Nessuno lo può uccidere

di Fenice_Bea_2004
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Il Gigante Femmina ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Passato, il Corpo di Ricerca ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Attacco ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Ferite ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Risveglio ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Il Ballo di beneficenza ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Night ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Il mattino dopo ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Ultima proposta ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Annie ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Il Gigante Femmina ***


Capitolo 1 – Il Gigante femmina

Quando vidi Christa corrermi incontro ansimante, il cavallo lanciato al galoppo con la schiuma alla bocca, capii subito che qualcosa non andava secondo i piani del Comandante.

Rallentai il passo del mio destriero, trattenendo le redini con forza, e aspettai che la ragazza mi raggiungesse.

Lei mi si affiancò.

- Tutto bene, Christa? - chiesi preoccupata. Avevo sentito che nell'aria c'era qualcosa di innaturale, di non umano, provenire dalla stessa direzione della ragazza.

Christa riprese fiato con un sospiro tremante e disse – Un Gigante… enorme… sta arrivando. É un anomalo, e vuole Eren. Si sta dirigendo… qui -

Come a conferma di ciò che stava dicendo un fumogeno nero salì in cielo da dove era arrivata , scurendo il bianco delle nuvole.

Il mio volto si rabbuiò come un cielo in tempesta, raggiungendo quella freddezza che mi invadeva quando c'era un pericolo nelle vicinanze.

Riprendemmo a cavalcare.

Stringevo le redini in modo compulsivo, e mi rendevo conto che Christa lo stava notando, ma in quel momento il mio cervello si era chiuso in quella morsa calcolatrice che mi era tanto familiare.

- Cosa è successo precisamente? - chiesi duramente.

Lei deglutì e rispose, parlando senza fermarsi – Stavo proseguendo sul mio percorso, e c'erano Armin, Jean e Reiner feriti e bloccati senza destrieri, ed erano stati attaccati da questo enorme Gigante intelligente e velocissimo, dall'aspetto femminile, che aveva fatto scappare i cavalli e se ne era andato verso il centro della formazione – mi guardò stralunata e aggiunse in un sussurro, come se qualcun altro potesse sentirla – Armin dice che secondo lui è una persona nel corpo di un Gigante, proprio come Eren -

Dietro di noi, da un piccolo boschetto, sbucò l'essere di cui stavamo parlando, lanciato in una corsa: un enorme Gigante, un classe 14 metri, con i capelli corti biondi e gli occhi azzurri, il corpo da donna.

Era inseguito da un paio di Ricognitori, che cercavano di bloccargli i movimenti. Uno di loro si lanciò verso la sua nuca, ma quella lo afferrò, lo sbatté a terra e si coprì il punto debole con una mano, senza esitare o rallentare.

Con mio sommo orrore mi resi conto che Armin aveva perfettamente ragione.

- Christa! Quel coso è davvero diretto verso Eren? -

Lo sguardo che mi rivolse confermò ogni mio dubbio.

Quell'essere cercava Eren e se lo avesse trovato non lo avrebbe risparmiato.

E se lei cercava Eren, ed Eren era insieme alla Squadra di Levi, voleva dire che anche tutti loro erano in pericolo.

Non potevo permettere che quella maledetta lo raggiungesse.

Non potevo.

- Christa – il mio tono di voce era calmo, piatto come il mare in una giornata senza vento. Una volta il Capitano aveva chiamato quella calma “spaventocalma”. Era la sensazione degli assassini professionisti.

- Avverti immediatamente Levi di cavalcare il più velocemente possibile lontano da qui -

- E tu? -

- Io – risposi, estraendo le lame dai foderi e esponendole alla luce del sole, che riempì di riflessi il metallo di cui erano fatte – Intratterrò la cosa finché non saranno al sicuro. -

Lei ribatté – Ma non hai visto come ha trattato quei soldati, più esperti di te? -

Lo sguardo che le rivolsi la fece zittire.

Aveva capito anche lei che ero “spaventocalma”.

Annuì leggermente e si staccò da me.

Mentre lei raggiungeva la Squadra di Levi, che si ingrandiva sempre di più, io mi spostai di lato, le lame appoggiate sulle gambe, avvicinandomi al percorso del Gigante, che continuava ad ignorarmi.

Non appena vidi la figura di Christa affiancarsi al Capitano, e poi lanciarsi verso sinistra, mentre la Squadra aumentava il passo, cominciando a distanziarci, presi un respiro profondo.

Rischiavo seriamente di morire.

Ma quando la persona a cui tieni di più è in pericolo, tutto perde valore.

Agganciai i rampini alla schiena del Gigante femmina e, con un unico movimento fluido, mi lanciai sulla sua caviglia, le lame che rilucevano diaboliche, in attesa del sangue.

 

- Kayla! Kayla! - Annie mi stava chiamando.

- Che succede? - le chiesi curiosa, mollando le ginocchia, che tenevo strette al petto.

Lei mi sorrise e si sedette di fianco a me.

- Quando dovremo scegliere in quale Corpo andare, tu cosa sceglierai piccolina? -

Io ci pensai un po' su, facendo una smorfia al mio appellativo. Non ero molto più piccola di Annie.

Osservai le bianche nuvole che viaggiavano sopra alla città di Trost. Il mio sogno era sempre stato quello di unirmi al Corpo di Ricerca, proprio come la mia mamma e il mio papà.

Dalle storie che mi raccontavano quando venivano a casa il Comandante Erwin sembrava davvero una brava persona e il lavoro una cosa pericolosa, ma che ti rendeva libero. Libero dalle mura.

- Annie, redo che entrerò nel Corpo di Ricerca. Proprio come mà e pà -

Lei mi guardò di sottecchi, poi tornò ad osservare il cielo di mezzogiorno.

- Allora ci faresti un favore? -

- Certo! - risposi sorpresa – Tutto per te, Reiner e Bertholdt! Siete stati così gentili con me! -

- Vedi, devi sapere che nel Corpo di Ricerca c'è una brutta persona – disse Annie.

- Davvero? Mà e pà non me ne avevano mai parlato… -

- Si è unito dopo che i tuoi genitori sono morti -

Una fitta, come sempre. Mamma… papà…

- Chi è? -

- Un certo Ackerman, Levi Ackerman. È diventato recentemente Capitano, forse lo conosci. -

La mia mente volò all'uomo imbronciato che ci guardava correre a cavallo, di fianco a Erwin.

- Sai, Kayla, lui è molto cattivo perché vuole farci del male. Quindi devi fare una cosa per proteggerci -

Il mondo si bloccò su quella farse, e io rimasi interdetta. Perché quell'uomo voleva uccidere Annie? Lei non era malvagia, era solo un po' solitaria. Come me, del resto.

- Cosa? - chiesi. Tutto per la ragazza che, anni indietro, dopo che i miei genitori erano morti in una spedizione e la casa di mia zia a Shiganshina era stata distrutta, mi aveva insegnato a sopravvivere.

- Devi avvicinarti a lui, in modo che si fidi di te, e poi ucciderlo. -

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Passato, il Corpo di Ricerca ***


Capitolo 2 – Passato, il Corpo di Ricerca
Era sera tardi. Avevamo appena concluso il nostro addestramento giornaliero.
Eravamo appena entrati a far parte del Corpo di Ricerca e molto non era cambiato al Corpo Cadetti, tranne la compagnia e le divise.
Tutti erano già andati a dormire, ma io proprio non riuscivo a chiudere gli occhi.
Durante la battaglia di Trost avevo avuto modi di collaborare con Levi Ackerman, il Capitano dei Ricercatori. La mia vittima.
Sebbene fosse molto scontroso e severo non mi sembrava il tipo di persona che faceva del male gratuitamente.
Anzi, mi aveva anche salvato senza pensarci due volte quando un Gigante Anomalo mi aveva afferrata al volo.
E in quel momento avevo capito che mai avrei potuto provocargli del dolore.
Avevo subito un colpo di fulmine. Per la persona più scontrosa, severa, antipatica, solitaria e bella del mondo.
Ma che ci potevo fare? In più non mi ero mai sentita di uccidere una persona, non un Gigante, ma una persona umana proprio come me.
Perciò, subito dopo la battaglia e prima della scelta del Corpo avevo preso Annie in disparte e le avevo detto che rifiutavo il suo incarico.
- Mi stai dicendo di no? - mi chiese lei fredda e cattiva.
- Sì – le risposi, cercando di mantenere lo sguardo fisso nei suoi freddi occhi celesti, lontani come stelle e crudeli.
- Peggio per te – mi rispose lei, passandomi di fianco e urtandomi con la spalla.
Io rimasi qualche secondo ferma lì, poi sospirai e me ne andai.
“Era la cosa giusta” pensai.
Così quella sera ero seduta sul tetto dell'ex-quartiere generale che osservavo le stelle e la luna, pensando a quanto era stata difficile ma esatta quella scelta.
- Non dormi? - mi chiese una voce familiare, avvicinandosi a me.
- Capitano, buonasera. No, proprio non riesco. -
Levi si sedette di fianco a me, una gamba piegata e una penzoloni nel vuoto.
- Neanch'io – mi rispose, staccando lo sguardo dal mio viso e osservando anche lui le miliardi di stelle del cielo.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi lui mi chiese – Che ne pensi del Corpo di Ricerca? -
- Sempre trovato perfetto per me, signore. Entrambi i miei genitori lavoravano qui. -
Lui rimase sorpreso – Davvero? Entrambi? -
Io annuii – Sì, Christina e Max Brooks. Purtroppo morti prima che lei entrasse nel Corpo. Credo che le sarebbero piaciuti. -
Lui abbassò lo sguardo sulle tegole – Mi dispiace molto. -
Alzai le spalle, anche se sentivo già le lacrime salirmi agli occhi. “Col cavolo che piango davanti a lui” pensai.
- Sì, sono stati mangiati durante una missione in cui si cercava di piazzare una base fuori dalle mura. Un Anomalo. Ha sterminato tutta la squadra ed è scappato. -
Lui strinse li occhi a fessura – Anche due miei amici sono stati uccisi da un Anomalo. Ti capisco. -
Io gli sorrisi e tornai a guardare le stelle, adesso coperte dalle nuvole.
- Quindi cos'hai fatto dopo la loro morte? -
- All'inizio vagavo sperduta, diciamo così, nel dolore. Poi, grazie ad Annie Leonhart, che mi fece un po' da insegnante di vita, riuscii ad entrare nell'esercito. -
- Leonhart? La ragazza che è andata nella Gendarmeria? -
Annuii, copiando la posizione di Levi, con una gamba su e una giù.
- Sa – dissi, sorridendo – Sinceramente non mi aspettavo che lei ascoltasse volentieri la mia storia. -
Lui sospirò e rispose – Sono a conoscenza che mi comporto in modo antipatico.  Ma tu sei così simile a me che mi intrighi. Petra è troppo emotiva positivamente per i miei gusti, anche se riesce a capirmi, e Hanji è troppo addetta agli esperimenti. Tu, invece… sempre solitaria, sempre pronta  a delle battute sarcastiche, che sta in compagnia solo quando ci sono Mikasa e Eren o Reiner e Bertholdt… intrigante… -
Io rimasi a guardarlo, cercando di non sembrare felice come ero veramente. Intrigante… lui mi aveva notata.
Rimanemmo tutta la notte sul quel tetto, in silenzio, osservando le stelle e pensando ai nostri amici e familiari perduti.

Il giorno dopo si sarebbe svolto il nostro primo allenamento con Levi come maestro, e non un semplice osservatore.
Ci ordinò come prima cosa di fargli vedere come utilizzavamo il Movimento Tridimensionale. Prese appunti per ciascuno di noi.
Poi decise di valutare come ce la cavavamo nel combattimento corpo a corpo.
Mi preparai, cercando di ricordare tutte le mosse che Annie mi aveva insegnato.
Il compito era mettersi a coppie con un soldato esperto del Corpo di Ricerca e vedere come ce la cavavamo.
Ovviamente, con la fortuna che mi ritrovavo, finii con un armadio vivente.
Non appena lo vidi avvicinarsi lasciai cadere le spalle e pensai “Andiamo, è troppo da libro questa scena…”
Appena il Capitano diede il via il gigante mi afferrò per un braccio e mi lanciò a terra dall'altra parte, senza neanche spostarsi troppo.
Potevo dire addio alla mia carriera, e alla mia vita!
Sputai un po' di terra e mi rialzai.
Guardai il Capitano, che mi osservava a sua volta.
- Ah, ti piace il capo, non è vero? - mi prese in giro quello, con un sorriso cattivo sulle labbra – D'altronde voi ragazze siete tutte così, non appena vedete un bel tenebroso gli cascate ai piedi? -
Io sorrisi amara e gli risposi – Cos'è, sei geloso? -
Lui grugnì e mi sferrò un pugno, prendendomi di striscio la guancia.
- Non crederai mica che sia il soldato più forte dell'umanità, come tutti pensano. È talmente basso che se ci soffio addosso cade! -
Scoppiai a ridere, in una risata di quelle che si affibbiano ai cattivi dei libri.
- Amico, finché mi prendevi in giro mi andava bene, ma se insulti lui preparati a mangiare la polvere! -
Attaccai e riuscii ad assegnargli un calcio nel fianco.
Lui mi afferrò per la schiena e mi sbatté nuovamente a terra.
“Cavolo, questo vuole schiacciarmi” pensai mentre mi asciugavo un rivolo di sangue dal labbro spaccato.
Mi sollevai, un ringhio sul volto e piantai bene i piedi.
Non avevo scelta, se non usare quella mossa.
Lui si slanciò in avanti per tirarmi un pugno.
Aspettai. Aspettai ancora, rimanendo perfettamente immobile. Non appena la sua mano era a pochi centimetri dal mio naso scattai.
- Ricorda – mi aveva detto una volta Annie – Se un avversario è più forte di te devi agire d'astuzia e sfruttare la sua forza contro di lui. -
Mi abbassai per evitare il suo colpo e gli passai le mani intorno al collo da sotto il braccio alzato.
Poi, prima che potesse liberarsi, usai la sua forza all'indietro per sbattere lui a terra. Cadde come una pera, alzando una nuvola di polvere.
Rimasi lì in piedi a guardarlo mentre cercava di rialzarsi, ignorando il labbro che aveva ripreso a sanguinare, sporcandomi la divisa.
Una mano si posò sulla mia spalla e io saltai via, alzando una mano per colpire. Appena mi resi conto della scena mi bloccai.
Avevo la mano a pochi millimetri dalla guancia di Levi, che mi teneva ancora una mano sul braccio e guardava incredulo il mio pugno.
- Ehm… - mormorai, abbassando le braccia e arrossendo – Scusi tanto -
Lui mi guardava impassibile come sempre. Non sapevo se voleva picchiarmi o no.
- Vieni con me – disse poi, girandosi e allontanandosi verso lo stand dell'infermeria.
Lo seguii, sentendo gli sguardi dei miei compagni e del Ricercatore/armadio che mi trafiggevano la nuca.
Quando raggiungemmo il bancone Levi tirò fuori un pezzo di cotone e una bottiglia di alcool. Inzuppò il tampone e me lo porse.
Io ringraziai e me lo passai sul labbro aperto.
Cavolo, se bruciava! Per il dolore lasciai cadere il cotone per terra.
- Scusi – ripetei, abbassandomi per raccoglierlo.
Levi me lo prese dalle mani alzando gli occhi al cielo.  
– Siediti lì – disse, indicando con il mento una sedia.
Mi accomodai e lui si piegò su di me, premendo la pezza contro il mio taglio.
- Ahia! - mi lamentai, ma non potevo sottrarmi, proprio perché era lui a tenerlo.
Lui sospirò – Guarda qua… almeno sei stata brava a batterlo con quella proiezione. -
- Grazie, signore – risposi, felice del fatto che non fosse arrabbiato.
- Di niente – disse e mi sorrise, con un sorriso così caldo e così insolito per il Levi descritto dagli altri soldati che rimasi senza parole. Avevo fatto bene a decidere di non sfruttare quel suo lato per ucciderlo.
Da quel momento il Capitano mi prese in simpatia, chiedendomi molto più spesso di partecipare a delle missioni extra e, pian piano, anche se ancora non lo sapevo, cominciò a innamorarsi di me.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Attacco ***


Capitolo 3 – Attacco

Le caviglie del Gigante Femmina si avvicinavano sempre di più e nella mia mente erano circondate da un bersaglio.

Alzai le lame e tagliai.

O almeno così credetti per qualche secondo.

Mi guardai indietro e vidi che il Gigante continuava a correre, la caviglia era diventata di quel cristallo super resistente e le mie lame era frantumate: in mano mi restavano solo gli ultimi trenta centimetri di metallo.

Con un grugnito le cambiai al volo mentre mi riavvicinavo.

Voleva fregarmi? Bene.

Il suo problema era che non poteva far diventare tutto il corpo di cristallo, e questo mi concedeva una possibilità, se sapevo sfruttarla a dovere.

Afferrai più saldamente le lame e mi lanciai di nuovo sulle sue gambe. Stavolta invece di bloccarla volevo semplicemente farla rallentare, si stava avvicinando troppo alla Squadra di Levi.

Avvitai intorno alla sua gamba destra, come avevo visto fare una volta al Capitano con un Anomalo, e tenni le lame lunghe davanti a me.

Quando mi allontanai per vedere il mio operato sorrisi di soddisfazione.

Adesso sul polpaccio aveva tanti tagli a croce che si sovrapponevano, sfibrando i muscoli.

Infatti la tizia rallentò, facendo guadagnare terreno a Eren.

Mi apprestai per fare lo stesso all'altra gamba, ma il Gigante si stufò della mia presenza e tentò di afferrarmi, sempre tenendo coperto il suo punto debole.

Mi spostai ed evitai la sua mano, che si chiuse a pugno intorno all'aria.

“I rampini!” pensai improvvisamente, rendendomi conto che se tirava i fili poteva uccidermi sbattendomi a terra o su un albero, come aveva fatto con gli altri soldati.

Appena formulai quel pensiero il Gigante Femmina diresse le dita vicino ai rampini. Feci l'unica cosa che mi venne in mente: mi staccai e lasciai che la gravità mi riportasse a terra.

Non appena afferrò nuovamente il nulla mi riagganciai alla sua schiena.

Dovevo colpire il suo punto debole.

Un'idea folle prese forma nella mia testolina.

Un'idea troppo folle.

Che nemmeno il Capitano avrebbe attuato.

Ma io non avevo scelta.

Eseguii lo stesso procedimento del polpaccio sul braccio che copriva il suo punto debole, che si mostrò scoperto non appena recisi il tricipite dell'essere.

A quel punto dovevo fare la cosa stupida.

Utilizzando gran parte del gas che mi era rimasto mi alzai in alto, fino a superare le fronde degli alberi, staccai nuovamente i ganci per evitare che li potesse afferrare e lasciai che il mio corpo ricadesse giù, cercando di ignorare la sensazione di vuoto che avevo allo stomaco.

Nel frattempo aprii le braccia e mi rigirai, iniziando a roteare mentre cadevo, trasformando le mie lame in un vortice che, alla luce del sole, luccicava diabolicamente, il filo della spada che chiamava la sua preda, il collo del Gigante.

Il mondo intorno a me girava come una trottola, la mia visuale passava dall'azzurro cielo al verde del sottobosco.

Mi avvicinai al collo del Gigante e, non appena le spade raggiunsero la pelle, sentii il rumore dei suoi muscoli che si laceravano ripetutamente, aprendo un varco per il suo ospite.

Purtroppo mentre io eseguivo quella mossa il suo braccio era guarito.

Così, proprio mentre della stoffa arrivava alla luce dell'esterno mi afferrò e serrò il pugno.

Con l'altro braccio si ricoprì il punto debole, mentre riacquistava metri sui cavalli di Levi.

Mi sollevò all'altezza dei suoi occhi e strinse senza pietà.

Urlai di dolore, ma riuscii a infilare le lame nella sua mano e a tirare.

L'essere storse la bocca mentre un paio di dita cadevano al suolo e venivano lasciate indietro. Poi, con un movimento fulmineo, mi sbatteva all'indietro contro un albero, lasciandomi ricadere per terra mentre continuava la sua corsa spietata.

Tutto il mondo divenne nero, ma ero riuscita nel mio intento: avevo impedito al Gigante di uccidere la Squadra prima che arrivassero alla trappola che Erwin aveva teso.

Infatti, prima di svenire, vidi centinaia di rampini che bloccavano tutte le parti del corpo del Gigante, costretto a fermare la sua corsa.

Sorrisi e cercai di alzarmi, ma il mondo non voleva fermarsi.

Avevo preso una bella botta alla testa.

 

Ogni secondo in cui Kayla cercava di bloccare il Gigante Femmina io pregavo perché non le succedesse niente.

Era matta ad attaccare così un essere talmente forte?!

Quando lei la sbatté contro un albero e ricadde come al rallentatore per terra sentii il fiato che mi usciva dai polmoni.

Perché proprio lei?

Continuai ad avanzare, seguito dalla mia Squadra, finché non raggiungemmo una radura poco distante.

Lì il piano di Erwin si attuò.

Io urlai – Erd, ti affido il comando. Andate lontano. Petra, con me -

Mi alzai in volo seguito dalla ragazza e tornai indietro, mentre gli altri proseguivano, addentrandosi sempre di più nel bosco.

- Petra, vai da Erwin. Io recupero Kayla! -

Petra mi guardò stranamente, poi eseguì gli ordini.

Raggiunsi Kayla, che giaceva sul tappeto erboso del sottobosco.

Appena provai a spostarla mugolò qualcosa e mi accorsi che aveva un piccolo taglio sulla fronte.

- Mi senti? - chiesi, cercando di capire se era svenuta.

- Sì, Levi… ti… sento. - mi rispose affannosamente lei, passando le braccia intorno al mio collo.

Io le misi una mano sulla schiena e con l'altra manovrai i rampini in modo che ci portassero al sicuro sul ramo di un albero.

Erwin ci raggiunse seguito da Hanji, Petra e Mike.

- Sta bene? - mi chiese il Comandante.

- Sì, ha solo preso una botta alla testa – risposi io, appoggiando il cadetto Brooks al tronco principale.

Mi allontanai per salire sulla testa del Gigante Femmina, sicuro che ormai l'avessimo catturato e che Eren fosse al sicuro. Non potevo sbagliarmi più di così.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Ferite ***


Capitolo 4 – Ferite

Quando vidi Levi uscire dal Bosco con Eren sottobraccio tirai un sospiro di sollievo e mi avvicinai verso di loro, spostando il cavallo di lato. Petra fece lo stesso, osservando attentamente Levi.

- Capitano, come siete pallido! - esclamò.

Io lo guardai meglio e una cappa di terrore mi avvolse.

Il volto di Levi era bianco come il latte, il suo sguardo perso e la mano che teneva la spada convulsamente stretta intorno all'elsa.

Non appena lo vidi vacillare mi gettai giù dal mio destriero e lo afferrai.

Lui mi si appoggiò addosso, respirando affannosamente.

- Mikasa! Prendi Eren! -

La ragazza atterrò e accorse, passandosi un braccio del ragazzo intorno alle spalle e portandolo verso il più vicino carro medico.

Io feci lo stesso con il Capitano.

Mi girai verso Petra e sbraitai – Presto! Vai a chiamare un medico! -

Lei galoppò verso lo schieramento principale, mentre io cercavo di restare in piedi: Levi mi si era completamente accasciato addosso.

Teneva un piede sollevato, probabilmente si era slogato una caviglia.

Con la mano sinistra, quella che non teneva la mia giacca per sostenersi, si copriva il fianco destro, che aderiva al mio.

Dopo qualche secondo sentii che la ma giacca si inzuppava e così la maglietta sotto. Abbassai lo sguardo per cercare di capire cos'altro succedeva e, non appena vidi la ferita, spalancai gli occhi.

Dalla mano che copriva il fianco sgorgava sangue, che mi stava bagnando la maglietta.

Levi si era fatto un taglio mentre trasportava Eren.

Mentre Petra arrivava di corsa con un medico lui aprì leggermente gli occhi e da sotto la palpebra vidi quell'iride grigio tempesta che tanto mi piaceva.

Sussurrò – Mocciosa, non starmi così addosso -

Io lo guardai e risposi, la voce resa di un'ottava più acuta dal nervosismo – Per favore, Levi, non fare così adesso. Non ti lascio andare, devo ripagare una medicazione. -

Mi stupii anch'io di avergli dato del tu e di averlo chiamato col suo nome di battesimo. Petra mi guardava tra lo stupito e l'inorridito.

Pensavo di avergli mancato di rispetto, ma mentre il medico lo prendeva e lo trasportava su un carro vidi che lui sorrideva leggermente, gli occhi di nuovo chiusi.

Quando il convoglio iniziò a viaggiare, di ritorno al Distretto da cui era partito, io presi il mio cavallo e lo affiancai a Levi.

I medici gli stavano fasciando il fianco e avevano già sistemato la caviglia.

Il giovane soldato più vicino a me mi guardò e, notando il mio sguardo preoccupato, disse – Non si preoccupi. È solo slogata, non rotta. Guarirà in tre, quattro giorni e il taglio pure. -

Io lo ringraziai sollevata e ripresi il mio viaggio un po' più tranquilla.

 

I giorni successivi li passai nella stanza del Capitano, cercando di confortarlo.

Ogni notte aveva degli incubi per colpa della febbre, e tutte le volte sognava l'ultima missione fuori dalle mura. Tutte le volte gridava i nomi dei suoi compagni.

Quando succedeva mi sedevo accanto a lui e cercavo di tranquillizzarlo, dicendogli che andava tutto bene.

L'ultima sera prima che si svegliasse farfugliò – Kayla. Kayla. - poi sorrise e si addormentò pacificamente.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Risveglio ***


Capitolo 5 – Risveglio

Quando mi svegliai da quel pozzo scuro in cui ero stato era mattina presto e dalla finestra della mia camera filtrava la luce del sole, illuminando lo spazio tra il letto e le poltrone.

Mi sollevai sui gomiti, affondando sui numerosi cuscini che mi sorreggevano.

Indossavo un paio di pantaloni morbidi e scuri. Una delle gambe era avvolta nelle bende, come il mio fianco nudo.

Mi passai una mano tra i capelli e mi guardai intorno.

Il comodino di fianco a me era strapieno di piatti e bende nuove.

La porta del bagno era socchiusa e le tende aperte.

Sulla poltrona più vicina al letto c'era una persona, addormentata.

Kayla.

Il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente, ma i suoi occhi, sotto le palpebre, si muovevano agitati. Stava avendo un incubo.

Mi sedetti sul bordo del letto e provai ad alzarmi, ma non appena appoggiai il piede sinistro per terra ricaddi all'indietro per la fitta di dolore che mi era partita dalla caviglia.

Kayla si svegliò di colpo, afferrando i braccioli della poltrona e guardandosi attorno. Appena notò che ero sveglio la sua espressione passò dalla felicità all'imbarazzo alla rabbia.

- Capitano, stava cercando di alzarsi? - chiese innervosita.

- Sì – risposi semplicemente, riprovando a mettermi in piedi.

- Non ci provare – mi avvertì lei alzandosi – Il medico ha detto che devi riposare. -

Io la ignorai e appoggiai il peso sul piede buono.

Lei mi venne incontro, mi appoggiò le mani sul petto e mi ricacciò sul materasso.

Io mi rassegnai e mi sdraiai nuovamente, anche perché cominciava a girarmi la testa.

- Per quanto tempo sono rimasto svenuto? - le chiesi.

Lei sospirò, afferrò un rotolo di bende dal comodino e si sedette di fianco a me.

- Circa quattro giorno. Uno di viaggio e tre qua. -

Srotolò la fascia della caviglia e la sostituì con quella nuova.

Indicò il mio fianco e chiese – Posso? -

Io annuii.

Le iniziò a togliere anche quella, passando le mani intorno alla mia schiena.

Aveva le mani ghiacciate.

- Hai freddo? - chiesi.

- No – rispose – Ho preso in prestito una sua felpa. Se vuole la rimetto a posto. -

- No, fa niente, basta che la lavi -

Calò il silenzio.

Lei finì di avvolgere e ritornò alla sua poltrona. Si raggomitolò lì e rimase ad osservarmi, come se avesse paura che ritentassi la fuga.

- Continui a passare dal tu al lei – notai.

Lei rimase sorpresa e arrossì, poi rispose – Quando sono nervosa tendo a dimenticare le buone maniere. -

- Facciamo così allora. Chiamami Levi, dammi del tu e finiamola qui. -

- Ok. Adesso però dormi, Levi, che sei stato parecchio svenuto e devi recuperare le forze. -

Feci per controbattere sprezzante, ma mi resi conto che aveva ragione.

Ero stanco morto.

Annui e mi girai su un fianco. In poco ero di nuovo addormentato.

 

Quando ritornai nel mondo reale era pomeriggio inoltrato.

Kayla dormiva di nuovo, stavolta non sulla poltrona ma sul divano.

Mi alzai in piedi senza fare rumore. Se appoggiavo sulla caviglia sana riuscivo a camminare tranquillamente, zoppicando non vistosamente.

Andai all'armadio e lo aprii.

Presi una camicia bianca e andai in bagno. Mi lavai velocemente, cercando di non buttare troppa acqua sul taglio.

Feci per tornare sul letto, ma bussarono alla porta.

Kayla si agitò un po', ma non si vegliò.

Aprii e mi ritrovai davanti Erwin, che mi sovrastava dall'alto.

Mi sorrise e mi chiese – Come va Levi? Il cadetto Brooks mi aveva informato che ti eri svegliato. Sono venuto il prima possibile. -

- Davvero? Prego, entra. -

Si sedette su una poltrona e io feci lo stesso sul divano, accanto a Kayla.

Il Comandante la guardava divertito.

- Sai che non è mai uscita da questa stanza? -

Io rimasi stupito.

- Eren le portava i pranzi e Mikasa dei vestiti puliti. Sai che ha passato più tempo qui lei di Petra? -

- Ma dormiva qui? -

Lui mi guardò, gli occhi rabbuiati – Non proprio. Più che altro dormiva quei pochi minuti in cui venivano i medici. Avevi iniziato a delirare nel sonno e lei aveva smesso proprio di riposare per paura che ti riaprissi le ferite. Devi essere davvero un buon Capitano per meritarti così tante attenzioni. -

Io la osservai dormire, gli occhi cerchiati da due scure occhiaie.

Perché si comportava così?

E perché ero felice che ci fosse lei su quel divano e non Petra?

Perché mi stavo innamorando?!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Il Ballo di beneficenza ***


Capitolo 6 – Il Ballo di beneficenza
Quando Erwin mi disse che avremmo dato un ballo pensai che stessi scherzando. La maggior parte della mia squadra era appena stata uccisa, io ero stato in malattia fino a due giorni prima e un Gigante era a piede libero tra noi umani, camuffato.
Lui mi guardò dall'altro lato del tavolo, inchiodandomi con i suoi occhi azzurri, serio come sempre – Non sto scherzando, Levi. Se dobbiamo combattere il Gigante femmina ci servono fondi. E per ottenerli dobbiamo dare un ballo di beneficenza, per far sentire i nobili al sicuro. -
Io feci una smorfia. Tutta gente con la puzza sotto al naso.
- Perciò, anche se ti infastidisce, ti vestirai bene, troverai una dama con cui ballare e mostrerai alla gente che siamo brave persone. Ok? -
Io annuii frustrato, recuperai la mia giacca e uscii dalla stanza del Comandante in silenzio, sbattendo la porta.
“Troverai una dama”.
Non era mia abitudine invitare ragazze ad un ballo.
Figuriamoci trovare qualcuna con cui danzare un lento.
C'erano file e file, ma chi davvero mi avrebbe impedito di annoiarmi tutto il tempo? Mi avrebbe impedito di dire qualcosa di sconveniente?
Subito il mio pensiero corse a Petra. Era l'unica che veramente riusciva a capirmi. Oppure Hanji, la sopportavo abbastanza.
Sospirai mentre aprivo la porta della mia stanza.
Quando entrai vidi che Kayla era ancora addormentata sul divano, le sue cose pronte di fianco allo schienale.
Sembrava un ghiro negli ultimi giorni. Da quando mi ero rimesso recuperava tutte le ore che aveva passato sveglia per controllarmi nel mio delirio.
Mi avvicinai, mi sedetti accanto a lei e accavallai le gambe, afferrando la tazza di tè che aveva lasciato sul tavolino.
Bevvi qualche sorso, poi le appoggiai una mano sulla spalla e scossi lentamente.
- Sveglia, mocciosa. -
Lei aprì un occhio alla volta, inondandomi di quelle strane iridi verde smeraldo misto a oro.
Si stiracchiò, poi si sistemò i vestiti stropicciati e mi guardò, ancora sonnolente.
- Come va? - farfugliò.
Io feci un cenno per dirle di lasciar perdere. Ormai non avevo neanche più bisogno della stampella.
- Erwin ha detto che dopodomani sera ci sarà un ballo di beneficenza -
Lei mi guardò strana – Ma stava scherzando, vero? -
Io scoppiai a ridere.
Perché ridevo per una cosa così stupida?
Lei mi guardò con un mezzo sorriso.
- È la stessa cosa che ho pensato anch'io – le spiegai.
Kayla si unì alla mia risata.
- Ma dobbiamo invitare qualcuno? - chiese.
- Sì – alzai gli occhi al cielo, appoggiando il gomito al bracciolo del divano.
Lei soffocò un'altra risata.
- E Petra cosa ha risposto? - aggiunse a bruciapelo.
- Petra? - ero confuso. Che c'entrava Petra?
- Non le hai chiesto di accompagnarti? -
- In realtà no… non ancora… -
Lei sorrise tristemente – Allora sbrigati, prima che qualcun altro te la rubi -
Feci per rispondere che sì, mi sarei sbrigato, ma dalla mia bocca uscirono parole diverse, che mai mi sarei aspettato di pronunciare – Vuoi venire te? -
Lei rimase a bocca aperta.
Cosa diavolo avevo combinato?

- Ma allora andrai davvero al ballo con il piccoletto? - mi chiese Mikasa per la centesima volta, mentre la aiutavo a sistemarsi i capelli.
Era arrivata la sera del ballo, ma io non avevo ancora niente da mettermi.
Non avevo più visto il Capitano da quando me lo aveva chiesto e ancora credevo fosse una presa in giro, anche se Levi non scherzava mai. Mai.
- Credo di sì… Per il momento mi limiterò a presentarmi. Ma non ho nessun vestito decente. - Sospirai, applicando l'ultimo fermaglio ai capelli corvini della mia compagna di stanza.
- Ti presto io qualcosa! - Mikasa si alzò entusiasta e si diresse al suo armadio.
Rovistò per un po' al suo interno, e alla fine ne estrasse un abito elegantissimo, bianco come il latte e morbido come la seta.
- Davvero? É uno dei pochi che hai! -
- Tranquilla, lo faccio volentieri. Erano mesi che non ti vedevo così contenta! -
Ripensai al peso che mi ero davvero tolta tempo prima, subito dopo essere entrata nel Corpo di Ricerca. Sebbene Annie mi aveva sempre evitato da allora ero contenta di aver rifiutato di diventare un sicario.
Soprattutto se la mia vittima doveva essere lui.
Mikasa mi aiutò a indossare l'abito.
Mi rimirai allo specchio e per un attimo mi sembrò di guardare il riflesso di un'altra persona, non mi ero mai sentita così femminile in tutta la mia vita.
Mi rimirai per qualche secondo, prima di sorridere alla mia amica e abbracciarla.
Eravamo pronte.
Eren si presentò alla nostra porta pochi minuti dopo, vestito di tutto punto. Di fianco a lui si era riunita tutta la combriccola: c'erano Jean, Armin, Reiner e Bertholdt che chiacchieravano tutti insieme, subito dietro il ragazzo, con il Caposquadra Mike e il Caposquadra Hanji.
Poco lontano stavano uscendo dalle loro stanze Ymir e Christa, che mi rivolse un cenno con la testa prima di avvicinarsi a Sascha, impegnata a sgranocchiare qualche biscotto.
Mikasa si avvicinò subito ad Eren, che rimase a bocca aperta per qualche secondo mentre mi guardava.
- Chiudi la bocca, ragazzo, o rischi di sembrare malintenzionato. – lo presi in giro, abbracciandolo. Lui scoppiò a ridere e ci avviammo in un gruppo serrato alla sala dove si stavano riunendo tutti i nobili.

I nuovi arrivati erano in ritardo già di qualche minuto.
Vedevo Erwin che salutava tutti i nobili stringendogli la mano, mentre Moblit intratteneva le persone giunte per informazioni sugli esperimenti, in attesa dell'arrivo di Hanji.
Afferrai al volo un bicchiere di vino dal vassoio di un cameriere.
- Capitano Ackerman, tutto bene? - mi chiese una giovane contessa, avvicinandosi nel suo orripilante vestito a muffin, simbolo dell'alta società.
- Sì, non si preoccupi. É solo stata una settimana difficile. -
Lei si avvicinò ancora di più, appoggiandomi una mano inguantata sulla spalla – Mi dispiace molto per la sua squadra… -
Ringraziai che indossasse un guanto, così non ero costretto ad allontanarla malamente. Odiavo la gente che mi toccava senza una protezione o la sicurezza che fossero puliti.
- Ripeto, non si preoccupi. Il suo compito è divertirsi. -
Dallo sguardo languido che percorse il mio completo scuro capii che il suo concetto di divertimento non doveva essere altrettanto bello per me – A proposito, che ne dice di… -
La sua orribile proposta fu interrotta dalla mano di Erwin che mi afferrava per l'altra spalla, chiamandomi allegramente.
- Erwin, come vanno le relazioni pubbliche? - chiesi poco interessato, distogliendo completamente la mia attenzione dalla giovane pazza.
Lui scoppiò a ridere e rispose – Bene, molta gente è interessata ad incontrarci nuovamente! -
Poi mi fece l'occhiolino e aggiunse sottovoce – O almeno, molte ragazze sarebbero felici di incontrare te, e non solo ragazze… -
Lo guardai infastidito.
- Comandante Smith! Piacere di incontrarla! - la giovane contessa non aveva ancora finito con noi.
Porse la mano a Erwin, rivolgendo anche a lui quello strano sguardo.
Spostava gli occhi da me e lui.
Temevo che stesse per farci qualche scomoda proposta, ma prima che potesse aprire bocca Erwin fischiò, mi chiamò e indicò con un dito l'enorme scalinata principale.
- A quanto pare sono arrivati gli ex-cadetti! -

[Spazio autrice: Ciao, spero che questa storia vi stia piacendo! Perdonatemi, ma il ballo lo dovevo mettere per forza >.<]

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Night ***


Capitolo 7 – Night

Per primi scesero gli uomini, tutti vestiti di scuro con la camicia bianca, proprio come noi ufficiali.

Eren si guardava intorno stupefatto e, non appena mi vide, mi rivolse un cenno di saluto.

Io ricambiai, notando il fremito che percorreva l'orripilante giovane contessina, ma la mia attenzione fu subito attratta come una calamita dalle ragazze: in fondo alla fila, una un po' più su e una già a metà scalinata, c'erano Petra e Kayla.

Petra indossava uno stupendo vestito blu cobalto, pieno di balze e con il corpetto scollato, i capelli pieni di mollette luccicanti.

Dietro scendeva attentamente Kayla, tenendo una mano sulla scalinata e una a reggere la gonna per non inciampare.

Il suo vestito era stupendo, bianco, con la gonna liscia che le ricadeva morbida intorno ai fianchi e un pezzo sopra abbastanza sobrio.

Le maniche, invece, erano fatte da sei fili intrecciati con dei brillanti e lasciavano scoperti tanti piccoli rombi di pelle rosa.

I capelli erano sciolti sulle spalle e sembravano una cascata di inchiostro.

Non appena arrivò alla fine della scalinata si voltò di lato per salutare Erwin, avvicinatosi in quel momento, mostrando il retro del vestito.

Rimasi senza fiato.

Il tessuto si riuniva formando uno scollo che scendeva fino alla curva dei fianchi e tenuto insieme da un nastro.

Non appena mi vide sul suo volto si formarono un enorme sorriso e due chiazze rosse sulle guance.

Si avvicinò lentamente, facendo frusciare il tessuto della gonna.

Si era messa delle scarpe basse, quindi era alta proprio come me.

- Ciao – mi salutò timidamente, incrociando le braccia.

Aprii bocca, intenzionato a rispondere, ma per la prima volta non avevo nessuna battuta antipatica da proporre.

- Wow – fu l'unica cosa che dissi.

Lei abbassò lo sguardo e arrossì ancora di più.

Non appena un cameriere le passò accanto afferrò un bicchiere di vino e bevve avidamente, come per scrollarsi l'imbarazzo di dosso.

Rimanemmo qualche secondo a fissarci, poi arrivò Mike a salvare la situazione.

Più o meno.

- Sei fantastica, Kayla! - disse, osservando rapito la mia accompagnatrice.

- Grazie mille – rispose lei.

- Sei davvero fortunato Levi! Lei è di sicuro la più carina di tutta la sala, forse anche più di Petra! -

E con quella frase si allontanò sorridendo, avvicinandosi ad Erwin.

Tornò il silenzio.

- Hai incontrato qualcuno di interessante? - mi chiese, cercando di rompere il ghiaccio.

- Una contessa del Distretto di Stohess per ora. Ma spero di non rivederla mai più, dato che credo che abbia tentato di organizzare qualcosa i poco piacevole tra me, Eren, Erwin e lei. -

Lei si trattenne qualche secondo, poi scoppiò a ridere, fino a farsi scendere le lacrime e non respirare più.

Riprese fiato, guardò la mia espressione rassegnata e di nuovo giù a ridere.

Feci un mezzo sorriso, contento di averla fatta divertire.

- Ti va qualcosa? - chiesi, indicando il tavolo del buffet.

Lei annuì, camminando di fianco a me. Sembrava scivolare in quel suo abito.

Afferrai subito una cosa molto rara di quei tempi, un crostino con su della salsa al pomodoro piccante.

Lo porsi a Kayla che, sovrappensiero, se lo mise tutto in bocca, rendendosi conto solo dopo che bruciava.

Spalancò gli occhi, che cominciarono a lacrimarle.

Fu il mio turno di ridere.

Non appena la ragazza riuscì a inghiottire e a inghiottire due litri di acqua mi tirò un piccolo schiaffo sul braccio – Perché ridi di me? -

Voleva sembrare arrabbiata, ma non riusciva a nascondere il sorriso.

Io, senza pensare, continuai a ridere, facendole passare un braccio intorno alle spalle. Lei trattenne il fiato per qualche secondo, poi si rilassò nuovamente.

In quel momento arrivò Petra.

Mi abbracciò, ignorando completamente Kayla.

Io mi ritrassi infastidito, contraddicendomi alla grande.

Tenevo un braccio intorno alle spalle di Kayla, ma non riuscivo a sopportare un abbraccio di Petra?

- Come va? - mi chiese l'unico membro rimasto della mia Squadra.

- Tutto bene, e tu? -

- Non c'è male. Mi mancano solamente Oruo e gli altri. -

Io annuii comprensivo. Capivo come si sentiva.

Il suo accompagnatore, un Ricercatore che non conoscevo, si avvicinò, stringendole un braccio intorno alla vita con fare geloso.

Sul serio un energumeno del genere aveva paura di un piccoletto come me? Ah, il potere del fascino.

Kayla provò a intrattenere i due in una conversazione, ma non appena Erwin decise di far aprire le danze i due si allontanarono per il primo lento.

Molte coppie si stavano avvicinando: Eren e Mikasa, Hanji e Mike, Erwin e un'altra ragazza, alcuni ex-cadetti.

- Vuoi ballare? - mi chiese Kayla, osservando distrattamente tutti che avanzavano e girovagavano come degli stupidi a ritmo.

Io alzai le spalle. Ballare non mi era mai piaciuto; sebbene fosse molto simile nei movimenti al combattere, il fatto di stare così vicino ad un'altra persona mi creava problemi.

Ma a quanto pareva con Kayla non c'erano più.

- Perché no? -

Tolsi il braccio dalle sue spalle e ci avvicinammo alla pista.

La musica era un lento, perciò appoggiai le mani sui suoi fianchi e lei fece lo stesso sulle mie spalle.

Dagli sguardi che mi rivolgeva capivo che anche lei riteneva i balli una futile cosa, ma d'altronde Erwin mi aveva esplicitamente ordinato di danzare.

Le risposi alzando ancora una volta gli occhi al cielo mentre superavamo due nobili molto scoordinati ma completamente convinti che fosse giusto così.

Lei ebbe un sussulto e si coprì velocemente la bocca con la mano per non scoppiargli a ridere in faccia.

Continuammo a scivolare veloci tra le coppie, mantenendo il ritmo.

Passammo tutto il ballo non a concentrarci su l'altro ma prendendo in giro gl altri ballerini.

Sì, avevo scelto bene l'accompagnatrice.

Dopo qualche minuto la musica cambiò, passando ad un lento ancora più lento.

Ci fermammo dove ci trovavamo e ci limitammo ad ondeggiare a ritmo.

Solo in quel momento mi resi conto di quanto il viso di Kayla fosse vicino al mi, gli occhi luccicanti e le guance arrossate sia dal caldo che dall'imbarazzo.

Per qualche secondo temetti che la stessi per baciare.

Mi resi conto di quanto mi stavo esponendo di nuovo per una donna e all'improvviso un freddo mi invase.

Portai la ragazza a bordo pista, la lasciai e me ne andai nella mia stanza.

Avevo paura. Paura che lei facesse la stessa fine di Isabel.

 

Quando Levi se ne andò senza una parola rimasi sconvolta.

Credevo che finalmente avesse cominciato ad apprezzarmi, ma invece era sempre lo stesso uomo freddo e solitario.

Senza farmi notare mi allontanai dalla festa e lo seguii, desiderosa di una spiegazione per quel comportamento.

Quando arrivai alla sua porta bussai piano.

Lui mi venne ad aprire.

Si era già tolto la giacca scura, rimanendo solo con la camicia bianca.

Per la prima volta da quando lo conoscevo arrossì, abbassando lo sguardo.

- Scusa – disse, spostandosi dal vano per lasciarmi entrare.

Io mi sedetti in silenzio sul bordo del suo letto, rimanendo a fissarlo a braccia incrociate.

Lui si sedette su una poltrona di fronte a me e continuò a fissare il pavimento in legno.

- Quindi? - dissi, cercando di sembrare indifferente. La verità era che il cuore mi batteva a mille. Mi veniva voglia d scoppiare a urlargli in faccia per la rabbia. Perché se ne era andato così?

- Scusa. – ripeté – Non mi sentivo a mio agio. -

Scoppiai in una risata nervosa – Ma se stavi ridendo con me! -

Lui mi guardò rabbioso – E allora? Non è che se rido con te allora va tutto bene! -

Rimasi scioccata – Ma è ovvio che se ridi sei a tuo agio, scemo! -

- Mocciosa, non chiamarmi mai più così. -

- E tu non darmi più false speranze! -

Si alzò minaccioso e io feci lo stesso. Stavo litigando con il capo. Bene.

- Ma di quali false speranze stai parlando?! -

- Tu mi inviti ad un ballo, danzi con me e poi ti aspetti che tutto torni come prima?! In più te ne sei anche andato lasciandomi da sola come una povera ebete! - strinsi i pugni e gli rivolsi uno sguardo arrabbiato.

Lui alzò gli occhi al cielo e poi disse sarcasticamente – Oh, mi scusi se le ho fatto fare brutta figura davanti alla nobiltà! Mi scusi se tutto quello che volevo fare era baciarla e non mi sentivo PRONTO! -

Appena mi resi conto di quello che aveva detto spalancai la bocca.

- Cosa? - sussurrai.

Lui realizzò cosa mi aveva appena detto e arrossì di nuovo, sia per la rabbia che per l'imbarazzo.

- Non intendevo quello… -

Si schiarì la voce e fissò il soffitto.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi dissi – Facciamo finta di niente, ok? -

Lui annuì e si risedette sulla poltrona.

Io feci lo stesso sulle coperte e chiesi, mantenendo un tono di voce tranquillo – Se te la senti potresti spiegarmi perché non ti sentivi pronto? -

Levi sospirò – C'era una ragazza che mi piaceva molto tempo fa. Mi sono esposto per lei e lei è morta. Non c'è nient'altro. -

Silenzio, di nuovo.

Penai di fare una battuta per rompere il ghiaccio (quando sono in imbarazzo divento molto intelligente) – E così volevi baciarmi? - ridacchiai nervosamente.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa Levi si avvicinò velocemente e poggiò le sue labbra sulle mie, bloccandomi sul materasso.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Il mattino dopo ***


Capitolo 8 – Il mattino dopo

Era dalla sera precedente che non vedevo il Capitano.

L'avevo incontrato appena arrivata e con mio sommo orrore stava tenendo un braccio intorno alle spalle di quella nuova recluta, Kayla Brooks.

Di lei non mi fidavo per niente.

Non da quando aveva combattuto contro il Gigante femmina.

Nel Corso Cadetti non era arrivata tra i primi dieci, eppure in abilità non era molto lontana dalla prima, Mikasa Ackerman.

Scossi la testa. Non potevo tormentarmi pensando a quella.

Mi alzai dal tavolo della colazione.

Il Capitano se ne era andato appena cominciate le danze e non si era ancora presentato. Molto probabilmente aveva passato tutta la nottata sveglio a parlare con i nobili e quindi stava ancora riposando.

Afferrai un paio di tazze di latte e qualche brioche, una prelibatezza arrivata dai territori interni, e mi diressi al piano di sopra, dove riposavano gli ufficiali.

La porta di Levi era l'ultima del corridoio, la più lontana, dato che la sua stanza conteneva anche un bagno privato. Non sopportava di condividere il lavandino con altre persone.

Sorrisi pensando a tutte le stranezze che rendevano il Capitano Levi così pieno di personalità.

Bussai tre volte e aspettai che mi aprisse. Sentii del trambusto provenire dall'interno e dei passi leggeri avvicinarsi all'ingresso.

Quando socchiuse la porta per poco non lasciai cadere la colazione: indossava solo dei pantaloni stropicciati e aveva i capelli in disordine.

Non lo avevo mai visto così strano.

Si passò una mano sugli occhi e sbadigliò; sul fatto che si era appena svegliato ci avevo azzeccato.

Dallo spiraglio che non veniva coperto dal suo corpo vidi il letto appoggiato alla parete completamente disfatto, le coperte tutte appallottolate e i cuscini sparsi a terra tutt'intorno.

La sua camicia era abbandonata sulla poltrona accanto al letto insieme alla giacca e ad un ammasso bianco.

- Ho portato un po' da mangiare, Capitano! - dissi allegramente.

Lui mi fulminò con lo sguardo e mi fece segno di abbassare la voce.

Si girò verso il letto come aspettandosi qualcosa.

Quando vide che non succedeva niente si rivolse di nuovo a me.

- Grazie, Petra – disse e mi sfilò l'involto dalle mani.

- Capitano, aspetti, oggi non doveva supervisionare un allenamento? - chiesi, sorpresa dalla sua sbrigatività.

Lui si colpì la fronte con una mano - É vero! Dì ad Hanji che la raggiungo tra venti minuti, devo sistemarmi! Ah, e chiama le reclute, grazie -

Mi chiuse la porta in faccia e io rimasi lì a fissare la lastra di mogano.

Sentii che chiamava qualcuno e che faceva una battuta, o qualcosa del genere, perché la voce (femminile) rispose con una leggera risata.

Mi allontanai velocemente dalla sua stanza, cercando di non pensare a lui e a quella. Dovevo scoprire chi era, anche se qualche dubbio ce l'avevo.

Feci alzare tutte le reclute.

Quando Eren uscì dalla sua camera si guardò intorno e mi chiese – Scusi, ma ha visto Kayla? Oggi io, Reiner e Bertholdt dovevamo allenarci con lei e il Capitano. -

- Scusa, Eren, ma non l'ho ancora vista. Magari è già giù a fare colazione. -

Cercai di parlare con tutta l'indifferenza di cui ero capace e lo convinsi.

Ma mentre si allontanava entrai nella stanza che Mikasa e Kayla condividevano.

Osservai i due letti. Uno era stato appena rifatto malamente, quello dal lato della stanza di Mikasa Ackerman.

L'altro, invece, era intatto, come se nessuno lo usasse da settimane.

“D'altronde”, pensai, “ha passato il tempo di convalescenza del Capitano nella sua stanza”. Poi però l'occhio mi cadde sul suo comodino.

La luce era stata accesa recentemente.

Mikasa non aveva motivo di farlo e in più, se il letto era intoccato, dove aveva passato la notte del Ballo?

Sentii dei passi avvicinarsi all'ingresso.

Presa dal panico mi nascosi dentro all'armadio di Mikasa, tra le sue divise.

Sbirciai dalla fessura delle ante. Mi sentivo veramente stupida.

Fuori, davanti all'armadio di Kayla c'era la sua proprietaria, con addosso una camicia a me molto familiare, resa inconfondibile dal fazzoletto posto intorno al colletto.

Rovistò tra i vestiti ed estrasse una divisa. Afferrò gli stivali e uscì silenziosamente, tornando verso le scale accompagnata dal Capitano.

Ridacchiavano allegramente e camminavano mano nella mano.

Digrignai i denti e mi diressi al campo di addestramento.

 

- Preso tutto? - mi chiese Levi mentre uscivo dalla mia stanza.

- Sì. Di certo non potevo presentarmi con su il vestito di ieri. O un tuo abito -

Anticipai sul nascere quello che stava per dire.

Lui scoppiò a ridere.

Quel mattino, da quando mi aveva svegliata, sembrava una persona completamente diversa dal solito uomo scorbutico e sarcastico.

Era più rilassato, sia nelle parole che nei movimenti, seguiva ogni mio movimento e cercava molto più spesso un piccolo contatto come il tenersi per mano o accarezzarmi i capelli.

Sembrava anche più alto. Quando glielo feci notare scoppiò a ridere, portandosi una mano al viso.

Sorrisi anch'io. Ogni volta che lo facevo divertire era una vittoria.

- Ci vediamo al campo? - mi chiese, facendomi l'occhiolino.

Ormai dovevo abituarmi al nuovo Levi.

Annuii, gli lasciai un bacio sulla guancia e corsi a vestirmi, per poi dirigermi al campo di addestramento insieme alle altre reclute.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Ultima proposta ***


Capitolo 9 – Ultima proposta

Quando raggiunsi gli altri erano già tutti pronti con le spade in pugno.

Nel boschetto di fianco al castello avevano già posizionato i manichini dei Giganti.

Eren mi sorrise non appena mi vide, proprio come Reiner e Bertholdt.

Io li inondai a mia volta di un gioviale sorriso, salutandoli con la mano mentre si avvicinavano Levi e Hanji.

Facemmo tutti il saluto militare e il Caposquadra ci disse – Ben svegliati, ragazzi. Spero abbiate passato una fantastica serata -

“Oh” pensai “Non sai quanto ci hai azzeccato, Hanji”.

- Cominceremo con qualche semplice uccisione tra gli alberi. Ecco i bersagli. -

Nel boschetto a noi attaccato comparvero le sagome dei Giganti.

Eren, Reiner e Bertholdt partirono subito con i rampini, le lame sguainate.

Io feci per seguirli, ma Levi mi chiamò – Aspetta! -

Si avvicinò, vestito con la divisa ben sistemata e mi guardò, l'espressione ritornata a essere quella di sempre, ma con una nuova scintilla negli occhi grigi.

- Prova questo – Mi prese la lama sinistra dalla mano e me la ridò girata al contrario, con la lama che puntava dietro di me e non davanti.

- Questo è un mio trucco. Adesso prova a fare un volteggio mentre colpisci la nuca di quel manichino. -

Io annuii ed eseguii. In effetti i tagli erano più fluidi.

Forse mi entusiasmai un po' troppo per quella nuova scoperta, fatto sta che iniziai a volteggiare sempre più velocemente tra gli alberi, addentrandomi nel bosco, fino a ritrovarmi circondata dalle querce.

Stavo per lanciarmi sull'ultima sagoma quando il mio cavo rimase impigliato in un ramo e il mio Movimento Tridimensionale fece uno strano suono, smettendo di funzionare e lasciandomi in balia della gravità a venti metri d'altezza.

Cacciai un urlo mentre raggiungevo come un sasso la superficie erbosa del sottobosco.

- Kayla! -

Prima che mi sfracellassi Bertholdt arrivò e mi afferrò al volo, riportandomi verso la base.

- Tutto bene? - mi chiese preoccupato, mentre io riprendevo fiato terrorizzata, aggrappandomi alla sua camicia per non scivolare di nuovo.

Riuscii ad imbastire un sorriso e gli risposi di sì.

Atterrammo a qualche metro da Levi e Hanji, che subito ci raggiunsero.

- Stai bene? - Levi era cinereo.

- Sì, tranquillo – lo rassicurai, lasciando andare la povera maglietta del mio amico per accovacciarmi con le mani sulle ginocchia.

Levi mi ignorò e si rivolse bruscamente a Betholdt – Moccioso! Cosa le è successo?! -

Il ragazzo sbatté le palpebre un paio di volte prima di rispondere, sorpreso dall'aggressività del Capitano – Ho visto che stava precipitando dopo che il suo Movimento si è rotto, signore. Allora l'ho recuperata e portata qui -

Io annuii, confermando la sua versione e mi sollevai.

Levi mi guardava ancora sospettoso, come temendo che vomitassi o svenissi.

Io gli sorrisi nuovamente e mi rivolsi ad Hanji – Posso andare a cambiare il mio aggeggio qua? - indicai il pezzo rotto.

Lei annuì comprensiva.

Mi avviai lentamente verso il “centro riparazioni” del Corpo di Ricerca.

Sentivo lo sguardo di Levi sulla nuca mentre uscivo.

Cavolo se si preoccupava!

Mi avvicinai al bancone nell'immenso magazzino.

La maggior parte dello spazio era occupato da bombole di gas per i ricambi e da operai che lucidavano lame e aggiustavano altri meccanismi.

Il solato che stava dietro al bancone non mi rivolse neanche un saluto, troppo impegnato a guardarmi a bocca aperta.

- Tieni – gli mollai il pezzo difettoso accanto e me ne andai senza un'altra parola. Non avevo minimamente voglia di stare a parlare con uno che sbavava semplicemente alla vista di una ragazza.

Mi avvicinai alla porta d'uscita. Avevo una voglia matta di mettere qualcosa sotto i denti, la colazione di Petra non mi aveva sfamato.

- Ehi – una voce mi chiamò dall'oscurità dietro ad un blocco di bombole.

Mi avvicinai insospettita, i muscoli tesi nel caso di un attacco.

Una figura si staccò dal buio e si avvicinò.

Non appena la riconobbi un brivido freddo mi scese per la schiena. Annie.

- Annie, che ci fai qui? Non dovresti essere nel Corpo di Gendarmeria? -

Lei rimase impassibile, le braccia incrociate.

- Che vuoi? Un rifiuto non ti è bastato? Perché la mia risposta resta sempre no. -

La ragazza scoppiò a ridere, lasciandomi interdetta.

- Faresti meglio a cambiare idea – disse, tornando di colpo fredda.

- No -

- Ho sentito che Ackerman ti ha invitato al Ballo di beneficenza. Vedo che sei riuscita ad avvicinarti a lui. -

- Non l'ho fatto per te, Annie. Vattene -

- Peggio per te. Io ti avverto. O esegui i miei ordini ADESSO o farai una brutta fine. -

Alzai il mento, allontanandomi. - No – le risposi secca e andai verso la mensa.

 

Annie rimase ferma immobile ad osservare il suo sicario che se ne andava dopo aver rifiutato la sua proposta. Ringhiò sottovoce.

Nessuno poteva dirle no.

Quella stupida non aveva capito che era di rovinarle la vita. Di rovinarla a lui.

Ritornò nelle ombre, pronta per agire.

Le bastava andava a parlare con il capo della Gendarmeria, e lei avrebbe pagato. Sorrise mentre pensava al suo diabolico piano.

 

Quando Levi mi raggiunse mi stavo riempiendo con Sascha di panini al burro e marmellata di mirtilli.

Lo vidi che si avvicinava lentamente al mio tavolo, l'espressione infastidita.

Si sedette sulla panchina, di fianco a me, e afferrò la mia tazza di tè, bevendo qualche sorso.

Sascha rimase con la mano bloccata a mezz'aria. Jean e Connie, seduti un paio di posti più lontano fecero la stessa espressione della ragazza.

Io li ignorai completamente e mi rivolsi al Capitano, cercando di scacciare le parole di Annie, quelle di pochi minuti prima e di molti mesi indietro.

- Com'è andata? -

Lui fece una smorfia e rispose – Reiner come al solito, ma Eren e Bertholdt non hanno fatto che continuare a chiedermi come ti andava, se avevi sistemato il meccanismo. -

Mi guardava con un'espressione nuova. Scoppiai a ridere – Non sarai mica geloso! -

Sascha spalancò gli occhi. Maledizione. Lei non era stupida. Se continuavamo a parlare così riusciva a fare due più due, a capire che tra me e lui non c'era stato solo un rapporto capo-soldato.

- No, e per cosa? - mi rispose lui, facendo finta di niente.

Scoppiai a ridere e gli tirai una gomitata nello stomaco, per poi tornare a chiacchierare con Sascha, come se niente fosse.

Riuscii a distrarla, ma credo che non le sfuggì il mezzo sorriso compiaciuto sul volto di Levi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Annie ***


Capitolo 10 – Annie

Quella sera era stata ancora migliore della precedente.

Ancora non mi ero abituato del tutto ad avere di contatti così frequenti con una persona, però quando ero con lei tutto diventava superficiale, perfino la mia mania per la pulizia.

Erano le nove quando sentii bussare alla mia porta.

Aprii e me la ritrovai davanti sorridente e leggermente imbarazzata.

- Che vuoi mocciosa? - le chiesi, cercando di sembrare il solito.

Lei mi guardò e disse – Ma come, mi hai chiamata tu! -

Era vero. Cavolo.

- Certo, entra pure -

Lei mi oltrepassò scuotendo la testa e si sedette sul bordo del mio letto.

- Allora, che succede? - mi chiese, togliendosi gli stivali e appoggiandoli ordinatamente accanto al tavolino.

Io mi sdraiai sull'altro lato del materasso, trascinandola giù, in modo che fossimo entrambi appoggiati al cuscino.

- Come cosa succede? Non posso chiamarti qui per fare due chiacchiere? -

Lei mi guardò male – Sì, come no. Due chiacchiere sdraiati sul tuo letto? -

Io risi. In effetti non aveva molto senso.

- Posso? - mi chiese, improvvisamente dolce.

Io annuii e lei mi baciò, passando le dita tra i miei capelli.

Sapeva che a quei contatti non ero abituato, quindi preferiva prima avere il mio via libera.

Lei si staccò e disse sospirando – Era da tutto il giorno che volevo farlo. Che scatole le altre persone, che continuano a starci intorno! -

- Vero – dissi. “Anch'io aspettavo” pensai.

Pochi secondi dopo avevamo ripreso da dove ci eravamo interrotti la sera prima.

Il giorno dopo, quando mi svegliai, mi accorsi che era di nuovo tardissimo.

Kayla dormiva come un ghiro al mio fianco, avvolta nelle bianche coperte.

Mi alzai lentamente, sfilando il braccio da sotto di lei ed entrai in bagno.

Mi immersi nell'acqua calda della vasca fino a lasciar fuori solo il naso per respirare. Mi rilassava stare sott'acqua.

Tutti i suoni mi giungevano ovattati, come se fossero a mille miglia da me.

 

Quando Levi uscì dal bagno aveva i capelli grondanti. Mi sorrise e si mise addosso un semplice vestito da casa, un maglione scuro e dei pantaloni grigi.

Mi alzai lentamente a sedere e sbadigliai.

Lui si avvicinò e mi baciò. Io mugolai qualcosa.

- Vestiti, che andiamo a fare colazione -

Vedendo che non riuscivo a muovermi perché ancora mezza addormentata lui si avvicinò sospirando, mi prese in braccio e andò in bagno. Non appena capii cosa voleva fare urlai sorpresa: senza troppe cerimonie mi scaricò nella vasca piena e mi passò una saponetta.

Io gli feci una linguaccia e lo guardai male mentre usciva dal bagno, richiudendo dietro di sé la porta.

Mi lavai accuratamente, asciugandomi i capelli con una salvietta.

- Pronta? - mi chiese lui, seduto sulla poltrona a leggere un libro, guardandomi lentamente dall'alto in basso.

- Certo – risposi sarcastica, aprendo il suo armadio e tirando fuori un ricambio dei miei vestiti che avevo lasciato lì – Vengo così, almeno tutti sanno che tipo d relazione ho con il capo -

Lui scoppiò a ridere e richiuse il volume.

Scendemmo fino alla mensa, ignorando le occhiate che ci scambiavano gli altri ufficiali.

Ci sedemmo al tavolo con Eren e Mikasa, che guardarono con sospetto Levi, non abituati a comportarsi al solito con il grande Capitano affianco.

Io mi presi una montagna di roba e iniziai a mangiare.

Ogni tanto Levi mi rubava qualcosa e se la mangiava, con sommo orrore di Petra, che si era aggiunta a noi.

Lo guardava ogni volta sconvolta, come se prendere il cibo dal piatto della tua pseudo-ragazza fosse un cosa schifosa.

Contento lui, che problema c'era?

Io ero felice. Tutto andava bene.

Nessuno era in pericolo di vita.

Levi e io cominciavamo ad intenderci.

Eren e Mikasa erano ancora miei amici.

Mi rilassai, lasciando che quel momento durasse per sempre.

Ma ovviamente la fortuna non era dalla mia parte.

La porta della mensa si spalancò di colpo, lasciando entrare una dozzina di soldati della Gendameria, tutti armati, che erano seguiti dal loro Comandante e dal Comandante Erwin, che cercava di bloccarlo.

- Lasciami passare Erwin. Tu non c'entri – disse il Comandante.

Subito io e Levi ci alzammo. Lui rivolse ad Erwin uno sguardo interrogativo, ma lui non lo stava guardando.

Il Comandante della Gendarmeria si guardò intorno, spostando lo sguardo su ciascun soldato del Corpo di Ricerca.

Poi parlò – Buongiorno. Siamo qui perché ci è giunta voce che tra di voi c'è qualcuno che vuole attentare alla vita di un certo… Levi Ackerman, se non sbaglio. -

Levi rimase impassibile, ma mi strinse la mano e iniziò a guardarsi intorno con sospetto.

Io neanche sentivo la sua stretta. Quello era un incubo.

Avevo rinunciato all'incarico, non potevo essere io il ricercato.

A meno che Annie, quando diceva che l'avrei pagata…

- Una certa Annie Leonhart ci dice che ha sentito chiaramente uno di voi palare di un omicidio. Una certa… - Pausa.

“Ti prego, signore” pensai mentre il mondo intorno a me perdeva colore “fa che non mi nomini”.

- Una certa Kayla Brooks -

L'aveva fatto.

Levi si allontanò di colpo, proprio come tutti gli altri.

Io rimasi perfettamente immobile, il mondo che ancora una volta cadeva intorno a me.

Lui, il mio lui, mi fissava inorridito, incapace di credere alle parole di quell'uomo, ma allo stesso tempo sicuro che stesse dicendo la verità.

Subito Petra iniziò a dire – Avevo ragione a non fidarmi! Capitano, mi permetta di scusarmi! - si avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla, ma Levi se la scrollò da dosso, continuando a fissarmi.

Il Comandante si rivolse a me – Signorina, è vero? -

Io lo guardai, gli occhi affogati nelle lacrime – No signore. Io ho rinunciato a quell'incarico, offertomi proprio da Annie Leonhart, mesi fa -

- Ma ammetti di aver saputo che c'era qualcuno che voleva uccidere Ackerman -

- Sissignore -

- Bene. Arrestatela. - i soldati si avvicinarono per mettermi le manette, ma con mi somma sorpresa Levi si mi se in mezzo.

- Lasciatela in pace. Ha detto che ha rinunciato -

- Grazie – singhiozzai.

Ma lui mi guardò freddo come non mai e disse – Zitta, mocciosa. Anche se adesso ti salvo non significa che rientrerai nel mio letto -

Bam. Peggio di uno schiaffo.

Sconvolta caddi in ginocchio, i palmi appoggiati sul pavimento in mattoni.

Petra trattenne il fiato a quella frase.

Quella fu la goccia che fece traboccare il mio vaso.

- SCHIFOSA! TU DALL'INIZIO NON VOLEVI ALTRO CHE LA MIA MORTE! - urlare non serviva, ma la faccia di sorpresa sul volto di tutti mi fece sentire meglio – TU VUOI IL CAPITANO TUTTO PER TE, MA LO VUOI CAPIRE CHE NON TI AMA?! E TU – mi girai di scatto verso il Comandante – HO RINUNCIATO TEMPO FA, E INVECE CHE PRENDERE ANNIE, COLEI CHE ME LO AVEVA ORDINATO, STATE QUI A ROVINARMI LA VITA?! - guardai Levi tra le lacrime – E tu. Mi tratti davvero così?! Io, io che ti amo! -

Lui abbassò lo sguardo a terra.

I Gendarmi mi ammanettarono e mi portarono via. Vidi chiaramente prima di uscire che Levi mi guardava con gli occhi lucidi.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Quella notte, la prima notte, mi ero svegliata quando ancora la luna era alta nel cielo. Mi ero girata con attenzione tra le braccia di Levi e mi ero alzata in piedi, avvicinandomi alla sua scrivania.

Da lì avevo estratto un piccolo pugnale ed ero ritornata indietro, sedendomi sul materasso ai piedi di Levi.

Lui dormiva tranquillo, il viso rilassato e l'espressione che sembrava un sorriso.

“Ho ancora una possibilità di portare a termine il piano di Annie. Ho passato troppo tempo con lei per perderla così. Lei mi ha aiutato a sopravvivere nel mondo.” pensai.

Osservai ancora Levi mentre dormiva, stringendo e rilassando le dita sull'elsa.

Non sapevo cosa fare.

Poi pensai a come mi sarei sentita se l'avessi ucciso veramente.

Più della prigione, del ribrezzo dei miei compagni mi preoccupavo del dolore infinito che avrei provato.

L'avevo già sperimentato quando erano morti i miei genitori, e quella volta non ero stata io ad ucciderli.

Sospirai e rimisi a posto l'arma, per poi tornare nel caldo abbraccio di Levi.

Appoggiai la guancia sul suo petto e lui di riflesso mi abbracciò.

 

Da quando Erwin era riuscito a scagionarmi, anche grazie alla cattura di Annie alla scoperta che era il Gigante Femmina, Levi si rifiutava di parlarmi.

Quella mattina ero in mensa e lui entrò.

Non provai neanche a chiamarlo, lo vedevo già avvicinarsi al tavolo dove erano seduti tutti gli altri e ignorarmi.

Rimescolai il mio latte nella tazza e cercai di farmene una ragione.

D'altronde era soprattutto colpa mia: se glielo avessi detto prima, spontaneamente, avremmo potuto imprigionare Annie ed evitare la morte della sua Squadra e di tutte quelle altre povere persone.

Ripensando a quanto era colpa mia mi venne uno spasmo alla mano, e lasciai cadere a terra il cucchiaino.

Feci per raccoglierlo, ma quando mi abbassai non c'era più.

Mi rialzai lentamente e vidi che a stringere tra le dita la mia posata c'era lui.

Se la rigirava tra le dita, osservandomi, come se non sapesse cosa dire.

- Allora? - gli chiesi scontrosa, prendendo il cucchiaino e rivolgendogli uno sguardo truce.

- Scusa se non ti ho parlato prima… ma non ne avevo il coraggio -

Scoppiai in una risata nervosa – Tu! Tu che hai paura di qualcosa! Ammettilo che non volevi parlarmi perché ti avevo “tradito”! - sull'ultima parola mimai con le dita le virgolette.

Lui mi guardò ancora più scontroso.

- Scusami tu – tutta la mia arroganza si sgonfiò in un secondo, lasciando il posto ad un'infinita vergogna – Dovevo avvertirti. -

Lui si addolcì e mi sistemò un ciuffo di capelli dietro all'orecchio – Io perdono te, tu perdoni me, ok? -

Io sorrisi e lo guardai negli occhi, mormorando – Ok -

 

Non c'è una ragione per cui mi sono innamorato di Kayla.

Neanch'io so perché, se per il suo aspetto, il suo carattere, il suo spirito in combattimento.

Forse non c'è neanche una ragione.

L'importante è che la amavo, ed era un amore vero.

Per la prima volta nella mia vita amavo qualcuno.

Per la prima volta da Isabel…

Ma lei era il passato e il mio futuro era quella ragazza dai capelli neri e dagli occhi verdi che mi guardava sorridendo mentre mi avvicinavo per baciarla, solleticandole le guance con i capelli, sentendo le sue labbra prolungare il sorriso sotto le mie.

Se esisteva un paradiso, signori, era quello, e nessuno poteva spezzarlo.

Neanche Annie.

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