A new lineage

di Laura Taibi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



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Il sole era quasi tramontato e un vento gelido soffiava tra le vette innevate. L'ultimo villaggio abitato era ormai distante e non vi era anima viva oltre a loro.

 

«Maestro, mi vuole spiegare perché siamo tornati in queste terre desolate?» si lamentò Plagg.

 

Il maestro Fu si strinse nel mantello di pelliccia e guardò il kwami che si era rifugiato all'interno del suo cappuccio. «Qualche tempo dopo la distruzione dei miraculous ho iniziato ad avvertire una strana forza, qualcosa che non sono riuscito a spiegarmi e che continua a crescere.»

 

Il piccolo kwami emise uno starnuto. «E lei pensa che morire assiderati ci aiuterà a scoprire di cosa si tratta?»

 

«Ho consultato a lungo il libro, utilizzando una gran quantità di magia... e tutto riconduce in questo luogo.» Maestro Fu alzò lo sguardo e davanti a loro, nascosta tra la neve e le sterpaglie secche, apparve una grotta. L'ingesso era talmente stretto che il maestro – che di certo non poteva essere definito un gigante – dovette chinarsi e appiattirsi lungo il bordo, per entrare.

 

Non appena fu dentro, il vecchio prese una torcia dalla sacca che portava in spalla e iniziò a percorrere quello strano corridoio che serpeggiava, scendendo leggermente. L'aria all'interno era piuttosto umida e altrettanto fredda, ma almeno il vento non riusciva a penetrare.

 

«È consapevole che basterebbe una piccola svista per scivolare e rompersi l'osso del collo?» esclamò Plagg, guardandosi intorno.

 

«Sono cresciuto tra queste montagne e sono abbastanza vecchio e saggio da sapere dove mettere i piedi.»

 

«Sul "vecchio" le do ragione» ammise il kwami, «ma se fosse davvero saggio, a quest'ora saremmo in qualche casa, al caldo, con del buon camembert!»

 

Maestro Fu scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Ormai era abituato alle risposte taglienti del kwami, e spesso si era chiesto se quel suo carattere non influenzasse anche i portatori.

 

Il corridoio continuava a scendere, allargandosi via via che proseguivano.

 

«Piuttosto» disse il vecchio «hai notizie di Tikki?»

 

L'altro scosse la testa. Erano mesi che Tikki non si faceva vedere, quasi come se fosse sparita nel nulla e il maestro aveva la brutta sensazione che la strana forza che avvertiva e la sparizione del kwami fossero collegati.

 

Arrivarono in fondo al tunnel, dove la grotta si apriva in un'ampia sala. Sul tetto vi erano numerose stalattiti che gocciolavano con un ritmo costante, creando pozze più o meno ampie per tutto il pavimento. Ad una prima occhiata poteva sembrare una grotta naturale, senza uscite e senza nulla di speciale, ma maestro Fu avvertiva qualcosa. Si avvicinò alla parete in fondo, facendo attenzione a dove metteva i piedi, e dopo averla sfiorata in vari punti, pigiò su una pietra apparentemente simile alle altre, che rivelò un passaggio.

 

«Come lo sapeva?» chiese Plagg, cercando di non mostrarsi troppo sbalordito.

 

Il vecchio non rispose. Entrò e accese la lampada a olio che era appesa accanto all'ingresso. La stanza, di dimensioni decisamente ridotte rispetto a quella precedente, s'illuminò di un bagliore caldo e rivelò ciò che conteneva: un letto di fortuna, alcuni stracci e resti di cibo qua e là e una scrivania di legno grezzo. Quest'ultima era ingombra degli oggetti più disparati tra cui carte in varie lingue, ritagli di giornale, vecchie radio smantellate, piccoli oggetti dalle forme strane, attrezzi come martelli e scalpelli e boccette che contenevano strani liquidi.

 

Maestro Fu si avvicinò e i suoi occhi guizzarono su un oggetto in particolare: un fermaglio in legno a forma di fiore di loto. Nel vederlo gli occhi dell'uomo si velarono e avvertì un'enorme stretta al cuore.

 

«Che cos'è?» chiese Plagg, curioso.

 

«È un oggetto che credevo non avrei mai più rivisto» disse il maestro, sospirando «un regalo che avevo fatto per un'amica...»

 

I ricordi iniziarono a fluire, rompendo gli argini della sua memoria e mostrandosi vivi, come se non risalissero a quasi due secoli prima.

 

 

 

 

Il giovane Fu stava correndo lungo il sentiero che collegava la struttura centrale ai dormitori. Era quasi estate e i fiori e gli alberi erano al loro massimo splendore, riempendo l'aria del loro profumo.

 

Le lezioni della mattina erano appena finite e i confratelli avevano mandato gli allievi a prepararsi per il pranzo.

 

«Shiwa!» urlò Fu, precipitandosi a rotta di collo per gli scalini.

 

Una ragazza si voltò: aveva gli occhi a mandorla, la pelle color miele e una fluente chioma scura. Come tutti, indossava la tunica ma al collo portava diversi amuleti che la definivano per quello che riguardava i suoi studi, ovvero la magia.

 

Shiwa, per quanto ne sapevano, era l'unica maga in vita. Ultima discendente dell'uomo che, millenni prima, aveva creato i miraculous. Era per questo che, nonostante avesse solo pochi anni più di Fu, era trattata da tutti gli anziani e i maestri con rispetto.

 

«Fu, sta attento» disse lei, con apprensione «rischi di farti male!»

 

Il ragazzo la raggiunse, piegandosi su se stesso e poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.

 

Shiwa gli sorrise.

 

Nonostante avesse delle capacità straordinarie, era modesta e aveva sempre parole gentili per tutti. Studiava magia da autodidatta, chiedendo ogni tanto aiuto agli anziani dell'ordine, anche se non sempre erano in grado di darle delle risposte.

 

Era stata la prima ad avvicinare Fu quando era stato condotto lì, e lui era rimasto talmente affascinato dai suoi poteri che aveva iniziato a seguirla praticamente ovunque. Non sapeva se il loro rapporto potesse essere definito di amicizia, ma quel che condividevano era speciale.

 

«Credevo di non farcela a raggiungerti!» ansimò Fu, scostandosi i capelli scuri dal viso imperlato di sudore. «Oggi, durante la lezione di maestro Lao, ho fatto questo» disse. Le mostrò un piccolo fermaglio, intagliato nel legno, la cui estremità era a forma di fiore di loto.

 

«È davvero bellissimo» esclamò la ragazza, stupita.

 

«L'ho fatto per te» continuò Fu, «per il tuo compleanno.»

 

«Fu, lo sai che noi non...»

 

«...festeggiamo ricorrenze futili che ci legano alla vita terrena» disse lui, cantilenando quella frase che spesso ripetevano gli anziani «lo so, ma beh... è oggi no?»

 

Shiwa lo guardò con le labbra inclinate e il sopracciglio alzato, poi prese il fermaglio e lo utilizzò per bloccare la lunga chioma in un'elegante chignon. «Si, lo è» disse, sorridendo, «promettimi solo che presterai attenzione alle lezioni d'ora in poi.»

 

Fu annuì, sorridendo.

 

Fecero strada assieme verso la sala mensa.

 

«Comunque» iniziò lei «hai davvero molto talento. Oggetti come questi potrebbero essere usati senza problemi come contenitori per creare miraculous.»

 

Fu spalancò gli occhi, mentre il viso gli si allargava in un'espressione di gioia. «Lo pensi sul serio?!»

 

Shiwa annuì.

 

«Tu non hai mai pensato di farne uno?» chiese il ragazzo.

 

«Fu» lo rimproverò lei «sai benissimo che è proibito.»

 

«Si, lo so ma... dicevo per dire... insomma, sapresti come costruirne uno, in teoria?»

 

Shiwa lo guardò, cercando di capire cosa passava per la testa a quel ragazzino, poi sospirò ed annuì. «In teoria si, è quello che sto studiando da tutta la vita. Come dice il Gran Maestro Gau-mei "La conoscenza ci innalza verso la saggezza. Non dobbiamo mai temerla, né negarla."»

 

Fu annuì. Erano frasi che conosceva a memoria. I maestri ripetevano sempre le stesse cose come un mantra, ma fino a quel momento Fu non aveva mai dato un significato preciso a quelle frasi, dicendole come avrebbe fatto un pappagallo, senza coglierne il senso. In quel momento, invece, quella frase prese un significato del tutto nuovo e ricco di possibilità.

 

«Shiwa» iniziò lui, deglutendo «mi insegneresti a creare un miraculous?»

 

La ragazza si fermò di scatto nel bel mezzo del viale alberato. Fu si voltò a guardarla.

 

«Perché vorresti imparare una cosa del genere?» chiese lei, seria.

 

«L'hai detto tu che non dobbiamo temere la conoscenza e presto diventerò un maestro. Sono il migliore in questo tempio, lo sai anche tu.»

 

Era vero. Fu si era rivelato fin da subito un talento naturale, come se fosse nato per essere un guardiano. I confratelli che lo avevano portato al tempio ci avevano visto giusto, ma non avrebbero mai potuto immaginare che sarebbe diventato il maestro più giovane di sempre.

 

«Voglio solo saperne di più sulla magia, capire come funziona e imparare a riconoscerla... so di non avere le tue doti magiche, ma so anche che non tutta la magia è un'esclusiva dei maghi e che tu sei l'unica che può aiutarmi a capire e a conoscere!»

 

I due si guardarono per qualche minuto, in silenzio. Fu sostenne lo sguardo di Shiwa senza abbassare gli occhi neppure per un secondo.

 

La ragazza sospirò. «Mi giuri che è solo per amore della conoscenza che lo stai facendo?» chiese.

 

Il ragazzo annuì.

 

 

Le lezioni si tenevano ogni sera, dopo che tutti gli altri si erano ritirati negli alloggi. Fu era davvero brillante e, sotto la guida di Shiwa, ben presto imparò a padroneggiare il linguaggio magico e a comprenderne le basi.

 

Il ragazzo scoprì quanto era incredibile il mondo e le regole che giravano intorno alla magia e quanto potente potesse diventare, nelle mani giuste. Shiwa gli ripeteva spesso ammonimenti e raccomandazioni ma più cose imparava più voleva saperne e più ancora fremeva per metterle in pratica. Sapeva di aver fatto una promessa ma dopo qualche mese si ritrovò a fantasticare, sempre più spesso, su quale potesse essere il miraculous più forte e sul come crearlo.

 

La notte in cui il tempio venne distrutto a causa della sua stupidità, lui la vide. Shiwa lo osservava da lontano e i loro sguardi s'incrociarono per un secondo.

 

Lei lo guardò con due occhi carichi di delusione, terrore e odio, prima di essere inghiottita per sempre dalle fiamme, come tutti gli altri.

 

 

 

 

 

Il maestro Fu poggiò il fermaglio e guardò la parete. Era piena di ritagli di giornale che mostravano notizie di strani disastri, poi una foto che lo ritraeva durante la seconda guerra mondiale – a cui lui aveva preso parte nel corso della sua lunga vita – e varie pagine di libri contenenti accenni ai miraculous. Un filo rosso connetteva i vari indizi tra loro e, al centro, una pagina di giornale vecchia di vent'anni mostrava Chat Noir e Ladybug con lo sfondo della torre Eiffel e la scritta "Supereroi a Parigi".

 

 

 

 

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Benvenuti in questa nuova storia!!!

Non ce la faccio più ad aspettare, anche se sono ancora in fase scrittura ho deciso di iniziare a pubblicare i capitoli, uno a settimana, in modo da darmi il tempo di scrivere quello che manca!

 

Beh, questo prologo serve un po' a farvi entrare nella storia, capire quello che sta succedendo e la nuova minaccia che si prospetta all'orizzonte. Spero che vi sia piaciuto e che abbia stuzzicato la vostra curiosità... come al solito fatemi sapere con un commento cosa ne pensate, e noi ci rivediamo al prossimo aggiornamento!

 

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


«Emi, se non ti alzi farai tardi!» la chiamò sua madre dalla cucina. Emilie – o Emi, come la chiamavano tutti – si lamentò, rigirandosi nel letto.

Dopo pochi minuti il campanello suonò ed Emi sentì una voce familiare.

«Emi» la chiamò suo padre, «sbrigati, Daniel è già qui!»

La ragazza si alzò lamentandosi si andò a lavare e si mise i suoi soliti jeans slavati, la maglietta dei Paris Hardrock e tentò invano di districare i capelli biondi, poi scese in cucina.

«Buongiorno dormigliona!» esclamò il ragazzo. Aveva i capelli castani, gli occhi nocciola e la carnagione ambrata. Era un perfetto mix dei suoi genitori e, come suo padre, era un appassionato di musica. «È mai possibile che debba aspettarti ogni mattina?»

La ragazza gli fece una linguaccia e addentò un toast, sedendosi a tavola dove i suoi genitori stavano chiacchierando.

«Allora, come sono andate le prove di ieri sera?» chiese il padre di Emi. Era già pronto per andare in ospedale, dove lavorava.

«Molto bene, Adrien. Di questo passo quest'anno faremo il nostro primo tour» rispose Daniel.

L'uomo scosse la testa, sorridendo. «Ogni volta che parli mi sembra di sentire tuo padre!»

Il ragazzo rise grattandosi la testa, imbarazzato.

«Vuoi un altro croissant? Vengono direttamente dal negozio di mio padre» gli chiese Marinette. Daniel stava quasi per afferrarne uno quando Emi lo trascinò via. «Dobbiamo davvero andare adesso, vero Daniel?»

Il ragazzo sospirò. «S-si, certo, hai ragione. Arrivederci!»

«Salutami Alya e Nino» disse Marinette mentre i due ragazzi uscivano di casa, «e ricorda loro la cena di dopodomani!»

Daniel annuì proprio mentre Emi richiudeva la porta alle loro spalle.

«Uff, certe volte sono davvero opprimenti!» si lamentò la ragazza.

Daniel alzò le spalle. «I tuoi genitori sono a posto.»

Emi sbuffò, scostandosi un ciuffo di capelli biondi dal viso. Aveva gli stessi capelli di suo padre e, a dirla tutta, gli somigliava davvero tantissimo, se non fosse stato per gli occhi azzurri, che invece aveva preso dalla madre.

Lei e Daniel si conoscevano da praticamente tutta la vita. I loro genitori erano migliori amici da quando avevano la loro età e avevano fatto crescere i figli quasi come fratelli. Era stato quasi naturale diventare a loro volta migliori amici e, nonostante spesso litigassero, non riuscivano a restare arrabbiati per troppo tempo.

Arrivarono a scuola. La campanella che indicava l'inizio delle lezioni prese a suonare e tutti gli studenti si avviarono in classe. Daniel ed Emi si sedettero nel loro solito banco, in fondo all'aula, proprio mentre faceva il suo ingresso un ragazzo alto, dai capelli e gli occhi neri come la pece e la pelle diafana.

«Emi» la chiamò Daniel, passandole una mano davanti agli occhi. «Chiudi la bocca, stai sbavando dappertutto.»

La ragazza gli diede una gomitata. «Io non sbavo!» si stizzì lei.

«Oh, si che sbavi! Ogni volta che vedi quel borioso musone di Victor... e ancora non me ne spiego il motivo.»

Emi scosse la testa, sospirando. «Ma che vuoi capirne tu, di ragazzi!»

Victor Tsurugi-Bourgeois era lo studente più brillante di tutta la scuola. Era stato adottato da due delle donne più influenti della città e, oltre a essere intelligente e ricchissimo, aveva anche una propensione per la scherma e un incredibile senso estetico. Come se non bastasse, quell'aria matura e riservata sembrava attrarre come una calamita ogni ragazza che gli stava intorno, anche se lui non sembrava minimamente interessato a nessuna di loro.

Era forse a causa di questo che Emi trovava quel ragazzo così attraente. Aveva sempre avuto un debole per le sfide impossibili.

L'insegnante di francese entrò in classe e la lezione iniziò.

Daniel si voltò verso l'amica e il cuore saltò un battito. Era già da qualche anno che per lui le cose erano diventate diverse... ad un tratto si era reso conto di provare dei fastidiosi e imbarazzanti sentimenti per quella che, una volta, considerava solo come un'amica. Aveva iniziato a notare quanto fossero luminosi i suoi capelli, quanto gli piacesse il suo sorriso e quanto fossero attraenti quei grandi occhi blu.

Il problema era che lei non sembrava minimamente interessata a lui in quel senso e la loro amicizia di lunga data rendeva tutto ancora più imbarazzante e complicato, relegandolo nello scomodo ruolo di "fratello acquisito".

Si prese di coraggio e la chiamò con una gomitata. «Ehm, senti, volevo sapere se domani pomeriggio hai da fare» disse.

Emi alzò le spalle, scuotendo la testa.

«Bene» sussurrò lui, deglutendo «perché vedi, io e il mio gruppo proviamo il nuovo pezzo e... si, insomma, volevo sapere se ti andrebbe di venire a sentirci.»

Emi alzò il sopracciglio. «Non hai sempre detto che la vostra musica non è roba da femmine?»

«E dai!» si lamentò lui, «dicevo per scherzare.»

«Beh, se me lo chiedi per favore...» disse lei, con un sorrisetto sarcastico.

Daniel alzò gli occhi al cielo. «E va bene! Per favore, verresti a sentirmi suonare?»

Lei gli diede una gomitata, sorridendo. «Certo, non devi neanche chiederlo!»

Daniel si grattò la testa, tornando a concentrarsi sulla lavagna, chiedendosi se l'amica potesse sentire il suo cuore che batteva, togliendogli quasi il respiro.

 

 

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Riuscirò mai a non farmi prendere dalla foga di voler caricare tutti i capitoli prima del giorno prestabilito per l'uscita?

Che domande... OVVIO CHE NO!!!

E quindi eccomi qui, con i primo capitolo ufficiale di questo sequel... allora, che ne pensate dei personaggi? Spero che vi siano piaciute le loro introduzioni e che abbiate colto tutti gli easter egg nascosti!

Come al solito, commentate e stellinate se la storia vi piace, e noi ci vediamo al prossimo capitolo.

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Adrien guardò nuovamente l'orario che lampeggiava dal quadrante del cruscotto. Marinette doveva aver perso di nuovo la cognizione del tempo.

L'auto era in sosta davanti l'entrata dell'immenso grattacielo che ospitava la sede del famoso brand di abbigliamento "Gabriel", di cui suo padre era il proprietario.

Marinette aveva iniziato a lavorare come tirocinante non appena aveva terminato le scuole e in pochi anni aveva fatto strada, diventando una delle designer di punta della compagnia. Alla fine, quando Gabriel aveva deciso di andare in pensione, aveva lasciato tutto nelle mani della ragazza, che si era ritrovata nel giro di pochi mesi a capo di un migliaio di persone.

Molte malelingue dicevano che fosse arrivata lì per via della relazione con il figlio – che faceva di lei la nuora di Gabriel – ma se c'era una cosa che Adrien sapeva era che suo padre non elargiva mai favori legati ai rapporti di parentela e che sua moglie si era guadagnata quel posto.

Dalla porta girevole dell'elegante palazzo uscì Marinette, correndo verso l'auto: indossava una gonna nera al ginocchio, una camicetta bianca e una giacca rossa, mentre ai piedi portava delle eleganti décolleté con il cinturino. I capelli, raccolti in uno chignon, lasciavano libere alcune ciocche che svolazzavano intorno al suo viso, sorridente.

Era bellissima, come sempre.

«Scusa il ritardo!» disse la ragazza, sedendosi accanto a lui e dandogli un bacio «mi hanno chiamata per una riunione straordinaria all'ultimo minuto!»

Adrien le sorrise, mettendo in moto. «Tranquilla, non ero qui da molto.»

«Non sei mai stato bravo a mentire» esclamò Marinette, scuotendo la testa «so che mi aspetti da almeno mezz'ora!»

Era incredibile come lei riuscisse a capire tutto di lui.

«Allora,» fece Adrien, cambiando argomento «com'è andata oggi?»

«Devastante» rispose lei, stiracchiandosi sul sedile e sciogliendo i capelli corvini «stiamo progettando la linea autunno/inverno e tutti si aspettano che io abbia le risposte per ogni cosa!» Si voltò verso il marito con un'espressione stizzita «Madame Dupain-Cheng» iniziò, parlando in falsetto «quali sono le palette per la stagione? Ha visionato le stoffe? La divisione artistica ha chiesto i suoi bozzetti, sono pronti? Madame, madame!» Sbuffò, massaggiandosi le tempie.

Adrien rise. Marinette, dopo il matrimonio, aveva deciso di mantenere il suo cognome, non solo perché quello del marito era lo stesso di quello del suo capo, ma anche perché sosteneva che il suo cognome era parte di lei, che l'aveva accompagnata per tutta la vita e che diceva molto su chi era.

Adrien trovava la sua scelta giusta e amava quel suo lato combattivo e fiero... lo stesso che gli aveva fatto perdere la testa sin dall'inizio, quando ancora era solo Ladybug, una fantastica e misteriosa ragazza dietro una maschera.

«E a te com'è andata?» chiese Marinette.

«Movimentato, come al solito» rispose lui, alzando le spalle «oggi ero di turno al pronto soccorso.»

Adrien, finite le superiori, aveva deciso di abbandonare la vita da modello e iscriversi a medicina. Aveva brillantemente terminato gli studi e adesso lavorava all'ospedale Saint-Louis, nel centro di Parigi. Vista la sua preparazione avrebbe potuto aspirare a dei posti di dirigenza, ma lui amava aiutare gli altri ed essere in prima linea, per cui aveva sempre declinato qualsiasi offerta. Nonostante fossero più di dieci anni che non lavorava come modello capitava spesso che alcune persone lo riconoscessero e lo fermassero per strada, cosa che lo metteva sempre in imbarazzo.

Erano a pochi isolati da casa quando, davanti a loro, si formò un'ingorgo che costrinse Adrien a frenare. «Questa città sta diventando invivibile, guarda che traffico!» si lamentò.

A circa un paio di chilometri da loro apparve uno strano bagliore.

«Ma che succede?» fece il ragazzo.

Marinette aprì la portiera e scese dall'auto, come in trance.

«Ma che fai, aspetta!» fece lui, seguendola fuori.

Lei non rispose. Prese lentamente a camminare tra le macchine, avvicinandosi al punto dove era spuntata la luce.

Adrien l'afferrò per un polso. «Marinette ma cosa...?»

Davanti a loro, in alto su uno dei tetti, una donna fece la sua comparsa: aveva una tutina rossa a pois neri e un cappuccio che le copriva il viso, dei medesimi colori, da cui spuntavano delle lunghe ciocche di capelli neri.

«Io sono Ladybug» urlò la donna «e da oggi questa città mi appartiene!»

Adrien sgranò gli occhi, incredulo. Com'era possibile? Doveva essere un'impostore... lui aveva distrutto il miraculous della coccinella! Si voltò verso la moglie, che aveva lo sguardo fisso sulla donna e la guardava con occhi vuoti e carichi di sgomento.

«Marinette, stai bene?» chiese, prendendola per le spalle e iniziandola a scuotere nel tentativo di farla riprendere.

Lei lo guardò con occhi vuoti. «Io... io...» iniziò lei, ma un attimo dopo perse i sensi, accasciandosi tra le braccia di Adrien.

 

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Non credo ci sia speranza che io riesca ad aspettare fino al giorno di pubblicazione! spero solo di non arrivare alla fine di questi capitoli e dovervi fare aspettare troppo per quelli ancora non scritti!

Anyway, in questo capitolo vediamo finalmente il mitico duo, la nostra adorata Adrienette... passano gli anni ma questi due non smettono di amarsi e di essere pucciosi!

Peccato che qualcosa si rompe... il miraculous della coccinella sembra dia stato ricreato e una strana donna si spaccia per Ladybug! come se non bastasse Marinette perde i sensi in modo inspiegabile... 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, noi ci rileggiamo al prossimo aggiornamento!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Emi arrivò a casa prima del solito. Quel giorno l'insegnante di chimica, che avrebbe dovuto fare lezione l'ultima ora, si era assentata e tutta la classe aveva avuto il permesso di andare via prima.

 

La casa era silenziosa, segno che i suoi genitori non erano ancora tornati. Richiuse la porta alle sue spalle e si diresse in cucina. Aprì il frigo e iniziò a rovistare all'interno, finché non trovò gli avanzi dello sformato che sua madre aveva preparato la sera prima.

 

Si lasciò cadere sul divano con la teglia tra le mani, accese il televisore sul canale musicale e iniziò a mangiare. Era fantastico essere sola in casa, senza nessuno che le dicesse di abbassare il volume, di non mangiare in salotto o di togliere i piedi dal tavolino.

 

In tv partì l'ultimo videoclip dei Paris Hardrock, un gruppo locale che faceva musica stupenda. Il chitarrista in particolare, Luka Couffaine, era davvero figo. Si diceva anche che la cantante e la bassista avessero una relazione ma Emi pensava fossero solo voci. I suoi dicevano di conoscere i membri della band ma lei dubitava che delle persone così forti potessero mai essere amici dei genitori... quei due erano talmente ordinari!

 

Aveva appena finito lo sformato quando il campanello suonò. Emi si affrettò a nascondere le briciole sul divano e ad abbassare il volume del televisore, convinta che fossero i suoi genitori, ma quando aprì la porta si ritrovò davanti un vecchio stempiato, con una barbetta grigia e un bastone, su cui si reggeva.

 

«Salve, ha bisogno di qualcosa?» chiese la ragazza.

 

L'uomo le sorrise. «Scusa il disturbo, dovrei parlare con Adrien Agreste. Abita qui?»

 

«Sì» rispose lei «ma al momento non è in casa. Se vuole può ripassare più tardi.»

 

L'uomo sospirò, sfiorando l'anello che portava al dito. «È piuttosto importante... potrei aspettarlo qui?»

 

Emi guardò il vecchio, dubbiosa. I suoi l'avevano messa in guardia mille volte sugli sconosciuti e sui "pericoli del mondo", ma quell'uomo era così anziano e malfermo sulle gambe che dubitava potesse davvero essere una minaccia.

 

Lo fece accomodare sul divano. «Posso offrirle qualcosa?Acqua, té, succo d'arancia...»

 

«Del té andrà benissimo» rispose quello.

 

Mentre Emi trafficava con la teiera l'altro si guardò intorno: su una mensola vicina al divano vi era una foto di Adrien insieme a Marinette mentre reggevano la figlia piccola davanti la statua dedicata a Ladybug e Chat Noir.

 

«Posso chiederle chi è e che rapporto ha con mio padre?» fece Emi dalla cucina.

 

«Oh, sono davvero un maleducato» esclamò l'uomo. «io sono il maestro Fu, una vecchia conoscenza dei tuoi genitori.»

 

«Conosce anche mia madre?» chiese la ragazza, arrivando in salotto con un vassoio carico di té e qualche biscotto.

 

Il vecchio annuì.

 

«È strano, non mi hanno mai parlato di lei.»

 

«Beh, sono passati davvero tanti anni. Non li vedo da quando avevano circa la tua età.»

 

Emi cercò di fare un rapido calcolo. Era davvero parecchio tempo.

 

«Somigli davvero tanto a loro» esclamò maestro Fu, sorseggiando il suo té.

 

Emi sorrise, un po' a disagio. Era una cosa che le dicevano tutti in continuazione e, anche se lo continuava a negare, non poteva fare a meno di notare la somiglianza ogni volta che si guardava allo specchio.

 

L'orologio del suo telefonino segnava le tre e dieci del pomeriggio. I suoi genitori erano davvero in ritardo e lei aveva appuntamento con Daniel alle tre e mezza per andare alle prove del suo gruppo.

 

Stava quasi per chiamarli quando alla tv passarono un'edizione straordinaria del notiziario. Emi alzò il volume.

 

«... una strana donna incappucciata è appena apparsa tra le strade di Parigi, a pochi passi dalla torre Eiffel, creando caos e sgomento tra la popolazione. Le immagini che vedete sono state riprese da alcuni cittadini. La donna dice di essere Ladybug, che come ricorderete è sparita nel nulla anni fa e...»

 

«Ladybug?» fece Emi, guardando le immagini sfocate della donna. Riconosceva la strada da cui era stata fatta la ripresa. Non distava molto da casa sua.

 

Maestro Fu si alzò, guardando la televisione con aria grave. «Non c'è più tempo» disse tra sé e sé. Si voltò verso la ragazza e per qualche secondo la fissò intensamente, senza dire nulla, tanto che quella iniziò a sentirsi davvero a disagio.

 

Alla fine maestro Fu sospirò, si tolse l'anello e lo poggiò sul tavolino. «Devo andare» disse. «So che ne farai buon uso.» Si avviò verso l'uscita, reggendosi al bastone.

 

Emi spostò lo sguardo dall'anello a maestro Fu e viceversa. «Aspetti!» esclamò «cosa vuol dire?»

 

«Lo capirai» fece quello, senza voltarsi. «Se tutto va bene presto ci rivedremo.»

 

Richiuse la porta alle sue spalle.

 

Emi guardò dubbiosa quello strano anello, poi alzò le spalle e lo prese.

 

 

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Ciao gente, vi sono mancata?

Ho tardato un po' a pubblicare questo capitolo, ma nella mia vita al momento stanno cambiando tante cose e non ho avuto un attimo di respiro!

 

Che ne pensate di questo nuovo capitolo? Come pensate reagirà Emi nel conoscere Plagg?

Fatemi sapere tramite un commento se vi è piaciuto e noi ci rileggiamo presto!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


La prima cosa che fece Emi non appena il kwami apparve, fu urlare.

 

Lasciò cadere l'anello, che rotolò per terra, ma lei non parve accorgersene. Teneva gli occhi fissi su quello strano esserino nero che prese a svolazzare per casa, dirigendosi verso la cucina. Emi ci mise qualche secondo a riprendersi dallo shock, poi lo seguì di corsa e lo trovò a rovistare nella dispensa.

 

«Ehi, ma t-tu... che diavolo... chi sei?» balbettò, frastornata «e che cavolo credi di fare?!»

 

«Io chi sono? Dimmi tu, piuttosto, chi sei! Non erano questi gli accordi!»

 

La ragazza lo guardò confusa.

 

«Ho fame! Finalmente siamo tornati e non muoverò un dito finché non avrò mangiato!» esclamò quello, lanciando per aria scatolette di cibo e barattoli di conserva, che Emi dovette afferrare al volo.

 

La ragazza poggiò tutto quello che aveva in mano e prese il kwami per un orecchio, sbatacchiandolo a pochi centimetri dal suo viso. «Senti un po', mostriciattolo, non so chi o cosa tu sia ma non puoi metterti a distruggere la cucina! Se hai fame ti procurerò qualcosa, ma in cambio devi darmi delle spiegazioni.» La ragazza lo guardò con sguardo truce, poi sospirò, poggiandosi una mano sul viso. «E adesso mi metto pure a contrattare con questo coso» disse tra sé e sé «devo essere completamente pazza.»

 

«Io non sono un "coso"» si lamentò l'esserino «mi chiamo Plagg, sono un kwami e voglio del camembert!»

 

Emi mise una mano sul fianco e lo guardò di traverso. «Esiste una parolina magica, sai?»

 

«Sbrigati?» azzardò Plagg.

 

Emi scosse il kwami come una campanellina.

 

«E va bene! Va bene!» urlò l'altro «Per favore!»

 

«Così va meglio» esclamò la ragazza soddisfatta. «Credo che dovremmo avere un po' di camembert in dispensa. Mio padre lo compra spesso, anche se poi non lo mangia...» Si mise a frugare in giro, mentre esortava il kwami a parlare, tempestandolo di domande.

 

«Quindi posso diventare un supereroe e distruggere le cose grazie a te e a questo anello? Come Ladybug e Chat Noir?» fece Emi qualche minuto dopo, rimirando il gioiello che aveva recuperato e messo al dito, mentre Plagg divorava con aria soddisfatta l'ultimo pezzo di camembert.

 

«Esatto!» confermò il kwami «basta indossarlo e dire "trasformami"... semplice no?»

 

«E potrei fermare quella tizia che ho visto in tv?»

 

Plagg annuì con aria annoiata.

 

Emi ci pensò su un secondo, poi scattò in piedi, sorridendo. «Che figata, voglio provare!»

 

«Ma io veramente non ho ancora fin...»

 

«Plagg, trasformami!» lo interruppe la ragazza.

 

Plagg venne immediatamente risucchiato dall'anello che, illuminandosi, fece apparire dal nulla dei vestiti che si sostituirono a quelli che Emi indossava. La trasformazione durò pochi secondi e, non appena finì, la ragazza corse allo specchio della sua camera per ammirare il nuovo abbigliamento: era molto simile a quello della statua di Chat Noir, con la coda, le orecchie e la maschera, ma sul petto vi era una scollatura più femminile, sempre adornata dal grosso campanellino, e un paio di stivali, anche questi in latex, che le arrivavano sopra il ginocchio.

 

«Un po' cyberpunk, ma niente male» approvò la ragazza, immaginando la faccia contrariata che avrebbe fatto suo padre nel vederla in quelle vesti un tantino troppo attillate.

 

Proprio in quel momento un suono all'esterno fece tremare le pareti. Emi uscì sul balconcino della sua stanza e vide del fumo levarsi a pochi isolati da lì. Aveva visto decine di video sugli "eroi di Parigi" così non si stupì quando il bastone che aveva alla cintura si allungò. Fece un salto e si catapultò all'esterno, diretta verso l'origine di tutto quel caos.

 

 

 

 

Su uno dei tetti, la nuova Ladybug era intenta a ribaltare le auto servendosi dello yo-yo, mentre la gente urlava, scappando per mettersi al riparo.

 

«Correte, urlate,» esclamò quella, ridendo «il caos attirerà il topo in trappola!» Lanciò nuovamente lo yo-yo ma stavolta venne deviato.

 

«Sai, ho la sensazione che tu non abbia ben chiaro il concetto di supereroe» disse la ragazza gatto, saltando su uno dei comignoli, proprio di fronte a Ladybug.

 

«Bene, che inaspettata fortuna,» fece quella «aspettavo un topo e invece ho attirato un gatto! Fu è davvero un codardo... ha preferito darmi in pasto Chat Noir, piuttosto che presentarsi lui stesso.»

 

«Ehi» obbietto l'altra «io non sono Chat Noir, il mio nome è... è... Kitty, sì! Sono Kitty Noir!»

 

Ladybug sbuffò. «Chat o Kitty non ha importanza, non vivrai ancora a lungo!» Lanciò lo yo-yo verso la ragazza, ma quella fece un balzo e si spostò sul tetto adiacente, senza apparente fatica.

 

Ladybug riprovò una, due, tre volte senza riuscire a colpirla.

 

«Sei fuori allenamento,» esclamò Kitty Noir «a quanto pare vent'anni di inattività ti hanno arrugginita!»

 

Ladybug emise un suono simile a un ringhio e alzò il palmo. Immediatamente un vento impetuoso si abbatté su Kitty Noir, che riuscì a stento a non cadere di sotto, reggendosi alle tegole del tetto su cui si trovava. «Non sapevo che Ladybug potesse fare una cosa simile» esclamò, colpita.

 

«Ci sono molte cose che non sai su di me, e non avrai tempo per scoprirle.»

 

Kitty Noir si riparò dal vento nascondendosi dietro uno dei comignoli. Doveva avvicinarsi e chiudere in fretta quel combattimento prima che quell'altra sfoderasse qualche altro trucchetto. «Cataclisma!» urlò. Sapeva che questo era il suo potere grazie a Plagg, che l'aveva anche avvertita di non sprecarlo, visto che poteva essere utilizzato una volta sola.

 

Fece un paio di respiri profondi per concentrarsi, dopodiché allungò il braccio in cui non vi era il cataclisma, in modo che fosse ben visibile.

 

Come aveva sperato, Ladybug utilizzò lo yo-yo per afferrarla. «Ti ho presa!» urlò quella, trionfante, trascinando la ragazza verso di sé.

 

Kitty Noir non fece resistenza, anzi, saltò fuori e fece uno slancio verso di lei, afferrando il cavo e avvicinandosi velocemente alla donna. All'ultimo secondo, proprio mentre Ladybug stava alzando il braccio per fare chissà quale altra magia, Kitty Noir si lanciò in scivolata, colpendo con il cataclisma il tetto su cui si trovava l'altra.

 

Ladybug sentì il suolo sgretolarsi sotto i suoi piedi. Presa alla sprovvista cercò un appiglio ma, non trovandone, utilizzò lo yo-yo. Rimase penzoloni nel vuoto.

 

Kitty Noir con un balzo si avvicinò a lei. «Questi li prendo io!» disse afferrando gli orecchini al volo e rendendosi conto che ce n'era uno solo.

 

Ladybug fece per impedirglielo ma non fu abbastanza svelta. Si detrasformò e anche lo yo-yo scomparve. Sotto la maschera vi era una ragazza di non più di vent'anni, con gli occhi a mandorla, i capelli lunghi scuri e la pelle ambrata.

 

Cadde nel vuoto.

 

Kitty Noir, con in mano l'orecchino, si rese conto di quello che stava per accadere. Nonostante l'altra avesse tentato di devastare mezza città, non poteva permettere che le accadesse qualcosa, così si lanciò verso la ragazza ma, nel tentativo di afferrarla, l'orecchino le cadde chissà dove.

 

Kitty Noir imprecò, voltandosi per un attimo verso il punto in cui erano caduti, dopodiché fece per salvare l'altra ma, incredibilmente, era sparita nel nulla anche lei.

 

«Dannazione!» urlò. Il suo anello prese a suonare, avvertendola che i cinque minuti stavano per scadere.

 

Con un balzo si allontanò sotto gli occhi stupiti della gente. Tra di loro anche Adrien aveva osservato la scena, chiedendosi chi fosse quella ragazza che possedeva il suo miraculous.

 

 

 

——————————————————————

Buonsalve bella gente! Come state passando questa caldissima estate?

Io sono in Sicilia e mi sto godendo il sole, il mare, ma sopratutto IL CIBO! Eh sì, sono una buona forchetta e già so che finirò per ingrassare senza ritegno xD!

 

Parlando della fanfiction, beh, ecco finalmente la nostra Emi che fa la conoscenza di Plagg e mette alla prove, per la prima volta, i suoi poteri. Tale padre tale figlia, non trovate?

Sfortunatamente l’orecchino è caduto nel vuoto durante lo scontro e adesso chissà dove sarà!

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Come sempre fatemi sapere il vostro parere con un commento... e noi ci rileggiamo la prossima settimana!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Daniel sospirò, uscendo all'aria aperta dopo un paio d'ore di prove. Emi non si era presentata e non aveva neppure risposto alle sue chiamate e ai messaggi.

 

Si sentiva uno stupido per averglielo proposto... era ovvio che non sarebbe venuta. Probabilmente aveva avuto qualcosa di meglio da fare o semplicemente non le andava e glielo aveva detto solo per farlo contento.

 

"Dovevo invitarla a prendere un gelato, come i ragazzi normali, che idiota!" pensò, scalciando una lattina abbandonata sul ciglio della strada e quella rotolò qualche metro più in là. Daniel vi si avvicinò e fece per colpirla di nuovo ma qualcosa di luccicante, proprio accanto alla lattina, attirò il suo sguardo. Si piegò e osservò l'orecchino che giaceva a terra. Probabilmente qualche ragazza doveva averso perso mentre passeggiava. Si guardò intorno ma per strada non c'era nessuno. Senza pensarci più di tanto lo raccolse e una strana luce rossa lo abbagliò.

 

Daniel si strofinò gli occhi, cercando di riacquistare la vista ma, non appena ci riuscì, si disse che qualcosa doveva avergli fuso la retina: davanti a lui vi era un esserino rosso fragola con delle macchie nere e due sottili antennine. Aveva gli occhi semichiusi e sembrava esausto.

 

Lì per lì il ragazzo non disse né fece nulla, troppo sconvolto per muoversi o emettere alcun suono.

 

L'esserino alzò appena lo sguardo, sorridendogli debolmente, poi si accasciò a terra.

 

Nonostante lo shock non poteva certo lasciare quella cosa lì a terra, sembrava davvero aver bisogno di aiuto. Daniel, mise l'orecchino in tasca, la raccolse da terra e corse a casa, chiedendosi che cosa avrebbe mai potuto fare.

 

Quando entrò in casa un forte odore di patate al forno lo colpì, facendogli gorgogliare lo stomaco.

 

«Daniel, sei tu? Come sono andate le prove?» chiese Alya, sua madre, dalla cucina.

 

«Bene!» rispose il ragazzo «corro a fare i compiti.» Il ragazzo scattò verso la sua stanza ma sua madre lo intercettò, nel corridoio.

 

Daniel si affrettò a nascondere l'esserino dietro la schiena.

 

«Pensavi di scappare via senza avermi neppure dato un bacio?» chiese sua madre. Sotto il grembiule indossava ancora il tailleur del lavoro e ai piedi portava le pantofole. Aveva i capelli ramati legati in una treccia.

 

«E dai mamma» si lamentò il ragazzo «sono troppo grande per questo!»

 

«Hai appena quindici anni... e comunque non sarai mai "troppo grande", ricordatelo!»

 

Daniel le diede un bacio e corse in camera, richiudendosi la porta alle spalle con un sospiro di sollievo. Afferrò una delle sue magliette dal cassetto e, dopo averla ripiegata più volte, la utilizzò come cuscino, in cui adagiò l'esserino rosso fragola. Versò un po' d'acqua in un bicchiere, vi immerse il dito e, con molta delicatezza, tentò di abbeverare la bestiolina.

 

All'inizio non successe nulla, poi pian piano gli occhi dello strano animaletto si aprirono.

 

«Ehi, allora sei vivo» esclamò Daniel, sorridendo. Prese un biscotto da un pacchetto che teneva in camera e iniziò a spezzettarlo, mettendolo accanto all'esserino. Quella vi si avventò immediatamente.

 

«A quanto pare eri solo affamato.»

 

L'animaletto inghiottì, poi si voltò verso il ragazzo, osservandolo con i suoi enormi occhioni blu. «Grazie» disse.

 

Daniel spalancò gli occhi, muovendo la bocca nel tentativo di articolare qualche parola. «Ah. Ehm, quindi tu, insomma... parli. Beh, prego.»

 

L'esserino, una lei a giudicare dal tono della voce, si guardò intorno. «Hai tu l'orecchino, vero?» chiese.

 

Daniel, ancora sconvolto da quella strana situazione, frugò nelle tasche ed estrasse il gioiello.

 

La cosina sospirò di sollievo. «Menomale, quella donna voleva utilizzarmi per scopi malvagi.»

 

«Di cosa stai parlando? E, sopratutto, che cosa sei?»

 

«Il mio nome è Tikki» disse quella, alzandosi a mezz'aria, proprio davanti il viso di lui «e sono un kwami.»

 

«Un... che?»

 

Tikki sorrise, volteggiando intorno al ragazzo. «Tranquillo, ti spiegherò tutto!»

 

 

 

 

 

 

 

Shiwa si lasciò cadere al centro del sudicio pavimento della casa abbandonata, in cui aveva trovato riparo. La magia dello spostamento richiedeva un quantitativo di energia incredibile.

 

Sbatté il pugno a terra, ansimante e tremante di rabbia. Non solo non era riuscita a recuperare il miraculous del gatto, ma aveva anche perso quello della coccinella e, come se non bastasse, non aveva ancora nessuna idea sul dove si trovasse Fu.

 

Rimase seduta a terra a lungo, fino a che le ombre non si allungarono e il sole non lasciò il suo posto alla luna, alta e luminosa nel cielo. Solo allora si decise ad alzarsi, con fatica, dirigendosi al tavolo semidistrutto e accendendo la candela che vi era adagiata sopra. La fiamma fece luce sui suoi pochi averi, sparsi sul ripiano in legno marcio: alcuni strumenti da lavoro, dei libri antichi e malconci, poca roba da mangiare e una spilla a forma di ragnatela.

 

Shiwa guardò quell'oggetto con un misto di paura e desiderio. Quel miraculous era stato creato per errore, mentre stava cercando di ricreare il miraculous del gatto nero, ma da quello sbaglio era riuscita in qualcosa dove molti altri avevano fallito. Aveva creato il più antico dei miraculous, un potere talmente grande da farla rabbrividire.

 

Sarebbe riuscita a controllarlo? Ne aveva la forza? Queste domande le vorticavano in testa da ore, senza trovarne la risposta, ma la sua sete di vendetta era grande, troppo grande, per rinunciare a quel potere. Fece un respiro profondo e prese la spilla tra le mani.

 

Una luce rossa, sanguigna, avvolse la stanza e pochi attimi dopo apparve il kwami legato a quel sinistro miraculous: aveva il corpo sferico, ricoperto da un'ispida peluria scura. Le zampette si muovevano per aria, permettendo all'essere di spostarsi come se si trovasse su una ragnatela invisibile e gli occhi, almeno una decina, piccoli, tondi e neri come la pece, sembravano riuscire ad osservare tutto contemporaneamente.

 

«Finalmente sei venuta da me» disse il kwami, con una vocina stridula «se lo avessi fatto prima la coccinella sarebbe ancora in mano tua.»

 

«Come fai a saperlo?» chiese Shiwa, avvertendo lo stesso disagio che aveva provato la prima volta che lo aveva evocato.

 

«Riesco a percepire quando uno dei miei primordiali nemici è vicino o lontano.»

 

La ragazza trattenne il fiato. il potere di questo essere era incredibile. «Devo recuperarlo e trovare Fu.»

 

Il kwami fece un sorrisetto, scoprendo denti affilati, come quelli di uno squalo. «Non temere, posso aiutarti. Dopotutto sono Noun, il kwami più potente che ci sia...»

 

«Credevo che creazione e distruzione fossero i più potenti» obbiettò Shiwa.

 

«Questo è un errore comune» esclamò il kwami con calma, iniziando a girarle intorno «perchè si tende a dimenticare che cosa c'era prima che tutto nascesse.»

 

«Non c'era nulla.»

 

«Esatto» convenne Noun «l’essenza primordiale da cui tutto è nato, e a cui tutto fa ritorno.»

 

Shiwa avvertì un brivido lungo tutta la schiena mentre la voce del kwami le attraversava le orecchie, colpendola fin dentro l’anima. Noun era scaltro e l’attraeva con promesse di vittoria, ma non doveva lasciarsi incantare. «Perché mi aiuteresti? Se sei così potente a cosa ti servo?»

 

Il kwami si fermò a pochi centimetri dal suo orecchio. «Perché vogliamo la stessa cosa. A te serve potere per ottenere i miraculous ed esaudire il tuo desiderio ed io posso dartelo, a patto che tu mi nutri, donandomi il mio antico potere... a quel punto, dopo che avrei espresso il tuo desiderio, io mi libererò di Tikki e Plagg e ritornerò ad essere l’incontrastato potere che ero un tempo!»

 

C’era qualcosa di sinistro in quel piano, ma al momento era l’unica possibilità per lei di perseguire i suoi obiettivi. «E va bene, Noun, mostrami cosa devo fare.»

 

«Indossa la spilla, evocami e scatena il mio potere sugli esseri umani... insieme saremo imbattibili.»

 

Shiwa placò il leggero tremolio che aveva contagiato le sue mani e, senza più indugi, appuntò la spilla al petto. “Non c’è altro modo” pensò, per placare i suoi dubbi. Chiuse gli occhi e tutto divenne rosso. 

 

 

 

 

——————————————————

Ed eccomi di nuovo qui!

Scusate l’assenza ma l’estate chiama e il caldo è nemico della scrittura (frigge il cervello xD). Voi come state passando l’estate? Vi state godendo le vacanze o siete intenti a studiare e lavorare?

 

Il nostro Daniel ha fatto conoscenza con un kwami, la nostra amata Tikki, e sembrano proprio andare d’accordo!

Anche Shiwa ha conosciuto Noun, che ha un non so che di sinistro, non trovate xD?

 

Che ve ne pare di questo capitolo? Vi è piaciuto? Fatemi sapere con un commento e noi ci rileggiamo nel prossimo capitolo!

 

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Daniel aveva in programma di tenere il broncio con Emi il giorno dopo, per non essersi fatta sentire e avergli dato buca ma quella sera, qualche ora dopo che si era preso cura di Tikki, il cellulare di suo padre prese a squillare e Adrien, dall'altra parte, li avvertì che Marinette non si era sentita bene, aveva perso i sensi e non ne voleva sapere di svegliarsi, così l'avevano portata in ospedale.

 

I suoi genitori si precipitarono dall'amica e lui decise di accompagnarli per restare vicino a Emi e accertarsi che stesse bene.

 

Arrivato in ospedale, nel corridoio adiacente alla camera in cui si trovava Marinette, la ragazza era raggomitolata su una delle sedie di plastica, con le gambe strette al petto e lo sguardo triste e preoccupato. Daniel si avvicinò, sedendosi di fianco a lei e i loro sguardi s'incrociarono. Non si dissero nulla ma non serviva, la loro amicizia era talmente forte che la loro conversazione non aveva bisogno di parole.

 

Era già piuttosto tardi quando Adrien, seguito da Nino ed Alya, si avvicinò a sua figlia, dicendole che quella sera lui sarebbe rimasto lì e che lei poteva dormire a casa di Daniel. Emi protestò ma suo padre le mise una mano sulla spalla, guardandola con dolcezza.

 

«So che vuoi stare vicino alla mamma, ma non puoi fare nulla qui e quando domani lei si sveglierà ci ucciderà entrambi se avrai perso un giorno di scuola» disse Adrien.

 

Emi sospirò. «Mi chiamerai non appena si sveglierà, vero?»

 

«Te lo prometto.» Adrien diede un bacio sulla fronte della figlia e la lasciò con Nino e Alya, rientrando nella stanza della moglie, una delle migliori dell'ospedale. Essere un medico aveva i suoi vantaggi.

 

Solitamente, quando Emi andava a dormire a casa di Daniel – e la cosa capitava spesso – si sistemava sul divano, ma quella sera l'amico le cedette la sua stanza e non volle sentire ragioni. La sua amica, pensò, aveva decisamente bisogno di un letto comodo su cui riposare.

 

Non appena Emi si fu messa a letto, Plagg sbucò fuori dal suo zaino, stiracchiandosi. «È stata una giornata movimentata» disse il kwami.

 

Emi annuì, con aria triste.

 

«Dai, non essere giù. Tua madre si riprenderà presto.»

 

«Lo pensi davvero?»

 

Plagg annuì. «Il mio precedente portatore aveva molta stima di lei e credeva non esistesse nessuno di più forte e coraggioso» affermò.

 

«Chat Noir conosceva mia madre?!» esclamò Emi, strabuzzando gli occhi dalla sorpresa.

 

Il kwami per tutta risposta si esibì in un enorme sbadiglio per nulla realistico. «È decisamente ora di dormire, non ho mangiato e mi sento davvero debolissimo!»

 

«Oh, ma smettila, hai divorato tre intere forme di camembert poche ore fa!»

 

«Infatti, sono affamato» si lamentò lui e si rintanò nuovamente nello zaino, rifiutandosi di rivelarle altri particolari.

 

 

 

 

La mattina seguente Alya fece capolino nella stanza, sedendosi di fianco alla ragazza. «Emi, tesoro, è ora di alzarsi.»

 

Lei socchiuse gli occhi, sorridendo. Alya era come una seconda mamma e le voleva davvero molto bene. Era già vestita di tutto punto, pronta per andare alla redazione per la quale lavorava come giornalista. Era davvero fantastica e aveva sempre la risposta pronta.

 

«Qualche minuto fa è passato tuo nonno» continuò quella «e ha portato una crostata di mele e crema pasticciera... la tua preferita!»

 

In effetti il profumino della torta arrivava fin lì, facendole venire l'acquolina in bocca. Alya le accarezzò il viso, dopodiché la lasciò da sola, per darle il tempo di prepararsi.

 

Dopo aver fatto colazione, lei e Daniel uscirono diretti a scuola. La ragazza non sembrava in vena di chiacchierare e vederla così giù rattristava anche lui. «Ci sono notizie da tuo padre?» chiese il ragazzo.

 

Emi scosse la testa, abbattuta.

 

"Bravo" pensò Daniel "questo si che è un bel modo di iniziare una conversazione!" Si toccò distrattamente l'orecchino nuovo, tentado di trovare un qualsiasi argomento di conversazione. Tikki gli aveva detto di indossarlo ed era stata una fortuna che, qualche mese prima, avesse deciso di fare il buco all'orecchio sinistro, proprio come Luka, il chitarrista dei Paris Hardrock.

 

«Mi dispiace per non essere passata ieri» disse Emi, ad un tratto.

 

Daniel scosse la testa. «Ma figurati, non era nulla d'importante... sarà per la prossima volta.»

 

«Com'è andata?» volle sapere la ragazza.

 

«Benissimo» rispose Daniel, cogliendo la palla al balzo. «Con un chitarrista del mio calibro, non poteva essere diversamente, dopotutto!»

 

Emi, suo malgrado, sorrise. Gli diede una gomitata e Daniel fece una smorfia esagerata. Sapeva di fare la figura dello scemo, ma se poteva aiutare Emi a sorridere, andava bene così.

 

Quando arrivarono in classe la ragazza era molto più tranquilla. Quel giorno Victor non si era presentato, e Daniel interpretò quell'assenza come un segno... forse la fortuna stava iniziando a girare dalla sua parte.

 

Non avrebbe potuto pensare nulla di più sbagliato perché, proprio in quell'istante, una nuova minaccia si stava pericolosamente avvicinando a loro.

 

 

 

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Ciao ragazzi, eccomi qui con un nuovo capitolo fresco fresco (si fa per dire xD) che vede i nostri protagonisti alle prese con un problema che i loro poteri non possono risolvere. Che cosa è successo a Marinette? Sembra che neanche Adrien riesca a spiegarselo.

 

Daniel cerca in tutti i modi di tirare su il morale alla povera Emi e sembra esserci riuscito, ma una minaccia si sta avvicinando... non c'è tempo da perdere!

 

Che vi aspettate nel prossimo capitolo? Come reagiranno i nostri eroi alla nuova minaccia? E Daniel riuscirà a padroneggiare i poteri della coccinella? Beh, non vi resta che aspettare il prossimo capitolo per scoprirlo!

 

Se il capitolo vi è piaciuto fatemelo sapere con un commento! Ci rileggiamo presto!

 

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Quando sentirono le prime urla, fu chiaro che qualcosa non andava. Tutti gli alunni, compresi Daniel ed Emi, si voltarono verso le finestre giusto in tempo per vedere una miriade di piccoli ragnetti muoversi per le strade della città, creando scompiglio e terrorizzando la gente.

 

Presi dal panico, i ragazzi si precipitarono fuori dalle varie classi, urlando e spintonando nella foga di scappare. Daniel tentò di avvicinarsi all'amica, ma quella venne trascinata via dal marasma e i due si persero di vista.

 

«Tikki, che succede?!» chiese il ragazzo al suo kwami, che fece capolino dalla tasca della sua felpa.

 

«Credo si tratti di lei...» squittì quella.

 

«Intendi la tua precedente portatrice?»

 

Tikki annuì. «Dobbiamo fermarla, è pericolosa!»

 

Daniel si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, poi scostò la ciocca di capelli castani dal suo orecchio. «Tikki, trasformami!» esclamò.

 

Il piccolo kwami venne assorbito dall'orecchino e il ragazzo vide i suoi vestiti mutare: in men che non si dica si ritrovò addosso una tutina rossa, con alcuni dettagli – nelle gambe, su petto e braccia e all'altezza della cintura – neri a pois rossi. In vita aveva appeso uno yo-yo molto simile a quello di Ladybug, ma a colori invertiti.

 

«Beh, dai» disse tra sé e sé, rimirandosi «pensavo peggio, invece non è affatto male!»

 

Delle urla gli ricordarono il motivo per cui si era trasformato. Aprì la finestra e si precipitò in strada dove lo attendeva uno spettacolo che gli fece accapponare la pelle: i ragni avevano iniziato ad attaccare la gente, avvolgendoli nelle loro tele e avvinghiandosi a loro. I malcapitati sembravano svenuti - o almeno così sperava il ragazzo - e i loro visi si facevano via via più pallidi.

 

«Maledetti, lasciateli andare!» urlò lui, utilizzando lo yo-yo per colpire gli enormi esseri. Sfortunatamente così facendo attirò la loro attenzione e, in pochi minuti, si ritrovò circondato. Per quanti ne colpisse altri prendevano il loro posto.

Un ragno fece per saltargli alla schiena ma un colpo di bastone lo allontanò.

 

Il ragazzo si voltò giusto in tempo per vedere un'agile ragazza gatto coprirgli le spalle.

 

«Tu devi essere Kitty Noir, giusto? Ho sentito parlare di te al telegiornale di ieri!» esclamò lui.

 

«Esattamente... e tu chi saresti?» chiese la ragazza, guardandolo con aria incerta «L'ennesimo Ladybug?»

 

«Ehi, ti sembro forse una ragazza?» si lamentò quello, allontanando con un colpo un ragno particolarmente aggressivo.

 

Kitty Noir fece roteare il bastone, colpendone una decina contemporaneamente. «E allora, come dovrei chiamarti?»

 

Il ragazzo ci pensò su. «Coccinelle» esclamò alla fine.  (nota d'autore: Coccinelle è francese e si legge Coxinel)

«Davvero fantasioso.»

 

Il ragazzo stava per ribattere quando, dal cielo, scese una donna, librandosi a mezz'aria. Aveva i capelli neri, lunghissimi, che le fluttuavano tutt'intorno e si dipanavano come fili di ragnatela, una tutina aderente nera con un simbolo simile a un ragno lungo tutto l'addome e le dita che terminavano con dei lunghi e affilati artigli. In viso portava una maschera e guardava verso il basso i due ragazzi, con aria quasi divertita.

 

«Bene, bene, bene... qualcuno ha trovato il mio miraculous, a quanto vedo. E anche la nostra gattina si è fatta viva! Dev'essere il mio giorno fortunato!»

 

I ragni smisero di lottare, e si precipitarono dalle loro vittime, intrappolate ancora nelle tele.

«Chi sei e che diavolo vuoi?» esclamò Coccinelle, guardando la donna dal basso.

 

Quella sorrise. «Che sbadata, ho dimenticato le buone maniere. Il mio nome è Arakne e quel che voglio è l'energia degli esseri umani!» Allargò le braccia e alcuni sottili fili si allungarono fino a raggiungere le vittime intrappolate. I capelli iniziarono a brillare di un rosso scuro, succhiando quella che sembrava la forza vitale stessa delle persone intrappolate.

 

«Dobbiamo fermarla, qualsiasi cosa stia facendo!» disse Coccinelle, affiancandosi alla ragazza.

 

Kitty Noir annuì. «Cataclisma!» urlò, alzando il braccio destro e attivando il suo potere. Si lanciò senza esitazioni verso i fili che collegavano Arakne alle persone a terra e subito si rese conto che c'era qualcosa di diverso nel suo potere: il cataclisma non si esauriva.

 

«Ma che diavolo...?» esclamò, confusa, guardando le se mani nel quale vorticava ancora il potere.

 

Arakne guardò Kitty noir con disappunto. Allungò la mano verso di lei e i suoi artigli si allungarono verso la ragazza.

Coccinelle corse senza esitazioni e, lanciandosi sulla sua partner, l'allontanò giusto un attimo prima che venisse colpita, gettandosi a terra insieme a lei.

 

«Devi stare attenta» esclamò con un sorriso il ragazzo, aiutandola a rialzarsi. «Non vorrai dirmi che i riflessi felini sono solo una leggenda.»

 

Le sorrise, facendole l'occhiolino.

 

Kitty Noir guardò Coccinelle negli occhi. Il suo cuore saltò un battito e si rese conto che si stavano ancora tenendo per mano. Si affrettò a lasciarla. «Non preoccuparti, noi gatti abbiamo nove vite!» affermò con un sorriso. Ritornò a guardare la mano destra e il cataclisma non ancora esaurito. Non ebbe tempo di pensare al motivo per cui stava accadendo perché i ragni tornarono all'attacco mentre la loro padrona continuava a cibarsi della forza vitale della gente.

 

«Che facciamo?» urlò Coccinelle mentre combatteva a fianco della ragazza.

 

«Magari potresti usare il tuo potere!» esclamò Kitty Noir.

 

Coccinelle annuì. «Lucky charm!»

 

Anche in questo caso, accadde qualcosa di strano: invece di trasformarsi in un oggetto, lo yo-yo emano due sfere di pura luce, che avvolsero le mani di un incredulo Coccinelle. «Ok, questo è davvero strano.»

 

«Il tuo kwami non ti ha detto nulla riguardo a questo?» gli chiese la ragazza, disintegrando ragni con una mano e tenendoli a bada con il bastone con l'altra.

 

Lui scosse la testa.

 

«Beh, non importa, cerca di capire come funziona!»

 

«Ma come?!»

 

«Non lo so, fa' qualcosa!»

 

Coccinelle si guardò intorno, tentando di capire cosa fare. Sentiva che quel potere era speciale, che era stato attivato per un motivo ben preciso. I suoi occhi vagarono tutt'intorno, lungo la devastazione che Arakne stava creando, fino a posarsi sui bozzoli saldamente legati ai capelli della donna.

 

Quasi come se fosse guidato da qualcuno, si diresse verso un uomo che era stato inglobato dai ragni e che stava diventando sempre più pallido. Allungò una mano, afferrando saldamente il filo che stava succhiando via tutta la sua energia, e quello istantaneamente si dissolse insieme al bozzolo, mentre l'uomo riacquistava colore.

 

Kitty Noir, che aveva seguito con la coda dell'occhio tutta la scena, si avvicinò a lui, facendogli da scudo mentre lui saltava da un punto all'altro per liberare la gente.

 

«No, maledetti!» urlò Arakne «Non mi priverete dell'energia! Mi appartiene!» Fece per colpire con gli artigli Coccinelle ma Kitty Noir allungò la mano con il cataclisma e li colpì al volo.

 

La donna urlò mentre i suoi artigli si dissolvevano, ritirando la mano che, a causa del potere, si era ustionata. Anche i ragni sembrarono reagire al dolore della padrona, emettendo grida stridule e dimenandosi a terra.

 

«Arrenditi, hai perso!» urlò la ragazza gatto.

 

Arakne si guardò intorno, digrignando i denti. Coccinelle stava tagliando tutti i suoi collegamenti, privandola dell'energia raccolta finora e lei non aveva abbastanza potere da sconfiggerli, in quelle condizioni. Scosse la testa, ritirando i pochi capelli ancora legati alla gente. «Mi avrete anche rallentato, ma alla fine vincerò io!» esclamò, proprio un attimo prima di sparire nel nulla, insieme ai ragni.

 

La maggior parte delle persone iniziarono a rialzarsi, stordite. Qualcuno chiamò delle ambulanze per soccorrere chi era rimasto a terra.

 

«Beh, direi che formiamo una bella squadra» affermò Coccinelle, affiancandosi a Kitty Noir.

La ragazza lo guardò con la coda dell'occhio. «Si, non sei niente male come partner» concordò, incrociando le braccia.

 

Coccinelle alzò il pugno all'altezza del viso. Kitty noir sorrise e, imitandolo, colpì la sua mano, dorso contro dorso.

 

I loro miraculous presero a suonare sempre più insistentemente.

 

«Sarà meglio andare, prima di ritrasformarci. Beh, alla prossima» la salutò Coccinelle, dopodiché si dileguò.

 

Emi riuscì a trovare un posto al riparo da occhi indiscreti appena in tempo. Si poggiò alla parete e si lasciò andare ad un sospiro, chiedendosi chi mai potesse nascondersi dietro la maschera di Coccinelle.

 

 

————————————————————

SONO PICCOLI PROBLEMI DI CUORE, NATI DA UN'AMICIZIA CHE PROFUMA D'AMORE...

Ehm... sì, dicevo...

Salve lettori, come andiamo? Non so perché ma mi era venuta voglia di cantare xD!

 

Non vi aspettavate un altro capitolo così presto, vero? Beh, neppure io, ma al momento ho molta ispirazione e sto lasciando che mi guidi!

 

E finalmente abbiamo conosciuto Coccinelle e abbiamo visto che i poteri dei miraculous sono cambiati! Sì, so che volete qualche spiegazione ma non temete, a tempo debito vi verrà spiegato tutto.

Al momento abbiamo visto Arakne e scoperto qualcosa in più sui suoi poteri che sembrano davvero spaventosi!

 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Per qualsiasi cosa scrivetemi e fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima!

 

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Adrien aveva aspettato l'arrivo di Sabine in ospedale, la mattina dopo, in modo da non lasciare Marinette da sola nel caso in cui si fosse svegliata. La donna gli disse di andare a casa a riposarsi ma lui aveva altri programmi.

 

Non appena uscì dall'ospedale si avvio lungo le vie della città. Nonostante l'aria tiepida di inizio primavera un brivido gli percorse la schiena, ripensando agli eventi del giorno prima. I miraculous dovevano essere stati ricreati, ma chi avrebbe mai potuto farlo? Di certo non era cosa da poco ed era certo che non esistessero tante persone al mondo in grado di farlo.

 

Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche. Marinette aveva rinunciato a tutti i suoi ricordi legati a Ladybug per proteggere il mondo e lui aveva dovuto distruggerli con le sue stesse mani... averli ricreati aveva di fatto reso vano il loro sacrificio, e la cosa lo faceva ribollire di rabbia.

 

Allungò il passo, diretto nell'unico posto che gli era venuto in mente per cercare qualche indizio su tutto ciò che stava accadendo e, svoltato l'angolo, la vide: la palazzina in cui, tanti anni fa, aveva vissuto il maestro Fu.

 

Dopo quello che era accaduto quel giorno, la casa era rimasta disabitata e non era mai stata ristrutturata. Di fatto, era stata lasciata completamente all'abbandono, quasi come un macabro ricordo della devastazione di Lady Butterfly e del suo scontro con loro due e il maestro.

 

Entrò nell'androne e salì le rampe di scale che conducevano all'abitazione.

 

La porta era scardinata e malamente bloccata da assi di legno marcio, e non fu difficile per Adrien superare quegli ostacoli. Entrato un forte odore di muffa gli colpì le narici e dovette coprirsi il viso per non respirare la polvere.

 

I mobili erano distrutti e in gran parte dell'appartamento l'intonaco si era staccato, ingombrando ulteriormente le stanze. Come se non bastasse, anche le finestre erano state chiuse con delle assi di legno, facendo passare solo pochi raggi di sole e rendendo il tutto ancor più spettrale.

 

Adrien si avvicinò ai resti della stola, dove lui e Ladybug avevano ascoltato la storia del maestro Fu e, inginocchiatosi, si lasciò andare per un attimo a quei ricordi.

 

Un rumore alle sue spalle, simile a un fruscio, lo fece voltare di scatto. «Chi c'è?» chiese.

 

«A quanto pare non sbagliava riguardo te... mi aveva detto che saresti venuto» disse una voce maschile, apparentemente piuttosto giovane.

 

Adrien scrutò l'angolo buio da cui proveniva, intravedendo una figura incappucciata. «Chi sei?»

 

«Un amico» rispose quello. «Maestro Fu mi ha mandato qui ad aspettarti.»

 

«Fu è qui a Parigi? C'è lui dietro quello che sta accadendo? perché i miraculous...»

 

«Non sono qui per rispondere alle tue domande» lo interruppe l'altro, «il maestro voleva farti sapere che che non avrebbe mai voluto che i miraculous tornassero e che non è stato lui a ricrearli.»

 

Adrien si strofinò gli occhi, tentando di abituarsi alla penombra e di scorgere il viso del suo interlocutore, ma quello era completamente coperto e irriconoscibile. «Vuoi dire che esiste qualcun altro capace di crearli? Si tratta della finta Ladybug, scommetto.»

 

«Esatto.»

 

«E Plagg? Perché maestro Fu lo ha dato a un nuovo portatore?»

 

L'altro sospirò. «Apparentemente non ha avuto scelta... non ci resta che sperare che sia all'altezza del compito.»

 

Ad Adrien non sfuggì quella strana inclinazione che aveva preso la voce del suo interlocutore. «Non mi sembri molto d'accordo con la sua decisione, o sbaglio?»

 

«Non sono qui per contestare le decisioni del maestro, sebbene a volte trovi le sue scelte... singolari.»

 

Adrien incrociò le braccia, mentre mille domande gli affollavano la testa. «Perché non è venuto direttamente maestro Fu a parlarmi?» decise di chiedere, infine.

 

Ci furono diversi secondi di silenzio, in cui l'altro sembrò dosare bene le parole. «Al momento non sarebbe saggio per lui uscire allo scoperto, perciò a mandato me.»

 

«E tu saresti?»

 

L'altro non rispose e, sebbene fosse impossibile vedergli il viso, Adrien sentì i suoi occhi attraversarlo da parte a parte.

 

Ci fu un lungo silenzio, che venne rotto dallo squillo del cellulare. Adrien lo tirò fuori dalla tasca e osservò il nome di Sabine che lampeggiava. Alzò lo sguardo mentre rispondeva ma il suo interlocutore misterioso era già sparito.

 

«Sabine, che succede? Marinette sta bene?» chiese.

 

«Oh, sì» disse la donna all'altro capo del telefono «si... si è svegliata e...»

 

«Ma è fantastico!» esclamò lui.

 

«Sì lo è ma, vedi... è molto agitata, vuole parlarti subito.»

 

Attraverso il microfono, Adrien sentì la voce di sua moglie chiedere insistentemente il cellulare.

 

«Pronto, Adrien?» lo chiamò Marinette.

 

Adrien sentì il cuore alleggerirsi nel sentire la sua voce. «Amore, come stai? Ci hai fatto preoccupare tan...»

 

«Adrien» la interruppe lei «che sta succedendo?»

 

«Che vuoi dire?»

 

Silenzio.

 

«Chi è Tikki?»

 

 

 

———————————————————————

Buongiorno Marinette, ben svegliata!

Riguardo a Tikki beh... è una storia piuttosto lunga, eheheh.

 

Ciao ragazzi, bentornati! La nostra attenzione in questo capitolo si è spostata da Emi e Daniel, alle prese con i loro nuovi poteri, ad Adrien che, preoccupato per la sua amata Marinette, decide di andare alla ricerca di Fu.

 

Chi sarà questa persona misteriosa di cui il maestro sembra fidarsi al punto da mandarlo a parlare con Adrien al posto suo e perché non ci è andato di persona?

Il mistero si infittisce!

 

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto e noi ci rivediamo nel prossimo capitolo!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


«Come ti senti?» le chiese Adrien, stringendo la mano di Marinette tra le sue.

 

Erano soli, nella stanza dell'ospedale. Sabine era andata a chiamare Emi e avvertire Alya e Nino del risveglio della figlia.

 

Marinette si scostò i capelli dal viso, cercando di tenere a bada quel terribile mal di testa che non accennava a calmarsi, da quando aveva ripreso conoscenza. «Sono confusa. Ho fatto dei sogni molto strani, che non riesco a spiegarmi...»

 

«Che tipo di sogni?»

 

Marinette scosse la testa. «Non so. Ricordo questo esserino, Tikki, e poi fluttuavo... no, saltavo, tra i tetti. Mi sentivo così libera e c'era... c'era qualcuno con me. Una macchia nera nella notte...» Si prese la testa tra le mani, respirando affannosamente.

 

Adrien sospirò, abbracciandola e baciandole il capo. «Non sforzarti amore, vedrai che presto starai meglio.»

 

«Era tutto così reale...» esclamò la donna, con le lacrime agli occhi «mi sembra di impazzire!»

 

Lui la cullò tra le sue braccia. Era una sofferenza vederla in quello stato e non potere far nulla per aiutarla. Avrebbe voluto dirle tutto, rivelandole quella verità che teneva dentro da vent'anni, ma sapeva che avrebbe solo peggiorato le cose... doveva ricordare con le sue forze, in modo graduale. Dirle tutto in una volta l'avrebbe solo fatta impazzire.

 

Non seppe dire quanto tempo rimasero lì in silenzio, abbracciati. Ad un tratto Adrien sentì delle voci in corridoio.

 

«Non puoi correre dove ti pare, ragazzina! Questo è un ospedale!» urlò una voce maschile.

 

«Togliti di mezzo, idiota, c'è mia madre lì dentro!»

 

La porta si spalancò ed Emi fece il suo ingresso, mentre uno degli infermieri la tallonava, entrambi con il fiatone. Quello fece per afferrarla ma lei sgusciò agilmente all'interno della stanza e si gettò tra le braccia della madre che, nonostante tutto, l'accolse con un gran sorriso.

 

Adrien fece segno all'infermiere di lasciar perdere e diede un colpetto sulla fronte della figlia. «Hai intenzione di farmi licenziare?» chiese in tono scherzoso.

 

Emi alzò lo sguardo sul padre, sorridendo. «Oh, andiamo! Lo sappiamo tutti che qui in ospedale ti adorano tutti!»

 

Adrien incrociò le braccia.«Questo perché tuo padre è irresistibilmente attraente!»

 

Emi gli fece una linguaccia, poi si voltò verso la madre. «Come stai? Mi hai fatto preoccupare.»

 

«Scusa tesoro, ho soltanto avuto un mancamento» rispose Marinette, lisciandole i capelli con dolcezza.

 

Emi si mise comoda accanto alla donna, inebriandosi del suo buon profumo. «Ti fanno lavorare troppo. Lo dirò al nonno e farò bacchettare tutti quelli dell'atelier!»

 

Marinette poggiò la sua mano su quella della figlia e sfiorò l'anello che portava al dito medio. Quasi istantaneamente una nuova fitta in testa la fece sobbalzare. Si portò le mani sul viso, tentando di reprimere il dolore, senza riuscirci.

 

Emi si spostò, preoccupata, mentre Adrien aiutava la moglie a mettersi distesa. «Sarà meglio che resti qui fino a domani» disse dolcemente. Si voltò verso la figlia e la guardò con aria distratta, cercando di dissimulare la preoccupazione. «Torna a casa. Io arriverò per cena, va bene?»

 

Emi annuì e, lanciando un ultimo sguardo carico d'ansia verso la madre, lasciò la stanza.

 

 

 

«Maestro, a quanto pare Marinette si è svegliata» disse il ragazzo incappucciato.

 

Maestro Fu tentò di alzarsi dal letto su cui era disteso. Il corpo gli tremava, come se i muscoli stessero appassendo e un attacco di tosse gli tolse il respiro.

 

Rinunciò, con aria stanca. «Bene, significa che sta recuperando la memoria... e che mi dici dei due portatori? Hai scoperto chi è in possesso del miraculous della coccinella?»

 

L'altro scosse la testa. «Purtroppo no e, se vuole il mio parere, né lui né la ragazza sono adatti al ruolo di portatori.»

 

Fu sorrise. Fece cenno al ragazzo di passargli la tazza di tè verde che giaceva sul comodino. «Sei ancora giovane... quando raggiungerai la mia età capirai che spesso le apparenze possono ingannare» disse.

 

«Con tutto il rispetto» esclamò l'altro, porgendogli la tazza e aiutandolo a bere «non penso che raggiungerò mai la sua età.»

 

Maestro Fu sorrise, lisciandosi la barba che si faceva ogni giorno più rada e bianca. «Sei un bravo ragazzo, sono certo che sarai all'altezza del compito che ti ho affidato.»

 

«Vorrei solo poter fare di più» sospirò quello.

 

Il maestro gli batté sulla spalla, con fare paterno. «Tutto quello che devi fare è continuare a decifrare le carte e tenere d'occhio Emilie Agreste e la sua famiglia. Sono certo che presto avranno bisogno di te e dei segreti che il libro contiene... se Shiwa ha davvero evocato il kwami primordiale, ogni piccolo aiuto potrebbe essere determinante.»

 

Un nuovo attacco di tosse fece piegare il vecchio su se stesso. Si distese supino con il fiatone e, in pochi minuti, riprese a dormire.

 

Il ragazzo sospirò da sotto il cappuccio, pregando che il suo maestro non lo abbandonasse. La battaglia si prospettava lunga e difficile e, al momento, non sembrava esserci nulla in grado di fermare il male che avanzava.

 

 

 

—————————————————

Ciao gente!

Sì lo so, il capitolo è un po' corto, ma quanto sono carini Adrien, Marinette ed Emi? Li adoro!

 

Maestro Fu non sembra in gran forma... ma continua a muovere i fili anche da lontano. chissà che ha in mente!

 

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto e cosa ne pensate. Alla prossima!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Era ancora per strada quando il cellulare di Emi vibrò un paio di volte, segno che era arrivato un messaggio.

 

Era Daniel. "Come sta tua madre?" aveva scritto.

 

"Bene, credo. Si è svegliata." Rispose lei.

 

"Vedrai che si riprenderà del tutto fra un paio di giorni."

 

Emi sospirò. Anche se faceva di tutto per non darlo a vedere, era davvero preoccupata.

 

Sua madre era sempre stata una donna forte, positiva e sorridente... non come Alya, certo, ma sotto lo strato di goffaggine che a volte la caratterizzava e che poteva portare le persone a definirla ingenua o troppo buona, nei momenti cruciali aveva sempre tirato fuori una forza straordinaria.

 

Il cellulare vibrò nuovamente. "Hai detto ai tuoi di oggi?" scrisse Daniel.

 

"No. Hanno già abbastanza pensieri."

 

"Mia madre invece sapeva già tutto. Mi ha fatto mille domande!"

 

Emi ripensò a quello che era successo a scuola e per un attimo avvertì il cuore accelerare. "Che ti ha chiesto?" domandò.

 

"Mah, sopratutto voleva sapere dei due nuovi eroi..." rispose Daniel "A proposito, tu li hai visti?"

 

"Di sfuggita. Sono forti" scrisse Emi. Ci pensò su un attimo, poi aggiunse "Mi piacerebbe sapere chi si nasconde sotto la maschera di Coccinelle."

 

Arrivata a casa, afferrò un pacco di patatine dalla dispensa, una fetta di pizza rimasta in frigo e una lattina di coca cola.

 

«Non dimenticarti il camembert!» la riprese Plagg, uscendo dalla tasca del suo zaino.

 

«Sai benissimo dove si trova. Serviti pure, io ti aspetto in camera.»

 

Si lasciò cadere nel letto, mangiucchiando senza preoccuparsi delle briciole.

 

"Come mai quest'interesse particolare per Coccinelle?" le scrisse Daniel, ad un tratto.

 

"Boh, non so, sembra un tipo carino."

 

Il kwami si mise comodo vicino alla ragazza, sbocconcellando il suo maleodorante formaggio.

 

«Plagg, e che diamine! Allontana quella sottospecie di bomba puzzolente da me!»

 

Il kwami ingollò la forma di formaggio in un solo boccone. «Ecco, vedi? Risolto il problema!» esclamò.

 

Emi lo guardò storto, mettendosi seduta, con le gambe incrociate. Rimase in quella posizione qualche minuto, con lo sguardo triste, perso nel vuoto.

 

«Ancora in pensiero per tua madre?» chiese il kwami.

 

Emi annuì. «Non capisco che cosa possa esserle successo.»

 

Plagg le volò intorno, ripensando alla reazione che aveva avuto Marinette a contatto con l'anello. «Sai, credo che non dovresti tenere il miraculous al dito.»

 

«Cosa? Perché no?» chiese la ragazza, confusa.

 

Il kwami pensò ad Adrien. Non era mai stato una cima, quel ragazzo, ma avrebbe potuto riconoscere l'anello, se solo lo avesse visto. Era un rischio che al momento non potevano correre. «Perché hai la mano gracilina!» esclamò Plagg, avvicinandosi al suo dito come per mostrarglielo. «Guarda qui, rischi di perderlo!»

 

«Ehi, io non ho la mano gracilina!» obbiettò Emi.

 

«Credimi, non ti sta affatto... non è mai stato pensato per una mano femminile.»

 

Emi sbuffò. Si alzò e si diresse alla scrivania. Aprì il portagioie e si mise a frugare all'interno. Dopo qualche minuto si voltò verso il kwami, mostrando l'anello appeso ad una catenina, al collo. «Così va bene?» chiese.

 

«Sì,» approvò Plagg «ma tienilo all'interno della maglietta, per precauzione.»

 

«Stupido gatto...» sbuffò Emi, ma fece come gli era stato detto.«Quindi, se ho capito bene, questo miraculous non viene dato spesso a delle ragazze» ipotizzò lei, tornando a sedersi sul letto.

 

Plagg si sistemò sul cuscino. «No, direi di no. Per quel che ricordo – e credimi, mi ricordo tutto – tu sei la prima da circa un migliaio di anni.»

 

«Cosa?!» esclamò Emi. Non sapeva se essere più sconvolta per il fatto di essere una delle poche portatrici donna del miraculous del gatto o che Plagg avesse più di mille anni... probabilmente entrambe le cose. «E credi che questi strani poteri siano dovuti anche a questo?» continuò lei.

 

«Non direi» rispose il kwami «I miraculous si adattano al nemico che hanno di fronte. Con Papillon servivano determinati poteri, mentre con Arakne ne servono altri... siamo molto adattabili.»

 

Emi stava quasi per dire qualcos'altro, ma proprio in quel momento la porta di casa si aprì e la voce di suo padre riecheggiò per la casa. Si affrettò a nascondere le briciole, poi si precipitò a salutarlo.

 

Plagg sbirciò attraverso la fessura della porta e vide Adrien abbracciare la figlia. Sapeva che non doveva farsi vedere, non ancora, nonostante avrebbe voluto. Sbuffò, dandosi del sentimentale, e tornò nella stanza, al sicuro dagli occhi del suo precedente portatore.

 

 

 

 

Il cuore di Daniel ebbe un sussultò quando lesse l'ultimo messaggio di Emi.

 

"Boh, non so, sembra un tipo carino."

 

Era un tipo carino.

 

Si mise a saltellare per la stanza, ridendo senza preoccuparsi di sembrare ridicolo.

 

«Sembri piuttosto felice» commentò Tikki, osservandolo con aria divertita.

 

Daniel la prese tra le mani. «Sembro un tipo carino, Tikki!» le disse, sorridendo.

 

Il kwami si avvicinò al cellulare e prese a scorrere i messaggi, per capire di che cosa stesse parlando il ragazzo. «Beh, a quanto pare Emi trova carino Coccinelle.»

 

Daniel si voltò a guardarla. «Beh sì, ma va bene... credo. Sono sempre io, no?»

 

«Ma lei non lo sa.»

 

Daniel rimase interdetto. In un attimo tutta la sua gioia sembrava essere svanita. Si lasciò cadere sulla sedia della scrivania con aria affranta. «Certo che sei proprio brava a riportare con i piedi per terra.»

 

Tikki si avvicinò alla guancia di Daniel e gli stampò un bacetto affettuoso. «Non temere, sei un ragazzo fantastico e sono certa che Emi se ne accorgerà... devi solo dargliene l'occasione.»

 

Il kwami sbadigliò. Si mise comoda nel suo giaciglio sulla scrivania e si addormentò quasi subito.

 

Il ragazzo afferrò la chitarra e prese a strimpellare distrattamente. "Dargliene l'occasione, eh?" pensò, mentre nella sua testa iniziava a prendere forma un'idea.

 

 

————————————————

So che sono personaggi inventati da me, ma non posso fare a meno di amare Emi e Daniel... sono così carini!

 

Plagg ci ha dato una spiegazione per quanto riguarda i nuovi poteri... voi che cosa ne pensate?

 

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con un commento (che fanno sempre piacere e non avete idea di quanto siano importanti per noi scrittori!). Alla prossima!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


«Aprire un nuovo "Ladyblog"?»

 

Daniel annuì, sporgendosi un po' di più verso l'amica per non farsi sentire dal professore di chimica. «Non hai sempre detto che ti piacerebbe diventare una giornalista? Beh, mia madre ha iniziato così e guarda dov'è adesso!»

 

«Sì ma, insomma, il "Ladyblog" è tipo una leggenda! Non so se sarei in grado...» ribatté la ragazza.

 

Daniel alzò le spalle. «Ok, se non ti senti in grado di farlo...»

 

«Non ho detto questo!» esclamò Emi a voce un po' troppo alta.

 

Il professore si voltò a guardarla e Daniel soffocò a stento una risata. Sapeva benissimo di aver fatto centro, facendo quell'insinuazione. Emi era sempre stata sensibile alle sfide.

 

La ragazza si scusò, rossa come un pomodoro. Non appena il professore si fu girato nuovamente verso la lavagna, lei si avvicinò all'amico. «In ogni caso, se anche avessi intenzione di farlo – e non sto dicendo che sia così – non posso di certo chiamarlo "Ladyblog", giusto? Come dovrei chiamarlo?»

 

La campanella suonò e la gente prese ad alzarsi.

 

«Non saprei» disse Daniel grattandosi il mento, pensieroso «che ne dici di "Il blog di una tipa che trova Coccinelle un tipo carino"?»

 

Emi stava quasi per protestare quando qualcuno fece cadere il suo portapenne per terra, rovesciandone tutto il contenuto. La ragazza si voltò, pronta a sbraitare, ma si trovò faccia a faccia con Victor, che si era già abbassato a raccogliere tutto.

 

«T-tranquillo fa-faccio io!» si affrettò a dire la ragazza, abbassandosi a sua volta.

 

Il ragazzo le porse il portapenne, agganciandola con lo sguardo. «Scusami» disse, con la sua voce pacata e profonda.

 

Emi rimase ammutolita e immobile, tanto che il ragazzo, ancora con l'astuccio tra le mani nel gesto di porgerglielo, si chiese cosa stesse aspettando. Non appena se ne rese conto, afferrò l'oggetto, alzandosi di scatto.

 

Victor le scoccò un'ultima occhiata, dopodiché si avviò verso l'uscita dell'aula.

 

«Mi ha parlato!» esclamò la ragazza voltandosi verso l'amico.

 

Daniel, che aveva osservato tutta la scena con il volto sorretto dalla mano, guardandoli con aria annoiata e vagamente seccata, le rivolse uno sguardo accondiscendente. «E tu quello lo chiami parlare?» chiese «Vi sarete scambiati sì e no quattro parole.»

 

Emi liquidò quelle parole alzando gli occhi al cielo, poi si voltò verso l'uscita, seguita dall'amico.

 

«E se fosse lui, Coccinelle?» chiese ad un tratto la ragazza, mentre attraversavano l'atrio della scuola per dirigersi alla loro solita panchina dove ogni giorno si rifugiavano durante la ricreazione.

 

«Lui chi?»

 

«Victor.»

 

Daniel si voltò verso l'amica con aria sconvolta. «Victor... Coccinelle?! Ma andiamo, non puoi dire sul serio!»

 

«Perché no?»

 

«Perché... perché lui non... oh, ma dai!»

 

La verità è che non sapeva cosa dirle. Tikki lo aveva messo in guardia sul mantenere il segreto con tutti e lui stesso comprendeva che, con una come Arakne che cercava lui e Kitty Noir in circolazione, rivelare la sua identità a Emi non avrebbe fatto altro che metterla in pericolo.

 

«Comunque... che ne pensi di "Coccinews"?» chiese Emi, di punto in bianco, distogliendolo da quei pensieri.

 

Daniel le rivolse uno sguardo soddisfatto, alzando il pollice in segno di assenso.

 

 

 

 

 

Adrien trovò Marinette seduta sul letto, con il viso rivolto verso la finestra aperta, intenta ad osservare il cielo azzurro e terso. Per un attimo la scena gli ricordò dolorosamente il giorno in cui lei aveva perso la memoria. Non ne aveva mai parlato con nessuno.

 

Ricordava ancora quando l'ambulanza era arrivata alla villa. Lui aveva preso Marinette in braccio, adagiandola sul suo letto in attesa dei soccorsi.

 

Sull'ambulanza gli avevano fatto mille domande ma nonostante tutti gli sforzi non ricordava assolutamente cosa gli avessero chiesto. L'unica cosa che aveva impresso a fuoco nella mente era l'immagine di Marinette, inerte sulla barella, mentre i medici tentavano invano di farla svegliare.

 

Aveva vissuto attimi di terrore mentre aspettava che si svegliasse. Ricordava gli sguardi vuoti e preoccupati di Tom e Sabine, non appena erano arrivati in ospedale e ricordava il pensiero, opprimente e assillante, che lo aveva accompagnato per giorni, fino al suo risveglio: "è solo colpa mia".

 

Scacciò via quei pensieri e sorrise, avvicinandosi alla moglie. «Come ti senti oggi?» chiese, sedendosi al bordo del letto e poggiando a terra la valigetta che aveva appresso.

 

Marinette si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi cerchiati e stanchi, segno che non aveva dormito molto, ma nonostante tutto gli sorrise. «Bene» disse.

 

«Non sei mai stata brava a mentire» esclamò l'uomo, scostandole una ciocca dal viso «so che sei molto confusa, ma ti ho portato qualcosa che forse potrà aiutarti.»

 

Si chinò, aprendo la valigetta, da cui tirò fuori un blocco da disegno e delle matite. «Questo è per aiutarti a tirar fuori quello che hai dentro. Ti è sempre piaciuto disegnare e credo che potrebbe farti bene mettere su carta i tuoi ricordi.»

 

Marinette sorrise, sfiorando la carta ruvida quasi con affetto.

 

«E non è finita qui» continuò Adrien. Frugò nella valigetta finché non trovò il peluche di Tikki, che lei aveva cucito per la figlia molti anni prima.

 

Non appena lo vide, Marinette quasi scoppiò in lacrime, rigirando l'oggetto tra le mani. «Tikki...» disse tra sé e sé «dove sei finita, amica mia?»

 

«Hai ricordato qualcos'altro?» chiese Adrien.

 

«Non molto, solo alcune immagini senza senso» ammise la donna, triste «piume di pavone, ali viola di farfalla e un'enorme e denso fumo nero... che cosa credi significhi tutto questo? Sto forse impazzendo?»

 

L'uomo scosse la testa, accarezzandole i capelli sciolti. «Non pensarci troppo, amore mio, vedrai che presto tutto avrà un senso.»

 

Marinette annuì, sorridendogli stancamente. «Dovrei darmi da fare. All'atelier avranno bisogno di me, poi c'è la riunione con gli insegnanti e dovrei chiamare per...»

 

Adrien le mise l'indice sulle labbra, dopodiché le stampò un bacio. «Non pensare a nulla. Riposati e lascia fare a me, ok?»

 

Marinette sorrise. «Sei il mio eroe» disse.

 

Adrien le fece l'occhiolino. «al tuo servizio, milady.»

 

 

 

 

————————————————————————

Eh no, questo periodo d’ispirazione non è ancora passato! Nonostante tutti gli impegni e il caldo la mia voglia di scrivere non mi fa dormire la notte, ahahahah!

 

Io vi giuro, non so quale coppia sia più carina tra la ADRINETTE e la EMIEL... li adoro troppo!

 

Non vi so dire quando pubblicherò il prossimo capitolo... forse tra un giorno, forse una settimana o chissà. A differenza di The last sacrifice, in cui avevo tutto già scritto, questa storia sta nascendo capitolo dopo capitolo, insieme a voi!

 

Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi un commentino e noi ci rileggiamo nel prossimo capitolo.

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


L'autobus partì proprio mentre l'uomo voltava l'angolo. Tentò di raggiungerlo, urlando al conducente di fermarsi, ma il mezzo pubblico continuò imperterrito la sua corsa, svanendo tra le strade semi deserte della città.

 

«Dannazione» imprecò l'uomo, poggiandosi ad un palo con il fiatone. Diede uno sguardo all'orologio, poi agli orari dei mezzi pubblici e imprecò nuovamente. Non voleva aspettare ma, se voleva arrivare a casa, non gli restava altra scelta che andare a piedi.

 

Era tardi e il rumore dei suoi passi rimbombava per le vie. Le luci all'interno delle case erano quasi tutte spente e, nonostante l'aria tiepida, inspiegabilmente l'uomo si ritrovò a rabbrividire.

 

Era quasi come se qualcuno lo stesse osservando.

 

«Salve.»

 

L'uomo quasi saltò in aria dallo spavento. Si voltò di scatto e si ritrovò davanti una ragazza, non più che ventenne, che gli sorrideva.

 

«Salve» disse l'uomo, tentando di ritrovare la calma «le serve qualcosa?»

 

La ragazza sorrise, portandosi una ciocca dei fluenti capelli neri dietro l'orecchio. «La mia auto si è fermata e non riesco più a farla ripartire. Mi chiedevo se poteva aiutarmi...»

 

L'uomo si guardò intorno, confuso.

 

«Si trova a pochi isolati da qui!» si affrettò a spiegare la ragazza «Le faccio strada!»

 

L'altro si voltò verso la strada che lo avrebbe ricondotto a casa. Non sapeva perché ma aveva una brutta sensazione addosso.

 

«La prego» incalzò la ragazza, sbattendo i suoi enormi occhi a mandorla e agganciando lo sguardo di lui «sono qui da pochi giorni e non conosco nessuno. Parigi a volte può essere pericolosa per una ragazza sola, di notte...»

 

L'uomo annuì e lasciò che quella facesse strada.

 

Svoltarono un paio di angoli, allontanandosi dalla via principale per addentrarsi in alcuni vicoli.

 

«Allora, che ci fa una ragazza giovane come te, da sola a Parigi?» chiese l'uomo, più per spezzare il silenzio che altro.

 

La ragazza si fermò, guardandosi intorno. «Ho un conto in sospeso con un vecchio amico.»

 

L'uomo sorrise. «Non mi sembri così grande da avere "vecchi amici"! Quanti anni avrai? Venti? Venticinque?»

 

Una luce rossa proveniente dalla ragazza abbagliò l'uomo. Non appena fu di nuovo in grado di distinguere ciò che aveva intorno si rese conto che la ragazza aveva cambiato abbigliamento e lo guardava con un'espressione divertita da dietro una maschera.

 

Spaventato, l'uomo fece per scappare ma, voltatosi, si rese conto di essere in trappola: il vicolo era bloccato da centinaia di ragni.

 

«In realtà,» disse la ragazza, avvicinandosi a lui e cingendogli il collo con i lunghi artigli affilati, «ho più di duecento anni.»

 

Una miriade di fili avvolsero l'uomo, mentre il suo grido si perdeva nella notte.

 

 

 

 

 

Era passata solo una settimana, ma la notizia che due nuovi eroi erano apparsi per difendere Parigi era già sulla bocca di tutti.

 

Le persone che venivano attaccate, scoprirono, se non venivano liberate al più presto rimanevano prive di coscienza, potevano cadere in coma o anche peggio, cosa che rendeva fondamentale riuscire a sventare gli attacchi nel minor tempo possibile.

 

Arakne aveva tentato un altro attacco, stavolta al Louvre, ma ancora una volta Kitty Noir e Coccinelle erano riusciti a sventare i suoi piani, dopodiché la loro nemica sembrava essersi volatilizzata.

 

«Forse si è arresa» azzardò Emi, controllando nuovamente il nuovo blog. La ragazza aveva seguito il consiglio di Daniel, aprendo il "Coccinews" che, in pochi giorni, aveva ricevuto migliaia di visualizzazioni e tantissime testimonianze di persone che le avevano inviato video e foto dei due eroi in azione.

 

Plagg sbadigliò, rigirandosi sul letto della ragazza. «Non credo proprio. Magari è solo affamata.»

 

«Sei tu quello affamato» obbiettò l'altra.

 

«E tu dovresti nutrirmi!» si lamentò il piccolo kwami, sbattendo le zampette sul materasso, per protesta.

 

Emi si voltò a guardarlo, scuotendo la testa con un mezzo sorriso. Si era affezionata a quell'esserino più di quanto non volesse ammettere.

 

Nell'ultimo periodo sua madre era stata spesso a casa, ma le continue emicranie le impedivano di fare la maggior parte delle cose, costringendola a letto, spesso per giorni interi.

 

Anche suo padre non era molto presente in quei giorni. Il lavoro lo occupava per la maggior parte del tempo e, durante il resto del giorno, era sempre in giro o chiuso nel suo studio per chissà quale strano motivo.

 

A causa di ciò, spesso Emi si ritrovava a cenare o pranzare da sola e avere Plagg sempre accanto le faceva pesare molto meno la solitudine.

 

Afferrò un pezzo di camembert e lo lanciò all'amico, che lo afferrò al volo.

 

Emi si stiracchiò e stava quasi per mettersi il pigiama quando qualcosa batté sulla porta-finestra della sua camera. Si voltò e quasi non cadde dalla sedia quando vide nientemeno che Coccinelle, appollaiato sulla ringhiera. Si affrettò a guardarsi intorno ma, fortunatamente, Plagg si era già messo al riparo sotto il letto.

 

Che ci faceva Coccinelle lì? Aveva forse scoperto la sua identità? Come aveva fatto?!

 

«C-ciao» disse incerta, aprendo le imposte.

 

Coccinelle la salutò con la mano, sorridendo. «Spero di non disturbare» disse.

 

«Ehm, no, non disturbi. Che ci fai q... c-cioè, wow, sei davvero Coccinelle?»

 

«Sì, esatto. E tu devi essere Emilie Agreste, giusto?»

 

«Come sai il mio nome?»

 

Coccinelle indicò all'interno della sua camera, dove lo schermo del pc rimandava l'immagine della home del "Coccinews".

 

Emi collegò immediatamente, sospirando di sollievo per non essere stata smascherata. «Ah! Tu sei qui per il blog! Ma come hai scoperto dove vivo?»

 

Coccinelle sorrise, mettendosi comodo sulla ringhiera. «Ehi, sono un supereroe, posso fare qualsiasi cosa!»

 

Emi rise, scuotendo la testa. «Più che un supereroe mi sembri uno stalker!»

 

«Scusami per l'intrusione. Se vuoi posso andare via.»

 

«No no, figurati!» si affettò a dire la ragazza. In realtà era felice che Coccinelle fosse andato da lei. «È che, insomma, non credevo che avrei attirato la tua attenzione con il mio blog.»

 

«Scherzi? Mi piace moltissimo! Scrivi davvero bene, hai talento!» esclamò il ragazzo.

 

Emi sorrise imbarazzata. «Sei venuto fin qui solo per dirmi questo?» chiese.

 

«Anche. E poi volevo sapere che aspetto avessi, nel caso un giorno ti avessi vista in giro.»

 

Emi si poggiò alla ringhiera, a pochi centimetri da lui, osservando il cielo stellato. «Davvero? E ora che mi hai vista, cosa ne pensi di me?»

 

Coccinelle si voltò a guardarla, deglutendo. «Beh, penso che tu sia una delle ragazze più carine che abbia mai incontrato.»

 

I loro sguardi s'incrociarono, specchiandosi l'uno negli occhi dell'altro. Emi ringraziò la luce fioca della luna per quella penombra, perché sentiva il viso in fiamme.

 

Daniel abbassò lo sguardo, grattandosi la testa. «In ogni caso, sono felice di averti conosciuta!» disse. Prese lo yo-yo e fece per lanciarlo.

 

«Aspetta!» esclamò la ragazza.

 

Coccinelle si voltò a guardarla.

 

«Torna a trovarmi, qualche volta.»

 

Coccinelle sorrise. «Ai tuoi ordini, chéri.»

 

Emi osservò mentre il ragazzo prendeva il volo, perdendosi tra I tetti, nella notte. Sentiva il cuore batterle nel petto come mai prima d'ora e si chiese come poteva essere innamorata di un ragazzo senza sapere neppure il suo vero nome. Si gettò sul letto, abbracciando il cuscino e ridendo.

 

Plagg uscì fuori dal suo nascondiglio, andandosi a sedere sul bordo del comodino.

 

«Credo di essermi innamorata, Plagg!» esclamò la ragazza, guardando il piccolo amico.

 

Il kwami sospirò. "Tale padre, tale figlia" pensò, sbadigliando.

 

 

 

———————————————————————

Chi pensa che Plagg dovrebbe essere il VERO ed UNICO protagonista della serie urli con me: CAMEMBERT!

Ecco, appunto...

 

Non c’è nulla da fare, il mio amore infinito per quel pestifero kwami non ha limiti. Continuo a pensare che se fosse lui il protagonista in due puntate avremmo risolto tutto!

 

Ciao lettori, come andiamo? Oggi mi sono data da fare e ho deciso di scrivere questo capitolo, fresco fresco, in queste calde giornate di Agosto!

Che ne dite della coppia che si sta andando a formare? Vi piace la EMINELLE (emiXcoccinelle)? Io li trovo davvero carini!

 

Beh, fatemi sapere se anche a voi piacciono e che ne pensate del capitolo. Noi ci rileggiamo nel prossimo!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Il vento le scompigliava la chioma corvina. Dal tetto su cui si trovava, la città risplendeva come se fosse stata ricoperta di pietre preziose multicolori.

 

Chat Noir arrivò con un balzo, al suo fianco, allungando il braccio verso di lei con un sorriso stampato in faccia. «Andiamo, milady?»

 

Marinette allungò la mano verso di lui ma il vento si fece più forte, facendole perdere l'equilibrio. «I-io non... non ce la faccio...» esclamò la ragazza, tentando inutilmente di raggiungerlo.

 

Cadde di sotto, tuffandosi in un mare di fumo nero. Tutto intorno a lei era scuro e asfissiante, eccezion fatta per quella strana luce, lontana, sopra di lei, mentre una voce maschile bisbigliava una cantilena.

 

"Fortuna e sfortuna riunitevi insieme,

 

donatemi adesso il vostro potere..."

 

«Chi sei?» tentò di urlare Marinette, ma la voce non voleva saperne di venir fuori.

 

"Che nulla adesso lo possa impedire,

 

diventi realtà ciò che voglio esaudire..."

 

«Ti prego, aiutami» implorò la donna, sentendo quel fumo riempirle i polmoni, impedendole di respirare.

 

Alla voce che ripeteva se ne aggiunse un'altra, più forte e chiara. "Ricorda ciò che eri, ricorda ciò che hai fatto..."

 

Marinette tentò di raggiungere la luce ma c'era come una forza che la trascinava di sotto. Stava quasi per arrendersi quando le sue mani afferrarono qualcosa.

 

Si aggrappò con tutte le sue forze a quello strano oggetto circolare, rosso a pois neri, che sembrava tirarla fuori da quell'incubo, verso la luce.

 

"Ricorda quando volavi... ricorda quanto eri libera..."

 

Una strana euforia riempì il petto di Marinette, mentre la luce si avvicinava sempre di più. Poi una fitta alle tempie la fece sobbalzare e, immediatamente, si svegliò.

 

Era madida di sudore e aveva il fiatone.

 

Al suo fianco Adrien dormiva, le coperte tirate a metà sul suo petto nudo. Per un attimo pensò di svegliarlo, ma ricordò quanto poco suo marito avesse dormito, anche a causa sua, in quegli ultimi giorni.

 

L'orologio luminoso sul comodino segnava le tre e un quarto.

 

Marinette si alzò, indossando la vestaglia, si diresse in cucina e uscì sul balcone. Da lì aveva una vista perfetta sul giardino comunale nella quale aveva passato tanti pomeriggi, accompagnando sua figlia Emilie.

 

Frugò nella tasca della vestaglia e tirò fuori il pupazzo che Adrien, qualche giorno prima, le aveva dato. Guardandolo le si chiuse la gola e avvertì una profonda tristezza.

 

«Tikki, tu non sei un sogno, vero?» bisbigliò al peluche «Io sono certa di averti conosciuta... »

 

Lasciò che una lacrima le scivolasse giù, fino a bagnare la ringhiera.

 

Il cielo quella sera era terso e uno spicchio di luna illuminava la statua di Ladybug e Chat Noir, che troneggiava in quel parco. La donna si ritrovò a fissarla, quasi distrattamente, poi il ricordo del sogno che aveva fatto le attraversò la mente come un fulmine.

 

Chat Noir, lei lo aveva incontrato... lo conosceva!

 

La testa prese a girarle, tanto che Marinette finì per sedersi a terra, tentando di reprimere la nausea che provava. Altre immagini, confuse e sfocate, le tornarono in mente: una tutina rossa a pois neri, farfalle nere e poi candide, un paio di enormi, bellissimi occhi verdi... la voce di Adrien che le diceva "sono contento che sia tu".

 

Possibile che quella fosse la verità? Lei era stata davvero Ladybug?

 

 

 

 

 

«Quanti ancora ne serviranno, prima di poter affrontare quei due ragazzini?» chiese Shiwa. Camminava a testa bassa, nascondendosi tra le ombre dei vicoli, con Noun che gli volteggiava a fianco.

 

«Non molti. La mia energia sta crescendo rapidamente» rispose il kwami.

 

La ragazza sbuffò. «Non abbiamo tempo! Fu potrebbe essere ovunque, ormai!»

 

«Calmati, non avere fretta. Quel vecchio non andrà da nessuna parte.»

 

Shiwa si voltò a fissare il suo interlocutore. Da quando avevano iniziato a raccogliere energia il suo corpo si era ingrossato, diventando delle dimensioni della sua testa e rendendolo ancora più inquietante. «Come fai a dirlo?» volle sapere.

 

«Tikki e Plagg sono ancora qui e quell'idiota non si allontanerebbe mai dai portatori... in fondo, è questo il compito di un guardiano, no?»

 

La ragazza si voltò dall'altra parte. Ogni volta che Noun nominava I guardiani sentiva una dolorosa fitta al petto.

 

Il kwami si avvicinò a lei, strisciando la sua ispida peluria sul collo della ragazza. Sarebbe potuto sembrare un gesto affettuoso, ma la voce dell'essere lo tradiva con una nota sinistra. «Non temere, presto avremo potere a sufficienza per attaccare in grande stile, e a quel punto niente e nessuno potrà fermarci!»

 

Shiwa deglutì. Nonostante tutto, Noun le metteva i brividi. "Li riporterò indietro... farò tornare tutto come prima" pensò, mentre usciva dal vicolo buio, alla ricerca della sua prossima vittima.

 

 

 

 

——————————————————

Salve gente, vi sono mancata?

Scrivere questo piccolo capitolo si è rivelato più arduo del previsto, non tanto per quello che accade, ma perché parla di cose introspettive e non volevo sembrare banale... spero di esserci riuscita!

 

Marinette è sempre più se stessa e i suoi ricordi diventano sempre più chiari... la nostra cara Ladybug sta tornando!

 

Beh, fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto... alla prossima!

Baci!!!

 

Laura

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


«Sono sette adesso le vittime accertate di questo misterioso killer. L'ennesima persona trovata nei pressi dello Champs-Élysées senza vita, apparentemente priva di contusioni o ferite. La polizia brancola nel buio...»  

 «Non posso credere che stia succedendo una cosa simile nella nostra città» esclamò Marinette, guardando il notiziario con i piatti sporchi della cena ancora tra le mani.

«Già, è quel che è peggio è che la loro morte è inspiegabile» convenne Adrien, anche lui con sguardo preoccupato.

Emi si astenne dal commentare, sentendo un enorme groppo alla gola. Sapeva benissimo che la responsabile era Arakne, ma nonostante lei e Cocinelle fossero usciti ogni notte per tentare di stanarla, i loro sforzi erano risultati vani e queste notizie la facevano sentire estremamente in colpa.

Come se non bastasse quasi ogni sera, prima della ronda, aspettava al balcone il supereroe che puntualmente si presentava, per chiacchierare un po' con lei. Si era invaghita perdutamente di quel misterioso ragazzo e più di una volta era stata sul punto di rivelargli tutto.

Coccinelle era davvero divertente, galante e romantico, ma senza risultare smielato e ormai era quasi certa che ricambiasse i suoi sentimenti. Aveva preso la decisione di buttarsi, quella sera stessa, e confessargli i suoi sentimenti ma, per contro, pensava che quelle frivolezze stridessero con il clima di pericolo e morte che aleggiava a Parigi.

«Emi, tutto a posto?»

La voce della madre la fece tornare alla realtà, distogliendola dai suoi pensieri. «Eh, cosa? Sì, tutto ok. Perché?»

Marinette la guardò con dolcezza «Ti ho chiesto se volevi il dolce e non mi hai neppure risposto.»  

«Ah» esclamò la ragazza, cadendo dalle nuvole. Osservò l'orologio appeso alla parete che segnava le otto e ventisei. Fra poco Coccinelle si sarebbe presentato alla sua finestra. «No, non mi va. Vado in camera a fare i compiti!» esclamò e senza aspettare oltre si precipitò in camera.

«Rifiuta il dolce e corre a fare i compiti... siamo sicuri che stia bene?» chiese Adrien, guardando la figlia con aria interrogativa.

Marinette ridacchiò. «Oh si, credo stia più che bene. Alla sua età è normale fare così.»

«Cosa vuoi dire?» chiese lui, iniziando a lavare i piatti.

«Beh, sai com'è» iniziò la moglie porgendogli un bicchiere «quando l'amore è nell'aria...»

Adrien per poco non fece cadere il bicchiere a terra. «Innamorata? Emi?!Ma è davvero troppo piccola!»

«Ha quindici anni, è abbastanza grande per questo» esclamò ma moglie, sorridendo.

Adrien sospirò, guardando il corridoio in cui era sparita Emi qualche minuto prima. «Probabilmente hai ragione.»

 

 

Coccinelle non si fece attendere. Emi era appena entrata in camera quando lo vide atterrare sul cornicione del balcone, salutandola con la mano.

La ragazza andò ad aprire le imposte, sorridendogli. «Sei in anticipo di qualche minuto» fece lei, facendo finta di controllare l'orario, come se non lo avesse tenuto d'occhio tutta la sera.

«Lo so, ma non avevo altro da fare e volevo passare più tempo con te, prima di andare.»

«Così mi fai pensare che tu abbia un debole per me, monsieur Coccinelle.»

«Magari è proprio quello che voglio, madame Agreste.»

Emi sentì il volto andarle a fuoco. Si mise una mano sul viso per nascondere l'imbarazzo e scoppiò in una risata un tantino esagerata. «Sei incredibile, lo sai? Come riesci a dire certe frasi in modo così semplice?!»

Coccinelle si appoggiò al muro con la schiena, incrociando le braccia. «Sono un talento naturale!»

Emi si avvicinò a lui. «Sei davvero fantastico, sai?»

«Ch-che, davvero?» balbettò il ragazzo, abbassando le braccia. Emi si stava pericolosamente avvicinando e, contemporaneamente, il suo cervello stava andando in tilt.

«Sembra quasi come se mi conoscessi da sempre, sai come farmi ridere, come farmi... beh, innamorare...»

Era davvero molto vicina. Ormai li separavano un paio di centimetri. Coccinelle le mise le mani sulle spalle. 

«Non ho mai conosciuto qualcuno come te» continuò lei, avvicinandosi alla sua bocca.

Il ragazzo si fermò. Qualcosa nella sua testa era scattato.

"Non aveva mai conosciuto qualcuno come lui. Lei non era innamorata di lui in quanto Daniel - non aveva neppure capito che dietro la maschera c'era lui - ma di Coccinelle, il misterioso supereroe."

Emi sentì le braccia di Coccinelle farsi rigide, mentre l'allontanava da lui.

«Non posso» sussurrò il ragazzo.

Lei lo guardò confusa. Stava quasi per baciarlo e lui sembrava volerlo... che gli era preso?!

«Scusa, è stato un errore» continuò Coccinelle, allontanandola e avvicinandosi al cornicione.

Emi si voltò ad osservarlo, scuotendo la testa. «Ma che ti prende? Pensavo lo volessi anche tu!»

Coccinelle si arrampicò sul balcone, pronto a spiccare il volo. La ragazza gli mise una mano sulla spalla per fermarlo ma lui si mosse, allontanandosi da lei.

«Scusami» esclamò Coccinelle senza guardarla «non volevo ferirti ma, non posso. Non così. Tu non sai nulla di me e, se lo sapessi, sarebbe tutto diverso.»

«Non è vero Coccinelle, io sono innamorata di te e lo sarò comunque, chiunque tu sia!»

Coccinelle lanciò lo yo-yo, deglutendo. «No, non è vero» disse, dopodiché sparì nella notte.

Emi si lasciò cadere a terra, mentre calde lacrime le rigavano il viso. Aveva il cuore in mille pezzi e si sentiva una stupida. Coccinelle si era solo divertito, l'aveva presa in giro e lei c'era cascata come una scema.

In lontananza un'enorme esplosione squarciò il silenzio.

 

 

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Salve lettori.

Lo so che non scrivevo da mesi, ma non ero in condizioni di farlo, davvero. Mi dispiace di essere stata via così a lungo e spero di riuscire a completare questa fanfiction a cui, a conti fatti, mancano sei o sette capitoli.

Spero davvero che mi scuserete per essermi assentata e che il capitolo vi piaccia.

A presto (spero). Baci!!!

Laura

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Coccinelle fu ben felice di lanciarsi verso la fonte di quell'esplosione. Aveva bisogno di fare qualcosa per non pensare a quello che era appena successo.

Era stato un idiota. Aveva creduto di riuscire a conquistare Emi da supereroe ma si era accorto troppo tardi del casino in cui si stava cacciando. Emi non amava altro che la maschera che lui si era messo addosso e, se si fosse lasciato andare a quel bacio - cosa che avrebbe volentieri fatto - non avrebbe più potuto guardare l'amica in faccia.

Il luogo dell'esplosione era ben visibile anche da lontano. Il bagliore del fuoco illuminava Parigi e avvicinandosi, sembrava di entrare in una specie di enorme fornace.

Quando Coccinelle arrivò sul posto era pronto ad affrontare Arakne ma, quando fu abbastanza vicino, si rese conto che stavolta la donna ragno c'entrava ben poco. A innescare quell'esplosione era stato un tir carico di materiale infiammabile che, probabilmente a causa di un errore umano, era finito contro la vetrina di un supermercato, sfondandola completamente.

La gente, in preda al panico, si accalcava per strada nel tentativo di allontanarsi dal fuoco che divampava e intossicava l'aria. Le ambulanze e i vigili del fuoco faticavano a destreggiarsi in mezzo a quel caos e alcune persone avevano urgente bisogno di aiuto.

Coccinelle si mise subito all'opera, soccorrendo le persone ferite e allontanandole dal luogo dell'incidente. Erano passati una ventina di minuti quando Kitty Noir fece la sua apparizione.

«Ce la siamo presi comoda oggi, eh?» esclamò Coccinelle con un mezzo sorriso.

La ragazza non lo degnò neppure di uno sguardo, quasi come se lui non esistesse. Fece un balzo e piombò in strada, aiutando una coppia di anziani dall'aria spaesata. 

Coccinelle la guardò confuso ma non poté soffermarsi molto su quello che era appena accaduto, perché altri avevano bisogno della sua assistenza.

Ci vollero diverse ore per mettere in sicurezza l'area e a parte qualche ferito più o meno grave, per fortuna, non vi erano state vittime. Solo il conducente del tir sembrava sparito nel nulla, quasi come se l'autocarro non fosse stato guidato da nessuno.

I due supereroi strinsero la mano ai vigili del fuoco che, riconoscenti, non smettevano di elogiarli. Coccinelle vide con la coda dell'occhio Kitty Noir allontanarsi, approfittando di un attimo di calma e senza perdere altro tempo la seguì, ben deciso a capire i motivi del suo comportamento.

La ragazza saltava agilmente di tetto in tetto. Quando si accorse di essere seguita si gettò tra due palazzi nel tentativo di far perdere le sue tracce, ma Coccinelle era veloce quanto lei, e la raggiunse proprio mentre la ragazza voltava un angolo, ritrovandosi nel retro di un enorme grattacielo.

  «Aspetta!» le urlò dietro il ragazzo.

Kitty Noir si fermo, senza voltarsi.

«Che ti prende?» continuò il ragazzo, sempre più confuso «è tutta la sera che non mi rivolgi la parola!»

Per qualche secondo la ragazza rimase zitta, tanto che Coccinelle si chiese se avesse sentito.

«Non voglio vederti mai più. Io e te abbiamo chiuso» disse infine Kitty Noir.

Il ragazzo scosse la testa. «Che vuoi dire? Perché?»

La ragazza si voltò. Aveva gli occhi gonfi e le lacrime le rigavano il viso. Guardò il ragazzo con  occhi carichi di rancore e, senza pensarci un secondo di più, afferrò l'anello che portava al dito e lo sfilò con rabbia.

Coccinelle avvertì un brivido gelido percorrergli la schiena, mentre osservava la sua partner liberarsi del travestimento, rivelando la scioccante verità. «Emi...» riuscì ad articolare, con la voce strozzata in gola.

«Addio» si limitò a dire la ragazza, dopodiché si voltò e s'incamminò, sparendo oltre l'angolo.

Lui avrebbe voluto seguirla, fermarla e spiegarle che era tutto un terribile errore, un malinteso, ma i suoi muscoli sembravano congelati. In un solo istante aveva perso la sua partner, spezzato il cuore alla ragazza che amava e ferito la sua migliore amica.

Gli ci vollero parecchi minuti per riprendersi e, sconvolto, allontanarsi. Fu forse per questo che non si rese conto che, poco più in alto, nascosto nel buio, un enorme kwami simile a un ragno, aveva osservato tutta la scena.

 

 

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Nuovo capitolo, piuttosto corto ma carico di significato.

Daniel ha fatto un bel casino tutto da solo... si meriterebbe una medaglia, neanche Marinette e Adrien erano riusciti a complicarsi la vita così tanto!

E adesso, che succederà? Emi indosserà ancora i panni di Kitty Noir? Noun ha visto tutto e adesso conosce la sua vera identità...

Beh, alla prossima gente, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Baci!!!

 

Laura

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