Say ''Ehilà'' To The Family

di _Cthylla_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Say ''Ehilà'' To The Family ***
Capitolo 2: *** Say ''Ehilà'' to the family -parte seconda ***
Capitolo 3: *** Say ''Ehilà'' To The Family- parte terza (Eredità) ***



Capitolo 1
*** Say ''Ehilà'' To The Family ***


Say "Ehilà" To The Family
L'ho già scritto nell'introduzione ma lo ripeto qui, perché non fa mai male: questo scritto, che per ora è una one shot piuttosto breve, è strettamente legato alla fanfiction "Downpour", di vermissen_stern.
Si può dire tranquillamente che questo sia da considerarsi uno spin off di quella fanfiction, in cui conoscerete una parte della famiglia di Ember (OC appartenente a vermissen_stern).

- Ember, Ice, Chill, la città di Dima e i suoi abitanti in generale sono un'invenzione di vermissen_stern;
- gli OC (in questo capitolo la OC) che sono la "parte della famiglia di Ember" di cui parlavo invece sono miei :D







Say "Ehilà" To The Family












Da oltre due minuti i grandi occhi neri di Jiren erano fissi sulla finestra.
Nel corso della propria esistenza aveva visto molte cose più o meno strane, al punto da avere a volte la presunzione di ritenere che ormai nulla potesse più sorprenderlo. Aveva affrontato avversari di ogni sorta, esseri malvagi di ogni tipo, mostri più o meno orribili; l’ultimo di questi, un leviatano che era riuscito ad avvelenarlo, era tra i motivi del prolungamento forzato della sua vacanza a Dima.

Nonostante ciò, l’idea di aver visto una civetta volare a testa in giù davanti al vetro riusciva a farlo sentire piuttosto perplesso.
 
«Ehm. Ormai ho capito che per te passare del tempo in un’immobilità quasi completa non è tanto strano, ma sto iniziando a chiedermi se fuori dalla finestra hai visto qualcosa di allarmante».
 
Sentendo ciò, il Grigio fece scivolare lo sguardo dalla finestra a Ember, al momento unica ospite presente nel suo appartamento.
I suoi progetti di solitudine auto imposta erano andati a puttane pochissimo tempo prima per colpa dell’avvelenamento ma, delle possibili compagnie disponibili, quella della ragazza era la più gradita. I due shadowjin -Ice e Chill- colleghi di lavoro di Ember non erano tipi che lui riuscisse ad apprezzare, per il momento.
 
«Jiren?»
 
«Non c’era nulla» concluse il Pride Trooper.
 
Ember, costretta a credergli perché osservando fuori dalla finestra non notava alcunché di strano, fece spallucce. «D’accordo. Ascoltami, vuoi che ti prepari da man- chi ti prende?!»
 
Non me l’ero immaginata” pensò Jiren, raggiungendo la finestra per poi aprirla con un gesto secco.
 
Si guardò attorno: non c’era nulla se non il classico panorama cupo offerto dall’ambiente esterno. Non c’erano uccelli in generale, tantomeno una strana civetta tricolore che volava a testa in giù.
 
«No, sul serio, devo preoccuparmi?» tornò a chiedere Ember, avvicinandosi a lui dopo un attimo d’esitazione «Cos’hai visto?»
 
Silenzio.
 
«Una civetta» disse Jiren, dopo qualche momento «Volava a testa in giù».
 
«Sarà stata ubriaca» tentò di scherzare Ember «A parte tutto, le medicine della farmacia tradizionale di questo posto sono un po’quello che sono. Purtroppo tra le possibili controindicazioni del succo di scolopendra bianca ci sono anche le allucinazioni».
 
«Io l’ho vista» ribatté il Grigio, continuando a fissare la finestra ancora aperta…
 
Dalla quale, un attimo dopo, fece il suo rapido ingresso una piccola creatura non meglio definita.
 
Seppur molto debilitato, Jiren si parò davanti a Ember prima ancora che questa avesse il tempo di emettere un’esclamazione di sorpresa, deciso a fronteggiare la minaccia incombente. Il leviatano lo aveva colpito ma non si sarebbe fatto sorprendere anche da…
 
«Ah, ma sei la gattina che gira qui attorno da qualche giorno!» esclamò Ember, sentendo scivolare via la tensione «Hai fatto una bella arrampicata».
 
Un’arrampicata impossibile a parere di Jiren, il quale non smise di fissare con diffidenza il felino, trovando una curiosa somiglianza tra il colore delle iridi di Ember e quelle dell’animale, che però presentavano una sfumatura più “carica”.
 
«Ti ha adottata la vicina?» chiese la ragazza alla micia, pur sapendo che non poteva risponderle «È plausibile, Verna ha oltre venti gatti. La prima volta che ho visto questa gattina è stato uscendo dal lavoro» spiegò la ragazza a Jiren «Un paio di giorni dopo invece l’ho trovata fuori da questo palazzo… ammetto di non essere sicura al cento per cento che si tratti della stessa bestiola ma, se non lo è, si somigliano molto. Sarebbe un problema per te se le dessi un pezzetto del cibo avanzato a pranzo?»
 
Il Grigio si limitò a stringersi brevemente nelle spalle, gesto che Ember interpretò come un “sì”; motivo per cui si allontanò per raggiungere la cucina, lasciando soli Jiren e quella graziosa bestiolina… la quale schiuse la bocca felina in un sorriso che aveva un nonsoché di profondamente disagiato.
 
«Ehilà, asal deas!» esclamò.
 
A causa della sorpresa, Jiren spalancò gli occhi. La gatta aveva appena parlato.
Sì, l’effetto di quel succo di scolopendra bianca era terribile, senza dubbio.
 
Si passò una mano sul volto, appena prima di vedere Ember tornare con qualche pezzetto di cibo. «Una domanda».
 
«Dimmi».
 
«I gatti parlano, qui a Dima?»
 
La ragazza sollevò leggermente le sopracciglia, perplessa da quello strano quesito. «Nnnnno… non che io sappia, almeno. Perché?»
 
La risposta sincera sarebbe stata “perché questa gatta mi ha salutato con una frase per due terzi incomprensibile”, ma il Pride Trooper non si sentì in grado di dire una cosa del genere a una persona che lo credeva già allucinato.
 
Forse però sarebbe stato meglio parlare, dal momento che l’istante successivo il felino venne avvolto da uno sbuffo di fumo aranciato.
 
Resa lesta anche dall’istinto di sopravvivenza, Ember si allontanò, alquanto allarmata. Sembrava proprio che in quel periodo le stranezze non dovessero mai avere fine. «Ora che succede?!»
 
Jiren non rispose, limitandosi ad assumere una posizione di guardia. Il suo istinto purtroppo gli aveva dato suggerimenti giusti, nel dire che quella gatta non era normale e che avrebbe portato guai.
 
Quando il fumo si dissolse, la gatta aveva un aspetto decisamente umano: per la precisione quello di una donna snella, alta poco meno di un metro e ottanta, che indossava una tutina nera corta fin troppo “estiva” e aveva i capelli ricci rossi lunghi fino alle spalle.
Nonché una somiglianza piuttosto forte con Ember.
 
«Ehilà, nighean ùr!» sorrise la misteriosa mutaforma, agitando la mano destra in un saluto quasi infantile rivolto proprio a Ember «Vieni a salutare tua madre! Su, non stare lì impalata come se avessi visto un fantasma, quelli sono fuori stagione».
 
Prima Jiren tornato da una missione molto peggio che malandato, poi l’incontro con il Dio della Distruzione Belmod, adesso una gatta era appena diventata una donna che si era dichiarata sua madre; Ember era una ragazza dai nervi molto saldi ma questo non le impedì di cercare una sedia su cui crollare.
 
In tutto ciò, il Grigio non si era mosso di un millimetro: quella donna aveva detto di essere la madre di Ember ma quest’ultima non dava segno di riconoscerla e, inoltre, l’intrusa sembrava avere l’età di Ember stessa. Tutti buoni motivi per non lasciarle fare neppure un passo. «Vattene» le intimò.
 
«Suvvia, asal deas, datti una calmata» replicò la donna, per nulla turbata «Tu mi piaci, quindi ora togli il cappello della paranoia e lasciami salutare la mia nighean ùr. Ho qualcosa comeeee… uhm… venticinque anni di completa assenza da recuperare» aggiunse, sporgendosi quel tanto che bastava perché Ember potesse vederla nonostante la presenza di Jiren «In mia difesa, fino a poco tempo fa non sapevo che esistessi».
 
Ember, ancora un po’titubante nonostante avesse iniziato a calmarsi -si era ricordata di aver visto cose ben più strane!- aveva iniziato a trovare una certa familiarità nei tratti di quella donna.
Al di là dell’indubbia somiglianza tra loro due le erano tornate in mente delle foto che la sua altra madre, quella che l’aveva messa al mondo, le aveva mostrato quand’era bambina. Ricordi visivi ai quali era correlato un nome. «Eve Hallows?...»
 
«Esatto. Quindi tu mi conosci, almeno di nome!» esclamò la donna, con sincera contentezza «È già qualcosa».
 
«È davvero tua madre?» chiese Jiren, ancora diffidente, a Ember.
 
La ragazza annuì, quasi convinta. «Io... penso di sì. Credo. No, aspetta, mi è tornata in mente una cosa: Eve, io ricordo che mia madre aveva accennato a un oggetto che ti porti sempre appresso…»
 
Per tutta risposta, Eve tirò fuori da una tasca una fiaschetta metallica per liquori. «Ho solo questa».
 
«Sì, è lei» concluse Ember «Credo che potremmo stare tranquilli».
 
Sebbene fosse ancora poco persuaso, Jiren decise infine di farsi da parte: se mai le cose si fossero messe male avrebbe fatto sempre in tempo a intervenire. Non avrebbe lasciato che si creassero disordini nel proprio appartamento e, in fin dei conti, aveva sconfitto avversari peggiori col solo movimento delle palpebre.
 
«Tu e io ci somigliamo molto» disse Eve, avvicinandosi a Ember «Hai preso parecchio da me, almeno nell’aspetto!»
 
C’erano tante domande che la ragazza avrebbe potuto fare a sua madre, tipo “cosa ci fai qui?” o “come mi hai trovata?” o, ancora, “cosa vogliono dire quelle parole strane e cosa sei di preciso?”. Tuttavia la prima cosa che le saltò in mente fu di ben altro genere.
 
«Se ho preso molto da te e tu sei una mutaforma dici che posso diventare un gatto anch’io?»
 
Eve fece spallucce. «Boh. Prova!»
 
Per assurdo che fosse, Ember provò a farlo davvero, sforzando di immaginare se stessa come un felino; la sola cosa che ottenne però fu lo stimolo a svuotare la vescica, dunque fu costretta a pensare che, no, in quello non aveva preso da sua madre. «Ora dovrei usare il bagno».
 
Jiren, notato che lo stava guardando, si limitò a un breve cenno del capo, ed Ember si dileguò dopo un rapido “Torno subito”… lasciando soli la madre appena ritrovata e il Pride Trooper poco voglioso di conversare.
 
Le narici di Eve si mossero leggermente, come se stesse fiutando qualcosa nell’aria. La cosa durò solo per un paio di secondi, e probabilmente era dovuta al leggero odore di pot-pourri nell’appartamento, eppure anche quel semplice e piccolo gesto non contribuì ad abbassare la diffidenza di Jiren; ma il suo atteggiamento era piuttosto comprensibile, dal momento che quell’intrusa sconosciuta e mutaforma si era introdotta nel suo appartamento dalla finestra.
 
«Non te la passi male» osservò Eve, sorridendogli con tutta la calma dell’Universo «Non per gli standard di questa città. Lo avevo già notato volando davanti alle finestre come civetta… non guardarmi in quel modo, volevo solo capire che tipo di gente gira attorno a mia figlia».
 
Se Jiren fosse stato un tipo di persona anche solo lievemente più loquace, le avrebbe fatto notare che aggirarsi attorno palazzo dove viveva la figlia -e anche attorno al luogo di lavoro, a quanto sembrava- non era il solo modo di avvicinarsi a lei, e che il suo modo di presentarsi era stato del tutto assurdo… ma il Grigio non era una persona loquace.
Nemmeno un po’.
 
«Non parli molto eh? Vabbè» disse Eve, facendo spallucce e allargando ulteriormente quel suo strano sorriso «Le tue chiappe parlano per te, asal deas!»
 
Ember fece ritorno dal bagno subito dopo, perdendosi sia quell’apprezzamento, sia -purtroppo- l’espressione che aveva fatto il Pride Trooper nel sentire una frase del genere.
Il pit-stop però le era servito per calmare ulteriormente i nervi, cosa che finalmente la indusse a fare la domanda più logica. «Bene… non sono scontenta di averti conosciuta, Eve» disse «Ma onestamente mi chiedo cosa ti abbia portata qui».
 
Ember aveva più o meno venticinque anni e, se c’era una cosa che aveva imparato nel corso della vita, era che nessuno faceva mai niente per niente: un discorso da cui non era esente nemmeno “una donna eccentrica e divertente” -così sua madre le aveva descritto Eve.
 
«La tua presenza, nighean ùr. Vedi, io ho tanti difetti» ammise la mutaforma «Talmente tanti che nemmeno io li so, però se avessi saputo della tua esistenza non sarei rimasta completamente fuori dalla tua vita. Aver saputo di te e il fatto di aver sistemato di recente un’altra questione di famiglia -per inciso con tuo fratello- mi ha fatto dire “Ehi, magari andare a fare conoscenza non è una cattiva idea!”»
 
«No aspè: io ho un fratello?!» allibì Ember.
 
Eve annuì. «Ha qualche annetto più di te! Comunque, io sono venuta qui per conoscerti, nient’altro. È mia intenzione passare del tempo in tua compagnia… e credo che tu possa avere cose piuttosto interessarti da raccontarmi, viste le frequentazioni del nostro amico asal deas!»
 
«Non sono tuo amico» disse il Grigio, chiedendosi a cosa alludesse di preciso con “frequentazioni”. Girava da giorni attorno al palazzo come gatta e come civetta, forse aveva visto i suoi colleghi, ma non era scontato che fosse al corrente della sua vera identità.
 
«Sei il ragazzo di mia figlia, certo che siamo amici!» esclamò Eve, senza smettere di sorridere.
 
Cosa che non smise di fare neppure quando Ember e Jiren arrossirono entrambi più o meno leggermente, con un’ espressione d’imbarazzo del tutto giustificata.
 
«Noi non siamo… lui non è il mio ragazzo. Non lo è. Ecco» borbottò Ember.
 
«Dal modo in cui ti si è parato davanti quando pensava che fossi chissà quale mostro pericoloso avrei detto il contrario, quindi tempo al tempo!» ribatté Eve, come se nulla fosse.
 
«Eve, perché parli come se lui non fosse qui?!»
 
«Per vedere qual è il massimo grado di rosso che riesce a raggiungere la sua faccia, in primis!» rise impunemente la donna «Occhei, è rosso come i miei capelli credo che possa bastare…»
 
«Dove starai? Insomma, immagino che ti sia temporaneamente stabilita da qualche parte. Dalla vicina insieme agli altri gatti, forse?» chiese Ember a Eve, cercando di cambiare argomento.
 
«Nah. Casa mia è sempre vicina, indipendentemente da dove vado. Immagino che un giorno la vedrai anche tu, per un motivo o per l’altro» aggiunse Eve «Non ti preoccupare per me».
 
Non ci fu tempo per chiarire quelle frasi abbastanza criptiche, perché subito dopo si udirono dei colpi contro la porta principale dell’appartamento.
 
«Ehi Ember, sei ancora con il nostro amico dal colorito poco acceso?»
 
Ad aver bussato era Ice, lo shadowjin “collega” di lavoro di Ember.
Il primo pensiero che balzò in mente a Jiren fu un “ci mancava solo questa”. Dover avere a che fare con Ice e suo fratello non era mai cosa particolarmente gradita ma il pensiero di trovarselo davanti in quel momento era ancor più fastidioso di quanto fosse di solito.
 
«Uh… sì, Ice, siamo ancora qui» rispose Ember «Solo che…»
 
«O beh, mi sa che per oggi basta così. Ci siamo conosciute, hai saputo che hai un fratello, se resto qui un altro po’finiremo per esaurire tutti gli argomenti di conversaz- ah, no, questo è altamente improbabile» si contraddisse Hallows «E non preoccuparti, al tuo collega penso io. Ihihihih!»
 
Fino ad allora non aveva pensato che aveva incontrato per la prima volta Eve-gatta fuori dal proprio posto di lavoro. Ember non si vergognava del proprio mestiere, però non era quello il modo in cui avrebbe voluto parlarne alla sua “nuova madre”. «Se sai che è il mio collega…»
 
«Oh sì. Tale madre, tale nighean ùr!» esclamò Eve, dando alla figlia delle pacche su una spalla «Facciamo la stessa cosa, a quanto pare».
 
«Davvero?» si stupì la ragazza.
 
«Aye» confermò Eve «Già, ora che ci penso dovrei anche insegnarti la lingua. Dal momento che tu sei tu, inizio facendo un’eccezione alla regola con un paio di traduzioni: il modo in cui chiamo te vuol dire “nuova figlia”, mentre “asal deas” vuol dire “bel culo”. Mi pare appropriato per questo bel ragazzone che parla poco!»
 
E che stava anche arrossendo un’altra volta, oltre a non parlare.
Quello per lui era veramente un periodo tremendo: passare dalla solitudine al fare una serie di figure più o meno barbine e a subire “molestie verbali”.
Nonché fisiche, dal momento che Eve gli stava palpando il sedere.
Il sedere.
A LUI.
 
«… soprattutto perché, da quello che sento, suddetto posteriore è anche bello sodo» continuò Eve, annuendo con aria d’approvazione «Brava ragazza, gli armamenti a poppa sono buoni, se quelli a prua lo sono altrettanto sei a posto!»
 
«Ma cos-»
 
«Ci vediamo ragazzi» li salutò Eve, raggiungendo di corsa la porta «Un ultimo consiglio: occhio all’aingeal. Lo dico perché ce ne è stato uno relativamente di recente… anzi» mosse di nuovo le narici «Una».
 
Si catapultò fuori dalla porta prima che chiunque dei due potesse chiederle delucidazioni, lasciandosi dietro più domande che altro.
 
Ember si passò una mano sul viso. «Mi spiace per, beh, diciamo buona parte delle interazioni che ha avuto con te. E così questa è la mia altra madre… eccentrica lo è di sicuro» commentò «Devo ancora capire cosa sia un aingeal. E quale sia il nome di questo fratello che dovrei avere. E cosa intendesse dire col fatto che “casa sua è sempre vicina”. Dici che ha un camper?»
 
Jiren, ancora immobile come una statua di granito perché troppo impegnato a pensare un “QUELLA mi ha toccato!” -da buon verginello- non aveva una risposta per le domande di Ember, ma era sicuro di una cosa: la sua vacanza forzata a Dima era diventata ancor meno tranquilla di quanto già non fosse.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Stento ancora a credere che tu sia la madre di Ember, sembri più sua sorella e davvero, non lo dico tanto per cercare di rimorchiarti!»
 
Quando quella donna era uscita dall’appartamento di Principessa, alias Jiren, Ice l’aveva addirittura scambiata per  Ember -vestita diversamente, con i capelli sciolti e più ricci- ma dopo una seconda occhiata aveva capito che no, non si trattava di lei, ma di una donna con cui c’era una fortissima somiglianza.
Principalmente per quel sorriso disagiato che sul volto di Ember non si era mai visto.
 
Eve Hallows, così si chiamava, lo aveva poi salutato con un “Ehilà!” a cui lui aveva risposto con un altro “Ehilà”, per poi ritrovarsi a parlare con lei e ad allontanarsi dall’appartamento del Grigio quasi senza rendersene conto… nonché a portarla in casa propria.
 
«Non che ce ne sia bisogno» disse Eve, stiracchiandosi.
 
«Di cosa?»
 
«Di rimorchiarmi. Aspetta, forse a gesti ci intendiamo meglio».
 
Detto ciò, mentre Ice la guardava perplesso, Eve indicò prima lui, poi se stessa, e infine tornò a indicare lui… o meglio, il suo inguine.
Una tecnica di approccio che non avrebbe proprio potuto essere più sottile!
 
«Ma… tu sei la madre di una mia amica…» si schermì lo shadowjin, con pochissima convinzione. In fin dei conti la tutina intera di Eve lasciava vedere gambe di bellezza pari a quelle della figlia.
 
«Lei è adulta, tu sei adulto e io pure» replicò Hallows, con semplicità.
 
Argomenti convincenti che spinsero Ice -il quale di rado avrebbe detto di no a una donna di bell’aspetto- ad avvicinarsi a lei con un sorriso soddisfatto. «Andata!...»
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Eppure credevo che Ice fosse abbastanza sveglio almeno da aver imparato quando è ora di andare al lavoro!” pensò Chill, dirigendosi a grandi passi verso l’appartamento del fratello.
 
Quel ritardo era strano perché Ice, con tutti i suoi difetti, non era tipo che tendeva a far tardi; motivo per cui lui aveva deciso di andare a dare un’occhiata, tanto per verificare che fosse tutto a posto. In quel periodo c’erano state fin troppe stranezze.
 
“Non ultima questa!” pensò Chill, aggrottando leggermente la fronte nel vedere Ember uscire dall’appartamento di Ice “D’accordo, da quel che ho capito in realtà non è cosa nuova, ma credevo che ormai per il bagno avesse risolto”.
 
«Ehi, Ember» esordì «Mio fratello-»
 
Si interruppe: quella non era Ember. Guardandola più da vicino capì che si trattava solo una donna che le somigliava incredibilmente e che sorrideva in modo leggermente inquietante, come se avesse avuto voglia di… mah! Mangiarlo? Portarselo a letto? Non era in grado di stabilirlo.
 
«Ehilà! Tu sei Chill, giusto? L’altro amico della mia nighean ùr. Io sono Eve Hallows» si presentò tendendogli la mano «Sono la mamma di Ember».
 
Lo shadowjin, allibito per quello che sarebbe stato il nuovo pettegolezzo di giornata, strinse la mano della donna con un movimento quasi meccanico. «La mamma…»
 
«Eh sì. Mi sa che in questo periodo ci vedremo spesso, perché ho intenzione di passare del tempo con lei e il suo amico dalle belle chiappe! Già, dico, hai visto che roba? Sono perfino meglio di quelle di tuo fratello, e tuo fratello è messo piuttosto bene. A chiappe» specificò «A energia, al momento, un po’ meno».
 
«Cioè?!»
 
Eve fece spallucce. «Lo ho vagamente spompato. In tutti i sensi! A proposito, beag bràthair, ti andrebbe di fare sesso?»
 
Chill non riusciva a credere alle proprie orecchie: quella lì non solo era uscita fresca come una rosa da una “sessione” con Ice, ma oltretutto gli aveva anche fatto proposte in modo tanto esplicito che era impossibile da fraintendere. Solo che lui non era disposto ad accettarle.
 
«Io sono fedele a mia moglie» disse lo shadowjin, con semplicità.
 
«Bravo ragazzo» approvò Eve, ponendo fine alla questione con un sorriso e due piccole pacche sulla testa di Chill «Comunque davvero, non credo che riuscirà a venire. Al lavoro, s’intende!»
 
“Incredibile” pensò lo shadowjin, voltandosi per un attimo a guardare la porta semiaperta.
 
 «Ci vediamo, beag bràthair».
 
«Aspetta!» esclamò lui «Che cosa vuol dire… beag bràthair?...»
 
La domanda non era arrivata in tempo: Eve Hallows Mamma Di Ember non c’era più.
Volatilizzata, come se non fosse mai stata lì.
 
La cosa era diventata ancor più inquietante ma Chill decise che, se mai, ci avrebbe riflettuto sopra in seguito: ora l’imperativo era dare un’occhiata alle condizioni di Ice.
 
Non faticò a trovarlo: giaceva supino sul letto, con le membra prive di ogni accenno di vita ma col sorriso ebete di chi aveva subìto una condanna a morte per snu-snu ed era riuscito a scamparne.
 
«Ice?!...»
 
«È s…» riuscì a dire lo shadowjin più grande, con un filo di voce «È stata… è s-s…»
 
«Cosa?!»
 
Ice cercò di prendere fiato. «È stata… la miglior chiavata della mia vita!»
 
Dopo un attimo di completo silenzio e immobilità, Chill fece un grosso facepalm. «Che ti impedirà di andare al lavoro. Contento tu!»
 
“Lo ha ridotto così e stava benissimo: è un demone succhia vita o cosa?!” pensò.
 
Non sapeva ancora nulla di quella donna ma di una cosa era certo: la sua presenza aveva il potenziale per accrescere un disagio che in quel palazzo, di per sé, non mancava.








Note:

beag bràthair: "fratello minore"
aingeal: angelo

Ringrazio chi ha letto :) alla prossima,

_Dracarys_
 

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Capitolo 2
*** Say ''Ehilà'' to the family -parte seconda ***


Ehilà! 
Ce l'ho fatta finalmente!
Cronologicamente parlando, quel che state per leggere è collocato diversi capitoli prima rispetto all'ultimo pubblicato da Vermissen.
Nient'altro da aggiungere, per cui...a voi!


 


Say “Ehilà” to the family -parte seconda

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Raggiunto il piano terra e uscita dal palazzo, Ember si stiracchiò pigramente.
Ormai da qualche tempo viveva in casa di Jiren, per una serie di sfortunati eventi che avevano portato il Grigio e Verna -la vicina di casa piena di gatti- a una “lotta” che aveva letteralmente devastato il suo povero appartamento, costringendola dunque a trasferirsi.
 
Stare più a stretto contatto con Jiren tuttavia non le dispiaceva: si stavano conoscendo e legando man mano, al punto di essersi sentita sufficientemente a proprio agio per parlargli del proprio passato, e non era qualcosa che fosse successo con chiunque. Oltre a questo c’era stato anche un bacio, un “qualcosa” di piccolo che però venendo da una persona chiusa come Jiren riusciva addirittura a farle pensare che magari -forse, un giorno, prima o poi- il loro rapporto si sarebbe stretto ulteriormente. 
 
Mise la mano in una delle tasche dei pantaloni e, dopo aver tastato per qualche istante, sbuffò. «Come ho potuto dimenticare la lista della spesa?!»
 
Si voltò, diede un’occhiata al palazzo e comprese una cosa fondamentale: pur essendo una venticinquenne attiva e vitale, non aveva la minima voglia di salire e scendere le scale un’altra volta.
Fece mente locale: i medicinali per Jiren -al momento tra le cose più importanti, essendo nuovamente malandato- non mancavano e si rese conto di riuscire a ricordare abbastanza bene il resto delle cose che erano scritte sulla lista, che non doveva acquistare con urgenza; sarebbe riuscita ad andare a fare la spesa e tornare a casa prima che Jiren si svegliasse.
 
«Beeeeeeeh!»
 
Sobbalzò leggermente per lo stupore, poi guardò in basso: c’era una capra di montagna che le stava tirando una manica.
Una capra.
A Dima.
Passato l’attimo di smarrimento però ricordò di aver già visto quella bestiola, precisamente il giorno in cui casa sua era stata devastata per colpa dei parassiti della pioggia, di un’infermiera improvvisata un po’troppo zelante e di un Grigio che si era messo un mezzo con un po’troppa forza.
 
«Guarda che restare per strada non è molto conveniente, la gente di queste parti non ci penserebbe due volte a cercare di mangiarti per pranzo» disse Ember alla capra «Più che altro mi chiedo come tu abbia fatto a evadere dall’appartamento di Verna. O beh…»
 
Fece per andarsene ma la capra, di nuovo, tirò una manica della sua felpa grigia. Quell’animale non sembrava molto intenzionato a lasciarla andare!
 
«Su, fai il bravo, devo andare a fare la spesa!... e se continui a starmi attorno, visti i precedenti, potrei iniziare a pensare che sia anche tu un mio familiare. Di’ un po’, sono imparentata anche con te?» domandò la ragazza alla capra, scherzando.
 
Dal loro primo incontro Ember non aveva più visto Eve, nonostante i propositi dichiarati da quest’ultima. Pur essendo rimasta leggermente disorientata aveva imputato la questione al fatto che la sua altra madre avesse avuto da fare o magari non avesse trovato quel che cercava a Dima oltre a lei, qualunque cosa fosse; in ogni caso non ne aveva fatto un dramma, dal momento che Eve non era mai stata presente nella sua vita -anche se di ciò non le si poteva fare una colpa.
 
«Effettivamente sì, tu e io siamo imparentati da parte di madre. Sorpresa!» esclamò la capra, sorridendo e alzandosi in piedi su due zampe.
 
Ember rimase in silenzio e con la bocca leggermente spalancata a fissare il suo bizzarro interlocutore, indicandolo con la mano destra e sbattendo le palpebre più volte come per cercare di scacciare una temporanea allucinazione che divenne ancora più delirante nel momento in cui la capra mutò le proprie sembianze, acquisendone di più umane.
Davanti a Ember ora c’era un ragazzo alto e rosso di capelli, con un corpo da atleta valorizzato dai jeans e una camicia bianca a maniche corte.
 
«Ciao Ember, io sono Finnan, tuo fratello» si presentò, andando a stringere la mano con cui Ember lo stava ancora indicando «Eve mi ha detto che nel vostro incontro ti aveva accennato alla mia esistenza, per cui eccomi qui. Sono tanto contento di conoscerti. Ho una sorella! È bellissimo!» esclamò «Strano, eppure Eve mi aveva detto che quando vi siete incontrate ha reagito bene alla trasfor… pft. Avrei dovuto immaginarlo: immagino che tu abbia reagito “bene” secondo il suo personalissimo metro di giudizio».
 
«N-non ho urlato, se è questo che intendeva» riuscì a rispondere Ember, una volta che si fu ripresa abbastanza dalla sorpresa.
 
Avrebbe tanto voluto una camomilla.
Ma anche due.
Ma anche dodici.
 
«Colpa mia che le ho dato retta. Eppure lo so com’è fatta... e va beh» concluse il ragazzo, facendo spallucce «Ricominciamo da capo: ciao sorella, io sono tuo fratello!»
 
Finnan sorrideva, e i suoi occhi verde oliva erano pieni di un entusiasmo talmente genuino da non lasciare alcun dubbio riguardo il fatto che fosse veramente contento di quell’incontro.
 
Notando questo, Ember riuscì a rilassarsi abbastanza da poter sorridere un po’ a sua volta. «Ciao fratello, io sono tua sorella… nonché l’unica a non essere una mutaforma, a quanto pare!»
 
Da quando Eve le aveva parlato di quel misterioso fratello si era trovata a immaginare come potesse essere, e ora la sua curiosità poteva dirsi soddisfatta: all’apparenza era un po’eccentrico, come del resto era Eve, ma non sembrava una cattiva persona.
 
«Immagino che tu in questo senso abbia preso più dalla madre che ti ha partorita, anche se il tuo aspetto è praticamente identico a quello di Eve. Vi assomigliate ancor più di quanto mi fossi immaginato. A proposito, ti manda i suoi saluti e vuole farti sapere che tonerà appena avrà finito con i fantasmi! Sul pianeta dove abitiamo è iniziata la stagion-»
 
«Aspetta: che vuol dire “quando avrà finito con i fantasmi”?!» si stupì Ember.
 
«Non ti ha parlato di questo?»
 
«Quel che ha fatto quando è venuta qui è stato presentarsi, dirmi che ho un fratello, molestare il mio coinquilino e, da quel che ho saputo in seguito, andare a letto con un mio collega e approcciarsi con un altro collega ancora. Di fantasmi non- no, aspetta» si contraddisse la ragazza «A pensarci bene mi sembra che abbia accennato vagamente qualcosa riguardo al fatto che i fantasmi fossero “fuori stagione”, ma pensavo che scherzasse!»
 
«Eeeeh, non esattamente» disse Finnan, grattandosi la fronte «Purtroppo i fantasmi esistono eccome. Ma non dovrebbe stupirti troppo dal momento che una delle tue madri si trasforma in un gatto e in un gufo, il sottoscritto si trasforma in capra, i tuoi colleghi di lavoro fanno cose strane con le ombre e c’è gente in giro che annichilisce pianeti con uno schiocco di dita. Sbaglio?»
 
Non aveva tutti i torti, tanto che alla fine Ember fece spallucce. «Messa così hai ragione. Io però non ho mai visto fantasmi».
 
«Meglio così. Passiamo ad argomenti più piacevoli: cos’hai in programma per oggi, a parte fare la spesa?»
 
«Non ho un programma preciso» disse la ragazza.
 
«Perfetto allora. Se non hai impegni particolari mi piacerebbe trascorrere del tempo insieme, così potremmo conoscerci un pochino! Potremmo trasformare la spesa in uno shopping selvaggio ovunque tu voglia, ovviamente a spese mie» propose Finnan «E, anche pensando a quel che è successo con l’appartamento, su questo punto non accetto un “no”».
 
«Ma io-»
 
«Speravo proprio che avresti detto di sì!» esclamò lui con espressione soddisfatta, ignorando quella basita di Ember, alla quale mise un braccio attorno alla spalla «Percepisco la presenza di tanta bella roba interessante in questa città, che aspetta solo noi due! Lo senti, Ember? Senti il richiamo del ciarpame?» sorrise, allargando il braccio rimasto libero.
 
«C-ciarpame?» fu tutto quel che riuscì a dire la ragazza, pensando che quella parte della sua famiglia fosse veramente bizzarra.
 
«Sì, uno dei miei padri lo chiama così, e ormai lo ha fatto talmente tante volte che mi ha contagiato! In realtà non è “ciarpame”, sono oggetti carini, possibilmente piuttosto rari, possibilmente piuttosto strani e, a volte, con un paio di maledizioni comprese nel prezzo. Ma questa è un’altra storia, ora andiamo! Aspetta: a te piace il ciarpame?»
 
«Sì, se non è maledetto…»
 
«Ottimo! Allora entreremo in ogni negozio che questo quartiere ha da offrire!»
 
«Ehm… non so come dirtelo, ma in questo blocco non c’è chissà quale spropositato numero di negozi. A esserne pieno è il blocco A. Lì si può trovare letteralmente di tutto» spiegò Ember al fratello «Ci sono strade e palazzi pieni di negozi, tutti uno di fila all’altro».
 
«Grazie per l’informazione! Non conosco granché la città, sono finito nell’appartamento di Verna un po’troppo presto. È un tipino particolare, però è simpatica. Tornando a noi, da che parte è il blocco A?»
 
Ember fece un cenno vago verso destra. «A breve potremo raggiungerlo con i mezzi pubblic- IIIIIIH!»
 
Il grido di Ember era perfettamente giustificato, dal momento che Finnan le aveva passato un braccio attorno alla vita e, senza avvisare o curarsi di quel che avrebbe potuto pensare chicchessia, era schizzato in aria assieme a lei.
 
«Ma volate tutti quanti tranne me?!» gridò la ragazza. Non era la prima volta in cui qualcuno la faceva volare -la prima volta lo aveva fatto Jiren- ma tra questo e l’abituarsi a una cosa simile c’era una certa differenza.
 
«Dipende da cosa intendi con “tutti quanti”. Fino a poco tempo fa però anche io, come Eve, volavo solo quando mi trasformavo. Da che parte hai detto che è il blocco A?»
 
«Alla nostra destra» ripeté Ember «Poi cos’è successo?»
 
«Cosa intendi?»
 
«Prima volavi solo quando eri trasformato, ora però voli anche in questa forma, quindi cos’è successo?» si azzardò a domandare, spinta dalla curiosità e dalla situazione improbabile.
 
Finnan non rispose, limitandosi a sorridere e volare veloce come un missile in direzione del blocco A.
 
Quando avvistò “strade e palazzi pieni di negozi, tutti uno di fila all’altro”, ossia quel che Ember aveva descritto, scelse un vicolo nel quale atterrare con tutta la tranquillità del mondo.
O meglio: nel quale atterrare con tutta la tranquillità del mondo  mentre Ember gli si era aggrappata addosso come un gatto al tronco di un’acacia.
 
«Stando a quel che mi hai descritto direi che siamo arrivati. Ehi, tranquilla» disse Finnan alla sorella, dandole delle leggere pacche sulla schiena «Siamo entrambi interi, no?»
 
«L-le gambe dovrebbero essere entrambe al loro posto, dal momento che le sento tremare. Quando torneremo a casa potremmo andare un po’più piano? Solo un pochino».
 
Finnan annuì. «Lo terrò a mente. Allora… che lo shopping selvaggio abbia inizio! Sei liberissima di svuotare tutti i negozi che vuoi, prima di finire nell’appartamento di Verna ho cambiato un bel po’ mele».
 
«Mele?»
 
«Mele!» confermò il giovane «Il frutteto di nostra madre ne è sempre pieno».
 
«Non credevo che le mele fossero valutate tanto».
 
«Dipende dal tipo di mela, Ember!»
 
Finnan non aggiunse altro ed Ember, seppur vagamente perplessa per quella faccenda, decise di accantonare la questione e far strada a suo fratello tra le vie del blocco A.
Col risultato -una volta fatta la spesa per la quale era uscita di casa- di farsi risucchiare del tutto dall’entusiasmo di Finnan.
Era una cosa impressionante il modo in cui stava riuscendo a trascinarla da un negozio all’altro, con brevi attimi di pausa per fermarsi in questo o quel baracchino per mangiare e/o bere qualcosa, ed Ember era ben lungi sia dal dispiacersi, sia dal dare almeno un’occhiata all’orologio, motivo per cui non si accorse minimamente che erano passate quattro ore e mezza dal momento in cui era uscita di casa.
 
«Finnan, puoi ricordarmi perché ho cinque tentacoli di gomma infilati alle dita?» chiese la ragazza al fratello, uscendo dall’ennesimo negozio.
 
«Io ne ho dieci!» ribatté l’altro, sollevando le mani per mostrare le dita inguainate in tentacoli blu «Non è la prima volta che mi capita nei negozi di questa catena: c’è qualcosa nell’aria dei TYger che rende la gente alquanto vogliosa di ciarpame, e io lo sono già di mio, per cui!...»
 
«Abbiamo comprato quindici tentacoli di gomma, sei cuscini a forma di bocca, delle lanterne con nappa, otto barattoli decorativi, due tazze dorate a forma di dente…» elencò Ember «Due scatole a forma di tartaruga per le saponette, due supporti per nastro adesivo a forma di rana, quattro confezioni di cannucce nere, due temperini per carote, dodici gomitoli, colla glitter colorata e due mini carrelli per la spesa da tenere sopra la scrivania, se avessi ancora una scrivania!»
 
«L’abbiamo già comprata, è nel tuo borsello».
 
Un borsello di cuoio minuscolo che Finnan aveva tirato fuori da una tasca, per la precisione.
Se Ember fosse stata meno avvezza a cose del genere -invece lo era grazie alla frequentazione di Ice e Chill, con la loco capacità di immagazzinare cose nelle ombre- sarebbe stata ancora allibita per quell’ennesima stranezza.
 
«Eh… giusto. Mi ero dimenticata di avere un borsello in cui potrei entrare anche io».
 
«Se ti serve puoi tenerla, ne ho tante altre» disse Finnan, sorridendo «E non provare a ringraziarmi un’altra volta, l’hai già fatto abbastanza».
 
«Hai voluto comprare praticamente tutto il mobilio che è stato distrutto, ringraziarti mi sembra anche poco. Per non parlare del fatto che non sono abituata ad avere un fratello pronto a trascinarmi a fare shopping, ma anche solo ad avere un fratello, in effetti. Tutto questo mi sembra quasi irreale. Ho come la sensazione che da un momento all’altro scoprirò che è tutto uno scherzo o di aver sognato».
 
«Capisco la sensazione. Puoi anche non credermi, ma sappi che per me è lo stesso» ammise Finnan.
 
«Non l’avrei detto. In tutto questo sembri perfettamente a tuo agio».
 
«Lo sono, ma scoprire di non essere il solo figlio di Eve è stata una sorpresa per te come per me. Non sapevo nulla della tua esistenza, come non lo sapeva lei. Devo ammettere che inizialmente, riguardo quest’ultimo particolare, ho pensato il contrario. Vedi, lei…» occhieggiò un vicolo «Ember, ti dispiacerebbe se ci spostassimo in un posto più tranquillo? Vorrei narrarti alcuni dei miei disagi».
 
«Un posto tipo un tetto?»
 
«Tipo».
 
«Nessun problema» disse la ragazza, pur sapendo che avrebbe significato volare di nuovo.
 
Il discorso che Finnan aveva iniziato la incuriosiva, ed era comprensibile, perché c’erano ottime possibilità che le desse modo di conoscere qualcosa in più riguardo quella parte della sua famiglia. Non avevano fatto shopping in silenzio, ma l’avevano fatto parlando del più e del meno quando invece ci sarebbe stato da dire ben altro.
 
Raggiunsero il vicolo e poi il tetto con un breve volo, trovando poi un basso muretto su cui sedersi.
 
«Premetto che non intendo affatto denigrare nostra madre» riprese Finnan «Ormai ho capito perché ha fatto determinate scelte. Detto ciò, ammetto che quando mi ha parlato di te ho pensato che fosse successo qualcosa di simile a quel che è successo con me. Se ci hai fatto caso, prima ho detto di avere due padri».
 
«Ammetto che mi era sfuggito».
 
«Uno è mio padre biologico, l’altro invece è quello che mi ha cresciuto e che dunque, per me, resta mio padre in ogni caso» le spiegò Finnan «Loro due e Eve sono un trio di amici stretti, dunque ho conosciuto bene i miei genitori biologici fin da subito, ma a sapere come stavano le cose era solo Eve. Mio padre adottivo mi ha trovato in una cesta davanti alla porta di casa sua, mentre mio padre biologico non sapeva di esserlo».
 
«Una situazione… intricata» osservò Ember, attenta a non dare giudizi su un argomento tanto delicato.
 
«Aveva le sue ragioni. La sua particolare biologia le ha permesso di rendersi conto della gravidanza solo quando ormai era tardi per interromperla, mio padre biologico stava passando un momento estremamente difficile in cui non sarebbe stato in grado di gestire un figlio» continuò il ragazzo «E lei, per sua stessa ammissione e come sa chiunque la conosca almeno un po’, sarebbe stata “una madre totalmente incapace di crescermi in modo decente”. Eve mi ha lasciato a qualcuno di sua totale fiducia che mi ha garantito un’esistenza serena in tutto e per tutto, è stata presente nella mia vita e, in modo un più o meno diretto, ha contribuito al mio mantenimento. Il vero errore che ha fatto è stato tacere… per il resto, considerati i suoi standard, si può dire che mamma sia stata responsabile. Questa verità è venuta fuori non molto tempo fa e, sebbene si sia risolto tutto, sono stato sollevato nel sapere che Eve verso di te non ha colpe».
 
«Come hai detto tu stesso, non sapeva nulla di me».
 
«Appunto. Eve è un tipo alquanto particolare, però è più che in grado di voler bene ai propri figli; a te come a me, Ember, anche se vi conoscete appena, e io ne sono sinceramente contento» sorrise il mutaforma «Un giorno se vorrai ti porterò con me e ti farò conoscere tutti i miei cari. Essendo un tipo più tranquillo rispetto a me e a mia madre credo che piacerai a entrambi i miei padri».
 
Era confortante sapere che suo fratello non aveva alcun problema con lei, pur essendo diventata il nuovo componente di un sistema familiare che aveva avuto un po’ di problemi -o anche più di un po’. Aveva già capito che Finnan era tutt’altro che ostile ma, conoscendolo da così poco, non poteva che gradire una conferma delle genuine intenzioni nei suoi confronti.
 
«In futuro conoscerò tutti quanti volentieri, quando le acque si saranno calmate. Qui a Dima, intendo!»
 
«Ossia quando avrai fatto qualche altro passetto in avanti col tuo coinquilino dalla pelle grigia?» le chiese Finnan, con un sorrisetto «Non posso dire di conoscerlo ma ammetto che da quel poco che ho potuto vedere mi sembra una bella gatta da pelare. Non una cattiva persona, ma un po’… difficile».
 
«Ecco sì, forse “un po’difficile” è la definizione giusta, ma io credo che sia una persona che vale la pena. Spero solo che pian piano si apra un altro po’» disse con candore la ragazza.
 
«Sai, credo che in questo senso il mio padre biologico potrebbe essere d’aiuto».
 
Ember sollevò le sopracciglia. «Perché? È uno di quei, come si chiamano, life coach, terapista di coppia, o cose simili?»
 
«Non proprio. Di queste cose però è assai esperto, quindi forse… o beh» Finnan fece spallucce «Torniamo a noi: ho finito di narrarti i miei disagi, abbiamo fatto la spesa, abbiamo fatto shopping… a proposito, sei proprio sicura di non volere questo qui? Io ne ho già parecchi!»
 
Nel vedere il fratello tirare fuori dalla tasca dei jeans il monile che avevano trovato nel negozio più nascosto, piccolo, buio e sinistro in cui fosse mai entrata, Ember non poté trattenere una smorfia. Non riusciva proprio ad apprezzare quella sorta di strano uovo sul quale erano presenti dei grossolani tratti facciali. «Sono sicura. Sicurissima. Quel bebbe… jebe… quell’affare mi inquieta, mi sembra perfino che si muova!»
 
«Certo che si muove» confermò Finnan, tranquillissimo «Lo fanno tutti i bejelit».
 
«Sì, è molto meglio che lo tenga tu. Mi trasmette una sensazione strana, a dirla tutta credo che anche a Jiren non piacerebbe avere in casa un-
 
Si interruppe.
Jiren.
Le medicine per Jiren.
La spesa per entrambi.
Che accidenti di ora era?!
Controllò finalmente l’orologio, notando solo in quel momento quanto tempo fosse passato di preciso: più di quattro ore e mezza, e lei non aveva neppure lasciato un biglietto al suo coinquilino. Non che fosse obbligata a farlo ma, onde evitargli eventuali stress e preoccupazioni, sarebbe stato utile.
D’altra parte, però, come avrebbe potuto prevedere che sarebbe stata trattenuta dal suo nuovo fratello?
 
«Finnan, potresti farmi la gentilezza di riaccompagnarmi a casa? Siamo via da un po’…»
 
«Il tempo vola quando ci si diverte» commentò lui, alzandosi in piedi «Stavolta andrò un pochino più piano, come mi avevi chiesto!»
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«EMBER! I morti camminano!» esclamò Ice, uscendo dal condominio appena intravide in strada attraverso la porta « La tua salma malmessa vaga senza pace per il corridoio in cerca di te e di cervelli da mangiar… aspetta: lui chi è?»
 
Jiren non era il solo uomo a manifestare in modo più o meno evidente una certa gelosia nei confronti della giovane: anche Ice provava interesse verso la sua persona, dunque non era troppo felice di vederla insieme a un umanoide sconosciuto, specie se l’umanoide era Mister Sorriso Perfetto ed era fisicato quanto lui.
 
«Il mio nome è Finnan, sono il fratello di Ember» disse lo sconosciuto, tendendogli la mano «Tu sei Ice, giusto?»
 
Nei giorni passati Ice ed Ember erano finiti per forza di cose col parlare di Eve -discorso che in alcuni brevi momenti era diventato vagamente imbarazzante- e argomenti correlati, incluso il fatto che suddetta donna avesse accennato a un altro figlio.
Se non si fosse presentato, Ice non avrebbe intuito l’identità di Finnan: doveva aver preso dal padre, perché ad accomunarlo a Eve erano più che altro i capelli rossi.
 
«Già, sono Ice» disse lo shadowjin, stringendo la mano del ragazzo «Ho già avuto il piacere di conoscere tua madre!»
 
Non era stato molto carino da parte sua uscirsene con una simile allusione -tanto che Ember sollevò un sopracciglio- però Ice era fatto così, indipendentemente da chi si trovava davanti.
 
«Allora sei più forte di quanto sembri, perché guardandoti sono sorpreso che tu, avendola conosciuta, sia già in piedi» disse Finnan, sorridendo con tutta la tranquillità del mondo «Dunque Jiren è sveglio?»
 
«Sveglio, nervoso e voglioso di cervelli, sì. Credo che vi intenderete, siete simpatici allo stesso modo» commentò lo shadowjin.
 
«Con un po’di pratica puoi diventarlo anche tu» replicò Finnan, continuando a sorridere.
 
«E tu con un po’di pratica puoi andare a fanc-»
 
«Rimandate i convenevoli! Nelle condizioni in cui è, Jiren non deve andarsene in giro» borbottò Ember, con un vago senso di colpa.
 
«Non hai torto, dunque ti porto da lui in volo. Aggrappati... ecco, brava. Ti saluto, Ice, se ci rivedremo ti offrirò una birra».
 
«Finnan. Andiamo. Subito».
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Jiren, tu non dovresti essere qui fuori!»
 
Per malridotto che fosse, l’aspetto del Grigio continuava a risultare alquanto minaccioso agli occhi di una persona normale, soprattutto nei momenti in cui -non diversamente da Ice- lasciava trapelare una gelosia alquanto malcelata, scatenata dallo straniero con i capelli rossi.
 
«Chi è?»
 
Jiren avrebbe detestato sapere di aver avuto, riguardo lo sconosciuto, pensieri quasi analoghi a quelli dello shadowjin.
Ovviamente il corpo del tizio non era minimamente paragonabile al suo, ma era qualcosa che a livello estetico poteva attrarre femmine; inoltre era un umanoide come Ember, e la sua espressione tranquilla, il suo sorriso energico, suggerivano che nella sua vita di… venticinquenne? Ventiseienne? Non avesse -né avesse mai avuto- alcun problema al mondo.
Non aveva problemi di salute perché era un giovane uomo visibilmente sano e forte, non aveva problemi a livello economico perché non serviva chissà quale occhio allenato per riconoscere vestiti semplici ma di buona fattura, e sicuramente non era tormentato da ricordi di gioventù che lo facevano svegliare preda di istinti contradditori e malsani che squarciavano con brutale violenza la sanità della sua psiche.
 
Nonostante tutto questo, non si sarebbe certo aspettato che Ember dopo il bacio che c’era stato portasse davanti a lui -in quel palazzo, in quel corridoio, vicino al suo rifugio che ormai era praticamente diventato “loro”- un maschio sconosciuto, con il quale aveva trascorso svariate ore.
 
«Lui è Finnan, mio fratello» disse la ragazza «Eve ne ha parlato, sicuramente lo ricordi. Ci siamo incontrati mentre stavo andando a fare la spesa, stando con lui ho perso la cognizione del tempo… però ho comprato tutto quello che serve!»
 
«E anche cose che servono un po’ meno» aggiunse Finnan, sollevando e agitando una mano dalle dita ancora “tentacolate” «Ehilà! Finalmente ti incontro da umano!»
 
Quell’ “Ehilà”.
Quel gesto.
Quell’espressione.
Sì, era decisamente imparentato con la strana madre di Ember.
 
«Tu non puoi saperlo, però tu e io ci siamo già visti. È stato quando l’appartamento di Ember è stato un pochino distrutto» specificò il giovane «Io ero il caprone».
 
Un altro mutaforma strambo. Chissà perché, una volta saputo della parentela lo aveva immaginato.
Il solo lato positivo della faccenda era che, essendo il fratello di Ember, non aveva certo interesse a insidiarla.
Non trovando nulla da dire, tacque.
 
«Sì, in effetti Eve mi aveva detto che sei di poche parole» annuì Finnan, per nulla disturbato.
 
«Ehm… potresti anche dire qualcosa» azzardò Ember, avvicinandosi a Jiren.
 
Per qualche istante, nel corridoio non si sentì null’altro che silenzio siderale.
 
«Qualcosa» disse Jiren, con assoluta serietà.
 
La risata sonora di Finnan colse di sorpresa Ember al punto di farla sobbalzare.
 
«Lo vedi che in fondo sei un tipo simpatico? Orbene, ragazzi, io vi saluto. Vado a cambiare un altro po’di mele e poi a dare una mano a mamma, così la prossima volta che tornerò a Dima potrà esserci anche lei. I fantasmi si cacciano meglio in due, in fin dei conti».
 
«Salutala da parte mia» disse Ember «Aspetta! Prima di andare potresti spiegarmi questa storia delle mele?»
 
Da un borsello di cuoio ancor più piccolo di quello che aveva dato a Ember, Finnan tirò fuori un oggetto rotondo che lanciò con garbo alla sorella.
 
«Ci vediamo!»
 
Senza dare a nessuno il tempo di dire alcunché, quello che fino a poco prima era un ragazzo divenne una piccola rondine che se ne andò in volo, con allegri garriti.
Era evidente che anche lui, come Eve, avesse a disposizione almeno due forme animali.
 
«Mi chiedo che animali sarei diventata se fossi stata una mutaforma come l… oro!» esclamò Ember, osservando con aria attonita l’oggetto che le aveva lanciato il fratello.
 
Per la precisione una mela decisamente non commestibile, dura, pesante e color oro.
 
«Ma no, sicuramente l’ha presa al TYger e mi ha fatto uno scherzo. Non esistono frutteti di mele d’oro vero. O almeno non che io sappia. Giusto?» guardò Jiren «Tu che hai viaggiato più di me ne hai mai sentito parlare?»
 
«No».
 
Quella parte della famiglia di Ember sembrava diventare ogni volta più bizzarra, almeno dal suo personale punto di vista: mele d’oro, borselli minuscoli contenenti cose troppo grandi, e… cos’era quella faccenda dei fantasmi?
Iniziava quasi a pensare che fosse il caso di parlare a Toppo e vedere cosa sarebbe saltato fuori, perché era tutto piuttosto strano.
Se in futuro fosse successo qualcosa di ancor più insolito, nulla avrebbe salvato quelle strane genti dalle indagini.
Per la sicurezza di una persona cui stava iniziando a tenere, questo e altro.
 

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Capitolo 3
*** Say ''Ehilà'' To The Family- parte terza (Eredità) ***


Ehilà a tutti (Tanto per restare in tema)!
Il capitolo che vi apprestate a leggere è ambientato in uno dei giorni immediatamente successivi ai fatti accaduti nell'ultimo capitolo di "Downpour". Probabile che chi è capitato qui lo abbia già letto e dunque io stia dicendo un'ovvietà, ma nel dubbio...
Comunque buona lettura :)



Say "Ehilà" To The Family- parte terza
(Eredità)










Vestita con una semplice t-shirt, i capelli rossi sciolti e l’espressione tranquilla quanto soddisfatta, Ember pensò che la vita finalmente stesse iniziando a girare nel verso giusto.
Mentre annusava l’infuso caldo che aveva preparato, chiuse gli occhi e ascoltò il rumore dell’acqua che scorreva in bagno. Jiren a breve avrebbe finito di fare la doccia.
 
“La prossima volta la faremo insieme di nuovo” pensò la ragazza.
 
In quei giorni erano usciti dalla camera da letto solo per andare in bagno o in cucina, e anche in quei casi spesso lo avevano fatto insieme, finendo per fare anche lì quel che avevano fatto in camera. Stavano recuperando tutto quel che non c’era stato fino a quel momento, il che per entrambi era fantastico.
Sorrise e, avendo deciso di bere l’infuso sul divano, lo raggiunse con tutta la calma del mondo.
 
«Ehilà!»
 
Una calma che si distrusse una volta che Ember si rese conto di non essere sola in quella stanza, al punto da cacciare un breve strillo e lasciar cadere la tazza mug dalle mani.
 
«Tazza salva!» esclamò Eve afferrandola al volo «Buonasera, nighean ùr. Finalmente ci incontriamo di nuovo».
 
«M-ma come ma cosa m-ma non-» farfugliò Ember, facendo a malapena caso al rumore della porta del bagno che veniva quasi strappata dai cardini.
 
«EMBER!» tuonò Jiren, allarmato per averla sentita strillare «Cosa succ…»
 
Ammutolì con rapidità vedendo che quanto era successo non era tanto un “cosa”, se mai un “chi”.
 
«Armamenti notevoli, asal deas» commentò l’intrusa, allargando leggermente il sorriso.
 
Eve Hallows, la strana, bizzarra e assurda madre di Ember era tornata, era lì in casa.
E lui non era solo bagnato, era anche nudo.
 
Non che avesse alcunché di cui vergognarsi, eppure percepì in modo chiaro e fastidioso la nascita e la crescita del rossore sulle proprie gote, e le mani scattarono in modo automatico a coprire le pudenda bellamente esposte.
 
«Va tutto bene, Jiren, è solo che, ecco… abbiamo visite» disse Ember che, appena riavutasi dallo stupore, fu svelta ad afferrare il plaid sopra il divano e portarlo al compagno. Un plaid era sempre meglio di niente -e anche meglio delle mani.
 
«Sì, questo l’ho notato» borbottò il Grigio con voce tetra mentre avvolgeva il plaid attorno ai fianchi.
 
«Io e Finnan siamo qui in città da qualche giorno, infatti questa non è la prima volta che io, o entrambi, abbiamo provato a venire qui» disse Eve, avvicinandosi a Ember per restituirle la mug «Solo che le altre volte stavate venendo anche voi!»
 
Ambedue gli interessati -semplicemente arrossita una, rosso ormai tendente quasi al violaceo l’altro- si coprirono il volto con una mano.
 
«Quindi mi sono detta che magari non era il caso. Già, forse dovrei cambiare soprannome e iniziare a chiamarti “mac-chèile”» disse, più tra sé e sé che altro, guardando Jiren.
 
«Sono contenta di rivederti, Eve, però...» “Però potevi avvertire prima, o almeno entrare dalla porta dopo aver bussato o suonato il campanello” pensò Ember  «Eh… come sei entrata? Le finestre sono chiuse quindi hai, non so, scassinato la porta?» le chiese scherzando, nel tentativo di allentare un po’sia la propria tensione, sia quella del Grigio.
 
«Naaah» rispose la donna «Ormai conosco bene il posto, non ho bisogno di porte e finestre per entrare. Allora, che programmi avete per stasera?»
 
«Avevamo in programma di stare da soli. Come le altre sere» disse Jiren, col chiaro sottinteso “Quindi tu, madre della mia compagna o no, ora togliti di torno”.
 
«Difatti i vostri amici cominciano a chiedersi che fine abbiate fatto. O meglio, gli amici di Ember» si corresse Eve «I quali in realtà la fine che avete fatto la immaginano benissimo ma questo è solo un dettaglio».
 
«Un motivo in più per lasciarci in pace» brontolò il Grigio, lasciandosi perfino andare a uno sbuffo nervoso sentendo bussare alla porta.
 
In casa c’era già una persona di troppo e, poiché chiunque stesse bussando alla porta sembrava non aver voglia di desistere, si decise ad aprire e affrontarlo per stroncare sul nascere qualsiasi altra fonte di disturbo.
 
«Ehilà!» lo salutò Finnan, sorridendo allegramente, quando lui aprì la porta «Ho perso mia madre, non è che-»
 
Il Pride Trooper chiuse la porta di scatto. Se non fosse stato completamente glabro, ogni pelo sul suo corpo a quel punto si sarebbe drizzato: era proprio vero che le disgrazie non arrivavano mai da sole.
 
«Ehilà Finn!...» esclamò Hallows, avendo sentito chiaramente la voce del figlio «Sono qui!»
 
Da fuori della porta si sentì un sospiro. «Ma non avevamo deciso di venire a trovarli insieme? Magari entrando dalla porta e bussando, prima?»
 
«Finnan prima di entrare bussa sempre. È educato» disse Eve a Ember, come se fosse stata una cosa speciale conoscere almeno un vago accenno di norme sociali.
 
«A beh… meglio così, no?»
 
Ember si grattò la testa e dopo aver scambiato un’occhiata con Jiren -il quale sembrava un po’abbattuto oltre che innervosito- entrambi si arresero all’idea che per quella sera avrebbero avuto compagnia.
Non che le dispiacesse l’idea di trascorrere un po’di tempo con la famiglia, anche per la genuina curiosità causata dall’alone di mistero che quella parte di essa aveva attorno, però a certi arrivi improvvisi direttamente in casa era tutt’altro che abituata.
 
Jiren, maledicendo il fatto di non poter prendere a pedate i familiari della propria compagna, riaprì la porta con un’espressione che avrebbe portato chiunque a svignarsela più in fretta possibile.
Chiunque eccetto Finnan, che sorrideva ancora.
 
«È permesso?»
 
Il Grigio si limitò ad annuire e chiudere la porta alle spalle del ragazzo quando questi fu entrato.
 
«Sono contento di rivedervi. Bel vestito» disse a Jiren.
 
«È un plaid» bofonchiò questi.
 
«Bel plaid!»
 
Jiren strinse le labbra in una leggera smorfia d’irritazione. La sensazione che il fratello di Ember lo stesse prendendo per i fondelli era tutt’altro che andata via. Se non fossero stati parenti della sua compagna probabilmente avrebbe sbattuto entrambi fuori dall’appartamento con un movimento delle palpebre -e chi se ne importava dei muri rotti, ne sarebbe valsa la pena.
 
«E comunque mi sa che la doccia è ancora aperta» osservò Ember «Vado a-»
 
«Vado io» la precedette il Grigio, volendo approfittare dell’occasione sia per rivestirsi, sia per darsi una calmata.
 
Capendo cosa gli passava per la testa Ember non glielo impedì, rivolgendosi invece ai due ospiti a sorpresa. «Bene, allora… immagino che la caccia ai fantasmi sia finita, sbaglio?» chiese loro, ricordandosi di quanto detto da Finnan nel loro ultimo incontro.
 
«Aye, wumman» annuì Eve «Almeno dalle nostre parti. Quest’anno è stata lunga, un po’perché erano abbastanza bastardi…»
 
«E un po’per colpa mia che l’ho rallentata. Eve mi fa fare pratica» spiegò Finnan alla sorella «Ho cominciato ad aiutarla solo da quando ho saputo che sono suo figlio e tutto il resto. Prima non avrei potuto, non avevo gli strumenti giusti».
 
Seppur leggermente sorpresa dalla naturalezza con cui era stato tirato in ballo il discorso “figlio nascosto”, Ember decise di assecondare la propria curiosità riguardo il resto. «Quali strumenti si usano per la caccia ai fanta… smi?»
 
In mano a Eve era comparsa una claymore che fino a un attimo prima non c’era.
Borselli magici, mele d’oro, cambi di forma, spade che comparivano di botto!
Non era poi tanto più assurdo di tutto il resto delle cose con cui aveva a che fare più o meno quotidianamente, però in quel caso le facevano i suoi parenti e, al di là della stranezza, non poteva fare a meno di chiedersi una cosa: “Davvero non sono in grado di farlo anche io?”
 
«Io ho questa» disse Hallows «Finnan invece ha un’arma diversa».
 
«In ben due versioni» aggiunse il ragazzo.
 
«Solitamente quelli come me, quelli della mia razza, possiedono una singola arma che mantiene sempre la stessa forma» continuò Eve «Tuo fratello però è un caso particolare già per il solo fatto di essere nato. Prima di lui io credevo che la mia razza fosse semplicemente sterile, sai?»
 
«E comunque, Ember, solo di recente abbiamo capito di preciso quanto ho ereditato da lei, ossia quando ho ottenuto gli armamenti…»
 
«Quelli del ragazzone grigio sono tali che non mi stupirebbe se ricacciassero i fantasmi da dove sono venuti a suon di complessi di inferiorità» commentò Eve, col suo sorriso disagiato «A proposito, nighean ùr, complimenti per la scelta!»
 
«…per la caccia ai fantasmi» proseguì Finnan, ignorando la madre.
 
«Non che abbia tutta questa fretta di infilarmi in una caccia ai fantasmi, però se tu hai avuto tutto questo di recente c’è la possibilità che un giorno anche io mi svegli con la capacità di diventare un animale e di volare? E tiri fuori un’arma dalle mani?»
 
«Se dovesse succedere non sarà in un giorno e in un modo a caso, non credo che sia possibile, soprattutto per te che di base non hai abilità particolari. Al di là delle ultime novità, io sono sempre stato un mutaforma… e il resto è venuto fuori all’improvviso, sì, ma non svegliandomi una mattina» rispose Finnan «Anche se l’avrei preferito».
 
«Lo avremmo preferito tutti e due, Finn» disse Eve, curiosamente senza sorridere.
 
Il ragazzo si voltò a guardarla. «Quel che è successo non può ripetersi, mamma. Lo sai».
 
«Vero».
 
Ember avrebbe voluto chiedere ulteriori delucidazioni ma venne distratta da ritorno di Jiren.
Se l’era presa comoda ma ora era sia vestito, sia un po’più calmo.
 
«Direi che tu sia pronto per uscire, mac-chèile!» osservò Eve «Perfetto direi. Invitarvi a uscire tutti insieme in fin dei conti era quello che avevamo progettato di fare».
 
«Quello che avevate progettato voi» ribatté Jiren.
 
«Però forse non è una cattiva idea. Non è un male fare qualcosa di diverso ogni tanto, e poi potrebbe essere un modo per conoscerci tutti un po’meglio» disse Ember.
 
L’espressione del Grigio divenne leggermente perplessa. «Dunque tu vuoi farlo?»
 
La ragazza annuì. «Vado a vestirmi anch’io. Ci metterò poco».
 
Guardandola sparire nel corridoio, Jiren si chiese cosa potesse averla spinta a cambiare idea, dal momento che prima sembrava aver voglia quanto lui di stare in compagnia di altre persone. Forse aveva fatto un errore a non ascoltare la conversazione quando si era allontanato.
In ogni caso se Ember aveva deciso così doveva avere sicuramente dei buoni motivi e lui, che di quei due mutaforma non si fidava, l’avrebbe seguita per assicurarsi che non succedesse niente di inappropriato.
 
«Io non so perché siete venuti qui» disse il Grigio «Non so cosa siete né so cosa volete da Ember… ma se farete qualcosa che non mi piacerà, piacerà ancora meno a voi».
 
Eve sollevò il pollice destro in segno di approvazione. «Sono contenta che Ember abbia trovato qualcuno tanto determinato a proteggerla. Non dubito che sappia badare a se stessa ma questa città non è precisamente il posto più tranquillo dell’universo. A dirla tutta spero che riesca ad andarsene di qui in fretta. Però ti dico questo, mac-chèile: io e Finnan non siamo nemici. Siamo solo parte della famiglia. Vorremmo conoscere meglio Ember e che lei conosca meglio noi. Nulla di pericoloso, ti pare?»
 
«Sarò io a valutarlo».
 
Seguì una pausa di silenzio.
 
«Sì però quel plaid dove l’hai comprato?» chiese Finnan al Pride Trooper «Mi piace assai».
 
«Eccomi!» annunciò Ember, tornata appena in tempo da evitare a Jiren di rispondere «Dove andiamo di bello?»
 
«In questi giorni io e ma’ abbiamo trovato un paio di locali carini in questo blocco» disse Finnan «Quindi se non avete in mente altro avevamo pensato di andare lì».
 
Ember annuì. «A me va bene. A te, Jiren?»
 
Rassegnato, lo zetano rispose affermativamente con un breve cenno del capo.
 
«In uno di quei bar ho anche ritrovato uno con cui ero stata a letto qualche tempo fa!... a detta sua mi aveva anche rincontrata di recente, ma mi sa che ha leggermente sbagliato persona perché io al Red Ribbon non ho mai ballato» osservò Eve, pensierosa.
 
«Quindi quella specie di grosso gatto viola antropomorfo ubriaco cercava te!» allibì Ember.
 
“Appunto. Possono dire quel che vogliono ma per me questi qui sono venuti solo a portare problemi” pensò Jiren.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
«“I knew I loved you before I met you! I think I dreamed you into liiiife! I knew I loved you before I met you, I have been waiting all my liiife!”»
 
Il Blocco C era pieno di locali notturni, dunque non era poi così strano che l’allegro -più o meno- gruppetto, dopo averne girati un po’, si fosse fermato in uno abbastanza carino in cui c’era una serata dedicata al karaoke.
 
Così come non era troppo strana la voglia di morire o di uccidere qualcuno da parte di Jiren, ora che Finnan era arrivato alla terza canzone.
 
«È piuttosto bravo» commentò Ember, giocherellando con l’ombrellino del suo cocktail «In questa canzone in particolare sta mettendo proprio impegno!»
 
La serata fino a quel momento era stata piacevole -eccettuato il muso lungo del suo compagno, per il quale tuttavia non lo biasimava- ma nonostante le chiacchiere, che non erano mancate,  non era riuscita ad avere informazioni in più su ciò che le interessava in particolar modo.
Non era riuscita ad attraversare l’alone di mistero che i suoi familiari si portavano dietro, e la mancata riuscita dei suoi intenti le stava facendo venire voglia di fumarsi almeno una sigaretta.
 
«Ovvio che ci mette impegno» rise Eve «Finnan ha trovato la ragazza giusta e questa è la loro canzone».
 
«L’altra volta ora che ci penso mi aveva accennato qualcosa di lei mentre comprava quell’uovo con la faccia inquietante» ricordò Ember.
 
«Posso affermare con tranquillità che entrambi i miei figli si sono accompagnati bene, anche se il tuo uomo parla ben poco! A proposito» si rivolse a Jiren «Ti offro qualcosa di un po’meno analcolico? Ho cambiato parecchie mele».
 
«No. Grazie» declinò il Grigio.
 
«Eh, a proposito delle mele avrei qualche domanda da farti. Tipo, da dove vengono?» chiese Ember a Eve, cogliendo la palla al balzo.
 
«Dagli alberi, nighean ùr, come tutte le mele!»
 
«Io però non ho mai visto alberi che fanno mele di quel tipo» ribatté la ragazza.
 
«Vero, non li hai visti… ancora».
 
Niente da fare, nessun indizio o frase rivelatrice in più, nemmeno a pagarla con tutte le mele d’oro del mondo.
 
 Erano usciti insieme per conoscersi un po’ meglio, giusto? Eppure, nonostante tra una chiacchiera e l’altra Finnan e Eve ormai sapessero molto della sua vita a Dima -e anche qualcosa di quella su Amazon, anche se lei aveva evitato accuratamente di parlare di quel che l’aveva portata a lasciare il pianeta- lei non poteva dire di sapere granché della loro vita attuale.
Non sapeva neppure quanti anni avessero, a dirla tutta, ed era impossibile riuscire a stabilirla dal loro aspetto fisico: varie persone più o meno lucide avevano scambiato Eve per lei, però sua madre non poteva certo avere venticinque o trent’anni, e iniziava a chiedersi se per Finnan valesse lo stesso discorso.
 
«Vado un attimo in bagno» disse, piano, per poi alzarsi e allontanarsi rapidamente.
 
Circa un minuto dopo la canzone terminò, e Finnan si decise a scendere dal palco. «Ehi Jiren, ti andrebbe di fare un duetto?»
 
«No. Grazie» rispose questi, con la frase che aveva usato più spesso nel corso della serata.
 
«Un terzetto?»
 
«No. Grazie».
 
«Sai, mi ricordi un po’una ex di mia madre. Alla fine ero riuscito a entrare abbastanza in confidenza da poterci scambiare due chiacchiere, immagino che con te sarà più o meno lo stesso. È solo questione di tempo» attirò l’attenzione di una cameriera con un cenno «Una birra scura, per favore».
 
«Forse tra duecento o trecento anni» rispose il Grigio.
 
Finnan fece spallucce. «Va benissimo, io ci sarò! A proposito di gente che c’è e non c’è, che fine hanno fatto Ember e ma’?»
 
«Tua madre è-»
 
Il Pride Trooper stava per dire “è qui, non la vedi?” ma non poté completare la frase perché, di fatto, di Eve Hallows non c’era traccia.
 
«Immagino che siano andate in bagno» ipotizzò Finnan, appena dopo aver accolto con un sorriso e un “grazie” il boccale di birra scura «Perché ti sei alzato? Non vorrai seguire Ember anche lì?»
 
Jiren non rispose, ma l’intenzione era proprio quella. Non capiva il motivo di quell’atteggiamento e non gli piaceva nemmeno. Se quella strana donna doveva dire a Ember qualcosa di veramente innocuo, avrebbe potuto farlo anche davanti a lui.
 
«Che tu voglia proteggerla è una buona cosa, ne sei innamorato… e infatti magari dovrei dire a mio padre che non c’è più bisogno di aiuto» disse tra sé e sé «Ma anche lasciare sole almeno per qualche minuto una madre e una figlia che si incontrano per la seconda volta nella loro vita lo è. Quando ti abbiamo detto che non vogliamo fare del male a mia sorella era la verità. So che sei diffidente ma non mi sembra il caso di fare danni anche in questo locale, sebbene al Red Ribbon non abbia iniziato tu» concesse il ragazzo.
 
«Non mi fido di chi compare in casa mia dal nulla».
 
Finnan alzò gli occhi al soffitto. «E come darti torto? Io glielo avevo detto, che avrebbe fatto meglio a… bussare…»
 
Inizialmente lo sguardo di Finnan si fissò su un punto preciso del soffitto, poi iniziò a spostarsi lentamente in direzione della porta d’ingresso del locale.
 
Notata quella stranezza, Jiren sollevò lo sguardo a sua volta, trovandosi a osservare quello che sembrava in tutto e per tutto un ectoplasma di un alieno non meglio identificato con una voluminosissima pancia da birra e wurstel con ketchup.
Pur sapendo dell’esistenza dei fantasmi, era la prima volta che ne vedeva uno dal vivo.
 
«A quanto pare da queste parti è ancora stagione di caccia. Jiren, immagino che buona parte della tua diffidenza derivi dal fatto che ci conosci poco, quindi ti andrebbe di vedere come si caccia un fantasma? Anche se questo non sarebbe territorio di competenza mia o di Eve» mormorò Finnan «Ma spero che chi di dovere non se la prenda troppo se gli alleggerisco il lavoro. E magari resta un po’ a distanza, non vorrei che il fantasma tenti di possederti».
 
«È questo che fanno i fantasmi? Possiedono i vivi?» si informò il Grigio, suo malgrado interessato trattandosi di un potenziale pericolo.
 
«Spesso ci provano. A volte, se ci riescono con la persona sbagliata, diventano una rottura di scatole, soprattutto perché possono essere rispediti da dove sono venuti solo con strumenti particolari» spiegò Finnan, alzandosi dopo aver finito la birra scura con un sorso «Vado a pagare il conto, tu non perderlo d’occhio».
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ember, dopo aver asciugato le mani con un sospiro, alzò gli occhi sullo specchio sopra il lavandino, rendendosi conto soltanto in quel momento di non essere più sola.
 
«Ehilà di nuovo».
 
Dopo un breve sobbalzo, la ragazza si voltò verso la madre. «Un altro arrivo a sorpresa?»
 
«Stavolta sono entrata normalmente. Tutto a posto, nighean ùr?»
 
«Sì, è… anzi, no» si corresse Ember «Non proprio».
 
«Possiamo cambiare locale, se vuoi».
 
«Non è per il locale, del locale non mi importa. Senti, tu e Finnan siete venuti qui così che potessimo conoscerci e passare del tempo insieme, così avete detto. Giusto?»
 
Eve annuì. «Infatti quel che stiamo facendo».
 
«Più o meno. Tu e Finnan ormai conoscete piuttosto bene la mia vita attuale, anche perché quand’è al dunque non c’è poi così tanto da dire…»
 
«Considerando le frequentazioni del tuo ragazzo avrei da ridire su questo punto» commentò Eve, sorridendo come suo solito.
 
«… ma io di te e Finnan so ancora ben poco! Io… sì, so che questa è solo la seconda volta che ci incontriamo, so che per certe cose serve del tempo, mi rendo conto, sul serio, ma in queste poche volte in cui ci siamo visti avete messo un sacco di carne al fuoco su cose che in futuro forse, non si sa quando, potrebbero riguardare anche me, e ho avuto più domande che risposte. Anch’io voglio davvero conoscervi ma come faccio, se parlate per enigmi?»
 
Per qualche attimo nessuna delle due disse niente.
 
«Anche se non ho cresciuto Finnan l’ho sempre frequentato, tant’è che si è abituato a tutto questo e a me da quando era molto piccolo» disse Eve «Di solito mi importa poco e niente di quello che chiunque pensa o sa della sottoscritta, quindi non so bene come approcciarmi a una figlia adulta per la quale ovviamente non vale lo stesso discorso. È una situazione nuova per te, per tuo fratello e anche per me. E comunque ci sono cose che vanno dette nel momento e nel luogo giusto» si guardò attorno «O beh… posso sempre farmelo andare bene, per mostrarti qualcosa».
 
Le luci del bagno persero rapidamente energia, al punto di spegnersi dopo pochi istanti.
 
«Non correre via urlando, nighean ùr».
 
Inizialmente Ember, ancora leggermente scossa dal buio improvviso, non capì neppure a cosa si riferisse Eve; quando però notò di avere attorno dei piccoli esseri che sembravano fuocherelli azzurri muniti di braccine, occhi e sorriso vagamente inquietante, il primissimo istinto fu proprio quello di correre via urlando.
 
«C-chi sono?!...»
 
«Io li chiamo Willies. Sono stati generati da quel che ha generato anche me e tutti quelli della mia razza. Mi hanno assistita durante la crescita -perché sì, diverso tempo fa sono stata piccola anche io- e mi assistono ancora in alcune cose, tipo la caccia ai fantasmi o il semplice ritorno a casa. Non ti vogliono fare del male» la rassicurò Eve, allungando una mano sulla quale andò subito a posarsi un fuocherello.
 
Ember fece un respiro profondo e, preso coraggio, allungò una mano per toccare l’esserino. Questi parve esserne contento, al punto da abbracciarle l’indice. Non le face male, Ember avvertì solo una vaga sensazione di calore e di “vicinanza”, in senso fisico e non.
Improvvisamente quei fuocherelli non facevano più così tanta impressione.
A guardarli bene iniziavano quasi a essere familiari.
 
«Sono parte dell’eredità di tuo fratello e anche della tua; non so ancora in che misura ma, essendo tu una ragazza perfettamente normale, scoprirlo è inevitabile. Magari più tardi possibile».
 
«Tra quel che hai detto e il fatto che tu e Finnan diate la caccia a qualcosa che dovrebbe stare nell’oltretomba, inizio a chiedermi dove sia “casa”. E anche come sia».
 
«Vicino a casa c’è un bel frutteto di mele» sorrise Eve «Posso fartela visitare quando vuoi, come ho fatto con tuo fratello. Quando vorrai vederla potrai anche chiedere a Jiren di seguirci… non che sia necessario, perché immagino che cercherebbe di farlo a prescindere. A dirla tutta sono stupita che non sia ancora piombato qui sfondando la parete».
 
La luce tornò di colpo come se n’era andata, e com’era scomparso il buio scomparvero anche gli Willies.
 
«E a tal proposito direi di tornare dai ragazzi. Non vorrei che Finnan chieda al tuo uomo qualcos’altro sul plaid!»
 
«Se lo facesse mi sa che Jiren finirebbe a distruggere il locale per sbaglio» disse Ember, uscendo dal bagno assieme alla madre.
 
Con sua somma sorpresa, trovarono il tavolo vuoto.
 
«Sono usciti dal locale qualche minuto fa dopo aver pagato il conto» le informò la cameriera di prima «Uno dei due aveva la faccia di chi ha visto un fantasma».
 
«Il che è molto probabile. Credo che qui sia ancora stagione di caccia» commentò Eve, per poi farle cenno di avvicinarsi di più «Ho visto il biglietto che mi hai messo in tasca. Non posso dire che ti chiamerò perché come al solito non ho la più pallida idea di dove sia andato a finire il mio cellulare, ma rimarrò in città ancora per un po’, dunque sicuramente ripasso!»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
L’espressione di Jiren diceva chiaramente cosa pensava più di quanto avrebbero potuto fare mille parole.
 
«Torna quiiiii!»
 
Il fratello di Ember aveva parlato della caccia ai fantasmi dipingendola come una cosa piuttosto seria, al punto che lui stesso era uscito dal locale per guardarlo fronteggiare la possibile minaccia, tenendosi anche un po’ a distanza come Finnan gli aveva consigliato.
 
«Ma anche no! Io volevo solo tornare nel mio locale preferito ancora una volta, non volevo fare niente di male!»
 
Insomma, si sarebbe aspettato qualcosa più di un inseguimento che Finnan -probabilmente dopo aver capito che quel fantasma in particolare non aveva chissà che brutte intenzioni- non sembrava nemmeno prendere troppo sul serio.
O così suggeriva il fatto che stesse correndo dietro lo spettro brandendo una grossa gruccia che, a detta sua, era la seconda variazione della sua arma anti fantasmi.
 
«E comunque questo non è il tuo territorio, non è la prima volta che esco e le altre volte non sei stato tu a rispedirmi dentro! LASCIAMI IN PACEEEEE!» urlò il fantasma, lanciando due cassonetti contro il suo inseguitore.
 
«Non oggi!» esclamò Finnan, facendo diventare la gruccia una grossa spada-motosega a due mani -degna dei film di “Sharknado”- con la quale tagliò in due entrambi i cassonetti «Visto, Jiren?!»
 
Sì, ovviamente il Grigio aveva visto.
E altrettanto ovviamente si stava chiedendo cosa avesse fatto di tanto male in questa vita, o forse in una vita precedente, per ritrovarsi in una situazione così profondamente scema.
 
«Jiren!»
 
Lo zetano volse lo sguardo alla propria sinistra e, vedendo Ember arrivare assieme a Eve, non poté evitare di biasimare se stesso per aver scelto di assistere a una caccia inutile. Se non altro la sua compagna sembrava piuttosto tranquilla, pur essendo stata da sola con la madre, il che era un sollievo.
 
«Ember. È tutto a posto?» le chiese subito.
 
«Sì, va tutto bene» “E avrò diverse cose da raccontargli, dopo” aggiunse mentalmente la giovane «Che state facendo tu e Finnan qui fuori?»
 
«ALL’ARREMBAGGIO!» gridò entusiasticamente Finnan, tornato a brandire la gruccia, cercando di saltare addosso al fantasma panzone.
 
«Si diverte con un fantasma, direi» osservò Eve.
 
«Quindi quella cosa sarebbe un fantasma?» si stupì Ember.
 
 «Sì, ma direi che questo sia piuttosto innocuo. In caso contrario Finn l’avrebbe già rispedito dove deve stare».
 
“In ogni caso sarebbe apprezzabile se tuo figlio lo facesse in tempi brevi”.
 
Ember e Jiren sobbalzarono entrambi nel sentire una voce sconosciuta e metallica dentro le loro teste, mentre Eve si limitò a spostare lo sguardo su un vicolo buio. «Ehilà, Vaen!» esclamò, salutando con la mano.
 
Dall’ombra fuoriuscì una donna  tanto alta quanto magra, con un abito nero a coprire una pelle che sembrava biancastra. Era del tutto glabra, priva di ogni tratto facciale esclusi due occhi gialli grandi come acini d’uva, rotondi e ben distanziati, e stava ricambiando il saluto di Eve con uno identico, agitando una mano munita di sole quattro dita. Una sfera delle dimensioni di un’arancia, inoltre, la seguiva fluttuandole accanto.
 
Jiren pensò che a guardarla sembrava in tutto e per tutto un’abitante di un piccolo pianeta vicino, conosciuto semplicemente col nome V12… ma era una conoscente di Eve, il che non prometteva niente di buono.
 
“Ehilà, Eve Hallows. Tu e tuo figlio siete piuttosto lontani dal vostro territorio”.
 
Era una figura piuttosto inquietante, tanto che Ember senza nemmeno rendersene conto si avvicinò ulteriormente a Jiren, sperando di non dover vedere una lotta tra cacciatori di fantasmi -aveva parlato di territorio, come aveva fatto Finnan prima, dunque era probabilmente una collega- causata da uno sconfinamento.
 
“È curioso vedervi qui” continuò l’aliena, senza avvicinarsi ulteriormente.
 
Finnan, dal canto suo, si decise a finire il fantasma panzone con un fendente della propria arma, tornata nuovamente a essere una spada-motosega. «Ehilà!» salutò «Noi siamo solo in visita».
 
Seppur immobile, Jiren si stava preparando a rispondere a qualsiasi attacco in modo drastico. Non che temesse alcunché da parte quella tizia, non era nulla che non potesse gestire, ma essendo presente Ember intendeva stroncare qualsiasi cosa sul nascere.
 
«Questioni personali. Direi di famiglia» disse Eve.
 
Lo sguardo fisso di Vaen cadde su Ember e lì rimase. “Sei piena di sorprese anche per i nostri standard, Eve Hallows”.
 
«Sì» concordò questa, col suo sorriso inquietante «Sono piena di sorprese anche per me stessa, se è per questo».
 
“Non ne dubito” disse l’aliena, per poi tornare a sparire nell’ombra del vicolo, così com’era apparsa “Il tuo amico zetano comunque ha le chiappe d’oro”.
 
Eve rise di gusto. «L’abbiamo notato tutti!»
 
Dopo ciò, silenzio.
 
«Credo che sia andata» disse Finnan.
 
«Chi era quella?» domandò Ember «Una… collega?»
 
«Esatto» confermò Hallows «Si chiama Vaen e questo, quand’è stagione, è il suo territorio di caccia. Lei è della mia razza».
 
«Menti. Lei è un’abitante del pianeta V12. Tu no» la contraddisse il Grigio.
 
«Io non mento mai, mac-chèile. Anche perché…» fece spallucce «Non posso».
 
«Se non vi spiace vorrei tornare a casa. Mi sento piuttosto stanca» disse Ember, per la gioia di Jiren che non vedeva l’ora di sentire una cosa del genere «È stata una giornata lunga».
 
«Ti capiamo» sorrise Finnan «O beh, immagino che ci rivedremo presto!»
 
«E pensa a quel che ti ho detto riguardo casa. Quando vuoi basta farmelo sapere, nighean ùr».
 
Dopo un ultimo breve saluto si separarono e Jiren, riportando a casa Ember in volo, si concesse un lungo sospiro sia di sollievo per la serata finita, sia di rassegnazione perché ce ne sarebbero state altre.
Inoltre aveva svariate domande da farle.
 
«Di quale casa parlava?»
 
«La sua. È una lunga storia, Jiren, quando arriveremo a casa nostra ti racconterò tutto per bene. Alcune cose che ha detto mi danno di che riflettere. Non ne ho paura, ma inizio a pensare che, pur dando  la caccia i fantasmi, anche Eve, la sua casa e forse Finnan non siano precisamente di questo mondo… dei vivi».
 
Il Grigio aggrottò la fronte, più che mai in allerta. «In che senso?»
 
«Forse letterale. Non so dirlo bene neppure io e questo è precisamente il motivo per cui voglio saperne di più. Mi ha invitata a vedere casa sua e io, possibilmente, vorrei andarci presto. Con te, se tu-»
 
«Sì».
 
Non avrebbe dovuto nemmeno chiederlo: ben difficilmente lui l’avrebbe lasciata sola con dei familiari che diventavano sempre più strani a ogni incontro.
Prima erano dei mutaforma, poi dei mutaforma volanti con mele d’oro e oggetti magici, e ora Ember se ne usciva con l’idea che saltassero fuori dall’aldilà!
Se lei fosse stata una persona con appena meno buonsenso e quei due -tre, con quell’aliena del pianeta V12- fossero stati meno strani avrebbe ritenuto il tutto un’ipotesi abbastanza assurda.
 
«Verrò con te, Ember, anche se quella casa fosse nell’aldilà per davvero».
 
 


 
 
Sembrava impossibile… ma ce l’abbiamo (ho) fatta!
La canzone che canta Finnan si chiama “I Knew I Loved You”, dei Savage Garden.
Un’ultima nota nel caso a qualcuno sia venuto qualche dubbio: Vaen è un personaggio che appartiene a me e, aggiungo, è alla sua prima (e ultima, almeno qui) apparizione.
Alla prossima,
 
_Dracarys_
 
 

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