Rain Time

di Yoshiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 7: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 8: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 9: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 10: *** Nono capitolo ***
Capitolo 11: *** Decimo capitolo ***
Capitolo 12: *** Undicesimo capitolo ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo capitolo ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo capitolo ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo capitolo ***
Capitolo 16: *** Quindicesimo capitolo ***
Capitolo 17: *** Sedicesimo capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciassettesimo capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La pubblicazione di Rain è stata possibile solo grazie al sostegno e all’incoraggiamento di Kiki S autrice anche lei su EFP, di cui ormai non posso più fare a meno. Senza la sua preziosa amicizia, la sua immensa pazienza, l’aiuto per la correzione dei testi ma soprattutto le idee e i ragionamenti, i consigli e le riflessioni portate avanti in centinaia di email, non sarei mai riuscita ad arrivare, dopo tanti anni, al capitolo finale della terza parte della serie di Time.


Prologo

 
Ogni volta che partiva per l’Italia era la stessa solfa e Mark era davvero stufo di tutte le sue fan. Lui non era Ross, non aveva la pazienza di sopportarle. Le loro attenzioni non lo lusingavano. Piuttosto i loro starnazzi lo urtavano, gli ferivano le orecchie e gli arrivavano dritti al cervello. Fitte dolorose si propagavano da lì verso la nuca e lungo la schiena, peggiorando il mal di testa che lo assillava dalla mattina. Si affrettò verso l’entrata dei gate scortato dagli addetti alla sicurezza dell’aeroporto Internazionale di Narita. Una volta attraversate le porte a vetri sarebbe stato al sicuro… e al silenzio. Lanciò un’occhiata ai due uomini che lo accompagnavano. Li odiava, li detestava. Non sopportava il semplice fatto di avere bisogno di quei tizi per raggiungere il proprio volo. Lui non era una femminuccia debole e indifesa, Dio quanto non tollerava tutto ciò! Le sue fan gli toglievano il piacere di tornare in Giappone. Per non parlare poi dei giornalisti appostati lì sul marciapiede, pronti ad assalirlo non appena era sceso dal taxi. Detestava le loro stupide domande, la loro curiosità. “Come si sente a partire di nuovo per l’Italia?” bene, si sentiva, se non fosse stato costretto a subire il loro assillo ogni volta. “Pensa che anche quest’anno la Juventus vincerà il campionato di Serie A?” “Secondo lei quale sarà l’incontro più impegnativo?” “E la squadra più forte?” neanche avesse la palla di vetro. “Crede che scenderà in campo ad ogni incontro?” sì, lo pensava. Altrimenti che andava a fare dall'altra parte del mondo? “È in buoni rapporti con i suoi compagni di squadra?” “E con il capitano?” pessimi. “Salvatore Gentile le ha perdonato il pugno?” erano forse affari loro? “Sua madre deve essere orgogliosa di lei…” quando poi mettevano in mezzo la sua famiglia andava fuori di testa, raggiungendo in un attimo il limite della sopportazione. A quel punto si doveva censurare.
-Mark!-
Una voce si alzò sopra le altre, una voce che gli sembrò di riconoscere e che lo fece trasalire. Si volse verso le ragazze che continuavano a starnazzare come oche ma non riuscì a capire da dove provenisse quel grido. Si avvicinò alle transenne e si sporse nella calca. Era una voce che gli era fin troppo nota. Quasi familiare. Tese le orecchie tra tanta confusione, chiedendosi come avesse fatto a notarla. O forse se l’era semplicemente sognata. Non la udiva più. Non scorse nessun volto conosciuto e mancò pochissimo che una giovane fan riuscisse ad afferrargli la maglia. Si tirò indietro con un balzo e si volse per proseguire.
-Mark!-
Si bloccò di nuovo, a chiedersi incredulo se quel grido fosse frutto della sua immaginazione o addirittura non fosse un effetto collaterale del mal di testa. Riprese a guardarsi intorno, a scandagliare le facce che lo circondavano. D’un tratto alla sua sinistra, dietro un gruppo di giovani, riuscì a scorgere una testa che svettava di parecchio sopra le sue fan urlanti. Era Ed Warner. Che accidenti ci faceva lì? Si erano già salutati il giorno prima. Si rivolse alla scorta.
-Quello laggiù è un mio amico.-
Uno degli uomini annuì, scavalcò la balaustra e raggiunse l’ex portiere della Toho, attualmente nel  Nagoya Grampus, una squadra della J-League. Le oche si fecero indietro tra starnazzi di protesta, soprattutto quelle che, lì ormai da ore, erano riuscite ad accaparrarsi i posti migliori addosso alle transenne. Ed riuscì ad avvicinarsi. Stringeva in una mano una valigia di un tenue color lilla e trascinava con sé qualcuno che cercava di nascondersi dietro la sua schiena per sfuggire all’interesse di tutta quella gente riunita lì.
-Parti anche tu, Ed?- domandò Mark quando il portiere gli porse la valigia. Lui la prese e la depositò ai propri piedi.
Warner si lasciò sfuggire un sorrisetto e spinse davanti a sé chi lo seguiva. La ragazza si sbilanciò contro le transenne, urtando il torace di Mark con la visiera di un cappellino ben calcato sul capo a nasconderle il volto. Lui scattò indietro sorpreso e chinò la testa per capire chi avesse davanti. Quando la riconobbe, la fissò incredulo.
-Jenny? Che accidenti ci fai qui?-
-Parto.-
-Davvero? E dove vai?-
-Possiamo parlarne dopo?- si guardò intorno intimorita, fin troppo consapevole che quello non era né il momento delle domande, né quello delle spiegazioni. Si era avvicinata a Mark sotto gli occhi delle ragazze accalcate lì per lui e i loro sguardi le trapassavano la schiena, trasmettendole una sensazione per niente piacevole. Poi le udì.
-Chi è quella? La conosci?-
-Mai vista! Ma se vuoi il mio parere, la trovo piuttosto ordinaria.-
-Come osa stare così vicino a Mark?-
-Non sarà la sua fidanzata!-
-Scherzi? Se avesse la fidanzata lo sapremmo!-
-Se non si allontana da lui l’ammazzo!-
-Ti do volentieri una mano!-
Poco lontano si sparlava di Jenny. Si sentivano le frasi, i mormorii arrivavano fino a loro. Chi era per accaparrarsi Mark? Come osava imporre accanto a lui la sua presenza? L’uomo della sicurezza si accostò.
-Non è il caso di indugiare ancora.-
Landers si riscosse e annuì. Aiutò Jenny a scavalcare le transenne e la spinse davanti a sé per cercare di proteggerla dagli sguardi malevoli puntati su di lei. Le ragazze non apprezzarono la sua preoccupazione e un mormorio contrariato si levò dalla folla. Jenny lo udì chiaramente e si accostò di più a Mark, aumentandone suo malgrado l’intensità. Chinò il viso a terra, si strinse addosso la borsa che portava a tracolla e procedette svelta. Non si era mai trovata in una situazione simile e non le piaceva. Compatì con tutta se stessa Amy, che momenti simili era costretta ad affrontarli in continuazione. Lanciò un’occhiata rapida da sotto la visiera del cappellino, più di tutto temeva gli obiettivi dei giornalisti. Ne aveva visti così tanti, fuori, e nessuno doveva sapere che era lì. Assolutamente nessuno.
Ed le si affiancò dall’altra parte, trascinandosi dietro il trolley lilla che aveva ripreso in mano.
-Riuscire a raggiungerti è stata un’impresa, Mark.-
-Per salutarmi?-
Il portiere rise di cuore.
-Anche.-
Landers abbassò sull’amica uno sguardo curioso. Non la vedeva da più di un anno. L’aveva sentita sporadicamente al telefono, ma dopo quella volta a Furano, non si erano più incontrati. Il cappellino le nascondeva gran parte del viso ma gli era bastato lanciarle un’occhiata veloce per accorgersi che Jenny era cambiata. Era dimagrita molto, anche troppo. Così tanto che sotto la mano che le teneva sulla spalla, sotto strati di vestiti e sotto il giacchetto, sentiva l’omero sporgere appuntito. Era diventata sottile come un’alice, talmente sottile che un colpo di vento se la sarebbe portata via in un attimo. Non si era truccata, o almeno non molto, e la sua pelle risaltava pallida contro i capelli scuri che le incorniciavano il viso, sotto la visiera. Ciocche scomposte e disordinate spuntavano qua e là dal cappello che doveva essersi infilata in fretta e furia per proteggersi dall’interesse della gente. Si fermarono al sicuro dietro le porte a vetri dell’accoglienza della Business Class, dove né giornalisti né fan potevano più raggiungerli. Tirando un sospiro di sollievo per averla scampata, Mark diede voce alla sua curiosità.
-Dov’è che stai andando? Dai tuoi?-
Lei si tolse il cappellino e una cascata di capelli scuri cadde giù fino a metà schiena. Erano lunghi, molto più lunghi di come li portava di solito. Lisci e profumati. Quando li liberò, una piacevole fragranza di shampoo ai fiori gli arrivò alle narici. Gli venne voglia di toccarli, di scostarglieli dal viso prima che lo facesse lei. Si trattenne per pochissimo.
Jenny tolse di mezzo il cappellino ficcandolo nella borsa e legò rapida i capelli in una coda. Poi lo fissò dritto negli occhi.
-Vengo con te, Mark.-
-Con me dove?-
-In Italia, a Torino.- sostenne il suo sguardo sgomento senza fare una piega. Frugò nella borsa e ne tirò fuori il biglietto dell’aereo. Glielo sbandierò sotto gli occhi -Vedi? Sono sul tuo stesso volo… Anche se tu sei in prima classe e io in seconda.-
-Stai scherzando?-
-Per niente. Non avevo abbastanza soldi per la prima classe. A me il viaggio non lo paga la Juventus.- si accorse che Ed sorrideva, allora fissò Mark e le sembrò che fosse esageratamente sconvolto -Se vuoi posso far finta di non conoscerti.- e lanciò un’occhiata vaga in direzione delle porte a vetri oltre le quali le fan stavano cominciando a disperdersi.
-Non è per loro, non è per la seconda classe…- il giovane si guardò intorno -Che fine ha fatto Philip?-
Jenny sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata ed era pronta ad affrontarla. Nonostante ciò i suoi occhi si schiusero di fastidio.
-Non c’è. Cosa c’entra?-
-C’entra Jenny, c’entra moltissimo. Sono sicuro al cento per cento che non vuole che vieni in Italia. Con me poi. Figuriamoci.- lanciò un’occhiata a Ed che si limitò ad alzare le spalle -Cos’è? Avete litigato?-
-Ci siamo lasciati.- lo disse tenendo il volto abbassato, non ebbe il coraggio neppure di guardarlo.
Lui la fissò incredulo.
-Impossibile.- aspettò invano quasi un minuto che si smentisse. E invece lei non fece una piega, non gli disse che era uno scherzo, neppure tirò su gli occhi -Quando? Non ne sapevo niente.- continuò ad osservarla scettico -Ho capito. È uno dei vostri soliti litigi. Discutete sempre, non fate altro.-
Jenny tirò su il viso di scatto, gli occhi brillarono di amarezza.
-Non abbiamo litigato, ci siamo lasciati. Non stiamo più insieme.-
Mark diede un’occhiata a Ed che continuava ad assistere al loro dialogo in silenzio.
-Fatico a crederlo.-
-Non crederci, per me fa lo stesso. Ora andiamo?-
Landers annuì.
-Io vado, tu rimani. Anzi, torni a Furano a far pace col tuo ragazzo.-
Jenny lo fissò seria. Era già abbastanza doloroso così, senza che Mark facesse tutte quelle storie.
-Smettila per favore, non ho voglia di scherzare.-
-Sto parlando sul serio.-
-Anch’io.- la giovane gli sbandierò di nuovo il biglietto sotto gli occhi -Vengo con te. Oltretutto l’ho pagato una fortuna.-
Mark respirò un paio di volte, totalmente incapace di gestire la situazione. Non poteva impedire in nessun modo che Jenny salisse sul suo stesso aereo. Solo Philip poteva farlo e, sfortuna delle sfortune, in quel momento non era lì. Chissà che fine aveva fatto quel cretino! Che si fossero lasciati davvero? Maledetto bastardo e maledetta testarda. Incrociò lo sguardo di Ed e all’improvviso si chiese cosa ci facesse anche lui lì. Ed e Jenny si erano incontrati per caso oppure il portiere era suo complice? Gli rifilò uno sguardo seccato, poi si rese conto che non poteva perdere l’aereo per le paturnie di quei due. Sospirò rassegnato. Avrebbe avuto tutto il tempo di pensare, una volta in Italia, a cosa dire a Callaghan se e quando si fossero sentiti, se e quando l’amico avesse scoperto dov’era finita la sua ragazza. E poi magari, dopo un paio di settimane, con un po’ di buona volontà da parte di lei, sarebbe riuscito a rispedirla a casa. Si volse a guardare Ed, fece per dirgli qualcosa ma lui lo prevenne.
-Buon viaggio.- indietreggiò di un passo -E fatti sentire ogni tanto.- “in bocca al lupo”, avrebbe voluto aggiungere, ma poi pensò fosse meglio non infierire. Salutò anche Jenny e se ne tornò a casa.
L’aereo decollò, il segnale luminoso che obbligava a tenere le cinture allacciate si spense e Mark se ne liberò. Un secondo dopo una hostess molto giovane e graziosa si avvicinò per chiedergli se voleva bere qualcosa.
-Una coca-cola.- rispose distratto, poi la richiamò -Questo posto è libero?- le indicò la comoda poltrona extra confortevole accanto alla sua, dalla parte del finestrino.
-Sì.-
Mark respirò rapido un paio di volte, fissandola negli occhi così profondamente da immobilizzarla dov’era. Non si rese neppure conto dell’imbarazzo della donna, non capì che non era la sua occhiata burbera ma il suo fascino ombroso ad impietrirla in mezzo al corridoio. Mark stava riflettendo, stava cercando una soluzione ad un problema che lo assillava e che voleva risolvere all’istante. Pensando bene alle conseguenze di ciò che avrebbe detto, si buttò a capofitto in una delle più grandi balle che la sua mente avesse mai partorito.
-Mentre salivo sull’aereo ho visto un’amica in seconda classe. È possibile farla sedere qui?- fece una pausa e tirò un altro respiro prima di continuare -È incinta e vorrei che facesse il viaggio in Business.-
-Attenda un secondo, vado a chiedere.-
Mark la inchiodò dov’era con un’occhiata.
-L’ultima volta che ha viaggiato in quelle condizioni, la mia amica ha vomitato sui pantaloni del vicino… che gli era troppo vicino. Qui invece c’è spazio, non soffrirà di claustrofobia come le succede di solito.- sperò che fosse un incentivo sufficiente a convincere l’equipaggio dell’aereo a mettergliela accanto -È nel posto 24D. Sono pronto a pagare la differenza, se necessario.- fece il gesto di sfilarsi il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni.
La donna annuì seria e raggiunse le tendine tirate, dove i suoi colleghi si affaccendavano pronti a servire bevande e snack.
Mark abbassò gli occhi sul portafoglio che aveva finito per prendere in mano. Lo fissò incredulo. La frottola era stata geniale, credibile, perfetta, ma come cazzo gli era venuto in mente di aggiungere che era disposto a pagare la differenza? Se davvero a fine viaggio gli avessero portato il conto, avrebbe dovuto pagare sul serio. Accidenti a Jenny! La sua testardaggine gli sarebbe costata quanto un mese di stipendio di sua madre! Si affrettò a rinfilarsi il portafoglio in tasca e a farlo sparire.
Lanciò un’occhiata nervosa agli altri passeggeri, sperando che nessuno avesse udito le sue parole. Se non c’erano testimoni, all’arrivo in Italia avrebbe potuto ritrattare. La Business Class era pressoché deserta. Un uomo, due posti avanti a lui, già dormiva spaparanzato sul sedile reclinato. Altri due ospiti sulla sinistra erano così presi a smanettare lo schermo touchscreen incassato davanti a loro, da non fare caso a lui. Sicuramente nessun altro aveva sentito. Si volse a fissare l’oblò e posò gli occhi su terra e oceano inframmezzati da filamenti nubiformi. Il sole era già basso. Lo avrebbero inseguito verso occidente arrivando in Italia poco prima del tramonto.
Jenny arrivò pochi minuti dopo dietro la hostess, stringendo tra le mani un bicchiere d’acqua, la borsa e una rivista. Aveva l’espressione confusa e si guardava intorno. Quando lo individuò, lo fissò interrogativamente.
-Che succede?-
-Succede che viaggi qui con me. Lì dietro non ti ci lascio, da sola.- replicò brusco mentre lei spalancava gli occhi sgomenta.
La hostess posò il cuscino e la coperta della giovane sulla poltrona accanto a Mark.
-Si accomodi.-
Jenny non si mosse, la guardava impietrita. La donna le sorrise, poi si allontanò per tornare al proprio lavoro. Allora assalì Mark restando in piedi, senza fare un passo verso quel lussuoso posto.
-Sei impazzito? Non ho i soldi per pagarlo!-
-Non lo paghi tu.-
Jenny cambiò colore.
-Paga la Juventus?-
-No, pago io.-
-Non voglio!-
-Allora faremo metà per uno.- la liquidò con un gesto brusco della mano. Era già stufo di lei e di tutte le sue storie -Adesso siediti, sei d’intralcio.-
Continuando a stringere al petto il proprio bagaglio, Jenny vide la hostess tornare spingendo il carrello delle bevande. Si scostò per farla passare e si lasciò cadere sul sedile, sconvolta.
-Non ci posso credere…-
-Neanch’io posso credere che tu sia su questo aereo. è totalmente assurdo!- Mark le lanciò un’occhiata di fuoco -E ora che siamo partiti, puoi anche vuotare il sacco!-
Lei finse di non capire e perse tempo a sistemarsi intorno le proprie cose.
-Che sacco?-
-Cos’è successo con Callaghan? Perché avete litigato?-
-Non è successo nulla, è finita e basta.- gli lanciò un’occhiata e capì che lui continuava a non crederle.
-E da quando?-
-Parecchio.-
La hostess tornò verso di loro.
-Desidera qualcosa da bere?-
Jenny scosse la testa. Il trasferimento dalla seconda alla prima classe, la preoccupazione di quanto le sarebbe costato quel posto, il comportamento assurdo di Mark e il pensiero di Philip le avevano chiuso lo stomaco. Non aveva voglia di niente.
-Se ha bisogno di qualcosa siamo a disposizione.- insistette la donna solerte.
La giovane annuì con condiscendenza, sperando che si togliesse di torno alla svelta. Voleva dire a Mark che non aveva bisogno della business, né di tutte quelle attenzioni. Ma quando furono di nuovo soli, lui l’anticipò.
-Circa un mese fa ho parlato con Philip al telefono e non mi ha detto niente. Gli ho persino chiesto di salutarti…- ricordava perfettamente la telefonata. La ricordava soprattutto perché l’amico gli era sembrato non freddo ma glaciale. Certo non avrebbe mai pensato che lui e Jenny si fossero lasciati. Gli aveva persino chiesto quando si sarebbero sposati. Ora che ci pensava, Philip aveva sviato la domanda così abilmente che Mark si era dimenticato di insistere. Tornò a guardare l’amica -Dove pensa che stai andando? Dai tuoi?-
-Non pensa nulla, Mark. Non ci sentiamo più.-
La fissò dubbioso, immaginando la faccia di Philip nel momento esatto in cui sarebbe venuto a sapere della fuga della fidanzata in Italia. Era certo che l’amico non l’avrebbe perdonato tanto facilmente di averla portata con sé. Non poté fare a meno di sorridere, poi si volse di nuovo verso Jenny che lo fissava stizzita.
-Cosa c’è di divertente?-
Lui fece spallucce.
-Sarà pur vero che vi siete lasciati, ma scommetto quello che ti pare che quando Callaghan verrà a sapere dove sei e con chi, s’incazzerà da matti.-
Jenny scosse la testa. Mark continuava a confondere la loro separazione con un semplice litigio. Fece per farglielo presente ma lui la precedette ancora una volta. Aveva troppe cose da chiederle.
-Come sei riuscita a prenotare il mio stesso volo?-
-Ho chiamato Ed e mi sono fatta dare giorno e orario di partenza.-
-Dove hai trovato il numero di telefono di Ed?-
Jenny distolse gli occhi.
-Me lo ha dato lui al ryokan. Ricordi? Avevo chiesto il numero a tutti.-
Mark annuì, ricordava perfettamente che lo aveva fatto per poter rintracciare Philip in ogni momento durante i ritiri della nazionale.
-E perché accidenti avresti deciso di venire proprio in Italia?-
I suoi occhi si colmarono di amarezza.
-Perché non so dove altro andare.-
Mark ammutolì, il dolore di Jenny trasudò dalle sue parole anche se lei cercò di sorridere per nascondere l’angoscia che aveva dentro.
-Dai tuoi nonni?-
Lei scosse la testa, mentre un’altra staffilata di sofferenza le trapassava il petto.
-Il ryokan è di David… Non riesco a starci…- mormorò con un filo di voce.
Mark la guardò mentre il dolore dell’amica diveniva quasi palpabile. Si affrettò a continuare, per non lasciare che quel maledetto nome seguitasse ad aleggiare tra loro.
-Non hai pensato ad andare in America dai tuoi?-
-Preferisco te all’assillo dei miei genitori.- riuscì a dare un timbro più sicuro alla sua voce tremante, quasi sorrise -Dovresti esserne contento.-
-E dove pensi di stare?-
-Magari a casa tua?- tentò speranzosa -Ovviamente solo finché non riesco a trovare una sistemazione migliore.- se Mark avesse rifiutato di ospitarla sarebbe stata la fine. Non aveva abbastanza soldi per vivere per giorni in un hotel.
Lui si aspettava che lo avrebbe detto, ma scosse lo stesso la testa, sconcertato e infastidito.
-Ti sei organizzata bene, a quanto pare. E senza neppure avvertirmi.-
-Se te lo avessi detto ti saresti rifiutato.- lo guardò e poiché la sua espressione non le piacque, cercò di sdrammatizzare -Hai paura che rovini la tua reputazione di single?-
-Ho paura che quando verrà a saperlo il tuo ragazzo…- cominciò a dire e si corresse vedendola aggrottare la fronte -Il tuo ex ragazzo… mi ucciderà.-
Jenny sbuffò seccata. Come poteva fargli entrare nella zucca che si erano lasciati? Perché continuava a non crederle? Poi ripensò a tutte quelle fan che erano andate a salutarlo all’aeroporto. Forse altrettante lo aspettavano in Italia. Le venne un dubbio e fu presa dal panico. Impallidì e si tese, terrorizzata.
-Mark, hai la ragazza a Torino? Sto venendo a disturbarti?-
Lui sorrise dei suoi timori e le fece cenno di no. Non aveva la ragazza in Italia e Jenny non sarebbe mai stata un disturbo. Una preoccupazione in più sì, ma un disturbo assolutamente no.
-Meno male.- la morsa allo stomaco si allentò e lei tirò un sospiro di sollievo.
-Meno male un corno! Dove lo trovo il tempo per starti dietro?-
-Non mi serve una balia! Ho bisogno soltanto che mi ospiti per qualche giorno… nient’altro! Non avevo neppure bisogno che mi facessi venire qui.- indicò la  Business Class con un gesto della mano.
-Te l’ho già detto. Là dietro in mezzo a tutta quella gente non ti ci lascio!-
-Cosa pensi che possa succedermi? Siamo su un aereo!- un brivido le corse su per la schiena. Mark aveva intenzione di starle così addosso anche in Italia?
Lui non le rispose e restò a guardarla pensieroso. Nella sua casa di Torino c’era un viavai continuo. I compagni della Juventus si presentavano spesso da lui senza neppure avvisare, organizzando tornei di playstation che andavano avanti anche tutta la notte, fino alla mattina. Dal Giappone riportava sempre le ultime novità e loro aspettavano frementi il suo ritorno. Era stato un buon metodo, quello dei videogiochi, per farsi amici i compagni di squadra, immancabilmente diffidenti nei confronti di ogni nuovo arrivato. La playstation lo aveva salvato, o meglio lo aveva aiutato a integrarsi in modo rapido e indolore. E ora, la prima cosa da fare una volta a Torino, sarebbe stata allontanare proprio quegli amici da casa sua.
Jenny si volse e i loro occhi s’incrociarono. Lei percepì preoccupazione nel suo sguardo e l’ansia l’assalì.
-Mi ospiterai?- gli chiese ancora, quasi supplichevole.
-Solo finché non troveremo una sistemazione migliore.-
Jenny gli sorrise così sollevata e così riconoscente che Mark ebbe una stretta al cuore, tornando immancabilmente a chiedersi che accidenti fosse successo tra lei e Philip. Possibile che si fossero davvero lasciati? Più lo pensava e meno riusciva a crederci. Quei due erano nati per stare insieme, come poteva essere finito tutto da un giorno all’altro? E la cosa che lo sconcertava di più era che la notizia non gli era arrivata. Possibile che nessuno lo sapesse? Neppure Bruce, nemmeno Evelyn? La guardò sospirando piano. Se Jenny non aveva intenzione di parlarne, congetturare su di loro non lo avrebbe portato a niente e non avrebbe certo risolto il problema della sua presenza lì. Visto che ormai era sull’aereo insieme a lui, avrebbe fatto bene a rassegnarsi in fretta. Smise di pensare a ciò che lo aspettava una volta a Torino, il viaggio era troppo lungo per cominciare già ad angustiarsi. Si chinò a frugare nello zaino che teneva tra i piedi e ne tirò fuori un paio di riviste acquistate all’aeroporto.
Quando cominciò a sfogliarle, Jenny gli lanciò un’occhiata distratta, poi si volse verso il finestrino e rimase a guardare il cielo azzurro e le nuvole che si accalcavano sotto l’aereo, ammucchiate una sull’altra come tanti cumuli di ovatta. Sembravano così morbide che veniva voglia di toccarle. Per l’ennesima volta si chiese se non avesse preso la decisione sbagliata. Aveva fatto bene ad andarsene? A lasciare Furano, la casa, gli amici? Non aveva avvertito Grace, neanche Patty o Amy. Non l’aveva detto neppure ai suoi genitori, a cui pensava di telefonare dall’Italia. Del resto aveva esitato fino all’ultimo, fino alla mattina in cui si era svegliata piangendo nella sua camera del ryokan dei nonni, un dolore sordo nel petto, il cuore che batteva all’impazzata. Aveva sognato in un’unica notte la violenza di David e l’ultima discussione con Philip nei corridoi dello stadio di Sapporo, le parole precise che si erano rivolti, il suo sguardo di fuoco, la sua espressione adirata. Aveva rivissuto di nuovo la scena, quasi al rallentatore, e finalmente, quella mattina, aveva preso atto di essere rimasta sola. Aprendo gli occhi su quell’incubo, aveva realizzato che Philip l’aveva davvero lasciata.
E allora, disperata, aveva mollato anche i nonni. Se n’era andata persino da loro, perché mettere piede nella cucina dove lei e Philip avevano fatto spensieratamente colazione decine di volte, la faceva star male. Osservare l’ala moderna del ryokan, la grande vetrata che dava sul giardino e tutte le costose modifiche fatte dai McFay le toglieva il respiro. Non era riuscita a trovare in nessun luogo, in Giappone, un conforto al suo cuore spezzato. Prima di Shintoku aveva provato a raggiungere i suoi a New York, ma era stata incauta. Un giorno sua madre l’aveva pescata a piangere e lei, ingenua, le aveva confidato che con Philip si erano lasciati. La mamma ne era stata addolorata, ma suo padre non aveva trovato niente di meglio da fare che cercarle un marito. Una mossa che lei non aveva capito subito. Era successo durante l’ennesima e noiosissima cena con gli amici dei suoi, quando un avvocato trentenne le si era avvicinato e le aveva fatto delle avance fin troppo esplicite. Era già la terza volta che succedeva in due settimane, e lei aveva intuito di colpo quali fossero i progetti di suo padre. Il giorno dopo aveva discusso furiosamente con lui mentre sua madre restava da una parte, in silenzio, a guardarli spaventata, incapace di intervenire in difesa della figlia. Aveva resistito da loro ancora un mese, poi aveva fatto le valigie ed era tornata in Giappone per rifugiarsi dai nonni. A Shintoku non aveva retto più di quindici giorni e aveva scelto l’unica alternativa che le era venuta in mente. Seguire Mark in Italia. Lì sarebbe stata tranquilla perché era sicura che dopo quel terzo grado sull’aereo, lui si sarebbe stancato di fare domande. In fondo, come le aveva chiaramente detto a Shintoku un paio di anni prima, non gliene fregava niente né di Philip né dei loro litigi.
Si volse di scatto quando lo sentì soffocare un insulto. Si volse, incrociò il suo sguardo sgomento e lo vide chiudere di colpo il giornale. Si sporse verso di lui.
-Cos’hai?-
Mark strinse la rivista tra le dita poi la infilò svelto sotto le altre, ammucchiate sul tavolinetto aperto. Le lanciò un’occhiata inquieta. Lei non capì il motivo di quel bizzarro comportamento e continuò a fissarlo. Il giovane accennò un sorrisetto tirato, che gli incurvò solo un angolo della bocca. Prese un’altra rivista e si agitò a disagio sul sedile, cercando una posizione comoda.
La curiosità si scatenò bruciante. Jenny si sporse nel corridoio, allungò una mano e cercò di afferrare la rivista che Mark aveva così bruscamente accantonato. Lui scattò in avanti e posò con violenza il palmo della mano sui giornali, impedendole di prenderla.
-Cosa c’è?-
Il ragazzo afferrò tutto il mucchio e lo tirò indietro.
-Niente.-
-Mark, fai vedere…-
Landers strinse le riviste tra le dita e la fissò negli occhi, sgomento. Era vero, accidenti! Quei due si erano lasciati sul serio!
-Fa’ vedere, Mark!- era sicura che si trattasse di qualcosa che la riguardava e ciò le fece paura. Cosa poteva esserci di tanto terribile su quel giornale, se l’amico le impediva di metterci sopra gli occhi? Quando lui scosse la testa, Jenny si alzò e si piazzò al centro del corridoio.
-Non essere assurdo! A costo di farmi mandare dalla nonna una copia di ogni rivista che hai acquistato, vedrò quello che mi stai nascondendo!-
Mark la fissò a bocca aperta. Non poteva assolutamente permettere che Jenny mettesse gli occhi su ciò che aveva visto lui. Forse c’era un errore, magari aveva guardato male. Del resto, non appena aveva posato lo sguardo sulla foto e gli era sfuggito l’insulto, aveva richiuso la pagina all’istante. Forse non si trattava di Callaghan… Continuò a fissarla negli occhi. Se lui c’era rimasto di merda, come avrebbe reagito Jenny? Magari bene, visto che ormai doveva essersi abituata all’idea di essere tornata single, dopo tanti anni… Merda, stentava ancora a crederci! Abbassò lo sguardo sulle sue mani tese verso di lui. L’anello di Philip era sparito. Le dita di Jenny erano sottili, scosse da un leggero tremito, e così pallide che le vene azzurrine risaltavano in trasparenza.
Capitolò, tanto non poteva fare altro. Le porse in silenzio il giornale. Non c’era bisogno che la nonna le mandasse un bel niente. Dovevano restare su quell’aereo ancora dieci ore, non avrebbe potuto tenerglielo nascosto per tutto il viaggio. Appena si fosse addormentato, o fosse andato in bagno, Jenny avrebbe frugato nello zaino e avrebbe sfogliato ogni pagina fino a trovare ciò che cercava.
Lei strinse convulsamente la rivista spiegazzando la copertina. Tornò al suo posto e la sfogliò rapidamente, voltata verso l’oblò. Non aveva idea di ciò che avrebbe trovato e preferì dargli le spalle. Fece bene. La foto che Mark avrebbe voluto tenerle nascosta le scatenò dentro un dolore incontenibile. Philip era stato fotografato a baciare una ragazza. Li osservò, tutti e due, mentre una sofferenza immensa le trafiggeva il cuore. Fu un dolore quasi fisico, deglutì a vuoto e lottò per ricacciare indietro le lacrime finché il groppo che le era salito in gola si sciolse. Riuscì a rimandare l’aria nei polmoni, mentre la foto le si stampava a fuoco nella testa. Si volse verso Mark, il suo volto era una maschera impassibile mentre gli restituiva la rivista.
-La riconosci?- lui scosse la testa e lei proseguì -Era negli studi televisivi di Kyoto. È Julie Pilar, la modella in costume.- su quelle ultime parole la sua voce si incrinò e non poté farci niente. Ingoiò l’aria e riuscì a continuare.
Landers si sporse nel corridoio e le tolse il giornale dalle mani, gli occhi sgomenti sulla foto. Jenny aveva ragione, era proprio lei. Sollevò di nuovo lo sguardo verso l’amica, mentre l’ira contro Callaghan gli scoppiava dentro. Avrebbe dirottato l’aereo per poter tornare in Giappone e prenderlo a pugni. Come aveva potuto farlo? Dopo tutti quegli anni, dopo tutto quello che avevano condiviso e sofferto insieme, come aveva potuto lasciarla? E per chi?
-Mi dispiace.- riuscì a dirle soltanto.
Lei scosse la testa, mentre le lacrime le riempivano gli occhi. Si volse verso il finestrino, verso il cielo, e cercò di non pensare a niente. Non voleva pensare a niente. Si passò una mano sugli occhi e li premette per frenare le lacrime. Che senso aveva adesso piangere? Per cosa poi? Lei e Philip si erano lasciati mesi prima, era normale che lui frequentasse un’altra ragazza. O pensava forse che sarebbe rimasto fedele al suo ricordo? Quale ricordo? Quello dei loro ultimi litigi? Delle incomprensioni, dei silenzi, delle cose non dette che avevano allargato il baratro scavato da David? I sentimenti che provavano l’uno per l’altra erano sprofondati nella sfiducia e nell’incomprensione, in un altalenante alternarsi di confusione e sofferenza, fino all’ultimo giorno in cui si erano rivolti la parola. Jenny si passò una mano sul viso mentre le lacrime le salivano di nuovo agli occhi. Le scacciò con uno sforzo e tornò a fissare fuori dal vetro. Il cielo si stava tingendo d’arancio e quello spettacolo di nubi dai profili dorati sarebbe stato bellissimo se non fosse stato offuscato da tanta sofferenza.

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


Primo capitolo



Philip camminava pensieroso accanto a Julie Pilar lungo il viale principale di Sapporo. Quando indossava i tacchi, la ragazza era alta quasi quanto lui. Teneva i capelli legati in una coda che le ricadeva su una spalla e aveva sul volto un’espressione soddisfatta. Sembrava davvero assai felice, ma con quella felicità Philip non aveva nulla a che fare. La sua gioia era legata al contratto appena firmato con uno studio televisivo che le aveva assegnato la parte di protagonista in una serie tv. Non vedeva l’ora di aprire il copione che teneva in borsa e cominciare a studiarne le battute. Recitare, essere al centro degli obiettivi delle telecamere e delle macchinette fotografiche era ciò che amava di più al mondo e finalmente, dopo tanti sacrifici, era riuscita a ottenere un ruolo importante. Sarebbe stato un ottimo punto di partenza per arrivare sul grande schermo. Fino a Hollywood, perché no?
-Andiamo a festeggiare?-
Philip annuì, cercando di ignorare le prime fitte di un mal di testa che stava per scoppiare. Lei sorrise raggiante e quando lui non ricambiò, Julie si chiese, e non era la prima volta, perché fosse sempre così serio, perché non si godesse la vita. Erano giovani, accidenti! Giovani, famosi e anche ben pagati! Potevano permettersi qualsiasi cosa, togliersi ogni sfizio! Eppure Philip era imbronciato per la maggior parte del tempo, pure quando tutti gli altri intorno a lui si divertivano. Non riusciva assolutamente a capirne il perché. Sospirò e osservò i minuti che scorrevano sull’orologio digitale dell’antenna tv di Sapporo. Era una bella giornata di sole, il cielo splendeva d’azzurro ma faceva molto freddo. Intorno a loro la neve ricopriva ogni cosa. Nel viale che stavano percorrendo erano iniziati i lavori di costruzione delle immense sculture di ghiaccio del Festival della Neve che avevano reso Sapporo famosa in tutto il mondo. Lei assisteva allo spettacolo da quando era bambina, suo padre aveva fatto parte di uno dei comitati, ed era così abituata all’evento che ora l’attività che ferveva intorno a lei non la incuriosiva più.
Tornò ad osservare Philip di sottecchi, poi gli prese una mano e intrecciò le dita con le sue. Lui si volse e accennò un sorriso, il massimo che gli riuscì di fare. Non serrò la stretta ma non ritirò neppure il braccio, continuando a camminare tenendola per mano. Ogni tanto qualcuno li riconosceva e si fermava a guardarli, se non arrivava addirittura a chiedere un autografo o una foto. Julie era orgogliosa di lui. Obiettivamente Philip era molto più decorativo del suo ultimo fidanzato e anche se a volte la trascurava, formavano una bella coppia che non passava inosservata. Sulle copertine delle riviste avrebbero fatto una splendida figura se solo lui si fosse prestato a lasciarsi fotografare insieme. Succedeva di tanto in tanto che la sua apatia le desse sui nervi, ma era lo stesso convinta che doveva tenerselo stretto, almeno finché non avesse ricevuto una proposta migliore.
-Ti dispiace se invito alcuni amici?- chiese ad un tratto, l’improvviso e vago timore che se l’umore di Philip non fosse migliorato, la loro cena romantica si sarebbe rivelata di una noia mortale. Quella sera aveva voglia di divertirsi e gli unici due momenti dove Philip risultava più attivo, era in campo e sotto le lenzuola.
-No. Invita chi ti pare.-
-Perfetto…- Julie tirò fuori il cellulare dalla borsetta. Senza mollargli la mano prese a fare una serie di telefonate.

Amy quella mattina si era alzata alle cinque e aveva accompagnato in bicicletta Julian a correre lungo il fiume. A quell’ora faceva freddo, non era ancora completamente giorno e banchi di nebbia si levavano dall’acqua che scorreva placida e silenziosa nel canale, ma era il momento migliore perché in giro non c’era nessuno. Aveva pedalato dietro al fidanzato con la sciarpa che le svolazzava sulle spalle e le guance arrossate dal freddo, ripassando mentalmente il programma della giornata. La mattina era libera, ma Julian doveva andare all’università quindi lei lo avrebbe raggiunto all’ora di pranzo per mangiare insieme da qualche parte. E il pomeriggio sua madre le aveva chiesto di accompagnarla a fare la spesa. A cena era stata invitata al compleanno di sua zia e probabilmente lo avrebbe rivisto solo il giorno successivo.
Erano rientrati da poco a casa di Julian, e il ragazzo era appena uscito dalla doccia spargendo negli ambienti profumo di shampoo e bagnoschiuma. I coniugi Ross erano al lavoro e Amy si era appropriata della cucina per preparare la colazione ad entrambi. Riempì le tazze di caffè, imburrò due fette di pane alla zucca che la madre di Julian aveva sfornato la sera prima, travasò la frutta tagliata in piccoli pezzi in una ciotola di media grandezza, recuperò il barattolo del miele, le uova sode, il filetto di salmone e, riempito un capiente vassoio, lo raggiunse nel salotto dove avrebbero mangiato spaparanzati sul più comodo divano.
Julian sedeva tra i cuscini, nelle mani una delle riviste che avevano comprato poco prima di rientrare. Era così immerso nella lettura che non si accorse del suo arrivo.
-Cosa stai leggendo?-
Lui alzò il viso, voltò il giornale e le indicò una foto.
-Guarda qui.-
Amy appoggiò il vassoio sul tavolino e si avvicinò. I suoi occhi si spalancarono di sconcerto.
-È Philip!- non si accorse di strappargli la rivista dalle mani perché ciò che stava osservando era qualcosa di così sconvolgente da risultare assurdo. Lo incalzò sconvolta -Julian! Chi è questa? Cosa significa? Dov’è Jenny?-
-Amy non ne ho idea…-
Gli occhi di lei si socchiusero indagatori, quasi sospettosi.
-Si sono lasciati? Tu lo sapevi?-
-Assolutamente no! Sono sorpreso quanto te!-
-Io non sono sorpresa! Sono furiosa!- gli restituì la rivista nello stesso modo brusco in cui gliel’aveva tolta e si precipitò fuori dal salotto. Nell’ingresso recuperò la borsa appoggiata come al solito sulla bella panca in legno, accanto all’appendiabiti, e cercò il cellulare. Non credeva ai propri occhi, non voleva credere a quello che aveva appena visto. Doveva esserci un errore. Sentì la voce del fidanzato che la chiamava dall'altra stanza.
-Amy, che stai facendo?-
-Sto telefonando a Jenny!- tornò da lui col cellulare incollato al viso. Lo lasciò squillare per un tempo infinito, rispose la voce automatica della segreteria telefonica, poi cadde la linea. Riprovò al fisso senza successo e fissò affranta il fidanzato -A casa non c’è e il telefonino è spento.-
-È presto, forse sta ancora dormendo… Riprova più tardi. -
Amy annuì, si sedette accanto a lui, e riprese la rivista che giaceva sul tavolino. Sfogliò le pagine e recuperò la foto.
-Lei…- indicò Julie confusa -Devo averla già vista da qualche parte…- eppure il suo nome in quel momento non le diceva nulla.
Julian le si accostò e i capelli della fidanzata gli sfiorarono il mento.
-Non ricordi? È la modella che stava facendo un servizio fotografico negli studi di Kyoto.-
Amy si volse scioccata.
-Hai ragione! È proprio lei!- posò di nuovo gli occhi sulla pagina e sospirò. Appoggiò la testa contro la spalla del fidanzato e il suo sguardo indugiò oltre i vetri della grande finestra del salotto, da cui si scorgeva il giardino. Gli alberi erano spogli, scheletrici, i rami innalzati verso il cielo brumoso di quella mattina di gennaio, a supplicare il ritorno della bella stagione -L’ultima volta che siamo andate insieme a Fujisawa, Jenny mi ha detto che con Philip era tutto a posto!- -Forse te lo ha detto per non farti preoccupare, o forse era tutto a posto davvero. È passato un sacco di tempo.-
Amy richiuse il giornale e lo lasciò sul tavolino. Julian aveva ragione. Erano passati mesi da quando aveva accompagnato l’ultima volta l’amica a incontrare Nicole a Fujisawa. Si accoccolò contro Julian che profumava di buono, mentre un brivido di dispiacere le faceva pizzicare gli occhi -Vorrei tanto sapere se si sono lasciati o se Philip si è fatto beccare a provarci con un’altra. Jenny ha già sofferto così tanto…-
Lui le prese una mano e intrecciò le dita alle sue.
-Ecco spiegato il motivo per cui non è voluta venire a Tokyo quando ho giocato contro Philip.-
-Era prima di Natale.- lo guardò -Pensi che si fossero già lasciati?-
-Forse sì, visto che non è venuta.-
-A me ha detto che stava preparando un esame all’università.- le sue labbra presero una piega di disappunto. Non poté accettare che l’amica le avesse mentito, non dopo tutto ciò che avevano passato insieme. O forse le aveva mentito proprio per questo… Alzò gli occhi su Julian -Perché non provi a chiamare Philip per chiedergli di Jenny?-
Lui scosse piano la testa.
-Non voleva parlarne prima, figuriamoci adesso se non stanno più insieme.- le circondò le spalle con un braccio e l’attirò contro di sé -Oggi studiamo da me?- le propose accantonando l’argomento. Non aveva davvero il tempo di angustiarsi per loro, era troppo occupato a proteggere la propria, di relazione. Il suo rapporto con Amy aveva cominciato a scricchiolare dal maledetto giorno in cui, a forza di rimuginare su un esame che stava per sostenere, pressati dall’adrenalina dell’ansia i pensieri avevano vorticato per un istante nella direzione sbagliata, facendogli perdere tutta la concentrazione. Così, da un momento all’altro, invece di ripassare mentalmente il programma d’esame, si era ritrovato a chiedersi se Amy si fosse offerta di accompagnare Jenny a Fujisawa da Nicole per tutte quelle volte perché era davvero preoccupata per l’amica o se l’avesse spinta la speranza di poter incontrare Price, con cui aveva dimostrato, l’ultima volta che si erano visti, di andare sempre più d’accordo.
-Julian, non possiamo studiare insieme. Oggi pomeriggio devo andare da mia madre. E poi tu devi preparare l’esame di anatomia, io quello di sociologia. Sono due cose completamente diverse.-
-Allora facciamo così. Visto che io tra una settimana ho l’esame e tu ce l’hai tra un mese, stasera aiutami a ripassare gli schemi.-
-Stasera sono a cena con i parenti.-
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. A lei sfuggì un sorriso, poi il cellulare le squillò. Si scostò da Julian e lo prese. Ascoltò in silenzio l’interlocutore, l’espressione improvvisamente seria e tesa ad incassare la notizia, poi disse un’unica frase.
-Arrivo subito, mandami l’indirizzo…-
Julian la fissò.
-Che succede?-
-Evelyn ha avuto un incidente. È qui a Tokyo, in ospedale. La raggiungo.-
*

Poco oltre la dogana, davanti alle porte a vetri che si aprivano e chiudevano di continuo lasciando uscire i passeggeri del loro stesso volo, camminando accanto a Mark, Jenny notò cinque o sei giornalisti armati di macchinette fotografiche. Si fermò bruscamente al centro del corridoio e una coppia anziana che procedeva alle sue spalle per poco non la travolse. Anche se non era colpa loro, i due si scusarono, poi la superarono e varcarono l’uscita. Lei neppure li notò, gli occhi sui giornalisti.
-Sono qui per te?-
Mark fece spallucce.
-Immagino di sì.-
Jenny si diede della stupida per non aver pensato che a Torino, come in Giappone, la stampa sarebbe stata ad aspettarlo. Da quel poco che ne sapeva (una volta con Amy aveva spulciato il suo fan club), anche in Italia Mark aveva un sacco di fan. Lui continuò a camminare ma Jenny non lo seguì. Aveva deciso che nessuno doveva sapere che lei era a Torino, quindi bisognava impedire in tutti i modi che li fotografassero insieme. Ritirò fuori il cappellino dalla borsa, si sciolse i capelli e se lo calcò bene in testa. Poi si guardò intorno alla disperata ricerca di una via di fuga. La trovò più avanti.
-In bocca al lupo, Mark.-
Le porte automatiche si aprirono e Landers finì in pasto agli obiettivi dei fotografi, voltato indietro, gli occhi sgomenti su Jenny che fuggiva via.
-Dove vai?-
-Non voglio passare per la tua fidanzata! Ci vediamo dopo!- agitò la mano in un saluto frettoloso e imboccò un’altra uscita.
Colto di sorpresa Mark non ebbe neppure il tempo di fermarla. Circondato dai reporter che scattavano e dai flash che lo accecavano, si accorse sconcertato che nella fretta di tagliare la corda Jenny gli aveva lasciato persino la valigia.
-Mark!-
Il richiamo lo fece sussultare. Si girò di scatto verso la calca dell’uscita, mentre la sua mente dava un volto a quella voce. Rob Aoi si teneva in equilibrio sulla balaustra. Con una mano sollevata in aria, si sbracciava per attirare la sua attenzione. Mark non riuscì a capacitarsi della sua presenza lì e quando si accorse che non era solo, si chiese se fosse ancora in tempo a darsela a gambe. Poi si ricordò di Jenny e si rassegnò, non troppo ma abbastanza da caricarsi i bagagli e andare verso quel bel comitato di accoglienza. Abbozzò un sorriso stentato agli obiettivi e raggiunse scontento Rob Aoi, Dario Belli e Salvatore Gentile, chiedendosi quale malefica congiuntura astrale li avesse condotti all’aeroporto di Caselle.
Salvatore Gentile lo accolse con gli occhi azzurri colmi di ironia e le mani ficcate nelle tasche di quella che doveva essere sicuramente una costosissima giacca a vento griffata. Come al solito il suo abbigliamento era impeccabile, sembrava appena uscito dalla pubblicità di una rivista di moda. Maledetto esibizionista del cazzo.
-Bentornato Landers… Com’è andato il viaggio?-
-Come al solito.- lo odiava. Odiava quell’insopportabile biondo quasi quanto odiava Price. Detestava la sua esuberanza, la sua sicurezza, il suo egoismo, la sua superbia, il suo protagonismo, il suo voler essere sempre al centro dell’attenzione, la sua maledetta arroganza da bambino viziato. Non lo sopportava, era un borioso pallone gonfiato che si credeva chissà chi e siccome era nella Juventus da più tempo di lui, si divertiva a ricordarglielo in continuazione in qualsiasi modo. Lo fissò scontento. Era sicuro che l’antipatia fosse reciproca. E allora, come accidenti gli era saltato in mente di presentarsi all’aeroporto? Poi capì. Gentile era lì soltanto per il piacere di lasciarsi fotografare dai giornalisti riuniti per accogliere lui, non quel coglione di biondo ossigenato che non poteva bearsi della gloria dei rientri, visto che giocava in patria.
E infatti Gentile ora sorrideva ai fotografi che, seguendo Mark, lo avevano raggiunto e individuato. Fissò appagato gli obiettivi, scostandosi con un gesto molto glamour i capelli biondi come l’oro dagli occhi azzurri come il cielo che, solo per essere fatti in quel modo, mandavano in visibilio il novanta percento della popolazione femminile del pianeta. Dopodiché si staccò dalla balaustra.
-Non ti sei fatto fotografare abbastanza, Landers?- ebbe persino la faccia tosta di chiedergli, come se fosse Mark e non lui a bearsi di tanta attenzione.
Landers soffocò un insulto, poi pensò a Jenny scomparsa chissà dove e il desiderio di rispondergli a tono, come faceva di solito, si dissolse all’improvviso, scalzato dalla preoccupazione. Si guardò intorno. Dove accidenti era finita? Non la vedeva da nessuna parte.
-Ti serve una mano?- gli chiese Dario Belli indicando le valigie.
Landers non ci pensò due volte. Gli affibbiò il bagaglio dell’amica e tornò a guardarsi intorno sempre più in ansia. Nessuna traccia della ragazza. Possibile che neanche fosse arrivato e già l’avesse persa?
-Come mai così carico stavolta, Mark?-
Rob gli parlò in italiano per non escludere Salvatore e Dario dalla conversazione. L’altro sospirò e gli rispose nella stessa lingua.
-Quella valigia non è mia.-
Gentile scoppiò a ridere.
-L’hai rubata?-
Landers lo insultò in giapponese, afferrò il proprio trolley e s’incamminò nella direzione in cui aveva visto sparire Jenny. Dario seguì pensieroso il suo percorso, chiedendosi se fosse stata davvero una buona idea, quella di Rob, di venire a prenderlo. Non sembrava per niente contento di vederli. Lo richiamò.
-Dove vai? L’uscita è dall’altra parte.-
-Lo so!-
Mark proseguì testardo nella direzione sbagliata, rimediandosi un’occhiata scettica da parte di Salvatore.
-è scemo o cosa?-
Belli scosse la testa.
-Stavolta il fuso orario deve averlo rincoglionito parecchio.- guardò Aoi che trotterellava fiducioso dietro Mark, lasciandoli soli -Che facciamo?-
Salvatore alzò le spalle.
-E che vuoi fare? Ormai siamo qui…- borbottò -Chi cazzo ce l’ha fatto fare di venire?-
-Rob…-
-Ricordami di prenderlo a sberle la prossima volta che cerca di trascinarmi da qualche parte!-
Superarono tre o quattro uscite, vari bar e negozietti di souvenir e due stand di Rent a Car. Landers si fermò soltanto quando raggiunse il banco delle informazioni turistiche. Dario e Salvatore si guardarono stupiti ma comunque sollevati che quella via crucis nei corridoi dell’aeroporto a dribblare i viaggiatori avesse trovato una fine. Nessuno dei due notò la ragazza ferma a parlare in inglese con l’impiegata, ma videro perfettamente Mark raggiungere di corsa lo stand delle informazioni.
-Non fare mai più una cosa simile!-
Sotto gli occhi stupiti dell’impiegata e quelli ancor più sbigottiti di Jenny, Landers le premette una mano sulla spalla e la voltò facendole fare una piroetta.
-Mark, mi hai fatto prendere un colpo!-
-Come t’è saltato in mente di allontanarti? E se ti fossi persa?- era così ovvio che se Jenny fosse sparita, o fosse stata rapita, Philip l’avrebbe ucciso che lui non si sentiva di rischiare.
-E quella chi è?-
Fermo accanto a Gentile, Dario Belli fece spallucce.
-Sicuramente sua sorella…-
-Sua sorella ha quattordici anni!- Salvatore lo sapeva bene perché in casa di Mark aveva adocchiato le foto della sua famiglia. Sgomento, incapace di darsi una risposta e in preda ad una curiosità bruciante, abbassò gli occhi su Rob che li fissava ancor più strabiliato -Quella è la sua ragazza? Si è portato dietro la fidanzata?-
-Non lo so!-
-La conosci?-
-È la prima volta che la vedo!-
-Giura!-
-Giuro!-
Belli e Gentile si scambiarono un’occhiata apertamente sorniona. Lo sgomento stava lasciando il posto ad un profondo divertimento condito di viscerale curiosità.
-Landers s’è trovato finalmente una ragazza! E pure carina…-
La esaminarono curiosi come mai lo erano stati. Che Mark si fosse portato dietro una donna rappresentava un avvenimento. Jenny era distrutta dal viaggio e si vedeva. Era pallida, gli occhi stanchi, senza un filo di trucco, i capelli divisi in ciocche disordinate. La camicetta e i jeans si erano sgualciti a forza di stare seduta sull’aereo e avvolgevano il suo corpo sottile senza valorizzarne neppure una curva. Non era molto alta, ma per essere una giapponese neanche eccessivamente piccola. La prima cosa che attrasse la loro attenzione furono i suoi capelli scuri, lisci e lunghi sulla schiena. Erano una cascata corvina, un po’ spettinata ma stupenda, dello stesso colore del cioccolato fondente. Salvatore Gentile non riuscì a staccarle gli occhi di dosso. Il suo sguardo si spostò sul suo viso, sui suoi tratti orientali, minuti, da bambola. Sulla pelle rosea e vellutata, di porcellana, sugli occhi castani, splendenti, sulle ciglia lunghe e scure. Bella. La ragazza di Mark era decisamente attraente.
-Siamo appena arrivati e già sparisci senza dirmi niente! Cominciamo proprio bene!-
-Non arrabbiarti Mark. Non era mia intenzione farti preoccupare.- Jenny tentò di placarlo con un sorriso che avrebbe incantato chiunque e che ebbe il suo effetto immediato sui tre ragazzi immobili a fissarla -Mi seccava che ci fotografassero insieme.- infilò volantini e depliant dentro la borsa, rendendosi conto di averne presi così tanti da non riuscire più a richiuderla.
Mark non seppe cosa replicare, improvvisamente costretto a riconoscere con se stesso che Jenny non aveva tutti i torti. Era meglio se nessuna foto che li ritraesse insieme arrivasse in Giappone.
-Sì va bene, ma la prossima volta avvertimi!-
-L’ho fatto!-
-Non all’ultimo momento!-
-D'accordo.- gli sorrise ancora, conciliante -Dov’è la mia valigia?-
Landers si volse e gliela indicò. Jenny individuò i ragazzi poco discosti e tornò a fissare l’amico, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Si aggrappò al suo braccio, improvvisamente intimorita.
-Mark, chi sono quelli?-
-Non volevi conoscerli, i miei amici?- la schernì.
Jenny gli lanciò un’occhiata, poi riconobbe Aoi. Si irrigidì. Era la prima volta che lo incontrava di persona e di questo doveva essere grata alla mania di Philip di tenerla lontana dai compagni di squadra. Ma se lui avesse visto una sua foto? Se l’avesse riconosciuta? Quasi tremava quando il giovane si avvicinò.
-Benvenuta in Italia, mi chiamo Rob.- le porse una mano che Jenny strinse titubante, senza lasciare la felpa di Mark a cui era rimasta attaccata. Si sforzò di sorridergli.
-Jenny… piacere…-
-Siamo felicissimi di conoscerti, finalmente!- e la felicità trasparì davvero, dal suo sorriso.
Mark lo guardò perplesso.
-“Finalmente” cosa?-
-Finalmente conosciamo la tua ragazza!- Rob sprizzava gioia da tutti i pori -Perché non c’era da nessuna parte la notizia che ti sei fidanzato?-
-Perché non è la mia ragazza!-
Gli occhi di Aoi si spostarono da lui a lei confusi, incerti, chiaramente delusi. Si rivolse a Jenny.
-Davvero non sei la sua ragazza?-
-No, non lo sono.-
-E allora come mai siete arrivati insieme?-
-Cosa te ne frega? Jenny è un’amica. È venuta a Torino per studiare l’italiano e la ospiterò solo per qualche giorno! E poi fatti gli affaracci tuoi, Aoi!-
Jenny confermò le parole di Mark annuendo convinta, poi lanciò un’occhiata ai due italiani che li avevano raggiunti.
-Benvenuta in Italia.-
La giovane si volse. Il ragazzo che aveva parlato era indubbiamente Dario Belli, riconobbe i suoi capelli tendenti al ramato e gli occhi verdi con bagliori di smeraldo. Notò che dal vivo era molto meglio che in tv piantato tra i pali della porta. Ad Evelyn avrebbe fatto piacere saperlo, lei le notava, queste cose. Gli sorrise e si presentò in un inglese perfetto, stringendo la mano che Dario le porgeva. L’altro ragazzo, quello biondo, continuò invece a fissarla con un misto di curiosità e apprezzamento. Lampi di luce illuminavano a tratti i suoi occhi grigio-azzurri e Jenny credette di scorgervi bagliori di malizia. Era affascinante tanto quanto Belli, se non di più, ma di una bellezza diversa, forse più virile. Si sporgeva dietro l’amico, perfetto nel suo silenzio così carico di aspettative e illuminato solo da sguardi ed espressioni. Jenny era sicura di averlo già visto ed era certa che anche lui giocasse a calcio, ma non riusciva a ricordare il suo nome.
Mark era stanchissimo e voleva andare a casa, ma notò perfettamente lo sguardo insistente e interessato con cui Gentile stava studiando l’amica. I suoi occhi non l’avevano mollata un attimo. Gli diede fastidio, più di quanto fosse normale. Parlò in italiano a tutti e tre.
-Trovarvi qui è stata una piacevole coincidenza, ma visto che Jenny ed io siamo stanchi, ora ce ne andiamo a casa. Ci vediamo un altro giorno.-
Gentile si irrigidì e distolse malvolentieri gli occhi dalla ragazza, per posarli sulla faccia da schiaffi di Landers. Era andato fino all’aeroporto solo perché Belli e Aoi avevano insistito fino alla nausea. A lui non interessava scarrozzarlo a casa. E ora che era lì, quel deficiente senza speranza si permetteva addirittura di scacciarlo.
-Non hai bisogno di un passaggio?- domandò ostile -Ho la macchina qui fuori.-
-In divieto di sosta.- precisò Belli con un misto di divertimento -Speriamo che non te la portino via o ci tocca tornare a piedi.-
-A cosa dovrebbe servirmi un passaggio se esistono i taxi?- rispose secco Mark cercando di togliere la valigia di Jenny dalle mani di Dario.
Belli non glielo permise, fece un passo indietro e lo fissò dritto negli occhi.
-È la tua ragazza, Landers?-
-Assolutamente no! Jenny muoviti.- la spronò.
-Se non è la tua ragazza perché è con te?-
Mark si volse imbestialito, incrociando lo sguardo curioso di Gentile.
-Saranno fatti miei, che dici?!- fremette impaziente. Non vedeva l’ora di togliersi di torno quelle tre piattole.
-Fatti tuoi o no, prima o poi lo scopriremo. E non è una promessa, sappilo!-
Jenny avrebbe voluto capirci qualcosa, ma quelli parlavano in italiano e a lei il senso della conversazione sfuggiva completamente. Incrociò per un istante gli occhi insistenti di Gentile e si ritrovò ad arrossire. Quando distolse lo sguardo dal biondo, ebbe un flash. Si volse verso Mark.
-È lui che hai preso a pugni in campo?-
L’amico trasalì.
-Ti pare il momento?-
-L’hai preso a pugni o no?-
Mark sbuffò.
-Ti assicuro che se lo meritava!-
-Ma gioca con te nella Juventus!-
-E allora? Se lo meritava lo stesso!-
Gentile approfittò dell’esitazione di Mark per farsi avanti.
-Se non ti dispiace, Landers, vorrei presentarmi.- con un lampo azzurro sorrise a Jenny e le tese la mano.
Un secondo prima che le loro dita si sfiorassero, Mark lo scostò con una spinta e si piantò tra loro.
-Tieni le tue zampacce lontano da lei!- la tirò dietro di sé, fuori dalla sua portata.
A Gentile il suo gesto non andò giù.
-Cos’è Landers? Sei geloso? Eppure hai appena detto che non è la tua ragazza…-
-Il fatto che non sia la mia ragazza non ti autorizza a fare il cascamorto con lei!-
-Mi stavo presentando!-
-Con quella faccia da deficiente? Ma chi vuoi prendere in giro?- si caricò i bagagli, strappando dalle mani di Dario la valigia dell’amica, e si diresse insieme a lei verso l’uscita e il parcheggio dei taxi. Gli sarebbe costato un patrimonio tornare a casa con l’autista invece che con l’autobus, ma non ne poteva davvero più di quei tre.
-Perché stiamo scappando?-
-Non stiamo scappando, Jenny. Stiamo andando a casa.- rispose senza rallentare -Non sei stanca? Non vuoi riposare?-
Uscirono dal terminal e percorsero un buon tratto di marciapiede. Mark sbuffava a raffica ed era così scontento che Jenny rinunciò a rivolgergli la parola e lo seguì docile. Non capiva ma non importava, quello che contava era che l’amico la ospitasse a casa sua. Dopo alcune decine di metri di silenzio, raggiunsero i taxi. Una macchina spuntò dal nulla con un'accelerata e frenò bruscamente mentre attraversavano le strisce pedonali. Balzarono indietro spaventati.
-Sicuro Landers che non vuoi venire con noi?-
Mark ammutolì. Dario Belli sorrideva dietro al finestrino spalancato del passeggero di un’alfa romeo molto rossa e molto lucida. La riconobbe subito. Era la maledetta Giulietta di Gentile. Jenny improvvisamente capì, si aggrappò al giubbotto dell’amico e lo scosse.
-Ci stanno offrendo un passaggio?-
Fu Aoi a risponderle, affacciato dietro, un gomito sull’intelaiatura del finestrino.
-Proprio così, ma lui non vuole. Testardo...-
-Jenny, prendiamo un taxi.- tentò ancora Landers, cercando di evitare l’inevitabile.
Lei per la prima volta puntò i piedi. La sua irragionevolezza la urtò nel profondo.
-Accetta, per favore. Sono stanca.-
Quando udì la traduzione di Rob, Gentile tirò bruscamente il freno a mano, spalancò lo sportello e scese in mezzo alla strada inveendo contro Mark.
-Maledetta testa dura! Sei più cocciuto di un mulo!- costeggiò la macchina, aprì il portabagagli e ficcò dentro la valigia di Jenny. Poi si fermò davanti a Landers, le mani sui fianchi -Se la mia offerta ti fa schifo, vacci da solo col taxi! La tua Jenny te la portiamo a casa in macchina.-
-Primo: non è la mia Jenny…-
Dietro di loro un taxi strombazzò perché la Giulietta, ferma in mezzo alla strada, bloccava il traffico. Salvatore volse le spalle a Mark senza aspettare che quello finisse il suo elenco.
-Vuoi darti una mossa?- gridò l’autista sporgendosi dal finestrino.
-Me ne sto andando, sei cieco?- gridò Gentile verso il taxi. Poi rimontò al posto di guida -Aoi, fai salire la ragazza.-
Rob annuì perché stavolta la testardaggine di Mark aveva superato ogni limite. Scese dalla macchina, prese Jenny per la giacca e la tirò verso lo sportello aperto.
-Vieni, ti accompagniamo a casa.-
Lei esitò, lanciando a Landers un’occhiata indecisa.
-Per favore, Mark… Non essere ostinato.- lo implorò di nuovo. Poi montò accanto a Rob, troppo stanca per continuare ad assecondare l’amico nelle sue assurde fissazioni. Lo guardò colpevole, chiedendosi quanto la stesse odiando per quel tradimento.
Alla seconda strombazzata, Mark capì di aver perso. Serrò i pugni e si decise. Infilò con un moto di stizza le borse nel portabagagli e salì dall’altro lato. Gentile partì accelerando stizzito e il segnale sonoro della cintura di sicurezza ferì i loro timpani finché non se l’allacciò.
-La tua cocciutaggine è sconvolgente! E più hai torto e più ti intestardisci!-
-Sei tu che sei testardo! Ti ho detto che non ci serviva un passaggio!-
Si guardarono in cagnesco attraverso lo specchietto retrovisore, poi gli occhi di Salvatore si spostarono su Jenny.
-La tua ragazza è distrutta, non lo vedi?-
-Non è la mia ragazza!-
Voltata ad osservare la strada al di là del vetro, la voce di Jenny arrivò pacata, esausta e bassissima.
-Piantala Mark, mi sembra di sentirti litigare con Benji.-
Rob si volse di scatto meravigliato. Ciò che udì lo lasciò di stucco.
-Conosci Benji? Benji Price?-
-Poco… L’ho incontrato giusto una volta.-
Jenny si sforzò di sorridergli e Rob ne rimase incantato. Porca miseria quanto era carina… La osservò con rinnovato interesse, mentre una miriade di domande gli vorticavano nella testa. Ne scelse una a caso.
-Quanto pensi di fermarti a Torino?-
Jenny lo guardò incerta. Non ne aveva idea. Non riusciva neppure a pensare che prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa, soprattutto dopo aver visto la foto di Philip e Julie Pilar che si baciavano.
-Non lo so.-
-Resterai da Mark?-
Lei alzò gli occhi su Landers e gli sorrise.
-Speriamo!-
-Se non ti ospita lui puoi stare da me! Io abito a Milano, sono sicuro che ti piacerebbe, come città.-
Mark sbuffò.
-Spegni la lingua, Aoi. Siamo stanchi.-
Quando arrivarono a destinazione, Salvatore spense il motore e smontarono tutti. Mentre frugava nello zaino in ricerca delle chiavi, Landers lanciò loro un’occhiata. Doveva liberarsi degli amici, ma in che modo? Era troppo stanco, non riusciva a pensare. Aprì la porta, accese la luce dell’ingresso e si scostò per lasciar passare Jenny. Come aveva temuto, anche gli altri tre s’imbucarono.

Philip si svegliò perché un raggio di sole gli batteva sul viso. Filtrando prepotente e luminoso da una fessura tra le tende, aveva finito per disturbagli il sonno. Alzò una mano per ripararsi dalla luce, l’ombra di un mal di testa gli aleggiava tra le tempie perché la sera prima aveva esagerato con la birra. Si sollevò leggermente e si accorse che Julie giaceva nuda, rannicchiata contro di lui. Sospirò e chiuse gli occhi. Quando lasciò ricadere la testa sul cuscino, fitte lancinanti gli trapanarono il cervello.
-Philip?-
Era bastato un piccolissimo movimento per svegliarla. Julie aveva il sonno decisamente troppo leggero, non riusciva mai a tagliare la corda di nascosto. Si girò, la giovane lo stava fissando. Si liberò da quel corpo morbido e caldo aggrovigliato al suo, lanciò un’occhiata all’orologio e si alzò.
-È tardi.- radunò in fretta i propri vestiti sparpagliati un po’ ovunque senza ricordare né quando né come se li era tolti, e sparì nel corridoio per infilarsi in bagno.
Julie sbadigliò, afferrò il copione dal comodino e cominciò a sfogliarlo. Quando Philip si riaffacciò in camera ormai vestito e pronto per andarsene, gli lanciò appena un’occhiata, presa com’era dalle proprie battute.
Lui la salutò altrettanto distrattamente mentre afferrava il cellulare dal comodino accanto al letto. L’aveva dimenticato acceso per tutta la notte e ora la batteria era da ricaricare. Aveva ricevuto cinque messaggi e non ne aveva sentito arrivare neppure uno. Leggendoli lasciò la stanza.
S’infilò le scarpe e uscì di casa. Julie abitava all’undicesimo piano ma Philip non chiamò l’ascensore. Aveva bisogno di muoversi, aprì la porta di sicurezza che immetteva sulle scale e le imboccò con gli occhi sul display del telefonino. Cancellò tre messaggi pubblicitari. Ne trovò uno di sua sorella, voleva invitarlo a cena quella domenica. Le scrisse subito di no. Un altro era di Julian che gli chiedeva come stava. Ross si faceva sentire raramente, occupato com’era tra Amy, le partite della J-League, le lezioni e gli esami all’università. Gli rispose che stava una favola e si ficcò il cellulare in tasca. Raggiunse in fretta la macchina che Julie aveva parcheggiato dall’altra parte della strada. Era stata lei a guidare, al ritorno dalla birreria. Philip glielo aveva lasciato fare perché durante la cena aveva mandato giù una birra dietro l’altra fin quando aveva cominciato a vederci doppio. A quel punto si era fermato ma non si era sentito lo stesso abbastanza sobrio da mettersi al volante.
Ripensò all’amica di Julie che gli era rimasta appiccicata tutta la sera e che gli aveva riempito di continuo il bicchiere. Era anche grazie a lei se quando era uscito dal locale era brillo. Le aveva prestato così poca attenzione che ricordava a mala pena il suo volto. L’unica cosa che gli era rimasta impressa, oltre la sua voce, erano stati i tentativi di attirare i suoi sguardi, prima accostando di più la sedia alla sua e poi mettendogli addirittura una mano sulla gamba. Ripensò alla piacevole sensazione di quelle carezze. Prima di versargli da bere con tanta sollecitudine, lei gli aveva lasciato il suo numero di telefono e magari poteva provare a chiamarla, una volta. Tirò fuori le chiavi, fece scattare la chiusura della macchina e prima di salire gettò il telefonino sul sedile del passeggero.
Era una fortuna che quella mattina si trovasse a Sapporo perché gli ci sarebbe voluto del tempo per tornare a Furano e guidare lo rilassava. Dopo una sera e una notte passate con Julie Pilar, dopo ore a fingere di divertirsi ma con il cervello intasato da tracce di sensi di colpa che non avevano nessuna intenzione di abbandonarlo, cercando di dimenticare Jenny e non riuscendo a farlo, aveva bisogno di non pensare a niente. Forse doveva provare a sballare come facevano ogni tanto i suoi compagni di squadra. Anche lui e Peter erano stati invitati ai loro festini nell’appartamento di Daniel Baird, l’attaccante del Sapporo, ma finora avevano sempre rifiutato. Eppure una volta voleva provare ad andare. Ne aveva sentito parlare spessissimo negli spogliatoi, con gran divertimento e risate. Dalle mezze frasi e dagli accenni prudenti dei compagni, che raramente si lasciavano sfuggire una parola di troppo davanti a chi non partecipava, pareva che durante quei raduni girasse un sacco di roba. Philip non aveva idea di cosa, finora non gli era mai interessato saperlo ma adesso si trovò a pensare che quella fosse l’occasione buona per provare ciò di cui tanto si parlava, almeno una volta nella vita, visto che si sentiva proprio una schifezza.

Alle spalle di Mark, Aoi sgusciò in casa come un’anguilla e subito dopo di lui avanzò Gentile che piazzò una mano sulla porta per tenerla aperta quando Landers tentò invano di richiudergliela in faccia.
-Non ci inviti ad entrare?-
-No!-
-Non ci offri neppure da bere?-
-Non c’è niente, né da bere né da mangiare.-
-Allora dovremo andare a fare la spesa.-
-Dovremo?-
Jenny fece finta di non udire il tono polemico che trasudava di nuovo dalla voce di Mark. Tanto avevano ripreso a parlare in italiano e neanche volendo avrebbe capito. Si guardò intorno. La casa era ben arredata, nuovissima e straordinariamente ordinata. Chi accidenti faceva le pulizie lì dentro?
Lui la vide imbucarsi nel salotto, afferrò la sua valigia lilla e la chiamò.
-Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.- lanciò un’occhiata torva agli altri e proseguì in italiano -Non muovetevi da qui!-
-Quindi possiamo restare? Perfetto!-
Mark strinse le dita intorno maniglia della valigia per reprimere l’istinto di saltare addosso a Gentile e strozzarlo. Salì le scale e precedette l’amica nella camera degli ospiti. Ospiti che finora non aveva mai avuto. Jenny l’avrebbe inaugurata.
Le pareti erano verde mela, il parquet era quasi completamente nascosto da un tappeto grigio chiaro. Il letto matrimoniale era accanto alla finestra, carico di cuscini di tutte le misure. Le tende erano bianche con decorazioni di foglie verdi. Tra il letto e la finestra c’era un tavolino di legno con un paio di cassetti, un lume sul ripiano e uno sgabello ricoperto da un cuscino. Di fronte al letto, un piccolo mobile di bambù bianco era sovrastato da due mensole su cui erano impilate in bell’ordine alcune scatoline di cartone colorato e qualche soprammobile insignificante. Sull’ultima parete, quella in cui si apriva la porta, era accostato un armadio di legno scuro a quattro ante.
-Il bagno è in fondo al corridoio.-
Lei si lasciò cadere su quel letto morbido e così pieno di cuscini. Annuì guardandolo raggiante.
-Molto meglio di un hotel!-
La felicità di Jenny lo colpì nel profondo, era da più di un anno che non la vedeva così. E di momenti simili Jenny ultimamente doveva averne vissuti davvero pochi, soprattutto se lei e Philip si erano lasciati. Ora ce l’aveva davanti, poteva constatare con i propri occhi che l’amica era in qualche modo sopravvissuta a Kyoto. Ma a che prezzo? Non poteva capirlo, addirittura immaginarlo, ma per la prima volta da più di dodici ore fu contento di aver deciso di ospitarla. Se solo non ci fossero stati quei guastafeste ad aspettarlo all’aeroporto e ora dentro casa, al piano di sotto… Uscì dalla stanza mentre lei si guardava ancora intorno e rientrò dopo pochi minuti con una pila di asciugamani. Jenny era in piedi davanti alla finestra, osservava case ed edifici che la circondavano. Oltre i tetti di tegole rosse si innalzavano imponenti le Alpi, ricoperte di neve sulla cima. Il sole stava tramontando e i ghiacciai riflettevano l’aria dorata.
Mark appoggiò gli asciugamani sul letto e tornò verso la porta.
-Cercherò di liberarmi di quei rompicoglioni.- aveva già una mezza idea -Mi faccio accompagnare a fare la spesa, poi li mando al diavolo.-
Dario Belli osservò Gentile che camminava su e giù davanti alla porta d’ingresso, lanciando alle scale occhiate insistenti e interessate. Sembrava in preda alla forte tentazione di seguire Landers di sopra. Gli si avvicinò, gli serrò un braccio e arrestò il suo andirivieni, fissandolo indagatore.
-Senti un po’… Hai mica intenzione di provarci con la ragazza di Landers?-
Sul volto del biondo comparve un sorrisetto divertito.
-Non è la sua ragazza, l’ha detto lui.-
-E tu gli credi?-
-Certo!-
-Solo perché ti fa comodo.-
Gentile fece spallucce e lui lo incalzò.
-Se non è la sua ragazza, allora che ci fa qui?-
-Questo non lo so. Ma se continua a dire che non stanno insieme, ho tutto il diritto di provarci.-
-Lei ti interessa solo per fargli un dispetto.-
Salvatore gli rispose con un sorriso furbo.
-Non è graziosa?-
-Certo che lo è…-
-E ti risulta che io mi lasci scappare le belle ragazze?-
-Landers le sta addosso, finirete per litigare.-
Gentile fece spallucce.
-E allora? Lo facciamo sempre.-
Mark comparve sul pianerottolo e Dario accantonò il discorso con un ultimo assennato consiglio.
-Lasciala perdere, è meglio per tutti.-

Il traffico era pazzesco e Philip impiegò quasi tre ore a raggiungere Furano. Durante la notte tra le montagne aveva nevicato e in alcuni tratti, dove il manto stradale continuava ad essere ghiacciato, si procedeva a passo d’uomo tra granelli di sale chimico gettati dagli addetti alla manutenzione delle autostrade. Il sole splendeva su tutto quel bianco accecante e il riverbero gli feriva gli occhi. Il mal di testa alla fine era scoppiato e lui non vedeva l’ora di arrivare a casa, gettarsi sul letto della sua stanza e aspettare che passasse.
Aveva approfittato di quel giorno di riposo dagli allenamenti per tornare a Furano e portare a sua madre i panni da lavare. Dormiva spesso dai suoi, ultimamente. Fare il pendolare tra Sapporo e Furano a lungo andare era stancante, ma da quando Jenny aveva portato via tutte le sue cose dal loro bell’appartamento in centro ed era sparita, non era stato più capace di rimetterci piede. Il pensiero di dormirci anche solo per una notte lo raggelava.
Avevano trovato la loro casa ideale circa un anno prima dopo giorni e giorni di ricerche: un attico che il suo nuovo stipendio di calciatore professionista gli consentiva di permettersi senza problemi. Dava sulla strada principale di Sapporo, quella stessa che il giorno prima aveva percorso a piedi con Julie, dalle ampie vetrate delle stanze si vedeva la torre dell’orologio di acciaio rosso e bianco svettare nel cielo azzurro. Il panorama sulla città era fantastico. Il grande viale su cui si affacciava il balcone che correva per tutta la lunghezza dell’appartamento era pieno di giardini e fontane. Era il luogo più animato e frequentato di tutta la città e in quei giorni d’inverno stava diventando uno spettacolo bellissimo con le enormi sculture del Festival della Neve. I grandi cumuli di ghiaccio erano lì pronti ad essere modellati dalle squadre delle associazioni. Li aveva visti il giorno prima, ma non con Jenny, come aveva immaginato che sarebbe successo, con Julie. E non dalla loro casa, ma dalla strada. Jenny non c’era più e lui aveva disertato l’appartamento, continuando a pagarne l’affitto perché prima o poi doveva tornarci. Le sue cose erano ancora lì e non poteva continuare a fare il pendolare all’infinito. Non era coerente. Per la sua smania di star lontano da quel luogo così pieno d’angoscia, che trasudava sofferenza persino dalle pareti, al campo arrivava sempre tardi, finiva per saltare gli allenamenti, le riunioni, i raduni. E se avesse cambiato casa? Se avesse traslocato in un monolocale in qualche altro quartiere della città? Ci pensava da giorni, gliel’aveva suggerito persino Peter, ma non riusciva a decidersi. Un trasloco significava tornare nell’attico a preparare scatoloni ed era molto più facile evitare di metterci piede.
Tenendo una mano sul volante si passò l’altra indietro tra i capelli, lasciandola indugiare per un attimo sulla nuca. Se il mal di testa gli avesse consentito di prendere sonno, a casa dei suoi si sarebbe ficcato a letto. L’indomani lo aspettava un’alzataccia all’alba per fare il tragitto inverso, con la speranza che la neve non bloccasse le strade e riuscisse ad arrivare per una volta puntuale all’appuntamento con i compagni di squadra.
Parcheggiò davanti casa all’ora di pranzo. Infilò la chiave nella serratura e quando aprì la porta si trovò faccia a faccia con sua sorella. Gli prese un colpo e la fissò ostile.
-Che ci fai qui?-
Non esisteva un solo motivo per cui Kate dovesse trovarsi in casa. Sua sorella era felicemente sposata con il dirigente di un’agenzia immobiliare. Abitavano ad Asahikawa ed era raro che tornasse dai genitori. Piuttosto erano loro ad andare da lei, togliendosi di torno per intere e rilassanti giornate durante le quali Philip aveva la casa a sua completa disposizione. Si guardò intorno e tirò un sospiro di sollievo non vedendo traccia di Willy, il suo piccolo e petulante nipote. O era rimasto a casa sua con il padre, oppure era con i suoi a far spese da qualche parte, o magari al cinema o chissà dove.
-Questa è anche casa mia.- rispose Kate infastidita -Mamma ha detto che non ha tue notizie da tre giorni. Che fine hai fatto?-
-Ho avuto da fare.- Philip imboccò le scale trascinandosi dietro la borsa piena di panni da lavare.
-Perché hai spento il cellulare? Peter Shake ti sta cercando da ore!-
-Si è spento da solo, ho la batteria scarica. Che vuole?-
-Vuole avvertirti che oggi pomeriggio è in programma una seduta straordinaria di allenamenti e alle quattro ti aspetta al campo.- lo seguì sulle scale, lo osservò infilarsi in bagno e svuotare la borsa nel cesto dei panni sporchi -Ovviamente non ci andrai, visto che sei qui…-
-Sei perspicace, come al solito.- la schernì lui. Riprese stizzito la borsa praticamente vuota, e le passò accanto urtandole un braccio. Non si scusò.
-Deficiente…-
Kate lo seguì fin dentro la sua camera e lo vide in piedi, davanti all’armadio, a rinfilare nella borsa dei panni puliti senza fare troppa attenzione che non si spiegazzassero. La donna si guardò intorno. Era quasi un anno che non metteva piede nella stanza del fratello, ma notò subito un unico, grande cambiamento.
-Dov’è finita la foto tua e di Jenny?-
-Non c’è.-
-Vi siete lasciati?-
Lui fece finta di non sentirla, sforzandosi di concentrarsi su ciò che stava facendo. Kate scosse la testa incredula, perché quel silenzio non poteva che essere un assenso. Un moto di dispiacere le serrò lo stomaco. Erano stati insieme per anni, lui e Jenny, ed era convinta che si sarebbero sposati. Anche la mamma e il papà ne erano convinti. Loro lo sapevano? Sicuramente no, altrimenti l’avrebbero avvertita. Fissò il fratello. Philip non aveva reagito alla domanda, non aveva cambiato espressione. Solo gli occhi, per un attimo, avevano scintillato di dolore. Evidentemente la ferita era ancora aperta e sanguinava.
-Il pranzo è quasi pronto.- disse prima di lasciare la stanza -Mangi?-
Lui scosse la testa e chiuse la borsa. Era stato uno stupido a tornare a casa. A fare cosa poi? A lasciare che Kate s’impicciasse della sua vita? La sua assurda frenesia di fuggire da Sapporo l’aveva riportato a Furano quando invece avrebbe dovuto essere lì. Adesso non gli restava altro da fare che ripartire di corsa e presentarsi agli allenamenti del pomeriggio, prima che il mister si stancasse di lui e lo scacciasse dalla squadra, convincendo la società a non rinnovare il suo contratto.

Erano le otto quando la serratura della porta d’ingresso scattò. Mark la spalancò con il piede, le mani cariche di pacchi.
-Jenny! Dove sei?-
-Di sopra!-
-Vieni giù! Ho portato la pizza! E non solo, purtroppo.-
Fuori Rob e Dario scaricarono sul vialetto il resto della spesa, compresa una cassa piena di bottiglie di birra. Gentile entrò in casa a mani vuote, il cellulare tra le dita, gli occhi abbassati sul display che gli illuminava il viso di una tenue luce azzurra. Stava rispondendo ad un messaggio, e a dare una mano non ci pensava proprio.
Jenny spuntò sul pianerottolo del primo piano gocciolante, appena uscita dalla doccia. A coprirla solo l’asciugamano che si teneva stretto al petto e le arrivava a metà coscia. Una cascata di capelli ancora bagnati le ricadeva intorno al viso.
-Non ho capito…- cercò Mark con gli occhi e lo vide sollevare la testa di scatto, fissandola incredulo. Poi, accanto a lui, mise a fuoco anche Gentile.
Salvatore alzò il viso dal cellulare, attirato dalla sua voce, e le parole del messaggio si confusero perdendo significato. Nel suo sguardo trapelò dapprima meraviglia poi, dopo un secondo, divertito apprezzamento. Non disse nulla ma le dedicò un sorriso formato-privato, di quelli che promettevano un rapporto unico e speciale. Sotto i suoi occhi Jenny divenne paonazza. Fece un passo indietro, stringendosi addosso l’asciugamano mentre Gentile, lo sguardo su quella pelle nuda che l’asciugamano non poteva nascondere, inviò il messaggio senza neppure finire di comporlo.
Mark spintonò l’italiano verso la cucina mentre quello puntava i piedi per impedirglielo. Poi si volse furibondo verso Jenny piantata lì, immobile come una statua.
-Vai subito a vestirti!-
Lei sobbalzò al rimprovero.
-Mi hai chiamata tu!- gli gridò addosso, un secondo prima di sparire oltre l’angolo del muro. S’infilò in camera furiosa e richiuse la porta con una tale violenza da far risuonare il tonfo per tutta casa. Poi, immobile al centro della stanza, si portò incredula le mani alle guance. Le sentì bollenti. Si volse e si guardò nello specchio appeso alla parete. Era arrossita, anzi, era paonazza. Davanti a Mark, davanti a Gentile, aveva appena fatto una madornale figura di merda.
Ancora piantato nell’ingresso, Salvatore s’infilò il cellulare in tasca, incapace di credere a tanta fortuna.
-Va sempre in giro per casa così, Landers?-
-Perché invece di dire stronzate non dai una mano?-
-Scherzi? Prima mi inviti e poi mi fai sgobbare?!-
-Io non ti ho invitato, sei tu che ti sei imbucato!-
-Vorrei vedere! Ti sto facendo l’autista da ore! E poi la pizza l'ho offerta io!-
Mark sbuffò.
-Era il minimo che potessi fare.-
-Il minimo che potessi fare per riuscire a dare un’occhiata più da vicino alla tua amica.- e cacchio se c’era riuscito -Non penserai mica di tenerla chiusa in casa, lontana dal resto del mondo? E per di più mezza nuda? Non è giusto che te la godi solo tu!-
Mark divenne scarlatto.
-Non mi godo proprio niente!- lanciò un’occhiata a Rob e Dario che portavano in cucina spesa e birre -E poi il resto del mondo chi sarebbe? Tu?-
-Certo che sono io! Non ti fidi di me?-
Mark lo fissò ostile.
-No, ma mi fido di lei. A Jenny non interessano i palloni gonfiati.-
Salvatore s’irrigidì a quel mezzo insulto.
-Che ne sai?-
-Lo so, la conosco da anni.- Mark non sapeva nulla dei gusti di Jenny, ma quel borioso italiano era distante anni luce da Philip e l’amica non avrebbe mai potuto provare interesse per lui.
Dario si affacciò nel corridoio, imbronciato.
-La smettete di bisticciare? La pizza si fredda e la partita comincia.-
Jenny comparve sulla porta della cucina titubante, guardinga, ancora piena di imbarazzo, portando con sé un profumo di bagnoschiuma ai fiori. I capelli, asciugati in fretta e in furia e ancora umidi, le ricadevano sciolti sulle spalle, un velo di trucco nascondeva la stanchezza del viaggio. Gli occhi guizzarono timorosi nella stanza in cerca del biondo italiano e quando lo trovò non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo. Abbassò il viso e arrossì. Lui se ne accorse e si volse verso Dario, ridendo lusingato.
-Hai visto? Ho già fatto colpo!-
-E ti pareva…-
Mark li udì e sussultò. Lasciò perdere i cartoni della pizza e si volse. Scorse Jenny immobile sulla soglia, una mano sullo stipite, le guance arrossate, gli occhi luccicanti e un’aria imbarazzata che la rendeva estremamente graziosa. Come se ciò non bastasse, per i gusti di Mark l’amica indossava una camicetta troppo scollata e una gonna troppo corta. La guardò mentre gli si accostava.
-Non avevi detto che ti saresti liberato di loro?-
-Avevo dimenticato la partita.- lui represse la stizza, prese tre birre per il collo e spinse Gentile fuori dalla cucina. Lei li seguì per un tratto, curiosa.
-Che partita?-
-Barcellona contro Amburgo.- Mark le rispose dal salotto mentre Gentile si lasciava cadere su una poltrona.
-Sai una cosa Landers? Non ho mai avuto una ragazza giapponese.-
-E non l’avrai.-
Gli occhi azzurri di Salvatore brillarono di divertimento.
-Il caso vuole che in questo momento sia libero come l’aria.-
-Davvero? Che fine ha fatto Clarissa?-
Lo sguardo dell’italiano si oscurò.
-Ci siamo lasciati.-
-E perché?- ecco un’altra coppia scoppiata! Che accidenti stava succedendo in quel periodo? Gentile si irrigidì, nei suoi occhi passò un lampo di scontento che non riuscì a mascherare.
-Non sono affari tuoi. E comunque sono sicuro che Jenny non ha mai avuto un ragazzo italiano.-
-E allora? Jenny non colleziona fidanzati.-
Lui e Dario si scambiarono un’occhiata d’intesa, pronti a metterlo in imbarazzo.
-È vergine?-
-No che non lo è!-
-Come fai a saperlo? Continui a insistere che non è la tua ragazza…-
Mark li fulminò. Afferrò la birra e ne mandò giù una sorsata risentita.
-Sai che ti dico, Dario?- insistette Gentile -Landers ci ha provato ma non c’è riuscito.-
-Stavolta la penso esattamente come te.-
-Non ci ho provato, razza di cretini! Jenny per me è come una sorella!-
-Tranquillo, la tratterò bene la tua “sorellina”.- rise Salvatore.
-Tu non devi neanche provarci!-
-Perché no? Lascia che sia lei a decidere, è grande abbastanza.-
Jenny li osservò curiosa dalla cucina, decidendo che Gentile aveva una bella voce. Profonda, melodica come l’acqua che scorre, l’acqua dei suoi occhi. Ascoltava a tratti una conversazione che non riusciva a capire. Li sentiva ridere, Mark rispondere a tono, e temeva fortemente che stessero parlando di lei perché aveva udito più volte pronunciare il proprio nome. Poi Salvatore sollevò lo sguardo dalla birra e la scorse attraverso il corridoio. Le sorrise cordiale, lei arrossì e fece un passo indietro, nascondendosi dietro l’angolo per evitare i suoi occhi. Si diede della stupida. Stava reagendo come una quindicenne e non riusciva a capire il perché. Si riscosse, si disse che non poteva restare tutta la sera in cucina da sola, pure se Gentile l’aveva vista mezza nuda. Si fece coraggio ed entrò nel salotto. Per fortuna almeno Dario e Rob le lanciarono un’occhiata distratta, tornando a spartirsi la pizza. Si avvicinò titubante al divano e si appollaiò sul bracciolo accanto a Mark, tesa come una ragazzina. Lui le porse uno spicchio di pizza.
-Perché non mi hai detto che giocava Holly?-
-L’avevo dimenticato.-

Philip giaceva bocconi sul divano. Nel silenzio dell’ampio salone della villa percepiva ancora il rombo dei bassi della musica che gli aveva martellato il cervello per tutta la serata. Non sapeva di cosa si fosse intontito. Un po’ incerto e dubbioso aveva attinto a caso tra quello che gli avevano proposto, confezioni di pasticche così illegali che chi tra i ragazzi le aveva procurate, aveva rischiato non solo l’arresto ma anche il posto in squadra e lo sputtanamento pubblico. Il leggero senso di colpa che l’aveva assalito mentre allungava la mano verso il tavolo, tra anfetamine, nitrito di amile, rush, acido salicilico ed ecstasy, era stato spazzato via dall’occhiata ironica che Daniel Baird aveva scambiato con gli altri, sicuri che Philip non avesse le palle per mandar giù quella roba. Uno stupido orgoglio e la voglia di dimostrare che lui non valeva meno di loro, l’aveva spinto ad afferrare una pasticca e a inghiottirla insieme alla birra. Sapeva perfettamente che il fatto di non aver mai voluto partecipare a quelle feste lo aveva fatto diventare, insieme a Peter Shake, lo zimbello della squadra.
Convinto che l’effetto sarebbe stato immediato, era rimasto immobile per alcuni minuti, seduto ad aspettare che succedesse qualcosa sotto gli occhi divertiti dei ragazzi che gli stavano intorno. Invece la prima mezz’ora non aveva provato niente, nemmeno un leggero stordimento. Solo ad un certo punto della serata, il battito del suo cuore aveva cominciato ad andare a tempo con i bassi e la musica gli era entrata dentro. Vampate di calore lo avevano avvolto, tanto che si era sfilato la felpa restando in maglietta. Il suo malumore era stato scalzato da un’euforia inspiegabile e una voglia irresistibile di divertirsi, che lo aveva spinto tra gli ospiti che ballavano, nel mucchio in mezzo agli altri. Una ragazza con uno striminzito vestitino fucsia e i capelli legati in una coda si era messa a ballare accanto a lui, sempre più vicina fino a strusciarglisi addosso. Ad un certo punto Philip le aveva posato le mani sui fianchi e lei gli aveva circondato il collo con le braccia. Avevano cominciato a baciarsi e si erano spostati a poco a poco ai lati della pista. Nelle ore successive si erano dati alla pazza gioia in una stanza al piano di sopra. Poi ad un certo punto la giovane era scomparsa, Philip era andato in bagno, aveva vomitato anche l’anima ed era tornato nel salotto privo di forze, dove si era lasciato cadere bocconi su uno dei divani, sotto gli occhi divertiti e un po’ fatti dei compagni.
Ora si sentiva come se il suo corpo si fosse spaccato in due. Lo stomaco era sottosopra, protestava per la nausea e lo stimolo a vomitare gli arrivava a ondate nel cervello. Ma non aveva più niente da espellere, s’era già completamente svuotato. La testa, la mente, i pensieri, tutto era sprofondato in una nebbia da cui ogni tanto emergeva un ricordo vago, un pensiero inutile. L’intontimento lo avvolgeva con un piacevole torpore, tenendogli lontano dalla mente ogni idea e ogni concetto. Anche sforzandosi, e non gli andava certo di farlo, non riusciva a pensare a nulla. Il vuoto assoluto. Neppure ricordava la ragazza con cui si era divertito quella notte. Neppure si rendeva conto, a tratti, di dove si trovasse e di cosa ci facesse lì, se non fosse stato per la nausea che lo assaliva e lo riportava sul confine della consapevolezza.
Se ne stava riverso su quel divano un po’ appartato da almeno due ore, il viso girato verso la spalliera, l’altra guancia incollata alla tela spessa dei cuscini. A parte le proteste del suo stomaco scombussolato, finalmente stava bene ed era felice. Sul suo volto aleggiava l’ombra di un sorriso, quella notte aveva soddisfatto tutti i sensi.
D’un tratto qualcuno gli sollevò un braccio e glielo lasciò ricadere brusco. La mano urtò dolorosamente contro l'intelaiatura del bracciolo del divano, la fitta gli raggiunse il cervello, poi si dissolse nel nulla.
-Callaghan è andato.- rise una voce maschile. Forse era Daniel.
-Per essere la prima volta ha reagito bene.-
-Tocca invitarlo di nuovo. È stato uno spasso!-
Una risata gli rimbombò nelle orecchie. Un moto di fastidio lo invase e la nausea lo assalì ancora. Forse non l'avrebbe più abbandonato. Si chiese chi lo stesse sfottendo, cercò di aprire gli occhi ma non ci riuscì, continuò a vedere nero e dopo quello sforzo, abbandonò ogni tentativo di riscuotersi.
-Chiamate Shake così se lo viene a riprendere.-
Quella frase lo fece riemergere di nuovo, e stavolta in modo ancora più brusco, dagli spessi strati di ovatta che gli avvolgevano il cervello. No, non Peter. Non voleva assolutamente che qualcuno che lo conosceva da anni lo vedesse ridotto in quello stato. Tentò di sollevare il braccio che pendeva inerte a terra, ma non riuscì ad agitare neppure le dita che sfioravano il pavimento.
Aveva bisogno di tempo. Un minuto, due, tre… qualche istante ancora per riuscire a connettere, per riallacciarsi addosso gli arti che erano finiti chissà dove. A forza di provare tornò gradualmente padrone della sua mano. Agitò le dita e un formicolio fastidiosissimo gli salì su per la spalla, fin sulla nuca e sul cuoio capelluto. Fece un altro sforzo e spostò la gamba. La lasciò scivolare a terra e appoggiò un ginocchio sul pavimento. Quei semplici, stupidissimi movimenti lo sfiancarono. Si prese del tempo per riposare. Volarono altri minuti, dieci, quindici, poi un trillo prepotente e improvviso gli risuonò nelle orecchie, seguito subito da alcune voci concitate che si avvicinavano.
Peter entrò nel salone guardandosi intorno. Come posò gli occhi sul volto sfatto dell’amico, la preoccupazione lasciò il posto all’ira.
-Cosa gli avete dato?-
Baird rispose stizzito.
-Callaghan si è servito da solo!-
Shake scostò bruscamente Richard Hall che era sul suo percorso, si avvicinò a Philip e si chinò su di lui. Doveva portarlo via da lì e farsi promettere che non ci avrebbe più rimesso piede.
-Vieni, ce ne andiamo.- gli afferrò un braccio e cercò di tirarlo su -Ce la fai a camminare?-
Philip non credeva di avere la forza di rispondere, ma invece assentì, chinando appena la testa. Aiutato da Peter si mise in piedi, malfermo sulle gambe, gli occhi offuscati.
Uscirono in strada e l’aria gelida della mattina lo riscosse. Aggrappato al compagno per non scivolare sul ghiaccio, barcollò fino alla macchina. Peter aprì lo sportello e l’aiutò a infilarsi dentro. Poi gli agganciò la cintura di sicurezza, perché Philip da solo non era in grado di farlo. Richiuse sbuffando lo sportello, salì dall’altro lato e si sedette al suo fianco.
-Che cazzo combini, Philip? Che ci facevi lì con loro?-
Lui si volse e gli lanciò un’occhiata stanca, confusa.
-Niente…-
-Niente?- alzò la voce, furioso -Il loro “niente” non ti è mai piaciuto! Ora invece ci sei andato. Perché?-
Philip chiuse gli occhi e posò la nuca contro il poggiatesta, continuando a restare in silenzio.
-Hai provato anche tu? Anche tu hai mandato giù quelle schifezze, vero? Come hai potuto farlo? Hai sempre disapprovato… Abbiamo sempre disapprovato.- tacque un istante e abbassò lo sguardo sul contachilometri fermo a zero. Poi si volse di scatto -Se ti vedesse Jenny! Se lo sapesse!-
Philip fu scosso da un fremito e si volse, cercando di mettere a fuoco quel volto che conosceva da quando erano bambini.
-Non c’entra niente lei! Non voglio che la nomini!-
-Perché? Altrimenti che fai? Mi prendi a pugni?-
La sua provocazione cadde nel vuoto. Philip non aveva la forza neppure di rispondergli. Fremente di indignazione, Peter lo riempì d’insulti finché non si fu sfogato abbastanza. Poi puntò gli occhi sulla strada, mise in moto e partì.
Dopo quel barlume di lucidità che gli aveva richiesto lo stesso sforzo che gli ci era voluto per trasferirsi dal divano alla macchina, Philip scivolò di nuovo nel torpore. Ma adesso non era più tanto piacevole. Immagini di Jenny si accavallavano nella sua testa una dietro l’altra e non aveva abbastanza energie per scacciarle. Le parole di Peter non finivano di riecheggiargli nella mente, rimbalzando impazzite come le palline di un flipper. L’amico aveva ragione, Jenny non avrebbe mai voluto e proprio per questo era valsa la pena. Ce l’aveva ferocemente, furiosamente e disperatamente con lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa che lei avesse disapprovato. Il tempo e la sofferenza avevano cancellato molti particolari dei loro litigi e Philip aveva finito per dimenticare fino a che punto e quante volte le sue parole l’avessero ferita. Quando l’ira dell’ultima discussione era evaporata, ne era rimasto come inaridito, con un vuoto dentro che aveva sentito subito la necessità di riempire. Allora aveva provato e riprovato a chiamarla sia al cellulare e che a casa, per fare la pace, per scusarsi, per riavvicinarla a sé. Lei non aveva mai risposto, né all’uno, né all’altro telefono. Così, dopo un paio di giorni di tentativi, era salito in macchina ed era tornato a Furano, arrivando fin sotto casa sua. Aveva parcheggiato lungo il marciapiede, era sceso ed era rimasto sgomento ad osservare a naso in su porte e finestre completamente sbarrate. Il panico l’aveva assalito. Si era avvicinato al cancello e aveva suonato. Nessuno aveva risposto. La cassetta della posta traboccava di volantini, nessuno la ritirava più. Aveva lanciato un’altra occhiata alla casa e aveva capito che Jenny non c’era, non c’era più da giorni. Era risalito in macchina e se n’era andato. Il giorno dopo non era tornato a Sapporo e aveva saltato gli allenamenti per restare per buona parte della giornata seduto in macchina davanti casa di lei. Non l’aveva vista. Era ritornato il giorno dopo e quello dopo ancora per tutta la settimana, intervallando le sue visite ad inutili telefonate. Poi Peter lo aveva chiamato e gli aveva detto chiaro e tondo che se avesse continuato a saltare gli allenamenti, avrebbe rischiato il posto in squadra. Così era ripartito, con la certezza che la casa era vuota e che Jenny se n’era andata. La delusione e l’angoscia si erano tramutate in collera e con il passare dei giorni l’ira verso chi l’aveva abbandonato senza neppure una parola, aveva distorto i ricordi. Adesso non era più lui ad averla lasciata nei corridoi dello stadio di Sapporo durante il loro ultimo litigio, ma lei ad essere sparita senza avvertirlo e senza dargli spiegazioni, senza neppure dargli il tempo di scusarsi, di chiederle perdono. La nuova versione dei fatti aveva attenuato lo shock dell’abbandono e il dolore del distacco, lo aveva giustificato quando aveva deciso di distrarsi con un paio di ragazze amiche di amici. Era rimasta radicata dentro di lui mentre chiamava Julie per la prima volta al cellulare, quando aveva cominciato a vedersi con lei. Aveva continuato a credere per giorni che la colpa di tutto fosse di Jenny, ne era rimasto convinto fino a quel momento. Uscito dalla villa di Daniel, dopo le parole di Peter, gli erano tornate davanti agli occhi chiare e nitide le finestre sprangate della bella casa alle pendici di Furano. E ora nella macchina dell’amico, seduto accanto a lui, intontito dalle anfetamine, Philip capì finalmente che la colpa era sua. Solo ed esclusivamente sua. Era lui ad aver sbagliato tutto. Con un tuffo al cuore si rese conto che forse non l’avrebbe più rivista, che probabilmente l’aveva persa per sempre.
Peter guidò in silenzio. Era furioso e non sapeva che fare. Non gli andava di portare Philip da lui (Grace si era fermata, quella notte) ma non si fidava neppure a riaccompagnarlo a casa. L’amico non metteva piede nel suo appartamento da mesi e non se la sentiva a lasciarcelo da solo, così all’improvviso e per di più in quello stato. Mentre era fermo ad un semaforo si frugò nelle tasche, tirò fuori il cellulare e spinse il tasto invio.
-L’ho preso, è qui con me.- disse quando Grace gli rispose -Cosa faccio?-
Le parole di Peter si fermarono nel limbo in cui la mente di Philip continuava a galleggiare e persero di significato prima di assumere un senso.
-Non mi fido a lasciarlo da solo...- un’altra pausa -Va bene.- Peter chiuse la comunicazione e posò il cellulare sul sedile, tra le gambe. Lanciò un’occhiata a Philip che teneva gli occhi chiusi. Scosse la testa e tornò a seguire la strada.
Si fermò nel parcheggio riservato al condominio, smontò e suonò al citofono. Mentre aspettava che Grace rispondesse, osservò il compagno che aveva lasciato in macchina, immobile sul sedile. Teneva gli occhi chiusi, la testa abbandonata contro il vetro del finestrino, forse dormiva. Probabilmente non si era neppure accorto che erano arrivati.
La ragazza comparve avvolta nel cappotto. Sotto l’orlo spuntavano i pantaloni del pigiama. Erano le sei di mattina, stava appena cominciando a fare giorno, era domenica e in giro non si vedeva nessuno.
-Allora?- il suo fiato si condensò in tante gelide nuvolette. Stringendosi una mano nell’altra si fermò accanto a Peter e lanciò un’occhiata malevola alla macchina. Non restava praticamente mai a dormire lì e per una volta che lo faceva, Philip le aveva rovinato la festa -Come sta?-
-Puoi vederlo da te. Non si muove neppure.-
-Sta dormendo?-
-Non ne ho idea. L’ho trovato così.-
-Portiamolo su.- sospirò la ragazza aprendo lo sportello.
Philip crollò sul divano, su cui lo spinsero neppure troppo gentilmente. Si rannicchiò su se stesso, sprofondò il viso tra il bracciolo e lo schienale e rimase così, immobile. Non aveva detto una parola mentre erano nell’ascensore, né mentre percorrevano il corridoio, Grace che lo sosteneva da una parte, Peter dall’altra. Non li aveva neppure ringraziati, forse non si rendeva neanche conto di dove fosse.
Grace gli gettò una coperta addosso, poi si accostò a Peter e lo prese per mano, restando a guardarlo perplessa.
-Cos’ha mandato giù?-
Il ragazzo scosse la testa.
-Non voglio neppure saperlo.- si staccò da lei e si lasciò cadere su una poltrona -Baird ha detto che si è servito da solo e probabilmente non lo sa neppure lui.-
Grace lo guardò, poi tornò ad osservare Philip e sospirò abbattuta.
-Perché si comporta così?- le venne quasi da piangere per la stizza -Se ci fosse Jenny lei saprebbe… Non glielo permetterebbe… E lui non lo farebbe…- gemette lasciando tutte le frasi a metà -Non lo farebbe mai!- lo guardò ancora un istante, affranta, poi sentì il cellulare squillare. Lo aveva lasciato in camera da letto e corse a recuperarlo.
Non riconobbe il numero che comparve sul display.
“Grace.”
-Jenny?- la sorpresa fu immensa, non sentiva l’amica da giorni.
“Grace, sei sola? Ti disturbo?”
-C’è Peter, di là…- e c’è anche Philip, avrebbe voluto aggiungere ma non lo fece -Alla buonora! Sai da quanti giorni ti sto cercando? Mi hai fatta preoccupare.- la sentì sospirare e le sembrò lontanissima -Dove sei?-
“Devi promettermi che non lo dirai a nessuno.”
-E a chi vuoi che lo dica?- si affacciò nel corridoio e vide Philip disteso sul divano, gli occhi chiusi, profondamente addormentato. O forse svenuto, collassato, per quanto ne sapeva. Peter gli aveva sistemato meglio il plaid sulle spalle perché non prendesse freddo.
“A Peter, per esempio.”
-Se non devo dirglielo, non glielo dirò. Sai che mantengo sempre le promesse.-
Jenny udì un rumore e si volse. Salvatore Gentile era fermo sulla porta della cucina, la guardava e le sorrideva.
-Non vieni di là?-
-Arrivo subito.- gli indicò il telefono, lui capì e si ritrasse.
“Jenny, chi è con te?” l’aveva sentita parlare in inglese “Sei di nuovo a New York?”
-No, sono in Italia.-
“In Italia?” lo sgomento la portò quasi ad urlare. Abbassò subito la voce, il timore che Peter l’avesse udita. Per sicurezza chiuse la porta “Come accidenti ci sei finita, in Italia?”
-Con l’aereo, Grace.- non voleva perdersi in chiacchiere, voleva solo rassicurarla che stava bene -Senti, scusa, ti devo lasciare. Mi stanno aspettando.-
“Questo è il tuo numero, Jenny? Posso chiamarti qui?”
-No, non lo è. Ti chiamerò io.- la salutò, riagganciò e ripose il cordless di Mark nell’ingresso, sperando che l’amico non si accorgesse che aveva fatto una telefonata intercontinentale con i suoi soldi.
Tornò in salotto e si sedette sul divano accanto a Mark, fissando lo schermo della tv, sentendo i ragazzi parlare ma pensando a Grace, a quello che l’amica stava facendo. A cosa avrebbe pensato della voce di Salvatore che aveva udito, se sarebbe davvero riuscita a mantenere il segreto. Aveva dovuto chiamarla per forza, Grace, o si sarebbe preoccupata sul serio e lei non voleva. Succedeva troppo spesso, ultimamente, che l’amica fosse in pena per lei. Non riuscì a concentrarsi sulla partita e la conversazione in italiano si confuse presto nella sua mente stanca. Si addormentò tra i cuscini senza accorgersene e non fu l’unica a farlo.
-Mark, la partita è finita.- Rob gli mise una mano su un ginocchio e lo scosse.
Lui aprì gli occhi, intontito dal sonno.
-Chi ha vinto?-
Il ragazzo lo guardò con un sorrisetto di scherno.
-Non te lo dico, così impari a dormire mentre gioca Holly.-
-Vaffanculo Aoi.- soffocò uno sbadiglio, riemergendo goffamente dai cuscini. Si tirò su e si guardò intorno. Dopo il risultato della partita, il secondo pensiero fu per Jenny. La cercò con lo sguardo e se la ritrovò accanto, anche lei profondamente addormentata. Si era raggomitolata su se stessa e poggiava la fronte contro il suo braccio. La gonna le era salita un po’ sulle gambe e dalla scollatura della camicetta si scorgeva il merletto bianco del reggiseno. Distolse immediatamente gli occhi.
-Il fuso orario è una brutta bestia, eh?- gli sorrise Dario tornando dalla cucina dove era andato a gettare i cartoni della pizza.
Mark si alzò a fatica, si sentiva distrutto. Si chinò su Jenny che continuava a dormire indisturbata, le posò una mano sulla spalla e la scosse. La giovane si rannicchiò su se stessa, i capelli le scivolarono davanti nascondendole il viso.
-Jenny?-
Si girò dall’altra parte, così insonnolita da dimenticare la presenza degli altri ragazzi. Mark la fissò interdetto, poi accompagnò gli amici nell’ingresso. Fu con un sospiro che richiuse la porta dietro di loro. Tornò nel salotto e si caricò Jenny tra le braccia. Lei non fece una piega. Era uno scricciolo, leggera come una piuma. La portò di sopra senza sforzo, la depositò sul letto, la ricoprì e finalmente, dopo una giornata distruttiva che era cominciata in Giappone ed era finita in Italia ventisei ore dopo, riuscì finalmente a ficcarsi sotto le coperte.
Alle quattro Jenny si svegliò di soprassalto. Aveva sognato Philip e una versione più soft del loro ultimo litigio. Si mise seduta sul letto, si passò una mano sugli occhi umidi, accese la luce del comodino e si guardò. Era ancora completamente vestita. Fece mente locale, ricordò la cena in salotto e la pizza con Gentile, Belli e Aoi. Non riuscì a spiegarsi come avesse fatto ad arrivare in camera. Si alzò per andare in bagno e quando tornò esitò davanti al tavolino, gli occhi puntati sul cassetto chiuso. Voleva vedere di nuovo la foto che aveva ritagliato dalla rivista di Mark quando lui era uscito per fare la spesa insieme agli altri. L'aveva nascosta lì dentro ma adesso voleva averla ancora sotto gli occhi, il desiderio che la vista di Philip e Julie, oltre a farla soffrire, la riscuotesse e le desse la forza di andare avanti in un momento in cui la sua vita sembrava essersi fermata, che la spingesse a dimenticarlo. Doveva smettere di sperare che prima o poi lui sarebbe tornato. Se avesse avuto intenzione di farlo lo avrebbe già fatto, non avrebbe lasciato che trascorresse tutto quel tempo. E sicuramente non si sarebbe lasciato fotografare con un’altra. Jenny allungò una mano per aprire il cassetto, poi sentì bussare alla porta. Sussultò, si scostò dal tavolino e si lasciò cadere sul letto.
-Jenny?- Mark fece capolino nella stanza -Non dormi?-
-Non ci riesco.-
-Neanch’io, maledetto fuso orario.- il ragazzo si sedette sul letto e Jenny si scostò per fargli spazio.
-Sono andati via?-
-Da un bel pezzo ormai.-
-Come sono arrivata qui?-
-Ti ho portata in braccio.-
Le guance di lei si colorirono di rosso.
-Maniaco!-
Lui la fissò incredulo.
-Maniaco? Come puoi darmi del maniaco? Ho provato a svegliarti ma ti sei girata dall’altra parte!-
-Non è vero!-
-Sì che lo è!-
Jenny si portò le mani al viso.
-Non ci posso credere… Non posso essermi addormentata davanti a tutti.- non davanti a Gentile, a Belli, ad Aoi. Forse aveva addirittura russato!-
-Che problema c'è? Anch'io mi sono addormentato. Non ho neppure visto com'è finita la partita!-
Lei cambiò argomento, pur di scacciare l’imbarazzo.
-Benji non aveva firmato il contratto col Bayern? Perché gioca con l’Amburgo? Non lo sapevo.-
Certo che non lo sapeva. In quell’ultimo anno era stata troppo concentrata a dedicarsi a se stessa, a cercare di superare il trauma della violenza di David e a ricostruire con Philip un rapporto lacerato. Non sapeva niente del contratto di Benji così come non era andata al matrimonio di Patty e Holly, l’unica a mancare. E non solo era mancata. Quando quella sera Philip era rientrato da Fujisawa, non gli aveva chiesto nulla. Soffriva troppo per riuscire ad essere felice della gioia degli altri. E così, tra le altre cose, aveva perso anche la notizia della rinuncia di Benji a quella che avrebbe potuto essere l’occasione della sua vita.
-Perché?- ripeté sgomenta.
Mark fece spallucce.
-Lo stai chiedendo alla persona sbagliata. Se Price ha un dubbio non viene certo a confidarsi con me. Probabilmente qualche clausola del contratto non gli è piaciuta e ha deciso di rinunciare. O forse puntava ad un’altra squadra… Vallo a sapere.-
-Eppure a Kyoto mi era sembrato entusiasta.- s’interruppe di colpo e non riuscì a continuare. Abbassò gli occhi sulle dita spasmodicamente serrate tra le pieghe del lenzuolo. Deglutì e ingoiò il disagio.
Era la seconda volta quel giorno che finivano per accennare prima a David, poi a Kyoto. Due parole che erano sinonimi e Mark sapeva bene quali traumatici ricordi scatenassero. Eppure, nonostante la tensione che aveva irrigidito il suo corpo, Jenny riusciva a parlarne. Era un bel passo avanti da quando l’aveva vista a Furano l’ultima volta.
-Perché tu e Philip vi siete lasciati?-
La ragazza si volse di scatto e lo guardò tesa. Esitò un secondo, prima di rispondere.
-Non mi va di parlarne.-
-Non andrei a dirlo a nessuno.-
-Mi fido, Mark… Ma non voglio parlarne, davvero.- le faceva troppo male e soprattutto sarebbe dovuta scendere in particolari troppo privati e intimi.
-Chi sa che sei qui?-
-I nonni. E poi Ed ma soltanto perché avevo bisogno dei dettagli del tuo volo.-
-Potevi chiamare me.-
-Mi avresti chiesto notizie di Philip.-
Mark seppe che lei aveva ragione, lo avrebbe fatto. Sospirò.
-Ai tuoi non hai detto niente?-
-No.-
-Saranno sicuramente preoccupati.-
-No, pensano che sia a Shintoku. La nonna mi terrà il gioco ancora per qualche giorno. E poi per mio padre un posto vale l’altro. Che sia qui con te o a casa non fa nessuna differenza.- tirò su il cuscino e se lo ficcò dietro le spalle per appoggiarsi contro la spalliera del letto -Ci sentiamo sì e no una volta ogni tre-quattro mesi. Persino mia madre non mi chiama quasi mai.-
Mark l’ascoltò in silenzio, pieno d’interesse, perché non sapeva praticamente nulla della famiglia di Jenny. Aspettò che continuasse.
-Mio padre adora il suo lavoro e mia madre, nient’altro.- distolse gli occhi da lui e continuò con una sfumatura di amarezza -Guadagna parecchio e mi ha sempre dimostrato il suo affetto con un cospicuo versamento mensile sul mio conto in banca. Da quando sono tornata in Giappone e sono diventata indipendente, cioè praticamente dal liceo, i soldi che mi invia sono quasi raddoppiati. E sai perché? Perché ho finito di essere un peso per lui. Per anni a mio padre veniva assegnato un nuovo incarico ogni sei mesi. In prima e seconda elementare ho cambiato quattro volte scuola.- abbassò gli occhi sulle coperte che stringeva tra le mani -Poi a mia madre hanno detto che a quell’età così tanti cambiamenti rischiavano di rendermi psicologicamente instabile. Allora ha avuto l’idea geniale di parcheggiarmi a Shintoku dai nonni.- la sua voce s’incrinò -In terza media mio padre ha fatto un errore ed è stato retrocesso. La sua punizione è stata un anno in Giappone, a Furano. I momenti più belli della mia vita. Sistemati i suoi affari, appena ha potuto, se n’è tornato a New York.- di nuovo un sorrisetto ironico le incurvò le labbra e concluse, per rassicurarlo -Li avvertirò che sono in Italia ma domani, con calma.-
-E a Philip non dirai nulla?-
-Credi che gli interessi saperlo? Ha altro per la testa, hai visto anche tu.-
Mark capì che si riferiva alla modella.
-Secondo me gli interessa lo stesso.-
Lei non si lasciò convincere.
-Non sono tenuta a dirglielo. Non stiamo insieme.- lo fissò negli occhi -E poi vorresti davvero che lui sapesse che sono qui, ospite a casa tua?-
Mark valutò la domanda e decise di no. Era meglio che l’amico ne restasse all’oscuro. Presto avrebbe cominciato a tentare di convincere Jenny a tornare in Giappone e se ci fosse riuscito quell’assurda convivenza si sarebbe risolta. Le sorrise rassicurante.
-Vedrai che tutto si sistemerà.-
Lo disse perché ci credeva davvero. Si alzò, le diede la buona notte e la lasciò, richiudendosi la porta alle spalle. Non tornò in camera. Doveva approfittare che in Giappone fosse già mattina per fare una cosa che gli premeva. Scese al piano di sotto stringendo tra le dita il telefonino, entrò in cucina e richiuse la porta dietro di sé, per essere sicuro che Jenny non lo udisse.
-Ed, sei uno stronzo bastardo! Come hai potuto farmi una cosa simile?-
Warner dall’altra parte del mondo rimase senza parole. La sorpresa di vedere il cellulare squillare con il nome di Mark sul display in una costosissima telefonata intercontinentale fu niente rispetto allo sgomento prodotto dalle brusche parole che il suo ex capitano gli rivolse così, all’improvviso.
-Io mi fidavo di te! Mi fidavo ciecamente di te! E tu che hai fatto? Mi hai mollato questo immenso, incommensurabile casino tra capo e collo, come se io qui non avessi già abbastanza rogne! Ma che ne sai tu di cosa significhi vivere all’estero e giocare in una squadra con un difensore che è uno stronzo pallone gonfiato?-
“Mark…” tentò inutilmente di arginarlo.
-E se lo venisse a sapere Callaghan? Se qualche giornalista ficcanaso ci beccasse insieme e la foto arrivasse in Giappone? Se Callaghan scoprisse che mi sono portato Jenny a Torino, sarebbe capace di uccidermi! Lo sai, vero?-
“Mark, non credo che…”
-E poi che accidenti significa che si sono lasciati? Chiama Philip e chiediglielo! Io non posso, mi costerebbe una fortuna, come mi sta costando una fortuna parlare con te!-
Ed avrebbe voluto fargli presente che finora aveva detto sì e no tre parole, ma non ci riuscì. Mark sembrava un fiume in piena.
-Devi assolutamente scoprire cos’è successo. Sguinzaglia Harper e quell’impicciona della sua fidanzata e richiamami immediatamente appena scopri qualcosa. Non posso tenermi Jenny in casa, se quei deficienti della mia squadra la individuano non la finiranno più! E poi c’è quel coglione di Gentile che ha già iniziato a ronzarle intorno.- fece una pausa per riprendere fiato -Era all’aeroporto! È venuto a prenderci. Non glien’è mai fregato un cazzo di me, potevo anche crepare e lui avrebbe fatto i salti di gioia, e all’improvviso è venuto all’aeroporto per accompagnare me e Jenny a casa. È trapelata qualche notizia in Giappone? A Narita qualcuno ci ha fotografati? Hai controllato?-
“Non mi pare…”
-Non è questione “che ti pare”! Devi controllare, devi esserne sicuro! Il problema non è solo Callaghan! Qui succede un casino anche se lo scoprono gli altri! Nessuno di loro me la perdonerebbe. Né Tom, né Holly! E quel cretino di Price non mi lascerebbe più campare!-
“Va bene Mark, controllerò.”
-Perfetto. Se scopri qualcosa fammi sapere. Anzi, mandami una mail con le prove. Ci sentiamo.- e riagganciò.

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo ***


Secondo capitolo


Bruce scese sul marciapiede e richiuse lo sportello del taxi con tale vigore che l’autista lo redarguì dal finestrino aperto. Lui non lo udì. Si precipitò verso l’ingresso dell’ospedale, salì con due falcate quattro scalini, superò le porte a vetri che si aprirono automatiche e si aggrappò al banco dell’accettazione. Da quando Evelyn l’aveva chiamato un paio d’ore prima mentre era in pieno allenamento, dicendogli che aveva avuto un incidente, non aveva smesso di correre. Aveva interrotto gli esercizi, aveva costretto l’allenatore a lasciarlo andare e si era scapicollato fino alla periferia di Tokyo, in quello sperduto ospedale in cui la fidanzata era stata trasportata con l’ambulanza.
Evelyn lo vide entrare, si alzò dalle sedie di plastica dell’ampia sala d’attesa e lo chiamò. Bruce si volse, la individuò e le corse accanto. Le prese una mano, il sollievo di vederla sana e salva gli tolse la voce. Puntò gli occhi sul cerotto che le decorava la fronte, poi abbassò lo sguardo nel suo.
-Che ci fai qui, Bruce?-
-Come che ci faccio qui? Che razza di domanda è?-
Amy gli arrivò alle spalle con due tazze fumanti.
-Ciao Bruce, vuoi anche tu del caffè?-
Gliene allungò uno ma lui rifiutò, però fu contento di vederla.
-Quando sei arrivata?-
-Un’oretta fa.-
La osservò mentre lei porgeva ad Evelyn uno dei bicchieri.
-Grazie per essere venuta.-
-Figurati.-
Amy tornò verso le sedie di plastica e si sedette, lasciandoli soli. Bruce le lanciò un’occhiata, poi si rivolse alla fidanzata.
-Che accidenti è successo?-
Lei fece spallucce.
-Il tizio che Mike ed io dovevamo intervistare non ha gradito le mie domande. Così è salito in macchina e ci ha investiti.-
-Ti ha investita perché non gli sono piaciute le tue domande?- la fissò dall’alto in basso e viceversa, notando anche le bende che le fasciavano il polso -Ti sei fatta male?-
-Niente a parte questo.- si portò la mano alla fronte -A Mike è andata peggio. Si è fratturato un piede. Mentre si scostava è finito contro il paraurti.-
Bruce non riuscì a credere alle proprie orecchie.
-Chi accidenti ti hanno mandato a intervistare?-
Lei alzò di nuovo le spalle con noncuranza. Non si era fatta niente e le dispiaceva solo che la sua prima intervista di una certa importanza fosse andata a finire così.
-Sarebbe stato un bello scoop. Pare che lui sia coinvolto in un traffico di droga e…-
Bruce spalancò gli occhi.
-Merda! Ti hanno mandato a incontrare uno spacciatore?-
-No, lui non spaccia, organizza la distribuzione. E poi non voleva andarci nessuno, così mi sono offerta io.- lo vide sconvolto e tentò di rassicurarlo -Un articolo su di lui sarebbe stato pagato più che bene!-
-Tu sei matta Eve! Rischi la vita per i soldi?-
-No, non per i soldi!- si accalorò pestando i piedi -Se fossi riuscita a fare l’intervista, avrebbero smesso di lasciarmi i pezzi più noiosi! Mi sono stancata di recensire film e intervistare donne in pensione che consigliano alle casalinghe come passare il tempo libero. Non è questo quello che voglio!-
-Vuoi farti ammazzare?-
-È stato un incidente.- il cellulare che la ragazza teneva in mano squillò. Abbassò gli occhi sul display e sbuffò -Porca miseria, è ancora mia madre! è la quarta volta che chiama!-
-E ci credo! Sarà preoccupatissima.-
Lei gli allungò il telefonino.
-Le parli tu?- vedendo che lui esitava insistette -Dille che sono dentro e che mi stanno visitando.- e accettò la chiamata, costringendo così Bruce a rispondere. Tornò a sedersi accanto ad Amy, per bere il caffè prima che si freddasse. Osservò il fidanzato che camminava avanti e indietro nella hall parlando al cellulare, cercando imbarazzato di contenere la preoccupazione di sua madre -Non c’era bisogno che venisse fin qui.-
-Si è preoccupato. Non sei contenta?-
-Ha fatto due ore di viaggio per nulla. Sto benissimo.-
-Almeno non dovrai tornare a casa da sola.-
Evelyn annuì, osservando pensierosa il corridoio che portava al pronto soccorso. Quanto ci metteva Mike? Che gli stavano facendo? Bruce le tornò accanto e le restituì il cellulare.
-Tutto a posto?- gli chiese preoccupata.
-Sì. Forse per oggi non ti chiamerà più.-
-Speriamo…-
Mike arrivò zoppicando sulle stampelle, un piede ingessato. Era un uomo sulla cinquantina, che faceva quel lavoro da due decenni e che, conscio del pericolo, l’aveva seguita controvoglia nell’avventura che l’aveva tanto entusiasmata. Evelyn si alzò e gli andò incontro, ma non riuscì ad avvicinarsi. Lui sollevò una stampella e gliela puntò addosso furioso, facendola saltare indietro per non essere colpita.
-Tu sei una pazza! Io con te non ci lavoro più. Ho già chiamato il direttore e l’ho avvertito.-
Evelyn lo fissò incredula, senza parole. Si accorse che parecchie teste erano voltate verso di loro.
-Mike, è stato un incidente!-
-No! Te la sei cercata!- si guardò -Anzi, me la sono cercata! Non dovevo lasciarmi convincere, in fondo tu sei l’ultima arrivata! Cosa ne capisci di come si fa un’intervista? Di come si avvicina la gente?-
Ad Evelyn si riempirono gli occhi di lacrime, poi sentì qualcuno posarle una mano sulla spalla e alzò il viso verso Bruce che le si era avvicinato.
-Mike, mi dispiace…- cercò di scusarsi.
-Certo che ti dispiace! Come fa a non dispiacerti? Mi hai messo fuori uso per un mese!-
-L’assicurazione ti pagherà e…-
-Sì, mi pagherà! Ma con te ho chiuso!- la superò e imboccò l’uscita. Lo videro sparire oltre le porte, saltellando sulla gamba sana con l'aiuto delle stampelle.
-Eve, non te la prendere.- Amy la fissò negli occhi pieni di lacrime -Sei ancora agli inizi, devi solo imparare come funziona il tuo lavoro.-

*

Philip era tornato a casa tardissimo, la sera prima. Aveva salutato al volo suo padre che sedeva sul divano a guardare la tv, era passato davanti alla cucina tanto per farsi vedere da sua madre e aveva trovato Kate seduta al tavolo. Si erano scambiati uno sguardo, un saluto risicato ed era salito in camera. Quella settimana lei e suo figlio si erano trasferiti da loro, con valigie e giocattoli al seguito. Qualcosa tra Kate e suo marito non stava andando bene. Forse era un difetto di famiglia, quello di distruggere i rapporti affettivi.
Prima di questo seccante trasloco, Philip aveva già il suo bel daffare per cercare di evitare di pranzare e cenare con i suoi. Non era più abituato a farlo. Dalla fine del liceo si era praticamente trasferito a casa di Jenny, teneva lì le sue cose e i suoi vestiti e si riaffacciava dai suoi solo due o tre volte al mese, spesso insieme a lei, giusto per farsi vedere ogni tanto. I suoi genitori adoravano Jenny ed erano sempre contenti quando la portava con sé. Adesso tutto questo era finito e lui evitava il più possibile di stare con loro, anche se aveva rioccupato la sua stanza. Odiava essere tornato a casa a ventidue anni, ma non riusciva a prendere la decisione di tornare a vivere a Sapporo. Si sarebbe ritrovato troppo solo e in quella sua totale solitudine si sarebbe arrovellato su ciò che tentava disperatamente di dimenticare.
Evitare il pranzo con i suoi era facile, spesso a quell’ora era ad allenarsi. Evitare la cena era più complicato. Alcuni giorni arrivava alla fine degli allenamenti così distrutto che non vedeva l’ora di infilarsi a letto. Negli spogliatoi si dilungava sotto la doccia, poi si vestiva così lentamente che gli altri se ne andavano lasciandolo per ultimo. Per essere sicuro di non trovare i suoi ancora a cena evitava la superstrada e prendeva la provinciale, allungando il percorso di chilometri. A volte ne approfittava per passare davanti casa di Jenny, osservare le finestre chiuse e costringersi a rassegnarsi che lei non ci fosse più. Quando sua madre ad una cert’ora non lo vedeva rientrare, gli lasciava la cena in un piatto coperto. Philip rincasava in silenzio e mangiava da solo, in cucina, senza neppure scaldare il cibo per fare prima, mentre i suoi guardavano la tv in salotto. Qualche volta, se era particolarmente sfortunato, trovava sua madre ancora occupata a lavare le stoviglie della cena. Se capitava che lui tornasse all’improvviso dopo aver avvertito che sarebbe rimasto fuori, era completamente inutile che le mentisse dicendo che non aveva fame. Lei ricominciava a cucinare e dopo averlo servito gli si sedeva di fronte, tentando di intavolare una conversazione che restava un monologo fino alla fine. In genere Philip non aveva voglia di parlare e dopo qualche domanda a cui rispondeva a monosillabi, sua madre se ne tornava sospirando in salotto dal marito. Tutte quelle premure gli davano fastidio. Sarebbe stato molto più semplice se lei l’avesse ignorato. A casa, in quella casa, desiderava passare il più possibile inosservato.
Ora che sua sorella e suo nipote si erano trasferiti nella vecchia stanza di lei, i suoi sforzi per diventare invisibile cadevano nel vuoto. Li vedeva ovunque, lo chiamavano in continuazione, tentavano di coinvolgerlo in discorsi che non lo interessavano e certe volte sua sorella insisteva per aspettarlo e poter cenare insieme. Philip aveva finito per fare l’impossibile per non tornare a casa né a pranzo né a cena. A volte gli capitava persino di non riuscire a mangiare né a casa né fuori e i jeans avevano cominciato ad andargli larghi. La mattina si alzava presto, molto presto, e si precipitava in macchina senza fare colazione. Lo scopo di quelle alzatacce era filarsela prima che suo nipote si svegliasse. Il bambino lo adorava. Più Philip cercava di ignorarlo e di evitarlo, di fare finta che non esistesse, più quello gli trotterellava dietro, si aggrappava alle sue gambe, tendeva le manine verso di lui per farsi prendere in braccio, lo chiamava in ogni momento e faceva i capricci quando capiva che non avrebbero giocato insieme. E Philip, nonostante il primo giorno ci avesse provato con tutta la buona volontà e avesse ritentato anche il secondo e il terzo, si era reso conto di non avere la pazienza per dedicarsi al nipotino. Era irascibile, scontroso, in poche parole intrattabile. Ogni capriccio e ogni richiesta di Will peggiorava il suo umore già nero, creando una miscela esplosiva che faticava a controllare.
Era in un esausto dormiveglia quando udì i suoi passetti sul corridoio. Si sentì sprofondare. La tortura ricominciava. Lanciò un’occhiata rapida alla sveglia. Erano appena le sei e mezza, che diavolo ci faceva già in piedi? Will si aggrappò alla maniglia della porta e riuscì ad aprirla. Sapeva farlo benissimo ma non aveva ancora imparato a bussare. Philip fu veloce. Si girò dall’altra parte, si tirò su le coperte fin sopra la testa e finse di dormire. Fu un comportamento profondamente stupido. Solo sua madre, vedendolo ancora addormentato, avrebbe richiuso la porta e l’avrebbe lasciato in pace. Neppure sua sorella si sarebbe preoccupata di non disturbarlo, figuriamoci Will.
-Phi-i!- la elle non riusciva proprio a pronunciarla quindi si fermava alla prima sillaba -Phi-i!- lo chiamò di nuovo con la sua voce squillante. Avrebbe svegliato anche un cadavere.
Caparbio rimase immobile nel letto, continuando a fingere di dormire. Per chiunque sarebbe stato chiaro che dopo quelle grida era ormai ben sveglio. Ma per Will no, se non si muoveva significava che dormiva. Il bambino si avvicinò al letto e con una forza che il ragazzo non si aspettava gli tirò via le coperte dalla testa.
-Phi-i! Giochiamo!-
-Will, vieni qui.- la voce di sua madre gli fece credere per un attimo di averla scampata. La donna si avvicinò al letto e prese il bambino per mano -Philip è stanco. Lascialo dormire.-
Non l’avesse mai detto. Il bambino cominciò a frignare.
-Giochiamo! Phi-i, giochiamo!- sfuggì in qualche modo al controllo della nonna e si arrampicò sul letto, salendo su di lui. Gli infilò un piedino tra le costole e un gomito sul collo.
-Phi-i! Giochiamo?- gli domandò avvicinando la testolina alla sua faccia, per metà caparbiamente sprofondata nel cuscino.
Philip tenne gli occhi ben serrati e il fiato caldo del nipote gli accarezzò il viso. Sentì profumo di dolci. Di cioccolato. Will doveva aver già fatto colazione o quanto meno doveva essere riuscito a sgraffignare qualcosa dalla cucina. Aprì un occhio e si ritrovò il suo viso così vicino che i loro nasi quasi si sfioravano. Vedendolo sveglio, il volto di Will si illuminò di felicità.
-‘ma, ho sonno.- tentò di dire sapendo perfettamente che era inutile spiegare quel semplice concetto al bambino. Non avrebbe recepito.
-Vieni Will.- ripeté lei avvicinandosi e sollevandolo tra le braccia -Lascialo tranquillo.-
Quel gesto e quelle parole scatenarono una crisi. Goccioloni di lacrime cominciarono a sgorgare dagli occhi di Will e come ovvia conseguenza iniziarono le urla.
Mentre sua madre richiudeva la porta portandolo con sé e i pianti continuavano nel corridoio, Philip infilò la testa sotto il cuscino, innervosito dalla confusione ma ancor più dai sensi di colpa. Non gli andava di giocarci ma neppure di farlo piangere. Ormai s’era svegliato, cosa gli costava dargli retta per un po’? Tanto più poi che quella mattina sarebbe tornato a Sapporo e per tutto il giorno non l’avrebbe visto. Sua sorella e Will erano a casa da poco più di una settimana e lui non era riuscito a trovare la voglia di dedicare al nipotino neppure un pomeriggio. Era veramente un pessimo zio.

“Patty!” Amy le perforò quasi un timpano quando rispose al telefono “Sono giorni che cerco di chiamarti. Che fine avete fatto?”
-Siamo stati fuori. È successo qualcosa?-
Holly abbassò il volume della tv e si volse con un’espressione tra l’interrogativo e il preoccupato.
“Un sacco di cose. Evelyn è stata quasi investita ed è finita in ospedale! Lo sapevi?”
-No che non lo sapevo! Sta bene? Cos’è successo?-
“È andata a intervistare un tizio, pare che fosse coinvolto in un traffico di droga. Lo ha intercettato sotto casa e alla seconda domanda lui ha cominciato a dare di matto. Evelyn ha insistito finché quello è salito in macchina e ha investito lei e il fotografo che era con lei!”
-Dio! S’è fatta male?- si accorse che Holly la guardava dal divano, dov'era rimasto seduto.
-Chi?-
-Evelyn.-
“Per fortuna niente, solo qualche graffio. È già tornata a casa. Il suo collega invece si è fratturato un piede. E poi ti volevo dire di Philip…”
-Che ha fatto Philip?-
“Devi assolutamente vederlo. Ti ho mandato una mail. Accendi il computer, dopo ti richiamo.”
Patty sospirò, si avvicinò alla scrivania del modernissimo soggiorno della loro casa di Barcellona, lanciò un’occhiata al mare azzurro che si scorgeva dalle finestre e accese il portatile. Holly la guardò.
-Che è successo?-
Lei alzò gli occhi, intercettando la sua occhiata perplessa.
-Evelyn è andata a intervistare un tizio e quello invece di risponderle ha investito lei e il suo collega fotografo. E poi non so cosa sia successo a Philip… Amy ha detto che devo assolutamente vedere la mail che mi ha mandato.- scostò la sedia e si sedette davanti al pc che si avviava.
-Evelyn si è fatta male?-
-No, niente per fortuna.-
-Che razza di gente!-
Patty annuì.
-Era una persona coinvolta in un traffico di droga. Come possono mandare lei ad intervistare un uomo simile? È appena arrivata, non ha esperienza!-
-Forse ci è andata lei perché non voleva andarci nessun altro.- Holly lanciò un’occhiata alla tv, sintonizzata sulla NHK giapponese. Era ora del notiziario sportivo ed era curiosissimo di sapere i risultati degli incontri della J-League -E Philip?-
-Adesso vediamo.-
Patty aprì la casella di posta e l’allegato della mail la lasciò sbigottita. Spostò gli occhi su Holly per dirgli qualcosa ma non fece in tempo. Il telefono squillò di nuovo. Era sempre Amy.
“Riesci a vedere la foto?”
-Certo che la vedo!-
Holly si alzò curioso e la raggiunse, chinandosi sul monitor. Patty posò il cordless sul ripiano e accese il vivavoce.
-A quando risale l’articolo?-
“È sul numero di questo mese. L’hai riconosciuta?”
-No che non l’ho riconosciuta! Chi accidenti è?-
Fu Holly a risponderle, appoggiato alla spalliera della sedia.
-È la modella di Kyoto.-
Amy lo udì e le sfuggì un’esclamazione di disappunto.
“Anche Julian ha capito subito di chi si trattava… Curioso, vero? Io ci ho messo un po’ per riconoscerla.”
Holly si mosse a disagio.
-Probabilmente l’abbiamo guardata meglio di voi.-
Patty non commentò. L’ottima memoria di Holly in quel momento non era un problema ma lo era ciò che quella foto significava.
-Philip e Jenny si sono lasciati?-
“Non lo so, non ne ho idea. Immagino di sì, a meno che Philip non le stia mettendo le corna.”
-Scherzi?- le rispose Holly -Non lo farebbe mai!-
Patty lo guardò sgomenta.
-Lasciarla sì e metterle le corna no?-
“Patty, ho provato a chiamare Jenny. Lo sto facendo da quando quella maledetta foto mi è capitata sotto gli occhi. Non risponde e il cellulare è staccato. Le ho intasato la casella di posta di messaggi ma niente, sono preoccupata.”
-Hai provato a telefonare a Grace?-
“Sì. Mi ha detto che non la vede dalla partita che Philip ha giocato contro Ed mesi fa. L’avete vista? Quando l’hanno espulso.”
-Sì, l’abbiamo vista.- confermò Holly.
“È riuscita a parlarle al telefono solo una volta, l’ha chiamata a Shintoku. Ma ora non è neppure lì e la nonna non ha voluto dirle dov’è andata. Patty, sono veramente preoccupata. Non so che fare.”
-Forse è a New York dai suoi.-
“E allora perché non risponde alle mail?”
-Magari non ha internet?-
“Grace aveva il numero di New York e me lo ha dato ma ho paura a chiamare. Lei non lo ha fatto. Se i suoi non sanno dov’è li facciamo preoccupare inutilmente.”
-Ma Amy! I suoi genitori sanno sicuramente dov’è!-
“Lo penserei anch’io se non ricordassi quanto si è arrabbiata quando le abbiamo suggerito di chiamare i suoi dopo quello che era successo a Kyoto.” Patty lo ricordava perfettamente “Quindi se non sanno dov’è, cosa dico?”
-Amy, hai provato a sentire Mark?- suggerì Holly -Forse lui sa qualcosa. Magari si sono sentiti. Oppure lui ha sentito Philip e sa cosa sta succedendo.-
“Oh…” mormorò la ragazza sorpresa da un’eventualità che non aveva preso in considerazione “Sai che potresti avere ragione?”
-Ci pensiamo noi, Amy.- le disse Patty -Dobbiamo comunque telefonargli. Se ho novità ti faccio sapere.-
“Anche se non ne hai, per favore. Sono preoccupatissima.”
Patty l’accontentò, poi la salutò e chiuse la comunicazione. Si alzò, tornò verso il divano e si lasciò cadere sui cuscini. Posò il cordless sul tavolino e si appoggiò alla spalliera, fissando Holly che la raggiungeva con il portatile in mano. Le si sedette accanto e posò il computer sul ripiano, vicino al telefono.
-Credi che sia per questo motivo che Jenny non è venuta al nostro matrimonio?- Patty si sporse verso il tavolino e abbassò lo schermo fin quasi a chiuderlo sulla tastiera. Quel bacio non voleva vederlo, le faceva male.
-Non lo so… Penso di no. Philip mi è sembrato sincero quando ha detto che Jenny non se la sentiva di vedere nessuno.-
Patty annuì. Ricordava perfettamente la telefonata con cui l’amica le aveva fatto gli auguri.
“Mi dispiace tantissimo” le aveva detto con voce rotta “ma non posso… non ci riesco. Verrà Philip.” e Patty non aveva insistito. Lei e Holly si erano sposati ad aprile, quasi un anno prima. Era passato troppo poco tempo da quello che David le aveva fatto. Scacciò il pensiero. Dopo la cerimonia, in un attimo di tranquillità, Patty si era avvicinata a Philip e gli aveva chiesto notizie dell’amica. Il giovane era stato reticente, non riusciva praticamente a parlarne. Aveva dovuto fare uno sforzo e la sua risposta era stata vaga. Non era stato neppure in grado di guardarla negli occhi mentre riferiva le condizioni della fidanzata con poche, essenziali parole. “Parla spesso con Nicole.” aveva ammesso con una punta d’amarezza, facendole capire ancora una volta quanto soffrisse di non poterla aiutare in nessun modo. “Credo…” si era corretto “…spero che stia meglio.”
Era rimasto con loro solo il tempo della cerimonia, disertando la cena al ristorante. In pensiero per Jenny era partito subito per tornare a Furano. Patty sospirò. Dal loro matrimonio erano passati molti mesi. Cos’era successo nel frattempo?

Il telefono di casa squillò nel momento preciso in cui Mark usciva dalla doccia. Si avvolse in un asciugamano, socchiuse la porta e si affacciò nel corridoio.
-Jenny, rispondi?-
La sua voce arrivò da sotto, dalla cucina dove la sentiva spadellare.
-No! È troppo probabile che non sia per me!-
-Senti chi è! Puoi sempre riagganciare!-
-E se riconoscessero la mia voce?-
-Le persone che conosci mi chiamano molto meno spesso di quanto immagini!-
-Non rispondo Mark.-
Il ragazzo sbuffò, s’infilò sulle gambe ancora bagnate i pantaloni della tuta e scese in fretta le scale, passandosi un asciugamano sui capelli che gocciolavano ancora. E se si trattava di sua madre che voleva dirgli qualcosa d’importante? Raggiunse il telefono nel momento in cui smetteva di squillare. Merda! Succedeva sempre così! Si affacciò in cucina. Jenny stava riempiendo le ciotole di riso. Lo vide e alzò gli occhi.
-Chi era?-
-Non lo so, non ho fatto in tempo a rispondere!- l’accusò quasi -E se era urgente?-
-Allora sicuramente richiameranno.- incrociò il suo sguardo -Come possiamo tenere nascosto il fatto che io sia qui se mi metto anche a rispondere al tuo telefono?- si fermò un istante di troppo a guardare il suo torace nudo e muscoloso, uno spettacolo che era una gioia per gli occhi di qualunque ragazza -Dimentico sempre il motivo per cui hai tutte quelle fan.-
Mark la fissò incredulo, persino imbarazzato. Poi il telefono ricominciò a squillare. Si volse e uscì nel corridoio, felice di avere una scusa per tagliare la corda.
-Patty?-
Jenny lo udì, il bicchiere che teneva in mano quasi le scivolò dalle dita. Lo posò al volo sul tavolo e corse verso la porta, terrorizzata. Mark incrociò per un istante i suoi occhi sorpresi, poi si liberò rapidamente dell’interlocutrice.
-Non ti sento, Patty. Aspetta, ti richiamo…- riagganciò senza esitare.
-Che voleva?-
-Cerca te!-
-Me? E perché mi cerca qui?-
Mark si passò l’asciugamano intorno al collo, lasciando che le due estremità gli pendessero sul petto. Se le afferrò con le mani.
-Perché voi donne siete contorte! Amy ha trovato la foto di Philip sulla rivista e ti sta cercando da giorni. Visto che non è riuscita a contattarti, ha chiamato Patty. Sono preoccupate e vogliono sapere se ho tue notizie!-
Lei annuì, seguendo il ragionamento.
-Ma perché dovresti avere mie notizie proprio tu?-
-Perché?- le fece eco -Per lo stesso motivo per cui sei qui, suppongo…-
Jenny non fu sicura di aver compreso l’allusione, ma non le importò.
-Che le hai detto?-
-Hai sentito, no? Le ho detto che l’avrei richiamata.- fece una pausa -Allora?-
-Allora cosa?-
-Che devo dirle?-
-Quello che vuoi, basta che non le dici che sono qui. Chissà cosa penserebbe se lo sapesse…-
Mark si asciugò nervosamente una goccia d’acqua che dai capelli gli era scivolata sul torace e stava rotolando verso il basso, procurandogli un fastidiosissimo prurito. Jenny aveva ragione. Non poteva dire a Patty che lei era in Italia e per di più ospite a casa sua.
-E allora che le dico?-
-Non che ci sia molto da scegliere. O le dici che non lo sai, oppure le dici che sai che sono a New York dai miei.-
Mark restò a fissarla poco convinto, poi il telefono squillò di nuovo.
-Maledizione! Quant’è insistente!-
A Jenny sfuggì un sorriso.
-Probabilmente ha paura che non la richiami perché costa troppo.-
-Mi metti nei casini e hai anche la faccia tosta di prendermi in giro.- la fulminò con un’occhiata infastidita e tornò nel corridoio.
“Mark, allora?”
Si ritrovò Jenny accanto. La giovane si sporse oltre il suo braccio e dopo aver dato un’occhiata al tastierino del telefono, accese il vivavoce. Se parlavano di lei, voleva sentire.
-Non trovavo più il tuo numero…-
“Non fa niente. Adesso mi senti?”
-Perfettamente.-
“Hai notizie di Jenny? Non riusciamo a contattarla.”
-No, non so nulla. Hai provato a chiedere a Price?- che andasse a infastidire il portiere, accidenti -Forse sua madre ne sa qualcosa.-
“Forse.” ripeté la giovane poco convinta “Puoi chiamare Philip?”
-Per dirgli cosa?-
“Per chiedergli se ha notizie di Jenny.”
-Non mi pare proprio il caso.-
“Ma forse lui sa dov’è!”
-Allora fallo chiamare da Holly!-
“Scusa ma non sei preoccupato? Ti sto dicendo che non abbiamo più notizie di Jenny e come minimo dovrebbe prenderti un colpo!”
La conversazione cominciava a diventare imbarazzante, si chiese come interromperla.
-Cosa te lo fa pensare?-
“Il tuo comportamento. A Shintoku le stavi sempre appiccicato.”
A Jenny venne da ridere e gli si accostò di più. Incrociò il suo sguardo contrariato e gli strizzò un occhio.
-Non mi pare proprio.-
Patty lasciò perdere.
“Mi prometti di avvertirmi se la senti?”
Mark non volle legarsi ad una promessa che non poteva mantenere, così evitò persino di mentirle ancora.
-Perché dovrei sentirla?-
“Quante storie.” si spazientì lei.
Il giovane sbuffò.
-Senti Patty, sono appena rientrato a casa dopo quattro ore di allenamenti e tra pochissimo devo riuscire. Magari ci sentiamo con calma un altro giorno…- sì, col cavolo.
“Va bene. Ti saluta Holly.”
Mark riagganciò e tirò un sospiro profondo. Poi si volse a guardare Jenny, rimasta pensierosa accanto a lui.
-Sembra davvero preoccupata. Forse dovresti chiamarla.- la vide scuotere la testa -A meno che tu non voglia incontrarla.- lo disse prima di pensarlo e un secondo dopo nella sua mente prese forma una diabolica speranza. Se fosse riuscito a mollare Jenny da Patty avrebbe svoltato. Era tornato a Torino da poche settimane ma Gentile gli aveva reso la vita impossibile. Lo braccava, lo tartassava, lo marcava stretto, lo seguiva fino a casa, offrendosi di accompagnarlo e passarlo a prendere ogni santo giorno di allenamento, con la morbosa speranza di riuscire ad incontrare Jenny. Perché si era così intestardito? Eppure quante volte gli aveva detto che lui a Jenny non interessava e non sarebbe mai interessato? Non ne poteva più di averlo addosso.
-Incontrarla dove?-
-A fine mese giocherò contro Holly a Barcellona.-
Lei scosse di nuovo la testa.
-Ti aspetterò a casa.- si volse e tornò in cucina -Mangiamo?-
Mark annuì ma prima fece un salto al piano di sopra a finire di vestirsi. Nonostante i riscaldamenti accesi, faceva davvero freddo.

*

Philip si infilò la maglietta della squadra. Non era la divisa ufficiale con cui scendevano in campo durante gli incontri. Era una maglietta di cotone da allenamento, che riportava il logo del Sapporo sul petto. Non l’aveva più indossata da quando aveva discusso con l’allenatore durante la partita contro il Nagoya di Ed Warner, il peggior incontro della sua vita. Aveva smesso di indossarla per protesta, infilandosi magliette prese a casaccio dall’armadio. Gli era capitato di allenarsi con quella della nazionale, con quella della squadra dell’università e con anonime maglie della nike o dell’adidas. L’uomo aveva capito il messaggio e non gli aveva rivolto la parola fino al giorno prima, quando Philip si era finalmente deciso a chiedergli scusa, perché tanto continuare in quel modo non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Ormai vestito e pronto a scendere in campo per una nuova giornata di faticosi allenamenti, riordinò i propri abiti nell’armadietto, ci ficcò anche la borsa e si sedette sulla panca per allacciarsi con calma gli scarpini. Anche quel giorno aveva mal di testa. Un violento mal di testa. Le tempie gli pulsavano e l’analgesico che aveva presto una mezz’ora prima al bar del centro sportivo non aveva ancora fatto effetto. L’emicrania ultimamente lo martirizzava, aveva cominciato a soffrirne quasi tutti i giorni. Scoppiava all’improvviso ed era talmente forte e violenta che solo mandando giù una dose doppia di antidolorifici riusciva a farsela passare. Dopo ogni crisi restava intontito per tutto il giorno successivo, stordito dagli strascichi del dolore e dai farmaci.
Con una gamba piegata contro di sé, il tacco dello scarpino sul bordo della panca, strinse i lacci e chiuse gli occhi, poggiando per un istante la fronte sul ginocchio alla ricerca di un sollievo che non trovò.
Peter lo guardò afflitto, ripensando alla scena del giorno prima. Finiti gli allenamenti, dopo una lotta all’ultimo sangue con il proprio orgoglio, Philip si era scusato con il mister ammettendo di aver agito in modo inqualificabile durante la partita contro il Nagoya. Daniel Baird aveva assistito insieme a Richard Hall e qualcun altro, gongolando di piacere.
L’umiliazione che Philip si era imposto per mantenere in squadra il ruolo che gli spettava e meritava, non aveva modificato il suo atteggiamento. Il malumore non si era dissolto e continuava a starsene per la maggior parte del tempo per conto suo con la testa chissà dove. Anzi, forse era ancora più assente di prima, facendo chiaramente capire a tutti, pure all’allenatore, che non era stata la situazione all’interno della squadra a turbarlo. Peter un’idea su cosa lo angustiasse se l’era fatta ormai da tempo, da quando Grace gli aveva riferito che non riusciva a trovare Jenny da nessuna parte. A casa non c’era. Da Shintoku se n’era andata e quando aveva provato a cercarla di nuovo al ryokan, la nonna, scusandosi infinite volte, non aveva voluto dirle che fine avesse fatto. Peter non era sicuro che alla fine fosse riuscita ad avere sue notizie. Di Jenny, Grace non aveva più parlato.
Tornò a fissare Philip e si domandò se lui sapesse dove fosse. Poi si chiese perché insistesse a frequentare quelle scialbe ragazze degli ultimi mesi (compresa la modella con la puzza sotto al naso) e non facesse niente per ritrovare Jenny, con cui sì che avrebbe potuto essere felice. La domanda lo tormentava ma non si azzardava a fargliela. Philip gli avrebbe ricordato che non erano fatti suoi.
Continuò ad osservarlo abbattuto. Da quando aveva messo piede negli spogliatoi, Philip non aveva detto una parola e anche quel giorno sembrava non stare bene. Peter sospirò depresso. Il suo compagno di scuola, di squadra e di vita per anni, colui che pensava di conoscere perfettamente, era diventato un vero enigma. Non era più il Philip di una volta. Quello che si faceva in quattro per gli altri, per la sua squadra e per gli amici, quello che amava Jenny e avrebbe fatto di tutto per stare con lei per sempre. Era un altro, una specie di ombra di se stesso, che aveva appena l’energia per star dietro all’università, agli esami, agli allenamenti, alle riunioni di squadra e alle partite del campionato. E pensare che quando erano entrati insieme nel Sapporo avevano scommesso che nel giro di pochi mesi ne sarebbe diventato il capitano. Visto come si stavano mettendo le cose, sarebbe stato già tanto se fosse riuscito a farsi ingaggiare anche per la stagione successiva.
Mentre aspettava che anche gli altri fossero pronti, Peter ripensò con amarezza a quando era andato a riprenderlo da Baird, strafatto di chissà-che-roba-non-voleva-nemmeno-pensarci. Philip aveva impiegato un’intera giornata per tornare in sé. Era rimasto incosciente sul divano per ore, mentre lui e Grace uscivano a fare la spesa, preparavano il pranzo e mangiavano. Si era riscosso verso le sei, aveva ammesso a disagio di avere un mal di testa lanciante, li aveva ringraziati con un filo di voce e se n’era tornato a Furano.
Peter lo fissò di nuovo mentre si premeva le tempie con le dita, intontito e sofferente. E più lo guardava più si convinceva che fosse tornato da Daniel e lo avesse rifatto chissà quante volte ancora. Lo osservò mentre annodava lentamente i lacci dell’altro scarpino. Tutto era cominciato un anno e mezzo prima, dopo il viaggio a Kyoto. Lì era accaduto qualcosa, qualcosa tra lui e Jenny si era spezzato. L’amica era tornata da sola, sconvolta, scioccata. Philip l’aveva seguita poco dopo e, un giorno dopo l’altro, la loro vita si era trasformata, rendendoli entrambi due persone completamente diverse. La cosa terribile era che né lui, né Grace, per quanto ci avessero provato, erano stati in grado di aiutarli.

*

Marianne Weiland lo aspettava fuori dal campo e quando Benji la raggiunse, lei gli si aggrappò al collo sorridendo, accostò le proprie labbra alle sue e gli ficcò la lingua in bocca. Il portiere non rispose al bacio perché scoppiò a ridere e, con un filo di imbarazzo, la scostò da sé. Benché da un lato lo divertissero e gli facessero piacere, non riusciva ad abituarsi a quegli assalti, soprattutto se avvenivano davanti all’invidia dei compagni. E questo pure se era proprio con la sua carica sensuale che Marianne lo aveva attratto fin da subito. Nonostante Benji vivesse in Germania da più di dieci anni, la riservatezza giapponese faceva parte di lui e certe effusioni preferiva tenerle per la camera da letto.
La ragazza che lo aveva aspettato impaziente fuori dal cancello, aveva una cascata di capelli dorati e splendenti che le sfioravano le natiche. Li teneva per lo più sciolti, perché sapeva che attiravano inevitabilmente gli sguardi dei maschi, forse ancora più del suo fisico mozzafiato e del suo volto da bambola. Erano una criniera dorata e liscia, che brillava alla luce del sole e che sulle punte inevitabilmente si arricciava anche quando le giornate non erano umide. A Benji piaceva, dopo l’amore, farsi scorrere quei boccoli tra le dita e vederli poi riarrotolarsi quando li lasciava liberi di ricadere sulla schiena nuda di Marianne.
Le posò le mani sui fianchi caldi, sotto il cappotto che teneva slacciato, e la guardò nei suoi splendidi occhi turchesi.
-Sei pronto? Possiamo andarcene?-
-Dov’è che hai così fretta di fuggire?-
Lei sbuffò.
-Non lo immagini?- gli volse le spalle fingendosi offesa, lui le circondò la vita sottile con un braccio, si caricò la borsa sportiva su una spalla e s’incamminò verso il parcheggio.
Lo immaginava perfettamente. L’attrazione che lui provava nei suoi confronti era la stessa che provava lei. Quando si incontravano, non vedevano l’ora di gettarsi una nelle braccia dell’altro. Era la prima volta che gli succedeva di essere così attratto fisicamente da una donna e non riusciva a capacitarsene. Dipendeva da lei, dalla sua esuberanza, dalle sue risate divertite quando giocavano tra le lenzuola. Dopo quasi due mesi che si frequentavano, continuavano a mantenere gli stessi ritmi appassionati dei primi giorni, senza annoiarsi neppure un minuto.
I giovedì erano diventati una routine. Marianne lo raggiungeva al campo, si rifugiavano nel suo appartamento, amoreggiavano per ore e poi uscivano a cena insieme. Lui la portava a mangiare nei ristoranti più rinomati, più eleganti e più costosi di Amburgo. E Marianne apprezzava. Mangiava con gusto, assaggiava ciò che lui le offriva, allungando graziosamente la forchetta attraverso il tavolo. Ogni tanto gli accarezzava le dita, il dorso della mano, il braccio, dovunque riuscisse ad arrivare. I suoi piedi danzavano sotto il tavolo, alla ricerca continua di un contatto. Ogni volta che si sfioravano era una scarica d’elettricità.
Marianne quel pomeriggio indossava un abito cortissimo che la fasciava stretta e che a malapena si intravedeva sotto l’orlo del cappotto di panno turchese, come i suoi occhi. Il soprabito, forse cucito su misura, non nascondeva nulla del suo corpo mozzafiato, che i compagni di Benji avevano apprezzato, come facevano di solito, mentre le passavano accanto per raggiungere il parcheggio. Ai loro commenti lei aveva risposto a tono, con una punta di malizia, agitando i capelli biondi che avevano luccicato ai raggi del sole. Era così bella che Benji non si stancava mai di guardarla e a volte finiva per pensare a lei anche quando non erano insieme.
In realtà anche lui non vedeva l’ora di arrivare a casa. Quel giorno meritava tutti gli assalti della ragazza, si era guadagnato le sue attenzioni. In campo aveva dato il meglio di sé, non c’era stato un goal, non c’era stato un litigio. Tutto era filato liscio e adesso, dopo tanta fatica e tanta tensione, non vedeva l’ora di appropriarsi del corpo di Marianne e lasciarsi andare insieme a lei.
A pensarci bene la compagnia di una donna che gli desse tutte quelle soddisfazioni, senza troppe pretese, senza troppi capricci, se l’era conquistata davvero. Erano mesi ormai che la porta dell’Amburgo rimaneva inviolata. Non avevano mai perso una partita, erano in testa alla classifica subito dopo il Bayern, e quel fine settimana, per chiudere in bellezza il girone d’andata, avrebbero sconfitto la squadra di Schneider.

*

Evelyn rispose con poche parole al messaggio di Philip che le chiedeva come stava e accantonò il cellulare sul tavolino. Sapeva più o meno tutto di quello che l’amico stava combinando su in Hokkaido e non approvava. Da quando aveva visto la foto di lui e Julie Pilar su una rivista, aveva cominciato a tenerlo d’occhio. Per farlo era riuscita ad instaurare una specie di amicizia con un giovane fotografo di Sapporo, Bob Waley, che grazie ad uno scambio di favori si era dimostrato disponibile a non perderlo di vista. Ogni tanto si sentivano e lui la metteva al corrente di ciò che l’amico combinava. Tutto quello che veniva a sapere su Philip, Evelyn se lo teneva per sé. Non diceva nulla a Bruce, neppure una parola, neppure un accenno. Il fidanzato aveva la lingua troppo lunga. Non ne aveva parlato con Patty quando l’amica l’aveva chiamata da Barcellona dopo l’incidente per sapere come stava. Non si era confidata neppure con Amy, con cui si sentiva più spesso e con cui ogni tanto si vedeva. Ogni tanto, con discrezione, chiedeva anche ai compagni se avevano notizie di Philip e finora Tom si era rivelato la fonte più attendibile perché gli capitava di sentire spesso Peter Shake.
L’unica cosa che Evelyn non sapeva, che assolutamente non aveva scoperto neppure con tutta la ragnatela di agganci che pian piano stava intessendo, era dove accidenti si fosse cacciata Jenny. Com’era riuscita a far perdere così bene le sue tracce? Neppure la nonna s’era fatta sfuggire una parola. Di lei non sapevano niente neanche Meryl e Grace. Nessuno. Forse era a New York? Ma allora perché tutto questo mistero? Vagò a caso tra la miriade di finestre di google aperte sul desktop alla ricerca di qualche notizia da approfondire e continuò a pensare a Philip. Ridusse a icona gli articoli e andò a pescare la foto dell’amico che baciava la fotomodella. Perché lui e Jenny si erano lasciati? E da quanto tempo?
Poggiò il portatile sul tavolino, sollevò le gambe e le distese sul divano. Lavorava da ore e gli occhi stavano cominciando a farle male. Si massaggiò distrattamente il polso. Il giorno prima aveva tolto la fasciatura ma quando usava il mouse a lungo ancora le doleva. Lanciò un’occhiata oltre i vetri della finestra. Vivere in una casa da cui, nelle giornate limpide, si riusciva a scorgere il monte Fuji dal salotto era un lusso che aveva sempre sognato. La cima conica della montagna era imbiancata dalla neve e lo sarebbe rimasta fino ad aprile inoltrato. Quest’anno voleva fare almeno una volta con Bruce un salto alle terme di Hakone per rilassarsi e prendersi una pausa dal lavoro.
Tornò a spostare gli occhi dal paesaggio alla foto che campeggiava sul pc. Cosa ci trovava Philip in Julie Pilar? Aveva lasciato Jenny per lei? Non riusciva a credere che l’amico si fosse messo con una tipa del genere. Che avesse preferito lei a Jenny era inconcepibile. A Philip piacevano così? Pilar sembrava piuttosto la donna perfetta per Benji. Una bella attricetta, abbastanza famosa da non farlo sfigurare, un gingillo con cui uscire la sera, con cui farsi fotografare dai giornalisti e da portarsi a letto. Che c’entrava Philip con lei?
Dopo il primo e fortuito incontro a Kyoto negli studi televisivi, Evelyn aveva avuto modo di rivedere la fotomodella durante una conferenza stampa. Le era sembrata una ragazza estremamente superficiale a cui interessavano soltanto due cose: soldi e fama. Philip non era che un mezzo per raggiungerli entrambi. Aveva cercato su internet le sue precedenti storie e aveva notato che Pilar cambiava ragazzo a intervalli regolari. Questo le permetteva di finire spesso sulle copertine dei giornali di gossip. Per ogni intervista, come Evelyn sapeva bene, le testate sborsavano migliaia di yen.
Era inconcepibile che Philip permettesse a qualcuno di sfruttare la sua immagine per fare soldi. Nell’ultima intervista a Julie, che si augurava che l’amico avesse letto, la giornalista era arrivata addirittura a chiederle se stavolta aveva trovato l’uomo giusto da sposare. E quella maledetta stronza aveva persino risposto di sì!
E in tutto questo, dove accidenti era finita Jenny? Era impossibile che di lei non fosse rimasta traccia. Aveva chiesto a Bob Waley di pattugliare il campo del Consadole Sapporo alla ricerca dell’amica. Il giovane aveva fatto di più. Era riuscito a porre qualche discreta domanda ai giocatori, senza però ottenere nulla. Philip era nella squadra da appena un anno e i nuovi compagni non conoscevano abbastanza bene Jenny da poter avere notizie di lei. L’avevano vista così raramente che la maggior parte di loro non ricordava neppure che faccia avesse. L’unica cosa che Evelyn era riuscita ad ottenere, e non da Bob, era il numero di telefono di Grace, che però non aveva risolto il problema.
Lasciò perdere quelle riflessioni, doveva prepararsi e si stava facendo tardi. Si alzò e si spogliò lungo il percorso verso il bagno, ficcando poi tutti i vestiti nel cestino dei panni sporchi. S’infilò sotto la doccia pensierosa. Era sabato sera e ancora non aveva preparato il suo programma di lavoro per la settimana successiva. Avrebbe finito per passarci tutta la domenica. Tornò in camera da letto per indossare il vestito che aveva scelto. Un abito semplice, color melanzana, corto al ginocchio con le maniche lunghe. Niente di speciale ma in fondo era una cena informale.
La chiave che scattava nella serratura della porta d’ingresso la fece sobbalzare. Alzò gli occhi sull’orologio, erano già le sei e mezza. Aveva passato un pomeriggio a riflettere sulle sorti di Philip e Jenny senza riuscire a produrre neppure due righe da presentare al caporedattore.
Bruce la chiamò, lasciando cadere la borsa sportiva sul parquet. Evelyn udì il tonfo sordo mentre percorreva il corridoio. Lo trovò nell’ingresso, era seduto a terra a slacciarsi le scarpe da ginnastica.
-Che c’è per cena?- alzò gli occhi e la fissò. Evelyn lo aveva raggiunto in mutandine e reggiseno. La sua espressione stanca si trasformò in un largo sorriso, carico di aspettative -Pensandoci bene possiamo anche saltarla, la cena…-
Lei rise e gli si accostò. Bruce si mise in piedi e la prese tra le braccia, osservando il taglio sulla fronte, sotto la frangetta, che stava guarendo a poco a poco. Passò le mani sulla pelle calda e ancora umida della schiena, sprofondò il viso tra i suoi capelli e li sentì profumati di doccia.
-Assolutamente no.- lei gli stampò un bacio sulle labbra -Andiamo dai tuoi.-
-Ancora?! Sono distrutto, non mi va di riuscire.- mentre tornava a casa aveva programmato la serata. Voleva mangiare qualcosa, spaparanzarsi sul divano insieme a Evelyn, guardare un film e andare a letto presto. Anche se adesso, tenendola tra le braccia, i suoi programmi avevano cambiato ordine. Voleva andare a letto presto, mangiare qualcosa, spaparanzarsi sul divano e guardare un film.
Lei lo fissò costernata.
-Mi dispiace Bruce, non sono riuscita a rifiutare.-
-Lo so. È per questo che mia madre chiama sempre te quando deve invitarci.- la lasciò e sospirò -Cosa ci prepara?-
Evelyn fece spallucce.
-Mi sembrava brutto chiederle il menu.-
-Ti fai troppi problemi.-
-Per forza, è tua madre!-
-A che ora dobbiamo essere lì?-
Lei lanciò un’occhiata all’orologio.
-Verso le otto, come al solito.-
Bruce la prese per mano e la precedette in camera da letto.
-Allora abbiamo tutto il tempo che ci serve.-
-Tutto il tempo per fare cosa?-
-Indovina?-
-Non eri stanco?-
-Sì, prima. Adesso non più.-

*

Mark smontò e richiuse lo sportello appagato, talmente soddisfatto che lungo tutto il tragitto in macchina, seduto accanto a Salvatore che guidava, non era riuscito a smettere di sogghignare. Quel coglione di Gentile aveva tentato in ogni modo di organizzare una cena romantica con Jenny ma lui gliel’aveva boicottata. Non avrebbe passato quel maledetto San Valentino con l’amica in un ristorante a lume di candela, come avrebbe invece desiderato.
Avanzando sotto i portici, il respiro che si condensava in nuvolette, le mani ficcate nelle tasche per difenderle dal rigido inverno torinese, la sciarpa ben avvolta intorno al collo, si volse a guardare l’italiano che procedeva svelto accanto a lui, altrettanto infreddolito.
-Se continui a parcheggiare in divieto di sosta prima o poi ti porteranno via la macchina.-
-Quando succederà smetterò di farlo.- Salvatore proseguì, chiaramente pensieroso.
Mark sapeva perfettamente che era in ansia per la cena. Voleva far colpo su Jenny e non era sicuro di riuscirci. Gli sfuggì un sogghigno mentre l’altro continuava, perplesso.
-Forse per stasera dovevo scegliere il sushi…-
-Il sushi? Ma se ti ha sempre fatto schifo!-
-Magari Jenny lo avrebbe apprezzato.-
-Ne mangiamo a bizzeffe di sushi in Giappone. Non lo sai?- e poi il giapponese non costava mica poco. Quelle composizioni di pesce crudo artisticamente sistemate su vassoi di bambù, avevano prezzi da capogiro che, era sicuro, Gentile per Jenny avrebbe speso senza farsi mezzo problema. Meglio qualcosa di più economico, come una pizzeria per esempio. Con una ventina di euro se la sarebbe cavata. Lanciò un’occhiata a Gentile e lo vide annuire.
-Allora ho fatto bene a scegliere qualcosa di tipico.-
Mark esultò. Le premesse per una buona riuscita della serata c’erano tutte. Autoinvitandosi aveva impedito a quel mentecatto di restare solo con Jenny, aveva evitato il sushi dirottando l'amico su un'altra tipologia di ristorante e presto, molto presto, avrebbe fatto sparire quel pacchetto con il fiocco rosso che l'italiano aveva recuperato dai sedili posteriori della macchina e ficcato davanti, nel portaoggetti.
Salvatore si guardò intorno.
-Dov’è questo benedetto fioraio?-
-Maledetto direi, visto che Jenny si è intestardita a dare lezioni di giapponese a sua figlia.-
-Se la pagano bene...- l’italiano si passò una mano tra i capelli biondi per scostarli dagli occhi e seguì il compagno -E poi è stata in gamba a trovare lavoro così presto. In fondo è qui da un mese.-
-Chiamalo lavoro…-
Erano quasi le otto, avevano una gran fame e Rob e Dario li aspettavano al ristorante. Jenny era ferma davanti l’ingresso del negozio, li salutò con un sorriso contento e un mazzo di margherite in mano.
-Bei fiori.-
Lei alzò gli occhi su Salvatore e sorrise, agitandoli nell'aria.
-È una specie di mancia.- Jenny li seguì fino alla macchina e prese posto sui sedili posteriori.
Mark si sedette davanti e si volse a guardarla.
-Non è che per caso si tratta del figlio del fioraio e non della figlia?-
Lei lo guardò infastidita.
-Se non ti fidi vai a controllare!-
Gentile non poté capire nulla del loro botta e risposta in giapponese, così li ignorò e si concentrò sulla guida. C’era poco da fare. Jenny non capiva l’italiano, Landers era una frana in inglese e lui non parlava il giapponese. A volte comunicare diventava una vera fatica.
Così stettero più o meno in silenzio per quasi tutto il tragitto, ognuno immerso nei propri pensieri. Salvatore continuava a chiedersi se avesse scelto il ristorante giusto, Mark si domandava perché l’amica si fosse d’improvviso messa in testa di voler lavorare pur non avendone la necessità e Jenny, con una certa angoscia che rischiava di rovinarle la serata, se il mancato versamento mensile di suo padre sul conto che condividevano fosse una dimenticanza o una decisione scaturita dall’infelice frase con cui l’aveva salutato quando era andata via di casa. “Sai che c’è?” gli aveva gridato dalle scale con tutta la collera che aveva dentro “Al diavolo i soldi! Io qui non ci sto più!” e suo padre aveva reagito nel modo più ovvio, vale a dire tagliandole di netto i fondi. Ma quella sera Jenny non ci voleva pensare.
Varcarono una porta di legno di poche pretese, incassata in un signorile palazzo bianco, al lato di una piazza su cui sorgeva uno degli edifici storici di Torino, un museo in cui Mark non era mai entrato. Da fuori il ristorante aveva un aspetto ordinario e lui credette davvero che lo fosse, finché un cameriere in giacca e papillon li accolse impettito e li introdusse nella sala grande.
Jenny spalancò gli occhi di fronte allo sfarzo che le si aprì davanti e che quella porta quasi dimessa non lasciava assolutamente intuire. Le pareti erano ricche di stucchi barocchi ori e tappezzeria rosso cremisi, specchi ovunque incassati nei muri, lampadari con gocce di cristallo che riflettevano le luci in migliaia di bagliori. Sembrava di essere appena entrati in una reggia. Seguì Salvatore frastornata da tanto lusso, mentre dietro di lei Mark imprecava contro l’italiano.
Landers era fuori di sé. Era stato fregato, Gentile l’aveva clamorosamente beffato! Di sicuro erano finiti nel locale più caro di Torino. Ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa. Capì che questa era la sua vendetta. Non aveva lasciato che Jenny passasse con lui quella serata e Salvatore si era ingegnato per fargliela pagare cara, in ogni senso.
-Maledetto stronzo.-
Jenny lo udì ma non si curò di lui. Si stava guardando intorno e procedeva distratta, osservando le pietanze sui tavoli occupati. Diamine, Salvatore si trattava più che bene. Fu sicura all’istante che se fosse stato per Mark, non avrebbe mai messo piede in un ristorante così di classe. Del resto anche lei, lì in Italia, probabilmente non si sarebbe potuta permettere una cena di quel tenore. Mentre attraversavano le sale i commensali li seguirono con lo sguardo, scambiandosi occhiate eloquenti subito dopo. Una ragazza diede una gomitata al suo accompagnatore e gli indicò Gentile con un cenno della testa. Salvatore non si accorse di nulla e se lo notò, si mostrò del tutto indifferente all’interesse suscitato dalla sua apparizione. Jenny si era accorta già da un po' che dovunque andava veniva notato. Probabilmente ciò accadeva ormai da così tanto tempo che l'italiano non sembrava neppure rendersi più conto dell’effetto che faceva sulla gente.
-E tu che ci fai qui?-
La domanda di Mark la indusse a voltarsi. Individuò Rob e Dario già seduti, i bicchieri ricolmi di un liquido ambrato, degli stuzzichini nel piatto e, accanto a loro, una ragazza che sorrise al saluto scorbutico di Mark. Aveva un viso molto bello. Doveva essere un’euroasiatica, solo gli occhi erano quelli di una giapponese, allungati però castano chiaro. Indossava una camicetta bianca che lasciava intravedere le curve di un seno generoso che Jenny le invidiò non appena vi posò gli occhi.
-Mi ha invitata Rob. Comunque anche a me fa piacere vederti, Mark.-
Quando incrociò gli occhi di Jenny, la sconosciuta le dedicò un altro bel sorriso, tendendo la mano verso di lei.
-Finalmente ti conosco. Sono un’amica di Rob, mi chiamo Carol.- le si rivolse in un giapponese perfetto ma con un leggero accento straniero -Se non mi avessero già avvertito del contrario, penserei davvero che sei la fidanzata di Mark. Non l’ho mai visto portarsi dietro una ragazza.-
A Jenny sfuggì un sorrisetto, sollevò su Landers un’occhiata divertita e lui rispose sbuffando. Poi si sporse sul tavolo e le strinse la mano.
-Mio padre è giapponese, di Tokyo. Mia madre invece è italiana. Sono nata qui ma per fortuna mio padre ha avuto il tempo di insegnarmi la sua lingua.-
Jenny la guardò meglio, praticamente la esaminò. Aveva i capelli tagliati cortissimi sulla nuca e un caschetto così biondo da risultare quasi bianco. Sulla frangetta lunga che le ricadeva da un lato fin quasi al mento, risaltavano tre sottili ciocche viola. Oltre alla sua curiosa pettinatura, sfoggiava un make-up perfetto. Quando lei la invitò a farlo, Jenny le si sedette accanto e Gentile si affrettò ad appropriarsi della sedia al suo fianco, prima che lo facesse Mark.
-Questo è il mio posto, Landers. Non ci provare.-
-E chi lo ha deciso?-
-Io!-
Carol li guardò, poi abbassò gli occhi sulla ragazza.
-Che carini, litigano per sedersi vicino a te.-
Jenny arrossì.
-Litigano perché gli piace farlo.-
Rob la udì e rise.
-Hai perfettamente ragione!-
Carol afferrò il menù e lo aprì sotto gli occhi di Jenny.
-Cosa prendi da bere?-
-Non so… acqua?-
-Scherzi? Questo ristorante ha la selezione di vini migliore di Torino!-
Le sventagliò davanti la carta dei vini e Jenny la prese. Scorse rapida i prezzi e si sentì mancare. Sessanta euro il più economico, poi centoquaranta, centottanta, duecentocinquanta… Sperò che Mark non l’avesse a portata di mano, sarebbe stato capace di alzarsi e andarsene, o peggio farsi venire un infarto. Continuò a leggere gli importi: quattrocentocinquanta, seicentoquaranta, milleseicento, tremilatrecento… La chiuse di botto e la restituì a Carol.
-Non capisco niente di vino.-
Carol la guardò prima interdetta, poi divertita.
-Neanch’io.- alzò gli occhi su Salvatore che le osservava, desideroso di prendere in qualche modo parte ad una conversazione in giapponese che non capiva -Pensa tu al vino, visto che te ne intendi.- tornò a rivolgersi a Jenny -Concentriamoci sui primi. Cosa vuoi?-
Jenny abbassò gli occhi sull’altro menù e studiò i prezzi accanto alle pietanze. Neanche lì si sarebbero salvati. Altro che ristorante italiano a Tomamu, dove aveva prestato cinquemila yen a Mark. Qui ogni piatto costava dai venti ai quaranta euro. Lanciò un’occhiata all’amico: fissava sgomento le due pagine che teneva aperte davanti agli occhi. Era diventato cinereo, probabilmente stava per venirgli davvero un colpo.
-È scritto tutto in italiano…- temporeggiò Jenny. Lanciò un’occhiata a Mark, quasi a chiedergli aiuto, ma lui continuava a tenere gli occhi fissi sul menù, attonito, e non la guardava. Sentì Gentile sfiorarle una mano e si volse.
-Jenny, che vuoi mangiare?-
Gli dedicò il suo sorriso migliore.
-Scegli tu per me.-
Carol seguì il loro botta e risposta, poi sorrise.
-È proprio preso… e sentiti fortunata! È pieno di ragazze che gli sbavano dietro e che darebbero qualsiasi cosa per essere al tuo posto.-
-Anche tu?-
-No, per fortuna io no.- lanciò un’occhiata al biondo -Non è il mio tipo, per niente. Uno così ha troppe tentazioni, va a finire che te lo sfilano subito. Meglio lasciarlo direttamente alle altre. Comunque Rob mi ha detto che sei qui da settimane. Se non l’avessi saputo solo ieri, sarei venuta a conoscerti molto prima. Sono sicura che ti sei annoiata da morire, con Mark.- gli lanciò un’occhiata -Rob mi ha detto che non ti ha portata da nessuna parte.-
-Aveva da fare, ho girato da sola.-
Lei la guardò scandalizzata.
-Ma ci sono posti in cui non puoi andare da sola! Pub, ristoranti, locali, discoteche… Ti stai perdendo tutto il meglio!- sospirò -Fortuna per te che adesso ci sono io. Domani ti passo a prendere e ti faccio conoscere i miei amici.- ci pensò -No, domani no perché lavoro. Va bene dopodomani?-
-Quando vuoi.- figuriamoci, lei di tempo libero ne aveva a bizzeffe e non sapeva come occuparlo -Che lavoro fai?-
Carol le sorrise. Iniziava ogni frase con un sorriso che era una gioia per l'umore.
-Mi adatto a fare tutto quello che capita.- le strizzò un occhio -Ho studiato per diventare estetista a domicilio…- abbassò la voce -In nero… sai, di questi tempi… E poi lavoro saltuariamente in un centro benessere. Cosa si fa per campare.- allungò verso di lei le sue unghie perfettamente curate e decorate da disegni e brillantini. Jenny le guardò ammirata -Insomma, mi attrezzo come posso. I soldi non bastano mai.-
-A chi lo dici.-
Lei la scrutò e le si accostò.
-Hai bisogno di soldi?-
-Come dici tu, non bastano mai.-
Carol si guardò intorno guardinga. Nessuno faceva caso a loro e proseguì, scrutandola con attenzione. Le scostò una ciocca di capelli dal viso e gliela passò dietro l’orecchio.
-Sei carina, graziosa.- prese atto, facendola arrossire -Se vuoi posso mostrarti un modo per guadagnare bene in poco tempo…- lasciò in sospeso la frase, poi le si avvicinò così tanto che Jenny percepì il suo profumo solleticarle le narici e riuscì a individuare pagliuzze dorate nelle iridi marroni -Ti interessa?-
La giovane guardò Rob che rideva con Dario di qualcosa. Mark le stava osservando ma era dall’altra parte del tavolo, troppo lontano per udirle. Salvatore le lanciava delle occhiate curiose, ma lei e Carol parlavano in giapponese e non poteva capire nulla di ciò che si dicevano.
Arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni.
-Potrebbe interessarmi.- le disse in un sussurro -Che genere di lavoro?-
Carol non le rispose. Si volse e ficcò una mano nella borsetta appesa alla spalliera della sedia in cerca del cellulare.
-Dammi il tuo numero, ti chiamo e te lo spiego con calma. Questo non è il momento adatto per parlarne.-

Philip frugò tra le sue cose alla disperata ricerca del gioco della playstation che Peter Shake gli aveva prestato mesi e mesi prima. Doveva ripescarlo alla svelta e ripartire per Sapporo al più presto o sarebbe arrivato in ritardo agli allenamenti che iniziavano alle tre.
Era chino ormai da troppo tempo su uno scatolone riesumato dall’armadio della sua camera da letto di Furano, nel quale aveva finito per ammucchiare tutto ciò che non sapeva dove mettere, insieme a qualsiasi cosa che lo riportasse con la mente ad un passato scomodo da ricordare. Aveva accantonato a terra da una parte tutto quello che gli era capitato sotto mano, persino un vecchio zaino che era convinto di aver buttato da tempo. Trovò addirittura un biglietto dell’autobus vecchio di dieci anni, ma del gioco di Peter nessuna traccia.
Si lasciò cadere seduto sul pavimento e si volse a guardare l’ora. Era quasi l’una, doveva darsi una mossa.
-Philip! Il telefono!- la voce squillante di sua sorella riuscì ad oltrepassare persino la porta chiusa.
Si alzò sospirando e si affacciò nel corridoio, rispondendo a Kate che lo chiamava di nuovo. Scese le scale, afferrò l’apparecchio e riconobbe la voce di Tom dall’altra parte del filo.
“Tutto bene?”
Se Philip non avesse saputo che l’amico non era al corrente dei più recenti sviluppi della sua esistenza, avrebbe pensato che con quella domanda lo stesse sfottendo. Ultimamente erano tutti preoccupati per lui. Prima Julian, ora Tom. Ci mancava solo Mark e avrebbe fatto bingo. Sperò che l’elenco finisse lì. Rispose leggermente scanzonato.
-Perfettamente.-
“Ti ho disturbato?”
-Sto per uscire, devo tornare a Sapporo.-
“Ho provato a chiamarti al cellulare ma ce l’hai spento. Hai ricevuto la telefonata di Marshall?”
-Sì.-
Con Freddie aveva parlato giusto quella mattina e, senza troppi preamboli, il mister gli aveva ordinato di presentarsi domenica a casa di Benji, a Fujisawa, dov'era in programma una riunione della nazionale. Marshall l’aveva beccato in un momento poco opportuno (era in compagnia di Julie), e non era stato ad ascoltarlo con troppa attenzione, ma pur non cogliendo la ragione di quell'incontro, aveva acconsentito subito. L'improvviso cambio di programma gli avrebbe permesso di sganciarsi dalla ragazza almeno per un paio di giorni. Frequentare Julie per troppi giorni di seguito gli diventava pesante e quando ciò accadeva, non vedeva l'ora di staccare la spina. Marshall gli aveva fornito la scusa perfetta per mollarla a Sapporo e tagliare la corda.
Obiettivamente a volte Philip proprio non la sopportava. Gli diveniva impossibile riuscire ad adattarsi alla sua leggerezza e alla sua superficialità. Stava ore a parlargli di niente, annoiandolo a morte senza rendersene conto, segnale di quanto fosse concentrata su se stessa. Loro due non avevano nulla in comune, nessun argomento di conversazione, e a volte Philip si trovava a chiedersi perché continuasse a frequentarla. Forse unicamente per sentirsi meno solo. Eppure c’erano giorni in cui rimpiangeva di non esserlo davvero, soprattutto quando gli telefonava per raccontargli tutto quello che succedeva sul set, cose che a lui non interessavano minimamente. Restava ad ascoltarla in un silenzio ostile, sperando che finisse presto. Del resto era anche vero che Julie si mostrava disponibile e accogliente ogni volta che la cercava. Abitava da sola in un appartamentino in affitto a Sapporo, dove Philip si rifugiava quando gli faceva comodo e quando ricominciava a pensare al passato. Lei lo riceveva sempre a braccia aperte, sorvolando sulle volte in cui non si faceva sentire per giorni interi. Il tono interrogativo di Tom lo riscosse, riportandolo alla realtà.
“Vieni anche tu?”
Philip si rese conto che non era stato ad ascoltarlo.
-Scusa Tom, non ti ho seguito.-
“Holly e Patty arrivano a Fujisawa venerdì. Benji torna appositamente. Abbiamo pensato di vederci un giorno prima per stare un po’ insieme. Nicole si è offerta di ospitare Julian, Amy, te e Jenny. Venite o no?”
Philip tacque, colto alla sprovvista da una proposta che assolutamente non si aspettava. Che poteva fare se non metterlo al corrente? L’unica cosa positiva era che, una volta avvertito Tom, lui lo avrebbe sicuramente detto agli altri risparmiandogli di dar loro la notizia. Era bene che, prima di incontrarli, gli amici avessero il tempo di digerire la novità.
-Jenny ed io non stiamo più insieme.-
Tom ci mise un po’ a riordinare le idee.
“Non lo sapevo. Mi dispiace.”
-Verrò domenica mattina insieme a Peter, abbiamo già prenotato l’aereo. Scusa ma si sta facendo davvero tardi. Ciao.-
Dopo aver riagganciato, l’umore di Philip, che era già all’altezza delle ginocchia mentre frugava nell’armadio, ora gli calò sotto i piedi. Risalì stancamente le scale e si richiuse in camera, facendo finta di non udire le domande di una sorella troppo curiosa che lo incalzavano lungo i gradini. Si sedette sul letto e rimase a fissare gli oggetti sparpagliati sul pavimento.
Per l’ennesima volta si chiese cos'era che nella sua vita non andava. Era stanco di quell’apatia che gli toglieva la voglia di fare tutto, di quei mal di testa che lo assalivano all’improvviso e lo svegliavano la notte. Era stanco della sua irascibilità, a cui non riusciva a dare una ragione e per la quale non trovava soluzione. Si passò una mano sul viso e poi tra i capelli. Un raggio di sole, spuntato all’improvviso dal cielo nuvoloso e carico di neve, si incanalò attraverso i vetri e andò a colpire gli oggetti ammucchiati a terra alla rinfusa, riflettendosi su una superficie lucida che spuntava da sotto un libro. Quel luccichio gli finì negli occhi e attirò la sua attenzione. Si alzò e si chinò, trovando finalmente il gioco che cercava. Che fortuna sfacciata! Peter l’avrebbe finita di assillarlo. Lo gettò sul letto e tornò a fissare la superficie lucida che continuava a brillare, ferendogli gli occhi. Riconobbe la foto sua e di Jenny che fino a qualche mese prima era stata in bella mostra sulla scrivania. Erano ancora dei bambini e gliel’aveva scattata Peter a scuola, il primo anno del liceo. Jenny era tornata dall’America da tre settimane e si erano appena messi insieme. La felicità che traspariva dai loro volti gli fece male. Si affrettò ad allungare la mano, afferrare la cornice e lanciarla dentro lo scatolone. La seguirono tutti gli altri oggetti che erano rimasti fuori, seppellendola sotto uno spesso strato di cianfrusaglie. Ripose la scatola nell’armadio e si lasciò cadere sul letto. Scostò il gioco di Peter che gli si era conficcato dolorosamente tra le costole e chiuse gli occhi, coprendoseli con un braccio. Poi si ricordò che alle tre doveva essere a Sapporo per gli allenamenti, allora scattò in piedi e uscì di corsa.

A conti fatti Jenny aveva assaggiato almeno tre tipi di vini, che Salvatore da una parte e Carol dall’altra, le avevano versato nel bicchiere, rimasto sempre mezzo pieno durante tutta la serata. Carol aveva monopolizzato la conversazione per una buona mezz’ora, chiedendole vita-morte-e-miracoli e lei si era destreggiata come meglio aveva potuto, dicendo il meno possibile senza essere scortese. Fortunatamente Carol non si era dimostrata troppo curiosa e aveva risposto a tutte le domande che le aveva rigirato, dilungandosi molto sulla sua infanzia metà italiana e metà giapponese con un fratello maggiore che la viziava più dei suoi genitori.
Poi, ad un certo punto, Gentile si era stancato di essere ignorato. Ogni sorriso seducente che rivolgeva a Jenny veniva appena notato, ogni tentativo di conversazione cadeva nel vuoto. Era quasi un’ora che ascoltava le inutili chiacchiere dei compagni che gli sedevano davanti a quel tavolo rotondo e lussuoso mentre la ragazza che intendeva conquistare era girata dall’altra parte, a parlare in giapponese di qualcosa che non avrebbe mai potuto né capire né condividere. A cosa era servito portarla in quello spettacolo di ristorante se poi lei neppure lo notava? Quando non ne poté più, si alzò per andare in bagno e lì decise che avrebbe messo a tacere Carol una volta per tutte. Tornò verso il tavolo attirando ancora parecchi sguardi, arrivò alle spalle della giovane, si chinò su di lei e accostò le labbra al suo orecchio. Il respiro caldo di Salvatore le solleticò il collo facendola rabbrividire.
-Se non smetti immediatamente di parlare con Jenny, ritiro l'offerta e dovrai pagarti la cena da sola.-
Carol si volse di scatto, incrociando un lampo azzurro di fastidio. Salvatore era serio, fin troppo. Si fece veloce due conti e capì sgomenta che se lui avesse messo in atto la minaccia, per quella cena avrebbe speso l’equivalente di cinque giorni di lavoro. Così, mentre il ragazzo tornava a sedersi al suo posto, a lei non rimase altro da fare che sorridere a Jenny, dirle ancora qualcosa giusto per concludere la conversazione, e voltarsi verso Rob che sedeva dall’altro lato, per scherzare e ridere con lui.
Fu quando Jenny si alzò che si rese conto che la testa le girava. Neppure il freddo delle Alpi riuscì a schiarirle le idee. Così, quando uscirono dal locale, si accostò a Mark e gli si aggrappò al braccio.
-Credo di aver bevuto troppo vino.- più che crederlo, in realtà ne era convinta. Alzò gli occhi su di lui e tentò un sorriso, ma il ragazzo non ricambiò.
Mark era furioso, ce l’aveva a morte con Gentile per aver scelto quel ristorante. Non aveva mai speso così tanto per una cena. Con l’equivalente della sua parte, quando era ancora alle medie, lui, sua madre e i suoi fratelli erano andati avanti per un mese. Non poteva davvero credere di aver speso tanto per aver mangiato due stronzate di tonno, una foglia di radicchio con quattro chicchi di riso tinti di vino rosso, un involtino alla salsa di mela e pepe, una specie di muffin alle carote e formaggio e un dolce al cucchiaio non ben identificato. Aveva evitato il vino per protesta, perché le bottiglie costosissime che Gentile s’era fatto portare a tavola se le sarebbe pagate da solo. Ma tanto, anche andando avanti per tutta la cena con l’acqua, il conto era stato stratosferico. E lui aveva una fame da lupi. Lanciò un’occhiata a Jenny, che non aveva tirato fuori un euro perché Gentile aveva pagato per entrambi e pure Carol. Stizzito allungò il passo e lei vacillò per stargli dietro. Quando inciampò su un sampietrino, la sostenne.
-Mi gira la testa.-
-Tra mezz’ora ti ficcherai a letto e la testa non ti girerà più.-
-Dici?-
Mark non le rispose. Non lo sapeva e in fondo non gliene fregava niente. In fin dei conti, la colpa del salasso era la sua. Aoi li superò lanciando loro un’occhiata divertita, poi raggiunse Gentile che stava salendo in macchina. Belli s’era già accomodato davanti al posto del passeggero, rabbrividendo al freddo di quella prima metà di febbraio.
-Speriamo che non nevichi.-
Salvatore annuì distratto, osservando Mark e Jenny che si avvicinavano e lanciando al ragazzo un’occhiata infastidita. Le stava appiccicato, non la mollava un attimo. Ora che s’era tolta di torno Carol, ci si era messo lui. Perché non si levava dai piedi una buona volta?
Rob seguì il suo sguardo e sorrise.
-Mark t’aveva detto di smettere di versarle da bere.-
L’altro fece spallucce.
-Tu piuttosto avresti dovuto riaccompagnare Carol a casa.- erano in troppi ad essere rimasti. Se voleva concludere qualcosa, doveva restare solo con Jenny. Ma come poteva con Landers sempre intorno come un mastino da guardia?
-Non andava a casa ma a lavorare in discoteca.-
-E allora dovevi andare in discoteca con lei.-
Aoi scosse la testa ed entrò in macchina.
-Sono a pezzi! Stamattina abbiamo fatto un superallenamento con i fiocchi, vero Dario? Pensa che non volevo neppure venire, stasera.-
-Allora potevi restartene a casa.-
-Carol ha insistito parecchio.-
-Lo immagino.-
Attraverso lo specchietto retrovisore, Salvatore vide Jenny e Mark salire finalmente in macchina. Lo stronzo le si era incollato addosso come un adesivo. Spostò gli occhi su di lei, indugiando sulle guance arrossate dallo sbalzo di temperatura, sugli occhi resi brillanti dal vino e sulle labbra tinte di nuovo da un rossetto, di sicuro opera di Carol che, prima di lasciare il ristorante, l'aveva trascinata in bagno.
-Mark…- un filo di voce carico di imbarazzo uscì dalle labbra della giovane -Sono in uno stato pietoso, vero?-
-No, e poi comunque non è colpa tua. Non avresti bevuto tanto se qualcuno non avesse insistito in maniera indecente a riempirti di continuo il bicchiere.-
Mentre Gentile s’infilava nel traffico del venerdì sera, Jenny si accostò di più a Mark perché sentiva freddo e il calore del suo corpo era gradevole. Sospirò esausta. Era stanca e non vedeva l’ora di arrivare a casa.
Quando la macchina si fermò lungo il marciapiede, l’italiano spense il motore. Attese che Rob, Mark e Jenny scendessero e si volse verso Dario.
-Visto che non possiamo dormire tutti da Landers, se tra dieci minuti non torno puoi andare da me.- si frugò nelle tasche e gli consegnò le chiavi di casa. Poi smontò e corse a raggiungere Jenny.
Entrarono in casa insieme, dietro Mark che li precedeva accendendo le luci e Aoi che si trascinava dietro la borsa. Se l’era portata fin nel ristorante, perché quella notte Landers aveva promesso di ospitarlo. Rob raggiunse in cucina il padrone di casa, mentre si versava un bicchiere d’acqua.
-Dove dormo?-
-Sul divano. La camera degli ospiti l’ha occupata Jenny.-
-Posso avere dell’acqua anch’io?-
Mark annuì, prese un bicchiere dallo scolapiatti e glielo porse, lasciando che Rob se lo riempisse dal rubinetto.
-Sono pieno come un uovo.-
Bastò la sua ingenua constatazione per rinfocolare il malumore di Landers.
-Maledetto bastardo, sono sicuro che l’ha fatto apposta!-
-Chi?-
-Quel pallone gonfiato di Gentile!-
-Ha fatto cosa?-
-Ha scelto il ristorante più caro di Torino, porco mondo!-
A Rob sfuggì un sorrisetto.
-Sicuramente voleva far colpo su Jenny!-
-Il colpo per poco non l’ha fatto prendere a me!- si appoggiò al lavello -Ti rendi conto quanto abbiamo speso per cenare? E oltretutto ho ancora fame! I piatti erano mezzi vuoti, tutti assaggi e stuzzichini!-
-Io ho mangiato bene e pure troppo.-
-Quello stronzo! Mi dovrà restituire fino all’ultimo centesimo! E con gli interessi!-
Il telefono di casa squillò improvviso. Gli occhi di Mark corsero all’orologio appeso sulla parete d’ingresso della cucina. Erano passate le undici quindi in Giappone erano quasi le otto del mattino. Uscì nel corridoio, incrociò Jenny e Salvatore fermi ai piedi delle scale a parlare e ridere di qualcosa, e si affrettò a rispondere.
“Mark, stai dormendo?” era sua madre.
-No, sono appena rientrato.-
“Sei stato a cena fuori?”
Sbuffò.
-Non farmici pensare, ma’…-
“Tua sorella stamattina parte per la gita scolastica.”
-Dov’è che va?-
“Kyoto, Osaka e Nara. Ti voleva salutare.”
-Passamela.- distolse gli occhi da Gentile e Jenny che parlottavano, i volti vicinissimi che quasi si sfioravano e appoggiò la fronte contro il muro, affranto, perché con il prezzo della cena avrebbe potuto comprare una valanga di cose per i suoi fratelli e per sua madre. Forse il fatto che la sua famiglia lo avesse chiamato proprio in quel momento era un segno. Serviva a non fargli dimenticare che aveva gettato al vento tutti quei soldi.
Salvatore lo vide voltarsi verso la parete, così coinvolto dalla telefonata da non far caso a loro. Si chinò su Jenny e le sorrise. Gli occhi erano socchiusi e brillanti come stelle, e profumava di buono. Aveva sentito, baciandola qua e là sulle labbra e sul viso, il sapore e la fragranza del suo corpo e non quella del fondotinta, della cipria, del fard, come avveniva di solito. Jenny non si era coperta di strati e strati di trucco. La sua pelle era vellutata come pesca, la grana fine e liscia come la porcellana. Baciarla, posare le labbra su di lei, era un piacere.
-Saliamo?-
Jenny annuì, aveva sperato che glielo chiedesse. I baci di Gentile le piacevano, anche il suo odore le piaceva. Le piaceva come la guardavano i suoi occhi, le piaceva affondare le dita tra i suoi capelli d’oro, morbidi come la seta sulla nuca e induriti in ciocche dal gel sulla fronte. Quella sera desiderava follemente che l’abbracciasse e la baciasse. Il ragazzo le infondeva tranquillità e lei voleva sentirsi protetta e coccolata, soprattutto voleva sentirsi amata. Voleva provare di nuovo la piacevole sensazione di braccia forti che le circondavano la schiena, il calore e la sicurezza che poteva infonderle un corpo maschile. Voleva provare di nuovo il sapore e l’eccitazione dei baci, di qualsiasi bacio. Era la prima volta dopo molti mesi che qualcuno la prendeva tra le braccia e lei aveva disperatamente bisogno di non sentirsi più sola. Mentre salivano le scale, sollevò il viso verso di lui. Era così vicina che se avesse fatto un altro minuscolo movimento, lo avrebbe sfiorato. Scorgeva il suo bel viso attraverso il chiarore che veniva da giù, dalle luci del salotto, il lampo azzurro dei suoi occhi e l’oro dei capelli. Obiettivamente Salvatore Gentile era bellissimo.
Entrarono insieme in camera da letto, Jenny accese la luce e fu contenta di averla sistemata quella mattina, prima di uscire di casa. I libri sul tavolino erano disposti in bell’ordine e il copriletto era stirato e teso, pronto ad essere stropicciato da loro. Salvatore riaccostò la porta tendendo indietro un braccio, senza neppure voltarsi. Poi la prese tra le braccia e unì le proprie labbra alle sue.
Jenny si perse, nei suoi baci. Non si accorse che lui le sbottonava impaziente il cappotto finché non se lo sentì scivolare giù dalle spalle. Lasciò che cadesse a terra, non gliene importò. Gli circondò il collo con le braccia per accostarlo a sé. I baci di Salvatore le piacevano, così come le piacevano le sue carezze. Le piacevano i suoi occhi azzurri ombreggiati da ciglia dorate, i suoi capelli del colore del grano, il suo profumo, la sua pelle calda, i suoi muscoli. Le piaceva il suo sorriso, il suo sapore, le sue mani che le percorrevano il corpo delicate. Le piaceva la sua voce, le sue attenzioni, la sua allegria. Soprattutto non avrebbe mai creduto che qualcun altro che non fosse Philip sarebbe stato in grado di risvegliare il suo corpo in modo così eccitante. Eppure lui, con i suoi baci e le sue carezze, le stava stimolando tutti i sensi in un modo così inatteso da renderla incapace di controllarsi.
Mark li osservava in silenzio dalla soglia già da un paio di minuti e l’idea di essere di troppo non gli attraversò la mente neppure un istante. Li guardava baciarsi e rifletteva, perché non riusciva a farne a meno. Il conto salato che aveva pagato a cena gli ribolliva nel sangue, ma il pensiero che lo angustiava di più era Philip. Lo conosceva da quasi dieci anni e dopo il burrascoso primo incontro alle elementari avevano imparato a sopportarsi, poi a intendersi, soprattutto in campo. Da quando si erano ritrovati insieme in nazionale l’iniziale rivalità era scomparsa, lasciando il posto alla collaborazione e alla stima. Quante volte Philip gli aveva passato degli splendidi assist per permettergli di segnare? Quante volte Philip l’aveva appoggiato durante le innumerevoli discussioni che con il suo carattere poco incline alla diplomazia si era tirato addosso in campo, negli spogliatoi, durante i ritiri? Pensò che nascondendogli la presenza di Jenny a casa sua aveva tradito la sua fiducia. Fu costretto ad ammettere che aver deciso di ospitarla senza dirgli niente non era ciò che avrebbe fatto un amico. Decise che se voleva rimediare in qualche modo, doveva fermare quella pazza della sua fidanzata (o ex, come tanto insisteva a dire lei) e impedirle di lasciarsi conquistare dal primo arrivato. Soprattutto poi se si trattava di quel cretino di Gentile, che la seduceva dopo averla fatta bere.
-Vattene.-
Jenny sussultò e Salvatore si volse. Lo videro in piedi, appoggiato sullo stipite della porta socchiusa, le braccia incrociate al petto. Gentile si irrigidì, poi si scostò dalla giovane esasperato.
-Sono stanco di te, Landers! Della tua gelosia, o invidia, o come diavolo vuoi chiamarla! Togliti dalle palle una buona volta!-
Mark si staccò dal muro e avanzò verso di loro.
-Sei tu che devi toglierti dalle palle! Sei tu che devi tornartene a casa!-
Parlò di nuovo in italiano ma per Jenny il messaggio fu chiaro lo stesso, perché lui indicò la porta con il braccio teso.
-Mark…- cercò di avvicinarsi per placarlo, per dirgli che non doveva intromettersi, che doveva lasciarli soli e uscire dalla sua camera. La testa le vorticò in modo spaventoso e barcollò. Il fatto di non riuscire a tenersi in piedi in un momento simile non le piacque e maledisse il vino che aveva mandato giù durante la cena. Sentì Salvatore continuare a parlare, in italiano. Non capì nulla.
-Pensi di farle del bene, intromettendoti nella sua vita privata?-
-Penso di farle del bene tenendola lontana da te!-
-Cos’è che ti dà fastidio se stiamo insieme?-
-Tutto! Tu non vai bene per lei! Non sei affidabile, non sei serio, non sei maturo! Troppe ragazze ti ronzano intorno! Per non parlare dei giornalisti, che se vi scoprissero insieme non le darebbero più pace!- fece una pausa -Jenny non ha bisogno di te né di tutto il corredo di presunzione, di arroganza, di notorietà e di ricchezza che ti porti dietro! Possibile che tu non lo capisca?-
Salvatore lasciò che quelle parole gli scivolassero addosso.
-E allora di chi ha bisogno? Di uno come te?- vide gli occhi di Mark lampeggiare e rise -Tu sei solo capace di impedirle di divertirsi, la controlli come se fosse una bambina di sei anni. Non ti va bene se esce la sera, se torna tardi, se lavora, se va a fare shopping… Le stai impedendo di vivere! La tua casa è una prigione!- abbassò gli occhi sulla ragazza che lo fissava sgomenta, come al solito esclusa da una conversazione che non capiva. Tornò a rivolgersi a Mark -Jenny è in grado di decidere da sola cosa fare e con chi! E sono sicuro che te lo dirà non appena me ne sarò andato!-
Sentirsi prendere in causa continuamente alla giovane non piacque, ma ancora meno ciò che leggeva sui loro volti. Si sarebbero azzuffati? Lei non voleva, non voleva assolutamente. Assistere al loro litigio, di cui era la causa, la faceva stare male. L’atteggiamento prepotente di Mark nei confronti di Salvatore era inaccettabile. Immaginava che si comportasse in questo modo perché era preoccupato per lei, ma non doveva permettersi di fare una piazzata simile in un momento così intimo. Ricacciò indietro le lacrime che premevano per uscire e cercò di nuovo di salvare il salvabile.
-Mark, cosa gli hai detto?-
Lui la ignorò, non le prestò attenzione. Si comportò come se non avesse parlato, come se non fosse presente, come se non esistesse.
-Credi davvero che Jenny sia in grado di scegliere cosa sia meglio per lei dopo tutto il vino che le hai fatto bere? O magari tu le tue donne le seduci solo dopo che le hai fatte ubriacare?-
Fu un’insinuazione meschina e bruciante. Le dita di Salvatore cominciarono a prudere. Serrò e aprì i pugni un paio di volte e lo guardò furente, troppo tentato di scagliarglisi addosso. Capì che Landers sarebbe uscito da quella stanza soltanto dopo di lui. Pessima serata, maledetto stronzo! Raccolse la giacca da terra e si volse verso Jenny, che allungò una mano e strinse la sua, cercando di trattenerlo. Ma l’occhiata che lui le rivolse la intimidì e non riuscì a trovare le parole per farlo restare.
-Ci vediamo domani.- la salutò brusco.
Uscì urtando la spalla di Mark. Imboccò le scale di corsa in preda ad un'ira feroce. Non aveva bisogno di farle bere, lui, le donne, per conquistarle. In genere gli cadevano ai piedi senza che muovesse un dito. Sbatté la porta d’ingresso con violenza, uscì sulla strada e raggiunse la macchina. Dario fu contento di aver aspettato ancora un po’.
-È andata male?-
-Quel bastardo di Landers! Lo detesto!-
Jenny guardò l’amico pallida come un cencio, le mani strette nervosamente una nell’altra. Incredula, umiliata.
-Mark… Perché lo hai fatto?-
-Perché stava approfittando di tutto il vino che ti ha versato nel bicchiere.-
-Non è vero!-
-Jenny, l’ho fatto per te!-
Lei lo fissò, gli occhi spalancati, e non gli credette. Indietreggiò, urtò il letto con le gambe e finì seduta sul materasso.
-No, lo hai fatto per vendicarti della cena.-
-Be’ sì, anche.-
Le salirono le lacrime agli occhi.
-Hai rovinato tutto.-
-Tutto cosa? Non c’era nulla da rovinare. Tu e Gentile non state insieme! Tra un mese e mezzo ti scadrà il visto e dovrai andartene. Che senso ha perdere tempo con lui?-
-Non puoi capire…- come dirgli che quella era la prima volta che qualcuno la baciava in quel modo, la toccava in quel modo dopo David? Philip non si era più azzardato a farlo, scavando una voragine tra loro che a lungo andare li aveva allontanati per sempre -Che accidenti te ne importa se mi diverto con qualcuno? Lui non lo sta forse facendo?-
-Vorresti andare a letto con Gentile solo perché Callaghan esce con un’altra? Solo per questo? Solo per ripicca?- tentò un’ultima strada -A Gentile non interessi, gli serve soltanto una ragazza per andare in giro, per farsi vedere alle feste. Con te vuole divertirsi e svagarsi, ora che è da solo. E dopo che lo avrà fatto non ricorderà neppure come ti chiami!- la fissò -Ti piacciono i tipi così?-
-Sì!- replicò polemica -Sono proprio i tipi così che cerco!-
Mark si irrigidì come se lei lo avesse schiaffeggiato. Poi decise di non crederle. Fortunatamente la settimana successiva era in programma la partita contro Holly a Barcellona. Grazie al breve ritiro e al viaggio in Spagna della Juventus, Jenny avrebbe avuto qualche giorno di tempo per togliersi dalla testa Gentile e quella stupida convinzione.

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo ***


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Terzo capitolo


Jenny entrò in cucina con un diavolo per capello. Non sapeva se era nervosa perché le stava per arrivare il ciclo o per ciò che era successo la sera prima. O meglio per ciò che per colpa di Mark non era successo. Non era sicura di desiderare Gentile fino a quel punto, ma non avrebbe voluto mai e poi mai essere interrotta in quel modo. Mark era stato brusco, inopportuno e decisamente cafone. Certo, era un po’ brilla e non poteva non ammetterlo. Ma non abbastanza da non essere in grado di capire cosa fosse meglio per se stessa, accidenti!
Se lei non aveva gradito l’intrusione di Mark, Gentile doveva averla detestata. Non aveva capito il significato delle parole di fuoco che si erano scambiati (Mark si era guardato bene dal ripetergliele in giapponese una volta soli), ma il tono era stato chiarissimo e Salvatore non l’avrebbe dimenticato. Quei due avevano aggiunto alla loro lista un altro motivo di disaccordo. Che deficienti!
Quando varcò la porta della cucina Mark era in un angolo, appoggiato in piedi contro il ripiano a ruminare qualcosa con la bocca strapiena. Vedendola smise di masticare, le guance ricolme di cibo, gonfie ai lati come quelle piene di semi di un criceto. Lei non lo guardò, lo intravide e basta perché si rifiutò, furiosa com’era, di posargli gli occhi addosso.
-Dove sei stata?-
-Ad accompagnare Rob da Carol e a fare un po’ di spesa.-
Jenny era uscita volentieri con Rob, con lui si trovava a suo agio. Era sempre allegro, la divertiva e la distraeva. Nel tragitto da casa fino in centro avevano chiacchierato tutto il tempo. Aoi aveva parlato a raffica di ogni cosa e quando lei gli aveva chiesto informazioni su Carol, lui aveva risposto a tutto. L’eccentrica ragazza conosciuta al ristorante era stata un’amica di Gentile, prima che di Rob, perché lavorava nella discoteca frequentata dai calciatori della Juventus. E quando Salvatore aveva scoperto che era giapponese per metà, le aveva presentato Aoi. Parlando con Rob, Jenny aveva saputo che sua madre l’aveva chiamata Carol perché fan sfegatata di un papa dei suoi tempi. E quando gli aveva chiesto se tutti coloro che avevano occupato il tavolo al ristorante la sera di San Valentino fossero single, il ragazzo le aveva anche raccontato ridendo che l’unico ad avere la compagna, fino a qualche ora prima, era stato Dario. Solo che, per qualche motivo che il portiere non aveva voluto rivelare, lei lo aveva mollato proprio quel giorno. Così aveva deciso di aggregarsi alla comitiva, perché in una sera come quella del 14 febbraio meglio male accompagnati che da soli.
Si avvicinò al frigorifero, l’aprì e lanciò un’occhiata dentro. Ciò che vide non le stimolò l’appetito e lo richiuse brusca. Poi fissò il tavolo spiccio tranne per una tazza di caffè colma per metà. Infine si guardò intorno, in cerca di qualcosa.
-Dove sono i cioccolatini che mi ha regalato Salvatore ieri sera?-
Mark rispose mugugnando e lei si volse di scatto, ad osservarlo per la prima volta con un brutto presentimento. Con un sorriso trionfante ma stiracchiato dalla bocca piena di cibo, il ragazzo allungò le mani aperte verso di lei. All’interno giacevano palline di carta stagnola accartocciate tra le pieghe della pelle. Deglutì vistosamente.
-Li ho mangiati tutti.- lo ammise contento, soddisfatto, appagato.
Jenny gli si avvicinò e lo guardò meglio. Le sue labbra erano ancora sbaffate di cioccolata sciolta.
-Non li ho neppure assaggiati!-
Il ragazzo fece spallucce, si scostò e andò a gettare quei rimasugli di incarti nel cestino dell’immondizia.
-Non erano un granché.-
-Erano miei!-
-Li hai lasciati in macchina.-
-E tu li hai presi per mangiarli!- era sgomenta, incredula.
-Non sei contenta? Ti ho appena evitato di ingrassare.-
Jenny pestò i piedi sul pavimento, furiosa. Scostò bruscamente la sedia e vi si lasciò cadere. Fremeva e la stizza stava cominciando a risultarle ingestibile. Se avesse potuto gli avrebbe gettato addosso tutte le stoviglie di quella maledetta cucina. Respirò a fondo, cercando di calmarsi. Era un’impresa impossibile.
-Cosa gli hai detto ieri sera?-
Mark finse di cadere dalle nuvole.
-A chi?-
-Come a chi? A Salvatore!-
-Gli ho detto di andarsene.-
-E poi?-
Il ragazzo si avvicinò al frigorifero con un sorriso sornione. Non aveva voglia di discutere di prima mattina e cercò un modo per placarla. Aprì lo sportello, lanciò un’occhiata dentro e tirò fuori un succo d’ananas.
-Ne vuoi?-
-No.-
Prese la confezione del latte e gliela mostrò. Lei scosse la testa. Mark allora le allungò uno yogurt. Jenny balzò in piedi.
-Ti ho detto che non voglio niente!-
-Non fai colazione?-
-No!- lo fissò furiosa perché era chiaro che Mark si stava divertendo. Si mise in piedi, gli volse le spalle e uscì a testa alta, lasciandolo col frigorifero aperto e con un’unica sola convinzione. Jenny stava diventando un problema.
Richiuse lo sportello con violenza. A Torino desiderava vivere tranquillo, essere lasciato in pace, rifarsi un’esistenza lontano dalla preoccupazione quotidiana di tirare avanti una famiglia, assumendosi la metà delle responsabilità di sua madre. Jenny invece era una responsabilità. E neppure a metà: piena, perché tutta a suo carico. Lo era quando usciva di casa, quando andava in giro da sola per Torino in cerca di un lavoro per guadagnare due spicci che non era neppure sicuro le servissero, quando passava il suo tempo con Gentile. Su un’unica cosa la sera prima l’italiano aveva avuto ragione. Quando non erano insieme, quando non aveva Jenny sotto gli occhi, quando non sapeva dove andava a ficcarsi, era in pensiero.
E lui odiava sentirsi così. Se proprio doveva preoccuparsi, era giusto che lo facesse per la sua famiglia! E invece no! Jenny gli era piombata tra capo e collo e si permetteva addirittura di stranirsi perché lui aveva mangiato quei quattro cioccolatini schifosi che le aveva regalato Gentile. Avrebbe dovuto ringraziarlo da quel giorno fino alla morte, avrebbe dovuto essergli riconoscente per l’eternità e oltre, di averle impedito, la sera prima, di fare qualcosa di cui si sarebbe presto pentita. O forse non era quello ad aver scatenato il suo malumore. Forse aveva capito da sola che era stata sul punto di commettere un errore madornale e si rifiutava di ammetterlo, piccola testarda. A meno che non fosse davvero furiosa per i cioccolatini maledetti, che non valevano certo un litigio. Si ripromise di ricomprarglieli, forse al supermercato li avrebbe trovati in offerta visto che San Valentino era appena passato.

*

Philip non riuscì ad individuare l’istante preciso in cui i suoi pensieri si riempirono di Jenny ma quando se ne rese conto capì che stava succedendo già da parecchi minuti. Non riuscì neppure a  mettere a fuoco cosa lo avesse spinto a pensare a lei, visto che si trovava nella bella casa di Richard Hall, l’attaccante del Sapporo, un posto in cui finora non era mai stato e quindi pieno di cose nuove da osservare. Seduto su una sedia, il gomito appoggiato sul ripiano del tavolo, assisteva insieme ai compagni di squadra alla partita di andata degli ottavi di finale della Champions League, Barcellona-Juventus. Era così immerso nei pensieri di lei da non essersi accorto che Holly aveva segnato e adesso la sua squadra era in vantaggio. Un primo piano volante riprese Mark mentre tentava di togliergli il pallone. Una finta di Holly gli fece perdere l’equilibrio e Landers gli si aggrappò al braccio per non cadere. Lo strattonò e cercò di nuovo di togliergli la palla. Riuscì ad avere la meglio solo quando lo spinse in ginocchio con un brutto fallo. L’arbitro fischiò il calcio di punizione e Holly si tirò su dolorante, l’espressione furiosa. Inveì qualcosa contro Mark, poi improvvisamente scoppiò a ridere, ricambiando il fallo con una poderosa pacca sulla schiena e un’altra risata. Landers lo fissò interdetto e mentre gli rispondeva, la telecamera si allontanò in una ripresa panoramica del campo. I due si confusero tra gli omini che costellavano il tappeto verde.
Philip si chiese cosa l’avesse spinto a pensare a Jenny. Mentre il gioco riprendeva davanti ai suoi occhi e la Juventus si lanciava di nuovo in attacco, scacciò la sua ex ragazza dalla testa e si concentrò sulla partita. Del resto era proprio per assistere all’incontro che si erano riuniti lì. E, a dirla tutta, era stato lui ad aver suggerito ai compagni di farlo, perché era tremendamente curioso di vedere chi l’avrebbe spuntata tra Holly e Mark e il satellitare lo aveva nell’appartamento in cui ancora non si decideva a rientrare.
Ma presto la curiosità venne scalzata di nuovo dal pensiero di Jenny. Quel giorno non riusciva a fare altro che rimuginare su ciò che avevano passato prima di lasciarsi. Anzi, prima che lui la lasciasse. Dopo quello che era accaduto a Kyoto aveva impiegato settimane a riavvicinarsi alla fidanzata, vi si era dedicato con tutto l’amore e la pazienza di cui era stato capace. Pian piano Jenny si era riabituata a riaverlo accanto, si era riabituata alle sue carezze, ai suoi baci. Per un periodo brevissimo era sembrato che tutto fosse tornato alla normalità. Poi, da un giorno all’altro, dentro di lui si era scatenato qualcosa di violento, improvviso e inaspettato. Qualcosa di sconvolgente, incontrollabile. Troppo concentrato sulle condizioni di Jenny, aveva soffocato il proprio dolore e la propria sofferenza per giorni, per settimane, ma ad un certo punto le sue ferite avevano cominciato a suppurare. Non essere riuscito ad evitare ciò che le era successo, non essere riuscito a proteggerla, non essere riuscito neppure a intuire cosa stesse per accadere, alla fine aveva scatenato nei confronti della fidanzata un senso di inadeguatezza smisurato. La convinzione che se non avesse portato Jenny a Kyoto lei non sarebbe stata violentata, aveva messo radici dentro di lui sempre più a fondo, facendolo sentire disperatamente e innegabilmente in colpa. Aveva cominciato a guardarla con più attenzione, a studiare ogni suo gesto, ogni espressione, per cercare di capire se lei lo considerasse colpevole e fingesse di no. Aveva cominciato a convincersi che sotto sotto la sua presenza, le sue carezze, i suoi baci non le facessero più piacere. E come poteva essere il contrario? Come poteva sopportare che qualcuno la toccasse dopo ciò che David le aveva fatto? Interrompeva bruscamente le loro effusioni, si bloccava incapace di continuare. A volte dubitava persino che lei volesse che continuasse, dopo il trauma subito, dopo quello che McFay le aveva fatto. Così finiva per pensare che Jenny tacesse e si sforzasse di sopportare perché questo era l’unico modo per restare insieme, perché non aveva il coraggio di mandare la loro storia in frantumi.
L’agitazione tra gli amici ad un nuovo goal lo riscosse. Non si preoccupò neppure di capire chi avesse segnato. Non gli importava più. Quel giorno Jenny gli era entrata nella testa e non sembrava volerne uscire. Pensò che non gli andava di raggiungere i compagni della nazionale a casa di Benji. Non gli andava di vederli. Era sicuro che ci sarebbero state anche Evelyn, Amy e Patty e non voleva parlare con loro perché era certo che gli avrebbero chiesto notizie di Jenny. Tremava all’idea di incontrare Nicole e leggerle negli occhi rimprovero e disapprovazione. Ricordava perfettamente le parole che gli aveva rivolto a casa di Jenny quando era andata a trovarli a Furano insieme a Benji. E lui, nonostante la sua buona volontà, i suoi consigli e i suoi suggerimenti, aveva mandato tutto a puttane.
-Partita interessante, vero?- gli disse Richard Hall che gli sedeva accanto.
Philip trasalì e cercò di concentrarsi sulla tv. Lesse sullo schermo il rettangolo del tempo e del risultato e si accorse che dall’ultima volta che il suo cervello si era sintonizzato sull’incontro erano trascorsi quasi quindici minuti. Holly stava vincendo e il secondo tempo era agli sgoccioli. Si chiese come avrebbe preso Mark l’ennesima batosta. Lo vide da vicino in un momento in cui la telecamera s’infilava tra i calciatori. Il gioco era fermo e la palla veniva recuperata lungo il bordo campo. Accanto a lui scorse un ragazzo biondo con la maglia bianconera che gli si rivolse con un’espressione seria. Mark rispose e l’italiano corredò la sua replica con una rapida stretta sulla spalla. Quando si volse per tornare al suo posto, Philip non fece in tempo a leggere il cognome stampato sulla maglia ma vide il 6 subito sotto, riuscendo facilmente ad associare a quel numero l’identità del giocatore della Juventus. La telecamera volò sugli spalti, per puro caso sfiorò il volto di Patty seduta in tribuna proprio sopra la panchina del Barça, e i pensieri di Philip tornarono per associazione di nuovo su Jenny. Se fossero stati ancora insieme avrebbero visto quella partita nel loro bell’appartamento in centro, molto probabilmente in compagnia di Grace e Peter Shake. Avrebbero mangiato qualcosa, avrebbero commentato l’incontro. Forse Jenny avrebbe chiamato Patty per congratularsi o forse lui Mark, per consolarlo della sconfitta. Ad una certa ora Peter e Grace se ne sarebbero andati e lui e Jenny sarebbero rimasti soli. Mentre l’arbitro fischiava la fine dell’incontro, Philip si fermò a riflettere con una nostalgia violenta su quello che avrebbero fatto lui e Jenny da quel momento in poi. Con una punta di masochismo si rese conto che con ogni probabilità sarebbe andata a finire come al solito. E cioè avrebbero litigato. Né più né meno come l’ultima volta e tutte quelle precedenti. Lui l’avrebbe lasciata da sola in camera, forse addirittura in lacrime, e avrebbe passato la notte sul divano.
-Bell’incontro.-
Un commento lo distolse da quelle amare riflessioni. Prese la lattina di birra dal tavolino e se la portò alle labbra. L’aveva dimenticata e la bevanda si era scaldata. La bevve lo stesso, poi seguì gli amici nell’ingresso. Li salutò distratto e si avviò da solo verso la macchina parcheggiata lungo il marciapiede. Mentre apriva lo sportello, sentì qualcuno raggiungerlo di corsa. Quando si volse si trovò Peter accanto.
-Mi dai un passaggio?-
-A casa?-
Shake scosse la testa.
-Lasciami alla stazione della metro. Devo andare da Grace.-
-Sali.-
Accompagnarlo non gli costava niente, era lungo la strada. Ma commentare insieme a lui una partita che non aveva praticamente seguito fu difficilissimo. Fortunatamente, dopo qualche tentativo poco riuscito, Peter trovò un argomento di conversazione che andasse bene a entrambi.
-Tu hai capito perché Marshall ci ha convocati?-
-Non lo so, dovrà dirci qualcosa.-
-E non poteva dircelo per telefono? Ci tocca andare fino a Fujisawa.-
-Che te ne importa? Il volo non lo paghi tu.-
-Avevo un impegno.-
Philip si volse a guardarlo con un mezzo sorrisetto.
-Con Grace? Dove dovevate andare?-
-A Osaka, a trovare sua zia. Fortuna che non avevamo ancora comprato i biglietti!-
-Già, una bella fortuna.-

*

Amy allungò le gambe e si accomodò meglio sul divano. Julian la guardò, poi posò sul tavolino la tazza del tè. A casa di Price la ragazza sembrava tanto a suo agio quanto lui era sulle spine. L’anno precedente era stata lì spesso, quasi due volte al mese, accompagnando Jenny da Nicole. Amy gli aveva detto che le sedute a cui a volte, grazie al gentile consenso dei pazienti, le permetteva di assistere come tirocinante, le erano preziose come l’oro visto il percorso di studi che stava seguendo. Julian le credeva quando gli diceva che le parole di Nicole le erano più utili di ore ed ore passate all’università ad ascoltare i professori, ma non era riuscito a rassegnarsi ai numerosi viaggi della fidanzata a casa di Price. Durante i primi mesi Amy era andata così spesso a Fujisawa che avevano dovuto sacrificare parecchi week-end. E quando Julian si era stancato di passare quei giorni solitari a studiare, aveva deciso di uscire prima con i compagni di squadra, poi con quelli dell’università. Infine, pur di non restare a casa da solo, aveva accettato di prendere un aperitivo con qualche sporadica fan. A peggiorare tutto quell’andirivieni della fidanzata, c’era il fatto che nell’ultimo anno Price fosse tornato in Giappone più frequentemente del solito. Così frequentemente che non aveva perso neppure un incontro della nazionale.
Era imponente la casa di Benji, una villa su due piani circondata da un giardino che le girava intorno. Dal grande cancello d’ingresso non si riusciva a scorgerne la fine. Julian, che era la prima volta che la vedeva, ne era rimasto sbigottito.
“Ora capisco perché da Miller si trovava perfettamente a suo agio.”
“Hai visto che roba?” gli aveva sorriso anche Amy “Quando siamo venute qui l’anno scorso, Jenny ed io non credevamo ai nostri occhi.” Chissà che accidenti di lavoro faceva il padre di Price…
La voce della fidanzata lo riscosse dalle proprie riflessioni.
-Benji non c’è?-
Julian le lanciò un’occhiata in tralice e lei se ne accorse. Gli prese una mano e gliela strinse, chiedendosi cosa avesse, cosa fosse a preoccuparlo. Il suo comportamento era diventato svagato e scostante. Forse lo aveva infastidito il fatto che, da quando erano arrivati a Fujisawa quella mattina, con un giorno d’anticipo rispetto al resto della nazionale, lei aveva trascorso parecchio tempo con Evelyn e Patty, che non vedeva da mesi? Gli sorrise e Julian ebbe bisogno di un istante per riuscire a ricambiare.
-Dopo la riunione di domani deve ripartire subito per Amburgo e aveva dei giri da fare.- spiegò Holly -Ci raggiunge dopo con Tom.-
-E Philip? Non viene oggi?-
-Tom l’ha chiamato ma non è riuscito a convincerlo. Arriva direttamente insieme agli altri.-
-Jenny?- domandò Julian.
-Ha lasciato a me e Holly un messaggio sulla segreteria telefonica. Ha detto che stava bene e che avrebbe richiamato, ma non si è più fatta sentire.-
Amy sospirò.
-Non ha detto dov’è?-
Patty scosse la testa e proseguì.
-C’è una cosa che mi lascia perplessa…-
-Cosa?-
-Non sentivo Jenny da mesi e ci ha telefonato per rassicurarci che stesse bene subito dopo che ho chiamato Mark. Non è strano?-
-Forse si sono sentiti.- buttò lì Evelyn sollevando poi gli occhi su Nicole che entrava con un vassoio carico di bevande.
Amy si alzò e glielo tolse di mano. Mentre la donna la ringraziava e tornava in cucina, lei si avvicinò al tavolo e lo appoggiò davanti ai compagni. Bruce si versò subito un bicchiere di tè freddo.
-Quando noi domani vedremo Philip, dovremo far finta di niente e chiedergli notizie di Jenny come se non sapessimo che si sono lasciati, oppure non gli chiederemo niente facendogli capire che sappiamo?-
La perplessità del ragazzo era complicata perché lo era anche la situazione. Cosa dovevano fare con Philip?
-Probabilmente gli sembrerebbe strano se non gli domandassimo di lei. Ma forse è indelicato andargli a chiedere notizie visto che sappiamo.- tergiversò Holly, spostando lo sguardo su Nicole che tornava con un vassoio di sandwich e un cesto di biscotti.
-Hai preparato per un esercito.-
La donna sorrise ad Amy.
-I biscotti sono anche per domani, andateci piano.-
Julian non prese niente, lo stomaco chiuso. Era quasi scioccante vedere con quale familiarità la fidanzata si muovesse in quella maledetta villa. Conosceva ogni camera, ogni stanza, ogni mobile come se fosse casa sua. Scherzava con la governante, il cane le faceva le feste, Nicole le si rivolgeva sempre sorridendo. Non vedeva l’ora di tornare a Tokyo, nella sua di casa, e godersi in pace la sua presenza. Da solo.
-Julian, sei su questo mondo?-
Il ragazzo si riscosse e vide che Bruce, di fronte a lui, gli sventagliava una mano davanti al viso per attirare la sua attenzione.
-Cosa?-
-Vieni con noi a fare due tiri?-
Invece di rispondere si volse in cerca della fidanzata: fino ad un istante prima era seduta al suo fianco e adesso non c’era più.
-È salita a preparare la vostra stanza.- rispose Patty alla sua domanda inespressa.
Allora Julian si alzò e li seguì fuori.

Amy osservava il giardino dallo studio del padre di Benji, attraverso i vetri lucidi e brillanti. Aveva chiesto a Nicole di poter dare un’occhiata ai suoi manuali di psicologia ma quando era entrata nella stanza, le grida dei ragazzi avevano richiamato la sua attenzione attirandola verso la finestra.
Il monte Fuji sembrava vicinissimo da lì. L’imponente montagna bianca carica di neve e di ghiaccio, si stagliava contro il cielo azzurro nella sua geometrica perfezione. La forma conica la faceva sembrare scolpita, un’opera d’arte creata dall’estro di qualche divinità agli albori del mondo. Amy amava contemplare la sua poetica bellezza ogni volta che poteva e nell’ultimo anno a casa di Benji c’era riuscita piuttosto frequentemente. Ma il monte Fuji era uno spettacolo che si godeva solo da lontano, ammirandone la forma, il suo protendersi verso la volta celeste. Più di così Amy non desiderava avvicinarsi. La montagna sacra del Giappone, quella sua bellezza naturale nota in tutto il mondo, nascondeva alle pendici discariche di rifiuti che solo ultimamente iniziavano ad essere bonificate e foreste di suicidi in cui nessuna persona sana di mente avrebbe mai voluto mettere piede. Un brivido le corse su per la schiena, distolse gli occhi dalla bellezza magnetica di quella cima e li abbassò nel giardino della villa.
Holly, Tom e Bruce giocavano sul prato con il pallone e con Purin, il piccolo labrador di Nicole color caramello. La bestiola era così contenta di sgranchirsi le zampe insieme a loro che saltellava esuberante su e giù per il giardino, con la lingua penzoloni e la coda ondeggiante di felicità.
Julian si teneva lontano dal cucciolo come si teneva lontano da Benji. Amy sapeva perché Julian non giocava. Julian non aveva un buon rapporto con gli animali domestici. Anzi, a dirla tutta non aveva con loro nessun tipo di rapporto. Non ne aveva mai avuti, non sapeva gestirli e probabilmente l’esuberanza di Purin lo metteva a disagio. Forse aveva paura che invece di assalire la palla, il cucciolo se la prendesse con le sue caviglie.  
Amy serrò le dita sul cotone pesante della tenda e tirò un sospiro. Poco prima di rifugiarsi in quella stanza, aveva confidato a Nicole la sua incertezza, la sua titubanza a continuare il tipo di studi che aveva intrapreso. Le aveva detto che non si sentiva più sicura dell’indirizzo che aveva scelto, perché più si sforzava di comprendere le persone e più esse diventavano un enigma. Nicole era stata la prima ad ascoltare i suoi dubbi, non ne aveva parlato con Julian e neppure con la sua famiglia. Nicole era rimasta in silenzio e l’aveva lasciata sfogarsi. Poi si era messa a raccontare cosa aveva significato per lei diventare una psicologa, il trauma che aveva subito all’inizio della sua carriera. Nicole aveva cominciato a esercitare la professione nella primavera in cui aveva terminato gli studi, prima ancora di sposarsi con il padre di Benji. I primi pazienti le erano arrivati tramite i contatti dell’università e li riceveva nel soggiorno del suo bilocale di Tokyo, dove viveva in attesa che il suo futuro marito sistemasse i suoi ingarbugliati affari di famiglia. Il pregio principale di Nicole era la cordialità, la stessa che aveva dimostrato con Jenny. I suoi pazienti le piacevano quanto lei piaceva a loro, e aveva il dono di metterli subito a loro agio. Dopo la specializzazione in psicoterapia era andata avanti senza intoppi finché un giorno era accaduto l’imprevedibile. Una ragazza di quindici anni con una diagnosi di disturbo bipolare che seguiva scrupolosamente la cura farmacologica prescritta tanto da ottenere in breve tempo ottimi risultati e un perfetto equilibrio, si era gettata da un ponte.
Mentre ascoltava il racconto di quella tragedia, ad Amy era corso un brivido su per la schiena. La voce di Nicole non aveva tremato mentre le confidava cose che forse neppure a suo marito aveva mai detto. Era rimasta composta, quasi fredda, ma ad Amy si erano riempiti lo stesso gli occhi di lacrime. E si era spaventata. Aveva scelto quel corso di laurea per poter aiutare le persone e Nicole le aveva appena dato la dimostrazione più tragica che ciò non sarebbe stato sempre possibile.
Amy sobbalzò quando la porta alle sue spalle si aprì e, prima di voltarsi, si passò una mano sugli occhi.
-Tutto bene?-
Si volse e dedicò a Julian un sorriso stentato, spento.
-Sì. Ho parlato con Nicole... è stato…- cercò la parola -Catartico.-
Il ragazzo le si avvicinò e lei gli finì tra le braccia.
-È sempre così “catartico” parlare con lei? È per questo che dici che ne hai bisogno?-  
-Lei può insegnarmi molte cose, è un pozzo di conoscenza. All’università studio sui libri, mi riempiono la testa di teoria ma di pratica ancora niente. Non mi sono mai trovata davanti una persona che ha bisogno di questo tipo di assistenza… a parte Jenny che non sono stata in grado di aiutare in nessun modo.- tacque ripensando alla ragazzina che si era suicidata.
-Amy, non ti angustiare di nuovo. Come potevi aiutarla? Non hai ancora né i mezzi né le conoscenze per farlo.-
-Eppure Patty…-
-Patty è un’altra storia. Dividevano la stessa stanza, lei lo ha saputo subito e per questo è riuscita a starle vicino in quei primi momenti. Ma poi Patty è tornata a Barcellona mentre tu le sei rimasta accanto. Vieni, scendiamo.-

Erano le dieci in punto quando la mattina successiva si riunirono nel salotto, con Benji che non riusciva a darsi pace di subire un’invasione barbarica e non poterci fare niente. Freddie se ne fregava altamente ma lui aveva una privacy da difendere, maledizione! Una privacy così inviolabile che per sicurezza, prima di scendere di sotto, aveva chiuso a chiave la porta della propria camera, tante volte qualche compagno troppo curioso in cerca del bagno, decidesse di impicciarsi delle sue cose.
Mentre anche gli altri prendevano posto sul divano e sulle poltroncine radunate per loro, scostò una sedia dal tavolo da pranzo e si accomodò al rovescio, i gomiti sulla spalliera e, chiaro segnale che non aveva voglia di parlare con nessuno, il cappellino calato sugli occhi a scrutare malevolo gli  amici stravaccati ovunque. Almeno Nicole aveva avuto il buon gusto di togliersi di torno, risparmiandogli l’ironia e il sarcasmo di chi ancora non la conosceva.
-Per quale motivo hai deciso di riunirci qui, Freddie?- fulminò con un’occhiata Eddie Bright che soprappensiero aveva appoggiato un piede (scalzo) sul cuscino di una sedia. Quando incrociò il suo sguardo furioso, l’ex attaccante della Toho si affrettò a rinfilarlo nella pantofola.
L’uomo rispose con lo stesso tono paziente che avrebbe impiegato per rabbonire un bambino capriccioso.
-Perché questa casa ha due caratteristiche fondamentali che lo permettono.-
-E sarebbero?-
-È l’unico posto che io conosca che abbia un salone abbastanza grande per ospitarci tutti e sia dotato di satellite per seguire in diretta una partita trasmessa all’estero.-
-A Tokyo ci sono decine di locali che lo consentono. Basta prenotare in anticipo.-
-Dobbiamo discutere di cose importanti e non ritengo opportuno farlo in mezzo alla gente.- lo fissò -Adesso, se hai finito di lamentarti, possiamo andare avanti.-
-All’inizio avevo pensato addirittura che fosse contento di vederci.- ironizzò James Derrick indicando bevande e stuzzichini in bella mostra sul tavolo, sgomitando poi Tom per coinvolgerlo nel commento senza troppo curarsi che Benji lo udisse.
Becker rimase impenetrabile perché non gli andava di discutere, né con Benji né con nessun altro. Seguitò a osservare Marshall in attesa che proseguisse. Se il mister li aveva riuniti lì doveva esserci sotto qualcosa.
Freddie accese la tv e la sintonizzò sul canale che gli interessava.
-Holly…- Bruce gli si rivolse con un filo di voce -Tu sai di che partita si tratta, vero?-
L’amico annuì ma non glielo disse.
-Ho già visto questo stadio.-
-A me sembra lo stadio di Torino.-
-Proprio quello, Danny.- annuì Marshall.
E quando il cameraman inquadrò la curva e una bandiera della Juventus, il volto di Mellow si illuminò.
-Gioca Mark?-
Ed Warner annuì.
-Lo sapevi?-
-Certo che lo sapevo.-
Danny mise il broncio.
-E non mi hai detto niente?-
-Pensavo che lo sapessi anche tu!-
-Se almeno steste zitti!- li mise a tacere Benji sempre più nervoso.
-Perché? Non capisci quello che dicono?- rise Ed ironico, evitando di rimarcare il fatto che il cronista parlasse in italiano.
-Bene, Tom.- Marshall lo fissò alzando un po’ il volume -Adesso traduci.-
-Come?- il ragazzo si agitò sulla sedia, gli sguardi degli amici tutti puntati addosso.
-Sei stato in Italia, no?-
-Anni fa! Non ricordo più niente!-
-Su, non fare il modesto.- insistette Freddie, strizzandogli un occhio.
Tom si guardò intorno e si accorse che non solo Marshall, ma anche i compagni lo osservavano in attesa, speranzosi di udire dalle sue labbra la traduzione simultanea della cronaca della partita. Dire che non era in grado era un eufemismo. Se avesse saputo che sarebbe andata così, avrebbe inventato una scusa, qualsiasi scusa, avrebbe dato buca proprio come aveva fatto Patrick Everett e si sarebbe evitato la figuraccia.
-Io non capisco…- cercò di tirarsi indietro, agitandosi a disagio sulla sedia.
-Certo.- annuì Bruce comprensivo -C’è Jason che parla!-
Questa volta il silenzio fu assoluto e la voce del cronista riempì la stanza.
“Da Torino trasmettiamo la diretta di Juventus-Inter, una…”
-Allora? Che dice?- Marshall coprì con la propria domanda la maggior parte delle parole,  impedendo a Tom persino di tentare di capire.
-Dice che… ehm… A Torino…- come diavolo si chiamava lo stadio di Torino? Qualcosa che riguardava la Juventus… Era sicuro che se glielo avessero chiesto in un altro momento… Smise di arrovellarsi e proseguì -L’Inter…- resettò e ricominciò da capo mentre il cronista riprendeva con quella serie di frasi per lui totalmente incomprensibili.
“Le tribune sono infuocate, i tifosi scatenati hanno cominciato già a cantare i loro cori. Tra poco le squadre entreranno in campo e…”
-Allora, Tom, che dice?- insistette Freddie.
Il ragazzo respirò profondamente e improvvisò.
-Dice che il tempo è magnifico per giocare, la temperatura è di circa dodici gradi, lo stadio è pieno all’inverosimile e non ci sono più posti liberi. Che l’Inter è la grande favorita di questo incontro e che…-
Danny si voltò di scatto.
-Ah sì?-
Tom ebbe un sussulto. Per un attimo pensò che Mellow avesse imparato l’italiano seguendo le partite di Mark e adesso volesse smentirlo.
-Vedremo se la favorita è l’Inter! Sarà la Juventus a vincere!-
Becker capì che erano stati i pronostici a innervosirlo. Decise allora di modificarli un po’ e farlo contento. Così, senza prestare ascolto alla tv che continuava in una lingua che non capiva, si ingegnò ad inventare.
-Ma se anche l’Inter è la favorita…- continuò con voce atona -È senza dubbio la Juventus che ha l’attaccante migliore.- per caso incrociò lo sguardo scettico di Benji.
-Davvero ha detto questo?-
Dannazione. Tom serrò i pugni, anche stavolta aveva esagerato.
-E poi? Che altro sta dicendo ora?- domandò Freddie -Quando ci dà le formazioni delle squadre?
L’improvvisato interprete fremette. E le formazioni? Come se le inventava?
Julian lo salvò.
-Le formazioni le ho già.- tirò fuori un foglio accuratamente ripiegato, l’aprì e l’allungò a Marshall. Preciso come al solito, Ross aveva chiamato in Italia prima Mark, poi Rob e se le era fatte dare.
-Ah, bravo Julian.- Freddie si mise a leggere ad alta voce.

*

Erano arrivati allo stadio con la macchina di Gentile quasi un’ora prima. Salvatore era passato a prenderli puntualissimo, quasi in anticipo, e mentre i giocatori si cambiavano negli spogliatoi, Jenny ammazzava il tempo girando per i negozi del centro commerciale che sorgeva accanto allo stadio della Juventus. C’era persino un supermercato dove poté esaminare con calma tutti gli scaffali e trovare parecchi alimenti che non conosceva. Amy ed Evelyn sarebbero andate in estasi di fronte a quella tale quantità di biscotti e dolcetti, mentre Patty si sarebbe fermata sicuramente di fronte allo scaffale della cioccolata. Accantonò il ricordo delle amiche non appena sentì riaffacciarsi la nostalgia. Mentre era alla cassa a fare la fila, il cellulare le squillò.
“Dove sei?” le chiese Mark.
-Al supermercato. Sto uscendo.-
L’amico l’aspettava all’inizio dello stretto corridoio che portava fino agli spogliatoi e agli ambienti off-limit agli estranei, dove l’avrebbero fermata impedendole di proseguire, sebbene il pass che portava appeso al collo la qualificava come parente di un giocatore. Nonostante il viavai di staff, assistenti, massaggiatori e personale paramedico, Aoi li individuò e corse verso di loro.
-Ti ricordi come si arriva alle tribune?- le chiese Mark -Ti faccio accompagnare da qualcuno?-
Era la prima partita a cui Jenny assisteva e, tanto per cambiare, lui era preoccupato. Gli stadi italiani non erano come quelli giapponesi, che durante gli incontri della J-League non si riempivano mai. Jenny avrebbe visto la partita da sola e se avesse avuto bisogno di lui non avrebbe potuto neppure telefonargli.
-Certo che mi ricordo.-
-Dopo il fischio d’inizio, e soprattutto dopo quello finale, non muoverti di lì. Vengo a prenderti io.-
-La tua preoccupazione è fuori luogo, come al solito.- lo fissò dritto negli occhi -Di cosa hai paura, Mark?-
-Non senti?- i cori sugli spalti erano così potenti che si udivano fin lì.
Lei fece spallucce.
-Stanno cantando.-
-Si stanno scaldando.-
-Scaldando per cosa?-
-Mark, non metterle paura.- Rob si lisciò sul torace la maglia della divisa nerazzurra che nella borsa si era sgualcita -Il suo posto è in tribuna, ad un passo dalla stampa, nei sedili dei vip. Non può succederle niente.-
Jenny sbiancò.
-Come ad un passo dalla stampa?- e se qualcuno l’avesse fotografata e la sua faccia fosse finita in Giappone?
-Non ti preoccupare, non faranno caso a te.- la rassicurò Mark. Era disposto persino a rischiare che qualcuno scoprisse che Jenny era lì piuttosto che farle correre qualche stupido rischio in curva tra i tifosi scatenati.
Lei lo guardò più tranquilla, poi sorrise a entrambi.
-Non so davvero per chi tifare! Per favore, cercate di pareggiare!-
Finse di non udire la rispostaccia di Mark e si avviò per raggiungere le tribune. Svoltando e risvoltando in quegli stretti corridoi tutti uguali per chi non li frequentava abitualmente, perse l’orientamento e alla fine fu costretta a chiedere indicazioni ad un ragazzo dello staff. Quello, occhieggiato il pass dei vip (Mark non le avrebbe mai fornito niente di meno), l’accompagnò solerte fino al posto riservato a lei. Quella era la prima partita della Serie A che poteva vedere dal vivo e si trovò del tutto impreparata all’atmosfera carica di aspettativa e di tensione che impregnava lo stadio, da ogni singolo filo d’erba su per i sedili degli spettatori, fino ai fasci di luce dei potenti riflettori che facevano brillare l’aria notturna di una leggera e umida nebbiolina così fredda da intirizzire fino alle ossa. In Italia il calcio era completamente diverso da quello giapponese. Sembrava più vivo, più palpabile. Si udiva, si vedeva, si respirava. Mentre brividi di emozione le ricoprivano la pelle delle braccia, le due squadre entrarono finalmente in campo tra le acclamazioni dei tifosi.

Terminata la partita, Tom si afflosciò esausto addosso allo schienale con un’unica e sola certezza. Al prossimo raduno della nazionale giapponese avrebbe dato buca a tutti.
Benji si sporse sulla sedia e gli affibbiò una pacca sulla spalla.
-Per non capire mezza parola di italiano, te la sei cavata bene.- lo schernì in un sussurro.
L’altro si limitò a sprofondare ancora di più nella poltrona. Seduto accanto a lui, Holly si impietosì e gli allungò un bicchiere d’acqua con un sorriso incoraggiante.
-Non è andata troppo male.-
-Avete osservato bene Salvatore Gentile e Dario Belli?- domandò Marshall accantonando il blocco notes sul quale, più che scrivere, aveva tracciato cerchi e linee con la penna.
Evelyn, in fondo alla stanza, sorrise maliziosa.
-Certo che li abbiamo osservati bene.- mormorò piano e solo Amy e Patty la udirono -Belli è molto carino ma Gentile è veramente uno schianto.-
Le amiche, sedute al tavolo da pranzo nei posti più lontani dalla tv, annuirono d’accordo. Evelyn aveva portato con sé il computer e aveva preso appunti durante tutta la partita. Adesso era pronta a trascrivere le opinioni dei compagni e del mister per farsi un’idea più precisa degli aspetti tecnici dell’incontro, sperando di tirar fuori un articolo abbastanza interessante da proporre al direttore. Dopo l’esito disastroso della sua ultima intervista, era stata radiata dalla cronaca e ora non le restava che cimentarsi negli articoli sportivi o continuare con le recensioni dei film e le rubriche di consigli per casalinghe.
-Da vicino sono meglio.- sussurrò Amy -Una volta ho visto certe foto di Gentile, su internet…- quasi arrossì.
-Quella della pubblicità dei boxer di Armani l’hai vista?- le andò dietro Evelyn -Da svenire. Ha un corpo fantastico, meraviglioso. Muscoli da diventarci sceme.-
Patty le osservò curiosa.
-Fammela vedere, Eve.-
L’amica annuì e aprì il motore di ricerca. Digitò alcune parole e quando finalmente la trovò, l’ingrandì a tutto schermo e girò il portatile verso Patty.
-Guarda che spettacolo.-
Scattata in bianco e nero, rappresentava Salvatore Gentile tra le lenzuola di un letto disfatto, appoggiato sui gomiti, le mani abbandonate sul materasso. Indossava una camicia bianca sbottonata che ricadeva ai lati del suo corpo atletico, la pelle che riluceva, mettendo in mostra i pettorali punteggiati dai capezzoli scuri e la serie di muscoli addominali, così perfettamente scolpiti da non sembrare veri. I jeans, con il primo bottone slacciato, erano un po’ scesi sui fianchi per mettere in mostra l’elastico dei boxer su cui campeggiava, ben leggibile, la scritta della casa di moda. Con il viso voltato verso l’obiettivo, fissava direttamente la macchinetta fotografica, gli occhi chiari provocanti sotto ciuffi di capelli che gli ricadevano sulla fronte, sensualmente spettinati dall’acqua o dal gel, il naso perfetto, gli zigomi alti e un sorriso parecchio memorabile.
-È recentissima.- spiegò Evelyn a Patty -È in giro da pochi mesi. Fa parte della collezione primavera-estate.- agitò il mouse e zoomò sui particolari -Quello che non capisco è perché indossi i pantaloni. Di solito non li hanno.-
Amy sorrise.
-Va benissimo anche così.-
Bruce si volse e con un gesto stizzito fece loro cenno di tacere. Le amiche arrossirono e tacquero per ascoltare in silenzio Marshall che tirava le somme di quell’incontro. Nonostante l’indimenticabile distrazione che l’aveva deconcentrata, ad Evelyn dispiacque di aver perso parte della conversazione.
-Aoi ha tentato continuamente, ma non è riuscito a superare Gentile. è stato come se davanti a lui ci fosse un muro.-
-Perché Rob ha la stazza di una pulce.- rise Clifford.
Freddie incurvò le labbra alla battuta. Poi tornò serio.
-Spero che aver assistito alla partita vi servirà a vincere la prossima amichevole.-
-Ci servirà senz’altro.- mormorò Evelyn soffocando una risata. Patty la sgomitò, sorridendo anche lei.
Julian si raddrizzò sulla sedia.
-Quale amichevole?- sentiva parlare della partita per la prima volta. Come mai nessuno aveva pensato ad informarlo? Per un attimo ebbe una voglia matta di saltare al collo di Marshall e strozzarlo. Con tutto il daffare che si dava! Per riuscire a parlare con Mark e Rob e ottenere le formazioni in anteprima, aveva persino rinunciato a portare Amy a cena.
Pure Benji fu così sorpreso che interruppe il suo mutismo di protesta.
-Dobbiamo giocare una partita contro l’Italia?-
Ross gli lanciò un’occhiata esultante. Allora non era l’unico ad esserne all’oscuro. Per sicurezza si volse verso Holly.
Il ragazzo fissava il mister sgomento, pensando che queste cose doveva saperle con mesi di anticipo per essere sicuro di poter partecipare. Solo per puro caso quel giorno si trovava in Giappone ed era una fortuna che fosse riuscito a prendere parte a quella riunione. La madre di Patty si era operata di appendicite e la ragazza aveva insistito che lui l’accompagnasse. L’indomani sarebbero rientrati insieme a Barcellona.
-Quando?- domandò incredulo.
Mentre Julian gongolava dell’ignoranza dei compagni, Marshall si rese conto che nella Japan Football Association qualcosa non aveva funzionato a dovere.
-Non vi è arrivata la convocazione?-
Persino Bruce scosse la testa. E se non aveva ricevuto niente lui, figuriamoci chi viveva dall’altra parte del mondo.
-Mi state prendendo in giro?- magari s’erano messi d’accordo per fargli uno scherzo. Se nessuno sapeva ancora niente e la convocazione non era arrivata, avrebbe dovuto fare i salti mortali per ottenere il nullaosta dei suoi migliori giocatori.
-Assolutamente no.- Ed si grattò una guancia pensieroso.
Freddie si mise in piedi.
-Diamine che disastro!-
Ralph lo osservò incuriosito mentre lasciava la stanza sconvolto, le mani affondate tra i capelli.
-E adesso dove va?-
Benji si stravaccò meglio sulla sedia.
-A chiamare Pearson.-
-Nessuno ne era al corrente?- Holly scrutò i compagni, quelli scossero la testa e solo Julian parlò.
-Veramente sono mesi che la stanno organizzando, solo non sapevo che finalmente ci fossero riusciti.-
-Perfetto.- sbuffò Holly affranto -Adesso che hanno trovato il modo di ficcarla nel programma si sono dimenticati di avvertirci e non si sa neppure se potrò partecipare.- lanciò un’occhiata a Patty che sorrideva allo schermo del pc di Evelyn e non fece caso né a lui né alla sua angoscia -Speriamo che mi lascino giocare. La partita contro l’Italia non voglio perderla per niente al mondo.-
Philip lo guardò scettico.
-Se sarà necessario Pearson andrà personalmente fino a Barcellona ad elemosinare in ginocchio il tuo nullaosta.-
Accanto a lui Paul Diamond rise annuendo.
-Figuriamoci se non trovano il modo di infilarti in campo.-
Bruce si volse indietro, incuriosito dalle risatine che provenivano dalla parte opposta del salotto.
-Cos’è che state guardando, Eve?-
-Vuoi vedere?-
-Certo.-
-Sicuro?-
-Sicurissimo.-
La ragazza rise, cliccò un paio di volte sul mouse e voltò il pc, mostrando la foto di Gentile in boxer che campeggiava a tutto schermo.
-Dovevo immaginarlo.- sospirò Bruce -Che te l’ho chiesto a fare?-
-Quand’è che Armani chiamerà me?- sospirò Yuma serio.
-Scordatelo Clifford, con la faccia che ti ritrovi non hai speranze.-
-Perché a chi vende mutande dovrebbe interessare la mia faccia, Eve? Ho altre parti del corpo da valorizzare molto più di tanti altri che...-
-Ti prego risparmiaci, Clifford.-
Yuma lanciò un’occhiataccia alla cugina ma tacque per rispetto verso Amy e Patty.
-A proposito Tom…- riprese Evelyn senza dar peso alla digressione del cugino -Che fine ha fatto la tua ragazza? Perché non l’hai invitata?-
-Cosa c’entra lei adesso? Non stavi parlando di Gentile?-
-Io sono multitasking, non lo sapevi?-
-Che nel tuo caso significa rompicoglioni multipla.- Clifford si volse verso Becker -Visto che Evelyn ha tirato fuori l’argomento... non è che stai cercando di nascondercela, la tua ragazza, come ha sempre fatto qualcuno di nostra conoscenza?- e fissò ostentatamente Philip.
Il rientro di Marshall permise all’uno di risparmiarsi una risposta e all’altro di ignorare il commento.
-Ho parlato con Pearson. La data della partita è stata stabilita. Giocherete il 30 aprile.-
Holly strinse i denti. Mancavano appena due mesi.
-Del prossimo anno, vero?-
Marshall lo guardò storto.
-Di quest’anno. È un venerdì, ma partiremo dieci giorni prima e io ti voglio presente da subito. Avete bisogno di allenarvi insieme per riprendere ritmi e affiatamento visto che Van Saal ti impedisce di partecipare praticamente a tutti gli incontri della nazionale.-
Il ragazzo scosse la testa, dubitando fortemente di poter assecondare i desideri di Marshall.
-Impossibile. Con così poco preavviso non riuscirete mai ad ottenere il nullaosta. In fondo si tratta soltanto di un’amichevole.-
-Pearson si giocherà le sue carte migliori.-
Holly lo sperò.
-E allora, se troverà Van Saal di buonumore, otterrà il nullaosta al massimo tre giorni.-
Freddie lo guardò serio, giocherellando con il cordless che aveva riportato con sé. Il mister del Barcellona era sempre contrario a cedere i propri giocatori durante il campionato della Liga e bisognava che la JFA cominciasse fin da subito le trattative. Kirk doveva darsi da fare, erano già in ritardo. Se Van Saal avesse continuato a non permettere a Holly di partecipare agli incontri futuri, arrivare ai mondiali sarebbe stata un’utopia.
-Faremo l’impossibile.-
Paul sgomitò Philip e gli lanciò un’occhiata d’intesa. Per il nullaosta di Holly avrebbero fatto i salti mortali.
-Dove giocheremo?- domandò Benji picchiettando nervosamente le dita sul bracciolo della sedia. Non era sicuro che per far entrare in campo lui Pearson sarebbe andato fino ad Amburgo a chiedere in ginocchio il nullaosta al mister. A disposizione della nazionale c’era sempre quel guastafeste di Warner, che non solo era disponibile, ma più che sufficiente per un’amichevole. Aveva sentito dire che ultimamente lui ed Everett organizzavano sedute di allenamento in coppia. Sorvolando sulla natura di quell’improvvisa simpatia, loro che si erano sempre ignorati a vicenda, gli sarebbe piaciuto moltissimo sapere come e dove. Lanciò un’occhiata a Bruce, chiedendosi se quella lingua lunga sarebbe stata in grado di soddisfare la sua curiosità. Harper era un ficcanaso patentato e sapeva tutto di tutti. E quello che non sapeva lui lo sapeva certamente la sua fidanzata. Dopo avrebbe parlato con entrambi.
-A Torino, nel nuovo Stadio Juventus.- Marshall fu preso da un’ispirazione improvvisa -A proposito…-
Recuperò una rubrica dal piano inferiore del tavolino a lato del divano, sepolta sotto una mezza dozzina di riviste sportive lette e stralette, sfogliò rapidamente le pagine e si fermò al numero che cercava. Lo compose sul cordless e, quando sentì squillare libero, accese il vivavoce e fece cenno ai ragazzi di tacere.
“Pronto?” sentirono dire in italiano con un sottofondo infernale di musica e risate.
Nel salotto non volò più una mosca.
-Mark, sono Marshall.-
Benji drizzò la schiena. Per la prima volta quel giorno, l’infastidita indolenza cedette il posto alla curiosità più pura.
-Che è questo casino? Sta festeggiando il pareggio?-
“Un attimo mister, non sento nulla… esco fuori.”
-In Italia è passata mezzanotte.- Holly spostò gli occhi dall’orologio a Freddie -Come faceva a sapere che lo avrebbe trovato sveglio?-
-Non lo sapevo, ho fatto un tentativo.-
Il frastuono cessò di colpo e Mark tornò chiaramente udibile.
“Mister, ora la sento. Che succede?”
-Ti è arrivata la convocazione per l’amichevole che giocheremo a Torino contro l’Italia?-
“La che?”
-La convocazione.-
Benji in effetti ci aveva azzeccato. Mark stava proprio festeggiando il pareggio. A dire la verità avrebbe preferito mille volte tornare a casa da Jenny e ficcarsi sotto le coperte, ovviamente senza di lei e nella propria stanza, nonostante ciò che continuavano a insinuare i compagni nelle loro prese in giro. Però Dario aveva insistito, poi ci si erano messi anche Rob, Alex Marchesi e persino quel cretino di Gentile a cui in realtà interessava soltanto tenerlo lontano da Jenny che, dal giorno di San Valentino, considerava a tutti gli effetti (beato fesso) la propria ragazza. E così alla fine era andato insieme a loro a far bagordi e forse aveva bevuto troppa birra perché adesso gli formicolava il cervello. Come se non bastasse, già da qualche minuto sentiva l’impellente bisogno di andare in bagno. In quel momento così critico, le lungaggini di Marshall proprio non ci volevano.  
-Mark, ci sei?- ripeté il mister -Ti è arrivata o no la convocazione?-
“La convocazione per cosa?”
-Per l’amichevole che giocheremo contro l’Italia!-
“Giocheremo contro l’Italia?”
Marshall si innervosì.
-Per favore smetti di farmi l’eco? Sì, giocheremo contro l’Italia, proprio a Torino.-
“Venite qui?”
-Te l’ho appena detto.-
“Merda, non ci posso credere!”
-Sei contento?-
“Sono sconvolto!” le implicazioni di tutto ciò si fecero strada nei pensieri di Mark nonostante l’alcol gli facesse scoppiettare il cervello. Se i compagni venivano a Torino, dove avrebbe potuto nascondere Jenny? Doveva rispedirla in Giappone? Oppure chiuderla in casa e impedirle di uscire ad ogni costo? Farla sparire? Magari infilare il suo cadavere nell’armadio e... scosse la testa con forza. Diamine, quella sera aveva proprio esagerato con la birra.
-Ti è arrivata la convocazione, Mark?-
“Non mi è arrivata nessuna convocazione!” gemette disperato perché, se fosse stato avvertito in tempo, si  sarebbe organizzato. E invece niente. Doveva tornare di corsa a casa per avvertire Jenny e studiare con lei una strategia “Quand’è la partita?”
“Mark, con chi stai parlando?”
“Sta’ zitto Aoi!”
-La partita è a fine aprile. Visto che Rob è lì con te, potresti chiedergli se almeno lui ne ha avuto notizie?-
Landers fece di meglio.
“Guardi, glielo passo.” gli mollò il cellulare e tornò dentro in cerca di qualcuno che lo riportasse a casa.
Marshall scambiò alcune parole con Aoi, poi riagganciò.
-Bene, anzi, malissimo. Anche a loro non è arrivato nulla.- li guardò facendosi forza -Comunque adesso risolviamo un problema alla volta… Come al solito, finché Holly non ha il nullaosta, la squadra ha bisogno di un capitano.-
Tutti gli sguardi si spostarono su Philip perché ormai sapevano che sarebbe spettato a lui. Quello si appiattì contro la spalliera della sedia e scosse subito la testa. Clifford rise di quel tentativo di sottrarsi ad una scelta già fatta da tempo.
-Non ricominciare a fare il modesto. Tocca a te!-
-Ma se non…-
-Anche Gamo è d’accordo.- lo interruppe Marshall. Dopo quella serie di brutte notizie, non aveva la forza di sopportare le sue proteste -Ne abbiamo già parlato.-
Philip si chiese come rifiutare un’offerta così lusinghiera. Il mister lo voleva come capitano e lo volevano pure i compagni, ma lui non lo desiderava. In quel momento non si sentiva in grado di sobbarcarsi il peso della squadra, non ci stava con la testa, non ci sarebbe riuscito. Gli era pesato persino arrivare fin lì per assistere alla partita di Mark. Forse doveva rinunciare alla convocazione, fingendo un infortunio che non esisteva. Si volse verso Ross.
-Julian…- l’amico rifiutò prima ancora di ascoltare il seguito. Allora guardò Becker, la sua ultima speranza -Tom…-
-Vai benissimo tu, Philip.-
Marshall annuì, per lui quella decisione era presa e aveva altre questioni da affrontare. Si volse verso le ragazze.
-Evelyn, prima che te ne vai ho un paio di cose da dirti. Puoi venire con me un istante?-
La giovane lo guardò incuriosita, poi annuì e si alzò per seguirlo fuori, lasciando il computer e le foto sexy di Salvatore Gentile nelle mani di Patty e Amy.

Mentre scendeva le scale in pigiama e a piedi nudi, Jenny vide Mark oltrepassare la soglia barcollando nel tentativo di richiudere la porta d’ingresso con un calcio che fece cilecca. Gli corse incontro, lanciò un’occhiata sul marciapiede deserto, e serrò a chiave la porta.
-Ciao Jenny.-
Il ragazzo le sorrise, fece due passi incerti nell’ingresso, inciampò nel tappeto e le crollò addosso. Le cuciture del pigiama di Jenny scricchiolarono quando si artigliò alla stoffa per non cadere. Lei non fu in grado di sostenere tanto peso, perse l’equilibrio e finì con la schiena contro il muro, restando senza fiato. Mark ci arrivò di faccia, precisamente con la fronte. Lo schianto fu tale da concedergli un barlume di lucidità.
-Merda!- si passò una mano tra i capelli, con l’altra si puntellò sulla spalla di Jenny e riprese l’equilibrio.
Lei arricciò il naso al suo respiro, puzzolente di alcol.
-Sei ubriaco!-
-Naaa…-
-Sì.-
Mark scrollò le spalle.
-Ho bevuto un po’, sì. Indovina di chi è la colpa?-
-Tua.-
-Sbagliato!- fece qualche passo e raggiunse il corrimano delle scale. Lei gli andò dall’altra parte e cercò di sostenerlo come poté -La colpa è di quel coglione di Gentile, che ha detto che non avrei retto tre birre. Tre birre, ti rendi conto?- rise sguaiatamente -Ho vinto la scommessa!-
-E quante birre hai bevuto per ridurti così?-
-Non sono ubriaco, Jenny!-
Si volse con eccessiva foga. Le finì di nuovo addosso, troppo vicino, la faccia tra i suoi capelli, con le  labbra le sfiorò la pelle dietro l’orecchio. Sentì il suo profumo e si scostò, puntandole le mani sulle spalle. Barcollò indietro e si scontrò con la balaustra, a cui si aggrappò come un naufrago ad una zattera di fortuna.
Lei non ne poté più.
-Smetti di agitarti, Mark! Finirai per farti male!-
Gli afferrò un braccio con decisione e riuscì finalmente a trascinarlo nella sua stanza. Lo lasciò per accendere la luce, Mark si strascicò verso il letto e cadde a peso morto sul materasso.
-Maledetto bastardo…- mugugnò furente, la voce impastata dall’alcol -E devo anche sopportarlo in squadra…- atteggiò un sorrisetto -Almeno stavolta ha pagato lui.-
Jenny rise. Non lo aveva mai visto così, per lei era un’assoluta novità. Aveva i capelli arruffati sulla fronte, gli zigomi arrossati dall’alcol e dal contrasto tra l’aria gelida della notte e il calore della casa. I suoi occhi neri brillavano lustri, vagando a caso nella stanza. Quando la mise a fuoco sobbalzò.
-Che ci fai in camera mia?-
-Sai che ore sono?-
-Tardi?-
-Tardissimo. Infilati il pigiama.- gli si avvicinò con le braccia tese per aiutarlo ma lui si trascinò scompostamente indietro.
-Jenny! Non azzardarti ad allungare le mani!-
-Altrimenti che fai?- lo sfidò, poi gli sfilò la felpa e lo lasciò in maglietta.
Mark recuperò di corsa il pigiama da sotto il cuscino. Quei movimenti bruschi e affrettati gli costarono una dolorosa fitta alle tempie. Scivolò senza forze sul letto mentre una fastidiosissima nausea gli saliva dallo stomaco. Maledetto Gentile e le sue sfide del cazzo. E maledetto lui che gli dava retta. Vide Jenny alzarsi per posare la felpa sulla sedia e la salutò, contento che si togliesse finalmente di torno.
-Buona notte.- sgualcì con più convinzione il pigiama tra le mani -Se lo racconti a qualcuno ti uccido!-
-Lo dirò per prima a Evelyn!-
-Non oserai!-
-Chissà.-
Mark fremette. Perché Jenny era ancora sveglia? Glielo chiese.
-Che ci fai ancora in piedi?-
-Veramente dormivo.-
-Mi hai sentito rientrare?-
-Sì, hai suonato.-
La fissò incredulo.
-Ma ho le chiavi!-
-Appunto. Come sei arrivato fino a casa? Ti ha accompagnato Salvatore?-
-Gentile? Figurati…- rise e la testa tornò a pulsargli -Lui stava messo peggio di me!-

Sandy Winter e Clifford Yuma furono gli ultimi a lasciare il salotto. La domestica di Benji li accompagnò fino alla porta d’ingresso. Callaghan e Shake rimasero ancora qualche istante soltanto perché glielo chiese Holly.
-Cosa c’è che non va, Philip?-
Il suo tono insopportabilmente conciliante lo mise subito sulla difensiva. Gli sfuggì una smorfia spazientita.
-Assolutamente niente. Non credevo di dover guidare di nuovo la squadra.-
Benji saltò su, ritrovando all’istante tutta la stizza di quell’inizio giornata.
-Non dire stronzate Callaghan! Certo che te lo aspettavi! Come poteva essere altrimenti?-
-Credevo che Holly avrebbe avuto fin da subito il nullaosta!- e che si sarebbe sobbarcato tutte le grane di quei lagnosi dei compagni. Lo pensò ma si costrinse a tacere per non mettersi contro anche loro, gli unici che si stavano sforzando di capirlo.
Holly si sentì rimescolare dentro. Non poteva sopportare di vederlo reagire in quel modo. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per ottenere il nullaosta all’istante e avere subito la fascia. Tirò un bel respiro e cercò di mostrarsi diplomatico.
-Dovresti esserci abituato, ormai mi sostituisci spesso.-
Era vero, lo faceva da due anni. Holly, impegnato com’era con la Liga Spagnola, non aveva la possibilità di seguire la nazionale in tutte le partite. Che Philip facesse le sue veci nei ritiri, negli allenamenti, negli incontri della coppa d’Asia, nelle eliminatorie dei mondiali e nelle amichevoli era diventata la prassi. Né Julian né Tom sembravano interessati a prendere il suo posto, un posto che lui, soprattutto stavolta, avrebbe volentieri mollato. Forse le grane non valevano la gloria. Abbassò gli occhi a terra e strinse i pugni, ignorando le occhiate che si scambiavano i compagni.
Il vero problema era che ormai tutto gli pesava, niente gli piaceva più. Non c’era una cosa, una sola, che facesse con passione. Lo scopo della sua esistenza era diventato cercare di sopravvivere tenendosi alla larga dalle seccature. E quella che gli era appena piombata addosso era una rottura di scatole bella grossa. Sentì dietro di lui il frusciare della giacca di Peter. Forse, rendendosi conto che la discussione stava andando per le lunghe, era tornato a sedersi.
Guardò Amy quando lei si mosse per cambiare posizione sulla sedia, forse messa a disagio dal silenzio ostile in cui era piombato il salotto. Il suo sguardo non gli piacque. Nei suoi occhi scorse una profonda tristezza, ma anche qualcos’altro che assomigliava molto alla compassione. Si sentì umiliato.
Aveva udito perfettamente il mister dare sia a lei che ad Evelyn il permesso di seguire la nazionale in Italia. Ma non era stato questo a fargli tornare nella testa, ricorrente, il pensiero di Jenny. Il suo ricordo era ricomparso nel momento stesso in cui aveva messo piede nella villa di Price. L’anno precedente Jenny era stata in quella casa innumerevoli volte per parlare con Nicole e  ascoltare i suoi consigli. Per sforzarsi di superare il trauma di Kyoto, Jenny era entrata in quel salotto, si era seduta su quelle poltrone, aveva visto quella casa, aveva mangiato e dormito, lì dentro. Probabilmente vi aveva anche pianto fiumi di lacrime mentre raccontava a Nicole, e forse anche ad Amy, ciò che McFay le aveva fatto. Forse si era confidata proprio lì, nel salotto, seduta sul divano su cui si era spaparanzato Bruce occupandone gran parte e lasciando per due ore Paul Diamond e Johnny Mason a dividere in due un cuscino e mezzo.
E poi c’erano le ragazze a ricordargliela. Ogni volta che i suoi occhi si posavano su Evelyn, Amy e Patty, Jenny ricominciava a mancargli da morire. Il fatto che non fosse lì con loro lo angustiava, e rendersi conto che se fossero stati ancora insieme anche lei avrebbe potuto seguirlo in Italia con il benestare della JFA, non gli dava pace. Per finire in bellezza, accanto a quel pensiero ricorrente aveva messo radici un nocivo rancore nei confronti di Julian e Bruce che sarebbero stati accompagnati nella trasferta dalle rispettive fidanzate.
Benji, già stanco di prendere di mira lo scontento di Philip, che tra l’altro non reagiva rendendogli impossibile sfogare il proprio nervosismo, trovò un modo migliore per concludere degnamente quell’incontro. Afferrò il cordless che Freddie aveva lasciato sul tavolo e lanciò un’occhiata agli ultimi rimasti: Holly, Patty, Amy, Philip, Evelyn, Bruce, Julian e Tom. E poi c’era Peter Shake, così silenzioso e immobile che sembrava far pare dell’arredo. Durante tutto l’incontro aveva parlato poco o niente, restando muto accanto a Philip come a volerlo proteggere da chissà cosa.
-Ce le vogliamo fare due risate?-
Senza attendere la risposta dei compagni, Benji spinse il tasto repeat, poi accese il vivavoce. Il telefono squillò con un suono profondo e penetrante, che portava con sé la distanza di due continenti.

Jenny recuperò il cellulare dalla tasca del giacchetto di Mark e glielo porse. Lui lanciò un’occhiata al display.
-Merda, è di nuovo Marshall.-
-Marshall? E che vuole?-
-Te lo spiego dopo.- stavolta rispose direttamente in giapponese -Cosa c’è, mister?-
“Landers, che accidenti ci fai ancora in piedi a quest’ora?”
Riconobbe subito la voce. L’intonazione sardonica con cui Benji pronunciava il suo nome era inconfondibile anche attraverso i fumi dell’alcol. Fece per chiudere la telefonata.
“Non provare a riagganciare. Ti richiamerei. Ho anche il tuo numero di casa.”
-Che diavolo vuoi, Price?-
Jenny tolse il telefono dalle mani di Mark, accese il vivavoce e appoggiò il cellulare sul letto.
“Dov’eri quando Marshall ti ha chiamato?”
“Benji, non sono affari tuoi.” sentirono chiaramente la voce di Amy.
Jenny si alzò di scatto, recuperò un foglio e una penna dalla scrivania e tracciò alcune parole. Mark, che l’alcol rendeva lento nelle risposte, fu grato del suggerimento.
-Che ci fa Amy con te?-
“Ci siamo tutti.” si affrettò a precisare Julian.
Jenny e Mark riconobbero la voce di Ross e si guardarono sorpresi.
-Tutti chi?- scribacchiò Jenny sul foglio.
“Landers, stai sviando il discorso…” decise Price mentre Holly interveniva.
“Davvero Mark non ti è arrivata la convocazione per la partita?”
Jenny scrisse alcune parole.
-Che partita?- lesse lui a pappagallo, poi lanciò un’occhiata torva alla ragazza -So già che partita!-
Nel salotto di Benji i ragazzi scoppiarono a ridere. Persino Philip accennò un sorrisetto divertito.
“Bere gli fa uno strano effetto, non me n’ero mai accorto.”
Jenny lo udì, sussultò sorpresa e sulle sue labbra prese forma un’esclamazione soffocata. Si rese conto troppo tardi di aver emesso un verso e lanciò a Mark un’occhiata colpevole. L’avevano sentita? L’avrebbero riconosciuta? Se fosse successo si sarebbe scatenato il finimondo. L’amico trattenne addirittura il respiro, incapace di distogliere gli occhi da quelli terrorizzati di lei, mentre sentiva il battito del cuore rimbombargli nelle orecchie.
Patty ruppe il silenzio sgomento dei compagni.
“Mark, c’è qualcuno con te, vero?”
Tutti l’avevano udita, tutti avevano sentito la voce di una donna. E tutti avevano sul volto la stessa espressione di incredulità. Solo le labbra di Tom si erano incurvate in un sorrisetto mentre si godeva lo sgomento del portiere, che tutto si sarebbe aspettato tranne che incappare in una situazione simile.
Dì di sì, suggerì Jenny annuendo insistente, sperando così di mettere fine alla conversazione. E alle domande.
-Sì.-
Mark lasciò ricadere la testa sul cuscino. Le vertigini lo risucchiarono nel vuoto. Ora Philip avrebbe cominciato a gridare e insultarlo, Benji e Bruce a ridere a crepapelle, le amiche a commentare. Evelyn forse ci avrebbe persino scritto un articolo. Invece non successe nulla di tutto ciò.
Holly tolse il telefono dalle mani del portiere.  
-Scusaci Mark. Ci risentiamo un altro giorno, buona notte.- non aspettò neppure che l’amico rispondesse e interruppe subito la comunicazione.
-Questa poi!- Benji si alzò, gli strappò il cordless dalle mani e lo posò bruscamente sul tavolo -Ha una donna!-
Amy lo fissò con un sorrisetto divertito.
-E cosa c’è di strano?-
-Quale altro motivo potrebbe avere per restare sveglio fino a quell’ora?- nella voce di Philip trasudò una punta di rammarico. Persino Landers si era trovato la ragazza. Lui la perdeva e Mark la trovava. La vita era davvero ingiusta.
Patty lo guardò. Era in piedi, vicinissimo alla porta e stava per tagliare la corda. Teneva la giacca a vento su un braccio e Peter Shake, accanto a lui, l’aveva già infilata. Sgomitò Holly e lo fissò negli occhi. Quello sospirò, costringendosi ad affrontare un argomento che senza l’insistenza della moglie non avrebbe mai tirato fuori.
-Philip, hai notizie di Jenny? Sai dov’è?-
Lui si irrigidì e gli rivolse un’occhiata ostile.
-No, non lo so.- si rivolse a Peter -Andiamo o perderemo il treno.- uscì insieme al compagno  richiudendosi la porta alle spalle.
Un sorriso sarcastico aleggiò sulle labbra di Benji.
-Curioso, non trovate?-
Tom lo guardò senza capire.
-Curioso cosa?-
-Che Landers sappia dov’è Jenny e lui no.-
-Non ho detto che Mark sappia dove si trova Jenny.- lo corresse Patty -Ho detto che Jenny si è fatta sentire poco dopo che ho chiesto a Mark notizie di lei.-
-Mi pare la stessa cosa.- Benji fece spallucce -Perché non lo richiami per chiedergli il motivo di una tale coincidenza? Sono sicuro che potrebbe stupirti.-
Lei lo guardò sconvolta.
-Certo non ora!-
-Anche domani, che differenza fa?-
Lei lo fissò sospettoso.
-Sai forse qualcosa che noi non sappiamo, Benji?-
-Non so niente, ma perché vi sembra così strano che quei due si sentano?-
Amy tirò indietro la sedia.
-Jenny a noi non ha telefonato! Non ci ha detto dov’è! Perché avrebbe dovuto dirlo a Mark?-
-E perché avrebbe dovuto non dirglielo?-
mentre Amy se lo domandava, Bruce posò il bicchiere sul tavolo. Guardò Evelyn.
-Quindi quali sono i programmi? Voi venite o no al ritiro a Yokohama?-
-È un ritiro, Bruce… e poi Gamo non ci vuole assolutamente tra i piedi.-
-Quindi no?-
-No.-
Benji la fissò curioso.
-Che voleva da te Marshall?-
Evelyn gli sorrise.
-Che dessi un’occhiata ai nominativi dei giornalisti che hanno fatto richiesta per accompagnare la nazionale in Italia.-
-Gli inviati?-
-Sì, quelli che saliranno sul nostro stesso aereo.-
-Sei diventata davvero importante se Marshall chiede addirittura consiglio a te!- si stupì Tom.
Lei gli rispose mostrandogli la lingua.
-E tu, Holly, quando pensi di raggiungerci?-
-Non so neanche se riuscirò a giocare.- sbuffò, appoggiò il gomito su un bracciolo e il viso sulla mano -All’incontro mancano meno di due mesi e della convocazione non ho visto neppure l’ombra.- lanciò un’occhiata a Patty che se ne stava silenziosa già da un po’. Sembrava soprappensiero -Che hai?-
-Continuo ad essere preoccupata per Jenny. Speravo che Philip ci dicesse dov’è finita. Non è possibile che sia sparita.-
Bruce fece spallucce.
-Se non lo sa neppure lui mi pare difficile che riusciamo a scoprirlo noi.-
-Secondo me è andata in America dai suoi.- commentò Evelyn, traendo la conclusione più ovvia.
-Riconsoliamoci.- intervenne Benji -Finalmente a Torino vedremo Mark con una ragazza.-
-Prima che cominci a costruirti un film, sappi che quando l’altra settimana ho giocato contro la Juventus, è venuto a Barcellona da solo.-
Patty annuì.
-C’era il biondo?- si informò Evelyn curiosa -Durante la partita gli hanno fatto un primo piano da paura. Non vedo l’ora di guardarlo da vicino.- sospirò -Mi piacerebbe intervistarlo.-
-Sì, ti piacerebbe.- Benji allungò verso di lei il cellulare, aperto sulla galleria d’immagini.
Evelyn si sporse per guardare e quando riuscì a mettere a fuoco la foto sul display spalancò gli occhi di stupore. Diavolo, quella foto la voleva, doveva essere sua! Ritraeva Gentile seduto su un muretto accanto a Schneider, entrambi avvolti in giacca e sciarpe. Intorno a loro c’era la neve e, poco discosta, una bellissima ragazza bionda.
-Ti assicuro che è uno spasso. Insieme ci siamo divertiti da matti.-
Tom sbirciò il telefonino e diede la sua personale interpretazione.
-Siete andati insieme a donne.-
Benji sorrise sornione.
-In campo è forte, persino Schneider ha avuto difficoltà a superarlo.-
-Questa è la sua ragazza?- domandò Evelyn indicando la giovane in piedi sullo sfondo.
-No, quella è la fidanzata di Schneider.-
-E Gentile la ragazza ce l’ha?-
Benji fece spallucce.
-Immagino di sì. Probabilmente ne avrà anche più di una.-
-È un donnaiolo?- domandò Bruce con un senso d’invidia, consapevole di non reggere il paragone.
-È italiano.-
-A proposito di ragazze…- Evelyn non si lasciò sfuggire l’occasione -Bella la tua fidanzata. L’ho vista l’altro giorno in una foto.-
Benji si irrigidì.
-Non è la mia fidanzata.-
-Però mi pare che risponda ai tuoi gusti. Com’è che si chiama? Marie, Miriam…-
-Marianne.- si rassegnò a correggerla lui.

*

Mark aprì gli occhi a mezzogiorno e tredici. Fece per tirarsi su ma rinunciò all’istante. Una fitta lancinante gli attraversò la testa da una parte all’altra con la stessa potenza di un proiettile.
-Postumi della sbronza.-
Il tono ironico di Jenny gli trapanò il cervello. Socchiuse gli occhi e la vide. Era sulla soglia, un maglione verde acqua abbinato ad un paio di jeans blu, le braccia incrociate al petto, i capelli sciolti scostati da una parte e, ciò che lo infastidì di più, il suo sorriso divertito. Lei rappresentava la vendetta trasversale di Philip per il caffè salato di tre inverni prima a Shintoku. Era la prima volta in vita sua che beveva così tanto e non riusciva a sopportare che Jenny avesse assistito alla sua performance della sera prima, di cui ricordava tutto in modo molto confuso. Si augurò di non aver fatto niente di umiliante o, se lo aveva fatto, di dimenticarlo fino alla morte.
Mentre lui la guardava, Jenny si avvicinò e si sedette sulla sponda del letto.
-Mal di testa, vero?-
-Per niente.- non gliel’avrebbe data vinta in nessun modo anche se, mentre si metteva seduto, le sue tempie vennero attraversate da un lampo di dolore -Che ore sono?-
-Quasi ora di pranzo. Sono appena rientrata.-
-E dov’è che sei andata?-
-A fare un po’ di spesa.-
Sorrise mentre osservava la faccia sfatta di Mark, incapace di scrollarsi di dosso il rincoglionimento post-sbronza.
-Hai fame?-
-No, mi viene da vomitare.-
-Di che partita stavate parlando ieri tu e Benji?-
-Non ricordo.- le parole di Marshall avevano galleggiato per ore tra i fumi dell’alcol e l’incoscienza del sonno e quella mattina tornavano a fatica nel loro ordine. La telefonata del mister e quella di Price a poca distanza l’una dall’altra, si erano confuse e mescolate e adesso Mark non rammentava più chi gli aveva detto cosa.
-Sforzati un po’.-
Lui lo fece con una mano sulla fronte, che gli pulsava in modo terribile. Ebbe un fugace moto di compassione nei confronti del suo ex allenatore delle medie, Jeff Turner, che spesso si era presentato al campo completamente sbronzo. Fu davvero un attimo, un istante. Poi arrivò nei suoi pensieri la conferma che Turner era molto più fuori di testa di quanto avesse mai immaginato. Quale persona sana di mente poteva sottoporsi volontariamente ad un simile supplizio?
-A cosa stai pensando?-
La domanda di Jenny lo riscosse.
-Credo che dovremo giocare una partita contro l’Italia.-
Lei sbiancò.
-Stai scherzando, vero?-
Mark si risentì.
-Figurati se mi va di scherzare! Ho la testa che mi scoppia!-
-Non è possibile!-
-Come ti pare, Jenny.- non aveva nessuna voglia di discutere.
-Davvero dovete giocare contro l’Italia?-
-Ti dico di sì!-
Lei si guardò intorno nella stanza, quasi in cerca di una via di fuga. Per quanto fosse incredibile, la partita con l’Italia c’era. Ma forse poteva scamparla.
-Giocherete in Giappone, vero? A Tokyo, a Yokohama, a Saitama, Kobe… Quando parti?- c’erano una miriade di bellissimi stadi da sfruttare per quel quell’incontro inaspettato.
-Non lo so. Marshall mi ha chiamato mentre ero al pub e intorno a me c’era troppa confusione per riuscire a starlo ad ascoltare.-
-O forse dentro di te c’era troppa birra.- lo corresse scettica, quasi infastidita. Lo guardò negli occhi, voleva quell’informazione, era una questione di vita o di morte.
Mark le lanciò un’occhiata di fuoco.
-Ha parlato anche con Aoi, lui sicuramente se lo ricorda! Perché non chiedi a Rob?-
Jenny recuperò all’istante dal comodino il cellulare dell’amico e glielo porse.
-Chiamalo!-
A Mark la testa scoppiava, il dolore era diventato insopportabile.
-Ora?-
-Sì, voglio sapere!-
-Non me ne frega niente!- sbottò e si alzò di scatto, rallentando all’istante i movimenti quando fu scosso da una fitta. Strinse i denti innervosito dalla sua insistenza e dalla sua invadenza. Tanto per cominciare, chi le aveva dato il permesso di entrare nella sua stanza? -Io adesso mi faccio la doccia e mi vesto.- scandì -Se non puoi aspettare, chiamalo tu.-
Mentre Jenny, seduta sul letto, cercava sconsolata e preoccupata il numero di Aoi nella rubrica del telefonino, Mark s’infilò in bagno ricordando che Marshall gli aveva chiesto notizie di una convocazione che a quanto pareva non era arrivata. Maledisse le lungaggini della burocrazia che avevano incagliato il suo nullaosta in qualche ufficio. Lui la partita contro l’Italia non voleva perderla. Si lavò la faccia, dando al suo corpo ancora un po’ di tempo per svegliarsi. Aveva bisogno di essere in forma e lo innervosiva parecchio il fatto di sentirsi intontito. Incontrò nello specchio il riflesso del suo sguardo e si impose di sentirsi meglio. Non aveva tempo per il mal di testa e per i postumi della sbronza. S’infilò nella doccia e aprì l’acqua.
La porta del bagno si spalancò all’improvviso e lo spavento contrasse le sue dita intorno alla confezione del bagnoschiuma, facendone uscire sulla spugna una quantità esagerata.  
-Jenny, esci immediatamente!-
Lei lo ignorò, pallida come un cencio, il cellulare stretto tra le dita e Aoi in linea.
-Sai quando c’è la partita?- una nota di panico trapelò nella sua voce, gli occhi fissi sulla sagoma nuda del compagno che intravedeva attraverso i vetri smerigliati del box doccia.
-Ti ho detto di uscire!- Mark chiuse il getto d’acqua e si appiattì contro le mattonelle dell’angolo per nascondersi da lei il più possibile.
-A fine aprile!-
-Maledizione Jenny! Lasciami fare la doccia in pace!-
Lei continuò per la sua strada, sciorinando tutte le informazioni che Aoi le stava dando in tempo reale.
-E indovina un po’ dove giocate?-
“Jenny, perché Mark grida?”
-Non me ne frega niente dove giochiamo, cazzo! Esci immediatamente!-
La giovane proseguì imperterrita, perché quella era una catastrofe. Appoggiò una mano sul vetro della doccia, Mark balzò indietro, finendo con la schiena appiccicata alle mattonelle gelate e le mani unite a coppa, insieme alla spugna, a coprirsi le nudità, anche se da fuori Jenny non avrebbe mai potuto vedere se non una vaga sagoma del suo corpo completo.
-Qui a Torino, nello stadio della Juventus! Ti rendi conto? Dimmi se non è sfortuna!-
-Io la chiamerei piuttosto fortuna!- urlò, costretto suo malgrado a darle retta -Così almeno tu e quel cretino del tuo ex potrete far pace!-
-Scordatelo!-
“Mark…” chiamò Rob che sentiva a tratti la sua voce “Jenny, passami Mark!”
Lei si affrettò a mettere il vivavoce.
-Parla Rob, ti sente.-
“Mark, se non è arrivata la convocazione, non ci sarà neanche il nullaosta e non potremo giocare! È una tragedia!”
Landers esplose.
-Qui la tragedia la scateno io se Jenny non esce immediatamente dal bagno!- starnutì due volte e visto che gli insulti non stavano sortendo alcun effetto, cercò di mostrarsi ragionevole -Possiamo parlarne tra cinque minuti? Ci metto un attimo, ma lasciami fare la doccia in pace!-
Lei non gli rispose, Mark la sentì parlare con Rob. Poi, con sollievo udì la porta richiudersi. Non vide più la sua ombra oltre i vetri del box, riaprì l’acqua e finì di insaponarsi infreddolito. Sotto la doccia non riuscì a rilassarsi, il mal di testa non si era attenuato e ora, mentre si asciugava, si sentiva peggio di prima. Avvolto nell’accappatoio tornò in camera per vestirsi. Di Jenny non c’era traccia. Scese le scale e si affacciò in cucina. L’odore del cibo gli diede la nausea. Guardò il pranzo imbandito sulla tavola, poi alzò gli occhi sulla ragazza in piedi da una parte, appoggiata contro il forno.
-Non mangio, togli quella roba.-
Lei annuì e sparecchiò.
-Non vuoi neppure un po’ di tè?- Mark scosse la testa e lei continuò -Perché dovete giocare una partita contro l’Italia proprio adesso? E proprio qui?-
-E che ne so? Mica l’ho deciso io!-
-Ma proprio qui?-
-Jenny, questa maledetta amichevole era in programma da mesi! Solo che non riuscivano ad accordarsi per l’uso dello stadio!-
-Non ne sapevo nulla!-
-Quand’è l’incontro?-
-Il 30 aprile.-
-Il nullaosta non arriverà mai in tempo, forse non potrò neppure giocare.- strinse i pugni contrariato -Merda, giochiamo qui! Scendiamo in campo contro quel coglione di Gentile e io non so neppure se potrò indossare la maglia della nazionale! Che razza di sfiga!-
-A chi lo dici…- concordò, lasciandosi cadere su una sedia.
Mark poteva anche non giocare, per quello che le importava. In ogni caso Philip sarebbe stato presente e lei non voleva incontrarlo. Si prese la testa tra le mani e chinò il viso. Che doveva fare? Alzò gli occhi su Mark.  
-Non voglio rivederlo.- ammise con uno sforzo -E non credo sia il caso che lui mi trovi qui. Potrei andare a fare un viaggio da qualche parte.- prese seriamente in considerazione l’idea -Venezia, Firenze, Roma… Praticamente ovunque.-
Mark all’inizio aveva pensato esattamente alla stessa cosa, che era meglio che si togliesse di torno, che gli amici, Callaghan in particolare, non la trovassero a casa sua. Adesso invece, dopo averla guardata, dopo aver scorto panico e preoccupazione nei suoi occhi, decise che quell’occasione non poteva essere sprecata. Di sicuro rivedendosi, quei due avrebbero finito per tornare insieme.
-Vi siete lasciati, no? Che problema c’è se vi incontrate?-
Il problema c’era ed era grande perché Jenny soffriva ancora per quel legame strappato anche se erano passati giorni, settimane e mesi. Forse il dolore non sarebbe mai passato, si sarebbe mescolato all’altro, quello più profondo, e avrebbe dovuto conviverci per sempre. Forse ciò che aveva provato (anzi provava ancora) per Philip non sarebbe mai cambiato. Ascoltò Mark in silenzio, mentre lui proseguiva.
-Sii realistica, Jenny. Avete troppi amici in comune. Prima o poi finireste per incontrarvi comunque. A meno che non tu non abbia intenzione di non vedere più nessuno, esattamente come stai facendo ora.-
-Anche a lui non farà piacere vedermi.-
-Questo lo dici tu. Io non ne sono sicuro.-
-Tu non sai com’è andata…-
-Non lo so perché non hai voluto dirmelo.-
Lei si mosse a disagio.
-Non è importante, ormai.-
Mark fece spallucce.
-Può darsi. Il tempo cambia le cose.-
-Ma non cancella il passato.- Jenny abbassò gli occhi sul tavolo e sospirò.

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo ***


Quarto capitolo



Peter era certo che lo avesse rifatto almeno una volta. Il venerdì precedente, dopo gli allenamenti, Philip era andato via col gruppo di Daniel e quella decisione aveva parlato da sé. Ad avvalorare il suo sospetto era bastato che l’amico avesse evitato il suo sguardo quando alla sessione di allenamento successiva aveva cercato i suoi occhi. Gli era bastato che negli spogliatoi lo avesse salutato con un frettoloso “‘giorno” e che fosse andato a posare la borsa sportiva ben lontano da lui. Da quando erano tornati dal raduno a Fujisawa, Philip era diventato ancor più inavvicinabile. Era nervoso, saltava su per un niente ed era chiaro, almeno a lui, che faceva un grande sforzo per non rispondere male a tutti. L’atteggiamento del mister del Sapporo nei suoi confronti si era decisamente ridimensionato quando sui giornali era uscita la notizia che Philip avrebbe guidato la nazionale giapponese nella partita contro l’Italia. A sorpresa i compagni di squadra avevano cominciato a provare nei suoi confronti un certo rispetto e Philip, per come la pensava lui, si stava comportando da stupido a non sfruttare l'occasione per guadagnare la loro fiducia. Erano persino arrivati a pensare che i suoi modi bruschi e il suo nervosismo derivassero dalla responsabilità del ruolo che stava per ricoprire nella nazionale giapponese. Peter era l'unico a sapere che era così solo in parte.
Sull’aereo che li aveva riportati in Hokkaido, Philip gli aveva detto chiaro e tondo come la pensava.
“Potrebbero farlo anche Julian e Tom, e invece loro si sono tirati indietro.” il ricordo del rifiuto l'aveva innervosito “Sai perché? Sai perché hanno risposto di no?” erano domande retoriche e infatti aveva continuato tutto d’un fiato “Perché hanno capito che è una gran rottura di coglioni che non vale la gloria.”
L’amico aveva alzato le spalle e l’aveva lasciato sfogarsi.
“Devi ascoltare le lagne, sforzarti di smorzare i litigi, appianare le divergenze, portare tutti all’ordine quando si azzuffano. Sempre che non ci vada di mezzo anche tu. E vengono a chiamarti ogni volta che c’è qualcosa che non va. Non gliene frega niente se stai dormendo, se stai mangiando, se stai facendo la doccia, se dopo il massacro di Gamo stai tirando finalmente fiato. Non gli va bene nulla, dal pallone che non hanno ricevuto perché qualcuno più veloce glielo ha fregato mandando a puttane gli schemi di gioco, alla loro maglietta che qualcun altro, negli spogliatoi, ha lasciato cadere per terra. Dal bagnoschiuma che è finito perché chi ha dimenticato il proprio ha usato quello degli altri a piacimento, alle prese del phon che non bastano mai per tutti e c’è sempre chi impiega una vita ad asciugarsi i capelli. E allora devi rimetterli in fila, decidere chi c’era prima di chi, neanche fossimo all’asilo. E oltre tutto ciò, quando qualcosa va male, devi anche sorbirti i rimproveri di Gamo, perché se nella squadra non regna l’armonia è solo colpa tua, che sei il capitano.”
“Ma tu riesci bene a far andare tutti d’accordo. Lo hai sempre fatto, fin dalle elementari. Ormai ci sei abituato. Sai perfettamente come gestire queste situazioni. E poi gli altri li conosci da anni, sei in grado di riportarli all’ordine.”
Philip aveva scosso la testa, caparbio.
“Peter, non capisci. Un conto è rimproverare un ragazzino di dieci anni troppo vivace, un conto pretendere che tipi come Price, Landers o Yuma ti ubbidiscano e facciano quello che dici tu. Loro, se ti metti a contrariarli, ti sbattono contro il muro senza andare troppo per il sottile. Non c’è storia… Ecco perché Julian e Tom hanno rinunciato.”
Shake lo aveva ascoltato lamentarsi, convinto che l’insofferenza del compagno non fosse dovuta solo a ciò che stava elencando. Forse a scatenarla era stata la domanda su Jenny che Holly gli aveva rivolto un attimo prima che se ne andassero, o forse qualche altra ragione che lui non capiva. Del resto aveva rinunciato da mesi a capirlo.
Fatto sta che più il tempo passava e più Philip sembrava irrequieto e le puntate all’appartamento di Baird non potevano che essere una conseguenza di quello stato d’animo. Era chiaro, ne aveva parlato per ore con Grace, che Philip stava cercando con tutti i mezzi di sottrarsi a una realtà che lo faceva stare male. Che avesse poi scelto il modo più sbagliato, non potevano farci niente.
Peter si sfregò le dita gelate mentre lo osservava fermarsi a centrocampo per riprendere fiato. Il respiro ansimante si condensava in nuvolette che si dissolvevano intorno a lui. Il malumore del ragazzo era evidente anche da come correva, da come si muoveva, da come colpiva la palla. Ormai lo conosceva troppo bene.
E Peter non sbagliava. Anche quel giorno, come molti precedenti, Philip si stava allenando nervoso, scontento e con la mente da un’altra parte. Pensava che se Jenny se n’era andata non gli rimaneva altro da fare che cancellarla dalla testa e andare avanti. Erano mesi che questa convinzione gli riecheggiava nel cervello, e adesso più spesso che mai. Eppure era ancora totalmente incapace di assumersi la responsabilità di quell’ultimo litigio, anzi di quel disastro. Il dolore e la sofferenza sarebbero stati troppo grandi da sopportare. Jenny non c’era più e lui doveva dimenticarla, questo era tutto. Al mondo non esisteva soltanto lei e come aveva detto Price a Shintoku un paio di anni prima, non stava scritto da nessuna parte che Jenny fosse la sua anima gemella. Anzi, visto com’erano andate le cose, era chiaro che entrambi avevano preso un’enorme cantonata. Ormai quello che doveva fare era semplicemente non pensarci. Prima o poi, con il passare del tempo, l’avrebbe dimenticata.
Grace osservava i giocatori infreddolita, mentre le azioni sul campo circondato dalla neve si susseguivano ad una temperatura che sfiorava lo zero. Nonostante il gelo, non era sola seduta in tribuna. A tenerle compagnia c’erano alcuni grappoli di tifosi e di fan. Per fortuna quel giorno Julie Pilar non si era fatta vedere. Non le piaceva che venisse a cercare Philip fino a lì. Quello non era il suo territorio, tanto meno lo era la caffetteria dove lui e lei si erano fatti beccare a baciarsi dai giornalisti. Era stato indelicato, da parte di Philip, farsi fotografare proprio lì, nello stesso luogo in cui Jenny, davanti una tazza di cioccolata calda, aveva spesso aspettato che lui finisse gli allenamenti e la raggiungesse per bere qualcosa prima di tornare a casa insieme.
Spostò gli occhi sull’enorme edificio di mattoni rosa della fabbrica del cioccolato più famosa del Giappone, lo sponsor ufficiale della squadra della J-League di Sapporo. L’enorme scritta rossa Chocolate Factory campeggiava inconfondibile in cima al palazzo e, il logo azzurro con la scritta bianca, era stampato sulle maglie da calcio a righe verticali rosse e nere del club sportivo. La cioccolateria, con il suo bellissimo roseto, sorgeva al di là della strada che la separava dal centro sportivo, sul lato lungo del campo. Era sempre piena di visitatori e di turisti anche nel periodo invernale, quando le rose non erano altro che frasche spinose senza fiori né foglie e tutto era ricoperto di neve e di ghiaccio. Era un posto tranquillo quello, non troppo trafficato, splendido dalla primavera all’autunno con le rose in piena fioritura. O meglio era stato splendido finché Grace aveva potuto goderselo con Jenny. Adesso non lo era più, raramente veniva ad assistere agli allenamenti e quando lo faceva sentiva terribilmente la mancanza delle ore trascorse insieme all’amica. Osservò i ragazzi che tornavano stanchi negli spogliatoi, poi si mise in piedi, scese le scale e varcò la porta del bar del centro sportivo.
Philip riuscì a seminare Peter mentre percorrevano il corridoio, facendosi largo tra i compagni. Entrò negli spogliatoi, recuperò il proprio asciugamano e si ficcò sotto le docce. Sapeva cosa intendeva proporgli l’amico e lui non aveva ancora trovato una scusa per evitarlo. Se lo ritrovò accanto quando si sedette sulle panche per finire di asciugarsi e rivestirsi.
-Vieni con noi stasera, Philip?-
Scosse la testa. Peter e Grace sarebbero andati a cena con Tony Brunor e alcuni altri dell’ex Flynet. Lui a quella rimpatriata non voleva assolutamente partecipare anche se Kenny il giorno prima lo aveva chiamato e l’aveva supplicato di farlo perché senza di lui, aveva detto, non sarebbe stata la stessa cosa. In realtà sarebbe stato comunque diverso, perché alla serata sarebbe mancata Jenny. Non gli andava. Incontrare gli amici gli era diventato impossibile, era un sacrificio a cui doveva sottrarsi perché ognuno di loro rappresentava un ricordo felice che cozzava contro l’apatico guscio in cui si era rinchiuso per riuscire a sopravvivere. Durante la serata si sarebbero messi a rivangare i bei tempi degli allenamenti, dei tornei scolastici, delle feste e delle scampagnate e prima o poi Jenny sarebbe uscita fuori perché lei aveva sempre partecipato a tutto ciò, sempre al suo fianco, sempre insieme. Era fuori discussione. Quella sera non poteva assolutamente andare con loro.
-Sei sicuro?- Peter non si decideva a rassegnarsi. Philip era stato il loro capitano per anni, che senso aveva incontrarsi se non veniva?
-Ho da fare.-
-Non ti serve neppure un passaggio?- sperava, durante il tragitto, di riuscire a convincerlo.
-No.-
A Philip non andava di infilarsi in macchina con lui e Grace. Preferiva mille volte attraversare la città con la metro, strizzarsi tra la gente fino a scomparire nella massa, pensare ai fatti propri, camminare nelle strade affollate, dove nessuno avrebbe fatto caso a lui. Non aveva organizzato niente per quella sera, sperava che Julie lo invitasse a casa sua. Aveva bisogno di un corpo femminile nel quale perdersi per non pensare più a niente. Un corpo che gli permettesse di dimenticarsi dei suoi casini, anche solo per breve tempo.
-Guarda che non è un problema.-
-No, devo fare dei giri.- si dilungò a cambiarsi fino a quando Peter lo salutò e uscì.
Daniel Baird gli si accostò subito.
-Callaghan, perché non vieni da me stasera? Se ti va, puoi portare anche la tua ragazza.-
Philip lo fissò attraverso le ciocche ancora umide che gli scendevano sulla fronte e gli si conficcavano appuntite negli occhi. Le scostò con un gesto infastidito e valutò la proposta. Di portare con sé Julie non se ne parlava, ma poteva accettare l’invito. E poi, se avesse trovato anche il modo di divertirsi, tanto di guadagnato. Però…
Esitò a rispondere finché poté farlo, valutando pensieroso i pro e i contro. L’ospitalità gli faceva comodo, avrebbe potuto passare la notte lì senza dover tornare fino a Furano. Ma dopo le serate trascorse a casa del compagno si sentiva sempre malissimo. Non poté evitare di chiedersi coscienziosamente se quelle tre-quattro ore di euforia valessero la pena, se fosse il caso di rischiare, ora che c’era anche la partita contro l’Italia alle porte. Forse doveva darsi un freno, nel consumo di quella roba. Insomma, che doveva fare? Neppure Julie l’aspettava quella sera e se lei era impegnata avrebbe finito col restarsene da solo a ciondolare per i bar. Del resto non si erano sentiti per due giorni e Philip non era sicuro che lei fosse disponibile. D’un tratto gli balenò l’idea che Julie trascorresse quei periodi di stacco frequentando qualcun altro. Si stupì di quanto la cosa non lo toccasse.
-Allora?- insistette Daniel.
La sua parte più ribelle e irrazionale ebbe il sopravvento e Philip si lasciò convincere. S’infilò il giubbotto, chiuse la zip della borsa, si mise in piedi e seguì Baird e gli altri fuori dagli spogliatoi.

*

Benji aveva fatto una cazzata e sapeva che avrebbe pagato. Nonostante la superba atmosfera dell’Olympiastadion di Monaco, uno dei più bei terreni di gioco della Germania, la partita di quel pomeriggio era iniziata male. Il Bayern era più forte di quanto avrebbero mai immaginato e ogni attacco era riuscito a penetrare oltre la loro difesa. Nel primo tempo Benji era già sfiancato per aver dovuto parare una serie infinita di tiri in porta, tra cui quelli potentissimi di Stephan Levin, il capitano della nazionale svedese, e di Sho Shunko, il capitano della nazionale cinese, ingaggiati entrambi da una squadra che sembrava essere diventata invincibile. A parte loro, dopo il vantaggio dell’Amburgo a opera di Kaltz, in pratica l’intero Bayern era partito al contrattacco e ogni giocatore avversario che poteva permettersi di arrivare nell’area avversaria aveva tentato il goal. La difesa dell’Amburgo aveva fatto acqua da tutte le parti. E poi c’era stato quel maledetto litigio tra Schneider e Kaltz.
Kaltz non aveva mai dimenticato il tradimento di Schneider, che di fronte ad un buon ingaggio aveva abbandonato l’Amburgo, distruggendo senza rimorsi ciò che fino a quel momento era stato il loro schema vincente: Benji in porta, Kaltz in difesa e Schneider in attacco. Uno schema che era durato per anni, praticamente da quando Benji, ancora ragazzino, era entrato in quella squadra. E nonostante la scelta di Schneider avesse deluso anche lui, il portiere non aveva potuto fargliene una colpa, perché sapeva bene che un ottimo ingaggio era sempre un ottimo ingaggio.
Durante tutto il primo tempo, Kaltz era stato alle costole del biondo attaccante dandogli il tormento, cercando di togliergli ogni palla che gli finiva tra i piedi con marcature al limite dell’espulsione. Schneider non aveva reagito, o meglio aveva reagito in modo sportivo, continuando a giocare nonostante le provocazioni del suo ex compagno di squadra. Ma, a pochi metri dalla porta, Kaltz era entrato duro su Schneider nel momento in cui quello cercava di infilare un goal. Erano saltati entrambi per intercettare la palla, l’attaccante del Bayern era riuscito ad arrivare più un alto e aveva colpito involontariamente Kaltz con una gomitata in faccia. Benji s’era infilato tra loro e aveva afferrato al volo il pallone evitando il goal. Erano finiti tutti e tre a terra. Poi Schneider aveva avuto la grande idea di cominciare a insultare il portiere giapponese. Continuando a stringere il pallone tra le mani, Benji l’aveva fissato incredulo. Non capiva il perché gli si stesse rivolgendo con quelle parole, perché provasse verso di lui tutto quell’astio. In fondo si conoscevano da anni. Era rimasto a guardarlo allibito, il gioco fermo mentre si rimettevano in piedi. Poi all’improvviso aveva capito che Schneider ce l’aveva ferocemente con lui perché aveva rifiutato l’ingaggio nel Bayern. Schneider aveva contato su di lui per far diventare il Bayern la squadra più forte della Germania, probabilmente anche dell’Europa. Benji, scegliendo di restare nell’Amburgo, aveva mandato a puttane il suo sogno. Non era stato in grado di rispondergli, di giustificarsi né, quantomeno, calmarlo. E all’ennesimo insulto era stato Kaltz a reagire. Col volto imbrattato dal sangue che gli usciva dal naso dopo la gomitata di Schneider, lo aveva colpito con un calcio su una gamba, facendo urlare l’attaccante di dolore e Benji di sorpresa. Non contento Kaltz aveva cercato di scagliarglisi addosso per riempirlo di pugni, mentre lo insultava e gli dava del traditore.
L’arbitro era arrivato di corsa, sventagliando il cartellino rosso con cui aveva espulso Kaltz. Era stata una scena pietosa. Benji non avrebbe mai voluto assistervi, non avrebbe mai voluto esserne la causa. Kaltz era uscito dal campo con le lacrime che gli riempivano gli occhi, sconvolto più dal litigio con Schneider che dall’espulsione. E Benji s’era ritrovato a dover incoraggiare la squadra, perché nonostante fossero ora rimasti in dieci, dovevano continuare a giocare e chissà, magari pure provare a vincere.
Come il gioco era ripreso, Schneider era ripartito all’attacco e aveva tentato subito un tiro in porta. Era risalito dal centrocampo indisturbato, nessuno della difesa dell’Amburgo era stato in grado di fermarlo. Pochi minuti e si era ritrovato faccia a faccia con Benji. Si erano guardati, l’uno pronto a tirare, l’altro a parare, dopodiché l’attaccante del Bayern aveva scagliato contro la porta uno dei suoi tiri micidiali. Lui l’aveva parato, senza fare neppure troppa fatica. Si erano guardati, aveva letto sconcerto e stupore negli occhi di Schneider e il gioco era proseguito. La sua rimessa era arrivata fino all’attaccante dell’Amburgo, già pronto a partire in avanti. Dopo due secondi Shunko l’aveva atterrato a pochi passi dal limite dell’area di rigore.
Il calcio di punizione era stato a favore dell’Amburgo. Lì era cominciato il disastro. Lasciando tutti a bocca aperta, il desiderio sfrenato di dimostrare a Schneider che anche senza di lui l’Amburgo era una squadra forte, Benji era partito di corsa dalla porta, risalendo tutto il campo per appropriarsi della punizione. Era arrivato in un lampo tra i compagni, colpendo la palla con precisione e forza, indirizzandola nell’angolo in alto a sinistra, dove il portiere non sarebbe mai arrivato. Ma Sho Shunko era uscito dalla barriera, aveva fatto un salto da acrobata e aveva intercettato il tiro con il piede destro. La palla era schizzata verso Schneider che era rimasto quasi a metà campo ad aspettare speranzoso quel tiro fortunato. Lo sgomento di Benji, del mister e di tutti i compagni di squadra era stato immenso. Quando Benji si era voltato, Schneider correva già lungo la fascia per agganciare la palla, molto, troppo, più indietro di lui. Era scattato velocissimo ma gli era sembrato di muoversi al rallentatore, in confronto alla corsa dell’attaccante. Schneider filava come un fulmine. Benji s’era sentito scoppiare il cuore nel petto, la milza bruciare. Lo aveva superato, era rientrato nella propria area ma Schneider aveva calciato un bolide che era stato più veloce di lui e si era conficcato nella rete, un microsecondo prima che Benji riuscisse ad afferrarlo. L’incredibile spinta che aveva caricato nel tiro, aveva scagliato Schneider contro i tabelloni pubblicitari intorno al campo. Si era rialzato con una manica strappata e la spalla sanguinante, gli occhi sul pallone aggrovigliato nella rete. Mentre Benji guardava ancora incredulo la palla abbandonata, l’attaccante del Bayern, osannato dal pubblico, era stato circondato dall’equipe medica ed era stato portato via.
La partita era terminata su quell’azione e i compagni avevano raggiunto Benji vicino alla porta, incapace di staccarsene, traumatizzato dal disastro che vi si era appena svolto. Era finita. La sua carriera nell’Amburgo era finita. Lo sapeva. Il mister non l’avrebbe perdonato. Era stata una cazzata troppo grande. La squadra si era mostrata solidale, anche se sconfitta. Nessuno aveva avuto il coraggio di incolparlo di nulla. Nei corridoi dello stadio Kaltz e Schneider si erano stretti la mano in un gesto di pace, aggiungendo ulteriore delusione all’umiliazione che Benji aveva subito.
Benji osservò in un silenzio tetro la schiuma della birra, le file di bollicine che salivano ininterrottamente in superficie dal liquido ambrato. Era in un pub, insieme ai compagni, ma non partecipava ai loro discorsi che gli arrivavano a tratti. Recriminavano l’esito della partita, maledicevano la squadra avversaria. Ce l’avevano con Schneider che secondo loro aveva provocato Kaltz per farlo espellere, cercavano un capro espiatorio su cui indirizzare la loro stizza e la loro rabbia, evitando di addossare la colpa a lui. Questo almeno finché sarebbe stato presente. Poi, in sua assenza, avrebbero smesso di difenderlo, di giustificare il suo colpo di testa. Lui era un professionista e non poteva permettersi un errore simile. Lui era un portiere e doveva stare tra i pali. Nessuno, neppure l’allenatore, gli aveva detto di correre a calciare la punizione. Era stata una decisione sua e soltanto lui avrebbe pagato. Si scolò l’ultimo sorso dal boccale, lanciò un’occhiata al piatto che non aveva toccato e si alzò.
-Dove vai?- gli domandò Kaltz.
-Torno a casa.-
Nessuno cercò di trattenerlo.

*

Patty e Holly sbucarono in superficie dalle scale della metropolitana e si guardarono intorno. Non erano sicuri di aver imbroccato la direzione giusta. E infatti la fontana era dall’altra parte della piazza.
Patty rise.
-È la quinta volta che veniamo qui e non abbiamo ancora imparato.-
Holly la prese per mano.
-Le uscite sono un labirinto.-
Quella sera, dopo aver visto in tv la partita di Benji, avevano sentito la necessità di prendere un po’ d’aria. Ciò che era successo all’Olympiastadion li aveva raggelati, costernati. Spenta la televisione Holly aveva cominciato ad agitarsi irrequieto, girando per casa senza niente da fare, senza una meta, senza un motivo, mentre continuava a passargli davanti agli occhi, in un replay angosciante e continuo, la corsa disperata di Benji verso la porta, per cercare di riprendere una palla che si era conficcata inesorabilmente nella rete. Era passato mille volte davanti al telefono, lanciandogli occhiate indecise. Aveva preso di continuo in mano il cellulare, pensando di mandargli almeno un messaggio. Era andato in giro per casa con il telefonino stretto tra le dita, entrando e uscendo dalle stanze, tornando da Patty, sparendo in camera, poi in bagno, poi nel salotto, poi di nuovo in cucina e ancora nello studio. Era uscito persino sul balcone ma non aveva avuto il coraggio di chiamarlo. Aveva finito per orbitare tra il telefono e Patty, tra il salone e la cucina, per quasi un’ora, mentre la moglie rassettava e lavava i piatti, cercando una parola, un discorso da affrontare perché l’exploit disastroso di Benji l’aveva scioccato. Si erano scambiati poche frasi e poi erano usciti.
Raggiunsero il semaforo e si fermarono sotto i lampioni accesi a tingere di arancio le macchine che sfrecciavano, l’asfalto, i marciapiedi, le aiuole, le due torri che svettavano a guardia della Plaça d’Espanya. Faceva freddo ma in giro c’era lo stesso tanta gente, turisti per la maggior parte, perché la Fontana Magica attirava sempre una marea di spettatori. S’incamminarono sul largo marciapiede in leggera salita verso il Museo d’Arte della Catalogna, con la cupola centrale e le torrette che risplendevano dei colori dell’acqua. Fasci di luci azzurre venivano sparate nel cielo della notte, creando raggi luminosi che venivano inghiottiti dal buio della volta stellata. I due grandi viali pedonali erano rallegrati da spruzzi continui, ciuffi d’acqua che d’estate, con la nebbiolina che spargevano, erano una benedizione al caldo. D’inverno un po’ meno e Patty e Holly se ne tennero alla larga il più possibile, mentre avanzavano svicolando tra la gente. Poi cominciarono a sentire la musica, gli occhi divertiti e deliziati come sempre dalla cornice da favola che la fontana riusciva a creare con i suoi spettacoli di spruzzi e colori. Trovarono posto sulle scalinate del museo, nei pressi delle quattro grandi colonne, e si sedettero sui gradini, Patty su quello più in basso, Holly alle sue spalle che la stringeva a sé e la teneva al caldo. Ascoltarono per un po’ la musica, osservarono divertiti i ragazzi che ballavano intorno alla fontana, trascinati dal ritmo e dalle luci. Poi lei gli strinse una mano, per attirare la sua attenzione.
-Hai parlato con Benji?-
-Non ho avuto il coraggio di chiamarlo.-
Lei annuì.
-Chissà come si sente…-
-Un cretino senz’altro.-
Patty non seppe se ridere o preoccuparsi.
-Lo chiamerai?-
-Non lo so. Forse è meglio aspettare un po’. Non sono sicuro che gli farebbe piacere. Probabilmente avrà bisogno di qualche giorno per sbollire.-
-Che partita disastrosa…- sospirò -Hai chiesto a Van Saal che fine ha fatto il tuo nullaosta?-
-Macché, non ne ho avuto il tempo. Quando abbiamo finito di allenarci lui se n’era già andato.-
-Magari è già arrivato.-
-Pearson mi ha mandato un messaggio all’ora di pranzo e mi ha detto che non ha ancora ricevuto nessuna risposta.- sospirò -Non sono sicuro che riuscirò ad averlo.-
-Ma stavolta giocate qui in Europa, eviterai viaggi intercontinentali e al ritorno non soffrirai neppure del fuso orario.-
-Credo che il problema sia che Gamo pretende che li raggiunga a Torino da subito. Gli altri si fermano in Italia una settimana, quindi dovrei saltare almeno una partita della Liga. A Van Saal non va giù. Vuole che sia presente a tutte.-
-E non potresti tornare?-
Holly si chinò a guardarla. Il suo viso era a tratti giallo, rosso, bianco, azzurro, in certi istanti scorgeva solo il luccichio dei suoi occhi.
-Tornare?-
-Sì, tornare per giocare la partita della Liga. Siamo così vicini, sono poche ore di volo…-
-Sai che non ci avevo pensato?-
Lei rise.
-Davvero?-
Holly tirò fuori il cellulare dalla tasca del giacchetto e unì le mani davanti alla moglie, sporgendosi poi sulla sua spalla per osservare il display. Aprì il calendario al mese di aprile. La partita contro l’Italia grazie al cielo era di venerdì e sabato sera poteva già essere a casa. I compagni sarebbero atterrati in Italia una decina di giorni prima. Per quanto riguardava la partita precedente…
-Possiamo arrivare a Torino quando ci arrivano anche gli altri, poi io domenica mattina torno qui, gioco e riprendo l’aereo in serata.-
-Dì a Van Saal che torni sabato sera, non domenica. Potrebbe non andargli bene.-
-Hai ragione, tanto se partissi domenica mattina salterei comunque mezza giornata di allenamento. Forse, a queste condizioni, la smette una buona volta di fare tutte queste storie.-
-A Gamo andrà bene?-
-Immagino di sì, perché l’alternativa è che non giochi per niente. Domani lo sento e glielo propongo.-
-Chiama Pearson, di solito è lui che si occupa della logistica.-
Holly rise.
-Hai ragione, come sempre.-

*

Carica d’aspettative, Jenny affrontò il centro di Torino con una delle mappe che aveva preso all’aeroporto. Svoltò l’angolo della via, s’infilò sotto l’ombra dei portici e cercò l’agenzia turistica giapponese che aveva intravisto qualche giorno prima passeggiando con Carol. Ad un osservatore poco attento le arcate facevano sembrare ogni lato della piazza pressoché identico e dopo un po’ che camminava si chiese se non avesse sbagliato, se non si fosse confusa con qualche altra piazza, con qualche altro posto. Si pentì di non essere passata più vicina al negozio, di non aver approfittato del momento per entrarci e chiedere. Non lo aveva fatto perché aveva avuto paura di perdere il lavoro ancor prima di trovarlo. Anche Carol era alla continua ricerca di soldi e seppure era molto probabile che lì fosse già andata, non voleva rischiare di lasciarsi soffiare il posto da lei che, per giunta, conosceva perfettamente l’italiano. Percorse ancora alcune centinaia di metri, poi la individuò dall’altra parte della strada. La fissò incredula, perché era convinta di aver preso il marciapiede giusto. Lanciò un’occhiata alla mappa, lasciò perdere e raggiunse le strisce pedonali. Esitò davanti alla porta per raccogliere le idee e lanciare un’occhiata ai fogli appesi sulle vetrine. Come aveva immaginato, non c’era nessun avviso di ricerca di personale.
Mark le aveva detto da subito, praticamente dal giorno del loro arrivo a Torino, che lo pagavano abbastanza da consentirgli di mantenere entrambi, mandare soldi alla madre e ai fratelli in Giappone e metterne altrettanti da parte. Jenny gli aveva risposto chiaro e tondo che i suoi soldi non le servivano, convinta com’era di potersela cavare più che bene con ciò che suo padre le metteva sul conto ogni mese. Invece le cose non erano andate affatto così. Era in Italia da poche settimane quando aveva scoperto con disappunto che l’offeso genitore le aveva tagliato definitivamente i fondi nel momento in cui ne aveva più bisogno. Eppure Jenny non poteva accettare né di dover dipendere da Mark, né di non poter contribuire alle spese. Non le restava altro da fare che inventarsi qualcosa che andasse a rinfoltire alla svelta il gruzzoletto che le era rimasto e che si stava sensibilmente assottigliando. Quei pochi euro sarebbero finiti presto perché tutto a Torino costava molto più che a Furano e lei non aveva nessuna intenzione di intaccare i risparmi per le emergenze, ora che il suo futuro si era improvvisamente sbriciolato. Forse doveva prendere sul serio l’idea di accettare l’offerta che le aveva fatto Carol, prima che la giovane trovasse qualcun’altra. Il problema più grosso era come nascondere a Mark la sua assenza da casa durante la notte. Carol le aveva suggerito di dirgli che si fermava a dormire da lei, ma Jenny temeva che non ci sarebbe cascato. Sospirò e rimpianse l’assegno di Brian McFay che giaceva inutilizzato in un cassetto del salotto della sua casa di Furano. Ora sì che quei soldi le avrebbero fatto comodo.
Tirò un respiro profondo, spinse la porta a vetri ed entrò. Seduto dietro un’ampia scrivania ricolma di depliant, calvo, grassoccio e sicuramente basso un uomo la guardò sorridendo cordiale, scambiandola per una cliente. Tolse la mano dal mouse e si allontanò dal pc su cui stava lavorando, facendo scivolare sul pavimento di linoleum le rotelle della poltroncina in cui era comodamente sprofondato.
-Buongiorno, posso esserle d’aiuto?-
Le fece cenno di accomodarsi ma Jenny scosse la testa e restò in piedi. Rispose dedicandogli il suo miglior sorriso.
-Lo spero proprio. Sono in cerca di un lavoro e mi chiedevo se…-
-Parla italiano?-
-No, però conosco molto bene l’inglese.-
Lui le sorrise, fastidiosamente divertito.
-Ma sa… non siamo a Londra.-
Jenny abbassò gli occhi, imbarazzata da un sarcasmo che trovò fuori luogo. Aveva un disperato bisogno di lavorare e quell’uomo non trovava di meglio da fare che prendersi gioco di lei.
-Se non parla italiano non ci serve.-
La cartellina trasparente con il curriculum che Jenny teneva in mano si spiegazzò leggermente tra le dita. Lo fissò delusa.
-Ho capito. Grazie lo stesso.-
Si volse per uscire ma un attimo prima che varcasse la soglia, lui la richiamò.
-Aspetti… Mi lasci il suo curriculum, ne parlerò con la direttrice.-
Jenny lo allungò sul tavolo e l’uomo lo prese. Diede una rapida occhiata ai suoi dati personali, poi alzò gli occhi.
-Le farò sapere se avremo bisogno di lei.-
La ragazza ringraziò, salutò e si richiuse piano la porta alle spalle con un filo di speranza.
-“Non siamo a Londra…”- borbottò tra sé e sé, rifacendogli il verso mentre infilava la mano nella borsa per recuperare il cellulare. Aveva tolto la suoneria ed era il caso di rimetterla.
Sul display trovò tre chiamate perse. Era il ryokan. Si preoccupò subito. La nonna la cercava? Perché? Un secondo prima di far partire la telefonata, si chiese quanto le sarebbe costata. Accantonò in fretta il pensiero perché a forza di abitarci insieme, stava diventando come Mark. Diamine, aveva assolutamente bisogno di trovare un lavoro. Poi Meryl le rispose e si concentrò su altro.
-Sono Jenny. I nonni stanno bene?-
“Ciao Jenny.” la giovane sembrò felice di sentirla “Sì, stanno benissimo, perché?”
-Sul cellulare ho trovato tre chiamate dal ryokan. Avevo tolto la suoneria e le ho viste solo ora. Cos’è successo?-
“Non ne ho idea. Aspetta che chiamo la nonna.”
-Fai in fretta, per favore.-
“Corro.”
Jenny si augurò che lo facesse davvero e s’incamminò sotto i portici verso il McDonald’s in cui lavorava Carol. La sera prima la ragazza l’aveva chiamata e le aveva chiesto di vedersi. Chissà che voleva. Rabbrividì ma non di freddo. La terrorizzava pensare all’arrivo di Philip a Torino. Era così in ansia, aveva così paura di incontrarlo che quando ci si fermava a riflettere, il cuore accelerava i battiti e le mancava il respiro. La voce della nonna la fece sussultare.
“Jenny tesoro, come stai? Tutto bene?”
-Sto benissimo nonna, siete voi che mi avete cercata.- spinse la porta del fast food e senza guardarsi intorno salì al piano di sopra, dov’era più facile trovare un tavolo libero. Nonostante l’odore penetrante di olio fritto, il tepore era gradevole.
“Lo so, tesoro. Ti volevo avvertire che ieri mattina Philip ha telefonato. Voleva sapere se eri qui.”
Le gambe di Jenny non ressero la notizia, quasi barcollò verso un tavolino libero. Si lasciò cadere pesantemente su una sedia di plastica. Deglutì l’aria, tentò di parlare ma non ci riuscì. Dalla sua gola provenne soltanto un singhiozzo soffocato.
“Jenny?” la voce della nonna la riscosse “Jenny?”
-Sì, ci sono.- replicò lei, reprimendo le ondate di sofferenza che tornavano ad avvolgerla, prima allo stomaco, poi al centro del petto. Le venne da piangere e fece uno sforzo enorme per ricacciare indietro le lacrime. Perché Philip la cercava? Che voleva da lei? -Cosa gli hai risposto?-
“Che non c’eri.”
-Gli hai detto dove sono?- si passò una mano sul viso. Che la nonna lo avesse fatto o meno, non sarebbe cambiato nulla.
“No tesoro. Ho mantenuto la promessa e poi lui non me l’ha chiesto. Crede che tu sia dai tuoi a New York.”
Quanto si sbagliava Philip… Presto sarebbe arrivato in Italia e si sarebbero ritrovati dalla stessa parte del mondo, nella stessa città. Era così assurdo e così ingiusto.
-Verrà qui.- ammise con un filo di voce.
“Come, tesoro?”
-La nazionale giapponese gioca contro l’Italia. Verranno tutti qui!- Jenny la udì ridere di felicità.
“Oh tesoro, sono proprio contenta! Cercate di fare la pace, è la cosa…”
Non volle udire il seguito e la interruppe brusca.
-Nonna, ho finito i soldi e devo scappare. Dai un bacio al nonno da parte mia e salutami Meryl.- chiuse la chiamata e si passò una mano sul viso.
-Stai piangendo?-
Jenny alzò di scatto gli occhi. Carol le era di fronte ma impiegò alcuni secondi per riconoscerla. I suoi capelli erano diventati rosso mogano e si erano innaturalmente allungati fin oltre le spalle. -Sono io…- rise della sua sorpresa, portandosi una mano ai capelli e lasciando scorrere le ciocche tra le dita.
-Cos’hai fatto?-
La osservò mentre le si sedeva di fronte. Si era tolta la divisa del Mc Donald’s ed era pronta per uscire.
-Ho un nuovo look. Ti piace?- non era una domanda perché era evidente che Carol si piaceva da sé. Sembrava entusiasta del cambiamento -Vuoi mangiare qualcosa?-
Jenny scosse la testa. Quella brevissima conversazione con la nonna le aveva chiuso lo stomaco.
-E allora andiamocene. Non ne posso più di questa puzza di fritto.- si annusò i vestiti -Non ho neppure il tempo di lavarmi. Dovrò andare a casa della mia cliente con l’odore delle patatine addosso…- sospirò -Non vedo l’ora di ficcarmi sotto la doccia!-
Percorsero il marciapiede in silenzio per alcuni minuti. Jenny si angustiava per l’improvvisa telefonata di Philip alla nonna, di cui non riusciva a capacitarsi, Carol totalmente presa da un problema che voleva assolutamente risolvere, il problema per cui aveva chiesto a Jenny di incontrarla. Fu lei a rompere il silenzio.
-Tu ci vai, vero?-
-Dove?-
-Al party di benvenuto per la nazionale giapponese. Salvatore ti ci porta?-
-No, non ci vado. Non mi interessa.-
Carol si bloccò incredula e l’agguantò per un braccio, costringendola a fermarsi.
-Come non ti interessa? Sai quante ragazze darebbero qualsiasi cosa per poter partecipare? Diamine! Ci sono tutti i giocatori di due nazionali e a te non interessa andare? Salvatore ti ha invitata?-
-Me l’ha accennato.-
-E tu non ti senti neppure un po’ lusingata?-
Jenny distolse gli occhi, incapace di risponderle ma desiderosa di accantonare presto l’argomento. Carol si rese conto che la sua incredulità non l’aveva toccata, sembrava davvero non interessarle.
-Per favore, devi aiutarmi Jenny!-
-Aiutarti a fare cosa?-
Quando parlò di nuovo, la sua voce tremava d’emozione.
-C’è una persona che mi piace tantissimo e che voglio assolutamente conoscere. So che verrà qui a Torino e so anche che non posso non approfittare di questa occasione per incontrarla!-
-Una persona?- Jenny la fissò incredula -Di chi si tratta?-
La ragazza distolse gli occhi da lei. A disagio si ficcò le mani nelle tasche del cappotto.
-Non posso dirtelo, è un segreto. Non lo sa nessuno.-
-Pensavo che stessi con Rob!-
Carol riprese a camminare e Jenny le andò dietro.
-Con Rob ci vediamo, ogni tanto. Lui è simpatico, mi fa ridere…- le lanciò un’occhiata imbarazzata -Ma c’è un’altra persona che mi piace, oltre a lui. Devi aiutarmi a conoscerla, Jenny.-
Lei cercò di schermirsi.
-Non credo di poterlo fare, Carol. Il party non mi interessa, non ho intenzione di andarci.-
-Perché? Sono sicura che Gentile ti ci porterebbe volentieri. E pure Mark!- la vide irremovibile, allora tentò un’altra strada -Almeno potresti provare a convincere Mark a portarmi con lui?-
-Mark? Perché Mark? Non sarebbe meglio Rob? Lui lo farebbe volentieri.-
-Non posso chiedere a Rob di portarmi a conoscere una persona che mi piace più di lui! È eticamente scorretto!-
Jenny non seppe se ridere o prenderla sul serio.
-E il fatto che ti ci porti qualcun altro ti alleggerisce la coscienza?-
-Diciamo di sì.-
-Rob sarebbe stato senz’altro meglio.- sospirò -Proverò a parlare con Mark.- non credette neppure per un istante che sarebbe riuscita a convincerlo.
Presero insieme un caffè in un bar, poi Carol scappò a ritoccare le unghie ad una delle sue clienti e Jenny tornò a casa con la testa piena di preoccupazioni, cercando di fare in fretta perché quello era il giorno in cui la donna filippina faceva le pulizie e Mark si era dimenticato di lasciarle il compenso sul comodino dell’ingresso. Aspettò impaziente il tram, pensando che a tutti i problemi che aveva adesso se n’era aggiunto un altro. A Carol piaceva qualcuno della nazionale e voleva incontrarlo. Di chi poteva trattarsi? Di Benji? Tom? Ed? Poteva essere chiunque. Sperava solo che non si fosse presa una cotta né per Holly né per Julian. In definitiva per nessun altro già impegnato. E se si fosse trattato di Philip? Sarebbe stato talmente assurdo che le venne da ridere.

*

Richard Hall era ubriaco come Philip non l’aveva mai visto, ma nella semioscurità del salone, illuminato da un surrogato di luci colorate da discoteca, il suo viso disfatto non era particolarmente impressionante. Sedeva da solo al tavolino rotondo che era stato spostato in un angolo del salotto per lasciare spazio al centro. Philip era appena arrivato, non si era ancora neppure tolto la giacca. Aveva individuato Richard e dopo aver afferrato al volo una birra al tavolo del buffet, l’aveva raggiunto. Davanti al compagno campeggiava l’intera raccolta di pastiglie a disposizione degli invitati, un’abbondanza che lasciò Philip di stucco. Che stava succedendo quella sera? Cercò il padrone di casa ma non lo vide da nessuna parte, chissà dove s’era ficcato.
-Come va la serata?- chiese al compagno.
Quello rise.
-Mai andata meglio! Guarda quanto bendiddio…- indicò con le mani le allegre compresse di vari colori che riempivano ciotole e piattini -Sono tutte così invitanti che non riesco a decidermi.-
Philip accennò un sorriso, poi si guardò intorno restando in piedi. Ogni volta che partecipava a una di quelle feste vi trovava gente diversa. Soprattutto le ragazze, che per la maggior parte sembravano essere uscite da riviste patinate e pubblicità di moda. Come faceva Baird a trovarle? Era in contatto con qualche studio televisivo o fotografico? Ma soprattutto come poteva, un tipo come Baird, avere tanti amici? Era la persona più prepotente e insopportabile che Philip avesse mai conosciuto. Superava per perfidia persino alcuni suoi ex compagni di scuola del liceo. Ancora non riusciva a spiegarsi come facesse Richard a sopportarlo. A guardarli sembravano amiconi, stavano sempre appiccicati, dove andava l’uno andava l’altro. Eppure Richard gli pareva di tutt’altra pasta. Ma in fondo a lui che gliene importava? Abbassò gli occhi sul compagno di squadra che esaminava le pasticche pensieroso e si sedette al suo fianco, poggiando la birra sul tavolo.
-Quante te ne sei fatto?-
-Neppure una. Devo ancora cominciare.-
-Dalla tua faccia non si direbbe. Che hai?-
-È colpa della birra, l’ho mandata giù a stomaco vuoto.-
Una ragazza passò davanti a loro ancheggiando con quel fazzolettino di gonna sui collant, il maglioncino incollato alle tette che non valevano una seconda occhiata. Richard distolse lo sguardo dalle sue natiche.
-Stasera la fauna non è un granché. La migliore se l’è presa Daniel.-
Gli occhi di Philip vagarono per il salotto. Una ragazza lo salutò, lui non la riconobbe ma rispose lo stesso con un gesto della testa e l’accenno di un sorriso.
-Non te la ricordi, vero?- rise il compagno alla sua espressione confusa -È la tipa con cui ti sei svagato la prima volta che sei venuto qui.-
La curiosità spinse Philip a lanciarle una seconda occhiata ma niente, buio fitto. Era umiliante che non ricordasse nulla di lei. Cambiò discorso.
-Quindi Baird s’è preso la migliore.- rise -Ma non è detto che lei sia disponibile.-
-Se la farà, te lo dico io. Daniel è stato furbo.- Richard si allungò sul tavolo e afferrò una piccola confezione bianca, anonima, che in mezzo a tutte quelle anfetamine Philip non aveva neppure notato. L’aprì con fare cospiratore e ne tirò fuori una bottiglietta di vetro. Gliela mise sotto gli occhi -L’ha portata Dirk.-
-E chi è Dirk?-
-Il nostro fornitore.- rise sguaiatamente e la sua voce si perse nella musica -Ci sono voluti mesi per rimediare questa roba! Qui in Giappone è impossibile da trovare. Viene dagli Stati Uniti.- ruttò -Questa bottiglietta è preziosa più dell’oro, non hai idea di quanto valga. Daniel s’è ritrovato una fila di coglioni che aspettano il loro turno per provarla. Pagando una quota bella sostanziosa, ovviamente.-
-Cos’è?-
Richard allungò la bottiglietta a Philip e quando lui fece per prenderla ritirò di colpo la mano. Lo fissò negli occhi.
-Sai mantenere un segreto, Callaghan?-
Lui annuì, serio. Richard gli porse di nuovo la boccetta e Philip la strinse tra le dita. Era di vetro opaco marrone, come quella di uno sciroppo per la tosse, ma molto più piccola. Aveva un tappo di plastica e un’etichetta bianca con una scritta nera: GHB. Philip lesse ma non capì. Posò la boccetta sul tavolo e la spinse verso l’amico, perdendo subito interesse. Quella sera aveva deciso di non strafare, non avrebbe mandato giù niente di illegale. Si sarebbe limitato all’alcol, e non troppo. Si guardò di nuovo intorno mentre il suo stomaco, stimolato dalla birra, protestava per la fame.
-Che c’è da mangiare?-
La sua domanda cadde nel vuoto. Hall borbottò qualcosa ma Philip non capì. Era scivolato sul tavolo, la testa sprofondata tra le braccia. Parlava da solo, biascicava parole completamente incomprensibili. Era chiaro che gli aveva mentito, chissà quanta roba aveva mandato giù. Gli si accostò e gli posò una mano sulla spalla.
-Tutto a posto? Richard, ti senti male?-
Quello scoppiò a ridere, alzò il viso e lo fissò. Aveva le guance arrossate e i capelli scuri e lunghi gli ricadevano sugli occhi spiritati.
-Ci vuole poco a conquistare una donna, con quella roba! Sai cos’è?-
L’amico scosse la testa.
-Roipnol.-
Quel nome non gli disse nulla. Richard se ne accorse e insistette a spiegare.
-È impossibile che tu non ne abbia mai sentito parlare.- lo fissò incredulo, un sorrisetto saccente -La chiamano anche la droga dello stupro!-
A Philip parve che la musica tacesse di colpo, il tempo si fermasse. Ogni nervo del suo corpo si bloccò, il gelo lo invase, il cuore mancò un battito, i muscoli gli si tesero. Quella parola, quell’ultima parola, gli si conficcò nel cervello come una stilettata, si sentì precipitare in un baratro dove non c’era più niente. Non c’era la festa, non c’era la musica, non c’erano le luci stroboscopiche, non c’era tutta quella gente, non c’erano le anfetamine, non c’erano le ragazze ancheggianti, non c’era quel tavolo, la birra, non c’era Richard. Non c’era nessuno, era solo in un baratro buio e profondo dove la luce non arrivava e l’aria era irrespirabile. Durò un istante, il tempo di un battito del cuore. Poi la musica tornò ad assordarlo, i secondi ripresero a scorrere e lui a vivere.
-Cos’hai detto?-
-Quella roba è un portento! Solo una mente malata poteva metterla in commercio. È incolore, insapore e fa perdere ogni resistenza fisica. Daniel non andrà in bianco, te lo dico io!- si appoggiò alla spalliera della sedia e gli puntò un dito contro, la sua espressione carica di improvvisa disapprovazione -E ti dico anche che così non si fa! Non si conquista in questo modo una ragazza. Che senso ha se poi neppure ricorderà che hai scopato con lei?-
Philip si rese conto che non riusciva a muoversi. Guardava Richard con gli occhi spalancati, pieni di orrore. Era bloccato lì, la birra gli si era rivoltata in gola e nello stomaco. Hall continuò a parlare, strascicando le parole.
-Gliel’ha messa nel cocktail, tra poco sarà cotta. Lui se la scoperà e lei non ricorderà nulla…- ripiombò con la testa sul tavolo.
Philip lo guardò sgomento, poi allungò rapido una mano, afferrò la bottiglietta e la strinse tra le dita, gli occhi fissi su quelle tre lettere. GHB. Infine reagì. Se la infilò in tasca col desiderio di distruggerla e si guardò intorno in cerca di Daniel. Doveva inventarsi qualcosa. Non poteva non fare niente. Non poteva lasciar perdere, far finta di non aver udito. Se ne sarebbe pentito fino alla morte. Quel mostro di Baird aveva intenzione di approfittarsi di una ragazza inerme e lui doveva fermarlo ad ogni costo. I suoi occhi guizzarono tutt’intorno, al centro del salotto c’era una bella calca e non riuscì a vederlo tra la gente che ballava.
Forse non era lì ma già dentro qualche stanza. Forse aveva già finito. Forse non sarebbe riuscito a fermarlo. Forse non avrebbe potuto fare niente neppure questa volta. Eppure, maledizione, questa volta doveva almeno provarci! Girò intorno agli ospiti costeggiando poltrone e divani e imboccò il corridoio. Se lo trovò davanti di colpo, accanto ad una porta appena socchiusa, la ragazza appoggiata contro il muro. Il sollievo lo fece esitare, la situazione non sembrava grave quanto aveva immaginato. Lui la baciava, tenendole una mano sulla nuca. L’altra era sul suo seno. Le braccia della giovane ricadevano lungo i fianchi, come gli arti senza vita di una bambola.
Philip riuscì a raggiungerli un attimo prima che lui trascinasse la sua preda nella stanza.
-Baird.- gli posò una mano sulla spalla. Daniel si volse lentamente, fin troppo, e gli dedicò un sorriso vacuo. Era ubriaco anche lui.
-Ciao, Callaghan.-
-Chi è lei?-
La osservò. Indossava un abito nero senza maniche che le arrivava alle ginocchia, con delle paillettes intorno alla scollatura che brillavano vivaci molto più del suo sguardo. I suoi occhi erano aperti ma rivolti verso terra e sembravano non vedere nulla. Era lui a sostenerla, da sola non sarebbe riuscita a restare in piedi.
-Ti piace?- le sollevò il volto con una mano per permettere all’amico di guardarla. La giovane reagì accennando un fievolissimo sorriso.  
Philip scosse la testa. Poi afferrò la ragazza per il polso e la tirò verso di sé, lontana dalla stanza e lontana da Daniel.
-Sei un bastardo schifoso, Baird!-
Lui lo fissò incredulo, le labbra socchiuse, in cerca di parole che non riusciva a pronunciare. Impiegò qualche istante a reagire perché all’inizio non capì. Lo vedeva annebbiato, il compagno. Evanescente come in una nuvola di fumo. Quando fece un passo verso di loro, Philip allungò un braccio e lo spinse indietro con violenza, mandandolo ad urtare contro lo stipite della porta.
-Che fai?-
-Me ne vado.- sibilò Philip tra i denti, fremente di indignazione -E lei viene con me.-
-Vuoi fartela tu?-
Philip fu tentato di mollargli un pugno e se non avesse dovuto tenere in piedi quella tipa, lo avrebbe certamente fatto. La ragazza aveva appoggiato la testa contro la sua spalla e non diceva nulla. Il suo petto si alzava e si abbassava piano, al ritmo del respiro. La guardò un secondo, poi tornò a fissare il compagno di squadra. Quando parlò di nuovo, la sua voce trasudava ira e disapprovazione.
-Cos’hai fatto? L’hai drogata?-
-Io? Ma ti pare?- un attacco di ilarità quasi lo piegò in due. Poi fu scosso da un conato di vomito. Si portò una mano alla bocca e divenne cadaverico. Lo fissò con gli occhi spalancati e le labbra tese, poi si volse e sparì dietro la porta del bagno.
Rimasto solo con la giovane che gli gravava addosso, Philip si chiese d’un tratto se il suo eroico intervento non fosse stato inutile. Forse in quelle condizioni Baird non avrebbe potuto approfittarsi di nessuno e adesso lui, dopo ciò che gli aveva appena detto, se l’era inimicato per l’eternità. Si domandò se non avesse fatto una stronzata. Probabilmente sarebbe dovuto restare al tavolo di Richard a sparare cazzate insieme a lui e a banchettare con l’ecstasy. Adesso cosa doveva farsene di quella tipa? Dove lasciare quel corpo abbandonato contro il suo, completamente incosciente e privo di forze? Si guardò intorno, illuminato da un’idea. Poteva portarla in qualche stanza e metterla a letto. Ma se poi fosse finita tra le grinfie di qualcun altro privo di scrupoli come Daniel? O magari talmente fatto da non capire più la differenza tra il morale e l’immorale? Ormai aveva saputo, era intervenuto e non poteva assolutamente lavarsene le mani. Eppure si era ficcato in un bel casino. Baird già non lo sopportava, ora se la sarebbe legata al dito per sempre. Bene, quella era senza dubbio l’ultima volta che partecipava alle feste del compagno di squadra. Non sarebbe più stato invitato e se per sbaglio fosse successo, avrebbe rifiutato. Lo promise a se stesso. Non voleva avere casini, non sarebbe più andato. Era chiaro che ciò che vi avveniva e che si consumava non facevano per lui.
Raggiunse l’ingresso con quel carico ingombrante, nessuno fece caso a loro. Insieme sembravano semplicemente una coppia che lasciava la festa. Aprì la porta e fu fuori senza che nessuno rivolgesse loro la parola.
Sulle scale la giovane rischiò di scivolargli, allora se la caricò tra le braccia e la portò così, semi svenuta, fin sul marciapiede. Solo quando fu per strada si rese conto che lei era senza cappotto. A ricoprirla solo quel leggero vestito nero. Si chiese per un attimo se fosse il caso di tornare indietro, poi capì che sarebbe stato totalmente inutile. Non avrebbe saputo dove andare a recuperare le sue cose. Raggiunse la macchina, l’aprì e penò non poco per riuscire a metterla seduta. Gambe e braccia ricadevano ovunque. Sotto il sedile, contro il cambio, incastrate sul freno a mano, addosso al cruscotto e nel portaoggetti…
Nonostante il freddo, nonostante il respiro gli si condensasse in nuvolette, nonostante i fiocchi di neve che avevano cominciato a cadere svolazzando nell’aria come farfalle, sudò per riuscire a sistemarla sul sedile e ad allacciarle la cintura di sicurezza. Si sfilò la giacca e gliela avvolse addosso, richiuse lo sportello, girò intorno alla macchina e salì dall’altra parte. Mise in moto, accese le luci e si volse a guardarla. Lei teneva gli occhi chiusi, la testa abbandonata da un lato, i capelli a ricoprirle parte del viso. Sembrava essersi addormentata.
Imboccò la strada di casa, la strada che portava al suo attico in centro. Non aveva altra scelta, con lei non poteva andare da nessun’altra parte se non lì. Se solo avesse saputo dove abitava, l’avrebbe riaccompagnata a casa. Ma lui tutte le sue cose, il cappotto, la borsetta, il cellulare, le aveva lasciate a casa di Baird. Era proprio un deficiente.
S’infilò nel parcheggio sotterraneo e si fermò nello spazio riservato al suo appartamento. Erano mesi ormai che non posteggiava più la macchina lì. Scese, girò intorno alla vettura e aprì lo sportello del passeggero. La guardò, ancora dormiva, beata lei. Praticamente non si era mossa. Chi diavolo glielo aveva fatto fare? Come gli era venuto in mente di portarsi a casa quella perfetta sconosciuta? Avrebbe potuto restare con lei a casa di Baird, rimanerle addosso come un cane da guardia, controllare che nessuno la infastidisse, e si sarebbe risparmiato il viaggio e la fatica. Tirarla fuori dalla macchina fu quasi più difficile che infilarcela. Continuando a sbuffare come un mantice sotto il suo peso, chiamò l’ascensore.
Le porte si riaprirono silenziosissime all’ultimo piano. Si frugò disordinatamente nelle tasche, ne tirò fuori le chiavi che aveva ritrovato, per fortuna, abbandonate da mesi nel portaoggetti dell’auto, e fece scattare la serratura. Entrare in quella casa fu come tuffarsi indietro nel tempo, in un mondo ormai passato ma ancora pieno di sofferenza. Scacciò la sensazione che lo attanagliava perché non era quello il momento di lasciarsi andare a inutili nostalgie.
Si sfilò le scarpe, sollevò la giovane tra le braccia, raggiunse la camera e la depositò piano sul letto. Poi la ricoprì con un plaid e la lasciò sola a riposare in pace. Rifece il tragitto inverso molto più lentamente, mentre i ricordi di quella casa e di quella vita gli lambivano la mente. Nel salotto si fermò davanti alla portafinestra che dava sul balcone. Avanzò verso i vetri chiusi, osservò le luci notturne della città che splendevano contro un cielo di velluto nero, l’orologio della torre della tv segnava le tre e un quarto. Aprì il pannello scorrevole e uscì sul balcone. Venne investito dal freddo e da una raffica di vento che portò con sé minuscoli fiocchi di neve. Gli accarezzarono il viso con le loro particelle di ghiaccio, un tocco sottile, effimero, evanescente. Philip rimase immobile, gli occhi sulla città addormentata, il rombo attutito di qualche macchina sporadica che percorreva il viale decine di metri più in basso. Il silenzio di quella notte avvolgeva tutto ma non avvolgeva il passato che era sempre lì, nascosto e pesante, ancorato in fondo alla mente, indelebile. Cosa ci faceva in quella casa in cui si era ripromesso di non entrare più? Perché era tornato? Avrebbero potuto trascorrere la notte in macchina. Meglio sugli scomodi sedili che lì. Lei non si sarebbe accorta di niente e lui avrebbe dormito lo stesso. Sapeva addormentarsi dovunque, se era stanco.
Rabbrividì quando una nuova raffica di vento gli scompigliò i capelli. La neve gli finì negli occhi e tra le ciocche inumidite dai fiocchi. Rientrò per evitare una polmonite. Richiuse la finestra e accese i riscaldamenti. Si sedette sul divano, davanti allo schermo della tv spenta e rimase al buio, mentre i ricordi che aveva fatto così tanta fatica a scacciare l’assalivano di nuovo. Adesso che aveva varcato la soglia di casa, immerso in un ambiente troppo impregnato di essi, non poteva far nulla per impedire loro di ronzargli intorno come satelliti in orbita. Era impossibile ignorarli, e impossibile credere che il passato un giorno sarebbe scomparso.  
L’ultima volta che avevano dormito insieme in quell’appartamento lo avevano fatto separati, Philip sul divano e Jenny nel letto, nello stesso letto su cui aveva adagiato la vittima di Baird. Quella sera era tornato tardi, quando aveva messo piede in casa Jenny dormiva già ma aveva lasciato la luce accesa dalla sua parte del letto e il pigiama ben ripiegato sul cuscino. Si era fermato sulla soglia della stanza, l’aveva guardata a lungo mentre una sofferenza atroce gli si era conficcata dentro, ancora una volta. Jenny giaceva girata su un fianco, i capelli scuri sparpagliati sul cuscino. La coperta le celava parte del viso e lui riusciva a scorgere solo gli occhi chiusi e le guance ombreggiate dalle ciglia. D’un tratto le aveva voltato le spalle ed era andato in cucina dove si era versato dell’acqua.
Dalla cucina era passato in salotto, si era lasciato cadere sul divano e aveva acceso la tv. Ricordava di essersi svegliato la mattina successiva intorno alle sei, la televisione spenta, un plaid ad avvolgerlo. Philip si era alzato, era arrivato in punta di piedi fin sulla porta della camera da letto. Aveva visto Jenny ancora sotto le coperte, ancora profondamente addormentata, rivolta verso la parte che Philip aveva lasciato vuota per tutta la notte, il volto contro il suo cuscino e tra le pieghe del pigiama che lui non aveva indossato. Era sola e quasi persa in un letto che nella sua solitudine sembrava immenso.
Era entrato silenziosissimo, aveva recuperato alcuni vestiti dall’armadio ed era andato in bagno per cambiarsi. Nel giro di dieci minuti, senza che lei si accorgesse di nulla, aveva lasciato l’appartamento e si era recato al campo per lo stretching della mattina. Era arrivato in un’ora indecente, il custode non aveva ancora aperto i cancelli. Era rimasto al caldo, in macchina, ad aspettare che arrivasse l’ora dell’appuntamento con il resto della squadra e si era addormentato sul sedile finché Peter, alle dieci in punto, aveva bussato sul finestrino facendogli prendere un colpo.
Poi allo stadio, quello stesso giorno, era successo il disastro.
Avevano giocato contro il Nagoya Grampus di Ed Warner e per tutto il primo tempo nessuna delle due squadre era riuscita a segnare. L’incapacità di portare il Sapporo in vantaggio l’aveva reso nervoso. Poi c’era stato un fallo. Philip era rimasto sofferente a terra, a stringersi una gamba tra le mani, puntini luminosi che gli danzavano davanti agli occhi. Nonostante ciò, il gioco non si era fermato, lui aveva fatto uno sforzo per ricacciare il dolore in un angolo del cervello, si era alzato e aveva ripreso a correre.
Richard Hall aveva recuperato la palla e l’aveva allungata a Peter. Baird era sull’altra metà campo, completamente libero. Ma i suoi tiri erano pericolosamente imprecisi, e Philip non si fidava a passare a lui. Ed Warner, tra i pali, era già pronto a fermarlo. Philip era riuscito a liberarsi di una marcatura, Peter gli aveva allungato la palla, poi un difensore del Nagoya gli aveva fatto un altro brutto fallo. Stavolta aveva impiegato più tempo a mettersi in piedi, fitte lancinanti che dalla caviglia pulsavano nella testa. Il mister dalla panchina aveva fatto alzare una riserva con tutte le intenzioni di sostituirlo. Quando Philip se n’era accorto, si era sbracciato per fargli capire che non sarebbe uscito, che ce la faceva ancora. Aveva cercato la palla, l’aveva trovata a pochi metri di distanza tra un gruppo di giocatori di entrambe le squadre. Li aveva raggiunti, con l’appoggio di Richard aveva fatto tornare il pallone alla squadra. Per uscire dalla mischia aveva mollato una gomitata allo stesso giocatore che pochi minuti prima l’aveva buttato a terra e questa volta l’arbitro aveva fischiato, il cartellino giallo era spuntato tra le sue dita. Philip, il calzettone imbrattato di sangue, il ginocchio sbucciato e una caviglia quasi fuori uso, non ci aveva visto più. Aveva preso a protestare, infuriato, avanzando dritto verso l’arbitro. Peter lo aveva trattenuto mentre gli vomitava addosso una lunga serie di insulti che avevano provocato un’immediata espulsione. Il mister lo aveva accolto in panchina con tutto lo sdegno di cui era stato capace.  
“Callaghan! Che accidenti combini?”
“Ho subito due falli e l’arbitro ha fatto finta di niente!”
“E allora?”
“Allora dovevo lasciare che mi maciullassero le gambe? È per questo che mi pagano?”
“Ti pagano per mandare la palla in rete, non per litigare con l’arbitro!”
Philip aveva ingoiato una valanga di invettive, gli aveva voltato le spalle ed era rientrato negli spogliatoi. Nei corridoi si era quasi scontrato con Jenny. Trovarsi faccia a faccia con lei, con la sua espressione sconvolta, era stato come ricevere l’ennesimo schiaffo. I suoi occhi che lo fissavano sgomenti, preoccupati, increduli, lo avevano fatto sentire un tale schifo che in quel momento l’aveva odiata con tutto se stesso. L’aveva assalita.
“Che vuoi?”
“Philip, cos’è successo?”
“Non l’hai visto? Non stavi seguendo la partita? Cosa sei scesa a fare? Torna da Grace.” le aveva ordinato e quando lei aveva cercato di protestare, l’aveva assalita di nuovo “Torna in tribuna, non ti voglio qui!”
Jenny aveva chinato la testa, remissiva.
“Va bene, ci vediamo dopo.”
L’aveva guardata, aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime e si era sentito una schifezza. Jenny stava di nuovo soffrendo per colpa sua, per l’ennesima volta in quell’ultimo anno. Invece di scusarsi, era esploso. Un fiume di parole senza senso gli era uscito dalle labbra.
“No, dopo non ci vediamo. È arrivato il momento di chiudere, visto che non so più cosa ci facciamo insieme. È molto meglio se ci lasciamo.”
Lei si era gelata, lo aveva fissato incredula.
“Stare con te è l’unica cosa che desidero, Philip…” aveva tentato inutilmente.
Ma con nessuna parola, nessuna lacrima era riuscita a scalfire la sua ira devastante. Non l’aveva ascoltata, aveva smesso persino di guardarla, di vedere la sua amarezza, l’umiliazione che aveva potuto leggere nella contrazione dolorosa del suo viso.
Le aveva voltato le spalle ed era rientrato negli spogliatoi fremente di collera, incapace di calmarsi, ma convinto di aver fatto bene. Era arrivata l’ora di lasciarsi, di mettere la parola fine a qualcosa che non era più neppure un rapporto. Lui e Jenny non si capivano più, a mala pena si parlavano. E allora per quale motivo continuare a stare insieme e a farsi del male? Lei aveva sofferto e soffriva ancora per colpa sua, perché lasciare che le cose continuassero in questo modo?
Quel giorno era stato totalmente incapace di comprendere a cosa aveva voltato le spalle. Non si era reso conto di cosa aveva scelto di perdere, di cosa aveva deciso di privarsi, non era stato in grado di vedere che genere di futuro, vuoto e senza senso, si era plasmato con le proprie mani. Avrebbe impiegato giorni a capirlo ma alla fine il rimorso sarebbe arrivato, più bruciante che mai.
Philip osservò il salotto immerso nell’oscurità. Nonostante il buio riusciva a scorgere i profili dei mobili che lo arredavano. Lo schermo piatto della tv appeso al muro, la libreria a vetri in cui erano sistemati in bell’ordine piatti e bicchieri e che nei piani più alti conteneva i loro libri, i loro CD e i loro DVD, una collezione che avevano creato insieme negli anni. Il divano su cui sedeva lo avevano scelto insieme, i cuscini che lo abbellivano li aveva cuciti la nonna a Shintoku. I suoi occhi vagarono a caso e si fermarono sulla porta d’ingresso dell’appartamento, che risaltava nera contro le pareti bianche.
Perché quel giorno allo stadio le aveva detto quelle cose? Philip in vita sua non aveva mai trattato nessuno così male. Allora perché aveva infierito con tanta crudeltà sull’unica persona che amava più di se stesso e che assolutamente non lo meritava? Aveva vinto lui, avevano vinto i suoi sensi di colpa. L’aveva fatta andar via, se l’era lasciata scivolare dalle dita… E adesso non gli restava altro da fare che ricostruirsi una vita decente senza di lei.
Alle sei e mezza la sconosciuta lo raggiunse nel salotto. Philip si era appisolato, era crollato di stanchezza, ma la sentì arrivare lo stesso. I suoi passi nel corridoio lo fecero saltare su come una molla. La sua silhouette gli comparve davanti e nell’appartamento appena rischiarato dall’alba per un attimo, per un solo istante, fu certo di trovarsi faccia a faccia con Jenny.
-Ciao…- la ragazza avanzò silenziosa a piedi nudi sul morbido tappeto steso tra il divano e la tv. Rimase in piedi a guardarlo curiosa, poi gli si accostò senza mostrare il minimo timore -Dove siamo? Questa non è la casa di Daniel.-
-Da me.- la guardò. Al chiarore che filtrava dalle finestre poté scorgere soltanto i tratti del suo bel viso e il luccichio dei suoi occhi che lo fissavano curiosi.
-Perché?-
-Ti sei sentita male e ti ho portata via.-
-Davvero?-
Philip annuì, ma forse lei non gli credeva. Eppure cos’altro poteva dirle? Che l’aveva salvata da un rapporto sessuale non consenziente di cui non avrebbe ricordato nulla? Che poi sarebbe stato davvero un rapporto non consenziente? Forse Baird le piaceva e sarebbe stata contenta di concedersi a lui. C’era anche la possibilità che Daniel non avesse usato realmente quella roba di cui sentiva ancora la forma e la durezza nella tasca dei jeans. Poteva semplicemente trattarsi del vaneggiamento di un Richard ubriaco, a cui lui aveva creduto senza esitazioni.
Lei gli si sedette accanto.
-Mi chiamo Sheryl.-
-È un bel nome.-
-Grazie. Dov’è la tua ragazza? Sa che mi hai portata qui?-
Philip s’irrigidì.
-Quale ragazza?-
Lei esitò, chiedendosi se avesse sbagliato.
-Ho visto le foto in camera, e…-
-Non ce l’ho la ragazza.-
Non si accorse neppure di mentirle, visto che in quel momento frequentava Julie. Trattenne il fiato, sperando che non continuasse a chiedere. Doveva aver visto le foto sue e di Jenny, quelle foto verso cui, quando l’aveva depositata sul letto, aveva fatto bene attenzione a non girarsi. Era passato davanti al comò ed era riuscito a non posare gli occhi sul ripiano. In questo il buio gli era stato immensamente d’aiuto. Eppure l’aveva percepito lo stesso, il peso dei ricordi che quelle foto rappresentavano. Li aveva percepiti fino a poche ore prima, da quando aveva messo piede nell’appartamento, finché non si era addormentato sul divano. Lo avevano frastornato, ne era stato sopraffatto e lo avevano lasciato senza forze. Si alzò per creare più spazio tra loro.
-Vuoi qualcosa da bere?-
Lei scosse la testa.
-Nulla grazie. Mi sento lo stomaco scombussolato.-
-Ti riaccompagno a casa?-
Lei rise.
-Sei impaziente di liberarti di me?- lo guardò. Più il cielo si schiariva e più lei riusciva a scorgere i tratti del suo viso -Giochi in squadra con Daniel?-
Philip annuì.
-Allora può darsi che ti abbia visto al campo.-
-È probabile.- anche se lui, di lei, non si ricordava per niente.
Fu quando Sheryl andò in bagno che Philip ebbe il coraggio di affacciarsi in camera da letto, il bisogno improvviso di posare gli occhi sulle foto di cui lei gli aveva parlato. Si fermò sulla soglia, mentre il sole che spuntava nel cielo latteo illuminava il palazzo di fronte. I raggi si riflettevano sulle pareti lucide e s’incanalavano a fasci dentro la stanza. Era moderna, forse un po’ spoglia. Del resto non avevano fatto in tempo ad arredarla completamente, si erano lasciati prima. Le foto che aveva visto Sheryl erano quelle sul comò e raffiguravano Jenny da sola, poi lui e Jenny, Jenny ancora una volta da sola, e poi di nuovo insieme alla fattoria di Geral Pepper, sullo sfondo i campi di lavanda in fiore. Philip non aveva messo più piede in quella camera da quando Jenny se n’era andata, così non sapeva neppure cosa lei avesse lasciato e cosa avesse portato via e solo in quel momento si stava rendendo conto che lei aveva deciso di non mettere in valigia le cornici, di non portarsi via i ricordi ma di lasciarli a lui con tutto il loro insopportabile peso. Distolse gli occhi dalle foto e li spostò sul letto. La coperta, sempre perfettamente in ordine, era stata spiegazzata dal sonno di Sheryl e il plaid giaceva ammucchiato da una parte.
-Dove sono le mie cose?-
La sua voce improvvisa lo fece quasi sussultare. Si volse a guardarla.
-Sono rimaste da Daniel.-
-Mi accompagni a prenderle?-
-È troppo presto, starà ancora dormendo.-
Lei diede un’occhiata alla sveglia sul comodino.
-Hai ragione.- gli sorrise -Intanto facciamo colazione, che ne dici?-
-Non ho niente da mangiare.-
-Non importa. Usciamo.- lo prese per mano e lo trascinò nel corridoio -Non possiamo morire di fame e io ho una voglia matta di una ciambella di Mr Donut.-
Quando furono sulla porta, Philip fu costretto a tornare indietro in cerca di una giacca da metterle addosso.

Era ancora notte fonda quando Amy si mosse piano sotto le coperte e tirò i piedi fuori dal letto. Li poggiò sul parquet freddo e si alzò silenziosissima per non svegliare Julian che le dormiva accanto. I genitori di lui erano in settimana bianca e loro due ne avevano approfittato per stare un po’ insieme. Era ora che si decidessero ad andare a convivere, lui premeva perché si organizzassero, ma qualcosa la frenava impedendole di compiere quel passo. Forse era la prospettiva di rimanere sola per la maggior parte del tempo ad aspettare che lui tornasse dagli allenamenti o dalle lezioni all’università, che la rendeva titubante dall’abbandonare la casa confusionaria dei suoi genitori dove viveva con la sua splendida mamma, un fratello maggiore, una sorella minore, due pesci rossi, un cane, un coniglio nano e un padre che l’adorava.
S’infilò un cardigan verde acqua che usava come vestaglia, cercò a tentoni le pantofole finite come al solito sotto il letto e lanciò un’occhiata timorosa al fidanzato. Julian dormiva a pancia in giù, voltato dall’altra parte. Le coperte gli erano scese sulla schiena e Amy esitò a ricoprirlo. Aveva paura che si svegliasse. Lasciò perdere, tanto presto sarebbe tornata a letto, e uscì dalla stanza in punta di piedi. Se si fosse accorto che si era alzata, gli avrebbe detto che era andata in bagno. Non le piaceva mentirgli ma in fondo sarebbe stato a fin di bene. Se Julian avesse saputo cosa stava per fare, probabilmente avrebbero finito per litigare.
I bisogni fisiologici, in quella fuga notturna, non c’entravano niente. La realtà era un’altra. Amy quella mattina aveva saputo di Benji, di quello che era successo durante la partita contro il Bayern che risaliva ormai a qualche giorno prima. Era stata Evelyn ad avvertirla. Amy era sicura che anche Julian lo sapesse ma avesse preferito non dirle niente. Non parlava mai volentieri con lei di Benji.
Era così dall’incidente dell’inverno di quasi tre anni prima a Shintoku, quando lei gli era caduta addosso mentre pattinava sul laghetto. L’aveva travolto schiantandolo a terra, erano rimasti incastrati tra i rami di un albero caduto. Avevano cercato di tirarsi su e ci erano riusciti solo dopo   alcuni inutili tentativi, l'ultimo dei quali l'aveva fatta scivolare e le loro labbra si erano sfiorate. Julian aveva assistito da lontano all’intera scena, tenuto fermo dai compagni che si erano divertiti a spiarli senza intervenire. E quando finalmente era riuscito a liberarsi di loro, l’aveva raggiunta fuori di sé. E poi c’era stata la questione della foto che Bruce aveva scattato a tradimento quando lei e Benji, quello stesso giorno, si erano rifugiati nella stanza delle ragazze a compilare un sudoku in santa pace. Non c’era niente in quella foto, lei gli stava semplicemente cospargendo le labbra screpolate di burro di cacao, un particolare che Bruce non era riuscito neppure a riprendere. Ma erano venuti troppo vicini e la promessa fatta a Benji di non dire nulla del maledetto burro di cacao aveva reso tutto più complicato, facendo ingelosire e insospettire Julian inutilmente. Agli occhi del fidanzato un niente assoluto aveva preso proporzioni gigantesche e lei che, per mantenere la promessa, si era imposta di non dargli spiegazioni, aveva sperato che presto o tardi Julian se ne dimenticasse. Non era sicura che ciò fosse avvenuto. E poi c’erano stati i frequentissimi viaggi a Fujisawa per accompagnare Jenny da Nicole. L'amica all’inizio era stata titubante, le aveva detto di non avere la forza di affrontare la terapia. Preferiva restare a casa, se possibile cercare di dimenticare tutto. Amy aveva insistito, le aveva detto di provare almeno una volta, che poi poteva sempre lasciar perdere. Si era offerta di farsi trovare all’aeroporto, di accompagnarla da Nicole e restare con lei per tutto il tempo necessario. Jenny aveva avuto bisogno della spinta e del sostegno di una persona amica e oltre Amy non c’era nessun altro. Patty era a Barcellona con Holly, Evelyn non era neppure da prendere in considerazione e Jenny voleva a tutti i costi tenere Grace, la sua amica più cara, fuori da quella storia. Philip non era mai stato preso in considerazione. Nonostante la maretta sollevata da Julian per la sua scelta, Amy non si era tirata indietro e aveva risposto al fidanzato che parlare con Nicole prima e dopo la terapia, era almeno cinque volte più interessante che ascoltare i suoi professori durante le lezioni all’università.
E Julian aveva abbozzato finché aveva potuto, rispondendo con la censura alla sua decisione di frequentare casa Price. Vero che Benji per la maggior parte del tempo era in Germania, ma era vero anche che un paio di volte si erano incrociati, in concomitanza con gli incontri della nazionale. Con l’andare del tempo ogni argomento che riguardasse Fujisawa e i week-end che lei passava lì insieme a Jenny erano diventati tabù. All’inizio Amy aveva reagito al suo fastidio raccontando a Julian tutto ciò che succedeva, per dimostrargli che non aveva proprio nulla da nascondergli. Ma poi l’entusiasmo che lei lasciava involontariamente trapelare parlando delle lunghe conversazioni con Nicole, aveva peggiorato la situazione. Alla fine aveva capito che l’argomento non era assolutamente gradito e semplicemente non ne avevano più parlato.
Quella mattina, dopo che Evelyn l’aveva chiamata per raccontarle di Benji, aveva cercato disperatamente su internet notizie più precise. In giapponese non aveva trovato quasi niente, gli articoli in inglese che parlavano della sconfitta dell’Amburgo si contavano sulla punta delle dita di una mano. Allora aveva provato su youtube inserendo nella casella di ricerca il nome di entrambe le squadre. Aveva trovato i momenti salienti della partita e aveva salvato i vari link tra i preferiti. Aveva aspettato il momento opportuno e quando, dopo pranzo, prima di raggiungere Julian all’università, era rimasta finalmente sola in casa, con Rascal il coniglio che saltellava qua e là sulla scrivania mordicchiando le sue matite, era riuscita a vederla praticamente quasi tutta. Era rimasta scioccata, impietrita, non aveva fatto altro che pensarci per tutto il pomeriggio e la serata. E quella notte le aveva tolto il sonno.
Accostò piano la porta della camera da letto, percorse tutto il corridoio ed entrò nel salotto. Chiuse anche quella porta, frugò nella propria borsa, tirò fuori una carta prepagata per le chiamate internazionali (le sarebbe costato molto meno che telefonare col cellulare) e afferrò il cordless. Poi compose il numero di Benji. Aveva fatto i conti. Se in Giappone erano le quattro di mattina, in Germania doveva essere quasi ora di cena.
Fece squillare il telefonino del portiere per un tempo infinito, finché non cadde la linea. Lui non le rispose, tuttavia non riuscì a rassegnarsi a rinunciare. Era troppo preoccupata. Decise di lasciar passare qualche minuto e riprovare. Raggiunse la cucina, si versò un bicchiere d’acqua, poi tornò nel salotto per un altro tentativo.
Benji era sprofondato nel divano di casa sua e cercava di riemergere dall’incoscienza e dall’intontimento etilico. Il trillo insistente del cellulare gli stava perforando i timpani e se fosse riuscito a trovarlo lo avrebbe fatto smettere, con le buone o con le cattive. Agitò le braccia intorno a sé, tastando i cuscini. Lo sentiva persino vibrare, da qualche parte. Ma chi cazzo era che rompeva i coglioni a quell’ora? Incastrò le dita tra le pieghe della maglietta per cercarlo nelle tasche dei pantaloni. Poi lo trovò quando mosse un piede. Il cellulare era finito dalla parte opposta del divano, addosso all’altro bracciolo. Riuscì a tirarsi su scompostamente e ad afferrarlo, tutte le intenzioni di spegnerlo. Non gli interessava sapere chi fosse. La testa gli faceva male, fitte di dolore gli trapanavano il cervello. Strinse i denti mentre gli occhi socchiusi e gonfi si abbassavano sul display illuminato. Quel bagliore azzurro gli ferì lo sguardo. Si trovò a leggere un numero che non conosceva di una chiamata proveniente dal Giappone. Poteva essere chiunque, anche suo padre. Rispose in tedesco, brusco.
“Sono Amy.”
Il silenzio che provenne dall’altra parte del mondo, per lei fu eloquentissimo. Benji non si aspettava una sua telefonata e non fu contento di sentirla. Non quel giorno, non in quel momento, non in quelle condizioni. L’assalì con voce roca, sofferente, mentre allungava una mano verso il tavolo e prendeva un bicchiere. Il ghiaccio non si era ancora sciolto del tutto.
-Cosa diavolo vuoi?-
“Benji, come stai?”
Le rispose con una risata secca, ironica, amara.
-Una favola! Sono stato appena mollato dalla mia squadra e dalla mia ragazza. Come cazzo vuoi che stia?-
Amy non seppe quale delle due informazioni la sconcertò di più, così ne scelse una a caso.
“Marianne?”
-Sì, quella stronza opportunista!-
Nonostante il suo tono scortese e i suoi modi bruschi, la preoccupazione vinse la tentazione di riagganciare. Amy si fece coraggio e cercò di proseguire.
“Cosa significa che la tua squadra ti ha mollato?” il silenzio che seguì quella domanda fu interrotto da un rumore strano che non riuscì a identificare. Una specie di tintinnio.
-Significa che è andato tutto a puttane! Che passerò il resto del campionato in panchina!- la sua voce si spezzò di collera -Bastardi ingrati!-
Amy udì ancora il tintinnio e adesso riuscì a metterlo a fuoco. Era ghiaccio che cozzava contro le pareti di un bicchiere. Capì che Benji stava bevendo, molto probabilmente qualcosa di forte. Non seppe cosa rispondergli, lo sentiva furioso e terribilmente distante, molto più di quanto fisicamente lo fosse davvero. Si bloccò, chiedendosi per un attimo cosa avrebbe detto Nicole per tirarlo su di morale, per fargli sentire che gli era vicina.
“Dove sei?”
-A casa! Dove cazzo credi che sia?- ci fu un secondo di silenzio -E visto che non mi va di fare conversazione con nessuno, se hai finito col tuo maledetto terzo grado ti saluto.-
Riagganciò di colpo, Amy non ebbe neppure il tempo di salutarlo. Posò il telefono sul tavolino di fronte e si strinse le ginocchia al petto. Benji non l’aveva mai trattata in quel modo e non lo aveva mai sentito così. Lui era sempre controllato, sapeva cosa faceva, riusciva ad affrontare ogni situazione a testa alta, con la sua testardaggine, con la sua ostinazione, con il suo sarcastico ottimismo. Gli occhi fissi sul cordless nero, si rannicchiò sui cuscini e lasciò che l’angoscia e la preoccupazione la riempissero, respirando piano per non svegliare Julian.
Un senso di liberazione accompagnò il cellulare che Benji gettò sul tavolino. La violenza dell’urto staccò il coperchio posteriore e la batteria, che scivolò a terra. Cosa cazzo voleva Amy da lui? Prenderlo per il culo? Infierire insieme a Ross sulla sua umiliazione?
Non aveva mai sbagliato una volta, era stato per anni il miglior portiere della Germania! Nel campionato precedente aveva fregato persino Müller che alla fine si era fatto segnare da Schneider. Lui no, lui non aveva lasciato passare una palla per settimane! Si era fatto un culo immenso, era sempre stato presente agli allenamenti! Era il vicecapitano dell’Amburgo, cazzo! E per una volta che sbagliava, per un solo, unico e madornale errore, non sarebbe sceso più in campo finché il mister non avesse stabilito di averlo punito abbastanza! Cosa ci restava a fare in Germania? Con la cazzata che aveva commesso si era giocato la carriera e il posto di portiere titolare in ogni squadra della Bundesliga. E oltretutto quella stronza di Marianne, come aveva saputo ciò che era successo, era scomparsa, si era volatilizzata, nonostante i regali che le aveva fatto, le centinaia di euro spese per portarla nei posti più belli, costosi, di classe. Il mondo poteva andare a farsi fottere tutto, lui non aveva bisogno di nessuno!

Alle due Jenny si svegliò di soprassalto. Aveva sognato Philip e una versione più soft del loro ultimo litigio avvenuto mesi prima nei corridoi del nuovissimo stadio di Sapporo. L’episodio si era impresso a fuoco nella sua testa e nonostante i mesi ormai trascorsi, ricordava ancora tutto perfettamente, come se fosse successo il giorno prima. Philip era particolarmente nervoso fin dalla mattina, o forse anche dalla sera prima. Jenny non lo sapeva perché quando era rientrato a casa lei dormiva già e non lo aveva sentito. Ma durante la notte si era alzata e lo aveva trovato raggomitolato sul divano, addormentato davanti alla tv accesa, come ormai succedeva troppo spesso. Era rimasta a guardarlo dalla porta, gli occhi sul viso di lui, illuminato dalle luci bianche e blu dello schermo. Poi si era fatta coraggio ed era entrata portando con sé una coperta. Lo aveva avvolto nel plaid, aveva spento la tv ed era tornata in camera. Era riuscita a prendere sonno soltanto all’alba, la speranza che Philip presto si svegliasse e la raggiungesse a letto. Quando aveva aperto gli occhi era tardissimo e lui era già uscito.
Aveva pranzato da sola e poi aveva raggiunto lo stadio insieme a Grace. Dagli spalti si era accorta che il malumore di Philip era sceso in campo con lui, peggiorando con lo scorrere dei minuti. Poi c’erano stati quei due falli, che l’arbitro aveva fatto finta di non vedere o forse non aveva visto sul serio. Dopodiché l’espulsione.
Jenny aveva chiuso gli occhi per non guardare Philip che usciva adirato, sconfitto e umiliato. Si erano incontrati nel corridoio e non appena aveva incrociato il suo sguardo, aveva capito che avrebbe fatto molto meglio a non raggiungerlo. Quando lui l’aveva vista, aveva reagito malissimo.
Jenny aveva provato il desiderio irresistibile di voltargli le spalle e scappare, fuggire lontano per non ascoltare le parole che si erano abbattute su di lei crudeli, senza senso, senza un motivo. Per sfuggire al suo sdegno e alla sua collera, aveva abbassato gli occhi sul sangue che gli imbrattava un ginocchio. Avrebbe voluto chinarsi e ripulirgli la ferita come aveva sempre fatto, ma era rimasta impietrita dal suo sguardo. Lui l’aveva prima aggredita, poi le aveva detto chiaro e tondo che intendeva lasciarla. In quel momento aveva avuto l’impressione che le lacrime l’avrebbero soffocata. Aveva stretto inconsapevolmente le mani a pugno, come se ciò avesse potuto darle forza. Si era rifiutata di far entrare quella frase nella testa. L’aveva tenuta lontana per alcuni secondi, finché aveva potuto farlo. Poi era giunta la consapevolezza e lei era rimasta imbambolata in mezzo al corridoio, paralizzata da una straziante sensazione di perdita, ad osservare le spalle di Philip che si era voltato ed era sparito negli spogliatoi. Quella collera gelida e indifferente, quella distanza, erano state più dolorose di quanto avesse mai provato.
Era uscita dallo stadio in trance, brividi di freddo che le percorrevano il corpo, le mani ghiacciate, gli occhi colmi di lacrime che non volevano saperne di sgorgare. Non ricordava come aveva fatto a tornare a casa. Nel tragitto dallo stadio al loro appartamento in centro era sceso il buio più assoluto. Ricordava soltanto che quando era entrata, il cellulare che Philip aveva dimenticato sul comodino stava squillando. Si era avvicinata per guardare. Non aveva riconosciuto il numero ed era stata tentata di rispondere, poi si era detta che non era più suo diritto farlo. Lo aveva lasciato squillare finché non era caduta la linea, poi era andata in camera, si era gettata sul letto vestita e aveva cominciato a piangere. Lo aveva fatto per ore, finendo per addormentarsi distrutta. Si era svegliata la mattina successiva, il sole che entrava dalle finestre spalancate, la realtà ad accecarla con tutta la sua crudezza. Era sola. Philip non era tornato, non sarebbe più tornato. Aveva radunato le proprie cose con la mente appesantita dalla sofferenza e dalla disperazione, aveva ficcato i vestiti nella valigia più capiente, poi aveva appoggiato le chiavi di casa sul comodino, accanto al cellulare di Philip. Si era chiusa la porta alle spalle e se n’era andata.
Aveva ricominciato a piangere non appena aveva messo piede nella sua casa di Furano. Per tre giorni era rimasta sotto le coperte a galleggiare nell’angoscia. La speranza che lui la richiamasse e le chiedesse scusa si affievoliva man mano che le ore passavano, che passavano i giorni. Aveva fluttuato in quel limbo di sofferenza per un periodo indefinito, durante il quale si era alzata solo per andare in bagno quando non aveva potuto proprio farne a meno. Non era riuscita più a mangiare, neppure a scendere di sotto, a raggiungere la cucina. Philip non l’aveva mai chiamata. Il quinto giorno si era riscossa e si era rifugiata a Shintoku, pensando che la tranquillità del ryokan e l’affetto dei nonni l’avrebbero fatta sentire meglio. Invece lì ogni cosa, ogni stanza, ogni luogo, ogni strada, le ricordavano lui. O quando non le ricordavano Philip le ricordavano David, e si sentiva ancora peggio. I giorni erano passati, si erano accumulati uno sull’altro tutti uguali, rincorrendosi in un’esistenza senza significato. Il tempo le era scivolato addosso senza toccarla, senza scalfirla. Non pensava più a niente, non voleva più niente, non le importava di nessuno. Non reagiva neppure alle irritanti battute di Kevin. Aveva smesso di dedicarsi alle traduzioni e aveva perso il lavoro, non aveva più frequentato l’università, non aveva più studiato per gli esami. Le settimane si erano susseguite, a Natale e Capodanno era andata a New York dai suoi. Poi era scappata anche da lì ed era tornata dai nonni, dove era rimasta finché il pensiero che il ryokan era ormai di David si era fatto insopportabile. Allora le era venuto in mente Mark e aveva deciso di provare a seguirlo per ricostruirsi uno straccio di vita in un altro continente.
Jenny allungò una mano verso il tavolino e accese il lume. Si guardò intorno, la camera verde le infuse tranquillità. Il libro che stava leggendo la sera prima giaceva tra le pieghe delle coperte su un lato del letto. Lo prese e lo sfogliò osservando le foto. Era una guida di Torino in giapponese, su cui aveva segnato con pazienza tutti i posti che avrebbe voluto visitare. Riprese a leggere, cercando di scacciare il pensiero di Philip e del suo arrivo in Italia che si faceva sempre più vicino. 







Referenze fotografiche
Qui di seguito il link dei luoghi in cui si svolgono alcune scene del capitolo: https://photos.app.goo.gl/EyDZ1wUkEcqYKCsB2
- Il roseto della cioccolateria che produce un biscotto famosissimo in Giappone che equivale più o meno ai nostri Baci Perugina perché il nome, Shiroi Koibito, vale a dire "Amanti bianchi", fa riferimento alle due cialde unite insieme da una sfoglia di cioccolato bianco. Roseto e cioccolateria sono al di là della strada che costeggia il campo di allenamento del Sapporo;
- Il campo di allenamento del Sapporo;
- Il Sapporo Dome, costruito per i mondiali Korea-Japan del 2002. L'Italia ha giocato, e vinto, la partita contro l'Ecuador. All'interno della capsula in acciaio è custodito il campo da baseball della squadra della città. Quando il Sapporo gioca in casa una partita importante, o le temperature sono troppo rigide per consentire di giocare all'apertoin un altro stadio della città, il campo da calcio viene fatto entrare all'interno della copertura.

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Capitolo 6
*** Quinto capitolo ***


Quinto capitolo



-Ecco Philip e Peter.-
Tom individuò gli amici tra i numerosi viaggiatori che riempivano la hall dell’Aeroporto Internazionale di Narita. Anche loro, come tutti gli altri, indossavano un completo elegante blu scuro con lo stemma della JFA sul petto che li rendeva troppo simili e immediatamente individuabili agli occhi dei giornalisti.
Philip e Peter erano in ritardo di quasi due ore all’appuntamento, perché il maltempo aveva impedito al loro aereo di decollare puntuale da Sapporo. Un tifone imperversava da due giorni sull’arcipelago giapponese nordorientale. Gli scrosci di pioggia e grandine che si stavano abbattendo su Tokyo dalla sera precedente, in Hokkaido si erano trasformati in una violenta bufera che durante la notte aveva invaso le piste con svariati centimetri di neve. L’operazione di pulizia, iniziata prima ancora che facesse giorno, aveva congestionato il traffico aereo dell’intera nazione.
Gamo era entrato in fibrillazione dopo la prima ora di attesa. Aveva preso d’assalto il box informazioni della business class e aveva convinto il personale a mettersi in contatto sia con il pilota del volo di Philip sia con quello, appena entrato in servizio, che avrebbe affrontato il viaggio intercontinentale verso l’Italia. Gamo non era disposto a rinunciare, per colpa del maltempo, anche al suo secondo capitano e si sarebbe incatenato al carrello del loro boeing pur di impedirgli di decollare senza di lui. Grazie a Dio Callaghan e Shake erano infine arrivati.
Julie Pilar camminava altera accanto a Philip e Peter, dietro di loro, conversava fitto fitto con Grace. Tom conosceva poco l’ex manager della Flynet, si erano incontrati mesi prima sia a casa di Jenny che nella fattoria di Gerald Pepper, ma la riconobbe immediatamente nonostante quel giorno la mancanza dei grandi occhiali che di solito le addobbavano il viso, la rendesse decisamente più graziosa.
Lo sguardo di Tom si spostò di nuovo sull’affascinante modella. Era sorpreso di vederla lì, non credeva che Philip sarebbe arrivato al punto da farsi accompagnare in un’occasione ufficiale. Accanto a lui Clifford esternò il proprio stupore per lo stesso identico motivo.
-Non ci posso credere! Callaghan s’è portato dietro la donna! Dev’essere impazzito!-
I compagni risero. Lo sgomento di tutti era legittimo. Per la prima volta Philip si presentava davanti all’intera squadra, allo staff e agli allenatori in compagnia della ragazza che stava frequentando. Finché lui e Jenny erano stati insieme, non era mai accaduto.
-Ha capito che era inutile nasconderla. Le foto di Julie Pilar sono ovunque.-
Ralph Peterson non aveva tutti i torti. Se anche Philip avesse desiderato tenerla lontano dagli occhi degli amici come aveva fatto con la sua precedente fidanzata, non avrebbe proprio avuto modo di riuscirci.
Evelyn e Amy si scambiarono un’occhiata silenziosa.
-Callaghan ha fatto davvero un bel colpo!- approvò Bob Denver frugandosi a casaccio nelle tasche in cerca di una penna che sapeva benissimo di non avere -Credo che le chiederò un autografo.-
Julie Pilar indossava un abito di lana rosso scuro che le arrivava sopra il ginocchio e un paio di stivali neri col tacco alto. Il cappotto scuro era sbottonato e le due estremità della cinta  ondeggiavano sui fianchi al ritmo dei suoi passi. I capelli sciolti e lunghi le incorniciavano il viso. Era girata verso di loro e il suo sguardo brillava di compiacimento e curiosità. Il piccolo trolley che trascinava dietro di sé, risvegliò la curiosità di Evelyn.
-Parte con noi?-
Amy sussultò.
-Mi auguro di no!-
-Come no!- gli occhi di Clifford furono attraversati da un lampo di speranza -Speriamo di sì, invece!-
Philip si fermò molto prima di raggiungerli. Poggiò la propria valigia a terra e si frugò nelle tasche. Diede qualcosa a Julie, lei si sedette su una delle poltroncine libere e si separarono. Mentre Philip, Grace e Peter proseguivano verso la squadra, la modella tirò fuori il cellulare dalla borsa e se lo accostò al viso.
Grace si risparmiò i saluti a Gamo e Marshall che conosceva a mala pena di vista e proseguì verso le ragazze. Amy le presentò Evelyn, dopodiché non lasciò passare neppure un secondo per farle la domanda che più le premeva.
-Hai avuto notizie da Jenny?-
-Nulla.-
Grace mentì, costretta a farlo nonostante l’espressione di genuina preoccupazione che scorse sul suo volto. Le dispiacque, sapeva quanto Amy fosse stata vicina a Jenny mesi e mesi prima. Ma l’amica le aveva chiesto il silenzio e lei lo avrebbe mantenuto. L’aspetto positivo di tutto ciò era che presto l’avrebbe incontrata in Italia e si sarebbe tolta da sola la preoccupazione e la curiosità di sapere dove fosse finita.
Amy lasciò vagare affranta gli occhi sulle vetrate che davano sulle piste e sulla pioggia battente che inondava l’asfalto creando pozzanghere ampie come laghi. Evelyn, ferma accanto a lei, tirò fuori il cellulare, lo puntò addosso alla modella, rubò qualche foto senza che lei se ne rendesse conto e sfoderò nei confronti di Grace tutto il suo interesse di giornalista.
-Perché Julie Pilar è qui? Parte con noi?-
La giovane scosse la testa.
-Figuriamoci! Il calcio non le interessa minimamente.-
Evelyn sorrise.
-Mi sarei stupita del contrario.-
-Infatti. Le interessa soltanto se stessa. Doveva venire a Tokyo per lavoro, così ha deciso di imbucarsi sul nostro stesso volo.- lanciò un’occhiata poco entusiasta a Julie -E poi ne ha approfittato per farsi fotografare con Philip. Le piace così tanto mettersi in mostra…-
Amy si riscosse dal suo mutismo.
-Tu vieni con noi, Grace?-
Lei fece spallucce.
-Perché dovrei venire? Non sono la fidanzata di nessuno e tanto meno una giornalista.- le strizzò un occhio mentre Peter Shake le raggiungeva -Vado da mia zia a Osaka, mia cugina ha appena partorito un bimbo.-
Evelyn riprese il suo terzo grado.
-Da quanto tempo stanno insieme quei due?-
Peter si irrigidì.
-Ti sbagli. Lei e Philip non stanno insieme, si vedono solo per far sesso.- la sua intenzione era quella di difendere l’amico e svilire la sua relazione con la tipa, ma ci riuscì malissimo. Anzi non ci riuscì affatto.
Amy trattenne il fiato davanti a tanta schiettezza, ma Evelyn non fece una piega. Si limitò ad incamerare l’informazione, continuando ad investigare ancora.
-Te l’ha detto Philip?-
Peter incrociò quegli occhi che bruciavano di insoddisfatta curiosità e si sentì improvvisamente a disagio. Forse aveva parlato troppo. Guardò Grace in cerca di aiuto, ma lei lo fissava contrariata e non disse una parola per levarlo d’impaccio.
-In realtà no, diciamo che l’ho capito da solo.-
-Ha lasciato Jenny per mettersi con lei?-
-No!- Grace la fissò allibita -Come ti viene in mente? Pilar non c’entra niente, lei e Philip si sono conosciuti mesi dopo!-
Amy scosse mestamente la testa.
-Non è così. L’abbiamo incontrata un anno fa a Kyoto. Stava facendo un servizio fotografico negli stessi studi in cui è stato girato e montato lo spot della J-League.-
Negli occhi di Grace passò un lampo di panico mentre osservava Philip che tornava da Julie.
-Non lo sapevo.- si volse verso Peter -E tu?-
L’amico scosse la testa. Grace rabbrividì, il terrore che l’ipotesi di Evelyn fosse esattamente la verità. Sapeva che i problemi tra Philip e Jenny erano cominciati a Kyoto, ma Julie non era mai entrata in quel poco che era riuscita a capire e intuire durante quei lunghi e sofferenti mesi. Jenny non le aveva detto nulla di lei, non ne aveva mai accennato. Certo, Jenny non le aveva mai parlato neppure di ciò che era successo a Kyoto e Grace, alla fine, si era rassegnata alla sua decisione di tacere. Forse era il caso di rivelare alle ragazze che avrebbero trovato l’amica in Italia. Poi decise di no, non avrebbe mai infranto una promessa fatta a Jenny. Alzò gli occhi sull’enorme orologio appeso alla parete.
-Devo andare, altrimenti perdo il treno. In bocca al lupo per la partita.- sorrise e salutò, mentre Shake l’accompagnava all’uscita.
-Peter e Grace stanno insieme?- domandò Tom facendo ai compagni la stessa domanda che tempo prima si era posto al fienile di Gerald Pepper, una domanda alla quale ancora non era riuscito a trovare una risposta.
Bruce fece spallucce. Non gliene importava un fico secco. Tutta la sua attenzione era concentrata su Julie. A Kyoto il copione su cui lei gli aveva fatto l’autografo era inspiegabilmente sparito e quella era l’occasione giusta, forse l’unica che avrebbe mai avuto, per richiederglielo. Infatti non credeva neppure un po’ che tra lei e il compagno sarebbe durata. Julie Pilar era veramente troppo… troppo! per uno come Philip. Si guardò intorno, in preda al timore che la modella si alzasse e se ne andasse lasciandolo a mani vuote.
-Una penna… Avete una penna?-
-Cosa devi farci?-
-Voglio un autografo!-
Evelyn saltò su indignata.
-Gliel’hai già chiesto a Kyoto!-
-L’ho perso! Ho perso il copione su cui l’aveva fatto.- lanciò un’occhiata sospettosa ai compagni -O forse qualcuno di voi me l’ha rubato proprio perché c’era il suo autografo.-
Julian rise.
-Sicuramente Philip, visto che poi ci si è messo insieme.-
Amy non gradì la battuta e gli lanciò un’occhiata storta. Bruce, continuando a frugare nel proprio bagaglio a mano, annuì deciso.
-Vai a vedere che era un suo fan sfegatato e che ce lo ha tenuto nascosto!-
Tirò fuori una rivista tutta spiegazzata, lasciando i compagni a bocca aperta. La faccia di Julie era sulla copertina. Non solo la faccia in realtà. C’era anche il suo succinto bikini azzurro, che mostrava molto più di ciò che nascondeva.
-Perché hai una rivista di quella tizia nello zaino?- la voce scioccata di Amy uscì quasi stridula -Evelyn, ti pare normale?!-
-Che posso farci? Compra di tutto!-
-Fa’ vedere!- Julian gli tolse il settimanale dalle mani e lo sfogliò. A Julie Pilar era dedicato un servizio completo nelle prime pagine -Notevole.-
I ragazzi si accalcarono intorno alla rivista. Nella foto successiva Julie Pilar occupava entrambe le facciate. Adagiata supina sul sedile posteriore di una macchina, era stata fotografata orizzontalmente dalla testa alle cosce. Indossava un bikini lilla molto chiaro, con delle piccole decorazioni blu. L’illuminazione soffusa metteva in risalto la pelle liscia e vellutata della pancia e la fossetta scura dell’ombelico, formandole sul volto un’espressione che, grazie alle labbra socchiuse, aveva un qualcosa di profondamente sensuale. I suoi capelli erano scompigliati sulla fronte, come se fossero stati mossi da un colpo di vento, e un’espressione leggermente imbronciata la rendeva ancora più sexy.
-Porcaccia, Philip è veramente fortunato!- Clifford stava praticamente sbavando -Ma ci pensate a mettere le mani su un corpo del genere?- sospirarono in coro -Gira, Ross.-
Julian voltò pagina. Di nuovo un primo piano di Julie, questa volta a mezzo busto, con indosso una banale camicia a quadretti neppure troppo sbottonata. Ma nella pagina accanto, eccola di nuovo in un costume rosa e bianco, seduta tra le lenzuola spiegazzate di un letto, un gomito appoggiato sul cuscino. E poi, ancora, altre due pagine di foto. Infine una specie di curriculum, una massa di informazioni dettagliate che menzionavano la data di nascita, le scuole frequentate poi i negozi dove si serviva abitualmente, perfino l’indirizzo della sua casa natale e la pianta del suo appartamento schizzata a mano.
-A chi interessa sapere tutte queste cose?- chiese Evelyn che stava dando una sbirciata -E poi l’indirizzo attuale non c’è e tanto meno ci sono notizie sulle sue relazioni sentimentali.- rise divertita -In questa massa di informazioni dettagliate mancano proprio quelle fondamentali.-
Julian richiuse la rivista e la restituì a Bruce. Evelyn fissò il fidanzato.
-Se le chiedi un autografo giuro che stavolta non ti perdono!-
-Ma Eve!-
-“Ma Eve” niente!- gli strappò la rivista dalle mani e gliel’agitò minacciosamente davanti al viso. Il ragazzo balzò indietro -Devi smetterla di comprare queste schifezze! E soprattutto di fare il cascamorto con chiunque abbia due tette!-
Clifford rise della stizza della cugina.
-Quella non è chiunque! Tu sei chiunque, non Julie Pilar! E se l’articolo fosse stato sul tuo giornale, non avresti mai detto a Bruce di non comprarlo!-
Evelyn divenne paonazza.
-Fatti gli affari tuoi, Clif!- si rivolse a Bruce -Stai dalla parte della concorrenza! È come se io tifassi per l’Italia!- gli pestò un piede facendolo sobbalzare con un grido di dolore.
-Eve!-
Ignari di tutto quel casino, Philip e Julie si salutarono senza baciarsi, senza sfiorarsi, senza una stretta di mano. La ragazza s’incamminò verso l’uscita e la varcò. Non si girò indietro neanche una volta. Philip rimase a guardarla finché non fu sparita, anche se i suoi pensieri si erano allontanati da lei già da un bel po’. Rifletteva su ciò che lo aspettava con la squadra e che non lo entusiasmava per niente. Si riscosse e si volse per raggiungere i compagni. Mentre percorreva il grande atrio dell’aeroporto, all’improvviso si irrigidì e si bloccò, totalmente incapace di proseguire. Inchiodato sul pavimento non riuscì a fare più neppure un passo. Dimenticò persino di respirare mentre i suoi occhi fissavano sgomenti una fila di poltroncine di plastica blu lungo le vetrate, sedili che in quell’istante non erano occupati da nessuno. Li riconobbe subito, il ricordo gli attraversò la mente fulmineo e luminoso come una cometa: lui seduto lì con la divisa della Flynet bianca e arancione, sudata e sporca dopo la partita, i calzettoni macchiati di terra e di erba, un ginocchio escoriato che aveva sanguinato fino alla caviglia. In una mano stringeva la fascetta, l’altra ce l’aveva posata sul sedile della poltroncina accanto. Jenny era inginocchiata davanti a lui, una camicetta di un rosa molto tenue, la gonna blu scuro, i capelli tagliati in un caschetto corto, le lacrime che le rigavano le guance, in mano il fazzoletto con cui gli aveva ripulito la ferita. Quella scena di tanti anni prima gli balenò davanti agli occhi con un tale realismo che per un secondo fu convinto di vedere davvero se stesso seduto lì, di fronte a Jenny, di sentire il suo profumo nelle narici, percepire il corpo morbido di lei contro il suo quando, un istante dopo, l’aveva stretta quella prima e indimenticabile volta tra le braccia. Quando ancora avevano quindici anni e lei stava partendo con sua madre per New York. Una fitta di dolorosa nostalgia lo attraversò tutto, poi Ralph lo raggiunse e lo riscosse con una pacca sulla schiena che lo sbilanciò in avanti facendogli quasi perdere l’equilibrio.  
-Un bel bocconcino, eh? Non viene con noi?-
A Philip servì un istante per dare un senso a quelle parole, per capire che Peterson si riferiva a Julie.
-Certo che non viene.- mai e poi mai avrebbe proposto a Julie di accompagnarlo e sicuramente mai e poi mai lei lo avrebbe seguito. Con un moto di fastidio si sganciò dal compagno, perché non gli andava di udire altri commenti di quel tipo. Si sedette pensieroso, in attesa dell’apertura del gate. In quegli ultimi giorni il tempo sembrava aver accelerato all’improvviso, trascinandolo in un turbine di azioni senza senso. Come quell’assurda telefonata a Shintoku. Non riusciva ancora a capacitarsi di un gesto di cui si era pentito non appena la nonna gli aveva risposto. O come quella di consentire che per qualche giorno Sheryl, che abitava ad Hakodate ma stava cercando lavoro a Sapporo, dormisse nel suo appartamento lasciandole il letto e occupando il divano. Forse questo era accaduto perché quella mattina che avevano fatto colazione insieme si era ritrovato attratto molto più da lei che da Julie. Certo non era altrettanto bella, ma il fascino era poca cosa rispetto alla sua simpatica personalità. E soprattutto non gli rompeva l’anima chiedendogli di continuo cosa avesse.
-Philip? Sei ancora tra noi?-
Il tono insistente della domanda lo riscosse. Si volse verso Julian che gli porgeva una rivista.  
-Hai visto?-
-Cosa?- l’afferrò al volo, gli occhi stupiti sulla foto di Julie che troneggiava in copertina. Aprì il giornale e sfogliò le prime pagine, poi lanciò un’occhiata ai compagni.
-Perché fai quella faccia? Non sapevi che la tua ragazza facesse la modella?
-Certo che lo sapevo.-
Bruce gli fece l’eco, quasi nello stesso istante.
-Certo che lo sapeva! Tutti abbiamo visto che lavoro fa!-
Philip tornò ad abbassare gli occhi sulle foto. Sfogliando ancora una volta le pagine si disse che forse doveva davvero mettersi con qualcuna come Sheryl, più sensibile, più simpatica e soprattutto più anonima. Non lo entusiasmava sapere che altri maschi sbavavano sul corpo della ragazza che frequentava. E pensare che quella era la prima volta in assoluto che si soffermava ad osservare Julie così attentamente. Ma si stancò presto di farlo. Dopo aver voltato un paio di pagine perse completamente interesse, come succedeva sempre. Chiuse la rivista, la restituì a Bruce e si sfilò dalla tasca il cellulare che aveva preso a squillare. Si alzò e si allontanò, ringraziando tra sé e sé sua sorella che gli aveva evitato una prevedibile sfilza di commenti imbarazzanti.
Nella Business Class dell’aereo, la curiosità dei ragazzi nei confronti di Julie Pilar si era dissolta di colpo, scalzata dall’eccitazione di dover affrontare di nuovo una trasferta intercontinentale così lunga. Philip si accomodò al proprio posto, si tolse la cravatta e la giacca e cercò di rilassarsi. Non era la prima volta che sopportava un volo di dodici ore con la nazionale al completo, ma quel giorno dover restare per tutto quel tempo a stretto contatto con i compagni gli sembrava molto più una gran rottura di palle.
Il segnale che obbligava a tenere allacciate le cinture di sicurezza si spense e Amy, che fremeva per alzarsi, la sganciò e si mise in piedi. Julian si scostò per lasciarla passare.
-Dove vai?-
-In bagno.-
Amy si chiuse nella toilette e si guardò allo specchio, trovando nel proprio sguardo una preoccupazione che cercava in tutti i modi di arginare. Per la prima volta in assoluto non le andava di incontrare Benji. Non le andava addirittura più di quanto non le era andato quasi tre anni prima, quando si era imbucata al ritiro dei ragazzi a Shintoku, insieme a Patty, Evelyn e Jenny. Non voleva vederlo, non dopo come lui l’aveva trattata. Cosa poteva dirgli? Al telefono si era infuriato ed era molto probabile, anzi pressoché certo, che in Italia la ignorasse fin da subito. D’accordo, aveva sbagliato a chiamarlo. Probabilmente prima di farlo avrebbe dovuto lasciar passare qualche giorno. Oppure, e forse anche meglio, avrebbe dovuto non telefonargli affatto. Era stata una stupida a credere che sarebbe stato contento di sentirla. Benji l’aveva trattata a pesci in faccia e dopo aver scaricato su di lei buona parte del suo nervosismo, aveva riattaccato. E ora, quando l’avesse rivisto, cosa avrebbe dovuto fare? Sospirò. Di sicuro sarebbe stato meglio stargli alla larga ed evitarlo il più possibile. Non doveva assolutamente permettergli di sfogare su di lei tutta la sua frustrazione, come aveva già ampiamente fatto. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Evelyn sospirò e Bruce si volse.
-Che hai?-
Lei reagì irrigidendosi. Non si era neppure accorta di aver esternato in quel modo la sua ansia. Socchiuse le labbra per rispondergli, l’aereo prese un vuoto d’aria e le parole le si bloccarono a metà. Lo stomaco le salì in gola, vide Bruce stringere il bracciolo tra le dita con una forza tale che la sua pelle sbiancò. Quella terribile sensazione durò solo pochi istanti, dopodiché il velivolo si stabilizzò. Ripresero a respirare e tornarono a guardarsi.
-Niente, perché?-
-Perché stai sospirando da quando ti sei seduta sull’aereo, o forse anche prima ma magari ci ho fatto caso solo adesso. Ti rode per la storia di Julie?-
-Che storia?-
-Il fatto che volessi il suo autografo. In fondo poi non gliel’ho chiesto, quindi è tutto a posto, no?-
-No, non è per l’autografo. Sono solo pensierosa.-
-Lavoro?-
-Sì.-
-Non puoi non pensarci, ogni tanto?-
Lei annuì distratta. Lanciò un’occhiata a Philip che sedeva due posti più avanti e armeggiava con lo schermo touch-screen del sedile. Probabilmente stava scegliendo un film da guardare. Quando la hostess gli porse il pacchetto degli snack lui lo prese e accennò un sorriso tirato.
Evelyn aveva urgente bisogno di parlargli. O meglio, non che fosse così urgente, in fondo lo avrebbe avuto a portata di mano per più di una settimana e l’occasione si sarebbe in qualche modo presentata da sola. Il fatto era che voleva togliersi il pensiero. Bruce la guardò, puoi guardò Philip, poi tornò a guardare lei.
-Perché lo stai fissando?-
Evelyn trasalì.
-Chi?-
-Vuoi provare a richiedergli di nuovo che fine ha fatto Jenny?-
-Tempo perso, è chiaro che non lo sa.-
Poche file più in là Danny Mellow posò una mano sul braccio di Ed per attirare la sua attenzione visto che era già la seconda volta che lo chiamava e lui, preso da chissà cosa, non se n’era neppure accorto.
-A cosa stai pensando?-
Il portiere gli rispose con un borbottio indistinto e spostò gli occhi su Gamo che si era alzato per tirar fuori la sua ventiquattrore dal portaoggetti sopra il sedile. L’ultimo giorno del loro ritiro nel centro sportivo di Shizuoka, Ed era entrato nello studio del mister in un momento in cui quello era da solo e lo aveva minacciato di non salire sull’aereo se non gli avesse garantito l’ingresso in campo durante la partita contro l’Italia. Colto in contropiede, Gamo lo aveva guardato con la bocca spalancata e aveva impiegato decisamente troppo tempo a rispondergli. Ed si era sentito rimescolare dalla stizza e aveva interpretato, probabilmente in modo corretto, la sua reazione.
“Ha già deciso di far giocare Price, vero?”
Gamo aveva cercato di riprendere il controllo. Aveva tossito imbarazzato, si era schiarito la voce e poi aveva sorriso, un sorriso forzato, quasi una smorfia.
“Non ho deciso ancora niente, la formazione è tutta da stabilire. Non ne ho parlato neppure con Marshall.”
“Non vengo in Italia se lei non mi assicura che scenderò in campo.”
“Ed…” si era alzato e gli era andato vicino.
Lui aveva fatto un passo indietro e aveva mantenuto le distanze.
“Allora?”
“Ed, cerca di capire. Non posso decidere da solo. Devo consultarmi con Marshall, con Pearson… Della formazione non abbiamo ancora discusso…”
“Lei può benissimo decidere da solo. Lo fa sempre, e quando si mette in testa una cosa non ascolta nessuno.” gli aveva lanciato un ultimatum “Se lei non mi dà la garanzia che giocherò contro l’Italia, non partirò con voi.” gli aveva voltato le spalle e aveva raggiunto la porta “Ci dorma su e domani mattina mi faccia sapere cos’ha deciso.” era uscito sbattendo la porta e Gamo non aveva tentato di fermarlo.
Strinse i pugni e spostò gli occhi su Amy che stava uscendo dal bagno con un’espressione cadaverica. L’aereo sussultò di colpo, lei perse l’equilibrio e si aggrappò al sedile di Tom per tenersi in piedi. Mentre la ragazza arrancava con difficoltà verso il suo posto e Ted Carter, una fila più in là, si lamentava del rollio, si volse verso l’oblò. La pioggia fuori era così fitta che non si vedeva niente. Il cielo era grigio, compatto. Non si scorgevano neppure i profili delle nuvole. L’acqua che scorreva sul vetro lasciava strisce frastagliate che rendevano l’esterno ancora più indefinibile. L’annuncio di una hostess obbligò chi si era alzato a tornare seduto e allacciare le cinture di sicurezza.
Ed sentì Clifford ridere e Sandy rispondere lamentoso.
-Lasciami stare, mi viene da vomitare…-
-Non preoccuparti, mangerò io la tua cena.-
Danny si girò di scatto, perché Winters sedeva proprio dietro di lui. Aveva assunto un colorito verdastro che non presagiva nulla di buono.
-Non ci provare, Sandy! Se devi vomitare, alzati e vai in bagno!- gli disse nauseato. Vide Yuma allungare al compagno la bustina per il mal d’aria e fissò incredulo Ed che non sembrava per niente colpito da quello spettacolo raccapricciante.
-Evelyn, nel prossimo articolo devi scrivere che Sandy Winters ha vomitato addosso a mezza nazionale.- rise Yuma.
-Che schifo!- lei arricciò il naso disgustata -Puoi scordartelo, non scrivo proprio niente del genere.-
Bruce fu d’accordo.
-A chi può fregargliene che Sandy soffre il mal d’aria?-
La vocina di Winters sembrò arrivare dall’oltretomba.
-Smettetela, sto quasi bene…-
-Sarà Sandy, ma io per sicurezza mi trasferisco.- Clifford si alzò, nonostante il segnale che obbligava a tenere le cinture allacciate non si fosse spento, e prese posto accanto a Paul Diamond che stava guardando un film e non gli badò.
Ed distolse l’attenzione dagli amici e tornò a chiedersi se veramente Marshall e Gamo avrebbero mantenuto la promessa. Il mister alla fine aveva dovuto capitolare e Price sarebbe schiattato di rabbia. Non vedeva l’ora che ciò accadesse, persino Mark ne avrebbe goduto. Pensò all’amico che li aspettava in Italia con un brivido di disagio. Era sicuro che ce l'avesse ancora con lui per la questione di Jenny. Dopo la telefonata velenosa che gli aveva fatto appena giunto a Torino, Ed aveva cercato in tutti i modi di scoprire qualcosa in più sulla fine della storia tra lei e Philip, ma anche chiedendo discretamente qua e là, nessuno era riuscito a dargli l’informazione che cercava. Persino durante l'incontro della nazionale a casa di Price aveva tenuto occhi e orecchie ben aperti, sperando di carpire qualche straccio di conversazione che riguardasse Jenny. Invece niente, non ne avevano assolutamente parlato, non in sua presenza almeno. E questo Mark non gliel’avrebbe perdonato.
A Philip non fregava assolutamente niente del film che stava seguendo, anche perché la fantascienza non era il suo genere. Eppure sembrava che tenere le cuffiette infilate nelle orecchie fosse un buon deterrente per i compagni. Sentiva ogni tanto le loro voci, quando la colonna sonora non gli sfondava i timpani, ma era da quasi un’ora sull’aereo e ancora non si era avvicinato nessuno. Grazie al cielo il temporale teneva tutti legati ai sedili. Le scene si susseguirono senza senso davanti ai suoi occhi mentre si chiedeva di nuovo se non fosse il caso di lasciare Julie e mettersi con Sheryl. La tentazione era forte, ma purtroppo lei non abitava a Sapporo mentre Philip aveva bisogno di una ragazza che soddisfacesse necessariamente questo requisito, altrimenti non avrebbe avuto nessun appoggio in quella città e sarebbe dovuto tornare ad abitare in modo stabile nel suo appartamento. A meno che non avesse chiesto a Sheryl di trasferirsi da lui... insomma qualsiasi cosa pur di non affrontare l'attico da solo, almeno per i primi tempi… Ecco, questa poteva essere una soluzione. Si chiese cosa ne avrebbe pensato la ragazza, non sapeva neppure se fosse libera. Lei non glielo aveva detto e lui non glielo aveva chiesto. Poi si domandò come dire a Julie che tra loro era meglio finirla.
-Philip, dobbiamo parlare.-
Alzò la testa sorpreso. Gamo era in piedi al centro del corridoio, proprio davanti a lui. Lanciò un’occhiata al segnale delle cinture. Porca miseria, era spento. Si volse verso l’oblò, il temporale sembrava essere passato. L’aereo era salito di quota e ora al di là del vetro si scorgeva soltanto un’infinita distesa di azzurro pervinca. Si tolse le cuffiette e udì la potente risata di Yuma. Gli lanciò un’occhiata e lo vide colpire i ricci di Johnny Mason con la rivista di bordo. Tornò a rivolgere la propria attenzione al mister.
-Parlare di cosa?-
Gamo abbassò la voce.
-Abbiamo un problema con la formazione.-
-Di già?- a Philip la notizia non fece per niente piacere. Si alzò, seguì in silenzio l’allenatore e insieme raggiunsero Freddie Marshall e Kirk Pearson. In quattro presero posto nel minuscolo salottino della Business Class, con fare molto più preoccupato che misterioso.

La nonna non fu l’unica a telefonarle. Poche ore prima che l’aereo della nazionale giapponese atterrasse all’aeroporto di Caselle, la chiamò anche Grace. Jenny era sola in casa, erano le due del pomeriggio e Mark si era fermato a pranzo al centro sportivo con i compagni della Juventus. Sarebbe tornato più tardi, o forse sarebbe andato addirittura a prendere gli altri all’aeroporto insieme a Rob. Non le interessava saperlo. Quel giorno non le interessava nulla. Grace la chiamò sul numero fisso che alla fine Jenny le aveva dato, perché l’amica non sopportava più di non poterle telefonare ogni volta che ne aveva voglia. Quando rispose la sentì lontanissima, o forse era lei ad esserlo, nel tentativo di estraniarsi dalle preoccupazioni di quegli ultimi giorni.
“Philip sta venendo lì.”
-Lo so.-
“Riuscirete a chiarirvi?”
-Grace, non c’è nulla da chiarire.-
“C’è sempre qualcosa da chiarire.” esitò, poi continuò “Sai di Julie Pilar?”
Jenny non voleva assolutamente parlarne, ma fu costretta ad assentire.
“Hai visto la foto?”
-Sì.-
“Non ti devi preoccupare, sai? Lei è tremendamente noiosa e poi non si tratta di una cosa seria… Si vedono pochissimo.”
-Quanto basta per farsi fotografare.-
“È stato un colpo di sfortuna. Quando vedrai Philip dovrai semplicemente far finta che Pilar non esista, capito?”
Come se fosse facile.
-Grace, non farti strane idee. Viene qui per giocare contro l’Italia, non per rimettersi con me.-
“Sarebbe intelligente da parte sua unire l’utile al dilettevole…” le sfuggì una risatina “Nel vero senso della parola. E tieni presente che per come la penso io, tu sei l’utile e la partita è il dilettevole. C’è Peter con lui, vedrai che ti darà una mano.”
-Smettila di pensare che torneremo insieme.- la sua presunzione le dava fastidio e cercò di smontarla -Anch’io sto con un altro.-
La ragazza, dall’altra parte del mondo, impiegò un secondo a fare due più due.
“Con Landers?” ricordava perfettamente che l’anno prima Amy le aveva detto che Mark trattava Jenny in un modo tutto speciale.
-Certo che no!-
“E con chi? Che sta in Italia non mi viene in mente nessun altro… A parte Philip che sta arrivando.”
-Non esistono solo Mark e Philip.-
Grace rise.
“Per fortuna no, altrimenti io rimarrei zitella.”
Jenny non aveva voglia di scherzare, neppure di parlare. Cercò di tagliare corto.
-Se continui a stare al telefono, ti arriverà una bolletta da infarto.- la sentì sospirare.
“Già… eppure ho ancora un sacco di cose da dirti. Quando pensi che lo incontrerai?”
-Il più tardi possibile e se posso evitare sappi che lo farò.-
“Comunque sia, io tifo per voi due. In bocca al lupo.”
Jenny riagganciò e posò il cordless sulla scrivania. Si sedette davanti al ripiano, aprì il cassetto e tirò fuori la foto che aveva ritagliato dalla rivista di Mark il giorno in cui aveva messo piede in quella casa. Ricordava che dopo averlo fatto era rimasta per ore con le lacrime agli occhi a fissare il volto di Philip, a studiare la sua espressione e cercare di capire cosa stesse provando mentre baciava Julie. Non era riuscita ad immaginarlo. Il suo sguardo era celato dalle palpebre abbassate e in quei mesi di lontananza il suo viso le era diventato completamente estraneo.
Con l’inconsapevole proposito di scacciarlo dalla testa, dal cuore e da ogni ricordo, per giorni si era detta e ripetuta ininterrottamente che non ci sarebbe stato nulla di male ad accettare e ricambiare le attenzioni di Gentile. Aveva tentato di convincersi, davanti a quel bacio, che non lo avrebbe fatto per ripicca. Aveva tentato di convincersi soprattutto che non lo avrebbe fatto per dispetto, ora che sapeva che Philip sarebbe atterrato a Torino con la nazionale giapponese. Ora che si sarebbero rivisti. Erano mesi che lei e Philip si erano lasciati. Anzi, erano mesi che lui l’aveva lasciata e nessuno poteva biasimarla se adesso stava frequentando qualcun altro. Neppure lui.
Gentile le piaceva, le piaceva il suo modo di prendere le cose con una risata, le piaceva il suo ottimismo, le piacevano le attenzioni che le rivolgeva. Quando era con lui riusciva a lasciarsi alle spalle più di un anno di sofferenze e persino a non pensare a Philip. Con Mark viveva tranquilla ma con Salvatore riusciva ad essere persino allegra. Lui non perdeva occasione per farla ridere e se dopo tutti quei giorni di incessanti attenzioni gli avesse concesso qualcosa di più oltre a qualche bacio, era sicura che non se ne sarebbe pentita. Accettandola a casa sua Mark l’aveva salvata, ma a tirarle su il morale era stato Salvatore. Per questo motivo ad un certo punto aveva cominciato ad insistere con Mark perché uscissero più spesso insieme, o lo invitasse a casa. Landers non era stato contento ma aveva sopportato l’irruenza del compagno di squadra solo esclusivamente per lei. Perché con Salvatore lei rideva più spesso. Ma quella sera, al party di benvenuto, non se la sentiva proprio di andare.

*

Il maltempo era rimasto in Giappone, l’Italia li aveva accolti con il sole e l’aria pervasa da un piacevole tepore primaverile. L’hotel extra lusso di Torino era una favola. A Bruce piacque subito e varcò l'imponente ingresso con gli occhi spalancati di meraviglia. Poi vide Benji, Holly e Patty seduti sui divanetti della hall e pieno d’entusiasmo corse loro incontro, abbandonando senza remore la valigia sul pavimento di marmo splendente, davanti ai piedi di Bob Denver che inevitabilmente ci finì sopra.
-Siete già qui!-
Bruce fu il primo, poi arrivò Evelyn che esaminò Patty dalla testa ai piedi con gli occhi scintillanti.
-Allora? Sei incinta?-
-Ancora no!- la giovane strabuzzò gli occhi, arrossì e cercò Holly perché le desse man forte di fronte a tanta mancanza di tatto. Ma cos'altro poteva aspettarsi dall'amica? Ormai la conosceva fin troppo bene.
Holly non stava ascoltando o quanto meno faceva finta di non udire. Era svicolato tra loro per togliersi di torno ed era finito precisamente al centro dell’entusiasmo dei compagni, in un casino di voci che si coprivano l’un l’altra.
-E che aspettate a riprodurvi?-
-La smetti di urlare, Eve? Sono cose private!-
-No che non lo sono! Holly è un personaggio pubblico e a me uno scoop del genere frutterebbe una fortuna!- le prese le mani mentre l’amica si scostava infastidita -Mi devi promettere, Patty, che quando succederà sarò la prima a saperlo!-
Lei mise il muso, irritata. Era sempre la solita.
-Non lo so.- temporeggiò ma poi l’accontentò, più che altro per accantonare l’argomento.
Holly salutò Gamo, Marshall, Pearson e il resto dello staff e della squadra. Poi arrivò Aoi, catapultandosi all’interno dell’hotel come un turbine, urtando con la valigia le porte a vetri che non si scostarono abbastanza rapidamente al suo passaggio. Quasi ne scardinò una, si scusò con il facchino dell’hotel, poi si fermò al centro della hall piegato in due, le mani puntellate sulle ginocchia, il fiato corto per la corsa, precisamente davanti a Gamo.
-Alla buonora, Aoi!-
-Scusate, ho fatto tardi.- individuò Holly, il suo mito, e gli dedicò un sorriso particolare. Poi tornò a guardare Gamo -Allora? Qual è il programma di oggi? A che ora ci alleniamo?-
-Porca miseria Rob! Dacci il tempo di prendere fiato!- lo assalì Ralph Peterson -Siamo atterrati appena un’ora fa!-
-E allora? Non avete voglia di sgranchirvi le gambe?-
-Se con sgranchirsi le gambe intendi prendere a calci una palla, direi proprio di no.-
Aoi guardò Jason Derrick deluso.
-Davvero?-
-Certo!- Bruce si portò le mani ai fianchi, la pensava come i compagni. Dopo un volo così lungo l’unica cosa che aveva voglia di fare era la doccia. Magari anche un pisolino fino all’ora di cena, dopodiché abbuffarsi alla festa di benvenuto. Eccole lì, le sue tre priorità, a cui non avrebbe aggiunto nient’altro.
Gamo sfogliò il blocco degli appunti su cui aveva scribacchiato durante buona parte del volo. Poi alzò gli occhi e dopo essersi schiarito la voce per attirare l’attenzione su di sé, diede ordini brevi e precisi.
-Le camere sono già assegnate, sapete con chi dovete dormire quindi evitiamo il solito casino. Avete tre ore di tempo libero per fare quello che vi pare. Tre ore, non un minuto di più! Alle otto in punto vi voglio tutti nella hall. Non si accettano ritardi.-
Julian udì l’esatta metà delle parole, occupato com’era ad osservare Amy e Benji. Era già la seconda volta che notava che i loro sguardi si incrociavano e che la fidanzata si affrettava ad abbassare il suo. E aveva anche notato che non solo Amy non l’aveva salutato, ma che per i minuti successivi aveva cercato di stargli lontana. Price aveva reagito esattamente all’opposto e adesso la osservava insistente, le labbra appena incurvate all’insù in un’ombra di sorriso, ad aspettare paziente ma ostinato come un cacciatore, che lei tornasse ad incrociare il suo sguardo.
Doveva esserci sotto qualcosa, Julian ne era sicuro. Raggiunse la reception, recuperò in fretta le due card della stanza che avrebbe occupato con Philip e lo cercò. L’amico era fermo da una parte, insieme a Holly, Gamo, Marshall e Pearson. Passando loro accanto gli mise in mano la sua card, poi si affrettò a raggiungere Amy prima che lo facesse Benji. Non ce ne fu bisogno. Lei, Evelyn e Patty erano già davanti all’ascensore, pronte a salire nelle loro stanze.

Alle otto e un quarto Philip si piazzò davanti allo specchio per annodarsi la cravatta. Julian era già sceso, lo aveva incrociato nella hall prima ancora di salire in stanza. Non aveva capito il motivo che aveva indotto il compagno a tornare giù con tanta fretta, però era stato contento di rimanere solo. Era in ritardo di quasi quindici minuti, ma non gli importava. Era rimasto seduto ai tavolini del bar dell’hotel con Gamo, Marshall, Pearson e Holly più di due ore a pianificare le giornate che li aspettavano, bevendo un caffè dietro l'altro per tener lontani gli sbadigli e la stanchezza. Anche Gamo, Pearson e Marshall erano provati dalla traversata intercontinentale, ma Holly aveva avuto energie per tutti ed era riuscito con le sue chiacchiere a farli restare seduti lì per un tempo infinito. Philip ad un certo punto non ce l’aveva fatta più e con la scusa di una doccia, aveva tagliato la corda. Prima però, mentre consumava il suo terzo caffè, Pearson aveva telefonato a Mark per chiedergli quando aveva intenzione di raggiungerli, visto che non si era ancora fatto vedere. Landers aveva risposto di essere impegnato fino a sera e di potersi liberare soltanto per la cena. Gamo aveva abbozzato. Era già abbastanza preoccupato per il nullaosta di Holly, non desiderava angustiarsi anche per Mark. Fino a quel momento l’unico via-libera che lo staff della nazionale aveva ricevuto, e comunque ancora solo verbale, era quello del mister dell’Amburgo che aveva lasciato Benji libero di giocare l’amichevole. Philip immaginava il motivo di tanta disponibilità ma non voleva pensarci. Infierire sull’errore del compagno non era davvero il caso in un momento in cui lui stesso stava sprofondando nelle disastrose conseguenze dei propri.
Osservandosi riflesso nello specchio, notò le ombre scure sotto gli occhi e le labbra tirate dallo scontento. Aveva bisogno di dormire, non di partecipare a quel noiosissimo party. La cravatta stringeva. Infilò un dito nel colletto della camicia per allentarla, ma la sensazione di soffocamento non passò. Forse non era la cravatta a soffocarlo, ma quella pseudo-esistenza che stava vivendo piatta e grigia. Aveva pensato che prima o poi la sua vita sarebbe tornata alla normalità, che sarebbe riuscito a dimenticare, a dare un taglio al passato e guardare avanti. Si era sbagliato di grosso, non era stato affatto così. Il passato continuava a torturarlo con la stessa intensità, come se fosse trascorso appena un giorno dal disastro che aveva rovinato la vita di Jenny e, di conseguenza, la sua. Tornò verso il letto e afferrò la giacca. Mentre se la infilava udì bussare, poi la voce di Evelyn.
-Philip, sei pronto?-
Raggiunse l’ingresso sforzandosi di non essere scortese anche se l’invadenza dell’amica lo innervosì. Aprì la porta pronto a scacciarla ma, per un secondo, non la riconobbe. Il lampo di sorpresa che gli attraversò gli occhi fu così palese che lei soffocò una risatina lusingata.
-Inutile che fai quella faccia, sono proprio io.-
Lui si lasciò sfuggire un sorriso e, incoraggiata dalla sua reazione, Evelyn fece una mezza piroetta affondando i tacchi nella moquette del corridoio.
-Significa che il vestito mi sta bene?-
-Sì, ti sta bene.-
Lei rise lusingata.
-La tua reazione è più entusiastica di quella di Bruce.-
-Vedrai che apprezzerà il tuo vestito non appena si sarà riempito lo stomaco.-
Risero entrambi.
-Non scendi? C’è un sacco di roba buona.- tentennò la testa, passando il peso del corpo da un piede all’altro -In effetti Bruce si sta abbuffando da una buona mezz’ora e Clifford gli tiene compagnia. Sul cibo quei due si trovano proprio…-
Mentre lei commentava le prodezze del fidanzato e del cugino dalla soglia, Philip recuperò il cellulare, il portafoglio, la card della stanza e spense la luce. Uscì e s’incamminarono insieme verso l’ascensore.
-Mark è arrivato?-
-Non ancora.-
Philip non si stupì. Mark considerava qualsiasi tipo di ricevimento di una noia insopportabile e oltretutto odiava vestirsi elegante. Probabilmente si sarebbe presentato ancora più tardi di lui, tanto non gli interessava che Gamo si arrabbiasse. Avrebbe partecipato alla festa controvoglia e a metà serata se la sarebbe filata per tornare dalla sua ragazza. Merda, moriva dal desiderio di vederla, chissà se l’avrebbe portata con sé.
Entrando nell’ascensore dietro l’amica, Philip soffocò uno sbadiglio. Aveva per lo meno ventiquattro ore di sonno arretrato e Gamo avrebbe fatto molto meglio a lasciarlo andare a riposare invece di chiacchierare per un tempo infinito di cose che erano già stabilite da mesi e di problemi che comunque non avevano risolto. Come la scelta del portiere che sarebbe sceso in campo. Avevano parlato di Benji, di Ed e di chi far giocare durante la partita. Come al solito nessuno di loro aveva preso in considerazione Alan Crocker. Alan era solo il terzo portiere più bravo del Giappone e sarebbe riuscito a giocare una partita della nazionale soltanto se Benji e Ed fossero morti entrambi. Al tavolo del bar avevano messo Holly a conoscenza della nuova sparata di Warner nell’ufficio di Gamo. Philip capiva il suo punto di vista ma non condivideva assolutamente il suo modo di impuntarsi. Se Benji era più bravo, c’era poco da fare. E poi, tra le riserve, c’era pure chi non aveva mai giocato una partita con la maglia della nazionale.
Marshall, che come al solito cercava di sedare gli animi, aveva ricordato a tutti e tre che quella che stavano per affrontare era solo un’amichevole. E a quel punto era intervenuto Holly che aveva dichiarato senza peli sulla lingua che non si era fatto un mazzo tanto a supplicare il nullaosta a Van Saal solo per stiracchiare un pareggio o addirittura rischiare una sconfitta. Marshall e Gamo non avevano saputo cosa rispondergli e Philip non aveva potuto fare a meno di dargli ragione.
Lanciò un’occhiata a Evelyn che taceva, fissando in silenzio i pulsanti dell’ascensore illuminarsi uno alla volta man mano che scivolavano silenziosamente verso il piano terra. Indossava un abito di un colore a cui non era in grado di dare un nome preciso ma che gli fece pensare al giallo dorato della birra o a quello ancora più chiaro dello champagne.
-Senti Philip…-
Si volse e si guardarono. L’espressione seria di Evelyn non gli fece presagire niente di buono. In un improvviso attacco di fifoneria, sperò di arrivare presto a destinazione. Mancavano solo tre piani.
-Immagino che tu non voglia parlare di quei raduni, però io devo farlo lo stesso per dirti che stai veramente rischiando di metterti nei guai.- disse tutto d’un fiato.
Lui la fissò, stupito da un’introduzione di cui non capì il senso, troppo convinto che il suo discorso sarebbe stato su Julie Pilar o al peggio su Jenny.
-Quali raduni?-
Le porte dell’ascensore si aprirono ed Evelyn non ebbe modo di continuare. Jason Derrick e Sandy Winters li intercettarono appena misero piede nella hall.
-Philip, abbiamo un problema.-
-Che problema?-
-Gamo. Ci fa le poste.-
Evelyn lo guardò sconsolata mentre veniva preso d’assalto dai compagni. Aveva perso l’occasione di parlagli. Avrebbe dovuto trovare il modo di farlo più tardi, perché ciò che aveva da dirgli era troppo importante per lasciar correre.  
-Che vuol dire che vi fa le poste?-
-Che controlla ciò che mangiamo!-
Li fissò scettico.
-E allora?-
Winters lo apostrofò incredulo.
-Come “e allora”?-
Bruce li raggiunse.
-Glielo avete detto?-
-Sì, ma pare che non gli importi.-
-Non ti importa? Spiegami allora che cavolo ci stiamo a fare qui se non possiamo mangiare nulla!-
-Se non puoi abbuffarti come tuo solito, vorrai dire.- gli sfuggì in sorrisetto di scherno -Evelyn mi ha appena detto che tu e Clifford avete dato una bella ripulita al buffet…- s’interruppe.
Evelyn. Si guardò intorno in cerca dell’amica e non la vide più. Non gli dispiacque affatto, anzi fu contento di essersene liberato. Di che raduni aveva intenzione di parlargli? Forse lo immaginava, ma non volle pensarci. Tornò a concentrarsi sui compagni.
-Non sono l’unico a lamentarmi.- Bruce si mise sulla difensiva, i pugni premuti sui fianchi che gli spiegazzarono la giacca.
-Questo lo vedo, ma perché lo dite a me?-
-Perché devi fare qualcosa. Devi risolvere il problema, altrimenti che senso ha che tu sia il capitano?-
La logica di Sandy fu spiazzante, ma rappresentava né più né meno ciò che Philip aveva illustrato a Peter Shake nell’aereo, durante il viaggio di ritorno da Fujisawa. Essere capitano comportava una gran rottura di coglioni e solo per questo Philip avrebbe mollato la fascia a chiunque, seduta stante. Se i compagni poi cominciavano con le lamentele cretine appena atterrati in Italia, quella maledetta fascia gli veniva soltanto una gran voglia di bruciarla. Finse di riflettere, di concentrarsi sul problema cercando in realtà la soluzione per scollarseli di dosso.
-Distraetelo a turno mentre gli altri mangiano. Voi siete tanti e lui è solo. Oppure mandate le ragazze a riempirvi i piatti. A loro non può dire nulla.-
All’inizio il suo tono accondiscendente fece sorgere nei compagni il sospetto che li stesse schernendo. Poi l’idea di Philip fece breccia nel loro cervello, capirono che organizzandosi poteva funzionare e si allontanarono soddisfatti.
A Torino Benji aveva scoperto di avere per le mani due problemi. Quella sera sperava di risolverli entrambi e togliersi definitivamente la preoccupazione. Il primo era il più rognoso. Si trattava di intercettare Amy, farsi aiutare da lei a ricordare cosa le aveva detto al telefono quando lo aveva chiamato ad Amburgo ed eventualmente scusarsi. Il solo pensiero lo metteva di cattivo umore, lui non si scusava mai. Ma cominciava a seccargli che lei lo evitasse da quando era arrivata in hotel.
Il secondo problema, che in realtà non era un problema ma la soddisfazione di una curiosità, era riuscire a carpire qualche informazione in più sulla ragazza di Landers. L’interesse che provava verso questa indefinita creatura era impressionante, ma era ancora più sconvolgente il fatto che quel pezzente si fosse trovato una compagna. Chi poteva provare interesse per un tipo che non avrebbe tirato fuori un euro in regali, ristoranti e romantici viaggi? Chi poteva uscire con una persona che non avrebbe speso un centesimo per potare una donna a divertirsi? Quale bizzarro essere dell’universo femminile poteva decidere di raccattarsi un ragazzo così?
Individuò Aoi che spiluccava solo soletto spiedini al formaggio e prosciutto cotto. Il ragazzo rappresentava in quel momento l’unica, probabile e possibile fonte d’informazione. Era quello che poteva saperne più di tutti e Benji era deciso a spremerlo per bene per spillargli qualche notizia piccante. Passò accanto a Marshall e Gamo, accorgendosi mentre li superava che erano occupati in una fitta conversazione con Julian. Accanto a Ross c’era il suo immancabile angelo custode che quella sera indossava un abito piuttosto semplice color melanzana. Non era per niente appariscente, aveva appena uno scollo ricamato da perline e poi scendeva giù dritto fino alle ginocchia, uno strato di chiffon che ne ricopriva un altro di raso. Ma le stava bene. Benji tornò indietro, curioso di sapere di cosa stessero parlando e di saggiare la ritrosia di Amy. Ne avrebbe approfittato per rimarcare il ritardo di Mark, che ancora non si vedeva.
Quando li raggiunse i tre smisero di parlare, facendogli sorgere il dubbio che fosse proprio lui l’oggetto della loro conversazione. Represse il fastidio e fissò Gamo negli occhi.
-Se stasera Landers non si presenta, lo lascia in panchina?-
-Non ci sperare.-
Ross alzò fastidiosamente gli occhi al soffitto, seccato dalla sua intrusione nella conversazione. Benji lo ignorò e posò su Amy uno sguardo ironico e stracarico di sottintesi. Lei reagì abbassando il viso. Di che accidenti aveva paura? Che la mangiasse?
Poiché era chiaro che se non si fosse allontanato, quelli non avrebbero ripreso la conversazione, indispettito dal loro silenzio li lasciò perdere tutti, allontanandosi con le mani nelle tasche e la stessa strafottenza con cui si era accostato. Raggiunse Aoi davanti al buffet.
-Com’è la ragazza di Landers?-
Rob si volse a guardarlo sbigottito. Uno spiedino mangiucchiato a metà, la bocca piena e le guance rigonfie di formaggio, deglutì il boccone, chiedendosi come avesse fatto a sapere di Jenny. Lui era sicuro, anzi strasicuro, di non essersi lasciato sfuggire niente con nessuno. Mark si sarebbe arrabbiato, avrebbe pensato che fosse stato lui a spettegolare… Cavolo! Doveva correre ai ripari! Prima di tutto, decise di togliergli dalla testa un’errata convinzione che avrebbe causato solo guai.
-Non è la sua ragazza. Anche se abitano insieme è soltanto un’amica.-
Benji mascherò malissimo la sorpresa di quella risposta ma il caso volle che piuttosto che guardare lui, Aoi preferì riempirsi il piatto per prendere e perdere tempo, lasciando al portiere qualche istante per dissimulare lo stupore.
Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, Benji fissò Rob con un sorriso compiacente. Come volevasi dimostrare, Aoi qualcosa sapeva e adesso che aveva scoperto che la coppia conviveva, valeva proprio la pena continuare l’interrogatorio. Chiese ad un cameriere di riempirgli due bicchieri di champagne e ne porse uno al ragazzo, sperando che l’alcol gli sciogliesse la lingua. Voleva sfilargli più informazioni possibili.
-Lo so perfettamente, stavo scherzando.- ritrattò, sicuro che Rob avrebbe difeso Landers a spada tratta. Doveva andarci piano. Si guardò intorno, vide Winters e Diamond accostarsi al buffet, prese Aoi per un braccio e lo tirò da una parte con un fare da cospiratore che contagiò persino lui -Dicono tutti che è strano che un tipo scorbutico come Landers ospiti a casa una ragazza che non è la sua fidanzata.-
A Rob per un attimo sembrò di sentir parlare Salvatore e non poté fare a meno di renderne partecipe il portiere. Il pensiero di chi fossero quei “tutti” non lo sfiorò neppure.
-Anche Gentile lo pensa. Mark le sta appiccicato e questo non gli va giù. Vorrebbe che lei andasse ad abitare da lui, gliel’ha chiesto un sacco di volte ma pare che Mark glielo abbia proibito.-
Il commento spiazzò Benji che non ci capì più niente.
-Quindi lei sta con Gentile?-
-Certo!-
Il portiere lo fissò, sforzandosi di districare la confusione con cui Aoi gli aveva ingarbugliato il cervello. Se la ragazza di cui stavano parlando era la fidanzata di Gentile, che fine aveva fatto quella di Mark, la stessa che avevano udito al telefono? A meno che… Aoi aveva detto che la fidanzata di Gentile abitava da Mark. Allora si trattava della stessa persona? Mentre nella sua testa frullavano miriadi di improbabili eventualità, Rob proseguì.
-In effetti sembra più la ragazza di Mark che di Gentile e questo fa andare in bestia Salvatore.-
Price lo fissò sgomento. Decise di mandare giù un altro sorso di champagne. Quella sì che era una notizia bomba. Dunque Gentile e Landers si stavano litigando la stessa donna… Guardò Rob chiedendosi se quell’assurdo interrogatorio sarebbe servito. Non gli stava tirando fuori niente di sensato. Forse era meglio passare a qualcosa di più pratico, ad una domanda facile che andasse al di là del comportamento di Landers e del fastidio di Gentile.
-Tu la conosci, vero? Com’è?-
Rob sorrise.
-Forse a te non piacerebbe, non è particolarmente appariscente.-
Questa poi…
-Cosa cazzo ne sai dei miei gusti?-
Rob corse ai ripari.
-Intendo dire che non somiglia per niente alla ragazza con cui stai uscendo… La bionda.-
Il portiere represse un gesto di fastidio.
-Lascia perdere Marianne, quella stronza! Descrivimi la ragazza di Landers.-
-Ma non è la ragazza di Landers!-
Benji serrò i pugni, stava per perdere la pazienza.
-Descrivimela lo stesso!-
-Ha i capelli neri lunghi fino qui.- Rob si toccò un gomito -E poi è bella, dolce, intelligente, simpatica e soprattutto molto, molto paziente. Altrimenti come potrebbe vivere con Mark?-
-Già, me lo chiedo anch’io.- la descrizione di Aoi fu del tutto inutile. Non riuscì ad immaginarsela neppure sforzandosi o meglio gli venne in mente una tipologia di ragazza comune che poteva corrispondere ad un quinto della popolazione femminile del pianeta -È alta? Bassa? Grassa? Magra?-
-È normale.-
Benji sospirò. Non era sicuro che i canoni di bellezza di Aoi coincidessero con i suoi, ma il fatto che il ragazzo usasse il termine “bella” e non “carina” era già un punto in più per lei. A parte queste inadeguate informazioni, chiaramente il compagno non avrebbe potuto essergli d’aiuto. Toccava aspettare, avere pazienza e sperare di incontrarla. Merda, stava morendo dalla curiosità. E se l’avesse sedotta e gliel’avesse portata via di casa? Quello sì che sarebbe stato un gran colpo! Avrebbe fregato la ragazza a Gentile e fatto schiattare Landers di rabbia.
-Verrà stasera?-
-Penso di sì.- Aoi fece spallucce, poi raggiunse Jason Derrick (o era James?), lasciando a turbinare nella mente di Benji una mezza dozzina di punti interrogativi e di variabili possibilità.
Mentre il portiere s’aggirava insoddisfatto, colse uno stralcio di conversazione tra Ralph Peterson e Paul Diamond. L’assurdità delle loro parole lo spinse a fermarsi.
-Scusa ma quanto avevi in inglese?-
-Che c’entra? Non sono io che vado in cerca della traduzione.-
-Io lo sapevo ma l’ho dimenticato!-
-Peggio per te… Dille un’altra cosa. Che c’entra adesso il costume? Dille che sta bene col vestito che ha addosso! Se le dici che vorresti vederla in costume, finirai col farla scappare.-
Peterson sbuffò, si volse per tornare dalla ragazza italiana a cui si era offerto di portare da bere e quasi si scontrò con Benji. La sua espressione corrucciata si aprì in un sorriso.
-Giusto tu… Sai come si dice costume in inglese?-
-Che costume?-
-Il costume da bagno.-
-Il bikini?-
-Sì quello.-
-Si dice bikini.- li guardò come se fossero impazziti -Non lo sapevate? Pensavate che bikini fosse una parola giapponese?-
I due ci rimasero male, Benji scosse la testa incredulo e li mollò a riflettere sulla loro ignoranza. Si trovò d’improvviso sul percorso di Amy che stava tornando dal tavolo del buffet con un bicchiere colmo di una bevanda rossa e trasparente. Lei si bloccò, lo fissò interdetta, poi abbassò gli occhi e cercò di superarlo. Lui rise.
-Dove scappi?- allungò una mano per fermarla ma neppure la sfiorò.
-Non vuole parlarti, lasciala in pace.-
La voce di Ross gli fece correre un brivido di fastidio su per la schiena. Julian gli dedicò un’occhiata torva e si allontanò dietro la fidanzata che era già sgattaiolata via. Benji represse l’impulso di prenderlo a sberle e tornò sui suoi passi. Vide Holly e Patty seduti ad un tavolo insieme a Bruce, Evelyn, Philip e Clifford e li raggiunse. Evelyn lo osservava curiosa.
-Hai fatto arrabbiare Julian?-
-Quello sfigato.-
Clifford rise ma non alzò gli occhi dal display del proprio i-phone, con cui stava giocherellando già da svariati minuti, approfittando del wi-fi gratuito dell’hotel. Evelyn gli lanciò un’occhiata distratta, poi guardò Holly.
-Che succede a Tom?-
-Non lo so, perché?- lo cercò e lo trovò lontano, tra una palma e un cespuglio di fiori gialli, forse delle margherite, ma non ne fu sicuro visto che lui di botanica non capiva un fico secco.
Tom camminava avanti e indietro infervorato, col cellulare incollato al viso, la giacca sbottonata, la cravatta che oscillava a destra e sinistra come un pendolo. Era così contrariato che a tratti arrivava persino a gesticolare, cosa che lo rendeva estremamente buffo. Quando incrociò i loro sguardi curiosi e interessati, i suoi occhi balenarono di fastidio e si allontanò da loro, sparendo tra gli invitati.
Evelyn sospirò di curiosità.
-È al telefono da quasi mezz’ora.-
Bruce la fissò incredulo.
-Da mezz’ora? E non lo paga? Io per chiamare mia madre e dirle che sono arrivato ho speso quasi otto euro e ci sono stato due minuti.-
-Certo non sta parlando con sua madre.- rise Clifford senza alzare gli occhi dal suo telefonino -Altrimenti avrebbe già riattaccato.-
Evelyn annuì.
-Sta parlando con la sua ragazza.-
Holly cercò di arginare la curiosità dei compagni.
-In ogni caso non sono affari nostri.-
Bruce annuì d’accordo, ma solo perché aveva sete. Dopo essersi rinfrescato l’ugola, avrebbe assillato gli amici e persino Tom per saperne di più. Il problema adesso era che non gli andava di alzarsi e farsi largo tra gli invitati per raggiungere il buffet. E magari farsi di nuovo rimproverare da Gamo. L’escamotage di Philip aveva funzionato fino ad un certo punto. Poi il mister aveva mangiato la foglia e non s’era fatto più fregare. Spostò gli occhi su Evelyn che, guarda un po’, stava fissando di nuovo Philip.
-Mi vai a prendere un cocktail?-
Lei si irrigidì tutta.
-Non ci penso proprio, vacci da solo.-
Bruce sbuffò e, sentendola ridere, si volse verso Patty.
-Tu ci saresti andata per Holly, vero?-
-Holly ci sarebbe andato per me.- lo mise a tacere lei -Quindi vedi di muoverti.-
Benji colse la palla al balzo.
-Visto che ci sei, Harper, porta qualcosa da bere anche per me.-
-Per me champagne.- gli andò dietro Clifford, poi sobbalzò sulla sedia e fischiò di sorpresa -E questa cos’è?- spostò gli occhi su Philip e ghignò in un modo che a lui non piacque per niente -Dì un po’, da quando le ragazze si conquistano con le ciambelle di Mr Donut?-
L’altro non fiatò, lasciò che Yuma voltasse il display verso di lui e scoppiasse in una risata. I compagni si accalcarono per osservare la foto, Evelyn addirittura tolse il cellulare dalle mani del cugino per guardare meglio. Mise a fuoco l’immagine e si volse di scatto.
-Chi è questa, Philip?-
Lui si cucì addosso un’espressione candida e innocente.
-Non saprei.-
Si trattava di Sheryl, ne era sicuro. Era bastato che Clifford pronunciasse il nome del locale per intuire di essere stato fotografato insieme a lei. Evelyn gli allungò il cellulare ma Benji si appropriò del telefonino lasciandogli appena il tempo di intravedere se stesso e Sheryl che uscivano dalla porta a vetri di Mr Donut.
-Diamine, Philip. Da quando sei diventato un dongiovanni?-
Bruce lo fissò incredulo.
-Non stai con Julie Pilar?-
Lui si mosse a disagio sulla sedia.
-È solo un’amica.- anzi, conosceva Sheryl da così poco tempo che non era neppure quello. Ma poi perché accidenti si stava giustificando? Guardò i compagni. Bruce e Clifford lo fissavano con evidente ammirazione, Patty con un’espressione incredula. Evelyn era decisamente curiosa e Benji aveva stampato in faccia un misto di divertimento e comprensione. Poi arrivò Tom a toglierlo dagli impicci.
Spuntò tra loro come una furia, gli occhi scintillanti di collera, gli zigomi chiazzati di rosso, le labbra tirate. La sua irruzione portò un improvviso silenzio intorno al tavolo. Scostò brusco una sedia e vi si lasciò cadere borbottando qualcosa di molto simile ad un’imprecazione. Non guardò nessuno e in un gesto d'ira incontrollata gettò sul tavolo il cellulare che slittò lungo il ripiano. Philip allungò svelto una mano e lo agguantò al volo, un secondo prima che si schiantasse a terra.
-Tutto bene?-
Tom lo fulminò con uno sguardo.
-Tutto bene un cazzo!-  
Holly, che gli era vicino, quasi cadde dalla sedia. Clifford invece scoppiò a ridere.
-Oggi è il giorno delle scoperte! Callaghan è un casanova e il placido Becker è capace di incazzarsi! Si vede proprio che siamo maturati.-
Tom lo guardò con gli occhi socchiusi, capendo in quell’istante che non era stata una buona idea sedersi tra loro. Si forzò di controllare la voce, e proseguì in moto più pacato.
-Non sono incazzato, sono solo… alterato.-
La sua precisazione scatenò tra i compagni uno scoppio di ilarità che si spense improvviso quando il cellulare che Philip stringeva ancora tra le mani prese a squillare.
Fissarono il telefonino, poi guardarono Callaghan che lo teneva con la punta delle dita come se scottasse e infine Tom che sotto i loro occhi curiosi, reagì velocissimo. Si allungò sul tavolo e lo strappò al compagno. Il nome di Amélie lampeggiava sullo schermo. Ma quando lo ebbe preso, riuscì a guardarlo e basta, incapace di decidersi a risponderle. Fremeva in preda all’ansia e allo scontento, la schiena era rigida, si accorse di respirare appena.
-Non rispondi?-
Tom reagì contro Evelyn come se lei gli avesse mollato un pugno.
-Sono affari miei se lo faccio o no!- balzò in piedi, si accostò il cellulare al viso e rispose con un secco -Che c'è ancora!-
Gli occhi dei compagni rimasero fissi sulle sue spalle mentre si allontanava di qualche passo alla ricerca di un minimo di privacy. Lo udirono inveire.
-Per una volta, diamine! Per una volta!-
Clifford guardò Philip.
-Chi è?-
L’altro fece spallucce. Holly fissò lui per un istante e subito dopo tornò ad osservare Tom. Doveva preoccuparsi? Quel ritiro non cominciava bene per niente se Tom andava fuori di testa già dal primo giorno. Lo vide chiudere la telefonata con un gesto rabbioso. Restò in piedi, rigido come un palo, finché Holly si alzò e gli si avvicinò, pieno di buone intenzioni.
-Si può sapere che è successo?-
L’amico saltò su come una molla.
-No che non si può sapere!-
Bruce scambiò un’occhiata saputa con Clifford, poi lo incalzò con voce setosa.
-Stavi parlando con tua madre? I tuoi hanno litigato di nuovo?-
-Mi spieghi come diavolo fanno a litigare se sono divorziati? E poi non stavo parlando con i miei!- capì dal sorrisetto che spuntò sulle labbra del compagno che Bruce si stava divertendo a provocarlo.
-E allora con chi?-
Tom si irrigidì di colpo, Evelyn invece gli si avvicinò e gli toccò un braccio.
-Con lei, vero?-
-Lei chi?-
-Amélie, la tua ragazza.-
Benji s’illuminò. Pensando di aver capito il problema, lo guardò solidale.
-Ti ha mollato?-
Tom sobbalzò.
-No!-
-Ah, ancora no?- lo fissò deluso, poi continuò -Allora se ti sta per mollare puoi chiedere a Philip di farti conoscere qualche sua amica. Pare che sia diventato un esperto di ragazze, ne frequenta persino due per volta.- strizzò l’occhio a Callaghan che gli rispose sollevando il dito medio. Benji ricambiò sorridente e continuò per la sua strada -In fondo uomini e donne sono più o meno tutti intercambiabili, sai Tom? Anche Philip, a questo punto, te lo può confermare. Con le ragazze non bisogna farla tanto lunga. Non conviene, si perde solo tempo. Se sono graziose e non rompono, non c’è molta differenza tra una e l’altra. Tutte hanno qualcosa di positivo e qualcosa di negativo, basta imparare ad adattarsi… Vero Philip?-
-La smetti di mettermi in mezzo?-
Evelyn lasciò perdere le perle di saggezza del portiere, che reputava idiozie fatte e finite e tornò a concentrarsi su Tom.
-Quale sarebbe il problema?-
Lui si mosse a disagio sulla sedia.
-Non può venire.-
-Venire dove?-
-Venire qui, a vedere la partita!-
-E perché non può venire?- quella notizia deluse Evelyn tanto quanto lui. Aveva sperato finalmente di poterla conoscere e invece…
Clifford si spremette le meningi, qualcosa in tutto ciò non gli era chiaro. A forza di far lavorare il cervello, trovò ciò che non gli quadrava.
-Non è che è finta?-
Tutti gli occhi si spostarono su di lui.
-Finta?-
Annuì a Holly che lo osservava sorpreso.
-Sì, finta. Non è che quella tizia, Camelia o come cavolo si chiama, sia in realtà una copertura?-
-Una copertura?- stavolta a fargli eco fu Tom.
Clifford continuò sulla sua strada, i ragazzi lo fissavano a bocca aperta.
-Non è che in realtà la dolce metà di Tom si chiama Harold?-
Nessuno, neppure Patty che era rimasta seria durante tutta la chiacchierata, pensando per metà ai problemi di Philip e di Tom e per l’altra metà ai propri, riuscì a controllarsi. Scoppiarono a ridere così fragorosamente che parecchi invitati si voltarono a guardarli. L’unico a non ridere, a non asciugarsi le lacrime e a tenersi la pancia, fu ovviamente Tom che li fissò con gli occhi spalancati, il colorito cadaverico e due chiazze scarlatte che erano tornate a decorargli le guance. Il divertimento dei compagni che non riuscivano a riprendere il controllo, Bruce che era quasi scivolato giù dalla sedia, Evelyn che si era nascosta il viso tra le mani per non mostrare le tonsille al mondo, Philip che aveva poggiato i gomiti sul ripiano del tavolo e si asciugava gli occhi, Benji che era voltato di profilo e le sue spalle sussultavano, sarebbe stato persino esilarante se l’oggetto di tanto divertimento non fosse stato lui stesso.
Si eresse in tutta la sua statura e li guardò con un tale astio che per un attimo, per un solo secondo, un brivido sgradevole percorse la schiena di Holly.
-Ride bene chi ride ultimo.- si allontanò a testa alta, a sfogare il fastidio ben lontano da loro.
-Ride bene chi non gliene frega un cazzo.- precisò Benji con convinzione.

*

Jenny uscì dalla doccia decisa. Quella sera non sarebbe andata neppure se Mark l’avesse implorata in ginocchio. Neppure se Carol l’avesse minacciata di spifferare al compagno dove passava tutti i venerdì sera e parecchi sabati, neppure se Salvatore l’avesse supplicata promettendole il mondo. Andare al party e incontrare Philip era un suicidio, significava vanificare tutti quei mesi di sofferenza durante i quali si era sforzata fino allo stremo di dimenticarlo. L’indomani mattina presto, mentre Mark dormiva, sarebbe uscita di soppiatto di casa, sarebbe andata alla stazione e avrebbe comprato un biglietto per Roma. Aveva progettato tutto. Messi da parte i soldi, preparata la valigia (occultata nell’armadio) aveva deciso di tornare a Torino il primo maggio, quando ormai della nazionale giapponese non fosse rimasta più traccia. E non le importava se Salvatore, o peggio Mark, si fossero infuriati.
Si avvolse nel telo da bagno e pulì con un lembo dell’asciugamano lo specchio offuscato dal vapore. Poi si guardò. Aveva le occhiaie, le aveva da tre giorni e Mark doveva averle sicuramente notate. Eppure non aveva commentato. Magari, per una volta, era riuscito a mettersi nei suoi panni. Si asciugò le braccia e il collo, poi si strofinò i capelli finché smisero di gocciolare. Si passò il telo sulle gambe e sulla schiena e se lo girò di nuovo intorno al corpo. Aprì la porta del bagno e fece capolino nel corridoio. Mark era ancora in camera, lo sentiva parlare, doveva essere al cellulare con qualcuno. Stringendosi addosso l’asciugamano Jenny raggiunse la propria stanza.
-E tu che gli hai risposto?- lo sentì chiedere, leggermente teso.
S’infilò in camera e si chiuse la porta alle spalle. Mark si sarebbe arrabbiato, voleva a tutti i costi che quella sera andasse al party. Forse era ancora convinto che lei e Philip sarebbero tornati insieme. Che ingenuo! La foto con Julie Pilar non gli era bastata a fargli capire che tra loro era finita?
Si sedette sul letto e si asciugò meglio. In bagno l’aveva fatto in fretta e furia e la sua pelle era ancora accaldata e umida. Quella sera non voleva andare ma non era riuscita a non promettere a  Salvatore che lo avrebbe accompagnato. Ci sarebbe rimasto malissimo. Poteva inventare un mal di testa, un malore, un impegno… ma non ci sarebbero cascati, né lui né Mark. Sospirò e lanciò un’occhiata all’armadio, dove aveva lasciato il vestito che Carol l’aveva convinta ad indossare, dopo averla convinta ad acquistarlo. Lo aveva scelto lei, dicendole che la doppia gonna era all’ultima moda ma Jenny non era sicura che le stesse così bene quanto Carol aveva affermato. Bianco poi, come un abito da sposa… Sospirò. In fondo il problema non sussisteva, lei non sarebbe mai andata a quella festa, incontrare Philip la terrorizzava troppo.
Ma perché lui aveva chiamato il ryokan? Erano passati così tanti mesi da quando si erano lasciati, perché ora la cercava? Voleva sapere se era a Shintoku. Perché? Cosa gliene importava? Piegò le gambe appoggiando i piedi nudi sul bordo del letto e nascose il viso nel cotone umido dell’asciugamano. La sua telefonata, che aveva aspettato per giorni, arrivava ormai troppo tardi. Eppure non riusciva a non chiedersi con ansia che volesse da lei, perché si fosse improvvisamente ricordato che esisteva. Perché non la lasciava in pace?
Quella sera non poteva assolutamente andare. Non avrebbe avuto la forza di rivederlo, né di affrontarlo. Vagò a caso nella stanza per quasi cinque minuti, cercando disperatamente una scusa che reggesse ai tentativi di Mark e Salvatore di convincerla ad accompagnarli. Non riuscì a trovarne. Sussultò quando udì Mark chiamarla da fuori.
-Jenny, sei pronta?-
-Non vengo!-
-Certo che verrai!- la sua voce si fece in un istante più vicina, doveva essere subito dietro la porta.
-Ti ho detto di no!-
-Tra cinque minuti Gentile sarà qui!-
-Mark, non vengo!-
-Ne abbiamo già discusso!- entrò senza bussare e trovò Jenny seduta sul letto con indosso soltanto la biancheria intima. Divenne scarlatto e distolse subito gli occhi, ma il suo spirito polemico non si sgonfiò e l’assalì lo stesso.
-Non sei ancora pronta!-
-Esci immediatamente!-
-Perché non sei pronta?-
-Ti ho detto che non vengo!-
Senza guardarla Mark raggiunse di filato l’armadio pronto a sceglierle un abito qualsiasi. Lei balzò in piedi, cercò di intercettarlo ma non arrivò in tempo. L’amico incappò nella valigia, accuratamente nascosta dietro i vestiti appesi. La fissò stupito, sgomento poi si volse.
-Hai intenzione di andartene, Jenny? Stai fuggendo?-
Lei arrossì, ricordò di essere mezza nuda e afferrò dalla sedia il telo umido. Se lo strinse al petto e tornò a guardarlo.
-Non sto fuggendo!-
-Sì che lo stai facendo! Hai persino fatto la valigia! Sai cosa significa questo? Che hai il terrore di incontrarlo!-
-Non è assolutamente vero!-
-Certo che è vero!-
-No!-
-E allora vieni a questa maledetta festa! Credi che a me faccia piacere partecipare?-
-La festa è per te, non per me!-
-Questa non è una scusa plausibile! Ci sono anche Amy, Patty ed Evelyn e tu stai con Gentile, no? Perché non dovresti accompagnarlo?-
-Non mi sento bene, mi sono venute.-
-Ma se ti sono appena passate!-
Lei sbiancò.
-Come accidenti fai a saperlo? Mi controlli?-
-Certo che no! Allora? Ti prepari?-
Mark lanciò un’occhiata all’orologio. Aveva meno di quattro minuti per convincerla a vestirsi e poi Gentile sarebbe arrivato. Perché tra i tanti difetti, l’italiano doveva avere anche quello di essere maledettamente puntuale? Agli allenamenti si presentava in ritardo cronico ma quando si trattava di andare a divertirsi era peggio di un orologio svizzero. Fece un rapido calcolo e arrivò alla conclusione che se fosse riuscito a convincere Jenny ad andare con loro, sarebbero arrivati con almeno un’ora di ritardo visto che lei non aveva ancora cominciato a prepararsi. Sbuffò. Sapeva bene che Gamo adorava la puntualità. La guardò. Gli era davanti, strettamente avvolta nell’asciugamano, i capelli tirati su da un mollettone, le gambe nude, i piedi scalzi sul parquet. I suoi occhi non lo guardavano, erano fissi, testardi, sul tappeto accanto al letto. Capì che doveva darle uno scossone, magari anche minacciarla. Che quella sera incontrasse Philip era fondamentale se voleva che quei due tornassero insieme. Raggiunse l’armadio, fece scorrere sull’asta i vestiti dell’amica e ne tirò fuori uno che, secondo lui, poteva andare bene. Tornò verso di lei e lo gettò sul letto nel momento stesso in cui il campanello di casa trillava.
-Se tra cinque minuti non sei pronta, ti ci porto di peso così come sei!-
-Non oserai!-
-Non mettermi alla prova, Jenny! Ti assicuro che non ti conviene!- distolse gli occhi dai suoi che si riempivano di lacrime. Non si lasciò commuovere e uscì furibondo, sbattendo la porta dietro di sé. Stupida, piccola testarda! Imboccò le scale mentre Gentile suonava di nuovo.
-Arrivo, maledetto te!-
Perché non voleva vedere Philip? Perché aveva così paura d’incontrarlo? Che accidenti era successo tra loro? E se lei avesse ragione? Se Callaghan l’avesse ignorata? Se non si fossero parlati o, peggio, avessero litigato? E se, costringendola a venire quella sera, le cose fossero peggiorate? Smise di farsi tutte quelle inutili domande e aprì la porta.
Jenny si asciugò le lacrime con un gesto stizzito, poi rimise a posto l’abito che Mark aveva scelto e tirò fuori quello che aveva comprato insieme a Carol.
Salvatore si guardò intorno, poi scostò Mark ed entrò, senza aspettare di essere invitato.
-Dov’è Jenny?-
-Sta finendo di prepararsi.-
-Offrimi una birra, sto morendo di sete.- si tolse la giacca e la gettò sul divano -Si schiatta di caldo! Deve essere un anticipo d’estate.- entrò in cucina, aprì il frigorifero e si servì.
L’altro gli andò dietro e gli lanciò un’occhiata seccata.
-Fai come se fossi a casa tua.-
Salvatore ignorò il suo sarcasmo.
-Domani iniziano gli allenamenti seri, eh? Fremo dalla voglia di vedervi alle prese col pallone.-
-Fai poco il gradasso, potresti anche perdere.-
-Con delle schiappe come voi? Non essere ridicolo. È vero che forse Hutton non giocherà?-
-Sta aspettando il nullaosta.-
-Peccato, allora vi stracciamo di sicuro.-
Mark non raccolse la provocazione.
-Neanch’io giocherò se non arriva il nullaosta.-
-E com’è che non ti è ancora arrivato? E poi dite che i giapponesi sono efficienti.-
-Sono sicuro che da Torino non è proprio partito.-
-E che aspetti ad andare a chiedere?- Salvatore finì di scolarsi la birra, poi lanciò un’occhiata all’orologio -Ho fame.-
-Anch’io, maledizione!- Mark si accorse che i cinque minuti che aveva concesso a Jenny erano scaduti, così si affacciò sulle scale. Il primo piano era immerso nel silenzio. Si volse verso Gentile -Senti, perché non cominci a uscire?-
-È una cosa lunga?-
-Aspettaci in macchina.-
Il giovane trasalì.
-Cazzo! C’è Carol in macchina, me n’ero scordato!-
-Hai portato Carol?-
Gentile fece spallucce.
-Ha insistito per venire e poi ho pensato che avrebbe potuto tener compagnia a Jenny, visto che non conosce nessuno.-
-Potevi evitare, porca miseria!-
-Che te ne importa se viene? O hai paura che la scambino per la tua ragazza?- rise -È questo il problema, vero?-
Mark si irrigidì, quel maledetto aveva colto nel segno. Andare ad un party in quattro li faceva sembrare due stupide coppie. E lui non voleva far coppia con nessuna delle due, né con Carol, né tanto meno con Jenny.
-Chi cazzo ti ha detto di invitarla? Che ci faccio io con Carol mentre tu te la spassi con Jenny?-
Gentile sbuffò.
-Quanto la fai lunga! Quando siamo lì mollala, tanto lei è autosufficiente. E poi c’è Rob.-
Mark lasciò perdere quel problema perché prima ne aveva un altro da risolvere. Cercò di togliersi l’invadente italiano dai piedi.
-Raggiungila in macchina, arriviamo tra un minuto.- salì in fretta le scale -Jenny? Sei pronta?-
Lei non rispose e Mark bussò. Il silenzio fu totale. Cercò di aprire la porta e quando la trovò chiusa a chiave capì furioso di essere stato fregato. Bussò con più insistenza, facendo rimbombare la casa di colpi.
-Jenny, apri la porta!-
-No!-
Era lì, la ragazza s’era barricata nella stanza.
-Apri ti ho detto!-
-No! Ti aprirò domani mattina. Vai a quel maledetto party e lasciami in pace!-
Mark strinse i pugni, poi colpì la porta con una spallata. Il legno non cedette.
-Jenny, apri!- un secondo colpo fece scricchiolare i cardini.
-Smettila!-
-Mi auguro che tu sia vestita, perché adesso entro e ti carico in macchina così come sei!-
Jenny lanciò un’occhiata allo specchio appeso sopra al comò. Per sicurezza aveva indossato l’abito bianco, ma era certa che non si sarebbe mossa da lì. Sapeva che l’amico stava bluffando, che non avrebbe mai buttato giù la porta perché il giorno dopo gli sarebbe costato troppo farla riparare.
Incuriosito dalle grida e dai colpi, Gentile si affacciò sulle scale, il naso all’insù, giusto in tempo per vedere Mark scagliarsi di nuovo contro la porta della stanza di Jenny. Si irrigidì.
-Che cazzo stai facendo, Landers?-
L’altro si volse, dolorante e imbufalito. La cravatta aveva perso la sua piega perfetta, la giacca gli pendeva da un lato, uno dei bottoni si era slacciato. La camicia gli tirava sulla schiena e la spalla gli faceva male.
-Vuoi che Jenny venga al party?- lo vide esitare, poi annuire -E allora vai ad aspettare fuori!-
Con un’ultima spallata la porta cedette, la serratura saltò e Mark piombò dentro. Lo slancio quasi lo scagliò su Jenny, in piedi davanti al letto. Lo fissava incredula, sgomenta, ma almeno vestita, le mani sulle labbra socchiuse dallo stupore. Non le diede il tempo di reagire. La raggiunse come un fulmine, si chinò davanti a lei, l’afferrò per le ginocchia e se la caricò su una spalla.
-Mark!-
Jenny era una piuma, ma si agitava come una pazza per farsi mollare. Sentì i suoi pugni colpirlo sulla schiena, le sue dita aggrapparsi alla giacca. Scalciò e lui serrò la stretta sulle gambe.
-Lasciami andare, Mark!-
Mentre si voltavano per imboccare le scale, Jenny riuscì a scorgere Gentile, in fondo alla rampa. Li fissava sgomento. Lo chiamò, mentre i gradini scorrevano rapidi davanti ai suoi occhi.
-Salvatore, aiutami!-
La sua richiesta cadde nel vuoto, l’italiano era così stupito che non fece nulla. Un secondo dopo Jenny si ritrovò sul marciapiede. Riprese ad agitarsi quando vide l’alfa rossa di Gentile parcheggiata proprio davanti casa.
Carol aprì da dentro lo sportello del passeggero. Li guardava e rideva, meravigliata e divertita.
-Che state combinando?- scattò loro una foto e la inviò sul profilo whatsapp di Rob.
-Non voglio venire!- protestò Jenny sull’orlo delle lacrime mentre Mark la scaricava sul sedile senza tanti complimenti -Come hai osato?- si passò una mano tra i capelli che le erano ricaduti sulle spalle. Il fermaglio non aveva retto. Se lo sistemò come poté e fissò il ragazzo con un’espressione carica di collera -Dove vuoi portarmi così? Non ho la borsetta e neppure il cappotto!-
Mark si tirò indietro e la fissò dal marciapiede. Le puntò l’indice contro.
-Non azzardarti a scendere! Prendo tutto io!- chiuse con violenza lo sportello e si rivolse a Gentile -Sali e metti in moto, arrivo tra un secondo.-
Durante il tragitto Jenny non disse una parola. Né a Carol, che sedeva eccitata e felice accanto a lei e cercava inutilmente di coinvolgerla nella sua euforia, né a Salvatore, che secondo lei avrebbe dovuto impedire a Mark di comportarsi in modo così prepotente e villano. Si strinse la borsetta addosso, una borsa semivuota. L’amico aveva infilato dentro soltanto il cellulare e un pacchetto di fazzoletti. Né lo specchietto, né il pettine, né il rossetto per rifarsi il trucco e neppure il suo mazzo di chiavi di casa. Imbecille! Lo odiava da morire, forse non lo avrebbe mai perdonato.
Quando Salvatore rallentò, capì che erano arrivati. Individuò l’hotel da lontano e sentì Carol tendersi. Lanciò all’edificio illuminato un’occhiata attraverso il vetro del finestrino, poi si girò dall’altra parte. Mentre Gentile si fermava davanti all’ingresso, si sentì stringere lo stomaco dall’ansia. Mark scese e richiuse lo sportello, poi aprì quello dalla parte di Jenny. La ragazza non poté muoversi, il terrore l’assalì.
-Scendi?- la pressò.
Lei provò a farlo ma non ci riuscì.
-Non ho nessun problema a caricarti di peso.- la minacciò sicuro, convinto, stracerto che in un futuro non troppo lontano lo avrebbe ringraziato per ciò che aveva fatto quel giorno.
Jenny si volse a guardarlo, gli occhi spalancati. I lampioni della strada la illuminavano fievoli ma Mark la vide lo stesso, spaventata e pallida. Per un microsecondo si chiese di nuovo se non avesse sbagliato a costringerla a partecipare al party. Non sapeva come e perché lei e Philip si fossero lasciati e c’era anche la lontana possibilità che vedersi peggiorasse la situazione. E se Philip non avesse voluto incontrarla? Si diede dello stupido per un pensiero tanto assurdo. Callaghan avrebbe fatto i salti di gioia a trovarsela lì. Certo, c’era quel maledetto italiano tra i piedi, ma lui rappresentava un problema che Philip sarebbe riuscito in qualche modo a superare. Su questo aveva la massima fiducia nel compagno.
Gentile consegnò le chiavi all’autista dell’albergo che avrebbe parcheggiato la sua Giulietta, poi li guardò preoccupato. Mark era in piedi, davanti allo sportello spalancato e a Jenny che continuava a restare immobile sul sedile. Non voleva assistere di nuovo alla scena che si era svolta sul marciapiede di casa di Landers. Non doveva assolutamente riaccadere davanti a decine di giornalisti pronti a metterli in ridicolo sulle pagine delle riviste di gossip. Si avvicinò, scostò Mark e le sorrise. Jenny lo guardò con gli occhi spalancati, poi tirò fuori un piede ed esitò. Alle sue spalle Carol le rifilò uno spintone sulla schiena.
-Sbrigati… E non mostrare le mutandine! Le indossi, vero?-
Jenny si volse incredula.
-Certo che le indosso!-
I flash cominciarono a scattare non appena uscì dalla macchina e Jenny dovette costringersi ad uno sforzo enorme per reprimere l’impulso di saltare di nuovo al sicuro nell’abitacolo. Odiava farsi fotografare e i flash la accecavano. Sperava che avrebbero smesso non appena avessero capito che lei non era nessuno di importante, invece proprio perché non era una faccia nota gli scatti aumentarono.
-Merda, cominciamo.- borbottò Mark.
Carol gli andò dietro, ma con un commento completamente opposto.
-Dio, che emozione…-
Lui la fissò ostile.
-Tu! Non starmi appiccicata o penseranno che sei la mia ragazza!-
La giovane gli sorrise raggiante. Era troppo felice per offendersi.
-Tranquillo, ti ignorerò meglio che posso.-
Jenny alzò il viso su Salvatore. Si stava mettendo in posa davanti ai giornalisti, beandosi della luce dei flash tanto quanto una lucertola godeva dei raggi del sole. Il suo atteggiamento tronfio e pieno di sé infastidì Mark.
-Montato esibizionista.-
-Che te ne importa?- lo zittì Carol -Se si concentrano su di lui lasciano in pace noi. Entriamo?-

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Capitolo 7
*** Sesto capitolo ***


Sesto capitolo



Bloccata sul marciapiede, tra il viavai degli invitati, degli ospiti e dei fan assiepati lungo la strada, attraverso le vetrate dell’hotel Jenny scrutò la hall splendente di luci. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non varcare l’ingresso dell’edificio, per essere nella sua accogliente stanza, meglio ancora se ficcata sotto le coperte, con la luce spenta, a sforzarsi di non pensare a niente. La situazione le era sfuggita di mano dal momento in cui Mark aveva scardinato la porta, se l'era caricata su una spalla e l'aveva infilata in macchina. Un susseguirsi di momenti così assurdi che non era riuscita a escogitare un modo per evitare di mettere piede in quel maledetto edificio. O forse non esisteva niente che le avrebbe impedito di farlo. Non ora che era proprio a due passi dall’ingresso. Sarebbe dovuta restare a casa, fare qualsiasi cosa purché Mark non la trascinasse lì. Adesso era davvero troppo tardi. E non poteva neppure rimanere sul marciapiede, in balia dei giornalisti e dei fan. Si sforzò di avanzare verso quella marea di gente in attesa ma le sue gambe non risposero. Si sentì come se i suoi piedi fossero sprofondati fino alle caviglie nell’asfalto, impedendole di proseguire. Gentile la superò senza toccarla, fermandosi poco più avanti, tra lei e i fan. Jenny non capì se lo fece per attirare l'attenzione o per nasconderla e proteggerla dalla curiosità di tutte quelle persone. Chissà, forse le due cose insieme. Mark si piazzò al suo fianco, così vicino che se avesse sollevato appena il gomito, lo avrebbe sfiorato. Dall’altro lato arrivò Carol. Jenny era circondata, non poteva più fuggire.
L’ingresso dell’hotel era transennato e ai lati del tragitto che avrebbero dovuto percorrere c’era un mucchio di gente: fan della nazionale italiana, di quella giapponese, giornalisti e fotografi di entrambe le nazionalità. Impossibile evitarli, impossibile nascondersi, impossibile sfuggire a quella passerella.
Mark le piazzò così inaspettatamente una mano tra le scapole da farla sussultare. Poi, senza tanti complimenti, la spinse verso l’ingresso. I piedi di Jenny si sbloccarono di colpo e lei barcollò in avanti, riuscendo finalmente a muovere un passo.
-Non sarei dovuta venire…- la voce fu un rantolo e le costò uno sforzo persino correggere il concetto -Non avresti dovuto costringermi a venire, Mark.-
Lui alzò le spalle.
-Io continuo ad essere convinto del contrario.-
Le sorrise incoraggiante ma lei lo guardò torva, perché non c’era assolutamente nulla da stare allegri.
-Sbagli e presto te ne accorgerai.-
Mark seguitò a mostrarsi scettico, anche se qualche dubbio era riuscita a farglielo venire. Tornò ad osservare i giornalisti.
-Comunque ora è davvero troppo tardi per scappare. Ti stanno fotografando e domani sarai sui giornali.-
Su questo l’amico aveva ragione. Anche se avesse continuato a nascondersi, se fosse tornata a casa senza mettere piede nell’albergo o se fosse riuscita ad evitare di incontrarlo per tutta la durata della festa, Philip avrebbe saputo lo stesso che si trovava a Torino. E cosa avrebbe pensato? Che era lì per lui? Solo l’idea era agghiacciante. C’era però un altro aspetto che l’ottusa sensibilità di Mark non coglieva. Un conto era che Philip incappasse nella sua foto sul giornale o da qualche altra parte nel web, un altro, ben diverso, era arrivare in compagnia di Salvatore Gentile al party di benvenuto organizzato appositamente per la nazionale giapponese. -Non è stata una buona idea costringermi a partecipare.- decise caparbia, mentre un brivido di disagio le correva su per la schiena, trasmettendole uno spiacevole presentimento. I suoi tacchi risuonarono sul selciato mentre si avvicinava, dopotutto, all’ingresso dell’hotel. Era circondata a destra e sinistra dai fan che premevano, vociavano, ridevano, gridavano e si allungavano per farsi più vicini. Quando Salvatore si fermò a salutarli le loro voci si trasformarono in una specie di boato, un rumore molto simile al fragore delle onde di un mare agitato che si schiantano contro gli scogli. Vide una massa indistinta premere verso di loro, per avvicinarsi il più possibile al calciatore italiano. Lei si tese, i suoi occhi guizzarono sulle facce che li circondavano, la folla le fece paura e intimidita si accostò a Salvatore.
Lui se la sentì addosso e abbassò gli occhi gongolante.
-Sono tutti qui per me.-
Carol si lasciò sfuggire una risatina nervosa mentre si affiancava.
-Non è una buona idea stargli appiccicata. Sono troppe le fan venute qui per vederlo più da vicino.- le prese una mano e la tirò da parte -È molto meglio se gli resti lontana.-
Le dita di Jenny serrarono quelle della giovane, mentre il varco intorno a loro premeva per restringersi. Carol superò Salvatore che sorrideva agli obiettivi, si fece largo tra la gente e trascinò l’amica avanti con sé, cercando di raggiungere in fretta l’ingresso.
-Permesso… scusate. Dobbiamo passare… scusate. Permesso.- invocò spintonando chi aveva approfittato della ressa per oltrepassare le transenne.
Mentre loro proseguivano imperterrite, Carol che spingeva indietro chiunque la intralciasse, dritta e spedita come un ariete da sfondamento, l’italiano rimase da qualche parte alle loro spalle, in posa sul marciapiede, alla portata dei cellulari, delle macchinette fotografiche e dei selfie.
Jenny si ritrovò del tutto incapace di condividere l’entusiasmo di cui era carica l’atmosfera. Non avrebbe mai capito i misteri di tanto attaccamento verso i vip, era qualcosa che andava al di là della sua indole, del suo carattere e della sua comprensione.
Gli occhi di tutti, anche quelli degli addetti alla sicurezza, erano focalizzati sul biondo giocatore e nessuno fece caso a loro, non più di tanto almeno. Solo due o tre giornalisti mostrarono un certo interesse e scattarono qualche foto. Il resto dell’assembramento continuò a puntare il difensore della Juventus, lasciandole libere di entrare nell’hotel.
Oltrepassate le porte a vetri, Jenny si fermò e si volse. Di Gentile riusciva a malapena a scorgere un ciuffo dorato. Mark invece era scomparso nella calca. Respirò a fondo, i nervi tesi.
-Cos’era quel casino?-
Carol rise.
-Non sapevi di uscire con una star?-
-Non immaginavo fino a questo punto! Lo faranno entrare?-
-Sì, tranquilla. Vogliono solo un po’ di foto e le solite due o tre dichiarazioni sul prossimo incontro.- osservò divertita la sua espressione tesa -Vedrai, Salvatore sa gestirli e presto ti raggiungerà.-
Jenny annuì, anche se a ben vedere non era l’assenza di Salvatore a preoccuparla di più. Ad accartocciarle lo stomaco come un foglio di carta da cestinare, era ciò che l’aspettava da quel momento in poi. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché ai suoi piedi si aprisse una voragine in cui sprofondare, lì, al centro della sala, nel luccicante pavimento di marmo. Aspettò, sperando che un fulmine divino la sottraesse a quel supplizio. Invece non successe nulla, così tirò ancora un profondo respiro e sollevò lo sguardo. Eccola lì, alla fine era nella hall. Aveva messo piede nell’hotel in cui alloggiava Philip. I suoi occhi corsero ansiosi qua e là, quasi aspettandosi di vederlo seduto sulle poltroncine o sbucare dall’ascensore. L’ingresso dell’albergo, in confronto alla ressa che avevano appena superato, era incredibilmente vuoto a parte i due impiegati in giacca e cravatta dietro l’enorme bancone della reception, un’isola di legno scuro a forma di mezzaluna. Quell’hotel sembrava davvero fin troppo tranquillo per ospitare due nazionali di calcio e chissà quanti imbucati. Per un istante Jenny pregò che avessero sbagliato albergo.
-Accidenti che lusso!- Carol si guardò intorno, ammirando gli arredi di prima categoria -Quante stelle ha questo hotel? Che invidia potersi permettere un posto simile!-
-Paga la Federazione.- la voce di Mark le raggiunse prima di lui.
Carol si volse e gli sorrise.
-Ancora meglio! Potete alloggiare in un posto simile a scrocco!-
-Io veramente dormo a casa mia.-
-Be’, hai perso un’occasione.- gli strizzò l’occhio -Adesso ho capito perché Rob fremeva per venire a Torino.-
-Ad Aoi non frega niente dell’hotel. Lui non vedeva l’ora di incontrare gli altri.-
-Anch’io.- gli occhi di Carol si illuminarono d’interesse ed emozione.
Bastarono quelle due parole perché Jenny ricordasse di colpo che la ragazza era lì solo ed esclusivamente per togliersi lo sfizio di vedere dal vivo la persona di cui pareva essersi invaghita da un giorno all’altro. Tale era l’ansia che la riempiva dalla testa ai piedi che aveva del tutto accantonato questo scomodo particolare. E adesso non poté fare a meno di tornare a chiedersi chi accidenti fosse il misterioso ragazzo, anche se tremava all’idea di scoprirlo. Diamine, non voleva pensare neppure a quello. Si volse di nuovo verso l’ingresso.
-Dov’è Salvatore?-
-Quel rincoglionito arriverà soltanto quando avrà finito di pavoneggiarsi davanti ai suoi fan.- borbottò indignato Mark -Ricordami di non andare più a nessun party insieme a lui… Maledetti giornalisti! E maledetto imbecille! I fan lo assaltano e lui si diverte. Neppure Ross è così egocentrico e fanatico.- terminato lo sfogo lanciò un’occhiata a Carol che li aveva mollati per raggiungere la reception. La vide scambiare qualche parola con gli impiegati e tornare felice verso di loro.
-La festa è nella sala da pranzo e nel giardino sul retro. Che facciamo? Aspettiamo Salvatore?-
Jenny annuì subito, trovandola un’ottima scusa per ritardare ancora un po’ l’inevitabile incontro con i compagni. Mark, che stava morendo di fame, stabilì per tutti che invece era ora di entrare.
-No, andiamo. Ci raggiungerà.-
-Aspettiamo Salvatore…- lo supplicò Jenny.
Lui socchiuse gli occhi.
-Temporeggiare non servirà a niente e lo sai perfettamente anche tu. Piuttosto allontaniamoci da qui prima che i giornalisti si stanchino di Gentile e vengano ad assillare pure noi.-
Jenny li seguì controvoglia fin sulla doppia porta del grande salone. E quando fu lì non riuscì a proseguire. Le sue gambe si bloccarono di nuovo, i tacchi piantati nella moquette e Mark dietro di lei che cercava di spingerla dentro ancora una volta, apparentemente senza successo.
La sala faceva la sua bella figura. Le pareti erano affrescate di bianco e riquadrate con cornici di stucco di stile neoclassico. Al centro di ogni cornice brillava un’applique romboidale di vetro sfavillante. Il pavimento era ricoperto di moquette scarlatta, a tinta unita al centro della stanza e riquadri e greche d’oro che correvano su tutti e quattro i lati. La tappezzeria delle sedie era dello stesso rosso della moquette e le tovaglie che ricoprivano i tavoli rotondi scendendo fino a terra erano bianche e rosate. Ogni tavolo era abbellito da composizioni floreali e candele accese. Lungo la parete di fondo, oltre un arco, era disposto il buffet. Tutt’intorno, a ravvivare la sala, erano state collocate rigogliose piante verdi. Ma la cosa più fantastica di quella stanza, era il soffitto. L’immensa distesa di bianco era interrotta al centro da un’enorme vetrata a cupola in stile liberty, con decorazioni geometriche a petali azzurri e celesti nel cerchio esterno e gialli ed arancioni all’interno, ad imitare i raggi del sole. Al centro della vetrata era appeso un enorme lampadario acceso e sfavillante di miriadi di gocce di cristallo.
Camerieri si aggiravano tra i tavoli in abbaglianti camicie bianche. Scivolavano discreti in mezzo alla folla di ospiti che chiacchieravano, tenendo dritti i vassoi di flute di champagne perfettamente allineati. Quella che all’inizio era sembrata un’enorme sala da pranzo, a guardar meglio era in realtà costituita da due ambienti affiancati. Uno più grande, dove si trovava l’ingresso, e uno più piccolo in fondo, a cui si accedeva attraverso due grandi arcate. Le sale erano separate dal lungo tavolo del buffet e nella seconda si apriva un’ampia vetrata che dava sul terrazzo.
Carol soffocò un’esclamazione di profonda meraviglia. La sala in cui erano entrati era davvero splendida. Ma a Jenny non fece lo stesso effetto. La guardò distrattamente, incapace di godersi tanto lusso, mentre il panico tornava a stringerle lo stomaco in una morsa. Cercava Philip nei volti degli invitati più vicini, tra le persone che si erano girate al loro ingresso. Fu quando i suoi occhi si posarono per caso su Patrick Everett che si riempiva il piatto di pietanze e attraversava l’arcata chiacchierando insieme a uno dei gemelli Derrick, che capì che la nazionale giapponese era bene o male tutta lì, nella sala più piccola, più lontano da lei. Quella che si affacciava verso il giardino. Il salone grande era occupato per la maggior parte dagli italiani, così numerosi da convincerla che gli inviti erano fioccati in abbondanza.
-Vieni Jenny.- Mark le posò una mano sulla spalla e la spinse di nuovo verso l’interno della sala. Kirk Pearson aveva alzato gli occhi dal buffet e lo aveva individuato, quindi ora doveva assolutamente andare a salutarlo.
-Aspetta, per favore.- lo supplicò tesa, liberandosi dalla sua stretta -Dammi ancora un istante…- niente da fare, non lo vedeva. Non riusciva a vedere Philip da nessuna parte. Eppure doveva esserci. Non era possibile che mancasse.
-Vai Mark.- gli sorrise Carol rassicurante -Resto io con Jenny.-
Il ragazzo ci pensò su, poi annuì. Puntò Pearson, si stampò in faccia un sorriso cordiale e lo raggiunse, lasciandole sole.
-Jenny, questo posto è fantastico.- Carol le strinse un braccio, eccitata -E dal profumo sono sicura che il buffet non è da meno.- la prese per mano -Andiamo a mangiare!-
Non ci provò neppure, a trascinarla con sé. Aoi arrivò quasi di corsa, un calice di spumante che rischiò di traboccare. I suoi occhi erano fissi su Carol.
-Chi ti ha fatta entrare?-
Lei sorrise radiosa.
-Jenny!-
-Ma se io non volevo neppure venire!-
Rob le guardò perplesso, un po’ scontento perché la serata lambiva. I compagni erano esausti per il lungo viaggio e il suo entusiasmo finora non era riuscito a scuoterli. Holly se ne stava incollato a Patty e quando si separava da lei ronzava intorno a Philip, facendogli delle richieste a cui l’altro rispondeva sbuffando. Una metà della squadra era morta di sonno, l’altra metà si abbuffava di pizza di nascosto da Gamo. Insomma, nessuno gli dava retta ed era lì lì per mescolarsi al gruppo degli italiani. Adesso, con Carol, sapeva che si sarebbe divertito perché quando lei si impegnava a svagarsi, era davvero uno spasso. In parte sollevato, spostò l’attenzione su Jenny perché la sua risposta piccata l’aveva stupito.
-Non volevi venire? E perché?-
-Questo genere di intrattenimenti non mi interessa.-
Carol la sgomitò maliziosa, pronta a prendersi gioco di lei.
-E quali sono gli intrattenimenti che invece ti interessano? Quelli che ti offre Salvatore, ci scommetto!- Jenny arrossì, piena d’imbarazzo, spingendola a ridere e continuare -Non devi vergognarti, sai? È giusto così, vero Rob?-
-Certo, come no.- si limitò ad accontentarla poi tornò a rivolgersi a Jenny -Pensa che sei l’unica ad aver accompagnato un giocatore italiano. Gli altri sono venuti tutti da soli.-
-Così possono fare casino indisturbati.- spiegò Carol mentre Rob annuiva e rideva.
-Comunque… avete fame?-
-Cavolo sì che ho fame!- la ragazza lo prese entusiasticamente sotto braccio -Se non ci porti subito a mangiare stramazzo a terra! E poi, dopo che ci saremo rifocillate, dovrai presentarci tutti, ma proprio tutti, i tuoi compagni di squadra. Non vediamo l’ora di conoscerli, vero Jenny?-
Lei non la udì. Aveva ripreso a guardarsi intorno nervosa. Più pensava a ciò che stava per succedere, e più il suo stomaco si contorceva di angoscia. Altro che fame! Le veniva da vomitare per l’ansia! Sentì i palmi delle mani umidi di sudore e strinse le dita sulla borsetta per asciugarle sulla tela. Incrociò gli occhi di Everett che li fissava curioso e venne assalita dal terrore che la riconoscesse, anche se era razionalmente improbabile. Due anni prima a Shintoku Philip aveva impedito a Danny di farle una foto per mostrarla ai compagni di squadra e dubitava che in seguito negli spogliatoi della nazionale giapponese ne fossero girate altre. Su questa fissazione Philip era stato irremovibile per anni e le cose non potevano essere certo cambiate in quell’ultimo periodo in cui si erano lasciati. Ma Pearson sì che la conosceva. L’aveva vista entrare con Mark e anche se lei aveva abbassato gli occhi per evitare i suoi, era sicura che l’avesse individuata. Si volse verso l’uscita. La tentazione di andarsene fu sconvolgente. Era ancora a due passi dalla porta del salone, non si era mescolata agli invitati, indossava il cappotto e né Philip né nessun altro l’aveva vista. Aveva tutto il tempo di sparire. Più lo pensava e più il desiderio di andarsene divenne impellente, incontrollabile. Fremette per farlo, indecisa. Salvatore si sarebbe offeso, Mark si sarebbe infuriato e sarebbe stato capace di correrle dietro, se l’avesse beccata a dileguarsi, facendole fare la figuraccia definitiva. Che accidenti doveva fare? Vide Everett avanzare verso di loro fendendo gli ospiti e il panico l’assalì. Fece un passo indietro.
-Jenny? Cos’hai?-
Si volse verso Carol.
-Ho bisogno di un bagno.-
-Sì ma…- l’amica la squadrò, qualcosa della sua espressione la mise in allarme -Stai bene?-
Jenny non le rispose. La paura di essere vista, scoperta e riconosciuta divenne d’un tratto ingestibile e le tolse il fiato. Doveva nascondersi da qualche parte, assolutamente. Imboccò l’uscita così bruscamente che quasi si scontrò con un cameriere. Lo sfiorò, lui si scusò e Jenny ne approfittò per chiedergli dove fosse la toilette. Ascoltò le indicazioni e poi scappò via in cerca di un luogo tranquillo in cui reprimere quella specie di attacco di panico che l’aveva assalita.
Rob la guardò sparire nel corridoio.
-Ma che ha?-
Carol alzò le spalle.
-Non voleva venire, ha fatto un sacco di storie.-
-Allora non era meglio lasciarla a casa? Magari non si sente bene.-
-Vado a vedere, torno subito.- si bloccò all’improvviso, si tolse il cappotto e glielo porse -Lo porti al guardaroba? Fa un caldo soffocante!-
Lui annuì.
-Mi trovi in giro.-
Jenny s’infilò nel bagno. Era deserto. Chiuse la porta della toilette e vi si appoggiò contro, accasciandosi contro il pannello di formica. Non se la sentiva, non ce la faceva. Non sarebbe riuscita a restare lì, guardare Philip, salutarlo e magari parlargli fingendo che tutto ciò che c’era stato tra loro non fosse mai esistito. Non ne aveva la forza. Si passò una mano sul viso per asciugare le lacrime che avevano cominciato a sgorgare incontrollabili. Frugò nella borsa e tirò fuori un fazzoletto. Mark non vi aveva infilato praticamente niente ma i fazzoletti sì. Immaginava che le sarebbero serviti, oppure si trattava di una banale coincidenza? Sentì la porta esterna del bagno aprirsi e richiudersi.
-Jenny?-
Era Carol. Sospirò. Non poteva restare lì per tutta la serata, l’amica non gliel’avrebbe permesso. Respirò a fondo e quando il suo cuore rallentò, cercò di rendersi presentabile. Insieme alle lacrime sul fazzoletto rimasero le striature scure del rimmel e la polvere brillante dell’ombretto. Non aveva lo specchietto con sé (quello Mark non glielo aveva messo in borsa) quindi avrebbe dovuto riparare ai danni fuori della toilette. Aprì la porta e trovò Carol davanti ai lavandini a lisciarsi i capelli. Incrociò i suoi occhi attraverso il riflesso dello specchio.
-Che ti prende?-
-Non mi sento bene.- sminuì, anche se in realtà si sentiva morire. Come aveva potuto, Mark, sottoporla a quella tortura? Non le voleva neppure un po’ di bene?
-Ti sono venute?-
Esitò sulla risposta, poi capì che poteva essere un’ottima scusa. Annuì.
-Guardati, sei un disastro.- Carol scosse la testa, le si avvicinò e le ripulì con un dito una striatura di rimmel sulla tempia che chissà come ci era finita -Vieni qui che ti do una sistemata!-
A Jenny non importava del suo aspetto, perché tanto sapeva che quando avrebbe incontrato Philip, non sarebbe cambiato nulla anche se il trucco fosse stato perfetto. Ma fu più facile lasciarla fare senza protestare che inventare scuse e mentirle sul proprio comportamento e sulla propria mancanza di interesse per tutto ciò che la circondava. Quando ebbe finito Carol si scostò per consentirle di guardarsi e Jenny stentò a riconoscersi nel riflesso del grande specchio che riempiva la parete sopra i lavandini. Aveva impiegato poco più di cinque minuti, Carol, a ritruccarla. Dalla borsetta aveva tirato fuori di tutto e aveva dato il meglio di sé, trasformandola praticamente in un’altra.
-Che te ne pare?-
Jenny si osservò a bocca aperta.
-Non sembro io.-
-Lo sei, lo sei.- rise divertita e lusingata.
-Sei bravissima.-
-Certo.- fece spallucce e l’adulò -Quando c’è una buona base da cui partire… E adesso lasciamo che Salvatore ti veda.-
Lei sussultò.
-Veramente preferirei tornare a casa.-
-Ma non possiamo! Siamo appena arrivate, non abbiamo neppure mangiato!-
Jenny capì che Carol l’aveva truccata per farla restare. Ad andar via non l’avrebbe aiutata e, se proprio voleva tagliare la corda, doveva cercare Salvatore e avvertire almeno lui. Sentì che l’amica continuava a parlare e tentò di concentrarsi sulla sua voce.
-E soprattutto devo assolutamente fare un’incursione tra la nazionale giapponese! Rob ci ha promesso di presentarci tutti-tutti… E come sai bene, non vedo l’ora che ciò accada.- la fissò negli occhi -Togliti il cappotto, hai un vestito stupendo e devi assolutamente metterlo in mostra. Altrimenti che lo hai comprato a fare?-
-Me lo chiedo anch’io.- borbottò mentre Carol allungava le mani e le sbottonava il soprabito prima che riuscisse a farlo da sola. Non le lasciò alternative e Jenny si rassegnò, almeno ad uscire dal bagno.
Nel corridoio trovarono Gentile, e non da solo. Jenny impietrì, riconoscendo all’istante chi era con lui, nonostante il ragazzo fosse voltato. La sua altezza, la sua schiena, i muscoli delle spalle, i capelli tagliati corti sulla nuca, le erano troppo noti. Si chiese per un secondo se avrebbe fatto in tempo a tornare in bagno e nascondersi lì, lasciando sprecato il sarcasmo con cui l’avrebbe accolta, poi capì che no, non sarebbe riuscita a non farsi notare. Salvatore aveva smesso di parlare, le stava sorridendo e aveva attirato su di lei l’attenzione del suo interlocutore.
Benji si volse e la vide. Lo stupore del portiere, in confronto al proprio, fu incommensurabile. La fissò incredulo, degnando appena di un’occhiata Carol che si avvicinava e porgeva a Gentile un cappotto.
-Consegnalo al guardaroba.- gli disse in italiano -Se Jenny continua a tenerlo addosso va a finire che se ne va.- Salvatore lo prese e Carol si allontanò in cerca di Rob, dentro di sé in un certo qual modo sollevata di liberarsi del fardello che rappresentava l’amica, quella sera senza nessuna intenzione di divertirsi.
Jenny la guardò ripassarle accanto, accennarle un sorrisetto d’intesa e sparire dietro l’angolo, in fondo al corridoio. Fu chiarissimo dal suo atteggiamento distratto che tra i componenti della nazionale giapponese, non era il portiere ad interessarle.
-Tutto bene, Jenny? Rob mi ha detto che sei corsa in bagno.- e infatti Gentile aveva incrociato Price proprio mentre andava a cercarla.
Lei annuì a disagio, passando il peso del corpo da un tacco all’altro, occhieggiando Benji senza avere il coraggio di guardarlo dritto in faccia. Fu l’italiano ad avvicinarsi e il portiere gli andò dietro. Jenny gli lanciò di nuovo una timida occhiata di sfuggita, poi spostò lo sguardo su Salvatore e tentò un sorriso.
-Mark voleva mangiare e io volevo aspettarti, così ho preso tempo.- tornò inevitabilmente a occhieggiare l’amico, quasi le sembrò di udire le rotelle del suo cervello in piena attività. Salvatore glielo presentò.
-Benji Price, il portiere della nazionale giapponese.-
A lui le sue parole suonarono così assurde e fuori luogo che gli venne da ridere.
-Cioè? Devo far finta di non conoscerti?- le chiese nella loro lingua.
Jenny scosse mestamente la testa.
-No, non importa ormai…- non poteva farci niente, Benji l’aveva vista e del resto lui era solo il primo di una lunga serie di incontri che si prospettavano uno peggiore dell’altro. Tanto valeva mettersi l’anima in pace.
-Meglio così, perché sarebbe davvero ridicolo.- gli venne di nuovo da ridere mentre si rivolgeva a Gentile in inglese -Ci conosciamo già, Jenny ed io.- tornò a guardare l’amica, dimenticando all’istante ciò di cui stava parlando con l’italiano prima che lei comparisse -Cos’hai fatto? Sei diversa…-
-Non lo so. Forse perché mi ha truccata chi lo fa di mestiere.-
Salvatore le posò una mano sulla spalla.
-Jenny? Vi conoscete davvero?- la scrutò sorpreso e non troppo entusiasta. Non era sicuro di essere contento di questa inattesa novità.
Lei annuì svelta, mentre Benji continuava.
-Sei dimagrita.-
Lo guardò sospettosa.
-È un complimento?-
-No, se ti spariscono le tette.-
Jenny si tirò indietro con uno scatto, aggrappandosi istintivamente al braccio di Gentile. La sua reazione improvvisa a Salvatore piacque ancor meno, così rivolse al portiere uno sguardo diffidente.
-Che le hai detto, Price?-
Benji fece spallucce.
-Niente, scherzavo.- tornò a parlare in giapponese e a fissare l’amica dritto negli occhi -Che accidenti ci fai qui?-
La sua risposta fu un mormorio confuso e imbarazzato.
-Guarda, non lo so neppure io…-
-Sei venuta per Callaghan?-
-Assolutamente no! Ci siamo lasciati!-
-Vero, gira questa voce. Allora?-
-E allora sono qui da prima di voi!- s’infervorò a quel punto -E se avessi saputo che sareste venuti a giocare in Italia, non avrei messo piede a Torino neanche morta!-
Lui la irretì con un sorrisetto ironico.
-Quindi non ti fa piacere vedermi?-
Presa alla sprovvista, Jenny ammutolì e Benji ne approfittò per continuare, perché bruciava di curiosità.
-Che significa che sei qui da prima di noi? Ti sei trasferita in Italia?- un scintilla di comprensione lo illuminò ma non fu abbastanza splendente da fargli capire al volo come stavano effettivamente le cose. Malgrado ciò la sua espressione si riempì di stupore e sgomento e, travisando, proseguì -No, aspetta! Come ho fatto a non capirlo? Ti sei messa con Landers!-
-Non dirlo neppure per scherzo!- Jenny si strinse di più a Salvatore -Io sto con lui!-
E fu in quel preciso momento che Benji capì e la conversazione avuta con Rob un’ora prima acquistò finalmente un senso. Del resto come poteva non essere lei la ragazza di cui avevano parlato? Soltanto Jenny poteva imbucarsi a casa di Landers e riuscire a scroccargli l’ospitalità. Soltanto lei poteva stuzzicare l’interesse di Gentile anche se, porca miseria, fino a pochi mesi prima l’italiano aveva una stanga di ragazza niente male…
Nel frattempo Salvatore sbuffava come un mantice e li guardava irritato. Nessuno dei due gli prestava attenzione e ciò lo infastidiva non poco. Detestava essere ignorato e oltretutto Price e Jenny parlavano tra loro in giapponese, impedendogli di capire ciò che stavano dicendo. Cercò di nuovo di infilarsi nella conversazione, fissando Benji risentito.  
-Dimmi Price, com’è possibile che tu e Landers abbiate conoscenze in comune? Da quando vi frequentate?-
A Benji sfuggì una smorfia di disappunto.
-Non ci frequentiamo affatto. È una storia lunga, dopo te la racconto.- tornò a rivolgersi a Jenny, perché c’era ancora una domanda che gli premeva di farle, anche se la risposta a questo punto era scontata -Eri tu al telefono, vero? La ragazza che abbiamo sentito quando abbiamo telefonato a Landers dopo la partita contro Aoi… Eri tu?-
-Certo che ero io! Io ci abito, da Mark!-
Salvatore guardò prima una, poi l’altro sempre più spazientito.
-Insomma, la smettete? Non ci sto capendo niente!- abbassò gli occhi sulla giovane, ora irritato anche con lei -Li conosci tutti?-
-Tutti chi?-
-I giocatori della nazionale giapponese!-
-Ehm… Solo qualcuno.-
-E perché non me l’hai detto?-
-Era importante?-
-Certo che lo era! Ho invitato Carol solo per tenerti compagnia!-
-Pensavo che l’avessi invitata per Rob!- anche tenendo testa al suo scontento, Jenny si ritrovò lo stesso ad abbassare gli occhi a disagio. Il fatto di non avergli detto che conosceva buona parte della nazionale giapponese era nulla in confronto a ciò che continuava a tenergli nascosto. Se Gentile era capace di stranirsi per così poco, come avrebbe reagito una volta saputo di Philip? Perché ormai mancava davvero poco prima che scoprisse la verità. Forse era il caso che glielo dicesse lei? Lo guardò e rinunciò immediatamente. Come al solito non trovò il coraggio di scaricare sugli altri i suoi problemi.
Ma la sua espressione mortificata, le guance leggermente arrossate, le labbra rosee che quando si socchiudevano in quell’espressione tra l’imbronciato e il mortificato diventavano sensuali e provocanti, ebbero l’effetto di far sorridere Salvatore. La perdonò all’istante.
-Per esempio loro non li conosco.- mormorò Jenny spostando gli occhi sul gruppetto che si avvicinava.
Gentile seguì il suo sguardo e vide due giapponesi mal assortiti imboccare il corridoio. Uno era un colosso, alto quanto un armadio, l’altro un tappetto delle dimensioni di Aoi. Sbuffò.
-Non è un bel posto questo per parlare.-
-Già.- concordò subito Benji.
Clifford Yuma arrivò con l’inseparabile Sandy Winters. Sul suo volto aleggiava un sorrisetto fastidiosamente sarcastico.
-Fai comunella con il nemico, Price?- occhieggiò Jenny -Be’, ne vale la pena.-
Il portiere alzò sul gigante della nazionale giapponese uno sguardo ironico.
-Non puoi neppure immaginare quanto darei per avere Gentile al tuo posto.-
-Per avere lui o la sua ragazza?-
Jenny non perse una parola. Non le piacque come Yuma si stava riferendo a lei ma si sforzò lo stesso di restare impassibile, come se il loro botta e risposta le fosse completamente incomprensibile.
-Entrambi. Gentile da far scendere in campo al posto tuo e lei per giocarci di notte.-
Jenny sperò di non essere arrossita, che diavolo! Dopo avrebbe preso Benji da una parte e… con stupore si accorse che altri giocatori giapponesi imboccavano il corridoio e si avvicinavano, come se la nazionale nipponica si fosse data appuntamento proprio nei bagni e proprio in quel momento.
-Mollami tranquillamente in Italia, Price. Mi sono bastati due secondi per mettere a fuoco una fauna che merita tutta la mia attenzione. Questa festa è piena di succulenti bocconcini da mordere.-
-Bravo Yuma, mordi. Cerca però di non fare indigestione.-
Clifford travisò e interpretò la presa in giro come un’esortazione tra pari. Annuì solerte. Poi tornò ad osservare Jenny, valutandola come se stesse scegliendo una camicia in un negozio.
-Quindi questo bel fiorellino bianco chi sarebbe?-
-La ragazza di Gentile.-
-Graziosa.- commentò -Presentala anche a noi.-
Benji guardò Jenny, davvero poco entusiasta di tutto quello show. Un’idea gli balenò nella testa e le strizzò un occhio. Avrebbe ripagato la strafottenza del compagno con una bella presa per il culo.
-Come te la cavi con l’inglese, Yuma? È cinese… o coreana, non ho ben capito, e non parla una parola di giapponese.- rise, senza curarsi di nascondere quanto tutto ciò lo divertisse.
Jenny non si azzardò a contraddirlo. La notizia non scoraggiò Yuma che si prese qualche istante per fare mente locale. Rispolverò le lezioni del liceo, avanzò ancora di un passo e le parlò in un inglese così terribile che lei stentò a capirlo. Neppure Tony Brunor, con la sua pronuncia da incubo, alle medie aveva mai raggiunto quei livelli.
-Mi chiamo Clifford Yuma, molto piacere.-
Jenny si aggrappò più saldamente alla giacca di Gentile, sollevata che quel gigante non le porgesse la mano. Temeva che gliel’avrebbe stritolata.
-Lui è Sandy Winters.- proseguì Yuma, nominando anche gli altri che si erano avvicinati e li avevano circondati incuriositi -Lui Ralph Peterson e questo qui è James Derrick che ha un fratello gemello identico. Due brutte copie così uguali che nessuno li distingue.-
-Infatti sono Jason.-
Jenny avrebbe riso di cuore, se le circostanze non fossero state così drammatiche. Invece non vedeva l’ora di tagliare la corda. O magari di incontrare Philip una volta per tutte e farla finita. Sgomenta si accorse che Gentile e Benji, accanto a lei, si stavano invece divertendo da matti.
-Piacere.- rispose tesa, senza azzardarsi a pronunciare il proprio nome.
Come accidenti era finita in una situazione così ridicola ed esplosiva? Cosa sarebbe successo se ora fosse arrivato anche Philip? Meglio darsi alla fuga. Alzò gli occhi su Gentile e gli parlò in italiano, mettendo insieme una frase semplicissima con le poche parole che aveva imparato con il tempo.
-Salvatore…- gli si aggrappò alla giacca -Andiamo via?-
Lui annuì e si fece largo tra i giapponesi.
-Ci becchiamo dopo, Price.-
Passando loro accanto, Jenny riuscì ad imbastire un sorriso risicato a Sandy che la salutava curioso sventagliando la mano. Li sentì parlare, dietro di lei.
-Timida, la ragazza.-
-Già.-
-Come ha detto che si chiama?-
-Veramente non l’ha detto.-
-A me sembra di averla già vista da qualche parte.-
-Non dire stronzate, Sandy. È impossibile che tu l’abbia già incontrata.-
-È proprio una bella rosellina.-
-Le rose hanno le spine, Yuma.-
-Non tutte, Price.-
Benji guardò Jenny allontanarsi. Clifford aveva ragione, non tutte le rose avevano le spine, ma Philip sicuramente sì. Callaghan era un cactus, e di quelli spinosi. Tornò pensieroso. Che diamine ci faceva Jenny in Italia? Lei aveva detto di non essere lì per Philip e il fatto che stesse con Gentile faceva presupporre che non si trovasse a Torino neppure per Landers. Impossibile che si fosse trasferita per l’italiano, neppure lo conosceva. Quindi? Quindi lasciò perdere, perché tanto sapeva che la mente delle donne era complicata mica poco.
Jenny depositò controvoglia il cappotto al guardaroba. Con Salvatore percorse un paio di corridoi, attraversarono il bar e un salottino. Il piano terra dell’hotel era immenso e dopo aver svoltato per l’ennesimo androne, Jenny perse l’orientamento. Un problema enorme, se fosse stata costretta a tagliare la corda. Salvatore la condusse fino in giardino e si fermò per farglielo ammirare.
-Guarda che bello.-
Fuori, senza cappotto, Jenny fu investita dalla brezza della sera. Era una strana notte d’aprile, una primavera calda e gradevole. Alzò gli occhi verso il cielo. Il chiarore della luna era offuscato dalle luci della città ma il disco argentato spiccava lo stesso contro il buio della notte. Davanti a lei c’era una bella piscina in muratura, incassata al centro del pavimento di cotto rosso scuro, rallegrato da alberi e piante fiorite, costellato qua e là di tavoli e gazebo. L’acqua era agitata dalla corrente dei filtri e risplendeva di un azzurro intenso che si rifletteva sulle tovaglie bianche dei tavoli più vicini.
Gli invitati erano sparpagliati ovunque tra poltroncine di vimini, tavole imbandite, luci incassate nel pavimento e celate tra i vasi di fiori. Quello era proprio il posto che Jenny cercava. Era il luogo ideale per scomparire nell’oscurità della notte e sperare che nessun altro, a parte Benji, d’ora in poi la notasse. Il luogo dove restare, paziente e tranquilla, fino all’ora di andar via.
-Hai fame?- le chiese Salvatore.
-Per niente.-
-Sicura? C’è un sacco di roba buona.-
-L’assaggerò più tardi. Tu hai mangiato?-
-Non ancora. Sono stato troppo occupato con i saluti.-
-Quelli dei fan?-
La guardò e rise, facendo sorridere anche lei.
-Anche.-
-Vai a mangiare allora. Ti aspetto qui.- si fermò sotto l’ombra di una pergola e si sedette sui cuscini di una panca di legno.
Lui esitò solo un istante, chiedendosi quanto fosse villano lasciarla sola. Poi la fame vinse la galanteria, annuì e si allontanò. Jenny lo vide raggiungere il buffet, scambiare qualche parola con un cameriere del catering, prendere un piatto e cominciare a servirsi. Due giovani invitati in giacca e cravatta, dal fisico atletico e dalle spalle larghe, quindi al novanta percento compagni della nazionale italiana, lo individuarono e lo raggiunsero.
Jenny distolse gli occhi da loro e si guardò intorno. Gli amici erano sicuramente anche lì, da qualche parte, ed era una vera fortuna che finora avesse incontrato solo Benji. Individuò Tom e Bruce nei pressi del buffet, poi venne distratta da Carol che, a pochi passi da lei, parlava animatamente con Rob, facendolo ridere. Mentre li osservava curiosa, chiedendosi che strano tipo di rapporto li legasse, Philip attraversò il suo campo visivo così all’improvviso che per un istante le mancò il fiato. Balzò in piedi e si tirò indietro fino a nascondersi nell’ombra di un cespuglio. Era proprio lì, a pochi metri, e camminava verso la piscina. Evelyn procedeva accanto a lui e indossava un vestito che le stava molto bene. Era del colore dell’oro, in raso lucido, scollato davanti e incrociato sulla schiena. Una cinta di stoffa dello stesso colore le cingeva la vita e l’abito scendeva giù fluente fino al ginocchio, in pieghe di luce e di ombra. Teneva in mano una pochette nera abbinata alle scarpe, aveva i capelli raccolti in cima alla testa e la coda lunga e liscia le ricadeva indietro, ondeggiando sulle spalle. Camminava accanto a Philip e l’andatura frettolosa del ragazzo la costringeva quasi a correre. Gli si rivolgeva con insistenza, ma a lui sembrava non interessare neppure una parola di ciò che gli stava dicendo. Quando la ragazza lo incalzò, piazzandoglisi davanti per fermare la sua fuga, Philip rispose con un tiepido cenno della testa. Poi cercò di superarla. Evelyn non glielo permise, gli appoggiò una mano sul braccio e strinse la stoffa della giacca, costringendolo ad arrestarsi così vicino a Jenny che lei non perse una parola. Li guardò e trattenne il fiato, sicura che l’avrebbero notata. Invece non lo fecero, erano voltati verso la piscina e troppo occupati nella loro conversazione.
-Ma lo sanno tutti, Philip!-
La fissò scettico.
-Davvero? Tutti chi?-
Lei rispose piccata.
-Non ti fidi? Ti serve una lista?-
-Non mi serve niente, neppure continuare a parlarne.- replicò lui, sullo stesso tono -Non devi impicciarti. Quello che faccio non ti riguarda.-
-Davvero?- lo fissò sarcastica -Però riguarda chi ti sbatterà in prima pagina, giusto?-
-Non ci sono mai finito.-
-Non ti sei mai chiesto il perché?-
Gli occhi del giovane lampeggiarono.
-Vorresti farmi credere che è grazie a te?-
-No! Non voglio farti credere niente, figuriamoci! Voglio solo che tu capisca che devi smetterla!-
Philip la guardò dall’alto in basso, nervoso.
-Evelyn, vuoi dirmi tu quello che devo fare o non fare?- si ficcò le mani nelle tasche e la guardò negli occhi -Vuoi organizzarmi le giornate?-
Lei si spazientì.
-Oh insomma! Mi sto preoccupando per te!-
-Chi ti ha chiesto di farlo?- riprese a camminare, cercando di sganciarla.
Evelyn lo guardò allontanarsi.
-Stupido testardo!- esitò solo un istante, poi gli corse dietro e riprese a tampinarlo.
Jenny non capì il senso del loro dialogo, non fu assolutamente in grado di dare una spiegazione logica a quel botta e risposta e in fondo neppure le importò. Ciò che contava era solo che aveva visto Philip ed era riuscita a sopravvivere, anche se posare gli occhi su di lui dopo tutti quei mesi che non lo vedeva le provocò una sofferenza che le salì dritta agli occhi. Le lacrime premettero per uscire ma riuscì a ricacciarle indietro. Si volse dall’altra parte, per toglierselo da davanti. Tirò un respiro profondo e si passò una mano sul braccio nudo, su e giù nervosamente, fino ad incappare nel braccialetto che aveva al polso, uno dei tanti regali di Gentile. Abbassò gli occhi sull’intreccio delle maglie a cui le sue dita si erano attorcigliate, il groppo che aveva in gola si sciolse e poté finalmente respirare senza fatica. Quando Salvatore tornò da lei, riuscì ad accoglierlo con un sorriso stiracchiato.
Lui le porse un bicchiere colmo di qualcosa di arancione e Jenny accettò ringraziando. Mandò giù la bevanda dolce, fresca e frizzante, dal sapore di alcol, frutta e spezie.
-Il tuo vestito è adorabile. Mi piace come ti sta.-
Jenny arrossì per il complimento.
-Lo ha scelto Carol.-
-Ha scelto bene.-
Era bianco, due fasce di stoffa si incrociavano sul petto. Una era arricciata in piegoline, l’altra costellata di strass e brillanti argentati. Il corpetto era tenuto su da sottili spalline di strass che davanti mostravano una profonda scollatura e scoprivano la schiena. La gonna era di leggero chiffon e scendeva giù dritta, fino alle caviglie, con uno spacco laterale che si apriva molto in alto sulla vita. Sotto quella nuvola di velo s’intravedeva la stoffa bianca di una seconda gonna a tubino che la copriva fino a metà coscia. Lo spacco si apriva solo quando Jenny si muoveva, per il resto del tempo la trasparenza rimaneva discreta.
Nel bagno, oltre al trucco, Carol le aveva sistemato anche i capelli, legandoli stretti in uno chignon e lasciandole ad incorniciarle il viso soltanto una lunga frangia laterale. Jenny l’aveva passata dietro l’orecchio perché non le finisse negli occhi, mettendo così in mostra gli orecchini luccicanti.
Mark le arrivò alle spalle, sbucando da chissà dove e facendola sobbalzare. La scrutò con attenzione e un filo di ammirazione. A casa non aveva avuto il tempo di esaminarla, ma stava benissimo vestita così. Non vedeva l’ora che anche Philip la vedesse ma se lei non si decideva una buona volta a emergere dal nascondiglio in cui si era rifugiata, era impossibile che ciò accadesse. Doveva fare qualcosa per smuoverla da lì. Prima di tutto togliersi Gentile dai piedi.
-Il tuo allenatore ti sta cercando da almeno dieci minuti. Era pure mezzo incazzato. Forse è meglio se vai a sentire che vuole.-
-Davvero?- gli occhi azzurri di Salvatore vagarono tra gli invitati. Non ne scorse traccia -Dov’è?-
-Credo sia andato a cercarti dentro.- Mark finse indifferenza e Salvatore ci cascò con tutte le scarpe.
-Jenny, torno subito.-
Lei lo guardò allontanarsi, poi spostò gli occhi su Mark.
-Dov’è che va?-
Quello le rivolse un ghigno soddisfatto.
-Si toglie finalmente dalle palle. Ti sta addosso come un cane da guardia. Quand’è che pensi di smetterla di nasconderti e di andare a salutarli?-
Jenny spalancò gli occhi di sconcerto.
-Non ho niente del genere in programma.-
-Tanto prima o poi li incontrerai.-
-Allora succederà il più tardi possibile. Se ci riesco, un attimo prima di salire in macchina per tornare a casa.-
Mark rise, fastidioso.
-Sappi che se volevi passare inosservata, non hai scelto il vestito più adatto.- se invece le sue intenzioni erano quelle di far pace con Philip, sembrava aver scelto l’abito migliore.
-Davvero? Eppure Philip ed Evelyn un attimo fa mi sono passati davanti e non mi hanno notata.- gioì del suo disappunto -Finora mi ha vista solo Benji. A parte Yuma, Winters e qualcun altro che però non mi conosce di persona.-
-Ah… Price ti ha vista?- maledetta sfiga, tra tutti proprio il portiere. Benji non si sarebbe mai sognato di andare a spettegolare la presenza di Jenny ai quattro venti -E che ti ha detto?-
Lei fece spallucce.
-Nulla.-
Appunto. Mark sospirò.
-Hai mangiato?-
-Figurati! Sono così tesa che anche volendo non riuscirei a mandare giù niente.- accantonò la stizza e si aggrappò alla manica della sua giacca, sentendo il suo calore attraverso le dita -Ci sto pensando da quando mi hai trascinata fuori casa… cosa gli dirò se finiremo per incontrarci?-
Lui si sforzò di mostrarsi comprensivo, anche se in realtà stava facendo uno sforzo enorme per non sollevarla di peso, come aveva fatto a casa, e scaraventarla al centro della festa.
-Perché lo chiedi a me? Non so neppure perché vi siete lasciati!- le mise una mano sul braccio e la sentì tremare -Il vestito ti sta benissimo ma finirai per prendere freddo.-
-Non sento nulla, ho solo paura.-
Julian, in piedi dall’altro lato della terrazza, osservò Amy passeggiare con Patty intorno alla piscina. Poi spostò gli occhi su Benji che rideva di qualcosa con Bob Denver e Paul Diamond. Gli dava fastidio ammetterlo persino con se stesso, ma lo stava tenendo d’occhio da quando avevano messo piede in hotel quel pomeriggio, dal preciso momento in cui si era accorto che sotto la visiera, saltuariamente, i suoi occhi avevano cercato Amy. Ora, alla festa, le ronzava intorno in modo così impercettibile che avrebbe fregato chiunque non lo conoscesse. E Julian, per sua sfortuna o per sfortuna di entrambi, aveva ormai un’idea piuttosto chiara di lui. L’atteggiamento del portiere lo stizziva e nello stesso tempo lo incuriosiva. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa voleva da lei. Per sapere perché Amy, da quando si erano incontrati nella hall, lo evitava in tutti i modi restandogli alla larga. L’atteggiamento anormale di entrambi gli faceva intendere chiaramente che qualcosa bolliva in pentola. Qualcosa di cui lui non era al corrente. Ma cosa, porca miseria?
E se avesse desiderato soltanto confidarsi con lei? Parlarle dei suoi problemi? Sfogarsi con una persona che non lo avrebbe schernito, non lo avrebbe preso in giro e non lo avrebbe giudicato? Dopo la cazzata contro il Bayern, Benji non aveva più messo piede in campo. Il mister dell’Amburgo lo aveva lasciato assistere alle partite dalla panchina. A livello professionistico tutto questo gli dispiaceva. Nonostante la stronzata era un peccato che un talento come Price venisse sprecato. A livello umano invece non riusciva a provare per lui un briciolo di solidarietà ed era strasicuro che Price non avrebbe neppure voluto che lo compatisse.
Durante il ritiro a Shizuoka a Julian era capitato per caso di udire stralci di una conversazione tra Pearson e Marshall. Freddie aveva detto a Kirk che Benji stava cominciando a prendere seriamente in considerazione l’idea di tornare a giocare in Giappone e che lo avrebbe fatto anche subito se avesse trovato una squadra della J-League pronta ad ingaggiarlo con un buon contratto. Del resto, nonostante la cazzata, Benji era uno dei migliori portieri della Germania e senza dubbio il migliore del Giappone. Poteva permettersi di alzare la posta e di scegliere, il maledetto. Julian sperava solo che non capitasse nel Tokyo F.C. perché come compagno di squadra non ce lo voleva. Esserlo in nazionale era più che sufficiente. Con questa convinzione, si scolò l’ultimo sorso di champagne nel bicchiere e tornò verso i tavoli del buffet in cerca di qualcos’altro con cui riempirsi lo stomaco.
Patty sgomitò Amy e si avvicinò con lei ad Evelyn, seduta sola e sconsolata da una parte.
-Stai assillando Philip da ore, praticamente da quando siamo atterrati in Italia. Che vuoi da lui?-
-Niente.- lesse sospetto nelle loro espressioni e imbastì la prima balla che le attraversò la mente - È per un’intervista.-
-Non te la rilascia?-
-Non vuole rispondere ad alcune domande.-
Patty la guardò dubbiosa.
-Domande su Jenny, magari?-
Evelyn s’impappinò.
-No, quelle su… Su Julie Pilar…- accavallò una gamba sull’altra e si appoggiò con la schiena alla spalliera. Si volse verso il cugino quando lo sentì ridere forte. Clifford sedeva un tavolo più in là e parlava fitto fitto con Bruce, i gemelli Derrick, Sandy e Ralph Peterson.
Lui incrociò il suo sguardo e l’espressione beffarda della ragazza lo mise sulla difensiva.
-Che vuoi, Eve?-
-Da te niente, figuriamoci. Hai già finito di mangiare? Hai spazzolato da solo mezzo buffet!-
-Impossibile.- la zittì Bruce difendendo il compagno -Gamo ci sta addosso.-
L’idea di Philip aveva funzionato per la prima mezz’ora, poi il mister aveva capito, s’era piantato su una sedia nei pressi delle pietanze e non s’era più mosso da lì. L’espressione arcigna con cui li seguiva ogni volta che si avvicinavano al buffet aveva fatto passare la fame alla maggior parte della squadra.
Amy li guardò curiosa.
-Che stanno confabulando?-
Evelyn fece spallucce.
-Non lo so. Probabilmente stanno organizzando uno dei loro scherzi idioti.- spostò gli occhi su Patty -Si sa qualcosa del nullaosta di Holly?-
-Macché, ancora niente.-
-E di quello di Mark?-
Amy scosse la testa.
-Julian ed io ci abbiamo parlato un secondo fa e ha detto che non è ancora arrivato…- lasciò cadere la frase, distratta ad osservare un gruppo di giocatori italiani che, davanti al buffet, erano scoppiati a ridere di gusto dopo aver tracannato con convinzione e perfetto tempismo un sorso di liquido marrone in un bicchiere minuscolo. Tra loro riconobbe Salvatore Gentile, il centrocampista Alex Marchesi, Dario Belli e uno degli attaccanti di cui non ricordava il nome anche se Julian, da quando la partita dell’Italia era entrata nel programma della nazionale, aveva occupato buona parte del suo tempo libero a documentarsi meticolosamente su di loro, facendo imparare qualcosa anche a lei.
-Beati loro che si stanno divertendo.- Evelyn lanciò un’occhiata torva al gruppo della nazionale giapponese che occupava il tavolo vicino, poi tornò ad osservare Gentile che dei tre, indubbiamente era quello che attirava di più l’attenzione.
-Quant’è sexy. Mi piacerebbe intervistarlo.-
Patty rise.
-Solo?-
-Certo che no.- abbassò la voce -Se potessi lo sbatterei su un letto e poi gli strapperei i vestiti di dosso ma…- sospirò teatralmente -Dovrò accontentarmi.-
-Prova a chiederglielo, magari un’intervista te la rilascia volentieri.- la incoraggiò Amy -Mi pare abbastanza cordiale.-
Lei scosse la testa.
-Il mio inglese è pessimo, farei solo una brutta figura.-
-Magari Rob può darti una mano a tradurre.-
-Amy, sei un genio!- accolse entusiasta il suggerimento -È una splendida idea!-
L’insistenza con cui continuava a fissare Gentile attirò l’attenzione di Marchesi che ammiccò e ne rise con i compagni.
-Gentì, tu fai proprio colpo sulle giapponesi. Devi avercelo scritto nel DNA.-
Lui si compiacque del complimento, ma ci tenne a puntualizzare.
-Non solo sulle giapponesi, Alex.-
Belli alzò le spalle, con divertita pazienza.
-Sei il solito vanitoso narcisista.-
-È solo la verità.-
-Sentiamo un po’ cosa hanno da dirci, quelle tre giapponesine.- propose Marchesi.
Si avvicinarono al tavolo chiacchierando e sgomitandosi, Alex, Dario e l’attaccante, Matteo Solari. Salvatore andò dietro ai compagni giusto per non perdersi la scena.
Evelyn comprese la manovra, balzò in piedi e si lisciò le pieghe del vestito con gesti nervosi.
-Porca miseria, vengono qui!-
-Allora è la tua occasione per presentarti a Gentile.-
La ragazza fissò Patty con gli occhi di fuori.
-E adesso che gli dico?- si guardò intorno nel panico -Il mio inglese fa schifo e se dico che fa schifo, significa che fa davvero schifo.-
-Sapessi il mio…- rise Patty.
Il suggerimento arrivò dall’altro tavolo, dalla voce di Clifford.
-Digli che hai visto la sua foto in mutande e che ti è piaciuta al punto che ci hai sbavato sopra per un’ora.-
Uno scoppio di ilarità fece eco all’imprecazione di Evelyn.
-Fatti gli affari tuoi!-
Amy non apprezzò la manovra degli italiani e pensò che forse era il caso di tagliare la corda. Se l’inglese di Evelyn e Patty faceva schifo, il suo era obbrobrioso. Oltretutto la presenza dei compagni alle loro spalle pronti a schernirle, non era per niente incoraggiante. Si alzò anche lei, gli occhi fissi sul buffet. L’arrivo degli italiani poteva essere un’ottima scusa per andare a prendersi da bere. Patty si accorse del suo tentativo di fuga e non lo apprezzò per niente.
-Che fai? Ci lasci?-
-Ehm… ho sete.-
Evelyn l’incenerì con un’occhiata malevola.
-Ferma lì! Non puoi mollarci proprio ora!-
-Sei tu che vuoi conoscerlo, non io!- e quando si decise a defilarsi, si rese conto che era ormai troppo tardi.
-Ciao!- le salutò Marchesi sollevando una mano -Cosa ci fanno da sole degli splendori come voi?- lanciò un’occhiata di sguincio al tavolo dei giapponesi, dove Bruce aveva seguito il loro avvicinamento e adesso li fissava ostile.
-Rispondigli, Eve!- intimò Amy socchiudendo appena le labbra. Poi con la coda dell’occhio individuò Aoi che orbitava curioso nei pressi. Gioì di tanta fortuna -Rob, vieni subito qui! Ci serve un interprete!-
Lui si avvicinò, trascinando con sé Carol che aveva appena addentato un tramezzino. La giovane valutò la situazione mentre inghiottiva il boccone. Appena poté farlo senza sputacchiare molliche a destra e a manca, parlò.
-Questi brutti ceffi vi stanno infastidendo, per caso?-
-Sì.- sentirono Bruce rispondere dal tavolo vicino.
Evelyn non diede segno di averlo udito, ma si curò di alzare la voce, perché arrivasse forte e chiara anche dietro di lei.
-Scherzi? Finalmente qualcuno si è accorto che ci siamo anche noi!-
Fu Clifford a risponderle con una risata.
-Ci siamo accorti da un bel pezzo che ci sei. Non fai che rimbeccarci!-
Evelyn non li degnò di uno sguardo, i suoi occhi erano solo per gli italiani, molto più belli che in foto. Roba da non credere. Erano tutti affascinanti, alti, atletici, muscolosi. Perché lasciarsi distrarre da tanto bendiddio?
Vide Marchesi fare un cenno ad un cameriere e quello si accostò allungando il vassoio. Dario porse a ciascuna delle ragazze un calice di champagne, accompagnandolo con un sorriso seducente e un lampo dei suoi occhi smeraldo. Non erano solo belli, ma anche galanti. Altro che quei musi lunghi che sedevano alle sue spalle! E Bruce, che neppure un’ora prima, si era permesso di chiederle di andargli a prendere da bere! Roba da matti!
-Alle ragazze giapponesi che sono una più bella dell’altra!- propose Marchesi mentre Carol, ridendo divertita, traduceva il brindisi a beneficio delle giovani.
Dall’altra parte della piscina Holly si aggirava inquieto, cercando affranto Mark per sciorinargli una buona dose del programma dei giorni successivi. Da quello che gli aveva riferito Pearson all’inizio della serata, l’amico pareva essersi testardamente rifiutato di alloggiare in hotel. Non avercelo a portata di mano ogni momento, per organizzare qualche allenamento fuori programma, a Holly dava fastidio parecchio. In realtà con Mark avrebbe dovuto parlarci Philip, visto che era il capitano. Ma quando aveva provato ad accennargli la cosa, l’amico l’aveva ascoltato per metà, rispondendogli brusco che aveva fame e che ne avrebbero discusso solo dopo che s’era riempito lo stomaco. Holly lo aveva lasciato stare e si era rifugiato accanto a Tom per sfogarsi con lui. Ma neppure Tom, angustiato dalla telefonata con Amélie, gli aveva dato retta più di tanto. Riguardo l’apatia di Philip si era limitato a metterlo al corrente del fatto che sull’aereo, dopo un’oretta di riunione con gli allenatori e lo staff, era sprofondato nel suo comodo sedile di Business Class, aveva chiuso gli occhi ed era entrato in catalessi, dormendo per tutto il tempo e lasciando gli altri a fare il casino che volevano.
Ad Holly la notizia non aveva fatto né caldo né freddo. Avrebbe parlato con Philip, che quest’ultimo lo volesse o meno. Lo avrebbe costretto ad ascoltare, nonostante tutto e nonostante Evelyn, che gli si era incollata addosso da quando era comparso alla festa e non lo aveva mollato un secondo. Adesso Evelyn era con Patty e Amy, le scorgeva dall’altro lato della piscina, ma non trovava più Philip.
In compenso incappò in Landers. Passandogli accanto senza notarlo, celato com’era dall’ombra di un pergolato, riconobbe la sua voce. Si fermò e tornò indietro.
-Senti Mark…- cominciò ma si bloccò perché scorse una figurina bianca dietro di lui, per metà nascosta dalle spalle del compagno. La curiosità lo assalì, si avvicinò di un passo e cercò di scrutare nell’oscurità. Se quella era la sua fantomatica fidanzata, ora che ce l’aveva davanti voleva assolutamente vederla -Scusa, non volevo disturbarti, ma dobbiamo parlare di cose importanti e Philip non mi dà retta…- strizzò gli occhi verso la giovane, per cercare di metterla a fuoco.
-Figurati, sai che disturbo.-
Mark si scostò, lei venne investita dal chiarore delle lampade e a Holly venne un colpo.
-Porca miseria, Jenny! Ti ho scambiata per…- dovette raccogliere le parole per proseguire -Pensavo fossi la ragazza di Mark!-
Il compagno si inalberò.
-Io non ce l’ho la ragazza!-
-Ma quel giorno, al telefono…- gli venne il dubbio e fissò incredulo l’amica -Eri tu? Eri tu con lui quel giorno?-
Mark sbuffò.
-Non so di quale giorno tu stia parlando ma è molto probabile di sì. Jenny è in Italia ormai da un po’.-
Holly li guardò sgomento, non riusciva a capire. Che ci faceva Jenny in Italia?
-Vi siete messi insieme?-
-Ovvio che no! Ti ho appena detto che non ho la ragazza! Non mi hai sentito?-
-Allora che ci fai qui?-
-Chiedilo a Mark! Io non volevo neppure venirci!-
A Landers sfuggì una risata.
-Credo che Holly intenda a Torino, non alla festa.-
Jenny gli lanciò un’occhiata furiosa, poi vide l’amico annuire e tacque imbarazzata. Cosa poteva dirgli?
Neppure Mark parlò. Le frasi chiarificatrici e le spiegazioni che si era preparato per affrontare quel tragico e inevitabile momento gli sembrarono sciocche e infantili. Non appena l’aveva vista, Holly aveva pensato che stessero insieme, che Jenny fosse lì per lui. Lo avrebbero pensato anche tutti gli altri, incluso Philip. Del resto, visto come si erano messe le cose, visto che adesso erano lì sia lui che Jenny, nessuno avrebbe mai creduto al fatto che la ragazza fosse venuta a Torino per stare lontana dal suo ex. Che cazzo di mondo minuscolo! Da qualche parte aveva letto che la Terra aveva più di duecento nazioni, e allora perché quella maledetta amichevole era stata organizzata proprio contro l’Italia?
-Philip ti ha vista?-
-No.-
-E adesso?-
Landers scattò sulla difensiva.
-E adesso cosa? Si sono lasciati, non lo sai?-
-Certo che lo so! Lo sanno tutti, figuriamoci… Appunto per questo è un po’ strano che lei sia qui.- abbassò gli occhi sull’amica -Scusa Jenny, non ce l’ho con te. Sto solo cercando di capire…-
Lei si mosse a disagio, perché la preoccupazione di Holly era anche la sua.
-Io infatti non volevo venire ma Mark mi ha costretta.-
-Certo! Dove sta scritto che siccome vi siete lasciati, dove è lui non puoi stare anche tu?-
Holly era cosciente del fatto che Mark avesse ragione, ma sapeva anche che Philip poteva diventare un problema. Philip, se c’era di mezzo Jenny, si trasformava troppo facilmente in una grana. Come avrebbe reagito davanti alla sua ex, dal momento che a Fujisawa non aveva voluto ascoltare nulla che la riguardasse? La domanda successiva nacque spontanea.
-Perché vi siete lasciati?-
-Non ci provare, Holly!- saltò su Mark -Sono mesi che glielo sto chiedendo!- fissò Jenny -Se a lui lo dici, giuro che con me hai chiuso!-
Lei scosse le spalle. Figuriamoci se aveva voglia di confidarsi con Holly, e in quel momento poi. Si guardò intorno. Che fine aveva fatto Gentile? Perché non veniva a salvarla da quei due? Lo fece Carol.
-Jenny, ti sto cercando da un’ora.- si avvicinò seccata -Hai mangiato? Marchesi è il solito cretino, sta facendo lo scemo con…- si interruppe quando i suoi occhi si posarono su Holly, poi si spalancarono di sconcerto e sorpresa. Si volse di scatto a fissare l’amica, boccheggiò come una cernia, dopodiché tornò ad osservare il ragazzo. Poi di nuovo Jenny, con insistenza.
-Holly, lei è Carol.- la presentò -La ragazza di Rob.-
La giovane si intromise, brusca.
-A parte che non sono la ragazza di Rob… scusateci un secondo…- tirò Jenny da una parte e abbassò la voce in un sussurro -Lo conosci? Conosci Oliver Hutton?-
-Sì…-
-E perché non mi hai detto niente?-
Mark sgomitò divertito il compagno.
-Mi sa che hai fatto colpo.-
-Ti prego… ci mancherebbe solo questo!-
Carol approfittò di avere Jenny a portata di mano per rimetterle in ordine la frangetta che lei si stava tormentando da mezz’ora.
-Lo conosci!-
-Non mi hai detto che volevi conoscerlo.-
-Porca miseria, hai ragione!- la trascinò di nuovo verso i due ragazzi e afferrò la mano che Holly non le aveva teso. La strinse con convinzione tra le sue e gli sorrise cordiale, gli occhi luccicanti -Non vedevo l’ora d’incontrarti… Vero, Jenny?-
Lei alzò le spalle. Non lo sapeva, non ne aveva idea e scoprirlo non le faceva piacere per niente. Incrociò lo sguardo divertito di Mark e si chiese se invece lui ne fosse al corrente. E adesso? Non le andava che Carol si mettesse a fare il filo a Holly. Ma perché proprio lui, accidenti? E Patty?
Sussultò quando si sentì toccare una spalla. Si volse. Era Salvatore che le porgeva un piatto ricolmo di cibo.
-Ti ho portato giusto due o tre cose. Le più buone, quelle che devi assolutamente assaggiare.-
Jenny fissò sgomenta una montagna di manicaretti che se pure fosse stata in piena forma, avrebbe impiegato due giorni a mangiare. Guardò l’espressione inutilmente beota di Mark ed ebbe la fortissima tentazione di lanciargli il piatto addosso. O forse l’amico le sarebbe stato più utile per finire tutto quel cibo. Spostò gli occhi su Holly che li osservava sorpreso, nonostante Carol lo stesse inondando di chiacchiere fitte fitte, così emozionata da ficcare nel suo giapponese dal velato accento straniero qualche parola in italiano.
-Carol…- Jenny provò ad arginarla ma fu costretta a interrompersi perché accanto a lei Salvatore prese a illustrarle ogni singolo boccone di cui le aveva riempito il piatto.
-I grissini sono una specialità torinese, quello che li avvolge è prosciutto crudo di Parma. Nei tramezzini c’è tonno e carciofini, rucola e pomodoro. Le penne al pesto sono un piatto tradizionale ligure, ti ho preso la pizza con i funghi e una striscia di quella con le zucchine. Anche se quella storicamente conosciuta è la pizza margherita, che ha preso il nome di una regina d’Italia. Ma sa di poco. Poi ti ho messo uno spiedino con i pachino e la mozzarella di bufala, devi assolutamente assaggiarla perché è spettacolare. La fanno vicino Napoli, ma bisogna trovare quella buona. E questa è quella buona…-
Jenny tentò di ascoltare Salvatore e nello stesso tempo l’istinto la spinse a cercare Patty e sperare che non li avesse notati, che non si fosse accorta dell’interesse di cui era oggetto suo marito. La vide con Amy ed Evelyn in piedi su un lato della piscina, a chiacchierare con Rob, Dario e un paio di giocatori italiani. Seduti ad un tavolo poco distante c’era mezza nazionale giapponese. Clifford rideva forte, andando ad aumentare la confusione nella testa di Jenny. A due passi da lei, un brusio terribile di voci che cercavano di attirare la sua attenzione. Non riuscì più a capire nulla, non seppe a chi dar retta.
Alla fine fu Holly ad avere la meglio.
-Scusateci, Mark ed io dobbiamo parlare.- esordì con tale insistenza che Carol ammutolì -Si tratta di una questione urgentissima che non può proprio aspettare.- afferrò il compagno per un braccio e lo trascinò più in là. Tacque prima di parlare, poi sussurrò tutto d’un fiato -Mark! Sento che sta per succedere un casino! Me lo sento a pelle!-
-Che casino?-
-Perché non ci hai avvertiti che Jenny era qui?-
-Lei non voleva.-
-E adesso?-
-Adesso cosa?-
-Secondo te cosa succederà quando Philip la vedrà?-
-Non ne ho idea. E non so neppure cosa succederà quando la vedrà con Gentile.-
Quelle parole spinsero Holly a voltarsi di scatto e a prendere consapevolezza di qualcosa che non aveva notato. Con gli occhi spalancarti osservò l’amica e l’italiano che parlavano vicinissimi, lui le aveva posato una mano su un fianco in un gesto troppo confidenziale e le rivolgeva dolci occhiate del colore del mare attraverso le ciglia brillanti come l’oro. Gli sfuggì un’imprecazione e la sua preoccupazione divenne incontenibile.
-Stanno insieme?-
Il compagno annuì ringraziando tremila volte il cielo che quei due formassero una coppia. E pensare che era stato contrario fin dall’inizio, che li aveva ostacolati in tutti i modi. Invece Salvatore, frequentando Jenny, gli aveva praticamente salvato la vita. Adesso nessuno avrebbe potuto dire, e neppure pensare, che l’amica era in Italia per lui.
-Merda, e adesso?-
-Adesso cosa? Jenny e Philip si sono lasciati!-
-Lo so, è inutile che continui a ripeterlo! Pensi che a Philip non importerà? Che vederli insieme non gli darà fastidio? Sai benissimo com’è fatto!-
-Se lo farà passare, il fastidio. Oppure tornerà con Jenny, com’è giusto che sia.-
Holly s’illuminò di comprensione.
-È questo che vuoi! Vuoi che si rimettano insieme, ecco perché l’hai costretta a venire alla festa!-
-Esatto! Gentile presto si stancherà e la mollerà. E se Jenny e Philip non s’incontrano, come fanno a sistemare le cose?-
-Non sai neppure perché si sono lasciati! Come puoi essere sicuro che torneranno insieme?-
-Sono ottimista, Holly. E dovresti esserlo anche tu più di me, visto che è nella tua natura.-
Il ragazzo sospirò. Vide Carol allontanarsi ridendo insieme a Salvatore, lei che lo trascinava verso il buffet. Spostò gli occhi su Patty e sul suo bel vestito rosso con la cinta nera. Era sempre con le amiche e sorseggiava sorridendo un calice di champagne. I giocatori italiani si erano allontanati, lasciandole sole. Doveva andare subito da lei, dirle che Jenny era lì ed escogitare insieme una strategia migliore di quella di Mark. Lasciò che Landers tornasse da una Jenny sempre più in ansia, e si affrettò a raggiungere la moglie. Clifford lo intercettò.
-Che fine ha fatto Mark? Si è appena visto.-
Per forza, era pieno di cazzi e di mazzi quella sera, pensò Holly e glielo indicò con un gesto vago perché quello che faceva Mark non erano affari suoi, soprattutto ora che anche Philip si era unito al gruppo e ascoltava.
Sospirò in sordina, tanto per non dover sentire qualcuno che gli chiedeva cosa avesse, accantonò il “problema Landers” (che inglobava anche il “problema Jenny” e, di conseguenza, il “problema Philip”) e studiò le facce dei compagni. Sembravano tutti sazi, ma decisamente stanchi e assonnati. Rob aveva avuto ragione quando si era lamentato che fossero poco ricettivi. Gli sbadigli soffocati o palesi che fiorivano tra loro a ripetizione erano il segno che il jet-lag stava cominciando a farsi sentire, nonostante non fossero neppure le undici.
-Sta ancora traccheggiando con gli italiani?-
Holly evitò di spostare lo sguardo su Clifford e fece finta di non udirlo. I suoi occhi si posarono invece su Philip che se ne accorse e si affrettò a dirigere i propri da tutt’altra parte. Il suo atteggiamento schivo non fu per niente incoraggiante, e per la terza volta nel giro di pochi minuti si chiese cosa sarebbe successo quando lui e Jenny si sarebbero incontrati. Si ricordò d’un tratto che voleva avvertire Patty, così la raggiunse e si chinò su di lei per bisbigliarle l’incredibile notizia in un orecchio.
Philip spostò lo sguardo dal calice di champagne che stringeva tra le dita ai compagni. Finalmente nessuno faceva caso a lui, nessuno gli rompeva le palle. Gioì del fatto che, in mezzo al mucchio, Evelyn e Holly non potevano più assillarlo come stavano facendo dall’inizio della serata. Prima l’una, poi l’altro, non avevano fatto altro che tampinarlo mentre lui aveva sentito l’impellente bisogno di stare tranquillo. Per cercare di sfuggire alla loro insistenza era finito prima tra le fauci di Gamo, che aveva trovato utile riassumergli il programma del giorno successivo; poi in quelle di Pearson, che gli aveva accennato ad una conferenza stampa dei prossimi giorni e si era raccomandato di cominciare a preparare le risposte alle domande di routine che gli avrebbero inevitabilmente fatto. Del resto lui era il capitano… Si era anche offerto, Pearson, di ripassarle insieme, durante la colazione o durante il pranzo del giorno seguente, quando Philip era disponibile. Lui aveva annuito e si era dileguato, facendogli credere che sarebbe andato immediatamente a consultarsi con Holly. Sì, col cavolo! Se cominciava così, quel soggiorno in Italia non prometteva davvero niente di buono. Si era allontanato da tutti, s’era fatto tranquillo il giro del giardino, si era rifocillato e ora che si era ripreso dai loro assalti, aveva deciso di raggiungere i compagni.
-Sicuramente Mark è rimasto con gli italiani perché loro si stanno divertendo mentre voi sembrate delle mummie.- ironizzò Evelyn, lanciando un’occhiata curiosa a Patty che si voltava di scatto verso Holly e si aggrappava con un gesto nervoso ai braccioli della sedia.
-Davvero?-
Il ragazzo annuì e le fece cenno di alzarsi. Si allontanarono di qualche passo. Evelyn smise di guardarli quando la risposta di Bruce spense in un secondo la curiosità bruciante scaturita dal loro bizzarro atteggiamento.
-Sarà perché dopo un viaggio di dodici ore e con sette ore di fuso orario di scompenso abbiamo bisogno di riposare e non di fare i cretini?-
-Siete solo pappe molli… Ecco cosa siete!-
Clifford diede man forte al compagno, attaccando la cugina.
-Vai dagli italiani, Eve, se hai così tanta voglia di divertirti! Nessuno di noi te lo impedisce. Vero Bruce?-
-Certo, tanto fai sempre come ti pare.-
Evelyn gli lanciò un’occhiata di fuoco e avrebbe volentieri seguito il consiglio se fosse stata in grado di comunicare con la squadra avversaria in modo perlomeno decente. Abbassò gli occhi e fremette, mordendosi la lingua per spegnere la sgradevole discussione. Amy se ne accorse e le posò una mano sul ginocchio, comprensiva.
-Se Mark non viene qui, si vede che ha da fare.-
Philip si riscosse dall’apatia in cui era sprofondato e si appoggiò con i gomiti al tavolo, guardando Danny che aveva appena espresso quella perla di saggezza. Sospirò.
-E io quando ci parlo? Holly mi sta rompendo l’anima dal pomeriggio.-
Peterson sbadigliò.
-Vai a chiamarlo. Un minuto te lo concederà.-
Nonostante ciò che aveva appena detto, Philip non c’aveva mezza voglia. Che Mark non si facesse vedere era la scusa perfetta per evitare di parlarci. L’irreperibilità del compagno era un motivo bello pronto da spiattellare a Holly, Pearson e Gamo, quindi per lui era controproducente andare a cercarlo.
-Non ora.- Danny intervenne apprensivo -Adesso sta parlando con una ragazza. Lasciatelo in pace.-
Clifford strizzò gli occhi, scrutando gli ospiti di qua e di là.
-Come fai a saperlo? Io non lo vedo… Anzi, non li vedo.-
-La tua miopia sta peggiorando, Clif.-
-Io non sono miope! Harper!-
-Di sicuro con qualcuno Landers sta parlando, a meno che non gli è partita la brocca.-
-Quella gli è partita da un pezzo.-
-Jason!- saltò su Danny offeso, ma nessuno gli prestò attenzione.
-Mica Landers ha la donna?! Non ne sapevo niente!- Yuma scostò la sedia e si alzò -Dov’è? Devo vederla!-
Danny lo afferrò per la giacca.
-Perché devi rompergli le scatole, se è con una ragazza?-
-Se è con la SUA ragazza, perché non ce la presenta? Quest’atteggiamento assurdo sta diventando la prassi, tra di noi?- fissò Philip che stavolta reagì.
-Te ne sei mai chiesto il perché? Sei così brutto che la faresti scappare!-
-Lui le donne le morde, non le fa scappare.- rise Benji rivolgendo a Yuma un’occhiata carica di divertimento.
-Imbecille… Comunque io vado a conoscerla, voi restate pure qui.-
-Manco morto, io vengo con te.-
Evelyn lanciò un’occhiata a Bruce che si alzava.
-Figurarsi se non s’impicciava.- disse ad Amy con un cenno d’intesa.

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Capitolo 8
*** Settimo capitolo ***


Settimo capitolo



-Sono venuta al party come mi hai chiesto, Mark. Adesso posso andarmene?-
Jenny si aggrappò alla sua giacca e lo fissò implorante. Gentile si era allontanato con Carol e tardava a tornare. Questo significava che se fosse riuscita a convincere l’amico a non trattenerla ancora, poi sarebbe dovuta andare a cercarlo e avvertire anche lui.
Mark lanciò un’occhiata all’orologio, erano quasi le undici. Tentò di rassegnarsi all’inevitabile.
-Davvero non vuoi salutare gli altri?-
-Voglio solo andare a casa.- strinse la borsetta tra le dita -Posso chiamare un taxi. Non c’è bisogno che mi accompagni e non c’è bisogno che mi accompagni neppure Salvatore. Dammi solo le chiavi di casa e…-
-Landers, non ce la presenti la tua ragazza?-
Jenny sussultò, la voce di Philip si levò proprio dietro di lei, vicinissima. Percepì nella sua domanda una sfumatura beffarda, quasi di fastidio, e per un istante si chiese se non l’avesse riconosciuta, se non si fosse avvicinato apposta, se non intendesse schernirli perché li aveva visti insieme. Si pietrificò, forse impallidì. Non riuscì a muoversi, rimase imbambolata, rigida come una statua. Lo sguardo sconvolto fisso negli occhi dell’amico che le era di fronte.
Mark alzò il viso, spostando la propria attenzione da Jenny a Philip fino a Clifford che sorrideva sornione e beffardo, e gli altri che li circondavano pieni di curiosità. Non poteva credere a tanta fortuna. L’interesse di quei ficcanaso aveva sbloccato una situazione di stallo che stava andando avanti da quasi due ore. Fu contento che li avessero raggiunti quasi come se avesse appena segnato un goal.
-No. Non te la presento. E sai perché?- la sua voce uscì controllata, le parole ben scandite anche se appena ombreggiate da un velo d’ansia, perché in definitiva l’atteggiamento spaurito di Jenny e quello preoccupato di Holly gli avevano fatto venire molti dubbi sulla decisione di portarla con sé a quella festa -Prima di tutto perché non è la mia ragazza.- dalle labbra gli sfuggì una smorfia ironica -E poi perché la conosci già.- posò le mani sulle spalle di Jenny che continuava a stargli davanti, immobile, il panico che le velava lo sguardo. Era a dir poco terrorizzata.
Il vestito si mosse come un’onda bianca intorno alle gambe della giovane, mentre Mark la voltava di colpo quasi fosse una bambola e la costringeva a trovarsi faccia a faccia con Philip. Lei lo guardò senza battere ciglio, cerea, una maschera inespressiva sul volto. Il cuore le batteva all’impazzata, le dita erano strette sulla borsa, le unghie affondate nel tessuto, quasi a lacerarlo. Respirava appena ma riuscì a sostenere quello sguardo che conosceva a memoria senza vacillare, senza abbassare il proprio. Sarebbe voluta scappare, non le sarebbe importato della figuraccia che avrebbe fatto con gli altri e ne fu tentata, ma Clifford e i ragazzi avevano formato un semicerchio ad intrappolarla lì dov’era, impedendole ogni via di fuga.
Il passato investì Philip come un pugno allo stomaco. La curiosità e il divertimento scomparvero dai suoi occhi. Li spalancò di colpo, le sue labbra si tesero, le spalle si irrigidirono. Dimenticò all’istante di essere ad una festa, circondato dai compagni. Divenne totalmente incapace di udire i commenti e le battute degli altri che continuavano in sottofondo tutt’intorno a loro. Non c’era più niente davanti a lui, se non Jenny. Si guardarono per un istante lunghissimo, lei terrorizzata, lui sgomento, praticamente sotto shock. Poi si riscosse e si fece tornare la voce.
-Jenny?-
Il suo tono fu carico di sorpresa, di aspettativa. Spostò per un secondo lo sguardo su Mark, in una domanda inespressa. Ma un istante dopo tornò a fissare lei, perché erano mesi che non la vedeva e ora che poteva farlo, che sapeva dov’era, provava un sollievo immenso. Ma non capiva, non riusciva a farlo. Jenny non poteva razionalmente trovarsi in Italia, a Torino, in quell’hotel, nel loro hotel. Continuò a fissarla incredulo per un interminabile istante finché le guance di lei, sotto il suo sguardo così insistente, si arrossarono nel modo che gli piaceva da impazzire. Le sorrise, o almeno ci provò, teso com’era. Mosse un braccio per toccarla, per assicurarsi che non fosse un miraggio, per accertarsi che fosse reale, che fosse davvero lì, in carne e ossa. Lei si tirò indietro di scatto e urtò Mark.
La mano di Philip ricadde pesantemente al suo posto. La sua reazione lo colpì come una doccia ghiacciata. Era successo di nuovo, dopo tutto quel tempo… Non si vedevano da mesi eppure non appena lui aveva cercato di avvicinarla, lei si era tirata indietro. Pur di non essere sfiorata era finita addosso a Landers. Un sospiro amaro gli salì su per la gola e diede voce alla sua delusione.
-Che ci fai qui?-
Lei lo fissò inespressiva, a parte il rossore che le imporporava gli zigomi. Non seppe come rispondergli ma di una cosa fu certa. Non voleva assolutamente che Philip pensasse che si fosse imbucata al party per incontrarlo.
Il tempismo di Gentile fu perfetto. Si fece largo tra i giapponesi, scostò Philip in modo brusco e raggiunse Jenny. Le passò un braccio intorno alle spalle in un equivocabile segno di possesso. I suoi occhi azzurri dardeggiarono di fastidio e neppure Mark sfuggì alle sue frecciate stizzite.
-Tutto a posto?-
-È un casino.- rispose lei in italiano e un secondo dopo tornò a guardare il suo ex, continuando in giapponese -Sono con Salvatore.-
Mark si rese conto che in un secondo, con poche e semplici parole, con una frase che avrebbe fatto meglio a tacere, Jenny aveva mandato a puttane il suo primo incontro con Philip. Tutta la fatica che aveva fatto per portarla lì era stata inutile, sprecata. Gentile era spuntato nel momento peggiore, rovinando tutto. Lo guardò e lo odiò più ferocemente del solito. Lui ringhiò di rimando.
-Grazie per avermelo detto.-
A dire la verità, se anche Benji una manciata di minuti prima non gli avesse spifferato tutto, gli sarebbe bastato posare anche solo un istante gli occhi sull’espressione beota di Callaghan per intuire che tra lui e Jenny doveva esserci, o forse esserci stato, qualcosa. E ora che sapeva, negli occhi con cui quel deficiente la guardava, riusciva a scorgere tracce di anni e anni di amore. Ma a lui tutto ciò non importava, a lui di Callaghan non fregava un cazzo. Jenny in quel momento era la sua ragazza e quel giapponese doveva starle alla larga. Posò una mano sul corpo caldo e morbido di lei, appena sotto la vita, sul fianco fasciato dall’abito e l’accostò a sé.
-Stasera non riusciamo a starcene un attimo tranquilli.- le disse in inglese.
Philip si irrigidì, spostò gli occhi dalla ragazza all’italiano e poi dall’italiano tornò su di lei. Jenny non  lo guardava, ma lui si perse lo stesso su quello sguardo che da anni era stato una sua esclusiva e che adesso era riservato ad un altro. D’istinto i suoi occhi si abbassarono sulla mano dell’italiano che le spiegazzava la stoffa dell’abito, troppo vicino ad una natica. La gelosia lo invase e gli serrò lo stomaco in una morsa. Jenny era reale, non stava sognando, non era in preda alle allucinazioni, ma non era lì per lui. Non era in Italia per vederlo, non era alla festa per incontrarlo. Era lì con Gentile e per Gentile.
-Maledetto guastafeste! Dovevi arrivare proprio adesso?- Mark fremette, le dita strette a pugno e le unghie conficcate con forza nei palmi delle mani. Aveva atteso per ore, per giorni, anzi per mesi questo momento e quell’infame di Gentile aveva rovinato tutto. Perché non crepava?
-Vengo a prendere ciò che è mio, Landers. E tu avresti fatto bene a mettere le cose in chiaro.-
-E spianarti la strada?-
-Sarebbe stato meglio per tutti, anche per il tuo amico.-
-Col cazzo…-
Lo fulminò con una stilettata azzurra.
-Jenny ed io stiamo insieme!-
-Certo non per colpa mia!-
Dario Belli raggiunse il gruppo chiedendo gentilmente permesso. Sbucò tra i gemelli Derrick, uno da una parte e uno dall’altra identici. Li guardò stupito, per un secondo pensò di vederci doppio. Sbatté le palpebre un paio di volte.
-Mi sa che è meglio se mi fermo con l’alcol stasera.- commentò soprappensiero, molto più interessato a Gentile, che teneva Jenny accostata a sé, a Mark che lo fissava astioso, a Callaghan immobile, granitico. Intorno a loro la tensione era palpabile -Cos’è? Un tentativo di suicidio?- rimproverò il compagno -Che ti ha avvertito a fare Price se poi ti metti a far casino davanti all’intera nazionale giapponese?-
Mark non credette alle proprie orecchie. Era colpa di quel maledetto portiere del cazzo! Perché s’era immischiato? Perché era andato da Gentile a spifferargli tutto?
-Metto i paletti, Dario. Marco il territorio, Jenny sta con me.- incrociò lo sguardo di Callaghan prima di chinarsi su di lei e baciarle la bocca.
Il gesto produsse il suo effetto persino sulla giovane, che avrebbe volentieri evitato una scena del genere. Ma poiché non se lo aspettava, non fece in tempo a scostarsi.
-Sei un deficiente, testardo fino all’ultimo.-
-Fatti gli affari tuoi, Dario.-
Mark gli sputò addosso tutta la sua rabbia.
-Non posso credere che tu abbia fatto una cosa così meschina! Sei veramente un pezzo di merda!-
Philip li sentiva parlare ma non capiva nulla. Si sforzava di rendersi conto che il bacio che Gentile aveva dato a Jenny non era stato altro che un banale sfioramento di labbra, eppure lo aveva trapassato da parte a parte con la stessa brutalità di una coltellata. La fissò ma lei non lo guardava. Le guance di nuovo arrossate, sembrava spaesata da quel dialogo concitato in una lingua che non conosceva. Pareva spersa quanto lui.
Gentile la spinse lontano da loro con una leggera pressione della mano tra le scapole e Philip la seguì con gli occhi mentre gli passava accanto vicinissima, scortata dall’italiano. Per un secondo vide risplendere sulla pelle nuda, vicino alla spallina bianca del vestito, le tre minuscole cicatrici a forma di luna lasciate dai denti di McFay. Segni che lei, finché erano rimasti insieme, aveva cercato in tutti i modi di nascondergli.
-Cazzo Philip! Quella è Jenny?-
Clifford lo riportò brutalmente alla realtà. Una curiosità divorante bruciava nei suoi occhi e in quelli dei compagni. Facce stranote che però non riusciva a mettere a fuoco. Indietreggiò di un passo, in un gesto estremo di difesa alle loro inevitabili domande.
-È Jenny?- ci si mise anche Ralph -Davvero quella è Jenny?-
-Sì, porca miseria!-
Gli occhi di Clifford lampeggiarono di stizza.
-Price, maledetto bastardo! Ci ha preso tutti per il culo! Aveva detto che non la conosceva, che era cinese, forse coreana…-
Nonostante Mark bruciasse di collera nei confronti del portiere spione, non riuscì a fare a meno di schernire il compagno.
-Sei proprio un idiota! Prenderti per il culo è facile come rubare una foglia di lattuga a una lumaca.-
Sandy si accostò a Yuma e lo tirò per la manica della giacca.
-Io te l’avevo detto che mi sembrava di averla già vista da qualche parte.-
-Non ricominciare con i tuoi “te l’avevo detto”!-
-Però te l’avevo detto!-
-Quindi per tutti questi anni ci hai nascosto una ragazza così, Philip. Bravo!- fu il complimento ironico di Ralph -Che bell’amico!-
-Scusa perché, che pensavi di farci con Jenny?- gli domandò Mark, vagamente preoccupato. Ma nessuno fece caso a lui.
Philip si ficcò le mani in tasca.
-Da quando siamo amici, Ralph?- gli rispose furente, lasciandolo di sasso.
Clifford rise sguaiato.
-Hai ragione, sai? Giochiamo nella stessa squadra ma mica siamo amici! Non mi sognerei mai di invitarvi alla mia festa di compleanno.-
-E chi ci verrebbe?- borbottò Mark, pensando che se Holly li avesse sentiti si sarebbe strappato i capelli. Lui che lottava e si dannava per l’armonia e l’affiatamento della nazionale. Con questo suo atteggiamento scostante, Callaghan non gli stava certo dando una mano.
-Comunque, tornando a Jenny…- riprese Clifford provocando una smorfia di disappunto nell’espressione di Philip, che sperava di averla scampata -Non ce l’hai mai presentata perché avevi paura che qualcuno di noi te la fregasse, vero?-
-Che stronzata! Non ti sei mai visto allo specchio?-
-Vaffanculo Landers e non ci scassare. Piuttosto spara, Callaghan! Che diamine ci fa la tua ex con Salvatore Gentile?-
-È appunto la mia ex! Per quale motivo dovrei saperlo?-
-Non stavate insieme? Ti avrà pur detto che veniva in Italia.-
-Ci siamo lasciati! Perché avrebbe dovuto dirmelo?-
Clifford rise.
-Se ti ha lasciato per lui, Jenny ci ha senz’altro guadagnato. Almeno la porta alle feste e soprattutto a conoscere i compagni di squadra.-
Peterson annuì.
-Appena Gentile la molla un istante io mi presento. Che fai Clif? Vieni con me?-
-Certo che vengo! Sono anni che sento parlare di lei e adesso voglio togliermi qualche curiosità. Alla faccia tua, Callaghan, e del tuo insensato egoismo!-
-Egoismo?- gli fece eco lui.
-Sì, egoismo, perché te la sei tenuta tutta per te! Le cose belle vanno condivise!-
Philip stentava a seguire il senso delle loro proteste. Che accidenti volevano da lui? Che andassero a presentarsi a Jenny, per quello che gli importava.
-Sapete una cosa?- rifletté Jason lisciandosi una basetta con le dita -Tra lei e Julie Pilar non so davvero chi scegliere.-
-Sai che ce ne frega, Derrick. Non devi scegliere tu, semmai Philip.-
-Philip ormai non ha più niente da scegliere, visto che non stanno insieme.- rise Ralph -Tu chi preferisci, Clifford?-
Yuma tornò a fissare pensieroso la ragazza, oggetto di tanta curiosità. Accarezzò con lo sguardo la scollatura dell’abito che metteva in risalto la curva dei seni. Indugiò sulla pelle nuda della spalla e del braccio, poi risalì sulla linea del collo e sul volto grazioso. Aveva le guance ancora leggermente arrossate, gli occhi scuri e brillanti. Gentile le era accanto come una guardia del corpo e non la mollava. A Philip quell'occhiata insistente diede fastidio.
-Non lo so. Devo esaminarla più da vicino per dare un parere.-
-Hai ragione.- annuì Peterson -E se le piacciono i calciatori può darsi che uno di noi abbia una possibilità.-
Mark scosse la testa.
-Beati illusi…-
Evelyn spuntò tra loro, gli occhi che emanavano dardi di interesse e stupore.
-Philip! Che accidenti ci fa qui Jenny?-
Si volse stralunato. Ci mancava solo lei e la sua prorompente curiosità.
-Che ne so?-
-Sta con Gentile? Si è messa col biondo? Perché non lo sapevo?- spostò gli occhi da Philip a Mark e viceversa, cercando una risposta che non venne. Allora proseguì, perché il desiderio di svelare quel mistero era infinito, inarginabile -Come accidenti è possibile? Tu lo sapevi, Philip?-
-No!-
-Lo immaginavo.- borbottò delusa. Guardò Mark, pronta a riprendere l’interrogatorio, poi si accorse che Patty si avvicinava a Jenny, lasciò perdere i ragazzi e le raggiunse di corsa. Tanto valeva fare le domande alla diretta interessata.
-Jenny! Che accidenti ci fai qui?-
-Ciao Patty…-
-“Ciao”?- la fissò incredula -Come “ciao”? Sei sparita da mesi e mi dici “ciao”? Andrebbe meglio un “Se mi metto in ginocchio mi perdoni”?
Jenny le rivolse un sorriso fragile.
-Scusami… avevo bisogno di riprendermi i miei spazi.-
-Altro che spazi! Mi hai fatta morire di preoccupazione! Perché non mi hai detto che eri in Italia?-
Già, perché?
-Lo avrei fatto, presto…- incrociò lo sguardo cristallino di Gentile che si era fermato ad aspettarla e accennò un sorriso -Lei è la moglie di Oliver Hutton.-
-Lo so. Va tutto bene?-
-Sì, ora sì. Resto con lei, siamo amiche.-
La presenza di Patty sembrò tranquillizzarlo. Così mentre Evelyn arrivava, gli occhi sull’italiano da cui non riusciva a distogliere lo sguardo, quello le lasciò sole.
-Porca miseria Jenny! Gentile ti ha baciata! State insieme?- le scoccò un’occhiata carica d’invidia.
-Ciao Evelyn.-
-Be’ sì, ciao. Sai che hai una fortuna sfacciata? Io, i ragazzi così, non riesco neppure ad avvicinarli per intervistarli, mentre a te...-
-Eve!-
-Eve cosa? Io verrei di corsa in Italia se sapessi che mi sta aspettando un simile esemplare di maschio.- sorrise maliziosa, come solo lei sapeva fare -Non preoccuparti, sono felice di vedere che c’è un tale leone accanto alla mia amica…- abbassò appena la voce -Più che un leone è un toro lì sotto, vero?-
Jenny non rispose, arrossì e basta mentre Evelyn traeva le sue conclusioni, atteggiandosi a donna saputa.
-Ovvio. La natura non può rovinare un capolavoro del genere con certi errori. Quindi com’è a letto?-
Jenny cambiò colore.
-Non sono affari tuoi nel modo più assoluto!-
-Hai ragione, porca miseria!- l’espressione seria e delusa di Evelyn fu così comica da far ridere Patty e Amy -Ma a me puoi dire com’è stato! Siamo amiche!-
-Neanche morta!-
-Diamine Jenny! Non è giusto! Tu puoi soddisfare tutte le mie fantasie più perverse! Non sai cosa farei a quello lì se solo potessi mettergli le mani addosso!-
Amy rise.
-A noi lo ha detto, dopo te lo racconto.-
Evelyn le lanciò un’occhiata in tralice, poi continuò rivolta a Jenny.
-Spero che almeno tu ti sia sbizzarrita! Cavolo!-
-Basta per favore.-
-Jenny ha ragione, Eve.- Patty tentò di riportarla all’ordine -Questo non è il momento adatto né il posto giusto per parlare di certe cose.-
-A parte gli sproloqui di Eve, come stai, Jenny?- s’informò Amy scrutandola con preoccupazione.
Ci pensò Evelyn a risponderle.
-Sta benissimo, è una bellezza. Non lo vedi?- strizzò l’occhio all’amica che tornava ad arrossire -Questo vestito ti sta bene, Jenny. Ha una splendida scollatura sia davanti che dietro. Sono sicura che Philip ha apprezzato. E non solo lui.- lanciò un’occhiata a Clifford e agli altri che non le staccavano gli occhi di dosso e li indicò con un cenno della mano -Sei dimagrita. Ti sei messa a dieta?-
-No.-
-Da quanto tempo sei in Italia?-
-Un paio di mesi.-
-Diavolo, così tanto?- Evelyn tornò a guardare Salvatore e incrociò per pura fortuna il suo sguardo azzurro. Sussultò e arrossì, abbassando gli occhi.
Quel barlume di timidezza le fece ridere.
-Sei tutto fumo e niente arrosto, Eve.- la prese in giro Amy dandole una lieve gomitata.
Lei si sventagliò teatralmente il viso con una mano.
-È troppo bello e mi fa quest’effetto. Che ci posso fare?-
Patty scosse la testa.
-Se hai finito di intontirci con le tue chiacchiere, vorremmo parlare di cose serie.-
Jenny si ritrovò a pensare che la premessa di Patty sembrava persino più pericolosa dell’esuberanza di Evelyn. Non aveva nessuna voglia di parlare di cose serie, quali che fossero. Né in quel momento, né con loro. Voleva solo tagliare la corda, in realtà. E adesso che aveva visto Philip e che lui aveva visto Gentile baciarla, era decisa a farlo il prima possibile.  
-Andiamo a sederci da qualche parte e ci racconterai con calma.-
Non sapendo come evitarlo, si lasciò trascinare verso i tavoli. Mentre passava accanto ad una composizione floreale, vide Carol chiacchierare al cellulare, lo sguardo abbassato sulle unghie laccate che stava esaminando con un’attenzione tutta professionale. Le tornò in mente il modo in cui aveva fissato Holly e un istante dopo accantonò il problema. Ora aveva davvero altro a cui pensare.
Philip si era liberato dall’assedio dei compagni infilandosi in un capannello di invitati. Aveva costeggiato il tavolo del buffet e aveva girato intorno alla piscina, facendo perdere le proprie tracce tra tavoli, sedie e camerieri. Aveva bisogno di respirare, perché da qualche minuto non riusciva più a farlo.
Per un istante non l’aveva neppure riconosciuta, Jenny, visto che tutto si aspettava tranne che incontrarla proprio lì. Quando aveva posato gli occhi su di lei, aveva sentito qualcosa di forte scuoterlo da dentro. Non sapeva cosa, forse l’emozione di vederla, di saperla lì, di constatare che stava bene. Il tutto era durato un attimo. Poi era arrivato Gentile che l’aveva stretta a sé. A quel punto la stessa identica emozione che l’aveva scosso, era andata in frantumi.
Attraverso la piscina la vedeva, il suo vestito bianco risplendeva alle luci notturne del giardino. Le amiche le stavano intorno, i loro abiti colorati si muovevano all’unisono, come i fiori di un prato accarezzati dal vento. Erano di nuovo insieme, come lo erano state a Shintoku prima in ritiro e, l’anno successivo, in vacanza. Se da una parte la sensazione che i pezzi sparpagliati di un puzzle stessero tornando pian piano al loro posto gli provocava un sentimento di conforto, dall’altra non riusciva a far quadrare gli eventi. Non c’era spiegazione al perché Jenny fosse a Torino. Sapeva per certo che a Furano non c’era più, perché qualche giorno prima di partire per l’Italia era ripassato davanti casa sua e aveva trovato le finestre ancora chiuse. Ma era straconvinto che fosse in America dai suoi genitori. E invece no, non era a New York. Era in Italia.
Il tradimento di Mark poi gli bruciava. Perché non lo aveva avvertito? Perché l’aveva lasciato all’oscuro, facendogli fare la figura del fesso? A fissarla inebetito, boccheggiando come una trota appena pescata?
-Una bella sorpresa, eh?-
Philip si volse. Benji gli stava alle spalle e lo guardava, anzi, lo studiava, la giacca aperta e tirata indietro dalle mani ficcate nelle tasche dei pantaloni. Aveva un’espressione pensierosa.
-Sicuramente una sorpresa.- si sforzò di rispondergli, atono. Riprese a camminare, non voleva ascoltarlo.
Fu inutile, Benji gli andò dietro.
-Non sei contento?-
-Non stiamo più insieme.-
-Questo è ininfluente sul fatto che tu sia contento o meno.-
-Perché dovrei essere contento?- la domanda gli salì su dritta dal cuore. Cosa c’era da essere contenti a trovare Jenny con un altro? Era vero, si erano lasciati, ma vederla con Salvatore Gentile era quasi insopportabile.
-Perché lei è qui.-
La risposta lo colse impreparato. Spostò gli occhi in quelli dell’amico e non riuscì a rispondergli, non seppe assolutamente cosa dirgli. Era vero, Jenny era lì. Ma poi? Scosse le spalle in una replica che non venne e si allontanò perché non aveva voglia di parlare né con lui, né con nessun altro.
Benji rinunciò a seguirlo e raggiunse i compagni con un sacco di domande da porre.
-Da quanto tempo te la tieni in casa, Landers?-
-Cosa ne sai?-
-Me lo ha detto lei.-
-Jenny?-
-Proprio.-
Incredulo si accorse che Julian lo fissava e, non era il solo, disapprovava.
-Sta da te, Mark?-
Lui si difese passando all’attacco.
-Dove pensavi che stesse? In un hotel?-
-Non ho pensato nulla, non ne ho avuto il tempo. Piuttosto bell’amico che sei… Ospiti l’ex di Philip e neppure lo avverti.-
-Non stanno insieme!-
-E quindi pensi che non avrebbe voluto saperlo?-
-No che non lo penso, ma Jenny mi ha detto di non dirlo a nessuno. Cosa dovevo fare?-
Benji scostò una sedia e si sedette tra loro.
-E adesso cosa farai?-
-Assolutamente niente! Non sta con me ma con Gentile. Io la ospito e basta.-
-Ecco, appunto. Giusto questo volevo chiederti. Perché hai lasciato che si mettesse con Gentile senza neppure provarci? Eppure Jenny ti interessa, è lampante.-
Mark s’inalberò.
-Jenny non mi interessa! Non mi è mai interessata e se la pensi in questo modo significa che non hai mai capito un cazzo.- si accorse che anche gli altri lo fissavano scettici e un fremito di stizza gli corse su per la schiena.
-Non ti interessa, eh? O ci hai provato e ti ha detto di no?-
-No, Price! Non ci ho provato!- lo fulminò con un’occhiata di fuoco -Pensi che siamo tutti uguali a te? Che davanti ad un paio di tette perdiamo la testa?-
-Mi stai confondendo con Bruce.-
-Lasciatemi fuori dalle vostre discussioni del cavolo.- si fece sentire quello.
-Penso solo che sei un cretino, Landers, perché avresti potuto approfittarne e toglierti lo sfizio.-
-Benji…- Holly tentò di metterlo a tacere.
-Se c’è un imbecille tra noi quello sei tu, Price, che non avresti problemi a farti la ragazza di un amico. Ma questo è niente! Perché sei andato a spifferare a Gentile i fatti di Jenny e di Philip? Cosa cazzo gliel’hai detto a fare?-
-Davvero pensi che non lo avrebbe capito? Che non se ne sarebbe accorto? Non è deficiente come te.-
Landers scostò brusco la sedia e si alzò. Holly si tese, pronto a intervenire se fosse saltato addosso a Benji per strozzarlo e fargli rimangiare una volta per tutte le sue inaccettabili insinuazioni. Invece si allontanò senza dire una parola, un diavolo per capello, ringhiando in italiano qualcosa che non capirono.
Mark non s’era seduto al tavolo dei compagni per lasciare che quel maledetto portiere lo insultasse a raffica o lo mettesse in imbarazzo con le sue teorie da quattro soldi. Avrebbe voluto risolvere la situazione, lui. Riflettere con loro e trovare il modo di riavvicinare Philip a Jenny, o Jenny a Philip. Andava bene qualsiasi cosa. Ma finché Benji non esauriva il repertorio della sua stronzaggine, questo non era possibile.
Holly respirò a fondo, poi si rivolse al portiere.
-Sei ubriaco, Benji?-
-No, perché?-
-Allora per quale motivo l’hai assalito in quel modo?-
-Per favore, non vorrai mica difenderlo? Si è dimostrato un coglione, non ha detto niente a Philip di Jenny, ti pare giustificabile?-
-In effetti…- si trovò d’accordo Bruce.
-Philip sa difendersi da solo, non c’è bisogno che lo fai tu.-
Benji spostò gli occhi su Julian.
-Lo so, ma mi interessava sapere se tra lui e Jenny c’è stato qualcosa. Philip sa difendersi da solo, hai ragione, ed è abbastanza intelligente da riuscire a passare sopra al fatto che lei stia con Gentile. Ma che lei e Mark se la siano spassata non potrebbe sopportarlo.-
Julian scosse la testa e gli lanciò un’occhiata carica di sarcasmo.
-Un pensiero troppo altruistico per uno come te. Hai semplicemente approfittato dell’occasione per insultarlo, visto che erano mesi che non lo facevi più di persona.-
Benji scoppiò a ridere.
-Non hai tutti i torti, Ross.-
Finalmente solo, senza scocciatori in giro, Philip si sforzò di ridare un ordine ai pensieri che gli ingarbugliavano la testa, che gli sfuggivano prima che riuscisse a metterli a fuoco, che volavano via eterei. Ma in fondo che bisogno c’era di pensare? Doveva solo sforzarsi di razionalizzare, come faceva sempre, perché a tutto c’era una spiegazione. Bastava trovarla. Se Jenny era a Torino doveva esserci un motivo che non poteva certo essere Salvatore Gentile. E doveva esserci un motivo anche per spiegare il silenzio di Mark. Solo che lui, per quanto si sforzasse, non riusciva a rispondersi. La sua mente sembrava essersi inceppata. Lanciò un’occhiata rapida a Jenny che sedeva al tavolo con le amiche, circondata da mezza nazionale giapponese. Quella sera stava succedendo esattamente ciò che per anni lui si era dato da fare ad evitare, con il risultato che ora la curiosità dei ragazzi era inarrestabile perché al mistero che la circondava si era aggiunta anche la sua relazione con Gentile.
Seduta al suo fianco Evelyn, infastidita da tanta invadenza, tamburellava con le dita sulla tovaglia, ad ascoltare allucinata le idiozie che i ragazzi sfornavano a raffica per attirare l’attenzione di Jenny, per strapparle un sorriso, mostrando invece, a suo parere, il peggio di loro. La bocca serrata dal fastidio, una specie di invidia si stava facendo strada nella sua testa, perché in fondo non le sarebbe dispiaciuto essere al centro di tutta quell’attenzione. Sentì Patty ridere e spostò gli occhi su di lei. Poi tornò a guardare Jenny, rigida sulla sedia, la schiena dritta, profondamente a disagio. Era chiaro che avrebbe desiderato essere ovunque tranne che lì. Rispondeva come poteva, cercava di sorridere ed essere gentile, ma Evelyn era quasi certa che dentro di sé stesse ringraziando il suo ex di averle evitato per anni quella tortura.
Jenny tentava di mostrarsi interessata e cordiale, ma non riusciva a concentrarsi sulla conversazione e sulle battute dei ragazzi. I suoi occhi vagavano nel giardino in cerca di Philip. Non lo trovava, non lo vedeva da nessuna parte. Chissà dov’era sparito. Probabilmente se n’era andato, scontento di trovarla lì dopo tutta la fatica che aveva fatto per riuscire a liberarsi di lei. Il pensiero della sua fuga la ferì. Serrò le dita sulla borsetta e i battiti del cuore accelerarono. E lei? Lei se n’era andata da Furano proprio per non incontrarlo per strada, magari mentre era a spasso con Grace o a fare la spesa. Venire in Italia non era servito a niente.
Philip era lì e quella sera si erano ritrovati così vicini da potersi toccare. Lui avrebbe potuto davvero, eppure all’ultimo non lo aveva fatto. Anche se aveva proteso la mano, era bastato che lei accennasse a tirarsi indietro per farlo desistere. La sua esitazione l’aveva ferita nel profondo, facendo tornare a galla un dolore che sperava di aver dimenticato. La sofferenza invece era ancora tutta lì, pronta a farle di nuovo del male. Ancora una volta, Philip aveva dimostrato che preferiva arrendersi di fronte a quel che restava delle sue ferite, piuttosto che affrontarle. Esattamente quello che aveva fatto per mesi, privandola di lui. Davanti a tanto distacco e a tanta freddezza da parte sua, Jenny non aveva neppure sentito l’impulso di piangere. Mentre negli occhi di Philip balenavano lo sconcerto e la confusione, lei aveva provato soltanto uno sconfinato senso di vuoto, di dolorosa mancanza.
Sussultò quando sentì qualcuno sfiorarle la spalla. Alzò gli occhi di scatto e incrociò quelli di Evelyn, supplichevoli.
-Coraggio, Jenny. Rispondi a mio cugino così si toglie dai piedi con i suoi discorsi cretini.-
Lei alzò gli occhi su Clifford, confusa. Come poteva rispondergli se non aveva ascoltato una parola?
-Eve, perché non vai a farti un giro?- rispose lui nervoso -Magari in mezzo agli italiani, visto che ti piacciono tanto!-
-Non solo a me, vero Jenny?- mostrò la lingua al cugino e si allontanò verso il buffet, lanciando un’occhiata curiosa a Mark e Gentile che parlavano uno di fronte all’altro a due passi dalle vivande. Peccato che lo stessero facendo in italiano, avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa si stessero dicendo.
L’ira di Salvatore era implosa, grazie anche ad un bicchiere di costosissimo champagne ghiacciato che Belli gli aveva messo in mano intimandogli di berlo d’un fiato.
-E così Jenny stava con quello sfigato!- mandò giù un sorso della bevanda e finse un’espressione sollevata -Meno male che si è accorta dell’errore!-
-Pallone gonfiato, come osi?-
Gentile gli rispose con un ghigno, poi cercò Philip tra la gente e non lo trovò.
-Il tuo amico non ha le palle. Come ha visto che Jenny era con me, ha tagliato la corda.-
Mark lo guardò di traverso, poi decise che non voleva litigare. Quella serata lo stava stremando peggio di un allenamento con Gamo. Il suo silenzio diede il via libera a Salvatore, che continuò carico.
-Ha capito subito che non può competere, che perderebbe su tutta la linea. In confronto a me lui è niente.-
-Lui è qualcosa più di te, idiota. In prestigio ti frega. È il capitano della nazionale giapponese, tu non sei neppure il vice di quella italiana.-
Gentile lo fissò interdetto. Non ci aveva pensato, porca miseria. Gli bastò un attimo per riprendersi.  
-Sta solo sostituendo Hutton. In realtà non conta niente. È talmente insignificante che non ricordavo neppure il suo nome.-
Mark lo fissò. In definitiva, che ci faceva lì con lui? Perché lo stava a sentire? Per una volta che erano avversari e poteva evitarlo alla grande, stava ancora a perdere tempo?
-Sono un cretino. Perché sto ad ascoltare le tue stronzate?- gli voltò brusco le spalle e si allontanò a testa alta. Di lui ne aveva abbastanza.
Salvatore gli mandò tremila maledizioni, poi andò a recuperare Jenny per sottrarla all’interesse morboso dei suoi connazionali. Everett e Peterson si scostarono quando si fece largo senza chiedere permesso.
-Vieni con me.- le disse in italiano, porgendole una mano in un gesto inequivocabile.
Lei si alzò subito, contenta di avere finalmente una scusa per dileguarsi. Distribuì a casaccio qualche sorriso, poi si allontanò con Salvatore.
-Quindi Callaghan è il tuo ex ragazzo.-
Lui le teneva una mano sul fianco, così la sentì irrigidirsi. Si fermarono poco più in là, per guardarsi negli occhi.
-Chi te lo ha detto?-
-Era un segreto?- ostentò indifferenza -Non mi pare, lo sanno tutti.-
Jenny non riuscì a capire se le parole di Salvatore fossero una semplice constatazione o nascondessero un rimprovero.
Qualcuno lo chiamò, salvandola da una risposta che non veniva fuori. Si volsero entrambi. Davanti al buffet Dario Belli stava facendo cenno al compagno di raggiungerlo. Era insieme ad Alex Marchesi, il centrocampista della Juventus, e a Matteo Solari, l’attaccante della nazionale italiana. Salvatore gli rispose con un gesto impaziente di diniego, poi spinse Jenny ancor più lontano da tutta quella confusione, fin sul bordo della piscina. L’odore di cloro solleticò le loro narici, lo sciabordio dell’acqua si mescolò alla musica e il riflesso delle luci azzurre tinse i loro corpi.
-Io non volevo venire. Se non fosse stato per Mark lo avrei evitato volentieri!-
-Non volevi venire per lui?-
Marchesi lo chiamò di nuovo. Adesso erano cinque o sei, a cercare di attirare l’attenzione del ragazzo. Si erano riuniti in un gruppetto rumoroso e Jenny desiderava tanto che andasse da loro e la lasciasse a mortificarsi in solitudine. Lui però sembrava di tutt’altro avviso.
-Dai Gentile, quanto la fai lunga!-
-Datti una mossa!-
Lui si volse e prese a gesticolare scocciato.
-Che palle che siete! Non vedete che sono occupato? Andate a rompere l’anima a qualcun altro!-
-Ci puoi parlare dopo, con la tua ragazza!-
-Non state a seccarmi!- li liquidò spazientito e tornò a guardarla -A me non frega niente, in definitiva, se Callaghan è il tuo ex, però…-
-E che avrai da dirle di così importante?-
Uno scoppio di ilarità tra gli italiani.
-Facci la grazia, è per una foto.-
-Due minuti ci vogliono, mica di più. La tua ragazza non scappa di certo.-
Salvatore ne ascoltò appena la metà, di quei richiami. Infastidito, vomitò su di loro tutto il nervoso che Landers aveva fatto affiorare con la sua tracotanza.
-Porca miseria! Mi lasciate in pace? Ho da fare, non lo vedete?-
Dario fece spallucce ma Alex Marchesi non si scoraggiò.
-Salvatò, dobbiamo fare una foto di gruppo, non una partita. Quanto ci vorrà? Puoi degnarci della tua illustrissima presenza per trenta secondi?-
Ma lui niente, non lo ascoltò. Continuava a fissare Jenny che, a disagio, torturava la borsetta tra le dita.
-Senti, mi dispiace…- il vestito di lei risplendeva di blu e quando si mosse lo chiffon si sollevò come un’onda -Te l’avrei detto, alla fine. Forse non stasera, ma te lo avrei detto…- lanciò un’occhiata ai ragazzi che fremevano poco distanti, stufi di essere ignorati e di dover aspettare i comodi del compagno per fare chissà cosa -Vai da loro, ti stanno chiamando ancora. Ne riparliamo dopo, abbiamo tutta la serata…- sorrise per convincerlo e appoggiò una mano sul suo torace, accarezzando le falde della giacca di qualche ottima marca italiana.
Una faccia divertita spuntò alle spalle di Salvatore in modo così improvviso da farla gridare. Gentile neppure fece in tempo a voltarsi. Due mani possenti si posarono sulla sua schiena e premettero forte.
-Ma che cazzo…-
Si sbilanciò in avanti, travolse Jenny e la trascinò in acqua con sé. Caddero con un tonfo, sollevando una valanga di spruzzi. Ci fu un istante in cui le conversazioni degli invitati presenti nel giardino si interruppero. Persino il dj si distrasse, perse un giro e la musica si ripeté, distorta.
Riemersero zuppi, increduli, bagnati e infreddoliti. Si guardarono sgomenti, poi spostarono gli occhi sul bordo della piscina, dove quattro o cinque calciatori italiani li indicavano e ridevano.  
-Maledetti stronzi!- gli occhi di Salvatore Gentile saettarono sui compagni -Siete dei pirla! Dei pezzenti! Dovete crepare, dovete!- terminò il fiato, interruppe le invettive e guardò Jenny.
I suoi capelli lunghi intrisi d’acqua si erano sciolti e ora si allargavano a ventaglio alle sue spalle, fluttuando sulla superficie azzurra. Lo chiffon del vestito le galleggiava intorno, smosso dalle onde create dal loro stesso tuffo, modellandole intorno al petto una specie di corolla. Davanti alla sua espressione sgomenta e avvilita, l’indignazione nei confronti degli amici e del loro stupido scherzo lasciò il posto alla preoccupazione. Le era caduto addosso, l’aveva travolta ma per fortuna sembrava ancora tutta intera.
-Stai bene? Ti sei fatta male?-
-Sto bene…-
I ragazzi italiani continuavano a sbellicarsi sul bordo della vasca, mentre i pochi giornalisti ammessi alla festa si avvicinavano all’acqua pieni di curiosità.
Salvatore digrignò i denti e una furia omicida gli attraversò gli occhi.
-Maledetti, vi faccio a pezzi!-
-Com’è l’acqua?-
-Com’è l’acqua un cazzo!-
Marchesi rise di gusto.
-L’acqua fredda non ha placato i tuoi bollenti spiriti!-
-Ma vaffanculo fino a Natale, Alex!-
Seguì un attimo di silenzio, puoi un nuovo scoppio di ilarità. Gentile avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma prima doveva uscire da lì. Si volse verso Jenny, pronto a scusarsi di nuovo e a issarla fuori dalla piscina. Non la vide più. Gli prese un colpo, nel suo sguardo affiorò il panico.
-Dietro di te.- gli gridò Dario.
Allora si volse e la vide. Scorse il suo corpo nuotare sott’acqua, risplendente d’azzurro. Raccolse qualcosa dal fondo della vasca e riemerse poco distante, la borsetta tra le mani. Salvatore la raggiunse con due bracciate.
-Cosa c’è? Tutto a posto?-
-Sì.- starnutì e aprì il gancetto della pochette. Era colma d’acqua e il pacchetto di fazzoletti che Mark vi aveva infilato galleggiava tra le sue mani. Il cellulare, spento, restò adagiato sul fondo di raso blu. Lo afferrò, lo tirò fuori dall’acqua e cercò di accenderlo -Mi sa che si è rotto…-
-Lascia perdere il cellulare. Usciamo che si gela.-
Gentile la spinse verso il bordo, l’afferrò per i fianchi e la issò fuori della piscina. Era leggera come un fuscello, nonostante il suo abito fosse intriso d’acqua. Belli le afferrò un gomito e l’aiutò a tirarsi in piedi. Poi la guardò amareggiato.
-Mi dispiace, sono degli animali…- con un cenno del capo indicò i compagni che continuavano a sghignazzare. Ma non di lei. I loro sguardi erano rivolti a Gentile che seguitava a insultarli a raffica, incurante degli ospiti, dei giornalisti, incurante di tutti.
Amy raggiunse Jenny.
-Peccato per il vestito. Il cloro lo rovinerà?-
-Non mi importa del vestito…- starnutì infreddolita, mentre gli occhi cominciavano a pizzicarle. Non era il vestito ad angustiarla ma il fatto di sentirsi ridicola, intirizzita e tremante davanti a tutti quegli spettatori. I capelli sciolti le ricadevano in ciocche grondanti e disordinate sul petto e sulle spalle, il vestito le si era incollato addosso. Sentiva l’acqua ghiacciata scorrerle sulla schiena, sulle braccia e le gambe, fino ai piedi, immersi in una pozza. Si mosse e l’abito si adattò ad ogni piega del suo corpo, senza staccarsi. Con orrore Jenny realizzò che forse, attraverso il tessuto leggero, si intravedevano persino gli slip. E i giornalisti continuavano a fotografarla. Si guardò intorno in cerca di Mark, che forse avrebbe potuto fare qualcosa. Cosa, non lo sapeva neppure lei. Non lo trovò. Dov’era finito?
Carol le scostò dal collo e dalle spalle le ciocche di capelli che si erano incollate alla pelle, le sistemò alla meglio le pieghe del vestito e infine, prendendo atto delle condizioni in cui era ridotto quello che reputava un suo capolavoro, prese a gridare insulti in italiano a chi aveva spinto Jenny in acqua.
-Che razza di uomini siete? Ci si comporta così con le signore?- si portò i pugni ai fianchi e avanzò verso Marchesi. Lui indietreggiò burlone, tirando fuori un’espressione comicamente intimorita -Villani! Ignoranti! Maleducati! Siete delle bestie! Vi dovrebbero tenere legati!-
Salvatore emerse con uno scroscio d’acqua, facendo leva sulle braccia, i muscoli in tensione che tesero la stoffa della giacca. Puntellò un ginocchio sul bordo e si mise in piedi, mentre una cascata allagava il pavimento di cotto, grondando dai suoi abiti. Gli occhi azzurri lampeggiarono di sdegno.
-Imbecilli! Che c’entrava Jenny?-
Marchesi si tirò prudentemente indietro.
-Lei c’è entrata per sbaglio.-
-Inutile che t’incazzi, Gentì. Sei tu che l’hai spinta in acqua!-
Philip, dall’altra parte della piscina, seduto ad un tavolo con Clifford e Ralph, assisteva in silenzio alla scena. L’aveva seguita fin dall’inizio, non ne aveva perso neppure un secondo perché nonostante avesse cercato di evitare di posare lo sguardo sulla ragazza, non aveva fatto altro che tenerle gli occhi addosso. L’aveva vista isolarsi dagli altri e Gentile infervorarsi per qualcosa. Aveva provato un bruciante fastidio quando lei gli aveva posato dolcemente una mano sui risvolti della giacca, all’altezza del cuore, in un gesto simile ad una carezza. Quando poi Gentile le era finito addosso travolgendola, era quasi saltato in piedi, il terrore che Jenny non sarebbe riemersa. Solo quando l’aveva vista tornare a galla, apparentemente illesa, aveva ripreso a respirare. Ora la vedeva rabbrividire di freddo e si sentiva gelare anche lui. In piedi sul bordo, lei gli dava le spalle e i capelli lunghi, divisi in ciocche grondanti, le ricoprivano la schiena per una buona metà. Non l’aveva mai vista Jenny, con i capelli così lunghi. Avrebbe voluto toccare quella cascata setosa e liscia, intrecciarla tra le dita e lasciarla scorrere via, ficcarci dentro il viso e inebriarsi del suo profumo che ormai non ricordava quasi più.
Mark si fece largo tra gli italiani e guardò Jenny dall’alto in basso, con aria truce. Incrociò lo sguardo di lei, fece per dirle qualcosa ma Patty sopraggiunse di corsa e lo spinse da parte. Stringeva al petto due enormi teli da bagno. Ne porse uno all’amica, l’altro Evelyn glielo tolse di mano e si avvicinò a Gentile, con un atteggiamento timido che non le si addiceva per niente. Allungò le braccia e lui le sorrise, ringraziandola poi in inglese. E quando l’interesse di Salvatore tornò sui compagni, Evelyn si avvicinò alle amiche e si piantò davanti a Jenny, le mani puntellate sui fianchi. La scrutò divertita, indecisa se farle una foto. Lasciò perdere perché immaginò che la cosa non le avrebbe fatto piacere.
-Se cado io in piscina non mi dà retta nessuno e quando esco sono ridicola.- borbottò contrariata -Ci cadi tu e ti stanno tutti intorno, il vestito ti dona senz’altro più di prima e il trucco non ti cola…-
Le ragazze risero, solo Carol restò seria.
-Per forza, l’ho truccata io! Sono una professionista!-
Jenny si passò l’asciugamano sul collo e sulle braccia per arginare i rivoli d’acqua che venivano giù ovunque, poi se lo avvolse intorno alle spalle e se lo strinse addosso. Spostò gli occhi su Evelyn.
-Almeno tu non finirai sulle prime pagine di gossip.-
-Scherzi? Magari succedesse! Darei qualunque cosa per essere fotografata insieme ad un fusto simile!- indicò Salvatore con un cenno.
Jenny fece spallucce, poi chinò il viso e si osservò l’abito incollato alle gambe. A parte il freddo, era davvero in uno stato pietoso.
-E adesso?-
Amy le sorrise.
-Ti presterò i miei vestiti. Vieni in camera.-
-Non posso rientrare in queste condizioni.- abbassò gli occhi a terra. Si era sfilata i sandali e i suoi piedi nudi sguazzavano in un lago.
-Portali qui, Amy.- decise Patty pratica -Jenny può cambiarsi nello spogliatoio della piscina.-
Salvatore le raggiunse, i capelli biondi avevano assunto una tonalità più scura. Divisi in ciocche gocciolanti, lasciavano ai suoi occhi tutto lo spazio necessario a sfavillare e conquistare. Evelyn non riuscì a togliergli lo sguardo di dosso mentre si liberava prima della giacca, gettandola su una sedia di plastica, poi della camicia. Rimase in maglietta, i bicipiti che spuntavano prepotenti dalle maniche corte, i pettorali scolpiti che il cotone zuppo metteva in mostra, incollato come una seconda pelle su quel corpo da favola.
-Ci sarebbe da ringraziare chi vi ha spinti in acqua…-
Jenny lanciò ad Evelyn un’occhiata storta, la forte tentazione di gettarla in piscina. Si trattenne soltanto perché non le parve il caso e si fece passare il nervoso concentrandosi su Salvatore. Il ragazzo, sotto lo sguardo adorante di Evelyn e di qualche altra invitata, che sembravano volerselo mangiare, si passò un angolo dell’asciugamano sui capelli, lasciando il resto del telo a penzolargli spiegazzato su una spalla e sulla schiena. Lui si volse e vide Jenny tremare di freddo.
-Devi trovare qualcosa da metterti prima che ti ammali.-
-Amy mi presterà i suoi vestiti. Lì c’è lo spogliatoio…-
Salvatore annuì.
-Già, è perfetto.-
La prese per mano e la trascinò verso la piccola costruzione in legno bianco. La porta non era chiusa a chiave. Entrò per primo, accese la luce e si guardò intorno mentre Jenny lo seguiva dentro, stringendosi addosso l’asciugamano.
-E adesso che fai? Ti imboschi?- gli gridò dietro Marchesi.
-Ma lasciatemi in pace, rompicoglioni!- rispose senza voltarsi, alzando il dito medio e richiudendo la porta con una manata. Quando furono soli guardò Jenny -Sono dei cretini… degli infami! E io ci gioco pure insieme… Affanculo li dovrei mandare, altroché…- gettò l’asciugamano su una sedia -Mi dispiace.-
-Non devi scusarti, non è colpa tua.-
-Il tuo vestito è rovinato.-
Lei gli sorrise.
-È solo un vestito.-
Salvatore concordò con una strizzatina d’occhio, poi si sfilò la maglietta. Recuperò l’asciugamano e se lo strofinò addosso. Jenny indugiò ad osservarlo, chiedendosi se si fidasse davvero a liberarsi dei vestiti, con quegli inaffidabili amici nei paraggi e tutti quei giornalisti lì fuori, pronti a scattare foto su di loro. Lei no, non ne aveva il coraggio, così restò immobile al centro della stanza. Quanto ci metteva Amy? Starnutì.
-Non ti spogli?-
Lui le si avvicinò a petto nudo e le tolse l’asciugamano per aiutarla a slacciare l’abito sulla schiena. Nell’istante in cui Jenny si tirava indietro, sentirono bussare.
-Che vogliono adesso?- sbuffò Salvatore.
Jenny riconobbe la voce di Amy che la chiamava.
-Sono arrivati i miei vestiti.-
-Ah, bene.-
Lui andò ad aprire, prese i vestiti che Amy gli porgeva, avvoltolati in un malloppo e sorrise al cellulare di Evelyn che ne approfittò subito per scattare un paio di foto al suo corpo mezzo nudo.
-Oggi è la mia giornata fortunata.- ringraziò lei strizzandogli un occhio.
Lui le sorrise. Un secondo prima di richiudere la porta, gli arrivò in mano un secondo fagotto di abiti. Lo afferrò al volo e si trincerò nello spogliatoio.
-Un bel tuffo…-
Evelyn comparve alle spalle di Philip così improvvisa che lui si volse di scatto, sorpreso. L’amica non lo guardava, era china sul display del cellulare e faceva scorrere rapidamente alcune immagini. Clifford, curioso, si sporse per guardare.
-Li hai fotografati?-
-Esattamente mentre cadevano in acqua.-
-Come hai fatto?-
-Ce li avevo inquadrati proprio in quel momento. Spero di riuscire a tirarci fuori qualcosa. Sono una coppia che fa notizia, non ti pare?-
-Certo che mi pare.- Yuma lanciò a Philip un’occhiata significativa -Con lui Jenny fa molta più notizia che con te.-
-Pensi che me ne importi?- l’occhiata truce con cui lo fulminò lo frenò dal continuare su quella strada.
-Vado a prendere un altro drink.-
-Ecco bravo.- Philip strinse i denti mentre Clifford si allontanava -Togliti dalle palle.-
Evelyn accantonò il cellulare e si lasciò cadere sulla poltroncina lasciata libera dal cugino.
-Sei nervoso stasera. Vuoi sapere cosa ho scoperto su di loro?-
Philip non rispose né sì né no e mostrando il massimo ma finto disinteresse rimase ad ascoltarla mentre lei sciorinava una serie di informazioni che non le aveva chiesto.
Jenny non ebbe il coraggio di cambiarsi davanti a Salvatore. Lo fece nei bagni stretti e risicati dello spogliatoio, lasciandolo con i vestiti che aveva rimediato a rispondere ai fastidiosissimi richiami dei compagni asserragliati a sfotterlo al di là della porta. Quando tornò da lui, rimase interdetta a fissare ciò che indossava. Poi scoppiò a ridere.  
-Cosa ti sei messo addosso?-
-Il senso dell’umorismo di Price.-
Tutto avrebbe immaginato, Jenny, tranne che vederlo vestito dalla testa ai piedi dell’uniforme del Giappone, la felpa azzurra della nazionale con il logo dell’adidas su una spalla, il simbolo della JFA sul petto e una chiassosa scritta JAPAN che gli campeggiava sulle spalle, bianca sullo sfondo blu.
-Vestito così i giornalisti ti adoreranno. Finirai su tutte le prime pagine.-
-Non mi dona?- rise anche lui -S’intona ai miei occhi, non trovi?-
Sì, in effetti trovava. E ad affascinarla era questa sua capacità di sorridere di tutto. Salvatore Gentile sprizzava energia da tutti i pori. A volte si imbronciava per niente come un bambino viziato, faceva i capricci e puntava i piedi, ma una volta passate le bizze tornava allegro e solare, contagiando chi aveva intorno col suo carattere accentratore, sempre disposto a ridere e a scherzare, a fare amicizia con tutti, la battuta sempre pronta.
-Vieni qui…- la prese tra le braccia e la strinse a sé.
Jenny era fredda come un ghiacciolo e approfittò di quel contatto per scaldarsi un po’. Lui le stampò un bacio sulle labbra e si scostò, osservando critico i suoi capelli bagnati. Li lasciò scorrere tra le dita.
-Dovresti asciugarli.-
Lei annuì, lo fissò nelle iridi celesti e colse al balzo l’occasione per chiedergli ciò che aveva desiderato da quando aveva messo piede in quell’hotel.
-Lo farò a casa, ce ne andiamo?-
-Vieni da me?-
Lei esitò solo per un secondo.
-Non è una grande serata questa. Non so se…-
Due violenti colpi sulla porta li fecero sobbalzare. Salvatore la lasciò.
-Qualsiasi cosa, basta che ce ne andiamo da qui. O stasera faccio secco qualcuno.-
Spalancò la porta e i suoi occhi dardeggiarono tra i compagni. Quelli, come lo videro, scoppiarono a ridere.
-‘Cazzo ti sei messo addosso?-
-Che pirla, che sei! Hai cambiato squadra!-
Gentile stette al gioco.
-Che vi aspettavate, dopo avermi buttato in piscina?-
-Sai che la divisa del Jàpan ti sta bene?-
-A me sta bene tutto, pure niente.-
-Io non ti ci voglio, in squadra.- disse serio Mark, ma il suo sguardo era divertito.
-Figurati io.- Salvatore lo superò e andò dritto verso Benji che se la rideva in solitudine -Sei uno stronzo geniale…- gli passò un braccio intorno alle spalle e si mise in posa mentre qualche giornalista inquadrava entrambi e li accecava con i flash.
Carol raggiunse Jenny. Era affranta.
-Stupidi idioti! Hanno rovinato la mia opera d’arte!- frugò nella borsetta, tirò fuori un pettinino di plastica da un euro e cercò di rimettere in riga le ciocche zuppe dell’amica.
-Carol, lascia stare…- i denti del pettine trovarono un nodo, Jenny gemette e si tirò indietro -Non fa niente.-
-Certo che fa! Eri così bella!- scoppiò a ridere -Oddio, non che adesso tu non lo sia, intendiamoci…- allungò di nuovo il pettine e glielo affondò tra le ciocche, facendola sussultare.
-Per favore, basta così. Sono un disastro e mi fai male.- le tolse il pettine e lo sfilò con precauzione da un groviglio di capelli in cui si era ingarbugliato, senza andare né su né giù.
-Ti sono cresciuti tantissimo.- notò Amy -Devi asciugarli o ti prenderai un malanno.-
-Non importa. Salvatore ed io ce ne andiamo.-
-Di già?-
-È quasi mezzanotte, sono distrutta.- e lo era veramente. Era stremata dal contrasto tra le sensazioni che provava, era stanca di quella serata e di tutto ciò che le stava accadendo. Non ne poteva più.
-Ci vediamo domani?-
Fu Carol a rispondere a Patty, carica di energia e di entusiasmo.
-Certo che ci vediamo domani! Volentierissimo!- ci pensò su -Anzi, io resto ancora un po’.- strizzò l’occhio a Jenny -Buon proseguimento, mia cara. E non divertitevi troppo.-
-Non vieni?-
-A far cosa? Il terzo incomodo? Andate pure e scatenatevi anche per me.-
Jenny sospirò paziente e cercò Salvatore nei dintorni. Un attimo prima era lì, adesso non lo vedeva più. Voleva andare a casa, dove accidenti era sparito? Lo vide tornare con una busta, nella quale infilò l’abito bianco che le tolse dalle mani. Appeso ad un braccio teneva il cappotto di Jenny che aveva recuperato al guardaroba. L’aiutò a indossarlo.
-Patty, avverti tu Mark che ce andiamo?-
-Sì. Ci vediamo domani.- ribadì lei, come a farle presente che non le avrebbe permesso di sparire di nuovo.
Jenny annuì, poi s’incamminò verso l’uscita insieme a Salvatore, aggrappata al suo braccio, le dita affondate nella manica della felpa azzurra di Benji, lo sguardo chino a terra nel timore di incrociare gli occhi di Philip che, lo sapeva, era lì da qualche parte e forse la stava osservando mentre se ne andava insieme a Gentile, tirando le sue ovvie conclusioni su come avrebbero trascorso il resto della serata.
Amy aspettò che Carol si allontanasse per servirsi un drink, poi esternò tutta la sua perplessità.
-Perché Jenny è qui?-
-Certo non è venuta a vedere la partita.- Evelyn infilò il cellulare nella borsetta. Adesso che Salvatore se n’era andato, non sapeva più chi fotografare -Se Jenny è riuscita a costruire un rapporto con Gentile non è arrivata ieri.-
Patty le ascoltò in silenzio, accarezzando distrattamente i petali di una rosa che si allungava verso di lei da una pianta carica di boccioli.
-Sapete qual è la cosa peggiore? Che Mark sapeva che eravamo preoccupate per Jenny e non ci ha detto che era qui.-
Amy non fu d’accordo.
-La cosa peggiore è che Jenny non si sia fatta sentire sapendo che eravamo preoccupate per lei.-
-Jenny non deve rendere conto a voi di quello che fa. E non mi pare carino rinfacciarglielo. Non ha passato un bel periodo, lo sapete benissimo.-
Patty e Amy fissarono Evelyn allibite. Era la prima volta che la sentivano esprimere un ragionamento tanto profondo. E sicuramente la prima volta in assoluto che parteggiava per l’amica assente. Oltretutto aveva ragione, quindi non ebbero davvero nulla da rispondere.
Dall’altra parte del giardino, Philip osservò Jenny che lasciava la festa. Si ficcò le mani nelle tasche, costeggiò la piscina e riuscì a svicolare tra i compagni senza attirare l’attenzione. Solo Pearson lo individuò mentre si dava alla fuga e cercò di fermarlo. Ufficialmente voleva parlargli della conferenza stampa, in realtà era preoccupato perché anche lui aveva visto Jenny e Gentile insieme, ma Philip si inventò che doveva andare in bagno e si sganciò in tre secondi. Attraversò il salone e salì in camera.
Aprì la porta ed entrò nella stanza, senza accendere la luce. Raggiunse la finestra rischiarata dalle luci della città e poggiò la fronte contro il vetro senza far caso al panorama notturno di Torino che si stagliava davanti ai suoi occhi. Il freddo esterno fu un sollievo al mal di testa che stava cominciando a salire. Respirò a fondo tentando di reprimere delusione, ira, gelosia e frustrazione, ma più di tutto un’immensa angoscia. Avrebbe voluto riformattarsi. Cancellare tutti i file inutili della mente e sostituirli con sentimenti ed emozioni più aggiornate. E invece era ancora lì, di nuovo dopo mesi, a riesumare la sofferenza del passato.
Si portò stancamente le mani al collo e allentò il nodo della cravatta. Poi se ne liberò e la gettò sul letto. In quell’istante bussarono alla porta.
-è aperto.-
-Perché sei al buio?-
L’ombra di Mark si stagliò scura sullo sfondo luminoso del corridoio.
-Perché la luce non mi serve.-
-Vai a dormire?- entrò, accostò la porta e si sedette sul letto di Julian. Philip seguì la sua avanzata, si volse e si appoggiò con la schiena alla finestra.
-Cosa sei venuto a fare?-
-Non scendi?-
-Che te ne importa?-
Stettero qualche secondo in silenzio a studiarsi, poi Mark parlò.
-Jenny è andata via.-
Philip non rispose, si limitò a fissarlo. Non riusciva a scorgere la sua espressione, la stanza era troppo buia e Mark era lontano dallo spacco di luce notturna che attraversava la finestra e si posava su un angolo del pavimento, sul tavolo e su una poltroncina, fasci di bianco nella stanza scura. Lo sentì sospirare, poi tentare di nuovo un avvicinamento.
-Un anno è lungo da passare, dopo quello che è successo. O forse è troppo breve, chissà… Jenny sembra che si sia ripresa, che stia bene.- cercò nei suoi occhi una conferma che non trovò -So che è stata dura, però…-
Philip lo mise bruscamente a tacere.
-No, non lo sai. Anche sforzandoti non arriveresti a immaginare neppure la metà di ciò che abbiamo passato.- fremette di fastidio. Quell’interesse per il suo stato d’animo arrivava ormai troppo tardi.
-Sì, però…-
-Però un cazzo! Non capisci, non puoi farlo. Non ci riuscirai mai! Quello stronzo ci ha cambiati, ha rovinato le nostre vite, ci ha resi diversi… Tu non puoi sapere, non puoi giudicare. Non hai neppure il diritto di parlare!-
-Datti una calmata, Callaghan! Non ti sto giudicando!-
-Ecco appunto, non farlo! Evitami le tue chiacchiere inutili. Perché se volevi parlarmi, per prima cosa avresti dovuto chiamarmi e avvertirmi che Jenny era qui. Poi dirmi tutto il resto.-
Mark si stranì.
-Perché avrei dovuto dirti di Jenny? Non vi siete lasciati?-
-Non cercare di fregarmi con le tue domande stronze! Se fossi stato al mio posto, avresti preteso che ti chiamassi!-
L’altro ci rifletté un istante, per niente sicuro che il compagno avesse ragione. Holly lo tolse dall’impiccio. La porta socchiusa si aprì con un cigolio sommesso e la sua testa comparve nello spiraglio.
-Gamo ci vuole tutti giù e vuole soprattutto te, Philip.-

*

Jenny si volse a guardarlo quando Salvatore le mise una mano sulla gamba proprio sopra al ginocchio. Lui sembrava aver chiaro in mente come aveva intenzione finire la serata. Per quale altro motivo, se non per averla tutta per sé, l’avrebbe portata nel suo splendido appartamento nel centro di Torino? Jenny sapeva benissimo cosa si aspettava da lei. I suoi occhi azzurri così profondi e limpidi erano carichi di desiderio.
Quando erano entrati Salvatore era andato in cucina, aveva preso una birra per sé e un bicchiere d’acqua per lei, poi era tornato in salotto e l’aveva fatta accomodare sul divano. Adesso, dopo pochi minuti, la situazione si era già evoluta. Chino su Jenny, la sua mano sotto la gonna risaliva lungo una gamba in una carezza di cui lei non riusciva a godere, tesa com’era. Avrebbe voluto lasciarsi andare, bearsi della sua compagnia, ma i pensieri che le frullavano nella testa non glielo permettevano. Continuavano ad andare a cozzare contro il volto di Philip, contro l’espressione che gli aveva visto in faccia nel momento in cui Salvatore l’aveva baciata. Ci stava provando con tutta se stessa, eppure non riusciva a scacciare dalla testa il pensiero di lui. Incapace di lasciarsi andare, rimaneva immobile agli approcci di Gentile, i nervi tesi, il respiro corto.
Salvatore la guardò, intuendo la sua esitazione. Gli sembrava quasi di tenere tra le braccia una bambola di porcellana. Piccola, fragile, perfetta nella sua delicata bellezza e proprio come una bambola, immobile e impassibile. In vita sua non gli era mai capitato di trovarsi davanti a tanta reticenza. Le ragazze gli si gettavano addosso nude prima ancora che alzasse un dito. Jenny no. Non si muoveva e non sembrava né entusiasta né lusingata dell’interesse che provava per lei. Si chiese se non fosse stato meglio bere l’acqua e darle la birra. A bloccarla dovevano essere per forza imbarazzo e timidezza.
Le accarezzò una guancia, si chinò su di lei e la baciò. Le loro labbra si unirono, la lingua di Gentile si fece strada nella bocca della giovane con dolce insistenza. Con una mano sulla nuca la tenne accostata a sé, l’altra le risalì lungo la gamba, sulla coscia fino al fianco, a giocherellare con l’elastico delle mutandine. Jenny fu percorsa da un involontario brivido di piacere mentre le dita calde di lui le solleticavano la pelle. Senza staccarsi dal suo corpo, Salvatore la spinse indietro e lei scivolò distesa. Le sfilò i sandali liberandole i piedi, poi si scostò per sfilarsi la felpa. Era eccitato e accaldato. Jenny incrociò il suo sorriso, il lampo azzurro dei suoi occhi carichi di apprezzamento e aspettativa. Le accarezzò il collo con le dita, poi si sporse su di lei e sfiorò lo stesso punto con le labbra. La giovane chiuse gli occhi, tutti i sensi concentrati sulla bocca che la copriva di baci, scivolando senza fretta verso il basso. Le mani di Gentile si ritrovarono sui bottoncini della camicia di Amy, che sbottonò in rapida successione. Scostò la stoffa abbassandogliela sulle spalle, e avvicinò il viso ai suoi seni, aspirando il suo profumo, che era buono anche se sapeva un po’ di cloro. Jenny socchiuse gli occhi, lasciò che le sganciasse  il reggiseno e glielo togliesse. Fece del suo meglio per perdersi nella miriade di sensazioni piacevoli che il ragazzo stava risvegliando sul suo corpo. Le sue braccia forti e muscolose la sollevarono dal divano per distendervela meglio. Sentì il cotone dei suoi pantaloni premerle contro l’inguine, poi lo sentì allontanarsi per sfilarle le mutandine. Solo in quel momento la consapevolezza di ciò che stava per succedere le piombò addosso come una secchiata d’acqua gelida. Seppe che non era sicura di farcela. Cercò le sue mani per fermarlo ma riuscì a intercettarne solo una, che Gentile liberò subito dalla sua debole stretta. Non si accorse dei suoi tentativi di allontanarlo. Riprese ad accarezzarla con maggior convinzione e desiderio, forse presagendo la sua esitazione, timoroso di veder sfumare l’opportunità di averla per sé.
Ma lei non poteva, accidenti, non quella sera. Non la sera in cui aveva rivisto Philip dopo mesi. Non ci sarebbe riuscita. Gli occhi spalancati, reclinò la testa e cercò di incrociare il suo sguardo. Salvatore le era sopra, la sua bocca sui suoi seni. I capelli biondi di tutte le sfumature dell’oro gareggiavano con la luce. Gli posò una mano sulla spalla, sotto la pelle ambrata guizzavano fasci di muscoli tesi. Quando non riuscì a scostarlo il panico l’assalì. Affondò le unghie nella carne e lo allontanò con una tale fermezza che Salvatore si bloccò all’istante.
Sollevò il viso verso di lei, le guance arrossate dall’eccitazione, le pupille dilatate, profonde come il mare, onde che brillavano. Dopo il tuffo i capelli avevano perso la piega fissata dal gel finendogli scomposti sul viso. Le sue labbra erano strette in una linea sottile che aveva spento il suo sorriso. Quando incrociò il lampo improvviso di terrore che le attraversò gli occhi, si irrigidì.   
-Non posso…- l’agitazione la spinse a parlare in giapponese senza rendersene conto.
E se non si fosse fermato? Se avesse insistito? Se avesse voluto farlo a tutti i costi? Se fosse successa di nuovo “quella cosa”? La paura le attanagliò lo stomaco e fu soltanto grazie ad uno sforzo di volontà che non si mise a urlare. Ma impallidì e il respiro accelerò.
Salvatore non riuscì a capacitarsi della sua reazione. La fissò incredulo, scioccato. Lei lo temeva, sembrava addirittura terrorizzata. Lo guardava come se lui fosse lì per farle del male. Non capì e non riuscì a spiegarsi, non gli era mai successo niente di simile.
-Jenny?-
Lei si raggomitolò su se stessa, gli occhi sbarrati.
-Jenny, tutto bene?-
Annuì, il cuore che rallentava i battiti, l’aria che tornava nei polmoni.
-Ti faccio paura?-
Lo guardò quasi ansimando, poi scosse la testa e incurvò le labbra in un sorriso stentato.
-No, sto bene.- la voce le uscì così debole che lui fu costretto ad accostarsi per udirla. Jenny si irrigidì di nuovo -Mi dispiace…- gemette con voce rotta. Scacciò il panico irrazionale che l’aveva invasa e lo fissò dritto negli occhi, dove trovò sconcerto, stupore e una certa dose di delusione. Le venne da piangere. Salvatore aveva fatto così tanto per lei in quegli ultimi mesi che l’ultima cosa che avrebbe voluto fare era ringraziarlo in questo modo. Non desiderava offenderlo, non avrebbe voluto rifiutarlo e neppure ferirlo, ma non ce la faceva ad andare avanti. Quell’incontrollabile paura, quel terrore insensato che l’aveva assalita così, all’improvviso, l’aveva fatta piombare nel panico. Le mani le tremavano ancora, il gelo la pervadeva, non riusciva a capire, o forse capiva fin troppo bene cosa le stava succedendo. Il ricordo si era risvegliato tutto insieme senza lasciarle scampo e se ciò non fosse bastato, adesso che aveva visto Philip non poteva. Non voleva più. Era stato un errore lasciarsi portare a casa sua.
-Sicura di star bene?-
Jenny annuì di nuovo, cercò di riscuotersi dal timore che la paralizzava. Si puntellò sul divano e si voltò alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi, a disagio per la propria nudità. Afferrò dal pavimento la felpa di Benji e se la tirò addosso. Poi tornò a guardarlo. Salvatore si era messo seduto e si passava nervosamente una mano tra i capelli spettinati.
-Ho fatto qualcosa di sbagliato?-
-No…-
-E allora?-
-Il problema non sei tu.- riuscì a dire soltanto.
Lui scosse la testa innervosito e Jenny evitò di guardarlo, i suoi occhi emettevano lampi azzurri, lampi di rimpianto e confusione. Si alzò brusco e s’infilò in camera. Tornò dopo pochi minuti indossando un paio di jeans e una felpa sua, stavolta.
-Vuoi fare la doccia?-
Jenny lo guardò esitante.
-Giuro che non mi intrufolerò in bagno mentre ti stai lavando.- scherzò ma il suo tono era troppo carico di rammarico per riuscire a farla sorridere.
Però le sue parole la rassicurarono e annuì, perché il tuffo in piscina l’aveva intirizzita, si sentiva addosso l’odore del cloro e i capelli avevano urgente bisogno di essere lavati con dello shampoo. Salvatore la scortò nel bagno, le diede un paio di asciugamani puliti e uscì richiudendosi la porta alle spalle.
Jenny si appoggiò al lavandino senza forze. Un giorno avrebbe dovuto pure rifarlo, sarebbe dovuta pure tornare in sé. Un giorno avrebbe dimenticato, non avrebbe più pensato a come lui le aveva afferrato i seni strappando il vestito azzurro della festa, cercando di trascinarla verso il letto mentre lei si dibatteva, ignorando le sue suppliche, i suoi lamenti, le sue inutili proteste, incapace di fermarsi, incapace di rispettarla. Quella maledetta notte non era servito a niente provare a resistergli, perché lui aveva fatto comunque i suoi comodi. L’aveva immobilizzata sul letto con la forza dei suoi muscoli, il sapore ferroso del sangue le aveva invaso la bocca, l’aveva colpita, lividi sul volto e sulle cosce. Nonostante il tempo interminabile che era trascorso da quel giorno, dai momenti di panico che aveva affrontato, erano bastati solo pochi gesti di Gentile perché le tornasse tutto in mente, ogni singolo dettaglio. Forse Philip aveva avuto ragione a non volerla più toccare. Forse lui aveva capito meglio di lei che non sarebbe stato così facile superarlo.
Sprofondato nel divano, Salvatore pensò che se Landers fosse venuto a sapere come Jenny lo aveva mandato in bianco lo avrebbe preso in giro per l’eternità. Sarebbe stato contentissimo, Landers, di sapere com’era andata a finire la loro serata. Per questo motivo il pensiero di andare a riprendere lui e Dario non gli passò neanche per la testa. Non vedendolo tornare Belli avrebbe chiesto un passaggio a qualcun altro e avrebbe liquidato il tutto con una risata, Mark si sarebbe infuriato e ben gli stava. Che si arrangiasse. Si volse al rumore di passi nudi ed esitanti sul parquet. Jenny aveva già finito e lo aveva raggiunto. Lo fissava titubante dalla soglia, incerta, timorosa. Accennò un sorriso imbarazzato, lo raggiunse e si sedette al suo fianco. La felpa di Benji la faceva sembrare più minuta. Era davvero come una bambola di porcellana. Piccola, fragile ma perfetta nella sua delicata bellezza. Per impedirsi di saltarle di nuovo addosso, si alzò.
-Farò una doccia anch’io.-
Jenny annuì e quando tornò da lei, la trovò addormentata nella sua stanza, raggomitolata sul letto.  La punta delle dita spuntava appena dalle lunghe maniche della felpa di Benji, che le stava così enorme da arrivarle a metà coscia nonostante tenesse le gambe piegate. I capelli lunghi erano sparpagliati sul cuscino, ancora umidi e profumati di shampoo. L'azzurro scuro del cotone faceva risaltare con forza il pallore della sua pelle, solo le labbra rosse spiccavano sul suo volto, ombreggiato dalle lunghe ciglia abbassate.
Gentile si sedette sul letto al suo fianco e rimase a guardarla incerto. L'acqua calda della doccia lo aveva calmato, aveva lasciato che il getto portasse via lo scontento insieme alle tracce del cloro della piscina. Il suo corpo infreddolito dal bagno improvviso si era scaldato e rilassato, soffocò uno sbadiglio e scostò le coperte, sfilandole da sotto il corpo di Jenny. Si infilò nel letto e la ricoprì con cura, lei continuò a dormire, il suo respiro leggero e silenzioso gli sfiorò la fronte quando si chinò per scostarle una ciocca di capelli dal viso e indugiare ad osservarla.
Poi spense la luce, si stiracchiò sul materasso, ficcò le braccia piegate sotto il cuscino e osservò per un po' le luci delle macchine che filtravano tra le persiane, finché non si addormentò.

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Capitolo 9
*** Ottavo capitolo ***


Ottavo capitolo



Philip dormì poco quella notte e non fu solo colpa del fuso orario. Si girò e rigirò nel letto, incapace di prendere sonno, mentre le immagini della festa si accavallavano una dietro l’altra davanti ai suoi occhi sbarrati nel buio della stanza. Si scervellò per ore, sui perché che non capiva. Perché Jenny era in Italia, come ci era arrivata, da quanto tempo, perché si fosse messa con Gentile, cosa aveva provato a vederlo di nuovo, dopo che lui l’aveva lasciata, dopo tutto quel tempo… E poi c’era quel fastidio sordo, che premeva come un pungolo nel petto togliendogli il respiro, di vedere Jenny insieme a un altro. Più del perché la sua ex fosse lì, si angustiava che ci fosse Gentile al suo fianco, al posto che lui stesso aveva occupato fino a pochi mesi prima. Era una sensazione spiacevolissima che gli saliva su per la gola e gli dava la nausea. E quando gli si affacciavano inevitabili nella testa i pensieri di loro due insieme, di ciò che avevano sicuramente fatto, un senso di impotenza lo costringeva a stringere i pugni e serrare le labbra, smettendo di respirare finché il dolore quasi fisico che provava non si affievoliva fino a scomparire. Quella sera, quando aveva visto Gentile baciarla, la sorpresa aveva spazzato via ogni altro sentimento, ma adesso, nel buio della camera, nel mezzo della notte, soffriva terribilmente di ciò che era stato costretto a guardare. I suoi pensieri andavano inevitabilmente più in là del bacio. Vedeva le mani di Gentile muoversi sulla pelle nuda di Jenny e faceva uno sforzo enorme per scacciare dalla testa quelle immagini devastanti. L’idea di loro due a letto insieme era furiosamente inaccettabile. Conosceva Jenny dalle medie, stavano insieme dal primo anno del liceo. Avevano scoperto l’amore l'uno con l'altra e da quel momento non si erano più staccati. I sei lunghissimi anni vissuti insieme erano stati per Philip di una gioia e di una felicità senza pari. Poi, ad un passo dal matrimonio, era comparso David McFay che aveva distrutto le loro vite, le aveva sconvolte, aveva annientato anche loro. Nel giro di un anno si erano allontanati fino a perdersi, fino a gettare all’aria tutto il passato che avevano costruito insieme e il futuro che avevano progettato. Il pensiero che adesso l’italiano avesse preso il suo posto in tutto, facendo con lei ciò che avevano fatto anche loro gli toglieva il sonno, lo rodeva da dentro, lo faceva soffrire tremendamente.
Quella notte Philip si girò nel letto per ore, mentre il mal di testa saliva ogni minuto di più, inarrestabile come la marea. Ad un certo punto si alzò per andare in bagno e quando tornò la luce del comodino di Julian era accesa. Con la schiena poggiata contro il cuscino, l’amico stava trafficando con il cellulare. Alzò gli occhi su Philip.
-Non riesci a dormire?-
-No. Ti ho svegliato?-
-In Giappone è mezzogiorno, per cui non credo che sia stato tu a farlo.-
Philip tornò verso il letto e si ficcò sotto le coperte.
-Ne approfitto per controllare la posta… Ti dispiace?-
-No.-
Si girò dall’altra parte e infilò la testa sotto il cuscino. Alle sette meno dieci si svegliò di nuovo, di soprassalto, in un bagno di sudore. Spalancò gli occhi così sconvolto che in un primo momento non riuscì neppure a capire dove si trovasse. Era stato lo stesso sogno a svegliarlo, quell’incubo che mesi e mesi prima lo aveva perseguitato per settimane in un susseguirsi di terribili immagini legate tutte ad un’unica, grande sofferenza: la villa di Kyoto di Miller, la gita a Nara da solo, l’albero che aveva preso a pugni, David che scendeva dalla moto e veniva assalito dal padre, le rose bianche fatte a pezzi, il livido sul volto di Jenny. Poi le tempie ricominciarono a pulsare. Un dolore che minacciava di fargli scoppiare la testa. Con le mascelle contratte ascoltava quel martellamento incessante, gli sembrava di avere una fucina dentro il cervello. A ogni colpo gli tremavano le palpebre e gli spiragli di luce che filtravano dalla finestra gli opprimevano le tempie.  
Si volse verso il letto di Julian e lo trovò vuoto. Poi sentì l’acqua scorrere in bagno e capì che si era già alzato. Si tirò su e una fitta insopportabile gli fece serrare gli occhi e trattenere il respiro.
-Cos’hai?-
Si volse. Julian era tornato in camera e lo guardava curioso. Indossava ancora il pigiama.
-Mi scoppia la testa. Hai finito di lavarti?-
L’altro annuì e Philip si alzò, andando con un passo incerto verso il bagno. Aveva bisogno di sentirsi bene, non di un cerchio alla testa che non gli avrebbe dato tregua per tutta la giornata. Mentre si lavava il viso, sprazzi dell’incubo gli tornarono davanti agli occhi. Li scacciò con un gemito soffocato, facendoli scorrere via insieme al sapone. Si tirò su, puntellando le mani sul bordo del lavello, il volto gocciolante, i capelli bagnati sulla fronte, lo sguardo sul proprio riflesso nello specchio. Aveva gli occhi arrossati e cerchiati da una fievole ombra scura, i capelli in disordine. Il sonno gli riempiva ancora lo sguardo, su una guancia c’era una striscia rossa lasciata dal cuscino. Non poteva dirsi propriamente in forma.
-Julian, faccio la doccia!-
La voce del compagno arrivò attraverso la porta chiusa.
-Io sono pronto, scendo. Sto morendo di fame.-
Philip gli rispose con un mugolio, poi si spogliò, chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua calda gli colpisse il viso. Si chiese se avrebbe rivisto Jenny, quel giorno, e mentre lo faceva non poté assolutamente evitare di ripensare all’incontro della sera prima, a come lei lo aveva guardato, quando Landers l’aveva fatta voltare. Nei suoi occhi non c’era stato niente, né sorpresa né gioia. L’aveva fissato seria, impassibile, senza che un minimo gesto o un accenno di sorriso gli avesse permesso di intuire che era contenta di vederlo. E come poteva esserlo, dopo ciò che lui le aveva fatto? Dopo ciò che lui le aveva detto, dopo come l’aveva trattata l’ultima volta che si erano parlati? E poi, quando lui aveva cercato di toccarla, si era scostata. Si era allontanata, aveva impedito che anche un solo dito la sfiorasse. Era finita addosso a Mark, si era lasciata abbracciare da Gentile, mostrando inesorabilmente che era soltanto il suo tocco a infastidirla. Lui lo sapeva. Lo sapeva da mesi, lo sapeva da quasi un anno e questa cosa lo aveva fatto quasi impazzire di dolore.
Prese ad insaponarsi furioso i capelli, sforzandosi di pensare al programma della giornata. Non vedeva l’ora di scendere in campo e sfogare sul pallone tutto il suo scontento.

*

Jenny si svegliò piangendo nel letto di Gentile, le dita contratte sul lenzuolo spiegazzato, il corpo irrigidito, i piedi ghiacciati. Mentre risaliva gradualmente dai successivi strati sempre meno densi e vischiosi del sonno, si mosse piano, cercando di ritrovarsi, cercando di capire cosa avesse sognato, cosa l’avesse destata. Sentiva solo l’angoscia che bruciava. Gli occhi spalancati nel buio della stanza, il cuore che le batteva assordante nelle orecchie, Jenny cercò di respirare perché l’aria le si era fermata in gola, nell’urlo che non aveva emesso. Una boccata d’ossigeno le inondò i polmoni e solo allora provò a muoversi. Non ci riuscì, un peso sullo stomaco la bloccava contro il materasso. Il panico l’assalì, si irrigidì e poi cercò di liberarsi. Tastò cautamente il braccio caldo che la cingeva e ricordò dove si trovava. Salvatore era disteso accanto a lei, sotto le coperte, e dormiva profondamente. Non si era accorto del suo incubo, non si era svegliato. Il cuore smise di assordarla e sentì il suo respiro tiepido accanto al viso. Si volse ma non riuscì a vederlo. Nella debole luce del giorno che filtrava dalla strada attraverso le persiane chiuse, fu in grado di scorgere solo l’ombra scura del suo corpo e fili dei suoi capelli dorati che sembravano accendere le lenzuola. Si portò una mano al viso e lo sentì bagnato, le lacrime le rigavano le guance. Poi lui si mosse.
-Jenny?-
Lei si irrigidì e si passò svelta le dita sugli occhi. Insonnolito, Salvatore notò il gesto.
-Stai piangendo?-
-Ho avuto un incubo, non me ne sono neppure accorta.-
Lui non disse niente. Forse non gli interessava, forse era ancora troppo assonnato per aver voglia di parlare, forse intuì che era meglio non ficcare il naso. Nella penombra della stanza, Jenny cercò un orologio ma non lo trovò.
-Che ore sono?-
Gentile allungò un braccio verso il comodino.
-Quasi le otto.- tornò a voltarsi verso di lei e lasciò scorrere tra le dita una lunga ciocca nera che giaceva sul cuscino. Indubbiamente gli piacevano, quei capelli così scuri e setosi, dello stesso colore dei suoi occhi, come il cioccolato fondente. Così scuri, così diversi dai suoi. Ma non era solo quella cascata folta e liscia ad attirarlo. C’era anche il suo corpo minuto, così diverso da quello delle ragazze che finora aveva frequentato, modelle alte e slanciate. La statura di Jenny non era di quelle che attirano l’attenzione dei maschi italiani eppure la sua apparente fragilità, la delicatezza delle sue forme erano un richiamo irresistibile all’istinto di protezione di un uomo.
E poi c’era anche l’altro discorso. Il fatto che Jenny fosse entrata nella sua vita in un momento critico, con il potere di fare la cosa più importante di tutte: consentirgli di non stare a rimuginare troppo sul tradimento della sua ex, un tradimento che aveva annientato il suo amor proprio, ferito il suo orgoglio e dato uno scossone non da poco alla sua immagine pubblica.
Tutto sommato la presenza di Jenny era stata una distrazione migliore di innumerevoli serate passate in locali poco raccomandabili. Lei gli aveva offerto su un piatto d’argento due stimolanti obiettivi da perseguire: far incazzare Landers e cimentarsi in una nuova sfida di seduzione, che si era evoluta in una relazione tranquilla e serena. Jenny aveva rappresentato per Salvatore una manna scesa dal cielo a tirarlo fuori dal tunnel di rabbia e frustrazione in cui l’aveva gettato la scoperta del tradimento della sua precedente ragazza. Era successo mentre lui era in convalescenza dopo l’infortunio al ginocchio dovuto al brutto fallo di Louis Napoleon durante una partita contro la Francia. Il periodo di stop sportivo e la lunga e dolorosa riabilitazione li aveva allontanati. Lui non aveva più potuto mantenere il ritmo della loro frenetica vita sociale, ricca di inviti a cena, partecipazione a spettacoli, a programmi televisivi, conferenze, eventi di beneficenza e eventi pubblicitari. Così, una sera, anzi un giorno, la foto di lei e del suo art-director che si baciavano sui sedili posteriori di una macchina parcheggiata all’ombra di un albero, fuori del parco del Valentino, era comparsa su una rivista patinata. A quel punto si era scatenato il finimondo. Sui giornali Salvatore era diventato il fidanzato tradito, abbandonato, inconsolabile, dal cuore spezzato e persino “bello fuori e distrutto dentro”. Dire che era stato umiliante era davvero poco.
Jenny si mosse al suo fianco, lui si girò e le fu addosso. Gli bastò guardarla perché la tensione scaturita da quei tormentati ricordi si sciogliesse. Sentì il suo seno morbido premergli contro il torace, i fianchi contro il suo stomaco. Si tirò su un gomito, puntellandosi sul materasso, accanto alla spalla di lei, e con l’altra mano scese delicatamente, un tocco quasi impalpabile, sul fianco, dove la felpa si era sollevata lasciandolo a contatto con la pelle nuda e calda. Mosse le dita e sentì la stoffa sottile delle mutandine, dopodiché si chinò a baciarla.
Jenny si sforzò di non scostarsi di nuovo, di non respingerlo ancora, come aveva fatto la sera prima. Ci provò con tutta se stessa. Lo sentì infilarle una mano tra i capelli e le dita scivolare dietro, sulla nuca. Serrò gli occhi su quella carezza, concentrando i sensi su quel tocco innocente e delicato, mentre Salvatore dischiudeva le labbra di lei con la lingua. Se soltanto il bacio di Gentile avesse potuto farle dimenticare… E invece no, fu peggio.
D’improvviso lo sguardo sconvolto di Philip comparve come un fantasma dietro le palpebre serrate. Jenny fu scossa da un brivido e poi, esattamente come era successo la sera prima, si irrigidì. Stavolta Salvatore non fu colto alla sprovvista. Forse se lo aspettava, chissà. Jenny lo vide tirare indietro la testa. Aveva gli occhi colmi di passione, le pupille dilatate nelle iridi azzurre. Le sembrò di scorgere un dilemma in fondo ai suoi occhi, che risultavano chiari anche nella penombra. Forse voleva insistere, provarci fino in fondo. Eppure si trattenne. Puntellandosi sulle mani, si scostò, permettendole di allontanarsi. La mortificazione di Jenny fu tale che le salirono le lacrime agli occhi.
-Posso andare in bagno?-
Quella frase raggiunse Salvatore come una ventata gelida, a raffreddare i suoi bollenti spiriti. Si tirò indietro, accigliato.
-Certo che puoi.- la lasciò alzarsi, la cascata di capelli scuri scese di colpo ad accarezzarle le spalle e si adattò alle pieghe della felpa.
Lui la guardò deluso, profondamente contrariato. Non disse altro, si limitò ad osservarla: il suo corpo spariva avvolto dalla felpa che le stava enorme. La guardò uscire e sparire nel corridoio.
Jenny girò l’angolo e quando capì che lui non poteva più vederla si fermò, le gambe tremanti, le forze appena sufficienti a tenerla in piedi. Si appoggiò con le spalle al muro, le labbra serrate, sensi di colpa che si mescolavano ad un infinito sollievo. Non era andata poi troppo male, in fondo. Salvatore avrebbe potuto infuriarsi, finire con l’insistere e prendersi ciò che voleva. Forse si sarebbe spaventata, forse glielo avrebbe lasciato fare. Invece non era successo niente di tutto questo e di ciò doveva essergliene grata.
Si portò una mano al petto, dove il cuore batteva all’impazzata. Respirò a fondo ma non riuscì a scacciare quel senso di disagio, quasi di paura, che l’aveva assalita mentre era sotto di lui, bloccata dai suoi baci. Sapeva che sarebbe successo, Nicole l’aveva avvertita. Non sarebbe stato così facile dimenticare. Eppure niente in Salvatore le ricordava David. Né il suo volto, né il colore dei suoi occhi, né il suo sorriso, né il suo profumo, né la sua voce. Era solo una costruzione della sua mente che mandava segnali di pericolo dove non c’erano, perché Gentile aveva appena dimostrato, e ben due volte, di non essere pericoloso. Salvatore poteva al contrario rappresentare il suo “esperimento”, la sua salvezza. Con lui doveva provare a lasciarsi andare, a superare le proprie paure, a lasciarsi tutto definitivamente alle spalle. I suoi baci le piacevano, lui le piaceva, e allora perché temere il resto? Forse sarebbe stato tutto più facile se Mark, quella sera di San Valentino, non li avesse interrotti.
Salvatore udì la porta del bagno chiudersi, poi si volse verso il comodino e afferrò il cellulare. Lo accese e si alzò. Una valanga di bestemmie gli invase lo schermo, Mark ce lo aveva mandato in tutte le lingue. Lanciò occhiate distratte al display mentre si vestiva, ridendo dell’indignazione del ragazzo. La sera prima a mezzanotte e un quarto aveva cercato di rintracciarlo e quando aveva capito che non ci sarebbe riuscito aveva preso ad insultarlo. Fu contento di aver spento il telefonino e di avergli dato buca, anche se neppure quel pezzente di Landers avrebbe potuto disturbarlo visto che non aveva fatto niente che potesse essere interrotto. Cercò di essere ottimista, alla faccia di Mark, sicuro di trovare presto un’altra occasione. Entrò in cucina sbadigliando e puntò la caffettiera.
Jenny lo raggiunse che il caffè iniziava a gorgogliare, spandendo il suo aroma nella cucina. Aveva indossato di nuovo i vestiti di Amy che le stavano perfetti. Esitò quando i loro sguardi si incrociarono, poi si fermò davanti a lui incerta, l’espressione tesa da un leggero timore. Con la barba lunga era ancora più bello perché la sua peluria, che aveva tutte le sfumature dell’oro nelle tonalità più calde, sottolineava la vampata azzurra dei suoi occhi. Salvatore spense il fornello e, nonostante tutto ciò che non gli aveva concesso, l’accolse con un sorriso.
-Hai fame?-
-Un po’.-
-Mi dispiace per il bacio di ieri sera.-
Lei spalancò gli occhi.
-Ti dispiace di avermi baciata?-
-Tu non volevi che lo facessi.-
Jenny abbassò il viso, ricordando l’imbarazzo del giorno prima, quando l’aveva stretta a sé e le aveva sfiorato le labbra con le proprie, metà nazionale giapponese che li osservava sgomenta e Philip ad un passo che non aveva reagito, come se la cosa non lo riguardasse.
-Ti ho baciata perché non mi è piaciuto come ti ha guardata.-
-Chi?-
-Il tuo ex.-
Jenny si mosse a disagio.
-A lui non interesso più.-
Gentile versò il caffè nelle tazze che erano già sul tavolo, chiedendosi se lo credesse davvero. Era strasicuro che non fosse così, ma non era nel suo interesse farglielo notare. Le porse la tazza e lei la strinse tra le mani, il vapore e il profumo della bevanda che le solleticavano il viso e l’olfatto.
-Mi riaccompagni a casa?-
-A casa?-
-Sì, voglio indossare i miei vestiti.-
-Non hai le chiavi, come pensi di entrare?-
-Se facciamo in fretta troviamo Mark ancora lì.- se solo il cellulare avesse funzionato avrebbe potuto avvertirlo che stava rientrando e lui l’avrebbe aspettata. Fu tentata di chiedere a Salvatore di farlo, poi lasciò perdere.
-Landers ormai sarà uscito. I giapponesi iniziano gli allenamenti alle nove e sono già le otto e mezza.-
-Davvero?-
-Me lo ha detto Aoi.-
-Ma io devo recuperare le chiavi, in qualche modo.-
Lui annuì.
-Ti porterò al campo. Ma prima andremo a fare shopping.-

*

Alle otto e trentacinque Mark raggiunse la sala da pranzo dell’hotel. I compagni erano in piedi, sparpagliati tra i tavoli, e stavano facendo man bassa della colazione a buffet. O almeno ci provavano. Gamo si aggirava tra le pietanze e studiava con occhio critico tutto ciò che si infilavano nel piatto.
Bruce raggiunse il tavolo che aveva deciso di occupare nello stesso momento in cui lo faceva anche Mark.
-Merda, non è possibile… Gamo non ci lascia mangiare!-
Holly lanciò un’occhiata critica al piatto del compagno.
-Mi pare il contrario.-
-Avevo chiesto un’omelette al bacon ma il mister ha annullato l’ordine.- si sedette affranto -E mi ha fatto rimettere a posto un panino. Come accidenti si fa ad andare avanti così? Io se non mangio non carburo.-
-Tu non carburi se non ti abbuffi.- Mark valutò serio il vassoio del compagno pieno da scoppiare. Conteneva un’abbondante porzione di insalata di patate e pollo, due salsicciotti ripassati sulla piastra, una fetta di formaggio con due rotelle di salame, un uovo sodo innaffiato di maionese, un toast con burro e marmellata, una ciotola di yogurt con corn-flakes e un croissant alla nutella. Lanciò un’occhiata all’invitante buffet disposto su un lato della sala da pranzo. Prima di andare a riempirsi il piatto, si lasciò cadere sulla sedia libera che trovò sul suo percorso e alzò una mano per chiamare il cameriere e ordinare il caffè.
Rob gli arrivò accanto e lo guardò scontento.
-Mark! Quello era il mio posto!-
-Hai detto bene, “era”. Siediti da un’altra parte.-
-No, cavolo!- neanche a parlarne. Rob voleva stare vicino a Holly. Si era alzato prestissimo, era sceso nella hall alle sette sperando di intercettarlo e lo aveva aspettato, con lo stomaco che protestava da matti. E finalmente, quando Holly era comparso nella hall lo aveva tampinato per sedersi al suo fianco, dall’altra parte di Patty.
-Ci sono altri posti liberi, Landers.- s’immischiò Philip, brusco -Qui c’è Aoi.-
Mark incrociò il suo sguardo glaciale, poi quello supplichevole di Aoi che continuava a ronzargli alle spalle, il piatto in mano, incapace a rassegnarsi a sedersi da un’altra parte.
-Rompicoglioni.- capitolò e gli lasciò il posto, con la sensazione che il malumore di Philip e le lagne di Rob avrebbero avuto un’influenza negativa su tutta la giornata. Girò intorno al tavolo e si sedette tra Patty e Tom.
-Non hai fatto colazione?- gli chiese lei.
-Sono uscito presto per venire con l’autobus.- fu quasi un lamento, da cui trasudò tutta la sua infelicità. Se la sera prima invece di sparire con Gentile Jenny fosse tornata a casa, quella mattina si sarebbe rimpinzato ciò che lei gli avrebbe sicuramente preparato. Invece non s’era vista e quando aveva provato a chiamarla aveva trovato il numero staccato. L’aveva aspettata finché aveva potuto, gironzolando per casa il più possibile. Poi era dovuto uscire per non arrivare tardi. Adesso, oltre al fastidio, sentiva farsi largo dentro di lui anche un velo di preoccupazione. Sapeva dov’era, sapeva con chi e immaginava anche a fare cosa. Sperava soltanto che Gentile non si stesse comportando da perfetto stronzo quale era.
-Salvatore non ti ha dato un passaggio?-
Mark trasalì quando Rob lo nominò.
-Non lo vedo da ieri, il maledetto.- serrò i pugni sulla tovaglia e spostò d’istinto gli occhi su Philip che sorseggiava il caffè guardando da tutt’altra parte. Si chiese cosa stesse pensando, se nella testa gli frullassero gli stessi pensieri che assillavano anche lui. Fece per dirgli qualcosa, per riscuoterlo quasi, ma Patty lo anticipò.
-Dov’è Jenny?-
-Non ne ho idea.-
-Mi hai risposto così anche due mesi fa quando ti ho telefonato per chiederti sue notizie.-
Mark finse di non capire che Patty non aspettava altro che il momento giusto per rinfacciarglielo. Cercò di evitare ogni polemica e si sforzò di risponderle calmo.
-è stata lei a pregarmi di non dirti niente. Cosa dovevo fare?-
-Dirmelo lo stesso! Stavo morendo di preoccupazione!-
Landers le dedicò un fastidioso sorrisetto.
-Fortuna che non sei morta.- la canzonò -Poi ti ha chiamata, no?-
-No!- Patty si irrigidì -Mi ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica di casa quando sapeva che non avrei potuto risponderle!-
-E perché te la prendi con me?-
-Dovrei ringraziarti?- lo vide alzare le spalle e si sentì rimescolare -Sai dov’è o no?-
-No, non lo so. Ma lo immagino e dovresti immaginarlo anche tu perché sai con chi è andata via ieri sera.-
Philip smise di mangiare, perché all’improvviso lo stomaco gli si chiuse. Si stava sforzando di non ascoltarli, anche se non riusciva a farne a meno. Continuando a tenere gli occhi bassi, prese a girare il cucchiaino nella tazza per mescolare nelle due dita della bevanda lo zucchero che ormai si era sciolto da un pezzo. Jenny doveva aver trascorso la notte a casa dell’italiano e tutto questo implicava necessariamente che avessero dormito insieme, facendo ciò che lui non riusciva neppure a prendere in considerazione. I muscoli dello stomaco gli si contrassero per l’ansia, in uno spasmo strinse il cucchiaino tra le dita e le nocche gli divennero bianche. Poi i suoi occhi tornarono a posarsi sui compagni che avevano continuato a parlare, forse di Jenny, forse anche di Gentile. Fu contento di non aver sentito. Mandò giù il caffè di colpo, la smania impellente di allontanarsi da loro e non ascoltare su di lei neppure una parola. Posò la tazzina sul piatto, si alzò, afferrò da sotto la sedia il borsone sportivo che conteneva la divisa, gli asciugamani e il cambio e uscì dalla sala da pranzo senza dire una parola. Gli amici lo seguirono con lo sguardo finché riuscirono a vederlo, poi Landers incrociò l’espressione rassegnata di Tom.
-Ha preso l’abitudine di fuggire quando si parla di Jenny.- spiegò quello.
Patty annuì.
-È successo anche a casa di Benji.- il ricordo le fece venire un dubbio -Dì un po’ Mark, quando alle quattro e mezza di mattina Benji ti ha telefonato, lei era con te?-
-Non ricordo con precisione di quale sera stai parlando, ma immagino di sì.-
-E noi che pensavamo di averti disturbato!-
-Chi vi ha mai detto il contrario? Stavo andando a dormire!-
-Appunto! Cosa ci faceva Jenny a casa tua a quell’ora?- lo incalzò l’amica, decisa a vederci chiaro. Mancavano ancora dei tasselli al puzzle che stava cercando di ricostruire.
-Patty, la smetti per favore?- ringhiò -Stai diventando assillante.-
Lei lo guardò offesa, poi capitolò.
-Va bene, la smetto! Ma almeno dimmi per quale motivo Jenny è venuta in Italia!-
-Che ne so? L’ha deciso lei, mica io. Visto che lei e Philip si sono lasciati, avrà voluto allontanarsi da Furano.-
-E allora perché è venuta a Torino da te e non da noi a Barcellona?-
-Sicuramente temeva che le facessi il terzo grado come lo stai facendo a me!-
Holly posò le posate sul piatto e smise di mangiare, intenzionato a reprimere sul nascere quella che poteva diventare una spiacevole discussione. Mark stava cominciando a innervosirsi sul serio e Patty s’era messa in testa di farlo esplodere.
Rob lo anticipò, con la sua incontenibile curiosità.
-Davvero Jenny è la ex fidanzata di Philip?-
-Certo che lo è.- Holly prese in mano la conversazione -Sono stati insieme per anni.-
-Perché non me lo hai detto, Mark?-
-Che palle Aoi! Ti ci metti anche tu adesso? Per chi mi avete preso?-
-Per uno che sa e che non vuole parlare.-
Holly sospirò.
-Patty, per favore…-
-Ma è vero! Sapeva dov’era Jenny e non ha voluto dircelo!- alzò gli occhi su Julian e Amy che si avvicinavano al tavolo.
-Buongiorno Mark.-
-Buongiorno Ross.-
Amy lo salutò con un sorriso.
-Sei arrivato presto, ho vinto la scommessa!-
-Che scommessa?-
-Julian era convinto che non ti saresti presentato prima delle dieci.-
-Io sono sempre puntuale.-
Ross alzò le spalle e gli sfuggì un sorrisetto.
-Era una scommessa scaramantica.-
Rob lo guardò curioso.
-Cioè hai scommesso con la speranza di perdere?-
Julian annuì e si sedette accanto alla fidanzata. Poi guardò Tom, l’unico a quel tavolo che provenisse direttamente dal Giappone.
-Sei riuscito a dormire?-
-Poco.-
-Philip ed io siamo svegli dalle quattro.-
A Mark venne da ridere, si trattenne con uno sforzo.
-Per forza! L’incontro con Jenny deve avergli tolto il sonno.-
-Non c’è niente di divertente.- borbottò Holly.
Amy si versò del tè, poi spostò gli occhi su Mark.
-Che ci fa Jenny qui in Italia?-
Patty riuscì a stento a trattenere uno scoppio d’ilarità.
-Non chiederglielo, Amy… Altrimenti dice che l’assilli.-
Mark lanciò un’occhiata seccata a entrambe, quella mattina la giornata iniziava proprio male. Si alzò.
-Sapete che vi dico? Ci vediamo al campo.-
-Non mangi?-
-Queste due m’hanno fatto passare l’appetito.-
Non lo raggiunse il campo, Mark. Gli bastò mettere piede nella hall per cambiare idea. Philip sedeva solitario su una poltrona di pelle nera, la borsa sportiva tra i piedi. Fissava serio la porta a vetri dell’hotel che si apriva e chiudeva sull’andirivieni degli ospiti e non lo vide avvicinarsi.
-Perché accidenti vi siete lasciati, tu e Jenny?-
Si volse di scatto e lo osservò in un modo che a Mark non gradì affatto.
-Lei non te lo ha raccontato?-
-No, non mi ha detto niente.-
Philip provò un improvviso sollievo. Jenny non gli aveva parlato di come l’aveva vergognosamente lasciata, non gli aveva confidato quanto l’aveva fatta soffrire. Jenny aveva scelto di tacere. Avrebbe dovuto essergliene grato, invece prenderne atto servì soltanto a farlo sprofondare ancora di più nella palude dei suoi sensi di colpa.
-Se non lo ha fatto lei, perché dovrei dirtelo io?-
-Per esempio per riconoscenza!-
-Riconoscenza per cosa? Per aver lasciato che si mettesse con Gentile invece di provarci di persona?-
Il ragionamento di Philip gli rimescolò il sangue.
-Senti un po’, pezzo di cretino…- strinse i pugni mentre gli occhi dell’amico lampeggiavano all’insulto -Non è che per caso l’hai lasciata tu per quello che è successo a Kyoto? Non è che per caso non avere più l’esclusiva ti ha fatto passare la voglia di starci insieme? Spero in quella testaccia bacata che ti ritrovi, non sia arrivato a pensare che la colpa di tutto sia di Jenny! Che lei abbia incoraggiato quel maledetto! O che se le sia cercata! Perché se hai fatto una cosa del genere sei davvero uno stronzo infame!-
Le accuse di Mark lo colsero impreparato e lo ferirono nel profondo. Non aveva mai pensato neppure una volta ad una sola delle sue supposizioni. Non erano quelli i motivi che lo avevano allontanato inesorabilmente da lei. Landers non aveva capito niente, non ne sapeva niente e non doveva neppure giudicarlo. Si alzò furioso, con due passi lo raggiunse e lo fronteggiò.
-Cosa cazzo ne sai tu di quello che c’è stato dopo Kyoto?- lo afferrò per la felpa, serrando con forza le dita -È da ieri sera che metti bocca in qualcosa che non capisci! Non azzardarti più a parlarne e neppure a sparare sentenze! Tu non puoi permetterti di giudicarmi! Come ti ho già detto ieri, non puoi assolutamente capire quello che abbiamo passato!-
Mark non si lasciò intimidire né dalle parole, né dalla foga con cui venne assalito. Lo guardò negli occhi colmi di collera, gli zigomi arrossati dall’ira.
-Quello che avete passato era un motivo in più per restare insieme! Non dovevate sposarvi? E l’anello? Che gliel’hai comprato a fare?- gli afferrò i polsi e li strinse per farsi mollare.
Le domande di Mark seguitarono a entrargli dentro, affilate come lame.
-Vaffanculo Landers! Non puoi assolutamente capire!- lo scosse con tutta la forza, facendolo ondeggiare.
-Cosa state combinando voi due?-
Si volsero all’unisono. Nella hall, davanti alle porte dell’ascensore, c’era Marshall che li guardava e, accanto a lui, Benji che sorrideva. Lo sgomento durò un istante, poi il sollievo li assalì. Era una fortuna che fosse stato Freddie e non Gamo a beccarli.
Philip mollò la stretta. La vergogna di essere stato sorpreso durante uno scatto d’ira fece evaporare tutta la collera che si era scatenata nei confronti di Mark. Lui era il capitano, non poteva permettersi un comportamento simile. Doveva sedarle lui, le liti. Non provocarle.
-Se avete voglia di scaldarvi, perché non andate al campo e cominciate a correre? Evitiamo di finire sui giornali per queste stronzate.-
Merda, i giornalisti! Philip non ci aveva neppure pensato! Eppure c’erano, lì, nella hall, e li studiavano rapaci, in cerca di notizie. Li avevano ascoltati? Che avevano capito? Si morse la lingua, era un idiota.
-Benji accompagnali.- Marshall diede una rapida occhiata all’orologio -Vado a sollecitare gli altri, non ci vuole un’ora per far colazione!-
A Landers l’ordine piacque ancor meno che al portiere e, uscendo dall’hotel, esternò tutta la propria contrarietà.
-Allora ci controlli tu, Price?-
Lui sbuffò, poi emise la sentenza.
-Anche se è divertente guardarvi amoreggiare come due piccioncini, per quanto me ne importa una volta al campo potete anche massacrarvi di botte.- Benji lanciò un’occhiata a Philip -Callaghan, lo sai, io tifo per te!-
Mark alzò le spalle, sentendo il proprio stomaco che iniziava un allegro ritornello. Un moto di scontento lo assalì. Per colpa delle amiche (Jenny compresa, anche se non presente) e di quel cretino di Philip, alla fine non era riuscito a fare colazione. Aveva persino ordinato un cappuccino e adesso il cameriere non avrebbe saputo a chi servirlo. Che spreco! Sperò che qualcuno se lo prendesse e non lo mandasse indietro. S’incamminò a testa bassa, precedendo Benji e Philip che lo seguivano in silenzio. Il portiere, dopo averli scherniti con due frasi, sembrava non aver più niente da aggiungere.
I campi sorgevano su un’ansa del fiume Po, a poche centinaia di metri dall’hotel. Per raggiungerli bastava imboccare un largo marciapiede, intervallato da tigli dalle foglie nuove e verdissime e lampioni che la sera tingevano il lastricato grigio di sfumature arancioni. Oltre le alte protezioni di reti d’acciaio che circondavano i terreni di gioco il fiume scorreva lento, il sole di quel mattino di tarda primavera che baluginava tra le sue placide onde.
Rob arrivò di corsa e li superò, portando con sé una ventata d’allegria che infastidì tutti. Allungò a Mark la borsa che lui aveva dimenticato nella sala da pranzo e li fissò entusiasta.
-Finalmente un po’ d’attività! Non vedo l’ora di giocare con Holly!-

*

-È qui che vi allenerete?-
Mentre Salvatore faceva manovra per parcheggiare lungo il marciapiede, Jenny osservò il centro sportivo che si estendeva davanti ai suoi occhi, più in basso, in una zona di verde a ridosso del fiume. C’erano quattro campi da calcio d’erba curatissima, gli edifici degli spogliatoi in acciaio e vetro, un bar con dei tavolini sparpagliati sul piazzale, un ampio parcheggio recintato e custodito, riservato solo a chi aveva il permesso di entrare. I tifosi e i giornalisti si accalcavano fuori, al di là della recinzione dei campi.  
-Sì. È vicino all’hotel. I tuoi amici possono venirci a piedi.-
Lei si irrigidì.
-Non sono i miei amici.-
-Ah no? Rob non è un tuo amico? Landers non è un tuo amico?- fermò la macchina, tirò il freno a mano e spense il motore. Poi si volse a guardarla, sorrise e si chinò su di lei così all’improvviso da farla sussultare. La baciò, si scostò e valutò divertito la sua espressione, per metà imbronciata e per metà sorpresa -Ti bacio adesso, visto che dopo non posso farlo. Va bene?-
Lei arrossì.
-Non ho mai detto che dopo non puoi baciarmi!-
Salvatore le accarezzò una guancia divertito.
-Allora ti bacio sia adesso che dopo.- cercò di avvicinarsi ancora ma lei chinò il viso. Esitò incerto -Ti sei offesa?-
Scosse la testa.
-Solo che…- esitò imbarazzata -Insomma, non avresti dovuto comprarmi tutto questo.- indicò con un gesto della mano gli abiti che indossava, poi sollevò di colpo gli occhi che lampeggiarono di ironica amarezza -O forse hai voluto ringraziarmi per la bella notte trascorsa insieme?-
-Non c’entra niente quello che non è successo stanotte. Ti ho comprato i vestiti perché mi andava di farlo, perché stiamo insieme, perché guadagno più di te e posso permettermelo.- e perché voleva che Callaghan capisse che tra loro non doveva intromettersi, ma questo non glielo disse.
-E l’i-phone?-
-Il tuo cellulare non funzionava più.-
-Che motivo c’era di comprare quello più caro? L’ultimo modello in commercio?-
Gli occhi di Salvatore si illuminarono di un lampo azzurro di divertimento.
-Jenny, io le cose o le faccio bene o non le faccio. Non capisco perché tu la prenda così. I soldi sono miei e li spendo come voglio. Chiuso il discorso.-
Il ragionamento di Gentile non faceva una piega e fu costretta ad accettarlo, anche se lui l’aveva lasciata per quasi un’ora nelle mani di una commessa della Rinascente che l’aveva rivestita dalla testa ai piedi, compresa la biancheria intima. Smontò dalla macchina quando lo fece anche lui e lo seguì sul marciapiede. Insieme imboccarono il sentiero di ciottoli bianchi e grigi che s’infilava tra due campi, li percorreva per tutta la lunghezza e sboccava nell’edificio del bar.
Non riuscì proprio ad evitare di far scorrere lo sguardo sull’erba per cercare Philip, consapevole che se voleva dargli un’occhiata doveva approfittare di essergli lontana. Farlo dopo avrebbe significato rischiare di incrociare i suoi occhi e provare di nuovo quella devastante sensazione di vuoto che la sera prima l’aveva lasciata senza forze.
La nazionale giapponese indossava le casacche d’allenamento e si era divisa in due squadre, una azzurra e una bianca. Philip faceva parte della squadra azzurra e correva verso la porta di Benji, gli occhi fissi sulla palla che in quel momento era tra i piedi di Mellow. Non avrebbe segnato, Jenny lo sapeva. Aveva visto giocare Benji contro Holly e aveva imparato che solo pochi sarebbero riusciti ad infilare una palla nella sua rete. Al massimo uno sfigatissimo autogoal di Bruce, cosa già successa, che poteva coglierlo impreparato. A parte ciò, Benji era diventato veramente troppo bravo.
Tra le due squadre giapponesi si susseguì una serie di passaggi veloci ma approssimativi e il pallone finì tra i piedi di Patrick Everett, della squadra azzurra. Paul Diamond, in bianco, glielo tolse e lanciò lungo verso il centrocampo. Sandy Winters lo agganciò e scartò uno dei Derrick, lasciandolo a terra a riempirlo di parolacce.
-I passaggi non sono precisi.-
Jenny lo aveva notato da sola, così cercò di giustificarli.
-Sono stanchi per il viaggio e per il fuso orario.-
-Quindi miglioreranno?- il tono dell’italiano risultò scettico.
Lei si volse e l’espressione imbronciata ricomparve sul suo viso.
-Certo che sì!-
Salvatore si appoggiò alla rete con le mani, intrappolandola.
-Mi piace quanto ti arrabbi, i tuoi occhi diventano più profondi e luminosi, le tue labbra si arricciano in un modo molto sexy…- la fissò sorridente e proseguì -E poi, quando ti faccio i complimenti e arrossisci, sei bellissima…- si chinò per baciarla, quasi per metterla alla prova.
Jenny gli puntò una mano sul torace e lo scostò, reprimendo l’imbarazzo e affrontandolo con una sfumatura di divertimento.
-Lo stai facendo apposta?-
-A fare cosa?-
-A starmi così scandalosamente vicino.-
Salvatore rise.
-Se potessi ti salterei addosso, non lo faccio per decenza.- si scostò da lei, lasciandola libera di muoversi.
Jenny si guardò intorno, sperando che nessuno dei compagni di Philip, né lui e né tanto meno le amiche, li avessero notati. Le parve che stessero guardando tutti da un’altra parte. Sospirò di sollievo. La verità era che non si sarebbe mai sognata di andare al campo se Mark la sera prima le avesse infilato nella borsetta anche la sua copia delle chiavi di casa. Lui non lo aveva fatto e adesso doveva mettere le mani su quelle del ragazzo per poter rientrare.
Ripresero a camminare uno accanto all’altra, Gentile che svettava su di lei, molto più alto. Aveva ficcato le mani nelle tasche della giacca e procedeva al suo fianco senza toccarla. Di questo gli fu grata. Arrivarono dietro la porta di Benji e lì si fermarono ad osservare il gioco che continuava frenetico, Gamo dalla panchina che urlava ordini e consigli. Holly correva verso di loro, la palla sembrava essere attratta dai suoi piedi, tanto il suo dribbling era preciso. Scartò Julian e saltò Clifford, ma quando vide che anche Tom gli andava incontro per fermarlo, fece un lancio lungo verso Philip che correva sulla fascia, a destra, in posizione migliore per tentare il gol. Il compagno intercettò il passaggio e si preparò al tiro mentre Peter Shake lo inseguiva per togliergli il pallone. Jenny sapeva che se a Benji non riusciva a segnare neppure Mark, forse neanche Holly, di certo non avrebbe potuto farlo Philip. Tuttavia seguì interessata l’azione, incapace di togliere gli occhi dalla sua espressione concentrata che conosceva così bene, dalle gocce di sudore che gli imperlavano i lati del volto, dai muscoli tesi delle braccia e delle gambe, pronti a scattare.
Lo sguardo del giovane guizzò verso la rete e verso Benji, per quel microsecondo necessario a prendere la mira, e proprio in quell’istante nel suo campo visivo entrò qualcosa che prima non c’era, un elemento di disturbo che lo distrasse mentre colpiva il pallone. La sfera volò oltre la traversa, così alta da colpire la recinzione proprio in cima. Per un pelo non la oltrepassò. Benji alzò il viso per seguirne la traiettoria con gli occhi, poi scoppiò a ridere.
-Da quando in qua i tuoi tiri sono così alti?-
Philip frenò lo slancio e si fermò, restando piantato nell’area di rigore, le braccia tese lungo il corpo, i pugni serrati, gli occhi sulla schiena di Benji che girava intorno alla porta e recuperava la palla, incapace di credere di aver fatto un errore così grossolano.
Gamo prese a sbraitare come un pazzo, spaventando a morte Bruce che aveva raggiunto le panchine per mandar giù un sorso d’acqua. La bottiglietta di plastica quasi gli fuggì di mano.
-Callaghan! Cosa diavolo combini? Come hai potuto mancare la porta?-
Philip si volse di scatto verso la panchina, bianco come un cencio. Non c’era giustificazione ad un errore simile. Non c’era assolutamente. Non aveva nessuno davanti, oltre a Benji. Nessuno dei compagni lo marcava.
Salvatore abbassò su Jenny uno sguardo carico di divertimento.
-Ci ha visti e ha sbagliato.-
Lei avrebbe voluto negare ma non lo fece, non sarebbe stato lusinghiero nei confronti di Philip. Era meglio che la pensasse così, piuttosto che pensasse che il capitano della nazionale giapponese in campo non valeva nulla.
-La tua presenza lo turba.- insistette l’italiano, facendola arrossire e spingendola ad abbassare gli occhi sull’erba.
Poi Freddie afferrò il fischietto che gli pendeva al collo ed emise un suono acuto per interrompere il gioco. Per quanto lo riguardava, Gamo poteva pure arrabbiarsi, ma erano atterrati in Italia solo il giorno prima e la stanchezza del lungo volo si faceva sentire su tutti, capitano compreso.
-Dieci minuti di pausa!-
Salvatore non capì, ma osservò curioso i giocatori raggiungere le panchine.
-Si fermano?- Jenny annuì e lui continuò -Perfetto, vai a prendere le chiavi di Mark, così ti riporto a casa.-
-Non vai ad allenarti?-
-A quest’ora?- alzò le spalle con noncuranza -È troppo tardi, non ne vale la pena.-
-E il tuo allenatore non si arrabbia?-
-Come no? S’incazza da morire ma poi gli passa.-
Philip si passò un braccio sulla fronte per asciugarsi il sudore e i suoi occhi tornarono a posarsi suo malgrado sulla causa del tiro mancato. Non poté farne a meno. Jenny e Gentile avevano raggiunto l’ingresso della recinzione ma lei non si decideva ad entrare. Un cappotto di panno nero l’avvolgeva stretta e le bande di un foulard azzurro le scendevano ai lati del collo. Mentre si asciugava il sudore con l’asciugamanino che gli aveva allungato Evelyn, continuò a osservarla mentre lei si avvicinava, per fortuna da sola.  
Jenny vide Mark tirarsi da parte con il cellulare stretto in mano. Teneva l’asciugamano appeso al collo e gli occhi bassi sul telefonino a digitare lo schermo mentre camminava spedito lungo la linea laterale per allontanarsi dai compagni. Capì che quello era il momento che aspettava e gli si accostò guardinga, costeggiando il bordo campo fin quasi alla bandierina d’angolo.
-Mark…- lui sobbalzò, Jenny si accorse di averlo spaventato e rise -Tutto bene?-
-Tutto bene un corno! Ti stavo telefonando!-
-Perché?-
-Come perché? Per sapere che fine avevi fatto!-
-Lo sai che fine ho fatto! Ieri sera sono andata via con Salvatore!- proseguì prima che potesse farlo lui -Sono venuta a prendere le chiavi di casa.-
-Se te le do, io rimango senza.-
-Torno più tardi a riportartele. Tanto mangi con loro, no?-
Bruce li guardò parlottare distanti, poi raggiunse Holly e lo tirò da una parte.
-Secondo me Philip ha sbagliato il tiro perché ha visto Jenny.-
Holly si irrigidì e si lanciò un’occhiata intorno, sperando che nessuno, soprattutto l’amico tirato in ballo, avesse udito.
-Taci Bruce, non dirlo neppure per scherzo!-
-Secondo te? Non ho ragione?-
-Forse, ma stai zitto lo stesso.-
-Come se fosse un segreto… Tanto lo hanno capito tutti!-
-Piantala Bruce!-
Quando Mark andò a recuperare le chiavi nello spogliatoio, Amy, Evelyn e Patty si avvicinarono a Jenny.
-Com’è stato?- s’informò Evelyn curiosa.
-Com’è stato cosa?-
L’amica la sgomitò.
-Su che hai capito benissimo. Ti sei divertita stanotte?-
Jenny la fissò incredula e si rifiutò di rispondere. Quello che faceva o non faceva con Salvatore erano esclusivamente affari suoi. Si volse verso Amy.
-Grazie per i vestiti. Appena torno a casa li lavo e domani te li restituisco.-
-Non ti preoccupare, non sono mica urgenti. Ne ho altri con me.- la guardò con un sorriso contento -Avevo paura che non saresti venuta.-
-Già, ed è stato un peccato che ieri sera te ne sia andata così presto.-
-Non era presto, Patty. Era passata mezzanotte.- gli occhi le finirono involontariamente su Philip.
Se ne stava seduto a terra tra Peter Shake e Julian e osservava l’erba del campo con l’interesse professionale di un giardiniere, evitando che i suoi occhi, lasciati liberi di vagare a caso, si posassero su di lei.
Mark tornò verso Jenny e le diede le chiavi.
-Ricordati di riportarmele.-
-Ripasso più tardi.-
Evelyn li guardò e capì che quella sì che era una notizia.
-Abiti da lui, Jenny?! Stai da Mark?!-
La meraviglia la indusse a gridare e la sentirono in troppi. Philip reagì abbassando la testa, per impedire che gli amici scorgessero sul suo volto l’incredulità e lo sgomento. Jenny, da parte sua, decise che era meglio filare, tanto più che aveva recuperato le chiavi e Salvatore la stava aspettando.
-Ci vediamo dopo.-
Evelyn la guardò, un lampo d’interesse le attraversò gli occhi.
-Quindi torni sul serio?- fece un passo verso di lei, la prese sottobraccio e quasi la scortò verso l’uscita del campo, dove Gentile l’aspettava -Jenny, dopo devo chiederti un favore enorme. Un favore che solo tu puoi farmi.-
Lei si tese, il suo tono accattivante la mise in guardia.
-Che favore?-
-Te lo dico dopo, dobbiamo parlarne con calma. Dobbiamo organizzarci, pianificare…-
Sorrise a Gentile e li salutò allegra, speranzosa. Forse, grazie all’aiuto di Jenny, l’intervista al fustaccio della Juventus sarebbe andata in porto. Tornò felice dalle amiche, mentre Gamo fischiava la ripresa della partita d’allenamento. I ragazzi rientrarono in campo borbottando stanchi.
-Gentile è proprio bello. Jenny è una ragazza fortunata.-
Amy la fissò perplessa. Dopo quello che l’amica aveva passato un anno prima, non se la sentiva di dire che fosse fortunata. Evelyn non l’aveva più vista dopo Kyoto e nessuno si era preoccupato di raccontarle con quale enorme sofferenza Jenny avesse dovuto affrontare l’amore incondizionato del fidanzato e gli scioccanti incontri con Nicole.
Patty sembrò leggerle nel pensiero.
-Sarebbe stata più fortunata se fosse rimasta con Philip.-
Amy annuì, eppure Evelyn non sembrò convinta.
-Benji dice che stare lontani non può far loro che bene.-
-E quando l’ha detta questa cosa?-
-Ieri sera, ne stava parlando con Tom. Ha detto che uno si rende conto di quello che ama solo quando lo perde.-
Patty sospirò paziente.
-Evelyn, Jenny e Philip si amavano anche prima. Non avevano bisogno di lasciarsi per capirlo.-
-Vuol dire che ora lo capiranno meglio.-
-Non se Gentile le sta così addosso.-
Le ragazze si volsero. Non si erano accorte che Mark aspettava il suo turno per entrare in campo e che aveva ascoltato ogni singola parola. Evelyn sospirò.
-Anche io vorrei che mi stesse addosso uno così.-
-Callaghan!- il grido perentorio di Gamo li fece sobbalzare -Mettici la concentrazione, quando giochi! Che altro hai da metterci? Landers, dagli il cambio!-
Philip capì che l’allenatore lo aveva visto. Il mister lo aveva visto sbagliare l’ennesimo passaggio, mandando la palla in rimessa laterale. Merda, e adesso? L’idea gli venne fulminea, raggiunse la panchina zoppicando mentre Gamo lo esaminava con uno sguardo carico di collera.
-Ti sei fatto male?-
-Non è niente, solo un crampo.-
-Non ti ho mai visto giocare così male! Anzi…- si corresse imbufalito -Non stai proprio giocando!-
-Mi dispiace, solo che non…-
-Non me ne frega niente che ti dispiace! Piuttosto mi interessa sapere che hai intenzione di fare! Vuoi scendere in campo contro l’Italia o preferisci restare in panchina?-
Philip si sforzò di reagire in qualche modo, perché quando Gamo si straniva diventava pericoloso.
-Certo che voglio giocare! Non sono venuto fin qui per stare in panchina!-
-Meglio così, Callaghan! Meglio così! Per oggi sorvolo sulle tue prestazioni pietose, ma se domani non ti dimostri all’altezza ti rispedisco in Hokkaido a fare compagnia agli orsi. E non me ne frega niente che sei il capitano! È chiaro?-
Annuì rapido, perché Gamo era capacissimo di mettere in atto la minaccia.
-E adesso vai a farti la doccia così magari ti schiarisci le idee!-
Philip lo fissò allibito, la bocca spalancata. Lo stava cacciando dal campo! Lui era il capitano eppure l’allenatore lo stava mandando via! Indietreggiò furioso, dimenticandosi di zoppicare, e raggiunse la panchina per recuperare un asciugamano e una bottiglietta d’acqua. Amy, pronta, gli porse entrambi senza dirgli nulla. Le fu grato del suo silenzio e la ringraziò con un cenno del capo. Nonostante l’ordine di Gamo, per puro spirito di contraddizione si sedette a terra, sull’erba, a togliersi il sudore dal viso. Lo avevano nominato capitano senza che lui lo volesse, e adesso avrebbe deciso da solo quando lasciare il terreno di gioco, non la ripicca di un allenatore deluso da una prestazione pietosa. Non si accorse che Marshall l’osservava pensieroso, le mani nelle tasche, in piedi davanti alle panchine. Non sentì i due uomini parlare di lui.  
-Che accidenti ha Callaghan? Che gli prende? Ne sai qualcosa, Freddie?-
-Sarà semplicemente stanco del viaggio. Prima di preoccuparci diamogli ancora un giorno di tempo.-
Gamo annuì, tornando ad esaminare Philip. Teneva gli occhi fissi su qualche punto imprecisato del campo, non seguiva la palla, sembrava distratto. Che aveva? Perché lo deludeva in quel modo? Anni prima, durante il girone di qualificazione della Coppa del Mondo Under19, Philip lo aveva sorpreso dimostrandosi perfettamente in grado di tenere unita una squadra fatta a pezzi per l’assenza di Holly, di Tom, di Mark, di Benji, i loro giocatori migliori. Ricordava ancora come se fosse ieri che quando era stato nominato allenatore della nazionale giovanile, con i suoi modi bruschi, la sua intransigenza e i suoi metodi, aveva faticato non poco a ottenere il rispetto e la stima dei ragazzi. E ci era riuscito soltanto grazie a Philip, che ad un certo punto aveva capito che se volevano arrivare in finale, l’unica cosa sensata da fare era diventare il tramite tra l’allenatore e ciò che restava della loro squadra.
I giocatori, soprattutto alcuni, non avevano preso bene né la beffa della finta nazionale giapponese né la minaccia di restare fuori dalla rosa dei prescelti se non si fossero dati da fare sul serio. Gamo aveva mandato via Landers, Becker, i Derrick, Everett, Yuma, costringendo Philip a prendere in mano una squadra distrutta, sbandata, senza più certezze, senza gli elementi migliori. E Philip era insperatamente riuscito a motivare e tenere uniti i superstiti, incoraggiandoli incessantemente a tirar fuori il meglio di loro, sia in campo che durante la convivenza del ritiro. Philip si era praticamente immolato, aveva subito gli scazzi dei compagni, la collera del mister, e aveva fatto il miracolo. Nella squadra attuale solo lui e Holly, che comunque non aveva ancora ottenuto il nullaosta, avevano altrettanto ascendente sui ragazzi. Philip li incitava quando era necessario, li spronava, li consolava. Coordinava. Incoraggiava. Dirigeva. Sosteneva. Insomma, Gamo contava così tanto su Callaghan che era persino arrivato a perdonargli il ritiro-beffa a Shintoku di due anni prima. Ma ora?
La quiete di Philip, seduto sull’erba, durò pochissimo.
-Perché non parli con Jenny? Sono sicura che avreste molte cose da dirvi.-
Il ragazzo sollevò gli occhi a fatica. Aveva sperato di salvarsi, che le amiche avessero abbastanza tatto da lasciarlo in pace. Forse Amy e Patty sì, ma Evelyn sicuramente no. Evelyn era curiosa e aveva dimostrato già dalla sera prima che la situazione sua e di Jenny le interessava moltissimo. Non le ripose, si puntellò sulle mani e si tirò in piedi. Uscì dal campo senza neppure guardarla, lasciandola di sasso.
-Non ci posso credere, è scappato di nuovo. Secondo voi ho detto qualcosa di sbagliato?-
Amy sospirò.
-È evidente che l’argomento Jenny non si può toccare.-
-E come faremo a convincerlo a tornare con lei?-
-Non possiamo far niente per convincerlo, Eve. Deve capirlo da solo.-
-E se non ci riuscisse?-
-Allora è uno stupido.-
Philip si passò una mano tra i capelli e ne tirò un ciuffo sulla nuca fino a sentire dolore. Lo aiutò a riscuotersi. Evelyn non sapeva quello che diceva. Non si rendeva conto che anche parlando con Jenny non avrebbe potuto risolvere nulla. Ciò che si frapponeva tra lui e la sua ex non era qualcosa di concreto. Non serviva parlarne. Era qualcosa di emotivo, qualcosa di impalpabile, una specie di muro invisibile che in un anno non era riuscito ad abbattere e che adesso era diventato invalicabile probabilmente perché, senza accorgersene, era stato proprio lui a renderlo sempre più alto. In quei mesi che erano stati lontani, il pensiero di Jenny era rimasto sopito in un angolo della mente, insieme ai ricordi delle sue carezze, al suo profumo, al piacere dei suoi baci, alla felicità dei suoi sorrisi. Ora che tutto ciò che aveva cercato di dimenticare era tornato ad essere reale, ad avere un corpo, uno sguardo, una voce, che altro poteva fare se non sforzarsi di non provare nulla?
Aprì la porta dello spogliatoio ed entrò. Stava andando tutto storto. Jenny che compariva, l’incubo che tornava, gli allenamenti che andavano in malora… Avrebbe voluto mollare, se solo avesse potuto… Si tirò via l’asciugamano dal collo e lo gettò sulla panca. Poi si spogliò in fretta perché sapeva che la partita d’allenamento stava per terminare, era questione di minuti, e voleva godersi la doccia senza seccatori intorno. Non fece in tempo. Si stava ancora lavando quando sentì la confusione dei compagni che rientravano. Chiuse l’acqua e afferrò l’asciugamano.
-Philip, ci sei?- lo chiamò Holly.
Non fece in tempo a rispondere che Mark cominciò a sbraitare.
-Vaffanculo Peterson! Se mi marchi ancora così la prossima volta ti spezzo una gamba!-
-Una frase del genere che esce proprio dalla tua bocca, Landers.- Benji rise forte -Da quando il calcio è diventato uno sport da femminucce?-
-Taci, Price! O ti ficco in gola quella merda di cappello!-
-Provaci, deficiente.-
-Questa non è una nazionale di calcio ma un circolo di poeti.-
-Fai poco il principino, Ross, perché intanto t’ho scavalcato due volte. Che facevi? Studiavi le costellazioni?-
-Quello lo faceva Callaghan!- rise uno dei Derrick -Ha lanciato il pallone in orbita.-
-Nell’orbita di Salvatore Gentile.-
-E di Jenny.- aggiunse Bruce.
Risate. Ridevano di lui. Philip si sfregò il cotone sulle braccia e sulle gambe, poi li raggiunse di là.
-Stai bene?- gli chiese Tom mentre gli altri, sudati, lo superavano e si sparpagliavano nelle docce.
-Certo che sto bene!-
-Sparisci Sandy!- ringhiò Clifford -Io ho la precedenza su di te, lo sai!-
-Che palle, sempre la stessa storia! Mai una volta che non mi tocchi aspettare!-
James Derrick si avvicinò a Winters, costretto ad attendere anche lui il proprio turno.
-Se non fosse così grosso ti aiuterei a farlo fuori.-
-T’ho sentito!- replicò Clifford continuando a insaponarsi.
-E chissene frega! Non mi fai paura, sai?-
Bruce non ci aveva neppure provato, a conquistarsi una doccia. Era stanco morto e non gli andava di affrontare la prepotenza dei compagni. Non aveva abbastanza energie per farsi valere. Per ammazzare l’attesa, si liberò dei calzini sudati e puzzolenti. Poi alzò gli occhi su Philip che stava infilando un paio di jeans.  
-Insomma, cos’è che combini?-
L’amico si volse, stralunato.
-In che senso?-
Holly approfittò dell’incipit di Bruce per dirgli chiaro e tondo ciò che pensava da quando Gamo lo aveva fatto uscire dal campo.
-Sai che il mister non parla mai a vanvera, vero? Ci manca solo che ti rispedisca in Giappone.-
-Non lo farà.- Philip si mostrò più sicuro di quanto fosse in realtà.
-Sai che perdita.- borbottò Bruce polemico -Non stai combinando un cazzo!-
L’altro si sentì rimescolare di stizza.
-Meno male che in squadra ci sei tu. Così è sicuro che contro l’Italia vinceremo.-
-Hai proprio ragione, Philip!- rise Benji -La presenza di Harper è fondamentale. Come farebbe quella pippa di Warner senza le sue parate di faccia-da-culo?-
Holly si guardò nervosamente intorno in cerca di Ed. Non lo vide, fortunatamente era nelle docce. Ma c’era Mark che ringhiò qualcosa. Lo ignorò e spostò gli occhi su Philip, intento ad indossare una maglietta e su Bruce fermo di fronte, le mani puntate sui fianchi, che riprendeva a parlare.
-Sapere che Gentile si fa Jenny può darti il nervoso, lo capisco ma…-
Philip si irrigidì. Sentirsi sbattere davanti ciò che non gli dava pace dalla sera prima lo rimescolò e le parole vennero fuori a valanga, in un estremo tentativo di difesa.
-Cosa capisci? Non puoi capire proprio un cazzo, Harper! Non puoi capire neppure se ti sforzi! E poi cosa c’entra Jenny? Ci siamo lasciati, cosa me ne frega se sta con Gentile?-
A Benji sfuggì un sorrisetto, la risposta del compagno gli risultò improbabile. Philip se ne accorse e si tese.
-Che hai da ridere?-
Il portiere si limitò a scuotere le spalle, tanto ci pensò Bruce a rispondergli.
-Ha da ridere perché non sei credibile. Perché a te Jenny interessa ancora pure se ti sforzi di ignorarla… Chi credi di fregare? E poi, se vedere Jenny con Gentile non ti desse fastidio, non saresti neppure così nervoso!-
Philip scattò in piedi, facendo sobbalzare Holly.
-Ti ho detto che non capisci un cazzo, imbecille! La chiudi da solo quella ciabatta o vuoi che ci pensi io?-
-Tu hai sbagliato il tiro in porta perché hai visto Jenny!-
Nello spogliatoio calò un improvviso silenzio, si udirono soltanto gli schiamazzi di chi era nelle docce. Tom cercò inutilmente di intervenire.
-Bruce…-
La collera offuscò la vista di Philip e gli tolse il fiato.
-Ho inciampato!-
Benji rise, non poté farne a meno.
-Che scusa stupida!-
-Sei proprio un cretino, Philip!- Bruce diede voce a tutto il suo repertorio -Forse hai ragione! Forse è vero che di Jenny non ti frega un cazzo! Sai che ti dico? Che ha fatto bene a mollarti e a mettersi con Gentile, sei proprio un uomo senza palle!-
Philip serrò i pugni, conficcandosi le unghie nella carne. Se Bruce voleva rinfacciargli il fatto che come capitano non stesse dando il meglio di sé, si sarebbe sforzato di accettare il rimprovero. Se lo avesse insultato perché in campo non si era impegnato quanto avrebbe dovuto, ci sarebbe passato sopra. Se gli avesse recriminato che non si stava affatto comportando come il suo ruolo prevedeva, avrebbe potuto dargli ragione. Ma assolutamente gli era impossibile accettare che infilasse Jenny nel loro litigio, che si servisse di lei per ferirlo. Quello no, non poteva sopportarlo. Esplose. Con due falcate lo raggiunse, lo afferrò per la maglia e lo spintonò indietro, caricandolo con tutto il proprio peso. Lo schiantò con violenza contro gli armadietti, il frastuono del metallo colpito dal corpo del ragazzo riecheggiò tra quelle quattro mura. L’urto lasciò Bruce senza fiato.
-Vaffanculo Harper!- ringhiò, la tentazione incontenibile di piantargli un pugno in faccia per togliersi da davanti quel muso da scimmia. Ebbe voglia di fargli male, davvero male.
I polmoni svuotati, Bruce boccheggiò in cerca d’aria. Sollevò le braccia, serrò le dita intorno ai polsi di Philip e cercò di liberarsi dalle mani del compagno che gli premevano sul collo, stringendogli la maglietta con una tale forza da togliergli il respiro.
Holly gettò stizzito i pantaloncini su una panca e balzò verso di loro.
-Che state facendo? Vi ha dato di volta il cervello?- afferrò un braccio di Philip ma non riuscì a smuoverlo.
-Non immischiarti, Holly! Fatti i fatti tuoi per una volta!- paonazzo, Bruce cercò di nuovo di allontanare Callaghan -Questo cretino ha bisogno di una lezione!-
-E vuoi dargliela tu?- domandò Mark incredulo, mentre le labbra di Philip si incurvavano in un sogghigno.
L’urlo esasperato di Holly perforò i loro timpani.
-Questi sono fatti miei! Almeno finché farete parte della mia squadra!-
-Non è la tua squadra, non sei il capitano!-
Le grida attirarono gli altri. Clifford comparve strofinandosi i capelli che gli stavano dritti, sparati in aria più del solito. Li guardò e rise.
-A che gioco state giocando? “Cambiare i connotati di Bruce fino a renderlo figo”?-
-Impossibile.- rise Benji che si stava divertendo un mondo.
-Siete tutti dei cretini.- Holly lanciò un’occhiata esasperata a chi gli stava intorno -Mark, Clifford, datemi una mano a far ragionare queste due teste calde.-
Benji sospirò scontento: ecco, il divertimento era finito.
Philip si impose di calmarsi, più che altro per non sentire più le urla di Holly. Scambiò con Harper un ultimo sguardo incandescente e gli mollò la maglia. L’amico si massaggiò la nuca e il bernoccolo spuntato dall’urto con l’armadietto.
-Stupido cretino.-
-Piantala Bruce!- lo redarguì Holly -Non voglio più sentire una parola!-
Philip finì di vestirsi in fretta, allontanando dalla mente le loro chiacchiere. Li sentiva parlare ma non voleva ascoltarli. Idioti, maledetti idioti e ancor più idiota era lui che raccoglieva le provocazioni di quel ritardato di Harper. S’infilò i calzini con gesti bruschi e nervosi, poi fu la volta delle scarpe. Infine afferrò la borsa e uscì dallo spogliatoio immusonito e furente, seguito dagli sguardi sconcertati degli amici.
Holly puntò gli occhi in quelli di Mark.
-E adesso che facciamo?-
-Perché lo chiedi a me?-
-Perché Jenny vive con te.-
-E allora?-
-E allora falli tornare insieme!-
-Come se ieri sera non ci avessi provato! Era così semplice! Si incontrano, si parlano, si chiariscono e tornano insieme. Ma si è messo in mezzo Price a rovinarmi il piano e a mandare tutto a scatafascio!-
-Mark, tu la facevi troppo facile.-
-No, non era facile, era lineare! Era una conseguenza causa-effetto!-
-Era un’idiozia che non avrebbe funzionato in ogni caso.-
-Non finché tra i piedi ci sei tu, Price.-
Il portiere alzò le spalle e si diresse verso le docce. Tom lo tampinò, visto che ora era il suo turno di lavarsi.
-Stai ridendo da un’ora, Benji. Cos’è che ti diverte tanto di questa situazione?-
-Come si stanno incasinando le cose. Sembra che qualcuno si sia messo ad aggrovigliare tutto, giusto per far loro un dispetto.-
-Secondo me sarebbe meglio se evitassi di ridere dei loro problemi. Philip è già nervoso, senza che continui a sghignazzargli in faccia.-
-Problemi? Questi li chiami problemi? Sono stupidi litigi tra adulti che ragionano come bambini. O magari di bambini che si spacciano per adulti. Come non ridere di una simile farsa?-
Tom sospirò, affranto da tanto cinismo, mentre regolava l’acqua della doccia. Alzò la voce per farsi sentire, oltre il pannello divisorio.
-Potresti anche aver ragione, ma finché ci stanno male c’è poco da divertirsi.-
-Ci stanno male perché hanno deciso così. Ci vorrebbe un secondo a rimettere le cose a posto. Basterebbe affrontare la questione con maturità… Ma come possono? Sono troppo infantili. Comunque vedrai, a Philip e Jenny cambiare letto non può fare che bene. È l’occasione buona per capire se e quanto si amano.-
Tom lasciò perdere, perché il ragionamento del compagno sembrava basarsi su solide motivazioni. Benji si lavò e si asciugò in fretta per uscire da quello spogliatoio che attanfava di sudore. Aveva un sacco di cose a cui pensare. Non era solo la vita di Jenny e di Philip ad andare in pezzi. Anche lui era sulla buona strada per perdere d’un botto tutto ciò che aveva conquistato in anni e anni di fatica. Meglio berci su una birra.
Freddie Marshall si sedette sconsolato al bar, ad arrovellarsi su una serie di problemi che gli erano caduti addosso tutti insieme e che non sapeva come risolvere. Per il primo, quello che più lo angustiava, aveva chiesto aiuto a Pearson, anche se Kirk si era già mosso da solo. Bisognava trovare al più presto una nuova squadra per Benji se, al suo ritorno all’Amburgo, la situazione non fosse migliorata. E possibilmente una delle più prestigiose, altrimenti lui non avrebbe accettato. Il secondo problema era riuscire ad ottenere in tempi brevi il nullaosta di Holly, perché nonostante l’accordo con Van Saal mirato a consentirgli di tornare a Barcellona per giocare la partita della Liga in programma per la prossima domenica, l’allenatore continuava a tardare ad inviare quel maledetto documento. Poi c’era il nullaosta di Mark che non arrivava. In questo caso il problema era la burocrazia italiana, che si muoveva paurosamente a rilento. Alzò gli occhi dall’aperitivo e intercettò Benji mentre questi si avvicinava soprappensiero ai tavolini, assetato di silenzio, di tranquillità e soprattutto di una buona birra ghiacciata, pure se Gamo non avrebbe approvato. Lo chiamò e il ragazzo gli si avvicinò guardingo, le mani ficcate nelle tasche, la borsa su una spalla.
-Toglimi una curiosità, Benji.-
-Anche due, Freddie.-
-La ragazza che è venuta al campo insieme a Salvatore Gentile è la fidanzata di Callaghan?-
Benji annuì.
-Ex fidanzata.-
-Gamo aveva qualche dubbio ma Kirk ne era sicuro.-
Certo che ne era sicuro, Pearson. A Kyoto l’aveva conosciuta bene. Sentì che Marshall continuava e si sforzò di ascoltarlo.
-Che ci fa qui?-
-Chissà…-
-C’era anche ieri sera, al party di benvenuto, vero?- il giovane glielo confermò con un cenno del capo -Forse è il caso di chiederle di non venire ad assistere agli allenamenti.-
Il cervello di Benji prese a correre. Marshall gli aveva appena dato modo di compiere per Philip e Jenny un gesto molto più sensato dei pastrocchi di improbabile utilità di quel cretino di Landers. -E glielo dice lei, a Salvatore Gentile, che non può portarsi la ragazza al campo?-
-Quando è comparsa, Philip ha sbagliato il tiro.-
Benji sbuffò, maledicendo l’emotività del compagno. Che bisogno c’era di cannare un tiro solo per aver posato gli occhi su Jenny? Se Freddie se n’era accorto, lo aveva notato sicuramente anche Gamo.
-Callaghan dice che ha inciampato.-
Marshall scosse la testa e tacque. Non era convinto e Benji non poteva farci nulla. Anzi, più di così si rifiutava di fare. In fondo cosa gliene fregava a lui di Callaghan? Non era mica suo fratello. Aveva altri problemi molto più importanti da risolvere, per esempio quello con Amy che continuava insistentemente a ignorarlo. Si allontanò da Freddie con un’alzata di spalle e raggiunse pensieroso il bancone del bar, per la tanto sospirata birra. Poi arrivò Gamo e, per amore della tranquillità, fu costretto a cambiare ordinazione.

*

Salvatore Gentile attraversò senza fretta il parcheggio, regalando ai fan il suo miglior sorriso. Si tirò la borsa su una spalla, imboccò il sentiero che conduceva agli spogliatoi e lo percorse senza troppa fretta anche se era in uno spaventoso ritardo. Odiava gli allenamenti in ogni loro forma e nessuno sarebbe mai riuscito a fargliene fare più dello stretto indispensabile. Il mister all’ora di pranzo lo aveva chiamato furibondo per rimproverargli la sua scandalosa condotta. Era o no un giocatore della nazionale? Erano o no in vista di una partita?
Si guardò intorno. Due dei quattro campi erano occupati, uno dalla nazionale giapponese. Mentre passava accanto ai nipponici, li osservò con un’occhiata divertita. Quelle schiappe asiatiche non avevano nessuna speranza di vincere contro di loro eppure continuavano ad allenarsi, con l’assurda convinzione di riuscire a sconfiggerli. Roba da matti!
Spalancò la porta dello spogliatoio ed entrò, piombando nel solito disordine e nell’olezzo acre delle scarpe e dei calzini abbandonati. Quest’ultimi erano ovunque, lo spogliatoio era un tripudio di calzini: sulle panche, negli armadietti, che spuntavano dalle borse, ficcati disordinatamente nelle scarpe. Si sfilò i vestiti con calma perché far infuriare l’allenatore lo divertiva, era il suo secondo passatempo, dopo il calcio. O forse il terzo, dopo le donne. Al quarto posto far incazzare Landers e al quinto era arrivata una nuova sfida: far schiattare di gelosia Philip Callaghan. La sera prima era bastato che sfiorasse le labbra della sua ex per far infuriare sia l’uno che l’altro. E non sarebbe stato male approfittare dell’occasione per infliggere al capitano della nazionale giapponese, oltre alla sconfitta della sua squadra, una bella batosta sentimentale. A lui piaceva vincere su tutti i fronti.
Finì di spogliarsi. Indossando la divisa si concesse il tempo di riflettere sull’aspetto negativo di tutto ciò, vale a dire su come Jenny l’avesse mandato gentilmente in bianco la sera precedente e quella stessa mattina. Tirò con forza i lacci degli scarpini e li annodò stretti, il suo rifiuto non gli andava proprio giù. Che fare? Senza dubbio riprovarci.
Raggiunse i campi nel momento di pausa di entrambe le squadre, il massimo della sfiga. Così dovette sorbirsi i rimproveri del mister sotto gli occhi divertiti di Landers e compagni.
-Ti pare questa l’ora di presentarti?-
-È tardi?-
-A te non sembra?-
-Non troppo.-
Il mister fremette.
-E stamattina? Sei passato a farci un saluto?-
-Esattamente. Visto che non mi sono svegliato, ho pensato fosse corretto almeno venire a salutare.- fece spallucce -Del resto come puoi pretendere che mi alzi all’alba se mi costringi a partecipare a stupide feste che durano fino a tardi?-
-E i tuoi compagni?-
-Li invidio.-
Si fissarono negli occhi azzurri, identici. Solo i capelli avevano una tonalità diversa. Sale e pepe quelli di suo padre, biondi i suoi. Per il resto erano uguali, sua madre lo diceva sempre, persino nel carattere.
-Ieri sera sei stato il primo ad andartene!-
-Per forza! Invece di sbraitare e farti venire l’ulcera, dovresti ringraziare il cielo che dopo il tuffo in piscina non mi sia buscato un malanno.-
-Molto meglio che ti fosse presa una bronchite, almeno avrei avuto la scusa per tenerti fuori!-
-Stronzate. L’Italia senza di me non vale una cippa.-
Rob rise, aggrappato alla rete, mentre traduceva a chi gli era accanto il botta e risposta di Salvatore Gentile e dell’allenatore della nazionale italiana.
Stanco di rimproverarlo, suo padre borbottò ancora qualcosa, poi lo lasciò perdere. Salvatore sapeva che sarebbe andata a finire così e si allontanò a testa alta, godendo della vittoria dell’ultima parola. La presenza di Rob aggrappato alla rete gli rovinò quel momento trionfale, facendogli venire l’amaro in bocca. Le facce di quei musi gialli accalcati alla rete erano divertite, Aoi doveva aver tradotto. La cosa lo innervosì, soprattutto quando si rese conto che Callaghan era nel mucchio degli spettatori. Mark sollevò una mano e lo salutò.
-Ben arrivato!-
Salvatore si avvicinò controvoglia alla rete e lo guardò dall’alto. Landers sovrastava i compagni ma continuava ad essere più basso di lui.
-Che cazzo ti ridi?-
-Dov’è Jenny?-
-Saranno affari suoi?-
-Ho capito, non lo sai.-
Il suo sorrisetto di scherno colpì Salvatore nell’orgoglio.
-Sta finendo una lezione. Ha detto che verrà più tardi.-
Mark parve soddisfatto della risposta e si allontanò, mentre i compagni intorno a lui si disperdevano.
Affondando i tacchetti nell’erba, Holly si avvicinò a Patty che stava riponendo acqua e ghiaccio nella borsa frigo.
-Bisogna fare qualcosa. Non ho mai visto Philip così.-
Lei richiuse il coperchio e annuì.
-Sta giocando proprio male.-
-Non sta giocando affatto, ed è ancora peggio. Sembra che non gliene importi nulla.- lanciò un’occhiata al mister -Se continua in questo modo Gamo non glielo perdonerà. E neanch’io.- rifletté un istante prima di continuare -Marshall stamattina ha chiesto a Benji se non fosse il caso di impedire a Jenny di venire al campo.-
Patty lo guardò incredula.
-Marshall non può fare una cosa simile!-
-Non la farà… Benji dice che non lo farà.-
Spostarono all’unisono gli occhi verso la recinzione. Jenny era appena comparsa, come se l’avessero chiamata. Aveva imboccato il vialetto di ghiaia e avanzava dritta verso di loro. Gli occhi di Holly si trasferirono all’istante su Philip. Era seduto a terra, un asciugamano appeso al collo, le gambe distese per sciogliere i muscoli e le mani poggiate sull’erba dietro di lui, a sostenere il peso della schiena rilassata. L’aveva individuata e seguiva la sua avanzata, apparentemente incapace di toglierle gli occhi di dosso.
-Lui la ama, Holly. Ce lo ha scritto in faccia.- la voce di Patty fu un sussurro -Perché si sono lasciati?-
-Forse lo ha lasciato lei.-
-Impossibile.-
-Perché no? Dopo quello che è successo a Kyoto, non voleva più averlo vicino.-
-Non è così.- provò a spiegargli il suo punto di vista ma non ci riuscì. Uno dei Derrick scoppiò a ridere, Patrick Everett gli diede dell’imbecille e lei capì che quello non era il momento di tirar fuori la questione. Porse a Holly una bottiglietta d’acqua -Ne parliamo dopo.-
Jenny era al cellulare e Philip non riuscì ad evitare di chiedersi con chi, mentre un moto di gelosia possessiva lo attraversava da parte a parte come una scarica elettrica. Distolse lo sguardo quando all’improvviso non fu più Jenny ad avanzare verso il campo ma il passato ad andargli incontro. Osservandola si trovò davanti all’oscurità che si portava dentro da mesi. Fu per istinto di sopravvivenza che i suoi occhi si sforzarono di mettere a fuoco l’unica macchia di colore che aveva davanti, il mazzo di fiori che lei stringeva nell’altra mano. Philip non ebbe dubbi che fosse un dono di Gentile.
Più Jenny si avvicinava e più lui riusciva a distinguere meglio i particolari. Aveva il cappotto sbottonato, che lasciava intravedere una minigonna grigio perla fino al ginocchio. In due giorni era la seconda volta che la vedeva con una gonna. Dopo Kyoto, Jenny non l’aveva più indossata preferendo i pantaloni, soprattutto jeans, più o meno corti ma meglio se lunghi. Spessissimo, quasi sempre, lei aveva ribadito l’inaccessibilità del suo corpo con una cintura stretta in vita. Che adesso avesse deciso di rindossare gonne e abiti era un’importante novità e Philip non poté non chiedersi se lo facesse per Gentile o se ciò significasse che era riuscita a superare almeno in parte quella terribile fase della sua vita.
-Permettimi di dirti che sei stato proprio uno stupido a lasciartela scappare.-
Philip si volse. Ralph Peterson osservava Jenny con ammirazione e la piega di contrarietà che gli corrugava la fronte non era certo rivolta a lei. Non seppe cosa rispondergli, annaspò nelle parole e incrociò gli occhi impassibili di Julian, che ebbe la decenza di tacere. Ma Ralph non lo fece. Era occupato ad esaminare Jenny con tale approvazione, che non si accorse del fastidio provocato dal suo commento.
-Io non l’avrei lasciata per Julie Pilar. Le modelle sono poco affidabili, hanno troppi fan che girano loro intorno, troppe tentazioni. Finiscono per metterti le corna e ti assicuro che non è piacevole. A me è quasi successo.-
-Più che spiacevole direi umiliante.- rifletté Julian.
Di tutte quelle frasi, una sola e unica affermazione colpì Philip come una mazzata. Replicò di getto, senza starci troppo a pensare.
-Non l’ho lasciata per Julie Pilar!- era sconvolgente che i compagni la pensassero così. Doveva fare qualsiasi cosa perché questa voce non girasse. Se poi fosse finita alle orecchie di Jenny? Non l’aveva lasciata perché le aveva preferito Julie. Julie Pilar era ricomparsa nella sua vita mesi e mesi dopo, e se fosse stato ancora con Jenny non l’avrebbe guardata due volte. A lui le tipe appariscenti come Julie interessavano così poco che non era in grado di spiegarsi neppure perché avesse deciso di frequentarla.
-Ti ha lasciato lei?- la curiosità di Peterson venne ripagata da un’occhiata acida -Ho capito, non sono fatti miei… Era tanto per parlare.-
Philip affondò le unghie nella terra, fece forza sulle braccia e si tirò su nel momento in cui Jenny riponeva il telefonino nella borsa.  
La giovane fece il giro del campo e si fermò davanti al terreno di gioco della nazionale italiana, i fiori in una mano, l’altra sollevata all’altezza del volto, le dita strette sulle maglie della rete. Attese paziente finché Gentile si sganciò e la raggiunse.
Philip vide l’italiano lanciarsi un’occhiata guardinga alle spalle, aggrapparsi alla recinzione e scalarla agilmente come una scimmia. Arrivò in cima e saltò giù dall’altra parte, atterrando accanto a Jenny che, sgomenta, fece un passo indietro. Salvatore le tolse di mano il mazzo di fiori e lo agitò di qua e di là facendone cadere qualche petalo. Jenny cercò di riprenderselo ma lui rise e lo sollevò in alto, sopra la testa, impedendole di raggiungerlo. Jenny protestò, si aggrappò al braccio del ragazzo e cercò inutilmente di tirarlo giù. Alla fine rinunciò e, imbronciata, arretrò dicendogli qualcosa. Lui cadde improvvisamente in ginocchio e tese i fiori verso di lei, offrendoglieli con le mani giunte e un sorriso radioso. Jenny lo fissò incredula, le guance che si tingevano d’imbarazzo. Si lanciò un’occhiata rapida alle spalle, così rapida che non riuscì a mettere a fuoco neppure i campi che si estendevano dietro di lei. Poi tornò a guardare Gentile. Lui le disse qualcosa e rise. Jenny gli strappò di mano il mazzo di fiori e se lo strinse al petto, piena di vergogna, mentre l’italiano si alzava ridendo.
-Che buffone.-
Philip si ritrovò Mark accanto. Non era stato l’unico ad assistere allo show. Tornò a guardare la coppia, Dario Belli li aveva raggiunti al di là della recinzione.
-Stiamo cominciando la partita. Che fai? Giochi o no?-
Salvatore lo guardò serio.
-Davvero posso scegliere?-
-Imbecille.-
Jenny gli prese una mano.
-Torna ad allenarti, Salvatore.- lui fece spallucce, così lo pressò -Ci vediamo dopo al bar.-
Si separarono davanti agli ingressi dei due campi. L’italiano tornò dalla sua squadra, Jenny raggiunse le amiche. Un velo di rossore le imporporava ancora gli zigomi.
-A che ora finiscono di allenarsi?- domandò tanto per dire qualcosa.
-Non prima delle cinque. Giocheranno finché c’è il sole.-
-Chi te li ha regalati? Gentile?- Evelyn le sollevò il braccio finché i fiori non le sfiorarono il viso. Ne aspirò il profumo -Che buono…-
Jenny le rispose con un sorriso. Pensasse quello che voleva, a lei non interessava. Era stufa che Evelyn s’impicciasse della sua vita. Allungò ad Amy una busta che conteneva i suoi vestiti ripiegati e la guardò, piena di riconoscenza.
-Grazie, ieri mi hai salvata.- spostò il peso del corpo da un piede all’altro -Adesso devo andare. Ci vediamo dopo.-
-Dov’è che vai?-
-A lavorare, sono in ritardo. A dopo.-
Philip, fermo a qualche metro dalla porta di Ed, la osservò andar via. Warner distolse gli occhi dal compagno e li spostò su Mark. Anche lui dal centro campo stava fissando Jenny che si allontanava. Mentre si sistemava i guanti, si chiese se prima o poi tutto quell’interesse per la stessa ragazza non avrebbe portato guai seri all’intera squadra.

Come già aveva fatto al termine dell’allenamento della mattina, Benji lasciò in fretta e furia gli spogliatoi con i capelli ancora umidi, il cappellino attaccato al passante della cinta dei jeans. Profumato di shampoo e di bagnodoccia, varcò l’ingresso del bar e si diresse spedito verso il bancone, per rifarsi della birra che per colpa delle stupide riflessioni di Freddie e dell’arrivo improvviso di Gamo non era riuscito a godersi prima di pranzo. Si arrampicò sullo sgabello, sollevò gli occhi per ordinarla e si ritrovò faccia a faccia con Jenny che gli sorrideva. La fissò meravigliato.
-Che ci fai lì dietro?-
-Sto lavorando.-
-Davvero?-
-È solo per un paio d’ore, finisco quando ve ne andate.-
-Come accidenti hai fatto a farti assumere?-
Jenny lo guardò, vagamente imbarazzata.
-Ci ha pensato Salvatore… Ma me la cavo bene… A fare il caffè non ci vuole niente e, se ricordi, ho una certa esperienza con i cocktail.- gli strizzò un occhio, Benji rise e lei lo imitò. Poi tornò seria, riacquistando un minimo di professionalità -Cosa prendi?-
-Una birra.- poggiò i gomiti sul ripiano e la osservò meglio. Teneva i capelli legati in una coda e due ciocche più corte le ricadevano ai lati del volto. Sui suoi occhi c’era un’ombra di trucco e un velo di rossetto le colorava le labbra. Il make-up di Jenny era sempre molto discreto. Indossava una magliettina bianca con un nastro arricciato dello stesso colore che le abbelliva una scollatura piuttosto profonda. Quando si chinò sul lavandino, di fronte a lui, Benji riuscì a scorgere l’ombra del reggiseno bianco.
Recuperata la birra, lei aprì la bottiglia e gli riempì il bicchiere.
-Come mai da solo?-
Lui si guardò intorno.
-Cercavo Amy.-
-Amy? E perché?-
-Perché non mi parla.-
-L’hai fatta arrabbiare?-
Benji fece spallucce.
-Può darsi. Nicole è stata contenta di sapere che stai bene.-
-Le hai detto che sono qui?-
-Non avrei dovuto farlo?-
-Certo che sì.-
-L’ansia di Patty che non ti trovava l’ha fatta preoccupare.-
-Mi dispiace.- Jenny si guardò intorno e sperò che qualcuno li raggiungesse presto. Benji era imprevedibile e conversare con lui senza sapere dove sarebbero andati a parare la metteva in agitazione. Erano troppe le cose di cui non voleva parlare.
Lui percepì il suo disagio.
-Di cosa hai paura? Che anch’io ti chieda perché tu e Callaghan vi siete lasciati?-
Il timore le guizzò negli occhi e continuò a tacere nervosa, mentre Benji sorseggiava la birra con evidente godimento.
-So che non sono affari miei e ti assicuro che mi seccherebbe di sentirmelo ribadire, da te o da Callaghan indifferentemente.-
Jenny fece per tirare un sospiro di sollievo, ma all’ultimo si trattenne. Capì che non aveva finito. -Sai che sta frequentando Julie Pilar?-
Lo sapeva, ma sentirselo spiattellare in faccia senza preavviso non le fece piacere. Si sforzò di restare impassibile, anche se un filo di angoscia l’attraversò tutta.
-Ho visto la foto su un giornale. Perché me lo dici?-
Benji alzò le spalle.
-Perché così non ti sentirai in colpa a divertirti con Gentile. Anzi, fallo finché puoi. Approfittane.-
Jenny appoggiò i gomiti sul bancone e si sporse verso di lui, improvvisamente interessata.
-Perché?-
-E perché no?- Benji allungò una mano e le passò dietro un orecchio una ciocca di capelli che le era ricaduta sulla guancia -Non hai niente da invidiare a quella fotomodella. Callaghan è un idiota.-
Il sorriso le sparì dalle labbra.
-Non giudicarlo, Benji. È stato un momento difficile per tutti e due.- si morse la lingua quando si rese conto che lo aveva appena difeso. Philip non meritava di essere difeso, non dopo come l’aveva trattata.
Il portiere esitò solo un istante, poi annuì.
-Hai ragione.-
-Benji?-
Il portiere si irrigidì. Lasciò ricadere la mano con cui le aveva sfiorato il viso e si portò il bicchiere alle labbra. Neppure si volse, tanto aveva riconosciuto la voce. Holly gli spuntò accanto insieme a Ross. Si sedettero lanciandogli un’occhiata in tralice, poi Julian sorrise all’amica.
-Lavori qui, Jenny?-
-Arrotondo. Anzi, devo dire che guadagno bene.- osservò anche Holly -Cosa prendete?-
La risposta dei compagni le scivolò addosso senza lasciar traccia. Non li sentì. Philip entrò nel bar insieme a Mark e Tom. Parlavano, lui non l’aveva ancora individuata e Jenny ebbe qualche istante per osservarlo. Teneva la borsa su una spalla, aveva i capelli umidi per la doccia, indossava un paio di jeans e la felpa della nazionale. Il suo viso era tirato di stanchezza e forse di contrarietà. Quando spostò gli occhi verso il bancone e i loro sguardi si sfiorarono, Jenny si volse di scatto e prese dallo scaffale due bicchieri puliti. Si fece ripetere le ordinazioni e servì i compagni.
Philip, preso atto della sua presenza, si sedette al tavolino più lontano. Davanti a lui si apriva una grande vetrata che si affacciava sui campi. La nazionale italiana si stava ancora allenando. Tom lo seguì per non lasciarlo solo, Mark invece decise di raggiungere Jenny al banco.
-Tra quanto finisci?-
-Appena ve ne andate.-
-Hai fatto la spesa?-
-No. Tu mangi con loro e io stasera ceno fuori.-
La scrutò indagatore.
-E con chi vai a cena? Con Gentile?-
-Con uno dei miei studenti. Mangiamo da Mc Donald’s in piazza e gli correggo i compiti dell’università.-
Holly la guardò curioso.
-Cosa insegni?-
-Do lezioni private di giapponese ad uno studente universitario.-
Benji finì la birra e si alzò. Raggiunse Philip al tavolo, lo guardò negli occhi e gli sorrise ironico.  -Allora?-
-Allora cosa?-
-Un’altra sorpresa?- indicò con un cenno il banco del bar.
Philip abbassò gli occhi stizzito.
-La vita è piena di sorprese.-
Il portiere gli scoppiò a ridere in faccia.
-Hai proprio ragione!-

*

Philip pensò che tutto sommato quella sera avrebbe fatto meglio a non uscire. Il freddo era calato giù dai ghiacciai delle Alpi e il vento soffiava forte, incanalandosi tra i palazzi. Tirò su il colletto della giacca a vento e si guardò intorno. C’erano parecchie persone in giro, forse perché era sabato sera. Gruppi di ragazzi, coppie, famiglie, come se l’intera città si fosse riversata in strada. I bar e i ristoranti erano aperti e la gente entrava e usciva senza sosta. Si accorse che Benji gli camminava accanto solo quando parlò. E ciò che disse lo fece sussultare.
-C’è Jenny.-
Philip si volse di scatto e si bloccò all’istante quando la individuò al di là delle vetrine del Mc Donald’s di Piazza Castello. Un Mc Donald’s che già da solo, con quello stile barocco, pieno di stucchi e dorature, attirava l’attenzione di chiunque non vi fosse mai passato davanti. Jenny sedeva ai tavolini china su un libro e ascoltava ciò che le stava dicendo il ragazzo che aveva di fronte. Ogni tanto annuiva. Il giovane era girato di spalle e Philip non poteva vederlo in faccia, ma riusciva a osservare bene Jenny, la sua espressione concentrata, i capelli lunghi ordinatamente pettinati che le ricadevano da un lato, una penna in mano a seguire il testo che aveva davanti. Ad un certo punto alzò gli occhi verso il suo studente e gli sorrise, mentre il suo sguardo si illuminava di divertimento. Philip la fissò incantato perché aveva dimenticato il calore di un sorriso che troppe volte era stato per lui.
Un uomo lo urtò e si riscosse. Le persone continuavano a passare, ripassare e incrociarsi sotto i portici e lui era rimasto proprio in mezzo. Cercò i compagni tra la gente e non li vide. Dovevano aver proseguito. La cosa non lo preoccupò, anzi si sentì sollevato. Avrebbe potuto fare ciò che voleva senza essere controllato, rimproverato o criticato. Si spostò di lato e si appoggiò ad uno dei pilastri dei portici, esattamente di fronte alla vetrata. Fuori era buio, Jenny non avrebbe potuto scorgerlo neppure se lo avesse cercato, consentendogli di restare a guardarla indisturbato. In fondo che male c’era a starsene lì? Cosa c’era di sbagliato se avesse passato qualche istante ad osservarla? Erano mesi che non la vedeva, mesi lunghi come secoli.
S’infilò le mani in tasca e appoggiò la schiena contro il muro per stare più comodo. Sollevò un piede e si puntellò alla parete. Sotto i portici il vento non entrava e il freddo era in qualche modo sopportabile. E poi lui, al freddo, era abituato.
Continuava a fissare Jenny e più lo faceva, più la vedeva diversa. Era come rifiorita. Ogni suo gesto, ogni sua espressione gli sembrava differente da come l’aveva sempre conosciuta, più decisa, più sicura di sé, forse più affascinante. Fin dalla sera prima, quando l’aveva vista nell’abito bianco, aveva notato che qualcosa in lei era cambiato. Lo aveva capito meglio quel pomeriggio al campo, quando era passata davanti a loro parlando al cellulare, camminando con una sicurezza e una sensualità che avevano giustificato gli sguardi e gli apprezzamenti degli amici. Non riuscì ad evitare di confrontarla con Julie Pilar e immediatamente si disse che preferiva mille volte Jenny. La guardò per la prima volta come probabilmente la guardava Gentile, vedendo ciò che aveva spinto David McFay verso di lei. Scacciò il terribile ricordo e tornò ad osservarla.
Quasi attirati dalla sua presenza invisibile, gli occhi della ragazza si spostarono verso i vetri e fissarono la strada. Philip, celato dall’ombra era così sicuro che non sarebbe riuscita a vederlo che non si spostò né cercò di nascondersi. Lo studente di Jenny controllò l’orologio, poi prese il libro che lei gli porgeva, lo infilò in uno zaino e si alzarono insieme. Lei si avvolse in un’enorme sciarpa grigia appoggiata sulla spalliera della sedia e si mise la borsa su una spalla. Lui radunò i vassoi di entrambi e andò a svuotarli nel cestino. Uscirono insieme dal Mc Donald’s rabbrividendo di freddo al brusco e repentino cambio di temperatura. Il ragazzo la salutò, attraversò in fretta la piazza e Jenny rimase sotto i portici a guardarsi intorno, come indecisa su quale direzione prendere. Poi si incamminò verso Philip, lo superò senza notarlo e proseguì lungo la via.
Lui la seguì senza pensarci neppure un istante. Costeggiarono Piazza Castello, attraversarono due incroci e mentre cominciava a domandarsi se non fosse il caso di smettere di andarle dietro, Jenny si fermò davanti a un bar e attese. Philip rimase dall’altra parte della strada, chiedendosi cosa stesse aspettando. Si rispose da solo quando vide Salvatore Gentile arrivarle alle spalle, di soppiatto, allungare le braccia e stringerla a sé. Jenny sobbalzò e le sfuggì un grido terrorizzato, l’italiano rise divertito dello scherzo. Nonostante le proteste, Gentile non la mollò. Continuando a sorriderle si chinò su di lei e la baciò. Ma non come l’aveva baciata quel pomeriggio al campo. Non quel bacio veloce, di sfuggita. E neppure come l’aveva baciata alla festa, sfiorando appena le sue labbra. Stavolta l’attirò contro di sé, una mano sulla nuca, tra le ciocche di capelli, e l’altra alla base della schiena. A scioccare Philip fu la reazione di Jenny. Le sue braccia circondarono il collo di Gentile, il suo corpo intero si adattò a quello dell’italiano per ricambiare il bacio. La risposta di lei gli fece male. Distolse gli occhi, ciò che aveva visto poteva bastargli per tutta la vita. La frustrazione, la gelosia e la stanchezza gli piombarono addosso tutte insieme. Si guardò intorno cercando di orientarsi, per ritrovare la fermata dell’autobus e tornare in hotel. Era stato uno stupido a fermarsi davanti al Mc Donald’s. Avrebbe dovuto proseguire insieme agli altri. Non stava più con Jenny e quello che lei faceva (se lo ripeteva in continuazione) non doveva assolutamente interessargli.
Mentre aspettava che il semaforo dei pedoni diventasse verde, non riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi di nuovo. Non li trovò più, Jenny e l’italiano erano spariti chissà dove.

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Capitolo 10
*** Nono capitolo ***


Nono capitolo



Benji mescolava l’ombra di zucchero con cui aveva addolcito il caffè e ogni tanto lanciava occhiate pensierose ad Amy al tavolo accanto, seduta a fare colazione vicino a Ross. Erano in Italia da tre giorni e lei da tre giorni lo evitava. Non gli aveva mai rivolto la parola, neppure una volta, e aveva fatto bene attenzione a non restargli mai troppo vicino, soprattutto da sola. A Benji del suo comportamento non sarebbe fregato molto se non si fosse accorto che Julian ne gongolava. Se li sentiva addosso, gli occhi di Ross, ogni tanto incrociava il suo sguardo e quando succedeva le labbra di quell’imbecille si incurvavano in un sorrisetto. Era chiaro che il fatto che Amy lo evitasse lo faceva godere immensamente. Benji non lo sopportava più. Doveva chiarire al più presto con Amy ciò che c’era da chiarire e togliere dalla faccia di quel demente il suo sorrisetto di scherno.
Essere costretto a trascorrere la maggior parte del tempo insieme a Ross, in campo o negli spogliatoi, non lo aiutava nell’impresa. Quando poteva finalmente sganciarsi da lui e dal resto della squadra, quello si incollava alla fidanzata. Il che gli rendeva impossibile avvicinarsi alla ragazza.
Un’altra cosa che lo innervosiva dell’atteggiamento di Amy, era che a lei sembrava andar bene il fatto di evitarlo. Si mostrava offesa come una bambinetta viziata e non gli dava la possibilità di chiarire. Tutto ciò era profondamente ridicolo. Non ricordava molto delle parole che le aveva rivolto la sera della telefonata e poteva starci che non l’avesse trattata granché bene. Ma di chi era la colpa? Chi le aveva chiesto di chiamarlo? Certo non lui. E Amy aveva scelto il momento più sbagliato per farsi sentire, era stata di un tempismo del cavolo. Possibile che non lo capisse? Eppure le studiava, quelle cose! Era fin troppo evidente che lo faceva con scarso profitto, porca miseria.
-Se Benji ci degnasse della sua attenzione, magari potremmo deciderlo insieme.- le parole di Holly vennero seguite da un calcio in uno stinco che lo fece sobbalzare.
Il caffè quasi traboccò dalla tazzina.
-La smetti di guardare Amy? Che accidenti vuoi da lei?-
-Cosa?- Benji non riuscì a capacitarsi di tanta arguzia -Amy? Non sto guardando Amy!-
Ma Holly ci vedeva bene e ne approfittò per schernirlo.
-Allora ti sei invaghito di Julian. Comunque… Vuoi andarci tu?-
-Dove?-
-Alla conferenza stampa.-
-Non ci tengo per niente.- un’idea l’illuminò -Mandaci Ross. A lui piace farsi bello davanti ai giornalisti, lo fa da secoli…- e avrebbe mollato Amy da sola per qualche ora, dandogli l’opportunità di avvicinarla. Le lanciò un’occhiata distratta. Gli dava le spalle e non riusciva a guardarla in faccia. L’unica cosa che vedeva di lei era la curva della sua schiena e la nuca, lasciata scoperta dai capelli che aveva tirato su in una coda. Un colpo sul piede lo riportò in sé. Holly lo guardava sospettoso. Lasciò perdere Amy, tanto era deciso a risolvere il problema appena possibile. Anzi, addirittura quel giorno.

Jenny non seppe di preciso come e perché Mark riuscì a convincerla ad accompagnarlo fino al campo. Forse furono i suoi seducenti pettorali strizzati dalla maglietta bianca che si fecero strada in cucina quando scese a fare colazione, o forse il desiderio di vedere le amiche, o forse… Non volle pensarci, non le interessava trovare una spiegazione. Ormai era lì, insieme a Mark stava attraversando a piedi il parcheggio del centro sportivo fino all’ingresso, e non le restava che raggiungere le amiche.
-Copriti.-
L’ordine secco e improvviso la colse alla sprovvista. Alzò gli occhi su di lui. Mark puntava verso i giornalisti, accalcati intorno alla recinzione. Per raggiungere il cancello avrebbero dovuto oltrepassarli. Lo vide infilare una mano nella borsa che teneva su una spalla, tirarne fuori un cappellino e calcarsi la visiera sugli occhi.
Jenny capì l’antifona e si tirò sul viso la sciarpa che le avvolgeva il collo, lasciando fuori soltanto gli occhi. Per star dietro a Mark, che aveva accelerato il passo, fu costretta quasi a correre. Varcarono di filato l’ingresso dei campi. Qualche fotografo scattò, qualche altro provò a fermarli, ma tutto sommato se la cavarono. Anche perché la maggior parte dei reporter e dei fan era lì per la nazionale italiana.
In piedi a bordo campo Gamo percorreva pensieroso su e giù la linea bianca, le mani ficcate nelle tasche della giacca, in attesa che i ragazzi finissero di cambiarsi. Si fermò quando li vide avvicinarsi, imbacuccati e quasi irriconoscibili. Il suo solito cipiglio corrucciato si trasformò in un’espressione canzonatoria.
-Cos’è? Avete svaligiato una banca?-
La sua ironia li lasciò interdetti. Si scambiarono un’occhiata incerta, colti alla sprovvista da un umorismo che non si aspettavano. Mark non seppe cosa rispondere, al suo fianco Jenny scoppiò a ridere.
-Ci abbiamo provato ma è andata male.-
Gamo rimase serio, tuttavia stette allo scherzo.
-Peccato.-
Mark non gradì né la battuta del mister, né la reazione dell’amica. Si tolse il cappellino e sibilò un “Buongiorno” tra i denti serrati. L’ironia di Gamo di prima mattina era dura da mandar giù. Avrebbe voluto sparire ma esitò davanti al campo deserto. I compagni erano in hotel a rimpinzarsi col buffet della colazione oppure già a cambiarsi?
-Landers, che stai facendo piantato lì? Fila negli spogliatoi!-
Il ragazzo soffocò un ringhio e i suoi occhi lampeggiarono su Jenny, fulminando il suo divertimento con un’occhiata carica d’astio. Ecco che con quella risposta assurda lei lo aveva già innervosito. Era un’incosciente. Non capiva che se avesse messo Gamo di malumore, quello se la sarebbe presa con loro facendoli sputare sangue?
-Hai sentito quello che ho detto? Vai a cambiarti!-
Innervosito dal rimprovero, il ragazzo raggiunse di corsa gli spogliatoi. Spalancò la porta e s’infilò dentro.
-Alla buonora, Landers!- lo accolse Clifford -Come mai in ritardo? Sei rimasto incollato al pigiama di Jenny e non riuscivi più a staccarti?-
Le chiacchiere si spensero di colpo e gli sguardi dei compagni si spostarono su di lui. Mark avanzò a testa alta, rigido come un palo. Puntò Clifford e gli gettò la borsa sportiva sui piedi.
-Non so se mandarti affanculo o prenderti direttamente a schiaffi. Tu che preferisci?-
-Ma smettila idiota!- lo mise a tacere Julian distrattamente, troppo preso ad osservare Benji di sottecchi per preoccuparsi dei battibecchi dei compagni. Aveva notato che durante la colazione non aveva fatto altro che lanciare occhiate ad Amy. Che accidenti aveva da guardare? Che voleva? Che gli prendesse un colpo una volta per tutte, maledetto lui. Mentre si sfilava le scarpe, sentì il cellulare vibrargli nella tasca dei jeans. Lo riesumò contorcendosi un po’ e lesse il messaggio della fidanzata: “Andiamo a fare un giro con Jenny, ci vediamo a pranzo.” Ecco sì, era meglio che Amy si togliesse di torno per un po’ così Price avrebbe smesso di guardarla.

*

Davanti casa di Mark, Jenny porse la spesa ad Evelyn e frugò nella borsa in cerca delle chiavi. Aprì la porta e precedette le amiche nell’ingresso. La luce era accesa, Malaya era nel salotto e stava passando l’aspirapolvere. La signora filippina, che due volte alla settimana ripuliva casa da cima a fondo, non si accorse del loro arrivo e continuò indisturbata a girare intorno al divano. -Avete la donna di servizio?- domandò Amy.
-Ce l’ha Mark. Gli ho detto che avrei potuto pensarci io ma lui mi ha risposto che non voleva lasciarla senza lavoro. Tanto più che dovrà richiamarla quando io tornerò a casa.-
Evelyn la scrutò, piena di interesse.
-E quando avresti intenzione di tornare in Giappone?-
-Be’, ecco…- Jenny le tolse la busta e la poggiò a terra -Non ho ancora deciso.-
Malaya si volse, le vide e spense subito l’aspirapolvere.
-Già di ritorno?- lanciò un’occhiata al salotto ancora sottosopra -Finisco qui e vado via.-
-Può fare con calma. Siamo passate soltanto a posare la spesa.-
-E per andare in bagno.- fremette Evelyn che aveva una certa urgenza.
Jenny le accompagnò su per le scale e indicò una porta.
-Quello è il bagno. Vado a mettere a posto la spesa e vi aspetto giù.-
Mentre Evelyn si chiudeva dentro, Amy rimase pazientemente nel corridoio ad attendere il suo turno. Patty, non sapendo come ammazzare il tempo, si affacciò curiosa in camera di Mark.
-Caspita! Non me lo immaginavo così ordinato!-
Amy la raggiunse. Il letto era perfettamente rifatto. Una maglietta e un paio di pantaloni erano ripiegati sulla coperta. Negli scaffali le riviste e i libri erano ben allineati e sul tavolo tutto era meticolosamente in ordine.
-Tieni presente che è appena passata la donna delle pulizie.-
Patty scoppiò a ridere.
-Hai ragione! Non ci avevo pensato! Vogliamo dare un’occhiata anche alla stanza di Jenny?-
-Perché no?-
La camera dell’amica, dalle pareti color verde mela, era invasa dalla luce del giorno. I raggi del sole battevano sui vetri, filtravano attraverso le tende bianche, si allungavano sul letto matrimoniale in legno scuro e si adagiavano su una miriade di cuscini verdi e fiorati di tante forme e misure. Nell’angolo tra il letto e la finestra c’era un tavolino che faceva da comodino e da scrivania. Sul ripiano, un vaso di vetro verde dal collo sottile conteneva una pianta strana, tre rametti costellati di foglioline tonde. Un lap-top bianco occupava quasi tutto il tavolo e sulla destra, accanto al mouse, era rimasto aperto un blocco notes azzurro e una matita lasciata di traverso sui fogli. Lungo la parete erano allineati un portapenne, dei soprammobili, un portaoggetti che conteneva dei biglietti dell’autobus e quelli di vari locali. Sotto il tavolo c’era uno sgabello in legno decorato da un cuscino in patchwork e un cestino di vimini per la carta. Ai piedi del letto era appoggiata una cassapanca, su cui Jenny aveva lasciato una sciarpa bianca e alcuni libri. Sulla parete opposta al letto erano appese due mensole con alcune foto appoggiate così, senza cornice, che sovrastavano un mobiletto bianco con un cassetto e lo spazio per ospitare due grandi contenitori di vimini che contenevano altri indumenti gettati un po’ alla rinfusa. Sempre su quel lato della stanza era disposta una poltrona con due cuscini. Sull’ultima parete, quella della porta, un armadio marrone scuro a quattro ante conteneva tutti i vestiti di Jenny.
Amy entrò dietro Patty guardandosi intorno. Posò gli occhi su ogni particolare, chiedendosi come l’amica avesse adattato a sé quell’ambiente, come lo avesse fatto suo. Si avvicinò alle mensole, guardò le foto. Una la raffigurava da sola in un giardino pieno di fiori. In un’altra era insieme a Mark, Gentile e Rob, le Alpi innevate sullo sfondo. Jenny era tra Salvatore, che le teneva un braccio sulle spalle, e Aoi. Mark si teneva scostato e scontento, le braccia incrociate al petto e la sciarpa stretta intorno al collo. Amy sfiorò le foto con la punta delle dita.
-Jenny si sta ricostruendo.-
Patty si volse.
-In che senso?-
-Si sta ricostruendo una vita, dei ricordi…- si chinò per leggere i titoli dei libri infilati nel mobiletto.
La maggior parte erano delle guide turistiche, forse i posti che aveva visitato insieme a Gentile, o insieme a Mark, o magari da sola.
Patty girò intorno al letto e si sedette sullo sgabello del tavolinetto, dandosi un’occhiata attraverso lo specchio tondo appeso alla parete. Si sistemò i capelli e osservò curiosa gli oggetti posati sul ripiano.
Amy la sentì smuovere qualcosa, rimise a posto un libro e si volse.
-Cosa fai?-
-Cerco le tracce.-
-Le tracce di cosa?-
-Di Philip.- sfogliò rapidamente il quaderno e lo rimise al suo posto. Poi aprì uno dei due cassetti e si chinò per sbirciare dentro.
 -Patty, che fai? Non frugare tra le sue cose…-
-Lo faccio a fin di bene.- a parte un’agendina che conteneva qualche appunto, non trovò niente di interessante. Aprì il secondo cassetto, quello a sinistra. Tirò fuori un ritaglio di giornale accuratamente ripiegato e tenuto chiuso da un fermaglio. Lo sfilò e lo aprì. Trattenne il respiro trovandosi davanti la foto di Philip e Julie Pilar che si baciavano. La sollevò verso Amy.
-Guarda!-
-Poi dite a me che sono curiosa!- rise Evelyn dalla soglia, facendole sobbalzare.
Patty agitò insistente il ritaglio e le due si accostarono.
-E quindi anche Jenny l’ha vista.-
-A quanto pare…-
-Ecco perché è così fredda con Philip.-
-Non che lui sia particolarmente espansivo, Eve.-
Patty rimise a posto la foto e infilò la mano fino in fondo al cassetto. Amy si guardò nervosamente alle spalle.
-Smettila di frugare, se Jenny ci scopre si arrabbierà.-
Lei non le diede retta, era troppo importante capirci qualcosa. Odiava vederli così.
-Dobbiamo darci da fare per farli tornare insieme, Amy.- agitò le dita e urtò un oggetto piccolo, tondeggiante, vellutato e duro. Lo afferrò nel palmo della mano e lo tirò fuori -Bingo! Guardate un po’ che c’è qui!- fece scattare la chiusura della scatolina blu e l’anello di Philip apparve, luccicando alla luce del sole.
Amy si lasciò sfuggire un gemito, che cercò di soffocare coprendosi subito la bocca con una mano.
-Lo ha portato con sé?!-
-Un ottimo segno, mi pare.-
-Sì, ma non ci sarà d’aiuto.-
-Forse dovrebbe vederlo Philip.- tentò Evelyn.
-E come? Non possiamo prenderlo.-
-Ma possiamo dirglielo, Patty!-
Amy si intromise.
-No, aspettate… Non possiamo dire niente. Non sappiamo come sono andate le cose tra loro. E se peggiorassimo la situazione?-
-Amy! Patty?!-
La voce di Jenny le fece sobbalzare. Patty si affrettò a richiudere la scatolina e a rimetterla dove l’aveva trovata. Si alzò e uscì, ficcandosi in bagno. Amy rimase ad aspettare il suo turno ed Evelyn scese. Attraversando il corridoio lanciò un’occhiata nel salotto. Non c’era traccia della colf. Entrò in cucina.
-Se n’è andata?-
-Sì. Laverà i pavimenti la prossima volta. Vuoi bere qualcosa?- indicò quattro bicchieri e una confezione di succo ai frutti tropicali che aveva messo sul tavolo.
Evelyn annuì e Jenny le riempì il bicchiere.
-Com’è vivere con Mark?-
-Be’… Non saprei...-
-Dai che lo sai benissimo.- la occhieggiò con un interesse sconfinato che spinse Jenny, per una volta, a sbottonarsi un po’.
-Per esempio è molto sexy quando esce dalla doccia e gira per casa mezzo nudo.- sorrise spostando gli occhi su Patty che entrava.
-Lo immagino proprio. Ne abbiamo già avuto un assaggio un paio di anni fa alle terme del ryokan. È stato uno spettacolo mica male, ricordi? -
Jenny lo ricordava benissimo, praticamente le era rimasto impresso a fuoco nella memoria. Così annuì, mentre Evelyn continuava.
-Avresti dovuto fargli qualche foto, quando se ne andava in giro svestito.-
-Perché?-
-Per me. Ti avrei dato la metà di quello che ci avrei guadagnato.-
-Possiamo ancora metterci d’accordo. Mark non chiude a chiave la porta quando fa la doccia, quindi…-
-Oh, davvero… Non vorrete mica…- Amy, appena arrivata, le fissò prima una, poi l’altra, inciampando nelle parole mentre esternava il proprio imbarazzo -Davvero non…-
Evelyn la sgomitò con un sorrisetto malizioso.
-Fai la pudica ma saresti la prima ad acquistare la rivista. Alla faccia di Julian!-
L’altra scosse la testa, incapace persino di accettare il fatto che probabilmente Evelyn aveva ragione. L’avrebbe comprata davvero, la rivista che conteneva le foto di Mark nudo? O no? Oddio, non lo sapeva… Mentre mandava giù del succo di frutta, si chiese se non fosse il caso di metterlo in guardia per evitargli brutte sorprese.
Meno di un’ora dopo erano di nuovo nel centro di Torino. Jenny aveva imboccato un lungo viale porticato che era sbucato ad esedra in un’immensa, enorme piazza cinta da palazzi eleganti e signorili color bianco e crema e costeggiata da larghi marciapiedi porticati. In fondo alla piazza un ponte attraversava il Po. Oltre il fiume, tra alberi e palazzi, in cima ad una scalinata sorgeva una chiesa neoclassica a pianta circolare, preceduta da una facciata colonnata simile ad un tempio greco e sovrastata da una cupola perfettamente concava. Alle spalle della chiesa si scorgevano le colline di Torino, costellate di ville signorili e di alberi.
Jenny si fermò a metà della piazza e lasciò le amiche ad aspettarla sotto i portici, tra un pilastro e l’altro. Tenendo una cartellina stretta al petto entrò da sola in un’agenzia turistica. Il piccolo esercizio commerciale dotato di una vetrina e una porta era incastrato tra un bar e un negozio di scarpe di lusso.
Amy tirò fuori la macchinetta fotografica dalla borsetta e scattò alcune foto alla bellissima piazza. La sua vastità le dava una sensazione di libertà assoluta.
-Raggiungiamo il ponte?- propose Evelyn che si era già incamminata.
-No, aspettiamo Jenny.-
Il fiume non era proprio a due passi e se si fossero allontanate, l’amica non le avrebbe ritrovate. Evelyn si rassegnò subito. Tornò fino alla vetrina e sbirciò dentro.
-Quanto ci mette? È già mezzogiorno…-
Dietro ai depliant appiccicati al vetro scorse Jenny, in piedi. Tra il viaggio di Pasqua a Praga e il ponte del primo maggio a Parigi, vide un uomo di mezza età che sfogliava la cartellina con cui l’amica era entrata. Sperò che si sbrigasse. Tirò fuori il cellulare dalla borsetta e si mise a scattare foto a destra e a manca, quasi a casaccio.
-Stai diventando una maniaca, fotografi tutto.- la rimproverò Patty che non ci teneva a finire sulla sua traiettoria. Anzi, in genere la evitava accuratamente.
-Ne faccio tante perché spero un giorno di trovarci qualche presenza paranormale. Sai quegli spettri che compaiono all’improvviso nelle foto della gente? Quando meno te lo aspetti, zack, becchi il fantasma che si è avvicinato mentre eri in posa e adesso ti sorride da sopra la spalla.-
-Tu sei matta Eve…- Amy rabbrividì -Se mi succedesse qualcosa del genere potrei morire.- si affrettò a cambiare discorso -Piuttosto vorrei andare a Parigi…-
-Anch’io.-
-Tu dovresti farlo davvero, Patty, visto che sei così vicina! E neppure questo mi dispiacerebbe. Che cos’è?-
-Penso sia l’arena di Madrid, ma non ne sono sicura perché non l’ho ancora vista.-
-E che ne dici di Londra?-
-Magari…-
Evelyn sorrise, non le avrebbe fatto per niente schifo visitare una bella porzione di Europa. Il suo lavoro e quello di Bruce glielo consentivano, allora perché non approfittarne un po’ di più? Lasciò perdere le amiche e i depliant e tornò ad osservare Jenny. Perché ci metteva così tanto? Si era stufata di aspettare. Smanettò ancora con il cellulare e per ammazzare il tempo fotografò la foto che rappresentava la porta di Brandeburgo. Forse poteva mandarla ai suoi facendo credere loro di averla visitata.
-Questa cos’è?-
Patty lesse il volantino.
-Berlino.- sgomitò Amy -Sono sicura che Benji ti inviterebbe volentieri a fare un giro in Germania!-
-Ma se neppure ci parliamo!-
Evelyn alzò gli occhi dal display. In effetti aveva notato da un bel pezzo che quei due si evitavano tanto quanto Jenny e Philip.
-E perché non vi parlate?-
Amy distolse gli occhi da lei e li posò al di là della vetrina, sulla schiena di Jenny. La ragazza aveva voltato le spalle all’uomo e stava tornando verso di loro. Il suo arrivo le risparmiò una risposta.
-Come mai ci hai messo tanto?-
-Veramente ho fatto prestissimo. Così presto che devo tornare.-
-Cos’è che gli hai dato?-
-Delle traduzioni. Ho tradotto dall’inglese al giapponese la guida del Museo Egizio.-
-E che devi tornare a fare?-
-Deve pagarmi.  Andiamo.- si affrettò sotto i portici, il cellulare che teneva in borsa squillava.
Era Salvatore, bello pimpante.
“Ciao amore, sto andando al campo.”
-Non è tardi?-
“Mi sono svegliato poco fa. Ti passo a prendere a casa?”
-Non sono a casa. Sono in centro, in piazza Vittorio.-
“Ti passo a prendere lo stesso. Aspettami al solito posto.”
Jenny ripose il cellulare nella borsa e si volse verso le amiche.
-Abbiamo guadagnato un passaggio. Salvatore ci riporta al campo.-
L’alfa romeo rossa di Gentile comparve poco dopo e si fermò a un lato della piazza. Jenny aprì lo sportello del passeggero e chinò la testa per lanciare un’occhiata al ragazzo.
-Non sono sola.-
Lui le sorrise e le strizzò un occhio.
-Me ne sono accorto. Salite!- quando furono tutte in macchina, ingranò la prima e partì.
-È la prima volta che riesco a vederlo così da vicino.- Evelyn si agitò sul sedile. Prima si sporse in avanti, poi di lato, verso Amy e riuscì a scorgerne il profilo -Porca miseria quant’è bello! I suoi genitori hanno fatto un capolavoro: ovulo e spermatozoo deluxe! Deve essere una bella soddisfazione!-
-Eve…- cercò di metterla a tacere Patty.
-Eve cosa? Tu non ce l’hai una voglia matta di toccarlo? Beata te Jenny che puoi farlo quando vuoi. Spettinargli i capelli, per esempio, o affondare le unghie nei suoi avambracci muscolosi. Accarezzargli la schiena, ficcargli la lingua in bocca o…-
-Smettila Eve.- sussurrò Amy secca, infilandole un gomito in un fianco.
Non servì a niente, lei continuò. Quel chiacchiericcio così ispirato incuriosì Salvatore, che lanciò un’occhiata curiosa ad Evelyn attraverso lo specchietto.
-Che sta dicendo la tua amica?-
Jenny si agitò a disagio sul sedile.
-Delira. Non far caso a lei.-
La giovane si sporse tra i poggiatesta.
-Jenny, potresti dirgli che vorrei saltargli addosso? Giuro che non mi offendo.-
Patty cercò di riportarla a più miti pensieri.
-Smettila dai, ci stai mettendo in imbarazzo.-
-E perché? Lui non capisce… purtroppo! Sai Jenny, ora che hai messo le mani su un così bel pezzo di ragazzo potrei darti dei consigli fantastici. Se non sai bene cosa farci, io ho un sacco di idee.-
-Evelyn, sei incorreggibile.- Jenny si portò una mano alle guance, se le sentiva in fiamme.
-Ho la netta sensazione che non sei ancora riuscita a tirar fuori il meglio di lui.-
-Per favore, Eve…-
-Davvero Jenny, se mi ci metto posso diventare un pozzo di consigli. Però ricordati che a me piacciono i dettagli, soprattutto quelli un filo perversi.- s’illuminò all’improvviso -Benji ieri mi ha detto che Gentile ha dei gusti particolari, in fatto di sesso…- abbassò la voce -È vero che non vuole che indossi le mutandine quando sei a spasso con lui?-
Jenny sbiancò.
-Ti giuro che le ho!-
-Sicura?-
-Benji ti ha presa in giro.- Amy d’un tratto divenne ansiosa di arrivare. E se Gentile avesse capito? O almeno avesse intuito dal tono, da una parola, ciò di cui stavano parlando? Si sarebbe sotterrata, che vergogna!

Holly afferrò l’asciugamano che gli porgeva Tom e se lo passò furente sul viso. Si allontanò dall’assembramento intorno alle panchine e si lasciò cadere sull’erba più in là, gli occhi su Philip che, assetato, si stava scolando in solitudine mezzo litro d’acqua. Non c’era niente da fare, per quanto lo stimolasse, sembrava totalmente incapace di gestire la squadra. Come se non bastasse non si impegnava neppure in campo e questo lo mandava su tutte le furie.
Tom si avvicinò e gli si sedette accanto.
-Io Philip lo vedo sempre peggio. E tu?-
-Io vorrei non vederlo più. Quando avete fatto il ritiro a Yokohama era già così?-
-Più o meno.-
-Se potessi lo prenderei a schiaffi.-
-Puoi farlo se vuoi. Basta che non ti fai beccare da Gamo o da Marshall. Di sicuro qualcuno che ti dà una mano lo trovi… Prendi Mark, per esempio. Ogni volta che lo guarda sbuffa.-
-Sto parlando sul serio.-
-Anch’io.-
Holly sospirò.
-Non riesco a capirlo.- si portò alle labbra la bottiglietta d’acqua e dopo averne mandata giù una buona sorsata, proseguì -Cioè, capisco che gli dia fastidio vedere Jenny con Gentile. Ma non può essere soltanto quello. Il Philip che conoscevo avrebbe reagito in un altro modo, non così. Non lasciando perdere tutto. Philip è testardo e ostinato e si accanisce sulle cose che non gli riescono. Non rinuncia mai senza aver dato il massimo. Adesso invece pare che non gli importi niente di niente.-
-Hai ragione.- convenne Benji che si era avvicinato per ascoltare -è seccante vedere come si piange addosso.-
-Non è che proprio si pianga addosso.-
-Inutile che lo difendi, Tom.-
-Non lo sto difendendo! E non si piange addosso. Non si lamenta e non rompe le scatole a differenza di tanti. E a parte la parentesi di ieri con Bruce…-
-Non cambierebbe nulla se non ci fosse. Che ve lo siete portato a fare? Potevate lasciarlo in Siberia.-
Holly e Tom si scambiarono un’occhiata.
-Ce l’hai con lui, Benji?-
-Non più di quanto ce l’abbiate voi con lui per come non sta guidando la squadra e per come non sta giocando.- Price si tolse il cappellino e tenendo la visiera tra le dita di una mano, si accucciò davanti a loro, i gomiti sulle ginocchia -Date retta a me. Se non si dà una svegliata non riuscirà a riprendersi Jenny.-
-Chi ti dice che ha intenzione di farlo?-
-Darsi una svegliata o riprendersi l’ex ragazza?-
Tom accennò un sorriso.
-Entrambe, direi.-
Lui gli rispose per metà divertito.
-Chi non vorrebbe una ragazza come Jenny? Alla festa l’altra sera era davvero uno schianto, non vi pare?-
Rise e si tirò su, lasciando i due amici a guardarsi stupiti e sospettosi. Lo videro rinfilarsi il cappellino, avvicinarsi a Philip e dirgli qualcosa. Non udirono le parole ma videro l’altro annuire.
Poi Gamo fischiò, era ora della solita partita di allenamento che veniva dopo gli esercizi. La partita era obiettivamente il momento che tutti i ragazzi preferivano per cui si affrettarono a tornare in campo.
-Dobbiamo tenerlo d’occhio.- decise Holly mettendosi in piedi.
-Chi dei due?-
-Entrambi.-
Le ragazze comparvero al centro sportivo una mezz’ora più tardi. Jenny scese dalla macchina per ultima, e per ultima si avviò verso i campi. Gentile la lasciò andare con le amiche, promettendole che avrebbe fatto un salto dalla squadra italiana e dopo l’avrebbe portata a pranzo in un ristorante in cui non era mai stata, da dove si vedeva il panorama di tutta Torino. Jenny fu più allettata dalla notizia che se ne sarebbero andati in fretta da lì che dal locale che lui le prometteva. Non aveva nessuna voglia di incontrare Philip e non riusciva a spiegarsi perché ogni giorno finisse per ritrovarsi al campo anche negli orari in cui non era di turno al bar. Sospirò, raggiunse Evelyn e la prese per un braccio.
-Che altro ti ha detto ieri Benji?-
Gli occhi dell’amica sfavillarono.
-Su Gentile, intendi?-
Jenny annuì.
-Un sacco di cose interessanti.-
-E queste cose interessanti…- che avrebbe evitato volentieri di conoscere -Le ha dette solo a te?-
Evelyn la scrutò.
-Se vuoi sapere se le ha sentite anche Philip, non hai bisogno di fare tanti giri di parole. Puoi chiedermelo chiaro e tondo.-
Jenny si morse nervosamente il labbro inferiore. Parlare con Evelyn era snervante. Incrociò lo sguardo di Amy che stava tornando verso di loro.
-Jenny non ti devi preoccupare.- Amy le sorrise -Benji l’ha presa in giro ed Evelyn, ingenua com’è, c’è cascata con tutte le scarpe.-
-Ingenua io? Scherzi, Amy? Ti assicuro che io di ingenuo non ho proprio niente.- si volse verso Jenny e i suoi occhi lampeggiarono. In un secondo annullò la distanza che la separava da lei. Le fu addosso, le infilò le mani all’interno del cappotto sbottonato e gliele piazzò sui fianchi, facendosi largo con le dita attraverso le pieghe del maglione e quelle della gonna, fino a incontrare la pelle nuda. Jenny saltò indietro ma non riuscì a liberarsi dell’amica. Si sentì palpare sulle natiche, la sentì afferrare l’elastico degli slip e tirarlo. Profondamente indignata le puntò le mani sulle spalle e la spinse indietro, le guance in fiamme.
-Eve! Che accidenti fai?-
-Non scaldarti Jenny, stavo solo controllando se Benji mi ha presa in giro o no.-
-Come ti permetti?- si strinse addosso il cappotto, gli occhi brillavano di indignazione -Ti avevo già risposto in macchina!-
Evelyn fece spallucce.
-Pensavo che ti vergognassi ad ammetterlo!-
Jenny soffocò un’imprecazione. Ci mancava solo la curiosità di Evelyn a rovinarle la giornata. Voltò loro le spalle stizzita e si allontanò verso il campo degli italiani. Non vedeva l’ora che Gentile tornasse e la portasse via. Si abbottonò il cappotto fino al mento, rabbrividendo alla sensazione delle mani di Evelyn che la palpavano ovunque. Sentì le amiche parlare alle sue spalle, forse di lei, ma non le importò. Respirò a fondo, cercando di reprimere la collera.
Amy le lanciò un’occhiata affranta. Poi si accostò ad Evelyn, che si era seduta in panchina come se niente fosse. Ora che la sua curiosità era stata soddisfatta, aveva perso completamente interesse per Jenny e giocherellava col cellulare osservando le foto scattate quel giorno, forse in cerca del fantasma.
-Eve, perché la infastidisci?-
-Io non la infastidisco.-
-L’hai appena fatto. Lasciala in pace.-
-Ero curiosa.-
Patty si avvicinò.
-Se non avesse avuto le mutandine avresti scritto un articolo sui gusti erotici di Gentile?-
Evelyn sollevò il viso di scatto.
-Certo che no!-
-E allora?-
-Ve l’ho detto! Era solo curiosità!- fece spallucce e tornò ad abbassare gli occhi sul display.
Amy si sedette accanto a lei.  
-Cosa stai guardando?-
-Le foto che ho fatto all’agenzia.-
-Hai fatto delle foto all’agenzia? E cosa accidenti c’era da fotografare?-
-Jenny mentre era dentro e voi guardavate le offerte per le vacanze.- le allungò il telefonino -Non ti sembra che questo tizio le stia un po’ troppo addosso?-
Patty vide Amy irrigidirsi di fastidio.
-Eve per favore, adesso non metterti pure ad inventare storie che non esistono!-
-Ma guarda!- insistette lei.
Anche Patty si rifiutò di farlo.
-Evita Jenny, per favore. La sua situazione mi pare abbastanza incasinata senza che ti ci metta anche tu a mescolarla ancora.-
-Vuoi vedere, almeno?- era di nuovo partita per la sua strada.
-No, non mi interessa.-
-Bene!- rigirandosi il cellulare tra le mani, si alzò e raggiunse Jenny.
-Cosa le abbiamo appena detto?- Amy la guardò, poi puntò su Patty uno sguardo incredulo -Vai a fermarla.-
-E come? Non ha mica un interruttore, che posso spegnerlo.- respirò a fondo per calmarsi, cercando di reprimere il fastidio. Conosceva Evelyn da anni e sapeva come arginare la sua curiosità quando assillava lei. Ma Jenny no, Jenny non sapeva che per farla contenta bastava darle spago per un po’ fino a che non si stancava. Ormai aveva capito da tempo che Jenny non era in grado di gestire Evelyn ed Evelyn non aveva idea di come prendere Jenny. QEra ormai certo che quel giorno avrebbero finito col litigare.
Sotto gli occhi sgomenti di Amy e di Patty, la ragazza raggiunse Jenny e la squadrò dall’alto in basso.
-Quell’uomo all’agenzia non ti stava un po’ troppo vicino?-
L’amica si volse e la fissò sgomenta.
-Che stai dicendo?!-
-Che fa? Ci prova?-
-No!-
-A me pare di sì!-
-Mi stava chiedendo dei chiarimenti sulla traduzione!-
-Così vicino?- Evelyn si fece scorrere le foto sotto gli occhi, ne scelse una e gliela piazzò davanti -Guarda!-
L’altra trasecolò.
-Mi hai fotografata? Eve! Chi ti ha dato il permesso?-
-Io fotografo chi mi pare!-
-Non me!- cercò di toglierle il cellulare per cancellare le foto ma Evelyn non glielo permise -Ammettilo! Quello ci stava provando!-
-Non ammetto proprio niente! Tu hai le visioni!-
-Anche il mio cellulare le ha?-
-Insomma la smettete?-
Patty le aveva raggiunte, Amy si mise fisicamente tra loro.
-Io?-
-Sì, Jenny. Anche tu. La smettete di discutere?-
-Che accidenti vi prende?-
-Evelyn mi palpeggia, mi fotografa! Si inventa le cose! Perché date la colpa a me?-
-Non ti stiamo dando nessuna colpa, vi stiamo dicendo solo di smetterla.-
Ad Evelyn sfuggì una risatina ironica.
-Se torni da quel tizio vedrai che ti darà una buona mancia!-
Jenny boccheggiò, la tentazione di schiaffeggiarla fu fortissima. Le mani ficcate nelle tasche e serrate a pugno le impedirono di farlo. Non riuscì a parlare, la voce le morì in gola. Non emise un suono, la fissò sgomenta. Fu Amy a parlare.
-Eve, adesso basta!-
-Basta cosa? Se Jenny non l’ha capito bisogna che qualcuno glielo dica!-
Jenny ritrovò la voce, che risuonò stridula di collera.
-Non c’è niente da capire Evelyn! Smettila con le tue stupide insinuazioni! Prima Salvatore, adesso il signor Morris! Lasciami in pace! Cosa accidenti ci sono venuta a fare qui?- furiosa volse le spalle alle amiche e imboccò il vialetto diretta al bar. Era meglio aspettare Salvatore lì piuttosto che insieme a loro, piuttosto che con Evelyn.
La videro sparire oltre la porta del locale.
-Eve, mi sa che hai esagerato.-
-L’ho fatto per il suo bene. L’ho avvertita e ora farà attenzione.-
Patty la fissò ironica.
-Cioè, dovrebbe anche ringraziarti?-
-Sì, dovrebbe proprio farlo!-
-Callaghan, la smetti di dormire?-
Il richiamo di Benji, secco e brusco, lo riportò al gioco, nel campo, tra i compagni che si passavano la palla continuando la partita, come se il litigio tra Jenny ed Evelyn non avesse avuto luogo. Eppure Philip l’aveva visto. Non aveva udito una parola ma non si era perso un gesto. Si volse indietro e Benji lo assalì.
-Cretino! Davanti a te!-
Philip scorse un movimento veloce alla sua sinistra. Quando si girò, Rob lo aveva appena superato portando la palla con sé.
-Che cazzo fai?- Benji guadagnò furibondo l’altro lato della porta, mentre Clifford correva a marcare Aoi -Muoviti imbecille!-
-Modera i termini, eh?!-
-Un cazzo!-
Il portiere continuò ad insultarlo, distraendolo. Philip non vide Mark agganciare il passaggio di Aoi, non lo vide scagliare il tiro. Successe tutto in un attimo. Il tiger shot gli affondò negli addominali, strappandogli il fiato dai polmoni. Scivolò in ginocchio, la vista annebbiata dalla violenza dell’urto. Boccheggiò in cerca d’aria.
-Oh, scusa Philip! Ti ho svegliato, per caso?- Mark lo scavalcò senza fermarsi e recuperò la palla, proseguendo l’azione come se niente fosse.
-Pezzo di merda…-
Il secondo tiro finì dritto nelle mani di Benji. La parata fermò il gioco e i ragazzi ne approfittarono per riprendere fiato. Mark tornò da Philip che si metteva in piedi, i denti stretti e una mano sullo stomaco acciaccato.
-Allora? Quand’è che ci farai la grazia di tornare a giocare come si deve?-
-Sei il capitano, Philip. Vuoi mettertelo in testa? Dovresti dare il meglio di te, non ciondolare in campo come uno zombie.-
Philip si raddrizzò, gli occhi che passavano da Landers a Price.
-Sono anni che do il meglio di me! Adesso è finito e vi dovete accontentare!- arrancò verso il bordo campo e si lasciò cadere sulla panchina.
-Ma vaffanculo!- gli gridò dietro Mark.
Amy si avvicinò preoccupata.
-Ti ha fatto male?-
Altro che male, porca miseria! Il tiger shot lo aveva spaccato a metà come una noce di cocco, ma non poteva mica dirglielo.
-No… è che mi ha preso impreparato.- sì, magari.
Afferrò la bottiglietta d’acqua che lei gli porgeva e si chiese se non potesse approfittare del fatto di essere il capitano per sbattere Mark in panchina una mezza giornata. Mentre ci rifletteva seriamente, vide Gentile entrare nel loro campo e fermarsi a guardare il gioco che riprendeva senza di lui. Bob Denver era entrato al suo posto.
L’italiano se ne stette per qualche minuto a seguire la palla, le mani ficcate nelle tasche. Gli abiti che indossava quel giorno gli stavano così bene addosso che sembrava appena uscito dal set di un servizio fotografico, il bastardo.
D’un tratto Salvatore gridò qualcosa in italiano e scoppiò a ridere. Philip spostò gli occhi sui compagni e vide Mark che si tirava su da terra dolorante.
Quando udì la voce di Gentile, il ragazzo alzò di scatto il viso.
-Che ci fai lì? Chi ti ha dato il permesso di entrare?!-
Salvatore neppure gli ripose.
-Due giorni di allenamento insieme a queste schiappe e sei diventato una pippa anche tu!-
-Vaffanculo! Sparisci!-
-Non provare a negarlo, ti ho appena visto cadere! Cos’è? Sei inciampato? Ti hanno fatto lo sgambetto?-
Landers puntò la panchina.
-Te ne vai da solo o vuoi che ti sbatta fuori a calci?-
Riuscì a fare solo pochi passi, perché Holly lo intercettò.
-Mark, piantala!- sentì sotto la sua presa i muscoli del compagno guizzare di stizza -Cosa pensi di fare?-
-E me lo chiedi? Buttarlo fuori a calci in culo!-
-Se assiste alla partita da dietro la recinzione o dalle panchine, che differenza fa?-
-Ci sta insultando!-
Holly tirò un profondo respiro paziente.
-Se ci insulta da fuori o da dentro, che differenza fa?-
-Ne fa di differenza, cazzo!- Mark si liberò di lui -Da dietro la recinzione non posso gonfiarlo di botte ma dentro il campo sì!-
-Smettila, deficiente! Torna al tuo posto!- Holly incrociò gli occhi di Philip e quasi sperò che si alzasse per dargli manforte. Invece lui non fece nulla. Rimase a guardarli curioso, quasi deluso.
Gentile lasciò perdere Mark e si avvicinò a Patty.
-Dov’è Jenny?-
-È andata al bar.-
L’uscita di scena di Salvatore bastò a dissolvere all’istante i bollenti spiriti di Landers, e anche quelli di Evelyn.

*

Patty posò le posate nel piatto, ripose il tovagliolo accanto al bicchiere e alzò gli occhi su Mark, alle prese con un ultimo boccone di insalata. Gli stava risultando difficilissimo infilzare quelle ultime rachitiche foglie di rucola con la forchetta. Alla fine le prese con due dita e se le ficcò in bocca. Lui, nel piatto, non lasciava mai niente.
-Hai visto cosa c’è nel cassetto della scrivania di Jenny?-
-Quando sei stata a casa mia, Patty?-
-Stamattina.-
-Ah sì?-
Benji drizzò le antenne.
-E com’è casa di Landers? Una catapecchia?-
-Per niente, anzi è piuttosto carina. Ma non è della sua casa che intendo parlare.- fissò Mark -Voglio sapere se hai visto cosa c’è nel cassetto!-
-No che non l’ho visto! Non frugo tra le sue cose! E non dovresti farlo neppure tu!- spiattellò papale papale anche se in realtà una volta l’aveva fatto, di frugare tra le cose di Jenny. Una sera, agli inizi della loro convivenza, passando davanti la porta della sua camera rimasta socchiusa, l’aveva vista seduta sul letto versarsi delle gocce in un bicchiere d’acqua. Glielo aveva visto fare anche qualche sera dopo. Così un giorno che era tornato e non l’aveva trovata in casa, era salito nella sua stanza e aveva curiosato un po’. Aveva trovato un flaconcino nel cassetto del tavolo e aveva scoperto che Jenny se ne serviva per dormire. Un paio di settimane dopo aveva notato la confezione nel cestino dell’immondizia e quando aveva fatto un secondo sopralluogo in camera sua, non aveva più trovato traccia di medicinali simili.
La replica dell’amico fu un rimprovero a cui Patty reagì arrossendo di vergogna.
-Però in questo caso avresti dovuto farlo.-
-Perché?-
-Ho trovato l’anello che le ha regalato Philip.-
-E allora?-
-E allora se a lei di Philip non importa più nulla, perché se lo sarebbe portato dietro?-
-Chi ti ha detto che non gliene importa più nulla?- la sua espressione confusa lo fece sorridere -Dai retta a me, Patty. Non cercare di capirli perché non ci riusciresti. Io sono settimane che ci sto provando e non sono arrivato a niente.-
-Mi sarebbe risultato strano il contrario. Non brilli per sensibilità né per arguzia.-
Mark ignorò il commento di Benji, posò la forchetta nel piatto e lanciò un’occhiata a Philip che sedeva dall’altra parte della sala, tra Tom e Peter Shake.
-Jenny sa di Julie Pilar.- continuò Patty -Insieme all’anello, nel cassetto tiene la foto di loro due che si baciano.-
-Ah, ecco dov’era finita.-
Patty fissò Mark negli occhi.
-Philip ha lasciato Jenny per mettersi con quella fotomodella?-
-E che ne so? Lei non mi ha detto niente e ieri quando ho provato a parlargli, Philip mi ha assalito.-
-Quando vi siete azzuffati nella hall davanti ai giornalisti?-
-Veramente non ci siamo azzuffati, Price. Dovresti metterti un paio di occhiali, se non ci vedi. O magari posso darti un pugno in faccia e vedere se la tua vista migliora.-
Holly sbuffò spazientito.
-Hai proprio rotto, Mark. Ieri con Philip, oggi con Gentile e ancora non hai finito. Hai sempre voglia di saltare addosso alla gente. Quando la smetterai di avercela col mondo intero?-
-Sei saltato addosso anche a Jenny?- rise Benji con finta innocenza.
Holly lo trafisse con un’occhiata omicida. Stanco di ascoltarli battibeccare, si alzò e raggiunse Philip.
Patty lo seguì con gli occhi.
-Avete deciso chi va alla conferenza stampa?-
-L’ha deciso il mister.- Benji le rispose con un sorrisetto carico di sarcasmo -E sono proprio curioso di sapere cosa dirà Callaghan, visto quant’è loquace in questi giorni.-
Patty lanciò a Philip una seconda occhiata perplessa.
-Deve andare proprio lui?-
-Certo, è il capitano.-
A Benji venne da ridere.
-Landers gli darà una mano… Vero?-
Davanti all’hotel li aspettavano due taxi. In uno salirono Marshall e Pearson, nell’altro presero posto Holly, Philip e Mark che, per stare più comodo, scelse il sedile davanti, accanto all’autista. Osservando le vie e i palazzi di Torino che scivolavano via alla stessa blanda velocità del traffico che intasava le strade del centro, Philip si ricordò improvvisamente che al suo arrivo in Italia non aveva telefonato a Julie, nonostante le avesse promesso di farlo. Non seppe se ridere della dimenticanza o preoccuparsi. Julie si sarebbe infuriata, al minimo ci era rimasta male. Ma in fondo che gliene importava? Non era abbastanza ipocrita con se stesso da non ammettere che con lei aveva costruito un rapporto egoistico in cui si sfruttavano a vicenda. Lei si serviva della sua popolarità per aumentare la propria, facendosi fotografare quando erano insieme, e lui usufruiva del suo corpo. Non era un accordo tanto male, visto l’andazzo degli ultimi mesi. Ma oltre a questo non c’era nient’altro. Nonostante le numerose notti passate nel suo letto, di lei non gli importava. E se all’inizio c’era stato qualcosa che l’aveva attirato verso la modella, ora non era più in grado di ricordare cosa fosse. Neanche impegnandosi riusciva più a trovare un motivo che lo spingesse a continuare a frequentarla. Da quando si erano separati all’aeroporto il pensiero di lei non lo aveva sfiorato una sola volta. Ora che aveva rivisto Jenny, ripensare che fino a qualche giorno prima aveva dormito nel suo letto gli provocava una sorta di fastidio.
-Vero, Philip?-
Si volse verso Holly.
-Vero cosa?-
Mark rise.
-Hai portato il pallone così lo sveglio?-
-Vaffanculo.-
Holly sospirò.
-Perché oggi non mi dà retta nessuno? Stamattina Benji, adesso tu…-
-Magari perché dici solo stronzate.- lo schernì Mark -Patty almeno ti ascolta?-
-Finora sì.- si accorse che Philip era tornato ad osservare la strada e si sentì rimescolare dentro, di rabbia e frustrazione. Sbuffò, gli posò una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione e lui si volse, l’aria un po’ svampita -Cos’hai intenzione di dire alla conferenza stampa?-
-Quello che vuoi.- tentò un sorriso accondiscendente che non ebbe il risultato sperato. Così cercò di correre ai ripari -Perché non parli tu?-
-Pensi che se potessi non lo farei? Il capitano sei tu, Philip. O te ne sei dimenticato?-
-Come potrei dimenticarlo? Non fate altro che ricordarmelo anche se lo sarò solo per qualche giorno. Presto arriverà il tuo nullaosta e i giornalisti dimenticheranno la mia esistenza. Secondo me dovresti parlare tu fin da subito…-
Holly cominciò a scocciarsi.
-Le faranno a te le domande, Philip.-
-Tu credi? Io penso invece che vogliano sentir parlare te.-
Tornò ad osservare la strada, gli incroci, i semafori, i negozi, le vie che percorrevano, la gente. Sospirò mentre tornava ad estraniarsi, udendo appena il brusio delle voci di Holly e Mark. Si sforzò di ascoltarli ma non riuscì a concentrarsi sulle loro parole. Holly poteva anche incazzarsi, ma non era colpa sua se da quando si erano rivisti Jenny gli riempiva la testa. Non che prima ciò non avvenisse, ma adesso accadeva in continuazione: praticamente colmava tutti i suoi pensieri. Se fosse dipeso da lui avrebbe evitato persino di vederla, di incontrarla, di parlarle. E invece lei era lì e l’unica cosa che poteva fare era sforzarsi di ignorare la sua presenza. Un comportamento che doveva a Jenny, ma soprattutto a se stesso. Che l’aveva lasciata a fare, altrimenti? Che senso aveva avuto cercare di ricostruirsi una vita da solo se ora qualcosa era tornato a galla e lo spingeva di nuovo verso di lei? A cosa era servito smettere di frequentarsi se adesso ogni volta che incrociava il suo sguardo sentiva un fiotto caldo riempirgli il cuore?
Era perfettamente consapevole che mesi prima con il suo comportamento e con le sue parole l’aveva ferita nel profondo. L’aveva lasciata, e anche male. Eppure che altro avrebbe potuto fare? Aveva dimostrato quanto fosse incapace di difenderla, di proteggerla, di non farla soffrire. La sua incompetenza e la sua inettitudine l’avevano distrutta. Come avrebbe potuto arrogarsi il diritto di restare al suo fianco? Non era più giusto lasciare che qualcuno davvero in grado di farlo si prendesse cura di lei? Ora certo, aveva seri dubbi che questo qualcuno fosse Salvatore Gentile, ma che diritto aveva di giudicarlo? O di giudicare le scelte di Jenny?
Ricordò con una fitta dolorosa l’ultima volta che si era fermato sotto casa sua con la speranza assurda di vederla, anche solo per un attimo. Aveva accostato la macchina al marciapiede, era sceso confuso e preoccupato dalla sua improvvisa sparizione. Appoggiato allo sportello chiuso, gli occhi sull’elegante villetta abbandonata, si era chiesto per l’ennesima volta che fine avesse fatto. Era rimasto ad osservare le finestre sbarrate per un tempo lunghissimo, mentre il panico l’assaliva, mentre lo invadeva la consapevolezza che Jenny se n’era davvero andata per sempre. E mentre la certezza di averla persa definitivamente gli faceva pizzicare gli occhi, l’anziana vicina era uscita sul vialetto e si era avvicinata. A Philip non stava simpatica. Era una vecchia impicciona che nel corso degli anni aveva fatto la spia ai genitori di Jenny quando tornavano da New York, parlando loro delle sue numerose visite (anche notturne) alla ragazza.
“Jenny non c’è. L’ho vista andar via con una valigia quasi un mese fa.”
Philip si era limitato ad annuire, continuando a restare appoggiato allo sportello. La donna era rientrata e lui non aveva potuto fare altro che risalire in macchina. Quella era stata l’ultima volta che era sceso sotto casa di Jenny. Le volte successive si era limitato a passarci, magari allungando un po’ il percorso e dando un’occhiata alle finestre senza fermarsi. I giorni, le settimane, i mesi si erano susseguiti e non le aveva più riviste aperte. Adesso, in Italia, aveva finalmente capito il perché.
Il taxi si arrestò di fronte ad un imponente edificio. I giornalisti erano assiepati ai lati di un enorme portone spalancato su un signorile atrio col pavimento di marmo, da cui partiva una scalinata che conduceva ai piani superiori.
-Che palle…- si lagnò Mark mentre scendeva e i flash lo accecavano -Sempre la solita storia! Non ne posso più! Che accidenti avranno da fotografare?!-
Philip fu completamente d’accordo. Lasciò che lo superasse e s’impegnò a scomparire dietro la sua schiena. Avrebbe preferito mille volte passare il tempo libero a concentrarsi sui suoi problemi per cercare di risolverli ed ecco invece dov’era finito! Perché doveva essere lui il capitano in attesa che lo divenisse Holly? Perché non Julian? Perché non Tom?
Philip aveva visto giusto quando aveva supposto che i giornalisti avrebbero voluto sentir parlare Holly. E da parte sua Holly rivelò una voglia matta di rispondere alle loro domande. Philip lo lasciò fare. Si accomodò sulla sedia di plastica imbottita e mollò tutto nelle mani del futuro capitano della nazionale, concentrando le proprie energie a soffocare il mal di testa che era tornato ad affacciarsi. Non vedeva l’ora di rientrare in hotel per prendere un’aspirina. Sentì Mark agitarsi accanto a lui e si volse a guardarlo. Fissava la platea e muoveva appena le labbra, concentrato.  
-Che stai facendo?-
-Conto quanti sono.-
-Perché?-
-Più sono e più siamo famosi.-
Philip l’osservò incredulo.
-E da quando ti interessa essere famoso? Prima non volevi neppure che ti fotografassero!-
-Se sono famoso guadagno di più.- replicò con un ghigno.
Marshall tossicchiò furente per zittirli, ma non ce ne fu bisogno. Il sorrisetto compiaciuto di Landers aveva già tolto a Philip la voglia di ascoltarlo. A lui in quel momento non importava né essere famoso, né guadagnare tanto. Quello che aveva adesso gli bastava, e comunque non erano i soldi a mancargli. Cercò di concentrarsi sulle parole convincenti di Holly, che era strasicuro di vincere quella cacchio di amichevole. Quante volte l’aveva sentito parlare così? Quante volte lui stesso aveva risposto in quello stesso modo a quelle stesse identiche domande? Si sforzò di non sbadigliare in faccia a tutti e cercò di attendere pazientemente che la conferenza stampa terminasse.
Finalmente, ad un certo punto, Pearson controllò l’orologio, si alzò e si rivolse all’intera sala.
-Abbiamo tempo solo per un’ultima domanda.-
Una penna scattò in alto dalla prima fila, ad un passo dai ragazzi. Era un uomo sulla quarantina, capelli neri tagliati corti e appena brizzolati sulle tempie. Agli angoli degli occhi, socchiusi di concentrazione, piccole rughe sparivano sugli zigomi alti e pronunciati. La pelle era olivastra, scura quasi quanto quella di Mark, segno che l’uomo doveva passare parecchio del suo tempo all’aria aperta. Teneva in mano un i-phone, sollevato verso di loro. Forse stava registrando.
Kirk annuì, dandogli la possibilità di parlare.
Il reporter puntò gli occhi sui ragazzi e avvolse Philip in uno sguardo carico di aspettativa. La sua voce forte e chiara risuonò nella sala.
-Callaghan, l’attuale ragazza di Salvatore Gentile è la sua ex fidanzata, vero?-
La domanda, inaspettata e improvvisa, colse tutti di sorpresa. Philip neppure tentò di nascondere lo sconcerto. Trasalì, forse persino impallidì. Fissò gli occhi strafottenti e in parte divertiti del giornalista e socchiuse le labbra, più per inalare l’aria che per parlare. Doveva rispondere? Esitò.
-È vero, allora?- lo pressò il giornalista -La fidanzata di Gentile è la sua ex ragazza?-
Mark fremette di stizza. Che Jenny fosse stata la fidanzata di Philip non erano assolutamente affari di nessun altro se non loro. Si alzò di scatto, la sedia cadde a terra alle sue spalle.
-Che razza di domande fa? Non sono affari suoi nel modo più assoluto!- afferrò per un braccio Philip e lo tirò in piedi scostandolo dal tavolo -Vieni, andiamocene. Tanto le domande serie sono finite! - con la coda dell’occhio vide Pearson accorrere.
-Signor Steiner, mi meraviglio di lei.- il tono di Kirk fu gelido -Questa è una conferenza stampa della Federazione e siamo qui per parlare del prossimo incontro della nazionale giapponese con quella italiana, non per mettere in piazza gli stupidi pettegolezzi di riviste scandalistiche. Forse lei ha sbagliato posto.-
Qualcuno, da qualche parte della sala, si lasciò sfuggire una risatina divertita. Steiner reagì con altrettanta rapidità.
-Una cosa non esclude l’altra, signor Pearson.- le sue parole furono venate di sarcasmo. Vide i ragazzi tagliare la corda lungo il lato della tavolata a cui erano rimasti seduti fino ad un attimo prima e tentò di non lasciarseli scappare -Il mio interesse è del tutto innocente e non riguarda un pettegolezzo ma un dato di fatto. La ragazza di Salvatore Gentile è la ex fidanzata di Callaghan, per cui…-
-Se già lo sa, allora perché lo chiede?-
-Perché voglio una dichiarazione dal diretto interessato.-
Philip si volse incredulo ed esitò. Quel tizio ce l’aveva davvero con lui. Forse doveva mandarlo a quel paese una volta per tutte. Mark strinse la presa sul suo braccio e lo strattonò, facendolo incespicare mentre scendeva il gradino della pedana. Rinunciò a fermarsi per insultare il giornalista  e seguì i compagni. Landers non l’avrebbe mollato. Si volse ancora indietro mentre veniva trascinato verso la porta, gli occhi fissi sull’impiccione. Un secondo prima di varcarla il flash di una macchinetta fotografica quasi lo accecò.
Mark non lo lasciò mentre imboccavano le scale, ogni gradino un’imprecazione, un po’ in giapponese e per la maggior parte in italiano. Era furibondo. Holly li tallonava e oltrepassò per ultimo il portone. Sparirono tra la gente e le vie del centro di Torino.
-Che voleva quello, Philip? Lo conosci?- Mark si fermò di botto ad un semaforo rosso e l’amico gli finì addosso. Vedendolo scuotere la testa, lo incalzò -Bill Steiner, del Sapporo News. Ti dice niente?-
-Come fai a sapere chi è?- chiese Holly.
-Ho letto il cartellino di riconoscimento.- guardò di nuovo Philip -Allora? Ti dice niente?
-Bill Steiner?- si sforzò di riflettere e lo fece a fatica perché non riusciva ancora a credere che il rapporto tra lui e Jenny potesse diventare oggetto d’interesse pubblico. Lui per primo non voleva parlare di ciò che c’era stato tra loro, perché avrebbero dovuto farlo gli altri? Poi all’improvviso capì. La foto di lui e Julie Pilar che si baciavano l’aveva scattata proprio quel tizio, Steiner. Quella maledetta foto era opera sua. La foto a causa della quale sua sorella Kate non gli aveva rivolto la parola per una settimana (che pacchia!), sua madre aveva cominciato a scrutarlo sospettosa e suo padre ad affrontare strani discorsi sul mettere la testa a posto, perché la vita non era solo svago e divertimento. Roba che lui si era rifiutato di ascoltare. Quella foto era stata pubblicata nella pagina sportiva del Sapporo News. Era lui, Bill Steiner, l’autore di uno scatto che a casa gli aveva causato un sacco di rotture di palle.
-L’ho già sentito.- si limitò a dire.
-Mark, devi avvertire Jenny.-
Gli occhi di Philip fulminarono Holly.
-Perché?-
Glielo spiegò immediatamente, Holly, il motivo.
-Perché potrebbe voler fare a lei la stessa domanda che ha fatto a te. È meglio avvisarla, no?- spostò gli occhi su Mark -E adesso che facciamo?-
Lui fece spallucce.
-Ce ne torniamo al campo. Per star dietro a queste stronzate abbiamo perso tutto il pomeriggio.-
Arrivarono al tramonto, perché sul loro percorso incrociarono un corteo di gente che gridava contro il governo e contro una nuova linea ferroviaria. Furono costretti a scendere dall’autobus, fare a piedi quasi tre chilometri e risalire sul tram che li portò dall’altra parte della città. Le luci del centro sportivo erano accese e gli allenamenti erano ormai agli sgoccioli. Freddie e Kirk erano già lì, con il taxi dovevano essere tornati da un bel pezzo.
-Dove siete finiti? Stavamo cominciando a preoccuparci!-
-Non l’avete beccato voi, il corteo?-
Pearson annuì.
-Gli abbiamo girato intorno.-
-Noi invece ci siamo cascati nel mezzo.- Mark si lasciò sfuggire una smorfia di contrarietà -Si sapeva che la conferenza stampa sarebbe stata soltanto una perdita di tempo. La prossima volta non contate su di me.-
Philip sbuffò, nervoso.
-Che palle, stai sempre a lamentarti.-
-Ah! Perché? Secondo te le domande dei giornalisti sono state utili?-
Gamo aveva smesso di ascoltarli, tanto secondo lui il ritardo non era dovuto al corteo. S’erano sicuramente trastullati da qualche parte. Forse doveva far loro la prova del palloncino, per vedere se s’erano fermati al bar. Da Mark se lo aspettava e da Philip, visto come si stava comportando in quegli ultimi giorni, pure. Ma Holly… da Holly no. Chiaramente lo avevano costretto. Fischiò stizzito la fine degli allenamenti e Philip ne approfittò per tagliare la corda.
-Comincio ad andare.-
Holly lo guardò.
-Andare dove?-
-In hotel!-
-Non vuoi aspettare gli altri?-
Philip fece una faccia che la diceva lunga su quanto gliene importasse degli altri e s’incamminò, le mani nelle tasche. Il tramonto aveva dipinto di indaco il cielo e a oriente qualche stella cominciava già a brillare.
Mark e Holly raggiunsero il bar. Quando Evelyn li vide entrare scattò in piedi e si fiondò su Holly.
-Hai registrato, vero?-
Lui annuì e tirò fuori dalle tasche un piccolo registratore. Lei lo accese e se l’accostò al viso, sperando che l’audio fosse buono.
-Invece di romperci le scatole, non potevi venire?-
Mark alzò gli occhi su Jenny, al suo posto dietro il banco del bar. Lei, che li ascoltava pensierosa, si riscosse e gli riempì il bicchiere. Su un angolo del ripiano, in una bottiglia riciclata, era stato infilato un mazzo di margherite arancioni corredate da qualche sprazzo di iris viola.
Mark sorseggiò la bevanda e andò dritto al punto, perché a lui piaceva prendere le rogne di petto.
-Alla conferenza stampa uno dei giornalisti ha ficcato il naso negli affari di Callaghan… anzi, nei vostri. Gli ha chiesto se la ragazza che frequenta Gentile è la sua ex.-
Jenny si irrigidì.
-Certo che lo sono, e allora?-
-Allora niente. Mi metti un po’ di ghiaccio?- la guardò mentre lo accontentava -Ci sono buone possibilità che quel fotografo si presenti al campo per fare la stessa domanda anche a te. Se dovesse accadere, qualsiasi cosa ti chieda non dargli retta, e fila via se non vuoi finire sui giornali.-
-Come si chiama?- domandò Evelyn.
-Bill Steiner.-
Impiegò un istante, la ragazza, ad abbinare quel nome all’autore della foto. Si morse la lingua e fissò Jenny, chiedendosi se anche lei stesse facendo il suo stesso collegamento e, in caso contrario, se fosse il caso di farglielo presente.
-Ma… perché?- chiese Jenny, passandosi nervosamente parte della frangia dietro un orecchio.
Fu Evelyn a risponderle.
-Per lo scoop.-
-Quale scoop? Io non sono uno scoop! Non c’è nulla di interessante in me!-
-Questo lo credi tu. Pensaci un attimo. Sei l’ex di Callaghan, abiti con Landers ed esci con Gentile. Non ti pare abbastanza? Quel tizio sarebbe in grado di scrivere un romanzo sulla tua poco interessante situazione.-
Patty le posò una mano sul braccio e le sorrise rassicurante.
-Non preoccuparti, Jenny. Se lo incontri è sufficiente che lo ignori. Può farti tutte le domande che vuole ma non può obbligarti a rispondere.-
Lei annuì, per nulla tranquillizzata. Alzò gli occhi su Holly.
-Non vuoi niente da bere?-
Evelyn la osservò mentre versava dell’acqua tonica per il compagno, poi la sua attenzione venne catturata da Gentile che varcava la porta del bar. Individuata Jenny, si diresse verso di loro. Sembrava non avere occhi che per lei.
-Ciao tesoro.- Salvatore poggiò la borsa sportiva a terra e le si avvicinò per stamparle un bacio sulle labbra.
Mark gli mollò uno spintone che quasi lo mandò lungo sul ripiano.
-Non puoi proprio evitare di farlo davanti a tutti?-
Gentile lo fissò sgomento e si raddrizzò, colto di sorpresa da un gesto che non si aspettava. Non ebbe neppure la prontezza di mollargli un calcio. I suoi occhi azzurri lampeggiarono di stizza.
-Davanti a tutti o davanti a Callaghan? E comunque scommetto quello che ti pare che a Callaghan dà fastidio che la sua ex abiti da te, non che io la baci.-
Jenny li osservò irritata. Succedeva troppo spesso che quei due parlassero di lei in italiano escludendola dai loro discorsi. Oltretutto, che Gentile avesse pronunciato due volte il nome di Philip non era un buon segno. Distolse gli occhi da loro, finendo per posarli su Shake che entrava nel bar con Danny Mellow, Paul Diamond e Patrick Everett. Per la prima volta lei e Peter riuscirono a studiarsi con calma.
Shake le sorrise, controllò che Philip non fosse nei paraggi e si decise a raggiungerla. Poi vide Landers e Gentile che questionavano ad un passo dal bancone ed esitò. Non fu Landers a frenarlo, in realtà. Fu l’italiano. Quel tizio così alto, così biondo e così sicuro di sé, che per di più stava così attaccato a Jenny, lo metteva in soggezione. Insieme all’amica aveva sempre visto il capitano della Flynet mentre adesso la presenza al suo fianco di quello sconosciuto gli rendeva difficile riconoscere persino lei.
Si guardò intorno. Philip non si vedeva da nessuna parte, chissà dove cavolo era finito. E se Philip non si vedeva, lui doveva approfittarne, nonostante l’ingombrante presenza dell’italiano. Un’occasione così proficua per scambiare due parole con Jenny doveva assolutamente essere sfruttata. Mentre i compagni che erano con lui si sistemavano ad un tavolo, raggiunse il banco del bar.
-Jenny, possiamo parlare?-
La giovane all’inizio tentennò, ma poi finì per annuire perché non poteva proprio rifiutarsi. Aveva evitato Peter Shake per due giorni ed era arrivato il momento di affrontare anche lui. Gentile si zittì di colpo e li seguì con lo sguardo mentre si spostavano.  
-Chi accidenti è quello adesso?-
Le labbra di Mark si incurvarono in un sorriso saputo. Avrebbe potuto lasciarlo a macerarsi dalla curiosità, e invece preferì mostrarsi saccente.
-Un ex compagno di scuola di Jenny.-
-Di scuola?- lo scrutò -Mi stai prendendo per il culo?-
-Mi piacerebbe ma stavolta no.-
Salvatore si grattò una guancia, dando sfogo alla propria incredulità.
-Vi conoscete tutti? Cioè, vi conoscete tutti da prima di entrare in nazionale?-
-In Giappone chi ha un minimo di talento calcistico si conta sulle dita di un paio di mani.-
Gentile scoppiò in una risata.
-Talento? Stai parlando di talento? Ma dove?-
-Coglione, vuoi che ti risponda o no?- l’altro annuì -Bene, allora taci prima di farmi passare la voglia di farlo.- Mark riprese a spiegare -Come ti dicevo, visto che a giocare a calcio in Giappone non siamo in molti, prima o poi abbiamo finito per incontrarci tutti nei tornei interscolastici.-
-E allora anche tu conoscevi Jenny dal liceo?-
-Lei no, ma la maggior parte di noi sì. E non dal liceo, dalle scuole elementari.- finito il chiarimento, riprese la polemica -Se pensi che noi giapponesi siamo tutte pippe, spiegami per quale motivo gioco con te nella Juventus.-
-Ti giuro che me lo sto chiedendo ancora, praticamente non ci dormo la notte!-
Mark lo fissò astioso, poi incrociò lo sbadiglio di Holly che si era già rotto di ascoltare l’intonazione vocale del loro battibecco. Ingoiò la risposta acida per amore della pace e osservò Gentile che guardava Jenny mentre lei parlava con Shake. Poi, visto che aveva ancora sete, si allungò oltre il bancone e si prese un’altra coca-cola.
-Devi chiamare Grace e dirle che sei qui, perché se lo scopre non mi darà pace.-
-Peter, Grace lo sa da mesi!-
Il ragazzo ammutolì, poi si riscosse.
-Impossibile! Non mi ha detto niente!-
-Ti assicuro che lo sa! Come potevo tenerglielo nascosto? Non puoi immaginare quanto mi ha cercata…-
-Lo immagino, invece.- si guardò intorno, il timore che Philip spuntasse nel bar. Non ci teneva a farsi beccare a parlare con Jenny. Sapeva che se li avesse visti insieme, lui gli avrebbe messo il muso e dal momento che già gli parlava a malapena, era meglio evitare almeno questo. Non lo vide e continuò -So che la colpa non è tua, Jenny. Per quello che è successo con Philip, intendo. Lui è cambiato e…- esitò, non sapendo come continuare -Ci sono così tante cose di cui vorrei parlarti ma…-
-Preferisco di no, Peter. Per favore, sto cercando di dimenticare.- abbassò gli occhi e la sua voce si affievolì perché si rese conto che sarebbe stato impossibile.

Le poltrone della hall erano così confortevoli che Philip avrebbe potuto passarci comodamente tutta la notte. Sprofondato tra i cuscini in attesa, vide Gamo e Marshall varcare le porte a vetri. Pearson dietro di loro esitò un istante. Prese un’altra boccata di nicotina, poi gettò via la sigaretta ed entrò nell’hotel. Allora si alzò e li raggiunse.
-Io esco.-
Gamo spalancò la bocca.
-Come?-
-Esco.-
-E quando torni?- chiese Marshall tranquillo.
-Dopo.- siccome Gamo scuoteva la testa, cercò di indorare la pillola -Non troppo dopo, giusto un paio d’ore.-
-Va bene, ma non fare tardi.-
L’arrendevolezza di Marshall lo stupì. Non credeva che sarebbe stato così facile convincerli. E infatti Gamo non fu d’accordo.
-Non va bene per niente, invece!-
Philip s’intestardì. Aveva assolutamente bisogno di uscire, di stare alla larga dai compagni e da tutto.
-Torno presto.-
-No, resti qui.-
-Non può costringermi. Posso uscire senza che lei se ne accorga. L’ho avvertita e dovrebbe apprezzarlo.-
-Tu sei il capitano e non puoi andartene a zonzo come ti pare! Comportati da capitano e resta con la tua squadra!-
Philip fremette, quel ruolo gli era stato imposto. Nessuno gli aveva dato la possibilità di rifiutarlo e adesso il mister glielo ritorceva contro.
-Non ho scelto io di esserlo!-
-Lo hai sempre fatto!-
-Basta così.- Marshall li interruppe prima che la discussione si inasprisse. Per prima cosa avrebbe accontentato il ragazzo, poi si sarebbe dedicato a calmare il collega -Philip, puoi uscire ma non devi fare tardi.-
Lui si allacciò la giacca a vento e un attimo dopo era già fuori dell’hotel.
-Non intestardirti Gabriel. Lascialo stare, mangerà qualcosa fuori e poi tornerà. Tanto ha ragione. A meno che non lo chiudi a chiave in camera, se si è messo in testa di uscire lo farà.-
-Si è inselvatichito. Prima non era così.-
-Quando i ragazzi crescono cominciano a fare di testa loro.-
A Gamo ciò non piaceva per niente. Represse la collera e s’incamminò furente verso la sala da pranzo. Pearson e Marshall si scambiarono un’occhiata, poi lo seguirono.
Philip respirò a pieni polmoni l’aria fredda della sera. La luna era sorta e ora splendeva nel cielo oscurando le stelle. Mentre camminava lungo il marciapiede osservò il suo riflesso perlaceo sulle Alpi coperte di neve. Con un po’ di fantasia avrebbe potuto immaginare di essere in Hokkaido. Si strinse la sciarpa intorno al collo e raggiunse la fermata.
L’autobus passò subito e Philip salì. Acquistò un biglietto dall’autista, prese posto sul fondo e si sentì finalmente più leggero. Aveva davvero bisogno di uscire. Lasciò vagare lo sguardo sulla strada, chiedendosi per la centesima volta cosa volesse da lui quel giornalista, perché si accanisse così. Era impossibile che la redazione gli chiedesse di scrivere un articolo su di lui e sulla sua vita privata. Merda. La vita privata si chiamava appunto così perché non doveva essere pubblica. Cosa importava alla gente se lui frequentava Julie? Perché erano interessati a sapere se Jenny, che ora stava con Salvatore Gentile, era la sua ex? Perché certe persone vivevano dei fatti degli altri? Non avevano nient’altro da fare?
Scese in quella che suppose essere una delle piazze centrali di Torino e si guardò intorno. Era quasi ora di cena e in giro c’era poca gente. Si ficcò le mani nel caldo delle tasche e s’incamminò seguendo un percorso a caso sotto i portici, al riparo dal vento e dall’umidità. Ad un certo punto si ritrovò davanti al Mc Donald’s della sera prima e decise di fermarsi a mettere qualcosa nello stomaco.  
Spinse la porta a vetri guardandosi intorno. Il locale portava tracce dell’antico arredamento di una volta. Stucchi dorati e specchi avevano molto poco di moderno e di consono ad un fast-food americano m a nello stesso tempo lo rendevano un locale decisamente caratteristico. Quando l’ebbe osservato abbastanza, si avvicinò alla cassa. Con gli occhi sollevati ai tabelloni dei menù appesi sopra al personale in servizio, ordinò un panino e una coca-cola. La ragazza che era dall’altra parte del bancone gli rispose in un giapponese perfetto. Philip lì per lì neppure ci fece caso. Ma quando abbassò la testa per pagare e la guardò, la riconobbe subito. Era la ragazza metà giapponese e metà italiana amica di Aoi.
-Non dovresti essere a cena con la tua squadra?- domandò lei.
-Sì, dovrei. Ma mi sono preso una pausa.-
-Stress pre-partita?-
-Non proprio.- figuriamoci, la partita era l’ultimo dei suoi pensieri.
Lei sollevò il vassoio e glielo porse, strizzandogli un occhio.
-Se non hai impegni aspettami di sopra. Tra poco finisco il turno e ti porto in un posto fichissimo!-
Philip annuì e imboccò le scale. Se l’amica di Rob aveva tempo da perdere, quella sera era ben felice di occuparglielo. Non aveva nessuna intenzione di tornare subito in hotel, non gli andava di fondersi il cervello sui significati della domanda del giornalista ficcanaso. Non gli andava che gli amici si preoccupassero per lui. Non aveva gradito il comportamento protettivo di Mark alla conferenza stampa. Non voleva sentirsi protetto da nessuno, tanto meno da Landers. Non gli era piaciuto essere strattonato via. Non gli era piaciuto non aver avuto abbastanza sangue freddo da reagire come quel giornalista meritava. In conclusione, diamine se s’era rotto. Ne aveva piene le palle di quella giornata, non vedeva l’ora che finisse.
Avanzò tra i tavolini in cerca di un posto libero, chiedendosi se il resto della sua vita sarebbe stato altrettanto deludente. Forse d’ora in poi le cose sarebbero andate sempre così, di merda. Non voleva farsi rovinare l'esistenza da una serie di eventi che erano andati fuori dal suo controllo, scatenati da un bastardo straricco che si era arrogato il diritto di fare con Jenny ciò che voleva. Non ne poteva più neppure di rimuginare sul vortice di casini in cui era stato risucchiato. Philip desiderava solo capire una buona volta come cavarsela, come superare quel momento e andare avanti. Si sedette su una delle anonime sedie di plastica uguali in tutti i McDonald’s del mondo, appoggiò la schiena alla spalliera e afferrò il panino. Puntò gli occhi sulla finestra, sulle macchine ferme al semaforo, e addentò l’hamburger.

-Dov’è Philip?-
Mark aveva un diavolo per capello. L’amico era scomparso all’improvviso dopo che aveva praticamente costretto Jenny a fermarsi a cena in hotel, cosa che non andava neppure a lui di fare. Patty quella mattina aveva trovato l’anello di Philip nel cassetto della sua scrivania, Mark quella sera li avrebbe fatti tornare insieme. O almeno avrebbe voluto provarci. Aveva passato quasi mezz’ora, aspettando la cena, a rimuginare su come riuscire a farli sedere se non vicini, almeno allo stesso tavolo. E quando aveva trovato la soluzione al dilemma, quel deficiente di Philip era sparito, mandando all’aria il suo piano perfetto.
-Marshall ha detto che è uscito.- rispose Holly.
-E dov’è andato?-
-Chi lo sa? A fare un giro immagino.-
Bruce non si scompose, anzi, si mostrò sollevato.
-Ha fatto bene a togliersi di torno. Visto quant’è di compagnia ci avrebbe rovinato la serata.-
-Se ti fai rovinare la serata dal malumore di Philip, sei davvero un cretino.-
Jenny guardò Mark che, dopo aver gelato Bruce, riprendeva tranquillo a mangiare. Si sforzò di fare altrettanto, ma l’argomento di conversazione non era dei più graditi e le era passata la fame. Anche soltanto sentire il nome di Philip le aveva chiuso lo stomaco quasi più della presenza di Evelyn a tavola. Aveva evitato di rivolgerle la parola, persino di guardarla, e lei aveva fatto altrettanto.
-A proposito, Bruce…- Holly appoggiò le posate sul piatto e fissò l’amico dritto negli occhi. Il suo tono di voce mise l’altro in guardia -Mi piacerebbe non vederti più discutere con lui.-
-Io?-
-Sì tu. Evita di provocarlo e staremo tutti più tranquilli.-
-Io non l’ho provocato. È lui che ha la coda di paglia.-
Benji sbuffò.
-L’uno e l’altra. Piuttosto sentite qui, ho avuto un’idea.-
Holly tremò mentre il portiere riprendeva a parlare, approfittando che per una volta fossero finiti tutti insieme allo stesso tavolo.
-La proprietà commutativa dice che se Callaghan è uscito possiamo farlo anche noi.- spostò gli occhi su Landers -Perché non ci porti in qualche locale interessante?-
-Perché dovrei portare a spasso proprio te?-
Amy s’illuminò. Frugò nella borsetta appesa sullo schienale della sedia e tirò fuori la guida di Torino.
-C’è un caffè famoso segnalato anche qui sopra. Mi piacerebbe andarci. È in centro.- aprì il libro e lo allungò verso il compagno, mostrandogli la foto del locale.
Mark spalancò gli occhi.
-Scherzi? È il più caro di Torino!-
-Non importa, Mark. Se è segnalato dalla guida vuol dire che vale la pena. Se non ti va di prendere niente, saremo noi a ordinare. Tu basta che ci accompagni.-
Benji rise. La spilorceria del compagno stava facendo storia. Col suo attaccamento viscerale ai soldi s’era reso ancora una volta ridicolo e per di più da solo, senza che lui aprisse bocca.
-Possibile che con quello che ti pagano devi vivere come un morto di fame?- tolse la guida dalle mani di Amy e diede una rapida scorsa alla descrizione del locale -Hanno solo cioccolato?-
-Cioccolato e vino.- Jenny c’era stata una volta perché ce l’aveva portata Gentile.
-Io sono d’accordo.- approvò Julian che voleva far contenta Amy -Chi dice a Gamo che stasera usciamo?-
-Perché a Gamo e non a Marshall?-
-Perché Marshall conta come il due di picche, Bruce.- gli ricordò Tom -E se anche Freddie ci dicesse di sì, poi è Gamo che dobbiamo sorbirci domani al campo.-
-Insomma, chi ci va?-
-Perché non glielo dici tu, Jenny?- li sorprese Mark -Stamattina ci andavi così d’accordo…-
-Non è vero.-
-Invece sì. Che avevi da ridere con lui?-
-Niente. Però Gamo non è tanto male, in fondo.-
Evelyn non fu per niente d’accordo.
-Molto in fondo. Marshall non è tanto male, Gamo è insopportabile. Punto.-
Jenny annuì di colpo convinta.
-Hai ragione. Gamo è insopportabile quindi è molto meglio se ci parla Holly.-
Lui si tirò indietro subito. Non la voleva quella rogna.
-Figuriamoci! Non sono neppure il capitano.-
Tom gli sorrise.
-A te dà retta sempre, indipendentemente dal ruolo.-
-Preferisco non uscire piuttosto che andare a chiedergli il permesso.-
Patty lo vide impuntarsi e capì che non l’avrebbero convinto.
-Jenny, ci vai tu? Il massimo che può fare è risponderti di no.-
-E cosa dovrei dirgli? Che vi porto in giro a fare tardi? Con gli allenamenti? Con la partita alle porte?-
Amy la guardò supplichevole.
-Jenny, per favore…-
La preghiera si spense nel silenzio. Col sottofondo dei compagni agli altri tavoli che ridevano e scherzavano, la ragazza capitolò.
-E va bene. Io ci provo ma non mi dirà mai di sì.-
Invece ci mise un secondo, a convincere Gamo. Fu così facile, rapido e indolore che lei stessa non riuscì a capacitarsene. Gli altri l’aspettavano già pronti per uscire, armati di borsette, cappotti e giacche ad un passo dall’ingresso dell’hotel.
Tesa e guardinga, Jenny raggiunse Gamo che sedeva al bar insieme a Marshall, indecisi entrambi su cosa ordinare. Erano chini sul menù e così presi che non si accorsero del suo arrivo. Tanto che Jenny fu costretta a tossicchiare per attirare l’attenzione.
Si volsero. Gamo la scrutò dall’alto in basso con una tale insistenza da metterla a disagio. Ma non era quella l’intenzione del mister. Il fatto era che non riusciva a riconoscerla. Quella ragazza graziosa e spigliata era così cambiata in poco tempo che non era più in grado di trovare traccia, in lei, della giovane intimorita che due anni prima, quando era piombato al ryokan dei suoi nonni, aveva tremato sotto il suo sguardo. Ricordava perfettamente che quando era entrato nell’edificio, lei e Callaghan erano sulle scale talmente presi a sbaciucchiarsi che non si erano neppure accorti del suo arrivo.
-Da quanto tempo sei in Italia, Jenny?-
Quella non era una domanda che lei si aspettava. Anzi, era una domanda che non c’entrava nulla con niente. Lo fissò stupita. Le sue guance si imporporarono di imbarazzo e fu costretta ad uno sforzo per rispondergli invece di darsela a gambe.
-Quasi tre mesi.-
Gamo incamerò l’informazione annuendo.
-E cosa ci consiglieresti di bere?-
-Come?-
Il mister indicò con un gesto gli scaffali del bar.
-Di tutta quella sfilza di bottiglie, cosa ci consigli di prendere? Ci piacerebbe assaggiare qualcosa di tipicamente italiano.-
-Io non…- i suoi occhi corsero ai compagni che l’aspettavano fiduciosi, poi tornarono sul mister in attesa, infine si spostarono sulle bottiglie di liquori e bevande. Non lo sapeva. Non ne aveva la più pallida idea. Cosa accidenti poteva consigliare a Gamo? Col rischio che se avesse toppato i suoi gusti non avrebbe acconsentito a farli uscire? Il liquore Strega? L’amaretto? Il limoncello? Erano quelli che più le piacevano ma erano dolci e i giapponesi (soprattutto i maschi) per i dolci non andavano pazzi. Mark non gradiva particolarmente l’alcol, ma i gusti di Salvatore sarebbero andati bene anche a quei due? Forse era meglio un nocino? Una grappa? Una sambuca? Un amaro? Si morse le labbra indecisa, passando in rassegna le bottiglie alle spalle del barman, che aspettava paziente che qualcuno gli dicesse cosa fare.
Si buttò e ordinò un amaro. Prima che avessero il tempo di assaggiarlo, avanzò la sua richiesta.
-Vorrei portare gli altri in un caffè del centro.- notò che Gamo aggrottava la fronte -Staremo via poco, veramente il tempo di andare e tornare.-
Freddie scoppiò a ridere.
-È la serata delle fughe. Non puoi dirle di no, Gabriel.-
Lui e il collega spostarono gli occhi sui ragazzi in attesa nella hall, fin troppo vicini alle porte, pronti ad uscire. Gamo ebbe una voglia matta di mandare all’aria la loro serata, visto che con Philip non c’era riuscito. Questa cosa gli piacque, il potere che gli aveva messo in mano Jenny lo gratificò. E così acconsentì. Del resto, come aveva appena ribadito Freddie, se aveva permesso a Callaghan di uscire, non aveva nessuna scusa per impedirlo a loro. Annuì.
-Non fate tardi.-
Jenny vide Marshall sorriderle incoraggiante. Mentre il barman posava sul ripiano due bicchierini discretamente pieni, li salutò e si affrettò a raggiungere gli amici.
Bruce fremeva per sapere.
-Allora?-
-Allora andiamo.-
-Hanno fatto storie?- Tom si corresse -Gamo ha fatto storie?-
-Veramente ha detto subito di sì.- stentava a crederci persino lei.
Amy esultò.
-Togliamoci di torno prima che ci ripensino.-

*

Carol raggiunse Philip ai tavoli del primo piano del Mc Donald’s. Aveva abbandonato la divisa puzzolente del fast-food, s’era profumata alla bell’e meglio e si era avvolta in un cappotto nero che le arrivava sotto il ginocchio.
-Tu sei il capitano della nazionale giapponese, vero?-
-Sostituisco Oliver Hutton finché non gli arriva il nullaosta.-
-Come ti chiami?-
-Philip.-
Gli rivolse un sorriso pieno di calore e cordialità mentre si stringevano la mano.
-Io sono Carol e sto per portarti in un posto che ti piacerà sicuramente. Tanto sei libero stasera, no?-
Philip annuì, si alzò e s’infilò la giacca a vento. La seguì fuori, fino alla macchina parcheggiata in una delle stradine laterali. Visto che non aveva nessuna voglia di tornare in hotel, qualsiasi posto sarebbe andato bene ma il disco-club in cui Carol lo introdusse, gli tolse di bocca ogni parola.
-Questo è un posto da vip e non si può entrare senza invito.- gli spiegò dopo che un addetto alla sicurezza li lasciò varcare l’ingresso saltando la fila.
-E tu ce l’hai?-
-Io posso entrare perché qui ci lavoro. Ballo sul cubo e intrattengo gli ospiti.- gli sorrise ammiccante -Gli ospiti maschi.-
Philip la fissò sgomento. L’amica di Rob era una escort? La guardò meglio mentre lei si sfilava il cappotto. I suoi occhi erano perfettamente truccati, i capelli castani e fluenti perfettamente pettinati, il rossetto di una tonalità accesa impeccabile, il sorriso provocante. Sotto il soprabito indossava una tenuta che era senza dubbio più da discoteca che da Mc Donald’s. La maglietta dello stesso colore del rossetto lasciava intravedere una scollatura più italiana che giapponese. La gonna era nera, cortissima, e lasciava scoperto un bel pezzo di gamba. Ai piedi aveva un paio di stivaletti neri con il tacco. Qualcosa dentro di lui si mosse, qualcosa di quella giovane risvegliò il suo interesse.
-Quanti lavori fai?-
-Altri due, oltre a quelli che hai visto.- appoggiò il cappotto ben ripiegato sui cuscini di un divanetto -Cosa prendi? Ordina quello che vuoi, sei mio ospite e offre la casa.-
-Ci porti anche Aoi, qui?-
Lei rise.
-Rob ed io ogni tanto ci frequentiamo, ma non è che stiamo insieme. Comunque sì, ci porto anche lui. Anzi, è lui che mi viene a trovare, qualche volta. Allora? Che prendi da bere?-
Le chiese una birra e Carol si allontanò per recuperarla al bar. Philip si tolse la giacca, pensando che quella giornata di merda poteva ancora raddrizzarsi. Incontrare Carol al Mc Donald’s era stata la svolta della serata. Senza di lei sarebbe rimasto a ciondolare da sfigato tra le vie buie e fredde di Torino. Invece in quel locale, al caldo, con una birra e in sua compagnia forse sarebbe riuscito ad accantonare il pensiero di un futuro che non riusciva proprio a immaginare, sia con che senza Jenny. Ormai era inevitabile che pensasse a lei. Ce l’aveva davanti tutti i giorni e la sua presenza lo costringeva a riflettere su cosa sarebbe successo una volta tornato in Giappone. L’aveva scacciata dalla sua vita e ora non ne avrebbe fatto più parte. Pensò a ciò che provava per lei, per una volta non cercò di allontanare quei sentimenti. Li lasciò stare lì, per un po’, cosa che non accadeva quasi mai perché poi Jenny gli si insinuava dentro come una droga e il suo pensiero lo faceva soffrire da cani. Finiva sempre allo stesso modo: o il desiderio di esserle accanto lo devastava, oppure gli si riapriva nell’animo una ferita che non era in grado di guarire. Eppure non riusciva a resistere alla tentazione di pensare alla vita che avrebbero potuto vivere se solo le cose fossero andate diversamente.
Carol rimase a guardarlo con le birre in mano. Philip teneva gli occhi sulla pista e non si era accorto di lei. Le studiava sempre, le persone, Carol, soprattutto quelle che aveva appena conosciuto. Le osservava con attenzione, cercava di capire che tipi fossero, che storia avessero alle spalle. Farlo la divertiva. Indovinare le caratteristiche di chi aveva davanti, i pregi e i difetti, la metteva di buonumore. Era una sfida con se stessa e con il prossimo. Lei adorava le persone, il genere umano in generale, ed era difficilissimo che qualcuno non le piacesse. Philip però non riusciva ad inquadrarlo. C’era qualcosa che lo rendeva imperscrutabile. E qualche altra cosa, di molto profondo, che lo faceva soffrire. Si avvicinò e gli porse la bevanda. Lo osservò sorseggiare in silenzio la birra mentre i suoi occhi guizzavano verso la gente che ballava e, era sicura, si posavano sulle gambe e sulle scollature delle ragazze. Ma non era divertito e non era felice. I loro sguardi si incrociarono e lui accennò un sorriso. Quando sorrideva, era molto meglio.
-Che c’è?-
-Ti va di ballare?- posò i bicchieri sul tavolino, lo costrinse ad alzarsi e lo trascinò al centro della ressa.
Philip la lasciò fare, in fondo perché no? Si chiese cosa sarebbe successo se Gamo avesse scoperto come stava passando la serata e fu sicuro che non ne sarebbe stato per niente contento.
L’esuberanza della giovane lo aiutò a sciogliersi, ma non resistette molto lo stesso. La stanchezza di una lunghissima e stressante giornata gli piombò addosso tra una canzone e l’altra. Si separò da lei, raggiunse il bordo della pista, si appoggiò al bancone del bar e ordinò un’altra birra. Quando spostò gli occhi in cerca di Carol, incrociò quelli di una ragazza che sedeva dall’altra parte del bar. Lo stava fissando chissà da quanto tempo. La osservò meglio, era molto attraente. Lei lo guardava ed era chiaro che era interessata. Riportò l’attenzione prima sul bicchiere di birra, poi sulla pista da ballo. Cercò Carol e tra la miriade di corpi che si muovevano a ritmo in quell’oscurità non riuscì a individuarla. Tornò a scrutare la ragazza, che quando incrociò i suoi occhi sorrise di nuovo. Philip non provò nulla, neppure curiosità. Se si immaginava anche solo di stringere tra le braccia o baciare qualcuna, gli veniva in mente esclusivamente Jenny. La sconosciuta continuò a tenere gli occhi fissi su di lui. Era un invito fin troppo chiaro, a Philip sarebbe bastato fare un cenno. Sospirò e guardò il bicchiere, quella sera a fargli compagnia ci sarebbero state solo un paio di birre. Ed erano più che sufficienti.

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Capitolo 11
*** Decimo capitolo ***


Decimo capitolo



La pioggia scrosciava violenta contro le persiane e quel ticchettio, insistente e continuo, aveva finito per svegliare Mark. Erano le tre e mezza e fuori s’era scatenato il finimondo. Un lampo illuminò la stanza di un bagliore accecante, poi un tuono scoppiò poco lontano. Sbuffando indispettito da quel baccano, Mark scalciò via le coperte con un movimento troppo brusco. Un crampo alla gamba lo bloccò sdraiato. Le fitte gli salirono al cervello, il dolore fu insopportabile. Imprecando a denti stretti si girò sulla pancia e puntò il piede contro il letto, stendendo il muscolo del polpaccio. Premette il viso contro il cuscino e mugolò di sofferenza. Terribile! Era veramente terribile! Inspirò ed espirò a fondo, mentre a poco a poco le fitte si placavano. Impiegò diversi minuti prima di tornare padrone dell’arto. Agitò le dita del piede, poi tentò di stirare la gamba per allungare i muscoli. Vide di nuovo le stelle. Maledetto Gamo, maledetti i suoi allenamenti infernali. Maledetti tutti! Riprese fiato, riuscì a voltarsi, a sedersi sul letto e, con precauzione, a mettersi in piedi. Zoppicò verso la porta, il polpaccio ancora teso e irrigidito. I tuoni rombavano senza sosta, con quel fracasso e quel dolore sarebbe stato impossibile rimettersi a dormire. Fece una rapida capatina in bagno, poi scese di sotto aggrappato alla balaustra, arrancando in modo da appoggiare il peso del corpo su un piede solo. Sulla soglia della cucina, nel buio della casa, un’ombra gli guizzò davanti.
-Mark?-
La voce di Jenny lo fece sobbalzare. Altra fitta alla gamba, seguita da un insulto.
-Ma cazzo! Mi hai fatto prendere un co… lpo.- un singhiozzo gli spezzò l’ultima parola -Merda! Ci mancava anche que… sto.-
Jenny lo fissò, poi scoppiò a ridere.
-Ti è venuto il singhiozzo.-
-Grazie a te! Grazie tante!-
Lei s’infilò nel buio della cucina.
-Bevi dell’acqua.-
Mark la seguì e accese la luce. Poi attraversò la stanza zoppicando e si lasciò cadere su una sedia. Lei gli porse il bicchiere.
-Cosa hai fatto alla gamba?-
-Niente. Un crampo.- bevve un sorso d’acqua e trattenne il fiato. Prima di parlare si assicurò che il singhiozzo fosse passato -Che fai in piedi? Non riesci a dormire?-
-Come posso dormire con un baccano simile?-
-Già, è infernale.-
Rimasero in silenzio, ad ascoltare il temporale che si abbatteva sulla casa e sulla città. Nella testa di Mark si accavallavano pensieri su pensieri, la mente resa lucida, nonostante l’ora, dal crampo che gli aveva fatto vedere le stelle.
-Philip ce l’ha con me. Credo che sia perché non l’ho avvertito che eri qui.- lanciò un’occhiata a Jenny, immobile e rigida come una statua -Mi evita, non mi parla. Te l’avevo detto che sarebbe finita così.-
Lei si riscosse, fingendo un’irritante incredulità.
-Davvero ti dispiace così tanto che non ti parli?-
-Non mi dispiace, mi innervosisce.-
-Allora ignoralo.-
-Come stai facendo tu?- la vide annuire -Perché invece di evitarvi come due bambini ostinati non vi riappacificate?-
Gli rispose con un’aria di finta indifferenza. Come se l’argomento di cui stavano parlando, invece di essere il ragazzo con cui era stata insieme per anni, riguardasse la lista della spesa.  
-Semplicemente perché non abbiamo litigato.-
-No?-
-È finita e basta.-
-Quindi ti ostini a non volermi dire perché vi siete lasciati.-
Gli occhi di Jenny si spostarono sulla finestra. Sui vetri venivano giù rivoli d’acqua, il rumore della pioggia faceva da sottofondo alla loro conversazione.
-Non sono tenuta a dirtelo e poi ormai non è importante.-
-È il motivo per cui vi siete lasciati, come può non essere importante? Sicuramente si tratta di qualcosa che potreste risolvere, se solo ci provaste! Ormai vi conosco bene e conosco ancor meglio i vostri stupidi litigi!-
-Non abbiamo litigato, Mark! Vuoi capirlo una buona volta?- Jenny si accorse di aver quasi gridato. Quando tacque la sua voce continuò ad aleggiare nella cucina. E sotto, la pioggia che cadeva violenta, battendo contro i muri dell’edificio sull’asfalto.
-Non può finire, Jenny! Non così!-
-Mark…- lei si aggrappò con le mani al bordo del tavolo. Il respiro accelerato, le guance appena arrossate. Cercò disperatamente di mostrarsi conciliante ma dal suo tono di voce trasudò un profondo malessere -Non ho voglia di parlarne e non sono affari tuoi.-
-è qui che ti sbagli Jenny! Sei ospite a casa mia o no? Per colpa di Philip, o tua. O di tutti e due, o no?-
Le lo fissò gelida.
-Se non vuoi avermi tra i piedi dillo chiaramente. Troverò un’altra sistemazione.-
-Non hai capito niente, non sto dicendo questo!-
-Per favore!- di nuovo la voce della giovane si alzò di un tono -Possiamo evitare di parlarne?-
-Jenny, i problemi vanno affrontati di petto… devi affrontare Philip di petto…-
-Quella fase l’ho passata.- nei corridoi dello stadio di Sapporo lo aveva fatto e ne era uscita sconfitta -Non voglio parlarne e ti sarei davvero grata se evitassi l’argomento una volta per tutte.-

Alle tre e mezza Julian si mosse nel letto e aprì gli occhi, nelle orecchie l’eco del tuono che lo aveva svegliato. Si irrigidì quando un lampo illuminò la camera. Lo scroscio della pioggia venne seguito dallo schiocco di un altro tuono.  
Si volse verso Philip. Teneva la testa sprofondata sotto il cuscino e non riuscì a capire se il fragore del temporale avesse svegliato anche lui. Quando si mosse per alzarsi però, riemerse dalle coperte e si girò a guardarlo.
-Vado da Amy.- lo avvertì, infilandosi in fretta una felpa e i pantaloni della tuta -I tuoni la terrorizzano.-
Sparì nel corridoio richiudendosi piano la porta alle spalle. Philip accantonò il fastidio di vedere il compagno usare il maltempo come scusa per infilarsi nel letto di Amy. Non erano affari suoi. Gli occhi chiusi, ascoltando il ticchettio della pioggia contro i vetri, si chiese se anche Jenny si fosse svegliata e se, impaurita dai tuoni, si fosse infilata nel letto di Mark. Era stupido solo pensarlo. Jenny non aveva paura dei tuoni e lui non poteva essere geloso di Landers. Non era lui a starci insieme, era Gentile. Però Jenny e Mark abitavano nella stessa casa da mesi, Jenny cucinava per lui, lavava i suoi vestiti, gli stirava le camicie, gli rifaceva il letto, metteva in ordine le sue cose. Lo accoglieva con un sorriso al suo ritorno la sera, uscivano insieme per fare la spesa, per fare shopping o andare a cena. Non avrebbe voluto dilungarsi sulla loro idilliaca convivenza, ma non riusciva a non pensarci. Era qualcosa che gli vorticava nella testa come un satellite senza fermarsi mai. Era qualcosa che non riusciva ad accantonare e che forse andava anche al di dà della gelosia. Era un vero e proprio malessere.
Julian bussò piano alla porta della stanza di Amy, rabbrividendo al freddo del corridoio. Lei lo aspettava e aprì all’istante. Lo accolse tremante di paura e si rifugiò tra le sue braccia senza neppure dargli il tempo di entrare. Julian s’infilò nella camera lanciando un’occhiata carica d’ansia al corridoio deserto, il timore che qualcuno li vedesse. Poi richiuse la porta.
-Amy, è solo il solito e incasinatissimo temporale…-
-Che come al solito mi terrorizza.- gemette -Che ci posso fare?-
S’infilarono sotto le coperte e Julian la strinse a sé. Aveva i piedi ghiacciati ed era spaventata, come al solito. O forse anche di più, visto che era costretta ad affrontare il suo terrore in un luogo sconosciuto, lontano da casa, lontano dalla sua stanza, lontano dal suo letto.
Tirò su la coperta e se la avvolse addosso, ricoprendo anche lei. Sentì il suo corpo scaldarsi a poco a poco, il suo respiro agitato che gli accarezzava il collo rallentare pian piano. Passarono i minuti, il temporale imperversava.
-Amy, hai litigato con Benji?-
Forse quello non era il momento adatto, ma la domanda gli uscì da sola. Da quando erano arrivati a Torino, da quando aveva visto la fidanzata tenersi alla larga dal portiere e la curiosità si era scatenata incontrollabile, aveva cercato il momento giusto per informarsi, ma non gli era capitata l’occasione. La sentì reagire irrigidendosi.
I minuti scorrevano e Amy restò in silenzio. I tuoni squassavano l’aria, ogni boato era un sussulto. Rispose quando Julian non si aspettava più che l’avrebbe fatto.
-Dopo la partita contro il Bayern l’ho chiamato. Lo so, non avrei dovuto.- fece una pausa -Ovviamente lui non aveva voglia di sentirmi, mi ha assalita e mi ha riattaccato il telefono in faccia. Credo che ce l’abbia ancora con me.-
Julian non lo credeva. Price era pronto a perdonarla. La sera del party l’aveva braccata per parlarle e forse scusarsi. Benji non si scusava mai, pensava sempre di aver ragione, ma forse per Amy avrebbe fatto un’eccezione. Le passò una mano sulla schiena, su e giù per tranquillizzare lei e se stesso dai dubbi che lo assillavano da mesi.
Rimasero svegli, Amy a tremare e lui a rimuginare, finché il temporale non fu passato. Poi, poco prima delle cinque, quando stava finalmente per cedere al sonno, la ragazza udì delle voci nel corridoio. Si alzò dal letto svegliando Julian.
-Amy? Dove vai?-
-Qualcuno qui fuori sta parlando.- raggiunse la porta a piedi nudi e la socchiuse.
Nel corridoio, due camere più in là, Bob Denver era chino a terra e raccoglieva sconsolato un sacchetto trasparente di biancheria pulita, appoggiato davanti alla porta. Accanto a lui Johnny Mason ne teneva tra le mani un altro e frugava al suo interno. Dietro di loro, Alan e Ted percorrevano il corridoio passando in rassegna tutti gli altri.
-Che state facendo?-
Quando Bob udì la sua voce, sussultò come un bambino pescato a rubare caramelle. Si volse.
-Buongiorno Amy.-
-Hanno confuso le consegne della lavanderia.- Mason sbuffò e lanciò il sacchetto sul pavimento, davanti ad un’altra stanza -Queste non sono le nostre magliette.-
La porta dei Derrick si aprì.
-Ma che casino è? Il temporale di stanotte non vi è bastato?- chiese James mentre Jason alle sue spalle si strofinava gli occhi con una mano -Vogliamo dormire!-
Alan Crocker tornò esaminando una busta.
-Hanno fatto un casino, pure ieri si sono…- s’interruppe quando nel suo campo visivo entrò all’improvviso Julian. Lo fissò stralunato -Perché sei in camera di Amy?-
Ross impietrì. Merda, si era fatto beccare! Non gli era passato neppure per l’anticamera del cervello che avrebbe dovuto restarsene nascosto. Il resto della combriccola, che bighellonava nel corridoio, li raggiunse.
Amy arrossì, Julian si pietrificò. I gemelli lo assalirono.
-E bravo Ross! Ti dai da fare anche in ritiro!-
-Attività fisica diurna e notturna! Se lo sapesse Gamo!-
Bob, le mani puntate sui fianchi, fissò la coppia con un cipiglio che voleva essere disapprovazione anche se provava praticamente solo invidia.
-Sempre così funzionano le cose. C’è sempre chi predica bene e razzola male.-
Julian non ebbe la prontezza di rispondere. Reagì allontanandosi da Amy, perché se Gamo o Marshall fossero stati svegliati dalla confusione in corridoio e l’avessero beccato sulla soglia della stanza della fidanzata, avrebbero tratto le loro ovvie conclusioni. Allora sì che sarebbero stati dolori. Scambiò una significativa occhiata con Amy, poi raggiunse la propria camera e bussò con frettolosa insistenza per farsi aprire da Philip. Poche ore prima, nella fretta di andarsene, non aveva pensato a prendere la card per rientrare.
Johnny Mason gli si avvicinò e gli indicò il sacchetto della biancheria posato a terra.
-Quella roba è tua?-
-Non dovrebbe?-
Philip aprì la porta con un diavolo per capello.
-Stavo dormendo, Julian!-
Porca miseria, impiegava ore ogni volta per prendere sonno e quando finalmente ci riusciva, ci si metteva Ross a svegliarlo. Le sue scuse gli entrarono da un orecchio e gli uscirono dall’altro, mentre la sua attenzione veniva catalizzata da mezza nazionale a zonzo per il corridoio.
-Che state combinando?-
Julian tolse il nastro adesivo dalla busta e frugò tra le maglie insieme a Carter.
-Hai ragione, Ted. Questa roba non è nostra!- la mostrò a Philip che scosse la testa.
-Dai qua…- Jason Derrick gliela tolse dalle mani, la controllò e non trovandoci niente di suo, la passò a Bob. Nel frattempo gli abiti, con tutti quei rimestamenti, si erano ridotti a cenci spiegazzati.
-Ci siamo! Eccolo qui!- Denver agitò la busta in direzione di Mason, il suo compagno di stanza.
-Philip, tanto perché tu lo sappia, stanotte Julian si è infilato in camera di Amy e si è dato alla pazza gioia.- lo mise al corrente Jason Derrick seccato -Non è mica giusto…- socchiuse gli occhi -O lo sapevi?-
Lui lanciò un’eloquentissima occhiata a Ross, un’altra a Amy che era rimasta a guardarli sulla porta. Il sorrisetto divertito che la ricerca delle buste della lavanderia le aveva fatto salire alle labbra, si dissolse in un attimo. Philip non riuscì a credere che fossero stati così fessi da farsi beccare. Lui non voleva entrarci, in queste cose. Si spazientì.
-Che te ne frega, Derrick? Trovati una donna e datti alla pazza gioia anche tu!-
-Come se fosse facile.- rise Alan, causando uno scoppio di ilarità tra i compagni.
Jason invece ammutolì. Non si aspettava di essere zittito in quel modo. Non era lui ad essere in torto ma Ross.
-Diamine Philip!- saltò su James a difesa del gemello -Tu sei il capitano, non puoi rispondere così! È Julian che ha sbagliato, non Jason!-
Era ancora l’alba e Philip ne aveva già abbastanza di tutti loro. Represse la stizza e scavò dentro di sé in cerca di una diplomazia a cui non ricorreva più da mesi.
-Cosa vuoi che faccia, allora, Jason?-
Quello guardò prima Philip, poi Julian e infine Amy, che se ne stava in silenzio, mortificata.
-Niente, lascia stare.-

*

Tirando un profondo respiro, Jenny spinse la porta dell’agenzia, tappezzata di depliant nuovi di zecca. Oltre Berlino, Madrid, Praga e Parigi, avevano aggiunto Amsterdam, Lisbona e la Provenza. Le seccava da morire essere lì ma se non trovava il modo di sistemare le traduzioni, non sarebbe mai stata pagata. Quei soldi le servivano, ormai era agli sgoccioli e le spese pazze in cui l’aveva trascinata Carol nelle settimane precedenti l’arrivo della nazionale giapponese avevano quasi prosciugato i suoi risparmi. Mai e poi mai avrebbe chiesto un prestito a Mark, figuriamoci a Gentile. Suo padre, da quando era partita da New York dopo Natale contro la sua volontà, non le versava più uno yen. Avrebbe potuto ricorrere alla nonna, ma i guadagni del ryokan adesso entravano quasi integralmente nelle casse della società di David. Non aveva seguito la questione economica della cessione dell’edificio, non sapeva di preciso che percentuale spettasse ai nonni, ma aveva la netta impressione che si accontentassero del minimo indispensabile per tirare avanti in quegli ultimi anni. Se glielo avesse chiesto l’avrebbero sicuramente aiutata, ma forse per loro mandarle dei soldi sarebbe stato un sacrificio. Tanto valeva che se la cavasse da sola, come aveva sempre fatto per ogni altra cosa.
Mise piede nel negozio e si guardò intorno. Come al solito Morris Brown era solo. Quando la vide entrare si tolse gli occhiali, li posò sul tavolo e le sorrise. Jenny si chiese che accidenti facesse tutto il giorno, come passasse il tempo, di quante cose si occupasse, perché in tutta sincerità a lei sembrava che trascorresse la maggior parte delle giornate a scaldare la sedia navigando su internet.
Brown le fece cenno di accomodarsi. Jenny scostò la poltroncina di fronte a lui, quella riservata ai clienti dell’agenzia, e si sedette.
-Ho dato un’occhiata alla traduzione. Hai fatto un buon lavoro.- frugò tra le carte che aveva sulla scrivania e recuperò i fogli che lei gli aveva consegnato il giorno prima.
Jenny fissò interdetta i segni a penna rossa che intravide sul primo foglio. Morris si era preso la libertà di aggiungere e cancellare frasi a suo piacimento. Represse un moto di scontento, allungò una mano, strinse tra le dita la prima pagina e se la portò davanti agli occhi.
-Mi pare che lei abbia fatto numerose correzioni. La mia traduzione non è andata bene?-
-Sono sciocchezze.- sfogliando le pagine mostrò a Jenny una gran quantità di segni rossi -Possiamo vederli insieme. Non ci metteremo molto.-
Lei valutò rassegnata che come minimo ci sarebbe voluta un’ora. Erano quasi le dieci e non aveva nessuna intenzione di passare lì dentro tutta la mattinata. Lo fissò di sottecchi, chiedendosi se non l’avesse fatto apposta per pagarla di meno. Scorse attentamente le righe e si rese conto che aveva cambiato persino la punteggiatura. Represse un moto di stizza mentre Morris si alzava, girava intorno al tavolo e si avvicinava alla porta del negozio. Jenny si volse e lo vide ruotare il cartello appeso, mostrando all’esterno la scritta “CHIUSO”. Poi tornò verso di lei con un sorrisetto.
-Faremo in fretta.-
Lei non ricambiò il sorriso e non gradì il suo gesto. Cercò di ignorare la sensazione di disagio che d’improvviso quell’uomo le causava e riprese a scorrere con gli occhi le correzioni. Forse la cosa migliore da fare era assecondarlo, concentrarsi sul lavoro e finire presto. Se non fosse andata lì per essere pagata, se quei soldi non se li fosse guadagnati tutti e con tanto lavoro, si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata. Se le traduzioni non erano state apprezzate, lei non poteva farci niente. Diede un’occhiata all’orologio. Il tempo non passava. Da quando aveva messo piede nell’agenzia erano trascorsi appena tre minuti.
-Vuoi del caffè?-
Scosse la testa e gli lanciò un’occhiata mentre Morris, col thermos in mano, si riempiva un bicchiere di plastica. Anche se era lontana, Jenny percepì l’aroma della bevanda. Quel tizio se la prendeva comoda e invece lei non vedeva l’ora di finire.
-Ho un appuntamento, non posso trattenermi molto.-
-Allora diamoci da fare.-

Quando Jenny non gli rispondeva al telefono, Salvatore si innervosiva. Detestava essere ignorato, era più forte di lui. E alla quinta telefonata non risposta dopo più di un’ora di tentativi, la ragazza gli stava dimostrando che poteva ignorarlo alla grande. Con un diavolo per capello parcheggiò la macchina in doppia fila, smontò, s’infilò tra le auto posteggiate lungo il marciapiede e raggiunse l’entrata dell’agenzia. Notò il cartello con la scritta “CHIUSO” ed esitò. Jenny gli aveva detto che sarebbe passata lì… Si guardò intorno, sotto i portici. Non la vide e tornò ad osservare le vetrine del negozio. Notò la luce accesa, allora accostò il viso alla porta e sbirciò dentro. Trovò Jenny in piedi che dava le spalle all’ingresso. Riusciva a vedere solo la sua schiena e, dietro il volantino dei campi di lavanda della Provenza, parte dell’uomo che le stava davanti, vicinissimo. Troppo vicino. Come se non bastasse, una mano di lui era sul suo braccio, quasi a volerla trattenere.
Questo a Gentile non andò giù, quel tizio le mani doveva tenerle a posto. Spalancò la porta facendola sbattere sui cardini e con due passi fu tra loro. Li squadrò. Jenny aveva le guance arrossate, gli occhi scintillanti. Il suo petto si alzava e abbassava in un respiro concitato. L’uomo le lasciò di scatto il braccio e lei si tirò indietro di un passo.
Salvatore non capì cosa stesse succedendo. Continuò a guardarli, prima uno, poi l’altra, e non riuscì a rendersi conto di cosa avesse appena interrotto. Di qualsiasi cosa si trattasse non gli piacque per niente. Trasse le proprie conclusioni: quello stronzo aveva allungato le mani.
-Cosa stava facendo?- ringhiò in italiano, Jenny non capì ma Morris sì.
-E lei chi sarebbe? Non ha visto che siamo chiusi?-
-Sono il suo ragazzo.- indicò Jenny e incrociò la collera nei suoi occhi.
-Non vuole pagarmi!- lo accusò lei in inglese.
La furia di Gentile si scatenò. Si volse verso Morris.
-Che significa che non vuole pagarla?-
-C’erano alcuni errori, la traduzione non va bene!-
-Cosa cazzo c’entra? Il lavoro l’ha fatto. Io vengo pagato anche quando sbaglio! Le dia subito il compenso che avevate concordato!- gli costò un enorme sforzo non prendere a pugni quella faccia da maniaco.
L’uomo, la bocca spalancata dalla sorpresa e da un velo di terrore, di fronte ad una reazione tanto brusca e improvvisa indietreggiò di un passo. Incespicò contro le rotelle della sedia e urtò la scrivania. Il portapenne si rovesciò e parte dei fogli sui quali stavano lavorando finì sparpagliata a terra. Non sembrò neppure accorgersene. Jenny invece li avrebbe raccolti, se Gentile, quando accennò a chinarsi per farlo, non l’avesse afferrata per un braccio, bloccandola dov’era. Morris fece il giro del tavolo, portandosi al sicuro dalla furia del ragazzo. Aprì un cassetto, frugò all’interno mandando tutto all’aria ed estrasse la busta bianca che aveva già preparato. L’allungò a Gentile. Quello l’afferrò brusco e spinse Jenny davanti a sé fuori dal negozio. La trascinò verso la macchina, dove un vigile era già pronto a fargli la multa.
-Sto andando via.-
Aprì lo sportello del passeggero, aspettò impaziente che Jenny salisse e chiuse la portiera con violenza. Era furibondo. Salì dall’altro lato e non si preoccupò neppure di sapere se il vigile la multa gliel’avesse fatta. Gettò sulle gambe di Jenny la busta con i soldi, mise in moto e partì.
Lei non disse una parola e Salvatore non fiatò per tutto il tragitto. Parcheggiò nel centro sportivo, girò intorno alla macchina e le aprì lo sportello, in attesa che Jenny scendesse. Lei lo fece scontenta perché il campo era l’ultimo posto in cui voleva andare.
-Perché mi hai portata qui?-
-Meglio qui che in giro per Torino a metterti nei guai.-
-Non mi sono messa nei guai!-
-Perché sono arrivato io! Scendi!-
Lei gli ubbidì intimorita. Salvatore borbottò qualcosa di incomprensibile, chiuse la macchina, recuperò la borsa sportiva dal portabagagli e un istante dopo le fu così vicino che lei istintivamente indietreggiò.
-Devi rispondere al telefono quando ti chiamo!-
-Non l’ho sentito! Avevo tolto la suoneria!-
-Me ne sono accorto!- l’afferrò per un polso e s’incamminò sul vialetto verso il campo dei giapponesi trascinandosela dietro. Jenny incespicò, poi capì qual era la loro meta e lo supplicò.
-Lasciami! Non voglio andarci!-
Tentò di farsi mollare ma non ci riuscì. Salvatore continuò imperterrito a trascinarla con sé. Dopo ciò che aveva visto la voleva al sicuro e il posto più sicuro che riusciva a immaginare in quel momento era il campo delle schiappe, insieme alle amiche, sotto gli occhi vigili di Landers. In pratica il posto più sicuro per Gentile era esattamente quello dove Jenny avrebbe evitato in ogni modo di andare. Ciò che desiderava di meno in assoluto era finire in pasto alla curiosità di Evelyn, che sicuramente stava assistendo alla loro performance fuori dal campo e che l’avrebbe riempita di domande. Ci mise un secondo a individuarla. Era vicino alle panchine, insieme a Patty e Amy.  
Agitò con forza il braccio su e in giù, cercando di liberarsi dalla stretta dolorosa di Gentile. Non ci fu niente da fare e lo odiò furiosamente per l’umiliazione a cui la stava sottoponendo. Con un ultimo, disperato tentativo puntò i piedi a terra, lo strattonò con tutta la forza della disperazione e riuscì a sbilanciarlo. Si aggrappò alle maglie della rete che stavano costeggiando e Salvatore fu finalmente costretto a fermarsi.
-Perché mi hai portata qui? Non voglio andare da loro!- lo supplicò con un filo di voce. Quando sentì le guance bagnate si passò una mano sul viso.
-Cosa sarebbe successo se non fossi arrivato?- gli occhi dell’italiano emisero un balenio azzurro e Jenny chinò la testa. Non tentò neppure di rispondergli, era troppo infuriato. E infatti lui l’assalì di nuovo, scuotendola per il braccio che ancora le stringeva -Non l’hai visto? Stava per saltarti addosso, quel maiale!-
Lei spalancò gli occhi e boccheggiò in cerca d’aria. Salvatore si stava sbagliando. La sua collera era scaturita da qualcosa che lui aveva travisato. Qualcosa che non era assolutamente successo e che non sarebbe mai successo. Non aveva capito nulla, se non fosse arrivato se ne sarebbe semplicemente andata senza i soldi e…
-Che cazzo stai facendo, stronzo bastardo?-
La voce infuriata di Mark anticipò ogni tentativo di spiegazione. Si volsero sorpresi, Jenny addirittura sobbalzò di spavento.
-Lasciala immediatamente!-
Gentile lo fece, ma non perché glielo ordinò Mark. La mollò perché ormai tenerla stretta non aveva più senso.
-Come ti permetti?- lo incalzò Landers -Che razza di modi sono? Ti ha dato di volta il cervello?-
Salvatore lo fissò, la sua intromissione lo esasperò. Perché Landers non era ad allenarsi? Perché si ficcava in mezzo a cose che non lo riguardavano?
-Fatti i cazzi tuoi!-
-Lo sono!-
Jenny assistette impotente a quello scambio di brevi frasi in italiano, sperando che Gentile si tenesse per sé i suoi sospetti e le sue assurde conclusioni. Quando vide Patty accorrere, capì che l’amica sarebbe stata la sua salvezza.
La ragazza si fermò accanto a Jenny e posò gli occhi prima su Mark, poi su Gentile. La sua presenza servì a sedare istantaneamente gli animi, riportando ragionevolezza in entrambi.
-Mark, non gridare. Ti si sente fino alla panchina.-
Quello sbuffò.
-Io non grido se lui tiene le mani a posto.-
Non fece in tempo a dirlo che Salvatore sollevò un braccio e scostò dalla guancia bagnata di lacrime di Jenny una sottile ciocca di capelli che vi si era incollata.
-Ti ho fatto male?- si preoccupò di chiederle d’un tratto.
Lei scosse la testa.
-Allora ci vediamo dopo?-
Annuì. Salvatore le sorrise rassicurato e corse via, ad affrontare a testa alta le urla di suo padre, che avrebbe certamente sbraitato per l’ennesimo ritardo.
-Mark, hai finito di fare i tuoi comodi?-
I tre si volsero. Holly era a pochi metri da loro, più o meno al centro campo. Fissava indispettito il compagno, i pugni sui fianchi. Non lo infastidiva soltanto il fatto che Mark, per correre da Jenny, avesse interrotto gli allenamenti, ma anche che era toccato a lui richiamarlo all’ordine. Avrebbe dovuto pensarci Philip.
-Vai Mark.- Patty gli sorrise rassicurante -è tutto a posto adesso.-
Lui spostò gli occhi su Jenny.
-Lo spero.- borbottò e corse via.
Patty lo guardò allontanarsi, poi si puntellò le mani ai fianchi e scrutò l’amica.
-Adesso spiegami come sei riuscita a far infuriare Gentile così.-
-Ti giuro che non lo so. Ha fatto tutto da solo.- Jenny si guardò intorno, tesa. Evelyn era vicina, troppo. Non voleva che ascoltasse, che si impicciasse come al solito. Si spostò e Patty la seguì. Solo quando furono lungo il vialetto che conduceva al parcheggio, Jenny si decise a parlare.
-Non è successo niente, ma Salvatore non l’ha capito.-
-Non ti seguo… quando?-
-Ero all’agenzia a prendere il compenso per le traduzioni. Quell’uomo non voleva pagarmi e Salvatore ci ha trovati a discutere…- abbassò gli occhi a terra -E anche piuttosto animatamente. Salvatore ha travisato, non so cosa abbia pensato.- arrossì di vergogna -Oddio, lo immagino. Non ha capito…- s’interruppe, ricordò d’un tratto la busta bianca che aveva infilato nella borsa. Non aveva neppure controllato se la cifra fosse giusta. Tirò fuori le banconote, le contò rapida e si irrigidì. Alzò sull’amica uno sguardo sorpreso -È di più!-
-Ti ha pagata di più?-
-Si è sbagliato.-
-O forse Gentile non aveva capito tanto male.-
Lei si volse di scatto.
-Che vuoi dire?-
-Che ha aggiunto la mancia a cui accennava ieri Evelyn.-
-Non è possibile, Patty.- Jenny si sentì spezzare dentro, la sua sicurezza vacillò. Si era dimostrata una stupida ingenua, di nuovo. Non aveva percepito il pericolo e stavolta l’aveva scampata per un pelo.
-Jenny…-
Non aveva capito nulla, probabilmente quel tizio ci avrebbe provato. Per questo aveva voltato il cartello chiudendo l’agenzia quando lei si era seduta al tavolo. Non c’era bisogno di chiudere il negozio per controllare le traduzioni. Per questo aveva perso tutto quel tempo a fare stupide e inutili correzioni. Per poterla trattenere più a lungo.
-Jenny…-
Aveva previsto che quella mattina sarebbero rimasti da soli, aveva calcolato tutto, magari anche di saltarle addosso se Salvatore non fosse piombato all’improvviso tra loro.
-Jenny…- Patty le mise una mano sul braccio e la scosse -Tutto ok?-
Lei scattò indietro, come se il tocco dell’amica l’avesse bruciata. Poi si rese conto della propria reazione e le lanciò un’occhiata di scuse.
-Sarebbe successo ancora?- la domanda le sfuggì, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Era stata una stupida, di nuovo! Le ricacciò indietro, non voleva piangere. Ne aveva versate già troppe, di lacrime. Deglutì un paio di volte e quando il groppo che aveva in gola si fu sciolto, riuscì a tornare a respirare normalmente. Allungò una mano e prese quella di Patty, per farle capire che non erano la sua presenza e il suo tocco a turbarla.
L’amica intrecciò le proprie dita alle sue in un gesto di rassicurante vicinanza.
-Jenny, me lo sto chiedendo da mesi… Perché tu e Philip vi siete lasciati?-
Lei distolse rapida gli occhi, quelle parole la spinsero ad allontanarsi di nuovo. Ritirò la mano, rifiutando sia la domanda sia il contatto fisico che, per un attimo, le aveva avvicinate come era successo mesi e mesi prima. Lo sguardo le si annebbiò, fissò il campo ma non vide nulla. Tutto sembrava avvolto dalla foschia, forse erano di nuovo le lacrime, scaturite stavolta dal ricordo di una sofferenza troppo grande. Una sofferenza che aveva cercato di seppellire dentro di sé, ma che era ritornata a galla in quegli ultimi giorni e che l’amica adesso aveva fatto emergere di nuovo. Nonostante ciò si sforzò di risponderle. Patty non meritava di essere ignorata, non dopo quello che aveva fatto per lei.
-Credo che…- non era facile spiegare -Ci siamo persi per strada.-
-Ma vi amate ancora, vero?-
Jenny non ebbe l’energia né tanto meno il coraggio di accettare un’ipotesi che non si era mai sognata di prendere in considerazione. Patty pensava l’impossibile. Se Philip l’aveva lasciata, significava che aveva smesso di amarla. Altrimenti sarebbero rimasti insieme, in qualche modo sarebbero riusciti a uscire dal baratro, avrebbero trovato la forza di riemergerne.
-Ti prego, non parliamone.- farlo le faceva ancora troppo male e oltretutto, riflettere su un rapporto morto e sepolto da mesi, non l’avrebbe portata da nessuna parte.
Patty annuì.
-Ti fermi a pranzo con noi?-
-Non lo so.- si guardò intorno titubante. Dopo ciò che era successo in agenzia non era sicura di desiderare la compagnia di Salvatore e forse non voleva restare neppure da sola. Ma con i compagni, a mangiare all’hotel, meno che mai. Non seppe decidersi. I suoi occhi si posarono distrattamente su un uomo che percorreva risoluto il viale di accesso ai campi, la macchina fotografica appesa al collo. Fu quel particolare a farle squillare nella testa un campanello d’allarme. I giornalisti non avevano il permesso di oltrepassare l’ingresso del centro sportivo. Se volevano intervistare o fotografare i calciatori, erano costretti ad aspettarli fuori, oltre i cancelli. Il custode non lasciava entrare nessuno, né loro né i fan. Perché allora quell’uomo era lì?
-Salve!- Bill Steiner le salutò sollevando la mano.
Osservarono diffidenti i suoi occhi brillare.
-Oggi è il mio giorno fortunato. Jenny Lohan, la ragazza di Salvatore Gentile, vero?-
Le sue parole svelarono in un attimo chi avevano davanti. Patty si irrigidì e fece un passo indietro, sulla difensiva. Serrò le labbra e i suoi occhi scintillarono d’astio.
-Come ha fatto a entrare?-
Lui si portò una mano alla tasca dei pantaloni.
-M’è costato parecchio, ma spero che ne sia valsa la pena.- puntò gli occhi in quelli di Jenny -Se permette vorrei farle qualche domanda.-
Fu Patty a rispondere per lei.
-No, non permette.- afferrò l’amica per mano con l’intenzione di portarla via. L’uomo si piazzò al centro del sentiero, impedendo loro di passare.
-Si tratta solo di un paio di domande.- insistette mellifluo.
-Le ho detto di no! Jenny, andiamo.- quello non si scostò quando cercarono di superarlo -Insomma, ci lasci passare!-
-Su, faccia la brava, signora Hutton…- le strizzò un occhio per tentare di ammorbidirla.
Tornò a guardare Jenny, che non aveva detto una parola, l’incredulità a riempirle gli occhi. Non riusciva a convincersi che quel giornalista fosse davvero lì per lei. Evelyn non si era sbagliata, persino Mark aveva avuto ragione. Quell’uomo era venuto a cercarla.
-Ha deciso per quale squadra tiferà nella prossima amichevole, signorina Lohan? Per il Giappone o per l’Italia?-
Le labbra di Jenny si socchiusero di stupore, mentre il senso di quella stupida e inutile domanda le entrava in testa. Non era esattamente ciò che si aspettava, aveva in mente tutt’altro, così finì per sfuggirle un sorriso.
-Sa che non ci avevo pensato?- si volse verso Patty, apparentemente colpita dal problema -Secondo te chi dovrei tifare?-
-Per chi ti pare, Jenny.- rispose secca -Vieni, andiamo via.-
Steiner la incalzò ancora. L’atteggiamento della ragazza non era del tutto ostile e forse sarebbe riuscito ad ottenere qualche risposta. Cambiò argomento, si fece più spudorato.
-Sa che il suo ex fidanzato ora frequenta Julie Pilar?-
Jenny si irrigidì.
-Sì che lo so ma non mi interessa, quindi non vedo perché dovrebbe interessare a lei.-
-Perché ci sono persone disposte a spendere il prezzo di una rivista, per leggere queste cose.-
-E a lei, per scrivere queste cose, non secca correre dietro agli ormoni della gente?-
L’inaspettata impertinenza di Jenny gli fece abbassare la guardia. Patty lo scostò brusca.
-Ci lasci passare.- riuscì a superarlo e a trascinare l’amica con sé.
Evelyn le accolse curiosa.
-Non ditemi che quello è Steiner!-
Le due assentirono all'unisono.
-Che voleva ancora quel deficiente?-
-Voleva sapere se so chi frequenta Philip.-
-E tu che gli hai risposto?-
-Che lo so.-
-E basta?-
Lei annuì.
-Lo spero proprio! Se rispondi a lui e non a me, giuro che non ti rivolgerò mai più la parola!-
-Non gli ho detto niente.-
-L’hai provocato e deriso, Jenny. Non avresti dovuto parlargli così.- Patty avrebbe continuato a rimproverarla se la sua attenzione non fosse stata catturata da Gentile che varcava svelto il cancello del campo degli italiani e, inseguito da un compagno di squadra che gli gridava dietro qualcosa, puntava dritto sul giornalista.
L’uomo li vide solo quando Salvatore gli mise una mano sulla spalla. Il giovane biondo gli si rivolse in inglese, gli occhi azzurri che lampeggiavano di fastidio.
-Chi le ha dato il permesso di entrare?-
Steiner abbassò la macchinetta fotografica e lo fissò sorpreso. Quasi non credette a tanta fortuna. Prima Lohan, poi Gentile… Doveva assolutamente approfittarne. Salvatore continuò ad assalirlo mentre Alex Marchesi, dietro di lui, cercava di arginare la sua collera.
-Lo sa che qui non può stare? Se ne vada!-
-Lascialo in pace, Salvatore. Che fastidio ti dà? Dobbiamo allenarci piuttosto…-
Gentile neppure lo sentì.
-Stava fotografando la mia ragazza, vero?-
-Può darsi. È vietato?-
-Sì, lo è.-
Marchesi lo tirò per un braccio.
-Salvatore, dobbiamo allenarci.-
Gentile si scrollò il compagno di dosso e nello stesso tempo tentò di mostrarsi pacatamente ragionevole nei confronti del fotografo. In fondo la colpa era di chi lo aveva fatto entrare.
-Se non vuole avere grane, le consiglio di andarsene alla svelta.-
-Va bene, me ne vado. Ma prima lei risponda ad un paio di domande, ok? Sa che la sua ragazza è l’ex fidanzata di Philip Callaghan?-
Gentile lo fece a denti stretti.
-E allora?-
-Allora pensa che Jenny, ora che si sono rivisti, potrebbe piantarla in asso per tornare con il suo precedente ragazzo?-
-Non penso nulla.- ringhiò furioso, i nervi frementi di una collera che continuava a salire.
-E alla sua ex… l’indossatrice con la quale aveva dichiarato tempo fa che si sarebbe sposato, pensa ancora?-
Steiner, senza saperlo o forse sapendolo, infilò non solo un dito ma tutta la mano in una piaga ancora aperta e sanguinante e spinse. L’accenno alla ragazza che lo aveva tradito fu inaccettabile, Salvatore reagì e reagì male. Lo afferrò per il collo stringendo forte e caricò il pugno. Gli occhi di Steiner furono attraversati da un lampo di autentica paura. Capì troppo tardi di essere nei guai. Ma il colpo non arrivò. Alex afferrò al volo il braccio piegato del compagno pronto a scattare e lo costrinse ad abbassarlo, impedendogli di aggredire quell’importuno giornalista e di conseguenza cacciarsi nei guai.
-Lascialo in pace Salvatore. Non ne vale la pena.- l’altra mano di Gentile non aveva mollato la stretta, le dita del ragazzo serravano ancora il collo del giornalista -Basta cazzo! Vuoi beccarti una denuncia?-
Steiner continuò a tenere i propri occhi in quelli azzurri e pieni di collera del giovane. Le labbra dell’italiano erano tese in una linea sottile. Poi le dita che lo stringevano allentarono la presa e riuscì a liberarsi.  Fece un passo indietro massaggiandosi il collo, la voce strozzata.
-Me ne ricorderò…- indietreggiò ancora, per mettersi al riparo dalla furia del ragazzo.
-Lo spero bene! Adesso se ne vada e faccia attenzione a non ricapitarmi più davanti!-
Stringendosi al petto la macchinetta fotografica, Steiner si curò di mettere ancora più distanza tra lui e il calciatore. Era chiaro che Salvatore Gentile non gli sarebbe stato utile in nessun modo. Meglio stargli alla larga e concentrarsi su Jenny. Lei era l’unica che avrebbe potuto avvicinare senza pericolo, purché quel maledetto moccioso non fosse nei paraggi.

*

Philip ci aveva pensato quella notte, dopo che Julian lo aveva lasciato solo per stringersi al pigiama di Amy. Si era scervellato per ore e alla fine aveva trovato la tanto sospirata soluzione ad uno dei suoi problemi più grandi. Con quel pensiero fisso che gli aveva ronzato nella testa di continuo, aveva finito di pranzare ed era andato in cerca di Gamo. Aveva un bisogno impellente di togliersi la rogna, non poteva più aspettare. Lo trovò al bar insieme a Marshall. Sul ripiano del tavolo era aperto un quotidiano sportivo giapponese su cui erano sparpagliati dei fogli scritti a mano, con linee e schemi tracciati alla rinfusa.
Quando lo vide avvicinarsi, Freddie gli sorrise.
-Hai bisogno di qualcosa, Philip?-
Lui annuì, si frugò nelle tasche e tirò fuori la fascetta da capitano. I due uomini si lanciarono un’occhiata sorpresa mentre la posava sul tavolo.
-Ho bisogno di liberarmi di questa.-
Gamo fremette.
-Cosa significa?-
-Significa che rinuncio a…-
L’allenatore balzò in piedi, puntandogli un dito contro.
-Ti proibisco di dirlo!-
Philip lo fissò ostile, deciso a perorare la propria causa. Maledisse la sua caparbietà. Perché doveva essere così ostinato? Perché si rifiutava di vedere ciò che ormai era chiaro a tutti? La sua totale incapacità di guidare la squadra era persino sotto gli occhi dei giornalisti. Non gli importava della figura di merda che stavano facendo?
-L’ha visto anche lei che non sono in grado!- e quella mattina all’alba, nei corridoi dell’hotel, assalendo Jason in quel modo quando Derrick aveva avuto tutte le ragioni per lamentarsi del comportamento di Julian, l’aveva dimostrato per l’ennesima volta.
Marshall si intromise, tirando Gamo giù sulla sedia.
-A tutti capita di passare un brutto periodo, Philip. E non è il caso di farne una tragedia. Gabriel ed io siamo sicuri che anche questa volta sarai perfettamente in grado di svolgere il ruolo di capitano della nazionale.-
Lui scosse la testa.
-No, stavolta no.-
-I tuoi compagni hanno fiducia in te, Philip. E anche noi. Tu per primo dovresti credere in te stesso e invece non lo stai facendo.-
Il ragazzo si agitò a disagio. Quello che sembrava un discorso profondo, era solo una grande balla. I suoi compagni non avevano più fiducia in lui. Se ne rendeva conto da come lo guardavano, da come li sentiva bisbigliare, da come smettevano di parlare quando lui si avvicinava, da come sbuffavano e lo fissavano quando qualcosa non andava. Il suo istinto di mollare tutto e scappare stava vincendo la lotta contro il suo senso del dovere, perché se il suo dovere non era più in grado di farlo, a che serviva trascinare nel baratro l’intera squadra? Lo sapeva per certo. Se Gamo si fosse intestardito a fargli tenere per forza quella maledetta fascia, la partita sarebbe andata a puttane. Quando accidenti arrivava il nullaosta di Holly? Ecco, il nullaosta poteva essere la sua unica via di fuga.
-Presto la fascetta passerà ufficialmente a Holly. Che differenza fa se in modo non ufficiale se la prende qualche giorno prima?-
-La fascetta la terrò io.- Marshall se la ficcò in tasca -E spero che la notte ti porti consiglio.-
Philip ne dubitò ma non replicò. Si allontanò, sollevato per il peso madornale che si era appena tolto dalla tasca. Non soltanto non voleva guidare la squadra perché non si sentiva in grado di far propri i problemi e le esigenze dei compagni, ma a dirla tutta avrebbe preferito tornarsene in Giappone, rinunciando a giocare.
Recuperò la borsa sportiva che aveva lasciato nella hall, oltrepassò la porta a vetri dell’entrata e si diresse verso i campi. Era presto, più di un’ora dall’inizio degli allenamenti, ma di salire in camera o gingillarsi nella hall con i compagni non se la sentiva. Ripensò al pranzo e a Jenny, seduta al tavolo con le amiche. Gli dava le spalle, di lei vedeva i capelli lunghi che le scendevano sulla schiena, scorgeva i movimenti del suo corpo, l’inclinazione della sua testa. Avercela di continuo davanti agli occhi lo aveva radicato nella sua decisione di mollare la fascia e per chiudere in bellezza, alla fine del pranzo Benji gli si era avvicinato con un sorrisetto.
“Non ti dispiace se ci provo con Jenny, vero?” gli aveva chiesto lasciandolo di sasso “Tanto che ci sta a fare qui? Torino non fa per lei, né con Gentile né tanto meno con Landers.”
Philip era ammutolito e lo aveva osservato mentre si avvicinava a Jenny, le diceva qualcosa e poi le scostava la sedia mentre lei si alzava. A quel punto anche lui si era messo in piedi, si era ficcato le mani in tasca, aveva toccato con le dita la fascetta e aveva deciso di cercare alla svelta Gamo per liberarsene una volta per tutte.
Forse era finito in un incubo e non riusciva più a svegliarsi.

Jenny aveva lasciato le amiche davanti all’hotel ed era tornata a casa da sola. Non le andava di incontrare Philip, non voleva parlare con Mark e non intendeva trovarsi ancora faccia a faccia con quel fastidioso giornalista. Quella sera, potendolo, avrebbe evitato volentieri anche Gentile. Non voleva vedere nessuno, neppure lui. Quel pomeriggio aveva visitato con le amiche il Museo del Cinema che era piaciuto immensamente a tutte. Carol le aveva accompagnate. Si era praticamente autoinvitata, incastrando per la mattina successiva quattro appuntamenti di lavoro. Jenny aveva notato con sollievo che l’esuberanza e l’allegria della ragazza avevano conquistato le amiche. Grazie alla sua presenza Evelyn aveva smesso di riempirla di domande su Salvatore, indirizzando tutta la sua curiosità sulla nuova conoscenza. Tuttavia una cosa l’aveva infastidita. Carol si era prodigata in particolar modo per Patty e questo non le era andato giù, dal momento che aveva scoperto che la ragazza aveva un debole per suo marito.
Carol non si era più fatta vedere al campo, non aveva più incontrato Holly e non le aveva più detto nulla su di lui. Perché? Perché dopo quelle poche frasi che si erano scambiati alla festa, lei non aveva più tentato di avvicinarsi? Jenny non capiva e non voleva neppure chiedere, temendo che le sue domande smuovessero una situazione che sembrava essersi risolta da sé. Il comportamento bizzarro di Carol, che mostrava interesse per Patty e disinteresse per Holly, aveva finito per mandarla in confusione quindi, per godersi la visita al museo, aveva smesso di pensarci.
Percorse il vialetto d’accesso al villino di Mark con le gambe sempre più pesanti, il desiderio impellente di raggomitolarsi sotto le coperte e non uscire più. Malaya aveva fatto le pulizie, avrebbe trovato una casa linda e profumata, l’ideale per rilassarsi. Sperava che la donna filippina avesse fatto in tempo anche a stirare, perché a lei quel giorno non andava proprio. Non desiderava altro che farsi una doccia, infilarsi il pigiama, ficcarsi a letto e dormire.
Fece scattare la serratura e aprì la porta. Entrò in casa e inciampò in una grande e ingombrante valigia abbandonata in mezzo all’ingresso. La fissò incredula, da dove saltava fuori?
-Mark?- una voce femminile provenne dal salotto. Una voce che non era quella della donna filippina.
Jenny scavalcò irritata la valigia. Fastidio mescolato a sorpresa. Mark non le aveva detto che aspettava ospiti. Era la madre? Una parente? Un’amica? L’amante? Entrò nel salotto, una sconosciuta le stava venendo incontro. Si guardarono sgomente, forse la donna ancor più stupita di lei. Indossava un tailleur azzurrino sopra una camicia bianca e un velo di trucco copriva appena la stanchezza che traspariva dal suo viso. Sicuramente non era la signora Landers. Aveva i capelli tagliati corti e doveva avere al massimo trentacinque anni. Più o meno l’età di Nicole, anche se non era affascinante come la matrigna di Benji.
Jenny socchiuse le labbra, ma l’altra fu più veloce.
-E tu chi saresti?-
-Io?- esitò confusa. Non sapeva che dirle, come risponderle. Prima doveva cercare di capire chi fosse la donna che aveva davanti -Mi scusi, ma lei chi è? Una parente di Mark? Come ha fatto a entrare?-
La scrutò con attenzione, ad una prima valutazione, quella donna non solo non era la madre di Mark, ma sicuramente neppure l’amante, a meno che all’amico non piacessero donne più grandi di lui. Poteva essere una parente. Forse una zia o una cugina?
-Mi ha fatta entrare la colf.-
Le volse le spalle e tornò verso il tavolo del salotto, dove aveva appoggiato le sue cose alla rinfusa: la borsa, un foulard, un paio di occhiali da sole, il portamonete, una bottiglia d’acqua da mezzo litro ormai vuota, un pacchetto di sigarette e un cellulare. La donna afferrò il pacchetto, ne tirò fuori una, se l’accese. L’aspirò a fondo e sparse il fumo per tutto il salotto.
Jenny si irrigidì.
-In questa casa non si fuma.-
-Ah, davvero?- si guardò intorno e agitò la sigaretta -Non so dove spegnerla.- ed era chiaro che non aveva neppure intenzione di farlo -Quindi tu chi saresti? Non la colf, ovviamente.-
-Ovviamente.- ripeté lei.
-Ti dispiace non farmi l’eco? Mi irrita.-
La sconosciuta tirò un’altra boccata di nicotina, poi si sedette al tavolo. Frugò nella borsa e prese un posacenere da viaggio. Vi lasciò cadere la cenere della sigaretta e aspirò di nuovo. Jenny la fissò incredula, quella tizia aveva tutta l’intenzione di continuare a fumare. Si sentì rimescolare, la stanchezza si affacciò di nuovo e d’un tratto non seppe che fare, come gestirla. Eventualmente, come mandarla via. Erano le sette, gli allenamenti dovevano essere finiti da parecchio. Perché l’amico non rientrava?
-Potresti dire a Mark che sono qui? Così sistemiamo la faccenda e puoi tornare a casa.-
-Questa è casa mia.-
-No, questa è casa di Mark.-
Jenny fremette indispettita. Diamine, aveva ragione. Eppure non poteva permetterle di avere l’ultima parola.
-Mark mi sta ospitando e…-
-Ed è meglio se lo avverti che sono arrivata.-
-L’aspettava?-
-No, gli ho fatto una sorpresa.-
E che sorpresa, pensò Jenny. Chissà se Mark sarebbe stato felice di trovarsi in casa quell’irritante tipa, che non si era tolta le scarpe quando era entrata e spandeva il fumo della sua puzzolente sigaretta in ogni stanza. Socchiuse le labbra per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma proprio in quel momento la serratura della porta d’ingresso scattò.
-Jenny? Sei a casa? Cosa diavolo…- anche Mark finì addosso alla valigia -Jenny!- gli bastò lanciare un’occhiata al bagaglio per convincersi che la ragazza stesse tagliando la corda, come aveva minacciato più volte di fare -Che accidenti stai combinando?-
Mentre si toglieva le scarpe, lei gli comparve davanti, gli occhi lampeggianti di fastidio.
-Perché non mi hai detto che aspettavi ospiti?-
-Che ospiti?-
Jenny indicò il salotto, Mark avanzò e l’odore di fumo l’avvolse. Poi vide la donna in piedi accanto ad una poltrona, la riconobbe e gli prese un colpo.
-Porca miseria…- si piantò al centro del corridoio e non seppe cosa aggiungere, come comportarsi. L’unica cosa che riuscì a fare fu chiedersi perché il destino si accanisse in quel modo contro di lui. Prima Jenny, ora Daisy. Che accidenti stava succedendo? Qualcuno gliela stava tirando con tutte le sue forze ed era quasi certo che si trattasse di Philip -Da quanto tempo è qui?-
Lei era abituata ai suoi modi bruschi da anni, da quando gli si era presentata durante le eliminatorie del torneo delle elementari e gli aveva proposto la borsa di studio per l'Istituto Toho. Non fece caso alla sua reazione, non volle accorgersi della sua mancanza di entusiasmo. Spense la sigaretta nel suo portacenere da viaggio e gli andò incontro, sorridendo entusiasta. Jenny prese atto, allucinata, della sua felicità.
-Come stai, Mark?-
Molto meglio prima di vederla, gli venne da pensare ma non poté dirlo, non poté assolutamente dirlo. Anzi si affrettò a cancellare dalla testa quella risposta così maleducata.
-Avrei dovuto prendere lo stesso volo della squadra, ma avevo delle relazioni da terminare. Non ero neppure sicura di riuscire a partire. Mi sono liberata all’ultimo momento e ho trovato un posto sull’aereo per pura fortuna.-
-Ah…- Mark sentì Jenny avvicinarsi, poi la sua spalla contro il braccio. La sua presenza silenziosa e scontenta l’aiutò a ritrovare la voce -Immagino che sia stanca, dopo un viaggio così lungo.-
-Sì, in effetti lo sono.-
-Se vuole le chiamerò un taxi per portarla in albergo…-
-Non ho avuto il tempo di prenotarlo, l’hotel. Pensavo di poter restare da te per qualche giorno.-
Jenny scattò come una molla.
-La stanza degli ospiti è già…-
-…perfettamente pronta!-
La giovane trasalì. Che aveva intenzione di fare, Mark? Di approfittare della presenza di quella donna per sfrattarla? Non stava mica architettando di schiaffarla nello stesso hotel di Philip! Non glielo avrebbe permesso!
-Perché invece non va in albergo con tutti gli altri?-
Lui la spinse bruscamente di lato e le parole di Jenny finirono contro la parete. Continuando a ignorare le proteste dell’amica, che aveva cominciato a borbottare come una pentola a pressione, si avvicinò alla porta d’ingresso e recuperò il bagaglio della Farrell.
-Le porto la valigia in camera.-
-Benissimo.-
L’occhiata trionfante che quell’insopportabile donna rivolse a Jenny, le rimescolò il sangue. Ma che poteva fare? Lanciò al ragazzo uno sguardo di fuoco e provò una voglia immensa di tirargli in testa il telefono del corridoio e tutto l’arredamento disponibile. Bene! Se le cose stavano così sarebbe andata da Salvatore! Senza poter far niente, senza dire una parola, si limitò a guardare Daisy che faceva gli occhi dolci a Mark. Jenny fu scossa da un conato.  
-Posso usare il bagno?-
Il ragazzo annuì e le indicò la porta sotto la rampa delle scale, il bagnetto di servizio. Quando Daisy fu sparita dentro, si catapultò su Jenny. Lei indietreggiò, spaventata.
-Mark?-
-Zitta, non fiatare!-
L’afferrò per un braccio e, tenendo con una mano lei e con l’altra la valigia, trascinò entrambe su per le scale. Entrarono nella camera verde, la camera degli ospiti, la stanza di Jenny. Mark chiuse la porta con un calcio, piazzò la valigia di Daisy accanto alla poltroncina, poi aprì l’armadio e cominciò a gettare i vestiti di Jenny sul letto. Lei lo fissò scioccata.
-Che stai facendo? Mi stai mandando via?-
-No, sto cercando di salvarmi!-
-Salvarti da cosa?-
-Da lei.- afferrò i cesti di vimini che contenevano le cose dell’amica e vi ficcò a forza magliette e maglioni. Lei accorse e gli tolse il cesto dalle mani.
-Piano, fai piano… Che sta succedendo?-
-Porta tutto in camera mia. Immediatamente.-
-In camera tua?-
-Sì, ti trasferisci da me.-
-E tu?-
-Il letto è grande abbastanza per entrambi.-
Jenny restò di sasso.
-Stai dicendo sul serio?-
-Ho la faccia di uno che scherza?- la spinse verso la porta insieme a tutte le sue cose -Muoviti, prima che arrivi!-
Jenny non capì niente ma si affrettò a fare come lui le aveva detto. Così si ritrovò ad infilare tutti gli abiti che aveva nel poco spazio disponibile dell’armadio di Mark. Quello che non seppe dove mettere lo appoggiò sul ripiano più basso, lo avrebbe sistemato con calma in un altro momento. Quando Mark rientrò portando i due cesti colmi degli ultimi oggetti, Jenny si tirò su e lo guardò.
-Allora? Perché deve fermarsi qui? Perché non la spedisci insieme agli altri?-
-Te lo spiegherò, ma non adesso. Devo tornare in hotel.-
-Perché?-
-Gamo ha organizzato una riunione, come se avessimo qualcos’altro da dirci, oltre agli insulti che volano in campo. Vieni anche tu?-
-Tutto pur di non restare da sola con la tua amica.-
Lui sbuffò.
-Non è assolutamente una mia amica.-
-Davvero? Mi sembrava il contrario… anzi più di un’amica.-
-Lascia stare le insinuazioni, non ne ho bisogno.-
-Non sono insinuazioni, è la realtà. Sei il suo tappetino, stai facendo tutto quello che ti dice. Ma chi accidenti è?-
-Te l’ho già detto, te lo spiego dopo.-

Per fare le cose per bene Pearson aveva prenotato la sala delle conferenze dell’albergo e vi aveva riunito l’intera squadra. Daisy era arrivata con il taxi, era stata presentata a chi non la conosceva ed era stata fatta accomodare in prima fila. Mancava solo Mark ma Gamo, indispettito dal ritardo, aveva deciso di cominciare lo stesso. Le ragazze si erano intrufolate per ultime e avevano preso silenziosamente posto sulle poltroncine in fondo. Evelyn si era portata dietro il computer e, collegata alla linea wi-fi dell’hotel, ammazzava il tempo delle inevitabili banalità che intervallavano i discorsi interessanti, girando a casaccio sulla rete.
-Non prendi appunti?- s’informò Patty, più presa da ciò che Evelyn lasciava scorrere sullo schermo che da tutto il resto. Sentì qualcuno soffocare uno sbadiglio e quando sollevò gli occhi in cerca del colpevole, Gamo lo rimproverò.
-Harper, hai sonno?-
-È il fuso orario.-
Evelyn scosse la testa.
-È sempre il solito. Almeno non si facesse beccare.-
-Perché Daisy è qui? Pearson te l’ha detto?-
La giovane fece spallucce.
-Fa parte dello staff.-
-Quando è arrivata?-
-Oggi pomeriggio.-
Gamo finì di parlare e si alzò per distribuire dei fogli ai ragazzi. Poi si affacciò sulla porta e lanciò un’occhiata sul corridoio deserto. Di Landers non c’era ancora traccia. Si avvicinò a Daisy, seduta composta sull’ultima sedia della prima fila.
-Che fine ha fatto Mark? Sa per caso a che ora si degnerà di raggiungerci?-
-Non ne ho idea, pensavo fosse qui. Lui e la sua ragazza sono usciti molto prima di me.-
Bruce spalancò gli occhi.
-Sta parlando di Jenny?-
Gli rispose Jason Derrick.
-Per forza, hai visto altre ragazze con Mark?-
Philip rimase granitico ma represse un moto di fastidio. Jenny non era la ragazza di Mark nel modo più assoluto. Si rifiutò di ascoltare le chiacchiere inopportune dei compagni. Fitte lancinanti gli attraversavano la testa da quasi un’ora, facendogli perdere di continuo la concentrazione. In quegli ultimi mesi l’emicrania lo assaliva sempre più spesso. Forse era colpa di quella roba che aveva mandato giù a casa di Daniel, di cui probabilmente gli erano rimasti residui tossici in circolo nel sangue. Avrebbe voluto chiedere consiglio a Julian. Lui studiava medicina e forse ne sapeva qualcosa, ma si vergognava a confidargli di essersi fatto di ecstasy in più di un’occasione. Oltretutto, a voler essere precisi, non sapeva bene cosa avesse mandato giù alle feste di Baird e questo non gli avrebbe consentito neppure di spiegargli con esattezza quali sostanze avesse ingerito.
Philip non era sicuro che fosse il mal di testa ad impedirgli di dormire o piuttosto il non riuscire a chiudere occhio durante la notte che gli causasse violente emicranie. Magari si trattava semplicemente di stanchezza. E non c’erano dubbi che quel soggiorno in Italia si stesse rivelando più stancante del previsto. Sbadigliò e non si accorse che Peter Shake, una fila dietro di lui, lo teneva d’occhio. Chiuse gli occhi e si portò una mano al viso per premersi con le dita la tempia che gli pulsava sempre più forte. Prima o poi la testa gli sarebbe scoppiata e allora…
Un rumore sommesso lo distrasse. Si volse indietro. Jenny entrò alla chetichella dall’ingresso alle loro spalle, Mark s’infilò dietro di lei e raggiunse silenzioso il resto dei compagni. Pearson, che stava parlando, non si interruppe e diede segno di averli visti chinando appena la testa in un cenno di saluto. Gamo invece scattò in piedi.
-La puntualità è una forma di rispetto verso il prossimo, Landers!-
Mark si irrigidì.
-Non sono io a non rispettare il prossimo ma i mezzi pubblici di Torino.-
Qualche risatina divertita si levò tra i ragazzi. Persino Jenny abbozzò un sorriso anche se cercò di passare il più possibile inosservata mentre prendeva posto accanto alle amiche.
-Eve, chi è quella tizia col tailleur celeste?-
-È Daisy Farrell. L’ex scouter dell'istituto Toho.-
-Il liceo di Mark?-
-Proprio quello. Mark è riuscito a prendere la borsa di studio grazie a lei.-
-Davvero?-
-Sì. Dopodiché la signora ha fatto una brillante carriera. È stata presidentessa dell’ufficio pubbliche relazioni della Nippon Youth e adesso fa lo stesso lavoro per la JFA.-
-Quant’è importante?-
-Ha un certo peso…-
-La conosci?-
-Me l’ha presentata Pearson durante la cena ma l’avevo già vista in altre occasioni.-
-Come ti è sembrata?-
-Normale. Perché?-
-Me la sono ritrovata in casa e pretende di essere ospitata.-
-Non può venire in hotel?-
-È quello che ho detto a Mark, ma lui mi ha risposto che devo lasciarla fare ciò che vuole.-
Ad Evelyn si drizzarono le antenne.
-Addirittura?-
Amy s’intromise, parlando pianissimo.
-È normale che le sia riconoscente. Se lei non lo avesse scelto per la borsa di studio, Mark non avrebbe avuto i soldi per iscriversi ad un buon liceo.-
-Ha fumato in casa e non si è tolta le scarpe.- sbuffò Jenny e poi tacque.
Il suo cellulare in modalità silenziosa prese a vibrare mentre Gamo parlava e faceva dei cerchi con un pennarello blu su una lavagna bianca che era stata messa loro a disposizione. Fu costretta a uscire di soppiatto perché Salvatore, quando alla seconda chiamata non gli rispose, prese ad insistere inondandola di messaggi.
E ora che, nella hall, provava lei a chiamarlo, il cellulare del ragazzo era occupato. Lasciò perdere. Si chiese se fosse il caso di tornare nella sala conferenze. Temeva di disturbare e non voleva rischiare che Gamo si rimangiasse lo spiraglio di cordialità che sembrava aver aperto nei suoi confronti. Oltretutto di ciò che si diceva lì dentro, non le importava un fico secco. Si chiese che ci facesse di nuovo in hotel. Avrebbe fatto molto meglio a rimanere a casa, tanto più che la Farrell era lì.  
La pensò così intensamente, che Daisy le si materializzò accanto.
-Tu ed io dobbiamo parlare.-
L’afferrò per un braccio e la trascinò nel corridoio che conduceva ai bagni, dove nessuno le avrebbe viste, dove nessuno le avrebbe disturbate. Al riparo da occhi indiscreti, la spinse contro il muro. La ragazza urtò la schiena contro la parete restando senza fiato.  
-Jenny.- sputò il suo nome come fosse un insulto -So cosa stai escogitando! Vuoi mettere Mark contro di me, vero?-
La collera contrasse le dita con cui la stringeva. Daisy le affondò le unghie nella manica del maglioncino e Jenny se le sentì sprofondare dolorosamente nella carne. Cercò di tirarsi indietro, non ci riuscì e gemette.
-Mi sta facendo male!-
-Fai le valigie e sparisci alla svelta o sarà molto, molto peggio per te.-
-Non lo decide lei se me ne vado!-
-Scommettiamo di sì? Scommettiamo che domani sei sul marciapiede con tutte le tue cose?-
Jenny si sentì rimescolare di collera, nonostante il dolore. Poi ripensò all’arrendevolezza che Mark aveva dimostrato fin da subito di fronte a quella donna e si ritrovò a chiedersi se davvero l’amico, su istigazione di Daisy, avrebbe finito per cacciarla di casa. Avrebbe dovuto davvero traslocare? Il dubbio la fece reagire furiosa.
-Scommettiamo invece che sul marciapiede domani ci finirà lei? Mark l’ha forse invitata a stare da lui? No, vero? Si è presentata a casa sua con armi e bagagli perché sapeva che non lo avrebbe mai fatto!- si morse la lingua, poiché a pensarci bene era più o meno ciò che aveva fatto anche lei.
Gli occhi di Daisy brillarono pericolosi.
-Piccola impertinente!-
-La JFA non le paga la trasferta? Ha bisogno di scroccare una stanza a chi non vuole averla tra i piedi?-
Daisy sollevò una mano per colpirla, Jenny lo capì e s’irrigidì di botto. Bloccata contro il muro non poté scostarsi e mentre un improvviso terrore s’impossessava di lei, serrò gli occhi e abbassò il viso per evitare che la sberla la raggiungesse in faccia. Il colpo però non arrivò.  
-Lasciami Callaghan!-
Jenny spalancò gli occhi sgomenta. La mano di Daisy era rimasta sollevata, bloccata per aria. Philip, che le teneva il polso, abbassò il braccio costringendo anche lei a farlo ma nonostante l’ordine ricevuto, non mollò la presa. Non era convinto di potersi fidare. Incrociò per un istante gli occhi spalancati e colmi di meraviglia di Jenny poi distolse lo sguardo, maledicendosi per essere intervenuto. A forza di stargli così vicino, la presenza di Jenny gli aveva mandato il cervello in pappa al punto di ritrovarsi, improvvisamente, ad un passo da lei. Se avesse allungato l’altra mano, avrebbe potuto toccarla. Ma come era finito tra loro? Non se ne capacitava! Un attimo prima era in bagno a mandar giù un’aspirina con un po’ d’acqua e un secondo dopo era lì a impedire alla Farrell di schiaffeggiare la sua ex.
-Cosa sta succedendo?-
Non fu la voce di Philip ma quella di Amy a chiedere spiegazioni. Daisy la vide avvicinarsi e strattonò il braccio per farsi mollare.
-Ti ho detto di lasciarmi, Callaghan. Non hai sentito?-
Philip stavolta le ubbidì. Daisy lanciò a Jenny un’ultima occhiata piena di astio, poi si allontanò a testa alta lungo il corridoio.
Amy la guardò allontanarsi.
-Allora? Cos’è successo?-
Nessuno dei due le rispose perché nessuno dei due la udì. Massaggiandosi l’arto dolorante, Jenny teneva gli occhi su Philip che non sapeva dove guardare per non fissare lei. La giovane avrebbe voluto ringraziarlo ma non ne fu capace. Le parole non le uscirono. Restò a guardarlo finché lui, afflitto da un silenzio che nessuno dei due era in grado di spezzare, se ne andò muto come era comparso.
-Jenny, che voleva Daisy?-
Lei distolse con rammarico gli occhi dalla schiena di Philip che spariva dietro l’angolo.
-Mi ha detto chiaro e tondo che vuole che traslochi.-
-Devi lasciare casa di Mark?-
L’amica confermò annuendo.
-Forse ha paura che con te in casa Mark non riesca a dare il meglio di sé durante la partita? O magari nella Juventus?-
-Io non gli do nessun fastidio.-
-Ma lei non lo sa.- Amy fece spallucce -Lasciala perdere, non ci pensare.- le sorrise -Mark ha detto che non avete cenato. Vuoi mangiare qualcosa? Andiamo al bar?-
-No, non ho fame. Mi si è chiuso lo stomaco.- con un diavolo per capello Jenny seguì Amy in bagno -Stava per schiaffeggiarmi, ti rendi conto?-
-Roba da matti! Chissà che le è preso!-
-È una pazza.- la sua voce si incrinò, se ne accorse e lanciò un’occhiata allarmata all’amica che però era già dentro la toilette. Abbassò gli occhi e si guardò le mani, scosse da un tremito convulso, tanto che per fermarle fu costretta a stringerle sulla borsetta e sforzarsi di respirare a fondo, fino a regolarizzare il battito del cuore che sembrava impazzito. Si avvicinò ai lavandini e allo specchio e si fissò. La Farrell aveva tentato di schiaffeggiarla, il colpo non era arrivato ma il gesto c’era stato e la paura anche. Il grido di spavento però le era morto in gola, soffocato all’istante dalla presenza improvvisa e inaspettata di Philip, che era intervenuto e aveva fermato Daisy, avvicinandosi a lei così tanto da percepire la sua presenza fisica.
Jenny infilò le mani ghiacciate sotto l’acqua calda, cercando di analizzare le emozioni che si erano scatenate in un istante tutte insieme, aggrovigliandosi in un misto di terrore, imbarazzo e sconcerto. Erano sentimenti complicati da gestire in simultanea. Non ci capiva più niente, questa era la verità. L’arrivo di Philip in Italia la stava mandando in tilt. Doveva restargli lontana il più possibile.  
Quando tornarono nella hall, Salvatore Gentile aveva appena varcato le porte a vetri dell’hotel e si guardava intorno. Jenny lo raggiunse.
-Come sapevi che ero qui?-
-Non lo sapevo, l’ho immaginato. Sono passato a casa e non ho trovato nessuno. Al cellulare non rispondi. Lo porti con te per appesantirti la borsa?-
Jenny arrossì.
-Ho provato a richiamarti ma era sempre occupato.-
-Ho visto le chiamate, non importa. Andiamo.-
-Andiamo dove?-
-Alex, Dario e gli altri ci aspettano in discoteca.-
Lei provò a rifiutare.
-In discoteca? Non credo di farcela, sono stanca e…-
Gentile bloccò le sue proteste.
-Non ti va la discoteca? Allora che ne dici del discopub della settimana scorsa? Avverto gli altri e ci spostiamo. Beviamo una birretta e tra un’ora, al massimo un’ora e mezza ti riporto a casa…- lasciò la frase in sospeso guardandosi intorno, poi proseguì con un filo di ironia -O qui.-
Lei percepì il suo scontento. Poteva permettersi di rifiutare il suo invito? Poteva continuare ad evitarlo? Il tempo che trascorrevano insieme si stava sensibilmente assottigliando. Cosa le costava accompagnarlo al pub?
-Avverto Mark.- raggiunse il compagno che, seduto tra Holly e Rob, stropicciava i fogli che Gamo aveva distribuito durante la riunione -Vado con Salvatore. Ti ritrovo qui?-
Lui alzò gli occhi.
-Dove vuoi che vada?- bastò il pensiero di tornare a casa con Daisy, loro due soli, a farlo rabbrividire. Piuttosto avrebbe dormito nella hall.

Quella sera Amy aveva deciso di non sedersi al bar con gli altri. Era stufa di sentirsi addosso lo sguardo ironico, sarcastico e polemico di Benji. Forse era diventata paranoica ma si era convinta che lui la tenesse sotto controllo, che la fissasse. Troppo. E lei di conseguenza lo evitava. Del resto che accidenti pretendeva dopo il modo in cui l’aveva trattata al telefono? Che fossero amiconi? Figuriamoci! Lei non voleva parlargli, voleva soltanto stargli lontana. Così, mentre i compagni si perdevano in chiacchiere calcistiche davanti agli appunti di Gamo, diluiti con specialità italiane di bevande calde e fredde, lei aveva cercato un angolo appartato e su una poltrona della hall si era messa a studiare il libro che aveva portato da casa. Per una volta si godeva indisturbata pace e tranquillità.
-Cosa fai ancora in piedi?-
Alzò il viso di scatto, su Jenny che la fissava con un sorrisetto, gli occhi lucidi e le guance arrossate.  
-Leggevo.- chiuse il libro e si alzò.
-Dov’è Mark?-
-Di là al bar. Vuoi che vada ad avvertirlo che sei tornata?-
-Prima ho bisogno del bagno. Urgentemente. Possiamo salire in camera tua?-
-Ti senti male?-
Jenny scosse la testa.
-Ho mangiato poco e la birra mi ha dato il colpo di grazia. Devo fare la pipì, non ce la faccio più.-
-Gentile dov’è?-
-È andato in discoteca con gli altri della squadra.-
-A quest’ora?- erano passate le undici -Non è stanco?-
-Ha energie da vendere. Beato lui.-
Le porte dell’ascensore si aprirono sul quinto piano lasciandole faccia a faccia con Clifford che bighellonava nel corridoio. Per poco non gli finirono addosso.
-Ciao Jenny. Che ci fai da queste parti?-
-Sono di passaggio.-
-Allora non passare troppo in fretta.- le strizzò un occhio -Dobbiamo ancora finire di conoscerci, noi due!-
Bruce chiuse la porta della sua stanza e non mancò di sfottere l’amico.
-Che fai Clif? Ci provi?-
-Scherzi? Non mi permetterei mai!-
-Ecco non ti permettere, perché se tocchi Jenny rischi grosso.-
-Da Callaghan o da Lenders?-
Amy li zittì con un moto di fastidio.
-Quanto siete idioti.-
-Andiamo Clifford, si sta facendo tardi.- lo esortò Bruce -Tra un po’ Gamo fa scattare il coprifuoco.-
-Che palle… Ciao ciao Jenny!-
Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano, Yuma sventagliò una mano in direzione della giovane che ricambiò il saluto con un sorrisetto di circostanza.
-Quanto a pettegolezzi, non so chi sia peggio, tra Evelyn, suo cugino e Bruce…-
-Una bella gara.-
In camera di Amy, Jenny andò in bagno, poi tornò e osservò vogliosa il letto, i cuscini e le coperte.
-Ti dispiace se mi stendo un attimo?-
-Fai pure.-
Attraversò la stanza con passo stanco e si lasciò cadere sul materasso come se ce l’avessero sbattuta. Poi scalciò via le scarpe e si sdraiò.
-Non ne potevo più, è stata una giornata interminabile.-
-A chi lo dici.-
Clifford e Bruce raggiunsero il bar e si sedettero in mezzo agli altri.
-Ha un buon profumo la tua ex, Callaghan.-
Philip alzò di scatto gli occhi dagli appunti di Julian. Non disse nulla e l’amico, incoraggiato dal suo silenzio, continuò.
-L’ho incrociata un secondo fa, mi è quasi caduta addosso.-
-Jenny è tornata?- Mark si guardò intorno -Dov’è?-
-Era con Amy al quinto piano.-
Il ragazzo scostò la sedia e si mise in piedi.
-Finalmente! Allora ci vediamo domani. Buona notte.-
Holly l’afferrò per la felpa.
-Buona notte un corno. Dove vai? Finiamo di vedere insieme questi schemi!-
-È tardi.-
-Appunto, cerchiamo di fare in fretta.-
Mark si rimise seduto controvoglia. Acconsentì a restare solo perché gli amici avevano bisogno di lui che conosceva personalmente la maggior parte dei giocatori della nazionale italiana per averci giocato insieme o contro.
Fu Gamo a farli smuovere di lì circa un’ora e mezza dopo, mentre faceva il suo consueto giro di controllo per impedire ai più indisciplinati di fare le ore piccole al centro internet o in compagnia di bevande alcoliche.
-Ma bene! Tutti ancora in piedi! E poi venite a dirmi che è il fuso orario che vi stanca!-
-Non ci siamo accorti dell’ora.- rispose Holly e si alzò all’istante.
Stavolta fu Mark a fermarlo.
-Dove accidenti vai? Non abbiamo finito.-
L’amico mosse appena le labbra, per non farsi udire dal mister.
-Andiamo a finire da un’altra parte, idiota! Lui resterà qui finché ci restiamo anche noi!-
-Da un’altra parte dove?-
-Per esempio in camera di qualcuno.-
Bruce si irrigidì.
-Non nella mia. Io vado a dormire.-
Salirono alla spicciolata, per non insospettire Gamo. Una parte di loro si ritrovò nel corridoio del quinto piano. Solo Patty sembrava avere le idee chiare su dove dirigersi. Voleva salutare Jenny e così puntò dritta verso la stanza di Amy. Dietro di lei gli altri decisero rapidamente di giocarsi a morra cinese la camera che li avrebbe ospitati.  
-Veramente, visto che sei il capitano, dovresti offrirti tu, Philip.- fece presente Clifford, temendo fortemente l’esito della sfida.
-Neanche morto.-
-Non sarebbe meglio continuare domani? Se Gamo ci becca a fare casino, va a finire che si stranisce sul serio.-
-Mi sa che hai ragione, Tom.- fu d’accordo Julian che cominciava a sentire anche una certa stanchezza.
Bruce e Clifford furono i primi a capitolare.
-Allora noi andiamo a dormire.-
Holly li guardò male, ma non poteva certo impedirgli di fare ciò che Gamo aveva ordinato a tutti. Anche Rob capì che la scelta migliore era quella di ficcarsi a letto e tagliò la corda. La maggior parte di loro fuggì così, con la sfida a morra cinese che ancora doveva iniziare. Rimasero nel corridoio in pochissimi, a questo punto davvero incerti se lasciar perdere o decidere almeno i difensori e pensare al resto della formazione l’indomani.
Amy aprì la porta a Patty, soffocando uno sbadiglio.
-Jenny dorme.-
-Come dorme?- Mark le udì, si volse e le raggiunse.
Holly lo vide svignarsela.
-Dove vai?-
-A svegliare Jenny per riportarla a casa!-
-Guai a te!- Amy gli puntò una mano sul torace prima che varcasse la soglia -Jenny può dormire benissimo qui, lo spazio c’è.-
Le sue parole non lo fermarono. Mark sbuffò, la scostò brusco e s’infilò nella stanza. Si arrestò sgomento ad un passo da letto. Diamine era vero! Jenny dormiva! Si era ficcata sotto le coperte e, girata su un fianco, teneva una mano sotto il cuscino e l’altra abbandonata davanti a sé sul materasso. Si accostò, si chinò su di lei ma Amy lo afferrò per la felpa e lo tirò indietro sussurrando.
-Che fai? Non avrai il coraggio di svegliarla!-
-Certo che ce l’ho!-
-Non ci provare Mark!- bisbigliò anche Patty.
Holly si affacciò sulla porta.
-La finiamo qui la riunione?-
Benji si fece largo tra loro.
-Una stanza vale l’altra. Tira fuori quei maledetti schemi, Callaghan, e cerchiamo di concludere.-
-Qui?- Philip lanciò un’occhiata a Jenny che continuava a dormire come se non stessero facendo un gran casino.
-Qui o da un’altra parte che differenza fa? Su, datti una mossa.- il portiere si lasciò cadere su una poltroncina, sotto gli occhi sgomenti di Amy che si trovò improvvisamente la camera invasa.
C’erano Patty, Mark, Holly, Philip, Tom, Benji che la fissava… E Julian? Dov’era finito Julian? Lo chiese.
-Non lo so.- Holly si affacciò nel corridoio ma ormai non si vedeva più nessuno -Forse è andato a dormire.-
Benji sghignazzò, gli occhi fissi in quelli di Amy.
-Poverino, era distrutto, sai? Ho saputo che la notte passata s’è stancato parecchio.-
Lei divenne paonazza. Diavolo, lo spogliatoio della nazionale giapponese era un covo di pettegoli.
Philip si rassegnò a collaborare e sparpagliò i fogli sul tavolino.
-Invece di farti gli affari di Ross dai un’occhiata a questi maledetti schemi.- si guardò intorno -E anche tu, Mark.- molto meglio guardare i fogli, osservare i compagni che discutevano a voce bassa, seguire i loro ragionamenti, che fissare Jenny continuare a dormire indisturbata e lasciare che i propri pensieri indisciplinati partissero per la tangente.
Landers sbuffò, tornò ad avvicinarsi al letto, si sedette e scosse Jenny. Philip per un attimo provò l’istinto di strozzarlo. Pure Amy cominciò a stranirsi di brutto.
-Vuoi lasciarla in pace?-
-È tardi, dobbiamo andare.-
-Ti si è incantato il disco, Landers?- rise Benji -Non riesci a pensare ad altro che a riportarti Jenny a casa?-
Mark ringhiò qualcosa di molto simile ad un insulto. Cosa doveva fare? Non sarebbe mai e poi mai rientrato senza di lei. Doveva svegliarla e portarla con sé a tutti i costi. Al peggio, portarla fuori da lì in braccio, ficcandola in un taxi… Sempre che Callaghan glielo permettesse… Diamine, in che guaio si era cacciato? La scosse di nuovo, facendo brontolare persino Holly che finora se n’era stato zitto. Lo scrollone che Mark le diede stavolta fu talmente convincente che Jenny socchiuse gli occhi e lo guardò giusto il tempo per mettere a fuoco la sua faccia.
-Su, alzati. Dobbiamo tornare a casa.-
-Lasciami dormire.- si rincantucciò sotto le coperte e sprofondò il viso sotto il cuscino.
-Non qui!-
-Qui va bene, Mark. Preferisco dormire con Amy che con te…-
Al ragazzo corse un brivido ghiacciato su per la schiena. Si irrigidì, smise addirittura di respirare. Il silenzio lo circondò così profondo che sentì il cuore martellargli nelle orecchie. Alzò piano la testa trattenendo il fiato e si guardò prudentemente intorno. Anche gli altri avevano udito quella risposta? Dagli occhi stupiti puntati su di lui era evidente. Si sarebbe sotterrato.
-Cosa significa, Mark?-
Ecco Holly, subito pronto a rimproverarlo.
-Non significa niente. Sta sognando, non vedi? Dorme!-
Il secondo intervento fu quello di Benji.
-Ammettilo Landers, te la sei portata a letto.-
-No!- Mark s’infuriò -Puoi accusarmi di tutto Price, ma non di questo! Una cosa del genere non riesco neppure a immaginarla, figuriamoci a farla!-
-Allora non hai uno straccio di fantasia. Per non parlare del tuo spirito di iniziativa, che se ciò che dici è vero vale meno di zero.-
-Non abbiamo fatto nulla, io non l’ho mai toccata!- quasi urlò.
-Abbassa la voce, Mark.- lo rimproverò Amy -E lasciala dormire qui, il posto c’è.-
Philip guardò i compagni e si trovò improvvisamente a chiedersi se lui fosse l’unico a credere nell’innocenza di Mark. O forse aveva deciso di credergli perché desiderava disperatamente farlo? Era stanco di loro, stanco di tutto. Persino stanco di stare in piedi, la schiena appoggiata al muro. Si staccò dalla parete, fece un passo e si sedette su un angolino del letto. Mosse appena il materasso, timoroso di svegliare Jenny. Riprese a parlare di schemi, allenamenti e formazioni.
Poi, ad un certo punto si distrasse. Tornò a fissare Jenny mentre Holly, Tom e Mark continuavano a discutere con Benji a bisbigli, per non svegliarla. In fondo Nicole non aveva potuto far niente per aiutarli. Jenny per settimane aveva trascorso ore e ore a parlare con lei al telefono, ma tutto ciò non aveva salvato il loro rapporto. Prima che Amy la convincesse ad affrontare il lungo viaggio fino a Fujisawa, Jenny e Nicole erano giunte al compromesso di sentirsi per telefono almeno due volte a settimana. Ogni chiamata era un nuovo trauma. Jenny trascorreva il tempo della telefonata raggomitolata sul letto. Giaceva senza forze, il cordless in vivavoce appoggiato accanto al cuscino. Piangeva e piangeva, fino a svuotarsi. Durante la prima telefonata Philip era rimasto seduto a terra nel corridoio, con le spalle contro la porta della sua camera, ad aspettare che il colloquio terminasse. Ascoltare i singhiozzi disperati di Jenny era stato come essere fatti a pezzi con un coltello. La prima volta aveva provato il fortissimo impulso di entrare nella camera per confortarla. La seconda volta, quella di fuggire via. Straziato dalla sofferenza che quelle conversazioni provocavano nella fidanzata, aveva deciso di non restare nei paraggi. Quando Jenny lo avvertiva che Nicole avrebbe chiamato, se era in casa si affrettava ad uscire. Oppure si organizzava per rientrare più tardi.
Jenny gli era grata dello spazio che lui le lasciava, perché in quei momenti provava la necessità di restare sola. Se sapeva che Philip era in casa, non riusciva ad aprirsi e a lasciarsi andare. In tutto questo all’inizio lui neppure si era reso conto di non tagliare la corda per Jenny, ma per se stesso. Perché ogni volta che la sentiva piangere era anche la sua ferita a sanguinare. Quella stessa che, preoccupato per lei, cercava di ignorare. Aveva compreso questa verità distruttiva il giorno in cui Nicole aveva detto a Jenny che voleva parlargli e le aveva chiesto di dirgli di richiamarla. Philip non lo aveva fatto, si era rifiutato. Da quel momento, senza rendersene conto, aveva cominciato a chiudersi sempre più in se stesso, lasciando fuori il resto del mondo, compresa la sua fidanzata. Con il passare delle settimane e dei mesi, Nicole era riuscita in qualche modo ad alleggerire il fardello di sofferenza che si portava dentro Jenny ma non aveva potuto fare niente per far riemergere la coscienza di Philip dai suoi sensi di colpa.
La stanchezza di una giornata pesante dal punto di vista sia fisico che psicologico, con lo scorrere dei minuti finì per trasformare nella mente di Philip le parole degli amici in una soporifera ninna nanna.
-Basta, non ne posso più.- Tom radunò gli appunti -Andiamo a dormire, continueremo domani.-
-Philip si è addormentato.- mormorò Amy in un sussurro -Forse sarò io stanotte a non avere un posto dove dormire.-
Patty si alzò.
-Vieni con me, in qualche modo ci arrangiamo.-
Amy non aveva scelta ed annuì. Poi, mentre i ragazzi si dirigevano verso la porta, si accorse che Mark esitava. I loro occhi si incrociarono.
-E io dove dormo?-
Holly lo udì e si fermò nel corridoio.
-Non torni a casa?-
-A quest’ora? Dovrei prendere un taxi a tariffa notturna!-
-Figuriamoci, il solito spilorcio.- non mancò di sfotterlo Benji.
-Allora non ti resta che dormire nel letto di Philip.- Holly alzò un braccio e indicò una porta -Quella è la stanza di Julian. Sveglialo e fatti aprire.-
Mark non ne fu per niente contento, poi capì che non gli restava altro. Si allontanò sbuffando, trascinando con sé la borsa sportiva che per tutta la sera si era portato dietro come un cane al guinzaglio.
Amy frugò nell’armadio in cerca del pigiama. Sentì richiudere la porta dopodiché, finalmente, il silenzio. Prese della biancheria pulita per il giorno successivo e l’appoggiò sul tavolino. Doveva darsi una lavata e poi raggiungere Patty. Quasi si scontrò con Benji. Mentre gli altri uscivano, lui era rimasto silenzioso e immobile appoggiato alla parete.
Lo fissò terrorizzata, il cuore che le martellava nel petto per la paura. Lui la fissava con quel suo solito sorrisetto di scherno, gli occhi scuri che brillavano ironici, le braccia incrociate, la testa leggermente reclinata da un lato. Sembrava soddisfatto di averla colta di sorpresa. Quando parlò, la sua voce bassa sembrò riempire la stanza.
-Perché mi guardi così? Hai visto qualcosa di tuo gradimento?-
-Mi hai spaventata! Che ci fai ancora qui?-
Entrambi dimenticarono che Philip e Jenny dormivano qualche metro più in là.
-Sono rimasto per parlare.-
-Di cosa? Io non ho niente da dirti.-
-Be’ io sì e approfitto del fatto che per una volta siamo riusciti a liberarci di tutti, compreso il tuo noioso fidanzato.-
-Io non mi sono liberata proprio di nessuno.-
-Puoi metterla così, se preferisci. Tanto il risultato non cambia.-
Amy si lanciò un’occhiata alle spalle, nel suo campo visivo entrò solo il letto con Philip e Jenny che dormivano. Avrebbe voluto che Benji se ne andasse, che non fosse lì in quel momento. Che il pavimento si aprisse e lui venisse risucchiato al piano di sotto. Lo guardò intimorita perché la sua semplice presenza era sufficiente a metterla in ansia. Non sapeva come affrontarlo, non voleva ascoltare ciò che lui aveva da dirle, che sarebbe stato condito dalla sua solita e immancabile ironia. Ma ormai era troppo tardi. Nonostante avesse cercato di evitarlo il più possibile, lui si era dimostrato più furbo.
-Se devi parlarmi, allora fai in fretta così possiamo andare a dormire. Patty mi sta aspettando.-
-È questo che ti insegnano all’università? Come creare problemi e lasciare agli altri il compito di risolverli?-
-Io non creo proprio niente! Ho semplicemente sbagliato a telefonarti! Non puoi neppure immaginare quanto mi sia pentita di averlo fatto!-
-Ed è giusto così. Non avresti dovuto chiamarmi, tanto più che Ross non avrà apprezzato.-
La voce le uscì stentata, le pesò ammetterlo.
-Julian non lo sapeva.-
-Mi hai telefonato di nascosto?- Benji accennò un sorrisetto che si accentuò quando si accorse che gli occhi della giovane brillavano di fastidio.
-Non gli dico tutto quello che faccio!-
-Davvero? Pensavo di sì. Ero sicuro che gli chiedessi il permesso per ogni cosa, persino per parlarmi.-
Amy fremette di stizza ma si sforzò di tenere bassa la voce.
-Ti ho già detto una volta che i miei rapporti con Julian non devono interessarti.-
-Hai ragione, me lo ricordo.- Benji appoggiò le spalle alla porta. Finché non si fossero chiariti non le avrebbe permesso di filarsela.
Lei se ne accorse.
-Lasciami passare.-
-Non abbiamo finito.-
-Per me sì.-
-E invece no.-
Amy lo fissò. Dio quant’era snervante. Tacque, aspettò che parlasse e lui lo fece.
-Da quando sei arrivata a Torino mi stai evitando. Ce l’hai con me?-
-Veramente sei tu ad avercela con me!-
-Io?-
-Sì, tu.- Amy lasciò uscire tutto il dispiacere che si portava dietro da giorni -Non ricordi quello che mi hai detto al telefono?-
-Veramente non molto.-
-Mi hai assalita, mi hai riattaccato in faccia…-
-Può darsi. Non ero molto lucido, quella sera. Stavo cercando di procurarmi un'amnesia.-
-Eri ubriaco.-
Il ragazzo sorrise di nuovo, stavolta più apertamente.
-Probabile, è uno degli effetti della cura. Adesso che sei riuscita a dare a me la colpa di tutto, smetterai di evitarmi?-
-Ti dà fastidio che lo faccia?-
Gli occhi del giovane si socchiusero.
-Immensamente. Detesto far contento Ross.-
Amy non riuscì a non sorridere mentre Benji finalmente si scostava e apriva la porta. Nel corridoio si augurarono la buonanotte.

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Capitolo 12
*** Undicesimo capitolo ***


Undicesimo capitolo
Undicesimo capitolo



Philip la stava baciando. Jenny non aveva dubbi che fosse lui e non dubitava neppure di sognare. Se la birra che aveva bevuto con Salvatore prima di tornare in hotel aveva avuto questo effetto, ne avrebbe mandata giù a fiumi tutte le sere. Jenny non riusciva ad aprire gli occhi, le palpebre erano troppo pesanti. Per quanto ci provasse non era in grado di trovare l’energia necessaria a guardarsi intorno e capire dove fosse. Non riusciva neppure a muoversi. Il suo corpo stanco era sprofondato nel materasso, le braccia e le gambe sembravano pesare quintali e a lei non andava di sforzarsi per muoverle. Le sensazioni che stava provando erano troppo piacevoli per poter anche solo pensare di spostarsi. Intorno a lei il buio era un’assenza di luce distensiva, rilassante, accogliente. L’oscurità non le faceva paura, non provava nessun timore. Si sentiva a suo agio come non lo era stata da troppo tempo, al sicuro, protetta e amata perché Philip era con lei. Lo sapeva, lo riconosceva, non aveva bisogno di guardarlo. Riconosceva il suo odore, il suo sapore, i movimenti delle sue mani sul suo corpo. Le sue carezze così cariche d’affetto e nello stesso tempo così possessive da farla fremere, tanto erano piacevolmente sconvolgenti. Era lui, si trattava di Philip. Ne fu ancora più certa quando riconobbe la sua voce che mormorava il suo nome. Riconobbe anche i suoi sospiri, lo riconobbe quando riuscì finalmente a sbloccare le braccia, sollevarle e circondargli la schiena per stringerlo a sé, per impedirgli di andarsene ancora e di lasciarla di nuovo da sola. Riconobbe i suoi muscoli guizzanti, la solidità del suo corpo. Sentì il suo peso sul petto, le sue labbra staccarsi dalle proprie. Inalò il calore del suo respiro, rabbrividì al tocco delle sue dita che le accarezzavano una guancia e si tuffavano tra i suoi capelli. Sentì la sua bocca lasciarle una scia di fuoco lungo il collo. Rabbrividì di piacere, un piacere che aveva dimenticato, che non ricordava più. Un piacere che le era mancato da morire. Un piacere senza il quale la sua vita non era nulla, un piacere per cui valeva la pena sopportare ogni sofferenza, un piacere a cui non avrebbe mai potuto rinunciare, non sarebbe stata capace di farlo. Philip era la sua luce, l’aria che respirava, la sua ragione di vita, il suo scopo, il suo futuro. Non poteva stare senza di lui, non ne aveva la forza. Non poteva vivere privata delle emozioni che la sua presenza, la sua vicinanza e il suo amore scatenavano dentro di lei. Eppure quello non era altro che un bellissimo, meraviglioso sogno che durò finché non sprofondò nella stanchezza. Solo allora non sognò più niente.
Riaprì gli occhi che era giorno. Il chiarore dell’alba che filtrava dalle tende la spinse a socchiudere le palpebre, stavolta senza fatica. Poi ci ripensò, decise che non voleva svegliarsi. Voleva trattenere con sé gli ultimi sprazzi del sogno, che tuttavia si stavano dissolvendo come fumo man mano che la sua coscienza riemergeva dal torpore. L’eco che ne era rimasta le richiamava ancora addosso una sensazione di beatitudine che avrebbe voluto conservare più a lungo. Sarebbe stata disposta a morire pur di continuare quel sogno per l’eternità e non ritrovarsi di nuovo gettata nella realtà che stava vivendo e che era decisamente troppo dolorosa. Gli occhi le si riempirono di lacrime di angosciante nostalgia. Respirò piano per non svegliare Amy. Amy…
Ricordava che la sera prima si era appoggiata sul suo letto per riposare un po’ e che poi lì si era addormentata nonostante Mark avesse tentato più volte di chiamarla e… E Mark? Si irrigidì. Mark che fine aveva fatto? Spalancò gli occhi sul soffitto color crema. Doveva tornare a casa al più presto, prima che Daisy convincesse Mark a sfrattarla. Si volse per svegliare l’amica e quasi rischiò l’infarto. Accanto a lei non c’era Amy, c’era Philip! Philip, accidenti! Come era finito lì? Smise di colpo di respirare, la paura di svegliarlo con il minimo rumore.
Philip dormiva, voltato dalla sua parte. L’espressione del suo viso era distesa, rilassata, gli occhi delineati dalle ciglia scure, le labbra socchiuse, i capelli che ricadevano spettinati sulla fronte. Il braccio piegato davanti al viso era lasciato scoperto dalla t-shirt. Jenny si appoggiò sui gomiti e si tirò su con precauzione. Sistemò con una mano la scollatura del vestito, che il movimento le aveva abbassato mettendo a nudo una spalla e continuò a fissare Philip. Dormiva sopra le coperte aggrovigliate del letto sfatto e indossava i jeans, mentre la felpa della nazionale era abbandonata tra loro. Jenny spostò gli occhi da lui alle proprie gambe nude. La gonna le era salita durante il sonno arrotolandosi in vita, il sottile nastro di velluto nero che decorava la scollatura dell’abito era in parte slacciato e pendeva inerte giù fino a sfiorarle lo stomaco. Tornò a guardare Philip inebetita, con l’atroce dubbio che il sogno non fosse stato solamente un sogno. Il suo cuore prese a battere all’impazzata, il sangue a fluire rapido nelle vene. Cercò sul suo viso disteso dal sonno una risposta che non avrebbe potuto trovarvi. Gli fissò le mani, le stesse che si era sentita addosso, quelle dita che nel sogno l’avevano accarezzata, quella bocca che l’aveva baciata e che le aveva sussurrato parole d’amore. Era successo? Era successo veramente? Scosse la testa incredula. Possibile che Philip davvero avesse, che avessero… Era così turbata che i pensieri si bloccarono a metà. Eppure indossava ancora i vestiti. Entrambi li indossavano. Cos’era successo? Diamine! Aveva appena finito di ripromettersi di stargli alla larga che lui trovava il modo di infilarsi nel suo stesso letto! Perché lo aveva fatto? Come poteva essere accaduta una cosa simile? Dov’era Amy? E Mark? Che ci fosse sotto lo zampino di Mark? Se sì, come accidenti aveva fatto a convincere Philip a dormire con lei? E perché lei non si era accorta di niente durante tutto ciò? Si volse di nuovo a guardarlo, il terrore che quell’aggrovigliarsi di pensieri nella testa svegliasse anche lui, che aprisse gli occhi e… E cosa avrebbe fatto? Avrebbe cercato di trattenerla? Di parlarle? L’avrebbe mandata via di nuovo? Non ne aveva idea e non voleva saperlo. Preferiva restare nell’ignoranza più assoluta, ma per farlo doveva andarsene in fretta.
Scivolò giù dal letto così piano che il materasso non si mosse. In punta di piedi entrò in bagno, fece scorrere appena un filo d’acqua per lavarsi il viso e non osò neppure fare pipì. Se la sarebbe tenuta fino a casa. Tornò in camera ad occhi bassi, il terrore che anche solo guardandolo Philip si sarebbe svegliato. Recuperò le scarpe finite sotto il letto, aprì l’armadio silenziosissima, prese il cappotto e la borsa e uscì in fretta dalla stanza. Riaccostò piano la porta, la serratura si chiuse con un piccolo scatto. Percorrendo in fretta il corridoio s’infilò il cappotto e si appese la borsa a tracolla. Non si fermò a chiamare l’ascensore. Aprì la porta delle scale d’emergenza e scese a piedi tutti e cinque i piani. Varcò l’ingresso dell’hotel asciugandosi le lacrime con il dorso di una mano, diretta verso la fermata dell’autobus che l’avrebbe riportata a casa. Erano appena le sei.
Alle sette Julian e Mark bussarono alla porta della stanza di Patty ed Evelyn. Amy comparve sulla soglia, assonnata e in pigiama.
-Hai notizie di Jenny?- le domandò Mark a cui premeva solo una cosa: tornare a casa portando l’amica con sé. Che rientrassero insieme era basilare dopo ciò che la sera precedente aveva confidato a Daisy, lontani dalle orecchie di tutti.
-No. Nessuna.-
-Credi che siano svegli?-
-Dipende…-
-Dipende da cosa?-
Quella di Amy voleva essere una battuta maliziosa che però Mark non colse. Allora lei tagliò corto.
-Hai provato a bussare?-
-Non ha risposto nessuno.-
-Allora significa che stanno dormendo.-
-Jenny deve tornare a casa con me. Apri la porta.-
Amy e Julian lo fissarono con tanto d’occhi.
-Stai scherzando?-
-No, dico sul serio.-
-Non ti azzardare, Mark! Per una volta che possono stare soli, che possono chiarirsi, tu avresti il coraggio di ficcarti in mezzo?-
-Apri la porta, Amy. Sennò la sfondo.- pronunciò sicuro, tanto stavolta avrebbe pagato la Federazione.
L’amica lo fissò incredula, poi gli volse le spalle e sparì nella camera. Tornò un istante dopo con la card. Percorsero insieme il corridoio, lei davanti a borbottare contrariata, Mark dietro che la tallonava e Julian che tentava di fargli cambiare idea. Raggiunta la porta, la ragazza appoggiò l’orecchio contro il pannello e rimase ad ascoltare. Niente. Non si sentiva assolutamente niente. Passò la card sulla maniglia e la serratura scattò.
-Permesso?- fece discretamente capolino e vide Philip sul letto. Da solo.
-Non c’è! Non ci posso credere!- lo scontento di Mark strappò il giovane dal sonno -Dov’è finita Jenny? Dov’è?-
Philip si tirò su, gli occhi spiritati fissi su di loro.
-Cazzo Landers, vuoi farmi venire un infarto?-
-Dov’è Jenny?-
-Non lo so!-
-Non lo sai? Che vuol dire che non lo sai?- il nervoso di quell’improvvisa scomparsa stava già rovinando la giornata di Mark -Come fai a non saperlo se avete dormito insieme?-
Il sonno scomparve dagli occhi di Philip, che brillarono di fastidio e si socchiusero, diventando due linee sottilissime.
-Non so dove sia Jenny!- la sua voce risuonò di collera -E poi perché lo chiedi a me? Tu sei più al corrente di tutti di ciò che fa!-
Mark lo fissò allibito, la sua ira si sgonfiò di colpo e si frugò nelle tasche borbottando a disagio.
-Allora la chiamo.-  
Jenny gli rispose brusca, non lo salutò neppure.
“Che vuoi?”
-Dove sei?-
“A casa, dove vuoi che sia?”
Mark udì il tonfo di qualcosa che si infrangeva sul pavimento. Gli vennero i brividi. Che aveva sfasciato? Sperò che non fosse nulla di costoso e si ricordò che per fortuna di costoso a casa sua non c’era proprio niente. Comunque, tanto per essere sicuri…
-Cos’hai rotto?-
“è tutta opera tua, vero?”
-Che opera?-
“Sono così furiosa, Mark, che è molto meglio se riattacchi.”
Lo fece lei stessa, senza dargli neppure il tempo di replicare. Mentre rificcava il cellulare in tasca, Mark guardò Philip. Seduto sul bordo del letto, si stava infilando le scarpe.
-È a casa.- li mise al corrente, visto che non sapeva cos’altro dire. Poi spostò gli occhi su Amy e Julian che non avevano detto una parola -Se faccio tardi, inventatevi una scusa decente.-

Il culmine Jenny lo aveva raggiunto quando, sull’ingresso, si era trovata faccia a faccia con Daisy. Due brutte sorprese già di prima mattina, la giornata era cominciata davvero male.
-Dove sei stata?-
Avrebbe potuto risponderle con una balla, ma aveva deciso di non farlo proprio perché dov’era stata non era assolutamente affar suo. Si sentiva i nervi a fior di pelle, la presenza di Philip nel letto di Amy l’aveva già abbastanza provata. Ignorando Daisy aveva imboccato le scale, era entrata in bagno e si era chiusa dentro. Aveva riempito la vasca e si era immersa nell’acqua bollente nel tentativo di rilassarsi. Cosa che non era riuscita a fare. Non appena ci aveva provato il pensiero di Philip che le dormiva accanto aveva preso il sopravvento e non era riuscita a scacciarlo. E aveva ripensato incessantemente ai  momenti del sogno.  
Aveva riattaccato il telefono in faccia a Mark e, riemergendo dalla vasca, aveva raccolto i cocci del vasetto da quattro soldi che conteneva i loro spazzolini da denti, finito a terra quando lo aveva urtato con il gomito. Sempre più nervosa aveva ficcato i vestiti del giorno precedente direttamente nella lavatrice e l’aveva fatta partire. Si era avvolta nell’asciugamano ed entrata in camera di Mark, improvvisamente convinta che la cosa migliore da fare era lasciare quella casa una volta per tutte. Si vestì rimpiangendo di non averlo fatto subito, il giorno stesso in cui aveva saputo che la nazionale giapponese avrebbe giocato a Torino contro l’Italia. Restare era diventato troppo impegnativo, troppo doloroso. Insopportabile.
Mark la trovò inginocchiata ai piedi del letto, a ficcare i propri abiti nella valigia lilla, lo stesso trolley con cui era sbarcata all’aeroporto di Caselle. La fissò interdetto, mentre la sua mente sistemava nel giusto posto i tasselli della scena a cui stava assistendo. E quando capì, la sua confusione si trasformò in panico. Entrò e richiuse svelto la porta.
-Cosa stai facendo?-
-Me ne vado.-
-Non puoi farlo!-
-Certo che posso!-
-Stai fuggendo di nuovo!-
Lei si tirò su, i pugni sui fianchi.
-Sì, sto fuggendo. Se l’ammetto sei contento?-
-Certo che no!-
-Mi hai fatta dormire con Philip!-
Mark la fissò sgomento.
-Non ti ho fatta dormire proprio con nessuno! Sei tu che non sei voluta tornare a casa! Non ricordi?-
-Io ero rimasta a dormire da Amy! Perché mi sono ritrovata Philip nel letto?-
-Perché ci siamo fermati a parlare in quella camera, Gamo ci faceva le poste nella hall! E Philip si è addormentato mentre eravamo lì!-
-Quella non era la sua stanza, perché non l’hai svegliato?-
-Perché avrei dovuto farlo io? Quella era la stanza di Amy!-
-Mi hai lasciata sola con lui!-
-Ti ci ha lasciata Amy!-
Lei si arrese.
-Benissimo, allora la prossima volta che la incontrerò la ringrazierò. Intanto salutamela, io me ne vado.- ficcò con forza nel bagaglio un paio di jeans, si tirò su e osservò critica la valigia. Era troppo piena, non si sarebbe mai chiusa.
-E dov’è che vai?-
-Dovunque, purché sia lontano da qui!- magari intanto avrebbe potuto appoggiarsi da Gentile uno o due giorni, in attesa di decidere la sua prossima destinazione.
Mark si avvicinò combattivo e con un piede spinse il trolley sotto il letto. Poi si piazzò a gambe divaricate davanti al materasso, intenzionato ad impedirle di recuperare il suo bagaglio. Lei seguì le sue manovre senza dire una parola. Tanto nessuno sarebbe stato in grado di fermarla. Ormai aveva deciso.
-Jenny, cerca di ragionare…-
-Ci ho provato, Mark. Ti assicuro, ho provato a restare ma non ci riesco. Sono stanca, troppe cose non stanno andando bene. E poi mi esaspera.-
-Philip?-
-Daisy! Sto parlando di Daisy!- Jenny scostò brusca il compagno e si inginocchiò a terra -Spostati!- tirò a sé la valigia e cercò di finirla.
-Tu non vai da nessuna parte. È fuori discussione.- spinse bruscamente indietro Jenny e si sedette sul trolley.  
-Se non mi fai fare la valigia me ne andrò con i vestiti che indosso!-
-Jenny, devi rimanere qui! Non puoi autoinvitarti a casa mia, restarci due mesi e decidere di tagliare la corda proprio nel momento in cui ho bisogno che resti!- quasi la supplicò e poi, prima di continuare, prese un bel respiro profondo -Ho detto a Daisy che stiamo insieme.-
Jenny spalancò la bocca. Tentò di articolare una risposta ma la voce non uscì. Allora fece un passo verso di lui e gli appoggiò una mano sulla fronte.
-Mark, stai delirando… Hai la febbre?-
Infastidito dal gesto, le abbassò la mano e si scostò brusco.
-Non dire stronzate!- la fissò esasperato -Se le ho fatto credere che stiamo insieme ovviamente c’è un motivo.-
Jenny lo ascoltò in silenzio, pensando che da quando era arrivata a Torino ne aveva passate tante, ma questa era la cosa più ridicola che le fosse capitata finora. Decise di affrontare la situazione di petto e lo prevenne.
-Landers tu non sei il mio tipo. Risparmiati la dichiarazione.-
Mark schizzò indietro come se avesse preso la scossa.
-Ma che… Come ti viene in mente?-
Jenny lo fissò confusa.
-Non volevi dichiararti?-
-Certo che no! Neanche tu sei il mio tipo, figuriamoci!-
-E allora?-
-Allora Daisy mi ha fatto entrare alla Toho…-
-Lo so, Evelyn me lo ha raccontato.-
-Poi è diventata la mia procuratrice e mi ha fatto ottenere l’ingaggio nella Juventus sostenendo il mio nome nella rosa di tanti altri.- Mark spostò il peso da un piede all’altro. Non sapeva come esporle i suoi sospetti, non sapeva bene che parole usare perché non era abituato ad aprirsi su certi argomenti. Nonostante l’indecisione andò dritto al punto -Le interesso.-
-Ovvio che la tua crescita professionale le interessi, se tu fai strada anche lei ci guadagna.-
-Crescita professionale? Non mi riferisco alla crescita professionale!-
La consapevolezza di ciò che Mark cercava di farle capire girandoci intorno, prese finalmente forma nella mente di Jenny. Spalancò gli occhi.
-Oh cavoli! Non mi starai dicendo che sei il suo toy-boy!
-Il tuo-che?-
-Il suo “ragazzo-giocattolo”, Mark! Non lo sai? La donna matura che soddisfa i suoi bisogni sessuali con amanti più giovani, il toy-boy…- vide lo sconcerto nei suoi occhi -Non ne hai mai sentito parlare?-
-No, mai. Non mi interessano queste cose.- si irrigidì e la sua voce uscì stridula -E poi quali bisogni sessuali? Io non soddisfo i bisogni sessuali di nessuno a parte i miei…-
La curiosità le sciolse la lingua.
-Ah sì? Ti soddisfi? Lo fai da solo?-
-Jenny, porca miseria!- ringhiò -A parte che tutto ciò non ti riguarda, il problema è che te ne vuoi andare lasciandomi solo con Daisy!-
La giovane si fece immediatamente seria.
-Quindi le hai detto che stiamo insieme.-
-Esatto. Come vedi ho i miei buoni motivi.-
-Buoni motivo o no, ti pare il caso, accidenti? Non credi che la situazione sia abbastanza ingarbugliata? E se lo venissero a sapere gli altri? E se lo dicesse a qualcuno?-
Lui in verità non ci aveva pensato. Ma in fondo di che preoccuparsi? Che motivo aveva Daisy di andare a dire in giro che lui e Jenny stavano insieme? Scosse la testa.
-Figurati! Perché dovrebbe farlo?-
-Per qualsiasi ragione.-
-E pensi che le crederebbero? Gli altri sanno che tu stai con Gentile.-
Jenny si rassicurò all’istante.
-Hai ragione!-
-Quindi abbiamo risolto il problema.-
-Non lo abbiamo risolto per niente! Lei non mi sopportava prima, ora che pensa che stiamo insieme mi detesterà per sempre.-
-Che te ne importa? Non devi mica frequentarla o andarci a cena! Devi solo sopportarla per pochi giorni. Una volta che sarà partita non la rivedrai più! Lascia che pensi quello che vuole.-
Jenny lo fissò titubante, finché Mark si avvicinò all’armadio e ne tirò fuori dei vestiti puliti. Poi le chiese di uscire.
-Devo cambiarmi e devo anche sbrigarmi. Gli allenamenti sono cominciati dieci minuti fa.-

*

-Tom, ho bisogno di parlarti.-
Seduto a terra a fare stretching, il ragazzo alzò gli occhi su Julian. Valutò la sua espressione seria e si tirò in piedi. Si allontanarono dal resto della squadra e quando furono nei pressi della recinzione, si fermarono a guardarsi.
-Cosa c’è?-
-Abbiamo un problema.-
-Che problema?-
-Philip.-
Sospirò.
-Quale altro problema potremmo avere, se non lui?-
Julian si grattò la nuca e cercò con gli occhi l’oggetto della loro conversazione. L’amico era seduto sulla panchina, Alan Crocker gli era davanti e gli stava dicendo qualcosa. A pochi passi da lui Gamo si divertiva a strigliare Mark che anche quella mattina si era presentato ad allenamenti già iniziati.
-Tu lo conosci da più tempo di noi e forse puoi fare qualcosa.-
-Qualcosa cosa?-
-Per esempio parlargli.-
-Per dirgli?-
Mentre Julian la tirava per le lunghe, Tom si chiese se Gamo avrebbe fischiato la fine della pausa prima che il compagno riuscisse ad arrivare al nocciolo del problema. Ma il mister godeva visibilmente nel rimproverare Mark e al resto della squadra proprio non pensava.
-Philip sta prendendo troppi analgesici.-
-Prende delle medicine?-
-Per il mal di testa. Lo ha sempre, te ne sei accorto?-
Tom scosse la testa mentre Julian continuava.
-Senti, io mi sarei fatto volentieri gli affari miei se non lo avessi visto svuotare in cinque giorni una scatola intera di aspirine. Abusare di analgesici è un’abitudine pericolosa.- assunse d’un tratto quel tono da maestrino che mandava Benji su di giri -Se si prendono più di tre o quattro volte a settimana si rischia di diventarne dipendenti. E oltretutto un uso così intenso porta depressione, ansia, irritabilità, difficoltà di concentrazione e…-
Tom lo interruppe sollevando una mano.
-Perfetto. Hai appena fatto il ritratto spiccicato di Philip. Dove li ha presi?-
-Li ha con sé.-
-Dobbiamo dirlo a Holly quando torna da Barcellona.-
-Già, quando torna. E nel frattempo credi che dovremmo fare qualcosa?-
-Tipo?-
-Tipo parlare con Philip e metterlo in guardia.-
Tom annuì fiducioso, gli afferrò una mano e gliela strinse agitandola su e giù.
-Mi pare una buona idea, se ci riesci. In bocca al lupo.- si volse e tagliò la corda perché a lui di mettersi a discutere con Philip proprio non andava. Aveva da rimproverargli già troppe cose.
Julian non poté fare altro che prendere atto della fuga del compagno. Spostò gli occhi su Philip. Parlargli? Era fuori discussione. Dividevano la stanza da quatto giorni, o forse cinque ma tanto non serviva contarli, e l’amico gli aveva rivolto sì e no tre parole. Tornò verso i compagni nel momento in cui Gamo lasciava in pace Mark e fischiava la fine della pausa.
Jenny varcò la recinzione del campo con lo sguardo fisso sulle panchine. Non sarebbe mai andata al centro sportivo così presto se avesse saputo che anche Daisy era lì. La vedeva già abbastanza a casa, fuori l’avrebbe evitata volentieri.
Evelyn le sedeva accanto e le parlava, probabilmente per cercare di scucirle qualche succulenta notizia sulla Japan Football Association o sulla J-League. Jenny l’aveva sentita lamentarsi di non essere riuscita a scrivere neppure un pezzo decente da quando aveva messo piede in Italia ed evidentemente adesso sperava di tirarle fuori qualcosa di utile.
Quando le raggiunse, Daisy la guardò dall’alto in basso accogliendola con la sua solita cordialità.
-Prima o poi te ne andrai, lo sai?-
Jenny si irrigidì.
-Anche lei, e probabilmente prima di me.-
Amy e Patty spostarono lo sguardo dall’una all’altra, consapevoli della tensione che si avvertiva improvvisamente tra loro. Evelyn tirò su gli occhi dal cellulare, sul quale si era messa a scrivere qualcosa. Era diventata una grafomane, non faceva altro che prendere appunti. Cosa se ne facesse era un mistero, probabilmente più della metà delle cose che scriveva alla fine le cestinava.
Daisy continuò, con un misto di fastidio e curiosità.
-Non state insieme, vero? Ti ospita e basta.-
-Perché lo chiede a me? Tanto non mi crederebbe in nessun caso. Lo domandi a lui.-
Evelyn si intromise, Jenny se lo aspettava.
-State parlando di Mark?-
Daisy si irrigidì.
-Certo, di chi altri?-
Gli occhi di Evelyn si spostarono dalla donna all’amica, mentre le poneva una domanda che risuonò assurda persino a lei che la fece.
-Stai con Mark?-
Landers, in campo, fremeva. Da quando Jenny aveva raggiunto le panchine, aveva la percezione che sotto gli scarpini gli si fossero infilati degli spilli. Non trovava pace, si agitava e correva inutilmente da una parte all’altra per intercettare la palla, senza però la concentrazione necessaria ad impossessarsene. Temeva che l’amica si lasciasse sfuggire la verità, o che le ragazze la svelassero.
-Vado a bere.- avvertì Rob che gli era più vicino e raggiunse di corsa il bordo campo -Ciao Jenny!- le sorrise solare, accogliente, fingendo una felicità che assolutamente non provava -Quando sei arrivata?-
-Adesso.- rispose lei secca -E sto anche per andarmene.-
-Bene!- gioì lui, perché se si toglieva dai piedi le possibilità che Daisy venisse a conoscenza della verità diminuivano sensibilmente.
La sua risposta fu uno stupido errore. Gli occhi della donna si socchiusero sospettosi.
-Voi due non state insieme.-
Lui la fissò sgomento, rendendosi conto che con la fretta di mandar via Jenny aveva appena fatto un passo falso.
-Perché no?- Mark si sentì improvvisamente così a disagio che non ebbe il coraggio di spostare gli occhi sulle ragazze che assistevano, volenti o nolenti, a tutta la scena. Un conto era rendersi ridicolo davanti a Jenny, supplicandola di non lasciarlo solo con Daisy, un conto era recitare la parte che si era assegnato davanti alle amiche, con il rischio che poi raccontassero tutto ai rispettivi fidanzati, facendogli fare una figura di merda, ma di quelle proprio brutte. Si sforzò di avvicinarsi a Jenny e circondarle le spalle con un braccio. Il gesto fu una vera e propria prepotenza su se stesso.
Lei trasalì al contatto e cercò di divincolarsi con una scusa.
-Sei sudato, Mark… Scostati.-
Il ragazzo non lo fece, anzi la guardò negli occhi, supplichevole.
-Vero che stiamo insieme?-
Fece uno sforzo enorme, Jenny, per non spingerlo via. La presenza di Daisy l’aveva innervosita, dentro di lei si era risvegliato un fastidioso malessere. Non voleva che Mark la toccasse, non voleva che nessuno la toccasse, ma la cosa peggiore di tutte era che non riusciva a togliersi dalla testa che Philip fosse da qualche parte in campo, vicinissimo.
Daisy li scrutò, cercando la conferma definitiva ad una fandonia a cui ormai non credeva davvero più. Decise di metterli alla prova.
-E allora se state insieme, perché non le dai un bacio, Mark?-
-Un bacio?-
La donna sorrise di scherno.
-Sì, dalle un bacio. Che problema c’è? State insieme, no?-
Jenny si irrigidì e si volse di scatto verso Mark. Alzò il viso, lo fissò sgomenta e nell’espressione del ragazzo lesse la sua stessa incredulità. Neanche lui sembrava capacitarsi di una simile e assurda richiesta. Le tolse la mano che le teneva sulle spalle e la tensione che attanagliava lo stomaco di Jenny si sciolse immediatamente. Le venne da ridere. Era troppo stupido fare una cosa del genere soltanto per accontentare l’isterica Farrell. I suoi occhi saettarono attraverso il campo. I ragazzi stavano giocando, nessuno faceva caso a loro e per fortuna nessuno sembrava aver notato quanto fossero vicini. Tornò ad alzare il viso verso Mark, la vena del suo collo pulsava di incontrollabile fastidio e i suoi occhi lampeggiavano di irritazione. Poi inaspettatamente il ragazzo fece un passo verso di lei e prima che potesse tirarsi indietro, l’afferrò brusco per le spalle e l’accostò a sé.
Jenny tentò di protestare ma non riuscì a parlare. Lo vide abbassare il viso, i loro volti avvicinarsi. Diede uno strattone per allontanarsi ma non fu sufficiente. Lui affondò le dita nel suo cappotto, impedendole di muoversi, e allora lei serrò gli occhi sperando che all’ultimo ci ripensasse. Invece le sentì, sentì le sue labbra calde e asciutte posarsi leggere sulle proprie, sfiorandole appena e poi svanire. Spalancò di colpo gli occhi, scossa da un impulso irrefrenabile di mettersi a urlare. Mark lo aveva fatto davvero! L’aveva baciata!
E ora si era allontanato. L’aveva già lasciata ed era un bene. Non avrebbe sopportato di averlo ancora accanto. Le mani che fino ad un secondo prima le aveva tenuto addosso, adesso erano affondate nelle tasche dei pantaloncini. Gli occhi del ragazzo erano su Daisy e la guardava con un cipiglio vittorioso che aveva qualcosa di molto infantile.
-Visto? Stiamo insieme!-
Jenny si morse un labbro fino a farlo sanguinare, mentre il respiro accelerava al punto da farla ansimare. Serrò le dita e abbassò gli occhi a terra, estraniandosi da tutto ciò che la circondava. Mark era un idiota fatto e finito, ora ne aveva la conferma. Non vide Daisy allontanarsi, non la vide sparire nel bar.
-Sai che ti dico, Jenny? Hai proprio ragione, quella donna è esasperante e…-
Mark si avvicinò e quando lei lo vide emergere nel suo campo visivo sollevò di scatto il viso e lo allontanò con uno spintone, le dita che prudevano, il desidero travolgente di mollargli un ceffone.
-Se ti azzardi a baciarmi un’altra volta giuro che ti faccio passare la voglia a forza di schiaffi! Anche di fronte a tutti, non mi importa!-
Lui ammutolì davanti a tanta collera. Il viso di Jenny era paonazzo, il suo petto si alzava e abbassava nel respiro accelerato. Il suo sdegno lo mise di fronte alla cazzata che aveva appena fatto. Non riuscì a credere di esserne stato capace. Merda! Aveva baciato Jenny! Per colpa di Daisy l’aveva baciata!
-Cos’è questa novità?-
La voce di Bruce lo fece sobbalzare. Si girò incredulo, granitico. L’amico era sulla linea di bordo campo e li fissava curioso, anzi, visceralmente interessato. Harper aveva visto? Come aveva fatto? Non si stava allenando? I compagni stavano giocando, non potevano averli notati. E invece quel muso di scimmia era la dimostrazione vivente che si era sbagliato. Arrivò anche Jason Derrick, un altro primate di delicatezza.
-Per favore potete rifarlo? Ero voltato e non ho visto.-
-Ri… rifare cosa?- Mark si udì balbettare e si odiò. Poi pensò che Philip lo avrebbe ucciso, questa era davvero la volta buona. E ne avrebbe avute anche tutte le ragioni, porco mondo. Non si azzardò a cercarlo, ad incrociare il suo sguardo. Non voleva neppure sapere dove fosse.
-Il bacio.- spiegò Jason.
Clifford si appoggiò le mani sui fianchi.
-Neanch’io ho visto.-
-Quale bacio?- finse di cadere dalle nuvole.
-Il bacio. Quello che hai dato a Jenny.-
-Non le ho dato nessun bacio.- si accorse con orrore che i compagni che li circondavano si facevano sempre più numerosi. C’era anche Philip? Non voleva saperlo!
Evelyn fremette di fastidio e si lasciò cadere sulla panchina.
-Perché non li ho fotografati? Perché?-
Jenny si volse furiosa, la voglia di strozzarla. Possibile che l’amica, invece di aiutarla, non trovasse di meglio da fare che rigirare il dito nella piaga?
Fu Tom a salvarli. Lo fece perché non riuscì proprio a farne a meno, perché non sopportava di vedere Mark incapace di tirarsi fuori dal casino in cui si era volontariamente e inspiegabilmente ficcato. E detestava anche il fatto che il comportamento incosciente del compagno avrebbe reso ancora più instabile l’umore già pericolante di Philip. Diamine! Julian aveva appena finito di parlargli delle aspirine di cui si rimpinzava, che Mark aveva la bella idea di baciare Jenny davanti a tutti.
-Lo spettacolo è finito, sta arrivando Gamo!-
I giovani si volsero all’unisono verso il bar. L’allenatore avanzava spedito verso il campo ed era lampante dalla sua espressione spazientita che non sarebbero mai riusciti a trovare una scusa plausibile per giustificare l’interruzione dell’allenamento. Ci fu un fuggi-fuggi generale.
-Me lo farete rivedere?- rise Jason, arricciando comicamente le labbra ad imitazione di un bacio.
-Ti spezzo le gambe! Deficiente!- inveì Mark.
Si sparpagliarono sul campo, riformarono le squadre, recuperarono la palla e ripresero esattamente da dove si erano interrotti.
Solo Mark rimase, nonostante l’allenatore che avanzava, ad affrontare lo sguardo inviperito di Jenny. Aveva sì e no due minuti di tempo per rabbonirla prima che Gamo lo rispedisse in campo. Aprì la bocca per parlare ma l’amica lo assalì furiosa.
-Cosa t’è saltato in mente? Non avresti dovuto farlo!-
-Lo so benissimo!-
-Non davanti a tutti!-
-Lo so benissimo!-
-E allora perché mi hai baciata?-
Lui la guardò esasperato, avrebbe voluto tanto non averlo fatto.
-Perché non mi ha lasciato scelta!-
-Certo che ce l’avevi la scelta! Potevi continuare a insistere con le parole! Che bisogno c’era di passare ai fatti? Tu e la tua mania di prendere di petto i problemi! Ecco che bel risultato! Ci hanno visti tutti!- scosse la testa e respirò a fondo, vide Gamo sempre più vicino e si impose di calmarsi -Senti Mark, devi mandarla via. Non possiamo fingere di stare insieme!-
-Non posso mandarla via, perché non lo capisci? Lei mi ha tirato fuori dalla merda in cui sguazzavo dopo la morte di mio padre! Se non fosse stato per lei non avrei frequentato il liceo! Se non fosse per lei io non sarei neppure qui!-
-Sì, può darsi! Ma credi che lei non abbia guadagnato in prestigio ad aver scovato un talento come te e ad averlo inserito nella sua scuola? Non pensi che sia anche grazie a te che è riuscita a passare da uno sperduto liceo della prefettura di Saitama agli uffici nella JFA?-
Lui pensò che forse non aveva tutti i torti. Poi Tom lo chiamò.
-Mark, porca miseria! Vieni immediatamente qui!-
-Ne riparleremo dopo, Jenny.-
-Puoi starne certo!- gli gridò dietro lei.
Lo guardò raggiungere i compagni, poi si lasciò cadere esausta sulla panca. Evelyn partì all’attacco.
-Cosa significa tutto questo? Perché Mark ti ha baciata? Perché la Farrell pensa che state insieme?-
Jenny la guardò, chiedendosi se davvero si aspettava che le rispondesse. Possibile che non capisse che se anche avesse voluto confidarsi, lei sarebbe stata l’ultima persona con cui l’avrebbe fatto? Figuriamoci se voleva che questo genere di questioni finisse sul giornale per il quale Evelyn lavorava!
-Jenny?-
Salvatore Gentile era esattamente dietro di lei, oltre la recinzione. Le prese un colpo. Gli si avvicinò guardinga e osservò il suo bel sorriso attraverso le maglie della rete. Le intrecciò tra le dita e lui gliele strinse dolcemente, insieme ai fili d’acciaio.
-Ti ricordi della festa di stasera, vero?-
Jenny annuì. Gliene aveva accennato il giorno prima, davanti alla birra. Ma lei era troppo stanca per starlo a sentire e non aveva capito con esattezza di cosa si trattasse. Fece per chiederglielo, ma lui parlò per primo.
-Visto che Landers è da solo, perché non chiedi a Patty di accompagnarlo? Ho sentito dire che Hutton è tornato a Barcellona per la partita di domani.- la guardò insistente, perché aveva l’urgente necessità di appioppare a Mark qualcuno per tutta la festa in modo che lo lasciasse libero di godersela con Jenny in santa pace.
La ragazza non sapeva nulla del viaggio di Holly. Dove accidenti le prendeva Salvatore tutte quelle informazioni? Forse da Rob?
-Dobbiamo vestirci eleganti?-
-Supereleganti!-
-Va bene, ne parlerò con Patty.-

Il turno di Jenny al bar fu ravvivato, verso la fine, dall’arrivo di Benji. Il ragazzo si arrampicò su uno degli sgabelli del bancone e la fissò negli occhi con l’aria di chi aveva parecchio da dire. Il portiere la sera prima aveva risolto il problema con Amy in modo così perfetto che quella mattina la ragazza lo aveva salutato con un buongiorno e un sorriso, alla faccia di quel muso-da-schiaffi di Ross. Ora, per occupare i tempi morti tra un allenamento e l’altro, s’era messo in testa di tirar fuori Jenny e Philip dal guazzabuglio in cui si erano ficcati. Vedere come si evitavano gli faceva venire il nervoso. E poi, se con quel bacio Mark fosse riuscito finalmente a svegliare Philip, lui doveva dare una bella scossa a Jenny per non essere da meno. Landers era un idiota e non poteva assolutamente accadere che quei due tornassero insieme grazie a lui. Così cominciò senza preamboli.
-Qualche giorno fa ti ho promesso che non ti avrei chiesto perché tu e Callaghan vi siete lasciati, ricordi?-
Lei annuì e il portiere continuò.
-Mi secca ritirare fuori l’argomento, però una cosa devo dirtela per forza.-
Vide Jenny agitarsi a disagio, prendere il bicchiere di succo di frutta che aveva corretto con qualcosa di alcolico non appena le si era seduto davanti, e per poco lasciarselo sfuggire dalle dita. Benji si allungò sul banco per afferrarlo al volo, serrando nella sua anche la mano di lei. Il bicchiere tornò al suo posto sul ripiano ma lui esitò a lasciarla, il timore che scappasse. Era chiaro dalla sua espressione che Jenny non aveva intenzione di udire sull’argomento neppure una parola.
Tutto sommato Benji era stanco di quella lunga giornata di allenamenti. La mattina Gamo li aveva spremuti fino all’ultima goccia e durante quell’interminabile e caldo pomeriggio di primavera aveva strappato loro le ultime energie. Era esausto e desiderava solo starsene tranquillo. Ma Philip stava diventando un problema per se stesso e per la squadra e Jenny, si vedeva chiaramente, soffriva tantissimo di averlo accanto e non riuscire neppure a parlargli.
-Mi devi solo ascoltare.- cercò di tranquillizzarla intuendo il suo disagio -Solo per un minuto, tanto tra poco arrivano gli altri.-
Lei arrossì, cercò di liberare la mano dal bicchiere ma lui strinse più forte per impedirle di sottrarsi e proseguì.
-Ti giuro che non ho mai visto una persona stare male quanto Philip, non ho mai visto nessuno annullarsi come ha fatto lui dopo… dopo…- esitò, le parole non gli vennero ma Jenny capì lo stesso.
-Non voglio parlarne, per favore.- la supplica le spezzò quasi la voce.
-Non devi parlarne, devi solo ascoltarmi. Solo un minuto.- cercò di sorriderle ma la gravità dell’argomento che aveva solo sfiorato aveva colpito anche lui -Finché non ti ho conosciuta, finché non vi ho visti insieme, sono sempre stato convinto che l’attaccamento di Philip nei tuoi confronti fosse ridicolo. E quell’inverno a Shintoku ho detto che l’anima gemella non esiste. Quel giorno vi ho presi in giro e ti ho fatta arrabbiare. Te lo ricordi?-
Jenny annuì ancora una volta, ammutolita. Ripensare alla spensieratezza di quel periodo le faceva male e se Benji non avesse premuto le sue dita contro il vetro del bicchiere, sarebbe scappata via per non ascoltarlo più. La tristezza era diventata insopportabile.
-Non avevo capito niente. Tu e Callaghan avevate ragione. Più vi osservo, più vi conosco e più mi rendo conto che siete fatti per stare insieme. Dovete smetterla di perdere tutto questo tempo, la vita non è infinita e non potete permettervi di sprecarla così.-
Philip, fermo sulla soglia del bar, si caricò la borsa su una spalla e uscì. Era troppo distante per udire le parole con cui Benji stava irretendo Jenny e in fondo non voleva neppure sapere cosa si stessero dicendo. Ma aveva visto perfettamente le guance di lei arrossarsi e la mano del portiere sulla sua. Percorse il vialetto di ghiaia fino a raggiungere la strada, lasciandosi alle spalle i compagni e il terreno di gioco. Proseguì con lunghe falcate e le mani in tasca, i pugni serrati per la rabbia, le nocche sbiancate dall’energia con cui li stringeva, le unghie conficcate nei palmi per cercare di smorzare un dolore tanto cocente quanto inutile. Le lacrime di cui non riusciva a liberarsi da giorni, forse da settimane o addirittura da mesi, bruciavano. Strinse gli occhi, deglutì e si sforzò di ricacciare il ricordo di ciò a cui aveva appena assistito, che lo feriva in qualche angolo del petto.
Varcò a testa bassa le porte a vetri dell’hotel e si rifugiò in camera, sapendo che Julian sarebbe rimasto nella hall con Amy fino all’ora di cena. Si lasciò cadere sul letto esausto, i muscoli a pezzi come al solito dopo gli allenamenti, il cuore che gli martellava per ciò che aveva visto al bar e per ciò che aveva visto in campo.

Carol bussò alla porta della camera di Patty e lei le aprì un istante dopo. L’accolse con un sorriso, scostandosi per lasciarla entrare.
-Non c’era bisogno che venissi ma ti ringrazio di averlo fatto.-
-Jenny mi ha accennato della festa, ho spostato un appuntamento ed eccomi qui. Non mi costa assolutamente nulla darvi un tocco da professionista.- le strizzò l’occhio e si guardò intorno -Jenny dov’è?-
-Non è ancora arrivata.-
-Sei sola?-
-Sì.-
-Perfetto.- Carol posò sul tavolo la borsa carica della sua attrezzatura e squadrò Patty dalla testa ai piedi con palese ammirazione -Da dove cominciamo?-
La ragazza rise.
-Non ne ho proprio idea.-
-Mani?-
Patty allungò timorosa un braccio. Non curava particolarmente l’aspetto delle sue mani e si vergognò dell’occhiata professionale con cui Carol le esaminò le unghie.
-Un disastro?-
La ragazza lasciò scorrere le dita di Patty tra le sue, in una carezza molto dolce.
-Non proprio.- si guardò intorno, individuò le poltroncine che affiancavano il tavolino tondo accanto alla finestra e gliele indicò -Mettiamoci comode.-
Patty annuì e si sedette. Carol la raggiunse portando con sé la borsa. L’appoggiò a terra e ne tirò fuori l’attrezzatura che posò in bell’ordine sul ripiano del tavolo.
-Sei tesa.-
-Non ci sono abituata… E le mie unghie sono un disastro.- se le guardò lasciando che la fede brillasse alle luci della stanza.
-Non sono un disastro, ma posso renderle migliori. E se ti rilassi sarà molto più piacevole.- si alzò e le girò intorno, fermandosi dietro di lei.
Patty si volse per cercare il suo viso ma Carol era esattamente alle sue spalle e non riuscì a guardarla. Sentì però le sue mani calde posarsi alla base del collo.  
-Rilassati, non pensare a niente.- mosse le dita in un massaggio distensivo.
Patty riusciva a fare tutto, tranne che a rilassarsi. La sua vita era energica, vivace, decisa, tremila pensieri le affollavano la mente ed era raro che trovasse il tempo per dedicarsi un po’ a se stessa. Eppure di cose che le piaceva fare ce n’erano tante. Il massaggio di Carol dapprima la irrigidì. Poi, man mano che le mani della ragazza le accarezzavano la pelle con decisione, distendendo i muscoli e i nervi tesi, si lasciò andare. Le dita di Carol correvano su e giù sul suo corpo fin dove riuscivano ad arrivare, generando sensazioni fantastiche. Le sue mani erano meravigliose, il massaggio piacevolissimo. Tacquero per alcuni minuti, mentre Patty si lasciava sfuggire sospiri beati sempre più intensi. Perché non si era mai fatta massaggiare prima?
-Va meglio?-
Annuì appena, troppo concentrata sul suo tocco straordinariamente rilassante. Le dita di Carol danzavano sulle sue spalle, sul collo e sulla parte alta della schiena, scendevano lungo le sue braccia, fino ai gomiti, poi tornavano su e massaggiavano, sciogliendo i muscoli. Era così piacevole che le ci volle qualche istante per tornare padrona di se stessa e accorgersi, ad un certo punto, che Carol aveva smesso di accarezzarla. Quando aprì gli occhi la ragazza le era di fronte, aveva appoggiato le mani sui braccioli della poltrona e, china su di lei, la fissava intensamente negli occhi. Era così vicina che i loro volti si sfioravano. Patty riuscì a distinguere le pagliuzze dorate nelle sue iridi. Vide le labbra di lei incurvarsi in un sorriso, il suo sguardo brillare di felicità. Sentì il suo profumo invaderle le narici mentre Carol si chinava di più e la sfiorava con un bacio. Quando le sue labbra morbide si posarono sulle proprie fu colta talmente di sorpresa che non riuscì a fare nulla, neppure a protestare. Carol ne approfittò. Le prese il viso tra le mani, piegò leggermente la testa di lato e unì la bocca alla sua con una mossa molto più decisa della precedente. La sua lingua umida e morbida si insinuò tra le labbra di Patty e quel contatto la fece sobbalzare, riscuotendola dallo shock. Si tirò indietro, sgomenta.
-Cosa fai?- la voce le uscì sottile, quasi acuta.
-Ti bacio, sei bellissima…- Carol la fissò adorante e si perse nei suoi occhi nocciola, spalancati di sconcerto. Le infilò le dita tra i capelli ai lati del viso e le sfiorò ancora le labbra, ricoprendole di piccoli e rapidi baci.
Per la prima volta in vita sua Patty non seppe come reagire. Se si fosse trattato di un ragazzo, lo avrebbe preso a pugni fino a sbatterlo fuori dalla stanza. Con Carol non seppe come comportarsi, non seppe cosa dirle, come affrontarla. Dapprima si appiattì contro lo schienale della poltroncina, cercando di mantenersi il più possibile distante, perché non voleva che la baciasse ancora. Poi fece per alzarsi ma non coordinò i movimenti e il suo tentativo si trasformò in un buffo dimenarsi sulla sedia. Carol rise.
-Non scappare, non ti salto addosso se non vuoi.- le strizzò un occhio -In realtà speravo che ti sarebbe piaciuto.-
-Io… io sono sposata…- incespicò sulle parole mentre la giovane alzava le spalle, ritenendola una giustificazione di poco conto.
-Per me non è un problema.-
-E… e non mi piacciono le ragazze.-
-Come puoi saperlo se non hai mai provato?- la guardò in tralice mentre prendeva dal tavolo la limetta per le unghie -Oppure hai già provato?-
-No!- si passò sulle labbra la mano che Carol non le teneva e la fissò, chiedendosi se con quel bacio non avesse appena tradito Holly. Oppure poteva non considerarlo, visto che glielo aveva strappato una ragazza? Non seppe decidersi e mentre ci rifletteva abbassò gli occhi sulla giovane che cominciava a limarle l’unghia del mignolo canticchiando allegramente. Le sue dita stringevano la fede ma lei sembrava non farci caso e si comportava come se non fosse successo nulla. Patty si chiese se non sarebbe stato bene fare lo stesso, cancellare in fretta l’accaduto.

Jenny si affrettò verso l’hotel percorrendo il marciapiede tinto di arancio dalle luci dei lampioni. Un vento fastidioso veniva giù dalle Alpi raffreddando l’aria e portando con sé l’odore della pioggia. Starnutì e si strinse addosso il cappotto, affrettando il passo verso l’albergo. Erano quasi le sei e mezza. Era riuscita a staccare dal bar del centro sportivo dieci minuti prima ma le restava lo stesso pochissimo tempo per raggiungere la camera di Patty e prepararsi per la serata. E poi avrebbe davvero preferito che Benji non si fosse fermato al bar, non le avesse parlato, non si fosse divertito a rimescolare i suoi ricordi e i suoi sentimenti. Ora ciò che le aveva detto le tornava in testa a ripetizione, senza poterci fare nulla.
Le porte a vetri dell’albergo si aprirono automaticamente davanti a lei. Puntò verso l’ascensore senza guardarsi intorno. Ne aveva abbastanza di tutti e voleva assolutamente evitare di incrociare per sbaglio lo sguardo di Philip. Quella mattina lo aveva visto abbastanza e quel pomeriggio ne aveva parlato anche troppo.
-Non sei ancora pronta?-
Si volse verso Mark, era seduto sui divanetti accanto a Julian, Ed e Tom. Se avesse potuto avrebbe evitato volentieri anche lui e invece alla festa dovevano andarci insieme. Indossava giacca e cravatta e si vedeva lontano un miglio che detestava trovarsi lì e vestito in quel modo. Jenny riusciva a leggerglielo in faccia, ormai lo conosceva.
-Ho finito adesso di lavorare.- proseguì verso la reception e si fermò davanti all’ascensore. Il pulsante era acceso. Fremette in attesa, il dito premuto sul bottone per chiamarlo non appena si fosse liberato. Alzò gli occhi sui numeri dei piani che si accendevano uno alla volta, l’ascensore stava arrivando.
Le porte si aprirono silenziose lasciandola faccia a faccia con Philip. Lo fissò sgomenta, lui stupito tanto quanto lei. Si guardarono e basta, immobili, poi le porte fecero per richiudersi e Philip le bloccò con una mano. Uscì nell’atrio e la superò, le labbra leggermente incurvate all’insù e uno sguardo improvvisamente carico d’astio. Un brivido percorse la schiena di Jenny fin sulla nuca. Ripensò al bacio che le aveva dato Mark quel pomeriggio, poi al sogno della notte precedente. Si sentì avvampare e abbassò gli occhi a terra.
Philip la vide arrossire e in qualche modo il suo cipiglio si addolcì, ma lei non ebbe modo di accorgersene. Fuggì nell’ascensore e spinse il pulsante del quinto piano. Le porte si richiusero con il suo sguardo fisso sul quadro dei comandi.
-Cos’era quello? Un collegamento telepatico?-
L’ironia di Benji riscosse Philip. Si volse di scatto e se lo trovò accanto, spuntato da chissà dove. Stringeva in mano una rivista, un dito infilato tra le prime pagine per tenere il segno.
-Vaffanculo Price!- lo superò e raggiunse i compagni, la risata del portiere che gli risuonava nelle orecchie.
I tacchi di Jenny sprofondarono nella moquette mentre percorreva il corridoio. Davvero la notte scorsa lei e Philip avevano…? Scosse la testa decisa e convinta. Non poteva essere possibile, se fosse successo se ne sarebbe certamente ricordata e non si sarebbe svegliata completamente vestita. Si accorse di aver oltrepassato la camera di Patty e tornò indietro. Bussò. Amy le aprì e lei entrò. Evelyn era sul letto, appoggiata contro la spalliera, le gambe incrociate e allungate sul materasso, il cellulare in mano. Carol trafficava intorno al tavolino, stava ripulendo i pennelli e richiudendo flaconi e flaconcini. Quando la vide si volse e le sorrise. Jenny posò la borsa sul tavolo e cercò Patty. La trovò in piedi, davanti allo specchio. I loro sguardi si unirono attraverso il riflesso.  
-Sei già pronta e stai benissimo. Peccato che Holly non possa vederti!-
Il vestito rosso scuro che le arrivava fino ai piedi sembrava fatto apposta per lei. Le fasciava il corpo esile e si allargava, svasato, poco sopra le ginocchia. Era così lungo che delle décolleté di velluto nero si scorgeva solo la punta. Il rosso le donava davvero, senz’altro più che a lei. Il make-up era perfetto, Carol era stata fantastica ancora una volta.
Evelyn agitò il cellulare nella sua direzione senza muoversi da dov’era.
-Non ti preoccupare, Jenny. Le ho fatto un servizio fotografico completo. Holly non se la perderà.-
-Idiota.- Patty arrossì e lanciò a Carol un’occhiata di sfuggita. Per fortuna lei non la stava guardando, presa com’era dall’arrivo dell’amica.
-Ho una domanda per te, Jenny.- Evelyn la fissò con un’espressione così intensa da metterla a disagio.
-Non ho tempo, devo assolutamente fare una doccia ed è già tardi.-
-Su, ci vorrà un secondo. Voglio solo sapere com’è stato baciare Mark.-
Lei fremette, a disagio. Cercò le parole e le trovò.
-Un banale sfioramento di labbra.-
-Hai baciato Mark?- Carol la fissò incredula.
-Non proprio.-
-Senti…- Evelyn riprese interessata -Sei stata e sarai anche l’unica di noi che ha baciato Mark quindi mi sembra più che naturale che ti domandi com’è stato, ti pare?-
-Era solo un bacio.-
-Ma la lingua ce l’ha messa o no?-
-Assolutamente no!-
-Non serve che ti scandalizzi tanto, sai? L’ha fatto anche al ryokan.-
-Ha fatto cosa? Chi?-
-Mark. Ti ha baciata anche al ryokan!-
Le amiche ammutolirono, solo Jenny riuscì a farsi uscire la voce.
-Che stai dicendo?-
-La verità. Ti ha baciata mentre dormivi, tu non te ne sei neppure accorta.-
-Impossibile.- ma Evelyn ne sembrava così convinta -Non stai scherzando, vero?-
-Proprio no.-
-Quand’è successo?-
-Un sacco di tempo fa. Precisamente la sera in cui Kevin e i suoi amici hanno gonfiato di botte Philip. Mark ti ha baciata quella notte, sul viso. Non so bene dove perché era buio. Non se n’è accorto nessuno, dormivano tutti.-
Jenny non seppe che dire, non seppe cosa pensare. Era successo troppo tempo prima. Lei e Mark si erano appena conosciuti e non c’era uno straccio di motivo a spiegare perché lui si fosse comportato così. Ma non poteva pensarci, anzi non voleva. Ne aveva già a sufficienza di problemi a riempirle il cervello. Sospirò e accantonò la domanda, era troppo difficile trovarle una risposta.
-E proprio tu dovevi essere sveglia?-
Evelyn rise.
-Meglio io che qualcun altro. Se si fosse trattato di Benji, per esempio, tempo due giorni e glielo avrebbe rinfacciato. Così la nostra vacanza a Shintoku sarebbe diventata un inferno grazie alla gelosia di chi sai tu. Lui non gliel’avrebbe perdonata. Almeno ho mantenuto il segreto, sei la prima a cui lo dico!-
Jenny la scrutò.
-E adesso hai intenzione di spifferarlo a qualcun altro?-
-Certo che no! Mi basta che lo sappia tu!-
-Grazie tante! Ora che me lo hai detto salto di gioia!-
-Ci credo! Essere baciate per ben due volte da Mark non è mica poco!-
L’espressione sorniona con cui le strizzò l’occhio spinse Jenny ad incassare la battuta senza replicare. Guardò l’orologio.
-Devo sbrigarmi.- si sbottonò la camicetta e poggiò uno ad uno i vestiti sul letto. Quando fu in mutandine e reggiseno si fermò ad osservare divertita Amy, a cui Carol stava mettendo lo smalto sulle unghie -Che ore sono?-
-Le sette.-
Patty la guardò percorrere la camera in biancheria intima, mentre un pensiero assurdo le balenava per la testa. Vedendola così Carol le sarebbe saltata addosso? Lei, per sicurezza, l’abito l’aveva indossato in bagno. Si guardò a disagio nello specchio e si lisciò la stoffa sui fianchi.
-Sono quasi troppo elegante.- si volse verso Jenny un attimo prima che sparisse nella toilette -Te lo sei mai messo questo vestito?-
Lei si fermò sulla soglia e la guardò.
-No, non ne ho avuta l’occasione.-
-Jenny, noi cominciamo a scendere.- l’avvertì Amy, agitando le dita in aria per far asciugare lo smalto.
-Va bene.-
Un attimo dopo, attraverso la porta chiusa del bagno, udirono scorrere l’acqua della doccia.
Al banco del bar Bruce accolse Patty con gli occhi spalancati.
-Dove hai preso quel vestito? Non può esserti entrato in valigia!-
-Me l’ha prestato Jenny.-
-Incredibile! Stasera sembri quasi una femmina!-
-Imbecille cafone!-
Anche Evelyn lo mise a tacere in malo modo.
-Bruce, Patty sta benissimo e non muori se una volta le fai un complimento.-
Lei sollevò il mento, orgogliosamente stizzita.
-Lascialo in pace Eve, non me ne faccio niente dei suoi complimenti.- tirò fuori il cellulare dalla borsetta e chiamò Holly, per farsi passare il nervoso e per sapere se era arrivato a casa sano e salvo.
Gentile fece il suo ingresso nell’hotel elegantissimo. Il completo scuro gli stava così bene che Evelyn trattenne il fiato.
-La natura certi esemplari li crea d’impegno!-
-Evelyn, stai sbavando.- la schernì Bruce con una buona dose di fastidio.
-Non posso proprio darti torto…- concordò Patty, lanciando un’occhiata al cellulare con cui già da un po’ aveva intrapreso un’impegnativa conversazione chat con Holly.
Benji le sedeva accanto e da quel poco che aveva capito sbirciando il loro botta e risposta tra una pagina e l’altra della rivista requisita a Bob Denver, l’amico stava consultando la moglie per sapere se in casa c’era qualcosa di decente da racimolare per cena. Fosse stato al suo posto, Benji avrebbe approfittato dell’assenza di Patty per organizzare un’uscita tra maschi e sperimentare con gli amici qualche locale interessante. Altro che accontentarsi di un’insalata rimediata! Certe volte Holly non lo capiva proprio.
Osservò Gentile avvicinarsi e lo salutò con un cenno. L’italiano rispose con un sorrisetto, deviò verso Mark, prese posto su uno sgabello e ordinò un drink al barman.
-Jenny?-
-Non è ancora scesa.-
Salvatore lanciò un’occhiata al proprio costosissimo Rolex giusto per metterlo in mostra e constatò di essere arrivato decisamente in anticipo.
-Sto morendo di fame.-
-A chi lo dici.-
Gentile sorseggiò l’aperitivo, poi si frugò in una tasca e tirò fuori una scatolina di velluto nero. Si guardò intorno, si alzò dallo sgabello e raggiunse Amy, seduta tra Julian e Tom.
-La porteresti a Jenny, per favore?-
Amy si irrigidì, tese una mano, afferrò la confezione e scivolò giù dallo sgabello. Si allontanò rigida come un automa, gli occhi abbassati sulla scatolina che stringeva tra le dita. Che accidenti era? Moriva dalla voglia di sapere cosa contenesse ma nello stesso tempo aveva una paura cieca che si trattasse di un anello. Bussò alla porta della stanza di Patty e Jenny le aprì. Amy restò a bocca aperta. L’amica indossava un abito blu come la notte senza spalline, il raso liscio e lucente l’avvolgeva e un velo di chiffon lo ricopriva in un secondo strato. La stoffa le fasciava la parte superiore del corpo e si svasava sulle gambe, arrivando a sfiorare il pavimento. Sullo chiffon era ricamata una decorazione di piccoli brillantini. Più fitti e luminosi sul corpetto, scendendo verso il basso si diradavano gradualmente fin quasi a scomparire, dando l’impressione di un cielo notturno pieno di stelle. Una banda di chiffon si arricciava dalla chiusura lampo e le ricadeva sulla schiena in una lunga coda scintillante che scendeva fino all’orlo dell’abito.
-Questo vestito è splendido. Quanto l’hai pagato?-
Lei replicò con un sorriso, poi si contorse portandosi le braccia dietro la schiena.
-Non poco. Se solo riuscissi ad allacciarlo…-
Carol corse in suo aiuto e le tirò su la chiusura lampo. Amy chiuse la porta e si liberò della scatolina come se bruciasse, appoggiandola sul tavolo.
-Gentile è arrivato.-
-Cavolo è in anticipo!- Jenny tornò a sedersi per permettere a Carol di finire di truccarla. Si accorse di avere addosso lo sguardo di Amy.
-Che c’è?-
-Stai benissimo.-
Carol le aveva tirato su i capelli e li aveva raccolti con un fermaglio in cima al capo. Alcune ciocche le ricadevano dietro ondulate, sfiorandole le spalle. I suoi occhi risplendevano di sfumature argentate, le labbra brillavano di un rossetto rosa.
Amy le indicò la scatolina con un gesto nervoso.
-Te lo manda Gentile.-
Jenny si volse e la fissò, improvvisamente a disagio.
-Cos’è?-
-Non lo so. È per te.-
Carol le spennellò di fard lo zigomo.
-È sicuramente qualcosa di bello e costoso. Forse un anello?-
Jenny si irrigidì.
-Non dirlo neppure per scherzo.-
Carol la guardò di traverso.
-Non ne saresti contenta?-
Le sfuggì una smorfia di disappunto.
-Certo che no! Ci conosciamo appena!-
Amy le ascoltò senza fiatare. Sapeva perfettamente che il problema non era quello. Il problema era che l’amica non amava Gentile, almeno non quanto amava ancora, o aveva amato, Philip.
-Aprila su…- la spronò Carol curiosa -Cosa aspetti?-
Jenny la prese e con dita incerte sciolse il fiocco di raso bianco che abbelliva la confezione. Non aveva quasi il coraggio di aprirla.
-Non sei curiosa di sapere cosa contiene?-
La giovane sollevò gli occhi su Carol che fremeva di impazienza. Poi tirò un bel respiro e alzò il coperchio. Il sollievo le trasfigurò il volto. Spostò gli occhi su Amy mentre un sorriso esitante le illuminava l’espressione. Voltò la confezione e le mostrò un paio di orecchini d’oro bianco e brillanti.
-Caspita!- Carol saltò su entusiasta -Sono veri? Ma certo che lo sono, che domande faccio? Te li ha regalati Salvatore e li avrà pagati sicuramente una cifra assurda!-
Jenny annuì e tornò a guardare Amy.
-Temevo davvero che fosse un anello.-
-All’inizio l’ho creduto anch’io, ma se fosse stato così te l’avrebbe dato di persona.-
-Hai ragione, non ci avevo pensato.-
-Mettili Jenny!- la esortò Carol e quando lei lo ebbe fatto la guardò estasiata -Sono splendidi!- poi le osservò il viso -Per quanto mi riguarda abbiamo finito.-
Gentile la vide uscire dall’ascensore e si alzò. La raggiunse nell’ingresso e di questo Jenny gli fu grata perché le evitò di andare verso il bar, dove c’erano anche gli altri. Lui restò a contemplarla per un istante, poi si chinò per baciarla sulla bocca.
Jenny non glielo permise, scostandosi con una risatina.
-Ho appena finito di mettermi il rossetto.-
Carol sollevò un dito.
-Tu! Non provare a rovinarla!-
-Io non rovino nulla, semmai miglioro.-
-Mi dai uno strappo a casa?-
Lui guardò Jenny e annuì.
-Come posso dirti di no davanti a tanta bellezza?-
Mark li raggiunse.
-Andiamo?-
Patty arrivò per ultima, gli occhi ancora sul cellulare.
La loro uscita di scena fu seguita da qualche istante di silenzio durante il quale Bruce sorseggiò l’aperitivo e spostò su Philip uno sguardo saccente.
-Dì la verità, vorresti portarla tu alla festa.-
Callaghan alzò gli occhi, poi li riabbassò senza rispondere. Non lo sapeva neppure lui cosa voleva in realtà. Forse il suo desiderio più grande non era quello di portare Jenny alla festa quanto piuttosto di non essere lì, di non vederla frequentare Gentile ogni santo giorno. Forse era questo ciò che voleva.
-Cosa le ha regalato, Amy?- s’informò Benji curioso.
-Gli orecchini.-
Dopo aver udito la risposta, Philip smise di ascoltarli. Non era solo il fatto che Jenny quella sera fosse splendida. C’era anche il fatto che l’amava. Più la guardava e più si rendeva conto che era inutile continuare a intestardirsi sulla convinzione che prima o poi l’avrebbe dimenticata. L’attrazione che provava nei suoi confronti era insita in lui e mai e poi mai sarebbe riuscito a modificare questo sentimento, allo stesso modo di come i suoi occhi non sarebbero mai potuti diventare azzurri. Non sarebbe successo neanche se lei fosse rimasta per tutta la vita in Italia e lui in Giappone. Piuttosto si chiedeva come avesse potuto sopravvivere tutti quei mesi senza averla accanto. Posò i gomiti sul bancone e, sostenendosi il viso con una mano, osservò le bollicine dell’aperitivo che venivano in superficie. Tutto sommato invidiava Mark. Ma non perché quella sera era andato alla festa insieme a Jenny. Lo invidiava perché erano mesi che vivevano insieme. Lo invidiava perché quel pomeriggio l’aveva baciata. Lo invidiava perché lei, poco prima, gli aveva sistemato la cravatta con una tale confidenza da dimostrare al mondo intero quanto fossero diventati intimi. Toccò il bicchiere, ripulendone una parte dalla condensa. Poi lo prese tra le dita e sorseggiò la bevanda.

*

-Non sforzarti di fare il galante, Landers. Non ti si addice e ti stai rendendo ridicolo.- Salvatore scostò Mark che cercava malamente di destreggiarsi tra la propria giacca e il cappotto di Patty, e aiutò la giovane a togliersi il soprabito.
Lei lo ringraziò, si lisciò il vestito con una mano e poggiò l’altra sul braccio di Mark. Alzò lo sguardo verso l’espressione corrucciata di lui e gli strizzò un occhio.
-Tranquillo, non devi certo fingere di essere il mio ragazzo.-
-Figuriamoci se lo faccio.-
Salvatore lasciò i soprabiti nel guardaroba e si ficcò in tasca i bigliettini con i numeri. Poi prese Jenny per mano e affrontò la rampa centrale della scalinata di marmo, intorno alla quale si erano assiepati i giornalisti. Lo scalone che percorsero sotto i flash dei fotografi era magnifico, ma le due ragazze rimasero estasiate quando entrarono nell’enorme galleria di stucchi, con il pavimento di marmo bianco e nero, illuminata da centinaia di candelabri posti accanto alle grandi vetrate che si aprivano sul giardino della villa. Jenny camminava al braccio di Gentile, guardandosi intorno incantata. Ad ogni passo l’abito ondeggiava e brillava come il cielo stellato. La sala era gremita di ospiti, tra i quali Patty non si sentì più troppo elegante. Osservando le persone che superavano, si aggrappò al braccio di Mark.
-Sono felice che tu mi abbia invitata. È stupendo.-
-Sono contento che ti piaccia, ma non ti ho invitata io.- si curò di farle notare. Figuriamoci, era già ai ferri corti con Philip, ora non voleva assolutamente avere problemi con Holly perché portava la moglie a divertirsi mentre lui era a Barcellona a sgobbare.
-Be’, come ti pare. Ma io sono contenta lo stesso di essere venuta. Cos’è questo posto?-
-Credo la residenza di un nobile del Settecento o giù di lì. Dov’è il buffet?-
-Come puoi pensare a mangiare davanti a tanto splendore?-
-Allenati tu un’intera giornata con Gamo e poi vedi come ti viene voglia di mangiare.- la fissò -Non hai fame?-
-Ora no, magari tra un po’.-
-Vai pure a cercare il buffet.- lo rassicurò Jenny scostandosi da Salvatore che fremeva anche lui per mettere qualcosa nello stomaco -Noi faremo un giro.-
Passando con l’amica davanti ad un grande specchio appeso alla parete, Patty ne osservò il riflesso.
-Con questi abiti non sembriamo neppure noi.-
Jenny non perse tempo a guardarsi, tanto sapeva che non era il vestito che indossava a renderla diversa, a farla essere una se stessa che faticava da tempo a conoscere e capire. Quella era una Jenny che non aveva nulla a che vedere con la ragazzina felice e spensierata che un paio di anni prima aveva trascorso a Shintoku le vacanze invernali con gli amici, che non aveva nulla a che fare con la Jenny lacerata dall’esperienza di Kyoto e che era troppo distante anche dalla Jenny disincantata che due mesi prima era partita dal Giappone. Era diversa, eppure non riusciva a definirsi. Che Jenny era in quel momento?
-Vieni.- disse a Patty prendendola per mano -Scopriamo cosa prevede la serata.-

-Noi andiamo a dormire.-
Philip alzò gli occhi dalla birra, quella era la terza e sicuramente l’ultima. Annuì a Julian che lo guardava e ad Amy che era in piedi al suo fianco.
-Insieme?-
La ragazza arrossì e scosse la testa.
-In stanze separate.-
-Tra poco salgo anch’io.-
Benji osservò la coppia allontanarsi e sfogliò annoiato la rivista. Se la portava dietro da prima di cena ed era arrivato alle ultime pagine. Parlò senza guardarlo.
-Aspetti che torni?-
Philip si irrigidì, punto sul vivo. Finse di non capire.
-Chi?-
-Jenny. Devono riaccompagnare qui Patty quindi devono tornare per forza.-
-Non sto aspettando nessuno.-
Benji sorrise, poi spostò gli occhi su Evelyn che batteva stancamente la punta delle dita sulla tastiera del suo portatile.
-Dov’è che sono andati?-
Lei rispose senza alzare gli occhi.
-Ad una serata di beneficenza.-
-Raccolgono fondi per quel morto di fame di Landers?-
Bruce rise sguaiatamente, mentre accanto a loro Philip faceva del suo meglio per dimenticare Jenny e il suo vestito blu. Fissò Evelyn.
-Saresti voluta andare anche tu?-
Lei sollevò il viso di scatto.
-Molto meglio lì con loro che qui a lavorare!-
-Stai lavorando?-
-Certo che sto lavorando!-
-A quest’ora?- Philip lanciò un’occhiata a Bruce. Lo colse nel bel mezzo di uno sbadiglio e riuscì a scorgergli le tonsille. La vista non fu delle migliori, così si affrettò a riportare lo sguardo sull’amica -Che pezzo stai scrivendo?-
Lei sospirò e stavolta si prese qualche istante per rispondere.
-Philip, sai che sono quattro giorni che mi rivolgi appena la parola?- aspettò una risposta che non venne e allora continuò -Perché ti si è sciolta la lingua proprio ora che sono occupata e non ho nessuna voglia di chiacchierare?- scosse la testa e si immerse nel lavoro. Stava preparando la tanto sospirata e desiderata intervista a Gentile ed era indecisa se tra le domande da rivolgergli inserirne qualcuna che riguardasse Jenny. Nel dubbio si stava concentrando sulle altre.
Benji girò pagina, facendo frusciare la carta patinata.
-Almeno te li pagano gli straordinari?-
-Mi pagano ogni articolo che viene pubblicato.-
-Una bella fregatura. È come se i calciatori venissero pagati solo per i goal che fanno…- fissò Bruce provocatorio -Tu non beccheresti uno yen…- poi spostò lo sguardo su Philip -Tu molto poco.-
-Tu niente.- replicò l’altro acido e spostò gli occhi sulle porte a vetri dell’hotel che si aprirono per lasciar entrare Sandy Winter, Patrick Everett, Ralph Peterson e Clifford Yuma.
Quando li raggiunsero al banco del bar, Bruce li accolse con il broncio.
-Che fine avevate fatto?-
-Siamo andati a fare un giro in centro.-
Lo sconcerto assalì Tom.
-Siete usciti? E Gamo lo sa?-
-Certo che no! Mica siamo scemi!-
-Philip, non gli dici niente?-
Lui si volse verso Bruce.
-Tipo cosa?-
-Tipo che non possono scorrazzare come vogliono!-
-Adesso che sono tornati?-
Benji alzò gli occhi dalla rivista.
-Si vede proprio che di noi non ti frega un cazzo, Callaghan.-
Risentito, quello si eresse sullo sgabello.
-Cosa dovrei fare? Sono tornati! Gamo non se n’è accorto ed è filato tutto liscio!-
-Appunto.- annuì Clifford fissando Bruce ostile -Ti rode Harper che non ti abbiamo chiamato, vero?-
-Vero.- approvò Benji d’accordo.
L’amico si sentì rimescolare.
-Figuriamoci, sapete che me ne frega! Potete fare quello che vi pare!-
Clifford scoppiò a ridere.
-Invece ti rode proprio! Ti si legge in faccia, ormai ti conosco!-
-State un secondo zitti?- esplose Evelyn che in quel battibecco non riusciva a concentrarsi. E mentre lanciava occhiatacce a destra e a manca intimando il silenzio, fu illuminata da un’idea improvvisa -Visto che siete tanto amici, Benji…- gli fece uno sventagliamento di ciglia che cadde nel vuoto perché il portiere era tornato ad abbassare gli occhi sulle pagine del giornale -Chiederesti a Gentile se mi permette di intervistarlo?-
-Perché non glielo fai chiedere a Jenny? Riuscirebbe a convincerlo molto meglio di me.-
Evelyn sbuffò e spostò lo sguardo sullo schermo del pc, dove le domande scritte fino a quel momento spiccavano nere sullo sfondo bianco. Non era sicura che Jenny le avrebbe fatto il favore.
Philip si alzò per cambiare posto. Si sedette accanto a Benji e occhieggiò la rivista, sforzandosi di provare per quelle pagine un interesse sufficiente a distrarlo dal botta e risposta di quei due che parlavano di nuovo di lei.
-Posso dare un’occhiata?-
Il portiere annuì e gli lasciò il giornale.
-Benji non puoi proprio dirglielo?- insistette Evelyn.
-Hai litigato con Jenny?-
La ragazza si tese.
-Certo che no!-
-Allora chiedilo a lei. Io in queste cose non voglio entrarci.-
-Ho capito. Mi arrangerò da sola… Grazie tante!- sbuffò e lo lasciò perdere.
-Philip questi articoli sono vecchi di una settimana!- si lagnò Bruce sporgendosi oltre il suo braccio, gli occhi incollati sulla pagina.
-Non sei mica obbligato a leggerli… Anzi se ti tiri in là sto anche più comodo.- cercò di scacciarlo. Girò pagina e si impietrì.
Bruce fischiò di sorpresa.
La foto di un articolo colpì Philip come una randellata. Per un istante gli bloccò il respiro. Qualcosa gli serrò la gola e nello stesso tempo lo assalì una nausea così violenta che fece uno sforzo enorme per non vomitare sul bancone la birra che aveva appena bevuto. I suoi occhi si bloccarono sulla pagina. Dopo più di un anno si ritrovò suo malgrado a posare lo sguardo sulla persona che gli aveva rovinato la vita. David McFay sorrideva strafottente con i suoi occhi verdi che brillavano. Karen era al suo fianco, altera e seria, con un bimbo tra le braccia. Un bambino così somigliante al padre da non lasciare dubbi su chi lo avesse generato. Nella mente sconvolta di Philip non trovarono posto né Karen né suo figlio. I suoi occhi sgomenti riuscirono a mettere a fuoco solo il sorriso di giada di McFay che sembrava trapassare beffardo la carta. La foto rappresentava la più evidente dimostrazione che quello stronzo bastardo stava continuando a vivere la sua vita felice, ricca e contenta senza aver scontato la colpa di aver distrutto l’esistenza di Jenny e la sua. McFay si era divertito a suo piacimento e l’aveva passata liscia. Forse aveva persino dimenticato ciò che aveva fatto a Jenny, mentre lei avrebbe dovuto convivere con quel terribile ricordo per tutta la vita. Philip non avrebbe dovuto lasciare che le cose andassero così. McFay non avrebbe dovuto farla franca. Se Jenny aveva deciso di non denunciarlo, Philip avrebbe dovuto comunque fargliela pagare. La collera nei suoi confronti si risvegliò con una violenza che non aveva mai provato. Se in quel momento lo avesse avuto davanti in carne ed ossa, probabilmente lo avrebbe ucciso.
Nei suoi occhi passò un’ombra, le sue labbra si serrarono. Le sue dita furono attraversate da uno spasmo che fece accartocciare le pagine. Provò a leggere l’articolo per scacciare quei pensieri, così aggressivi e pericolosi da sconvolgerlo. Cercò di distrarsi sulle frasi per fare in modo che la collera in qualche modo si attenuasse. Nonostante tentasse di concentrarsi, non riuscì a cogliere il senso dell’articolo, le cui parole gli si accavallavano nella testa perdendo ogni significato. A colmargli la mente c’erano solo quegli occhi verdi che lampeggiavano di derisione. L’aveva violentata, l’aveva picchiata e non aveva pagato per il male che le aveva fatto. Philip non poteva continuare in eterno a cancellare il pensiero di David, a far finta che non fosse mai esistito. Non poteva continuare ad addossarsi la colpa di non aver protetto Jenny. Non era lui ad aver sbagliato, era stato David a prendersi con la forza ciò che non avrebbe dovuto neppure toccare. Con un assegno aveva pensato di mettere le cose a posto, ma le cose non erano tornate a posto proprio per niente. Anzi, forse non sarebbero tornate a posto mai più. Ma almeno una cosa, tornato in Giappone, doveva farla. Rintracciare David McFay e fargliela pagare una volta per tutte.
Non sopportò più di avere sotto gli occhi quel volto sorridente così spinse la rivista verso Benji.
-Falla sparire.-

Jenny si sarebbe goduta molto più la serata se quella giovane dai capelli rossi e dallo sguardo grigio avesse smesso di fissarla. Indossava un abito nero e ai piedi portava delle scarpe dal tacco alto che, insieme allo spacco laterale del vestito, facevano sembrare le sue gambe più lunghe di quanto già non fossero. Le ciocche ramate erano raccolte in un severo chignon che evidenziava l’ovale perfetto del viso.
Porgendole un bicchiere, Salvatore le posò una mano sulla spalla.
-Cosa stai guardando?-
-Quella ragazza con il vestito nero. Mi sta fissando.-
Gentile si volse, la individuò e si irrigidì in modo così brusco che Jenny percepì i suoi muscoli tendersi. Il sorriso gli morì sulle labbra.
-Chi è?-
Salvatore non rispose. D’un tratto sembrò indeciso, si guardò intorno quasi spaesato.
-Torno subito.- disse e sparì oltre una porta.
Jenny spostò gli occhi su Mark.
-Che gli prende?-
-Quella che gli hai appena indicato è la sua ex.-
-La ragazza con il vestito nero?-
L’amico annuì.
-La conosci?-
-Ogni tanto la vedevo al campo.-
Jenny s’incuriosì. Sapeva perfettamente che non erano affari suoi, ma scoprire all’improvviso che anche Salvatore aveva problemi con la sua ex ragazza era in qualche modo consolante.
-Perché si sono lasciati?-
-Pare che lei lo abbia tradito con il suo art-director.-
-Con chi?-
-Il tizio che ha montato le sue foto per una campagna pubblicitaria.-
-Come lo sai? Te lo ha detto Salvatore?-
-Figuriamoci! L’ho sentito dire dagli altri. Gentile con me non si confida di certo e in tutta sincerità la sua vita privata non mi interessa.- questo almeno finché non era entrata a farne parte anche Jenny. La considerazione lo infastidì, così cambiò discorso -Vado a prendere qualcosa da bere. Voi volete niente?-
A Jenny la sete era passata insieme alla fame. Dopo aver individuato la ragazza di Gentile non riusciva più a spiegarsi che cosa avesse spinto l’italiano a corteggiarla. Non aveva niente in comune con lei, assolutamente nulla. Adesso capiva perché Mark le aveva ripetuto fino alla nausea che lei non rappresentava il tipo di ragazza con cui Salvatore usciva abitualmente e che quindi era molto meglio che lo lasciasse perdere.
-Se Evelyn fosse qui direbbe che quella tizia è fuori di testa.- a Patty venne da ridere -Uno come Gentile per lei non è certo da tradire con un comunissimo art-director.-
-Forse non era un tipo tanto comune.- Jenny sorrise, poi tornò di colpo seria e pensierosa. C’era una cosa di cui voleva parlare all’amica ma non riusciva a pescare dentro di sé coraggio sufficiente a confidarsi. Eppure il dubbio che la angustiava era così insopportabile che se non ne avesse parlato con Patty, sentiva che sarebbe scoppiata. Era meglio che si facesse forza e si decidesse a parlarle perché si stava facendo tardi e tra poco sarebbero rientrati. Se non ne avesse approfittato quella sera, forse non le sarebbe più capitata un’altra occasione di avere l’amica tutta per sé.
-Sai Patty…- iniziò con un filo di imbarazzo -Stanotte è successa una cosa strana…- lasciò la frase così, mentre le sue guance si tingevano di porpora -Ho sognato di… di farlo con Philip e quando mi sono svegliata lui dormiva accanto a me.- abbassò lo sguardo a terra poi lo rialzò per dare un’occhiata fugace all’amica. Si prese una mano nell’altra e si strinse le dita a disagio -Lo so che sembra assurdo… ed è anche parecchio imbarazzante… ma non riesco a capire se sia successo davvero o se si è trattato solo di un sogno…-
Patty cercò di reprimere un sorriso.
-Eh già, ieri eri davvero distrutta.-
-Non prendermi in giro.-
-Se è successo davvero, sono contenta per te.-
Jenny s’infastidì.
-Non c’è niente di cui essere contenti. Io sto con Salvatore.-
-Sì, lo so. E a proposito, con lui l’hai fatto?-
Le guance della giovane divennero scarlatte.
-Veramente io, noi non…- si osservò le unghie laccate dalla sapiente mano di Carol, esitando a confidarsi. Lo fece, perché di Patty si fidava -Non abbiamo fatto niente.-
-Davvero? E perché?-
-Non lo so.- il resto non riuscì proprio a dirglielo. Non riuscì a parlarle della paura che l’aveva assalita alcuni giorni prima, la sera dell’arrivo della nazionale giapponese in Italia, quando Gentile l’aveva portata a casa sua, quando avrebbe voluto farlo ma lei si era tirata indietro -Non è successo.-
-Questo è curioso, non trovi? Mi hai appena detto che forse hai fatto l’amore con Philip e poi ammetti che con Salvatore non è ancora successo. Eppure un secondo fa hai ribadito che stai con Gentile. Spero capirai da sola il perché di tutto ciò.-
-Non voglio neanche pensarci, al perché!-
-Invece forse dovresti farlo.-
Tacquero qualche istante, poi Jenny si sporse verso di lei e le sfiorò una mano.
-Non dirlo ad Evelyn, per favore. Finirebbe per tirarci fuori un articolo di gossip.-
-Certo che non glielo dico! Certe volte Evelyn ha la delicatezza di un elefante. Pensa che quando ci siamo incontrate in hotel mi ha chiesto davanti a tutti se ero incinta!-
Gli occhi di Jenny brillarono di interesse.
-E lo sei?-
-No che non lo sono!-
-Lo dici come se la cosa ti infastidisse. Non vuoi dei bambini?-
Fu Patty stavolta a sentirsi imbarazzata. Posò gli occhi sul velluto nero delle scarpe che spuntavano dall’orlo cremisi dell’abito.
-Sì, ma…-
-Ma cosa?-
-Se fossi incinta e avessimo dei bambini, non potrei seguire Holly nelle trasferte. Finirei per restare a casa da sola, lontana da lui.-
-Non saresti da sola, saresti con i tuoi figli.-
Gli occhi di Patty si velarono di malinconia.
-Mi mancherebbe lo stesso. Ho passato anni e anni ad amarlo da lontano. Vorrei recuperare il tempo perso, stare con lui sempre, avere il suo amore esclusivamente per me. Per il momento non desidero dei bambini.-
-E lui che dice?-
-Lui aspetta fiducioso che arrivino.-
-Non ne avete parlato?-
-Gliel’ho accennato, ma mi sa che non ha capito. Io comunque aspetto almeno un altro anno.-
Jenny le prese una mano e la strinse comprensiva tra le sue.
-Hai ragione, siete ancora così giovani. Che fretta c’è?- rifletté un istante -E quindi come stai facendo per evitarlo?-
-Sto prendendo la pillola.-
-Holly non se n’è accorto?-
-Non lo so, finora non mi ha detto niente. Certe volte è così distratto…-
Jenny non riuscì a fare a meno di ridere.
-Davvero! Può darsi che non se ne accorgerà mai!-

Prima che il bar chiudesse Benji ordinò una birra per sé e una per Philip, che sembrava averne proprio bisogno. Da quando si era imbattuto nella foto di McFay non aveva più detto una parola, piombando in un silenzio apatico e inquietante. Era quasi un’ora che fissava muto il bicchiere vuoto, lo sguardo distante, la testa da un’altra parte.
Benji, che sedeva accanto a tanta depressione, stavolta non riusciva proprio a far finta di niente. La rivista con la foto di Karen era rimasta sul bancone spalancata su quella pagina perché Bruce ed Evelyn, ma anche lui stesso, avevano voluto leggere l’articolo. Dopo nessuno si era curato di chiuderla. Dalla foto, Karen lo guardava con tutto il suo fascino mentre Philip, appollaiato sullo sgabello al suo fianco, sembrava incapace di riprendersi dallo shock. Quando il barman li servì, fece scivolare la birra dell’amico lungo il ripiano fino a mettergliela davanti. Lui la prese e la sorseggiò senza neppure alzare gli occhi.
Benji pensò che forse non avrebbe dovuto fingere di provare interesse per Jenny, forse era stato inutile rigirare il dito nella piaga. Lo aveva fatto soltanto perché non sopportava il comportamento del compagno e aveva sperato di dargli una scossa. Quella balla però sembrava non essere servita a niente. Benji non riusciva proprio a spiegarsi come uno come lui potesse tollerare di vedere Jenny con Gentile e restare a guardare senza far nulla. Philip non aveva reagito neppure quando Landers l’aveva baciata. Se fosse stato al suo posto, Benji avrebbe trovato all’istante una scusa per gonfiarlo di pugni. E invece del Philip geloso e combattivo che conosceva non era rimasto niente. Si era dimostrato passivo a quel discutibile e inaccettabile bacio come lo era diventato su tutto. Sembrava che niente lo riguardasse più. Per come la pensava Benji, se si fosse dato una svegliata sarebbe riuscito a riprendersi la ex fidanzata in un attimo. Il legame tra Jenny e Gentile era così impalpabile, così inconsistente che gli sarebbe bastato un niente per riportarla a sé. Possibile che non lo capisse?
Lanciò un’occhiata all’orologio. Era passata mezzanotte ed era ora di tagliare la corda, prima che Gamo li trovasse di nuovo lì e ricominciasse a sbraitare. Un attimo prima di esternare il suo pensiero agli altri, vide le porte dell’hotel aprirsi e Patty fare il suo ingresso, guardandosi intorno e trascinando Jenny verso il bar.
-È stato stupendo!- esclamò a beneficio di tutti.
Si fermarono ad un passo dal bancone.
-Bevi qualcosa con noi, Jenny?- la invitò il portiere.
-No…- si tirò indietro lei -Mi stanno aspettando. Ci vediamo domani.- si voltò per tornare indietro e mentre passava accanto a loro gli occhi le caddero sulla rivista. Si arrestò di colpo.
Nessuno fu in grado di impedirle di vedere la foto, perché all’inizio nessuno capì dove aveva posato lo sguardo. Il sorriso stentato con cui li aveva salutati scomparve e invece di proseguire in direzione dell’uscita, la giovane fece un passo verso il ripiano del bar.
Jenny sentì qualcosa scattarle nella testa, una fitta serrarle il petto. Il respiro si bloccò, l’aria non le arrivò ai polmoni e la vista le si offuscò. Lo sguardo verde di David la trapassò da parte a parte, con una violenza che la fece fremere, che le gelò il sangue nelle vene. Sbiancò, serrò e aprì le dita delle mani in un movimento spasmodico, mentre cercava di scacciare dalle orecchie l’eco di una risata che credeva di aver dimenticato. Allungò un braccio verso il bancone ma non per prendere la rivista, che era ad un passo da lei. Si aggrappò al bordo del ripiano per sostenersi.
A Philip bastò guardarla in viso per ritrovarsi sommerso da una sofferenza insostenibile. Saltò giù dallo sgabello così di colpo che quello ondeggiò e per poco non cadde. Raggiunse Jenny nel momento in cui lei, talmente vicina da poter toccare il giornale, si tirò indietro di scatto in un gesto di rifiuto. Finì addosso a Philip urtandogli il torace con una spalla e si volse atterrita, perché non lo aveva sentito arrivare. I loro sguardi si incrociarono e prima che Jenny lo riconoscesse, il terrore si impadronì del suo volto ferendo Philip all’istante. Quell’espressione gliel’aveva vista per mesi, quella stessa espressione l’aveva fatto soffrire da cani. Poi Jenny lo mise a fuoco, rinvenendo negli occhi di lui un dolore intenso, un dolore che il tempo non aveva attenuato. Ritrovarlo fu lacerante e lei, incapace di sopportarne il peso, cercò scampo voltandosi. Boccheggiò in trappola quando si ritrovò di nuovo faccia a faccia con la foto. Rivisse in un secondo quella maledetta sera, l’odore di David le intrise le narici, la sua risata le risuonò nelle orecchie e quando una mano si posò sulla sua spalla si volse con un sussulto, soffocando un grido. Nonostante il panico che le offuscava lo sguardo, scorse Philip ritrarre subito il braccio. 
Lui avrebbe dato qualsiasi cosa purché Jenny non vedesse quella foto. Purché i suoi occhi non si colmassero di terrore, purché il suo corpo non sussultasse di spavento, purché non mostrasse di rifiutarlo ancora. Sollevò di nuovo il braccio, lei vide le sue dita avvicinarsi e trattenne il fiato, sperando però stavolta che lui la toccasse di nuovo. Invece la mano di Philip la oltrepassò, afferrò il giornale, lo chiuse e lo spinse via con violenza. Jenny lo vide finire tra le mani di Benji, il sollievo la fece quasi accasciare. E finalmente Philip, quando lei ormai non ci sperava più, la circondò con le braccia e la strinse a sé. Il viso sprofondato contro la sua felpa, nel suo calore e nel suo odore, provò dopo tanto tempo un sollievo immenso.
-Jenny?-
Mark si accorse troppo tardi di ciò che aveva appena interrotto. Vide l’amica sobbalzare, puntare le mani contro il torace di Philip e tirarsi indietro. Non capì cosa fosse appena successo, ma capì di essere arrivato nel momento sbagliato.
Philip non si mosse. Restò immobile e lasciò che Jenny si allontanasse, che varcasse l’ingresso dell’hotel sparendo nella notte, verso la macchina di Gentile parcheggiata da qualche parte, con il motore acceso ad attenderla.
-Mark! Che tempismo!-
Il ragazzo si volse verso Patty.
-Come accidenti potevo saperlo?!-
Benji scosse la testa.
-Ti meriti un bel dieci, Landers.- 

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Capitolo 13
*** Dodicesimo capitolo ***


Dodicesimo capitolo



Mark si svegliò perché aveva caldo, un gran caldo. Il letto bolliva come l’inferno e il suo pigiama era intriso di sudore. Spostò gli occhi sull’orologio che segnava le cinque. Era distrutto e sentiva assolutamente il bisogno di riposare ancora a lungo. E allora perché aveva già aperto gli occhi? Magari per il fatto che il materasso stava andando a fuoco? Scostò le coperte, si alzò e spalancò la finestra. Il gelo l’avvolse ghiacciandogli i capelli sudati sulle tempie. Respirò a pieni polmoni la brezza della notte e poi si tirò indietro, lasciando arieggiare la stanza. Da fuori proveniva solo un silenzio interrotto sporadicamente dal passaggio di qualche macchina. Richiuse i vetri e tornò verso il letto, tutte le intenzioni di riprendere a dormire. Non poteva permettersi di perdere neppure un minuto di sonno. Si bloccò di colpo. Il chiarore dei lampioni sulla strada tracciò i contorni di un corpo adagiato sul materasso. Gli ci volle il tempo di un sussulto per ricordare che la presenza di Daisy aveva costretto lui e Jenny a spartirsi lo stesso letto. La cosa riprese a non piacergli con più intensità di quanto accadesse durante il giorno. Optò per una capatina in bagno e, nel timore di svegliarla, raggiunse la porta in punta di piedi, attraversando la stanza con lo sguardo fisso sull’amica. Pregò che non lo udisse, che non si voltasse. Non avrebbe sopportato di sentirsi i suoi occhi addosso al ritorno, mentre si infilava sotto le coperte al suo fianco come se fossero una coppia. La sera precedente, pure se erano rientrati tardi, era rimasto a orbitare morto di sonno e di stanchezza finché lei si era addormentata. Solo dopo l’aveva raggiunta. Il bacio del giorno prima era stato un madornale errore che Jenny non gli aveva ancora perdonato. E lui non intendeva in nessun modo peggiorare la situazione. Aveva bisogno di averla alleata per tenere a bada Daisy. Maledetta Farrell! Lo aveva impantanato in una palude di casini!
Mentre percorreva il corridoio per tornare in camera, udì un rumore attutito provenire dalla stanza di Daisy. Trattenne il fiato. Un fascio di luce filtrava da sotto la porta. Il timore di incontrarla lo fece fuggire in camera lesto e silenzioso. Molto meglio Jenny, anche sveglia, di lei. Quando mise piede nella stanza lanciò una nuova occhiata sfuggente all’amica addormentata. Poi scostò le coperte e si rinfilò a letto sbadigliando. Jenny, rannicchiata sull’altro lato, percepì il movimento del materasso ed emise un mugolio di protesta. Mark si irrigidì e strizzò gli occhi, cercando di penetrare il buio.
-Ti ho svegliata?-
Nel silenzio della stanza la sentì voltarsi dalla sua parte, ritirandosi ancor più sotto le coperte.
-Jenny, dormi?-
Nessuna risposta, neppure stavolta. Chiaramente ce l’aveva con lui per il bacio, e forse non solo per quello. Probabilmente anche per ciò che era successo in hotel quella sera, quando era piombato all’improvviso interrompendo ciò che stava succedendo tra lei e Philip. Accese il lume accanto al letto e la guardò. Giaceva supina, gli occhi chiusi, il viso imperlato di sudore e i capelli umidi incollati alla fronte.
-Jenny?- allungò una mano titubante e le sfiorò una guancia con la punta di un dito. La pelle vellutata e calda si incurvò al suo tocco. Lei continuò a restare immobile, non aprì neppure gli occhi. Ma la sentì bollente. Quando le appoggiò tutta la mano sulla fronte, allora Jenny lo guardò. Mark vide brillare le pupille sotto le ciglia scure.
-Stai bene?-
La giovane si volse piano, con un movimento lentissimo, e lo osservò con uno sguardo liquido, offuscato. Impiegò qualche istante a metterlo a fuoco, arrivando persino a chiedersi cosa ci facesse Mark accanto a lei.
-Sento freddo.-
-Non ti starà mica salendo la febbre!- l’eventualità lo atterrì, portandolo quasi a gridare. Ci mancava soltanto che si ammalasse, sarebbe stata la ciliegina sulla torta.
Jenny respirò piano, poi scosse la testa per rassicurarlo con un movimento che le costò una gran fatica. Richiuse gli occhi, esausta.
-è solo stanchezza, domani starò meglio.-
Mark lo sperò con tutto se stesso. Recuperò un’ulteriore trapunta con cui coprirla, spense la luce e si rimise a dormire.
Fu lo scampanellio di una serie di messaggi sul cellulare di Jenny a strapparlo di botto dal sonno e farlo balzare seduto.
-Chi cazzo è a quest’ora?-
Si girò verso l’orologio e gli venne un infarto. Erano le dieci! Merda erano le dieci! Scalciò via le coperte e saltò in piedi. Le dieci! Non era possibile! Perché la sveglia non aveva suonato? Porco mondo! Quel giorno Gamo l’avrebbe ucciso… e Philip, dopo quella merda di bacio e l’inopportuna interruzione della sera precedente, sarebbe stato ben felice di banchettare sui suoi resti.
Era maledettamente tardi! Perché accidenti non aveva suonato, la sveglia? Usando solo una mano si sfilò con un gesto da prestigiatore la maglia del pigiama e saltellando come un equilibrista prima su una gamba poi sull’altra, si tolse anche i pantaloni. Li agganciò con la punta di un piede, si volse mezzo nudo verso il letto e li lanciò sulle coperte. Fu in quel momento che vide Jenny, di cui aveva dimenticato la presenza per la seconda volta nel giro di poche ore. Rimase di sasso, in mutande, di fronte ai suoi occhi che, fortuna per lui, erano ancora chiusi. Corse avanti e indietro per la stanza come un invasato alla ricerca dei pantaloni che aveva indossato il giorno precedente. Pur di coprirsi, anche quelli eleganti del completo sarebbero andati bene. Nel disordine dei propri abiti e di quelli di lei sparpagliati ovunque non riuscì a rintracciarli. Allora, un diavolo per capello, l’urgenza di coprirsi e di uscire di casa il prima possibile, si precipitò verso l’armadio, spalancò l’anta e tirò fuori un fascio di vestiti. Vennero via alla rinfusa, più di quanti gliene servissero. Ributtò dentro un groviglio di felpe, magliette e maglioni. Indossò in fretta e furia i jeans lanciando occhiate ansiose a Jenny, che nonostante il trambusto, continuava a dormire. Si allacciò i pantaloni, le andò accanto e le mise una mano sulla fronte.  
Gli sembrò addirittura più calda di prima. Merda, non ci voleva. Jenny aveva davvero la febbre. Cosa poteva fare? Cosa doveva fare? Fremette d’indecisione. Gli allenamenti erano iniziati alle dieci, per cui ormai avevano notato tutti la sua assenza, anche i più distratti. Ed era sicuro che quel maledetto col cappellino aveva già sparato a zero sul suo ritardo. Ma non doveva pensarci, doveva solo sbrigarsi.
Si aggirò frenetico nella stanza radunando le proprie cose, a cominciare dalla borsa sportiva che era rimasta in un angolo fin dalla sera precedente. Ancora a torso nudo, si mise a svuotarla dagli olezzanti panni sporchi ammucchiandoli in un angolo. Ci avrebbe pensato dopo. Infilò nella borsa della biancheria pulita, pensando che se l’autobus fosse passato subito, nel giro di una mezz’ora sarebbe arrivato. Se invece non fosse passato, Gamo lo avrebbe fatto a pezzi e quel che era peggio l’avrebbe fatto davanti a tutti, Price e giornalisti compresi. Ma poteva lasciare Jenny così? Sì che poteva, non aveva scelta.
Uscì e rientrò in camera nel giro di pochi istanti, portando con sé un bicchiere d’acqua e una confezione di aspirine che posò sul comodino.
-Jenny?-
Lei non reagì. E allora, siccome non aveva più tempo, le mise una mano sulla spalla e la scosse più gentilmente che poté. Sotto le sue dita il corpo di lei bruciava.
-Jenny.-
La ragazza socchiuse gli occhi e lo fissò stordita.
-Buongiorno…- la voce le uscì a stento -Che ore sono?-
-è tardi, anzi tardissimo.-
Alzare un braccio per portarselo alla fronte le costò una fatica immensa.
-Non mi sento bene.-
-Certo che non ti senti bene! Ti è salita la febbre! Come hai fatto a fartela venire?- afferrò la confezione di medicinali, l’aprì e tolse una compressa dal blister. Gliela porse, mentre Jenny seguiva i suoi movimenti senza capire -È un’aspirina, prendila.-
Lei gli ubbidì, inghiottì a fatica l’acqua, poi si lasciò ricadere sui cuscini. Osservò il suo torace nudo attraverso un filo di nebbia, i pettorali scolpiti dagli allenamenti così perfetti da far venir voglia di toccarli.
-Mark…-
-Sì?-
-Se non ti vesti penserò che ci stai provando.-
Lui scattò indietro e socchiuse gli occhi.
-Sai che ti dico? Che se ti va di scherzare non stai male per niente!- le volse le spalle offeso e s’infilò una maglietta.
-Non sto male, Mark. Ho solo la testa pesante. Non ho sentito la sveglia.-
-Perché non ha suonato. Abbiamo dimenticato di inserirla.- indossò una felpa veloce come un fulmine, uscì e rientrò di nuovo. Posò sulla fronte di Jenny un piccolo asciugamano bagnato, frugò nella borsetta dell’amica e recuperò il telefonino. Lesse i messaggi di Gentile, commentò il suo romanticismo di dubbio gusto con una smorfia e posò il cellulare sul comodino dopo aver tolto la suoneria. Dopodiché la salutò, uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle. Non voleva lasciarla sola ma non aveva scelta. Con la partita che si avvicinava e Gamo che gli avrebbe fatto pagare in una volta tutti i ritardi passati e futuri, non poteva fare altrimenti. Tirò un profondo respiro e scese le scale di corsa.
L’autobus non passò. Ne prese un altro, allungò il percorso di quasi il doppio e fu costretto a prenderne altri due. Arrivò a mezzogiorno meno un quarto. I compagni avevano finito da un pezzo gli esercizi di riscaldamento e stavano giocando una partita.
Dall’altra parte del centro sportivo, nel campo degli italiani, vigeva l’anarchia. Correndo sul vialetto Mark vide che l’allenatore non c’era, o forse si era defilato per farsi i fatti propri e i ragazzi si rincorrevano gettandosi addosso secchiate d’acqua e qualsiasi altra cosa capitasse loro sottomano. La confusione stava impedendo ai giapponesi di concentrarsi sulla palla e Patty, Evelyn ed Amy se ne stavano aggrappate alla rete divisoria a gustarsi divertite lo spettacolo della squadra avversaria.
Gentile individuò Mark non appena il ragazzo imboccò il vialetto. Lo raggiunse e prese a camminare insieme a lui al di là della recinzione.
-Buongiorno Landers! Sai come si dice in Italia? Meglio tardi che mai.-
Mark gli lanciò un’occhiata. Aveva una manica che grondava acqua e degli schizzi di bagnato sui pantaloncini.
-E sai come si dice in Giappone? A sudare senza fatica sono solo gli opportunisti.-
-Non sono sudato, cretino. Si chiamano gavettoni.-
-Si chiama voglia di non fare un cazzo.- Mark non rallentò, tirò solo su la borsa che gli era scivolata dalla spalla.
-E me lo dici presentandoti a quest’ora? Adesso siamo in pausa, abbiamo appena finito di allenarci.-
-Sì, conosco bene il famoso allenamento tra una pausa e l’altra.-
-Lascia perdere, Landers. Lo svago è un concetto troppo difficile per te. A te piace sgobbare, punto.- si asciugò con le dita una goccia d’acqua che gli stava colando da una guancia -Dov’è Jenny? Non risponde al telefono.-
-È a letto con la febbre.-
-Con la febbre?- lo sconcerto arrestò Salvatore dov’era mentre la schiena di Mark seguitava ad allontanarsi -Come accidenti le è venuta, la febbre?- si riscosse di colpo e gli corse dietro ma non riuscì più a raggiungerlo perché il ragazzo svoltò l’angolo e la rete divisoria finì. Il tempo di tornare indietro verso l’uscita e lui era già sparito negli spogliatoi.
Mark si cambiò in fretta distribuendo a casaccio i propri vestiti tra la panca e l’appendiabiti. Uscì difilato dall’edificio con uno scarpino malamente allacciato che si sciolse mentre correva verso i compagni, tra cui si fiondò e cercò di mimetizzarsi per evitare la ramanzina del mister.
Ma Gamo, che lo aspettava al varco, si portò il fischietto alle labbra e ne tirò fuori un sibilo improvviso, acuto, lungo, insistente, assordante.
-Landers!-
Mark si volse verso Gamo e il cenno con cui lui lo richiamò fu inequivocabile. Il ragazzo, già stanco di quella giornata iniziata male fin dall’alba, curvò le spalle e si rassegnò ad uscire a testa bassa, come una vittima sacrificale, diretto verso il bordocampo e l’ennesima lavata di capo.
In tutto questo, come doveva fare con Jenny? Non poteva lasciarla da sola l’interna giornata, qualcuno doveva prendersi cura di lei. La preoccupazione lo spinse ad una mossa azzardata. Deviò verso le amiche e arrivò da loro quasi di corsa. Aveva i secondi contati.
-Patty, Jenny ha la febbre. Devi assolutamente andare a casa a vedere come sta.-
-Cazzo Mark!- la voce di Salvatore fu proprio ciò che ci voleva in quel momento -Fermati quando ti parlo! Maledetto te!-
Gentile non si curò di nessuno. Non gli importò che l’allenatore giapponese fumasse di rabbia di fronte alla sua prepotente invasione di campo. Non gli importò che le amiche di Jenny lo fissassero sconvolte da tanta arditezza. Era furibondo, Landers non doveva osare ignorarlo. Era o no lui Salvatore Gentile? Era o no il più forte difensore della nazionale italiana? E Landers chi accidenti credeva di essere? Giusto il tempo di assicurarsi che Jenny stesse bene e lo avrebbe corcato di mazzate.
-Quanto ha di febbre? Ha preso qualcosa?-
-Un’aspirina! Ha preso un’aspirina!- Mark cercò di liquidarlo, doveva parlare con Patty prima che l’ira di Gamo esplodesse -Non ho il termometro, non so quanto abbia di febbre. Ma ora Patty sta per andare a casa e…-
-Le chiavi?- domandò lei.
-C’è Malaya.-
-Malaya?-
-La donna delle pulizie. Se fai in fretta la trovi ancora lì.- un’idea gli illuminò la mente. Guardò Gentile -Invece di blaterare a vanvera, fai qualcosa di utile e porta Patty a casa mia.-
Si misero d’accordo senza che lei capisse un accidenti di niente e sobbalzò di sorpresa quando Salvatore la prese per un polso.
-Ti dà un passaggio.- le spiegò Mark.
Gentile imboccò l’uscita del campo trascinandosela dietro, recuperò il medico di squadra dalle panchine italiane che stava compilando la Settimana Enigmistica buttato su una panca e attraversò il parcheggio di gran carriera, fino alla sua Giulietta rossa.
Solo guardandoli andar via, Mark si rese conto che se quella mattina avesse telefonato all’unica persona a cui mai avrebbe chiesto aiuto avrebbe trovato subito la soluzione al “problema Jenny”.
-Adesso Landers, se hai finito di fare i tuoi comodi, avrei giusto un paio di cose da dirti!- la voce di  Gamo tagliò l’aria.
-Tipo?-
-Tanto per cominciare non è questa l’ora di presentarsi!-
-C’era traffico.-
-O sei stato a crogiolarti a casa?-  
Secondo Mark il mister alluse a Jenny. Sapeva sicuramente che abitava da lui, lo sapevano tutti. -Magari potessi, ma non posso! La mia casa è invasa!-
-Verissimo! Ed io ho pronta la soluzione che fa per te! Da stasera dormirai con noi qui in hotel! Ho già chiamato la reception per prenotare una stanza!-
Mark strinse i pugni. Era caduto dalla padella nella brace. Certo, se fosse andato in hotel si sarebbe tolto definitivamente la Farrell dai piedi, ma Gentile ne avrebbe approfittato per traslocare da lui e infilarsi nel letto di Jenny, cioè nel suo. Mai avrebbe spianato la strada a quel pallone gonfiato, mai gli avrebbe permesso di scopare dove lui dormiva e mai avrebbe fatto un torto simile a Philip. A costo di litigare con il mister non si sarebbe trasferito mai, MAI, in hotel insieme ai compagni.
-No.-
-Non era una domanda, Landers.-
Mark lo fissò.
-Non posso.- s’infilò nervosamente le mani nelle tasche dei pantaloncini, poi le tirò fuori ma non sapendo dove altro metterle, ve le ficcò di nuovo -Va contro i miei principi.-
-Ah davvero?- la voce di Gamo si alzò di un tono.
-Io ce l’ho già una camera a Torino, perché dovrei pagarne un’altra?-
Benji sghignazzò e si mise comodo ad assistere al botta e risposta dei due, appoggiato con una spalla al palo della porta e le braccia incrociate sul torace.
-Non capisco come possa essere così tirchio pure coi soldi che non sono suoi.- rise Clifford mentre si chinava a terra a stringere meglio i lacci di uno scarpino per prendere tempo e ascoltare l’intera conversazione.
-L’hai sentito, è tirchio per principio.-
-Non paghi tu, Landers! Paga la Federazione!-
-E allora siccome sono soldi della Federazione possiamo sprecarli? Dove sta scritto?-
-E il tempo che tu perdi ogni giorno per attraversare mezza città, quello non è uno spreco per la Federazione?-
Clifford ghignò.
-Sono proprio curioso di sentire cosa gli risponde adesso.-
-Sarà Landers a spuntarla.-
-Tifi per lui, Benji?-
-No, ma lo conosco meglio di Gamo.-
-Da quando ci pagano a ore?-
-Piantala Mark! Farai quello che ti ordino.-
-In campo! Fuori no! La mia vita privata me la gestisco come voglio!-
-Me ne frego della tua vita privata se arrivi tardi agli allenamenti! Il nullaosta non c’è ancora e ho tutto il tempo di decidere se farti scendere in campo oppure no.-
Mark si irrigidì e replicò tranquillo, quasi glaciale.
-Se vuole vincere, deve farmi giocare.-
Tom si domandò quanto sarebbero andati avanti così. Si chiese se i giornalisti, assiepati lungo la recinzione, stessero ascoltando la loro conversazione. Si chiese cosa sarebbe finito sui giornali. Cosa sarebbero riusciti a tirar fuori i redattori dal loro battibecco. I suoi occhi vagarono tra i fotografi all’esterno del centro sportivo fino ad Evelyn che prendeva appunti.
Perché Philip non interveniva e li faceva smettere? Lo cercò e lo trovò dall’altra parte del terreno di gioco. Se ne stava per conto suo come al solito, senza mostrare nessun interesse nei confronti del suicidio del compagno. Sicuramente non li stava neppure ascoltando. Non gliene fregava nulla. Tom fremette e serrò i pugni. Lo avrebbe ucciso e avrebbe ucciso anche Mark, ma per farlo doveva riportarlo in campo sano e salvo. Lo raggiunse di corsa.
-Allora? Quanto dobbiamo ancora aspettare per averti con noi?- lo agguantò per un braccio e lo trascinò con sé -Ti presenti con due ore di ritardo e perdi anche tempo a discutere?-
L’altro gli lanciò un’occhiata innocente.
-Ti pare?-
-Sì, mi pare. Sai benissimo che se a Gamo gira lo sghiribizzo, può sbatterti in panchina per tutta la partita. E, volendo, non solo per questa stupida amichevole!-
Mark sbuffò.
-Non lo farà, se vuole vincere.-
-Lo ha già fatto una volta, non ricordi?-
Cavolo se se lo ricordava! Aveva passato a Okinawa buona parte delle eliminatorie del girone asiatico dei mondiali Under19. Che Tom riesumasse un ricordo tanto bruciante gli diede sui nervi. Finì per assalirlo.
-La ramanzina di Gamo è bastata a mettermi di malumore, non ho bisogno anche della tua!-
-Litighiamo pure tra di noi così siamo a posto…- si fece sentire Warner tornando verso la porta. Passò accanto a Philip -Perché non fai qualcosa?-
Callaghan lo guardò perplesso.
-Per esempio?-
Tom lo udì e gli caddero le braccia. Spinse Mark davanti alla palla.
-Mister, possiamo fare una pausa?- urlò Bruce attraverso il campo.
Gamo saltò su come un grillo.
-Non voglio sentire quella parola! La pausa non esiste, dimenticatevela! È già mezzogiorno e non avete combinato un accidenti di niente! Siete degli sfaticati! Dei rammolliti! Chi non intende spaccarsi la schiena, chi non ha intenzione di arrivare alla partita strisciando e con la bava alla bocca, se ne può tornare a casa all’istante. Vuoi andare a casa, Becker?-
Tom sussultò, che c’entrava lui?
-No mister!-

Incrociarono Malaya sulla porta con un sacco della spazzatura.
-Come sta Jenny?-
-Buongiorno Salvatore. Ho visto che dormiva quindi non sono entrata nella stanza. Ho pulito tutto il resto.-
Patty dedicò alla filippina un sorriso consumato dalla preoccupazione per l’amica. Mentre si sfilava le scarpe per abitudine, Salvatore e il medico la superarono e imboccarono le scale diretti al piano superiore. Lei li guardò interdetta, poi si affrettò a seguirli. Gentile sbagliò stanza, aprì la porta di quella che adesso occupava Daisy. Non trovò nessuno e si fermò confuso. Poi vide Patty superarlo e proseguire lungo il corridoio. Le arrivò accanto, entrò dietro di lei nella camera di Mark e trovò Jenny sprofondata nel suo letto. Il pigiama di Landers giaceva spiegazzato sulle coperte. Non riuscì a capacitarsi di ciò che vide. La sorpresa per un attimo gli tolse il respiro.
-Che diavolo sta succedendo?-
Il medico lo guardò senza capire.
-In che senso?-
Lui non rispose, allentò la stretta alle dita contratte a pugno, scosse la testa e ingoiò la stizza. -Niente.-
Patty posò una mano sulla fronte di Jenny e la sentì caldissima. Aveva il volto arrossato, le labbra socchiuse, i capelli sparsi sul cuscino. Dormiva supina, scossa da brividi di freddo e da un sonno agitato. Nella nebbia della sua testa Philip camminava davanti a lei. Voleva disperatamente raggiungerlo ma non riusciva a farlo. Philip procedeva alla sua stessa andatura ma restava distante anche se Jenny si metteva a correre. E di correre lei non ne poteva più. Lo stava facendo da ore, lo faceva da sempre, correva all’infinito. Correva dietro a Philip e non poteva raggiungerlo, lo chiamava ma non riusciva a fermarlo. Non aveva più fiato, il cuore le batteva all’impazzata, lo udiva martellarle nelle orecchie. Sentiva che nei polmoni non aveva più aria, che bruciavano, che stava per scoppiare. Era disperata. Philip si trovava a pochi passi eppure le risultava impossibile toccarlo. Lo supplicò di fermarsi. Lui non si volse e il grido di Jenny si perse nella nebbia. Lei di fiato non ne aveva più, neanche per chiamarlo. Eppure doveva fermarlo, non poteva lasciarlo andar via così. Non voleva essere abbandonata ancora. Respirò e gridò di nuovo il suo nome premendosi il petto con le mani, il cuore che pulsava di disperazione. Le lacrime che le annebbiavano gli occhi avevano preso a rigarle le guance. Perché non si voltava? Perché non riusciva a raggiungerlo? Chiamò ancora e ancora. Impossibile che non la sentisse, era così vicino! Corse, con le ultime energie si slanciò in avanti e sembrò raggiungerlo. Allungò un braccio e la distanza si dilatò. Philip quasi scomparve. Lo chiamò e richiamò inutilmente. Lui non la udiva, o non voleva udirla. Non si voltava neppure. Avanzava quando lei avanzava, si fermava quando lei si fermava, correva quando lei correva rendendole impossibile raggiungerlo. L’avrebbe perso per sempre.
La voce di Jenny era un gemito, una parola sussurrata che all’inizio Patty non riuscì ad afferrare. Poi d’un tratto il nome che invocava divenne chiaro, lampante. Sussultò e alzò gli occhi su Gentile, che aveva udito e che rimase rigido, serrò le labbra. Qualcosa di indefinito gli attraversò lo sguardo, poi quell’emozione scomparve senza lasciare traccia.
Patty deterse con un fazzoletto le lacrime che rigavano il viso di Jenny e si scostò per far spazio al medico. Lui, dopo una rapida visita, emanò il verdetto.
-Salvatore, ha la febbre talmente alta che è svenuta.-
Lui sbiancò.
-Dobbiamo portarla in ospedale?-
-La tachipirina sarebbe sufficiente se si riuscisse a fargliela prendere.-
-Se deve berla la berrà.-
Patty rientrò in camera con una bacinella colma di acqua fredda. Vide il dottore seduto sul letto e  Salvatore, dall’altra parte della stanza, che frugava imbestialito nell’armadio facendo un casino tra i vestiti di Mark. Patty esitò, fortemente tentata di porre fine allo sfacelo. Rinunciò pensando che in fondo l’italiano aveva tutte le ragioni di essere adirato. Aveva mollato a metà gli allenamenti per correre da Jenny e l’aveva trovata nel letto di Landers a delirare invocando Philip. Che fosse nervoso era comprensibile per cui era dispostissima a sacrificare i vestiti di Mark e lasciarlo sfogare. Il dottore attirò la sua attenzione porgendole una bustina di granulato che, le spiegò, doveva cercare di far bere all’amica per far scendere la febbre.
Gentile si avvicinò stringendo tra le mani un pigiama di Jenny che aveva riesumato chissà da dove.
-Landers dovrà spiegarmi un sacco di cose…- brontolò e spostò gli occhi su Patty -Quando finisce di misurarle la febbre la cambiamo. È fradicia.-
La ragazza annuì. Aspettarono in silenzio alcuni minuti, poi il medico controllò l’orologio, e recuperò il termometro.
-Quasi quarantuno.-
Gentile riprese ad inveire contro Mark.
-Ma porca puttana! Landers è un incosciente! Quando torno al campo lo ammazzo di botte… per questo e per tutto il resto!-
Mentre le sfilavano via il pigiama intriso di sudore, Jenny riprese conoscenza.  
-Salvatore…- lo guardò poi mise a fuoco Patty e si rivolse a lei perché parlare in inglese le costava un certo sforzo -Che succede? Che ci fate qui?-
-Hai la febbre altissima.-
I suoi occhi vagarono per la stanza, vide il medico e tentò un saluto. Tornò a fissare Patty, poi l’orologio e infine Gentile.
-Perché non sei al campo?- cercò di puntellarsi sui gomiti ma era così debole che non riuscì a tirarsi su.
-Perché Landers è un coglione.-  
Il dottore chiuse la borsa e raggiunse la porta lanciando un’occhiata eloquente all’italiano. Dovevano tornare al centro sportivo.
-Ti aspetto di sotto.-
Salvatore annuì.
-Jenny, adesso devo scappare ma torno dopo pranzo a vedere come stai.-
Lo sentirono scendere le scale di corsa, poi il tonfo della porta d’ingresso e il rombo della Giulietta che veniva messa in moto e partiva a tutta birra. Le due ragazze si guardarono.
-Ieri sera hai preso freddo?-
Jenny scosse la testa e spostò gli occhi verso la finestra, sul cielo terso e azzurro. Sospirò affranta. Stare male significava essere costretta a restare chiusa in casa e il pensiero di non poter vedere Philip divenne ad un tratto assurdamente insostenibile.

*

Freddie guardava di sottecchi Gamo agitato, frustrato e particolarmente rompipalle. Compativa i ragazzi che si stavano ammazzando di fatica per stargli appresso ma preferì non immischiarsi. Gabriel era furioso perché le cose nella squadra non stavano andando come avrebbe voluto e non si rendeva conto che il suo nervosismo e il suo scontento servivano solo a peggiorare la situazione. Se Landers si presentava in ritardo agli allenamenti, se Holly era a Barcellona a giocare una partita della Liga contro il Real Madrid, se Callaghan non si comportava come da copione, non potevano farci proprio niente. La sera precedente, dopo cena, aveva provato a riavvicinare Philip. Gli aveva allungato la fascetta ma lui aveva scosso la testa caparbio e si era rifiutato di riprenderla. A quel punto Freddie aveva capito che tanto valeva mettersi l’anima in pace e sperare che il nullaosta di Holly arrivasse presto. O quanto meno che arrivasse. Altrimenti avrebbero dovuto trovare qualcun altro per guidare la squadra. Ma chi?
Evelyn salvò il file e spense il portatile. S’era stufata di scrivere, lo stava facendo dalla mattina. Aveva preso appunti su appunti e non sapeva più che farsene, dal momento che da quando era atterrata a Torino non era riuscita a mandare in redazione uno straccio di articolo che fosse uno. Avrebbero finito per licenziarla prima ancora di assumerla.
-Oggi che Jenny non c’è, è sparita anche Daisy.-
Amy annuì.
-È andata a Milano con Pearson a prendere il nullaosta di Rob.-
-E come lo sai?-
-Me l’ha detto Julian a cui credo che l’abbia detto Freddie, ma non sono sicura.-
-A Jenny dice proprio male, per una volta che poteva starsene a bordo campo tranquilla…-
Amy rise di cuore.
-Tranquilla? Con te? Non credo proprio!- lanciò un’occhiata all’orologio, era quasi l’una. Quel giorno gli allenamenti stavano durando più del previsto, sicuramente a causa del ritardo di Mark. Guardò i ragazzi. Sandy arrancava stanchissimo, una mano sul fianco a stringersi sofferente la milza. Bruce ansimava e Julian, poco distante, incrociò il suo sguardo e le chiese l’ora con un cenno. Gli rispose a gesti.
Freddie seguì la loro muta conversazione. Non sapeva cosa passasse per la testa di Gamo ma per come la pensava lui, Landers non doveva recuperare il ritardo a scapito dei compagni. Si frugò nelle tasche, tirò fuori il fischietto di riserva e soffiò. Gamo sobbalzò.
-È ora?-
-Eh sì.-
-Infatti ho una certa fame.-
-Finalmente!- esalò Bruce tra fastidio e sollievo -Pensavo che ci avrebbero fatto saltare il pranzo! Invece è finita!- corse verso le panchine superando Mark -La prossima volta sei pregato di arrivare puntuale! Evelyn! Passami l’acqua prima che svengo!-
-È lì. Non ce le hai le mani?-
Landers non li udì, la mente presa da tutt’altro. Varcò l’ingresso degli spogliatoi, si fece largo tra Patrick e Sandy, fermi a riprendere fiato tra una panca e un armadietto e recuperò il cellulare. Patty rispose subito.
-Come sta Jenny? La febbre è scesa?-
Lei lo rassicurò mentre Mark rimestava nella borsa in cerca dello shampoo, sforzandosi di distinguere la voce dell’amica attraverso il baccano dei compagni.
-Nel frigo dovresti trovare qualcosa. Poco, perché Jenny non fa più la spesa da quando siete arrivati.- l’ascoltò replicare -No, quella di ieri non conta. Non c’era quasi nulla di commestibile…-
Philip incamerò ogni parola. Si sfilò la maglia sudata e lanciò un’occhiata all’ingresso delle docce. Erano tutte occupate quindi non valeva la pena affrettarsi. Si sedette ad aspettare e ad ascoltare la telefonata di Mark, stavolta senza neppure curarsi di nasconderlo. Si chiese se non fosse un bene che Jenny stesse male. Con la febbre non sarebbe venuta al campo, con la febbre l’italiano non l’avrebbe sbaciucchiata davanti a tutti come faceva di solito, non l’avrebbe portata in giro per locali…
D’un tratto si accorse che Tom, tornato dalle docce, lo fissava di traverso strofinandosi i capelli con un asciugamano.
-Che c’è?-
-C’è che mi sono stufato di fare le tue veci.-
-Hai fatto le mie veci? Quando?-
Tom si sforzò e ingoiò la rispostaccia. S’infilò i jeans con un movimento rabbioso, poi fu la volta della maglietta e della felpa, respirando a fondo per darsi il tempo di calmarsi e non di saltargli al collo.
-Sì, le ho fatte. E se non le faccio io le fa Holly. Chi è il capitano, qui?-
Philip avrebbe voluto cogliere l’occasione per dire a tutti che aveva restituito la fascia a Gamo mollando l’incarico, ma gli occhi accusatori dei compagni erano fissi su di lui e non riuscì proprio a farsi uscire quella risposta liberatoria, perché probabilmente lo avrebbero ammazzato, massacrato, fatto a pezzi una volta per sempre. Deglutì e li guardò, tirando fuori la solita, banalissima scusa.
-Lo sono solo finché non arriva il nullaosta di Holly.-
-Sbagliato, Philip. Non lo sei neppure adesso, non lo stai facendo, te ne stai fregando! La nazionale giapponese non ha un capitano. Te ne sei accorto o no?- Tom prese fiato mentre le guance gli si arrossavano di collera -Così non andremo da nessuna parte! Non vinceremo neanche di striscio questa maledetta amichevole. Faremo solo una colossale figura di merda!-
Yuma si avvicinò preoccupato.
-Respira e calmati, Tom. O ti verrà un infarto.-
-Lascialo sfogarsi, Clif. La buca che gli ha dato Magnolia brucia ancora, è chiaro.- ridacchiò Peterson.
-Magnolia?- fu un acuto, quello di Tom.
Mark rabbrividì.
-Che cazzo di voce è? Ti hanno tagliato le palle?-
Becker lo guardò, anzi li guardò. Poi afferrò la borsa con un gesto brusco.
-Se volete scusarmi, a questo punto vi manderei un momento affanculo. Tutti.-
Uscì a testa alta, senza voltarsi indietro. La porta si richiuse con un tonfo che fece risuonare gli armadietti.
-Ma cos’ha? Gli sono venute?- in quel silenzio stupito, il commento di Clifford arrivò a tutti forte e chiaro.

*

Salvatore varcò le porte automatiche dell’hotel. Era passato da Jenny, anzi a casa di Mark a voler essere precisi, e l’aveva trovata spaparanzata sul divano insieme a Patty a guardare con l’amica la vittoria di Holly sulla pay-tv (l’unico lusso che Mark si era concesso). Era andata Patty ad aprirgli la porta e quando lui era entrato e aveva trovato Jenny in salotto, avvoltolata nella coperta e sprofondata tra i cuscini, l’aveva rispedita immediatamente a letto. Lei aveva protestato perché si sentiva meglio e la febbre era scesa ma alla fine, di fronte a tanta ferma insistenza, non aveva potuto fare altro che ubbidirgli. Tanto, appena se ne fosse andato, sarebbe tornata in salotto a guardare la tv per ammazzare il tempo.
Mark lo seguì con gli occhi mentre avanzava nella hall.
-Come sta Jenny?-
-Meglio. La febbre è scesa.-
-Ho provato a chiamarla ma non risponde.-
Gli occhi di Salvatore lampeggiarono di azzurro.
-Mi spieghi per quale cazzo di motivo hai dormito nel letto di Jenny?-
-Io? Non dire stronzate! è lei che ha dormito in camera mia!-
-E cosa cambia?-
-La stanza di Jenny è occupata dalla Farrell. Non posso farci niente!-
Salvatore si sentì rimescolare.
-Me ne sbatto, Landers! Dormi sul divano!-
-Col cavolo! Io ospite in casa mia? Mai!-
-Ti prenderei per il collo e ti strizzerei come un limone, te lo giuro!- si volse verso Rob che borbottava e si rese conto che stava traducendo il loro battibecco in giapponese a beneficio dei compagni. Non se ne curò e tornò a fissare Mark, gli occhi socchiusi e lo sguardo ironico -Sono certo che Callaghan sarebbe felicissimo di sapere che tu e Jenny dormite insieme. Glielo diciamo?-
-Provaci e t’ammazzo.-
Neanche lo avessero chiamato, Philip spuntò nella hall e l’attraversò tutta guardandosi intorno, evidentemente in cerca di qualcuno. Li vide e si diresse verso di loro ma quando scorse Gentile, la sua avanzata ebbe un tentennamento e fu solo l’orgoglio ad imporgli di proseguire.
-Quando Patty ed io siamo arrivati a casa tua, Jenny aveva la febbre a quarantuno e delirava.-
-Patty me lo ha accennato…-
-E ti ha anche accennato che sei un coglione irresponsabile? Come t’è saltato in mente di lasciarla sola? Dovevi chiamarmi subito, imbecille! Ti portavo il dottore e ti accompagnavo al campo! Avresti persino evitato di far tardi e sorbirti il cazziatone del tuo allenatore!-
Arrivato giusto in tempo per ascoltare la traduzione di Rob, Philip rifletté sulle assennate parole dell’italiano, chiedendosi curioso per quale accidenti di motivo Gentile sembrasse così a suo agio in mezzo a loro. Poi capì. C’era Mark che ci giocava insieme, Rob che lo conosceva da parecchio e che lo stimava infinitamente, Benji con il quale sembrava andare d’accordissimo e Tom, che era amico di tutti e a cui in quel momento importava solo dell’efficienza della squadra. L’unico ad essere fuori posto era solamente lui. Indeciso se allontanarsi o restare, rimase in piedi da una parte, la mente invasa da un turbinio di pensieri tetri e pessimisti. Si riscosse solo quando Tom gli strinse un braccio.
-Benji stasera s’è ficcato in testa di andarsene in giro per locali. Digli qualcosa, Philip.-
-Ah!- quello accettò la notizia senza riserve e tentò un sorriso verso il portiere -Buon divertimento!-
Tom sobbalzò.
-Non questo!-
-E allora cosa?-
-Sei il capitano!-
-Che palle lo so! Smettila di ricordarmelo, è la centesima volta che lo fai oggi!-
-Perché tu lo dimentichi troppo spesso!-
-Non lo dimentico, magari potessi!- fissò Benji -Se ti dicessi di non andare mi daresti retta?-
-Certo che no.-
Philip guardò Tom.
-Hai visto?-
Becker reagì alzandosi e afferrando da terra la borsa. E visto che era ora di incamminarsi verso il campo, gli altri lo seguirono alla spicciolata.
Nel parcheggio del centro sportivo, Dario recuperò il borsone dal portabagagli, se lo caricò su una spalla e attraversò il piazzale, stringendo in una mano un fascio di riviste appena acquistate in edicola. Raggiunse Salvatore davanti al cancello. Il ragazzo percorreva su e giù un tratto del vialetto parlando concitato al cellulare. Dario aspettò che riagganciasse.  
-Che ci fai già qui?-
-Sono passato in hotel a infastidire Callaghan.-
-Vuoi lasciarlo perdere una buona volta? Piuttosto come sta Jenny?-
-Meglio. La febbre è scesa.- gli sfilò di mano un paio di giornali e ne aprì uno di gossip con fare schifato -Da quando leggi ‘sta roba?-
-Da mai, però ho saputo che su questo numero c’è un articolo sulla nazionale giapponese.-
-Davvero? E che dice?-
Dario fece spallucce.
-Non ho avuto il tempo di guardarlo.-
-Io non vedo niente.- sfogliò qualche pagina mentre proseguivano verso gli spogliatoi -Devono essere giusto due righe sputate…-
-O magari ho sbagliato rivista.-
Salvatore si fermò di botto e prese ad urlare, le dita contratte che accartocciavano la carta.
-Ma che diavolo…! Non ti sei sbagliato per niente! Maledetto stronzo, giuro che lo ammazzo!-
Dario si volse.
-Che ti prende adesso?-
-Un cazzo, mi prende! Questa volta me la paga, il bastardo! Lo massacro! Lo sfondo! Lo anniento! Finalmente oggi me lo tolgo dalle palle una volta per tutte!- richiuse di colpo la rivista e prese a correre verso il bar, abbandonando la borsa sportiva sui piedi di Dario.
-Salvatore! Dove accidenti vai?-
-A sterminarlo!-
-Ma chi?-
-Landers! E non provare a fermarmi o disintegro anche te!-
Gentile sparì all’interno del locale e Dario sperò che Mark fosse da qualche altra parte, possibilmente ancora negli spogliatoi a cambiarsi. Afferrò al volo la borsa del compagno e gli corse dietro.
Salvatore spalancò la porta a vetri facendola sbattere sui cardini. Poi si fermò sulla soglia, giusto il tempo di mettere a fuoco i giapponesi sparpagliati ai tavoli. Il suo ingresso fece piombare il bar in un silenzio sorpreso. Senza curarsi degli sguardi stupiti con cui venne accolto, Gentile cercò il colpevole e lo trovò. Si fece largo tra le sedie e con due falcate si arrestò esattamente di fronte a Mark. Poi lo assalì.
-Stronzo bastardo! A che gioco stai giocando?-
Lanciò sul tavolo la rivista, due bicchieri si rovesciarono allagando il ripiano e lambendo le pagine spiegazzate. Danny, Ed e Julian si tirarono indietro mentre un rivolo di succo d’arancia e coca-cola colava a terra. Mark balzò in piedi.
-Che cazzo fai? Ti ha dato di volta il cervello?-
Salvatore girò intorno al tavolo e gli rispose ringhiando.
-Io? Che cazzo faccio io? Che cazzo fai tu piuttosto! Se Jenny per te è come una sorella, allora quello cos’è?-
Mark avrebbe voluto replicare con una sberla ben piazzata ma prima ancora di sollevare il braccio il suo sguardo fu inesorabilmente attirato dal giornale. Sbiancò e quasi gli prese un colpo. La risoluzione della foto a tutta pagina era ottima, lui e Jenny che si baciavano erano venuti perfettamente. Si vedeva ogni particolare, persino i loro occhi chiusi. L’invettiva già pronta gli morì in gola con un rantolo. Allungò una mano verso le pagine, ma Bruce gli soffiò la rivista un nanosecondo prima che riuscisse a sfiorarla.
Gentile riprese a ringhiare.
-Landers sei una carogna!- e per sottolineare l’insulto in modo appropriato gli mollò un pugno in faccia.
Mark gridò e barcollò all’indietro, sconvolto.
-Ma che sei matto?- si portò una mano al volto e si tirò via quando Gentile gli si lanciò di nuovo addosso.
Dario gli bloccò il braccio un secondo prima che Salvatore ripetesse il gesto.
-Piantala, incosciente! Ti sei bevuto il cervello? Se tuo padre ti becca ad azzuffarti, ti lascia in panchina a vita!-
-Me ne sbatto di mio padre! Quest’infame deve pagare!- fissò negli occhi il giapponese -Ti avverto, Landers…- lo afferrò per la maglietta e lo strattonò con violenza -Ho ucciso per molto meno!-
Dario esplose.
-Finiscila cretino!- riuscì a separarli, ma la collera di Salvatore era molto lontana dal placarsi.
-Questa è l’ultima che ti faccio passare, Landers! La prossima non te la perdono!- indietreggiò perché Belli lo tirava via -Mi devi una spiegazione! E anche delle scuse!- si volse e lasciò il bar, Dario dietro di lui che lo spingeva via.
-Andiamo testa calda! Siamo in ritardo!-
Evelyn si portò le mani alle guance in fiamme.
-Ommioddio, è così sexy quando si arrabbia!-
-Asciugati la bava, Eve.- la rimproverò Bruce e spostò gli occhi su Mark, che stava cercando di riprendersi dall’assalto -Tu a Gentile non piaci proprio.-
Gli occhi di lui lampeggiarono.
-Non posso piacere a tutti, Harper. C’è pure chi ha dei gusti di merda!- fissò Benji che replicò all’allusione e all’occhiata del compagno con un’alzata di spalle. Poi la collera di Landers s’incanalò altrove -Cazzo guardi, Callaghan? Hai qualcosa da dirmi anche tu?-
Philip lo fissò con sufficienza, mandandolo su tutte le furie. Riprese a gridare.
-Be’ io qualcosa da dirti ce l’ho. Se tu e Jenny non vi foste lasciati, lei non sarebbe venuta in Italia e io avrei evitato tutte queste rogne!-
L’altro si sentì rimescolare dentro.
-Quello che fa la mia ex non mi riguarda, visto che è appunto la mia ex. Le tue rogne, invece, te le sei cercate dalla prima all’ultima!- lo fissò negli occhi e la tentazione di finire l’opera che Gentile aveva lasciato a metà fu fortissima. Sulla guancia destra, tanto per bilanciare. Gli costò uno sforzo enorme e non seppe neppure come ci riuscì, ma si controllò e fu una fortuna perché d’un tratto spuntò Gamo, con il suo solito tempismo perfetto.
-Speravo che aveste iniziato da soli gli allenamenti.-
Il bar si svuotò in un fuggi-fuggi generale.
Evelyn si alzò, prese il giornale abbandonato sul tavolo e osservò la foto. Il quotidiano era italiano, ma la didascalia dava la paternità dello scatto a Bill Steiner.
-Maledetto, è stato più veloce di me.-
Amy si accostò.
-Chi?-
-Steiner.-
-Il giornalista della conferenza stampa?-
Evelyn annuì furente. Quando fu fuori lo cercò e lo trovò, era venuto anche quel giorno. Appoggiato ad una macchina parcheggiata fuori della recinzione, teneva gli occhi puntati sul campo. Non sapeva che Jenny non sarebbe venuta ma forse non vedendola arrivare, se ne sarebbe andato presto.

*

Era una situazione assurda e la cosa più assurda era che controllarsi lo esauriva. Troppe cose non andavano. A partire dal fatto che Jenny frequentasse Gentile, dal bacio che le aveva dato Mark fino alla foto in cui McFay gli sorrideva strafottente. McFay era stata la ciliegina sulla torta, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Philip non riusciva a cancellare dalla mente la sua faccia e doveva assolutamente trovare il modo di scaricare tutta quella tensione o ne sarebbe uscito matto.
Attraversò la hall lanciando un’occhiata distratta ai compagni che aspettavano affamati di mettersi a tavola per la cena. Quando lo vide passare, Clifford lo chiamò ma lui finse di non udirlo. Aveva cose ben più importanti da risolvere che dar retta alle stronzate che sparava a raffica.
Intravide Gamo seduto ad un tavolino del bar e lo puntò.
-Mister, ho bisogno di parlarle.-
Fu tutto ciò che riuscì a dire, perché la voce gli morì in gola. Gamo non era solo e lui non se n’era accorto. Mezzi coperti da un ficus, davanti gli sedevano Marshall e Benji. Passi per Marshall, ma non Price!
-Dimmi, Philip.-
Il portiere lo scrutò curioso e il ragazzo perse la voglia di parlare. Che doveva fare? Andarsene? Ma se se ne fosse andato quando avrebbe ritrovato l’occasione e il coraggio di dire a Gamo ciò che aveva da dirgli? In fondo cosa aveva da perdere? La reputazione se l’era giocata da un pezzo già in campo.
-Dal momento che Landers si è intestardito a restare a dormire a casa sua, bisogna convincere la signorina Farrell a trasferirsi qui in hotel.-
Non era affatto ciò che Gamo si aspettava. Non colse il nesso.
-Perché?-
Il perché era semplice. Dopo che Daisy aveva cercato di picchiare Jenny, la presenza di quella donna così a stretto contatto con lei non lo faceva stare tranquillo. E poi c’era l’altro discorso del letto, quello a cui Jenny aveva accennato nel sonno in camera di Amy, che lei e Mark dormissero insieme…
Imbastì sul momento, con una faccia tosta di cui non si sarebbe mai creduto capace.
-C’è un giornalista che ci tiene d’occhio e che già da ieri ha iniziato a inventarsi cose su Landers e la Farrell.- spostò lo sguardo su Freddie -Volete sapere cosa va insinuando?-
-Per quanto mi riguarda preferisco di no. Chi è il giornalista?-
-Bill Steiner. Se lo ricorda vero? Era alla conferenza stampa. Se continua a fare domande, bisognerà spiegare perché la Farrell alloggia da Mark e non in hotel. Avete già pensato a cosa dire?-
Gamo e Freddie si guardarono. In effetti no, il problema finora non li aveva mai sfiorati. Ma nessuno desiderava che degli stupidi pettegolezzi infangassero la reputazione dei loro giocatori. Così come Pearson aveva difeso Philip durante la conferenza stampa, ora toccava che si dessero da fare anche per Mark. Era assolutamente necessario correre ai ripari prima che accadesse l’irreparabile. Fu di nuovo Freddie a parlare.
-Non sarà facile convincerla. Daisy Farrell fa sempre quello che vuole, non ascolta nessuno. Non era previsto neppure che venisse in Italia e invece è piombata qui senza avvertirci.-
Benji si intromise.
-E allora? Che ci vuole a trovarle una stanza?-
-Dovremo chiedere.-
-Datele la stanza che avevate chiesto per Landers.-
Philip annuì con assoluta convinzione, d’accordo col portiere e felice che lui, per una volta, lo appoggiasse senza fare tante storie. Di punto in bianco Gamo tirò fuori dalla tasca la fascetta di cui il giovane si era liberato due giorni prima.
-Allora, Philip…- la posò sul tavolo e la spinse verso di lui. Quello fece un passo indietro, trasformandosi in una statua di ghiaccio -Mentre noi procuriamo una stanza alla Farrell e la convinciamo a trasferirsi in hotel, tu riprenditi questa.-
Benji guardò la fascetta, poi l’espressione decisa dei due allenatori. Notò l’esitazione di Philip e l’occhiata insistente di Gamo. Capì e fremette di stizza. Non poteva credere che fosse giunto a tanto.
-Che significa? Callaghan, sei un imbecille!- scostò bruscamente la sedia e con un balzo gli fu addosso.
Philip indietreggiò mentre Benji gli afferrava un polso per non lasciarselo scappare, gli voltava la mano e gli premeva la fascetta nel palmo.
-Riprenditela, cazzo! Fallo prima che vada a dirlo a tutti! Prima che ti faccia fare una figura pessima, ma così pessima da farti abbandonare la nazionale all’istante e per sempre!- lo prese per la felpa e lo strattonò furioso attraverso la hall -Non ci poso credere! Davvero non posso credere che tu abbia fatto una cosa simile! Che accidenti t’è saltato in mente? Vuoi mollare tutto? È veramente questo che vuoi?-
Philip lo guardò esasperato.
-Non lo so! Non so più cos’è che voglio!-
-Io invece quello che vuoi l’ho visto ieri sera al bar. Perché sei il solo a non capirlo?- si fermò e lo fissò negli occhi finché l’altro non li abbassò a disagio -Che diavolo stai combinando? Se la ami riprenditela, non aspettare che qualcun altro te la porti via davvero!-
Philip alzò di scatto la testa, i suoi occhi brillavano di ironia.
-Ah sì? Prima mi dici che vuoi provarci, ora che devo riprendermela. Fai pace con te stesso prima di venire a dire a me cosa devo fare!-
-Ti ho detto che volevo provarci perché ti conosco! So che sei talmente idiota che se non tocchi il fondo non torni a galla! E il fatto che tu ci abbia creduto davvero conferma quanto sei deficiente! Cosa aspetti a fare qualcosa?-
-E chi ti ha detto che voglia fare qualcosa?-
-Cazzo Philip! Mi prendi per cretino? Ti si legge in faccia che la ami ancora!-
-Sì eh? E tu lo capisci perché sei un esperto, giusto? Te ne stai sempre a vantarti di sapere tutto eppure non ti sei mai innamorato! Cosa vuoi capirne dei sentimenti degli altri?-
-In compenso so perfettamente com’è non essere innamorati e so che Jenny non è innamorata di Gentile come lui non lo è di lei.-
-Ma finiscila!-
Benji cercò di trattenerlo ma quando vide che Philip era determinato a non dargli ascolto, lo lasciò perdere. Tanto prima o poi avrebbe preso quella sua testaccia dura e gliel’avrebbe sbattuta contro il muro fino a fargli ritrovare un po’ di buonsenso.
Il fresco della sera avvolse Philip mentre varcava le porte dell’hotel. Per affrontare Gamo e Marshall aveva fatto una fatica immane, lo scontro con Benji lo aveva sfiancato. Le mani ficcate nelle tasche, dove sentiva la fascetta premergli contro le dita, percorse a passo sostenuto la strada che portava ai campi sportivi e si fermò solo quando li ebbe raggiunti. I giornalisti si erano dispersi, le luci però erano ancora accese e sul terreno di gioco qualcuno si era fermato ad allenarsi. Patrick Everett correva instancabile lungo il perimetro del campo e Paul e Alan provavano dei tiri in porta. Li osservò interdetto, riconoscendo che la loro dedizione era encomiabile. Meno possibilità avevano di entrare in campo durante le partite e più i suoi compagni si allenavano. Lui invece, che era il capitano, se ne fregava di tutto e di tutti.
Sulle panchine c’erano Julian e Amy. Era incredibile che fossero lì, a meno che per stare un po’ per conto loro non avessero pensato che fosse meglio il campo al viavai dell’hotel. Si fermò, incerto se proseguire. Non voleva disturbarli.
Amy lo vide e gli sorrise.
-Ciao Philip.-
Lui rispose con un cenno del capo, poi raggiunse Paul di corsa. Si sfilò il giacchetto della tuta, se lo annodò in vita e raccattò qualche pallone che era finito tutt’intorno alla porta. Julian lo fissò scettico.
-Strano che sia tornato, visto quanto gliene importa di questa partita.-
Amy sospirò.
-Non credo che non gli importi della partita. È solo profondamente confuso.-
-C’è poco da confondersi. O s’impegna o lascia perdere. Il fatto è che spesso le persone non hanno chiare le emozioni, non le idee.- le passò un braccio intorno alla vita -Invece le mie sono chiarissime. Mi sono strarotto di stare qui a guardarli, non potremmo fare un salto in camera tua?-
-No che non possiamo! È quasi ora di cena e c’è un sacco di gente a ciondolare affamata in giro per l’hotel. Ci beccherebbero subito e io non voglio che succeda di nuovo! L’altra mattina è stato umiliante!-
Il ragazzo sospirò.
-Speriamo che stanotte piova.- borbottò mentre si alzava.
Davanti all’ingresso trovarono Holly. Era appena sceso dal taxi e arrancava sul marciapiede trascinandosi dietro il trolley. Zoppicava leggermente.
-Non dirmi che ti sei infortunato!-
L’amico sorrise rassicurante.
-È solo una storta e non me la sono fatta in campo. Ho corso dietro al taxi per fermarlo e non ho visto il marciapiede.-
-Bravo, fatti male così siamo a posto.-
-Per carità! Già sono senza nullaosta, ci manca solo l’infortunio. Da dove venite?-
-Eravamo al campo.-
-A fare cosa?-
Julian e Amy si scambiarono un’occhiata.
-Niente, a parlare.-
-C’è ancora qualcuno ad allenarsi.-
Gli occhi di Holly sbrilluccicarono.
-Non ci pensare neppure, è meglio se adesso riposi.- lo frenò Julian leggendogli in faccia le intenzioni -Oltretutto ormai è ora di cena, non faresti in tempo neppure a cambiarti.-
-Già, peccato.-
Oltrepassarono l’ingresso dell’hotel e misero piede nella hall.
-Ciao Holly! Bella partita!- lo accolse Jason Derrick.
-L’hai vista?-
-Alcune azioni sono già su youtube.-
Holly si accostò e lo scrutò.
-Cos’hai fatto in faccia? Hai una costellazione di pustole che sembra la via lattea.-
-Il dottore dice che forse sono allergico al salame.-
Holly fissò dubbioso quelle cinque bolle infiammate sul volto di Jason.
-Sicuro che non sia niente di contagioso?-
Gli rispose James dall’altro lato del divano.
-Sicuro. Io non le ho.-
-Tu non sei allergico al salame?-
-Non ne ho idea. Siamo gemelli ma mica abbiamo gli stessi gusti!-
Evelyn li raggiunse, il laptop acceso tra le mani su cui campeggiava una foto scattata durante gli allenamenti e nella quale era riuscita a far entrare la maggior parte di loro. Holly la guardò e solo facendolo si accorse che all’appello mancava qualcuno.
-Dov’è Patty?-
-È da Mark. Jenny è a letto con la febbre e così è andata da lei. Ma vista l’ora credo che ormai stia per tornare.-

La palla era sull’erba davanti a lui, pronta per essere infilata nella rete. I compagni stavano uscendo dal campo esausti, sulla panchina Amy e Julian non c’erano più. Era rimasto solo, libero di calciare palloni senza nessuno a tampinarlo e a chiedergli perché fosse ancora lì. Senza Jenny in giro, senza Gentile nei paraggi. La vista di lei insieme all’italiano gli era divenuta insopportabile. La vista di lei insieme a Mark lo stava facendo andar fuori di testa. E a coronare il tutto c’era lo sguardo beffardo di McFay che gli balenava di continuo nella mente.
In quell’ultimo anno e mezzo le cose erano andate veramente di merda. McFay aveva distrutto tutto ciò che lui e Jenny avevano costruito insieme. Aveva disintegrato la loro storia, fatto a pezzi le loro vite mandando tutto a puttane. Sollevò il viso, fissò la rete con insistenza, finché lo sforzo non gli offuscò la vista. Allora la figura di David si materializzò tra i pali fissandolo sogghignante. Philip scagliò un bolide al centro della porta, senza riuscire a farlo sparire. Calciò un’altra pallonata, lo prese in pieno petto ma la sua espressione di strafottente superiorità gli rimase incollata in faccia. Rideva di ciò che aveva fatto a Jenny, rideva di come era riuscito a passarla liscia. Per come lo aveva preso per il culo a Kyoto, con quel tentativo di stringergli la mano al momento del commiato. Per come suo padre aveva pagato il silenzio suo e di Jenny con un vergognoso assegno. Ogni singolo episodio che non era riuscito a dimenticare gli passava in rassegna nella testa mentre calciava un pallone dietro l’altro infondendo a quei tiri disperati tutta l’energia che aveva in corpo. Quel maledetto stronzo era lì, al centro dei pali. Lo vedeva, continuava a vederlo. Ce l’aveva davanti agli occhi e non se ne andava. Seguitò a tirare palloni addosso a McFay e quando non ne ebbe più a portata di mano, li raccattò in giro per l’area di rigore e ricominciò da capo. Rivide il livido sul volto di Jenny, la sua paura, il suo dolore, la sua sofferenza. Riprese a tirare, cercando di fissare la mente su quello che stava facendo e non su ciò che stava ricordando. Pensò che odiava McFay con tutte le sue forze, che per quello che aveva fatto avrebbe voluto ucciderlo con le proprie mani, che non meritava di restare impunito. Il dolore che aveva causato era troppo grande, troppo profondo, imperdonabile. Le cicatrici che aveva lasciato sarebbero rimaste indelebili per sempre. McFay doveva pagare, in qualunque modo ma doveva pagare. E visto che Jenny aveva deciso di non denunciarlo, impedendo alla giustizia di fare il suo corso, ci avrebbe pensato lui. Forse quello era l’unico modo per uscire dalla spirale dei sensi di colpa e ricominciare a vivere. Anche senza Jenny, ma vivere davvero e non limitarsi a tirare avanti e basta, come stava facendo da troppo.
Scagliò palloni contro la rete ininterrottamente, senza riprendere fiato. Senza mai fermarsi. L’adrenalina gli pulsava nel sangue, non sentiva la stanchezza. I suoi muscoli guizzavano, i suoi nervi fremevano. Era sudato. Grondava sudore dalla fronte, a volte gli finiva negli occhi facendoli bruciare. Allora si passava una manica sul viso per detergerlo e poi ricominciava. La maglia aderiva sulla schiena madida, il giacchetto della tuta era finito a terra da tempo. Aveva perso il conto dei tiri in porta, ne aveva fatti un’infinità. Ogni respiro gli bruciava i polmoni, il cuore martellava nel petto e rimbombava nelle orecchie. Sforzandosi di riprendere fiato, di non andare in iperventilazione, si concentrò sulla palla. McFay era ancora lì, al centro dei pali, a ridere di lui. Avrebbe continuato a tirare fino a farlo scomparire, fino a sfinirsi, finché le gambe non lo avrebbero più retto e sarebbe crollato, smettendo finalmente di averlo davanti agli occhi.

*

Jenny finì di misurarsi la febbre e allungò il termometro a Mark, in attesa accanto al letto.
-Ecco, non ce l’ho. È da dopo pranzo che non ce l’ho e mi sento benissimo.-
-Impossibile.- lui agitò il termometro -Forse è caduto e si è rotto.-
-Funziona perfettamente.- Jenny accennò ad alzarsi.
-Dove vai?-
-In bagno. O devo farla qui?-
Mark ringhiò qualcosa mentre lei usciva, poi approfittò della sua assenza per infilarsi il pigiama. Era impossibile che la febbre di Jenny si fosse volatilizzata, a meno che il medico della nazionale italiana non le avesse dato qualche antibiotico bomba dall’effetto lampo. Si fermò dov’era, una gamba sollevata a sfilarsi un calzino. Quanto era affidabile il medico della nazionale italiana? E se avesse imbottito l’esile corpo di Jenny delle stesse medicine che appioppava ai calciatori, stordendola con una dose massiccia di farmaci? Adocchiò una scatolina sul comodino, si sfilò il calzino, lo gettò a terra davanti all’armadio e corse a controllare. Erano delle bustine. Tirò fuori il foglio con le indicazioni terapeutiche e si sforzò di leggere e comprendere quei termini impossibili. Alla terza riga lasciò perdere e cercò di ripiegare il pezzo di carta che da minuscolo com’era si era trasformato in un lenzuolo. Perse la pazienza e lo accartocciò alla meno peggio, ficcandolo a forza nella confezione. Dopodiché decise di smettere di preoccuparsi. Patty era rimasta con Jenny tutto il pomeriggio. Patty era un’esperta. Stava insieme a Holly da una vita e aveva imparato a gestire la somministrazione di analgesici fin dalle medie. Sicuramente era stata attenta.
Tese le orecchie, in casa non udì alcun rumore. Si affacciò alla porta. Jenny era ancora in bagno? Avanzò di soppiatto nel corridoio e sentì scorrere una gran quantità d’acqua. Quell’incosciente stava facendo la doccia. Voleva forse che la febbre le risalisse? In sordina tornò indietro e si gettò sul letto. Gamo l’aveva massacrato. Certo, aveva fatto sputare sangue a tutta la squadra, ma a lui in particolare. Non gli aveva concesso neppure la pausa. Quando aveva provato a fermarsi, il mister gli aveva fatto presente chiaro e tondo che rispetto ai compagni aveva riposato già due ore, quelle del ritardo. La pausa non gli spettava. Con un diavolo per capello era tornato in campo e non ne era più uscito fino alla fine degli allenamenti. Era rientrato negli spogliatoi, aveva preso la borsa e se n’era andato senza neppure la forza di lavarsi, parlando con Jenny al cellulare. Aveva trovato Patty sulla porta che stava andando via. Aveva lasciato la borsa sportiva sul pavimento dell’ingresso e l’aveva accompagnata fino alla fermata dell’autobus. Poi era tornato a casa e aveva pescato Jenny in cucina a trafficare con i fornelli per preparagli la cena. L’aveva rispedita a letto e si era arrangiato con un panino.
Udì la porta d’ingresso aprirsi e si pentì di non essere sceso prima a recuperare la borsa sportiva rimasta nell’ingresso. Poi si diede dell’imbecille. Era inconcepibile che non fosse più libero di girare  in casa sua. Nonostante la stanchezza imboccò le scale e scese di sotto, fermandosi davanti a Daisy che si sfilava le scarpe e poi il cappotto. Quando ebbe finito alzò gli occhi e lo guardò.
-Non hai cenato in hotel con la squadra?-
-No, ero stanco e ho preferito tornare a casa.-
-Come sta Jenny? La febbre è scesa?-
Mark cercò di capire se la sua preoccupazione fosse genuina ma Daisy era rischiarata dall’unica luce accesa nel corridoio del piano di sopra e nella penombra non fu in grado di decifrarne l’espressione.
-Sta meglio. Siete riusciti a recuperare il nullaosta di Aoi?-
-Sì, Aoi è a posto. Domani andiamo a prendere il tuo.-
Gli sorrise con un calore che lo mise a disagio e lo fece indietreggiare di un passo. Recuperò la borsa sportiva e strinse i manici tra le dita.
-Immagino che sarà stanca.-
-Non troppo. Se pensi che…-
-Mark?- la voce di Jenny lasciò Daisy con la frase a metà.
Era in cima alle scale, il corpo ancora umido avvolto dal telo da bagno, i capelli tenuti su da un fermaglio.
-Mark, non vieni a letto?- miagolò -È tardi.-
La sua espressione, l’abbigliamento succinto, le parole ma soprattutto quell’intonazione della voce, così carica di sottintesi e aspettative fecero correre su per la schiena di Landers un fremito d’imbarazzo. Gli venne la pelle d’oca.
-Ecco, arrivo subito…- si sforzò di dire. La fissò con un’occhiata di fuoco, finché Jenny sparì dietro l’angolo.
-Sì, sta davvero meglio.- a Daisy sfuggì un sospiro -Mark, la porta della mia stanza non si chiude.-
Lui finse di cadere dalle nuvole.
-Davvero?-
Con la coda dell’occhio scorse Jenny che, forse attirata dall’argomento, si riaffacciava sulle scale. Si sforzò di non guardarla e di concentrarsi sulla donna che aveva davanti, a cui doveva praticamente tutto ciò che aveva in quel momento, persino quella stanza con la porta divelta.
-La serratura è rotta, quasi fosse stata forzata. Sono entrati i ladri?-
-Come se in questa casa ci fosse qualcosa di prezioso da rubare...-
Mark sollevò di scatto gli occhi e fissò Jenny stranito. In quel momento aveva bisogno di tutto tranne che del suo sarcasmo. La ignorò, sperando che capisse le sue belle parole di poco prima erano state già abbastanza imbarazzanti e adesso era arrivato il momento di togliersi definitivamente di torno.  Si rivolse a Daisy.
-Domani la farò riparare.- a chi poteva mettere in conto la spesa? A Callaghan, per il quale aveva costretto Jenny ad andare alla festa, o a Gentile, che era venuto a prenderla per portarla con sé?
-Va bene, grazie.- la donna sollevò gli occhi su Jenny che sembrava intenzionata a continuare a tener d’occhio Mark -Bevo qualcosa e poi vado a dormire. Buona notte.-
Lanciando alla giovane uno sguardo carico di risentimento, sparì in cucina.
Mark si affrettò a squagliarsela. Jenny era già in camera.
-Sei entrato senza bussare. E se fossi stata nuda?-
Lui chiuse la porta con un colpo deciso e gettò la borsa da una parte.
-“Non vieni a letto”?- le rifece il verso indispettito -Non ti sembra di esagerare? Non potevi dire qualcosa di meno impegnativo, tipo “non vieni a dormire”?-
-Tu mi ficchi la lingua in bocca davanti a tutti e poi ti scandalizzi per una parola?-
-Non ti ho ficcato la lingua in bocca!-
-Soltanto perché mi sono tirata indietro!-
-Non lo avrei fatto lo stesso!-
Lei lo guardò e sospirò.
-Sono un’idiota. Invece di darti modo di sganciarti, avrei dovuto lasciare che Daisy ti proponesse di infilarti sotto le sue coperte.-
-Me ne sarei andato a dormire, che pensi? Sono distrutto!-
-Allora te ne saresti andato a dormire solo perché sei distrutto.- lo provocò.
-Tu sogni.-
Si fissarono.
-Se ti volti mi metto il pigiama.-
Mark sbuffò ma si affrettò ad ubbidirle.

-Avete visto Philip?-
Evelyn lo cercava da un po’ ma non riusciva a trovarlo. I ragazzi scossero la testa.
-Sarà in camera.-
-O avrà tagliato la corda come l’altra sera, chissà.- borbottò Everett.
-E no! Se lo ha fatto ancora vado a protestare da Gamo!-
-Perché? Che te ne importa Clif?- chiese Winter conciliante.
-Non è che può andarsene tutti i giorni per i fatti suoi e mollarci qui a romperci le palle mentre lui si diverte! Va bene che è il capitano, ma non per questo ha il diritto di svagarsi più di noi!-
-Ecco, mi pareva che fossi preoccupato per lui…-
Paul alzò gli occhi dal cellulare.
-Prima di cena era al campo ad allenarsi. Sarà stanco quanto noi quindi non credo che sia uscito.-
Evelyn annuì.
-Anche perché non l’ho visto passare.-
Gli occhi di Bruce si socchiusero pieni di sospetto.
-Gli ronzi intorno da quando siamo arrivati! Che vuoi da lui?-
Evelyn lo scrutò.
-Non posso farci nulla se è il capitano e se alla redazione del mio giornale vogliono un articolo con le sue dichiarazioni.-
-Inventatele. Visto il suo umore non riusciresti a cavargli niente.-
Amy li lasciò a bisticciare e raggiunse Patty, che sedeva vicino a Holly in un gruppo di poltroncine poco distanti. Julian era di fronte a loro e leggeva dei fogli, rendendoli partecipi degli appunti su cui aveva lavorato quel giorno.
-Julian, hai visto Philip?-
-No…- rispose lui distrattamente -Neppure a cena.-
Patty si lasciò contagiare dall’ansia dell’amica.
-è rimasto in camera?-
Julian scosse la testa.
-Non saprei. L’ultima volta l’ho visto al campo.-
-Dobbiamo trovarlo.-
Julian accantonò seccato i fogli e alzò gli occhi su Amy.
-Perché?-
-Perché sono preoccupata. Non lo ha visto nessuno.-
-E allora? In questi giorni non è una presenza particolarmente rilevante. Sarà salito in stanza a riposare.-
-Vai a controllare?-
Il ragazzo ubbidì di malavoglia, perché secondo lui tutta quella preoccupazione era inutile. Philip in quel periodo era in preda alle paturnie. A torto o a ragione gli giravano sempre per cui era meglio non solo lasciarlo perdere ma anche evitare di stargli continuamente addosso. E lui che ci condivideva la stanza l’aveva capito molto prima degli altri.

-Tre anni fa a Shintoku mi hai baciata mentre dormivo. Perché?-
La luce era spenta, Jenny e Mark erano sdraiati ben distanti, ognuno nella propria parte di letto. Lei aspettò in silenzio una risposta, scandendo il tempo con il ritmo del battito del proprio cuore. Dall’altro lato del materasso non provenne alcun rumore, non udì neppure il suo respiro. Quando reputò di aver atteso abbastanza, insistette.
-Perché mi hai baciata, Mark?-
-Perché la Farrell non mi ha lasciato scelta.-
-Non qui. A Shintoku.-
Il buio nascose l’espressione irritata di Mark. Si chiese come lo avesse saputo, chi glielo avesse detto e perché il suo scomodo segreto fosse venuto a galla a distanza di così tanto tempo. Non se l’era spiegato quel giorno, il perché di quel comportamento, tanto meno riusciva a farlo adesso, dopo un tempo così lungo in cui aveva cercato di dimenticare quell’assurdo gesto. Era stata una reazione insensata, stupida e istintiva che non aveva avuto nessun significato se non quello di rischiare che qualcuno lo vedesse, come infatti era successo. Ma chi lo aveva beccato?
-Mark?-
Fremette di stizza per l’ignoto ficcanaso, l’ostinazione di Jenny gli diede sui nervi. Non voleva risponderle, non sapeva cosa dirle. Quella era una storia vecchia, abbandonata, dimenticata. Si tirò la coperta fin sulla testa e si girò dall’altra parte, dandole le spalle.
-Sono stanco, lasciami dormire.-
-Domani te lo chiederò di nuovo.-
-Buona notte.-
Jenny sbuffò e protestò, strattonando con forza le coperte. Mark l’aveva baciata a tradimento e lei aveva tutto il diritto di chiedergli perché lo avesse fatto. Lui invece si censurava. Si comportava in modo insensato e poi non voleva parlarne. La luce della strada filtrava attraverso le persiane e il chiarore arancione dei lampioni le permetteva di distinguere la macchia scura dell’abito da sera appeso all’anta dell’armadio. Chiuse gli occhi e si sforzò di dormire, ma aveva riposato tutto il giorno e la sua mente era vigile e reattiva. Per quanto ci si impegnasse, non riusciva a prendere sonno mentre sprazzi di pensieri e di ricordi le invadevano la mente. Le sale luccicanti del palazzo della festa, la conversazione con il giornalista a bordo campo, le parole di Benji al banco del bar, la ragazza dai capelli del colore del rame e lo scontento di Gentile quando l’aveva individuata anche lui. La foto di David sul giornale e il calore di Philip quando l’aveva stretta tra le braccia, i due ricordi più vividi di tutti, tanto insopportabile l’uno quanto piacevole l’altro. Non riuscì a immaginare come fosse finita lì quella rivista, perché fosse aperta proprio in quella pagina. Philip l’aveva sicuramente vista, chissà cosa aveva pensato. Per quanto la riguardava, non credeva che ritrovarsi di nuovo davanti la faccia di David le avrebbe procurato quella vertigine di ricordi. Pensava di aver superato il trauma, di averlo cancellato dalla testa. Il suo pensiero per giorni, settimane, non l’aveva più sfiorata mentre la sera prima era bastato posare un istante gli occhi sulla sua foto per tornare preda di ricordi e sensazioni che voleva aver dimenticato, che era convinta di aver sepolto. Affondò il viso nel cuscino, cercando di nascondere a Mark il respiro concitato e i battiti incontrollabili del cuore. Perché non era riuscita a fare finta di niente? A ignorare quei maledetti occhi verdi? Era solo una foto, una stupida foto! Cosa sarebbe successo se un giorno le fosse capitato di incontrarlo di persona al ryokan? L’hotel ormai era suo ed era libero di soggiornarci a piacimento. E visto che le cose stavano così, se voleva evitarlo non avrebbe più dovuto mettere piede a Shintoku pure se una simile prospettiva le era intollerabile. Al ryokan aveva trascorso buona parte della sua infanzia e a quell’edificio erano legati tantissimi ricordi, le scuole elementari, le estati passate con i nonni, le vacanze con gli amici, Philip che le chiedeva di sposarlo. Le lacrime bagnarono il cuscino. Avrebbe dovuto cancellare Shintoku dalla sua esistenza e non tornarci mai più.

-Philip?-
Gli sembrò di udire la voce di Jenny e si riscosse. Strinse i pugni e afferrò l’erba. Si puntellò sui gomiti per tirarsi su ma i muscoli delle spalle bruciarono e quelli delle gambe reagirono con fitte insopportabili. Tollerò il dolore serrando i denti.
-Philip, cos’hai? Stai bene?-
La voce tornò a farsi sentire. Aveva sbagliato, non era Jenny, era Amy. Venne strattonato con forza e gemette.
-Se si lamenta significa che è ancora vivo.-
-Appunto per questo non devi fargli male, Julian.-
-Non gli sto facendo male, lo rimetto in piedi. O vuoi lasciarlo qui?-
Holly sospirò.
-Sono appena tornato e già ricominciano i casini.-
Philip riuscì a far forza sulle braccia. Si puntellò sull’erba e qualcuno lo sostenne mentre si tirava in ginocchio. Aveva la percezione che il suo cervello si fosse momentaneamente scollegato dalla bocca. Non riusciva ad articolare le parole e ad ogni respiro la gola riarsa bruciava. Aveva bisogno di bere, chissà se gli avevano portato dell’acqua. Avrebbe voluto chiedere a Holly di che casini stesse parlando, visto che bene o male quel giorno era filato tutto liscio. Né litigi, né infortuni, né conferenze stampa interrotte a metà. Forse c’entrava il suo nullaosta, forse glielo avevano rifiutato. Quello sì che era un casino, lui non voleva essere il capitano.
-Alzati Philip…- lo sollecitò Julian vedendolo esitare.
Il ragazzo si massaggiò un polpaccio. Che cazzo era tutta quella fretta? Si trovava al campo da almeno due ore e adesso che erano arrivati loro doveva sbrigarsi! Un attimo di calma, porca miseria! Era a pezzi e gli ci voleva tempo. Quando la fitta si fu attenuata, si passò una mano sul viso cercando di mettere a fuoco il buio che lo circondava. In quello stesso istante una luce bianca gli guizzò in faccia. Si riparò gli occhi, per metà accecato.  
-Se non ce ne andiamo va a finire che ci chiudono dentro.-
-Ecco brava Patty, vai al cancello e fai in modo che non succeda.- la esortò Amy.
Philip sentì i passi di qualcuno che si allontanava.
-Stai bene?-
Era di nuovo Amy, preoccupatissima.
-Sì, sto bene.-
Si tirò su ma vacillò e Holly lo afferrò.
-Non tanto, mi pare.-
-E adesso che facciamo?-
-Che vuoi fare, Amy?- Julian era nervoso -Lo portiamo in camera cercando di non farci beccare. Perché se Gamo o Marshall lo vedono ridotto così, rischiano l’infarto.-
-Mi dispiacerebbe per Marshall…- ammise lei -È sempre così gentile.-
Quando si mossero Philip barcollò. Aveva i muscoli talmente contratti dallo sforzo, che all’inizio non riuscì quasi a camminare. Julian non mancò di rimproverarlo.
-Sono giorni che in campo non fai un cazzo e oggi ti massacri. Che accidenti t’è preso?-
Philip non reagì al rimprovero ma si volse indietro, verso la porta. L’oscurità della notte nascondeva persino il bianco dei pali.
-Almeno non lo vedo più.-
-Non vedi più chi?- gli chiese Amy.
-McFay.-
Quel nome spuntato all’improvviso tra loro senza motivo li gelò. Ad Amy per un istante si bloccò il respiro. Né lei né nessun altro si preoccuparono di cercare di capire, nessuno ebbe il coraggio di fiatare.
Sostenuto da Holly e Julian ai lati, Philip avanzò barcollando, ubriaco di stanchezza, completamente sfinito. Sentiva le gambe molli, la nebbia gli offuscava la vista.
Le luci del campo erano spente e il vialetto era illuminato a tratti dai fari delle macchine che percorrevano la strada. Amy aveva acceso la torcia del cellulare e li precedeva con quella. Patty li aspettava al cancello.
Philip proseguì affidandosi ai compagni perché era una fatica insostenibile persino guidare i propri passi. Inciampò in un gradino, le gambe gli si piegarono e furono Julian e Holly a sostenerlo. Si introdussero nell’hotel da un ingresso sul retro, lo stesso che poco prima aveva sfruttato Benji per tagliare la corda e darsi alla pazza gioia con Gentile in qualche locale di Torino. Salirono a piedi. Le scale d’emergenza erano deserte ma si affrettarono lo stesso e, giunti al quinto piano, Philip aveva il fiato corto e non ce la faceva più. Patty tirò la pesante porta antincendio e si affacciò nel corridoio. La via era libera.
Julian si frugò nella tasca posteriore dei pantaloni e fece scorrere la card nel lettore. La lucina della serratura divenne verde, spalancò la porta e s’infilò dentro trascinando Philip con sé nel buio della camera. Lo lasciarono sedersi sul letto, mentre Amy accendeva la luce di un abatjour.
-Ti ha dato di volta il cervello, Philip? Come hai potuto ridurti così?-
Lui sollevò il viso, i suoi occhi scintillarono blandi in quelli di Julian.
-Mi stavo allenando. È quello che fa un capitano, no?-
-Non fino a sfinirsi. Imbecille!-
-Quando te la riprendi questa maledetta fascia, Holly?-
-Se potessi anche subito!-
Amy lanciò un’occhiata timorosa alle pareti.
-Abbassate la voce o vi sentiranno.-
-E soprattutto non mettetevi a litigare.- intervenne Patty -Non è il momento e non è il caso. Philip ha bisogno di riposare, e anche tu Holly.-
Lui annuì. Non aveva né la forza né la voglia di mettersi a discutere. Era molto meglio andare a dormire.
Dei colpi secchi alla porta li fecero sobbalzare. I ragazzi si guardarono indecisi. Avrebbero voluto far finta di niente ma l’insistenza che proveniva dal corridoio spinse Amy a reagire.
-Julian, vedi chi è e mandalo via.-
Non fu così facile. Peter Shake si fece strada nella stanza prima che Ross riuscisse a scacciarlo.
-Devo parlare con Philip.-
Gli bastò vedere tutta quella gente intorno al compagno per rendersi conto che qualcosa non andava.
-Che succede?-
I suoi occhi si posarono su Philip. I capelli gli ricadevano spettinati ai lati del viso, intorno alla fronte e sulle tempie erano divisi in ciocche dal sudore. Era pallido, spossato, aveva gli abiti sporchi e in disordine.
-Che fine hai fatto? Ti ho cercato per tutta la sera.-
-Ero al campo.-
-A fare cosa?-
-Ad allenarmi.-
-Da solo?-
-Non posso?- una luce di fastidio gli balenò nello sguardo.
-Non pensavo che allenarsi fosse una delle tue priorità.-
Philip strinse i pugni. Non ne poteva davvero più della loro ironia. D’accordo, non voleva essere il capitano, ma era lì per giocare. L’indomani lo avrebbe messo in chiaro una volta per tutte. Evitò di rispondergli, la stanchezza era troppa. Desiderava solo dormire fino alla mattina successiva, ma Peter non aveva ancora finito. Dopo l’ironia arrivò il sospetto.
-L’hai fatto di nuovo?-
Philip sollevò di scatto il viso, in preda ad una rabbia cieca. Si sforzò di mantenere il controllo.
-Sono stanco, ne parliamo domani.-
A Peter sfuggì una risata sarcastica.
-Non sarà la strada che hai scelto a risolvere i tuoi problemi.-
-Falla finita!- Philip si tirò su a fatica, rigido come un dolmen. Attraversò la stanza senza guardare nessuno e si chiuse in bagno.
-Peter?- Holly lo fissava e non era l’unico -Cos’è che avrebbe fatto di nuovo?-
-Quale strada?- gli andò dietro Amy, rosa dalla curiosità per il dialogo che si era appena svolto e di cui non aveva colto il senso.
Shake si censurò. Certo, era furioso con Philip. Potendo lo avrebbe insultato, lo avrebbe preso a pugni ma mai e poi mai lo avrebbe messo nei guai con il resto della squadra. Scosse la testa e fuggì con la coda tra le gambe, premurandosi di chiudere la porta.
Amy non riuscì a capacitarsi.
-Non è che Philip ha qualche problema e noi non lo sappiamo?-
-Sappiamo benissimo qual è il problema di Philip.-
-Intendevo di salute…-
Holly scosse la testa.
-Siamo tutti sotto costante controllo medico. Lo avremmo saputo.- respirò a fondo -Adesso vado a dormire, visto che domani mattina dovrò sicuramente incazzarmi presto.-
Patty rise, lo prese per mano e lo portò via.

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Capitolo 14
*** Tredicesimo capitolo ***


Tredicesimo capitolo



A Philip quella mattina prese un colpo quando Mark arrivò al campo addirittura in anticipo. Mentre varcava la porta degli spogliatoi insieme agli altri, lo vide percorrere il vialetto di gran carriera calpestando la ghiaia zuppa della pioggia caduta durante la notte. La Farrell non aveva ancora traslocato e la puntualità di quel demente rischiava di mandare a puttane il suo piano così ben congegnato.
Freddie gongolò di felicità.
-Buongiorno Mark! Puntualissimo stamane!-
Il ragazzo rispose al saluto con un cenno strascicato e raggiunse i compagni soffocando uno sbadiglio. Come poteva non arrivare puntuale? Jenny aveva passato l’intero giorno precedente a casa a fare la spola tra il letto e il divano. Riposata e fresca come una rosa, si era agitata nel letto per tutta la notte e quando ad un certo punto, insonnolito e furente, le aveva intimato di starsene tranquilla, lei si era alzata e aveva lasciato la stanza. Mark non sapeva che ora fosse, sapeva solo di essere risprofondato all’istante nel sonno. Ma dopo un tempo che gli era sembrato brevissimo aveva sentito Jenny rientrare in camera. Aveva lanciato un’occhiata alla sveglia sul comodino che segnava le cinque passate. Il fastidio di essere stato svegliato di nuovo lo aveva innervosito e così non era riuscito a riaddormentarsi. Alle sei e mezza si era alzato, aveva lasciato Jenny sotto le coperte ed era sceso in cucina, dove aveva trovato ad aspettarlo una succulenta colazione. Quando lei l’aveva raggiunto poco più tardi, si era ben guardato dal ringraziarla di tanto bendiddio, nervoso com’era per essere stato svegliato all’alba. Però aveva spazzolato tutto, invasato da una fame cieca, mostrando di gradire. Jenny lo aveva salutato con un sorriso stiracchiato, gli occhi cerchiati dal sonno, più stanca di quando era andata a dormire. Aveva osservato soddisfatta i piatti vuoti e quando lui aveva tentato di rispedirla di sopra, aveva fatto finta di non udirlo e aveva cominciato a radunare le stoviglie per rassettare la cucina. A quel punto Mark l’aveva trascinata a forza in camera ordinandole di infilarsi una buona volta sotto le coperte e di rimanerci fino a sera.
-Buongiorno Landers.- lo salutò Clifford con un ghigno -Come mai in perfetto orario? Jenny t’ha buttato giù dal letto?-
Mark ringhiò un insulto. La prima volta che Yuma si era permesso di fare una battuta su Jenny lo aveva mandato a quel paese, la seconda gli era saltato al collo. Cos’altro gli restava per fargli passare l’abitudine di accoglierlo in quel modo? Una serie di invettive e di minacce gli intasarono il cervello ma non ebbe il tempo di pronunciare neppure mezza parola. Uno schianto lo fece voltare di scatto. Tutti gli sguardi si posarono stupiti sulla mano di Philip ancora premuta con forza contro lo sportello di metallo di un armadietto. I suoi occhi emanavano lampi.
-Mi avete già stancato, vedete di finirla.- sibilò tra i denti.
Clifford ammutolì di colpo davanti a quello sguardo così velenoso e carico d’astio. Ma non fu l’unico a zittirsi. Nello spogliatoio il volume degli schiamazzi si abbassò sensibilmente e Philip finì di cambiarsi nel quasi più assoluto silenzio. Gli rodeva tantissimo, così tanto che avrebbe voluto sfasciarlo, l’armadietto. Landers era un demente! Per indurre Gamo e Marshall a trovare per Daisy una stanza in hotel aveva gettato al vento la propria dignità, il proprio orgoglio. Per liberarlo da quell’ospite sgradita s’era praticamente prostituito. Aveva dovuto riprendersi la fascia, sorbirsi il cazziatone di Benji. E come lo ringraziava Landers? Presentandosi puntuale proprio il giorno  in cui, più di tutti gli altri, sarebbe dovuto arrivare in ritardo. Che gli prendesse un colpo!
Quella mattina oltre all’irritazione, al nervoso, allo scontento e al consueto cerchio alla testa, Philip era anche irrimediabilmente stanco. Durante la notte non aveva chiuso occhio, i muscoli delle gambe avevano pulsato atrocemente fino a rendergli dolorosissimo restare disteso sotto le coperte. Aveva dormicchiato sì e no un paio d’ore e si era alzato così distrutto che gli ci era voluto un tempo infinito per lavarsi e vestirsi. Si era presentato nella hall tremendamente tardi e non aveva avuto il tempo di fare colazione.
Mark si attardò negli spogliatoi occhieggiando a tratti Philip che, da come si muoveva, sembrava avere un macigno di una tonnellata a gravargli sulle spalle. Si chiese quanto lui stesso avesse contribuito ad aumentarne il peso. Eppure, nonostante questo pensiero, non riuscì a sentirsi in colpa. Era sicuro che il comportamento dell’amico c’entrasse non poco con la fuga di Jenny dal Giappone e quindi provava nei suoi confronti una stizza senza fine. Aspettò che i compagni defluissero tutti verso il campo, poi si fermò ad attendere Holly che faceva la spola avanti e indietro tra i bagni e gli spogliatoi parlando al cellulare con l’allenatore del Barcellona. Van Saal sembrava finalmente essersi deciso a sbloccare il nullaosta ma da quel poco che aveva capito, gli stava imponendo una serie infinita di condizioni. Quando Holly riagganciò il telefono e lo ripose nell’armadietto non sembrava per niente soddisfatto. A Mark non interessò chiedergli notizie. Quello di Holly era un mal comune che purtroppo condivideva e di cui non voleva parlare.
-Ti avverto. Se Yuma anche domani mattina mi saluta così, lo prendo a pugni fino a rifargli i connotati e renderlo decente. E mi ringrazierete per avervi tolto una buona volta quel mostro da davanti agli occhi.-
L’amico sospirò, per metà divertito e per metà irritato da una prospettiva tanto violenta.
-Se lo fa è proprio un cretino, rischierebbe doppio. Sono sicuro che anche a Philip prudono le mani e ha una voglia matta di dargli una ripassata. Spero che la sua reazione sia stata sufficiente a fargli passare la voglia di sparare battute idiote.-
-Che ha stamattina?-
-Yuma?-
-No, Philip.-
-Stamattina niente, dovevi vedere ieri sera…-
La faccia di Mark si trasformò in un enorme punto interrogativo.
-Che ha combinato stavolta?-
-Ieri ha saltato la cena ed è rimasto ad allenarsi per ore.-
-Bene! Finalmente s’è reso conto che in campo sta facendo schifo!-
-Bene un cavolo! È stramazzato di stanchezza. Julian ed io l’abbiamo riportato in camera di peso.-
-Che deficiente! È chiaro che non regge più i ritmi. Forse è meglio se lascia perdere.-
Holly lo guardò.
-Se lascia perdere cosa? Il calcio?- sembrava sconvolto -Non posso credere che lo pensi davvero.-
-Non lo penso infatti. Ma in questo momento mi sta così sul cazzo che potrei dirgli anche di peggio!-
Holly lo precedette verso la porta sospirando.
-Stamattina sta meglio, ti pare?-
-A me sembra incazzato e nervoso come al solito.-
-Sicuramente aveva bisogno di un po’ di riposo. Julian dice che non dorme abbastanza.-
-Ma se l’altra sera in camera di Amy è crollato come un neonato!-
-Vallo a capire.- erano fermi sulla soglia, Holly lo fissò -Tu lo capisci?-
-No, ci ho rinunciato da un pezzo. E se proprio dovessi decidere di provare a capire qualcuno, mi piacerebbe sapere che diamine s’è messa in testa di fare Jenny con quel coglione di Gentile!-

Philip cadde come una pera matura ad un passo dalla porta di Ed. Neppure si accorse di perdere i sensi. Si ritrovò semplicemente a terra, la faccia sull’erba ancora umida, voci che lo chiamavano da lontano così confuse da non distinguerne le parole. Poi non udì più nulla.
Quando riaprì gli occhi era disteso a terra a bordo campo, vicino alle panchine. Si passò una mano sul viso e aprì e chiuse le palpebre un paio di volte. La faccia di Gamo prese forma sullo sfondo del cielo azzurro. Torreggiava su di lui e non fu un bello spettacolo, tanto che per un attimo prese in considerazione l’eventualità di chiudere gli occhi di nuovo. Fu solo la voce di Amy a spronarlo a scuotersi dal rincoglionimento. Girò la testa e la vide, dall’altro lato. Gli passò qualcosa di bagnato sul viso, forse era stato proprio quel contatto a fargli riprendere i sensi. Si tirò su di scatto, una fitta dolorosissima gli attraversò il cervello.
-Che è successo?-
Amy lo scrutò ansiosa.
-È successo che sei svenuto.-
-Impossibile!-
Dall’altro lato il volto di Gamo era una maschera di preoccupazione.
-Philip, che accidenti ti è preso?-
-Niente, sto bene…- si guardò intorno, il dottor Hills, il medico di squadra, stava accorrendo con la valigetta del pronto soccorso. Seppe che non ne aveva bisogno. Si puntellò a terra per mettersi in piedi ma Gamo gli mise una mano sulla spalla e lo bloccò seduto, spingendolo giù.
-Non ti muovere.-
-Ma io…-
-Non azzardarti a muoverti!-
Hills si inginocchiò al suo fianco.
-Cos’hai? Ti senti male?-
Philip scosse la testa.
-Stamattina non ho fatto colazione, deve essere quello.-
-Perché non hai mangiato?-
-Mi sono svegliato tardi e non ho fatto in tempo.-
Hills e Gamo si scambiarono un’occhiata.
-Ti misuro la pressione.- gli lanciò un’occhiata mentre gli arrotolava sulla spalla la manica della maglia. Poi avvolse il manicotto di velcro intorno al braccio.
Philip lo lasciò fare, la testa gli girava e gli faceva male. Vide Patty avvicinarsi con una bottiglietta di plastica in mano, Daisy spuntare oltre la schiena di Gamo e guardarlo curiosa.
Il manicotto si strinse dolorosamente attorno al braccio di Philip, mentre Hills guardava il manometro.
-È bassa, Philip. Troppo bassa.- il medico ripose gli strumenti nella borsa e si mise in piedi -Riprenderai gli allenamenti nel pomeriggio, dopo aver pranzato come si deve.-
-Non mi pare proprio il caso! Sto bene e…-
-Philip!- lo zittì Gamo brusco -Fammi il favore di  non contestare le decisioni del dottore!-
-Non sto contestando niente, sto facendo presente che sto bene!-
-Ah sì? Cosa ne sai? Sei un medico? E da quando? Siediti in panchina e restaci!- gli lanciò un’occhiata tale che il ragazzo capitolò d’un botto. Dopodiché Gamo si allontanò con Hills, continuando a parlare di lui.
-Ieri ti sei stancato troppo.-
Philip spostò lo sguardo su Patty che gli allungò una bottiglietta di bevanda energetica, piena di sali minerali e zuccheri. Non rispose, che poteva dirle? La prese e si tirò su in piedi. Nella testa sentì un vuoto e non fu più così sicuro di stare bene. Per sicurezza guadagnò le panchine e si sedette. Non voleva finire di nuovo a terra sotto gli occhi di tutti. Di tutti… lanciò un’occhiata al campo e si accorse con fastidio di essere oggetto della curiosità di gran parte dei compagni. Avevano persino interrotto il gioco per non perdersi nulla.
-Che state facendo? Perché non vi allenate?-
Spostò lo guardo sulla recinzione e sui giornalisti che l’affollavano. Vederlo crollare in campo doveva essere stato uno spettacolo interessante, da scriverci un buon pezzo. Sarebbe finito su tutti i giornali, su ogni sito web. Come la foto di Holly svenuto ai piedi di Rivaul il giorno del suo arrivo a Barcellona che aveva trovato su internet. Guardò Evelyn e il cellulare che teneva abbandonato tra le mani.
-Io non ti ho fotografato.- si tirò indietro lei che non aveva neppure formulato l’idea. Quando lo aveva visto afflosciarsi senza un motivo, senza essere stato spinto e senza aver inciampato, le era preso un colpo.
La pausa che Gamo fischiò di lì a poco non gli fu d’aiuto. I compagni gli si affollarono intorno, stordendolo con la loro preoccupazione. L’unico a tenersi alla larga fu Mark, in tutt’altre faccende affaccendato. Di Philip in quel momento non gli fregava nulla. Aveva troppa fretta di approfittare della pausa per chiamare Jenny e avere notizie. Provò e riprovò ma lei non rispose e alla fine fu costretto a lasciar perdere.
Daisy gli si avvicinò così silenziosamente che bastò la sua voce a farlo sobbalzare.
-Dov’è andata Jenny stanotte?-
Si volse confuso e riuscì soltanto a rifarle l’eco.
-Stanotte?-
-L’ho sentita uscire verso le undici e tornare alle cinque passate.-
-Non è possibile, sta male.-
-Non troppo direi. Una macchina grigia l’aspettava davanti casa per portarla chissà dove.- lo fissò divertita dal suo sconcerto -Dormite insieme e non ti sei accorto che è uscita?-
Mark sussultò. Non c’era bisogno che l’intera nazionale sapesse che lui e Jenny dividevano lo stesso letto. Tanto meno c’era bisogno che lo ricordasse a Philip. Gli lanciò un’occhiata colpevole, ce l’aveva così vicino che non aveva potuto non udire. Eppure niente del suo atteggiamento tradiva collera o fastidio. Mark si sforzò di nascondere il disagio, nonché il nervoso di aver scoperto di essere stato beffato. Certo, aveva sentito Jenny muoversi nel letto almeno un paio di volte, ma era crollato di stanchezza. Come avrebbe potuto notare il suo viavai? E perché Daisy invece se n’era accorta? Ma il problema non era questo. Il problema era dove diavolo fosse andata. E poi con chi? Gentile aveva la Giulietta rossa, Carol un pandino blu. Chi poteva essere passato a prenderla ad un’ora così tarda? I suoi occhi inquieti si posarono su Philip che sedeva taciturno in panchina e giocherellava nervosamente con la bottiglietta ormai mezza vuota che teneva tra le mani. Incrociò il suo sguardo in cerca di una risposta che l’altro non avrebbe mai potuto dargli e, per un istante, un sentimento molto simile li avvicinò.
-Non ne so niente.- replicò brusco mettendo fine al dialogo con Daisy. Corse in campo a sfogare il nervoso sulla palla e possibilmente anche sugli stinchi di Clifford, perché Mark era uno che non dimenticava facilmente. Per quanto riguardava Jenny, quella sera avrebbe dovuto spiegargli un sacco di cose.  
Philip rimase in panchina ad annoiarsi da morire per tutta la seconda tranche di esercizi. L’ordine di Gamo era stato una beffa. Perché si era allenato così tanto la sera prima se adesso non poteva giocare? Ma il mister sembrava essersi preso un bello spavento e non aveva voluto sentire ragioni. Così, dopo la pausa, gli aveva proibito ancora una volta di unirsi ai compagni. Non soltanto lo aveva confinato in panchina, ma lo controllava da lontano, dai tavolini del bar, perché non si fidava assolutamente di lui e temeva che si intrufolasse in campo non appena gli avesse voltato le spalle.
Osservando gli amici che giocavano una partita, Philip notò con rammarico che la sua assenza non pregiudicava gli schemi di gioco né l’affiatamento della squadra. Non era un buon segno. Forse stava davvero per lasciarsi sfuggire di mano il posto in nazionale. Eppure non poteva permettersi di essere rimandato a casa, come Gamo lo aveva minacciato di fare. Cosa ne sarebbe stato della sua vita se avesse perso il calcio, ora che non aveva più neppure Jenny? Un futuro simile era così tetro da terrorizzarlo. Doveva assolutamente inventarsi qualcosa per correre ai ripari. Magari poteva cominciare già dal bordo campo. Se gli amici sopravvivevano alla grande senza che fosse fisicamente con loro, che almeno tornassero a seguire le sue direttive! Era o no il capitano?
Si decise a seguire il gioco come finora non aveva mai fatto e quando vide Warner allontanarsi dai pali per andare incontro a Julian che si preparava a tirare in rete, saltò in piedi.
-Ed! Non azzardarti a uscire dalla porta!-
Il portiere sussultò e si volse a guardarlo. Nello stesso istante Julian infilò la palla in rete. Mark esplose.
-Ed! Che diavolo fai? Dove accidenti guardi?-
-Guardo Philip, guardo! Mi ha fatto prendere un colpo! Sono giorni che non sentivo la sua voce!-
-Non dare la colpa a me, Ed! Io non c’entro niente! Non eri concentrato! Devi concentrarti sulla palla!-
Clifford si avvicinò.
-La botta ti ha fatto bene, Philip! A saperlo ti scaraventavo a terra già qualche giorno fa!-
Il giovane non reagì allo scherno ma lo guardò dall’alto in basso. Si era accorto che zoppicava ed era ora di fargli rimangiare le battute su Jenny con cui aveva salutato Mark.
-Esci.-
-Come?-
-Ti ho detto di uscire.-
Yuma cambiò espressione. Stizzito gli gridò addosso.
-Ma che vuoi? Perché invece di rompere le palle a chi si sta dando da fare non torni a vegetare?- -Allora fai come ti pare Clifford. La gamba è tua e se il dolore peggiora al massimo resti in panchina durante la partita contro l’Italia.-
Di fronte a quella prospettiva Yuma capitolò. Raggiunse sbuffando il bordo campo e si sedette a terra per tirare il muscolo indolenzito.
-È solo un crampo.- si giustificò.
-Meglio per te.- Philip neppure si voltò. Soddisfatto di averla avuta vinta senza sforzo, riprese a seguire il gioco facendo in modo che i compagni non si dimenticassero di lui neppure per un istante. Urlare contro di loro si stava dimostrando catartico, un ottimo modo per sfogare il nervoso di essere bloccato in panchina. Avrebbe dovuto pensarci prima, con le sue grida avrebbe rimesso in sesto se stesso e la squadra già da un po’.
Accanto alla bandierina d’angolo Danny e Sandy presero a litigare su chi dovesse rimettere in gioco. Ignorando i loro bisticci Holly recuperò da terra il pallone e lo calciò verso Rob. La discussione ebbe istantaneamente termine ma da quel momento Winter e Mellow iniziarono a guardarsi in cagnesco e a spintonarsi ad ogni occasione. E ogni volta che li coglieva a farsi i dispetti, il nervoso di Philip cresceva a dismisura: alla fine risolse il battibecco facendoli uscire entrambi. Cinque minuti di pausa da trascorrere fianco a fianco in panchina gli sembrarono la soluzione migliore per aiutarli a schiarirsi le idee. Li osservò ignorarsi, poi Aoi arrancò verso il bordo campo per concedersi un attimo di tregua.
-Non ce la faccio più…- piegato in due, le mani sulle ginocchia, respirò a fondo finché il cuore non rallentò i battiti -Mark non mi passa la palla! I tiri in porta vuole farli tutti lui! Mi sono stancato di corrergli dietro.-
Philip spostò gli occhi sul campo pronto a rimproverare a Landers la sua inguaribile fissa di segnare a Benji da fuori area. Gli anni passavano e la testardaggine di Mark peggiorava. Gli mancò il fiato quando vide il portiere prendere a urlare contro Bruce qualcosa di incomprensibile e lui rispondergli a tono.
-Adesso anche voi! Che vi prende? Bruce, piantala!-
Evelyn gli si avvicinò.
-La nazionale sta andando a scatafascio. Va avanti così da giorni, solo che finora non te n’eri accorto.- lui la ascoltò esterrefatto -Se vuoi vincere contro Salvatore Gentile, bisogna che ti svegli e dai una mano a Holly a sistemare questa squadra.-
Philip tornò a guardare il campo. Evelyn aveva ragione, nella nazionale giapponese qualcosa non andava. Non c’era affiatamento, non c’era coordinazione, non c’era niente di niente. Philip capì perché Gamo ne stava uscendo matto. Anche se forse era troppo tardi per riacquistare credibilità tra i compagni, qualcosa doveva farlo per forza perché la partita contro l’Italia o meglio, come aveva detto Evelyn, contro Salvatore Gentile, non voleva assolutamente perderla!
Quando ordinò a Mark di passare il pallone a Rob, lui lo ignorò e continuò ad avanzare verso Benji con tutta l’intenzione di portare a termine l’azione da solo. Ma il tiro non fu preciso e la palla finì fuori.  
-Che t’avevo detto, Mark? Perché non hai passato ad Aoi? Possibile che ancora non t’è entrato in testa che una squadra è composta da undici persone?-
Landers ringhiò.
-Stai zitto Philip! Sei tu che porti sfiga!-
-Magari fosse così! Se potessi li manderei fuori tutti, i tuoi tiri!-
Benji poco distante ridacchiò.
-Non ti conviene, sai Landers? Se davvero Philip potasse sfortuna, non sopravvivresti un altro giorno!-
Gamo li osservava dalle panchine con un misto di incredulità e commozione. L’improvviso risveglio del sostituto capitano gli aveva colmato gli occhi di lacrime. Dal tavolino del bar lo osservava camminare su e giù con il cronometro in mano lungo la linea del bordo campo attentissimo al gioco. E i compagni, che fino a quel momento si erano sforzati di far finta che non esistesse, avevano ricominciato a dargli retta. Certo, se Gamo avesse avuto un po’ più d’ascendente su di loro e anni prima non si fosse inimicato l’intera nazionale con quella storia degli allenamenti speciali e del Giappone Reale, le sue direttive sarebbero state sufficienti a far filare tutto liscio. Invece la maggior parte di ciò che diceva veniva puntualmente contestato. Non apertamente, ovvio. Nessuno era così idiota da dichiarargli esplicitamente guerra. Ma se lui diceva di correre sul lato sinistro del campo, per istinto tutti si spostavano a destra e non c’era niente da fare. Anni prima, Philip stesso aveva impiegato quasi due settimane a capire che il nuovo mister della nazionale giapponese dell’Under19 era il migliore disponibile al momento, nonostante avesse dato a tutti dei pivelli al primo incontro e le sue fissazioni per un tipo di preparazione che a fine giornata li lasciava stremati. Gamo dalla panchina riusciva a vedere pecche che sfuggivano addirittura a Holly, ma non era stato capace di conquistarsi la fiducia dei ragazzi.
Per la prima volta Salvatore vide Philip in piena attività e lo trovò parecchio migliorato. Sembrava quasi un’altra persona. Il suo entusiasmo per questa metamorfosi attirò l’attenzione di Dario e Matteo.
-Cosa stai guardando?-
-Callaghan. Avete visto? S’è svegliato tutto insieme!-
-La cosa ti fa piacere?-
-Direi.- rise Salvatore, strizzando un occhio ai compagni -Non c’è soddisfazione ad essere migliori di una mummia!-
Seguendo i secondi che scorrevano sul display del cronometro e la palla che volava attraverso il campo, Philip si impose di essere ragionevole e accettare la prima verità assoluta. Era insensato provare rancore nei confronti di Jenny perché aveva permesso a Mark di baciarla. Avercela con lei per questo sarebbe stato come avercela con lei perché McFay l’aveva violentata. Era un’assurdità. Ed era un’assurdità anche provare rancore nei suoi confronti perché si trovava a Torino, da Mark. Più che una coincidenza era un segno del destino di cui doveva assolutamente approfittare, cominciando innanzitutto ad accettare la presenza di Gentile al suo fianco. Dal momento che non stavano più insieme, Jenny era libera di frequentare chi voleva. O forse aveva pensato che sarebbe rimasta da sola per tutta la vita? Per quale assurdo motivo, quando l’aveva lasciata, l’eventualità che si sarebbe messa con qualcun altro non gli era passata per la testa? Eppure lui lo aveva fatto, aveva frequentato sporadicamente altre ragazze, tra cui Julie Pilar più a lungo di tutte.
Seguendo con gli occhi la palla che filava stavolta verso la porta di Ed, la sua attenzione venne catturata dallo sguardo azzurro di Gentile puntato su di lui. Invece di allenarsi l’italiano lo osservava curioso al di là della recinzione che separava i due campi. Nell’istante in cui i loro sguardi si incrociarono, a Philip sembrò addirittura di vederlo sorridere. Era scherno, cos’altro? Forse l’aveva visto cadere come una pera e aveva trovato la cosa divertente. Caricò il proprio sguardo di tutto il risentimento che provava nei suoi confronti e glielo scagliò contro. L’italiano reagì a tanto astio ridendo più forte. Sollevò una mano in un cenno di saluto, si volse e tornò dai compagni.
Mentre Philip guardava Gentile, Peter osservava Philip e rifletteva sul modo migliore di affrontarlo in un momento in cui gli sembrava più ricettivo dei giorni passati. Ne aveva parlato con Grace quella mattina, le aveva telefonato prima di raggiungere gli amici nella sala della colazione. Le aveva raccontato ciò che era successo la sera prima, che aveva trovato Philip stravolto, assistito in camera da Holly, Julian, Patty e Amy. Grace lo aveva esortato a fare qualcosa, anzi glielo aveva intimato, prima che le cose peggiorassero e non fossero più recuperabili. La situazione era troppo delicata. Lì a Torino c’era Jenny, un chiaro segno del destino. Quei due dovevano rimettersi insieme e Peter non poteva rischiare che l’incoscienza di Philip compromettesse tutto. Non poteva neppure rischiare che gli altri scoprissero ciò che si era portato dietro dal Giappone. Sarebbe successo un casino, nessuno avrebbe più avuto fiducia in lui, non lo avrebbero più voluto né come capitano né come compagno di squadra. Il mister lo avrebbe cacciato dalla nazionale e Pearson lo avrebbe rimandato in Giappone col primo volo. La posta in gioco era troppo alta e lui non poteva restare senza far niente mentre il suo amico d’infanzia si rovinava con le proprie mani. Non si sarebbe mai perdonato di non aver fatto nulla per toglierlo dall’impiccio. Si offrì volontario per un cambio e raggiunse la panchina. Era teso, furente e deluso. Mandò giù un po’ d’acqua, si diede il tempo di riprendere fiato e si accostò a Philip.
-L’hai rifatto, vero?-
L’altro si volse stupito.
-Ieri sera eri distrutto e oggi sei crollato. Hai preso di nuovo quella roba, vero?-
Si fissarono negli occhi e Philip, stanco di sentirsi accusato di qualcosa per l’ennesima volta, non tentò neppure di difendersi. Preferì tacere e Peter lo incalzò, interpretando quel silenzio come un’ammissione. Il risentimento nei suoi confronti ruppe gli argini.
-Perché non mi rispondi? Ammettilo, hai fatto la scorta da Baird e ci hai riempito la valigia! Sei un incosciente! Vuoi metterti nei guai? Vuoi che ti mandino via?- gli si scagliò addosso, afferrandolo per il bavero della tuta e scuotendolo con forza per indurlo a reagire, a ragionare, a tornare la persona che era.
L’impeto di Peter lo colse di sorpresa e Philip non riuscì a frenare il suo slancio. Si sbilanciò indietro e finì per urtare con violenza il palo della pensilina delle panchine. Una fitta di dolore gli attraversò la spalla e la schiena.
Patty balzò in piedi e accorse.
-Che state facendo? Smettetela immediatamente!-
Con una smorfia di sofferenza Philip si massaggiò il braccio indolenzito.
-Non hai nessun motivo di alterarti, Peter. Non è come pensi…- gli afferrò la mano e lo costrinse a mollare la presa.
-Già, non è mai come penso! Quante volte lo hai rifatto?-
-Piantala, non è il momento! Non lo capisci?- occhieggiò chi gli stava intorno, preoccupato che venisse fuori la verità su come a Sapporo aveva trascorso le sue serate solitarie.
Shake mandò giù il groppo che gli era salito in gola.
-Sai cosa, Philip? Non ti voglio come capitano! Non ti voglio così!-
-Almeno su questo siamo d’accordo! Anch’io non…- il pugno gli arrivò al centro della guancia, tra lo zigomo e il mento. Per un attimo un flash lo accecò, poi si schiantò a terra.
Quel giorno era destino che Philip passasse parecchio tempo steso al suolo. La mazzata di Shake fu tale che nella sua testa venne a galla la seconda verità assoluta. Mentre fissava incredulo il suo amico d’infanzia che si stringeva nell’altra la mano con cui lo aveva colpito, capì che non era Salvatore Gentile a tenerlo lontano da Jenny, così come non era il fatto che lei fosse ospite di Mark. Era il ricordo indelebile di McFay che gli si era incrostato addosso come fango secco e non veniva via.
Il pugno di Shake gli aveva spaccato da pelle da qualche parte nella bocca. Sentì il sapore del sangue e lo inghiottì. La voce di Patty gli arrivò acuta.
-Peter! Che accidenti ti prende?-
Philip spostò gli occhi da lei all’amico. Gli torreggiava davanti respirando forte, nello sguardo delusione, rimpianto e rimorso. Si era già pentito del gesto.
-Non vedevi l’ora di farlo, eh?- accennò un sorriso e la ferita tirò, stillando un’altra goccia di sangue.
Peter fece un passo avanti, Patty andò su di giri e cominciò a gridare.
-Shake, guai a te!-
Ma lui aveva tutt’altre intenzioni. Cercando di vincere la diffidenza e l’irritazione, porse una mano a Philip che gli si aggrappò e si mise in piedi vacillando.
-Stai sbagliando Peter. Non è come pensi.-
-Non è la prima volta che ti vedo ridotto come ti ho visto ieri sera…- abbassò gli occhi a terra, deglutì e decise di colpirlo anche dentro, facendo tutto il contrario di ciò che Grace gli aveva appena ordinato -Ho parlato con Jenny, sai Philip? Sembra davvero che non voglia più saperne di te. E fa bene!-
-Stronzate…- borbottò Evelyn lanciando a Peter un’occhiata sgomenta. Fortuna che erano amici!

*

Dopo che Mark se n’era andato, Jenny si era riaddormentata così profondamente che non aveva sentito Daisy fare avanti e indietro nel corridoio per prepararsi a uscire. Ma aveva sognato Philip. Ormai lo faceva in continuazione e ciò la esasperava. Stavolta aveva rivisto sprazzi del loro ultimo scontro nei corridoi dello stadio di Sapporo e si era svegliata in preda all’angoscia.
Mentre rifaceva il letto si sforzò di non pensare al suo odore, al suo calore, alla stretta rassicurante delle sue braccia, altrimenti la nostalgia avrebbe ricominciato a bruciare.
Era mezzogiorno. La sera prima aveva fatto scandalosamente tardi ed era stata una fortuna che Mark non si fosse accorto di nulla. Tirò su il copriletto e ne distese le pieghe. Ripiegò d’accapo almeno metà dei vestiti che erano nell’armadio e che trovò aggrovigliati l’uno nell’altro, stentando a credere a tanto disordine. Era come se Mark si fosse divertito a rimestare magliette, felpe e maglioni, mescolando tutto. Dopodiché scese di sotto, dove Malaya stava riordinando la cucina. La salutò, s’infilò le scarpe e uscì.
Il tram procedeva spedito sulle rotaie e Jenny osservava pensierosa i palazzi e i portici, le persone e le macchine, intrecciando tra le dita una ciocca di capelli. I germogli sugli alberi splendevano ai raggi del sole che filtravano tra le nubi. Fremeva per andare al centro sportivo e questa smania la infastidiva nel profondo, perché dimostrava soltanto che non era più in grado di tenere lontano il pensiero di Philip. All’inizio ci era riuscita piuttosto bene, ma con il passare dei giorni diveniva sempre più arduo. Andare al campo era diventato uno stress, ogni volta che lo faceva dentro si sentiva lacerata. Da una parte non vedeva l’ora di incontrarlo, dall’altra avrebbe pagato oro pur di non trovarsi faccia a faccia con lui, pur di non essere costretta ad ignorarlo ogni santo giorno. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare i compagni, ma nello stesso tempo non era capace di starne alla larga. Persino la presenza di Gentile non era più sufficiente a dare un ordine ai propri sentimenti e tenere a bada le proprie emozioni.  
Mentre Jenny raggiungeva Carol per scroccarle un pranzo al Mc Donald’s, Amy attraversava la hall dell’hotel occhieggiando oltre le vetrate la strada percorsa dalle macchine. Il sole si era nascosto di nuovo facendo piombare la città in una plumbea penombra. Il cielo minacciava pioggia.
Benji era seduto al bar e dopo un attimo di incertezza, decise di raggiungerlo. Sentì profumo di shampoo prima ancora di arrivargli accanto. Il ragazzo odorava di buono, di pulito. Teneva il cappellino agganciato al passante dei jeans, da dove gli pendeva lungo il fianco. La maglietta a maniche corte, nonostante non facesse particolarmente caldo, gli fasciava la schiena mettendo in risalto la linea muscolosa delle spalle e delle braccia. Quando gli fu vicino lo vide intento a scrivere sul cellulare un messaggio, o forse una mail.
Amy gli si accostò inspirando il profumo del bagnoschiuma mescolato all’odore della sua pelle. Si dilungò ad osservarlo, prima i capelli corti della nuca, ancora umidi per la doccia. Poi spostò lo sguardo sulla sua espressione seria e concentrata, le dita che si muovevano veloci sul display, i muscoli delle braccia che guizzavano. Si riscosse, prese la felpa che il portiere aveva abbandonato sullo sgabello accanto, si sedette, la ripiegò con cura e se l’appoggiò in grembo. Lui le lanciò un’occhiata veloce e tornò a scrivere. Amy si sporse appena, giusto per dare un’occhiata discreta al display. Non capì nulla delle parole che vide. Benji stava chattando con qualcuno in tedesco.
-Tutto ok?- gli chiese.
-In generale sì, nello specifico dipende.- alzò gli occhi giusto il tempo di risponderle, poi tornò a scrivere.
-Marianne?-
-Chi?-
-La tua ragazza.- lo vide accantonare il telefonino da una parte e restare granitico -La tua ex ragazza.-
-Non so di chi stai parlando.-
Amy esitò, poi capì l’antifona.
-Posso ritentare?-
Le labbra di Benji si incurvarono appena.
-Spara.-
-Schneider.-
-Sei fuori strada.- Benji rise e la schernì -Non hai paura che vedendoci insieme, al tuo ragazzo venga un attacco di gastrite?-
-Non gli viene nessun attacco, per così poco.- rispose lei e non riuscì a fare a meno che i suoi occhi finissero di nuovo sulla pelle lasciata scoperta dalla maglietta, sui tendini che guizzavano e i muscoli che si flettevano ad ogni movimento.
-Buon per lui.-
-Non hai freddo?-
-Per niente.-
-Di cos’è che non vuoi parlare?-
-Se non voglio parlarne perché dovrei dirlo a te?-
-Va bene, lasciamo perdere.- capitolò con un sospiro, stirando con le mani le pieghe che si erano formate sulla felpa del ragazzo. Il calore che emanava era piacevole sulle ginocchia lasciate nude dalla gonna, forse non gliel’avrebbe restituita più -Devo chiederti un favore.-
-Che genere di favore?-
-Un favore semplice, che non ti costa nulla.- si fissarono in silenzio, poi Amy arrossì leggermente -Fai più attenzione a ciò che dici a Evelyn. Lei crede a tutto.-
-Per esempio?-
Lei esitò, a disagio.
-Per esempio ciò che riguarda le manie di Gentile. La curiosità di Evelyn ha fatto infuriare Jenny.-
Lui ridacchiò in un modo che la fece arrossire ancora di più.
-Quali manie, in particolare?-
-Te ne sei inventata più d’una?-
-Non mi sono inventato niente. Vuoi qualcosa da bere?-
Amy scosse la testa e d’un tratto gli fu grata di aver accantonato un argomento che avrebbe finito col metterla in imbarazzo sul serio.
-Dove sei stato ieri sera?-
-Un po’ qua, un po’ là.-
-Con chi?-
-Salvatore Gentile, mi doveva un’uscita.- lei lo fissò curiosa -Una sera ad Amburgo dopo una partita della Champions League siamo andati a divertirci insieme, con gli altri… Gentile voleva ricambiare il favore.-
-Ti sei divertito?-
-Mi sono svagato. È dura avere a che fare ventiquattr’ore su ventiquattro con dei deficienti.-
Ad Amy sfuggì un sorrisetto vagamente infastidito.
-Hai un’alta considerazione dei tuoi compagni di squadra.-
-Se ne salvano pochissimi. Saranno anche bravi a giocare a calcio, ma sono quasi tutti degli idioti.-
-Mi piacerebbe sapere chi sono le eccezioni.-
-Al momento non mi vengono in mente.-
Amy rise. Il cellulare di Benji vibrò per l’arrivo di un messaggio. Il ragazzo lo prese e diede un’occhiata rapida al testo. Le sue dita si contrassero di colpo e con un gesto stizzito lasciò cadere il telefonino sul ripiano. I suoi occhi si riempirono di collera e imprecò con un paio di vocaboli in tedesco. Amy non fiatò. Aspettò in silenzio e quando lui parlò di nuovo, la voce di Benji risuonò secca e atona.
-Rimarrò in panchina per le prossime partite, finché al mister non passerà l’incazzatura.-
-Chi te lo ha detto?-
-Kaltz in questo preciso momento.-
-Mi dispiace.-
La scrutò.
-È un’informazione riservata.-
-Non lo direi comunque.-
Benji tacque, il silenzio tra loro si protrasse per alcuni minuti e fu di nuovo lui a romperlo. La domanda che le fece la colse del tutto impreparata.
-Tu credi che McFay avrebbe fatto lo stesso quello che ha fatto a Jenny se io fossi rimasto alla larga da Karen?-
Amy deglutì. Il portiere, gli occhi abbassati sulle mani che serravano le ginocchia, proseguì prima che lei riuscisse a formulare una risposta.
-Me lo sto chiedendo da troppo tempo. È una domanda che mi assilla, che mi martella il cervello. E non riesco a darmi una risposta. Tu ce l’hai, una risposta?- si volse e sprofondò lo sguardo in quello di lei -Ce l’hai, Amy, una risposta?-
La giovane aprì la bocca per parlare ma la voce non uscì. Fuori pioveva, il cielo era a tratti plumbeo, a tratti azzurro. Il sole sembrava giocare a nascondino con le nuvole e il tempo piangeva a singhiozzi improvvisi.
-È una domanda difficile, vero?-
-No, non lo è…- respirò a fondo e continuò -Secondo me a David interessava Jenny e basta…- esitò, scorgendo per la prima volta il dubbio che lo straziava -Se David avesse voluto vendicarsi di te lo avrebbe fatto in un altro modo, tanto più che Jenny non era la tua fidanzata. Che senso aveva infierire su di lei per punire te? Jenny era la nipote dei padroni del ryokan con i quali aveva appena stretto un accordo, tu e lei non avevate niente in comune. Se avesse voluto vendicarsi, avrebbe potuto far saltare il tuo contratto, per esempio…- sussultò quando il pensiero appena formulato prese forma. Un malessere improvviso l’assalì, le venne improvvisamente da vomitare. Boccheggiò in cerca d’aria, le mani scosse da un tremito -Lo ha fatto, Benji? Lo ha fatto davvero? Non sei entrato nel Bayern per colpa di David?-
Lui non seppe cosa risponderle. Fu la prima volta, quella, in cui valutò da questa prospettiva ciò che era accaduto quasi un anno prima. Era stato lui a dire di no al Bayern oppure era stato il Bayern a spingerlo a rifiutare l’offerta? Non lo sapeva. Sapeva solo che la somma dell’ingaggio si era abbassata di colpo senza motivo e lui aveva rifiutato, tanto più che continuava a provare nei confronti dell’Amburgo, del suo staff e dei suoi compagni un legame profondo. Ma non aveva mai capito perché la somma fosse scesa così all’improvviso, in realtà non se l’era neppure chiesto. Poteva esserci sotto lo zampino di McFay? Sembrava assurdo. McFay non possedeva un potere tale da condizionare le scelte di una delle più grandi squadre europee. O sì? Si pentì di aver tirato fuori l’argomento.
-Benji? È stato David a far saltare il tuo contratto?-
-No, credo di no.-
-Ma non ne sei sicuro.-
Lui scosse la testa, poi ordinò un caffè.
-Non saremmo mai dovuti andare a Kyoto. Quel viaggio è stato un trauma per tutti.-
-Ma anche dopo… E anche adesso.- Amy sospirò e il suo corpo sembrò rimpicciolirsi.
-Jenny sembra stare bene.-
-Sì, si è ripresa abbastanza.- i suoi occhi si annebbiarono -Ma non tornerà più quella che era.-
Quella innegabile constatazione aleggiò sul loro silenzio, spezzato dal viavai dei clienti dell’albergo e dal personale in piena attività. Era quasi ora di pranzo e quel susseguirsi di piovaschi improvvisi aveva spinto Gamo a terminare in anticipo gli allenamenti. Non poteva rischiare che si buscassero un malanno.
Il nullaosta di Benji era arrivato in mattinata. L’impiegato della reception lo aveva chiamato e gli aveva consegnato il documento. Esaminando i fogli aveva scoperto che il permesso di giocare contro l’Italia era stato rilasciato lo stesso giorno in cui Pearson ne aveva fatto richiesta e la risposta aveva tardato ad arrivare soltanto a causa di un numero di fax errato. Il mister dell’Amburgo non aveva avuto dubbi, non aveva esitato e non si era fatto condizionare da possibili ripensamenti. In due parole aveva fatto in fretta a liberarsi di lui. Dopo tanti anni di certezze, a Benji si prospettava un futuro pieno di dubbi.

*

Salvatore diede gas e la Ducati nera oltrepassò a tutta birra la sbarra sollevata del parcheggio del centro sportivo. Mark saltò sul marciapiede quando la moto gli sfrecciò accanto e il fango di una pozzanghera gli schizzò sui piedi. Sbraitò contro l’arrogante pilota una valanga di invettive in italiano, purtroppo coperte dal rombo del motore. Gentile si fermò tra la macchina di Alex Marchesi e quella di Matteo Solari, posando un piede a terra per stabilizzarsi e lasciar smontare Jenny. Lei si sfilò il casco e liberò i capelli, che le ricaddero lunghi sulla schiena. Glielo passò, Salvatore lo prese, lo agganciò allo specchietto e si tolse il proprio. Poi accolse Mark con un ghigno.
-Dicevi qualcosa, prima?-
-Sì, che sei un incosciente! Come puoi guidare in maniera così spericolata mentre Jenny è con te?-
-Landers, io guido benissimo!- si passò sfrontatamente una mano tra i capelli per scompigliarli in quell’arruffamento sexy che gli donava un casino. Le ciocche d’oro brillarono al sole.
-Per quello che mi riguarda puoi anche essere un pilota provetto, ma non osare correre in quel modo quando sei con Jenny. Hai capito o no?-
Salvatore avanzò verso di lui e gli fu d’un tratto vicinissimo. Lo fissò negli occhi e abbassò la voce, calcando sulle parole.
-Io-sono-un-pilota-provetto. Facevo anche le gare, non lo sai?-
Landers lo spintonò per allontanarlo e nello stesso tempo indietreggiò.
-Certo che lo so! E so anche che mentre le facevi ti sei schiantato sulla pista e ti sei maciullato una spalla. Per cui ora le tue gare fattele da solo!- cambiò lingua e affrontò Jenny che aveva creduto, anzi sperato, di averla scampata -Perché sei in giro? Fino a ieri avevi la febbre a quaranta!-
-Appunto, fino a ieri. Oggi sto benissimo.-
-Landers non ti agitare.- Salvatore era già stanco di sentirlo sbraitare -Se ti prende un colpo mi togli il piacere di stracciarti in campo.-
Il ragazzo divenne paonazzo e inveì in italiano contro Jenny e in giapponese contro Salvatore. I due si guardarono e scoppiarono a ridere.
-Mark, stai facendo un casino.- si mise in mezzo Rob -Davvero è meglio se ti dai una calmata!-
Sentendosi improvvisamente ridicolo, Landers ammutolì di colpo. Si caricò la borsa e varcò l’ingresso del campo con un diavolo per capello.
-Philip, posso parlarti sinceramente?- gli si accostò Patrick quando furono negli spogliatoi.
Il ragazzo annuì rassegnato. Eccone un altro che aveva qualcosa da rimproverargli. Cosa non gli andava bene?
-Se vuoi riconquistare Jenny devi darti una svegliata. Non puoi continuare così.-
A Philip si rizzarono i capelli sulla nuca. Adesso persino Everett metteva bocca nei suoi affari privati e cominciava a sparare consigli non richiesti.
-E chi ti ha detto che…-
-Lo stavo pensando anch’io.- s’impicciò Paul Diamond -Di ragazzi non me ne intendo, ovvio… Ma Gentile non è mica male: simpatico, sveglio…-
-Hai ragione, Diamond. Di ragazzi non te ne intendi proprio.- borbottò Mark dal suo angolo.
Lo ignorarono.
-Ha un buon ingaggio, guadagna sicuramente tanto, ha la macchina, la moto, di certo una bella casa…- Paul scosse la testa -Riprenderti Jenny sarà per te impresa non da poco.-
-Davvero Philip?- Jason Derrick spalancò gli occhi dalla sorpresa -Vuoi rimetterti con Jenny? E Julie Pilar?-
-Se Callaghan è abbastanza sveglio può tenersele tutte e due.- buttò là Clifford.
Benji scoppiò a ridere.
-Questa è buona, Yuma! Non riesce a riconquistarne una, figuriamoci tenersene due!-
-Qualsiasi cosa tu decida di fare, sappi che noi tifiamo per te, Philip!- lo incoraggiò Patrick.
Il ragazzo lo fissò indeciso. Doveva mostrarsi grato del suo supporto oppure mandarlo definitivamente a quel paese?
Mark dal suo angolo riprese a borbottare.
-Secondo voi cosa dovrebbe farsene Jenny di una moto, di una macchina, di una bella casa e di una valanga di rotture di coglioni? Perché voi non lo sapete ma Gentile si porta dietro un bel pacco di problemi!-
Gli occhi ironici di Benji spuntarono oltre lo sportello aperto di un armadietto.
-E tu che ne sai, Landers? Come fai a sapere cos’è che Jenny vuole?-
Si scambiarono un’occhiata, velenosa da una parte, sarcastica dall’altra.
-Abitandoci insieme qualcosa ho imparato.-  
-Già e cosa? Come fartela scappare? Il fatto che Jenny sia finita tra le braccia di Gentile e non tra le tue mi pare un chiaro segno che non hai imparato proprio niente.-
Clifford e Ralph si guardarono.
-Benji non ha mica torto.-
-Imbecilli!- li zittì Mark nervoso.
Philip si chinò a terra per allacciare gli scarpini. In un modo o nell’altro Jenny finiva sempre per essere l’argomento dei loro pettegolezzi. Per quale accidenti di motivo? Perché non parlavano di Patty, di Amy o di Evelyn? O della fidanzata di Aoi, quella tizia stramba che lavorava al Mc Donald’s e nello stesso tempo faceva la cubista? O del fatto che Mark in Italia non avesse trovato neppure uno straccio di ragazza con cui trastullarsi? O della Farrell che chiaramente provava per Landers un interesse a dir poco sproporzionato? Perché non parlavano delle pustole di Jason Derrick (o era James?) che si erano moltiplicate come funghi inondandogli il torace e le braccia? Perché non rompevano le palle a Tom che telefonava tutti i giorni ad Amélie cercando di convincerla a venire a vedere la partita? Perché sempre Jenny, continuamente Jenny e inesorabilmente Jenny?
E quando uscì dagli spogliatoi e se la ritrovò proprio di fronte gli mancò il respiro. Non vicino ma davanti, così dirimpetto che i suoi occhi le finirono inevitabilmente addosso. Peccato che anche Gentile le stesse addosso, incollato a sbaciucchiarla. Patrick lo sgomitò.
-Non ti scoraggiare, secondo me hai ancora qualche chance.-
E poi udì i due gemelli.
-Tu dici? Io la vedo dura.-
-Se non impossibile.-
Lo guardarono e corsero via schizzando ghiaia bagnata tutt’intorno.
Era un giorno incerto e capriccioso, piovaschi sparsi si rovesciavano a tratti sul campo, facendo salire il profumo dell’erba bagnata. Il verde degli steli brillava quando il sole riusciva a fare capolino tra le nubi. Stava andando avanti così dalla mattina, non era un bel tempo per allenarsi, non ci si capiva niente. Entravano in campo quando usciva il sole e si ritiravano al riparo se la pioggia aumentava. Tornavano di nuovo ad esercitarsi non appena si attenuava perché il terreno di gioco reggeva, la terra e l’erba facevano il loro lavoro e assorbivano l’acqua. Sulle divise dei ragazzi il sudore si mescolava alla pioggia e all’umidità, gli scarpini e i calzettoni erano infangati e tracce di terra guarnivano i pantaloncini di chi, durante il gioco, era caduto.
Poi il cielo si coprì di nubi nerissime e il sole scomparve. Alle quattro sembrò calare la notte. Un lampo improvviso squarciò il cielo facendo sobbalzare Amy di terrore. Stringendosi addosso il cappotto imperlato di umidità, si avvicinò a Marshall e lo guardò in modo così eloquente che quello lanciò un lungo fischio e richiamò i ragazzi.
Anche la squadra italiana, sotto la minaccia della pioggia, interruppe gli allenamenti e mentre qualcuno rimase a radunare i palloni, il resto della truppa rientrò negli spogliatoi.

Jenny si accostò con un vassoio carico di bicchieri e accolse lo sguardo di Clifford con un sorriso.
-Hai cambiato squadra?- domandò il ragazzo, addolorato dall’enorme maglia della Juventus che le vide addosso. Le arrivava a metà coscia coprendole quasi del tutto i pantaloncini di jeans che indossava sotto, e le maniche lunghe erano arrotolare fin sui gomiti -Tiferai per Gentile, invece che per noi?-
-Di sicuro non tifo per Mark.-
Yuma rise, non aspettava altro.
-Eppure l’altro giorno sembravate andare così d’accordo tu e Landers.-
Lei finse di non aver sentito e depositò sul tavolo le bevande.
-Sono uscita di casa senza ombrello e mentre venivo qui ha cominciato a piovere. Salvatore mi ha prestato la sua maglietta in attesa che i miei abiti si asciughino.-
Philip la osservava da un altro tavolo e, gli occhi fissi su di lei, non si accorse che Gentile lo scrutava da quando aveva messo piede al bar. Jenny tornò dietro al bancone, prese una cassetta di bottiglie vuote e la portò sul retro del locale. Solo quando non la vide più Philip riuscì a prestare attenzione alle chiacchiere dei compagni.
-Tutta questa pioggia mi fa male ai reumatismi.-
La schiena di Bruce scricchiolò.
-Sei già da buttare, Harper.-
-La mia divisa è da buttare piuttosto… È lercia da far schifo. Quando mi sono tolto i pantaloncini gocciolavano fango.-
-Vero! Sembrava che te la fossi fatta sotto!- lo schernì Bob Denver sopra un coro di risate.
Finché avesse continuato a piovere in quel modo, nessuno si sarebbe azzardato a lasciare il bar del centro sportivo. Di acqua ne avevano presa abbastanza tutti quanti e dopo la doccia, freschi, puliti e profumati, i ragazzi erano decisi ad aspettare che spiovesse.
Jenny ne era contentissima perché ogni ora che passava dietro il bancone equivaleva a cinquanta euro che le entravano nel portafoglio. Patty e Holly le sedevano di fronte ma era talmente occupata a rimestare drink che non si accorse che stavano parlando di lei. Porgendo due spritz ad Alex Marchesi che li reclamava con imbarazzanti complimenti pronunciati in un inglese dal forte accento italiano, liquidò il disturbatore e si rivolse di punto in bianco all’amica.
-Com’è stata Carol?-
Patty trasalì.
-In che senso?-
-L’altra sera ti ha truccata lei, no?-
Jenny si chinò per tirar fuori un limone dal frigorifero. Cominciò a tagliarlo in fettine sottilissime, lanciando all’amica occhiate curiose.
-Molto brava…- anche troppo -Non si è visto?-
-Sì, stavi benissimo.- le strizzò un occhio e poi spostò lo sguardo su Holly, ammiccando -Hai visto le foto?-
-Evelyn me le ha mandate tutte.-
Jenny tornò a rivolgersi a Patty.
-Intendevo sapere se Carol è stata gentile.-
Lei si chiese se Jenny fosse a conoscenza dell’interesse che l’amica di Aoi provava nei suoi confronti. Le sembrò impossibile, altrimenti avrebbe tirato fuori la cosa già il giorno prima, quando erano rimaste sole tutte quelle ore a casa di Mark, andando dritta al punto senza girarci intorno.
-Sì, è stata…- esitò sull’aggettivo -Molto premurosa.- le era praticamente saltata addosso e bastava il ricordo del bacio perché il disagio le invadesse lo stomaco. Aveva tradito Holly, sì o no? Non riusciva a decidersi e quell’incertezza le causava ansia.
-Quanto l’hai pagata?-
-Niente, non ha voluto neppure un euro.-
Jenny non riuscì a crederci. Era convinta che Carol le avrebbe chiesto un conto più salato del solito. La giovane era al limite dell’indigenza mentre Holly navigava nell’oro.
-Davvero?-
-Sì, ho provato a insistere ma non ha voluto niente.- decisa a non pronunciare più un’altra parola riguardo la stramba amica di Rob, cambiò argomento -Sai che Daisy è tornata a Tokyo?-
-No!- la sorpresa di Jenny fu così genuina e potente che la sua voce risuonò nel bar facendo voltare parecchie teste.
Lei arrossì e si concentrò su Patty.
-Sei contenta?-
-Certo che sono contenta! Sto saltando di gioia! Mark lo sa?- i suoi occhi corsero a cercarlo.
L’amico sedeva ad un tavolo insieme agli ex compagni della Toho. Warner stava dicendo qualcosa di talmente interessante da attirare l’attenzione degli altri ragazzi. Intorno a loro si era creato un capannello.
Holly fece spallucce.
-Non credo. Io l’ho saputo un istante fa da Benji a cui l’ha detto Marshall.-
Jenny li scrutò, improvvisamente dubbiosa.
-Non state scherzando, vero?-
Patty la rassicurò.
-Non potrei mai scherzare su una cosa simile.-
Il sollievo della giovane era evidente.
-Non ci posso credere.- i suoi occhi brillarono -Che bella notizia!-
Salvatore Gentile si sentiva particolarmente stanco. Forse era colpa del tempo, di quella giornata uggiosa. Oppure era per la nottata passata con Price a trastullarsi tra drink e ragazze. Avrebbe avuto bisogno di dormire di più, magari fino alle dieci per recuperare, e invece alle sette si era svegliato e non era più riuscito a prendere sonno. Era entrato in campo con mezz’ora di anticipo, stupendo Dario e suo padre che erano sempre i primi ad arrivare. Era talmente presto che non c’era ancora traccia di tifosi e giornalisti. E neppure della nazionale giapponese, che dormiva a due passi e si presentava sempre di buonora. Soffocò uno sbadiglio, lo sguardo su Jenny che porgeva da bere a Matteo. Da lei i suoi occhi si spostarono su Callaghan.
Philip se ne accorse e un fremito di rivolta gli salì su per la schiena. La storia della maglietta della Juventus l’aveva reso furioso. Per la prima volta ricambiò lo sguardo dell’italiano con una strafottenza che non gli aveva mai rivolto. In un ostentato gesto di sfida scostò la sedia e si mise in piedi. Benji, che teneva d’occhio entrambi, quasi avesse percepito la tensione che aleggiava tra i due, raggiunse Salvatore mentre Philip si avvicinava al bar.
Jenny tolse l’ultima bottiglia di birra dalla cassa che aveva portato dentro. Mentre la sistemava nel frigo scorse con la coda dell’occhio qualcuno accomodarsi sullo sgabello accanto a Patty. Alzò il viso e si bloccò con la mano a metà altezza. Era Philip. Lui non sorrise, non disse nulla, la guardò e basta. Anche Jenny non disse nulla. Finì quello che stava facendo, portò la cassetta vuota sul retro del bar, tornò dentro e gli versò una birra quando lui gliela chiese. Philip restò in silenzio ad ascoltare la conversazione degli amici. Jenny si tenne impegnata, cercando qualcosa da fare, ma distrarsi e ignorarlo non le fu di grande aiuto. Ogni nervo, ogni cellula del suo corpo erano intensamente focalizzati sul ragazzo e quando il tardo pomeriggio si trasformò in serata, si ritrovò sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Lui non aveva pronunciato una parola. E neppure lei. Ma la tensione era palpabile e la stava uccidendo.
Salvatore ascoltava Benji parlargli di calcio e di ragazze ma i suoi occhi rimanevano fissi su Jenny. Aveva capito da subito che il portiere era lì per sviare la sua attenzione e che la presenza di Callaghan aveva innervosito la ragazza. Si chiese se i due si fossero messi d’accordo, l’uno per tentare di riavvicinare la sua ex e l’altro per distrarlo mentre ciò accadeva. Non ne fu turbato. La curiosità di vedere cosa sarebbe successo lo incollò alla poltroncina. Intanto fuori dalle finestre la pioggia non cessava di venire giù. Era così fitta che i campi si erano allagati, trasformandosi in una distesa liquida su cui si riflettevano i fari delle macchine che percorrevano la strada.
La violenza dell’acquazzone diminuì all’ora di cena. I ragazzi lasciarono il bar a gruppetti, avventurandosi sotto una pioggerellina fastidiosa e insistente che bagnava e intirizziva ma che non li avrebbe sicuramente tenuti lontani dalla cena.
Jenny recuperò i vestiti ormai asciutti e andò in bagno a cambiarsi. Si sfilò la maglia di Gentile, riabbottonò la camicetta e indossò il golfino ancora caldo di termosifone. Uscì nel corridoio soprappensiero e dopo aver richiuso la porta della toilette, si volse e si fermò di botto. Philip era appoggiato al muro di fronte, le braccia conserte, gli occhi fissi su di lei. Quando i loro sguardi si incrociarono si staccò dalla parete e si avvicinò, continuando a scrutarla. Jenny si bloccò dov’era, incapace di muoversi, le labbra socchiuse dallo stupore. Ora Philip si sarebbe fermato, le avrebbe detto quello che voleva dirle e poi se ne sarebbe andato: né più né meno ciò che era successo nei corridoi dello stadio di Sapporo.
Invece lui non fece nulla di tutto ciò, o meglio si arrestò solo quando le fu così vicino da posarle una mano su una spalla e lasciarla scivolare verso la nuca, intrecciando le dita tra i suoi capelli. Una cosa che ormai Philip desiderava fare da troppo. Si lasciò scorrere quelle ciocche setose tra le dita e si mosse senza darle il tempo di indietreggiare, di protestare, di scostarsi. Neppure di respirare. Rapido come un battito del cuore di Jenny, attirò il viso di lei verso il proprio e si chinò a baciarla. La giovane non poté reagire, l’assalto di Philip la lasciò priva di difese. Il contatto tra le loro labbra durò pochissimo, appena un istante ma fu sufficiente a mandarla in confusione. E quando la sua mente formulò l’idea di scostarsi, fu lui a tirarsi indietro. La fissò, con occhi colmi di ironia, in modo così intenso da farla arrossire.
-Cosa fai?- gli chiese sgomenta.
-Ti bacio, cos’altro? Lo fa l’italiano, lo fa Landers, non vedo perché non possa farlo anch’io.-
Jenny si irrigidì e la vergogna le imporporò ancora di più le guance. Quel rossore che adorava fu per Philip un invito a ripetere il gesto. E lui lo colse al volo. Ma quando l’attirò verso di sé con più vigore, con uno scatto di collera Jenny puntò le mani contro il suo torace e lo allontanò spingendo forte. Philip indietreggiò, mollò la stretta e lei corse via.
Avrebbe voluto intervenire fin da subito, Gentile, e se lo avesse fatto avrebbe potuto impedire ciò che era appena successo. Almeno il secondo tentativo. Ma Benji lo aveva bloccato sulla sedia, redarguendolo con un tono che non ammetteva repliche e tutta l’intenzione, se avesse provato ad alzarsi, di fermarlo ad ogni costo.  
-Se riusciranno a tornare insieme grazie a te, sarà la cosa migliore che avrai fatto finora.-
-Grazie a me?-
Si erano guardati.
-Solo vedendola con te Callaghan può rendersi conto di cosa sta rischiando di perdere.-
Gentile aveva seguitato ad osservarli finché Jenny era fuggita via. Philip si era voltato e si era accorto di loro. Aveva esitato solo un attimo, poi aveva recuperato la borsa sportiva e aveva imboccato l’uscita del bar.
Benji aveva salutato frettolosamente Salvatore e aveva seguito il compagno sulla strada per l’hotel. Per come la pensava lui, Callaghan aveva usato un approccio sbagliato, decisamente troppo brusco, vista la reazione di Jenny. Ma almeno aveva iniziato ad agire e solo questo già era un bene. Gli corse dietro e quando lo ebbe raggiunto si incamminò con lui. La visiera del cappello lo riparava dalla pioggerellina che continuava a impregnare l’aria.
-Non mi interessa sapere quello che le hai detto ma a lei non è piaciuto, quindi la prossima volta rifletti bene su ciò che hai da dirle.-
Philip rimase in silenzio. Era il primo a non riuscire a credere di averle rivolto delle parole così stupide. Perché riusciva a ficcarsi nella testa che visto che non stavano insieme lei era libera di baciare chi voleva, anche Landers, se lo desiderava? Lui non era nessuno, proprio nessuno, per poterglielo impedire. Sospirò senza accorgersene e Benji lo guardò rassicurante.
-Sempre meglio di niente, dai.-
Jenny varcò le porte dell’hotel molto prima di loro. Aveva corso lungo tutto il tratto di strada. Le guance arrossate e il fiato corto, si lasciò cadere esausta sulla poltrona accanto ad Amy. Sentì il cellulare squillare e lo tirò fuori dalla borsa. Era Salvatore e lei teneva ancora la sua maglietta tra le mani. Aveva dimenticato di restituirgliela.
“Vado a casa, sono distrutto. Tu che fai? Ti devo accompagnare?”
Lei cercò di deglutire, di ritrovare il fiato per rispondergli ma aveva la gola asciutta. Non riuscì a riordinare le idee. Era ancora sconvolta, sotto shock. Amy la guardò preoccupata.
-Jenny, tutto bene?-  
-Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.- fu il commento di Evelyn.
“Jenny? Hai sentito quello che ho detto?” la incalzò l’italiano.
Le sue labbra si mossero.
-Sì, ho sentito.-
Benji e Philip comparvero nella hall, entrando nel suo campo visivo mentre Gentile, al cellulare, riprendeva a parlare.
“Vado a casa. Vuoi che ti accompagni?”
Fu osservando il portiere e il suo ex che attraversavano l’atrio che Jenny prese la decisione di fuggire. Questa volta sì, sarebbe scappata.
-Aspetta… Aspettami vengo con te!-
Il bacio di Philip era stato un duro colpo. La corazza che avvolgeva il suo cuore ferito si era incrinata e ora i suoi sentimenti avevano ricominciato a sanguinare. Era un dolore così potente da stordirla. Non riuscì a sopportarlo, le veniva da piangere. Doveva andarsene subito. Chiuse la comunicazione e si alzò.
-Ci vediamo domani.- il suo fu un sussurro.
Patty la guardò.
-Te ne vai?-
Uscì dall’hotel senza rispondere, gli occhi fissi davanti a sé, incapace di guardare chiunque. Aveva ripreso a piovere forte ma non le importò di bagnarsi pur di tornare al centro sportivo. Non sapeva neppure se era la pioggia a solcarle le guance o se fossero le lacrime che alla fine non era riuscita a trattenere. Corse lungo il marciapiede, aveva paura che Salvatore se ne andasse senza di lei. Non si curò delle pozzanghere, degli schizzi delle macchine che la superavano veloci. Le interessava soltanto andar via, lontano da lì, il più in fretta possibile. Trovò Salvatore che, sotto un ombrello aperto, infilava la borsa sportiva nel portabagagli di una macchina che non era la sua. Della moto con cui erano arrivati nel primo pomeriggio non c’era traccia. Lui la vide e le sorrise.
-Eccoti.-
Jenny gli allungò la maglia e lui la ficcò nel portabagagli.
-Vengo con te.-
-Ti porto a casa?-
-No, a casa tua. Mi fermo da te, se vuoi. Va bene?-
-Magari! Sarebbe pure ora… Ti pare?-
Lei annuì. Fece il giro dell’auto e salì dal lato del passeggero.
-Dov’è la moto?-
-L’ho prestata a Dario.-
-Avete fatto uno scambio?-
Salvatore ingranò la retromarcia ma prima di muoversi si soffermò a guardarla. Aveva le guance arrossate e i capelli bagnati.
-Doveva tornare a Milano passando il più possibile inosservato. Se la sua macchina è qui è più difficile che si accorgano che se l’è filata. Certo con questa pioggia, poveretto…-
-È successo qualcosa?-
-Macché, la sua ragazza gli ha dato l’ennesimo ultimatum e lui è corso da lei, come al solito.- fece manovra ed uscì dal parcheggio -Che voleva Callaghan?-
Jenny trasalì.
-Non… non lo so…-
-Price ha detto che dovrei lasciare che tornaste insieme.-
-Benji non si fa mai gli affari suoi.-
Lui le lanciò un’occhiata.
-Sono io che ti trattengo?-
Decise di essere franca. Tanto cosa aveva da perdere?
-No, sono io.-
Mark si era accorto che Jenny si defilava solo all’ultimo momento, quando lei aveva varcato le porte dell’hotel e non aveva fatto in tempo a fermarla. Abbassò gli occhi sul cellulare, tentato di chiamarla. Poi ci ripensò e se lo infilò nervosamente in tasca. Jenny gli aveva appena dato buca e lui non aveva nessuna voglia di tornare a casa a prepararsi la cena. Non gli andava neppure di ordinare la pizza. Lasciò la borsa in deposito alla reception e seguì i compagni nella sala da pranzo. Individuò dello spazio tra Tom e Julian e li fece stringere per sedersi tra loro. Poi chiamò il cameriere e si fece aggiungere un coperto. Stava morendo di fame.
A Philip, che gli sedeva di fronte, la fame invece era passata. Aveva baciato Jenny e il risultato era stato che lei se n’era andata a trascorrere la serata, e probabilmente anche la notte, con l’italiano. Mandò giù po’ d’acqua per ingoiare la delusione.
-Holly, ti ricordi che domani pomeriggio non mi alleno?- disse Mark d’un tratto -La sera gioco con la Juventus.-
-Sì, me lo ricordo. Ho chiesto a Pearson se potevamo assistere alla partita. Mi ha detto che va bene.-
-Verrete allo stadio?- Mark non sembrò particolarmente contento.
-Che c’è Landers, hai paura di perdere davanti a tutti?-
Lui si volse inviperito verso Benji ma prima che potesse rispondere, Julian esternò il proprio entusiasmo.
-Questa partita è un’occasione d’oro. Gentile non è l’unico a giocare in nazionale. Potremo vedere all’opera anche gli altri.-
-Pearson ha rimediato i biglietti per tutti? Anche per noi?- domandò Patty.
Holly la guardò interdetto.
-Non ho pensato a chiederglielo.-
Lei socchiuse gli occhi contrariata.
-E se non troviamo i biglietti, Evelyn, Amy ed io che facciamo? Vi aspettiamo in hotel?- fissò Mark -Ci farai entrare lo stesso, vero?-
-Io no, ma quel demente di Gentile sicuramente potrebbe. Allo stadio sono tutti amici suoi.-
-Allora chiediglielo per favore.- lo incalzò Amy.
-Adesso?-
-Perché adesso no?-
Mark ci pensò un istante, poi decise che non gli dispiaceva per niente rompergli le scatole mentre era con Jenny. Anzi, per fare le cose fatte bene telefonò direttamente a lei. Gli rispose al terzo squillo.
-È una fuga d’amore?- sghignazzò schernendola.
“Imbecille.”
-Passami Gentile.-
“Sta guidando. Cosa vuoi?”
-Chiedigli se può far imbucare Amy, Evelyn e Patty allo stadio per la partita di domani.-
Salvatore collegò l’i-phone di Jenny al bluetooth della Giulietta e alzò il volume. La voce di Mark uscì forte e chiara dall’impianto stereo e quando il ragazzo gli ripeté la domanda scoppiò a ridere di gusto.
“Va bene che il calcio non è lo sport nazionale giapponese, ma state messi così male da non potervi permettere i biglietti?”
-Grazie, sapevo che potevo contare su di te. Buonanotte.- riagganciò.
Jenny lo richiamò un secondo dopo. Lui avrebbe voluto non rispondere ma le amiche lo fissavano in un modo che non gli piacque per niente.
“Come sei permaloso, Landers.” rise Gentile.
-Se la caveranno anche senza di te, cosa credi?-
“All’ingresso principale c’è sempre qualcuno che conosco. E adesso, se non ti dispiace, mi aspetta finalmente la serata che mi sono guadagnato con tanta pazienza e fatica. Quindi vedi di non rompere il cazzo.” scollegò il bluetooth e riagganciò senza neppure salutare.
-Pallone gonfiato, stupido cretino, borioso imbecille…-
-Non può aiutarci?- domandò Patty.
-Sì che può. Figurati se non può. Conosce così tanta gente che vi troverà i posti migliori.-
Philip li ascoltava per metà. L’altra metà della sua mente valutava ciò che era successo neppure un’ora prima, da tutte le angolazioni possibili e immaginabili. Benji aveva ragione, con Jenny era stato troppo brusco. Se avesse saputo che la sua reazione sarebbe stata quella di andar via con Gentile, si sarebbe guardato bene dal baciarla. Però forse ne era valsa la pena. O no? Merda, non riusciva a decidersi. Aveva fatto bene oppure no?
Salvatore rallentò ad un semaforo, mise la freccia e imboccò una stretta via del centro fiancheggiata dai portici su entrambi i lati.
-Cosa vuoi per cena?-
-Va bene qualsiasi cosa, non ho molta fame.-
-Neppure io in effetti. Voglio solo arrivare presto a casa.- la guardò -Tu sei di nuovo zuppa. È meglio se non ci fermiamo a mangiar fuori. Prenderò della pizza.-
Jenny annuì e si sforzò di sorridergli, ma era tesa. Non era più tanto sicura di aver fatto la scelta giusta. Forse non sarebbe dovuta andare con Salvatore. Forse avrebbe fatto meglio a tornare a casa con Mark e ficcarsi a letto. Era intirizzita e infreddolita e non voleva assolutamente che la febbre le salisse di nuovo.
Gentile si fermò davanti ad una rosticceria, scese e tornò portando con sé un vassoio ben incartato. Lo passò a Jenny e siccome era bollente, lei si volse per posarlo sui sedili posteriori. Il profumo di pizza calda e fragrante che invase l’abitacolo, le scatenò d’un tratto una fame pazzesca.
Scesero davanti casa di Salvatore e quando una folata di vento carico di umidità investì Jenny inumidendole il viso, lei si strinse addosso il cappotto e si affrettò a varcare il portone del palazzo. La primavera finora era stata tiepida ma dopo l’acquazzone del pomeriggio sembrava essere tornato l’inverno.
Seguì il ragazzo nell’atrio e poi dentro l’ascensore fino all’ultimo piano. L’appartamento di Gentile era un superattico di lusso che comprendeva il bagno, il salotto, la cucina e due stanze da letto, quella che occupava lui e una più piccola per eventuali ospiti. Salvatore aprì la porta, accese la luce e la lasciò entrare. Il tepore dell’abitazione fece tirare a Jenny un sospiro di sollievo. Si sfilò le scarpe, aveva i collant bagnati e le dita dei piedi ghiacciate. Al confronto il parquet era piacevolmente caldo. Appoggiò il vassoio della pizza sul mobile dell’ingresso, si sfilò il cappotto e lo appese all’attaccapanni insieme alla borsa.
-Che tempo da cani.- borbottò lui precedendola nel salotto per accendere la luce -Vado a cambiarmi e ti porto qualcosa da indossare.-
Jenny annuì e andò a posare il vassoio della pizza in cucina. Aprì l’incarto sul tavolo per lasciar uscire il vapore. Poi, incapace di resistere, piluccò un pezzo di pizza. Lo inghiottì di colpo quando udì il cellulare squillare. La borsa era rimasta nell’ingresso. Corse a recuperarla.
Era di nuovo Mark.
“Sei a casa?”
Jenny sospirò.
-Sì. Siamo appena arrivati.-
“Ci vediamo tra poco, sto uscendo.”
-Sono a casa di Salvatore, Mark.-
Seguì un silenzio contrariato.
“Mi pareva. Hai mangiato?”
-Stavamo per farlo. Cos’è, un terzo grado?-
“Sì, se hai qualcosa da nascondere.”
La voce di Mark fu sostituita da quella di Patty, che tolse dalla bocca di Jenny una rispostaccia. “Domani mattina vieni al campo?”
-Non credo, perché?-
“Non puoi passare neanche solo per un attimo?”
-Ho un sacco di giri da fare ma ci posso provare.-
“Ecco, provaci.” la voce di Patty divenne un sussurro guardingo “Dove sei?”
-A casa di Salvatore.-
“Ti fermi lì?” impiegò troppo tempo a rispondere, così l’amica proseguì “Jenny, perché hai deciso di fermarti da Gentile?”-
Lei fremette.
-Possiamo parlarne domani?-
“Sì, domani mattina. Vieni al campo.”
Jenny tagliò corto e salutò. Dopodiché spense il telefonino. Patty aveva ragione, che ci faceva lì? Rimise il cellulare nella borsa e con i nervi in tensione andò in cerca di Salvatore che non era ancora tornato. Percorse il corridoio quasi in punta di piedi e si affacciò nella sua camera trattenendo il respiro, silenziosissima. Lo vide subito, era disteso sul letto. Ancora vestito di tutto punto, dormiva sprofondato tra le coperte.
La tensione che la irrigidiva si dissolse magicamente. Lo osservò incredula, le venne da ridere. Appoggiò una spalla alla porta, lasciando che il nervosismo abbandonasse definitivamente il suo corpo. Finalmente rilassata, il suo stomaco brontolò per la fame. Tornò in cucina e divorò buona parte della pizza. Coprì quella avanzata, spense la luce e s’infilò in bagno. Aveva bisogno di una doccia, del getto dell’acqua calda che la liberasse dal freddo che le era penetrato fin nelle ossa.
Quando tornò in camera da letto, Salvatore dormiva ancora. Percorse la stanza in punta di piedi, aprì l’armadio e trovò una felpa che le avrebbe fatto da pigiama. Se la infilò, rimboccò le maniche e si arrampicò sul letto. Seduta di fronte a lui, le gambe piegate e lasciate scoperte dalla felpa che le arrivava poco oltre la vita, restò ad osservarlo. La luce calda e soffusa che proveniva da un angolo della stanza faceva risplendere i suoi capelli d’oro. Obiettivamente Salvatore era davvero bello. I tratti del viso regolari, il naso dritto, un filo di barba incolta che cominciava a brillargli sul mento e sulle guance, la bocca perfettamente disegnata e così morbida, quando si posava su di lei. Sapeva perfettamente che se riusciva ad essere così forte davanti a Philip, a sostenere il suo sguardo critico che si sentiva sempre addosso e a ignorarlo, era anche grazie a Salvatore. Stare insieme a lui, essere sempre e costantemente al centro delle sue attenzioni, sentirlo così vicino, a volte anche troppo, ma sempre pronto a sostenerla persino nei suoi bisticci con Mark, le dava la forza di sopportare quell’insostenibile situazione. Da sola non ce l’avrebbe fatta, neppure con l’aiuto di Mark. Gentile era stata la sua salvezza. Allungò una mano e gli sfiorò i capelli in una carezza leggerissima, lasciandoseli poi scorrere tra le dita. Lui forse percepì quel gesto pieno di affetto, si mosse nel sonno, le si avvicinò e la strinse a sé. Jenny non si scostò dal calore di quell’abbraccio. Si limitò ad allungare una mano e a raggiungere l’interruttore per spegnere la luce. Poi chiuse gli occhi e si accoccolò tra le sue braccia.

Dall’altra parte di Torino Philip si girò e rigirò nel letto. Era stanco, era mezzanotte passata eppure non riusciva a prendere sonno. Pensava e ripensava. Non sapeva più come comportarsi. Non ci capiva più niente. Era nella confusione più assoluta.
Nei primi giorni che aveva trascorso in Italia si era concentrato su se stesso e sui suoi problemi, mandando in malora gli allenamenti e facendo quasi venire un esaurimento nervoso al mister. Poi, quando si era reso conto che non poteva più andare avanti così, perché la pazienza di Gamo (ma anche quella dei compagni) aveva un limite che lui stava per superare, aveva deciso di riscuotersi e dedicarsi alla squadra, come era giusto che facesse. Insieme alla consapevolezza di avere dei doveri nei confronti della nazionale, prima di tutto perché era stato convocato e poi perché purtroppo ne era il capitano fino al rilascio del nullaosta di Holly, era arrivata anche la consapevolezza che se Jenny c’era, per quanto non avesse voluto rivederla e tanto meno insieme all’italiano, non poteva farla sparire in nessun modo. L’unica cosa che poteva fare era accettare la sua presenza e i sentimenti che volente o nolente continuava a provare per lei.
Nel giro di un altro paio di giorni si era reso conto che anche se la squadra stava ritrovando un certo ritmo nel gioco e negli allenamenti, lui continuava a galleggiare in un malessere che non voleva saperne di andarsene e che non aveva idea di come scacciare. Lo sforzo che ogni giorno gli richiedeva accantonare il disagio che provava, lo sfiniva.
Non sapeva cosa fare e quello era il meno. Il problema principale era che non sapeva cosa voleva. Nella sua mente viaggiavano in direzioni opposte una serie infinita di contraddizioni che non trovavano ordine. Pretendeva che non gli importasse nulla di Jenny, eppure non poteva fare a meno di essere geloso di Gentile. Voleva starle lontano eppure era in ansia quando non la vedeva. Voleva ignorarla e invece non poteva fare a meno di guardarla. Voleva non saperne nulla eppure si preoccupava di qualsiasi cosa la riguardasse… E oggi aveva raggiunto il culmine quando l’aveva baciata. L’unica cosa di cui era sicuro, la conclusione a cui era arrivato, era che non se n’era pentito, anzi, voleva rifarlo. Pure se la conseguenza di quel gesto pareva essere stata che lei se ne fosse andata via con l’italiano. Pensare a quello che adesso probabilmente stavano facendo gli provocò all’istante fitte intollerabili di gelosia.
Sentì una porta aprirsi e richiudersi nel corridoio, poi ficcò la testa sotto il cuscino e si sforzò di annullarsi il cervello. Doveva dormire, altrimenti non avrebbe retto. E non poteva permettersi di crollare in campo ancora una volta.
Holly chiamò l’ascensore e scese nella hall. Più la partita si avvicinava e più stentava a prendere sonno. Era troppo tempo che non giocava con i colori della nazionale e la partita contro l’Italia, anche se era solo un’amichevole, lo eccitava e lo rendeva euforico. Aveva bisogno di bere qualcosa di caldo per distendere i nervi, sperando che il bar fosse ancora aperto.
Trovò Evelyn seduta ad un tavolo, gli occhi stanchi e arrossati incollati al monitor del proprio computer. Batteva rapida sui tasti e non si accorse del suo arrivo.
-Che stai facendo?-
Si volse a guardarlo.
-Holly.-
-Non dirmi che stai lavorando!-
-Sono in chat con Bob, il reporter che mi hanno assegnato dopo l’incidente con quel boss della yakuza. Stiamo facendo conoscenza.-
-A quest’ora?-
-Solo a quest’ora, per colpa del fuso orario. Negli altri orari lui lavora e io dormo.- tornò a scrivere qualcosa, poi sembrò ripensarci. Si frugò nelle tasche dei jeans e gli porse la card della camera -Vai e divertiti. Tanto ne avrò per tutta la notte.-
Lui la guardò senza capire.
-Come?-
-Vai da Patty e fai qualcosa di utile almeno tu, tanto io da quando sono arrivata in Italia non sto combinando niente. Né sesso né lavoro.-
-Evelyn, non voglio sapere quello che fai con Bruce.- la conosceva da anni ma lei con la sua schiettezza era ancora in grado di metterlo in imbarazzo.
-Quello che non faccio, intendi. Comunque non voglio mica rivelartelo, sono affari miei. Era tanto per farti sapere che la mia vena si è prosciugata. Probabilmente è colpa di Salvatore Gentile, la sua bellezza sfolgorante mi inibisce. Neppure il sesso mi riesce.- non riuscì a fare a meno di pensare che tra quel dio biondo e Bruce c’era una differenza abissale.
-Forse è meglio se riposi, invece di chattare…-
-Ognuno si dà da fare come può.- gli strizzò l’occhio e gli ficcò la card in mano -Fila di sopra invece di stare qui a perdere tempo con me!-
Davanti a tanta insistenza Holly smise di farsi pregare.

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Capitolo 15
*** Quattordicesimo capitolo ***


Quattordicesimo capitolo



Julian si era svegliato senza motivo e non riusciva a riprendere sonno. Nel silenzio della camera udiva il ronzio di una tv accesa nella stanza accanto e a tratti le voci attutite di Paul Diamond e Johnny Mason. Philip era immerso nel sonno sul letto accanto, sprofondato tra le coperte. Julian percepiva il suo respiro regolare con un certo nervosismo misto a invidia. Il compagno aveva deciso di dormire una notte filata proprio quando lui non riusciva a farlo, così non poteva neppure essergli di compagnia. Evidentemente la stanchezza che Philip si portava dietro dal giorno prima, mescolata allo stress di ciò che gli passava per la testa, era stata in grado di vincere le sue preoccupazioni e concedergli una notte di sano riposo.
Julian invece era molto preoccupato e da quando si era svegliato un pensiero gli ronzava fisso nella testa. Amy e Benji si parlavano di nuovo. Di punto in bianco lei aveva ripreso a rivolgersi e a scherzare con il portiere. Per dirla tutta, a preoccuparlo non era il fatto che Amy avesse smesso di avercela con Benji, quanto piuttosto il non essersi accorto di quando ciò fosse accaduto. Il riavvicinamento gli era sfuggito, non lo aveva notato, eppure doveva esserci stato. La curiosità lo divorava. Chi aveva rotto il ghiaccio? Price? Amy stessa? Come, quando e perché?
Philip si volse e Julian lo chiamò piano, sperando che si svegliasse. Lui non rispose, lasciandolo con l’amaro in bocca. Ma se anche Philip fosse stato sveglio, non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli quali pensieri lo angustiavano. Come poteva confidargli che Amy e Benji che si parlavano fosse un problema se si vergognava ad ammetterlo lui per primo? E poi a Philip dei suoi problemi non sarebbe fregato niente. Avrebbe sprecato solo tempo e fiato, facendo oltretutto una figura di merda nel dare voce alle sue paranoie.
Si tirò su seduto e prese il cellulare che giaceva acceso sul comodino. Era collegato al wi-fi dell’hotel e sul display l’icona delle email era corredata dal numero quarantotto. Quarantotto messaggi in poche ore, aveva controllato la casella di posta prima di andare a dormire. Non c’era da stupirsi in fondo che la sua chat fosse in piena attività. In Italia era notte ma in Giappone era già mattina. Avrebbe potuto leggere i messaggi per passare il tempo e attendere che il sonno tornasse. Di sicuro sarebbero stati più gratificanti delle occhiate che Benji lanciava ad Amy e viceversa. Senza la fidanzata nei paraggi a disapprovare profondamente ogni tipo di interesse che palesava per le sue fan, avrebbe potuto dilungarsi a rispondere come e per tutto il tempo che desiderava. La luce azzurrina dello schermo acceso illuminava le pareti della camera, le ombre della tenda e degli arredi si stagliavano scure contro i muri color crema. Philip continuava a dormire tranquillo e dalla stanza accanto non proveniva più alcun rumore. Diamond e Mason dovevano aver deciso finalmente di andare a dormire. Julian spense il cellulare, lo posò sul comodino e si mise in piedi. Erano quasi le tre.
Amy si destò di soprassalto con il fragore di un tuono nelle orecchie. I nervi tesi, i sensi all’erta, chiuse gli occhi e infilò la testa sotto il cuscino, rigida nel letto, sotto le coperte, in attesa che il temporale si scatenasse in strada. Trattenne il fiato finché riuscì a farlo, poi riprese a respirare. Non udì nulla, nessun fragore si propagò all’esterno. Allora tese le orecchie e udì solo silenzio, nessuna pioggia a picchiettare contro le finestre, né lo scrosciare dell’acqua lungo la strada. Un colpo leggero alla porta la fece sussultare. Scattò seduta sul letto, accantonò il cuscino da una parte e attese. Qualcosa tornò a colpire il pannello. A piedi nudi attraversò la stanza, raggiunse il piccolo disimpegno dell’ingresso, appoggiò l’orecchio e rimase ad ascoltare. Dopo qualche istante il rumore si ripeté.
-Chi è?- domandò piano.
-Amy apri.- sussurrò la voce di Julian.
Lei fece scattare la maniglia e socchiuse la porta. In pigiama, il ragazzo si guardava intorno preoccupato.
-Che ci fai in piedi?-
-Non riesco a prendere sonno, fammi entrare.-
Lei glielo impedì.
-È tardi.-
-Lo so, ma voglio dormire con te.-
Amy scosse la testa decisa. Dopo ciò che era successo qualche giorno prima, non glielo avrebbe più permesso.
-Dai, lasciami passare.- la supplicò quasi.
-Assolutamente no! Non voglio che ci becchino di nuovo, non voglio diventare lo zimbello della nazionale!-
-Amy, anche se mi beccano nel corridoio finisco nei guai.-
-Nella mia stanza è peggio.- s’intestardì lei.
-Amy, sento freddo.-
-Anche io. Ragione in più per tornarcene a letto. Ciascuno nel proprio.- fece per chiudere la porta ma lui ficcò un piede e la bloccò.
-Stai uscendo o stai entrando?-
Una terza voce li fece sobbalzare. Evelyn avanzava silenziosa e assonnata nel corridoio. La moquette color vinaccia aveva attutito il rumore dei suoi passi e nessuno dei due l’aveva sentita arrivare. Il suo sguardo era spento e stanco, gli occhi arrossati e la coda allentata. Ciuffi di capelli sfuggiti all’elastico le incorniciavano il volto. Teneva il portatile con una mano, appoggiato contro l’anca. La luce blu dello stand-by lampeggiava a intermittenza.
-Sta andando via.-
-Ma…- tentò di protestare Julian.
-Ci vediamo domani.- Amy si sforzò di sorridergli anche se la sua insistenza l’aveva snervata. Con un gesto brusco gli richiuse la porta in faccia.
-Nottataccia, eh?- Evelyn lo osservò tornare mogio mogio verso la propria camera.
Julian sparì dentro, tutte le intenzioni di leggere e rispondere ai messaggi delle sue fan dal primo all’ultimo. Alla faccia della fidanzata e della sua stupida testardaggine.
Evelyn aspettò che sparisse, poi bussò piano alla porta di Amy. Lei comparve sulla soglia, inviperita.
-Julian! Ti ho detto che…- si bloccò -Eve? Che vuoi?-
-Ospitalità. Posso dormire da te?- riuscì a sgusciare dentro -Ho lasciato a Holly la card della mia stanza. Pensavo di restare a lavorare tutta la notte e invece adesso muoio di sonno. Ho bisogno di riposare un po’.-
Amy tornò verso il letto sospirando.
-Fai come se fossi da te.- s’infilò sotto le coperte, anche se ormai il sonno le era passato.
Evelyn fece una tappa in bagno, poi la raggiunse sbadigliando e si lasciò cadere esausta sul materasso.
-Hai finito di scrivere le domande per l’intervista di Gentile?-
-No.- biascicò asciugandosi lacrime di stanchezza che le rigavano le guance -Non riesco a concentrarmi. Quando mi metto a riflettere su ciò che vorrei chiedergli mi fisso su di lui e mi si svuota la mente.-
-Stai dicendo sul serio?-
Lei annuì, allungò una mano e afferrò il portatile.
-Guarda, mi sono fatta una fotogallery coi fiocchi. Pensavo mi ispirasse, invece mi ha bloccata.-
Amy occhieggiò curiosa. Le immagini di Gentile scorrevano sullo schermo: in camicia bianca aperta con gli addominali scolpiti sopra i jeans sbottonati, aggrappato ad una sbarra sopra la testa, i bicipiti gonfi sotto una maglietta nera, ma anche sulle dune selvagge di una spiaggia a torso nudo, abbronzato, i capelli biondi spettinati dal vento.
-È un calciatore o un fotomodello?-
Evelyn sospirò estasiata.
-Può permettersi di fare entrambi. Ti pare?-
-Sì ma adesso basta. Spegni quell’aggeggio, voglio dormire.-
L’altra annuì, posò il portatile sul comodino e sprofondò tra le coperte.
Quando riaprì gli occhi le sembrò di averli chiusi per una manciata di minuti. Invece fuori era così giorno che i raggi del sole filtravano già decisamente luminosi attraverso le tende. Al contrario di lei Amy era ben desta e impiegò pochissimo a prepararsi. Evelyn le ciondolò dietro lisciando alla meglio i vestiti spiegazzati che indossava dalla sera prima, anche se sentiva di aver bisogno di una doccia che la svegliasse e la ripulisse da capo a piedi. Per recuperare il sonno perduto avrebbe potuto schiacciare un pisolino dopo pranzo. Fortuna che Bob, il nuovo fotografo, era un tipo simpatico e gradevole, se non altro non aveva passato metà della notte sveglia inutilmente.
-Dov’è che stiamo andando?- domandò seguendo svogliatamente l’amica fuori dalla camera e lungo il corridoio.
-Io a chiamare Julian. Tu non lo so.-
-Non è troppo presto? Forse sta ancora dormendo.-
-Di solito a quest’ora è sveglio da un pezzo.- e che non fosse passato a chiamarla per scendere insieme a far colazione era inquietante. Forse ce l’aveva con lei perché la sera prima l’aveva mandato via. Le dispiaceva che se la fosse presa, ma non era pentita neppure un po’. Se Julian fosse rimasto da lei, Evelyn li avrebbe beccati insieme e sarebbe stata capace di ottenere da Julian la card della sua camera e prendere il suo posto nel suo letto, passando l’intera notte a dormire fianco a fianco con Philip. Per carità! Non che non si fidasse di Evelyn… Anzi, a pensarci bene di Evelyn non si fidava per niente. Se poi c’era di mezzo Philip, si fidava ancor meno. Aveva notato perfettamente che da quando erano arrivati, l’amica lo braccava stretto con un’insistenza che non poteva essere legata soltanto all’intervista che diceva da giorni di dovergli fare e di cui ancora non si vedeva neppure l’ombra. Philip, da parte sua, cercava di evitarla il più possibile. Cosa nascondevano?
Bussò alla stanza di Julian e la porta si aprì immediatamente, come se lui fosse stato proprio lì dietro ad aspettarla. Lo salutò con un sorriso particolarmente smagliante, tante volte se la fosse davvero presa. Lui rispose distratto, gli occhi che non la guardavano neppure, fissi com’erano su qualcosa all’interno della camera che aveva catalizzato tutto il suo interesse. Anzi, non soltanto il suo. Evelyn drizzò le antenne e sgattaiolò dentro.
-Che state facendo?-
Philip era seduto su una delle due poltroncine del tavolino. La voce di Evelyn lo fece voltare e accolse entrambe con un’espressione inequivocabilmente irritata. Indossava una maglietta bianca sui pantaloni del pigiama. Una delle maniche era tirata sopra la spalla per lasciare scoperto il braccio, cinto da un laccio emostatico. Il dottor Hills sedeva davanti a lui e stava strappando l’involucro di una siringa sterile. In piedi, accanto alla finestra, Gamo completava il quadro.
Evelyn si tese, i suoi occhi volarono irrequieti dall’uno all’altro. Quando parlò, la sua voce trasudò preoccupazione.
-Che sta succedendo qui?-
-Un normalissimo controllo di routine.- spiegò Gamo un secondo prima di fulminare Julian con un’occhiata di fuoco. Perché le aveva fatte entrare?
Il medico distese il braccio di Philip sul ripiano del tavolo e infilò l’ago nell’incavo del gomito. Evelyn distolse gli occhi rabbrividendo e tornò a posarli su Gamo.
-Se è un controllo di routine, vuol dire che lo farà a tutti?-
-No.-
-E perché solo a lui?-
-Evelyn, per favore…- si spazientì Philip. Sapeva che Evelyn sapeva il perché, quindi per quale motivo li assillava? Durante gli allenamenti era crollato e Gamo aveva chiesto al medico un controllo. Punto. La fissò così a lungo e così intensamente che alla fine fu lei a distogliere lo sguardo e a spostare il peso da una gamba all’altra dissimulando l’imbarazzo. Ad Amy quello scambio di occhiate non piacque per niente. Era sempre più convinta che sotto ci fosse qualcosa.
Mettere a tacere l’amica servì a distrarlo, a distogliere l’attenzione dal liquido scuro che fluiva nel piccolo tubo di plastica. Aveva paura che il suo sangue lo tradisse. La sua vita negli ultimi tempi non era stata irreprensibile come avrebbe dovuto. Tentò di discolparsi, dicendosi che sarebbe stato molto più facile comportarsi bene se gli ultimi mesi fossero stati meno stressanti, ma l’inquietudine restò e non riuscì a scacciarla completamente.
Peter Shake trovò la porta accostata, la spinse ed entrò silenziosissimo. I suoi occhi apprensivi misero a fuoco la scena e corsero di qua e di là terrorizzati. Era la fine! Era la fine della speranza di avere un nuovo capitano nel Sapporo, era la fine della carriera di Philip, dell’illusione sua e di Grace che riuscisse a riprendersi Jenny! Forse addirittura la fine della loro amicizia. Se Philip nei giorni precedenti aveva di nuovo fatto uso di quella roba, l’avrebbero buttato fuori dalla nazionale a calci.
Julian era rimasto indietro e fu l’unico a vederlo entrare. Gli si accostò indagatore e poiché Evelyn aveva ripreso a blaterare, riuscì a rivolgersi a lui senza farsi udire da nessun altro, neanche da Amy.
-Stai nascondendo qualcosa, Peter. Qualcosa di importante che riguarda Philip. Che cosa?-
Shake scosse la testa, gli occhi bloccati sull’ago conficcato nel braccio del compagno.  
-Cos’ha Philip? Sta male?-
Peter spostò lo sguardo dal braccio al viso dell’amico. La sua espressione era imperscrutabile. Come poteva restare così calmo? Non si rendeva conto del rischio che stava correndo?
D’un tratto Philip sollevò lo sguardo e si accorse di lui.
-Chiudi quella maledetta porta, Julian! Siamo diventati troppi, non lo vedi?-
-Non ti scaldare, Callaghan. Ho finito.- Hills tamponò con un batuffolo d’ovatta intriso d’alcool la goccia scarlatta comparsa sulla pelle dopo aver sfilato l’ago -Tieni qui.- disse piazzandogli due dita sul cotone e togliendo il laccio.
-Bene, perfetto.- Gamo sembrò soddisfatto, nonostante gli intrusi e le domande di Evelyn -Adesso puoi andare a fare colazione, Philip.-
Il dottor Hills incollò un cerotto sulla minuscola ferita sanguinante, ripose nella borsa gli strumenti, compresa la siringa utilizzata, e insieme al mister lasciò la stanza.
-Lo spettacolo è finito.- Philip si alzò e afferrò la felpa che giaceva abbandonata sul letto, scacciando il giramento di testa che lo assalì. Hills gli aveva tolto troppo sangue, era bianco come un cencio e Amy fu l’unica a notarlo.
-Vuoi che ti porti la colazione in camera?-
-Certo che no! Non sono mica malato!- gesticolò nervoso -Perché invece non cominciate a scendere così vi togliete dai piedi e posso finire di vestirmi?-
Rimase soltanto Peter, dritto come un palo a due passi dalla porta a stringersi nervosamente le mani una nell’altra, intrecciando le dita con forza, incapace di nascondere la propria agitazione.
-E ora?-
-Ora cosa?-
-Ti hanno fatto le analisi del sangue!-
Philip si infilò i pantaloni della tuta sportiva e lo fissò beffardo.
-E allora? Non hai detto giusto ieri che non mi vuoi come capitano?-
Il ragazzo divenne pallidissimo. L’eventualità che rimandassero Philip in Giappone era più di quanto avrebbe potuto sopportare. Esitò.
-Se non hai niente da dirmi, perché non te ne vai?-
Peter trasalì, gli voltò le spalle e sbatté la porta con violenza.

Il contatto di un bacio sulla spalla svegliò Jenny. Salvatore la teneva tra le braccia, il volto sprofondato tra i suoi capelli lunghi sparpagliati sul cuscino. Sentiva il suo alito caldo accarezzarle la pelle, il suo respiro nelle orecchie. All’inizio non lo aveva riconosciuto e si era spaventata. Poi, gradualmente, il suo cuore aveva smesso di battere all’impazzata. Sperò che Salvatore non si fosse accorto della sua irrazionale e inconscia reazione ai suoi baci.
Mosse le gambe e toccò con la mano la sua pelle nuda e calda e, sotto le dita, i suoi muscoli in tensione. Lasciò che le slacciasse il reggiseno, ricordando che la sera prima, mentre si sforzava di prendere sonno tra le sue braccia, si era imposta di non tirarsi più indietro. Far sesso con Salvatore sarebbe stato fondamentale per dimostrare a se stessa una volta per tutte di aver superato il trauma di Kyoto. Non poteva seguitare a sottrarsi a questa prova. Se avesse continuato a farlo, con il passare del tempo sarebbe stato sempre più difficile trovare il coraggio di lasciarsi andare. Salvatore senza saperlo le stava offrendo quello che secondo lei era il solo modo per ritrovare la normalità di un tempo. Doveva assolutamente approfittarne.
L’impazienza di Salvatore la rese nuda in un istante. Rise mentre le baciava l’ombelico e si sollevò per aiutarlo quando lo sentì sfilarle le mutandine. Nella fioca luce del mattino il ragazzo, memore della volta precedente, si prese il tempo di guardarla come per chiederle il permesso, la conferma di poter andare avanti. Lo sguardo incoraggiante di Jenny per lui fu sufficiente e, un secondo prima di chinarsi a baciarla, solo per un attimo, un istante fugace, i suoi occhi sfiorarono la sveglia. Tanto bastò. Quei tre numeri illuminati di verde gli raggiunsero il cervello con un secondo di ritardo, ma accompagnati da una consapevolezza tale che tutto il suo corpo si tese e si irrigidì.
-Cazzoètardissimo!-
Il momento magico che Salvatore aspettava da mesi svanì in un istante. Il ragazzo non poté raccogliere nulla di tutto ciò che aveva seminato in quel lungo corteggiamento. Era veramente troppo tardi.
Jenny si volse a guardare l’orologio. Erano le nove e mezza e Salvatore si era già tirato su, emergendo nudo dalle coperte.
-Porca puttana non è possibile! Proprio oggi! Proprio adesso! Ma che cazzo!-
Osservandolo Jenny non riuscì a fare a meno di pensare divertita che Evelyn avrebbe dato chissà cosa per vederlo così, mentre radunava i suoi vestiti sparsi qua e là, il corpo perfettamente scolpito di una statua greca. Prese il cellulare per controllare i messaggi e poi, spinta da un impulso irrazionale, aprì la fotocamera. Salvatore evidentemente si sentì i suoi occhi addosso perché si volse con un’espressione metà di scuse, metà adirata.
-Alle dieci c’è la conferenza stampa di questa maledetta partita!- sparì in bagno, poi si riaffacciò per finire di parlarle -Non posso mancare, non posso assolutamente! Mio padre…- gli sfuggì una smorfia di fastidio -Mi ha minacciato. Se sgarro stavolta mi lascia in panchina!- tornò dentro e Jenny udì solo la sua voce -Lo farà, maledetto lui! Stavolta ci riuscirà!- tutto il resto venne nascosto dallo scrosciare dell’acqua della doccia.
Jenny si tirò su frastornata. Recuperò i vestiti e li indossò al volo, chiedendosi se l’interruzione fosse stata un bene o un male. Infilò il cellulare nella borsa e si volse a guardarlo quando lui la raggiunse, i capelli grondanti e un asciugamano con cui si tamponava frenetico l’acqua che ancora gli scorreva addosso.
-Vieni con me?-
-Dov’è la conferenza stampa?-
-All’hotel dei giapponesi a due passi dal centro sportivo così, appena finito, possiamo dedicarci agli allenamenti. Splendido, no?-
Philip li vide subito quando arrivarono perché era seduto sui divanetti della hall, rivolto proprio verso le vetrate che davano sul parcheggio. Il fatto che Jenny indossasse gli stessi vestiti con cui la sera prima era fuggita dall’hotel la diceva lunga su dove avesse trascorso la notte. E se anche avesse indossato vestiti diversi, i dubbi che avrebbe avuto sarebbero stati decisamente scarsi. Jenny richiuse lo sportello della Giulietta. Gentile, in piedi dall’altro lato in giacca e cravatta, fece il giro della macchina e la raggiunse. La prese tra le braccia e le disse qualcosa. Jenny annuì ridendo e gli passò una mano tra i capelli. La gelosia di Philip divenne insopportabile e fu costretto ad abbassare gli occhi perché vederli insieme gli faceva ogni giorno più male. Anche se si erano lasciati, erano stati insieme talmente a lungo che Jenny era senza dubbio più sua che di Gentile.
Dopo un tempo che gli sembrò interminabile, l’italiano si staccò da lei e raggiunse l’ingresso dell’hotel. Philip sapeva perché era lì. Salvatore era stato l’ultimo ad arrivare. I suoi compagni erano già tutti nella sala conferenze in balia dei giornalisti, in attesa che iniziasse la conferenza stampa. Gentile salutò Benji e Mark ma Philip non lo degnò neppure di uno sguardo quando gli passò accanto, preferendo di gran lunga restare ad osservare Jenny che percorreva su e giù il parcheggio parlando al cellulare.
Philip si sforzò di scacciare l’irritazione. Lo attendeva un’altra estenuante giornata di allenamenti, durante la quale avrebbe dovuto sforzarsi di pensare più alla squadra che a se stesso, più ai compagni che a Jenny. Si frugò nelle tasche, tirò fuori il cellulare e finse di controllare i messaggi per evitare di prendere parte alle chiacchiere degli amici che gli sedevano intorno.
Quando Jenny entrò, Evelyn la raggiunse eccitatissima.
-In giacca e cravatta non si può guardare! È davvero bellissimo, la natura ci si è messa d’impegno, con lui!-
-Eve, per favore.-
-E non ti innervosire, che avrò mai detto? Piuttosto, com’è andata? Una favola di sicuro…- le strizzò un occhio, complice.
-Sì, una favola.- l’accontentò.
-Non immagini quanto ti invidi, tenere un fusto così tra le braccia… sentirsi quella bocca addosso, quelle mani sul corpo… e il resto…-
Lei annuì.
-Ti ho portato un regalo.- ripescò il cellulare dalla borsa e aprì la galleria delle immagini. Ne selezionò una e la mise sotto gli occhi di Evelyn.
A lei per poco non venne un infarto.
-Ommioddiooooo! Non ci posso credere!- cercò di toglierle il telefonino dalle mani ma l’amica se lo aspettava e fu più rapida. Spense lo schermo e lo rinfilò nella borsetta.
-No, ti prego!- piagnucolò lei -Fammela vedere meglio!-
-Quello che hai visto è sufficiente.-
-Diavolo, Jenny! Non puoi farmi balenare davanti agli occhi la foto di Gentile come mamma l’ha fatto e poi non darmi modo di analizzarne i dettagli.-
Jenny s’irrigidì e si lanciò un’occhiata intorno.
-Abbassa la voce, Eve. Ci stanno guardando tutti!-
-Cosa te ne importa?-
-Mi importa. Sono cose private.-
-E allora che me l’hai mostrata a fare?-
Jenny rifletté.
-A pensarci bene avrei fatto meglio a tenerla per me!-
Evelyn ritrattò.
-Ma no, ti assicuro! Hai fatto benissimo. L’ho detto per dire. Soltanto… fammici dare solo un’altra occhiatina. Per favore!- sbatté le ciglia supplichevole.
-Non lo so, forse più tardi. Adesso vado a casa a cambiarmi. Ci vediamo dopo.-
-Sì, dopo ci vediamo senz’altro e non solo per analizzare meglio la foto del tuo boy. Ho preparato le domande, ma vista la mia difficoltà con l’inglese, forse a qualcuna puoi rispondere tu, evitandomi cinque minuti di brutte figure.-
-Domande per cosa?-
-Per l’intervista al dio della bellezza.-
Jenny non fu sicura di aver capito.
-Vuoi intervistare Salvatore?-
-Non cadermi dalle nuvole, Jenny. Te lo sto dicendo da un pezzo!-
-Pensavo avessi rinunciato.-
-Perché mai? Ti assicuro che gliela farei anche se non la pubblicassero.-
-E cosa vorresti chiedergli? Niente su di me, spero!-
-Tranquilla, le domande su di te sono di riserva.-
-Hai preparato delle domande su di me? Evelyn!-
-Più che su di te, sui suoi gusti particolari in fatto di sesso…-
-Gusti particolari?- Jenny non capì se la stesse prendendo in giro o dicesse sul serio.
-Sì, me ne ha parlato Benji. Mi ha detto certe cose!-
-Certe cose di che genere?- scoppiò a ridere -Tipo che non indosso le mutandine? Se ti interessa saperlo le ho anche oggi!-
-Jenny?-
Si volsero, Patty e Amy le avevano raggiunte.
-Benji spara un sacco di fandonie, Evelyn! Dovresti conoscerlo ormai. Non dargli ascolto!- lo cercò e lo vide alzarsi dalla poltroncina per seguire i compagni che uscivano diretti al campo.
Il portiere si calcò il cappellino sulla testa e poi, forse sentendosi osservato, si volse. Jenny gli sorrise e lui ricambiò, sollevando una mano in un cenno di saluto.

*

Clarissa era nervosa perché non riusciva a capire se Salvatore si era accorto di lei e la stava ignorando alla grande, oppure non l’aveva ancora notata. Smise di torcersi una mano nell’altra e decise di accendersi una sigaretta. Avrebbe voluto smettere di fumare ma la sua volontà, da quando Salvatore l’aveva lasciata, si era ridotta in briciole. E poi, quando era così in ansia solo il fumo aveva il potere di calmarla. Salvatore non avrebbe approvato. Scosse la testa. A Salvatore non sarebbe importato, non stavano più insieme. Fece scattare l’accendino e già alla prima boccata la nicotina le rilassò i nervi. Una folata di vento disperse il fumo e le gettò una ciocca di capelli ramati sul viso. Lei la scostò dagli occhi e la passò dietro un orecchio. Il suo ex ragazzo continuava a giocare ignorandola, ma Dario l’aveva vista e l’aveva salutata. Salvatore non aveva mai guardato dalla sua parte e Clarissa sapeva con certezza che Dario non lo avrebbe avvertito della sua presenza. Avevano già litigato una volta e molto, a causa sua. Belli non era così stupido da commettere di nuovo l’errore di impicciarsi nei loro problemi e rischiare di rovinare il suo rapporto di amicizia con il giocatore della Juventus. Lei lo sapeva e sapeva anche che non poteva più contare su Dario per avvicinare Salvatore.
Jenny la trovò in piedi, un po’ discosta, tra la recinzione dei due campi, quello degli italiani e quello dei giapponesi, ferma proprio lungo il suo percorso. Le dava le spalle ma la riconobbe immediatamente dalla cascata di capelli ramati che le scendeva sulla schiena. Indossava un piumino leggero color crema e dei jeans blu che le aderivano come guanti alle natiche rotonde. Ai piedi calzava un paio di stivali scamosciati con il tacco. Nel suo abbigliamento casual era ancor più provocante che fasciata dall’elegante vestito della serata di beneficenza.
Per raggiungere le amiche fu costretta a passarle accanto. Lei le sorrise e le tese una mano, in un gesto che la colse del tutto impreparata. Dopo un attimo di esitazione in cui si guardarono negli occhi e si valutarono, Jenny gliela strinse.
-Mi chiamo Clarissa.-
Lei rispose in inglese e la giovane rossa proseguì in quella lingua.
-Passavo di qui e mi sono fermata per dare un’occhiata.- disse quasi a giustificare la propria presenza. Poi, incapace di frenare il nervosismo, abbassò gli occhi e frugò nella borsetta, tirandone fuori, per la seconda volta, il pacchetto di sigarette -Fumi?-
-No.-
-Fai bene. Quando ero con Gentile avevo smesso. Ho ricominciato dopo. Adesso sto cercando di smettere di nuovo…- fece una risatina imbarazzata -Ma è difficile.-
Non seppe perché si lasciò andare a quella confidenza. Era sicura che a Jenny non importasse un fico secco che Salvatore l’avesse fatta smettere di fumare, se quando erano stati insieme non aveva più sentito la dipendenza dalla nicotina che le avvelenava il corpo. L’accendino scattò sulla seconda sigaretta e Clarissa tirò una lunga boccata di fumo. In quell’ultima manciata di giorni aveva consumato pacchetti alla velocità della luce e aveva smesso di preoccuparsi definitivamente della salute dei suoi polmoni. Anzi, la sua vita per intero aveva smesso di importarle fin da quando Gentile l’aveva lasciata. Da quel momento in poi le era persino passata la voglia di mangiare. Per riuscirci si sforzava e nonostante adesso ricevesse molte più offerte di lavoro grazie alla sua magrezza, si stava riducendo pelle e ossa. Quando si guardava allo specchio non si riconosceva più.
A disagio spostò gli occhi da Jenny al campo dei giapponesi, scambiando con Mark un cenno di saluto. Lui piegò appena la testa da una parte, poi corse via, dietro la palla.
-Sei fortunata.- l’amarezza le fece tremare la voce -Salvatore è un ragazzo d’oro.-
Jenny annuì, con il cervello in piena attività. Doveva trovare il modo di sganciarsi, non era sicura che la ragazza non si lasciasse andare ad una scenata. Dalla sua espressione, dal suo atteggiamento, dalle sue parole e insomma dal solo fatto che fosse lì, era chiaro che a Gentile teneva ancora.
-Mi sono comportata malissimo nei suoi confronti.-
Clarissa lo cercò tra i giocatori e quando lo trovò e si accorse che le stava fissando, distolse subito gli occhi per spostarli in quelli di Jenny. Era incredibile che quella ragazza non l’avesse ancora allontanata a male parole. Che se ne stesse lì ad ascoltarla con pazienza, quasi con compassione. Si riscosse, lei non voleva la compassione di nessuno. Aspirò la sigaretta per l’ultima volta, anche se ne aveva fumata appena metà. Poi la spense.
-Avevamo deciso di sposarci.-
Jenny trasalì. L’incontro con la ex di Salvatore si stava rivelando più sconvolgente che mai.
-Mi dispiace.- si guardò i piedi, convinta una volta per tutte di essere finita nel posto sbagliato. Aveva fatto tredici ore di volo in aereo per attraversare il mondo e raggiungere l’Italia soltanto per poi ritrovarsi non solo faccia a faccia con Philip ma anche scomodamente infilata tra Gentile e la sua ex. Non sarebbe stato meglio restare a Shintoku o, al peggio, a New York dai suoi? Lì, negli Stati Uniti, la cosa peggiore che sarebbe potuta accaderle era sposare uno dei pretendenti che le avrebbe fornito suo padre. Praticamente niente in confronto a ciò che stava passando a Torino. Spostò gli occhi sul vialetto, voleva andarsene ma non sapeva come congedarsi.
E mentre Jenny esitava, Clarissa la studiava, cercando di farsi un’idea più precisa di lei. Prese atto del suo corpo minuto ma ben proporzionato, del suo viso grazioso dall’incarnato roseo, la pelle liscia e vellutata. Dei suoi capelli lunghi e neri, del colore del cioccolato fondente. Era graziosa e attraente e non poteva farci nulla se a Salvatore piaceva. Pensando a lui tornò a guardarlo e d’un tratto non lo trovò. Non era più tra i ragazzi che correvano, non era più sul terreno di gioco. Poi lo vide. Costeggiava il campo di gran carriera, diretto proprio verso di loro. Dario gli tagliò la strada e lo afferrò per un braccio, costringendolo suo malgrado a fermarsi.
-Ci stiamo allenando e io mi sono stancato di vederti fare i tuoi comodi.-
Gentile fremette d’ira.
-Che è venuta a fare, Dario?-
-Perché lo chiedi a me? Io non ne so niente! Abbiamo già litigato per lei e non ho intenzione di rifarlo!-
-Lo chiedo a te proprio per questo! Tu stai dalla sua parte!-
-Io non sto dalla parte di nessuno! Ti ho solo detto che chiunque può commettere un errore! Pensi di essere perfetto? Di non sbagliare mai?-
-No che non lo penso! Non mi interessa la perfezione, ma il rispetto sì!- gli occhi di Salvatore lampeggiarono -Solo i cervi sono fieri di avere le corna, Belli!- lo scostò brusco e imboccò l’uscita del campo.
Clarissa se lo trovò davanti.
-Che cazzo sei venuta a fare?-
-Sono passata qui vicino e…-
-Come ti è saltato in mente di fermarti? Qui non c’è nessuno a cui fa piacere vederti!- lanciò un’occhiata al parcheggio, ai fan accalcati contro la recinzione esterna, ai giornalisti e ai fotografi -O magari hai pensato di fornire altro materiale alla stampa e riprenderti le prime pagine di gossip?-
Clarissa non era andata lì per litigare, ma stavano finendo per farlo di nuovo. Indicò Jenny.
-A quello hanno già pensato lei e Landers! Hai visto le foto? Si sono baciati! Perché lei l’hai perdonata?-
-Non sono affari tuoi, non lo sono assolutamente! E adesso vattene!-
Jenny non capì nulla, ma comprese che era ora di filare. Che litigassero da soli. Lei non voleva saperne niente, non voleva neppure assistere alla loro performance. Sparì silenziosissima, nessuno dei due si accorse della sua fuga. Mentre imboccava il vialetto che conduceva al bar, Mark le piombò accanto, facendola saltare di paura.
-Tutto bene?-
-Sì, certo.-
Eppure lui, detergendosi il sudore dalla fronte con l’asciugamano che gli pendeva dal collo, prese atto della sua espressione sconvolta.
-Che ti ha detto Clarissa?-
-Niente.-
-Qualcosa te l’ha detto per forza. Stavate parlando. Ti ha offesa?-
-No. Lei non c’entra.- respirò a fondo e continuò -È questa situazione ad essere un casino… Non so più cosa voglio, non so più cosa sia giusto. Non so più niente.-
Dopo aver lanciato un’occhiata guardinga ai compagni per accertarsi che nessuno facesse caso a loro, a parte Philip a cui non sfuggiva nulla che riguardasse la sua ex, Mark le posò una mano sulla spalla e la spinse dentro il bar dove, con le squadre ancora in campo, potevano condividere alcuni minuti di tranquilla solitudine.
Non appena varcarono la porta Jenny, che non aspettava altro che di potersi sfogare con qualcuno, si fermò e lo guardò dritto in faccia.
-Ieri Philip mi ha baciata.-
Mark trasecolò.
-Cazzo! Anzi… bene, no?-
-No! Ha detto che se mi baci tu e mi bacia Salvatore ha tutto il diritto di farlo anche lui.-
-Ma che pezz…- strinse i pugni e ingoiò l’invettiva. Spinse Jenny verso il banco del bar e scostò la sedia perché si sedesse, lei che aveva tempo e poteva farlo. Lui rimase in piedi, con i minuti contati -Sono sicuro che ha detto così perché è geloso.-
-L’ha fatto solo per ripicca.-
-Forse, ma anche perché è geloso. Non vedi come ti guarda?-
-No, non lo vedo e non voglio vederlo. Anzi, evito proprio di guardarlo.- tremava per l’ira, gli occhi fissi sul banco del bar -Non può permettersi di essere geloso e neanche di baciarmi per ripicca.- alzò lo sguardo sul ragazzo e la voce le si ruppe -Non è giusto, Mark…-
Jenny aveva ragione. Non era giusto. Non era giusto ciò che le era capitato, che McFay l’avesse violentata. Non era giusto che avesse dovuto soffrire così tanto. Non era giusto che lei e Philip si fossero lasciati e che quella che era sembrata a tutti la coppia perfetta ora non si rivolgesse neppure la parola. Ce n’erano tante di cose che non erano giuste, lui lo sapeva bene. Molto bene. Lo sapeva fin da piccolo. Di tante cose che non erano giuste, c’era anche che un incidente lo avesse privato da bambino di suo padre.  
-Forse è confuso quanto te. Forse anche lui non sa come comportarsi… Di sicuro in campo sta facendo un casino. Qualche giorno fa ha restituito la fascetta a Marshall, dicendogli che non era in grado di guidare la squadra.-
-Come lo sai?-
-Ho sentito Benji che lo diceva a Holly. Te l’ho detto, sta facendo un casino. Se Gamo avesse saputo che non era in forma, forse non lo avrebbe neppure convocato.-
-Non è in forma? Che vuoi dire?-
-Ieri mattina è stramazzato a terra privo di sensi.-
-Non ci credo!-
-Chiedilo a Patty, o ad Amy. O magari a Evelyn, forse gli ha scattato una foto e ci ha scritto un articolo. Chiunque può confermartelo.-
Jenny non ebbe parole per rispondere, era ancora più confusa e preoccupata di prima. Vide Mark alzarsi.
-Torno fuori, non te ne andare. Torniamo a casa e pranziamo insieme.-
Jenny annuì e lo guardò uscire. Non voleva che Philip stesse male, non lo voleva assolutamente. Non voleva neppure che soffrisse a causa sua, lo aveva già fatto tanto, troppo. Però era arrabbiata, ce l’aveva con lui e non riusciva a dispiacerle se, come supponeva Mark, era geloso di Gentile. E quando le tornò in mente ciò che non era successo a casa di Salvatore quella mattina, si decise ad essere contenta che fosse finita così.
Benji la raggiunse per primo. Filare via dal campo e conquistarsi la sua doccia preferita, ancora pulita e asciutta, era diventata ormai una consuetudine. Quando la confusione dei compagni che si tiravano l’acqua, lo shampoo, le scarpe e i calzini puzzolenti diventava insopportabile, lui era già fuori dagli spogliatoi.
Jenny lo accolse al bar con un sorrisetto, ben memore della conversazione avuta con Evelyn qualche ora prima. A quanto pareva il portiere andava ancora in giro a inventarsi cose su Gentile e sui suoi gusti in fatto di donne e di sesso. Era forse il caso di vendicarsi, almeno un pochino?
Lo vide passarsi una mano tra i capelli ancora umidi e agganciarsi il cappellino ai jeans, dove passava metà della sua esistenza. Quando le arrivò vicino Jenny scostò lo sgabello, invitandolo con un sorriso ad accomodarsi accanto a lei.
-Come mai sei da questo lato del bancone?-
-Lavoro solo il pomeriggio.-
Il ragazzo del bar spuntò dal retro e si affrettò a servire il nuovo arrivato. Poi tornò a finire di riporre i bicchieri puliti negli scaffali, suddivisi per tipologia e misura. Era un barman preciso ed efficiente e quando Jenny gli dava il cambio trovava sempre tutto pulito e in ordine.
-Stanco?-
-Non più del solito.- agitò curioso l’aperitivo che lei gli aveva ordinato -Cos’è?-
-Assaggia e mi dirai se ti piace.-
Lui valutò con occhi critici la bevanda, facendo sorridere Jenny.
-Che c’è? Non ti fidi? Hai paura che ti faccia ubriacare per poi sedurti?-
-Sarebbe davvero l’ultima delle mie paure.-
Lei si accomodò meglio. Si sporse in avanti e lo fissò negli occhi, provocatoria.
-Raccontami le fantasie erotiche di Gentile.-
-Non le conosci già?-
-Non ancora…- Jenny si tirò indietro di scatto, improvvisamente conscia di ciò che aveva appena ammesso. E poi proprio con Benji. Distolse gli occhi, li abbassò imbarazzata sul bicchiere, le guance arrossate.
Il portiere fu d’un tratto tutt’orecchi. Quella sì che era una novità.
-Stai dicendo sul serio? Avrei giurato il contrario.-
-Non le conosco tutte…- cercò di rimediare lei. Aveva pensato di prendersi gioco di Benji e invece l’amico in due secondi l’aveva messa nel sacco. La voglia di fare conversazione con lui scese sotto zero. Si alzò -Adesso devo andare.-
-A fare pratica col tuo ragazzo?-
Un brivido le corse su per la schiena.
-No, a mangiare.-
Uscì, anzi fuggì di gran carriera. Avrebbe aspettato Mark fuori. La fretta di andar via la spinse direttamente tra le braccia di Bill Steiner che la incastrò lungo il vialetto, impedendole di proseguire. Ridendo, il giornalista le agitò davanti un quotidiano giapponese.
-Buongiorno Jennifer.-
Lei si limitò a guardarlo torva.
-Il suo nome per esteso non è Jennifer?- la ragazza rimase muta e visto che di quell’informazione non se ne faceva niente, lui lasciò perdere -Come sta?-
-Stavo meglio prima di vederla.-
Steiner scoppiò a ridere.
-Lei ha davvero il senso dell’umorismo. È rimasta parecchio nel bar, pensavo che non ne uscisse più.-
-Mi stava aspettando?-
-In effetti sì. Sa perché?-
-Non mi interessa.-
Lui proseguì caparbio in quello che stava diventato un monologo, togliendogli tutto il divertimento.
-Il fatto è che sto cominciando ad avere qualche dubbio su chi sia realmente il suo ragazzo.-
Lei impallidì.
-Questo non la riguarda.-
Steiner aprì il giornale che aveva sventagliato in aria poco prima. Jenny lo conosceva, era il quotidiano sportivo di Sapporo più diffuso. La nonna era abbonata al giornale da più di un anno perché vi si trovavano più spesso che in altre testate, articoli sulla squadra di Philip.
-Ha visto la foto?-
Jenny afferrò stizzita il giornale. Nell’angolo della pagina che Steiner le aveva aperto c’era Mark che la baciava. Dallo scatto era impossibile capire che era stato lui a rubarle quel maledetto bacio.
-Jenny! Vieni qui!-
Sentì Patty chiamarla, richiuse di colpo il quotidiano e lo restituì all’uomo. Steiner non lo prese.
-Non vuol leggere l’articolo alla pagina successiva?-
Lei esitò. Avrebbe voluto rispondergli che no, non le interessava, ma il tono dell’uomo accese la sua curiosità che vinse il desiderio di tagliare la corda. Sfogliò nervosa il giornale finché, nella pagina successiva a quella del bacio, ritrovò il proprio volto formato fototessera, accanto a tre piccole foto che ritraevano nell’ordine Salvatore, Mark e Philip. Il titolo beffardo, recitava: “Chi dei tre?”. Le dita di Jenny si contrassero in uno spasmo, spiegazzando la carta. Alzò su Steiner uno sguardo carico di astio e fu tentata di gettargli il giornale in faccia.
-Come si permette?-
L’uomo cercò di rabbonirla.
-Perché non risponde a qualche domanda, così mi aiuta a chiarire?-
Sentì Patty chiamarla ancora. L’amica aveva ragione, doveva filar via prima che la situazione le sfuggisse di mano. Era furiosa. Restituì il giornale a Steiner ma lui non lo prese.  
-Lo tenga pure, io l’articolo lo conosco a memoria.- si parò al centro del viottolo quando lei cercò di oltrepassarlo -Pensa che lascerà Gentile per Landers?-
-Oh per favore!- esclamò esasperata -Non voglio più ascoltarla! Mi lasci passare!-
-Come pensa che reagirà Gentile ad essere scaricato di nuovo per un altro?-
-Mark ed io siamo solo amici! Le sue insinuazioni sono odiose!-
-Io non insinuo nulla. Sono un giornalista e descrivo i fatti. Ed è un fatto che lei abbia baciato Landers.-
-Mi lasci passare!-
Cercò di svicolare ma lui le afferrò un braccio.
-Tenga giù le mani!- se lo scrollò di dosso e lo spinse di lato facendogli perdere l’equilibrio. Lo oltrepassò e corse via. Raggiunse le amiche col fiato corto più per la collera che per la corsa.
-Jenny, devi stargli alla larga non fermarti a parlarci.-
-Non mi faceva passare, Patty.- agitò il giornale, che Evelyn le tolse di colpo.
-Fa’ vedere.-
Lei sbiancò e lo riprese, strappandoglielo letteralmente dalle mani. Nessuno, neppure le amiche e tanto meno Evelyn dovevano posare gli occhi su quel maledetto articolo o sarebbe morta di vergogna.
-L’hai insultato di nuovo?- domandò Patty.
-Non l’ho mai insultato!- nella testa le balenò d’un tratto l’espressione basita della nonna che sfogliava le pagine e trovava la foto. La tensione che le percorreva ancora i nervi si allentò e d’improvviso le venne da ridere -Non c’è niente di divertente lo so, ma quel fotografo lavora per questo giornale e la nonna ne è abbonata.- ridendo sfogliò le pagine fino a trovare la foto di lei e Mark e gliela mise sotto gli occhi -Immaginate la sua faccia quando la vedrà!-
-Senza dubbio ti invidierà da morire.-

Tom sedeva sull’erba discosto dai compagni, in quella zona del campo tra il dischetto centrale e l’area di rigore. I ragazzi, dopo aver indugiato nei pressi della panchina per dissetarsi, asciugarsi il sudore e riprendere fiato, stavano rientrando negli spogliatoi mettendo così fine alla giornata di allenamento. Tutto sommato Tom era contento che grazie all’incontro che quella sera Mark avrebbe disputato con la sua squadra italiana allo Juventus Stadium, gli esercizi fossero finiti in anticipo. Il sole era ancora alto in un cristallino cielo azzurro contornato dalle Alpi, e i suoi raggi gli scaldavano la pelle, asciugandogli il sudore dal volto e dalle braccia. Si passò stancamente una mano tra i capelli, umidi sulla fronte, sulle tempie e sulla nuca. Poi tirò giù i calzettoni, arrotolandoli alle caviglie e si slacciò i parastinchi che gli stringevano i polpacci.
Intorno a lui a poco a poco le conversazioni si affievolivano, le risate e le grida scemavano, mentre la squadra rientrava alla spicciolata negli spogliatoi, dove si sarebbe scatenato l’inferno per la corsa alle docce. Stavolta a Tom non andava né di cercare di guadagnarsi un posto tra i primi, né di aspettare che se ne liberasse finalmente una, scomodamente appollaiato su una panca di legno, nell’aria acre e irrespirabile di uno spogliatoio invaso da una ventina di ragazzi sudati. Stavolta sarebbe arrivato per ultimo, dopo essersi goduto qualche minuto di tranquillità. Per un momento voleva dimenticare la partita contro l’Italia sempre più vicina, la presenza dei compagni, i problemi della squadra e i battibecchi che per la prima volta nella sua vita lo mettevano in contrasto con Philip. Ma non solo. Voleva dimenticare la ragazza conosciuta in Francia tanti anni prima, che aveva tifato per il Giappone durante tutte le fasi del torneo giovanile di Parigi. Voleva cancellare il suo pensiero perché si era reso conto che con tutta probabilità Amélie teneva a lui molto meno di quanto lui tenesse a lei. E che, probabilmente, in quel preciso momento, stava trascorrendo il pomeriggio a divertirsi con le sue amiche e i suoi amici, senza spendere per Tom, lontano solo poche ore di volo, neppure mezzo pensiero. Quando queste riflessioni gli catturavano la mente, si ritrovava ad invidiare Holly e la sua fortuna di aver trovato ad accoglierlo per anni, ad ogni ritorno in Giappone dal Brasile, l’amore incondizionato e la fedele costanza di Patty che mai, neppure un minuto, si era stancata di aspettarlo.
Eppure più ci pensava e più si domandava se non fosse meglio che la storia tra lui e la francese finisse così, lasciandosi per telefono o tramite messaggi, evitando a entrambi l’imbarazzo di dirsi tante cose in faccia. Ma era già finita? O ancora no? Nessuno dei due tirava fuori o almeno accennava a questo scomodo argomento. Esattamente come nessuno dei due si era mai chiesto, quando a Parigi si frequentavano, uscivano insieme, passeggiavano sotto la Torre Eiffel tenendosi per mano e tante altre cose a cui in quel momento non andava di pensare, se stessero insieme oppure no. Il fatto era che insieme stavano bene quindi perché farsi tante domande? Ora però erano giunti ad un punto morto. Si erano fermati, ibernati, all’ultima volta che si erano visti mesi prima. Da quel giorno non avevano fatto più né un passo avanti né uno indietro. E Tom, a quel punto, era deciso a sbloccare la situazione per sentirsi libero e per lasciar libera lei, che forse ci si riteneva già e lui non lo sapeva. Era chiaro che se Amélie in quegli ultimi giorni di permanenza in Italia non avesse trovato tempo e modo di raggiungerlo per assistere alla partita o vederlo prima o dopo l’incontro, il poco che c’era stato tra loro sarebbe ovviamente finito. A occhio e croce, quella specie di legame che li aveva appena appena avvicinati, non era valso un decimo di quello che per anni aveva unito Philip e Jenny. E guardali quei due dov’erano arrivati, nonostante si fossero amati alla follia. E lui, in fondo, Amélie l’aveva mai amata? Forse no. Forse trovare a Parigi una ragazzina giapponese pronta a tifare per lui e sostenerlo a bordo campo aveva rappresentato solo una consolazione alla solitudine dei suoi traslochi in giro per il mondo. Era stato bello, e comodo anche, non doversi cimentare nella difficile pronuncia del francese per rivolgerle la parola. Era stata rassicurante l’attrazione che avevano provato l’uno per l’altra. E forse non era solo questo? Attrazione? Era molto meglio se si fosse affrettato a riconoscere che a unirli non c’era mai stato niente se non una reciproca simpatia, perché lui stesso forse non aveva provato per lei niente di troppo coinvolgente. Se fosse stato il contrario, adesso non avrebbe sentito soltanto un profondo fastidio di fronte al suo comportamento scostante e distaccato. Non poterla incontrare sebbene fossero così vicini, l’avrebbe portato a macerarsi esattamente come si stava macerando Philip che, nonostante avesse Jenny costantemente davanti agli occhi, soffriva come un cane.
Philip. Anche lui adesso era diventato un bel problema. Non era sicuro che gli altri avessero capito fino a che punto stesse male. Ma lui sì, lo aveva notato e già da parecchio. Lo vedeva deperire un po’ di più ogni giorno. Era bastato sentirlo al telefono qualche settimana prima quando lo aveva invitato a raggiungerlo con un giorno di anticipo a Fujisawa, o vederlo a casa di Benji esternare un’unica battuta corredata da un sorriso stiracchiato, andando nel panico nel momento in cui veniva nominato capitano della nazionale in attesa del nullaosta di Holly. Si era accorto da subito che dai giorni di Kyoto il suo dolore non aveva fatto un passo avanti, piuttosto si era acuito in una sofferenza senza via d’uscita. E ora in Italia lo teneva d’occhio fin da quando Julian gli aveva fatto quel discorso sugli antidolorifici, affibbiandogli tra capo e collo una responsabilità che lui non si era voluto prendere, in un momento in cui era così deluso da Philip da non riuscire a comportarsi da amico. Così aveva finito per ignorare sia l’appello di Ross che le condizioni dell’ex capitano della Flynet. E questo perché Amelie, giusto qualche istante prima, si era rifatta viva con un banalissimo come stai, cosa stai facendo. Che se le fosse interessato davvero, lo avrebbe raggiunto senza farsi troppo pregare.
Tom era deciso a non chiamarla più, né a scriverle. Era ora di finirla di prendere in giro sia lei che se stesso. Dopo la partita contro l’Italia, giusto un momento prima di imbarcarsi sull’aereo che lo avrebbe riportato in Giappone, avrebbe messo definitivamente fine a quel poco che era rimasto in sospeso tra loro.
Peter Shake gli si avvicinò e gli si sedette accanto.
-Non vai a farti la doccia?-
Tom scosse la testa.
-Aspetto che lo spogliatoio si svuoti un po’. Oggi non sono dell’umore adatto a sorbirmi le chiacchiere degli altri.-
Peter appoggiò i gomiti sulle ginocchia e accarezzò l’erba con il palmo della mano. Gli steli appuntiti da un taglio recente gli fecero il solletico sulla pelle indurita dalla fatica.
-Neppure io.-
-Per il pugno che ieri hai dato a Philip?-
Shake abbassò gli occhi sull’erba e tacque.
-Perché lo hai fatto? Non ti ho mai visto così arrabbiato con lui.-
Peter ponderò bene le parole.
-Non mi piace come si sta comportando negli ultimi tempi.-
-Con Jenny, intendi?-
-No… Sì, anche. Però più in generale.- allungò le gambe e appoggiò le mani al suolo dietro di sé, a sostenere il peso della schiena. Era sicuro di potersi fidare di Tom, ma il segreto che custodiva nel cuore era troppo sconvolgente per rivelarlo a chiunque. Per esempio, se Grace non fosse stata al corrente delle scorribande di Philip, non lo avrebbe detto neppure a lei. Forse solo a Jenny, perché nonostante lei e Philip non stessero più insieme, continuava a pensare che soltanto l’amica fosse in grado di fare qualcosa per togliere il compagno dalla spirale di autodistruzione in cui si era cacciato.
Tom gli lanciò un’occhiata, poi si volse ad osservare la strada che correva poco distante, qualche metro al di sopra di loro. Le macchine sfrecciavano a velocità sostenuta, in quell’ora in cui i torinesi cominciavano a tornare a casa dal lavoro.
-Da quando lui e Jenny si sono lasciati è diventato un’altra persona. Grace ed io non sappiamo più come prenderlo. Ci evita, non esce neppure con i ragazzi della Flynet. Sai quante volte lo abbiamo invitato e ci ha dato buca? Se ne sta sempre da solo o con quella insulsa fotomodella… o con qualche tipa che conosce giusto per una notte. Oppure frequenta gli altri del Sapporo… una combriccola di individui inaffidabili...- emise con un sospiro tutto il suo dispiacere e la sua delusione -Stamattina ho parlato con Grace. Mi ha intimato di fare assolutamente qualcosa per farli tornare insieme. Ma cosa? Philip, se nomino Jenny, smette di ascoltarmi. Cosa che già fa poco anche se non la nomino. E quando ho provato a parlare con lei, Jenny mi ha subito fermato pregandomi di non continuare perché sta cercando di dimenticarlo. Cosa devo fare, Tom? Cosa posso fare?-
L’altro non seppe rispondergli. Non sapeva neppure se Peter fosse al corrente di ciò che era successo a Kyoto. Quel passato non era qualcosa si cui si potesse parlare così, come conversando del più e del meno. Ricordare quei giorni non era piacevole neppure per lui. Non aveva una risposta per alleviare l’angoscia di Peter, non aveva una soluzione al problema. Se avesse saputo cosa fare per Philip, o per Jenny indifferentemente, lo avrebbe già fatto. Di una cosa soltanto era certo: che Mark non avrebbe dovuto baciare Jenny sotto gli occhi di Philip. Quella dell’amico a bordocampo, alla luce del giorno e davanti a tutti, persino ai giornalisti, era una vera e propria carognata di cui non riusciva a spiegarsi né il senso né il motivo. E quando il giorno prima gliene aveva chiesto la ragione, Mark lo aveva liquidato scocciato con un gesto sbrigativo della mano. Tom avrebbe replicato volentieri insultandolo un po’, ma aveva visto Danny avvicinarsi. Per Mellow veder trattato male Mark era sempre un piccolo trauma e siccome, insultando Landers, Tom si sarebbe soltanto sfogato un po’ senza risolvere il problema di Philip, aveva lasciato perdere.
-Non lo so, Peter. Forse non possiamo fare proprio niente per loro.-
-È quello che temo anch’io, ma Grace non vuole capirlo.-
Tom si alzò e si sgranchì le gambe, appesantite da ore e ore di allenamenti. Si sfilò la casacca azzurra rimasta a coprirli la maglietta e rabbrividì quando la brezza del pomeriggio penetrò sulla schiena sudata attraverso la trama del cotone leggero. Si chinò a recuperare i parastinchi e si guardò intorno un po’ spaesato, riscuotendosi dallo stanco torpore che lo aveva invaso. Alla fine in campo erano rimasti soltanto loro due.
I palloni erano stati riposti, le bottiglie dell’acqua e delle bevande energetiche ormai vuote erano state tolte di mezzo, sulle panchine non era rimasto neppure un asciugamano. Dalla loro parte di campo era la desolazione più totale mentre al di là della recinzione la squadra italiana continuava gli allenamenti decimata dei suoi elementi migliori, a riposo come Mark per l’incontro della serata.
Anche Peter si mise in piedi e Tom si volse a guardarlo.
-Tu e Grace state insieme?-
Shake accennò finalmente un sorriso. Soltanto pensare alla ragazza lontana sembrò metterlo di buonumore.
-Non lo so. Non ce lo siamo mai chiesti. Ma ogni tanto io mi fermo a dormire da lei o lei dorme da me.-
Tom lo guardò con attenzione. Che fosse qualcosa di simile a ciò provava nei confronti di Amélie?
-Adesso ti manca?-
-Sì. Però ci sentiamo tutti i giorni.-
Peter sorrise di nuovo, poi si incamminò sul sentiero di ghiaia biancastra che conduceva agli spogliatoi. Tom esitò a seguirlo, bloccato dalla certezza che ciò che provava o aveva provato per Amelie, non era neppure lontanamente amore.

*

Arrivarono allo Juventus Stadium dopo il tramonto, col buio che faceva risplendere le luci dell’imponente costruzione. La fermata dell’autobus era oltre l’ampio pendio del parcheggio su cui lo stadio era appollaiato, circondato da aiuole di prato geometriche lungo tutto il perimetro. L’ingresso principale era sulla sinistra rispetto alla fermata, bisognava seguire il muro di cinta tra le macchine e i tifosi riuniti in grappoli eccitati.
Evelyn camminava incollata a Jenny guardandosi intorno curiosa. Fino a pochi minuti prima l’aveva supplicata di mostrarle ancora la foto di Gentile, ma l’amica si era rifiutata ancora una volta. Ora non le si staccava più di dosso, sperando di riuscire prima o poi a convincerla. Procedendo tra la gente osservava i tifosi che sbandieravano, le sciarpe bianconere che si agitavano, i telefonini accesi che brillavano, i flash che scattavano. Il gruppo dei compagni le seguiva sparpagliato e Jenny sperava che nessuno si perdesse. In mezzo a quella ressa non avrebbe saputo come ritrovarlo.
Sull’ingresso principale dello stadio svettavano due travi gigantesche, unite in cima come una V rovesciata, a cui erano ancorati i tiranti della copertura degli spalti. La scritta di luce bianca “Juventus Football Club” era incastonata sulle vetrate dell’atrio, illuminato a giorno ad accogliere i soci abbonati e i VIP. Salendo leggermente in salita sul pendio per raggiungere l’entrata, percorsero il lastricato fiancheggiato dal parapetto nero decorato con i loghi della Juventus, oltre il quale sprofondava in discesa la strada percorsa dal pullman della squadra, sparendo nel sottosuolo per permettere ai giocatori di accedere allo stadio senza essere infastiditi dai tifosi più petulanti.
Jenny aveva visto il pullman parcheggiato quindi si stupì di non vedere Salvatore nell’atrio ad aspettarla. Non c’era neppure Mark. Esitò nell’ingresso mentre i compagni le si accalcavano intorno. C’era troppa gente, loro erano un gruppo cospicuo e non sapeva dove mettersi per non essere d’impiccio alle persone che fremevano per entrare e allo staff che correva indaffarato di qua e di là. Si tirò da un lato, oltre le colonne, gli alti vasi bianchi e i divanetti di pelle nera. Holly le si avvicinò. Aveva il suo biglietto in mano e lanciava occhiate impazienti all’ingresso.
-Non entriamo?-
-Salvatore ha detto che ci veniva a prendere con i pass per Amy, Evelyn e Patty ma non lo vedo. Forse è ancora negli spogliatoi. Dobbiamo aspettarlo.-
-Gentile è lì, Jenny.- Bruce indicò una testa bionda che spuntava oltre un gruppo di altre teste chine su uno dei banchi temporanei di assistenza agli abbonati, allineati lungo le pareti in occasione delle partite.
L’amico aveva ragione, in quella calca non era riuscita a vederlo. Si avvicinò al gruppetto e lo chiamò. Salvatore tirò su di scatto la testa.  
-Siete già qui?- chiese sorpreso, come se avesse perso per un attimo la cognizione del tempo.
A Jenny bastò dare un’occhiata al ripiano del banco per capirne il motivo. C’erano delle carte da gioco sparpagliate lì sopra e lui e le tre persone che gli erano accanto ne tenevano alcune in mano.
-Arrivo subito.- le disse tornando a concentrarsi sulla partita.
-Sì, se ti dai una mossa.- il ragazzo che gli stava di fronte aveva al collo il tesserino di riconoscimento dello staff -Io devo lavorare, mica possiamo farci notte.-
-Lo dici a me? Tra un po’ mi daranno per perso e mi lasceranno in panchina.-
Salvatore si era cambiato. Indossava i calzoncini della divisa, i calzettoni, gli scarpini e sopra la maglia della squadra un giacchetto bianco con il logo della Juventus all’altezza del cuore.
-Ciao Michele. Chi vince?-
Jenny si volse di scatto, al suo fianco era comparso Rob che scrutava il tavolo curioso. Dario aveva tentato di insegnargli alcuni giochi di carte tipicamente italiani ma lui trovava difficile capirne le regole e decifrarne le figure.
-E chi vuoi che vinca?- Michele sospirò e scoprì la propria carta.
In successione la mano tornò a Salvatore che per tutto il giro aveva trattenuto a stento una vittoriosa euforia. Mise giù ciò che gli restava in mano ed esultò.
-È stato un piacere giocare con voi! Sganciare, prego!- tese una mano e i giocatori sconfitti posarono sul palmo spalancato le loro quote.
-Fortunato al gioco, sfortunato in amore.- decretò uno di loro che indossava la divisa degli avversari di quella sera.
-Neanche per sogno. La mia ragazza è qui. La tua dov’è? Si tratta di un pronostico, alla faccia tua!- ridendo s’infilò nella tasca del giacchetto per lo meno duecento euro.
Rob emise un fischio d’ammirazione e tornò dai compagni. Bruce, a cui non era sfuggito nulla, gli si avvicinò guardingo e sospettoso.
-È legale?-
Michele porse a Jenny i tre pass.
-Prima il tuo ragazzo ci spenna, poi ci chiede favori.-
Lei non capì una parola, ma li prese, ringraziò e li consegnò alle amiche.
Mark li raggiunse torvo, puntando Salvatore. Anche lui indossava la divisa della squadra ed era pronto a scendere in campo.
-Hai finito di fare i tuoi comodi?-
-Dovresti imparare a giocare a carte, Landers. Se sei bravo riesci a raggranellare un bel gruzzoletto. Ti farebbero comodo, visto che stai sempre a centellinare ogni euro.-
-Non mi interessa.-
Gentile alzò le spalle e controllò l’ora.
-Vado a bere una birra se no si fa troppo tardi. Jenny, vieni con me? Tanto con loro c’è Landers. Li accompagni tu, vero?- lo trapassò con un’occhiata mentre prendeva la ragazza per mano.
-Solo la birra, ti ci mancava…- borbottò Mark guardandoli allontanarsi.
-Cosa cosa?- Clifford drizzò le orecchie -Va a bere una birra?-
-Quello fa come gli pare.- Landers scrollò le spalle -Diamoci una mossa, devo tornare di là.-
-Ma che calciatore è uno che beve una birra prima della partita? Non si è mai sentito niente del genere.-
Aoi sembrava divertito dallo sconcerto dei compagni.
-Lui è tutto speciale, Clifford. Quello che fa lui lo fa solo lui. Gli lasciano passare anche la birra pur di averlo in squadra. Gentile è il figlio dell’allenatore della nazionale italiana, che a sua volta era capitano della nazionale. Praticamente è come se il calcio ce l’avesse nel sangue.-
-Sarà come dici ma in campo non mi pare che si impegni granché.-
Rob lanciò un’occhiata a Sandy mentre percorrevano i corridoi dello stadio per raggiungere i loro posti. Le pareti erano intonacate di bianco e su tutto quel chiarore ogni tanto sputava la gigantografia in bianco e nero dei giocatori che avevano fatto la storia della squadra.
-Perché non va d’accordo con il padre.-
-Anche noi non andiamo d’accordo con Gamo eppure gli allenamenti li prendiamo seriamente.-
-Non tutti Sandy, non tutti…- rise Clifford riferendosi a Philip in modo così palese che quello si sentì preso in causa, si volse e replicò con un’occhiata acida.
Oltre due grandi porte spalancate, davanti a loro comparve il tappeto verde cinto dagli spalti ricolmi di tifosi che sbandieravano striscioni e lanciavano urla e fischi. Landers indicò i sedili in plastica, in gran parte bianchi, alcuni neri.
-Sedetevi dove vi pare, oggi le tribune degli ospiti sono quasi vuote. Non è una partita importante.-
Senza un attimo di esitazione, Evelyn superò gran parte dei compagni e reclamò il posto accanto a Rob, costringendo Paul Diamond ad alzarsi e spostarsi.
-Finisci di raccontarmi la storia di Gentile.-
-Che palle Eve.- sbuffò Bruce, che aveva sfrattato Johnny Mason per sedersi accanto a lei.
Rob non se lo fece ripetere due volte e riprese a parlare.
-Dario Belli mi ha detto che Gentile ha praticato tutti gli sport possibili per non seguire la strada del padre. Alcuni anni fa ha persino vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi di nuoto. E poi faceva le corse con la moto.-
-Dopo un brutto incidente ha lasciato perdere.- s’intromise Mark.
Evelyn lo guardò storta.
-Non dovevi andare a raggiungere i tuoi compagni di squadra?-
Lui sembrò ricordarsene solo in quel momento e dopo un saluto frettoloso schizzò via.
-Senti senti, il nuoto…- Evelyn si avvolse pensierosa intorno al dito una ciocca di capelli che era sfuggita alla coda -Adesso capisco il perché di tutti quei muscoli pure dove tu non ce l’hai, Bruce.-
Il fidanzato la squadrò.
-Per esempio quali?-
-Non li conosco mica tutti per nome. Però sulla schiena ne ha una bella quantità.-
-Dov’è che avresti visto la schiena di Gentile?-
-Proprio stamattina. Jenny mi ha fatto il regalo più bello del mondo mostrandomi una foto di Salvatore Gentile completamente nudo. L’ho visto tutto. Di spalle purtroppo…-
Decine di occhi si fissarono su Evelyn. Amy addirittura arrossì.
-Stai scherzando?-
-E mi ha promesso anche quella di Mark.-
Philip riuscì a restare impassibile. Solo, sulla tempia, la pelle si contrasse in un minuscolo e impercettibile spasmo.
-Jenny mi ha mostrato la foto solo per pochi secondi.- sospirò afflitta -Non sono riuscita a mettere a fuoco nessun particolare.-
-Neppure uno, Evelyn?- rise Benji -Sicura, sicura?-
-Giuro, neppure uno. È stata solo una fugace visione…- sospirò affranta e tornò a guardare Rob -Come mai ha lasciato perdere il nuoto e ha scelto il calcio?-
-Perché guadagna di più, che dici?- la schernì Bruce infastidito da tutto l’interesse che la ragazza continuava imperterrita a mostrare nei confronti del calciatore italiano.

Nella pausa tra il primo e il secondo tempo Gentile uscì dagli spogliatoi e raggiunse le transenne che sbarravano metà del corridoio per impedire a chiunque di avvicinarsi. Si chiese, non vedendola, se Jenny si sarebbe affacciata come di consueto o sarebbe rimasta in tribuna insieme ai compagni e, inevitabilmente, a Callaghan. Quando ormai, stanco di aspettarla, stava per rientrare, lei arrivò di corsa.
-Non ero sicuro che saresti scesa.-
-Ho accompagnato Patty ed Evelyn al bar e ho fatto tardi.-
Mark sbucò dallo spogliatoio.
-Stiamo vincendo.-
-L’ho visto. Sono contenta per te.-
-Che dicono su?-
-Che se oggi perdi, venerdì ti lasciano in panchina.-
Jenny si trattenne ancora un poco, poi dovettero rientrare e lei si avviò per tornare sulle tribune. Svoltò un angolo e si fermò di colpo, incredula. Philip le era di fronte, appoggiato contro il muro. Teneva le braccia incrociate sul petto e la fissava. Jenny fu totalmente incapace di decifrare la sua espressione ma di una cosa fu certa: la stava aspettando e lei non poteva fuggire da nessuna parte. Respirò a fondo una volta, poi avanzò verso di lui, parlando per prima perché la miglior difesa era pur sempre l’attacco.
-Perché sei qui?-
Philip si staccò dal muro, si avvicinò e lei reagì indietreggiando. Non servì a nulla, lui le fu d’un tratto vicinissimo e la prese per mano.
-Vieni. Dobbiamo parlare.-
Tale prospettiva fece affiorare il panico dentro di lei. Ricordava perfettamente com’era andato a finire il loro ultimo colloquio nei corridoi di uno stadio.
-Parlare? E di cosa? Non abbiamo proprio nulla di cui parlare.-
Philip ignorò le sue proteste e la costrinse a seguirlo, continuando testardo ad allontanarsi dal percorso che avrebbero dovuto seguire per tornare ai propri posti. Mentre camminava svelto trascinando con sé la ragazza si guardava intorno, sperando di trovare in fretta un posto tranquillo e discreto dove fermarsi, prima che Jenny s’impuntasse davvero e gli sfuggisse ancora una volta. Quei corridoi erano un labirinto, non riusciva a raccapezzarsi. Anzi, dopo l’ennesima svolta, si rese conto di essersi appena perso in un dedalo di cunicoli tutti uguali.  
Sbucarono d’improvviso nel ristorante. Proprio lì Philip trovò ciò che cercava e la portò con sé dietro uno dei giganteschi pilastri neri che sorgevano tra i tavoli. Senza sapere come, Jenny si ritrovò con la schiena contro la colonna, Philip davanti e alle spalle di lui le vetrate che si aprivano sulla partita iniziata e sugli spalti ricolmi di tifosi. Il ristorante era praticamente semivuoto, i tavoli occupati erano forse cinque o sei e tutti nei pressi delle finestre. Nessuno guardava verso di loro, nessuno si era accorto del loro ingresso.
Gli occhi della ragazza tornarono a posarsi su Philip confusi, increduli e scontenti.
-Jenny…-
-Non ho niente da dirti, Philip.-
Lui esitò, poi annuì.
-Hai ragione. Parlare è inutile.-
E la baciò. Ma lei non voleva essere baciata soltanto perché anche Salvatore e Mark lo avevano fatto. Cercò di allontanarlo puntandogli le mani sul torace ma lui le afferrò i polsi.
-Lasciami.-
-No.-
-Allora mi metto a gridare.-
-Fallo, così finiremo su tutti i giornali.- tornò ad accostare il proprio viso al suo.
Lei si irrigidì e volse la testa da un lato. La bocca di Philip si posò non sulle sue labbra ma sulla pelle tra il collo e l’orecchio, quella parte del viso che lei involontariamente gli porgeva. Un brivido le percorse la schiena e serrò gli occhi, nell’ultimo silenzioso gesto di rifiuto che le restava. Dopodiché poteva soltanto mettersi a urlare, come aveva minacciato di fare. Lo sentì scendere lungo il collo e quasi per magia la tensione nel suo corpo si allentò. Così, quando Philip la lasciò per prenderle il viso tra le mani e sollevarlo verso di lui, non fece nulla per impedirglielo. Sospirò soltanto. Incoraggiato dalla sua mancanza di reazioni, lui tornò a baciarla, riuscendo finalmente ad impossessarsi delle sue labbra.
Jenny d’improvviso si sentì esattamente come nel sogno. Trovarsi finalmente e realmente tra le braccia di Philip tornò ad essere stupendo come lo era sempre stato. D’un tratto non provava più il desiderio di allontanarlo, voleva solo che continuasse, che quel momento fosse eterno.
Fu lui ad un certo punto a tirarsi indietro e a guardarla negli occhi.
-Voglio che torni in Giappone con me.-
La richiesta di Philip ruppe l’incanto, Jenny lo fissò sbigottita e si ritrasse prima ancora di poterci pensare, prima di cominciare a torturarsi fino a impazzire e distruggersi il cervello. Distolse gli occhi e abbassò il viso.
-Non cambierebbe nulla.-
-Non è vero, cambierebbe tutto. Non c’è niente che non va tra noi, dobbiamo tornare insieme.- dirlo significò accettarlo.
Gli occhi di Jenny lo fissarono con uno sguardo liquido, Philip riuscì a leggervi la sorpresa, la paura, l’indecisione. Assimilò quei sentimenti e anche gli altri, perché per la prima volta dopo mesi poteva starle così vicino per un tempo così lungo. I minuti si dilatavano, tanto erano intense le sensazioni che Philip stava provando. Poté toccare i suoi capelli lunghi, a cui non aveva smesso un attimo di pensare da quando li aveva sfiorati il giorno prima. Vi affondò le mani, lasciandoseli scorrere tra le dita, dandosi stavolta il tempo di meravigliarsi per quanto erano cresciuti, per quanto erano serici, morbidi e profumati. La sua mente notò i particolari di quel viso truccato, lei che non aveva bisogno di farlo perché era bella di una bellezza naturale. L’ombretto bianco faceva risplendere gli occhi, dalle labbra, dopo il bacio, era scomparsa ogni traccia di rossetto. Le sue dita le accarezzarono le spalle, scivolarono lungo la schiena, quasi a volersi rassicurare che Jenny fosse davvero lì con lui in carne e ossa. Le prese le mani e le stinse tra le sue, nonostante lei cercasse di ritirarle. Il momento magico era passato, svanito, e adesso Jenny voleva soltanto andarsene.
-Non possiamo stare qui.-
Dalla sua voce trasudò l’urgenza di nascondersi, di non farsi vedere insieme. Un desiderio così forte che Philip non poté impedirle di sgusciare di lato tra lui e la colonna e allontanarsi in direzione dell’uscita. Il ragazzo non la seguì e quando Jenny se ne accorse tornò indietro, incapace di abbandonarlo, seppur soltanto nel ristorante dello stadio. Lo prese per una manica, evitando accuratamente il contatto con la sua mano, la stretta delle sue dita. Senza dire una parola, senza neppure guardarlo, lo precedette nel corridoio da cui erano venuti, cercando di orientarsi e ritrovare presto le tribune degli ospiti. Procedettero rapidi e in silenzio, Philip si lasciò condurre senza tentare più nessun approccio, nella mente ad orbitare un unico chiodo fisso. C’era una cosa che voleva sapere, una domanda che lo torturava, a causa della quale da alcuni giorni non trovava pace. Una domanda che gli perforava il cervello, che gli spaccava il cuore. E allora, un istante prima di sbucare sugli spalti, le agguantò una mano e la trattenne. Jenny si volse, trovandosi inerme ad affrontare il suo sguardo tormentato.
-Ci sei andata a letto?-
-E tu? Tu ci sei andato a letto con la tua fotomodella?-
Si liberò dalla sua stretta e lo lasciò sulla soglia impietrito, sgomento, il cervello svuotato ma bloccato sulla consapevolezza che Jenny sapeva di Julie. Come aveva potuto credere che sarebbe bastato baciarla di nuovo, che sarebbe bastato chiederglielo perché tornasse con lui? Era un cretino fatto e finito! Non riusciva a capacitarsi di tanta ingenuità. A testa bassa uscì sugli spalti e tornò a sedersi accanto a Benji.
-Sei sporco di rossetto.-
Philip si passò d’istinto il dorso di una mano sulla bocca. Il portiere rise.
-Non era vero.-
-Vaffanculo, Price.-
-È andata meglio oggi?-
Philip scosse la testa. Nel campo sotto di loro la partita era in pieno svolgimento ma lui aveva la mente in subbuglio e non riusciva a seguire le azioni, non vedeva nulla se non il volto di Jenny vicinissimo al proprio, i suoi occhi truccati, le sue labbra dischiuse, i suoi capelli neri e lunghi tra cui aveva infilato le dita. Benji era un parolaio ma su una cosa aveva maledettamente ragione. E più Philip si avvicinava a Jenny e più iniziava a capirlo davvero. In nessun modo poteva permettere che Gentile o chiunque altro, gliela portasse via. Non aveva la certezza che lei lo amasse ancora, che lo amasse come prima dopo ciò che era successo tra loro. Ma non poteva non provare a riconquistarla. Come, non lo sapeva. Si era convinto di conoscerla, mentre ogni giorno che passava gli sembrava sempre più diversa. Non sapeva più come prenderla, cosa aspettarsi, cosa dirle e come agire. La Jenny che sedeva due file avanti a lui, che pochi minuti prima aveva baciato, gli era quasi del tutto sconosciuta e dire che partiva da zero era pure troppo. Forse anche lui era cambiato, chissà. Fu preso dallo sconforto, la situazione gli sembrò irrecuperabile.
-Sa di Julie Pilar.-
-Sì.-
-Gliel’hai detto tu?-
-Ha visto una foto su una rivista.-
Callaghan tornò a fissare il campo sempre più depresso. Sapeva benissimo di quale foto stava parlando. Solo una volta erano finiti sui giornali, lui e Julie, quell’unica maledetta volta in cui li avevano ripresi mentre si baciavano. Non poteva prendersela con nessuno, la colpa era soltanto sua e della sua stupidità.
-Non fare quella faccia, Philip. Anche se Jenny sa di Pilar, il risultato è sempre pari perché lei sta con Gentile.-
Anche Jenny teneva gli occhi sul campo e non riusciva a seguire la partita. Si torceva una mano nell’altra decisa, da quel momento in poi, di evitare a tutti i costi che Philip si avvicinasse a lei quando era sola. Non sarebbe riuscita ad affrontarlo di nuovo, non era sicura di averne la forza e non era neppure sicura di voler tornare con lui. Aveva sofferto troppo in quegli ultimi mesi e temeva di dover ricominciare a farlo se avesse accettato la sua proposta. E poi non doveva assolutamente dimenticare che a Sapporo Julie Pilar stava aspettando il suo ritorno.
La partita finì senza che lei se ne accorgesse, fu Amy a riscuoterla. Come un automa si mise in piedi e raggiunse le uscite seguendo il gruppo dei compagni a testa bassa. Più cercava di non pensarci e più sentiva sulle labbra la pressione della bocca di Philip, le sue braccia che la stringevano, la sua voce che le chiedeva di tornare a casa con lui e i suoi occhi addosso persino in quel momento. Non vide Philip, o meglio non volle vederlo e passò alla guida dei compagni solo quando uscirono nel parcheggio perché tra la ressa dei tifosi faticarono a raccapezzarsi per ritrovare la fermata dell’autobus. Li avrebbe riaccompagnati sani e salvi all’hotel, poi sarebbe fuggita a casa. Aveva una voglia matta di mollare tutto e tutti.
Mentre si strizzavano sull’autobus già strapieno, Patty le sfiorò un braccio.
-Jenny, c’era quel giornalista allo stadio. L’hai visto?-
Lei scosse la testa, incapace di scacciare la convinzione che la sua presenza a Torino non aveva fatto altro che ingarbugliare le vite della gente. A cominciare da Mark, che la sopportava a casa da due mesi. E Gentile, se non ci fosse stata lei, forse avrebbe già fatto pace con la sua ex. Per non parlare poi di Philip che frequentava un’altra e a cui, se non l’avesse rivista, non sarebbe mai passato per la testa di provare a riconquistarla. Indugiò su quell’ultima riflessione. Provare a riconquistarla? Era davvero questo ciò che stava facendo?
Il suo desiderio più grande da quando era alle medie era stato quello di rimanere con Philip per tutta la vita e invece si era andata a ficcare in un gran bel casino. Avrebbe voluto sparire, andarsene via e lasciare che tutto si risolvesse da sé. Si chiuse in un silenzio che la seguì fino in hotel.
-Non entri con noi?- le chiese Evelyn quando la vide fermarsi sul marciapiede ed esitare indecisa.
-E a far cosa? Ormai sono le undici e mezza, torno a casa.-
-Non sarebbe meglio che dicessi a Mark di passare a prenderti?-
-Eve ha ragione, Jenny. È tardi.- s’intromise Patty.
-Se sapesse che lo sto aspettando andrebbe via prima e gli rovinerei la serata. Non mi va di seccarlo.-
-Allora chiameremo un taxi.-
La giovane si lasciò convincere e rientrò con loro. Le porte automatiche dell’hotel si spalancarono e Bill Steiner le andò incontro mentre lei avanzava nella hall. Vedendolo, Jenny impallidì. Quell’uomo stava diventando un vero incubo. Si guardò intorno, chiedendosi come evitarlo. Benji le comparve accanto come per magia, mettendole un braccio sulle spalle.
-Ti devo una consumazione. Posso offrirti qualcosa al bar?-
-Se non mi lasci penserà che hai un debole per me. O viceversa.-
-Pensasse quello che vuole.-
Steiner li seguì e si sedette al loro stesso tavolo.
-Disturbo?-
-Se le dico di sì se ne va?-
Lui scosse la testa, divertito da quella che interpretò come una battuta. Appoggiò i gomiti al tavolino e li osservò entrambi con attenzione.
-Qualche giorno fa ho avuto un’interessante conversazione con l’ex manager di Landers, la signorina Farrell. -
La ragazza si agitò nervosamente sulla sedia mentre lui continuava.
-Volevo parlargliene stamattina, Jenny, ma lei aveva fretta di andarsene. Peccato che la Farrell sia tornata in Giappone, lei ed io avevamo trovato una certa sintonia… Raramente si trovano persone così disponibili a parlare.-
-Improrogabili impegni di lavoro.- s’intromise Benji.
Jenny immaginò Daisy spifferare con grande soddisfazione al giornalista ficcanaso tutto ciò che sapeva sul suo conto. Quella donna impossibile aveva chiuso in bellezza il suo soggiorno in Italia, finendo di metterla nei guai.
-Mi ha detto che lei abita con Landers da mesi.- Steiner tirò fuori un taccuino e una penna -E mi ha anche confidato che Landers le ha detto che lei, Jenny, è la sua fidanzata. Se è davvero così, complimenti davvero per la sua intraprendenza. Sa che sono parecchie le ragazze che vorrebbero essere al suo posto?-
Benji scoppiò a ridere.
-Lei dà retta a tutto quello che le dicono?-
-Signor Price, la foto di Landers che bacia la sua amica l’ho scattata io.-
-Davvero? Mi permetta di ringraziarla, allora. Ero girato e non li ho visti. I miei compagni ed io abbiamo chiesto varie volte a Landers di rifarlo ma non c’è stato verso.-
Jenny lo guardò con gli occhi spalancati mentre lui continuava, imperterrito e beffardo.
-Visto che ha la macchinetta fotografica con sé posso darle l’opportunità di aggiungere un’altra foto alla sua collezione? Io bacio Jenny mentre lei scatta. Che ne dice?-
Alla giovane la proposta non piacque minimamente e d’istinto mise più spazio tra sé e il portiere.
Steiner si irrigidì.
-Dico che sto lavorando e che non mi interessano le sue performance Benjamin Price. Quella che voglio è soltanto la verità.-
-La verità è relativa e lei sa già tutto quello che c’è da sapere. Ne sa addirittura più di noi. Anzi, sono sicuro che dopo questa conversazione avrà una valanga di nuove informazioni per i suoi articoli.-
Seguì un silenzio in cui Steiner e Benji si fissarono negli occhi, valutandosi a vicenda. Il fotografo distolse lo sguardo per primo e stenografò qualcosa di incomprensibile sul taccuino. Poi alzò il viso, si accorse che Philip li osservava e fu colto da un’ispirazione improvvisa.
-Callaghan sembra tenere ancora a lei, Jenny. Forse sarebbe anche disposto a lasciare Julie Pilar. L’ha preso in considerazione?-
-Oltre a Landers e Gentile vuole per forza attribuirmi un altro ragazzo? Che genere di persona crede che io sia?-
-Per sua sfortuna non mi invento niente. Stasera l’ho vista allontanarsi dalla tribuna e tornare sugli spalti solo dopo una ventina di minuti proprio insieme a Callaghan. Dove siete andati?-
-A salutare Gentile. Lo faccio sempre.-
-Gentile o Landers?-
-Che differenza fa?-
-Anche Callaghan è andato a salutare Gentile?-
-Non so dov’è andato Philip!- dichiarò esasperata -Ci siamo incontrati un attimo prima di tornare ai nostri posti! -
Benji intervenne.
-Non riesco a credere che la paghino per scrivere un articolo sul viavai di Jenny all’interno di uno stadio.-
Steiner chiuse di colpo il blocchetto notes e lo ripose nella tasca insieme alla penna. Il portiere era d’intralcio e lui voleva sorprendere Jenny da sola. Si alzò.
-La gente legge anche di peggio, Price. Lei è nel giro da anni e dovrebbe saperlo. Buona serata a entrambi.-
Mentre lo guardava uscire, la tensione abbandonò il corpo di Jenny. Spostò gli occhi su Benji.
-Grazie.-
-Mi devi un favore.-
-Non fai mai niente per niente?-
-Non sono abbastanza altruista.-
-Allora come posso ricambiare?-
-Rimettiti con Callaghan.-
Lei scostò bruscamente la sedia e si alzò nello stesso istante in cui il cellulare che teneva sul fondo della borsa cominciava a squillare.
“Jenny?”
-Non gridare Mark, ti sento…- Benji si mise in piedi e le tolse il telefonino dalle mani.
-Di nuovo ubriaco, Landers?-
“Price! Che ci fai a casa mia?”
-Jenny è ancora in hotel.-
“A fare cosa?”
-Doveva tornare a casa da sola a quest’ora?-
“Non farla muovere, stiamo passando a prenderla.”
Mark riagganciò e Benji le restituì il cellulare.
-Hai sentito?-
-Per forza, urlava.- lo guardò negli occhi -Non ricambierò il favore.-
-Sei più testarda di lui.-

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Capitolo 16
*** Quindicesimo capitolo ***


rain 15
Quindicesimo capitolo



Holly si mosse nel letto, si girò a pancia in giù e infilò la testa sotto il cuscino. Ci mise un po’ ad emergere dal sonno e a individuare cosa l’avesse svegliato. Quando lo capì si concentrò su quel leggero grattare che proveniva dalla stanza accanto. Si tolse il cuscino dalla testa e diede un’occhiata all’orologio sul comodino. Mancava poco alle cinque e il grattare non cessava. Anzi sembrava farsi sempre più insistente. Si volse verso Tom e lo vide seduto sul letto.
-Cos’è?-
-Non lo so. Viene da fuori.-
Si accostarono alla porta e la socchiusero piano. Il corridoio era tinto di una luce color arancio. In giro non c’era nessuno, ma la porta della camera accanto alla loro era appena accostata. Holly uscì guardingo dalla stanza e Tom gli andò dietro.
Fecero quei passi allo scoperto con cautela, silenziosissimi. Se Gamo li avesse beccati a zonzo a quell’ora sarebbero stati guai. Holly posò una mano sulla porta socchiusa, che si aprì senza emettere alcun rumore. Al centro della stanza, rischiarata dalla luce di un cellulare, Jason Derrick, in pigiama, illuminava Bruce accucciato a terra ai piedi di uno dei due letti.  
-Cosa state facendo?-
La voce di Holly li fece sobbalzare di spavento.

Philip si trovava da un tempo che gli sembrava infinito davanti a quella tenda nera. Non aveva idea di come fosse arrivato lì, e neppure dove fosse quel “lì”, ma non riusciva a trovare la forza di scostarla per andare oltre. Al di là di quel drappo inspiegabilmente sapeva esserci Jenny e che non era sola, e quella consapevolezza aveva annullato ogni sua intenzione. Eppure non poteva restare “lì” in eterno, in quel vuoto di transizione che non aveva senso.
Sollevò una mano e scostò la tenda appena un poco, giusto per dare una sbirciata, qualche scarso centimetro giusto per consentirgli di scorgere per un attimo cosa ci fosse al di là. Era la camera di Amy, la riconobbe immediatamente. Jenny sedeva sul letto matrimoniale e Gentile era al suo fianco. Non erano soli, Evelyn si trovava su una delle poltroncine del tavolino tondo e scriveva qualcosa al computer con la schiena dritta e tesa e un’espressione di gongolante soddisfazione sul viso. I suoi occhi brillavano di concentrazione e le sue dita correvano rapide sui tasti. La presenza di quest’ultima gli trasmise il coraggio di scostare la tenda del tutto. Nessuno si accorse di lui, nessuno si volse a guardarlo. Qualcosa di invisibile separava Philip da loro, come se si trovassero in due luoghi diversi, come se lui li vedesse attraverso un vetro o attraverso lo schermo di una tv.
Gentile cingeva la schiena di Jenny stringendola a sé e le diceva qualcosa, ma Philip non capiva. Non parlavano in giapponese e neppure in inglese e oltretutto le loro voci avevano un tono così basso che quelle parole sconosciute gli arrivavano solo a tratti. Il ticchettio della tastiera del computer di Evelyn l’unico altro rumore che udiva. Forse la ragazza era riuscita a coinvolgere Gentile nella tanto desiderata intervista. 
-Ho finito.- disse d’un tratto. Spense il portatile, lo chiuse e si alzò -Grazie mille, grazie davvero!-
Si diresse verso la porta dall’altro lato della camera, soddisfatta, trionfante, praticamente al settimo cielo. Voleva quell’intervista ed era riuscita ad ottenerla.
Rimasti soli Salvatore e Jenny presero a baciarsi sotto lo sguardo incredulo del ragazzo, che non avrebbe dovuto essere lì e non riusciva a spiegarsi perché invece ci fosse. Philip distolse gli occhi e strinse i pugni, scosso da un terribile senso di impotenza. Sapeva perfettamente che quella sera in camera di Amy le cose non erano andate affatto così. Gentile non c’entrava niente, erano rimasti soltanto lui e Jenny. Lui e lei e basta, a dormire nello stesso letto. Ciò che era successo non era ciò che stava accadendo ora davanti ai suoi occhi. Quella notte Jenny aveva continuato a dormire ininterrottamente anche quando Philip si era svegliato perché aveva sentito freddo. La luce sopra la testiera del letto era accesa e gli era bastato aprire gli occhi per vederla giacere al suo fianco, vicinissima. Così vicina che le loro braccia si sfioravano. Erano rimasti da soli, gli amici se n’erano andati. Gli era parso incredibile che fossero riusciti a regalargli una simile occasione. Si era tirato su seduto e aveva continuato ad osservare Jenny per un tempo che gli era sembrato lunghissimo. Il suo sguardo l’aveva accarezzata come se lo facesse per la prima volta. Addormentata, l’aveva finalmente ritrovata. Nel suo sonno quieto, nell’espressione tranquilla, aveva potuto vedere la Jenny che conosceva fin dalle medie e non quell’estranea che aveva incontrato in Italia, che abitava con Landers, che usciva con Gentile, che evitava di guardarlo, non gli rivolgeva la parola e gli sfuggiva. I minuti erano passati, il sonno sembrava completamente svanito. Le aveva sfiorato un braccio con una carezza così leggera che lei non si era accorta di nulla. Allora le aveva scostato i capelli dal volto ed era rimasto a fissare per parecchi minuti la sua espressione serena, le labbra leggermente socchiuse. Si era chiesto come gli era saltato in mente di lasciarla. E come era saltato in mente a lei di venire in Italia da Landers.
Quando s’era riempito a sufficienza gli occhi della sua presenza, aveva spento la luce. Era tornato a sdraiarsi accanto a lei ed era rimasto immobile ad ascoltare il suo respiro. Poi si era girato su un fianco, si era avvicinato, l’aveva cinta con un braccio e si era accostato, sprofondando il viso tra i suoi capelli. Jenny si era mossa appena e a conti fatti Philip non aveva neppure capito se ad un certo punto si fosse svegliata e si fosse resa conto della sua presenza o avesse continuato a dormire, confondendo i sogni con la realtà e la realtà con i sogni. Quella notte, per la prima volta, aveva odiato Gentile con tutte le sue forze per essere riuscito a sedurla. Adesso lo odiava di nuovo, l’italiano, perché si stava esibendo in ciò che lui quella sera non aveva fatto.
Salvatore e Jenny erano scivolati distesi sul letto di Amy. Gentile la sovrastava, poggiato sui gomiti per non pesarle addosso. Si guardavano negli occhi e Jenny gli sorrideva. Dovevano aver spento la luce centrale senza che lui se ne accorgesse perché adesso riusciva soltanto a scorgere il bagliore della pelle nuda di Jenny che l’italiano stava scoprendo, e quello dei capelli biondi del ragazzo che brillavano come fili d’oro al chiarore di una lampada.
Gentile slacciò uno a uno i bottoni della camicetta di Jenny. Le scostò il reggiseno e sprofondò il viso tra la carne morbida, baciandola sulla pelle calda. Philip era lontano ma riusciva lo stesso a scorgere l’espressione rapita di lei, una mano sulla testa del ragazzo, le dita affondate tra i capelli biondi, l’altra sulla schiena a sollevargli la maglietta e attirarlo contro di sé. Era lontano ma riusciva a udire i suoi sospiri mentre Gentile la spogliava a poco a poco, mentre lei lo aiutava a fare lo stesso.
Philip non riuscì a capire perché più sentiva il bisogno di non guardare, più era incapace di distogliere gli occhi. Più sentiva l’impulso di fuggir via, più non riusciva a muoversi. Ripensò al bacio che aveva dato a Jenny durante la partita della Juventus nei corridoi dello stadio. Il ricordo era così intenso che gli sembrò persino di percepire le labbra della ragazza sulle proprie. E se lui lo ricordava con tale chiarezza, era probabile che lo ricordasse anche lei. E allora come poteva lasciarsi andare tra le braccia di Gentile con lo stesso trasporto con cui aveva ricambiato i suoi baci la sera precedente nei corridoi dello stadio?
-Philip? Philip, dormi?-
Il ragazzo spalancò gli occhi e gli ci volle un istante per raccapezzarsi. Julian aveva acceso la luce del suo comodino, era in piedi accanto al letto e lo guardava.
-Sei sveglio?-
-Sì, se continui a chiamarmi.-
-Non senti questo rumore?-
-Quale rumore?-
-Ora ha smesso.-
-Allora buona notte.-
-Buongiorno, semmai. È mattina e tra due ore dovremo alzarci.-
-Motivo in più per rimettersi a dormire.-
Mentre Philip si voltava dall’altra parte e sprofondava sotto le coperte, Julian attraversò la stanza, aprì la porta e si affacciò nel corridoio. Philip se ne infastidì.
-Cosa ti ho appena detto? È ora di dormire!-
Ross finse di non udirlo e il suo ottimo consiglio da capitano ancora per poco, venne del tutto ignorato. Si innervosì e sbuffò forte, a ripetizione. Prima pretendevano che portasse la fascetta, poi non gli davano retta.
-Dove vai?-
-A vedere cosa sta succedendo.-
-Che vuoi che succeda a quest’ora?-
-La porta della stanza di Clifford è spalancata.-
La prima cosa che si parò davanti a Julian, quando mise piede nella camera di Yuma, fu la schiena di Tom.
-Cosa state facendo?-
-Io niente, sono loro.- indicò Bruce e uno dei Derrick che si affaccendavano misteriosamente intorno al letto di Clifford che russava.
-I soliti scherzi idioti?-
-Così sembra.-
Philip arrivò tra loro, spinto soprattutto dal turbamento causato dall’incubo da cui Julian lo aveva fortunatamente svegliato.
-Dov’è Sandy?-
Jason lo indicò nel letto, illuminandolo con la torcia del telefono. Sotto le coperte, intravidero la forma del suo corpo.
-Sta facendo finta di dormire. Ha detto che non vuole essere coinvolto.-
-E chi ve l’ha aperta la porta?-
Winter scalciò le lenzuola e si tirò seduto. Era furioso e riuscì a stento a modulare la propria voce in un sussurro.
-Voi fate gli scherzi cretini e poi Clifford mi massacra!-
-Dormi Sandy, non ci pensare.- mormorò Bruce di rimando. Poi si tirò su, si spazzolò con le mani i pantaloni del pigiama e spinse i compagni fuori della stanza, sogghignando divertito e soddisfatto.
-Cos’avete combinato?- chiese Julian.
-Abbiamo legato i quattro angoli del lenzuolo alle gambe del letto. Domani mattina quando Cifford cercherà di alzarsi rimarrà incastrato. Grosso com’è gli ci vorrà non poco a liberarsi!-
-è già mattina.- precisò Philip piatto, ma visto che tutti lo sapevano già, nessuno gli badò.
-Io non vi capisco. Non è sufficiente quanto ci fa sgobbare Gamo durante il giorno? Che bisogno c’è di tenersi occupati persino a quest’ora di notte?-
-è mattina, Tom.- ribadì Philip. Soffocò uno sbadiglio e s’imbucò in camera per raggiungere in fretta il letto. Gli erano rimaste meno di due ore di sonno ed era deciso a sfruttarle tutte.
-A me la vostra stanza sembra più grande della mia. Cos’è quest’ingiustizia?-
Philip si volse sgomento. Bruce, Tom e Holly avevano seguito lui e Julian.
-Che ci fate qui?-
Lo ignorarono.
-Le camere sono tutte uguali, Bruce.- rispose Ross paziente -Cambia solo la disposizione degli arredi.-
-Che accidenti ci fate qui?- ripeté Philip.
-Ho un’altra idea fantastica!- Harper si fregò le mani sghignazzando. Girò intorno al letto di Julian e s’impossessò del telefono -Chiamo Mark.-
-A quest’ora? Sei impazzito?-
-Non mi pare per niente un’idea fantastica, Bruce.- cercò di dissuaderlo anche Holly -Se svegli Mark così presto, domani te la farà pagare.-
-Oggi e domani sono la stessa cosa…-
-Ti si è incantato il disco, Philip?-
-Perché non ti entra nella zucca, Harper. Se vuoi chiamare Landers fallo dalla tua stanza.-
-Ci metto un secondo. Faccio squillare il telefono e poi riaggancio così non saprà che sono stato io. Julian dammi il numero…-
-Non mi pare proprio il caso.-
-Ho capito, faccio da solo.-
E lo fece davvero. In tre secondi prese il cellulare dal comodino di Ross, trovò nella rubrica ciò che cercava e nel giro di altri pochi secondi, la linea stava già squillando. Bruce s’era premurato persino di accendere il vivavoce. Con due falcate Julian lo raggiunse, si riappropriò del cellulare, in cui tra l’altro c’erano dei messaggi privatissimi, e cercò di interrompere la chiamata. Non fece in tempo. Jenny rispose.
-Hai fatto il numero di casa, idiota?-
Bruce guardò Holly e fece spallucce.
-Ho fatto il primo numero che ho trovato.-
“Holly? Bruce?” chiese la ragazza. Il suo tono trasudò preoccupazione “È successo qualcosa?”
-No, niente. Bruce ha sbagliato numero. Mi dispiace se ti abbiamo svegliata.-
“Non mi avete svegliata, sono appena rientrata.” e in effetti la sua voce era ben desta.
-Mark? È lì con te?-
“Mark sta dormendo.”
“Non sto dormendo proprio per niente!”
Landers le comparve improvvisamente davanti, emergendo dal buio della cucina silenzioso come un ladro. In hotel la udirono gridare di spavento. Mark era furibondo e la sua figura, che si stagliava nell’ombra, emanava tensione. Jenny non lo sapeva, ma lui si era svegliato alle tre, era andato in bagno e aveva trovato la porta della sua camera spalancata, il letto vuoto. Era sceso al piano di sotto e non aveva visto né le sue scarpe né la sua giacca. Jenny si era dileguata senza dirgli niente e dopo averne preso atto, gli era venuto un mezzo infarto. Dopodiché aveva deciso di aspettarla, per rinfacciarle la sua incoscienza e la propria preoccupazione, sicuro che presto o tardi sarebbe rientrata. Ed era rientrata veramente tardi.
“Ti sembra questa l’ora di tornare?”
Lei si volse, le mani sul cuore che batteva all’impazzata.
“Mark, mi hai fatto paura!”
“Sai che ore sono?”
“In effetti è un po’ tardi ma…”
“Non è un po’ tardi! Sono le cinque del mattino!”
“Lo so! Cosa ci fai in piedi?”
“Ti stavo aspettando! Dove sei andata?”
“C’è Bruce al telefono che vuole parlarti, quindi è meglio se…”
“Jenny! Quella non era la macchina di Gentile! Con chi eri?”
Holly sentì Bruce sogghignare e s’innervosì.
-Che hai da ridere?-
-Abbiamo fatto proprio bene a telefonare, sai Holly? Sembra di essere al cinema!-
“Possiamo parlarne domani, Mark? C’è Bruce al telefono!”
“Non me ne frega un cazzo di Harper e poi è già domani, porca miseria!”
A Philip che anche Landers lo ribadisse, stavolta non fu per niente consolatorio.
“Bruce può aspettare, tanto paga lui la telefonata.”
-Ma tu sentilo il bastardo…-
Le labbra di Callaghan si incurvarono di un sorriso amaro.
-Anche al cinema lo spettacolo è a pagamento, Harper.-
-Ti ricordo che sto chiamando dalla tua stanza, se lo hai dimenticato.-
Philip provò un improvviso e intenso formicolio alle dita e un impellente bisogno di farle aderire alla faccia del compagno.
“Ero insieme a Carol!”
“La macchina da cui sei scesa non era neppure quella di Carol!”
“è di suo fratello. Carol ha un fratello, lo sapevi? È venuto a prenderla e ha riaccompagnato anche me.” si frugò nella borsa stizzita e gli porse il telefonino “Chiamala e chiediglielo, se non mi credi.”
“E dov’è che è venuto a prendervi? Si può sapere dove siete state fino a quest’ora?” scostò da sé il cellulare che lei gli porgeva e afferrò la cornetta per scaricare su altri tutta la sua collera.
“Che vuoi Harper?”
-Sai che se Gamo scopre che ancora non dormi ti spella vivo?-
“Perché scassi i coglioni già a quest’ora?”
-Sentirti litigare con Jenny è una figata. Non dirmi che lo spettacolo è già finito!-
Mark era troppo stanco e assonnato per avere la forza e la voglia di mettere a tacere la maledetta lingua di Bruce. E poi, se anche il suo cervello non fosse stato inceppato dal sonno e dalla collera che insieme non formavano un buon mix, non aveva nessuna voglia di intrattenersi al telefono con il compagno a quell’ora del mattino.
“Vai a dormire.” disse a Jenny mentre respirava per calmarsi “Sono le solite stronzate di quel demente di Harper.”
Lei gli ubbidì senza discutere per non peggiorare il suo umore già nero. Tom approfittò di quel momento di silenzio da entrambe le parti per avvicinarsi a Bruce, togliere il vivavoce, salutare Mark e riagganciare.
I nervi tesi di Philip si rilassarono di botto, il suo corpo sembrò quasi afflosciarsi. Ma prima di tornare a letto, sotto le coperte, doveva buttar fuori quei fastidiosi intrusi. Afferrò Bruce per la collottola e lo sbatté nel corridoio. Tom e Holly lo seguirono all’istante, timorosi di subire lo stesso trattamento.

*

-Sei uno stronzo bastardo! Sandy! Puoi anche scappare ma prima o poi mi ricapiterai a portata di mano e allora ti gonfierò di botte!-
-Perché te la prendi con me, Clifford?- gridò di rimando Winter, fermandosi solo quando ebbe raggiunto una certa distanza di sicurezza -Io non ho fatto niente! Ti giuro che non ho fatto niente!-
-Vorresti dire che mi sono incastrato nel letto da solo?-
-Voglio dire che non ti farei mai degli scherzi così stupidi! Lo sai, no? Te ne ho mai fatti? Da quant’è che ci conosciamo?-
Clifford avanzava lungo il marciapiede con un diavolo per capello. Se avesse potuto mettere le mani addosso a Sandy lo avrebbe strozzato.
-Allora vieni qui a spiegarmi chi è stato! Vieni qui a dirmi come ha fatto il colpevole ad aprire la porta!-
Sandy si guardò bene dall’avvicinarsi. Mentre Clifford camminava, lui indietreggiava con l’identico numero di passi, anzi qualcuno in più, curandosi di mantenere tra loro la stessa distanza.
-Non lo so! Mi hanno fregato la card della camera! Io dormivo! Non mi sono accorto di nulla! Non so neppure chi è stato!-
Sandy mentiva spudoratamente, sperando di riuscire a convincere il compagno della propria innocenza. Dietro a Clifford, lui li vedeva, Bruce e i Derrick sogghignavano. Colpa loro! Ma anche di Holly, di Philip, di Tom. Nessuno aveva mosso un dito per fermarli. Eppure lo sapevano che poi Clifford se la sarebbe presa con lui! Che amici! Che egoisti!
-Smettila di agitarti, Yuma.- lo zittì Benji che non ne poteva più di quel teatrino. Stavano percorrendo la strada che dall’hotel portava ai campi e le grida attiravano gli sguardi incuriositi dei passanti.
-Solo quando lo avrò tra le mani!-
-Ci serve per la partita, lo ucciderai in Giappone.- il portiere si prese il tempo di scrutarlo -Cos’è che ti avrebbe fatto, poi?-
-Non gli ho fatto niente!- gridò Sandy che non sapeva più come calmare Yuma -Non gli ho fatto proprio niente! Non sono stato io!-
-Ma a fare cosa, insomma?-
-Niente! Non gli ho fatto niente!-
Evelyn, Amy e Patty camminavano per ultime, dietro ai ragazzi. Evelyn era emozionata perché aveva finito di scrivere le domande per l’intervista a Gentile e ora non le restava che organizzare il tutto. Così non si impicciava e la curiosità di sapere cosa stesse succedendo tra suo cugino e Winter non la sfiorava.
-Jenny mi ha detto che glielo avrebbe chiesto ma poi non mi ha fatto sapere niente! E se lui non è d’accordo? Se non gli va di perdere tempo con me?-
-Non puoi inventarti le risposte?- replicò candidamente Patty -Tanto lui non leggerà mai l’articolo e nessuno di noi farà la spia. Puoi scrivere ciò che vuoi.-
Evelyn spalancò gli occhi.
-Assolutamente no! Non è eticamente corretto!-
-I giornalisti inventano un sacco di fandonie, una più, una meno…-
-No, non lo fanno. Semplicemente interpretano le notizie e speculano sulle informazioni. Un fondo di verità in ciò che scrivono c’è sempre.-
Amy e Patty la guardarono poco convinte.
-Secondo me puoi stare tranquilla. Gentile si lascerà intervistare senza problemi.-
-Allora mi conviene coinvolgere Aoi? O provare con il mio scarsissimo inglese? Non voglio fare una figura del cavolo!- sbuffò -Accidenti! Avrei dovuto applicarmi di più a scuola!-
-Eve, cerca di calmarti. Sei troppo eccitata!-
La ragazza si fermò di botto, costringendo le amiche che l’affiancavano a fare altrettanto per non lasciarla indietro.
-Hai ragione Patty. Lo vedi che effetto mi fa? E se non riuscissi a controllarmi e gli saltassi addosso? Credi che se la prenderebbe?-
-Lui non so. Bruce sicuramente sì.-
-Bruce è abituato. Non sai quante volte ci siamo traditi!-
Amy spalancò gli occhi, i piedi di Patty si incollarono sul marciapiede.
-Stai scherzando?-
-Eve, stai dicendo sul serio? Hai tradito Bruce?-
Le amiche si guardarono incredule ed Evelyn capì che certe informazioni private sarebbe stato meglio lasciarle tali.
-Sì, be’… è successo un paio di volte… Lui  s’è fatto beccare e io l’ho ripagato con la stessa moneta. Tanto perché si dia una regolata.-
-Bruce ti tradisce e tu lo tradisci…- Patty scosse la testa -Cosa ci state a fare insieme?-
-Ci amiamo, Patty. A modo nostro.-
Evelyn era serissima e loro non riuscivano a credere a ciò che avevano appena scoperto.
-E poi…- proseguì lei senza vergogna -Vi posso assicurare che il sesso che facciamo dopo i reciproci tradimenti ha una marcia in più. È fantastico! Per questo sono sicura che quando Philip e Jenny torneranno insieme si divertiranno un sacco. Se sapessero cosa li aspetta forse eviterebbero di perdere tutto questo tempo.- guardò le amiche pensierosa -Secondo voi è il caso che lo dica a Jenny? O almeno a Philip? Si sa che i maschi sono molto più interessati alla fisicità di noi… Oddio, quanto a fisicità io non mi tiro mai indietro e poi Philip non è male, anzi…-
-Eve, cosa stai blaterando?-
Lei rise.
-Niente, niente, Patty. La mia mente è eccitata dall’intervista a Gentile. Sto sragionando, non fatemi caso.- allungò il passo e le lasciò indietro.
Patty e Amy si guardarono.
-Tu cosa hai capito?-
-Lei e Bruce stanno davvero insieme?-
-A quanto pare…-
-E lui l’ha tradita.-
-A quanto pare...- ripeté Patty -Chissà con chi!-
-Piuttosto non è che Evelyn ha un debole per Philip?- Amy si grattò un braccio perplessa -Eve sta addosso a Philip da quando siamo arrivati. Sembra che abbiano un segreto da condividere. Cerca di capire quale, Patty. Evelyn con te si confida molto più che con me.-
-Sarà sicuramente qualcosa legato al suo lavoro.-
-Non lo so. Hai sentito cosa ha appena detto di lui?-
-Le stesse identiche cose che direbbe di Mark, di Gentile e di qualsiasi maschio appena decente. Non devi darle retta, vedrai che dopo l’intervista si darà una calmata.-
-Speriamo.-
Raggiunsero le panchine mentre i ragazzi sparivano negli spogliatoi.
-Sto morendo di fame. Nessuno ha niente da mangiare?- domandò Sandy con una voragine nello stomaco che si faceva più profonda ogni minuto che passava. Il terrore di Clifford lo aveva tenuto lontano dal tavolo della colazione.
-Una gomma da masticare ti va bene?- domandò Paul Diamond frugando nella borsa -Anzi no, le ho finite ieri…-
Winter aspettò ancora qualche istante speranzoso, ma nessuno tirò fuori niente di commestibile.
-Vai dalle ragazze e fatti comprare qualcosa al bar.- suggerì Philip -Non puoi allenarti a stomaco vuoto.-
-L’esperienza insegna.- commentò Benji quasi per caso.
-Ho già il promemoria del cellulare a ricordarmi le cose.- replicò l’altro -Non c’è bisogno che lo fai anche tu.- spostò gli occhi su Winter -Se devi andare, datti una mossa.-
Sandy annuì e si diresse verso la porta, passando rasente al muro per non finire a portata di Clifford.
-Avresti dovuto lasciarlo mangiare.- lo rimproverò Philip.
-Non gli ho mai detto di non fare colazione.-
-Ma gli sei stato con gli occhi addosso tutto il tempo. Sarebbe passata la fame anche a me.-
-Problemi suoi.-
-No!- lo corresse Philip -Problemi nostri!-
-Tuoi meno di tutti!- replicò il compagno polemico.
-Clifford, vuoi litigare?-
Yuma colse l’occhiata di disapprovazione di Holly, borbottò qualcosa e chinò la testa nella borsa per tirare fuori gli scarpini.
-Che avete tutti? Siete nervosi per la partita? Avete paura di perdere?-
-Taci Price. Non mi serve il tuo sarcasmo. Sono già abbastanza incazzato per lo stupido scherzo di stanotte.-
Gamo e Marshall entrarono negli spogliatoi euforici, così felici ed eccitati che non notarono l’atmosfera bellicosa che impregnava l’ambiente. I ragazzi ebbero tutto il tempo di riacquistare una parvenza di civiltà, rendendo impossibile ai due intuire le discussioni che, senza saperlo, avevano appena interrotto.
-Finalmente è arrivato il nullaosta di Holly!-
Tra tutti il più entusiasta, più entusiasta persino del neocapitano, fu Philip. Il peso della squadra, che portava sulle spalle ormai da troppo, svanì in un istante. Si sentì più leggero, più sollevato e persino più felice.
-E abbiamo anche un’altra ottima notizia.- Gamo agitò in aria un foglio -Questa è la formazione che schiererà l’Italia durante la partita di domani.-
Julian cadde dalle nuvole.
-Non l’hanno ancora ufficializzata! Come fa ad averla?-
-Abbiamo un’informatrice sulla panchina italiana, se non ve n’eravate accorti.-
Holly ci rimase male.
-Per vincere l’Italia non abbiamo bisogno di conoscere in anticipo la formazione.-
-Certo che no.- si trovò d’accordo Gamo -Ma io ne ho bisogno per sapere chi far scendere in campo.-
Benji si rivolse al mister ma fissò Warner.
-Si sa già chi scende in campo: i soliti, ovviamente. Squadra che vince non si cambia.-
Il secondo portiere della nazionale giapponese colse al volo il messaggio. Quello era il giorno decisivo, l’ultimo, per pretendere da Gamo ciò che gli aveva promesso in Giappone. Aveva aspettato anche troppo. Se ne sbatteva altamente che Price fosse il cocco di Marshall. La partita del giorno successivo era una stupida amichevole e se non l’avessero fatto entrare in campo neppure contro l’Italia, era deciso a mollare tutto. Si accorse che Marshall lo guardava e notò anche che gli occhi dell’allenatore rimasero fissi su di lui finché non lasciò gli spogliatoi insieme a Gamo, molto più pensieroso e molto meno entusiasta di come vi era entrato.
-Caro collega, urge una riunione.- camminando accanto a Gabriel, Freddie raggiunse le panchine.
-Per parlare di cosa?-
-Di quello che hai appena detto ai ragazzi.-
-Ne ho usate parecchie, di parole. A cosa ti riferisci in particolare?-
-Alla formazione che faremo scendere in campo.-
-La solita, come ha detto Benji. Dov’è il problema?-
-Non credi sia il caso di far giocare anche qualcuna delle riserve? Del resto si tratta solo di un’amichevole.-
Gamo si bloccò e lo fissò con uno sguardo spiritato.
-Anche se è solo un’amichevole dobbiamo vincere, ne va della nostra reputazione.-
-Warner si aspetta di giocare. Glielo abbiamo promesso.-
-Soltanto perché ci ha minacciati di non venire in Italia. E se Benji in questi giorni si fosse infortunato? Chi avremmo messo in porta?-
-Benji non si è infortunato e noi la promessa l’abbiamo fatta.-
-Se la pensi in questo modo spiegami cosa abbiamo chiesto a fare il nullaosta di Price.-
-Ce lo hanno concesso prima ancora che lo chiedessimo.- cosa che Freddie si era ben guardato dal rivelare al ragazzo.
-Fatica risparmiata. Quello di Holly lo abbiamo preso pelo pelo…-
-Già. Mi viene da pensare che per svincolarlo, Van Saal aspettasse la partita della Liga. Forse voleva essere sicuro che rientrasse a Barcellona per l’incontro. Ma non divaghiamo. Warner deve scendere in campo per uno dei due tempi. Mi sembra equo.-
-Questa partita voglio vincerla.-
-L’Italia non ha grandi attaccanti, Warner può difendere la porta per quarantacinque minuti e se anche prendesse un goal, ci sarebbe tutto il secondo tempo per rimontare.-
Gamo tacque, come per riflettere.
-Fammi capire perché stento a seguirti, Freddie. Preferisci tenere in panchina il tuo pupillo e mettere in porta Ed Warner?-
-A tutti bisogna dare l’opportunità di giocare e a Benji un po’ di umiltà non può fare che bene.-
-Non sarò io a dirglielo.-
-Per questo dobbiamo fare una riunione con Holly e Philip.-
-Già, Philip. Fortuna che almeno i valori delle sue analisi sono risultati regolari.-
-Li hai già?-
-Ce li ha portati poco fa il medico della nazionale italiana.-
-Glielo hai detto?-
-A chi?-
-A Philip. Lo hai avvertito?-
-No, glielo dirà Hills durante la pausa.- Gamo riavvolse il nastro del suo ragionamento e tornò al problema precedente -Quello che volevo dirti, caro collega, è che non credo abbia senso una riunione con Holly e Philip. A Callaghan importa molto poco della squadra, soprattutto ora che la fascia è passata a Holly.-
-Non essere cinico. Philip ha ricominciato a darsi da fare, l’hai visto da te. E poi è sempre il vicecapitano e può essere un appoggio per Holly, se Warner e Price fanno storie.-
-Nel senso che lo diranno loro a Warner e Price?-
-Era esattamente questo che avevo in mente. Tra di loro sanno gestirsela meglio.-
Gamo osservò i ragazzi che in gruppi sparsi uscivano dagli spogliatoi pronti a iniziare gli allenamenti.
-Va bene, facciamo come dici tu.-
Bruce si scolò mezza bottiglietta d’acqua mentre percorreva il bordocampo.
-Se bevi adesso, tra mezz’ora rompi le palle che devi andare in bagno.-
-Non posso farci niente, Julian, se il caffè mi fa venire sete.- rimise il tappo e agitò l’acqua fino a farla schiumare -A Jenny la formazione l’avrà data Gentile?-
-Stai zitto Bruce!- lo mise a tacere la voce di Holly da dietro -Non voglio saperne nulla, non voglio neppure sentirne parlare…-
-Se non gliel’ha data Gentile chi gliel’ha data?-
-Certo che è stato Gentile. Chi altri avrebbe potuto farlo?-
Bruce spostò gli occhi su Clifford e scosse la testa.
-Allora deve avergliela data sbagliata.-
Tom, che procedeva dietro di loro insieme a Holly, borbottò qualcosa d’incomprensibile. Si volsero.
-Che hai detto?-
-Ho detto che se è così gli italiani ci hanno fregati due volte perché state sicuri che Gamo si farà condizionare dai maledetti undici nomi che sono scritti su quel foglio.-
-Io dico che la formazione è giusta.- s’intromise Benji giocherellando pensieroso con il cappellino.
-Purtroppo ha ragione Price.- fu costretto a trovarsi d’accordo Mark -Nella mente di quel tronfio di Gentile, il fatto che conosciamo la formazione ufficiale è del tutto ininfluente. Sono così convinti di batterci che i nomi che Gamo ha tra le mani sono sicuramente quelli giusti.-
-Così se tante volte dovessimo perdere, abbiamo anche l’aggravante.-
-Non dirlo neanche per scherzo, Ralph.- Holly si sentì rabbrividire -Noi non perderemo contro l’Italia.-

*

-Jenny, devi assolutamente farmi un favore.-
Il tono di Evelyn risuonò così accorato da spingere l’amica a posare gli occhi su di lei attraverso lo specchietto retrovisore. Guidava la Giulietta rossa di Salvatore che lui le aveva prestato per andare a visitare una reggia ad alcuni chilometri dalla città.
-Che favore?-
-Devi convincere Gentile a rilasciarmi l’intervista.-
-Ti ha detto di no?-
-Veramente non gliel’ho ancora chiesto.-
-E cosa aspetti?-
-Che lo faccia tu per me.-
-Devo dire a Gentile che vuoi intervistarlo?-
-Il mio inglese fa schifo, se mi sentisse parlarlo morirebbe dalle risate.-
-E in che lingua pensi di fargli le domande?-
-In italiano, con Rob a farmi da interprete.-
-E allora chiedi a Rob di dire a Gentile che vuoi intervistarlo.-
-Perché non lo fai tu?-
Patty intervenne.
-Eve, mi spieghi perché alla rivista per cui lavori interessa proprio Gentile?-
-Veramente all’inizio mi avevano detto di scegliere un giocatore qualsiasi e che avrebbero inserito il mio articolo nel solito buco risicato nelle ultime pagine.- le sfuggì una smorfia di amarezza -Per loro non faceva differenza, un giocatore valeva l’altro. Sono stata io a scegliere Gentile e ci ho visto giusto. Grazie a Steiner, in redazione hanno scoperto che un giocatore dell’Italia ha una ragazza giapponese e adesso non solo la mia intervista è stata spostata nelle primissime pagine, ma muoiono dalla curiosità di sapere che tipo è.-
Jenny le lanciò un’occhiata contrariata.
-Quindi hai intenzione di fargli domande su di me?-
-Il minimo indispensabile. Magari solo la conferma che state insieme…- intercettò l’espressione non proprio gioiosa dell’amica -Ti sto facendo un favore, Jenny. Almeno Steiner la finirà con le sue insinuazioni.-
Lei trasalì e si chiese se Evelyn avesse letto l’articolo che tanto aveva cercato di nascondere. Abbassò gli occhi e le sue guance si arrossarono.
-Non mi fido.-
-Jenny! Ti ho mai delusa?-
-No.- fu costretta ad ammettere. Evelyn ne aveva avuto a bizzeffe di materiale su di lei in quegli ultimi due anni. Eppure non aveva mai scritto nulla, lasciando che altri colleghi le soffiassero scoop e notizie, rispettando non solo la sua privacy ma anche quella di tutti gli altri. -Quando torniamo glielo dico. Vuoi intervistarlo prima o dopo la partita?-
-Meglio prima. Se risulta una persona interessante e se la mia intervista piace, forse troveranno spazio anche per un articolo dopo la partita.- rifletté un istante -Non devi lasciarlo parlare con Steiner. L’esclusiva voglio averla io.- per quel pezzo il suo giornale le aveva promesso un compenso superiore al solito e non voleva lasciarselo sfuggire.
Jenny scoppiò a ridere.
-Se anche Steiner ci provasse, sono sicura che Salvatore non gli risponderebbe. Al massimo lo prenderebbe a pugni.- aspettò che le amiche smettessero di ridere, poi proseguì -A proposito di interviste, una rivista italiana vorrebbe farmi qualche domanda… e qualche foto.-
-Davvero?- Patty si volse a guardarla -Qualche domanda su cosa?-
-E che tipo di foto?- rincarò Amy.
Evelyn rispose per Jenny.
-Sicuramente su Gentile. Se a me chiedono di intervistarlo perché ha una ragazza giapponese, a lei chiederanno un’intervista visto che è la sua fidanzata.-
-Non siamo fidanzati, Eve.-
-Era soltanto un sinonimo.-
-Cerca di non usarlo per i tuoi articoli.-
-Se vuoi un consiglio, Jenny…- riprese Patty -Lascia perdere l’intervista. Se la fai una volta, poi non ti mollano più.-
Jenny arrossì di vergogna.
-Mi hanno offerto tremila euro. Non sono proprio da buttare, in questo momento.-
-Accidenti! Che domande sono? Hai idea?-
-Le foto, Jenny.- s’impuntò Amy.
-Non ne so nulla. Me lo ha detto Dario Belli. Qualcuno deve avergli passato la richiesta.-
-Allora parlane con Gentile e senti cosa ti consiglia. Di interviste se ne intende più di tutte noi.- -Gliene ho già parlato e mi ha detto di accettare.- ammise Jenny.
-E allora dov’è il problema?-
-E se poi ad alcune domande non voglio o non posso rispondere?-
-Mica sei obbligata a farlo. Le accantoneranno e te ne faranno altre. Perché secondo te io per Gentile ne sto preparando così tante?-
-Prima di accettare fatti dire che tipo di foto vogliono.- si fece sentire di nuovo Amy -Non si sa mai.-

Tom era di umore tetro e non gli andava di parlare né con Amélie né con nessun altro. La ragazza il giorno prima lo aveva chiamato due volte ma lui aveva lasciato che il telefonino squillasse a vuoto. Dopodiché non era riuscito neppure a trovare la voglia di richiamarla. Lei, quella mattina, gli aveva scritto un messaggio di scuse, convinta che Tom non le avesse risposto perché era arrabbiato. Non era così, o non soltanto questo. Aveva cose più importanti nella testa e il litigio con la ragazza era passato in secondo piano.
Però doveva risponderle e per farlo poteva approfittare della breve pausa tra una tranche di allenamento e l’altra, se solo fosse riuscito a farsi venire in mente qualcosa da scriverle. Mentre ci pensava, quasi per un collegamento misterioso con la sua mente, il cellulare prese a squillargli in mano. Abbassò gli occhi sul display. Non era Amélie, era sua madre. Non seppe se esserne contento, comunque le rispose rifugiandosi dall’altro lato del campo. 
Benji lo vide sgusciare via silenzioso, cercando di passare il più possibile inosservato.
-Ormai è assodato che quella di Tom è una relazione telefonica.-
-Tipo quelle ragazze da contattare a pagamento?- buttò lì Patrick ingenuamente -Quelle delle telefonate erotiche?-
-Non mi pare un buon momento questo, per una telefonata erotica.-
-Se è una cosa rapida, può anche andar bene.-
-Ma quando si chiamano quei numeri, si può parlare sempre con la stessa ragazza? Oppure ogni volta risponde una diversa?-
-Provaci Sandy, così lo scoprirai.- lo schernì Yuma facendolo arrossire. Aveva smesso di minacciarlo ma nei suoi confronti continuava a tenere un atteggiamento ostile.
-A me per esempio non piacerebbe un rapporto con una persona che non posso guardare in faccia.-
Clifford fissò James Derrick dall’alto in basso.
-Però se ci pensi bene, per te e per tuo fratello è l’unica soluzione. A voi una donna o ve la dà a pagamento o per altruismo.-
Benji li ascoltava divertito. Era successo di nuovo. Lui lanciava una battuta idiota e quei caproni dei compagni tutti dietro a ricamarci su. Oltretutto Tom, che aveva ripreso a scaldarsi e a gesticolare né più né meno come aveva fatto durante la festa di alcuni giorni prima, aggiungeva altro materiale alle loro idiotissime speculazioni.
-Deve essere sicuramente la sua ragazza, ci sta di nuovo litigando.-
-Quindi la ragazza di Tom è una di quelle delle telefonate erotiche?-
-Che senso ha pagare una telefonata solo per litigare?-
-Se dovessi avere un rapporto di questo tipo con la mia fidanzata, preferirei lasciarla.- decretò Jason Derrick.
-Nella rara eventualità che trovassi una ragazza e che lei decidesse di frequentarti, ti converrebbe tenertela pure solo per litigarci.- lo schernì Benji.
-Fanculo!-
Tom tornò verso di loro passandosi una mano sul viso e tra i capelli. Si accorse che lo fissavano tutti, soprattutto Benji, con il cappellino sbilenco, un sopracciglio alzato e tutte le intenzioni di lanciarsi in qualche sua sgradevole riflessione. Si difese andando all’attacco. Tese un braccio e puntò il cellulare contro di lui.
-Non ci provare! Non provare a dirmi quello che stai per dirmi!-
La reazione del portiere fu quella di fissarlo come se fosse pazzo, la reazione di Tom, quella di allontanarsi. Gli amici lo seguirono con gli occhi pieni di curiosità e di domande.
-Cos’è che stavi per dirgli, Benji?-
-Non stavo per dirgli proprio niente. Mi sono assolutamente censurato, non te ne sei accorto Holly?-
Il capitano lasciò perdere tutti per inseguire l’amico. Ci mancava solo che Tom desse di matto e poi erano a posto.
-Che ti prende?-
-Niente mi prende!-
Gli si affiancò.
-Stavi litigando di nuovo con la tua ragazza?-
-Certo che no! Era mia madre!-
La preoccupazione di Tom trovò finalmente uno sbocco nel rispettoso silenzio di Holly. Non era la prima volta che gli confidava i suoi problemi di famiglia e forse fu proprio per questo che gli risultò più facile parlare.
-Mio padre sta invecchiando.- incrociò il suo sguardo e sospirò -Sì, lo so che è normale. Che i genitori invecchino, intendo. Ma quando succede non siamo mai pronti. Tu l’hai conosciuto, mio padre. Lui è sempre stato uno spirito libero, le necessità domestiche e quotidiane di mia madre non sono riuscite a ingabbiarlo. Lei cercava tutta la stabilità che mio padre non avrebbe mai potuto darle.- Tom era un fiume in piena. Non interruppe il suo sfogo neppure per riprendere fiato -A lui è sempre piaciuto dipingere e viaggiare, viaggiare e dipingere. Ma più va avanti con gli anni e più viaggiare diventa logorante. E quando un fisico è logorato, cede più facilmente…-
Holly lo fissò.
-Tuo padre sta male?-
-È in ospedale.-
-Tom, mi dispiace.-
-Il problema è che vorrei essere lì e invece sono qui e temo che mia madre minimizzi solo per non farmi preoccupare.-
-Quindi è per questo che sei nervoso…- Holly si ficcò le mani nelle tasche -Pensavamo tutti che fosse per colpa della tua ragazza che ti ha dato buca.-
-In realtà non mi ha dato buca.- si guardò la punta degli scarpini -Non mi ha mai promesso che sarebbe venuta. Non è più tanto la mia ragazza, visto che non ci vediamo mai. Ma mi avrebbe fatto piacere vederla. Evidentemente a lei no.-
-Quindi cos’è successo a tuo padre?- chiese una terza voce.
I due si volsero.
-Philip! Stai origliando?-
-Io? Ero qui prima di voi e siete voi a non avermi visto! Anzi, grazie per la considerazione!- sbuffò innervosito -Ultimamente sono stato poco presente, lo ammetto, ma da qui a diventare invisibile!-
A Holly venne da ridere ma non lo fece per rispettare i problemi di Tom. 
-Mio padre è svenuto mentre dipingeva sotto il sole e mia madre l’ha saputo soltanto perché lei è stata l’ultima persona che mio padre ha sentito. Quando l’hanno soccorso hanno chiamato il primo numero che hanno trovato memorizzato sul cellulare.-
-Ci hai parlato?-
Tom annuì.
-Un attimo fa. Mia madre era da lui in ospedale e me lo ha passato. Ha detto che sta meglio, anzi si sente benissimo e non vede l’ora di uscire. Lo terranno sotto osservazione ancora un giorno poi lo rimanderanno a casa. Il problema è che mia madre ha la sua famiglia mentre mio padre deve cavarsela da solo finché non torno. Dopo, chissà…-
-Vedrai che le cose si aggiusteranno.- gli sorrise Holly fiducioso -Comunque Benji non voleva dirti niente.-
-Davvero? Strano. Ha sempre la lingua che gli prude e in questo periodo che le cose gli stanno andando male, anche più del solito.-
-Come tanti altri.- sospirò Philip, decidendo di lasciare il suo eremo di riflessiva solitudine per riunirsi con loro al resto della squadra -Secondo me è meglio se dici che il problema non è la tua ragazza ma tuo padre, così la smettono di costruirsi fantasie inutili e di romperti le scatole.-
-I problemi della mia famiglia non devono riguardarli.-
-Neppure i miei con Jenny e invece stanno sempre a metterci bocca.-
Le occhiate curiose con cui la squadra riaccolse Tom caddero nel vuoto. Lui ignorò il loro interesse, posò il cellulare sul tavolino e si sedette sull’erba accanto a Benji, tanto per mettere in chiaro che non aveva niente contro di lui. Il portiere gli lanciò un’occhiata disinteressata e tornò a fissare Warner, seduto ai tavolini esterni del bar insieme a Freddie e Gamo.
-Perché li stai guardando?-
-Sto aspettando che Warner passi loro la busta.-
-Che busta?-
-Quella con cui li corrompe per giocare contro l’Italia. Quanto sgancerà secondo te?-
Holly scosse la testa. Tom aveva ragione, Benji era sempre strapronto a polemizzare.
-Tra poco te lo farò sapere.-
Benji lo vide raggiungere con Philip lo stesso tavolino rotondo e prendere posto ai due lati di Warner. Gli sfuggì un fischio di sorpresa.
-È davvero una riunione in grande stile!-
-Se sono tutti contro di te non hai speranze.- lo mise in guardia Bruce.
La preoccupazione non lo sfiorò.
-Se vogliono perdere l’amichevole, facciano pure.-
Amy era di tutt’altro avviso e anche molto preoccupata. Che Benji non scendesse in campo non sarebbe stato un buon messaggio da indirizzare al mister dell’Amburgo. Possibile che lui non lo capisse? Oppure era così sicuro di sé che quel pensiero non lo sfiorava? Non fremeva per tornare a giocare nella sua squadra tedesca? Da quante settimane riscaldava la panchina? E per quante altre settimane sarebbe stato costretto a farlo? Sospirò piano e quando alzò gli occhi si accorse che Julian la fissava. Lei accennò un sorriso, poi il suo sguardo tornò a posarsi su Benji, che aveva ripreso a parlare.
-Gamo vuole vincere e Freddie è dalla mia parte. Warner non ha speranze.-
Lo stomaco di Bruce brontolò per la fame.
-È quasi mezzogiorno.-
Jason Derrick occhieggiò i cellulari posati sul tavolo tra le bottiglie vuote e gli asciugamani e rise di gusto.
-Come al solito hai ragione! Con te si può regolare l’orologio!-
-Stasera Amy vuole andare a pattinare.- li informò Julian -Secondo voi ci fanno uscire?-
Tom scosse la testa.
-Scherzi? Domani c’è la partita. Questa volta neppure Jenny riuscirebbe a convincere Gamo.-
-Forse prima di dargli la formazione sì, avrebbe potuto ricattarlo.- Benji rise -è incredibile quanto vada d’accordo col mister! Ci avete fatto caso?-
-Oh per favore!- sbottò Julian -Non inventarti un’altra storia!-
-Una storia su Jenny? C’è già qualcuno che viene pagato per farlo e ci riesce molto meglio di me.- con un cenno del capo indicò Bill Steiner, appoggiato alla recinzione del terreno di gioco degli italiani, in una mano la macchinetta fotografica, gli occhi puntati sull’ingresso ai campi. Mark non lo aveva neppure notato.
-Come diamine fa ad entrare sempre?-
-Landers, perché non mandi via quel giornalista?- Gentile era in piedi oltre la recinzione, a scolarsi una bottiglietta d’acqua -Io ci ho provato e non ha funzionato. Provaci tu in giapponese.-
Mark gli si avvicinò scuotendo la testa.
-Jenny non c’è e preferisco ignorarlo.-
-Si sta rammollendo, vero Matteo?-
-Se lo dici tu…- a Solari poco interessava provocare Mark. Incrociò le braccia e annusò l’aria. L’inconfondibile aroma che gli giunse alle narici lo fece voltare di scatto. Sgomitò Dario che teneva gli occhi bassi, sul display del cellulare.
-Qualcuno sta fumando!-
Belli sollevò la testa di scatto.
-Chi può essere tanto deficiente da farlo proprio qui, adesso?-
-Deve essere quell’idiota di Alex. Ha sempre le tasche piene di fumo.-
Dario lasciò a metà il messaggio che stava scrivendo. 
-Vado a vedere. Se lo beccano ci ripassano tutti.-
-Fatti una tirata, piuttosto.- gli gridò dietro Salvatore -In questi giorni mi pari esageratamente teso.-
Dietro l’edificio degli spogliatoi, accoccolati sui talloni, Francesco Boni e Alex Marchesi s’erano appena fumati una sigaretta a testa e adesso erano pronti a dividersi una  canna.
-Guarda un po’ qua.- disse Alex, ficcandosi ciò che restava della sigaretta tra le labbra per tastarsi i fianchi -Dove l’ho messa? Ah, eccola!- tirò fuori una busta di carta e l’aprì, per mostrare al compagno cosa c’era dentro. Palline marroni, piccole come chicchi di riso, mescolate a steli essiccati.
-Cos’è?-
-Marijuana non fecondata.-
-E che differenza c’è tra questa e quella normale?-
-Niente. È tanto per tirare una cosa diversa.- rispose Alex spegnendo la sigaretta in mezzo all’erba. Prese dalla tasca un pacchetto di cartine di cui si era anticipatamente premunito, insieme a tutto il resto, facendo un salto negli spogliatoi. Ne sfilò tre e le incollò insieme.
-Dove l’hai rimediata?- volle sapere Francesco, tastando e annusando il contenuto della busta.
-Si dice il peccato ma non il peccatore. Da uno che può procurarti qualsiasi cosa, anche l’ero se la vuoi.-
-No, grazie.-
-Infatti.- Alex rollò la canna, leccò il bordo delle cartine per sigillarlo, sistemò meglio il filtro e arrotolò la punta. Poi tese la mano per farsi passare da Francesco l’accendino, fece un bel tiro e soffiò una lunga scia di fumo -Una favola!- fu preso da un giramento di testa fortissimo, che lo fece vacillare sulle gambe piegate. Esalò il fumo ridendo e porse il bastoncino al compagno. 
Francesco inalò a sua volta e sorrise. Poi fece un altro tiro, passò di nuovo la canna nelle dita di Alex e assaporò quella sensazione di benessere. 
-Mitico.-
-Mitico un cazzo!-
-Ciao Dario.- Francesco alzò gli occhi e rispose, molto più pacato di quanto fosse opportuno.
-Ciao cosa? Che accidenti state combinando?- era una domanda retorica perché lo vide da solo, anzi lo annusò. Li punì ciascuno con un ceffone ben piazzato sulla nuca, augurandosi di schiarire così le idee a quei due beoti.
-Non solo le sigarette, pure le canne! Dove credete di essere? In Colombia?-
Il bastoncino finì tra l’erba e Alex gemette.
-No! Che spreco!- allungò una mano per recuperarlo ma Dario lo schiacciò con lo scarpino, afferrò il compagno per un orecchio e tirò forte.
-Se ci provi ti scotenno!- tenendolo stretto, agguantò la divisa di Francesco e li trascinò insieme verso le panchine, continuando a minacciarli -Se vi ripesco a fare una cosa del genere vi metto a centrocampo e vi prendo a calci in culo al posto della palla finché non finite nella rete!- diede uno strattone all’orecchio di Alex che ululò di dolore.

*

-Bruce, ti sei bevuto il cervello? Che diavolo stai facendo?
Lui sobbalzò di spavento, Holly lo fissava con gli occhi di fuori e una tale disapprovazione che rinunciò all’istante, senza protestare. Del resto non avrebbe potuto dirgli che non stava facendo ciò che lo aveva beccato a fare perché stringeva i soldi in una mano ed era quasi il suo turno per pagare l’affitto dei pattini. 
-Domani c’è la partita o te ne sei dimenticato?- lo trascinò via -Se ti fai male chi glielo dice a Gamo?-
-Perché io no e Philip sì?-
-Philip?-
-Sì, Philip! Philip Callaghan, hai presente?- scimmiottò -Lui può farlo perché è il vicecapitano?-
-Io non l’ho visto Philip! Dov’è? Dov’è?-
-In pista da almeno dieci minuti!-
Holly mollò Bruce e si aggrappò alle transenne, fendendo la folla con lo sguardo in cerca del compagno. Se Philip si trovava là dentro, ed era sicuro che ci fosse, era davvero un irresponsabile. Il fatto che sapesse pattinare non era una scusa. Un incidente poteva capitare a chiunque, anche ad un campione olimpionico, cosa che Philip di certo non era.
Lo vide attraversare la pista di ghiaccio sintetico ad una velocità che gli fece prendere un mezzo colpo. Fendette la gente, superò un paio di ragazzine che si tenevano per mano, fece la curva piegandosi di lato e pattinando per un tratto all’indietro, poi puntò senza saperlo proprio verso di lui. Gli si avvicinò ignaro e quando fu a pochi metri, si sentì chiamare.
Philip lo individuò ma non si fermò, anzi aumentò di velocità. Holly sentì lo spostamento d’aria, lo vide sogghignare ironico e sventolare una mano a schernirlo. Poi si confuse tra gli altri pattinatori e per un attimo non lo vide più. Quando lo ritrovò faceva la spola tra una sponda e quella opposta dall’altro lato della pista, così lontano da lui che era inutile, con la musica sparata dagli altoparlanti, tentare ancora una volta di richiamarlo.
Benji si accostò a Holly con fare annoiato. Invece di andare lì a vedere la gente esibirsi in piroette, non sarebbe stato meglio infilarsi in qualche accogliente locale e gustarsi tipiche specialità italiane? Posò i gomiti sulle transenne e appoggiò il viso sul palmo di una mano.
-Io continuo a non trovarlo divertente.-
-Perché non sei capace.-
Il portiere gli lanciò un’occhiata storta che lampeggiò sotto la visiera del cappellino.
-Pure tu sui pattini non splendi.-
Era il dopocena di un giorno feriale ma c’era comunque molta gente. Soprattutto ragazzi e ragazze che passeggiavano in gruppi e coppie sotto i portici, tenendosi per mano o scherzando tra loro. Ben vestite e truccate, alcune italiane erano veramente carine. Benji le osservava e dava un voto a ciascuna di loro. Parecchie avevano una sufficienza piena. Passò ad esaminare le pattinatrici, più vicine e meglio illuminate dalle luci della pista, ma prima di dare un giudizio doveva aspettare almeno due giri.
Scorse anche Philip andare di qua e di là senza pace, irrequieto e scontento tale e quale era stato in quegli ultimi giorni. Benji si chiese se persino la pista di pattinaggio lo facesse pensare a Jenny. Per lui era impossibile non collegarla al loro ritiro invernale di qualche anno prima. Ricordava benissimo soprattutto la notte in cui si era ritrovato in compagnia di Landers sulla superficie gelata di quel maledetto lago. Era stata una notte insonne, gelida e faticosa che gli aveva procurato più lividi e ammaccature che altro. Una nottata in bianco che avrebbe potuto risparmiarsi visto che tenersi in equilibrio sui pattini non si era dimostrato poi così difficile.
-Saresti dovuto rimanere in hotel con la tua ragazza, Harper, visto che non si sentiva bene.-
Quello alzò le spalle.
-Stava benissimo, le serviva solo una scusa per sganciarsi e lavorare. Non sta facendo altro, da quando è arrivata. Sempre attaccata a quel pc.-
-E tu? Tu non sei qui per lavorare?-
Philip vide Amy e Patty scendere in pista sostenendosi a vicenda e avanzando malferme sui pattini. Le raggiunse con una curva spericolata e deviò dalla loro traiettoria solo all’ultimo istante. Si fermò ad un passo, le braccia incrociate sul petto, e le fissò serio.
-Mi sembrava che foste capaci.-
Amy arrossì di vergogna.
-Dobbiamo solo riprenderci la mano.-
Philip gliela tese, una mano.
-Se vuoi ti faccio fare un giro come si deve.-
La giovane lo guardò indecisa, poi accolse l’invito e si aggrappò al suo braccio. Lui non le diede neppure il tempo di prepararsi. Si spinse sui pattini con forza e trascinò Amy in una folle corsa tra la gente. Fecero il giro largo della pista in un secondo e quando furono di nuovo davanti a Patty,  Amy, con il cuore che le martellava nel petto e nelle orecchie, alzò su Philip uno sguardo lucido di divertimento.
-Fantastico! Lo rifacciamo?-

Salvatore Gentile quel giorno non riusciva a togliersi dalla testa la sua ex. Clarissa non avrebbe dovuto presentarsi al centro sportivo, non avrebbe dovuto farsi vedere. Si erano già incontrati alla festa di beneficenza e per lui quello scambio fugace di sguardi era stato più che sufficiente. Se il giorno prima non avesse avuto la pessima idea di presentarsi al campo, lui avrebbe potuto risparmiarsi di parlarle in quel modo odioso. Non avevano più niente a che fare l’uno con l’altra ed era inconcepibile che Clarissa fosse andata a cercarlo dopo ciò che gli aveva fatto. Non voleva più vederla, non voleva rivolgerle la parola e non voleva più neanche sentire parlare di lei. Gentile poteva dimenticare tutto tranne un tradimento e, in particolare quello di lei, gli era rimasto impresso a fuoco. Essere tradito dalla persona che amava, nella quale aveva riposto la massima fiducia, l’unica che gli aveva smosso qualcosa dentro, l’unica che gli era mancata in ogni istante quando non avevano potuto vedersi. L’unica che aveva dato un senso ai suoi divertimenti, perché condividevano lo stesso tipo di svaghi. L’unica con cui a volte non c’era stato bisogno di parlare, perché avevano in testa gli stessi identici pensieri e la loro intesa era risultata perfetta. Essere tradito da Clarissa era stato, in una parola, devastante.
Quella sera Salvatore era particolarmente silenzioso. Da quando erano in macchina aveva detto pochissime parole. Mark si era convinto che ce l’avesse con lui ancora per la foto, anzi, per il bacio, mentre Jenny aveva trovato nel suo silenzio un qualcosa di malinconico e aveva preferito rimanere zitta. 
Gentile parcheggiò nelle strisce blu. Spense la macchina, scese e si frugò nelle tasche in cerca di qualche spiccio da inserire nel parchimetro.
-Non dirmi che hai intenzione di pagare il parcheggio. Sarebbe la prima volta che lo fai da quando ti conosco!-
Salvatore lanciò a Landers appena uno sguardo.
-Sono meno incivile di quanto pensi.-
-Lascialo in pace, Mark.-
Lo guardarono infilare i soldi nel parchimetro, ritirare la ricevuta e tornare verso la macchina per posare il biglietto sul cruscotto. Landers si stancò di aspettarlo e attraversò la piazza per raggiungere i compagni che aveva visto sparpagliati lungo i bordi della pista di pattinaggio.
Jenny invece preferì attendere Salvatore. Quando lui la raggiunse, le circondò le spalle con un braccio.  
-Sai pattinare, Jenny?-
-Mi piace un sacco. Tu?-
-Sì, ma stasera non ne ho voglia.-
-E allora cosa siamo venuti a fare?-
-Ho accompagnato te.-
Mescolato alla folla Philip percorreva avanti e indietro la pista. L’adrenalina era in circolo e un sacco di cose gli frullavano nella mente senza dargli modo di concentrarsi su niente di preciso. Eppure lui avrebbe tanto voluto mettere ordine in quella moltitudine di pensieri che gli svolazzavano incessantemente nella testa. Era un groviglio di buoni propositi, intenzioni, ricordi antichi e recenti che si incastravano gli uni agli altri in modo completamente casuale, senza un ordine, creando ancor più confusione. La sua testa era un puzzle da montare i cui pezzi erano così mescolati che non riusciva a trovarne neppure due che combaciassero. Non si accorse del momento preciso in cui Mark e Gentile comparvero sul bordo della pista. Quando si volse per assicurarsi che gli amici fossero tutti ancora lì, li vide e basta. Trovarsi davanti l’italiano lo spinse di riflesso a cercare Jenny al suo fianco. Non la vide, né accanto a lui, né vicino a Mark. Eppure era impossibile che non ci fosse, sull’autobus aveva sentito Amy e Patty dire che sarebbe venuta. Forse all’ultimo aveva cambiato idea. La delusione fu fortissima.
Fece un altro giro, in preda ad una voglia matta di vederla. In fondo aveva deciso di uscire insieme agli amici proprio sperando di incontrarla, perché pattinare su una pista sintetica era l’ultimo dei suoi desideri, visto che di ghiaccio vero in Hokkaido ne aveva a bizzeffe.
Poi la vide. Fu grazie a Mark che la chiamò per dirle qualcosa. Era seduta sulle panchine esterne e stava indossando i pattini. Alzò la testa per rispondergli, dando modo a Philip di individuarla. Il sollievo fu immenso. Fece il giro della pista e le passò davanti senza che lei, china com’era a legare i lacci, lo vedesse.
-Jenny datti una mossa!- la chiamò Patty -Siamo dentro da quasi un’ora!-
-Sto arrivando!- si mise in piedi, oltrepassò il cancelletto e raggiunse le amiche.
Gentile la osservava e osservava Philip che le girava intorno come un satellite, stringendo sempre più la sua orbita. La ragazza non sembrava essersi accorta della presenza del suo ex, intenta com’era a ridere e scherzare con le amiche.
-Callaghan se la cava bene.-
Mark si volse.
-Callaghan?-
-Non l’hai visto?-
-Holly! Che ci fa Philip lì dentro? Se si fa male chi lo dice a Gamo?-
-Se pensi di riuscire a tirarlo fuori, accomodati. Io c’ho già provato e mi ha ignorato.-
-Maledetto! Vuole metterci nei guai!- fissò Philip così intensamente che l’amico lo percepì e incrociò il suo sguardo. Sollevò un braccio in un saluto beffardo, rivolto forse più a Gentile che a lui.
Fu quando Amy e Patty, finito il tempo, lasciarono la pista che Philip si decise ad avvicinare Jenny. Non aveva in mente un piano preciso, non aveva più neppure pensato a cosa dirle. Tanto, dopo l’esperienza dei giorni precedenti prima al bar e poi nello stadio, aveva capito che qualsiasi frase sarebbe stata sbagliata. Si sarebbe accostato e poi avrebbe lasciato che le cose andassero per il verso loro. L’importante era allontanarla da quella parte della pista su cui erano affacciati i compagni. I loro problemi erano già abbastanza sotto gli occhi di tutti.
Sapeva con certezza che se avesse detto a Jenny di seguirlo, lei non l’avrebbe fatto. Così decise di rapirla. Le tagliò la strada ad una tale velocità che per non andargli addosso lei dovette frenare e svicolare di lato. Si sbilanciò in avanti, fece mezzo giro su se stessa e ritrovò per un pelo l’equilibrio. Dopodiché si guardò intorno sorpresa, neppure così sicura di averlo riconosciuto. Forse era Philip, forse no ma anche solo il sospetto che lui fosse in pista era un motivo per uscirne. Si volse per tornare indietro ma il ragazzo le arrivò alle spalle e agì rapidissimo. Le passò un braccio dietro la schiena, si spinse sul ghiaccio e la trascinò lontano dagli amici e dall’uscita.
La sorpresa di quell’assalto bloccò in lei ogni reazione. La velocità e il cambio di direzione le fecero finire alcune ciocche di capelli sulla faccia. Li scostò dal viso ed erano già dalla parte opposta della pista. Il risentimento si impadronì di lei. L’insistenza e la prepotenza di Philip fecero montare la collera. Calcò un pattino sulla superficie sintetica e arrestò bruscamente la loro corsa lasciando un solco profondo. Sbandarono bruscamente, Jenny brancolò in avanti e, temendo di cadere, tese una mano verso terra. Sfiorò il suolo con la punta delle dita ma Philip, che non l’avrebbe mai fatta finire a terra, la sostenne. Sbandarono ancora una volta quando la ragazza si volse per fronteggiarlo. Alla fine si fermarono addosso alle transenne, che Jenny urtò con la schiena e Philip con un fianco. Si guardarono negli occhi e lei lo fissò furiosa, le guance arrossate.
-Cosa vuoi ancora?-
Lui le era vicinissimo, così vicino che per un secondo si sentì in trappola. Lo spintonò indietro per aprirsi una via di fuga ma Philip non si scostò che di pochi centimetri, come se i suoi pattini si fossero improvvisamente ancorati sulla superficie della pista. Allora fu lei a indietreggiare, schiacciandosi contro la balaustra. La sincerità e l’ansia che Jenny vedeva nei suoi occhi non erano sufficienti a penetrare la nube di detriti e rottami che le colmava il cuore. Il suo dolore era ancora troppo fresco, la sua ferita troppo profonda.
-Jenny…-
La giovane scosse la testa con forza, da lui non voleva sentire più nulla. Chiuse gli occhi per tener fuori il suo volto, le sue parole, l’amore che rifiutava di morire. 
-Jenny, ti prego…-
-Lasciami in pace! Vattene! Vattene e lasciami in pace!- raddrizzò le spalle, sollevò la testa e mandò giù la devastazione che le riempiva la voce. Lo superò senza vederlo, perché le lacrime premevano e lei non era sicura di riuscire a fermarle. Aggrappata alla balaustra arrancò verso l’uscita. D’improvviso i pattini le risultarono odiosi, avrebbe voluto strapparseli via. Avrebbe voluto non essere mai entrata in quella pista, circondata dalle transenne che le impedivano di fuggire.
Ma poi delle dita si chiusero sulle sue braccia e la costrinsero a fermarsi. Philip la fece voltare, la obbligò a guardarlo. Sotto la luce bianca dei fari che facevano risplendere il ghiaccio sintetico, Jenny vide la tensione divampare nei suoi occhi.
-È questo che vuoi davvero? Restare con lui?-
-Da quando ti interessa ciò che voglio?- Jenny si tirò indietro -Lasciami!-
Le mani di Philip le ubbidirono, lui mollò la stretta.
-Allora devi dirmelo. Devi dirmi in faccia che non provi nulla per me. Che vuoi che ti lasci in pace per sempre. E poi lo farò. Me ne andrò, se è quello che vuoi davvero.-
Lei pronunciò con un filo di voce parole pesanti come macigni.
-Te ne sei già andato, Philip. Te ne sei già andato mesi fa.-
Philip, di fronte a quell’accusa, s’impietrì. Jenny aveva ragione e lui aveva torto. Aveva sempre avuto torto, fin dall’inizio. Si scostò da un lato per lasciarla passare e lei lo superò. Restò imbambolato in mezzo alla gente che gli pattinava intorno, la sgradevole sensazione che non sarebbe mai più riuscito a mettere le cose a posto. Tanto valeva rinunciare.
Per Jenny fu una fatica immensa percorrere tutta la pista per raggiungerne l’uscita. Arrancò fino al cancelletto, sprofondò con i pattini nella moquette rossa che circondava le panche e si lasciò cadere seduta per sciogliere i lacci, gli occhi velati dalle lacrime che le scorrevano sulle guance e le gocciavano sulle mani. Si liberò dai pattini e indossò le scarpe. Un’ombra offuscata dal pianto prese posto accanto a lei. Con un tuffo al cuore temette che si trattasse di Philip. Invece era Salvatore, che le circondò le spalle con un braccio e l’accostò a sé, rassicurante e consolatorio.
-È dura quando ci si innamora della persona sbagliata.-
-Come si fa a capire qual è la persona sbagliata e qual è la persona giusta?-
-Forse il tempo? O quello che accade quando si sta insieme?-
Lei scosse la testa e si asciugò il volto con il dorso di una mano.
-Certe cose succedono anche quando non vorresti che accadessero e una volta che sono successe non ti resta altro da fare che accettarle e andare avanti.-
Philip raggiunse l’uscita della pista arrancando sui pattini afflitto e depresso. Tutta la destrezza e la nonchalance che aveva dimostrato fino a poco prima erano scomparse. Ora pattinava soltanto perché non poteva fare altro, per potersene andare doveva rimettersi le scarpe. Niente da fare, non c’era più niente da fare. Jenny era diventata irrecuperabile.
Si accasciò sulla panca con i pattini ai piedi e rimase immobile, una mano sull’altra, gli occhi sui lacci annodati, incapace di scuotersi di dosso dolore e afflizione. 
-Philip, stiamo andando via.-
La voce di Benji gli arrivò lontana ma la mano che lui gli mise sulla spalla lo fece sussultare. Si volse a guardarlo.
-è andata male anche stavolta.-
-Sì, Jenny è più testarda del previsto. Ma lei ti ama quindi non ti resta che insistere.-
-Mi ama?- un sorriso amaro gli incurvò le labbra -Ha uno strano modo di dimostrarlo.-
-Strano tanto quanto il tuo, te l’assicuro. Ma il problema non è questo, sai? Il problema è capire come diavolo avete fatto ad arrivare a questo punto.-
Philip lo fissò stralunato.
-Lo sai come! Da quel maledetto giorno è andato tutto a puttane!-
-Quando siamo andati via da Furano la situazione stava migliorando. Me lo ricordo bene!-
-Non lo so, può darsi.- alzò le spalle e proseguì -Io ricordo solo alti e bassi, non miglioramenti. E comunque il problema è riuscire ad accettare il perché.-
-Il perché di cosa?-
Nel momento in cui cominciò a parlare, Philip si rese conto che aspettava da mesi di poter esternare tutto il suo dolore. Finora non lo aveva mai fatto, con nessuno. Ma adesso qualcosa si era smosso e non riusciva più a tenersi tutto dentro.
-Perché è successo. Perché non sono riuscito ad impedire che quel bastardo le facesse del male, perché non sono riuscito a proteggerla. Perché non sono riuscito neppure a intuire cosa stesse per accadere.-
Benji si sedette sulla panca di fronte, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si chinò verso di lui. Lo fissò negli occhi, ascoltandolo in silenzio.
-Nonostante quello che crede Amy, che crede tua madre, che credete tutti…- un nodo gli serrò la gola e dovette deglutire per riuscire a continuare -Se non l’avessi portata con me a Kyoto non sarebbe successo. Se fossi stato capace di proteggerla, di capire cosa stava accadendo fin da quando eravamo a Shintoku, nessuno avrebbe alzato un dito su di lei. Non sono stato capace di vedere le sue paure e le sue preoccupazioni, neppure l’effetto che le faceva la presenza di McFay. Se non sono stato in grado di proteggerla, che senso aveva restare al suo fianco? Jenny era la cosa più preziosa che mi fosse mai capitata e ho lasciato che qualcuno le facesse del male. E lei? Cosa se ne poteva fare lei di me? Che senso aveva per lei avere accanto chi non era riuscito a proteggerla?-
Benji gli posò una mano sul ginocchio.
-Ti stai addossando una colpa che non è tua. O almeno non soltanto tua. Magari se non mi fossi divertito con Karen…-
-Stronzate, Price! Non riuscirai a prenderti neppure una piccola parte della colpa, quindi è inutile che ci provi. Tu non c’entri niente, McFay l’ha adocchiata da subito. L’ha portata in giardino per restare solo con lei tre secondi dopo che si sono conosciuti.- lo ricordava perfettamente. Gli bastava concentrarsi un istante per vederli di nuovo passeggiare insieme nel giardino del ryokan illuminato dalla luna, come se da quei giorni maledetti fossero passate solo alcune ore e non un anno.
-Se la pensi in questo modo, perché adesso stai cercando di riavvicinarla?-
Philip abbassò gli occhi a terra e parlò con un filo di voce, pieno di imbarazzo.
-Perché nonostante tutto mi sono accorto che non posso vivere senza di lei.-
-Allora proprio per questo, non dovevi arrogarti il diritto di decidere per Jenny, Philip.- la voce di Patty li indusse a voltarsi. La ragazza era lì con Amy chissà da quanto tempo -Soltanto lei può sapere se sei la persona con cui desidera stare. Non puoi stabilirlo tu e poi imporle il tuo punto di vista. Non è giusto. Nei suoi confronti sei stato arrogante, egoista e profondamente scorretto. E se non ti fossi rifiutato di parlare con Nicole, lo avresti compreso da tempo.-
-Cosa avrei capito? Che è stata tutta colpa mia?- insistette lui caparbio.
Fu Amy a rispondergli.
-Il contrario, Philip. La colpa è tutta di David.-
-Amy, non ricominciare. Ci ho già pensato abbastanza, ho rigirato la cosa da tutte le prospettive e la conclusione è soltanto una. Anche se è stato McFay a farle del male, io avrei dovuto capire quanto la sua presenza fosse un problema per Jenny.-
-E come? Come avresti potuto capire? Jenny non ne ha mai parlato con nessuno e David è stato furbo e non ha mai dimostrato apertamente il suo interesse per lei.-
-Ma vedi Amy, se Jenny non ha avuto fiducia in me forse è perché non me lo meritavo.-
-Non è così. Non c’è stata mancanza di fiducia, Philip, ma un'ansia troppo grande da gestire e che Jenny non ha voluto affrontare, né a Shintoku, né tanto meno a Kyoto. Un’ansia resa più intensa dal fatto di trovarsi sperduta nella villa di Miller, nel territorio di David. Un’ansia che l’ha spinta a tenersi tutto dentro. Si è convinta che sarebbe bastato resistere un po’, il tempo di firmare i contratti, andarsene da Kyoto e allontanarsi da David. A quel punto le sue paure sarebbero svanite e sarebbe potuta tornare a respirare tranquilla, dimenticandosi di tutto. Il fatto di non avertene parlato le ha fatto credere che, una volta lontana da lui, avrebbe potuto dimenticare tutto come se non fosse successo niente, perché soltanto lei sapeva.-
Il dolore aveva ripreso a tormentare lo sguardo di Philip come era successo a Furano l’anno prima o forse ancora più intensamente. Amy se ne accorse ma riprese lo stesso a parlare.
-Jenny non ha voluto accettare il pericolo e la sua scelta non è stata colpa tua. Si è impuntata convincendosi che fosse una sua fantasia. Ha deciso di rifiutare la realtà, di tirarsi indietro e di non fidarsi del suo istinto. Certo, David le faceva paura, la sua presenza la terrorizzava, quindi cercava di stargli lontana, ma si rifiutava anche di pensare a lui, voleva dimenticarsi della sua esistenza.-
-Ma non ci è riuscita…-
Amy annuì.
-Nessuna precauzione alla fine è servita perché a David si è presentata la possibilità di agire indisturbato. David ha mandato Jenny totalmente in confusione, giocando con lei come il gatto col topo. Lui non le avrebbe fatto nulla finché non l’avesse trovata sola e indifesa. David quando era con noi non la guardava neppure. Per questo non ci siamo accorti di niente.-
Philip ascoltava e cercava di far sue le parole di Amy. Il suo discorso era terribile, il suo punto di vista discutibile, ma quella versione era un lenimento alla sua sofferenza e desiderava crederle con tutto se stesso. Fu Benji a dissentire.
-Io li ho visti, avrei dovuto capire. McFay me lo aveva persino detto, bastava fare due più due…-
Amy gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
-Benji, Jenny era già perduta nel momento in cui ha messo piede a Kyoto. David l’ha privata delle sue consapevolezze, lasciandola sola con le sue paranoie e giocando con le sue paure. Jenny era terrorizzata da lui e nonostante abbia cercato di tenersi alla larga, David l’ha avuta vinta perché l’ha fatta crollare. Jenny non ha saputo più cosa credere e da che parte voltarsi per scappare. Lui l’ha spinta in uno stato di tale confusione da non lasciarle neppure la possibilità di agire per evitare quello che stava per succedere. La colpa di ciò che è accaduto non è di nessuno se non di David. Indipendentemente da ciò che sapevamo o abbiamo visto, nessuno di noi poteva farci molto, tanto meno Jenny, perché la situazione che si è trovata ad affrontare era troppo grande per lei, troppo spaventosa e destabilizzante. David l’ha sviata completamente nonostante il suo istinto ci avesse visto giusto. Un istinto a cui non ha dato retta perché non ha proprio potuto farlo.-
Patty prese la parola.
-La tua fortuna Philip è che Jenny ti ama.-
Lui la guardò scettico. Era già la seconda volta che qualcuno glielo faceva presente e lui ci credeva sempre meno.
-Mi ama? Sta con Gentile e ama me?-
La giovane assunse un’espressione così terrificante che nella testa di Benji squillò un mezzo campanello d’allarme. Forse adesso gli sarebbe saltata al collo e lo avrebbe strozzato. Così sarebbero rimasti davvero senza di lui in campo.
-Ti sei mai chiesto che effetto abbia avuto su Jenny vedere la foto di te che baci Julie Pilar spiattellata su un giornale? Te lo sei mai chiesto, Philip? Ti sei mai chiesto cosa abbia significato per lei sfogliare una rivista e trovarti avvinghiato a quella fotomodella, sotto gli occhi di tutto il mondo? Quando Amy mi ha mandato la foto sono stata male per lei. E non provare a dirmi che con quell’oca vi siete limitati ai baci perché non ci credo!- abbassò la voce che divenne, se possibile, ancora più minacciosa, tanto che pure Philip si tirò istintivamente indietro -Pensi che Jenny sia venuta qui in vacanza? Ti sei domandato perché abbia deciso di attraversare mezzo mondo e scroccare a Mark una stanza? Hai mai pensato che potrebbe essersi rifugiata in Italia solo perché non aveva un altro posto dove andare? Ricordi, vero, che il ryokan dei suoi nonni adesso è di David? Ricordi, vero, che con i suoi genitori non va d’accordo? Non dirmi che pensi che si sia messa con Gentile per divertirsi, per provare qualcosa di diverso o perché si è innamorata di lui! Ti è mai passato per la testa che forse il suo cuore è talmente vuoto da doverlo per forza riempire con qualcosa che non sia sofferenza e solitudine? Come puoi permetterti di giudicare quello che sta facendo Jenny?- riprese fiato, sull’orlo delle lacrime -Tanto più che lei e Gentile non sono…- si morse la lingua, si volse e corse via, rifugiandosi da Holly.
-Patty!-
Amy le andò dietro lasciando i due ragazzi da soli.
-Tanto più cosa?- fece eco Philip, per il quale concludere la frase che Patty aveva lasciato a metà era diventato d’un tratto di vitale importanza.
-Peccato, se n’è andata sul più bello!- Benji afferrò il compagno per un braccio e lo trascinò via.

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Capitolo 17
*** Sedicesimo capitolo ***


Sedicesimo capitolo



Amy aveva fatto bene a insistere sulla questione delle foto e lei avrebbe dovuto darle retta. Jenny non era sicura di voler diventare la testimonial di una nota marca di profumo facendosi fotografare insieme a Gentile in qualche posa osé. In quello studio, tra lo staff che si muoveva frenetico tutt'intorno a lei, si sentiva perduta. Invece di starle accanto e aiutarla a prendere una decisione, Salvatore l’aveva mollata da sola per andare a parlare con il fotografo che li avrebbe immortalati. A lui non sembrava dare fastidio essere passato da mero accompagnatore a protagonista. Piuttosto il contrario. Jenny invece non era persuasa, e non riuscivano a convincerla neppure quelle spiegazioni assurde in un inglese così così sul magnifico contrasto dei colori, assolutamente da sfruttare, tra la sua pelle bianca e quella abbronzata di Gentile, tra i suoi capelli neri e quelli d’oro del ragazzo. Le avevano assicurato che non si sarebbe visto niente. Che soltanto Salvatore si sarebbe tolto la maglietta. Che il suo abito, fornito direttamente da loro, l’avrebbe coperta a sufficienza. Altri contrasti: un corpo nero e uno bianco, uno vestito, l’altro nudo. Sarebbero stati in piedi e basta, non si sarebbero neppure baciati. Lui l’avrebbe tenuta tra le braccia, appoggiata contro una roccia (finta) mostrando al fotografo la sua schiena muscolosa, lei avrebbe avuto i capelli raccolti, alcune ciocche le avrebbero incorniciato il viso. Un ciondolo d’oro si sarebbe morbidamente adagiato sulla scollatura dell’abito, un paio di orecchini avrebbero brillato accanto al volto. Nient’altro, giusto un po’ di trucco. Sarebbero rimasti a piedi nudi, appoggiati su uno scoglio contro un mare di zaffiro. Eppure lei non era convinta. Non ne poteva più di essere fotografata, non sopportava più di finire sotto gli occhi di tutti. Di essere vista, rivista e giudicata.
Così traccheggiava indecisa. Doveva essere un’intervista… o no? Forse Dario non aveva capito? Forse loro non si erano spiegati? Forse era stata lei a non capire? Forse era per questo motivo che tremila euro le erano sembrati troppi, per poche domande?
In quella mattinata di riposo in vista della partita della sera, Gentile si era offerto di accompagnarla e lei non sapeva se la sua presenza era stata una fortuna o meno. Forse se non fossero stati insieme non le avrebbero chiesto le foto. O forse gliele avrebbero chieste lo stesso ma per lei sarebbe stato più facile rifiutare… oppure più facile accettare? Non lo sapeva e non sapeva neppure cosa fare. La sua indecisione aveva aumentato il compenso. Forse anche a Gentile, che non si aspettavano di vedere, avevano promesso un guadagno. Rifiutandosi avrebbe fatto sfumare anche il compenso di Salvatore. E allora? Che fare? Perché non aveva dato retta ad Amy e non si era informata meglio prima di presentarsi lì?
Vide una giovane avvicinarsi alla truccatrice con il suo abito tra le mani. Doveva decidersi. Raggiunse Salvatore e gli si aggrappò ad un braccio.
-Che facciamo?-
Lui alzò le spalle.
-Per me è uguale.-
-Così non mi aiuti a decidere…-
-Qual è il problema? Non ti fanno comodo dei soldi?-
-Sì, però… Pensavo si trattasse di un’intervista.-
-Anch’io, ma non importa. Sono solo poche foto. Impiegheremo meno di un’ora.-
-Ti pagano?-
-Non mi interessano i soldi ma so che a te fanno comodo.-
Stava accettando per farle un favore? Certo tremila euro in quel momento non erano da buttare. Tremila euro non erano mai da buttare in realtà. Avrebbe potuto pagarsi il biglietto aereo senza attingere ai soldi che le erano rimasti sul conto. Per di più in quel momento, con la sua vita trasformata in un enorme punto interrogativo, faceva sempre comodo avere qualcosa da parte. E se poi le sue foto fossero finite sulle riviste di moda o sui manifesti pubblicitari, pazienza. Non aveva intenzione di restare in Italia ancora a lungo.
Si staccò da Gentile e andò verso il vestito che avevano preparato per lei.
Dieci minuti dopo, Jenny si trovava con la schiena premuta contro una parete di finta roccia sotto i riflettori, in una posizione piuttosto scomoda, osservata da tutto lo studio. Salvatore al contrario sembrava perfettamente a suo agio e rideva della sua ansia.
-Rilassati Jenny, stai andando in apnea.-
Era appoggiato contro di lei, una mano sul suo fianco fasciato dall’abito nero, l’altra premuta sulla parete, per non pesarle troppo addosso. Dava le spalle al team e si limitava a seguire gli ordini che gli arrivavano gridati dal fotografo e dai suoi assistenti.
-Non mi piace, non vedo nulla.- le luci l’accecavano.
-Chiudi gli occhi e respira.-
Non era facile respirare, con il tubino che indossava. Le avevano fatto togliere il reggiseno, il corpetto le era stato cucito addosso per adattarsi al suo corpo snello e la strizzava tutt’intorno al torace, la scollatura imbottita le aveva fatto aumentare il seno di almeno una taglia. Una spallina le era scivolata di lato, lungo il braccio, e quando aveva cercato di rimetterla al suo posto qualcuno aveva gridato qualcosa e Salvatore le aveva detto di lasciarla così, che era molto meglio. Jenny spostò una gamba per non perdere l’equilibrio e sentì il bordo di pizzo del vestito salirle lungo la coscia.
-Quanto manca ancora?-
-Jenny, lasciali lavorare in pace.- il ragazzo si mosse, eseguendo le istruzioni.
Il rumore degli scatti arrivava a raffica, dovevano aver fatto per lo meno cento foto.
-Non ne posso più. Non vedo l’ora di andarmene.- era tesa come una molla pronta a saltare e appena le avessero dato il via libera, sarebbe corsa dietro i paraventi, si sarebbe rimessa i propri vestiti e sarebbe uscita di corsa da quel posto.
-Ti peso?-
Lei scosse la testa. Al contrario, più Salvatore le era addosso e più la copriva, con il risultato di renderla meno visibile agli occhi del team e nelle foto. Aveva già cercato di nascondersi, di sprofondare dietro al suo corpo atletico ma qualcuno si era avvicinato, aveva scostato Gentile e l’aveva messa più in mostra di prima.
Quando pensava ormai di aver finito, la truccatrice si avvicinò, le sistemò i capelli, inumidendoli con uno spruzzino pieno d'acqua e scompigliandoli, se possibile, ancora di più. Jenny se li sentiva ovunque, sul viso, sul collo, a solleticarle la guancia e il naso, sulle spalle. Doveva sembrare uno spaventapasseri. Alcune gocce le finirono sulla schiena e Jenny le sentì scivolare verso il basso provocandole un insopportabile solletico, sull'olio alla mandorla di cui li avevano cosparsi entrambi per fare in modo che la loro pelle risplendesse alla luce.
-Per queste cose dovrebbero chiamare delle professioniste, non la prima che capita…- tornò a lamentarsi -Non sono neppure fotogenica.-
Salvatore rise. Si stava divertendo un mondo ed era contento di averla accompagnata. Jenny non lo capiva perché per lei era la prima volta, ma lui che ormai aveva una certa esperienza nel campo, sapeva che il fotografo aveva ragione. Il contrasto tra i loro colori sarebbe stato fantastico anche nelle foto in bianco e nero. Avrebbe dovuto accorgersene prima e proporla ai suoi contatti. L’avrebbe fatta guadagnare bene con il minimo sforzo.
-Dopo tutta questa fatica ci meritiamo una bella birra.-
-A quest’ora?-
-Finiremo per lo meno a mezzogiorno. Prendiamoci un aperitivo coi fiocchi! Tanto il pranzo sarà la solita fregatura prepartita.-
Tacque perché gli dissero di tacere, si volse perché gli ordinarono di guardare l’obiettivo. Sfiorò il suo viso con le labbra, quando gli chiesero di farlo e lei sentì il suo profumo mescolato all'aroma della mandorla. Cambiò posizione, le infilò una mano tra i capelli, gliela lasciò scendere lungo il collo, sulla spalla e sul braccio mentre le guance di Jenny, che continuava a tenere gli occhi socchiusi o al massimo pudicamente rivolti a terra, si colorivano di imbarazzo. Il suo rossore aveva mandato il fotografo in visibilio e adesso non la finiva più.
Quando quella tortura ebbe termine Jenny si sentiva esausta, spossata e scontenta e accettò ben volentieri l’invito di Salvatore a tirarsi su con un corposo aperitivo.

Evelyn era pronta per l’intervista. Sedeva nella hall dell’hotel, in attesa che Jenny e il suo ragazzo si facessero finalmente vedere. Avrebbero dovuto incontrarsi nella tarda mattinata, invece all’ora di pranzo l’amica le aveva telefonato per avvertirla che avevano avuto un contrattempo e l’avrebbero raggiunta nel primo pomeriggio. Evelyn aveva avuto tutto il tempo del mondo per tornare in camera e darsi una nuova passata di trucco. Aveva indossato la sua tenuta da lavoro, una camicetta bianca a righine nere con le maniche a sbuffo e una gonna nera molto seria, con uno spacco al centro del lato posteriore. Aveva infilato un paio di collant e le scarpe nere che Jenny aveva prestato a Patty per la serata di beneficenza. Si era lasciata i capelli sciolti sulle spalle, che le arrivavano quasi a metà schiena e aveva cercato di lisciarli con il fon per togliere il segno dell’elastico. Bruce, quando l’aveva vista arrivare al bancone del bar, non aveva creduto ai propri occhi.
-Con chi hai appuntamento, Eve?- le domandò Clifford dopo aver lanciato un fischio di apprezzamento -Per chi ti sei messa così in tiro?-
Sua cugina si presentava regolarmente al campo con un paio di jeans e una semplice t-shirt, i capelli legati in una coda e al massimo un velo di lucidalabbra trasparente.
-Sicuramente non per voi. Sto aspettando Salvatore Gentile, devo intervistarlo. Sta per arrivare.- si guardò intorno in cerca di un angolo tranquillo dove potergli fare le sue domande, senza che nessuno li disturbasse, senza che nessuno si impicciasse. Un angolo appartato per poter rimanere con lui in santa pace -Rob, vieni a farmi da interprete? In cambio ti offro da bere quello che vuoi!-
-Vai Rob.- Bruce lo spinse verso la fidanzata -E prendi appunti così ci racconti!-
-Neanche per sogno! L’intervista è top-secret! Se ti interessa, acquista il mio giornale!- prese Aoi per un braccio e trascinò il ragazzo su e giù per la hall, indecisa su dove sedersi.
-Quella cartastraccia? Neanche morto!- le gridò dietro Bruce ma lei non gli prestò ascolto -Questa maledetta intervista è diventata una questione di Stato!-
-Si vede che per lei è importante, Bruce. È il suo lavoro e non dovresti schernirla così. Evelyn ha il massimo rispetto per il tuo.-
-Taci Paul, non ti immischiare.-
Salvatore e Jenny entrarono nell’hotel mano nella mano e si guardarono intorno. Jenny individuò i ragazzi al bar e istintivamente si sciolse dalla stretta di Gentile, allungando il passo verso Evelyn e Rob.
-Mi dispiace, abbiamo fatto tardi.- si scusò lui, dedicando alla giornalista un sorriso luccicante d’azzurro che la fece sciogliere.
Se Evelyn non fosse stata già seduta, sarebbe crollata a terra.
-Va benissimo lo stesso! Tanto non ho nulla da fare!- strascicò in inglese -Rob, fai funzionare la lingua, il mio inglese fa schifo.-
-Che devo dirgli?-
-Di sedersi accanto a te e di ordinare qualsiasi cosa voglia bere. Pago io.-
-Salvatore non ti lascerà mai pagare.- s’intromise Jenny.
Completamente dimentica di lei, Evelyn la guardò sorpresa.
-Sei ancora qui?-
-Tranquilla, te lo lascio. Me ne vado subito.-
Jenny indossava ancora l’abito del servizio fotografico, diventato troppo corto e troppo scollato non appena aveva messo piede fuori dallo studio. Non faceva altro che tirarlo giù sulle gambe e rialzare la spallina che continuava a scivolarle sul braccio sotto il leggero cappotto primaverile. Era stata così impaziente di andarsene dal set che aveva preferito infilare i propri vestiti in una busta e cambiarsi dopo, con calma, in un ambiente più tranquillo e più riservato. Oltretutto il paravento che le avevano messo a disposizione non le era piaciuto, i pannelli le avevano dato l’idea di essere troppo sottili. Adesso aveva bisogno di un bagno.
Vedendola passare a pochi metri dal bar, Clifford sollevò una mano per richiamare la sua attenzione.
-Ciao Jenny, vieni a bere qualcosa con noi? Hai un vestito bellissimo, corto proprio come piace a me!-
Lei si volse e si sforzò di sorridere.
-Magari un’altra volta…- sparì dietro l’angolo, oltre un enorme ficus, diretta ai bagni.
Jenny nel bagno trovò Amy. Era appoggiata con lo stomaco contro il lavandino, il volto vicinissimo allo specchio. Si stava passando un fazzoletto sugli occhi, cercando di non far colare il rimmel.
-Stai piangendo o sei raffreddata?-
Amy sussultò, il fazzoletto quasi le cadde di mano. Quando si volse il suo sguardo era liquido e arrossato.
-Che ti succede?-
L’amica si lasciò sfuggire una smorfia scontenta.
-Sempre la solita solfa.-
-Quale solfa?-
-Quella delle fan di Julian.- scosse la testa a significare che era inutile parlarne tanto non ci si poteva fare niente -Che ci fai qui? Ci hai ripensato e hai deciso di venire allo stadio con noi?-
-Scherzi? Mai.-
-Mi pareva. E allora?-
-Ho accompagnato Salvatore per l’intervista di Evelyn.-
-Ah, finalmente! Così si tranquillizza e smette di assillarci tutti!-
-Speriamo.- Jenny appoggiò la busta con gli abiti sul lavandino e si tolse la giacca.
-Bel vestito.-
-Grazie, ma adesso lo tolgo.-
-Perché? Ti sta bene.-
-È troppo scollato, troppo stretto… troppo tutto. Sai, avevi proprio ragione a dirmi di insistere sulla questione delle foto. Quella che volevano da me non era un’intervista ma un servizio fotografico. Questo è il vestito che ho indossato.-
-Quindi l’hai fatto?-
-Sì.-
-È andato bene?-
-Salvatore è rimasto tutto il tempo insieme a me. Vai a tenere chiusa la porta?- Jenny riuscì a sfilarsi le spalline, poi afferrò la scollatura e la tirò su per togliersi l’abito dalla testa. Il vestito la fasciava stretto, non riuscì a sollevarlo. S’innervosì e tirò forte. Si udirono alcuni strappi.
-Piano, piano… Jenny! Così lo rompi!-
-Non importa, devo toglierlo!-
-Si sta strappando!-
-Perché me lo hanno cucito addosso!- strattonò con forza, le cuciture fatte in studio cedettero e con l’aiuto di Amy, riuscì a liberarsene. Si rivestì in fretta dei propri abiti, sentendosi decisamente meglio.
-Finalmente! Che liberazione!-
-Sei tu che profumi così?- domandò annusando l'aria -Mandorle?-
-Ci hanno cosparsi d'olio, neanche dovessero friggerci.-
-Poco male, ti è rimasto un buon odore addosso. Quindi allo stadio non ci vediamo, Jenny?-
Si guardarono attraverso il riflesso dello specchio.
-Io sarò sugli spalti, non so tu.-
-Io sarò in panchina. Gamo ci ha dato il permesso.-
-In panchina non ci vengo. Sto con Salvatore, la panchina giapponese non è il mio posto.-
-Non vedo perché! Tu sei giapponese, Jenny!-
-Amy, non parliamone più. Assisterò all’incontro dagli spalti, ci vediamo dopo la partita.-
-Nel senso che dopo la partita verrai in hotel?-
Jenny non disse né sì né no, frugò nella borsetta e tirò fuori il cellulare. Amy fremette. La sua insistenza era diventata un’urgenza. Il tempo a disposizione per convincere l’amica a tornare in Giappone si stava assottigliando. Con Philip non stava andando bene, o meglio non stava andando affatto. Amy e Patty avevano assistito alla manovra di Philip sulla pista di pattinaggio e avevano sperato che fosse la volta buona. Invece Jenny era scappata via, lasciandolo a incolparsi per l’ennesima volta per tutto ciò che era successo a Kyoto. Secondo il ragionamento di Amy, che ci aveva riflettuto quella notte, se lui la sera prima non era riuscito a persuaderla, ora era arrivato il suo turno di farle capire che non esisteva nessun motivo che la trattenesse ancora in Italia. Jenny doveva tornare in Giappone con loro. Punto.

*

-Gli spogliatoi della Juventus sono più belli di questi.-
Mark s’infilò scontento uno scarpino e allacciò strettamente i lacci, facendo poi un doppio nodo di sicurezza. Non era mai stato nella zona degli ospiti ma gli era bastata un’occhiata veloce nel momento in cui era entrato per capire che i locali riservati ai padroni di casa erano strutturati e organizzati molto meglio. Chissà se poteva sgattaiolare dall’altra parte e approfittare di tutti i comfort riservati alla nazionale italiana!
-Lo dici pure?-
Benji gli lanciò un’occhiata di traverso. Il portiere era già nervoso di suo da quando, quella mattina, era stato messo al corrente da Holly e Philip, ma soprattutto da Holly, che avrebbe giocato soltanto il secondo tempo. Warner l’aveva avuta vinta e lui, con grande sollievo del capitano e del suo vice, aveva abbozzato, evitando quella lunga serie di proteste e invettive che i due si erano aspettati. Era riuscito a non mandarli a quel paese, a non rispondere come meritavano alle loro finte rassicurazioni (del tipo: hanno deciso per il secondo tempo perché se Ed dovesse prendere un goal, sanno di poter contare su di te, e roba simile) ed era stato zitto, silenzioso, granitico. Così imperturbabile e imperscrutabile che alla fine Philip gli aveva chiesto se era sicuro di aver capito bene. A quel punto Benji era finito sull’orlo dell'omicidio, i due se n’erano resi conto e avevano tagliato la corda. Warner aveva vinto, gli avevano consentito di giocare il primo tempo. Che se i tempi fossero stati tre, avrebbe giocato anche Alan Crocker per par condicio. A Warner concedevano quarantacinque minuti, né più né meno di ciò che sarebbe toccato a lui. Li avevano messi sullo stesso piano, lui e Warner. Ed Warner, un mediocre portiere della J-League allo stesso livello di Benji Price, il miglior portiere del Giappone e della Germania, almeno fino alla cazzata della partita contro il Bayern.
Sapeva che avrebbe pagato caro quell’errore, sapeva che lo avrebbe pagato caro non soltanto nell’Amburgo. E se la sua splendida carriera era macchiata da quella stronzata, non poteva dare la colpa a nessuno. Se lui e Warner erano finiti allo stesso livello, doveva prendersela soltanto con se stesso. Se avevano deciso (Gamo? Marshall? Pearson? La J-League? L’intera squadra?) di far scendere in campo per il primo tempo quel portierucolo da strapazzo! Perché non si dedicava al karate e se ne andava affanculo una volta per tutte?
Rob era accanto alla lavagna portatile di Freddie e muoveva il dito da un nome all’altro dei giocatori italiani, facendo le ultime raccomandazioni. La formazione di Jenny si era rivelata esatta ma conoscerla in anticipo non aveva avvantaggiato Benji in nessun modo. Forse avevano deciso di farlo scendere in campo solo per il secondo tempo addirittura da prima di partire dal Giappone, e si erano degnati di informarlo soltanto quella mattina, i maledetti!
Si alzò furente, attraversando lo spogliatoio da un angolo all’altro senza degnare di uno sguardo Aoi che stava ancora parlando e che si interruppe per seguire la sua uscita in uno stupito silenzio. Solo Holly si premurò di chiedergli dove accidenti andasse visto che erano in piena riunione ma Benji lo ignorò, chiudendosi la porta alle spalle e neppure troppo silenziosamente. Mancava più di mezz’ora all’inizio dell’incontro e lui s’era già stufato. Percorse tetro il corridoio, la visiera abbassata sugli occhi, schivando lo staff che correva indaffarato qua e là. Si ritrovò d’improvviso nel ristorante, quello stesso ristorante che un paio di giorni prima era stato testimone dei baci di Jenny e Philip. Costeggiò la parete tenendosi alla larga dai tifosi abbonati che avevano libero accesso al locale e alle consumazioni. Vide i giocatori italiani sparpagliati ai tavoli, Gentile lo individuò e gli fece cenno di raggiungerlo ma Benji scosse la testa e cercò un tavolo in un angolo con vista campo, da cui continuare a maledire indisturbato Warner e i suoi sostenitori.
Jenny prese la borsetta e si alzò. Con addosso gli occhi incuriositi di Salvatore, raggiunse Benji e gli si sedette di fronte.
-Non è una buona giornata?-
-No.-
Tacquero, riempiendosi lo sguardo del tappeto verde e degli spalti che pian piano si affollavano di tifosi.
-Ti hanno fatto arrabbiare?- tentò di nuovo lei.
Benji sollevò appena la visiera, per permetterle di guardarlo negli occhi. I loro sguardi si incrociarono e un sorrisetto amaro gli incurvò le labbra.
-È difficile riuscire ad accettare di essere l’origine dei propri problemi. È più gratificante dare la colpa agli altri.-
-Basterebbe non concentrarsi sulle colpe ma sulla soluzione. C’è sempre una soluzione.-
-No, non sempre.-
Jenny lo guardò e fu d’un tratto d’accordo.
-Hai ragione, non sempre.-
-Non azzardarti ad arrangiare ciò che ho appena detto alla tua situazione!-
-Lo sto facendo?-
-Eccome.-
Lei sorrise.  
-Perché sei qui?-
-Mi ero stancato di sentirli blaterare le solite cose. Tutte chiacchiere inutili!-
-Dici?-
-Certo! Se sto in panchina a cosa mi serve ascoltare Aoi che spiega per la millesima volta chi fa cosa, chi gioca come, chi tira quando, chi segnerà e perché? Tanto so già perché l'Italia segnerà, semplicemente perché in porta nel primo tempo non ci sarò io.-
Jenny lo osservò in silenzio, poi allungò una mano e gliela mise sulla sua per trasmettergli tutta la sua vicinanza e la sua comprensione.
-Giocherai un secondo tempo fantastico, Benji. Evelyn scriverà su di te un articolo magnifico corredato da una splendida foto e le cose torneranno al loro posto prima che tu te ne renda conto.-
Il suo ottimismo lo colse alla sprovvista. Scoppiò a ridere.
-Cosa sei? Una veggente? Se il tuo pronostico si rivelerà esatto, ti porterò a cena nel ristorante più caro di Tokyo.-
-Smettila di provarci con Jenny e torna nello spogliatoio. Gamo ti vuole parlare.-
Si volsero all’unisono. Mark era lì e li fissava scontento. Holly lo aveva costretto ad andare in cerca del portiere ramingo soltanto perché era l’unico che sapeva muoversi nei corridoi dello stadio senza rischiare di perdersi.
Alessandro Marchesi si alzò, gli puntò un dito contro e gridò il suo nome facendo voltare mezza sala.
-Landers! Non dimenticare la nostra sfida!-
Dario drizzò le orecchie.
-Che sfida?-
-Fanculo Belli! Sono cazzi nostri!-
Il portiere italiano gli saltò addosso e lo prese per il collo.
-Che sfida? Parla!- gli agitò la  testa facendola ciondolare avanti e indietro.
-Non te lo dico neppure se mi strozzi!-
-Se non parli lo faccio davvero!-
-Mai! Mi hai distrutto cinquanta euro di fumo! Non te lo perdonerò mai!-
-Bravo! Fatti pure sentire!-
Mark lanciò loro un’occhiata, poi lasciò il ristorante seguito da Benji.
-Sei contento che il primo tempo tocchi a Warner?-
-A me interessa soltanto vincere, Price. Dovresti saperlo.-
-Ah, allora ti dispiace.- sollevò leggermente la visiera del cappellino e lo fissò negli occhi -Con Warner in porta perderemo, lo sai.-
-È un’amichevole.-
-Quindi non ti interessa vincere.-
-Ti ho appena detto di sì.-
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Se ti interessa vincere ti dispiace che gioca Warner. Se sei contento che scende in campo vuol dire che ti è indifferente perdere. Quale delle due?-
Mark allungò il passo infastidito. Benji s’era girato la frittata in modo da avere ragione dall’inizio alla fine. Insopportabile come al solito, non gli rispose. Spalancò la porta dello spogliatoio ed entrò.
-Ho trovato Price, mister. Era in bagno con un cappio al collo, stava per suicidarsi.-
Venti e più paia d’occhi si spostarono increduli dall’uno all’altro.
-Vaffanculo, Landers.-
Amy si alzò dal tavolino che occupava con Patty ed Evelyn e raggiunse quello dove Jenny era stata lasciata sola da Benji e Mark.
-Che aveva Benji? Non ci ha neppure viste…-
-Hai bisogno di chiederlo a Jenny, Amy? Ovviamente gli rode perché non giocherà tutta la partita.- Evelyn si sedette e appoggiò il cellulare sul tavolo -Jenny, per favore. Fammi vedere la foto di Gentile. Un’unica sola volta, poi non ti rompo più.-
-Quale foto?-
L’altra la guardò strana, chiedendosi per un attimo se fingesse appositamente di non capire. Invece la confusione di Jenny sembrava sincera. D’un tratto fu curiosa di sapere cosa s’erano detti lei e il portiere.
-La foto di Gentile nudo, quella che mi hai fatto intravedere l’altro giorno. Ricordi?-
-L’ho cancellata, Eve. Non so neppure perché gliel’ho fatta.-
-Ma per me, ovvio! Sono tua amica, no?- la delusione le riempì gli occhi -Davvero l’hai cancellata?-
-Sì Eve, non era una foto da mostrare. Non era neppure da fare. Per favore accontentati di quello che hai visto.-
-Intravisto, vorrai dire…- sbuffò e le mise il broncio.
-Vieni Jenny.- Patty la prese per un braccio -Raggiungiamo i nostri posti prima che qualcuno ce li occupi.-
-Dove andate?-
Si volsero verso Evelyn.
-In tribuna.- disse Patty -Seguiremo la partita da lì.-
-E perché?-
-Lo sai il perché!- si spazientì la ragazza, allontanandosi con Jenny.
Forse Patty sarebbe riuscita a convincerla ad assistere alla partita dalla panchina della nazionale giapponese. Forse, se le avesse parlato della conversazione tra Benji e Philip che aveva ascoltato involontariamente la sera prima, avrebbe potuto sbloccare qualcosa. Invece aveva deciso di non farlo, perché era stato Philip a lasciare Jenny e Patty stentava a spiegarsi come l'amico avesse imbastito un tale casino tutto da solo, facendo soffrire l’amica inutilmente quando lei, di motivi per star male, ne aveva già a bizzeffe. Adesso provava nei confronti del ragazzo non soltanto una cocente incomprensione ma anche un insopportabile fastidio. Philip, con la sua presa di posizione, si era dimostrato di un'immaturità inaudita e finché non se ne fosse reso conto, Patty aveva tutte le intenzioni di proteggere Jenny affinché non continuasse a soffrire a causa sua. Non pensava certo che la vita dell'amica sarebbe stata migliore senza Philip, probabilmente solo tornando con lui avrebbe potuto sentirsi completa, ma capiva sicuramente più degli altri che in quel momento Jenny aveva bisogno di tempo per ricostruirsi e non di ricevere una nuova notizia sconvolgente, come poteva essere appunto apprendere il motivo per cui Philip l'aveva lasciata. C'era poi il fatto che a parere di Patty, Jenny non era ancora pronta ad accettare questa verità visto che tante cose nella sua vita e in quegli ultimi mesi erano cambiate. Nonostante le premesse non fossero proprio rosee, Patty era fiduciosa che le cose tra loro si sarebbero sistemate con il tempo, senza bisogno di forzare la mano o di mettere fretta all’una o all’altro.
*

-Controllati Mark!-
Il grido di Holly lo fermò ma l’impeto della corsa lo trascinò in una lunga scivolata sull’erba. Posò una mano al suolo per riprendere l’equilibrio e si volse a guardarlo. Holly lo aveva raggiunto, i capelli incollati intorno al viso dal sudore e il fiato grosso per la corsa. I suoi occhi guizzavano sul campo, seguendo il percorso del pallone, dei compagni di squadra e degli avversari.
-Ti passerò la palla come abbiamo detto, ma fino a quel momento rimani nella tua posizione!-
-Non riusciamo a sfondare la difesa!-
Mancavano circa dieci minuti alla fine del primo tempo e le reti di entrambe le squadre erano inviolate.
-Per forza! Continui a correre di qua e di là come un cane dietro al bastone! Ci sono già Philip e Tom a centro campo, tu devi restare in attacco! Chiaro?-
-Non alzare la voce con me, Holly!-
-E tu fai quello che ti dico, Mark!-
I difensori italiani si erano trincerati nei pressi della porta e stroncavano sul nascere ogni azione d’attacco. Come Landers sapeva bene, Gentile era il più difficile da superare e per di più durante l’ultimo tentativo di segnare, Alessandro Marchesi gli aveva mollato un calcio sullo stinco. Adesso Mark, oltre che a ficcare la palla in rete, doveva restituirgli la zampata. In alternativa conficcargli un gomito tra le costole. La loro sfida privata di colpi all'insaputa dell'arbitro era appena iniziata e lui stava già perdendo.
Benji, in panchina, fremeva. Aveva il cappellino ben calcato in testa e sotto la visiera gli occhi lampeggiavano di scontento e impazienza. Se l’Italia non attaccava e la porta del Giappone non era in pericolo, c’era la possibilità che lo lasciassero in panchina per tutto il resto della partita. Merda, perché gli italiani non si davano una svegliata? Se continuavano a traccheggiare, per il secondo tempo sarebbe potuto scendere in campo anche Crocker e nessuno si sarebbe accorto della differenza!
-Benji, quanto manca alla fine del primo tempo?- domandò Amy.
-Otto minuti e ventuno secondi.-
La giovane scambiò un’occhiata d'intesa con Evelyn, soffocando una risata. Era la terza volta che il portiere rispondeva con tanta precisione. Concentrato sul gioco, non si era accorto che quella domanda gliela stavano facendo a turno già da un po’, divertendosi alle sue risposte di una esattezza assoluta.  
Il pallone finì fuori. Rimise in gioco Julian, passando a Philip. Smarcatosi da un avversario che gli si era incollato, Callaghan prese a correre superando la metà campo. Mark chiamò la palla ma lui preferì allungarla a Tom che era in posizione migliore. Becker vide due avversari andargli incontro e se ne liberò, restituendola al compagno. Philip saltò un giocatore italiano che cercò di fermarlo con una scivolata, poi entrò nella metà campo avversaria. Poteva vedere Mark e Holly già in posizione nei pressi della porta italiana. Erano strettamente marcati ma seguivano il gioco, cercando di liberarsi. Rob comparve sulla fascia e nel momento in cui pensò di passargli il pallone, un difensore italiano si mise tra loro.
-Merda…-
Holly no, Mark no, Rob no, dov’era Tom? Non lo vedeva. Forse era rimasto indietro. Si lanciò un’occhiata fugace alle spalle, poi tornò a guardare avanti. Gli occhi azzurri di Gentile gli comparvero d’un tratto vicinissimi. Vicini come non li aveva mai visti. Fece una finta, l’italiano non si lasciò fregare e si gettò sulla palla. La sfera, colpita da Salvatore, gli urtò tra i piedi. Philip riuscì per un pelo a non farsela soffiare e recuperò spazio girandogli intorno. Salvatore seguì i suoi movimenti, braccio contro braccio, spalla contro spalla, e Jenny in tribuna trattenne il respiro.
Si sgomitarono con violenza, Philip tentò una nuova finta, Salvatore fu lento a reagire e il centrocampista giapponese riuscì a smarcarsi il tempo di un istante. La palla partì verso la fascia in uno dei suoi potenti tiri rasoterra, trovando spazio tra i piedi del difensore italiano. Gli occhi di entrambi seguirono il pallone fino a Rob che agganciò e corse in avanti, verso la porta di Belli. Dopodiché i loro sguardi s'incontrarono di nuovo e Callaghan sorrise beffardo. Lo aveva fregato.
-Non perdere tempo, Philip!- sentì gridare Holly.
Il Giappone partiva in attacco, in un nuovo tentativo di infilare la palla in rete. Callaghan ubbidì e si volse per correre dietro ai compagni, ma Gentile tese fulmineo una gamba e lui inciampò. Rotolò a terra, si sbucciò un ginocchio e un gomito, urtò il torace e una spalla sull’erba e gli mancò il fiato. La collera superò il dolore, si rimise in piedi all’istante. Il gioco intorno a loro continuava e l’italiano accanto a lui sghignazzava.
Belli li aveva visti. Teneva d’occhio Gentile dal momento in cui, invece di seguire le sue direttive, il compagno aveva fatto come al solito di testa sua ed era andato addosso a Callaghan. Dario, un occhio sulla palla, l’altro su di loro, non aveva apprezzato lo sgambetto. Il pallone era tra i piedi di Mark già nei pressi della porta e mentre lui gridava istruzioni alla difesa Salvatore, invece di essere lì a dar man forte ai compagni, s’era fermato a fare i dispetti al numero dodici. Non andava bene per niente.
-Imbecille piantala!- gridò, il timore che la contesa degenerasse e che quei due trovassero nel gioco la scusa per litigare a causa di Jenny. Tanto bastò a richiamare l’attenzione di Salvatore sulla partita.
Alex scattò verso Landers, spinto dal desiderio di dargli un altro calcio ben piazzato e, nel caso, di impossessarsi della palla.
-Finiranno per azzuffarsi.- borbottò Gamo.
-Chi?-
-Callaghan e Gentile. O più probabilmente Landers e quell’altro difensore italiano, che se le stanno dando di santa ragione da quando è iniziata la partita.-
Benji lo sentì e si augurò che lo facessero davvero, che si picchiassero, Landers e quell’altro. O anche Gentile e Callaghan, per lui era indifferente. Così forse avrebbero espulso uno dei due e, in dieci, Gamo avrebbe deciso di non rischiare e lo avrebbe fatto entrare in campo all’istante. Poi ci ripensò. Se ad essere espulsi fossero stati gli italiani, il secondo tempo lo avrebbe giocato Alan senza ombra di dubbio.
-Quanto manca, Benji?-
-Cinque minuti e quarantadue secondi.-
Evelyn gli si sedette accanto ridendo e Johnny Mason si spostò più in là per farle posto.
-Perché non riescono a segnare?-
-Perché Callaghan sta litigando con Gentile, Landers sta prendendo a calci Marchesi. Rob sta facendo una maratona e Tom ha la testa chissà dove. Come può segnare Holly, se sta giocando da solo?-
-Ti posso citare nel mio articolo?-
-Solo se vinciamo.-
-“Se”?
Parlavano ma gli occhi di Benji non la guardavano. Erano incollati sulla palla, il suo corpo un fascio di nervi pronti a saltare. Gli rodeva infinitamente di assistere al primo tempo dalla panchina e più i minuti passavano e più il rodimento cresceva. Avrebbe voluto giocare da subito, sarebbe stato molto meglio anche in vista del suo ritorno in Germania. Se il mister dell’Amburgo stava assistendo alla partita, si sarebbe convinto che persino la nazionale giapponese aveva bisogno di lui solo per scaldare la panchina. Gamo e Marshall, con la loro assurda decisione di far giocare il primo tempo a Warner, stavano rischiando di scavargli la fossa. Prima di ripartire per Amburgo doveva prendere Pearson da una parte e parlarci seriamente.
-Perché non hai protestato quando ti hanno detto che avresti giocato soltanto un tempo?-
-Ti sei mai messa a gridare contro un muro, Evelyn?-
-Avresti potuto provare a convincerli lo stesso.-
-E far rischiare a Warner un tracollo? E se mi denunciano per istigazione al suicidio? Sai che danno per la mia immagine?-
-Pensi che stare in panchina non ti danneggi, dopo quello che è successo nella partita contro il Bayern?-
Intorno a loro calò una quiete di tomba. Si sentivano le grida dei compagni in campo, i cori dei tifosi, i mortaretti, i fischi, ma la schiettezza di Evelyn aveva gelato il sangue a tutti. La partita contro il Bayern era un argomento tabù che finora nessuno dei compagni aveva mai pensato di affrontare, per lo meno in presenza del portiere.
D’improvviso lo stadio esultò e il silenzio in panchina si tramutò in attonito stupore.
-Invece di angustiare me avresti dovuto seguire la partita, Evelyn. Ti sei persa il goal dell’Italia.-
Lei balzò in piedi, il cellulare puntato verso il campo.
-Cavolo… Cavolo! Chi ha segnato? Alan! Chi ha segnato?-
-Solari.-
Benji strinse i pugni, fremendo ancor più di prima. Non sapeva se esultare per il fatto che a breve sarebbe entrato in campo o dispiacersi perché l’Italia era in vantaggio. Molto egoisticamente, decise di gioire. Si volse verso Gamo, che gridava istruzioni a squarciagola.
-Inizio a scaldarmi.-
Il mister s’innervosì ancora di più.
-Entrerai nel secondo tempo, come abbiamo già deciso.-
-Speriamo che nel frattempo la situazione non diventi irrecuperabile.-
-Non portare sfiga.-
-Io non porto sfiga, Bob. Semmai alla squadra aggiungo classe, bravura e competenza. Al contrario di altri che però entrano in campo lo stesso.-
-Taci, Price!- Gamo si spostò dalla parte opposta della panchina e riprese a gridare contro Bruce, Julian, i gemelli, l’intera difesa e chiunque capitasse a portata di voce.
Philip scampò ai rimproveri del mister ma fu una magra consolazione. L’Italia aveva segnato, Gentile gli aveva fatto lo sgambetto mandandolo lungo per terra e Jenny non si vedeva da nessuna parte. Lanciò un’occhiata verso le panchine, dove Evelyn lo salutò con un sorriso e un cenno della mano. Jenny non era scesa. Aveva preferito assistere alla partita dagli spalti, magari perché non era per il Giappone che tifava. Cercò i posti in tribuna che avevano occupato durante l’incontro della Juventus di qualche sera prima ma non la trovò neppure lì.
Il tempo a sua disposizione era quasi scaduto e non era riuscito a fare nulla per riavvicinarla a sé. Lei sarebbe rimasta in Italia, lui sarebbe ripartito per il Giappone e la sua vita avrebbe ripreso a scorrere piatta, grigia e soprattutto vuota.
-Torna con i piedi per terra, Philip!-
Callaghan non era l’unico ad essersi distratto. Lo aveva fatto anche Salvatore per avvicinarsi al bordo campo e farsi lanciare dell’acqua. Adesso che erano in vantaggio, il Giappone si sarebbe scatenato in una controffensiva con i fiocchi. Non vedeva l’ora. Ansimava per lo sforzo, sentiva i muscoli del torace bruciare da quando Callaghan gli aveva conficcato un gomito tra le costole. Sperò che anche la sua gomitata fosse andata a segno. Aveva bisogno di fermarsi un istante e riprendere fiato. Quanto mancava alla fine del primo tempo? Tornò al suo posto mentre l’Italia continuava ad attaccare. Era bene che i compagni lo facessero mentre erano ancora freschi e, adesso, galvanizzati dal goal. Price sarebbe entrato nel secondo tempo e da quel momento in poi infilare il pallone in rete sarebbe diventata un’impresa.
La palla colpì la traversa sfiorando il guanto di Warner, deviata dal colpo di testa di Clifford. La rimessa in calcio d’angolo fu di Solari. Ross intercettò il tiro e spedì il pallone lontano. Holly agganciò e ripartì in attacco correndo veloce, approfittando che metà dell’Italia fosse nell’area di difesa del Giappone. Rob lo superò rapidissimo, zigzagando tra i difensori avversari. Mark correva sul lato destro tallonato da Alex Marchesi, che per rallentarlo era arrivato persino a strattonargli la maglietta. Gentile li guardò tutti, gli attaccanti giapponesi, cercando di prevedere il loro gioco. Decise che Hutton avrebbe lanciato verso Aoi. Era lui da marcare.
-Vado su Rob!-
Amy riprese al volo la bottiglietta d’acqua che le lanciò Julian e mentre tornava al suo posto in panchina alzò gli occhi sugli spalti. Jenny era in tribuna, seduta accanto a Patty. Poi tornò a seguire il gioco, spronata dalle incitazioni delle riserve.
-Questa è la volta buona!-
-Corri Rob! Corri!-
-Dai che segniamo!-
Gamo era in piedi e gridava istruzioni a vuoto, perché i ragazzi erano lontani e così presi dal gioco da non avere il tempo di dargli ascolto.
Holly alzò un cross per Rob che era avanti più di tutti. La palla attraversò il campo e Aoi si tuffò di testa. La colpì e la indirizzò verso la rete. Dario si gettò sulla traiettoria della sfera mentre Gentile si lanciava in avanti per intercettarla. Il portiere abbrancò il pallone sventando il goal e rotolò nell’area di rigore, salvando la porta italiana per un soffio. Gentile e Rob finirono uno contro all’altro, l’urto spinse Aoi in fondo alla porta, il contraccolpo schiantò Salvatore addosso al palo. La struttura della porta ondeggiò tutta.
L’arbitro fischiò la fine del primo tempo e Belli si volse, il pallone ancora stretto al petto, gli occhi sul groviglio di braccia e gambe incastrato tra le maglie. Rise.
-Rob! Finisci sempre lì!-
-Dario! Aiutami Dario!-
Belli lasciò cadere la palla, afferrò Rob per un braccio e lo tirò verso di sé. Le maglie della rete rimasero impigliate nei tacchetti degli scarpini. Aoi prese a scalciare come un cavallo.
-Maledizione! Perché tocca sempre a me?-
-Tranquillo Rob!- rise Marchesi -Adesso invertiamo i campi, puoi restare dove sei!-
Aoi riuscì a liberare un piede, si tirò su in ginocchio e sbrogliò gli altri tacchetti.
-Io e la rete non abbiamo un buon rapporto… Salvatore, stai bene?-
Belli s’era completamente dimenticato del compagno. Gentile era rimasto immobile, scompostamente seduto sull’erba, la schiena contro il palo e la testa reclinata in avanti.
-Salvatore, tutto bene?- corse da lui, gli mise una mano sulla spalla e lo scosse.
-Piano… fai piano.- Gentile alzò lo sguardo su Belli e lo vide un po’ sfocato e tremolante.
-Stai bene?-
-Sì, non mi sono fatto niente.- si massaggiò la nuca soffocando un lamento -Porca miseria che botta!- quando si alzò ebbe un fugace giramento di testa, ma il senso di vertigine scomparve in un secondo.
-Un po’ di ghiaccio e tornerai come nuovo!- li rassicurò Marchesi correndo poi verso la panchina in cerca d’acqua.
Gentile alzò un braccio, si toccò i capelli sulla nuca e li sentì bagnati. Le dita, quando se le portò davanti agli occhi, erano tinte di rosso vivo.  Belli se ne accorse.
-Merda! Stai sanguinando!-
-Che vuoi che sia? Un taglietto…- barcollò, Dario lo sostenne ma lui si scansò, caparbio e anche un po’ seccato -Tranquillo, ce la faccio da solo!-
Si avviò verso la panchina, tornando a toccarsi la nuca che in effetti gli faceva un male cane. Poi il mondo vorticò, la terra si aprì, qualcuno spense le luci e lui piombò bel buio.
La barella con Salvatore raggiunse la panchina degli italiani nel momento in cui Jenny e Patty varcavano le porte e mettevano piede in campo.
-Si è fatto male?- domandò Patty raggiungendo Evelyn.
La ragazza era agitatissima, neanche si fosse infortunato Bruce.
-Non lo so, non chiedermi niente. Speriamo di no!-
-Cos’è successo? Dagli spalti s’è visto poco…-
-Anche dalla panchina. Speriamo che non sia niente di grave!-
A Philip non fregava un fico secco di Gentile, neppure lo guardava. I suoi occhi erano concentrati sul volto di Jenny, il desiderio fortissimo di capire quale livello di preoccupazione riservasse all’italiano. Partendo da quella quantità, quindi dalla sua espressione, era sicuro di riuscire a farsi un’idea sul tipo di sentimento che la legava a Gentile e di conseguenza capire quante speranze aveva di riconquistarla e riportarla in Giappone con sé. Ma quasi a farglielo apposta, con grande delusione di Philip, lei si girò e gli volse le spalle.  
Rimase da parte, lontana dagli italiani e isolata rispetto ai giapponesi, la spiacevole sensazione di non avere un posto suo in cui stare, un luogo in cui sentirsi a suo agio. Nessuno era lì per lei, nessuno si curava di lei, se fosse stata invisibile non sarebbe cambiato nulla. In piedi, solitaria, si strinse le braccia intorno al corpo cercando di scacciare il malessere, chiedendosi cosa fosse scesa a fare, convinta di aver sbagliato a presentarsi a bordocampo. Osservò silenziosa la barella che veniva depositata dietro la panchina, al riparo dalla gente, dalle telecamere e dagli obiettivi dei fotografi. Vicino al ragazzo svenuto rimasero soltanto il mister, il medico con un assistente e Dario Belli. Piuttosto che restarsene lì, immobile come un palo e solitaria come una nuvola in un cielo sereno, Jenny era tentata di avvicinarsi e chiedere notizie. Ma il timore di non essere la benvenuta e d’intralciare il medico la bloccava dov’era.
Belli infilò un braccio sotto la schiena del compagno e lo tirò su per consentire al dottore di esaminare la ferita. La testa di Gentile ricadde inerte di lato mentre una bottiglia d’acqua passava di mano in mano e finiva a gocciolare sui capelli biondi del ragazzo svenuto.
-È solo un piccolo taglio.- decretò il medico -Non ha bisogno neppure dei punti. Dario mettilo giù.-
Il portiere ubbidì.
-Lo mandiamo in ospedale. Dobbiamo fargli una tac.-
Jenny si fece coraggio, sgusciò tra i ragazzi e si accoccolò nello spazio libero di fronte a Belli.
-Come sta?-
Dario alzò gli occhi e, toccato dalla sua sincera preoccupazione, la rassicurò.  
-Stai tranquilla, ha la testa bella dura.-
-Davvero mister?- Marchesi si avvicinò -Salvatore non gioca più?-
-No, non gioca più. Lo porteranno in ospedale per una tac.-
Quelle parole penetrarono l’incoscienza di Salvatore.
Ospedale? Tac? Provò ad agitare un dito e lo sentì muoversi, poi ritrovò l’uso della mano. Assolutamente niente ospedale. Si sforzò di tornare padrone del proprio corpo, che collaborava rispondendo ai suoi stimoli. D'accordo, s’era scraniato contro un palo ma era solo un piccolo taglio. Non aveva bisogno neppure dei punti. Figuriamoci! La tac l’avrebbe fatta dopo la partita, non sarebbe cambiato nulla. Se il trauma cranico c’era, lì sarebbe rimasto. Socchiuse gli occhi e rimase immobile ad ascoltare la preoccupazione dei compagni, a sentire suo padre che si metteva d’accordo con lo staff per farlo portare via. L’ambulanza era già fuori. Il profumo di Jenny gli solleticò le narici, si ricordò di lei. Aveva udito la sua voce. Intorno a lui brulicava l’agitazione dello staff, che avvertiva il servizio d’ordine, che avvertiva gli steward, che avvertivano la portineria, che avvertiva gli autisti che parlavano con i paramedici. E i compagni commentavano afflitti la sua ingloriosa uscita. L’ospedale! Suo padre scherzava! Attraverso lo spiraglio delle ciglia socchiuse vedeva Jenny guardarsi intorno, incapace di comprendere la conversazione che ferveva intorno a lei, la preoccupazione del mister, le decisioni del medico, le esortazioni dell’infermiere, gli ordini che andavano da una parte all’altra della panchina, attraversando il campo e le pareti grazie agli auricolari dello staff.
Gentile, ignorato da tutti, sollevò una mano, la posò sulla nuca di Jenny e tirò bruscamente la ragazza verso di sé. Lei gli cadde quasi addosso, il viso a pochi centimetri da quello di Salvatore senza neppure capire cosa stesse accadendo. Lui la baciò.
-Ma che…-
Lo sgomento spinse Dario indietro, Gentile crollò al suolo, sbattendo la testa nello stesso identico punto in cui gli era spuntato uno stratosferico e dolorosissimo bernoccolo. Il suo grido di dolore si mescolò all’esclamazione terrorizzata di Jenny.
-Cazzo, Dario, sei scemo? Che male!-
-Io sono scemo? E tu che stai facendo?-
Salvatore si puntellò su un gomito e si massaggiò la nuca, ora doppiamente sofferente. Poi, prima che lei riuscisse a scostarsi, agguantò Jenny e le diede un altro bacio. Poi si tirò indietro e le sorrise.
-Questo è l’ultimo.-
Jenny si accasciò priva di forze, le gambe ripiegate sotto di sé, il cuore che le martellava nel petto per lo spavento. Lo fissò con gli occhi spalancati, le guance arrossate, la bocca socchiusa, i capelli raccolti ad un lato del viso, dove erano scivolati quando Gentile l’aveva tirata giù.
-L’ultimo cosa?-
-L’ultimo bacio.-
Lei non capì il senso delle sue parole e arrossì soltanto, perché Gentile l’aveva baciata davanti a tutti, ma tutti tutti, in un momento in cui tutti, ma tutti tutti, li stavano guardando.
Daniele Gentile, suo padre, strappò stizzito la bottiglia dell’acqua dalle mani del medico e la rovesciò in testa al figlio fino all'ultima goccia, inzuppandogli i capelli, il viso, la divisa della squadra.
-Buffone! Dove accidenti credi di essere? Siamo in uno stadio, non su un set cinematografico!-
La tensione sulla panchina italiana si dissolse, i ragazzi scoppiarono a ridere mentre Salvatore si tirava in piedi gocciolante.
-Ho regalato ai giornalisti una bella scena da fotografare. Ora sapranno che non mi sono fatto niente e che giocherò anche il secondo tempo.-
-Non giocherai nessun secondo tempo! Andrai in ospedale senza fare storie per controllare che in quella tua zucca vuota funzioni tutto male come al solito!-
Salvatore e suo padre si fissarono sfidandosi.
-E come farai a mandarmi via? Mi legherai alla barella? Mi farai trascinare di peso fuori dallo stadio? Mi ammanetterai? Io da qui non mi muovo! Non mi sono fatto un culo tanto per giocare solo il primo tempo!-
-Sono io che decido se e quando scendi in campo, non tu. Mettitelo in testa una buona volta!-
-Va bene, allora resto in panchina. Ma qui, nello stadio. In ospedale non ci vado, neppure se mi ci trascini.-
Gentile padre cominciò ad alterarsi davvero.
-Non sono io a dire che devi fare un controllo! Lo sta dicendo il medico!-
-Tanto non mi convinci, né tu né lui!-
-Cristo Santo! Se almeno quella tranvata avesse migliorato questo tuo carattere di merda! E invece no!-
L’allenatore respirò a fondo per cercare di calmarsi. Non aveva voglia di litigare con suo figlio, non ancora almeno. Aveva mezzo incontro da affrontare, le sue energie dovevano essere canalizzate sulla partita e sulla squadra, non disperse su quella testa calda.
-Allora fai come ti pare e se ti accadrà qualcosa, dillo a tua madre, la colpa sarà tua! Io me ne sbatto!-
-Ci voleva tanto a capirlo?-

Benji camminava su e giù per lo spogliatoio, impaziente di scendere in campo, lanciando occhiate annoiate ai compagni che riprendevano fiato seduti sui tavoli o sulle sedie. Clifford durante il gioco aveva avuto un crampo identico a quello di qualche giorno prima e ora Sandy, inginocchiato a terra, gli stava massaggiando il polpaccio con la sollecitudine di un piccolo schiavo. Mark si asciugava il viso che aveva ficcato sotto l’acqua per scuotersi di dosso la stanchezza e per ripulirsi dal sudore. Adesso, con i capelli sparati in aria, sembrava un gallo spennato. Tom sperava di scacciare la fatica con un bicchiere di concentrato di sali minerali, Philip invece il bicchiere se lo stava girando tra le dita, ancora mezzo pieno, la testa di nuovo tra le nuvole. E Benji non faceva nessuna fatica a immaginare su quali emisferi stesse errando. Gli andò vicino e gli posò una mano sulla spalla.
-Gentile col quel bacio si è vendicato del tuo tunnel.-
Holly gravitava nelle vicinanze e udì le parole del portiere. Saltò su come un grillo.
-Che ne sai, Benji, eh? Che ne sai? Ci hai parlato? Te lo ha detto lui?-
-Perché ti agiti così?-
Sperò che il portiere riuscisse a leggergli nella mente ciò che avrebbe voluto urlargli in faccia:  come perché? Non hai visto che c’è mancato un pelo che Philip e Gentile si prendessero a pugni? Vuoi peggiorare le cose? Ma le parole che presero forma e suono nella sua bocca furono completamente diverse.
-Non mi agito! Assolutamente non mi agito! Perché dovrei agitarmi? Gentile e Jenny stanno insieme, lui la bacia in continuazione, non gliene frega niente del tunnel di Philip! Nessuno deve agitarsi, qui!-
-Pensala come ti pare.-
Holly strinse i pugni.
-Se non la pianti ti strozzo!-
Ma Benji non lo sentì, non lo stava più guardando. Si era sfilato i guanti dalla tasca posteriore dei pantaloni e ci giocherellava in attesa di poterli indossare e mettere finalmente piede in campo.
-Philip, senti…- cominciò Holly, parlando di nuovo al vento.
Anche lui non lo ascoltava più da un pezzo, era tornato a pensare ai fatti propri, gli occhi ancora pieni di Jenny, la testa sulla panchina italiana, i pensieri sul campo, dove aveva resistito all’impulso di andare verso la squadra avversaria, prendere l’ex fidanzata per mano e portarsela via. Ma non via dalla parte della panchina giapponese, quella da cui era legittimo che assistesse alla partita, via proprio via. Via dallo stadio, via da Torino, via dall’Italia. Le avrebbe lasciato la mano solo una volta arrivati a Furano, a casa di lei, dove sarebbero rimasti finalmente soli. Da soli e insieme.
Peter Shake si accostò con una garza imbevuta di disinfettante.
-Ti sanguina il ginocchio.-
Philip si riscosse e fissò il compagno come se fosse un alieno. Poi le parole che lui gli aveva rivolto acquistarono un senso. Allora abbassò il viso, vide la ferita, prese la garza e si sedette su una sedia libera.
Peter lo seguì e continuò a stargli davanti. Sembrava a disagio. Sollevò gli occhi a guardarlo.
-Hai bisogno di qualcosa?-
-Forse devo chiederti scusa per l’altro giorno. Per il pugno e per non averti creduto.-
Philip avrebbe voluto rispondergli: bene, accetto le scuse. Adesso però smamma perché ho altro a cui pensare. Invece tacque, appallottolò la garza nel pugno e si alzò per andare a gettarla nel cestino mettendo fine all’imbarazzante conversazione a senso unico.

*

Jenny ballava nel suo spazio con gli occhi chiusi, senza preoccuparsi di chi le stava intorno. Una balaustra di acciaio la separava dagli altri e in quei pochi metri quadri, su una pedana semibuia, poteva lasciarsi andare alla musica senza che nessuno la infastidisse. La tensione scorreva via dal suo corpo seguendo il ritmo dei dischi lanciati dal DJ. Teneva il tempo muovendosi con i bassi che l’altoparlante sopra di lei le sparava direttamente in corpo. Anche la pedana tremolava a tempo di musica. Un metro e mezzo più in basso, attraverso gli occhi socchiusi, nel buio illuminato a intermittenza da fasci improvvisi di luce bianca e colorata, vedeva i clienti della discoteca danzare lasciandosi trasportare dal ritmo scatenato. Il collo e le braccia, la schiena, ogni centimetro di pelle che il top bianco lasciava scoperto, e le gambe, nude dalle caviglie in su, fino ai corti pantaloncini neri, erano madidi di sudore. I capelli, raccolti in una coda alta, le danzavano sulle spalle e le finivano a tratti sul viso. Cercava di non pensare a niente, ma era difficilissimo. Cercava di estraniarsi dal tempo e dallo spazio, ma restava radicata nello stesso posto. Scatenarsi non serviva ad annullare ciò che l’angustiava. Neanche concentrarsi sulla musica l’aiutava ad allontanare i sentimenti indecisi che provava.
Il DJ inserì un altro brano e il ritmo aumentò di velocità. Il cuore prese a batterle più velocemente, per adattarsi alla rapidità dei movimenti. Si sentì toccare un braccio e spalancò gli occhi, lo stato ipnotico incalzante si interruppe all’improvviso. Accanto a lei, sulla pedana, era comparsa Carol che le gridò qualcosa cercando di superare il frastuono della musica. Jenny non capì, allora la ragazza indicò la porta d’ingresso. Lei si sforzò di guardare in quella direzione, di individuare cosa avesse attirato la sua attenzione. Ma c’era soltanto un cumulo di teste scure, immerse nel buio e a tratti illuminate dai fari. Il ghiaccio secco emise un sibilo e l’ambiente si riempì di un denso fumo dal sentore di menta.
Carol si spazientì, la prese per mano e la trascinò giù per gli scalini fino alla pista. Facendosi largo tra i clienti che ballavano, raggiunsero il banco del DJ. Gli altoparlanti erano puntati verso il pubblico e lì il frastuono era minore.
-Sono arrivati!-
-Chi?-
Carol non la udì o non ebbe il tempo di risponderle perché si allontanò saltellando felice.
-Chi è arrivato? Chi?- tornò a chiederle ma lei era ormai sparita tra la gente.
-Stanca?-
Jenny scosse la testa a Gianluca, in arte Luke, le cuffie infilate in testa ma poggiate solo su un orecchio, occupatissimo a provare le successioni musicali con cui assordare i suoi clienti.
-Vogliono sempre le stesse canzoni…- borbottò scontento in italiano. Si premette l'unica cuffia posizionata sull'orecchio e innestò un passaggio da un brano all'altro.
La ragazza si chinò a terra, aprì la borsa capiente che aveva infilato sotto il tavolo del DJ quando era arrivata all'incirca un'ora prima e tirò fuori un asciugamano. Aveva bisogno di una doccia, altroché. Si passò il telo sulla nuca e sulle braccia, cercando Carol da qualche parte nel locale. Impossibile che fosse sparita. Sospirando tornò a frugare tra le proprie cose, prese una maglietta nera e se la infilò. La scollatura era ampia, sotto di essa il bianco del top splendeva di violetto e attirava l’attenzione come un faro nella notte. E lei, adesso che era scesa dalla pedana, voleva passare il più possibile inosservata.  
-Che fine ha fatto Carol?-
-Laggiù, vicino all’entrata.- gliela indicò Luke agitando la testa e una mano per tenere il ritmo della musica.
Facendosi largo tra la gente, la ragazza era riuscita ad attraversare la pista per raggiungere la nazionale giapponese al completo che si sparpagliava nel locale. Jenny non credette ai propri occhi. Cosa diavolo ci facevano tutti lì? Era tardi, erano sicuramente stanchi e non avevano proprio nulla da festeggiare, visto che l'incontro era finito con un pareggio. Perché non erano rimasti in albergo?
-Vado a prendere una birra.- disse al ragazzo -Vuoi qualcosa?-
-Una birra anche per me.-
Carol travolse Rob con la sua esuberanza saltandogli al collo.
-Finalmente! Sono settimane che non ti fai vedere qui!-
Lui divenne un pomodoro e cercò di staccarsela di dosso.
-Sei la solita esagerata, sono venuto giusto due settimane fa…-
-Come vuoi ma adesso divertiamoci! Ho riservato per voi i posti migliori, anche se pensavo che sareste arrivati prima!-
-Siamo andati in hotel a posare le borse e cenare.-
Philip riconosceva il posto, era il club privato dove l’aveva portato Carol quella sera in cui aveva sentito il bisogno impellente di cambiare aria. Cercò sulla pedana la ragazza che aveva attirato la sua attenzione quando era entrato, il suo top bianco gli era saltato agli occhi, risplendendo intermittente nel buio ogni volta che la luce violetta lo colpiva. Non la trovò più, la pedana era deserta. Seguì Mark che si faceva largo tra la gente e si fermò solo quando raggiunsero i divanetti dei vip, uno spazio riservato tutto per loro. In quell’angolo i divani erano comodi, non rischiavano di essere urtati da ballerini particolarmente spericolati e, cosa importantissima, la musica arrivava attutita, consentendo loro di parlare senza urlare.
-Dov’è Jenny?-
Carol la indicò a Mark, permettendo anche a Philip di scorgerla. Sedeva al banco del DJ con una birra in mano. Non li guardava, era voltata dall’altra parte e scherzava col ragazzo che faceva roteare con destrezza un disco tra le dita dando mostra della propria abilità. Poi arrivò Gentile, la sua testa bionda catalizzò un fascio di luce incorniciandola come un’aureola mentre attraversava la pista. Passando accanto a loro li individuò, li salutò con un cenno e puntò dritto verso Jenny. Scambiò una stretta di mano con il DJ, prese la birra della giovane e ne mandò giù una lunga sorsata.
-Non pensavo di vederti qui stasera, Salvatore.-
-Infatti sono passato solo per dirti una cosa.-
-Addirittura?-
-Sì, è una cosa importante.- accostò il viso a quello di lei finché non fu vicinissimo, la guardò negli occhi e scandì bene le parole, perché ne comprendesse il significato, nonostante l’inglese, nonostante il frastuono -Dovresti tornare insieme a Callaghan, Jenny.-
-Come?- lo fissò sgomenta, certa di non aver capito. Del resto la musica era alta, c'era confusione e d'improvviso le orecchie le ronzavano.
-Dico che devi tornare insieme a Philip Callaghan.-
Lei ammutolì. Non riusciva credere che anche Salvatore si permettesse di dirle cosa doveva fare. Era una congiura? Si erano messi d'accordo tutti? Non ne poteva più di sentire la stessa solita, inutile solfa! Cosa ne capivano gli altri di lei? Cosa ne capivano di lei e di Philip? Gentile le passò una ciocca ribelle dietro un orecchio, poi le accarezzò con affetto una guancia.
-Non lo dico tanto per dirlo, Jenny. Me ne sono reso conto quando vi ho visti pattinare insieme, ieri sera. Il tuo corpo sembrava fatto apposta per stare tra le sue braccia.- e poi aveva avuto occasione di parlare ancora un poco di loro con Price, cominciando a capire qualcosa in più sul sentimento che li aveva legati per anni.
Jenny sentì una fitta nel petto e chinò il volto a terra, incapace di guardarlo. Salvatore allora le prese il viso in una mano e glielo sollevò fino a incontrare i suoi occhi.
-Mi dispiace… Ti ho turbata?- si chinò a baciarla sulla guancia -Pensaci per favore.-
Lo osservò mentre spariva tra la gente per tornare da dove era venuto. Rimase di nuovo sola, a tormentarsi ancor più di prima. Pensarci? Non faceva altro! Non bastava forse il bacio che Philip le aveva dato davanti ai bagni del bar del centro sportivo? O ciò che le aveva detto nei corridoi dello Juventus Stadium? Non bastava ciò che era accaduto sulla pista di pattinaggio? O che Benji, Mark, Patty, Amy e chiunque altro avesse abbastanza confidenza con lei, le avesse detto che era bene che tornassero insieme? Chi dava loro il diritto di impicciarsi della sua vita? Lei stessa non sapeva cosa fosse meglio, come potevano capirlo gli altri? E Philip? La collera s’incanalò prepotente contro il suo ex. Come osava Philip chiederle di tornare in Giappone dopo come l’aveva trattata? Dopo come l’aveva lasciata? Cosa s’era messo in testa? Di frequentarle insieme, lei e quella sua fotomodella?
Indispettita dai suoi stessi ragionamenti, ignorò lui e tutto il gruppo dei compagni, restando testardamente seduta accanto al DJ finché Carol non si ricordò di andarla a prendere.
-Cosa fai, Jenny? Vieni! Sono arrivati Rob e gli altri! Non li hai visti?-
-No e non voglio vederli!-
Carol s’impietrì.
-Perché? Cos’è successo?-
-Niente, non è successo niente! Ho mal di testa, non mi sento bene. Se potessi, tornerei a casa!- desiderò davvero di poter fuggire, ma rientrare a quell’ora da quel posto era impossibile. Chi l’avrebbe accompagnata? Certo non Gentile che se n’era appena andato…
Appoggiò i gomiti sui dischi del DJ e sprofondò la testa tra le braccia, affranta, depressa, scoraggiata, demoralizzata, praticamente senza forze. Non ne poteva più. Voleva sparire, ma non sapeva né dove né come. Sentì qualcuno metterle una mano sulla spalla, la voce di Amy accanto a sé.
-Ti senti male, Jenny?-
Si tirò su con gli occhi arrossati, si passò una mano sul viso e scosse la testa.
-Sono distrutta.-
Quelle uniche due parole fecero percepire ad Amy la stanchezza fisica e psicologica di una Jenny che non aveva più la forza di restare a galla. La sentì al limite, come l’aveva sentita al limite la prima volta che erano andate insieme da Nicole, quando era uscita piangendo dalla stanza in cui era rimasta chiusa per più di un’ora con la donna, rifugiandosi tra le sue braccia singhiozzando e dicendole che mai, mai più avrebbe messo piede in quella casa.
Amy le accarezzò la schiena come aveva fatto quel giorno, finché i nervi tesi di Jenny non si rilassarono come si erano rilassati a casa di Nicole. Poi le prese una mano, proprio come era già accaduto, e la condusse al tavolo dei compagni così come l’aveva riportata a casa, accompagnandola fino a Furano dove Philip l’aspettava, esattamente come la stava aspettando adesso seduto sui divanetti, gli occhi fissi sulla sua ex e la stessa preoccupazione a turbare il suo sguardo.
Per Jenny fu un sollievo sedersi accanto a Mark, sfiorargli il braccio con la spalla, e trovarsi Patty dall’altra parte che rideva per qualcosa che aveva detto Bruce. Il calore dell’amico la spinse ad accostarsi di più a lui.
-Voglio andare a casa, Mark.-
Lui la guardò.
-Quale casa?-
Era una domanda semplice e legittima, ma Jenny andò in confusione. Già, quale casa? Qual era la sua casa? Sicuramente non l’attico di Sapporo che aveva condiviso con Philip per pochi e brevi mesi, non il lussuoso appartamento dei suoi genitori a New York, non quella di Mark a Torino, tanto meno il ryokan, che era diventato di David. La sua casa allora era Furano? Era lì che voleva tornare? Nella desolata solitudine di una cittadina di provincia che aveva sempre visto lei e Philip insieme?
La sua birra era rimasta sul banco del DJ e non le andava di alzarsi per recuperarla. Allora si appropriò del bicchiere di Mark. Mandò giù un sorso, il liquido le bruciò la gola.
-Cos’è?- ansimò -Cosa stai bevendo?-
-Non lo so, ho scelto a caso dal menù.-
-È orribile.- posò il bicchiere disgustata.
Rimase con gli occhi bassi per non incrociare quelli di Philip. Più i minuti passavano, più un dolore lacerante, come uno strappo, le cresceva dentro. Quella era l’ultima sera, l’indomani lui sarebbe tornato in Giappone e forse non si sarebbero più visti. Almeno di persona. Da quel momento in poi avrebbe avuto sue notizie dai giornali, attraverso articoli e foto di gente come Steiner che si divertiva a ficcare il naso nelle vite e nei problemi della gente. E questo non solo per ciò che riguardava Philip. Jenny era decisa a tagliare i ponti anche con gli altri, con tutti coloro che la circondavano in quel momento e che erano troppo profondamente legati alla sua vita di prima e a quella del suo ex. Avrebbe perso lui e insieme a lui tutti, a cominciare da Mark e Patty, poi Amy, Benji, Holly, Tom, Bruce, Evelyn, Julian…
Con la coda dell’occhio scorse Evelyn che si alzava, attraversava lo spazio vuoto tra il divanetto che aveva occupato fino ad un istante prima e quello su cui sedeva lei, e le si piazzò davanti impettita.
-Dobbiamo parlare.-
Jenny sostenne il suo sguardo, quasi la sfidò.
-Di cosa? Non ho niente da dirti.-
-Io sì.- Evelyn si chinò su di lei e le fu d’un tratto vicinissima -Hai paura?-
Il tempo di fissarsi ancora un istante, poi Jenny reagì alla sfida alzandosi. Si fermarono a guardarsi nel corridoio che portava ai bagni sul retro, il martellare della musica arrivava smorzato. Jenny attaccò per prima, le braccia incrociate al petto, il peso del corpo su una gamba, le spalle al muro e un atteggiamento ben poco disponibile.
-Hai fatto la tua benedetta intervista, Eve. Che altro vuoi da me?-
-Sprecare giusto due parole per farti presente che Philip ha sofferto abbastanza ed è ora di finirla.-
Jenny trasecolò.
-Come, scusa?-
-Davvero vuoi che ripeta?-
Le parole dell'amica le suonarono così assurde che la fissò incredula.
-Stai dicendo sul serio?-
-Ti sembra che stia scherzando?-
L’altra scosse la testa e respirò a fondo, sforzandosi di mantenere la calma, ma il suo corpo fremeva in ogni nervo, in ogni muscolo, per la stizza che provava nei confronti della ragazza.
-Eve, come al solito non ti rendi conto di ciò che dici! Dovresti imparare a pensare prima di parlare!- benché tentasse di controllarsi, la sua voce si alzò di un tono -Philip sta soffrendo? Lui? Hai il coraggio di dirmi una cosa simile? Ma cosa ne sai? Cosa sai di me, di lui, di noi?-
-So quello che ho sotto gli occhi! Non ti accorgi di come ti guarda? Non vedi che ti ama ancora? Possibile che io me ne renda conto, anzi, che ce ne rendiamo tutti conto tranne te?-
-È Philip che mi ha lasciata! È Philip che si è messo con Julie Pilar! E lui starebbe soffrendo? È di lui che ti preoccupi?-
-Sì mi preoccupo Jenny, perché si vede che sta male! Possibile che non te ne importi nulla?-  
-Eve, taci. Non lo conosci, non capisci. E stai sbagliando tutto. Non sono io che ho smesso di amarlo per prima, non sono io che ho deciso di mandare all’aria quello che avevamo costruito in tutti questi anni. Non sono io che ho deciso di non vederlo più. Te lo ha detto? Ti ha raccontato come mi ha lasciata?-
La giovane scosse la testa.
-Allora chiediglielo, e soltanto dopo che te lo avrà detto avrai diritto di darmi dei consigli.-
-Philip non mi racconta i fatti vostri, non li racconta a nessuno. Ma ho occhi per vedere e cervello per capire. Io il consiglio te lo do lo stesso, Jenny. Domani torna in Giappone con noi, vedrai che le cose tra te e Philip torneranno a posto.-
-No, non torno in Giappone. Tanto meno con voi. Non chiedermelo più.-
Si volse per andarsene e si scontrò con Mark. Non lo aveva visto arrivare, non sapeva da quanto tempo fosse dietro di lei a sentirle discutere, ma non le importò. Lo urtò per superarlo, per farsi spazio nello stretto corridoio e lui la lasciò allontanarsi senza provare neppure a fermarla. Fu Evelyn a gridarle dietro.
-Dovrai tornare a casa, prima o poi!-  
La guardarono sparire nel locale, tra la gente.
-Allora?- Mark, rassegnato già da un pezzo a quella situazione di stallo, fissò l’amica e si scontrò con i suoi occhi, che brillavano battaglieri.
-Non l’avrà vinta. Mi è appena venuta un’idea, sta’ a sentire…-
Luke il DJ riuscì a fermare Jenny mentre gli passava accanto a testa bassa, rapida come un treno.
-Dove corri? Frank ti sta cercando.-
Lei si bloccò di colpo.
-È arrivato?-
-Un istante fa.-
Francesco, detto Frank, doveva pagarle il mese e chiudere i conti.
-Dov’è?-
-Stava ordinando una birra al bar. Vai…- le strizzò un occhio -Se gli gira bene, ti darà una buona mancia.-
-E gli gira bene?-
-Può darsi di sì.- la sollecitò con una spinta della mano al centro della schiena.
Jenny oltrepassò la postazione di controllo destreggiandosi tra cavi elettrici, prese di corrente e  collegamenti delle strumentazioni e sparì tra la gente. Philip, che non aveva occhi che per lei, la vide apparire davanti al banco del bar, farsi largo tra la calca e raggiungere un uomo grande e grosso con una t-shirt nera a maniche corte, le braccia ricoperte di tatuaggi, il pizzetto, un pearcing su un sopracciglio e una bandana in testa alla maniera piratesca. Tesa come una corda di violino, seria come se stesse per salire sul patibolo, varcò dietro di lui una porta e sparì nei locali riservati al personale.
Philip ebbe un mezzo scompenso. Guardò Carol che si era seduta al posto di Jenny e scambiava battute complici niente meno che con Bruce, Evelyn che ribolliva su un altro divanetto e non li perdeva d’occhio un attimo, Patty e Amy che sfogliavano il menu. Persino Mark era troppo occupato a sgranocchiare i salatini per essere in ansia per Jenny. Che lei fosse sparita con un energumeno poco raccomandabile chissà dove per fare chissà cosa, sembrava non essere un problema per nessuno.
-Julian, ti sei accorto che c’è il wi-fi gratis?-
Ross spostò su Bruce uno sguardo omicida. Avrebbe voluto strozzarlo. Che razza di domande erano? Sì, c’era il wi-fi e lui se n’era accorto da un pezzo. A dire la verità lo stava sfruttando dal momento in cui aveva messo piede nel locale. Troppo presa da Jenny, Amy non aveva notato che da quando erano entrati, Julian aveva tirato fuori il cellulare e lo aveva tenuto sempre in mano. Ma adesso le parole di Bruce l’avevano spinta a guardarlo contrariata e sospettosa.  
-Stai chattando?- gli chiese -Anche adesso? Anche in questo momento stai chattando con le tue fan?-
Sì, lo stava facendo ma non volle ammetterlo. Avevano già discusso di quell’argomento, quel giorno.
-Controllo la posta.-
Amy distolse gli occhi. Per lei era uguale, chat o mail non faceva differenza, per i suoi gusti Julian dedicava troppo tempo alle sue fan. Si alzò irritata e raggiunse con Evelyn la pista. Il malumore di Ross si riversò contro chi aveva fatto la spia.
-Bruce, perché non stai zitto?-
-La prossima volta che c’è il wi-fi non te lo dico.-
-Bravo.-
Holly sbadigliò.
-Non so voi, ma io non ho intenzione di restare a lungo.-
Anche perché la mancata vittoria di quella benedetta amichevole un po' gli bruciava. Non riusciva a credere di aver pareggiato, non gli succedeva quasi mai, e avrebbe preferito tremila volte restare a crucciarsi in hotel piuttosto che andare in giro a fare bagordi fino a tardi.
Julian rispose senza staccare gli occhi dal display.
-Sono perfettamente d’accordo con te.-
-Certo, che te ne frega, Ross?- lo schernì Benji -Tanto quello che stai facendo qui puoi benissimo farlo in albergo, sbracato sul tuo letto. Con il vantaggio che Amy non ti vede e non s’incazza.-
-Impicciati degli affaracci tuoi, Price.-
Holly, nonostante il frastuono, riuscì ad appisolarsi sul divanetto e fu Patty a svegliarlo quando decisero di andarsene. All’uscita dalla discoteca, mentre si dirigevano verso la fermata del notturno che li avrebbe ricondotti all’hotel, Landers ordinò a Philip di seguirlo.
-Vieni con me. Ho qualcosa da mostrarti.-
-Dove?-
-A casa mia.-
Mark si aspettava che Philip gli facesse storie, quantomeno gli chiedesse il motivo, invece il compagno si adeguò senza protestare. Così salirono insieme su un autobus diverso da quello che presero gli altri, con la musica che gli martellava ancora nelle orecchie. Rimasero in silenzio per tutta la durata del tragitto senza scambiarsi una parola, finché scesero. Percorsero qualche centinaio di metri sul marciapiede e si fermarono davanti alla porta della casa di Mark.
-Cos’è che devo vedere?-
-Seguimi.-
Landers tirò fuori le chiavi e aprì. Accese la luce, lasciò entrare il compagno e richiuse la porta. Senza dargli il tempo di guardarsi intorno, lo precedette sulle scale ed entrò in una delle camere. Philip capì che si trattava della stanza di Jenny quando riconobbe i vestiti di lei posati su una sedia. Si fermò sulla soglia frastornato, d’improvviso tutto stava andando ad una velocità pazzesca. Il desiderio che covava da giorni di vedere dove la ragazza aveva vissuto si era realizzato di colpo. Finalmente era riuscito introdursi in quell’intimità da cui era rimasto escluso, facendolo diventare matto d’invidia e gelosia.
Mark si sedette davanti al piccolo tavolino tra il letto e la finestra e aprì uno dei cassetti per frugare al suo interno. La sua mancanza di tatto non gli piacque.
-Cosa stai facendo?-
-Patty mi ha detto che c’è una cosa…- si piegò di lato per controllare fino in fondo, ma non trovò ciò che cercava.
Provò con l’altro e nel momento stesso in cui l’aprì, i suoi occhi caddero sulla foto di Philip che baciava Julie Pilar. Jenny l’aveva ritagliata dalla rivista prima che lui la facesse finire nel cestino dell’immondizia. La tirò fuori e l’allungò verso il compagno. Philip si avvicinò e la prese. Dopo un rapido sguardo l’accartocciò nel pugno, ficcandola nella tasca dei pantaloni per farla sparire per sempre. Jenny non avrebbe dovuto più vederla.
Il cassetto non era così pieno e a Mark bastò rovistare nel fondo per tirar fuori ciò che cercava. Philip riconobbe all’istante la scatolina che conteneva l’anello e strabuzzò gli occhi.
-Sai cos’è, vero?- gli chiese Landers.
L’altro si limitò ad annuire, allungando una mano per prendere la piccola confezione blu.
-Cosa significa?-
-Dimmelo tu.-
Philip scosse la testa e si lasciò cadere seduto sul letto confuso, incredulo e insieme sollevato di constatare che Jenny non l’avesse gettato via. Non solo non se ne era liberata, ma lo aveva portato con sé anche se non stavano più insieme, anche se frequentava Gentile. Sollevò il coperchio quasi trattenendo il fiato. La pietra smerigliata brillò alla luce, gioendo di essere stata finalmente ritrovata. I suoi luccichii riempirono gli occhi di Philip, riportandolo a ricordi lontani. Alla pioggia che li aveva bagnati quel giorno, mentre percorrevano la strada che dal ryokan portava a Shintoku e si erano fermati, indecisi se proseguire nella loro passeggiata o tornare indietro. Ricordò come avesse tirato fuori all’improvviso l’anello mentre l’acquazzone si scatenava sopra e intorno a loro. E quando Jenny aveva capito, i suoi occhi avevano brillato di felicità.
-Mark…-
Ma Mark non c’era più. Era uscito e lo aveva lasciato solo, accostando piano la porta senza che lui se ne accorgesse.
Quella giornata era stata esageratamente lunga e impegnativa. La levataccia, gli esercizi prepartita, la partita, la serata in discoteca e adesso a casa di Mark, nella stanza in cui Jenny aveva vissuto in quegli ultimi tre mesi. Si lasciò cadere sdraiato, appoggiando la testa sul cuscino. Chissà cosa stava facendo. L’avevano lasciata in discoteca perché non era voluta tornare con loro. Da quando quel tizio poco raccomandabile l’aveva chiamata, lei non si era più avvicinata, preferendo restare accanto al DJ per tutta la serata.
Sollevò una mano per portarsi l’anello davanti agli occhi. Lo sfilò dal cuscinetto e se lo girò tra le dita, non era cambiato per niente. Era nuovo, luccicante, senza un graffio. Jenny lo aveva tenuto al dito per un tempo brevissimo. Sospirò. Aveva perso. Non era riuscito a riconquistarla. Non era stato in grado di riprendersela. Ripose l’anello nella scatolina e la richiuse. Era l’ultimo giorno in Italia. Avrebbe trascorso lì solo quest’ultima notte e l’indomani l'attendeva l’aereo. Il pensiero di non vederla più gli strinse il cuore, provocandogli una fitta insopportabile.
Il suo sguardo accarezzò gli oggetti presenti nella stanza. Sulla scrivania c’erano una guida turistica di Torino, un dizionario tascabile giapponese-italiano e viceversa, un quaderno. Sulla spalliera della sedia, una maglietta, una gonna… abiti che aveva visto su di lei. Incrociò le braccia dietro la testa, sotto il cuscino, toccando qualcosa di liscio e soffice. Ritirò una mano e si volse; una manica di cotone lilla gli era finita tra le dita. Sollevò il cuscino e capì. Era il pigiama di Jenny. Lo toccò, lo accarezzò con una stretta al cuore. Voltò la testa sfiorandolo col viso. Il suo profumo… sentì il profumo di lei, il suo profumo buonissimo. Immerse il viso tra la stoffa e chiuse gli occhi. L’odore di Jenny faceva affiorare una moltitudine di ricordi. In fondo che male c'era? I ricordi erano l'unica cosa che ancora gli restava e che nessuno avrebbe mai potuto portargli via. Riprese in mano la scatolina dell’anello. Non riusciva a non toccarla. Era qualcosa che li univa troppo, che rappresentava un legame troppo forte.
 
Jenny infilò la chiave nella porta e fece scattare la serratura. La luce del salotto era accesa, forse Mark la stava aspettando di nuovo. Si preparò ad un inevitabile litigio mentre si toglieva silenziosissima le scarpe e lanciava un’occhiata all’orologio che segnava le due e mezza. Nonostante la luce, non udiva nessun rumore. Avanzò piano e si affacciò nel salotto. Mark dormiva spaparanzato sul divano, davanti alla televisione accesa senza volume. La tensione che l’aveva assalita si disperse, ma le rimase addosso il fastidio che aveva provato per tutta la serata, finché Carol non l'aveva riaccompagnata a casa. Ce l'aveva con Evelyn perché, con la sua invadenza, s'era messa a rigirare il dito nella piaga dandole consigli che mai le avrebbe chiesto. Ce l'aveva con lei perché le aveva sbattuto in faccia uno stato di fatto che per più di una settimana aveva cercato di  ignorare. Le sue parole l'avevano messa ancora una volta di fronte ai sentimenti che provava per Philip e che l'amica affermava lui provasse ancora per lei. Non voleva credere che Evelyn ci avesse azzeccato e, in una piccola parte di sé, nello stesso tempo ci sperava. Ma anche sperandoci in sordina, sapeva che il giorno successivo non sarebbe tornata in Giappone con i compagni. Evelyn poteva essersi sbagliata e lei non voleva più star male, era stanca di soffrire. Nonostante i tentativi di Philip di riavvicinarla, non riusciva a perdonarlo e in più non si fidava. Se lui l'amava ancora, il suo comportamento di mesi prima nello stadio di Sapporo non aveva giustificazioni, se invece non l'amava, non aveva giustificazioni il suo comportamento di quegli ultimi giorni. In conclusione, Jenny non ci stava capendo più niente, aveva un mal di testa lancinante e non poteva neanche alleviarlo con un analgesico. Quella sera s'era servita al bar troppe volte. Con la testa che doleva ad ogni passo, salì al piano di sopra.
Aprì la porta della stanza che aveva occupato dal giorno in cui era arrivata a Torino e rimase attonita sulla soglia. In quel preciso istante, il momento in cui per la prima volta aveva messo piede nella camera verde, le sembrò remotissimo. Per un attimo, vedendo Philip riposare sul suo letto, ebbe l'impressione che il tempo si annullasse, che lui non l'avesse mai lasciata. Guardarlo dormire la fece tornare alla serena quotidianità di anni prima, quando ancora la loro vita era piena di felicità e di gioia. Anni che in quegli ultimi giorni sembravano non essere mai esistiti. Si riscosse per chiedersi cosa diavolo ci facesse Philip addormentato sul suo letto. In discoteca non aveva preso sul serio la minaccia di Evelyn, e invece eccolo lì il suo bel regalo! Si volse per andarsene, perché quello scherzo era davvero più di quanto fosse in grado di sopportare, ma qualcosa brillò a terra, attirando la sua attenzione. Sotto il braccio di Philip, teso per metà nel vuoto oltre il materasso, giaceva la scatolina del suo anello aperta e rovesciata. L’anello si era sfilato dal cuscinetto ed era finito poco più in là, richiamando la sua attenzione con un tenue brillio. Lacrime di stizza le salirono agli occhi. Chi aveva autorizzato Philip a frugare nei suoi cassetti? Come aveva osato impicciarsi delle sue cose? Che diritto aveva di farlo?
Avanzò silenziosa nella stanza. Si avvicinò, raccolse l’anello e la scatolina. Poi si tirò su, trovandosi per un istante vicinissima al suo viso. La collera scomparve di colpo mentre lo guardava, spazzata via da una nostalgia infinita che le tolse le forze e la fece scivolare in ginocchio. Posò la scatolina sul comò, indugiò con la mano a mezz’aria, fissando Philip che continuava a dormire. Se l’avesse solo sfiorato, non sarebbe più stata lucida. Lui aveva la capacità di far tremare persino i suoi pensieri.
“Non farlo.” pensò, ma la sua volontà s’era così indebolita che non si diede ascolto. Un secondo dopo le sue dita gli accarezzarono il braccio. Toccò solo il tessuto della felpa, Philip non si accorse di nulla. Si morse un labbro, cercando di mantenere un controllo che stava perdendo. “Non servirà a niente. Non cambierà niente.” Si tirò su e si sedette piano sul letto, così piano che il materasso non si mosse. Restò a guardarlo, come probabilmente aveva fatto lui quando era rimasto a dormire al suo fianco in camera di Amy. Jenny doveva andar via ma più indugiava e meno trovava la forza di alzarsi e lasciarlo lì. I suoi occhi accarezzarono quel viso che aveva amato e che amava ancora. Che amava dolorosamente troppo. Non ricordava più quando gli aveva visto l’ultima volta un’espressione così serena. O forse sì, lo ricordava. Era sicuramente prima, prima di Kyoto. Prima che David rovinasse le loro vite. Avrebbe voluto poter tornare indietro e cancellare d’un colpo tutto quello che era successo. Spazzare via un anno e mezzo della loro esistenza per riavere Philip accanto a sé. Per stare insieme, com’erano sempre stati e come aveva creduto fossero destinati a essere. Sospirò piano, più restava lì e più diventava difficile la separazione. Eppure lo sapeva, si sarebbero separati di nuovo. Lui sarebbe partito per il Giappone e lei non lo avrebbe seguito. Forse questa era l’ultima volta che poteva restargli così vicina, che poteva addirittura baciarlo. Avrebbe appena sfiorato le sue labbra, così piano che lui non se ne sarebbe reso conto. Dopodiché se ne sarebbe andata a dormire sul letto di Mark. Chiuse gli occhi e si chinò su di lui finché le loro labbra si sfiorarono.
Philip si svegliò, tutti i sensi all’erta. Prima che lei si allontanasse, sollevò le braccia e la intrappolò. Jenny sussultò spaventata, riuscì a liberarsi dalla sua stretta mentre Philip si metteva seduto. Si guardarono, lei sgomenta per essere stata colta sul fatto, lui deciso più che mai a non permetterle di andarsene ancora.
-Io non…- Jenny abbassò gli occhi colmi di vergogna e puntò una mano sul materasso per alzarsi, Philip gliela prese e la tirò verso di sé -Philip, non…-
Lui scosse la testa.
-Non dire nulla, ti prego.-
Qualsiasi parola avrebbe rovinato quel momento e lui non voleva che ciò accadesse. Si accostò di più, la sua mano trovò il suo spazio sulla schiena di lei, adattandosi alle sue curve come se fosse fatta per stare lì e da nessun’altra parte. Risalì fino alla nuca dove premette per avvicinare il viso di lei contro il proprio.
Jenny si irrigidì, i suoi occhi guizzarono verso la porta. Non avrebbe dovuto baciarlo, non avrebbe dovuto svegliarlo e adesso sarebbe dovuta fuggire, perché tutto questo non sarebbe servito ad altro se non ad acuire la sua sofferenza e a moltiplicare il suo dolore. Nell’attimo in cui le loro labbra si unirono ancora, le certezze di Jenny si infransero come cristallo.
La mano di Philip lasciò la presa sul collo e le percorse di nuovo la schiena. Le sue dita sollevarono la maglietta, sfiorandole la pelle nuda dove il top non la copriva. Un brivido di piacere la scosse ma Jenny tentò ancora di scostarsi, la sua mente che cercava di riportarla con i piedi per terra e il suo istinto che la spingeva invece nella direzione opposta affinché si abbandonasse completamente, totalmente e finalmente tra le braccia di Philip. Lui le schiuse le labbra con la lingua, si insinuò dentro di lei. La giovane lo desiderava da così tanto tempo, desiderava così immensamente che arrivasse quel momento che il piacere che provò le fece girare la testa. Un'ondata di sensazioni dimenticate percorsero il suo corpo come una scossa elettrica, risvegliandolo come non le accadeva più da tempo. Si ritrovò a sorridergli senza neppure rendersene conto, gli occhi illuminati da un amore profondo e incondizionato. Gli si aggrappò alla felpa, le mani risalirono fino al collo, le dita affondarono tra i suoi capelli, lo strinse a sé.
Philip non aspettava altro. Scivolò con lei sul letto, le percorse il collo con le labbra facendole sfuggire un gemito. Respirò contro la sua pelle, riempiendosi del suo profumo. Sprofondarono tra i cuscini e le coperte dimentichi di tutto, spinti soltanto dal desiderio impellente di fare l'amore. Fu lei a cominciare a spogliarlo per prima. Le sue mani si insinuarono impazienti sotto la felpa, la afferrarono ai bordi e la tirarono su fino a sfilargliela. Venne via anche la maglietta. Philip si tirò in ginocchio e si prese il tempo di guardarla. Jenny giaceva sotto di lui, i capelli sparpagliati sul cuscino, il petto che si alzava e abbassava al ritmo concitato del respiro, gli occhi lucidi, le labbra arrossate dai baci. Si piegò su di lei e le tolse gli abiti un pezzo alla volta, impaziente di ritrovare finalmente il suo corpo. Le sfilò il top, le fece scivolare le mani dietro la schiena e le slacciò il reggiseno accantonandolo da una parte. Le passò le labbra sulla pelle nuda, Jenny si sentì sciogliere in un lago di piacere, gli prese il viso tra le mani e lo baciò ancora, incapace di fermarsi, avvolgendolo con le braccia come se non volesse più lasciarlo andare, accantonando ogni dubbio, ogni incertezza. Dovevano appartenersi ad ogni costo. Nessuno dei due, arrivati a quel punto, aveva né la forza, né la voglia di fermarsi. Nessuno dei due in quel momento pensava a ciò che sarebbe successo dopo.
Philip abbassò le mani sulla chiusura degli short di lei, e li slacciò. Contorcendosi un po', Jenny riuscì a sfilarli e a liberare le gambe. Il ragazzo si prese ancora qualche istante per osservarla, quasi non credesse a ciò che stava succedendo e avesse bisogno di guardarla per convincersi di non essere in un sogno. Aveva quasi dimenticato quanto fossero perfetti l'uno per l'altra. Jenny era sua, era sua in quel momento come lo era sempre stata. Si appartenevano e si sarebbero appartenuti per sempre.
Jenny sentì ogni sensazione scenderle nel profondo, là dove il desiderio di lui era più forte e quando non poterono più aspettare, Philip si lasciò affondare in lei, più e più volte. La giovane gli si era abbandonata, godendo ogni singola sensazione che l'attraversava e ogni movimento era un meraviglioso fremito di fuoco. Non c'era più nulla che importasse a Jenny, se non Philip e la travolgente ondata di intenso piacere che le faceva provare. All'improvviso, quasi troppo presto, sentirono il piacere montare, un'onda che saliva fino a travolgerli in un'esplosione. Cercarono per un istante di fermare l'attimo, poi si rilassarono.
Per qualche tempo riposarono in pace, ma il loro disperato desiderio l'uno dell'altra non era ancora soddisfatto. Si amarono di nuovo, dolcemente, prolungando ogni tocco, ogni carezza. Più tardi, mentre Jenny, stretta a Philip sotto le coperte, cercava una posizione comoda per dormire, vide filtrare attraverso una fessura delle pieghe della tenda, la pallida luce dell'alba.

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Capitolo 18
*** Diciassettesimo capitolo ***


Diciassettesimo capitolo


Un sommesso spadellare proveniente dalla cucina svegliò Mark intorno alle nove. Riemerse intontito e assonnato dai cuscini del divano, tra i quali si era incastrato durante la notte mentre si girava e rigirava inquieto, in cerca di una posizione comoda che quel letto improvvisato non offriva. Accartocciato com'era tra la spalliera e il bracciolo, quando si tirò su la sua schiena scricchiolò, inducendolo ad inveire contro ignoti. Sbadigliò sonoramente, attraversò il corridoio e lanciò un’occhiata alla porta d’ingresso. Le scarpe e il cappotto di Jenny non erano lì e ciò significava che la ragazza non era rientrata. Sbuffò di contrarietà. Portare Philip con sé era stato inutile, in attesa che lei rincasasse ci aveva guadagnato soltanto una fredda e scomoda notte sul divano. Entrò in cucina annunciato dal suo stomaco brontolante e trovò Philip seduto al tavolo, un bicchiere di succo di frutta e delle fette di pancarré in un piatto.
-Abbiamo fatto un buco nell’acqua.-
-In che senso?-
-Nel senso che Jenny non s'è fatta viva.-
Philip smise di masticare e lo fissò incerto. Lo stava prendendo in giro o davvero non si era accorto che la ragazza era sì tornata ma poi, purtroppo, si era volatilizzata mentre loro dormivano ancora? Sul suo viso scorse un’espressione così sinceramente afflitta da spingerlo a dubitare che stesse scherzando. Decise all’istante che non lo avrebbe messo al corrente di qualcosa che, persino per  lui, stava cominciando a prendere la forma di un sogno. Che lo fosse o meno, di una cosa era certo. Ciò che era accaduto quella notte erano affari suoi e di Jenny, di nessun altro. Inghiottì il boccone e si portò il bicchiere alle labbra.
-Poteva essere una buona occasione per voi per fare pace, invece niente.- Mark raggiunse il frigo, lo aprì e lo richiuse di colpo -Vuoto! In questa casa nessuno fa la spesa!- si lamentò, anche se della spesa in quel momento non gliene importava un fico secco. Era piuttosto l'assenza di Jenny ad angustiarlo. Era certo che dopo avergli mostrato l’anello, Philip fosse rimasto ad aspettarla per tutta la notte. La delusione di non averla potuta incontrare doveva essere immensa. La cercò nella sua espressione, che gli risultò del tutto impenetrabile.
-A che ora avete l'aereo?-
-Alle sei.-
-Faccio colazione e andiamo.-
-Dove?-
-Ti riaccompagno in hotel. Oggi non ho nient’altro da fare.-
Philip annuì e tornò a fissare il bicchiere mezzo vuoto che teneva tra le mani, sforzandosi di non lasciar trapelare in nessun modo la tempesta di sentimenti che si era scatenata nel momento in cui si era svegliato e non aveva trovato Jenny accanto a sé.
-Vuoi anche tu il caffè?-
Lui assentì di nuovo e mentre Mark trafficava tra i fornelli da perfetto padrone di casa, tornò a seguire il filo dei pensieri che l’arrivo dell’amico aveva interrotto.
Ciò che era successo tra lui e Jenny era la prova provata che sarebbero dovuti tornare insieme all’istante, senza perdere altro tempo. Le emozioni e le sensazioni che erano ricomparse durante quella notte, non erano neppure lontanamente paragonabili a quelle che lo avevano legato a qualsiasi altra ragazza. Ciò che sentiva per Jenny era unico.
Mark mise sul tavolo altre fette di pane tostato e Philip ne afferrò una con quell’espressione inaccessibile che stava mandando il compagno in confusione. Si chiese perché Jenny fosse scappata di nuovo. Perché avesse deciso di non farsi trovare, di non dargli la possibilità di parlare del loro futuro, di convincerla a tornare in Giappone con lui. Era guizzata via ancora una volta, inafferrabile. Eppure lui era sicuro che Jenny lo amasse ancora, tanto quanto prima. La notte appena trascorsa lo aveva dimostrato. L’aveva tenuta abbracciata per ore, stringendola a sé con delicatezza, come se avesse temuto di poterla rompere. Lei lo aveva lasciato fare, adagiandosi contro il suo corpo, posandogli le labbra sulla spalla e addormentandosi così. Anche lui per un po’ aveva dormito, ma poi si era svegliato con il respiro di lei ad accarezzargli la pelle nuda del braccio. Stringendo il suo corpo morbido e caldo, il piacere si era risvegliato. Aveva aperto gli occhi nella stanza immersa nel buio, perché prima Jenny s’era alzata per spegnere la luce. Dalle tende non filtrava nessun chiarore, doveva essere piena notte e loro avevano tutto il tempo del mondo per amarsi ancora. I baci leggeri e premurosi di Philip erano diventati sempre più esigenti e Jenny li aveva assecondati con la stessa passione. Si erano uniti di nuovo con un desiderio incontenibile, quasi a voler recuperare tutti quei mesi di separazione e lontananza.
Mark passò davanti a Philip e sparì nel corridoio, tornando un istante dopo con il cellulare in mano.
I loro sguardi si incrociarono.
-Chiamo Jenny. Voglio sapere che fine ha fatto.-
Philip non ebbe niente da ridire e Mark lo coinvolse nella telefonata accendendo il vivavoce. Quando lei rispose partì subito all'attacco.
-Stanotte non sei tornata. Perché non mi hai avvertito? Dove sei adesso?-
Jenny reputò opportuno rispondere solo all’ultima domanda.
“Sono in centro.”
-A fare cosa?-
“Degli acquisti per Amy, Evelyn e Patty.”
-Sto andando in hotel. Pranzo lì. Vieni anche tu?-
Il silenzio che seguì la proposta, rese evidente la sua esitazione.
“Ho troppe cose da fare e pochissimo tempo a disposizione.”
-Hai ragione, è meglio se ti sbrighi e torni a casa a preparare la valigia.-
“Che valigia?”
-Quella per tornare in Giappone con gli altri.-
Philip ebbe un tuffo al cuore, si irrigidì sulla sedia in attesa. Jenny non rispose, si limitò a riagganciare.
“Ciao Mark, forse ci vediamo dopo.”
Landers si versò il caffè nella tazza, ne diede anche a Philip e si sedette di fronte a lui.
-Partirà con te.-
-Come fai a saperlo?-
-Non ha detto di no.-
-Non ha detto neppure di sì.-
-Cos’è? Non vuoi che torni in Giappone?- i suoi occhi si socchiusero pericolosi -Hai intenzione di riprendere a frequentare quell’oca della Pilar?-
Philip saltò su come un grillo.
-Julie è l’ultimo dei miei pensieri!-
-Allora intendi lasciarla?-
-Non ci stavo insieme! Ci vedevamo ogni tanto!-
-Quindi pensi di continuare a vederla ogni tanto?-
-Scherzi? Non mi frega nulla di lei!-
-Buon per te…- Mark si appoggiò contro lo schienale della sedia -Ero disposto a farti passare la fissa a suon di schiaffoni!-
Philip lo guardò sgomento, non seppe se credergli. Mark lo fissava a sua volta, con tale intensità da metterlo a disagio.  
-Adesso toglimi una curiosità, Callaghan. Quando avete passato la notte in camera di Amy, tu e Jenny non avete parlato? Non vi siete chiariti? Avete dormito e basta?- rise fastidioso -O non avete né dormito né parlato?-
Philip distolse gli occhi, non raccolse la provocazione. Sapeva da solo di essere stato uno stupido a lasciarsi sfuggire quell’occasione e non aveva nessuna intenzione di ammetterlo. Quella notte nella stanza di Amy, lui non aveva ancora le idee chiare e Jenny era distrutta dalla stanchezza. Se non fosse stato così, avrebbe agito in modo diverso. Invece gli ci era voluto altro tempo per rendersi conto che l’unica cosa che desiderava era tornare con lei.  
Fu mentre l’autobus percorreva il ponte sul Po che al cellulare di Mark arrivò un messaggio con cui Holly lo avvertiva che stavano uscendo.
“Le ragazze vogliono visitare quel borgo medievale vicino al fiume. L’hotel è assediato dai giornalisti e stiamo cercando tutti di defilarci. Ci vediamo al parco?”
Mark e Philip li aspettarono alla fermata dell’autobus del Palazzo delle Esposizioni e Amy, come li vide, li incalzò con la sua preoccupazione.
-Dov’è Jenny? Ho provato a chiamarla ma non risponde al cellulare.-
-Le ho parlato poco fa. Mi ha detto che se fa in tempo ci raggiunge per pranzo.-
Philip lanciò un’occhiata a Mark. Jenny non aveva detto proprio così ma forse quella menzogna era l’unico modo per evitare di essere assillato sull’argomento. Seguì l'amico sulle strisce pedonali, senza accorgersi dell’occhiata che si lanciarono le ragazze, restando un po’ indietro.  
-Speriamo che almeno venga a salutarci all’aeroporto!-
-Certo che verrà! Perché non dovrebbe?-
-Lo sai il perché, Rob. Te l’ho spiegato ieri.-
-Non capisco come il fatto che sia stata con Philip le impedisca di venire a salutarvi all’aeroporto. Davvero Evelyn, non colgo il nesso.-
-Solo perché non la conosci abbastanza.-
Amy sospirò scontenta, il suo proposito di convincerla a tornare in Giappone era andato a farsi friggere. La sera prima in discoteca Jenny si era tenuta ben alla larga da loro e non li aveva salutati neppure quando se n'erano andati. Seguì gli altri chiedendosi se Jenny sarebbe davvero rimasta in Italia, con Mark e Gentile. Non poteva credere che l’amica intendesse fare quella scelta. Non era coerente, non era accettabile. Lei amava Philip e il suo posto era accanto a lui. Era sicura che Jenny ne fosse consapevole eppure sembrava rifiutarsi di tornare. Perché? Cos’era successo tra loro in quegli ultimi mesi in cui si erano frequentati? Perché si erano lasciati? Perché Jenny era partita con Mark? Perché Philip aveva cominciato a uscire con quella fotomodella? In che sequenza cronologica erano accaduti questi fatti? Trovando Jenny a Torino, Amy credeva di riuscire finalmente a darsi una risposta alle domande che ormai si poneva da settimane e invece la questione non si era chiarita. Non aveva saputo niente di più di ciò che aveva potuto vedere con i suoi occhi, cioè che l’amica era in Italia, che lei e Philip non si parlavano e che Philip aveva tentato di riavvicinarla sulla pista di pattinaggio, apparentemente senza nessun risultato. Il gesto del ragazzo non era stato sufficiente, Jenny lo evitava ancora e quasi più di prima, tanto che persino il giorno della sua partenza non si stava facendo viva.
Sbucarono in una piazza quadrata al centro della quale spuntava una statua equestre. Mark non l’aveva mai notata e non fu di nessun aiuto per scoprire chi rappresentasse. Amy allora tirò fuori la guida dallo zainetto e prese a leggere ad alta voce a beneficio delle amiche e di chi aveva voglia di starla ad ascoltare. A Philip non interessava sapere che il tizio sul cavallo era un duca e che nel giardino che stavano attraversando venivano organizzate numerose mostre floreali. Ma ascoltare Amy che parlava senza fare troppa attenzione a ciò che lei diceva, lo aiutava a non pensare a Jenny e aveva finito per star dietro al suono della sua voce. Rob li precedeva sul largo marciapiede chiacchierando un po’ con tutti e dispensando positività e allegria a destra e a manca.
Percorsero vialetti sinuosi sul pendio del giardino finché d’un tratto torri e torrette in mattoni rossi, mura merlate e finestre ovali spuntarono tra il fogliame. Mark costeggiò tutto il borgo fino a condurli davanti all’ingresso principale, con la torre di guardia e il ponte levatoio. La parte inferiore del muro era dipinta a colori vivaci con angeli e Madonne.
Oltrepassato il cancello, la cittadella medievale si mostrò in tutta la sua suggestiva bellezza. Edifici in mattoni aggettanti sulla piccola strada sterrata lasciavano posto al piano terra ai portici intervallati da colonne verniciate a scacchi gialli e bianchi o a strisce bianche e blu. Dietro grandi finestre a ogiva di vetri piombati si aprivano le botteghe, perfetta riproduzione di negozi medievali.
-Jenny aveva detto che valeva una visita.- disse Evelyn con la macchinetta fotografica tra le mani. La sua attenzione era richiamata da tutto, ogni singolo particolare che le si apriva davanti agli occhi attirava il suo obiettivo. Non sapeva più dove scattare e ad un certo punto piazzò la macchinetta fotografica in mano a Benji.
-Me la fai una foto con l’armatura?-
Tom si fermò contro un pilastro a righe blu e bianche per mandare un messaggio a sua madre. Poco distante Holly si era infilato dentro una delle botteghe e osservava incuriosito un bambino che tentava di convincere suo padre a comprargli la riproduzione in miniatura di una spada di plastica, chiedendosi chi l’avrebbe avuta vinta e quanto tempo sarebbe passato prima che gli toccasse affrontare un conflitto simile. Lui e Patty erano sposati da circa un anno e non vedeva talmente l'ora di diventare padre che a volte gli capitava di chiedersi perché ci volesse tanto tempo. Non aveva fretta, ma sperava che accadesse al più presto.
La curiosità con cui Evelyn li aveva accolti a Torino sperando nella bella notizia, le domande neppure troppo allusive dei genitori ogni volta che li sentiva al telefono, per non parlare delle battute appena appena velate dei compagni del Barcellona e della nazionale giapponese, stavano cominciando a diventare fastidiose. Persino Patty se ne seccava, tant'è che un giorno l'aveva sentita rispondere alla madre di non chiedere più, che sarebbe stata lei a darle l'annuncio al momento opportuno. La reazione della moglie l'aveva sorpreso, poi le aveva dato ragione. Lui non se ne intendeva, ma era sicuro che la procreazione fosse un processo che richiedeva una certa preparazione, non che si improvvisava. Nella partita della vita, lui e Patty erano ancora al primo tempo ed era inutile mettersi fretta. Ciò non toglieva che era pronto a ricevere la notizia da un momento all'altro. Aveva già fatto grandi progetti, a partire dalla riorganizzazione delle stanze, del loro tempo, fino alle scuole che il loro figlio, o la loro figlia, magari l'uno e l'altra, avrebbe frequentato. Immaginava gite in montagna con la famiglia, scampagnate sulla spiaggia, bagni in mare, giochi e divertimenti. Ad accoglierlo a casa, al ritorno dagli allenamenti, dalle partite, dalle trasferte non soltanto il sorriso di Patty pieno d'amore ma le grida felici, i baci e gli abbracci dei suoi bambini. Spostò gli occhi sull'oggetto dei suoi pensieri, sicuro che anche Patty non vedesse l'ora di avere una famiglia tutta per loro. La vide di fronte ad un espositore di cartoline.
La ragazza ne scelse due, pagò e raggiunse Amy nel cortile, davanti all’albero dorato della fontana ottagonale. Anche se il metallo in alcuni punti si stava scolorendo lasciando il posto alla ruggine,  era lo stesso molto suggestivo.
-La guida dice che è una riproduzione di una fontana di un castello medievale. Si tratta di un albero immaginario perché ha i frutti del melograno e le foglie della quercia che simboleggiano forza e antichità l’una e fertilità e fedeltà l’altro. I quattro rami principali finiscono con una testa di drago da cui esce l’acqua… Veramente l’acqua non esce, forse è rotta.-
-Sei preoccupata per Jenny?-
Amy chiuse la guida e guardò l’amica.
-Ho paura che non tornerà in Giappone con noi. Ieri avrei voluto parlarle ma è sparita e non ci sono riuscita.-
-Jenny ha già deciso cosa fare, non riusciresti a farle cambiare idea in nessun caso.-
-Ti ha detto se partirà con noi?-
-Non mi ha detto nulla, ma ti prego non ci pensare Amy. Non sei tu a poter cambiare le cose. Angustiandoti ti rovinerai soltanto il tuo ultimo giorno qui.- la prese per mano -Vistiamo la rocca?-
-Sentiamo se Evelyn vuol venire con noi.-
Rob si sedette guardingo accanto a Philip su uno dei tronchi allineati lungo il muro che cingeva il cortile della fontana. Non aveva abbastanza confidenza con il compagno per non essere sicuro che non l’avrebbe mandato a quel paese ma la curiosità lo spinse lo stesso a parlare.
-Philip, senti… Mi chiedevo… Tu e Jenny siete stati insieme per molto tempo?-
-Sei anni.-
-Cavolo! Sai, è un peccato che vi siate lasciati. Jenny mi piace un sacco.- mosse la punta del piede su e giù, scostando la ghiaia e scavando un piccolo solco -Vederla arrivare con Mark è stata una sorpresa. Non avevo idea di chi fosse, ma il giorno stesso che ci siamo incontrati mi ha stupito il fatto che conoscesse Benji e Holly. Non riuscivo a spiegarmi il perché, cosa avesse in comune con lui e con loro. Non riuscivano a capirlo neppure Dario e Salvatore e mi hanno assillato giorni per scoprirlo. Ci suonava così strano che Mark acconsentisse ad avere tra i piedi un’ospite che non fosse la sua ragazza o sua sorella…-
-Sì, strano.- convenne lui trasudando ironia. Sapendo quanto erano andati d’accordo fin da subito a Shintoku, il loro affiatamento non gli sembrava più tanto singolare.
-E poi non riuscivo a capire per quale motivo Mark fosse così iperprotettivo con lei. Non puoi immaginare cosa si è inventato per fare in modo che Gentile le stesse alla larga. Pensa che la sera di San Valentino Salvatore l'ha invitata a cena in un ristorante costosissimo e Mark è riuscito a imbucarsi portando altra gente per rovinargli la festa. Alla fine siamo andati a mangiare in sei, mandando all’aria la serata romantica che Gentile aveva tanto accuratamente preparato.- rise al ricordo -E poi quella sera stessa Mark li ha trovati a baciarsi in camera di lei e ha cacciato Salvatore di casa. Pensavo che fosse geloso, pensavamo tutti che Jenny gli piacesse anche se continuava a negarlo. Invece adesso che so, credo che lo facesse per te.-
-Per me?-
L'altro annuì.
-Forse ti sembrerà strano, anch’io l’ho capito solo quando Evelyn mi ha detto che siete stati insieme. Mark continuava ad insistere che per lui Jenny era come una sorella, che non era la sua fidanzata, che non ci aveva mai provato e non aveva nessuna intenzione di farlo. E intanto l’accompagnava ovunque, faceva ogni cosa che lei gli chiedeva, tornava a casa presto per non lasciarla sola troppo tempo, guardava male Gentile ogni volta che tentava di avvicinarsi, quando le si incollava addosso o la riempiva di regali e la baciava in continuazione. Vedendolo comportarsi così, come potevamo credergli? Non facevamo altro che prenderlo in giro, dandogli del bugiardo. E invece non stava mentendo. Non era geloso per se stesso, era geloso per te.-
Di primo acchito quell’interpretazione sorprese Philip, poi la scartò del tutto.
-Stronzate, Aoi. Mark non mi ha neppure avvertito che Jenny era a Torino.-
La ghiaia scricchiolò sotto i passi di qualcuno. Evelyn si era avvicinata.
-Disturbo?- i due scossero la testa all’unisono -Patty, Amy ed io visitiamo la rocca. Venite con noi?-
Si fermarono a mangiare al ristorane del borgo. Faceva abbastanza caldo per sedersi all’aperto, sulla piattaforma che si affacciava sul fiume. Sotto di loro il corso d’acqua scorreva placido, solcato da canoe, kayak e altre piccole imbarcazioni sportive che procedevano avanti e indietro, alcune spinte con forza dai remi, altre che si lasciavano trascinare dalla corrente. Sui prati dell’altra riva si rincorrevano i cani, a volte richiamati all’ordine dai padroni; i bambini giocavano a palla, qualcuno andava in bicicletta e altre persone passeggiavano. Quel luogo trasmetteva pace e tranquillità a tutti tranne che a Philip, ormai stanco di nascondere al mondo la propria preoccupazione. Sapeva che non era l’unico a chiedersi se Jenny sarebbe partita con loro oppure no. Aveva colto un paio di conversazioni tra i compagni, che poi avevano taciuto quando si erano accorti che non era abbastanza lontano da non udirli. A lui rodeva che si censurassero, non soltanto odiava essere tenuto all'oscuro di ogni novità che la riguardasse, ma era convinto che la loro intenzione di non parlargliene derivasse dal fatto che non lo ritenessero abbastanza forte o maturo da accettare qualsiasi decisione avesse preso Jenny. Forse il suo tentativo di avvicinarla sulla pista di pattinaggio, sotto gli occhi di tutti, era stato un errore.
Li udì ancora parlare di lui, stralci di conversazione tra Bruce, Evelyn e Benji. Stavano riattraversando il parco per tornare in hotel. Avevano poche ore di tempo per mettere a posto le loro cose e preparare le valigie.
-Philip è scoppiato da un pezzo.- sentì dire Harper -Precisamente dal primo giorno di allenamenti. Non ricordi ciò che è successo negli spogliatoi, Benji? Se non mi aveste fermato…-
-Hai litigato con Philip?- lo sconcerto indusse Evelyn a lasciare la mano del fidanzato -Perché avete litigato?-
-Perché Harper lo ha pungolato dove gli faceva più male.-
-Che vuoi dire?-
-Gli ha detto qualcosa su Jenny che era meglio che si teneva per sé…-
-Quindi la colpa è tua, Bruce! Dovevo aspettarmelo, sei il solito attaccabrighe!-
Bruce trasecolò.
-Lo stai difendendo! Lo stai difendendo di nuovo!-
-Non lo sto difendendo!-
-Sì che lo stai facendo! Lo difendi sempre!-
-Non è vero!-
-Sì, lo fai sempre!- s’intestardì Bruce mentre Evelyn sbuffava e si allontanava esasperata. Fissò il portiere -Lo difende sempre, giuro! Lo fa a prescindere, da quando a Nara lui l’ha portata all’ospedale. Gli dà sempre ragione. Sempre e comunque!-
-Non ci avevo fatto caso.-
Philip non riuscì più a sentire nulla perché Holly e Tom lo raggiunsero dall’altro lato chiacchierando.
-Mia madre ha proposto a mio padre di restare qualche giorno ospite da lei ma lui non vuole andarci. E mia madre dice che neppure suo marito gioisce all’idea.-
-Anche a me non farebbe piacere ospitare l’ex della mia ragazza.-
Holly e Tom si volsero a guardarlo curiosi.
-Che forma ha preso questa ipotesi nella tua testa? A chi hai pensato? A Jenny e Gentile?-
-Non ho pensato a nessuno.- Philip si chiuse a riccio -Ho solo detto la mia…- il parere che aveva espresso gli era rotolato sulla lingua così di getto che non aveva avuto il tempo di dare una faccia a colui che aveva individuato come ex di lei (mentre “lei” era Jenny senza ombra di dubbio). E adesso che Holly gli aveva fatto quella domanda, aveva deciso di non volersi dilungare a rifletterci neppure un attimo.

*

Erano ore che Jenny cercava di chiamare Carol. Era uscita di casa prestissimo, aveva camminato a lungo per i viali della città. Quando si era fatta un’ora decente, si era attaccata al cellulare e aveva cercato di contattare la ragazza. A risponderle, soltanto la voce registrata della segreteria telefonica. Si sentiva ancora frastornata, aveva voglia di camminare e mettere ordine nella testa, respirando a pieni polmoni l’aria frizzante della mattina. Voleva godere della felicità con cui si era destata, trattenerla addosso ancora per un po’, senza pensare al futuro, senza riflettere su ciò che l’aspettava. La notte trascorsa aveva dimostrato che tra lei e Philip le cose potevano tornare com’erano, la loro storia sarebbe potuta ricominciare da dove si era interrotta. Se soltanto lo avesse voluto, se ne avesse avuto il coraggio.
Aveva attraversato il Po e proseguito lungo la passeggiata che costeggiava il fiume e finiva nel parco del Valentino, lussureggiante di verde. Aveva incrociato una miriade di torinesi, chi portava a spasso il cane, chi correva lungo i viali, chi pedalava in bicicletta, chi si affrettava a raggiungere il luogo di lavoro. Probabilmente soltanto lei, quella mattina, vagava nei giardini senza meta, solo per camminare e tenere il corpo al passo con le capriole che faceva la sua mente. Ogni tanto tirava fuori il cellulare e riprovava a chiamare Carol senza successo. Quando si era stancata di vagare a caso e si era ritrovata intirizzita dall’umidità del parco e dalla brina, aveva fatto dietrofront ed era tornata verso il centro. A piazza Vittorio si era infilata dentro un bar per riscaldarsi. Si era seduta ad un tavolo da cui poteva osservare la strada e, ordinato un caffè, era rimasta con gli occhi sul viavai di una città sempre più sveglia e più intasata dal traffico. Aveva cercato di non fissarsi su ciò che era successo nel suo letto, solo sfiorare il pensiero di Philip le accelerava il battito del cuore e le serrava lo stomaco. Rimpiangeva ancora con tutta l’anima la notte che era volata, avrebbe voluto che non finisse più.
Quando aveva aperto gli occhi, Philip dormiva al suo fianco. Il suo viso era rivolto verso di lei, i capelli neri scompigliati sulla fronte, la bocca tesa, l'espressione serena, i muscoli della schiena nuda, il lenzuolo bianco sceso sui fianchi. Per un secondo, solo per un attimo, le era sembrato lontano, distante… Era riuscita a sgusciare via dalle coperte senza svegliarlo e lui aveva continuato a dormire mentre prendeva alcuni vestiti e la borsa e usciva dalla stanza. Jenny lo conosceva troppo bene per non sapere che dopo ogni partita il ragazzo accusava lo stress e la fatica in due modi opposti. O si svegliava euforico all’alba e cominciava a girare per casa in impaziente attesa che anche lei si alzasse, oppure continuava a dormire per ore, fino a tarda mattinata.
Era ancora seduta al bar quando alle dieci Salvatore la chiamò. Voleva sapere se aveva bisogno di qualcosa, soprattutto se sarebbe ripartita anche lei. E mentre gli rispondeva di no, mettendo voce alla sua decisione, capì che nonostante la notte passata con Philip, nonostante quello che era successo, nonostante ciò che aveva provato, non sarebbe tornata in Giappone con lui. Aveva paura. Temeva che ad aver prodotto un simile miracolo fosse stato il loro incontro inaspettato in Italia, la presenza degli amici e di Gentile, l’aria straniera. Aveva il terrore che una volta rientrata a far parte della solita routine di Philip, lui non l’avrebbe più voluta allo stesso modo. Non riusciva a non struggersi per il suo rapporto con Julie Pilar. Non era sicura che la fotomodella non sarebbe andata a prenderlo all’aeroporto, facendogli capire che quell’avventura con la sua ex era appunto soltanto una nostalgica passeggiata in un piacevole passato.
Stringeva tra le mani il cellulare quando questo squillò facendola sussultare. Era Mark. Ci aveva già parlato, accidenti. Perché insisteva? Lei non aveva niente da dirgli! Abbassò il volume della suoneria per mettere fine al fastidioso trillo e quando Mark rinunciò, mise il telefonino in modalità silenziosa. Infine tentò di nuovo di chiamare Carol. Aveva assolutamente bisogno di parlare con lei. Le serviva il suo aiuto. Il cellulare della ragazza era ancora spento. Le inviò un messaggio, poi si alzò. Raggiunse la cassa, pagò il caffè e si avviò verso il corso. Doveva risolvere i problemi uno alla volta, cominciando dai più semplici: acquistare i regali che intendeva fare alle amiche, raggiungere l’aeroporto e salutare i compagni, affrontando a testa alta la partenza di Philip. Infine trovare Carol, il prima possibile.
Mentre girava tra gli scaffali della Rinascente, si scontrò con Clarissa, l’ultima persona che si aspettava e aveva voglia di vedere. Si urtarono tra l’alto supporto dei cappelli e le grucce dei cappotti di panno scuro. Jenny teneva in mano una sciarpa di cachemire leggerissimo, quasi impalpabile, di un bel verde smeraldo (probabile regalo per Amy), l’ex di Salvatore un abito dello stesso identico colore. Clarissa guardò lei, poi guardò la sciarpa e scoppiò a ridere.
-Abbiamo gli stessi gusti?-
Jenny arrossì.
-Può darsi, però non l’ho scelta per me.- si sforzò di ricambiare il sorriso, pronta a cogliere il momento buono per dileguarsi.
-Cosa ci fai qui?-
Jenny si guardò intorno.
-Devo fare dei regali.-
Era ancora profondamente indecisa, a parte la sciarpa. Era entrata nel negozio quasi un’ora prima e non aveva la più pallida idea di cosa comprare ad Evelyn e Patty. Non aveva trovato nulla di adatto, forse la scelta era troppo ampia. Si stava perdendo, o meglio, stava perdendo un sacco di tempo e ancora non era riuscita a parlare con Carol. Alle sei l’aereo partiva e lei non aveva neppure chiesto a Gentile se aveva voglia di accompagnarla all’aeroporto. Un pensiero improvviso le attraversò la testa, fissò Clarissa nei suoi splendidi occhi verdi.
-Devi telefonare a Salvatore.-
Le guance della modella persero colore.
-Come, scusa?-
-Devi chiamare Salvatore.-
-Stai scherzando?- accennò un sorriso, che lo sguardo di Jenny spense all’istante.
-Sto dicendo sul serio.-
Il panico colmò gli occhi di Clarissa.
-No. Non posso.- scosse la testa in preda allo shock -Sono mesi che ho smesso di cercarlo. Non posso telefonargli, non posso proprio.-
-Dovresti provarci comunque.-
-Adesso?-
-Perché no?-
La proposta di Jenny le tolse le forze man mano che si fece strada nella sua testa. Appoggiò il vestito sul ripiano e le sue spalle si curvarono in avanti, gravate dal peso del tradimento.
-Non risponderà… Ci ho provato tante volte, non mi ha mai più risposto.-
-Fossi in te, proverei di nuovo.-
L’ottimismo di Jenny la costrinse a valutare ancora una volta quel pensiero tentatore. Alzò gli occhi e i loro sguardi si incrociarono per un lungo, silenzioso e infinito minuto. Nell’espressione della giovane c’era qualcosa di così convincente che Clarissa si ritrovò a frugare nella borsa, con mani tremanti, alla ricerca del cellulare. Non distolse neppure un attimo gli occhi da quelli di Jenny che le infondevano sicurezza e soprattutto la forza di fare qualcosa di cui non si sarebbe più ritenuta capace. Il telefonino riemerse dalla borsa e fissò indecisa il display. No, Salvatore non le avrebbe risposto, come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato a fare per sempre. Salvatore non l’avrebbe perdonata, mai e poi mai. Mesi prima era stata costretta a cancellare il suo numero dalla rubrica, perché ogni volta che il nome del ragazzo le capitava sotto gli occhi si sentiva morire. Ma lo conosceva a memoria, non lo avrebbe mai dimenticato. Doveva davvero chiamarlo o stava per fare l’ennesima stupidaggine, proprio come quella di presentarsi al campo qualche giorno prima? L'avrebbe aggredita come aveva già fatto? Alzò di nuovo gli occhi su Jenny un secondo prima di rinunciare. Lei continuava ad attendere, l’espressione incoraggiante non era scomparsa dal suo volto. Cosa doveva fare? Doveva provare? Non voleva più soffrire, non voleva più star male. Salvatore non le avrebbe risposto, esattamente come al solito. Ma Jenny la fissava ancora, cercando di trasmetterle un coraggio che lei per prima non aveva e che Clarissa aveva perduto ormai da tempo. Le dita le tremavano quando digitò un numero dopo l’altro con una lentezza esasperante. Sbagliò due volte e fu costretta a cancellare, insicura, impaurita, si irrigidì. Il display andò in stand-by una volta, prima che riuscisse a inviare la chiamata e dovette ridigitare la password. I minuti che scorrevano erano uno stillicidio, la tensione aveva invaso il suo corpo, Clarissa sentiva che stava per scoppiare. Jenny la guardava ancora e sorrideva. Allora spinse il tasto invio e abbassò gli occhi a terra mentre brividi gelidi di terrore le percorrevano la schiena. La pelle d’oca le ricoprì le braccia mentre il segnale di libero le squillava nelle orecchie una, due volte. La terza non ci fu.
“Clarissa?”
Lei socchiuse le labbra ma non riuscì ad articolare neppure un banalissimo “ciao”. Le lacrime le offuscarono la vista. Si passò una mano sugli occhi, poi prese a singhiozzare piano, mormorando qualcosa a Gentile che era rimasto in linea, dall’altra parte della città. Jenny si strinse al petto la sciarpa di Amy e si allontanò silenziosissima.
Carol le rispose mentre usciva dalla Rinascente con i regali fatti, dopo aver preso atto che Mark l’aveva cercata ancora due volte.
-Ti sto chiamando da ore, che fine hai fatto?-
“Ciao Jenny!” la sua voce era ancora assonnata.
-Carol, dove sei?-
“In piena fuga d’amore. A Venezia!”
A Jenny venne uno scompenso.
-A Venezia? E con chi?-
“Con un amico.”
-Che amico?-
“Un ragazzo che ho conosciuto ieri sera in discoteca.” rispose lei soffocando una risatina imbarazzata.
-Una persona che hai conosciuto ieri non può essere un amico!-
“Esiste un minimo di giorni prima di entrare in amicizia con qualcuno?”
-Ci hai passato la notte insieme?-
“In parte…”
-In parte?-
“Parte della notte. Siamo andati via della discoteca che erano le quattro.”
A Jenny caddero le braccia.
-Ti prego, non dirmi che si tratta di uno di quei due che ieri hanno attaccato bottone.-
“Uno non era mica brutto. Non essere pignola. Ti serviva qualcosa?”
-Pensavo che saresti venuta all’aeroporto a salutare la nazionale giapponese.-
“Anch’io lo credevo, prima della mia fuga d’amore. Adesso non più quindi pensa tu a salutarmi tutti!”

*

Philip era irrequieto dalla mattina. Evelyn se n’era accorta quando era scesa dall'autobus che li aveva portati al borgo e aveva incrociato il suo sguardo. Il compagno si era alzato dalla panca su cui sedeva insieme a Mark e si era incamminato con loro verso il parco e i giardini. Aveva pedinato Amy che leggeva la guida, guardandosi intorno così distrattamente che Evelyn c’aveva messo un istante a capire che non stava ascoltando nulla. E poi, inaspettatamente, all’interno della cittadella medievale aveva cominciato a chiacchierare con Aoi. Da quel momento in poi i due non avevano più smesso di farlo se non durante la visita alla rocca. Restando un po’ indietro, discosti dagli altri, avevano ripreso a parlare durante tutto il viaggio di ritorno. Evelyn non aveva proprio idea di quale argomento comune potesse occuparli in una conversazione così lunga. Anche se a chiacchierare era soprattutto Aoi, Philip ogni tanto prendeva la parola e per una volta pareva interessatissimo a ciò che gli veniva detto. Secondo Evelyn, che parlasse con qualcuno era un bene a prescindere, visto il mutismo di quei giorni. Arrivati in hotel Rob aveva raggiunto i gemelli Derrick, Philip aveva liquidato i loro schiamazzi con un’occhiata distratta ed era salito in camera a riordinare la valigia, come avevano fatto anche gli altri.
Il tempo si era guastato mentre si preparavano. Il sole era sparito dietro una coltre di nuvole cariche di pioggia, che avevano riversato sulla città un acquazzone inatteso. I ragazzi si erano riuniti nella hall per l'ultima chiacchierata insieme prima della separazione. Patty e Holly avrebbero preso l’aereo per Barcellona, Benji quello per Amburgo. Gli altri sarebbero atterrati a Tokyo, per poi disperdersi verso le rispettive mete nelle isole giapponesi. Oltre a Philip, chi sembrava più restio a partire era Benji, che non aveva idea di cosa aspettarsi al suo rientro in Germania. L’aver giocato solo mezza partita contro l’Italia continuava a bruciargli, temeva che ciò avrebbe avuto pesanti conseguenze anche nell’Amburgo. Non riusciva a spiegarsi cosa avesse spinto Freddie a fargli un torto simile in una situazione così delicata, ma ce l’aveva con lui e non gli rivolgeva la parola dal giorno prima. Evelyn si era accorta che Amy lo teneva d’occhio ma allo stesso tempo lo evitava, quasi come aveva fatto i primi giorni del loro soggiorno a Torino. La sentì rivolgersi a Patty, che le sedeva accanto nella hall dell'albergo.
-E noi quando ci rivediamo?-
-Ormai quest’estate. Torneremo in Giappone non appena gli impegni di Holly saranno terminati.-
Amy sospirò e abbassò gli occhi sul tavolino di vetro.
-Le partenze mi mettono tristezza.-
-Anche a me.-
Evelyn non prestò loro attenzione, era decisa a non lasciarsi trascinare nella malinconia dell'addio. Preferiva di gran lunga osservare Philip che le sedeva davanti e giocherellava con il cellulare senza interesse. Lo studiava con preoccupazione fin da quando Mark le aveva confidato che la sera precedente il suo piano di farli incontrare e parlare era andato a monte perché Jenny non era tornata a dormire a casa. Ad Evelyn dispiaceva sinceramente, vedeva Philip nervoso e scontento e avrebbe dato qualsiasi cosa per alleggerire il macigno di ansie che gli gravava sulle spalle. E avrebbe dato qualsiasi cosa affinché Jenny partisse con loro, anche se era ormai certa, perché si fidava ciecamente del proprio istinto, che ciò non sarebbe accaduto. L’amica non sarebbe tornata in Giappone. Forse Amy e Patty ancora lo speravano, ma lei non più. Soffocò uno sbadiglio, stava morendo di sonno. Al ritorno dalla discoteca aveva trascorso le poche ore che restavano della notte a scrivere l’ultimo pezzo dedicato all’amichevole della nazionale giapponese contro l’Italia, affinché venisse pubblicato in Giappone quel giorno stesso. Era riuscita, con un paio di caffè, a restare sveglia e recettiva per tutta la mattina ma da quando si era seduta al ristorante del borgo, la stanchezza di quella notte insonne le era calata addosso e non aveva fatto che soffocare sbadigli durante tutto il pranzo.
Con gli occhi che quasi le si chiudevano, si alzò e attraversò la hall come uno zombie in cerca di un altro caffè. Passando accanto a Philip che s'era messo a vagare tra i compagni senza pace e senza meta, lo prese per un braccio e lo trascinò con sé.
-Vieni, dobbiamo parlare.-
Evelyn era decisa ad approfittare di quegli ultimi barlumi di lucidità per riuscire finalmente a dirgli ciò per cui l’aveva tampinato fin dalla prima sera lì in Italia, perché forse più tardi, nella frenesia della partenza, non ne avrebbe avuto il tempo. Sull’aereo non ci sarebbe stata abbastanza privacy e una volta atterrati in Giappone lui sarebbe fuggito per prendere la coincidenza per Sapporo, lei e Bruce il treno per Fujisawa. Evelyn temeva fortemente che la delusione scaturita dalla decisione di Jenny di restare in Italia, avrebbe fatto precipitare l’amico nella stessa identica depressione che lo aveva accompagnato a Torino, inducendolo ad agire di nuovo da irresponsabile. Lei voleva evitarlo a tutti i costi.
Philip la seguì svogliato ma quasi grato che l’avesse trascinato via dalla confusione dei compagni. Dopo una mattinata frustrante, aveva sperato che la giornata migliorasse. Ma si era sbagliato. Era frustrato esattamente come quando quella mattina si era svegliato da solo nel letto di Jenny a casa di Mark. Si sedettero insieme al bar, vicino ad una finestra che si affacciava sul giardino dell’hotel, le piante in balia della pioggia scrosciante. Incredibilmente la piscina in cui Jenny e Gentile erano caduti quella prima sera si trovava ancora al suo posto, i pergolati, i vasi e i tavoli tra cui Philip aveva vagato confuso e sconvolto quando aveva visto il giocatore italiano baciarla erano sempre lì, quasi a ribadire che tutto ciò che era successo in quei giorni era stato reale. Così come era reale ciò che era accaduto quella notte tra lui e Jenny. Un cameriere si avvicinò per prendere le ordinazioni. Dopo essersi rapidamente consultati, Philip ordinò un caffè ciascuno. Pochi istanti dopo avevano davanti due tazzine fumanti. Evelyn non perse tempo in preamboli, lo affrontò diretta come al solito.
-Philip, devi assolutamente smettere di frequentare le feste di Daniel Baird.-
Convinto com’era che l’amica l’avesse preso da parte per parlargli di Jenny, perché forse sapeva qualcosa più di lui, Philip s’irrigidì come un palo. Non riuscì a fare altro che tacere a disagio, mentre lei proseguiva dritta sparata.
-Cominciano a diffondersi parecchie dicerie su quelle feste. Baird è riuscito a farsi un giro di invitati importanti e famosi e la curiosità di sapere nei particolari cosa accade durante i suoi raduni sta crescendo. L'interesse non riguarda soltanto la mia categoria, Philip. Anche le forze dell'ordine cominciano a buttarci un occhio. Che vi giri roba illegale ormai si sa per certo e se continui a frequentare quella gente, quando altre notizie più precise verranno alla luce non sarà una cosa buona per te, indipendentemente da ciò che hai fatto o farai mentre sei lì.-
-Veramente io non…-
Evelyn sollevò una mano per zittirlo.
-Non voglio saperlo, Philip. Ti stimo e non voglio cambiare l’idea che mi sono fatta di te. Non è per ascoltare le tue giustificazioni che ti ho detto che volevo parlarti.- sorseggiò il caffè, poi posò la tazzina sul piatto -Lo sto facendo perché sono preoccupata. Per favore, dammi retta. Non andarci più, rischi di giocarti la carriera. E sono sicura che non vuoi che ciò accada.-
-Secondo te di cosa stanno parlando?- Bruce si mosse sulla poltrona, sprofondando tra i cuscini di pelle nera. Teneva gli occhi strizzati su Philip ed Evelyn ma era troppo lontano per riuscire a sentire.
Benji sorrise.
-Evelyn gli sta dicendo che vuole lasciarti e che, se Jenny non torna in Giappone, sarebbe disponibile a mettersi con lui.-
L’altro si afflosciò.
-Sono un cretino, perché te l’ho chiesto?-
-Perché sei un cretino.-
Bruce si alzò e fece un giro intorno al bar, spinto dalla bruciante curiosità di sapere. Ma arrivato nei pressi del tavolo occupato dalla coppia, lo accolse un frustrante silenzio. L’occhiataccia che gli lanciò Evelyn quando lo individuò, gli fece passare la voglia di fermarsi con loro e impicciarsi. Quando Harper si fu allontanato, Philip si decise a parlare.
-Farò come dici tu, Eve.-
Pagò i due caffè e, seguito dalla giovane, si affrettò a tornare in camera per recuperare le valigie. I compagni si stavano radunando nella hall con i rispettivi bagagli. Il pullman che li avrebbe condotti all’aeroporto era entrato nel parcheggio dell’albergo e aveva accostato lungo il marciapiede ricoperto dalla tettoia. Pearson era uscito per parlare con l’autista sollecitando gli ultimi ritardatari ad affrettarsi. Il loro soggiorno a Torino era ormai agli sgoccioli e Jenny non si faceva ancora vedere. Mentre Philip usciva insieme al resto della squadra e s’incamminava verso il pullman, percorrendo il marciapiede sotto la tettoia senza bagnarsi, continuò a guardarsi intorno sempre più depresso.

Jenny tornò a casa per riprendere fiato. In cucina trovò i resti della colazione di Philip e Mark. I piatti e le tazze erano rimasti nel lavandino, immersi nell’acqua. Lavò le stoviglie, le mise a scolare, salì di sopra ed entrò in camera. Philip aveva rifatto il letto, tirato le coperte e riposizionato i cuscini, sbagliandone però la sistemazione. Gli fu grata di aver cancellato le tracce di quella notte, le lenzuola disfatte, l’impronta dei loro corpi sul materasso dove si erano amati. Tirò fuori degli abiti puliti e si concesse una doccia. Erano quasi le tre e aveva cominciato a piovere in modo decisamente convincente. Il cielo era coperto di nuvole e probabilmente avrebbe continuato così fino a sera. Se Jenny voleva arrivare all’aeroporto in tempo per salutare gli amici doveva darsi una mossa. Sperando di non essere d'intralcio alla riappacificazione con la sua ex, telefonò a Salvatore.
Lui passò a prenderla a casa, Jenny lo aspettava sulla soglia, alcune buste posate per terra all'asciutto, un ombrello in mano pronto ad essere aperto. L’alfa romeo rossa si accostò al marciapiede, lei caricò le buste sul sedile posteriore e prese posto davanti.
-Grazie per il passaggio.-
-Fai bene ad approfittare finché sono disponibile.- partì con una sgommata per riuscire a passare il semaforo prima che facesse rosso -Hai fatto spesa?-
-Sono regali.- si allacciò la cintura, scrollò via le gocce di pioggia che le bagnavano la borsa e si volse a guardarlo. Era bellissimo come al solito, forse anche più di come ricordava, con quei capelli giallo oro e gli occhi azzurri come il cielo. Dopo quello che era successo la notte precedente con Philip non si sentiva capace neppure di toccarlo ma continuò a fissarlo cercandogli in faccia i dettagli della conversazione che si era svolta tra lui e Clarissa. Odiava pensare di aver detto alla ragazza di chiamarlo per alleggerirsi la coscienza, ma forse il motivo era proprio quello. Certo, il giorno prima Salvatore aveva messo fine al loro rapporto, se mai lo era stato, lasciandola libera di tornare in Giappone. Le aveva addirittura consigliato di rimettersi con Philip quindi non avrebbe dovuto provare nei suoi confronti neppure un minuscolo senso di colpa per ciò che era successo  la  notte appena trascorsa. Però sentiva lo stesso qualcosa che dentro la pungolava in quel senso e non poteva farci niente. Sperava che presto le cose tra Salvatore e la sua ex si sistemassero e sperava che la telefonata fosse un passo in quella direzione. Lo guardò ma non riuscì a scorgere niente che potesse lenire la sua colpa o soddisfare la sua curiosità. Lui si sentì i suoi occhi addosso e si volse.
-Dov’è la tua valigia?-
-Non c’è.-
-Ero sicuro che saresti partita anche tu. Ti ho lasciata libera apposta.-
-Mi hai lasciata perché non è me che ami.-
Gentile si fermò ad un semaforo rosso e le prese una mano. I tergicristalli si muovevano su e giù ripulendo il vetro dalla pioggia insistente.
-Forse…- le lanciò un’occhiata e sorrise ammiccante -Ma avrei voluto lo stesso fare l’amore con te. Sono sicuro che mi sarebbe piaciuto e sono ancor più convinto che sarebbe piaciuto anche a te.-
Jenny arrossì, lui rise e le accarezzò una guancia.
-A Callaghan dispiacerà che resti qui. Si vede da come ti guarda che ti ama. Secondo me dovresti andare.-
-In Giappone lui ha un’altra.-
-E allora? A lasciare una persona ci vogliono pochi istanti. Molto meno di quanto ci vuole per conquistarla, fidati.- si fermò a un semaforo e riprese -Price mi ha detto che siete stati insieme parecchi anni.-
-Benji parla troppo.-
Jenny si chiese in quale occasione Salvatore e Benji avessero avuto modo di scambiarsi informazioni su di lei. Con una mano si lisciò la gonna sulle gambe. Non poteva andare avanti a discutere con Gentile del perché avesse deciso di non tornare in Giappone. Non avrebbe saputo spiegarlo, non aveva voglia di parlarne. Parlare di Philip con Salvatore la metteva a disagio ma soprattutto, con la sua partenza alle porte, le risultava estremamente doloroso a prescindere.

C’erano parecchi posti liberi nel pullman ma Mark si impose di sedersi accanto a Philip. Il ragazzo emanava gelo da tutti i pori e nessuno si era sentito sufficientemente masochista da voler occupare quel sedile, neppure Peter Shake, che aveva passato buona parte della mattina collegato con Skype a parlare con Grace della mancata riconciliazione tra Jenny e Philip. Il resto della squadra aveva saggiamente deciso di tenersi alla larga e far confusione altrove. Quando Mark gli era arrivato accanto percorrendo mezzo pullman, Philip teneva gli occhi fissi sulla strada. Aveva incrociato il suo sguardo riflesso sul vetro nel momento in cui si era seduto al suo fianco ma non aveva fatto una piega.
Si ignorarono per parecchi chilometri, Mark sicuro che fremesse per avere notizie di Jenny, Philip convinto di non aver niente di cui parlare. Nel momento in cui Landers si rese conto che se il compagno gli avesse chiesto dov'era la ragazza non sarebbe stato in grado di dirglielo, decise di chiamarla. Jenny gli rispose al quinto tentativo, quando ormai sbuffava come una pentola a pressione e s’era intestardito a volerla sentire a tutti i costi, sacrificando la batteria del cellulare che era ormai a  metà.
-Siamo quasi all’aeroporto, Jenny. Dove accidenti sei?-
“Abbiamo fatto tardi. C’è un traffico pazzesco qui in centro e…”
La sua voce fu coperta dalle sirene di un’ambulanza e Mark tirò indietro il cellulare per non esserne assordato.
-“Abbiamo”?- la citò non appena il mezzo di soccorso fu passato -Sei con Gentile?-
“Sì, sono con lui.”
-Passamelo.-
“Sta guidando.”
Mark si chiese perché ogni volta che le chiedeva di fare qualcosa, tirasse fuori tutte quelle storie.
-Metti il vivavoce.-
Philip passò una mano sul vetro per ripulirlo dalla condensa ma i rivoli d'acqua che solcavano il finestrino deformavano tutto ciò che era fuori. Non riusciva a credere che Jenny si trovasse di nuovo con Gentile, che fosse a spasso con lui invece che a preparare la valigia. Aveva davvero deciso di non partire? Sentì Landers iniziare un concitato botta e risposta in italiano e fu colto da un’ondata di rabbia. Era stanco di non capire quello che dicevano le persone intorno a lui, di trovarsi in balia della volontà altrui. Tutto ciò gli trasmetteva un senso di impotenza molto simile a quello che aveva provato quando aveva visto per la prima volta Jenny tra le braccia di Gentile, lo stesso identico sentimento che lo aveva invaso quando lei lo aveva allontanato per tornare sugli spalti dello stadio accanto alle amiche e quando lo aveva respinto sulla pista di pattinaggio. Un senso di impotenza che lo faceva sentire incapace di fare qualsiasi cosa per indurla a tornare con lui in Giappone. Ci aveva provato allo stadio quando l’aveva baciata, nascosti tra le colonne del ristorante. Sperava che la notte precedente fosse servita a convincerla, ma più Jenny si negava e più il filo di speranza che ancora lo univa a lei si assottigliava.
Philip sentì Mark agitarsi sul sedile per riporre il cellulare nella tasca dei pantaloni. Continuò a tacere, non si volse. Non gli chiese nulla. Gli occhi fissi sulla strada che scorreva alla sua destra, tornò a riflettere per l’ennesima volta su cosa avrebbe dovuto tentare che non aveva ancora provato perché Jenny salisse sul suo stesso aereo. Gli tornarono in mente le sensazioni che gli aveva lasciato il corpo di lei la sera precedente, le sue carezze e i suoi baci. Si maledisse per non essersi svegliato prima che Jenny se ne andasse, prima che lo lasciasse solo con i suoi dubbi e le sue angosce. Capiva che era inutile illudersi che la giovane arrivasse all’aeroporto con la valigia. Anche se non poteva fare a meno di sperarlo, era quasi certo che quel giorno non sarebbe partita con loro. Lo aveva intuito dall’espressione scoraggiata che le aveva letto negli occhi quando allo stadio gli aveva chiesto se era andato a letto con Julie Pilar. Lo aveva percepito nel momento in cui Mark aveva tirato fuori dal cassetto della sua scrivania quella maledetta foto. Sentiva che Jenny non si fidava, se n’era reso conto quando la sera prima l’aveva vista ritrarsi più di una volta, lottare con i sentimenti che provava per lui e la voglia matta di fuggire, come se Philip rappresentasse un pericolo per la sua vita. Gli sembrava di aver letto nei suoi occhi il terrore di soffrire e in quell’istante aveva compreso che ricostruire il loro rapporto sarebbe stato più complicato di quanto avrebbe mai creduto. Oltre tutto questo, si rendeva conto che dopo quei lunghi mesi passati da solo, lui per primo doveva mettere ordine nella propria vita e nella propria testa, riordinare le priorità, ricostruirsi quel futuro che, dopo aver lasciato Jenny, si era sgretolato. In Giappone aveva lasciato troppe situazioni aperte, il suo ruolo in squadra che aveva perso importanza diventando del tutto trascurabile, le feste di Baird a cui aveva accennato Evelyn e, la più spinosa di tutte, Julie Pilar. Il volto bellissimo e sorridente della fotomodella gli apparve nella testa, insieme al desiderio di non rivederla. Il solo pensare di stringerla di nuovo tra le braccia come era accaduto meno di un mese prima, di passare la notte nel suo appartamento e nel suo letto gli serrò lo stomaco di disgusto verso se stesso. Si chiese come fosse riuscito a farlo per tutto quel tempo e si rese conto che non avrebbe più potuto comportarsi così con qualcuna che non fosse Jenny. Non voleva più.
Mark taceva pensando che aveva parecchie cose da farsi perdonare, la prima tra tutte l’avergli tenuto nascosto che Jenny abitava da mesi con lui. Sederglisi accanto era stato un segnale di pace, un tentativo di ricucire un’amicizia che rischiava di spaccarsi in modo definitivo. Fare quel genere di discorsi non era certo il suo forte ma decise che ci avrebbe provato lo stesso. Era sicuro che Callaghan avrebbe capito quanto gli costasse chiedergli scusa.
Dopo aver tentato di guardarlo attraverso il vetro appannato, provò ad intavolare una conversazione, pronunciando per prime le parole che faticavano ad uscire.
-Avrei dovuto dirti subito che Jenny era da me.-  
Philip si volse a guardarlo con un movimento lentissimo e trafisse Mark con uno sguardo colmo di ironia.
-Davvero? Ero sicuro che non l’avresti mai ammesso.-
A pensarci bene, però, a Philip non importava più nulla che Landers gli avesse taciuto una cosa tanto importante. E non gli interessava più neppure che si scusasse. La delusione nei sui confronti era stata assorbita dalla decisione di rimettersi con Jenny e dal terrore che lei lo lasciasse partire da solo. Tornò a guardare fuori.
-Quando mi ha detto che vi eravate lasciati non le ho creduto. L’hai lasciata tu, vero?- Callaghan restò impassibile e Mark continuò -Comunque l’avevo capito. Lei non lo avrebbe mai fatto. Tu l’hai fatta stare male e ti ho odiato per questo. Jenny non se lo merita, non si merita niente di ciò che le è successo.- strinse i pugni, soffocando la stizza di sentirsi parlare da solo -All’inizio ho deciso di non farti sapere che Jenny era con me perché ero convinto che si sarebbe stancata presto di Torino. Ero sicuro che nel giro di un paio di settimane sarebbe tornata in Giappone.-
Si lanciò un’occhiata intorno chiedendosi se qualcun altro li stesse ascoltando. Osservò per un istante Tom seduto accanto a lui dall’altra parte del corridoio, gli occhi chiusi in cerca di un po’ di riposo. Forse non stava perdendo una parola, tale e quale a Peter Shake che non poteva vedere ma che sapeva seduto davanti a loro.
-Quando ho capito che non l’avrebbe fatto, che aveva intenzione di fermarsi, ormai era troppo tardi per avvertirti.-
-Smettila di dire cazzate, Landers. Dì piuttosto che ti sentivi in colpa per la tua idilliaca convivenza con la mia ex ragazza e che non hai avuto il coraggio di chiamarmi.-
-Faccio finta che non hai parlato. E se vuoi saperlo, dopo aver visto la foto in cui sbaciucchiavi Pilar, mi è passata completamente la voglia di avvertirti.-
L'altro ammutolì.
-Pensavo di conoscerti Philip, almeno un po’. E invece più ci penso e meno riesco a spiegarmi come ti è venuto in mente di metterti con quella.- Mark fremeva di rabbia. Il suo tono di voce s’era abbassato -Ma soprattutto come ti è saltato in testa di lasciare Jenny?-
Udendo finalmente le parole che ormai si aspettava da giorni, Philip capì che lo sfogo dell’amico era terminato. Non ebbe nulla da replicare. Tornò a fissare la strada che scorreva al di là del finestrino e restò in silenzio per tutto il resto del viaggio mentre accanto a lui Mark sbolliva pian piano.
Il pullman arrivò all’aeroporto con le consuete due ore abbondanti di anticipo.
-Passami lo specchietto.- ordinò Clifford alla cugina mentre l'autista faceva manovra nel parcheggio coperto riservato agli autobus.
-Che ci devi fare?-
-Non vedi che è pieno di giornalisti?-
Evelyn frugò nella borsetta e porse lo specchio a Yuma.
-Se vuoi posso darti anche il rossetto.-
-Idiota.- rispose a mezza voce lui, dandosi un'occhiata al ciuffo. Lo trovò in ordine e restituì lo specchio alla ragazza.
-Qualcun altro ha bisogno di rifarsi il look?- rise lei agitandolo in aria e rendendo pubblico ciò che il cugino avrebbe voluto far passare in sordina.
-Dai qua.- Jason Derrick glielo sfilò di mano e lo avvicinò a Julian, in piedi a recuperare i propri pacchi dal portaoggetti.
-Ne hai bisogno per le tue fan?-
-Piantala imbecille.-
Scesero l’uno dietro l’altro e si accalcarono sul fianco della vettura per riprendere ciascuno il proprio bagaglio che si era sparpagliato ovunque, sballottato nel ventre capiente dell’autobus.
-Dove sono i facchini?- domandò Bruce guardandosi intorno.
-Sei sempre stato un fannullone, ma non mi aspettavo fino a questo punto.- Bob Denver lo spintonò nel vano bagagli e lui, per recuperare la propria valigia, fu costretto a scaricarne almeno altre cinque.
Si tirò su accaldato, passandosi la manica della giacca sulla fronte.
-Ve l'avevo detto che ci volevano i facchini.-
-Togliti di mezzo Harper, sei d'intralcio e per di più completamente inutile.- Benji lo scostò da parte.
-Ma se ho scaricato mezzo pullman!-
-Infatti, hai preso le valigie di tutti tranne la mia.-
Bruce sparò una pernacchia al portiere, poi si allontanò dalla ressa.
-Cazzo Johnny! Mi hai massacrato un piede!- ululò James tirandosi indietro per sfilare la scarpa da sotto la rotella del pesantissimo trolley di Mason -Che cavolo hai messo in valigia?-
-Souvenir per tutti i miei parenti. Ho perlomeno sette chili di pasta.-
-Stamattina ha svuotato un supermercato...- li mise al corrente Paul Diamond ridendo.
-Ti fa male il piede?-
-Un male cane!-
-Fortuna che la partita è stata ieri.- lo consolò il gemello -Altrimenti saresti dovuto restare in panchina.-
-Bravi, infortunatevi adesso che abbiamo giocato.- approvò anche Holly. Recuperò la propria valigia e quella di Patty mentre Sandy Winter, pungolato da Yuma con un calcio nel sedere, s'infilava carponi all’interno del ventre capiente del pullman. Clifford non aveva dimenticato lo scherzo architettato da Bruce e dai gemelli Derrick e dei quali, aprendo loro la porta, Sandy si era reso complice. Il ragazzo cercava di stargli alla larga il più possibile ma nella mischia gli era capitato davanti e Yuma, che lo puntava, ne aveva naturalmente approfittato.
La sfortuna del gigante della Hirado fu che Evelyn se ne accorse.
-Vuoi lasciarlo in pace, Clifford? Sono due giorni che lo stai martirizzando.-
Yuma fissò la cugina con uno sguardo falsamente innocente mentre il compagno gli allungava timidamente la borsa.
-Chi, Eve?-
-Sandy. Non trattarlo così!-
-Così come?- insistette Yuma lanciando un’occhiata distratta a Ed che si avvicinava.
Warner recuperò la propria valigia e, visto che c’era, avvicinò ad Amy la sua che era finita fuori mano. La ragazza, pur sporgendosi sotto i portelloni sollevati, non riusciva a raggiungerla.
Benji lo osservò sorridere mentre lei lo ringraziava e lo maledisse per l'ennesima volta di avergli fregato mezza partita. Mentre si voltava stizzito per proseguire verso l'ingresso dell'aeroporto si scontrò con Philip che invece esitava.
-Cos'hai?-
-È pieno di giornalisti.-
-Come al solito, di che ti meravigli?- in prima fila scorse Steiner, la macchina fotografica che gli copriva parte del viso mentre li immortalava, ma nonostante ciò abbastanza vicino da essere facilmente riconoscibile -Ignoralo, se lo fissi va a finire che nelle sue foto vieni bene.-
Anche Amy non amava particolarmente i giornalisti, in generale odiava la notorietà, soprattutto perché Julian ne aveva già abbastanza per entrambi. Si tenne in fondo al gruppo, cercando di passare inosservata o quasi. Del resto nessuno dei fotografi era interessato a lei. Varcato l'ingresso dell'aeroporto, si guardò intorno alla ricerca di Jenny, tante volte l'amica le avesse precedute e fosse già lì. Non la vide da nessuna parte e tornò a chiedersi se sarebbe venuta.
Continuò a guardarsi intorno ansiosa per una buona mezz'ora. I ragazzi avevano radunato i bagagli in un angolo e si erano sparpagliati nell'ampio e luminoso atrio in attesa che il check-in aprisse per imbarcare le valigie. Non c'era un volo diretto fino a Tokyo, avrebbero dovuto fare scalo a Londra, attendere un'ora e mezza la coincidenza e proseguire con la Japan Airlines. Sarebbero arrivati all'ora di pranzo del giorno successivo. Non era per niente impaziente di fare quel volo lungo ed estenuante e sperava di riuscire a dormire per buona parte del viaggio. Si avvicinò a Mark che, al contrario dei compagni eccitati dalla partenza, non aveva niente da fare e bighellonava annoiato senza meta su e giù per l'androne.
-Jenny, non arriva. Fai qualcosa.-
Lui la guardò dall'alto in basso.
-Mi dispiace, Amy. Ho dimenticato la bacchetta magica a casa.-
-Almeno chiamala!-
-Ancora? Ci ho parlato poco fa e mi ha assicurato di essere per strada.-
Philip strinse i pugni, per dar sfogo alla tensione che percorreva il suo corpo. Si chiese perché Jenny fosse sparita per tutto il giorno. Che fine aveva fatto? Che diavolo stava combinando? Un’insistente vocina carica di speranza continuava a sussurrargli che forse si sarebbe presentata con la valigia e sarebbe tornata indietro con lui. Ma più lei tardava e più quella vocina si faceva flebile. Alzò gli occhi su Mark che fissava teso le entrate dell'aeroporto, si fece contagiare dalla sua espressione preoccupata anche se era quasi sicuro che Jenny all'aeroporto sarebbe venuta. Almeno per salutarli. Un contrattempo avrebbe potuto trattenerla, o farla arrivare troppo tardi ma lui era quasi certo che si sarebbe presentata. Forse non sarebbe partita con loro, ma entro poco sarebbe apparsa.
Nel momento in cui il cellulare rispuntava tra le dita impazienti di Landers, Amy balzò in piedi e corse verso le entrate, travolgendo Jenny in un abbraccio di sollievo. Salvatore accolse divertito l'impeto della ragazza.
-Vedi Jenny? Abbiamo fatto talmente tardi che non ci speravano più!-
Lei sorrise, cercando di liberarsi con gentilezza dall'abbraccio di Amy nonostante le buste che portava appese alle braccia.
-Avevo paura che non venissi, mi hai fatta preoccupare da morire…-
-Mi dispiace, abbiamo trovato un traffico pazzesco. Anch'io temevo di non arrivare in tempo per darvi questi.- agitò le buste nelle mani.
-Cos'hai portato?-
-Dei regali per te, Patty ed Evelyn.-
Amy arrossì.
-Dei regali? Ma non dovevi!-
-Perché no?-
Amy notò i nomi delle marche riprodotti sulle buste.
-Jenny, non dovevi… Ti sarà costato una fortuna.-
-Ho speso il giusto, non preoccuparti. E se l'ho fatto è perché ho potuto.-
La curiosità spinse Patty ed Evelyn accanto a loro.
-Jenny ci ha portato dei regali.-
-Grazie Jenny, è stato proprio un bel regalo portarlo all'aeroporto.- Evelyn fissava Gentile con occhi  adoranti -Così ho potuto vederlo dal vivo ancora un'ultima volta.-
-Oltre a Salvatore ti ho portato anche questo.- rise Jenny mettendole in mano una busta.
-Ti dispiace se lo apro dopo? Adesso voglio dedicare i miei ultimi istanti in Italia all'altro regalo.-
-Fai pure...- si rivolse a Salvatore che le era rimasto accanto ma chattava con qualcuno al cellulare -Evelyn vorrebbe ringraziarti per l'intervista e salutarti.- gli disse prendendolo per un braccio e spingendolo verso l'amica.
Lo sguardo azzurro di Salvatore si spostò sulla ragazza, l'abbagliò con un sorriso seducente e si chinò per baciarla sulle guance. Quando si scostò Evelyn era sconvolta, impietrita, bianca come un cencio. Si portò le mani al viso, diventando d'un tratto paonazza.
-Non ho mai ricevuto un regalo d'addio così bello!- mormorò vacillando indietro perché le gambe non reggevano l'emozione.
-Eve!- la voce di Bruce raggiunse la sua coscienza, fastidiosa come il ronzio di una mosca -Che stai facendo?- ovviamente lo ignorò.
La reazione di Evelyn aveva divertito Salvatore.
-Devo salutarle così tutte e tre?- chiese perplesso perché quante volte gli aveva detto Jenny che per salutarsi i giapponesi, non si baciavano mai?
-No, basta Evelyn, lei è una tua fan sfegatata.-
Gentile annuì e riservò a Patty ed Amy una calorosa stretta di mano.
-Mi allontano un attimo, devo fare una telefonata urgente...- si scusò.
Jenny gli sorrise, poi si rivolse a Patty consegnandole due buste.
-Il vestito della serata di beneficenza ti stava d'incanto. Molto meglio che a me, il rosso non mi dona. Prendilo, troverai sicuramente il modo di indossarlo.-
-Ma Jenny, scherzi? Ti sarà costato un patrimonio!-
-Mi sono tolta uno sfizio, ma sono felice di donarlo a te. Ho cercato una borsetta che fosse adatta ma non troppo elegante in modo che tu possa usarla anche in altre occasioni. Spero che ti piacerà.-
Evelyn si domandò se per poter far loro quei regali Jenny avesse chiesto un prestito a Gentile. L'associazione di idee la spinse a cercare il ragazzo biondo che l'aveva baciata per ben due volte e non lo trovò da nessuna parte. Forse era uscito per parlare al telefono più liberamente. Se ne dispiacque, avrebbe voluto bearsi della sua bellezza ancora per un po'. Tornò a guardare Jenny.
-Quando tornerai in Giappone?-
-Non lo so.-
Il disagio la spinse a distogliere gli occhi da loro, finendo per incrociare proprio lo sguardo di Philip. Lui la osservava da chissà quanto ma quando i loro occhi s'incontrarono, si affrettò a voltarsi di spalle. Un istante prima che lui interrompesse quel contatto, a Jenny sembrò di leggergli in faccia un'espressione carica di accuse. Un senso di imbarazzo e di mortificazione la investì in pieno e le sembrò d'un tratto di sapere ciò che stava pensando. Si chiese fino a che punto il suo comportamento lo stesse ferendo: passare un'intera notte a letto a rotolarsi con lui sotto le coperte e poi arrivare in aeroporto accompagnata da Salvatore, mostrandosi del tutto indifferente nei suoi riguardi, come se tra loro non fosse accaduto nulla, come se per lei ciò che c'era stato la sera precedente non avesse alcuna importanza.
Amy, consapevole che il momento per farle cambiare idea era ormai passato, le prese una mano e gliela strinse tra le sue.
-Non sparire di nuovo. Ogni tanto fammi sapere che sei viva.-
Jenny si chiese se ne sarebbe stata capace. Cercò di nuovo Philip. Lanciargli occhiate, seppur furtive, era diventata una necessità urgente, quasi a volersi scusare, quasi a volergli far capire che la notte che avevano trascorso insieme per lei era stata importante ma c'erano altre cose a trattenerla. Più i minuti passavano e più si avvicinava il momento in cui Philip si sarebbe allontanato, di nuovo e definitivamente, serbando un terribile ricordo del loro ultimo incontro. Così come cercava i suoi occhi per scusarsi, nello stesso tempo per Jenny era diventato urgentemente necessario non incrociare il suo sguardo per non sentire ancora più male.
Ma Philip, profondamente ferito dal suo fare scostante, smise definitivamente di cercarla e si arroccò sulla difensiva. Da quel momento in poi, ogni volta che Jenny gli dedicava un'occhiata, lo trovava voltato o intento a parlare con qualcuno dei compagni. La ignorava come in quegli ultimi giorni non aveva più fatto, come se fosse trasparente, come se non esistesse, come se non fosse lì. Come se non la conoscesse, come se quella notte l'avesse passata nella sua camera d'albergo e non con lei. In un attimo era tornato tutto esattamente come prima.
Lo vide avviarsi con i compagni verso il banco del check-in, depositare la valigia sul nastro e porgere alla hostess il passaporto e il biglietto. Le salirono le lacrime agli occhi. Se ne stava andando senza tentare più nulla per portarla via con sé. Forse si era stancato dei suoi rifiuti, forse aveva rinunciato, o magari si era reso conto che non l'amava abbastanza. Magari lo aveva capito proprio durante quella notte appena trascorsa, mentre facevano l'amore. Lo scorrere rapido di pensieri disfattisti le impedì di rendersi conto che la decisione di non tornare insieme era anche sua, che Philip sperava che fosse lei, stavolta, a fare un passo verso di lui. Pensò soltanto che Evelyn aveva avuto torto, che lei stessa era stata una stupida a illudersi.
Sentì qualcuno circondarle le spalle con un braccio. Non ebbe bisogno di voltarsi per capire che si trattava di Salvatore.
-Ho parlato con la mia ex, stamattina.-
Jenny finse di cadere dalle nuvole e mostrò una gioia che in quel preciso momento non riusciva a provare neppure sforzandosi.
-Avete fatto pace?-
Un moto di orgoglio gli illuminò gli occhi.
-Assolutamente no. Non è così facile riconquistarmi.-
Il suo sorriso stavolta fu leggermente più spontaneo.
-Davvero?-
-Ricominceremo da capo, come se non ci conoscessimo. E stavolta lei dovrà essere molto ma molto convincente.-
Patty non riusciva a raccapezzarsi. Philip non stava facendo niente per cercare di riavvicinare Jenny. Se non avesse assistito con i propri occhi alla scena sulla pista di pattinaggio, non avrebbe mai creduto che appena due giorni prima lui avesse tentato di riportarla a sé. Perché la ignorava? Perché non faceva un ultimo tentativo per convincerla a tornare con lui? Eppure le sembrava che Jenny non aspettasse altro per imbarcarsi sullo stesso volo, nonostante si sforzasse di nascondere ciò che provava davvero. Patty aveva riconosciuto lo sguardo con il quale continuava a cercare quello impenetrabile di Philip perché aveva visto tante volte brillare qualcosa di simile negli occhi dell'amica quando erano ancora insieme. E le si stringeva il cuore a non poter fare nulla per loro.
Kirk Pearson si avvicinò a Jenny per salutarla.
-Mi ha fatto piacere trovarti qui. Spero di rivederti in qualche altra occasione.-
-Arrivederci.- rispose stringendogli la mano.
Anche Gamo e Freddie, e ovviamente il resto della squadra, ebbero una parola per lei.
-Quando tornerai in Giappone vieni a vederci giocare.- la invitò Clifford -Sei sempre la benvenuta a tutti i nostri incontri. Qui in Italia la tua presenza a bordocampo è stata un piacere per gli occhi.-
-Smettila con le sviolinate, Yuma, tanto Jenny non si lascia incantare da un orso come te.- lo zittì Bruce strizzandole nel contempo un occhio.
-Sappi che quando ti sarai stufata di Gentile e di Landers, mi troverai disponibile.-
-Lascia stare, non reggi il confronto con nessuno dei due.-
-Evelyn, vai a farti un giro.-
-Sì, possibilmente verso il banco del check-in. Mancate soltanto tu ed Amy, gli altri hanno già  imbarcato le valigie.-
-Andiamo, andiamo Tom. Non ti agitare.-
Jenny rimase dov’era ad osservare le due amiche che ritiravano le carte d'imbarco e depositavano i bagagli sul nastro. Solo quando vide Clifford, i gemelli Derrick, Alan e Marshall mettersi in fila per il controllo del metal detector, ebbe la forza di prendere atto che sarebbe rimasta di nuovo sola. Fece uno sforzo enorme per trovare il coraggio di restare fino all’ultimo. Con un tuffo al cuore seguì Philip con lo sguardo. Senza voltarsi indietro neppure una volta, un’espressione impenetrabile e le labbra serrate, il ragazzo oltrepassò il varco della sicurezza. Philip se ne stava andando e lei non stava facendo nulla per seguirlo. Philip se ne stava andando e non stava facendo nulla per riprenderla con sé. Quando non poté scorgerlo più, un senso di panico le attanagliò lo stomaco.
-Torna presto…- si raccomandò Amy con gli occhi lucidi di lacrime.
Jenny annuì perché in quel momento non poteva fare altro. Non riuscì a dire nulla, la voce le si era bloccata in gola formando un groppo che non le andava né su né giù.
-Grazie per i regali. L'ultimo che mi hai fatto è impagabile.- Evelyn l'abbracciò e ne approfittò per sussurrarle alcune parole all'orecchio -Non dimenticare quello che ti ho detto ieri sera in discoteca.-
Peter Shake si avvicinò a Philip che procedeva isolato dagli altri. Il suo viso, da quando Jenny era arrivata in aeroporto, si era trasformato in una maschera inespressiva e pure sforzandosi, non riusciva a farsi un'idea di ciò che stava provando. Ma Grace, su Skype, insisteva per parlargli, così non poté fare altro che accostarsi e porgergli il cellulare.
A Philip prese quasi uno scompenso quando vide chi lo stava osservando dallo schermo del telefonino del compagno. Grace era lì, impettita, in quella che doveva essere la sua camera, seduta al tavolo davanti al pc. Alle sue spalle una parete bianca, l'angolo di una tenda e sul muro delle mensole con i libri. Non la salutò, neppure lei lo fece.
“Solo due domande, Philip. Dove sei?”
Dal tono che usò, scandendo le parole e misurando la voce, lui capì che doveva essere furibonda. Si ripromise di maledire Peter, che si era prudentemente allontanato da loro e non si vedeva da nessuna parte. Dopo avergli mollato Grace, doveva essere scappato. Philip si tirò su un lato del lucido corridoio e si appoggiò contro la vetrina del duty-free, sperando che la parete l'avrebbe aiutato a sostenere la collera dell'amica.
-In aeroporto.-
Lei annuì, del resto lo sapeva già. Quella che contava era la domanda numero due.
“Bene. E dov'è Jenny?” lui tacque, perché anche quella era una domanda retorica “In Italia dovevi fare solo una cosa, Philip: prendere Jenny e riportarla a casa.”
Lui si sforzò di mantenere la calma.
-Come, Grace? Mi spieghi come? Jenny non è una valigia che si prende e si porta. E poi, se volevi davvero che tornassi con Jenny, perché non mi hai avvisato che era qui? Sono sicuro che lo sapevi. Avrei potuto escogitare un piano.-
“Hai avuto dieci giorni per pianificare. E a cosa sono serviti se adesso stai partendo da solo? In Italia non hai pareggiato, hai perso. Adesso passami Peter.”
Lui obbedì all'istante. Cercò il compagno. Lo scorse poco più avanti a fingere di valutare una selezione di pregiati vini italiani. Lo raggiunse e gli mise in mano il cellulare.
-Grazie, sei un vero amico.- lo fulminò con un'occhiataccia e si allontanò depresso e stizzito, anzi più stizzito che depresso.
Camminò spedito al centro del corridoio, incurante dei compagni che si attardavano a curiosare nei duty-free. Gli occhi fissi sui cartelli indicatori appesi al soffitto, si fermò soltanto quando ebbe raggiunto il gate d’imbarco. Si lasciò cadere su una delle poltroncine e fissò lo schermo che indicava le destinazioni e gli orari dei voli, sforzandosi di sopprimere i sentimenti negativi che provava. Non era in grado di spiegarsi cosa lo avesse spinto a mostrarsi così indifferente alla decisione di Jenny di restare a Torino. Che cosa lo avesse frenato quella mattina dal chiedere a Mark il suo numero di cellulare per chiamarla e convincerla a tornare in Giappone con lui. Cosa gli avesse impedito, quando l’aveva vista arrivare all’aeroporto con Gentile, di avvicinarsi e parlarle, di abbracciarla e di baciarla, incurante dei compagni, dei giornalisti, dell'italiano e di chiunque altro, per dimostrarle una volta per tutte che l’amava e non sopportava più di vivere senza di lei.
Perché Jenny quella mattina se n’era andata senza aspettare che si svegliasse? Perché non aveva preparato la valigia? Eppure quella notte era andato tutto liscio, quella notte aveva dimostrato che erano fatti l’uno per l’altra, Jenny avrebbe dovuto capirlo. Era sicuro che se lei avesse voluto, sarebbero persino riusciti a trovare un posto sullo stesso volo. L’avrebbe pagato qualsiasi prezzo, non gli sarebbe importato, purché la ragazza tornasse con lui a Furano. Ma lei pareva non averci neppure pensato. In quell’attimo in cui era riuscito ad incrociare i suoi occhi, le aveva letto in volto un vago senso di colpa. Colpa per cosa? Non capiva. Per un istante si chiese se la sera precedente non avesse finto e basta. Finto di star bene con lui, finto di provare sensazioni che invece non aveva provato. Finto di amarlo. Un’idea del genere, che rappresentava il suo incubo peggiore da quando era successo il fatto di Kyoto, gli fece gelare il sangue nelle vene. Non era possibile e non voleva prendere neppure in considerazione una simile eventualità. Ci aveva rimuginato per mesi e ci era stato malissimo, convinto che dopo la violenza di McFay, lei non potesse più sopportare di essere toccata. No, Jenny non avrebbe mai finto in un momento simile, non poteva esserne capace. Ripensò alla Jenny di quell’ultimo periodo, alla Jenny che aveva trovato a Torino, e si domandò quanto conoscesse davvero la ragazza. In quei giorni ne aveva dubitato più di una volta. Aveva avuto spesso l'impressione di avere davanti una Jenny completamente diversa, una Jenny mai vista. Ma non poteva essere possibile che lei avesse finto d’amarlo, accidenti! L’indignazione gli attraversò gli occhi con un lampo. Non poteva crederci. Eppure che altro motivo aveva per non voler tornare in Giappone con lui? Fremette di frustrazione per essere stato respinto, umiliazione di sentirsi abbandonato, collera di ritrovarsi ancora solo mentre i compagni erano al duty-free a comprare gli ultimi ricordi dell’Italia insieme alle loro fidanzate. Respirò a fondo e mentre lo faceva gli comparve di nuovo nella mente il volto di Jenny che la sera prima gli sorrideva mentre la stringeva tra le braccia, gli occhi pieni d’amore. Si passò una mano sul viso e cercò di ragionare, perché disperarsi e arrabbiarsi non sarebbe servito a niente. Philip doveva riflettere. Anche se adesso non la trovava perché non riusciva a pensare in modo lucido, c’era sicuramente una spiegazione al comportamento di Jenny. C’era certamente un motivo per cui aveva scelto di non tornare. Doveva rifletterci con calma e sicuramente avrebbe capito. E dopo aver capito le avrebbe concesso un po’ di tempo per consentire anche a lei di farlo, di rendersi conto che il loro futuro era insieme. Le avrebbe dato lo stesso tempo che si sarebbe preso lui per mettere ordine nella sua vita. Un mese. Forse due. Magari fino all’estate. E poi, libero dagli impegni con la squadra, se nel frattempo Jenny non fosse tornata in Giappone con le sue gambe sarebbe andato a riprendersela. Sapeva dove trovarla e se ne sarebbe infischiato se stava ancora con Gentile. L’avrebbe convinta a seguirlo e l’avrebbe riportata a Furano dove avrebbero potuto ricominciare tutto da capo.

-Ce ne andiamo, Jenny?- Mark era arcistufo di bighellonare per l'aeroporto. Il grosso della squadra era sparito verso i gate e adesso che Philip se n'era andato lasciando la sua ex a Torino, non aveva più senso stare lì -È ora che Gentile ci riporti a casa, visto che l’unica cosa che dovevamo fare è andata in malora.-
Benji s'incuriosì.
-Di cosa stai parlando, Landers?-
-Della partenza di Jenny.- abbassò gli occhi sull’amica, era sconvolto dall'irritazione. Niente di ciò che aveva tentato per farla rimettere con Callaghan era andato in porto. L'ex coppia aveva boicottato ogni suo tentativo e tutti quelli dei compagni. Persino la trovata geniale che Evelyn aveva escogitato la sera prima non aveva raggiunto nessun risultato -Cosa sei rimasta a fare qui? Perché non sei partita con loro? Quanto ancora pensi di fermarti a casa mia?- la sua voce si caricò di indignazione, alzandosi di un tono -Dovresti essere su quell’aereo del cazzo, non qui! Dovresti essere con Callaghan, non con questo cretino che ti porti sempre dietro!- indicò Salvatore che parlava al telefono poco lontano.
I ragazzi rimasero così attoniti per la sfuriata di Mark che non notarono il sorriso beatamente idiota con cui l'affascinante italiano si rivolgeva al suo interlocutore, anzi, alla sua interlocutrice.
-Il tuo posto non è in Italia, non è con lui e soprattutto non è a casa mia!-
Gentile si avvicinò nel momento in cui Mark riprendeva fiato prima di riprendere la tirata contro Jenny.
-Scusate… un impegno imprevisto.- disse in inglese rivolgendosi un po’ a tutti -Devo scappare, tanto tu e Jenny tornate insieme, no Landers? Buon viaggio, Price, Hutton… Patty.- strizzò un occhio alla ragazza e scappò via.
-Vaffanculo pure tu!- gli gridò dietro Mark in giapponese, tanto non gli interessava che capisse. Voleva solo sfogarsi -Io torno a casa, Jenny. Non ho nessuna intenzione di aspettare l’aereo di Price. Saluti a tutti.- disse e anche lui sparì nel giro di un microsecondo.
-Cafone!- Patty esplose indignata -Jenny, prepara i bagagli e vieni da noi! La nostra casa è grande e potrai restare finché ne avrai voglia.-
Holly la fissò leggermente stralunato.
-Avevo intenzione di fare dei lavori... Naturalmente sei lo stesso la benvenuta, Jenny.-
Marito e moglie si guardarono.
-Che tipo di lavori Holly? Quando lo hai deciso?-
-Non ho deciso niente, prima te ne avrei parlato. Pensavo di riorganizzare gli spazi, le stanze...- passò il peso del corpo da un piede all'altro a disagio -Per quanto la nostra famiglia si allargherà.-
Patty si irrigidì.
-Per il momento non si sta allargando, mi sembra prematuro.-
-Io credo però che in questo caso sia meglio organizzarsi prima. Ci ho pensato stamattina mentre visitavamo il borgo medievale...-
Benji e Jenny, che tacevano per lasciar spazio a quello scambio di opinioni tra i due coniugi, si scambiarono un'occhiata. Poi il portiere scoppiò a ridere.
-Non riesco a trovare il nesso tra la visita di un castello e l'esigenza di riprodursi.-
Holly divenne scarlatto.
-C'erano dei bambini, così mi è venuto in mente che forse è il caso di cominciare a pensare a come organizzarci, nel caso.-
Patty occhieggiò Jenny, confusa e a disagio, per tornare poi a rivolgersi a Holly.
-A parte il fatto che si tratta di progetti prematuri visto che non c'è nessun bambino in arrivo, non credo che sia il momento giusto per parlarne. A Jenny e Benji non interessa come intendi sistemare casa.-
-Figurati Patty.- riprese Price con una vena d'ironia -Jenny ed io ci spostiamo su altre sedie e vi lasciamo alle vostre questioni familiari.-
-Non disturbarti, Benji.- Patty era seccata e si vedeva -Non c'è altro da dire...- fulminò il marito con un'occhiata -Almeno adesso. E l'invito a venire da noi è ancora valido, Jenny. Non puoi continuare a restare con quel cafone di Mark.-
-Non pensi che prima di noi ci sia Salvatore Gentile a reclamarla?- cercò di farla ragionare lui -Stanno insieme, no?-
La ragazza ammutolì. All'italiano non aveva proprio pensato.
-Ti ringrazio Patty, ma stai tranquilla. Quando arriverò a casa, a Mark sarà già passata.-
-Pretendi le sue scuse!-
-E poi che se ne fa?- domandò Benji piatto.
-Patty, hanno aperto i gate. Possiamo fare il check-in.- Holly attirò la sua attenzione sui tabelloni dell’aeroporto che indicavano il numero del banco assegnato all’Iberia.
Lei annuì e fissò Jenny.
-Guai a te se ti muovi, non ti ho ancora salutata. Ci liberiamo delle valigie e torniamo.-
-Tranquilla Patty.- la rassicurò Benji -Il mio volo è tra un'ora e mezza.-
-Cosa c’entri tu?-
Il portiere fissò Jenny.
-Non resti a farmi compagnia?-
-Devo?-
-Mi pare il minimo, dopo tutto quello che ho fatto per te.-
-Rammentami cosa, ho un vuoto di memoria.-
-Questa tua vena ironica deve essersi sviluppata in Italia visto che proprio non la ricordavo… Comunque ti ho salvata da Steiner, la sera della partita della Juventus. Ricordi?- Jenny annuì suo malgrado e lui si guardò intorno -Perché non ci sediamo da qualche parte? L’attesa è lunga e noiosa, meglio renderla comoda.-
-Siamo già seduti.-
-Da qualche parte dove si possa bere qualcosa.-
Patty li raggiunse al bar.
-Eccomi. Di cosa stavamo parlando?-
-Della ristrutturazione della tua casa.-
Lei lanciò un'occhiata al marito che stava ritirando le carte d'imbarco.
-Holly e io ne parleremo quando saremo a Barcellona.-
Jenny annuì.
-Mi sembra giusto, sono affari privati.- e forse l'amica avrebbe trovato il modo di confessargli ciò che aveva detto a lei durante la serata di beneficenza, vale a dire che in quel momento non voleva nessun bambino. Forse inizialmente Holly ci sarebbe rimasto male, ma Jenny era sicura che poi avrebbe capito le ragioni della moglie e le avrebbe accettate.
-Quando ti sarai stancata di Gentile o del caratteraccio di Mark, vieni a trovarci a Barcellona.- la invitò di nuovo Patty. La presenza di Jenny l'allettava, avrebbero potuto fare insieme tante cose, era sicura che si sarebbero divertite.
L'altra annuì ma lasciò cadere l'argomento quando si accorse che Holly si stava avvicinando. Patty fu abbastanza saggia da fare lo stesso.  
-Andiamo?- sollecitò il ragazzo -Se ci sbrighiamo riusciamo a raggiungere gli altri prima che si imbarchino.-
-Non li hai già salutati?-
Holly fissò la moglie, chiedendosi se avrebbero finito per litigare solo per averle proposto degli stupidi lavori che, in fondo aveva ragione lei, potevano benissimo aspettare.
-Abbiamo già salutato anche Benji e Jenny. E poi suppongo che Jenny vorrà tornare a casa prima che diventi troppo tardi.-
Lei si alzò.
-Holly ha ragione, Patty. Sta facendo notte e continua a piovere. Vai anche tu, Benji?-
-Preferisco restare da questa parte finché non partirà il volo per Londra. Ne ho abbastanza di loro.-
C'era acredine nella sua voce e Holly, incapace di rispondersi se al suo posto avrebbe provato le stesse sensazioni, non si sentì di criticarlo. Il portiere non accennò ad alzarsi e si limitò a salutare i due che si allontanavano.
Jenny tentennò indecisa. Che fare? Tornare a casa a godersi il resto della sfuriata di Mark, oppure fare tardi e restare in compagnia di Benji fino alla partenza del suo volo? Si lasciò cadere sulla sedia, decidendo per la seconda.
-Va bene, ti mostrerò la mia gratitudine aspettando con te.-
-Secondo me è l'unica scelta possibile, oltre che la migliore. Al tuo posto non correrei a farmi urlare in faccia da quel cretino di Landers. Ma a questo proposito il mio consiglio parte dalle basi. La tua meta doveva essere un'altra fin dall'inizio. Io non avrei mai parcheggiato le mie cose a casa sua neppure se fosse stato l'ultimo coglione rimasto sulla terra.-
-Fortuna che non sei me.-
-Non so cos'hai in mente di fare, come hai progettato di organizzare il tuo futuro... ma pensaci bene prima di diventare la donna di Landers.-
Jenny divenne paonazza.
-Scherzi? Non lo farei mai!-
-Buon per te. La famiglia di Landers dipende economicamente da lui al cento per cento. Saresti costretta a dividere i suoi profitti, oltre che il suo tempo, con i fratelli e la madre. All'inizio le cose potrebbero anche funzionare ma poi finireste per litigare.-
-Non ho intenzione di mettermi con Mark. Te l'assicuro.-
-Ottima scelta. Non ci ricaveresti niente di buono.-
Parlarono del più e del meno per una mezz'ora, entrambi più coinvolti dalle preoccupazioni di ciascuno che da uno strascico di conversazione che faticavano ad intavolare. Ad un certo punto, spostando gli occhi sul tabellone delle partenze, Benji si accorse che avevano aperto il check-in del  volo per Amburgo. Si alzò e afferrò la valigia, trascinandola con sé. Imbarcò il bagaglio, poi tornò da lei che lo aspettava. S'incamminarono insieme verso l'ingresso ai gate, preceduto dal controllo del metal detector.
-Su una cosa Landers aveva ragione.- riprese lui fermandosi da una parte per non intralciare il passaggio degli altri viaggiatori -Oggi dovevi tornare in Giappone.-
-A fare cosa?-
-Jenny…- lui pronunciò il suo nome con un sospiro paziente e la guardò come avrebbe guardato  una bambina che tardava a capire -Davvero sei convinta che Philip ti abbia lasciata perché si è stancato di te? Perché non ti ama più?-
Lei osservò le persone che li superavano, un gruppo di ragazzi sorridenti con enormi zaini da scout, una donna velata seguita da due bambini dalla carnagione color caffellatte, un uomo in giacca e cravatta con una ventiquattrore da agente segreto. Rispose piano, la voce che faticava ad uscire.
-Non so perché mi abbia lasciata.-
Benji le mise una mano sulla spalla e strinse piano, in un gesto d'incoraggiamento e insieme di saluto.
-Pensaci, ci puoi arrivare.-
Con la mano le risalì fino alla guancia e le diede un buffetto. Poi si volse, varcando le porte inaccessibili a chi era sprovvisto della carta d'imbarco.
Jenny lo vide attraverso i vetri sfilarsi la giacca a vento con un movimento fluido, i muscoli delle braccia e della schiena guizzare sotto il cotone della felpa. Posare tutto sul vassoio di plastica apposito, svuotare le tasche dal portafoglio e dal cellulare e varcare indisturbato il metal detector. Si scambiarono una nuova occhiata mentre Benji si rivestiva e riprendeva le proprie cose, Jenny sollevò una mano in un segno di saluto e lui ricambiò. Restò per qualche istante ad osservare la sua figura di spalle che si allontanava. La sua schiena dritta e slanciata, le braccia che ondeggiavano sicure in armonia col ritmo del suo passo. Poi tra loro si mossero altri viaggiatori e Benji sparì.
Allora lei si volse per andarsene, il vuoto che si sentiva addosso diventato immenso, determinata a non arrovellarsi sui perché che l'amico le aveva gettato addosso a tradimento un attimo prima di lasciarla sola. Ci aveva già pensato troppo senza riuscire a raccapezzarsi e adesso che Philip, la sua tentazione, non era più lì, aveva bisogno di riprendere il controllo di se stessa e soprattutto di una vita decentemente normale. Non voleva pensare a cosa le riservava il futuro, tanto era sicura che, senza Philip, non le sarebbe piaciuto.


…Fine

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