The Wedding di lady lina 77 (/viewuser.php?uid=18117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
"Hai
ragione, non puoi più essere la mia serva".
Un
piacevole vento muoveva i capelli rossi e selvaggi di Demelza e il
pelo di Garrick, mentre pronunciava quelle parole che erano uscite
dalla sua bocca ancor prima che la sua mente ne avesse elaborato il
fine o soprattutto le conseguenze.
La
ragazza lo guardò con aria interrogativa, senza capire o
forse
capendo che qualunque strada avessero deciso di intraprendere, il
loro rapporto non sarebbe più stato lo stesso. "Sir, infatti
sto tornando da mio padre".
La
sua voce era timida e stentata, si vedeva chiaramente quanto fosse in
difficoltà a parlare con lui, dopo quanto successo la notte
prima.
Ross si affrettò però a puntualizzare. No, non
doveva andarsene,
non così. Era una buona domestica, una fidata confidente,
era
diventata l'anima pulsante di Nampara e conosceva ogni suo vizio o
bisogno. Ed era una ragazzina a cui lui, con un gesto avventato e
dettato da rabbia ed alcol, aveva tolto l'innocenza e la
possibilità
di una vita affettiva stabile. Decise che Demelza non lo meritava e
che fosse suo preciso dovere prendersi la responsabilità di
quanto
accaduto quella notte, anche se in fin dei conti era stata lei a
sedurlo e lui aveva onorevolmente cercato di resistergli. Ma a
differenza di Demelza che forse non aveva ben chiare le conseguenze
di quanto successo fra loro, lui era un uomo adulto, aveva dieci anni
più di lei e in fondo era in età da matrimonio.
Certo, non amava
Demelza e per lei sentiva solo una sorta di affetto e stima, ma in
fondo perché no? Lui apparteneva a una antica e facoltosa
famiglia,
anche se decaduta, e di certo con le sue scarse finanze non poteva
ambire a chiedere la mano a una nobile ragazza del posto. Non avrebbe
potuto mantenere lo stile di vita della sposa e con Demelza, abituata
a fame e miseria, non avrebbe avuto questo genere di problemi. E poi
era carina, a modo suo, lo rispettava ed andavano d'accordo. E si era
rivelata in più di un'occasione un buon braccio destro e una
fidata
compagna di chiacchierate e di lavoro. Inoltre – e non poteva
negarlo a se stesso – quella notte, fra loro, era scattata
una
passione talmente profonda e inaspettata che lo aveva lasciato
piacevolmente sorpreso. Per lei era la prima volta ma era come se il
suo corpo da ragazzina e il suo, ormai adulto, fossero stati creati
per fondersi insieme travalicando differenze di età, rango e
ruoli.
E poi... E poi l'avrebbe sposata all'istante solo per vedere la
faccia boriosa dei giudici che avevano condannato Jim Carter
contorcersi davanti allo scandalo di un nobile che sposa una
sguattera. "Non devi tornare a casa, non è la soluzione
giusta
al problema".
"Io
credo di sì" – rispose lei sulla difensiva e con
lo sguardo
basso, accarezzando il muso di Garrick.
Ross
sospirò. Si sentiva in colpa per come si erano svolte le
cose poco
prima, quando era giunta Elizabeth, e lui non aveva potuto far altro
che ignorare Demelza per non mettere a disagio la sua ospite e,
forse, se stesso. Ma l'aveva ferita e lui si era comportato da
cafone, ne era consapevole. Come del fatto che Demelza non lo
meritava. "Mi dispiace, Elizabeth non era un ospite attesa,
oggi" – si scusò.
Lei
alzò le spalle. "Non dovete darmi spiegazioni, Sir".
Ross
scese da cavallo, avvicinandosi a lei di alcuni passi. "Non puoi
tornare da tuo padre, andare ad Illugan è una mossa che non
ti
consiglierei di fare".
"Mi
troverete lavoro presso la famiglia di qualcuno dei vostri soci?".
Quella
domanda lo intenerì. Molte donne avrebbero approfittato dal
fatto di
essere andate a letto con lui, lo avrebbero ricattato, avrebbero
cercato di trarne profitto ed avrebbero preteso... Lei no, non
chiedeva niente e in questo scorgeva una notevole nobiltà
d'animo
per essere una ragazzina tanto giovane e di origini tanto umili. "No,
niente affatto! Vorrei che restassi a Nampara".
Demelza
si accigliò, pensando ovviamente alla cosa più
ovvia: restare,
continuare a lavorare per lui e la notte essere la sua amante e
soddisfare i suoi appetiti...
Rimase
in silenzio e davanti alla mancanza di una risposta, Ross si
affrettò
a spiegarsi meglio. "Non per quello che pensi tu!".
Lei
parve esserne delusa, ma continuò a rimanere in silenzio. E
lui capì
che sarebbe rimasta anche senza nulla in cambio, senza impegni
ufficiali e che, se lui gli avesse chiesto di dormire con lui, lei lo
avrebbe fatto senza fare domande. Come sempre...
Ross
prese un profondo respiro, la sua vita stava cambiando in maniera
vertiginosa nel giro di poche ore. "Vorrei che mi sposassi!
Credo sia la cosa migliore da fare, per noi. E' un modo onesto e
responsabile di sistemare quanto successo la notte scorsa". Non
l'amava, non l'avrebbe mai amata, il suo cuore apparteneva a
Elizabeth e Demelza lo sapeva. Se accettava la proposta, non avrebbe
dovuto premurarsi di tenerle nascosto quello che era un dato di
fatto. L'avrebbe rispettata e si sarebbe preso cura di lei, avrebbe
elevato il suo status sociale e gli avrebbe donato una vita meno
dura. Pur senza amore, Demelza aveva solo da guadagnarci da quel
matrimonio.
La
ragazzina spalancò gli occhi mentre Garrick, attratto dai
movimenti
di una lucertola, scavava nella terra per stanarla. "Sposarvi?".
"Sì,
sposarci! E' una buona soluzione per entrambi, giusto? Io
onorerò il
mio cedimento di stanotte e tu avrai la cura e la tutela di un
marito".
Demelza,
improvvisamente, indietreggiò. Sembrava spaventata e
smarrita e
forse era normale, non era che una ragazzina di diciassette anni.
"Matrimonio...? Sir, io...".
"Devi
solo dire di sì!".
Lei
scosse la testa. "Ma io non posso, voi non potete! Che dirà
la
gente se vede un uomo rispettabile che sposa la sua sguattera?".
Lui
fece un sorrisetto irriverente, immaginandosi già la scena.
"Ti
è mai sembrato che mi importasse cosa dice di me la gente?".
"Sì
ma un matrimonio... Non si fa, signore! Non dovete, molti uomini
nobili fanno ciò che vogliono con le loro sguattere e mica
le
sposano... Non potete! E non volete" – disse infine, calando
il tono di voce. E ancora una volta, il riferimento ad Elizabeth era
palese e davanti ai suoi occhi. Era piccola ma non stupida e doveva
parlarle con sincerità.
"Ma
va fatto!" - insistette lui, stupito dalla maturità che lei
stava dimostrando e dalla sua testa dura. O forse no, che Demelza
avesse la testa dura, era una cosa che aveva notato da molto. Era
selvaggia e indomita, intraprendente – come gli aveva
dimostrato la
sera prima – coraggiosa e aveva uno strano e seducente fuoco
dentro
di se che, in un senso che ancora non sapeva interpretare, lo
irretiva e attraeva. Non voleva che se ne andasse e non per una
questione di onore o per riparare a un torto, non voleva che se ne
andasse e basta. Non ne era innamorato ma non riusciva più
ad
immaginare Nampara senza di lei.
Demelza
giocò col piede, smuovendo dei sassolini, in un gesto
impacciato e
infantile. "Ed Elizabeth?".
Si
irritò a quella domanda, quelle erano cose che a lei non
dovevano
importare. Elizabeth e i suoi sentimenti per lei erano qualcosa che a
Demelza non dovevano riguardare, anche se sarebbe diventata sua
moglie. "E' sposata con mio cugino".
"Ma
voi la volete! E non volete me".
Ok,
doveva chiudere subito quel discorso! "Ciò che voglio o non
voglio, non son cose che ti riguardano! Ora sono quì, con te
e sto
chiedendo a TE di sposarmi. Questo è sufficiente, credo, per
dimostrarti i miei intenti".
"Sì,
ma...".
Ross
le prese il polso, attirandola a se. Forse essere tanto brusco stava
finendo per intimorirla e così facendo, rischiava di
ottenere
l'effetto di farla scappare. "Senti, conosci il mio carattere,
sai interpretarlo e anticipare i miei desideri. Sei preziosa per la
vita di Nampara e la tua presenza è importante per me. Non
ti parlo
di amore, sai benissimo che sarebbe fuori luogo, ti parlo di
correttezza e di una soluzione che farebbe la differenza per te e
aiuterebbe me a fare pace con la mia coscienza. Non ti mancherei mai
di rispetto e ti assicuro che le tue origini per me non hanno
importanza. Il mondo da cui provieni tu è il mondo a cui
appartengono tutti i miei amici e lo sai... Andiamo d'accordo e
ciò
che è successo fra noi stanotte non ha fatto altro che
confermarlo e
io credo che in fondo potrebbe funzionare". Non aveva mai
parlato tanto a lungo ma al diavolo, era una proposta di matrimonio
quella e sperò di cuore che Demelza apprezzasse il suo
sforzo di
apparire un pò sentimentale e gentile.
"Sir?".
"Sì".
"Io
non lo so come si fa a sposarsi".
Le
sorrise. "Ci penserò io agli aspetti burocratici, tu non
devi
far nulla se non sceglierti un vestito e raccogliere dei fiori per il
bouquet".
"E
mio padre?" - chiese lei, tremando lievemente.
Ross
la prese per la vita, mettendola sul cavallo. "Ciò che pensa
tuo padre è mai stato un problema, per noi?".
Lei
rise. "No".
"Bene,
non lo sarà di certo adesso quindi!".
"Sir?".
Ross
alzò gli occhi al cielo. Era stata la sua amante la notte
precedente
ma ora era tornata ad essere la ragazzina inesperta che giustamente,
per età, era. "Dimmi".
Demelza
arrossì, impercettibilmente. "Sì".
"Sì,
cosa?".
Lei
dondolò le gambe nel vuoto. "Sì, vi sposo".
Ross
inspirò profondamente. Beh, non si poteva più
tornare indietro e
onestamente era felice che lei avesse ceduto. Non aveva mai
partecipato in vita sua a una trattativa tanto sfiancante. "Ottima
scelta" – rispose, salendo sul cavallo.
Lei
lo guardò. "Cosa diranno Prudie e Jud?".
"Prudie
e Jud non son pagati per esprimere le loro opinioni" –
tagliò
corto, rendendosi conto anche lui delle difficoltà pratiche
di quel
matrimonio ma cercando di ignorarle, per il momento.
Con
un leggero colpo di redini, fece partire il cavallo. E Demelza, con
un fischio, chiamò a se Garrick ancora intento a dar la
caccia alle
lucertole.
Scosse
la testa, guardandola storto. Santo cielo, stava per sposare una
ragazzina selvaggia e senza istruzione, stava davvero facendo la cosa
giusta? Erano talmente diversi per educazione, loro due... Come si
sarebbe mosso fra i suoi soci e i suoi pari, con una moglie come lei?
Improvvisamente sentì in lui un leggero ripensamento ma si
rese
conto che era troppo tardi per tornare indietro ormai. L'avrebbe
educata, le avrebbe insegnato a leggere e scrivere e a parlare
correttamente. Non avrebbe mai avuto la grazia e l'eleganza di
Elizabeth ma sarebbe diventata una buona signora di campagna, con un
pò di impegno. "Demelza?".
"Sì
Sir".
"Credo
sia meglio che tu eviti di fischiare, d'ora in poi. Non è
educato
che una signora lo faccia".
"Sì
Sir".
Bene,
aveva messo le basi. "E poi, visto che ci sposeremo fra pochi
giorni, sarebbe opportuno che tu iniziassi a chiamarmi per nome. Non
sarai più la mia sguattera".
Lei
spalancò gli occhi, quasi spaventata da quella proposta.
"Chiamarvi
per nome? Non sarebbe appropriato!".
"Non
è appropriato nemmeno che una moglie si rivolga a suo marito
formalmente, chiamandolo 'Sir', no?" - obiettò lui,
stringendo
le redini.
"Ma
ora io non sono ancora vostra moglie" – osservò
Demelza,
voltandosi verso di lui.
Ross
sospirò. "No, questo è vero. Ma non posso nemmeno
più
considerarti la mia sguattera e quindi, temo, dovrai chiamarmi per
nome".
Lei
abbassò lo sguardo, tornando ad essere timida. "Posso
chiamarvi
ancora per un pò 'Sir'? Credo di aver bisogno di tempo per
abituarmi".
Cedette,
che doveva fare? In fondo non doveva essere facile nemmeno per lei.
"Va bene, se questo ti aiuta, chiamami come ti pare fino al
matrimonio. Ma poi, basta formalismi".
"E
posso continuare a lavorare?".
Ross
si accigliò. Questo proprio non se lo aspettava!
"Perché?".
"Che
farei tutto il giorno? Io non so far altro... E poi...".
"Poi?".
"Poi
diventerei nervosa ad avere troppo tempo libero per pensare che vi
sposo. Se lavoro e mi tengo impegnata, per me sarebbe meglio".
Ross
prese un profondo respiro. Santo cielo, stava davvero facendo la cosa
giusta per entrambi? Lei era spaventata e, guardandola, iniziava ad
esserlo anche lui. "Devi pensare al vestito e al bouquet. Non
saresti inoccupata" – cercò di argomentare.
"Per
quelli ci metto poco, Sir".
Beh,
in fondo aveva ragione, era una ragazza pratica e decisa e non si
perdeva dietro a frivolezze come merletti e vestiti. "Va bene,
fa come ti pare e come sei contenta. Ma ricorda che dopo le
pubblicazioni, ci sposeremo subito".
"Si
Sir" – rispose lei, prima di iniziare a canticchiare sotto
voce una canzone.
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Quando
giunsero a Nampara, il sole stava tramontando e, coi suoi raggi,
tingeva di rosa il mare. Era un maggio meraviglioso e sereno e la
bella stagione pareva aver fretta di arrivare. Persino il vento che
di solito scuoteva le scogliere della Cornovaglia, pareva essersi
preso una pausa ed essere emigrato lontano.
Ross
scese da cavallo per primo, quando furono davanti alla stalla.
Durante il tragitto Demelza aveva canticchiato una canzoncina sotto
voce ma a parte questo non si erano più parlati, ognuno
perso nei
propri pensieri.
La
ragazza fece per saltare giù dalla sella, come sempre, ma a
Ross
quel gesto parve stonato e la bloccò, prendendola per la
vita.
"Aspetta".
"Sir?".
La
sollevò e, gentilmente, la mise a terra in un gesto molto
inusuale
per lui. "Credo sia mio dovere essere un gentiluomo con la mia
futura sposa, no?".
Lei
sorrise quasi con timidezza, osservandolo stupita. "Non è
necessario, sono pesante" – sussurrò, abbassando
lo sguardo
ed osservando le sue mani che, ancora, indugiavano sui suoi fianchi.
Ross
se ne accorse e deglutì. Effettivamente non aveva
assolutamente
voglia di togliere le mani da lì e vederla così
timida e così poco
avvezza a gentilezze ed attenzioni non faceva che aumentare il suo
affetto per lei che gli era ciondolata per due anni in casa e che era
diventata una specie di amica, ma che lui non aveva mai cercato di
conoscere davvero. Però ora, guardandola, gli venne in mente
il suo
passato, la vita che doveva aver condotto nella miseria più
nera con
un padre violento e con una nidiata di fratellini da crescere senza
l'aiuto di una mamma e si rese conto che sarebbe stato lui, per la
prima volta nella sua vita, la sua famiglia. E questa era una grande
responsabilità a cui non aveva ancora pensato del tutto.
"Non
sei pesante, sei magrissima e anche se così non fosse,
sarebbe mio
dovere prendermi cura di te. Funziona così, sai?".
Lei
ci pensò su. "Mio padre non faceva così, con mia
madre. Non
l'ha mai aiutata in nulla. Non ricordo tanto, lei è morta
che io
avevo otto anni ma quel poco che ho ancora in mente... Non sono
ricordi gentili... Lui non era mai gentile e anche se ricordo poco
del volto di mia madre, ricordo bene quando chiudeva la porta della
sua stanza e io, dietro l'uscio, la sentivo piangere".
Ross
sospirò, provando pena per quella donna che non avrebbe mai
conosciuto. "Non tutti i mariti sono come tuo padre. Io non lo
sarò, quanto meno. Non ti tratterò mai male e non
ti costringerò
mai a fare qualcosa che tu non ti senta di fare".
"Voi
siete un gentiluomo, Sir, non siete come mio padre. E credo che
dovreste pensarci bene prima di sposarmi".
Ross
si accigliò. "Ci stai ripensando?".
"Oh
no, per me è un onore pensare di diventare vostra moglie. Ma
voi
meritate di meglio...".
Lasciò
la sua vita, parandosi davanti a lei. "Io sono dove voglio
essere e sto facendo quello che voglio e devo fare. Non cambio idea e
non mi importa da dove provieni, se è questo a preoccuparti.
Ne
abbiamo già parlato prima, no?".
Demelza
abbassò lo sguardo, arrossendo. "Si ma non dovete farlo a
causa
di quello che è successo stanotte. Io vi ho provocato ma non
voglio
niente in cambio. Un gentiluomo non lo fa... Un gentiluomo si porta a
letto la sua sguattera ma mica la sposa".
Quelle
parole riuscirono a colpirlo ancora perché dimostravano una
maturità
molto superiore ai suoi diciassette anni e uno sguardo sul mondo e
sulla vita molto terreno e realistico. "Un gentiluomo non si
approfitterebbe di una ragazzina portandosela a letto".
"E
voi l'avete fatto? Vi siete approfittato di me?".
Rimase
spiazzato davanti a quella domanda perché no, non si sentiva
di aver
approfittato di lei. Certo, se Demelza non l'avesse provocato non
sarebbe successo nulla la sera prima, ma la verità era che
già da
un pò la guardava con occhi diversi. Aveva notato la sua
bellezza
selvaggia che stava pian piano sbocciando, spesso si era fermato ad
osservare il colore dorato che i riflessi del sole donavano ai suoi
capelli quando lavoravano nei campi o il colore verde-azzurro dei
suoi occhi tanto limpidi e puliti che davanti al mare o quando
osservavano il cielo, diventavano trasparenti. E quelle chiacchiere
che le pettegole di buona famiglia avevano messo in giro su di loro,
se una volta l'avevano irritato, ultimamente lo avevano fatto
riflettere ed era arrivato a considerare non tanto incredibile
l'eventualità di avere una relazione con lei. Non aveva
fatto
l'amore con lei solo perché stava sragionando al termine di
una
giornata orribile ma aveva portato a termine qualcosa che in fondo,
quasi di nascosto, desiderava da un pò. E non per lussuria
ma
semplicemente perché gli sarebbe piaciuto e la desiderava...
Un
desiderio fisico, certo, ma mischiato a un profondo affetto e una
profonda stima per lei che lo aveva portato ad oltrepassare quella
soglia e quel confine che forse non doveva essere superato per
decenza ma che il destino aveva deciso di infrangere. Certo, Demelza
lo aveva sedotto forse senza nemmeno esserne pienamente cosciente ma
il punto era un altro: lei aveva anticipato qualcosa che,
probabilmente, sarebbe comunque avvenuto fra loro, prima o poi. "No,
non l'ho fatto. Cioé... Approfittare di qualcuno significa
agire con
cattive intenzioni. E io non ne ho mai avute nei tuoi confronti".
"Oh...".
Per
un attimo calò il silenzio e uno strano imbarazzo. Ma fu
interrotto
dall'arrivo fortuito di Prudie che, borbottando, stava venendo nelle
stalle per dar da mangiare a cavalli e vitelli.
Appena
la serva vide Demelza, si mise le mani sui fianchi con espressione di
rimprovero. "Ragazza, sei stata in giro tutto il giorno e non
hai portato a termine i tuoi compiti! E chi ha dovuto farli? Chi?
Chi? La vecchia e onnipresente Prudie, ecco! Dai da mangiare ai
vitelli, visto che ti sei degnata di tornare".
"Sì,
subito!" - rispose la ragazza.
Ross
intervenne. Prudie non sapeva nulla e per un pò avrebbe
continuato a
non sapere, ma non avrebbe più permesso che sfruttasse
Demelza come
aveva sempre fatto fin'ora. "Prudie, chi si è occupata dei
vitelli, ieri?".
"La
ragazza".
"E
l'altro ieri?".
"Sempre
la ragazza".
"E
il giorno prima ancora?".
"La...
ragazza" – disse la donna, deglutendo.
Ross
le si avvicinò di alcuni passi. "E chi cucina per me,
già da
mesi?".
"La
ragazza. Ma è per via del mio braccio malato...".
"E
i campi? Chi mi ha aiutato ad ararli?".
Prudie,
vedendo l'incresciosa situazione che le stava sfuggendo di mano,
indietreggiò. "Credo... Che darò da mangiare da
sola ai
vitelli".
"Brava"
– esclamò lui, dandole una pacca sulla spalla.
"Demelza deve
lavorare quanto te. Non di più, non di meno. E oggi ho
deciso che i
compiti della casa li farai tu con Jud".
Prudie
spalancò gli occhi. "Noi? Da soli?".
"Voi,
da soli" – concluse in maniera sibillina, prima di rivolgersi
a Demelza e parlarle in tono perentorio. "Su, vieni in casa".
La
ragazzina annuì, Prudie borbottò e Ross si
avviò verso l'ingresso
a grandi falcate. Aveva usato con Demelza un tono un pò
brusco, ma
voleva mettere fine a quella disputa con Prudie che lo avrebbe
portato a dare nuove spiegazioni circa la piega che avrebbero preso
gli eventi e lui non ci era ancora preparato. "Ovviamente non
era un ordine, se vuoi restare fuori puoi pure farlo" – le
disse, rallentando il passo.
Demelza
ci pensò su, voltandosi verso Prudie e la stalla. "Avrei
potuto
lavorare, mi prendo cura da sempre dei vitelli".
"Certo
che avresti potuto ma non voglio che sia un tuo compito".
"Prudie
non ci è abituata a lavorare così".
Ross
fece un sorrisetto maligno. "Ci si abituerà!". Chiuse
l'uscio dietro di se, la fece entrare e poi si appoggiò alla
parete
per spiegarle qualcosa che, riteneva, fosse comunque importante. "Se
vuoi continuare a fare dei lavori quì, puoi farlo. Non che
mi faccia
piacere, ma se ti fa sentire tranquilla, fa pure... Però
ecco, non
voglio che tu lavori più di Prudie! Ricorda che fra pochi
giorni
sarai la sua padrona".
Demelza
si torse le mani con nervosismo. "Non so se ci riesco a
ragionare così".
Senza
risponderle, le prese la prese per mano, conducendola fino alle scale
e poi su, nella sua camera. Quella camera testimone, poche ore prima,
di quell'inaspettato atto d'amore fra loro. "Non pensare a
Prudie, ci sono cose più urgenti di cui dobbiamo parlare".
"Cosa?"
- chiese lei, notando che Ross si dirigeva verso la scrivania
prendendo penna, calamaio e un foglio di carta.
"Sai
firmare?".
"Cosa
vuol dire?".
"Sai
scrivere il tuo nome in corsivo?".
Demelza
deglutì. "Non so scrivere e leggere molto bene, ancora".
Ross
scosse la testa. Negli ultimi mesi, la sera, a volte si era
intrattenuto con lei cercando di insegnarle a leggere e scrivere ma
lo aveva fatto senza eccessivo impegno e solo nei suoi momenti di
tempo libero, frettolosamente. "Beh, devi imparare a scrivere in
maniera decente il tuo nome entro stasera".
"Perché?".
"Domani
mattina andremo dal prete per firmare le pubblicazioni di matrimonio
e serve la tua firma. Su, fammi vedere come scrivi il tuo nome"
– disse, porgendole gentilmente il foglio e la penna.
Demelza
osservò la scrivania mentre le mani le tremavano. "Sir, un
pochino mi ci sono esercitata nella scrittura, la sera, anche senza
di voi. Il mio nome credo di saperlo scrivere ma non so se come
faccio è una firma".
Ross
sorrise. Era acuta, intelligente e amava imparare. E gli faceva
piacere scoprire che, anche in sua assenza, aveva cercato di far
tesoro delle sue lezioni per migliorarsi. "Su, prova e fammi
vedere".
Con
la mano tremante, lei prese la penna e scrisse il suo nome. Poi gli
porse il foglio. "Così va bene?".
Ross
osservò attentamente. Il tratto era un pò incerto
e tremante ma in
un certo senso trasmetteva una sorta di eleganza, anche se ancora un
pò acerba. Non aveva fatto errori e non c'erano sbavature
con
l'inchiostro e quindi poteva anche dirsi soddisfatto. "Molto
meglio di quello che credevo!".
Lei
sorrise, come rilasciando la tensione fin'ora accumulata, come aveva
fatto la prima volta che aveva cucinato per lui, quando Prudie si era
fatta male al braccio. "E' una firma?".
"Sì,
è una firma! E se ti eserciterai ancora, saprai farla ancora
meglio".
Ross
si sedette sul letto, dopo aver appoggiato il foglio sulla scrivania.
E improvvisamente si rese conto che erano in camera, insieme. Forse
era successo altre centinaia di volte in quegli anni e senza darci
peso, ma ora era diverso... Tornò a guardarla e lei
arrossì, come
se avesse realizzato anch'essa, in quel momento, di dove si
trovavano. E improvvisamente, per Ross, la figura di domestica
scomparve e lei tornò ad essere la sua amante di poche ore
prima,
inesperta, dolce e appassionata. Si era donata a lui con un
pò di
paura ma conferendogli la più totale fiducia, lo aveva
inebriato e
santo cielo, avevano vissuto insieme qualcosa di travolgente. Si rese
conto che la voleva ancora e che avrebbe volentieri sbarrato la porta
della camera per evitare di essere disturbato da Jud e Prudie, per
fare di nuovo l'amore con lei. E poi si chiese cosa fosse quel
desiderio e da dove nascesse. Non era solo ricerca di piacere fisico
ma aveva come l'impressione che con lei, in lei, avesse trovato
qualcosa che cercava e che ancora non aveva trovato da nessun'altra
parte. Ne era attratto... Per qualche strano e inesplicabile motivo
era attratto da quella ragazzina ancora così ignorante,
vestita con
abiti modesti e che a malapena sapeva leggere e scrivere. Non avevano
nulla in comune e si chiese a cosa avrebbe portato quel matrimonio:
gli avrebbe donato un'inaspettata felicità o avrebbe causato
la sua
rovina?
Ross
sapeva bene che Demelza non era che una inaspettata benda arrivata a
coprire una ferita tanto grande da non poter essere curata mai
più e
sapeva anche che mai avrebbe potuto competere, ai suoi occhi, con la
perfezione rappresentata da Elizabeth. Questo lo sapeva anche
Demelza, in fondo... Eppure la voleva, tanto che quel desiderio e
Demelza, in quegli istanti, riuscivano ad offuscare la presenza di
Elizabeth nella sua mente... E anche se era folle, più
passavano i
minuti e più era convinto della sua scelta di sposarla.
Demelza
osservò il letto, in quegli interminabili istanti di
silenzio
carichi di una strana e per nulla spiacevole tensione. "Dove
dovrò dormire?" - chiese infine, in una domanda che a molti
sarebbe apparsa sfacciata e volgare.
Ma
Ross sapeva che non era una domanda posta in quei termini e sorrise.
"Vorrei che dormissi quì ma credo sia meglio e sia giusto
che
tu dorma, fino al matrimonio, nella tua stanza". Gli costava
dirle quelle parole e sapeva che sarebbero stati giorni di tortura
sia per lui che per lei, ma era meglio così. Avrebbero
finito per
far l'amore ogni notte e se Demelza fosse rimasta incinta e avesse
partorito prima del nono mese di matrimonio, sarebbe stata vittima di
maldicenze e cattiverie. A lui non importava cosa la gente dicesse ma
voleva proteggere lei. Perché se fosse successo, tutti
avrebbero
additato Demelza come una poco di buono e non lui. Agli occhi di
tutti sarebbe stato il gentiluomo raggirato da una volgare popolana,
sapeva come andavano certe cose... Certo, questo suo timore poteva
avere fondamento già in quel momento e la piccola Demelza
avrebbe
anche potuto essere già incinta, ma fece affidamento sulla
fortuna e
sul fatto che non fosse successo, giurando a se stesso che per
qualche giorno ancora non le avrebbe fatto correre quel rischio.
Comunque, con lei, era meglio non affrontare quell'argomento. In
fondo era solo una ragazzina di diciassette anni e
un'eventualità
simile non avrebbe fatto altro che spaventarla. Quando fosse
successo, lo avrebbero affrontato insieme. Non prima!
E
poi - pensò - aspettare non avrebbe donato loro un'emozione
diversa,
durante la prima notte di nozze?
Demelza
però parve ferita da quell'imposizione. "Perché?".
Ross
si alzò in piedi, sfiorandole il mento e costringendola a
guardarlo
negli occhi. Non voleva che pensasse che fosse per causa sua, per
qualcosa che aveva detto o fatto o perché non gli facesse
piacere
averla vicina perché non era affatto così.
"Perché
solitamente si aspetta il matrimonio, prima di dormire assieme".
"Ma
noi però..." - obiettò lei.
Ross
sorrise. "Sì, ci siamo portati un pò avanti. Ma
credo sia
saggio aspettare, da adesso in poi".
Demelza
abbassò lo sguardo. Era pensierosa e di certo non capiva
appieno
tutte le sue remore. "Sì, Sir".
Gli
spiaceva averla ferita, non era sua intenzione. Le sfiorò la
vita e
la attirò a se, costringendola a guardarlo. E vederla
così vicina,
guardare le sue labbra rosse e appena socchiuse, i suoi capelli
ribelli e la sua espressione corrucciata, infransero ogni suo buon
proposito. Si chinò e senza riuscire a fermarsi, vinto da
una
passione che non credeva nemmeno di avere per lei fino alla sera
prima, la baciò avidamente.
Lei
rispose e le loro bocche si incontrarono in un lungo e passionale
bacio. Era così che era iniziata, la sera prima... Santo
cielo, come
faceva ad essere così ammaliante? Come faceva a fargli
perdere la
testa in quel modo?
Le
mani di Ross percorsero la sua vita, la sua schiena e poi affondarono
in quella massa di riccioli rossi che, fra le sue dita, scivolavano
ribelli. Santo cielo, quella ragazzina sarebbe stata la sua compagna
per il resto della vita, la madre dei suoi figli, la sua famiglia...
E baciandola, questo non gli sembrò più tanto
assurdo.
Con
uno sforzo enorme, quando entrambi avevano raggiunto il bordo del
letto, riuscì a sciogliere il bacio. "Torna in camera tua"
– disse contro le sue labbra, col fiato corto, ripetendo la
stessa
frase della sera prima.
Demelza,
con le guance arrossate, sembrò smarrita. Le sue mani gli
sfiorarono
il petto, strinse la sua camicia e si avvicinò di nuovo.
"Ross,
voglio restare quì".
Rimase
stupito davanti a quella supplica. Rimase stupito perché
finalmente
pareva aver dimenticato ruoli ed etichetta e lo aveva chiamato per
nome, senza nemmeno accorgersene probabilmente. "Allora sai come
mi chiamo!" - esclamò, cercando di alleggerire la tensione.
Lei
sussultò, rendendosi conto solo in quell'istante della
confidenza
che si era permessa. "Sir, mi dispiace".
Le
prese le mani, la attirò a se e la abbracciò.
"Non devi
chiedermi scusa, voglio che mi chiami così! E' il mio nome e
sarò
tuo marito e sai una cosa?".
"Cosa?".
"Sposarti
forse non è un'idea così folle come pensavo e
come pensavi!" -
sussurrò, prima di baciarla nuovamente. Con dolcezza,
stavolta. Poi
le accarezzò la guancia gentilmente, sorridendogli. "Va in
camera tua, per favore. Perché ti voglio e se non te ne vai
subito,
finiremo di nuovo a letto insieme e io preferirei che succedesse
appena ci sposeremo".
Lei
arrossì, capendo finalmente quanto gli costasse mandarla
via. "Credo
che diventerò nervosa in questi giorni, quando ci
penserò".
Ross
annuì. "Beh, non è detto che questo sia un male".
Demelza
sorrise. Poi si allontanò da lui, avvicinandosi alla
scrivania per
prendere carta e penna. "Posso portarli in camera mia per
esercitarmi con la scrittura del mio nome?".
"Certo".
"Grazie
Sir!" - rispose lei, sparendo di corsa dietro la porta, con le
guance arrossate.
E
quando se ne fu andata, si rese conto che mandarla via era stata la
cosa più difficile che avesse mai fatto.
E
pregò che quei giorni che li separavano dal matrimonio
passassero in
fretta.
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Il
mattino dopo si svegliarono presto. Ross aveva intenzione si sbrigare
tutte le faccende burocratiche e pratiche relative al matrimonio
quanto prima e il primo passo erano le pubblicazioni di matrimonio
dal Reverendo Odgers, alla Chiesetta di Sawle.
Demelza
si era svegliata presto come al solito e, quando la raggiunse, era in
cucina che svolgeva le normali attività a cui era abituata.
La prese
in disparte e le disse di prendere il mantello perché
avevano
faccende da sbrigare e Jud e Prudie, vedendoli uscire insieme a
cavallo, non percepirono nulla di strano. In fondo non era
così raro
che loro due uscissero insieme per delle commissioni.
Come
le aveva consigliato, Demelza non aveva aperto bocca coi due servi
circa l’imminente matrimonio. A tempo debito ci avrebbe
pensato lui
a parlarne con loro ma preferiva non farlo con molto anticipo. Jud e
Prudie avevano la bocca più larga del loro stomaco e Ross
non aveva
voglia che tutta la Cornovaglia si intromettesse nelle sue faccende
personali urlate ai quattro venti dai due nel giro di poche ore.
Quando
furono abbastanza lontani da Nampara, Ross rallentò il
cavallo. “Sai
dove stiamo andando?”.
“No,
Sir”.
Ross
sospirò. “Ne abbiamo parlato ieri sera, ricordi?
Dobbiamo fare le
pubblicazioni col Reverendo Odgers”.
Lei
deglutì. “E’ dove dovrò
firmare?”.
“Sì.
E mi raccomando, digli che hai già compiuto diciotto
anni”.
“Ma
è una bugia!” – obiettò lei.
Ross
ci pensò su. Beh, lo era in effetti ma non mancava poi molto
al suo
compleanno. “Lo è ma per poco! Se dici che hai
ancora diciassette
anni, Odgers vorrà la firma di tuo padre
sull’atto”.
Nel
sentir nominare suo padre, Demelza sbiancò. “Oh
no, lui no!”.
Ross
la osservò. Aveva i capelli raccolti con una fascia come il
giorno
prima e indossava il solito modesto abitino giallo. E la trovava
adorabile nelle sue paure e debolezze. Nonché nella sua
semplicità…
E se sposarla fosse diventata la sua fortuna? “Bene, allora
hai
ufficialmente diciotto anni qualche settimana prima del tuo
compleanno e questo segreto resterà solo fra me e
te”.
Lei
annuì, non del tutto convinta ma dandogli fiducia, come
sempre.
Ross
guardò l’orizzonte man mano che avanzavano,
osservando la
Chiesetta che si avvicinava. “Dopo le pubblicazioni, andiamo
a
Redruth”.
Demelza
si voltò verso di lui, forse ricordando che era in quel
villaggio e
nella sua fiera che si erano incontrati, alcuni anni prima. Un
gentiluomo e una monella vestita di stracci col suo cane pieno di
pulci… E ora si stavano per sposare.
“Perché?”.
“Beh,
ti servirà un abito per il matrimonio”.
Demelza
si guardò, sfiorando la stoffa del vestito che indossava.
“Questo
non va bene?”.
Gli
venne da ridere a quella domanda. Ogni donna sognava un matrimonio
con un’elegante abito bianco, ma lei stranamente sembrava non
pensarci. “Non è un abito adatto alle nozze. Non
sei mai stata a
un matrimonio?”.
“No
Sir”.
“Non
ne hai mai visto uno? Una sposa?”.
Lei
ridacchiò. “Sì certo, a Illugan quando
c’erano i matrimoni, si
brindava di sera in strada”.
“E
le spose com’erano vestite?”.
Demelza
alzò le spalle. “Con normali abiti. Un
po’ più belli di quelli
che si usano per lavorare, ma abiti normali. Solo puliti,
ecco…”.
Ross
sospirò. Santo cielo, lei arrivava da una delle zone
più povere
della Cornovaglia dove in un matrimonio c’era poco spazio per
fronzoli e amenità. Ad Illugan e in tanti posti simili, le
spose non
indossavano abiti bianchi, il bouquet era composto da fiori di campo
e il pranzo nuziale era poco più che un pasto normale,
annaffiato da
litri di birra scadente. “Beh, non ti sposi con un uomo di
Illugan
e anche se ho poco denaro e non ho intenzione di fare grandi
festeggiamenti, credo che tu possa comprare un abito che ti piace
senza pensare a quanto costi e a quanto può essere
superfluo. Le
spose di solito indossano abiti bianchi”.
Lei
ridacchiò ancora. “Il bianco è il
colore della purezza, dicono.
Non credo sia adatto a me”.
Rimase
sbalordito a quelle parole, come spesso accadeva quando si dimostrava
più acuta e realista di quanto non dovesse essere alla sua
età. Si
sentì in colpa per lei, per averle tolto quella purezza in
un atto
istintivo dovuto a un momento difficile, a cui stava cercando di
rimediare con un matrimonio frettoloso e senza l’amore come
collante e base. “Mi dispiace” –
sussurrò, quasi d’istinto.
Lei
lo guardò spaesata, come non capendo subito la natura di
quelle
scuse. Poi però comprese, assumendo un’espressione
seria. “Non
dovete chiedermi scusa, Sir. Non mi avete forzata, quello che
è
successo l’ho voluto io più di voi”.
Ross
scosse la testa perché le cose non stavano esattamente
così e di
nascosto, dentro la sua anima, inconsciamente, già da tempo
desiderava averla. E come aveva pensato il giorno prima mentre le
chiedeva di sposarlo, sarebbe stata solo una questione di tempo. Se
non lo avesse sedotto lei con quel vestito azzurro, sarebbe occorso
qualche altro avvenimento a condurli dritti in camera da letto.
“Le
cose non stanno proprio in questi termini, Demelza”.
Fermò il
cavallo e saltò giù, aiutandola poi a fare
altrettanto, come aveva
fatto la sera prima. Erano ormai a pochi metri dalla Chiesetta.
“Sei
pronta?” – chiese, chiedendosi se fosse pronto
anche lui.
“Sì
Sir, ma…”.
“Ma,
cosa?”.
Lei
si torse le mani con nervosismo. “Il vestito… Se
proprio dobbiamo
comprare un abito nuovo, non lo voglio davvero bianco. Non lo
indosserei più e spenderemmo dei soldi per nulla”.
“Che
vuoi dire?”.
Demelza
sorrise. “Preferisco comprare, se proprio devo, un abito
abbastanza
bello ma che posso poi utilizzare ancora. Sarebbe un modo migliore
per spendere del denaro, no?”.
Rimase
stupito, di nuovo. Aveva una notevole maturità e senso
pratico e in
fondo, viste le sue scarse finanze, poteva pure essere la soluzione
ideale per entrambi. Lei non si sarebbe sentita in colpa per un
acquisto che riteneva inutile e lui non avrebbe visto ridursi
ulteriormente il suo già misero patrimonio per una cerimonia
di
pochi minuti. “Compra l’abito che vuoi, fa come
vuoi. Purché tu
sia contenta, a me va bene tutto, anche perché io di queste
cose me
ne intendo ben poco e in fondo, come te, le giudico di scarsa
importanza”. Dicendo quelle parole, si chiese cosa avrebbe
fatto
Elizabeth, se avesse sposato lei. Si sarebbe accontentata di un
matrimonio semplice e senza fronzoli o avrebbe rimpianto di averlo
scelto come sposo?
“Posso
prenderlo del colore che voglio? – chiese lei, con una
eccitazione
quasi di stampo infantile.
Le
si avvicinò, fiorandole i capelli e la fascia che li teneva
a bada.
“Fa-come-vuoi!” – rispose, con
leggerezza. Poi le tolse la
fascia, facendo ricadere sul suo collo quella massa di ribelli
boccoli rossi. Ecco, ora non era più Demelza, la sua
domestica. Ora
era la Demelza appassionata e intrigante che aveva amato due notti
prima… Aveva qualcosa di magnetico in lei, un misto di
candore e
passione che lo attirava come una calamita a cui non si può
sfuggire. Era bella, a modo suo… Forse una bellezza non
ancora del
tutto sbocciata ma che era lì, a due passi
dall’essere sua. E
questo lo inebriava in un modo che ancora non riusciva a spiegare.
“E
ora mia lady, che ne dici se andiamo a fare queste benedette
pubblicazioni?”.
Lei
rise, sentendosi chiamare così. “Sì
Sir!”.
Le
prese la mano, attirandola a se. “Ecco, chiamami Ross davanti
a
Odgers. Sarebbe alquanto strano se davanti al Prete che ci
sposerà,
tu mi chiamassi Sir”.
Si
guardarono in faccia e improvvisamente, nello stesso istante,
scoppiarono a ridere. Ed era la prima volta da quella notte insieme e
dalla tensione che aveva generato… E quello, a Ross,
sembrò il
momento migliore per chiederla ufficialmente in sposa. E
sull’onda
di questa improvvisa certezza, d’istinto le diede un lungo e
appassionato bacio sulle labbra.
...
Il
Reverendo Odgers li guardò storto e il suo disappunto fu
soprattutto
verso Ross.
Nel
suo sguardo, il capitano lesse chiaramente l’avversione per
la
situazione scabrosa che, immaginava, si era creta fra padrone e servo
e soprattutto il rimprovero per la giovane età della sposa.
E poi…
e poi ovviamente, come avrebbero fatto in tanti, non approvava che
due classi sociali tanto diverse si mischiassero con un matrimonio.
E
tutto questo, Ross lo trovava estremamente divertente…
Demelza,
ingenuamente, non si accorse di nulla. O forse erano
l’emozione e
la paura a non farle percepire ciò che la circondava.
Il
Reverendo Odgers non fece commenti ma si limitò, dopo
un’infinita
serie di occhiatacce, a far loro le raccomandazioni di rito e a far
firmare il documento. La firma di Demelza fu stentata e tremante come
si aspettava. Ciò che non si aspettava minimamente era che
anche
lui, firmando, si trovasse a tremare. Era paura? Emozione? O una
presa di coscienza di quello che stava per fare?
Ma
firmò e facendolo si rese conto che stava facendo qualcosa
di
importante. Non era una certezza ma una strana consapevolezza dettata
da un sesto senso che, prepotentemente, gli suggeriva che forse non
aveva preso la strada sbagliata. Non sapeva dove sarebbe finito
né
che genere di vita avrebbe fatto con accanto una moglie tanto giovane
e tanto diversa da lui, eppure una volta qualcuno gli aveva detto che
son proprio i matrimoni fra persone molto diverse, i più
riusciti.
Faticava a credere che un giorno, forse, Demelza sarebbe stata alla
pari di Elizabeth o l’avrebbe addirittura superata ai suoi
occhi e
nel suo cuore, però… E se fosse successo? Come
avrebbe amato
quella strana e per certi versi ancora misteriosa ragazzina? E
soprattutto, avrebbe rimpianto quell’amore mai consumato per
Elizabeth, pur amando un’altra? Poi pensò che
doveva smetterla di
farsi tutte quelle domande e di non avere troppe aspettative. Stava
sposando una ragazzina che non amava, per senso del dovere, per
riparare a un errore e per nascondere a se stesso una ferita che non
sarebbe mai guarita. Non doveva sentirsi in colpa verso Demelza, non
poteva amare qualcun altro che non fosse Elizabeth e dopo tutto stava
offrendo a quella ragazzina una vita migliore, affetto e cura.
Demelza non poteva chiedere di più!
Queste
e mille altre cose pensò, uscendo di Chiesa. Lasciarono il
Reverendo
Odgers con la promessa di ritrovarsi per il matrimonio il 24 giugno,
a scadenza delle pubblicazioni. E poi si diressero verso Redruth.
Aspettò Demelza fuori dalla bottega della sarta,
arrendendosi
davanti all’eventualità che avrebbe dovuto star
lì una vita.
Tutte le donne, nessuna esclusa, ci mettevano ore per scegliere un
abito! E Demelza non avrebbe fatto differenza…
Eppure,
ancora una volta, riuscì a stupirlo: infatti, dopo appena
mezz’ora,
uscì con un abito incartato in una carta bianca, soddisfatta
e
apparentemente contenta. “Già fatto?”.
“Sì
Sir, quanto ci vuole?”.
“Hai
preso il vestito che più ti piaceva?”.
Lei
allungò la mano, prendendo la sua e facendovi scivolare
delle
monete. “Sì e non ho speso molto! Ecco il resto
dei soldi che mi
avete dato”.
Ross
fece tintinnare le monetine nella mano, rendendosi conto che aveva
risparmiato molti dei soldi che le aveva dato. “Potevi anche
spenderli tutti! E’ il tuo abito di nozze che hai scelto,
benché
la cosa pare non interessarti”.
Lei
saltò sul cavallo con un gesto da perfetto maschiaccio.
“Non era
necessario, Sir. Non serve spendere tanti soldi per un buon vestito.
È un bell’abito, mi piace il colore e la stoffa
è bella”.
La
fissò per un attimo, rendendosi conto che forse sarebbe
diventata
un’ottima padrona per Nampara. Era oculata, per nulla
capricciosa e
aveva sempre il sorriso sulle labbra nonostante le
avversità.
D’istinto allungò una mano, stringendone una delle
sue. “Sicura
di essere contenta della tua scelta?”.
“Sì”.
Ross
saltò sul cavallo, cingendole la vita e sprofondando il viso
fra i
suoi capelli che profumavano del vento di primavera. “Il 24
giugno
saremo marito e moglie, allora. Non manca davvero nulla
adesso”.
Demelza
si voltò. “Una cosa manca, a dire il vero. Non lo
dovete dire alla
vostra famiglia?”.
Ross
deglutì. Ci aveva pensato ma dirlo, parlarne e affrontare i
suoi
parenti di Trenwith avrebbe portato a infinite discussioni e
ripensamenti, soprattutto a confronto con Elizabeth e coi sentimenti
che risvegliava in lui. Era meglio evitare e dir loro tutto quanto a
cose fatte. “Non è necessario, preferisco
aspettare”.
Demelza
non chiese una spiegazione alla cosa, pensando probabilmente che non
fossero faccende che dovessero riguardarla. “E a Jud e
Prudie?”.
Già,
Jud e Prudie… Ecco, aveva ideato un modo per dare
un’utilità a
quei due fannulloni. “Ti potrebbero andar bene come nostri
testimoni, quei due?”.
“Jud
e Prudie?” – chiese lei, divertita.
“Accetteranno?”.
Anche
lui rise. “Beh, in teoria dovrebbero eseguire ogni mio
ordine. E a
breve sarà così anche nei tuoi
confronti”.
"Santo
cielo! Mi odieranno per questo" – pensò,
guardandolo
divertita e quasi incredula. “Beh ma quella dei testimoni
è una
faccenda diversa. Però se accetteranno, per me va
bene”.
La
strinse a se, teneramente. “Credo sia una buona idea
comunicarglielo la mattina del matrimonio. Non voglio dirglielo prima
o entro sera lo saprebbe tutta la nazione e preferisco vivermi in
pace questi giorni di attesa”.
“Va
bene” – rispose lei, docile.
“Torniamo
a casa, Demelza?”.
Lei
strinse il pacchetto con l’abito che teneva fra le mani.
“Sì
Sir”.
La
baciò sulla nuca, provando un profondo affetto per lei.
Nonostante
tutto non poteva dire di non star bene in quel momento e di essere,
in un certo senso, felice. “Come ti sembra come data per un
anniversario, il 24 giugno?”.
“Non
lo so, dipende da come la vivremo nei prossimi anni”
– rispose
lei.
E
ancora una volta, in quella giornata, Ross si fermò a
pensare a
quanto fosse saggia la sua giovane, futura moglie.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
I
giorni erano passati veloci e dopo le pubblicazioni nessuno aveva
più
parlato del matrimonio.
La
vita a Nampara era proseguita tranquilla e scandita dalla solita
routine e Ross, ma probabilmente anche Demelza, in certi momenti
faticava a credere che il matrimonio fosse tanto imminente e ormai
certo. C'erano istanti in cui tutto sembrava uno strano sogno...
A
volte, quando guardava Demelza rassettare la casa canticchiando,
faticava a credere di averla amata appassionatamente e di averla
chiesta in moglie. Era solo una ragazzina vestita con abiti umili,
poco istruita e dotata di una bellezzaa ancora acerba, come poteva
aver generato in lui una tale passione?
Eppure
lei era diversa da quello che sembrava all'apparenza e qualcosa era
indubbiamente cambiato... Perché in certi istanti i loro
sguardi si
incrociavano e allora smettevano di essere serva e padrone ma
diventavano altro... Era come se la tensione salisse, era come
sentirsi addosso una strana ansia e impazienza, era come avere una
febbre improvvisa...
I
loro occhi parlavano di desiderio, di aspettative, di passione che
difficilmente riuscivano a controllare, in certi momenti. E allora
Ross si chiedeva cosa provasse lei, se avesse paura, se fosse
contenta, se...
E
lui? Lui era contento?
Forse
sì, forse lo era perché pian piano si era
abituato all'idea che
quella fosse la cosa giusta da fare e si era scoperto impaziente di
sposarla e di averla più vicina.
Il
giorno prima delle nozze era passato in maniera apparentemente
normale: lui aveva lavorato alla miniera, Demelza si era occupata
della casa e Prudie e Jud avevano oziato come sempre, all'oscuro di
tutto. Avrebbero saputo del loro ruolo di testimoni solo il mattino
dopo, all'ora di andare in Chiesa.
Tornato
dalla miniera aveva fatto un bagno caldo e aveva cenato come sempre,
sentendo però addosso a se una tensione che andava
aumentando. Anche
Demelza sembrava nervosa, pur non osando dirgli cosa provasse. Aveva
lavorato come sempre, gli aveva servito la cena con mani tremanti e
lui non era stato capace di domandarle come si sentisse. Beh, non era
mai stato bravo a parlare e a fare discorsi profondi e forse,
pensò,
nemmeno ce n'era bisogno. Demelza era una giovane sposa e come tutte
le ragazze aveva paura di fare quel passo, tutto quì! Era
solo
emozione e l'avrebbe superata, era in gamba e piena di risorse,
sarebbe andato tutto bene.
E
l'avrebbe superata anche lui, aveva solo bisogno di una cavalcata per
riordinare le idee e sfogare il nervosismo.
Senza
dire nulla, appena finito di mangiare, si diresse alla stalla. Prese
il cavallo, montò in sella e poi partì al galoppo
spingendo il
cavallo a correre a una velocità molto sostenuta. Aveva
bisogno di
sentire il vento fresco sul viso, di rilasciare la tensione che aveva
in corpo e di guardare al suo passato incompiuto, iniziando a
immaginare un futuro inaspettato.
Il
matrimonio con Demelza metteva un punto sui suoi desideri di ragazzo.
Metteva fine a ogni piccola ed effimera speranza di avere Elizabeth,
gli imponeva di ponderare le sue scelte e anche di diventare
più
accorto e saggio. Sarebbe stato un marito, di lì a poche
ore! E
forse, a breve, anche un padre. Doveva smetterla di fare a botte, di
cacciarsi nei guai, di rischiare la vita e cercare la rissa. Doveva
farlo, doveva crescere ed era ora!
Galoppò
a lungo, costeggiando le bianche scogliere della zona. Chiunque,
vedendolo galoppare come un forsennato, avrebbe pensato che era
pazzo. Invece era solo un giovane uomo che stava per sposarsi e aveva
una fottuta paura di farlo...
Ecco,
lo aveva ammesso...
Aveva
paura...
Sarebbe
stato meglio, forse, essere come suo padre, vivere i rapporti con
leggerezza e senza pensare al domani, amare solo e soltanto una donna
e considerare le altre dei passatempi che non lasciano strascichi. Ma
lui non era suo padre, lui amava Elizabeth ma teneva anche a Demelza
e mai, MAI le avrebbe fatto del male. Non era stata un gioco, un
passatempo o altro ma una presenza preziosa nella sua vita. Non si
aspettava molto dal suo matrimonio, le aspettative erano basse ma
sapeva che lui e lei sarebbero andati d'accordo e sapeva anche di
fare la cosa giusta. Una cosa che lo spaventava, che gli altri non
avrebbero di certo capito, una cosa che gli riusciva quasi a togliere
il fiato per lo stupore di aver preso una decisione simile.
Sarebbe
stato difficile forse, ma se Demelza riusciva ad avere il coraggio di
affrontare tutto questo a diciassette anni, di certo lui non sarebbe
stato da meno!
Prese
un lungo respiro, rallentando il cavallo ormai sfinito. E a pochi
minuti dalla mezzanotte decise che era ora di tornare a casa e di
smetterla di scorazzare come un'idiota nel buio della brughiera.
Non
aveva idea di che marito sarebbe stato dal giorno dopo ma sapeva che
doveva tornare e che essere uscito così, senza dire nulla a
Demelza,
era sbagliato anche se ancora non era sua moglie.
Arrivò
alla stalla per mettere il cavallo a riposo e si accorse che da essa
proveniva la fioca luce di una lanterna.
Incuriosito
si avvicinò, credendo di trovarci Jud abbracciato a uno dei
suoi
barili di rum, felice e completamente ubriaco. Invece, con suo sommo
stupore, ci trovò Demelza che sistemava nervosamente il
fieno per
gli animali.
Ross
si accigliò, che ci faceva lì a quell'ora? I suoi
movimenti erano
concitati e tradivano ansia, che pure lei avesse bisogno di fare
qualcosa per stemperare la tensione? "Che stai facendo?" -
le chiese, con tono più duro di quanto avrebbe voluto, con
lei che
gli dava le spalle e gli impediva di vederla in viso.
Demelza
sussultò, lasciando cadere un pò della paglia che
aveva fra le
mani. Era evidente che non si fosse accorta del suo arrivo. "Sir,
io...".
Le
si avvicinò, legando il cavallo alla staccionata. E quando
le fu
davanti, si accorse che aveva gli occhi gonfi e arrossati. "E'
tardi, è mezzanotte passata e dovresti dormire. Domani
sarà una
lunga giornata" – disse, stavolta in tono più
gentile.
Lei
distolse lo sguardo. "C'era la paglia da sistemare. Per i
vitelli...".
"I
vitelli stanno benissimo". Le sfiorò la guancia,
accarezzandola
piano. "Stai bene?".
"Mi
fa male un pò lo stomaco".
Ross
sorrise. "Anche a me. Credo sia la tensione... Forse è
normale". Le prese il fieno dalle braccia, lanciandolo nella
mangiatoia, poi le strinse la mano, attirandola a se e costringendola
a sedersi sulla paglia. "Hai pianto?" - chiese, sedendosi
accanto a lei.
Demelza
arrossì. "Un pò, sì. E non so
perché".
"Forse
lo sai, dovresti semplicemente dire cosa ti passa per la testa".
"E'
stupido quello che mi passa per la testa" –
sussurrò lei,
piegando le ginocchia ed appoggiandoci sopra il capo.
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Cioé?".
Demelza
prese delle pagliuzze di fieno in mano, giocandoci innervosita. "Non
lo so perché ho pianto, credo riguardi il matrimonio ma non
so
perché mi senta così strana. Io sono felice di
sposarvi, Sir... E'
che...".
"Cosa,
Demelza?".
La
ragazzina scosse la testa, quasi stupita dai suoi stessi pensieri.
"Vorrei che mia madre fosse quì... Ed è stupido,
quasi non me
la ricordo ed è morta da talmente tanto tempo che ormai
dovrei
essere divenata brava a far tutto da sola. E invece la voglio"
–
concluse, mascherando un singhiozzo e strofinandosi gli occhi
nuovamene lucidi con gesti infantili.
Ross
non se ne stupì, non molto almeno. Non se ne intendeva di
psicologia
femminile ma sapeva che le madri avevano dalla notte dei tempi un
ruolo importante nei matrimoni delle figlie. Ne diventavano le
confidenti, le maestre, le guide a quell'importante passo e ogni
figlia trovava in loro rifugio alle loro paure e risposte alle loro
domande. Certo, Demelza non aveva più la mamma da molto ed
era
cresciuta da sola e da sola aveva trovato le risposte alle sue
domande, forse non sapeva nemmeno perché la volesse in quel
momento
ma non giudicava quel suo desiderio tanto strano, soprattutto viste
le premesse del loro matrimonio. "Non credo che sia stupido
volerla quì".
"La
volete anche voi, Sir?".
Ross
ridacchiò. "Chi? Mia madre? No, non ci ho nemmeno pensato a
dire il vero, ma io sono un uomo e per noi è diverso. Mia
madre è
morta che ero piccolo, mi ha cresciuto mio padre assieme a Jud e
Prudie e non credo di sentirne troppo la mancanza. Mi farebbe piacere
se ci fosse, certo, ma sono un uomo adulto e indipendente e posso
affrontare il matrimonio senza di lei" – disse, con
convinzione ma anche con un piccolo dubbio che, grazie a Demelza,
stava sorgendo in lui. In fondo, pensò, sarebbe stato bello
avere
accanto i suoi genitori e chiedere loro consiglio. Cosa avrebbero
pensato della sua decisione di sposare la sua sguattera, che nemmeno
amava? Cosa avrebbero pensato di Demelza? Suo padre gli avrebbe dato
del folle? Lui era un uomo che aveva amato immensamente sua madre e
dopo la sua morte si era lanciato in una infinita serie di storie
senza sentimento per non soffocare nel dolore di averla persa. Aveva
rifiutato ogni impegno e ogni coinvolgimento emotivo, aveva vissuto
sempre al limite per sopportare quella vita senza la sua Grace ma
nonostante questo, avrebbe approvato il suo sposare una donna per
affievolire il dolore di averne persa un'altra che ancora amava?
Sospirando,
decise che era meglio non pensarci. "Credo che tu ti senta
così
perché voi donne amate confrontarvi su cose come il
matrimonio o
roba simile. Sì insomma, madri e figlie parlano molto di
queste
cose, fra loro".
Lei
spalancò gli occhi. "Davvero? E che si dicono?".
Ross
alzò le spalle. "Non ne ho idea, purtroppo tua madre non
c'è e
nemmeno la mia e quindi dovremo tenerci questo dubbio e sposarci
senza scoprirlo. Ma se vuoi proprio avere vicina una donna... o una
che si avvicina ad essere una donna... se vuoi sveglio Prudie.
Chissà
che ci torni utile per qualcosa".
A
quella proposta, Demelza sorrise. "Prudie nemmeno sa che ci
sposiamo domani!".
"Glielo
diremo prima di colazione. O adesso, se vuoi!".
Demelza
ci pensò su, incrociando le gambe. "No, non credo che mi
possa
aiutare. Però ora sto un pò meglio".
Lui
sospirò. Già, Prudie che avrebbe potuto fare?
Però era felice che
almeno, parlando fra loro, gli animi di entrambi si fossero fatti
più
leggeri. Forse non era come avere accanto i genitori ma erano stati
capaci di farsi forza a vicenda e questo era bello, pensando che
sarebbero stati marito e moglie nel giro di poche ore.
"Sir?".
La
guardò, rapito da quei lunghi capelli rossi ribelli tenuti a
bada
dalla fascia che teneva in testa. "Ross, chiamami Ross! Ora devi
farlo, da domani DOVRAI farlo di sicuro".
"Va
bene, Ross... Posso chiedere una cosa?".
"Certo".
Lei
lo guardò con uno sguardo stranamente serio che la faceva
sembrare
più grande della sua età. "Noi avremo figli?".
Ross
deglutì, non si aspettava minimanente una domanda del
genere. In
realtà non avevano mai parlato di nulla riguardo al
matrimonio, di
cosa sarebbe successo, di come sarebbero cambiate le cose e di certo
lui non aveva mai voluto affrontare la questione-figli. Ed ora lei lo
aveva preceduto, lasciandolo a corto di parole. "Beh... Di
solito è quello che succede nei matrimoni, a un certo punto
nascono
i bambini" – disse impacciato, in imbarazzo nel parlare con
lei di queste cose. Aveva taciuto su una possibile gravidanza in
corso in quelle settimane, per non turbarla, ma a quanto sembrava lei
era più che pronta ad affrontare la questione.
"Perché me lo
chiedi?" - ebbe infine il coraggio di domandare. Era inutile
scappare, se lei voleva affrontare questioni importanti di cui dopo
tutto avrebbero dovuto discutere prima o poi.
"Prima,
mentre pensavo a mia madre, ho avuto paura di morire presto come lei.
E se avrò dei figli o delle figlie, allora saranno come me
al loro
matrimonio, soli a piangere in una stalla. Se avrò dei
figli, spero
di non morire giovane e di esserci per quando si sposeranno
così non
si sentiranno come mi sento io ora e magari saprò cosa
dirgli per
farli stare meglio".
Rimase
spiazzato, non si aspettava quel genere di discorso ma tutt'altro.
Era spaventata in quel momento, era chiaro e palese. Aveva paura del
matrimonio, del ruolo che avrebbe ricoperto, del diventare donna
assieme a lui e di tutte le responsabilità che le sarebbero
cadute
sulle spalle. Provò infinita tenerezza per lei, non era che
una
ragazzina di diciassette anni che non aveva mai avuto nulla dalla
vita e decise che lui voleva essere un buon marito e farla stare
bene. Demelza se lo meritava ed era piuttosto sicuro che sarebbe
diventata una buona moglie e un'ottima madre, col tempo. Si rese
conto che ora i sentimenti per Elizabeth contavano poco, che doveva
concentrarsi su di lei e che ora doveva guardare avanti e non
più
indietro. Era ora di crescere con lei e per lei. "Tu starai bene
e vivrai a lungo, non permetterò che accada nulla di
diverso. E
quando i nostri figli cresceranno e si sposeranno, tu sarai accanto a
loro".
Demelza
sorrise dolcemente, anche se non sembrava tanto certa di quelle
rassicurazioni. "Come fai a saperlo, Ross?".
Le
sorrise di rimando, finalmente aveva usato il suo nome. "Lo so
perché voglio che sia così! E sarà
così! Sei più tranquilla ora,
o devo davvero andare a chiamare Prudie?".
E
stavolta lei rise, di gusto, alzandosi in piedi. "Non la voglio
Prudie!".
Si
alzò in piedi a sua volta, accarezzandole i capelli. "E
allora
vai a letto, è tardi!".
Come
se non lo avesse sentito, Demelza si appoggiò a lui,
cingendogli la
vita, facendogli capire che non voleva rimanere sola. "Ross,
domani a quest'ora saremo sposati".
"Sì
e voglio sperare di non essere in questa stalla ma a letto, al caldo,
nella nostra stanza".
"La
nostra stanza..." - sussurrò lei, quasi intimorita.
Si
chinò sulla ragazza, sollevandole il mento con una mano. E
poi la
baciò con passione sulle labbra, sentendo crescere in lui il
desiderio di fare l'amore subito, con lei, senza aspettare quel
dannato sì che ormai era una mera formalità. "La
nostra
stanza, il nostro letto, sì Demelza...".
Si
baciarono ancora, con una passione crescente difficilmente
controllabile. Le mani di Ross sfiorarono la sua vita, la sua schiena
e poi si insinuarono sotto il suo vestito, prendendo ad accarezzarle
le cosce.
E
lei lo lasciò fare, come se non desiderasse altro.
"Perché
dobbiamo aspettare?" - chiese, contro le sue labbra. "Cosa
c'è di sbagliato in questo? Cosa c'è di brutto?".
Ross
concordò sul fatto che non vedeva il male in loro, in quel
momento,
ma un bisogno disperato di non essere soli e di amore. "Nulla,
io non ci vedo niente di sbagliato" – disse, sbottonando i
bottoni del suo vestito, pensando che in fondo a nessuno dei due
interessava cosa dicessero la gente e le convenzioni. In questo erano
uguali e in lei avrebbe sempre trovato una sincera alleata.
Crollarono
nel fieno, di nuovo. E anche se la tradizione li voleva separati per
quella notte, non furono separati affatto. Fecero l'amore con
più
passione della prima volta, illuminati dalla luce della luna che
baciava i loro corpi, cercando l'uno nell'altra il coraggio di
affrontare una nuova vita piena di incognite.
E
Ross in lei, quella notte, smise di vedere una ragazzina.
Ritrovò
l'amante tenera ed appassionata, una donna che stava sbocciando e che
presto sarebbe stata sua per legge e per scelta. Sarebbe diventata
sua moglie e la madre dei suoi figli e si scoprì felice
ad immaginare
quell'imminente realtà.
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
"Dovete
venire in Chiesa e farmi da testimoni!".
Prudie
e Jud, mezzi addormentati e buttati giù dal letto senza
troppi
fronzoli di mattino presto, guardarono Ross con aria spaesata.
"Testimoni?" - chiesero, osservando lui vestito stranamente
in maniera elegante e la piccola sguattera con indosso un delizioso
abitino rosso.
Anche
Ross guardò la sua futura sposa. Era davvero graziosa e
quell'abito
che aveva scelto, benché non fosse bianco, sembrata davvero
perfetto
per quella giornata. Era di buona fattura, non volgare né
scollato e
le conferiva una sagoma elegante e delicata. Aveva dei fiori fra i
capelli e sembrava emozionata e allibita dal fatto che quel giorno
fosse davvero arrivato. Nella mente di Ross ricomparvero le immagini
di quella notte nel fienile e i momenti passati a fare
appassionatamente l'amore con lei. E una strana ansia prese a
martellargli nel petto, unita a una certa voglia di concludere tutta
la parte burocratica e iniziare una vita da marito e moglie sotto la
luce del sole. "Esatto, testimoni!" - disse ai due servi.
"Testimoni
per cosa?" - chiese Jud grattandosi la testa.
"Per
il mio matrimonio".
Jud
e Prudie spalancarono gli occhi, sbiancarono in viso e lo guardarono
come se fosse ammattito. "Matrimonio? Il vostro? E con chi vi
sposate?".
Ross
appoggiò la mano sulla spalla di Demelza che, in silenzio,
se n'era
stata in disparte. "Con lei".
Prudie
squadrò la ragazza con aria ostile. "Con la ragazza? Ma non
potete, è la vostra serva e fa tutti i mestieri in casa".
"Che
ora farai tu al suo posto!" - tagliò corto Ross.
"Non
è giusto, non è corretto, non è
gentile!" - borbottò Jud.
Ross
sbuffò, prendendo a braccetto Demelza. "Decidetevi, avete
due
alternative per la giornata: o venite in Chiesa e ci fate da
testimoni, oppure rimarrete quì a vangare e a togliere
l'erbaccia da
tutto il prato a sud di Nampara".
Jud
lo guardò in cagnesco. "Venire in Chiesa è meno
faticoso di
vangare un prato".
Prudie
ci pensò su. "Esatto".
E
alla fine Ross e Demelza ebbero i loro due testimoni che accettarono
più per convenienza che per effettivo entusiasmo. Ma in
fondo, per
un matrimonio senza fronzoli, due testimoni improvvisati andavano
più
che bene.
...
Durante
la cerimonia, era stato impettito e quasi non aveva respirato. Aveva
persino faticato a guardare Demelza in viso e si sentiva preda di
tantissime emozioni. Paura, dubbio di essere un idiota e assoluto
vuoto sul suo futuro.
Ecco,
questo era quello che succedeva quando ci si sposava per le
motivazioni sbagliate...
Di
tanto in tanto sbirciava Demelza che, smarrita quanto lui, lo
guardava con l'espressione eloquente di chi, con lo sguardo, gli
ricorda che tutta quella faccenda era stata un'idea sua...
E
quando lei lo guardava così, abbassava lo sguardo
perché sapeva che
era vero e che quindi ora non poteva permettersi di avere
ripensamenti e di sentirsi un idiota. Anche perché,
ripensando a
quella notte appena passata, non vedeva l'ora di stringere di nuovo
fra le braccia Demelza per fare l'amore con lei. Era una valente
lavoratrice, una preziosa presenza a Nampara e ora, pian piano, stava
diventando una preziosa compagna anche per lui. Non voleva rinunciare
a lei, non voleva che finisse quanto iniziato fra loro e sapeva di
non poterne più fare a meno, ormai.
Certo,
non era come sposare Elizabeth, quella sarebbe stata la sua massima
gioia e aspirazione, ma il destino ci aveva messo lo zampino. E ora,
in un certo senso, voleva anche Demelza. Andavano d'accordo, c'era
intesa sessuale fra loro, attrazione e un buon spirito di squadra e
quindi quel matrimonio che non nasceva sotto i migliori auspici,
forse sarebbe stato migliore di molti altri matrimoni combinati.
Jud
e Prudie li avevano guardati con la faccia da ebete per tutta la
cerimonia, il prete lo aveva fissato in cagnesco e Demelza aveva
tenuto gli occhi bassi per tutto il tempo. E in questo quadretto
idilliaco, quel 24 giugno 1787 erano diventati marito e moglie.
Aveva
provato una specie di brivido quando le aveva messo la fede al dito,
ma non sapeva dire se fosse un brivido bello o un brivido di paura...
Forse entrambi, forse era altro, forse avrebbe scoperto il senso di
tutto quello che gli stava accadendo, un giorno.
Finita
la cerimonia, pronunciati i riti e baciata frettolosamente la sposa,
Ross decise che si poteva anche tornare a Nampara e riprendere la
vita di sempre.
Era
un matrimonio povero, senza fronzoli né invitati, si sentiva
in
imbarazzo e voleva solo tornare a fare le solite cose per acquietare
la sua mente.
Adesso
era Ross Poldark, marito di Demelza Carne che era stata fino a poche
ore prima la sua sguattera. Ogni sua decisione, ogni suo passo, ogni
suo pensiero, da quel giorno avrebbero dovuto includere lei.
Questo
faceva paura.
Questo
era il matrimonio...
Tornarono
a casa col carretto e nessuno dei quattro fiatò. Demelza,
durante il
tragitto, giocherellò con il suo bouquet, lui finse di
guardare con
attenzione i campi e i due servi borbottarono fra loro che un
matrimonio senza nemmeno un goccio di rum per brindare, non era un
vero matrimonio.
Quando
giunsero a Nampara, era passato da poco il mezzogiorno. Ross avrebbe
voluto scappare in miniera per stemperare la tensione picconando la
roccia ma, immaginava, non fosse una cosa cavalleresca da fare. Si
era sposato e il minimo che poteva fare era prendersi cura di sua
moglie e cercare di abbattere quel muro di imbarazzo che si era
creato nelle ultime ore. Non ce n'era motivo e il suo rapporto con
Demelza, da sempre sereno e sbarazzino, non doveva assolutamente
incanalarsi in quella direzione.
La
guardò, era graziosa, giovane e forse più
spaesata di lui. Ed ora
era sua moglie... Quella ragazzina vestita di rosso sarebbe stata la
compagna della sua vita, la sua amante, la madre dei suoi figli e
forse la sua confidente. E l'amore? Sarebbe stato amore, un giorno?
Per
la prima volta, sperò di sì. Desiderava essere
amato e desiderava
amare. E se il suo primo amore era andato lontano e aveva tradito
ogni voto e promessa formulata, perché non impegnarsi per
costruire
una nuova, bella storia?
Prudie
e Jud scesero dal carro e fecero per entrare in casa, ma Ross decise
che non ce li voleva per il momento. "Voi, che avete intenzione
di fare?".
"Entrare
e brindare con del buon Porto" – rispose Prudie con
sfacciataggine.
"Il
mio Porto?" - puntualizzò Ross, ponendo una domanda dalla
risposta ovvia.
Jud
allargò le braccia. "Il matrimonio è vostro e si
brinda col
vostro vino. E' la tradizione".
Ross
annuì e sorrise con fare maligno, prendendo Demelza per
mano. "Sì,
buona idea, le tradizioni vanno sempre rispettate. Ed è
quello che
faremo io e mia moglie, grazie per il suggerimento. In quanto a voi
due..." - sussurrò, avvicinandosi a loro di alcuni passi
–
"Il prato sud e le sue erbacce vi aspettano".
Prudie
spalancò gli occhi. "Giuda, avevate detto che il lavoro da
testimoni ci avrebbe esentato da...".
Ross
annuì. "Sì, vero! Intendevo che eravate esentati
per questa
mattina. Ma ora è quasi pomeriggio, le erbacce non sono
sparite per
magia e il lavoro di toglierle è vostro".
"Non
è giusto, non è gentile, non è umano!"
- borbottò Jud,
prendendo la vanga con fare stizzito. E poi, con Prudie, entrambi
ciabattando col loro passo sgraziato, se ne andarono nei campi
guardandoli in cagnesco.
Demelza
rise, forse per la prima volta nella giornata. "Mi dispiace un
pò per loro. Jud ha ragione, non è stato molto
onesto".
Non
era d'accordo con lei e non gli andava di avere attorno i due servi
nelle prime ore del loro matrimonio. "Non è onesto far
lavorare
chi paghiamo per farlo?".
Lei
lo guardò divertita. "No... Ma...".
Le
strinse la mano, attirandola a se e verso l'uscio di casa. "Bevono
a sbaffo il mio vino da anni, godono di vitto e alloggio gratuito e
sono due fannulloni che chiunque, a parte mio padre che li
considerava amici, avrebbe licenziato dopo due giorni. E mi sento
assolutamente a posto con la coscienza, nei loro confronti".
"Sir".
Ross
la guardò storto. "No, basta Sir! Ora sei mia moglie, devi
chiamarmi Ross".
Demelza
arrossì. "Si lo so, è che ancora mi sbaglio,
certe volte. Mi
sbaglierò anche nei prossimi giorni, ogni tanto".
Le
accarezzò la guancia, era ancora tanto giovane e innocente,
dopo
tutto...
Sentì
nuovamente un brivido quando la fece entrare in casa e appena furono
nello studio, la invitò a sedersi alla scrivania, versando
per lei
del vino in un bicchiere. "Su, Jud e Prudie avevano ragione.
Dovremmo brindare, no?".
Demelza
lo guardò indecisa. "Vuoi farlo?".
"Sì,
certo".
Lei
appoggiò le labbra al bicchiere, titubante. Ma non bevve,
non
subito. "Non mi è mai stato permesso, prima d'ora, di bere
alcolici. Nemmeno quì mi è mai stato permesso".
Ross
poggiò la mano sulla sua, che reggeva il bicchiere,
coprendola. "Ora
sei mia moglie, sei la padrona di casa e sei abbastanza grande per
berne, quando ti va". Le poggiò il bicchiere alle labbra,
facendone fuoriuscire delle gocce di vino che le scivolarono in
bocca.
E
quel semplice gesto delle sue labbra che si schiudevano, lo
riempì
di desiderio perché Demelza era giovane, delicata, ma aveva
in se
qualcosa che lo attraeva e irretiva. Lei riusciva a sedurlo senza
accorgersene e questo era un aspetto di sua moglie che adorava. Non
c'era malizia in lei, non c'erano secondi fini. Demelza era
semplicemente così...
Lasciò
la sua mano, lasciando che bevesse da sola. E lui fece altrettanto,
gustando il sapore agre e forte del Porto. Bevve in un sorso, non
aveva voglia di vino in quel momento.
Aveva
solo voglia di lei ed ora erano marito e moglie, ora non stava
più
trasgredendo alcuna regola.
Demelza
bevve alcuni sorsi, poi tossì. "Giuda, è
fortissimo!".
Per
un attimo la tensione in lui si allentò e rise, a
quell'esclamazione. "Ti ci abituerai".
Si
guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere entrambi. E Ross le
sfiorò la vita, attirandola a se e baciandola.
Si
sentiva felice, in quel momento...
Le
sue labbra avevano il sapore del vino e i suoi capelli profumavano
dei fiori con cui li aveva agghindati per il matrimonio. Si sentiva
come ipnotizzato e per un attimo si chiese se anche con Elizabeth
avrebbe provato la stessa passione. Ma fu un attimo perché
anche lui
capiva che in quel momento non c'era posto per Elizabeth nella sua
mente e nei suoi pensieri.
Intensificò
il bacio, affondò la mano fra i capelli rossi di Demelza e
poi, con
le labbra, sfiorò il suo mento e il suo collo. "Sei
bellissima
con questo vestito. Sei bellissima con questi fiori fra i capelli. E
voglio fare l'amore con te. Di nuovo. Adesso..." - sussurrò.
Lei
si abbandonò contro di lui, lasciando che le sue labbra le
tormentassero la pelle. "Ross" – bisbigliò, col
fiato
corto.
La
prese fra le braccia, la loro prima volta da sposati non poteva
consumarsi su una scrivania. Demelza ora era la signora di Nampara e
la sua camera sarebbe stata quella padronale. "Non quì"
–
le disse, nell'orecchio.
"Dove?".
Le
sorrise dolcemente, dandole un nuovo soffice bacio sulle labbra.
"Nella nostra stanza. Ora è davvero nostra, Prudie e Jud
sono
lontani e nessuno potrà disturbarci".
Lei
si rannicchiò contro il suo petto e lui decise che sarebbe
stato un
galante marito, impeccabile, in quel primo giorno del loro
matrimonio. La tenne in braccio, era leggerissima, salì le
scale ed
entrò in camera, adagiandola delicatamente sul letto.
Il
sole penetrava dalla finestra, donando un alone dorato all'ambiente e
facendo risplendere quei capelli rossi tanto selvaggi quanto
magnetici. "Sei mia moglie, ora" – le sussurrò,
accarezzandole la guancia.
Lei
si guardò attorno, forse spaventata di trovarsi
lì e realizzare che
era tutto vero. "Sì. E mi chiedo se riuscirò mai
ad
abituarmi".
"Spero
di sì".
"Ross?
Sei pentito?".
"Di
cosa?".
"Di
averlo fatto davvero?".
Scosse
la testa, voleva rassicurarla su questo. No, non era affatto pentito
e anche se immaginava le chiacchiere e le voci che sarebbero seguite
appena si fosse saputo, si rese conto che non gli importava niente.
"Ho fatto la cosa giusta. E fare la cosa giusta è sempre la
strada migliore. Ti abituerai ad essere mia moglie e un giorno,
magari quello di un nostro futuro anniversario, ripensando ad oggi
forse riderai di tutte queste paure e dubbi. Forse lo farò
anche io,
chissà...".
Lei
gli accarezzò la guancia, sembrava volergli dire qualcosa,
glielo
leggeva dall'espressione. Tuttavia rimase zitta.
"Demelza,
che c'è?".
"Niente,
assolutamente niente".
Mentiva,
c'era qualcosa. "A un marito si dovrebbe dire tutto. A me puoi
dire tutto".
Demelza
scosse la testa, quasi fosse stupita dai suoi stessi pensieri.
"Niente di eccezionale. Mi chiedevo solo se in un nostro futuro
anniversario, oltre a ridere, tu...".
"Cosa?".
La
sua giovane sposa si morse il labbro. "E' stupido anche solo
pensarlo. Non mi va di dirlo, ora".
"Va
bene, allora me lo dirai un'altra volta...".
"Sì,
un'altra volta" – tagliò corto lei.
La
baciò, decidendo che avrebbero rimandato quella faccenda a
un
momento migliore e non troppo lontano. Ora c'era altro che
desiderava, a cui pensava... "Lo voglio ancora, Demelza".
"Cosa?".
"Quello
che volevo poco fa, nel mio studio".
Lei
rise, capendo al volo cosa intendesse. Fece scorrere le sue braccia
esili attorno al suo collo, lo attirò a se e lo
baciò lentamente,
facendolo impazzire di desiderio.
La
spinse delicatamente sul materasso, si stese su di lei, non riusciva
più ad aspettare.
La
accarezzò a lungo, la baciò su quel corpo giovane
e fresco e per la
prima volta, da marito e moglie, fecero appassiontamente l'amore in
quella stanza che, da quel giorno e per sempre, sarebbe stata la
loro.
La
prima, di una lunga serie...
Nessuno
dei due lo poteva ancora sapere, ma quel matrimonio tanto strambo e
pieno di dubbi, sarebbe diventato per entrambi, pian piano, la loro
ragione di vita.
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
24
giugno 1802
Inginocchiata
nel giardino fuori casa, Demelza finì di annaffiare i fiori
che
aveva appena piantato. Era un lavoro che amava tantissimo e che
riusciva a isolarla dal mondo, in un suo piccolo rifugio di pace e
tranquillità.
Era
una giornata molto calda, serena e dai campi arrivava il gracchiare
delle cicale e il ronzìo delle api. L'estate era al pieno
del suo
fulgore e quell'anno era baciata dal bel tempo e dai raccolti
abbondanti sia nei campi che nelle miniere di Ross che regalavano
rame e lavoro a molti dei minatori della zona.
Con
la mano sfiorò i petali di una rosa dal profumo
intensissimo,
pensando a come potesse fare per rinforzarne il gambo, e in quel
momento qualcuno le arrivò da dietro le spalle, baciandola
sul collo
e facendola sobbalzare per lo spavento. "Giuda!" - gridò,
voltandosi verso il nuovo arrivato. "Ross, sei impazzito?"
- chiese, trovandosi suo marito davanti che, divertito, la guardava
sghignazzando.
"I
tuoi riflessi, mia cara, stanno peggiorando! Una volta fiutavi il mio
arrivo a miglia di distanza".
Demelza
lo guardò storto, massaggiandosi il ventre gonfio. "Ancora
un
pò e mi fai partorire quì, in giardino".
Lo
sguardo di Ross si addolcì, si avvicinò a lei e
la baciò sulle
labbra. "Sarebbe una cosa carina partorire il giorno del nostro
anniversario, non trovi?" - sussurrò al suo orecchio, dando
una
carezza al pancione.
"No,
non voglio dividere questo giorno con un compleanno. Ognuno deve
avere la sua ricorrenza. Voglio partorire da domani e se tu mi
facessi il piacere di non farmi venire un infarto, potresti aiutarmi
in questa cosa".
Ross
osservò il pancione di sua moglie, scettico. Il termine era
passato
da alcuni giorni, come aveva detto Dwight, e viste le dimensioni di
sua moglie, dubitava che potesse arrivare incinta a fine settimana.
"Allora te lo ricordi".
"Cosa?"
- chiese lei, tirandosi indietro una ciocca di capelli che le era
caduta sul viso.
"Che
è il nostro anniversario! Quindici anni di matrimonio
sembrano
un'enormità di tempo, no?".
Demelza
sospirò, cingendogli la vita, appoggiandosi contro di lui ed
abbracciandolo. In realtà non le sembrava così
tanto tempo e aveva
l'impressione che, con tutte le tempeste che avevano affrontato in
quegli anni, tutto fosse volato fin troppo in fretta. C'erano state
risate, amore, gioia. Ma anche dolore fatto e subito, lacrime,
dolorose prese di coscienza e il loro rapporto che, spesso, si era
trovato sull'orlo di un burrone. Erano sopravvissuti alla morte della
loro piccola Julia, ai tradimenti vissuti inseguendo l'utopia di un
amore perfetto, a Hugh, a Londra e a Monk Adderly, a George e alla
fine inaccettabile Elizabeth... Ne avevano passate tante loro due
eppure alla fine erano lì, in quel giardino baciato dal
sole,
abbracciati, innamorati e con un nuovo bimbo in arrivo. "A me
invece sembra ieri. Eppure, ora che ci penso, siamo così
diversi da
allora" – mormorò, accarezzandosi il pancione.
Ross
la baciò sulle labbra, dolcemente. "Vero! Non ti riusciva
proprio di chiamarmi per nome e per molto tempo hai continuato a
vedermi più come un padrone che come un marito".
"E
tu come la tua domestica, più che una moglie" –
obbiettò
lei. Era vero, c'era stato un tempo in cui non riusciva davvero a
credere che lui avesse sposato proprio lei e in cui credeva
impossibile ambire al suo amore. Era stata una ragazzina che si
sarebbe accontentata delle briciole del suo uomo e ora era una donna
sicura di se stessa e dell'importanza che rivestiva nella vita di suo
marito. Lui ora l'amava e, nonostante tutti gli errori commessi da
entrambi, avrebbe messo le mani sul fuoco su quanto speciale fosse il
loro amore. Gli occhi di Ross brillavano quando incontravano i suoi,
la passione fra loro non si era mai sopita ma, forse, era addirittura
cresciuta con gli anni. Era la madre dei suoi figli, la sua amante,
la sua migliore amica e colei che conosceva i punti più
oscuri della
sua anima. Riusciva a capire a cosa pensasse suo marito, da un
semplice sguardo.
Ross
sospirò. "Ti consideravo più di una domestica ben
prima di
sposarti. Mi piaceva parlare con te e la tua presenza a Nampara
è
diventata da subito importantissima".
"Ma
non mi amavi, quando mi hai sposata" – concluse lei,
mascherando un sorriso. I tempi di Elizabeth e del suo senso di
inferiorità nei suoi confronti erano finiti e ormai riusciva
a
scherzare e a parlare con leggerezza di quel periodo tanto doloroso
della sua vita di moglie.
Ross
la guardò, poi decise che era meglio cambiare discorso.
"Dove
sono i bambini?" - chiese, guardandosi attorno.
"Sono
andati alla spiaggia a giocare con Garrick".
"Da
soli?" - chiese lui, subito in ansia.
Demelza
sbuffò. "Ross, Jeremy ha undici anni e Clowance otto! Direi
che
possono fare qualche centinaio di metri da soli per raggiungere la
spiaggia, no? Poi c'è Garrick a dar loro un occhio".
Suo
marito scosse la testa. "Quel povero cane è vecchio e
malconio.
E non mi fido affatto di lui! Mi chiedo come faccia a seguirli ancora
dappertutto, viste le sue condizioni".
Demelza
abbassò lo sguardo, sentendo una fitta allo stomaco. Garrick
era
ormai così anziano ed era vissuto molto più a
lungo di tanti altri
cani e sapeva che presto... "Coi bambini torna giovane! Loro gli
danno forza ed energia e sono sicura che sarà il guardiano
anche del
nuovo bimbo che arriverà" – tagliò
corto.
Ross
parve scettico. "Quindi, dici che non dobbiamo preoccuparci dei
bimbi?".
Lei
ridacchiò. "Se sei tanto in ansia, lasciami cinque minuti!
Finisco di sistemare i fiori e poi facciamo una passeggiata e li
raggiungiamo".
Ross
le prese la mano, attirandola a se. E poi fece scivolare in essa una
scatoletta di velluto blu. "In realtà, speravo di essere da
solo con te. Volevo darti questa senza bambini attorno".
Demelza
abbassò lo sguardo, osservando la scatolina fra le sue mani.
"Cos'è?".
"Un
regalo per il nostro anniversario. Non te ne ho mai fatti e forse
è
ora che cominci a farlo. Quindici anni di matrimonio sono una data
importante, soprattutto quest'anno, con questo bambino in arrivo"
– concluse, accarezzandole la pancia.
Demelza
sentì il cuore balzarle nel petto. Era così dolce
e sembrava tanto
impacciato... Ross non era mai stato un tipo romantico, uno da poesie
o cose simili ed era sempre in difficoltà quando doveva
esprimere i
suoi sentimenti. E proprio per questo, quando se ne usciva con gesti
del genere, sapeva farle sciogliere il cuore. Lo baciò sulle
labbra,
un bacio lungo ed appassionato, ripensando a quanto fossero diversi i
loro sentimenti di quindici anni prima. "Non avresti dovuto
farlo, non ho bisogno di regali. Ma ti ringrazio". E così
dicendo, aprì la scatoletta. Ai suoi occhi si
materializzò un
bellissimo ed elegante ciondolo arricchito da un piccolo diamante
che, alla luce del sole, assumeva mille colori diversi. Santo cielo,
doveva essere un gioiello di grandissimo valore, non avrebbe
dovuto... "Oh Ross...".
Lui
le sorrise, prendendo il ciondolo e mettendoglielo al collo. "Ha
i riflessi dei tuoi capelli. Appena l'ho visto a Londra, ho pensato
che fosse stato fatto apposta per te".
Era
commossa, ecco... Non le capitava spesso e il suo cuore sembrava
traboccare di gioia. "Ti amo...".
"Ti
amo anch'io, lo sai?".
Le
punte dei loro nasi si sfiorarono, prima che le loro labbra si
unissero in un nuovo e lungo bacio. Poi lei gli sfiorò il
petto,
appoggiandovi il capo. "Oh lo so che mi ami. Solo un uomo molto
innamorato potrebbe dirlo a una donna grossa come una balena, al nono
mese di gravidanza".
A
quelle parole, Ross scoppiò a ridere. "Ancora con questa
storia?! Santo cielo, sei bellissima quando sei incinta".
"Lo
dici perché non hai mai provato la sensazione di avere
un'anguria al
posto della pancia e a camminare sentendoti una papera. Ma a parte
questo, la stanchezza, il mal di schiena e la nausea, adoro aspettare
i tuoi bambini". Si sfiorò il ciondolo, accarezzando il
diamante. "E' bellissimo Ross, ma davvero, non avresti dovuto.
Io sono felice così, mi basta sapere che mi ami. Quando ti
ho
sposato, era l'unica cosa che desideravo. Avevo quasi paura a
sperarci, che un giorno...".
Ross
la baciò sulla nuca. "Sono stato davvero un pessimo marito,
all'inizio".
"Ma
ora ne riusciamo a ridere insieme" – replicò lei.
Ross
le strizzò l'occhio. "Te l'avevo detto no, il giorno che ci
siamo sposati! A proposito... Quel giorno c'era qualcosa che ti
passava nella testolina che non hai mai voluto dirmi. Non credi che
sarebbe il momento giusto per rivelarmi cosa pensavi?".
Demelza
sussultò. Ricordava bene quell'istante nella loro camera
matrimoniale, subito dopo la cerimonia, in cui fortemente
sperò che
un giorno sarebbe stata l'amore della sua vita. Aveva avuto vergogna
di esternare quel suo pensiero allora, ritenendolo stupido e
infantile, un qualcosa che, se espresso a parole, avrebbe potuto far
arrabbiare Ross. Ma ora era diverso, lei era diversa... "Quel
giorno mi chiesi se, oltre a ridere delle nostre paure, mi avresti
anche amata un giorno".
Lo
sguardo si Ross si addolcì, a quelle parole.
"Perché non me lo
hai voluto dire?".
"Non
avresti apprezzato. E ora, in fondo, non ci sarebbe nemmeno bisogno
di parlarne. E' una cosa di tanti anni fa e so benissimo che mi ami".
Ross
parve sentirsi in colpa perché, lo sapeva pure lui,
probabilmente
quel giorno, se lei gli avesse esternato a parole l'ambizione al suo
amore, lui non l'avrebbe presa bene. "Mi dispiace di averti
fatto del male, in passato".
"Anche
a me" – disse lei. E anche senza pronunciare quel nome,
sapeva
che Ross aveva capito che si stava riferendo a Hugh Armitage.
Ross
le accarezzò il viso. "Su, basta parlare di queste cose. E'
il
nostro anniversario, ne abbiamo passate tante e dovremmo essere
felici, giusto".
Lei
annuì. "Giusto! Ma mi sento in colpa, non ho nemmeno un
regalo
per te. A parte la cena speciale che ho preparato stamattina con
Prudie e i bambini".
Ross
osservò il suo pancione. "Beh, quello è un regalo
che vale più
del ciondolo".
Demelza
scoppiò a ridere. "Giuda Ross, questo non è un
regalo! E'
frutto di un lavoro di squadra! Mica l'ho fatto da sola".
"Nemmeno
io ho fatto da solo il ciondolo, siamo pari!" - osservò lui.
E
poi la prese sotto braccio, allontanandola dall'aiuola che stava
curando. "Basta parlare di sciocchezze, andiamo a recuperare i
bambini. Non mi fido di Garrick".
Lei
lo guardò storto, assolutamente divertita. "Ross, sei
diventato
apprensivo e romantico. Stai invecchiando...".
"Anche
tu".
"Ho
sempre dieci anni meno di te".
Ross
sospirò, accelerando il passo. "Donna, smetti di essere
irrispettosa nei confronti di tuo marito e sbrigati, dobbiamo
recuperare i nostri poveri e dispersi bambini!".
Demelza
scoppiò a ridere. Non erano molti i momenti in cui l'animo
di Ross
era così leggero ma quando scherzava ed era così
di buon umore,
riusciva a scaldarle il cuore. C'era intimità fra loro, uno
strano
cameratismo e una confidenza talmente profonda che spesso, i loro
amici, avevano ammesso di sentirsi di troppo, quando erano con loro.
In effetti era vero, lei e Ross erano un mondo a parte, talmente
diversi e talmente perfetti insieme, che nessuna altra coppia avrebbe
potuto somigliare loro. Era strano e a volte, quando ci pensava, non
riusciva ancora a credere che una monella sporca e analfabeta di
Illugan sarebbe stata amata da un nobile gentiluomo in maniera tanto
profonda. "Ross, rallenta il passo o mi farai partorire per
strada".
Lui
si bloccò di colpo. "Hai dolori?".
"No
e non vorrei averli. O dovrai aiutarmi a partorire tu, quì,
in mezzo
alla strada. Non avresti nessuno ad aiutarti, a parte forse i nostri
bambini. O Garrick".
"Non
mi fido di Garrick". Ross scosse la testa, rallentando il passo.
Mascherò un sorriso mentre il sole gli baciava il viso,
mettendo in
evidenza la cicatrice sul suo viso ormai quasi invisibile.
Percorsero
il piccolo viale sterrato che portava alla spiaggia in un silenzio
tranquillo. In lontananza videro i loro bambini che, a piedi scalzi,
giocavano a riva schizzandosi l'acqua e ridendo rumorosamente mentre
Garrick li inseguiva con la vivacità che sembrava rubata a
un cane
ancora cucciolo
"Visto
Ross? Sono vivi, sani e salvi" – osservò con
sarcasmo.
"Tu
la prendi alla leggera ma guarda che la spiaggia può essere
un posto
pericoloso!".
Demelza
rise di nuovo, la divertiva questo Ross che diventava, col passare
degli anni, sempre più apprensivo. Guardò i suoi
due bambini e si
sentì fiera di se stessa. Jeremy, crescendo, aveva acquisito
la
stessa capigliatura riccia e scura di suo padre e anche in lonantanza
vedeva i suoi boccoli morbidi che si muovevano alla brezza del vento.
Era un bambino buono e sensibile e con lui aveva un rapporto profondo
e speciale. Clowance invece era una bambolina biondissima, ruffiana,
vivace ma dotata di una naturale grazia che, in certi momenti, la
rendeva una piccola lady in miniatura. Ross la adorava, era
perdutamente innamorato della sua bambina e Clowance sapeva che,
davanti a un suo no, poteva andare da suo padre e il no sarebbe
diventato automaticamente un sì. Ross non riusciva a negarle
nulla e
spesso Demelza si era fermata a pensare, divertita, che sua figlia
era la sua unica e vera rivale. Si appoggiò alla spalla di
suo
marito col capo, cercando la sua mano ed intrecciando le dita con le
sue. "Guarda cosa abbiamo fatto insieme?" - sussurrò,
piena di orgoglio.
Ross
la guardò, stringendola ancora di più a se. "Sai
che in molti
ci invidiano?".
"Cosa
invidiano?".
"Noi,
la nostra famiglia. Io e te, i nostri figli".
Lo
baciò dolcemente sulla guancia. "Ogni famiglia dove
c'è amore
è speciale. Ognuna a modo suo".
Ross
annuì. "Lo avresti mai detto che avrebbe funzionato?".
Demelza
scosse la testa, sorridendo. "No... Eravamo i più
improbabili
sposi della Cornovaglia. O dell'Inghilterra".
"Forse
essere sposi improbabili è il segreto per avere un
matrimonio
felice".
I
bimbi li videro e con Garrick corsero loro incontro. Clowance si
rifugiò fra le braccia del padre, saltandogli in braccio,
mentre
Jeremy, il suo principe azzurro in miniatura, la prese per mano.
"Mamma, eravate preoccupati?".
"No,
papà lo era!".
Clowance
si imbronciò. "Siete venuti a prenderci? Non voglio tornare
a
casa, è presto! Stiamo ancora quì a giocare, ti
preeeego papà!".
"Sì
dai papà, daiiii!" - implorò Jeremy,
saltellandogli a fianco.
Ross
annuì, togliendosi in gilet. "Facciamo il bagno?".
Jeremy
rise. "Sì" – rispose con entusiasmo, togliendosi
la
camiciola.
Clowance
lo imitò e prima che Demelza potesse fermarla, si era
già tolta il
vestitino, rimanendo con indosso solo una leggera sottana. "Mamma,
tu non vieni?".
Demelza
sospirò, accarezzandosi il pancione. "Direi che non
è il caso.
Vi aspetto quì".
Ross
la baciò sulla fronte. "Mettiti all'ombra. Non vorrei che il
sole ti facesse partire il travaglio".
"Sì
signore" – rispose, divertita.
Con
Garrick, il suo fedele cane che l'aveva accompagnata in tutta la sua
avventura con Ross, si sedette all'ombra di una roccia, osservando da
lontano i suoi bambini e suo marito che giocavano sulla riva. E,
accarezzando il pelo ispido del cane, pensò alla ragazzina
che era
stata e alla donna forte e alla madre che era diventata. Si
sentì
fiera di se stessa, si sentì fiera dell'amore di Ross. E si
rese
conto che in fondo, pur con tutte le perplessità che avevano
accompagnato il suo improvvisato matrimonio, Nampara e suo marito gli
erano appartenuti fin dal primo momento in cui si erano incontrati.
Ci
era solo voluto del tempo per capirlo, per scoprirlo... Ma il destino
aveva già deciso per loro.
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