The Wedding

di lady lina 77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


"Hai ragione, non puoi più essere la mia serva".

Un piacevole vento muoveva i capelli rossi e selvaggi di Demelza e il pelo di Garrick, mentre pronunciava quelle parole che erano uscite dalla sua bocca ancor prima che la sua mente ne avesse elaborato il fine o soprattutto le conseguenze.

La ragazza lo guardò con aria interrogativa, senza capire o forse capendo che qualunque strada avessero deciso di intraprendere, il loro rapporto non sarebbe più stato lo stesso. "Sir, infatti sto tornando da mio padre".

La sua voce era timida e stentata, si vedeva chiaramente quanto fosse in difficoltà a parlare con lui, dopo quanto successo la notte prima. Ross si affrettò però a puntualizzare. No, non doveva andarsene, non così. Era una buona domestica, una fidata confidente, era diventata l'anima pulsante di Nampara e conosceva ogni suo vizio o bisogno. Ed era una ragazzina a cui lui, con un gesto avventato e dettato da rabbia ed alcol, aveva tolto l'innocenza e la possibilità di una vita affettiva stabile. Decise che Demelza non lo meritava e che fosse suo preciso dovere prendersi la responsabilità di quanto accaduto quella notte, anche se in fin dei conti era stata lei a sedurlo e lui aveva onorevolmente cercato di resistergli. Ma a differenza di Demelza che forse non aveva ben chiare le conseguenze di quanto successo fra loro, lui era un uomo adulto, aveva dieci anni più di lei e in fondo era in età da matrimonio. Certo, non amava Demelza e per lei sentiva solo una sorta di affetto e stima, ma in fondo perché no? Lui apparteneva a una antica e facoltosa famiglia, anche se decaduta, e di certo con le sue scarse finanze non poteva ambire a chiedere la mano a una nobile ragazza del posto. Non avrebbe potuto mantenere lo stile di vita della sposa e con Demelza, abituata a fame e miseria, non avrebbe avuto questo genere di problemi. E poi era carina, a modo suo, lo rispettava ed andavano d'accordo. E si era rivelata in più di un'occasione un buon braccio destro e una fidata compagna di chiacchierate e di lavoro. Inoltre – e non poteva negarlo a se stesso – quella notte, fra loro, era scattata una passione talmente profonda e inaspettata che lo aveva lasciato piacevolmente sorpreso. Per lei era la prima volta ma era come se il suo corpo da ragazzina e il suo, ormai adulto, fossero stati creati per fondersi insieme travalicando differenze di età, rango e ruoli. E poi... E poi l'avrebbe sposata all'istante solo per vedere la faccia boriosa dei giudici che avevano condannato Jim Carter contorcersi davanti allo scandalo di un nobile che sposa una sguattera. "Non devi tornare a casa, non è la soluzione giusta al problema".

"Io credo di sì" – rispose lei sulla difensiva e con lo sguardo basso, accarezzando il muso di Garrick.

Ross sospirò. Si sentiva in colpa per come si erano svolte le cose poco prima, quando era giunta Elizabeth, e lui non aveva potuto far altro che ignorare Demelza per non mettere a disagio la sua ospite e, forse, se stesso. Ma l'aveva ferita e lui si era comportato da cafone, ne era consapevole. Come del fatto che Demelza non lo meritava. "Mi dispiace, Elizabeth non era un ospite attesa, oggi" – si scusò.

Lei alzò le spalle. "Non dovete darmi spiegazioni, Sir".

Ross scese da cavallo, avvicinandosi a lei di alcuni passi. "Non puoi tornare da tuo padre, andare ad Illugan è una mossa che non ti consiglierei di fare".

"Mi troverete lavoro presso la famiglia di qualcuno dei vostri soci?".

Quella domanda lo intenerì. Molte donne avrebbero approfittato dal fatto di essere andate a letto con lui, lo avrebbero ricattato, avrebbero cercato di trarne profitto ed avrebbero preteso... Lei no, non chiedeva niente e in questo scorgeva una notevole nobiltà d'animo per essere una ragazzina tanto giovane e di origini tanto umili. "No, niente affatto! Vorrei che restassi a Nampara".

Demelza si accigliò, pensando ovviamente alla cosa più ovvia: restare, continuare a lavorare per lui e la notte essere la sua amante e soddisfare i suoi appetiti...

Rimase in silenzio e davanti alla mancanza di una risposta, Ross si affrettò a spiegarsi meglio. "Non per quello che pensi tu!".

Lei parve esserne delusa, ma continuò a rimanere in silenzio. E lui capì che sarebbe rimasta anche senza nulla in cambio, senza impegni ufficiali e che, se lui gli avesse chiesto di dormire con lui, lei lo avrebbe fatto senza fare domande. Come sempre...

Ross prese un profondo respiro, la sua vita stava cambiando in maniera vertiginosa nel giro di poche ore. "Vorrei che mi sposassi! Credo sia la cosa migliore da fare, per noi. E' un modo onesto e responsabile di sistemare quanto successo la notte scorsa". Non l'amava, non l'avrebbe mai amata, il suo cuore apparteneva a Elizabeth e Demelza lo sapeva. Se accettava la proposta, non avrebbe dovuto premurarsi di tenerle nascosto quello che era un dato di fatto. L'avrebbe rispettata e si sarebbe preso cura di lei, avrebbe elevato il suo status sociale e gli avrebbe donato una vita meno dura. Pur senza amore, Demelza aveva solo da guadagnarci da quel matrimonio.

La ragazzina spalancò gli occhi mentre Garrick, attratto dai movimenti di una lucertola, scavava nella terra per stanarla. "Sposarvi?".

"Sì, sposarci! E' una buona soluzione per entrambi, giusto? Io onorerò il mio cedimento di stanotte e tu avrai la cura e la tutela di un marito".

Demelza, improvvisamente, indietreggiò. Sembrava spaventata e smarrita e forse era normale, non era che una ragazzina di diciassette anni. "Matrimonio...? Sir, io...".

"Devi solo dire di sì!".

Lei scosse la testa. "Ma io non posso, voi non potete! Che dirà la gente se vede un uomo rispettabile che sposa la sua sguattera?".

Lui fece un sorrisetto irriverente, immaginandosi già la scena. "Ti è mai sembrato che mi importasse cosa dice di me la gente?".

"Sì ma un matrimonio... Non si fa, signore! Non dovete, molti uomini nobili fanno ciò che vogliono con le loro sguattere e mica le sposano... Non potete! E non volete" – disse infine, calando il tono di voce. E ancora una volta, il riferimento ad Elizabeth era palese e davanti ai suoi occhi. Era piccola ma non stupida e doveva parlarle con sincerità.

"Ma va fatto!" - insistette lui, stupito dalla maturità che lei stava dimostrando e dalla sua testa dura. O forse no, che Demelza avesse la testa dura, era una cosa che aveva notato da molto. Era selvaggia e indomita, intraprendente – come gli aveva dimostrato la sera prima – coraggiosa e aveva uno strano e seducente fuoco dentro di se che, in un senso che ancora non sapeva interpretare, lo irretiva e attraeva. Non voleva che se ne andasse e non per una questione di onore o per riparare a un torto, non voleva che se ne andasse e basta. Non ne era innamorato ma non riusciva più ad immaginare Nampara senza di lei.

Demelza giocò col piede, smuovendo dei sassolini, in un gesto impacciato e infantile. "Ed Elizabeth?".

Si irritò a quella domanda, quelle erano cose che a lei non dovevano importare. Elizabeth e i suoi sentimenti per lei erano qualcosa che a Demelza non dovevano riguardare, anche se sarebbe diventata sua moglie. "E' sposata con mio cugino".

"Ma voi la volete! E non volete me".

Ok, doveva chiudere subito quel discorso! "Ciò che voglio o non voglio, non son cose che ti riguardano! Ora sono quì, con te e sto chiedendo a TE di sposarmi. Questo è sufficiente, credo, per dimostrarti i miei intenti".

"Sì, ma...".

Ross le prese il polso, attirandola a se. Forse essere tanto brusco stava finendo per intimorirla e così facendo, rischiava di ottenere l'effetto di farla scappare. "Senti, conosci il mio carattere, sai interpretarlo e anticipare i miei desideri. Sei preziosa per la vita di Nampara e la tua presenza è importante per me. Non ti parlo di amore, sai benissimo che sarebbe fuori luogo, ti parlo di correttezza e di una soluzione che farebbe la differenza per te e aiuterebbe me a fare pace con la mia coscienza. Non ti mancherei mai di rispetto e ti assicuro che le tue origini per me non hanno importanza. Il mondo da cui provieni tu è il mondo a cui appartengono tutti i miei amici e lo sai... Andiamo d'accordo e ciò che è successo fra noi stanotte non ha fatto altro che confermarlo e io credo che in fondo potrebbe funzionare". Non aveva mai parlato tanto a lungo ma al diavolo, era una proposta di matrimonio quella e sperò di cuore che Demelza apprezzasse il suo sforzo di apparire un pò sentimentale e gentile.

"Sir?".

"Sì".

"Io non lo so come si fa a sposarsi".

Le sorrise. "Ci penserò io agli aspetti burocratici, tu non devi far nulla se non sceglierti un vestito e raccogliere dei fiori per il bouquet".

"E mio padre?" - chiese lei, tremando lievemente.

Ross la prese per la vita, mettendola sul cavallo. "Ciò che pensa tuo padre è mai stato un problema, per noi?".

Lei rise. "No".

"Bene, non lo sarà di certo adesso quindi!".

"Sir?".

Ross alzò gli occhi al cielo. Era stata la sua amante la notte precedente ma ora era tornata ad essere la ragazzina inesperta che giustamente, per età, era. "Dimmi".

Demelza arrossì, impercettibilmente. "Sì".

"Sì, cosa?".

Lei dondolò le gambe nel vuoto. "Sì, vi sposo".

Ross inspirò profondamente. Beh, non si poteva più tornare indietro e onestamente era felice che lei avesse ceduto. Non aveva mai partecipato in vita sua a una trattativa tanto sfiancante. "Ottima scelta" – rispose, salendo sul cavallo.

Lei lo guardò. "Cosa diranno Prudie e Jud?".

"Prudie e Jud non son pagati per esprimere le loro opinioni" – tagliò corto, rendendosi conto anche lui delle difficoltà pratiche di quel matrimonio ma cercando di ignorarle, per il momento.

Con un leggero colpo di redini, fece partire il cavallo. E Demelza, con un fischio, chiamò a se Garrick ancora intento a dar la caccia alle lucertole.

Scosse la testa, guardandola storto. Santo cielo, stava per sposare una ragazzina selvaggia e senza istruzione, stava davvero facendo la cosa giusta? Erano talmente diversi per educazione, loro due... Come si sarebbe mosso fra i suoi soci e i suoi pari, con una moglie come lei? Improvvisamente sentì in lui un leggero ripensamento ma si rese conto che era troppo tardi per tornare indietro ormai. L'avrebbe educata, le avrebbe insegnato a leggere e scrivere e a parlare correttamente. Non avrebbe mai avuto la grazia e l'eleganza di Elizabeth ma sarebbe diventata una buona signora di campagna, con un pò di impegno. "Demelza?".

"Sì Sir".

"Credo sia meglio che tu eviti di fischiare, d'ora in poi. Non è educato che una signora lo faccia".

"Sì Sir".

Bene, aveva messo le basi. "E poi, visto che ci sposeremo fra pochi giorni, sarebbe opportuno che tu iniziassi a chiamarmi per nome. Non sarai più la mia sguattera".

Lei spalancò gli occhi, quasi spaventata da quella proposta. "Chiamarvi per nome? Non sarebbe appropriato!".

"Non è appropriato nemmeno che una moglie si rivolga a suo marito formalmente, chiamandolo 'Sir', no?" - obiettò lui, stringendo le redini.

"Ma ora io non sono ancora vostra moglie" – osservò Demelza, voltandosi verso di lui.

Ross sospirò. "No, questo è vero. Ma non posso nemmeno più considerarti la mia sguattera e quindi, temo, dovrai chiamarmi per nome".

Lei abbassò lo sguardo, tornando ad essere timida. "Posso chiamarvi ancora per un pò 'Sir'? Credo di aver bisogno di tempo per abituarmi".

Cedette, che doveva fare? In fondo non doveva essere facile nemmeno per lei. "Va bene, se questo ti aiuta, chiamami come ti pare fino al matrimonio. Ma poi, basta formalismi".

"E posso continuare a lavorare?".

Ross si accigliò. Questo proprio non se lo aspettava! "Perché?".

"Che farei tutto il giorno? Io non so far altro... E poi...".

"Poi?".

"Poi diventerei nervosa ad avere troppo tempo libero per pensare che vi sposo. Se lavoro e mi tengo impegnata, per me sarebbe meglio".

Ross prese un profondo respiro. Santo cielo, stava davvero facendo la cosa giusta per entrambi? Lei era spaventata e, guardandola, iniziava ad esserlo anche lui. "Devi pensare al vestito e al bouquet. Non saresti inoccupata" – cercò di argomentare.

"Per quelli ci metto poco, Sir".

Beh, in fondo aveva ragione, era una ragazza pratica e decisa e non si perdeva dietro a frivolezze come merletti e vestiti. "Va bene, fa come ti pare e come sei contenta. Ma ricorda che dopo le pubblicazioni, ci sposeremo subito".

"Si Sir" – rispose lei, prima di iniziare a canticchiare sotto voce una canzone.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Quando giunsero a Nampara, il sole stava tramontando e, coi suoi raggi, tingeva di rosa il mare. Era un maggio meraviglioso e sereno e la bella stagione pareva aver fretta di arrivare. Persino il vento che di solito scuoteva le scogliere della Cornovaglia, pareva essersi preso una pausa ed essere emigrato lontano.

Ross scese da cavallo per primo, quando furono davanti alla stalla. Durante il tragitto Demelza aveva canticchiato una canzoncina sotto voce ma a parte questo non si erano più parlati, ognuno perso nei propri pensieri.

La ragazza fece per saltare giù dalla sella, come sempre, ma a Ross quel gesto parve stonato e la bloccò, prendendola per la vita. "Aspetta".

"Sir?".

La sollevò e, gentilmente, la mise a terra in un gesto molto inusuale per lui. "Credo sia mio dovere essere un gentiluomo con la mia futura sposa, no?".

Lei sorrise quasi con timidezza, osservandolo stupita. "Non è necessario, sono pesante" – sussurrò, abbassando lo sguardo ed osservando le sue mani che, ancora, indugiavano sui suoi fianchi.

Ross se ne accorse e deglutì. Effettivamente non aveva assolutamente voglia di togliere le mani da lì e vederla così timida e così poco avvezza a gentilezze ed attenzioni non faceva che aumentare il suo affetto per lei che gli era ciondolata per due anni in casa e che era diventata una specie di amica, ma che lui non aveva mai cercato di conoscere davvero. Però ora, guardandola, gli venne in mente il suo passato, la vita che doveva aver condotto nella miseria più nera con un padre violento e con una nidiata di fratellini da crescere senza l'aiuto di una mamma e si rese conto che sarebbe stato lui, per la prima volta nella sua vita, la sua famiglia. E questa era una grande responsabilità a cui non aveva ancora pensato del tutto. "Non sei pesante, sei magrissima e anche se così non fosse, sarebbe mio dovere prendermi cura di te. Funziona così, sai?".

Lei ci pensò su. "Mio padre non faceva così, con mia madre. Non l'ha mai aiutata in nulla. Non ricordo tanto, lei è morta che io avevo otto anni ma quel poco che ho ancora in mente... Non sono ricordi gentili... Lui non era mai gentile e anche se ricordo poco del volto di mia madre, ricordo bene quando chiudeva la porta della sua stanza e io, dietro l'uscio, la sentivo piangere".

Ross sospirò, provando pena per quella donna che non avrebbe mai conosciuto. "Non tutti i mariti sono come tuo padre. Io non lo sarò, quanto meno. Non ti tratterò mai male e non ti costringerò mai a fare qualcosa che tu non ti senta di fare".

"Voi siete un gentiluomo, Sir, non siete come mio padre. E credo che dovreste pensarci bene prima di sposarmi".

Ross si accigliò. "Ci stai ripensando?".

"Oh no, per me è un onore pensare di diventare vostra moglie. Ma voi meritate di meglio...".

Lasciò la sua vita, parandosi davanti a lei. "Io sono dove voglio essere e sto facendo quello che voglio e devo fare. Non cambio idea e non mi importa da dove provieni, se è questo a preoccuparti. Ne abbiamo già parlato prima, no?".

Demelza abbassò lo sguardo, arrossendo. "Si ma non dovete farlo a causa di quello che è successo stanotte. Io vi ho provocato ma non voglio niente in cambio. Un gentiluomo non lo fa... Un gentiluomo si porta a letto la sua sguattera ma mica la sposa".

Quelle parole riuscirono a colpirlo ancora perché dimostravano una maturità molto superiore ai suoi diciassette anni e uno sguardo sul mondo e sulla vita molto terreno e realistico. "Un gentiluomo non si approfitterebbe di una ragazzina portandosela a letto".

"E voi l'avete fatto? Vi siete approfittato di me?".

Rimase spiazzato davanti a quella domanda perché no, non si sentiva di aver approfittato di lei. Certo, se Demelza non l'avesse provocato non sarebbe successo nulla la sera prima, ma la verità era che già da un pò la guardava con occhi diversi. Aveva notato la sua bellezza selvaggia che stava pian piano sbocciando, spesso si era fermato ad osservare il colore dorato che i riflessi del sole donavano ai suoi capelli quando lavoravano nei campi o il colore verde-azzurro dei suoi occhi tanto limpidi e puliti che davanti al mare o quando osservavano il cielo, diventavano trasparenti. E quelle chiacchiere che le pettegole di buona famiglia avevano messo in giro su di loro, se una volta l'avevano irritato, ultimamente lo avevano fatto riflettere ed era arrivato a considerare non tanto incredibile l'eventualità di avere una relazione con lei. Non aveva fatto l'amore con lei solo perché stava sragionando al termine di una giornata orribile ma aveva portato a termine qualcosa che in fondo, quasi di nascosto, desiderava da un pò. E non per lussuria ma semplicemente perché gli sarebbe piaciuto e la desiderava... Un desiderio fisico, certo, ma mischiato a un profondo affetto e una profonda stima per lei che lo aveva portato ad oltrepassare quella soglia e quel confine che forse non doveva essere superato per decenza ma che il destino aveva deciso di infrangere. Certo, Demelza lo aveva sedotto forse senza nemmeno esserne pienamente cosciente ma il punto era un altro: lei aveva anticipato qualcosa che, probabilmente, sarebbe comunque avvenuto fra loro, prima o poi. "No, non l'ho fatto. Cioé... Approfittare di qualcuno significa agire con cattive intenzioni. E io non ne ho mai avute nei tuoi confronti".

"Oh...".

Per un attimo calò il silenzio e uno strano imbarazzo. Ma fu interrotto dall'arrivo fortuito di Prudie che, borbottando, stava venendo nelle stalle per dar da mangiare a cavalli e vitelli.

Appena la serva vide Demelza, si mise le mani sui fianchi con espressione di rimprovero. "Ragazza, sei stata in giro tutto il giorno e non hai portato a termine i tuoi compiti! E chi ha dovuto farli? Chi? Chi? La vecchia e onnipresente Prudie, ecco! Dai da mangiare ai vitelli, visto che ti sei degnata di tornare".

"Sì, subito!" - rispose la ragazza.

Ross intervenne. Prudie non sapeva nulla e per un pò avrebbe continuato a non sapere, ma non avrebbe più permesso che sfruttasse Demelza come aveva sempre fatto fin'ora. "Prudie, chi si è occupata dei vitelli, ieri?".

"La ragazza".

"E l'altro ieri?".

"Sempre la ragazza".

"E il giorno prima ancora?".

"La... ragazza" – disse la donna, deglutendo.

Ross le si avvicinò di alcuni passi. "E chi cucina per me, già da mesi?".

"La ragazza. Ma è per via del mio braccio malato...".

"E i campi? Chi mi ha aiutato ad ararli?".

Prudie, vedendo l'incresciosa situazione che le stava sfuggendo di mano, indietreggiò. "Credo... Che darò da mangiare da sola ai vitelli".

"Brava" – esclamò lui, dandole una pacca sulla spalla. "Demelza deve lavorare quanto te. Non di più, non di meno. E oggi ho deciso che i compiti della casa li farai tu con Jud".

Prudie spalancò gli occhi. "Noi? Da soli?".

"Voi, da soli" – concluse in maniera sibillina, prima di rivolgersi a Demelza e parlarle in tono perentorio. "Su, vieni in casa".

La ragazzina annuì, Prudie borbottò e Ross si avviò verso l'ingresso a grandi falcate. Aveva usato con Demelza un tono un pò brusco, ma voleva mettere fine a quella disputa con Prudie che lo avrebbe portato a dare nuove spiegazioni circa la piega che avrebbero preso gli eventi e lui non ci era ancora preparato. "Ovviamente non era un ordine, se vuoi restare fuori puoi pure farlo" – le disse, rallentando il passo.

Demelza ci pensò su, voltandosi verso Prudie e la stalla. "Avrei potuto lavorare, mi prendo cura da sempre dei vitelli".

"Certo che avresti potuto ma non voglio che sia un tuo compito".

"Prudie non ci è abituata a lavorare così".

Ross fece un sorrisetto maligno. "Ci si abituerà!". Chiuse l'uscio dietro di se, la fece entrare e poi si appoggiò alla parete per spiegarle qualcosa che, riteneva, fosse comunque importante. "Se vuoi continuare a fare dei lavori quì, puoi farlo. Non che mi faccia piacere, ma se ti fa sentire tranquilla, fa pure... Però ecco, non voglio che tu lavori più di Prudie! Ricorda che fra pochi giorni sarai la sua padrona".

Demelza si torse le mani con nervosismo. "Non so se ci riesco a ragionare così".

Senza risponderle, le prese la prese per mano, conducendola fino alle scale e poi su, nella sua camera. Quella camera testimone, poche ore prima, di quell'inaspettato atto d'amore fra loro. "Non pensare a Prudie, ci sono cose più urgenti di cui dobbiamo parlare".

"Cosa?" - chiese lei, notando che Ross si dirigeva verso la scrivania prendendo penna, calamaio e un foglio di carta.

"Sai firmare?".

"Cosa vuol dire?".

"Sai scrivere il tuo nome in corsivo?".

Demelza deglutì. "Non so scrivere e leggere molto bene, ancora".

Ross scosse la testa. Negli ultimi mesi, la sera, a volte si era intrattenuto con lei cercando di insegnarle a leggere e scrivere ma lo aveva fatto senza eccessivo impegno e solo nei suoi momenti di tempo libero, frettolosamente. "Beh, devi imparare a scrivere in maniera decente il tuo nome entro stasera".

"Perché?".

"Domani mattina andremo dal prete per firmare le pubblicazioni di matrimonio e serve la tua firma. Su, fammi vedere come scrivi il tuo nome" – disse, porgendole gentilmente il foglio e la penna.

Demelza osservò la scrivania mentre le mani le tremavano. "Sir, un pochino mi ci sono esercitata nella scrittura, la sera, anche senza di voi. Il mio nome credo di saperlo scrivere ma non so se come faccio è una firma".

Ross sorrise. Era acuta, intelligente e amava imparare. E gli faceva piacere scoprire che, anche in sua assenza, aveva cercato di far tesoro delle sue lezioni per migliorarsi. "Su, prova e fammi vedere".

Con la mano tremante, lei prese la penna e scrisse il suo nome. Poi gli porse il foglio. "Così va bene?".

Ross osservò attentamente. Il tratto era un pò incerto e tremante ma in un certo senso trasmetteva una sorta di eleganza, anche se ancora un pò acerba. Non aveva fatto errori e non c'erano sbavature con l'inchiostro e quindi poteva anche dirsi soddisfatto. "Molto meglio di quello che credevo!".

Lei sorrise, come rilasciando la tensione fin'ora accumulata, come aveva fatto la prima volta che aveva cucinato per lui, quando Prudie si era fatta male al braccio. "E' una firma?".

"Sì, è una firma! E se ti eserciterai ancora, saprai farla ancora meglio".

Ross si sedette sul letto, dopo aver appoggiato il foglio sulla scrivania. E improvvisamente si rese conto che erano in camera, insieme. Forse era successo altre centinaia di volte in quegli anni e senza darci peso, ma ora era diverso... Tornò a guardarla e lei arrossì, come se avesse realizzato anch'essa, in quel momento, di dove si trovavano. E improvvisamente, per Ross, la figura di domestica scomparve e lei tornò ad essere la sua amante di poche ore prima, inesperta, dolce e appassionata. Si era donata a lui con un pò di paura ma conferendogli la più totale fiducia, lo aveva inebriato e santo cielo, avevano vissuto insieme qualcosa di travolgente. Si rese conto che la voleva ancora e che avrebbe volentieri sbarrato la porta della camera per evitare di essere disturbato da Jud e Prudie, per fare di nuovo l'amore con lei. E poi si chiese cosa fosse quel desiderio e da dove nascesse. Non era solo ricerca di piacere fisico ma aveva come l'impressione che con lei, in lei, avesse trovato qualcosa che cercava e che ancora non aveva trovato da nessun'altra parte. Ne era attratto... Per qualche strano e inesplicabile motivo era attratto da quella ragazzina ancora così ignorante, vestita con abiti modesti e che a malapena sapeva leggere e scrivere. Non avevano nulla in comune e si chiese a cosa avrebbe portato quel matrimonio: gli avrebbe donato un'inaspettata felicità o avrebbe causato la sua rovina?

Ross sapeva bene che Demelza non era che una inaspettata benda arrivata a coprire una ferita tanto grande da non poter essere curata mai più e sapeva anche che mai avrebbe potuto competere, ai suoi occhi, con la perfezione rappresentata da Elizabeth. Questo lo sapeva anche Demelza, in fondo... Eppure la voleva, tanto che quel desiderio e Demelza, in quegli istanti, riuscivano ad offuscare la presenza di Elizabeth nella sua mente... E anche se era folle, più passavano i minuti e più era convinto della sua scelta di sposarla.

Demelza osservò il letto, in quegli interminabili istanti di silenzio carichi di una strana e per nulla spiacevole tensione. "Dove dovrò dormire?" - chiese infine, in una domanda che a molti sarebbe apparsa sfacciata e volgare.

Ma Ross sapeva che non era una domanda posta in quei termini e sorrise. "Vorrei che dormissi quì ma credo sia meglio e sia giusto che tu dorma, fino al matrimonio, nella tua stanza". Gli costava dirle quelle parole e sapeva che sarebbero stati giorni di tortura sia per lui che per lei, ma era meglio così. Avrebbero finito per far l'amore ogni notte e se Demelza fosse rimasta incinta e avesse partorito prima del nono mese di matrimonio, sarebbe stata vittima di maldicenze e cattiverie. A lui non importava cosa la gente dicesse ma voleva proteggere lei. Perché se fosse successo, tutti avrebbero additato Demelza come una poco di buono e non lui. Agli occhi di tutti sarebbe stato il gentiluomo raggirato da una volgare popolana, sapeva come andavano certe cose... Certo, questo suo timore poteva avere fondamento già in quel momento e la piccola Demelza avrebbe anche potuto essere già incinta, ma fece affidamento sulla fortuna e sul fatto che non fosse successo, giurando a se stesso che per qualche giorno ancora non le avrebbe fatto correre quel rischio. Comunque, con lei, era meglio non affrontare quell'argomento. In fondo era solo una ragazzina di diciassette anni e un'eventualità simile non avrebbe fatto altro che spaventarla. Quando fosse successo, lo avrebbero affrontato insieme. Non prima!

E poi - pensò - aspettare non avrebbe donato loro un'emozione diversa, durante la prima notte di nozze?

Demelza però parve ferita da quell'imposizione. "Perché?".

Ross si alzò in piedi, sfiorandole il mento e costringendola a guardarlo negli occhi. Non voleva che pensasse che fosse per causa sua, per qualcosa che aveva detto o fatto o perché non gli facesse piacere averla vicina perché non era affatto così. "Perché solitamente si aspetta il matrimonio, prima di dormire assieme".

"Ma noi però..." - obiettò lei.

Ross sorrise. "Sì, ci siamo portati un pò avanti. Ma credo sia saggio aspettare, da adesso in poi".

Demelza abbassò lo sguardo. Era pensierosa e di certo non capiva appieno tutte le sue remore. "Sì, Sir".

Gli spiaceva averla ferita, non era sua intenzione. Le sfiorò la vita e la attirò a se, costringendola a guardarlo. E vederla così vicina, guardare le sue labbra rosse e appena socchiuse, i suoi capelli ribelli e la sua espressione corrucciata, infransero ogni suo buon proposito. Si chinò e senza riuscire a fermarsi, vinto da una passione che non credeva nemmeno di avere per lei fino alla sera prima, la baciò avidamente.

Lei rispose e le loro bocche si incontrarono in un lungo e passionale bacio. Era così che era iniziata, la sera prima... Santo cielo, come faceva ad essere così ammaliante? Come faceva a fargli perdere la testa in quel modo?

Le mani di Ross percorsero la sua vita, la sua schiena e poi affondarono in quella massa di riccioli rossi che, fra le sue dita, scivolavano ribelli. Santo cielo, quella ragazzina sarebbe stata la sua compagna per il resto della vita, la madre dei suoi figli, la sua famiglia... E baciandola, questo non gli sembrò più tanto assurdo.

Con uno sforzo enorme, quando entrambi avevano raggiunto il bordo del letto, riuscì a sciogliere il bacio. "Torna in camera tua" – disse contro le sue labbra, col fiato corto, ripetendo la stessa frase della sera prima.

Demelza, con le guance arrossate, sembrò smarrita. Le sue mani gli sfiorarono il petto, strinse la sua camicia e si avvicinò di nuovo. "Ross, voglio restare quì".

Rimase stupito davanti a quella supplica. Rimase stupito perché finalmente pareva aver dimenticato ruoli ed etichetta e lo aveva chiamato per nome, senza nemmeno accorgersene probabilmente. "Allora sai come mi chiamo!" - esclamò, cercando di alleggerire la tensione.

Lei sussultò, rendendosi conto solo in quell'istante della confidenza che si era permessa. "Sir, mi dispiace".

Le prese le mani, la attirò a se e la abbracciò. "Non devi chiedermi scusa, voglio che mi chiami così! E' il mio nome e sarò tuo marito e sai una cosa?".

"Cosa?".

"Sposarti forse non è un'idea così folle come pensavo e come pensavi!" - sussurrò, prima di baciarla nuovamente. Con dolcezza, stavolta. Poi le accarezzò la guancia gentilmente, sorridendogli. "Va in camera tua, per favore. Perché ti voglio e se non te ne vai subito, finiremo di nuovo a letto insieme e io preferirei che succedesse appena ci sposeremo".

Lei arrossì, capendo finalmente quanto gli costasse mandarla via. "Credo che diventerò nervosa in questi giorni, quando ci penserò".

Ross annuì. "Beh, non è detto che questo sia un male".

Demelza sorrise. Poi si allontanò da lui, avvicinandosi alla scrivania per prendere carta e penna. "Posso portarli in camera mia per esercitarmi con la scrittura del mio nome?".

"Certo".

"Grazie Sir!" - rispose lei, sparendo di corsa dietro la porta, con le guance arrossate.

E quando se ne fu andata, si rese conto che mandarla via era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto.

E pregò che quei giorni che li separavano dal matrimonio passassero in fretta.


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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Il mattino dopo si svegliarono presto. Ross aveva intenzione si sbrigare tutte le faccende burocratiche e pratiche relative al matrimonio quanto prima e il primo passo erano le pubblicazioni di matrimonio dal Reverendo Odgers, alla Chiesetta di Sawle.

Demelza si era svegliata presto come al solito e, quando la raggiunse, era in cucina che svolgeva le normali attività a cui era abituata. La prese in disparte e le disse di prendere il mantello perché avevano faccende da sbrigare e Jud e Prudie, vedendoli uscire insieme a cavallo, non percepirono nulla di strano. In fondo non era così raro che loro due uscissero insieme per delle commissioni.

Come le aveva consigliato, Demelza non aveva aperto bocca coi due servi circa l’imminente matrimonio. A tempo debito ci avrebbe pensato lui a parlarne con loro ma preferiva non farlo con molto anticipo. Jud e Prudie avevano la bocca più larga del loro stomaco e Ross non aveva voglia che tutta la Cornovaglia si intromettesse nelle sue faccende personali urlate ai quattro venti dai due nel giro di poche ore.

Quando furono abbastanza lontani da Nampara, Ross rallentò il cavallo. “Sai dove stiamo andando?”.

No, Sir”.

Ross sospirò. “Ne abbiamo parlato ieri sera, ricordi? Dobbiamo fare le pubblicazioni col Reverendo Odgers”.

Lei deglutì. “E’ dove dovrò firmare?”.

Sì. E mi raccomando, digli che hai già compiuto diciotto anni”.

Ma è una bugia!” – obiettò lei.

Ross ci pensò su. Beh, lo era in effetti ma non mancava poi molto al suo compleanno. “Lo è ma per poco! Se dici che hai ancora diciassette anni, Odgers vorrà la firma di tuo padre sull’atto”.

Nel sentir nominare suo padre, Demelza sbiancò. “Oh no, lui no!”.

Ross la osservò. Aveva i capelli raccolti con una fascia come il giorno prima e indossava il solito modesto abitino giallo. E la trovava adorabile nelle sue paure e debolezze. Nonché nella sua semplicità… E se sposarla fosse diventata la sua fortuna? “Bene, allora hai ufficialmente diciotto anni qualche settimana prima del tuo compleanno e questo segreto resterà solo fra me e te”.

Lei annuì, non del tutto convinta ma dandogli fiducia, come sempre.

Ross guardò l’orizzonte man mano che avanzavano, osservando la Chiesetta che si avvicinava. “Dopo le pubblicazioni, andiamo a Redruth”.

Demelza si voltò verso di lui, forse ricordando che era in quel villaggio e nella sua fiera che si erano incontrati, alcuni anni prima. Un gentiluomo e una monella vestita di stracci col suo cane pieno di pulci… E ora si stavano per sposare. “Perché?”.

Beh, ti servirà un abito per il matrimonio”.

Demelza si guardò, sfiorando la stoffa del vestito che indossava. “Questo non va bene?”.

Gli venne da ridere a quella domanda. Ogni donna sognava un matrimonio con un’elegante abito bianco, ma lei stranamente sembrava non pensarci. “Non è un abito adatto alle nozze. Non sei mai stata a un matrimonio?”.

No Sir”.

Non ne hai mai visto uno? Una sposa?”.

Lei ridacchiò. “Sì certo, a Illugan quando c’erano i matrimoni, si brindava di sera in strada”.

E le spose com’erano vestite?”.

Demelza alzò le spalle. “Con normali abiti. Un po’ più belli di quelli che si usano per lavorare, ma abiti normali. Solo puliti, ecco…”.

Ross sospirò. Santo cielo, lei arrivava da una delle zone più povere della Cornovaglia dove in un matrimonio c’era poco spazio per fronzoli e amenità. Ad Illugan e in tanti posti simili, le spose non indossavano abiti bianchi, il bouquet era composto da fiori di campo e il pranzo nuziale era poco più che un pasto normale, annaffiato da litri di birra scadente. “Beh, non ti sposi con un uomo di Illugan e anche se ho poco denaro e non ho intenzione di fare grandi festeggiamenti, credo che tu possa comprare un abito che ti piace senza pensare a quanto costi e a quanto può essere superfluo. Le spose di solito indossano abiti bianchi”.

Lei ridacchiò ancora. “Il bianco è il colore della purezza, dicono. Non credo sia adatto a me”.

Rimase sbalordito a quelle parole, come spesso accadeva quando si dimostrava più acuta e realista di quanto non dovesse essere alla sua età. Si sentì in colpa per lei, per averle tolto quella purezza in un atto istintivo dovuto a un momento difficile, a cui stava cercando di rimediare con un matrimonio frettoloso e senza l’amore come collante e base. “Mi dispiace” – sussurrò, quasi d’istinto.

Lei lo guardò spaesata, come non capendo subito la natura di quelle scuse. Poi però comprese, assumendo un’espressione seria. “Non dovete chiedermi scusa, Sir. Non mi avete forzata, quello che è successo l’ho voluto io più di voi”.

Ross scosse la testa perché le cose non stavano esattamente così e di nascosto, dentro la sua anima, inconsciamente, già da tempo desiderava averla. E come aveva pensato il giorno prima mentre le chiedeva di sposarlo, sarebbe stata solo una questione di tempo. Se non lo avesse sedotto lei con quel vestito azzurro, sarebbe occorso qualche altro avvenimento a condurli dritti in camera da letto. “Le cose non stanno proprio in questi termini, Demelza”. Fermò il cavallo e saltò giù, aiutandola poi a fare altrettanto, come aveva fatto la sera prima. Erano ormai a pochi metri dalla Chiesetta. “Sei pronta?” – chiese, chiedendosi se fosse pronto anche lui.

Sì Sir, ma…”.

Ma, cosa?”.

Lei si torse le mani con nervosismo. “Il vestito… Se proprio dobbiamo comprare un abito nuovo, non lo voglio davvero bianco. Non lo indosserei più e spenderemmo dei soldi per nulla”.

Che vuoi dire?”.

Demelza sorrise. “Preferisco comprare, se proprio devo, un abito abbastanza bello ma che posso poi utilizzare ancora. Sarebbe un modo migliore per spendere del denaro, no?”.

Rimase stupito, di nuovo. Aveva una notevole maturità e senso pratico e in fondo, viste le sue scarse finanze, poteva pure essere la soluzione ideale per entrambi. Lei non si sarebbe sentita in colpa per un acquisto che riteneva inutile e lui non avrebbe visto ridursi ulteriormente il suo già misero patrimonio per una cerimonia di pochi minuti. “Compra l’abito che vuoi, fa come vuoi. Purché tu sia contenta, a me va bene tutto, anche perché io di queste cose me ne intendo ben poco e in fondo, come te, le giudico di scarsa importanza”. Dicendo quelle parole, si chiese cosa avrebbe fatto Elizabeth, se avesse sposato lei. Si sarebbe accontentata di un matrimonio semplice e senza fronzoli o avrebbe rimpianto di averlo scelto come sposo?

Posso prenderlo del colore che voglio? – chiese lei, con una eccitazione quasi di stampo infantile.

Le si avvicinò, fiorandole i capelli e la fascia che li teneva a bada. “Fa-come-vuoi!” – rispose, con leggerezza. Poi le tolse la fascia, facendo ricadere sul suo collo quella massa di ribelli boccoli rossi. Ecco, ora non era più Demelza, la sua domestica. Ora era la Demelza appassionata e intrigante che aveva amato due notti prima… Aveva qualcosa di magnetico in lei, un misto di candore e passione che lo attirava come una calamita a cui non si può sfuggire. Era bella, a modo suo… Forse una bellezza non ancora del tutto sbocciata ma che era lì, a due passi dall’essere sua. E questo lo inebriava in un modo che ancora non riusciva a spiegare. “E ora mia lady, che ne dici se andiamo a fare queste benedette pubblicazioni?”.

Lei rise, sentendosi chiamare così. “Sì Sir!”.

Le prese la mano, attirandola a se. “Ecco, chiamami Ross davanti a Odgers. Sarebbe alquanto strano se davanti al Prete che ci sposerà, tu mi chiamassi Sir”.

Si guardarono in faccia e improvvisamente, nello stesso istante, scoppiarono a ridere. Ed era la prima volta da quella notte insieme e dalla tensione che aveva generato… E quello, a Ross, sembrò il momento migliore per chiederla ufficialmente in sposa. E sull’onda di questa improvvisa certezza, d’istinto le diede un lungo e appassionato bacio sulle labbra.

...

Il Reverendo Odgers li guardò storto e il suo disappunto fu soprattutto verso Ross.

Nel suo sguardo, il capitano lesse chiaramente l’avversione per la situazione scabrosa che, immaginava, si era creta fra padrone e servo e soprattutto il rimprovero per la giovane età della sposa. E poi… e poi ovviamente, come avrebbero fatto in tanti, non approvava che due classi sociali tanto diverse si mischiassero con un matrimonio.

E tutto questo, Ross lo trovava estremamente divertente…

Demelza, ingenuamente, non si accorse di nulla. O forse erano l’emozione e la paura a non farle percepire ciò che la circondava.

Il Reverendo Odgers non fece commenti ma si limitò, dopo un’infinita serie di occhiatacce, a far loro le raccomandazioni di rito e a far firmare il documento. La firma di Demelza fu stentata e tremante come si aspettava. Ciò che non si aspettava minimamente era che anche lui, firmando, si trovasse a tremare. Era paura? Emozione? O una presa di coscienza di quello che stava per fare?

Ma firmò e facendolo si rese conto che stava facendo qualcosa di importante. Non era una certezza ma una strana consapevolezza dettata da un sesto senso che, prepotentemente, gli suggeriva che forse non aveva preso la strada sbagliata. Non sapeva dove sarebbe finito né che genere di vita avrebbe fatto con accanto una moglie tanto giovane e tanto diversa da lui, eppure una volta qualcuno gli aveva detto che son proprio i matrimoni fra persone molto diverse, i più riusciti. Faticava a credere che un giorno, forse, Demelza sarebbe stata alla pari di Elizabeth o l’avrebbe addirittura superata ai suoi occhi e nel suo cuore, però… E se fosse successo? Come avrebbe amato quella strana e per certi versi ancora misteriosa ragazzina? E soprattutto, avrebbe rimpianto quell’amore mai consumato per Elizabeth, pur amando un’altra? Poi pensò che doveva smetterla di farsi tutte quelle domande e di non avere troppe aspettative. Stava sposando una ragazzina che non amava, per senso del dovere, per riparare a un errore e per nascondere a se stesso una ferita che non sarebbe mai guarita. Non doveva sentirsi in colpa verso Demelza, non poteva amare qualcun altro che non fosse Elizabeth e dopo tutto stava offrendo a quella ragazzina una vita migliore, affetto e cura. Demelza non poteva chiedere di più!

Queste e mille altre cose pensò, uscendo di Chiesa. Lasciarono il Reverendo Odgers con la promessa di ritrovarsi per il matrimonio il 24 giugno, a scadenza delle pubblicazioni. E poi si diressero verso Redruth. Aspettò Demelza fuori dalla bottega della sarta, arrendendosi davanti all’eventualità che avrebbe dovuto star lì una vita. Tutte le donne, nessuna esclusa, ci mettevano ore per scegliere un abito! E Demelza non avrebbe fatto differenza…

Eppure, ancora una volta, riuscì a stupirlo: infatti, dopo appena mezz’ora, uscì con un abito incartato in una carta bianca, soddisfatta e apparentemente contenta. “Già fatto?”.

Sì Sir, quanto ci vuole?”.

Hai preso il vestito che più ti piaceva?”.

Lei allungò la mano, prendendo la sua e facendovi scivolare delle monete. “Sì e non ho speso molto! Ecco il resto dei soldi che mi avete dato”.

Ross fece tintinnare le monetine nella mano, rendendosi conto che aveva risparmiato molti dei soldi che le aveva dato. “Potevi anche spenderli tutti! E’ il tuo abito di nozze che hai scelto, benché la cosa pare non interessarti”.

Lei saltò sul cavallo con un gesto da perfetto maschiaccio. “Non era necessario, Sir. Non serve spendere tanti soldi per un buon vestito. È un bell’abito, mi piace il colore e la stoffa è bella”.

La fissò per un attimo, rendendosi conto che forse sarebbe diventata un’ottima padrona per Nampara. Era oculata, per nulla capricciosa e aveva sempre il sorriso sulle labbra nonostante le avversità. D’istinto allungò una mano, stringendone una delle sue. “Sicura di essere contenta della tua scelta?”.

Sì”.

Ross saltò sul cavallo, cingendole la vita e sprofondando il viso fra i suoi capelli che profumavano del vento di primavera. “Il 24 giugno saremo marito e moglie, allora. Non manca davvero nulla adesso”.

Demelza si voltò. “Una cosa manca, a dire il vero. Non lo dovete dire alla vostra famiglia?”.

Ross deglutì. Ci aveva pensato ma dirlo, parlarne e affrontare i suoi parenti di Trenwith avrebbe portato a infinite discussioni e ripensamenti, soprattutto a confronto con Elizabeth e coi sentimenti che risvegliava in lui. Era meglio evitare e dir loro tutto quanto a cose fatte. “Non è necessario, preferisco aspettare”.

Demelza non chiese una spiegazione alla cosa, pensando probabilmente che non fossero faccende che dovessero riguardarla. “E a Jud e Prudie?”.

Già, Jud e Prudie… Ecco, aveva ideato un modo per dare un’utilità a quei due fannulloni. “Ti potrebbero andar bene come nostri testimoni, quei due?”.

Jud e Prudie?” – chiese lei, divertita. “Accetteranno?”.

Anche lui rise. “Beh, in teoria dovrebbero eseguire ogni mio ordine. E a breve sarà così anche nei tuoi confronti”.

"Santo cielo! Mi odieranno per questo" – pensò, guardandolo divertita e quasi incredula. “Beh ma quella dei testimoni è una faccenda diversa. Però se accetteranno, per me va bene”.

La strinse a se, teneramente. “Credo sia una buona idea comunicarglielo la mattina del matrimonio. Non voglio dirglielo prima o entro sera lo saprebbe tutta la nazione e preferisco vivermi in pace questi giorni di attesa”.

Va bene” – rispose lei, docile.

Torniamo a casa, Demelza?”.

Lei strinse il pacchetto con l’abito che teneva fra le mani. “Sì Sir”.

La baciò sulla nuca, provando un profondo affetto per lei. Nonostante tutto non poteva dire di non star bene in quel momento e di essere, in un certo senso, felice. “Come ti sembra come data per un anniversario, il 24 giugno?”.

Non lo so, dipende da come la vivremo nei prossimi anni” – rispose lei.

E ancora una volta, in quella giornata, Ross si fermò a pensare a quanto fosse saggia la sua giovane, futura moglie.


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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


I giorni erano passati veloci e dopo le pubblicazioni nessuno aveva più parlato del matrimonio.

La vita a Nampara era proseguita tranquilla e scandita dalla solita routine e Ross, ma probabilmente anche Demelza, in certi momenti faticava a credere che il matrimonio fosse tanto imminente e ormai certo. C'erano istanti in cui tutto sembrava uno strano sogno...

A volte, quando guardava Demelza rassettare la casa canticchiando, faticava a credere di averla amata appassionatamente e di averla chiesta in moglie. Era solo una ragazzina vestita con abiti umili, poco istruita e dotata di una bellezzaa ancora acerba, come poteva aver generato in lui una tale passione?

Eppure lei era diversa da quello che sembrava all'apparenza e qualcosa era indubbiamente cambiato... Perché in certi istanti i loro sguardi si incrociavano e allora smettevano di essere serva e padrone ma diventavano altro... Era come se la tensione salisse, era come sentirsi addosso una strana ansia e impazienza, era come avere una febbre improvvisa...

I loro occhi parlavano di desiderio, di aspettative, di passione che difficilmente riuscivano a controllare, in certi momenti. E allora Ross si chiedeva cosa provasse lei, se avesse paura, se fosse contenta, se...

E lui? Lui era contento?

Forse sì, forse lo era perché pian piano si era abituato all'idea che quella fosse la cosa giusta da fare e si era scoperto impaziente di sposarla e di averla più vicina.

Il giorno prima delle nozze era passato in maniera apparentemente normale: lui aveva lavorato alla miniera, Demelza si era occupata della casa e Prudie e Jud avevano oziato come sempre, all'oscuro di tutto. Avrebbero saputo del loro ruolo di testimoni solo il mattino dopo, all'ora di andare in Chiesa.

Tornato dalla miniera aveva fatto un bagno caldo e aveva cenato come sempre, sentendo però addosso a se una tensione che andava aumentando. Anche Demelza sembrava nervosa, pur non osando dirgli cosa provasse. Aveva lavorato come sempre, gli aveva servito la cena con mani tremanti e lui non era stato capace di domandarle come si sentisse. Beh, non era mai stato bravo a parlare e a fare discorsi profondi e forse, pensò, nemmeno ce n'era bisogno. Demelza era una giovane sposa e come tutte le ragazze aveva paura di fare quel passo, tutto quì! Era solo emozione e l'avrebbe superata, era in gamba e piena di risorse, sarebbe andato tutto bene.

E l'avrebbe superata anche lui, aveva solo bisogno di una cavalcata per riordinare le idee e sfogare il nervosismo.

Senza dire nulla, appena finito di mangiare, si diresse alla stalla. Prese il cavallo, montò in sella e poi partì al galoppo spingendo il cavallo a correre a una velocità molto sostenuta. Aveva bisogno di sentire il vento fresco sul viso, di rilasciare la tensione che aveva in corpo e di guardare al suo passato incompiuto, iniziando a immaginare un futuro inaspettato.

Il matrimonio con Demelza metteva un punto sui suoi desideri di ragazzo. Metteva fine a ogni piccola ed effimera speranza di avere Elizabeth, gli imponeva di ponderare le sue scelte e anche di diventare più accorto e saggio. Sarebbe stato un marito, di lì a poche ore! E forse, a breve, anche un padre. Doveva smetterla di fare a botte, di cacciarsi nei guai, di rischiare la vita e cercare la rissa. Doveva farlo, doveva crescere ed era ora!

Galoppò a lungo, costeggiando le bianche scogliere della zona. Chiunque, vedendolo galoppare come un forsennato, avrebbe pensato che era pazzo. Invece era solo un giovane uomo che stava per sposarsi e aveva una fottuta paura di farlo...

Ecco, lo aveva ammesso...

Aveva paura...

Sarebbe stato meglio, forse, essere come suo padre, vivere i rapporti con leggerezza e senza pensare al domani, amare solo e soltanto una donna e considerare le altre dei passatempi che non lasciano strascichi. Ma lui non era suo padre, lui amava Elizabeth ma teneva anche a Demelza e mai, MAI le avrebbe fatto del male. Non era stata un gioco, un passatempo o altro ma una presenza preziosa nella sua vita. Non si aspettava molto dal suo matrimonio, le aspettative erano basse ma sapeva che lui e lei sarebbero andati d'accordo e sapeva anche di fare la cosa giusta. Una cosa che lo spaventava, che gli altri non avrebbero di certo capito, una cosa che gli riusciva quasi a togliere il fiato per lo stupore di aver preso una decisione simile.

Sarebbe stato difficile forse, ma se Demelza riusciva ad avere il coraggio di affrontare tutto questo a diciassette anni, di certo lui non sarebbe stato da meno!

Prese un lungo respiro, rallentando il cavallo ormai sfinito. E a pochi minuti dalla mezzanotte decise che era ora di tornare a casa e di smetterla di scorazzare come un'idiota nel buio della brughiera.

Non aveva idea di che marito sarebbe stato dal giorno dopo ma sapeva che doveva tornare e che essere uscito così, senza dire nulla a Demelza, era sbagliato anche se ancora non era sua moglie.

Arrivò alla stalla per mettere il cavallo a riposo e si accorse che da essa proveniva la fioca luce di una lanterna.

Incuriosito si avvicinò, credendo di trovarci Jud abbracciato a uno dei suoi barili di rum, felice e completamente ubriaco. Invece, con suo sommo stupore, ci trovò Demelza che sistemava nervosamente il fieno per gli animali.

Ross si accigliò, che ci faceva lì a quell'ora? I suoi movimenti erano concitati e tradivano ansia, che pure lei avesse bisogno di fare qualcosa per stemperare la tensione? "Che stai facendo?" - le chiese, con tono più duro di quanto avrebbe voluto, con lei che gli dava le spalle e gli impediva di vederla in viso.

Demelza sussultò, lasciando cadere un pò della paglia che aveva fra le mani. Era evidente che non si fosse accorta del suo arrivo. "Sir, io...".

Le si avvicinò, legando il cavallo alla staccionata. E quando le fu davanti, si accorse che aveva gli occhi gonfi e arrossati. "E' tardi, è mezzanotte passata e dovresti dormire. Domani sarà una lunga giornata" – disse, stavolta in tono più gentile.

Lei distolse lo sguardo. "C'era la paglia da sistemare. Per i vitelli...".

"I vitelli stanno benissimo". Le sfiorò la guancia, accarezzandola piano. "Stai bene?".

"Mi fa male un pò lo stomaco".

Ross sorrise. "Anche a me. Credo sia la tensione... Forse è normale". Le prese il fieno dalle braccia, lanciandolo nella mangiatoia, poi le strinse la mano, attirandola a se e costringendola a sedersi sulla paglia. "Hai pianto?" - chiese, sedendosi accanto a lei.

Demelza arrossì. "Un pò, sì. E non so perché".

"Forse lo sai, dovresti semplicemente dire cosa ti passa per la testa".

"E' stupido quello che mi passa per la testa" – sussurrò lei, piegando le ginocchia ed appoggiandoci sopra il capo.

Ross alzò gli occhi al cielo. "Cioé?".

Demelza prese delle pagliuzze di fieno in mano, giocandoci innervosita. "Non lo so perché ho pianto, credo riguardi il matrimonio ma non so perché mi senta così strana. Io sono felice di sposarvi, Sir... E' che...".

"Cosa, Demelza?".

La ragazzina scosse la testa, quasi stupita dai suoi stessi pensieri. "Vorrei che mia madre fosse quì... Ed è stupido, quasi non me la ricordo ed è morta da talmente tanto tempo che ormai dovrei essere divenata brava a far tutto da sola. E invece la voglio" – concluse, mascherando un singhiozzo e strofinandosi gli occhi nuovamene lucidi con gesti infantili.

Ross non se ne stupì, non molto almeno. Non se ne intendeva di psicologia femminile ma sapeva che le madri avevano dalla notte dei tempi un ruolo importante nei matrimoni delle figlie. Ne diventavano le confidenti, le maestre, le guide a quell'importante passo e ogni figlia trovava in loro rifugio alle loro paure e risposte alle loro domande. Certo, Demelza non aveva più la mamma da molto ed era cresciuta da sola e da sola aveva trovato le risposte alle sue domande, forse non sapeva nemmeno perché la volesse in quel momento ma non giudicava quel suo desiderio tanto strano, soprattutto viste le premesse del loro matrimonio. "Non credo che sia stupido volerla quì".

"La volete anche voi, Sir?".

Ross ridacchiò. "Chi? Mia madre? No, non ci ho nemmeno pensato a dire il vero, ma io sono un uomo e per noi è diverso. Mia madre è morta che ero piccolo, mi ha cresciuto mio padre assieme a Jud e Prudie e non credo di sentirne troppo la mancanza. Mi farebbe piacere se ci fosse, certo, ma sono un uomo adulto e indipendente e posso affrontare il matrimonio senza di lei" – disse, con convinzione ma anche con un piccolo dubbio che, grazie a Demelza, stava sorgendo in lui. In fondo, pensò, sarebbe stato bello avere accanto i suoi genitori e chiedere loro consiglio. Cosa avrebbero pensato della sua decisione di sposare la sua sguattera, che nemmeno amava? Cosa avrebbero pensato di Demelza? Suo padre gli avrebbe dato del folle? Lui era un uomo che aveva amato immensamente sua madre e dopo la sua morte si era lanciato in una infinita serie di storie senza sentimento per non soffocare nel dolore di averla persa. Aveva rifiutato ogni impegno e ogni coinvolgimento emotivo, aveva vissuto sempre al limite per sopportare quella vita senza la sua Grace ma nonostante questo, avrebbe approvato il suo sposare una donna per affievolire il dolore di averne persa un'altra che ancora amava?

Sospirando, decise che era meglio non pensarci. "Credo che tu ti senta così perché voi donne amate confrontarvi su cose come il matrimonio o roba simile. Sì insomma, madri e figlie parlano molto di queste cose, fra loro".

Lei spalancò gli occhi. "Davvero? E che si dicono?".

Ross alzò le spalle. "Non ne ho idea, purtroppo tua madre non c'è e nemmeno la mia e quindi dovremo tenerci questo dubbio e sposarci senza scoprirlo. Ma se vuoi proprio avere vicina una donna... o una che si avvicina ad essere una donna... se vuoi sveglio Prudie. Chissà che ci torni utile per qualcosa".

A quella proposta, Demelza sorrise. "Prudie nemmeno sa che ci sposiamo domani!".

"Glielo diremo prima di colazione. O adesso, se vuoi!".

Demelza ci pensò su, incrociando le gambe. "No, non credo che mi possa aiutare. Però ora sto un pò meglio".

Lui sospirò. Già, Prudie che avrebbe potuto fare? Però era felice che almeno, parlando fra loro, gli animi di entrambi si fossero fatti più leggeri. Forse non era come avere accanto i genitori ma erano stati capaci di farsi forza a vicenda e questo era bello, pensando che sarebbero stati marito e moglie nel giro di poche ore.

"Sir?".

La guardò, rapito da quei lunghi capelli rossi ribelli tenuti a bada dalla fascia che teneva in testa. "Ross, chiamami Ross! Ora devi farlo, da domani DOVRAI farlo di sicuro".

"Va bene, Ross... Posso chiedere una cosa?".

"Certo".

Lei lo guardò con uno sguardo stranamente serio che la faceva sembrare più grande della sua età. "Noi avremo figli?".

Ross deglutì, non si aspettava minimanente una domanda del genere. In realtà non avevano mai parlato di nulla riguardo al matrimonio, di cosa sarebbe successo, di come sarebbero cambiate le cose e di certo lui non aveva mai voluto affrontare la questione-figli. Ed ora lei lo aveva preceduto, lasciandolo a corto di parole. "Beh... Di solito è quello che succede nei matrimoni, a un certo punto nascono i bambini" – disse impacciato, in imbarazzo nel parlare con lei di queste cose. Aveva taciuto su una possibile gravidanza in corso in quelle settimane, per non turbarla, ma a quanto sembrava lei era più che pronta ad affrontare la questione. "Perché me lo chiedi?" - ebbe infine il coraggio di domandare. Era inutile scappare, se lei voleva affrontare questioni importanti di cui dopo tutto avrebbero dovuto discutere prima o poi.

"Prima, mentre pensavo a mia madre, ho avuto paura di morire presto come lei. E se avrò dei figli o delle figlie, allora saranno come me al loro matrimonio, soli a piangere in una stalla. Se avrò dei figli, spero di non morire giovane e di esserci per quando si sposeranno così non si sentiranno come mi sento io ora e magari saprò cosa dirgli per farli stare meglio".

Rimase spiazzato, non si aspettava quel genere di discorso ma tutt'altro. Era spaventata in quel momento, era chiaro e palese. Aveva paura del matrimonio, del ruolo che avrebbe ricoperto, del diventare donna assieme a lui e di tutte le responsabilità che le sarebbero cadute sulle spalle. Provò infinita tenerezza per lei, non era che una ragazzina di diciassette anni che non aveva mai avuto nulla dalla vita e decise che lui voleva essere un buon marito e farla stare bene. Demelza se lo meritava ed era piuttosto sicuro che sarebbe diventata una buona moglie e un'ottima madre, col tempo. Si rese conto che ora i sentimenti per Elizabeth contavano poco, che doveva concentrarsi su di lei e che ora doveva guardare avanti e non più indietro. Era ora di crescere con lei e per lei. "Tu starai bene e vivrai a lungo, non permetterò che accada nulla di diverso. E quando i nostri figli cresceranno e si sposeranno, tu sarai accanto a loro".

Demelza sorrise dolcemente, anche se non sembrava tanto certa di quelle rassicurazioni. "Come fai a saperlo, Ross?".

Le sorrise di rimando, finalmente aveva usato il suo nome. "Lo so perché voglio che sia così! E sarà così! Sei più tranquilla ora, o devo davvero andare a chiamare Prudie?".

E stavolta lei rise, di gusto, alzandosi in piedi. "Non la voglio Prudie!".

Si alzò in piedi a sua volta, accarezzandole i capelli. "E allora vai a letto, è tardi!".

Come se non lo avesse sentito, Demelza si appoggiò a lui, cingendogli la vita, facendogli capire che non voleva rimanere sola. "Ross, domani a quest'ora saremo sposati".

"Sì e voglio sperare di non essere in questa stalla ma a letto, al caldo, nella nostra stanza".

"La nostra stanza..." - sussurrò lei, quasi intimorita.

Si chinò sulla ragazza, sollevandole il mento con una mano. E poi la baciò con passione sulle labbra, sentendo crescere in lui il desiderio di fare l'amore subito, con lei, senza aspettare quel dannato sì che ormai era una mera formalità. "La nostra stanza, il nostro letto, sì Demelza...".

Si baciarono ancora, con una passione crescente difficilmente controllabile. Le mani di Ross sfiorarono la sua vita, la sua schiena e poi si insinuarono sotto il suo vestito, prendendo ad accarezzarle le cosce.

E lei lo lasciò fare, come se non desiderasse altro. "Perché dobbiamo aspettare?" - chiese, contro le sue labbra. "Cosa c'è di sbagliato in questo? Cosa c'è di brutto?".

Ross concordò sul fatto che non vedeva il male in loro, in quel momento, ma un bisogno disperato di non essere soli e di amore. "Nulla, io non ci vedo niente di sbagliato" – disse, sbottonando i bottoni del suo vestito, pensando che in fondo a nessuno dei due interessava cosa dicessero la gente e le convenzioni. In questo erano uguali e in lei avrebbe sempre trovato una sincera alleata.

Crollarono nel fieno, di nuovo. E anche se la tradizione li voleva separati per quella notte, non furono separati affatto. Fecero l'amore con più passione della prima volta, illuminati dalla luce della luna che baciava i loro corpi, cercando l'uno nell'altra il coraggio di affrontare una nuova vita piena di incognite.

E Ross in lei, quella notte, smise di vedere una ragazzina. Ritrovò l'amante tenera ed appassionata, una donna che stava sbocciando e che presto sarebbe stata sua per legge e per scelta. Sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi figli e si scoprì felice ad immaginare quell'imminente realtà.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


"Dovete venire in Chiesa e farmi da testimoni!".

Prudie e Jud, mezzi addormentati e buttati giù dal letto senza troppi fronzoli di mattino presto, guardarono Ross con aria spaesata. "Testimoni?" - chiesero, osservando lui vestito stranamente in maniera elegante e la piccola sguattera con indosso un delizioso abitino rosso.

Anche Ross guardò la sua futura sposa. Era davvero graziosa e quell'abito che aveva scelto, benché non fosse bianco, sembrata davvero perfetto per quella giornata. Era di buona fattura, non volgare né scollato e le conferiva una sagoma elegante e delicata. Aveva dei fiori fra i capelli e sembrava emozionata e allibita dal fatto che quel giorno fosse davvero arrivato. Nella mente di Ross ricomparvero le immagini di quella notte nel fienile e i momenti passati a fare appassionatamente l'amore con lei. E una strana ansia prese a martellargli nel petto, unita a una certa voglia di concludere tutta la parte burocratica e iniziare una vita da marito e moglie sotto la luce del sole. "Esatto, testimoni!" - disse ai due servi.

"Testimoni per cosa?" - chiese Jud grattandosi la testa.

"Per il mio matrimonio".

Jud e Prudie spalancarono gli occhi, sbiancarono in viso e lo guardarono come se fosse ammattito. "Matrimonio? Il vostro? E con chi vi sposate?".

Ross appoggiò la mano sulla spalla di Demelza che, in silenzio, se n'era stata in disparte. "Con lei".

Prudie squadrò la ragazza con aria ostile. "Con la ragazza? Ma non potete, è la vostra serva e fa tutti i mestieri in casa".

"Che ora farai tu al suo posto!" - tagliò corto Ross.

"Non è giusto, non è corretto, non è gentile!" - borbottò Jud.

Ross sbuffò, prendendo a braccetto Demelza. "Decidetevi, avete due alternative per la giornata: o venite in Chiesa e ci fate da testimoni, oppure rimarrete quì a vangare e a togliere l'erbaccia da tutto il prato a sud di Nampara".

Jud lo guardò in cagnesco. "Venire in Chiesa è meno faticoso di vangare un prato".

Prudie ci pensò su. "Esatto".

E alla fine Ross e Demelza ebbero i loro due testimoni che accettarono più per convenienza che per effettivo entusiasmo. Ma in fondo, per un matrimonio senza fronzoli, due testimoni improvvisati andavano più che bene.


...


Durante la cerimonia, era stato impettito e quasi non aveva respirato. Aveva persino faticato a guardare Demelza in viso e si sentiva preda di tantissime emozioni. Paura, dubbio di essere un idiota e assoluto vuoto sul suo futuro.

Ecco, questo era quello che succedeva quando ci si sposava per le motivazioni sbagliate...

Di tanto in tanto sbirciava Demelza che, smarrita quanto lui, lo guardava con l'espressione eloquente di chi, con lo sguardo, gli ricorda che tutta quella faccenda era stata un'idea sua...

E quando lei lo guardava così, abbassava lo sguardo perché sapeva che era vero e che quindi ora non poteva permettersi di avere ripensamenti e di sentirsi un idiota. Anche perché, ripensando a quella notte appena passata, non vedeva l'ora di stringere di nuovo fra le braccia Demelza per fare l'amore con lei. Era una valente lavoratrice, una preziosa presenza a Nampara e ora, pian piano, stava diventando una preziosa compagna anche per lui. Non voleva rinunciare a lei, non voleva che finisse quanto iniziato fra loro e sapeva di non poterne più fare a meno, ormai.

Certo, non era come sposare Elizabeth, quella sarebbe stata la sua massima gioia e aspirazione, ma il destino ci aveva messo lo zampino. E ora, in un certo senso, voleva anche Demelza. Andavano d'accordo, c'era intesa sessuale fra loro, attrazione e un buon spirito di squadra e quindi quel matrimonio che non nasceva sotto i migliori auspici, forse sarebbe stato migliore di molti altri matrimoni combinati.

Jud e Prudie li avevano guardati con la faccia da ebete per tutta la cerimonia, il prete lo aveva fissato in cagnesco e Demelza aveva tenuto gli occhi bassi per tutto il tempo. E in questo quadretto idilliaco, quel 24 giugno 1787 erano diventati marito e moglie.

Aveva provato una specie di brivido quando le aveva messo la fede al dito, ma non sapeva dire se fosse un brivido bello o un brivido di paura... Forse entrambi, forse era altro, forse avrebbe scoperto il senso di tutto quello che gli stava accadendo, un giorno.

Finita la cerimonia, pronunciati i riti e baciata frettolosamente la sposa, Ross decise che si poteva anche tornare a Nampara e riprendere la vita di sempre.

Era un matrimonio povero, senza fronzoli né invitati, si sentiva in imbarazzo e voleva solo tornare a fare le solite cose per acquietare la sua mente.

Adesso era Ross Poldark, marito di Demelza Carne che era stata fino a poche ore prima la sua sguattera. Ogni sua decisione, ogni suo passo, ogni suo pensiero, da quel giorno avrebbero dovuto includere lei.

Questo faceva paura.

Questo era il matrimonio...

Tornarono a casa col carretto e nessuno dei quattro fiatò. Demelza, durante il tragitto, giocherellò con il suo bouquet, lui finse di guardare con attenzione i campi e i due servi borbottarono fra loro che un matrimonio senza nemmeno un goccio di rum per brindare, non era un vero matrimonio.

Quando giunsero a Nampara, era passato da poco il mezzogiorno. Ross avrebbe voluto scappare in miniera per stemperare la tensione picconando la roccia ma, immaginava, non fosse una cosa cavalleresca da fare. Si era sposato e il minimo che poteva fare era prendersi cura di sua moglie e cercare di abbattere quel muro di imbarazzo che si era creato nelle ultime ore. Non ce n'era motivo e il suo rapporto con Demelza, da sempre sereno e sbarazzino, non doveva assolutamente incanalarsi in quella direzione.

La guardò, era graziosa, giovane e forse più spaesata di lui. Ed ora era sua moglie... Quella ragazzina vestita di rosso sarebbe stata la compagna della sua vita, la sua amante, la madre dei suoi figli e forse la sua confidente. E l'amore? Sarebbe stato amore, un giorno?

Per la prima volta, sperò di sì. Desiderava essere amato e desiderava amare. E se il suo primo amore era andato lontano e aveva tradito ogni voto e promessa formulata, perché non impegnarsi per costruire una nuova, bella storia?

Prudie e Jud scesero dal carro e fecero per entrare in casa, ma Ross decise che non ce li voleva per il momento. "Voi, che avete intenzione di fare?".

"Entrare e brindare con del buon Porto" – rispose Prudie con sfacciataggine.

"Il mio Porto?" - puntualizzò Ross, ponendo una domanda dalla risposta ovvia.

Jud allargò le braccia. "Il matrimonio è vostro e si brinda col vostro vino. E' la tradizione".

Ross annuì e sorrise con fare maligno, prendendo Demelza per mano. "Sì, buona idea, le tradizioni vanno sempre rispettate. Ed è quello che faremo io e mia moglie, grazie per il suggerimento. In quanto a voi due..." - sussurrò, avvicinandosi a loro di alcuni passi – "Il prato sud e le sue erbacce vi aspettano".

Prudie spalancò gli occhi. "Giuda, avevate detto che il lavoro da testimoni ci avrebbe esentato da...".

Ross annuì. "Sì, vero! Intendevo che eravate esentati per questa mattina. Ma ora è quasi pomeriggio, le erbacce non sono sparite per magia e il lavoro di toglierle è vostro".

"Non è giusto, non è gentile, non è umano!" - borbottò Jud, prendendo la vanga con fare stizzito. E poi, con Prudie, entrambi ciabattando col loro passo sgraziato, se ne andarono nei campi guardandoli in cagnesco.

Demelza rise, forse per la prima volta nella giornata. "Mi dispiace un pò per loro. Jud ha ragione, non è stato molto onesto".

Non era d'accordo con lei e non gli andava di avere attorno i due servi nelle prime ore del loro matrimonio. "Non è onesto far lavorare chi paghiamo per farlo?".

Lei lo guardò divertita. "No... Ma...".

Le strinse la mano, attirandola a se e verso l'uscio di casa. "Bevono a sbaffo il mio vino da anni, godono di vitto e alloggio gratuito e sono due fannulloni che chiunque, a parte mio padre che li considerava amici, avrebbe licenziato dopo due giorni. E mi sento assolutamente a posto con la coscienza, nei loro confronti".

"Sir".

Ross la guardò storto. "No, basta Sir! Ora sei mia moglie, devi chiamarmi Ross".

Demelza arrossì. "Si lo so, è che ancora mi sbaglio, certe volte. Mi sbaglierò anche nei prossimi giorni, ogni tanto".

Le accarezzò la guancia, era ancora tanto giovane e innocente, dopo tutto...

Sentì nuovamente un brivido quando la fece entrare in casa e appena furono nello studio, la invitò a sedersi alla scrivania, versando per lei del vino in un bicchiere. "Su, Jud e Prudie avevano ragione. Dovremmo brindare, no?".

Demelza lo guardò indecisa. "Vuoi farlo?".

"Sì, certo".

Lei appoggiò le labbra al bicchiere, titubante. Ma non bevve, non subito. "Non mi è mai stato permesso, prima d'ora, di bere alcolici. Nemmeno quì mi è mai stato permesso".

Ross poggiò la mano sulla sua, che reggeva il bicchiere, coprendola. "Ora sei mia moglie, sei la padrona di casa e sei abbastanza grande per berne, quando ti va". Le poggiò il bicchiere alle labbra, facendone fuoriuscire delle gocce di vino che le scivolarono in bocca.

E quel semplice gesto delle sue labbra che si schiudevano, lo riempì di desiderio perché Demelza era giovane, delicata, ma aveva in se qualcosa che lo attraeva e irretiva. Lei riusciva a sedurlo senza accorgersene e questo era un aspetto di sua moglie che adorava. Non c'era malizia in lei, non c'erano secondi fini. Demelza era semplicemente così...

Lasciò la sua mano, lasciando che bevesse da sola. E lui fece altrettanto, gustando il sapore agre e forte del Porto. Bevve in un sorso, non aveva voglia di vino in quel momento.

Aveva solo voglia di lei ed ora erano marito e moglie, ora non stava più trasgredendo alcuna regola.

Demelza bevve alcuni sorsi, poi tossì. "Giuda, è fortissimo!".

Per un attimo la tensione in lui si allentò e rise, a quell'esclamazione. "Ti ci abituerai".

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere entrambi. E Ross le sfiorò la vita, attirandola a se e baciandola.

Si sentiva felice, in quel momento...

Le sue labbra avevano il sapore del vino e i suoi capelli profumavano dei fiori con cui li aveva agghindati per il matrimonio. Si sentiva come ipnotizzato e per un attimo si chiese se anche con Elizabeth avrebbe provato la stessa passione. Ma fu un attimo perché anche lui capiva che in quel momento non c'era posto per Elizabeth nella sua mente e nei suoi pensieri.

Intensificò il bacio, affondò la mano fra i capelli rossi di Demelza e poi, con le labbra, sfiorò il suo mento e il suo collo. "Sei bellissima con questo vestito. Sei bellissima con questi fiori fra i capelli. E voglio fare l'amore con te. Di nuovo. Adesso..." - sussurrò.

Lei si abbandonò contro di lui, lasciando che le sue labbra le tormentassero la pelle. "Ross" – bisbigliò, col fiato corto.

La prese fra le braccia, la loro prima volta da sposati non poteva consumarsi su una scrivania. Demelza ora era la signora di Nampara e la sua camera sarebbe stata quella padronale. "Non quì" – le disse, nell'orecchio.

"Dove?".

Le sorrise dolcemente, dandole un nuovo soffice bacio sulle labbra. "Nella nostra stanza. Ora è davvero nostra, Prudie e Jud sono lontani e nessuno potrà disturbarci".

Lei si rannicchiò contro il suo petto e lui decise che sarebbe stato un galante marito, impeccabile, in quel primo giorno del loro matrimonio. La tenne in braccio, era leggerissima, salì le scale ed entrò in camera, adagiandola delicatamente sul letto.

Il sole penetrava dalla finestra, donando un alone dorato all'ambiente e facendo risplendere quei capelli rossi tanto selvaggi quanto magnetici. "Sei mia moglie, ora" – le sussurrò, accarezzandole la guancia.

Lei si guardò attorno, forse spaventata di trovarsi lì e realizzare che era tutto vero. "Sì. E mi chiedo se riuscirò mai ad abituarmi".

"Spero di sì".

"Ross? Sei pentito?".

"Di cosa?".

"Di averlo fatto davvero?".

Scosse la testa, voleva rassicurarla su questo. No, non era affatto pentito e anche se immaginava le chiacchiere e le voci che sarebbero seguite appena si fosse saputo, si rese conto che non gli importava niente. "Ho fatto la cosa giusta. E fare la cosa giusta è sempre la strada migliore. Ti abituerai ad essere mia moglie e un giorno, magari quello di un nostro futuro anniversario, ripensando ad oggi forse riderai di tutte queste paure e dubbi. Forse lo farò anche io, chissà...".

Lei gli accarezzò la guancia, sembrava volergli dire qualcosa, glielo leggeva dall'espressione. Tuttavia rimase zitta.

"Demelza, che c'è?".

"Niente, assolutamente niente".

Mentiva, c'era qualcosa. "A un marito si dovrebbe dire tutto. A me puoi dire tutto".

Demelza scosse la testa, quasi fosse stupita dai suoi stessi pensieri. "Niente di eccezionale. Mi chiedevo solo se in un nostro futuro anniversario, oltre a ridere, tu...".

"Cosa?".

La sua giovane sposa si morse il labbro. "E' stupido anche solo pensarlo. Non mi va di dirlo, ora".

"Va bene, allora me lo dirai un'altra volta...".

"Sì, un'altra volta" – tagliò corto lei.

La baciò, decidendo che avrebbero rimandato quella faccenda a un momento migliore e non troppo lontano. Ora c'era altro che desiderava, a cui pensava... "Lo voglio ancora, Demelza".

"Cosa?".

"Quello che volevo poco fa, nel mio studio".

Lei rise, capendo al volo cosa intendesse. Fece scorrere le sue braccia esili attorno al suo collo, lo attirò a se e lo baciò lentamente, facendolo impazzire di desiderio.

La spinse delicatamente sul materasso, si stese su di lei, non riusciva più ad aspettare.

La accarezzò a lungo, la baciò su quel corpo giovane e fresco e per la prima volta, da marito e moglie, fecero appassiontamente l'amore in quella stanza che, da quel giorno e per sempre, sarebbe stata la loro.

La prima, di una lunga serie...

Nessuno dei due lo poteva ancora sapere, ma quel matrimonio tanto strambo e pieno di dubbi, sarebbe diventato per entrambi, pian piano, la loro ragione di vita.


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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


24 giugno 1802


Inginocchiata nel giardino fuori casa, Demelza finì di annaffiare i fiori che aveva appena piantato. Era un lavoro che amava tantissimo e che riusciva a isolarla dal mondo, in un suo piccolo rifugio di pace e tranquillità.

Era una giornata molto calda, serena e dai campi arrivava il gracchiare delle cicale e il ronzìo delle api. L'estate era al pieno del suo fulgore e quell'anno era baciata dal bel tempo e dai raccolti abbondanti sia nei campi che nelle miniere di Ross che regalavano rame e lavoro a molti dei minatori della zona.

Con la mano sfiorò i petali di una rosa dal profumo intensissimo, pensando a come potesse fare per rinforzarne il gambo, e in quel momento qualcuno le arrivò da dietro le spalle, baciandola sul collo e facendola sobbalzare per lo spavento. "Giuda!" - gridò, voltandosi verso il nuovo arrivato. "Ross, sei impazzito?" - chiese, trovandosi suo marito davanti che, divertito, la guardava sghignazzando.

"I tuoi riflessi, mia cara, stanno peggiorando! Una volta fiutavi il mio arrivo a miglia di distanza".

Demelza lo guardò storto, massaggiandosi il ventre gonfio. "Ancora un pò e mi fai partorire quì, in giardino".

Lo sguardo di Ross si addolcì, si avvicinò a lei e la baciò sulle labbra. "Sarebbe una cosa carina partorire il giorno del nostro anniversario, non trovi?" - sussurrò al suo orecchio, dando una carezza al pancione.

"No, non voglio dividere questo giorno con un compleanno. Ognuno deve avere la sua ricorrenza. Voglio partorire da domani e se tu mi facessi il piacere di non farmi venire un infarto, potresti aiutarmi in questa cosa".

Ross osservò il pancione di sua moglie, scettico. Il termine era passato da alcuni giorni, come aveva detto Dwight, e viste le dimensioni di sua moglie, dubitava che potesse arrivare incinta a fine settimana. "Allora te lo ricordi".

"Cosa?" - chiese lei, tirandosi indietro una ciocca di capelli che le era caduta sul viso.

"Che è il nostro anniversario! Quindici anni di matrimonio sembrano un'enormità di tempo, no?".

Demelza sospirò, cingendogli la vita, appoggiandosi contro di lui ed abbracciandolo. In realtà non le sembrava così tanto tempo e aveva l'impressione che, con tutte le tempeste che avevano affrontato in quegli anni, tutto fosse volato fin troppo in fretta. C'erano state risate, amore, gioia. Ma anche dolore fatto e subito, lacrime, dolorose prese di coscienza e il loro rapporto che, spesso, si era trovato sull'orlo di un burrone. Erano sopravvissuti alla morte della loro piccola Julia, ai tradimenti vissuti inseguendo l'utopia di un amore perfetto, a Hugh, a Londra e a Monk Adderly, a George e alla fine inaccettabile Elizabeth... Ne avevano passate tante loro due eppure alla fine erano lì, in quel giardino baciato dal sole, abbracciati, innamorati e con un nuovo bimbo in arrivo. "A me invece sembra ieri. Eppure, ora che ci penso, siamo così diversi da allora" – mormorò, accarezzandosi il pancione.

Ross la baciò sulle labbra, dolcemente. "Vero! Non ti riusciva proprio di chiamarmi per nome e per molto tempo hai continuato a vedermi più come un padrone che come un marito".

"E tu come la tua domestica, più che una moglie" – obbiettò lei. Era vero, c'era stato un tempo in cui non riusciva davvero a credere che lui avesse sposato proprio lei e in cui credeva impossibile ambire al suo amore. Era stata una ragazzina che si sarebbe accontentata delle briciole del suo uomo e ora era una donna sicura di se stessa e dell'importanza che rivestiva nella vita di suo marito. Lui ora l'amava e, nonostante tutti gli errori commessi da entrambi, avrebbe messo le mani sul fuoco su quanto speciale fosse il loro amore. Gli occhi di Ross brillavano quando incontravano i suoi, la passione fra loro non si era mai sopita ma, forse, era addirittura cresciuta con gli anni. Era la madre dei suoi figli, la sua amante, la sua migliore amica e colei che conosceva i punti più oscuri della sua anima. Riusciva a capire a cosa pensasse suo marito, da un semplice sguardo.

Ross sospirò. "Ti consideravo più di una domestica ben prima di sposarti. Mi piaceva parlare con te e la tua presenza a Nampara è diventata da subito importantissima".

"Ma non mi amavi, quando mi hai sposata" – concluse lei, mascherando un sorriso. I tempi di Elizabeth e del suo senso di inferiorità nei suoi confronti erano finiti e ormai riusciva a scherzare e a parlare con leggerezza di quel periodo tanto doloroso della sua vita di moglie.

Ross la guardò, poi decise che era meglio cambiare discorso. "Dove sono i bambini?" - chiese, guardandosi attorno.

"Sono andati alla spiaggia a giocare con Garrick".

"Da soli?" - chiese lui, subito in ansia.

Demelza sbuffò. "Ross, Jeremy ha undici anni e Clowance otto! Direi che possono fare qualche centinaio di metri da soli per raggiungere la spiaggia, no? Poi c'è Garrick a dar loro un occhio".

Suo marito scosse la testa. "Quel povero cane è vecchio e malconio. E non mi fido affatto di lui! Mi chiedo come faccia a seguirli ancora dappertutto, viste le sue condizioni".

Demelza abbassò lo sguardo, sentendo una fitta allo stomaco. Garrick era ormai così anziano ed era vissuto molto più a lungo di tanti altri cani e sapeva che presto... "Coi bambini torna giovane! Loro gli danno forza ed energia e sono sicura che sarà il guardiano anche del nuovo bimbo che arriverà" – tagliò corto.

Ross parve scettico. "Quindi, dici che non dobbiamo preoccuparci dei bimbi?".

Lei ridacchiò. "Se sei tanto in ansia, lasciami cinque minuti! Finisco di sistemare i fiori e poi facciamo una passeggiata e li raggiungiamo".

Ross le prese la mano, attirandola a se. E poi fece scivolare in essa una scatoletta di velluto blu. "In realtà, speravo di essere da solo con te. Volevo darti questa senza bambini attorno".

Demelza abbassò lo sguardo, osservando la scatolina fra le sue mani. "Cos'è?".

"Un regalo per il nostro anniversario. Non te ne ho mai fatti e forse è ora che cominci a farlo. Quindici anni di matrimonio sono una data importante, soprattutto quest'anno, con questo bambino in arrivo" – concluse, accarezzandole la pancia.

Demelza sentì il cuore balzarle nel petto. Era così dolce e sembrava tanto impacciato... Ross non era mai stato un tipo romantico, uno da poesie o cose simili ed era sempre in difficoltà quando doveva esprimere i suoi sentimenti. E proprio per questo, quando se ne usciva con gesti del genere, sapeva farle sciogliere il cuore. Lo baciò sulle labbra, un bacio lungo ed appassionato, ripensando a quanto fossero diversi i loro sentimenti di quindici anni prima. "Non avresti dovuto farlo, non ho bisogno di regali. Ma ti ringrazio". E così dicendo, aprì la scatoletta. Ai suoi occhi si materializzò un bellissimo ed elegante ciondolo arricchito da un piccolo diamante che, alla luce del sole, assumeva mille colori diversi. Santo cielo, doveva essere un gioiello di grandissimo valore, non avrebbe dovuto... "Oh Ross...".

Lui le sorrise, prendendo il ciondolo e mettendoglielo al collo. "Ha i riflessi dei tuoi capelli. Appena l'ho visto a Londra, ho pensato che fosse stato fatto apposta per te".

Era commossa, ecco... Non le capitava spesso e il suo cuore sembrava traboccare di gioia. "Ti amo...".

"Ti amo anch'io, lo sai?".

Le punte dei loro nasi si sfiorarono, prima che le loro labbra si unissero in un nuovo e lungo bacio. Poi lei gli sfiorò il petto, appoggiandovi il capo. "Oh lo so che mi ami. Solo un uomo molto innamorato potrebbe dirlo a una donna grossa come una balena, al nono mese di gravidanza".

A quelle parole, Ross scoppiò a ridere. "Ancora con questa storia?! Santo cielo, sei bellissima quando sei incinta".

"Lo dici perché non hai mai provato la sensazione di avere un'anguria al posto della pancia e a camminare sentendoti una papera. Ma a parte questo, la stanchezza, il mal di schiena e la nausea, adoro aspettare i tuoi bambini". Si sfiorò il ciondolo, accarezzando il diamante. "E' bellissimo Ross, ma davvero, non avresti dovuto. Io sono felice così, mi basta sapere che mi ami. Quando ti ho sposato, era l'unica cosa che desideravo. Avevo quasi paura a sperarci, che un giorno...".

Ross la baciò sulla nuca. "Sono stato davvero un pessimo marito, all'inizio".

"Ma ora ne riusciamo a ridere insieme" – replicò lei.

Ross le strizzò l'occhio. "Te l'avevo detto no, il giorno che ci siamo sposati! A proposito... Quel giorno c'era qualcosa che ti passava nella testolina che non hai mai voluto dirmi. Non credi che sarebbe il momento giusto per rivelarmi cosa pensavi?".

Demelza sussultò. Ricordava bene quell'istante nella loro camera matrimoniale, subito dopo la cerimonia, in cui fortemente sperò che un giorno sarebbe stata l'amore della sua vita. Aveva avuto vergogna di esternare quel suo pensiero allora, ritenendolo stupido e infantile, un qualcosa che, se espresso a parole, avrebbe potuto far arrabbiare Ross. Ma ora era diverso, lei era diversa... "Quel giorno mi chiesi se, oltre a ridere delle nostre paure, mi avresti anche amata un giorno".

Lo sguardo si Ross si addolcì, a quelle parole. "Perché non me lo hai voluto dire?".

"Non avresti apprezzato. E ora, in fondo, non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlarne. E' una cosa di tanti anni fa e so benissimo che mi ami".

Ross parve sentirsi in colpa perché, lo sapeva pure lui, probabilmente quel giorno, se lei gli avesse esternato a parole l'ambizione al suo amore, lui non l'avrebbe presa bene. "Mi dispiace di averti fatto del male, in passato".

"Anche a me" – disse lei. E anche senza pronunciare quel nome, sapeva che Ross aveva capito che si stava riferendo a Hugh Armitage.

Ross le accarezzò il viso. "Su, basta parlare di queste cose. E' il nostro anniversario, ne abbiamo passate tante e dovremmo essere felici, giusto".

Lei annuì. "Giusto! Ma mi sento in colpa, non ho nemmeno un regalo per te. A parte la cena speciale che ho preparato stamattina con Prudie e i bambini".

Ross osservò il suo pancione. "Beh, quello è un regalo che vale più del ciondolo".

Demelza scoppiò a ridere. "Giuda Ross, questo non è un regalo! E' frutto di un lavoro di squadra! Mica l'ho fatto da sola".

"Nemmeno io ho fatto da solo il ciondolo, siamo pari!" - osservò lui. E poi la prese sotto braccio, allontanandola dall'aiuola che stava curando. "Basta parlare di sciocchezze, andiamo a recuperare i bambini. Non mi fido di Garrick".

Lei lo guardò storto, assolutamente divertita. "Ross, sei diventato apprensivo e romantico. Stai invecchiando...".

"Anche tu".

"Ho sempre dieci anni meno di te".

Ross sospirò, accelerando il passo. "Donna, smetti di essere irrispettosa nei confronti di tuo marito e sbrigati, dobbiamo recuperare i nostri poveri e dispersi bambini!".

Demelza scoppiò a ridere. Non erano molti i momenti in cui l'animo di Ross era così leggero ma quando scherzava ed era così di buon umore, riusciva a scaldarle il cuore. C'era intimità fra loro, uno strano cameratismo e una confidenza talmente profonda che spesso, i loro amici, avevano ammesso di sentirsi di troppo, quando erano con loro. In effetti era vero, lei e Ross erano un mondo a parte, talmente diversi e talmente perfetti insieme, che nessuna altra coppia avrebbe potuto somigliare loro. Era strano e a volte, quando ci pensava, non riusciva ancora a credere che una monella sporca e analfabeta di Illugan sarebbe stata amata da un nobile gentiluomo in maniera tanto profonda. "Ross, rallenta il passo o mi farai partorire per strada".

Lui si bloccò di colpo. "Hai dolori?".

"No e non vorrei averli. O dovrai aiutarmi a partorire tu, quì, in mezzo alla strada. Non avresti nessuno ad aiutarti, a parte forse i nostri bambini. O Garrick".

"Non mi fido di Garrick". Ross scosse la testa, rallentando il passo. Mascherò un sorriso mentre il sole gli baciava il viso, mettendo in evidenza la cicatrice sul suo viso ormai quasi invisibile.

Percorsero il piccolo viale sterrato che portava alla spiaggia in un silenzio tranquillo. In lontananza videro i loro bambini che, a piedi scalzi, giocavano a riva schizzandosi l'acqua e ridendo rumorosamente mentre Garrick li inseguiva con la vivacità che sembrava rubata a un cane ancora cucciolo

"Visto Ross? Sono vivi, sani e salvi" – osservò con sarcasmo.

"Tu la prendi alla leggera ma guarda che la spiaggia può essere un posto pericoloso!".

Demelza rise di nuovo, la divertiva questo Ross che diventava, col passare degli anni, sempre più apprensivo. Guardò i suoi due bambini e si sentì fiera di se stessa. Jeremy, crescendo, aveva acquisito la stessa capigliatura riccia e scura di suo padre e anche in lonantanza vedeva i suoi boccoli morbidi che si muovevano alla brezza del vento. Era un bambino buono e sensibile e con lui aveva un rapporto profondo e speciale. Clowance invece era una bambolina biondissima, ruffiana, vivace ma dotata di una naturale grazia che, in certi momenti, la rendeva una piccola lady in miniatura. Ross la adorava, era perdutamente innamorato della sua bambina e Clowance sapeva che, davanti a un suo no, poteva andare da suo padre e il no sarebbe diventato automaticamente un sì. Ross non riusciva a negarle nulla e spesso Demelza si era fermata a pensare, divertita, che sua figlia era la sua unica e vera rivale. Si appoggiò alla spalla di suo marito col capo, cercando la sua mano ed intrecciando le dita con le sue. "Guarda cosa abbiamo fatto insieme?" - sussurrò, piena di orgoglio.

Ross la guardò, stringendola ancora di più a se. "Sai che in molti ci invidiano?".

"Cosa invidiano?".

"Noi, la nostra famiglia. Io e te, i nostri figli".

Lo baciò dolcemente sulla guancia. "Ogni famiglia dove c'è amore è speciale. Ognuna a modo suo".

Ross annuì. "Lo avresti mai detto che avrebbe funzionato?".

Demelza scosse la testa, sorridendo. "No... Eravamo i più improbabili sposi della Cornovaglia. O dell'Inghilterra".

"Forse essere sposi improbabili è il segreto per avere un matrimonio felice".

I bimbi li videro e con Garrick corsero loro incontro. Clowance si rifugiò fra le braccia del padre, saltandogli in braccio, mentre Jeremy, il suo principe azzurro in miniatura, la prese per mano. "Mamma, eravate preoccupati?".

"No, papà lo era!".

Clowance si imbronciò. "Siete venuti a prenderci? Non voglio tornare a casa, è presto! Stiamo ancora quì a giocare, ti preeeego papà!".

"Sì dai papà, daiiii!" - implorò Jeremy, saltellandogli a fianco.

Ross annuì, togliendosi in gilet. "Facciamo il bagno?".

Jeremy rise. "Sì" – rispose con entusiasmo, togliendosi la camiciola.

Clowance lo imitò e prima che Demelza potesse fermarla, si era già tolta il vestitino, rimanendo con indosso solo una leggera sottana. "Mamma, tu non vieni?".

Demelza sospirò, accarezzandosi il pancione. "Direi che non è il caso. Vi aspetto quì".

Ross la baciò sulla fronte. "Mettiti all'ombra. Non vorrei che il sole ti facesse partire il travaglio".

"Sì signore" – rispose, divertita.

Con Garrick, il suo fedele cane che l'aveva accompagnata in tutta la sua avventura con Ross, si sedette all'ombra di una roccia, osservando da lontano i suoi bambini e suo marito che giocavano sulla riva. E, accarezzando il pelo ispido del cane, pensò alla ragazzina che era stata e alla donna forte e alla madre che era diventata. Si sentì fiera di se stessa, si sentì fiera dell'amore di Ross. E si rese conto che in fondo, pur con tutte le perplessità che avevano accompagnato il suo improvvisato matrimonio, Nampara e suo marito gli erano appartenuti fin dal primo momento in cui si erano incontrati.

Ci era solo voluto del tempo per capirlo, per scoprirlo... Ma il destino aveva già deciso per loro.


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