I Gemelli

di OttoNoveTre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'orfanotrofio ***
Capitolo 2: *** Boston ***
Capitolo 3: *** Occhi di fiamma ***
Capitolo 4: *** Cacciatori ***
Capitolo 5: *** Rapita? ***
Capitolo 6: *** Colazione ***
Capitolo 7: *** In carrozza ***
Capitolo 8: *** Progetti ***
Capitolo 9: *** L'ora del the ***
Capitolo 10: *** Agguato ***
Capitolo 11: *** Nebbia ***
Capitolo 12: *** Processo ***
Capitolo 13: *** Natale ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'orfanotrofio ***


L'orfanotrofio


Lo schiaffo della sorvegliante risuonò in tutto il corridoio.
- Che sia l’ultima, l’ultimissima volta che combini una cosa del genere! Cosa mi tocca sentire, spiriti delle fessure, vermi assassini!-
Jane non si scompose.
- Me l’ha chiesto Laurie, signorina Mahoney. Non è colpa mia se si impressiona facilmente.-
Un altro schiaffo partì verso sua sorella. Perché quella li non la smetteva? Ce l’aveva sempre con lei.  E non solo la sorvegliante, anche gli altri bambini ce l’avevano con loro.
Pure quella sera. Una ragazzina, Laurie, si era avvicinata a Jane non appena erano rimasti soli nella camerata.
- Ho saputo che sai inventare storie paurose. Perché non ce ne racconti qualcuna?-
Jane l’aveva guardata con indifferenza.
- Mi è stato proibito. Torna a letto che se ci sente la Mahoney sono guai per tutti.-
L’altra si era voltata verso un’amica.
- Te l’avevo detto che si vantava e basta ma non è capace. Buffona, ti dai tante arie solo perché una volta i tuoi genitori possedevano tutti i campi attorno a Salem. Sei sempre in giro con una faccia da superiore, ma sei solo una bugiarda!-
Jane sembrava non darle ascolto: si era aggiustata la cuffietta in fronte e messa sotto le coperte. Ma dopo l’ultima frase si rialzò, e la fissò negli occhi.
- Laurie, ti hanno mai detto che a volte, di notte, tra le assi del pavimento si sente un sospiro… ma non sempre, solo quando nel cielo la luna è scomparsa, e una bambina passeggia a piedi nudi su un pavimento di legno. Allora lo spirito nascosto nelle fessure penetra da sotto le unghie dei piedi,e sale su su per il corpo, fino agli occhi, dove deposita le uova. La bambina non si accorge di nulla, ma poco dopo sentirà solo gli occhi che le bruciano, sempre di più finché non si saranno schiuse. I cuccioli dello spirito mangeranno allora gli occhi per uscire, e dai buchi rimasti tutti vedranno dei vermi viscidi, che entreranno in bocca, si ciberanno di tutta la carne della bambina e lasceranno solo ossa pulitissime. Fino alla luna nuova successiva, e ai successivi sospiri…-
Laurie, a piedi scalzi sul pavimento di legno, si ritrasse.
- I vermi li hai tu nel cervello! Non mi hai fatto paura per niente, scema.-
Però si era infilata il più in fretta possibile nel letto, ed era calato il silenzio.
Fino a quando un urlo aveva lacerato il buio.
- I MIEI OCCHI! I MIEI OCCHI STANNO BRUCIANDO!-
Si era svegliata anche la sorvegliante, trovando Laurie che si rotolava per terra, combattendo contro esserini invisibili sulla sua faccia. Tutti i bambini si erano assiepati attorno a lei per vedere a la scena. Anche Jane, che dall’ultima fila, sorrideva.
Poi Laurie, una volta convinta che nessuna larva le aveva divorato gli occhi, aveva raccontato della storia di Jane alla signora Mahoney. E la signora Mahoney stava prendendo a schiaffi sua sorella.
Non aveva mai capito come Jane potesse sopportare rimanendo impassibile. Quando era lui ad essere punito avrebbe voluto sprofondare, farsi piccolissimo, fare in modo che nessuno lo vedesse.
O lo sentisse.
O potesse chiamare il suo nome, urlando.

- Alec, non fare quella faccia, in fondo hanno picchiato me. E quella stupida non sa nemmeno picchiare forte, fa solo la voce grossa.-
Erano seduti in sala da pranzo, appartati rispetto agli altri bambini. Laurie non si avvicinava più a loro, e quando le capitava di incrociare lo sguardo di Jane si massaggiava gli occhi, terrorizzata. Non erano mai stati molto popolari, lì dentro. Certo, all’inizio i due poveri gemellini rimasti orfani in un incendio avevano suscitato pietà o curiosità, ma ben presto si erano ritrovati addosso una fama sinistra, soprattutto Jane.
- Sai, quando tua sorella ti guarda arrabbiata, sembra che la sua rabbia faccia…male, non so come altro spiegarlo. Fa paura.-
Glielo aveva detto Paul, il suo vicino di letto. Però le storie dell’orrore di Jane piacevano. Ma tutte le volte che lei si inventava un nuovo mostro, qualcuno di notte si sarebbe svegliato urlando, giurando di averlo visto. E la mattina arrivava la Mahoney con le sue punizioni.
- Ce ne andremo di qua Jane, ma non aspettando che qualche stupido contadino ci prenda per spaccarci la schiena tutto il giorno. Dobbiamo scappare, il più lontano possibile. E’ da tempo che ci penso, e credo di aver trovato un sistema.-

Jane guardava fuori dalla finestra dello squallido stanzone dove dormivano. Alec le aveva spiegato come quella notte sarebbero fuggiti, e lei attendeva con i nervi tesi il momento in cui sarebbe venuto a chiamarla. Sotto la camicia da notte portava una maglia e un paio di pantaloni che Alec le aveva passato. Sotto la cuffia i suoi bei capelli castano scuro erano stati ridotti a pochi ciuffi scomposti: tagliati così corti nessuno avrebbe distinto lei dal fratello, e le persone in cerca di un bambino e una bambina avrebbero lasciato in pace due maschi…
Alec era sempre stato bravo a non farsi notare. Pareva che potesse divenire invisibile, o che le persone attorno a lui fossero troppo distratte per accorgersi dei suoi movimenti. Per questo aveva totale fiducia nel suo piano di fuga. Non che a qualcuno importasse davvero fermarli: due bocche in meno da sfamare, e proprio quelle dei due piccoli stregoni.
- Jane.-
Eccolo.
Scese dal letto, e assieme ad Alec salirono in soffitta. Tutte le finestre dell’orfanotrofio erano sbarrate, a parte l’abbaino del tetto.
- Aspetta che tolgo questa roba, mi impiccia.-
Jane si liberò della camicia da notte, rivelando il suo travestimento. Si divertì nel vedere la faccia sorpresa di Alec: erano davvero due gocce d’acqua. Il bambino frugò in un baule polveroso, e riemerse con una treccia di stoffa. La loro scala fino al giardino. Fissarono un’estremità all’architrave. Alec si arrampicò poi sul tetto. Fece scivolare la treccia sulle tegole, e poi giù oltre la loro visuale.
- Vai prima tu.-
Jane annuì e con cautela si fece scivolare lungo la corda. Atterrò con grazia tra i cespugli alla base della casa. Alec con un balzo la raggiunse poco dopo. Recuperò dai cespugli un fagotto con un po’ di cibo, poi presero la strada verso Boston.

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Capitolo 2
*** Boston ***


Boston

- Aro, ricordami nei prossimi secoli che non accetteremo nessun tipo di proposta di vacanza da te!-
Il fratello sorrise con la solita aria svagata, mentre guardavano dal ponte del vascello, in lontananza, la costa americana.
- Suvvia, Caius, sempre a fare il guastafeste! Non ti eccitano queste nuove scoperte geografiche? Ammetterai che dopo un millennio l’Europa diventa strettina… E poi, che famiglia reale saremmo se non veniamo a dare il benvenuto alla nostra razza nel Nuovo Mondo?-
- Questa è una tua fissazione, fratello. Non sappiamo se vi sia qualcuno simile a noi qui.-
- Se non ve ne fossero basterebbe…far sì che ne appaia qualcuno.- e ammiccò a Caius.
Questo fece segno con la mano di voler allontanare il fratello, poi si mise a guardare di nuovo verso la costa, sempre più vicina.
- E, come al solito, caro Marcus, i tuoi ammonimenti sono sempre i più preziosi.-
Perché lo mettevano sempre in mezzo? I loro bisticci da bambinetti troppo cresciuti…l’immortalità non era sinonimo di saggezza, almeno per quanto riguardava i suoi fratelli.
Posò una mano sulla spalla di Aro.
- Oh, io so che anche tu sei entusiasta del viaggio! Ah, è vero. Caius, il nostro silenzioso fratello mi faceva notare che è quasi l’alba, l'ora giusta per i nostri cappelli. Benedetta la moda di questo secolo, che ci permette di andarcene a spasso alla luce del sole!-
Tutti e tre calcarono in testa i cappelli piumati. Appena in tempo, sbucò dalla cabina il comandante della nave.
- Miei signori, tra poco attraccheremo a Boston. Spero che il viaggio non vi sia stato troppo tedioso, e…-
Qui fece una pausa incerto. Si contorse un attimo le mani prima di continuare.
- E…mi rincresce, ma degli 87 schiavi imbarcati in Africa, ne sono arrivati vivi solamente 49.-
Come se non lo sapessero.
La sete non si può trattenere per un mese.
- Mio buon amico, non vi preoccupate. Evidentemente erano troppo deboli per affrontare la traversata. La nostra non è che una piccola magione, e provvederemo a procurare altra manodopera non appena sbarcati.-
Il comandante, sollevato, si congedò per dare le ultime direttive all’equipaggio.

Sbarcarono poco dopo l’alba nel piccolo porto della città. Un uomo vicino ad una carrozza si diresse verso di loro.
- I signori Aro, Caius e Marcus Volturi? Bene arrivati in Massachussets. Io sono il curatore degli affari di vostro padre in America, George Williamson. Ho procurato una carrozza che vi porti ai vostri possedimenti. Senza alcun dubbio vi sembreranno poca cosa rispetto alla magnificenza italiana…-
Aro lo interruppe con un gesto.
- Signor Williamson, noi scappiamo proprio dai fasti del vecchio mondo. Siamo qui in cerca di novità e di freschezza, in questa giovane terra.-
Il segretario si profuse in un inchino, e li invitò a salire sulla carrozza.
La villa che avevano fatto costruire era poco oltre il centro della cittadina. Era stata il giocattolino di Aro negli ultimi 50 anni. Aveva scelto con cura certosina qualsiasi cosa, dalla tappezzeria alla forma dei cespugli nel giardino. Appena saputo del termine dei lavori, avevano avvisato Williamson che i tre “figli” del proprietario volevano passare qualche mese nella nuova casa. Avevano preso anche una villetta di campagna e alcuni campi, ottima scusa per tenere qualche centinaio di schiavi come approvvigionamento.
Aro passeggiava con aria beata per il giardino, pronunciando a tratti, con voce eccitata, nomi di piante. Pareva dovesse addirittura commuoversi alla vista delle camere da letto, della sala da pranzo e dello studio.
- Marcus, visto che avevo ragione? Sin dal principio ti dicevo che il legno di castagno era il migliore. Guarda che atmosfera!-
Nonostante la stucchevole allegrie del fratello, ammise che la nuova casa era interessante. Atmosfera di nuovo, come Aro sosteneva prima.
Mentre Aro si gloriava con se stesso per la scelta dei vasi del salotto, tornò Williamson.
- Potrete riposarvi del viaggio per stasera. E, se mi consentite, domani sarebbe stato organizzato in vostro onore un piccolo ricevimento ad Harvard. Un benvenuto ai nuovi professori da parte del corpo docente. Se vi è di troppo disturbo posso dire al rettore di rimandare…-
- Ci mancherebbe! Siamo freschi come rose, vero fratelli miei?.-
Caius rispose con un’occhiata scocciata ed un sospiro, Marcus gli toccò nuovamente la spalla.
- Allora avvertite il rettore che domani saremo lieti di essere suoi ospiti.-
- Grazie signori.-
Uscito il segretario, Aro rispose alla silenziosa domanda del fratello.
- Ne abbiamo già discusso, e fare gli insegnanti è la copertura migliore. La festa sarà un ottimo momento per presentare i rispettabili nuovi professori di latino alla comunità. Ma adesso, ditemi se le tende non sono deliziose!-
Marcus e Caius sospirarono all’unisono.

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Capitolo 3
*** Occhi di fiamma ***


Prima di cominciare:
Grazie intanto alla redazione che ha aggiunto “volturi” nei personaggi da scegliere. Se c’erano già prima e non li avevo visti io vedrò di fare una capatina dall’oculista.
Per _ki_: all’inizio ho pensato che in New Moon nel covo del Volturi c’è Gianna, e che quindi fosse possibile la convivenza con degli esseri umani. Ma principalmente mi sono basata sul principio di “sazietà”: se i tre fratelli hanno sufficienti scorte di vittime da dissanguare, sono sazi di sangue umano e non hanno l’impulso di uccidere a caso… a meno che non incontrino il loro “cantante”. A questo aggiungerei che sono ormai in vita da più di 1000 anni: li immagino come molto potenti e quindi capaci di controllarsi.
Per la storia in generale, cercherò di aggiornare ogni settimana circa.
Grazie a tutti quelli che leggono o commentano. E adesso cominciamo!

Occhi di fiamma

- Allora, 9 camicie di seta, 3 paia di guanti arricciati… dovrebbe esserci tutto! John, per favore, vai a fare questa consegna. Trovi la roba nel cesto di vimini solito. Attento a non perderti che è un indirizzo nuovo, gente di classe parrebbe. Ecco qui l’indirizzo, vai di buon passo che si è annuvolato. Ci aspetta un bel temporale secondo me.-
John, o meglio Jane (John era un nome simile al suo e facile da ricordare, l’avevano deciso lei e Alec lungo il cammino), prese la cesta e vi posò sopra il foglio con l’indirizzo. Uscì dalla bottega “Confezioni M.me Dubarry”, che di francese aveva solamente il nome, ma per le nobili signore di Boston era un’assicurazione di stare ordinando e indossando capi all’ultima moda.
Lei e Alec erano giunti senza problemi in città. La giovane Boston aveva bisogno di nuove energie per crescere, e i due bambini avevano trovato una signora che, per un po’ di pane, aveva loro chiesto di fare una consegna per il suo negozio di sartoria. Quando le avevano riconsegnato la cesta vuota, aveva preso le mani di Jane, rigirandole.
- Avete entrambi delle belle mani, non rovinate. Poi sono così piccole che per fare le rifiniture funzionerebbero meglio delle mie. Che ne dite di rimanere qui con me? Sempre se i vostri genitori sono d’accordo, s’intende.-
Erano rimasti entrambi in un silenzio imbarazzato: potevano dire di essere orfani, ma la fuga dall’orfanotrofio? Poi a Jane era venuta un’idea.
- Abbiamo solo una vecchia zia che abita in campagna. E’ lei che ci ha mandato qui in cerca di lavoro, per aiutarla. Ha detto che non ci voleva più come parassiti in casa.-
Aveva funzionato. Erano molte le famiglie povere che mandavano i figli a bottega per avere qualche soldo in più.
- Bene, posso rimediarvi anche un materasso su cui dormire, però comportatevi bene e lavorate sodo.-
- Certo signora.-
Se la padrona avesse iniziato a sospettare qualcosa, potevano sempre cambiare città di nuovo. Il sogno di Jane era poter salire su una delle navi con bandiere e nomi a lei sconosciuti. Chissà com’era l’Europa? A volte ne sentiva parlare dalle clienti di madame Dubarry, ed allora si incantava ascoltando di castelli vecchissimi, parate con re e regine, città costruite al solo scopo di servire una reggia immensa, immersa nella campagna. Stava ancora fantasticando di lei e Alec sulla prua di una nave, e poi invitati a prendere il the dalla regina, quando arrivò di fronte al cancello per la sua consegna.
Al di là del cancello scorse un giardino curatissimo. Anche lei e Alec, da piccoli, avevano un pergolato di glicine, sotto il quale prendevano il the i loro genitori e degli ospiti. Quando tutto era bruciato, lei non aveva pianto per i suoi giocattoli, o per i vestiti e la cameretta, ma per i fiori del glicine.
- Tu, che ci fai qui?-
Un servitore si era avvicinato al cancello.
- Porto le camice e i guanti da parte di m.me Dubarry, signore.-
- Giusto, ti aspettavamo. Entra e aspetta qui, controllo che sia tutto a posto e ti lascio i soldi pattuiti.-
Jane si mise accanto all’ingresso, mentre l’uomo tornava all’interno della villa.
C’era anche una fontanella vicino al glicine, ed un salice piangente poco dietro. A Jane ricordò moltissimo un giardino incantato delle fiabe. La villa stessa sembrava cresciuta di sua spontanea volontà, come una strana specie di albero. Peccato per il cielo cupo, con il sole sarebbe stato perfetto.
Vide d’un tratto che i rami del salice si spostavano, mossi da una corrente leggera, no, liquida. Come se fosse sgorgato un ruscelletto tra i rami. E invece ne uscì la cosa più bella che avesse mai visto.

L’angolo col salice era quello venuto meglio. In compagnia di un libro, Aro si era messo sotto le fronde dell’albero, godendosi la nuova casa.
Il richiamo del servitore e la risposta del ragazzino lo riempirono ancor più di buonumore: non si poteva presentarsi ad Harvard senza adeguato guardaroba! Caius gli aveva fatto notare che di vestiti ne avevano portati bauli su bauli dall’Italia. Grezzo.
- Fratello mio, in un mese di viaggio per mare già la moda si è evoluta. I vestiti che abbiamo sanno di vecchio e di stiva. Non vorrai fare la figura dell’antico?-
Caius aveva lasciato perdere, e sbuffando era tornato in camera.
Il bambino sembrava apprezzare la sua estetica invece: stava guardando con rapimento il pergolato. Aveva dei lineamenti fini e dei bei capelli castano. Anche con i suoi abitucci dimessi non pareva garzone di bottega. Volle avvicinarsi per vederlo meglio. Quello si accorse di lui: aveva sgranato gli occhi e lo fissava rapito. Dimenticava alle volte l’effetto che i suoi movimenti avevano sugli esseri umani. Cercò di appesantire la camminata, per non agitare troppo il suo ospite.
- Bello, non è vero? Wisteria frutescens, la specie che cresce qui in America. E’ più selvaggia rispetto a quella europea, però anche più resistente.-
Il bambino lo guardava ancora, stupefatto, ma poi si riscosse, e seguì la sua mano che indicava il glicine. Aro decise che voleva conoscere meglio il nuovo arrivato.
- Seguimi, da sotto il profumo è molto più intenso.-
Per accompagnarlo sotto i fiori, gli mise una mano sulla schiena.
Oh…
Decisamente una storia interessante.

Jane a fatica staccò gli occhi dall’uomo che era comparso d’innanzi a lei. L’impressione che le aveva dato all’inizio si confermò man mano che lo scrutava. Il fruscìo dei vestiti, i capelli neri che gli ricadevano sulla schiena: pareva acqua di sorgente che solo per pochi attimi aveva assunto una forma umana. Resistette a stento all’impulso di toccargli la mano, per vedere se al contatto la pelle dell'uomo le avrebbe davvero bagnato le dita.
Sentì a malapena che stava parlando dei glicini, e docilmente si fece condurre verso il pergolato. Un po’ guardava i fiori, ma appena poteva restava a rimirare il viso e le mani dell’uomo.
La voce del servo che tornava coi soldi le diede come una fitta di dolore e di fastidio: come poteva esistere una voce così rozza? Quella dell’uomo dai capelli neri sembrava il sussurrare del vento tra i salici.
- Ti avevo detto di aspettarmi al cancello! Signor Aro, vi ha per caso importunato?-
- Al contrario, ho trovato un altro ammiratore del mio giardino!-
Si chinò su di lei, poteva sentire una ciocca dei suoi capelli che si posava sulla sua camicia. Le sussurrò in un orecchio.
- … o dovrei dire… ammiratrice?-
Sconvolta lo guardò negli occhi. Occhi rossi come le fiamme. L’incanto si spezzò: aveva davanti un nemico, lui aveva scoperto il suo segreto!
Una forza sconosciuta le pizzicò dietro le pupille. Fissò le pupille di fiamma dinanzi a lei.
Un attimo dopo l’uomo si scostò di colpo, come se avesse ricevuto una scossa. Senza nemmeno pensarci, Jane afferrò il cesto ed i soldi che il servo le stava porgendo, poi corse via più veloce che poteva.

- Signore! E’ successo qualcosa? Devo dire a madame Dubarry di punire il ragazzino?-
- No, non preoccuparti. Va tutto bene, sarà rimasto intimidito…-
Si guardò la mano: non aveva nessun segno su di essa, eppure poco prima gli era sembrato che bruciasse, ed il dolore stava risalendo il braccio. Poi aveva distolto lo sguardo da lei.
Jane.
Decisamente una bambina interessante
.

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Capitolo 4
*** Cacciatori ***


Cacciatori

- Mi dici cosa è successo?-
Jane si era precipitata nella bottega mollando in un angolo il cesto di vimini. Quando aveva tentato di raggiungerlo era inciampata nelle assi, e i tintinnii delle monete che teneva in mano si erano levati per la stanza, richiamando la padrona.
Jane si era rialzata in fretta e gli aveva afferrato il braccio con entrambe le mani, trascinandolo nella loro camera.
Dopo si era accasciata di colpo sul letto,con gli occhi chini sul cuscino. Non aveva detto nemmeno una parola.
Alec provò a scuoterla.
- Allora?- in un sussurro – Jane…cosa è successo?-
Sua sorella strinse un lembo della coperta, sempre evitando il suo sguardo. Stava sussurrando qualcosa.
-…ammiratrice...-
- Jane, non spaventarmi! Per favore, prima che madame ci chiami.-
- Dobbiamo ricominciare a scappare, Alec. Mi dispiace, è colpa mia.-
Avrebbero mai trovato un po’ di pace?
- Hai incontrato qualcuno di Salem che ti ha riconosciuto…-
- No, lui era…-
 Si fermò, pareva cercare le parole tra le pieghe del lenzuolo.
- Un… uno straniero, uno dei tre nobili italiani delle camicie. Mi ha guardato e… poi è stato spaventoso!-
- Che cosa ti ha fatto quello?-
Alec afferrò Jane per le spalle, per fare in modo che i loro occhi si incrociassero. Ma lei con un scatto volse la testa: evitava di guardarlo?
- Non è quello che ha fatto lui. Ma quello che sono riuscita a fare io.-

Sciocchi alibi e frivole feste.
Se possibile era ancora più cupo del solito, almeno da quando Aro, cinguettando, aveva accompagnato in camera sua due cameriere che reggevano un pomposo abito blu scuro e una camicia.
- Marcus, mio plumbeo fratello, oggi nemmeno la tua prorompente simpatia scalfirà la mia gioia. La serata è magnifica per una festa, e le conoscenze che si fanno in giro sono proprio interessanti! Ma ti racconterò più tardi, ora proprio il tempo stringe. Sii buono, cambiati in fretta che verranno a prenderci tra poco. Ti aspettiamo giù…professore!-
Aro gli fece una riverenza affettata, poi si chiuse la porta alle spalle. Si slacciò con malgarbo la veste da camera che indossava, fissando l’abito abbandonato sul letto.
Sciocco e frivolo fratello.

Il discorsetto del direttore su quanto fosse un onore avere tanto illustri personaggi ad insegnare nella sua umile università finì, tra gli applausi degli invitati. Non era presente soltanto il corpo docente: la gente in vista di tutta la regione si era radunata nell’aula magna, che sfavillava delle candele e dei vestiti delle dame.  
- Ogni scusa è buona per una festa, professore. Mi capite, in questa terra così priva di trattenimenti cosa voglia dire l’arrivo di personaggi quali voi siete.-
Aro accennò un grazioso cenno col capo. Scorse con la coda dell’occhio i fratelli mescolati alla folla. I soliti musi lunghi, ma non poteva far loro da balia per tutta l’eternità. Ritornò ad ascoltare il rettore.
-… e la generosissima donazione di testi latini della vostra biblioteca. Privarsi di tale patrimonio!-
- Oh, sciocchezze. Pergamene che nessuno mai leggeva…-
Ed a loro poi rimanevano sempre gli originali autografi. Ricordava con piacere la copia rilegata e a lui dedicata dell’ Eneide. Grande poeta era stato il suo amico Virgilio. Peccato non poter raccontare aneddoti al rettore, ne sarebbe rimasto deliziato. Come quella festa con Petronio e i datteri…
- Ah, professor Irwin! Lasciate che vi presenti il professor Aro Volturi, latinista. Il professor Irwin è il nostro giurista, nonchè giudice dello stato…-
Davanti a loro stava un uomo pallido, dagli occhi acquosi. I capelli erano biondo cenere, molto corti. Indossava un severo vestito nero. Nonostante il viso un po’ sciupato, il corpo pareva vigoroso. Un viso tutto sommato comune, come se gli fosse noto. Aro gli strinse la mano.
Ricordò dove lo aveva già visto.
Integerrimo, inflessibile…crudele.
- Professor Irwin, abitate un paese meraviglioso e sono certo che le persone dormono tranquille anche grazie a voi.-
Aveva un sorriso sottilissimo, leggermente smorfiato a destra.
- Fosse come dite voi, ma la piaga che dilaga in Europa è purtroppo giunta fin qui.-
Fiamme ed urla.
- Non capisco…-
- Professor Aro, parlo della stregoneria ovviamente! Nemmeno questa nuova terra ne è immune. Torno proprio quest’oggi da Salem, dove già anni fa una donna malvagia tentò un rito diabolico. Fu punita dalla sua stessa malvagità e morì, ma pare abbia lasciato un seme di corruzione.-
- Sono fatti terribili, davvero. Le auguro che si risolvano presto.-
Quanti incontri interessanti in una sola giornata.

- Ce ne andiamo stanotte. Hai preso tutto?-
Tutto erano pochi spiccioli, un cambio di vestiti e loro stessi. Jane accostò la porta pianissimo, poi sgattaiolarono via per la strada.
- Contenta? Era il tuo sogno vedere l’Europa. Certo, sarebbe stato più bello farlo come passeggeri…-
Felice? Non lo confessava nemmeno a se stessa, ma da quel pomeriggio aveva un unico, folle desiderio.
Rivedere l’uomo dagli occhi rossi.

- Dopo tutta la musica ho voglia di fare una passeggiata. Aspettatemi svegli, mi raccomando!-
Come riusciva a trovare divertenti certe battute dopo tremila anni? Marcus seguì con lo sguardo Aro, che si era portato con leggerezza sul davanzale della finestra, avvolto totalmente di nero.
- per andare verso le piantagioni è più comodo uscire dall’altra parte.-
- Oh, non andrò fin lì, Caius, stasera ho un appuntamento in città. Però, ora che mi sovviene, mi faresti un piccolissimo favore?-

Correvano verso i moli, evitando le poche lanterne rimaste accese in giro. Erano oramai nella zona del porto, potevano fermarsi a riposare. Jane era tornata calma, soprattutto quando si era resa conto che guardandolo negli occhi non succedeva nulla. Forse quel pomeriggio era stata solo suggestione.
- Andiamo.-
Si rimisero sulla strada.
Sentì come una folata di vento, poi una figura nera si posò di fronte a loro. Strinse istintivamente la mano del fratello.
Poi riconobbe il suo viso.
- Dolcissima Jane, mi concederesti l’onore della tua compagnia?-
Era come una ninna nanna. All’improvviso fu sicura che non poteva venire nulla di male da quell’essere così bello. Lasciò la mano di Alec, facendo un passo verso quella che l’uomo le porgeva.
- Jane!-
La voce del fratello le arrivò di lontano, come se si trovasse sott’acqua. Fece una fatica tremenda a pronunciare le parole, aveva le labbra intorpidite.
- Alec…verrà…con noi?-
- Se lo desideri, mia preziosa bambina.-
Come una ninna nanna.

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Capitolo 5
*** Rapita? ***


Rapita?

Alec si svegliò con qualche frammento di sogno ancora negli occhi. Gli pareva di aver volato trasportato da una nube nera.
- Jane sei sveglia? Non ci crederai se ti racconto…-
Tirandosi su sentì che il materasso era molto più morbido di come lo ricordava. E non la ricordava rossa damascata la sua coperta.
D’un tratto ricordò cosa era successo la notte prima.
- Jane!-
Come si era addormentato? Si guardò intorno e vide una stanza sconosciuta. Alla destra del suo letto, sul comodino, un calice aveva ancora sul fondo un alone bianchiccio. Lo fece cadere in terra schifato. Scesa dal letto e corse verso la porta: con sollievo riuscì ad abbassare la maniglia, ed uscì in un corridoio su cui si affacciavano altre due porte. Scelse quella più vicina: chiusa. Provò la seconda, ma ancora senza successo.
Si mise a colpirla con le mani.
- Jane, dove sei?-
Alle sue spalle sentì il rumore di un portone che si chiudeva. Doveva essere tornato quell’uomo. Cercò attorno a sé qualcosa di simile ad un’arma, ma c’erano solo un tappeto rosso ed un quadro. Ritornò nella stanza dove aveva dormito e prese tra i cocci il gambo del bicchiere, il pezzo più grosso rimasto intatto.
Percorse il corridoio cercando di non far rumore, attaccato ad una parete, fino ad arrivare in quello che doveva essere l’ingresso: una scala scendeva fino alla porta principale. Sbirciò tra due colonne del parapetto se chi aveva chiuso la porta fosse ancora là dentro. Nessuno.
Scese la scala correndo, e spalancò il portone con tutte le sue forze.
Davanti a lui c’era un uomo coi capelli neri.
Sentiva le gambe che tremavano, ma impugnò il gambo di vetro appuntito e lo parò davanti a sé.
- Dov’è Jane? Perché ci avete portato qui?-
L’uomo l’aveva fissato per un attimo, poi l’aveva scostato per entrare, senza dirgli una parola. Gli sbarrò la strada, minacciandolo di nuovo col vetro.
- Voglio vedere mia sorella!-
L’uomo allora lo guardò di nuovo, afferrò il vetro con una mano e lo strinse. Quando allargò la presa una sabbiolina finissima cadde in terra. Ad Alec rimaneva in mano solo la base del bicchiere.
- Non sei tu che gli interessi, vattene.-
Terrorizzato Alec si precipitò al cancello, e poi sulla strada, verso il negozio della Dubarry. Doveva cercare aiuto.

- Ah, Marcus, parli una volta ogni secolo e quando ti decidi fai piangere i bambini. Che crudeltà!-
Aro era comparso nell’ingresso e lo aveva raggiunto sulla soglia. Seguirono entrambi con lo sguardo il bambino che svoltava l’angolo in fondo alla loro strada. Aro gli passò accanto per andare in giardino: gli strinse il braccio.
- Tanto lo sai che tornerà… oh, che vuol dire lasciarlo fuori da questa faccenda? Se desidera stare con la sorella tu non puoi farci nulla… i miei piani, i miei piani, lo dici come se dovessi sentirmi in colpa! Ti ha forse mai deluso un mio piano? Ora, se vuoi scusarmi, devo preparare una sorpresa per la mia bambina.-
Scomparve poco dopo sotto il pergolato.
Marcus lanciò un’occhiata verso la camera dove dormiva la bambina.
Si può amare di più la propria sorella che la propria libertà?

Alec faceva sempre più fatica a respirare, ma ormai riconosceva la via in cui stava la bottega della loro padrona. C’era più viavai del solito.
- Alec! Sei Alec, vero? Dov’è tuo fratello? Oh cielo, ma tu stai bene, siete usciti in tempo tutti e due?-
Betsy, una loro vicina di casa, gli era corsa incontro come se nel vederlo provasse un sollievo immenso.
- Signorina Betsy, io sto bene, ma non ho tempo, devo avvertire madame che…-
Lo fissò sconcertata, poi le si inumidirono gli occhi.
- Povero caro, tu non sai ancora nulla! Eravate usciti, vero? Come avete potuto, due bambini nel cuore della notte... ma non voglio sapere nulla, almeno siete sani e salvi!-
- Signorina, cosa sta dicendo?-
Non ci fu bisogno di spiegazioni: dove prima stava la loro casa, un cumulo di macerie annerite mandava ancora un denso fumo. Betsy singhiozzava accanto a lui.
- Povera, povera signora Dubarry…-
Alec crollò in ginocchio.

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Capitolo 6
*** Colazione ***


Colazione

La prima cosa che percepì da sveglia fu una sensazione familiare, ma assopita nella sua testa da anni. Non un ricordo preciso, ma un sentore di morbido unito ad un profumo di menta: il profumo del bucato pulito quando aveva ancora una sua camera e una mamma che le cambiava le lenzuola.
Come era strana la testa, un ricordo così vivo dopo tanti anni… Sentiva quasi i passi della governante che veniva a svegliarla e a portarle la colazione.
- Miss Jane?-
- Ancora un po’, Josephine, è presto.-
- Miss Jane, vi prego, il signor Aro vi attende per la colazione. Ed il mio nome è Helen.-
Signor Aro?
Jane si decise ad aprire gli occhi. Poi li stropicciò per essere sicura di averli aperti davvero: aveva dormito in un grande letto, tra lenzuola di seta al profumo di menta. Al posto dei vestiti da viaggio indossava una camicia troppo grande per lei ma sofficissima. Una ragazza di colore stava tirando fuori da un armadio di fronte al letto qualcosa di viola.
- Ecco qui, per scendere mettete questa. Il signor Aro si scusa perché non possiede vestiti della vostra taglia, ha detto di farvi sapere che se ne procurerà al più presto.-
La “cosa” viola era una veste ricamata a fiori di glicine. La ragazza, Helen, la posò sul letto.
- Bene. Là c’è una tinozza per lavarvi. Se volete che vi aiuti…-
- Aspetta, dove sono? Cosa vuol dire che il signor Aro mi aspetta per fare colazione? E tutto…- squadrò la stanza dove si trovava – tutto questo, cos’è?-
Helen le sorrise.
- Il padrone mi ha detto che sareste stata confusa. E di darvi questa.-
Le porse un piccolo vassoio su cui si trovava un foglio di carta ripiegato. Lo aprì in fretta.

Ben svegliata mia bimba,
se vorrai perdonare il modo poco ortodosso con cui ti ho invitata, ti aspetto in giardino per la prima colazione. Sarò lieto di rispondere a qualsiasi tua domanda. Ancora mille scuse per non avere nemmeno un vestito adatto all’occorrenza.
Tuo (se me lo permetterai)                 Aro

 Allora si ricordò della notte precedente, la fuga e la figura in nero. Ma soprattutto si rese conto che lo avrebbe rivisto tra poco.
- Hai detto che posso fare un bagno?-
- Di qui.-
Jane scostò le lenzuola per scendere dal letto, e vide pronte per lei due babbucce di raso. Le calzò divertita, poi si diresse dietro il paravento dove stava la sua vasca. Quando Helen la aiutò a disfarsi della camicia e ad entrare in acqua, sentì la stessa sensazione che al suo risveglio: quei gesti eleganti, essere servita, tutte cose che erano rimaste sepolte nella sua mente e pian piano stavano tornando.
Si, lei era nata principessa, ed ora stava solo riconquistando ciò che le spettava.

Aro finì di scrivere gli appunti per la sua prima lezione in università. Mise da parte i libri e diede un’ultima occhiata alla tavola apparecchiata davanti a lui: tutto perfetto, mancava sola la sua ospite.
Sentì finalmente due persone che scendevano le scale. I passi più lievi erano della sua bambina. Poi la porta che si apriva e la voce di Helen.
- Di qui, miss, lo vedete il pergolato?-
Eccola. La vestaglia strascicava per qualche spanna dietro di lei, e la camicia bianca era stata accorciata in poco tempo quella notte, ma nell’insieme era la bambola più graziosa che avesse mai visto.
Nel vederlo Jane sorrise, raggiante ma un po’ intimidita.
- Mia cara, in ritardo come qualsiasi gentildonna che si rispetti! Prego. Helen, puoi lasciarci soli.-
Le versò il the, sorridendo compiaciuto quando la bambina sussultò nel sentirne l’aroma. Le porse con noncuranza un vassoio di dolci.
- Spero ti piacciano, una ricetta nuova, non ricordo il loro nome in questo momento.-
- I… muffin di mirtilli?-
Jane aveva sgranato gli occhi.
- Oh li conosci? Bene! Buon appetito allora. Perdonerai se non ti faccio compagnia.-
Jane sorseggiò il the. Poi, come Aro si aspettava, prese un muffin e lo sbriciolò dentro la tazza. Nei ricordi della bambina era vivissima l’immagine della madre che la rimproverava per quella “orribile zuppetta”. Sorrise divertito.
Jane mangiò qualche boccone di muffin, poi posò il cucchiaino. 
 - Come fate? Voglio dire, il profumo di menta delle lenzuola, la colazione in giardino sotto il glicine, il the al bergamotto e anche i muffin ai mirtilli! Perché conoscete tutte le cose che amavo da piccola?-
- Sono solo venuto a riportarti ciò che ti appartiene,  piccola mia. Da quando sei entrata la prima volta nel mio giardino, ti ho riconosciuta, e ho sentito di dover fare qualcosa per te.-
- Riconosciuta?-
- So che sono episodi dolorosi, ma mi vuoi raccontare ciò che ricordi della tua vera casa, dei tuoi genitori.-
Meglio non svelare subito tutte le carte, non voleva inquietare la sua bambina.
- Sono solo immagini confuse. Abitavamo in una casa molto grande, eravamo ricchi. Poi papà ha cominciato ad avere dei problemi. Li sentivo a volte che parlavano di debiti, di dover vendere terreni. Poi c’è stato l’incendio, ma è stato un incidente!-
- Ma certo cara, cos’altro poteva essere.-
Jane si corrucciò.
- All’orfanotrofio non osavano dircelo in faccia, ma li ho sentiti. Dicevano che era stata nostra madre, impazzita, a dare fuoco a tutto. Voleva ucciderci tutti perché non avevamo più soldi, dicevano quelli là. Ma non è vero! Un bambino una volta ci ha chiamati figli della strega, e allora Alec…-
Si interruppe.
- Alec! E’ qui anche lui, vero?-
- Diciamo che è rimasto un pochino impaurito dalle novità. Il nostro segretario lo ha portato a fare un giro per tranquillizzarlo. Ti sarei grato se dicessi anche a lui che non abbiamo cattive intenzioni. Sai, Jane, già conoscevo in parte la vostra storia: ero rimasto sconvolto dalle vostre disavventure, così meditavo da tempo una decisione.-
Le prese dolcemente una mano tra le sue. Una folata di pensieri agitati gli arrivarono nella testa, uno su tutti.
“Fammi restare con te!”
- Puoi vivere qui per tutta l’eternità, se lo desideri.-

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Capitolo 7
*** In carrozza ***


Ciao a tutti. Tra vacanze e studio per gli esami ho sempre qualche giorno di ritardo nell’aggiornamento, quindi metto le mani avanti e sposto il limite di inserzione da una settimana a 10 giorni. Se riuscirò a tenere il ritmo di prima meglio, ma non mi sento di garantire. Grazie davvero a chi commenta, a chi ha messo la storia tra preferite/seguite e chi perde un po’ del suo tempo a leggere.


In carrozza

Quando riprese coscienza del mondo che lo circondava, Alec era a casa di Betsy, davanti ad una tazza di brodo e avvolto in una coperta. Non che fosse svenuto, ma gli era rimasta in mente solo la vista delle macerie.
- Mi hai sentito, piccolo?-
Cercò di concentrarsi sulla donna che gli stava parlando.
- Lo so che è difficile, caro, e vorresti stare solo, ma c’è un signore gentile che ti sta cercando. Signor Williamson, questo è il bambino.-
Nella stanza era apparso un uomo magro e nervoso, con una ridicola parrucca ricciola in testa. Non l’aveva mai visto, ma sospirò di sollievo: aveva temuto che comparisse il loro rapitore, quello strano uomo coi capelli neri, che gli aveva sbriciolato un bicchiere davanti agli occhi.
- Buon giorno signorino Alec, e condoglianze per la signora Dubarry. Mi dispiace disturbarvi a pochi istanti dalla vostra perdita.-
Se avesse recitato la lista della spesa non sarebbe stato più espressivo.
- Tuttavia, i miei padroni mi incaricarono di recarvi un messaggio. E’ desiderio del signor Volturi che voi veniate a dimorare presso di lui, assieme a vostra sorella Jane.-
- Allora ci siete dentro anche voi! Dov’è mia sorella? Perché stamattina non l’ho vista e mi hanno drogato? Il signor Volturi di solito rapisce i suoi ospiti?-
L’uomo non si scompose. In quanto a Betsy, lo guardava con le lacrime agli occhi: di sicuro pensava che tutto fosse causato dal dolore.
- Tutto è stato fatto per la vostra sicurezza. Se mi seguirete ogni vostro dubbio verrà fugato. Se intendete rinunciare, sappiate che vostra sorella ha accettato con gioia il rifugio offertole dal signor Volturi.-
Le parolone di quel Williamson gli facevano confusione in testa, ma capì perfettamente l’ultima frase: se Jane era stata ipnotizzata doveva salvarla. In ogni caso, seguire quello li era il modo più facile per rivederla.
- Sta bene, vi seguo. Grazie mille miss Betsy, è stata molto gentile.-
La donna lo abbracciò, stampandogli qualche bacio sulla fronte.
- Dover nascondere tutto, che tragedia per voi due. Ah ma io avevo intuito qualcosa. Buona fortuna, Alec, e buona fortuna anche a tuo…scusami, a tua sorella .-
Anche lei sapeva? Doveva averlo detto l’uomo. Tanto oramai il loro travestimento era il problema minore.
L’altro gli fece cenno di precederlo. Davanti alla casa era parcheggiata una carrozza. Alec guardò un’ultima volta il filo di fumo che saliva dalla sua vecchia casa, poi il cocchiere avviò i cavalli
- Bene, veniamo subito al dunque. Il signor Volturi si è interessato della vostra storia e delle numerose disgrazie che vi sono accadute, a cominciare dalla perdita dei vostri genitori, a Salem.-
Non solo la vera identità di Jane, anche queste cose?
- Il mio padrone, saputo dell’incendio, ha immediatamente cercato di rintracciarvi, ma la vostra fuga ha complicato le ricerche. Una grande sorpresa rintracciarvi qui a Boston! Ora non dovete più temere una vita di stenti.-
- Non ricordo mio padre che parlava di questo signore, però se sapete tante cose...-
- Ragionate, che altri motivi avrebbe il mio padrone per ingannarvi? Non possedete più nulla degli averi di vostro padre, e poi cosa se ne farebbe di qualche terreno un uomo come il signor Volturi? Sarete trattati come si confà a persone di nobili natali, come voi. Ed eccoci arrivati a destinazione!-
Alec riconobbe la villa da cui era scappato quella mattina, però dopo il giro in carrozza la sentiva meno ostile. Sarebbe stato attento, in ogni caso. Mentre rimuginava, vide una figura che gli correva incontro, con un sorriso più felice che mai.
- Alec! Che bello, non sei scappato! Tu non capisci la fortuna che ci è capitata, siamo dentro una fiaba!-
Aveva il volto rilassato (forse perché non doveva più fingere?) e lo strinse fortissimo mentre parlava. L’abbraccio e la gioia di sua sorella gli tolsero ogni dubbio. Se era felice, se questo Volturi le stava offrendo la vita che aveva sempre sognato, andava bene.
Poi arrivò anche un uomo dai capelli neri, ma non lo stesso della mattina. Questo era vestito con più eleganza, i capelli più lunghi e legati dietro la schiena. Soprattutto lo sguardo era più amichevole, sembrava metterti a tuo agio. Come l’uomo della mattina, però, aveva la stessa strana bellezza e la pelle candida.
- Il giovane Alec! Sono contento che ti sia deciso ad unirti a noi. Prego, accomodati e prendi una tazza di the assieme a noi, c’è un clima magnifico.-
Accompagnato, anzi trascinato, dalla sorella, si sedette davanti ad un tavolo apparecchiato per la merenda.
- Un dolce?-
L’uomo gli porse un vassoio coperto di ciambelline dorate punteggiata di viola cupo. Trasalì.
Biscottini di frolla e uvetta, i suoi preferiti.
 

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Capitolo 8
*** Progetti ***


Progetti

I corridoi dell’università erano immersi in un quieto silenzio, accentuato dalla luce del crepuscolo. Finita un’altra giornata di lezioni, Aro aveva congedato i due fratelli.
- Devo sbrigare un ultimo affare. Precedetemi pure a casa, non so quanto devo trattenermi.-
- Va bene, però non metterci troppo. Stasera dobbiamo decidere riguardo a tu sai cosa.-
Aro increspò impercettibilmente le labbra.
- Avremo davanti a noi tutta la notte, Caius.-
- Lo so fratello, ma non insisterei se non ti avessi visto evitare già qualche volta la discussione. Ci vediamo a casa.-
Caius e Marcus uscirono dal portone e presero la solita carrozza.
Aro proseguì lungo il corridoio fino agli uffici dei professori. Arrivato davanti a quello che gli interessava percepì il fruscio di una penna d’oca. Bussò sulla porta massiccia. Il rumore si interruppe e, qualche secondo dopo, il professor Irwin gli aprì la porta.
- Buonasera Aro. A cosa devo…?-
- Mi rincresce disturbarvi così tardi, ma avrei bisogno delle vostre conoscenze giuridiche. Sapete, siamo da poco qui, e il sistema di leggi mi pare molto diverso da quello europeo, così, data la vostra competenza...-
- Nessun problema. Accomodatevi.-
Irwin tornò dietro alla sua scrivania, Aro si sedette in una poltrona di fronte, e tirò fuori da una custodia in pelle un documento.
- Bene, professore, vengo subito al punto. Desidero assumere la custodia legale di due minori, il loro nome è…- fece finta di leggere il foglio – Alexander e Jane Hinchinghooke, figli di Gwendaline Spencer Tracy e Thomas Hinchinghooke, deceduti il 3 di ottobre 1684 in seguito all’incendio che colpì la loro abitazione a Salem. I due bambini non hanno parenti in vita, quindi non dovrebbero esserci impedimenti, giusto?-
Quando rialzò gli occhi dal foglio il volto di Irwin era rimasto impassibile, ma al suo udito di vampiro non era sfuggito il cuore che accelerava di colpo.
- Dunque professore? Posso assicurarvi che li crescerò come i figli che non ho mai avuto. So che nonostante provenissero da una famiglia agiata tutte le loro sostanze furono usate per ripagare dei debiti, giusto? Dunque, ho qui i documenti che devono essere approvati da un giudice. Vorreste farmi questa cortesia? Sarebbe magnifico poter dire stasera ai bambini che hanno una nuova casa.-
Irwin fissò i fogli che Aro gli aveva passato. Lesse tutto, soffermandosi dove erano scritti i nomi di Alec, Jane  e dei loro genitori. Infine prese la piuma d’oca, la intinse e appose la sua firma in fondo al foglio.
- Siete troppo modesto: i documenti sono redatti in maniera impeccabile, non avrei saputo fare di meglio io stesso.-
Peccato che dal tono non sembrasse affatto un complimento. Rimise tutto nella custodia e la porse ad Aro quasi con riluttanza.
- Vi ringrazio infinitamente. Vedrò di farvi avere un pensiero per la vostra cortesia. Ora, se volete scusarmi, vado a dare la bella notizia.-
Aro si alzò e strinse la mano del giudice, poi uscì dalla stanza.
Dalla porta chiusa senti un altro rumore lievissimo, di carta stropicciata con rabbia.
Era andato tutto nel migliore dei modi.

- Diciotto anni è un’età più che ragionevole, direi.-
- Quando eravamo giovani, Caius, a dodici anni le fanciulle erano in età da marito.-
- Altri tempi, non serve nemmeno che te lo dica! Pensa all’eternità intrappolata in un corpo di bambina. Cos’è in fondo aspettare sei anni? Come se non avessimo tutto il tempo che desideriamo.-
Aro passeggiava nervoso per la stanza, come sempre quando le sue idee non erano accolte con entusiasmo da tutti i presenti. Un umano che lo ostacolava durava poco, ma l’opinione  dei due fratelli non si poteva ignorare. Marcus gli si avvicinò e gli poggiò come di consueto la mano sulla spalla.
- Tutti e due contro di me! E va bene, aspetterò che sia cresciuta ancora qualche anno, nel frattempo un po’ alla volta la introdurremo nel nostro mondo. Il fratello dici? Li ho adottati entrambi, sei stato tu a dire che è impossibile spezzare il legame che li unisce. L'ho fatto perché a lei fa piacere, ma non percepisco grandi potenzialità. Starà qui anche lui, poi vedremo cosa fare. Tanto grazie a voi tutto è rimandato di sei anni, no? E adesso scusate, ma ho una certa sete.-
Con un balzo aggraziato saltò dalla finestra.
- Non ti pare si sia arreso con troppa facilità? Bah, si sarà reso conto che era solo un capriccio. Ho sete anche io, frequentare tutte queste persone richiede più autocontrollo di quanto credessi. Ci segui?-
Marcu scosse la testa, allora Caius scomparve a sua volta nella notte.
Prese un libro dal tavolo dove avevano festeggiato poche ore prima l’ingreso in famiglia dei due bambini. Rimaneva qualche briciola di torta a terra, assieme alle carte dei regali: i gemelli avevano ricevuto qualsiasi cosa un bambino potesse desiderare. Aro, non contento di bambole, vestiti, orologi, libri, modellini di navi ed anche un cannocchiale, aveva mostrato dalla finestra due cavalli bai, promettendo ai due, entusiasti, che li avrebbero cavalcati durante la villeggiatura in campagna.
Superando la montagna di carta, si portò con un unico balzo alla porta, non dovendo fingere la pesantezza umana.
Spalancandola, vide Alec accucciato a terra.
- S…Scusate…Io…ho lasciato q…qui…un libro…non volevo ascoltare, lo giuro!-
Marcus non ascoltò nemmeno le scuse del bambino.
Nessuno dei tre aveva sentito nulla.
Il battito del cuore, i passi pesanti, il respiro affannoso, l’odore di essere umano, nulla.
Aro non percepiva grandi potenzialità? 
- Vieni dentro.-
Scacciò la sensazione di fastidio che gli dava sentire la propria voce, per la prima volta dopo qualche secolo poteva valer la pena parlare un po’.

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Capitolo 9
*** L'ora del the ***


L’ora del the

- Mi avevi promesso di non sbirciare!-
Aro si voltò verso la finestra, rassegnandosi ad ascoltare solo i fruscii della seta e lo zampettio leggero delle scarpe.
- Jane, so che una damigella si fa sempre aspettare, ma farai arrivare tardi lo zio. Tuo fratello è già pronto da un pezzo…-
- Va bene, ora ho finito…Chiudi gli occhi!-
Aro si portò una mano a coprirsi il viso. Sentì alle sue spalle i passi leggeri della bambina che sgattaiolava dietro di lui: era adorabile quando tentava di coglierlo di sorpresa.
L’ingenuità infantile lo deliziava.
- Adesso puoi girarti!-
Jane sprizzava di gioia davanti ai suoi occhi, nel nuovo vestito blu notte. Il busto appena rigido e la gonna vaporosa, i capelli arricciati in grandi boccoli accentuavano la sua aria di bimba che gioca a fare l’adulta.
- Sei bellissima, il mio fiore preferito!-
Lei fece qualche piroetta, ridendo di gusto. La immaginò per un attimo con gli occhi scarlatti che contrastavano col vestito, appena un poco più pallida, come la porcellana più fine. No, bisognava avere pazienza ancora un poco.
Prese una mano di Jane facendole fare un’altra piroetta.
- Ma ora, piccola principessa, dobbiamo proprio andare.-
Nell’ingresso c’era Alec, anche lui rivestito come un piccolo lord, che guardò ammirato la sorella. Lei lo raggiunse saltellando.
- Ti sta davvero bene, Jane. Io invece mi sembro infagottato.-
- Non dire sciocchezze, quando eravamo piccoli ci vestivano sempre così, se potevi portare questi vestiti a tre anni non vedo perché no adesso. Vero zio?-
Aro annuì. Dei vestiti scelti da lui non avrebbero mai potuto ingoffire qualcuno, figuriamoci. E’ proprio vero che le figlie femmine danno più soddisfazioni. Quel ragazzino timido pareva la coppia piccola di Marcus, ed infatti il fratello aveva trovato un compagno nelle noiosissime sedute in biblioteca, o a fissare le fronde del salice nel giardino. De gustibus non est disputandum.
- Avanti bambini, il the va preso alle cinque precise, che figura faremmo se arrivassimo in ritardo? Già gli italiani hanno fama di ritardatari, non vorrei confermare i pregiudizi per colpa di due piccoli americani.-
Non accettavano spesso inviti per il the, era così sgradevole sentire qualcosa scorrere nella gola che non fosse sangue. Però Jane aveva un vestito nuovo, che andava sfoggiato con tutti i riguardi.
Oramai era dicembre, con il cielo già plumbeo alle quattro e mezza.
Probabilmente presto sarebbe nevicato.

- Un’altra tartina, cara?-
- Grazie, ma sono a posto.-
Il salotto di casa Montgomery era caldamente illuminato da numerose candele. Lui, Jane e la figlia dei padroni di casa, Emilie, erano seduti tutti e tre sul divano. Gli adulti stavano invece attorno al tavolo. Oltre allo zio Aro, c’era anche quel suo collega, il giudice Irwin. Non gli era mai piaciuto, forse per il sorriso strano. Ma ancora di più perché quando li vedeva cercava sempre di non incrociare i loro occhi.
- Vi va di vedere la mia stanza? C’è un nuovo camino, mio padre l’ha appena fatto costruire.-
Emilie era saltata giù dal divano, annoiata dalle chiacchiere degli adulti.
- Va bene! Zio, noi andiamo con Emilie.-
- Basta che quando vi chiamo scendiate immediatamente.-
- Certo!-
Emilie prese per mano Alec, Jane li seguì lungo un corridoio, e poi nella camera della bambina. Il caminetto nuovo era in una parte della stanza che assomigliava ad un salottino. Scoppiettava un bel fuoco, che illuminava i giocattoli di Emilie abbandonati lì davanti.
- E’ molto bello Emilie, rende la stanza accogliente.-
- Grazie Alec! Puoi venire qui a giocare quando vuoi, se ti piace.-
Emilie strinse le sue mani, civettuola. Era poco più piccola di loro. La avevano conosciuta un mese prima, durante una passeggiata per Boston. Da quando si erano conosciuti era sempre molto gentile con lui, un po’ meno con Jane. Anzi, le due bambine si beccavano spesso quando erano assieme. Infatti, anche in quel momento Emilie gli sussurrò all’orecchio.
- Se riuscissimo per una volta ad essere da soli senza di LEI…-
- Ti ho sentito sai? Io sto con Alec quanto mi pare e piace, non me ne sto di certo da parte perché lo vuoi te. E un camino così possiamo chiederlo allo zio Aro quando vogliamo.-
- Ooh, si, sempre lo zio Aro… lui ti regala bambole, vestiti, caminetti... E tu in cambio?-
- Cosa?-
- Me lo ha detto la mamma, che quello ci fa atti peccaminosi con te!-
Era evidente che Emilie non avesse idea di cosa stava parlando, ma Jane si e le diede uno schiaffo con tutta la forza che aveva.
- COME OSI! Come puoi solo pensare…-
- Jane, non lo intendeva davvero, non sa nemmeno cosa vuol dire…-
Ma Emilie per risponder allo schiaffo aveva afferrato il vestito nuovo di sua sorella, tirando tanto da strappare un pezzo della gonna.
- Tanto lo dicono tutti che sei una piccola mantenuta, strega!-
Jane guardò il lembo di stoffa che Emilie teneva in mano. Stoffa del suo vestito nuovo, il prezioso regalo che lo zio le aveva fatto… Tutta la collera le si concentrò negli occhi.
- Ah si? Se sono davvero una strega, allora che questo maledetto fuoco bruci la tua brutta faccia.-

- Professore, quindi a Salem continuano questi incresciosi incidenti?-
- Purtroppo è così signora, giovani ragazze, una dopo l’altra traviate dal demonio, perdono la ragione e fanno cose orribili. Alcune si possono ancora salvare, ma per molte la condanna arriva come una liberazione per la loro povera anima. Non escludo che il male possa insinuarsi anche qui in città.-
La padrona di casa inorridì e si umettò la faccia con un fazzolettino.
- Non sia mai, la mia povera Emilie e le altre bambine impossessate da uno spirito maligno. Professor Aro, come avete fatto in Europa a proteggere le vostre figliole da quando è scoppiato questo maleficio?-
- Molto semplice, signora, basta non avere potenti nemici politici…-
- Non vi sembra di sottovalutare il problema, professore? Non vi preoccupate per la vostra Jane?-
Aro notò come la signora aveva calcato il “vostra”. Il suo baciamano gli aveva già rivelato cosa pensassero della sua bimba… e anche cosa la castissima signora avrebbe voluto fare con lui, se solo avesse avuto una vasca da bagno ed un marito fuori città. Curioso come questi puritani pensassero a cose scabrose e inconvenienti molto più di chiunque altro.
Prima che potesse rispondere un urlo proruppe dalla stanza di Emilie.
Una cameriera arrivò di corsa in salotto.
- Signora! La bambina ha le convulsioni, non riesco a calmarla!-
La padrona di casa scattò in piedi e corse verso la stanza di sua figlia. Irwin le andò dietro.
Poteva essere interessante.
Nella camera vide per primo Alec, che gli corse incontro spaventato.
- Non è stata lei, lo giuro! Non so che cosa sia successo… io volevo fermarle ma…-
Sul tappeto Emilie si stava rotolando, come cercasse di spegnersi delle fiamme di dosso. In piedi li vicino, col vestito strappato raccolto nelle mani, stava Jane.
Sorrideva trionfante.
Si.
Era proprio orgoglioso della sua bambina.

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Capitolo 10
*** Agguato ***


Agguato

Dal pomeriggio in cui Aro li aveva portati via da casa Montgomery, erano diminuiti drasticamente gli inviti. Gli zii uscivano solamente per insegnare all’università, non avevano più ospiti a casa. Lo stupido pettegolezzo della madre di Emilie si era diffuso a macchia d’olio, o forse già lo aveva fatto alle loro spalle  nei mesi precedenti, ma nessuno aveva mai osato dirlo in faccia a Jane.
Per paura?
Si ricordò dell’inebriante sensazione di poter punire la piccola smorfiosa, di come le sembrava che dai suoi occhi uscisse un fiotto di calore, no, qualcosa di frizzante e caldo, che si riversava addosso a quella stupida invidiosa.
La sera stessa, si era presentata timidamente nello studio di Aro.
- Zio, sei arrabbiato con me?-
- Per cosa, piccina?-
- Per il vestito e per quello che è successo con Emilie. Non l’ho fatto apposta, è lei che mi ha provocato!-
- Ne sono sicuro. Hai fatto benissimo, anzi, temevo che fossi tu ad esserti fatta del male. Un vestito è solo un vestito, te ne prenderò uno ancora più bello… quando arriveremo a Volterra.-
All’inizio temeva di aver sentito male, poi si rese conto della portata della notizia, e si gettò fra le braccia di Aro.
- Non posso crederci! E’ una sorpresa magnifica, io non so cosa dire. Grazie, ti voglio bene… ma non come insinuava quella lì.-
- Non pensarci neppure, Jane. Non avrei mai voluto che sentissi certe cose. Ma su, ora vai a letto bambina, lo zio deve preparare la partenza.-
Era corsa nella stanza di Alec a dargli la notizia.
- E’ quello che hai sempre desiderato. Sono contento anche io.-
Lo disse con una punta di malinconia.
- Che hai?-
- Mi mancherà un po’ l’America, ma sono certo che avremo tempo di tornarci.-
- Niente malinconie! E’ ovvio che potremo tornare. Pensa, un palazzo tutto per noi, le corti dei nobili italiani e francesi, re e regine... non vedo l’ora!-
- Adesso però calmati, cerca di dormire.-
L’aveva baciata sulla guancia, poi se n’era tornata in camera. Aveva sognato di correre con il suo cavallo per le colline toscane.
Da allora erano passate due settimane: passavano quasi tutto il tempo in casa, un po’ per il freddo, un po’ perché non sopportava la gente che li vedeva passare e cominciava a bisbigliare alle loro spalle. Se avesse potuto farli zittire tutti come Emilie…
Era ancora sveglia a guardare i fiocchi di neve che scendevano pigramente sul suo davanzale. Gli zii non erano ancora tornati da un giro, Alec dormiva. Lei si rigirava nelle coperte, in attesa del sonno.
Così sentì distintamente il vocio di una folla che si avvicinava al cancello di casa. Era successo qualcosa? Si affacciò incuriosita alla finestra: un gruppo di persone stava davanti al cancello di casa loro, con in mano torce. Sembravano feroci.
“Che vorranno? Per fortuna stanno fuori!”
Fu allora che una figura intabarrata corse lungo il viale, e aprì il cancello. Williamson.
 Con un ruggito di trionfo, la folla si riversò all’interno.
Spalancò la finestra.
- Williamson, che fate?! Chi sono questi?-
Il segretario non rispose nulla, mentre riconobbe un’altra voce tra la folla.
- Eccola la strega! Alla porta principale, seguitemi!-
Irwin aveva puntato il dito contro di lei, e incitava gli altri ad entrare. Erano tutti uomini della città, alcuni armati. C’erano anche delle guardie. Williamson spalancò anche la porta d’entrata, e lei li perse di vista, ma sentì con un brivido le voci dal piano sottostante. Corse a perdifiato in camera del fratello. Lo trovò ancora immerso nel sonno.
- Alec! Sta succedendo qualcosa di brutto, dobbiamo fare qualcosa, ti prego, ti prego svegliati!-
- Jane? E’ notte fonda…-
- Sono entrati degli uomini in casa. Oh perché gli zii sono via? Dobbiamo nasconderci da qualche parte!-
Mentre trascinava il fratello giù dal letto, sentì una voce minacciosa provenire dalle scale.
- Jane Hinchinghooke, sei accusata di stregoneria dallo stato del Massachusetts, consegnati al suo funzionario per sottoporti ad un regolare processo!-
Un incubo, per forza. Loro sarebbero partiti presto per l’Italia, lei avrebbe vissuto come una principessa. Aro l’avrebbe protetta da qualsiasi cosa.
Ma non c’era Aro in quel momento.
- Ce l’hanno con te! Non pensavo fino a queste accuse… avanti dammi la mano! Ci nasconderemo da qualche parte.-
Però aveva Alec. Rincuorata seguì i gesti del fratello, che stava chiudendo a chiava la porta.
- Aiutami, spostiamo tutto ciò che c’è, così ci metteranno più tempo ad entrare.-
Spostarono il comodino davanti alla porta. Qualcuno da fuori abbassò la maniglia a vuoto. Jane urlò dallo spavento: erano in trappola.
- Aprite! Non avete scampo, arrenditi strega!-
- Jane, dalla finestra.-
Insieme presero le coperte , le fissarono ad una colonna del letto e le calarono il più possibile fuori dalla finestra. Una ventata di gelo li investì, ma era l’unica via d’uscita.
Uno scoppio alle loro spalle li distrasse: stavano facendo saltare la serratura con una pistola.
- In fretta, scendiamo giù.-
La coperta arrivava a metà del muro. Saltarono ruzzolando sulla neve del giardino. Dalla camera di Alec sentirono uno schianto, la porta era stata aperta.
Aro perché non sei qui?
- Corri!-
Si precipitarono verso l’uscita. Jane sentì un altro scoppio dietro di lei.
Poi Alec cadde a terra.
Sulla neve si allargò una macchia rossa.
Dall’ombra del muro di cinta uscirono altri uomini, e dalla casa spuntarono quelli che avevano invaso la casa. Irwin trionfante stava in testa a tutti, con accanto quel traditore di Williamson.
- Alec! ALEC!-
Volto il fratello sulla schiena, e vide che si premeva il petto con una mano: dalle dita uscivano rigagnoli rosso acceso.
- No, ti prego, ti prego, non può finire così! Alec…-
- Jane…non…non sono riuscito… a salvarti…mi…mi dispiace…-
- Stai zitto, ZITTO! Aro, Aro ti scongiuro, torna qui!-
I due uomini si fermarono davanti a lei. Williamson teneva ancora in mano la pistola. Di nuovo il bruciore dietro gli occhi.
- Tu... Gli hai sparato! MUORI!-
Williamson si piegò su se stesso come trafitto nello stomaco. Il suo odio scorreva dalle pupille. Doveva soffrire, soffrire fino alla morte.
- Bendatela, ha scagliato uno dei suoi sortilegi!-
Due uomini la afferrarono, gettandole qualcosa sul viso. Sentì la stoffa che le premeva contro il naso e la bocca, si sentiva soffocare. Poi sentì che le stavano legando le mani, e la voce di Irwin.
- Lasciate perdere il fratello, ha voluto lui aiutare la strega, ed ora ne paga le conseguenze.-
Poi la sua voce si avvicinò: doveva essere chino su di lei.
- Peccato che il tuo zio non possa arrivare né ora né mai. Che tragedia gli incidenti in carrozza. Peccato, ed ora che il caro Aro è morto chi aiuterà la bella bambina?-
Morto?
Si divincolò con tutte le sue forze, urlando, ma la trascinarono via con facilità. Il sacco in testa le toglieva l’aria. Alec, Aro… morti?
Era solo un incubo…

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Capitolo 11
*** Nebbia ***


Divento sempre rossa come un peperone a vedere che qualcuno legge. Davvero, grazie di cuore!
Siamo ormai all'intreccio dei fili...

Nebbia

Se fosse stato ancora umano si sarebbe addormentato col rollio della carrozza, gli accadeva sempre da vivo, quando veniva trasportato in lettiga. Dopo millenni di veglia si accontentava di guardare il paesaggio e notarne i più minuti particolari, cosa che alla loro normale velocità, quando l’olfatto si sostituiva alla vista, non accadeva spesso. Aro stava ricontrollando le ultime carte per l’affido delle loro proprietà, con un paio di inutili occhiali che portava per vezzo. Caius tamburellava stizzito sul bordo della carrozza: sopportava poco doversi adeguare ai mezzi di trasporto umani, ed erano in viaggio già da qualche ora.
Uno scossone improvviso li sbilanciò in avanti.
- Ma no!-
Aro sbuffò guardando la riga che aveva tirato per sbaglio sul documento. Si sporse dal finestrino per rimproverare il ragazzo che guidava i cavalli. Al di là della tendina scorse un bagliore metallico: una pistola.
- Addio, signori miei. Niente di personale.-
Lo sparo echeggiò nella carrozza. Marcus vide la traiettoria del proiettile verso la fronte di Aro, e poi, sformato, lo vide cadere a terra.
Fu Caius però a reagire per primo, ringhiando di soddisfazione. Scardinò con un calcio la portiera dal suo lato, e balzò addosso a qualcuno, a giudicare dall’urlo subito soffocato in un gorgoglio di sangue.
- Dunque è stasera.-
Aro con flemma aprì il suo lato della carrozza, gustando il terrore negli occhi dell’uomo che era convinto di averlo ucciso. Prese la pistola che ancora quell’altro impugnava e la stropicciò come fosse fatta di carta, poi, stanco del gioco, con l’unghia del pollice recise la giugulare dell’uomo e bevve.
Intanto Marcus aveva percepito la presenza di altri quattro cuori che battevano, ma si erano spenti uno alla volta: Caius si stava dando da fare. Lo vide infatti passati alcuni istanti sopra il tetto della carrozza, con le labbra e le mani bagnate di sangue.
- Banditi. Non è stata la loro notte fortunata.-
- Banditi?-
Aro scoprì il volto di uno dell’uomo che aveva appena ucciso. Tutti e tre riconobbero un servitore di Irwin.
- Quindi non si accontentava di diffondere storie sul nostro conto. E se hanno provato con noi…-
Non terminò la frase, ma anche Marcus pensò la stessa cosa: i bambini.
Caius con un nuovo ringhio gutturale scomparve tra gli alberi, in direzione della loro casa, inebriato dalla caccia dopo mesi di inattività.
Marcus toccò la spalla del fratello.
- Non sapevo dell’attacco di stasera, diciamo che aspettavo una contromossa. A tempo debito spiegherò tutto, ora non sei preoccupato per i piccini soli a casa? Meglio andare.-
Poteva Aro non stare intessendo qualcosa? Ma per una volta aveva anche lui la sua sorpresa.

L’odore del sangue si sentiva da distanza, ferroso in mezzo a quello acqueo della neve. Quindi si erano sbarazzati subito del ragazzino, come si aspettava. Infatti lo vide, una macchia rossa in mezzo al giardino: il cuore pulsava ancora, debolissimo. A parte lui, non sentiva alcun battito dentro la casa: l’avevano portata via.
Si avvicinò al corpo di Alec. Il bambino doveva aver conservato le ultime forze per aspettarli, perché schiuse debolmente gli occhi.
- Aro?-
Lo disse quasi con meraviglia. Si chinò su di lui e gli prese la mano. “Incidente in carrozza”? Divertente eufemismo.
- Povero piccino…-
Erano gli ultimi respiri, sentì il cuore perdere qualche colpo. All’improvviso un’altra mano si posò sulla sua spalla ed i pensieri di Marcus gli fluirono nella mente. Guardò il fratello, che gli fece un cenno d’assenso, poi il bambino.
- Chiede se hai cambiato idea dall’ultima notte. Quale notte?-
Ma il fratello non gli stava più badando: gli era bastato che Alec sorridesse debolmente chinando il capo per abbassarsi sul corpo del bambino, prendergli il polso e morderlo.
- Cosa stai facendo?-
Non che gli importasse molto dei capricci del fratello, ma c’era qualcosa che non andava.
- Quale notte, Marcus?-
Questa volta afferrò lui la spalla del fratello, frugando nella sua mente alla ricerca di “quella” notte. Fu allora che se ne accorse: tra i ricordi, in un angolo, si alzava una nebbiolina lattiginosa, e più tentava di spazzarla via per vedere cosa contenesse, più si faceva fitta.
Dopo secoli in cui nulla gli era sfuggito, faticò a riconoscere la sensazione che gli altri chiamavano ignoranza. E fu ancora più sorpreso quando sentì la sua voce subito dopo.
- Mi devi delle… come mi sembra buffo dirlo… delle spiegazioni, Marcus.-
Il fratello stava ancora osservando il bambino, che pian piano scivolava nei tre giorni di fiamme da cui sarebbe rinato vampiro.  Quando chiuse del tutto gli occhi, Marcus gli prese di nuovo la mano. Tornò nell’angolo sommerso dalla nebbia, e quella pian piano si diradò e scomparve, mostrando i ricordi che gli erano stati celati.

Marcus osservava il bambino seduto davanti a sé.
- Davvero, non ho sentito o capito nulla!-
- Ovvio, parlavamo latino e tu non lo conosci. E’ un’altra la cosa che voglio sapere: secondo te noi cosa siamo?-
Il volto di Alec era imbarazzato.
- Persone ricche e molto gentili che ci hanno accolto in casa, perché conoscevano i nostri genitori.-
- E poi?-
Il bambino era sempre più spaventato. Evidentemente ricordava il rapimento di notte ed il bicchiere ridotto in polvere.
- Io… non lo so.-
- Tu hai paura di noi, tu credi che siamo stati noi a bruciare la casa di madame Dubarry, non è vero?-
Tremando Alec annuì.
- E allora perché sei tornato?-
- Perché Jane è felice e avrà la vita che ha sempre desiderato.-
- Moriresti per lei?-
Questa volta rispose con voce sicura.
- Si.-
- E per lei rinasceresti?-
- Cosa?-
Marcus lo issò sulla sua schiena: saltarono giù dalla finestra e si diressero verso il porto. Tre persone avevano fermato una ragazza e la stavano trascinando con loro in un vicoletto. Marcus atterrò sbarrando loro la strada. La ragazza cominciò a piangere.
- Trovatene un’altra damerino, e porta a letto il piccolo che è tardi.-
Marcus posò Alec a terra, poi il suo sguardo si diresse alla gola del primo dei tre uomini, ed si inebriò del sapore del sangue. Passò poi agli altri due, che mollata la ragazza avevano provato a difendersi con dei coltellacci. Mentre beveva dal collo del secondo, afferrò la testa del terzo con la mano e torcendola gli spezzò la spina dorsale, lasciandolo a terra esanime. Restava solo la ragazza, rannicchiata in un angolo.
- Vi prego, lasciatemi andare…-
Marcus senza darle retta la immobilizzò cingendola con un braccio, poi si voltò verso Alec.
-Rinasceresti per lei… come un mostro?-
Ed affondò i denti anche nel collo della ragazza, che urlò dal dolore. Anche Alec gridò, fissando la scena in lacrime.
Ad un tratto, le grida della ragazza cessarono, come se non fosse più consapevole del suo dolore, eppure era ancora cosciente. Morì dopo qualche minuto: Marcus radunò i corpi e li spinse in acqua. Tornò da Alec, che aveva appena vomitato e si era appoggiato al muro tremando.
- Perché avete ucciso anche lei?-
- Aveva visto ciò che sono.-
Prese di nuovo in braccio il bambino, che non oppose resistenza, e lo portò lontano dal vicolo, in una caletta sulla costa. Alec fissava l’oceano, tremando ancora.
- Questo è ciò che diventerai per seguire Jane. E’ quello che vuoi?-
Rispose solo dopo qualche minuto.
- Otterrò anche la vostra forza, la vostra velocità?-
- E l’eternità del tempo. O almeno, gli altri dicono sia un vantaggio.-
- Perché la ragazza ha smesso di urlare?-
- Perché tu hai voluto che non sentisse nulla.-
- Potrei rifarlo quando dovrò- deglutì - mangiare qualcuno?-
- Forse.-
Entrambi seguirono i movimenti delle onde per un po’.
- Avrò la forza per difenderla da qualsiasi cosa.-
- Hai deciso?-
- Si.-
- Ci penserò io quando arriverà il momento, tra qualche anno. Ed ora ascolta attentamente.-
Lo guardò negli occhi.
- Nessuno dovrà sapere di questa notte.-

Aro si riscosse entusiasta.
- Dunque è stato il bambino a fare questo? Straordinario! Da parte mia un errore di valutazione inconcepibile, ma date le qualità speciali del piccolo… ottimo lavoro. Certo, drammatico e teatrale come al solito, dico io, che messinscena piena di pathos. Bene, avrà ciò che desidera, ci sarà di grande aiuto appena si sveglierà. Che acquisti notevoli per la nostra famiglia!-
“Sia chiaro, io l’ho fatto per lui.”
- Ovvio, fratellino. Ma ora non ci resta che attendere.-

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Capitolo 12
*** Processo ***


Approfitto a poco dalla fine per rispondere in breve a chi ha lasciato il suo parere. Lo faccio con un mucchio di ritardo, sono imperdonabile... Intanto a tutte: grazie!
lady_cat: vero, Aro è un po' folle. Ed è una follia al servizio di un gran cervello, molto pericolosa come accoppiata.
_ki_: ti avevo già risposto per il sangue, però come avrai notato mi sono ispirata alla tua osservazione per una frase di Caius. Forse lui che è il più selvaggio sopporta meno l'odore del sangue umano.
houdry: grazie per tutti i complimenti ^__^ per la tua e la mia felicità la sezione volturi si sta allargando molto, eheh
midnightsummerdream: speriamo che non mi si ingarbuglino i fili della trama proprio alla fine...è il mio incubo
Luna95: alcuni personaggi sono stati creati apposta per essere odiosi. Sono contenta che svolgano bene il loro ruolo!
titti_xd: i gemellini hanno un sacco di potenziale. Peccato nella serie ufficiale compaiano così poco
Soruccio: cavolo, fai quasi più paura tu che Jane sguinzagliata! E non ti preoccupare che arriverà la giusta vendetta
Rebecca_Lupin: le ammiratrici di Marcus sono sempre le benvenute! Io sono indecisa tra lui e Caius come preferenza...

 


Processo

- Jane Hichinghooke, sei stata convocata di fronte a questo tribunale per rispondere del reato di stregoneria. Oggi, nell’anno 1692, il 22 dicembre, la giuria della città di Salem deciderà della tua sorte.-
Erano passati solo tre giorni allora? L’oscurità che l’aveva accompagnata nella cella le era parsa più lunga della sua vita.
Dopo l’agguato alla villa, Irwin l’aveva rinchiusa in una carrozza.
- A Salem. Hai iniziato lì i tuoi giorni e lì li finirai.-
Durante il viaggio aveva odiato il sacco che le avevano ficcato in testa: con gli occhi tappati l’unica immagine che le tornava in mente ere la macchia rossa sulla neve e gli occhi di Alec che si chiudevano. Dalla carrozza l’avevano trasferita in una stanza, sola con i suoi incubi.
 Nelle poche ore di sonno rivedeva Alec che la prendeva per mano e cominciava a correre, ma dietro la schiena aveva un buco da cui grondava sangue. Il grido che seguiva la portava nel buio della realtà: le avevano tolto il sacco dalla testa solo per sostituirlo con una benda sudicia, perché non usasse ancora i suoi poteri diabolici, come le aveva detto la guardia mentre stringeva il nodo tanto da farle male.
Oh quanto voleva usarli.
Che morissero tutti, che soffrissero come lei sul pavimento della cella, sballottata dagli incubi della sua mente a quelli reali. Non le avevano dato altri vestiti oltre alla camicia da notte, per trattenere ogni briciola di calore si era messa in un cantuccio, tirando i piedi sotto la stoffa leggera, poca cosa contro il freddo di dicembre.
Quando degli uomini erano entrati per portarla in tribunale si era lasciata sollevare come un fagotto di stracci: sentiva lontana anche la stretta delle mani sulle braccia, come se avesse addosso una crosta di ghiaccio. Il tepore dell’aula di tribunale la fece sussultare. Le due guardie la mollarono su uno sgabello. Il brusio e le maledizioni che si erano levate al suo ingresso furono zittite dalla voce del giudice.
Così scoprì che i tre giorni appena trascorsi sarebbero stati gli ultimi della sua vita.
Avrebbe raggiunto Alec.
E Aro.
Risentì la risata di Irwin mentre parlava di incidente in carrozza, le parve quasi di stringere ancora fra le braccia il corpo del fratello, e di sentire la neve che le bagnava le gambe.
-…ho sempre sospettato che ci fosse qualcosa di strano, sa, un incendio proprio dopo il tracollo finanziario…-
Si riscosse sentendo dopo mesi quella voce: la Mahoney? Stava testimoniando contro di lei? Sapeva che già dai tempi dell’orfanotrofio non la trovava simpatica, ma non quello.
- Poi ricordo che spaventava gli altri bambini con storie di mostri. Voi mi capite, vostro onore, credevo fossero fantasie di una sciocca ragazzina, solo ora capisco che stava evocando degli alleati infernali grazie ai suoi poteri. Se penso al pericolo corso dagli altri poveri piccoli!-
E scoppiò nel singhiozzo più finto che Jane avesse mai sentito.
- Grazie signorina Mahoney. Ed ora il prossimo testimone, Betsy Kelts.-
Una vicina della Dubarry. Preparava a lei e ad Alec dei panini dolci qualche volta, e li salutava con un sorriso dolce quando uscivano per le consegne. Forse l’avrebbe difesa. Un lumicino di speranza si riaccese nel suo cuore.
- La bambina ed il fratello sono comparsi dal nulla, raccontando bugie per ottenere un lavoro dalla povera madame Dubarry. Jane si era travestita da ragazzino, si faceva chiamare John.-
- Un chiaro esempio della propensione all’inganno ed alla menzogna, ed un affronto alla morale.-
- Esatto vostro onore. Se solo la povera madame avesse saputo cosa architettavano contro di lei! Il giorno dell’incendio in cui madame ha perso la vita, quei due erano scomparsi, non può essere una coincidenza, è ovvio che avevano appiccato il fuoco per fare un sacrificio al Maligno. Ho visto chiaramente che la nuvola di fumo che si levava dalla casa era un volto ghignante. Non lasciatevi ingannare dall’aspetto angelico della bambina, è un essere malvagio.-
Jane non trovò nemmeno le forze per protestare, dirle che grandissima bugiarda era. Se solo non avesse avuto la benda.
Se solo…
No, lui era morto, ed una terza persona stava per testimoniare contro di lei: la madre di Emilie.
- La mia bambina non è più la stessa da quando questo essere gli ha lanciato contro una maledizione. Ha tentato di distruggere la mia casa. Anche Emilie sarebbe morta come la povera madame Dubarry senza l'intervento di vostra eccellenza. Quella bambina è un essere immondo!-
Perchè invece chi racconta di "atti peccaminosi" alle sue figlie è una santa, vero signora Montgomery?
Ma già un altro testimone le aveva dato il cambio. Jane sussultò riconoscendo la voce del traditore: Williamson.
- Il defunto signor Aro Volturi aveva accolto in casa questa bambina come fosse sua figlia. Non mi spiegavo il perché di questo affetto improvviso, che aveva portato il mio signore a compiere spese folli ed assurde per lei e per il fratello. E’ ovvio che si trattava di un incantesimo per ottenere le proprietà dei miei signori, portandoli alla follia. Tutti voi siete a conoscenza degli intercorsi immorali tra la strega e il signor Aro, e lo siete altrettanto del misterioso incidente in cui sono morti i tre fratelli Volturi. Un altro incendio, vostro onore, che ha consumato la carrozza ed i loro corpi intrappolati all’interno.-
No, non questo.
Aver architettato la sua morte, mai.
Qualsiasi accusa ma non questo.
- TRADITORE! Traditore e bugiardo, siete stati voi ad ucciderli!-
Sentì un dolore lacerante alla schiena, e lo schiocco di una frusta: stremata dai giorni di prigione, cadde contro la balaustra.
- Zitta strega, come tutte quelle della tua razza cerchi di confondere le acque, ma non ingannerai questa corte. Tutti hanno potuto ascoltare e vedere come la bambina che abbiamo qui davanti non meriti nessuna pietà: Jane Hichinghooke, io ti accuso di aver evocato spiriti maligni, aver ingannato con le tue arti la brava gente di Boston spacciandoti per un maschio, aver sedotto e ucciso un uomo e aver appiccato il tuo fuoco diabolico per offrire sacrifici al maligno. Il tuo patto col diavolo è avvenuto nella più tenera età, quando ti offrì i tuoi poteri in cambio delle vite dei tuoi genitori. Neghi tu questo?-
Forse perché era certa della condanna, forse perché il suo corpo spossato chiedeva solo un po’ di riposo, non tentò nessun’altra ribellione.
- Se davvero confondo la realtà e manipolo le menti, se davvero possiedo i poteri che mi accusate di aver ottenuto dal diavolo, tornerò dall’inferno ed userò per voi la stessa pietà che avete mostrato per me.-
Nessuno fiatava nella stanza. Avevano avuto ciò che volevano, e Jane non desiderava altro che dormire, libera dagli incubi spaventosi degli ultimi giorni. Il martello del giudice Irwin picchiò il tavolo rompendo il silenzio.
- La strega ha confessato. Che il sacro fuoco distrugga le sue fiamme blasfeme. Conducetela in piazza.-
Non le tolsero la benda nemmeno quando la legarono al palo in mezzo alle fascine. Qualcuno le tagliò i capelli ancora più corti di quanto avesse fatto lei la notte che erano fuggiti dall’orfanotrofio. Peccato, così corti non avrebbe più potuto farsi i boccoli che piacevano tanto ad Aro. Le uscì dalle labbra una risata macabra quando si rese conto che in pochi minuti non sarebbero rimaste nemmeno le poche ciocche scomposte sulla sua testa. Faceva male bruciare? Quanto sarebbe durata?
Una voce maschile stava dicendo qualcosa a proposito della giustizia divina o cose del genere, poi le giunse nelle narici l’odore di cenere e sterpaglie del fumo.
Un boato di gioia selvaggia si levò dalla folla.
L’avevano abbandonata tutti.
Tutti la odiavano.
Lei non sarebbe stata da meno.

Alec si era svegliato puntualmente tre giorni dopo il morso di Marcus. Quando ancora le fiamme lo divoravano aveva pensato ossessivamente a Jane: l’avevano già bruciata? Quelle fiamme erano le stesse che l’avevano uccisa mentre lui non poteva fare nulla? Assieme all’angoscia però gli rimaneva la fiducia per Marcus, e attendeva impaziente che succedesse qualcosa, un segno che la trasformazione era finita.
Poi un po’ alla volta il dolore era diminuito, e aveva provato a sbattere gli occhi, come dopo una lunga dormita.
E vide per la prima volta un lenzuolo.
Non che fosse particolare, era un normalissimo lenzuolo bianco, ma ne poteva distinguere ogni fibra, sentire l’odore di cassapanca impregnato di sapone e di pelli di animale. La mano appoggiata sopra la stoffa doveva essere la sua, perché al suo comando si strinse a pugno, ma la pelle era candida e traslucida, e sentiva in sé una forza mai provata prima. Per non parlare del fatto che aveva sentito il rumore del lenzuolo che si piegava nella sua stretta. Altrettanto chiaramente sentì il tonfo leggero che fa un libro mentre si chiude, e si voltò d’istinto nella direzione giusta: Marcus era accanto al suo letto, sul grembo un volume dalla copertina rossa: sapeva di acqua di mare.
- Sei sveglio. Possiamo andare.-
Giusto, Jane!
Balzò fuori dal letto, con una leggerezza ed una velocità mai provate. Era affascinato da ogni movimento del su nuovo corpo, e distratto dagli odori e dai suoni che con i sensi di prima non avrebbe mai potuto percepire.
E, in fondo alla gola, un bruciore feroce, secco, ed un richiamo primordiale.
Ma doveva concentrarsi, tutto quello serviva per salvare Jane.
Uscirono da una capanna di legno in mezzo ad un bosco. Fuori dalla porta aspettavano Aro e Caius.
- Eccolo qui il nostro neonato! Siamo pronti per la missione di salvataggio direi.-
Caius ghignò, assaporando il divertimento.
Ripensò alla notte in cui Marcus aveva ucciso quella gente, e si stupì di come erano annebbiati i suoi ricordi da umano. Ripensando al cadavere dissanguato non provò più la stessa repulsione, al contrario il fuoco alla gola si fece più intenso: non era più uno spettatore indifeso, era passato dalla parte dei predatori.
- Seguici, ragazzino.-
Fu semplice come passeggiare nel parco: saltava da un albero all’altro, evitando gli ostacoli ed assaporando il vento. Si sorprese di come non provasse freddo in pieno dicembre: i vestiti erano gli stessi della notte in cui gli avevano sparato.
Lo sparo.
Si tastò la pancia alla ricerca di qualche cicatrice, ma anche lì la pelle era intatta. Si concentrò di nuovo sulla corsa, ci sarebbe stato il tempo per pensare al resto.
Tutto il tempo del mondo, aveva detto Marcus.
Presto sentì un odore dolcissimo, sempre più intenso. Un ringhio gutturale gli salì dalla gola, e Caius si mise a ridere.
- Olfatto fino! Una piazza piena di gente a giudicare dall’intensità della scia.-
Si passò la lingua sulle labbra.
- Il tuo primo banchetto.-

Tossì, ma non le diede sollievo. L’aria era talmente acre che dopo ogni colpo di tosse inspirava il doppio di ciò che era riuscita a risputare fuori. Non era ancora stata raggiunta dal fuoco, ma il fumo stava già pensando a bruciarle i polmoni.
Tra la benda ed il fumo la folla era una massa invisibile che le urlava maledizioni.
Ad un nuovo tentativo di respirare inghiottì della cenere. Tossì disperatamente, ma al respiro successivo successe la stessa cosa. I polmoni protestarono inutilmente.
“Sarà meglio morire bruciati o soffocati?”
Stava per svenire: provò a fare tanti piccoli respiri, ma la testa girava troppo, non le restavano che pochi istanti.
Al di là del crepitio del fuoco sentiva sempre le urla della gente.
Però rispetto a prima sembravano cambiate.
Sembravano urla di terrore.
Seguite da un silenzio innaturale.
Morire soffocati dava le allucinazioni?
All’improvviso sparì il buio: le pareva di poter vedere il fumo della pira, ed in mezzo al fumo dei capelli neri, un uomo dai movimenti liquidi.
E dagli occhi rossi.
- Sono tornato piccola mia.-
La testa le girava e faceva male da impazzire, mentre l’allucinazione del suo Aro le compariva davanti agli occhi prima della morte.
- Andrà tutto bene.-
Sentì una fitta sulla spalla, e da lì un dolore bruciante che si propagava per tutto il corpo.
Le fiamme dovevano averla raggiunta.
Ma lei era tra le sue braccia.

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Capitolo 13
*** Natale ***


Aggiornamento in anticipo, approfittando della domenica sfaccendata.
Grazie a chiunque mi offre un pochino del suo tempo.
Luna95: un po’ è documentazione, un pochino esperienza vissuta. No, nessuno mi ha mai condannato al rogo, però, pulendo la cucina, ho cercato di togliere delle incrostazioni con la soda caustica… ecco, brucia da pazzi la gola. Da allora solo prodotti certificati ^__^
Soruccio: Jane è stata morsa. Il motivo è semplice: dei due gemelli la Meyer dice che sono stati trasformati così giovani solo perché erano in pericolo di morte. Quindi Aro l’ha morsa perché era troppo tardi per portarla fuori viva dal rogo. Ma non preoccuparti, anche lei avrà modo di vendicarsi.

Natale

Arrivarono sul limitare del bosco. Si vedeva chiaramente la folla nella piazza, ed una colonna di fumo che si alzava dal centro della massa vociante.
- Ora fai quello che hai fatto alla ragazza quella notte: nessuno deve sentire.-
- Non so se riuscirò a farlo.-
- Lei è in mezzo a quel fumo, Alec.-
Il ragazzino ringhiò: era già tanto che non si fosse gettato in mezzo alla gente con la sua sete da neonato. Saltò oltre il limitare della foresta, sopra i tetti delle case fino alla piazza. I tre fratelli lo raggiunsero.
- Williamson, è lui quello vicino al fuoco con una torcia, vero?-
- Sì.-
- Lui voglio che veda.-
Successe allora: dalle fessure del lastricato, dai mattoni delle case, dalle tegole dei tetti si sprigionarono mille fili lattiginosi, che serpeggiarono tra i piedi della folla. La maggior parte delle persone era distratta dal macabro spettacolo del rogo, ma alcuni si accorsero degli strani fili. In particolare Caius vide una donna che scuoteva sua figlia: la bambina pareva non sentire più i rumori che la circondavano. La donna urlò spaventata, ed altri attorno a lei notarono i fili che li stavano avvolgendo. Ben presto nessuno riuscì a muovere le gambe, e gli insulti a Jane si mutarono in grida d’aiuto.
In poco tempo la piazza fu immersa in una coltre di nebbia innaturale.
- Così nessuno ci vedrà hai detto, Aro?-
- Non ci resta che provare.-
Caius scese dal tetto, piombando addosso ad un uomo: nessuna reazione. Come in un gioco da bambini, gli prese la faccia tra le mani, facendogli fare delle smorfie, poi lo schiaffeggiò. Ma l’uomo non rispose in nessun modo, continuando a fissarlo con occhi vacui. Allora Caius, stanco, gli strappò un braccio. Il sangue schizzò sulle persone vicine, mentre l’uomo si accasciava in un urlo muto.
- Caius, quante volte ti avrò detto di non giocare col cibo?-
Aro era spuntato dal fumo del rogo, tenendo in braccio Jane. I suoi occhi da vampiro notarono i due puntini rossi sul collo: la trasformazione era già in corso.
Caius allontanò con un calcio l’uomo, poi puntò il braccio staccato contro il fratello.
- Non c’è gusto così. Dov’è l’ebbrezza della caccia se la preda non reagisce?-
- Tu!-
Un’altra voce oltre alle loro?
In un angolo del palco Williamson si ritraeva davanti ad Alec.
- No, tu sei morto! Ti ho sparato io!-
Tremando tirò fuori una pistola e sparò contro il bambino. Alec non si fermò nemmeno un istante. Il segretario tentò allora con un pugnale che teneva alla cintura: la lama squarciò la camicia, ma non scalfì nemmeno la pelle di Alec.
- Buongiorno signor Williamson. Questo è per mia sorella.-
L’ultimo grido dell’uomo si spense nella piazza silenziosa. Alec si pulì il sangue dalla bocca. Vide Aro e il corpo di Jane tra le pieghe del suo mantello.
- Come sta?-
- Rivivrà, come te. Ti senti affaticato?-
- E’ difficile… non riesco ancora a credere che la nebbia sia opera mia.-
- Guarda, altre vecchie conoscenze, o mi sbaglio?-
Aro accennò in direzione di una donna: la loro vecchia sorvegliante, la Mahoney.
- Puoi fare tutto ciò che hai sempre desiderato, a lei, a chiunque tu voglia.-
Gli occhi rossi di Alec brillarono.
Era così dolce la prima volta il sapore del sangue.

Irwin passeggiava pensieroso per il salotto. Il giorno del processo era ripartito subito per Boston, pensando di aver liquidato la faccenda. Ed invece il messaggero trafelato, il racconto di una strana nebbia e dei cadaveri ritrovati quando era scomparsa. Aveva detto di aver combattuto per molti anni il demonio, ma fino a quel momento esso aveva avuto tratti molto umani. Si versò un bicchiere di liquore, doveva calmarsi.
- Buona sera, giudice Irwin.-
La bottiglia gli scivolò di mano, infrangendosi sul tappeto. Non poteva essere, non quella voce.
- Non mi chiede nemmeno di accomodarmi? Che sgarbato, e pensare che ho una bambina con me…-
- No, impossibile, non voi!-
Aro stava sfogliando con calma un libro, dietro di lui una bambina ammantata di pelliccia gli teneva il mantello.
Jane!
- Siete pallido, Irwin, dovreste sedervi un pochino accanto al fuoco. Su Jane, va a giocare mentre lo zio parla col suo collega. Ho da raccontarvi una storia interessante.-
Aro lo aveva preso garbatamente per il braccio e accompagnato alla poltrona. Poi, perfettamente e suo agio, si era accomodato di fronte a lui. La bambina, sedutasi sul tappeto, aveva tirato fuori dal mantello una bambola e le stava pettinando i capelli.
- Otto anni fa c’era un giovane proprietario terriero a Salem, di nome Thomas. Thomas aveva un amico di cui si fidava, e lo aveva nominato amministratore del suo patrimonio e di quello della moglie Gwendaline. I due erano la coppia ideale: ricchi, giovani e con due splendidi figli. Una vita troppo bella per non suscitare invidie, anche tra gli amici più cari. Fu così che il fedele amministratore cominciò a desiderare parte di quella felicità, e trattò, diciamo, con disinvoltura le proprietà che gli erano state assegnate. Qualche complice compiacente ed ecco che i terreni finivano nelle sue mani, mentre il povero Thomas credeva di essere perseguitato dalla sfortuna. Tutto andava per il meglio, finché Gwendaline, una sera, scoprì alcune carte che non doveva assolutamente vedere. Urlò all’uomo che avrebbe raccontato tutto a suo marito, che lui, con la sua fama di giudice integerrimo, sarebbe marcito in prigione fino alla fine dei suoi giorni. Che poteva fare il poveretto? Spinto dalla disperazione uccise la donna, e, col terrore che altri lo scoprissero, diede alle fiamme l’intera casa, portando in salvo le sue preziose carte. Proprio il giorno successivo lo chiamarono per un incarico prestigioso in Inghilterra, così non seppe che i due figli del suo amico erano sopravvissuti. Tornato giudice e trionfante a Boston, vide per caso uno dei due bambini, e nei suoi tratti le due persone che aveva ingannato e ucciso. Riaffiorarono i demoni del passato: doveva disfarsi anche di loro. Qualche giorno dopo bruciava anche la casa di colei che aveva osato dare ospitalità a quei due, ma ancora una volta il destino aveva risparmiato i gemelli. Non solo, la notte stessa le famose carte spariscono misteriosamente nel nulla. Come se non bastasse un ricco ed eccentrico nobile italiano si incapriccia della sorte dei due bambini, e li prende con sé. Il giudice comincia a sospettare che quell’uomo sappia qualcosa, così sale il numero di persone da mettere a tacere. Ora, immaginatevi questa persona terrorizzata che si scoprano i suoi piani, lui, fulgido esempio di rettitudine. Si convince che solo il fuoco può purificare il mondo da chi ha i modi per infangare la sua reputazione: dà fuoco alla carrozza su cui viaggiano l’italiano ed i fratelli, abbandona il bambino in un lago di sangue, condanna la sorella al rogo. Tutto va secondo i suoi piani, il giudice Irwin può finalmente riposarsi. Ed allora perché vi vedo così agitato?-
Il giudice afferrò il ferro per rimestare i ciocchi nel camino, e con un urlo disperato si avventò su Aro. Ma la bambina con una semplice spinta lo fece volare contro la parete opposta. Stordito dal colpo, non fece in tempo a rialzarsi che Jane gli conficcò nel braccio il ferro, trapassando la carne ed il muro dietro di essa. Cacciò un altro urlo, poi gli rimase solo la forza per emettere gemiti scomposti. La bambina lo stava fissando con odio, ed allora notò i che i suoi occhi erano rosso rubino.
- Mi avete rubato tutto, signore. Vorrei che aveste sette vite per strapparvele una dietro l’altra. Mi accontenterò di togliervi lentamente l’unica che avete.-
Il dolore al braccio gli sembrò una puntura d’insetto in confronto all’onda che gli arrivò addosso. Rantolò senza nemmeno la voce per urlare, sentì il sangue che gli colava dalla bocca e lo soffocava. La voce di Aro gli giunse lontanissima.
- Di che vi lamentate, giudice? E’ solo il fuoco che ha consumato le vostre vittime.-

Jane si rassettò il vestito, pulendosi i denti e la bocca in un fazzoletto. Poi si rimise i guanti bianchi di seta, tolti prima per non sporcarli col sangue. Si risistemò il cappotto sulle spalle e prese la sua bambola nuova, una bambola bellissima, con boccoli di capelli veri ed un incarnato di porcellana.
Proprio come il suo.
Lanciò un’ultima occhiata al cadavere di Irwin riverso sul pavimento, sorrise soddisfatta e porse la mano ad Aro.
- Buon Natale, piccola mia.- 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Primo gennaio 1693

La nave scivolava sull’oceano, calmo nonostante si fosse in pieno inverno.
Sulla prua, Jane si teneva stretto alla testa il cappello, per difenderlo dalle insidie del vento invernale. Alec accanto a lei fissava incantato le onde e l’orizzonte grigio che sfumava nel cielo. Qualche timido fiocco di neve cadeva sul legno del veliero, o turbinava per morire fra la schiuma delle onde. Avevano perso di vista la costa americana da qualche ora, e li aspettava il lungo viaggio verso l’Italia.
Sul ponte, Marcus e Aro contemplavano i giochi dei due bambini.
Avevi previsto tutto?
- Di che parli?-
La notte in cui sei andato a prenderli, sapevi dell’attacco di Irwin.
- Alla festa si è lasciato scappare qualche pensiero di troppo. Volevi forse che li lasciassi morire bruciati?-
Non è questo che mi suona strano: perché mai uno dopo aver fatto scampare da morte certa due bambini, svela il luogo dove si trovano a chi li voleva uccidere?
-Già, perché mai, Marcus? Sono curioso.-
La notte dell’incendio hai mandato Caius a trafugare le carte che svelavano la colpevolezza di Irwin, ma non le hai usate subito per accusarlo.
- Avrebbero creduto a loro stimatissimo giudice o ad un papista appena arrivato dal vecchio mondo? Volevo solo che si sentisse minacciato, e volevo divertirmi a spiare le sue contromosse.-
 Sapendo che era sospettoso per il furto, ti sei poi presentato da lui per la tutela dei due bambini, ho visto la sua firma sulle carte. Tra tutti i giudici, proprio quello che li voleva morti. Iniziano poi i pettegolezzi su di te, e tu che non fai nulla per fermarli, fino a decidere, la sera in cui sapevi dell’agguato, di lasciare Jane e Alec soli in casa. Tu volevi che li prendessero, anzi, che la prendessero. Alec poteva anche morire.
- Hai voluto ripercorrere l’intera vicenda solo per rinfacciarmi il mio unico errore?-
No, non mi importa. Voglio solo sapere perché l’hai fatto, perché l’hai messa in mano a Irwin invece che metterla in salvo da qualche parte?
- Secondo te, Marcus?-
 E all’improvviso capì: era straordinariamente semplice, e proprio per questo spaventoso.
Non volevi che crescesse.
Aro sorrise.
- Ho sempre desiderato una bambolina da viziare e coccolare.-

17 febbraio 1919

- Signor Masen Cullen! E’ insolito vedere un questa parte della biblioteca uno studente di medicina.-
- Ero interessato ad approfondire le tecniche mediche nel mondo classico, è per una ricerca d’esame. Mi hanno detto che nella sezione latina possedete un originale del “Sugli elementi secondo Ippocrate” di Galeno. Potrei consultarlo.-
E figurati se non conosceva pure latino e greco. Tutte le fortune a questo bellone.
Edward non fece caso al resto dei pensieri del bibliotecario, e aspettò solo che tornasse con una teca contenente una pergamena molto antica.
- Può consultarlo solo dentro i locali della biblioteca sotto la mia supervisione.-
- Lo prendo solo un attimo.-
Slacciò con attenzione il nastro che chiudeva il rotolo, e cominciò a svolgere la pergamena. Ancora prima del titolo, in una grafia molto libera, in contrasto con quella ordinata del resto dell’opera, c’erano scritte alcune parole. Si chinò sulla carta per decifrarle meglio.
      Marco Volturi, amicus meus, libellum donum facio. Galenus med.
“A Marcus Volturi, mio amico, faccio dono del mio libretto. Medico Galeno”
- Mi scusi, si sa chi è la persona nominata nella dedica?-
Oh, finalmente una domanda interessante.
- E’ una frase misteriosa: uno dei tre fratelli che donarono la collezione alla biblioteca era omonimo dell’uomo della dedica. Si pensa fosse un antenato della famiglia. Beh, certo non può essere la stessa persona, vero?-
Il bibliotecario rise alla sua battuta, Edward lo assecondò con un sorrisetto.
Sarebbe rimasto sorpreso nel sapere la verità.

3 aprile 1993

- Heidi, hai visto Jane in giro per caso?-
- Ma come, non sai che giorno è oggi?-
- Non ne ho la più pallida idea.-
- Seguimi.-
Heidi lo portò ad una finestra che si affacciava sul cortile interno del loro palazzo. In un angolo fioriva rigoglioso un pergolato coperto di glicine. Sotto i fiori, Jane stava apparecchiando con un servizio da the e vassoi di dolci.
- Non dirmi che Jane, quella Jane che per gioco ti tortura fino a impazzire, gioca ancora a prendere il the con le bambole?-
- Non proprio con le bambole, Felix.-
Dal portone del cortile era spuntato Aro. Jane gli corse in contro ridendo, lo fece accomodare su una sedia e gli porse the e pasticcini.
- Il signor Aro…?-
- Fanno così ad ogni centenario del loro primo incontro. Non l’avresti mai detto, eh?-
Felix seguì con lo sguardo Jane che annusava il the, poi la vide giocherellare con le chiazze di luce che filtravano dai rami, facendo brillare la pelle delle sue braccia. Ad un certo punto, Aro tirò fuori un pacchetto, e la bambina lo prese in mano stupita. Lo scartò con foga, rivelando un vestito leggero: Jane se lo appoggiò sulle spalle, volteggiando qualche volta per vederlo gonfiarsi al vento, poi si gettò tra le braccia di Aro.
La cosa più strana di quella scena non era Jane che cucinava e faceva finta di mangiare muffin, o Aro che le dava corda e la prendeva in ginocchio come un papà premuroso.
Felix non l’aveva mai vista con quello sguardo.
Lo sguardo innocente di una bambina.






Ed eccoci giunti alla fine della storia. In questi mesi la sezione, con mia gioia immensa, è cresciuta molto. Speriamo che si vada avanti su questa strada ^^
Sul "making of" della storia: si partiva dal fatto che i due sono stati trasformati durante la caccia alle streghe di Salem. Ricercando le date, ho visto che l'università di Harvard era nata proprio negli stessi anni, e mi è parsa una buona scusa per far viaggiare i nostri fratelli in America.   Ho scelto che Jane fosse processata da un giudice e non da un prete perchè ho scoperto che Boston era la roccaforte degli antipapisti: non esistevano chiese cattoliche o preti, erano tutti puritani, e nel puritansimo la condanna delle streghe era fatta da tribunali civili.
Credo si capisca bene, ma per me Jane è più interessante vista come bambina più che come adolescente. Mi sono ispirata molto a Claudia, la bellissima bimba vampira di Anne Rice. Volevo rendere il contrasto tra il suo odio o disprezzo per il mondo ed il suo amore per il fratello e per Aro.
Alec invece me lo immaginavo più titubante all'inizio, meno portato alla vita da vampiro, ma fedele alla sorella.
Aro: è un presonaggio complicato, uno che sa tutto appena ti tocca è difficile da rendere. Volevo mettere un po' in scena questa sua famosa capacità di tessere trame, dato che nel libro non è che ne dia sfoggio così tanto.
La noncuranza di Marcus l'ho messa un po' come disprezzo verso i suoi due fratelli: a lui non importa in fondo dei piani di Aro o della furia di Caius, vuole solo starsene in pace. Per questo è stato attirato da Alec e dal suo potere, per me lo invidia moltissimo...
Caius non compare molto, perchè me lo tengo stretto per storie più di azione^^

Ultimissimo, ringrazio tanto chi ha seguito fin qui la storia, in particolare:
Luna95: grazie millissime per i complimenti. Volevo movimentare un po' la scena e rendere bene la vendetta di Jane
Soruccio: no, il bambino non è detto che muoia. La madre si era spaventata perchè non si muoveva più, dato che era già stato sommerso dalla nebbia di Alec. E grazie per il tuo entusiasmo!

A tutti: mi farebbe piacere un parere conclusivo, per migliorarmi. E' il primo racconto che scrivo da anni, e ho ritrovato la passione che avevo un po' accantonato durante l'università, ma so che sono arrugginita e che ho molto da recuperare.
Grazie di nuovo a tutti e alla prossima!

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