eddye nigma: l'antenata

di Fenix_Fox
(/viewuser.php?uid=1072021)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** introduzione ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** introduzione ***


 

23 Dicembre 1978

 

Il pianto di un bambino, spezzò il silenzio nel freddo inverno di un pomeriggio qualunque, era il 23 Dicembre dell’anno 1978, a San Ferdinando, un paesino pugliese non molto lontano dal mare di Margherita e dai monti del Gargano, nella famiglia Nigma nacque il loro primo figlio, lo chiamarono Edoardo e fu, come per ogni nascita, una gioia immensa.
La famiglia viveva in un appartamento che gli era stato donato dai genitori del padre di Edoardo, in quel posto i primi periodi passarono con gioia e dopo quasi sei anni, alla giovane coppia, nacque un secondo figlio, lo chiamarono Domenico. La famiglia Nigma era felicissima. Edoardo era contento di avere un fratello e ne era molto geloso, guai a chi lo toccava, ma pochi mesi dopo, la gioia divenne preoccupazione. Una sera la giovane coppia era in sala a guardare la televisione, quando udirono un pianto provenire dalle scale, scesero per vedere cosa fosse successo e trovarono Edoardo in lacrime seduto sui gradini.
 "Cosa ci fai qui? Dovresti essere a letto, sono le undici passate." Gli chiesero, ma lui non sapeva cosa rispondere. Appena si riprese, gli raccontò che mentre dormiva, aveva sognato di fluttuare verso le scale, avvolto da una luce molto forte e una volta sveglio si era ritrovato seduto ai piedi di essa ed era così spaventato che non sapeva cosa fare. I genitori lo tranquillizzarono e poco dopo lo rimisero a letto e per paura che potesse accadere nuovamente, decisero che gli sarebbero stati accanto per tutta la notte.
La mattina seguente portarono Edoardo dal medico, ma la diagnosi fu rassicurante, "sonnambulismo" disse loro, "non preoccupatevi col tempo passerà." Questa fu la risposta del medico, ma la cosa andò avanti per anni, ogni notte alla stessa ora, fino a quando, per lavoro, il padre decise di trasferirsi al nord e nel momento in cui se ne andarono da quella casa, non accadde più; ma quel bambino ormai cresciuto, avrà una vita segnata da ostacoli inverosimili.
Questa è la storia di Eddie Nigma. Questa è la mia storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


Premessa

 
Quest’opera, è composta su più linee temporali, per comprendere al meglio la storia, fate attenzione alle date poste in alto a destra, ogni volta che cambia la suddetta linea del tempo, buona lettura e buon divertimento
 

10 Gennaio 2014


Si avvicinava la sera, tra gli alberi innevati c’era un uomo alla ricerca disperata della via del ritorno, era magro, coi capelli castano scuri, gli occhi di un verde chiaro e vestito casual, un ululato in lontananza lo terrorizzava,  sapeva che perso tra quei monti non avrebbe più trovato il sentiero che lo avrebbe riportato alla baita dove alloggiava, un altro ululato più vicino gli gelò il sangue, non sapendo più cosa fare si mise le mani sul volto come per nascondere ai propri occhi quella realtà raggelante e il senso di morte che lo fece rabbrividire... Un ululato ancora, ma questa volta molto più vicino, il lupo lo stava raggiungendo e lui non sapeva dove andare, cominciò a girargli la testa, si accasciò sulle ginocchia, per lui era la fine... Un calore alle sue spalle, un fiato persistente, il cuore batté come non aveva mai fatto prima, il sudore, nonostante il freddo pungente dell’inverno, scendeva dalla sua fronte, il terrore si impadronì di lui, è finita, si ripeteva, ma il lupo non accennava ad attaccarlo, si limitava a respirargli sul collo, come ad assaporare il profumo per poi gustarlo lentamente, il respiro caldo e affannoso della bestia si spostò sul viso coperto dalle mani, la lingua dell’animale passò su di esse e mentre la paura cresceva sentì una voce gridare, "E' qui venite" sorpreso e perplesso tolse le mani dal viso ed aprì gli occhi, si accorse che quello che temeva fosse un lupo in realtà non era altro che un San Bernardo dei soccorsi e che la sua vita era in salvo, così mentre i suoi nervi ormai al limite si distendevano, i suoi occhi lentamente si chiusero e perse i sensi per lo spavento.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


 
 

25 Agosto 1995

 
Era l'ultima settimana di Agosto, a Giussano, una piccola cittadina della Brianza a 20 minuti circa da Milano e dai grandi laghi di Como e Lecco, uscivo con gli amici nel parcheggio dell'Esse, un centro commerciale, eravamo pochi ma uniti, più che una compagnia eravamo una famiglia, io ero ancora un diciassettenne ma ero il più grande, gli altri invece, avevano tutti tra i quattordici e i sedici anni, non ero grasso ma neanche quel che si dice una stecca da biliardo, avevo dei corti capelli castano scuro e occhi nerissimi, dicevano che soffrivo della sindrome di Peter Pan e forse era vero, ma non ci ho mai dato peso. Con me c’era Davide, quel ragazzo era come un fratello gemello per me, anche se dire gemello era un eufemismo dato che lui era biondo, capelli a spazzola e soprattutto magro, rispetto a me, un ragazzo pacato, a differenza mia, a quei tempi eravamo inseparabili. C’era anche Emanuele, pure lui magro, ma più alto di tutti noi, aveva i capelli rasati e si definiva un Gaber, cioè un patito di musica Hardcore.
L’unica ragazza del gruppo era Sabrina, una ragazza molto carina, snella e con i capelli sempre di un colore diverso, le piaceva fare esperimenti, io la rimproveravo sempre, dicendole di smetterla che prima o poi avrebbe fatto la fine di un pomodoro! Pelata! Era lei a portare allegria al gruppo e a tenerci tutti uniti posso dire che era il nostro collante, con lei in compagnia, avevamo la certezza che se c'era un problema lei era in grado di risolverlo, ci teneva a farci restare sempre così uniti. In fine c’era Luca un ragazzo robusto, coi capelli neri e corti, portava sempre il cappello dei New York Yankee e ascoltava musica House e hardcore dalla mattina alla sera come Emanuele, quando erano insieme non facevano altro che discutere su quale fosse il pezzo migliore tra l’una e l’altra musica, Luca era conosciuto meglio come il gran fifone, in effetti ci sorprese quando propose di andare alla villa abbandonata in cima alla collina, mai avremmo immaginato che se ne uscisse con una idea del genere... Ovviamente per noi, che amavamo certe ragazzate, dire di no era impensabile! Quindi accettammo il suo consiglio e andammo all’avventura.
Una volta giunti davanti ai cancelli della Villa qualcosa mi bloccò, mi sentivo osservato, come se da una di quelle finestre qualcuno mi stesse fissando, i miei pensieri si fecero alquanto inquietanti. Una domanda mi ballava nella testa... ci poteva essere davvero qualcuno lì dentro? Sapevo che da anni non ci viveva nessuno allora perché di quella sensazione? Forse era solo suggestione, certo l’aspetto tetro e fatiscente del luogo non aiutava.
Ero attratto e terrorizzato alla stesso tempo da quelle mura, volevo entrare con gli altri, ma sentivo che una volta dentro, la mia vita non sarebbe più stata la stessa, non potevo sapere se quella sensazione fosse il frutto della paura e i miei compagni insistevano per entrare, Luca aveva lo sguardo di chi aveva già cambiato idea, senza sapere che quella volta ero un po’ spaventato anche io... Dopo un continuo tira e molla, dissi a me stesso che dovevo provare,  Cosa poteva esserci di così tanto spaventoso? pensai...
Così presi il braccio di Luca con fermezza e rassicurandolo cominciai un passo dopo l’altro ad avvicinarmi ai cancelli di quella villa...
All’interno la sensazione non era migliore, ma ormai avevo deciso di entrare e cosi testardamente accesi una torcia che portammo con noi e proseguimmo stanza per stanza la nostra escursione, svoltato il grande corridoio che portava alle scale, trovammo una porta socchiusa, al suo interno non si vedeva niente per il gran buio, Emanuele con una pedata la aprì del tutto, nessuno però aveva il coraggio di entrare, la sensazione di paura si fece più intensa quando si sentii un soffio d'aria gelida e una voce femminile e un po’ rauca chiamarmi, arrivava proprio da quella stanza, "Avete sentito?" chiesi terrorizzato, i loro volti parlavano chiaro, avevano sentito benissimo "Che ne dite se ce ne andiamo?" propose Davide, anche se continuavamo a fissare quel vuoto oscuro, poi due occhi rossi brillarono nel buio, Luca che per tutto il tempo non era riuscito a dire una parola urlò talmente forte che tutti, me in testa, alzarono i tacchi correndo a perdifiato verso l'uscita senza voltarci fino ai motorini, poi una volta al sicuro mi girai per vedere se qualcuno ci avesse seguiti, eravamo tutti spaventati e tremolanti...
Tornammo al parcheggio, ormai era tardi, quindi salutai tutti e andai a casa, non mi sentivo ancora completamente al sicuro.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


11 Settembre 1995

 
Erano passate quasi tre settimane dalla nostra avventura, ero nel mio letto e cercavo il sonno con insistenza, le ferie erano finite e l’indomani mattina sarebbe ricominciata la scuola, frequentavo il quarto anno di giurisprudenza a Milano, mio padre mi voleva avvocato ma io volevo diventare investigatore privato, a casa mia però, o si faceva come diceva lui o niente, non mi ha mai obbligato ad andare a scuola, mi aveva semplicemente trovato lavoro dopo le medie, mi fece andare a consegnare l’acqua in giro per Milano con un suo amico e oltre tutto non retribuito, era logico che dopo cinque giorni gli chiesi io stesso di tornare a scuola, mio papà è sempre stato un uomo in gamba, riusciva a farsi obbedire senza arrabbiarsi o gridare, nonostante il suo vocione sarebbe bastato ad intimorire me e mio fratello non lo usava mai, preferiva farci capire dove stavamo sbagliando piuttosto che imporci il giusto, mentre pensavo a lui, alla scuola e al mio futuro finalmente mi addormentai, ma il mio sogno fu agitato, era notte fonda ed ero d’avanti alla villa sulla collina, sentì ancora quella voce che mi chiamava da quella stanza oscura, urlai ma dalla mia bocca non usciva alcun suono, poi una risata gelida e penetrante, non sembrava un sogno ma realtà , oltre tutto non riuscivo a svegliarmi, guardai la finestra aperta e vidi di nuovo quegli occhi, sempre più rossi e brillanti, ma finalmente suonò la sveglia e mi svegliai in preda al panico in una pozza di sudore, era troppo reale, eppure era un sogno, cercai di non pensarci e cominciai a prepararmi per il nuovo anno scolastico.
Mi preparai salutai mia mamma e mio fratello che erano seduti a tavola per la colazione e uscii di casa, mentre mi incamminavo verso la fermata dell’autobus che mi avrebbe portato a scuola mi venne una strana sensazione, mi sentivo osservato come la notte precedente nella Villa... e vidi una ragazza coi capelli neri, lunghi e lisci, era magra, poco più bassa di me e se non fosse per il suo sguardo minaccioso e carico di odio, sarebbe stata davvero una bella ragazzina, la sua insistenza nel fissarmi mi metteva a disagio, io ero lì, dall’altro lato della strada e lei mi indicava, in giro non c’era nessuno a parte noi due, il che era strano dato che erano le 7.45 del mattino, oltretutto il tempo non era dei migliori, delle nuvole nere e minacciose erano sopra le nostre teste, minacciose come il suo sguardo...
Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, ero come ipnotizzato, ma quando presi coraggio e provai a chiederle cosa voleva da me il clacson di un auto mi riportò alla realtà, mi svegliai era una specie di sogno ad occhi aperti, troppo reale ma sempre un sogno." Le strade erano piene di auto e gente che si recava a lavoro o a scuola, cercai di riprendermi mentre continuavo a camminare.
La giornata nella scuola passò veloce tra correzioni dei compiti, sgridate dei professori a chi non aveva studiato e ingiustizie da parte dei soliti bulli, io per fortuna non ero stato interrogato, ma le note sul registro di classe non mancavano per gli altri compagni, insomma il nuovo anno non prometteva nulla di diverso dal solito, ma io avevo altro a cui pensare.
Finite le lezioni decisi di passare da Sabrina, dovevo raccontare a qualcuno ciò che mi era successo quella mattina e la mia amica era l’unica con cui avrei potuto parlarne, citofonai a casa sua ma rispose sua madre, dicendo che al momento non era in casa e che sarebbe tornata per cena, quindi me ne tornai a casa mia, a quell’ora non sapevo proprio dove andare.
A casa c’era un silenzio irreale e, un biglietto dei miei genitori, “Siamo andati dalla zia Sabina, restiamo lì per cena, Domenico è con noi, Ti ho lasciato l'insalata di riso nel frigo, se esci non tornare tardi come al tuo solito. Bacioni La Mamma". Erano già tre anni che non uscivo con loro, non perché non mi volevano, anzi, ma perché mi sentivo abbastanza grande io e cercavo la mia indipendenza
Fosse stato un altro giorno non mi sarei preoccupato di rimanere solo in casa, ma quella sera mi sentivo a disagio dato gli ultimi avvenimenti, mangiai di fretta e subito dopo andai di corsa al parcheggio, data l'ora però, oltre al via vai dei clienti del centro commerciale, dei miei amici neanche l’ombra. Mi sedetti su uno dei panettoni di cemento a pensare e così provare a dare una spiegazione logica a quello che avevo sognato quella mattina, ma era praticamente impossibile.
Intorno alle nove arrivarono Lele, Davide e Luca, ma non vedevo ancora Sabrina, non volevo raccontare loro cosa mi era successo, solo Sabrina doveva saperlo, era l’unica fra tutti che non mi avrebbe preso per matto, l’unica che poteva aiutarmi senza giudicare, a lei piacciono queste cose e crede che al mondo nulla sia impossibile, quindi non mi restava altro da fare che arrendermi e aspettarla, nel frattempo cercai di essere quello di sempre.
Intorno alle nove e mezza mentre chiacchieravo con Lele, Davide dietro di me disse "Eddie è arrivata Sabrina!" Mi giro e la vedo parlare con Luca, ma con lei c'è una ragazza che però vedo solo di spalle mentre si presentava a quel fifone di Luca, aveva i capelli castani e ricci, e dai modi di fare e come parlava, sembrava molto socievole.
Sabrina venne verso di me e mi disse "Ciao Eddie!! Lei è mia cugina Samantha" mentre mi avvicinavo, lei si girò verso di me e quando i nostri occhi si scontrarono mi pietrificai, era lei, la ragazza che avevo visto quella mattina...
Restai fermo a fissarla frastornato, mi presentai cercando di far finta di nulla, "Piacere! io sono Edoardo, ma per gli amici sono Eddie", lei sorrise "Samantha! Piacere mio!!", di carattere sono sempre stato un tipo coraggioso, ma a dire la verità in quel momento il coraggio facevo fatica a trovarlo, le strinsi la mano, non dovevo far capire nulla agli altri e volevo evitare di sembrare scontroso o peggio antipatico.
Non riuscivo a respirare e non facevo altro che domandarmi chi diavolo fosse quella ragazza e perché l’avevo vista quella mattina, dopo le presentazioni mi guardò incuriosita e mi chiese "Tutto bene?" le risposi con voce incerta, "Si scusami è solo che mi sembra di averti già incontrato", "Abiti da queste parti?" lei mi sorrise ancora e mi rispose "No vivo a Bovisio", era molto carina e dolce a parte la fisionomia non sembrava affatto quella brunetta che avevo incontrato quella mattina e poi Samantha aveva i capelli ricci e più chiari di quella visione, quindi cercai di convincere me stesso che fosse solo somiglianza e cercai di mettere a suo agio la nuova amica.
Poco dopo Sabrina venne da me, "Eddie scusa me ne stavo dimenticando, mia madre mi ha detto che oggi pomeriggio mi cercavi" in silenzio le presi il polso e la accompagnai in disparte, le raccontai quello che mi era successo, ma non le dissi nulla sulla somiglianza con la ragazza e sua cugina.
Samantha mi sbucò alle spalle, era bianca in volto, involontariamente aveva sentito tutto, "Non è possibile" disse con aria smarrita, "Ho fatto lo stesso sogno questa notte" mi voltai di scatto e la vidi con l’espressione di chi vuole capire cosa stesse succedendo, i suoi occhi grandi e scuri, mi fecero tenerezza, il cuore mi batteva forte nel petto capì che non era una coincidenza averla conosciuta quella sera e che tutto era collegato, ma non capivo in che modo, ci raccontò il suo sogno, all’inizio si trovava in una villa diroccata, io pensai si trattasse della villa sulla collina, sentiva una voce di donna che la chiamava , poi si ritrovò catapultata sul marciapiede di una strada isolata, era buio e senza un perché stava indicando qualcuno, ma non riusciva a vederne il volto "Ero io!!" risposi "La ragazza di stamattina assomigliava a te, per questo ero così strano quando ti ho vista prima" affermai con certezza, in silenzio ci guardavamo negli occhi, cosa ci stava succedendo? E perché proprio a noi?
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


10 Gennaio 2014.

 
In un ufficio della via Roma in Bovisio Masciago, una cittadina non molto lontano da Milano, squilla il telefono, alla scrivania è seduta una ragazza giovane, bruna e col fisico asciutto, quando risponde dall’altra parte della cornetta sente una voce maschile " è l’ufficio dell’agenzia enigma?" chiede, "si signore, desidera?" gli risponde la ragazza con tono gentile " vorrei parlare con il signor Edoardo Nigma, è in sede?" continua la voce " si ma può parlare anche con me, sono la responsabile del personale dell‘agenzia" afferma lei " qui è l’ospedale di Silandro, lavora per voi un certo Antonio Ferri?" chiede l’uomo, "si è uno dei nostri investigatori, è successo qualcosa?" chiede preoccupata "è stato trovato da una squadra di soccorso in un bosco vicino a Pejo in stato di shock, qualcuno deve venire qui, farnetica cose senza senso e chiede del suo capo continuamente" gli spiega l’uomo al telefono, "non preoccupatevi stiamo arrivando noi, buona sera" detto ciò chiude il telefono senza attendere risposta e si fionda nell’altra stanza, " Eddie è successo qualcosa a Tony in val di sole, mi hanno chiamato adesso dall‘ospedale," la grande poltrona dietro la scrivania di noce che è di spalle verso la finestra si gira, ed eccomi lì seduto con la mia sigaretta fra le dita, un trentacinquenne coi capelli corti e scalati, i colpi  di sole, grasso e tranquillo, "ora calmati Sabrina, hai detto che è all‘ospedale, quindi non c’è motivo di preoccuparsi," cerco di tranquillizzarla, ma non è un’impresa facile "hanno detto che farnetica e che chiede continuamente di te, hanno bisogno che qualcuno vada li," mi spiega sempre agitata, io la guardo con aria interrogativa "dove lo hanno portato?" Sabrina mi risponde, "a Silandro" io la guardo negli occhi in attesa di dettagli, "poi?" ma lei non capisce "poi cosa?" mi chiede spazientita, "la via, il posto dove lo hanno portato, insomma poi?" lei si riprende dallo stato di smarrimento in cui è crollata "hai ragione, so che era l’ospedale ma non ho chiesto la via, richiamo subito, deve essere rimasto in memoria il numero" così dicendo si affretta nel suo ufficio, io intanto con la sigaretta in bocca apro il cassetto della scrivania e prendo la mia Smith Wesson, mentre mi alzo controllo che sia carica, poi la appoggio delicatamente sulla scrivania, prendo la giacca di pelle il bastone di frassino col manico d’argento e il mio cappello alla Indiana Jones che sono sull’appendi abiti e mentre affido la pistola alla cintura dei pantaloni, seguo la mia amica nel suo ufficio, la vedo con la cornetta all’orecchio e la penna alla mano prendere appunti, intanto prendo il mio cellulare e chiamo mia moglie, per avvisarla della mia improvvisa partenza.
Dopo circa quattro ore di macchina arriviamo all’ospedale, l’aria è fredda e il cielo coperto da nuvole che minacciano neve, parcheggio la mia focus station wagon grigia e scendiamo dall’abitacolo, ci sono circa settanta centimetri di neve sui bordi della strada e sui tetti, ci avviamo verso l’entrata quando un uomo col camice bianco, alto, magro e completamente calvo ci viene in contro, "signor Nigma?" mi chiede, io gli faccio cenno di sì con la testa "salve sono il dottor Enzo Mirra" si presenta porgendomi la mano "piacere mio lei è la signorina Colmo, la fidanzata del signor Ferri" gli rispondo, stringendogli la mano "speravo venisse un parente stretto, siete solo voi?" mi chiede ancora il dottore "i suoi parenti vivono in Germania, sono stati avvisati li richiameremo domani mattina per dare loro notizie di Antonio" rispondo "capisco, entriamo c’è un termos pieno di te caldo se volete." propone il dottor Mirra, io faccio un cenno compiaciuto e così entriamo nel pronto soccorso dell’ospedale.
Una volta dentro noto che Sabrina si guarda intorno alla ricerca di Tony, gli appoggio la mano sulla spalla cercando di farla star tranquilla, "tutto bene Sa?" le chiedo preoccupato, lei mi guarda e mi sorride "si Eddie tranquillo" mi rassicura lei "dottore dunque il signor Ferri?" chiedo io "ecco, si, abbiamo dovuto dargli un tranquillante, adesso sta dormendo da almeno trenta minuti, ma se volete potete vederlo domani, adesso sarà meglio lasciarlo riposare," ci spiega porgendoci le tazze di te al limone, "mi era stato detto al telefono che farneticava, può dirci cosa?" chiede visivamente preoccupata e delusa Sabrina, "parlava di una voce che aveva aizzato dei lupi contro di lui, diceva che lei signor Nigma era in pericolo e non riuscivamo a calmarlo, era sicuramente un delirio," sentito ciò io e Sabrina ci guardiamo negli occhi incuriositi ma non parliamo e continuiamo a sorseggiare te col dottore.
Tornati in macchina Sabrina si volta verso di me "secondo te cosa vuole intendere Tony con, una voce gli ha aizzato addosso i lupi?" mi domanda, io faccio spallucce, accendo la macchina e mi dirigo a un albergo lì vicino.
Arriviamo all’hotel  che è già passata la mezza notte, ci apre il portiere vestito elegante e con aria gentile, i capelli brizzolati, occhi azzurri e fisico asciutto, ci registra e ci dà una camera doppia, di mangiare oramai non se ne parla, la cucina è sicuramente chiusa e noi abbiamo altro a cui pensare, così siamo entrati ognuno nella propria stanza per dormire un po’, guardo fuori dalla finestra e cominciano a cadere i primi fiocchi di neve, domani sarà una giornata impegnativa quindi mi metto a letto e mi addormento quasi subito.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


14 Settembre 1995

 
Quella mattina mi svegliai con euforia, era sabato e avevo un appuntamento nel pomeriggio con Samantha, la cugina di Sabrina, a mezzo giorno mangiai con la mia famiglia in fretta e mi incamminai verso Mariano Comense, per prendere il treno che mi avrebbe portato a Bovisio, arrivato alla stazione c’era lei ad aspettarmi, ero emozionato, coraggioso per qualunque cosa, ma con le donne non ci sapevo proprio fare, andammo nel paese vicino, Limbiate, mangiammo un gelato e facemmo una passeggiata fino ad un parco dove passava un torrente, arrivati ad un cunicolo decidemmo di riposarci, non so cosa ci prese ma ci sentimmo attratti l’un l’altro, ci siamo guardati negli occhi e senza dire niente ci siamo baciati, lei mi guardò e mi chiese con un filo di voce e gli occhi bassi, "ma adesso siamo insieme? " e io emozionato gli feci si con la testa e così cominciò una grande storia d’amore, mi ero dimenticato che due giorni prima avevo il terrore di lei, pensai solo a quel momento e ai sentimenti che provavo, mi aveva stregato ed era fantastico, eravamo rimasti in quel parco per un bel po’, ma poi arrivò l’ora per me di tornare a casa, così andammo alla stazione di Bovisio, arrivammo in tempo, mentre sentivamo suonare la campanella che annunciava l’arrivo del treno, quel pomeriggio stupendo era purtroppo arrivato al termine e quindi tornai a casa.

La sera, dopo mangiato andai in compagnia, Sabrina era già lì che aspettava seduta su un carrello rovesciato e la testa fra le mani, io mi avvicinai e la abbracciai da dietro, con dolcezza gli diedi un forte bacio sulla guancia, lei girò la testa e mi guardò stranita, "davvero non so come ringraziarti," le dissi con un gran sorriso, "presumo che l’uscita con mia cugina sia andata bene allora?," mi chiese, ma con aria preoccupata, il mio sorriso si spense e guardai la mia amica negli occhi, " qualcosa ti preoccupa Sa?" chiesi a mia volta "ho parlato con mia mamma e gli ho detto tutto" mi confidò lei "tutto cosa?" continuai ad interrogarla, "della villa e di quello che ti è successo l’altro giorno con Sami e vuole vederti anche adesso" così dicendo si alzò dal carrello e si incamminò verso casa, io non potei far altro che seguirla.
Miriam Belli, la mamma di Sabrina, non che zia di Samantha, una donna dolce, schietta e simpatica allo stesso momento, bionda, con un fisico robusto, ci aspettava d’avanti l’ingresso di casa sua, dentro una ditta tessile, suo marito, ne era il custode, un uomo magro, alto e coi capelli scuri, aveva la stessa simpatia di Miriam, stare in loro compagnia era piacevole come essere a casa propria, "ciao Edoardo, vieni devo farti vedere una cosa" mi fece accomodare e prese da un armadio una rivista settimanale, il cui nome scritto in nero su uno sfondo rosso e una stella a cinque punte in alto a destra era l’occulto la aprì ad una pagina dove c’era una fotografia che occupava un terzo della pagina, la riconobbi immediatamente, era la villa sulla collina, "era la villa della strega Marianna belli, una mia antenata, fu bruciata al dall’inquisizione nel milleduecento settantanove con la sua stessa villa, prima di morire promise di ritornare e che si sarebbe vendicata," mi spiegò, poi girò pagina e notai un quadro, mi sembrò impossibile, era raffigurata una ragazzina ed era in tutto quella giovane che vidi la mattina di due giorni prima, quella strana ragazza che assomigliava tanto a Samantha, in fine Miriam terminò dicendo,  "settecento anni dopo la sua morte, nacque mia nipote Samantha, il tre luglio, stesso giorno e stesso mese, Edoardo, sono preoccupata per voi, dovete stare attenti, molto attenti" poi chiuse la rivista, la rimise nell’armadio e sorridendo mi chiese se volevo un biscotto fatto in casa porgendomi un vassoio pieno di tali prelibatezze.
 
A casa mia sul mio letto i pensieri si facevano strada nella mia testa, i tasselli cominciavano  ad unirsi, cominciai a capire cosa centrasse Samantha con quella storia ma non riuscivo a capire perché io, perché quella voce nella villa aveva nominato il mio nome, visto che non c’ero solo io li quel giorno, perché di quello strano sogno, tanto simile a quello di Samantha, perché l’altra mattina quella presenza indicava me e in fine perché mi sentivo tanto attratto da Samantha e terrorizzato da Marianna, se sembrano la stessa persona? A tutte queste domande non riuscivo a dare neanche una risposta, ma cocciuto come ero avrei cercato la verità a qualunque costo e non mi sarei fermato fin che non l’avrei trovata.

Quella notte sognai di nuovo la villa dall‘esterno, ma non era diroccata, ne bruciata, era una normale villa come le altre, era tarda sera, notai che la strada non era più asfaltata, le ditte e il pub che erano su quella collina non c’erano più, intorno c’era solo foresta, sembravano ricordi di un’epoca passata, come al solito mi sentivo attratto all’interno, ma questa volta, ero deciso a saperne di più, quindi raccolsi tutto il coraggio che avevo ed entrai, percorsi tutto il corridoio illuminato dalle torce ad olio appese alla parete, fino ad arrivare d’avanti a quella maledetta stanza, la porta era chiusa, io la aprì ed entrai, anche la stanza era illuminata dalle stesse torce, vidi quella strega legata ad un palo che bestemmiava e malediva la chiesa, si agitava e cercava di sciogliere i legacci, ma dopo un po’ si calmò mi guardò dritta negli occhi e mi disse "che tu sia maledetto prete, un giorno tornerò e mi vendicherò, porterò con me la distruzione della terra," mi sputò sui piedi e cominciò una risata raggelante che mi terrorizzò, mi sentì trascinare fuori e mi ritrovai di nuovo d’avanti a quei cancelli, vidi la villa che bruciava e sentì le urla strazianti di Marianna, quando mi svegliai erano ancora le tre di notte e i miei perché erano aumentati, rimasi a letto sveglio per tutto il resto della notte e intorno alle otto chiamai Samantha, "pronto Sami tutto bene?" gli chiesi facendo finta di niente, nella speranza che lei non avesse fatto quel sogno, ma io la sentivo piangere e capì che era spaventata "non preoccuparti Samantha, scoprirò cosa ci sta succedendo, vedrai che andrà tutto bene," cercai di rassicurarla "ho detto tutto a mio padre e mi ha risposto che non dobbiamo più vederci, mi dispiace" continuò singhiozzando per il dispiacere e chiuse il telefono, non lo conoscevo ancora suo padre e già lo odiavo, appoggiai la cornetta all’apparecchio telefonico, afflitto come non lo ero mai stato, il mio cuore andava a pezzi, oramai avevo perso la testa per lei, nessuno poteva tenerla lontana da me, neppure suo padre, alzai di nuovo la cornetta e composi il numero di Sabrina "pronto?" rispose ancora assonnata la mia amica "Sabri scusa se ti chiamo presto ma ho bisogno di un grosso favore."

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo 6 ***


11 Gennaio 2014

 
Mi sveglio intorno alle sette, faccio la doccia, mi vesto e busso alla stanza di Sabrina, "avanti" mi risponde lei, quando entro la vedo seduta già vestita, sulla scrivania sono posizionate tre carte coperte, molto seria mi guarda negli occhi "cosa dicono le carte?" gli chiedo "guarda tu stesso" mi risponde girando l’ultima carta alla sua destra, è la carta raffigurante l’arcano maggiore della torre, "lo sai anche tu che può significare un cambiamento improvviso" mi disse preoccupata, ma io con un sorriso la rassicuro "si ma non è detto che sia una cosa negativa, è solo un cambiamento, ma può essere qualunque cosa" poi gira la carta al centro, "di solito non si comincia dalla carta a sinistra per il passato?" gli chiesi, "io le ho già lette come si deve, ma è meglio che tu le veda una alla volta, poi mi dirai quale impressione ti danno," mi rispose, io guardai la seconda carta, era la morte " è difficile che escano due arcani maggiori nella stessa previsione" affermo "e non è tutto" mi interrompe lei girando la carta alla sua sinistra, è il diavolo, la prima cosa che mi viene in mente è la mia adolescenza, ma cerco di eliminare quel pensiero"non ci credo, lei è stata distrutta," ma Sabrina mi contraddice "uno dei significati dell’arcano del diavolo è la menzogna, sento che è tornata, non l’abbiamo distrutta, ce lo ha fatto solo credere e adesso è qui," seriamente preoccupato prendo il mio telefonino dalla tasca dei miei pantaloni e chiamo mia moglie, quando sento la sua voce tiro un lungo sospiro di sollievo, "amore tutto bene?" gli chiedo " si tesoro tutto bene e Tony come sta? Niente di grave spero" mi risponde "lascia stare, Tony sta bene, ascoltami, devi farmi un favore, non andare per nessuna ragione a Giussano," la ammonisco, poi concludo dicendo "è tornata, e sappiamo tutti e due chi vuole, Sami ti prego stai attenta" "non preoccuparti, non mi allontano da Bovisio, ma tu torna presto" mi prega molto preoccupata, poi ci salutiamo a malincuore, e chiudo il cellulare, "andiamo da Tony, dobbiamo parlare con lui" dico a Sabrina, ma lei mi fa cenno di no con la testa e mi indica la finestra, sposto la tenda con le mani e guardo fuori, per le strade c’è almeno un metro di neve e sta ancora nevicando "siamo bloccati" affermo con certezza e inerme mi siedo sul letto disfatto di Sabrina.

Dopo dieci minuti di smarrimento decidiamo di scendere nel ristorante per fare colazione e chiedere informazioni sulla tempesta della precedente notte, che ci ha costretti a stare in albergo, mentre addento la mia brioche alla crema sento involontariamente una signora che parla  con una sua amica della leggenda dell’hotel e gli dice che in una stanza, della quale non ne conosce il numero è nascosto un libro maledetto, che contiene formule segrete di magia nera, io con educazione e gentilezza mi volto verso la signora e le chiedo, "mi scusi, non volendo ho sentito che parlava di un libro maledetto, potrei saperne di più?" lei mi guarda e con un cenno positivo della testa mi dice che alloggia in quell’albergo ogni inverno sin da quando era bambina e che aveva sentito quella storia dal vecchio proprietario, ma che non sapeva più di quel che avevo appena sentito, ringrazio quella gentile signora e continuo con la mia colazione, con la coda dell’occhio guardo Sabrina e noto il suo sguardo interrogativo su di me, io a quel punto gli chiedo se è possibile finire di mangiare, poi ne avremmo parlato, dopo colazione e le spiegazioni su quel libro, ci alziamo e ci dirigiamo verso la hall, al bancone c’è la proprietaria, una signora di quarantasette anni, di nome Margaret, alta, magra, bionda, con una siluette che fa invidia a una ventenne e con un dolce sorriso. ci riceve nel suo ufficio collocato di fianco al bancone, gli spiego il motivo per la quale siamo in quel paese e comincio a chiedere cosa dice il meteo e se avrebbero liberato a breve le strade, lei mi risponde che avrebbe smesso di nevicare in giornata, ma che non sa quando avrebbero spalato la neve e gli avrebbero permesso di uscire, allora provo a chiedergli cosa sapesse del libro maledetto, ma lei, notevolmente spaventata mi dice agitata, di non saperne niente ma io provo ad insistere e  lei mi dice che non ha altro da dirmi e ci fa accomodare fuori dall’ufficio, "cosa ne pensi?" chiedo a Sabrina "ci nasconde qualcosa," mi risponde lei "ma lo fa per paura, hai visto che espressione quando ho nominato il libro?" continuo io, Sabrina mi guarda negli occhi e mi dice sì con la testa, poi mi chiede, "pensi sia lo stesso libro che avevano mia zia Rosalba E zio Giulio?" con la testa gli dico no e rispondo "da quel che ho capito questo libro è qui da molto prima e poi MIrco lo ha distrutto tra le fiamme, ma se la tua antenata riesce a trovare quest'altro siamo tutti nei guai."

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3768654