue spalle.
-Che razza di domande fa? Non sono affari suoi nel modo più
assoluto!- afferrò per un braccio Philip e lo
tirò in piedi scostandolo dal tavolo -Vieni, andiamocene.
Tanto le domande serie sono finite! - con la coda dell’occhio
vide Pearson accorrere.
-Signor Steiner, mi meraviglio di lei.- il tono di Kirk fu gelido
-Questa è una conferenza stampa della Federazione e siamo
qui per parlare del prossimo incontro della nazionale giapponese con
quella italiana, non per mettere in piazza gli stupidi pettegolezzi di
riviste scandalistiche. Forse lei ha sbagliato posto.-
Qualcuno, da qualche parte della sala, si lasciò sfuggire
una risatina divertita. Steiner reagì con altrettanta
rapidità.
-Una cosa non esclude l’altra, signor Pearson.- le sue parole
furono venate di sarcasmo. Vide i ragazzi tagliare la corda lungo il
lato della tavolata a cui erano rimasti seduti fino ad un attimo prima
e tentò di non lasciarseli scappare -Il mio interesse
è del tutto innocente e non riguarda un pettegolezzo ma un
dato di fatto. La ragazza di Salvatore Gentile è la ex
fidanzata di Callaghan, per cui…-
-Se già lo sa, allora perché lo chiede?-
-Perché voglio una dichiarazione dal diretto interessato.-
Philip si volse incredulo ed esitò. Quel tizio ce
l’aveva davvero con lui. Forse doveva mandarlo a quel paese
una volta per tutte. Mark strinse la presa sul suo braccio e lo
strattonò, facendolo incespicare mentre scendeva il gradino
della pedana. Rinunciò a fermarsi per insultare il
giornalista e seguì i compagni. Landers non
l’avrebbe mollato. Si volse ancora indietro mentre veniva
trascinato verso la porta, gli occhi fissi sull’impiccione.
Un secondo prima di varcarla il flash di una macchinetta fotografica
quasi lo accecò.
Mark non lo lasciò mentre imboccavano le scale, ogni gradino
un’imprecazione, un po’ in giapponese e per la
maggior parte in italiano. Era furibondo. Holly li tallonava e
oltrepassò per ultimo il portone. Sparirono tra la gente e
le vie del centro di Torino.
-Che voleva quello, Philip? Lo conosci?- Mark si fermò di
botto ad un semaforo rosso e l’amico gli finì
addosso. Vedendolo scuotere la testa, lo incalzò -Bill
Steiner, del Sapporo News. Ti dice niente?-
-Come fai a sapere chi è?- chiese Holly.
-Ho letto il cartellino di riconoscimento.- guardò di nuovo
Philip -Allora? Ti dice niente?
-Bill Steiner?- si sforzò di riflettere e lo fece a fatica
perché non riusciva ancora a credere che il rapporto tra lui
e Jenny potesse diventare oggetto d’interesse pubblico. Lui
per primo non voleva parlare di ciò che c’era
stato tra loro, perché avrebbero dovuto farlo gli altri? Poi
all’improvviso capì. La foto di lui e Julie Pilar
che si baciavano l’aveva scattata proprio quel tizio,
Steiner. Quella maledetta foto era opera sua. La foto a causa della
quale sua sorella Kate non gli aveva rivolto la parola per una
settimana (che pacchia!), sua madre aveva cominciato a scrutarlo
sospettosa e suo padre ad affrontare strani discorsi sul mettere la
testa a posto, perché la vita non era solo svago e
divertimento. Roba che lui si era rifiutato di ascoltare. Quella foto
era stata pubblicata nella pagina sportiva del Sapporo News. Era lui,
Bill Steiner, l’autore di uno scatto che a casa gli aveva
causato un sacco di rotture di palle.
-L’ho già sentito.- si limitò a dire.
-Mark, devi avvertire Jenny.-
Gli occhi di Philip fulminarono Holly.
-Perché?-
Glielo spiegò immediatamente, Holly, il motivo.
-Perché potrebbe voler fare a lei la stessa domanda che ha
fatto a te. È meglio avvisarla, no?- spostò gli
occhi su Mark -E adesso che facciamo?-
Lui fece spallucce.
-Ce ne torniamo al campo. Per star dietro a queste stronzate abbiamo
perso tutto il pomeriggio.-
Arrivarono al tramonto, perché sul loro percorso
incrociarono un corteo di gente che gridava contro il governo e contro
una nuova linea ferroviaria. Furono costretti a scendere
dall’autobus, fare a piedi quasi tre chilometri e risalire
sul tram che li portò dall’altra parte della
città. Le luci del centro sportivo erano accese e gli
allenamenti erano ormai agli sgoccioli. Freddie e Kirk erano
già lì, con il taxi dovevano essere tornati da un
bel pezzo.
-Dove siete finiti? Stavamo cominciando a preoccuparci!-
-Non l’avete beccato voi, il corteo?-
Pearson annuì.
-Gli abbiamo girato intorno.-
-Noi invece ci siamo cascati nel mezzo.- Mark si lasciò
sfuggire una smorfia di contrarietà -Si sapeva che la
conferenza stampa sarebbe stata soltanto una perdita di tempo. La
prossima volta non contate su di me.-
Philip sbuffò, nervoso.
-Che palle, stai sempre a lamentarti.-
-Ah! Perché? Secondo te le domande dei giornalisti sono
state utili?-
Gamo aveva smesso di ascoltarli, tanto secondo lui il ritardo non era
dovuto al corteo. S’erano sicuramente trastullati da qualche
parte. Forse doveva far loro la prova del palloncino, per vedere se
s’erano fermati al bar. Da Mark se lo aspettava e da Philip,
visto come si stava comportando in quegli ultimi giorni, pure. Ma
Holly… da Holly no. Chiaramente lo avevano costretto.
Fischiò stizzito la fine degli allenamenti e Philip ne
approfittò per tagliare la corda.
-Comincio ad andare.-
Holly lo guardò.
-Andare dove?-
-In hotel!-
-Non vuoi aspettare gli altri?-
Philip fece una faccia che la diceva lunga su quanto gliene importasse
degli altri e s’incamminò, le mani nelle tasche.
Il tramonto aveva dipinto di indaco il cielo e a oriente qualche stella
cominciava già a brillare.
Mark e Holly raggiunsero il bar. Quando Evelyn li vide entrare
scattò in piedi e si fiondò su Holly.
-Hai registrato, vero?-
Lui annuì e tirò fuori dalle tasche un piccolo
registratore. Lei lo accese e se l’accostò al
viso, sperando che l’audio fosse buono.
-Invece di romperci le scatole, non potevi venire?-
Mark alzò gli occhi su Jenny, al suo posto dietro il banco
del bar. Lei, che li ascoltava pensierosa, si riscosse e gli
riempì il bicchiere. Su un angolo del ripiano, in una
bottiglia riciclata, era stato infilato un mazzo di margherite
arancioni corredate da qualche sprazzo di iris viola.
Mark sorseggiò la bevanda e andò dritto al punto,
perché a lui piaceva prendere le rogne di petto.
-Alla conferenza stampa uno dei giornalisti ha ficcato il naso negli
affari di Callaghan… anzi, nei vostri. Gli ha chiesto se la
ragazza che frequenta Gentile è la sua ex.-
Jenny si irrigidì.
-Certo che lo sono, e allora?-
-Allora niente. Mi metti un po’ di ghiaccio?- la
guardò mentre lo accontentava -Ci sono buone
possibilità che quel fotografo si presenti al campo per fare
la stessa domanda anche a te. Se dovesse accadere, qualsiasi cosa ti
chieda non dargli retta, e fila via se non vuoi finire sui giornali.-
-Come si chiama?- domandò Evelyn.
-Bill Steiner.-
Impiegò un istante, la ragazza, ad abbinare quel nome
all’autore della foto. Si morse la lingua e fissò
Jenny, chiedendosi se anche lei stesse facendo il suo stesso
collegamento e, in caso contrario, se fosse il caso di farglielo
presente.
-Ma… perché?- chiese Jenny, passandosi
nervosamente parte della frangia dietro un orecchio.
Fu Evelyn a risponderle.
-Per lo scoop.-
-Quale scoop? Io non sono uno scoop! Non c’è nulla
di interessante in me!-
-Questo lo credi tu. Pensaci un attimo. Sei l’ex di
Callaghan, abiti con Landers ed esci con Gentile. Non ti pare
abbastanza? Quel tizio sarebbe in grado di scrivere un romanzo sulla
tua poco interessante situazione.-
Patty le posò una mano sul braccio e le sorrise rassicurante.
-Non preoccuparti, Jenny. Se lo incontri è sufficiente che
lo ignori. Può farti tutte le domande che vuole ma non
può obbligarti a rispondere.-
Lei annuì, per nulla tranquillizzata. Alzò gli
occhi su Holly.
-Non vuoi niente da bere?-
Evelyn la osservò mentre versava dell’acqua tonica
per il compagno, poi la sua attenzione venne catturata da Gentile che
varcava la porta del bar. Individuata Jenny, si diresse verso di loro.
Sembrava non avere occhi che per lei.
-Ciao tesoro.- Salvatore poggiò la borsa sportiva a terra e
le si avvicinò per stamparle un bacio sulle labbra.
Mark gli mollò uno spintone che quasi lo mandò
lungo sul ripiano.
-Non puoi proprio evitare di farlo davanti a tutti?-
Gentile lo fissò sgomento e si raddrizzò, colto
di sorpresa da un gesto che non si aspettava. Non ebbe neppure la
prontezza di mollargli un calcio. I suoi occhi azzurri lampeggiarono di
stizza.
-Davanti a tutti o davanti a Callaghan? E comunque scommetto quello che
ti pare che a Callaghan dà fastidio che la sua ex abiti da
te, non che io la baci.-
Jenny li osservò irritata. Succedeva troppo spesso che quei
due parlassero di lei in italiano escludendola dai loro discorsi.
Oltretutto, che Gentile avesse pronunciato due volte il nome di Philip
non era un buon segno. Distolse gli occhi da loro, finendo per posarli
su Shake che entrava nel bar con Danny Mellow, Paul Diamond e Patrick
Everett. Per la prima volta lei e Peter riuscirono a studiarsi con
calma.
Shake le sorrise, controllò che Philip non fosse nei paraggi
e si decise a raggiungerla. Poi vide Landers e Gentile che
questionavano ad un passo dal bancone ed esitò. Non fu
Landers a frenarlo, in realtà. Fu l’italiano. Quel
tizio così alto, così biondo e così
sicuro di sé, che per di più stava
così attaccato a Jenny, lo metteva in soggezione. Insieme
all’amica aveva sempre visto il capitano della Flynet mentre
adesso la presenza al suo fianco di quello sconosciuto gli rendeva
difficile riconoscere persino lei.
Si guardò intorno. Philip non si vedeva da nessuna parte,
chissà dove cavolo era finito. E se Philip non si vedeva,
lui doveva approfittarne, nonostante l’ingombrante presenza
dell’italiano. Un’occasione così
proficua per scambiare due parole con Jenny doveva assolutamente essere
sfruttata. Mentre i compagni che erano con lui si sistemavano ad un
tavolo, raggiunse il banco del bar.
-Jenny, possiamo parlare?-
La giovane all’inizio tentennò, ma poi
finì per annuire perché non poteva proprio
rifiutarsi. Aveva evitato Peter Shake per due giorni ed era arrivato il
momento di affrontare anche lui. Gentile si zittì di colpo e
li seguì con lo sguardo mentre si spostavano.
-Chi accidenti è quello adesso?-
Le labbra di Mark si incurvarono in un sorriso saputo. Avrebbe potuto
lasciarlo a macerarsi dalla curiosità, e invece
preferì mostrarsi saccente.
-Un ex compagno di scuola di Jenny.-
-Di scuola?- lo scrutò -Mi stai prendendo per il culo?-
-Mi piacerebbe ma stavolta no.-
Salvatore si grattò una guancia, dando sfogo alla propria
incredulità.
-Vi conoscete tutti? Cioè, vi conoscete tutti da prima di
entrare in nazionale?-
-In Giappone chi ha un minimo di talento calcistico si conta sulle dita
di un paio di mani.-
Gentile scoppiò in una risata.
-Talento? Stai parlando di talento? Ma dove?-
-Coglione, vuoi che ti risponda o no?- l’altro
annuì -Bene, allora taci prima di farmi passare la voglia di
farlo.- Mark riprese a spiegare -Come ti dicevo, visto che a giocare a
calcio in Giappone non siamo in molti, prima o poi abbiamo finito per
incontrarci tutti nei tornei interscolastici.-
-E allora anche tu conoscevi Jenny dal liceo?-
-Lei no, ma la maggior parte di noi sì. E non dal liceo,
dalle scuole elementari.- finito il chiarimento, riprese la polemica
-Se pensi che noi giapponesi siamo tutte pippe, spiegami per quale
motivo gioco con te nella Juventus.-
-Ti giuro che me lo sto chiedendo ancora, praticamente non ci dormo la
notte!-
Mark lo fissò astioso, poi incrociò lo sbadiglio
di Holly che si era già rotto di ascoltare
l’intonazione vocale del loro battibecco. Ingoiò
la risposta acida per amore della pace e osservò Gentile che
guardava Jenny mentre lei parlava con Shake. Poi, visto che aveva
ancora sete, si allungò oltre il bancone e si prese
un’altra coca-cola.
-Devi chiamare Grace e dirle che sei qui, perché se lo
scopre non mi darà pace.-
-Peter, Grace lo sa da mesi!-
Il ragazzo ammutolì, poi si riscosse.
-Impossibile! Non mi ha detto niente!-
-Ti assicuro che lo sa! Come potevo tenerglielo nascosto? Non puoi
immaginare quanto mi ha cercata…-
-Lo immagino, invece.- si guardò intorno, il timore che
Philip spuntasse nel bar. Non ci teneva a farsi beccare a parlare con
Jenny. Sapeva che se li avesse visti insieme, lui gli avrebbe messo il
muso e dal momento che già gli parlava a malapena, era
meglio evitare almeno questo. Non lo vide e continuò -So che
la colpa non è tua, Jenny. Per quello che è
successo con Philip, intendo. Lui è cambiato e…-
esitò, non sapendo come continuare -Ci sono così
tante cose di cui vorrei parlarti ma…-
-Preferisco di no, Peter. Per favore, sto cercando di dimenticare.-
abbassò gli occhi e la sua voce si affievolì
perché si rese conto che sarebbe stato impossibile.
Le poltrone della hall erano così confortevoli che Philip
avrebbe potuto passarci comodamente tutta la notte. Sprofondato tra i
cuscini in attesa, vide Gamo e Marshall varcare le porte a vetri.
Pearson dietro di loro esitò un istante. Prese
un’altra boccata di nicotina, poi gettò via la
sigaretta ed entrò nell’hotel. Allora si
alzò e li raggiunse.
-Io esco.-
Gamo spalancò la bocca.
-Come?-
-Esco.-
-E quando torni?- chiese Marshall tranquillo.
-Dopo.- siccome Gamo scuoteva la testa, cercò di indorare la
pillola -Non troppo dopo, giusto un paio d’ore.-
-Va bene, ma non fare tardi.-
L’arrendevolezza di Marshall lo stupì. Non credeva
che sarebbe stato così facile convincerli. E infatti Gamo
non fu d’accordo.
-Non va bene per niente, invece!-
Philip s’intestardì. Aveva assolutamente bisogno
di uscire, di stare alla larga dai compagni e da tutto.
-Torno presto.-
-No, resti qui.-
-Non può costringermi. Posso uscire senza che lei se ne
accorga. L’ho avvertita e dovrebbe apprezzarlo.-
-Tu sei il capitano e non puoi andartene a zonzo come ti pare!
Comportati da capitano e resta con la tua squadra!-
Philip fremette, quel ruolo gli era stato imposto. Nessuno gli aveva
dato la possibilità di rifiutarlo e adesso il mister glielo
ritorceva contro.
-Non ho scelto io di esserlo!-
-Lo hai sempre fatto!-
-Basta così.- Marshall li interruppe prima che la
discussione si inasprisse. Per prima cosa avrebbe accontentato il
ragazzo, poi si sarebbe dedicato a calmare il collega -Philip, puoi
uscire ma non devi fare tardi.-
Lui si allacciò la giacca a vento e un attimo dopo era
già fuori dell’hotel.
-Non intestardirti Gabriel. Lascialo stare, mangerà qualcosa
fuori e poi tornerà. Tanto ha ragione. A meno che non lo
chiudi a chiave in camera, se si è messo in testa di uscire
lo farà.-
-Si è inselvatichito. Prima non era così.-
-Quando i ragazzi crescono cominciano a fare di testa loro.-
A Gamo ciò non piaceva per niente. Represse la collera e
s’incamminò furente verso la sala da pranzo.
Pearson e Marshall si scambiarono un’occhiata, poi lo
seguirono.
Philip respirò a pieni polmoni l’aria fredda della
sera. La luna era sorta e ora splendeva nel cielo oscurando le stelle.
Mentre camminava lungo il marciapiede osservò il suo
riflesso perlaceo sulle Alpi coperte di neve. Con un po’ di
fantasia avrebbe potuto immaginare di essere in Hokkaido. Si strinse la
sciarpa intorno al collo e raggiunse la fermata.
L’autobus passò subito e Philip salì.
Acquistò un biglietto dall’autista, prese posto
sul fondo e si sentì finalmente più leggero.
Aveva davvero bisogno di uscire. Lasciò vagare lo sguardo
sulla strada, chiedendosi per la centesima volta cosa volesse da lui
quel giornalista, perché si accanisse così. Era
impossibile che la redazione gli chiedesse di scrivere un articolo su
di lui e sulla sua vita privata. Merda. La vita privata si chiamava
appunto così perché non doveva essere pubblica.
Cosa importava alla gente se lui frequentava Julie? Perché
erano interessati a sapere se Jenny, che ora stava con Salvatore
Gentile, era la sua ex? Perché certe persone vivevano dei
fatti degli altri? Non avevano nient’altro da fare?
Scese in quella che suppose essere una delle piazze centrali di Torino
e si guardò intorno. Era quasi ora di cena e in giro
c’era poca gente. Si ficcò le mani nel caldo delle
tasche e s’incamminò seguendo un percorso a caso
sotto i portici, al riparo dal vento e
dall’umidità. Ad un certo punto si
ritrovò davanti al Mc Donald’s della sera prima e
decise di fermarsi a mettere qualcosa nello stomaco.
Spinse la porta a vetri guardandosi intorno. Il locale portava tracce
dell’antico arredamento di una volta. Stucchi dorati e
specchi avevano molto poco di moderno e di consono ad un fast-food
americano m a nello stesso tempo lo rendevano un locale decisamente
caratteristico. Quando l’ebbe osservato abbastanza, si
avvicinò alla cassa. Con gli occhi sollevati ai tabelloni
dei menù appesi sopra al personale in servizio,
ordinò un panino e una coca-cola. La ragazza che era
dall’altra parte del bancone gli rispose in un giapponese
perfetto. Philip lì per lì neppure ci fece caso.
Ma quando abbassò la testa per pagare e la
guardò, la riconobbe subito. Era la ragazza metà
giapponese e metà italiana amica di Aoi.
-Non dovresti essere a cena con la tua squadra?- domandò lei.
-Sì, dovrei. Ma mi sono preso una pausa.-
-Stress pre-partita?-
-Non proprio.- figuriamoci, la partita era l’ultimo dei suoi
pensieri.
Lei sollevò il vassoio e glielo porse, strizzandogli un
occhio.
-Se non hai impegni aspettami di sopra. Tra poco finisco il turno e ti
porto in un posto fichissimo!-
Philip annuì e imboccò le scale. Se
l’amica di Rob aveva tempo da perdere, quella sera era ben
felice di occuparglielo. Non aveva nessuna intenzione di tornare subito
in hotel, non gli andava di fondersi il cervello sui significati della
domanda del giornalista ficcanaso. Non gli andava che gli amici si
preoccupassero per lui. Non aveva gradito il comportamento protettivo
di Mark alla conferenza stampa. Non voleva sentirsi protetto da
nessuno, tanto meno da Landers. Non gli era piaciuto essere strattonato
via. Non gli era piaciuto non aver avuto abbastanza sangue freddo da
reagire come quel giornalista meritava. In conclusione, diamine se
s’era rotto. Ne aveva piene le palle di quella giornata, non
vedeva l’ora che finisse.
Avanzò tra i tavolini in cerca di un posto libero,
chiedendosi se il resto della sua vita sarebbe stato altrettanto
deludente. Forse d’ora in poi le cose sarebbero andate sempre
così, di merda. Non voleva farsi rovinare l'esistenza da una
serie di eventi che erano andati fuori dal suo controllo, scatenati da
un bastardo straricco che si era arrogato il diritto di fare con Jenny
ciò che voleva. Non ne poteva più neppure di
rimuginare sul vortice di casini in cui era stato risucchiato. Philip
desiderava solo capire una buona volta come cavarsela, come superare
quel momento e andare avanti. Si sedette su una delle anonime sedie di
plastica uguali in tutti i McDonald’s del mondo,
appoggiò la schiena alla spalliera e afferrò il
panino. Puntò gli occhi sulla finestra, sulle macchine ferme
al semaforo, e addentò l’hamburger.
-Dov’è Philip?-
Mark aveva un diavolo per capello. L’amico era scomparso
all’improvviso dopo che aveva praticamente costretto Jenny a
fermarsi a cena in hotel, cosa che non andava neppure a lui di fare.
Patty quella mattina aveva trovato l’anello di Philip nel
cassetto della sua scrivania, Mark quella sera li avrebbe fatti tornare
insieme. O almeno avrebbe voluto provarci. Aveva passato quasi
mezz’ora, aspettando la cena, a rimuginare su come riuscire a
farli sedere se non vicini, almeno allo stesso tavolo. E quando aveva
trovato la soluzione al dilemma, quel deficiente di Philip era sparito,
mandando all’aria il suo piano perfetto.
-Marshall ha detto che è uscito.- rispose Holly.
-E dov’è andato?-
-Chi lo sa? A fare un giro immagino.-
Bruce non si scompose, anzi, si mostrò sollevato.
-Ha fatto bene a togliersi di torno. Visto quant’è
di compagnia ci avrebbe rovinato la serata.-
-Se ti fai rovinare la serata dal malumore di Philip, sei davvero un
cretino.-
Jenny guardò Mark che, dopo aver gelato Bruce, riprendeva
tranquillo a mangiare. Si sforzò di fare altrettanto, ma
l’argomento di conversazione non era dei più
graditi e le era passata la fame. Anche soltanto sentire il nome di
Philip le aveva chiuso lo stomaco quasi più della presenza
di Evelyn a tavola. Aveva evitato di rivolgerle la parola, persino di
guardarla, e lei aveva fatto altrettanto.
-A proposito, Bruce…- Holly appoggiò le posate
sul piatto e fissò l’amico dritto negli occhi. Il
suo tono di voce mise l’altro in guardia -Mi piacerebbe non
vederti più discutere con lui.-
-Io?-
-Sì tu. Evita di provocarlo e staremo tutti più
tranquilli.-
-Io non l’ho provocato. È lui che ha la coda di
paglia.-
Benji sbuffò.
-L’uno e l’altra. Piuttosto sentite qui, ho avuto
un’idea.-
Holly tremò mentre il portiere riprendeva a parlare,
approfittando che per una volta fossero finiti tutti insieme allo
stesso tavolo.
-La proprietà commutativa dice che se Callaghan è
uscito possiamo farlo anche noi.- spostò gli occhi su
Landers -Perché non ci porti in qualche locale interessante?-
-Perché dovrei portare a spasso proprio te?-
Amy s’illuminò. Frugò nella borsetta
appesa sullo schienale della sedia e tirò fuori la guida di
Torino.
-C’è un caffè famoso segnalato anche
qui sopra. Mi piacerebbe andarci. È in centro.-
aprì il libro e lo allungò verso il compagno,
mostrandogli la foto del locale.
Mark spalancò gli occhi.
-Scherzi? È il più caro di Torino!-
-Non importa, Mark. Se è segnalato dalla guida vuol dire che
vale la pena. Se non ti va di prendere niente, saremo noi a ordinare.
Tu basta che ci accompagni.-
Benji rise. La spilorceria del compagno stava facendo storia. Col suo
attaccamento viscerale ai soldi s’era reso ancora una volta
ridicolo e per di più da solo, senza che lui aprisse bocca.
-Possibile che con quello che ti pagano devi vivere come un morto di
fame?- tolse la guida dalle mani di Amy e diede una rapida scorsa alla
descrizione del locale -Hanno solo cioccolato?-
-Cioccolato e vino.- Jenny c’era stata una volta
perché ce l’aveva portata Gentile.
-Io sono d’accordo.- approvò Julian che voleva far
contenta Amy -Chi dice a Gamo che stasera usciamo?-
-Perché a Gamo e non a Marshall?-
-Perché Marshall conta come il due di picche, Bruce.- gli
ricordò Tom -E se anche Freddie ci dicesse di sì,
poi è Gamo che dobbiamo sorbirci domani al campo.-
-Insomma, chi ci va?-
-Perché non glielo dici tu, Jenny?- li sorprese Mark
-Stamattina ci andavi così d’accordo…-
-Non è vero.-
-Invece sì. Che avevi da ridere con lui?-
-Niente. Però Gamo non è tanto male, in fondo.-
Evelyn non fu per niente d’accordo.
-Molto in fondo. Marshall non è tanto male, Gamo
è insopportabile. Punto.-
Jenny annuì di colpo convinta.
-Hai ragione. Gamo è insopportabile quindi è
molto meglio se ci parla Holly.-
Lui si tirò indietro subito. Non la voleva quella rogna.
-Figuriamoci! Non sono neppure il capitano.-
Tom gli sorrise.
-A te dà retta sempre, indipendentemente dal ruolo.-
-Preferisco non uscire piuttosto che andare a chiedergli il permesso.-
Patty lo vide impuntarsi e capì che non
l’avrebbero convinto.
-Jenny, ci vai tu? Il massimo che può fare è
risponderti di no.-
-E cosa dovrei dirgli? Che vi porto in giro a fare tardi? Con gli
allenamenti? Con la partita alle porte?-
Amy la guardò supplichevole.
-Jenny, per favore…-
La preghiera si spense nel silenzio. Col sottofondo dei compagni agli
altri tavoli che ridevano e scherzavano, la ragazza capitolò.
-E va bene. Io ci provo ma non mi dirà mai di sì.-
Invece ci mise un secondo, a convincere Gamo. Fu così
facile, rapido e indolore che lei stessa non riuscì a
capacitarsene. Gli altri l’aspettavano già pronti
per uscire, armati di borsette, cappotti e giacche ad un passo
dall’ingresso dell’hotel.
Tesa e guardinga, Jenny raggiunse Gamo che sedeva al bar insieme a
Marshall, indecisi entrambi su cosa ordinare. Erano chini sul
menù e così presi che non si accorsero del suo
arrivo. Tanto che Jenny fu costretta a tossicchiare per attirare
l’attenzione.
Si volsero. Gamo la scrutò dall’alto in basso con
una tale insistenza da metterla a disagio. Ma non era quella
l’intenzione del mister. Il fatto era che non riusciva a
riconoscerla. Quella ragazza graziosa e spigliata era così
cambiata in poco tempo che non era più in grado di trovare
traccia, in lei, della giovane intimorita che due anni prima, quando
era piombato al ryokan
dei suoi nonni, aveva tremato sotto il suo sguardo. Ricordava
perfettamente che quando era entrato nell’edificio, lei e
Callaghan erano sulle scale talmente presi a sbaciucchiarsi che non si
erano neppure accorti del suo arrivo.
-Da quanto tempo sei in Italia, Jenny?-
Quella non era una domanda che lei si aspettava. Anzi, era una domanda
che non c’entrava nulla con niente. Lo fissò
stupita. Le sue guance si imporporarono di imbarazzo e fu costretta ad
uno sforzo per rispondergli invece di darsela a gambe.
-Quasi tre mesi.-
Gamo incamerò l’informazione annuendo.
-E cosa ci consiglieresti di bere?-
-Come?-
Il mister indicò con un gesto gli scaffali del bar.
-Di tutta quella sfilza di bottiglie, cosa ci consigli di prendere? Ci
piacerebbe assaggiare qualcosa di tipicamente italiano.-
-Io non…- i suoi occhi corsero ai compagni che
l’aspettavano fiduciosi, poi tornarono sul mister in attesa,
infine si spostarono sulle bottiglie di liquori e bevande. Non lo
sapeva. Non ne aveva la più pallida idea. Cosa accidenti
poteva consigliare a Gamo? Col rischio che se avesse toppato i suoi
gusti non avrebbe acconsentito a farli uscire? Il liquore Strega?
L’amaretto? Il limoncello? Erano quelli che più le
piacevano ma erano dolci e i giapponesi (soprattutto i maschi) per i
dolci non andavano pazzi. Mark non gradiva particolarmente
l’alcol, ma i gusti di Salvatore sarebbero andati bene anche
a quei due? Forse era meglio un nocino? Una grappa? Una sambuca? Un
amaro? Si morse le labbra indecisa, passando in rassegna le bottiglie
alle spalle del barman, che aspettava paziente che qualcuno gli dicesse
cosa fare.
Si buttò e ordinò un amaro. Prima che avessero il
tempo di assaggiarlo, avanzò la sua richiesta.
-Vorrei portare gli altri in un caffè del centro.-
notò che Gamo aggrottava la fronte -Staremo via poco,
veramente il tempo di andare e tornare.-
Freddie scoppiò a ridere.
-È la serata delle fughe. Non puoi dirle di no, Gabriel.-
Lui e il collega spostarono gli occhi sui ragazzi in attesa nella hall,
fin troppo vicini alle porte, pronti ad uscire. Gamo ebbe una voglia
matta di mandare all’aria la loro serata, visto che con
Philip non c’era riuscito. Questa cosa gli piacque, il potere
che gli aveva messo in mano Jenny lo gratificò. E
così acconsentì. Del resto, come aveva appena
ribadito Freddie, se aveva permesso a Callaghan di uscire, non aveva
nessuna scusa per impedirlo a loro. Annuì.
-Non fate tardi.-
Jenny vide Marshall sorriderle incoraggiante. Mentre il barman posava
sul ripiano due bicchierini discretamente pieni, li salutò e
si affrettò a raggiungere gli amici.
Bruce fremeva per sapere.
-Allora?-
-Allora andiamo.-
-Hanno fatto storie?- Tom si corresse -Gamo ha fatto storie?-
-Veramente ha detto subito di sì.- stentava a crederci
persino lei.
Amy esultò.
-Togliamoci di torno prima che ci ripensino.-
*
Carol raggiunse Philip ai tavoli del primo piano del Mc
Donald’s. Aveva abbandonato la divisa puzzolente del
fast-food, s’era profumata alla bell’e meglio e si
era avvolta in un cappotto nero che le arrivava sotto il ginocchio.
-Tu sei il capitano della nazionale giapponese, vero?-
-Sostituisco Oliver Hutton finché non gli arriva il
nullaosta.-
-Come ti chiami?-
-Philip.-
Gli rivolse un sorriso pieno di calore e cordialità mentre
si stringevano la mano.
-Io sono Carol e sto per portarti in un posto che ti piacerà
sicuramente. Tanto sei libero stasera, no?-
Philip annuì, si alzò e
s’infilò la giacca a vento. La seguì
fuori, fino alla macchina parcheggiata in una delle stradine laterali.
Visto che non aveva nessuna voglia di tornare in hotel, qualsiasi posto
sarebbe andato bene ma il disco-club in cui Carol lo introdusse, gli
tolse di bocca ogni parola.
-Questo è un posto da vip e non si può entrare
senza invito.- gli spiegò dopo che un addetto alla sicurezza
li lasciò varcare l’ingresso saltando la fila.
-E tu ce l’hai?-
-Io posso entrare perché qui ci lavoro. Ballo sul cubo e
intrattengo gli ospiti.- gli sorrise ammiccante -Gli ospiti maschi.-
Philip la fissò sgomento. L’amica di Rob era una
escort? La guardò meglio mentre lei si sfilava il cappotto.
I suoi occhi erano perfettamente truccati, i capelli castani e fluenti
perfettamente pettinati, il rossetto di una tonalità accesa
impeccabile, il sorriso provocante. Sotto il soprabito indossava una
tenuta che era senza dubbio più da discoteca che da Mc
Donald’s. La maglietta dello stesso colore del rossetto
lasciava intravedere una scollatura più italiana che
giapponese. La gonna era nera, cortissima, e lasciava scoperto un bel
pezzo di gamba. Ai piedi aveva un paio di stivaletti neri con il tacco.
Qualcosa dentro di lui si mosse, qualcosa di quella giovane
risvegliò il suo interesse.
-Quanti lavori fai?-
-Altri due, oltre a quelli che hai visto.- appoggiò il
cappotto ben ripiegato sui cuscini di un divanetto -Cosa prendi? Ordina
quello che vuoi, sei mio ospite e offre la casa.-
-Ci porti anche Aoi, qui?-
Lei rise.
-Rob ed io ogni tanto ci frequentiamo, ma non è che stiamo
insieme. Comunque sì, ci porto anche lui. Anzi, è
lui che mi viene a trovare, qualche volta. Allora? Che prendi da bere?-
Le chiese una birra e Carol si allontanò per recuperarla al
bar. Philip si tolse la giacca, pensando che quella giornata di merda
poteva ancora raddrizzarsi. Incontrare Carol al Mc Donald’s
era stata la svolta della serata. Senza di lei sarebbe rimasto a
ciondolare da sfigato tra le vie buie e fredde di Torino. Invece in
quel locale, al caldo, con una birra e in sua compagnia forse sarebbe
riuscito ad accantonare il pensiero di un futuro che non riusciva
proprio a immaginare, sia con che senza Jenny. Ormai era inevitabile
che pensasse a lei. Ce l’aveva davanti tutti i giorni e la
sua presenza lo costringeva a riflettere su cosa sarebbe successo una
volta tornato in Giappone. L’aveva scacciata dalla sua vita e
ora non ne avrebbe fatto più parte. Pensò a
ciò che provava per lei, per una volta non cercò
di allontanare quei sentimenti. Li lasciò stare
lì, per un po’, cosa che non accadeva quasi mai
perché poi Jenny gli si insinuava dentro come una droga e il
suo pensiero lo faceva soffrire da cani. Finiva sempre allo stesso
modo: o il desiderio di esserle accanto lo devastava, oppure gli si
riapriva nell’animo una ferita che non era in grado di
guarire. Eppure non riusciva a resistere alla tentazione di pensare
alla vita che avrebbero potuto vivere se solo le cose fossero andate
diversamente.
Carol rimase a guardarlo con le birre in mano. Philip teneva gli occhi
sulla pista e non si era accorto di lei. Le studiava sempre, le
persone, Carol, soprattutto quelle che aveva appena conosciuto. Le
osservava con attenzione, cercava di capire che tipi fossero, che
storia avessero alle spalle. Farlo la divertiva. Indovinare le
caratteristiche di chi aveva davanti, i pregi e i difetti, la metteva
di buonumore. Era una sfida con se stessa e con il prossimo. Lei
adorava le persone, il genere umano in generale, ed era difficilissimo
che qualcuno non le piacesse. Philip però non riusciva ad
inquadrarlo. C’era qualcosa che lo rendeva imperscrutabile. E
qualche altra cosa, di molto profondo, che lo faceva soffrire. Si
avvicinò e gli porse la bevanda. Lo osservò
sorseggiare in silenzio la birra mentre i suoi occhi guizzavano verso
la gente che ballava e, era sicura, si posavano sulle gambe e sulle
scollature delle ragazze. Ma non era divertito e non era felice. I loro
sguardi si incrociarono e lui accennò un sorriso. Quando
sorrideva, era molto meglio.
-Che c’è?-
-Ti va di ballare?- posò i bicchieri sul tavolino, lo
costrinse ad alzarsi e lo trascinò al centro della ressa.
Philip la lasciò fare, in fondo perché no? Si
chiese cosa sarebbe successo se Gamo avesse scoperto come stava
passando la serata e fu sicuro che non ne sarebbe stato per niente
contento.
L’esuberanza della giovane lo aiutò a sciogliersi,
ma non resistette molto lo stesso. La stanchezza di una lunghissima e
stressante giornata gli piombò addosso tra una canzone e
l’altra. Si separò da lei, raggiunse il bordo
della pista, si appoggiò al bancone del bar e
ordinò un’altra birra. Quando spostò
gli occhi in cerca di Carol, incrociò quelli di una ragazza
che sedeva dall’altra parte del bar. Lo stava fissando
chissà da quanto tempo. La osservò meglio, era
molto attraente. Lei lo guardava ed era chiaro che era interessata.
Riportò l’attenzione prima sul bicchiere di birra,
poi sulla pista da ballo. Cercò Carol e tra la miriade di
corpi che si muovevano a ritmo in quell’oscurità
non riuscì a individuarla. Tornò a scrutare la
ragazza, che quando incrociò i suoi occhi sorrise di nuovo.
Philip non provò nulla, neppure curiosità. Se si
immaginava anche solo di stringere tra le braccia o baciare qualcuna,
gli veniva in mente esclusivamente Jenny. La sconosciuta
continuò a tenere gli occhi fissi su di lui. Era un invito
fin troppo chiaro, a Philip sarebbe bastato fare un cenno.
Sospirò e guardò il bicchiere, quella sera a
fargli compagnia ci sarebbero state solo un paio di birre. Ed erano
più che sufficienti.
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Capitolo 11 *** Decimo capitolo ***
Decimo
capitolo
La pioggia scrosciava violenta contro le persiane e quel ticchettio,
insistente e continuo, aveva finito per svegliare Mark. Erano le tre e
mezza e fuori s’era scatenato il finimondo. Un lampo
illuminò la stanza di un bagliore accecante, poi un tuono
scoppiò poco lontano. Sbuffando indispettito da quel
baccano, Mark scalciò via le coperte con un movimento troppo
brusco. Un crampo alla gamba lo bloccò sdraiato. Le fitte
gli salirono al cervello, il dolore fu insopportabile. Imprecando a
denti stretti si girò sulla pancia e puntò il
piede contro il letto, stendendo il muscolo del polpaccio. Premette il
viso contro il cuscino e mugolò di sofferenza. Terribile!
Era veramente terribile! Inspirò ed espirò a
fondo, mentre a poco a poco le fitte si placavano. Impiegò
diversi minuti prima di tornare padrone dell’arto.
Agitò le dita del piede, poi tentò di stirare la
gamba per allungare i muscoli. Vide di nuovo le stelle. Maledetto Gamo,
maledetti i suoi allenamenti infernali. Maledetti tutti! Riprese fiato,
riuscì a voltarsi, a sedersi sul letto e, con precauzione, a
mettersi in piedi. Zoppicò verso la porta, il polpaccio
ancora teso e irrigidito. I tuoni rombavano senza sosta, con quel
fracasso e quel dolore sarebbe stato impossibile rimettersi a dormire.
Fece una rapida capatina in bagno, poi scese di sotto aggrappato alla
balaustra, arrancando in modo da appoggiare il peso del corpo su un
piede solo. Sulla soglia della cucina, nel buio della casa,
un’ombra gli guizzò davanti.
-Mark?-
La voce di Jenny lo fece sobbalzare. Altra fitta alla gamba, seguita da
un insulto.
-Ma cazzo! Mi hai fatto prendere un co… lpo.- un singhiozzo
gli spezzò l’ultima parola -Merda! Ci mancava
anche que… sto.-
Jenny lo fissò, poi scoppiò a ridere.
-Ti è venuto il singhiozzo.-
-Grazie a te! Grazie tante!-
Lei s’infilò nel buio della cucina.
-Bevi dell’acqua.-
Mark la seguì e accese la luce. Poi attraversò la
stanza zoppicando e si lasciò cadere su una sedia. Lei gli
porse il bicchiere.
-Cosa hai fatto alla gamba?-
-Niente. Un crampo.- bevve un sorso d’acqua e trattenne il
fiato. Prima di parlare si assicurò che il singhiozzo fosse
passato -Che fai in piedi? Non riesci a dormire?-
-Come posso dormire con un baccano simile?-
-Già, è infernale.-
Rimasero in silenzio, ad ascoltare il temporale che si abbatteva sulla
casa e sulla città. Nella testa di Mark si accavallavano
pensieri su pensieri, la mente resa lucida, nonostante l’ora,
dal crampo che gli aveva fatto vedere le stelle.
-Philip ce l’ha con me. Credo che sia perché non
l’ho avvertito che eri qui.- lanciò
un’occhiata a Jenny, immobile e rigida come una statua -Mi
evita, non mi parla. Te l’avevo detto che sarebbe finita
così.-
Lei si riscosse, fingendo un’irritante incredulità.
-Davvero ti dispiace così tanto che non ti parli?-
-Non mi dispiace, mi innervosisce.-
-Allora ignoralo.-
-Come stai facendo tu?- la vide annuire -Perché invece di
evitarvi come due bambini ostinati non vi riappacificate?-
Gli rispose con un’aria di finta indifferenza. Come se
l’argomento di cui stavano parlando, invece di essere il
ragazzo con cui era stata insieme per anni, riguardasse la lista della
spesa.
-Semplicemente perché non abbiamo litigato.-
-No?-
-È finita e basta.-
-Quindi ti ostini a non volermi dire perché vi siete
lasciati.-
Gli occhi di Jenny si spostarono sulla finestra. Sui vetri venivano
giù rivoli d’acqua, il rumore della pioggia faceva
da sottofondo alla loro conversazione.
-Non sono tenuta a dirtelo e poi ormai non è importante.-
-È il motivo per cui vi siete lasciati, come può
non essere importante? Sicuramente si tratta di qualcosa che potreste
risolvere, se solo ci provaste! Ormai vi conosco bene e conosco ancor
meglio i vostri stupidi litigi!-
-Non abbiamo litigato, Mark! Vuoi capirlo una buona volta?- Jenny si
accorse di aver quasi gridato. Quando tacque la sua voce
continuò ad aleggiare nella cucina. E sotto, la pioggia che
cadeva violenta, battendo contro i muri dell’edificio
sull’asfalto.
-Non può finire, Jenny! Non così!-
-Mark…- lei si aggrappò con le mani al bordo del
tavolo. Il respiro accelerato, le guance appena arrossate.
Cercò disperatamente di mostrarsi conciliante ma dal suo
tono di voce trasudò un profondo malessere -Non ho voglia di
parlarne e non sono affari tuoi.-
-è qui che ti sbagli Jenny! Sei ospite a casa mia o no? Per
colpa di Philip, o tua. O di tutti e due, o no?-
Le lo fissò gelida.
-Se non vuoi avermi tra i piedi dillo chiaramente. Troverò
un’altra sistemazione.-
-Non hai capito niente, non sto dicendo questo!-
-Per favore!- di nuovo la voce della giovane si alzò di un
tono -Possiamo evitare di parlarne?-
-Jenny, i problemi vanno affrontati di petto… devi
affrontare Philip di petto…-
-Quella fase l’ho passata.- nei corridoi dello stadio di
Sapporo lo aveva fatto e ne era uscita sconfitta -Non voglio parlarne e
ti sarei davvero grata se evitassi l’argomento una volta per
tutte.-
Alle tre e mezza Julian si mosse nel letto e aprì gli occhi,
nelle orecchie l’eco del tuono che lo aveva svegliato. Si
irrigidì quando un lampo illuminò la camera. Lo
scroscio della pioggia venne seguito dallo schiocco di un altro tuono.
Si volse verso Philip. Teneva la testa sprofondata sotto il cuscino e
non riuscì a capire se il fragore del temporale avesse
svegliato anche lui. Quando si mosse per alzarsi però,
riemerse dalle coperte e si girò a guardarlo.
-Vado da Amy.- lo avvertì, infilandosi in fretta una felpa e
i pantaloni della tuta -I tuoni la terrorizzano.-
Sparì nel corridoio richiudendosi piano la porta alle
spalle. Philip accantonò il fastidio di vedere il compagno
usare il maltempo come scusa per infilarsi nel letto di Amy. Non erano
affari suoi. Gli occhi chiusi, ascoltando il ticchettio della pioggia
contro i vetri, si chiese se anche Jenny si fosse svegliata e se,
impaurita dai tuoni, si fosse infilata nel letto di Mark. Era stupido
solo pensarlo. Jenny non aveva paura dei tuoni e lui non poteva essere
geloso di Landers. Non era lui a starci insieme, era Gentile.
Però Jenny e Mark abitavano nella stessa casa da mesi, Jenny
cucinava per lui, lavava i suoi vestiti, gli stirava le camicie, gli
rifaceva il letto, metteva in ordine le sue cose. Lo accoglieva con un
sorriso al suo ritorno la sera, uscivano insieme per fare la spesa, per
fare shopping o andare a cena. Non avrebbe voluto dilungarsi sulla loro
idilliaca convivenza, ma non riusciva a non pensarci. Era qualcosa che
gli vorticava nella testa come un satellite senza fermarsi mai. Era
qualcosa che non riusciva ad accantonare e che forse andava anche al di
dà della gelosia. Era un vero e proprio malessere.
Julian bussò piano alla porta della stanza di Amy,
rabbrividendo al freddo del corridoio. Lei lo aspettava e
aprì all’istante. Lo accolse tremante di paura e
si rifugiò tra le sue braccia senza neppure dargli il tempo
di entrare. Julian s’infilò nella camera lanciando
un’occhiata carica d’ansia al corridoio deserto, il
timore che qualcuno li vedesse. Poi richiuse la porta.
-Amy, è solo il solito e incasinatissimo
temporale…-
-Che come al solito mi terrorizza.- gemette -Che ci posso fare?-
S’infilarono sotto le coperte e Julian la strinse a
sé. Aveva i piedi ghiacciati ed era spaventata, come al
solito. O forse anche di più, visto che era costretta ad
affrontare il suo terrore in un luogo sconosciuto, lontano da casa,
lontano dalla sua stanza, lontano dal suo letto.
Tirò su la coperta e se la avvolse addosso, ricoprendo anche
lei. Sentì il suo corpo scaldarsi a poco a poco, il suo
respiro agitato che gli accarezzava il collo rallentare pian piano.
Passarono i minuti, il temporale imperversava.
-Amy, hai litigato con Benji?-
Forse quello non era il momento adatto, ma la domanda gli
uscì da sola. Da quando erano arrivati a Torino, da quando
aveva visto la fidanzata tenersi alla larga dal portiere e la
curiosità si era scatenata incontrollabile, aveva cercato il
momento giusto per informarsi, ma non gli era capitata
l’occasione. La sentì reagire irrigidendosi.
I minuti scorrevano e Amy restò in silenzio. I tuoni
squassavano l’aria, ogni boato era un sussulto. Rispose
quando Julian non si aspettava più che l’avrebbe
fatto.
-Dopo la partita contro il Bayern l’ho chiamato. Lo so, non
avrei dovuto.- fece una pausa -Ovviamente lui non aveva voglia di
sentirmi, mi ha assalita e mi ha riattaccato il telefono in faccia.
Credo che ce l’abbia ancora con me.-
Julian non lo credeva. Price era pronto a perdonarla. La sera del party
l’aveva braccata per parlarle e forse scusarsi. Benji non si
scusava mai, pensava sempre di aver ragione, ma forse per Amy avrebbe
fatto un’eccezione. Le passò una mano sulla
schiena, su e giù per tranquillizzare lei e se stesso dai
dubbi che lo assillavano da mesi.
Rimasero svegli, Amy a tremare e lui a rimuginare, finché il
temporale non fu passato. Poi, poco prima delle cinque, quando stava
finalmente per cedere al sonno, la ragazza udì delle voci
nel corridoio. Si alzò dal letto svegliando Julian.
-Amy? Dove vai?-
-Qualcuno qui fuori sta parlando.- raggiunse la porta a piedi nudi e la
socchiuse.
Nel corridoio, due camere più in là, Bob Denver
era chino a terra e raccoglieva sconsolato un sacchetto trasparente di
biancheria pulita, appoggiato davanti alla porta. Accanto a lui Johnny
Mason ne teneva tra le mani un altro e frugava al suo interno. Dietro
di loro, Alan e Ted percorrevano il corridoio passando in rassegna
tutti gli altri.
-Che state facendo?-
Quando Bob udì la sua voce, sussultò come un
bambino pescato a rubare caramelle. Si volse.
-Buongiorno Amy.-
-Hanno confuso le consegne della lavanderia.- Mason sbuffò e
lanciò il sacchetto sul pavimento, davanti ad
un’altra stanza -Queste non sono le nostre magliette.-
La porta dei Derrick si aprì.
-Ma che casino è? Il temporale di stanotte non vi
è bastato?- chiese James mentre Jason alle sue spalle si
strofinava gli occhi con una mano -Vogliamo dormire!-
Alan Crocker tornò esaminando una busta.
-Hanno fatto un casino, pure ieri si sono…-
s’interruppe quando nel suo campo visivo entrò
all’improvviso Julian. Lo fissò stralunato
-Perché sei in camera di Amy?-
Ross impietrì. Merda, si era fatto beccare! Non gli era
passato neppure per l’anticamera del cervello che avrebbe
dovuto restarsene nascosto. Il resto della combriccola, che
bighellonava nel corridoio, li raggiunse.
Amy arrossì, Julian si pietrificò. I gemelli lo
assalirono.
-E bravo Ross! Ti dai da fare anche in ritiro!-
-Attività fisica diurna e notturna! Se lo sapesse Gamo!-
Bob, le mani puntate sui fianchi, fissò la coppia con un
cipiglio che voleva essere disapprovazione anche se provava
praticamente solo invidia.
-Sempre così funzionano le cose. C’è
sempre chi predica bene e razzola male.-
Julian non ebbe la prontezza di rispondere. Reagì
allontanandosi da Amy, perché se Gamo o Marshall fossero
stati svegliati dalla confusione in corridoio e l’avessero
beccato sulla soglia della stanza della fidanzata, avrebbero tratto le
loro ovvie conclusioni. Allora sì che sarebbero stati
dolori. Scambiò una significativa occhiata con Amy, poi
raggiunse la propria camera e bussò con frettolosa
insistenza per farsi aprire da Philip. Poche ore prima, nella fretta di
andarsene, non aveva pensato a prendere la card per rientrare.
Johnny Mason gli si avvicinò e gli indicò il
sacchetto della biancheria posato a terra.
-Quella roba è tua?-
-Non dovrebbe?-
Philip aprì la porta con un diavolo per capello.
-Stavo dormendo, Julian!-
Porca miseria, impiegava ore ogni volta per prendere sonno e quando
finalmente ci riusciva, ci si metteva Ross a svegliarlo. Le sue scuse
gli entrarono da un orecchio e gli uscirono dall’altro,
mentre la sua attenzione veniva catalizzata da mezza nazionale a zonzo
per il corridoio.
-Che state combinando?-
Julian tolse il nastro adesivo dalla busta e frugò tra le
maglie insieme a Carter.
-Hai ragione, Ted. Questa roba non è nostra!- la
mostrò a Philip che scosse la testa.
-Dai qua…- Jason Derrick gliela tolse dalle mani, la
controllò e non trovandoci niente di suo, la
passò a Bob. Nel frattempo gli abiti, con tutti quei
rimestamenti, si erano ridotti a cenci spiegazzati.
-Ci siamo! Eccolo qui!- Denver agitò la busta in direzione
di Mason, il suo compagno di stanza.
-Philip, tanto perché tu lo sappia, stanotte Julian si
è infilato in camera di Amy e si è dato alla
pazza gioia.- lo mise al corrente Jason Derrick seccato -Non
è mica giusto…- socchiuse gli occhi -O lo sapevi?-
Lui lanciò un’eloquentissima occhiata a Ross,
un’altra a Amy che era rimasta a guardarli sulla porta. Il
sorrisetto divertito che la ricerca delle buste della lavanderia le
aveva fatto salire alle labbra, si dissolse in un attimo. Philip non
riuscì a credere che fossero stati così fessi da
farsi beccare. Lui non voleva entrarci, in queste cose. Si
spazientì.
-Che te ne frega, Derrick? Trovati una donna e datti alla pazza gioia
anche tu!-
-Come se fosse facile.- rise Alan, causando uno scoppio di
ilarità tra i compagni.
Jason invece ammutolì. Non si aspettava di essere zittito in
quel modo. Non era lui ad essere in torto ma Ross.
-Diamine Philip!- saltò su James a difesa del gemello -Tu
sei il capitano, non puoi rispondere così! È
Julian che ha sbagliato, non Jason!-
Era ancora l’alba e Philip ne aveva già abbastanza
di tutti loro. Represse la stizza e scavò dentro di
sé in cerca di una diplomazia a cui non ricorreva
più da mesi.
-Cosa vuoi che faccia, allora, Jason?-
Quello guardò prima Philip, poi Julian e infine Amy, che se
ne stava in silenzio, mortificata.
-Niente, lascia stare.-
*
Tirando un profondo respiro, Jenny spinse la porta
dell’agenzia, tappezzata di depliant nuovi di zecca. Oltre
Berlino, Madrid, Praga e Parigi, avevano aggiunto Amsterdam, Lisbona e
la Provenza. Le seccava da morire essere lì ma se non
trovava il modo di sistemare le traduzioni, non sarebbe mai stata
pagata. Quei soldi le servivano, ormai era agli sgoccioli e le spese
pazze in cui l’aveva trascinata Carol nelle settimane
precedenti l’arrivo della nazionale giapponese avevano quasi
prosciugato i suoi risparmi. Mai e poi mai avrebbe chiesto un prestito
a Mark, figuriamoci a Gentile. Suo padre, da quando era partita da New
York dopo Natale contro la sua volontà, non le versava
più uno yen. Avrebbe potuto ricorrere alla nonna, ma i
guadagni del ryokan adesso entravano quasi integralmente nelle casse
della società di David. Non aveva seguito la questione
economica della cessione dell’edificio, non sapeva di preciso
che percentuale spettasse ai nonni, ma aveva la netta impressione che
si accontentassero del minimo indispensabile per tirare avanti in
quegli ultimi anni. Se glielo avesse chiesto l’avrebbero
sicuramente aiutata, ma forse per loro mandarle dei soldi sarebbe stato
un sacrificio. Tanto valeva che se la cavasse da sola, come aveva
sempre fatto per ogni altra cosa.
Mise piede nel negozio e si guardò intorno. Come al solito
Morris Brown era solo. Quando la vide entrare si tolse gli occhiali, li
posò sul tavolo e le sorrise. Jenny si chiese che accidenti
facesse tutto il giorno, come passasse il tempo, di quante cose si
occupasse, perché in tutta sincerità a lei
sembrava che trascorresse la maggior parte delle giornate a scaldare la
sedia navigando su internet.
Brown le fece cenno di accomodarsi. Jenny scostò la
poltroncina di fronte a lui, quella riservata ai clienti
dell’agenzia, e si sedette.
-Ho dato un’occhiata alla traduzione. Hai fatto un buon
lavoro.- frugò tra le carte che aveva sulla scrivania e
recuperò i fogli che lei gli aveva consegnato il giorno
prima.
Jenny fissò interdetta i segni a penna rossa che intravide
sul primo foglio. Morris si era preso la libertà di
aggiungere e cancellare frasi a suo piacimento. Represse un moto di
scontento, allungò una mano, strinse tra le dita la prima
pagina e se la portò davanti agli occhi.
-Mi pare che lei abbia fatto numerose correzioni. La mia traduzione non
è andata bene?-
-Sono sciocchezze.- sfogliando le pagine mostrò a Jenny una
gran quantità di segni rossi -Possiamo vederli insieme. Non
ci metteremo molto.-
Lei valutò rassegnata che come minimo ci sarebbe voluta
un’ora. Erano quasi le dieci e non aveva nessuna intenzione
di passare lì dentro tutta la mattinata. Lo fissò
di sottecchi, chiedendosi se non l’avesse fatto apposta per
pagarla di meno. Scorse attentamente le righe e si rese conto che aveva
cambiato persino la punteggiatura. Represse un moto di stizza mentre
Morris si alzava, girava intorno al tavolo e si avvicinava alla porta
del negozio. Jenny si volse e lo vide ruotare il cartello appeso,
mostrando all’esterno la scritta
“CHIUSO”. Poi tornò verso di lei con un
sorrisetto.
-Faremo in fretta.-
Lei non ricambiò il sorriso e non gradì il suo
gesto. Cercò di ignorare la sensazione di disagio che
d’improvviso quell’uomo le causava e riprese a
scorrere con gli occhi le correzioni. Forse la cosa migliore da fare
era assecondarlo, concentrarsi sul lavoro e finire presto. Se non fosse
andata lì per essere pagata, se quei soldi non se li fosse
guadagnati tutti e con tanto lavoro, si sarebbe alzata e se ne sarebbe
andata. Se le traduzioni non erano state apprezzate, lei non poteva
farci niente. Diede un’occhiata all’orologio. Il
tempo non passava. Da quando aveva messo piede nell’agenzia
erano trascorsi appena tre minuti.
-Vuoi del caffè?-
Scosse la testa e gli lanciò un’occhiata mentre
Morris, col thermos in mano, si riempiva un bicchiere di plastica.
Anche se era lontana, Jenny percepì l’aroma della
bevanda. Quel tizio se la prendeva comoda e invece lei non vedeva
l’ora di finire.
-Ho un appuntamento, non posso trattenermi molto.-
-Allora diamoci da fare.-
Quando Jenny non gli rispondeva al telefono, Salvatore si innervosiva.
Detestava essere ignorato, era più forte di lui. E alla
quinta telefonata non risposta dopo più di un’ora
di tentativi, la ragazza gli stava dimostrando che poteva ignorarlo
alla grande. Con un diavolo per capello parcheggiò la
macchina in doppia fila, smontò,
s’infilò tra le auto posteggiate lungo il
marciapiede e raggiunse l’entrata dell’agenzia.
Notò il cartello con la scritta “CHIUSO”
ed esitò. Jenny gli aveva detto che sarebbe passata
lì… Si guardò intorno, sotto i
portici. Non la vide e tornò ad osservare le vetrine del
negozio. Notò la luce accesa, allora accostò il
viso alla porta e sbirciò dentro. Trovò Jenny in
piedi che dava le spalle all’ingresso. Riusciva a vedere solo
la sua schiena e, dietro il volantino dei campi di lavanda della
Provenza, parte dell’uomo che le stava davanti, vicinissimo.
Troppo vicino. Come se non bastasse, una mano di lui era sul suo
braccio, quasi a volerla trattenere.
Questo a Gentile non andò giù, quel tizio le mani
doveva tenerle a posto. Spalancò la porta facendola sbattere
sui cardini e con due passi fu tra loro. Li squadrò. Jenny
aveva le guance arrossate, gli occhi scintillanti. Il suo petto si
alzava e abbassava in un respiro concitato. L’uomo le
lasciò di scatto il braccio e lei si tirò
indietro di un passo.
Salvatore non capì cosa stesse succedendo.
Continuò a guardarli, prima uno, poi l’altra, e
non riuscì a rendersi conto di cosa avesse appena
interrotto. Di qualsiasi cosa si trattasse non gli piacque per niente.
Trasse le proprie conclusioni: quello stronzo aveva allungato le mani.
-Cosa stava facendo?- ringhiò in italiano, Jenny non
capì ma Morris sì.
-E lei chi sarebbe? Non ha visto che siamo chiusi?-
-Sono il suo ragazzo.- indicò Jenny e incrociò la
collera nei suoi occhi.
-Non vuole pagarmi!- lo accusò lei in inglese.
La furia di Gentile si scatenò. Si volse verso Morris.
-Che significa che non vuole pagarla?-
-C’erano alcuni errori, la traduzione non va bene!-
-Cosa cazzo c’entra? Il lavoro l’ha fatto. Io vengo
pagato anche quando sbaglio! Le dia subito il compenso che avevate
concordato!- gli costò un enorme sforzo non prendere a pugni
quella faccia da maniaco.
L’uomo, la bocca spalancata dalla sorpresa e da un velo di
terrore, di fronte ad una reazione tanto brusca e improvvisa
indietreggiò di un passo. Incespicò contro le
rotelle della sedia e urtò la scrivania. Il portapenne si
rovesciò e parte dei fogli sui quali stavano lavorando
finì sparpagliata a terra. Non sembrò neppure
accorgersene. Jenny invece li avrebbe raccolti, se Gentile, quando
accennò a chinarsi per farlo, non l’avesse
afferrata per un braccio, bloccandola dov’era. Morris fece il
giro del tavolo, portandosi al sicuro dalla furia del ragazzo.
Aprì un cassetto, frugò all’interno
mandando tutto all’aria ed estrasse la busta bianca che aveva
già preparato. L’allungò a Gentile.
Quello l’afferrò brusco e spinse Jenny davanti a
sé fuori dal negozio. La trascinò verso la
macchina, dove un vigile era già pronto a fargli la multa.
-Sto andando via.-
Aprì lo sportello del passeggero, aspettò
impaziente che Jenny salisse e chiuse la portiera con violenza. Era
furibondo. Salì dall’altro lato e non si
preoccupò neppure di sapere se il vigile la multa
gliel’avesse fatta. Gettò sulle gambe di Jenny la
busta con i soldi, mise in moto e partì.
Lei non disse una parola e Salvatore non fiatò per tutto il
tragitto. Parcheggiò nel centro sportivo, girò
intorno alla macchina e le aprì lo sportello, in attesa che
Jenny scendesse. Lei lo fece scontenta perché il campo era
l’ultimo posto in cui voleva andare.
-Perché mi hai portata qui?-
-Meglio qui che in giro per Torino a metterti nei guai.-
-Non mi sono messa nei guai!-
-Perché sono arrivato io! Scendi!-
Lei gli ubbidì intimorita. Salvatore borbottò
qualcosa di incomprensibile, chiuse la macchina, recuperò la
borsa sportiva dal portabagagli e un istante dopo le fu così
vicino che lei istintivamente indietreggiò.
-Devi rispondere al telefono quando ti chiamo!-
-Non l’ho sentito! Avevo tolto la suoneria!-
-Me ne sono accorto!- l’afferrò per un polso e
s’incamminò sul vialetto verso il campo dei
giapponesi trascinandosela dietro. Jenny incespicò, poi
capì qual era la loro meta e lo supplicò.
-Lasciami! Non voglio andarci!-
Tentò di farsi mollare ma non ci riuscì.
Salvatore continuò imperterrito a trascinarla con
sé. Dopo ciò che aveva visto la voleva al sicuro
e il posto più sicuro che riusciva a immaginare in quel
momento era il campo delle schiappe, insieme alle amiche, sotto gli
occhi vigili di Landers. In pratica il posto più sicuro per
Gentile era esattamente quello dove Jenny avrebbe evitato in ogni modo
di andare. Ciò che desiderava di meno in assoluto era finire
in pasto alla curiosità di Evelyn, che sicuramente stava
assistendo alla loro performance fuori dal campo e che
l’avrebbe riempita di domande. Ci mise un secondo a
individuarla. Era vicino alle panchine, insieme a Patty e Amy.
Agitò con forza il braccio su e in giù, cercando
di liberarsi dalla stretta dolorosa di Gentile. Non ci fu niente da
fare e lo odiò furiosamente per l’umiliazione a
cui la stava sottoponendo. Con un ultimo, disperato tentativo
puntò i piedi a terra, lo strattonò con tutta la
forza della disperazione e riuscì a sbilanciarlo. Si
aggrappò alle maglie della rete che stavano costeggiando e
Salvatore fu finalmente costretto a fermarsi.
-Perché mi hai portata qui? Non voglio andare da loro!- lo
supplicò con un filo di voce. Quando sentì le
guance bagnate si passò una mano sul viso.
-Cosa sarebbe successo se non fossi arrivato?- gli occhi
dell’italiano emisero un balenio azzurro e Jenny
chinò la testa. Non tentò neppure di
rispondergli, era troppo infuriato. E infatti lui
l’assalì di nuovo, scuotendola per il braccio che
ancora le stringeva -Non l’hai visto? Stava per saltarti
addosso, quel maiale!-
Lei spalancò gli occhi e boccheggiò in cerca
d’aria. Salvatore si stava sbagliando. La sua collera era
scaturita da qualcosa che lui aveva travisato. Qualcosa che non era
assolutamente successo e che non sarebbe mai successo. Non aveva capito
nulla, se non fosse arrivato se ne sarebbe semplicemente andata senza i
soldi e…
-Che cazzo stai facendo, stronzo bastardo?-
La voce infuriata di Mark anticipò ogni tentativo di
spiegazione. Si volsero sorpresi, Jenny addirittura sobbalzò
di spavento.
-Lasciala immediatamente!-
Gentile lo fece, ma non perché glielo ordinò
Mark. La mollò perché ormai tenerla stretta non
aveva più senso.
-Come ti permetti?- lo incalzò Landers -Che razza di modi
sono? Ti ha dato di volta il cervello?-
Salvatore lo fissò, la sua intromissione lo
esasperò. Perché Landers non era ad allenarsi?
Perché si ficcava in mezzo a cose che non lo riguardavano?
-Fatti i cazzi tuoi!-
-Lo sono!-
Jenny assistette impotente a quello scambio di brevi frasi in italiano,
sperando che Gentile si tenesse per sé i suoi sospetti e le
sue assurde conclusioni. Quando vide Patty accorrere, capì
che l’amica sarebbe stata la sua salvezza.
La ragazza si fermò accanto a Jenny e posò gli
occhi prima su Mark, poi su Gentile. La sua presenza servì a
sedare istantaneamente gli animi, riportando ragionevolezza in entrambi.
-Mark, non gridare. Ti si sente fino alla panchina.-
Quello sbuffò.
-Io non grido se lui tiene le mani a posto.-
Non fece in tempo a dirlo che Salvatore sollevò un braccio e
scostò dalla guancia bagnata di lacrime di Jenny una sottile
ciocca di capelli che vi si era incollata.
-Ti ho fatto male?- si preoccupò di chiederle d’un
tratto.
Lei scosse la testa.
-Allora ci vediamo dopo?-
Annuì. Salvatore le sorrise rassicurato e corse via, ad
affrontare a testa alta le urla di suo padre, che avrebbe certamente
sbraitato per l’ennesimo ritardo.
-Mark, hai finito di fare i tuoi comodi?-
I tre si volsero. Holly era a pochi metri da loro, più o
meno al centro campo. Fissava indispettito il compagno, i pugni sui
fianchi. Non lo infastidiva soltanto il fatto che Mark, per correre da
Jenny, avesse interrotto gli allenamenti, ma anche che era toccato a
lui richiamarlo all’ordine. Avrebbe dovuto pensarci Philip.
-Vai Mark.- Patty gli sorrise rassicurante -è tutto a posto
adesso.-
Lui spostò gli occhi su Jenny.
-Lo spero.- borbottò e corse via.
Patty lo guardò allontanarsi, poi si puntellò le
mani ai fianchi e scrutò l’amica.
-Adesso spiegami come sei riuscita a far infuriare Gentile
così.-
-Ti giuro che non lo so. Ha fatto tutto da solo.- Jenny si
guardò intorno, tesa. Evelyn era vicina, troppo. Non voleva
che ascoltasse, che si impicciasse come al solito. Si spostò
e Patty la seguì. Solo quando furono lungo il vialetto che
conduceva al parcheggio, Jenny si decise a parlare.
-Non è successo niente, ma Salvatore non l’ha
capito.-
-Non ti seguo… quando?-
-Ero all’agenzia a prendere il compenso per le traduzioni.
Quell’uomo non voleva pagarmi e Salvatore ci ha trovati a
discutere…- abbassò gli occhi a terra -E anche
piuttosto animatamente. Salvatore ha travisato, non so cosa abbia
pensato.- arrossì di vergogna -Oddio, lo immagino. Non ha
capito…- s’interruppe, ricordò
d’un tratto la busta bianca che aveva infilato nella borsa.
Non aveva neppure controllato se la cifra fosse giusta. Tirò
fuori le banconote, le contò rapida e si
irrigidì. Alzò sull’amica uno sguardo
sorpreso -È di più!-
-Ti ha pagata di più?-
-Si è sbagliato.-
-O forse Gentile non aveva capito tanto male.-
Lei si volse di scatto.
-Che vuoi dire?-
-Che ha aggiunto la mancia a cui accennava ieri Evelyn.-
-Non è possibile, Patty.- Jenny si sentì spezzare
dentro, la sua sicurezza vacillò. Si era dimostrata una
stupida ingenua, di nuovo. Non aveva percepito il pericolo e stavolta
l’aveva scampata per un pelo.
-Jenny…-
Non aveva capito nulla, probabilmente quel tizio ci avrebbe provato.
Per questo aveva voltato il cartello chiudendo l’agenzia
quando lei si era seduta al tavolo. Non c’era bisogno di
chiudere il negozio per controllare le traduzioni. Per questo aveva
perso tutto quel tempo a fare stupide e inutili correzioni. Per poterla
trattenere più a lungo.
-Jenny…-
Aveva previsto che quella mattina sarebbero rimasti da soli, aveva
calcolato tutto, magari anche di saltarle addosso se Salvatore non
fosse piombato all’improvviso tra loro.
-Jenny…- Patty le mise una mano sul braccio e la scosse
-Tutto ok?-
Lei scattò indietro, come se il tocco dell’amica
l’avesse bruciata. Poi si rese conto della propria reazione e
le lanciò un’occhiata di scuse.
-Sarebbe successo ancora?- la domanda le sfuggì, mentre gli
occhi le si riempivano di lacrime. Era stata una stupida, di nuovo! Le
ricacciò indietro, non voleva piangere. Ne aveva versate
già troppe, di lacrime. Deglutì un paio di volte
e quando il groppo che aveva in gola si fu sciolto, riuscì a
tornare a respirare normalmente. Allungò una mano e prese
quella di Patty, per farle capire che non erano la sua presenza e il
suo tocco a turbarla.
L’amica intrecciò le proprie dita alle sue in un
gesto di rassicurante vicinanza.
-Jenny, me lo sto chiedendo da mesi… Perché tu e
Philip vi siete lasciati?-
Lei distolse rapida gli occhi, quelle parole la spinsero ad
allontanarsi di nuovo. Ritirò la mano, rifiutando sia la
domanda sia il contatto fisico che, per un attimo, le aveva avvicinate
come era successo mesi e mesi prima. Lo sguardo le si
annebbiò, fissò il campo ma non vide nulla. Tutto
sembrava avvolto dalla foschia, forse erano di nuovo le lacrime,
scaturite stavolta dal ricordo di una sofferenza troppo grande. Una
sofferenza che aveva cercato di seppellire dentro di sé, ma
che era ritornata a galla in quegli ultimi giorni e che
l’amica adesso aveva fatto emergere di nuovo. Nonostante
ciò si sforzò di risponderle. Patty non meritava
di essere ignorata, non dopo quello che aveva fatto per lei.
-Credo che…- non era facile spiegare -Ci siamo persi per
strada.-
-Ma vi amate ancora, vero?-
Jenny non ebbe l’energia né tanto meno il coraggio
di accettare un’ipotesi che non si era mai sognata di
prendere in considerazione. Patty pensava l’impossibile. Se
Philip l’aveva lasciata, significava che aveva smesso di
amarla. Altrimenti sarebbero rimasti insieme, in qualche modo sarebbero
riusciti a uscire dal baratro, avrebbero trovato la forza di
riemergerne.
-Ti prego, non parliamone.- farlo le faceva ancora troppo male e
oltretutto, riflettere su un rapporto morto e sepolto da mesi, non
l’avrebbe portata da nessuna parte.
Patty annuì.
-Ti fermi a pranzo con noi?-
-Non lo so.- si guardò intorno titubante. Dopo
ciò che era successo in agenzia non era sicura di desiderare
la compagnia di Salvatore e forse non voleva restare neppure da sola.
Ma con i compagni, a mangiare all’hotel, meno che mai. Non
seppe decidersi. I suoi occhi si posarono distrattamente su un uomo che
percorreva risoluto il viale di accesso ai campi, la macchina
fotografica appesa al collo. Fu quel particolare a farle squillare
nella testa un campanello d’allarme. I giornalisti non
avevano il permesso di oltrepassare l’ingresso del centro
sportivo. Se volevano intervistare o fotografare i calciatori, erano
costretti ad aspettarli fuori, oltre i cancelli. Il custode non
lasciava entrare nessuno, né loro né i fan.
Perché allora quell’uomo era lì?
-Salve!- Bill Steiner le salutò sollevando la mano.
Osservarono diffidenti i suoi occhi brillare.
-Oggi è il mio giorno fortunato. Jenny Lohan, la ragazza di
Salvatore Gentile, vero?-
Le sue parole svelarono in un attimo chi avevano davanti. Patty si
irrigidì e fece un passo indietro, sulla difensiva.
Serrò le labbra e i suoi occhi scintillarono
d’astio.
-Come ha fatto a entrare?-
Lui si portò una mano alla tasca dei pantaloni.
-M’è costato parecchio, ma spero che ne sia valsa
la pena.- puntò gli occhi in quelli di Jenny -Se permette
vorrei farle qualche domanda.-
Fu Patty a rispondere per lei.
-No, non permette.- afferrò l’amica per mano con
l’intenzione di portarla via. L’uomo si
piazzò al centro del sentiero, impedendo loro di passare.
-Si tratta solo di un paio di domande.- insistette mellifluo.
-Le ho detto di no! Jenny, andiamo.- quello non si scostò
quando cercarono di superarlo -Insomma, ci lasci passare!-
-Su, faccia la brava, signora Hutton…- le strizzò
un occhio per tentare di ammorbidirla.
Tornò a guardare Jenny, che non aveva detto una parola,
l’incredulità a riempirle gli occhi. Non riusciva
a convincersi che quel giornalista fosse davvero lì per lei.
Evelyn non si era sbagliata, persino Mark aveva avuto ragione.
Quell’uomo era venuto a cercarla.
-Ha deciso per quale squadra tiferà nella prossima
amichevole, signorina Lohan? Per il Giappone o per l’Italia?-
Le labbra di Jenny si socchiusero di stupore, mentre il senso di quella
stupida e inutile domanda le entrava in testa. Non era esattamente
ciò che si aspettava, aveva in mente tutt’altro,
così finì per sfuggirle un sorriso.
-Sa che non ci avevo pensato?- si volse verso Patty, apparentemente
colpita dal problema -Secondo te chi dovrei tifare?-
-Per chi ti pare, Jenny.- rispose secca -Vieni, andiamo via.-
Steiner la incalzò ancora. L’atteggiamento della
ragazza non era del tutto ostile e forse sarebbe riuscito ad ottenere
qualche risposta. Cambiò argomento, si fece più
spudorato.
-Sa che il suo ex fidanzato ora frequenta Julie Pilar?-
Jenny si irrigidì.
-Sì che lo so ma non mi interessa, quindi non vedo
perché dovrebbe interessare a lei.-
-Perché ci sono persone disposte a spendere il prezzo di una
rivista, per leggere queste cose.-
-E a lei, per scrivere queste cose, non secca correre dietro agli
ormoni della gente?-
L’inaspettata impertinenza di Jenny gli fece abbassare la
guardia. Patty lo scostò brusca.
-Ci lasci passare.- riuscì a superarlo e a trascinare
l’amica con sé.
Evelyn le accolse curiosa.
-Non ditemi che quello è Steiner!-
Le due assentirono all'unisono.
-Che voleva ancora quel deficiente?-
-Voleva sapere se so chi frequenta Philip.-
-E tu che gli hai risposto?-
-Che lo so.-
-E basta?-
Lei annuì.
-Lo spero proprio! Se rispondi a lui e non a me, giuro che non ti
rivolgerò mai più la parola!-
-Non gli ho detto niente.-
-L’hai provocato e deriso, Jenny. Non avresti dovuto
parlargli così.- Patty avrebbe continuato a rimproverarla se
la sua attenzione non fosse stata catturata da Gentile che varcava
svelto il cancello del campo degli italiani e, inseguito da un compagno
di squadra che gli gridava dietro qualcosa, puntava dritto sul
giornalista.
L’uomo li vide solo quando Salvatore gli mise una mano sulla
spalla. Il giovane biondo gli si rivolse in inglese, gli occhi azzurri
che lampeggiavano di fastidio.
-Chi le ha dato il permesso di entrare?-
Steiner abbassò la macchinetta fotografica e lo
fissò sorpreso. Quasi non credette a tanta fortuna. Prima
Lohan, poi Gentile… Doveva assolutamente approfittarne.
Salvatore continuò ad assalirlo mentre Alex Marchesi, dietro
di lui, cercava di arginare la sua collera.
-Lo sa che qui non può stare? Se ne vada!-
-Lascialo in pace, Salvatore. Che fastidio ti dà? Dobbiamo
allenarci piuttosto…-
Gentile neppure lo sentì.
-Stava fotografando la mia ragazza, vero?-
-Può darsi. È vietato?-
-Sì, lo è.-
Marchesi lo tirò per un braccio.
-Salvatore, dobbiamo allenarci.-
Gentile si scrollò il compagno di dosso e nello stesso tempo
tentò di mostrarsi pacatamente ragionevole nei confronti del
fotografo. In fondo la colpa era di chi lo aveva fatto entrare.
-Se non vuole avere grane, le consiglio di andarsene alla svelta.-
-Va bene, me ne vado. Ma prima lei risponda ad un paio di domande, ok?
Sa che la sua ragazza è l’ex fidanzata di Philip
Callaghan?-
Gentile lo fece a denti stretti.
-E allora?-
-Allora pensa che Jenny, ora che si sono rivisti, potrebbe piantarla in
asso per tornare con il suo precedente ragazzo?-
-Non penso nulla.- ringhiò furioso, i nervi frementi di una
collera che continuava a salire.
-E alla sua ex… l’indossatrice con la quale aveva
dichiarato tempo fa che si sarebbe sposato, pensa ancora?-
Steiner, senza saperlo o forse sapendolo, infilò non solo un
dito ma tutta la mano in una piaga ancora aperta e sanguinante e
spinse. L’accenno alla ragazza che lo aveva tradito fu
inaccettabile, Salvatore reagì e reagì male. Lo
afferrò per il collo stringendo forte e caricò il
pugno. Gli occhi di Steiner furono attraversati da un lampo di
autentica paura. Capì troppo tardi di essere nei guai. Ma il
colpo non arrivò. Alex afferrò al volo il braccio
piegato del compagno pronto a scattare e lo costrinse ad abbassarlo,
impedendogli di aggredire quell’importuno giornalista e di
conseguenza cacciarsi nei guai.
-Lascialo in pace Salvatore. Non ne vale la pena.- l’altra
mano di Gentile non aveva mollato la stretta, le dita del ragazzo
serravano ancora il collo del giornalista -Basta cazzo! Vuoi beccarti
una denuncia?-
Steiner continuò a tenere i propri occhi in quelli azzurri e
pieni di collera del giovane. Le labbra dell’italiano erano
tese in una linea sottile. Poi le dita che lo stringevano allentarono
la presa e riuscì a liberarsi. Fece un passo
indietro massaggiandosi il collo, la voce strozzata.
-Me ne ricorderò…- indietreggiò
ancora, per mettersi al riparo dalla furia del ragazzo.
-Lo spero bene! Adesso se ne vada e faccia attenzione a non ricapitarmi
più davanti!-
Stringendosi al petto la macchinetta fotografica, Steiner si
curò di mettere ancora più distanza tra lui e il
calciatore. Era chiaro che Salvatore Gentile non gli sarebbe stato
utile in nessun modo. Meglio stargli alla larga e concentrarsi su
Jenny. Lei era l’unica che avrebbe potuto avvicinare senza
pericolo, purché quel maledetto moccioso non fosse nei
paraggi.
*
Philip ci aveva pensato quella notte, dopo che Julian lo aveva lasciato
solo per stringersi al pigiama di Amy. Si era scervellato per ore e
alla fine aveva trovato la tanto sospirata soluzione ad uno dei suoi
problemi più grandi. Con quel pensiero fisso che gli aveva
ronzato nella testa di continuo, aveva finito di pranzare ed era andato
in cerca di Gamo. Aveva un bisogno impellente di togliersi la rogna,
non poteva più aspettare. Lo trovò al bar insieme
a Marshall. Sul ripiano del tavolo era aperto un quotidiano sportivo
giapponese su cui erano sparpagliati dei fogli scritti a mano, con
linee e schemi tracciati alla rinfusa.
Quando lo vide avvicinarsi, Freddie gli sorrise.
-Hai bisogno di qualcosa, Philip?-
Lui annuì, si frugò nelle tasche e
tirò fuori la fascetta da capitano. I due uomini si
lanciarono un’occhiata sorpresa mentre la posava sul tavolo.
-Ho bisogno di liberarmi di questa.-
Gamo fremette.
-Cosa significa?-
-Significa che rinuncio a…-
L’allenatore balzò in piedi, puntandogli un dito
contro.
-Ti proibisco di dirlo!-
Philip lo fissò ostile, deciso a perorare la propria causa.
Maledisse la sua caparbietà. Perché doveva essere
così ostinato? Perché si rifiutava di vedere
ciò che ormai era chiaro a tutti? La sua totale
incapacità di guidare la squadra era persino sotto gli occhi
dei giornalisti. Non gli importava della figura di merda che stavano
facendo?
-L’ha visto anche lei che non sono in grado!- e quella
mattina all’alba, nei corridoi dell’hotel,
assalendo Jason in quel modo quando Derrick aveva avuto tutte le
ragioni per lamentarsi del comportamento di Julian, l’aveva
dimostrato per l’ennesima volta.
Marshall si intromise, tirando Gamo giù sulla sedia.
-A tutti capita di passare un brutto periodo, Philip. E non
è il caso di farne una tragedia. Gabriel ed io siamo sicuri
che anche questa volta sarai perfettamente in grado di svolgere il
ruolo di capitano della nazionale.-
Lui scosse la testa.
-No, stavolta no.-
-I tuoi compagni hanno fiducia in te, Philip. E anche noi. Tu per primo
dovresti credere in te stesso e invece non lo stai facendo.-
Il ragazzo si agitò a disagio. Quello che sembrava un
discorso profondo, era solo una grande balla. I suoi compagni non
avevano più fiducia in lui. Se ne rendeva conto da come lo
guardavano, da come li sentiva bisbigliare, da come smettevano di
parlare quando lui si avvicinava, da come sbuffavano e lo fissavano
quando qualcosa non andava. Il suo istinto di mollare tutto e scappare
stava vincendo la lotta contro il suo senso del dovere,
perché se il suo dovere non era più in grado di
farlo, a che serviva trascinare nel baratro l’intera squadra?
Lo sapeva per certo. Se Gamo si fosse intestardito a fargli tenere per
forza quella maledetta fascia, la partita sarebbe andata a puttane.
Quando accidenti arrivava il nullaosta di Holly? Ecco, il nullaosta
poteva essere la sua unica via di fuga.
-Presto la fascetta passerà ufficialmente a Holly. Che
differenza fa se in modo non ufficiale se la prende qualche giorno
prima?-
-La fascetta la terrò io.- Marshall se la ficcò
in tasca -E spero che la notte ti porti consiglio.-
Philip ne dubitò ma non replicò. Si
allontanò, sollevato per il peso madornale che si era appena
tolto dalla tasca. Non soltanto non voleva guidare la squadra
perché non si sentiva in grado di far propri i problemi e le
esigenze dei compagni, ma a dirla tutta avrebbe preferito tornarsene in
Giappone, rinunciando a giocare.
Recuperò la borsa sportiva che aveva lasciato nella hall,
oltrepassò la porta a vetri dell’entrata e si
diresse verso i campi. Era presto, più di un’ora
dall’inizio degli allenamenti, ma di salire in camera o
gingillarsi nella hall con i compagni non se la sentiva.
Ripensò al pranzo e a Jenny, seduta al tavolo con le amiche.
Gli dava le spalle, di lei vedeva i capelli lunghi che le scendevano
sulla schiena, scorgeva i movimenti del suo corpo,
l’inclinazione della sua testa. Avercela di continuo davanti
agli occhi lo aveva radicato nella sua decisione di mollare la fascia e
per chiudere in bellezza, alla fine del pranzo Benji gli si era
avvicinato con un sorrisetto.
“Non ti dispiace se ci provo con Jenny, vero?” gli
aveva chiesto lasciandolo di sasso “Tanto che ci sta a fare
qui? Torino non fa per lei, né con Gentile né
tanto meno con Landers.”
Philip era ammutolito e lo aveva osservato mentre si avvicinava a
Jenny, le diceva qualcosa e poi le scostava la sedia mentre lei si
alzava. A quel punto anche lui si era messo in piedi, si era ficcato le
mani in tasca, aveva toccato con le dita la fascetta e aveva deciso di
cercare alla svelta Gamo per liberarsene una volta per tutte.
Forse era finito in un incubo e non riusciva più a
svegliarsi.
Jenny aveva lasciato le amiche davanti all’hotel ed era
tornata a casa da sola. Non le andava di incontrare Philip, non voleva
parlare con Mark e non intendeva trovarsi ancora faccia a faccia con
quel fastidioso giornalista. Quella sera, potendolo, avrebbe evitato
volentieri anche Gentile. Non voleva vedere nessuno, neppure lui. Quel
pomeriggio aveva visitato con le amiche il Museo del Cinema che era
piaciuto immensamente a tutte. Carol le aveva accompagnate. Si era
praticamente autoinvitata, incastrando per la mattina successiva
quattro appuntamenti di lavoro. Jenny aveva notato con sollievo che
l’esuberanza e l’allegria della ragazza avevano
conquistato le amiche. Grazie alla sua presenza Evelyn aveva smesso di
riempirla di domande su Salvatore, indirizzando tutta la sua
curiosità sulla nuova conoscenza. Tuttavia una cosa
l’aveva infastidita. Carol si era prodigata in particolar
modo per Patty e questo non le era andato giù, dal momento
che aveva scoperto che la ragazza aveva un debole per suo marito.
Carol non si era più fatta vedere al campo, non aveva
più incontrato Holly e non le aveva più detto
nulla su di lui. Perché? Perché dopo quelle poche
frasi che si erano scambiati alla festa, lei non aveva più
tentato di avvicinarsi? Jenny non capiva e non voleva neppure chiedere,
temendo che le sue domande smuovessero una situazione che sembrava
essersi risolta da sé. Il comportamento bizzarro di Carol,
che mostrava interesse per Patty e disinteresse per Holly, aveva finito
per mandarla in confusione quindi, per godersi la visita al museo,
aveva smesso di pensarci.
Percorse il vialetto d’accesso al villino di Mark con le
gambe sempre più pesanti, il desiderio impellente di
raggomitolarsi sotto le coperte e non uscire più. Malaya
aveva fatto le pulizie, avrebbe trovato una casa linda e profumata,
l’ideale per rilassarsi. Sperava che la donna filippina
avesse fatto in tempo anche a stirare, perché a lei quel
giorno non andava proprio. Non desiderava altro che farsi una doccia,
infilarsi il pigiama, ficcarsi a letto e dormire.
Fece scattare la serratura e aprì la porta. Entrò
in casa e inciampò in una grande e ingombrante valigia
abbandonata in mezzo all’ingresso. La fissò
incredula, da dove saltava fuori?
-Mark?- una voce femminile provenne dal salotto. Una voce che non era
quella della donna filippina.
Jenny scavalcò irritata la valigia. Fastidio mescolato a
sorpresa. Mark non le aveva detto che aspettava ospiti. Era la madre?
Una parente? Un’amica? L’amante? Entrò
nel salotto, una sconosciuta le stava venendo incontro. Si guardarono
sgomente, forse la donna ancor più stupita di lei. Indossava
un tailleur azzurrino sopra una camicia bianca e un velo di trucco
copriva appena la stanchezza che traspariva dal suo viso. Sicuramente
non era la signora Landers. Aveva i capelli tagliati corti e doveva
avere al massimo trentacinque anni. Più o meno
l’età di Nicole, anche se non era affascinante
come la matrigna di Benji.
Jenny socchiuse le labbra, ma l’altra fu più
veloce.
-E tu chi saresti?-
-Io?- esitò confusa. Non sapeva che dirle, come risponderle.
Prima doveva cercare di capire chi fosse la donna che aveva davanti -Mi
scusi, ma lei chi è? Una parente di Mark? Come ha fatto a
entrare?-
La scrutò con attenzione, ad una prima valutazione, quella
donna non solo non era la madre di Mark, ma sicuramente neppure
l’amante, a meno che all’amico non piacessero donne
più grandi di lui. Poteva essere una parente. Forse una zia
o una cugina?
-Mi ha fatta entrare la colf.-
Le volse le spalle e tornò verso il tavolo del salotto, dove
aveva appoggiato le sue cose alla rinfusa: la borsa, un foulard, un
paio di occhiali da sole, il portamonete, una bottiglia
d’acqua da mezzo litro ormai vuota, un pacchetto di sigarette
e un cellulare. La donna afferrò il pacchetto, ne
tirò fuori una, se l’accese.
L’aspirò a fondo e sparse il fumo per tutto il
salotto.
Jenny si irrigidì.
-In questa casa non si fuma.-
-Ah, davvero?- si guardò intorno e agitò la
sigaretta -Non so dove spegnerla.- ed era chiaro che non aveva neppure
intenzione di farlo -Quindi tu chi saresti? Non la colf, ovviamente.-
-Ovviamente.- ripeté lei.
-Ti dispiace non farmi l’eco? Mi irrita.-
La sconosciuta tirò un’altra boccata di nicotina,
poi si sedette al tavolo. Frugò nella borsa e prese un
posacenere da viaggio. Vi lasciò cadere la cenere della
sigaretta e aspirò di nuovo. Jenny la fissò
incredula, quella tizia aveva tutta l’intenzione di
continuare a fumare. Si sentì rimescolare, la stanchezza si
affacciò di nuovo e d’un tratto non seppe che
fare, come gestirla. Eventualmente, come mandarla via. Erano le sette,
gli allenamenti dovevano essere finiti da parecchio. Perché
l’amico non rientrava?
-Potresti dire a Mark che sono qui? Così sistemiamo la
faccenda e puoi tornare a casa.-
-Questa è casa mia.-
-No, questa è casa di Mark.-
Jenny fremette indispettita. Diamine, aveva ragione. Eppure non poteva
permetterle di avere l’ultima parola.
-Mark mi sta ospitando e…-
-Ed è meglio se lo avverti che sono arrivata.-
-L’aspettava?-
-No, gli ho fatto una sorpresa.-
E che sorpresa, pensò Jenny. Chissà se Mark
sarebbe stato felice di trovarsi in casa quell’irritante
tipa, che non si era tolta le scarpe quando era entrata e spandeva il
fumo della sua puzzolente sigaretta in ogni stanza. Socchiuse le labbra
per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma proprio in quel momento la
serratura della porta d’ingresso scattò.
-Jenny? Sei a casa? Cosa diavolo…- anche Mark
finì addosso alla valigia -Jenny!- gli bastò
lanciare un’occhiata al bagaglio per convincersi che la
ragazza stesse tagliando la corda, come aveva minacciato più
volte di fare -Che accidenti stai combinando?-
Mentre si toglieva le scarpe, lei gli comparve davanti, gli occhi
lampeggianti di fastidio.
-Perché non mi hai detto che aspettavi ospiti?-
-Che ospiti?-
Jenny indicò il salotto, Mark avanzò e
l’odore di fumo l’avvolse. Poi vide la donna in
piedi accanto ad una poltrona, la riconobbe e gli prese un colpo.
-Porca miseria…- si piantò al centro del
corridoio e non seppe cosa aggiungere, come comportarsi.
L’unica cosa che riuscì a fare fu chiedersi
perché il destino si accanisse in quel modo contro di lui.
Prima Jenny, ora Daisy. Che accidenti stava succedendo? Qualcuno gliela
stava tirando con tutte le sue forze ed era quasi certo che si
trattasse di Philip -Da quanto tempo è qui?-
Lei era abituata ai suoi modi bruschi da anni, da quando gli si era
presentata durante le eliminatorie del torneo delle elementari e gli
aveva proposto la borsa di studio per l'Istituto Toho. Non fece caso
alla sua reazione, non volle accorgersi della sua mancanza di
entusiasmo. Spense la sigaretta nel suo portacenere da viaggio e gli
andò incontro, sorridendo entusiasta. Jenny prese atto,
allucinata, della sua felicità.
-Come stai, Mark?-
Molto meglio prima di vederla, gli venne da pensare ma non
poté dirlo, non poté assolutamente dirlo. Anzi si
affrettò a cancellare dalla testa quella risposta
così maleducata.
-Avrei dovuto prendere lo stesso volo della squadra, ma avevo delle
relazioni da terminare. Non ero neppure sicura di riuscire a partire.
Mi sono liberata all’ultimo momento e ho trovato un posto
sull’aereo per pura fortuna.-
-Ah…- Mark sentì Jenny avvicinarsi, poi la sua
spalla contro il braccio. La sua presenza silenziosa e scontenta
l’aiutò a ritrovare la voce -Immagino che sia
stanca, dopo un viaggio così lungo.-
-Sì, in effetti lo sono.-
-Se vuole le chiamerò un taxi per portarla in
albergo…-
-Non ho avuto il tempo di prenotarlo, l’hotel. Pensavo di
poter restare da te per qualche giorno.-
Jenny scattò come una molla.
-La stanza degli ospiti è già…-
-…perfettamente pronta!-
La giovane trasalì. Che aveva intenzione di fare, Mark? Di
approfittare della presenza di quella donna per sfrattarla? Non stava
mica architettando di schiaffarla nello stesso hotel di Philip! Non
glielo avrebbe permesso!
-Perché invece non va in albergo con tutti gli altri?-
Lui la spinse bruscamente di lato e le parole di Jenny finirono contro
la parete. Continuando a ignorare le proteste dell’amica, che
aveva cominciato a borbottare come una pentola a pressione, si
avvicinò alla porta d’ingresso e
recuperò il bagaglio della Farrell.
-Le porto la valigia in camera.-
-Benissimo.-
L’occhiata trionfante che quell’insopportabile
donna rivolse a Jenny, le rimescolò il sangue. Ma che poteva
fare? Lanciò al ragazzo uno sguardo di fuoco e
provò una voglia immensa di tirargli in testa il telefono
del corridoio e tutto l’arredamento disponibile. Bene! Se le
cose stavano così sarebbe andata da Salvatore! Senza poter
far niente, senza dire una parola, si limitò a guardare
Daisy che faceva gli occhi dolci a Mark. Jenny fu scossa da un conato.
-Posso usare il bagno?-
Il ragazzo annuì e le indicò la porta sotto la
rampa delle scale, il bagnetto di servizio. Quando Daisy fu sparita
dentro, si catapultò su Jenny. Lei indietreggiò,
spaventata.
-Mark?-
-Zitta, non fiatare!-
L’afferrò per un braccio e, tenendo con una mano
lei e con l’altra la valigia, trascinò entrambe su
per le scale. Entrarono nella camera verde, la camera degli ospiti, la
stanza di Jenny. Mark chiuse la porta con un calcio, piazzò
la valigia di Daisy accanto alla poltroncina, poi aprì
l’armadio e cominciò a gettare i vestiti di Jenny
sul letto. Lei lo fissò scioccata.
-Che stai facendo? Mi stai mandando via?-
-No, sto cercando di salvarmi!-
-Salvarti da cosa?-
-Da lei.- afferrò i cesti di vimini che contenevano le cose
dell’amica e vi ficcò a forza magliette e
maglioni. Lei accorse e gli tolse il cesto dalle mani.
-Piano, fai piano… Che sta succedendo?-
-Porta tutto in camera mia. Immediatamente.-
-In camera tua?-
-Sì, ti trasferisci da me.-
-E tu?-
-Il letto è grande abbastanza per entrambi.-
Jenny restò di sasso.
-Stai dicendo sul serio?-
-Ho la faccia di uno che scherza?- la spinse verso la porta insieme a
tutte le sue cose -Muoviti, prima che arrivi!-
Jenny non capì niente ma si affrettò a fare come
lui le aveva detto. Così si ritrovò ad infilare
tutti gli abiti che aveva nel poco spazio disponibile
dell’armadio di Mark. Quello che non seppe dove mettere lo
appoggiò sul ripiano più basso, lo avrebbe
sistemato con calma in un altro momento. Quando Mark rientrò
portando i due cesti colmi degli ultimi oggetti, Jenny si
tirò su e lo guardò.
-Allora? Perché deve fermarsi qui? Perché non la
spedisci insieme agli altri?-
-Te lo spiegherò, ma non adesso. Devo tornare in hotel.-
-Perché?-
-Gamo ha organizzato una riunione, come se avessimo
qualcos’altro da dirci, oltre agli insulti che volano in
campo. Vieni anche tu?-
-Tutto pur di non restare da sola con la tua amica.-
Lui sbuffò.
-Non è assolutamente una mia amica.-
-Davvero? Mi sembrava il contrario… anzi più di
un’amica.-
-Lascia stare le insinuazioni, non ne ho bisogno.-
-Non sono insinuazioni, è la realtà. Sei il suo
tappetino, stai facendo tutto quello che ti dice. Ma chi accidenti
è?-
-Te l’ho già detto, te lo spiego dopo.-
Per fare le cose per bene Pearson aveva prenotato la sala delle
conferenze dell’albergo e vi aveva riunito l’intera
squadra. Daisy era arrivata con il taxi, era stata presentata a chi non
la conosceva ed era stata fatta accomodare in prima fila. Mancava solo
Mark ma Gamo, indispettito dal ritardo, aveva deciso di cominciare lo
stesso. Le ragazze si erano intrufolate per ultime e avevano preso
silenziosamente posto sulle poltroncine in fondo. Evelyn si era portata
dietro il computer e, collegata alla linea wi-fi dell’hotel,
ammazzava il tempo delle inevitabili banalità che
intervallavano i discorsi interessanti, girando a casaccio sulla rete.
-Non prendi appunti?- s’informò Patty,
più presa da ciò che Evelyn lasciava scorrere
sullo schermo che da tutto il resto. Sentì qualcuno
soffocare uno sbadiglio e quando sollevò gli occhi in cerca
del colpevole, Gamo lo rimproverò.
-Harper, hai sonno?-
-È il fuso orario.-
Evelyn scosse la testa.
-È sempre il solito. Almeno non si facesse beccare.-
-Perché Daisy è qui? Pearson te l’ha
detto?-
La giovane fece spallucce.
-Fa parte dello staff.-
-Quando è arrivata?-
-Oggi pomeriggio.-
Gamo finì di parlare e si alzò per distribuire
dei fogli ai ragazzi. Poi si affacciò sulla porta e
lanciò un’occhiata sul corridoio deserto. Di
Landers non c’era ancora traccia. Si avvicinò a
Daisy, seduta composta sull’ultima sedia della prima fila.
-Che fine ha fatto Mark? Sa per caso a che ora si degnerà di
raggiungerci?-
-Non ne ho idea, pensavo fosse qui. Lui e la sua ragazza sono usciti
molto prima di me.-
Bruce spalancò gli occhi.
-Sta parlando di Jenny?-
Gli rispose Jason Derrick.
-Per forza, hai visto altre ragazze con Mark?-
Philip rimase granitico ma represse un moto di fastidio. Jenny non era
la ragazza di Mark nel modo più assoluto. Si
rifiutò di ascoltare le chiacchiere inopportune dei
compagni. Fitte lancinanti gli attraversavano la testa da quasi
un’ora, facendogli perdere di continuo la concentrazione. In
quegli ultimi mesi l’emicrania lo assaliva sempre
più spesso. Forse era colpa di quella roba che aveva mandato
giù a casa di Daniel, di cui probabilmente gli erano rimasti
residui tossici in circolo nel sangue. Avrebbe voluto chiedere
consiglio a Julian. Lui studiava medicina e forse ne sapeva qualcosa,
ma si vergognava a confidargli di essersi fatto di ecstasy in
più di un’occasione. Oltretutto, a voler essere
precisi, non sapeva bene cosa avesse mandato giù alle feste
di Baird e questo non gli avrebbe consentito neppure di spiegargli con
esattezza quali sostanze avesse ingerito.
Philip non era sicuro che fosse il mal di testa ad impedirgli di
dormire o piuttosto il non riuscire a chiudere occhio durante la notte
che gli causasse violente emicranie. Magari si trattava semplicemente
di stanchezza. E non c’erano dubbi che quel soggiorno in
Italia si stesse rivelando più stancante del previsto.
Sbadigliò e non si accorse che Peter Shake, una fila dietro
di lui, lo teneva d’occhio. Chiuse gli occhi e si
portò una mano al viso per premersi con le dita la tempia
che gli pulsava sempre più forte. Prima o poi la testa gli
sarebbe scoppiata e allora…
Un rumore sommesso lo distrasse. Si volse indietro. Jenny
entrò alla chetichella dall’ingresso alle loro
spalle, Mark s’infilò dietro di lei e raggiunse
silenzioso il resto dei compagni. Pearson, che stava parlando, non si
interruppe e diede segno di averli visti chinando appena la testa in un
cenno di saluto. Gamo invece scattò in piedi.
-La puntualità è una forma di rispetto verso il
prossimo, Landers!-
Mark si irrigidì.
-Non sono io a non rispettare il prossimo ma i mezzi pubblici di
Torino.-
Qualche risatina divertita si levò tra i ragazzi. Persino
Jenny abbozzò un sorriso anche se cercò di
passare il più possibile inosservata mentre prendeva posto
accanto alle amiche.
-Eve, chi è quella tizia col tailleur celeste?-
-È Daisy Farrell. L’ex scouter dell'istituto Toho.-
-Il liceo di Mark?-
-Proprio quello. Mark è riuscito a prendere la borsa di
studio grazie a lei.-
-Davvero?-
-Sì. Dopodiché la signora ha fatto una brillante
carriera. È stata presidentessa dell’ufficio
pubbliche relazioni della Nippon Youth e adesso fa lo stesso lavoro per
la JFA.-
-Quant’è importante?-
-Ha un certo peso…-
-La conosci?-
-Me l’ha presentata Pearson durante la cena ma
l’avevo già vista in altre occasioni.-
-Come ti è sembrata?-
-Normale. Perché?-
-Me la sono ritrovata in casa e pretende di essere ospitata.-
-Non può venire in hotel?-
-È quello che ho detto a Mark, ma lui mi ha risposto che
devo lasciarla fare ciò che vuole.-
Ad Evelyn si drizzarono le antenne.
-Addirittura?-
Amy s’intromise, parlando pianissimo.
-È normale che le sia riconoscente. Se lei non lo avesse
scelto per la borsa di studio, Mark non avrebbe avuto i soldi per
iscriversi ad un buon liceo.-
-Ha fumato in casa e non si è tolta le scarpe.-
sbuffò Jenny e poi tacque.
Il suo cellulare in modalità silenziosa prese a vibrare
mentre Gamo parlava e faceva dei cerchi con un pennarello blu su una
lavagna bianca che era stata messa loro a disposizione. Fu costretta a
uscire di soppiatto perché Salvatore, quando alla seconda
chiamata non gli rispose, prese ad insistere inondandola di messaggi.
E ora che, nella hall, provava lei a chiamarlo, il cellulare del
ragazzo era occupato. Lasciò perdere. Si chiese se fosse il
caso di tornare nella sala conferenze. Temeva di disturbare e non
voleva rischiare che Gamo si rimangiasse lo spiraglio di
cordialità che sembrava aver aperto nei suoi confronti.
Oltretutto di ciò che si diceva lì dentro, non le
importava un fico secco. Si chiese che ci facesse di nuovo in hotel.
Avrebbe fatto molto meglio a rimanere a casa, tanto più che
la Farrell era lì.
La pensò così intensamente, che Daisy le si
materializzò accanto.
-Tu ed io dobbiamo parlare.-
L’afferrò per un braccio e la trascinò
nel corridoio che conduceva ai bagni, dove nessuno le avrebbe viste,
dove nessuno le avrebbe disturbate. Al riparo da occhi indiscreti, la
spinse contro il muro. La ragazza urtò la schiena contro la
parete restando senza fiato.
-Jenny.- sputò il suo nome come fosse un insulto -So cosa
stai escogitando! Vuoi mettere Mark contro di me, vero?-
La collera contrasse le dita con cui la stringeva. Daisy le
affondò le unghie nella manica del maglioncino e Jenny se le
sentì sprofondare dolorosamente nella carne.
Cercò di tirarsi indietro, non ci riuscì e
gemette.
-Mi sta facendo male!-
-Fai le valigie e sparisci alla svelta o sarà molto, molto
peggio per te.-
-Non lo decide lei se me ne vado!-
-Scommettiamo di sì? Scommettiamo che domani sei sul
marciapiede con tutte le tue cose?-
Jenny si sentì rimescolare di collera, nonostante il dolore.
Poi ripensò all’arrendevolezza che Mark aveva
dimostrato fin da subito di fronte a quella donna e si
ritrovò a chiedersi se davvero l’amico, su
istigazione di Daisy, avrebbe finito per cacciarla di casa. Avrebbe
dovuto davvero traslocare? Il dubbio la fece reagire furiosa.
-Scommettiamo invece che sul marciapiede domani ci finirà
lei? Mark l’ha forse invitata a stare da lui? No, vero? Si
è presentata a casa sua con armi e bagagli perché
sapeva che non lo avrebbe mai fatto!- si morse la lingua,
poiché a pensarci bene era più o meno
ciò che aveva fatto anche lei.
Gli occhi di Daisy brillarono pericolosi.
-Piccola impertinente!-
-La JFA non le paga la trasferta? Ha bisogno di scroccare una stanza a
chi non vuole averla tra i piedi?-
Daisy sollevò una mano per colpirla, Jenny lo
capì e s’irrigidì di botto. Bloccata
contro il muro non poté scostarsi e mentre un improvviso
terrore s’impossessava di lei, serrò gli occhi e
abbassò il viso per evitare che la sberla la raggiungesse in
faccia. Il colpo però non arrivò.
-Lasciami Callaghan!-
Jenny spalancò gli occhi sgomenta. La mano di Daisy era
rimasta sollevata, bloccata per aria. Philip, che le teneva il polso,
abbassò il braccio costringendo anche lei a farlo ma
nonostante l’ordine ricevuto, non mollò la presa.
Non era convinto di potersi fidare. Incrociò per un istante
gli occhi spalancati e colmi di meraviglia di Jenny poi distolse lo
sguardo, maledicendosi per essere intervenuto. A forza di stargli
così vicino, la presenza di Jenny gli aveva mandato il
cervello in pappa al punto di ritrovarsi, improvvisamente, ad un passo
da lei. Se avesse allungato l’altra mano, avrebbe potuto
toccarla. Ma come era finito tra loro? Non se ne capacitava! Un attimo
prima era in bagno a mandar giù un’aspirina con un
po’ d’acqua e un secondo dopo era lì a
impedire alla Farrell di schiaffeggiare la sua ex.
-Cosa sta succedendo?-
Non fu la voce di Philip ma quella di Amy a chiedere spiegazioni. Daisy
la vide avvicinarsi e strattonò il braccio per farsi
mollare.
-Ti ho detto di lasciarmi, Callaghan. Non hai sentito?-
Philip stavolta le ubbidì. Daisy lanciò a Jenny
un’ultima occhiata piena di astio, poi si
allontanò a testa alta lungo il corridoio.
Amy la guardò allontanarsi.
-Allora? Cos’è successo?-
Nessuno dei due le rispose perché nessuno dei due la
udì. Massaggiandosi l’arto dolorante, Jenny teneva
gli occhi su Philip che non sapeva dove guardare per non fissare lei.
La giovane avrebbe voluto ringraziarlo ma non ne fu capace. Le parole
non le uscirono. Restò a guardarlo finché lui,
afflitto da un silenzio che nessuno dei due era in grado di spezzare,
se ne andò muto come era comparso.
-Jenny, che voleva Daisy?-
Lei distolse con rammarico gli occhi dalla schiena di Philip che
spariva dietro l’angolo.
-Mi ha detto chiaro e tondo che vuole che traslochi.-
-Devi lasciare casa di Mark?-
L’amica confermò annuendo.
-Forse ha paura che con te in casa Mark non riesca a dare il meglio di
sé durante la partita? O magari nella Juventus?-
-Io non gli do nessun fastidio.-
-Ma lei non lo sa.- Amy fece spallucce -Lasciala perdere, non ci
pensare.- le sorrise -Mark ha detto che non avete cenato. Vuoi mangiare
qualcosa? Andiamo al bar?-
-No, non ho fame. Mi si è chiuso lo stomaco.- con un diavolo
per capello Jenny seguì Amy in bagno -Stava per
schiaffeggiarmi, ti rendi conto?-
-Roba da matti! Chissà che le è preso!-
-È una pazza.- la sua voce si incrinò, se ne
accorse e lanciò un’occhiata allarmata
all’amica che però era già dentro la
toilette. Abbassò gli occhi e si guardò le mani,
scosse da un tremito convulso, tanto che per fermarle fu costretta a
stringerle sulla borsetta e sforzarsi di respirare a fondo, fino a
regolarizzare il battito del cuore che sembrava impazzito. Si
avvicinò ai lavandini e allo specchio e si fissò.
La Farrell aveva tentato di schiaffeggiarla, il colpo non era arrivato
ma il gesto c’era stato e la paura anche. Il grido di
spavento però le era morto in gola, soffocato
all’istante dalla presenza improvvisa e inaspettata di
Philip, che era intervenuto e aveva fermato Daisy, avvicinandosi a lei
così tanto da percepire la sua presenza fisica.
Jenny infilò le mani ghiacciate sotto l’acqua
calda, cercando di analizzare le emozioni che si erano scatenate in un
istante tutte insieme, aggrovigliandosi in un misto di terrore,
imbarazzo e sconcerto. Erano sentimenti complicati da gestire in
simultanea. Non ci capiva più niente, questa era la
verità. L’arrivo di Philip in Italia la stava
mandando in tilt. Doveva restargli lontana il più possibile.
Quando tornarono nella hall, Salvatore Gentile aveva appena varcato le
porte a vetri dell’hotel e si guardava intorno. Jenny lo
raggiunse.
-Come sapevi che ero qui?-
-Non lo sapevo, l’ho immaginato. Sono passato a casa e non ho
trovato nessuno. Al cellulare non rispondi. Lo porti con te per
appesantirti la borsa?-
Jenny arrossì.
-Ho provato a richiamarti ma era sempre occupato.-
-Ho visto le chiamate, non importa. Andiamo.-
-Andiamo dove?-
-Alex, Dario e gli altri ci aspettano in discoteca.-
Lei provò a rifiutare.
-In discoteca? Non credo di farcela, sono stanca e…-
Gentile bloccò le sue proteste.
-Non ti va la discoteca? Allora che ne dici del discopub della
settimana scorsa? Avverto gli altri e ci spostiamo. Beviamo una
birretta e tra un’ora, al massimo un’ora e mezza ti
riporto a casa…- lasciò la frase in sospeso
guardandosi intorno, poi proseguì con un filo di ironia -O
qui.-
Lei percepì il suo scontento. Poteva permettersi di
rifiutare il suo invito? Poteva continuare ad evitarlo? Il tempo che
trascorrevano insieme si stava sensibilmente assottigliando. Cosa le
costava accompagnarlo al pub?
-Avverto Mark.- raggiunse il compagno che, seduto tra Holly e Rob,
stropicciava i fogli che Gamo aveva distribuito durante la riunione
-Vado con Salvatore. Ti ritrovo qui?-
Lui alzò gli occhi.
-Dove vuoi che vada?- bastò il pensiero di tornare a casa
con Daisy, loro due soli, a farlo rabbrividire. Piuttosto avrebbe
dormito nella hall.
Quella sera Amy aveva deciso di non sedersi al bar con gli altri. Era
stufa di sentirsi addosso lo sguardo ironico, sarcastico e polemico di
Benji. Forse era diventata paranoica ma si era convinta che lui la
tenesse sotto controllo, che la fissasse. Troppo. E lei di conseguenza
lo evitava. Del resto che accidenti pretendeva dopo il modo in cui
l’aveva trattata al telefono? Che fossero amiconi?
Figuriamoci! Lei non voleva parlargli, voleva soltanto stargli lontana.
Così, mentre i compagni si perdevano in chiacchiere
calcistiche davanti agli appunti di Gamo, diluiti con
specialità italiane di bevande calde e fredde, lei aveva
cercato un angolo appartato e su una poltrona della hall si era messa a
studiare il libro che aveva portato da casa. Per una volta si godeva
indisturbata pace e tranquillità.
-Cosa fai ancora in piedi?-
Alzò il viso di scatto, su Jenny che la fissava con un
sorrisetto, gli occhi lucidi e le guance arrossate.
-Leggevo.- chiuse il libro e si alzò.
-Dov’è Mark?-
-Di là al bar. Vuoi che vada ad avvertirlo che sei tornata?-
-Prima ho bisogno del bagno. Urgentemente. Possiamo salire in camera
tua?-
-Ti senti male?-
Jenny scosse la testa.
-Ho mangiato poco e la birra mi ha dato il colpo di grazia. Devo fare
la pipì, non ce la faccio più.-
-Gentile dov’è?-
-È andato in discoteca con gli altri della squadra.-
-A quest’ora?- erano passate le undici -Non è
stanco?-
-Ha energie da vendere. Beato lui.-
Le porte dell’ascensore si aprirono sul quinto piano
lasciandole faccia a faccia con Clifford che bighellonava nel
corridoio. Per poco non gli finirono addosso.
-Ciao Jenny. Che ci fai da queste parti?-
-Sono di passaggio.-
-Allora non passare troppo in fretta.- le strizzò un occhio
-Dobbiamo ancora finire di conoscerci, noi due!-
Bruce chiuse la porta della sua stanza e non mancò di
sfottere l’amico.
-Che fai Clif? Ci provi?-
-Scherzi? Non mi permetterei mai!-
-Ecco non ti permettere, perché se tocchi Jenny rischi
grosso.-
-Da Callaghan o da Lenders?-
Amy li zittì con un moto di fastidio.
-Quanto siete idioti.-
-Andiamo Clifford, si sta facendo tardi.- lo esortò Bruce
-Tra un po’ Gamo fa scattare il coprifuoco.-
-Che palle… Ciao ciao Jenny!-
Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, Yuma
sventagliò una mano in direzione della giovane che
ricambiò il saluto con un sorrisetto di circostanza.
-Quanto a pettegolezzi, non so chi sia peggio, tra Evelyn, suo cugino e
Bruce…-
-Una bella gara.-
In camera di Amy, Jenny andò in bagno, poi tornò
e osservò vogliosa il letto, i cuscini e le coperte.
-Ti dispiace se mi stendo un attimo?-
-Fai pure.-
Attraversò la stanza con passo stanco e si lasciò
cadere sul materasso come se ce l’avessero sbattuta. Poi
scalciò via le scarpe e si sdraiò.
-Non ne potevo più, è stata una giornata
interminabile.-
-A chi lo dici.-
Clifford e Bruce raggiunsero il bar e si sedettero in mezzo agli altri.
-Ha un buon profumo la tua ex, Callaghan.-
Philip alzò di scatto gli occhi dagli appunti di Julian. Non
disse nulla e l’amico, incoraggiato dal suo silenzio,
continuò.
-L’ho incrociata un secondo fa, mi è quasi caduta
addosso.-
-Jenny è tornata?- Mark si guardò intorno
-Dov’è?-
-Era con Amy al quinto piano.-
Il ragazzo scostò la sedia e si mise in piedi.
-Finalmente! Allora ci vediamo domani. Buona notte.-
Holly l’afferrò per la felpa.
-Buona notte un corno. Dove vai? Finiamo di vedere insieme questi
schemi!-
-È tardi.-
-Appunto, cerchiamo di fare in fretta.-
Mark si rimise seduto controvoglia. Acconsentì a restare
solo perché gli amici avevano bisogno di lui che conosceva
personalmente la maggior parte dei giocatori della nazionale italiana
per averci giocato insieme o contro.
Fu Gamo a farli smuovere di lì circa un’ora e
mezza dopo, mentre faceva il suo consueto giro di controllo per
impedire ai più indisciplinati di fare le ore piccole al
centro internet o in compagnia di bevande alcoliche.
-Ma bene! Tutti ancora in piedi! E poi venite a dirmi che è
il fuso orario che vi stanca!-
-Non ci siamo accorti dell’ora.- rispose Holly e si
alzò all’istante.
Stavolta fu Mark a fermarlo.
-Dove accidenti vai? Non abbiamo finito.-
L’amico mosse appena le labbra, per non farsi udire dal
mister.
-Andiamo a finire da un’altra parte, idiota! Lui
resterà qui finché ci restiamo anche noi!-
-Da un’altra parte dove?-
-Per esempio in camera di qualcuno.-
Bruce si irrigidì.
-Non nella mia. Io vado a dormire.-
Salirono alla spicciolata, per non insospettire Gamo. Una parte di loro
si ritrovò nel corridoio del quinto piano. Solo Patty
sembrava avere le idee chiare su dove dirigersi. Voleva salutare Jenny
e così puntò dritta verso la stanza di Amy.
Dietro di lei gli altri decisero rapidamente di giocarsi a morra cinese
la camera che li avrebbe ospitati.
-Veramente, visto che sei il capitano, dovresti offrirti tu, Philip.-
fece presente Clifford, temendo fortemente l’esito della
sfida.
-Neanche morto.-
-Non sarebbe meglio continuare domani? Se Gamo ci becca a fare casino,
va a finire che si stranisce sul serio.-
-Mi sa che hai ragione, Tom.- fu d’accordo Julian che
cominciava a sentire anche una certa stanchezza.
Bruce e Clifford furono i primi a capitolare.
-Allora noi andiamo a dormire.-
Holly li guardò male, ma non poteva certo impedirgli di fare
ciò che Gamo aveva ordinato a tutti. Anche Rob
capì che la scelta migliore era quella di ficcarsi a letto e
tagliò la corda. La maggior parte di loro fuggì
così, con la sfida a morra cinese che ancora doveva
iniziare. Rimasero nel corridoio in pochissimi, a questo punto davvero
incerti se lasciar perdere o decidere almeno i difensori e pensare al
resto della formazione l’indomani.
Amy aprì la porta a Patty, soffocando uno sbadiglio.
-Jenny dorme.-
-Come dorme?- Mark le udì, si volse e le raggiunse.
Holly lo vide svignarsela.
-Dove vai?-
-A svegliare Jenny per riportarla a casa!-
-Guai a te!- Amy gli puntò una mano sul torace prima che
varcasse la soglia -Jenny può dormire benissimo qui, lo
spazio c’è.-
Le sue parole non lo fermarono. Mark sbuffò, la
scostò brusco e s’infilò nella stanza.
Si arrestò sgomento ad un passo da letto. Diamine era vero!
Jenny dormiva! Si era ficcata sotto le coperte e, girata su un fianco,
teneva una mano sotto il cuscino e l’altra abbandonata
davanti a sé sul materasso. Si accostò, si
chinò su di lei ma Amy lo afferrò per la felpa e
lo tirò indietro sussurrando.
-Che fai? Non avrai il coraggio di svegliarla!-
-Certo che ce l’ho!-
-Non ci provare Mark!- bisbigliò anche Patty.
Holly si affacciò sulla porta.
-La finiamo qui la riunione?-
Benji si fece largo tra loro.
-Una stanza vale l’altra. Tira fuori quei maledetti schemi,
Callaghan, e cerchiamo di concludere.-
-Qui?- Philip lanciò un’occhiata a Jenny che
continuava a dormire come se non stessero facendo un gran casino.
-Qui o da un’altra parte che differenza fa? Su, datti una
mossa.- il portiere si lasciò cadere su una poltroncina,
sotto gli occhi sgomenti di Amy che si trovò improvvisamente
la camera invasa.
C’erano Patty, Mark, Holly, Philip, Tom, Benji che la
fissava… E Julian? Dov’era finito Julian? Lo
chiese.
-Non lo so.- Holly si affacciò nel corridoio ma ormai non si
vedeva più nessuno -Forse è andato a dormire.-
Benji sghignazzò, gli occhi fissi in quelli di Amy.
-Poverino, era distrutto, sai? Ho saputo che la notte passata
s’è stancato parecchio.-
Lei divenne paonazza. Diavolo, lo spogliatoio della nazionale
giapponese era un covo di pettegoli.
Philip si rassegnò a collaborare e sparpagliò i
fogli sul tavolino.
-Invece di farti gli affari di Ross dai un’occhiata a questi
maledetti schemi.- si guardò intorno -E anche tu, Mark.-
molto meglio guardare i fogli, osservare i compagni che discutevano a
voce bassa, seguire i loro ragionamenti, che fissare Jenny continuare a
dormire indisturbata e lasciare che i propri pensieri indisciplinati
partissero per la tangente.
Landers sbuffò, tornò ad avvicinarsi al letto, si
sedette e scosse Jenny. Philip per un attimo provò
l’istinto di strozzarlo. Pure Amy cominciò a
stranirsi di brutto.
-Vuoi lasciarla in pace?-
-È tardi, dobbiamo andare.-
-Ti si è incantato il disco, Landers?- rise Benji -Non
riesci a pensare ad altro che a riportarti Jenny a casa?-
Mark ringhiò qualcosa di molto simile ad un insulto. Cosa
doveva fare? Non sarebbe mai e poi mai rientrato senza di lei. Doveva
svegliarla e portarla con sé a tutti i costi. Al peggio,
portarla fuori da lì in braccio, ficcandola in un
taxi… Sempre che Callaghan glielo permettesse…
Diamine, in che guaio si era cacciato? La scosse di nuovo, facendo
brontolare persino Holly che finora se n’era stato zitto. Lo
scrollone che Mark le diede stavolta fu talmente convincente che Jenny
socchiuse gli occhi e lo guardò giusto il tempo per mettere
a fuoco la sua faccia.
-Su, alzati. Dobbiamo tornare a casa.-
-Lasciami dormire.- si rincantucciò sotto le coperte e
sprofondò il viso sotto il cuscino.
-Non qui!-
-Qui va bene, Mark. Preferisco dormire con Amy che con te…-
Al ragazzo corse un brivido ghiacciato su per la schiena. Si
irrigidì, smise addirittura di respirare. Il silenzio lo
circondò così profondo che sentì il
cuore martellargli nelle orecchie. Alzò piano la testa
trattenendo il fiato e si guardò prudentemente intorno.
Anche gli altri avevano udito quella risposta? Dagli occhi stupiti
puntati su di lui era evidente. Si sarebbe sotterrato.
-Cosa significa, Mark?-
Ecco Holly, subito pronto a rimproverarlo.
-Non significa niente. Sta sognando, non vedi? Dorme!-
Il secondo intervento fu quello di Benji.
-Ammettilo Landers, te la sei portata a letto.-
-No!- Mark s’infuriò -Puoi accusarmi di tutto
Price, ma non di questo! Una cosa del genere non riesco neppure a
immaginarla, figuriamoci a farla!-
-Allora non hai uno straccio di fantasia. Per non parlare del tuo
spirito di iniziativa, che se ciò che dici è vero
vale meno di zero.-
-Non abbiamo fatto nulla, io non l’ho mai toccata!- quasi
urlò.
-Abbassa la voce, Mark.- lo rimproverò Amy -E lasciala
dormire qui, il posto c’è.-
Philip guardò i compagni e si trovò
improvvisamente a chiedersi se lui fosse l’unico a credere
nell’innocenza di Mark. O forse aveva deciso di credergli
perché desiderava disperatamente farlo? Era stanco di loro,
stanco di tutto. Persino stanco di stare in piedi, la schiena
appoggiata al muro. Si staccò dalla parete, fece un passo e
si sedette su un angolino del letto. Mosse appena il materasso,
timoroso di svegliare Jenny. Riprese a parlare di schemi, allenamenti e
formazioni.
Poi, ad un certo punto si distrasse. Tornò a fissare Jenny
mentre Holly, Tom e Mark continuavano a discutere con Benji a bisbigli,
per non svegliarla. In fondo Nicole non aveva potuto far niente per
aiutarli. Jenny per settimane aveva trascorso ore e ore a parlare con
lei al telefono, ma tutto ciò non aveva salvato il loro
rapporto. Prima che Amy la convincesse ad affrontare il lungo viaggio
fino a Fujisawa, Jenny e Nicole erano giunte al compromesso di sentirsi
per telefono almeno due volte a settimana. Ogni chiamata era un nuovo
trauma. Jenny trascorreva il tempo della telefonata raggomitolata sul
letto. Giaceva senza forze, il cordless in vivavoce appoggiato accanto
al cuscino. Piangeva e piangeva, fino a svuotarsi. Durante la prima
telefonata Philip era rimasto seduto a terra nel corridoio, con le
spalle contro la porta della sua camera, ad aspettare che il colloquio
terminasse. Ascoltare i singhiozzi disperati di Jenny era stato come
essere fatti a pezzi con un coltello. La prima volta aveva provato il
fortissimo impulso di entrare nella camera per confortarla. La seconda
volta, quella di fuggire via. Straziato dalla sofferenza che quelle
conversazioni provocavano nella fidanzata, aveva deciso di non restare
nei paraggi. Quando Jenny lo avvertiva che Nicole avrebbe chiamato, se
era in casa si affrettava ad uscire. Oppure si organizzava per
rientrare più tardi.
Jenny gli era grata dello spazio che lui le lasciava, perché
in quei momenti provava la necessità di restare sola. Se
sapeva che Philip era in casa, non riusciva ad aprirsi e a lasciarsi
andare. In tutto questo all’inizio lui neppure si era reso
conto di non tagliare la corda per Jenny, ma per se stesso.
Perché ogni volta che la sentiva piangere era anche la sua
ferita a sanguinare. Quella stessa che, preoccupato per lei, cercava di
ignorare. Aveva compreso questa verità distruttiva il giorno
in cui Nicole aveva detto a Jenny che voleva parlargli e le aveva
chiesto di dirgli di richiamarla. Philip non lo aveva fatto, si era
rifiutato. Da quel momento, senza rendersene conto, aveva cominciato a
chiudersi sempre più in se stesso, lasciando fuori il resto
del mondo, compresa la sua fidanzata. Con il passare delle settimane e
dei mesi, Nicole era riuscita in qualche modo ad alleggerire il
fardello di sofferenza che si portava dentro Jenny ma non aveva potuto
fare niente per far riemergere la coscienza di Philip dai suoi sensi di
colpa.
La stanchezza di una giornata pesante dal punto di vista sia fisico che
psicologico, con lo scorrere dei minuti finì per trasformare
nella mente di Philip le parole degli amici in una soporifera ninna
nanna.
-Basta, non ne posso più.- Tom radunò gli appunti
-Andiamo a dormire, continueremo domani.-
-Philip si è addormentato.- mormorò Amy in un
sussurro -Forse sarò io stanotte a non avere un posto dove
dormire.-
Patty si alzò.
-Vieni con me, in qualche modo ci arrangiamo.-
Amy non aveva scelta ed annuì. Poi, mentre i ragazzi si
dirigevano verso la porta, si accorse che Mark esitava. I loro occhi si
incrociarono.
-E io dove dormo?-
Holly lo udì e si fermò nel corridoio.
-Non torni a casa?-
-A quest’ora? Dovrei prendere un taxi a tariffa notturna!-
-Figuriamoci, il solito spilorcio.- non mancò di sfotterlo
Benji.
-Allora non ti resta che dormire nel letto di Philip.- Holly
alzò un braccio e indicò una porta -Quella
è la stanza di Julian. Sveglialo e fatti aprire.-
Mark non ne fu per niente contento, poi capì che non gli
restava altro. Si allontanò sbuffando, trascinando con
sé la borsa sportiva che per tutta la sera si era portato
dietro come un cane al guinzaglio.
Amy frugò nell’armadio in cerca del pigiama.
Sentì richiudere la porta dopodiché, finalmente,
il silenzio. Prese della biancheria pulita per il giorno successivo e
l’appoggiò sul tavolino. Doveva darsi una lavata e
poi raggiungere Patty. Quasi si scontrò con Benji. Mentre
gli altri uscivano, lui era rimasto silenzioso e immobile appoggiato
alla parete.
Lo fissò terrorizzata, il cuore che le martellava nel petto
per la paura. Lui la fissava con quel suo solito sorrisetto di scherno,
gli occhi scuri che brillavano ironici, le braccia incrociate, la testa
leggermente reclinata da un lato. Sembrava soddisfatto di averla colta
di sorpresa. Quando parlò, la sua voce bassa
sembrò riempire la stanza.
-Perché mi guardi così? Hai visto qualcosa di tuo
gradimento?-
-Mi hai spaventata! Che ci fai ancora qui?-
Entrambi dimenticarono che Philip e Jenny dormivano qualche metro
più in là.
-Sono rimasto per parlare.-
-Di cosa? Io non ho niente da dirti.-
-Be’ io sì e approfitto del fatto che per una
volta siamo riusciti a liberarci di tutti, compreso il tuo noioso
fidanzato.-
-Io non mi sono liberata proprio di nessuno.-
-Puoi metterla così, se preferisci. Tanto il risultato non
cambia.-
Amy si lanciò un’occhiata alle spalle, nel suo
campo visivo entrò solo il letto con Philip e Jenny che
dormivano. Avrebbe voluto che Benji se ne andasse, che non fosse
lì in quel momento. Che il pavimento si aprisse e lui
venisse risucchiato al piano di sotto. Lo guardò intimorita
perché la sua semplice presenza era sufficiente a metterla
in ansia. Non sapeva come affrontarlo, non voleva ascoltare
ciò che lui aveva da dirle, che sarebbe stato condito dalla
sua solita e immancabile ironia. Ma ormai era troppo tardi. Nonostante
avesse cercato di evitarlo il più possibile, lui si era
dimostrato più furbo.
-Se devi parlarmi, allora fai in fretta così possiamo andare
a dormire. Patty mi sta aspettando.-
-È questo che ti insegnano
all’università? Come creare problemi e lasciare
agli altri il compito di risolverli?-
-Io non creo proprio niente! Ho semplicemente sbagliato a telefonarti!
Non puoi neppure immaginare quanto mi sia pentita di averlo fatto!-
-Ed è giusto così. Non avresti dovuto chiamarmi,
tanto più che Ross non avrà apprezzato.-
La voce le uscì stentata, le pesò ammetterlo.
-Julian non lo sapeva.-
-Mi hai telefonato di nascosto?- Benji accennò un sorrisetto
che si accentuò quando si accorse che gli occhi della
giovane brillavano di fastidio.
-Non gli dico tutto quello che faccio!-
-Davvero? Pensavo di sì. Ero sicuro che gli chiedessi il
permesso per ogni cosa, persino per parlarmi.-
Amy fremette di stizza ma si sforzò di tenere bassa la voce.
-Ti ho già detto una volta che i miei rapporti con Julian
non devono interessarti.-
-Hai ragione, me lo ricordo.- Benji appoggiò le spalle alla
porta. Finché non si fossero chiariti non le avrebbe
permesso di filarsela.
Lei se ne accorse.
-Lasciami passare.-
-Non abbiamo finito.-
-Per me sì.-
-E invece no.-
Amy lo fissò. Dio quant’era snervante. Tacque,
aspettò che parlasse e lui lo fece.
-Da quando sei arrivata a Torino mi stai evitando. Ce l’hai
con me?-
-Veramente sei tu ad avercela con me!-
-Io?-
-Sì, tu.- Amy lasciò uscire tutto il dispiacere
che si portava dietro da giorni -Non ricordi quello che mi hai detto al
telefono?-
-Veramente non molto.-
-Mi hai assalita, mi hai riattaccato in faccia…-
-Può darsi. Non ero molto lucido, quella sera. Stavo
cercando di procurarmi un'amnesia.-
-Eri ubriaco.-
Il ragazzo sorrise di nuovo, stavolta più apertamente.
-Probabile, è uno degli effetti della cura. Adesso che sei
riuscita a dare a me la colpa di tutto, smetterai di evitarmi?-
-Ti dà fastidio che lo faccia?-
Gli occhi del giovane si socchiusero.
-Immensamente. Detesto far contento Ross.-
Amy non riuscì a non sorridere mentre Benji finalmente si
scostava e apriva la porta. Nel corridoio si augurarono la buonanotte.
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Capitolo 12 *** Undicesimo capitolo ***
Undicesimo capitolo
Undicesimo
capitolo
Philip la stava baciando. Jenny non aveva dubbi che fosse lui e non
dubitava neppure di sognare. Se la birra che aveva bevuto con Salvatore
prima di tornare in hotel aveva avuto questo effetto, ne avrebbe
mandata giù a fiumi tutte le sere. Jenny non riusciva ad
aprire
gli occhi, le palpebre erano troppo pesanti. Per quanto ci provasse non
era in grado di trovare l’energia necessaria a guardarsi
intorno
e capire dove fosse. Non riusciva neppure a muoversi. Il suo corpo
stanco era sprofondato nel materasso, le braccia e le gambe sembravano
pesare quintali e a lei non andava di sforzarsi per muoverle. Le
sensazioni che stava provando erano troppo piacevoli per poter anche
solo pensare di spostarsi. Intorno a lei il buio era
un’assenza
di luce distensiva, rilassante, accogliente.
L’oscurità
non le faceva paura, non provava nessun timore. Si sentiva a suo agio
come non lo era stata da troppo tempo, al sicuro, protetta e amata
perché Philip era con lei. Lo sapeva, lo riconosceva, non
aveva
bisogno di guardarlo. Riconosceva il suo odore, il suo sapore, i
movimenti delle sue mani sul suo corpo. Le sue carezze così
cariche d’affetto e nello stesso tempo così
possessive da
farla fremere, tanto erano piacevolmente sconvolgenti. Era lui, si
trattava di Philip. Ne fu ancora più certa quando riconobbe
la
sua voce che mormorava il suo nome. Riconobbe anche i suoi sospiri, lo
riconobbe quando riuscì finalmente a sbloccare le braccia,
sollevarle e circondargli la schiena per stringerlo a sé,
per
impedirgli di andarsene ancora e di lasciarla di nuovo da sola.
Riconobbe i suoi muscoli guizzanti, la solidità del suo
corpo.
Sentì il suo peso sul petto, le sue labbra staccarsi dalle
proprie. Inalò il calore del suo respiro,
rabbrividì al
tocco delle sue dita che le accarezzavano una guancia e si tuffavano
tra i suoi capelli. Sentì la sua bocca lasciarle una scia di
fuoco lungo il collo. Rabbrividì di piacere, un piacere che
aveva dimenticato, che non ricordava più. Un piacere che le
era
mancato da morire. Un piacere senza il quale la sua vita non era nulla,
un piacere per cui valeva la pena sopportare ogni sofferenza, un
piacere a cui non avrebbe mai potuto rinunciare, non sarebbe stata
capace di farlo. Philip era la sua luce, l’aria che
respirava, la
sua ragione di vita, il suo scopo, il suo futuro. Non poteva stare
senza di lui, non ne aveva la forza. Non poteva vivere privata delle
emozioni che la sua presenza, la sua vicinanza e il suo amore
scatenavano dentro di lei. Eppure quello non era altro che un
bellissimo, meraviglioso sogno che durò finché
non
sprofondò nella stanchezza. Solo allora non sognò
più niente.
Riaprì gli occhi che era giorno. Il chiarore
dell’alba che
filtrava dalle tende la spinse a socchiudere le palpebre, stavolta
senza fatica. Poi ci ripensò, decise che non voleva
svegliarsi.
Voleva trattenere con sé gli ultimi sprazzi del sogno, che
tuttavia si stavano dissolvendo come fumo man mano che la sua coscienza
riemergeva dal torpore. L’eco che ne era rimasta le
richiamava
ancora addosso una sensazione di beatitudine che avrebbe voluto
conservare più a lungo. Sarebbe stata disposta a morire pur
di
continuare quel sogno per l’eternità e non
ritrovarsi di
nuovo gettata nella realtà che stava vivendo e che era
decisamente troppo dolorosa. Gli occhi le si riempirono di lacrime di
angosciante nostalgia. Respirò piano per non svegliare Amy.
Amy…
Ricordava che la sera prima si era appoggiata sul suo letto per
riposare un po’ e che poi lì si era addormentata
nonostante Mark avesse tentato più volte di chiamarla
e…
E Mark? Si irrigidì. Mark che fine aveva fatto?
Spalancò
gli occhi sul soffitto color crema. Doveva tornare a casa al
più
presto, prima che Daisy convincesse Mark a sfrattarla. Si volse per
svegliare l’amica e quasi rischiò
l’infarto. Accanto
a lei non c’era Amy, c’era Philip! Philip,
accidenti! Come
era finito lì? Smise di colpo di respirare, la paura di
svegliarlo con il minimo rumore.
Philip dormiva, voltato dalla sua parte. L’espressione del
suo
viso era distesa, rilassata, gli occhi delineati dalle ciglia scure, le
labbra socchiuse, i capelli che ricadevano spettinati sulla fronte. Il
braccio piegato davanti al viso era lasciato scoperto dalla t-shirt.
Jenny si appoggiò sui gomiti e si tirò su con
precauzione. Sistemò con una mano la scollatura del vestito,
che
il movimento le aveva abbassato mettendo a nudo una spalla e
continuò a fissare Philip. Dormiva sopra le coperte
aggrovigliate del letto sfatto e indossava i jeans, mentre la felpa
della nazionale era abbandonata tra loro. Jenny spostò gli
occhi
da lui alle proprie gambe nude. La gonna le era salita durante il sonno
arrotolandosi in vita, il sottile nastro di velluto nero che decorava
la scollatura dell’abito era in parte slacciato e pendeva
inerte
giù fino a sfiorarle lo stomaco. Tornò a guardare
Philip
inebetita, con l’atroce dubbio che il sogno non fosse stato
solamente un sogno. Il suo cuore prese a battere
all’impazzata,
il sangue a fluire rapido nelle vene. Cercò sul suo viso
disteso
dal sonno una risposta che non avrebbe potuto trovarvi. Gli
fissò le mani, le stesse che si era sentita addosso, quelle
dita
che nel sogno l’avevano accarezzata, quella bocca che
l’aveva baciata e che le aveva sussurrato parole
d’amore.
Era successo? Era successo veramente? Scosse la testa incredula.
Possibile che Philip davvero avesse, che avessero… Era
così turbata che i pensieri si bloccarono a metà.
Eppure
indossava ancora i vestiti. Entrambi li indossavano. Cos’era
successo? Diamine! Aveva appena finito di ripromettersi di stargli alla
larga che lui trovava il modo di infilarsi nel suo stesso letto!
Perché lo aveva fatto? Come poteva essere accaduta una cosa
simile? Dov’era Amy? E Mark? Che ci fosse sotto lo zampino di
Mark? Se sì, come accidenti aveva fatto a convincere Philip
a
dormire con lei? E perché lei non si era accorta di niente
durante tutto ciò? Si volse di nuovo a guardarlo, il terrore
che
quell’aggrovigliarsi di pensieri nella testa svegliasse anche
lui, che aprisse gli occhi e… E cosa avrebbe fatto? Avrebbe
cercato di trattenerla? Di parlarle? L’avrebbe mandata via di
nuovo? Non ne aveva idea e non voleva saperlo. Preferiva restare
nell’ignoranza più assoluta, ma per farlo doveva
andarsene
in fretta.
Scivolò giù dal letto così piano che
il materasso
non si mosse. In punta di piedi entrò in bagno, fece
scorrere
appena un filo d’acqua per lavarsi il viso e non
osò
neppure fare pipì. Se la sarebbe tenuta fino a casa.
Tornò in camera ad occhi bassi, il terrore che anche solo
guardandolo Philip si sarebbe svegliato. Recuperò le scarpe
finite sotto il letto, aprì l’armadio
silenziosissima,
prese il cappotto e la borsa e uscì in fretta dalla stanza.
Riaccostò piano la porta, la serratura si chiuse con un
piccolo
scatto. Percorrendo in fretta il corridoio
s’infilò il
cappotto e si appese la borsa a tracolla. Non si fermò a
chiamare l’ascensore. Aprì la porta delle scale
d’emergenza e scese a piedi tutti e cinque i piani.
Varcò
l’ingresso dell’hotel asciugandosi le lacrime con
il dorso
di una mano, diretta verso la fermata dell’autobus che
l’avrebbe riportata a casa. Erano appena le sei.
Alle sette Julian e Mark bussarono alla porta della stanza di Patty ed
Evelyn. Amy comparve sulla soglia, assonnata e in pigiama.
-Hai notizie di Jenny?- le domandò Mark a cui premeva solo
una
cosa: tornare a casa portando l’amica con sé. Che
rientrassero insieme era basilare dopo ciò che la sera
precedente aveva confidato a Daisy, lontani dalle orecchie di tutti.
-No. Nessuna.-
-Credi che siano svegli?-
-Dipende…-
-Dipende da cosa?-
Quella di Amy voleva essere una battuta maliziosa che però
Mark non colse. Allora lei tagliò corto.
-Hai provato a bussare?-
-Non ha risposto nessuno.-
-Allora significa che stanno dormendo.-
-Jenny deve tornare a casa con me. Apri la porta.-
Amy e Julian lo fissarono con tanto d’occhi.
-Stai scherzando?-
-No, dico sul serio.-
-Non ti azzardare, Mark! Per una volta che possono stare soli, che
possono chiarirsi, tu avresti il coraggio di ficcarti in mezzo?-
-Apri la porta, Amy. Sennò la sfondo.- pronunciò
sicuro, tanto stavolta avrebbe pagato la Federazione.
L’amica lo fissò incredula, poi gli volse le
spalle e
sparì nella camera. Tornò un istante dopo con la
card.
Percorsero insieme il corridoio, lei davanti a borbottare contrariata,
Mark dietro che la tallonava e Julian che tentava di fargli cambiare
idea. Raggiunta la porta, la ragazza appoggiò
l’orecchio
contro il pannello e rimase ad ascoltare. Niente. Non si sentiva
assolutamente niente. Passò la card sulla maniglia e la
serratura scattò.
-Permesso?- fece discretamente capolino e vide Philip sul letto. Da
solo.
-Non c’è! Non ci posso credere!- lo scontento di
Mark
strappò il giovane dal sonno -Dov’è
finita Jenny?
Dov’è?-
Philip si tirò su, gli occhi spiritati fissi su di loro.
-Cazzo Landers, vuoi farmi venire un infarto?-
-Dov’è Jenny?-
-Non lo so!-
-Non lo sai? Che vuol dire che non lo sai?- il nervoso di
quell’improvvisa scomparsa stava già rovinando la
giornata
di Mark -Come fai a non saperlo se avete dormito insieme?-
Il sonno scomparve dagli occhi di Philip, che brillarono di fastidio e
si socchiusero, diventando due linee sottilissime.
-Non so dove sia Jenny!- la sua voce risuonò di collera -E
poi
perché lo chiedi a me? Tu sei più al corrente di
tutti di
ciò che fa!-
Mark lo fissò allibito, la sua ira si sgonfiò di
colpo e si frugò nelle tasche borbottando a disagio.
-Allora la chiamo.-
Jenny gli rispose brusca, non lo salutò neppure.
“Che vuoi?”
-Dove sei?-
“A casa, dove vuoi che sia?”
Mark udì il tonfo di qualcosa che si infrangeva sul
pavimento.
Gli vennero i brividi. Che aveva sfasciato? Sperò che non
fosse
nulla di costoso e si ricordò che per fortuna di costoso a
casa
sua non c’era proprio niente. Comunque, tanto per essere
sicuri…
-Cos’hai rotto?-
“è tutta opera tua, vero?”
-Che opera?-
“Sono così furiosa, Mark, che è molto
meglio se riattacchi.”
Lo fece lei stessa, senza dargli neppure il tempo di replicare. Mentre
rificcava il cellulare in tasca, Mark guardò Philip. Seduto
sul
bordo del letto, si stava infilando le scarpe.
-È a casa.- li mise al corrente, visto che non sapeva
cos’altro dire. Poi spostò gli occhi su Amy e
Julian che
non avevano detto una parola -Se faccio tardi, inventatevi una scusa
decente.-
Il culmine Jenny lo aveva raggiunto quando, sull’ingresso, si
era
trovata faccia a faccia con Daisy. Due brutte sorprese già
di
prima mattina, la giornata era cominciata davvero male.
-Dove sei stata?-
Avrebbe potuto risponderle con una balla, ma aveva deciso di non farlo
proprio perché dov’era stata non era assolutamente
affar
suo. Si sentiva i nervi a fior di pelle, la presenza di Philip nel
letto di Amy l’aveva già abbastanza provata.
Ignorando
Daisy aveva imboccato le scale, era entrata in bagno e si era chiusa
dentro. Aveva riempito la vasca e si era immersa nell’acqua
bollente nel tentativo di rilassarsi. Cosa che non era riuscita a fare.
Non appena ci aveva provato il pensiero di Philip che le dormiva
accanto aveva preso il sopravvento e non era riuscita a scacciarlo. E
aveva ripensato incessantemente ai momenti del sogno.
Aveva riattaccato il telefono in faccia a Mark e, riemergendo dalla
vasca, aveva raccolto i cocci del vasetto da quattro soldi che
conteneva i loro spazzolini da denti, finito a terra quando lo aveva
urtato con il gomito. Sempre più nervosa aveva ficcato i
vestiti
del giorno precedente direttamente nella lavatrice e l’aveva
fatta partire. Si era avvolta nell’asciugamano ed entrata in
camera di Mark, improvvisamente convinta che la cosa migliore da fare
era lasciare quella casa una volta per tutte. Si vestì
rimpiangendo di non averlo fatto subito, il giorno stesso in cui aveva
saputo che la nazionale giapponese avrebbe giocato a Torino contro
l’Italia. Restare era diventato troppo impegnativo, troppo
doloroso. Insopportabile.
Mark la trovò inginocchiata ai piedi del letto, a ficcare i
propri abiti nella valigia lilla, lo stesso trolley con cui era
sbarcata all’aeroporto di Caselle. La fissò
interdetto,
mentre la sua mente sistemava nel giusto posto i tasselli della scena a
cui stava assistendo. E quando capì, la sua confusione si
trasformò in panico. Entrò e richiuse svelto la
porta.
-Cosa stai facendo?-
-Me ne vado.-
-Non puoi farlo!-
-Certo che posso!-
-Stai fuggendo di nuovo!-
Lei si tirò su, i pugni sui fianchi.
-Sì, sto fuggendo. Se l’ammetto sei contento?-
-Certo che no!-
-Mi hai fatta dormire con Philip!-
Mark la fissò sgomento.
-Non ti ho fatta dormire proprio con nessuno! Sei tu che non sei voluta
tornare a casa! Non ricordi?-
-Io ero rimasta a dormire da Amy! Perché mi sono ritrovata
Philip nel letto?-
-Perché ci siamo fermati a parlare in quella camera, Gamo ci
faceva le poste nella hall! E Philip si è addormentato
mentre
eravamo lì!-
-Quella non era la sua stanza, perché non l’hai
svegliato?-
-Perché avrei dovuto farlo io? Quella era la stanza di Amy!-
-Mi hai lasciata sola con lui!-
-Ti ci ha lasciata Amy!-
Lei si arrese.
-Benissimo, allora la prossima volta che la incontrerò la
ringrazierò. Intanto salutamela, io me ne vado.-
ficcò
con forza nel bagaglio un paio di jeans, si tirò su e
osservò critica la valigia. Era troppo piena, non si sarebbe
mai
chiusa.
-E dov’è che vai?-
-Dovunque, purché sia lontano da qui!- magari intanto
avrebbe
potuto appoggiarsi da Gentile uno o due giorni, in attesa di decidere
la sua prossima destinazione.
Mark si avvicinò combattivo e con un piede spinse il trolley
sotto il letto. Poi si piazzò a gambe divaricate davanti al
materasso, intenzionato ad impedirle di recuperare il suo bagaglio. Lei
seguì le sue manovre senza dire una parola. Tanto nessuno
sarebbe stato in grado di fermarla. Ormai aveva deciso.
-Jenny, cerca di ragionare…-
-Ci ho provato, Mark. Ti assicuro, ho provato a restare ma non ci
riesco. Sono stanca, troppe cose non stanno andando bene. E poi mi
esaspera.-
-Philip?-
-Daisy! Sto parlando di Daisy!- Jenny scostò brusca il
compagno
e si inginocchiò a terra -Spostati!- tirò a
sé la
valigia e cercò di finirla.
-Tu non vai da nessuna parte. È fuori discussione.- spinse
bruscamente indietro Jenny e si sedette sul trolley.
-Se non mi fai fare la valigia me ne andrò con i vestiti che
indosso!-
-Jenny, devi rimanere qui! Non puoi autoinvitarti a casa mia, restarci
due mesi e decidere di tagliare la corda proprio nel momento in cui ho
bisogno che resti!- quasi la supplicò e poi, prima di
continuare, prese un bel respiro profondo -Ho detto a Daisy che stiamo
insieme.-
Jenny spalancò la bocca. Tentò di articolare una
risposta
ma la voce non uscì. Allora fece un passo verso di lui e gli
appoggiò una mano sulla fronte.
-Mark, stai delirando… Hai la febbre?-
Infastidito dal gesto, le abbassò la mano e si
scostò brusco.
-Non dire stronzate!- la fissò esasperato -Se le ho fatto
credere che stiamo insieme ovviamente c’è un
motivo.-
Jenny lo ascoltò in silenzio, pensando che da quando era
arrivata a Torino ne aveva passate tante, ma questa era la cosa
più ridicola che le fosse capitata finora. Decise di
affrontare
la situazione di petto e lo prevenne.
-Landers tu non sei il mio tipo. Risparmiati la dichiarazione.-
Mark schizzò indietro come se avesse preso la scossa.
-Ma che… Come ti viene in mente?-
Jenny lo fissò confusa.
-Non volevi dichiararti?-
-Certo che no! Neanche tu sei il mio tipo, figuriamoci!-
-E allora?-
-Allora Daisy mi ha fatto entrare alla Toho…-
-Lo so, Evelyn me lo ha raccontato.-
-Poi è diventata la mia procuratrice e mi ha fatto ottenere
l’ingaggio nella Juventus sostenendo il mio nome nella rosa
di
tanti altri.- Mark spostò il peso da un piede
all’altro.
Non sapeva come esporle i suoi sospetti, non sapeva bene che parole
usare perché non era abituato ad aprirsi su certi argomenti.
Nonostante l’indecisione andò dritto al punto -Le
interesso.-
-Ovvio che la tua crescita professionale le interessi, se tu fai strada
anche lei ci guadagna.-
-Crescita professionale? Non mi riferisco alla crescita professionale!-
La consapevolezza di ciò che Mark cercava di farle capire
girandoci intorno, prese finalmente forma nella mente di Jenny.
Spalancò gli occhi.
-Oh cavoli! Non mi starai dicendo che sei il suo toy-boy!
-Il tuo-che?-
-Il suo “ragazzo-giocattolo”, Mark! Non lo sai? La
donna
matura che soddisfa i suoi bisogni sessuali con amanti più
giovani, il toy-boy…- vide lo sconcerto nei suoi occhi -Non
ne
hai mai sentito parlare?-
-No, mai. Non mi interessano queste cose.- si irrigidì e la
sua
voce uscì stridula -E poi quali bisogni sessuali? Io non
soddisfo i bisogni sessuali di nessuno a parte i miei…-
La curiosità le sciolse la lingua.
-Ah sì? Ti soddisfi? Lo fai da solo?-
-Jenny, porca miseria!- ringhiò -A parte che tutto
ciò
non ti riguarda, il problema è che te ne vuoi andare
lasciandomi
solo con Daisy!-
La giovane si fece immediatamente seria.
-Quindi le hai detto che stiamo insieme.-
-Esatto. Come vedi ho i miei buoni motivi.-
-Buoni motivo o no, ti pare il caso, accidenti? Non credi che la
situazione sia abbastanza ingarbugliata? E se lo venissero a sapere gli
altri? E se lo dicesse a qualcuno?-
Lui in verità non ci aveva pensato. Ma in fondo di che
preoccuparsi? Che motivo aveva Daisy di andare a dire in giro che lui e
Jenny stavano insieme? Scosse la testa.
-Figurati! Perché dovrebbe farlo?-
-Per qualsiasi ragione.-
-E pensi che le crederebbero? Gli altri sanno che tu stai con Gentile.-
Jenny si rassicurò all’istante.
-Hai ragione!-
-Quindi abbiamo risolto il problema.-
-Non lo abbiamo risolto per niente! Lei non mi sopportava prima, ora
che pensa che stiamo insieme mi detesterà per sempre.-
-Che te ne importa? Non devi mica frequentarla o andarci a cena! Devi
solo sopportarla per pochi giorni. Una volta che sarà
partita
non la rivedrai più! Lascia che pensi quello che vuole.-
Jenny lo fissò titubante, finché Mark si
avvicinò
all’armadio e ne tirò fuori dei vestiti puliti.
Poi le
chiese di uscire.
-Devo cambiarmi e devo anche sbrigarmi. Gli allenamenti sono cominciati
dieci minuti fa.-
*
-Tom, ho bisogno di parlarti.-
Seduto a terra a fare stretching, il ragazzo alzò gli occhi
su
Julian. Valutò la sua espressione seria e si tirò
in
piedi. Si allontanarono dal resto della squadra e quando furono nei
pressi della recinzione, si fermarono a guardarsi.
-Cosa c’è?-
-Abbiamo un problema.-
-Che problema?-
-Philip.-
Sospirò.
-Quale altro problema potremmo avere, se non lui?-
Julian si grattò la nuca e cercò con gli occhi
l’oggetto della loro conversazione. L’amico era
seduto
sulla panchina, Alan Crocker gli era davanti e gli stava dicendo
qualcosa. A pochi passi da lui Gamo si divertiva a strigliare Mark che
anche quella mattina si era presentato ad allenamenti già
iniziati.
-Tu lo conosci da più tempo di noi e forse puoi fare
qualcosa.-
-Qualcosa cosa?-
-Per esempio parlargli.-
-Per dirgli?-
Mentre Julian la tirava per le lunghe, Tom si chiese se Gamo avrebbe
fischiato la fine della pausa prima che il compagno riuscisse ad
arrivare al nocciolo del problema. Ma il mister godeva visibilmente nel
rimproverare Mark e al resto della squadra proprio non pensava.
-Philip sta prendendo troppi analgesici.-
-Prende delle medicine?-
-Per il mal di testa. Lo ha sempre, te ne sei accorto?-
Tom scosse la testa mentre Julian continuava.
-Senti, io mi sarei fatto volentieri gli affari miei se non lo avessi
visto svuotare in cinque giorni una scatola intera di aspirine. Abusare
di analgesici è un’abitudine pericolosa.- assunse
d’un tratto quel tono da maestrino che mandava Benji su di
giri
-Se si prendono più di tre o quattro volte a settimana si
rischia di diventarne dipendenti. E oltretutto un uso così
intenso porta depressione, ansia, irritabilità,
difficoltà di concentrazione e…-
Tom lo interruppe sollevando una mano.
-Perfetto. Hai appena fatto il ritratto spiccicato di Philip. Dove li
ha presi?-
-Li ha con sé.-
-Dobbiamo dirlo a Holly quando torna da Barcellona.-
-Già, quando torna. E nel frattempo credi che dovremmo fare
qualcosa?-
-Tipo?-
-Tipo parlare con Philip e metterlo in guardia.-
Tom annuì fiducioso, gli afferrò una mano e
gliela strinse agitandola su e giù.
-Mi pare una buona idea, se ci riesci. In bocca al lupo.- si volse e
tagliò la corda perché a lui di mettersi a
discutere con
Philip proprio non andava. Aveva da rimproverargli già
troppe
cose.
Julian non poté fare altro che prendere atto della fuga del
compagno. Spostò gli occhi su Philip. Parlargli? Era fuori
discussione. Dividevano la stanza da quatto giorni, o forse cinque ma
tanto non serviva contarli, e l’amico gli aveva rivolto
sì
e no tre parole. Tornò verso i compagni nel momento in cui
Gamo
lasciava in pace Mark e fischiava la fine della pausa.
Jenny varcò la recinzione del campo con lo sguardo fisso
sulle
panchine. Non sarebbe mai andata al centro sportivo così
presto
se avesse saputo che anche Daisy era lì. La vedeva
già
abbastanza a casa, fuori l’avrebbe evitata volentieri.
Evelyn le sedeva accanto e le parlava, probabilmente per cercare di
scucirle qualche succulenta notizia sulla Japan Football Association o
sulla J-League. Jenny l’aveva sentita lamentarsi di non
essere
riuscita a scrivere neppure un pezzo decente da quando aveva messo
piede in Italia ed evidentemente adesso sperava di tirarle fuori
qualcosa di utile.
Quando le raggiunse, Daisy la guardò dall’alto in
basso accogliendola con la sua solita cordialità.
-Prima o poi te ne andrai, lo sai?-
Jenny si irrigidì.
-Anche lei, e probabilmente prima di me.-
Amy e Patty spostarono lo sguardo dall’una
all’altra,
consapevoli della tensione che si avvertiva improvvisamente tra loro.
Evelyn tirò su gli occhi dal cellulare, sul quale si era
messa a
scrivere qualcosa. Era diventata una grafomane, non faceva altro che
prendere appunti. Cosa se ne facesse era un mistero, probabilmente
più della metà delle cose che scriveva alla fine
le
cestinava.
Daisy continuò, con un misto di fastidio e
curiosità.
-Non state insieme, vero? Ti ospita e basta.-
-Perché lo chiede a me? Tanto non mi crederebbe in nessun
caso. Lo domandi a lui.-
Evelyn si intromise, Jenny se lo aspettava.
-State parlando di Mark?-
Daisy si irrigidì.
-Certo, di chi altri?-
Gli occhi di Evelyn si spostarono dalla donna all’amica,
mentre
le poneva una domanda che risuonò assurda persino a lei che
la
fece.
-Stai con Mark?-
Landers, in campo, fremeva. Da quando Jenny aveva raggiunto le
panchine, aveva la percezione che sotto gli scarpini gli si fossero
infilati degli spilli. Non trovava pace, si agitava e correva
inutilmente da una parte all’altra per intercettare la palla,
senza però la concentrazione necessaria ad impossessarsene.
Temeva che l’amica si lasciasse sfuggire la
verità, o che
le ragazze la svelassero.
-Vado a bere.- avvertì Rob che gli era più vicino
e
raggiunse di corsa il bordo campo -Ciao Jenny!- le sorrise solare,
accogliente, fingendo una felicità che assolutamente non
provava
-Quando sei arrivata?-
-Adesso.- rispose lei secca -E sto anche per andarmene.-
-Bene!- gioì lui, perché se si toglieva dai piedi
le
possibilità che Daisy venisse a conoscenza della
verità
diminuivano sensibilmente.
La sua risposta fu uno stupido errore. Gli occhi della donna si
socchiusero sospettosi.
-Voi due non state insieme.-
Lui la fissò sgomento, rendendosi conto che con la fretta di
mandar via Jenny aveva appena fatto un passo falso.
-Perché no?- Mark si sentì improvvisamente
così a
disagio che non ebbe il coraggio di spostare gli occhi sulle ragazze
che assistevano, volenti o nolenti, a tutta la scena. Un conto era
rendersi ridicolo davanti a Jenny, supplicandola di non lasciarlo solo
con Daisy, un conto era recitare la parte che si era assegnato davanti
alle amiche, con il rischio che poi raccontassero tutto ai rispettivi
fidanzati, facendogli fare una figura di merda, ma di quelle proprio
brutte. Si sforzò di avvicinarsi a Jenny e circondarle le
spalle
con un braccio. Il gesto fu una vera e propria prepotenza su se stesso.
Lei trasalì al contatto e cercò di divincolarsi
con una scusa.
-Sei sudato, Mark… Scostati.-
Il ragazzo non lo fece, anzi la guardò negli occhi,
supplichevole.
-Vero che stiamo insieme?-
Fece uno sforzo enorme, Jenny, per non spingerlo via. La presenza di
Daisy l’aveva innervosita, dentro di lei si era risvegliato
un
fastidioso malessere. Non voleva che Mark la toccasse, non voleva che
nessuno la toccasse, ma la cosa peggiore di tutte era che non riusciva
a togliersi dalla testa che Philip fosse da qualche parte in campo,
vicinissimo.
Daisy li scrutò, cercando la conferma definitiva ad una
fandonia
a cui ormai non credeva davvero più. Decise di metterli alla
prova.
-E allora se state insieme, perché non le dai un bacio,
Mark?-
-Un bacio?-
La donna sorrise di scherno.
-Sì, dalle un bacio. Che problema c’è?
State insieme, no?-
Jenny si irrigidì e si volse di scatto verso Mark.
Alzò
il viso, lo fissò sgomenta e nell’espressione del
ragazzo
lesse la sua stessa incredulità. Neanche lui sembrava
capacitarsi di una simile e assurda richiesta. Le tolse la mano che le
teneva sulle spalle e la tensione che attanagliava lo stomaco di Jenny
si sciolse immediatamente. Le venne da ridere. Era troppo stupido fare
una cosa del genere soltanto per accontentare l’isterica
Farrell.
I suoi occhi saettarono attraverso il campo. I ragazzi stavano
giocando, nessuno faceva caso a loro e per fortuna nessuno sembrava
aver notato quanto fossero vicini. Tornò ad alzare il viso
verso
Mark, la vena del suo collo pulsava di incontrollabile fastidio e i
suoi occhi lampeggiavano di irritazione. Poi inaspettatamente il
ragazzo fece un passo verso di lei e prima che potesse tirarsi
indietro, l’afferrò brusco per le spalle e
l’accostò a sé.
Jenny tentò di protestare ma non riuscì a
parlare. Lo
vide abbassare il viso, i loro volti avvicinarsi. Diede uno strattone
per allontanarsi ma non fu sufficiente. Lui affondò le dita
nel
suo cappotto, impedendole di muoversi, e allora lei serrò
gli
occhi sperando che all’ultimo ci ripensasse. Invece le
sentì, sentì le sue labbra calde e asciutte
posarsi
leggere sulle proprie, sfiorandole appena e poi svanire.
Spalancò di colpo gli occhi, scossa da un impulso
irrefrenabile
di mettersi a urlare. Mark lo aveva fatto davvero! L’aveva
baciata!
E ora si era allontanato. L’aveva già lasciata ed
era un
bene. Non avrebbe sopportato di averlo ancora accanto. Le mani che fino
ad un secondo prima le aveva tenuto addosso, adesso erano affondate
nelle tasche dei pantaloncini. Gli occhi del ragazzo erano su Daisy e
la guardava con un cipiglio vittorioso che aveva qualcosa di molto
infantile.
-Visto? Stiamo insieme!-
Jenny si morse un labbro fino a farlo sanguinare, mentre il respiro
accelerava al punto da farla ansimare. Serrò le dita e
abbassò gli occhi a terra, estraniandosi da tutto
ciò che
la circondava. Mark era un idiota fatto e finito, ora ne aveva la
conferma. Non vide Daisy allontanarsi, non la vide sparire nel bar.
-Sai che ti dico, Jenny? Hai proprio ragione, quella donna è
esasperante e…-
Mark si avvicinò e quando lei lo vide emergere nel suo campo
visivo sollevò di scatto il viso e lo allontanò
con uno
spintone, le dita che prudevano, il desidero travolgente di mollargli
un ceffone.
-Se ti azzardi a baciarmi un’altra volta giuro che ti faccio
passare la voglia a forza di schiaffi! Anche di fronte a tutti, non mi
importa!-
Lui ammutolì davanti a tanta collera. Il viso di Jenny era
paonazzo, il suo petto si alzava e abbassava nel respiro accelerato. Il
suo sdegno lo mise di fronte alla cazzata che aveva appena fatto. Non
riuscì a credere di esserne stato capace. Merda! Aveva
baciato
Jenny! Per colpa di Daisy l’aveva baciata!
-Cos’è questa novità?-
La voce di Bruce lo fece sobbalzare. Si girò incredulo,
granitico. L’amico era sulla linea di bordo campo e li
fissava
curioso, anzi, visceralmente interessato. Harper aveva visto? Come
aveva fatto? Non si stava allenando? I compagni stavano giocando, non
potevano averli notati. E invece quel muso di scimmia era la
dimostrazione vivente che si era sbagliato. Arrivò anche
Jason
Derrick, un altro primate di delicatezza.
-Per favore potete rifarlo? Ero voltato e non ho visto.-
-Ri… rifare cosa?- Mark si udì balbettare e si
odiò. Poi pensò che Philip lo avrebbe ucciso,
questa era
davvero la volta buona. E ne avrebbe avute anche tutte le ragioni,
porco mondo. Non si azzardò a cercarlo, ad incrociare il suo
sguardo. Non voleva neppure sapere dove fosse.
-Il bacio.- spiegò Jason.
Clifford si appoggiò le mani sui fianchi.
-Neanch’io ho visto.-
-Quale bacio?- finse di cadere dalle nuvole.
-Il bacio. Quello che hai dato a Jenny.-
-Non le ho dato nessun bacio.- si accorse con orrore che i compagni che
li circondavano si facevano sempre più numerosi.
C’era
anche Philip? Non voleva saperlo!
Evelyn fremette di fastidio e si lasciò cadere sulla
panchina.
-Perché non li ho fotografati? Perché?-
Jenny si volse furiosa, la voglia di strozzarla. Possibile che
l’amica, invece di aiutarla, non trovasse di meglio da fare
che
rigirare il dito nella piaga?
Fu Tom a salvarli. Lo fece perché non riuscì
proprio a
farne a meno, perché non sopportava di vedere Mark incapace
di
tirarsi fuori dal casino in cui si era volontariamente e
inspiegabilmente ficcato. E detestava anche il fatto che il
comportamento incosciente del compagno avrebbe reso ancora
più
instabile l’umore già pericolante di Philip.
Diamine!
Julian aveva appena finito di parlargli delle aspirine di cui si
rimpinzava, che Mark aveva la bella idea di baciare Jenny davanti a
tutti.
-Lo spettacolo è finito, sta arrivando Gamo!-
I giovani si volsero all’unisono verso il bar.
L’allenatore
avanzava spedito verso il campo ed era lampante dalla sua espressione
spazientita che non sarebbero mai riusciti a trovare una scusa
plausibile per giustificare l’interruzione
dell’allenamento. Ci fu un fuggi-fuggi generale.
-Me lo farete rivedere?- rise Jason, arricciando comicamente le labbra
ad imitazione di un bacio.
-Ti spezzo le gambe! Deficiente!- inveì Mark.
Si sparpagliarono sul campo, riformarono le squadre, recuperarono la
palla e ripresero esattamente da dove si erano interrotti.
Solo Mark rimase, nonostante l’allenatore che avanzava, ad
affrontare lo sguardo inviperito di Jenny. Aveva sì e no due
minuti di tempo per rabbonirla prima che Gamo lo rispedisse in campo.
Aprì la bocca per parlare ma l’amica lo
assalì
furiosa.
-Cosa t’è saltato in mente? Non avresti dovuto
farlo!-
-Lo so benissimo!-
-Non davanti a tutti!-
-Lo so benissimo!-
-E allora perché mi hai baciata?-
Lui la guardò esasperato, avrebbe voluto tanto non averlo
fatto.
-Perché non mi ha lasciato scelta!-
-Certo che ce l’avevi la scelta! Potevi continuare a
insistere
con le parole! Che bisogno c’era di passare ai fatti? Tu e la
tua
mania di prendere di petto i problemi! Ecco che bel risultato! Ci hanno
visti tutti!- scosse la testa e respirò a fondo, vide Gamo
sempre più vicino e si impose di calmarsi -Senti Mark, devi
mandarla via. Non possiamo fingere di stare insieme!-
-Non posso mandarla via, perché non lo capisci? Lei mi ha
tirato
fuori dalla merda in cui sguazzavo dopo la morte di mio padre! Se non
fosse stato per lei non avrei frequentato il liceo! Se non fosse per
lei io non sarei neppure qui!-
-Sì, può darsi! Ma credi che lei non abbia
guadagnato in
prestigio ad aver scovato un talento come te e ad averlo inserito nella
sua scuola? Non pensi che sia anche grazie a te che è
riuscita a
passare da uno sperduto liceo della prefettura di Saitama agli uffici
nella JFA?-
Lui pensò che forse non aveva tutti i torti. Poi Tom lo
chiamò.
-Mark, porca miseria! Vieni immediatamente qui!-
-Ne riparleremo dopo, Jenny.-
-Puoi starne certo!- gli gridò dietro lei.
Lo guardò raggiungere i compagni, poi si lasciò
cadere esausta sulla panca. Evelyn partì
all’attacco.
-Cosa significa tutto questo? Perché Mark ti ha baciata?
Perché la Farrell pensa che state insieme?-
Jenny la guardò, chiedendosi se davvero si aspettava che le
rispondesse. Possibile che non capisse che se anche avesse voluto
confidarsi, lei sarebbe stata l’ultima persona con cui
l’avrebbe fatto? Figuriamoci se voleva che questo genere di
questioni finisse sul giornale per il quale Evelyn lavorava!
-Jenny?-
Salvatore Gentile era esattamente dietro di lei, oltre la recinzione.
Le prese un colpo. Gli si avvicinò guardinga e
osservò il
suo bel sorriso attraverso le maglie della rete. Le
intrecciò
tra le dita e lui gliele strinse dolcemente, insieme ai fili
d’acciaio.
-Ti ricordi della festa di stasera, vero?-
Jenny annuì. Gliene aveva accennato il giorno prima, davanti
alla birra. Ma lei era troppo stanca per starlo a sentire e non aveva
capito con esattezza di cosa si trattasse. Fece per chiederglielo, ma
lui parlò per primo.
-Visto che Landers è da solo, perché non chiedi a
Patty
di accompagnarlo? Ho sentito dire che Hutton è tornato a
Barcellona per la partita di domani.- la guardò insistente,
perché aveva l’urgente necessità di
appioppare a
Mark qualcuno per tutta la festa in modo che lo lasciasse libero di
godersela con Jenny in santa pace.
La ragazza non sapeva nulla del viaggio di Holly. Dove accidenti le
prendeva Salvatore tutte quelle informazioni? Forse da Rob?
-Dobbiamo vestirci eleganti?-
-Supereleganti!-
-Va bene, ne parlerò con Patty.-
Il turno di Jenny al bar fu ravvivato, verso la fine,
dall’arrivo
di Benji. Il ragazzo si arrampicò su uno degli sgabelli del
bancone e la fissò negli occhi con l’aria di chi
aveva
parecchio da dire. Il portiere la sera prima aveva risolto il problema
con Amy in modo così perfetto che quella mattina la ragazza
lo
aveva salutato con un buongiorno e un sorriso, alla faccia di quel
muso-da-schiaffi di Ross. Ora, per occupare i tempi morti tra un
allenamento e l’altro, s’era messo in testa di
tirar fuori
Jenny e Philip dal guazzabuglio in cui si erano ficcati. Vedere come si
evitavano gli faceva venire il nervoso. E poi, se con quel bacio Mark
fosse riuscito finalmente a svegliare Philip, lui doveva dare una bella
scossa a Jenny per non essere da meno. Landers era un idiota e non
poteva assolutamente accadere che quei due tornassero insieme grazie a
lui. Così cominciò senza preamboli.
-Qualche giorno fa ti ho promesso che non ti avrei chiesto
perché tu e Callaghan vi siete lasciati, ricordi?-
Lei annuì e il portiere continuò.
-Mi secca ritirare fuori l’argomento, però una
cosa devo dirtela per forza.-
Vide Jenny agitarsi a disagio, prendere il bicchiere di succo di frutta
che aveva corretto con qualcosa di alcolico non appena le si era seduto
davanti, e per poco lasciarselo sfuggire dalle dita. Benji si
allungò sul banco per afferrarlo al volo, serrando nella sua
anche la mano di lei. Il bicchiere tornò al suo posto sul
ripiano ma lui esitò a lasciarla, il timore che scappasse.
Era
chiaro dalla sua espressione che Jenny non aveva intenzione di udire
sull’argomento neppure una parola.
Tutto sommato Benji era stanco di quella lunga giornata di allenamenti.
La mattina Gamo li aveva spremuti fino all’ultima goccia e
durante quell’interminabile e caldo pomeriggio di primavera
aveva
strappato loro le ultime energie. Era esausto e desiderava solo
starsene tranquillo. Ma Philip stava diventando un problema per se
stesso e per la squadra e Jenny, si vedeva chiaramente, soffriva
tantissimo di averlo accanto e non riuscire neppure a parlargli.
-Mi devi solo ascoltare.- cercò di tranquillizzarla intuendo
il
suo disagio -Solo per un minuto, tanto tra poco arrivano gli altri.-
Lei arrossì, cercò di liberare la mano dal
bicchiere ma
lui strinse più forte per impedirle di sottrarsi e
proseguì.
-Ti giuro che non ho mai visto una persona stare male quanto Philip,
non ho mai visto nessuno annullarsi come ha fatto lui dopo…
dopo…- esitò, le parole non gli vennero ma Jenny
capì lo stesso.
-Non voglio parlarne, per favore.- la supplica le spezzò
quasi la voce.
-Non devi parlarne, devi solo ascoltarmi. Solo un minuto.-
cercò
di sorriderle ma la gravità dell’argomento che
aveva solo
sfiorato aveva colpito anche lui -Finché non ti ho
conosciuta,
finché non vi ho visti insieme, sono sempre stato convinto
che
l’attaccamento di Philip nei tuoi confronti fosse ridicolo. E
quell’inverno a Shintoku ho detto che l’anima
gemella non
esiste. Quel giorno vi ho presi in giro e ti ho fatta arrabbiare. Te lo
ricordi?-
Jenny annuì ancora una volta, ammutolita. Ripensare alla
spensieratezza di quel periodo le faceva male e se Benji non avesse
premuto le sue dita contro il vetro del bicchiere, sarebbe scappata via
per non ascoltarlo più. La tristezza era diventata
insopportabile.
-Non avevo capito niente. Tu e Callaghan avevate ragione.
Più vi
osservo, più vi conosco e più mi rendo conto che
siete
fatti per stare insieme. Dovete smetterla di perdere tutto questo
tempo, la vita non è infinita e non potete permettervi di
sprecarla così.-
Philip, fermo sulla soglia del bar, si caricò la borsa su
una
spalla e uscì. Era troppo distante per udire le parole con
cui
Benji stava irretendo Jenny e in fondo non voleva neppure sapere cosa
si stessero dicendo. Ma aveva visto perfettamente le guance di lei
arrossarsi e la mano del portiere sulla sua. Percorse il vialetto di
ghiaia fino a raggiungere la strada, lasciandosi alle spalle i compagni
e il terreno di gioco. Proseguì con lunghe falcate e le mani
in
tasca, i pugni serrati per la rabbia, le nocche sbiancate
dall’energia con cui li stringeva, le unghie conficcate nei
palmi
per cercare di smorzare un dolore tanto cocente quanto inutile. Le
lacrime di cui non riusciva a liberarsi da giorni, forse da settimane o
addirittura da mesi, bruciavano. Strinse gli occhi, deglutì
e si
sforzò di ricacciare il ricordo di ciò a cui
aveva appena
assistito, che lo feriva in qualche angolo del petto.
Varcò a testa bassa le porte a vetri dell’hotel e
si
rifugiò in camera, sapendo che Julian sarebbe rimasto nella
hall
con Amy fino all’ora di cena. Si lasciò cadere sul
letto
esausto, i muscoli a pezzi come al solito dopo gli allenamenti, il
cuore che gli martellava per ciò che aveva visto al bar e
per
ciò che aveva visto in campo.
Carol bussò alla porta della camera di Patty e lei le
aprì un istante dopo. L’accolse con un sorriso,
scostandosi per lasciarla entrare.
-Non c’era bisogno che venissi ma ti ringrazio di averlo
fatto.-
-Jenny mi ha accennato della festa, ho spostato un appuntamento ed
eccomi qui. Non mi costa assolutamente nulla darvi un tocco da
professionista.- le strizzò l’occhio e si
guardò
intorno -Jenny dov’è?-
-Non è ancora arrivata.-
-Sei sola?-
-Sì.-
-Perfetto.- Carol posò sul tavolo la borsa carica della sua
attrezzatura e squadrò Patty dalla testa ai piedi con palese
ammirazione -Da dove cominciamo?-
La ragazza rise.
-Non ne ho proprio idea.-
-Mani?-
Patty allungò timorosa un braccio. Non curava
particolarmente
l’aspetto delle sue mani e si vergognò
dell’occhiata
professionale con cui Carol le esaminò le unghie.
-Un disastro?-
La ragazza lasciò scorrere le dita di Patty tra le sue, in
una carezza molto dolce.
-Non proprio.- si guardò intorno, individuò le
poltroncine che affiancavano il tavolino tondo accanto alla finestra e
gliele indicò -Mettiamoci comode.-
Patty annuì e si sedette. Carol la raggiunse portando con
sé la borsa. L’appoggiò a terra e ne
tirò
fuori l’attrezzatura che posò in
bell’ordine sul
ripiano del tavolo.
-Sei tesa.-
-Non ci sono abituata… E le mie unghie sono un disastro.- se
le
guardò lasciando che la fede brillasse alle luci della
stanza.
-Non sono un disastro, ma posso renderle migliori. E se ti rilassi
sarà molto più piacevole.- si alzò e
le
girò intorno, fermandosi dietro di lei.
Patty si volse per cercare il suo viso ma Carol era esattamente alle
sue spalle e non riuscì a guardarla. Sentì
però le
sue mani calde posarsi alla base del collo.
-Rilassati, non pensare a niente.- mosse le dita in un massaggio
distensivo.
Patty riusciva a fare tutto, tranne che a rilassarsi. La sua vita era
energica, vivace, decisa, tremila pensieri le affollavano la mente ed
era raro che trovasse il tempo per dedicarsi un po’ a se
stessa.
Eppure di cose che le piaceva fare ce n’erano tante. Il
massaggio
di Carol dapprima la irrigidì. Poi, man mano che le mani
della
ragazza le accarezzavano la pelle con decisione, distendendo i muscoli
e i nervi tesi, si lasciò andare. Le dita di Carol correvano
su
e giù sul suo corpo fin dove riuscivano ad arrivare,
generando
sensazioni fantastiche. Le sue mani erano meravigliose, il massaggio
piacevolissimo. Tacquero per alcuni minuti, mentre Patty si lasciava
sfuggire sospiri beati sempre più intensi. Perché
non si
era mai fatta massaggiare prima?
-Va meglio?-
Annuì appena, troppo concentrata sul suo tocco
straordinariamente rilassante. Le dita di Carol danzavano sulle sue
spalle, sul collo e sulla parte alta della schiena, scendevano lungo le
sue braccia, fino ai gomiti, poi tornavano su e massaggiavano,
sciogliendo i muscoli. Era così piacevole che le ci volle
qualche istante per tornare padrona di se stessa e accorgersi, ad un
certo punto, che Carol aveva smesso di accarezzarla. Quando
aprì
gli occhi la ragazza le era di fronte, aveva appoggiato le mani sui
braccioli della poltrona e, china su di lei, la fissava intensamente
negli occhi. Era così vicina che i loro volti si sfioravano.
Patty riuscì a distinguere le pagliuzze dorate nelle sue
iridi.
Vide le labbra di lei incurvarsi in un sorriso, il suo sguardo brillare
di felicità. Sentì il suo profumo invaderle le
narici
mentre Carol si chinava di più e la sfiorava con un bacio.
Quando le sue labbra morbide si posarono sulle proprie fu colta
talmente di sorpresa che non riuscì a fare nulla, neppure a
protestare. Carol ne approfittò. Le prese il viso tra le
mani,
piegò leggermente la testa di lato e unì la bocca
alla
sua con una mossa molto più decisa della precedente. La sua
lingua umida e morbida si insinuò tra le labbra di Patty e
quel
contatto la fece sobbalzare, riscuotendola dallo shock. Si
tirò
indietro, sgomenta.
-Cosa fai?- la voce le uscì sottile, quasi acuta.
-Ti bacio, sei bellissima…- Carol la fissò
adorante e si
perse nei suoi occhi nocciola, spalancati di sconcerto. Le
infilò le dita tra i capelli ai lati del viso e le
sfiorò
ancora le labbra, ricoprendole di piccoli e rapidi baci.
Per la prima volta in vita sua Patty non seppe come reagire. Se si
fosse trattato di un ragazzo, lo avrebbe preso a pugni fino a sbatterlo
fuori dalla stanza. Con Carol non seppe come comportarsi, non seppe
cosa dirle, come affrontarla. Dapprima si appiattì contro lo
schienale della poltroncina, cercando di mantenersi il più
possibile distante, perché non voleva che la baciasse
ancora.
Poi fece per alzarsi ma non coordinò i movimenti e il suo
tentativo si trasformò in un buffo dimenarsi sulla sedia.
Carol
rise.
-Non scappare, non ti salto addosso se non vuoi.- le strizzò
un
occhio -In realtà speravo che ti sarebbe piaciuto.-
-Io… io sono sposata…- incespicò sulle
parole
mentre la giovane alzava le spalle, ritenendola una giustificazione di
poco conto.
-Per me non è un problema.-
-E… e non mi piacciono le ragazze.-
-Come puoi saperlo se non hai mai provato?- la guardò in
tralice
mentre prendeva dal tavolo la limetta per le unghie -Oppure hai
già provato?-
-No!- si passò sulle labbra la mano che Carol non le teneva
e la
fissò, chiedendosi se con quel bacio non avesse appena
tradito
Holly. Oppure poteva non considerarlo, visto che glielo aveva strappato
una ragazza? Non seppe decidersi e mentre ci rifletteva
abbassò
gli occhi sulla giovane che cominciava a limarle l’unghia del
mignolo canticchiando allegramente. Le sue dita stringevano la fede ma
lei sembrava non farci caso e si comportava come se non fosse successo
nulla. Patty si chiese se non sarebbe stato bene fare lo stesso,
cancellare in fretta l’accaduto.
Jenny si affrettò verso l’hotel percorrendo il
marciapiede
tinto di arancio dalle luci dei lampioni. Un vento fastidioso veniva
giù dalle Alpi raffreddando l’aria e portando con
sé l’odore della pioggia. Starnutì e si
strinse
addosso il cappotto, affrettando il passo verso l’albergo.
Erano
quasi le sei e mezza. Era riuscita a staccare dal bar del centro
sportivo dieci minuti prima ma le restava lo stesso pochissimo tempo
per raggiungere la camera di Patty e prepararsi per la serata. E poi
avrebbe davvero preferito che Benji non si fosse fermato al bar, non le
avesse parlato, non si fosse divertito a rimescolare i suoi ricordi e i
suoi sentimenti. Ora ciò che le aveva detto le tornava in
testa
a ripetizione, senza poterci fare nulla.
Le porte a vetri dell’albergo si aprirono automaticamente
davanti
a lei. Puntò verso l’ascensore senza guardarsi
intorno. Ne
aveva abbastanza di tutti e voleva assolutamente evitare di incrociare
per sbaglio lo sguardo di Philip. Quella mattina lo aveva visto
abbastanza e quel pomeriggio ne aveva parlato anche troppo.
-Non sei ancora pronta?-
Si volse verso Mark, era seduto sui divanetti accanto a Julian, Ed e
Tom. Se avesse potuto avrebbe evitato volentieri anche lui e invece
alla festa dovevano andarci insieme. Indossava giacca e cravatta e si
vedeva lontano un miglio che detestava trovarsi lì e vestito
in
quel modo. Jenny riusciva a leggerglielo in faccia, ormai lo conosceva.
-Ho finito adesso di lavorare.- proseguì verso la reception
e si
fermò davanti all’ascensore. Il pulsante era
acceso.
Fremette in attesa, il dito premuto sul bottone per chiamarlo non
appena si fosse liberato. Alzò gli occhi sui numeri dei
piani
che si accendevano uno alla volta, l’ascensore stava
arrivando.
Le porte si aprirono silenziose lasciandola faccia a faccia con Philip.
Lo fissò sgomenta, lui stupito tanto quanto lei. Si
guardarono e
basta, immobili, poi le porte fecero per richiudersi e Philip le
bloccò con una mano. Uscì nell’atrio e
la
superò, le labbra leggermente incurvate
all’insù e
uno sguardo improvvisamente carico d’astio. Un brivido
percorse
la schiena di Jenny fin sulla nuca. Ripensò al bacio che le
aveva dato Mark quel pomeriggio, poi al sogno della notte precedente.
Si sentì avvampare e abbassò gli occhi a terra.
Philip la vide arrossire e in qualche modo il suo cipiglio si
addolcì, ma lei non ebbe modo di accorgersene.
Fuggì
nell’ascensore e spinse il pulsante del quinto piano. Le
porte si
richiusero con il suo sguardo fisso sul quadro dei comandi.
-Cos’era quello? Un collegamento telepatico?-
L’ironia di Benji riscosse Philip. Si volse di scatto e se lo
trovò accanto, spuntato da chissà dove. Stringeva
in mano
una rivista, un dito infilato tra le prime pagine per tenere il segno.
-Vaffanculo Price!- lo superò e raggiunse i compagni, la
risata del portiere che gli risuonava nelle orecchie.
I tacchi di Jenny sprofondarono nella moquette mentre percorreva il
corridoio. Davvero la notte scorsa lei e Philip avevano…?
Scosse
la testa decisa e convinta. Non poteva essere possibile, se fosse
successo se ne sarebbe certamente ricordata e non si sarebbe svegliata
completamente vestita. Si accorse di aver oltrepassato la camera di
Patty e tornò indietro. Bussò. Amy le
aprì e lei
entrò. Evelyn era sul letto, appoggiata contro la spalliera,
le
gambe incrociate e allungate sul materasso, il cellulare in mano. Carol
trafficava intorno al tavolino, stava ripulendo i pennelli e
richiudendo flaconi e flaconcini. Quando la vide si volse e le sorrise.
Jenny posò la borsa sul tavolo e cercò Patty. La
trovò in piedi, davanti allo specchio. I loro sguardi si
unirono
attraverso il riflesso.
-Sei già pronta e stai benissimo. Peccato che Holly non
possa vederti!-
Il vestito rosso scuro che le arrivava fino ai piedi sembrava fatto
apposta per lei. Le fasciava il corpo esile e si allargava, svasato,
poco sopra le ginocchia. Era così lungo che delle
décolleté di velluto nero si scorgeva solo la
punta. Il
rosso le donava davvero, senz’altro più che a lei.
Il
make-up era perfetto, Carol era stata fantastica ancora una volta.
Evelyn agitò il cellulare nella sua direzione senza muoversi
da dov’era.
-Non ti preoccupare, Jenny. Le ho fatto un servizio fotografico
completo. Holly non se la perderà.-
-Idiota.- Patty arrossì e lanciò a Carol
un’occhiata di sfuggita. Per fortuna lei non la stava
guardando,
presa com’era dall’arrivo dell’amica.
-Ho una domanda per te, Jenny.- Evelyn la fissò con
un’espressione così intensa da metterla a disagio.
-Non ho tempo, devo assolutamente fare una doccia ed è
già tardi.-
-Su, ci vorrà un secondo. Voglio solo sapere
com’è stato baciare Mark.-
Lei fremette, a disagio. Cercò le parole e le
trovò.
-Un banale sfioramento di labbra.-
-Hai baciato Mark?- Carol la fissò incredula.
-Non proprio.-
-Senti…- Evelyn riprese interessata -Sei stata e sarai anche
l’unica di noi che ha baciato Mark quindi mi sembra
più
che naturale che ti domandi com’è stato, ti pare?-
-Era solo un bacio.-
-Ma la lingua ce l’ha messa o no?-
-Assolutamente no!-
-Non serve che ti scandalizzi tanto, sai? L’ha fatto anche al
ryokan.-
-Ha fatto cosa? Chi?-
-Mark. Ti ha baciata anche al ryokan!-
Le amiche ammutolirono, solo Jenny riuscì a farsi uscire la
voce.
-Che stai dicendo?-
-La verità. Ti ha baciata mentre dormivi, tu non te ne sei
neppure accorta.-
-Impossibile.- ma Evelyn ne sembrava così convinta -Non stai
scherzando, vero?-
-Proprio no.-
-Quand’è successo?-
-Un sacco di tempo fa. Precisamente la sera in cui Kevin e i suoi amici
hanno gonfiato di botte Philip. Mark ti ha baciata quella notte, sul
viso. Non so bene dove perché era buio. Non se
n’è
accorto nessuno, dormivano tutti.-
Jenny non seppe che dire, non seppe cosa pensare. Era successo troppo
tempo prima. Lei e Mark si erano appena conosciuti e non
c’era
uno straccio di motivo a spiegare perché lui si fosse
comportato
così. Ma non poteva pensarci, anzi non voleva. Ne aveva
già a sufficienza di problemi a riempirle il cervello.
Sospirò e accantonò la domanda, era troppo
difficile
trovarle una risposta.
-E proprio tu dovevi essere sveglia?-
Evelyn rise.
-Meglio io che qualcun altro. Se si fosse trattato di Benji, per
esempio, tempo due giorni e glielo avrebbe rinfacciato. Così
la
nostra vacanza a Shintoku sarebbe diventata un inferno grazie alla
gelosia di chi sai tu. Lui non gliel’avrebbe perdonata.
Almeno ho
mantenuto il segreto, sei la prima a cui lo dico!-
Jenny la scrutò.
-E adesso hai intenzione di spifferarlo a qualcun altro?-
-Certo che no! Mi basta che lo sappia tu!-
-Grazie tante! Ora che me lo hai detto salto di gioia!-
-Ci credo! Essere baciate per ben due volte da Mark non è
mica poco!-
L’espressione sorniona con cui le strizzò
l’occhio
spinse Jenny ad incassare la battuta senza replicare. Guardò
l’orologio.
-Devo sbrigarmi.- si sbottonò la camicetta e
poggiò uno
ad uno i vestiti sul letto. Quando fu in mutandine e reggiseno si
fermò ad osservare divertita Amy, a cui Carol stava mettendo
lo
smalto sulle unghie -Che ore sono?-
-Le sette.-
Patty la guardò percorrere la camera in biancheria intima,
mentre un pensiero assurdo le balenava per la testa. Vedendola
così Carol le sarebbe saltata addosso? Lei, per sicurezza,
l’abito l’aveva indossato in bagno. Si
guardò a
disagio nello specchio e si lisciò la stoffa sui fianchi.
-Sono quasi troppo elegante.- si volse verso Jenny un attimo prima che
sparisse nella toilette -Te lo sei mai messo questo vestito?-
Lei si fermò sulla soglia e la guardò.
-No, non ne ho avuta l’occasione.-
-Jenny, noi cominciamo a scendere.- l’avvertì Amy,
agitando le dita in aria per far asciugare lo smalto.
-Va bene.-
Un attimo dopo, attraverso la porta chiusa del bagno, udirono scorrere
l’acqua della doccia.
Al banco del bar Bruce accolse Patty con gli occhi spalancati.
-Dove hai preso quel vestito? Non può esserti entrato in
valigia!-
-Me l’ha prestato Jenny.-
-Incredibile! Stasera sembri quasi una femmina!-
-Imbecille cafone!-
Anche Evelyn lo mise a tacere in malo modo.
-Bruce, Patty sta benissimo e non muori se una volta le fai un
complimento.-
Lei sollevò il mento, orgogliosamente stizzita.
-Lascialo in pace Eve, non me ne faccio niente dei suoi complimenti.-
tirò fuori il cellulare dalla borsetta e chiamò
Holly,
per farsi passare il nervoso e per sapere se era arrivato a casa sano e
salvo.
Gentile fece il suo ingresso nell’hotel elegantissimo. Il
completo scuro gli stava così bene che Evelyn trattenne il
fiato.
-La natura certi esemplari li crea d’impegno!-
-Evelyn, stai sbavando.- la schernì Bruce con una buona dose
di fastidio.
-Non posso proprio darti torto…- concordò Patty,
lanciando un’occhiata al cellulare con cui già da
un
po’ aveva intrapreso un’impegnativa conversazione
chat con
Holly.
Benji le sedeva accanto e da quel poco che aveva capito sbirciando il
loro botta e risposta tra una pagina e l’altra della rivista
requisita a Bob Denver, l’amico stava consultando la moglie
per
sapere se in casa c’era qualcosa di decente da racimolare per
cena. Fosse stato al suo posto, Benji avrebbe approfittato
dell’assenza di Patty per organizzare un’uscita tra
maschi
e sperimentare con gli amici qualche locale interessante. Altro che
accontentarsi di un’insalata rimediata! Certe volte Holly non
lo
capiva proprio.
Osservò Gentile avvicinarsi e lo salutò con un
cenno.
L’italiano rispose con un sorrisetto, deviò verso
Mark,
prese posto su uno sgabello e ordinò un drink al barman.
-Jenny?-
-Non è ancora scesa.-
Salvatore lanciò un’occhiata al proprio
costosissimo Rolex
giusto per metterlo in mostra e constatò di essere arrivato
decisamente in anticipo.
-Sto morendo di fame.-
-A chi lo dici.-
Gentile sorseggiò l’aperitivo, poi si
frugò in una
tasca e tirò fuori una scatolina di velluto nero. Si
guardò intorno, si alzò dallo sgabello e
raggiunse Amy,
seduta tra Julian e Tom.
-La porteresti a Jenny, per favore?-
Amy si irrigidì, tese una mano, afferrò la
confezione e
scivolò giù dallo sgabello. Si
allontanò rigida
come un automa, gli occhi abbassati sulla scatolina che stringeva tra
le dita. Che accidenti era? Moriva dalla voglia di sapere cosa
contenesse ma nello stesso tempo aveva una paura cieca che si trattasse
di un anello. Bussò alla porta della stanza di Patty e Jenny
le
aprì. Amy restò a bocca aperta. L’amica
indossava
un abito blu come la notte senza spalline, il raso liscio e lucente
l’avvolgeva e un velo di chiffon lo ricopriva in un secondo
strato. La stoffa le fasciava la parte superiore del corpo e si svasava
sulle gambe, arrivando a sfiorare il pavimento. Sullo chiffon era
ricamata una decorazione di piccoli brillantini. Più fitti e
luminosi sul corpetto, scendendo verso il basso si diradavano
gradualmente fin quasi a scomparire, dando l’impressione di
un
cielo notturno pieno di stelle. Una banda di chiffon si arricciava
dalla chiusura lampo e le ricadeva sulla schiena in una lunga coda
scintillante che scendeva fino all’orlo dell’abito.
-Questo vestito è splendido. Quanto l’hai pagato?-
Lei replicò con un sorriso, poi si contorse portandosi le
braccia dietro la schiena.
-Non poco. Se solo riuscissi ad allacciarlo…-
Carol corse in suo aiuto e le tirò su la chiusura lampo. Amy
chiuse la porta e si liberò della scatolina come se
bruciasse,
appoggiandola sul tavolo.
-Gentile è arrivato.-
-Cavolo è in anticipo!- Jenny tornò a sedersi per
permettere a Carol di finire di truccarla. Si accorse di avere addosso
lo sguardo di Amy.
-Che c’è?-
-Stai benissimo.-
Carol le aveva tirato su i capelli e li aveva raccolti con un fermaglio
in cima al capo. Alcune ciocche le ricadevano dietro ondulate,
sfiorandole le spalle. I suoi occhi risplendevano di sfumature
argentate, le labbra brillavano di un rossetto rosa.
Amy le indicò la scatolina con un gesto nervoso.
-Te lo manda Gentile.-
Jenny si volse e la fissò, improvvisamente a disagio.
-Cos’è?-
-Non lo so. È per te.-
Carol le spennellò di fard lo zigomo.
-È sicuramente qualcosa di bello e costoso. Forse un anello?-
Jenny si irrigidì.
-Non dirlo neppure per scherzo.-
Carol la guardò di traverso.
-Non ne saresti contenta?-
Le sfuggì una smorfia di disappunto.
-Certo che no! Ci conosciamo appena!-
Amy le ascoltò senza fiatare. Sapeva perfettamente che il
problema non era quello. Il problema era che l’amica non
amava
Gentile, almeno non quanto amava ancora, o aveva amato, Philip.
-Aprila su…- la spronò Carol curiosa -Cosa
aspetti?-
Jenny la prese e con dita incerte sciolse il fiocco di raso bianco che
abbelliva la confezione. Non aveva quasi il coraggio di aprirla.
-Non sei curiosa di sapere cosa contiene?-
La giovane sollevò gli occhi su Carol che fremeva di
impazienza.
Poi tirò un bel respiro e alzò il coperchio. Il
sollievo
le trasfigurò il volto. Spostò gli occhi su Amy
mentre un
sorriso esitante le illuminava l’espressione.
Voltò la
confezione e le mostrò un paio di orecchini d’oro
bianco e
brillanti.
-Caspita!- Carol saltò su entusiasta -Sono veri? Ma certo
che lo
sono, che domande faccio? Te li ha regalati Salvatore e li
avrà
pagati sicuramente una cifra assurda!-
Jenny annuì e tornò a guardare Amy.
-Temevo davvero che fosse un anello.-
-All’inizio l’ho creduto anch’io, ma se
fosse stato così te l’avrebbe dato di persona.-
-Hai ragione, non ci avevo pensato.-
-Mettili Jenny!- la esortò Carol e quando lei lo ebbe fatto
la
guardò estasiata -Sono splendidi!- poi le osservò
il viso
-Per quanto mi riguarda abbiamo finito.-
Gentile la vide uscire dall’ascensore e si alzò.
La
raggiunse nell’ingresso e di questo Jenny gli fu grata
perché le evitò di andare verso il bar, dove
c’erano anche gli altri. Lui restò a contemplarla
per un
istante, poi si chinò per baciarla sulla bocca.
Jenny non glielo permise, scostandosi con una risatina.
-Ho appena finito di mettermi il rossetto.-
Carol sollevò un dito.
-Tu! Non provare a rovinarla!-
-Io non rovino nulla, semmai miglioro.-
-Mi dai uno strappo a casa?-
Lui guardò Jenny e annuì.
-Come posso dirti di no davanti a tanta bellezza?-
Mark li raggiunse.
-Andiamo?-
Patty arrivò per ultima, gli occhi ancora sul cellulare.
La loro uscita di scena fu seguita da qualche istante di silenzio
durante il quale Bruce sorseggiò l’aperitivo e
spostò su Philip uno sguardo saccente.
-Dì la verità, vorresti portarla tu alla festa.-
Callaghan alzò gli occhi, poi li riabbassò senza
rispondere. Non lo sapeva neppure lui cosa voleva in realtà.
Forse il suo desiderio più grande non era quello di portare
Jenny alla festa quanto piuttosto di non essere lì, di non
vederla frequentare Gentile ogni santo giorno. Forse era questo
ciò che voleva.
-Cosa le ha regalato, Amy?- s’informò Benji
curioso.
-Gli orecchini.-
Dopo aver udito la risposta, Philip smise di ascoltarli. Non era solo
il fatto che Jenny quella sera fosse splendida. C’era anche
il
fatto che l’amava. Più la guardava e
più si rendeva
conto che era inutile continuare a intestardirsi sulla convinzione che
prima o poi l’avrebbe dimenticata. L’attrazione che
provava
nei suoi confronti era insita in lui e mai e poi mai sarebbe riuscito a
modificare questo sentimento, allo stesso modo di come i suoi occhi non
sarebbero mai potuti diventare azzurri. Non sarebbe successo neanche se
lei fosse rimasta per tutta la vita in Italia e lui in Giappone.
Piuttosto si chiedeva come avesse potuto sopravvivere tutti quei mesi
senza averla accanto. Posò i gomiti sul bancone e,
sostenendosi
il viso con una mano, osservò le bollicine
dell’aperitivo
che venivano in superficie. Tutto sommato invidiava Mark. Ma non
perché quella sera era andato alla festa insieme a Jenny. Lo
invidiava perché erano mesi che vivevano insieme. Lo
invidiava
perché quel pomeriggio l’aveva baciata. Lo
invidiava
perché lei, poco prima, gli aveva sistemato la cravatta con
una
tale confidenza da dimostrare al mondo intero quanto fossero diventati
intimi. Toccò il bicchiere, ripulendone una parte dalla
condensa. Poi lo prese tra le dita e sorseggiò la bevanda.
*
-Non sforzarti di fare il galante, Landers. Non ti si addice e ti stai
rendendo ridicolo.- Salvatore scostò Mark che cercava
malamente
di destreggiarsi tra la propria giacca e il cappotto di Patty, e
aiutò la giovane a togliersi il soprabito.
Lei lo ringraziò, si lisciò il vestito con una
mano e
poggiò l’altra sul braccio di Mark.
Alzò lo sguardo
verso l’espressione corrucciata di lui e gli
strizzò un
occhio.
-Tranquillo, non devi certo fingere di essere il mio ragazzo.-
-Figuriamoci se lo faccio.-
Salvatore lasciò i soprabiti nel guardaroba e si
ficcò in
tasca i bigliettini con i numeri. Poi prese Jenny per mano e
affrontò la rampa centrale della scalinata di marmo, intorno
alla quale si erano assiepati i giornalisti. Lo scalone che percorsero
sotto i flash dei fotografi era magnifico, ma le due ragazze rimasero
estasiate quando entrarono nell’enorme galleria di stucchi,
con
il pavimento di marmo bianco e nero, illuminata da centinaia di
candelabri posti accanto alle grandi vetrate che si aprivano sul
giardino della villa. Jenny camminava al braccio di Gentile,
guardandosi intorno incantata. Ad ogni passo l’abito
ondeggiava e
brillava come il cielo stellato. La sala era gremita di ospiti, tra i
quali Patty non si sentì più troppo elegante.
Osservando
le persone che superavano, si aggrappò al braccio di Mark.
-Sono felice che tu mi abbia invitata. È stupendo.-
-Sono contento che ti piaccia, ma non ti ho invitata io.- si
curò di farle notare. Figuriamoci, era già ai
ferri corti
con Philip, ora non voleva assolutamente avere problemi con Holly
perché portava la moglie a divertirsi mentre lui era a
Barcellona a sgobbare.
-Be’, come ti pare. Ma io sono contenta lo stesso di essere
venuta. Cos’è questo posto?-
-Credo la residenza di un nobile del Settecento o giù di
lì. Dov’è il buffet?-
-Come puoi pensare a mangiare davanti a tanto splendore?-
-Allenati tu un’intera giornata con Gamo e poi vedi come ti
viene voglia di mangiare.- la fissò -Non hai fame?-
-Ora no, magari tra un po’.-
-Vai pure a cercare il buffet.- lo rassicurò Jenny
scostandosi
da Salvatore che fremeva anche lui per mettere qualcosa nello stomaco
-Noi faremo un giro.-
Passando con l’amica davanti ad un grande specchio appeso
alla parete, Patty ne osservò il riflesso.
-Con questi abiti non sembriamo neppure noi.-
Jenny non perse tempo a guardarsi, tanto sapeva che non era il vestito
che indossava a renderla diversa, a farla essere una se stessa che
faticava da tempo a conoscere e capire. Quella era una Jenny che non
aveva nulla a che vedere con la ragazzina felice e spensierata che un
paio di anni prima aveva trascorso a Shintoku le vacanze invernali con
gli amici, che non aveva nulla a che fare con la Jenny lacerata
dall’esperienza di Kyoto e che era troppo distante anche
dalla
Jenny disincantata che due mesi prima era partita dal Giappone. Era
diversa, eppure non riusciva a definirsi. Che Jenny era in quel
momento?
-Vieni.- disse a Patty prendendola per mano -Scopriamo cosa prevede la
serata.-
-Noi andiamo a dormire.-
Philip alzò gli occhi dalla birra, quella era la terza e
sicuramente l’ultima. Annuì a Julian che lo
guardava e ad
Amy che era in piedi al suo fianco.
-Insieme?-
La ragazza arrossì e scosse la testa.
-In stanze separate.-
-Tra poco salgo anch’io.-
Benji osservò la coppia allontanarsi e sfogliò
annoiato
la rivista. Se la portava dietro da prima di cena ed era arrivato alle
ultime pagine. Parlò senza guardarlo.
-Aspetti che torni?-
Philip si irrigidì, punto sul vivo. Finse di non capire.
-Chi?-
-Jenny. Devono riaccompagnare qui Patty quindi devono tornare per
forza.-
-Non sto aspettando nessuno.-
Benji sorrise, poi spostò gli occhi su Evelyn che batteva
stancamente la punta delle dita sulla tastiera del suo portatile.
-Dov’è che sono andati?-
Lei rispose senza alzare gli occhi.
-Ad una serata di beneficenza.-
-Raccolgono fondi per quel morto di fame di Landers?-
Bruce rise sguaiatamente, mentre accanto a loro Philip faceva del suo
meglio per dimenticare Jenny e il suo vestito blu. Fissò
Evelyn.
-Saresti voluta andare anche tu?-
Lei sollevò il viso di scatto.
-Molto meglio lì con loro che qui a lavorare!-
-Stai lavorando?-
-Certo che sto lavorando!-
-A quest’ora?- Philip lanciò un’occhiata
a Bruce. Lo
colse nel bel mezzo di uno sbadiglio e riuscì a scorgergli
le
tonsille. La vista non fu delle migliori, così si
affrettò a riportare lo sguardo sull’amica -Che
pezzo stai
scrivendo?-
Lei sospirò e stavolta si prese qualche istante per
rispondere.
-Philip, sai che sono quattro giorni che mi rivolgi appena la parola?-
aspettò una risposta che non venne e allora
continuò
-Perché ti si è sciolta la lingua proprio ora che
sono
occupata e non ho nessuna voglia di chiacchierare?- scosse la testa e
si immerse nel lavoro. Stava preparando la tanto sospirata e desiderata
intervista a Gentile ed era indecisa se tra le domande da rivolgergli
inserirne qualcuna che riguardasse Jenny. Nel dubbio si stava
concentrando sulle altre.
Benji girò pagina, facendo frusciare la carta patinata.
-Almeno te li pagano gli straordinari?-
-Mi pagano ogni articolo che viene pubblicato.-
-Una bella fregatura. È come se i calciatori venissero
pagati
solo per i goal che fanno…- fissò Bruce
provocatorio -Tu
non beccheresti uno yen…- poi spostò lo sguardo
su Philip
-Tu molto poco.-
-Tu niente.- replicò l’altro acido e
spostò gli
occhi sulle porte a vetri dell’hotel che si aprirono per
lasciar
entrare Sandy Winter, Patrick Everett, Ralph Peterson e Clifford Yuma.
Quando li raggiunsero al banco del bar, Bruce li accolse con il broncio.
-Che fine avevate fatto?-
-Siamo andati a fare un giro in centro.-
Lo sconcerto assalì Tom.
-Siete usciti? E Gamo lo sa?-
-Certo che no! Mica siamo scemi!-
-Philip, non gli dici niente?-
Lui si volse verso Bruce.
-Tipo cosa?-
-Tipo che non possono scorrazzare come vogliono!-
-Adesso che sono tornati?-
Benji alzò gli occhi dalla rivista.
-Si vede proprio che di noi non ti frega un cazzo, Callaghan.-
Risentito, quello si eresse sullo sgabello.
-Cosa dovrei fare? Sono tornati! Gamo non se n’è
accorto ed è filato tutto liscio!-
-Appunto.- annuì Clifford fissando Bruce ostile -Ti rode
Harper che non ti abbiamo chiamato, vero?-
-Vero.- approvò Benji d’accordo.
L’amico si sentì rimescolare.
-Figuriamoci, sapete che me ne frega! Potete fare quello che vi pare!-
Clifford scoppiò a ridere.
-Invece ti rode proprio! Ti si legge in faccia, ormai ti conosco!-
-State un secondo zitti?- esplose Evelyn che in quel battibecco non
riusciva a concentrarsi. E mentre lanciava occhiatacce a destra e a
manca intimando il silenzio, fu illuminata da un’idea
improvvisa
-Visto che siete tanto amici, Benji…- gli fece uno
sventagliamento di ciglia che cadde nel vuoto perché il
portiere
era tornato ad abbassare gli occhi sulle pagine del giornale
-Chiederesti a Gentile se mi permette di intervistarlo?-
-Perché non glielo fai chiedere a Jenny? Riuscirebbe a
convincerlo molto meglio di me.-
Evelyn sbuffò e spostò lo sguardo sullo schermo
del pc,
dove le domande scritte fino a quel momento spiccavano nere sullo
sfondo bianco. Non era sicura che Jenny le avrebbe fatto il favore.
Philip si alzò per cambiare posto. Si sedette accanto a
Benji e
occhieggiò la rivista, sforzandosi di provare per quelle
pagine
un interesse sufficiente a distrarlo dal botta e risposta di quei due
che parlavano di nuovo di lei.
-Posso dare un’occhiata?-
Il portiere annuì e gli lasciò il giornale.
-Benji non puoi proprio dirglielo?- insistette Evelyn.
-Hai litigato con Jenny?-
La ragazza si tese.
-Certo che no!-
-Allora chiedilo a lei. Io in queste cose non voglio entrarci.-
-Ho capito. Mi arrangerò da sola… Grazie tante!-
sbuffò e lo lasciò perdere.
-Philip questi articoli sono vecchi di una settimana!- si
lagnò
Bruce sporgendosi oltre il suo braccio, gli occhi incollati sulla
pagina.
-Non sei mica obbligato a leggerli… Anzi se ti tiri in
là
sto anche più comodo.- cercò di scacciarlo.
Girò
pagina e si impietrì.
Bruce fischiò di sorpresa.
La foto di un articolo colpì Philip come una randellata. Per
un
istante gli bloccò il respiro. Qualcosa gli serrò
la gola
e nello stesso tempo lo assalì una nausea così
violenta
che fece uno sforzo enorme per non vomitare sul bancone la birra che
aveva appena bevuto. I suoi occhi si bloccarono sulla pagina. Dopo
più di un anno si ritrovò suo malgrado a posare
lo
sguardo sulla persona che gli aveva rovinato la vita. David McFay
sorrideva strafottente con i suoi occhi verdi che brillavano. Karen era
al suo fianco, altera e seria, con un bimbo tra le braccia. Un bambino
così somigliante al padre da non lasciare dubbi su chi lo
avesse
generato. Nella mente sconvolta di Philip non trovarono posto
né
Karen né suo figlio. I suoi occhi sgomenti riuscirono a
mettere
a fuoco solo il sorriso di giada di McFay che sembrava trapassare
beffardo la carta. La foto rappresentava la più evidente
dimostrazione che quello stronzo bastardo stava continuando a vivere la
sua vita felice, ricca e contenta senza aver scontato la colpa di aver
distrutto l’esistenza di Jenny e la sua. McFay si era
divertito a
suo piacimento e l’aveva passata liscia. Forse aveva persino
dimenticato ciò che aveva fatto a Jenny, mentre lei avrebbe
dovuto convivere con quel terribile ricordo per tutta la vita. Philip
non avrebbe dovuto lasciare che le cose andassero così.
McFay
non avrebbe dovuto farla franca. Se Jenny aveva deciso di non
denunciarlo, Philip avrebbe dovuto comunque fargliela pagare. La
collera nei suoi confronti si risvegliò con una violenza che
non
aveva mai provato. Se in quel momento lo avesse avuto davanti in carne
ed ossa, probabilmente lo avrebbe ucciso.
Nei suoi occhi passò un’ombra, le sue labbra si
serrarono.
Le sue dita furono attraversate da uno spasmo che fece accartocciare le
pagine. Provò a leggere l’articolo per scacciare
quei
pensieri, così aggressivi e pericolosi da sconvolgerlo.
Cercò di distrarsi sulle frasi per fare in modo che la
collera
in qualche modo si attenuasse. Nonostante tentasse di concentrarsi, non
riuscì a cogliere il senso dell’articolo, le cui
parole
gli si accavallavano nella testa perdendo ogni significato. A colmargli
la mente c’erano solo quegli occhi verdi che lampeggiavano di
derisione. L’aveva violentata, l’aveva picchiata e
non
aveva pagato per il male che le aveva fatto. Philip non poteva
continuare in eterno a cancellare il pensiero di David, a far finta che
non fosse mai esistito. Non poteva continuare ad addossarsi la colpa di
non aver protetto Jenny. Non era lui ad aver sbagliato, era stato David
a prendersi con la forza ciò che non avrebbe dovuto neppure
toccare. Con un assegno aveva pensato di mettere le cose a posto, ma le
cose non erano tornate a posto proprio per niente. Anzi, forse non
sarebbero tornate a posto mai più. Ma almeno una cosa,
tornato
in Giappone, doveva farla. Rintracciare David McFay e fargliela pagare
una volta per tutte.
Non sopportò più di avere sotto gli occhi quel
volto sorridente così spinse la rivista verso Benji.
-Falla sparire.-
Jenny si sarebbe goduta molto più la serata se quella
giovane
dai capelli rossi e dallo sguardo grigio avesse smesso di fissarla.
Indossava un abito nero e ai piedi portava delle scarpe dal tacco alto
che, insieme allo spacco laterale del vestito, facevano sembrare le sue
gambe più lunghe di quanto già non fossero. Le
ciocche
ramate erano raccolte in un severo chignon che evidenziava
l’ovale perfetto del viso.
Porgendole un bicchiere, Salvatore le posò una mano sulla
spalla.
-Cosa stai guardando?-
-Quella ragazza con il vestito nero. Mi sta fissando.-
Gentile si volse, la individuò e si irrigidì in
modo
così brusco che Jenny percepì i suoi muscoli
tendersi. Il
sorriso gli morì sulle labbra.
-Chi è?-
Salvatore non rispose. D’un tratto sembrò
indeciso, si guardò intorno quasi spaesato.
-Torno subito.- disse e sparì oltre una porta.
Jenny spostò gli occhi su Mark.
-Che gli prende?-
-Quella che gli hai appena indicato è la sua ex.-
-La ragazza con il vestito nero?-
L’amico annuì.
-La conosci?-
-Ogni tanto la vedevo al campo.-
Jenny s’incuriosì. Sapeva perfettamente che non
erano
affari suoi, ma scoprire all’improvviso che anche Salvatore
aveva
problemi con la sua ex ragazza era in qualche modo consolante.
-Perché si sono lasciati?-
-Pare che lei lo abbia tradito con il suo art-director.-
-Con chi?-
-Il tizio che ha montato le sue foto per una campagna pubblicitaria.-
-Come lo sai? Te lo ha detto Salvatore?-
-Figuriamoci! L’ho sentito dire dagli altri. Gentile con me
non
si confida di certo e in tutta sincerità la sua vita privata
non
mi interessa.- questo almeno finché non era entrata a farne
parte anche Jenny. La considerazione lo infastidì,
così
cambiò discorso -Vado a prendere qualcosa da bere. Voi
volete
niente?-
A Jenny la sete era passata insieme alla fame. Dopo aver individuato la
ragazza di Gentile non riusciva più a spiegarsi che cosa
avesse
spinto l’italiano a corteggiarla. Non aveva niente in comune
con
lei, assolutamente nulla. Adesso capiva perché Mark le aveva
ripetuto fino alla nausea che lei non rappresentava il tipo di ragazza
con cui Salvatore usciva abitualmente e che quindi era molto meglio che
lo lasciasse perdere.
-Se Evelyn fosse qui direbbe che quella tizia è fuori di
testa.-
a Patty venne da ridere -Uno come Gentile per lei non è
certo da
tradire con un comunissimo art-director.-
-Forse non era un tipo tanto comune.- Jenny sorrise, poi
tornò
di colpo seria e pensierosa. C’era una cosa di cui voleva
parlare
all’amica ma non riusciva a pescare dentro di sé
coraggio
sufficiente a confidarsi. Eppure il dubbio che la angustiava era
così insopportabile che se non ne avesse parlato con Patty,
sentiva che sarebbe scoppiata. Era meglio che si facesse forza e si
decidesse a parlarle perché si stava facendo tardi e tra
poco
sarebbero rientrati. Se non ne avesse approfittato quella sera, forse
non le sarebbe più capitata un’altra occasione di
avere
l’amica tutta per sé.
-Sai Patty…- iniziò con un filo di imbarazzo
-Stanotte
è successa una cosa strana…- lasciò la
frase
così, mentre le sue guance si tingevano di porpora -Ho
sognato
di… di farlo con Philip e quando mi sono svegliata lui
dormiva
accanto a me.- abbassò lo sguardo a terra poi lo
rialzò
per dare un’occhiata fugace all’amica. Si prese una
mano
nell’altra e si strinse le dita a disagio -Lo so che sembra
assurdo… ed è anche parecchio
imbarazzante… ma non
riesco a capire se sia successo davvero o se si è trattato
solo
di un sogno…-
Patty cercò di reprimere un sorriso.
-Eh già, ieri eri davvero distrutta.-
-Non prendermi in giro.-
-Se è successo davvero, sono contenta per te.-
Jenny s’infastidì.
-Non c’è niente di cui essere contenti. Io sto con
Salvatore.-
-Sì, lo so. E a proposito, con lui l’hai fatto?-
Le guance della giovane divennero scarlatte.
-Veramente io, noi non…- si osservò le unghie
laccate
dalla sapiente mano di Carol, esitando a confidarsi. Lo fece,
perché di Patty si fidava -Non abbiamo fatto niente.-
-Davvero? E perché?-
-Non lo so.- il resto non riuscì proprio a dirglielo. Non
riuscì a parlarle della paura che l’aveva assalita
alcuni
giorni prima, la sera dell’arrivo della nazionale giapponese
in
Italia, quando Gentile l’aveva portata a casa sua, quando
avrebbe
voluto farlo ma lei si era tirata indietro -Non è successo.-
-Questo è curioso, non trovi? Mi hai appena detto che forse
hai
fatto l’amore con Philip e poi ammetti che con Salvatore non
è ancora successo. Eppure un secondo fa hai ribadito che
stai
con Gentile. Spero capirai da sola il perché di tutto
ciò.-
-Non voglio neanche pensarci, al perché!-
-Invece forse dovresti farlo.-
Tacquero qualche istante, poi Jenny si sporse verso di lei e le
sfiorò una mano.
-Non dirlo ad Evelyn, per favore. Finirebbe per tirarci fuori un
articolo di gossip.-
-Certo che non glielo dico! Certe volte Evelyn ha la delicatezza di un
elefante. Pensa che quando ci siamo incontrate in hotel mi ha chiesto
davanti a tutti se ero incinta!-
Gli occhi di Jenny brillarono di interesse.
-E lo sei?-
-No che non lo sono!-
-Lo dici come se la cosa ti infastidisse. Non vuoi dei bambini?-
Fu Patty stavolta a sentirsi imbarazzata. Posò gli occhi sul
velluto nero delle scarpe che spuntavano dall’orlo cremisi
dell’abito.
-Sì, ma…-
-Ma cosa?-
-Se fossi incinta e avessimo dei bambini, non potrei seguire Holly
nelle trasferte. Finirei per restare a casa da sola, lontana da lui.-
-Non saresti da sola, saresti con i tuoi figli.-
Gli occhi di Patty si velarono di malinconia.
-Mi mancherebbe lo stesso. Ho passato anni e anni ad amarlo da lontano.
Vorrei recuperare il tempo perso, stare con lui sempre, avere il suo
amore esclusivamente per me. Per il momento non desidero dei bambini.-
-E lui che dice?-
-Lui aspetta fiducioso che arrivino.-
-Non ne avete parlato?-
-Gliel’ho accennato, ma mi sa che non ha capito. Io comunque
aspetto almeno un altro anno.-
Jenny le prese una mano e la strinse comprensiva tra le sue.
-Hai ragione, siete ancora così giovani. Che fretta
c’è?- rifletté un istante -E quindi
come stai
facendo per evitarlo?-
-Sto prendendo la pillola.-
-Holly non se n’è accorto?-
-Non lo so, finora non mi ha detto niente. Certe volte è
così distratto…-
Jenny non riuscì a fare a meno di ridere.
-Davvero! Può darsi che non se ne accorgerà mai!-
Prima che il bar chiudesse Benji ordinò una birra per
sé
e una per Philip, che sembrava averne proprio bisogno. Da quando si era
imbattuto nella foto di McFay non aveva più detto una
parola,
piombando in un silenzio apatico e inquietante. Era quasi
un’ora
che fissava muto il bicchiere vuoto, lo sguardo distante, la testa da
un’altra parte.
Benji, che sedeva accanto a tanta depressione, stavolta non riusciva
proprio a far finta di niente. La rivista con la foto di Karen era
rimasta sul bancone spalancata su quella pagina perché Bruce
ed
Evelyn, ma anche lui stesso, avevano voluto leggere
l’articolo.
Dopo nessuno si era curato di chiuderla. Dalla foto, Karen lo guardava
con tutto il suo fascino mentre Philip, appollaiato sullo sgabello al
suo fianco, sembrava incapace di riprendersi dallo shock. Quando il
barman li servì, fece scivolare la birra
dell’amico lungo
il ripiano fino a mettergliela davanti. Lui la prese e la
sorseggiò senza neppure alzare gli occhi.
Benji pensò che forse non avrebbe dovuto fingere di provare
interesse per Jenny, forse era stato inutile rigirare il dito nella
piaga. Lo aveva fatto soltanto perché non sopportava il
comportamento del compagno e aveva sperato di dargli una scossa. Quella
balla però sembrava non essere servita a niente. Benji non
riusciva proprio a spiegarsi come uno come lui potesse tollerare di
vedere Jenny con Gentile e restare a guardare senza far nulla. Philip
non aveva reagito neppure quando Landers l’aveva baciata. Se
fosse stato al suo posto, Benji avrebbe trovato all’istante
una
scusa per gonfiarlo di pugni. E invece del Philip geloso e combattivo
che conosceva non era rimasto niente. Si era dimostrato passivo a quel
discutibile e inaccettabile bacio come lo era diventato su tutto.
Sembrava che niente lo riguardasse più. Per come la pensava
Benji, se si fosse dato una svegliata sarebbe riuscito a riprendersi la
ex fidanzata in un attimo. Il legame tra Jenny e Gentile era
così impalpabile, così inconsistente che gli
sarebbe
bastato un niente per riportarla a sé. Possibile che non lo
capisse?
Lanciò un’occhiata all’orologio. Era
passata
mezzanotte ed era ora di tagliare la corda, prima che Gamo li trovasse
di nuovo lì e ricominciasse a sbraitare. Un attimo prima di
esternare il suo pensiero agli altri, vide le porte
dell’hotel
aprirsi e Patty fare il suo ingresso, guardandosi intorno e trascinando
Jenny verso il bar.
-È stato stupendo!- esclamò a beneficio di tutti.
Si fermarono ad un passo dal bancone.
-Bevi qualcosa con noi, Jenny?- la invitò il portiere.
-No…- si tirò indietro lei -Mi stanno aspettando.
Ci
vediamo domani.- si voltò per tornare indietro e mentre
passava
accanto a loro gli occhi le caddero sulla rivista. Si
arrestò di
colpo.
Nessuno fu in grado di impedirle di vedere la foto, perché
all’inizio nessuno capì dove aveva posato lo
sguardo. Il
sorriso stentato con cui li aveva salutati scomparve e invece di
proseguire in direzione dell’uscita, la giovane fece un passo
verso il ripiano del bar.
Jenny sentì qualcosa scattarle nella testa, una fitta
serrarle
il petto. Il respiro si bloccò, l’aria non le
arrivò ai polmoni e la vista le si offuscò. Lo
sguardo
verde di David la trapassò da parte a parte, con una
violenza
che la fece fremere, che le gelò il sangue nelle vene.
Sbiancò, serrò e aprì le dita delle
mani in un
movimento spasmodico, mentre cercava di scacciare dalle orecchie
l’eco di una risata che credeva di aver dimenticato.
Allungò un braccio verso il bancone ma non per prendere la
rivista, che era ad un passo da lei. Si aggrappò al bordo
del
ripiano per sostenersi.
A Philip bastò guardarla in viso per ritrovarsi sommerso da
una
sofferenza insostenibile. Saltò giù dallo
sgabello
così di colpo che quello ondeggiò e per poco non
cadde.
Raggiunse Jenny nel momento in cui lei, talmente vicina da poter
toccare il giornale, si tirò indietro di scatto in un gesto
di
rifiuto. Finì addosso a Philip urtandogli il torace con una
spalla e si volse atterrita, perché non lo aveva sentito
arrivare. I loro sguardi si incrociarono e prima che Jenny lo
riconoscesse, il terrore si impadronì del suo volto ferendo
Philip all’istante. Quell’espressione
gliel’aveva
vista per mesi, quella stessa espressione l’aveva fatto
soffrire
da cani. Poi Jenny lo mise a fuoco, rinvenendo negli occhi di lui un
dolore intenso, un dolore che il tempo non aveva attenuato. Ritrovarlo
fu lacerante e lei, incapace di sopportarne il peso, cercò
scampo voltandosi. Boccheggiò in trappola quando si
ritrovò di nuovo faccia a faccia con la foto. Rivisse in un
secondo quella maledetta sera, l’odore di David le intrise le
narici, la sua risata le risuonò nelle orecchie e quando una
mano si posò sulla sua spalla si volse con un sussulto,
soffocando un grido. Nonostante il panico che le offuscava lo sguardo,
scorse Philip ritrarre subito il braccio.
Lui avrebbe dato qualsiasi cosa purché Jenny non vedesse
quella
foto. Purché i suoi occhi non si colmassero di terrore,
purché il suo corpo non sussultasse di spavento,
purché
non mostrasse di rifiutarlo ancora. Sollevò di nuovo il
braccio,
lei vide le sue dita avvicinarsi e trattenne il fiato, sperando
però stavolta che lui la toccasse di nuovo. Invece la mano
di
Philip la oltrepassò, afferrò il giornale, lo
chiuse e lo
spinse via con violenza. Jenny lo vide finire tra le mani di Benji, il
sollievo la fece quasi accasciare. E finalmente Philip, quando lei
ormai non ci sperava più, la circondò con le
braccia e la
strinse a sé. Il viso sprofondato contro la sua felpa, nel
suo
calore e nel suo odore, provò dopo tanto tempo un sollievo
immenso.
-Jenny?-
Mark si accorse troppo tardi di ciò che aveva appena
interrotto.
Vide l’amica sobbalzare, puntare le mani contro il torace di
Philip e tirarsi indietro. Non capì cosa fosse appena
successo,
ma capì di essere arrivato nel momento sbagliato.
Philip non si mosse. Restò immobile e lasciò che
Jenny si
allontanasse, che varcasse l’ingresso dell’hotel
sparendo
nella notte, verso la macchina di Gentile parcheggiata da qualche
parte, con il motore acceso ad attenderla.
-Mark! Che tempismo!-
Il ragazzo si volse verso Patty.
-Come accidenti potevo saperlo?!-
Benji scosse la testa.
-Ti meriti un bel dieci, Landers.-
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Capitolo 13 *** Dodicesimo capitolo ***
Dodicesimo
capitolo
Mark si
svegliò perché aveva caldo, un gran caldo. Il
letto bolliva come l’inferno e il suo pigiama era intriso di
sudore. Spostò gli occhi sull’orologio che segnava
le cinque. Era distrutto e sentiva assolutamente il bisogno di riposare
ancora a lungo. E allora perché aveva già aperto
gli occhi? Magari per il fatto che il materasso stava andando a fuoco?
Scostò le coperte, si alzò e spalancò
la finestra. Il gelo l’avvolse ghiacciandogli i capelli
sudati sulle tempie. Respirò a pieni polmoni la brezza della
notte e poi si tirò indietro, lasciando arieggiare la
stanza. Da fuori proveniva solo un silenzio interrotto sporadicamente
dal passaggio di qualche macchina. Richiuse i vetri e tornò
verso il letto, tutte le intenzioni di riprendere a dormire. Non poteva
permettersi di perdere neppure un minuto di sonno. Si bloccò
di colpo. Il chiarore dei lampioni sulla strada tracciò i
contorni di un corpo adagiato sul materasso. Gli ci volle il tempo di
un sussulto per ricordare che la presenza di Daisy aveva costretto lui
e Jenny a spartirsi lo stesso letto. La cosa riprese a non piacergli
con più intensità di quanto accadesse durante il
giorno. Optò per una capatina in bagno e, nel timore di
svegliarla, raggiunse la porta in punta di piedi, attraversando la
stanza con lo sguardo fisso sull’amica. Pregò che
non lo udisse, che non si voltasse. Non avrebbe sopportato di sentirsi
i suoi occhi addosso al ritorno, mentre si infilava sotto le coperte al
suo fianco come se fossero una coppia. La sera precedente, pure se
erano rientrati tardi, era rimasto a orbitare morto di sonno e di
stanchezza finché lei si era addormentata. Solo dopo
l’aveva raggiunta. Il bacio del giorno prima era stato un
madornale errore che Jenny non gli aveva ancora perdonato. E lui non
intendeva in nessun modo peggiorare la situazione. Aveva bisogno di
averla alleata per tenere a bada Daisy. Maledetta Farrell! Lo aveva
impantanato in una palude di casini!
Mentre percorreva il corridoio per tornare in camera, udì un
rumore attutito provenire dalla stanza di Daisy. Trattenne il fiato. Un
fascio di luce filtrava da sotto la porta. Il timore di incontrarla lo
fece fuggire in camera lesto e silenzioso. Molto meglio Jenny, anche
sveglia, di lei. Quando mise piede nella stanza lanciò una
nuova occhiata sfuggente all’amica addormentata. Poi
scostò le coperte e si rinfilò a letto
sbadigliando. Jenny, rannicchiata sull’altro lato,
percepì il movimento del materasso ed emise un mugolio di
protesta. Mark si irrigidì e strizzò gli occhi,
cercando di penetrare il buio.
-Ti ho svegliata?-
Nel silenzio della stanza la sentì voltarsi dalla sua parte,
ritirandosi ancor più sotto le coperte.
-Jenny, dormi?-
Nessuna risposta, neppure stavolta. Chiaramente ce l’aveva
con lui per il bacio, e forse non solo per quello. Probabilmente anche
per ciò che era successo in hotel quella sera, quando era
piombato all’improvviso interrompendo ciò che
stava succedendo tra lei e Philip. Accese il lume accanto al letto e la
guardò. Giaceva supina, gli occhi chiusi, il viso imperlato
di sudore e i capelli umidi incollati alla fronte.
-Jenny?- allungò una mano titubante e le sfiorò
una guancia con la punta di un dito. La pelle vellutata e calda si
incurvò al suo tocco. Lei continuò a restare
immobile, non aprì neppure gli occhi. Ma la sentì
bollente. Quando le appoggiò tutta la mano sulla fronte,
allora Jenny lo guardò. Mark vide brillare le pupille sotto
le ciglia scure.
-Stai bene?-
La giovane si volse piano, con un movimento lentissimo, e lo
osservò con uno sguardo liquido, offuscato.
Impiegò qualche istante a metterlo a fuoco, arrivando
persino a chiedersi cosa ci facesse Mark accanto a lei.
-Sento freddo.-
-Non ti starà mica salendo la febbre!-
l’eventualità lo atterrì, portandolo
quasi a gridare. Ci mancava soltanto che si ammalasse, sarebbe stata la
ciliegina sulla torta.
Jenny respirò piano, poi scosse la testa per rassicurarlo
con un movimento che le costò una gran fatica. Richiuse gli
occhi, esausta.
-è solo stanchezza, domani starò meglio.-
Mark lo sperò con tutto se stesso. Recuperò
un’ulteriore trapunta con cui coprirla, spense la luce e si
rimise a dormire.
Fu lo scampanellio di una serie di messaggi sul cellulare di Jenny a
strapparlo di botto dal sonno e farlo balzare seduto.
-Chi cazzo è a quest’ora?-
Si girò verso l’orologio e gli venne un infarto.
Erano le dieci! Merda erano le dieci! Scalciò via le coperte
e saltò in piedi. Le dieci! Non era possibile!
Perché la sveglia non aveva suonato? Porco mondo! Quel
giorno Gamo l’avrebbe ucciso… e Philip, dopo
quella merda di bacio e l’inopportuna interruzione della sera
precedente, sarebbe stato ben felice di banchettare sui suoi resti.
Era maledettamente tardi! Perché accidenti non aveva
suonato, la sveglia? Usando solo una mano si sfilò con un
gesto da prestigiatore la maglia del pigiama e saltellando come un
equilibrista prima su una gamba poi sull’altra, si tolse
anche i pantaloni. Li agganciò con la punta di un piede, si
volse mezzo nudo verso il letto e li lanciò sulle coperte.
Fu in quel momento che vide Jenny, di cui aveva dimenticato la presenza
per la seconda volta nel giro di poche ore. Rimase di sasso, in
mutande, di fronte ai suoi occhi che, fortuna per lui, erano ancora
chiusi. Corse avanti e indietro per la stanza come un invasato alla
ricerca dei pantaloni che aveva indossato il giorno precedente. Pur di
coprirsi, anche quelli eleganti del completo sarebbero andati bene. Nel
disordine dei propri abiti e di quelli di lei sparpagliati ovunque non
riuscì a rintracciarli. Allora, un diavolo per capello,
l’urgenza di coprirsi e di uscire di casa il prima possibile,
si precipitò verso l’armadio, spalancò
l’anta e tirò fuori un fascio di vestiti. Vennero
via alla rinfusa, più di quanti gliene servissero.
Ributtò dentro un groviglio di felpe, magliette e maglioni.
Indossò in fretta e furia i jeans lanciando occhiate ansiose
a Jenny, che nonostante il trambusto, continuava a dormire. Si
allacciò i pantaloni, le andò accanto e le mise
una mano sulla fronte.
Gli sembrò addirittura più calda di prima. Merda,
non ci voleva. Jenny aveva davvero la febbre. Cosa poteva fare? Cosa
doveva fare? Fremette d’indecisione. Gli allenamenti erano
iniziati alle dieci, per cui ormai avevano notato tutti la sua assenza,
anche i più distratti. Ed era sicuro che quel maledetto col
cappellino aveva già sparato a zero sul suo ritardo. Ma non
doveva pensarci, doveva solo sbrigarsi.
Si aggirò frenetico nella stanza radunando le proprie cose,
a cominciare dalla borsa sportiva che era rimasta in un angolo fin
dalla sera precedente. Ancora a torso nudo, si mise a svuotarla dagli
olezzanti panni sporchi ammucchiandoli in un angolo. Ci avrebbe pensato
dopo. Infilò nella borsa della biancheria pulita, pensando
che se l’autobus fosse passato subito, nel giro di una
mezz’ora sarebbe arrivato. Se invece non fosse passato, Gamo
lo avrebbe fatto a pezzi e quel che era peggio l’avrebbe
fatto davanti a tutti, Price e giornalisti compresi. Ma poteva lasciare
Jenny così? Sì che poteva, non aveva scelta.
Uscì e rientrò in camera nel giro di pochi
istanti, portando con sé un bicchiere d’acqua e
una confezione di aspirine che posò sul comodino.
-Jenny?-
Lei non reagì. E allora, siccome non aveva più
tempo, le mise una mano sulla spalla e la scosse più
gentilmente che poté. Sotto le sue dita il corpo di lei
bruciava.
-Jenny.-
La ragazza socchiuse gli occhi e lo fissò stordita.
-Buongiorno…- la voce le uscì a stento -Che ore
sono?-
-è tardi, anzi tardissimo.-
Alzare un braccio per portarselo alla fronte le costò una
fatica immensa.
-Non mi sento bene.-
-Certo che non ti senti bene! Ti è salita la febbre! Come
hai fatto a fartela venire?- afferrò la confezione di
medicinali, l’aprì e tolse una compressa dal
blister. Gliela porse, mentre Jenny seguiva i suoi movimenti senza
capire -È un’aspirina, prendila.-
Lei gli ubbidì, inghiottì a fatica
l’acqua, poi si lasciò ricadere sui cuscini.
Osservò il suo torace nudo attraverso un filo di nebbia, i
pettorali scolpiti dagli allenamenti così perfetti da far
venir voglia di toccarli.
-Mark…-
-Sì?-
-Se non ti vesti penserò che ci stai provando.-
Lui scattò indietro e socchiuse gli occhi.
-Sai che ti dico? Che se ti va di scherzare non stai male per niente!-
le volse le spalle offeso e s’infilò una maglietta.
-Non sto male, Mark. Ho solo la testa pesante. Non ho sentito la
sveglia.-
-Perché non ha suonato. Abbiamo dimenticato di inserirla.-
indossò una felpa veloce come un fulmine, uscì e
rientrò di nuovo. Posò sulla fronte di Jenny un
piccolo asciugamano bagnato, frugò nella borsetta
dell’amica e recuperò il telefonino. Lesse i
messaggi di Gentile, commentò il suo romanticismo di dubbio
gusto con una smorfia e posò il cellulare sul comodino dopo
aver tolto la suoneria. Dopodiché la salutò,
uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle. Non
voleva lasciarla sola ma non aveva scelta. Con la partita che si
avvicinava e Gamo che gli avrebbe fatto pagare in una volta tutti i
ritardi passati e futuri, non poteva fare altrimenti. Tirò
un profondo respiro e scese le scale di corsa.
L’autobus non passò. Ne prese un altro,
allungò il percorso di quasi il doppio e fu costretto a
prenderne altri due. Arrivò a mezzogiorno meno un quarto. I
compagni avevano finito da un pezzo gli esercizi di riscaldamento e
stavano giocando una partita.
Dall’altra parte del centro sportivo, nel campo degli
italiani, vigeva l’anarchia. Correndo sul vialetto Mark vide
che l’allenatore non c’era, o forse si era defilato
per farsi i fatti propri e i ragazzi si rincorrevano gettandosi addosso
secchiate d’acqua e qualsiasi altra cosa capitasse loro
sottomano. La confusione stava impedendo ai giapponesi di concentrarsi
sulla palla e Patty, Evelyn ed Amy se ne stavano aggrappate alla rete
divisoria a gustarsi divertite lo spettacolo della squadra avversaria.
Gentile individuò Mark non appena il ragazzo
imboccò il vialetto. Lo raggiunse e prese a camminare
insieme a lui al di là della recinzione.
-Buongiorno Landers! Sai come si dice in Italia? Meglio tardi che mai.-
Mark gli lanciò un’occhiata. Aveva una manica che
grondava acqua e degli schizzi di bagnato sui pantaloncini.
-E sai come si dice in Giappone? A sudare senza fatica sono solo gli
opportunisti.-
-Non sono sudato, cretino. Si chiamano gavettoni.-
-Si chiama voglia di non fare un cazzo.- Mark non rallentò,
tirò solo su la borsa che gli era scivolata dalla spalla.
-E me lo dici presentandoti a quest’ora? Adesso siamo in
pausa, abbiamo appena finito di allenarci.-
-Sì, conosco bene il famoso allenamento tra una pausa e
l’altra.-
-Lascia perdere, Landers. Lo svago è un concetto troppo
difficile per te. A te piace sgobbare, punto.- si asciugò
con le dita una goccia d’acqua che gli stava colando da una
guancia -Dov’è Jenny? Non risponde al telefono.-
-È a letto con la febbre.-
-Con la febbre?- lo sconcerto arrestò Salvatore
dov’era mentre la schiena di Mark seguitava ad allontanarsi
-Come accidenti le è venuta, la febbre?- si riscosse di
colpo e gli corse dietro ma non riuscì più a
raggiungerlo perché il ragazzo svoltò
l’angolo e la rete divisoria finì. Il tempo di
tornare indietro verso l’uscita e lui era già
sparito negli spogliatoi.
Mark si cambiò in fretta distribuendo a casaccio i propri
vestiti tra la panca e l’appendiabiti. Uscì
difilato dall’edificio con uno scarpino malamente allacciato
che si sciolse mentre correva verso i compagni, tra cui si
fiondò e cercò di mimetizzarsi per evitare la
ramanzina del mister.
Ma Gamo, che lo aspettava al varco, si portò il fischietto
alle labbra e ne tirò fuori un sibilo improvviso, acuto,
lungo, insistente, assordante.
-Landers!-
Mark si volse verso Gamo e il cenno con cui lui lo richiamò
fu inequivocabile. Il ragazzo, già stanco di quella giornata
iniziata male fin dall’alba, curvò le spalle e si
rassegnò ad uscire a testa bassa, come una vittima
sacrificale, diretto verso il bordocampo e l’ennesima lavata
di capo.
In tutto questo, come doveva fare con Jenny? Non poteva lasciarla da
sola l’interna giornata, qualcuno doveva prendersi cura di
lei. La preoccupazione lo spinse ad una mossa azzardata.
Deviò verso le amiche e arrivò da loro quasi di
corsa. Aveva i secondi contati.
-Patty, Jenny ha la febbre. Devi assolutamente andare a casa a vedere
come sta.-
-Cazzo Mark!- la voce di Salvatore fu proprio ciò che ci
voleva in quel momento -Fermati quando ti parlo! Maledetto te!-
Gentile non si curò di nessuno. Non gli importò
che l’allenatore giapponese fumasse di rabbia di fronte alla
sua prepotente invasione di campo. Non gli importò che le
amiche di Jenny lo fissassero sconvolte da tanta arditezza. Era
furibondo, Landers non doveva osare ignorarlo. Era o no lui Salvatore
Gentile? Era o no il più forte difensore della nazionale
italiana? E Landers chi accidenti credeva di essere? Giusto il tempo di
assicurarsi che Jenny stesse bene e lo avrebbe corcato di mazzate.
-Quanto ha di febbre? Ha preso qualcosa?-
-Un’aspirina! Ha preso un’aspirina!- Mark
cercò di liquidarlo, doveva parlare con Patty prima che
l’ira di Gamo esplodesse -Non ho il termometro, non so quanto
abbia di febbre. Ma ora Patty sta per andare a casa e…-
-Le chiavi?- domandò lei.
-C’è Malaya.-
-Malaya?-
-La donna delle pulizie. Se fai in fretta la trovi ancora
lì.- un’idea gli illuminò la mente.
Guardò Gentile -Invece di blaterare a vanvera, fai qualcosa
di utile e porta Patty a casa mia.-
Si misero d’accordo senza che lei capisse un accidenti di
niente e sobbalzò di sorpresa quando Salvatore la prese per
un polso.
-Ti dà un passaggio.- le spiegò Mark.
Gentile imboccò l’uscita del campo trascinandosela
dietro, recuperò il medico di squadra dalle panchine
italiane che stava compilando la Settimana Enigmistica buttato su una
panca e attraversò il parcheggio di gran carriera, fino alla
sua Giulietta rossa.
Solo guardandoli andar via, Mark si rese conto che se quella mattina
avesse telefonato all’unica persona a cui mai avrebbe chiesto
aiuto avrebbe trovato subito la soluzione al “problema
Jenny”.
-Adesso Landers, se hai finito di fare i tuoi comodi, avrei giusto un
paio di cose da dirti!- la voce di Gamo tagliò
l’aria.
-Tipo?-
-Tanto per cominciare non è questa l’ora di
presentarsi!-
-C’era traffico.-
-O sei stato a crogiolarti a casa?-
Secondo Mark il mister alluse a Jenny. Sapeva sicuramente che abitava
da lui, lo sapevano tutti. -Magari potessi, ma non posso! La mia casa
è invasa!-
-Verissimo! Ed io ho pronta la soluzione che fa per te! Da stasera
dormirai con noi qui in hotel! Ho già chiamato la reception
per prenotare una stanza!-
Mark strinse i pugni. Era caduto dalla padella nella brace. Certo, se
fosse andato in hotel si sarebbe tolto definitivamente la Farrell dai
piedi, ma Gentile ne avrebbe approfittato per traslocare da lui e
infilarsi nel letto di Jenny, cioè nel suo. Mai avrebbe
spianato la strada a quel pallone gonfiato, mai gli avrebbe permesso di
scopare dove lui dormiva e mai avrebbe fatto un torto simile a Philip.
A costo di litigare con il mister non si sarebbe trasferito mai, MAI,
in hotel insieme ai compagni.
-No.-
-Non era una domanda, Landers.-
Mark lo fissò.
-Non posso.- s’infilò nervosamente le mani nelle
tasche dei pantaloncini, poi le tirò fuori ma non sapendo
dove altro metterle, ve le ficcò di nuovo -Va contro i miei
principi.-
-Ah davvero?- la voce di Gamo si alzò di un tono.
-Io ce l’ho già una camera a Torino,
perché dovrei pagarne un’altra?-
Benji sghignazzò e si mise comodo ad assistere al botta e
risposta dei due, appoggiato con una spalla al palo della porta e le
braccia incrociate sul torace.
-Non capisco come possa essere così tirchio pure coi soldi
che non sono suoi.- rise Clifford mentre si chinava a terra a stringere
meglio i lacci di uno scarpino per prendere tempo e ascoltare
l’intera conversazione.
-L’hai sentito, è tirchio per principio.-
-Non paghi tu, Landers! Paga la Federazione!-
-E allora siccome sono soldi della Federazione possiamo sprecarli? Dove
sta scritto?-
-E il tempo che tu perdi ogni giorno per attraversare mezza
città, quello non è uno spreco per la
Federazione?-
Clifford ghignò.
-Sono proprio curioso di sentire cosa gli risponde adesso.-
-Sarà Landers a spuntarla.-
-Tifi per lui, Benji?-
-No, ma lo conosco meglio di Gamo.-
-Da quando ci pagano a ore?-
-Piantala Mark! Farai quello che ti ordino.-
-In campo! Fuori no! La mia vita privata me la gestisco come voglio!-
-Me ne frego della tua vita privata se arrivi tardi agli allenamenti!
Il nullaosta non c’è ancora e ho tutto il tempo di
decidere se farti scendere in campo oppure no.-
Mark si irrigidì e replicò tranquillo, quasi
glaciale.
-Se vuole vincere, deve farmi giocare.-
Tom si domandò quanto sarebbero andati avanti
così. Si chiese se i giornalisti, assiepati lungo la
recinzione, stessero ascoltando la loro conversazione. Si chiese cosa
sarebbe finito sui giornali. Cosa sarebbero riusciti a tirar fuori i
redattori dal loro battibecco. I suoi occhi vagarono tra i fotografi
all’esterno del centro sportivo fino ad Evelyn che prendeva
appunti.
Perché Philip non interveniva e li faceva smettere? Lo
cercò e lo trovò dall’altra parte del
terreno di gioco. Se ne stava per conto suo come al solito, senza
mostrare nessun interesse nei confronti del suicidio del compagno.
Sicuramente non li stava neppure ascoltando. Non gliene fregava nulla.
Tom fremette e serrò i pugni. Lo avrebbe ucciso e avrebbe
ucciso anche Mark, ma per farlo doveva riportarlo in campo sano e
salvo. Lo raggiunse di corsa.
-Allora? Quanto dobbiamo ancora aspettare per averti con noi?- lo
agguantò per un braccio e lo trascinò con
sé -Ti presenti con due ore di ritardo e perdi anche tempo a
discutere?-
L’altro gli lanciò un’occhiata innocente.
-Ti pare?-
-Sì, mi pare. Sai benissimo che se a Gamo gira lo
sghiribizzo, può sbatterti in panchina per tutta la partita.
E, volendo, non solo per questa stupida amichevole!-
Mark sbuffò.
-Non lo farà, se vuole vincere.-
-Lo ha già fatto una volta, non ricordi?-
Cavolo se se lo ricordava! Aveva passato a Okinawa buona parte delle
eliminatorie del girone asiatico dei mondiali Under19. Che Tom
riesumasse un ricordo tanto bruciante gli diede sui nervi.
Finì per assalirlo.
-La ramanzina di Gamo è bastata a mettermi di malumore, non
ho bisogno anche della tua!-
-Litighiamo pure tra di noi così siamo a posto…-
si fece sentire Warner tornando verso la porta. Passò
accanto a Philip -Perché non fai qualcosa?-
Callaghan lo guardò perplesso.
-Per esempio?-
Tom lo udì e gli caddero le braccia. Spinse Mark davanti
alla palla.
-Mister, possiamo fare una pausa?- urlò Bruce attraverso il
campo.
Gamo saltò su come un grillo.
-Non voglio sentire quella parola! La pausa non esiste,
dimenticatevela! È già mezzogiorno e non avete
combinato un accidenti di niente! Siete degli sfaticati! Dei
rammolliti! Chi non intende spaccarsi la schiena, chi non ha intenzione
di arrivare alla partita strisciando e con la bava alla bocca, se ne
può tornare a casa all’istante. Vuoi andare a
casa, Becker?-
Tom sussultò, che c’entrava lui?
-No mister!-
Incrociarono Malaya sulla porta con un sacco della spazzatura.
-Come sta Jenny?-
-Buongiorno Salvatore. Ho visto che dormiva quindi non sono entrata
nella stanza. Ho pulito tutto il resto.-
Patty dedicò alla filippina un sorriso consumato dalla
preoccupazione per l’amica. Mentre si sfilava le scarpe per
abitudine, Salvatore e il medico la superarono e imboccarono le scale
diretti al piano superiore. Lei li guardò interdetta, poi si
affrettò a seguirli. Gentile sbagliò stanza,
aprì la porta di quella che adesso occupava Daisy. Non
trovò nessuno e si fermò confuso. Poi vide Patty
superarlo e proseguire lungo il corridoio. Le arrivò
accanto, entrò dietro di lei nella camera di Mark e
trovò Jenny sprofondata nel suo letto. Il pigiama di Landers
giaceva spiegazzato sulle coperte. Non riuscì a capacitarsi
di ciò che vide. La sorpresa per un attimo gli tolse il
respiro.
-Che diavolo sta succedendo?-
Il medico lo guardò senza capire.
-In che senso?-
Lui non rispose, allentò la stretta alle dita contratte a
pugno, scosse la testa e ingoiò la stizza. -Niente.-
Patty posò una mano sulla fronte di Jenny e la
sentì caldissima. Aveva il volto arrossato, le labbra
socchiuse, i capelli sparsi sul cuscino. Dormiva supina, scossa da
brividi di freddo e da un sonno agitato. Nella nebbia della sua testa
Philip camminava davanti a lei. Voleva disperatamente raggiungerlo ma
non riusciva a farlo. Philip procedeva alla sua stessa andatura ma
restava distante anche se Jenny si metteva a correre. E di correre lei
non ne poteva più. Lo stava facendo da ore, lo faceva da
sempre, correva all’infinito. Correva dietro a Philip e non
poteva raggiungerlo, lo chiamava ma non riusciva a fermarlo. Non aveva
più fiato, il cuore le batteva all’impazzata, lo
udiva martellarle nelle orecchie. Sentiva che nei polmoni non aveva
più aria, che bruciavano, che stava per scoppiare. Era
disperata. Philip si trovava a pochi passi eppure le risultava
impossibile toccarlo. Lo supplicò di fermarsi. Lui non si
volse e il grido di Jenny si perse nella nebbia. Lei di fiato non ne
aveva più, neanche per chiamarlo. Eppure doveva fermarlo,
non poteva lasciarlo andar via così. Non voleva essere
abbandonata ancora. Respirò e gridò di nuovo il
suo nome premendosi il petto con le mani, il cuore che pulsava di
disperazione. Le lacrime che le annebbiavano gli occhi avevano preso a
rigarle le guance. Perché non si voltava? Perché
non riusciva a raggiungerlo? Chiamò ancora e ancora.
Impossibile che non la sentisse, era così vicino! Corse, con
le ultime energie si slanciò in avanti e sembrò
raggiungerlo. Allungò un braccio e la distanza si
dilatò. Philip quasi scomparve. Lo chiamò e
richiamò inutilmente. Lui non la udiva, o non voleva udirla.
Non si voltava neppure. Avanzava quando lei avanzava, si fermava quando
lei si fermava, correva quando lei correva rendendole impossibile
raggiungerlo. L’avrebbe perso per sempre.
La voce di Jenny era un gemito, una parola sussurrata che
all’inizio Patty non riuscì ad afferrare. Poi
d’un tratto il nome che invocava divenne chiaro, lampante.
Sussultò e alzò gli occhi su Gentile, che aveva
udito e che rimase rigido, serrò le labbra. Qualcosa di
indefinito gli attraversò lo sguardo, poi
quell’emozione scomparve senza lasciare traccia.
Patty deterse con un fazzoletto le lacrime che rigavano il viso di
Jenny e si scostò per far spazio al medico. Lui, dopo una
rapida visita, emanò il verdetto.
-Salvatore, ha la febbre talmente alta che è svenuta.-
Lui sbiancò.
-Dobbiamo portarla in ospedale?-
-La tachipirina sarebbe sufficiente se si riuscisse a fargliela
prendere.-
-Se deve berla la berrà.-
Patty rientrò in camera con una bacinella colma di acqua
fredda. Vide il dottore seduto sul letto e Salvatore,
dall’altra parte della stanza, che frugava imbestialito
nell’armadio facendo un casino tra i vestiti di Mark. Patty
esitò, fortemente tentata di porre fine allo sfacelo.
Rinunciò pensando che in fondo l’italiano aveva
tutte le ragioni di essere adirato. Aveva mollato a metà gli
allenamenti per correre da Jenny e l’aveva trovata nel letto
di Landers a delirare invocando Philip. Che fosse nervoso era
comprensibile per cui era dispostissima a sacrificare i vestiti di Mark
e lasciarlo sfogare. Il dottore attirò la sua attenzione
porgendole una bustina di granulato che, le spiegò, doveva
cercare di far bere all’amica per far scendere la febbre.
Gentile si avvicinò stringendo tra le mani un pigiama di
Jenny che aveva riesumato chissà da dove.
-Landers dovrà spiegarmi un sacco di cose…-
brontolò e spostò gli occhi su Patty -Quando
finisce di misurarle la febbre la cambiamo. È fradicia.-
La ragazza annuì. Aspettarono in silenzio alcuni minuti, poi
il medico controllò l’orologio, e
recuperò il termometro.
-Quasi quarantuno.-
Gentile riprese ad inveire contro Mark.
-Ma porca puttana! Landers è un incosciente! Quando torno al
campo lo ammazzo di botte… per questo e per tutto il resto!-
Mentre le sfilavano via il pigiama intriso di sudore, Jenny riprese
conoscenza.
-Salvatore…- lo guardò poi mise a fuoco Patty e
si rivolse a lei perché parlare in inglese le costava un
certo sforzo -Che succede? Che ci fate qui?-
-Hai la febbre altissima.-
I suoi occhi vagarono per la stanza, vide il medico e tentò
un saluto. Tornò a fissare Patty, poi l’orologio e
infine Gentile.
-Perché non sei al campo?- cercò di puntellarsi
sui gomiti ma era così debole che non riuscì a
tirarsi su.
-Perché Landers è un coglione.-
Il dottore chiuse la borsa e raggiunse la porta lanciando
un’occhiata eloquente all’italiano. Dovevano
tornare al centro sportivo.
-Ti aspetto di sotto.-
Salvatore annuì.
-Jenny, adesso devo scappare ma torno dopo pranzo a vedere come stai.-
Lo sentirono scendere le scale di corsa, poi il tonfo della porta
d’ingresso e il rombo della Giulietta che veniva messa in
moto e partiva a tutta birra. Le due ragazze si guardarono.
-Ieri sera hai preso freddo?-
Jenny scosse la testa e spostò gli occhi verso la finestra,
sul cielo terso e azzurro. Sospirò affranta. Stare male
significava essere costretta a restare chiusa in casa e il pensiero di
non poter vedere Philip divenne ad un tratto assurdamente insostenibile.
*
Freddie guardava di sottecchi Gamo agitato, frustrato e particolarmente
rompipalle. Compativa i ragazzi che si stavano ammazzando di fatica per
stargli appresso ma preferì non immischiarsi. Gabriel era
furioso perché le cose nella squadra non stavano andando
come avrebbe voluto e non si rendeva conto che il suo nervosismo e il
suo scontento servivano solo a peggiorare la situazione. Se Landers si
presentava in ritardo agli allenamenti, se Holly era a Barcellona a
giocare una partita della Liga contro il Real Madrid, se Callaghan non
si comportava come da copione, non potevano farci proprio niente. La
sera precedente, dopo cena, aveva provato a riavvicinare Philip. Gli
aveva allungato la fascetta ma lui aveva scosso la testa caparbio e si
era rifiutato di riprenderla. A quel punto Freddie aveva capito che
tanto valeva mettersi l’anima in pace e sperare che il
nullaosta di Holly arrivasse presto. O quanto meno che arrivasse.
Altrimenti avrebbero dovuto trovare qualcun altro per guidare la
squadra. Ma chi?
Evelyn salvò il file e spense il portatile. S’era
stufata di scrivere, lo stava facendo dalla mattina. Aveva preso
appunti su appunti e non sapeva più che farsene, dal momento
che da quando era atterrata a Torino non era riuscita a mandare in
redazione uno straccio di articolo che fosse uno. Avrebbero finito per
licenziarla prima ancora di assumerla.
-Oggi che Jenny non c’è, è sparita
anche Daisy.-
Amy annuì.
-È andata a Milano con Pearson a prendere il nullaosta di
Rob.-
-E come lo sai?-
-Me l’ha detto Julian a cui credo che l’abbia detto
Freddie, ma non sono sicura.-
-A Jenny dice proprio male, per una volta che poteva starsene a bordo
campo tranquilla…-
Amy rise di cuore.
-Tranquilla? Con te? Non credo proprio!- lanciò
un’occhiata all’orologio, era quasi
l’una. Quel giorno gli allenamenti stavano durando
più del previsto, sicuramente a causa del ritardo di Mark.
Guardò i ragazzi. Sandy arrancava stanchissimo, una mano sul
fianco a stringersi sofferente la milza. Bruce ansimava e Julian, poco
distante, incrociò il suo sguardo e le chiese
l’ora con un cenno. Gli rispose a gesti.
Freddie seguì la loro muta conversazione. Non sapeva cosa
passasse per la testa di Gamo ma per come la pensava lui, Landers non
doveva recuperare il ritardo a scapito dei compagni. Si
frugò nelle tasche, tirò fuori il fischietto di
riserva e soffiò. Gamo sobbalzò.
-È ora?-
-Eh sì.-
-Infatti ho una certa fame.-
-Finalmente!- esalò Bruce tra fastidio e sollievo -Pensavo
che ci avrebbero fatto saltare il pranzo! Invece è finita!-
corse verso le panchine superando Mark -La prossima volta sei pregato
di arrivare puntuale! Evelyn! Passami l’acqua prima che
svengo!-
-È lì. Non ce le hai le mani?-
Landers non li udì, la mente presa da tutt’altro.
Varcò l’ingresso degli spogliatoi, si fece largo
tra Patrick e Sandy, fermi a riprendere fiato tra una panca e un
armadietto e recuperò il cellulare. Patty rispose subito.
-Come sta Jenny? La febbre è scesa?-
Lei lo rassicurò mentre Mark rimestava nella borsa in cerca
dello shampoo, sforzandosi di distinguere la voce dell’amica
attraverso il baccano dei compagni.
-Nel frigo dovresti trovare qualcosa. Poco, perché Jenny non
fa più la spesa da quando siete arrivati.-
l’ascoltò replicare -No, quella di ieri non conta.
Non c’era quasi nulla di commestibile…-
Philip incamerò ogni parola. Si sfilò la maglia
sudata e lanciò un’occhiata all’ingresso
delle docce. Erano tutte occupate quindi non valeva la pena
affrettarsi. Si sedette ad aspettare e ad ascoltare la telefonata di
Mark, stavolta senza neppure curarsi di nasconderlo. Si chiese se non
fosse un bene che Jenny stesse male. Con la febbre non sarebbe venuta
al campo, con la febbre l’italiano non l’avrebbe
sbaciucchiata davanti a tutti come faceva di solito, non
l’avrebbe portata in giro per locali…
D’un tratto si accorse che Tom, tornato dalle docce, lo
fissava di traverso strofinandosi i capelli con un asciugamano.
-Che c’è?-
-C’è che mi sono stufato di fare le tue veci.-
-Hai fatto le mie veci? Quando?-
Tom si sforzò e ingoiò la rispostaccia.
S’infilò i jeans con un movimento rabbioso, poi fu
la volta della maglietta e della felpa, respirando a fondo per darsi il
tempo di calmarsi e non di saltargli al collo.
-Sì, le ho fatte. E se non le faccio io le fa Holly. Chi
è il capitano, qui?-
Philip avrebbe voluto cogliere l’occasione per dire a tutti
che aveva restituito la fascia a Gamo mollando l’incarico, ma
gli occhi accusatori dei compagni erano fissi su di lui e non
riuscì proprio a farsi uscire quella risposta liberatoria,
perché probabilmente lo avrebbero ammazzato, massacrato,
fatto a pezzi una volta per sempre. Deglutì e li
guardò, tirando fuori la solita, banalissima scusa.
-Lo sono solo finché non arriva il nullaosta di Holly.-
-Sbagliato, Philip. Non lo sei neppure adesso, non lo stai facendo, te
ne stai fregando! La nazionale giapponese non ha un capitano. Te ne sei
accorto o no?- Tom prese fiato mentre le guance gli si arrossavano di
collera -Così non andremo da nessuna parte! Non vinceremo
neanche di striscio questa maledetta amichevole. Faremo solo una
colossale figura di merda!-
Yuma si avvicinò preoccupato.
-Respira e calmati, Tom. O ti verrà un infarto.-
-Lascialo sfogarsi, Clif. La buca che gli ha dato Magnolia brucia
ancora, è chiaro.- ridacchiò Peterson.
-Magnolia?- fu un acuto, quello di Tom.
Mark rabbrividì.
-Che cazzo di voce è? Ti hanno tagliato le palle?-
Becker lo guardò, anzi li guardò. Poi
afferrò la borsa con un gesto brusco.
-Se volete scusarmi, a questo punto vi manderei un momento affanculo.
Tutti.-
Uscì a testa alta, senza voltarsi indietro. La porta si
richiuse con un tonfo che fece risuonare gli armadietti.
-Ma cos’ha? Gli sono venute?- in quel silenzio stupito, il
commento di Clifford arrivò a tutti forte e chiaro.
*
Salvatore varcò le porte automatiche dell’hotel.
Era passato da Jenny, anzi a casa di Mark a voler essere precisi, e
l’aveva trovata spaparanzata sul divano insieme a Patty a
guardare con l’amica la vittoria di Holly sulla pay-tv
(l’unico lusso che Mark si era concesso). Era andata Patty ad
aprirgli la porta e quando lui era entrato e aveva trovato Jenny in
salotto, avvoltolata nella coperta e sprofondata tra i cuscini,
l’aveva rispedita immediatamente a letto. Lei aveva
protestato perché si sentiva meglio e la febbre era scesa ma
alla fine, di fronte a tanta ferma insistenza, non aveva potuto fare
altro che ubbidirgli. Tanto, appena se ne fosse andato, sarebbe tornata
in salotto a guardare la tv per ammazzare il tempo.
Mark lo seguì con gli occhi mentre avanzava nella hall.
-Come sta Jenny?-
-Meglio. La febbre è scesa.-
-Ho provato a chiamarla ma non risponde.-
Gli occhi di Salvatore lampeggiarono di azzurro.
-Mi spieghi per quale cazzo di motivo hai dormito nel letto di Jenny?-
-Io? Non dire stronzate! è lei che ha dormito in camera
mia!-
-E cosa cambia?-
-La stanza di Jenny è occupata dalla Farrell. Non posso
farci niente!-
Salvatore si sentì rimescolare.
-Me ne sbatto, Landers! Dormi sul divano!-
-Col cavolo! Io ospite in casa mia? Mai!-
-Ti prenderei per il collo e ti strizzerei come un limone, te lo
giuro!- si volse verso Rob che borbottava e si rese conto che stava
traducendo il loro battibecco in giapponese a beneficio dei compagni.
Non se ne curò e tornò a fissare Mark, gli occhi
socchiusi e lo sguardo ironico -Sono certo che Callaghan sarebbe
felicissimo di sapere che tu e Jenny dormite insieme. Glielo diciamo?-
-Provaci e t’ammazzo.-
Neanche lo avessero chiamato, Philip spuntò nella hall e
l’attraversò tutta guardandosi intorno,
evidentemente in cerca di qualcuno. Li vide e si diresse verso di loro
ma quando scorse Gentile, la sua avanzata ebbe un tentennamento e fu
solo l’orgoglio ad imporgli di proseguire.
-Quando Patty ed io siamo arrivati a casa tua, Jenny aveva la febbre a
quarantuno e delirava.-
-Patty me lo ha accennato…-
-E ti ha anche accennato che sei un coglione irresponsabile? Come
t’è saltato in mente di lasciarla sola? Dovevi
chiamarmi subito, imbecille! Ti portavo il dottore e ti accompagnavo al
campo! Avresti persino evitato di far tardi e sorbirti il cazziatone
del tuo allenatore!-
Arrivato giusto in tempo per ascoltare la traduzione di Rob, Philip
rifletté sulle assennate parole dell’italiano,
chiedendosi curioso per quale accidenti di motivo Gentile sembrasse
così a suo agio in mezzo a loro. Poi capì.
C’era Mark che ci giocava insieme, Rob che lo conosceva da
parecchio e che lo stimava infinitamente, Benji con il quale sembrava
andare d’accordissimo e Tom, che era amico di tutti e a cui
in quel momento importava solo dell’efficienza della squadra.
L’unico ad essere fuori posto era solamente lui. Indeciso se
allontanarsi o restare, rimase in piedi da una parte, la mente invasa
da un turbinio di pensieri tetri e pessimisti. Si riscosse solo quando
Tom gli strinse un braccio.
-Benji stasera s’è ficcato in testa di andarsene
in giro per locali. Digli qualcosa, Philip.-
-Ah!- quello accettò la notizia senza riserve e
tentò un sorriso verso il portiere -Buon divertimento!-
Tom sobbalzò.
-Non questo!-
-E allora cosa?-
-Sei il capitano!-
-Che palle lo so! Smettila di ricordarmelo, è la centesima
volta che lo fai oggi!-
-Perché tu lo dimentichi troppo spesso!-
-Non lo dimentico, magari potessi!- fissò Benji -Se ti
dicessi di non andare mi daresti retta?-
-Certo che no.-
Philip guardò Tom.
-Hai visto?-
Becker reagì alzandosi e afferrando da terra la borsa. E
visto che era ora di incamminarsi verso il campo, gli altri lo
seguirono alla spicciolata.
Nel parcheggio del centro sportivo, Dario recuperò il
borsone dal portabagagli, se lo caricò su una spalla e
attraversò il piazzale, stringendo in una mano un fascio di
riviste appena acquistate in edicola. Raggiunse Salvatore davanti al
cancello. Il ragazzo percorreva su e giù un tratto del
vialetto parlando concitato al cellulare. Dario aspettò che
riagganciasse.
-Che ci fai già qui?-
-Sono passato in hotel a infastidire Callaghan.-
-Vuoi lasciarlo perdere una buona volta? Piuttosto come sta Jenny?-
-Meglio. La febbre è scesa.- gli sfilò di mano un
paio di giornali e ne aprì uno di gossip con fare schifato
-Da quando leggi ‘sta roba?-
-Da mai, però ho saputo che su questo numero
c’è un articolo sulla nazionale giapponese.-
-Davvero? E che dice?-
Dario fece spallucce.
-Non ho avuto il tempo di guardarlo.-
-Io non vedo niente.- sfogliò qualche pagina mentre
proseguivano verso gli spogliatoi -Devono essere giusto due righe
sputate…-
-O magari ho sbagliato rivista.-
Salvatore si fermò di botto e prese ad urlare, le dita
contratte che accartocciavano la carta.
-Ma che diavolo…! Non ti sei sbagliato per niente! Maledetto
stronzo, giuro che lo ammazzo!-
Dario si volse.
-Che ti prende adesso?-
-Un cazzo, mi prende! Questa volta me la paga, il bastardo! Lo
massacro! Lo sfondo! Lo anniento! Finalmente oggi me lo tolgo dalle
palle una volta per tutte!- richiuse di colpo la rivista e prese a
correre verso il bar, abbandonando la borsa sportiva sui piedi di
Dario.
-Salvatore! Dove accidenti vai?-
-A sterminarlo!-
-Ma chi?-
-Landers! E non provare a fermarmi o disintegro anche te!-
Gentile sparì all’interno del locale e Dario
sperò che Mark fosse da qualche altra parte, possibilmente
ancora negli spogliatoi a cambiarsi. Afferrò al volo la
borsa del compagno e gli corse dietro.
Salvatore spalancò la porta a vetri facendola sbattere sui
cardini. Poi si fermò sulla soglia, giusto il tempo di
mettere a fuoco i giapponesi sparpagliati ai tavoli. Il suo ingresso
fece piombare il bar in un silenzio sorpreso. Senza curarsi degli
sguardi stupiti con cui venne accolto, Gentile cercò il
colpevole e lo trovò. Si fece largo tra le sedie e con due
falcate si arrestò esattamente di fronte a Mark. Poi lo
assalì.
-Stronzo bastardo! A che gioco stai giocando?-
Lanciò sul tavolo la rivista, due bicchieri si rovesciarono
allagando il ripiano e lambendo le pagine spiegazzate. Danny, Ed e
Julian si tirarono indietro mentre un rivolo di succo
d’arancia e coca-cola colava a terra. Mark balzò
in piedi.
-Che cazzo fai? Ti ha dato di volta il cervello?-
Salvatore girò intorno al tavolo e gli rispose ringhiando.
-Io? Che cazzo faccio io? Che cazzo fai tu piuttosto! Se Jenny per te
è come una sorella, allora quello
cos’è?-
Mark avrebbe voluto replicare con una sberla ben piazzata ma prima
ancora di sollevare il braccio il suo sguardo fu inesorabilmente
attirato dal giornale. Sbiancò e quasi gli prese un colpo.
La risoluzione della foto a tutta pagina era ottima, lui e Jenny che si
baciavano erano venuti perfettamente. Si vedeva ogni particolare,
persino i loro occhi chiusi. L’invettiva già
pronta gli morì in gola con un rantolo. Allungò
una mano verso le pagine, ma Bruce gli soffiò la rivista un
nanosecondo prima che riuscisse a sfiorarla.
Gentile riprese a ringhiare.
-Landers sei una carogna!- e per sottolineare l’insulto in
modo appropriato gli mollò un pugno in faccia.
Mark gridò e barcollò all’indietro,
sconvolto.
-Ma che sei matto?- si portò una mano al volto e si
tirò via quando Gentile gli si lanciò di nuovo
addosso.
Dario gli bloccò il braccio un secondo prima che Salvatore
ripetesse il gesto.
-Piantala, incosciente! Ti sei bevuto il cervello? Se tuo padre ti
becca ad azzuffarti, ti lascia in panchina a vita!-
-Me ne sbatto di mio padre! Quest’infame deve pagare!-
fissò negli occhi il giapponese -Ti avverto,
Landers…- lo afferrò per la maglietta e lo
strattonò con violenza -Ho ucciso per molto meno!-
Dario esplose.
-Finiscila cretino!- riuscì a separarli, ma la collera di
Salvatore era molto lontana dal placarsi.
-Questa è l’ultima che ti faccio passare, Landers!
La prossima non te la perdono!- indietreggiò
perché Belli lo tirava via -Mi devi una spiegazione! E anche
delle scuse!- si volse e lasciò il bar, Dario dietro di lui
che lo spingeva via.
-Andiamo testa calda! Siamo in ritardo!-
Evelyn si portò le mani alle guance in fiamme.
-Ommioddio, è così sexy quando si arrabbia!-
-Asciugati la bava, Eve.- la rimproverò Bruce e
spostò gli occhi su Mark, che stava cercando di riprendersi
dall’assalto -Tu a Gentile non piaci proprio.-
Gli occhi di lui lampeggiarono.
-Non posso piacere a tutti, Harper. C’è pure chi
ha dei gusti di merda!- fissò Benji che replicò
all’allusione e all’occhiata del compagno con
un’alzata di spalle. Poi la collera di Landers
s’incanalò altrove -Cazzo guardi, Callaghan? Hai
qualcosa da dirmi anche tu?-
Philip lo fissò con sufficienza, mandandolo su tutte le
furie. Riprese a gridare.
-Be’ io qualcosa da dirti ce l’ho. Se tu e Jenny
non vi foste lasciati, lei non sarebbe venuta in Italia e io avrei
evitato tutte queste rogne!-
L’altro si sentì rimescolare dentro.
-Quello che fa la mia ex non mi riguarda, visto che è
appunto la mia ex. Le tue rogne, invece, te le sei cercate dalla prima
all’ultima!- lo fissò negli occhi e la tentazione
di finire l’opera che Gentile aveva lasciato a
metà fu fortissima. Sulla guancia destra, tanto per
bilanciare. Gli costò uno sforzo enorme e non seppe neppure
come ci riuscì, ma si controllò e fu una fortuna
perché d’un tratto spuntò Gamo, con il
suo solito tempismo perfetto.
-Speravo che aveste iniziato da soli gli allenamenti.-
Il bar si svuotò in un fuggi-fuggi generale.
Evelyn si alzò, prese il giornale abbandonato sul tavolo e
osservò la foto. Il quotidiano era italiano, ma la
didascalia dava la paternità dello scatto a Bill Steiner.
-Maledetto, è stato più veloce di me.-
Amy si accostò.
-Chi?-
-Steiner.-
-Il giornalista della conferenza stampa?-
Evelyn annuì furente. Quando fu fuori lo cercò e
lo trovò, era venuto anche quel giorno. Appoggiato ad una
macchina parcheggiata fuori della recinzione, teneva gli occhi puntati
sul campo. Non sapeva che Jenny non sarebbe venuta ma forse non
vedendola arrivare, se ne sarebbe andato presto.
*
Era una situazione assurda e la cosa più assurda era che
controllarsi lo esauriva. Troppe cose non andavano. A partire dal fatto
che Jenny frequentasse Gentile, dal bacio che le aveva dato Mark fino
alla foto in cui McFay gli sorrideva strafottente. McFay era stata la
ciliegina sulla torta, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Philip non riusciva a cancellare dalla mente la sua faccia e doveva
assolutamente trovare il modo di scaricare tutta quella tensione o ne
sarebbe uscito matto.
Attraversò la hall lanciando un’occhiata distratta
ai compagni che aspettavano affamati di mettersi a tavola per la cena.
Quando lo vide passare, Clifford lo chiamò ma lui finse di
non udirlo. Aveva cose ben più importanti da risolvere che
dar retta alle stronzate che sparava a raffica.
Intravide Gamo seduto ad un tavolino del bar e lo puntò.
-Mister, ho bisogno di parlarle.-
Fu tutto ciò che riuscì a dire, perché
la voce gli morì in gola. Gamo non era solo e lui non se
n’era accorto. Mezzi coperti da un ficus, davanti gli
sedevano Marshall e Benji. Passi per Marshall, ma non Price!
-Dimmi, Philip.-
Il portiere lo scrutò curioso e il ragazzo perse la voglia
di parlare. Che doveva fare? Andarsene? Ma se se ne fosse andato quando
avrebbe ritrovato l’occasione e il coraggio di dire a Gamo
ciò che aveva da dirgli? In fondo cosa aveva da perdere? La
reputazione se l’era giocata da un pezzo già in
campo.
-Dal momento che Landers si è intestardito a restare a
dormire a casa sua, bisogna convincere la signorina Farrell a
trasferirsi qui in hotel.-
Non era affatto ciò che Gamo si aspettava. Non colse il
nesso.
-Perché?-
Il perché era semplice. Dopo che Daisy aveva cercato di
picchiare Jenny, la presenza di quella donna così a stretto
contatto con lei non lo faceva stare tranquillo. E poi c’era
l’altro discorso del letto, quello a cui Jenny aveva
accennato nel sonno in camera di Amy, che lei e Mark dormissero
insieme…
Imbastì sul momento, con una faccia tosta di cui non si
sarebbe mai creduto capace.
-C’è un giornalista che ci tiene
d’occhio e che già da ieri ha iniziato a
inventarsi cose su Landers e la Farrell.- spostò lo sguardo
su Freddie -Volete sapere cosa va insinuando?-
-Per quanto mi riguarda preferisco di no. Chi è il
giornalista?-
-Bill Steiner. Se lo ricorda vero? Era alla conferenza stampa. Se
continua a fare domande, bisognerà spiegare
perché la Farrell alloggia da Mark e non in hotel. Avete
già pensato a cosa dire?-
Gamo e Freddie si guardarono. In effetti no, il problema finora non li
aveva mai sfiorati. Ma nessuno desiderava che degli stupidi
pettegolezzi infangassero la reputazione dei loro giocatori.
Così come Pearson aveva difeso Philip durante la conferenza
stampa, ora toccava che si dessero da fare anche per Mark. Era
assolutamente necessario correre ai ripari prima che accadesse
l’irreparabile. Fu di nuovo Freddie a parlare.
-Non sarà facile convincerla. Daisy Farrell fa sempre quello
che vuole, non ascolta nessuno. Non era previsto neppure che venisse in
Italia e invece è piombata qui senza avvertirci.-
Benji si intromise.
-E allora? Che ci vuole a trovarle una stanza?-
-Dovremo chiedere.-
-Datele la stanza che avevate chiesto per Landers.-
Philip annuì con assoluta convinzione, d’accordo
col portiere e felice che lui, per una volta, lo appoggiasse senza fare
tante storie. Di punto in bianco Gamo tirò fuori dalla tasca
la fascetta di cui il giovane si era liberato due giorni prima.
-Allora, Philip…- la posò sul tavolo e la spinse
verso di lui. Quello fece un passo indietro, trasformandosi in una
statua di ghiaccio -Mentre noi procuriamo una stanza alla Farrell e la
convinciamo a trasferirsi in hotel, tu riprenditi questa.-
Benji guardò la fascetta, poi l’espressione decisa
dei due allenatori. Notò l’esitazione di Philip e
l’occhiata insistente di Gamo. Capì e fremette di
stizza. Non poteva credere che fosse giunto a tanto.
-Che significa? Callaghan, sei un imbecille!- scostò
bruscamente la sedia e con un balzo gli fu addosso.
Philip indietreggiò mentre Benji gli afferrava un polso per
non lasciarselo scappare, gli voltava la mano e gli premeva la fascetta
nel palmo.
-Riprenditela, cazzo! Fallo prima che vada a dirlo a tutti! Prima che
ti faccia fare una figura pessima, ma così pessima da farti
abbandonare la nazionale all’istante e per sempre!- lo prese
per la felpa e lo strattonò furioso attraverso la hall -Non
ci poso credere! Davvero non posso credere che tu abbia fatto una cosa
simile! Che accidenti t’è saltato in mente? Vuoi
mollare tutto? È veramente questo che vuoi?-
Philip lo guardò esasperato.
-Non lo so! Non so più cos’è che
voglio!-
-Io invece quello che vuoi l’ho visto ieri sera al bar.
Perché sei il solo a non capirlo?- si fermò e lo
fissò negli occhi finché l’altro non li
abbassò a disagio -Che diavolo stai combinando? Se la ami
riprenditela, non aspettare che qualcun altro te la porti via davvero!-
Philip alzò di scatto la testa, i suoi occhi brillavano di
ironia.
-Ah sì? Prima mi dici che vuoi provarci, ora che devo
riprendermela. Fai pace con te stesso prima di venire a dire a me cosa
devo fare!-
-Ti ho detto che volevo provarci perché ti conosco! So che
sei talmente idiota che se non tocchi il fondo non torni a galla! E il
fatto che tu ci abbia creduto davvero conferma quanto sei deficiente!
Cosa aspetti a fare qualcosa?-
-E chi ti ha detto che voglia fare qualcosa?-
-Cazzo Philip! Mi prendi per cretino? Ti si legge in faccia che la ami
ancora!-
-Sì eh? E tu lo capisci perché sei un esperto,
giusto? Te ne stai sempre a vantarti di sapere tutto eppure non ti sei
mai innamorato! Cosa vuoi capirne dei sentimenti degli altri?-
-In compenso so perfettamente com’è non essere
innamorati e so che Jenny non è innamorata di Gentile come
lui non lo è di lei.-
-Ma finiscila!-
Benji cercò di trattenerlo ma quando vide che Philip era
determinato a non dargli ascolto, lo lasciò perdere. Tanto
prima o poi avrebbe preso quella sua testaccia dura e
gliel’avrebbe sbattuta contro il muro fino a fargli ritrovare
un po’ di buonsenso.
Il fresco della sera avvolse Philip mentre varcava le porte
dell’hotel. Per affrontare Gamo e Marshall aveva fatto una
fatica immane, lo scontro con Benji lo aveva sfiancato. Le mani ficcate
nelle tasche, dove sentiva la fascetta premergli contro le dita,
percorse a passo sostenuto la strada che portava ai campi sportivi e si
fermò solo quando li ebbe raggiunti. I giornalisti si erano
dispersi, le luci però erano ancora accese e sul terreno di
gioco qualcuno si era fermato ad allenarsi. Patrick Everett correva
instancabile lungo il perimetro del campo e Paul e Alan provavano dei
tiri in porta. Li osservò interdetto, riconoscendo che la
loro dedizione era encomiabile. Meno possibilità avevano di
entrare in campo durante le partite e più i suoi compagni si
allenavano. Lui invece, che era il capitano, se ne fregava di tutto e
di tutti.
Sulle panchine c’erano Julian e Amy. Era incredibile che
fossero lì, a meno che per stare un po’ per conto
loro non avessero pensato che fosse meglio il campo al viavai
dell’hotel. Si fermò, incerto se proseguire. Non
voleva disturbarli.
Amy lo vide e gli sorrise.
-Ciao Philip.-
Lui rispose con un cenno del capo, poi raggiunse Paul di corsa. Si
sfilò il giacchetto della tuta, se lo annodò in
vita e raccattò qualche pallone che era finito
tutt’intorno alla porta. Julian lo fissò scettico.
-Strano che sia tornato, visto quanto gliene importa di questa
partita.-
Amy sospirò.
-Non credo che non gli importi della partita. È solo
profondamente confuso.-
-C’è poco da confondersi. O s’impegna o
lascia perdere. Il fatto è che spesso le persone non hanno
chiare le emozioni, non le idee.- le passò un braccio
intorno alla vita -Invece le mie sono chiarissime. Mi sono strarotto di
stare qui a guardarli, non potremmo fare un salto in camera tua?-
-No che non possiamo! È quasi ora di cena e
c’è un sacco di gente a ciondolare affamata in
giro per l’hotel. Ci beccherebbero subito e io non voglio che
succeda di nuovo! L’altra mattina è stato
umiliante!-
Il ragazzo sospirò.
-Speriamo che stanotte piova.- borbottò mentre si alzava.
Davanti all’ingresso trovarono Holly. Era appena sceso dal
taxi e arrancava sul marciapiede trascinandosi dietro il trolley.
Zoppicava leggermente.
-Non dirmi che ti sei infortunato!-
L’amico sorrise rassicurante.
-È solo una storta e non me la sono fatta in campo. Ho corso
dietro al taxi per fermarlo e non ho visto il marciapiede.-
-Bravo, fatti male così siamo a posto.-
-Per carità! Già sono senza nullaosta, ci manca
solo l’infortunio. Da dove venite?-
-Eravamo al campo.-
-A fare cosa?-
Julian e Amy si scambiarono un’occhiata.
-Niente, a parlare.-
-C’è ancora qualcuno ad allenarsi.-
Gli occhi di Holly sbrilluccicarono.
-Non ci pensare neppure, è meglio se adesso riposi.- lo
frenò Julian leggendogli in faccia le intenzioni -Oltretutto
ormai è ora di cena, non faresti in tempo neppure a
cambiarti.-
-Già, peccato.-
Oltrepassarono l’ingresso dell’hotel e misero piede
nella hall.
-Ciao Holly! Bella partita!- lo accolse Jason Derrick.
-L’hai vista?-
-Alcune azioni sono già su youtube.-
Holly si accostò e lo scrutò.
-Cos’hai fatto in faccia? Hai una costellazione di pustole
che sembra la via lattea.-
-Il dottore dice che forse sono allergico al salame.-
Holly fissò dubbioso quelle cinque bolle infiammate sul
volto di Jason.
-Sicuro che non sia niente di contagioso?-
Gli rispose James dall’altro lato del divano.
-Sicuro. Io non le ho.-
-Tu non sei allergico al salame?-
-Non ne ho idea. Siamo gemelli ma mica abbiamo gli stessi gusti!-
Evelyn li raggiunse, il laptop acceso tra le mani su cui campeggiava
una foto scattata durante gli allenamenti e nella quale era riuscita a
far entrare la maggior parte di loro. Holly la guardò e solo
facendolo si accorse che all’appello mancava qualcuno.
-Dov’è Patty?-
-È da Mark. Jenny è a letto con la febbre e
così è andata da lei. Ma vista l’ora
credo che ormai stia per tornare.-
La palla era sull’erba davanti a lui, pronta per essere
infilata nella rete. I compagni stavano uscendo dal campo esausti,
sulla panchina Amy e Julian non c’erano più. Era
rimasto solo, libero di calciare palloni senza nessuno a tampinarlo e a
chiedergli perché fosse ancora lì. Senza Jenny in
giro, senza Gentile nei paraggi. La vista di lei insieme
all’italiano gli era divenuta insopportabile. La vista di lei
insieme a Mark lo stava facendo andar fuori di testa. E a coronare il
tutto c’era lo sguardo beffardo di McFay che gli balenava di
continuo nella mente.
In quell’ultimo anno e mezzo le cose erano andate veramente
di merda. McFay aveva distrutto tutto ciò che lui e Jenny
avevano costruito insieme. Aveva disintegrato la loro storia, fatto a
pezzi le loro vite mandando tutto a puttane. Sollevò il
viso, fissò la rete con insistenza, finché lo
sforzo non gli offuscò la vista. Allora la figura di David
si materializzò tra i pali fissandolo sogghignante. Philip
scagliò un bolide al centro della porta, senza riuscire a
farlo sparire. Calciò un’altra pallonata, lo prese
in pieno petto ma la sua espressione di strafottente
superiorità gli rimase incollata in faccia. Rideva di
ciò che aveva fatto a Jenny, rideva di come era riuscito a
passarla liscia. Per come lo aveva preso per il culo a Kyoto, con quel
tentativo di stringergli la mano al momento del commiato. Per come suo
padre aveva pagato il silenzio suo e di Jenny con un vergognoso
assegno. Ogni singolo episodio che non era riuscito a dimenticare gli
passava in rassegna nella testa mentre calciava un pallone dietro
l’altro infondendo a quei tiri disperati tutta
l’energia che aveva in corpo. Quel maledetto stronzo era
lì, al centro dei pali. Lo vedeva, continuava a vederlo. Ce
l’aveva davanti agli occhi e non se ne andava.
Seguitò a tirare palloni addosso a McFay e quando non ne
ebbe più a portata di mano, li raccattò in giro
per l’area di rigore e ricominciò da capo. Rivide
il livido sul volto di Jenny, la sua paura, il suo dolore, la sua
sofferenza. Riprese a tirare, cercando di fissare la mente su quello
che stava facendo e non su ciò che stava ricordando.
Pensò che odiava McFay con tutte le sue forze, che per
quello che aveva fatto avrebbe voluto ucciderlo con le proprie mani,
che non meritava di restare impunito. Il dolore che aveva causato era
troppo grande, troppo profondo, imperdonabile. Le cicatrici che aveva
lasciato sarebbero rimaste indelebili per sempre. McFay doveva pagare,
in qualunque modo ma doveva pagare. E visto che Jenny aveva deciso di
non denunciarlo, impedendo alla giustizia di fare il suo corso, ci
avrebbe pensato lui. Forse quello era l’unico modo per uscire
dalla spirale dei sensi di colpa e ricominciare a vivere. Anche senza
Jenny, ma vivere davvero e non limitarsi a tirare avanti e basta, come
stava facendo da troppo.
Scagliò palloni contro la rete ininterrottamente, senza
riprendere fiato. Senza mai fermarsi. L’adrenalina gli
pulsava nel sangue, non sentiva la stanchezza. I suoi muscoli
guizzavano, i suoi nervi fremevano. Era sudato. Grondava sudore dalla
fronte, a volte gli finiva negli occhi facendoli bruciare. Allora si
passava una manica sul viso per detergerlo e poi ricominciava. La
maglia aderiva sulla schiena madida, il giacchetto della tuta era
finito a terra da tempo. Aveva perso il conto dei tiri in porta, ne
aveva fatti un’infinità. Ogni respiro gli bruciava
i polmoni, il cuore martellava nel petto e rimbombava nelle orecchie.
Sforzandosi di riprendere fiato, di non andare in iperventilazione, si
concentrò sulla palla. McFay era ancora lì, al
centro dei pali, a ridere di lui. Avrebbe continuato a tirare fino a
farlo scomparire, fino a sfinirsi, finché le gambe non lo
avrebbero più retto e sarebbe crollato, smettendo finalmente
di averlo davanti agli occhi.
*
Jenny finì di misurarsi la febbre e allungò il
termometro a Mark, in attesa accanto al letto.
-Ecco, non ce l’ho. È da dopo pranzo che non ce
l’ho e mi sento benissimo.-
-Impossibile.- lui agitò il termometro -Forse è
caduto e si è rotto.-
-Funziona perfettamente.- Jenny accennò ad alzarsi.
-Dove vai?-
-In bagno. O devo farla qui?-
Mark ringhiò qualcosa mentre lei usciva, poi
approfittò della sua assenza per infilarsi il pigiama. Era
impossibile che la febbre di Jenny si fosse volatilizzata, a meno che
il medico della nazionale italiana non le avesse dato qualche
antibiotico bomba dall’effetto lampo. Si fermò
dov’era, una gamba sollevata a sfilarsi un calzino. Quanto
era affidabile il medico della nazionale italiana? E se avesse
imbottito l’esile corpo di Jenny delle stesse medicine che
appioppava ai calciatori, stordendola con una dose massiccia di
farmaci? Adocchiò una scatolina sul comodino, si
sfilò il calzino, lo gettò a terra davanti
all’armadio e corse a controllare. Erano delle bustine.
Tirò fuori il foglio con le indicazioni terapeutiche e si
sforzò di leggere e comprendere quei termini impossibili.
Alla terza riga lasciò perdere e cercò di
ripiegare il pezzo di carta che da minuscolo com’era si era
trasformato in un lenzuolo. Perse la pazienza e lo
accartocciò alla meno peggio, ficcandolo a forza nella
confezione. Dopodiché decise di smettere di preoccuparsi.
Patty era rimasta con Jenny tutto il pomeriggio. Patty era
un’esperta. Stava insieme a Holly da una vita e aveva
imparato a gestire la somministrazione di analgesici fin dalle medie.
Sicuramente era stata attenta.
Tese le orecchie, in casa non udì alcun rumore. Si
affacciò alla porta. Jenny era ancora in bagno?
Avanzò di soppiatto nel corridoio e sentì
scorrere una gran quantità d’acqua.
Quell’incosciente stava facendo la doccia. Voleva forse che
la febbre le risalisse? In sordina tornò indietro e si
gettò sul letto. Gamo l’aveva massacrato. Certo,
aveva fatto sputare sangue a tutta la squadra, ma a lui in particolare.
Non gli aveva concesso neppure la pausa. Quando aveva provato a
fermarsi, il mister gli aveva fatto presente chiaro e tondo che
rispetto ai compagni aveva riposato già due ore, quelle del
ritardo. La pausa non gli spettava. Con un diavolo per capello era
tornato in campo e non ne era più uscito fino alla fine
degli allenamenti. Era rientrato negli spogliatoi, aveva preso la borsa
e se n’era andato senza neppure la forza di lavarsi, parlando
con Jenny al cellulare. Aveva trovato Patty sulla porta che stava
andando via. Aveva lasciato la borsa sportiva sul pavimento
dell’ingresso e l’aveva accompagnata fino alla
fermata dell’autobus. Poi era tornato a casa e aveva pescato
Jenny in cucina a trafficare con i fornelli per preparagli la cena.
L’aveva rispedita a letto e si era arrangiato con un panino.
Udì la porta d’ingresso aprirsi e si
pentì di non essere sceso prima a recuperare la borsa
sportiva rimasta nell’ingresso. Poi si diede
dell’imbecille. Era inconcepibile che non fosse
più libero di girare in casa sua. Nonostante la
stanchezza imboccò le scale e scese di sotto, fermandosi
davanti a Daisy che si sfilava le scarpe e poi il cappotto. Quando ebbe
finito alzò gli occhi e lo guardò.
-Non hai cenato in hotel con la squadra?-
-No, ero stanco e ho preferito tornare a casa.-
-Come sta Jenny? La febbre è scesa?-
Mark cercò di capire se la sua preoccupazione fosse genuina
ma Daisy era rischiarata dall’unica luce accesa nel corridoio
del piano di sopra e nella penombra non fu in grado di decifrarne
l’espressione.
-Sta meglio. Siete riusciti a recuperare il nullaosta di Aoi?-
-Sì, Aoi è a posto. Domani andiamo a prendere il
tuo.-
Gli sorrise con un calore che lo mise a disagio e lo fece
indietreggiare di un passo. Recuperò la borsa sportiva e
strinse i manici tra le dita.
-Immagino che sarà stanca.-
-Non troppo. Se pensi che…-
-Mark?- la voce di Jenny lasciò Daisy con la frase a
metà.
Era in cima alle scale, il corpo ancora umido avvolto dal telo da
bagno, i capelli tenuti su da un fermaglio.
-Mark, non vieni a letto?- miagolò -È tardi.-
La sua espressione, l’abbigliamento succinto, le parole ma
soprattutto quell’intonazione della voce, così
carica di sottintesi e aspettative fecero correre su per la schiena di
Landers un fremito d’imbarazzo. Gli venne la pelle
d’oca.
-Ecco, arrivo subito…- si sforzò di dire. La
fissò con un’occhiata di fuoco, finché
Jenny sparì dietro l’angolo.
-Sì, sta davvero meglio.- a Daisy sfuggì un
sospiro -Mark, la porta della mia stanza non si chiude.-
Lui finse di cadere dalle nuvole.
-Davvero?-
Con la coda dell’occhio scorse Jenny che, forse attirata
dall’argomento, si riaffacciava sulle scale. Si
sforzò di non guardarla e di concentrarsi sulla donna che
aveva davanti, a cui doveva praticamente tutto ciò che aveva
in quel momento, persino quella stanza con la porta divelta.
-La serratura è rotta, quasi fosse stata forzata. Sono
entrati i ladri?-
-Come se in questa casa ci fosse qualcosa di prezioso da rubare...-
Mark sollevò di scatto gli occhi e fissò Jenny
stranito. In quel momento aveva bisogno di tutto tranne che del suo
sarcasmo. La ignorò, sperando che capisse le sue belle
parole di poco prima erano state già abbastanza imbarazzanti
e adesso era arrivato il momento di togliersi definitivamente di
torno. Si rivolse a Daisy.
-Domani la farò riparare.- a chi poteva mettere in conto la
spesa? A Callaghan, per il quale aveva costretto Jenny ad andare alla
festa, o a Gentile, che era venuto a prenderla per portarla con
sé?
-Va bene, grazie.- la donna sollevò gli occhi su Jenny che
sembrava intenzionata a continuare a tener d’occhio Mark
-Bevo qualcosa e poi vado a dormire. Buona notte.-
Lanciando alla giovane uno sguardo carico di risentimento,
sparì in cucina.
Mark si affrettò a squagliarsela. Jenny era già
in camera.
-Sei entrato senza bussare. E se fossi stata nuda?-
Lui chiuse la porta con un colpo deciso e gettò la borsa da
una parte.
-“Non vieni a letto”?- le rifece il verso
indispettito -Non ti sembra di esagerare? Non potevi dire qualcosa di
meno impegnativo, tipo “non vieni a dormire”?-
-Tu mi ficchi la lingua in bocca davanti a tutti e poi ti scandalizzi
per una parola?-
-Non ti ho ficcato la lingua in bocca!-
-Soltanto perché mi sono tirata indietro!-
-Non lo avrei fatto lo stesso!-
Lei lo guardò e sospirò.
-Sono un’idiota. Invece di darti modo di sganciarti, avrei
dovuto lasciare che Daisy ti proponesse di infilarti sotto le sue
coperte.-
-Me ne sarei andato a dormire, che pensi? Sono distrutto!-
-Allora te ne saresti andato a dormire solo perché sei
distrutto.- lo provocò.
-Tu sogni.-
Si fissarono.
-Se ti volti mi metto il pigiama.-
Mark sbuffò ma si affrettò ad ubbidirle.
-Avete visto Philip?-
Evelyn lo cercava da un po’ ma non riusciva a trovarlo. I
ragazzi scossero la testa.
-Sarà in camera.-
-O avrà tagliato la corda come l’altra sera,
chissà.- borbottò Everett.
-E no! Se lo ha fatto ancora vado a protestare da Gamo!-
-Perché? Che te ne importa Clif?- chiese Winter conciliante.
-Non è che può andarsene tutti i giorni per i
fatti suoi e mollarci qui a romperci le palle mentre lui si diverte! Va
bene che è il capitano, ma non per questo ha il diritto di
svagarsi più di noi!-
-Ecco, mi pareva che fossi preoccupato per lui…-
Paul alzò gli occhi dal cellulare.
-Prima di cena era al campo ad allenarsi. Sarà stanco quanto
noi quindi non credo che sia uscito.-
Evelyn annuì.
-Anche perché non l’ho visto passare.-
Gli occhi di Bruce si socchiusero pieni di sospetto.
-Gli ronzi intorno da quando siamo arrivati! Che vuoi da lui?-
Evelyn lo scrutò.
-Non posso farci nulla se è il capitano e se alla redazione
del mio giornale vogliono un articolo con le sue dichiarazioni.-
-Inventatele. Visto il suo umore non riusciresti a cavargli niente.-
Amy li lasciò a bisticciare e raggiunse Patty, che sedeva
vicino a Holly in un gruppo di poltroncine poco distanti. Julian era di
fronte a loro e leggeva dei fogli, rendendoli partecipi degli appunti
su cui aveva lavorato quel giorno.
-Julian, hai visto Philip?-
-No…- rispose lui distrattamente -Neppure a cena.-
Patty si lasciò contagiare dall’ansia
dell’amica.
-è rimasto in camera?-
Julian scosse la testa.
-Non saprei. L’ultima volta l’ho visto al campo.-
-Dobbiamo trovarlo.-
Julian accantonò seccato i fogli e alzò gli occhi
su Amy.
-Perché?-
-Perché sono preoccupata. Non lo ha visto nessuno.-
-E allora? In questi giorni non è una presenza
particolarmente rilevante. Sarà salito in stanza a riposare.-
-Vai a controllare?-
Il ragazzo ubbidì di malavoglia, perché secondo
lui tutta quella preoccupazione era inutile. Philip in quel periodo era
in preda alle paturnie. A torto o a ragione gli giravano sempre per cui
era meglio non solo lasciarlo perdere ma anche evitare di stargli
continuamente addosso. E lui che ci condivideva la stanza
l’aveva capito molto prima degli altri.
-Tre anni fa a Shintoku mi hai baciata mentre dormivo.
Perché?-
La luce era spenta, Jenny e Mark erano sdraiati ben distanti, ognuno
nella propria parte di letto. Lei aspettò in silenzio una
risposta, scandendo il tempo con il ritmo del battito del proprio
cuore. Dall’altro lato del materasso non provenne alcun
rumore, non udì neppure il suo respiro. Quando
reputò di aver atteso abbastanza, insistette.
-Perché mi hai baciata, Mark?-
-Perché la Farrell non mi ha lasciato scelta.-
-Non qui. A Shintoku.-
Il buio nascose l’espressione irritata di Mark. Si chiese
come lo avesse saputo, chi glielo avesse detto e perché il
suo scomodo segreto fosse venuto a galla a distanza di così
tanto tempo. Non se l’era spiegato quel giorno, il
perché di quel comportamento, tanto meno riusciva a farlo
adesso, dopo un tempo così lungo in cui aveva cercato di
dimenticare quell’assurdo gesto. Era stata una reazione
insensata, stupida e istintiva che non aveva avuto nessun significato
se non quello di rischiare che qualcuno lo vedesse, come infatti era
successo. Ma chi lo aveva beccato?
-Mark?-
Fremette di stizza per l’ignoto ficcanaso,
l’ostinazione di Jenny gli diede sui nervi. Non voleva
risponderle, non sapeva cosa dirle. Quella era una storia vecchia,
abbandonata, dimenticata. Si tirò la coperta fin sulla testa
e si girò dall’altra parte, dandole le spalle.
-Sono stanco, lasciami dormire.-
-Domani te lo chiederò di nuovo.-
-Buona notte.-
Jenny sbuffò e protestò, strattonando con forza
le coperte. Mark l’aveva baciata a tradimento e lei aveva
tutto il diritto di chiedergli perché lo avesse fatto. Lui
invece si censurava. Si comportava in modo insensato e poi non voleva
parlarne. La luce della strada filtrava attraverso le persiane e il
chiarore arancione dei lampioni le permetteva di distinguere la macchia
scura dell’abito da sera appeso all’anta
dell’armadio. Chiuse gli occhi e si sforzò di
dormire, ma aveva riposato tutto il giorno e la sua mente era vigile e
reattiva. Per quanto ci si impegnasse, non riusciva a prendere sonno
mentre sprazzi di pensieri e di ricordi le invadevano la mente. Le sale
luccicanti del palazzo della festa, la conversazione con il giornalista
a bordo campo, le parole di Benji al banco del bar, la ragazza dai
capelli del colore del rame e lo scontento di Gentile quando
l’aveva individuata anche lui. La foto di David sul giornale
e il calore di Philip quando l’aveva stretta tra le braccia,
i due ricordi più vividi di tutti, tanto insopportabile
l’uno quanto piacevole l’altro. Non
riuscì a immaginare come fosse finita lì quella
rivista, perché fosse aperta proprio in quella pagina.
Philip l’aveva sicuramente vista, chissà cosa
aveva pensato. Per quanto la riguardava, non credeva che ritrovarsi di
nuovo davanti la faccia di David le avrebbe procurato quella vertigine
di ricordi. Pensava di aver superato il trauma, di averlo cancellato
dalla testa. Il suo pensiero per giorni, settimane, non
l’aveva più sfiorata mentre la sera prima era
bastato posare un istante gli occhi sulla sua foto per tornare preda di
ricordi e sensazioni che voleva aver dimenticato, che era convinta di
aver sepolto. Affondò il viso nel cuscino, cercando di
nascondere a Mark il respiro concitato e i battiti incontrollabili del
cuore. Perché non era riuscita a fare finta di niente? A
ignorare quei maledetti occhi verdi? Era solo una foto, una stupida
foto! Cosa sarebbe successo se un giorno le fosse capitato di
incontrarlo di persona al ryokan?
L’hotel ormai era suo ed era libero di soggiornarci a
piacimento. E visto che le cose stavano così, se voleva
evitarlo non avrebbe più dovuto mettere piede a Shintoku
pure se una simile prospettiva le era intollerabile. Al ryokan aveva
trascorso buona parte della sua infanzia e a quell’edificio
erano legati tantissimi ricordi, le scuole elementari, le estati
passate con i nonni, le vacanze con gli amici, Philip che le chiedeva
di sposarlo. Le lacrime bagnarono il cuscino. Avrebbe dovuto cancellare
Shintoku dalla sua esistenza e non tornarci mai più.
-Philip?-
Gli sembrò di udire la voce di Jenny e si riscosse. Strinse
i pugni e afferrò l’erba. Si puntellò
sui gomiti per tirarsi su ma i muscoli delle spalle bruciarono e quelli
delle gambe reagirono con fitte insopportabili. Tollerò il
dolore serrando i denti.
-Philip, cos’hai? Stai bene?-
La voce tornò a farsi sentire. Aveva sbagliato, non era
Jenny, era Amy. Venne strattonato con forza e gemette.
-Se si lamenta significa che è ancora vivo.-
-Appunto per questo non devi fargli male, Julian.-
-Non gli sto facendo male, lo rimetto in piedi. O vuoi lasciarlo qui?-
Holly sospirò.
-Sono appena tornato e già ricominciano i casini.-
Philip riuscì a far forza sulle braccia. Si
puntellò sull’erba e qualcuno lo sostenne mentre
si tirava in ginocchio. Aveva la percezione che il suo cervello si
fosse momentaneamente scollegato dalla bocca. Non riusciva ad
articolare le parole e ad ogni respiro la gola riarsa bruciava. Aveva
bisogno di bere, chissà se gli avevano portato
dell’acqua. Avrebbe voluto chiedere a Holly di che casini
stesse parlando, visto che bene o male quel giorno era filato tutto
liscio. Né litigi, né infortuni, né
conferenze stampa interrotte a metà. Forse
c’entrava il suo nullaosta, forse glielo avevano rifiutato.
Quello sì che era un casino, lui non voleva essere il
capitano.
-Alzati Philip…- lo sollecitò Julian vedendolo
esitare.
Il ragazzo si massaggiò un polpaccio. Che cazzo era tutta
quella fretta? Si trovava al campo da almeno due ore e adesso che erano
arrivati loro doveva sbrigarsi! Un attimo di calma, porca miseria! Era
a pezzi e gli ci voleva tempo. Quando la fitta si fu attenuata, si
passò una mano sul viso cercando di mettere a fuoco il buio
che lo circondava. In quello stesso istante una luce bianca gli
guizzò in faccia. Si riparò gli occhi, per
metà accecato.
-Se non ce ne andiamo va a finire che ci chiudono dentro.-
-Ecco brava Patty, vai al cancello e fai in modo che non succeda.- la
esortò Amy.
Philip sentì i passi di qualcuno che si allontanava.
-Stai bene?-
Era di nuovo Amy, preoccupatissima.
-Sì, sto bene.-
Si tirò su ma vacillò e Holly lo
afferrò.
-Non tanto, mi pare.-
-E adesso che facciamo?-
-Che vuoi fare, Amy?- Julian era nervoso -Lo portiamo in camera
cercando di non farci beccare. Perché se Gamo o Marshall lo
vedono ridotto così, rischiano l’infarto.-
-Mi dispiacerebbe per Marshall…- ammise lei -È
sempre così gentile.-
Quando si mossero Philip barcollò. Aveva i muscoli talmente
contratti dallo sforzo, che all’inizio non riuscì
quasi a camminare. Julian non mancò di rimproverarlo.
-Sono giorni che in campo non fai un cazzo e oggi ti massacri. Che
accidenti t’è preso?-
Philip non reagì al rimprovero ma si volse indietro, verso
la porta. L’oscurità della notte nascondeva
persino il bianco dei pali.
-Almeno non lo vedo più.-
-Non vedi più chi?- gli chiese Amy.
-McFay.-
Quel nome spuntato all’improvviso tra loro senza motivo li
gelò. Ad Amy per un istante si bloccò il respiro.
Né lei né nessun altro si preoccuparono di
cercare di capire, nessuno ebbe il coraggio di fiatare.
Sostenuto da Holly e Julian ai lati, Philip avanzò
barcollando, ubriaco di stanchezza, completamente sfinito. Sentiva le
gambe molli, la nebbia gli offuscava la vista.
Le luci del campo erano spente e il vialetto era illuminato a tratti
dai fari delle macchine che percorrevano la strada. Amy aveva acceso la
torcia del cellulare e li precedeva con quella. Patty li aspettava al
cancello.
Philip proseguì affidandosi ai compagni perché
era una fatica insostenibile persino guidare i propri passi.
Inciampò in un gradino, le gambe gli si piegarono e furono
Julian e Holly a sostenerlo. Si introdussero nell’hotel da un
ingresso sul retro, lo stesso che poco prima aveva sfruttato Benji per
tagliare la corda e darsi alla pazza gioia con Gentile in qualche
locale di Torino. Salirono a piedi. Le scale d’emergenza
erano deserte ma si affrettarono lo stesso e, giunti al quinto piano,
Philip aveva il fiato corto e non ce la faceva più. Patty
tirò la pesante porta antincendio e si affacciò
nel corridoio. La via era libera.
Julian si frugò nella tasca posteriore dei pantaloni e fece
scorrere la card nel lettore. La lucina della serratura divenne verde,
spalancò la porta e s’infilò dentro
trascinando Philip con sé nel buio della camera. Lo
lasciarono sedersi sul letto, mentre Amy accendeva la luce di un
abatjour.
-Ti ha dato di volta il cervello, Philip? Come hai potuto ridurti
così?-
Lui sollevò il viso, i suoi occhi scintillarono blandi in
quelli di Julian.
-Mi stavo allenando. È quello che fa un capitano, no?-
-Non fino a sfinirsi. Imbecille!-
-Quando te la riprendi questa maledetta fascia, Holly?-
-Se potessi anche subito!-
Amy lanciò un’occhiata timorosa alle pareti.
-Abbassate la voce o vi sentiranno.-
-E soprattutto non mettetevi a litigare.- intervenne Patty -Non
è il momento e non è il caso. Philip ha bisogno
di riposare, e anche tu Holly.-
Lui annuì. Non aveva né la forza né la
voglia di mettersi a discutere. Era molto meglio andare a dormire.
Dei colpi secchi alla porta li fecero sobbalzare. I ragazzi si
guardarono indecisi. Avrebbero voluto far finta di niente ma
l’insistenza che proveniva dal corridoio spinse Amy a
reagire.
-Julian, vedi chi è e mandalo via.-
Non fu così facile. Peter Shake si fece strada nella stanza
prima che Ross riuscisse a scacciarlo.
-Devo parlare con Philip.-
Gli bastò vedere tutta quella gente intorno al compagno per
rendersi conto che qualcosa non andava.
-Che succede?-
I suoi occhi si posarono su Philip. I capelli gli ricadevano spettinati
ai lati del viso, intorno alla fronte e sulle tempie erano divisi in
ciocche dal sudore. Era pallido, spossato, aveva gli abiti sporchi e in
disordine.
-Che fine hai fatto? Ti ho cercato per tutta la sera.-
-Ero al campo.-
-A fare cosa?-
-Ad allenarmi.-
-Da solo?-
-Non posso?- una luce di fastidio gli balenò nello sguardo.
-Non pensavo che allenarsi fosse una delle tue priorità.-
Philip strinse i pugni. Non ne poteva davvero più della loro
ironia. D’accordo, non voleva essere il capitano, ma era
lì per giocare. L’indomani lo avrebbe messo in
chiaro una volta per tutte. Evitò di rispondergli, la
stanchezza era troppa. Desiderava solo dormire fino alla mattina
successiva, ma Peter non aveva ancora finito. Dopo l’ironia
arrivò il sospetto.
-L’hai fatto di nuovo?-
Philip sollevò di scatto il viso, in preda ad una rabbia
cieca. Si sforzò di mantenere il controllo.
-Sono stanco, ne parliamo domani.-
A Peter sfuggì una risata sarcastica.
-Non sarà la strada che hai scelto a risolvere i tuoi
problemi.-
-Falla finita!- Philip si tirò su a fatica, rigido come un
dolmen. Attraversò la stanza senza guardare nessuno e si
chiuse in bagno.
-Peter?- Holly lo fissava e non era l’unico
-Cos’è che avrebbe fatto di nuovo?-
-Quale strada?- gli andò dietro Amy, rosa dalla
curiosità per il dialogo che si era appena svolto e di cui
non aveva colto il senso.
Shake si censurò. Certo, era furioso con Philip. Potendo lo
avrebbe insultato, lo avrebbe preso a pugni ma mai e poi mai lo avrebbe
messo nei guai con il resto della squadra. Scosse la testa e
fuggì con la coda tra le gambe, premurandosi di chiudere la
porta.
Amy non riuscì a capacitarsi.
-Non è che Philip ha qualche problema e noi non lo
sappiamo?-
-Sappiamo benissimo qual è il problema di Philip.-
-Intendevo di salute…-
Holly scosse la testa.
-Siamo tutti sotto costante controllo medico. Lo avremmo saputo.-
respirò a fondo -Adesso vado a dormire, visto che domani
mattina dovrò sicuramente incazzarmi presto.-
Patty rise, lo prese per mano e lo portò via.
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Capitolo 14 *** Tredicesimo capitolo ***
Tredicesimo capitolo
A Philip quella mattina prese un colpo quando Mark arrivò al
campo addirittura in anticipo. Mentre varcava la porta degli spogliatoi
insieme agli altri, lo vide percorrere il vialetto di gran carriera
calpestando la ghiaia zuppa della pioggia caduta durante la notte. La
Farrell non aveva ancora traslocato e la puntualità di quel
demente rischiava di mandare a puttane il suo piano così ben
congegnato.
Freddie gongolò di felicità.
-Buongiorno Mark! Puntualissimo stamane!-
Il ragazzo rispose al saluto con un cenno strascicato e raggiunse i
compagni soffocando uno sbadiglio. Come poteva non arrivare puntuale?
Jenny aveva passato l’intero giorno precedente a casa a fare
la spola tra il letto e il divano. Riposata e fresca come una rosa, si
era agitata nel letto per tutta la notte e quando ad un certo punto,
insonnolito e furente, le aveva intimato di starsene tranquilla, lei si
era alzata e aveva lasciato la stanza. Mark non sapeva che ora fosse,
sapeva solo di essere risprofondato all’istante nel sonno. Ma
dopo un tempo che gli era sembrato brevissimo aveva sentito Jenny
rientrare in camera. Aveva lanciato un’occhiata alla sveglia
sul comodino che segnava le cinque passate. Il fastidio di essere stato
svegliato di nuovo lo aveva innervosito e così non era
riuscito a riaddormentarsi. Alle sei e mezza si era alzato, aveva
lasciato Jenny sotto le coperte ed era sceso in cucina, dove aveva
trovato ad aspettarlo una succulenta colazione. Quando lei
l’aveva raggiunto poco più tardi, si era ben
guardato dal ringraziarla di tanto bendiddio, nervoso com’era
per essere stato svegliato all’alba. Però aveva
spazzolato tutto, invasato da una fame cieca, mostrando di gradire.
Jenny lo aveva salutato con un sorriso stiracchiato, gli occhi
cerchiati dal sonno, più stanca di quando era andata a
dormire. Aveva osservato soddisfatta i piatti vuoti e quando lui aveva
tentato di rispedirla di sopra, aveva fatto finta di non udirlo e aveva
cominciato a radunare le stoviglie per rassettare la cucina. A quel
punto Mark l’aveva trascinata a forza in camera ordinandole
di infilarsi una buona volta sotto le coperte e di rimanerci fino a
sera.
-Buongiorno Landers.- lo salutò Clifford con un ghigno -Come
mai in perfetto orario? Jenny t’ha buttato giù dal
letto?-
Mark ringhiò un insulto. La prima volta che Yuma si era
permesso di fare una battuta su Jenny lo aveva mandato a quel paese, la
seconda gli era saltato al collo. Cos’altro gli restava per
fargli passare l’abitudine di accoglierlo in quel modo? Una
serie di invettive e di minacce gli intasarono il cervello ma non ebbe
il tempo di pronunciare neppure mezza parola. Uno schianto lo fece
voltare di scatto. Tutti gli sguardi si posarono stupiti sulla mano di
Philip ancora premuta con forza contro lo sportello di metallo di un
armadietto. I suoi occhi emanavano lampi.
-Mi avete già stancato, vedete di finirla.-
sibilò tra i denti.
Clifford ammutolì di colpo davanti a quello sguardo
così velenoso e carico d’astio. Ma non fu
l’unico a zittirsi. Nello spogliatoio il volume degli
schiamazzi si abbassò sensibilmente e Philip finì
di cambiarsi nel quasi più assoluto silenzio. Gli rodeva
tantissimo, così tanto che avrebbe voluto sfasciarlo,
l’armadietto. Landers era un demente! Per indurre Gamo e
Marshall a trovare per Daisy una stanza in hotel aveva gettato al vento
la propria dignità, il proprio orgoglio. Per liberarlo da
quell’ospite sgradita s’era praticamente
prostituito. Aveva dovuto riprendersi la fascia, sorbirsi il cazziatone
di Benji. E come lo ringraziava Landers? Presentandosi puntuale proprio
il giorno in cui, più di tutti gli altri, sarebbe
dovuto arrivare in ritardo. Che gli prendesse un colpo!
Quella mattina oltre all’irritazione, al nervoso, allo
scontento e al consueto cerchio alla testa, Philip era anche
irrimediabilmente stanco. Durante la notte non aveva chiuso occhio, i
muscoli delle gambe avevano pulsato atrocemente fino a rendergli
dolorosissimo restare disteso sotto le coperte. Aveva dormicchiato
sì e no un paio d’ore e si era alzato
così distrutto che gli ci era voluto un tempo infinito per
lavarsi e vestirsi. Si era presentato nella hall tremendamente tardi e
non aveva avuto il tempo di fare colazione.
Mark si attardò negli spogliatoi occhieggiando a tratti
Philip che, da come si muoveva, sembrava avere un macigno di una
tonnellata a gravargli sulle spalle. Si chiese quanto lui stesso avesse
contribuito ad aumentarne il peso. Eppure, nonostante questo pensiero,
non riuscì a sentirsi in colpa. Era sicuro che il
comportamento dell’amico c’entrasse non poco con la
fuga di Jenny dal Giappone e quindi provava nei suoi confronti una
stizza senza fine. Aspettò che i compagni defluissero tutti
verso il campo, poi si fermò ad attendere Holly che faceva
la spola avanti e indietro tra i bagni e gli spogliatoi parlando al
cellulare con l’allenatore del Barcellona. Van Saal sembrava
finalmente essersi deciso a sbloccare il nullaosta ma da quel poco che
aveva capito, gli stava imponendo una serie infinita di condizioni.
Quando Holly riagganciò il telefono e lo ripose
nell’armadietto non sembrava per niente soddisfatto. A Mark
non interessò chiedergli notizie. Quello di Holly era un mal
comune che purtroppo condivideva e di cui non voleva parlare.
-Ti avverto. Se Yuma anche domani mattina mi saluta così, lo
prendo a pugni fino a rifargli i connotati e renderlo decente. E mi
ringrazierete per avervi tolto una buona volta quel mostro da davanti
agli occhi.-
L’amico sospirò, per metà divertito e
per metà irritato da una prospettiva tanto violenta.
-Se lo fa è proprio un cretino, rischierebbe doppio. Sono
sicuro che anche a Philip prudono le mani e ha una voglia matta di
dargli una ripassata. Spero che la sua reazione sia stata sufficiente a
fargli passare la voglia di sparare battute idiote.-
-Che ha stamattina?-
-Yuma?-
-No, Philip.-
-Stamattina niente, dovevi vedere ieri sera…-
La faccia di Mark si trasformò in un enorme punto
interrogativo.
-Che ha combinato stavolta?-
-Ieri ha saltato la cena ed è rimasto ad allenarsi per ore.-
-Bene! Finalmente s’è reso conto che in campo sta
facendo schifo!-
-Bene un cavolo! È stramazzato di stanchezza. Julian ed io
l’abbiamo riportato in camera di peso.-
-Che deficiente! È chiaro che non regge più i
ritmi. Forse è meglio se lascia perdere.-
Holly lo guardò.
-Se lascia perdere cosa? Il calcio?- sembrava sconvolto -Non posso
credere che lo pensi davvero.-
-Non lo penso infatti. Ma in questo momento mi sta così sul
cazzo che potrei dirgli anche di peggio!-
Holly lo precedette verso la porta sospirando.
-Stamattina sta meglio, ti pare?-
-A me sembra incazzato e nervoso come al solito.-
-Sicuramente aveva bisogno di un po’ di riposo. Julian dice
che non dorme abbastanza.-
-Ma se l’altra sera in camera di Amy è crollato
come un neonato!-
-Vallo a capire.- erano fermi sulla soglia, Holly lo fissò
-Tu lo capisci?-
-No, ci ho rinunciato da un pezzo. E se proprio dovessi decidere di
provare a capire qualcuno, mi piacerebbe sapere che diamine
s’è messa in testa di fare Jenny con quel coglione
di Gentile!-
Philip cadde come una pera matura ad un passo dalla porta di Ed.
Neppure si accorse di perdere i sensi. Si ritrovò
semplicemente a terra, la faccia sull’erba ancora umida, voci
che lo chiamavano da lontano così confuse da non
distinguerne le parole. Poi non udì più nulla.
Quando riaprì gli occhi era disteso a terra a bordo campo,
vicino alle panchine. Si passò una mano sul viso e
aprì e chiuse le palpebre un paio di volte. La faccia di
Gamo prese forma sullo sfondo del cielo azzurro. Torreggiava su di lui
e non fu un bello spettacolo, tanto che per un attimo prese in
considerazione l’eventualità di chiudere gli occhi
di nuovo. Fu solo la voce di Amy a spronarlo a scuotersi dal
rincoglionimento. Girò la testa e la vide,
dall’altro lato. Gli passò qualcosa di bagnato sul
viso, forse era stato proprio quel contatto a fargli riprendere i
sensi. Si tirò su di scatto, una fitta dolorosissima gli
attraversò il cervello.
-Che è successo?-
Amy lo scrutò ansiosa.
-È successo che sei svenuto.-
-Impossibile!-
Dall’altro lato il volto di Gamo era una maschera di
preoccupazione.
-Philip, che accidenti ti è preso?-
-Niente, sto bene…- si guardò intorno, il dottor
Hills, il medico di squadra, stava accorrendo con la valigetta del
pronto soccorso. Seppe che non ne aveva bisogno. Si puntellò
a terra per mettersi in piedi ma Gamo gli mise una mano sulla spalla e
lo bloccò seduto, spingendolo giù.
-Non ti muovere.-
-Ma io…-
-Non azzardarti a muoverti!-
Hills si inginocchiò al suo fianco.
-Cos’hai? Ti senti male?-
Philip scosse la testa.
-Stamattina non ho fatto colazione, deve essere quello.-
-Perché non hai mangiato?-
-Mi sono svegliato tardi e non ho fatto in tempo.-
Hills e Gamo si scambiarono un’occhiata.
-Ti misuro la pressione.- gli lanciò un’occhiata
mentre gli arrotolava sulla spalla la manica della maglia. Poi avvolse
il manicotto di velcro intorno al braccio.
Philip lo lasciò fare, la testa gli girava e gli faceva
male. Vide Patty avvicinarsi con una bottiglietta di plastica in mano,
Daisy spuntare oltre la schiena di Gamo e guardarlo curiosa.
Il manicotto si strinse dolorosamente attorno al braccio di Philip,
mentre Hills guardava il manometro.
-È bassa, Philip. Troppo bassa.- il medico ripose gli
strumenti nella borsa e si mise in piedi -Riprenderai gli allenamenti
nel pomeriggio, dopo aver pranzato come si deve.-
-Non mi pare proprio il caso! Sto bene e…-
-Philip!- lo zittì Gamo brusco -Fammi il favore di
non contestare le decisioni del dottore!-
-Non sto contestando niente, sto facendo presente che sto bene!-
-Ah sì? Cosa ne sai? Sei un medico? E da quando? Siediti in
panchina e restaci!- gli lanciò un’occhiata tale
che il ragazzo capitolò d’un botto.
Dopodiché Gamo si allontanò con Hills,
continuando a parlare di lui.
-Ieri ti sei stancato troppo.-
Philip spostò lo sguardo su Patty che gli allungò
una bottiglietta di bevanda energetica, piena di sali minerali e
zuccheri. Non rispose, che poteva dirle? La prese e si tirò
su in piedi. Nella testa sentì un vuoto e non fu
più così sicuro di stare bene. Per sicurezza
guadagnò le panchine e si sedette. Non voleva finire di
nuovo a terra sotto gli occhi di tutti. Di tutti…
lanciò un’occhiata al campo e si accorse con
fastidio di essere oggetto della curiosità di gran parte dei
compagni. Avevano persino interrotto il gioco per non perdersi nulla.
-Che state facendo? Perché non vi allenate?-
Spostò lo guardo sulla recinzione e sui giornalisti che
l’affollavano. Vederlo crollare in campo doveva essere stato
uno spettacolo interessante, da scriverci un buon pezzo. Sarebbe finito
su tutti i giornali, su ogni sito web. Come la foto di Holly svenuto ai
piedi di Rivaul il giorno del suo arrivo a Barcellona che aveva trovato
su internet. Guardò Evelyn e il cellulare che teneva
abbandonato tra le mani.
-Io non ti ho fotografato.- si tirò indietro lei che non
aveva neppure formulato l’idea. Quando lo aveva visto
afflosciarsi senza un motivo, senza essere stato spinto e senza aver
inciampato, le era preso un colpo.
La pausa che Gamo fischiò di lì a poco non gli fu
d’aiuto. I compagni gli si affollarono intorno, stordendolo
con la loro preoccupazione. L’unico a tenersi alla larga fu
Mark, in tutt’altre faccende affaccendato. Di Philip in quel
momento non gli fregava nulla. Aveva troppa fretta di approfittare
della pausa per chiamare Jenny e avere notizie. Provò e
riprovò ma lei non rispose e alla fine fu costretto a
lasciar perdere.
Daisy gli si avvicinò così silenziosamente che
bastò la sua voce a farlo sobbalzare.
-Dov’è andata Jenny stanotte?-
Si volse confuso e riuscì soltanto a rifarle l’eco.
-Stanotte?-
-L’ho sentita uscire verso le undici e tornare alle cinque
passate.-
-Non è possibile, sta male.-
-Non troppo direi. Una macchina grigia l’aspettava davanti
casa per portarla chissà dove.- lo fissò
divertita dal suo sconcerto -Dormite insieme e non ti sei accorto che
è uscita?-
Mark sussultò. Non c’era bisogno che
l’intera nazionale sapesse che lui e Jenny dividevano lo
stesso letto. Tanto meno c’era bisogno che lo ricordasse a
Philip. Gli lanciò un’occhiata colpevole, ce
l’aveva così vicino che non aveva potuto non
udire. Eppure niente del suo atteggiamento tradiva collera o fastidio.
Mark si sforzò di nascondere il disagio, nonché
il nervoso di aver scoperto di essere stato beffato. Certo, aveva
sentito Jenny muoversi nel letto almeno un paio di volte, ma era
crollato di stanchezza. Come avrebbe potuto notare il suo viavai? E
perché Daisy invece se n’era accorta? Ma il
problema non era questo. Il problema era dove diavolo fosse andata. E
poi con chi? Gentile aveva la Giulietta rossa, Carol un pandino blu.
Chi poteva essere passato a prenderla ad un’ora
così tarda? I suoi occhi inquieti si posarono su Philip che
sedeva taciturno in panchina e giocherellava nervosamente con la
bottiglietta ormai mezza vuota che teneva tra le mani.
Incrociò il suo sguardo in cerca di una risposta che
l’altro non avrebbe mai potuto dargli e, per un istante, un
sentimento molto simile li avvicinò.
-Non ne so niente.- replicò brusco mettendo fine al dialogo
con Daisy. Corse in campo a sfogare il nervoso sulla palla e
possibilmente anche sugli stinchi di Clifford, perché Mark
era uno che non dimenticava facilmente. Per quanto riguardava Jenny,
quella sera avrebbe dovuto spiegargli un sacco di cose.
Philip rimase in panchina ad annoiarsi da morire per tutta la seconda
tranche di esercizi. L’ordine di Gamo era stato una beffa.
Perché si era allenato così tanto la sera prima
se adesso non poteva giocare? Ma il mister sembrava essersi preso un
bello spavento e non aveva voluto sentire ragioni. Così,
dopo la pausa, gli aveva proibito ancora una volta di unirsi ai
compagni. Non soltanto lo aveva confinato in panchina, ma lo
controllava da lontano, dai tavolini del bar, perché non si
fidava assolutamente di lui e temeva che si intrufolasse in campo non
appena gli avesse voltato le spalle.
Osservando gli amici che giocavano una partita, Philip notò
con rammarico che la sua assenza non pregiudicava gli schemi di gioco
né l’affiatamento della squadra. Non era un buon
segno. Forse stava davvero per lasciarsi sfuggire di mano il posto in
nazionale. Eppure non poteva permettersi di essere rimandato a casa,
come Gamo lo aveva minacciato di fare. Cosa ne sarebbe stato della sua
vita se avesse perso il calcio, ora che non aveva più
neppure Jenny? Un futuro simile era così tetro da
terrorizzarlo. Doveva assolutamente inventarsi qualcosa per correre ai
ripari. Magari poteva cominciare già dal bordo campo. Se gli
amici sopravvivevano alla grande senza che fosse fisicamente con loro,
che almeno tornassero a seguire le sue direttive! Era o no il capitano?
Si decise a seguire il gioco come finora non aveva mai fatto e quando
vide Warner allontanarsi dai pali per andare incontro a Julian che si
preparava a tirare in rete, saltò in piedi.
-Ed! Non azzardarti a uscire dalla porta!-
Il portiere sussultò e si volse a guardarlo. Nello stesso
istante Julian infilò la palla in rete. Mark esplose.
-Ed! Che diavolo fai? Dove accidenti guardi?-
-Guardo Philip, guardo! Mi ha fatto prendere un colpo! Sono giorni che
non sentivo la sua voce!-
-Non dare la colpa a me, Ed! Io non c’entro niente! Non eri
concentrato! Devi concentrarti sulla palla!-
Clifford si avvicinò.
-La botta ti ha fatto bene, Philip! A saperlo ti scaraventavo a terra
già qualche giorno fa!-
Il giovane non reagì allo scherno ma lo guardò
dall’alto in basso. Si era accorto che zoppicava ed era ora
di fargli rimangiare le battute su Jenny con cui aveva salutato Mark.
-Esci.-
-Come?-
-Ti ho detto di uscire.-
Yuma cambiò espressione. Stizzito gli gridò
addosso.
-Ma che vuoi? Perché invece di rompere le palle a chi si sta
dando da fare non torni a vegetare?- -Allora fai come ti pare Clifford.
La gamba è tua e se il dolore peggiora al massimo resti in
panchina durante la partita contro l’Italia.-
Di fronte a quella prospettiva Yuma capitolò. Raggiunse
sbuffando il bordo campo e si sedette a terra per tirare il muscolo
indolenzito.
-È solo un crampo.- si giustificò.
-Meglio per te.- Philip neppure si voltò. Soddisfatto di
averla avuta vinta senza sforzo, riprese a seguire il gioco facendo in
modo che i compagni non si dimenticassero di lui neppure per un
istante. Urlare contro di loro si stava dimostrando catartico, un
ottimo modo per sfogare il nervoso di essere bloccato in panchina.
Avrebbe dovuto pensarci prima, con le sue grida avrebbe rimesso in
sesto se stesso e la squadra già da un po’.
Accanto alla bandierina d’angolo Danny e Sandy presero a
litigare su chi dovesse rimettere in gioco. Ignorando i loro bisticci
Holly recuperò da terra il pallone e lo calciò
verso Rob. La discussione ebbe istantaneamente termine ma da quel
momento Winter e Mellow iniziarono a guardarsi in cagnesco e a
spintonarsi ad ogni occasione. E ogni volta che li coglieva a farsi i
dispetti, il nervoso di Philip cresceva a dismisura: alla fine risolse
il battibecco facendoli uscire entrambi. Cinque minuti di pausa da
trascorrere fianco a fianco in panchina gli sembrarono la soluzione
migliore per aiutarli a schiarirsi le idee. Li osservò
ignorarsi, poi Aoi arrancò verso il bordo campo per
concedersi un attimo di tregua.
-Non ce la faccio più…- piegato in due, le mani
sulle ginocchia, respirò a fondo finché il cuore
non rallentò i battiti -Mark non mi passa la palla! I tiri
in porta vuole farli tutti lui! Mi sono stancato di corrergli dietro.-
Philip spostò gli occhi sul campo pronto a rimproverare a
Landers la sua inguaribile fissa di segnare a Benji da fuori area. Gli
anni passavano e la testardaggine di Mark peggiorava. Gli
mancò il fiato quando vide il portiere prendere a urlare
contro Bruce qualcosa di incomprensibile e lui rispondergli a tono.
-Adesso anche voi! Che vi prende? Bruce, piantala!-
Evelyn gli si avvicinò.
-La nazionale sta andando a scatafascio. Va avanti così da
giorni, solo che finora non te n’eri accorto.- lui la
ascoltò esterrefatto -Se vuoi vincere contro Salvatore
Gentile, bisogna che ti svegli e dai una mano a Holly a sistemare
questa squadra.-
Philip tornò a guardare il campo. Evelyn aveva ragione,
nella nazionale giapponese qualcosa non andava. Non c’era
affiatamento, non c’era coordinazione, non c’era
niente di niente. Philip capì perché Gamo ne
stava uscendo matto. Anche se forse era troppo tardi per riacquistare
credibilità tra i compagni, qualcosa doveva farlo per forza
perché la partita contro l’Italia o meglio, come
aveva detto Evelyn, contro Salvatore Gentile, non voleva assolutamente
perderla!
Quando ordinò a Mark di passare il pallone a Rob, lui lo
ignorò e continuò ad avanzare verso Benji con
tutta l’intenzione di portare a termine l’azione da
solo. Ma il tiro non fu preciso e la palla finì fuori.
-Che t’avevo detto, Mark? Perché non hai passato
ad Aoi? Possibile che ancora non t’è entrato in
testa che una squadra è composta da undici persone?-
Landers ringhiò.
-Stai zitto Philip! Sei tu che porti sfiga!-
-Magari fosse così! Se potessi li manderei fuori tutti, i
tuoi tiri!-
Benji poco distante ridacchiò.
-Non ti conviene, sai Landers? Se davvero Philip potasse sfortuna, non
sopravvivresti un altro giorno!-
Gamo li osservava dalle panchine con un misto di incredulità
e commozione. L’improvviso risveglio del sostituto capitano
gli aveva colmato gli occhi di lacrime. Dal tavolino del bar lo
osservava camminare su e giù con il cronometro in mano lungo
la linea del bordo campo attentissimo al gioco. E i compagni, che fino
a quel momento si erano sforzati di far finta che non esistesse,
avevano ricominciato a dargli retta. Certo, se Gamo avesse avuto un
po’ più d’ascendente su di loro e anni
prima non si fosse inimicato l’intera nazionale con quella
storia degli allenamenti speciali e del Giappone Reale, le sue
direttive sarebbero state sufficienti a far filare tutto liscio. Invece
la maggior parte di ciò che diceva veniva puntualmente
contestato. Non apertamente, ovvio. Nessuno era così idiota
da dichiarargli esplicitamente guerra. Ma se lui diceva di correre sul
lato sinistro del campo, per istinto tutti si spostavano a destra e non
c’era niente da fare. Anni prima, Philip stesso aveva
impiegato quasi due settimane a capire che il nuovo mister della
nazionale giapponese dell’Under19 era il migliore disponibile
al momento, nonostante avesse dato a tutti dei pivelli al primo
incontro e le sue fissazioni per un tipo di preparazione che a fine
giornata li lasciava stremati. Gamo dalla panchina riusciva a vedere
pecche che sfuggivano addirittura a Holly, ma non era stato capace di
conquistarsi la fiducia dei ragazzi.
Per la prima volta Salvatore vide Philip in piena attività e
lo trovò parecchio migliorato. Sembrava quasi
un’altra persona. Il suo entusiasmo per questa metamorfosi
attirò l’attenzione di Dario e Matteo.
-Cosa stai guardando?-
-Callaghan. Avete visto? S’è svegliato tutto
insieme!-
-La cosa ti fa piacere?-
-Direi.- rise Salvatore, strizzando un occhio ai compagni -Non
c’è soddisfazione ad essere migliori di una
mummia!-
Seguendo i secondi che scorrevano sul display del cronometro e la palla
che volava attraverso il campo, Philip si impose di essere ragionevole
e accettare la prima verità assoluta. Era insensato provare
rancore nei confronti di Jenny perché aveva permesso a Mark
di baciarla. Avercela con lei per questo sarebbe stato come avercela
con lei perché McFay l’aveva violentata. Era
un’assurdità. Ed era
un’assurdità anche provare rancore nei suoi
confronti perché si trovava a Torino, da Mark.
Più che una coincidenza era un segno del destino di cui
doveva assolutamente approfittare, cominciando innanzitutto ad
accettare la presenza di Gentile al suo fianco. Dal momento che non
stavano più insieme, Jenny era libera di frequentare chi
voleva. O forse aveva pensato che sarebbe rimasta da sola per tutta la
vita? Per quale assurdo motivo, quando l’aveva lasciata,
l’eventualità che si sarebbe messa con qualcun
altro non gli era passata per la testa? Eppure lui lo aveva fatto,
aveva frequentato sporadicamente altre ragazze, tra cui Julie Pilar
più a lungo di tutte.
Seguendo con gli occhi la palla che filava stavolta verso la porta di
Ed, la sua attenzione venne catturata dallo sguardo azzurro di Gentile
puntato su di lui. Invece di allenarsi l’italiano lo
osservava curioso al di là della recinzione che separava i
due campi. Nell’istante in cui i loro sguardi si
incrociarono, a Philip sembrò addirittura di vederlo
sorridere. Era scherno, cos’altro? Forse l’aveva
visto cadere come una pera e aveva trovato la cosa divertente.
Caricò il proprio sguardo di tutto il risentimento che
provava nei suoi confronti e glielo scagliò contro.
L’italiano reagì a tanto astio ridendo
più forte. Sollevò una mano in un cenno di
saluto, si volse e tornò dai compagni.
Mentre Philip guardava Gentile, Peter osservava Philip e rifletteva sul
modo migliore di affrontarlo in un momento in cui gli sembrava
più ricettivo dei giorni passati. Ne aveva parlato con Grace
quella mattina, le aveva telefonato prima di raggiungere gli amici
nella sala della colazione. Le aveva raccontato ciò che era
successo la sera prima, che aveva trovato Philip stravolto, assistito
in camera da Holly, Julian, Patty e Amy. Grace lo aveva esortato a fare
qualcosa, anzi glielo aveva intimato, prima che le cose peggiorassero e
non fossero più recuperabili. La situazione era troppo
delicata. Lì a Torino c’era Jenny, un chiaro segno
del destino. Quei due dovevano rimettersi insieme e Peter non poteva
rischiare che l’incoscienza di Philip compromettesse tutto.
Non poteva neppure rischiare che gli altri scoprissero ciò
che si era portato dietro dal Giappone. Sarebbe successo un casino,
nessuno avrebbe più avuto fiducia in lui, non lo avrebbero
più voluto né come capitano né come
compagno di squadra. Il mister lo avrebbe cacciato dalla nazionale e
Pearson lo avrebbe rimandato in Giappone col primo volo. La posta in
gioco era troppo alta e lui non poteva restare senza far niente mentre
il suo amico d’infanzia si rovinava con le proprie mani. Non
si sarebbe mai perdonato di non aver fatto nulla per toglierlo
dall’impiccio. Si offrì volontario per un cambio e
raggiunse la panchina. Era teso, furente e deluso. Mandò
giù un po’ d’acqua, si diede il tempo di
riprendere fiato e si accostò a Philip.
-L’hai rifatto, vero?-
L’altro si volse stupito.
-Ieri sera eri distrutto e oggi sei crollato. Hai preso di nuovo quella
roba, vero?-
Si fissarono negli occhi e Philip, stanco di sentirsi accusato di
qualcosa per l’ennesima volta, non tentò neppure
di difendersi. Preferì tacere e Peter lo incalzò,
interpretando quel silenzio come un’ammissione. Il
risentimento nei suoi confronti ruppe gli argini.
-Perché non mi rispondi? Ammettilo, hai fatto la scorta da
Baird e ci hai riempito la valigia! Sei un incosciente! Vuoi metterti
nei guai? Vuoi che ti mandino via?- gli si scagliò addosso,
afferrandolo per il bavero della tuta e scuotendolo con forza per
indurlo a reagire, a ragionare, a tornare la persona che era.
L’impeto di Peter lo colse di sorpresa e Philip non
riuscì a frenare il suo slancio. Si sbilanciò
indietro e finì per urtare con violenza il palo della
pensilina delle panchine. Una fitta di dolore gli attraversò
la spalla e la schiena.
Patty balzò in piedi e accorse.
-Che state facendo? Smettetela immediatamente!-
Con una smorfia di sofferenza Philip si massaggiò il braccio
indolenzito.
-Non hai nessun motivo di alterarti, Peter. Non è come
pensi…- gli afferrò la mano e lo costrinse a
mollare la presa.
-Già, non è mai come penso! Quante volte lo hai
rifatto?-
-Piantala, non è il momento! Non lo capisci?-
occhieggiò chi gli stava intorno, preoccupato che venisse
fuori la verità su come a Sapporo aveva trascorso le sue
serate solitarie.
Shake mandò giù il groppo che gli era salito in
gola.
-Sai cosa, Philip? Non ti voglio come capitano! Non ti voglio
così!-
-Almeno su questo siamo d’accordo! Anch’io
non…- il pugno gli arrivò al centro della
guancia, tra lo zigomo e il mento. Per un attimo un flash lo
accecò, poi si schiantò a terra.
Quel giorno era destino che Philip passasse parecchio tempo steso al
suolo. La mazzata di Shake fu tale che nella sua testa venne a galla la
seconda verità assoluta. Mentre fissava incredulo il suo
amico d’infanzia che si stringeva nell’altra la
mano con cui lo aveva colpito, capì che non era Salvatore
Gentile a tenerlo lontano da Jenny, così come non era il
fatto che lei fosse ospite di Mark. Era il ricordo indelebile di McFay
che gli si era incrostato addosso come fango secco e non veniva via.
Il pugno di Shake gli aveva spaccato da pelle da qualche parte nella
bocca. Sentì il sapore del sangue e lo inghiottì.
La voce di Patty gli arrivò acuta.
-Peter! Che accidenti ti prende?-
Philip spostò gli occhi da lei all’amico. Gli
torreggiava davanti respirando forte, nello sguardo delusione,
rimpianto e rimorso. Si era già pentito del gesto.
-Non vedevi l’ora di farlo, eh?- accennò un
sorriso e la ferita tirò, stillando un’altra
goccia di sangue.
Peter fece un passo avanti, Patty andò su di giri e
cominciò a gridare.
-Shake, guai a te!-
Ma lui aveva tutt’altre intenzioni. Cercando di vincere la
diffidenza e l’irritazione, porse una mano a Philip che gli
si aggrappò e si mise in piedi vacillando.
-Stai sbagliando Peter. Non è come pensi.-
-Non è la prima volta che ti vedo ridotto come ti ho visto
ieri sera…- abbassò gli occhi a terra,
deglutì e decise di colpirlo anche dentro, facendo tutto il
contrario di ciò che Grace gli aveva appena ordinato -Ho
parlato con Jenny, sai Philip? Sembra davvero che non voglia
più saperne di te. E fa bene!-
-Stronzate…- borbottò Evelyn lanciando a Peter
un’occhiata sgomenta. Fortuna che erano amici!
*
Dopo che Mark se n’era andato, Jenny si era riaddormentata
così profondamente che non aveva sentito Daisy fare avanti e
indietro nel corridoio per prepararsi a uscire. Ma aveva sognato
Philip. Ormai lo faceva in continuazione e ciò la
esasperava. Stavolta aveva rivisto sprazzi del loro ultimo scontro nei
corridoi dello stadio di Sapporo e si era svegliata in preda
all’angoscia.
Mentre rifaceva il letto si sforzò di non pensare al suo
odore, al suo calore, alla stretta rassicurante delle sue braccia,
altrimenti la nostalgia avrebbe ricominciato a bruciare.
Era mezzogiorno. La sera prima aveva fatto scandalosamente tardi ed era
stata una fortuna che Mark non si fosse accorto di nulla.
Tirò su il copriletto e ne distese le pieghe.
Ripiegò d’accapo almeno metà dei
vestiti che erano nell’armadio e che trovò
aggrovigliati l’uno nell’altro, stentando a credere
a tanto disordine. Era come se Mark si fosse divertito a rimestare
magliette, felpe e maglioni, mescolando tutto. Dopodiché
scese di sotto, dove Malaya stava riordinando la cucina. La
salutò, s’infilò le scarpe e
uscì.
Il tram procedeva spedito sulle rotaie e Jenny osservava pensierosa i
palazzi e i portici, le persone e le macchine, intrecciando tra le dita
una ciocca di capelli. I germogli sugli alberi splendevano ai raggi del
sole che filtravano tra le nubi. Fremeva per andare al centro sportivo
e questa smania la infastidiva nel profondo, perché
dimostrava soltanto che non era più in grado di tenere
lontano il pensiero di Philip. All’inizio ci era riuscita
piuttosto bene, ma con il passare dei giorni diveniva sempre
più arduo. Andare al campo era diventato uno stress, ogni
volta che lo faceva dentro si sentiva lacerata. Da una parte non vedeva
l’ora di incontrarlo, dall’altra avrebbe pagato oro
pur di non trovarsi faccia a faccia con lui, pur di non essere
costretta ad ignorarlo ogni santo giorno. Avrebbe fatto qualsiasi cosa
per evitare i compagni, ma nello stesso tempo non era capace di starne
alla larga. Persino la presenza di Gentile non era più
sufficiente a dare un ordine ai propri sentimenti e tenere a bada le
proprie emozioni.
Mentre Jenny raggiungeva Carol per scroccarle un pranzo al Mc
Donald’s, Amy attraversava la hall dell’hotel
occhieggiando oltre le vetrate la strada percorsa dalle macchine. Il
sole si era nascosto di nuovo facendo piombare la città in
una plumbea penombra. Il cielo minacciava pioggia.
Benji era seduto al bar e dopo un attimo di incertezza, decise di
raggiungerlo. Sentì profumo di shampoo prima ancora di
arrivargli accanto. Il ragazzo odorava di buono, di pulito. Teneva il
cappellino agganciato al passante dei jeans, da dove gli pendeva lungo
il fianco. La maglietta a maniche corte, nonostante non facesse
particolarmente caldo, gli fasciava la schiena mettendo in risalto la
linea muscolosa delle spalle e delle braccia. Quando gli fu vicino lo
vide intento a scrivere sul cellulare un messaggio, o forse una mail.
Amy gli si accostò inspirando il profumo del bagnoschiuma
mescolato all’odore della sua pelle. Si dilungò ad
osservarlo, prima i capelli corti della nuca, ancora umidi per la
doccia. Poi spostò lo sguardo sulla sua espressione seria e
concentrata, le dita che si muovevano veloci sul display, i muscoli
delle braccia che guizzavano. Si riscosse, prese la felpa che il
portiere aveva abbandonato sullo sgabello accanto, si sedette, la
ripiegò con cura e se l’appoggiò in
grembo. Lui le lanciò un’occhiata veloce e
tornò a scrivere. Amy si sporse appena, giusto per dare
un’occhiata discreta al display. Non capì nulla
delle parole che vide. Benji stava chattando con qualcuno in tedesco.
-Tutto ok?- gli chiese.
-In generale sì, nello specifico dipende.- alzò
gli occhi giusto il tempo di risponderle, poi tornò a
scrivere.
-Marianne?-
-Chi?-
-La tua ragazza.- lo vide accantonare il telefonino da una parte e
restare granitico -La tua ex ragazza.-
-Non so di chi stai parlando.-
Amy esitò, poi capì l’antifona.
-Posso ritentare?-
Le labbra di Benji si incurvarono appena.
-Spara.-
-Schneider.-
-Sei fuori strada.- Benji rise e la schernì -Non hai paura
che vedendoci insieme, al tuo ragazzo venga un attacco di gastrite?-
-Non gli viene nessun attacco, per così poco.- rispose lei e
non riuscì a fare a meno che i suoi occhi finissero di nuovo
sulla pelle lasciata scoperta dalla maglietta, sui tendini che
guizzavano e i muscoli che si flettevano ad ogni movimento.
-Buon per lui.-
-Non hai freddo?-
-Per niente.-
-Di cos’è che non vuoi parlare?-
-Se non voglio parlarne perché dovrei dirlo a te?-
-Va bene, lasciamo perdere.- capitolò con un sospiro,
stirando con le mani le pieghe che si erano formate sulla felpa del
ragazzo. Il calore che emanava era piacevole sulle ginocchia lasciate
nude dalla gonna, forse non gliel’avrebbe restituita
più -Devo chiederti un favore.-
-Che genere di favore?-
-Un favore semplice, che non ti costa nulla.- si fissarono in silenzio,
poi Amy arrossì leggermente -Fai più attenzione a
ciò che dici a Evelyn. Lei crede a tutto.-
-Per esempio?-
Lei esitò, a disagio.
-Per esempio ciò che riguarda le manie di Gentile. La
curiosità di Evelyn ha fatto infuriare Jenny.-
Lui ridacchiò in un modo che la fece arrossire ancora di
più.
-Quali manie, in particolare?-
-Te ne sei inventata più d’una?-
-Non mi sono inventato niente. Vuoi qualcosa da bere?-
Amy scosse la testa e d’un tratto gli fu grata di aver
accantonato un argomento che avrebbe finito col metterla in imbarazzo
sul serio.
-Dove sei stato ieri sera?-
-Un po’ qua, un po’ là.-
-Con chi?-
-Salvatore Gentile, mi doveva un’uscita.- lei lo
fissò curiosa -Una sera ad Amburgo dopo una partita della
Champions League siamo andati a divertirci insieme, con gli
altri… Gentile voleva ricambiare il favore.-
-Ti sei divertito?-
-Mi sono svagato. È dura avere a che fare
ventiquattr’ore su ventiquattro con dei deficienti.-
Ad Amy sfuggì un sorrisetto vagamente infastidito.
-Hai un’alta considerazione dei tuoi compagni di squadra.-
-Se ne salvano pochissimi. Saranno anche bravi a giocare a calcio, ma
sono quasi tutti degli idioti.-
-Mi piacerebbe sapere chi sono le eccezioni.-
-Al momento non mi vengono in mente.-
Amy rise. Il cellulare di Benji vibrò per l’arrivo
di un messaggio. Il ragazzo lo prese e diede un’occhiata
rapida al testo. Le sue dita si contrassero di colpo e con un gesto
stizzito lasciò cadere il telefonino sul ripiano. I suoi
occhi si riempirono di collera e imprecò con un paio di
vocaboli in tedesco. Amy non fiatò. Aspettò in
silenzio e quando lui parlò di nuovo, la voce di Benji
risuonò secca e atona.
-Rimarrò in panchina per le prossime partite,
finché al mister non passerà
l’incazzatura.-
-Chi te lo ha detto?-
-Kaltz in questo preciso momento.-
-Mi dispiace.-
La scrutò.
-È un’informazione riservata.-
-Non lo direi comunque.-
Benji tacque, il silenzio tra loro si protrasse per alcuni minuti e fu
di nuovo lui a romperlo. La domanda che le fece la colse del tutto
impreparata.
-Tu credi che McFay avrebbe fatto lo stesso quello che ha fatto a Jenny
se io fossi rimasto alla larga da Karen?-
Amy deglutì. Il portiere, gli occhi abbassati sulle mani che
serravano le ginocchia, proseguì prima che lei riuscisse a
formulare una risposta.
-Me lo sto chiedendo da troppo tempo. È una domanda che mi
assilla, che mi martella il cervello. E non riesco a darmi una
risposta. Tu ce l’hai, una risposta?- si volse e
sprofondò lo sguardo in quello di lei -Ce l’hai,
Amy, una risposta?-
La giovane aprì la bocca per parlare ma la voce non
uscì. Fuori pioveva, il cielo era a tratti plumbeo, a tratti
azzurro. Il sole sembrava giocare a nascondino con le nuvole e il tempo
piangeva a singhiozzi improvvisi.
-È una domanda difficile, vero?-
-No, non lo è…- respirò a fondo e
continuò -Secondo me a David interessava Jenny e
basta…- esitò, scorgendo per la prima volta il
dubbio che lo straziava -Se David avesse voluto vendicarsi di te lo
avrebbe fatto in un altro modo, tanto più che Jenny non era
la tua fidanzata. Che senso aveva infierire su di lei per punire te?
Jenny era la nipote dei padroni del ryokan con i quali aveva appena
stretto un accordo, tu e lei non avevate niente in comune. Se avesse
voluto vendicarsi, avrebbe potuto far saltare il tuo contratto, per
esempio…- sussultò quando il pensiero appena
formulato prese forma. Un malessere improvviso
l’assalì, le venne improvvisamente da vomitare.
Boccheggiò in cerca d’aria, le mani scosse da un
tremito -Lo ha fatto, Benji? Lo ha fatto davvero? Non sei entrato nel
Bayern per colpa di David?-
Lui non seppe cosa risponderle. Fu la prima volta, quella, in cui
valutò da questa prospettiva ciò che era accaduto
quasi un anno prima. Era stato lui a dire di no al Bayern oppure era
stato il Bayern a spingerlo a rifiutare l’offerta? Non lo
sapeva. Sapeva solo che la somma dell’ingaggio si era
abbassata di colpo senza motivo e lui aveva rifiutato, tanto
più che continuava a provare nei confronti
dell’Amburgo, del suo staff e dei suoi compagni un legame
profondo. Ma non aveva mai capito perché la somma fosse
scesa così all’improvviso, in realtà
non se l’era neppure chiesto. Poteva esserci sotto lo zampino
di McFay? Sembrava assurdo. McFay non possedeva un potere tale da
condizionare le scelte di una delle più grandi squadre
europee. O sì? Si pentì di aver tirato fuori
l’argomento.
-Benji? È stato David a far saltare il tuo contratto?-
-No, credo di no.-
-Ma non ne sei sicuro.-
Lui scosse la testa, poi ordinò un caffè.
-Non saremmo mai dovuti andare a Kyoto. Quel viaggio è stato
un trauma per tutti.-
-Ma anche dopo… E anche adesso.- Amy sospirò e il
suo corpo sembrò rimpicciolirsi.
-Jenny sembra stare bene.-
-Sì, si è ripresa abbastanza.- i suoi occhi si
annebbiarono -Ma non tornerà più quella che era.-
Quella innegabile constatazione aleggiò sul loro silenzio,
spezzato dal viavai dei clienti dell’albergo e dal personale
in piena attività. Era quasi ora di pranzo e quel
susseguirsi di piovaschi improvvisi aveva spinto Gamo a terminare in
anticipo gli allenamenti. Non poteva rischiare che si buscassero un
malanno.
Il nullaosta di Benji era arrivato in mattinata. L’impiegato
della reception lo aveva chiamato e gli aveva consegnato il documento.
Esaminando i fogli aveva scoperto che il permesso di giocare contro
l’Italia era stato rilasciato lo stesso giorno in cui Pearson
ne aveva fatto richiesta e la risposta aveva tardato ad arrivare
soltanto a causa di un numero di fax errato. Il mister
dell’Amburgo non aveva avuto dubbi, non aveva esitato e non
si era fatto condizionare da possibili ripensamenti. In due parole
aveva fatto in fretta a liberarsi di lui. Dopo tanti anni di certezze,
a Benji si prospettava un futuro pieno di dubbi.
*
Salvatore diede gas e la Ducati nera oltrepassò a tutta
birra la sbarra sollevata del parcheggio del centro sportivo. Mark
saltò sul marciapiede quando la moto gli sfrecciò
accanto e il fango di una pozzanghera gli schizzò sui piedi.
Sbraitò contro l’arrogante pilota una valanga di
invettive in italiano, purtroppo coperte dal rombo del motore. Gentile
si fermò tra la macchina di Alex Marchesi e quella di Matteo
Solari, posando un piede a terra per stabilizzarsi e lasciar smontare
Jenny. Lei si sfilò il casco e liberò i capelli,
che le ricaddero lunghi sulla schiena. Glielo passò,
Salvatore lo prese, lo agganciò allo specchietto e si tolse
il proprio. Poi accolse Mark con un ghigno.
-Dicevi qualcosa, prima?-
-Sì, che sei un incosciente! Come puoi guidare in maniera
così spericolata mentre Jenny è con te?-
-Landers, io guido benissimo!- si passò sfrontatamente una
mano tra i capelli per scompigliarli in quell’arruffamento
sexy che gli donava un casino. Le ciocche d’oro brillarono al
sole.
-Per quello che mi riguarda puoi anche essere un pilota provetto, ma
non osare correre in quel modo quando sei con Jenny. Hai capito o no?-
Salvatore avanzò verso di lui e gli fu d’un tratto
vicinissimo. Lo fissò negli occhi e abbassò la
voce, calcando sulle parole.
-Io-sono-un-pilota-provetto. Facevo anche le gare, non lo sai?-
Landers lo spintonò per allontanarlo e nello stesso tempo
indietreggiò.
-Certo che lo so! E so anche che mentre le facevi ti sei schiantato
sulla pista e ti sei maciullato una spalla. Per cui ora le tue gare
fattele da solo!- cambiò lingua e affrontò Jenny
che aveva creduto, anzi sperato, di averla scampata -Perché
sei in giro? Fino a ieri avevi la febbre a quaranta!-
-Appunto, fino a ieri. Oggi sto benissimo.-
-Landers non ti agitare.- Salvatore era già stanco di
sentirlo sbraitare -Se ti prende un colpo mi togli il piacere di
stracciarti in campo.-
Il ragazzo divenne paonazzo e inveì in italiano contro Jenny
e in giapponese contro Salvatore. I due si guardarono e scoppiarono a
ridere.
-Mark, stai facendo un casino.- si mise in mezzo Rob -Davvero
è meglio se ti dai una calmata!-
Sentendosi improvvisamente ridicolo, Landers ammutolì di
colpo. Si caricò la borsa e varcò
l’ingresso del campo con un diavolo per capello.
-Philip, posso parlarti sinceramente?- gli si accostò
Patrick quando furono negli spogliatoi.
Il ragazzo annuì rassegnato. Eccone un altro che aveva
qualcosa da rimproverargli. Cosa non gli andava bene?
-Se vuoi riconquistare Jenny devi darti una svegliata. Non puoi
continuare così.-
A Philip si rizzarono i capelli sulla nuca. Adesso persino Everett
metteva bocca nei suoi affari privati e cominciava a sparare consigli
non richiesti.
-E chi ti ha detto che…-
-Lo stavo pensando anch’io.- s’impicciò
Paul Diamond -Di ragazzi non me ne intendo, ovvio… Ma
Gentile non è mica male: simpatico, sveglio…-
-Hai ragione, Diamond. Di ragazzi non te ne intendi proprio.-
borbottò Mark dal suo angolo.
Lo ignorarono.
-Ha un buon ingaggio, guadagna sicuramente tanto, ha la macchina, la
moto, di certo una bella casa…- Paul scosse la testa
-Riprenderti Jenny sarà per te impresa non da poco.-
-Davvero Philip?- Jason Derrick spalancò gli occhi dalla
sorpresa -Vuoi rimetterti con Jenny? E Julie Pilar?-
-Se Callaghan è abbastanza sveglio può tenersele
tutte e due.- buttò là Clifford.
Benji scoppiò a ridere.
-Questa è buona, Yuma! Non riesce a riconquistarne una,
figuriamoci tenersene due!-
-Qualsiasi cosa tu decida di fare, sappi che noi tifiamo per te,
Philip!- lo incoraggiò Patrick.
Il ragazzo lo fissò indeciso. Doveva mostrarsi grato del suo
supporto oppure mandarlo definitivamente a quel paese?
Mark dal suo angolo riprese a borbottare.
-Secondo voi cosa dovrebbe farsene Jenny di una moto, di una macchina,
di una bella casa e di una valanga di rotture di coglioni?
Perché voi non lo sapete ma Gentile si porta dietro un bel
pacco di problemi!-
Gli occhi ironici di Benji spuntarono oltre lo sportello aperto di un
armadietto.
-E tu che ne sai, Landers? Come fai a sapere cos’è
che Jenny vuole?-
Si scambiarono un’occhiata, velenosa da una parte, sarcastica
dall’altra.
-Abitandoci insieme qualcosa ho imparato.-
-Già e cosa? Come fartela scappare? Il fatto che Jenny sia
finita tra le braccia di Gentile e non tra le tue mi pare un chiaro
segno che non hai imparato proprio niente.-
Clifford e Ralph si guardarono.
-Benji non ha mica torto.-
-Imbecilli!- li zittì Mark nervoso.
Philip si chinò a terra per allacciare gli scarpini. In un
modo o nell’altro Jenny finiva sempre per essere
l’argomento dei loro pettegolezzi. Per quale accidenti di
motivo? Perché non parlavano di Patty, di Amy o di Evelyn? O
della fidanzata di Aoi, quella tizia stramba che lavorava al Mc
Donald’s e nello stesso tempo faceva la cubista? O del fatto
che Mark in Italia non avesse trovato neppure uno straccio di ragazza
con cui trastullarsi? O della Farrell che chiaramente provava per
Landers un interesse a dir poco sproporzionato? Perché non
parlavano delle pustole di Jason Derrick (o era James?) che si erano
moltiplicate come funghi inondandogli il torace e le braccia?
Perché non rompevano le palle a Tom che telefonava tutti i
giorni ad Amélie cercando di convincerla a venire a vedere
la partita? Perché sempre Jenny, continuamente Jenny e
inesorabilmente Jenny?
E quando uscì dagli spogliatoi e se la ritrovò
proprio di fronte gli mancò il respiro. Non vicino ma
davanti, così dirimpetto che i suoi occhi le finirono
inevitabilmente addosso. Peccato che anche Gentile le stesse addosso,
incollato a sbaciucchiarla. Patrick lo sgomitò.
-Non ti scoraggiare, secondo me hai ancora qualche chance.-
E poi udì i due gemelli.
-Tu dici? Io la vedo dura.-
-Se non impossibile.-
Lo guardarono e corsero via schizzando ghiaia bagnata
tutt’intorno.
Era un giorno incerto e capriccioso, piovaschi sparsi si rovesciavano a
tratti sul campo, facendo salire il profumo dell’erba
bagnata. Il verde degli steli brillava quando il sole riusciva a fare
capolino tra le nubi. Stava andando avanti così dalla
mattina, non era un bel tempo per allenarsi, non ci si capiva niente.
Entravano in campo quando usciva il sole e si ritiravano al riparo se
la pioggia aumentava. Tornavano di nuovo ad esercitarsi non appena si
attenuava perché il terreno di gioco reggeva, la terra e
l’erba facevano il loro lavoro e assorbivano
l’acqua. Sulle divise dei ragazzi il sudore si mescolava alla
pioggia e all’umidità, gli scarpini e i calzettoni
erano infangati e tracce di terra guarnivano i pantaloncini di chi,
durante il gioco, era caduto.
Poi il cielo si coprì di nubi nerissime e il sole scomparve.
Alle quattro sembrò calare la notte. Un lampo improvviso
squarciò il cielo facendo sobbalzare Amy di terrore.
Stringendosi addosso il cappotto imperlato di umidità, si
avvicinò a Marshall e lo guardò in modo
così eloquente che quello lanciò un lungo fischio
e richiamò i ragazzi.
Anche la squadra italiana, sotto la minaccia della pioggia, interruppe
gli allenamenti e mentre qualcuno rimase a radunare i palloni, il resto
della truppa rientrò negli spogliatoi.
Jenny si accostò con un vassoio carico di bicchieri e
accolse lo sguardo di Clifford con un sorriso.
-Hai cambiato squadra?- domandò il ragazzo, addolorato
dall’enorme maglia della Juventus che le vide addosso. Le
arrivava a metà coscia coprendole quasi del tutto i
pantaloncini di jeans che indossava sotto, e le maniche lunghe erano
arrotolare fin sui gomiti -Tiferai per Gentile, invece che per noi?-
-Di sicuro non tifo per Mark.-
Yuma rise, non aspettava altro.
-Eppure l’altro giorno sembravate andare così
d’accordo tu e Landers.-
Lei finse di non aver sentito e depositò sul tavolo le
bevande.
-Sono uscita di casa senza ombrello e mentre venivo qui ha cominciato a
piovere. Salvatore mi ha prestato la sua maglietta in attesa che i miei
abiti si asciughino.-
Philip la osservava da un altro tavolo e, gli occhi fissi su di lei,
non si accorse che Gentile lo scrutava da quando aveva messo piede al
bar. Jenny tornò dietro al bancone, prese una cassetta di
bottiglie vuote e la portò sul retro del locale. Solo quando
non la vide più Philip riuscì a prestare
attenzione alle chiacchiere dei compagni.
-Tutta questa pioggia mi fa male ai reumatismi.-
La schiena di Bruce scricchiolò.
-Sei già da buttare, Harper.-
-La mia divisa è da buttare piuttosto…
È lercia da far schifo. Quando mi sono tolto i pantaloncini
gocciolavano fango.-
-Vero! Sembrava che te la fossi fatta sotto!- lo schernì Bob
Denver sopra un coro di risate.
Finché avesse continuato a piovere in quel modo, nessuno si
sarebbe azzardato a lasciare il bar del centro sportivo. Di acqua ne
avevano presa abbastanza tutti quanti e dopo la doccia, freschi, puliti
e profumati, i ragazzi erano decisi ad aspettare che spiovesse.
Jenny ne era contentissima perché ogni ora che passava
dietro il bancone equivaleva a cinquanta euro che le entravano nel
portafoglio. Patty e Holly le sedevano di fronte ma era talmente
occupata a rimestare drink che non si accorse che stavano parlando di
lei. Porgendo due spritz ad Alex Marchesi che li reclamava con
imbarazzanti complimenti pronunciati in un inglese dal forte accento
italiano, liquidò il disturbatore e si rivolse di punto in
bianco all’amica.
-Com’è stata Carol?-
Patty trasalì.
-In che senso?-
-L’altra sera ti ha truccata lei, no?-
Jenny si chinò per tirar fuori un limone dal frigorifero.
Cominciò a tagliarlo in fettine sottilissime, lanciando
all’amica occhiate curiose.
-Molto brava…- anche troppo -Non si è visto?-
-Sì, stavi benissimo.- le strizzò un occhio e poi
spostò lo sguardo su Holly, ammiccando -Hai visto le foto?-
-Evelyn me le ha mandate tutte.-
Jenny tornò a rivolgersi a Patty.
-Intendevo sapere se Carol è stata gentile.-
Lei si chiese se Jenny fosse a conoscenza dell’interesse che
l’amica di Aoi provava nei suoi confronti. Le
sembrò impossibile, altrimenti avrebbe tirato fuori la cosa
già il giorno prima, quando erano rimaste sole tutte quelle
ore a casa di Mark, andando dritta al punto senza girarci intorno.
-Sì, è stata…- esitò
sull’aggettivo -Molto premurosa.- le era praticamente saltata
addosso e bastava il ricordo del bacio perché il disagio le
invadesse lo stomaco. Aveva tradito Holly, sì o no? Non
riusciva a decidersi e quell’incertezza le causava ansia.
-Quanto l’hai pagata?-
-Niente, non ha voluto neppure un euro.-
Jenny non riuscì a crederci. Era convinta che Carol le
avrebbe chiesto un conto più salato del solito. La giovane
era al limite dell’indigenza mentre Holly navigava
nell’oro.
-Davvero?-
-Sì, ho provato a insistere ma non ha voluto niente.- decisa
a non pronunciare più un’altra parola riguardo la
stramba amica di Rob, cambiò argomento -Sai che Daisy
è tornata a Tokyo?-
-No!- la sorpresa di Jenny fu così genuina e potente che la
sua voce risuonò nel bar facendo voltare parecchie teste.
Lei arrossì e si concentrò su Patty.
-Sei contenta?-
-Certo che sono contenta! Sto saltando di gioia! Mark lo sa?- i suoi
occhi corsero a cercarlo.
L’amico sedeva ad un tavolo insieme agli ex compagni della
Toho. Warner stava dicendo qualcosa di talmente interessante da
attirare l’attenzione degli altri ragazzi. Intorno a loro si
era creato un capannello.
Holly fece spallucce.
-Non credo. Io l’ho saputo un istante fa da Benji a cui
l’ha detto Marshall.-
Jenny li scrutò, improvvisamente dubbiosa.
-Non state scherzando, vero?-
Patty la rassicurò.
-Non potrei mai scherzare su una cosa simile.-
Il sollievo della giovane era evidente.
-Non ci posso credere.- i suoi occhi brillarono -Che bella notizia!-
Salvatore Gentile si sentiva particolarmente stanco. Forse era colpa
del tempo, di quella giornata uggiosa. Oppure era per la nottata
passata con Price a trastullarsi tra drink e ragazze. Avrebbe avuto
bisogno di dormire di più, magari fino alle dieci per
recuperare, e invece alle sette si era svegliato e non era
più riuscito a prendere sonno. Era entrato in campo con
mezz’ora di anticipo, stupendo Dario e suo padre che erano
sempre i primi ad arrivare. Era talmente presto che non c’era
ancora traccia di tifosi e giornalisti. E neppure della nazionale
giapponese, che dormiva a due passi e si presentava sempre di buonora.
Soffocò uno sbadiglio, lo sguardo su Jenny che porgeva da
bere a Matteo. Da lei i suoi occhi si spostarono su Callaghan.
Philip se ne accorse e un fremito di rivolta gli salì su per
la schiena. La storia della maglietta della Juventus l’aveva
reso furioso. Per la prima volta ricambiò lo sguardo
dell’italiano con una strafottenza che non gli aveva mai
rivolto. In un ostentato gesto di sfida scostò la sedia e si
mise in piedi. Benji, che teneva d’occhio entrambi, quasi
avesse percepito la tensione che aleggiava tra i due, raggiunse
Salvatore mentre Philip si avvicinava al bar.
Jenny tolse l’ultima bottiglia di birra dalla cassa che aveva
portato dentro. Mentre la sistemava nel frigo scorse con la coda
dell’occhio qualcuno accomodarsi sullo sgabello accanto a
Patty. Alzò il viso e si bloccò con la mano a
metà altezza. Era Philip. Lui non sorrise, non disse nulla,
la guardò e basta. Anche Jenny non disse nulla.
Finì quello che stava facendo, portò la cassetta
vuota sul retro del bar, tornò dentro e gli versò
una birra quando lui gliela chiese. Philip restò in silenzio
ad ascoltare la conversazione degli amici. Jenny si tenne impegnata,
cercando qualcosa da fare, ma distrarsi e ignorarlo non le fu di grande
aiuto. Ogni nervo, ogni cellula del suo corpo erano intensamente
focalizzati sul ragazzo e quando il tardo pomeriggio si
trasformò in serata, si ritrovò
sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Lui non aveva
pronunciato una parola. E neppure lei. Ma la tensione era palpabile e
la stava uccidendo.
Salvatore ascoltava Benji parlargli di calcio e di ragazze ma i suoi
occhi rimanevano fissi su Jenny. Aveva capito da subito che il portiere
era lì per sviare la sua attenzione e che la presenza di
Callaghan aveva innervosito la ragazza. Si chiese se i due si fossero
messi d’accordo, l’uno per tentare di riavvicinare
la sua ex e l’altro per distrarlo mentre ciò
accadeva. Non ne fu turbato. La curiosità di vedere cosa
sarebbe successo lo incollò alla poltroncina. Intanto fuori
dalle finestre la pioggia non cessava di venire giù. Era
così fitta che i campi si erano allagati, trasformandosi in
una distesa liquida su cui si riflettevano i fari delle macchine che
percorrevano la strada.
La violenza dell’acquazzone diminuì
all’ora di cena. I ragazzi lasciarono il bar a gruppetti,
avventurandosi sotto una pioggerellina fastidiosa e insistente che
bagnava e intirizziva ma che non li avrebbe sicuramente tenuti lontani
dalla cena.
Jenny recuperò i vestiti ormai asciutti e andò in
bagno a cambiarsi. Si sfilò la maglia di Gentile,
riabbottonò la camicetta e indossò il golfino
ancora caldo di termosifone. Uscì nel corridoio
soprappensiero e dopo aver richiuso la porta della toilette, si volse e
si fermò di botto. Philip era appoggiato al muro di fronte,
le braccia conserte, gli occhi fissi su di lei. Quando i loro sguardi
si incrociarono si staccò dalla parete e si
avvicinò, continuando a scrutarla. Jenny si
bloccò dov’era, incapace di muoversi, le labbra
socchiuse dallo stupore. Ora Philip si sarebbe fermato, le avrebbe
detto quello che voleva dirle e poi se ne sarebbe andato: né
più né meno ciò che era successo nei
corridoi dello stadio di Sapporo.
Invece lui non fece nulla di tutto ciò, o meglio si
arrestò solo quando le fu così vicino da posarle
una mano su una spalla e lasciarla scivolare verso la nuca,
intrecciando le dita tra i suoi capelli. Una cosa che ormai Philip
desiderava fare da troppo. Si lasciò scorrere quelle ciocche
setose tra le dita e si mosse senza darle il tempo di indietreggiare,
di protestare, di scostarsi. Neppure di respirare. Rapido come un
battito del cuore di Jenny, attirò il viso di lei verso il
proprio e si chinò a baciarla. La giovane non
poté reagire, l’assalto di Philip la
lasciò priva di difese. Il contatto tra le loro labbra
durò pochissimo, appena un istante ma fu sufficiente a
mandarla in confusione. E quando la sua mente formulò
l’idea di scostarsi, fu lui a tirarsi indietro. La
fissò, con occhi colmi di ironia, in modo così
intenso da farla arrossire.
-Cosa fai?- gli chiese sgomenta.
-Ti bacio, cos’altro? Lo fa l’italiano, lo fa
Landers, non vedo perché non possa farlo anch’io.-
Jenny si irrigidì e la vergogna le imporporò
ancora di più le guance. Quel rossore che adorava fu per
Philip un invito a ripetere il gesto. E lui lo colse al volo. Ma quando
l’attirò verso di sé con più
vigore, con uno scatto di collera Jenny puntò le mani contro
il suo torace e lo allontanò spingendo forte. Philip
indietreggiò, mollò la stretta e lei corse via.
Avrebbe voluto intervenire fin da subito, Gentile, e se lo avesse fatto
avrebbe potuto impedire ciò che era appena successo. Almeno
il secondo tentativo. Ma Benji lo aveva bloccato sulla sedia,
redarguendolo con un tono che non ammetteva repliche e tutta
l’intenzione, se avesse provato ad alzarsi, di fermarlo ad
ogni costo.
-Se riusciranno a tornare insieme grazie a te, sarà la cosa
migliore che avrai fatto finora.-
-Grazie a me?-
Si erano guardati.
-Solo vedendola con te Callaghan può rendersi conto di cosa
sta rischiando di perdere.-
Gentile aveva seguitato ad osservarli finché Jenny era
fuggita via. Philip si era voltato e si era accorto di loro. Aveva
esitato solo un attimo, poi aveva recuperato la borsa sportiva e aveva
imboccato l’uscita del bar.
Benji aveva salutato frettolosamente Salvatore e aveva seguito il
compagno sulla strada per l’hotel. Per come la pensava lui,
Callaghan aveva usato un approccio sbagliato, decisamente troppo
brusco, vista la reazione di Jenny. Ma almeno aveva iniziato ad agire e
solo questo già era un bene. Gli corse dietro e quando lo
ebbe raggiunto si incamminò con lui. La visiera del cappello
lo riparava dalla pioggerellina che continuava a impregnare
l’aria.
-Non mi interessa sapere quello che le hai detto ma a lei non
è piaciuto, quindi la prossima volta rifletti bene su
ciò che hai da dirle.-
Philip rimase in silenzio. Era il primo a non riuscire a credere di
averle rivolto delle parole così stupide. Perché
riusciva a ficcarsi nella testa che visto che non stavano insieme lei
era libera di baciare chi voleva, anche Landers, se lo desiderava? Lui
non era nessuno, proprio nessuno, per poterglielo impedire.
Sospirò senza accorgersene e Benji lo guardò
rassicurante.
-Sempre meglio di niente, dai.-
Jenny varcò le porte dell’hotel molto prima di
loro. Aveva corso lungo tutto il tratto di strada. Le guance arrossate
e il fiato corto, si lasciò cadere esausta sulla poltrona
accanto ad Amy. Sentì il cellulare squillare e lo
tirò fuori dalla borsa. Era Salvatore e lei teneva ancora la
sua maglietta tra le mani. Aveva dimenticato di restituirgliela.
“Vado a casa, sono distrutto. Tu che fai? Ti devo
accompagnare?”
Lei cercò di deglutire, di ritrovare il fiato per
rispondergli ma aveva la gola asciutta. Non riuscì a
riordinare le idee. Era ancora sconvolta, sotto shock. Amy la
guardò preoccupata.
-Jenny, tutto bene?-
-Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.- fu il commento di
Evelyn.
“Jenny? Hai sentito quello che ho detto?” la
incalzò l’italiano.
Le sue labbra si mossero.
-Sì, ho sentito.-
Benji e Philip comparvero nella hall, entrando nel suo campo visivo
mentre Gentile, al cellulare, riprendeva a parlare.
“Vado a casa. Vuoi che ti accompagni?”
Fu osservando il portiere e il suo ex che attraversavano
l’atrio che Jenny prese la decisione di fuggire. Questa volta
sì, sarebbe scappata.
-Aspetta… Aspettami vengo con te!-
Il bacio di Philip era stato un duro colpo. La corazza che avvolgeva il
suo cuore ferito si era incrinata e ora i suoi sentimenti avevano
ricominciato a sanguinare. Era un dolore così potente da
stordirla. Non riuscì a sopportarlo, le veniva da piangere.
Doveva andarsene subito. Chiuse la comunicazione e si alzò.
-Ci vediamo domani.- il suo fu un sussurro.
Patty la guardò.
-Te ne vai?-
Uscì dall’hotel senza rispondere, gli occhi fissi
davanti a sé, incapace di guardare chiunque. Aveva ripreso a
piovere forte ma non le importò di bagnarsi pur di tornare
al centro sportivo. Non sapeva neppure se era la pioggia a solcarle le
guance o se fossero le lacrime che alla fine non era riuscita a
trattenere. Corse lungo il marciapiede, aveva paura che Salvatore se ne
andasse senza di lei. Non si curò delle pozzanghere, degli
schizzi delle macchine che la superavano veloci. Le interessava
soltanto andar via, lontano da lì, il più in
fretta possibile. Trovò Salvatore che, sotto un ombrello
aperto, infilava la borsa sportiva nel portabagagli di una macchina che
non era la sua. Della moto con cui erano arrivati nel primo pomeriggio
non c’era traccia. Lui la vide e le sorrise.
-Eccoti.-
Jenny gli allungò la maglia e lui la ficcò nel
portabagagli.
-Vengo con te.-
-Ti porto a casa?-
-No, a casa tua. Mi fermo da te, se vuoi. Va bene?-
-Magari! Sarebbe pure ora… Ti pare?-
Lei annuì. Fece il giro dell’auto e
salì dal lato del passeggero.
-Dov’è la moto?-
-L’ho prestata a Dario.-
-Avete fatto uno scambio?-
Salvatore ingranò la retromarcia ma prima di muoversi si
soffermò a guardarla. Aveva le guance arrossate e i capelli
bagnati.
-Doveva tornare a Milano passando il più possibile
inosservato. Se la sua macchina è qui è
più difficile che si accorgano che se
l’è filata. Certo con questa pioggia,
poveretto…-
-È successo qualcosa?-
-Macché, la sua ragazza gli ha dato l’ennesimo
ultimatum e lui è corso da lei, come al solito.- fece
manovra ed uscì dal parcheggio -Che voleva Callaghan?-
Jenny trasalì.
-Non… non lo so…-
-Price ha detto che dovrei lasciare che tornaste insieme.-
-Benji non si fa mai gli affari suoi.-
Lui le lanciò un’occhiata.
-Sono io che ti trattengo?-
Decise di essere franca. Tanto cosa aveva da perdere?
-No, sono io.-
Mark si era accorto che Jenny si defilava solo all’ultimo
momento, quando lei aveva varcato le porte dell’hotel e non
aveva fatto in tempo a fermarla. Abbassò gli occhi sul
cellulare, tentato di chiamarla. Poi ci ripensò e se lo
infilò nervosamente in tasca. Jenny gli aveva appena dato
buca e lui non aveva nessuna voglia di tornare a casa a prepararsi la
cena. Non gli andava neppure di ordinare la pizza. Lasciò la
borsa in deposito alla reception e seguì i compagni nella
sala da pranzo. Individuò dello spazio tra Tom e Julian e li
fece stringere per sedersi tra loro. Poi chiamò il cameriere
e si fece aggiungere un coperto. Stava morendo di fame.
A Philip, che gli sedeva di fronte, la fame invece era passata. Aveva
baciato Jenny e il risultato era stato che lei se n’era
andata a trascorrere la serata, e probabilmente anche la notte, con
l’italiano. Mandò giù po’
d’acqua per ingoiare la delusione.
-Holly, ti ricordi che domani pomeriggio non mi alleno?- disse Mark
d’un tratto -La sera gioco con la Juventus.-
-Sì, me lo ricordo. Ho chiesto a Pearson se potevamo
assistere alla partita. Mi ha detto che va bene.-
-Verrete allo stadio?- Mark non sembrò particolarmente
contento.
-Che c’è Landers, hai paura di perdere davanti a
tutti?-
Lui si volse inviperito verso Benji ma prima che potesse rispondere,
Julian esternò il proprio entusiasmo.
-Questa partita è un’occasione d’oro.
Gentile non è l’unico a giocare in nazionale.
Potremo vedere all’opera anche gli altri.-
-Pearson ha rimediato i biglietti per tutti? Anche per noi?-
domandò Patty.
Holly la guardò interdetto.
-Non ho pensato a chiederglielo.-
Lei socchiuse gli occhi contrariata.
-E se non troviamo i biglietti, Evelyn, Amy ed io che facciamo? Vi
aspettiamo in hotel?- fissò Mark -Ci farai entrare lo
stesso, vero?-
-Io no, ma quel demente di Gentile sicuramente potrebbe. Allo stadio
sono tutti amici suoi.-
-Allora chiediglielo per favore.- lo incalzò Amy.
-Adesso?-
-Perché adesso no?-
Mark ci pensò un istante, poi decise che non gli dispiaceva
per niente rompergli le scatole mentre era con Jenny. Anzi, per fare le
cose fatte bene telefonò direttamente a lei. Gli rispose al
terzo squillo.
-È una fuga d’amore?- sghignazzò
schernendola.
“Imbecille.”
-Passami Gentile.-
“Sta guidando. Cosa vuoi?”
-Chiedigli se può far imbucare Amy, Evelyn e Patty allo
stadio per la partita di domani.-
Salvatore collegò l’i-phone di Jenny al bluetooth
della Giulietta e alzò il volume. La voce di Mark
uscì forte e chiara dall’impianto stereo e quando
il ragazzo gli ripeté la domanda scoppiò a ridere
di gusto.
“Va bene che il calcio non è lo sport nazionale
giapponese, ma state messi così male da non potervi
permettere i biglietti?”
-Grazie, sapevo che potevo contare su di te. Buonanotte.-
riagganciò.
Jenny lo richiamò un secondo dopo. Lui avrebbe voluto non
rispondere ma le amiche lo fissavano in un modo che non gli piacque per
niente.
“Come sei permaloso, Landers.” rise Gentile.
-Se la caveranno anche senza di te, cosa credi?-
“All’ingresso principale c’è
sempre qualcuno che conosco. E adesso, se non ti dispiace, mi aspetta
finalmente la serata che mi sono guadagnato con tanta pazienza e
fatica. Quindi vedi di non rompere il cazzo.”
scollegò il bluetooth e riagganciò senza neppure
salutare.
-Pallone gonfiato, stupido cretino, borioso imbecille…-
-Non può aiutarci?- domandò Patty.
-Sì che può. Figurati se non può.
Conosce così tanta gente che vi troverà i posti
migliori.-
Philip li ascoltava per metà. L’altra
metà della sua mente valutava ciò che era
successo neppure un’ora prima, da tutte le angolazioni
possibili e immaginabili. Benji aveva ragione, con Jenny era stato
troppo brusco. Se avesse saputo che la sua reazione sarebbe stata
quella di andar via con Gentile, si sarebbe guardato bene dal baciarla.
Però forse ne era valsa la pena. O no? Merda, non riusciva a
decidersi. Aveva fatto bene oppure no?
Salvatore rallentò ad un semaforo, mise la freccia e
imboccò una stretta via del centro fiancheggiata dai portici
su entrambi i lati.
-Cosa vuoi per cena?-
-Va bene qualsiasi cosa, non ho molta fame.-
-Neppure io in effetti. Voglio solo arrivare presto a casa.- la
guardò -Tu sei di nuovo zuppa. È meglio se non ci
fermiamo a mangiar fuori. Prenderò della pizza.-
Jenny annuì e si sforzò di sorridergli, ma era
tesa. Non era più tanto sicura di aver fatto la scelta
giusta. Forse non sarebbe dovuta andare con Salvatore. Forse avrebbe
fatto meglio a tornare a casa con Mark e ficcarsi a letto. Era
intirizzita e infreddolita e non voleva assolutamente che la febbre le
salisse di nuovo.
Gentile si fermò davanti ad una rosticceria, scese e
tornò portando con sé un vassoio ben incartato.
Lo passò a Jenny e siccome era bollente, lei si volse per
posarlo sui sedili posteriori. Il profumo di pizza calda e fragrante
che invase l’abitacolo, le scatenò d’un
tratto una fame pazzesca.
Scesero davanti casa di Salvatore e quando una folata di vento carico
di umidità investì Jenny inumidendole il viso,
lei si strinse addosso il cappotto e si affrettò a varcare
il portone del palazzo. La primavera finora era stata tiepida ma dopo
l’acquazzone del pomeriggio sembrava essere tornato
l’inverno.
Seguì il ragazzo nell’atrio e poi dentro
l’ascensore fino all’ultimo piano.
L’appartamento di Gentile era un superattico di lusso che
comprendeva il bagno, il salotto, la cucina e due stanze da letto,
quella che occupava lui e una più piccola per eventuali
ospiti. Salvatore aprì la porta, accese la luce e la
lasciò entrare. Il tepore dell’abitazione fece
tirare a Jenny un sospiro di sollievo. Si sfilò le scarpe,
aveva i collant bagnati e le dita dei piedi ghiacciate. Al confronto il
parquet era piacevolmente caldo. Appoggiò il vassoio della
pizza sul mobile dell’ingresso, si sfilò il
cappotto e lo appese all’attaccapanni insieme alla borsa.
-Che tempo da cani.- borbottò lui precedendola nel salotto
per accendere la luce -Vado a cambiarmi e ti porto qualcosa da
indossare.-
Jenny annuì e andò a posare il vassoio della
pizza in cucina. Aprì l’incarto sul tavolo per
lasciar uscire il vapore. Poi, incapace di resistere,
piluccò un pezzo di pizza. Lo inghiottì di colpo
quando udì il cellulare squillare. La borsa era rimasta
nell’ingresso. Corse a recuperarla.
Era di nuovo Mark.
“Sei a casa?”
Jenny sospirò.
-Sì. Siamo appena arrivati.-
“Ci vediamo tra poco, sto uscendo.”
-Sono a casa di Salvatore, Mark.-
Seguì un silenzio contrariato.
“Mi pareva. Hai mangiato?”
-Stavamo per farlo. Cos’è, un terzo grado?-
“Sì, se hai qualcosa da nascondere.”
La voce di Mark fu sostituita da quella di Patty, che tolse dalla bocca
di Jenny una rispostaccia. “Domani mattina vieni al
campo?”
-Non credo, perché?-
“Non puoi passare neanche solo per un attimo?”
-Ho un sacco di giri da fare ma ci posso provare.-
“Ecco, provaci.” la voce di Patty divenne un
sussurro guardingo “Dove sei?”
-A casa di Salvatore.-
“Ti fermi lì?” impiegò troppo
tempo a rispondere, così l’amica
proseguì “Jenny, perché hai deciso di
fermarti da Gentile?”-
Lei fremette.
-Possiamo parlarne domani?-
“Sì, domani mattina. Vieni al campo.”
Jenny tagliò corto e salutò. Dopodiché
spense il telefonino. Patty aveva ragione, che ci faceva lì?
Rimise il cellulare nella borsa e con i nervi in tensione
andò in cerca di Salvatore che non era ancora tornato.
Percorse il corridoio quasi in punta di piedi e si affacciò
nella sua camera trattenendo il respiro, silenziosissima. Lo vide
subito, era disteso sul letto. Ancora vestito di tutto punto, dormiva
sprofondato tra le coperte.
La tensione che la irrigidiva si dissolse magicamente. Lo
osservò incredula, le venne da ridere. Appoggiò
una spalla alla porta, lasciando che il nervosismo abbandonasse
definitivamente il suo corpo. Finalmente rilassata, il suo stomaco
brontolò per la fame. Tornò in cucina e
divorò buona parte della pizza. Coprì quella
avanzata, spense la luce e s’infilò in bagno.
Aveva bisogno di una doccia, del getto dell’acqua calda che
la liberasse dal freddo che le era penetrato fin nelle ossa.
Quando tornò in camera da letto, Salvatore dormiva ancora.
Percorse la stanza in punta di piedi, aprì
l’armadio e trovò una felpa che le avrebbe fatto
da pigiama. Se la infilò, rimboccò le maniche e
si arrampicò sul letto. Seduta di fronte a lui, le gambe
piegate e lasciate scoperte dalla felpa che le arrivava poco oltre la
vita, restò ad osservarlo. La luce calda e soffusa che
proveniva da un angolo della stanza faceva risplendere i suoi capelli
d’oro. Obiettivamente Salvatore era davvero bello. I tratti
del viso regolari, il naso dritto, un filo di barba incolta che
cominciava a brillargli sul mento e sulle guance, la bocca
perfettamente disegnata e così morbida, quando si posava su
di lei. Sapeva perfettamente che se riusciva ad essere così
forte davanti a Philip, a sostenere il suo sguardo critico che si
sentiva sempre addosso e a ignorarlo, era anche grazie a Salvatore.
Stare insieme a lui, essere sempre e costantemente al centro delle sue
attenzioni, sentirlo così vicino, a volte anche troppo, ma
sempre pronto a sostenerla persino nei suoi bisticci con Mark, le dava
la forza di sopportare quell’insostenibile situazione. Da
sola non ce l’avrebbe fatta, neppure con l’aiuto di
Mark. Gentile era stata la sua salvezza. Allungò una mano e
gli sfiorò i capelli in una carezza leggerissima,
lasciandoseli poi scorrere tra le dita. Lui forse percepì
quel gesto pieno di affetto, si mosse nel sonno, le si
avvicinò e la strinse a sé. Jenny non si
scostò dal calore di quell’abbraccio. Si
limitò ad allungare una mano e a raggiungere
l’interruttore per spegnere la luce. Poi chiuse gli occhi e
si accoccolò tra le sue braccia.
Dall’altra parte di Torino Philip si girò e
rigirò nel letto. Era stanco, era mezzanotte passata eppure
non riusciva a prendere sonno. Pensava e ripensava. Non sapeva
più come comportarsi. Non ci capiva più niente.
Era nella confusione più assoluta.
Nei primi giorni che aveva trascorso in Italia si era concentrato su se
stesso e sui suoi problemi, mandando in malora gli allenamenti e
facendo quasi venire un esaurimento nervoso al mister. Poi, quando si
era reso conto che non poteva più andare avanti
così, perché la pazienza di Gamo (ma anche quella
dei compagni) aveva un limite che lui stava per superare, aveva deciso
di riscuotersi e dedicarsi alla squadra, come era giusto che facesse.
Insieme alla consapevolezza di avere dei doveri nei confronti della
nazionale, prima di tutto perché era stato convocato e poi
perché purtroppo ne era il capitano fino al rilascio del
nullaosta di Holly, era arrivata anche la consapevolezza che se Jenny
c’era, per quanto non avesse voluto rivederla e tanto meno
insieme all’italiano, non poteva farla sparire in nessun
modo. L’unica cosa che poteva fare era accettare la sua
presenza e i sentimenti che volente o nolente continuava a provare per
lei.
Nel giro di un altro paio di giorni si era reso conto che anche se la
squadra stava ritrovando un certo ritmo nel gioco e negli allenamenti,
lui continuava a galleggiare in un malessere che non voleva saperne di
andarsene e che non aveva idea di come scacciare. Lo sforzo che ogni
giorno gli richiedeva accantonare il disagio che provava, lo sfiniva.
Non sapeva cosa fare e quello era il meno. Il problema principale era
che non sapeva cosa voleva. Nella sua mente viaggiavano in direzioni
opposte una serie infinita di contraddizioni che non trovavano ordine.
Pretendeva che non gli importasse nulla di Jenny, eppure non poteva
fare a meno di essere geloso di Gentile. Voleva starle lontano eppure
era in ansia quando non la vedeva. Voleva ignorarla e invece non poteva
fare a meno di guardarla. Voleva non saperne nulla eppure si
preoccupava di qualsiasi cosa la riguardasse… E oggi aveva
raggiunto il culmine quando l’aveva baciata.
L’unica cosa di cui era sicuro, la conclusione a cui era
arrivato, era che non se n’era pentito, anzi, voleva rifarlo.
Pure se la conseguenza di quel gesto pareva essere stata che lei se ne
fosse andata via con l’italiano. Pensare a quello che adesso
probabilmente stavano facendo gli provocò
all’istante fitte intollerabili di gelosia.
Sentì una porta aprirsi e richiudersi nel corridoio, poi
ficcò la testa sotto il cuscino e si sforzò di
annullarsi il cervello. Doveva dormire, altrimenti non avrebbe retto. E
non poteva permettersi di crollare in campo ancora una volta.
Holly chiamò l’ascensore e scese nella hall.
Più la partita si avvicinava e più stentava a
prendere sonno. Era troppo tempo che non giocava con i colori della
nazionale e la partita contro l’Italia, anche se era solo
un’amichevole, lo eccitava e lo rendeva euforico. Aveva
bisogno di bere qualcosa di caldo per distendere i nervi, sperando che
il bar fosse ancora aperto.
Trovò Evelyn seduta ad un tavolo, gli occhi stanchi e
arrossati incollati al monitor del proprio computer. Batteva rapida sui
tasti e non si accorse del suo arrivo.
-Che stai facendo?-
Si volse a guardarlo.
-Holly.-
-Non dirmi che stai lavorando!-
-Sono in chat con Bob, il reporter che mi hanno assegnato dopo
l’incidente con quel boss della yakuza. Stiamo facendo
conoscenza.-
-A quest’ora?-
-Solo a quest’ora, per colpa del fuso orario. Negli altri
orari lui lavora e io dormo.- tornò a scrivere qualcosa, poi
sembrò ripensarci. Si frugò nelle tasche dei
jeans e gli porse la card della camera -Vai e divertiti. Tanto ne
avrò per tutta la notte.-
Lui la guardò senza capire.
-Come?-
-Vai da Patty e fai qualcosa di utile almeno tu, tanto io da quando
sono arrivata in Italia non sto combinando niente. Né sesso
né lavoro.-
-Evelyn, non voglio sapere quello che fai con Bruce.- la conosceva da
anni ma lei con la sua schiettezza era ancora in grado di metterlo in
imbarazzo.
-Quello che non faccio, intendi. Comunque non voglio mica rivelartelo,
sono affari miei. Era tanto per farti sapere che la mia vena si
è prosciugata. Probabilmente è colpa di Salvatore
Gentile, la sua bellezza sfolgorante mi inibisce. Neppure il sesso mi
riesce.- non riuscì a fare a meno di pensare che tra quel
dio biondo e Bruce c’era una differenza abissale.
-Forse è meglio se riposi, invece di chattare…-
-Ognuno si dà da fare come può.- gli
strizzò l’occhio e gli ficcò la card in
mano -Fila di sopra invece di stare qui a perdere tempo con me!-
Davanti a tanta insistenza Holly smise di farsi pregare.
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Capitolo 15 *** Quattordicesimo capitolo ***
Quattordicesimo
capitolo
Julian si era svegliato senza motivo e non riusciva a riprendere sonno.
Nel silenzio della camera udiva il ronzio di una tv accesa nella stanza
accanto e a tratti le voci attutite di Paul Diamond e Johnny Mason.
Philip era immerso nel sonno sul letto accanto, sprofondato tra le
coperte. Julian percepiva il suo respiro regolare con un certo
nervosismo misto a invidia. Il compagno aveva deciso di dormire una
notte filata proprio quando lui non riusciva a farlo, così
non poteva neppure essergli di compagnia. Evidentemente la stanchezza
che Philip si portava dietro dal giorno prima, mescolata allo stress di
ciò che gli passava per la testa, era stata in grado di
vincere le sue preoccupazioni e concedergli una notte di sano riposo.
Julian invece era molto preoccupato e da quando si era svegliato un
pensiero gli ronzava fisso nella testa. Amy e Benji si parlavano di
nuovo. Di punto in bianco lei aveva ripreso a rivolgersi e a scherzare
con il portiere. Per dirla tutta, a preoccuparlo non era il fatto che
Amy avesse smesso di avercela con Benji, quanto piuttosto il non
essersi accorto di quando ciò fosse accaduto. Il
riavvicinamento gli era sfuggito, non lo aveva notato, eppure doveva
esserci stato. La curiosità lo divorava. Chi aveva rotto il
ghiaccio? Price? Amy stessa? Come, quando e perché?
Philip si volse e Julian lo chiamò piano, sperando che si
svegliasse. Lui non rispose, lasciandolo con l’amaro in
bocca. Ma se anche Philip fosse stato sveglio, non avrebbe mai avuto il
coraggio di dirgli quali pensieri lo angustiavano. Come poteva
confidargli che Amy e Benji che si parlavano fosse un problema se si
vergognava ad ammetterlo lui per primo? E poi a Philip dei suoi
problemi non sarebbe fregato niente. Avrebbe sprecato solo tempo e
fiato, facendo oltretutto una figura di merda nel dare voce alle sue
paranoie.
Si tirò su seduto e prese il cellulare che giaceva acceso
sul comodino. Era collegato al wi-fi dell’hotel e sul display
l’icona delle email era corredata dal numero quarantotto.
Quarantotto messaggi in poche ore, aveva controllato la casella di
posta prima di andare a dormire. Non c’era da stupirsi in
fondo che la sua chat fosse in piena attività. In Italia era
notte ma in Giappone era già mattina. Avrebbe potuto leggere
i messaggi per passare il tempo e attendere che il sonno tornasse. Di
sicuro sarebbero stati più gratificanti delle occhiate che
Benji lanciava ad Amy e viceversa. Senza la fidanzata nei paraggi a
disapprovare profondamente ogni tipo di interesse che palesava per le
sue fan, avrebbe potuto dilungarsi a rispondere come e per tutto il
tempo che desiderava. La luce azzurrina dello schermo acceso illuminava
le pareti della camera, le ombre della tenda e degli arredi si
stagliavano scure contro i muri color crema. Philip continuava a
dormire tranquillo e dalla stanza accanto non proveniva più
alcun rumore. Diamond e Mason dovevano aver deciso finalmente di andare
a dormire. Julian spense il cellulare, lo posò sul comodino
e si mise in piedi. Erano quasi le tre.
Amy si destò di soprassalto con il fragore di un tuono nelle
orecchie. I nervi tesi, i sensi all’erta, chiuse gli occhi e
infilò la testa sotto il cuscino, rigida nel letto, sotto le
coperte, in attesa che il temporale si scatenasse in strada. Trattenne
il fiato finché riuscì a farlo, poi riprese a
respirare. Non udì nulla, nessun fragore si
propagò all’esterno. Allora tese le orecchie e
udì solo silenzio, nessuna pioggia a picchiettare contro le
finestre, né lo scrosciare dell’acqua lungo la
strada. Un colpo leggero alla porta la fece sussultare.
Scattò seduta sul letto, accantonò il cuscino da
una parte e attese. Qualcosa tornò a colpire il pannello. A
piedi nudi attraversò la stanza, raggiunse il piccolo
disimpegno dell’ingresso, appoggiò
l’orecchio e rimase ad ascoltare. Dopo qualche istante il
rumore si ripeté.
-Chi è?- domandò piano.
-Amy apri.- sussurrò la voce di Julian.
Lei fece scattare la maniglia e socchiuse la porta. In pigiama, il
ragazzo si guardava intorno preoccupato.
-Che ci fai in piedi?-
-Non riesco a prendere sonno, fammi entrare.-
Lei glielo impedì.
-È tardi.-
-Lo so, ma voglio dormire con te.-
Amy scosse la testa decisa. Dopo ciò che era successo
qualche giorno prima, non glielo avrebbe più permesso.
-Dai, lasciami passare.- la supplicò quasi.
-Assolutamente no! Non voglio che ci becchino di nuovo, non voglio
diventare lo zimbello della nazionale!-
-Amy, anche se mi beccano nel corridoio finisco nei guai.-
-Nella mia stanza è peggio.-
s’intestardì lei.
-Amy, sento freddo.-
-Anche io. Ragione in più per tornarcene a letto. Ciascuno
nel proprio.- fece per chiudere la porta ma lui ficcò un
piede e la bloccò.
-Stai uscendo o stai entrando?-
Una terza voce li fece sobbalzare. Evelyn avanzava silenziosa e
assonnata nel corridoio. La moquette color vinaccia aveva attutito il
rumore dei suoi passi e nessuno dei due l’aveva sentita
arrivare. Il suo sguardo era spento e stanco, gli occhi arrossati e la
coda allentata. Ciuffi di capelli sfuggiti all’elastico le
incorniciavano il volto. Teneva il portatile con una mano, appoggiato
contro l’anca. La luce blu dello stand-by lampeggiava a
intermittenza.
-Sta andando via.-
-Ma…- tentò di protestare Julian.
-Ci vediamo domani.- Amy si sforzò di sorridergli anche se
la sua insistenza l’aveva snervata. Con un gesto brusco gli
richiuse la porta in faccia.
-Nottataccia, eh?- Evelyn lo osservò tornare mogio mogio
verso la propria camera.
Julian sparì dentro, tutte le intenzioni di leggere e
rispondere ai messaggi delle sue fan dal primo all’ultimo.
Alla faccia della fidanzata e della sua stupida testardaggine.
Evelyn aspettò che sparisse, poi bussò piano alla
porta di Amy. Lei comparve sulla soglia, inviperita.
-Julian! Ti ho detto che…- si bloccò -Eve? Che
vuoi?-
-Ospitalità. Posso dormire da te?- riuscì a
sgusciare dentro -Ho lasciato a Holly la card della mia stanza. Pensavo
di restare a lavorare tutta la notte e invece adesso muoio di sonno. Ho
bisogno di riposare un po’.-
Amy tornò verso il letto sospirando.
-Fai come se fossi da te.- s’infilò sotto le
coperte, anche se ormai il sonno le era passato.
Evelyn fece una tappa in bagno, poi la raggiunse sbadigliando e si
lasciò cadere esausta sul materasso.
-Hai finito di scrivere le domande per l’intervista di
Gentile?-
-No.- biascicò asciugandosi lacrime di stanchezza che le
rigavano le guance -Non riesco a concentrarmi. Quando mi metto a
riflettere su ciò che vorrei chiedergli mi fisso su di lui e
mi si svuota la mente.-
-Stai dicendo sul serio?-
Lei annuì, allungò una mano e afferrò
il portatile.
-Guarda, mi sono fatta una fotogallery coi fiocchi. Pensavo mi
ispirasse, invece mi ha bloccata.-
Amy occhieggiò curiosa. Le immagini di Gentile scorrevano
sullo schermo: in camicia bianca aperta con gli addominali scolpiti
sopra i jeans sbottonati, aggrappato ad una sbarra sopra la testa, i
bicipiti gonfi sotto una maglietta nera, ma anche sulle dune selvagge
di una spiaggia a torso nudo, abbronzato, i capelli biondi spettinati
dal vento.
-È un calciatore o un fotomodello?-
Evelyn sospirò estasiata.
-Può permettersi di fare entrambi. Ti pare?-
-Sì ma adesso basta. Spegni quell’aggeggio, voglio
dormire.-
L’altra annuì, posò il portatile sul
comodino e sprofondò tra le coperte.
Quando riaprì gli occhi le sembrò di averli
chiusi per una manciata di minuti. Invece fuori era così
giorno che i raggi del sole filtravano già decisamente
luminosi attraverso le tende. Al contrario di lei Amy era ben desta e
impiegò pochissimo a prepararsi. Evelyn le
ciondolò dietro lisciando alla meglio i vestiti spiegazzati
che indossava dalla sera prima, anche se sentiva di aver bisogno di una
doccia che la svegliasse e la ripulisse da capo a piedi. Per recuperare
il sonno perduto avrebbe potuto schiacciare un pisolino dopo pranzo.
Fortuna che Bob, il nuovo fotografo, era un tipo simpatico e gradevole,
se non altro non aveva passato metà della notte sveglia
inutilmente.
-Dov’è che stiamo andando?- domandò
seguendo svogliatamente l’amica fuori dalla camera e lungo il
corridoio.
-Io a chiamare Julian. Tu non lo so.-
-Non è troppo presto? Forse sta ancora dormendo.-
-Di solito a quest’ora è sveglio da un pezzo.- e
che non fosse passato a chiamarla per scendere insieme a far colazione
era inquietante. Forse ce l’aveva con lei perché
la sera prima l’aveva mandato via. Le dispiaceva che se la
fosse presa, ma non era pentita neppure un po’. Se Julian
fosse rimasto da lei, Evelyn li avrebbe beccati insieme e sarebbe stata
capace di ottenere da Julian la card della sua camera e prendere il suo
posto nel suo letto, passando l’intera notte a dormire fianco
a fianco con Philip. Per carità! Non che non si fidasse di
Evelyn… Anzi, a pensarci bene di Evelyn non si fidava per
niente. Se poi c’era di mezzo Philip, si fidava ancor meno.
Aveva notato perfettamente che da quando erano arrivati,
l’amica lo braccava stretto con un’insistenza che
non poteva essere legata soltanto all’intervista che diceva
da giorni di dovergli fare e di cui ancora non si vedeva neppure
l’ombra. Philip, da parte sua, cercava di evitarla il
più possibile. Cosa nascondevano?
Bussò alla stanza di Julian e la porta si aprì
immediatamente, come se lui fosse stato proprio lì dietro ad
aspettarla. Lo salutò con un sorriso particolarmente
smagliante, tante volte se la fosse davvero presa. Lui rispose
distratto, gli occhi che non la guardavano neppure, fissi
com’erano su qualcosa all’interno della camera che
aveva catalizzato tutto il suo interesse. Anzi, non soltanto il suo.
Evelyn drizzò le antenne e sgattaiolò dentro.
-Che state facendo?-
Philip era seduto su una delle due poltroncine del tavolino. La voce di
Evelyn lo fece voltare e accolse entrambe con un’espressione
inequivocabilmente irritata. Indossava una maglietta bianca sui
pantaloni del pigiama. Una delle maniche era tirata sopra la spalla per
lasciare scoperto il braccio, cinto da un laccio emostatico. Il dottor
Hills sedeva davanti a lui e stava strappando l’involucro di
una siringa sterile. In piedi, accanto alla finestra, Gamo completava
il quadro.
Evelyn si tese, i suoi occhi volarono irrequieti dall’uno
all’altro. Quando parlò, la sua voce
trasudò preoccupazione.
-Che sta succedendo qui?-
-Un normalissimo controllo di routine.- spiegò Gamo un
secondo prima di fulminare Julian con un’occhiata di fuoco.
Perché le aveva fatte entrare?
Il medico distese il braccio di Philip sul ripiano del tavolo e
infilò l’ago nell’incavo del gomito.
Evelyn distolse gli occhi rabbrividendo e tornò a posarli su
Gamo.
-Se è un controllo di routine, vuol dire che lo
farà a tutti?-
-No.-
-E perché solo a lui?-
-Evelyn, per favore…- si spazientì Philip. Sapeva
che Evelyn sapeva il perché, quindi per quale motivo li
assillava? Durante gli allenamenti era crollato e Gamo aveva chiesto al
medico un controllo. Punto. La fissò così a lungo
e così intensamente che alla fine fu lei a distogliere lo
sguardo e a spostare il peso da una gamba all’altra
dissimulando l’imbarazzo. Ad Amy quello scambio di occhiate
non piacque per niente. Era sempre più convinta che sotto ci
fosse qualcosa.
Mettere a tacere l’amica servì a distrarlo, a
distogliere l’attenzione dal liquido scuro che fluiva nel
piccolo tubo di plastica. Aveva paura che il suo sangue lo tradisse. La
sua vita negli ultimi tempi non era stata irreprensibile come avrebbe
dovuto. Tentò di discolparsi, dicendosi che sarebbe stato
molto più facile comportarsi bene se gli ultimi mesi fossero
stati meno stressanti, ma l’inquietudine restò e
non riuscì a scacciarla completamente.
Peter Shake trovò la porta accostata, la spinse ed
entrò silenziosissimo. I suoi occhi apprensivi misero a
fuoco la scena e corsero di qua e di là terrorizzati. Era la
fine! Era la fine della speranza di avere un nuovo capitano nel
Sapporo, era la fine della carriera di Philip, dell’illusione
sua e di Grace che riuscisse a riprendersi Jenny! Forse addirittura la
fine della loro amicizia. Se Philip nei giorni precedenti aveva di
nuovo fatto uso di quella roba, l’avrebbero buttato fuori
dalla nazionale a calci.
Julian era rimasto indietro e fu l’unico a vederlo entrare.
Gli si accostò indagatore e poiché Evelyn aveva
ripreso a blaterare, riuscì a rivolgersi a lui senza farsi
udire da nessun altro, neanche da Amy.
-Stai nascondendo qualcosa, Peter. Qualcosa di importante che riguarda
Philip. Che cosa?-
Shake scosse la testa, gli occhi bloccati sull’ago conficcato
nel braccio del compagno.
-Cos’ha Philip? Sta male?-
Peter spostò lo sguardo dal braccio al viso
dell’amico. La sua espressione era imperscrutabile. Come
poteva restare così calmo? Non si rendeva conto del rischio
che stava correndo?
D’un tratto Philip sollevò lo sguardo e si accorse
di lui.
-Chiudi quella maledetta porta, Julian! Siamo diventati troppi, non lo
vedi?-
-Non ti scaldare, Callaghan. Ho finito.- Hills tamponò con
un batuffolo d’ovatta intriso d’alcool la goccia
scarlatta comparsa sulla pelle dopo aver sfilato l’ago -Tieni
qui.- disse piazzandogli due dita sul cotone e togliendo il laccio.
-Bene, perfetto.- Gamo sembrò soddisfatto, nonostante gli
intrusi e le domande di Evelyn -Adesso puoi andare a fare colazione,
Philip.-
Il dottor Hills incollò un cerotto sulla minuscola ferita
sanguinante, ripose nella borsa gli strumenti, compresa la siringa
utilizzata, e insieme al mister lasciò la stanza.
-Lo spettacolo è finito.- Philip si alzò e
afferrò la felpa che giaceva abbandonata sul letto,
scacciando il giramento di testa che lo assalì. Hills gli
aveva tolto troppo sangue, era bianco come un cencio e Amy fu
l’unica a notarlo.
-Vuoi che ti porti la colazione in camera?-
-Certo che no! Non sono mica malato!- gesticolò nervoso
-Perché invece non cominciate a scendere così vi
togliete dai piedi e posso finire di vestirmi?-
Rimase soltanto Peter, dritto come un palo a due passi dalla porta a
stringersi nervosamente le mani una nell’altra, intrecciando
le dita con forza, incapace di nascondere la propria agitazione.
-E ora?-
-Ora cosa?-
-Ti hanno fatto le analisi del sangue!-
Philip si infilò i pantaloni della tuta sportiva e lo
fissò beffardo.
-E allora? Non hai detto giusto ieri che non mi vuoi come capitano?-
Il ragazzo divenne pallidissimo. L’eventualità che
rimandassero Philip in Giappone era più di quanto avrebbe
potuto sopportare. Esitò.
-Se non hai niente da dirmi, perché non te ne vai?-
Peter trasalì, gli voltò le spalle e
sbatté la porta con violenza.
Il contatto di un bacio sulla spalla svegliò Jenny.
Salvatore la teneva tra le braccia, il volto sprofondato tra i suoi
capelli lunghi sparpagliati sul cuscino. Sentiva il suo alito caldo
accarezzarle la pelle, il suo respiro nelle orecchie.
All’inizio non lo aveva riconosciuto e si era spaventata.
Poi, gradualmente, il suo cuore aveva smesso di battere
all’impazzata. Sperò che Salvatore non si fosse
accorto della sua irrazionale e inconscia reazione ai suoi baci.
Mosse le gambe e toccò con la mano la sua pelle nuda e calda
e, sotto le dita, i suoi muscoli in tensione. Lasciò che le
slacciasse il reggiseno, ricordando che la sera prima, mentre si
sforzava di prendere sonno tra le sue braccia, si era imposta di non
tirarsi più indietro. Far sesso con Salvatore sarebbe stato
fondamentale per dimostrare a se stessa una volta per tutte di aver
superato il trauma di Kyoto. Non poteva seguitare a sottrarsi a questa
prova. Se avesse continuato a farlo, con il passare del tempo sarebbe
stato sempre più difficile trovare il coraggio di lasciarsi
andare. Salvatore senza saperlo le stava offrendo quello che secondo
lei era il solo modo per ritrovare la normalità di un tempo.
Doveva assolutamente approfittarne.
L’impazienza di Salvatore la rese nuda in un istante. Rise
mentre le baciava l’ombelico e si sollevò per
aiutarlo quando lo sentì sfilarle le mutandine. Nella fioca
luce del mattino il ragazzo, memore della volta precedente, si prese il
tempo di guardarla come per chiederle il permesso, la conferma di poter
andare avanti. Lo sguardo incoraggiante di Jenny per lui fu sufficiente
e, un secondo prima di chinarsi a baciarla, solo per un attimo, un
istante fugace, i suoi occhi sfiorarono la sveglia. Tanto
bastò. Quei tre numeri illuminati di verde gli raggiunsero
il cervello con un secondo di ritardo, ma accompagnati da una
consapevolezza tale che tutto il suo corpo si tese e si
irrigidì.
-Cazzoètardissimo!-
Il momento magico che Salvatore aspettava da mesi svanì in
un istante. Il ragazzo non poté raccogliere nulla di tutto
ciò che aveva seminato in quel lungo corteggiamento. Era
veramente troppo tardi.
Jenny si volse a guardare l’orologio. Erano le nove e mezza e
Salvatore si era già tirato su, emergendo nudo dalle coperte.
-Porca puttana non è possibile! Proprio oggi! Proprio
adesso! Ma che cazzo!-
Osservandolo Jenny non riuscì a fare a meno di pensare
divertita che Evelyn avrebbe dato chissà cosa per vederlo
così, mentre radunava i suoi vestiti sparsi qua e
là, il corpo perfettamente scolpito di una statua greca.
Prese il cellulare per controllare i messaggi e poi, spinta da un
impulso irrazionale, aprì la fotocamera. Salvatore
evidentemente si sentì i suoi occhi addosso
perché si volse con un’espressione metà
di scuse, metà adirata.
-Alle dieci c’è la conferenza stampa di questa
maledetta partita!- sparì in bagno, poi si
riaffacciò per finire di parlarle -Non posso mancare, non
posso assolutamente! Mio padre…- gli sfuggì una
smorfia di fastidio -Mi ha minacciato. Se sgarro stavolta mi lascia in
panchina!- tornò dentro e Jenny udì solo la sua
voce -Lo farà, maledetto lui! Stavolta ci
riuscirà!- tutto il resto venne nascosto dallo scrosciare
dell’acqua della doccia.
Jenny si tirò su frastornata. Recuperò i vestiti
e li indossò al volo, chiedendosi se
l’interruzione fosse stata un bene o un male.
Infilò il cellulare nella borsa e si volse a guardarlo
quando lui la raggiunse, i capelli grondanti e un asciugamano con cui
si tamponava frenetico l’acqua che ancora gli scorreva
addosso.
-Vieni con me?-
-Dov’è la conferenza stampa?-
-All’hotel dei giapponesi a due passi dal centro sportivo
così, appena finito, possiamo dedicarci agli allenamenti.
Splendido, no?-
Philip li vide subito quando arrivarono perché era seduto
sui divanetti della hall, rivolto proprio verso le vetrate che davano
sul parcheggio. Il fatto che Jenny indossasse gli stessi vestiti con
cui la sera prima era fuggita dall’hotel la diceva lunga su
dove avesse trascorso la notte. E se anche avesse indossato vestiti
diversi, i dubbi che avrebbe avuto sarebbero stati decisamente scarsi.
Jenny richiuse lo sportello della Giulietta. Gentile, in piedi
dall’altro lato in giacca e cravatta, fece il giro della
macchina e la raggiunse. La prese tra le braccia e le disse qualcosa.
Jenny annuì ridendo e gli passò una mano tra i
capelli. La gelosia di Philip divenne insopportabile e fu costretto ad
abbassare gli occhi perché vederli insieme gli faceva ogni
giorno più male. Anche se si erano lasciati, erano stati
insieme talmente a lungo che Jenny era senza dubbio più sua
che di Gentile.
Dopo un tempo che gli sembrò interminabile,
l’italiano si staccò da lei e raggiunse
l’ingresso dell’hotel. Philip sapeva
perché era lì. Salvatore era stato
l’ultimo ad arrivare. I suoi compagni erano già
tutti nella sala conferenze in balia dei giornalisti, in attesa che
iniziasse la conferenza stampa. Gentile salutò Benji e Mark
ma Philip non lo degnò neppure di uno sguardo quando gli
passò accanto, preferendo di gran lunga restare ad osservare
Jenny che percorreva su e giù il parcheggio parlando al
cellulare.
Philip si sforzò di scacciare l’irritazione. Lo
attendeva un’altra estenuante giornata di allenamenti,
durante la quale avrebbe dovuto sforzarsi di pensare più
alla squadra che a se stesso, più ai compagni che a Jenny.
Si frugò nelle tasche, tirò fuori il cellulare e
finse di controllare i messaggi per evitare di prendere parte alle
chiacchiere degli amici che gli sedevano intorno.
Quando Jenny entrò, Evelyn la raggiunse eccitatissima.
-In giacca e cravatta non si può guardare! È
davvero bellissimo, la natura ci si è messa
d’impegno, con lui!-
-Eve, per favore.-
-E non ti innervosire, che avrò mai detto? Piuttosto,
com’è andata? Una favola di sicuro…- le
strizzò un occhio, complice.
-Sì, una favola.- l’accontentò.
-Non immagini quanto ti invidi, tenere un fusto così tra le
braccia… sentirsi quella bocca addosso, quelle mani sul
corpo… e il resto…-
Lei annuì.
-Ti ho portato un regalo.- ripescò il cellulare dalla borsa
e aprì la galleria delle immagini. Ne selezionò
una e la mise sotto gli occhi di Evelyn.
A lei per poco non venne un infarto.
-Ommioddiooooo! Non ci posso credere!- cercò di toglierle il
telefonino dalle mani ma l’amica se lo aspettava e fu
più rapida. Spense lo schermo e lo rinfilò nella
borsetta.
-No, ti prego!- piagnucolò lei -Fammela vedere meglio!-
-Quello che hai visto è sufficiente.-
-Diavolo, Jenny! Non puoi farmi balenare davanti agli occhi la foto di
Gentile come mamma l’ha fatto e poi non darmi modo di
analizzarne i dettagli.-
Jenny s’irrigidì e si lanciò
un’occhiata intorno.
-Abbassa la voce, Eve. Ci stanno guardando tutti!-
-Cosa te ne importa?-
-Mi importa. Sono cose private.-
-E allora che me l’hai mostrata a fare?-
Jenny rifletté.
-A pensarci bene avrei fatto meglio a tenerla per me!-
Evelyn ritrattò.
-Ma no, ti assicuro! Hai fatto benissimo. L’ho detto per
dire. Soltanto… fammici dare solo un’altra
occhiatina. Per favore!- sbatté le ciglia supplichevole.
-Non lo so, forse più tardi. Adesso vado a casa a cambiarmi.
Ci vediamo dopo.-
-Sì, dopo ci vediamo senz’altro e non solo per
analizzare meglio la foto del tuo boy. Ho preparato le domande, ma
vista la mia difficoltà con l’inglese, forse a
qualcuna puoi rispondere tu, evitandomi cinque minuti di brutte figure.-
-Domande per cosa?-
-Per l’intervista al dio della bellezza.-
Jenny non fu sicura di aver capito.
-Vuoi intervistare Salvatore?-
-Non cadermi dalle nuvole, Jenny. Te lo sto dicendo da un pezzo!-
-Pensavo avessi rinunciato.-
-Perché mai? Ti assicuro che gliela farei anche se non la
pubblicassero.-
-E cosa vorresti chiedergli? Niente su di me, spero!-
-Tranquilla, le domande su di te sono di riserva.-
-Hai preparato delle domande su di me? Evelyn!-
-Più che su di te, sui suoi gusti particolari in fatto di
sesso…-
-Gusti particolari?- Jenny non capì se la stesse prendendo
in giro o dicesse sul serio.
-Sì, me ne ha parlato Benji. Mi ha detto certe cose!-
-Certe cose di che genere?- scoppiò a ridere -Tipo che non
indosso le mutandine? Se ti interessa saperlo le ho anche oggi!-
-Jenny?-
Si volsero, Patty e Amy le avevano raggiunte.
-Benji spara un sacco di fandonie, Evelyn! Dovresti conoscerlo ormai.
Non dargli ascolto!- lo cercò e lo vide alzarsi dalla
poltroncina per seguire i compagni che uscivano diretti al campo.
Il portiere si calcò il cappellino sulla testa e poi, forse
sentendosi osservato, si volse. Jenny gli sorrise e lui
ricambiò, sollevando una mano in un cenno di saluto.
*
Clarissa era nervosa perché non riusciva a capire se
Salvatore si era accorto di lei e la stava ignorando alla grande,
oppure non l’aveva ancora notata. Smise di torcersi una mano
nell’altra e decise di accendersi una sigaretta. Avrebbe
voluto smettere di fumare ma la sua volontà, da quando
Salvatore l’aveva lasciata, si era ridotta in briciole. E
poi, quando era così in ansia solo il fumo aveva il potere
di calmarla. Salvatore non avrebbe approvato. Scosse la testa. A
Salvatore non sarebbe importato, non stavano più insieme.
Fece scattare l’accendino e già alla prima boccata
la nicotina le rilassò i nervi. Una folata di vento disperse
il fumo e le gettò una ciocca di capelli ramati sul viso.
Lei la scostò dagli occhi e la passò dietro un
orecchio. Il suo ex ragazzo continuava a giocare ignorandola, ma Dario
l’aveva vista e l’aveva salutata. Salvatore non
aveva mai guardato dalla sua parte e Clarissa sapeva con certezza che
Dario non lo avrebbe avvertito della sua presenza. Avevano
già litigato una volta e molto, a causa sua. Belli non era
così stupido da commettere di nuovo l’errore di
impicciarsi nei loro problemi e rischiare di rovinare il suo rapporto
di amicizia con il giocatore della Juventus. Lei lo sapeva e sapeva
anche che non poteva più contare su Dario per avvicinare
Salvatore.
Jenny la trovò in piedi, un po’ discosta, tra la
recinzione dei due campi, quello degli italiani e quello dei
giapponesi, ferma proprio lungo il suo percorso. Le dava le spalle ma
la riconobbe immediatamente dalla cascata di capelli ramati che le
scendeva sulla schiena. Indossava un piumino leggero color crema e dei
jeans blu che le aderivano come guanti alle natiche rotonde. Ai piedi
calzava un paio di stivali scamosciati con il tacco. Nel suo
abbigliamento casual era ancor più provocante che fasciata
dall’elegante vestito della serata di beneficenza.
Per raggiungere le amiche fu costretta a passarle accanto. Lei le
sorrise e le tese una mano, in un gesto che la colse del tutto
impreparata. Dopo un attimo di esitazione in cui si guardarono negli
occhi e si valutarono, Jenny gliela strinse.
-Mi chiamo Clarissa.-
Lei rispose in inglese e la giovane rossa proseguì in quella
lingua.
-Passavo di qui e mi sono fermata per dare un’occhiata.-
disse quasi a giustificare la propria presenza. Poi, incapace di
frenare il nervosismo, abbassò gli occhi e frugò
nella borsetta, tirandone fuori, per la seconda volta, il pacchetto di
sigarette -Fumi?-
-No.-
-Fai bene. Quando ero con Gentile avevo smesso. Ho ricominciato dopo.
Adesso sto cercando di smettere di nuovo…- fece una risatina
imbarazzata -Ma è difficile.-
Non seppe perché si lasciò andare a quella
confidenza. Era sicura che a Jenny non importasse un fico secco che
Salvatore l’avesse fatta smettere di fumare, se quando erano
stati insieme non aveva più sentito la dipendenza dalla
nicotina che le avvelenava il corpo. L’accendino
scattò sulla seconda sigaretta e Clarissa tirò
una lunga boccata di fumo. In quell’ultima manciata di giorni
aveva consumato pacchetti alla velocità della luce e aveva
smesso di preoccuparsi definitivamente della salute dei suoi polmoni.
Anzi, la sua vita per intero aveva smesso di importarle fin da quando
Gentile l’aveva lasciata. Da quel momento in poi le era
persino passata la voglia di mangiare. Per riuscirci si sforzava e
nonostante adesso ricevesse molte più offerte di lavoro
grazie alla sua magrezza, si stava riducendo pelle e ossa. Quando si
guardava allo specchio non si riconosceva più.
A disagio spostò gli occhi da Jenny al campo dei giapponesi,
scambiando con Mark un cenno di saluto. Lui piegò appena la
testa da una parte, poi corse via, dietro la palla.
-Sei fortunata.- l’amarezza le fece tremare la voce
-Salvatore è un ragazzo d’oro.-
Jenny annuì, con il cervello in piena attività.
Doveva trovare il modo di sganciarsi, non era sicura che la ragazza non
si lasciasse andare ad una scenata. Dalla sua espressione, dal suo
atteggiamento, dalle sue parole e insomma dal solo fatto che fosse
lì, era chiaro che a Gentile teneva ancora.
-Mi sono comportata malissimo nei suoi confronti.-
Clarissa lo cercò tra i giocatori e quando lo
trovò e si accorse che le stava fissando, distolse subito
gli occhi per spostarli in quelli di Jenny. Era incredibile che quella
ragazza non l’avesse ancora allontanata a male parole. Che se
ne stesse lì ad ascoltarla con pazienza, quasi con
compassione. Si riscosse, lei non voleva la compassione di nessuno.
Aspirò la sigaretta per l’ultima volta, anche se
ne aveva fumata appena metà. Poi la spense.
-Avevamo deciso di sposarci.-
Jenny trasalì. L’incontro con la ex di Salvatore
si stava rivelando più sconvolgente che mai.
-Mi dispiace.- si guardò i piedi, convinta una volta per
tutte di essere finita nel posto sbagliato. Aveva fatto tredici ore di
volo in aereo per attraversare il mondo e raggiungere
l’Italia soltanto per poi ritrovarsi non solo faccia a faccia
con Philip ma anche scomodamente infilata tra Gentile e la sua ex. Non
sarebbe stato meglio restare a Shintoku o, al peggio, a New York dai
suoi? Lì, negli Stati Uniti, la cosa peggiore che sarebbe
potuta accaderle era sposare uno dei pretendenti che le avrebbe fornito
suo padre. Praticamente niente in confronto a ciò che stava
passando a Torino. Spostò gli occhi sul vialetto, voleva
andarsene ma non sapeva come congedarsi.
E mentre Jenny esitava, Clarissa la studiava, cercando di farsi
un’idea più precisa di lei. Prese atto del suo
corpo minuto ma ben proporzionato, del suo viso grazioso
dall’incarnato roseo, la pelle liscia e vellutata. Dei suoi
capelli lunghi e neri, del colore del cioccolato fondente. Era graziosa
e attraente e non poteva farci nulla se a Salvatore piaceva. Pensando a
lui tornò a guardarlo e d’un tratto non lo
trovò. Non era più tra i ragazzi che correvano,
non era più sul terreno di gioco. Poi lo vide. Costeggiava
il campo di gran carriera, diretto proprio verso di loro. Dario gli
tagliò la strada e lo afferrò per un braccio,
costringendolo suo malgrado a fermarsi.
-Ci stiamo allenando e io mi sono stancato di vederti fare i tuoi
comodi.-
Gentile fremette d’ira.
-Che è venuta a fare, Dario?-
-Perché lo chiedi a me? Io non ne so niente! Abbiamo
già litigato per lei e non ho intenzione di rifarlo!-
-Lo chiedo a te proprio per questo! Tu stai dalla sua parte!-
-Io non sto dalla parte di nessuno! Ti ho solo detto che chiunque
può commettere un errore! Pensi di essere perfetto? Di non
sbagliare mai?-
-No che non lo penso! Non mi interessa la perfezione, ma il rispetto
sì!- gli occhi di Salvatore lampeggiarono -Solo i cervi sono
fieri di avere le corna, Belli!- lo scostò brusco e
imboccò l’uscita del campo.
Clarissa se lo trovò davanti.
-Che cazzo sei venuta a fare?-
-Sono passata qui vicino e…-
-Come ti è saltato in mente di fermarti? Qui non
c’è nessuno a cui fa piacere vederti!-
lanciò un’occhiata al parcheggio, ai fan accalcati
contro la recinzione esterna, ai giornalisti e ai fotografi -O magari
hai pensato di fornire altro materiale alla stampa e riprenderti le
prime pagine di gossip?-
Clarissa non era andata lì per litigare, ma stavano finendo
per farlo di nuovo. Indicò Jenny.
-A quello hanno già pensato lei e Landers! Hai visto le
foto? Si sono baciati! Perché lei l’hai perdonata?-
-Non sono affari tuoi, non lo sono assolutamente! E adesso vattene!-
Jenny non capì nulla, ma comprese che era ora di filare. Che
litigassero da soli. Lei non voleva saperne niente, non voleva neppure
assistere alla loro performance. Sparì silenziosissima,
nessuno dei due si accorse della sua fuga. Mentre imboccava il vialetto
che conduceva al bar, Mark le piombò accanto, facendola
saltare di paura.
-Tutto bene?-
-Sì, certo.-
Eppure lui, detergendosi il sudore dalla fronte con
l’asciugamano che gli pendeva dal collo, prese atto della sua
espressione sconvolta.
-Che ti ha detto Clarissa?-
-Niente.-
-Qualcosa te l’ha detto per forza. Stavate parlando. Ti ha
offesa?-
-No. Lei non c’entra.- respirò a fondo e
continuò -È questa situazione ad essere un
casino… Non so più cosa voglio, non so
più cosa sia giusto. Non so più niente.-
Dopo aver lanciato un’occhiata guardinga ai compagni per
accertarsi che nessuno facesse caso a loro, a parte Philip a cui non
sfuggiva nulla che riguardasse la sua ex, Mark le posò una
mano sulla spalla e la spinse dentro il bar dove, con le squadre ancora
in campo, potevano condividere alcuni minuti di tranquilla solitudine.
Non appena varcarono la porta Jenny, che non aspettava altro che di
potersi sfogare con qualcuno, si fermò e lo
guardò dritto in faccia.
-Ieri Philip mi ha baciata.-
Mark trasecolò.
-Cazzo! Anzi… bene, no?-
-No! Ha detto che se mi baci tu e mi bacia Salvatore ha tutto il
diritto di farlo anche lui.-
-Ma che pezz…- strinse i pugni e ingoiò
l’invettiva. Spinse Jenny verso il banco del bar e
scostò la sedia perché si sedesse, lei che aveva
tempo e poteva farlo. Lui rimase in piedi, con i minuti contati -Sono
sicuro che ha detto così perché è
geloso.-
-L’ha fatto solo per ripicca.-
-Forse, ma anche perché è geloso. Non vedi come
ti guarda?-
-No, non lo vedo e non voglio vederlo. Anzi, evito proprio di
guardarlo.- tremava per l’ira, gli occhi fissi sul banco del
bar -Non può permettersi di essere geloso e neanche di
baciarmi per ripicca.- alzò lo sguardo sul ragazzo e la voce
le si ruppe -Non è giusto, Mark…-
Jenny aveva ragione. Non era giusto. Non era giusto ciò che
le era capitato, che McFay l’avesse violentata. Non era
giusto che avesse dovuto soffrire così tanto. Non era giusto
che lei e Philip si fossero lasciati e che quella che era sembrata a
tutti la coppia perfetta ora non si rivolgesse neppure la parola. Ce
n’erano tante di cose che non erano giuste, lui lo sapeva
bene. Molto bene. Lo sapeva fin da piccolo. Di tante cose che non erano
giuste, c’era anche che un incidente lo avesse privato da
bambino di suo padre.
-Forse è confuso quanto te. Forse anche lui non sa come
comportarsi… Di sicuro in campo sta facendo un casino.
Qualche giorno fa ha restituito la fascetta a Marshall, dicendogli che
non era in grado di guidare la squadra.-
-Come lo sai?-
-Ho sentito Benji che lo diceva a Holly. Te l’ho detto, sta
facendo un casino. Se Gamo avesse saputo che non era in forma, forse
non lo avrebbe neppure convocato.-
-Non è in forma? Che vuoi dire?-
-Ieri mattina è stramazzato a terra privo di sensi.-
-Non ci credo!-
-Chiedilo a Patty, o ad Amy. O magari a Evelyn, forse gli ha scattato
una foto e ci ha scritto un articolo. Chiunque può
confermartelo.-
Jenny non ebbe parole per rispondere, era ancora più confusa
e preoccupata di prima. Vide Mark alzarsi.
-Torno fuori, non te ne andare. Torniamo a casa e pranziamo insieme.-
Jenny annuì e lo guardò uscire. Non voleva che
Philip stesse male, non lo voleva assolutamente. Non voleva neppure che
soffrisse a causa sua, lo aveva già fatto tanto, troppo.
Però era arrabbiata, ce l’aveva con lui e non
riusciva a dispiacerle se, come supponeva Mark, era geloso di Gentile.
E quando le tornò in mente ciò che non era
successo a casa di Salvatore quella mattina, si decise ad essere
contenta che fosse finita così.
Benji la raggiunse per primo. Filare via dal campo e conquistarsi la
sua doccia preferita, ancora pulita e asciutta, era diventata ormai una
consuetudine. Quando la confusione dei compagni che si tiravano
l’acqua, lo shampoo, le scarpe e i calzini puzzolenti
diventava insopportabile, lui era già fuori dagli
spogliatoi.
Jenny lo accolse al bar con un sorrisetto, ben memore della
conversazione avuta con Evelyn qualche ora prima. A quanto pareva il
portiere andava ancora in giro a inventarsi cose su Gentile e sui suoi
gusti in fatto di donne e di sesso. Era forse il caso di vendicarsi,
almeno un pochino?
Lo vide passarsi una mano tra i capelli ancora umidi e agganciarsi il
cappellino ai jeans, dove passava metà della sua esistenza.
Quando le arrivò vicino Jenny scostò lo sgabello,
invitandolo con un sorriso ad accomodarsi accanto a lei.
-Come mai sei da questo lato del bancone?-
-Lavoro solo il pomeriggio.-
Il ragazzo del bar spuntò dal retro e si affrettò
a servire il nuovo arrivato. Poi tornò a finire di riporre i
bicchieri puliti negli scaffali, suddivisi per tipologia e misura. Era
un barman preciso ed efficiente e quando Jenny gli dava il cambio
trovava sempre tutto pulito e in ordine.
-Stanco?-
-Non più del solito.- agitò curioso
l’aperitivo che lei gli aveva ordinato
-Cos’è?-
-Assaggia e mi dirai se ti piace.-
Lui valutò con occhi critici la bevanda, facendo sorridere
Jenny.
-Che c’è? Non ti fidi? Hai paura che ti faccia
ubriacare per poi sedurti?-
-Sarebbe davvero l’ultima delle mie paure.-
Lei si accomodò meglio. Si sporse in avanti e lo
fissò negli occhi, provocatoria.
-Raccontami le fantasie erotiche di Gentile.-
-Non le conosci già?-
-Non ancora…- Jenny si tirò indietro di scatto,
improvvisamente conscia di ciò che aveva appena ammesso. E
poi proprio con Benji. Distolse gli occhi, li abbassò
imbarazzata sul bicchiere, le guance arrossate.
Il portiere fu d’un tratto tutt’orecchi. Quella
sì che era una novità.
-Stai dicendo sul serio? Avrei giurato il contrario.-
-Non le conosco tutte…- cercò di rimediare lei.
Aveva pensato di prendersi gioco di Benji e invece l’amico in
due secondi l’aveva messa nel sacco. La voglia di fare
conversazione con lui scese sotto zero. Si alzò -Adesso devo
andare.-
-A fare pratica col tuo ragazzo?-
Un brivido le corse su per la schiena.
-No, a mangiare.-
Uscì, anzi fuggì di gran carriera. Avrebbe
aspettato Mark fuori. La fretta di andar via la spinse direttamente tra
le braccia di Bill Steiner che la incastrò lungo il
vialetto, impedendole di proseguire. Ridendo, il giornalista le
agitò davanti un quotidiano giapponese.
-Buongiorno Jennifer.-
Lei si limitò a guardarlo torva.
-Il suo nome per esteso non è Jennifer?- la ragazza rimase
muta e visto che di quell’informazione non se ne faceva
niente, lui lasciò perdere -Come sta?-
-Stavo meglio prima di vederla.-
Steiner scoppiò a ridere.
-Lei ha davvero il senso dell’umorismo. È rimasta
parecchio nel bar, pensavo che non ne uscisse più.-
-Mi stava aspettando?-
-In effetti sì. Sa perché?-
-Non mi interessa.-
Lui proseguì caparbio in quello che stava diventato un
monologo, togliendogli tutto il divertimento.
-Il fatto è che sto cominciando ad avere qualche dubbio su
chi sia realmente il suo ragazzo.-
Lei impallidì.
-Questo non la riguarda.-
Steiner aprì il giornale che aveva sventagliato in aria poco
prima. Jenny lo conosceva, era il quotidiano sportivo di Sapporo
più diffuso. La nonna era abbonata al giornale da
più di un anno perché vi si trovavano
più spesso che in altre testate, articoli sulla squadra di
Philip.
-Ha visto la foto?-
Jenny afferrò stizzita il giornale. Nell’angolo
della pagina che Steiner le aveva aperto c’era Mark che la
baciava. Dallo scatto era impossibile capire che era stato lui a
rubarle quel maledetto bacio.
-Jenny! Vieni qui!-
Sentì Patty chiamarla, richiuse di colpo il quotidiano e lo
restituì all’uomo. Steiner non lo prese.
-Non vuol leggere l’articolo alla pagina successiva?-
Lei esitò. Avrebbe voluto rispondergli che no, non le
interessava, ma il tono dell’uomo accese la sua
curiosità che vinse il desiderio di tagliare la corda.
Sfogliò nervosa il giornale finché, nella pagina
successiva a quella del bacio, ritrovò il proprio volto
formato fototessera, accanto a tre piccole foto che ritraevano
nell’ordine Salvatore, Mark e Philip. Il titolo beffardo,
recitava: “Chi dei tre?”. Le dita di Jenny si
contrassero in uno spasmo, spiegazzando la carta. Alzò su
Steiner uno sguardo carico di astio e fu tentata di gettargli il
giornale in faccia.
-Come si permette?-
L’uomo cercò di rabbonirla.
-Perché non risponde a qualche domanda, così mi
aiuta a chiarire?-
Sentì Patty chiamarla ancora. L’amica aveva
ragione, doveva filar via prima che la situazione le sfuggisse di mano.
Era furiosa. Restituì il giornale a Steiner ma lui non lo
prese.
-Lo tenga pure, io l’articolo lo conosco a memoria.- si
parò al centro del viottolo quando lei cercò di
oltrepassarlo -Pensa che lascerà Gentile per Landers?-
-Oh per favore!- esclamò esasperata -Non voglio
più ascoltarla! Mi lasci passare!-
-Come pensa che reagirà Gentile ad essere scaricato di nuovo
per un altro?-
-Mark ed io siamo solo amici! Le sue insinuazioni sono odiose!-
-Io non insinuo nulla. Sono un giornalista e descrivo i fatti. Ed
è un fatto che lei abbia baciato Landers.-
-Mi lasci passare!-
Cercò di svicolare ma lui le afferrò un braccio.
-Tenga giù le mani!- se lo scrollò di dosso e lo
spinse di lato facendogli perdere l’equilibrio. Lo
oltrepassò e corse via. Raggiunse le amiche col fiato corto
più per la collera che per la corsa.
-Jenny, devi stargli alla larga non fermarti a parlarci.-
-Non mi faceva passare, Patty.- agitò il giornale, che
Evelyn le tolse di colpo.
-Fa’ vedere.-
Lei sbiancò e lo riprese, strappandoglielo letteralmente
dalle mani. Nessuno, neppure le amiche e tanto meno Evelyn dovevano
posare gli occhi su quel maledetto articolo o sarebbe morta di
vergogna.
-L’hai insultato di nuovo?- domandò Patty.
-Non l’ho mai insultato!- nella testa le balenò
d’un tratto l’espressione basita della nonna che
sfogliava le pagine e trovava la foto. La tensione che le percorreva
ancora i nervi si allentò e d’improvviso le venne
da ridere -Non c’è niente di divertente lo so, ma
quel fotografo lavora per questo giornale e la nonna ne è
abbonata.- ridendo sfogliò le pagine fino a trovare la foto
di lei e Mark e gliela mise sotto gli occhi -Immaginate la sua faccia
quando la vedrà!-
-Senza dubbio ti invidierà da morire.-
Tom sedeva sull’erba discosto dai compagni, in quella zona
del campo tra il dischetto centrale e l’area di rigore. I
ragazzi, dopo aver indugiato nei pressi della panchina per dissetarsi,
asciugarsi il sudore e riprendere fiato, stavano rientrando negli
spogliatoi mettendo così fine alla giornata di allenamento.
Tutto sommato Tom era contento che grazie all’incontro che
quella sera Mark avrebbe disputato con la sua squadra italiana allo
Juventus Stadium, gli esercizi fossero finiti in anticipo. Il sole era
ancora alto in un cristallino cielo azzurro contornato dalle Alpi, e i
suoi raggi gli scaldavano la pelle, asciugandogli il sudore dal volto e
dalle braccia. Si passò stancamente una mano tra i capelli,
umidi sulla fronte, sulle tempie e sulla nuca. Poi tirò
giù i calzettoni, arrotolandoli alle caviglie e si
slacciò i parastinchi che gli stringevano i polpacci.
Intorno a lui a poco a poco le conversazioni si affievolivano, le
risate e le grida scemavano, mentre la squadra rientrava alla
spicciolata negli spogliatoi, dove si sarebbe scatenato
l’inferno per la corsa alle docce. Stavolta a Tom non andava
né di cercare di guadagnarsi un posto tra i primi,
né di aspettare che se ne liberasse finalmente una,
scomodamente appollaiato su una panca di legno, nell’aria
acre e irrespirabile di uno spogliatoio invaso da una ventina di
ragazzi sudati. Stavolta sarebbe arrivato per ultimo, dopo essersi
goduto qualche minuto di tranquillità. Per un momento voleva
dimenticare la partita contro l’Italia sempre più
vicina, la presenza dei compagni, i problemi della squadra e i
battibecchi che per la prima volta nella sua vita lo mettevano in
contrasto con Philip. Ma non solo. Voleva dimenticare la ragazza
conosciuta in Francia tanti anni prima, che aveva tifato per il
Giappone durante tutte le fasi del torneo giovanile di Parigi. Voleva
cancellare il suo pensiero perché si era reso conto che con
tutta probabilità Amélie teneva a lui molto meno
di quanto lui tenesse a lei. E che, probabilmente, in quel preciso
momento, stava trascorrendo il pomeriggio a divertirsi con le sue
amiche e i suoi amici, senza spendere per Tom, lontano solo poche ore
di volo, neppure mezzo pensiero. Quando queste riflessioni gli
catturavano la mente, si ritrovava ad invidiare Holly e la sua fortuna
di aver trovato ad accoglierlo per anni, ad ogni ritorno in Giappone
dal Brasile, l’amore incondizionato e la fedele costanza di
Patty che mai, neppure un minuto, si era stancata di aspettarlo.
Eppure più ci pensava e più si domandava se non
fosse meglio che la storia tra lui e la francese finisse
così, lasciandosi per telefono o tramite messaggi, evitando
a entrambi l’imbarazzo di dirsi tante cose in faccia. Ma era
già finita? O ancora no? Nessuno dei due tirava fuori o
almeno accennava a questo scomodo argomento. Esattamente come nessuno
dei due si era mai chiesto, quando a Parigi si frequentavano, uscivano
insieme, passeggiavano sotto la Torre Eiffel tenendosi per mano e tante
altre cose a cui in quel momento non andava di pensare, se stessero
insieme oppure no. Il fatto era che insieme stavano bene quindi
perché farsi tante domande? Ora però erano giunti
ad un punto morto. Si erano fermati, ibernati, all’ultima
volta che si erano visti mesi prima. Da quel giorno non avevano fatto
più né un passo avanti né uno
indietro. E Tom, a quel punto, era deciso a sbloccare la situazione per
sentirsi libero e per lasciar libera lei, che forse ci si riteneva
già e lui non lo sapeva. Era chiaro che se Amélie
in quegli ultimi giorni di permanenza in Italia non avesse trovato
tempo e modo di raggiungerlo per assistere alla partita o vederlo prima
o dopo l’incontro, il poco che c’era stato tra loro
sarebbe ovviamente finito. A occhio e croce, quella specie di legame
che li aveva appena appena avvicinati, non era valso un decimo di
quello che per anni aveva unito Philip e Jenny. E guardali quei due
dov’erano arrivati, nonostante si fossero amati alla follia.
E lui, in fondo, Amélie l’aveva mai amata? Forse
no. Forse trovare a Parigi una ragazzina giapponese pronta a tifare per
lui e sostenerlo a bordo campo aveva rappresentato solo una
consolazione alla solitudine dei suoi traslochi in giro per il mondo.
Era stato bello, e comodo anche, non doversi cimentare nella difficile
pronuncia del francese per rivolgerle la parola. Era stata rassicurante
l’attrazione che avevano provato l’uno per
l’altra. E forse non era solo questo? Attrazione? Era molto
meglio se si fosse affrettato a riconoscere che a unirli non
c’era mai stato niente se non una reciproca simpatia,
perché lui stesso forse non aveva provato per lei niente di
troppo coinvolgente. Se fosse stato il contrario, adesso non avrebbe
sentito soltanto un profondo fastidio di fronte al suo comportamento
scostante e distaccato. Non poterla incontrare sebbene fossero
così vicini, l’avrebbe portato a macerarsi
esattamente come si stava macerando Philip che, nonostante avesse Jenny
costantemente davanti agli occhi, soffriva come un cane.
Philip. Anche lui adesso era diventato un bel problema. Non era sicuro
che gli altri avessero capito fino a che punto stesse male. Ma lui
sì, lo aveva notato e già da parecchio. Lo vedeva
deperire un po’ di più ogni giorno. Era bastato
sentirlo al telefono qualche settimana prima quando lo aveva invitato a
raggiungerlo con un giorno di anticipo a Fujisawa, o vederlo a casa di
Benji esternare un’unica battuta corredata da un sorriso
stiracchiato, andando nel panico nel momento in cui veniva nominato
capitano della nazionale in attesa del nullaosta di Holly. Si era
accorto da subito che dai giorni di Kyoto il suo dolore non aveva fatto
un passo avanti, piuttosto si era acuito in una sofferenza senza via
d’uscita. E ora in Italia lo teneva d’occhio fin da
quando Julian gli aveva fatto quel discorso sugli antidolorifici,
affibbiandogli tra capo e collo una responsabilità che lui
non si era voluto prendere, in un momento in cui era così
deluso da Philip da non riuscire a comportarsi da amico.
Così aveva finito per ignorare sia l’appello di
Ross che le condizioni dell’ex capitano della Flynet. E
questo perché Amelie, giusto qualche istante prima, si era
rifatta viva con un banalissimo come stai, cosa stai facendo. Che se le
fosse interessato davvero, lo avrebbe raggiunto senza farsi troppo
pregare.
Tom era deciso a non chiamarla più, né a
scriverle. Era ora di finirla di prendere in giro sia lei che se
stesso. Dopo la partita contro l’Italia, giusto un momento
prima di imbarcarsi sull’aereo che lo avrebbe riportato in
Giappone, avrebbe messo definitivamente fine a quel poco che era
rimasto in sospeso tra loro.
Peter Shake gli si avvicinò e gli si sedette accanto.
-Non vai a farti la doccia?-
Tom scosse la testa.
-Aspetto che lo spogliatoio si svuoti un po’. Oggi non sono
dell’umore adatto a sorbirmi le chiacchiere degli altri.-
Peter appoggiò i gomiti sulle ginocchia e
accarezzò l’erba con il palmo della mano. Gli
steli appuntiti da un taglio recente gli fecero il solletico sulla
pelle indurita dalla fatica.
-Neppure io.-
-Per il pugno che ieri hai dato a Philip?-
Shake abbassò gli occhi sull’erba e tacque.
-Perché lo hai fatto? Non ti ho mai visto così
arrabbiato con lui.-
Peter ponderò bene le parole.
-Non mi piace come si sta comportando negli ultimi tempi.-
-Con Jenny, intendi?-
-No… Sì, anche. Però più in
generale.- allungò le gambe e appoggiò le mani al
suolo dietro di sé, a sostenere il peso della schiena. Era
sicuro di potersi fidare di Tom, ma il segreto che custodiva nel cuore
era troppo sconvolgente per rivelarlo a chiunque. Per esempio, se Grace
non fosse stata al corrente delle scorribande di Philip, non lo avrebbe
detto neppure a lei. Forse solo a Jenny, perché nonostante
lei e Philip non stessero più insieme, continuava a pensare
che soltanto l’amica fosse in grado di fare qualcosa per
togliere il compagno dalla spirale di autodistruzione in cui si era
cacciato.
Tom gli lanciò un’occhiata, poi si volse ad
osservare la strada che correva poco distante, qualche metro al di
sopra di loro. Le macchine sfrecciavano a velocità
sostenuta, in quell’ora in cui i torinesi cominciavano a
tornare a casa dal lavoro.
-Da quando lui e Jenny si sono lasciati è diventato
un’altra persona. Grace ed io non sappiamo più
come prenderlo. Ci evita, non esce neppure con i ragazzi della Flynet.
Sai quante volte lo abbiamo invitato e ci ha dato buca? Se ne sta
sempre da solo o con quella insulsa fotomodella… o con
qualche tipa che conosce giusto per una notte. Oppure frequenta gli
altri del Sapporo… una combriccola di individui
inaffidabili...- emise con un sospiro tutto il suo dispiacere e la sua
delusione -Stamattina ho parlato con Grace. Mi ha intimato di fare
assolutamente qualcosa per farli tornare insieme. Ma cosa? Philip, se
nomino Jenny, smette di ascoltarmi. Cosa che già fa poco
anche se non la nomino. E quando ho provato a parlare con lei, Jenny mi
ha subito fermato pregandomi di non continuare perché sta
cercando di dimenticarlo. Cosa devo fare, Tom? Cosa posso fare?-
L’altro non seppe rispondergli. Non sapeva neppure se Peter
fosse al corrente di ciò che era successo a Kyoto. Quel
passato non era qualcosa si cui si potesse parlare così,
come conversando del più e del meno. Ricordare quei giorni
non era piacevole neppure per lui. Non aveva una risposta per alleviare
l’angoscia di Peter, non aveva una soluzione al problema. Se
avesse saputo cosa fare per Philip, o per Jenny indifferentemente, lo
avrebbe già fatto. Di una cosa soltanto era certo: che Mark
non avrebbe dovuto baciare Jenny sotto gli occhi di Philip. Quella
dell’amico a bordocampo, alla luce del giorno e davanti a
tutti, persino ai giornalisti, era una vera e propria carognata di cui
non riusciva a spiegarsi né il senso né il
motivo. E quando il giorno prima gliene aveva chiesto la ragione, Mark
lo aveva liquidato scocciato con un gesto sbrigativo della mano. Tom
avrebbe replicato volentieri insultandolo un po’, ma aveva
visto Danny avvicinarsi. Per Mellow veder trattato male Mark era sempre
un piccolo trauma e siccome, insultando Landers, Tom si sarebbe
soltanto sfogato un po’ senza risolvere il problema di
Philip, aveva lasciato perdere.
-Non lo so, Peter. Forse non possiamo fare proprio niente per loro.-
-È quello che temo anch’io, ma Grace non vuole
capirlo.-
Tom si alzò e si sgranchì le gambe, appesantite
da ore e ore di allenamenti. Si sfilò la casacca azzurra
rimasta a coprirli la maglietta e rabbrividì quando la
brezza del pomeriggio penetrò sulla schiena sudata
attraverso la trama del cotone leggero. Si chinò a
recuperare i parastinchi e si guardò intorno un
po’ spaesato, riscuotendosi dallo stanco torpore che lo aveva
invaso. Alla fine in campo erano rimasti soltanto loro due.
I palloni erano stati riposti, le bottiglie dell’acqua e
delle bevande energetiche ormai vuote erano state tolte di mezzo, sulle
panchine non era rimasto neppure un asciugamano. Dalla loro parte di
campo era la desolazione più totale mentre al di
là della recinzione la squadra italiana continuava gli
allenamenti decimata dei suoi elementi migliori, a riposo come Mark per
l’incontro della serata.
Anche Peter si mise in piedi e Tom si volse a guardarlo.
-Tu e Grace state insieme?-
Shake accennò finalmente un sorriso. Soltanto pensare alla
ragazza lontana sembrò metterlo di buonumore.
-Non lo so. Non ce lo siamo mai chiesti. Ma ogni tanto io mi fermo a
dormire da lei o lei dorme da me.-
Tom lo guardò con attenzione. Che fosse qualcosa di simile a
ciò provava nei confronti di Amélie?
-Adesso ti manca?-
-Sì. Però ci sentiamo tutti i giorni.-
Peter sorrise di nuovo, poi si incamminò sul sentiero di
ghiaia biancastra che conduceva agli spogliatoi. Tom esitò a
seguirlo, bloccato dalla certezza che ciò che provava o
aveva provato per Amelie, non era neppure lontanamente amore.
*
Arrivarono allo Juventus Stadium dopo il tramonto, col buio che faceva
risplendere le luci dell’imponente costruzione. La fermata
dell’autobus era oltre l’ampio pendio del
parcheggio su cui lo stadio era appollaiato, circondato da aiuole di
prato geometriche lungo tutto il perimetro. L’ingresso
principale era sulla sinistra rispetto alla fermata, bisognava seguire
il muro di cinta tra le macchine e i tifosi riuniti in grappoli
eccitati.
Evelyn camminava incollata a Jenny guardandosi intorno curiosa. Fino a
pochi minuti prima l’aveva supplicata di mostrarle ancora la
foto di Gentile, ma l’amica si era rifiutata ancora una
volta. Ora non le si staccava più di dosso, sperando di
riuscire prima o poi a convincerla. Procedendo tra la gente osservava i
tifosi che sbandieravano, le sciarpe bianconere che si agitavano, i
telefonini accesi che brillavano, i flash che scattavano. Il gruppo dei
compagni le seguiva sparpagliato e Jenny sperava che nessuno si
perdesse. In mezzo a quella ressa non avrebbe saputo come ritrovarlo.
Sull’ingresso principale dello stadio svettavano due travi
gigantesche, unite in cima come una V rovesciata, a cui erano ancorati
i tiranti della copertura degli spalti. La scritta di luce bianca
“Juventus Football Club” era incastonata sulle
vetrate dell’atrio, illuminato a giorno ad accogliere i soci
abbonati e i VIP. Salendo leggermente in salita sul pendio per
raggiungere l’entrata, percorsero il lastricato fiancheggiato
dal parapetto nero decorato con i loghi della Juventus, oltre il quale
sprofondava in discesa la strada percorsa dal pullman della squadra,
sparendo nel sottosuolo per permettere ai giocatori di accedere allo
stadio senza essere infastiditi dai tifosi più petulanti.
Jenny aveva visto il pullman parcheggiato quindi si stupì di
non vedere Salvatore nell’atrio ad aspettarla. Non
c’era neppure Mark. Esitò nell’ingresso
mentre i compagni le si accalcavano intorno. C’era troppa
gente, loro erano un gruppo cospicuo e non sapeva dove mettersi per non
essere d’impiccio alle persone che fremevano per entrare e
allo staff che correva indaffarato di qua e di là. Si
tirò da un lato, oltre le colonne, gli alti vasi bianchi e i
divanetti di pelle nera. Holly le si avvicinò. Aveva il suo
biglietto in mano e lanciava occhiate impazienti all’ingresso.
-Non entriamo?-
-Salvatore ha detto che ci veniva a prendere con i pass per Amy, Evelyn
e Patty ma non lo vedo. Forse è ancora negli spogliatoi.
Dobbiamo aspettarlo.-
-Gentile è lì, Jenny.- Bruce indicò
una testa bionda che spuntava oltre un gruppo di altre teste chine su
uno dei banchi temporanei di assistenza agli abbonati, allineati lungo
le pareti in occasione delle partite.
L’amico aveva ragione, in quella calca non era riuscita a
vederlo. Si avvicinò al gruppetto e lo chiamò.
Salvatore tirò su di scatto la testa.
-Siete già qui?- chiese sorpreso, come se avesse perso per
un attimo la cognizione del tempo.
A Jenny bastò dare un’occhiata al ripiano del
banco per capirne il motivo. C’erano delle carte da gioco
sparpagliate lì sopra e lui e le tre persone che gli erano
accanto ne tenevano alcune in mano.
-Arrivo subito.- le disse tornando a concentrarsi sulla partita.
-Sì, se ti dai una mossa.- il ragazzo che gli stava di
fronte aveva al collo il tesserino di riconoscimento dello staff -Io
devo lavorare, mica possiamo farci notte.-
-Lo dici a me? Tra un po’ mi daranno per perso e mi
lasceranno in panchina.-
Salvatore si era cambiato. Indossava i calzoncini della divisa, i
calzettoni, gli scarpini e sopra la maglia della squadra un giacchetto
bianco con il logo della Juventus all’altezza del cuore.
-Ciao Michele. Chi vince?-
Jenny si volse di scatto, al suo fianco era comparso Rob che scrutava
il tavolo curioso. Dario aveva tentato di insegnargli alcuni giochi di
carte tipicamente italiani ma lui trovava difficile capirne le regole e
decifrarne le figure.
-E chi vuoi che vinca?- Michele sospirò e scoprì
la propria carta.
In successione la mano tornò a Salvatore che per tutto il
giro aveva trattenuto a stento una vittoriosa euforia. Mise
giù ciò che gli restava in mano ed
esultò.
-È stato un piacere giocare con voi! Sganciare, prego!- tese
una mano e i giocatori sconfitti posarono sul palmo spalancato le loro
quote.
-Fortunato al gioco, sfortunato in amore.- decretò uno di
loro che indossava la divisa degli avversari di quella sera.
-Neanche per sogno. La mia ragazza è qui. La tua
dov’è? Si tratta di un pronostico, alla faccia
tua!- ridendo s’infilò nella tasca del giacchetto
per lo meno duecento euro.
Rob emise un fischio d’ammirazione e tornò dai
compagni. Bruce, a cui non era sfuggito nulla, gli si
avvicinò guardingo e sospettoso.
-È legale?-
Michele porse a Jenny i tre pass.
-Prima il tuo ragazzo ci spenna, poi ci chiede favori.-
Lei non capì una parola, ma li prese, ringraziò e
li consegnò alle amiche.
Mark li raggiunse torvo, puntando Salvatore. Anche lui indossava la
divisa della squadra ed era pronto a scendere in campo.
-Hai finito di fare i tuoi comodi?-
-Dovresti imparare a giocare a carte, Landers. Se sei bravo riesci a
raggranellare un bel gruzzoletto. Ti farebbero comodo, visto che stai
sempre a centellinare ogni euro.-
-Non mi interessa.-
Gentile alzò le spalle e controllò
l’ora.
-Vado a bere una birra se no si fa troppo tardi. Jenny, vieni con me?
Tanto con loro c’è Landers. Li accompagni tu,
vero?- lo trapassò con un’occhiata mentre prendeva
la ragazza per mano.
-Solo la birra, ti ci mancava…- borbottò Mark
guardandoli allontanarsi.
-Cosa cosa?- Clifford drizzò le orecchie -Va a bere una
birra?-
-Quello fa come gli pare.- Landers scrollò le spalle
-Diamoci una mossa, devo tornare di là.-
-Ma che calciatore è uno che beve una birra prima della
partita? Non si è mai sentito niente del genere.-
Aoi sembrava divertito dallo sconcerto dei compagni.
-Lui è tutto speciale, Clifford. Quello che fa lui lo fa
solo lui. Gli lasciano passare anche la birra pur di averlo in squadra.
Gentile è il figlio dell’allenatore della
nazionale italiana, che a sua volta era capitano della nazionale.
Praticamente è come se il calcio ce l’avesse nel
sangue.-
-Sarà come dici ma in campo non mi pare che si impegni
granché.-
Rob lanciò un’occhiata a Sandy mentre percorrevano
i corridoi dello stadio per raggiungere i loro posti. Le pareti erano
intonacate di bianco e su tutto quel chiarore ogni tanto sputava la
gigantografia in bianco e nero dei giocatori che avevano fatto la
storia della squadra.
-Perché non va d’accordo con il padre.-
-Anche noi non andiamo d’accordo con Gamo eppure gli
allenamenti li prendiamo seriamente.-
-Non tutti Sandy, non tutti…- rise Clifford riferendosi a
Philip in modo così palese che quello si sentì
preso in causa, si volse e replicò con un’occhiata
acida.
Oltre due grandi porte spalancate, davanti a loro comparve il tappeto
verde cinto dagli spalti ricolmi di tifosi che sbandieravano striscioni
e lanciavano urla e fischi. Landers indicò i sedili in
plastica, in gran parte bianchi, alcuni neri.
-Sedetevi dove vi pare, oggi le tribune degli ospiti sono quasi vuote.
Non è una partita importante.-
Senza un attimo di esitazione, Evelyn superò gran parte dei
compagni e reclamò il posto accanto a Rob, costringendo Paul
Diamond ad alzarsi e spostarsi.
-Finisci di raccontarmi la storia di Gentile.-
-Che palle Eve.- sbuffò Bruce, che aveva sfrattato Johnny
Mason per sedersi accanto a lei.
Rob non se lo fece ripetere due volte e riprese a parlare.
-Dario Belli mi ha detto che Gentile ha praticato tutti gli sport
possibili per non seguire la strada del padre. Alcuni anni fa ha
persino vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi di nuoto. E
poi faceva le corse con la moto.-
-Dopo un brutto incidente ha lasciato perdere.- s’intromise
Mark.
Evelyn lo guardò storta.
-Non dovevi andare a raggiungere i tuoi compagni di squadra?-
Lui sembrò ricordarsene solo in quel momento e dopo un
saluto frettoloso schizzò via.
-Senti senti, il nuoto…- Evelyn si avvolse pensierosa
intorno al dito una ciocca di capelli che era sfuggita alla coda
-Adesso capisco il perché di tutti quei muscoli pure dove tu
non ce l’hai, Bruce.-
Il fidanzato la squadrò.
-Per esempio quali?-
-Non li conosco mica tutti per nome. Però sulla schiena ne
ha una bella quantità.-
-Dov’è che avresti visto la schiena di Gentile?-
-Proprio stamattina. Jenny mi ha fatto il regalo più bello
del mondo mostrandomi una foto di Salvatore Gentile completamente nudo.
L’ho visto tutto. Di spalle purtroppo…-
Decine di occhi si fissarono su Evelyn. Amy addirittura
arrossì.
-Stai scherzando?-
-E mi ha promesso anche quella di Mark.-
Philip riuscì a restare impassibile. Solo, sulla tempia, la
pelle si contrasse in un minuscolo e impercettibile spasmo.
-Jenny mi ha mostrato la foto solo per pochi secondi.-
sospirò afflitta -Non sono riuscita a mettere a fuoco nessun
particolare.-
-Neppure uno, Evelyn?- rise Benji -Sicura, sicura?-
-Giuro, neppure uno. È stata solo una fugace
visione…- sospirò affranta e tornò a
guardare Rob -Come mai ha lasciato perdere il nuoto e ha scelto il
calcio?-
-Perché guadagna di più, che dici?- la
schernì Bruce infastidito da tutto l’interesse che
la ragazza continuava imperterrita a mostrare nei confronti del
calciatore italiano.
Nella pausa tra il primo e il secondo tempo Gentile uscì
dagli spogliatoi e raggiunse le transenne che sbarravano
metà del corridoio per impedire a chiunque di avvicinarsi.
Si chiese, non vedendola, se Jenny si sarebbe affacciata come di
consueto o sarebbe rimasta in tribuna insieme ai compagni e,
inevitabilmente, a Callaghan. Quando ormai, stanco di aspettarla, stava
per rientrare, lei arrivò di corsa.
-Non ero sicuro che saresti scesa.-
-Ho accompagnato Patty ed Evelyn al bar e ho fatto tardi.-
Mark sbucò dallo spogliatoio.
-Stiamo vincendo.-
-L’ho visto. Sono contenta per te.-
-Che dicono su?-
-Che se oggi perdi, venerdì ti lasciano in panchina.-
Jenny si trattenne ancora un poco, poi dovettero rientrare e lei si
avviò per tornare sulle tribune. Svoltò un angolo
e si fermò di colpo, incredula. Philip le era di fronte,
appoggiato contro il muro. Teneva le braccia incrociate sul petto e la
fissava. Jenny fu totalmente incapace di decifrare la sua espressione
ma di una cosa fu certa: la stava aspettando e lei non poteva fuggire
da nessuna parte. Respirò a fondo una volta, poi
avanzò verso di lui, parlando per prima perché la
miglior difesa era pur sempre l’attacco.
-Perché sei qui?-
Philip si staccò dal muro, si avvicinò e lei
reagì indietreggiando. Non servì a nulla, lui le
fu d’un tratto vicinissimo e la prese per mano.
-Vieni. Dobbiamo parlare.-
Tale prospettiva fece affiorare il panico dentro di lei. Ricordava
perfettamente com’era andato a finire il loro ultimo
colloquio nei corridoi di uno stadio.
-Parlare? E di cosa? Non abbiamo proprio nulla di cui parlare.-
Philip ignorò le sue proteste e la costrinse a seguirlo,
continuando testardo ad allontanarsi dal percorso che avrebbero dovuto
seguire per tornare ai propri posti. Mentre camminava svelto
trascinando con sé la ragazza si guardava intorno, sperando
di trovare in fretta un posto tranquillo e discreto dove fermarsi,
prima che Jenny s’impuntasse davvero e gli sfuggisse ancora
una volta. Quei corridoi erano un labirinto, non riusciva a
raccapezzarsi. Anzi, dopo l’ennesima svolta, si rese conto di
essersi appena perso in un dedalo di cunicoli tutti uguali.
Sbucarono d’improvviso nel ristorante. Proprio lì
Philip trovò ciò che cercava e la
portò con sé dietro uno dei giganteschi pilastri
neri che sorgevano tra i tavoli. Senza sapere come, Jenny si
ritrovò con la schiena contro la colonna, Philip davanti e
alle spalle di lui le vetrate che si aprivano sulla partita iniziata e
sugli spalti ricolmi di tifosi. Il ristorante era praticamente
semivuoto, i tavoli occupati erano forse cinque o sei e tutti nei
pressi delle finestre. Nessuno guardava verso di loro, nessuno si era
accorto del loro ingresso.
Gli occhi della ragazza tornarono a posarsi su Philip confusi,
increduli e scontenti.
-Jenny…-
-Non ho niente da dirti, Philip.-
Lui esitò, poi annuì.
-Hai ragione. Parlare è inutile.-
E la baciò. Ma lei non voleva essere baciata soltanto
perché anche Salvatore e Mark lo avevano fatto.
Cercò di allontanarlo puntandogli le mani sul torace ma lui
le afferrò i polsi.
-Lasciami.-
-No.-
-Allora mi metto a gridare.-
-Fallo, così finiremo su tutti i giornali.- tornò
ad accostare il proprio viso al suo.
Lei si irrigidì e volse la testa da un lato. La bocca di
Philip si posò non sulle sue labbra ma sulla pelle tra il
collo e l’orecchio, quella parte del viso che lei
involontariamente gli porgeva. Un brivido le percorse la schiena e
serrò gli occhi, nell’ultimo silenzioso gesto di
rifiuto che le restava. Dopodiché poteva soltanto mettersi a
urlare, come aveva minacciato di fare. Lo sentì scendere
lungo il collo e quasi per magia la tensione nel suo corpo si
allentò. Così, quando Philip la lasciò
per prenderle il viso tra le mani e sollevarlo verso di lui, non fece
nulla per impedirglielo. Sospirò soltanto. Incoraggiato
dalla sua mancanza di reazioni, lui tornò a baciarla,
riuscendo finalmente ad impossessarsi delle sue labbra.
Jenny d’improvviso si sentì esattamente come nel
sogno. Trovarsi finalmente e realmente tra le braccia di Philip
tornò ad essere stupendo come lo era sempre stato.
D’un tratto non provava più il desiderio di
allontanarlo, voleva solo che continuasse, che quel momento fosse
eterno.
Fu lui ad un certo punto a tirarsi indietro e a guardarla negli occhi.
-Voglio che torni in Giappone con me.-
La richiesta di Philip ruppe l’incanto, Jenny lo
fissò sbigottita e si ritrasse prima ancora di poterci
pensare, prima di cominciare a torturarsi fino a impazzire e
distruggersi il cervello. Distolse gli occhi e abbassò il
viso.
-Non cambierebbe nulla.-
-Non è vero, cambierebbe tutto. Non c’è
niente che non va tra noi, dobbiamo tornare insieme.- dirlo
significò accettarlo.
Gli occhi di Jenny lo fissarono con uno sguardo liquido, Philip
riuscì a leggervi la sorpresa, la paura,
l’indecisione. Assimilò quei sentimenti e anche
gli altri, perché per la prima volta dopo mesi poteva starle
così vicino per un tempo così lungo. I minuti si
dilatavano, tanto erano intense le sensazioni che Philip stava
provando. Poté toccare i suoi capelli lunghi, a cui non
aveva smesso un attimo di pensare da quando li aveva sfiorati il giorno
prima. Vi affondò le mani, lasciandoseli scorrere tra le
dita, dandosi stavolta il tempo di meravigliarsi per quanto erano
cresciuti, per quanto erano serici, morbidi e profumati. La sua mente
notò i particolari di quel viso truccato, lei che non aveva
bisogno di farlo perché era bella di una bellezza naturale.
L’ombretto bianco faceva risplendere gli occhi, dalle labbra,
dopo il bacio, era scomparsa ogni traccia di rossetto. Le sue dita le
accarezzarono le spalle, scivolarono lungo la schiena, quasi a volersi
rassicurare che Jenny fosse davvero lì con lui in carne e
ossa. Le prese le mani e le stinse tra le sue, nonostante lei cercasse
di ritirarle. Il momento magico era passato, svanito, e adesso Jenny
voleva soltanto andarsene.
-Non possiamo stare qui.-
Dalla sua voce trasudò l’urgenza di nascondersi,
di non farsi vedere insieme. Un desiderio così forte che
Philip non poté impedirle di sgusciare di lato tra lui e la
colonna e allontanarsi in direzione dell’uscita. Il ragazzo
non la seguì e quando Jenny se ne accorse tornò
indietro, incapace di abbandonarlo, seppur soltanto nel ristorante
dello stadio. Lo prese per una manica, evitando accuratamente il
contatto con la sua mano, la stretta delle sue dita. Senza dire una
parola, senza neppure guardarlo, lo precedette nel corridoio da cui
erano venuti, cercando di orientarsi e ritrovare presto le tribune
degli ospiti. Procedettero rapidi e in silenzio, Philip si
lasciò condurre senza tentare più nessun
approccio, nella mente ad orbitare un unico chiodo fisso.
C’era una cosa che voleva sapere, una domanda che lo
torturava, a causa della quale da alcuni giorni non trovava pace. Una
domanda che gli perforava il cervello, che gli spaccava il cuore. E
allora, un istante prima di sbucare sugli spalti, le
agguantò una mano e la trattenne. Jenny si volse, trovandosi
inerme ad affrontare il suo sguardo tormentato.
-Ci sei andata a letto?-
-E tu? Tu ci sei andato a letto con la tua fotomodella?-
Si liberò dalla sua stretta e lo lasciò sulla
soglia impietrito, sgomento, il cervello svuotato ma bloccato sulla
consapevolezza che Jenny sapeva di Julie. Come aveva potuto credere che
sarebbe bastato baciarla di nuovo, che sarebbe bastato chiederglielo
perché tornasse con lui? Era un cretino fatto e finito! Non
riusciva a capacitarsi di tanta ingenuità. A testa bassa
uscì sugli spalti e tornò a sedersi accanto a
Benji.
-Sei sporco di rossetto.-
Philip si passò d’istinto il dorso di una mano
sulla bocca. Il portiere rise.
-Non era vero.-
-Vaffanculo, Price.-
-È andata meglio oggi?-
Philip scosse la testa. Nel campo sotto di loro la partita era in pieno
svolgimento ma lui aveva la mente in subbuglio e non riusciva a seguire
le azioni, non vedeva nulla se non il volto di Jenny vicinissimo al
proprio, i suoi occhi truccati, le sue labbra dischiuse, i suoi capelli
neri e lunghi tra cui aveva infilato le dita. Benji era un parolaio ma
su una cosa aveva maledettamente ragione. E più Philip si
avvicinava a Jenny e più iniziava a capirlo davvero. In
nessun modo poteva permettere che Gentile o chiunque altro, gliela
portasse via. Non aveva la certezza che lei lo amasse ancora, che lo
amasse come prima dopo ciò che era successo tra loro. Ma non
poteva non provare a riconquistarla. Come, non lo sapeva. Si era
convinto di conoscerla, mentre ogni giorno che passava gli sembrava
sempre più diversa. Non sapeva più come
prenderla, cosa aspettarsi, cosa dirle e come agire. La Jenny che
sedeva due file avanti a lui, che pochi minuti prima aveva baciato, gli
era quasi del tutto sconosciuta e dire che partiva da zero era pure
troppo. Forse anche lui era cambiato, chissà. Fu preso dallo
sconforto, la situazione gli sembrò irrecuperabile.
-Sa di Julie Pilar.-
-Sì.-
-Gliel’hai detto tu?-
-Ha visto una foto su una rivista.-
Callaghan tornò a fissare il campo sempre più
depresso. Sapeva benissimo di quale foto stava parlando. Solo una volta
erano finiti sui giornali, lui e Julie, quell’unica maledetta
volta in cui li avevano ripresi mentre si baciavano. Non poteva
prendersela con nessuno, la colpa era soltanto sua e della sua
stupidità.
-Non fare quella faccia, Philip. Anche se Jenny sa di Pilar, il
risultato è sempre pari perché lei sta con
Gentile.-
Anche Jenny teneva gli occhi sul campo e non riusciva a seguire la
partita. Si torceva una mano nell’altra decisa, da quel
momento in poi, di evitare a tutti i costi che Philip si avvicinasse a
lei quando era sola. Non sarebbe riuscita ad affrontarlo di nuovo, non
era sicura di averne la forza e non era neppure sicura di voler tornare
con lui. Aveva sofferto troppo in quegli ultimi mesi e temeva di dover
ricominciare a farlo se avesse accettato la sua proposta. E poi non
doveva assolutamente dimenticare che a Sapporo Julie Pilar stava
aspettando il suo ritorno.
La partita finì senza che lei se ne accorgesse, fu Amy a
riscuoterla. Come un automa si mise in piedi e raggiunse le uscite
seguendo il gruppo dei compagni a testa bassa. Più cercava
di non pensarci e più sentiva sulle labbra la pressione
della bocca di Philip, le sue braccia che la stringevano, la sua voce
che le chiedeva di tornare a casa con lui e i suoi occhi addosso
persino in quel momento. Non vide Philip, o meglio non volle vederlo e
passò alla guida dei compagni solo quando uscirono nel
parcheggio perché tra la ressa dei tifosi faticarono a
raccapezzarsi per ritrovare la fermata dell’autobus. Li
avrebbe riaccompagnati sani e salvi all’hotel, poi sarebbe
fuggita a casa. Aveva una voglia matta di mollare tutto e tutti.
Mentre si strizzavano sull’autobus già strapieno,
Patty le sfiorò un braccio.
-Jenny, c’era quel giornalista allo stadio. L’hai
visto?-
Lei scosse la testa, incapace di scacciare la convinzione che la sua
presenza a Torino non aveva fatto altro che ingarbugliare le vite della
gente. A cominciare da Mark, che la sopportava a casa da due mesi. E
Gentile, se non ci fosse stata lei, forse avrebbe già fatto
pace con la sua ex. Per non parlare poi di Philip che frequentava
un’altra e a cui, se non l’avesse rivista, non
sarebbe mai passato per la testa di provare a riconquistarla.
Indugiò su quell’ultima riflessione. Provare a
riconquistarla? Era davvero questo ciò che stava facendo?
Il suo desiderio più grande da quando era alle medie era
stato quello di rimanere con Philip per tutta la vita e invece si era
andata a ficcare in un gran bel casino. Avrebbe voluto sparire,
andarsene via e lasciare che tutto si risolvesse da sé. Si
chiuse in un silenzio che la seguì fino in hotel.
-Non entri con noi?- le chiese Evelyn quando la vide fermarsi sul
marciapiede ed esitare indecisa.
-E a far cosa? Ormai sono le undici e mezza, torno a casa.-
-Non sarebbe meglio che dicessi a Mark di passare a prenderti?-
-Eve ha ragione, Jenny. È tardi.- s’intromise
Patty.
-Se sapesse che lo sto aspettando andrebbe via prima e gli rovinerei la
serata. Non mi va di seccarlo.-
-Allora chiameremo un taxi.-
La giovane si lasciò convincere e rientrò con
loro. Le porte automatiche dell’hotel si spalancarono e Bill
Steiner le andò incontro mentre lei avanzava nella hall.
Vedendolo, Jenny impallidì. Quell’uomo stava
diventando un vero incubo. Si guardò intorno, chiedendosi
come evitarlo. Benji le comparve accanto come per magia, mettendole un
braccio sulle spalle.
-Ti devo una consumazione. Posso offrirti qualcosa al bar?-
-Se non mi lasci penserà che hai un debole per me. O
viceversa.-
-Pensasse quello che vuole.-
Steiner li seguì e si sedette al loro stesso tavolo.
-Disturbo?-
-Se le dico di sì se ne va?-
Lui scosse la testa, divertito da quella che interpretò come
una battuta. Appoggiò i gomiti al tavolino e li
osservò entrambi con attenzione.
-Qualche giorno fa ho avuto un’interessante conversazione con
l’ex manager di Landers, la signorina Farrell. -
La ragazza si agitò nervosamente sulla sedia mentre lui
continuava.
-Volevo parlargliene stamattina, Jenny, ma lei aveva fretta di
andarsene. Peccato che la Farrell sia tornata in Giappone, lei ed io
avevamo trovato una certa sintonia… Raramente si trovano
persone così disponibili a parlare.-
-Improrogabili impegni di lavoro.- s’intromise Benji.
Jenny immaginò Daisy spifferare con grande soddisfazione al
giornalista ficcanaso tutto ciò che sapeva sul suo conto.
Quella donna impossibile aveva chiuso in bellezza il suo soggiorno in
Italia, finendo di metterla nei guai.
-Mi ha detto che lei abita con Landers da mesi.- Steiner
tirò fuori un taccuino e una penna -E mi ha anche confidato
che Landers le ha detto che lei, Jenny, è la sua fidanzata.
Se è davvero così, complimenti davvero per la sua
intraprendenza. Sa che sono parecchie le ragazze che vorrebbero essere
al suo posto?-
Benji scoppiò a ridere.
-Lei dà retta a tutto quello che le dicono?-
-Signor Price, la foto di Landers che bacia la sua amica l’ho
scattata io.-
-Davvero? Mi permetta di ringraziarla, allora. Ero girato e non li ho
visti. I miei compagni ed io abbiamo chiesto varie volte a Landers di
rifarlo ma non c’è stato verso.-
Jenny lo guardò con gli occhi spalancati mentre lui
continuava, imperterrito e beffardo.
-Visto che ha la macchinetta fotografica con sé posso darle
l’opportunità di aggiungere un’altra
foto alla sua collezione? Io bacio Jenny mentre lei scatta. Che ne
dice?-
Alla giovane la proposta non piacque minimamente e d’istinto
mise più spazio tra sé e il portiere.
Steiner si irrigidì.
-Dico che sto lavorando e che non mi interessano le sue performance
Benjamin Price. Quella che voglio è soltanto la
verità.-
-La verità è relativa e lei sa già
tutto quello che c’è da sapere. Ne sa addirittura
più di noi. Anzi, sono sicuro che dopo questa conversazione
avrà una valanga di nuove informazioni per i suoi articoli.-
Seguì un silenzio in cui Steiner e Benji si fissarono negli
occhi, valutandosi a vicenda. Il fotografo distolse lo sguardo per
primo e stenografò qualcosa di incomprensibile sul taccuino.
Poi alzò il viso, si accorse che Philip li osservava e fu
colto da un’ispirazione improvvisa.
-Callaghan sembra tenere ancora a lei, Jenny. Forse sarebbe anche
disposto a lasciare Julie Pilar. L’ha preso in
considerazione?-
-Oltre a Landers e Gentile vuole per forza attribuirmi un altro
ragazzo? Che genere di persona crede che io sia?-
-Per sua sfortuna non mi invento niente. Stasera l’ho vista
allontanarsi dalla tribuna e tornare sugli spalti solo dopo una ventina
di minuti proprio insieme a Callaghan. Dove siete andati?-
-A salutare Gentile. Lo faccio sempre.-
-Gentile o Landers?-
-Che differenza fa?-
-Anche Callaghan è andato a salutare Gentile?-
-Non so dov’è andato Philip!- dichiarò
esasperata -Ci siamo incontrati un attimo prima di tornare ai nostri
posti! -
Benji intervenne.
-Non riesco a credere che la paghino per scrivere un articolo sul
viavai di Jenny all’interno di uno stadio.-
Steiner chiuse di colpo il blocchetto notes e lo ripose nella tasca
insieme alla penna. Il portiere era d’intralcio e lui voleva
sorprendere Jenny da sola. Si alzò.
-La gente legge anche di peggio, Price. Lei è nel giro da
anni e dovrebbe saperlo. Buona serata a entrambi.-
Mentre lo guardava uscire, la tensione abbandonò il corpo di
Jenny. Spostò gli occhi su Benji.
-Grazie.-
-Mi devi un favore.-
-Non fai mai niente per niente?-
-Non sono abbastanza altruista.-
-Allora come posso ricambiare?-
-Rimettiti con Callaghan.-
Lei scostò bruscamente la sedia e si alzò nello
stesso istante in cui il cellulare che teneva sul fondo della borsa
cominciava a squillare.
“Jenny?”
-Non gridare Mark, ti sento…- Benji si mise in piedi e le
tolse il telefonino dalle mani.
-Di nuovo ubriaco, Landers?-
“Price! Che ci fai a casa mia?”
-Jenny è ancora in hotel.-
“A fare cosa?”
-Doveva tornare a casa da sola a quest’ora?-
“Non farla muovere, stiamo passando a prenderla.”
Mark riagganciò e Benji le restituì il cellulare.
-Hai sentito?-
-Per forza, urlava.- lo guardò negli occhi -Non
ricambierò il favore.-
-Sei più testarda di lui.-
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Capitolo 16 *** Quindicesimo capitolo ***
rain 15
Quindicesimo capitolo
Holly si mosse nel letto, si girò a pancia in giù
e
infilò la testa sotto il cuscino. Ci mise un po’
ad
emergere dal sonno e a individuare cosa l’avesse svegliato.
Quando lo capì si concentrò su quel leggero
grattare che
proveniva dalla stanza accanto. Si tolse il cuscino dalla testa e diede
un’occhiata all’orologio sul comodino. Mancava poco
alle
cinque e il grattare non cessava. Anzi sembrava farsi sempre
più
insistente. Si volse verso Tom e lo vide seduto sul letto.
-Cos’è?-
-Non lo so. Viene da fuori.-
Si accostarono alla porta e la socchiusero piano. Il corridoio era
tinto di una luce color arancio. In giro non c’era nessuno,
ma la
porta della camera accanto alla loro era appena accostata. Holly
uscì guardingo dalla stanza e Tom gli andò
dietro.
Fecero quei passi allo scoperto con cautela, silenziosissimi. Se Gamo
li avesse beccati a zonzo a quell’ora sarebbero stati guai.
Holly
posò una mano sulla porta socchiusa, che si aprì
senza
emettere alcun rumore. Al centro della stanza, rischiarata dalla luce
di un cellulare, Jason Derrick, in pigiama, illuminava Bruce accucciato
a terra ai piedi di uno dei due letti.
-Cosa state facendo?-
La voce di Holly li fece sobbalzare di spavento.
Philip si trovava da un tempo che gli sembrava infinito davanti a
quella tenda nera. Non aveva idea di come fosse arrivato lì,
e
neppure dove fosse quel “lì”, ma non
riusciva a
trovare la forza di scostarla per andare oltre. Al di là di
quel
drappo inspiegabilmente sapeva esserci Jenny e che non era sola, e
quella consapevolezza aveva annullato ogni sua intenzione. Eppure non
poteva restare “lì” in eterno, in quel
vuoto di
transizione che non aveva senso.
Sollevò una mano e scostò la tenda appena un
poco, giusto
per dare una sbirciata, qualche scarso centimetro giusto per
consentirgli di scorgere per un attimo cosa ci fosse al di
là.
Era la camera di Amy, la riconobbe immediatamente. Jenny sedeva sul
letto matrimoniale e Gentile era al suo fianco. Non erano soli, Evelyn
si trovava su una delle poltroncine del tavolino tondo e scriveva
qualcosa al computer con la schiena dritta e tesa e
un’espressione di gongolante soddisfazione sul viso. I suoi
occhi
brillavano di concentrazione e le sue dita correvano rapide sui tasti.
La presenza di quest’ultima gli trasmise il coraggio di
scostare
la tenda del tutto. Nessuno si accorse di lui, nessuno si volse a
guardarlo. Qualcosa di invisibile separava Philip da loro, come se si
trovassero in due luoghi diversi, come se lui li vedesse attraverso un
vetro o attraverso lo schermo di una tv.
Gentile cingeva la schiena di Jenny stringendola a sé e le
diceva qualcosa, ma Philip non capiva. Non parlavano in giapponese e
neppure in inglese e oltretutto le loro voci avevano un tono
così basso che quelle parole sconosciute gli arrivavano solo
a
tratti. Il ticchettio della tastiera del computer di Evelyn
l’unico altro rumore che udiva. Forse la ragazza era riuscita
a
coinvolgere Gentile nella tanto desiderata intervista.
-Ho finito.- disse d’un tratto. Spense il portatile, lo
chiuse e si alzò -Grazie mille, grazie davvero!-
Si diresse verso la porta dall’altro lato della camera,
soddisfatta, trionfante, praticamente al settimo cielo. Voleva
quell’intervista ed era riuscita ad ottenerla.
Rimasti soli Salvatore e Jenny presero a baciarsi sotto lo sguardo
incredulo del ragazzo, che non avrebbe dovuto essere lì e
non
riusciva a spiegarsi perché invece ci fosse. Philip distolse
gli
occhi e strinse i pugni, scosso da un terribile senso di impotenza.
Sapeva perfettamente che quella sera in camera di Amy le cose non erano
andate affatto così. Gentile non c’entrava niente,
erano
rimasti soltanto lui e Jenny. Lui e lei e basta, a dormire nello stesso
letto. Ciò che era successo non era ciò che stava
accadendo ora davanti ai suoi occhi. Quella notte Jenny aveva
continuato a dormire ininterrottamente anche quando Philip si era
svegliato perché aveva sentito freddo. La luce sopra la
testiera
del letto era accesa e gli era bastato aprire gli occhi per vederla
giacere al suo fianco, vicinissima. Così vicina che le loro
braccia si sfioravano. Erano rimasti da soli, gli amici se
n’erano andati. Gli era parso incredibile che fossero
riusciti a
regalargli una simile occasione. Si era tirato su seduto e aveva
continuato ad osservare Jenny per un tempo che gli era sembrato
lunghissimo. Il suo sguardo l’aveva accarezzata come se lo
facesse per la prima volta. Addormentata, l’aveva finalmente
ritrovata. Nel suo sonno quieto, nell’espressione tranquilla,
aveva potuto vedere la Jenny che conosceva fin dalle medie e non
quell’estranea che aveva incontrato in Italia, che abitava
con
Landers, che usciva con Gentile, che evitava di guardarlo, non gli
rivolgeva la parola e gli sfuggiva. I minuti erano passati, il sonno
sembrava completamente svanito. Le aveva sfiorato un braccio con una
carezza così leggera che lei non si era accorta di nulla.
Allora
le aveva scostato i capelli dal volto ed era rimasto a fissare per
parecchi minuti la sua espressione serena, le labbra leggermente
socchiuse. Si era chiesto come gli era saltato in mente di lasciarla. E
come era saltato in mente a lei di venire in Italia da Landers.
Quando s’era riempito a sufficienza gli occhi della sua
presenza,
aveva spento la luce. Era tornato a sdraiarsi accanto a lei ed era
rimasto immobile ad ascoltare il suo respiro. Poi si era girato su un
fianco, si era avvicinato, l’aveva cinta con un braccio e si
era
accostato, sprofondando il viso tra i suoi capelli. Jenny si era mossa
appena e a conti fatti Philip non aveva neppure capito se ad un certo
punto si fosse svegliata e si fosse resa conto della sua presenza o
avesse continuato a dormire, confondendo i sogni con la
realtà e
la realtà con i sogni. Quella notte, per la prima volta,
aveva
odiato Gentile con tutte le sue forze per essere riuscito a sedurla.
Adesso lo odiava di nuovo, l’italiano, perché si
stava
esibendo in ciò che lui quella sera non aveva fatto.
Salvatore e Jenny erano scivolati distesi sul letto di Amy. Gentile la
sovrastava, poggiato sui gomiti per non pesarle addosso. Si guardavano
negli occhi e Jenny gli sorrideva. Dovevano aver spento la luce
centrale senza che lui se ne accorgesse perché adesso
riusciva
soltanto a scorgere il bagliore della pelle nuda di Jenny che
l’italiano stava scoprendo, e quello dei capelli biondi del
ragazzo che brillavano come fili d’oro al chiarore di una
lampada.
Gentile slacciò uno a uno i bottoni della camicetta di
Jenny. Le
scostò il reggiseno e sprofondò il viso tra la
carne
morbida, baciandola sulla pelle calda. Philip era lontano ma riusciva
lo stesso a scorgere l’espressione rapita di lei, una mano
sulla
testa del ragazzo, le dita affondate tra i capelli biondi,
l’altra sulla schiena a sollevargli la maglietta e attirarlo
contro di sé. Era lontano ma riusciva a udire i suoi sospiri
mentre Gentile la spogliava a poco a poco, mentre lei lo aiutava a fare
lo stesso.
Philip non riuscì a capire perché più
sentiva il
bisogno di non guardare, più era incapace di distogliere gli
occhi. Più sentiva l’impulso di fuggir via,
più non
riusciva a muoversi. Ripensò al bacio che aveva dato a Jenny
durante la partita della Juventus nei corridoi dello stadio. Il ricordo
era così intenso che gli sembrò persino di
percepire le
labbra della ragazza sulle proprie. E se lui lo ricordava con tale
chiarezza, era probabile che lo ricordasse anche lei. E allora come
poteva lasciarsi andare tra le braccia di Gentile con lo stesso
trasporto con cui aveva ricambiato i suoi baci la sera precedente nei
corridoi dello stadio?
-Philip? Philip, dormi?-
Il ragazzo spalancò gli occhi e gli ci volle un istante per
raccapezzarsi. Julian aveva acceso la luce del suo comodino, era in
piedi accanto al letto e lo guardava.
-Sei sveglio?-
-Sì, se continui a chiamarmi.-
-Non senti questo rumore?-
-Quale rumore?-
-Ora ha smesso.-
-Allora buona notte.-
-Buongiorno, semmai. È mattina e tra due ore dovremo
alzarci.-
-Motivo in più per rimettersi a dormire.-
Mentre Philip si voltava dall’altra parte e sprofondava sotto
le
coperte, Julian attraversò la stanza, aprì la
porta e si
affacciò nel corridoio. Philip se ne infastidì.
-Cosa ti ho appena detto? È ora di dormire!-
Ross finse di non udirlo e il suo ottimo consiglio da capitano ancora
per poco, venne del tutto ignorato. Si innervosì e
sbuffò
forte, a ripetizione. Prima pretendevano che portasse la fascetta, poi
non gli davano retta.
-Dove vai?-
-A vedere cosa sta succedendo.-
-Che vuoi che succeda a quest’ora?-
-La porta della stanza di Clifford è spalancata.-
La prima cosa che si parò davanti a Julian, quando mise
piede nella camera di Yuma, fu la schiena di Tom.
-Cosa state facendo?-
-Io niente, sono loro.- indicò Bruce e uno dei Derrick che
si
affaccendavano misteriosamente intorno al letto di Clifford che
russava.
-I soliti scherzi idioti?-
-Così sembra.-
Philip arrivò tra loro, spinto soprattutto dal turbamento
causato dall’incubo da cui Julian lo aveva fortunatamente
svegliato.
-Dov’è Sandy?-
Jason lo indicò nel letto, illuminandolo con la torcia del
telefono. Sotto le coperte, intravidero la forma del suo corpo.
-Sta facendo finta di dormire. Ha detto che non vuole essere coinvolto.-
-E chi ve l’ha aperta la porta?-
Winter scalciò le lenzuola e si tirò seduto. Era
furioso
e riuscì a stento a modulare la propria voce in un sussurro.
-Voi fate gli scherzi cretini e poi Clifford mi massacra!-
-Dormi Sandy, non ci pensare.- mormorò Bruce di rimando. Poi
si
tirò su, si spazzolò con le mani i pantaloni del
pigiama
e spinse i compagni fuori della stanza, sogghignando divertito e
soddisfatto.
-Cos’avete combinato?- chiese Julian.
-Abbiamo legato i quattro angoli del lenzuolo alle gambe del letto.
Domani mattina quando Cifford cercherà di alzarsi
rimarrà
incastrato. Grosso com’è gli ci vorrà
non poco a
liberarsi!-
-è già mattina.- precisò Philip
piatto, ma visto
che tutti lo sapevano già, nessuno gli badò.
-Io non vi capisco. Non è sufficiente quanto ci fa sgobbare
Gamo
durante il giorno? Che bisogno c’è di tenersi
occupati
persino a quest’ora di notte?-
-è mattina, Tom.- ribadì Philip.
Soffocò uno
sbadiglio e s’imbucò in camera per raggiungere in
fretta
il letto. Gli erano rimaste meno di due ore di sonno ed era deciso a
sfruttarle tutte.
-A me la vostra stanza sembra più grande della mia.
Cos’è quest’ingiustizia?-
Philip si volse sgomento. Bruce, Tom e Holly avevano seguito lui e
Julian.
-Che ci fate qui?-
Lo ignorarono.
-Le camere sono tutte uguali, Bruce.- rispose Ross paziente -Cambia
solo la disposizione degli arredi.-
-Che accidenti ci fate qui?- ripeté Philip.
-Ho un’altra idea fantastica!- Harper si fregò le
mani
sghignazzando. Girò intorno al letto di Julian e
s’impossessò del telefono -Chiamo Mark.-
-A quest’ora? Sei impazzito?-
-Non mi pare per niente un’idea fantastica, Bruce.-
cercò
di dissuaderlo anche Holly -Se svegli Mark così presto,
domani
te la farà pagare.-
-Oggi e domani sono la stessa cosa…-
-Ti si è incantato il disco, Philip?-
-Perché non ti entra nella zucca, Harper. Se vuoi chiamare
Landers fallo dalla tua stanza.-
-Ci metto un secondo. Faccio squillare il telefono e poi riaggancio
così non saprà che sono stato io. Julian dammi il
numero…-
-Non mi pare proprio il caso.-
-Ho capito, faccio da solo.-
E lo fece davvero. In tre secondi prese il cellulare dal comodino di
Ross, trovò nella rubrica ciò che cercava e nel
giro di
altri pochi secondi, la linea stava già squillando. Bruce
s’era premurato persino di accendere il vivavoce. Con due
falcate
Julian lo raggiunse, si riappropriò del cellulare, in cui
tra
l’altro c’erano dei messaggi privatissimi, e
cercò
di interrompere la chiamata. Non fece in tempo. Jenny rispose.
-Hai fatto il numero di casa, idiota?-
Bruce guardò Holly e fece spallucce.
-Ho fatto il primo numero che ho trovato.-
“Holly? Bruce?” chiese la ragazza. Il suo tono
trasudò preoccupazione “È successo
qualcosa?”
-No, niente. Bruce ha sbagliato numero. Mi dispiace se ti abbiamo
svegliata.-
“Non mi avete svegliata, sono appena rientrata.” e
in effetti la sua voce era ben desta.
-Mark? È lì con te?-
“Mark sta dormendo.”
“Non sto dormendo proprio per niente!”
Landers le comparve improvvisamente davanti, emergendo dal buio della
cucina silenzioso come un ladro. In hotel la udirono gridare di
spavento. Mark era furibondo e la sua figura, che si stagliava
nell’ombra, emanava tensione. Jenny non lo sapeva, ma lui si
era
svegliato alle tre, era andato in bagno e aveva trovato la porta della
sua camera spalancata, il letto vuoto. Era sceso al piano di sotto e
non aveva visto né le sue scarpe né la sua
giacca. Jenny
si era dileguata senza dirgli niente e dopo averne preso atto, gli era
venuto un mezzo infarto. Dopodiché aveva deciso di
aspettarla,
per rinfacciarle la sua incoscienza e la propria preoccupazione, sicuro
che presto o tardi sarebbe rientrata. Ed era rientrata veramente tardi.
“Ti sembra questa l’ora di tornare?”
Lei si volse, le mani sul cuore che batteva all’impazzata.
“Mark, mi hai fatto paura!”
“Sai che ore sono?”
“In effetti è un po’ tardi
ma…”
“Non è un po’ tardi! Sono le cinque del
mattino!”
“Lo so! Cosa ci fai in piedi?”
“Ti stavo aspettando! Dove sei andata?”
“C’è Bruce al telefono che vuole
parlarti, quindi è meglio se…”
“Jenny! Quella non era la macchina di Gentile! Con chi
eri?”
Holly sentì Bruce sogghignare e
s’innervosì.
-Che hai da ridere?-
-Abbiamo fatto proprio bene a telefonare, sai Holly? Sembra di essere
al cinema!-
“Possiamo parlarne domani, Mark? C’è
Bruce al telefono!”
“Non me ne frega un cazzo di Harper e poi è
già domani, porca miseria!”
A Philip che anche Landers lo ribadisse, stavolta non fu per niente
consolatorio.
“Bruce può aspettare, tanto paga lui la
telefonata.”
-Ma tu sentilo il bastardo…-
Le labbra di Callaghan si incurvarono di un sorriso amaro.
-Anche al cinema lo spettacolo è a pagamento, Harper.-
-Ti ricordo che sto chiamando dalla tua stanza, se lo hai dimenticato.-
Philip provò un improvviso e intenso formicolio alle dita e
un
impellente bisogno di farle aderire alla faccia del compagno.
“Ero insieme a Carol!”
“La macchina da cui sei scesa non era neppure quella di
Carol!”
“è di suo fratello. Carol ha un fratello, lo
sapevi?
È venuto a prenderla e ha riaccompagnato anche
me.” si
frugò nella borsa stizzita e gli porse il telefonino
“Chiamala e chiediglielo, se non mi credi.”
“E dov’è che è venuto a
prendervi? Si
può sapere dove siete state fino a
quest’ora?”
scostò da sé il cellulare che lei gli porgeva e
afferrò la cornetta per scaricare su altri tutta la sua
collera.
“Che vuoi Harper?”
-Sai che se Gamo scopre che ancora non dormi ti spella vivo?-
“Perché scassi i coglioni già a
quest’ora?”
-Sentirti litigare con Jenny è una figata. Non dirmi che lo
spettacolo è già finito!-
Mark era troppo stanco e assonnato per avere la forza e la voglia di
mettere a tacere la maledetta lingua di Bruce. E poi, se anche il suo
cervello non fosse stato inceppato dal sonno e dalla collera che
insieme non formavano un buon mix, non aveva nessuna voglia di
intrattenersi al telefono con il compagno a quell’ora del
mattino.
“Vai a dormire.” disse a Jenny mentre respirava per
calmarsi “Sono le solite stronzate di quel demente di
Harper.”
Lei gli ubbidì senza discutere per non peggiorare il suo
umore
già nero. Tom approfittò di quel momento di
silenzio da
entrambe le parti per avvicinarsi a Bruce, togliere il vivavoce,
salutare Mark e riagganciare.
I nervi tesi di Philip si rilassarono di botto, il suo corpo
sembrò quasi afflosciarsi. Ma prima di tornare a letto,
sotto le
coperte, doveva buttar fuori quei fastidiosi intrusi.
Afferrò
Bruce per la collottola e lo sbatté nel corridoio. Tom e
Holly
lo seguirono all’istante, timorosi di subire lo stesso
trattamento.
*
-Sei uno stronzo bastardo! Sandy! Puoi anche scappare ma prima o poi mi
ricapiterai a portata di mano e allora ti gonfierò di botte!-
-Perché te la prendi con me, Clifford?- gridò di
rimando
Winter, fermandosi solo quando ebbe raggiunto una certa distanza di
sicurezza -Io non ho fatto niente! Ti giuro che non ho fatto niente!-
-Vorresti dire che mi sono incastrato nel letto da solo?-
-Voglio dire che non ti farei mai degli scherzi così
stupidi! Lo
sai, no? Te ne ho mai fatti? Da quant’è che ci
conosciamo?-
Clifford avanzava lungo il marciapiede con un diavolo per capello. Se
avesse potuto mettere le mani addosso a Sandy lo avrebbe strozzato.
-Allora vieni qui a spiegarmi chi è stato! Vieni qui a dirmi
come ha fatto il colpevole ad aprire la porta!-
Sandy si guardò bene dall’avvicinarsi. Mentre
Clifford
camminava, lui indietreggiava con l’identico numero di passi,
anzi qualcuno in più, curandosi di mantenere tra loro la
stessa
distanza.
-Non lo so! Mi hanno fregato la card della camera! Io dormivo! Non mi
sono accorto di nulla! Non so neppure chi è stato!-
Sandy mentiva spudoratamente, sperando di riuscire a convincere il
compagno della propria innocenza. Dietro a Clifford, lui li vedeva,
Bruce e i Derrick sogghignavano. Colpa loro! Ma anche di Holly, di
Philip, di Tom. Nessuno aveva mosso un dito per fermarli. Eppure lo
sapevano che poi Clifford se la sarebbe presa con lui! Che amici! Che
egoisti!
-Smettila di agitarti, Yuma.- lo zittì Benji che non ne
poteva
più di quel teatrino. Stavano percorrendo la strada che
dall’hotel portava ai campi e le grida attiravano gli sguardi
incuriositi dei passanti.
-Solo quando lo avrò tra le mani!-
-Ci serve per la partita, lo ucciderai in Giappone.- il portiere si
prese il tempo di scrutarlo -Cos’è che ti avrebbe
fatto,
poi?-
-Non gli ho fatto niente!- gridò Sandy che non sapeva
più
come calmare Yuma -Non gli ho fatto proprio niente! Non sono stato io!-
-Ma a fare cosa, insomma?-
-Niente! Non gli ho fatto niente!-
Evelyn, Amy e Patty camminavano per ultime, dietro ai ragazzi. Evelyn
era emozionata perché aveva finito di scrivere le domande
per
l’intervista a Gentile e ora non le restava che organizzare
il
tutto. Così non si impicciava e la curiosità di
sapere
cosa stesse succedendo tra suo cugino e Winter non la sfiorava.
-Jenny mi ha detto che glielo avrebbe chiesto ma poi non mi ha fatto
sapere niente! E se lui non è d’accordo? Se non
gli va di
perdere tempo con me?-
-Non puoi inventarti le risposte?- replicò candidamente
Patty
-Tanto lui non leggerà mai l’articolo e nessuno di
noi
farà la spia. Puoi scrivere ciò che vuoi.-
Evelyn spalancò gli occhi.
-Assolutamente no! Non è eticamente corretto!-
-I giornalisti inventano un sacco di fandonie, una più, una
meno…-
-No, non lo fanno. Semplicemente interpretano le notizie e speculano
sulle informazioni. Un fondo di verità in ciò che
scrivono c’è sempre.-
Amy e Patty la guardarono poco convinte.
-Secondo me puoi stare tranquilla. Gentile si lascerà
intervistare senza problemi.-
-Allora mi conviene coinvolgere Aoi? O provare con il mio scarsissimo
inglese? Non voglio fare una figura del cavolo!- sbuffò
-Accidenti! Avrei dovuto applicarmi di più a scuola!-
-Eve, cerca di calmarti. Sei troppo eccitata!-
La ragazza si fermò di botto, costringendo le amiche che
l’affiancavano a fare altrettanto per non lasciarla indietro.
-Hai ragione Patty. Lo vedi che effetto mi fa? E se non riuscissi a
controllarmi e gli saltassi addosso? Credi che se la prenderebbe?-
-Lui non so. Bruce sicuramente sì.-
-Bruce è abituato. Non sai quante volte ci siamo traditi!-
Amy spalancò gli occhi, i piedi di Patty si incollarono sul
marciapiede.
-Stai scherzando?-
-Eve, stai dicendo sul serio? Hai tradito Bruce?-
Le amiche si guardarono incredule ed Evelyn capì che certe
informazioni private sarebbe stato meglio lasciarle tali.
-Sì, be’… è successo un paio
di
volte… Lui s’è fatto beccare
e io l’ho
ripagato con la stessa moneta. Tanto perché si dia una
regolata.-
-Bruce ti tradisce e tu lo tradisci…- Patty scosse la testa
-Cosa ci state a fare insieme?-
-Ci amiamo, Patty. A modo nostro.-
Evelyn era serissima e loro non riuscivano a credere a ciò
che avevano appena scoperto.
-E poi…- proseguì lei senza vergogna -Vi posso
assicurare
che il sesso che facciamo dopo i reciproci tradimenti ha una marcia in
più. È fantastico! Per questo sono sicura che
quando
Philip e Jenny torneranno insieme si divertiranno un sacco. Se
sapessero cosa li aspetta forse eviterebbero di perdere tutto questo
tempo.- guardò le amiche pensierosa -Secondo voi
è il
caso che lo dica a Jenny? O almeno a Philip? Si sa che i maschi sono
molto più interessati alla fisicità di
noi… Oddio,
quanto a fisicità io non mi tiro mai indietro e poi Philip
non
è male, anzi…-
-Eve, cosa stai blaterando?-
Lei rise.
-Niente, niente, Patty. La mia mente è eccitata
dall’intervista a Gentile. Sto sragionando, non fatemi caso.-
allungò il passo e le lasciò indietro.
Patty e Amy si guardarono.
-Tu cosa hai capito?-
-Lei e Bruce stanno davvero insieme?-
-A quanto pare…-
-E lui l’ha tradita.-
-A quanto pare...- ripeté Patty -Chissà con chi!-
-Piuttosto non è che Evelyn ha un debole per Philip?- Amy si
grattò un braccio perplessa -Eve sta addosso a Philip da
quando
siamo arrivati. Sembra che abbiano un segreto da condividere. Cerca di
capire quale, Patty. Evelyn con te si confida molto più che
con
me.-
-Sarà sicuramente qualcosa legato al suo lavoro.-
-Non lo so. Hai sentito cosa ha appena detto di lui?-
-Le stesse identiche cose che direbbe di Mark, di Gentile e di
qualsiasi maschio appena decente. Non devi darle retta, vedrai che dopo
l’intervista si darà una calmata.-
-Speriamo.-
Raggiunsero le panchine mentre i ragazzi sparivano negli spogliatoi.
-Sto morendo di fame. Nessuno ha niente da mangiare?-
domandò
Sandy con una voragine nello stomaco che si faceva più
profonda
ogni minuto che passava. Il terrore di Clifford lo aveva tenuto lontano
dal tavolo della colazione.
-Una gomma da masticare ti va bene?- domandò Paul Diamond
frugando nella borsa -Anzi no, le ho finite ieri…-
Winter aspettò ancora qualche istante speranzoso, ma nessuno
tirò fuori niente di commestibile.
-Vai dalle ragazze e fatti comprare qualcosa al bar.-
suggerì Philip -Non puoi allenarti a stomaco vuoto.-
-L’esperienza insegna.- commentò Benji quasi per
caso.
-Ho già il promemoria del cellulare a ricordarmi le cose.-
replicò l’altro -Non c’è
bisogno che lo fai
anche tu.- spostò gli occhi su Winter -Se devi andare, datti
una
mossa.-
Sandy annuì e si diresse verso la porta, passando rasente al
muro per non finire a portata di Clifford.
-Avresti dovuto lasciarlo mangiare.- lo rimproverò Philip.
-Non gli ho mai detto di non fare colazione.-
-Ma gli sei stato con gli occhi addosso tutto il tempo. Sarebbe passata
la fame anche a me.-
-Problemi suoi.-
-No!- lo corresse Philip -Problemi nostri!-
-Tuoi meno di tutti!- replicò il compagno polemico.
-Clifford, vuoi litigare?-
Yuma colse l’occhiata di disapprovazione di Holly,
borbottò qualcosa e chinò la testa nella borsa
per tirare
fuori gli scarpini.
-Che avete tutti? Siete nervosi per la partita? Avete paura di perdere?-
-Taci Price. Non mi serve il tuo sarcasmo. Sono già
abbastanza incazzato per lo stupido scherzo di stanotte.-
Gamo e Marshall entrarono negli spogliatoi euforici, così
felici
ed eccitati che non notarono l’atmosfera bellicosa che
impregnava
l’ambiente. I ragazzi ebbero tutto il tempo di riacquistare
una
parvenza di civiltà, rendendo impossibile ai due intuire le
discussioni che, senza saperlo, avevano appena interrotto.
-Finalmente è arrivato il nullaosta di Holly!-
Tra tutti il più entusiasta, più entusiasta
persino del
neocapitano, fu Philip. Il peso della squadra, che portava sulle spalle
ormai da troppo, svanì in un istante. Si sentì
più
leggero, più sollevato e persino più felice.
-E abbiamo anche un’altra ottima notizia.- Gamo
agitò in
aria un foglio -Questa è la formazione che
schiererà
l’Italia durante la partita di domani.-
Julian cadde dalle nuvole.
-Non l’hanno ancora ufficializzata! Come fa ad averla?-
-Abbiamo un’informatrice sulla panchina italiana, se non ve
n’eravate accorti.-
Holly ci rimase male.
-Per vincere l’Italia non abbiamo bisogno di conoscere in
anticipo la formazione.-
-Certo che no.- si trovò d’accordo Gamo -Ma io ne
ho bisogno per sapere chi far scendere in campo.-
Benji si rivolse al mister ma fissò Warner.
-Si sa già chi scende in campo: i soliti, ovviamente.
Squadra che vince non si cambia.-
Il secondo portiere della nazionale giapponese colse al volo il
messaggio. Quello era il giorno decisivo, l’ultimo, per
pretendere da Gamo ciò che gli aveva promesso in Giappone.
Aveva
aspettato anche troppo. Se ne sbatteva altamente che Price fosse il
cocco di Marshall. La partita del giorno successivo era una stupida
amichevole e se non l’avessero fatto entrare in campo neppure
contro l’Italia, era deciso a mollare tutto. Si accorse che
Marshall lo guardava e notò anche che gli occhi
dell’allenatore rimasero fissi su di lui finché
non
lasciò gli spogliatoi insieme a Gamo, molto più
pensieroso e molto meno entusiasta di come vi era entrato.
-Caro collega, urge una riunione.- camminando accanto a Gabriel,
Freddie raggiunse le panchine.
-Per parlare di cosa?-
-Di quello che hai appena detto ai ragazzi.-
-Ne ho usate parecchie, di parole. A cosa ti riferisci in particolare?-
-Alla formazione che faremo scendere in campo.-
-La solita, come ha detto Benji. Dov’è il
problema?-
-Non credi sia il caso di far giocare anche qualcuna delle riserve? Del
resto si tratta solo di un’amichevole.-
Gamo si bloccò e lo fissò con uno sguardo
spiritato.
-Anche se è solo un’amichevole dobbiamo vincere,
ne va della nostra reputazione.-
-Warner si aspetta di giocare. Glielo abbiamo promesso.-
-Soltanto perché ci ha minacciati di non venire in Italia. E
se
Benji in questi giorni si fosse infortunato? Chi avremmo messo in
porta?-
-Benji non si è infortunato e noi la promessa
l’abbiamo fatta.-
-Se la pensi in questo modo spiegami cosa abbiamo chiesto a fare il
nullaosta di Price.-
-Ce lo hanno concesso prima ancora che lo chiedessimo.- cosa che
Freddie si era ben guardato dal rivelare al ragazzo.
-Fatica risparmiata. Quello di Holly lo abbiamo preso pelo
pelo…-
-Già. Mi viene da pensare che per svincolarlo, Van Saal
aspettasse la partita della Liga. Forse voleva essere sicuro che
rientrasse a Barcellona per l’incontro. Ma non divaghiamo.
Warner
deve scendere in campo per uno dei due tempi. Mi sembra equo.-
-Questa partita voglio vincerla.-
-L’Italia non ha grandi attaccanti, Warner può
difendere
la porta per quarantacinque minuti e se anche prendesse un goal, ci
sarebbe tutto il secondo tempo per rimontare.-
Gamo tacque, come per riflettere.
-Fammi capire perché stento a seguirti, Freddie. Preferisci
tenere in panchina il tuo pupillo e mettere in porta Ed Warner?-
-A tutti bisogna dare l’opportunità di giocare e a
Benji
un po’ di umiltà non può fare che bene.-
-Non sarò io a dirglielo.-
-Per questo dobbiamo fare una riunione con Holly e Philip.-
-Già, Philip. Fortuna che almeno i valori delle sue analisi
sono risultati regolari.-
-Li hai già?-
-Ce li ha portati poco fa il medico della nazionale italiana.-
-Glielo hai detto?-
-A chi?-
-A Philip. Lo hai avvertito?-
-No, glielo dirà Hills durante la pausa.- Gamo riavvolse il
nastro del suo ragionamento e tornò al problema precedente
-Quello che volevo dirti, caro collega, è che non credo
abbia
senso una riunione con Holly e Philip. A Callaghan importa molto poco
della squadra, soprattutto ora che la fascia è passata a
Holly.-
-Non essere cinico. Philip ha ricominciato a darsi da fare,
l’hai
visto da te. E poi è sempre il vicecapitano e può
essere
un appoggio per Holly, se Warner e Price fanno storie.-
-Nel senso che lo diranno loro a Warner e Price?-
-Era esattamente questo che avevo in mente. Tra di loro sanno
gestirsela meglio.-
Gamo osservò i ragazzi che in gruppi sparsi uscivano dagli
spogliatoi pronti a iniziare gli allenamenti.
-Va bene, facciamo come dici tu.-
Bruce si scolò mezza bottiglietta d’acqua mentre
percorreva il bordocampo.
-Se bevi adesso, tra mezz’ora rompi le palle che devi andare
in bagno.-
-Non posso farci niente, Julian, se il caffè mi fa venire
sete.-
rimise il tappo e agitò l’acqua fino a farla
schiumare -A
Jenny la formazione l’avrà data Gentile?-
-Stai zitto Bruce!- lo mise a tacere la voce di Holly da dietro -Non
voglio saperne nulla, non voglio neppure sentirne parlare…-
-Se non gliel’ha data Gentile chi gliel’ha data?-
-Certo che è stato Gentile. Chi altri avrebbe potuto farlo?-
Bruce spostò gli occhi su Clifford e scosse la testa.
-Allora deve avergliela data sbagliata.-
Tom, che procedeva dietro di loro insieme a Holly, borbottò
qualcosa d’incomprensibile. Si volsero.
-Che hai detto?-
-Ho detto che se è così gli italiani ci hanno
fregati due
volte perché state sicuri che Gamo si farà
condizionare
dai maledetti undici nomi che sono scritti su quel foglio.-
-Io dico che la formazione è giusta.- s’intromise
Benji giocherellando pensieroso con il cappellino.
-Purtroppo ha ragione Price.- fu costretto a trovarsi
d’accordo
Mark -Nella mente di quel tronfio di Gentile, il fatto che conosciamo
la formazione ufficiale è del tutto ininfluente. Sono
così convinti di batterci che i nomi che Gamo ha tra le mani
sono sicuramente quelli giusti.-
-Così se tante volte dovessimo perdere, abbiamo anche
l’aggravante.-
-Non dirlo neanche per scherzo, Ralph.- Holly si sentì
rabbrividire -Noi non perderemo contro l’Italia.-
*
-Jenny, devi assolutamente farmi un favore.-
Il tono di Evelyn risuonò così accorato da
spingere
l’amica a posare gli occhi su di lei attraverso lo
specchietto
retrovisore. Guidava la Giulietta rossa di Salvatore che lui le aveva
prestato per andare a visitare una reggia ad alcuni chilometri dalla
città.
-Che favore?-
-Devi convincere Gentile a rilasciarmi l’intervista.-
-Ti ha detto di no?-
-Veramente non gliel’ho ancora chiesto.-
-E cosa aspetti?-
-Che lo faccia tu per me.-
-Devo dire a Gentile che vuoi intervistarlo?-
-Il mio inglese fa schifo, se mi sentisse parlarlo morirebbe dalle
risate.-
-E in che lingua pensi di fargli le domande?-
-In italiano, con Rob a farmi da interprete.-
-E allora chiedi a Rob di dire a Gentile che vuoi intervistarlo.-
-Perché non lo fai tu?-
Patty intervenne.
-Eve, mi spieghi perché alla rivista per cui lavori
interessa proprio Gentile?-
-Veramente all’inizio mi avevano detto di scegliere un
giocatore
qualsiasi e che avrebbero inserito il mio articolo nel solito buco
risicato nelle ultime pagine.- le sfuggì una smorfia di
amarezza
-Per loro non faceva differenza, un giocatore valeva l’altro.
Sono stata io a scegliere Gentile e ci ho visto giusto. Grazie a
Steiner, in redazione hanno scoperto che un giocatore
dell’Italia
ha una ragazza giapponese e adesso non solo la mia intervista
è
stata spostata nelle primissime pagine, ma muoiono dalla
curiosità di sapere che tipo è.-
Jenny le lanciò un’occhiata contrariata.
-Quindi hai intenzione di fargli domande su di me?-
-Il minimo indispensabile. Magari solo la conferma che state
insieme…- intercettò l’espressione non
proprio
gioiosa dell’amica -Ti sto facendo un favore, Jenny. Almeno
Steiner la finirà con le sue insinuazioni.-
Lei trasalì e si chiese se Evelyn avesse letto
l’articolo
che tanto aveva cercato di nascondere. Abbassò gli occhi e
le
sue guance si arrossarono.
-Non mi fido.-
-Jenny! Ti ho mai delusa?-
-No.- fu costretta ad ammettere. Evelyn ne aveva avuto a bizzeffe di
materiale su di lei in quegli ultimi due anni. Eppure non aveva mai
scritto nulla, lasciando che altri colleghi le soffiassero scoop e
notizie, rispettando non solo la sua privacy ma anche quella di tutti
gli altri. -Quando torniamo glielo dico. Vuoi intervistarlo prima o
dopo la partita?-
-Meglio prima. Se risulta una persona interessante e se la mia
intervista piace, forse troveranno spazio anche per un articolo dopo la
partita.- rifletté un istante -Non devi lasciarlo parlare
con
Steiner. L’esclusiva voglio averla io.- per quel pezzo il suo
giornale le aveva promesso un compenso superiore al solito e non voleva
lasciarselo sfuggire.
Jenny scoppiò a ridere.
-Se anche Steiner ci provasse, sono sicura che Salvatore non gli
risponderebbe. Al massimo lo prenderebbe a pugni.- aspettò
che
le amiche smettessero di ridere, poi proseguì -A proposito
di
interviste, una rivista italiana vorrebbe farmi qualche
domanda…
e qualche foto.-
-Davvero?- Patty si volse a guardarla -Qualche domanda su cosa?-
-E che tipo di foto?- rincarò Amy.
Evelyn rispose per Jenny.
-Sicuramente su Gentile. Se a me chiedono di intervistarlo
perché ha una ragazza giapponese, a lei chiederanno
un’intervista visto che è la sua fidanzata.-
-Non siamo fidanzati, Eve.-
-Era soltanto un sinonimo.-
-Cerca di non usarlo per i tuoi articoli.-
-Se vuoi un consiglio, Jenny…- riprese Patty -Lascia perdere
l’intervista. Se la fai una volta, poi non ti mollano
più.-
Jenny arrossì di vergogna.
-Mi hanno offerto tremila euro. Non sono proprio da buttare, in questo
momento.-
-Accidenti! Che domande sono? Hai idea?-
-Le foto, Jenny.- s’impuntò Amy.
-Non ne so nulla. Me lo ha detto Dario Belli. Qualcuno deve avergli
passato la richiesta.-
-Allora parlane con Gentile e senti cosa ti consiglia. Di interviste se
ne intende più di tutte noi.- -Gliene ho già
parlato e mi
ha detto di accettare.- ammise Jenny.
-E allora dov’è il problema?-
-E se poi ad alcune domande non voglio o non posso rispondere?-
-Mica sei obbligata a farlo. Le accantoneranno e te ne faranno altre.
Perché secondo te io per Gentile ne sto preparando
così
tante?-
-Prima di accettare fatti dire che tipo di foto vogliono.- si fece
sentire di nuovo Amy -Non si sa mai.-
Tom era di umore tetro e non gli andava di parlare né con
Amélie né con nessun altro. La ragazza il giorno
prima lo
aveva chiamato due volte ma lui aveva lasciato che il telefonino
squillasse a vuoto. Dopodiché non era riuscito neppure a
trovare
la voglia di richiamarla. Lei, quella mattina, gli aveva scritto un
messaggio di scuse, convinta che Tom non le avesse risposto
perché era arrabbiato. Non era così, o non
soltanto
questo. Aveva cose più importanti nella testa e il litigio
con
la ragazza era passato in secondo piano.
Però doveva risponderle e per farlo poteva approfittare
della
breve pausa tra una tranche di allenamento e l’altra, se solo
fosse riuscito a farsi venire in mente qualcosa da scriverle. Mentre ci
pensava, quasi per un collegamento misterioso con la sua mente, il
cellulare prese a squillargli in mano. Abbassò gli occhi sul
display. Non era Amélie, era sua madre. Non seppe se esserne
contento, comunque le rispose rifugiandosi dall’altro lato
del
campo.
Benji lo vide sgusciare via silenzioso, cercando di passare il
più possibile inosservato.
-Ormai è assodato che quella di Tom è una
relazione telefonica.-
-Tipo quelle ragazze da contattare a pagamento?- buttò
lì Patrick ingenuamente -Quelle delle telefonate erotiche?-
-Non mi pare un buon momento questo, per una telefonata erotica.-
-Se è una cosa rapida, può anche andar bene.-
-Ma quando si chiamano quei numeri, si può parlare sempre
con la
stessa ragazza? Oppure ogni volta risponde una diversa?-
-Provaci Sandy, così lo scoprirai.- lo schernì
Yuma
facendolo arrossire. Aveva smesso di minacciarlo ma nei suoi confronti
continuava a tenere un atteggiamento ostile.
-A me per esempio non piacerebbe un rapporto con una persona che non
posso guardare in faccia.-
Clifford fissò James Derrick dall’alto in basso.
-Però se ci pensi bene, per te e per tuo fratello
è
l’unica soluzione. A voi una donna o ve la dà a
pagamento
o per altruismo.-
Benji li ascoltava divertito. Era successo di nuovo. Lui lanciava una
battuta idiota e quei caproni dei compagni tutti dietro a ricamarci su.
Oltretutto Tom, che aveva ripreso a scaldarsi e a gesticolare
né
più né meno come aveva fatto durante la festa di
alcuni
giorni prima, aggiungeva altro materiale alle loro idiotissime
speculazioni.
-Deve essere sicuramente la sua ragazza, ci sta di nuovo litigando.-
-Quindi la ragazza di Tom è una di quelle delle telefonate
erotiche?-
-Che senso ha pagare una telefonata solo per litigare?-
-Se dovessi avere un rapporto di questo tipo con la mia fidanzata,
preferirei lasciarla.- decretò Jason Derrick.
-Nella rara eventualità che trovassi una ragazza e che lei
decidesse di frequentarti, ti converrebbe tenertela pure solo per
litigarci.- lo schernì Benji.
-Fanculo!-
Tom tornò verso di loro passandosi una mano sul viso e tra i
capelli. Si accorse che lo fissavano tutti, soprattutto Benji, con il
cappellino sbilenco, un sopracciglio alzato e tutte le intenzioni di
lanciarsi in qualche sua sgradevole riflessione. Si difese andando
all’attacco. Tese un braccio e puntò il cellulare
contro
di lui.
-Non ci provare! Non provare a dirmi quello che stai per dirmi!-
La reazione del portiere fu quella di fissarlo come se fosse pazzo, la
reazione di Tom, quella di allontanarsi. Gli amici lo seguirono con gli
occhi pieni di curiosità e di domande.
-Cos’è che stavi per dirgli, Benji?-
-Non stavo per dirgli proprio niente. Mi sono assolutamente censurato,
non te ne sei accorto Holly?-
Il capitano lasciò perdere tutti per inseguire
l’amico. Ci
mancava solo che Tom desse di matto e poi erano a posto.
-Che ti prende?-
-Niente mi prende!-
Gli si affiancò.
-Stavi litigando di nuovo con la tua ragazza?-
-Certo che no! Era mia madre!-
La preoccupazione di Tom trovò finalmente uno sbocco nel
rispettoso silenzio di Holly. Non era la prima volta che gli confidava
i suoi problemi di famiglia e forse fu proprio per questo che gli
risultò più facile parlare.
-Mio padre sta invecchiando.- incrociò il suo sguardo e
sospirò -Sì, lo so che è normale. Che
i genitori
invecchino, intendo. Ma quando succede non siamo mai pronti. Tu
l’hai conosciuto, mio padre. Lui è sempre stato
uno
spirito libero, le necessità domestiche e quotidiane di mia
madre non sono riuscite a ingabbiarlo. Lei cercava tutta la
stabilità che mio padre non avrebbe mai potuto darle.- Tom
era
un fiume in piena. Non interruppe il suo sfogo neppure per riprendere
fiato -A lui è sempre piaciuto dipingere e viaggiare,
viaggiare
e dipingere. Ma più va avanti con gli anni e più
viaggiare diventa logorante. E quando un fisico è logorato,
cede
più facilmente…-
Holly lo fissò.
-Tuo padre sta male?-
-È in ospedale.-
-Tom, mi dispiace.-
-Il problema è che vorrei essere lì e invece sono
qui e
temo che mia madre minimizzi solo per non farmi preoccupare.-
-Quindi è per questo che sei nervoso…- Holly si
ficcò le mani nelle tasche -Pensavamo tutti che fosse per
colpa
della tua ragazza che ti ha dato buca.-
-In realtà non mi ha dato buca.- si guardò la
punta degli
scarpini -Non mi ha mai promesso che sarebbe venuta. Non è
più tanto la mia ragazza, visto che non ci vediamo mai. Ma
mi
avrebbe fatto piacere vederla. Evidentemente a lei no.-
-Quindi cos’è successo a tuo padre?- chiese una
terza voce.
I due si volsero.
-Philip! Stai origliando?-
-Io? Ero qui prima di voi e siete voi a non avermi visto! Anzi, grazie
per la considerazione!- sbuffò innervosito -Ultimamente sono
stato poco presente, lo ammetto, ma da qui a diventare invisibile!-
A Holly venne da ridere ma non lo fece per rispettare i problemi di
Tom.
-Mio padre è svenuto mentre dipingeva sotto il sole e mia
madre
l’ha saputo soltanto perché lei è stata
l’ultima persona che mio padre ha sentito. Quando
l’hanno
soccorso hanno chiamato il primo numero che hanno trovato memorizzato
sul cellulare.-
-Ci hai parlato?-
Tom annuì.
-Un attimo fa. Mia madre era da lui in ospedale e me lo ha passato. Ha
detto che sta meglio, anzi si sente benissimo e non vede
l’ora di
uscire. Lo terranno sotto osservazione ancora un giorno poi lo
rimanderanno a casa. Il problema è che mia madre ha la sua
famiglia mentre mio padre deve cavarsela da solo finché non
torno. Dopo, chissà…-
-Vedrai che le cose si aggiusteranno.- gli sorrise Holly fiducioso
-Comunque Benji non voleva dirti niente.-
-Davvero? Strano. Ha sempre la lingua che gli prude e in questo periodo
che le cose gli stanno andando male, anche più del solito.-
-Come tanti altri.- sospirò Philip, decidendo di lasciare il
suo
eremo di riflessiva solitudine per riunirsi con loro al resto della
squadra -Secondo me è meglio se dici che il problema non
è la tua ragazza ma tuo padre, così la smettono
di
costruirsi fantasie inutili e di romperti le scatole.-
-I problemi della mia famiglia non devono riguardarli.-
-Neppure i miei con Jenny e invece stanno sempre a metterci bocca.-
Le occhiate curiose con cui la squadra riaccolse Tom caddero nel vuoto.
Lui ignorò il loro interesse, posò il cellulare
sul
tavolino e si sedette sull’erba accanto a Benji, tanto per
mettere in chiaro che non aveva niente contro di lui. Il portiere gli
lanciò un’occhiata disinteressata e
tornò a fissare
Warner, seduto ai tavolini esterni del bar insieme a Freddie e Gamo.
-Perché li stai guardando?-
-Sto aspettando che Warner passi loro la busta.-
-Che busta?-
-Quella con cui li corrompe per giocare contro l’Italia.
Quanto sgancerà secondo te?-
Holly scosse la testa. Tom aveva ragione, Benji era sempre strapronto a
polemizzare.
-Tra poco te lo farò sapere.-
Benji lo vide raggiungere con Philip lo stesso tavolino rotondo e
prendere posto ai due lati di Warner. Gli sfuggì un fischio
di
sorpresa.
-È davvero una riunione in grande stile!-
-Se sono tutti contro di te non hai speranze.- lo mise in guardia Bruce.
La preoccupazione non lo sfiorò.
-Se vogliono perdere l’amichevole, facciano pure.-
Amy era di tutt’altro avviso e anche molto preoccupata. Che
Benji
non scendesse in campo non sarebbe stato un buon messaggio da
indirizzare al mister dell’Amburgo. Possibile che lui non lo
capisse? Oppure era così sicuro di sé che quel
pensiero
non lo sfiorava? Non fremeva per tornare a giocare nella sua squadra
tedesca? Da quante settimane riscaldava la panchina? E per quante altre
settimane sarebbe stato costretto a farlo? Sospirò piano e
quando alzò gli occhi si accorse che Julian la fissava. Lei
accennò un sorriso, poi il suo sguardo tornò a
posarsi su
Benji, che aveva ripreso a parlare.
-Gamo vuole vincere e Freddie è dalla mia parte. Warner non
ha speranze.-
Lo stomaco di Bruce brontolò per la fame.
-È quasi mezzogiorno.-
Jason Derrick occhieggiò i cellulari posati sul tavolo tra
le bottiglie vuote e gli asciugamani e rise di gusto.
-Come al solito hai ragione! Con te si può regolare
l’orologio!-
-Stasera Amy vuole andare a pattinare.- li informò Julian
-Secondo voi ci fanno uscire?-
Tom scosse la testa.
-Scherzi? Domani c’è la partita. Questa volta
neppure Jenny riuscirebbe a convincere Gamo.-
-Forse prima di dargli la formazione sì, avrebbe potuto
ricattarlo.- Benji rise -è incredibile quanto vada
d’accordo col mister! Ci avete fatto caso?-
-Oh per favore!- sbottò Julian -Non inventarti
un’altra storia!-
-Una storia su Jenny? C’è già qualcuno
che viene
pagato per farlo e ci riesce molto meglio di me.- con un cenno del capo
indicò Bill Steiner, appoggiato alla recinzione del terreno
di
gioco degli italiani, in una mano la macchinetta fotografica, gli occhi
puntati sull’ingresso ai campi. Mark non lo aveva neppure
notato.
-Come diamine fa ad entrare sempre?-
-Landers, perché non mandi via quel giornalista?- Gentile
era in
piedi oltre la recinzione, a scolarsi una bottiglietta
d’acqua
-Io ci ho provato e non ha funzionato. Provaci tu in giapponese.-
Mark gli si avvicinò scuotendo la testa.
-Jenny non c’è e preferisco ignorarlo.-
-Si sta rammollendo, vero Matteo?-
-Se lo dici tu…- a Solari poco interessava provocare Mark.
Incrociò le braccia e annusò l’aria.
L’inconfondibile aroma che gli giunse alle narici lo fece
voltare
di scatto. Sgomitò Dario che teneva gli occhi bassi, sul
display
del cellulare.
-Qualcuno sta fumando!-
Belli sollevò la testa di scatto.
-Chi può essere tanto deficiente da farlo proprio qui,
adesso?-
-Deve essere quell’idiota di Alex. Ha sempre le tasche piene
di fumo.-
Dario lasciò a metà il messaggio che stava
scrivendo.
-Vado a vedere. Se lo beccano ci ripassano tutti.-
-Fatti una tirata, piuttosto.- gli gridò dietro Salvatore
-In questi giorni mi pari esageratamente teso.-
Dietro l’edificio degli spogliatoi, accoccolati sui talloni,
Francesco Boni e Alex Marchesi s’erano appena fumati una
sigaretta a testa e adesso erano pronti a dividersi una
canna.
-Guarda un po’ qua.- disse Alex, ficcandosi ciò
che
restava della sigaretta tra le labbra per tastarsi i fianchi -Dove
l’ho messa? Ah, eccola!- tirò fuori una busta di
carta e
l’aprì, per mostrare al compagno cosa
c’era dentro.
Palline marroni, piccole come chicchi di riso, mescolate a steli
essiccati.
-Cos’è?-
-Marijuana non fecondata.-
-E che differenza c’è tra questa e quella
normale?-
-Niente. È tanto per tirare una cosa diversa.- rispose Alex
spegnendo la sigaretta in mezzo all’erba. Prese dalla tasca
un
pacchetto di cartine di cui si era anticipatamente premunito, insieme a
tutto il resto, facendo un salto negli spogliatoi. Ne sfilò
tre
e le incollò insieme.
-Dove l’hai rimediata?- volle sapere Francesco, tastando e
annusando il contenuto della busta.
-Si dice il peccato ma non il peccatore. Da uno che può
procurarti qualsiasi cosa, anche l’ero se la vuoi.-
-No, grazie.-
-Infatti.- Alex rollò la canna, leccò il bordo
delle
cartine per sigillarlo, sistemò meglio il filtro e
arrotolò la punta. Poi tese la mano per farsi passare da
Francesco l’accendino, fece un bel tiro e soffiò
una lunga
scia di fumo -Una favola!- fu preso da un giramento di testa
fortissimo, che lo fece vacillare sulle gambe piegate. Esalò
il
fumo ridendo e porse il bastoncino al compagno.
Francesco inalò a sua volta e sorrise. Poi fece un altro
tiro,
passò di nuovo la canna nelle dita di Alex e
assaporò
quella sensazione di benessere.
-Mitico.-
-Mitico un cazzo!-
-Ciao Dario.- Francesco alzò gli occhi e rispose, molto
più pacato di quanto fosse opportuno.
-Ciao cosa? Che accidenti state combinando?- era una domanda retorica
perché lo vide da solo, anzi lo annusò. Li
punì
ciascuno con un ceffone ben piazzato sulla nuca, augurandosi di
schiarire così le idee a quei due beoti.
-Non solo le sigarette, pure le canne! Dove credete di essere? In
Colombia?-
Il bastoncino finì tra l’erba e Alex gemette.
-No! Che spreco!- allungò una mano per recuperarlo ma Dario
lo
schiacciò con lo scarpino, afferrò il compagno
per un
orecchio e tirò forte.
-Se ci provi ti scotenno!- tenendolo stretto, agguantò la
divisa
di Francesco e li trascinò insieme verso le panchine,
continuando a minacciarli -Se vi ripesco a fare una cosa del genere vi
metto a centrocampo e vi prendo a calci in culo al posto della palla
finché non finite nella rete!- diede uno strattone
all’orecchio di Alex che ululò di dolore.
*
-Bruce, ti sei bevuto il cervello? Che diavolo stai facendo?
Lui sobbalzò di spavento, Holly lo fissava con gli occhi di
fuori e una tale disapprovazione che rinunciò
all’istante,
senza protestare. Del resto non avrebbe potuto dirgli che non stava
facendo ciò che lo aveva beccato a fare perché
stringeva
i soldi in una mano ed era quasi il suo turno per pagare
l’affitto dei pattini.
-Domani c’è la partita o te ne sei dimenticato?-
lo trascinò via -Se ti fai male chi glielo dice a Gamo?-
-Perché io no e Philip sì?-
-Philip?-
-Sì, Philip! Philip Callaghan, hai presente?-
scimmiottò
-Lui può farlo perché è il
vicecapitano?-
-Io non l’ho visto Philip! Dov’è?
Dov’è?-
-In pista da almeno dieci minuti!-
Holly mollò Bruce e si aggrappò alle transenne,
fendendo
la folla con lo sguardo in cerca del compagno. Se Philip si trovava
là dentro, ed era sicuro che ci fosse, era davvero un
irresponsabile. Il fatto che sapesse pattinare non era una scusa. Un
incidente poteva capitare a chiunque, anche ad un campione olimpionico,
cosa che Philip di certo non era.
Lo vide attraversare la pista di ghiaccio sintetico ad una
velocità che gli fece prendere un mezzo colpo. Fendette la
gente, superò un paio di ragazzine che si tenevano per mano,
fece la curva piegandosi di lato e pattinando per un tratto
all’indietro, poi puntò senza saperlo proprio
verso di
lui. Gli si avvicinò ignaro e quando fu a pochi metri, si
sentì chiamare.
Philip lo individuò ma non si fermò, anzi
aumentò
di velocità. Holly sentì lo spostamento
d’aria, lo
vide sogghignare ironico e sventolare una mano a schernirlo. Poi si
confuse tra gli altri pattinatori e per un attimo non lo vide
più. Quando lo ritrovò faceva la spola tra una
sponda e
quella opposta dall’altro lato della pista, così
lontano
da lui che era inutile, con la musica sparata dagli altoparlanti,
tentare ancora una volta di richiamarlo.
Benji si accostò a Holly con fare annoiato. Invece di andare
lì a vedere la gente esibirsi in piroette, non sarebbe stato
meglio infilarsi in qualche accogliente locale e gustarsi tipiche
specialità italiane? Posò i gomiti sulle
transenne e
appoggiò il viso sul palmo di una mano.
-Io continuo a non trovarlo divertente.-
-Perché non sei capace.-
Il portiere gli lanciò un’occhiata storta che
lampeggiò sotto la visiera del cappellino.
-Pure tu sui pattini non splendi.-
Era il dopocena di un giorno feriale ma c’era comunque molta
gente. Soprattutto ragazzi e ragazze che passeggiavano in gruppi e
coppie sotto i portici, tenendosi per mano o scherzando tra loro. Ben
vestite e truccate, alcune italiane erano veramente carine. Benji le
osservava e dava un voto a ciascuna di loro. Parecchie avevano una
sufficienza piena. Passò ad esaminare le pattinatrici,
più vicine e meglio illuminate dalle luci della pista, ma
prima
di dare un giudizio doveva aspettare almeno due giri.
Scorse anche Philip andare di qua e di là senza pace,
irrequieto
e scontento tale e quale era stato in quegli ultimi giorni. Benji si
chiese se persino la pista di pattinaggio lo facesse pensare a Jenny.
Per lui era impossibile non collegarla al loro ritiro invernale di
qualche anno prima. Ricordava benissimo soprattutto la notte in cui si
era ritrovato in compagnia di Landers sulla superficie gelata di quel
maledetto lago. Era stata una notte insonne, gelida e faticosa che gli
aveva procurato più lividi e ammaccature che altro. Una
nottata
in bianco che avrebbe potuto risparmiarsi visto che tenersi in
equilibrio sui pattini non si era dimostrato poi così
difficile.
-Saresti dovuto rimanere in hotel con la tua ragazza, Harper, visto che
non si sentiva bene.-
Quello alzò le spalle.
-Stava benissimo, le serviva solo una scusa per sganciarsi e lavorare.
Non sta facendo altro, da quando è arrivata. Sempre
attaccata a
quel pc.-
-E tu? Tu non sei qui per lavorare?-
Philip vide Amy e Patty scendere in pista sostenendosi a vicenda e
avanzando malferme sui pattini. Le raggiunse con una curva spericolata
e deviò dalla loro traiettoria solo all’ultimo
istante. Si
fermò ad un passo, le braccia incrociate sul petto, e le
fissò serio.
-Mi sembrava che foste capaci.-
Amy arrossì di vergogna.
-Dobbiamo solo riprenderci la mano.-
Philip gliela tese, una mano.
-Se vuoi ti faccio fare un giro come si deve.-
La giovane lo guardò indecisa, poi accolse
l’invito e si
aggrappò al suo braccio. Lui non le diede neppure il tempo
di
prepararsi. Si spinse sui pattini con forza e trascinò Amy
in
una folle corsa tra la gente. Fecero il giro largo della pista in un
secondo e quando furono di nuovo davanti a Patty, Amy, con il
cuore che le martellava nel petto e nelle orecchie, alzò su
Philip uno sguardo lucido di divertimento.
-Fantastico! Lo rifacciamo?-
Salvatore Gentile quel giorno non riusciva a togliersi dalla testa la
sua ex. Clarissa non avrebbe dovuto presentarsi al centro sportivo, non
avrebbe dovuto farsi vedere. Si erano già incontrati alla
festa
di beneficenza e per lui quello scambio fugace di sguardi era stato
più che sufficiente. Se il giorno prima non avesse avuto la
pessima idea di presentarsi al campo, lui avrebbe potuto risparmiarsi
di parlarle in quel modo odioso. Non avevano più niente a
che
fare l’uno con l’altra ed era inconcepibile che
Clarissa
fosse andata a cercarlo dopo ciò che gli aveva fatto. Non
voleva
più vederla, non voleva rivolgerle la parola e non voleva
più neanche sentire parlare di lei. Gentile poteva
dimenticare
tutto tranne un tradimento e, in particolare quello di lei, gli era
rimasto impresso a fuoco. Essere tradito dalla persona che amava, nella
quale aveva riposto la massima fiducia, l’unica che gli aveva
smosso qualcosa dentro, l’unica che gli era mancata in ogni
istante quando non avevano potuto vedersi. L’unica che aveva
dato
un senso ai suoi divertimenti, perché condividevano lo
stesso
tipo di svaghi. L’unica con cui a volte non c’era
stato
bisogno di parlare, perché avevano in testa gli stessi
identici
pensieri e la loro intesa era risultata perfetta. Essere tradito da
Clarissa era stato, in una parola, devastante.
Quella sera Salvatore era particolarmente silenzioso. Da quando erano
in macchina aveva detto pochissime parole. Mark si era convinto che ce
l’avesse con lui ancora per la foto, anzi, per il bacio,
mentre
Jenny aveva trovato nel suo silenzio un qualcosa di malinconico e aveva
preferito rimanere zitta.
Gentile parcheggiò nelle strisce blu. Spense la macchina,
scese
e si frugò nelle tasche in cerca di qualche spiccio da
inserire
nel parchimetro.
-Non dirmi che hai intenzione di pagare il parcheggio. Sarebbe la prima
volta che lo fai da quando ti conosco!-
Salvatore lanciò a Landers appena uno sguardo.
-Sono meno incivile di quanto pensi.-
-Lascialo in pace, Mark.-
Lo guardarono infilare i soldi nel parchimetro, ritirare la ricevuta e
tornare verso la macchina per posare il biglietto sul cruscotto.
Landers si stancò di aspettarlo e attraversò la
piazza
per raggiungere i compagni che aveva visto sparpagliati lungo i bordi
della pista di pattinaggio.
Jenny invece preferì attendere Salvatore. Quando lui la
raggiunse, le circondò le spalle con un
braccio.
-Sai pattinare, Jenny?-
-Mi piace un sacco. Tu?-
-Sì, ma stasera non ne ho voglia.-
-E allora cosa siamo venuti a fare?-
-Ho accompagnato te.-
Mescolato alla folla Philip percorreva avanti e indietro la pista.
L’adrenalina era in circolo e un sacco di cose gli frullavano
nella mente senza dargli modo di concentrarsi su niente di preciso.
Eppure lui avrebbe tanto voluto mettere ordine in quella moltitudine di
pensieri che gli svolazzavano incessantemente nella testa. Era un
groviglio di buoni propositi, intenzioni, ricordi antichi e recenti che
si incastravano gli uni agli altri in modo completamente casuale, senza
un ordine, creando ancor più confusione. La sua testa era un
puzzle da montare i cui pezzi erano così mescolati che non
riusciva a trovarne neppure due che combaciassero. Non si accorse del
momento preciso in cui Mark e Gentile comparvero sul bordo della pista.
Quando si volse per assicurarsi che gli amici fossero tutti ancora
lì, li vide e basta. Trovarsi davanti l’italiano
lo spinse
di riflesso a cercare Jenny al suo fianco. Non la vide, né
accanto a lui, né vicino a Mark. Eppure era impossibile che
non
ci fosse, sull’autobus aveva sentito Amy e Patty dire che
sarebbe
venuta. Forse all’ultimo aveva cambiato idea. La delusione fu
fortissima.
Fece un altro giro, in preda ad una voglia matta di vederla. In fondo
aveva deciso di uscire insieme agli amici proprio sperando di
incontrarla, perché pattinare su una pista sintetica era
l’ultimo dei suoi desideri, visto che di ghiaccio vero in
Hokkaido ne aveva a bizzeffe.
Poi la vide. Fu grazie a Mark che la chiamò per dirle
qualcosa.
Era seduta sulle panchine esterne e stava indossando i pattini.
Alzò la testa per rispondergli, dando modo a Philip di
individuarla. Il sollievo fu immenso. Fece il giro della pista e le
passò davanti senza che lei, china com’era a
legare i
lacci, lo vedesse.
-Jenny datti una mossa!- la chiamò Patty -Siamo dentro da
quasi un’ora!-
-Sto arrivando!- si mise in piedi, oltrepassò il cancelletto
e raggiunse le amiche.
Gentile la osservava e osservava Philip che le girava intorno come un
satellite, stringendo sempre più la sua orbita. La ragazza
non
sembrava essersi accorta della presenza del suo ex, intenta
com’era a ridere e scherzare con le amiche.
-Callaghan se la cava bene.-
Mark si volse.
-Callaghan?-
-Non l’hai visto?-
-Holly! Che ci fa Philip lì dentro? Se si fa male chi lo
dice a Gamo?-
-Se pensi di riuscire a tirarlo fuori, accomodati. Io c’ho
già provato e mi ha ignorato.-
-Maledetto! Vuole metterci nei guai!- fissò Philip
così
intensamente che l’amico lo percepì e
incrociò il
suo sguardo. Sollevò un braccio in un saluto beffardo,
rivolto
forse più a Gentile che a lui.
Fu quando Amy e Patty, finito il tempo, lasciarono la pista che Philip
si decise ad avvicinare Jenny. Non aveva in mente un piano preciso, non
aveva più neppure pensato a cosa dirle. Tanto, dopo
l’esperienza dei giorni precedenti prima al bar e poi nello
stadio, aveva capito che qualsiasi frase sarebbe stata sbagliata. Si
sarebbe accostato e poi avrebbe lasciato che le cose andassero per il
verso loro. L’importante era allontanarla da quella parte
della
pista su cui erano affacciati i compagni. I loro problemi erano
già abbastanza sotto gli occhi di tutti.
Sapeva con certezza che se avesse detto a Jenny di seguirlo, lei non
l’avrebbe fatto. Così decise di rapirla. Le
tagliò
la strada ad una tale velocità che per non andargli addosso
lei
dovette frenare e svicolare di lato. Si sbilanciò in avanti,
fece mezzo giro su se stessa e ritrovò per un pelo
l’equilibrio. Dopodiché si guardò
intorno sorpresa,
neppure così sicura di averlo riconosciuto. Forse era
Philip,
forse no ma anche solo il sospetto che lui fosse in pista era un motivo
per uscirne. Si volse per tornare indietro ma il ragazzo le
arrivò alle spalle e agì rapidissimo. Le
passò un
braccio dietro la schiena, si spinse sul ghiaccio e la
trascinò
lontano dagli amici e dall’uscita.
La sorpresa di quell’assalto bloccò in lei ogni
reazione.
La velocità e il cambio di direzione le fecero finire alcune
ciocche di capelli sulla faccia. Li scostò dal viso ed erano
già dalla parte opposta della pista. Il risentimento si
impadronì di lei. L’insistenza e la prepotenza di
Philip
fecero montare la collera. Calcò un pattino sulla superficie
sintetica e arrestò bruscamente la loro corsa lasciando un
solco
profondo. Sbandarono bruscamente, Jenny brancolò in avanti
e,
temendo di cadere, tese una mano verso terra. Sfiorò il
suolo
con la punta delle dita ma Philip, che non l’avrebbe mai
fatta
finire a terra, la sostenne. Sbandarono ancora una volta quando la
ragazza si volse per fronteggiarlo. Alla fine si fermarono addosso alle
transenne, che Jenny urtò con la schiena e Philip con un
fianco.
Si guardarono negli occhi e lei lo fissò furiosa, le guance
arrossate.
-Cosa vuoi ancora?-
Lui le era vicinissimo, così vicino che per un secondo si
sentì in trappola. Lo spintonò indietro per
aprirsi una
via di fuga ma Philip non si scostò che di pochi centimetri,
come se i suoi pattini si fossero improvvisamente ancorati sulla
superficie della pista. Allora fu lei a indietreggiare, schiacciandosi
contro la balaustra. La sincerità e l’ansia che
Jenny
vedeva nei suoi occhi non erano sufficienti a penetrare la nube di
detriti e rottami che le colmava il cuore. Il suo dolore era ancora
troppo fresco, la sua ferita troppo profonda.
-Jenny…-
La giovane scosse la testa con forza, da lui non voleva sentire
più nulla. Chiuse gli occhi per tener fuori il suo volto, le
sue
parole, l’amore che rifiutava di morire.
-Jenny, ti prego…-
-Lasciami in pace! Vattene! Vattene e lasciami in pace!-
raddrizzò le spalle, sollevò la testa e
mandò
giù la devastazione che le riempiva la voce. Lo
superò
senza vederlo, perché le lacrime premevano e lei non era
sicura
di riuscire a fermarle. Aggrappata alla balaustra arrancò
verso
l’uscita. D’improvviso i pattini le risultarono
odiosi,
avrebbe voluto strapparseli via. Avrebbe voluto non essere mai entrata
in quella pista, circondata dalle transenne che le impedivano di
fuggire.
Ma poi delle dita si chiusero sulle sue braccia e la costrinsero a
fermarsi. Philip la fece voltare, la obbligò a guardarlo.
Sotto
la luce bianca dei fari che facevano risplendere il ghiaccio sintetico,
Jenny vide la tensione divampare nei suoi occhi.
-È questo che vuoi davvero? Restare con lui?-
-Da quando ti interessa ciò che voglio?- Jenny si
tirò indietro -Lasciami!-
Le mani di Philip le ubbidirono, lui mollò la stretta.
-Allora devi dirmelo. Devi dirmi in faccia che non provi nulla per me.
Che vuoi che ti lasci in pace per sempre. E poi lo farò. Me
ne
andrò, se è quello che vuoi davvero.-
Lei pronunciò con un filo di voce parole pesanti come
macigni.
-Te ne sei già andato, Philip. Te ne sei già
andato mesi fa.-
Philip, di fronte a quell’accusa,
s’impietrì. Jenny
aveva ragione e lui aveva torto. Aveva sempre avuto torto, fin
dall’inizio. Si scostò da un lato per lasciarla
passare e
lei lo superò. Restò imbambolato in mezzo alla
gente che
gli pattinava intorno, la sgradevole sensazione che non sarebbe mai
più riuscito a mettere le cose a posto. Tanto valeva
rinunciare.
Per Jenny fu una fatica immensa percorrere tutta la pista per
raggiungerne l’uscita. Arrancò fino al
cancelletto,
sprofondò con i pattini nella moquette rossa che circondava
le
panche e si lasciò cadere seduta per sciogliere i lacci, gli
occhi velati dalle lacrime che le scorrevano sulle guance e le
gocciavano sulle mani. Si liberò dai pattini e
indossò le
scarpe. Un’ombra offuscata dal pianto prese posto accanto a
lei.
Con un tuffo al cuore temette che si trattasse di Philip. Invece era
Salvatore, che le circondò le spalle con un braccio e
l’accostò a sé, rassicurante e
consolatorio.
-È dura quando ci si innamora della persona sbagliata.-
-Come si fa a capire qual è la persona sbagliata e qual
è la persona giusta?-
-Forse il tempo? O quello che accade quando si sta insieme?-
Lei scosse la testa e si asciugò il volto con il dorso di
una mano.
-Certe cose succedono anche quando non vorresti che accadessero e una
volta che sono successe non ti resta altro da fare che accettarle e
andare avanti.-
Philip raggiunse l’uscita della pista arrancando sui pattini
afflitto e depresso. Tutta la destrezza e la nonchalance che aveva
dimostrato fino a poco prima erano scomparse. Ora pattinava soltanto
perché non poteva fare altro, per potersene andare doveva
rimettersi le scarpe. Niente da fare, non c’era
più niente
da fare. Jenny era diventata irrecuperabile.
Si accasciò sulla panca con i pattini ai piedi e rimase
immobile, una mano sull’altra, gli occhi sui lacci annodati,
incapace di scuotersi di dosso dolore e afflizione.
-Philip, stiamo andando via.-
La voce di Benji gli arrivò lontana ma la mano che lui gli
mise sulla spalla lo fece sussultare. Si volse a guardarlo.
-è andata male anche stavolta.-
-Sì, Jenny è più testarda del
previsto. Ma lei ti ama quindi non ti resta che insistere.-
-Mi ama?- un sorriso amaro gli incurvò le labbra -Ha uno
strano modo di dimostrarlo.-
-Strano tanto quanto il tuo, te l’assicuro. Ma il problema
non
è questo, sai? Il problema è capire come diavolo
avete
fatto ad arrivare a questo punto.-
Philip lo fissò stralunato.
-Lo sai come! Da quel maledetto giorno è andato tutto a
puttane!-
-Quando siamo andati via da Furano la situazione stava migliorando. Me
lo ricordo bene!-
-Non lo so, può darsi.- alzò le spalle e
proseguì
-Io ricordo solo alti e bassi, non miglioramenti. E comunque il
problema è riuscire ad accettare il perché.-
-Il perché di cosa?-
Nel momento in cui cominciò a parlare, Philip si rese conto
che
aspettava da mesi di poter esternare tutto il suo dolore. Finora non lo
aveva mai fatto, con nessuno. Ma adesso qualcosa si era smosso e non
riusciva più a tenersi tutto dentro.
-Perché è successo. Perché non sono
riuscito ad
impedire che quel bastardo le facesse del male, perché non
sono
riuscito a proteggerla. Perché non sono riuscito neppure a
intuire cosa stesse per accadere.-
Benji si sedette sulla panca di fronte, poggiò i gomiti
sulle
ginocchia e si chinò verso di lui. Lo fissò negli
occhi,
ascoltandolo in silenzio.
-Nonostante quello che crede Amy, che crede tua madre, che credete
tutti…- un nodo gli serrò la gola e dovette
deglutire per
riuscire a continuare -Se non l’avessi portata con me a Kyoto
non
sarebbe successo. Se fossi stato capace di proteggerla, di capire cosa
stava accadendo fin da quando eravamo a Shintoku, nessuno avrebbe
alzato un dito su di lei. Non sono stato capace di vedere le sue paure
e le sue preoccupazioni, neppure l’effetto che le faceva la
presenza di McFay. Se non sono stato in grado di proteggerla, che senso
aveva restare al suo fianco? Jenny era la cosa più preziosa
che
mi fosse mai capitata e ho lasciato che qualcuno le facesse del male. E
lei? Cosa se ne poteva fare lei di me? Che senso aveva per lei avere
accanto chi non era riuscito a proteggerla?-
Benji gli posò una mano sul ginocchio.
-Ti stai addossando una colpa che non è tua. O almeno non
soltanto tua. Magari se non mi fossi divertito con Karen…-
-Stronzate, Price! Non riuscirai a prenderti neppure una piccola parte
della colpa, quindi è inutile che ci provi. Tu non
c’entri
niente, McFay l’ha adocchiata da subito. L’ha
portata in
giardino per restare solo con lei tre secondi dopo che si sono
conosciuti.- lo ricordava perfettamente. Gli bastava concentrarsi un
istante per vederli di nuovo passeggiare insieme nel giardino del
ryokan illuminato dalla luna, come se da quei giorni maledetti fossero
passate solo alcune ore e non un anno.
-Se la pensi in questo modo, perché adesso stai cercando di
riavvicinarla?-
Philip abbassò gli occhi a terra e parlò con un
filo di voce, pieno di imbarazzo.
-Perché nonostante tutto mi sono accorto che non posso
vivere senza di lei.-
-Allora proprio per questo, non dovevi arrogarti il diritto di decidere
per Jenny, Philip.- la voce di Patty li indusse a voltarsi. La ragazza
era lì con Amy chissà da quanto tempo -Soltanto
lei
può sapere se sei la persona con cui desidera stare. Non
puoi
stabilirlo tu e poi imporle il tuo punto di vista. Non è
giusto.
Nei suoi confronti sei stato arrogante, egoista e profondamente
scorretto. E se non ti fossi rifiutato di parlare con Nicole, lo
avresti compreso da tempo.-
-Cosa avrei capito? Che è stata tutta colpa mia?- insistette
lui caparbio.
Fu Amy a rispondergli.
-Il contrario, Philip. La colpa è tutta di David.-
-Amy, non ricominciare. Ci ho già pensato abbastanza, ho
rigirato la cosa da tutte le prospettive e la conclusione è
soltanto una. Anche se è stato McFay a farle del male, io
avrei
dovuto capire quanto la sua presenza fosse un problema per Jenny.-
-E come? Come avresti potuto capire? Jenny non ne ha mai parlato con
nessuno e David è stato furbo e non ha mai dimostrato
apertamente il suo interesse per lei.-
-Ma vedi Amy, se Jenny non ha avuto fiducia in me forse è
perché non me lo meritavo.-
-Non è così. Non c’è stata
mancanza di
fiducia, Philip, ma un'ansia troppo grande da gestire e che Jenny non
ha voluto affrontare, né a Shintoku, né tanto
meno a
Kyoto. Un’ansia resa più intensa dal fatto di
trovarsi
sperduta nella villa di Miller, nel territorio di David.
Un’ansia
che l’ha spinta a tenersi tutto dentro. Si è
convinta che
sarebbe bastato resistere un po’, il tempo di firmare i
contratti, andarsene da Kyoto e allontanarsi da David. A quel punto le
sue paure sarebbero svanite e sarebbe potuta tornare a respirare
tranquilla, dimenticandosi di tutto. Il fatto di non avertene parlato
le ha fatto credere che, una volta lontana da lui, avrebbe potuto
dimenticare tutto come se non fosse successo niente, perché
soltanto lei sapeva.-
Il dolore aveva ripreso a tormentare lo sguardo di Philip come era
successo a Furano l’anno prima o forse ancora più
intensamente. Amy se ne accorse ma riprese lo stesso a parlare.
-Jenny non ha voluto accettare il pericolo e la sua scelta non
è
stata colpa tua. Si è impuntata convincendosi che fosse una
sua
fantasia. Ha deciso di rifiutare la realtà, di tirarsi
indietro
e di non fidarsi del suo istinto. Certo, David le faceva paura, la sua
presenza la terrorizzava, quindi cercava di stargli lontana, ma si
rifiutava anche di pensare a lui, voleva dimenticarsi della sua
esistenza.-
-Ma non ci è riuscita…-
Amy annuì.
-Nessuna precauzione alla fine è servita perché a
David
si è presentata la possibilità di agire
indisturbato.
David ha mandato Jenny totalmente in confusione, giocando con lei come
il gatto col topo. Lui non le avrebbe fatto nulla finché non
l’avesse trovata sola e indifesa. David quando era con noi
non la
guardava neppure. Per questo non ci siamo accorti di niente.-
Philip ascoltava e cercava di far sue le parole di Amy. Il suo discorso
era terribile, il suo punto di vista discutibile, ma quella versione
era un lenimento alla sua sofferenza e desiderava crederle con tutto se
stesso. Fu Benji a dissentire.
-Io li ho visti, avrei dovuto capire. McFay me lo aveva persino detto,
bastava fare due più due…-
Amy gli si avvicinò e gli posò una mano sulla
spalla.
-Benji, Jenny era già perduta nel momento in cui ha messo
piede
a Kyoto. David l’ha privata delle sue consapevolezze,
lasciandola
sola con le sue paranoie e giocando con le sue paure. Jenny era
terrorizzata da lui e nonostante abbia cercato di tenersi alla larga,
David l’ha avuta vinta perché l’ha fatta
crollare.
Jenny non ha saputo più cosa credere e da che parte voltarsi
per
scappare. Lui l’ha spinta in uno stato di tale confusione da
non
lasciarle neppure la possibilità di agire per evitare quello
che
stava per succedere. La colpa di ciò che è
accaduto non
è di nessuno se non di David. Indipendentemente da
ciò
che sapevamo o abbiamo visto, nessuno di noi poteva farci molto, tanto
meno Jenny, perché la situazione che si è trovata
ad
affrontare era troppo grande per lei, troppo spaventosa e
destabilizzante. David l’ha sviata completamente nonostante
il
suo istinto ci avesse visto giusto. Un istinto a cui non ha dato retta
perché non ha proprio potuto farlo.-
Patty prese la parola.
-La tua fortuna Philip è che Jenny ti ama.-
Lui la guardò scettico. Era già la seconda volta
che qualcuno glielo faceva presente e lui ci credeva sempre meno.
-Mi ama? Sta con Gentile e ama me?-
La giovane assunse un’espressione così
terrificante che
nella testa di Benji squillò un mezzo campanello
d’allarme. Forse adesso gli sarebbe saltata al collo e lo
avrebbe
strozzato. Così sarebbero rimasti davvero senza di lui in
campo.
-Ti sei mai chiesto che effetto abbia avuto su Jenny vedere la foto di
te che baci Julie Pilar spiattellata su un giornale? Te lo sei mai
chiesto, Philip? Ti sei mai chiesto cosa abbia significato per lei
sfogliare una rivista e trovarti avvinghiato a quella fotomodella,
sotto gli occhi di tutto il mondo? Quando Amy mi ha mandato la foto
sono stata male per lei. E non provare a dirmi che con
quell’oca
vi siete limitati ai baci perché non ci credo!-
abbassò
la voce che divenne, se possibile, ancora più minacciosa,
tanto
che pure Philip si tirò istintivamente indietro -Pensi che
Jenny
sia venuta qui in vacanza? Ti sei domandato perché abbia
deciso
di attraversare mezzo mondo e scroccare a Mark una stanza? Hai mai
pensato che potrebbe essersi rifugiata in Italia solo perché
non
aveva un altro posto dove andare? Ricordi, vero, che il ryokan
dei suoi nonni adesso è di David? Ricordi, vero, che con i
suoi
genitori non va d’accordo? Non dirmi che pensi che si sia
messa
con Gentile per divertirsi, per provare qualcosa di diverso o
perché si è innamorata di lui! Ti è
mai passato
per la testa che forse il suo cuore è talmente vuoto da
doverlo
per forza riempire con qualcosa che non sia sofferenza e solitudine?
Come puoi permetterti di giudicare quello che sta facendo Jenny?-
riprese fiato, sull’orlo delle lacrime -Tanto più
che lei
e Gentile non sono…- si morse la lingua, si volse e corse
via,
rifugiandosi da Holly.
-Patty!-
Amy le andò dietro lasciando i due ragazzi da soli.
-Tanto più cosa?- fece eco Philip, per il quale concludere
la
frase che Patty aveva lasciato a metà era diventato
d’un
tratto di vitale importanza.
-Peccato, se n’è andata sul più bello!-
Benji
afferrò il compagno per un braccio e lo trascinò
via.
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Capitolo 17 *** Sedicesimo capitolo ***
Sedicesimo
capitolo
Amy aveva fatto bene a insistere sulla questione delle foto e lei
avrebbe dovuto darle retta. Jenny non era sicura di voler diventare la
testimonial di una nota marca di profumo facendosi fotografare insieme
a Gentile in qualche posa osé. In quello studio, tra lo
staff che si muoveva frenetico tutt'intorno a lei, si sentiva perduta.
Invece di starle accanto e aiutarla a prendere una decisione, Salvatore
l’aveva mollata da sola per andare a parlare con il fotografo
che li avrebbe immortalati. A lui non sembrava dare fastidio essere
passato da mero accompagnatore a protagonista. Piuttosto il contrario.
Jenny invece non era persuasa, e non riuscivano a convincerla neppure
quelle spiegazioni assurde in un inglese così
così sul magnifico contrasto dei colori, assolutamente da
sfruttare, tra la sua pelle bianca e quella abbronzata di Gentile, tra
i suoi capelli neri e quelli d’oro del ragazzo. Le avevano
assicurato che non si sarebbe visto niente. Che soltanto Salvatore si
sarebbe tolto la maglietta. Che il suo abito, fornito direttamente da
loro, l’avrebbe coperta a sufficienza. Altri contrasti: un
corpo nero e uno bianco, uno vestito, l’altro nudo. Sarebbero
stati in piedi e basta, non si sarebbero neppure baciati. Lui
l’avrebbe tenuta tra le braccia, appoggiata contro una roccia
(finta) mostrando al fotografo la sua schiena muscolosa, lei avrebbe
avuto i capelli raccolti, alcune ciocche le avrebbero incorniciato il
viso. Un ciondolo d’oro si sarebbe morbidamente adagiato
sulla scollatura dell’abito, un paio di orecchini avrebbero
brillato accanto al volto. Nient’altro, giusto un
po’ di trucco. Sarebbero rimasti a piedi nudi, appoggiati su
uno scoglio contro un mare di zaffiro. Eppure lei non era convinta. Non
ne poteva più di essere fotografata, non sopportava
più di finire sotto gli occhi di tutti. Di essere vista,
rivista e giudicata.
Così traccheggiava indecisa. Doveva essere
un’intervista… o no? Forse Dario non aveva capito?
Forse loro non si erano spiegati? Forse era stata lei a non capire?
Forse era per questo motivo che tremila euro le erano sembrati troppi,
per poche domande?
In quella mattinata di riposo in vista della partita della sera,
Gentile si era offerto di accompagnarla e lei non sapeva se la sua
presenza era stata una fortuna o meno. Forse se non fossero stati
insieme non le avrebbero chiesto le foto. O forse gliele avrebbero
chieste lo stesso ma per lei sarebbe stato più facile
rifiutare… oppure più facile accettare? Non lo
sapeva e non sapeva neppure cosa fare. La sua indecisione aveva
aumentato il compenso. Forse anche a Gentile, che non si aspettavano di
vedere, avevano promesso un guadagno. Rifiutandosi avrebbe fatto
sfumare anche il compenso di Salvatore. E allora? Che fare?
Perché non aveva dato retta ad Amy e non si era informata
meglio prima di presentarsi lì?
Vide una giovane avvicinarsi alla truccatrice con il suo abito tra le
mani. Doveva decidersi. Raggiunse Salvatore e gli si
aggrappò ad un braccio.
-Che facciamo?-
Lui alzò le spalle.
-Per me è uguale.-
-Così non mi aiuti a decidere…-
-Qual è il problema? Non ti fanno comodo dei soldi?-
-Sì, però… Pensavo si trattasse di
un’intervista.-
-Anch’io, ma non importa. Sono solo poche foto. Impiegheremo
meno di un’ora.-
-Ti pagano?-
-Non mi interessano i soldi ma so che a te fanno comodo.-
Stava accettando per farle un favore? Certo tremila euro in quel
momento non erano da buttare. Tremila euro non erano mai da buttare in
realtà. Avrebbe potuto pagarsi il biglietto aereo senza
attingere ai soldi che le erano rimasti sul conto. Per di
più in quel momento, con la sua vita trasformata in un
enorme punto interrogativo, faceva sempre comodo avere qualcosa da
parte. E se poi le sue foto fossero finite sulle riviste di moda o sui
manifesti pubblicitari, pazienza. Non aveva intenzione di restare in
Italia ancora a lungo.
Si staccò da Gentile e andò verso il vestito che
avevano preparato per lei.
Dieci minuti dopo, Jenny si trovava con la schiena premuta contro una
parete di finta roccia sotto i riflettori, in una posizione piuttosto
scomoda, osservata da tutto lo studio. Salvatore al contrario sembrava
perfettamente a suo agio e rideva della sua ansia.
-Rilassati Jenny, stai andando in apnea.-
Era appoggiato contro di lei, una mano sul suo fianco fasciato
dall’abito nero, l’altra premuta sulla parete, per
non pesarle troppo addosso. Dava le spalle al team e si limitava a
seguire gli ordini che gli arrivavano gridati dal fotografo e dai suoi
assistenti.
-Non mi piace, non vedo nulla.- le luci l’accecavano.
-Chiudi gli occhi e respira.-
Non era facile respirare, con il tubino che indossava. Le avevano fatto
togliere il reggiseno, il corpetto le era stato cucito addosso per
adattarsi al suo corpo snello e la strizzava tutt’intorno al
torace, la scollatura imbottita le aveva fatto aumentare il seno di
almeno una taglia. Una spallina le era scivolata di lato, lungo il
braccio, e quando aveva cercato di rimetterla al suo posto qualcuno
aveva gridato qualcosa e Salvatore le aveva detto di lasciarla
così, che era molto meglio. Jenny spostò una
gamba per non perdere l’equilibrio e sentì il
bordo di pizzo del vestito salirle lungo la coscia.
-Quanto manca ancora?-
-Jenny, lasciali lavorare in pace.- il ragazzo si mosse, eseguendo le
istruzioni.
Il rumore degli scatti arrivava a raffica, dovevano aver fatto per lo
meno cento foto.
-Non ne posso più. Non vedo l’ora di andarmene.-
era tesa come una molla pronta a saltare e appena le avessero dato il
via libera, sarebbe corsa dietro i paraventi, si sarebbe rimessa i
propri vestiti e sarebbe uscita di corsa da quel posto.
-Ti peso?-
Lei scosse la testa. Al contrario, più Salvatore le era
addosso e più la copriva, con il risultato di renderla meno
visibile agli occhi del team e nelle foto. Aveva già cercato
di nascondersi, di sprofondare dietro al suo corpo atletico ma qualcuno
si era avvicinato, aveva scostato Gentile e l’aveva messa
più in mostra di prima.
Quando pensava ormai di aver finito, la truccatrice si
avvicinò, le sistemò i capelli, inumidendoli con
uno spruzzino pieno d'acqua e scompigliandoli, se possibile, ancora di
più. Jenny se li sentiva ovunque, sul viso, sul collo, a
solleticarle la guancia e il naso, sulle spalle. Doveva sembrare uno
spaventapasseri. Alcune gocce le finirono sulla schiena e Jenny le
sentì scivolare verso il basso provocandole un
insopportabile solletico, sull'olio alla mandorla di cui li avevano
cosparsi entrambi per fare in modo che la loro pelle risplendesse alla
luce.
-Per queste cose dovrebbero chiamare delle professioniste, non la prima
che capita…- tornò a lamentarsi -Non sono neppure
fotogenica.-
Salvatore rise. Si stava divertendo un mondo ed era contento di averla
accompagnata. Jenny non lo capiva perché per lei era la
prima volta, ma lui che ormai aveva una certa esperienza nel campo,
sapeva che il fotografo aveva ragione. Il contrasto tra i loro colori
sarebbe stato fantastico anche nelle foto in bianco e nero. Avrebbe
dovuto accorgersene prima e proporla ai suoi contatti.
L’avrebbe fatta guadagnare bene con il minimo sforzo.
-Dopo tutta questa fatica ci meritiamo una bella birra.-
-A quest’ora?-
-Finiremo per lo meno a mezzogiorno. Prendiamoci un aperitivo coi
fiocchi! Tanto il pranzo sarà la solita fregatura
prepartita.-
Tacque perché gli dissero di tacere, si volse
perché gli ordinarono di guardare l’obiettivo.
Sfiorò il suo viso con le labbra, quando gli chiesero di
farlo e lei sentì il suo profumo mescolato all'aroma della
mandorla. Cambiò posizione, le infilò una mano
tra i capelli, gliela lasciò scendere lungo il collo, sulla
spalla e sul braccio mentre le guance di Jenny, che continuava a tenere
gli occhi socchiusi o al massimo pudicamente rivolti a terra, si
colorivano di imbarazzo. Il suo rossore aveva mandato il fotografo in
visibilio e adesso non la finiva più.
Quando quella tortura ebbe termine Jenny si sentiva esausta, spossata e
scontenta e accettò ben volentieri l’invito di
Salvatore a tirarsi su con un corposo aperitivo.
Evelyn era pronta per l’intervista. Sedeva nella hall
dell’hotel, in attesa che Jenny e il suo ragazzo si facessero
finalmente vedere. Avrebbero dovuto incontrarsi nella tarda mattinata,
invece all’ora di pranzo l’amica le aveva
telefonato per avvertirla che avevano avuto un contrattempo e
l’avrebbero raggiunta nel primo pomeriggio. Evelyn aveva
avuto tutto il tempo del mondo per tornare in camera e darsi una nuova
passata di trucco. Aveva indossato la sua tenuta da lavoro, una
camicetta bianca a righine nere con le maniche a sbuffo e una gonna
nera molto seria, con uno spacco al centro del lato posteriore. Aveva
infilato un paio di collant e le scarpe nere che Jenny aveva prestato a
Patty per la serata di beneficenza. Si era lasciata i capelli sciolti
sulle spalle, che le arrivavano quasi a metà schiena e aveva
cercato di lisciarli con il fon per togliere il segno
dell’elastico. Bruce, quando l’aveva vista arrivare
al bancone del bar, non aveva creduto ai propri occhi.
-Con chi hai appuntamento, Eve?- le domandò Clifford dopo
aver lanciato un fischio di apprezzamento -Per chi ti sei messa
così in tiro?-
Sua cugina si presentava regolarmente al campo con un paio di jeans e
una semplice t-shirt, i capelli legati in una coda e al massimo un velo
di lucidalabbra trasparente.
-Sicuramente non per voi. Sto aspettando Salvatore Gentile, devo
intervistarlo. Sta per arrivare.- si guardò intorno in cerca
di un angolo tranquillo dove potergli fare le sue domande, senza che
nessuno li disturbasse, senza che nessuno si impicciasse. Un angolo
appartato per poter rimanere con lui in santa pace -Rob, vieni a farmi
da interprete? In cambio ti offro da bere quello che vuoi!-
-Vai Rob.- Bruce lo spinse verso la fidanzata -E prendi appunti
così ci racconti!-
-Neanche per sogno! L’intervista è top-secret! Se
ti interessa, acquista il mio giornale!- prese Aoi per un braccio e
trascinò il ragazzo su e giù per la hall,
indecisa su dove sedersi.
-Quella cartastraccia? Neanche morto!- le gridò dietro Bruce
ma lei non gli prestò ascolto -Questa maledetta intervista
è diventata una questione di Stato!-
-Si vede che per lei è importante, Bruce. È il
suo lavoro e non dovresti schernirla così. Evelyn ha il
massimo rispetto per il tuo.-
-Taci Paul, non ti immischiare.-
Salvatore e Jenny entrarono nell’hotel mano nella mano e si
guardarono intorno. Jenny individuò i ragazzi al bar e
istintivamente si sciolse dalla stretta di Gentile, allungando il passo
verso Evelyn e Rob.
-Mi dispiace, abbiamo fatto tardi.- si scusò lui, dedicando
alla giornalista un sorriso luccicante d’azzurro che la fece
sciogliere.
Se Evelyn non fosse stata già seduta, sarebbe crollata a
terra.
-Va benissimo lo stesso! Tanto non ho nulla da fare!-
strascicò in inglese -Rob, fai funzionare la lingua, il mio
inglese fa schifo.-
-Che devo dirgli?-
-Di sedersi accanto a te e di ordinare qualsiasi cosa voglia bere. Pago
io.-
-Salvatore non ti lascerà mai pagare.- s’intromise
Jenny.
Completamente dimentica di lei, Evelyn la guardò sorpresa.
-Sei ancora qui?-
-Tranquilla, te lo lascio. Me ne vado subito.-
Jenny indossava ancora l’abito del servizio fotografico,
diventato troppo corto e troppo scollato non appena aveva messo piede
fuori dallo studio. Non faceva altro che tirarlo giù sulle
gambe e rialzare la spallina che continuava a scivolarle sul braccio
sotto il leggero cappotto primaverile. Era stata così
impaziente di andarsene dal set che aveva preferito infilare i propri
vestiti in una busta e cambiarsi dopo, con calma, in un ambiente
più tranquillo e più riservato. Oltretutto il
paravento che le avevano messo a disposizione non le era piaciuto, i
pannelli le avevano dato l’idea di essere troppo sottili.
Adesso aveva bisogno di un bagno.
Vedendola passare a pochi metri dal bar, Clifford sollevò
una mano per richiamare la sua attenzione.
-Ciao Jenny, vieni a bere qualcosa con noi? Hai un vestito bellissimo,
corto proprio come piace a me!-
Lei si volse e si sforzò di sorridere.
-Magari un’altra volta…- sparì dietro
l’angolo, oltre un enorme ficus, diretta ai bagni.
Jenny nel bagno trovò Amy. Era appoggiata con lo stomaco
contro il lavandino, il volto vicinissimo allo specchio. Si stava
passando un fazzoletto sugli occhi, cercando di non far colare il
rimmel.
-Stai piangendo o sei raffreddata?-
Amy sussultò, il fazzoletto quasi le cadde di mano. Quando
si volse il suo sguardo era liquido e arrossato.
-Che ti succede?-
L’amica si lasciò sfuggire una smorfia scontenta.
-Sempre la solita solfa.-
-Quale solfa?-
-Quella delle fan di Julian.- scosse la testa a significare che era
inutile parlarne tanto non ci si poteva fare niente -Che ci fai qui? Ci
hai ripensato e hai deciso di venire allo stadio con noi?-
-Scherzi? Mai.-
-Mi pareva. E allora?-
-Ho accompagnato Salvatore per l’intervista di Evelyn.-
-Ah, finalmente! Così si tranquillizza e smette di
assillarci tutti!-
-Speriamo.- Jenny appoggiò la busta con gli abiti sul
lavandino e si tolse la giacca.
-Bel vestito.-
-Grazie, ma adesso lo tolgo.-
-Perché? Ti sta bene.-
-È troppo scollato, troppo stretto… troppo tutto.
Sai, avevi proprio ragione a dirmi di insistere sulla questione delle
foto. Quella che volevano da me non era un’intervista ma un
servizio fotografico. Questo è il vestito che ho indossato.-
-Quindi l’hai fatto?-
-Sì.-
-È andato bene?-
-Salvatore è rimasto tutto il tempo insieme a me. Vai a
tenere chiusa la porta?- Jenny riuscì a sfilarsi le
spalline, poi afferrò la scollatura e la tirò su
per togliersi l’abito dalla testa. Il vestito la fasciava
stretto, non riuscì a sollevarlo.
S’innervosì e tirò forte. Si udirono
alcuni strappi.
-Piano, piano… Jenny! Così lo rompi!-
-Non importa, devo toglierlo!-
-Si sta strappando!-
-Perché me lo hanno cucito addosso!- strattonò
con forza, le cuciture fatte in studio cedettero e con
l’aiuto di Amy, riuscì a liberarsene. Si
rivestì in fretta dei propri abiti, sentendosi decisamente
meglio.
-Finalmente! Che liberazione!-
-Sei tu che profumi così?- domandò annusando
l'aria -Mandorle?-
-Ci hanno cosparsi d'olio, neanche dovessero friggerci.-
-Poco male, ti è rimasto un buon odore addosso. Quindi allo
stadio non ci vediamo, Jenny?-
Si guardarono attraverso il riflesso dello specchio.
-Io sarò sugli spalti, non so tu.-
-Io sarò in panchina. Gamo ci ha dato il permesso.-
-In panchina non ci vengo. Sto con Salvatore, la panchina giapponese
non è il mio posto.-
-Non vedo perché! Tu sei giapponese, Jenny!-
-Amy, non parliamone più. Assisterò
all’incontro dagli spalti, ci vediamo dopo la partita.-
-Nel senso che dopo la partita verrai in hotel?-
Jenny non disse né sì né no,
frugò nella borsetta e tirò fuori il cellulare.
Amy fremette. La sua insistenza era diventata un’urgenza. Il
tempo a disposizione per convincere l’amica a tornare in
Giappone si stava assottigliando. Con Philip non stava andando bene, o
meglio non stava andando affatto. Amy e Patty avevano assistito alla
manovra di Philip sulla pista di pattinaggio e avevano sperato che
fosse la volta buona. Invece Jenny era scappata via, lasciandolo a
incolparsi per l’ennesima volta per tutto ciò che
era successo a Kyoto. Secondo il ragionamento di Amy, che ci aveva
riflettuto quella notte, se lui la sera prima non era riuscito a
persuaderla, ora era arrivato il suo turno di farle capire che non
esisteva nessun motivo che la trattenesse ancora in Italia. Jenny
doveva tornare in Giappone con loro. Punto.
*
-Gli spogliatoi della Juventus sono più belli di questi.-
Mark s’infilò scontento uno scarpino e
allacciò strettamente i lacci, facendo poi un doppio nodo di
sicurezza. Non era mai stato nella zona degli ospiti ma gli era bastata
un’occhiata veloce nel momento in cui era entrato per capire
che i locali riservati ai padroni di casa erano strutturati e
organizzati molto meglio. Chissà se poteva sgattaiolare
dall’altra parte e approfittare di tutti i comfort riservati
alla nazionale italiana!
-Lo dici pure?-
Benji gli lanciò un’occhiata di traverso. Il
portiere era già nervoso di suo da quando, quella mattina,
era stato messo al corrente da Holly e Philip, ma soprattutto da Holly,
che avrebbe giocato soltanto il secondo tempo. Warner l’aveva
avuta vinta e lui, con grande sollievo del capitano e del suo vice,
aveva abbozzato, evitando quella lunga serie di proteste e invettive
che i due si erano aspettati. Era riuscito a non mandarli a quel paese,
a non rispondere come meritavano alle loro finte rassicurazioni (del
tipo: hanno deciso per il secondo tempo perché se Ed dovesse
prendere un goal, sanno di poter contare su di te, e roba simile) ed
era stato zitto, silenzioso, granitico. Così imperturbabile
e imperscrutabile che alla fine Philip gli aveva chiesto se era sicuro
di aver capito bene. A quel punto Benji era finito sull’orlo
dell'omicidio, i due se n’erano resi conto e avevano tagliato
la corda. Warner aveva vinto, gli avevano consentito di giocare il
primo tempo. Che se i tempi fossero stati tre, avrebbe giocato anche
Alan Crocker per par condicio. A Warner concedevano quarantacinque
minuti, né più né meno di
ciò che sarebbe toccato a lui. Li avevano messi sullo stesso
piano, lui e Warner. Ed Warner, un mediocre portiere della J-League
allo stesso livello di Benji Price, il miglior portiere del Giappone e
della Germania, almeno fino alla cazzata della partita contro il
Bayern.
Sapeva che avrebbe pagato caro quell’errore, sapeva che lo
avrebbe pagato caro non soltanto nell’Amburgo. E se la sua
splendida carriera era macchiata da quella stronzata, non poteva dare
la colpa a nessuno. Se lui e Warner erano finiti allo stesso livello,
doveva prendersela soltanto con se stesso. Se avevano deciso (Gamo?
Marshall? Pearson? La J-League? L’intera squadra?) di far
scendere in campo per il primo tempo quel portierucolo da strapazzo!
Perché non si dedicava al karate e se ne andava affanculo
una volta per tutte?
Rob era accanto alla lavagna portatile di Freddie e muoveva il dito da
un nome all’altro dei giocatori italiani, facendo le ultime
raccomandazioni. La formazione di Jenny si era rivelata esatta ma
conoscerla in anticipo non aveva avvantaggiato Benji in nessun modo.
Forse avevano deciso di farlo scendere in campo solo per il secondo
tempo addirittura da prima di partire dal Giappone, e si erano degnati
di informarlo soltanto quella mattina, i maledetti!
Si alzò furente, attraversando lo spogliatoio da un angolo
all’altro senza degnare di uno sguardo Aoi che stava ancora
parlando e che si interruppe per seguire la sua uscita in uno stupito
silenzio. Solo Holly si premurò di chiedergli dove accidenti
andasse visto che erano in piena riunione ma Benji lo
ignorò, chiudendosi la porta alle spalle e neppure troppo
silenziosamente. Mancava più di mezz’ora
all’inizio dell’incontro e lui s’era
già stufato. Percorse tetro il corridoio, la visiera
abbassata sugli occhi, schivando lo staff che correva indaffarato qua e
là. Si ritrovò d’improvviso nel
ristorante, quello stesso ristorante che un paio di giorni prima era
stato testimone dei baci di Jenny e Philip. Costeggiò la
parete tenendosi alla larga dai tifosi abbonati che avevano libero
accesso al locale e alle consumazioni. Vide i giocatori italiani
sparpagliati ai tavoli, Gentile lo individuò e gli fece
cenno di raggiungerlo ma Benji scosse la testa e cercò un
tavolo in un angolo con vista campo, da cui continuare a maledire
indisturbato Warner e i suoi sostenitori.
Jenny prese la borsetta e si alzò. Con addosso gli occhi
incuriositi di Salvatore, raggiunse Benji e gli si sedette di fronte.
-Non è una buona giornata?-
-No.-
Tacquero, riempiendosi lo sguardo del tappeto verde e degli spalti che
pian piano si affollavano di tifosi.
-Ti hanno fatto arrabbiare?- tentò di nuovo lei.
Benji sollevò appena la visiera, per permetterle di
guardarlo negli occhi. I loro sguardi si incrociarono e un sorrisetto
amaro gli incurvò le labbra.
-È difficile riuscire ad accettare di essere
l’origine dei propri problemi. È più
gratificante dare la colpa agli altri.-
-Basterebbe non concentrarsi sulle colpe ma sulla soluzione.
C’è sempre una soluzione.-
-No, non sempre.-
Jenny lo guardò e fu d’un tratto
d’accordo.
-Hai ragione, non sempre.-
-Non azzardarti ad arrangiare ciò che ho appena detto alla
tua situazione!-
-Lo sto facendo?-
-Eccome.-
Lei sorrise.
-Perché sei qui?-
-Mi ero stancato di sentirli blaterare le solite cose. Tutte
chiacchiere inutili!-
-Dici?-
-Certo! Se sto in panchina a cosa mi serve ascoltare Aoi che spiega per
la millesima volta chi fa cosa, chi gioca come, chi tira quando, chi
segnerà e perché? Tanto so già
perché l'Italia segnerà, semplicemente
perché in porta nel primo tempo non ci sarò io.-
Jenny lo osservò in silenzio, poi allungò una
mano e gliela mise sulla sua per trasmettergli tutta la sua vicinanza e
la sua comprensione.
-Giocherai un secondo tempo fantastico, Benji. Evelyn
scriverà su di te un articolo magnifico corredato da una
splendida foto e le cose torneranno al loro posto prima che tu te ne
renda conto.-
Il suo ottimismo lo colse alla sprovvista. Scoppiò a ridere.
-Cosa sei? Una veggente? Se il tuo pronostico si rivelerà
esatto, ti porterò a cena nel ristorante più caro
di Tokyo.-
-Smettila di provarci con Jenny e torna nello spogliatoio. Gamo ti
vuole parlare.-
Si volsero all’unisono. Mark era lì e li fissava
scontento. Holly lo aveva costretto ad andare in cerca del portiere
ramingo soltanto perché era l’unico che sapeva
muoversi nei corridoi dello stadio senza rischiare di perdersi.
Alessandro Marchesi si alzò, gli puntò un dito
contro e gridò il suo nome facendo voltare mezza sala.
-Landers! Non dimenticare la nostra sfida!-
Dario drizzò le orecchie.
-Che sfida?-
-Fanculo Belli! Sono cazzi nostri!-
Il portiere italiano gli saltò addosso e lo prese per il
collo.
-Che sfida? Parla!- gli agitò la testa facendola
ciondolare avanti e indietro.
-Non te lo dico neppure se mi strozzi!-
-Se non parli lo faccio davvero!-
-Mai! Mi hai distrutto cinquanta euro di fumo! Non te lo
perdonerò mai!-
-Bravo! Fatti pure sentire!-
Mark lanciò loro un’occhiata, poi
lasciò il ristorante seguito da Benji.
-Sei contento che il primo tempo tocchi a Warner?-
-A me interessa soltanto vincere, Price. Dovresti saperlo.-
-Ah, allora ti dispiace.- sollevò leggermente la visiera del
cappellino e lo fissò negli occhi -Con Warner in porta
perderemo, lo sai.-
-È un’amichevole.-
-Quindi non ti interessa vincere.-
-Ti ho appena detto di sì.-
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Se ti interessa vincere ti dispiace che gioca Warner. Se sei contento
che scende in campo vuol dire che ti è indifferente perdere.
Quale delle due?-
Mark allungò il passo infastidito. Benji s’era
girato la frittata in modo da avere ragione dall’inizio alla
fine. Insopportabile come al solito, non gli rispose.
Spalancò la porta dello spogliatoio ed entrò.
-Ho trovato Price, mister. Era in bagno con un cappio al collo, stava
per suicidarsi.-
Venti e più paia d’occhi si spostarono increduli
dall’uno all’altro.
-Vaffanculo, Landers.-
Amy si alzò dal tavolino che occupava con Patty ed Evelyn e
raggiunse quello dove Jenny era stata lasciata sola da Benji e Mark.
-Che aveva Benji? Non ci ha neppure viste…-
-Hai bisogno di chiederlo a Jenny, Amy? Ovviamente gli rode
perché non giocherà tutta la partita.- Evelyn si
sedette e appoggiò il cellulare sul tavolo -Jenny, per
favore. Fammi vedere la foto di Gentile. Un’unica sola volta,
poi non ti rompo più.-
-Quale foto?-
L’altra la guardò strana, chiedendosi per un
attimo se fingesse appositamente di non capire. Invece la confusione di
Jenny sembrava sincera. D’un tratto fu curiosa di sapere cosa
s’erano detti lei e il portiere.
-La foto di Gentile nudo, quella che mi hai fatto intravedere
l’altro giorno. Ricordi?-
-L’ho cancellata, Eve. Non so neppure perché
gliel’ho fatta.-
-Ma per me, ovvio! Sono tua amica, no?- la delusione le
riempì gli occhi -Davvero l’hai cancellata?-
-Sì Eve, non era una foto da mostrare. Non era neppure da
fare. Per favore accontentati di quello che hai visto.-
-Intravisto, vorrai dire…- sbuffò e le mise il
broncio.
-Vieni Jenny.- Patty la prese per un braccio -Raggiungiamo i nostri
posti prima che qualcuno ce li occupi.-
-Dove andate?-
Si volsero verso Evelyn.
-In tribuna.- disse Patty -Seguiremo la partita da lì.-
-E perché?-
-Lo sai il perché!- si spazientì la ragazza,
allontanandosi con Jenny.
Forse Patty sarebbe riuscita a convincerla ad assistere alla partita
dalla panchina della nazionale giapponese. Forse, se le avesse parlato
della conversazione tra Benji e Philip che aveva ascoltato
involontariamente la sera prima, avrebbe potuto sbloccare qualcosa.
Invece aveva deciso di non farlo, perché era stato Philip a
lasciare Jenny e Patty stentava a spiegarsi come l'amico avesse
imbastito un tale casino tutto da solo, facendo soffrire
l’amica inutilmente quando lei, di motivi per star male, ne
aveva già a bizzeffe. Adesso provava nei confronti del
ragazzo non soltanto una cocente incomprensione ma anche un
insopportabile fastidio. Philip, con la sua presa di posizione, si era
dimostrato di un'immaturità inaudita e finché non
se ne fosse reso conto, Patty aveva tutte le intenzioni di proteggere
Jenny affinché non continuasse a soffrire a causa sua. Non
pensava certo che la vita dell'amica sarebbe stata migliore senza
Philip, probabilmente solo tornando con lui avrebbe potuto sentirsi
completa, ma capiva sicuramente più degli altri che in quel
momento Jenny aveva bisogno di tempo per ricostruirsi e non di ricevere
una nuova notizia sconvolgente, come poteva essere appunto apprendere
il motivo per cui Philip l'aveva lasciata. C'era poi il fatto che a
parere di Patty, Jenny non era ancora pronta ad accettare questa
verità visto che tante cose nella sua vita e in quegli
ultimi mesi erano cambiate. Nonostante le premesse non fossero proprio
rosee, Patty era fiduciosa che le cose tra loro si sarebbero sistemate
con il tempo, senza bisogno di forzare la mano o di mettere fretta
all’una o all’altro.
*
-Controllati Mark!-
Il grido di Holly lo fermò ma l’impeto della corsa
lo trascinò in una lunga scivolata sull’erba.
Posò una mano al suolo per riprendere l’equilibrio
e si volse a guardarlo. Holly lo aveva raggiunto, i capelli incollati
intorno al viso dal sudore e il fiato grosso per la corsa. I suoi occhi
guizzavano sul campo, seguendo il percorso del pallone, dei compagni di
squadra e degli avversari.
-Ti passerò la palla come abbiamo detto, ma fino a quel
momento rimani nella tua posizione!-
-Non riusciamo a sfondare la difesa!-
Mancavano circa dieci minuti alla fine del primo tempo e le reti di
entrambe le squadre erano inviolate.
-Per forza! Continui a correre di qua e di là come un cane
dietro al bastone! Ci sono già Philip e Tom a centro campo,
tu devi restare in attacco! Chiaro?-
-Non alzare la voce con me, Holly!-
-E tu fai quello che ti dico, Mark!-
I difensori italiani si erano trincerati nei pressi della porta e
stroncavano sul nascere ogni azione d’attacco. Come Landers
sapeva bene, Gentile era il più difficile da superare e per
di più durante l’ultimo tentativo di segnare,
Alessandro Marchesi gli aveva mollato un calcio sullo stinco. Adesso
Mark, oltre che a ficcare la palla in rete, doveva restituirgli la
zampata. In alternativa conficcargli un gomito tra le costole. La loro
sfida privata di colpi all'insaputa dell'arbitro era appena iniziata e
lui stava già perdendo.
Benji, in panchina, fremeva. Aveva il cappellino ben calcato in testa e
sotto la visiera gli occhi lampeggiavano di scontento e impazienza. Se
l’Italia non attaccava e la porta del Giappone non era in
pericolo, c’era la possibilità che lo lasciassero
in panchina per tutto il resto della partita. Merda, perché
gli italiani non si davano una svegliata? Se continuavano a
traccheggiare, per il secondo tempo sarebbe potuto scendere in campo
anche Crocker e nessuno si sarebbe accorto della differenza!
-Benji, quanto manca alla fine del primo tempo?- domandò Amy.
-Otto minuti e ventuno secondi.-
La giovane scambiò un’occhiata d'intesa con
Evelyn, soffocando una risata. Era la terza volta che il portiere
rispondeva con tanta precisione. Concentrato sul gioco, non si era
accorto che quella domanda gliela stavano facendo a turno
già da un po’, divertendosi alle sue risposte di
una esattezza assoluta.
Il pallone finì fuori. Rimise in gioco Julian, passando a
Philip. Smarcatosi da un avversario che gli si era incollato, Callaghan
prese a correre superando la metà campo. Mark
chiamò la palla ma lui preferì allungarla a Tom
che era in posizione migliore. Becker vide due avversari andargli
incontro e se ne liberò, restituendola al compagno. Philip
saltò un giocatore italiano che cercò di fermarlo
con una scivolata, poi entrò nella metà campo
avversaria. Poteva vedere Mark e Holly già in posizione nei
pressi della porta italiana. Erano strettamente marcati ma seguivano il
gioco, cercando di liberarsi. Rob comparve sulla fascia e nel momento
in cui pensò di passargli il pallone, un difensore italiano
si mise tra loro.
-Merda…-
Holly no, Mark no, Rob no, dov’era Tom? Non lo vedeva. Forse
era rimasto indietro. Si lanciò un’occhiata fugace
alle spalle, poi tornò a guardare avanti. Gli occhi azzurri
di Gentile gli comparvero d’un tratto vicinissimi. Vicini
come non li aveva mai visti. Fece una finta, l’italiano non
si lasciò fregare e si gettò sulla palla. La
sfera, colpita da Salvatore, gli urtò tra i piedi. Philip
riuscì per un pelo a non farsela soffiare e
recuperò spazio girandogli intorno. Salvatore
seguì i suoi movimenti, braccio contro braccio, spalla
contro spalla, e Jenny in tribuna trattenne il respiro.
Si sgomitarono con violenza, Philip tentò una nuova finta,
Salvatore fu lento a reagire e il centrocampista giapponese
riuscì a smarcarsi il tempo di un istante. La palla
partì verso la fascia in uno dei suoi potenti tiri
rasoterra, trovando spazio tra i piedi del difensore italiano. Gli
occhi di entrambi seguirono il pallone fino a Rob che
agganciò e corse in avanti, verso la porta di Belli.
Dopodiché i loro sguardi s'incontrarono di nuovo e Callaghan
sorrise beffardo. Lo aveva fregato.
-Non perdere tempo, Philip!- sentì gridare Holly.
Il Giappone partiva in attacco, in un nuovo tentativo di infilare la
palla in rete. Callaghan ubbidì e si volse per correre
dietro ai compagni, ma Gentile tese fulmineo una gamba e lui
inciampò. Rotolò a terra, si sbucciò
un ginocchio e un gomito, urtò il torace e una spalla
sull’erba e gli mancò il fiato. La collera
superò il dolore, si rimise in piedi all’istante.
Il gioco intorno a loro continuava e l’italiano accanto a lui
sghignazzava.
Belli li aveva visti. Teneva d’occhio Gentile dal momento in
cui, invece di seguire le sue direttive, il compagno aveva fatto come
al solito di testa sua ed era andato addosso a Callaghan. Dario, un
occhio sulla palla, l’altro su di loro, non aveva apprezzato
lo sgambetto. Il pallone era tra i piedi di Mark già nei
pressi della porta e mentre lui gridava istruzioni alla difesa
Salvatore, invece di essere lì a dar man forte ai compagni,
s’era fermato a fare i dispetti al numero dodici. Non andava
bene per niente.
-Imbecille piantala!- gridò, il timore che la contesa
degenerasse e che quei due trovassero nel gioco la scusa per litigare a
causa di Jenny. Tanto bastò a richiamare
l’attenzione di Salvatore sulla partita.
Alex scattò verso Landers, spinto dal desiderio di dargli un
altro calcio ben piazzato e, nel caso, di impossessarsi della palla.
-Finiranno per azzuffarsi.- borbottò Gamo.
-Chi?-
-Callaghan e Gentile. O più probabilmente Landers e
quell’altro difensore italiano, che se le stanno dando di
santa ragione da quando è iniziata la partita.-
Benji lo sentì e si augurò che lo facessero
davvero, che si picchiassero, Landers e quell’altro. O anche
Gentile e Callaghan, per lui era indifferente. Così forse
avrebbero espulso uno dei due e, in dieci, Gamo avrebbe deciso di non
rischiare e lo avrebbe fatto entrare in campo all’istante.
Poi ci ripensò. Se ad essere espulsi fossero stati gli
italiani, il secondo tempo lo avrebbe giocato Alan senza ombra di
dubbio.
-Quanto manca, Benji?-
-Cinque minuti e quarantadue secondi.-
Evelyn gli si sedette accanto ridendo e Johnny Mason si
spostò più in là per farle posto.
-Perché non riescono a segnare?-
-Perché Callaghan sta litigando con Gentile, Landers sta
prendendo a calci Marchesi. Rob sta facendo una maratona e Tom ha la
testa chissà dove. Come può segnare Holly, se sta
giocando da solo?-
-Ti posso citare nel mio articolo?-
-Solo se vinciamo.-
-“Se”?
Parlavano ma gli occhi di Benji non la guardavano. Erano incollati
sulla palla, il suo corpo un fascio di nervi pronti a saltare. Gli
rodeva infinitamente di assistere al primo tempo dalla panchina e
più i minuti passavano e più il rodimento
cresceva. Avrebbe voluto giocare da subito, sarebbe stato molto meglio
anche in vista del suo ritorno in Germania. Se il mister
dell’Amburgo stava assistendo alla partita, si sarebbe
convinto che persino la nazionale giapponese aveva bisogno di lui solo
per scaldare la panchina. Gamo e Marshall, con la loro assurda
decisione di far giocare il primo tempo a Warner, stavano rischiando di
scavargli la fossa. Prima di ripartire per Amburgo doveva prendere
Pearson da una parte e parlarci seriamente.
-Perché non hai protestato quando ti hanno detto che avresti
giocato soltanto un tempo?-
-Ti sei mai messa a gridare contro un muro, Evelyn?-
-Avresti potuto provare a convincerli lo stesso.-
-E far rischiare a Warner un tracollo? E se mi denunciano per
istigazione al suicidio? Sai che danno per la mia immagine?-
-Pensi che stare in panchina non ti danneggi, dopo quello che
è successo nella partita contro il Bayern?-
Intorno a loro calò una quiete di tomba. Si sentivano le
grida dei compagni in campo, i cori dei tifosi, i mortaretti, i fischi,
ma la schiettezza di Evelyn aveva gelato il sangue a tutti. La partita
contro il Bayern era un argomento tabù che finora nessuno
dei compagni aveva mai pensato di affrontare, per lo meno in presenza
del portiere.
D’improvviso lo stadio esultò e il silenzio in
panchina si tramutò in attonito stupore.
-Invece di angustiare me avresti dovuto seguire la partita, Evelyn. Ti
sei persa il goal dell’Italia.-
Lei balzò in piedi, il cellulare puntato verso il campo.
-Cavolo… Cavolo! Chi ha segnato? Alan! Chi ha segnato?-
-Solari.-
Benji strinse i pugni, fremendo ancor più di prima. Non
sapeva se esultare per il fatto che a breve sarebbe entrato in campo o
dispiacersi perché l’Italia era in vantaggio.
Molto egoisticamente, decise di gioire. Si volse verso Gamo, che
gridava istruzioni a squarciagola.
-Inizio a scaldarmi.-
Il mister s’innervosì ancora di più.
-Entrerai nel secondo tempo, come abbiamo già deciso.-
-Speriamo che nel frattempo la situazione non diventi irrecuperabile.-
-Non portare sfiga.-
-Io non porto sfiga, Bob. Semmai alla squadra aggiungo classe, bravura
e competenza. Al contrario di altri che però entrano in
campo lo stesso.-
-Taci, Price!- Gamo si spostò dalla parte opposta della
panchina e riprese a gridare contro Bruce, Julian, i gemelli,
l’intera difesa e chiunque capitasse a portata di voce.
Philip scampò ai rimproveri del mister ma fu una magra
consolazione. L’Italia aveva segnato, Gentile gli aveva fatto
lo sgambetto mandandolo lungo per terra e Jenny non si vedeva da
nessuna parte. Lanciò un’occhiata verso le
panchine, dove Evelyn lo salutò con un sorriso e un cenno
della mano. Jenny non era scesa. Aveva preferito assistere alla partita
dagli spalti, magari perché non era per il Giappone che
tifava. Cercò i posti in tribuna che avevano occupato
durante l’incontro della Juventus di qualche sera prima ma
non la trovò neppure lì.
Il tempo a sua disposizione era quasi scaduto e non era riuscito a fare
nulla per riavvicinarla a sé. Lei sarebbe rimasta in Italia,
lui sarebbe ripartito per il Giappone e la sua vita avrebbe ripreso a
scorrere piatta, grigia e soprattutto vuota.
-Torna con i piedi per terra, Philip!-
Callaghan non era l’unico ad essersi distratto. Lo aveva
fatto anche Salvatore per avvicinarsi al bordo campo e farsi lanciare
dell’acqua. Adesso che erano in vantaggio, il Giappone si
sarebbe scatenato in una controffensiva con i fiocchi. Non vedeva
l’ora. Ansimava per lo sforzo, sentiva i muscoli del torace
bruciare da quando Callaghan gli aveva conficcato un gomito tra le
costole. Sperò che anche la sua gomitata fosse andata a
segno. Aveva bisogno di fermarsi un istante e riprendere fiato. Quanto
mancava alla fine del primo tempo? Tornò al suo posto mentre
l’Italia continuava ad attaccare. Era bene che i compagni lo
facessero mentre erano ancora freschi e, adesso, galvanizzati dal goal.
Price sarebbe entrato nel secondo tempo e da quel momento in poi
infilare il pallone in rete sarebbe diventata un’impresa.
La palla colpì la traversa sfiorando il guanto di Warner,
deviata dal colpo di testa di Clifford. La rimessa in calcio
d’angolo fu di Solari. Ross intercettò il tiro e
spedì il pallone lontano. Holly agganciò e
ripartì in attacco correndo veloce, approfittando che
metà dell’Italia fosse nell’area di
difesa del Giappone. Rob lo superò rapidissimo, zigzagando
tra i difensori avversari. Mark correva sul lato destro tallonato da
Alex Marchesi, che per rallentarlo era arrivato persino a strattonargli
la maglietta. Gentile li guardò tutti, gli attaccanti
giapponesi, cercando di prevedere il loro gioco. Decise che Hutton
avrebbe lanciato verso Aoi. Era lui da marcare.
-Vado su Rob!-
Amy riprese al volo la bottiglietta d’acqua che le
lanciò Julian e mentre tornava al suo posto in panchina
alzò gli occhi sugli spalti. Jenny era in tribuna, seduta
accanto a Patty. Poi tornò a seguire il gioco, spronata
dalle incitazioni delle riserve.
-Questa è la volta buona!-
-Corri Rob! Corri!-
-Dai che segniamo!-
Gamo era in piedi e gridava istruzioni a vuoto, perché i
ragazzi erano lontani e così presi dal gioco da non avere il
tempo di dargli ascolto.
Holly alzò un cross per Rob che era avanti più di
tutti. La palla attraversò il campo e Aoi si
tuffò di testa. La colpì e la
indirizzò verso la rete. Dario si gettò sulla
traiettoria della sfera mentre Gentile si lanciava in avanti per
intercettarla. Il portiere abbrancò il pallone sventando il
goal e rotolò nell’area di rigore, salvando la
porta italiana per un soffio. Gentile e Rob finirono uno contro
all’altro, l’urto spinse Aoi in fondo alla porta,
il contraccolpo schiantò Salvatore addosso al palo. La
struttura della porta ondeggiò tutta.
L’arbitro fischiò la fine del primo tempo e Belli
si volse, il pallone ancora stretto al petto, gli occhi sul groviglio
di braccia e gambe incastrato tra le maglie. Rise.
-Rob! Finisci sempre lì!-
-Dario! Aiutami Dario!-
Belli lasciò cadere la palla, afferrò Rob per un
braccio e lo tirò verso di sé. Le maglie della
rete rimasero impigliate nei tacchetti degli scarpini. Aoi prese a
scalciare come un cavallo.
-Maledizione! Perché tocca sempre a me?-
-Tranquillo Rob!- rise Marchesi -Adesso invertiamo i campi, puoi
restare dove sei!-
Aoi riuscì a liberare un piede, si tirò su in
ginocchio e sbrogliò gli altri tacchetti.
-Io e la rete non abbiamo un buon rapporto… Salvatore, stai
bene?-
Belli s’era completamente dimenticato del compagno. Gentile
era rimasto immobile, scompostamente seduto sull’erba, la
schiena contro il palo e la testa reclinata in avanti.
-Salvatore, tutto bene?- corse da lui, gli mise una mano sulla spalla e
lo scosse.
-Piano… fai piano.- Gentile alzò lo sguardo su
Belli e lo vide un po’ sfocato e tremolante.
-Stai bene?-
-Sì, non mi sono fatto niente.- si massaggiò la
nuca soffocando un lamento -Porca miseria che botta!- quando si
alzò ebbe un fugace giramento di testa, ma il senso di
vertigine scomparve in un secondo.
-Un po’ di ghiaccio e tornerai come nuovo!- li
rassicurò Marchesi correndo poi verso la panchina in cerca
d’acqua.
Gentile alzò un braccio, si toccò i capelli sulla
nuca e li sentì bagnati. Le dita, quando se le
portò davanti agli occhi, erano tinte di rosso
vivo. Belli se ne accorse.
-Merda! Stai sanguinando!-
-Che vuoi che sia? Un taglietto…- barcollò, Dario
lo sostenne ma lui si scansò, caparbio e anche un
po’ seccato -Tranquillo, ce la faccio da solo!-
Si avviò verso la panchina, tornando a toccarsi la nuca che
in effetti gli faceva un male cane. Poi il mondo vorticò, la
terra si aprì, qualcuno spense le luci e lui
piombò bel buio.
La barella con Salvatore raggiunse la panchina degli italiani nel
momento in cui Jenny e Patty varcavano le porte e mettevano piede in
campo.
-Si è fatto male?- domandò Patty raggiungendo
Evelyn.
La ragazza era agitatissima, neanche si fosse infortunato Bruce.
-Non lo so, non chiedermi niente. Speriamo di no!-
-Cos’è successo? Dagli spalti
s’è visto poco…-
-Anche dalla panchina. Speriamo che non sia niente di grave!-
A Philip non fregava un fico secco di Gentile, neppure lo guardava. I
suoi occhi erano concentrati sul volto di Jenny, il desiderio
fortissimo di capire quale livello di preoccupazione riservasse
all’italiano. Partendo da quella quantità, quindi
dalla sua espressione, era sicuro di riuscire a farsi un’idea
sul tipo di sentimento che la legava a Gentile e di conseguenza capire
quante speranze aveva di riconquistarla e riportarla in Giappone con
sé. Ma quasi a farglielo apposta, con grande delusione di
Philip, lei si girò e gli volse le spalle.
Rimase da parte, lontana dagli italiani e isolata rispetto ai
giapponesi, la spiacevole sensazione di non avere un posto suo in cui
stare, un luogo in cui sentirsi a suo agio. Nessuno era lì
per lei, nessuno si curava di lei, se fosse stata invisibile non
sarebbe cambiato nulla. In piedi, solitaria, si strinse le braccia
intorno al corpo cercando di scacciare il malessere, chiedendosi cosa
fosse scesa a fare, convinta di aver sbagliato a presentarsi a
bordocampo. Osservò silenziosa la barella che veniva
depositata dietro la panchina, al riparo dalla gente, dalle telecamere
e dagli obiettivi dei fotografi. Vicino al ragazzo svenuto rimasero
soltanto il mister, il medico con un assistente e Dario Belli.
Piuttosto che restarsene lì, immobile come un palo e
solitaria come una nuvola in un cielo sereno, Jenny era tentata di
avvicinarsi e chiedere notizie. Ma il timore di non essere la benvenuta
e d’intralciare il medico la bloccava dov’era.
Belli infilò un braccio sotto la schiena del compagno e lo
tirò su per consentire al dottore di esaminare la ferita. La
testa di Gentile ricadde inerte di lato mentre una bottiglia
d’acqua passava di mano in mano e finiva a gocciolare sui
capelli biondi del ragazzo svenuto.
-È solo un piccolo taglio.- decretò il medico
-Non ha bisogno neppure dei punti. Dario mettilo giù.-
Il portiere ubbidì.
-Lo mandiamo in ospedale. Dobbiamo fargli una tac.-
Jenny si fece coraggio, sgusciò tra i ragazzi e si
accoccolò nello spazio libero di fronte a Belli.
-Come sta?-
Dario alzò gli occhi e, toccato dalla sua sincera
preoccupazione, la rassicurò.
-Stai tranquilla, ha la testa bella dura.-
-Davvero mister?- Marchesi si avvicinò -Salvatore non gioca
più?-
-No, non gioca più. Lo porteranno in ospedale per una tac.-
Quelle parole penetrarono l’incoscienza di Salvatore.
Ospedale? Tac? Provò ad agitare un dito e lo
sentì muoversi, poi ritrovò l’uso della
mano. Assolutamente niente ospedale. Si sforzò di tornare
padrone del proprio corpo, che collaborava rispondendo ai suoi stimoli.
D'accordo, s’era scraniato contro un palo ma era solo un
piccolo taglio. Non aveva bisogno neppure dei punti. Figuriamoci! La
tac l’avrebbe fatta dopo la partita, non sarebbe cambiato
nulla. Se il trauma cranico c’era, lì sarebbe
rimasto. Socchiuse gli occhi e rimase immobile ad ascoltare la
preoccupazione dei compagni, a sentire suo padre che si metteva
d’accordo con lo staff per farlo portare via.
L’ambulanza era già fuori. Il profumo di Jenny gli
solleticò le narici, si ricordò di lei. Aveva
udito la sua voce. Intorno a lui brulicava l’agitazione dello
staff, che avvertiva il servizio d’ordine, che avvertiva gli
steward, che avvertivano la portineria, che avvertiva gli autisti che
parlavano con i paramedici. E i compagni commentavano afflitti la sua
ingloriosa uscita. L’ospedale! Suo padre scherzava!
Attraverso lo spiraglio delle ciglia socchiuse vedeva Jenny guardarsi
intorno, incapace di comprendere la conversazione che ferveva intorno a
lei, la preoccupazione del mister, le decisioni del medico, le
esortazioni dell’infermiere, gli ordini che andavano da una
parte all’altra della panchina, attraversando il campo e le
pareti grazie agli auricolari dello staff.
Gentile, ignorato da tutti, sollevò una mano, la
posò sulla nuca di Jenny e tirò bruscamente la
ragazza verso di sé. Lei gli cadde quasi addosso, il viso a
pochi centimetri da quello di Salvatore senza neppure capire cosa
stesse accadendo. Lui la baciò.
-Ma che…-
Lo sgomento spinse Dario indietro, Gentile crollò al suolo,
sbattendo la testa nello stesso identico punto in cui gli era spuntato
uno stratosferico e dolorosissimo bernoccolo. Il suo grido di dolore si
mescolò all’esclamazione terrorizzata di Jenny.
-Cazzo, Dario, sei scemo? Che male!-
-Io sono scemo? E tu che stai facendo?-
Salvatore si puntellò su un gomito e si massaggiò
la nuca, ora doppiamente sofferente. Poi, prima che lei riuscisse a
scostarsi, agguantò Jenny e le diede un altro bacio. Poi si
tirò indietro e le sorrise.
-Questo è l’ultimo.-
Jenny si accasciò priva di forze, le gambe ripiegate sotto
di sé, il cuore che le martellava nel petto per lo spavento.
Lo fissò con gli occhi spalancati, le guance arrossate, la
bocca socchiusa, i capelli raccolti ad un lato del viso, dove erano
scivolati quando Gentile l’aveva tirata giù.
-L’ultimo cosa?-
-L’ultimo bacio.-
Lei non capì il senso delle sue parole e arrossì
soltanto, perché Gentile l’aveva baciata davanti a
tutti, ma tutti tutti, in un momento in cui tutti, ma tutti tutti, li
stavano guardando.
Daniele Gentile, suo padre, strappò stizzito la bottiglia
dell’acqua dalle mani del medico e la rovesciò in
testa al figlio fino all'ultima goccia, inzuppandogli i capelli, il
viso, la divisa della squadra.
-Buffone! Dove accidenti credi di essere? Siamo in uno stadio, non su
un set cinematografico!-
La tensione sulla panchina italiana si dissolse, i ragazzi scoppiarono
a ridere mentre Salvatore si tirava in piedi gocciolante.
-Ho regalato ai giornalisti una bella scena da fotografare. Ora
sapranno che non mi sono fatto niente e che giocherò anche
il secondo tempo.-
-Non giocherai nessun secondo tempo! Andrai in ospedale senza fare
storie per controllare che in quella tua zucca vuota funzioni tutto
male come al solito!-
Salvatore e suo padre si fissarono sfidandosi.
-E come farai a mandarmi via? Mi legherai alla barella? Mi farai
trascinare di peso fuori dallo stadio? Mi ammanetterai? Io da qui non
mi muovo! Non mi sono fatto un culo tanto per giocare solo il primo
tempo!-
-Sono io che decido se e quando scendi in campo, non tu. Mettitelo in
testa una buona volta!-
-Va bene, allora resto in panchina. Ma qui, nello stadio. In ospedale
non ci vado, neppure se mi ci trascini.-
Gentile padre cominciò ad alterarsi davvero.
-Non sono io a dire che devi fare un controllo! Lo sta dicendo il
medico!-
-Tanto non mi convinci, né tu né lui!-
-Cristo Santo! Se almeno quella tranvata avesse migliorato questo tuo
carattere di merda! E invece no!-
L’allenatore respirò a fondo per cercare di
calmarsi. Non aveva voglia di litigare con suo figlio, non ancora
almeno. Aveva mezzo incontro da affrontare, le sue energie dovevano
essere canalizzate sulla partita e sulla squadra, non disperse su
quella testa calda.
-Allora fai come ti pare e se ti accadrà qualcosa, dillo a
tua madre, la colpa sarà tua! Io me ne sbatto!-
-Ci voleva tanto a capirlo?-
Benji camminava su e giù per lo spogliatoio, impaziente di
scendere in campo, lanciando occhiate annoiate ai compagni che
riprendevano fiato seduti sui tavoli o sulle sedie. Clifford durante il
gioco aveva avuto un crampo identico a quello di qualche giorno prima e
ora Sandy, inginocchiato a terra, gli stava massaggiando il polpaccio
con la sollecitudine di un piccolo schiavo. Mark si asciugava il viso
che aveva ficcato sotto l’acqua per scuotersi di dosso la
stanchezza e per ripulirsi dal sudore. Adesso, con i capelli sparati in
aria, sembrava un gallo spennato. Tom sperava di scacciare la fatica
con un bicchiere di concentrato di sali minerali, Philip invece il
bicchiere se lo stava girando tra le dita, ancora mezzo pieno, la testa
di nuovo tra le nuvole. E Benji non faceva nessuna fatica a immaginare
su quali emisferi stesse errando. Gli andò vicino e gli
posò una mano sulla spalla.
-Gentile col quel bacio si è vendicato del tuo tunnel.-
Holly gravitava nelle vicinanze e udì le parole del
portiere. Saltò su come un grillo.
-Che ne sai, Benji, eh? Che ne sai? Ci hai parlato? Te lo ha detto lui?-
-Perché ti agiti così?-
Sperò che il portiere riuscisse a leggergli nella mente
ciò che avrebbe voluto urlargli in faccia: come
perché? Non hai visto che c’è mancato
un pelo che Philip e Gentile si prendessero a pugni? Vuoi peggiorare le
cose? Ma le parole che presero forma e suono nella sua bocca furono
completamente diverse.
-Non mi agito! Assolutamente non mi agito! Perché dovrei
agitarmi? Gentile e Jenny stanno insieme, lui la bacia in
continuazione, non gliene frega niente del tunnel di Philip! Nessuno
deve agitarsi, qui!-
-Pensala come ti pare.-
Holly strinse i pugni.
-Se non la pianti ti strozzo!-
Ma Benji non lo sentì, non lo stava più
guardando. Si era sfilato i guanti dalla tasca posteriore dei pantaloni
e ci giocherellava in attesa di poterli indossare e mettere finalmente
piede in campo.
-Philip, senti…- cominciò Holly, parlando di
nuovo al vento.
Anche lui non lo ascoltava più da un pezzo, era tornato a
pensare ai fatti propri, gli occhi ancora pieni di Jenny, la testa
sulla panchina italiana, i pensieri sul campo, dove aveva resistito
all’impulso di andare verso la squadra avversaria, prendere
l’ex fidanzata per mano e portarsela via. Ma non via dalla
parte della panchina giapponese, quella da cui era legittimo che
assistesse alla partita, via proprio via. Via dallo stadio, via da
Torino, via dall’Italia. Le avrebbe lasciato la mano solo una
volta arrivati a Furano, a casa di lei, dove sarebbero rimasti
finalmente soli. Da soli e insieme.
Peter Shake si accostò con una garza imbevuta di
disinfettante.
-Ti sanguina il ginocchio.-
Philip si riscosse e fissò il compagno come se fosse un
alieno. Poi le parole che lui gli aveva rivolto acquistarono un senso.
Allora abbassò il viso, vide la ferita, prese la garza e si
sedette su una sedia libera.
Peter lo seguì e continuò a stargli davanti.
Sembrava a disagio. Sollevò gli occhi a guardarlo.
-Hai bisogno di qualcosa?-
-Forse devo chiederti scusa per l’altro giorno. Per il pugno
e per non averti creduto.-
Philip avrebbe voluto rispondergli: bene, accetto le scuse. Adesso
però smamma perché ho altro a cui pensare. Invece
tacque, appallottolò la garza nel pugno e si alzò
per andare a gettarla nel cestino mettendo fine
all’imbarazzante conversazione a senso unico.
*
Jenny ballava nel suo spazio con gli occhi chiusi, senza preoccuparsi
di chi le stava intorno. Una balaustra di acciaio la separava dagli
altri e in quei pochi metri quadri, su una pedana semibuia, poteva
lasciarsi andare alla musica senza che nessuno la infastidisse. La
tensione scorreva via dal suo corpo seguendo il ritmo dei dischi
lanciati dal DJ. Teneva il tempo muovendosi con i bassi che
l’altoparlante sopra di lei le sparava direttamente in corpo.
Anche la pedana tremolava a tempo di musica. Un metro e mezzo
più in basso, attraverso gli occhi socchiusi, nel buio
illuminato a intermittenza da fasci improvvisi di luce bianca e
colorata, vedeva i clienti della discoteca danzare lasciandosi
trasportare dal ritmo scatenato. Il collo e le braccia, la schiena,
ogni centimetro di pelle che il top bianco lasciava scoperto, e le
gambe, nude dalle caviglie in su, fino ai corti pantaloncini neri,
erano madidi di sudore. I capelli, raccolti in una coda alta, le
danzavano sulle spalle e le finivano a tratti sul viso. Cercava di non
pensare a niente, ma era difficilissimo. Cercava di estraniarsi dal
tempo e dallo spazio, ma restava radicata nello stesso posto.
Scatenarsi non serviva ad annullare ciò che
l’angustiava. Neanche concentrarsi sulla musica
l’aiutava ad allontanare i sentimenti indecisi che provava.
Il DJ inserì un altro brano e il ritmo aumentò di
velocità. Il cuore prese a batterle più
velocemente, per adattarsi alla rapidità dei movimenti. Si
sentì toccare un braccio e spalancò gli occhi, lo
stato ipnotico incalzante si interruppe all’improvviso.
Accanto a lei, sulla pedana, era comparsa Carol che le gridò
qualcosa cercando di superare il frastuono della musica. Jenny non
capì, allora la ragazza indicò la porta
d’ingresso. Lei si sforzò di guardare in quella
direzione, di individuare cosa avesse attirato la sua attenzione. Ma
c’era soltanto un cumulo di teste scure, immerse nel buio e a
tratti illuminate dai fari. Il ghiaccio secco emise un sibilo e
l’ambiente si riempì di un denso fumo dal sentore
di menta.
Carol si spazientì, la prese per mano e la
trascinò giù per gli scalini fino alla pista.
Facendosi largo tra i clienti che ballavano, raggiunsero il banco del
DJ. Gli altoparlanti erano puntati verso il pubblico e lì il
frastuono era minore.
-Sono arrivati!-
-Chi?-
Carol non la udì o non ebbe il tempo di risponderle
perché si allontanò saltellando felice.
-Chi è arrivato? Chi?- tornò a chiederle ma lei
era ormai sparita tra la gente.
-Stanca?-
Jenny scosse la testa a Gianluca, in arte Luke, le cuffie infilate in
testa ma poggiate solo su un orecchio, occupatissimo a provare le
successioni musicali con cui assordare i suoi clienti.
-Vogliono sempre le stesse canzoni…- borbottò
scontento in italiano. Si premette l'unica cuffia posizionata
sull'orecchio e innestò un passaggio da un brano all'altro.
La ragazza si chinò a terra, aprì la borsa
capiente che aveva infilato sotto il tavolo del DJ quando era arrivata
all'incirca un'ora prima e tirò fuori un asciugamano. Aveva
bisogno di una doccia, altroché. Si passò il telo
sulla nuca e sulle braccia, cercando Carol da qualche parte nel locale.
Impossibile che fosse sparita. Sospirando tornò a frugare
tra le proprie cose, prese una maglietta nera e se la
infilò. La scollatura era ampia, sotto di essa il bianco del
top splendeva di violetto e attirava l’attenzione come un
faro nella notte. E lei, adesso che era scesa dalla pedana, voleva
passare il più possibile inosservata.
-Che fine ha fatto Carol?-
-Laggiù, vicino all’entrata.- gliela
indicò Luke agitando la testa e una mano per tenere il ritmo
della musica.
Facendosi largo tra la gente, la ragazza era riuscita ad attraversare
la pista per raggiungere la nazionale giapponese al completo che si
sparpagliava nel locale. Jenny non credette ai propri occhi. Cosa
diavolo ci facevano tutti lì? Era tardi, erano sicuramente
stanchi e non avevano proprio nulla da festeggiare, visto che
l'incontro era finito con un pareggio. Perché non erano
rimasti in albergo?
-Vado a prendere una birra.- disse al ragazzo -Vuoi qualcosa?-
-Una birra anche per me.-
Carol travolse Rob con la sua esuberanza saltandogli al collo.
-Finalmente! Sono settimane che non ti fai vedere qui!-
Lui divenne un pomodoro e cercò di staccarsela di dosso.
-Sei la solita esagerata, sono venuto giusto due settimane
fa…-
-Come vuoi ma adesso divertiamoci! Ho riservato per voi i posti
migliori, anche se pensavo che sareste arrivati prima!-
-Siamo andati in hotel a posare le borse e cenare.-
Philip riconosceva il posto, era il club privato dove l’aveva
portato Carol quella sera in cui aveva sentito il bisogno impellente di
cambiare aria. Cercò sulla pedana la ragazza che aveva
attirato la sua attenzione quando era entrato, il suo top bianco gli
era saltato agli occhi, risplendendo intermittente nel buio ogni volta
che la luce violetta lo colpiva. Non la trovò
più, la pedana era deserta. Seguì Mark che si
faceva largo tra la gente e si fermò solo quando raggiunsero
i divanetti dei vip, uno spazio riservato tutto per loro. In
quell’angolo i divani erano comodi, non rischiavano di essere
urtati da ballerini particolarmente spericolati e, cosa
importantissima, la musica arrivava attutita, consentendo loro di
parlare senza urlare.
-Dov’è Jenny?-
Carol la indicò a Mark, permettendo anche a Philip di
scorgerla. Sedeva al banco del DJ con una birra in mano. Non li
guardava, era voltata dall’altra parte e scherzava col
ragazzo che faceva roteare con destrezza un disco tra le dita dando
mostra della propria abilità. Poi arrivò Gentile,
la sua testa bionda catalizzò un fascio di luce
incorniciandola come un’aureola mentre attraversava la pista.
Passando accanto a loro li individuò, li salutò
con un cenno e puntò dritto verso Jenny. Scambiò
una stretta di mano con il DJ, prese la birra della giovane e ne
mandò giù una lunga sorsata.
-Non pensavo di vederti qui stasera, Salvatore.-
-Infatti sono passato solo per dirti una cosa.-
-Addirittura?-
-Sì, è una cosa importante.- accostò
il viso a quello di lei finché non fu vicinissimo, la
guardò negli occhi e scandì bene le parole,
perché ne comprendesse il significato, nonostante
l’inglese, nonostante il frastuono -Dovresti tornare insieme
a Callaghan, Jenny.-
-Come?- lo fissò sgomenta, certa di non aver capito. Del
resto la musica era alta, c'era confusione e d'improvviso le orecchie
le ronzavano.
-Dico che devi tornare insieme a Philip Callaghan.-
Lei ammutolì. Non riusciva credere che anche Salvatore si
permettesse di dirle cosa doveva fare. Era una congiura? Si erano messi
d'accordo tutti? Non ne poteva più di sentire la stessa
solita, inutile solfa! Cosa ne capivano gli altri di lei? Cosa ne
capivano di lei e di Philip? Gentile le passò una ciocca
ribelle dietro un orecchio, poi le accarezzò con affetto una
guancia.
-Non lo dico tanto per dirlo, Jenny. Me ne sono reso conto quando vi ho
visti pattinare insieme, ieri sera. Il tuo corpo sembrava fatto apposta
per stare tra le sue braccia.- e poi aveva avuto occasione di parlare
ancora un poco di loro con Price, cominciando a capire qualcosa in
più sul sentimento che li aveva legati per anni.
Jenny sentì una fitta nel petto e chinò il volto
a terra, incapace di guardarlo. Salvatore allora le prese il viso in
una mano e glielo sollevò fino a incontrare i suoi occhi.
-Mi dispiace… Ti ho turbata?- si chinò a baciarla
sulla guancia -Pensaci per favore.-
Lo osservò mentre spariva tra la gente per tornare da dove
era venuto. Rimase di nuovo sola, a tormentarsi ancor più di
prima. Pensarci? Non faceva altro! Non bastava forse il bacio che
Philip le aveva dato davanti ai bagni del bar del centro sportivo? O
ciò che le aveva detto nei corridoi dello Juventus Stadium?
Non bastava ciò che era accaduto sulla pista di pattinaggio?
O che Benji, Mark, Patty, Amy e chiunque altro avesse abbastanza
confidenza con lei, le avesse detto che era bene che tornassero
insieme? Chi dava loro il diritto di impicciarsi della sua vita? Lei
stessa non sapeva cosa fosse meglio, come potevano capirlo gli altri? E
Philip? La collera s’incanalò prepotente contro il
suo ex. Come osava Philip chiederle di tornare in Giappone dopo come
l’aveva trattata? Dopo come l’aveva lasciata? Cosa
s’era messo in testa? Di frequentarle insieme, lei e quella
sua fotomodella?
Indispettita dai suoi stessi ragionamenti, ignorò lui e
tutto il gruppo dei compagni, restando testardamente seduta accanto al
DJ finché Carol non si ricordò di andarla a
prendere.
-Cosa fai, Jenny? Vieni! Sono arrivati Rob e gli altri! Non li hai
visti?-
-No e non voglio vederli!-
Carol s’impietrì.
-Perché? Cos’è successo?-
-Niente, non è successo niente! Ho mal di testa, non mi
sento bene. Se potessi, tornerei a casa!- desiderò davvero
di poter fuggire, ma rientrare a quell’ora da quel posto era
impossibile. Chi l’avrebbe accompagnata? Certo non Gentile
che se n’era appena andato…
Appoggiò i gomiti sui dischi del DJ e sprofondò
la testa tra le braccia, affranta, depressa, scoraggiata,
demoralizzata, praticamente senza forze. Non ne poteva più.
Voleva sparire, ma non sapeva né dove né come.
Sentì qualcuno metterle una mano sulla spalla, la voce di
Amy accanto a sé.
-Ti senti male, Jenny?-
Si tirò su con gli occhi arrossati, si passò una
mano sul viso e scosse la testa.
-Sono distrutta.-
Quelle uniche due parole fecero percepire ad Amy la stanchezza fisica e
psicologica di una Jenny che non aveva più la forza di
restare a galla. La sentì al limite, come l’aveva
sentita al limite la prima volta che erano andate insieme da Nicole,
quando era uscita piangendo dalla stanza in cui era rimasta chiusa per
più di un’ora con la donna, rifugiandosi tra le
sue braccia singhiozzando e dicendole che mai, mai più
avrebbe messo piede in quella casa.
Amy le accarezzò la schiena come aveva fatto quel giorno,
finché i nervi tesi di Jenny non si rilassarono come si
erano rilassati a casa di Nicole. Poi le prese una mano, proprio come
era già accaduto, e la condusse al tavolo dei compagni
così come l’aveva riportata a casa,
accompagnandola fino a Furano dove Philip l’aspettava,
esattamente come la stava aspettando adesso seduto sui divanetti, gli
occhi fissi sulla sua ex e la stessa preoccupazione a turbare il suo
sguardo.
Per Jenny fu un sollievo sedersi accanto a Mark, sfiorargli il braccio
con la spalla, e trovarsi Patty dall’altra parte che rideva
per qualcosa che aveva detto Bruce. Il calore dell’amico la
spinse ad accostarsi di più a lui.
-Voglio andare a casa, Mark.-
Lui la guardò.
-Quale casa?-
Era una domanda semplice e legittima, ma Jenny andò in
confusione. Già, quale casa? Qual era la sua casa?
Sicuramente non l’attico di Sapporo che aveva condiviso con
Philip per pochi e brevi mesi, non il lussuoso appartamento dei suoi
genitori a New York, non quella di Mark a Torino, tanto meno il ryokan, che era
diventato di David. La sua casa allora era Furano? Era lì
che voleva tornare? Nella desolata solitudine di una cittadina di
provincia che aveva sempre visto lei e Philip insieme?
La sua birra era rimasta sul banco del DJ e non le andava di alzarsi
per recuperarla. Allora si appropriò del bicchiere di Mark.
Mandò giù un sorso, il liquido le
bruciò la gola.
-Cos’è?- ansimò -Cosa stai bevendo?-
-Non lo so, ho scelto a caso dal menù.-
-È orribile.- posò il bicchiere disgustata.
Rimase con gli occhi bassi per non incrociare quelli di Philip.
Più i minuti passavano, più un dolore lacerante,
come uno strappo, le cresceva dentro. Quella era l’ultima
sera, l’indomani lui sarebbe tornato in Giappone e forse non
si sarebbero più visti. Almeno di persona. Da quel momento
in poi avrebbe avuto sue notizie dai giornali, attraverso articoli e
foto di gente come Steiner che si divertiva a ficcare il naso nelle
vite e nei problemi della gente. E questo non solo per ciò
che riguardava Philip. Jenny era decisa a tagliare i ponti anche con
gli altri, con tutti coloro che la circondavano in quel momento e che
erano troppo profondamente legati alla sua vita di prima e a quella del
suo ex. Avrebbe perso lui e insieme a lui tutti, a cominciare da Mark e
Patty, poi Amy, Benji, Holly, Tom, Bruce, Evelyn, Julian…
Con la coda dell’occhio scorse Evelyn che si alzava,
attraversava lo spazio vuoto tra il divanetto che aveva occupato fino
ad un istante prima e quello su cui sedeva lei, e le si
piazzò davanti impettita.
-Dobbiamo parlare.-
Jenny sostenne il suo sguardo, quasi la sfidò.
-Di cosa? Non ho niente da dirti.-
-Io sì.- Evelyn si chinò su di lei e le fu
d’un tratto vicinissima -Hai paura?-
Il tempo di fissarsi ancora un istante, poi Jenny reagì alla
sfida alzandosi. Si fermarono a guardarsi nel corridoio che portava ai
bagni sul retro, il martellare della musica arrivava smorzato. Jenny
attaccò per prima, le braccia incrociate al petto, il peso
del corpo su una gamba, le spalle al muro e un atteggiamento ben poco
disponibile.
-Hai fatto la tua benedetta intervista, Eve. Che altro vuoi da me?-
-Sprecare giusto due parole per farti presente che Philip ha sofferto
abbastanza ed è ora di finirla.-
Jenny trasecolò.
-Come, scusa?-
-Davvero vuoi che ripeta?-
Le parole dell'amica le suonarono così assurde che la
fissò incredula.
-Stai dicendo sul serio?-
-Ti sembra che stia scherzando?-
L’altra scosse la testa e respirò a fondo,
sforzandosi di mantenere la calma, ma il suo corpo fremeva in ogni
nervo, in ogni muscolo, per la stizza che provava nei confronti della
ragazza.
-Eve, come al solito non ti rendi conto di ciò che dici!
Dovresti imparare a pensare prima di parlare!- benché
tentasse di controllarsi, la sua voce si alzò di un tono
-Philip sta soffrendo? Lui? Hai il coraggio di dirmi una cosa simile?
Ma cosa ne sai? Cosa sai di me, di lui, di noi?-
-So quello che ho sotto gli occhi! Non ti accorgi di come ti guarda?
Non vedi che ti ama ancora? Possibile che io me ne renda conto, anzi,
che ce ne rendiamo tutti conto tranne te?-
-È Philip che mi ha lasciata! È Philip che si
è messo con Julie Pilar! E lui starebbe soffrendo?
È di lui che ti preoccupi?-
-Sì mi preoccupo Jenny, perché si vede che sta
male! Possibile che non te ne importi nulla?-
-Eve, taci. Non lo conosci, non capisci. E stai sbagliando tutto. Non
sono io che ho smesso di amarlo per prima, non sono io che ho deciso di
mandare all’aria quello che avevamo costruito in tutti questi
anni. Non sono io che ho deciso di non vederlo più. Te lo ha
detto? Ti ha raccontato come mi ha lasciata?-
La giovane scosse la testa.
-Allora chiediglielo, e soltanto dopo che te lo avrà detto
avrai diritto di darmi dei consigli.-
-Philip non mi racconta i fatti vostri, non li racconta a nessuno. Ma
ho occhi per vedere e cervello per capire. Io il consiglio te lo do lo
stesso, Jenny. Domani torna in Giappone con noi, vedrai che le cose tra
te e Philip torneranno a posto.-
-No, non torno in Giappone. Tanto meno con voi. Non chiedermelo
più.-
Si volse per andarsene e si scontrò con Mark. Non lo aveva
visto arrivare, non sapeva da quanto tempo fosse dietro di lei a
sentirle discutere, ma non le importò. Lo urtò
per superarlo, per farsi spazio nello stretto corridoio e lui la
lasciò allontanarsi senza provare neppure a fermarla. Fu
Evelyn a gridarle dietro.
-Dovrai tornare a casa, prima o poi!-
La guardarono sparire nel locale, tra la gente.
-Allora?- Mark, rassegnato già da un pezzo a quella
situazione di stallo, fissò l’amica e si
scontrò con i suoi occhi, che brillavano battaglieri.
-Non l’avrà vinta. Mi è appena venuta
un’idea, sta’ a sentire…-
Luke il DJ riuscì a fermare Jenny mentre gli passava accanto
a testa bassa, rapida come un treno.
-Dove corri? Frank ti sta cercando.-
Lei si bloccò di colpo.
-È arrivato?-
-Un istante fa.-
Francesco, detto Frank, doveva pagarle il mese e chiudere i conti.
-Dov’è?-
-Stava ordinando una birra al bar. Vai…- le
strizzò un occhio -Se gli gira bene, ti darà una
buona mancia.-
-E gli gira bene?-
-Può darsi di sì.- la sollecitò con
una spinta della mano al centro della schiena.
Jenny oltrepassò la postazione di controllo destreggiandosi
tra cavi elettrici, prese di corrente e collegamenti delle
strumentazioni e sparì tra la gente. Philip, che non aveva
occhi che per lei, la vide apparire davanti al banco del bar, farsi
largo tra la calca e raggiungere un uomo grande e grosso con una
t-shirt nera a maniche corte, le braccia ricoperte di tatuaggi, il
pizzetto, un pearcing su un sopracciglio e una bandana in testa alla
maniera piratesca. Tesa come una corda di violino, seria come se stesse
per salire sul patibolo, varcò dietro di lui una porta e
sparì nei locali riservati al personale.
Philip ebbe un mezzo scompenso. Guardò Carol che si era
seduta al posto di Jenny e scambiava battute complici niente meno che
con Bruce, Evelyn che ribolliva su un altro divanetto e non li perdeva
d’occhio un attimo, Patty e Amy che sfogliavano il menu.
Persino Mark era troppo occupato a sgranocchiare i salatini per essere
in ansia per Jenny. Che lei fosse sparita con un energumeno poco
raccomandabile chissà dove per fare chissà cosa,
sembrava non essere un problema per nessuno.
-Julian, ti sei accorto che c’è il wi-fi gratis?-
Ross spostò su Bruce uno sguardo omicida. Avrebbe voluto
strozzarlo. Che razza di domande erano? Sì, c’era
il wi-fi e lui se n’era accorto da un pezzo. A dire la
verità lo stava sfruttando dal momento in cui aveva messo
piede nel locale. Troppo presa da Jenny, Amy non aveva notato che da
quando erano entrati, Julian aveva tirato fuori il cellulare e lo aveva
tenuto sempre in mano. Ma adesso le parole di Bruce l’avevano
spinta a guardarlo contrariata e sospettosa.
-Stai chattando?- gli chiese -Anche adesso? Anche in questo momento
stai chattando con le tue fan?-
Sì, lo stava facendo ma non volle ammetterlo. Avevano
già discusso di quell’argomento, quel giorno.
-Controllo la posta.-
Amy distolse gli occhi. Per lei era uguale, chat o mail non faceva
differenza, per i suoi gusti Julian dedicava troppo tempo alle sue fan.
Si alzò irritata e raggiunse con Evelyn la pista. Il
malumore di Ross si riversò contro chi aveva fatto la spia.
-Bruce, perché non stai zitto?-
-La prossima volta che c’è il wi-fi non te lo
dico.-
-Bravo.-
Holly sbadigliò.
-Non so voi, ma io non ho intenzione di restare a lungo.-
Anche perché la mancata vittoria di quella benedetta
amichevole un po' gli bruciava. Non riusciva a credere di aver
pareggiato, non gli succedeva quasi mai, e avrebbe preferito tremila
volte restare a crucciarsi in hotel piuttosto che andare in giro a fare
bagordi fino a tardi.
Julian rispose senza staccare gli occhi dal display.
-Sono perfettamente d’accordo con te.-
-Certo, che te ne frega, Ross?- lo schernì Benji -Tanto
quello che stai facendo qui puoi benissimo farlo in albergo, sbracato
sul tuo letto. Con il vantaggio che Amy non ti vede e non
s’incazza.-
-Impicciati degli affaracci tuoi, Price.-
Holly, nonostante il frastuono, riuscì ad appisolarsi sul
divanetto e fu Patty a svegliarlo quando decisero di andarsene.
All’uscita dalla discoteca, mentre si dirigevano verso la
fermata del notturno che li avrebbe ricondotti all’hotel,
Landers ordinò a Philip di seguirlo.
-Vieni con me. Ho qualcosa da mostrarti.-
-Dove?-
-A casa mia.-
Mark si aspettava che Philip gli facesse storie, quantomeno gli
chiedesse il motivo, invece il compagno si adeguò senza
protestare. Così salirono insieme su un autobus diverso da
quello che presero gli altri, con la musica che gli martellava ancora
nelle orecchie. Rimasero in silenzio per tutta la durata del tragitto
senza scambiarsi una parola, finché scesero. Percorsero
qualche centinaio di metri sul marciapiede e si fermarono davanti alla
porta della casa di Mark.
-Cos’è che devo vedere?-
-Seguimi.-
Landers tirò fuori le chiavi e aprì. Accese la
luce, lasciò entrare il compagno e richiuse la porta. Senza
dargli il tempo di guardarsi intorno, lo precedette sulle scale ed
entrò in una delle camere. Philip capì che si
trattava della stanza di Jenny quando riconobbe i vestiti di lei posati
su una sedia. Si fermò sulla soglia frastornato,
d’improvviso tutto stava andando ad una velocità
pazzesca. Il desiderio che covava da giorni di vedere dove la ragazza
aveva vissuto si era realizzato di colpo. Finalmente era riuscito
introdursi in quell’intimità da cui era rimasto
escluso, facendolo diventare matto d’invidia e gelosia.
Mark si sedette davanti al piccolo tavolino tra il letto e la finestra
e aprì uno dei cassetti per frugare al suo interno. La sua
mancanza di tatto non gli piacque.
-Cosa stai facendo?-
-Patty mi ha detto che c’è una cosa…-
si piegò di lato per controllare fino in fondo, ma non
trovò ciò che cercava.
Provò con l’altro e nel momento stesso in cui
l’aprì, i suoi occhi caddero sulla foto di Philip
che baciava Julie Pilar. Jenny l’aveva ritagliata dalla
rivista prima che lui la facesse finire nel cestino
dell’immondizia. La tirò fuori e
l’allungò verso il compagno. Philip si
avvicinò e la prese. Dopo un rapido sguardo
l’accartocciò nel pugno, ficcandola nella tasca
dei pantaloni per farla sparire per sempre. Jenny non avrebbe dovuto
più vederla.
Il cassetto non era così pieno e a Mark bastò
rovistare nel fondo per tirar fuori ciò che cercava. Philip
riconobbe all’istante la scatolina che conteneva
l’anello e strabuzzò gli occhi.
-Sai cos’è, vero?- gli chiese Landers.
L’altro si limitò ad annuire, allungando una mano
per prendere la piccola confezione blu.
-Cosa significa?-
-Dimmelo tu.-
Philip scosse la testa e si lasciò cadere seduto sul letto
confuso, incredulo e insieme sollevato di constatare che Jenny non
l’avesse gettato via. Non solo non se ne era liberata, ma lo
aveva portato con sé anche se non stavano più
insieme, anche se frequentava Gentile. Sollevò il coperchio
quasi trattenendo il fiato. La pietra smerigliata brillò
alla luce, gioendo di essere stata finalmente ritrovata. I suoi
luccichii riempirono gli occhi di Philip, riportandolo a ricordi
lontani. Alla pioggia che li aveva bagnati quel giorno, mentre
percorrevano la strada che dal ryokan portava a Shintoku e si erano
fermati, indecisi se proseguire nella loro passeggiata o tornare
indietro. Ricordò come avesse tirato fuori
all’improvviso l’anello mentre
l’acquazzone si scatenava sopra e intorno a loro. E quando
Jenny aveva capito, i suoi occhi avevano brillato di
felicità.
-Mark…-
Ma Mark non c’era più. Era uscito e lo aveva
lasciato solo, accostando piano la porta senza che lui se ne
accorgesse.
Quella giornata era stata esageratamente lunga e impegnativa. La
levataccia, gli esercizi prepartita, la partita, la serata in discoteca
e adesso a casa di Mark, nella stanza in cui Jenny aveva vissuto in
quegli ultimi tre mesi. Si lasciò cadere sdraiato,
appoggiando la testa sul cuscino. Chissà cosa stava facendo.
L’avevano lasciata in discoteca perché non era
voluta tornare con loro. Da quando quel tizio poco raccomandabile
l’aveva chiamata, lei non si era più avvicinata,
preferendo restare accanto al DJ per tutta la serata.
Sollevò una mano per portarsi l’anello davanti
agli occhi. Lo sfilò dal cuscinetto e se lo girò
tra le dita, non era cambiato per niente. Era nuovo, luccicante, senza
un graffio. Jenny lo aveva tenuto al dito per un tempo brevissimo.
Sospirò. Aveva perso. Non era riuscito a riconquistarla. Non
era stato in grado di riprendersela. Ripose l’anello nella
scatolina e la richiuse. Era l’ultimo giorno in Italia.
Avrebbe trascorso lì solo quest’ultima notte e
l’indomani l'attendeva l’aereo. Il pensiero di non
vederla più gli strinse il cuore, provocandogli una fitta
insopportabile.
Il suo sguardo accarezzò gli oggetti presenti nella stanza.
Sulla scrivania c’erano una guida turistica di Torino, un
dizionario tascabile giapponese-italiano e viceversa, un quaderno.
Sulla spalliera della sedia, una maglietta, una gonna… abiti
che aveva visto su di lei. Incrociò le braccia dietro la
testa, sotto il cuscino, toccando qualcosa di liscio e soffice.
Ritirò una mano e si volse; una manica di cotone lilla gli
era finita tra le dita. Sollevò il cuscino e
capì. Era il pigiama di Jenny. Lo toccò, lo
accarezzò con una stretta al cuore. Voltò la
testa sfiorandolo col viso. Il suo profumo… sentì
il profumo di lei, il suo profumo buonissimo. Immerse il viso tra la
stoffa e chiuse gli occhi. L’odore di Jenny faceva affiorare
una moltitudine di ricordi. In fondo che male c'era? I ricordi erano
l'unica cosa che ancora gli restava e che nessuno avrebbe mai potuto
portargli via. Riprese in mano la scatolina dell’anello. Non
riusciva a non toccarla. Era qualcosa che li univa troppo, che
rappresentava un legame troppo forte.
Jenny infilò la chiave nella porta e fece scattare la
serratura. La luce del salotto era accesa, forse Mark la stava
aspettando di nuovo. Si preparò ad un inevitabile litigio
mentre si toglieva silenziosissima le scarpe e lanciava
un’occhiata all’orologio che segnava le due e
mezza. Nonostante la luce, non udiva nessun rumore. Avanzò
piano e si affacciò nel salotto. Mark dormiva spaparanzato
sul divano, davanti alla televisione accesa senza volume. La tensione
che l’aveva assalita si disperse, ma le rimase addosso il
fastidio che aveva provato per tutta la serata, finché Carol
non l'aveva riaccompagnata a casa. Ce l'aveva con Evelyn
perché, con la sua invadenza, s'era messa a rigirare il dito
nella piaga dandole consigli che mai le avrebbe chiesto. Ce l'aveva con
lei perché le aveva sbattuto in faccia uno stato di fatto
che per più di una settimana aveva cercato di
ignorare. Le sue parole l'avevano messa ancora una volta di fronte ai
sentimenti che provava per Philip e che l'amica affermava lui provasse
ancora per lei. Non voleva credere che Evelyn ci avesse azzeccato e, in
una piccola parte di sé, nello stesso tempo ci sperava. Ma
anche sperandoci in sordina, sapeva che il giorno successivo non
sarebbe tornata in Giappone con i compagni. Evelyn poteva essersi
sbagliata e lei non voleva più star male, era stanca di
soffrire. Nonostante i tentativi di Philip di riavvicinarla, non
riusciva a perdonarlo e in più non si fidava. Se lui l'amava
ancora, il suo comportamento di mesi prima nello stadio di Sapporo non
aveva giustificazioni, se invece non l'amava, non aveva giustificazioni
il suo comportamento di quegli ultimi giorni. In conclusione, Jenny non
ci stava capendo più niente, aveva un mal di testa
lancinante e non poteva neanche alleviarlo con un analgesico. Quella
sera s'era servita al bar troppe volte. Con la testa che doleva ad ogni
passo, salì al piano di sopra.
Aprì la porta della stanza che aveva occupato dal giorno in
cui era arrivata a Torino e rimase attonita sulla soglia. In quel
preciso istante, il momento in cui per la prima volta aveva messo piede
nella camera verde, le sembrò remotissimo. Per un attimo,
vedendo Philip riposare sul suo letto, ebbe l'impressione che il tempo
si annullasse, che lui non l'avesse mai lasciata. Guardarlo dormire la
fece tornare alla serena quotidianità di anni prima, quando
ancora la loro vita era piena di felicità e di gioia. Anni
che in quegli ultimi giorni sembravano non essere mai esistiti. Si
riscosse per chiedersi cosa diavolo ci facesse Philip addormentato sul
suo letto. In discoteca non aveva preso sul serio la minaccia di
Evelyn, e invece eccolo lì il suo bel regalo! Si volse per
andarsene, perché quello scherzo era davvero più
di quanto fosse in grado di sopportare, ma qualcosa brillò a
terra, attirando la sua attenzione. Sotto il braccio di Philip, teso
per metà nel vuoto oltre il materasso, giaceva la scatolina
del suo anello aperta e rovesciata. L’anello si era sfilato
dal cuscinetto ed era finito poco più in là,
richiamando la sua attenzione con un tenue brillio. Lacrime di stizza
le salirono agli occhi. Chi aveva autorizzato Philip a frugare nei suoi
cassetti? Come aveva osato impicciarsi delle sue cose? Che diritto
aveva di farlo?
Avanzò silenziosa nella stanza. Si avvicinò,
raccolse l’anello e la scatolina. Poi si tirò su,
trovandosi per un istante vicinissima al suo viso. La collera scomparve
di colpo mentre lo guardava, spazzata via da una nostalgia infinita che
le tolse le forze e la fece scivolare in ginocchio. Posò la
scatolina sul comò, indugiò con la mano a
mezz’aria, fissando Philip che continuava a dormire. Se
l’avesse solo sfiorato, non sarebbe più stata
lucida. Lui aveva la capacità di far tremare persino i suoi
pensieri.
“Non farlo.” pensò, ma la sua
volontà s’era così indebolita che non
si diede ascolto. Un secondo dopo le sue dita gli accarezzarono il
braccio. Toccò solo il tessuto della felpa, Philip non si
accorse di nulla. Si morse un labbro, cercando di mantenere un
controllo che stava perdendo. “Non servirà a
niente. Non cambierà niente.” Si tirò
su e si sedette piano sul letto, così piano che il materasso
non si mosse. Restò a guardarlo, come probabilmente aveva
fatto lui quando era rimasto a dormire al suo fianco in camera di Amy.
Jenny doveva andar via ma più indugiava e meno trovava la
forza di alzarsi e lasciarlo lì. I suoi occhi accarezzarono
quel viso che aveva amato e che amava ancora. Che amava dolorosamente
troppo. Non ricordava più quando gli aveva visto
l’ultima volta un’espressione così
serena. O forse sì, lo ricordava. Era sicuramente prima,
prima di Kyoto. Prima che David rovinasse le loro vite. Avrebbe voluto
poter tornare indietro e cancellare d’un colpo tutto quello
che era successo. Spazzare via un anno e mezzo della loro esistenza per
riavere Philip accanto a sé. Per stare insieme,
com’erano sempre stati e come aveva creduto fossero destinati
a essere. Sospirò piano, più restava
lì e più diventava difficile la separazione.
Eppure lo sapeva, si sarebbero separati di nuovo. Lui sarebbe partito
per il Giappone e lei non lo avrebbe seguito. Forse questa era
l’ultima volta che poteva restargli così vicina,
che poteva addirittura baciarlo. Avrebbe appena sfiorato le sue labbra,
così piano che lui non se ne sarebbe reso conto.
Dopodiché se ne sarebbe andata a dormire sul letto di Mark.
Chiuse gli occhi e si chinò su di lui finché le
loro labbra si sfiorarono.
Philip si svegliò, tutti i sensi all’erta. Prima
che lei si allontanasse, sollevò le braccia e la
intrappolò. Jenny sussultò spaventata,
riuscì a liberarsi dalla sua stretta mentre Philip si
metteva seduto. Si guardarono, lei sgomenta per essere stata colta sul
fatto, lui deciso più che mai a non permetterle di andarsene
ancora.
-Io non…- Jenny abbassò gli occhi colmi di
vergogna e puntò una mano sul materasso per alzarsi, Philip
gliela prese e la tirò verso di sé -Philip,
non…-
Lui scosse la testa.
-Non dire nulla, ti prego.-
Qualsiasi parola avrebbe rovinato quel momento e lui non voleva che
ciò accadesse. Si accostò di più, la
sua mano trovò il suo spazio sulla schiena di lei,
adattandosi alle sue curve come se fosse fatta per stare lì
e da nessun’altra parte. Risalì fino alla nuca
dove premette per avvicinare il viso di lei contro il proprio.
Jenny si irrigidì, i suoi occhi guizzarono verso la porta.
Non avrebbe dovuto baciarlo, non avrebbe dovuto svegliarlo e adesso
sarebbe dovuta fuggire, perché tutto questo non sarebbe
servito ad altro se non ad acuire la sua sofferenza e a moltiplicare il
suo dolore. Nell’attimo in cui le loro labbra si unirono
ancora, le certezze di Jenny si infransero come cristallo.
La mano di Philip lasciò la presa sul collo e le percorse di
nuovo la schiena. Le sue dita sollevarono la maglietta, sfiorandole la
pelle nuda dove il top non la copriva. Un brivido di piacere la scosse
ma Jenny tentò ancora di scostarsi, la sua mente che cercava
di riportarla con i piedi per terra e il suo istinto che la spingeva
invece nella direzione opposta affinché si abbandonasse
completamente, totalmente e finalmente tra le braccia di Philip. Lui le
schiuse le labbra con la lingua, si insinuò dentro di lei.
La giovane lo desiderava da così tanto tempo, desiderava
così immensamente che arrivasse quel momento che il piacere
che provò le fece girare la testa. Un'ondata di sensazioni
dimenticate percorsero il suo corpo come una scossa elettrica,
risvegliandolo come non le accadeva più da tempo. Si
ritrovò a sorridergli senza neppure rendersene conto, gli
occhi illuminati da un amore profondo e incondizionato. Gli si
aggrappò alla felpa, le mani risalirono fino al collo, le
dita affondarono tra i suoi capelli, lo strinse a sé.
Philip non aspettava altro. Scivolò con lei sul letto, le
percorse il collo con le labbra facendole sfuggire un gemito.
Respirò contro la sua pelle, riempiendosi del suo profumo.
Sprofondarono tra i cuscini e le coperte dimentichi di tutto, spinti
soltanto dal desiderio impellente di fare l'amore. Fu lei a cominciare
a spogliarlo per prima. Le sue mani si insinuarono impazienti sotto la
felpa, la afferrarono ai bordi e la tirarono su fino a sfilargliela.
Venne via anche la maglietta. Philip si tirò in ginocchio e
si prese il tempo di guardarla. Jenny giaceva sotto di lui, i capelli
sparpagliati sul cuscino, il petto che si alzava e abbassava al ritmo
concitato del respiro, gli occhi lucidi, le labbra arrossate dai baci.
Si piegò su di lei e le tolse gli abiti un pezzo alla volta,
impaziente di ritrovare finalmente il suo corpo. Le sfilò il
top, le fece scivolare le mani dietro la schiena e le
slacciò il reggiseno accantonandolo da una parte. Le
passò le labbra sulla pelle nuda, Jenny si sentì
sciogliere in un lago di piacere, gli prese il viso tra le mani e lo
baciò ancora, incapace di fermarsi, avvolgendolo con le
braccia come se non volesse più lasciarlo andare,
accantonando ogni dubbio, ogni incertezza. Dovevano appartenersi ad
ogni costo. Nessuno dei due, arrivati a quel punto, aveva né
la forza, né la voglia di fermarsi. Nessuno dei due in quel
momento pensava a ciò che sarebbe successo dopo.
Philip abbassò le mani sulla chiusura degli short di lei, e
li slacciò. Contorcendosi un po', Jenny riuscì a
sfilarli e a liberare le gambe. Il ragazzo si prese ancora qualche
istante per osservarla, quasi non credesse a ciò che stava
succedendo e avesse bisogno di guardarla per convincersi di non essere
in un sogno. Aveva quasi dimenticato quanto fossero perfetti l'uno per
l'altra. Jenny era sua, era sua in quel momento come lo era sempre
stata. Si appartenevano e si sarebbero appartenuti per sempre.
Jenny sentì ogni sensazione scenderle nel profondo,
là dove il desiderio di lui era più forte e
quando non poterono più aspettare, Philip si
lasciò affondare in lei, più e più
volte. La giovane gli si era abbandonata, godendo ogni singola
sensazione che l'attraversava e ogni movimento era un meraviglioso
fremito di fuoco. Non c'era più nulla che importasse a
Jenny, se non Philip e la travolgente ondata di intenso piacere che le
faceva provare. All'improvviso, quasi troppo presto, sentirono il
piacere montare, un'onda che saliva fino a travolgerli in
un'esplosione. Cercarono per un istante di fermare l'attimo, poi si
rilassarono.
Per qualche tempo riposarono in pace, ma il loro disperato desiderio
l'uno dell'altra non era ancora soddisfatto. Si amarono di nuovo,
dolcemente, prolungando ogni tocco, ogni carezza. Più tardi,
mentre Jenny, stretta a Philip sotto le coperte, cercava una posizione
comoda per dormire, vide filtrare attraverso una fessura delle pieghe
della tenda, la pallida luce dell'alba.
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Capitolo 18 *** Diciassettesimo capitolo ***
Diciassettesimo
capitolo
Un sommesso spadellare proveniente dalla cucina svegliò Mark
intorno alle nove. Riemerse intontito e assonnato dai cuscini del
divano, tra i quali si era incastrato durante la notte mentre si girava
e rigirava inquieto, in cerca di una posizione comoda che quel letto
improvvisato non offriva. Accartocciato com'era tra la spalliera e il
bracciolo, quando si tirò su la sua schiena
scricchiolò, inducendolo ad inveire contro ignoti.
Sbadigliò sonoramente, attraversò il corridoio e
lanciò un’occhiata alla porta
d’ingresso. Le scarpe e il cappotto di Jenny non erano
lì e ciò significava che la ragazza non era
rientrata. Sbuffò di contrarietà. Portare Philip
con sé era stato inutile, in attesa che lei rincasasse ci
aveva guadagnato soltanto una fredda e scomoda notte sul divano.
Entrò in cucina annunciato dal suo stomaco brontolante e
trovò Philip seduto al tavolo, un bicchiere di succo di
frutta e delle fette di pancarré in un piatto.
-Abbiamo fatto un buco nell’acqua.-
-In che senso?-
-Nel senso che Jenny non s'è fatta viva.-
Philip smise di masticare e lo fissò incerto. Lo stava
prendendo in giro o davvero non si era accorto che la ragazza era
sì tornata ma poi, purtroppo, si era volatilizzata mentre
loro dormivano ancora? Sul suo viso scorse un’espressione
così sinceramente afflitta da spingerlo a dubitare che
stesse scherzando. Decise all’istante che non lo avrebbe
messo al corrente di qualcosa che, persino per lui, stava
cominciando a prendere la forma di un sogno. Che lo fosse o meno, di
una cosa era certo. Ciò che era accaduto quella notte erano
affari suoi e di Jenny, di nessun altro. Inghiottì il
boccone e si portò il bicchiere alle labbra.
-Poteva essere una buona occasione per voi per fare pace, invece
niente.- Mark raggiunse il frigo, lo aprì e lo richiuse di
colpo -Vuoto! In questa casa nessuno fa la spesa!- si
lamentò, anche se della spesa in quel momento non gliene
importava un fico secco. Era piuttosto l'assenza di Jenny ad
angustiarlo. Era certo che dopo avergli mostrato l’anello,
Philip fosse rimasto ad aspettarla per tutta la notte. La delusione di
non averla potuta incontrare doveva essere immensa. La cercò
nella sua espressione, che gli risultò del tutto
impenetrabile.
-A che ora avete l'aereo?-
-Alle sei.-
-Faccio colazione e andiamo.-
-Dove?-
-Ti riaccompagno in hotel. Oggi non ho nient’altro da fare.-
Philip annuì e tornò a fissare il bicchiere mezzo
vuoto che teneva tra le mani, sforzandosi di non lasciar trapelare in
nessun modo la tempesta di sentimenti che si era scatenata nel momento
in cui si era svegliato e non aveva trovato Jenny accanto a
sé.
-Vuoi anche tu il caffè?-
Lui assentì di nuovo e mentre Mark trafficava tra i fornelli
da perfetto padrone di casa, tornò a seguire il filo dei
pensieri che l’arrivo dell’amico aveva interrotto.
Ciò che era successo tra lui e Jenny era la prova provata
che sarebbero dovuti tornare insieme all’istante, senza
perdere altro tempo. Le emozioni e le sensazioni che erano ricomparse
durante quella notte, non erano neppure lontanamente paragonabili a
quelle che lo avevano legato a qualsiasi altra ragazza. Ciò
che sentiva per Jenny era unico.
Mark mise sul tavolo altre fette di pane tostato e Philip ne
afferrò una con quell’espressione inaccessibile
che stava mandando il compagno in confusione. Si chiese
perché Jenny fosse scappata di nuovo. Perché
avesse deciso di non farsi trovare, di non dargli la
possibilità di parlare del loro futuro, di convincerla a
tornare in Giappone con lui. Era guizzata via ancora una volta,
inafferrabile. Eppure lui era sicuro che Jenny lo amasse ancora, tanto
quanto prima. La notte appena trascorsa lo aveva dimostrato.
L’aveva tenuta abbracciata per ore, stringendola a
sé con delicatezza, come se avesse temuto di poterla
rompere. Lei lo aveva lasciato fare, adagiandosi contro il suo corpo,
posandogli le labbra sulla spalla e addormentandosi così.
Anche lui per un po’ aveva dormito, ma poi si era svegliato
con il respiro di lei ad accarezzargli la pelle nuda del braccio.
Stringendo il suo corpo morbido e caldo, il piacere si era risvegliato.
Aveva aperto gli occhi nella stanza immersa nel buio, perché
prima Jenny s’era alzata per spegnere la luce. Dalle tende
non filtrava nessun chiarore, doveva essere piena notte e loro avevano
tutto il tempo del mondo per amarsi ancora. I baci leggeri e premurosi
di Philip erano diventati sempre più esigenti e Jenny li
aveva assecondati con la stessa passione. Si erano uniti di nuovo con
un desiderio incontenibile, quasi a voler recuperare tutti quei mesi di
separazione e lontananza.
Mark passò davanti a Philip e sparì nel
corridoio, tornando un istante dopo con il cellulare in mano.
I loro sguardi si incrociarono.
-Chiamo Jenny. Voglio sapere che fine ha fatto.-
Philip non ebbe niente da ridire e Mark lo coinvolse nella telefonata
accendendo il vivavoce. Quando lei rispose partì subito
all'attacco.
-Stanotte non sei tornata. Perché non mi hai avvertito? Dove
sei adesso?-
Jenny reputò opportuno rispondere solo all’ultima
domanda.
“Sono in centro.”
-A fare cosa?-
“Degli acquisti per Amy, Evelyn e Patty.”
-Sto andando in hotel. Pranzo lì. Vieni anche tu?-
Il silenzio che seguì la proposta, rese evidente la sua
esitazione.
“Ho troppe cose da fare e pochissimo tempo a
disposizione.”
-Hai ragione, è meglio se ti sbrighi e torni a casa a
preparare la valigia.-
“Che valigia?”
-Quella per tornare in Giappone con gli altri.-
Philip ebbe un tuffo al cuore, si irrigidì sulla sedia in
attesa. Jenny non rispose, si limitò a riagganciare.
“Ciao Mark, forse ci vediamo dopo.”
Landers si versò il caffè nella tazza, ne diede
anche a Philip e si sedette di fronte a lui.
-Partirà con te.-
-Come fai a saperlo?-
-Non ha detto di no.-
-Non ha detto neppure di sì.-
-Cos’è? Non vuoi che torni in Giappone?- i suoi
occhi si socchiusero pericolosi -Hai intenzione di riprendere a
frequentare quell’oca della Pilar?-
Philip saltò su come un grillo.
-Julie è l’ultimo dei miei pensieri!-
-Allora intendi lasciarla?-
-Non ci stavo insieme! Ci vedevamo ogni tanto!-
-Quindi pensi di continuare a vederla ogni tanto?-
-Scherzi? Non mi frega nulla di lei!-
-Buon per te…- Mark si appoggiò contro lo
schienale della sedia -Ero disposto a farti passare la fissa a suon di
schiaffoni!-
Philip lo guardò sgomento, non seppe se credergli. Mark lo
fissava a sua volta, con tale intensità da metterlo a
disagio.
-Adesso toglimi una curiosità, Callaghan. Quando avete
passato la notte in camera di Amy, tu e Jenny non avete parlato? Non vi
siete chiariti? Avete dormito e basta?- rise fastidioso -O non avete
né dormito né parlato?-
Philip distolse gli occhi, non raccolse la provocazione. Sapeva da solo
di essere stato uno stupido a lasciarsi sfuggire
quell’occasione e non aveva nessuna intenzione di ammetterlo.
Quella notte nella stanza di Amy, lui non aveva ancora le idee chiare e
Jenny era distrutta dalla stanchezza. Se non fosse stato
così, avrebbe agito in modo diverso. Invece gli ci era
voluto altro tempo per rendersi conto che l’unica cosa che
desiderava era tornare con lei.
Fu mentre l’autobus percorreva il ponte sul Po che al
cellulare di Mark arrivò un messaggio con cui Holly lo
avvertiva che stavano uscendo.
“Le ragazze vogliono visitare quel borgo medievale vicino al
fiume. L’hotel è assediato dai giornalisti e
stiamo cercando tutti di defilarci. Ci vediamo al parco?”
Mark e Philip li aspettarono alla fermata dell’autobus del
Palazzo delle Esposizioni e Amy, come li vide, li incalzò
con la sua preoccupazione.
-Dov’è Jenny? Ho provato a chiamarla ma non
risponde al cellulare.-
-Le ho parlato poco fa. Mi ha detto che se fa in tempo ci raggiunge per
pranzo.-
Philip lanciò un’occhiata a Mark. Jenny non aveva
detto proprio così ma forse quella menzogna era
l’unico modo per evitare di essere assillato
sull’argomento. Seguì l'amico sulle strisce
pedonali, senza accorgersi dell’occhiata che si lanciarono le
ragazze, restando un po’ indietro.
-Speriamo che almeno venga a salutarci all’aeroporto!-
-Certo che verrà! Perché non dovrebbe?-
-Lo sai il perché, Rob. Te l’ho spiegato ieri.-
-Non capisco come il fatto che sia stata con Philip le impedisca di
venire a salutarvi all’aeroporto. Davvero Evelyn, non colgo
il nesso.-
-Solo perché non la conosci abbastanza.-
Amy sospirò scontenta, il suo proposito di convincerla a
tornare in Giappone era andato a farsi friggere. La sera prima in
discoteca Jenny si era tenuta ben alla larga da loro e non li aveva
salutati neppure quando se n'erano andati. Seguì gli altri
chiedendosi se Jenny sarebbe davvero rimasta in Italia, con Mark e
Gentile. Non poteva credere che l’amica intendesse fare
quella scelta. Non era coerente, non era accettabile. Lei amava Philip
e il suo posto era accanto a lui. Era sicura che Jenny ne fosse
consapevole eppure sembrava rifiutarsi di tornare. Perché?
Cos’era successo tra loro in quegli ultimi mesi in cui si
erano frequentati? Perché si erano lasciati?
Perché Jenny era partita con Mark? Perché Philip
aveva cominciato a uscire con quella fotomodella? In che sequenza
cronologica erano accaduti questi fatti? Trovando Jenny a Torino, Amy
credeva di riuscire finalmente a darsi una risposta alle domande che
ormai si poneva da settimane e invece la questione non si era chiarita.
Non aveva saputo niente di più di ciò che aveva
potuto vedere con i suoi occhi, cioè che l’amica
era in Italia, che lei e Philip non si parlavano e che Philip aveva
tentato di riavvicinarla sulla pista di pattinaggio, apparentemente
senza nessun risultato. Il gesto del ragazzo non era stato sufficiente,
Jenny lo evitava ancora e quasi più di prima, tanto che
persino il giorno della sua partenza non si stava facendo viva.
Sbucarono in una piazza quadrata al centro della quale spuntava una
statua equestre. Mark non l’aveva mai notata e non fu di
nessun aiuto per scoprire chi rappresentasse. Amy allora
tirò fuori la guida dallo zainetto e prese a leggere ad alta
voce a beneficio delle amiche e di chi aveva voglia di starla ad
ascoltare. A Philip non interessava sapere che il tizio sul cavallo era
un duca e che nel giardino che stavano attraversando venivano
organizzate numerose mostre floreali. Ma ascoltare Amy che parlava
senza fare troppa attenzione a ciò che lei diceva, lo
aiutava a non pensare a Jenny e aveva finito per star dietro al suono
della sua voce. Rob li precedeva sul largo marciapiede chiacchierando
un po’ con tutti e dispensando positività e
allegria a destra e a manca.
Percorsero vialetti sinuosi sul pendio del giardino finché
d’un tratto torri e torrette in mattoni rossi, mura merlate e
finestre ovali spuntarono tra il fogliame. Mark costeggiò
tutto il borgo fino a condurli davanti all’ingresso
principale, con la torre di guardia e il ponte levatoio. La parte
inferiore del muro era dipinta a colori vivaci con angeli e Madonne.
Oltrepassato il cancello, la cittadella medievale si mostrò
in tutta la sua suggestiva bellezza. Edifici in mattoni aggettanti
sulla piccola strada sterrata lasciavano posto al piano terra ai
portici intervallati da colonne verniciate a scacchi gialli e bianchi o
a strisce bianche e blu. Dietro grandi finestre a ogiva di vetri
piombati si aprivano le botteghe, perfetta riproduzione di negozi
medievali.
-Jenny aveva detto che valeva una visita.- disse Evelyn con la
macchinetta fotografica tra le mani. La sua attenzione era richiamata
da tutto, ogni singolo particolare che le si apriva davanti agli occhi
attirava il suo obiettivo. Non sapeva più dove scattare e ad
un certo punto piazzò la macchinetta fotografica in mano a
Benji.
-Me la fai una foto con l’armatura?-
Tom si fermò contro un pilastro a righe blu e bianche per
mandare un messaggio a sua madre. Poco distante Holly si era infilato
dentro una delle botteghe e osservava incuriosito un bambino che
tentava di convincere suo padre a comprargli la riproduzione in
miniatura di una spada di plastica, chiedendosi chi l’avrebbe
avuta vinta e quanto tempo sarebbe passato prima che gli toccasse
affrontare un conflitto simile. Lui e Patty erano sposati da circa un
anno e non vedeva talmente l'ora di diventare padre che a volte gli
capitava di chiedersi perché ci volesse tanto tempo. Non
aveva fretta, ma sperava che accadesse al più presto.
La curiosità con cui Evelyn li aveva accolti a Torino
sperando nella bella notizia, le domande neppure troppo allusive dei
genitori ogni volta che li sentiva al telefono, per non parlare delle
battute appena appena velate dei compagni del Barcellona e della
nazionale giapponese, stavano cominciando a diventare fastidiose.
Persino Patty se ne seccava, tant'è che un giorno l'aveva
sentita rispondere alla madre di non chiedere più, che
sarebbe stata lei a darle l'annuncio al momento opportuno. La reazione
della moglie l'aveva sorpreso, poi le aveva dato ragione. Lui non se ne
intendeva, ma era sicuro che la procreazione fosse un processo che
richiedeva una certa preparazione, non che si improvvisava. Nella
partita della vita, lui e Patty erano ancora al primo tempo ed era
inutile mettersi fretta. Ciò non toglieva che era pronto a
ricevere la notizia da un momento all'altro. Aveva già fatto
grandi progetti, a partire dalla riorganizzazione delle stanze, del
loro tempo, fino alle scuole che il loro figlio, o la loro figlia,
magari l'uno e l'altra, avrebbe frequentato. Immaginava gite in
montagna con la famiglia, scampagnate sulla spiaggia, bagni in mare,
giochi e divertimenti. Ad accoglierlo a casa, al ritorno dagli
allenamenti, dalle partite, dalle trasferte non soltanto il sorriso di
Patty pieno d'amore ma le grida felici, i baci e gli abbracci dei suoi
bambini. Spostò gli occhi sull'oggetto dei suoi pensieri,
sicuro che anche Patty non vedesse l'ora di avere una famiglia tutta
per loro. La vide di fronte ad un espositore di cartoline.
La ragazza ne scelse due, pagò e raggiunse Amy nel cortile,
davanti all’albero dorato della fontana ottagonale. Anche se
il metallo in alcuni punti si stava scolorendo lasciando il posto alla
ruggine, era lo stesso molto suggestivo.
-La guida dice che è una riproduzione di una fontana di un
castello medievale. Si tratta di un albero immaginario
perché ha i frutti del melograno e le foglie della quercia
che simboleggiano forza e antichità l’una e
fertilità e fedeltà l’altro. I quattro
rami principali finiscono con una testa di drago da cui esce
l’acqua… Veramente l’acqua non esce,
forse è rotta.-
-Sei preoccupata per Jenny?-
Amy chiuse la guida e guardò l’amica.
-Ho paura che non tornerà in Giappone con noi. Ieri avrei
voluto parlarle ma è sparita e non ci sono riuscita.-
-Jenny ha già deciso cosa fare, non riusciresti a farle
cambiare idea in nessun caso.-
-Ti ha detto se partirà con noi?-
-Non mi ha detto nulla, ma ti prego non ci pensare Amy. Non sei tu a
poter cambiare le cose. Angustiandoti ti rovinerai soltanto il tuo
ultimo giorno qui.- la prese per mano -Vistiamo la rocca?-
-Sentiamo se Evelyn vuol venire con noi.-
Rob si sedette guardingo accanto a Philip su uno dei tronchi allineati
lungo il muro che cingeva il cortile della fontana. Non aveva
abbastanza confidenza con il compagno per non essere sicuro che non
l’avrebbe mandato a quel paese ma la curiosità lo
spinse lo stesso a parlare.
-Philip, senti… Mi chiedevo… Tu e Jenny siete
stati insieme per molto tempo?-
-Sei anni.-
-Cavolo! Sai, è un peccato che vi siate lasciati. Jenny mi
piace un sacco.- mosse la punta del piede su e giù,
scostando la ghiaia e scavando un piccolo solco -Vederla arrivare con
Mark è stata una sorpresa. Non avevo idea di chi fosse, ma
il giorno stesso che ci siamo incontrati mi ha stupito il fatto che
conoscesse Benji e Holly. Non riuscivo a spiegarmi il
perché, cosa avesse in comune con lui e con loro. Non
riuscivano a capirlo neppure Dario e Salvatore e mi hanno assillato
giorni per scoprirlo. Ci suonava così strano che Mark
acconsentisse ad avere tra i piedi un’ospite che non fosse la
sua ragazza o sua sorella…-
-Sì, strano.- convenne lui trasudando ironia. Sapendo quanto
erano andati d’accordo fin da subito a Shintoku, il loro
affiatamento non gli sembrava più tanto singolare.
-E poi non riuscivo a capire per quale motivo Mark fosse
così iperprotettivo con lei. Non puoi immaginare cosa si
è inventato per fare in modo che Gentile le stesse alla
larga. Pensa che la sera di San Valentino Salvatore l'ha invitata a
cena in un ristorante costosissimo e Mark è riuscito a
imbucarsi portando altra gente per rovinargli la festa. Alla fine siamo
andati a mangiare in sei, mandando all’aria la serata
romantica che Gentile aveva tanto accuratamente preparato.- rise al
ricordo -E poi quella sera stessa Mark li ha trovati a baciarsi in
camera di lei e ha cacciato Salvatore di casa. Pensavo che fosse
geloso, pensavamo tutti che Jenny gli piacesse anche se continuava a
negarlo. Invece adesso che so, credo che lo facesse per te.-
-Per me?-
L'altro annuì.
-Forse ti sembrerà strano, anch’io l’ho
capito solo quando Evelyn mi ha detto che siete stati insieme. Mark
continuava ad insistere che per lui Jenny era come una sorella, che non
era la sua fidanzata, che non ci aveva mai provato e non aveva nessuna
intenzione di farlo. E intanto l’accompagnava ovunque, faceva
ogni cosa che lei gli chiedeva, tornava a casa presto per non lasciarla
sola troppo tempo, guardava male Gentile ogni volta che tentava di
avvicinarsi, quando le si incollava addosso o la riempiva di regali e
la baciava in continuazione. Vedendolo comportarsi così,
come potevamo credergli? Non facevamo altro che prenderlo in giro,
dandogli del bugiardo. E invece non stava mentendo. Non era geloso per
se stesso, era geloso per te.-
Di primo acchito quell’interpretazione sorprese Philip, poi
la scartò del tutto.
-Stronzate, Aoi. Mark non mi ha neppure avvertito che Jenny era a
Torino.-
La ghiaia scricchiolò sotto i passi di qualcuno. Evelyn si
era avvicinata.
-Disturbo?- i due scossero la testa all’unisono -Patty, Amy
ed io visitiamo la rocca. Venite con noi?-
Si fermarono a mangiare al ristorane del borgo. Faceva abbastanza caldo
per sedersi all’aperto, sulla piattaforma che si affacciava
sul fiume. Sotto di loro il corso d’acqua scorreva placido,
solcato da canoe, kayak e altre piccole imbarcazioni sportive che
procedevano avanti e indietro, alcune spinte con forza dai remi, altre
che si lasciavano trascinare dalla corrente. Sui prati
dell’altra riva si rincorrevano i cani, a volte richiamati
all’ordine dai padroni; i bambini giocavano a palla, qualcuno
andava in bicicletta e altre persone passeggiavano. Quel luogo
trasmetteva pace e tranquillità a tutti tranne che a Philip,
ormai stanco di nascondere al mondo la propria preoccupazione. Sapeva
che non era l’unico a chiedersi se Jenny sarebbe partita con
loro oppure no. Aveva colto un paio di conversazioni tra i compagni,
che poi avevano taciuto quando si erano accorti che non era abbastanza
lontano da non udirli. A lui rodeva che si censurassero, non soltanto
odiava essere tenuto all'oscuro di ogni novità che la
riguardasse, ma era convinto che la loro intenzione di non parlargliene
derivasse dal fatto che non lo ritenessero abbastanza forte o maturo da
accettare qualsiasi decisione avesse preso Jenny. Forse il suo
tentativo di avvicinarla sulla pista di pattinaggio, sotto gli occhi di
tutti, era stato un errore.
Li udì ancora parlare di lui, stralci di conversazione tra
Bruce, Evelyn e Benji. Stavano riattraversando il parco per tornare in
hotel. Avevano poche ore di tempo per mettere a posto le loro cose e
preparare le valigie.
-Philip è scoppiato da un pezzo.- sentì dire
Harper -Precisamente dal primo giorno di allenamenti. Non ricordi
ciò che è successo negli spogliatoi, Benji? Se
non mi aveste fermato…-
-Hai litigato con Philip?- lo sconcerto indusse Evelyn a lasciare la
mano del fidanzato -Perché avete litigato?-
-Perché Harper lo ha pungolato dove gli faceva
più male.-
-Che vuoi dire?-
-Gli ha detto qualcosa su Jenny che era meglio che si teneva per
sé…-
-Quindi la colpa è tua, Bruce! Dovevo aspettarmelo, sei il
solito attaccabrighe!-
Bruce trasecolò.
-Lo stai difendendo! Lo stai difendendo di nuovo!-
-Non lo sto difendendo!-
-Sì che lo stai facendo! Lo difendi sempre!-
-Non è vero!-
-Sì, lo fai sempre!- s’intestardì Bruce
mentre Evelyn sbuffava e si allontanava esasperata. Fissò il
portiere -Lo difende sempre, giuro! Lo fa a prescindere, da quando a
Nara lui l’ha portata all’ospedale. Gli
dà sempre ragione. Sempre e comunque!-
-Non ci avevo fatto caso.-
Philip non riuscì più a sentire nulla
perché Holly e Tom lo raggiunsero dall’altro lato
chiacchierando.
-Mia madre ha proposto a mio padre di restare qualche giorno ospite da
lei ma lui non vuole andarci. E mia madre dice che neppure suo marito
gioisce all’idea.-
-Anche a me non farebbe piacere ospitare l’ex della mia
ragazza.-
Holly e Tom si volsero a guardarlo curiosi.
-Che forma ha preso questa ipotesi nella tua testa? A chi hai pensato?
A Jenny e Gentile?-
-Non ho pensato a nessuno.- Philip si chiuse a riccio -Ho solo detto la
mia…- il parere che aveva espresso gli era rotolato sulla
lingua così di getto che non aveva avuto il tempo di dare
una faccia a colui che aveva individuato come ex di lei (mentre
“lei” era Jenny senza ombra di dubbio). E adesso
che Holly gli aveva fatto quella domanda, aveva deciso di non volersi
dilungare a rifletterci neppure un attimo.
*
Erano ore che Jenny cercava di chiamare Carol. Era uscita di casa
prestissimo, aveva camminato a lungo per i viali della
città. Quando si era fatta un’ora decente, si era
attaccata al cellulare e aveva cercato di contattare la ragazza. A
risponderle, soltanto la voce registrata della segreteria telefonica.
Si sentiva ancora frastornata, aveva voglia di camminare e mettere
ordine nella testa, respirando a pieni polmoni l’aria
frizzante della mattina. Voleva godere della felicità con
cui si era destata, trattenerla addosso ancora per un po’,
senza pensare al futuro, senza riflettere su ciò che
l’aspettava. La notte trascorsa aveva dimostrato che tra lei
e Philip le cose potevano tornare com’erano, la loro storia
sarebbe potuta ricominciare da dove si era interrotta. Se soltanto lo
avesse voluto, se ne avesse avuto il coraggio.
Aveva attraversato il Po e proseguito lungo la passeggiata che
costeggiava il fiume e finiva nel parco del Valentino, lussureggiante
di verde. Aveva incrociato una miriade di torinesi, chi portava a
spasso il cane, chi correva lungo i viali, chi pedalava in bicicletta,
chi si affrettava a raggiungere il luogo di lavoro. Probabilmente
soltanto lei, quella mattina, vagava nei giardini senza meta, solo per
camminare e tenere il corpo al passo con le capriole che faceva la sua
mente. Ogni tanto tirava fuori il cellulare e riprovava a chiamare
Carol senza successo. Quando si era stancata di vagare a caso e si era
ritrovata intirizzita dall’umidità del parco e
dalla brina, aveva fatto dietrofront ed era tornata verso il centro. A
piazza Vittorio si era infilata dentro un bar per riscaldarsi. Si era
seduta ad un tavolo da cui poteva osservare la strada e, ordinato un
caffè, era rimasta con gli occhi sul viavai di una
città sempre più sveglia e più
intasata dal traffico. Aveva cercato di non fissarsi su ciò
che era successo nel suo letto, solo sfiorare il pensiero di Philip le
accelerava il battito del cuore e le serrava lo stomaco. Rimpiangeva
ancora con tutta l’anima la notte che era volata, avrebbe
voluto che non finisse più.
Quando aveva aperto gli occhi, Philip dormiva al suo fianco. Il suo
viso era rivolto verso di lei, i capelli neri scompigliati sulla
fronte, la bocca tesa, l'espressione serena, i muscoli della schiena
nuda, il lenzuolo bianco sceso sui fianchi. Per un secondo, solo per un
attimo, le era sembrato lontano, distante… Era riuscita a
sgusciare via dalle coperte senza svegliarlo e lui aveva continuato a
dormire mentre prendeva alcuni vestiti e la borsa e usciva dalla
stanza. Jenny lo conosceva troppo bene per non sapere che dopo ogni
partita il ragazzo accusava lo stress e la fatica in due modi opposti.
O si svegliava euforico all’alba e cominciava a girare per
casa in impaziente attesa che anche lei si alzasse, oppure continuava a
dormire per ore, fino a tarda mattinata.
Era ancora seduta al bar quando alle dieci Salvatore la
chiamò. Voleva sapere se aveva bisogno di qualcosa,
soprattutto se sarebbe ripartita anche lei. E mentre gli rispondeva di
no, mettendo voce alla sua decisione, capì che nonostante la
notte passata con Philip, nonostante quello che era successo,
nonostante ciò che aveva provato, non sarebbe tornata in
Giappone con lui. Aveva paura. Temeva che ad aver prodotto un simile
miracolo fosse stato il loro incontro inaspettato in Italia, la
presenza degli amici e di Gentile, l’aria straniera. Aveva il
terrore che una volta rientrata a far parte della solita routine di
Philip, lui non l’avrebbe più voluta allo stesso
modo. Non riusciva a non struggersi per il suo rapporto con Julie
Pilar. Non era sicura che la fotomodella non sarebbe andata a prenderlo
all’aeroporto, facendogli capire che
quell’avventura con la sua ex era appunto soltanto una
nostalgica passeggiata in un piacevole passato.
Stringeva tra le mani il cellulare quando questo squillò
facendola sussultare. Era Mark. Ci aveva già parlato,
accidenti. Perché insisteva? Lei non aveva niente da dirgli!
Abbassò il volume della suoneria per mettere fine al
fastidioso trillo e quando Mark rinunciò, mise il telefonino
in modalità silenziosa. Infine tentò di nuovo di
chiamare Carol. Aveva assolutamente bisogno di parlare con lei. Le
serviva il suo aiuto. Il cellulare della ragazza era ancora spento. Le
inviò un messaggio, poi si alzò. Raggiunse la
cassa, pagò il caffè e si avviò verso
il corso. Doveva risolvere i problemi uno alla volta, cominciando dai
più semplici: acquistare i regali che intendeva fare alle
amiche, raggiungere l’aeroporto e salutare i compagni,
affrontando a testa alta la partenza di Philip. Infine trovare Carol,
il prima possibile.
Mentre girava tra gli scaffali della Rinascente, si scontrò
con Clarissa, l’ultima persona che si aspettava e aveva
voglia di vedere. Si urtarono tra l’alto supporto dei
cappelli e le grucce dei cappotti di panno scuro. Jenny teneva in mano
una sciarpa di cachemire leggerissimo, quasi impalpabile, di un bel
verde smeraldo (probabile regalo per Amy), l’ex di Salvatore
un abito dello stesso identico colore. Clarissa guardò lei,
poi guardò la sciarpa e scoppiò a ridere.
-Abbiamo gli stessi gusti?-
Jenny arrossì.
-Può darsi, però non l’ho scelta per
me.- si sforzò di ricambiare il sorriso, pronta a cogliere
il momento buono per dileguarsi.
-Cosa ci fai qui?-
Jenny si guardò intorno.
-Devo fare dei regali.-
Era ancora profondamente indecisa, a parte la sciarpa. Era entrata nel
negozio quasi un’ora prima e non aveva la più
pallida idea di cosa comprare ad Evelyn e Patty. Non aveva trovato
nulla di adatto, forse la scelta era troppo ampia. Si stava perdendo, o
meglio, stava perdendo un sacco di tempo e ancora non era riuscita a
parlare con Carol. Alle sei l’aereo partiva e lei non aveva
neppure chiesto a Gentile se aveva voglia di accompagnarla
all’aeroporto. Un pensiero improvviso le
attraversò la testa, fissò Clarissa nei suoi
splendidi occhi verdi.
-Devi telefonare a Salvatore.-
Le guance della modella persero colore.
-Come, scusa?-
-Devi chiamare Salvatore.-
-Stai scherzando?- accennò un sorriso, che lo sguardo di
Jenny spense all’istante.
-Sto dicendo sul serio.-
Il panico colmò gli occhi di Clarissa.
-No. Non posso.- scosse la testa in preda allo shock -Sono mesi che ho
smesso di cercarlo. Non posso telefonargli, non posso proprio.-
-Dovresti provarci comunque.-
-Adesso?-
-Perché no?-
La proposta di Jenny le tolse le forze man mano che si fece strada
nella sua testa. Appoggiò il vestito sul ripiano e le sue
spalle si curvarono in avanti, gravate dal peso del tradimento.
-Non risponderà… Ci ho provato tante volte, non
mi ha mai più risposto.-
-Fossi in te, proverei di nuovo.-
L’ottimismo di Jenny la costrinse a valutare ancora una volta
quel pensiero tentatore. Alzò gli occhi e i loro sguardi si
incrociarono per un lungo, silenzioso e infinito minuto.
Nell’espressione della giovane c’era qualcosa di
così convincente che Clarissa si ritrovò a
frugare nella borsa, con mani tremanti, alla ricerca del cellulare. Non
distolse neppure un attimo gli occhi da quelli di Jenny che le
infondevano sicurezza e soprattutto la forza di fare qualcosa di cui
non si sarebbe più ritenuta capace. Il telefonino riemerse
dalla borsa e fissò indecisa il display. No, Salvatore non
le avrebbe risposto, come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato
a fare per sempre. Salvatore non l’avrebbe perdonata, mai e
poi mai. Mesi prima era stata costretta a cancellare il suo numero
dalla rubrica, perché ogni volta che il nome del ragazzo le
capitava sotto gli occhi si sentiva morire. Ma lo conosceva a memoria,
non lo avrebbe mai dimenticato. Doveva davvero chiamarlo o stava per
fare l’ennesima stupidaggine, proprio come quella di
presentarsi al campo qualche giorno prima? L'avrebbe aggredita come
aveva già fatto? Alzò di nuovo gli occhi su Jenny
un secondo prima di rinunciare. Lei continuava ad attendere,
l’espressione incoraggiante non era scomparsa dal suo volto.
Cosa doveva fare? Doveva provare? Non voleva più soffrire,
non voleva più star male. Salvatore non le avrebbe risposto,
esattamente come al solito. Ma Jenny la fissava ancora, cercando di
trasmetterle un coraggio che lei per prima non aveva e che Clarissa
aveva perduto ormai da tempo. Le dita le tremavano quando
digitò un numero dopo l’altro con una lentezza
esasperante. Sbagliò due volte e fu costretta a cancellare,
insicura, impaurita, si irrigidì. Il display andò
in stand-by una volta, prima che riuscisse a inviare la chiamata e
dovette ridigitare la password. I minuti che scorrevano erano uno
stillicidio, la tensione aveva invaso il suo corpo, Clarissa sentiva
che stava per scoppiare. Jenny la guardava ancora e sorrideva. Allora
spinse il tasto invio e abbassò gli occhi a terra mentre
brividi gelidi di terrore le percorrevano la schiena. La pelle
d’oca le ricoprì le braccia mentre il segnale di
libero le squillava nelle orecchie una, due volte. La terza non ci fu.
“Clarissa?”
Lei socchiuse le labbra ma non riuscì ad articolare neppure
un banalissimo “ciao”. Le lacrime le offuscarono la
vista. Si passò una mano sugli occhi, poi prese a
singhiozzare piano, mormorando qualcosa a Gentile che era rimasto in
linea, dall’altra parte della città. Jenny si
strinse al petto la sciarpa di Amy e si allontanò
silenziosissima.
Carol le rispose mentre usciva dalla Rinascente con i regali fatti,
dopo aver preso atto che Mark l’aveva cercata ancora due
volte.
-Ti sto chiamando da ore, che fine hai fatto?-
“Ciao Jenny!” la sua voce era ancora assonnata.
-Carol, dove sei?-
“In piena fuga d’amore. A Venezia!”
A Jenny venne uno scompenso.
-A Venezia? E con chi?-
“Con un amico.”
-Che amico?-
“Un ragazzo che ho conosciuto ieri sera in
discoteca.” rispose lei soffocando una risatina imbarazzata.
-Una persona che hai conosciuto ieri non può essere un
amico!-
“Esiste un minimo di giorni prima di entrare in amicizia con
qualcuno?”
-Ci hai passato la notte insieme?-
“In parte…”
-In parte?-
“Parte della notte. Siamo andati via della discoteca che
erano le quattro.”
A Jenny caddero le braccia.
-Ti prego, non dirmi che si tratta di uno di quei due che ieri hanno
attaccato bottone.-
“Uno non era mica brutto. Non essere pignola. Ti serviva
qualcosa?”
-Pensavo che saresti venuta all’aeroporto a salutare la
nazionale giapponese.-
“Anch’io lo credevo, prima della mia fuga
d’amore. Adesso non più quindi pensa tu a
salutarmi tutti!”
*
Philip era irrequieto dalla mattina. Evelyn se n’era accorta
quando era scesa dall'autobus che li aveva portati al borgo e aveva
incrociato il suo sguardo. Il compagno si era alzato dalla panca su cui
sedeva insieme a Mark e si era incamminato con loro verso il parco e i
giardini. Aveva pedinato Amy che leggeva la guida, guardandosi intorno
così distrattamente che Evelyn c’aveva messo un
istante a capire che non stava ascoltando nulla. E poi,
inaspettatamente, all’interno della cittadella medievale
aveva cominciato a chiacchierare con Aoi. Da quel momento in poi i due
non avevano più smesso di farlo se non durante la visita
alla rocca. Restando un po’ indietro, discosti dagli altri,
avevano ripreso a parlare durante tutto il viaggio di ritorno. Evelyn
non aveva proprio idea di quale argomento comune potesse occuparli in
una conversazione così lunga. Anche se a chiacchierare era
soprattutto Aoi, Philip ogni tanto prendeva la parola e per una volta
pareva interessatissimo a ciò che gli veniva detto. Secondo
Evelyn, che parlasse con qualcuno era un bene a prescindere, visto il
mutismo di quei giorni. Arrivati in hotel Rob aveva raggiunto i gemelli
Derrick, Philip aveva liquidato i loro schiamazzi con
un’occhiata distratta ed era salito in camera a riordinare la
valigia, come avevano fatto anche gli altri.
Il tempo si era guastato mentre si preparavano. Il sole era sparito
dietro una coltre di nuvole cariche di pioggia, che avevano riversato
sulla città un acquazzone inatteso. I ragazzi si erano
riuniti nella hall per l'ultima chiacchierata insieme prima della
separazione. Patty e Holly avrebbero preso l’aereo per
Barcellona, Benji quello per Amburgo. Gli altri sarebbero atterrati a
Tokyo, per poi disperdersi verso le rispettive mete nelle isole
giapponesi. Oltre a Philip, chi sembrava più restio a
partire era Benji, che non aveva idea di cosa aspettarsi al suo rientro
in Germania. L’aver giocato solo mezza partita contro
l’Italia continuava a bruciargli, temeva che ciò
avrebbe avuto pesanti conseguenze anche nell’Amburgo. Non
riusciva a spiegarsi cosa avesse spinto Freddie a fargli un torto
simile in una situazione così delicata, ma ce
l’aveva con lui e non gli rivolgeva la parola dal giorno
prima. Evelyn si era accorta che Amy lo teneva d’occhio ma
allo stesso tempo lo evitava, quasi come aveva fatto i primi giorni del
loro soggiorno a Torino. La sentì rivolgersi a Patty, che le
sedeva accanto nella hall dell'albergo.
-E noi quando ci rivediamo?-
-Ormai quest’estate. Torneremo in Giappone non appena gli
impegni di Holly saranno terminati.-
Amy sospirò e abbassò gli occhi sul tavolino di
vetro.
-Le partenze mi mettono tristezza.-
-Anche a me.-
Evelyn non prestò loro attenzione, era decisa a non
lasciarsi trascinare nella malinconia dell'addio. Preferiva di gran
lunga osservare Philip che le sedeva davanti e giocherellava con il
cellulare senza interesse. Lo studiava con preoccupazione fin da quando
Mark le aveva confidato che la sera precedente il suo piano di farli
incontrare e parlare era andato a monte perché Jenny non era
tornata a dormire a casa. Ad Evelyn dispiaceva sinceramente, vedeva
Philip nervoso e scontento e avrebbe dato qualsiasi cosa per
alleggerire il macigno di ansie che gli gravava sulle spalle. E avrebbe
dato qualsiasi cosa affinché Jenny partisse con loro, anche
se era ormai certa, perché si fidava ciecamente del proprio
istinto, che ciò non sarebbe accaduto. L’amica non
sarebbe tornata in Giappone. Forse Amy e Patty ancora lo speravano, ma
lei non più. Soffocò uno sbadiglio, stava morendo
di sonno. Al ritorno dalla discoteca aveva trascorso le poche ore che
restavano della notte a scrivere l’ultimo pezzo dedicato
all’amichevole della nazionale giapponese contro
l’Italia, affinché venisse pubblicato in Giappone
quel giorno stesso. Era riuscita, con un paio di caffè, a
restare sveglia e recettiva per tutta la mattina ma da quando si era
seduta al ristorante del borgo, la stanchezza di quella notte insonne
le era calata addosso e non aveva fatto che soffocare sbadigli durante
tutto il pranzo.
Con gli occhi che quasi le si chiudevano, si alzò e
attraversò la hall come uno zombie in cerca di un altro
caffè. Passando accanto a Philip che s'era messo a vagare
tra i compagni senza pace e senza meta, lo prese per un braccio e lo
trascinò con sé.
-Vieni, dobbiamo parlare.-
Evelyn era decisa ad approfittare di quegli ultimi barlumi di
lucidità per riuscire finalmente a dirgli ciò per
cui l’aveva tampinato fin dalla prima sera lì in
Italia, perché forse più tardi, nella frenesia
della partenza, non ne avrebbe avuto il tempo. Sull’aereo non
ci sarebbe stata abbastanza privacy e una volta atterrati in Giappone
lui sarebbe fuggito per prendere la coincidenza per Sapporo, lei e
Bruce il treno per Fujisawa. Evelyn temeva fortemente che la delusione
scaturita dalla decisione di Jenny di restare in Italia, avrebbe fatto
precipitare l’amico nella stessa identica depressione che lo
aveva accompagnato a Torino, inducendolo ad agire di nuovo da
irresponsabile. Lei voleva evitarlo a tutti i costi.
Philip la seguì svogliato ma quasi grato che
l’avesse trascinato via dalla confusione dei compagni. Dopo
una mattinata frustrante, aveva sperato che la giornata migliorasse. Ma
si era sbagliato. Era frustrato esattamente come quando quella mattina
si era svegliato da solo nel letto di Jenny a casa di Mark. Si
sedettero insieme al bar, vicino ad una finestra che si affacciava sul
giardino dell’hotel, le piante in balia della pioggia
scrosciante. Incredibilmente la piscina in cui Jenny e Gentile erano
caduti quella prima sera si trovava ancora al suo posto, i pergolati, i
vasi e i tavoli tra cui Philip aveva vagato confuso e sconvolto quando
aveva visto il giocatore italiano baciarla erano sempre lì,
quasi a ribadire che tutto ciò che era successo in quei
giorni era stato reale. Così come era reale ciò
che era accaduto quella notte tra lui e Jenny. Un cameriere si
avvicinò per prendere le ordinazioni. Dopo essersi
rapidamente consultati, Philip ordinò un caffè
ciascuno. Pochi istanti dopo avevano davanti due tazzine fumanti.
Evelyn non perse tempo in preamboli, lo affrontò diretta
come al solito.
-Philip, devi assolutamente smettere di frequentare le feste di Daniel
Baird.-
Convinto com’era che l’amica l’avesse
preso da parte per parlargli di Jenny, perché forse sapeva
qualcosa più di lui, Philip s’irrigidì
come un palo. Non riuscì a fare altro che tacere a disagio,
mentre lei proseguiva dritta sparata.
-Cominciano a diffondersi parecchie dicerie su quelle feste. Baird
è riuscito a farsi un giro di invitati importanti e famosi e
la curiosità di sapere nei particolari cosa accade durante i
suoi raduni sta crescendo. L'interesse non riguarda soltanto la mia
categoria, Philip. Anche le forze dell'ordine cominciano a buttarci un
occhio. Che vi giri roba illegale ormai si sa per certo e se continui a
frequentare quella gente, quando altre notizie più precise
verranno alla luce non sarà una cosa buona per te,
indipendentemente da ciò che hai fatto o farai mentre sei
lì.-
-Veramente io non…-
Evelyn sollevò una mano per zittirlo.
-Non voglio saperlo, Philip. Ti stimo e non voglio cambiare
l’idea che mi sono fatta di te. Non è per
ascoltare le tue giustificazioni che ti ho detto che volevo parlarti.-
sorseggiò il caffè, poi posò la
tazzina sul piatto -Lo sto facendo perché sono preoccupata.
Per favore, dammi retta. Non andarci più, rischi di giocarti
la carriera. E sono sicura che non vuoi che ciò accada.-
-Secondo te di cosa stanno parlando?- Bruce si mosse sulla poltrona,
sprofondando tra i cuscini di pelle nera. Teneva gli occhi strizzati su
Philip ed Evelyn ma era troppo lontano per riuscire a sentire.
Benji sorrise.
-Evelyn gli sta dicendo che vuole lasciarti e che, se Jenny non torna
in Giappone, sarebbe disponibile a mettersi con lui.-
L’altro si afflosciò.
-Sono un cretino, perché te l’ho chiesto?-
-Perché sei un cretino.-
Bruce si alzò e fece un giro intorno al bar, spinto dalla
bruciante curiosità di sapere. Ma arrivato nei pressi del
tavolo occupato dalla coppia, lo accolse un frustrante silenzio.
L’occhiataccia che gli lanciò Evelyn quando lo
individuò, gli fece passare la voglia di fermarsi con loro e
impicciarsi. Quando Harper si fu allontanato, Philip si decise a
parlare.
-Farò come dici tu, Eve.-
Pagò i due caffè e, seguito dalla giovane, si
affrettò a tornare in camera per recuperare le valigie. I
compagni si stavano radunando nella hall con i rispettivi bagagli. Il
pullman che li avrebbe condotti all’aeroporto era entrato nel
parcheggio dell’albergo e aveva accostato lungo il
marciapiede ricoperto dalla tettoia. Pearson era uscito per parlare con
l’autista sollecitando gli ultimi ritardatari ad affrettarsi.
Il loro soggiorno a Torino era ormai agli sgoccioli e Jenny non si
faceva ancora vedere. Mentre Philip usciva insieme al resto della
squadra e s’incamminava verso il pullman, percorrendo il
marciapiede sotto la tettoia senza bagnarsi, continuò a
guardarsi intorno sempre più depresso.
Jenny tornò a casa per riprendere fiato. In cucina
trovò i resti della colazione di Philip e Mark. I piatti e
le tazze erano rimasti nel lavandino, immersi nell’acqua.
Lavò le stoviglie, le mise a scolare, salì di
sopra ed entrò in camera. Philip aveva rifatto il letto,
tirato le coperte e riposizionato i cuscini, sbagliandone
però la sistemazione. Gli fu grata di aver cancellato le
tracce di quella notte, le lenzuola disfatte, l’impronta dei
loro corpi sul materasso dove si erano amati. Tirò fuori
degli abiti puliti e si concesse una doccia. Erano quasi le tre e aveva
cominciato a piovere in modo decisamente convincente. Il cielo era
coperto di nuvole e probabilmente avrebbe continuato così
fino a sera. Se Jenny voleva arrivare all’aeroporto in tempo
per salutare gli amici doveva darsi una mossa. Sperando di non essere
d'intralcio alla riappacificazione con la sua ex, telefonò a
Salvatore.
Lui passò a prenderla a casa, Jenny lo aspettava sulla
soglia, alcune buste posate per terra all'asciutto, un ombrello in mano
pronto ad essere aperto. L’alfa romeo rossa si
accostò al marciapiede, lei caricò le buste sul
sedile posteriore e prese posto davanti.
-Grazie per il passaggio.-
-Fai bene ad approfittare finché sono disponibile.-
partì con una sgommata per riuscire a passare il semaforo
prima che facesse rosso -Hai fatto spesa?-
-Sono regali.- si allacciò la cintura, scrollò
via le gocce di pioggia che le bagnavano la borsa e si volse a
guardarlo. Era bellissimo come al solito, forse anche più di
come ricordava, con quei capelli giallo oro e gli occhi azzurri come il
cielo. Dopo quello che era successo la notte precedente con Philip non
si sentiva capace neppure di toccarlo ma continuò a fissarlo
cercandogli in faccia i dettagli della conversazione che si era svolta
tra lui e Clarissa. Odiava pensare di aver detto alla ragazza di
chiamarlo per alleggerirsi la coscienza, ma forse il motivo era proprio
quello. Certo, il giorno prima Salvatore aveva messo fine al loro
rapporto, se mai lo era stato, lasciandola libera di tornare in
Giappone. Le aveva addirittura consigliato di rimettersi con Philip
quindi non avrebbe dovuto provare nei suoi confronti neppure un
minuscolo senso di colpa per ciò che era successo
la notte appena trascorsa. Però sentiva lo stesso
qualcosa che dentro la pungolava in quel senso e non poteva farci
niente. Sperava che presto le cose tra Salvatore e la sua ex si
sistemassero e sperava che la telefonata fosse un passo in quella
direzione. Lo guardò ma non riuscì a scorgere
niente che potesse lenire la sua colpa o soddisfare la sua
curiosità. Lui si sentì i suoi occhi addosso e si
volse.
-Dov’è la tua valigia?-
-Non c’è.-
-Ero sicuro che saresti partita anche tu. Ti ho lasciata libera
apposta.-
-Mi hai lasciata perché non è me che ami.-
Gentile si fermò ad un semaforo rosso e le prese una mano. I
tergicristalli si muovevano su e giù ripulendo il vetro
dalla pioggia insistente.
-Forse…- le lanciò un’occhiata e
sorrise ammiccante -Ma avrei voluto lo stesso fare l’amore
con te. Sono sicuro che mi sarebbe piaciuto e sono ancor più
convinto che sarebbe piaciuto anche a te.-
Jenny arrossì, lui rise e le accarezzò una
guancia.
-A Callaghan dispiacerà che resti qui. Si vede da come ti
guarda che ti ama. Secondo me dovresti andare.-
-In Giappone lui ha un’altra.-
-E allora? A lasciare una persona ci vogliono pochi istanti. Molto meno
di quanto ci vuole per conquistarla, fidati.- si fermò a un
semaforo e riprese -Price mi ha detto che siete stati insieme parecchi
anni.-
-Benji parla troppo.-
Jenny si chiese in quale occasione Salvatore e Benji avessero avuto
modo di scambiarsi informazioni su di lei. Con una mano si
lisciò la gonna sulle gambe. Non poteva andare avanti a
discutere con Gentile del perché avesse deciso di non
tornare in Giappone. Non avrebbe saputo spiegarlo, non aveva voglia di
parlarne. Parlare di Philip con Salvatore la metteva a disagio ma
soprattutto, con la sua partenza alle porte, le risultava estremamente
doloroso a prescindere.
C’erano parecchi posti liberi nel pullman ma Mark si impose
di sedersi accanto a Philip. Il ragazzo emanava gelo da tutti i pori e
nessuno si era sentito sufficientemente masochista da voler occupare
quel sedile, neppure Peter Shake, che aveva passato buona parte della
mattina collegato con Skype a parlare con Grace della mancata
riconciliazione tra Jenny e Philip. Il resto della squadra aveva
saggiamente deciso di tenersi alla larga e far confusione altrove.
Quando Mark gli era arrivato accanto percorrendo mezzo pullman, Philip
teneva gli occhi fissi sulla strada. Aveva incrociato il suo sguardo
riflesso sul vetro nel momento in cui si era seduto al suo fianco ma
non aveva fatto una piega.
Si ignorarono per parecchi chilometri, Mark sicuro che fremesse per
avere notizie di Jenny, Philip convinto di non aver niente di cui
parlare. Nel momento in cui Landers si rese conto che se il compagno
gli avesse chiesto dov'era la ragazza non sarebbe stato in grado di
dirglielo, decise di chiamarla. Jenny gli rispose al quinto tentativo,
quando ormai sbuffava come una pentola a pressione e s’era
intestardito a volerla sentire a tutti i costi, sacrificando la
batteria del cellulare che era ormai a metà.
-Siamo quasi all’aeroporto, Jenny. Dove accidenti sei?-
“Abbiamo fatto tardi. C’è un traffico
pazzesco qui in centro e…”
La sua voce fu coperta dalle sirene di un’ambulanza e Mark
tirò indietro il cellulare per non esserne assordato.
-“Abbiamo”?- la citò non appena il mezzo
di soccorso fu passato -Sei con Gentile?-
“Sì, sono con lui.”
-Passamelo.-
“Sta guidando.”
Mark si chiese perché ogni volta che le chiedeva di fare
qualcosa, tirasse fuori tutte quelle storie.
-Metti il vivavoce.-
Philip passò una mano sul vetro per ripulirlo dalla condensa
ma i rivoli d'acqua che solcavano il finestrino deformavano tutto
ciò che era fuori. Non riusciva a credere che Jenny si
trovasse di nuovo con Gentile, che fosse a spasso con lui invece che a
preparare la valigia. Aveva davvero deciso di non partire?
Sentì Landers iniziare un concitato botta e risposta in
italiano e fu colto da un’ondata di rabbia. Era stanco di non
capire quello che dicevano le persone intorno a lui, di trovarsi in
balia della volontà altrui. Tutto ciò gli
trasmetteva un senso di impotenza molto simile a quello che aveva
provato quando aveva visto per la prima volta Jenny tra le braccia di
Gentile, lo stesso identico sentimento che lo aveva invaso quando lei
lo aveva allontanato per tornare sugli spalti dello stadio accanto alle
amiche e quando lo aveva respinto sulla pista di pattinaggio. Un senso
di impotenza che lo faceva sentire incapace di fare qualsiasi cosa per
indurla a tornare con lui in Giappone. Ci aveva provato allo stadio
quando l’aveva baciata, nascosti tra le colonne del
ristorante. Sperava che la notte precedente fosse servita a
convincerla, ma più Jenny si negava e più il filo
di speranza che ancora lo univa a lei si assottigliava.
Philip sentì Mark agitarsi sul sedile per riporre il
cellulare nella tasca dei pantaloni. Continuò a tacere, non
si volse. Non gli chiese nulla. Gli occhi fissi sulla strada che
scorreva alla sua destra, tornò a riflettere per
l’ennesima volta su cosa avrebbe dovuto tentare che non aveva
ancora provato perché Jenny salisse sul suo stesso aereo.
Gli tornarono in mente le sensazioni che gli aveva lasciato il corpo di
lei la sera precedente, le sue carezze e i suoi baci. Si maledisse per
non essersi svegliato prima che Jenny se ne andasse, prima che lo
lasciasse solo con i suoi dubbi e le sue angosce. Capiva che era
inutile illudersi che la giovane arrivasse all’aeroporto con
la valigia. Anche se non poteva fare a meno di sperarlo, era quasi
certo che quel giorno non sarebbe partita con loro. Lo aveva intuito
dall’espressione scoraggiata che le aveva letto negli occhi
quando allo stadio gli aveva chiesto se era andato a letto con Julie
Pilar. Lo aveva percepito nel momento in cui Mark aveva tirato fuori
dal cassetto della sua scrivania quella maledetta foto. Sentiva che
Jenny non si fidava, se n’era reso conto quando la sera prima
l’aveva vista ritrarsi più di una volta, lottare
con i sentimenti che provava per lui e la voglia matta di fuggire, come
se Philip rappresentasse un pericolo per la sua vita. Gli sembrava di
aver letto nei suoi occhi il terrore di soffrire e in
quell’istante aveva compreso che ricostruire il loro rapporto
sarebbe stato più complicato di quanto avrebbe mai creduto.
Oltre tutto questo, si rendeva conto che dopo quei lunghi mesi passati
da solo, lui per primo doveva mettere ordine nella propria vita e nella
propria testa, riordinare le priorità, ricostruirsi quel
futuro che, dopo aver lasciato Jenny, si era sgretolato. In Giappone
aveva lasciato troppe situazioni aperte, il suo ruolo in squadra che
aveva perso importanza diventando del tutto trascurabile, le feste di
Baird a cui aveva accennato Evelyn e, la più spinosa di
tutte, Julie Pilar. Il volto bellissimo e sorridente della fotomodella
gli apparve nella testa, insieme al desiderio di non rivederla. Il solo
pensare di stringerla di nuovo tra le braccia come era accaduto meno di
un mese prima, di passare la notte nel suo appartamento e nel suo letto
gli serrò lo stomaco di disgusto verso se stesso. Si chiese
come fosse riuscito a farlo per tutto quel tempo e si rese conto che
non avrebbe più potuto comportarsi così con
qualcuna che non fosse Jenny. Non voleva più.
Mark taceva pensando che aveva parecchie cose da farsi perdonare, la
prima tra tutte l’avergli tenuto nascosto che Jenny abitava
da mesi con lui. Sederglisi accanto era stato un segnale di pace, un
tentativo di ricucire un’amicizia che rischiava di spaccarsi
in modo definitivo. Fare quel genere di discorsi non era certo il suo
forte ma decise che ci avrebbe provato lo stesso. Era sicuro che
Callaghan avrebbe capito quanto gli costasse chiedergli scusa.
Dopo aver tentato di guardarlo attraverso il vetro appannato,
provò ad intavolare una conversazione, pronunciando per
prime le parole che faticavano ad uscire.
-Avrei dovuto dirti subito che Jenny era da me.-
Philip si volse a guardarlo con un movimento lentissimo e trafisse Mark
con uno sguardo colmo di ironia.
-Davvero? Ero sicuro che non l’avresti mai ammesso.-
A pensarci bene, però, a Philip non importava più
nulla che Landers gli avesse taciuto una cosa tanto importante. E non
gli interessava più neppure che si scusasse. La delusione
nei sui confronti era stata assorbita dalla decisione di rimettersi con
Jenny e dal terrore che lei lo lasciasse partire da solo.
Tornò a guardare fuori.
-Quando mi ha detto che vi eravate lasciati non le ho creduto.
L’hai lasciata tu, vero?- Callaghan restò
impassibile e Mark continuò -Comunque l’avevo
capito. Lei non lo avrebbe mai fatto. Tu l’hai fatta stare
male e ti ho odiato per questo. Jenny non se lo merita, non si merita
niente di ciò che le è successo.- strinse i
pugni, soffocando la stizza di sentirsi parlare da solo
-All’inizio ho deciso di non farti sapere che Jenny era con
me perché ero convinto che si sarebbe stancata presto di
Torino. Ero sicuro che nel giro di un paio di settimane sarebbe tornata
in Giappone.-
Si lanciò un’occhiata intorno chiedendosi se
qualcun altro li stesse ascoltando. Osservò per un istante
Tom seduto accanto a lui dall’altra parte del corridoio, gli
occhi chiusi in cerca di un po’ di riposo. Forse non stava
perdendo una parola, tale e quale a Peter Shake che non poteva vedere
ma che sapeva seduto davanti a loro.
-Quando ho capito che non l’avrebbe fatto, che aveva
intenzione di fermarsi, ormai era troppo tardi per avvertirti.-
-Smettila di dire cazzate, Landers. Dì piuttosto che ti
sentivi in colpa per la tua idilliaca convivenza con la mia ex ragazza
e che non hai avuto il coraggio di chiamarmi.-
-Faccio finta che non hai parlato. E se vuoi saperlo, dopo aver visto
la foto in cui sbaciucchiavi Pilar, mi è passata
completamente la voglia di avvertirti.-
L'altro ammutolì.
-Pensavo di conoscerti Philip, almeno un po’. E invece
più ci penso e meno riesco a spiegarmi come ti è
venuto in mente di metterti con quella.- Mark fremeva di rabbia. Il suo
tono di voce s’era abbassato -Ma soprattutto come ti
è saltato in testa di lasciare Jenny?-
Udendo finalmente le parole che ormai si aspettava da giorni, Philip
capì che lo sfogo dell’amico era terminato. Non
ebbe nulla da replicare. Tornò a fissare la strada che
scorreva al di là del finestrino e restò in
silenzio per tutto il resto del viaggio mentre accanto a lui Mark
sbolliva pian piano.
Il pullman arrivò all’aeroporto con le consuete
due ore abbondanti di anticipo.
-Passami lo specchietto.- ordinò Clifford alla cugina mentre
l'autista faceva manovra nel parcheggio coperto riservato agli autobus.
-Che ci devi fare?-
-Non vedi che è pieno di giornalisti?-
Evelyn frugò nella borsetta e porse lo specchio a Yuma.
-Se vuoi posso darti anche il rossetto.-
-Idiota.- rispose a mezza voce lui, dandosi un'occhiata al ciuffo. Lo
trovò in ordine e restituì lo specchio alla
ragazza.
-Qualcun altro ha bisogno di rifarsi il look?- rise lei agitandolo in
aria e rendendo pubblico ciò che il cugino avrebbe voluto
far passare in sordina.
-Dai qua.- Jason Derrick glielo sfilò di mano e lo
avvicinò a Julian, in piedi a recuperare i propri pacchi dal
portaoggetti.
-Ne hai bisogno per le tue fan?-
-Piantala imbecille.-
Scesero l’uno dietro l’altro e si accalcarono sul
fianco della vettura per riprendere ciascuno il proprio bagaglio che si
era sparpagliato ovunque, sballottato nel ventre capiente
dell’autobus.
-Dove sono i facchini?- domandò Bruce guardandosi intorno.
-Sei sempre stato un fannullone, ma non mi aspettavo fino a questo
punto.- Bob Denver lo spintonò nel vano bagagli e lui, per
recuperare la propria valigia, fu costretto a scaricarne almeno altre
cinque.
Si tirò su accaldato, passandosi la manica della giacca
sulla fronte.
-Ve l'avevo detto che ci volevano i facchini.-
-Togliti di mezzo Harper, sei d'intralcio e per di più
completamente inutile.- Benji lo scostò da parte.
-Ma se ho scaricato mezzo pullman!-
-Infatti, hai preso le valigie di tutti tranne la mia.-
Bruce sparò una pernacchia al portiere, poi si
allontanò dalla ressa.
-Cazzo Johnny! Mi hai massacrato un piede!- ululò James
tirandosi indietro per sfilare la scarpa da sotto la rotella del
pesantissimo trolley di Mason -Che cavolo hai messo in valigia?-
-Souvenir per tutti i miei parenti. Ho perlomeno sette chili di pasta.-
-Stamattina ha svuotato un supermercato...- li mise al corrente Paul
Diamond ridendo.
-Ti fa male il piede?-
-Un male cane!-
-Fortuna che la partita è stata ieri.- lo consolò
il gemello -Altrimenti saresti dovuto restare in panchina.-
-Bravi, infortunatevi adesso che abbiamo giocato.- approvò
anche Holly. Recuperò la propria valigia e quella di Patty
mentre Sandy Winter, pungolato da Yuma con un calcio nel sedere,
s'infilava carponi all’interno del ventre capiente del
pullman. Clifford non aveva dimenticato lo scherzo architettato da
Bruce e dai gemelli Derrick e dei quali, aprendo loro la porta, Sandy
si era reso complice. Il ragazzo cercava di stargli alla larga il
più possibile ma nella mischia gli era capitato davanti e
Yuma, che lo puntava, ne aveva naturalmente approfittato.
La sfortuna del gigante della Hirado fu che Evelyn se ne accorse.
-Vuoi lasciarlo in pace, Clifford? Sono due giorni che lo stai
martirizzando.-
Yuma fissò la cugina con uno sguardo falsamente innocente
mentre il compagno gli allungava timidamente la borsa.
-Chi, Eve?-
-Sandy. Non trattarlo così!-
-Così come?- insistette Yuma lanciando un’occhiata
distratta a Ed che si avvicinava.
Warner recuperò la propria valigia e, visto che
c’era, avvicinò ad Amy la sua che era finita fuori
mano. La ragazza, pur sporgendosi sotto i portelloni sollevati, non
riusciva a raggiungerla.
Benji lo osservò sorridere mentre lei lo ringraziava e lo
maledisse per l'ennesima volta di avergli fregato mezza partita. Mentre
si voltava stizzito per proseguire verso l'ingresso dell'aeroporto si
scontrò con Philip che invece esitava.
-Cos'hai?-
-È pieno di giornalisti.-
-Come al solito, di che ti meravigli?- in prima fila scorse Steiner, la
macchina fotografica che gli copriva parte del viso mentre li
immortalava, ma nonostante ciò abbastanza vicino da essere
facilmente riconoscibile -Ignoralo, se lo fissi va a finire che nelle
sue foto vieni bene.-
Anche Amy non amava particolarmente i giornalisti, in generale odiava
la notorietà, soprattutto perché Julian ne aveva
già abbastanza per entrambi. Si tenne in fondo al gruppo,
cercando di passare inosservata o quasi. Del resto nessuno dei
fotografi era interessato a lei. Varcato l'ingresso dell'aeroporto, si
guardò intorno alla ricerca di Jenny, tante volte l'amica le
avesse precedute e fosse già lì. Non la vide da
nessuna parte e tornò a chiedersi se sarebbe venuta.
Continuò a guardarsi intorno ansiosa per una buona mezz'ora.
I ragazzi avevano radunato i bagagli in un angolo e si erano
sparpagliati nell'ampio e luminoso atrio in attesa che il check-in
aprisse per imbarcare le valigie. Non c'era un volo diretto fino a
Tokyo, avrebbero dovuto fare scalo a Londra, attendere un'ora e mezza
la coincidenza e proseguire con la Japan Airlines. Sarebbero arrivati
all'ora di pranzo del giorno successivo. Non era per niente impaziente
di fare quel volo lungo ed estenuante e sperava di riuscire a dormire
per buona parte del viaggio. Si avvicinò a Mark che, al
contrario dei compagni eccitati dalla partenza, non aveva niente da
fare e bighellonava annoiato senza meta su e giù per
l'androne.
-Jenny, non arriva. Fai qualcosa.-
Lui la guardò dall'alto in basso.
-Mi dispiace, Amy. Ho dimenticato la bacchetta magica a casa.-
-Almeno chiamala!-
-Ancora? Ci ho parlato poco fa e mi ha assicurato di essere per strada.-
Philip strinse i pugni, per dar sfogo alla tensione che percorreva il
suo corpo. Si chiese perché Jenny fosse sparita per tutto il
giorno. Che fine aveva fatto? Che diavolo stava combinando?
Un’insistente vocina carica di speranza continuava a
sussurrargli che forse si sarebbe presentata con la valigia e sarebbe
tornata indietro con lui. Ma più lei tardava e
più quella vocina si faceva flebile. Alzò gli
occhi su Mark che fissava teso le entrate dell'aeroporto, si fece
contagiare dalla sua espressione preoccupata anche se era quasi sicuro
che Jenny all'aeroporto sarebbe venuta. Almeno per salutarli. Un
contrattempo avrebbe potuto trattenerla, o farla arrivare troppo tardi
ma lui era quasi certo che si sarebbe presentata. Forse non sarebbe
partita con loro, ma entro poco sarebbe apparsa.
Nel momento in cui il cellulare rispuntava tra le dita impazienti di
Landers, Amy balzò in piedi e corse verso le entrate,
travolgendo Jenny in un abbraccio di sollievo. Salvatore accolse
divertito l'impeto della ragazza.
-Vedi Jenny? Abbiamo fatto talmente tardi che non ci speravano
più!-
Lei sorrise, cercando di liberarsi con gentilezza dall'abbraccio di Amy
nonostante le buste che portava appese alle braccia.
-Avevo paura che non venissi, mi hai fatta preoccupare da
morire…-
-Mi dispiace, abbiamo trovato un traffico pazzesco. Anch'io temevo di
non arrivare in tempo per darvi questi.- agitò le buste
nelle mani.
-Cos'hai portato?-
-Dei regali per te, Patty ed Evelyn.-
Amy arrossì.
-Dei regali? Ma non dovevi!-
-Perché no?-
Amy notò i nomi delle marche riprodotti sulle buste.
-Jenny, non dovevi… Ti sarà costato una fortuna.-
-Ho speso il giusto, non preoccuparti. E se l'ho fatto è
perché ho potuto.-
La curiosità spinse Patty ed Evelyn accanto a loro.
-Jenny ci ha portato dei regali.-
-Grazie Jenny, è stato proprio un bel regalo portarlo
all'aeroporto.- Evelyn fissava Gentile con occhi adoranti
-Così ho potuto vederlo dal vivo ancora un'ultima volta.-
-Oltre a Salvatore ti ho portato anche questo.- rise Jenny mettendole
in mano una busta.
-Ti dispiace se lo apro dopo? Adesso voglio dedicare i miei ultimi
istanti in Italia all'altro regalo.-
-Fai pure...- si rivolse a Salvatore che le era rimasto accanto ma
chattava con qualcuno al cellulare -Evelyn vorrebbe ringraziarti per
l'intervista e salutarti.- gli disse prendendolo per un braccio e
spingendolo verso l'amica.
Lo sguardo azzurro di Salvatore si spostò sulla ragazza,
l'abbagliò con un sorriso seducente e si chinò
per baciarla sulle guance. Quando si scostò Evelyn era
sconvolta, impietrita, bianca come un cencio. Si portò le
mani al viso, diventando d'un tratto paonazza.
-Non ho mai ricevuto un regalo d'addio così bello!-
mormorò vacillando indietro perché le gambe non
reggevano l'emozione.
-Eve!- la voce di Bruce raggiunse la sua coscienza, fastidiosa come il
ronzio di una mosca -Che stai facendo?- ovviamente lo ignorò.
La reazione di Evelyn aveva divertito Salvatore.
-Devo salutarle così tutte e tre?- chiese perplesso
perché quante volte gli aveva detto Jenny che per salutarsi
i giapponesi, non si baciavano mai?
-No, basta Evelyn, lei è una tua fan sfegatata.-
Gentile annuì e riservò a Patty ed Amy una
calorosa stretta di mano.
-Mi allontano un attimo, devo fare una telefonata urgente...- si
scusò.
Jenny gli sorrise, poi si rivolse a Patty consegnandole due buste.
-Il vestito della serata di beneficenza ti stava d'incanto. Molto
meglio che a me, il rosso non mi dona. Prendilo, troverai sicuramente
il modo di indossarlo.-
-Ma Jenny, scherzi? Ti sarà costato un patrimonio!-
-Mi sono tolta uno sfizio, ma sono felice di donarlo a te. Ho cercato
una borsetta che fosse adatta ma non troppo elegante in modo che tu
possa usarla anche in altre occasioni. Spero che ti
piacerà.-
Evelyn si domandò se per poter far loro quei regali Jenny
avesse chiesto un prestito a Gentile. L'associazione di idee la spinse
a cercare il ragazzo biondo che l'aveva baciata per ben due volte e non
lo trovò da nessuna parte. Forse era uscito per parlare al
telefono più liberamente. Se ne dispiacque, avrebbe voluto
bearsi della sua bellezza ancora per un po'. Tornò a
guardare Jenny.
-Quando tornerai in Giappone?-
-Non lo so.-
Il disagio la spinse a distogliere gli occhi da loro, finendo per
incrociare proprio lo sguardo di Philip. Lui la osservava da
chissà quanto ma quando i loro occhi s'incontrarono, si
affrettò a voltarsi di spalle. Un istante prima che lui
interrompesse quel contatto, a Jenny sembrò di leggergli in
faccia un'espressione carica di accuse. Un senso di imbarazzo e di
mortificazione la investì in pieno e le sembrò
d'un tratto di sapere ciò che stava pensando. Si chiese fino
a che punto il suo comportamento lo stesse ferendo: passare un'intera
notte a letto a rotolarsi con lui sotto le coperte e poi arrivare in
aeroporto accompagnata da Salvatore, mostrandosi del tutto indifferente
nei suoi riguardi, come se tra loro non fosse accaduto nulla, come se
per lei ciò che c'era stato la sera precedente non avesse
alcuna importanza.
Amy, consapevole che il momento per farle cambiare idea era ormai
passato, le prese una mano e gliela strinse tra le sue.
-Non sparire di nuovo. Ogni tanto fammi sapere che sei viva.-
Jenny si chiese se ne sarebbe stata capace. Cercò di nuovo
Philip. Lanciargli occhiate, seppur furtive, era diventata una
necessità urgente, quasi a volersi scusare, quasi a volergli
far capire che la notte che avevano trascorso insieme per lei era stata
importante ma c'erano altre cose a trattenerla. Più i minuti
passavano e più si avvicinava il momento in cui Philip si
sarebbe allontanato, di nuovo e definitivamente, serbando un terribile
ricordo del loro ultimo incontro. Così come cercava i suoi
occhi per scusarsi, nello stesso tempo per Jenny era diventato
urgentemente necessario non incrociare il suo sguardo per non sentire
ancora più male.
Ma Philip, profondamente ferito dal suo fare scostante, smise
definitivamente di cercarla e si arroccò sulla difensiva. Da
quel momento in poi, ogni volta che Jenny gli dedicava un'occhiata, lo
trovava voltato o intento a parlare con qualcuno dei compagni. La
ignorava come in quegli ultimi giorni non aveva più fatto,
come se fosse trasparente, come se non esistesse, come se non fosse
lì. Come se non la conoscesse, come se quella notte l'avesse
passata nella sua camera d'albergo e non con lei. In un attimo era
tornato tutto esattamente come prima.
Lo vide avviarsi con i compagni verso il banco del check-in, depositare
la valigia sul nastro e porgere alla hostess il passaporto e il
biglietto. Le salirono le lacrime agli occhi. Se ne stava andando senza
tentare più nulla per portarla via con sé. Forse
si era stancato dei suoi rifiuti, forse aveva rinunciato, o magari si
era reso conto che non l'amava abbastanza. Magari lo aveva capito
proprio durante quella notte appena trascorsa, mentre facevano l'amore.
Lo scorrere rapido di pensieri disfattisti le impedì di
rendersi conto che la decisione di non tornare insieme era anche sua,
che Philip sperava che fosse lei, stavolta, a fare un passo verso di
lui. Pensò soltanto che Evelyn aveva avuto torto, che lei
stessa era stata una stupida a illudersi.
Sentì qualcuno circondarle le spalle con un braccio. Non
ebbe bisogno di voltarsi per capire che si trattava di Salvatore.
-Ho parlato con la mia ex, stamattina.-
Jenny finse di cadere dalle nuvole e mostrò una gioia che in
quel preciso momento non riusciva a provare neppure sforzandosi.
-Avete fatto pace?-
Un moto di orgoglio gli illuminò gli occhi.
-Assolutamente no. Non è così facile
riconquistarmi.-
Il suo sorriso stavolta fu leggermente più spontaneo.
-Davvero?-
-Ricominceremo da capo, come se non ci conoscessimo. E stavolta lei
dovrà essere molto ma molto convincente.-
Patty non riusciva a raccapezzarsi. Philip non stava facendo niente per
cercare di riavvicinare Jenny. Se non avesse assistito con i propri
occhi alla scena sulla pista di pattinaggio, non avrebbe mai creduto
che appena due giorni prima lui avesse tentato di riportarla a
sé. Perché la ignorava? Perché non
faceva un ultimo tentativo per convincerla a tornare con lui? Eppure le
sembrava che Jenny non aspettasse altro per imbarcarsi sullo stesso
volo, nonostante si sforzasse di nascondere ciò che provava
davvero. Patty aveva riconosciuto lo sguardo con il quale continuava a
cercare quello impenetrabile di Philip perché aveva visto
tante volte brillare qualcosa di simile negli occhi dell'amica quando
erano ancora insieme. E le si stringeva il cuore a non poter fare nulla
per loro.
Kirk Pearson si avvicinò a Jenny per salutarla.
-Mi ha fatto piacere trovarti qui. Spero di rivederti in qualche altra
occasione.-
-Arrivederci.- rispose stringendogli la mano.
Anche Gamo e Freddie, e ovviamente il resto della squadra, ebbero una
parola per lei.
-Quando tornerai in Giappone vieni a vederci giocare.- la
invitò Clifford -Sei sempre la benvenuta a tutti i nostri
incontri. Qui in Italia la tua presenza a bordocampo è stata
un piacere per gli occhi.-
-Smettila con le sviolinate, Yuma, tanto Jenny non si lascia incantare
da un orso come te.- lo zittì Bruce strizzandole nel
contempo un occhio.
-Sappi che quando ti sarai stufata di Gentile e di Landers, mi troverai
disponibile.-
-Lascia stare, non reggi il confronto con nessuno dei due.-
-Evelyn, vai a farti un giro.-
-Sì, possibilmente verso il banco del check-in. Mancate
soltanto tu ed Amy, gli altri hanno già imbarcato
le valigie.-
-Andiamo, andiamo Tom. Non ti agitare.-
Jenny rimase dov’era ad osservare le due amiche che
ritiravano le carte d'imbarco e depositavano i bagagli sul nastro. Solo
quando vide Clifford, i gemelli Derrick, Alan e Marshall mettersi in
fila per il controllo del metal detector, ebbe la forza di prendere
atto che sarebbe rimasta di nuovo sola. Fece uno sforzo enorme per
trovare il coraggio di restare fino all’ultimo. Con un tuffo
al cuore seguì Philip con lo sguardo. Senza voltarsi
indietro neppure una volta, un’espressione impenetrabile e le
labbra serrate, il ragazzo oltrepassò il varco della
sicurezza. Philip se ne stava andando e lei non stava facendo nulla per
seguirlo. Philip se ne stava andando e non stava facendo nulla per
riprenderla con sé. Quando non poté scorgerlo
più, un senso di panico le attanagliò lo stomaco.
-Torna presto…- si raccomandò Amy con gli occhi
lucidi di lacrime.
Jenny annuì perché in quel momento non poteva
fare altro. Non riuscì a dire nulla, la voce le si era
bloccata in gola formando un groppo che non le andava né su
né giù.
-Grazie per i regali. L'ultimo che mi hai fatto è
impagabile.- Evelyn l'abbracciò e ne approfittò
per sussurrarle alcune parole all'orecchio -Non dimenticare quello che
ti ho detto ieri sera in discoteca.-
Peter Shake si avvicinò a Philip che procedeva isolato dagli
altri. Il suo viso, da quando Jenny era arrivata in aeroporto, si era
trasformato in una maschera inespressiva e pure sforzandosi, non
riusciva a farsi un'idea di ciò che stava provando. Ma
Grace, su Skype, insisteva per parlargli, così non
poté fare altro che accostarsi e porgergli il cellulare.
A Philip prese quasi uno scompenso quando vide chi lo stava osservando
dallo schermo del telefonino del compagno. Grace era lì,
impettita, in quella che doveva essere la sua camera, seduta al tavolo
davanti al pc. Alle sue spalle una parete bianca, l'angolo di una tenda
e sul muro delle mensole con i libri. Non la salutò, neppure
lei lo fece.
“Solo due domande, Philip. Dove sei?”
Dal tono che usò, scandendo le parole e misurando la voce,
lui capì che doveva essere furibonda. Si ripromise di
maledire Peter, che si era prudentemente allontanato da loro e non si
vedeva da nessuna parte. Dopo avergli mollato Grace, doveva essere
scappato. Philip si tirò su un lato del lucido corridoio e
si appoggiò contro la vetrina del duty-free, sperando che la
parete l'avrebbe aiutato a sostenere la collera dell'amica.
-In aeroporto.-
Lei annuì, del resto lo sapeva già. Quella che
contava era la domanda numero due.
“Bene. E dov'è Jenny?” lui tacque,
perché anche quella era una domanda retorica “In
Italia dovevi fare solo una cosa, Philip: prendere Jenny e riportarla a
casa.”
Lui si sforzò di mantenere la calma.
-Come, Grace? Mi spieghi come? Jenny non è una valigia che
si prende e si porta. E poi, se volevi davvero che tornassi con Jenny,
perché non mi hai avvisato che era qui? Sono sicuro che lo
sapevi. Avrei potuto escogitare un piano.-
“Hai avuto dieci giorni per pianificare. E a cosa sono
serviti se adesso stai partendo da solo? In Italia non hai pareggiato,
hai perso. Adesso passami Peter.”
Lui obbedì all'istante. Cercò il compagno. Lo
scorse poco più avanti a fingere di valutare una selezione
di pregiati vini italiani. Lo raggiunse e gli mise in mano il cellulare.
-Grazie, sei un vero amico.- lo fulminò con un'occhiataccia
e si allontanò depresso e stizzito, anzi più
stizzito che depresso.
Camminò spedito al centro del corridoio, incurante dei
compagni che si attardavano a curiosare nei duty-free. Gli occhi fissi
sui cartelli indicatori appesi al soffitto, si fermò
soltanto quando ebbe raggiunto il gate d’imbarco. Si
lasciò cadere su una delle poltroncine e fissò lo
schermo che indicava le destinazioni e gli orari dei voli, sforzandosi
di sopprimere i sentimenti negativi che provava. Non era in grado di
spiegarsi cosa lo avesse spinto a mostrarsi così
indifferente alla decisione di Jenny di restare a Torino. Che cosa lo
avesse frenato quella mattina dal chiedere a Mark il suo numero di
cellulare per chiamarla e convincerla a tornare in Giappone con lui.
Cosa gli avesse impedito, quando l’aveva vista arrivare
all’aeroporto con Gentile, di avvicinarsi e parlarle, di
abbracciarla e di baciarla, incurante dei compagni, dei giornalisti,
dell'italiano e di chiunque altro, per dimostrarle una volta per tutte
che l’amava e non sopportava più di vivere senza
di lei.
Perché Jenny quella mattina se n’era andata senza
aspettare che si svegliasse? Perché non aveva preparato la
valigia? Eppure quella notte era andato tutto liscio, quella notte
aveva dimostrato che erano fatti l’uno per l’altra,
Jenny avrebbe dovuto capirlo. Era sicuro che se lei avesse voluto,
sarebbero persino riusciti a trovare un posto sullo stesso volo.
L’avrebbe pagato qualsiasi prezzo, non gli sarebbe importato,
purché la ragazza tornasse con lui a Furano. Ma lei pareva
non averci neppure pensato. In quell’attimo in cui era
riuscito ad incrociare i suoi occhi, le aveva letto in volto un vago
senso di colpa. Colpa per cosa? Non capiva. Per un istante si chiese se
la sera precedente non avesse finto e basta. Finto di star bene con
lui, finto di provare sensazioni che invece non aveva provato. Finto di
amarlo. Un’idea del genere, che rappresentava il suo incubo
peggiore da quando era successo il fatto di Kyoto, gli fece gelare il
sangue nelle vene. Non era possibile e non voleva prendere neppure in
considerazione una simile eventualità. Ci aveva rimuginato
per mesi e ci era stato malissimo, convinto che dopo la violenza di
McFay, lei non potesse più sopportare di essere toccata. No,
Jenny non avrebbe mai finto in un momento simile, non poteva esserne
capace. Ripensò alla Jenny di quell’ultimo
periodo, alla Jenny che aveva trovato a Torino, e si domandò
quanto conoscesse davvero la ragazza. In quei giorni ne aveva dubitato
più di una volta. Aveva avuto spesso l'impressione di avere
davanti una Jenny completamente diversa, una Jenny mai vista. Ma non
poteva essere possibile che lei avesse finto d’amarlo,
accidenti! L’indignazione gli attraversò gli occhi
con un lampo. Non poteva crederci. Eppure che altro motivo aveva per
non voler tornare in Giappone con lui? Fremette di frustrazione per
essere stato respinto, umiliazione di sentirsi abbandonato, collera di
ritrovarsi ancora solo mentre i compagni erano al duty-free a comprare
gli ultimi ricordi dell’Italia insieme alle loro fidanzate.
Respirò a fondo e mentre lo faceva gli comparve di nuovo
nella mente il volto di Jenny che la sera prima gli sorrideva mentre la
stringeva tra le braccia, gli occhi pieni d’amore. Si
passò una mano sul viso e cercò di ragionare,
perché disperarsi e arrabbiarsi non sarebbe servito a
niente. Philip doveva riflettere. Anche se adesso non la trovava
perché non riusciva a pensare in modo lucido,
c’era sicuramente una spiegazione al comportamento di Jenny.
C’era certamente un motivo per cui aveva scelto di non
tornare. Doveva rifletterci con calma e sicuramente avrebbe capito. E
dopo aver capito le avrebbe concesso un po’ di tempo per
consentire anche a lei di farlo, di rendersi conto che il loro futuro
era insieme. Le avrebbe dato lo stesso tempo che si sarebbe preso lui
per mettere ordine nella sua vita. Un mese. Forse due. Magari fino
all’estate. E poi, libero dagli impegni con la squadra, se
nel frattempo Jenny non fosse tornata in Giappone con le sue gambe
sarebbe andato a riprendersela. Sapeva dove trovarla e se ne sarebbe
infischiato se stava ancora con Gentile. L’avrebbe convinta a
seguirlo e l’avrebbe riportata a Furano dove avrebbero potuto
ricominciare tutto da capo.
-Ce ne andiamo, Jenny?- Mark era arcistufo di bighellonare per
l'aeroporto. Il grosso della squadra era sparito verso i gate e adesso
che Philip se n'era andato lasciando la sua ex a Torino, non aveva
più senso stare lì -È ora che Gentile
ci riporti a casa, visto che l’unica cosa che dovevamo fare
è andata in malora.-
Benji s'incuriosì.
-Di cosa stai parlando, Landers?-
-Della partenza di Jenny.- abbassò gli occhi
sull’amica, era sconvolto dall'irritazione. Niente di
ciò che aveva tentato per farla rimettere con Callaghan era
andato in porto. L'ex coppia aveva boicottato ogni suo tentativo e
tutti quelli dei compagni. Persino la trovata geniale che Evelyn aveva
escogitato la sera prima non aveva raggiunto nessun risultato -Cosa sei
rimasta a fare qui? Perché non sei partita con loro? Quanto
ancora pensi di fermarti a casa mia?- la sua voce si caricò
di indignazione, alzandosi di un tono -Dovresti essere su
quell’aereo del cazzo, non qui! Dovresti essere con
Callaghan, non con questo cretino che ti porti sempre dietro!-
indicò Salvatore che parlava al telefono poco lontano.
I ragazzi rimasero così attoniti per la sfuriata di Mark che
non notarono il sorriso beatamente idiota con cui l'affascinante
italiano si rivolgeva al suo interlocutore, anzi, alla sua
interlocutrice.
-Il tuo posto non è in Italia, non è con lui e
soprattutto non è a casa mia!-
Gentile si avvicinò nel momento in cui Mark riprendeva fiato
prima di riprendere la tirata contro Jenny.
-Scusate… un impegno imprevisto.- disse in inglese
rivolgendosi un po’ a tutti -Devo scappare, tanto tu e Jenny
tornate insieme, no Landers? Buon viaggio, Price, Hutton…
Patty.- strizzò un occhio alla ragazza e scappò
via.
-Vaffanculo pure tu!- gli gridò dietro Mark in giapponese,
tanto non gli interessava che capisse. Voleva solo sfogarsi -Io torno a
casa, Jenny. Non ho nessuna intenzione di aspettare l’aereo
di Price. Saluti a tutti.- disse e anche lui sparì nel giro
di un microsecondo.
-Cafone!- Patty esplose indignata -Jenny, prepara i bagagli e vieni da
noi! La nostra casa è grande e potrai restare
finché ne avrai voglia.-
Holly la fissò leggermente stralunato.
-Avevo intenzione di fare dei lavori... Naturalmente sei lo stesso la
benvenuta, Jenny.-
Marito e moglie si guardarono.
-Che tipo di lavori Holly? Quando lo hai deciso?-
-Non ho deciso niente, prima te ne avrei parlato. Pensavo di
riorganizzare gli spazi, le stanze...- passò il peso del
corpo da un piede all'altro a disagio -Per quanto la nostra famiglia si
allargherà.-
Patty si irrigidì.
-Per il momento non si sta allargando, mi sembra prematuro.-
-Io credo però che in questo caso sia meglio organizzarsi
prima. Ci ho pensato stamattina mentre visitavamo il borgo medievale...-
Benji e Jenny, che tacevano per lasciar spazio a quello scambio di
opinioni tra i due coniugi, si scambiarono un'occhiata. Poi il portiere
scoppiò a ridere.
-Non riesco a trovare il nesso tra la visita di un castello e
l'esigenza di riprodursi.-
Holly divenne scarlatto.
-C'erano dei bambini, così mi è venuto in mente
che forse è il caso di cominciare a pensare a come
organizzarci, nel caso.-
Patty occhieggiò Jenny, confusa e a disagio, per tornare poi
a rivolgersi a Holly.
-A parte il fatto che si tratta di progetti prematuri visto che non
c'è nessun bambino in arrivo, non credo che sia il momento
giusto per parlarne. A Jenny e Benji non interessa come intendi
sistemare casa.-
-Figurati Patty.- riprese Price con una vena d'ironia -Jenny ed io ci
spostiamo su altre sedie e vi lasciamo alle vostre questioni familiari.-
-Non disturbarti, Benji.- Patty era seccata e si vedeva -Non
c'è altro da dire...- fulminò il marito con
un'occhiata -Almeno adesso. E l'invito a venire da noi è
ancora valido, Jenny. Non puoi continuare a restare con quel cafone di
Mark.-
-Non pensi che prima di noi ci sia Salvatore Gentile a reclamarla?-
cercò di farla ragionare lui -Stanno insieme, no?-
La ragazza ammutolì. All'italiano non aveva proprio pensato.
-Ti ringrazio Patty, ma stai tranquilla. Quando arriverò a
casa, a Mark sarà già passata.-
-Pretendi le sue scuse!-
-E poi che se ne fa?- domandò Benji piatto.
-Patty, hanno aperto i gate. Possiamo fare il check-in.- Holly
attirò la sua attenzione sui tabelloni
dell’aeroporto che indicavano il numero del banco assegnato
all’Iberia.
Lei annuì e fissò Jenny.
-Guai a te se ti muovi, non ti ho ancora salutata. Ci liberiamo delle
valigie e torniamo.-
-Tranquilla Patty.- la rassicurò Benji -Il mio volo
è tra un'ora e mezza.-
-Cosa c’entri tu?-
Il portiere fissò Jenny.
-Non resti a farmi compagnia?-
-Devo?-
-Mi pare il minimo, dopo tutto quello che ho fatto per te.-
-Rammentami cosa, ho un vuoto di memoria.-
-Questa tua vena ironica deve essersi sviluppata in Italia visto che
proprio non la ricordavo… Comunque ti ho salvata da Steiner,
la sera della partita della Juventus. Ricordi?- Jenny annuì
suo malgrado e lui si guardò intorno -Perché non
ci sediamo da qualche parte? L’attesa è lunga e
noiosa, meglio renderla comoda.-
-Siamo già seduti.-
-Da qualche parte dove si possa bere qualcosa.-
Patty li raggiunse al bar.
-Eccomi. Di cosa stavamo parlando?-
-Della ristrutturazione della tua casa.-
Lei lanciò un'occhiata al marito che stava ritirando le
carte d'imbarco.
-Holly e io ne parleremo quando saremo a Barcellona.-
Jenny annuì.
-Mi sembra giusto, sono affari privati.- e forse l'amica avrebbe
trovato il modo di confessargli ciò che aveva detto a lei
durante la serata di beneficenza, vale a dire che in quel momento non
voleva nessun bambino. Forse inizialmente Holly ci sarebbe rimasto
male, ma Jenny era sicura che poi avrebbe capito le ragioni della
moglie e le avrebbe accettate.
-Quando ti sarai stancata di Gentile o del caratteraccio di Mark, vieni
a trovarci a Barcellona.- la invitò di nuovo Patty. La
presenza di Jenny l'allettava, avrebbero potuto fare insieme tante
cose, era sicura che si sarebbero divertite.
L'altra annuì ma lasciò cadere l'argomento quando
si accorse che Holly si stava avvicinando. Patty fu abbastanza saggia
da fare lo stesso.
-Andiamo?- sollecitò il ragazzo -Se ci sbrighiamo riusciamo
a raggiungere gli altri prima che si imbarchino.-
-Non li hai già salutati?-
Holly fissò la moglie, chiedendosi se avrebbero finito per
litigare solo per averle proposto degli stupidi lavori che, in fondo
aveva ragione lei, potevano benissimo aspettare.
-Abbiamo già salutato anche Benji e Jenny. E poi suppongo
che Jenny vorrà tornare a casa prima che diventi troppo
tardi.-
Lei si alzò.
-Holly ha ragione, Patty. Sta facendo notte e continua a piovere. Vai
anche tu, Benji?-
-Preferisco restare da questa parte finché non
partirà il volo per Londra. Ne ho abbastanza di loro.-
C'era acredine nella sua voce e Holly, incapace di rispondersi se al
suo posto avrebbe provato le stesse sensazioni, non si sentì
di criticarlo. Il portiere non accennò ad alzarsi e si
limitò a salutare i due che si allontanavano.
Jenny tentennò indecisa. Che fare? Tornare a casa a godersi
il resto della sfuriata di Mark, oppure fare tardi e restare in
compagnia di Benji fino alla partenza del suo volo? Si
lasciò cadere sulla sedia, decidendo per la seconda.
-Va bene, ti mostrerò la mia gratitudine aspettando con te.-
-Secondo me è l'unica scelta possibile, oltre che la
migliore. Al tuo posto non correrei a farmi urlare in faccia da quel
cretino di Landers. Ma a questo proposito il mio consiglio parte dalle
basi. La tua meta doveva essere un'altra fin dall'inizio. Io non avrei
mai parcheggiato le mie cose a casa sua neppure se fosse stato l'ultimo
coglione rimasto sulla terra.-
-Fortuna che non sei me.-
-Non so cos'hai in mente di fare, come hai progettato di organizzare il
tuo futuro... ma pensaci bene prima di diventare la donna di Landers.-
Jenny divenne paonazza.
-Scherzi? Non lo farei mai!-
-Buon per te. La famiglia di Landers dipende economicamente da lui al
cento per cento. Saresti costretta a dividere i suoi profitti, oltre
che il suo tempo, con i fratelli e la madre. All'inizio le cose
potrebbero anche funzionare ma poi finireste per litigare.-
-Non ho intenzione di mettermi con Mark. Te l'assicuro.-
-Ottima scelta. Non ci ricaveresti niente di buono.-
Parlarono del più e del meno per una mezz'ora, entrambi
più coinvolti dalle preoccupazioni di ciascuno che da uno
strascico di conversazione che faticavano ad intavolare. Ad un certo
punto, spostando gli occhi sul tabellone delle partenze, Benji si
accorse che avevano aperto il check-in del volo per Amburgo.
Si alzò e afferrò la valigia, trascinandola con
sé. Imbarcò il bagaglio, poi tornò da
lei che lo aspettava. S'incamminarono insieme verso l'ingresso ai gate,
preceduto dal controllo del metal detector.
-Su una cosa Landers aveva ragione.- riprese lui fermandosi da una
parte per non intralciare il passaggio degli altri viaggiatori -Oggi
dovevi tornare in Giappone.-
-A fare cosa?-
-Jenny…- lui pronunciò il suo nome con un sospiro
paziente e la guardò come avrebbe guardato una
bambina che tardava a capire -Davvero sei convinta che Philip ti abbia
lasciata perché si è stancato di te?
Perché non ti ama più?-
Lei osservò le persone che li superavano, un gruppo di
ragazzi sorridenti con enormi zaini da scout, una donna velata seguita
da due bambini dalla carnagione color caffellatte, un uomo in giacca e
cravatta con una ventiquattrore da agente segreto. Rispose piano, la
voce che faticava ad uscire.
-Non so perché mi abbia lasciata.-
Benji le mise una mano sulla spalla e strinse piano, in un gesto
d'incoraggiamento e insieme di saluto.
-Pensaci, ci puoi arrivare.-
Con la mano le risalì fino alla guancia e le diede un
buffetto. Poi si volse, varcando le porte inaccessibili a chi era
sprovvisto della carta d'imbarco.
Jenny lo vide attraverso i vetri sfilarsi la giacca a vento con un
movimento fluido, i muscoli delle braccia e della schiena guizzare
sotto il cotone della felpa. Posare tutto sul vassoio di plastica
apposito, svuotare le tasche dal portafoglio e dal cellulare e varcare
indisturbato il metal detector. Si scambiarono una nuova occhiata
mentre Benji si rivestiva e riprendeva le proprie cose, Jenny
sollevò una mano in un segno di saluto e lui
ricambiò. Restò per qualche istante ad osservare
la sua figura di spalle che si allontanava. La sua schiena dritta e
slanciata, le braccia che ondeggiavano sicure in armonia col ritmo del
suo passo. Poi tra loro si mossero altri viaggiatori e Benji
sparì.
Allora lei si volse per andarsene, il vuoto che si sentiva addosso
diventato immenso, determinata a non arrovellarsi sui perché
che l'amico le aveva gettato addosso a tradimento un attimo prima di
lasciarla sola. Ci aveva già pensato troppo senza riuscire a
raccapezzarsi e adesso che Philip, la sua tentazione, non era
più lì, aveva bisogno di riprendere il controllo
di se stessa e soprattutto di una vita decentemente normale. Non voleva
pensare a cosa le riservava il futuro, tanto era sicura che, senza
Philip, non le sarebbe piaciuto.
…Fine
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