Method to the Madness

di x_X_Rapunzel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 Method to the Madness

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Nessun luogo al mondo era più tetro, angusto e orripilante dell’Arkham Asylum e nessuno “sano di mente” ci avrebbe mai messo piede di sua spontanea volontà.  L’Asylum non era un semplice manicomio situato nella periferia di Gotham City, no: era l’“Ivy League” della pazzia. Tutti i più grandi nemici di Batman considerati legalmente pazzi venivano rinchiusi qui dentro per garantire la sicurezza degli abitanti di Gotham. Qui dentro era rinchiuso il peggio del peggio ma di sicuro nessuno avrebbe mai potuto raggiungere la sua fama in fatto di peggio.

E questo Harleen lo sapeva bene.

Se ora si ritrovava a percorre i bui corridoi sotterranei dell’Asylum non era certo per la sua volontà. Aveva accettato di lavorare qui solo e soltanto per lui, e non solo: tutto quello che aveva fatto era stato per lui. La ragione per cui aveva studiato e si era in seguito laureata a soli ventitré anni in psichiatria in una delle migliori Università della nazione, era lui.

Tutto per lui.

Si ricordava ancora la prima volta che l’aveva visto: era in primo piano sulla copertina del giornale di Gotham, un’altra rapina a mano armata da parte del Joker e dei suoi scagnozzi nei confronti di una delle banche più potenti di Gotham City. La polizia, il commissario Gordon, Batman, tutti erano alla sua caccia. Forse alla fine, dopo diversi scontri e inseguimenti, l’avrebbero catturato e Batman l’avrebbe sbattuto all’Arkham Asylum. E nel giro di qualche giorno, o qualche settimana al massimo, lui sarebbe scappato con uno dei suoi mille trucchi e sarebbe ritornato a seminare il panico in città. Finiva sempre così.

Mentre il rumore dei tacchi di Harleen risuonava lungo i tetri corridoi e attraverso le mura e si faceva strada verso la sua cella, la ragazza si domandava se davvero fosse questa la cosa giusta da fare.
Era davvero pronta per affrontare il Joker?

Il dottor Arkham l’aveva avvertita bene, l’aveva messa in guardia su tutto quello che doveva sapere.
“Questo non è un gioco, Harleen” le aveva detto “Il Joker non è un semplice criminale: è un pazzo, un folle che non si fermerebbe davanti a niente e a nessuno pur di raggiungere i suoi scopi.”
Ma Harleen lo aveva assicurato di essere al corrente della pericolosità della sua richiesta di lavorare con il Joker e se ne assumeva tutte le responsabilità. Voleva, anzi doveva farlo. Il suo prossimo obbiettivo era quello di scrivere un libro su tutti i casi che fosse riuscita a trattare nella sua carriera e il Joker era il caso più importante e complesso che qualsiasi psichiatra avrebbe mai potuto affrontare nella sua vita.

Erano servite parecchie settimane ad Harleen per convincere il dottor Arkham a concederle il caso del Joker. E tutto questo con l’aggiunta di ulteriori misure di  sicurezza  che il dottor Arkham aveva deciso di prendere per la salvaguardia di Harleen e a nulla erano servite le sue proteste nei confronti di quella decisione per lei troppo severa.
“O così o niente, dottoressa Quinzel” aveva detto “Non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa, questa è anche una mia responsabilità. Sono il direttore, dopotutto!”

Ma alla fine erano arrivati ad un accordo e ora lei era proprio lì dove doveva essere, davanti alla cella del Joker. Ai due lati della grande porta blindata c’erano due gigantesche guardie armate fino ai denti che controllavano l’ingresso.
Avrebbero potuto uccidere qualsiasi uomo senza alcun problema, ma Harleen era sicura che per il Joker non avrebbero rappresentato alcun ostacolo. Sarebbe stato in grado di liberarsene con un battito di ciglia, pensò Harleen.
Con mani tremanti, la dottoressa si sistemò gli occhiali sulla punta del naso prima di parlare.

«Sono la dottoressa Harleen Quinzel…» mormorò la ragazza mostrando il suo ID ad una delle due guardie «Sono stata assegnata al…»
«Okay, va bene» la voce profonda della guardia la interruppe bruscamente, lasciandola a boccheggiare a vuoto. L’uomo lanciò un veloce sguardo al suo compagno e senza proferire una parola i due aprirono la pesante porta blindata senza il minimo sforzo.
Il rumore sinistro emesso dalla porta fece salire dei brividi lungo la schiena di Harleen, che proprio in quel momento iniziò a chiedersi perché  l’aria di questo posto puzzasse così tanto di morte.  I suoi occhi blu si fissarono sulla stanza buia, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che avesse potuto giustificare la sua voglia di darsela a gambe levate.
«Di qualsiasi cosa abbia  bisogno, dottoressa…» la guardia parlò di nuovo, poggiando una mano sulla spalla di Harleen, in un gesto che avrebbe dovuto rassicurarla «non esiti a farsi sentire.»
Harleen annuì «Grazie.»
«Stia attenta con lui, è un folle.» aggiunse l’altra guardia poco prima che la porta si chiudesse dietro di lei, con un suono poco tranquillizzante.

La cella era buia, nera quasi, fetida e terribilmente tetra se non fosse stato per l’unico spiraglio di luce proveniente da una finestrella scavata nel muro. Era una luce debole ma riusciva ad illuminare gran parte della stanza.
Harleen si guardò intorno, i suoi occhi analizzarono lo spazio in lungo e in largo finché non lo vide. Là, seduto all’unico tavolo presente nella stanza, lontano dalla luce rassicurante del sole.
I suoi occhi glaciali erano fissati nel nulla, vuoti, il suo profilo rivolto lateralmente. I capelli di colore verde intenso contrastavano con la pelle pallida e bianca, segnata da qualche ferita e graffio e coperta da stravaganti tatuaggi. Un vago sorriso era stampato sulle labbra rosse e sottili.
Harleen si mosse con cautela per avvicinarsi a lui. Tutto quello che aveva sentito e tutto quello che aveva letto e studiato, non potevano nemmeno essere paragonati al vederlo davanti ai suoi occhi increduli.

Harleen si schiarì la voce «Salve, sono la dottoressa Quinzel, la sua nuova psichiatra»
Niente. Nessuna risposta.
La ragazza allora sbatté il blocco degli appunti su cui scriveva e annotava le informazioni durante le sedute sul tavolo in metallo di fronte a lei. Bam.

Il rumore attirò finalmente l’attenzione del clown, che ora la guardava attentamente in faccia. I suoi occhi così pallidi e chiari studiavano ogni singola caratteristica del suo bel viso. I suoi capelli biondi raccolti in un morbido chignon che le incorniciava il viso, gli occhi blu come l’oceano nascosti dietro alle lenti degli occhiali da vista, il naso alla francese e le sue labbra rosse e carnose.

«Oh, buongiorno dottoressa» mormorò il Joker con voce grave, senza staccarle gli occhi di dosso «Finalmente ho un po’ di compagnia in questa cella buia, cominciavo a sentirmi un po’ solo…»

«Sono desolata, Mr. Joker ma queste sono precauzioni che è stato necessario prendere al fine della mia sicurezza e quella dell’intero Asylum. Io…» il discorso della ragazza venne brutalmente interrotto dalla fragorosa risata del clown, seduto di fronte a lei e costretto in una camicia di forza.

«Oh, certo…immagino, dottoressa» disse, sporgendosi con la parte superiore del corpo verso la ragazza, allungandosi sul tavolo per cercare in qualche modo di dividere la distanza che li separava «E dimmi, hai paura?»

Harleen deglutì silenziosamente. Aveva paura? Forse. Anzi, sì. Era intimorita dalla presenza del clown e tutto quello che aveva sentito della sua famosa reputazione non l’aveva certo rassicurata. Il Joker era stato messo in cella di isolamento, tenuto lontano da tutto e da tutti, a causa della sua grande abilità nel manipolare la mente di chiunque gli fosse accanto. Non era raro che all’Arkham Asylum scoppiassero rivolte e disordini tra i criminali detenuti, tutte originate grazie a lui e ai suoi trucchetti ovviamente.
«Qui le domande le faccio io, Mr. Joker» disse Harleen poggiando la penna sul tavolo e fissando i suoi occhi in quelli di lui «E ora è il momento di iniziare la nostra sessione»

«Uh, sei una tipa decisa dottoressa Quinzel!» affermò il clown sorridendo largamente, mostrando i denti coperti dalle griglie in metallo «Questo mi piace…»

Harleen aprì la bocca per iniziare con le domande che aveva preparato ormai da diversi giorni ma prima che potesse pronunciare una qualsiasi parola, il Joker la interruppe ancora
«Comunque non mi hai ancora detto come ti chiami, dottoressa» Il Joker ora si era sporto ancora di più, fino ad arrivare a metà del tavolo «Una ragazza bella come te dovrebbe avere un nome al pari della sua bellezza, non credi?»
Harleen sentì le sue guance bruciare e in quel momento fu davvero grata che la stanza fosse quasi buia.

I suoi occhi di ghiaccio la fissavano con intensità, scrutandone il volte alla ricerca di una qualsiasi paura e incertezza che avrebbe potuto sfruttare a suo favore. Ma con sua grande sorpresa, il clown non trovò nulla.
«Harleen.» mormorò la ragazza «Il mio nome è Harleen Quinzel»
Un piccolo sussulto di sorpresa uscì dalle sue labbra non appena il Joker scoppiò di nuovo a ridere. Ora la sua schiena era contro il sedile della sedia e la sua testa era caduta all’ indietro mentre le risate uscivano dalla sua bocca rosso sangue come un fiume in piena.
«Oh, oh sì mi piace! Mi piace molto!» esordì il clown dopo aver calmato la sua risata «Se lo rielabori un po’ ottieni il nome Harley Quinn! Sai, è un nome che mi mette di buon umore, mi fa sorridere*»
Harleen si schiarì la voce per l’ennesima volta e prese tra le mani il blocco con i suoi appunti. Fece scivolare lo sguardo sulla pagina ricoperta di domande che lei stessa aveva scritto e per qualche minuto nella stanza calò il silenzio più assoluto.

«Che cosa prova quando uccide, Mr. Joker? Quando provoca dolore alle persone?» chiese la dottoressa, alzando lo sguardo per incontrare quello del criminale di fronte a lei.

Il sorriso del Joker si allargò ancora di più «Non provo niente, dottoressa.» spiegò il clown «Ma quando sento le urla disperate delle persone, le loro preghiere per aver salva la vita…quando vedo la città in fiamme distruggersi davanti al mio sguardo, mi viene…»

«Le viene?» chiese impaziente, sporgendosi dalla sedia per avvicinarsi a lui

«Mi viene da ridere!» esclamò ridendo «Mi diverto a dismisura a vedere le facce di quei poveretti! Ma ancora di più, mi piace vedere la faccia di quello stupido pipistrello volante…piacerebbe anche a lei dottoressa, ne sono sicuro!»

«Ne dubito, Mr. Joker. Non traggo piacere nel vedere la gente morire, non mi diverte affatto» affermò la ragazza abbassando lo sguardo.
«Oh, davvero?» le chiese il Joker, il suo tono era quasi dispiaciuto «E allora cosa mai a questo mondo la diverte, dottoressa?»
«Il divertimento non è una delle mie priorità» rispose, sistemandosi gli occhiali e guardando dappertutto tranne che nei suoi occhi «E ora torniamo alla sessione…»

«Oh! Che cosa sentono le mie orecchie?» sbottò il clown «Dottoressa, ma cosa sarebbe la vita senza divertimento, mh? Non servirebbe a niente!»

Gli occhi blu della ragazza ritornarono a fissarsi su quelli pallidi del Joker. Era probabilmente l’uomo peggiore che il mondo avesse mai visto: un super-criminale, un pazzo, un folle che si voleva soltanto divertire alle spese dei poveri malcapitati che gli capitavano a tiro. Gente innocente, lavoratori con figli e famiglie che volevano solo vivere tranquilli. Gente che non meritava tutto quello che quel clown spregevole causava loro e a tutta la comunità di Gotham City. E allora perché lei si sentiva così attratta da lui, anche se era tutto così sbagliato? Perché sentiva che c’era un legame tra loro anche se erano così diversi e questa era soltanto la prima volta che l’aveva visto?

«Ho ragione, dottoressa?» chiese il Joker, accorgendosi dello sguardo insistente della ragazza su di lui «È per questo che se ne sta in silenzio? Ha capito che ho ragione?»

Harleen scosse la testa «Il divertimento è solamente il suo modo per avere attenzione…oppure un modo per dire la verità senza necessariamente doverla dire sul serio…»

Il Joker sorrise. Un sorriso ampio e largo che gli prendeva quasi tutta la faccia «O per avere potere, dottoressa.»

La schiena di Harleen era appoggiata ora allo schienale della sedia, i suoi occhi guardavano dritto davanti a lei «L’ascolto» disse solo, incitandolo ad andare avanti.

«Falli ridere e avrai un pezzo di loro» affermò il clown «e se hai un pezzo di loro, allora li hai in pugno e puoi piegarli alla tua volontà*»

I suoi occhi di cristallo avevano un sinistro luccichio, qualcosa che avrebbe dovuto allarmare qualsiasi persona che si trovava a così poca distanza dal Joker, ma non Harleen. No, lei era affascinata da lui, da come parlava e come lo diceva. Era tremendamente interessante.

La mano di Harleen scribacchiò velocemente qualcosa nel suo blocco degli appunti, annotazioni di quello che il Joker le aveva appena detto «P-penso che sia il caso di proseguire con le domande, Mr. Joker» parlò, voleva apparire sicura ma la sua voce flebile la tradiva «E d’ora in poi niente più interruzioni, almeno per questa seduta. Chiaro?» continuò.

«Oh, certo, come desidera» il clown sorrise «Proceda pure, dottoressa, sono tutto orecchi.».








Note dell' autrice:
Ciao a tutti.
Ho deciso di scrivere questa storia sull'origine di Harley Quinn perché l'argomento mi ha sempre affascinato. Ci sono tante versioni possibili riguardo alla "nascita" di Harley e io ho deciso di scrivere la mia. 
Prima di scrivere questa storia mi sono documentata su diverse fonti (cartoni animati, diversi fumetti, alcuni film tra cui Suicide Squad ovviamente, ecc) e mettendone insieme diversi elementi, ho cercato di creare la mia versione. 
Non so se per ora io ci sia riuscita, ma questo dovete dirmelo voi.
Se la storia vi è piaciuta o la trovate interessante e volete che io la continui (o anche se volete muovermi qualche critica, ovviamente) mi piacerebbe davvero moltissimo se mi lasciaste qualche recensione. Lo apprezzerei davvero tanto. 
Grazie se siete arrivati fino a qua e avete avuto voglia di leggervi tutto il papiro che ho scritto. 


*(primo asterisco) questa frase è tratta dal cartone animato di Batman: "The New Batman Adventures", Mad Love (espisodio 21)
*(secondo asterisco) quella frase in particolare e la conversazione scritta in corsivo, l'ho presa da un fumetto chiamato "Suicide Squad" (The New 52) dove viene trattata l'origine di Harley Quinn 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Method to the Madness


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Erano passati diversi giorni dalla prima seduta con il Joker e Harleen era più convinta che mai che sarebbe riuscita ad ottenere dei progressi, se avesse continuato così. Certo, anche solo pensare ad una cura adesso era da pazzi ma Harleen era fiduciosa. Ce l’avrebbe fatta, questo era quello che si ripeteva ogni giorno. La sua carriera da psichiatra dipendeva da questo.

«Buongiorno, dottoressa Quinzel» esordì la dottoressa Leland, aprendo la porta del suo ufficio «Sono veramente grata che lei sia riuscita a trovare qualche minuto per parlare»
Harleen le sorrise timidamente, entrando nell’ufficio «Nessun disturbo, dottoressa Leland. Perché sono qui?»

«Ho bisogno di parlarti per quanto riguarda il Joker.» rispose la donna «Siediti pure»
Harleen si mise a sedere e solo in quel momento, quando voltò lo sguardo verso l’angolo sinistro della stanza, si accorse anche della presenza del dottor Arkham impegnato a leggere alcuni appunti su dei fogli di carta.
«Salve, dottor Arkham» lo salutò la ragazza. L’uomo alzò finalmente lo sguardo dalle carte che stava leggendo per farle un cenno di saluto con il capo e borbottare un “buongiorno”.

«Harleen…» la voce della dottoressa Leland attirò la sua attenzione «Mi sono permessa di dare un’occhiata ai tuoi appunti sul Joker e devo dire che sono molto…sorpresa»

Harleen sgranò gli occhi: aveva guardato i suoi appunti? La cosa la infastidiva leggermente, le cose che aveva appuntato su quei fogli erano ciò che il Joker le aveva detto personalmente in quei momenti in cui poteva restare da sola con lui. Non le andava che altri mettessero il naso, anche se si trattava di lavoro.

«Sì» intervenne il dottor Arkham, appoggiando i fogli che aveva in mano sul tavolo, proprio di fronte ad Harleen «Il Joker sembra gradire la sua presenza dottoressa, il che è alquanto sorprendente considerando i suoi comportamenti con i precedenti psichiatri che gli sono stati affidati.»

Harleen sorrise soddisfatta. Ciò significava che tra lei e il Joker c’era davvero un legame speciale. Non era la sua immaginazione a giocarle brutti scherzi.
«Tuttavia» continuò il dottor Arkham «Penso sia ancora necessario mantenere il livello di sicurezza, quindi la camicia di forza rimarrà.»
Harleen sbuffò «Ma dottor Arkham, non pensa che il paziente potrebbe sentirsi più a suo agio senza la camicia?»

Dopo il secondo incontro che aveva avuto con il Joker, Harleen aveva fatto di tutto per convincere entrambi i dottori a togliere la camicia di forza. Ma nessuno aveva mai acconsentito. L’avevano semplicemente liquidata con la solita scusa che usavano sempre: “è troppo pericoloso” o “la sua sicurezza potrebbe essere a rischio”. Ma la ragazza non ci credeva: lui non sarebbe mai arrivato a tanto. Aveva visto l’espressione nei suoi occhi quand’era con lei, come la guardava quando parlava. Non le  avrebbe fatto nulla, o comunque, non l’avrebbe mai uccisa. Di questo Harleen ne era sicura.

«Dottoressa Quinzel, la questione qui è seria» ora a parlare era la dottoressa Leland «Ha una vaga idea di quello che è successo a chi prima di lei ha avuto il Joker in cura?»

Harleen scosse la testa. Aveva sentito molte voci sulla questione per i corridoi di Arkham, tra gli infermieri e le guardie, ma nulla poteva essere considerato come fonte affidabile. In fondo, erano solo voci o almeno, questo era quello che pensava lei.
«Le basta sapere che l’ultimo dottore che ha curato il Joker, si è suicidato.» spiegò la dottoressa «Gli altri li ha uccisi lui personalmente, molti sono diventati pazzi e uno si è trasferito molto lontano da qui e ora non si sa più niente di lui. Non voglio che nulla di tutto ciò succeda a lei. Sono stata chiara?»

La giovane ragazza annuii e poi fece un timido sorriso «Sono certa che nulla di tutto ciò potrà accadermi. Sono al corrente di quello che è in grado di fare e mi creda dottoressa Leland, non mi spaventa affatto.»

 
***
 
«Perché non mi parla un po’ della sua infanzia Mr. Joker, ha qualche ricordo felice?» chiese Harleen mentre batteva la penna ritmicamente sul blocco delle note. Il Joker oggi era stranamente mansueto.

«Oh, insomma dottoressa Quinzel! Ci conosciamo da un po’ ormai, non sarà il caso di abbandonare queste noiose formalità?» le domandò il clown sorridendo.

Harleen gli sorrise, un sorriso sincero «E come dovrei chiamarla allora? Mr. J?» chiese la ragazza

«Mr. J…» ripeté il clown « Mi piace come suona»

«D’accordo, se questo la fa sentire più a suo agio non vedo dove stia il problema» concluse, appoggiandosi allo schienale della sedia. Il sorriso era ancora sul suo volto mentre pronunciava quelle parole.

«Brava la mia dottoressa!» Il Joker si sporse verso di lei «E mi lasci dire che non c’è nulla di più attraente di una donna che sorride, soprattutto se è bella quanto lei.»

Il clown le strizzò un occhio e Harleen non poté fare a meno di arrossire. Questa era già la seconda volta che arrossiva per un suo commento e per quanto non volesse farlo, non poteva evitarlo. Lui le faceva quell’effetto e più tempo passava con lui e più la situazione peggiorava.

«Risponderà mai alla mia domanda, Mr. J?» chiese la ragazza, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio

«Che domanda mi aveva fatto?» chiese il clown, più a se stesso che a lei «Ah sì! La mia infanzia, giusto! Sa dottoressa, non è una cosa di cui parlo molto volentieri…»

Il suo tono si era fatto più grave ed aveva abbassato la testa. Ed aveva fatto centro perché ora Harleen si era incuriosita.
«Come mai?» domandò dolcemente «Io sono qui per lei, Mr. J. Mi può raccontare tutto quello che vuole»

«Beh, vede dottoressa…quand’ero un bambino nessuno rideva alle mie battute e la cosa mi rendeva tanto, tanto triste» Il Joker sospirò in modo teatrale «Mio padre era un tipo violento dottoressa, ogni volta che sbagliavo qualcosa…Pam! Al paparino piaceva molto il vino, capisce?*»

Harleen sgranò gli occhi e annuì, incapace di proferire parola. Non era la prima volta che le capitava di sentire questo genere di cose e nella sua carriera aveva sentito anche di peggio, ma l’idea che tutto questo fosse successo a lui, al suo Joker le spezzava il cuore in mille pezzi.

«Ma io, io cercavo di farlo ridere, di farlo divertire!» continuò il Joker, alzando la voce «Dottoressa, volevo che mi volesse bene… ma questo è il brutto della comicità, vieni malmenato da chi non la capisce! Come mio padre, o Batman!*»

Harleen rivolse lo sguardo verso gli appunti che aveva appena preso, rileggendoli. Solo l’idea di tutto quello che il suo povero clown avesse potuto passare le faceva quasi venire da piangere. Nessuno si meritava questo, neanche un super-criminale come il Joker.

«Che dice dottoressa, sono molto grave?» chiese il clown con finta preoccupazione, l’ombra di un sorriso alleggiava sul suo volto. L’unico momento in cui era restato serio era durante il racconto della sua difficile infanzia e Harleen presto arrivò a capire quanto questo potesse averlo segnato. Ma era sicura che questo fosse solo l’inizio: c’era ancora molto da scavare prima di scoprire chi fosse veramente il Joker.






Note dell'Autrice:
Ciao a tutti ed eccomi con un nuovo capitolo! Chiedo scuse se è troppo corto ma questo è un cosiddetto capitolo "di passaggio".
Dal prossimo capitolo le cose inizieranno a diventare movimentate e non poco!
Se il capitolo e la storia vi piacciono e volete che continui, allora lasciatemi qualche recensione. Mi farebbe davvero molto piacere.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e sono arrivati fino a qui.
Ci vediamo al prossimo capitolo :)

*(primo e secondo asterisco) le frasi sono tratte dai cartoni animati di Batman: "The New Batman Adventures", episodio Mad Love

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Method to the Madness

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Harleen era nel suo appartamento e da più di tre ore si stava documentando sul Joker.
Aveva letto tutte le cartelle cliniche compilate dagli altri psichiatri, gli articoli di giornali e le notizie riguardanti i suoi innumerevoli crimini e uccisioni, tutto quello che le sarebbe potuto tornare utile per le prossime sedute.

Ormai il Joker era diventato tutto ciò a cui pensava, la sua ossessione.
Già dalla prima seduta, in qualche modo che Harleen ancora non era riuscita a spiegarsi, l’aveva fatta sentire diversa, speciale. Qualcosa che la ragazza non aveva mai provato in tutta la sua vita. Il modo in cui il criminale parlava, raccontava di sé e della sua vita avevano affascinato la giovane psichiatra a tal punto da pensare di essersi infatuata di lui. Ma non poteva essere possibile, pensava Harleen, avrebbe dovuto essere pazza per permettere che una cosa del genere accadesse.
E lei non era pazza. No, assolutamente.

Nella sua vita era sempre stata perfetta in tutto. Era la studentessa migliore del suo corso, un’eccellente ginnasta, una ragazza seria e diligente, una figlia obbediente e disciplinata.
Era il ritratto perfetto di quello che i suoi genitori volevano, anzi pretendevano, da lei.
Fin da piccola si era impegnata duramente per renderli orgogliosi di lei, aveva sacrificato la sua vita intera per compiacere i suoi e non essere considerata un fallimento.
Ma nonostante questo loro non erano mai stati contenti di lei, non aveva mai ricevuto un incoraggiamento di qualsiasi tipo, un sorriso o un semplice "siamo orgogliosi di te".
No, solo pretese e pretese.
E Harleen non ne poteva più di quella vita così rigida, controllata, piena di regole. 


 
 
***
 
 
«Ciao, dottoressa» mormorò il Joker vedendola apparire dall’oscurità della cella e muoversi verso il tavolo in metallo dov’era seduto, come ad ogni sessione.
La dottoressa sorrise. Un’abitudine che aveva iniziato a prendere molto più spesso da quando aveva iniziato a curare il Joker.
E al clown questa cosa piaceva molto, il suo non era un sorriso da nascondere: no, doveva vederlo tutto il mondo.  

«Come si sente oggi, Mr. J?» chiese Harleen accomodandosi sulla sedia e sfogliando gli appunti presi nelle sessioni precedenti.

Il clown rise «Meglio ora che la vedo, dottoressa» le sorrise prime di farle un occhiolino «Ma vede, sono leggermente confuso…»

Lo sguardo di Harleen passò velocemente dai suoi appunti a lui. Il clown aveva la testa inclinata da un lato, gli occhi puntati su di lei pronti a studiarla e Harleen in quell’istante si sentì nuda, spoglia, come se riuscisse a leggerle l’anima.
«Come mai?» domandò, genuinamente incuriosita.

«Vede, dottoressa…io le ho detto molto di me» rispose il clown «Ma lei non mi ha mai detto nulla di sé, eccetto il suo nome…Harleen…»

Il modo in cui aveva appena pronunciato il suo nome, fece scendere un brivido lungo la schiena della ragazza. Non le era mai piaciuto particolarmente, ma quando lo pronunciava lui acquistava tutto un altro suono, un’altra melodia che Harleen avrebbe potuto ascoltare per ore e ore senza interruzione.

«Quinzel» s’affretto ad aggiungere «Ed è così che funzionano le sedute, Mr. J. Io sono la dottoressa e lei è il paziente. Lei parla ed io l’ascolto.»

Il Joker scoppiò in una fragorosa risata «Oh, certo che sì!» disse «Ma io non ho bisogno che lei mi dica chi è dottoressa, l’ho già capito. Dal primo istante in cui ha varcato quella porta per la prima volta.»

La ragazza alzò un sopracciglio, sorpresa da ciò che il clown le aveva appena detto.
Pensava di conoscerla sul serio? Nessuno conosceva la vera lei, forse neanche lei stessa sapeva chi fosse veramente. E ora, solo dopo una serie di sedute passate con lei, il Joker credeva di sapere chi fosse la dottoressa Harleen Quinzel.
Era definitivamente pazzo.

«No, non penso» Harleen scosse la testa «Neanche io riesco a capire chi sono alcune volte, Mr. J»

Il Joker roteò gli occhi, irritato dalla sua affermazione. “Ragazzina presuntuosa” aveva pensato “Solo perché sei una psichiatra, pensi di sapere tutto? Ti sbagli di grosso.

Ma così come era svanito, in pochi secondi il suo solito sorriso tornò a posarsi sulle labbra rosse del clown. Iniziò piano a dondolarsi sulla sedia, i suoi occhi erano rivolti verso l’alto come se stesse cercando di ricordare qualcosa di molto lontano.
«Vediamo, mi faccia indovinare…» il clown sospirò «Classica brava ragazza, studentessa modello, obbediente, segue le regole…ma c’è qualcosa che manca, qualcosa che ti spinge. Qualcosa che vuole ma non può avere…

«Tutti abbiamo qualcosa che vogliamo ma non possiamo avere*» rispose Harleen «È semplice psicologia.»

«Sai dottoressa, un tempo io ero proprio come te…impotent
e» parlò il Joker «Impotente contro tutti quelli che volevano limitarmi, soggiogarmi…

Harleen sgranò gli occhi alla vista del Joker che ora si era alzato dalla sua sedia, la camicia di forza lo teneva ancora legato, e stava iniziando ad avvicinarsi a lei.
Quando le fu a pochi passi di distanza, come una molla, il corpo di Harleen si alzò di scatto dalla sedia. Lo fissava negli occhi, attenta e vigile di ogni sua possibile mossa, mentre le sue braccia stringevano al petto il suo blocco degli appunti, usandolo quasi come una sorta di protezione da lui e dalle sue parole.

«Finché non accadde qualcosa, dottoressa…la cosa migliore che potesse mai succedermi, lo chiamerei un incidente di proporzioni mitiche!*» la risata del Joker echeggiò per tutta la cella fino a che non tornò di nuovo il silenzio.
Harleen l’osservava sempre attenta mentre ora il clown le stava girando attorno, avvicinandosi e allontanandosi ritmicamente, come un cacciatore con la sua preda.

«Quando i miei occhi smisero di bruciare, riuscii finalmente a vedere il mondo per la grande ipocrisia che è!*» il clown quasi ringhiò «Il che mi ha reso libero! Perché quando smisi di dare importanza alle regole, dottoressa, ottenni tutto il potere…*»

La voce del Joker ora era sempre più vicina, riusciva quasi a sentire il suo fiato sul collo ma forse quella era solo una sua impressione perché quando Harleen si girò, nessuno era dietro di lei.
Ma un luccichio nel buio della stanza indicava che il Joker ora era là, sommerso nell’oscurità, che l’osservava curioso di vedere la sua reazione.
Quando l’uomo fece qualche passo più avanti, Harleen riuscì a cogliere il metallo delle sue griglie mentre la sua bocca scarlatta si apriva in unenorme e inquietante sorriso. 

«L’unico modo sensato di vivere in questo mondo è farlo senza regole**» le disse «Una volta che smetterà di attenersi alle regole, otterrà la liberta e il potere che desidera…»

E poi tutto accadde così velocemente: Il Joker avanzò a grandi passi verso di lei mentre Harleen rimase ferma, inchiodata al pavimento e incapace di muoversi.
Il clown la spinse contro il tavolo in metallo, i suoi fianchi premevano contro la superficie e lui era ora dietro di lei, il suo corpo atletico premuto contro quello snello e slanciato della dottoressa.

La ragazza riusciva a sentire il respiro pesante del clown, quasi affannato, come se avesse appena corso una maratona, su di lei. Il respiro era accelerato, il cuore le batteva tanto forte nel petto che sembrava volesse uscire e le mani, premute sul tavolo, le tremavano incessantemente. Non aveva idea di quali fossero le sue intenzioni ora. Il Joker era un uomo tanto imprevedibile quanto pericoloso.

Avrebbe potuto andarsene, lasciarla lì da sola oppure avrebbe potuto ucciderla con le sue stesse mani e a poco sarebbe servita quella camicia di forza. Questo Harleen lo sapeva bene, era stupido pensare che solo una restrizione del genere avrebbe potuto fermarlo nel suo intento. Ma per qualche strano motivo lei non aveva paura.

«Ce l’abbiamo tutti dentro di noi, Harleen» le sussurrò all’orecchio. Il suo corpo contro quello di lei era una sensazione quasi piacevole «Dobbiamo solo lasciarlo uscire fuori…

Il respiro le si bloccò in gola quando sentì che il Joker si era messo ad annusarle il collo, inalando profondamente il suo dolce profumo. A quel punto il suo corpo si era avvicinato ancora di più, per quanto possibile, a quello della dottoressa e l’ombra di un  sorriso aleggiava sul suo volto pallido e rovinato dalle cicatrici. La ragazza sospirò, chiedendosi per quanto altro tempo sarebbe riuscita a sopportare quella situazione.

«E ora ti chiedo, cara dottoressa, hai mai vissuto veramente?»

Un flebile e silenzioso “no” uscì dalle sue labbra serrate, mentre nella sua testa iniziavano a susseguirsi immagini confuse della sua infanzia e giovinezza.
La vita passata a studiare per rendere orgogliosi i suoi, mai un divertimento o uno svago, i rimproveri costanti e senza fine ricevuti, le sue lacrime, la sua fatica, la sua infinita tristezza che spesso nascondeva dietro ad una maschera di finta serenità e tranquillità…quando dentro di lei si scatenava il caos.

Tutto questo, tutto assieme fu troppo per Harleen e i suoi occhi iniziarono a gonfiarsi di lacrime calde che in poco tempo le scesero lungo le gote fino a macchiarle il camice bianco che portava. Era diventato tutto troppo insostenibile per lei e doveva andarsene ora.

«D-devo andare, m-mi dispiace… » fu tutto quello che riuscì a dire, fra un singhiozzo e l’altro, mentre correva verso l’uscita della cella per poi sparire al di là della porta blindata.

Il Joker era rimasto fermo ad osservarla, gustandosi quella scena così amara da avere quasi un retrogusto dolciastro, mentre ancora sorrideva. “La dottoressina non è più così forte come voleva far credere a tutti” pensò il clown “Ma grazie al cielo c’è ancora speranza per lei…le basta solo una piccola spinta.” 

E quella spinta, decise, gliel’avrebbe data lui.










Note dell' autrice:
Eccoci qua con il terzo capitolo della storia. Questo capitolo è fondamentale all'interno della storia perché oltre a farvi capire chi è veramente Harleen Quinzel e il suo legame con il Joker, sarà importante per i prossimi capitoli e quello che succederà dopo nella storia.
Se questo capitolo vi è piaciuto, allora lasciatemi delle recensioni. Apprezzerei davvero tanto sentire le vostre opinioni riguardo al capitolo e alla storia. 
Grazie se siete arrivati a leggere fino a qua e se lascerete una recensione :)


*(frasi con un asterisco) le frasi sono state tratte dal fumetto "Suicide Squad" #7 (The New 52)
** la frase è tratta dal film "Il cavaliere oscuro" diretto da Christopher Nolan (anno 2008)


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Method to the Madness
 
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Dopo il suo ultimo incontro con il Joker, Harleen aveva evitato di procedere con altre sessioni con lui.
Ma sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto riprendere. Non è che non volesse vederlo, no questo mai.
Desiderava con tutta se stessa di vederlo ancora, di parlare con lui, di chiedergli altre cose riguardo il suo passato.
Però l’ultima seduta l’aveva scossa profondamente, lui aveva fatto emergere i ricordi del suo passato che più aveva cercato di nascondere e dimenticare.
E, in un certo senso, le aveva mostrato ciò che lei poteva essere una volta che si fosse liberata delle sue catene del passato che la tenevano ancorata al terreno.

Deve spiccare il volo dottoressa Quinzel, proprio come un gabbiano” le aveva detto ridendo, quel largo sorriso stampato sul volto come al solito
Io avrò anche la camicia di forza, ma è lei quella che è incatenata. Io sono un uomo libero, Harleen.”

E Harleen ora ne era certa: voleva disperatamente vedere cosa si provasse ad essere liberi come lui, a sfuggire dall’ipocrisia del mondo e lasciarsi finalmente il passato alle spalle.
Un sorriso si formò sul suo volto al pensiero di diventare come lui, di vivere come e con lui, mentre percorreva il lungo corridoio che l’avrebbe portata all’ufficio del dottor Arkham.
Il direttore le aveva chiesto di prendere con sé tutti i suoi appunti e le note prese durante le sessioni con il Joker per poi lasciarle nel suo ufficio, così avrebbe potuto controllare le informazioni e i progressi fatti di persona.
Quando Harleen finalmente si trovò davanti alla porta del suo ufficio bussò velocemente e, senza aspettare il permesso, si precipitò dentro la stanza.
Con sua grande sorpresa, nella stanza non c’era nessuno.

Probabilmente sarà impegnato in qualche riunione con qualcuno di importante” pensò Harleen, muovendosi verso la scrivania dell’uomo.
Dopo aver riposto i documenti con cura sul ripiano, la ragazza iniziò a guardarsi intorno. Nonostante fosse stata molte volte all’interno dell’ufficio, soprattutto per convincere il dottor Arkham ad affidarle il caso del Joker, non aveva mai prestato attenzione a quanto fosse immensa quella stanza.

Harleen avrebbe tanto voluto restare a girovagare e curiosare per l’ufficio del direttore, ma decise che restare qui più del dovuto avrebbe potuto metterla nei guai, soprattutto se fosse stata beccata da qualcuno.
E lei non aveva nessuna intenzione di finire nei guai. 
D’improvviso però, la sua attenzione fu catturata da uno dei cassetti della scrivania completamente aperto.
Dentro, appoggiato su un’enorme pila di altre scartoffie, c’era un fascicolo con sopra una grande scritta rossa: JOKER.

Il cuore di Harleen si fermò per un istante. E se quel fascicolo avesse contenuto delle informazioni sul Joker di cui lei ancora non era a conoscenza? Impossibile, pensò Harleen, lei era sicura di sapere già tutto quello che c’era da sapere su di lui.
Quali altri segreti avrebbe potuto nascondere un uomo così misterioso come Mr. J?

La dottoressa decise di non perdere tempo e afferrò il fascicolo, iniziando a sfogliarlo velocemente.
La maggior parte delle informazioni contenute le erano già note, ma quando vide quella foto smise subito di girare le pagine.
L’immagine di una donna sorridente e felice, i lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri che sembravano osservarla, la fece trasalire.
Era identica a lei.

Chi era quella donna?” si domandò Harleen, ma prima che potesse iniziare a leggere qualcosa di quella pagina, il suono scricchiolante della porta attirò la sua attenzione.

«Dottoressa Quinzel? Che ci fa nell’ufficio del dottor Arkham? » le domandò la voce sorpresa della dottoressa Leland.
La donna aveva un’espressione sorpresa ma quando i suoi occhi si abbassarono sul fascicolo che Harleen stringeva tra le mani, corrugò la fronte.

«Cosa sta leggendo?» le domandò ancora, chiudendo la porta dietro di sé e avvicinandosi alla giovane ragazza che la fissava con gli occhi sgranati.

«I-io stavo solo…controllando…» cercò di scusarsi Harleen ma la dottoressa Leland le aveva già strappato il fascicolo di mano. E ora stava guardando la stessa pagina che pochi secondi fa Harleen stava per leggere.
La donna scosse la testa. “Ecco!” pensò “Ora sono nei guai fino al collo”.

«Perché aveva tra le mani questo fascicolo, dottoressa?» le domandò la donna «Sono informazioni molto private, queste»

«L-lo so, io sono desolata…davvero» rispose abbassando la testa per guardare il pavimento «Volevo solamente saperne di più sul Joker, tutto qua.»

La donna sospirò e fissò la fotografia. Poi guardò Harleen e vide che anche i suoi occhi blu erano incollati su quella pagina
«Chi è…quella donna?» domandò «Lei lo sa, dottoressa?»

Un altro sospiro. Harleen iniziò a temere di averla irritata troppo. Ma la donna le rivolse un cordiale sorriso.
La dottoressa Leland aveva compreso la confusione della ragazza nel vedere la foto e nel trovare quel fascicolo.

«Per favore Harleen, accomodati sulla sedia» la ragazza non se lo fece ripete due volte e si sedette, in attesa di una spiegazione.

La donna chiuse il fascicolo che teneva tra le mani e si sedette a sua volta di fronte alla giovane dottoressa, che la guardava impaziente.

«Vedi Harleen, quello che stavi per leggere…sono informazioni segrete, che abbiamo ottenuto dalla polizia di Gotham e dallo stesso Batman» disse la donna, gli occhi di Harleen strabuzzarono al suono di quel nome. Batman, l’ossessione del suo Mr. J.

«La donna che hai visto nella foto era la moglie del Joker, o meglio, la moglie dell’uomo che era prima di diventare il Joker…»

Questa notizia arrivò ad Harleen come un pugno in faccia.
Com’era possibile?
Aveva fatto lunghe ricerche su di lui, letto cartelle cliniche e tutte le informazioni che era riuscita a reperire. Ma non aveva mai pensato che lui avesse avuto una moglie. Il Joker non gliel’aveva mai detto, neppure accennato, eppure era sempre stato aperto con lei.
Perché?

«È una triste storia» affermò la dottoressa Leland «Probabilmente quello che l’ha portato alla follia, dottoressa Quinzel.»

Harleen sapeva. Sapeva dell’acido, della sua fuga da Batman, del colpo finito male.
L’aveva letto attentamente più e più volte. Ma non pensava che ci fosse altro da aggiungere, oltre a ciò che aveva ritrovato. E ora sarebbe venuta a conoscenza dell’intera storia. Finalmente.

Lo sguardo insistente della ragazza fece capire alla dottoressa Leland che Harleen volesse sentire quella storia.
Infondo, pensò la donna, era un suo diritto. Lei era la sua psichiatra ed era suo compito aiutare il Joker in qualsiasi modo possibile. Sapere la storia dietro a quell’uomo folle l’avrebbe sicuramente aiutata di più che restarne completamente allo scuro.

La donna si schiarì la voce «Molto tempo fa c’era un uomo che si chiamava Jack Napier. Era un ingegnere all’Ace Chemical Inc. finché non decise di diventare un comico, ma fallì miseramente.
Questo gli causò un sacco di problemi, era alla disperata ricerca di un modo qualsiasi per provvedere a sua moglie e al bambino che i due stavano aspettando.
Ma lei lo rassicurò che tutto sarebbe andato bene.
Jack però, guidato dalla sua disperazione, decise di aiutare due criminali ad attuare un colpo all’Ace Chemicals, nella speranza di poter finalmente sostentare la sua famiglia. Jeannie, sua moglie, tentò di tutto per fargli cambiare idea, senza successo.» la dottoressa Leland fece una breve pausa e deglutì.

Il suo viso mostrava una certa malinconia, come se quello che stava raccontando le facesse male anche a livello fisico «Prima di poter attuare il colpo però, Jack venne a sapere dalla polizia che sua moglie e di conseguenza suo figlio erano morti a causa di un incidente domestico.
Impossibilitato a tirarsi indietro da ciò che doveva fare a causa delle minacce dei due criminali, Jack prese parte al colpo inerte.
I due criminali vennero uccisi poco dopo dalla sicurezza e quando l’uomo tentò di scappare si ritrovò faccia a faccia con Batman.
Non avendo altre vie d’uscita, si gettò in una delle grandi vasche che contenevano l’acido.
Quando l’uomo vide il suo riflesso allo specchio dopo l’incidente con l’acido, diventò pazzo.
E quel giorno maledetto, segnò la nascita del Joker».

Harleen non poteva credere alle sue orecchie. Una lacrima silenziosa le cadde lungo il viso, era devastata dalla storia che aveva appena sentito. Non poteva credere che tutto questo fosse capitato al suo Mr. J.
Il cuore le batteva a mille mentre cercava di trattenere le altre lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi blu.

«La donna nella foto era Jeannie. Sua moglie» spiegò la dottoressa.

Ci furono diversi minuti di silenzio nella stanza, nessuna delle due donna osava parlare.
Ma infondo, cosa c’era da dire dopo una storia del genere?

«Era bellissima…» Harleen sorrise, un sorriso amaro, pensando alla foto della donna

«Ti assomiglia molto, Harleen» le disse la donna, appoggiando una delle sue mani su quella di Harleen che stava sopra la scrivania «Forse è per questo che si è aperto così tanto con te…perché gli ricordi lei…»

«Può darsi…» fu tutto quello che mormorò la ragazza prima di alzarsi in piedi «Forse è meglio che io me ne vada ora…ho molte cose da fare»

La dottoressa Leland le sorrise amichevolmente, alzandosi a sua volta.
«Certo» annuì «Ci penso io a rimettere il fascicolo al suo posto»

«La ringrazio, dottoressa.» Harleen aprì la porta dell’ufficio «Di tutto. Grazie di cuore.»

«Di niente, dottoressa Quinzel.» la risposta della donna le arrivò appena in tempo, prima che si chiudesse la porta alle spalle.

Questa storia l’aveva scossa profondamente.
Mai e poi mai si sarebbe aspettata che il Joker avesse subito tutto quel dolore nella sua vita.
E ora, in un certo senso, poteva quasi capirlo, quasi perdonarlo per tutto il dolore che aveva causato. La ragazza fece un respiro profondo e iniziò ad avviarsi verso il suo ufficio.
Sicuramente ora era venuta a conoscenza di un altro importante dettaglio della vita del suo Mr. J, un dettaglio fondamentale.
E dopo tutto questo, la domanda che le rimbombava in testa era ancora una sola, la solita:
si sentiva veramente pronta per rivederlo?






 


Note dell' autrice:
E questo è il quarto capitolo!
Questo capitolo è tutto incentrato sul Joker e sulla sua "origine", se così si vuole definire. 
E Harley ha un ruolo anche in questo capitolo perché é finalmente venuta a conoscenza della vera origine del Joker e della sua storia.
E nel prossimo capitolo succederanno molte cose a causa di questa scoperta...
Se questo capitolo vi è piaciuto, lasciatemi delle recensioni. Mi piacerebbe tanto sentire le vostre opinioni riguardo al capitolo e alla storia. 
Grazie se siete arrivati a leggere fino a qua e se lascerete una recensione :)
Alla prossima.

P.S: La storia dell'origine del Joker è stata presa dal bellissimo fumetto "Batman: The Killing Joke" (uno dei miei preferiti)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Method to the Madness
 
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Il giorno seguente Harleen arrivò all’Arkham Asylum con la consapevolezza che avrebbe dovuto condurre una seduta con il Joker. Ed era nervosa, perché ora sapeva molto di più di quello che forse avrebbe dovuto sapere.
Ma era comunque fiduciosa: forse con qualche domanda più centrata, sarebbe riuscita a farsi raccontare la vicenda dal Joker stesso e a capire qualcosa in più della sua follia.

«Dottoressa Quinzel» la porta del suo ufficio si aprì, rivelando il dottor Arkham «la stavo cercando»

Harleen sorrise cordialmente all’uomo «Buongiorno, direttore. È successo qualcosa?»

«No, nulla al di fuori dell’ordinario» rispose avvicinandosi alla scrivania della ragazza «Sono solamente venuto a comunicarle che la sua seduta con il Joker di oggi, sarà rinviata a più tardi»

«C-cosa?» domandò Harleen esterrefatta «E perché?»

«Proprio ora alcuni dei nostri infermieri più bravi stanno eseguendo sul paziente la terapia dell’elettroshock.»

No!” urlò Harleen dentro di sé. Il cuore le si fermò nel petto.

«Quella non è una terapia, è una tortura!» protestò Harleen con il cuore in gola e le lacrime che già le pizzicavano gli occhi

«È il trattamento migliore per un paziente come il Joker» ribatté il dottor Arkham «Con un folle omicida, freddo e calcolatore come lui questo è l’unico rimedio che ha una possibilità di successo»

Harleen spalancò la bocca, scioccata. “Lui non è un folle omicida” pensò la ragazza “È molto di più di questo ma nessuno riuscirebbe mai a comprenderlo”.

«Ma questo non è giusto!» la voce di Harleen ora era diventata più alta «Io sono la sua psichiatra, la decisione spetta anche a me!»

Sentendo le sue parole il dottor Arkham si avvicinò minaccioso a lei, guardandola con un’espressione severa e rigida

«Il suo unico compito qui è quello di condurre le sessioni con quel criminale, dottoressa Quinzel! Le decisioni qui le prendo io!»

La ragazza, colta alla sprovvista dalla reazione dell’uomo, fece istintivamente qualche passo indietro.
Ma il suo sguardo penetrante e la sua determinazione erano ancora presenti.

«Finirà per ucciderlo! Devo vederlo subito, io-»

«Lei, dottoressa Quinzel, non deve fare proprio nulla.» la voce del dottore le arrivò quasi come una minaccia «Resterà in ufficio ad occuparsi degli affari suoi finché non le sarà dato il permesso di vedere il paziente, sono stato chiaro?»

Lei è un mostro crudele e senz’anima!” pensò Harleen dentro di sé.
Non voleva questo.
Non voleva che degli uomini crudeli facessero del male al suo Mr. J, che gli friggessero il cervello.
Quella tortura medievale non se la meritava nessuno.

In poco tempo fu chiaro ad Harleen che non poteva fare niente per aiutarlo e anche se ci avesse provato, avrebbe solamente peggiorato la situazione.
Avrebbero potuto licenziarla e lei avrebbe detto addio per sempre al suo Mr. J.
E questa era l’ultima cosa che la ragazza voleva.

No, per ora sarebbe stata zitta.
Ma non si sarebbe arresa: prima o poi, si promise, troverà il modo per salvarlo da tutto questo.
«Sì, direttore» mormorò a voce bassa «Tutto chiaro»

«Perfetto» disse «Vedo che siamo riusciti a capirci.»

Detto questo, l’uomo si diresse verso la porta dell’ufficio e la richiuse bruscamente alle sue spalle, lasciando Harleen sola nel suo ufficio.
La ragazza fece un lungo respiro profondo prima di lasciarsi cadere nella sua poltrona, dietro la scrivania dell’ufficio.
Ora tutto quello che doveva fare era aspettare, aspettare e pregare per il suo Mr. J.


 
***


La cella del Joker appariva più buia del solito ad Harleen.
Era incerta su come muoversi e cosa dirgli dopo essere venuta a conoscenza della tortura a cui era stato sottoposto.
La ragazza mosse qualche passo e quando i suoi occhi finalmente incontrarono lui, rimase come immobilizzata.

Il Joker se ne stava seduto sulla sua sedia, la camicia di forza che ancora lo teneva incatenato, mentre si dondolava avanti e indietro, come se si stesse cullando.
Sembrava che stesse cercando di consolarsi in qualche modo, dopo il trauma subito dall’elettroshock.
Il suo viso le sembrava ancora più pallido del solito e in uno stato di trance profondo.
I suoi occhi chiari erano fissi in un punto della stanza, lontani da lei, e sembravano vuoti e senza vita.

Le servì molto coraggio per andare avanti a camminare nella sua direzione.
Non lo aveva mai visto in questo stato e ciò la spaventava moltissimo.
Quando fu abbastanza vicina notò una serie di lividi violacei e purpurei distribuiti su un lato del viso, più intensi sotto l’occhio e la mandibola.
Chi era stato a ridurlo così?

Con molta cautela, la ragazza si inginocchio di fronte a lui mentre i suoi occhi vigli lo studiavano, attenta a qualsiasi movimento improvviso che il clown avrebbe potuto fare.
«Mr. J?»
La voce della ragazza gli arrivò come un eco lontano e debole e Harleen dovette pronunciare il suo nome altre due volte prima che il Joker si accorgesse di lei.
Ora che aveva ottenuto la sua attenzione, gli occhi di ghiaccio del criminale erano puntati su di lei.

«Mi dispiace tanto per quello che ti hanno fatto…» sussurrò con cautela mentre lo osservava, temendo che un movimento brusco e non calcolato potesse farlo impazzire ancora di più.

Senza staccare i suoi occhi blu da lui, la ragazza posò delicatamente una mano sui suoi lividi, in una breve e lieve carezza. Gli occhi del Joker si chiusero per una frazione di secondo, un suono gutturale e quasi animalesco fuoriuscì dalla sua gola, prima che li potesse aprire di nuovo.

«Chi ti ha fatto questi?» gli chiese a fatica, le lacrime erano sul punto di uscire per la seconda volta nello stesso giorno.
Ma Harleen non ci poteva fare nulla, teneva troppo a lui per fingere che non le importasse di quello che gli altri avrebbero potuto fargli.

«Oh, dottoressa…» la voce del clown era bassa, calda «Sono stati quei due scimmioni là fuori e altri loro amichetti a ridurmi così la faccia…»

L’ombra di un ghigno era sul volto del Joker, sembrava quasi divertito.
Certo, per lui tutto era una grande barzelletta.
Ma non per Harleen, non quando si trattava di lui.
Vendetta” era tutto quello a cui riusciva a pensare.

«Non meriti tutto questo…»

«Oh, lei è davvero buona dottoressa Quinzel» il Joker sospirò atterrito «Ma non tutti la pensano come lei, molti vorrebbero vedermi morto…ma io non li biasimo per questo, non ci sarà mai un rimedio per quello che sono…»

No, non dire così!” pensò Harleen “Tu sei perfetto, sei migliore di tutti loro” ma decise di non dire niente.

«Ti ricordi ancora di Jeannie?» le parole le uscirono dalla bocca prima ancora che potesse pensare.
Non sapeva perché gliel’avesse chiesto, ma sapeva che forse ricordare il passato l’avrebbe aiutato a cambiare.
Almeno, questo era quello che lei sperava.

Lo sguardo del Joker s’incupì all’istante non appena sentì quel nome.
Jeannie.

«Come sai quel nome?» il ghigno perenne sul suo volto era sparito e la sua voce era tutto meno che rassicurante.

Harleen si alzò in piedi e fece qualche passo indietro, preoccupata dal suo atteggiamento «Ho fatto alcune ricerche, Mr. J. Tutto qua.»

«Tutto qua?» le domandò il clown, alzandosi dalla sedia.
Ora che era in piedi, Harleen si accorse di quanto fosse alto rispetto a lei.

«Volevo semplicemente aiutarti» mormorò Harleen, cercando di giustificarsi.
Sperava che qualche parolina dolce avrebbe potuto calmarlo ma dallo sguardo sul suo volto, la ragazza capì che avrebbe dovuto fare molto di più.

In un istante, con uno scatto fulmineo, il Joker riuscì a liberare entrambe le braccia dalla stretta della camicia di forza, ora non più incatenate al suo torso.
Harleen sbarrò gli occhi con orrore: ora che si era liberato avrebbe potuto ucciderla senza nessun problema e nessuno sarebbe riuscito a salvarla.
Pregare non sarebbe servito a nulla ora, pensò la ragazza.

Senza togliere gli occhi dal clown, la ragazza iniziò ad indietreggiare in modo tale da potersi avvicinare alla porta della cella il più velocemente possibile. Ma il suo piano si mostro inutile non appena la sua schiena toccò il freddo muro della cella e il Joker le fu addosso in un secondo.

Una delle sue grandi mani andò a stringersi attorno all’esile collo della ragazza mentre i suoi occhi di ghiaccio la fissavano incessantemente.
«Aiutarmi, dici?» le domandò digrignando i denti «E a che scopo, Harleen? Non c’è alcuna differenza tra me e chiunque altro! Non lo vedi?

Harleen scosse la testa «Ti p-prego…non uccidermi…» mormorò in un sospiro

Ma il Joker la ignorò completamente, mantenendo la stretta sul suo collo
«Non lo sapevi, Harleen? Basta una giornata storta per trasformare il migliore degli uomini in un folle. Ecco quanto dista il mondo da me. Una, giornata, storta.*»

La ragazza aveva la vista annebbiata dalle lacrime e tutto quello a cui riusciva a pensare era al fatto che tra poco, molto probabilmente, sarebbe morta per mano del Joker.
Si stava rassegnando al suo triste destino.
Ma andava bene così, pensò, se proprio doveva essere qualcuno a ucciderla, voleva che fosse Mr. J.

«Quella giornata storta l’ho avuta anche io, sai?» le disse avvicinando il suo corpo a quello della dottoressa «Non sono certo di cosa sia stato. A volte lo ricordo in un modo, a volte in un altro… Se proprio devo avere un passato, preferisco avere più opzioni possibili! Ah, ah, ah!*»

Tirò la testa indietro e iniziò a ridere come un maniaco. Harleen intanto, sotto di lui, si divincolava per cercare una via d’uscita ma lui non glielo permise.
Ora il suo corpo la schiacciava completamente contro il muro e la pressione attorno al collo di Harleen non accennava a diminuire.

«Quando ho visto quale terribile e amara barzelletta fosse il mondo, sono diventato matto come un cavallo! Lo ammetto! Perché tu no? Perché non ridi? È tutto molto divertente, sì?*»

La dottoressa annuii, e gli sorrise «Sì, è divertente» sussurrò con un filo di voce.

Il Joker fissò gli occhi blu della ragazza alla ricerca di un qualche segno di paura ma, con sua grande sorpresa, non trovò nulla.
Il luccichio negl’occhi della ragazza era un qualcosa di strano, che non aveva mai visto prima d’ora: curiosità, eccitazione, desiderio.

Le sorrise, avvicinando il suo viso a quello di lei.
«Sei bella da morire, Harleen. Una morte lunga, lenta e dolorosa. Forse quella che ti meriteresti per aver messo così tanto il naso nei miei affari…»

Il suo respiro caldo le arrivava sul volto e la ragazza chiuse gli occhi per un istante.
Quando gli riaprì, lo trovò ancora più vicino di prima e sentì la testa girare vorticosamente.
Non sapeva se fosse per la sua vicinanza o per il fatto che la sua mano, stretta ancora attorno al collo, le stava bloccando il flusso d’ossigeno ai polmoni.

La mano di Harleen andò a stringersi attorno al polso del Joker mentre i suoi occhi si facevano sempre più pesanti e minacciavano di chiudersi definitivamente. Le sue labbra sfiorarono quelle rosse del clown ma prima che potessero toccarsi, la ragazza mosse la testa per avvicinare la bocca all’orecchio dell’uomo che la stringeva tra il suo corpo e il muro.

«Volevo solo cercare di capirti un po’ meglio…» sussurrò stancamente «Ma se devi uccidermi, fallo adesso…ti prego…»

Improvvisamente, la pressione attorno al collo di Harleen svanì.
La ragazza scivolò lungo la parete e si sedette a terra, ancora stordita da quello che era appena successo.
Quando guardò in alto, vide che il Joker si era già allontanato da lei e stava lì fermo, in mezzo alla stanza, di spalle.

«Non cercare di capirmi, dottoressa, non farlo» le disse con voce grave «Perderesti la testa cercando di capire la mia…**»

A fatica, la ragazza si rialzò dal pavimento e si avvicinò a lui. Si mosse con estrema cautela e, dopo che fu sicura, appoggiò una mano sulla sua spalla.
«Non m’importa. Io…voglio darti una mano, t-ti prego.»

«Vattene via.» le disse solo, dandole ancora le spalle. Harleen scosse la testa.

«No» la sua voce era quasi rotta dalle lacrime.

«Via!» Il Joker si girò di scatto, afferrandole il braccio e spingendola lontano da sé.

Harleen non voleva andarsene, ma aveva capito che era la cosa migliore da fare se non voleva morire veramente.
Raccolse le sue cose e poi velocemente uscì dalla cella.
Le lacrime le rigavano il volto.
Oggi aveva capito due cose.
La prima era che nelle sue sedute con il Joker, non sarebbe mai riuscita a psicoanalizzarlo, qualsiasi suo tentativo di manipolarlo e spingerlo a parlare le si era rivoltato contro. E chissà se mai ci sarebbe riuscita. 
La seconda cosa, era che ora finalmente lo aveva realizzato: si era innamorata perdutamente di lui.







Note dell' autrice:
Eccoci arrivati al quinto capitolo. Wow.
Questo capitolo è stato molto bello da scrivere ma anche abbastanza complicato. 
La reazione di Joker alla domanda di Harleen non è stata delle migliori. E Harleen ha finalmente realizzato di essersi innamorata di lui.
Da qui in poi sarà tutto in discesa.
Mancano solo 3 capitoli alla fine di questa storia, quindi tenetevi pronti.

Se questo capitolo vi è piaciuto, lasciatemi delle recensioni. Mi piacerebbe tanto sentire le vostre opinioni riguardo al capitolo e alla storia. 
Grazie se siete arrivati a leggere fino a qua e se deciderete di lasciare una recensione :)
A presto.

* le frasi con un asterisco, sono state prese dal monologo tratto dal fumetto 
"Batman: The Killing Joke" (del 1988) 
** la frase con due asterischi è stata presa dal film di Christopher Nolan, "The Dark Night" (2008)

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Method to the Madness


 
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Harleen sospirò profondamente, chiudendo la porta di casa alle spalle. 
Finalmente, dopo un’estenuante giornata di lavoro, era nel suo appartamento.
Dopo essersi tolta il cappotto dalle spalle ed averlo appeso, iniziò a dirigersi verso il soggiorno.
La stanza era buia, l’unica fonte di luce proveniva dalla grande finestra a lato della stanza.
La ragazza si avvicinò ed iniziò ad ammirare il paesaggio davanti ai suoi occhi.
La luna bianca illuminava la città e le strade di Gotham.
Le luci dei lampioni sulla strada, quelle delle case e dei grandi grattacieli e le scie di luce che le automobili lasciavano dietro di sé scorrendo velocemente tra le strade, lasciavano Harleen senza fiato ogni volta.
Gotham City era una città grigia, malinconica e dannata ma di notte sapeva trasformarsi e diventare uno spettacolo di luci e colori.
Ma mai sottovalutarla.
Era una città tanto affascinante di notte, quanto pericolosa.
La gente veniva uccisa ogni giorno, ad ogni ora.
Era un buco infernale, un posto selvaggio e mortale.
Una città abituata a stare da sola.
Qui, come sapevano tutti coloro che ci vivevano, la sicurezza non era un' opzione

Harleen si decise finalmente ad accendere l’interruttore della luce e, quando la stanza fu completamente illuminata, quasi le venne un attacco di cuore.
Sul tavolo da pranzo del soggiorno era appoggiata una rosa rossa e una carta da gioco.
Con molta cautela, la ragazza si avvicinò e prese la carta in mano: raffigurava un jolly.
Sul retro c’era una scritta.
Fai sogni d’oro, Harleen” E sul lato destro della carta, la sua firma, una J.
Un brivido le corse lungo la schiena.
Come avevano fatto la rosa e la carta a finire lì? Chi le aveva portate, intrufolandosi nel suo appartamento?

«C’è qualcuno?» chiese timidamente, guardandosi intorno. L’unica risposta che ricevette, però, fu l’eco della sua voce che risuonava nell’appartamento vuoto.

Forse era stato il Joker, pensò Harleen ma poi scosse la testa.
No, non avrebbe senso.
Sapeva che non avrebbe avuto nessun problema a scappare di nuovo ma ora era in cella di isolamento, controllato a vista da guardie armate ventiquattro ore al giorno.

Ci doveva essere qualcun altro: Harleen ne era sicura.
Qualcuno molto vicino al Joker, che lavorava per lui, una sorta di braccio destro. La ragazza posò la carta sul tavolo ed annusò la rosa. Aveva un buon odore, quasi intossicante.

Come Mr. J...” pensò ridacchiando.
Avrebbe trovato chi aveva portato il regalo di Mr. J nel suo appartamento, era determinata a scoprire chi fosse e niente l’avrebbe fermata.


 
***


La mattina seguente Harleen uscì dal suo ufficio per dirigersi nei sotterranei dell’Asylum, dove il Joker era tenuto sottochiave.
Dopo gli avvenimenti del giorno precedente, finalmente l’avrebbe rivisto e questa volta sarebbe stata attenta a non portare a galla qualcosa che avrebbe potuto farlo irritare di nuovo.
L’aveva risparmiata e lei non voleva certo rischiare di rimetterci la pelle ancora.
Arrivata alla porta blindata della cella, Harleen sorrise cordialmente alle guardie e mostrò il suo ID come era solita fare all’inizio di ogni seduta con un paziente.
Un rumore proveniente dal buio corridoio alla sua destra attirò la sua attenzione e la fece voltare.

Un uomo moro, alto e muscoloso era intento a lavare il pavimento del corridoio.
Harleen corrugò la fronte: non l’aveva mai visto prima e lei conosceva praticamente qualsiasi persona lavorasse ad Arkham. Probabilmente era un nuovo inserviente, appena assunto.
Ma c’era qualcosa di talmente “insolito” in lui, pensò Harleen.
Forse perché non era il classico inserviente che le capitava di vedere di solito ad Arkham, qualcosa di lui non la convinceva affatto.

«Dottoressa Quinzel, si sente bene?» le chiese una guardia, riportandola alla realtà.
«S-sì, mi scusi» balbettò la ragazza, scuotendo la testa e rivolgendogli uno dei suoi migliori falsi sorrisi.
La guardia annuì e procedette ad aprire la porta per la dottoressa. Prima di entrare, Harleen rivolse ancora una veloce occhiata all’inserviente che ora era di spalle e poi si girò, addentrandosi nella buia e fredda cella del clown.

«Dottoressa…» la voce del clown era alta, come quella di un bambino «La stavo aspettando. Ha ricevuto il mio regalo?»
Harleen lo guardò «Sì, l’ho ricevuto e-»

«L’è piaciuto?» la interruppe il clown, sporgendosi sopra al tavolo e verso di lei. Le sue griglie di metallo risplendevano nel buio della cella.

La ragazza annuì «Certamente, ma vorrei sapere come ha fatto ad arrivare proprio nel mio appartamento…»

«Uh…» Il Joker si rilassò sulla sedia, la schiena contro il sedile «Un mago non rivela mai i suoi trucchi, Harleen, questo lo dovresti sapere…»

«E lei, Mr. J, dovrebbe essere al corrente che irrompere a casa di qualcuno è illegale.» la ragazza sospirò «Magari anche le guardie sarebbero interessate a sapere del regalo che mi ha fatto.»

Il clown rise, tirando la testa indietro «Molto divertente, dottoressa…ma se avessi voluto informare quei due scimmioni là fuori, l’avresti già fatto. Non è forse così?»

Aveva ragione” pensò Harleen.
Se avesse voluto chiedere aiuto a qualcuno, o semplicemente informare il personale dell’Arkham Asylum del regalo che le aveva fatto il Joker e quindi di una sua possibile fuga dal manicomio, avrebbe potuto farlo senza alcun problema.
Le avrebbero creduto certamente. Perché allora non ne aveva parlato con nessuno?
Semplice, Harleen non avrebbe mai tradito il Joker. Mai e poi mai. Lo amava troppo per fargli questo.

«Hai ragione!» esclamò la ragazza, ridendo assieme al clown.
Che idiozia.
Come aveva fatto solamente a pensare, anche solo per un secondo, di fare una cosa del genere al suo Mr. J?

«Ah, Harleen!» disse il clown con il fiato corto per le risa «Adoro una ragazza con il senso dell’umorismo!»

Iniziarono a ridere assieme di nuovo finché non ne ebbero abbastanza e, poco a poco, il silenzio invase nuovamente la cella. Il Joker era tornato serio improvvisamente, il sorriso rosso che indossava sempre non c’era più.
I suoi occhi chiari ora fissavano Harleen che lo guardava in attesa di una sua qualsiasi mossa.

«Ho una piccolissima richiesta da farle…» la voce del Joker era bassa, aveva assunto un tono quasi pericolosa «Vorrei che facesse qualcosa per me, dottoressa»

«Qualsias- cioè, sì» s’affrettò a rispondere la ragazza, spostando una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.

«Voglio un mitragliatore.» le parole uscirono dalla sua bocca velocemente ed Harleen sgranò gli occhi.
Aveva sentito bene?

«Un mitragliatore?» chiese la ragazza incredula «E come diavolo me ne procuro uno?»

Il Joker rise «Oh, non ti devi affatto preoccupare di questo Harleen. Del lavoro sporco me ne occupo io, tu devi solo fare da tramite.»

La dottoressa scosse la testa «Fare da tramite?» ripeté

«Devi portare il mitragliatore qui, ad Arkham. Sono stato chiaro?» lo sguardo del clown era fisso su di lei, i suoi occhi di ghiaccio la scrutavano con attenzione per vedere la sua reazione.
In quel momento ad Harleen il criminale sembrava ancora più pazzo di quanto non lo fosse già stato.

«Non sono sicura di poterlo fare, Mr. J…» mormorò la ragazza guardando in basso «E se mi scoprissero? Rischierei di perdere il lavoro…»

Oh, il lavoro sarà l’ultima cosa di cui ti vorrai preoccupare dopo che avrò finito con te” pensò il clown.
Non avrebbe lasciato mai e poi mai che quella ragazzina gli mettesse i bastoni tra le ruote. Questa era l’ultima possibilità che gli era rimasta per evadere da Arkham e non sarebbe stata certo l’ingenua dottoressa Quinzel a rovinargliela.
No!” pensò “Ora non è proprio il momento di tirarti indietro, ragazzina”.

«Oh, no…no no no…» ringhiò il Joker «Non ci pensare neanche Harleen, ci sei dentro quanto me ora. Devi farlo. Per me
Harleen aprii la bocca per rispondere, ma poi la richiuse immediatamente. Non aveva idea di cosa dire. Stava esitando.
Per Mr. J avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche lanciarsi sotto un treno in corsa, ma questo…questo avrebbe potuto costarle la carriera che tanto duramente aveva conquistato, con anni e anni di duro lavoro.
Una parte di lei voleva digli di sì, che subito avrebbe obbedito ad ogni suo ordine…ma l’altra, le diceva solo “Vacci piano, stai giocando con il fuoco Harleen. E potresti rimanere bruciata.”

«Coraggio, Harleen! Non mi dirai mica che te la stai facendo sotto, vero? Perché se così fosse sarebbe una vera delusione…» continuò il Joker.

Harleen alzò lo sguardo verso di lui «No, non ho paura» disse solo

«Bene, perfetto…allora che ne dici? Mi ascolterai e farai la brava bambina, hm?»

In quel momento, tutti i suoi dubbi svanirono.
Era incredibile come qualche parolina dolce l’avesse incantata in quel modo. Harleen aveva capito che avrebbe fatto di tutto per il suo Mr. J, anche rischiare grosso. E dopo la sua fuga, l’avrebbe portata con sé e lei avrebbe detto addio alla sua vecchia e noiosa vita, così monotona, così triste e vuota.

«Sì…» sospirò la ragazza senza smettere di guardarlo.

«Bravissima, dolcezza» mormorò il clown, avvicinandosi a lei cautamente «Ascoltami bene: nella tasca della mia uniforme c’è un biglietto. Su quel biglietto c’è l’indirizzo al quale, tu, stasera, ti dovrai recare per prendere quello che mi serve.»

Harleen annuì ed infilò la mano nella tasca dei pantaloni dell’uniforme del clown, estraendo il biglietto di carta.
Lesse velocemente l’indirizzo e poi se l’infilò nella tasca del camice con molta attenzione.
«Quando sarai lì…» continuò il Joker «Troverai qualcuno che ti aspetta, Harleen. Lui ti spiegherà tutto il resto che c’è da sapere…»

«Sì, Mr. J» disse la ragazza «M-mi prometti che…che ci rivedremo, quando tutto questo sarà finito? Non mi abbandonerai, vero?»

Il Joker rise di nuovo. “Oh, piccola stupida!” pensò “Sei tanto bella quanto ingenua, così fastidiosamente devota a me…”. Ma questo non gliel’avrebbe detto, almeno per ora. Aveva bisogna della sua assoluta fiducia e collaborazione per portare a termine il suo piano. Lei era la pedina fondamentale che avrebbe determinato l’esito del gioco.
Non poteva sbagliare. Non dopo tutto il suo duro lavoro, non dopo tutto quello che aveva fatto per arrivare a questo preciso momento.

Le sorrise. Uno di quegli ampi sorrisi inquietanti che facevano gelare il sangue a chiunque lo vedesse.
«Te lo prometto.» rispose quasi meccanicamente, senza emozione.
Ma ad Harleen questo bastò e gli rivolse un sorriso di ritorno.
L’unica cosa che le importava sapere era che il suo Mr. J sarebbe restato al suo fianco per tutta la durata del suo piano, e anche oltre. Sarebbe fuggita da quella vita ordinaria che tanto odiava e che ora stava iniziando a starle stretta, con lui.

Sì, lui l’avrebbe salvata da un’esistenza monotona e noiosa. Insieme avrebbero riso del mondo intero, guardandolo bruciare sotto i loro occhi.
Con lui, finalmente avrebbe potuto essere sé stessa, libera e spericolata.

Dopo aver detto “addio” al Joker (un addio solo momentaneo perché presto l’avrebbe rivisto), Harleen uscì dalla cella.
E, non appena varcò la soglia, si rese conto che quella appena terminata, molto probabilmente, sarebbe stata la sua ultima sessione con il Joker.
Per sempre.
Non sarebbe più stata la sua psichiatra.

Non appena svoltò l’angolo, i suoi occhi blu si posarono sull’uomo che aveva visto prima di entrare nella cella del clown.
La stava guardando insistentemente e Harleen si chiedeva che diavolo volesse da lei.
Chi era veramente quell’uomo? Qualcosa nel suo istinto le suggeriva che non aveva nulla a che fare con l’Asylum e la gente che ci lavorava.

«Dottoressa Quinzel» la salutò l’uomo non appena Harleen gli passò accanto, intenta a ritornarsene nel suo ufficio. La ragazza gli rivolse un veloce cenno con il capo, prima di accelerare il passo verso la sua destinazione.
Come diavolo faceva a sapere il suo nome?


 
***


Alle otto di sera Harleen era all’indirizzo contenuto nel biglietto che le aveva dato il Joker.
Era ansiosa, incerta.
Si guardava intorno alla ricerca di qualcuno o qualcosa che le desse anche un minimo indizio di dove potesse essere la persona che stava cercando.
L’indirizzo era a pochi isolati dal suo appartamento e la cosa non le era sembrata affatto casuale.
Sbuffando, la ragazza si appoggiò sulla portiera della sua auto bianca ed iniziò a contemplare il cielo scuro e nuvoloso che sovrastava Gotham.

Il rumore della chiusura di una portiera le fece distogliere lo sguardo dal cielo e, con un sussulto, la ragazza si allontanò istintivamente dalla portiera su cui prima poggiava.
Da una grossa auto nera, pochi metri più avanti, uscì un uomo vestito elegante, alto e muscoloso. Harleen lo osservò per un istante e subito lo riconobbe: era l’inserviente che aveva visto questa mattina ad Arkham.
Era lui quel "qualcuno" di cui parlava Mr. J?” si chiese.

«Dottoressa Quinzel, buona sera» la salutò l’uomo quando fu a pochi passi da lei. Ora tutto aveva un senso.

«Buona sera…» rispose Harleen incerta, guardandosi intorno «È lei il collaboratore del…Joker?»

L’uomo le sorrise «Sì, sono Jonny Frost. Piacere di conoscerla.» Harleen ricambiò la stretta di mano anche se era ancora incerta, a Gotham non ci si può fidare di nessuno.

«Cos’è quella valigia?» chiese, notando la grossa valigia in metallo che l’uomo teneva nella mano sinistra.

«Questo, dottoressa, è il mitragliatore che le ha richiesto il Joker. Quello che ci servirà per il colpo di domani.» rispose l’uomo.

Domani?” pensò Harleen “È troppo presto

«E cosa dovrei farci io con quello? Non ho idea di come usarlo…» rispose la ragazza allarmata. Jonny le rivolse un sorrisetto, prima di aprire la portiera della sua auto e infilare la valigia sul sedile posteriore.

«Non è per lei…» disse «L’unica cosa che deve fare, dottoressa Quinzel, è assicurarsi che la valigia con il mitragliatore dentro arrivi sana e salva all’Arkham Asylum domani mattina, chiaro?»

Harleen annuii anche se ancora un po’ confusa. «Non capisco perché devo portarla io…»

«Lei è una dottoressa, lavora là da un po’ di tempo ormai e per lei e tutti i suoi colleghi non ci sono controlli all’esterno.» rispose «Ma io sono un semplice inserviente, mi controllano ogni giorno per assicurarsi che non porti nulla in quel manicomio. Di lei si fidano, di me no

Questo era vero. I controlli erano calati molto negl’ultimi anni, come le aveva riferito la dottoressa Leland. Gli unici sottoposti a controlli prima di entrare nell’edificio erano inservienti e parte dello Staff di Arkham di cui nessuno si fidava.
«D’accordo.» sospirò Harleen «Questo è tutto?»

«Dovrà lasciare la valigia nel corridoio vicino alla cella del Joker, domani mattina quando ancora non ci sono le guardie. Io sarò lì ad aspettarla. Da quel momento in poi, avrà terminato il suo compito e  sarà libera di andare.»

«Okay» sussurrò Harleen, aprendo la portiera dell’auto e salendo al suo interno.

«Buona fortuna, dottoressa.» le rispose Jonny Frost prima di salutarla e sparire dalla sua vista così come era arrivato.

«Ne avrò bisogno…» mormorò Harleen mettendo in moto l’auto, per tornare finalmente nel suo appartamento.









Note dell' autrice:
Siamo arrivati al capitolo numero 6. Questo significa che ci rimangono ancora due capitoli prima della fine della storia.
E succederanno moltissime cose in quei due capitoli, ve l'assicuro.
In questo capitolo, abbiamo fatto la conoscenza di Jonny Frost, fidato braccio destro del Joker.
Se questo capitolo vi è piaciuto, lasciatemi delle recensioni. Mi piacerebbe tanto sentire le vostre opinioni riguardo al capitolo e alla storia.
Scriverlo non è stato troppo facile, perché mi sono dovuta attenere alla "storia" dataci da Suicide Squad e quindi inventarmi qualcosa su quello stupido mitragliatore. E questa è l'unica cosa che mi è venuta in mente, ovviamente. Anche se non è originale, perché l'ho anche letta in molte altre storie. Ma va beh.
Per quanto riguarda la storia della carta e della rosa, ovviamente mi sono ispirata al cartone animato di Batman (anche se ho cambiato il contesto).
In ogni caso, grazie di essere arrivati fin qui e grazie se deciderete di lasciare una recensione :)
A presto ♥

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Method to the Madness


 
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L’indomani mattina Harleen caricò la valigia in metallo nella sua auto e sfrecciò verso l’Arkham Asylum.
Era ansiosa, nervosa, preoccupata.
E se qualcosa fosse andato storto? Se l’avessero scoperta a portare un’arma all’interno dell’Asylum l’avrebbero sicuramente licenziata.
E se fossero venuti a sapere che il mitragliatore era destinato a Mr. J, non voleva neanche iniziare a pensare a cosa avrebbero potuto fargli.
La cosa da fare, dunque, rimaneva una sola: non poteva permettersi di sbagliare. Sarebbe stata perfetta.

Come previsto da Jonny Frost, Harleen riuscì ad entrare nell’edificio senza alcun ostacolo.
Niente controlli, niente domande e niente occhiate diffidenti.
Nessuno si sarebbe mai aspettato qualcosa di vagamente sospetto o losco da lei, tutti la conoscevano come la dolce e ingenua dottoressa Quinzel.
Molto determinata e coraggiosa, certo, ma non avrebbe mai torto un capello a nessuno.
La ragazza si guardò intorno cautamente una volta giunta nel seminterrato.
Era a poca distanza dalla cella del Joker e le guardie erano nei paraggi.
Si mosse velocemente ma con molta cautela, evitando così di attirare l’attenzione di qualsiasi persona o guardia presente lì in quel momento. Giunta nel corridoio finalmente lo vide, Jonny Frost vestito da inserviente, appoggiato al muro con una spalla mentre fumava una sigaretta.

«Jonny» sussurrò Harleen avvicinandosi a lui. L’uomo alzò lo sguardo e, non appena la vide, s’affrettò a raggiungerla.

«Dottoressa Quinzel, ottimo lavoro.» le sorrise prendendole la valigia dalle mani «Da qui in poi ci penserò io, il suo lavoro qui è terminato»

Harleen scosse la testa «Voglio vedere il Joker, devo parlargli. Ha detto che mi avrebbe salvata.»

Jonny Frost corrugò la fronte.
Il Joker non era quel genere di uomo, non era mai stato veramente interessato a nessuna donna prima d’ora, tantomeno ad una come lei.
Probabilmente questo faceva parte di tutto il suo complicato piano: manipolarla in modo da farle fare tutto quello che voleva. E ci era riuscito molto bene. Quasi gli dispiacque vedere la dottoressa Harleen Quinzel così preoccupata per il clown, l’aveva fatta innamorare di lui e ora non ne voleva più sapere.
Avrebbe potuto abbandonare ogni speranza se davvero credeva che al Joker importasse qualcosa di lei, che non l’avrebbe mai abbandonata.
Dopo anni trascorsi a lavorare per lui, Jonny l’aveva capito: al clown non importa di niente e nessuno, se non di sé stesso.

«No.» disse «Qualsiasi cosa le abbia detto, adesso non ha più importanza dottoressa. Ritorni nel suo ufficio e si occupi delle sue cose.»

«Ma-»

«Come ho già detto, il suo lavoro è finito» la interruppe l’uomo, voltandosi verso la parte opposta alla ragazza «Se ne vada ora, o rischierà di far saltare tutto quanto e il capo non ne sarebbe contento. Addio, dottoressa Quinzel.»

Detto questo, l’uomo scomparve dalla vista di Harleen, inghiottito dall’oscurità del lungo corridoio, lasciandola là da sola in balia delle lacrime.


 
***
 
La serata sembrava stranamente tranquilla all’Arkham Asylum e tutto sembrava far sperare in una buona nottata.
Almeno finché dell’esplosioni non fecero saltare il cortile dell’Asylum.
Le guardie posizionate nelle torri d’osservazione cercarono la sorgente, ma tutto quello che videro furono i numerosi detenuti del manicomio aggirarsi in quella nuova “zona di guerriglia”.

Uomini travestiti da paramilitari, provvisti di maschere a gas e armi da fuoco, iniziarono a scendere utilizzando le corde calate dagli elicotteri in volo. Spararono contro le guardie, come maniaci, abbattendole una dopo le altre.
I pochi sopravvissuti corsero al riparo, entrando nell’area ospedaliera dell’Asylum e nascondendosi dietro i letti a cui i pazienti era ancora incatenati, pregando per un aiuto che non sarebbe mai arrivato. 
Gli intrusi continuarono a farsi strada per i corridoi e le stanze dell’Asylum, sparando a chiunque fosse sul loro cammino, senza prestare alcuna attenzione a chi fossero, guardie o prigionieri.

Uno di loro, il comandante della squadra, afferrò una piccola radio dalla cintura della sua uniforme.
«È qui da qualche parte» comunicò «Dividetevi e cercate ovunque»

Di nuovo in movimento, impugnò la sua revolver e aggiunse «E non dimenticate, Frost e il capo la vogliono viva


 
***

 
La grande porta d’acciaio dell’ala medica dell’Asylum fu fatta esplodere, rimossa come un ostacolo.
Jonny Frost emerse dal caos, stringendo il braccio della ragazza per non permetterle di fuggire via.

«Capo, l’ho trovata.» disse all’alta figura che si nascondeva nell’oscurità della stanza «Proprio dove ha detto che sarebbe stata. Nel suo ufficio, terrorizzata.»

Il Joker emerse finalmente dall’oscurità.
Era alto, muscoloso, il suo torso era ricoperto da una miriade di tatuaggi. Le sue griglie di metallo risplendevano nella luce. I suoi occhi chiari erano posati sulla giovane psichiatra, studiandola attentamente.

«Dottoressa Quinzel!» le sorrise «Che gentile da parte tua, unirti a noi. Sei un vero bocconcino. Così bella…che potrei mangiarti! Metaforicamente parlando, naturalmente.»

La ragazza iniziò a divincolarsi dalla stretta di Frost, ma lui non accennava a lasciarla andare. Che cosa stava succedendo?

«È arrivato il momento di un po’ di elettroshock,» disse il Joker, poi aggiunse «Frost, fammi un favore, vuoi? Fai accomodare la ragazza sul lettino.»

Jonny Frost buttò la dottoressa sul lettino medico, assicurandosi di legarla con le cinghie per impedirle qualsiasi movimento.
Il Joker si avvicinò a lei, la sua pelle straordinariamente bianca scintillava sotto la luce delle lampade.
Un enorme sorriso era tatuato sul suo avambraccio destro mentre una miriade di “HA-HA-HA” erano distribuiti sul suo petto fino ad arrivare al braccio sinistro e sotto i suoi capelli verdi.
Altri, invece, erano posizionati sui suoi fianchi, gambe e schiena, riempiendo quasi ogni spazio libero.

Harleen lo fissava, confusa. I suoi occhi, però, riflettevano la sua paura. «Per favore, non farlo. Ho fatto tutto quello che mi hai detto, ti ho aiutato.»

La ragazza iniziò a divincolarsi ancora, ma quelle cinghie erano in grado di tenere immobilizzato un uomo di quasi duecento chili. Non aveva alcuna possibilità di scappare. Era in trappola proprio come un topo.

Il Joker scosse la testa, roteando gli occhi. Non riusciva a credere a quello che la dottoressa gli aveva appena detto.
In pochi istanti, la sua faccia fu a pochi centimetri da quella di Harleen.
«Tu mi hai aiutato?» ripeté «Tu mi hai aiutato? Cancellandomi la mente, sfruttando tutti i ricordi latenti che avevo?»
Il suo tono di voce si era alzato.
Era infuriato mentre sbatteva i pugni sul lettino più e più volte, vicino alla testa della ragazza.

«Era tutto prescritto» supplicò «Tutto quello che ho fatto, era la cura migliore per te.»

«Una cura per cosa, ragazzina? Per il mio genio? La mia follia? O forse, era una cura per aiutare la mia schiena malandata, hm? Che cosa dici?»

Harleen lo guardò, la confusione era dipinta sul suo volto. «Non lo so. Ti prego non farlo, lasciami andare.»

Il Joker le si avvicinò ancora «Lasciarti andare?» le domandò, sfregandosi il mento come se stesse riflettendo profondamente e poi le fece un enorme sorriso «Lasciarti andare? È un’idea. Ma quando è toccato a me avere il cervello fritto, nessuno mi ha lasciato andare. Non è così?»

«M-mi dispiace. Non ho avuto altre possibilità…»

Il clown annuì «Lo so. Forse avete pensato che friggermi il cervello sarebbe stata la soluzione migliore per curare tutti i miei problemi. Ma devo farti una domanda, dottoressa. Ti è mai passato per la tua testolina vuota che magari avresti potuto utilizzare un po’ più di tempo per giungere ad una soluzione migliore che trasformare la mia materia grigia in budino? Che ne pensi, tesoro

«S-sì. Perché no?» rispose balbettando, era più che pronta ad essere d’accordo con qualsiasi cosa le avesse detto «Se è quello che pensi. I-io ho solo provato a fare la cosa migliore, non avrei mai voluto…»

«Fare la cosa migliore, uh?» la interruppe il Joker, muovendo le mani in modo incontrollato «No, tu mi hai lasciato in un buco nero di rabbia e confusione. È così che pratichi la medicina, dottoressa Quinzel? È questo quello che riservi a tutti i tuoi “pazienti speciali”?»

Con una mano afferrò una cinghia di pelle, mentre con l’altra accarezzò le labbra rosa della ragazza. Sentiva il suo corpo tremare sotto di lui e la cosa gli piaceva. Le avrebbe dato una bella lezione.
«Ora ti spedirò nello stesso buco.» disse, mente le accarezzava il viso con la cinghia di pelle.

Harleen scosse la testa «Cosa vuole fare, uccidermi Mr. J?»

«Oh, no» il clown scosse la testa «Non ti uccido mica, voglio solo farti molto, molto male

Appoggiò la cinghia sulle labbra chiuse della ragazza, delicatamente. Il sorriso da maniaco non aveva ancora abbandonato il suo volto, mentre nel suo cervello si susseguivano le immagini di cosa le avrebbe fatto.

«Apri bene, bambolina» le disse mentre spinse la cinghia tra le sue labbra «E mordi forte. Non voglio che si spezzino i tuoi perfetti denti di porcellana, quando la corrente ti arriverà in testa. Mi ringrazierai dopo.»

«Hai detto che non volevi farmi del male, no?» continuò, mentre lei obbediva ai suoi comandi «Ma l’hai fatto comunque. E io ti dico che non è mia intenzione farti del male, ma sai cosa? Ogni tanto succede

Il Joker fece un passo indietro, un largo sorriso sul suo volto, mentre rideva soddisfatto «Sarai la mia opera d’arte migliore, la mia Mona Lisa, e per una volta non potrei esserne più orgoglioso.»
 
Jonny Frost passò i due elettrodi al Joker. Il clown li cosparse con il gel conduttore, appoggiandoli sulle tempie della ragazza.

Harleen sapeva quello che le stava per succedere. Aveva accettato la sua sorte ormai, non aveva via di scampo.
Ma le mosse lente e programmate del clown non facevano altro che prolungare l’orrore dentro di lei.
Quando le sorrise, con quel sorriso maniacale e spaventoso, urlò nella cintura di pelle che stringeva tra i denti.

«Dimentica di avermi mai conosciuto.» le disse ridendo, ma lei sapeva che non avrebbe mai potuto farlo.

Harleen Quinzel era innamorata di lui.

Iniziò ad avere delle violente convulsioni quando i quattrocentocinquanta volt colpirono il suo cervello, i denti affondarono nella pelle della cintura e la sua faccia si contorse in agonia.
Stava gemendo dal dolore, un dolore insopportabile ma in qualche modo quasi...piacevole.

Finalmente la macchina si arrestò e i denti di Harleen smisero di dilaniare la cinghia, che ora era letteralmente distrutta.
Il suo corpo si rilassò sul lettino, una sola lacrime le scese lungo la guancia.


 
Addio, sanità mentale.
Benvenuta, pazzia.





 

Note dell' autrice:
Eccoci al capitolo 7, il penultimo.
In questo capitolo sono successe molte cose. 
Ma devo specificare una cosa che è importante che tutti voi leggiate.

La parte che riguarda l'elettroshock (e parte di quella precedente), le ho tradotte dal libro ufficiale di Suicide Squad (scritto da David Ayer e novelizzato da Marv Wolfman, del 2016). La traduzione non è completamente letterale, alcune parti lo sono; altre invece le ho integrate con alcune frasi del film (e dell'extended cut), alcune frasi le ho inventate io e alcune parti presenti nel libro le ho tralasciate. Quindi ho fatto un mix.
Ho deciso di attuare questa traduzione più o meno precisa perché adoro com'è scritto il libro e l'idea che dà del film. Quindi tenete presente questo.

Anche nel prossimo capitolo ci saranno delle traduzioni.

Se questo capitolo vi è piaciuto, lasciatemi delle recensioni. Mi piacerebbe tanto sentire le vostre opinioni riguardo al capitolo e alla storia.

Grazie ancora di essere arrivati fin qui e grazie se deciderete di lasciare una recensione :)
Alla prossima ♥
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Method to the Madness



 


Il Joker lanciò un ultimo sguardo alla dottoressa Quinzel, il suo corpo era immobile sul lettino mentre le lacrime che aveva versato s’erano ormai asciugate, e fece un lungo, soddisfatto sospiro.
Mise gli elettrodi da parte e prese un set di vestiti puliti dalle mani di Frost. 

«Bella ragazza, capo.» commentò «Un vero peccato che sia dovuta finire così.»

Il Joker s’infilò la nuova maglietta, abbottonandola mentre osservava il suo riflesso nel piccolo specchio della stanza.

«Non avrebbe mai funzionato» rispose, la sua voce sembrava distante «Cercava continuamente di mettermi a posto.»

«E chi ha detto che lei ha qualcosa che non va?»

Il clown sorrise. Non un sorriso qualunque. No, quello era il sorriso.
I lati della sua bocca si alzarono a formare una grande, micidiale smorfia e le sue griglie di metallo iniziarono a scintillare.
Questo era il sorriso di una iena.
Questo sorriso Frost l’aveva già visto, e non smetteva mai di terrorizzarlo.

I due uscirono dal laboratorio medico.
Al di fuori, il comandante dei paramilitari del Joker osservava il direttore dell’Asylum mentre se ne stava rannicchiato in posizione fetale sul pavimento, cosciente del fatto che prima o poi sarebbe morto.
La squadra di militari era vestita con costumi strani, bizzarri, contorti.

Il comandante prese la sua pistola e la spinse contro la tempia del dottor Arkham.
«Bang!» urlò

Scoppiò a ridere mentre indicava ai suoi uomini che il lavoro era terminato. Uscirono tutti, allontanandosi dall’edificio e lasciando dietro di sé caos e distruzione.


 

***

 

Harleen aprì gli occhi di scatto.
La fastidiosa luce della lampada sistemata accanto al lettino l’aveva svegliata.
A fatica, la ragazza si tirò su a sedere. Le cinghie erano state allentate.
Si guadò intorno per capire dove si trovava e cosa fosse successo.

La testa le pulsava costantemente e un senso di nausea le attanagliava lo stomaco.
La sua mente era confusa, i ricordi sbiaditi. Poco a poco, però, iniziò ad orientarsi.
Il lettino, la lampada, il soffitto scuro: si trovava nell’ala medica dell’Asylum. Ma come ci era finita lì?

Ad un tratto li vide. Gli elettrodi appoggiati sul tavolo degli strumenti accanto a lei, ancora sporchi di gel.
Qualcuno l’aveva presa di forza e l’aveva portata qua.
Poi l’avevano immobilizzata e…Mr. J le aveva fuso il cervello usando l’elettroshock.
Barcollando, Harleen riuscì a scendere dal lettino e camminare verso l’uscita.
La porta era stata fatta esplodere ed il corridoio su cui si affacciava era quasi totalmente distrutto, numerosi corpi erano a terra.

«Mr. J?» chiamò la ragazza, guardandosi intorno «Sei qui? Dove sei?»

Niente. Nessuna risposta. Solo l’eco della sua voce. L’aveva abbandonata lì. Da sola.
Aveva promesso che sarebbe restato con me” pensò, le lacrime ora le rigavano il viso pallido.
Le parole di Frost, quella mattina, le ritornarono in mente. L’aveva avvertita ma lei non aveva voluto ascoltarlo. Un’improvvisa voglia di accasciarsi a terra e lasciarsi morire le balenò in testa.
Come avrebbe fatto a vivere senza il suo Mr. J?

Ma qualcosa scattò dentro di lei, prima che potesse fare qualsiasi cosa. No, non si sarebbe lasciata morire.
Lei non era una vigliacca. “Non può finire così!” urlò dentro di sé.
L’avrebbe trovato, anche a costo di cercare per giorni e giorni.
E quando finalmente avrebbe trovato Mr. J, niente e nessuno sarebbe più riuscito a dividerli.

«Dottoressa…Q-quinzel?»

Harleen si girò di scatto. E poi lo vide. Il dottor Arkham, rannicchiato in posizione fetale, tremante e in evidente stato di shock.

«Dottor Arkham» mormorò Harleen, accucciandosi sul pavimento accanto a lui.

«U-una carneficina…hanno ucciso tutti…» balbettò l’uomo, cercando con fatica di mettersi a sedere.

«Lei ha visto dov’è andato?» domandò Harleen

«Chi?» chiese il direttore, chiaramente spaesato.

«Il Joker,» rispose «devo trovarlo»

Il dottor Arkham sgranò gli occhi «È impazzita? No, lei deve restare qua e a-aiutarmi a contattare la polizia.»

«Mi dispiace, ma devo trovarlo. È una questione di vita o di morte.» protestò Harleen

«No, non lo faccia!» esclamò il dottor Arkham, la sua schiena era ora contro il muro ma il corpo ancora gli doleva «Lui le ha dato una grande possibilità, dottoressa. L’ha lasciata vivere. Non le basta questo?»

Harleen scosse la testa, rassegnata «La mia vita non ha senso senza di lui. Arrivederci, dottor Arkham.»

Senza perdere altro tempo, si levò il camice di dosso gettandolo a terra ed iniziò a correre verso l’uscita dell’Asylum, mentre la voce del dottor Arkham le urlava di fermarsi e tornare indietro.

Chissà quanto tempo era già passato, non poteva permettersi di perderne dell’altro se voleva riuscire nel suo intento.
L’aria fredda della notte colpì la sua pelle e la fece rabbrividire.
La ragazza si guardò intorno: ora che era all’esterno, riuscì a comprendere l’enorme devastazione che aveva colpito l’edificio.

Brandelli di muro erano a terra, insieme a numerosi cadaveri di prigionieri e guardie, alcune parti erano addirittura esplose lasciando il nulla assoluto al loro posto.
Più in là, sul marciapiede della strada, una motocicletta parcheggiata attirò la sua attenzione. Harleen si guardò attorno cautamente, assicurandosi che nessuno fosse nei paraggi, prima di montare a bordo e sfrecciare via nella note tra le strade di Gotham.
 


Harleen era in sella alla moto, sfrecciando a tutta forza. “È passato troppo tempo” continuava a ripetersi “Non lo troverò più. Mi ha abbandonata”.
Passò dell’altro tempo finché, improvvisamente, il rumore del motore di un’auto sportiva attirò la sua attenzione. Una Lamborghini di un inconfondibile color porpora stava sfrecciando pochi metri davanti a lei.
L’aveva trovato. Era lui.

La ragazza iniziò ad accelerare sempre di più, il vento le sferzava nei capelli biondi con violenza, facendoli andare in tutte le direzioni. In poco tempo, riuscì ad affiancarsi all’auto. Lo vide dentro all’abitacolo. 

«Mr. J!» urlò con tutta la sua voce, senza staccare gli occhi da lui. Il clown si voltò leggermente verso di lei e roteò gli occhi. Con una mano poi si massaggiò la tempia mentre l’altra teneva il volante.
Come diavolo ha fatto?” pensò “Pensavo di essermela tolta dai piedi per sempre”.

Harleen digrignò i denti, la stava ignorando. Non l’avrebbe lasciato scappare, fosse l’ultima cosa che faceva.
Presa dalla rabbia, iniziò ad accelerare ancora fino a superare l’auto di diversi metri.
Si guardò indietro una sola volta prima di spingere la moto verso terra e, con un veloce salto, riuscì ad arrampicarvisi sopra. La motocicletta iniziò a raschiare il terreno, diverse scintille fuoriuscirono dall’attrito, fino a che non si fermò completamente a terra.
Senza perdere tempo, Harleen iniziò a camminare dritto andando incontro alla Lamborghini che stava sfrecciando verso la sua direzione.

Il Joker grugnì infastidito e frenò di colpo l’auto a pochi passi dalla ragazza. Harleen batté le mani sul cofano dell’auto, in preda all’ira e alla disperazione.

«Non voglio che mi lasci!» urlò con le lacrime agli occhi

«Tu…piccola rompiscatole.» mormorò il Joker prima di uscire dall’auto.

«Ho fatto tutto quello che mi hai detto…ogni sfida, ogni prova…ti ho dimostrato che ti amo, adesso tu devi accettarlo!» la voce di Harleen era alta ma il suo fiato corto. Era esausta, stanca e disperata.
Tutto quello che voleva era lui.

«Capito, capito, capito» parlò il Joker, gesticolando «Io, non sono qualcuno che può essere amato. Sono un’idea, uno stato d’animo.»

Harleen lo fissava, le lacrime che si erano affollate nei suoi occhi azzurri le impedivano di vedere chiaramente.
Il Joker iniziò a camminare, girandole intorno «Io realizzerò i miei desideri secondo il mio piano e tu, dottoressa, non fai parte del mio piano.»

«Tu devi fidarti di me, mi devi credere» sospirò, afferrandogli delicatamente il viso tra le sue mani «Prometto che non ti farò del male.»

Il Joker si allontanò da lei con un bruscamente, ridacchiando «Prometti, prometti?»

Con una mossa veloce, Harleen infilò la mano nella giacca del clown, estraendo la sua pistola e puntandogliela sulla fronte.
«Non farmi male…» sussurrò il Joker a voce bassa fingendo di avere paura, alzando le mani in segno di resa «Sei brava a sparare? Allora, avanti… fallo, fallo, fallo, fallo…»

«Il mio cuore ti terrorizza e una pistola alla fronte no?» gli domandò Harleen piangendo, la voce le tremava.

«Fallo!» urlò il clown e vedendo l’esitazione negl’occhi della ragazza, ne approfittò per strapparle la pistola di mano, iniziando a ridere come un matto.

«Se tu non fossi così pazza, penserei che sei folle» parlò di nuovo, il suo tono ora era serio.

Harleen rimase immobile a guardarlo. Le lacrime non accennavano a smettere e il suo cuore si era appena spezzato.
«Vattene via.» minacciò il Joker ma Harleen non si mosse di un centimetro. Dopo tutto quello che aveva fatto, non se ne sarebbe andata così facilmente.

«No…» sussurrò

«Cosa hai detto?» il clown s’avvicinò a lei con grandi passi, il suo tono era tutto fuorché affabile.

«Non me ne andrò via, non ti abbandonerò come tu hai fatto con me!»

«Stai tirando troppo la corda, ragazzina» la voce del criminale era bassa, intimidatoria. Iniziò a maneggiare la sua pistola, sicuro che al più presto sarebbe potuta tornargli utile.

Harleen guardò la pistola per un secondo e poi alzò lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri del Joker.
«Sparami, fallo.» disse, nel suo tono non c’era paura solo disperazione «Non voglio vivere senza di te.»

Il clown alzò gli occhi al cielo, infastidito da tutta questa sua devozione per lui. “Stupida, ragazzina!” pensò “Mi stai mettendo i bastoni tra le ruote!”.
Avrebbe potuto spararle un colpo, dritto alla testa, e se la sarebbe levata di torno per sempre. Ma lei non aveva paura di morire, no. E che gusto c’era nell’uccidere se la tua vittima non ha paura? Dove sta il divertimento?

«Attenta a quello che dici.» l’avvertì

«Sono disposta a morire per te, perché non lo capisci!» urlò Harleen esasperata «Farei qualsiasi cosa per restare al tuo fianco»

Quelle parole risuonarono nella mente del Joker. “Farei qualsiasi cosa per restare al tuo fianco”. Era veramente disposta a tutto per lui? L’avrebbe scoperto, allora.
E forse sarebbe anche riuscito a togliersela dai piedi nel frattempo. “La tua assoluta devozione sarà la tua rovina, Harleen Quinzel.” pensò mentre un sinistro sorriso si fece strada sul suo volto.

«Qualsiasi cosa, dici?» le chiese. Harleen annuì. Si, qualsiasi cosa. «Bene, allora sali in auto. Adesso.»

Harleen esitò per un istante, incredula. Aveva cambiato idea? L’aveva davvero convinto?

«Muoviti» ruggì il Joker «Prima che cambi idea…»

Harleen non se lo fece ripetere due volte: salì nel sedile del passeggero e il Joker mise in moto la Lamborghini.



 
***


 
Il Joker la stava trascinando su per le tortuose scale d’acciaio mentre lei ridacchiava guardandosi intorno, cercando di capire dove si trovassero.
Erano all’interno di un’enorme, sterminata fabbrica, grande almeno quanto un campo da football.
Harleen fissò la grossa rete di condutture ancorate appena sotto il tetto, delle condotte inferiori svuotavano un liquido luminoso all’intero di grandissime cisterne aperte.
Un cartello d’acciaio era stato fissato su un lato della vasca:
 

 
ACE CHEMICALS
Fondato nel 1921
 

«Qui,» le disse, interrompendo i suoi pensieri «Io sono nato proprio laggiù.»
Nelle vasche.

Ne osservò una, rimanendo incantata dal movimento della sostanza chimica sotto di lei. Il suo luogo di nascita, la sua origine. Harleen voleva disperatamente la stessa cosa.

Lui l’afferrò per le spalle e la fissò con i suoi occhi ipnotici. Quasi sembrava volesse leggerle l’anima.
«L’hai detto prima, dottoressa. Moriresti per me?» le chiese

Harleen annuì con certezza «Sì.»

«No. Troppo facile.» s’avvicinò, i suoi occhi l’attirarono a sé «Saresti disposta a…vivere per me?» poi sorrise, quel suo sorriso maniacale che la terrorizzava.
La ragazza tremò. C’era del potere in lui che non poteva negare, e voleva che quel potere la distruggesse. Era come un leone sul punto di ingoiare un topo e lei non vedeva l’ora di essere divorata.

Ma lui non la lasciò andare. Non ancora.
«Accoglierai me e solo me?» le chiese. Annuì vigorosamente.

Certo. Mai ci sarà qualcun altro.

«Unirai il tuo spirito con il mio, nell’odio?»

Se non te, chi altro?

«Consegnerai la tua anima a me?»

Sì, è quello che ho cercato di fare per tutto questo tempo. 

«Ridi del mondo con disgusto?»

L’ho sempre fatto, sempre lo farò. Soprattutto se potrò riderne insieme a te.

Tutto quello che gli rispose fu semplicemente “Sì.”

Il Joker si allontanò da lei di qualche passo. L’osserva, la studiava. Ora era lui il dottore e lei la sua paziente.
«Non promettere una cosa così, con leggerezza» disse, la sua espressione si era fatta seria «Il desiderio diventa resa e la resa diventa…potere!
Lo vuoi veramente?»

Lo guardò. C’era immenso amore nei suoi occhi mentre osservava l’uomo per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa le avesse chiesto.
«E quindi, chi scegli?» le chiese, avvicinandosi a lei e accarezzandole il viso «Harleen Quinzel oppure me?»

«Te.» rispose, senza esitazione «Sceglierò sempre te

Il Joker sorrise soddisfatto. Era nel palmo delle sue mani. Avrebbe potuto farle qualsiasi cosa desiderasse e lei non si sarebbe opposta.

«Allora addio, dottoressa Quinzel.» fece un passò indietro e le indicò il bordo della vasca. Senza esitare, Harleen saltò giù dalla piattaforma e si tuffò nel liquido che ribolliva al di sotto.
 



Colpito dal suo gesto, Il Joker la guardò sparire in quella miscela infernale. Era sparita.
Per sempre” pensò “Problema risolto”. Si allontanò dal bordo e si ripulì le mani, ma poi si fermò e si mise una mano sul cuore.

Sentiva qualcosa dentro di lui. Un dolore, un fastidio pungente. Scosse la testa. Non poteva essere. Qualsiasi cosa stesse provando era solo un’illusione della sua mente.

No, no, no… non ho bisogno di qualcuno che mi completi. Sono già solo abbastanza per due famiglie.
Ma il dolore era nel suo cuore, e non accennava ad andarsene.

Si voltò e osservò la vasca, ma non c’era ancora nessun segno di lei.
Non l’aveva vista ritornare in superficie, soffocare a causa delle sostanze chimiche e infine galleggiare a faccia in giù in quella melma e morire. Questo era il piano che aveva in serbo per lei.

Senza pensare ancora, si gettò dalla piattaforma e s’immerse nel liquido ribollente. Sparì nella vasca. Il tempo passava.
 

Tic…

Tic…

Tic…
 

Improvvisamente, riemerse dalla superficie.
Il corpo della ragazza era morbido tra sue braccia.
Mentre galleggiavano nel liquido, osservò la sua pelle ed iniziò a ridere.
La sua carne era diventata bianca, proprio come la sua. L’unica differenza era che quella della ragazza risplendeva, aveva un seducente bagliore alabastro. La guardò a lungo prima di accorgersi che non stava respirando. Era già morta?

«No, no, no, no» disse «Non ho ancora finito con te. Ho ancora molti anni di umiliazioni da infliggerti, dottoressa.»
Posò le labbra sulle sue, infondendo di nuovo la vita nel suo corpo.

Finalmente, i suoi occhi si aprirono.
«Aspetta, aspetta,» le disse «Tu non sei la dottoressa Quinzel.»

Ancora non sapeva se doveva  essere entusiasta del fatto che fosse ancora viva, oppure irritato che non fosse più la donna che sarebbe stata disposta a morire per i suoi peccati.
«I tuoi occhi. La tua pelle. I tuoi capelli. È tutto diverso. Se non sei la dottoressa Harleen Quinzel, allora chi sei?»

Lo guardò negl’occhi e sorrise.
«Sono Harley Quinn,» gli disse «Tu sei il mio Puddin’.»

Il Joker sì avvicinò e la baciò forte sulle labbra.
Quando si staccarono per riprendere fiato, lei continuò «Tu sei il mio Mr. J



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Note dell' autrice:
E qui si conclude la storia. 
Questo capitolo è stato il più difficile da scrivere per me ma spero che sia venuto fuori bene.

Come avevo scritto nello scorso capitolo, anche qui ci sono state delle traduzioni.
Nella prima scena e per quanto riguarda l'ultima parte (la scena dell'acido) ho deciso di tradurre dal libro "Suicide Squad", aggiungendo dettagli del film (come avrete potuto riconoscere alcune frasi) e qualcosa di mio. 
Ci tengo però a precisare che il libro da cui ho tradotto queste parti è stata l'ispirazione maggiore. 

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito la storia e chiunque l'abbia letta. 
Questa storia l'avevo scritta tempo fa, poco dopo aver visto Suicide Squad ed è stata una mia amica a convincermi a pubblicarla qui. 

Ho un altro pezzo già pronto riguardo Joker e Harley, che sarebbe una specie di sequel a questa storia diciamo, se siete interessati a leggerlo sarò contenta di pubblicarla. 

Se questa storia e il capitolo vi sono piaciuti, lasciatemi delle recensioni. 

Grazie per essere arrivati fin qua :)

E ci rivedremo 
(forse) nella prossima storia ♥

 

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