Daughter of Heaven

di willsolace_leovaldez
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sette semidei ed un invasato mi sfondano la finestra ***
Capitolo 2: *** Scopro di avere poteri magici ***
Capitolo 3: *** Conosco l'oracolo e mi danno un vecchio arco impolverato ***
Capitolo 4: *** La dea della terra vuole uccidermi. Ma, ehi, ha i biscotti ***
Capitolo 5: *** Arrivano i romani... uh. Hanno anche le aquile ***
Capitolo 6: *** Tempo di prendere delle decisioni. ***
Capitolo 7: *** Il peso della guerra ***
Capitolo 8: *** Questa non è la fine, è solo un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Sette semidei ed un invasato mi sfondano la finestra ***


Capitolo 1
Sette semidei ed un invasato mi sfondano la finestra

 
Questa storia non ha particolari colpi di scena o cose così. È semplicemente la storia di una ragazza a cui è cambiata totalmente la vita. Ovvero io. Salve, mi chiamo Giulia Bianchi, ho quindici anni, e vivo una vita tranquilla a Roma, cioè, vivevo. Già, perché la mia intera esistenza è stata sconvolta da un manipolo di adolescenti piombati, letteralmente, in casa mia. Ma lasciatemi spiegare. Ho sempre amato leggere, sin da quando ero piccolina. Leggevo di tutto, ma in particolare amavo la mitologia greca. Adoravo leggere le avventure di eroi come Achille, Ercole o Odisseo, mi faceva sentire bene, meno sola. In un certo senso, mi ci rispecchiavo. Ad ogni modo, io vivevo nel mio mondo fatto di eroi, dei e mostri e nessuno mi rompeva troppo le scatole. Finché quel mondo non è diventato realtà. Okay, ora se volete potete scoppiare a ridere e smettere di leggere, ma vi assicuro che potrei insegnarvi qualcosa di fondamentale per i semidei, tipo non uscire mai da soli durante una guerra, moderare il sarcasmo quando si è in presenza di dei,  oppure, cosa più importante, non incasinarsi mai e poi mai con un figlio di Efesto leggermente piromane. Comunque, non ho ben chiaro quello che accadde prima dell’arrivo dei suddetti adolescenti. Ricordo vagamente che ero seduta sul divano a vedere un film con la mia famiglia, quando sette ragazzini ed un nanerottolo di mezza età (che tra le altre cose continuava a gridare “A MORTE!!”) fecero irruzione a casa mia, in un pomeriggio afoso di metà giugno, sfondando la finestra. No, dico, esiste la porta! Una ragazza bionda, che doveva essere il capo, zittì il nano e mi si avvicinò squadrandomi. Ipotizzai che doveva avere un paio, forse tre, anni più di me. Era lo stereotipo della ragazza californiana, alta, bionda e abbronzata. Gli occhi però erano di un grigio da cielo in tempesta, magnetici, bellissimi. La odiai all’istante. Era perfetta. L’esatto opposto di quello che ero io. Non che fossi un troll, ma non ero decisamente a quel livello. In verità, credo che nessun essere vivente potesse essere bello quanto lo era lei. Pazienza. Perlomeno avevamo entrambe i capelli ricci. La bionda mi lanciò un’ultima occhiata prima di rivolgersi ai suoi amici
–È lei. Deve essere lei. Non possiamo sbagliare di nuovo!- esclamò. Parlavano inglese. Di nuovo? Quante altre finestre hanno rotto? pensai. Un ragazzo biondo con gli occhi azzurri spostò furente lo sguardo sull’ometto di mezza età in tuta e berretto
–Non ci saremmo persi se qualcuno non ci avesse condotti fuori rotta!- esclamò. L’ometto sbuffò
–Già! Valdez la prossima volta più attenzione!- disse mentre un ragazzo coi capelli scuri alzava le mani sulla difensiva. Il biondo si rivolse all’ometto
 –Non mi riferivo a Leo, ma a lei Coach!- disse mentre il tizio borbottava qualcosa. La bionda fulminò tutti con lo sguardo facendo cadere il silenzio
–Come ti chiami?- mi chiese, con uno sguardo più gentile
–Giulia Bianchi. Voi chi siete?- risposi nella loro lingua. Io e la mia famiglia viaggiamo molto, perciò tutti parlavamo inglese molto bene. Una scintilla di soddisfazione sfavillò nei suoi occhi grigi
–È lei- disse voltandosi verso il gruppo. Spostò la sua attenzione nei miei confronti –Io sono Annabeth Chase, loro sono Percy Jackson, Jason Grace, Piper McLean, Leo Valdez, Hazel Levesque, Frank Zhang e il Coach Hedge- disse indicando i diretti interessati uno ad uno. Il ragazzo riccio di prima catturò particolarmente la mia attenzione. Sembrava un elfo di Babbo Natale versione sudamericana. C’era qualcosa nel modo in cui mi guardava… mi infastidiva. Annabeth lanciò uno sguardo dietro di me, verso la mia famiglia
–Loro chi sono?- chiese. Ero un po’ riluttante a presentarli, non potevo fidarmi di completi estranei, potevano pure essere degli assassini per quanto ne sapevo io, ma non volevo essere scortese. In fondo mi hanno sempre insegnato che non si tratta male chi fa irruzione a casa tua rompendoti la finestra.
–Mio cugino Francesco- dopo la morte dei miei zii era venuto a stare da noi, praticamente un fratello per me -ed i miei genitori, Angela ed Alfredo.- spiegai. Annabeth mi guardò come se fossi un’aliena. Mi poggiò una mano sulla spalla, con aria imbarazzata
–Scusa se te lo chiedo, ma sono entrambi i tuoi genitori biologici? È possibile che uno dei due si sia risposato quando tu eri molto piccola, o qualcosa del genere?- chiese. Io la guardai sconvolta
-Certo che sono i miei genitori! Come ti permetti di insinuare una cosa del genere?!- chiesi sulla difensiva. Annabeth esitò, continuando a tenermi la spalla con la mano
-Giulia, è complicato. Se tu mi lasciassi spiegare io potrei dirti…- la interruppi prima che potesse dire altro
-No. Adesso ve la dico io una bella cosa! Questa storia è andata avanti fin troppo! Avrei dovuto chiamare la polizia appena avete messo piede in questa casa! Ora andatevene via e non vi fate più vedere oppure farò in modo che passiate il resto della vita in carcere, ve lo posso assicurare.- praticamente urlavo. Annabeth trasalì e ritrasse la mano indietreggiando, come se il contatto con la mia pelle l’avesse scottata. Si esaminò la mano con sospetto, poi mi guardò come se io l’avessi davvero bruciata. Mia madre mi poggiò una mano sulla spalla
-Giulia, basta.- disse. Io mi voltai verso di lei con gli occhi ancora velati dalla rabbia
-Mamma!-
-Ora basta!- ribadì con un tono che non ammetteva repliche –Chiedi scusa e sta a sentire ciò che hanno da dirti.- dichiarò, con il classico tono che usava solo quando ne combinavo una davvero grossa. Mi voltai nuovamente verso quegli otto strani personaggi, ma invece di chiedere scusa dissi soltanto: -Avanti. Ti ascolto, Annabeth.- lei parve tranquillizzata. Lanciò un’occhiata al ragazzo moro, Percy, e lui in risposta le sorrise con fare incoraggiante. Li osservai. Doveva essere il suo ragazzo, dato gli sguardi che si rivolgevano. Beh, lui era indubbiamente un bel ragazzo, ma non era il mio tipo. Annabeth rivolse di nuovo la sua attenzione su di me.
-Giulia. Noi, tutti noi, siamo semidei. Questo significa che siamo…- alzai gli occhi al cielo
-Metà umani e metà dei. Sì come no. Anche se fosse vero, e non lo è, questo che c’entrerebbe con me?- chiesi scontrosa. Annabeth mi guardò con un sopracciglio alzato, visibilmente irritata dalle continue interruzioni. Anche gli altri sembravano nervosi. Tranne l’elfo. Lui sembrava divertito. Quanto mi infastidiva la sua presenza.
-Sei informata vedo- alzai le spalle
-Mi piace la mitologia-
-Okay… senti, so che può essere ridicolo. Ma tu sei veramente una semidea. Probabilmente tuo padre è un dio e questo significa che devi andare in un posto sicuro, qui sei in costante pericolo. Ormai sei abbastanza grande. È solo questione di tempo prima che ti trovino.- disse. Io la guardai
-Cosa vuol dire?- non è che davvero non capissi. Sapevo che le sue parole avevano un senso, me lo sentivo. Ero io che rifiutavo di capire. Annabeth aprì bocca ma parlò un’altra voce
-Vuol dire che devi sloggiare.- a parlare era stato il tipo con la faccia da elfo. Ci girammo tutti a guardarlo. Annabeth gli lanciò un’occhiata di fuoco
-Leo!- sibilò. Io lo guardai meglio, capelli ricci e occhi furbi da casinaro. Doveva avere la mia età, non catturava particolarmente l’attenzione, anzi, messo vicino al tipo biondo o al moro, rimaneva perlopiù invisibile. Mi chiesi perché mai avesse catturato la mia.
-Che c’è?! L’hai detto tu no? È grande, non prende questa cosa seriamente.- disse, sotto gli sguardi stupiti degli altri, poi si rivolse a me –Moretta, ti consiglio di avere un po’ più di fiducia ed assumerti la responsabilità di essere una semidea.- dichiarò serio. Piper (si chiamava così quella con le piume in testa?) lo guardò a bocca aperta. Leo non doveva essere un tipo molto serio. Percy gli mise una mano sul petto
-Proprio tu parli di assumersi le proprie responsabilità?- chiese accusatorio. Leo distolse lo sguardo. Percy, come essendosi accorto solo in quel momento di cosa aveva detto, abbassò la mano, dispiaciuto
-Scusa, amico.- prima che Leo potesse replicare Annabeth li interruppe per poi girarsi verso di me
-So che ti sembra strano, ma devi credermi, Giulia. E se non vuoi credere a me, credi almeno ai tuoi genitori.- disse guardando la mia famiglia –Non so cosa nascondiate e non mi interessa saperlo, non sono affari miei. Ma Giulia è una di noi, e voi lo sapete- finì, guardando negli occhi mia madre. Io anche mi voltai a guardarla
-È tutto vero?- chiesi, imponendomi di avere un controllo e di non far tremare la voce.
-Sì.- quella semplice parola fu come un pugnalata al cuore –Giulia, tu sei speciale, non sei come le altre ragazze. Non lo sei mai stata. Noi… noi sappiamo come sia potuto accadere, so solo che poco prima della tua nascita… ho fatto un sogno. Era una donna che mi diceva che tu saresti stata diversa, speciale. Avresti fatto grandi cose, un giorno.- mentre parlava mi ricordai di quando, da piccolina, mia madre mi aveva detto le stesse esatte parole. Avevo la testa sulle sue gambe e lei mi accarezzava i capelli, piangevo. Le mie compagne di classe mi avevano nuovamente presa in giro e fatto scherzi pesanti, e quel giorno, in preda all’esasperazione, mi ero gettata tar le sue braccia in lacrime. Lei, con un tono dolce, mi aveva detto: “non piangere, bambina mia. Sono solo invidiose. Tu non sei come loro, sei diversa. Speciale. Sei destinata a fare grandi cose.”. All’epoca non capii cosa voleva dire, ma ora tutto cominciava ad avere un senso, dentro me. Lei sorrise e mi posò una mano sulla guancia
-Bambina mia, tu sei una semidea. E anche se so, nel profondo, che questo comporta un pericolo enorme, sono… siamo, immensamente fieri di te.- disse, apparentemente sincera. Se era fiera di me, perché non me lo aveva mai detto? Io mi scostai, fuggendo dal suo tocco. Il sorriso scemò e fece ricadere la mano lungo il fianco. Mi voltai e chiusi forte gli occhi, per trattenere le lacrime. Quindi l’uomo che credevo mio padre, non lo è. Mi hanno mentito, la mia vita è tutta una menzogna. Percy si avvicinò a me, mi mise la mano sulla spalla
-Giulia, guardami per favore- obbedii. Aveva proprio degli occhi bellissimi. Verdi come il mare -So che è uno shock e che sei confusa, lo siamo stati anche noi. È normale. Vedrai che al Campo Mezzosangue, l’unico luogo dove quelli come noi sono al sicuro, scopriranno chi è il tuo vero padre.- i suoi occhi verdi mi guardavano con un misto di dolcezza e comprensione. Decisi che era inutile negare. La verità era palese a tutti, e poi in qualche modo, dentro di me, sapevo che non mi stavano mentendo.
-Meglio sbrigarsi, sento puzza di guai.- disse il nanerottolo scorbutico. I semidei si guardarono allarmati. Alla fine Annabeth riprese il controllo della situazione
-Okay. Era solo questione di tempo prima che i mostri percepissero la nostra presenza. Giulia, bisogna sbrigarsi, vieni.- rimasi perfettamente immobile
-No.- assunse un’aria di esasperazione
-Giulia!-
-Oh basta. Non sto dicendo che non verrò. Ma posso almeno prendere qualche vestito? O al Campo non ne usate?- chiesi ovvia. Percy alzò la mano
-In realtà, al mio arrivo io non…- lo interruppi con la mano
-Ti prego basta.- mi rivolsi ad Annabeth -Farò veloce, lo giuro.- mi incamminai verso la mia camera. Mio cugino provò a dirmi qualcosa, ma io lo scansai. Non ero in vena di chiacchiere.
Raggiunsi la mia camera e mi chiusi la porta alle spalle. Non riuscivo a metabolizzare tutto quello che stava succedendo. Era davvero incredibile. Il mondo di cui da anni leggevo e sognavo era vero. Ed io ne facevo parte! Cominciai a buttare dei vestiti a caso in una borsa, scegliendo invece con cura quali letture portare. Avevo la sensazione che altrimenti mi sarei annoiata. Presi anche il mio blocco da scrittura. Non me ne separavo mai, mi faceva sentire completa. Qualcuno entrò in camera. Mi voltai, aspettandomi di vedere Francesco, ma rimasi stupita nel vedere che si trattava di Leo. Roteai gli occhi e tornai alle mie occupazioni
-Che ci fai qui?- chiesi acida
-Mi hanno mandato a controllarti- ridacchiai
-Proprio te?- lui si sedette sulla mia sedia
-Ti sembra strano? Sono anche io un semidio, sai-
-Non metto in dubbio il tuo essere un semidio. È solo che…- lo guardai e mi ricordai perché mi dava sui nervi. Aveva proprio una bella faccia da schiaffi -Tu non mi piaci.- rise
-Non sei la prima a dirlo- feci una finta faccia sconvolta, portandomi teatralmente la mano al cuore
-Non l’avrei mai detto!- alzai gli occhi al cielo e misi le ultime cose nella borsa. Leo allungò le gambe sulla mia scrivania e posò le mani dietro la testa
-Te neanche mi vai a genio, se vuoi saperlo.-
-Oh come potrò mai sopravvivere-
-Sei troppo sarcastica, te lo hanno mai detto?- sorrisi ironicamente e gli feci togliere le gambe dalla mia scrivania. Lui sembrò non curarsene -Ad ogni modo, sei una tipa tosta. Pochi riescono tenere testa ad Annabeth come hai fatto tu. E pochi la interrompono e sopravvivono per raccontarlo- chiusi la zip della borsa e me la misi in spalla
-Che fortuna- uscii dalla stanza seguita da Leo. Non mi fermai a guardarla un’ultima volta. Volevo credere che l’avrei rivista presto. Arrivata in salotto ci mancò poco che la mascella mi cadesse a terra. Percy e Jason erano in piedi nell’angolo cottura, entrambi con due scintillanti spade in mano, una di bronzo l’altra d’oro. Ma dove le avevano prese? Annabeth mi guardò
-Pronta?- io annuii e, dopo un suo cenno, i due ragazzi menarono un fendente al lavandino, facendo fuoriuscire una cascata d’acqua.
-Ma che fate?!- urlai
-Scusate, vi ripagheremo i danni- disse Percy, gettando una moneta nell’arcobaleno formatosi con il riflesso della sua spada –Oh, Iride, Dea dell’arcobaleno, accetta la mia offerta! Mostrami il Campo Mezzosangue- esclamò mentre l’immagine di quello che doveva essere il Campo compariva scintillando. Annabeth la indicò con un gesto della mano
–Non resterà aperto a lungo, devi attraversarlo ora- mi disse. Io la guardai stupita
–Voi non venite?- chiesi e gli altri sorrisero con nostalgia vedendo il Campo
–Non possiamo. Abbiamo una missione, siamo qui solo perché la nostra impresa fa una sosta a Roma. Adesso vai, noi aspetteremo per vedere se stai bene- mi spiegò. Io annuii leggermente e abbracciai forte la mia famiglia. Nonostante tutto, non riuscivo a lasciarli. Stavo per attraversare il “portale” quando la voce di Leo mi bloccò
-Ehi Giulia, tieni questa- disse mostrandomi una fascia nera per capelli. Io lo guardai stranita
-Perché avevi una fascia per capelli e cosa dovrei farmene io?- chiesi. Lui sorrise furbo
-Uno: non sono affari tuoi. Due: perché così ogni volta che la guarderai penserai a me, ovviamente.-
-E perché mai dovrei voler pensare a te?- ma misi comunque la fascia in una tasca dei calzoncini jeans
-Tutte vogliono pensare a me!-
-Sì, come no.- dissi.
-Ah comunque vedi di tornare viva dall’addestramento, vorrei  conoscerti meglio. Sento che potremmo diventare grandi amici- ammiccò, poi sorrise in modo strano
-Certo certo, come no- replicai e ricambiai lo stesso sorriso. Pensai che in fondo non fosse così male. Lo so, ho le idee confuse. Ad ogni modo, lanciai un bacio alla mia famiglia ed entrai nel portale. All’improvviso la mia allegria scomparve. Non mi trovavo più a casa mia, ma in un enorme prato verde, nel bel mezzo dell’America, probabilmente a Long Island. C’ero già stata, ma all’epoca avevo la mia famiglia accanto a me. Guardai attraverso l’immagine, mia madre, mio padre e Francesco ricambiavano il mio sguardo con un sorriso triste. Erano così vicini, ma così distanti. A circa 7000 km di distanza. Metro più metro meno. Mi bastava allungare una mano per poterli toccare, per tornare alla normalità. Prima che potessi fare qualsiasi cosa di impulsivo, l’immagine scomparve con uno scintillio. Rimasi lì, immobile, a fissare il luogo dove prima c’era la mia casa, la mia vita, finché non sentii un rumore di passi e di… zoccoli? Mi voltai e vidi arrivare di gran carriera verso di me una marea di persone. Adolescenti, tutti con la stessa maglietta arancione indosso con sopra scritto “Campo Mezzosangue”, di diverse stazze ed etnie. Erano davvero tanti, alcuni avevano persino in mano un’arma, dello stesso materiale della spada di Percy. C’erano anche delle ragazze che non sembravano umane. A vederle meglio, alcune avevano la pelle azzurrina mentre altre verdognola. Poi vidi arrivare anche un numero cospicuo di ragazzi che, beh, non erano esattamente ragazzi. Dalla vita in su tutto tranquillo, ma dalla vita in giù erano asini (qui c’è il mio amico Grover, un satiro, che fa notare di essere in parte capra. Non asino. Scusa Gro’). Mi ricordai di aver letto di creature simili in alcuni libri di mitologia, erano satiri. Comunque, quando credevo di aver visto di tutto, arrivò, dulcis in fundo, un uomo sulla quarantina, barba incolta, capelli brizzolati, occhi castani dall’aria gentile e un bel didietro da cavallo. Eh già. Quell’uomo aveva la parte inferiore del corpo di uno stallone bianco, quindi supposi che doveva essere un centauro. Ma dove ero capitata? Mi guardai intorno spaesata. Tutte quelle persone mi fissavano, alcune con curiosità, altre con indifferenza altre persino con astio. L’uomo-cavallo si avvicinò a me
-Sei tu la nuova semidea? Come ti chiami bambina?- chiese. Io lo guardai un po’ intimorita. Da ciò che avevo letto i centauri non godevano di una buona reputazione.
-S-sono Giulia, signore- dissi con un fil di voce. Lui sorrise
-Sai già di chi sei figlia?- chiese, sempre sorridendo. Mi guardai intorno, tutti quei ragazzi ora parevano molto interessati alla mia risposta.
-N-no- dissi con un fil di voce, ancora troppo shockata per poter spiccicare parola. Lui mi guardò comprensivo, aprì bocca per dire qualcosa ma la richiuse immediatamente. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, anche gli altri mi stavano fissando nello stesso modo.
 –Cosa avete tutti da guardare?- chiesi incrociando le braccia al petto. Una ragazza con lunghi capelli neri e truccata peggio di una Barbie mi corse incontro e mi passò uno specchio. Io lo afferrai riluttante ed osservai il mio riflesso. E rimasi di stucco. Ero circondata da una specie di alone giallo-azzurro e sopra la mia testa volteggiava un simbolo del medesimo colore. Un sole color giallo oro affiancato da una pergamena argentea.
–Ma c-cosa succede?- chiesi confusa facendo cadere lo specchio a terra. All’improvviso l’aria vicino a me si piegò e due figure fecero il loro ingresso in scena. Una, alla mia destra, era una donna con lunghi capelli castani intrecciati fra di loro, con due ciuffi che le ricadevano davanti al viso. Aveva due grandi occhi castani che mi scrutavano con una dolcezza infinita. Era bellissima. Indossava una veste greca candida come la neve invernale e una piccola tiara fra i capelli. L’uomo alla mia sinistra invece era alto e atletico, con una zazzera di capelli biondi e un paio di occhi azzurri da mozzare il fiato. Aveva denti di un candore irreale, un naso perfetto e un viso da far sognare. Indossava una semplice maglia arancione, come quella di tutti gli altri, un paio di jeans e delle All Stars nere, ma risultava perfetto. Come lo avrebbe definito Alice, la mia migliore amica, era un vero schianto. Quando incrociai il suo sguardo avvertii una sorta di calore attraversarmi il corpo. Una ragazza bionda si fece avanti con i grandi occhi azzurri sgranati
-Papà?!- disse sorpresa e il biondo sorrise. Io lo osservai. Papà? Non dimostrava più di diciassette anni! Vidi che una dozzina di ragazzi e ragazze si erano riuniti attorno a quella che aveva parlato. Il ragazzo a quel punto lanciò uno sguardo nervoso alla donna, ma lei non sembrava turbata. Anzi, sembrava così… serena. Entrambi si voltarono verso il centauro, ignorandomi completamente. E il ragazzo parlò:
-Chirone- aspetta. Quel Chirone ? –Zeus non ci permette, soprattutto a me, di stare qui per molto. Sappi solo che questa ragazza- mi poggiò la mano sulla spalla –è mia figlia e che…- venne interrotto dalla donna
-Non solo, Apollo. È anche mia figlia.- replicò, senza perdere la sua espressione tranquilla. Entrambi avevano una voce calda e melodiosa, quasi familiare. Tutto il Campo li guardava con occhi sgranati, alla fine Chirone si fece avanti
-Divino Apollo, divina Calliope. Siamo onorati che siate venuti ad graziarci con la vostra presenza, soprattutto in un momento così delicato, ma non comprendo come possa essere possibile una cosa del genere. Questo farebbe di Giulia una dea.- disse. I due stavano per rispondere, ma io li interruppi. Ecco, piccolo avviso, interrompere un dio, soprattutto se potente come Apollo, non è mai una buona idea. Ma, ehi, io ero ancora sconvolta, mi hanno perdonata, ma potrebbero non essere altrettanto indulgenti in circostanze normali.
-Aspettate, time out! Cosa?- li guardai –Voi siete i miei genitori? Allora perché mi avete lasciato sulla terra? Non mi volevate? Ma soprattutto, perché vi ripresentate solo ora? Dopo quindici anni di vita normale. Perché adesso?- chiesi, forse un po’ troppo dura e insolente. Apollo mi guardò negli occhi, sembrava seccato dal mio comportamento, ma neanche troppo
-No, Giulia, non lo pensare nemmeno. Ovvio che noi ti volevamo, ma è stato complicato. E troppo lungo da spiegare ora. Ma non pensare nemmeno per un istante che sei stata di troppo.- disse. Calliope si fece avanti
- Chirone, noi dobbiamo tornare sull’Olimpo, Giulia ti dirà tutto. Anche se non ne è consapevole, lei sa molte cose.- spiegò, poi si rivolse a me e mi prese il volto fra le mani
–Mi dispiace così tanto tesoro mio- disse dandomi un leggero bacio sulla fronte. Anche Apollo si avvicinò e mi strinse in un abbraccio. Mi sorpresi a ricambiare la stretta
–Qualunque cosa pensi ora e che deciderai di pensare quando saprai la verità, sarai sempre la mia bambina. Rimpiango molto della mia vita, ma non te- mi disse sottovoce. Cosa pensavo in quel momento? Non lo sapevo nemmeno io. Cosa avrei pensato? Non ero più tanto certa di voler sapere la verità. Stavo per piangere, ma mi imposi di rimanere forte ed annuii brevemente. Mia madre e mio padre scomparvero così come erano arrivati, tanto che stentai a credere che fosse accaduto veramente, ma la sensazione dei loro abbracci e dei loro sorrisi era verissima. Mi voltai verso la folla che mi guardava con occhi diversi. Se prima c’era qualcuno che rideva di me sotto i baffi, ora tutti mi guardavano con una sorta di riverenza, un po’ intimoriti forse. Capii che dovevo essere una sorta di scherzo della natura per loro. Perfetto pensai io sona la più diversa fra i diversi. Naturale. Chirone si inginocchiò e gli altri lo imitarono. Poi iniziò a parlare
–Ave, Giulia Bianchi, figlia di Apollo dio delle arti, del Sole e della medicina e di Calliope musa della poesia epica, ave Figlia del Cielo.-
 
*Angolo Autrice*
 Ciao a tutti! Sono willsolace_leovaldez, potete chiamarmi Willie, e sono tornata dopo tanto, forse troppo, tempo con una nuova storia su Percy Jackson! *lancia coriandoli in aria* okay, ad essere sinceri questa non è una nuova storia. Ce l’ho pronta da davvero parecchio tempo, qualche anno in verità, ed oggi ho deciso che valeva la pena farla leggere a qualcuno, invece che tenerla in un angolino a prendere polvere. Ma perché ho aspettato così tanto tempo prima di pubblicarla? Sinceramente, non lo so neanche io. Forse un po’ perché non era finita e un po’ perché tendo a modificare le storie più e più volte, fino a che non sono esattamente come voglio io. Questa potrebbe non essere perfetta, ma mi piace abbastanza, quindi eccola qui! Detto ciò, che ne pensate? Spero vi piaccia e che non vi sia sembrata noiosa, io ho cercato di renderla il più divertente possibile, e spero vivamente di esserci riuscita. Fatemi sapere se volete che la continui. Se così fosse, giuro che mi impegnerò a pubblicare un nuovo capitolo ogni settimana e a non essere una ritardataria cronica ahahahaha
Un bacio ed un abbraccio enorme,
Willie 

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Capitolo 2
*** Scopro di avere poteri magici ***


Capitolo 2
Scopro di avere poteri magici

 
Mi mancava il fiato. Non riuscivo nemmeno a formulare un pensiero o una frase. Me ne stavo lì, a guardarli mentre i semidei si alzavano e venivano mandati a svolgere le proprie attività da Chirone. Dopo aver costretto anche l’ultimo ragazzo ad andarsene, il centauro si avvicinò a me.
-Andiamo, Giulia. Vieni con me- disse prendendo lui la mia borsa e dirigendosi verso una grande villa vittoriana a tre piani con le pareti pitturate di azzurro e gli infissi bianchi, che prima non avevo notato. Adesso che lo osservavo meglio, non avevo fatto caso ad un sacco di cose. Quel posto era immerso nella natura ed era tutto colline verdeggianti e laghetti scintillanti. Doveva essere un bel posto dove vivere. Entrammo nella villetta e notai che era molto accogliente, l’ingresso era pieno di poltroncine e divanetti ed ad una delle pareti era attaccata una testa imbalsamata di un leopardo. In un angolo c’era persino un vecchio videogioco di Pac-Man! C’erano anche delle maschere greche attaccate alle pareti. Decisi che quel posto mi piaceva. Rividi le mie precedenti impressioni quando mi accorsi che la stanza era completamente ricoperta di tralci di vite. Come cavolo era possibile? Quando misi piede in quello che doveva essere il soggiorno Chirone mi indicò il corridoio
-Se ne hai bisogno, in fondo al corridoio c’è un bagno.- ne avevo bisogno? Decisamente. Ringraziai con un sorriso forzato e mi avviai per la direzione indicatami da Chirone, quando un rumore molto simile ad un ruggito mi trattenne. Mi voltai e vidi che la testa di leopardo che avevo notato era tutt’altro che imbalsamata. Urlai dal terrore e mi appiatti contro la parete opposta. Chirone non riuscì a trattenere una risata. Perché, ovviamente, è normalissimo che una testa imbalsamata sia viva. Ovviamente.
-Quel coso è vivo!- urlai, indicandolo. Chirone frugò in un cassetto e tirò fuori un pacchetto di crocchette per cani. Ne lanciò una al leopardo, che l’azzannò al volo e si leccò i baffi.
-Perdona l’arredamento- disse rivolgendosi poi a me –Tutto quello che vedi è stato un dono d’addio del nostro ex direttore prima che venisse richiamato sull’Olimpo. Pensava che ci avrebbe aiutato a ricordarlo. Il signor D ha uno strano senso dell’umorismo. Quanto a Seymour…- aggiunse riferendosi alla testa sulla parete –beh, il signor D l’ha liberato dalle bancarelle di un mercatino delle pulci, a Long Island. Il leopardo è il suo animale sacro, e il signor D era inorridito che qualcuno avesse imbalsamato una così nobile creatura. Ha deciso di donargli la vita, nella convinzione che una vita da testa appesa al muro sia comunque meglio di nessuna vita. Devo ammettere che è un destino migliore di quello toccato al precedente proprietario di Seymour.*- spiegò.
-Signor D… Dionisio!- esclamai ricordandomi che il leopardo era l’animale sacro del dio del vino –il vostro direttore era il dio del vino!- Chirone annuì
-Sì bambina mia, però non mi metterei a dire i nomi degli Dei a destra e manca. I nomi sono potenti ricordalo.- mi ammonì poi. Io annuì leggermente, non capendo molto bene cosa ci fosse di così potente in un nome
-Okay… che fine ha fatto? Perché è stato richiamato?- chiesi. Chirone agitò la coda e andò verso una sedia a rotelle, sulla quale, non chiedetemi come, si sedette, sembrano subito più rilassato
-Sull’Olimpo sono, come dire, in agitazione. Hanno chiuso i battenti. Si hanno loro notizie soltanto quando devono riconoscere qualche semidio. Sono in condizioni pessime, stanno impazzendo lentamente. Combattendo tra la loro natura greca e quella romana.- sospirò con aria grave –Non è il momento per certi discorsi, ora vai- concluse. Io ovviamente volevo sapere di più, ma dal tono che aveva usato Chirone capii che il tempo per le domande era terminato e che non fosse saggio insistere su quella storia. Mentre passavo vicino a Seymour per andare verso il bagno, lui annusò l’aria come in cerca di altre crocchette. Mi chiesi dove finisse il cibo, ma pensai fosse meglio non chiedere, in fondo non ero poi così certa di volerlo sapere. Non appena chiusi la porta del bagno, mi poggiai con tutto il corpo contro di essa, lasciandomi scivolare fino al pavimento con un sospiro. Stavano succedendo troppe cose insieme. Non capivo più nulla. Apollo e Calliope, due Dei, sostenevano di essere i miei veri genitori. Era impossibile, non avevo mai sentito una cosa simile. Avevo letto tantissime storie di figli di un dio e un mortale, ma mai di persone figli di due divinità che avevano anche dei genitori mortali. Non esistevano secondo la mitologia. Io non esistevo. Dopo una decina di minuti mi decisi ad alzarmi in piedi ed aprii l’acqua fredda. Ne presi un po’ fra le mani e me la gettai sul viso. Mi guardai allo specchio. Ero pallida come un fantasma. Mi pizzicai un po’ le guance, per cercare di far affluire un po’ di colore. Non fece miracoli, ma fu d’aiuto. Sembravo decisamente meno morta. Presi un bel respiro e decisi di ritornare da Chirone. Il centauro stava leggendo un libro e non si accorse di me. Non sapevo molto bene cosa fare, non volevo interromperlo mentre leggeva, ma non potevo nemmeno rimanere lì ferma come uno stoccafisso. Quindi mi schiarii leggermente la voce, annunciando la mia presenza. Il centauro si voltò verso di me e sorrise facendomi segno di accomodarmi. Mi sedetti su uno dei divanetti in pelle di fronte al camino spento, mentre Chirone si mise con la sua sedia di fronte a me, guardandomi in attesa. Ovviamente voleva conoscere la storia. Storia che io non sapevo. Calliope aveva fatto proprio un bel lavoro affidando a me tutta la responsabilità e scomparendo. Peccato che io non sapevo nemmeno che loro fossero i miei genitori, figuriamoci se potevo giustificare la mia esistenza.
-Giulia,  so che è difficile, ma vuoi darmi qualche spiegazione? Dimmi tutto quello che sai.- disse, tentando di farmi sentire a mio agio. Io mi misi a gambe incrociate e lo guardai con innocenza
-E cos’è che so io?- domandai a tono. Lui sospirò
-Giulia…- disse in tono ammonitore
-Signore…- lo stavo per far spazientire, ma io non sapevo davvero niente
-Giulia, lo so che non ti puoi ricordare nulla, però i tuoi genitori mi hanno garantito che tu avresti potuto darci qualche spiegazione. Sei molto più speciale di qualsiasi altro semidio qui dentro, è importante capire perché. Anche tu vuoi sapere la verità, nel profondo. Quindi prova a concentrarti, davvero non senti nulla?- insistette. Io sospirai, ero tentata di rispondere con un secco “no”, ma sapevo che non ci avrebbe condotto da nessuna parte, quel centauro poteva essere davvero convincente! Perciò, chiusi gli occhi e provai a concentrarmi, iniziai a sentire come una voce parlarmi, ma ero più che certa di essere l’unica a sentirla. Grandioso, pensai, ora sento anche le voci nella mia testa! Nonostante la stranezza del fatto, decisi di assecondare quella sensazione. Aprii gli occhi e presi un bel respiro. Poi iniziai a parlare
-Mi chiamo Giulia Bianchi, ho quindici anni e sono nata… sull’Olimpo. I miei genitori…- mi si incrinò la voce, era più difficile del previsto –i miei veri genitori, sono Apollo e Calliope, due Dei. Questo dovrebbe far di me una Dea, ma non lo sono e non lo potrò mai diventare, a meno che non mi offrano l’immortalità ovviamente. Io sono una semidea, ma una semidea un po’ diversa. Sono una cosiddetta “Figlia del Cielo”, ovvero una ragazza nata da due genitori divini che per qualche strana ragione hanno dovuto abbandonare il loro bambino sulla terra senza poteri. Siamo quasi una leggenda.- non sapevo veramente quel che stavo dicendo, anzi lo stavo apprendendo in quel momento. Parlavo come in trance, seguendo ciecamente le parole che mi venivano sussurrate all’orecchio. Chirone, rimanendo in silenzio, mi fece segno di proseguire. -Io sono la prima dopo tanti anni. Ma non mi chieda perché io sia qui. Ti prego- le ultime parole le avevo sussurrate. Chirone annuì leggermente, accettando la mia decisione. Non volevo sapere perché i miei genitori mi avevano lasciata andare, non in quel momento. Anche se avevo una mia personale teoria. Secondo me quando l’Olimpo rischiava un sovraffollamento Zeus andava da famiglie a caso e diceva cose del tipo: “Ciao, come butta? Ah sentite, dite addio a vostra figlia. Se volete che viva, domani dovrete spedirla giù dal regno immortale. Ma, ehi, la vita è bella, potrete di sicuro sfornare altri bimbi! Ci si vede!” o cose così. Non era proprio il massimo, ma era lo scenario più piacevole da immaginare.
-Sei proprio sicura, Giulia? Questa potrebbe essere l’unica chance rimasta per scoprire la verità- feci un sorriso amaro
-Ho vissuto in una bugia per quindici anni. Credo di poter sopravvivere un altro po’. – feci una pausa -Quello che voglio sapere è perché ora. Perché solo adesso si sono degnati di farsi vivi?-
-Perché ti abbiamo trovata e condotta qui, i tuoi genitori sono stati costretti a riconoscerti. Questo vuol dire che sei in pericolo.- lo guardai confusa –Se hanno fatto in modo che ti trovassimo e se ti hanno riconosciuta è perché sei abbastanza grande. Sei abbastanza grande perché le tue particolari capacità si manifestino. Tutti i semidei hanno qualche potere o abilità ereditata dai propri genitori. Tu hai più o meno il doppio dei poteri di un mezzosangue qualsiasi. Oltre a quelli ereditati, hai dei poteri tuoi e ben presto si manifesteranno. E quando lo faranno saranno tutt’altro che meravigliosi. Avranno una forza disruttiva, pari a quella di una bomba atomica, per essere stati sopiti così a lungo. Dobbiamo fare in modo che tu riesca a contenerli, almeno per il momento. C’è una piccola possibilità che con l’avanzare del tempo si quietino, fino ad essere, per così dire, “passivi”, completamente sotto il tuo controllo.ma fino a quel momento dobbiamo fare qualcosa noi- spiegò andando verso un armadietto. Sospirai
-Come dovrei fare?- Chirone frugò dentro una delle ante e ne tirò fuori un vecchio guanto da arciere, che poi mi lanciò. Io lo afferrai e lo posai immediatamente con un verso di disgusto. Era rivoltante.
-Dai su provalo- insistette lui. Lo presi riluttante in mano e lo squadrai. Era troppo piccolo per entrarmi e troppo rovinato per reggere. Inoltre puzzava di pesce marcio e di vino troppo stagionato. Chirone però lo guardava pieno di aspettative. Poi dal guanto uscì un enorme ragno peloso e, prima che potesse sfiorarmi, lo ributtai sul divano lanciando un gridolino. Se c’era qualcosa che proprio mi terrorizzava, erano i ragni.
-Io questo non lo metto! Non so nemmeno tirare d’arco!- esclamai. Il centauro fece un sorrisetto divertito e prese un arco con faretra.
-Ne sei sicura?- io annuii con vigore -Provare non guasta mai- replicò passandomi le armi ed indicandomi una delle maschere come bersaglio. Io sospirai ed incoccai una freccia. Non appena alzai l’arco con la freccia incoccata, una scarica elettrica mi attraversò il braccio, facendomi quasi perdere la presa sull’arma, ma mi costrinsi a tenere la mano ferma. Stesi al massimo la corda e scoccai la freccia. Non mi impegnai nemmeno a prendere la mira, tanto pensavo che fosse inutile tentare, eppure la freccia andò a conficcarsi esattamente dentro un occhio della maschera. Ne rimasi sbalordita. Come cavolo avevo fatto?! Chirone invece parve soddisfatto
-Non tutti i figli di Apollo sono dotati con l’arco, ma tu dovevi esserlo per forza. Ora sai che fare con quel guanto. Infilalo, oltre ad essere molto comodo per gli arcieri, è magico. Limiterà la tua magia finché non sarà giunto il momento adatto per usarla. Ma non dovrai mai toglierlo. Se lo facessi… potresti esplodere con la forza di una supernova- spigò mentre io riprendevo in mano quel pezzo di cuoio
–Incoraggiante…- sussurrai sarcastica mentre infilavo titubante la mano destra in quel coso. All’improvviso non era più rotto o puzzolente o piccolo. Era uno splendido guanto di cuoio, di quelli che si vedono spesso in televisione durante le prove di tiro con l’arco alle Olimpiadi. Solo che il mio aveva un non so che di antico e mi arrivava più o meno quattro dita sotto il polso. Inoltre era incredibilmente comodo e leggero. Si chiudeva con delle fibbie sul polso e si adattava perfettamente alla forma della mia mano. Come si dice: non giudicare mai un libro dalla copertina. Guardai il vecchio centauro con stupore
-Wow- mi limitai a dire. Lui sorrise ed annuii
-Lo so- si alzò dalla sedia a rotelle, tornando in forma equina, e mi accompagnò fuori dalla Casa Grande.
-Purtroppo non abbiamo una casa dedicata a Calliope, ci capitano di rado, mai a dire la verità, suoi figli. Di solito le muse non hanno figlie con i morta…- si interruppe schiarendosi la voce –comunque abiterai nella cabina di Apollo. Ho informato il capogruppo, Will Solace, hanno già liberato un posto per te- proseguì, leggermente in imbarazzo per quello che stava per dirmi nemmeno cinque secondi prima. Avrei voluto dirgli che non c’era nessun problema, che non mi sarei offesa se avesse detto “Calliope/Apollo di solito non ha figli con i mortali”. Ma era gratificante che per una volta qualcuno si preoccupasse di come mi sentissi. Già, sono una persona orribile da questo punto di vista. Chirone mi indicò una capanna dorata e abbagliante. Dall’interno proveniva un grande chiasso. Mi mise allegria.
-Ci sto- dissi con un sorriso. Chirone sembrò sorpreso dal mio repentino cambio d’umore, però non disse nulla a proposito, si limitò ad accompagnarmi verso quella che sarebbe stata la mia nuova casa. Mi fece anche da guida. Mi spiegò a chi apparteneva ciascuna casa, la disposizione, e tenne un corso avanzato di storia greca. Ora che mi ero tranquillizzata, notai che ero circondata da tutti i miei sogni di bambina. Ero immersa nella mitologia greca, tutto intorno a me trasudava storia e mistero. Io stessa facevo parte di quel mondo che avevo sempre amato. Pensai che forse mi sarei trovata bene lì. Quando arrivammo davanti la capanna bussammo e ci venne ad aprire un ragazzo biondo, alto e con gli occhi azzurri come il cielo.
-Oh, Will! Lei è Giulia Bianchi, Giulia lui è Will Solace- ci presentò Chirone. Will, non appena sentì il mio nome, mi guardo e sorrise ampiamente porgendomi la mano
-Così tu sei la nuova arrivata, è un piacere conoscerti Giulia- disse affabile. Io gli strinsi la mano brevemente, non sapevo mai che dire o fare in circostanze del genere.
-Piacere mio, Will. Così tu sei il capogruppo- osservai. Lui annuì
-Già, in teoria sono chi dirige la cabina ed impedisce ai miei fratelli di attaccare briga con chiunque, in pratica ognuno fa come vuole- disse ridendo. Sorrisi anche io, quel tipo mi piaceva. Chirone mi mise una mano sulla spalla
-Beh allora io vi lascio alle presentazioni, a dopo ragazzi- si congedò per poi ripartire al trotto. Io e Will rimanemmo per alcuni istanti fermi, senza sapere bene cosa dire. Poi lui parlò
-Oh che stupido, entra pure- disse scostandosi dalla porta. Io raccolsi tutto il coraggio e la positività che possedevo ed entrai. La casa all’interno era più grande e sobria di quanto lasciasse intendere dall’esterno. C’erano vari letti a castello, qualche libreria e qualche porticina verso il fondo. Era piena di archi, strumenti musicali, spartiti, bende e medicinali. Avete presente la sensazione di cui vi avevo parlato prima? Del fatto che ero circondata da cose fichissime e che forse mi sarei trovata bene? Ecco, durò più o meno cinque secondi, fino a che non misi piede dentro la cabina e non conobbi lei.
-Benvenuta nella cabina 7, Giulia.- disse –Ragazzi, un po’ d’attenzione per favore!- urlò, richiamando l’attenzione dei presenti su di me.
-Lei è Giulia Bianchi, è la nuova figlia di Apollo, datele il benvenuto- tutti stettero zitti a guardarmi, era piuttosto imbarazzante. Soltanto la ragazza che aveva urlato prima “papà” si fece avanti, squadrandomi da capo a piedi
-Sappiamo bene chi è. Come non potremmo? Tutto il Campo ti conosce, carina- disse. Io rimasi in silenzio, so per esperienza che è molto meglio non rispondere alle provocazioni. Lei aggrottò la fronte, assumendo un’espressione tra lo scocciato e il divertito
-Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?- si rivolse agli altri –Ragazzi, siamo proprio sicuri che lei sia una specie di Dea? Non ha un aspetto molto divino. In effetti assomiglia molto di più ad un sacco di patate.- disse facendo ridere due o tre ragazzi all’interno della capanna. Rimasi a guardarla
-Allora mi senti sì o no?- chiese scandendo bene
-Destiny…- iniziò Will. Così si chiama Destiny
-E tu sei proprio sicura di essere una semidea? Non hai un aspetto molto eroico. In effetti assomigli molto di più ad una zanzara. La voce è fastidiosa al punto giusto.- risposi a tono, suscitando qualche risolino qua e là. Destiny zittì tutti con un gesto della mano
-Senti tu, piccola insulsa…- non seppi mai cosa dovevo sentire, poiché Will si mise in mezzo a noi
-Okay, okay! Destiny, basta. Torna a fare qualsiasi cosa tu stessi facendo e lasciala perdere. Dai su- disse cercando di sembrare il più autoritario possibile. Destiny mi lanciò un ultimo sguardo di fuoco e si voltò, facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi. Ringraziai mentalmente Will per essere intervenuto. Quest’ultimo si voltò verso di me e mi guardò con sorriso un po’ sbieco
-Come fai ad essere qui da soli cinque minuti ed aver già litigato con qualcuno?- alzai le spalle
-Dote naturale. Allora, Chirone aveva detto che avevate già liberato un posto per me. Dove mi sistemo?-
-Oh si giusto, vieni pure. Da oggi questo sarà il tuo letto, puoi sistemare le tue cose in questo baule o nelle mensole lì sopra. Ti lascio al tuo lavoro, ciao- disse con un sorriso, per poi allontanarsi e cominciare ad armeggiare con un kit del pronto soccorso. Mormorai un “grazie” e mi misi a disfare il mio bagaglio. Stavo sistemando il mio blocco da scrittura, quando vidi Destiny avvicinarsi a me
- Senti, carina. Non credo che tu debba stare qui con noi- disse. Io mi voltai a guardarla, di ragazze come lei ne avevo viste a milioni: snob, presuntuosa e invidiosa marcia.
–E perché?- chiesi fingendomi interessata. Lei abbassò la voce
–Perché tu non sei una figlia di Apollo, tu sei diversa, pericolosa. Tu non puoi stare con noi.- sibilò. Io la ignorai ma sentii la rabbia prendere possesso di me. Aveva colpito nel segno. Ero diversa, ero sempre stata diversa. Ed ora che avevo trovato delle persone come me, ecco che spuntano i miei genitori e mi dicono che sono diversa. Lei mi prese la mano con il  guanto e lo ispezionò
–Dove lo hai preso? Serve per caso a qualcosa?- indagò. Io tirai via il braccio e buttai sul letto le foto che stavo attaccando
–Qual è il tuo problema?- chiesi, fingendo che le sue parole non mi avessero ferita
-Tu- rispose acida, in un sussurro per non farsi sentire
-Senti non ho chiesto io di venire qui, né di avere questa vita. Non me la sono scelta, anzi ne avrei fatto volentieri a meno. Tu non sai niente di me, quindi non ti permettere mai più di giudicarmi o di intromettermi nei miei affari personali. Ah, e notizia bomba: qui siamo tutti diversi.- sibilai. Lei mi guardò sbigottita e aprì la bocca per ribattere, ma non le diedi il tempo poiché uscii di buon carriera dalla capanna, lasciando che la porta sbattesse dietro di me. Prima che mi allontanassi troppo sentii Destiny urlare qualcosa sul fatto che io fossi una pazza, ma non le diedi ascolto e continuai la mia “fuga”, ignorando anche tutte le occhiate che gli altri semidei mi rifilavano al mio passaggio. Salii sulla collina più alta che trovai e mi sedetti sulla cima, godendomi l’aria fresca e pulita, che seppe darmi un po’ di calma. Chiusi forte gli occhi e mi distesi sull’erba umida, lasciando che qualche ciuffo d’erba, spostato dal vento, mi solleticasse il volto e che il sole mi illuminasse completamente. Stranamente non mi dava fastidio, anzi, mi dava un senso di calore molto piacevole. Dopo pochi minuti di pace sentii dei passi venire verso di me, tuttavia lasciai perdere. Non mi interessava molto sapere chi mi avesse seguita, poiché questo avrebbe implicato parlarci. O litigarci. La misteriosa figura si parò davanti a me, oscurando il sole. Io rimasi immobile, gli occhi chiusi. Nonostante non potessi vederlo, avevo la sensazione di sapere chi fosse.
-Mi vuoi degnare di uno sguardo, principessa?- chiese ironico Will. Io aprii soltanto un occhio, per poi richiuderlo immediatamente con un lieve sorriso.
-Cosa vuoi, Solace?- chiesi. Lo sentii sospirare e sedersi di fianco a me
-Sai devi perdonare Destiny. Non le piacciono i nuovi arrivati, soprattutto se si sente minacciata da loro- mi alzai a sedere, guardandolo negli occhi. Il sorriso era sparito dal mio volto
-Come potrebbe sentirsi minacciata da me?- chiesi, impassibile. Lui accennò una risata
-Dai che ci arrivi. Sei qui da quanto? Mezza giornata? E: sei stata riconosciuta appena messo piede al Campo, tutti qui dentro ti conoscono e sei una Figlia del Cielo. Sei la figlia prediletta. Sei la figlia che nessuno dimenticherebbe mai di avere. Tu sei tutto quello che Destiny vorrebbe essere. Tutto quello qualsiasi semidio vorrebbe essere.- disse. Io scossi la testa, mestamente. Sei la figlia che nessuno dimenticherebbe mai di avere. pensai E allora perché mi hanno riconosciuta solo ora?
-Non è così semplice. Non è così bello come sembra.- dissi seria. Lui aggrottò la fronte perplesso
-Cosa non dovrebbe essere bello?- chiese. Io mi mordicchiai il labbro spostando lo sguardo a terra, indecisa se dirgli tutto o meno. Lo conoscevo da così poco. Potevo fidarmi?
-Giulia?- mi chiamò lui. Io presi un bel respiro ed incatenai il mio sguardo al suo, seria più che mai
-Devi promettermi che quello che sto per dirti non lo dirai a nessuno, potrebbe creare parecchio scompiglio. Puoi farlo?- chiesi. Forse era un’azzardata dirgli quel segreto, ma sentivo che se non avessi potuto dirlo a lui, non lo avrei mai potuto dire a nessun altro.
-Promesso.- dichiarò Will. Iniziai a dirgli tutto quello che era successo con Chirone alla Casa Grande e che quel guanto serviva a limitare la mia magia, che se me lo fossi mai tolta avrei potuto fare del male a qualcuno. Mentre parlavo, Will non mi aveva mai interrotta. Era rimasto in silenzio ad ascoltare con attenzione, come solo un vero amico o un familiare sa fare, e mentre gli raccontavo il tutto avvertii una strana sensazione di benessere. Come se sfogarmi con lui fosse la cosa giusta, come se Will fosse l’unica persona in grado di potermi capire e consigliare. Finita la storia Will mi guardò serio prendendomi la mano con il guanto e stringendola fra le sue, in un gesto rassicurante. Quando lo fece sentii una strano calore attraversarmi il corpo. Lo stesso calore che avevo avvertito quando mi avevano abbracciato quella mattina entrambe le mie famiglie. Quella sensazione che solo la tua famiglia può scaturire. In un certo senso capii che lui era molto speciale per me, che non avrei permesso a nessuno di fargli del male. E dalla sua espressione vidi che lui aveva avvertito la stessa cosa. E ci conoscevamo solo da un giorno, vi sembra strano? Forse lo è, ma in fondo, l’amore non può essere controllato.
-Adesso penserai che sono una specie di mostro- dissi, preoccupata. Lui rimase serio, aumentando la stretta sulla mia mano
-Giulia, non penserei mai e poi mai che tu sia un mostro. Tu sei una semidea, sei mia sorella, la mia sorellina. Non un mostro- disse. Le parole “sei la mia sorellina” furono un’esplosione di felicità dentro di me. Avevo sempre desiderato un fratello maggiore e poi Will era così gentile e premuroso. Era un fratello perfetto ed ero felicissima che mi considerasse già sua sorella, anche se mi sembrava strano. Sorrisi leggermente
-La tua sorellina?- chiesi, la voce leggermente incrinata dall’emozione. Anche lui sorrise
-Ovvio. Di chi altri se no?- rise ammiccando. Rimasi a guardarlo sentendo gli occhi farsi lucidi e poi, senza alcun preavviso, lo abbracciai, iniziando poco dopo a singhiozzare sulla sua spalla. Le emozioni di quella lunga giornata erano state fortissime e troppe tutte insieme ed io non avevo ancora avuto modo di sfogarmi con qualcuno. Will ricambiò l’abbraccio tenendomi stretta e accarezzandomi i capelli, con fare fraterno. Non disse nulla, si limitò ad aspettare che mi sfogassi del tutto. Quando finalmente mi calmai, lo lasciai andare e mi asciugai i residui di lacrime, leggermente imbarazzata per aver pianto di fronte a lui, ma Will sembrò non averci fatto troppo caso.
-Stai meglio?- chiese. Io annuii
-Sì, grazie per la tua pazienza- ringraziai, poi mi venne in mente una cosa che aveva detto Chirone nella Casa Grande “Sull’Olimpo sono, come dire, in agitazione. Hanno chiuso i battenti. Si hanno loro notizie soltanto quando devono riconoscere qualche semidio. Sono in condizioni pessime, stanno impazzendo lentamente. Combattendo tra la loro natura greca e quella romana” –Senti posso farti una domanda? Prima Chirone mi ha accennato qualcosa sul vecchio direttore del Campo, il signor D. Ha detto che è stato richiamato sull’Olimpo e che gli Dei hanno chiuso i battenti, che stanno impazzendo, combattendo tra la natura greca e romana. Che significa? Perché?- continuai, piena di curiosità. –Esiste un altro Campo, per semidei romani. Noi non ci siamo mai incontrati prima e sarebbe dovuto continuare ad essere così. Ma quest’inverno i Campi si sono mischiati. La divina Era, o Giunone, ha mandato uno del Campo Giove qui, e ha mandato Percy, uno dei nostri, da loro. Ha fatto un bel casino. In questo modo ha fatto scontrare non solo i Campi, ma anche le personalità degli Dei. Stanno malissimo a quello che so, la personalità greca vuole vincere quella romana e viceversa.-
-Perché Era ha fatto una cosa simile?-
-Diciamo che ci sono una dea psicopatica della terra e i suoi figli giganti assassini che vogliono dominare il mondo e far estinguere la razza umana. La regina degli Dei voleva soltanto cercare di dare una mano, visto che l’unica salvezza è che i greci e i romani si alleino. Solo che i romani ci odiano fino alla morte, sentimento contraccambiato, e potrebbero voler scatenare una guerra e ucciderci in modo atroce se qualcosa va storto nell’operazione di salvataggio. E sarebbe molto sconsigliato. Abbiamo già a che fare con i giganti, non possiamo affrontare pure i romani. In più siamo ancora spossati dalla guerra dell’anno scorso con i titani, gli altri figli della dea psicopatica in questione. Possiamo parlare d’altro ora?-
-Dea della terra psicopatica… Gea! Quella che ha fatto uccidere Urano!- Will si agitò sul posto.
-Giulia… piano con i nomi, soprattutto il suo…- alzai gli occhi al cielo
-Sì sì, i nomi sono potenti e bla, bla, bla. Perché Era, se sapeva che avrebbe potuto scatenare un enorme problema, ha deciso di agire lo stesso?- chiesi. Will si diede una manata in fronte, rassegnato all’idea che non avrei smesso di fare domande. O di pronunciare nomi.
-Perché è una dea! Credeva di dare una mano, ovviamente non per noi semidei ma per salvare le sue divine chiappe, e non le importava se tutto poteva andare storto. Perché tanto poi non sarebbe toccato a lei sistemare le cose, ma a noi. Lei ci disprezza per la maggior parte, non le importa se rischiamo la vita per rimediare ai suoi casini.- disse per poi guardare il cielo come aspettandosi una sorta di punizione, che non arrivò, facendolo tranquillizzare Will –Preghiamo gli Dei che abbiano recuperato Percy senza problemi…-
-Aspetta.- lo interruppi. Will mi guardò interrogativo –Alto, capelli neri, occhi verdi, fisico da sogno?-
-Sì, perché?-
–Sette adolescenti e un satiro sono venuti a prelevarmi e c’era anche un certo Percy. - dissi. Lui mi guardò felice e mi strinse in un abbraccio grandissimo
–Oh miei Dei! Se l’operazione è andata a buon fine abbiamo un problema in meno! Grazie per la notizia, sorellina!- disse. Io ricambiai la stretta brevemente per poi tornare a guardarlo negli occhi
–Non sono nemmeno sicura che sia andato tutto bene, so solo che c’era questo Percy  e che andavano tutti molto di fretta. Sembravano agitati per qualcosa, in verità.- l’entusiasmo di Will scemò un poco, ma sembrava non essersi perso completamente d’animo
-Beh, sperare non costa nulla, no?- replicò alzandosi e porgendomi la mano. Io non l’afferrai, nonostante la nostra chiacchierata e il fatto che mi avesse chiamato “sorellina”, e mi tirai in piedi per conto mio.
-Dai vieni. Devi finire di sistemare le tue cose prima di cena- disse sorridendo, ma si vedeva che era inquieto per quello che avevo detto. Feci finta di non notarlo e sorrisi anche io
-Affare fatto- ridemmo ed iniziammo ad incamminarci giù per la collina. Non facemmo in tempo a fare due passi che nel Campo risuonò un grido agghiacciante.
 
 
*questo è un pezzo originale del libro “l’Eroe perduto”
 
*Angolo Autrice*
 Ehilà gente! Come promesso, eccomi con il nuovo capitolo, siete contenti? Allora, che ve ne pare? Personalmente, la cosa che ho preferito scrivere è stata la parte finale. Adoro il rapporto che hanno Will e Giulia. È proprio genere di rapporto che due fratelli hanno, almeno per il momento. Chi lo sa quello che succederà poi… (io, ma shhhh). Beh, non vi rompo più le scatole, grazie mille per aver letto e spero che la storia vi stia piacendo
Un abbraccio ed un bacio enormi,
Willie

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Capitolo 3
*** Conosco l'oracolo e mi danno un vecchio arco impolverato ***


Capitolo 3
Conosco l’oracolo e mi danno un vecchio arco impolverato
 

Io e Will corremmo verso la fonte di quel grido. I ragazzi si stavano già radunando attorno ad essa, ma prima che la folla mi impedisse ogni visuale riuscii a scorgere la figura di una ragazza. Aveva una zazzera di capelli rossi e gli occhi verdi. Era inginocchiata a terra, con la schiena perfettamente eretta. C’era qualcosa di strano in lei, ma non feci in tempo a capire cosa, poiché gli altri ragazzi si chiusero a cerchio, tagliandomi fuori. Feci per chiedere a Will chi fosse quella ragazza, ma chiusi immediatamente la bocca. Una nebbia verde, proveniente dal centro del cerchio, cominciò a crescere, ed una voce roca e sibilante, come quella che potrebbe avere un serpente.
 -Presto arriveranno, alle armi ci chiameranno, la dea madre ci sovrasterà se qualcuno non la fermerà. Un sacrificio, una vita per molte, la figlia del Cielo decreterà la nostra sorte. O la salvezza, o la morte.- silenzio. Sentii il battito del mio cuore accelerare. Mi guardai istintivamente la mano, non potendo non pensare che i miei poteri c’entrassero qualcosa con tutta quella storia assurda.
-Che vi avevo detto?- Destiny mi indicò, guardandomi con disprezzo -È pericolosa. Non dovrebbe stare qui!- esclamò, cercando il consenso degli altri, che invece mi guardavano con  sguardi pieni di aspettative. Will mi si parò davanti
-Piantala, Destiny, non vedi che ti stai rendendo ridicola?- gli misi un mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione
-Will… non ti preoccupare, ha ragione-
-Cosa?! No!- ad urlare era stata una ragazza che non avevo mai visto prima
-Non puoi dire così!-
-Ci serve il tuo aiuto! Non puoi non aiutarci- tutti iniziarono a parlare gli uni sopra gli altri, chiedendomi di non abbandonarli, di aiutarli etc… mi sentivo soffocare. Cominciai ad indietreggiare lentamente, volendo allontanarmi da tutte quelle pressioni
-Scusate- fu l’unica cosa che riuscii a sussurrare, prima di voltarmi e di correre sopra la collina. Raggiunta la cima inspirai a pieni polmoni quanta più aria potevo, sentendo la sensazione di soffocamento scivolare lentamente via. Strinsi forte gli occhi. Cosa diamine stava accadendo? Prima 7 ragazzini e una mezza capra fanno irruzione a casa mia distruggendola, poi scopro che sono una semidea e adesso mi dicono che le sorti del mondo e dell’intera razza umana è nelle mie mani. Ma mi raccomando, nessuno stress e goditi la vita! Dopo qualche minuto Will mi raggiunse
-Giulia tutto okay?- chiese. Lo guardai esasperata
-No Will, come potrebbe? Sono successe troppe cose. Poco fa, pensavo che niente più  avrebbe potuto sorprendermi o turbarmi e invece arriva una povera pazza dai capelli rossi a dirmi che la vostra sopravvivenza è nelle mie mani, quindi no Will, non è tutto okay!- esplosi facendo un bel respiro. Mi sentivo già un po’ meglio
-Rachel.- disse Will con un sorrisetto
-Cosa?-
-La povera pazza dai capelli rossi si chiama Rachel. È il nostro Oracolo- io lo guardai.
-Avete anche un oracolo?! No io non sono fatta per questa vita. Dovrei tornare a casa.- dissi facendo per andarmene
-No!- mi fermò per un braccio –non puoi andartene. È vero, il nostro destino è nelle tue mani, ma se te ne andrai saremo spacciati!-
-Will. Io non posso essere una salvatrice. Non sono capace a salvare me stessa, figuriamoci il mondo intero. Forse dovreste solo cercare un’altra persona-
-Non è così semplice Giulia, ciò che ha detto l’Oracolo non si può né cambiare né evitare. È il tuo destino ed è stato deciso da persone con poteri ben superiori ai tuoi.- io sospirai e guardai in basso. Lui sembrò riflettere un secondo, poi si aprì in un sorriso e mi prese le mani
-Sai… stavo pensando che ancora non hai scelto la tua arma e credo proprio che dovresti-
-Will, non so se sia il caso-
-Assolutamente sì! Dai vieni con me, sarà forte!- esclamò correndo giù dalla collina trascinandomi dietro. Mio malgrado sorrisi. Era forte quel tipo. Mi portò di fronte ad un enorme capanno. Non aveva nulla di speciale in apparenza.
-Carino. Dopo mi farai vedere le stalle dei cavalli?-
-Pegasi.-
-Eh?-
-Noi non abbiamo i cavalli ma i pegasi… ah lasciamo perdere. Apri ed entra, su- sbuffai e lo guardai confusa, però feci comunque ciò che mi aveva chiesto. Aprii la porta del capanno e rimasi sbalordita nel vedere la quantità di armi che c’era lì. Variavano dai coltelli più arrugginiti alle lance più splendenti.
-Dicevi?- disse Will ridacchiando –dai entra e scegli quello che ti ispira di più- proseguì accompagnandomi all’interno. -tutte le armi del campo sono fatte di bronzo celeste. Uno speciale materiale. L’unico in grado di uccidere i mostri- spiegò mentre mi guardavo intorno. Esaminai attentamente il tutto, poi la mia attenzione fu catturata da un pugnale di bronzo lungo quasi quanto il mio avambraccio. Sopra aveva inciso la parola “ήλιος”, sole in greco.
-Questo qua- dissi a Will mostrandogli il coltello infoderato. Lui lo prese levandolo dalla fodera di cuoio ed esaminandolo attentamente, per poi sorridere
-Ottima scelta. Questo secondo la leggenda era un regalo di Apollo per una misteriosa fanciulla da lui corteggiata. Non si è mai saputo il suo nome, si sa solo che molti anni più tardi, dopo un primo rifiuto da parte di lei, i due si sono ritrovati. Nel frattempo è ovvio che Apollo se la sia spassata- disse ridendo –Chi lo sa, magari la fanciulla misteriosa era tua madre Calliope- proseguì. Feci un sorrisetto
-Credo che non lo scopriremo mai. Posso prenderlo?-
-Certo, solo che ci vuole molta pratica per destreggiarsi in un combattimento con un coltello o pugnale. Per questo motivo la maggior parte dei semidei sceglie una spada- spiegò. Io alzai le spalle. Per me era normale distinguermi dalla massa, anche non facendolo apposta. Mentre uscivamo un luccichio proveniente da un angolo della stanza attirò la mia attenzione. Mi fermai all’istante e, sotto lo sguardo confuso di Will, mi diressi verso quello strano bagliore. Proveniva da un arco molto simile a quello che avevo usato nella Casa Grande, ma dieci volte più pregiato. Era in mogano liscissimi, con delle rifiniture dorate. Nella parte interna c’era una scritta dorata in greco, che non riuscii a capire.
-Ehi Will, guarda qui- dissi voltandomi verso di lui. Lui rimase sorpreso e si avvicinò a me, ma non osò toccare l’arco.
-Ah questo..-
-C’è qualche problema?-
-No… è solo che quest’arco è un po’ particolare. È un’arma magica. L’ha costruito Apollo per uno solo dei suoi figli, il migliore. Qui sull’impugnatura c’è scritto: “al più valoroso dei figli del Sole”. È un po’ come l’arco di Odisseo, hai presente? Nessuno a parte lui poteva usare quell’arco, e per questo vale lo stesso principio-
-Quindi è off-limits?-
-No, certo che no. Ma non è sicuro che tu riesca ad usarlo, nessuno fin ora ci è riuscito. E in molti ci hanno provato. Ogni figlio di Apollo che abbia mai alloggiato nella capanna 7 ha provato a scoccare una freccia, con scarsi risultati. L’arco fa resistenza a chiunque non sia “degno”. Prima lo tenevano nella Casa Grande, ma dopo un po’ si accorsero che nessuno ci riusciva e da allora se ne sta qui dentro a prendere polvere. Ora è più un oggetto simbolico che un’arma vera e propria, ma chi vuole provarci può farlo. Ovviamente la metà degli sfidanti hanno una bella dose di orgoglio, ed inutile dire che ci provano tutti. Chiunque vorrebbe essere il prescelto.- Lo guardai interessata
-E tu? Ci hai provato?-
-No io no-
-E come fai a sapere che non sei tu il prescelto se non ci hai nemmeno provato?- lui ridacchiò
-L’arco non è la mia arma preferita. Ehi! Non tutti i figli di Apollo sono degli arcieri nati!- esclamò, notano il mio sguardo sorpreso -però me la cavo-
-Dici che io potrei riuscirci?- mi ammonì con lo sguardo
-Hai mai tirato d’arco prima d’ora?-
-Una volta. Al mio arrivo. Dentro l’ufficio di Chirone. Non è andata male per essere la prima volta che lo facevo- sospirò
-Pensaci bene. Non è un’impresa semplice.- ci fu un attimo di silenzio
-Will.- lo chiamai sorridendo e sfiorando il legno dell’arco con i polpastrelli –Ci ho pensato. Voglio provarci anche io.- conclusi mentre Will mi guardava stupito. Era arrivato il momento di dimostrare a me stessa che forse avrei potuto salvare il Campo e di dimostrare a Destiny che non ero poi una nullità totale. E se avessi fallito, almeno avrei dimostrato di avere ragione sul fatto di non essere adatta, e avrei convinto i ragazzi a scegliere qualcun altro, oracolo o non oracolo. E poi un fallimento non era poi così tremendo. Certo, avrei fatto una brutta figura, che però sarebbe stata dimenticata nel giro di qualche settimana. Era una cosa da tutti i giorni per me. Ma, in fondo, io avevo un asso nella manica rispetto agli altri. Non ero una semidea qualunque, questo doveva pur significare qualcosa, no?
-Sei sicura Giuls?- ridacchiai per il soprannome
-Certamente, Willie- dissi di rimando.
-Okay allora- prese una faretra piena di frecce impolverate –ogni arco magico ha le proprie frecce- mi spiegò. Mi mise il braccio attorno alle spalle e mi condusse fuori dal capannone. Era quasi sera.
-Vieni-
-Dove andiamo?-
-Alla Casa Grande. Bisogna rispettare la tradizione- disse con un sorrisetto. Sbuffai. Non mi piacevano le cose plateali, ed avevo il forte sospetto che con “rispettare la tradizione” Will intendesse esattamente una cosa plateale. Arrivati lì davanti Will si fermò e mi disse di aspettarlo, mentre lui entrava a parlare con Chirone. Io feci come mi disse, ma non potei fare a meno di origliare la loro conversazione. Sentii Will spiegare la situazione e il centauro protestare. Ebbi la tentazione di avvicinarmi di più, ma in quel momento Will e l’istruttore uscirono dall’abitazione.
-Buonasera, signore- salutai. Lui ricambiò con un sorriso affabile
-Giulia sei sicura di voler tentare? Prima se non sbaglio hai detto di non saper tirare d’arco- osservazione acuta
-Già, ma lei mi ha dimostrato che mi sbagliavo. E poi ho lo stesso diritto degli altri di provare.- il vecchio centauro annuì
-Allora è il caso di richiamare gli altri. Will, vuoi pensarci tu? Io vorrei scambiare due parole in privato con Giulia, se non ti dispiace.-
-Certo, signore. Vado e torno.- disse, allontanandosi poco dopo.
-Signore, cosa voleva dirmi?- chiesi, una volta rimasti da soli.
-Come stai?- ridacchiai, stringendo nervosamente l’arco
-È una domanda che mi sono sentita fare spesso oggi.-
-Mi hanno riferito l’accaduto di prima. Volevo sincerarmi che stessi bene.- sospirai
-Sì… è solo che è tutto così nuovo e… complicato. E adesso ci si mette anche questa storia dell’oracolo. Doveva vedere le facce di tutti quei ragazzi. Molti erano addirittura più piccoli di me. Ed avevano tutti questi sguardi speranzosi….- mi grattai la nuca a disagio -Non so se sono in grado di sopportare tutta questa pressione.- Chirone mi mise una mano sulla spalla
-Giulia, so che sembra difficile, ma vedi che con il tempo tutto sarà più semplice. E credimi quando ti dico che hai abbastanza forza da sostenere tutto ciò. Lo vedo nei tuoi occhi. Sei più forte di quanto tu stessa creda. Ce la farai.-
-Come fa a saperlo?-
-Sai cosa significa il tuo nome? Significa “sacra a Giove”. E se questo non ti basta, sai chi altro si chiamava così? Giulio Cesare, uno dei più grandi condottieri che Roma potesse vantare. Giulia, anche te sei così-
-Grazie- feci in tempo a dire, prima che Will arrivasse con più o meno tutto il Campo al seguito. A quel punto Chirone si schiarì la voce
-Grazie a tutti per essere venuti. Giulia, la nostra nuova arrivata, vuole tentare la sfida dell’arco- a queste parole un mormorio soffuso si alzò tra la folla. Will li zittì con un gesto della mano. -Ovviamente tutti noi le auguriamo un grande in bocca al lupo. Prego, portate il bersaglio- proseguì. Due miei “fratelli” (Antony e Derek O’Conoll, gemelli, entrambi figli di Apollo) portarono un grande bersagli davanti a me, per poi sussurrarmi un “buona fortuna”. Tutti fecero un passo indietro, Will mi diede la faretra, che mi misi a tracolla, facendomi un occhiolino e raggiunse i nostri compagni. Ormai era fatta, non potevo più tirarmi indietro, dovevo per forza affrontare quella prova. Non potevo lasciare andare l’arco esclamando “Ah-ah scherzetto! Ci siete cascati”, era troppo tardi per la vigliaccheria. Ora, a molti di voi potrà sembrare una cosa semplice. “Ma dai su! Male che vada non riuscirai a scoccare la freccia, che problema c’è?!” mi avrebbe detto mia madre e forse avrebbe avuto anche ragione. Ma, ehi, c’era tutto il Campo a guardarmi! Era una situazione parecchio stressante! Nonostante la tensione, mi feci coraggio e presi una freccia. Provai ad incoccarla. In effetti, la corda era particolarmente dura e difficile da tendere. Per un istante temetti che non ci sarei riuscita, che avrei miseramente fallito, come tutti gli altri, che avrei scoperto di non essere poi così speciale come tutti credevano. Proprio quando stavo per rinunciare, avvertii una sensazione di calore attraversarmi il corpo e, all’improvviso, l’arco non mi sembrò poi così resistente. Trattenni il fiato, così come tutti gli altri, e tirai la corda con forza, riuscendo finalmente ad incoccare la freccia. Tra i ragazzi si levarono dei mormorii indecifrabili. Cercando di combattere le resistenze dell’arma, scoccai la freccia, colpendo in pieno il bersaglio. Dopo qualche attimo di sconcerto totale, il Campo esplose in un fragoroso applauso. Will venne da me e mi abbracciò felice. Io, ovviamente, realizzai un po’ tardi. Ce l’avevo fatta! Ero riuscita dove molti altri avevano fallito, mi sentivo fiera di me. Non ero poi così incapace. Guardai in direzione di Destiny. Stava borbottando qualcosa che suonava proprio come “era ovvio, lei è così perfetta”. Potrebbe anche sembrare un complimento, ma lo disse con un tale odio che parve una parolaccia. Sorrisi trionfante. Passerò per meschina, ma era gratificante vederla ammettere che l’arco aveva scelto me. Che ero figlia di Apollo esattamente come lei. Chirone si fece avanti battendo uno zoccolo sul terreno per richiamare l’attenzione su di sé.
-Bene! Congratulazioni Giulia. Abbi cura di quest’arma, avrai capito che non è un oggetto comune.-
-Ne stia certo- dissi convinta. Lui mi guardò quasi con orgoglio. Sapevo che aveva alte aspettative su di me e, almeno fin ora, non lo stavo deludendo.
-Grandioso! Ora tutti a mangiare!- i ragazzi emisero grida e fischi di approvazione e si diressero in maniera disordinata, sotto le critiche del vecchio centauro, verso quella che doveva essere la mensa. Io e Will rimanemmo soli. Lui mi sorrise e mi circondò le spalle con un braccio
-Complimenti Giuls, sei qui da meno di un giorno e già sei riuscita a battere più di mille anni di generazioni di semidei- disse ridendo. Io sorrisi con un misto di allegria e stanchezza dentro di me
-Ah Willie, per essere qui da meno di un giorno sono già successe troppe cose-
-Lo so, è dura per tutti all’inizio. Dai su andiamo a mangiare adesso- io annuii e ridendo insieme a lui mi diressi alla mensa. Dopo una cena sostanziosa ed un falò pieno di musica, ci ritirammo ognuno nella propria capanna. Non appena posai la testa sul cuscino crollai in un sonno profondo, era stata una giornata fin troppo piena di emozioni.
La mattina seguente mi svegliai a causa di una vocina alquanto fastidiosa che mi bisbigliava di alzarmi dal letto e di darmi una mossa. Aprii un occhio e mi resi conto che la vocina fastidiosa altri non era che Will. Il mio adorato nuovo fratello Will. Devo ammettere che, per quanto fastidioso sappia essere a volte, è bello avere un fratello, ero sempre stata figlia unica.
-Che vuoi?- chiesi bruscamente. Lui sorrise comunque
-Giorno anche a te Giuls, sei splendida questa mattina. Oh io? sto bene, grazie per averlo chiesto- disse ironico. Io mi tirai a sedere spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio
-Che vuoi fratellino mio adorato?- replicai a tono. Lui sorrise
-Meglio. Mia cara, oggi inizia l’addestramento. Alzati- io grugnì e mi ributtai sotto le coperte, coprendomi la testa con un cuscino per non sentirlo.
-Eh no signorina!- sbottò Will tirandomi via le coperte di forza e pizzicandomi le gambe per farmi alzare. Io mi tirai in piedi di scatto e gli lancia il cuscino colpendolo in pieno sul viso.
-Bene!- sbottai prendendo le mie cose e andando a fare la fila per il bagno, mentre Will sputava qualche piuma finitagli in bocca. Non so se ve ne siete resi conto, ma io la mattina sono abbastanza intrattabile. Comunque,  dopo essermi preparata raggiunsi Will per andare a fare colazione, per poi andare verso un prato pieni di bersagli.
-Bene Giuls, questo è il poligono di tiro con l’arco. Qui imparerai a tirare d’arco con estrema precisione su bersagli fermi e, se sarai abbastanza in gamba, anche con bersagli in movimento.- spiegò
-Figo-
-Molto, per ora inizieremo con i bersagli statici. Pronta? Cominciamo con 20 centri.- Will sistemò i bersagli ed io incoccai la prima freccia. Per essere il mio primo allenamento, non andò poi così male, anche se per alcuni bersagli dovetti incoccare più di una freccia prima di riuscire a centrare il bersaglio. Continuammo ad allenarci (e per noi intendo io. Will stava semplicemente seduto comodamente a terra) per diverse ore, fino a che non ebbi i crampi alle mani, a quel punto chiesi a Will una pausa. Lui ridacchiò e guardò il suo orologio da polso
-D’accordo, sei stata brava- disse ed io buttai felicemente l’arco e la faretra di allenamento a terra, per poi sedermi sull’erba fresca con un sorriso –Ehi, hai visitato tutto il campo?- continuò. Io scossi la testa
-Solo le capanne, perché?- lui sorrise
-Credo sia  giunto il momento di una visita guidata- disse, ignorando le mie proteste. Dopo avermi fatta alzare con la forza, ero troppo stanca per camminare, mi portò a vedere tutto il Campo, i vari settori di allenamento, la parete di arrampicata (su di un lato aveva della lava bollente, quindi o stavi attento ad arrampicarti o ti ritrovavi ridotto in cenere di semidio) e tutti gli altri bellissimi luoghi che il Campo Mezzosangue aveva da offrire, compresi dei bellissimi campi di fragole, pieni zeppi di satiri e di semidei intenti a divertirsi insieme. Mi spiegò che le fragole erano la copertura del Campo e che le vendevano per coprire tutte le spese. Concludemmo il nostro giro al limitare della Collina Mezzosangue. Oltre la collinetta le macchine andavano e venivano. Le persone continuavano la loro ordinaria vita con tranquillità, ignorando che, a solo pochi metri di distanza, c’erano degli adolescenti che li avevano salvati già una volta sacrificando loro stessi e che si addestravano duramente ogni giorno per continuare a proteggerli.
-Ma quelle persone lì giù, non si accorgono di nulla?- chiesi. Will scosse la testa
-No. C’è la Foschia a coprirci. È un velo magico che impedisce ai mortali di vedere del tutto il nostro mondo, distorce la realtà facendogli vedere ciò che le loro menti ritengono più spiegabile. Per noi è facile vedere attraverso, ma per loro impossibile. Li protegge, li tiene al sicuro dal nostro mondo.- spiegò. Li protegge, li tiene al sicuro.  Feci un passo avanti come in trance, osservando tutti quegli ignari mortali, di cui solo pochi giorni fa facevo parte anche io. Provai un moto di malinconia pensando alla mia famiglia dall’altra parte del mondo. Will fece un passo avanti e mi poggiò una mano sulla spalla
-Tutto okay?- io continuai a guardare dritto davanti a me
-Sì, certo. Anche io ero vittima di questa Foschia?- si strinse nelle spalle
-Non so dirtelo, forse non riuscivi a vedere tutta la realtà, ma qualcosa dovevi pur vedere o percepire- io pensai subito alle innumerevoli volte in cui avevo creduto di aver visto o sentito qualcosa di strano –Alcuni semidei riescono a controllarla, il che è un vantaggio. Con un po’ di allenamento ci riuscirai anche tu, ne sono certo- proseguì. Io annuii poi qualcosa infondo alla collina attirò la mia attenzione. Emanava una strana luce, brillante ed intensa. Trasmetteva un senso di pace e vita.
-Cos’è quella cosa che brilla sul ramo di quel grande pino?- chiesi cercando di mettere a fuoco. Lui sorrise
-Quello è il Vello d’Oro- disse pieno di felicità. Io sgranai gli occhi. Era impossibile che quello fosse il vero Vello d’Oro. Ceh va bene tutto, ma quello no. Semplicemente non poteva essere, mi dissi che probabilmente era solo una copia. Eppure dentro di me sentivo che non era poi così impossibile.
-Il vero Vello d’Oro? Quello recuperato da Giasone e dagli Argonauti? Quel Vello?- chiesi con la voce che tradiva una certa emozione. Will annuì soddisfatto
-Proprio quello.-
-Seriamente?- chiesi strabiliata
-In corna e pelliccia- ero senza parole. Ero sempre rimasta affascinata dai miti greci e per me era inconcepibile potermi trovare così vicino al vero Vello d’Oro (perché essere circondata da semidei ed avere due genitori divini è troppo poco). Per terra vicino all’albero c’era qualcosa di informe, dalle sfumature bronzee e verdognole
-Cosa c’è vicino al Vello?- chiesi avvicinandomi a quella specie di groviglio di cavi di bronzo.
-Fa attenzione! Io non mi avvicinerei troppo- mi avvertì lui, ma era troppo tardi
-Dai su! Che cosa potrebbe esserci di tanto pericolo…- mi interruppi all’istante. Il presunto groviglio di cavi era in realtà un dragone di quelli che si vedono spesso sui libri mitologici: artigli appuntiti dall’aria letale, zanne giallastre affilate come rasoi, occhi gialli minacciosi che mi fissavano con furia omicida, squame viscide verdi striate di bronzo, un paio di ali che, a occhi e croce, dovevano avere un’apertura di circa tre metri, il tutto completato da un corpo gigantesco con tanto di coda viscida. Un tesoro insomma. Feci un passo indietro terrorizzata. Will era in piedi dietro di me, ma sembrava abbastanza tranquillo
-Lui è Peleo, fa la guardia al Vello d’Oro. Solitamente è pacifico con noi, tranne se sei un estraneo. In quel caso per fare amicizia cercherà di divorarti- disse. Io feci un risolino nervoso. Ho dei dubbi ancora oggi su quanto possa essere sicuro il Campo, figuratevi cosa potevo provare di fronte ad un drago. Peleo mi si avvicinò sempre di più, ma, invece di ridurmi in una poltiglia di semidea, sgranò gli occhi gialli, per poi sbuffare, e mi strofinò il musone sopra la pancia, come se stesse facendo le fusa, lasciandomi addosso qualche squama verdognola. Will ridacchiò
-Gli stai simpatica. Deve essersi accorto presto che hai del sangue divino, di solito ci mette un po’ a capirlo- disse scherzoso. Io sorrisi ed accarezzai il muso del drago, che chiuse le palpebre e sbuffò con amore. Dopo aver appurato che Peleo non mi avrebbe divorata, io e Will ci sedemmo all’ombra del pino ed iniziammo a chiacchierare. Mi raccontò di come Percy e Annabeth avessero recuperato il Vello e di tutte le loro avventure. Mi raccontò di come li avessero guidati nella guerra contro i Titani e di come Percy avesse salvato l’Olimpo (strategicamente situato sulla cima dell’Empire State Building, 600 piano. Non puoi sbagliare). A quanto avevo capito, quel ragazzo che mi aveva distrutto casa doveva essere molto popolare da quelle parti. Will mi raccontò anche di tutti i ragazzi che erano morti durante le varie battaglie, della povera Talia Grace, figlia di Zeus, che era stata trasformata nel pino sotto cui sedevamo, e che, in seguito alla tragica dipartita del vecchio capo Zoe Nightshade, era diventata la Luogotenente delle Cacciatrici di Artemide. Dei fratelli Di Angelo, figli di Ade, e del traditore (ma non troppo) Luke Castellan, figlio di Ermes. Nel sentire quei racconti non potei fare a meno che provare dispiacere per tutti loro, e mi sentii anche un po’ in colpa. Dopo tutto quello che avevano passato loro, non avevo il diritto di autocommiserarmi. Quando ormai il sole fu sul punto di tramontare Will si alzò porgendomi la mano
-Forza su, si è fatto tardi. Meglio andare e riposare, saranno delle settimane molto dure.- io afferrai la sua mano e insieme ci dirigemmo verso le nostre capanne.
Trascorremmo così i giorni seguenti, tra allenamenti e risate. Cominciavo ad essere felice lì, nonostante mi mancassero i miei e non potessi chiamarli. Al Campo i cellulari sono sconsigliati, in quanto in mano ad un semidio sono come un razzo di segnalazione per i mostri. Per qualche tempo andò tutto bene, almeno fino al momento in cui iniziarono i sogni.
 
*Angolo Autrice*
Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo! Beh, che dire, ne sono successe di cose alla nostra Giulia. Credo che stiate cominciando a capire che non avrà una vita proprio facile al Campo, e non sapete ancora quanto diventerà complicata nei prossimi capitoli *risata malvagia*. Ma torniamo seri, che ve ne pare? Avete un pezzo che vi è piaciuto particolarmente? Io sinceramente amo i momenti tra Will e Giulia, sono così carini e teneri *-*, ma vi prometto che ci saranno dei momenti carini e teneri anche con altre persone, non solo con Will hehehe.
Ad ogni modo, vi avverto ora che la storia sarà breve, ho deciso di non tirarla troppo per le lunghe, credo che verrà fuori massimo di 8-9 capitoli, anche se poi mi piacerebbe continuare a scrivere altre cose su Giulia. Magari qualche spin-off o qualche one-shot, perché sinceramente mi sto affezionando a lei e non credo di volerla lasciare andare via per sempre dopo questa long, sto anche provando a disegnarla ahahaha. A voi interesserebbe leggere qualcos’altro su di lei? Fatemi sapere. Spero che la storia vi stia piacendo, un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie

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Capitolo 4
*** La dea della terra vuole uccidermi. Ma, ehi, ha i biscotti ***


Capitolo 4
La dea della terra vuole uccidermi. Ma, ehi, ha i biscotti

 
Ero in una stanza buia, da sola. Fuori una tempesta infuriava, facendo gemere la stanza, presumibilmente fatta di legno. All’improvviso sentii la voce di una donna. Fredda e tagliente, come la lama di un rasoio.
-Giulia- sibilò
-Chi sei?!- urlai al buio. La donna continuò a sussurrare il mio nome, per niente intenzionata a darmi una risposta. Il suono della sua voce mi faceva venire i brividi
-Chi sei?!- ripetei -Vieni fuori, chiunque tu sia!-
-Figlia del Cielo- rispose la voce -Unisciti a me, combatti al mio di fianco, e ottieni tutto ciò che veramente meriti. La gloria, un trono sull’Olimpo- il terrore crebbe insieme alla consapevolezza. Sapevo con chi stavo parlando
-Gea…- mormorai
-Vieni- digrignai i denti
-No mai!-
-Perché schierarti con gli dei? Perché questa lealtà nei loro confronti? Cosa hanno fatto loro per te? Ti hanno ripudiata come figlia. Ti hanno abbandonata e solo ora, che hanno bisogno del tuo aiuto, si presentano da te e ti rivendicano come sangue del loro sangue. Io non avrei mai permesso un trattamento del genere per te, mia cara, ma purtroppo ero in stato di incoscienza. Ma ora sono vigile e sul punto di svegliarmi del tutto. Se ti unirai a me, ti garantisco che non ti accadrà nulla di male. Avrai la tua vendetta contro tutti coloro che ti hanno mai denigrata.  Sarai a capo di un esercito, come è giusto che sia. Nessuno ti sottovaluterà più, sarai temuta e rispettata da tutti!-. Io ascoltai in silenzio tutto il suo discorso. Ogni parola era come una stilettata. Non volevo crederle. Non volevo credere che i miei genitori potessero agire così. Io li avevo visti, le parole che mi avevano detto… non potevano essere false.
-Scordatelo! Non mi unirò mai al tuo esercito!- gridai. Gea rise, una risata raccapricciante, come se fosse compiaciuta
-Oltremodo coraggiosa, eppure anche così stupida. Credi davvero di poter sconfiggere me, di poterti opporre al mio volere? Io non posso essere sconfitta, sono ovunque, sotto di te, intorno a te, persino sopra di te.-
-Invece posso e lo farò! Non ti lascerò fare del mondo il tuo giocattolo, non finché ci sarò io a proteggerlo.- dichiarai. Non sapevo neanche io da dove venivano quelle parole, sapevo solo che non potevo far finta di niente
-E come pensi di poter proteggere il mondo, se non sai nemmeno proteggere chi ti è più vicino? Oh, non essere così sorpresa. Credo tu abbia capito che se non farai quello ti ordinerò di fare io cercherò tutti coloro che tu abbia mai amato. Una volta che li avrò trovati li annienterò, dal primo all’ultimo, davanti ai tuoi occhi. Credo che inizierò dalla tua fastidiosissima famiglia mortale. Sono convinta che tuo cugino Francesco sarebbe un ottimo sopramobile.-
-No…-
-E poi chi sarà il prossimo? Will? O quel figlio di Efesto, Leo? Dimmi Giulia, chi sei disposta a sacrificare?-
-Tu non osare…-
-Sei davvero disposta a perdere tutti coloro che ami? Vuoi davvero fingere a tal punto di essere un’eroina?-
-Basta!- supplicai, con gli occhi che pizzicavano. Lei sogghignò
-Fai la tua scelta. E accettane le conseguenze- la stanza si riempì della sua risata. Io mi coprii le orecchie per non sentirla, per non lasciarla entrare nella mia testa. Ad un certo punto sentii la terra mancarmi sotto i piedi… e caddi. Caddi urlando per molti metri, la voce di Gea nelle orecchie.
 
Mi svegliai all’improvviso in un bagno sudore, con ancora la sensazione di cadere nel vuoto. Mi girai verso il letto alla mia sinistra e tirai un sospiro di sollievo. Will era ancora lì di fianco a me, profondamente addormentato, il petto che si alzava e abbassava in sincrono con il suo respiro regolare. Era ancora vivo. E questo significava che anche la mia famiglia e Leo stavano bene, erano salvi. Non che mi importasse granché di quel ragazzino riccio e iperattivo, ma ero contenta che stesse bene. Ancora con il respiro corto tirai fuori dalla tasca dei pantaloncini che usavo come pigiama la fascia per capelli che Leo mi aveva dato prima di salutarsi. Sorrisi al ricordo. Non mi era piaciuto da subito. Anzi, mi era stato proprio antipatico, ma poi mi ero ricreduta. Non era poi così male e, una volta finita tutta quella faccenda di Gea, sarebbe stato interessante conoscerlo. Magari saremmo diventati amici. L’unica cosa che non riuscivo a capire era come mai Gea avesse pensato di minacciare lui per arrivare a me. Certo, non era la prima volta che mi ritrovavo a pensare a Leo, chiedendomi dove lui e gli altri fossero, ma Gea non avrebbe potuto saperlo, no? Comunque, dato che dormire ormai era fuori questione, mi alzai dal letto e con passo felpato uscii dalla capanna. Una folata di vento mi colpì, spostandomi i capelli dal viso. La inspirai a pieni polmoni. L’aria fredda del mattino mi scivolò dentro donandomi un senso di pace. Mi poggiai al parapetto guardandomi intorno. Il Campo era deserto, immerso nell’oscurità. Doveva essere presto forse le tre o le quattro del mattino. Quindi a Roma erano circa le dieci. La mia famiglia doveva appena essersi svegliata. Quando pensai a loro provai un moto di malinconia e di ansia. Mi sarebbe piaciuto avere il cellulare per poterli chiamare, per vedere come stavano e per dirgli che anche io stavo bene. Avevo una voglia matta di sentire Francesco, di parlare con lui, di chiedergli un consiglio. Anche se non so quanto sarebbe stato utile in quella circostanza. Mi passai una mano sul volto, dicendomi che era meglio che loro non sapessero nulla. Sapere li avrebbe messi ancora più in pericolo, perché avrebbero sicuramente fatto qualcosa per aiutarli. Decisi che gli avrei raccontato tutto una volta tornata a casa. Se riuscivo a tornarci. Scossi la testa, cercando di eliminare tutti i pensieri negativi. Dovevo confidare nel fatto che sarebbe andato tutto per il meglio. Che quello non era stato altro che un brutto sogno, dovuto al troppo stress, e che non significava assolutamente niente. Trascorsi così il resto della nottata. Osservando il Campo immerso nel silenzio più totale, riflettendo e pregando per il meglio.
 
Quella mattina fui io a svegliare Will, cosa che lo lasciò senza parole. Dovevo parlargli. E subito. Dovevo avere un’espressione ancora abbastanza sconvolta, poiché non appena mi vide aggrottò la fronte
-Tutto bene Giuls? Sembri pronta ad andare in guerra-
-Non è forse per questo che mi state preparando, Will?- lui mi guardò stranito
-Tutto okay?- io esitai
-Will, devo parlarti, in privato.-
-Dammi cinque minuti.- quando fu pronto uscimmo dalla capanna ed andammo in un posto più o meno isolato. Non volevo che altri sentissero
-Che dovevi dirmi?- chiese poggiandosi ad un albero. Io mi torturai le dita delle mani e mi morsi il labbro, a disagio. Lui aggrottò la fronte
-Ehi… tutto bene?- chiese preoccupato. Io presi un respiro profondo. Infondo era solo un sogno, cosa c’era da temere? Gli raccontai tutto, non tralasciai nulla. Quando finii il racconto lui rimase immobile, ancora poggiato all’albero, con un’espressione seria in volto.
-Ma forse mi sto preoccupando per nulla. Infondo era solo un sogno, no?- tentai, ma lui non rispose.
-Will, era solo un sogno, vero? La mia famiglia sta bene?- tentai nuovamente. A quel punto lui si staccò dall’albero, infilando le mani nelle tasche dei jeans
-Sì certo, sta ancora bene- tirai un sospiro di sollievo –solo che i sogni sono importanti per i semidei. Hanno sempre un significato profondo, sono come premonizioni.- persi un battito
-Vuoi dire che la mia famiglia… loro potrebbero…?- chiesi con un groppo in gola
-Oh no, no. Almeno non credo, non lo so. Un’altra cosa che non so: perché c’era Leo nel tuo sogno?- io lo guardai con un sopracciglio alzato
-Will, una dea psicopatica ha minacciato che se non entro nel suo esercito ucciderà la mia famiglia, compreso te, e tu ti stai chiedendo il perché della presenza di Leo nel mio sogno? Seriamente?- chiesi incredula
-Sì, insomma, i sogni sono importanti. Perché mai Gea avrebbe dovuto minacciare qualcuno di cui non ti importava minimamente?- mi misi una mano sula fronte, cercando di mantenere la calma
-Non lo so perché c’era quel rompiscatole nel sogno. Ora ci possiamo concentrare sul fatto che tu e la mia famiglia potreste essere in serio pericolo?- chiesi, ma ovviamente Will non mi diede retta e continuò con le sue supposizioni. Quel ragazzo era incredibile. L’attimo prima era tutto serio e ti diceva che probabilmente una pazza omicida avrebbe fatto del male alle persone che amavi di più, quello dopo sparava delle cavolate assurde. Mi chiedo ancora come faccia.
-Ma dai su, ci deve essere qualcosa…-
-Will!- lo interruppi tirando fuori la fascia e sventolandogliela di fronte agli occhi –La vedi questa? Me l’ha data Leo prima di partire. La porto sempre con me, mi ricorda casa mia. Ti prego credi all’ipotesi che Gea abbia usato questa fascia per cercare qualcuno da uccidere e passiamo oltre. Abbiamo cose più serie di cui discutere- lo rimproverai. Will sorrise di sbieco
-Almeno sono riuscito a farti distrarre un attimo. Okay dai, vieni con me. L’unico che ci possa aiutare è Chirone- disse incamminandosi verso la Casa Grande. Quando arrivammo trovammo lì davanti Destiny e un’altra ragazza della casa di Apollo (credo si chiamasse Daphne, curioso no?) parlare con un tipo biondo con gli occhiali, non l’avevo mai visto prima d’ora. Ci avvicinammo a loro e non appena Destiny mi vide alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa di cui non colsi il significato, ma sono certa si trattasse di un insulto. Che simpatica!
-Ciao ragazzi, Chirone è dentro?- chiese Will
-No, lo stiamo aspettando anche noi, dovevamo parlargli del recinto dei pegasi, ma non si vede in giro da un po’- disse Daphne guardandosi intorno. Io e Will ci guardammo confusi, non era da Chirone sparire all’improvviso, anche perché solitamente a quell’ora della mattina sostava sul porticato della Casa Grande a giocare a pinnacolo con qualche satiro o a sorseggiare una tazza di tè.
-Ormai è già un quarto d’ora che aspettiamo inutilmente, comincio a perdere la pazienza. Ma dove può essere andato- si lamentò Destiny
-Magari si nasconde da te- mormorai tra me e me. Lei mi lanciò un’occhiata di fuoco
-Cosa hai detto?- feci la finta tonta ed imbastii un sorriso angelico
-Io? Assolutamente niente, tesoro- è più forte di me. Proprio non riesco a stare zitta
-Senti piccola…- il ragazzo biondo la interruppe prima che potesse finire di parlare
-Basta. Destiny, calmati.- la ammonì, per poi rivolgersi a me -Piacere, Malcolm Pace- disse tendendo la mano, io gliela strinsi ricambiando il sorriso
-Giulia Bianchi, piacere mio- aveva gli occhi grigi, molto simili a quelli di Annabeth. La mia amabile sorellina sbuffò
-Basta, io lo vado cercare- dichiarò, per poi allontanarsi impettita, con Daphne al seguito che cercava di tranquillizzarla. Non appena fu abbastanza lontana scoppiai a ridere, sotto lo sguardo rassegnato di Will
-Non ce la fai proprio a resistere eh?- disse punzecchiandomi con il gomito. Io alzai le spalle con aria innocente
-Sono fatta così. Impertinente di natura- dissi facendogli la linguaccia
-Sai mi ricordi Percy da qualche punto di vista- disse Malcolm gentilmente
-Lo prendo per un complimento?-
-Assolutamente no- rise e risi anche io
-MALCOLM!- urlò Destiny da lontano. L’interpellato alzò gli occhi al cielo e dopo essersi scusato si affrettò a raggiungerla. Lo guardai allontanarsi con le braccia incrociate sotto al petto. Era un ragazzo simpatico, mi dispiaceva che fosse obbligato a passare del tempo con Destiny. Quella ragazza era sempre più insopportabile, ogni secondo di più.
-Will- chiesi ad un tratto –Quel ragazzo, Malcolm, lo conosci?-
-Sì, è un figlio di Atena. Comanda lui quando Annabeth non c’è.-
-Ah… e com’è?- mi voltai verso mio fratello
-È un bravo ragazzo, siamo amici- disse –Perché mi stai facendo il terzo grado?- aggiunse ironico (e vagamente allusivo). Alzai gli occhi al cielo divertita
-Quanto sei stupido-
-Mai quanto te, Giuls- gli diedi una spintarella amichevole fingendomi offesa. In quell’esatto momento arrivò Chirone che ci salutò con un cenno del capo
-Giorno ragazzi, che ci fate da queste parti?-
-Salve, avremmo bisogno di parlarle- dissi –in privato- aggiunsi poi abbassando il tono della voce. Il centauro annuì e ci condusse all’interno della Casa Grande. Non appena entrammo nel salotto, Seymour ruggì e guardò Chirone con la bocca spalancata, aspettando che qualcuno gli desse da mangiare. Il centauro prese un paio di crocchette dalla scatola e gliele lanciò, per poi sedersi sopra la sua magica sedia a rotelle e farci segno. Io e Will ci sedemmo sul divanetto di pelle davanti, non sapendo bene come dirgli quello che mi era successo
-Allora, di cosa volevate parlarmi?- Will mi lanciò un’occhiata che lasciava intendere che dovessi essere io a parlare. Feci un respiro profondo e raccontai il sogno per filo e per segno anche a Chirone che ascoltò il tutto senza fare un fiato, ma con l’espressione che diventava sempre più cupa.
-Allora? È solo un sogno, vero?- chiesi, una volta finito di raccontare, con non molta convinzione. Chirone strinse le labbra, come se fosse un dottore incapace di dire ad un malato terminale di star per morire
-Signore, ci sta facendo preoccupare- disse Will e, cercando di smorzare la mia agitazione, mi prese mano stringendola forte. Lo apprezzai molto. Il nostro istruttore ci guardò spaesato, come se si fosse appena accorto di noi
-Oh… sì certo, solo che… non capisco. Non capisco come sia possibile un sogno così preciso e dettagliato. Normalmente i semidei non riescono a muoversi o a parlare, sono spettatori. Tu invece hai un intrapreso un dialogo con lei. Questo mi preoccupa un po’- la mano di Will si irrigidì.
-Che vuole dire, non si tratterà mica di un…-
-Legame empatico- concluse Chirone, con aria grave. Io li guardai stranita
-Cos’è questo legame empatico?- domandai. Will sospirò
-Niente di buono.-
-Un legame empatico è una sorta di collegamento magico fra due persone. Permette loro di comunicare nel sonno e di sapere delle cose l’uno sull’altro se dovesse servire. Ma ha anche dei lati negativi. È un legame molto potente, che intreccia le vite di due persone irrimediabilmente, può essere anche molto pericoloso. Se Gea ha veramente creato un legame empatico fra voi due, vuol dire che siete unite fino al suo scioglimento e… se dovessimo fare del male a lei, potremmo ferire anche te.-
-Quindi non possiamo ucciderla perché metteremmo a rischio anche la mia vita. Sono l’unico ostacolo che vi può impedire di sconfiggerla- conclusi, con più calma del previsto. Il mio istruttore si torturò le mani a disagio
-Noi non l’abbiamo mai detto questo- tentò
-Non ce ne è bisogno, ve lo leggo in faccia.- dissi. Will mi strinse la mano e mi posò l’altra dietro la schiena, come per dire “tranquilla, ci sono qui io, andrà tutto bene.”. Pensai che averlo conosciuto fosse la cosa migliore che mi fosse mai capitata. Mi trasmetteva un tale senso di stabilità, di fiducia e di calore familiare che nessuno, eccezion fatta per la mia famiglia, era mai riuscito a trasmettermi. Sospirai, più stanca che stupita o frustrata, più apatica che ansiosa. Meno me stessa di quando ero arrivata al Campo.
-Beh, se l’è giocata bene.- fu tutto quello che dissi. Chiorne mi guardò con pietà, come avrebbe guardato quel malato terminale una volta espressa la sua diagnosi.
-Niente è ancora certo, ti terrò d’occhio, cercheremo di capire. Potrebbero anche essere solo sogni normali, infondo Gea è una dea molto potente, più di tutti gli altri.- cercò di rassicurarmi. Io annuì, seria
-Okay. Ma, se dovesse essere davvero un legame empatico, mi dovete promettere una cosa. Che non cercherete di salvarmi. Non mi importa cosa ne sarà di me. Quando ne avremo l’occasione uccideremo Gea, legame empatico o meno.- dissi, con più durezza di quanta ne avrei voluta usare nel tono. Chirone sorrise lievemente intenerito
-Per ora non ti preoccupare di nulla, stai tranquilla. Verremo a capo di questa faccenda e troveremo una soluzione, se sarà necessario. Per adesso, concentrati sulle tue lezioni.- disse
–A tal proposito, vorrei che un paio di volte a settimana venisti da me, cominciando da oggi pomeriggio. Vorrei controllare quella faccenda di cui abbiamo parlato qualche giorno fa. Il guanto è un sigillo potente, ma potrebbe avere qualche defaillance. Se questo dovesse accadere correremo subito ai ripari, cosicché non ci siano incidenti. Poi non mi sembra ancora il caso di sbandierare a tutto il Campo il perché di quel guanto.- propose, con un sorriso un po’ paterno. Io annui sforzandomi di sorridere e mi alzai dal divano, cercando di apparire il più stabile possibile, nonostante le gambe mi tremassero.
-Grazie mille per il suo tempo, signore.- mi congedai educatamente ed uscii il più velocemente possibile dalla Casa Grande. Non appena misi piede fuori dall’abitazione mi affrettai a raggiungere l’albero più vicino e ad usarlo come sostegno, dato che le gambe non mi reggevano più. Chiusi forte gli occhi e presi un gran respiro, lasciando che l’aria fresca ed incontaminata del Campo mi riempisse i polmoni, tranquillizzandomi. Pochi istanti dopo Will mi raggiunse, poggiandomi una mano sulla spalla in segno di conforto. Io mi voltai verso di lui e gli gettai le braccia al collo, stringendolo forte. Lui ricambiò la stretta e prese ad accarezzarmi i capelli con fare fraterno. Nessuno dei due disse niente o accennò di voler parlare dell’accaduto, quell’abbraccio valeva più di cento parole. Quella fu una delle prime volte in cui constatammo che un misero gesto fra noi due, equivaleva ad una conversazione intera. Quando ci separammo, notai che nello sguardo di Will c’era una parenza di rabbia, anche se non capivo verso chi potesse essere arrabbiato. Avevo fatto forse qualcosa di male? Gli avevo rotto qualche freccia? Lo avevo per caso sgridato per aver lasciato la tavoletta del water alzata? Non mi sembrava di aver fatto niente di tutto ciò.  Quando il silenzio fu diventato quasi insopportabile, Will aprì la bocca per parlare. Temevo quasi che mi chiedesse qualcosa riguardo a Gea o che pretendesse di fare un discorso serio, ma mi smentii subito. Era Will. Con me non era praticamente mai serio, bastavo io ad essere tediosa
-Che ti andrebbe di fare?- chiese, come fossimo appena usciti da un bar. Io inarcai un sopracciglio
-Dobbiamo andare ad allenarci, siamo già in ritardo clamoroso e non ho voglia di scalare la parete rocciosa con la lava in modalità “unico obbiettivo: uccidere semidei”. Sherman sa essere così antipatico.- dissi riferendomi all’istruttore del giorno: il figlio di Ares Sherman Yang. Will storse leggermente il naso, capii che neanche a mio fratello dovessero andare a genio le punizioni del ragazzo.
-Giuls, che cosa vuoi fare veramente- chiese, persuasivo. Lui, incaricato di addestrarmi, stava cercando di persuadermi a saltare l’allenamento. Ero così fiera di lui.
-E Sherman?- lui lanciò uno sguardo alle mie spalle, dove il figlio di Ares stava obbligando due povere ragazze della casa di Afrodite a fare le flessioni. Poverine, la loro manicure ne avrebbe risentito.
-Se ne vada pure al Tartaro, dai su, una giornata solo per noi, che ne dici?- chiese sorridendo di sbieco, sorriso che ricambiai con complicità
-Dico che avrei una piccola idea su cosa potremmo fare.- ci continuammo a guardare con quella complicità distruttiva che hanno solo i fratelli
-Fammi strada- fu la sua risposta secca. Io risi e lo presi per mano, trascinandolo via senza farci vedere.
 
La mia idea consisteva in qualcosa di semplice quanto raffinato: mangiare. Trascinai Will al padiglione della mensa e, corrompendole un po’, convincemmo le ninfe e le arpie a farci entrare in cucina. Lì preparai due tazze di thè fumanti e presi dei biscotti. Sì, era piena estate ed io bevevo del thè caldo. Che c’è di male? Non giudicate.
-Tu sei tutta sballata, siamo ad praticamente a luglio e tu ti bevi il thè.- disse ridendo. Io bevvi un sorso
-È per questo che mi vuoi bene- risi –È che mi ricorda casa. Sai, l’inverno io e la mia famiglia ci mettiamo tutti sul divano davanti un bel film e con una bella tazza di the fumante in mano. Quando mi sento un po’ giù, il the mi risolleva il morae- dissi, continuando a sorseggiare lentamente la bevanda per non scottarmi. Will sorrise e decise di cambiare discorso
-Sai che i semidei ereditano delle capacità dal ramo divino della famiglia? Io per esempio sono un ottimo guaritore, però in compenso non sono poi così bravo a suonare e a tirare d’arco.- balle secondo me. Esistevano arcieri peggiori di lui
-Ah sì?- dissi curiosa
-Già- addentò un biscotto –Hai già scoperto qual è il tuo?- feci spallucce
-Non credo che sia il tiro con l’arco. Me la cavo, ma l’altro giorno ho mandato Kayla in infermeria con una freccia in una chiappa. Per non parlare poi di cosa ho fatto al sassofono di Austin- dissi arricciando il naso
-Non ti perdonerà mai- feci spallucce
-Nah, riuscirò a farmi perdonare. Sono già tre giorni che pulisco al posto suo. Prima o poi dovrà perdonarmi- commentai ridendo. Will sorrise
-Dai, ci dovrà pur essere qualcosa in cui eccelli- alzai gli occhi al cielo
-È così importante saperlo?-
-Sì, potrebbe salvarti la vita usare il tuo talento. Sai scrivere poesie?-
-Non credo proprio-
-Disegnare?-
-Chi, io?-
-Curare qualcuno?-
-Nope.-
-Far ammalare qualcuno?-
-Non credo. Ti offri volontario come cavia?-
-Scrivere in generale?-
-Forse, una volta ho vinto un concorso-
-Questo potrebbe essere di Calliope… ballare?-
-Sono peggio di una vongola ancorata ad uno scoglio-
-Ultima spiaggia… suonare e cantare?- abbassai lo sguardo
-Canto sotto la doccia.-
-Canti sotto la doccia? Seria?-
-Sì, che c’è di male?- Will sbuffò lievemente
-Non importa a nessuno se “canti sotto la doccia”.- mi portai teatralmente una mano sul cuore
-Ehi!-
-Quello che intendevo dire è che qua quello che importa se il cantare potrebbe salvarti o meno la vita-
-Certo, perché un vocalizzo ha slavato la vita di così taaanti cantanti. Guarda Freddie Mercury.- Will alzò gli occhi al cielo
-Non si tratta di quello, si tratta di quanta emozione e magia metti nella tua voce e… lasciamo perdere. Quando sarà il momento capiremo se sei in grado di farlo.- fece una piccola pausa, carica di esasperazione, forse dovuta al mio eccessivo livello di
non-avrai-mai-l’ultima-parola-con-me-non-conta-nulla-se-sei-mio-fratello, e poi riprese a parlare: -In ogni caso, definisci cantare sotto la doccia, ti definiresti brava?-
-Non importa, tanto non la sentirà mai nessuno.-
-Perché?- feci una smorfia con la bocca
-Non mi piace cantare in pubblico. Lo trovo un eccessivo sfoggio di se stessi.-
-Sarà, ma prima o poi ti voglio sentire cantare- gli puntai un dito contro
-Non succederà mai, fratellone- ridemmo entrambi, ma all’improvviso Will si zittì. Io lo guardai seria
-Che c’è?- silenzio –C’è Sherman alle mie spalle?-
-Peggio-
-Ehilà pivelli! Non dovreste essere ad allenarvi?- mi voltai
-Clarisse.- Clarisse la Rue, la capocabina della casa di Ares, era in piedi di fronte a noi, le braccia tozze posate sui fianchi e un ghigno malefico stampato sul volto.
-Solace, Bianchi-
-Ti serviva qualcosa?- chiese Will. In apparenza era calmo e controllato, ma sapevo che sotto sotto se la faceva sotto dalla paura. Non sapevo perché, ma Clarisse ispirava una certa paura in tutto il Campo. Forse perché, in quanto figlia di Ares, si divertiva ad infilare la testa di qualche novellino nel water e a mutilare gente, anche se con me non ha mai nemmeno provato a fare nulla del genere, altra cosa di cui non so il motivo (cofscommettochehapauradimiopadrecof). Uno scintillio attraversò lo sguardo della figlia di Ares
-A me niente. Ma di certo servirà a voi qualcosa dopo che mi sarò occupata personalmente del vostro allenamento- Will aprì la bocca per ribattere, ma io lo anticipai
-Era una minaccia? Perché se volevi spaventarci sappi che hai ottenuto più o meno lo stesso effetto che avrebbe ottenuto un acaro. Ovvero nullo- dissi con un sorrisetto. Che ci volete fare, non ho proprio filtro. Prima vi abituate meglio è. Clarisse emise una specie di ghigno
-Solace, faresti meglio a portare le tue chiappe lontano da me, se ci tieni a loro.- si voltò a guardarmi -E porta con te questa stupida ragazzina- sibilò.
-Non si sta parlano di te qui…- mi lasciai scappare sussurrando, ma a quanto pare Clarisse mi sentì e mi si avvicinò talmente tanto che i nostri nasi si sfiorarono. Veramente una brutta esperienza, credetemi.
-Non mi piace tuo padre e non mi piaci nemmeno tu. Quindi stammi alla larga, chiaro?- mi imposi di mantenere la calma e drizzai la schiena
-Il sentimento è reciproco e, tranquilla, non ho molta voglia di sarti vicino.- dissi, poi lanciai un’occhiata a Will, che ci guardava da vicino la porta –Ora, con permesso, dovrei andare.- conclusi allontanandomi da Clarisse ed uscendo dalla mensa, accompagnata da Will.
-Wow, non ho mai visto Clarisse lasciare andare qualcuno in quel modo.- osservò. Io alzai le spalle e lanciai un’occhiata all’orologio da polso di Will
-Io ora devo andare, Chirone mi aspetta. Mi deve aiutare con quella storia della magia-
-Okay. Ah, domani ti porto in infermeria, così mi dai una mano. A dopo- mi salutò con un bacio sulla guancia e si allontanò verso il campo di tiro con l’arco. Affrettai il passo e raggiunsi la Casa Grande. Dopo lo spiacevole evento di qualche ora prima, non mi entusiasmava l’idea di ritornare lì. Ma avevo anche promesso a Chirone che mi sarei impegnata a fondo per cercare di controllare la mia natura. Quegli incontri sarebbero stati la nota più dolente della mia permanenza al Campo, già potevo immaginarlo. Forse perché già dalla prima visita Chirone constatò che il guanto non avrebbe resistito per sempre e che era ormai inutile sperare che la magia si sarebbe quietata da sola. Vallo a capire. Su questa nota felice, tornai agli allenamenti e, dopo un altro pomeriggio di duro addestramento ed una cena sostanziosa, feci finalmente ritorno alla mia cabina. Non ero proprio entusiasta di andare a dormire, non dopo la notte scorsa, ma mi dissi che non potevo neanche non dormire più per il resto della mia vita. Non avevo neanche un televisore, come avrei mai fatto a passare il tempo? E poi non sarei stata molto utile in battaglia in versione zombie, perciò mi costrinsi ad andare a dormire. Non mi ero neanche resa conto di quanto fossi stanca, ma evidentemente lo ero parecchio, poiché non appena posai la testa sul cuscino, crollai in un sonno profondo. Indovinate cosa feci quella notte? Esatto, sognai.
Ero in un maestoso palazzo, molto simile ad un tempio greco, interamente fatto di marmo candido, con eleganti colonne corinzie che reggevano il soffitto, bellissime statue d’oro e d’avorio ed affreschi colorati e sgargianti raffiguranti gli dei dell’Olimpo. Su un trono posto in fondo alla sala sedeva una donna, interamente fatta di terra. Non ebbi nemmeno bisogno di chiedere. Sapevo di trovarmi al cospetto della Madre Terra. Mi avvicinai lentamente, ma con sicurezza. Le mie scarpe da ginnastica risuonavano flebilmente sul pavimento in marmo. Non appena mi fui avvicinata di più notai che la dea, seduta compostamente, aveva gli occhi chiusi e un’espressione serena in volto. Tuttavia, la postura perfettamente eretta non la faceva apparire rigida, anzi sembrava a suo agio, rilassata. Ma non era quello a colpirmi, bensì quello che le stava accanto. Infatti di fianco al trono era posto un treppiedi di legno, su cui sopra era poggiato un piatto di biscotti. A quanto pare anche la dea della terra aveva bisogno di nutrirsi.
-Giulia- disse la dea, senza aprire ne occhi ne bocca. Io rabbrividii. La sua voce era fredda e tagliente –Che piacere averti qui- continuò –Un biscotto?- io inarcai le sopracciglia. Proprio non riuscivo ad immaginarmi Gea come una dea in grado di offrirti un biscotto. A meno che esso non fosse avvelenato, certo. Scossi impercettibilmente il capo.
-Perché sono qui?- domandai. La mia voce uscì forte e sicura, sembrava quasi appartenere ad un’altra persona. La dea ridacchiò.
-Beh, come puoi essere qui se questo non è un luogo? Giulia, questa non è altro che un’illusione, un sogno. Eppure è così sorprendentemente vicino alla realtà, non trovi?- sembrò sorridere di più –Sto finalmente per ridestarmi dal mio lungo sonno, Giulia, e quando lo farò, questa sarà casa mia, casa nostra, se sceglierai di unirti a me. Pensaci, tutto questo sarà il nuovo Olimpo! Un posto tutto nostro, dove finalmente verrai onorata e venerata da tutti, come la dea quale saresti dovuta essere. Non ti sentirai mai più fuori posto.- Le sue parole si insinuarono nel mio cuore e nella mia mente. “Non ti sentirai mai più fuori posto”. Era sempre stato il mio più grande sogno, e Gea lo sapeva. Stava cercando di corrompermi offrendomi tutto quello che avrei mai potuto desiderare, ma io sapevo che non avrebbe mai mantenuto la parola data. Perché quando si è un dio si fa così: si fanno promesse su promesse per portare i poveri mortali dalla propria parte, si usano sotterfugi e fascino, belle parole e quant’altro. Tutti i mezzi possibili per ottenere ciò che si vuole senza il minimo sforzo. Forse era un bene che io non lo fossi. Strinsi forte i pugni, sentendo la rabbia crescere in me. Ero stanca delle menzogne. Dopo quindici anni, ero stanca di raggiri e di bugie. E, soprattutto, ero stanca di Gea. Tutta quell’assurda situazione era colpa sua. Era colpa sua se degli adolescenti erano costretti a prepararsi per una guerra, la seconda nel giro di due anni.
-Non mi unirò mai a te! Puoi anche scordartelo!- urlai con tutto il fiato che avevo in gola. Successe tutto in un attimo. Un dolore lancinante all’altezza dello stomaco. All’improvviso Gea non era più seduta sul trono, ma era davanti a me, una mano sulla spalla ed una che teneva saldamente una lancia finemente decorata conficcata nella mia pancia, gli occhi ben aperti ed un sorriso da pazza sulle labbra
-Ancora non capisci, figlia del Cielo? Non hai alcuna scelta. Se non ti unirai a me, questa sarà la tua fine. Ti ucciderò io stessa e se non dovessi riuscirci, farò in modo che qualcun altro ti pianti questa lancia nel corpo, sotto lo sguardo di coloro che ami. Lo giuro sullo Stige- buttò fuori quelle parole come se fossero acido. Il dolore mi dava alla testa e non riuscivo a pensare con lucidità, ma nonostante ciò provai in tutti i modi a mantenere la calma. Lo aveva detto lei stessa: nulla di tutto ciò era reale. Eppure il dolore lo sentivo chiaramente
-N-non puoi uccidermi… il lega… il legame empatico… m-moriresti anche tu…- riuscii a rantolare. Gea sorrise in maniera inquietante
-Vedo che ti hanno informata di qualcosa dopotutto… ma non ti hanno detto la cosa importante… Non possono disintegrarmi e mandarmi di nuovo a dormire perché ferirebbero te. Ma io posso ucciderti tranquillamente e continuare a vivere. Ricordi? Sono immortale. Proverei fastidio, forse dolore, ma continuerei a vivere e a regnare. Quindi pensaci bene figlia del Cielo. Potrei non darti un’altra occasione quando l’ora sarà giunta.- detto ciò sfilò la lancia dal mio stomaco ed io caddi a terra, senza fiato. L’ultima cosa che sentii prima che il buio eterno mi ghermisse, fu la risata di Gea. Fredda e tagliente come l’ultima volta.
 
Mi svegliai urlando. Sentii della mani prendermi le spalle con forza. Chiusi gli occhi e cercai di liberarmi dalla presa, ma quella si rafforzò di più.
-Giulia! Giulia! Sono io, sono Will!- una voce si insinuò nella mia testa. Will. Mi fermai ed aprii lentamente gli occhi. Mio fratello era davanti a me, le sue mani, che prima mi avevano afferrato le spalle, stavano ora tenendo saldamente i miei polsi. Aveva un’espressione spaventata, gli occhi azzurri accesi dalla preoccupazione. Avevo svegliato l’intera cabina con le mie urla, ma non ci feci troppo caso.
-Will…- sussurrai prima di gettargli le bracci al collo e di chiudere nuovamente gli occhi, le lacrime che mi rigavano il viso. Will mi strinse a sé, mormorando qualcosa che non colsi. Ad un certo punto mi staccò con gentilezza da sé  e mi aiutò a mettermi in piedi
-Ragazzi tornate pure a dormire, non è successo niente- annunciò, per poi andare, trascinandosi dietro me, verso la porta. Destiny borbottò un insulto in greco antico, ma io non risposi. Era come se il mondo intorno a me continuasse a girare, ma io fossi rinchiusa dentro ad una bolla, indifferente a tutto. Una volta fuori Will mi fece sedere sul porticato della casa per poi circondarmi le spalle con un braccio. Io posai la testa sulla sua spalla, facendomi cullare. Era rassicurante averlo lì con me.
-Vuoi raccontarmi cosa è successo?- chiese con gentilezza. Io scossi appena il capo. Non riuscivo a parlare, mi sentivo una morsa alla gola. Facevo quasi fatica a respirare.
-Giuls… era solo un sogno, un’illusione. Nulla di quello che hai visto era reale- disse accarezzandomi i capelli.
-Lo sembrava, Will, sembrava tutto così reale…- mi scappò un singhiozzo. La mia voce era roca –Era sveglia. Aveva gli occhi aperti. Mi ha… minacciata.- dissi, sentendo il freddo bronzo celeste della lancia perforarmi la carne ed il sapore metallico del sangue in bocca.
-Questa è la dimostrazione che era tutto davvero solo un sogno. Gea non è sveglia, non ancora almeno. E comunque le impediremo di svegliarsi e di farti del male. Poi avete un legame empatico, ricordi? Lei non può farti del male.- a quelle parole mi scostai dal suo abbraccio e scossi il capo con un gemito
-Tu non capisci. Noi non possiamo ferire lei, è vero, ma lei può ferire me. E rimanere illesa. È una dea, la più potente di tutti, anche se mi uccidesse molto probabilmente sopravvivrebbe. Inoltre, sempre si possa fare, credo che se decidesse di uccidermi spezzerebbe il legame empatico. Non è tanto stupida da rischiare.- dissi, riacquistando un po’ di calma. Will aggrottò le sopracciglia
-Te lo ha detto lei?-
-Che spezzerebbe il legame? No, l’ho intuito da sola, era talmente sicura quando mi… quando lo diceva.- Will mi posò delicatamente una mano sulla mia, per poi stringerla con la medesima delicatezza
-Giulia- disse cautamente –raccontami il tuo sogno. Ne ho bisogno- gli strinsi di rimando la mano e, prendendo un bel respiro, iniziai a raccontare.
 
*Angolo Autrice*
Ehilà bella gente! Come promesso, eccomi tornata con un doppio capitolo! Yeeeeee! Dovete veramente scusarmi se la scorsa settimana non ho aggiornato, lo so che avevo promesso di essere puntuale, ma delle forze più grandi di me hanno deciso che almeno una volta dovevo essere in ritardo. Non è successo nulla di grave in realtà. Semplicemente non ho avuto neanche il tempo di aprirlo world, dato che sono stata tutta la settimana chiusa dentro un museo. No, nessuna visita di piacere, ho dovuto prendere parte ad un corso estivo per l’alternanza scuola-lavoro, e quando tornavo a casa la sera non avevo neanche la forza di aprire il pc ahahah. Mi scuso anche di aggiornare così tardi, ma, sempre perché io ho una fortuna invidiabile, ho avuto tutto il giorno problemi con il sito, problemi che ho risolto solo ora. Fatte le dovute scuse, che ve ne pare? Beh, io vi avevo avvertito che Giulia non avrebbe avuto vita facile e che avrebbe presto fatto nuove conoscenze ehehehehe. Certo che però mi sento un po’ in colpa... non le sto dando respiro! Va beh dai, cercherò di farla riposare un po’ di più nei prossimi capitoli... o forse no *sorrisetto malefico*. Grazie mille per aver letto fino a qua, un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie

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Capitolo 5
*** Arrivano i romani... uh. Hanno anche le aquile ***


Capitolo 5
Arrivano i romani… uh. Hanno anche le aquile.

 
Era passato diverso tempo dal sogno in cui Gea mi aveva minacciata, e da quel giorno non avevo più avuto sue notizie. Né un segnale, né una visione. Niente di niente. E a me andava bene così , non fraintendetemi. Nonostante ciò, c’era qualcosa di terribilmente inquietante in quell’improvviso silenzio. Ovviamente, per via del legame empatico, avvertivo costantemente la sua presenza nella mia mente, presenza che si andava rafforzando con il passare dei giorni, eppure taceva, totalmente. Mi allenavo costantemente e sempre con più impegno. Ormai ero diventata piuttosto brava con il tiro con l’arco e anche con il lancio dei coltelli. La spada continuava a non fare per me. Era un’arma troppo ingombrante e mi impediva di muovermi agilmente. In più, non ne trovavo mai una bilanciata correttamente per me. Invece con il  pugnale… ormai era diventato con un prolungamento del mio braccio. Lo portavo ovunque, senza mi sentivo nuda. Era più o meno così anche per l’arco di mio padre. Continuava a farsi impugnare solo da me, e ciò mandava in bestia Destiny. Continuavano anche le sedute settimanali con Chirone, sempre più faticose. Anche il clima al Campo era molto più teso. Ormai tutti sapevano che il risveglio di Gea era sempre più vicino, e che i legami con il campo romano non erano propriamente rose e fiori, Rachel e Grover erano andati a parlare con il loro augure(una sorta di Oracolo) pochi giorni fa, anche se nessuno ne sapeva il perché.
-Ehi bellissima- disse una voce piuttosto familiare alle mie spalle. Io sorrisi senza voltarmi
-Ciao Will- mio fratello si sedette accanto a me, senza che io avessi detto nulla, ma non era un problema. Da qualche giorno a quella parte, quando avevo bisogno di staccare un momento la spina, mi rifugiavo sulla collina più alta del Campo e Will poco dopo mi raggiungeva e si sedeva a farmi compagnia, senza cercare di farmi parlare, proprio come il mio primo giorno di questa assurda vita da semidea. Ormai quello era diventato il nostro posto. Il nostro angolo di paradiso al Campo. Sentivo il suo sguardo su di me, eppure io non mi girai a guardarlo. Rimasi a fissare il sole che si rifletteva sulla superficie cristallina del lago delle canoe.
-Hai avuto un altro incubo stanotte?- chiese. Io scossi la testa
-Niente. Da settimane. Comincio a preoccuparmi. E se Gea avesse in serbo qualcosa di terribile e stesse aspettando solo il momento adatto per rilasciare la bomba?-
-Hai paura che possa mettere in atto le sue minacce? Farti del male?-
-No… non mi importa di quello che può accadere a me. Sono più che altro preoccupata per quello che può accadere a te, alla mia famiglia e a tutti coloro a cui tengo. Mi vuole al suo fianco contro di voi. E se ho capito almeno un po’ come ragiona Gea, non si fermerà davanti a nulla pur di ottenere ciò che vuole. Mi ha offerto tutto quello che ho sempre desiderato, e non ha ottenuto nulla. Mi ha minacciata, ed io non ho reagito. Solo una volta mi sono mostrata spaventata: quando ha minacciato la mia famiglia. Credo che abbia capito che non mi importa se sono io a morire, ed ho paura che…- feci una piccola pausa -Se non mi unissi a lei di mia sponte, potrebbe fare ricorso a voi, ed in quel caso non so che cosa farei.- conclusi, con un sospiro. Will mi guardò serio
-Tu ti rifiuteresti ed accetteresti le conseguenze delle tue azioni. Perché non conta nulla una vita, anche se si trattasse della mia, davanti alle sorti del mondo. Faresti la cosa giusta per tutti.- mi girai a guardarlo mordicchiandomi il labbro inferiore
-La verità è che non so se sarei in grado di fare la cosa giusta. Non accetterei mai di essere la causa della tua morte o di quella di qualcun altro, anche se questo significa tradirvi.- ammisi, nonostante sapessi di quanto quelle parole potessero suonare egoiste -e Will… non mi guardare così, non sono una sciocca. So che se mi schierassi dalla sua parte sarei la potenziale causa della distruzione del mondo… ma potrei contrattare e salvare la mia famiglia.- Will mi afferrò le mani
-Giulia. Saresti veramente disposta a sacrificare il mondo per non essere la causa della morte di qualcuno che ami? Non ci credo, non è da te.- mi liberai della sua presa e mi alzai in piedi
-Tu non sai cosa è o non è da me! Ed ora sto perdendo tempo a fare ipotesi assurde, su cose che potrebbero come non potrebbero accadere, invece di allenarmi!- avevo veramente bisogno di una vacanza. Will si alzò e mi si mise davanti
-Vuoi allenarti? Alleniamoci allora.- dichiarò afferrando due bastoni e lanciandomene uno
-Cosa stai facendo?- chiesi con un sopracciglio alzato. Lui mi fece un sorrisetto che di solito non preannunciava nulla di buono
-Lotta con i bastoni, hai mai provato?-
-Temo di no…- non faci in tempo a finire di parlare che Will sferrò con un colpo che avrebbe potuto rompermi la testa, se non l’avessi parato all’ultimo. Mi allontanai di scatto
-Sei impazzito?! Avresti potuto uccidermi!-
-Ma non l’ho fatto-
-Ma avresti potuto!-
-Non è successo! Hai parato il colpo-
-Non sapevi che l’avrei fatto.- Will mi fece l’occhiolino
-Ne ero certo al 99%. Ormai i riflessi da semidea fanno parte di te- sospirai e parai un altro attacco a sorpresa di Will
-La vuoi smettere?-
-E tu vuoi iniziare?-
-Ma cos…- fui costretta a parare un altro colpo. Alzai gli occhi al cielo, rassegnata all’idea di giocare a quell’assurdo gioco. Continuammo a cercare di romperci le ossa a vicenda, da bravi fratelli semidivini che si rispettino, fino a che non cademmo esausti sull’erba, ancora ridendo. Io sguainai il mio pugnale, cominciando a giocarci distrattamente
-Ti sei divertita?- chiese Will
-Assolutamente. Il miglior allenamento di sempre. E persino più pericoloso della parete d’arrampicata- dissi ridendo. Will si tirò a sedere e guardò l’ora sul suo orologio da polso
–Oggi non dovevi andare da Chirone?-
-Sì, perché?- mi sedetti a mia volta guardandolo confusa. Mi mostrò il polso
-Perché dovresti essere da lui da almeno un quarto d’ora- sgranai gli occhi e mi alzi in piedi di scatto
-Sono in stra-ritardo! Chirone mi ucciderà! Oh dei!- esclamai cominciando a correre giù per la collina, seguita a ruota da Will che mi consigliava di non correre con un’arma potenzialmente letale in mezzo ad un gruppo di ragazzini pieni di armi potenzialmente letali. Ovviamente non lo ascoltai. Raggiungemmo la Casa Grande e facemmo irruzione dentro, io già pronta a scusarmi per il vergognoso ritardo… peccato che la stanza era vuota
-Ma dov’è finito?- chiese Will
-Probabilmente mi sta aspettando nella saletta.- gli feci segno di seguirmi. La saletta era la stanza del computer, e, dato che il computer veniva usato molto raramente, il vecchio centauro l’aveva scelta per le mie visite. Comunque, Chirone era effettivamente nella saletta, solo che non era solo. Con lui c’era Malcolm Pace. Bussai piano per attirare la loro attenzione e lo sguardo di disappunto lanciatomi dal centauro fu peggio di una bastonata. Entrai dentro la stanza con un’aria dispiaciuta ed imbarazzata allo stesso tempo. Davvero ragazzi. Non deludete mai Chirone. Vi sentireste dei microbi.
-Buongiorno… scusi per il ritardo clamoroso… mi stavo allenando ed ho perso la cognizione del tempo… scusi…-
-Ho mandato un satiro a cercarti all’arena, ma non c’eri.- disse con aria dura. Abbassai lo sguardo non sapendo cosa rispondere, ma fortunatamente fu Will a rispondere
-È colpa mia. Si stava allenando con me, una specie di lezione privata.- il vecchio centauro sospirò
-Mi dispiace veramente tanto…- mi interruppe con un cenno della mano
-Ora non ho tempo per parlare, Malcolm mi ha appena avvertito di un problema che richiede la mia presenza… e non ti preoccupare bambina mia- disse poi con un sorriso, scompigliandomi ancora un po’ i capelli e facendo sorridere anche me –pe questa volta non fa niente. Ma cerca di non mancare più, queste lezioni sono molto importanti. Intesi?- annuii
-Intesi. E grazie per non essersi arrabbiato. Le prometto con accadrà più.- dissi decisa. Chirone sorrise e mi diede una pacca sulla spalla
-Ne sono certo. Ora scusami ma devo…- All’improvviso il monitor del computer si illuminò interrompendo Chirone ed avvisandoci di una chiamata in arrivo.
-Chi potrebbe mai essere?- chiese Chirone. Will si strinse nelle spalle ed accettò la chiamata. Immediatamente il viso sorridente di Leo Valdez occupò l’intero monitor
-Ciao ragazzi! Come va? Vi manchiamo vero?- chiese scherzoso come qualche settimana fa, anche se sembrava diverso, più stanco e provato. Chirone e gli altri si aprirono in un sorriso
-Come sta Percy? Sappiamo che non è andato tutto come speravamo- chiese il centauro. Leo si mosse a disagio sulla sedia
-Ecco non esattamente, Percy sta bene comunque. Sta recuperando la memoria e lui e Annabeth passano più tempo possibile insieme…- si interruppe quando posò gli occhi su di me. Il suo sorriso si addolcì un poco, ma forse me lo ero soltanto immaginato
-Ciao- ricambiai il sorriso
-Ciao- potevo sentire lo sguardo di Malcolm addosso. Chirone si schiarì la voce e Leo tornò a prestare attenzione a lui.
-Dimmi figliolo, cosa è successo da quando siete partiti dal Campo?- chiese. Leo sospirò
-Tante cose, signore, tante cose- iniziò a raccontare di tutto quello che era successo a Nuova Roma e del fatto che Annabeth dovesse intraprendere un viaggio da sola per cercare l’Athena Parthenos, una statua sottratta secoli fa ai greci dai romani, forse l’unica cosa in grado di unificare i due gruppi. Ah, un certo Nico di Angelo era anche scomparso. Parlammo a lungo, alla fine Chirone dovette andare via con Malcolm, che mi salutò con un “ciao” un po’ impacciato e tenero allo stesso tempo, ed io e Will rimanemmo soli con Leo
-Va bene, io devo andare in infermeria, ciao Leo, è stato bello rivederti. Giulia, vieni con me?- mi chiese. Io lanciai una breve occhiata al computer, dove l’immagine dell’elfo sorrideva allegra
-Ti raggiungo tra un minuto- annunciai e mio fratello si strinse nelle spalle
-Okay, a dopo allora. Ciao Leo-
-Ciao Will- disse guardandolo andare via. Mi sedetti sulla sedia davanti al pc e guardai Leo con un sorriso, nonostante fossi molto nervosa. Avevo deciso di dirgli tutto riguardo i miei sogni, doveva sapere che probabilmente Gea avrebbe potuto attaccarlo da un momento all’altro.
-Senti Leo…- iniziai, ma lui mi interruppe
-Wow! Hai un aspetto terribile!- esclamò. Io rimasi interdetta e mi guardai rapidamente nella superficie lucida del mio pugnale che avevo posato sulla scrivania. In effetti era vero che non ero bellissima, ero ancora sudata dall’allenamento, sporca di terra ed i capelli erano totalmente spettinati. Riportai il mio sguardo su Leo passandomi una mano fra i capelli noncurante, cercando di sistemarli un poco, e lo guardai
-Neanche tu sei un granché- lui fece un sorrisetto furbo
-Io sono sempre bellissimo- scoppiai a ridere, contagiando anche lui. Forse per la prima volta da quando Gea aveva iniziato a perseguitarmi mi sentivo bene. Come se nulla avrebbe potuto mai interrompere quella strana conversazione. Ovviamente, mi sbagliavo.
-Giulia, tutto okay?- chiese. Io annuii
-Sì… ho così tante cose da dirti, non so neanche da dove cominciare-
-Inizia dalla più semplice- esitai un momento
-Lo conosci Malcolm Pace?- beh, Gea non era esattamente una cosa semplice di cui parlare, no?
-Di nome. È uno dei fratellastri di Annabeth, giusto? Perché me lo chiedi?-
-Oh no niente, l’ho conosciuto durante la mia prima settimana qui al Campo, mi è sembrato un bravo ragazzo- dissi sorridendo, lui annuì
-Sicuramente… oh prima che mi dimentichi!- iniziò –Chi è tuo padre? Sei stata riconosciuta?- chiese. Rimasi abbastanza sorpresa da quella domanda, davvero gli importava?
-Lo vuoi sapere sul serio?- chiesi con un sorriso. Lui mi guardò come se la risposta fosse ovvia
-Certamente! Dicevo sul serio quando ti ho detto che avrei voluto conoscerti meglio-  mi sentii bene sentendo quelle parole, non so nemmeno io perché. Aprii la bocca, ma prima di poter dire qualcosa, Will mi chiamò dall’esterno
-Giulia! Corri c’è bisogno di te qui!- guardai dispiaciuta Leo
-Scusa, devo proprio andare- dissi, lui sembrò capire
-Non ti preoccupare, ci sentiremo un’altra volta. Saluti dall’Argo II principessa!- esclamò facendomi l’occhiolino, per poi chiudere la chiamata. Sospirai e spensi il computer, mi alzai controvoglia da quella comoda sedie ed uscii raggiungendo mio fratello e gli altri. Desiderai essere rimasta lì dentro. Fuori era un vero putiferio. Tutti i semidei del Campo erano raggruppati davanti la barriera magica. Per un totale di duecento e passa ragazzini tutti agitati e appiccicati. Per non parlare dei satiri e delle ninfe. Intercettai Will mentre stava per raggiungere la folla e lo presi per il braccio prima che potesse scomparire.
-Cosa sta succedendo?!- urlai per sovrastare le centinaia di voci che parlavano gridando tutte insieme. Will aveva l’aria più seria che gli avessi mai visto in volto.
-Vieni con me.- mi afferrò per il polso e mi trascinò in mezzo alla folla di ragazzi, sgomitando per passare davanti a tutti. Quando raggiungemmo finalmente il confine magico del campo ed io ebbi ricominciato a respirare, rimasi sconvolta. In lontananza si vedeva chiaramente arrivare quello che aveva tutta l’aria di essere un piccolo esercito di soldati in una completa e scintillante armatura in oro, armati fino ai denti, con un graziosissimo stendardo viola ed oro. Guardai in alto e vidi un enorme volatile cercare di penetrare nelle nostre difese, subito imitato da altri
-Sono aquile quelle?- che ingiustizia. Noi avevamo solo un drago. Guardai Will. Tutto quello poteva significare solo una cosa. La legione del Campo romano stava arrivando. E chissà perché avevo la sensazione che non fossero venuti per bersi un thè e fare quattro chiacchiere con noi. Chiamatelo sesto senso se volete. Presi da parte Will e mi distaccai dalla massa
-Will siamo in guai enormi-
-Dici?- chiese con un pizzico di sarcasmo, ricevendo in cambio un’occhiataccia da parte mia
-I romani stanno arrivando ed hanno le aquile e tante armi, probabilmente più di quante ce ne siano nel nostro magazzino. E poi sono tanti… e chissà quanti altri ne arriveranno…- lui si passò una mano fra i capelli
-Questo vuol dire che l’incontro fra Rachel ed il loro augure non deve essere andato bene… spero solo che Rachel non l’abbia minacciato con una spazzola…-
-Aspetta che?- Will liquidò la faccenda con un gesto impaziente della mano
-Sai cosa dobbiamo fare ora?-
-Prepararci a combattere?-
-No.- fu la sua risposta secca –Dobbiamo radunare tutto il campo all’arena per discutere… Grover e Rachel dovrebbero tornare tra poco… e chiedere notizie a Tyson-
-Will aspetta.- lo richiamai –Sicuro di quello che vuoi fare? Lasciare i confini totalmente indifesi?- lui mi fece un leggero sorriso
-Beh, non sempre combattere è la soluzione. Lezione del giorno: gli eroi pianificano anche.- alzai gli occhi al cielo. Sapevo che mi considerava troppo impulsiva, ma mettersi a discutere del mio carattere in quel momento era veramente fuori luogo.
-D’accordo. Avverti Chirone, io cercherò gli altri capogruppo per cercare di mantenere l’ordine- dissi. Lui sorrise e corse a cercare Tyson. Almeno non sarebbe stato difficile da trovare. Un ciclope di due metri con un’arpia rossa appollaiata sulla spalla non passava certo inosservato. Io feci per allontanarmi, ma mi sentii afferrare il braccio da una mano forte e grande. Mi voltai di scatto, con la mano libera già stretta a pugno, e mi ritrovai di fronte a Malcolm
-Malcolm, per gli dei, ti pare la situazione adatta per arrivare alle spalle di qualcuno? Ti avrei potuto prendere a pugni scambiandoti per un romano!- dissi liberando il braccio dalla sua presa
-Scusami, hai ragione. Volevo solo vedere se tu stessi bene-
-Sì, perché non dovrei? Non sono ancora entrati nel Campo, anzi sono ancora distanti persino dai confini- gli feci notare. Lui si grattò la nuca con fare imbarazzato
-Non parlavo dei romani… in una bolgia simile è facile rimanere feriti. Ci hanno colti nel pieno dell’allenamento e la maggior parte di noi è ancora armata… e poi ti ho vista sparire con Will in mezzo alla folla… magari qualcuno ti aveva urtato per sbaglio…- mi venne istintivo sorridere. Era stato davvero dolce. Gli presi le mani e gliele strinsi tra le mie, facendolo arrossire appena
-Sto bene, grazie. E sta tranquillo. Fintanto che sono al Campo, starò bene. Non potrebbe mai accadermi nulla.- lo rassicurai. Era davvero carino con i capelli biondi tutti spettinati, le guance lievemente rosse e gli occhiali storti sul naso. Mi rimproverai mentalmente. Non avevo il tempo per una cotta, non con i romani alle costole. Malcolm annuii e sorrise dolcemente
-Sta attenta, okay?- si voltò e fece due passi… per poi tornare indietro di corsa e darmi un bacio a stampo, andandosene poi ancora più velocemente rosso in volto come un peperone. Io rimasi lì per un paio di minuti, cercando di capire se fosse successo veramente o se me lo fossi soltanto immaginata. Dopo aver appurato che quel bacio non fosse stato uno scherzo della mia mente, andai a cercare i mei fratelli. Ed a cercare un corno. Al Campo Mezzosangue non puoi sperare in un megafono. Se vuoi radunare una folla, devi avere un corno da caccia. Che ci vuoi fare… i semidei adorano andare a caccia di altri semidei.
Mezz’ora dopo eravamo tutti radunati nell’arena di combattimento. Eravamo tutti seduti sugli spalti, stringendoci per entrarci, e Chirone era al centro del padiglione. Il più di noi si guardava attorno spaesato, cercando di capire perché fossimo tutti lì, invece di controllare i confini. In effetti anche io non credevo che quella di radunarci tutti in un unico punto non fosse una grande idea, ma Will aveva ragione. Dovevamo organizzare un piano di difesa. Fu il nostro istruttore a parlare
-Ragazzi, vi abbiamo radunati tutti qui per parlare dell’imminente minaccia. I romani ci stanno dichiarando guerra. Stanno marciando verso il nostro Campo e…-
-Sono già arrivati- disse un ragazzo della casa di Ermes –Perché non ci stiamo preparando per combattere? Potrebbero entrare da un momento all’altro!- i semidei incominciarono ad agitarsi ed a parlare a voce alta
-Non lo faranno- un voce delicata ma decisa spiccò fra le altre e fece zittire tutti. Una ragazza dalla pelle verdastra e dai capelli rossicci che riconobbi come Juniper, la ragazza ninfa di Grover, si alzò in piedi
-I nostri amici della foresta li hanno sentiti parlare e sono venuti a riferirmi ogni cosa. I romani non attaccheranno, non subito almeno. Non sono al completo, manca ancora metà della legione. Inoltre il loro comandante ha disertato, li ha traditi. È partita per il mare dei mostri, zona proibita per i romani. Sono soli. L’unico a guidarli è quel pazzo di Ottaviano. Molti non si fidano di lui, mentre altri ciecamente. Ci sono delle tensioni nel loro accampamento. Non sono per niente pronti ad attaccare.- dopo aver finito si risedette con calma, noncurante del silenzio sconvolto che le sue parole avevano portato.
-Grazie Juniper. Come vedete ragazzi, non c’è niente da temere. E per rispondere alla tua domanda, Brian- proseguì il centauro rivolgendosi al figlio di Ermes -ho ritenuto opportuno informarvi che nulla cambierà nelle nostre vite. La nostra barriera è forte, non permetterà alle aquile di entrare, e Peleo è una difesa sufficiente a tenerli a distanza. Pertanto pretendo che ognuno di voi continui con le proprie attività. Esse verranno interrotte solo in caso di scontro diretto, cosa che confido non accadrà. Vorrei soltanto chiedere ai figli di Efesto di ritirarsi nelle fucine e di costruire armi nuove, per ogni evenienza, ed ai figli di Atena di pensare a delle strategie, insieme ai figli di Ares, ovviamente. Questo è tutto, potete andare- concluse, allontanandosi verso la Casa Grande. Non appena si fu allontanato, i semidei cominciarono a parlare gli uni con gli altri, creando una grande confusione. I figli di Atena si allontanarono immediatamente verso un posto più tranquillo per pensare, seguiti controvoglia dalla casa di Ares, mentre i figli di Efesto decisero che non c’era tempo a perdere e corsero nelle fucine. Io e Will fummo tra gli ultimi ad allontanarci dall’arena, in silenzio
-Sai, credo che dovresti andare dagli altri. I più piccoli saranno spaventati, forse avrebbero bisogno di te- lui non mi rispose -Will… che succede?- chiesi. Lui sospirò
-È così difficile. Farsi ascoltare da loro. Tutti vogliono impormi il loro pensiero senza ascoltare il mio. A volte mi sembra di essere invisibile. Come fai tu? Come fate tutti voi a farvi ascoltare senza problemi?- sospirò –se solo Lee fosse ancora vivo… se solo Michael fosse ancora qui… loro sì che sapevano come mandare avanti la cabina.- nei suoi grandi occhi azzurri c’era una tristezza talmente profonda che per poco non scoppiai a piangere. Lee Fletcher e Michael Yew erano due figli di Apollo, i vecchi capogruppo, a cui Will era dovuto succedere nel mezzo della Seconda Guerra dei Titani. Lee era morto in battaglia, mentre Michael era rimasto vittima del crollo di un ponte causato da Percy per sconfiggere il Minotauro e altri mostri. Era scomparso da allora. Non morto, semplicemente sparito. Tutto quello che era stato trovato era il suo arco. Anche se lo danno tutti per morto. Quando me ne aveva parlato gli avevo chiesto come avesse fatto a gestire tutta la situazione, diventare il punto di riferimento dei ragazzi durante la guerra, e lui mi aveva risposto che la guerra colpisce tutti in egual misura, e che a lui era andata pure bene, alcuni avevano subito cose peggiori. Feci un respiro profondo e provai ad accennare un sorriso rassicurante. Non sapevo come comportarmi in quella situazione. Will non era quasi mai triste o di cattivo umore, quindi non sapevo proprio cosa fare o dire, perciò mi lasciai guidare dall’istinto. Può non sembrare una buona idea improvvisare quando si tratta dei sentimenti di qualcun altro, ed infatti non lo è mai, ma vi assicuro che in quell’occasione funzionò.
-Will, tu… tu non sei Lee, né Michael né Percy né nessun altro. Tu sei Will. E vai bene così come sei. Sei il mio fratellone e non ti vorrei diverso da così. Guidi la cabina nella tua maniera, e vai alla grande! Non puoi lasciarti prendere dallo sconforto, non in questo momento. Sei il nostro capogruppo, Will, il nostro punto di riferimento. Se cadi tu, cadiamo tutti. E non provare a dire che non sei bravo a fare questo lavoro, perché sei fantastico. Tu sei una brava persona ed un bravo leader. Non osare mai a dire il contrario, è chiaro?- dissi tutto d’un fiato, sorridendogli con amore e stringendogli le mani. Lui fece un sorriso, appena accennato ma pur sempre un sorriso, con gli occhi pericolosamente lucidi.
-Ti voglio bene, sorellina- io gli circondai nuovamente le spalle con un braccio, stringendomi a lui e posandogli la testa su una spalla
-Anche io, fratellone-. Rimanemmo lì in silenzio per un po’, finché Austin non ci venne a chiamare.
-Ehi Will, con gli altri stavamo pensando che sarebbe utile se tutti sapessimo almeno le basi della medicina. Visto che sei il medico migliore fra di noi, ti va di venirci ad aiutare?- disse, ignorando completamente me. Caspita, se l’era veramente presa per quel sassofono!
-Certo Austin, tu vai pure. Noi ti raggiungiamo- si alzò e si voltò verso di me, porgendomi la mano
-Allora, vieni Giulia?-  io gli afferrai la mano, alzandomi in piedi. Gli lanciai un ultimo sguardo, giusto per assicurarmi che stesse realmente bene, e poi annuii leggermente.
-Andiamo dalla nostra famiglia-.
 
 
 *Angolo Autrice*
Ciao a tutti! Ecco a voi un nuovo e freschissimo capitolo. Beh, che dire, questo è stato proprio un capitolo al bacio ehehehe che c’è? Vi avevo promesso qualche momento fluff per Giulia, e poi almeno per una volta le ho dato un po’ di respiro. Sono stata gentile. E poi c’è stato il tanto atteso (da me) ritorno in scena di Leo! Non trovate anche voi che lui e Giulia siano adorabili? Va beh, tralasciando i miei scleri quotidiani, che ne pensate? Sinceramente è il capitolo che ho trovato meno avvincente, ma vi prometto che nei prossimi la situazione si complicherà per tutti quanti, ed in particolare per Giulia. Lo so che la stresso troppo, ma d’altronde è la protagonista. Grazie mille per aver letto fino a qua, spero che la storia vi stia piacendo. Un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie

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Capitolo 6
*** Tempo di prendere delle decisioni. ***


Capitolo 6
Tempo di prendere delle decisioni.
 

La tensione cominciava a farsi sentire. Nonostante tutti noi cercassimo di ignorarla il più possibile e continuare la nostra vita semidivina come se nulla fosse, la minaccia romana era una costante di tutti i giorni. Erano sempre lì, sempre più numerosi, sempre più armati. Continuavano ad arrivare rinforzi: arrivavano, a giorni alterni, soldati e centurioni con delle specie di catapulte gigantesche romane (dalla regia mi dicono che si chiamano onagri), per non parlare poi delle aquile che continuavano a volarci sopra. Dei, cominciavo seriamente ad odiare quegli uccelli. Fortunatamente, il nostro amato drago domestico da guardia Peleo li teneva abbastanza distanti dal Pino di Talia, e quindi dai nostri confini. Sbuffava e scopriva le zanne acuminate ogni qualvolta un romano provava anche solo ad avvicinarsi a lui. Eh già, Peleo è proprio un cucciolone! Eravamo tutti più nervosi, più irritabili, più spaventati. Già. Gli incredibili e temibili semidei del Campo Mezzosangue, di cui, ehi, faccio parte anche io, armati fino ai denti erano spaventati all’idea di un esercito di altri temibili ed incredibili semidei armati fino ai denti. Che simpatica ironia, eh? Tornando a noi, non credo fossero tanto i romani ad agitare gli animi, quanto il risveglio di Gea, che, come sapevamo tutti, anche se nessuno voleva dirlo ad alta voce, era sempre più vicino. Ma nonostante ciò, tutti si sforzavano di non darlo a vedere. I più grandi e i capocabina si adoperavano per rassicurare i più piccoli, e tutti cercavano di darsi una mano. In un certo senso li invidiavo. Avevano una forza d'animo più grande di chiunque altro io avessi mai conosciuto. Il mio desiderio più grande era quello di non deluderli, e speravo sinceramente di farcela. Mi riscossi dai miei pensieri quando notai una familiare testa bionda uscire dalla cabina dei figli di Atena. Era Malcolm. Non sapevo bene come comportarmi con lui. Dopo quel “bacio” aveva cominciato ad evitarmi, ed erano giorni che non mi rivolgeva la parola. Forse non gli era piaciuto, o forse non gli piacevo più io e non sapeva come dirmelo, o forse aveva improvvisamente capito di essere gay. Succede. Ad ogni modo, capii che se lui aveva deciso di ignorarmi doveva esserci un motivo valido e che se non fossi andata a parlargli io, non lo avrei mai scoperto. Mi incamminai verso di lui con passo spedito, pensando ad una scusa per parlargli, ma Malcolm si voltò e mi vide. Fece subito per voltarsi ed andare via, ma fortunatamente per me, lo raggiunsi prima che potesse fare un solo passo.
-Malcolm!- lo chiamai. Lui si voltò verso di me, con un sorriso di cortesia sul volto. La cosa mi ferì più di quanto volessi. Non credevo di essere così indesiderata.
-Ciao, Giulia, cosa posso fare per te?-
-Beh ecco…- pensai più in fretta che potevo -mi hanno detto che mi cercavi…?- non potevo trovare scusa più banale, ma sembrò funzionare
-Oh… devi scusarmi per il disturbo, in realtà io cercavo uno qualsiasi dei tuoi fratelli, non te nello specifico, quindi se hai altro da fare…-
-Ormai sono qui- lo interruppi, leggermente delusa -cosa ti serviva?- chiesi, cercando di ignorare la morsa che sentivo allo stomaco. Malcolm sembrò arrendersi alla prospettiva di farsi aiutare da me, cosa che sembrava turbarlo veramente molto. Cosa c’era che non andava in me? Puzzavo forse?
-Chirone mi ha chiesto di fare una sorta di inventario del Campo. In infermeria manca niente?-
-Oh.- ci riflettei un momento -non ne sono sicura. Ti dispiacerebbe venire un momento con me per dare un’occhiata? Se non ti è di troppo disturbo…- dissi, sentendo la morsa allo stomaco stringersi. Malcolm sembrò pensarci per un momento, per poi annuire leggermente, senza chissà quanta allegria, ma anche senza essere troppo schifato. Progressi! Lungo il tragitto nessuno dei due disse una sola parola. Lui perché continuava nel suo intento di tenermi a distanza, ed io perché ero concentrata su altri pensieri. Tutti riguardanti il figlio di Atena, mio malgrado. Sinceramente ero un po’ sorpresa, e anche leggermente scocciata dalla situazione. Quando lo avevo conosciuto, Malcolm mi era sembrato essere più che disposto a passare del tempo con me, e avevo percepito anche  un certo interesse nei miei confronti, quindi non riuscivo a capire il repentino cambio di comportamento. Probabile che avessi frainteso tutto? Che lui in realtà non provasse assolutamente niente per me? Certo che era probabile, anzi, era sicuramente così… la sua doveva essere stata solo gentilezza e lo capivo, ma non potevo fare niente contro il dispiacere che tale pensiero mi arrecava… e neanche contro i miei sentimenti per il figlio di Atena, che, anche se ancora non riuscivo a identificarli con precisione, erano di sicuro ben lontani da quelli per un amico. E poi perché baciarmi, se non provava nulla per me? Senza che quasi me ne accorgessi, tanto ero immersa nei miei pensieri, arrivammo a destinazione. E quando dico “senza che me ne accorgessi”, sono seria. Ero talmente distratta che se Malcolm non mi avesse bloccata, sarei andata a sbattere contro uno dei pali della struttura. Mormorai un “grazie”, ricevendo in risposta solo un fugace cenno del capo, ed entrammo dentro. La tenda era pressoché vuota, a parte un ragazzo che dormiva beatamente sulla sua brandina. Era leggermente imbarazzante, non era mai capitato che ci trovassimo da soli, anche se non completamente. Era strano, e piacevole. Mi chiesi se anche Malcolm stesse provando lo stesso, fatto sta che continuava a guardarmi con insistenza. Era la prima volta quel giorno che mi guardava veramente. Decisi di distogliere io lo sguardo, sperando di non essere arrossita troppo visibilmente, mi sentivo le orecchie pericolosamente calde, schiarendomi la voce
-Allora vediamo un po’…- dissi, prendendo la lista dei medicinali fatta da Will l’altro ieri. Nonostante fossi risentita per via del comportamento di Malcolm, fui felice di averlo incontrato. Effettivamente avevamo bisogno di alcuni materiali.
-Allora?- disse. Sembrava desideroso di andarsene
-In verità… avremmo bisogno di un po’ di bende in più e anche di alcuni medicinali. E siamo anche a corto di nettare e ambrosia…- mi costrinsi ad alzare lo sguardo dal foglio -credi di riuscire a procurarci queste cose?- chiesi.
-Farò il possibile-
-Bene! Ti scrivo tutto su un foglio!- dissi agguantando carta e penna e appuntando il tutto frettolosamente, per poi porgergli il biglietto -Grazie- aggiunsi. Malcolm fece una smorfia che assomigliava ad un sorriso
-Non c’è di che…- si raddrizzò gli occhiali sul naso -Se è tutto…-
-Oh sì. Ora puoi anche tornare ad evitarmi. Non ti distrarrò più- mi uscì prima che potessi anche solo decidere di dirlo. Malcolm sembrava sconvolto dalla mia affermazione
-Credi che io ti stia evitando?- chiese. Io non risposi, mi limitai a guardarlo di sottecchi, cominciando a giocherellare con le cinghie del mio guanto. Si passò una mano fra i capelli         -Giulia, devi credermi, io non ti sto evitando. È solo che…-
-E allora perché sono giorni che quando ti saluto tu ti giri dall’altro lato? Mi rivolgi a malapena la parola. Anche poco fa hai cercato di scappare quando mi hai vista. Ma che ti prende? Pensavo fossimo amici… cosa ho fatto per farmi odiare in questo modo da te?-
-Giulia… io non ti odio affatto. Tutto il contrario in verità…- mormorò, mentre io lo guardavo sempre più confusa -Senti, sono stato un’idiota, lo ammetto, ma la verità è che mi piaci davvero e non sapevo come comportarmi. Ma voglio rimediare. Ti andrebbe di uscire con me? Dopo che tutta questa storia sia finita, certo.- chiese, rosso come un peperone. Non potei fare a meno di sorridere.
-Per un appuntamento intendi?- lui annuì brevemente -Certo che mi piacerebbe uscire con te- conclusi. Malcolm sorrise a sua volta, decisamente più sollevato
-Bene… ehm allora ci si vede in giro- fece per andarsene, ma io lo richiamai
-Malcolm, non dimentichi qualcosa?- dissi, riferendomi all’elenco
-Oh giusto, il foglietto- rise nervosamente prendendo il foglio che ancora stringevo io in mano, per poi ridarsi, o almeno tentare di ridarsi, un tono -Ciao.- disse, per poi darmi un bacio sulla guancia ed andare via.
-Ciao- quando fu uscito mi voltai e chiusi forte gli occhi, non riuscendo a credere a ciò che era appena successo e non riuscendo a controllare il gridolino eccitato che mi sfuggì. Dopotutto, ero felice di essermi sbagliata sul suo conto. A me ci teneva veramente. Al che una voce interruppe la mia gioia
-Siete vomitevoli.- il ragazzo che pensavo dormisse era in realtà ben sveglio e mi guardava divertito. Io rotai gli occhi ridendo e preparai un bicchiere con un po’ di nettare dentro da portargli
-Oh sta zitto Brian!-
 
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Nonostante la mattinata mi avesse riservato delle belle sorprese, il pomeriggio si preannunciava ben più nefasto. A partire dal mio incontro con Chirone.
-Allora?- chiesi, con una certa agitazione. Il centauro stava zitto, con la mia mano fra le sue e lo sguardo a dir poco preoccupato, cosa non da lui, che di solito diceva tutto e subito. Chirone mi lasciò andare la mano si andò a sedere sulla sua magica sedia a rotelle (ancora mi faceva impressione vedere il suo deretano equino venire inghiottito da quell’affare) e mi guardò con un misto tristezza e pietà, come se io non fossi altro che la pallida ombra di qualcuno che un tempo era stato in vita.
-Che succede?- ripetei -Mi sta facendo spaventare-
-Giulia…- fu la sua sola risposta
-Signore, avanti parli. Posso gestire la cosa… che c’è che non va?-
-La tua magia è sempre più potente, sempre più insistente. Sempre più difficile da controllare e contenere. Potrebbe sfuggire al tuo controllo da un giorno all’altro. Sono stato uno sciocco a pensare che potesse quietarsi da sola. Già era raro che funzionasse per chi era figlio di due divinità minori… come avrebbe potuto funzionare per te, che hai per padre uno dei dodici dei. Perdonami, se ti ho dato false speranze- disse, dispiaciuto. Sentii tutto l’entusiasmo della mattina scivolare via. Ovviamente non poteva funzionare. Come ho potuto pensare che almeno una cosa sola sarebbe andata per il verso giusto. Ridicolo. Provai a pensare ad una soluzione possibile
-D’accordo… se non possiamo agire sui poteri agiamo sul guanto. Aumentiamo la sua resistenza, sono sicura che si possa fare.-
-Giulia, sarebbe troppo rischioso. Non credere che sia solo il guanto ad incanalare i tuoi poteri. Il guanto si serve anche della tua energia per adempiere al suo scopo. Aumentare la sua resistenza implica aumentare la dose di energia che gli serve.-
-Ma se io riuscissi a resistere? Solo un altro po’, fino a quando non si troverà una soluzione definitiva.-
-Giulia no. Non esiste una soluzione logica al momento. I tuoi poteri non si assopiranno fino a quando non verranno liberati.-
-Posso sempre andare nel mezzo della foresta e liberarli lì, non succederebbe niente.-
-No, non puoi. E per varie ragioni: il campo di protezione impedirebbe al flusso magico di uscire dal Campo mettendo in pericolo tutti noi; se anche riuscisse a perforare la barriera ciò permetterebbe ai mostri e alla Madre Terra di entrare senza alcun problema; la tua magia potrebbe essere talmente forte da svegliare la nostra nemica, anche senza bisogno del sangue di due semidei.-
-E allora resisterò! I-io ce la posso fare, posso fare in modo che non mi sfugga, posso tentare. Fino a quando tutto questo non sarà finito. Una volta riaperto l’Olimpo mia madre e mio padre mi aiuteranno. Lo sa anche lei che loro possono risolvere il problema.- ormai ero sull’orlo di una crisi isterica
-Ti ripeto che sarebbe rischioso aumentare il vincolo. Fare una cosa del genere ti prosciugherebbe, ti porterebbe via ogni singola goccia di magia e di forza vitale. Potresti riuscirci, ma a quale costo?- mi accasciai contro lo schienale della divano, sentendo gli occhi pizzicare
-Allora non c’è proprio niente che io possa fare- Chirone si avvicinò a me e mi posò una mano sul braccio
-Aspettare, bambina mia. Puoi aspettare che gli eventi facciano il loro corso. Su una cosa hai ragione. Tuo padre potrebbe sistemare tutto. Quindi attendiamo di poterlo rincontrare. Sono disposto a correre il rischio di danneggiare i confini, ma non a correre quello di farti rischiare la vita. Ora vai- io annuii lievemente e mi alzai, congedandomi. Una volta che fui uscita dalla Casa Grande, mi poggiai al porticato e chiusi forte gli occhi. Tutta quella situazione era assurda. Completamente assurda. Chirone aveva detto che io non potevo fare niente, ma si sbagliava, io potevo scegliere. Scegliere fra lasciarmi morire o fare del male a coloro che mi stavano intorno. Io scelsi la prima. Mi guardai una sola volta alle spalle, chiedendo mentalmente scusa al mio istruttore, e poi mi allontanai spedita, verso la capanna dei figli di Ecate.
 
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Mi aprì il loro capocabina. Un certo Cameron, pessima reputazione. Eppure esattamente colui di cui avevo bisogno. Una persona disposta a tutto per un pagamento, con accesso alla magia.
-Guarda un po’, la nostra principessa. A che devo l’onore, figlia del Cielo?- roteai gli occhi. Perché mi chiamavano tutti principessa?
-Cameron. Ho bisogno di un favore-
-Che ci guadagno?-
-Trenta dollari ed il mio silenzio con Chirone sulle tue attività illecite.- proposi. Cameron ci pensò su, per poi farsi da parte
-Accomodati, principessa.-
-Smettila di chiamarmi così- bofonchiai, entrando nella cabina. Era incredibilmente cupa, e mi fece venire immediatamente voglia di uscire da lì.
-In cosa posso esserti utile?- chiese, sedendosi su un letto
-Mi servirebbe un incantesimo.- lui sorrise
-Chi devo maledire?-
-Nessuno. L’incantesimo devi farlo su di me… o meglio sul mio guanto- dissi, mostrandogli la mano. Cameron aggrottò le sopracciglia
-A che ti serve scusa?-
-Affari miei. Ora, sai fare un incantesimo per aumentare la resistenza? O qualcosa del genere?-
-Certo- sollevò le spalle ed andò a prendere un libro su una della scrivania -prima i soldi-
-Prima l’incantesimo!-
-Niente pagamento, niente servizio. Spiacente, principessa.-
-Cameron, giuro sugli dei che se non mi fai quell’incantesimo mi metto ad urlare. Stiamo infrangendo una vagonata di regole in questo momento. Vuoi davvero che qualcuno ci scopra?- chiesi. Lui non mosse un dito, convinto che non lo avrei fatto. La gente deve davvero smetterla di sottovalutarmi. Aprii la bocca per urlare… e Cameron mi fu subito accanto, con una mano premuta sulla bocca per farmi stare zitta. Aveva una presa decisamente forte, anche fin troppo forte. Mi stava facendo un po’ male.
-Hai vinto Giulia. Ti farò l’incantesimo immediatamente.- disse, togliendomi la mano dalla bocca. Sorrisi vittoriosa
-Ti ringrazio-. Cameron bofonchiò un “prego” sconfitto, mentre andava a cercare tra le pagine di quel libro un incantesimo utile. Io feci un bel respiro, sperando di star facendo la cosa giusta.
 
 
 
 
 *Angolo Autrice*
 
Ciao a tutti! Come vedete non sono morta, sono solo un pochino in ritardo. Lo so che avevo promesso di essere puntuale, ma vi assicuro che ho un ottimo motivo. Il capitolo in questione non mi piaceva per niente, ed ho quindi deciso di riscriverlo pressoché da capo, cosa per cui mi ci sono voluti due giorni. Per questo ieri non mi sono fatta viva, ero impegnata a scrivere e a disperarmi perché continuava a non piacermi. Beh, la cosa importante è che alla fine sono riuscita a renderlo abbastanza carino, anche se decisamente più corto di tutti gli altri capitoli. E va beh. Come dicevo, questo è un capitolo breve ma intenso, non ci sono altri modi per descriverlo. Voi che ne pensato? Credete che abbia ricominciato a tormentare troppo Giulia (ho mai smesso?)? Forse avete ragione, anche se ancora non sapete cosa l’aspetta nel prossimo capitolo, ma dovete concedermi che le ho fatto anche dei piccoli regali, quindi sono perdonata. Ad ogni modo, sto cominciando ad intristirmi, la storia è quasi giunta al termine, mancano solo due capitoli. Cosa pensate che succederà alla fine? E quali atri tormenti pensate abbia in serbo per Giulia? Fatemelo sapere! Grazie per aver letto fino a qua, un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie

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Capitolo 7
*** Il peso della guerra ***


Capitolo 7
Il peso della guerra


Accadde tutto all’improvviso. Una sera, dirigendoci verso il falò, trovammo i romani in schieramento da guerra, pronti ad attaccarci. Nel loro accampamento vi era una nuova tenda, di dimensioni maggiori rispetto alle altre, bardata di ora e porpora e circondata da soldati a fare la guardia. Will mi si avvicinò e mi circondò le spalle con un braccio 
-Pensi che quella sia la tenda di quell’Ottaviano? È il loro generale? I romani antichi li avevano- chiesi
-Anche i greci antichi li avevano, ma non per questo noi li abbiamo-
-Sì ma noi abbiamo i capocabina. E poi guarda là, quella è chiaramente la tenda di una persona importante e ci sono tutti i soldati pronti. È arrivato il momento, non è così? La guerra sta per scoppiare- non volevo una risposta, e Will lo sapeva. Avevo solo avuto il bisogno di dirlo ad alta voce, per renderlo più reale. 
-Giuls, cosa c’è che non va? È da un po’ che sei strana.- rimasi zitta, a guardare le legioni nemiche. Non sapevo che rispondere. Will rimase in silenzio per un po’
-Chirone mi ha detto che non sei più andata agli appuntamenti. Perché?-  insistette. Mi sentii terribilmente in colpa. Stava dicendo la verità. Dopo essere andata dai figli di Ecate per aiutarmi con il guanto avevo cominciato ad inventarmi delle scuse per non andare più alle visite di Chirone, mentendo sia a lui che a Will. Mi sarebbe tanto piaciuto dire la verità a mio fratello, ma non potevo mettergli più peso sulle spalle di quanto non ne avesse già. Mi aveva già parlato di quanto si sentisse inadeguato per il ruolo di capocabina e di quanto gli risultasse difficile gestire tutto, non potevo chiedergli di mantenere anche il mio segreto. E poi quella era una cosa di cui dovevo occuparmi da sola. 
-Ho paura. Ho paura di quello che potrà succedermi, succederti- mentii
-Non mi succederà niente-
-Ti sbagli. Sei mio fratello. Gea mi vuole e farà di tutto per ottenermi, soprattutto ferire te-
-Ne abbiamo già parlato Giulia. Non importerebbe niente!-
-E io ti ho già detto che io non ti lascerò morire a causa mia!-
-Giulia non capisci, se non sarai pronta a sacrificare qualche vita, sacrificherai il mondo intero-
-Oh idiota! Non lascerò che il mondo imploda. Ma non a costo della tua vita. A costo della mia.- 
-Giulia cosa…-
-Se veramente si arriverà al punto in cui dovrò scegliere se unirmi a Gea o sacrificare voi, sceglierò una terza via. Sacrificare me stessa. E voi non potrete fare nulla per impedirlo. E non lo farete-
-Come pensi che potrebbe giovarci la tua morte? Gea si vendicherebbe con ancora più crudeltà-
-Ma non ci arrivi? Gea ha mostrato fin troppo interesse nei miei confronti. Per lei sono una potenziale arma letale, senza la quale dubito sarebbe in grado di distruggerci tutti.- feci una pausa, aspettando inutilmente che lui capisse da solo -Lei è debole, l’ho percepito, prima che il legame sparisse. Vuole usarmi come fonte di potere, secondo me, per poter recuperare le forze necessarie. Ed io non glielo permetterò- gli presi le mani e lo guardai dritto negli occhi       -Promettimelo. Promettimi che, qualunque cosa accada, non mi impedirai di prendere le mie decisioni da sola. Questa volta non potete aiutarmi, nessuno di voi può. Allora, me lo prometti?-  conclusi. Will posò la sua fronte contro la mia, stringendomi forte le mani
-Te lo prometto sorellina, anche se non lo condivido- disse, per poi abbracciarmi. Io ricambiai la stretta, affondando il viso nell’incavo del suo collo e sentendo di nuovo gli occhi pizzicarmi. Non avrei pianto. Non potevo farmi vedere insicura, non dopo quello che gli avevo detto. Fu lui ad interrompere l’abbraccio, mantenendo le mani sulle mie spalle
-Ora devo andare. Vado con Lou e Cecil a spiare i romani. Dopo aver fatto partorire Mellie- rabbrividì -Ho serio bisogno di fare un giro- ridacchiai. Mellie era l’Aura sposata con il coach Hedge, sì il nanerottolo scorbutico che avevo avuto il piacere di rincontrare al Campo, e che aveva partorito un satiro dolcissimo.
-Fai attenzione- 
-Sempre. Tu rimani qui, non uscire dalla barriera!- 
-Agli ordini, boss- sorrisi e, dopo avergli dato un bacio sulla guancia, lo lasciai andare da Luo e Cecil, che lo stavano aspettando con dei buffi segni neri sul viso. Io mi diressi verso la capanna numero 7, decisa a dare retta a Will e ad aspettare per il suo ritorno. Non appena fui entrata, i miei fratelli e sorelle mi si avvicinarono, tutti con una certa urgenza dipinta in volto, e cominciarono a parlare gli uni sugl’altri, o meglio, a gridare
-Zitti tutti!- urlai -Ora, per cortesia, uno alla volta, ditemi cosa succede- Destiny, per mia immensa gioia, prese la parola
-Sono finiti gli antibiotici. Completamente, non abbiamo più medicinali- questo era un problema. Come potevamo affrontare una guerra senza medicine per curare i feriti?
-Quando?- 
-Questa mattina.-
-E perché non ci hanno ancora riforniti?- chiesi. Destiny mi guardò ovvia
-Perché a causa dei romani e di Gea tutti hanno paura di uscire dalla barriera magica. In assenza di Will tu sei la nostra capocabina, e in quanto tale devi fare qualcosa. Devi convincere qualcuno ad uscire- lo aveva detto con tale disgusto che sembrava avermi preso a parolacce. Guardai Destiny e sospirai
-Non posso costringere nessuno ad uscire… Ma posso farlo io. Non ho paura dei romani, e poi sarò armata. Solo… se per quando Will arriverà io non sarò ancora di ritorno, ditegli di stare tranquillo.- mi feci largo nella calca e mi preparai. Misi una giacca a vento sopra la maglietta e i jeans lunghi, mi legai i capelli e legai in vita la cintura delle armi, con dentro il mio pugnale e qualche coltello, poi presi arco e faretra e, dopo aver salutato, e tranquillizzato, i più piccolini, uscii dalla casetta. Attraversai il Campo fino al confine con la foresta, da lì sarebbe stato più facile uscire ed arrivare in un centro abitato vicino(sempre che ce ne fossero stati), cercando di passare il più inosservata possibile. Non un’impresa facile con circa mezzo chilo di bronzo celeste addosso e la maglietta fluorescente. No dico io, perché arancione? Non era meglio, che so, il blu? Mi guardai alle spalle una sola volta, pregando di tornare a casa tutta intera, e poi entrai nella foresta. Mi maledissi per non essermi portata una torcia, era buio pesto in mezzo a tutti quegli alberi. Non ero mai stata così tesa in vita mia. Ogni passo che facevo era una tortura, ogni rumore mi faceva portare la mano al pugnale. Il bosco la notte era abitato da creature di ogni tipo, formiche rosse giganti spara-acido, mostri evocati per divertimento dai ragazzi e poi lasciati lì e via discorrendo. In più sentivo nella testa la fastidiosissima voce di Will che mi ricordava di avergli promesso di rimanere entro i confini, anche se, tecnicamente, non ero ancora uscita dalla barriera. Arrivata più meno al centro della foresta, la fitta boscaglia si aprì in una radura. Pensai che sarebbe stata una buona idea fermarsi a riposare per un po’, così mi tolsi le armi di dosso e le posai sotto un cespuglio, per non farle trovare agli animali. Feci per stendermi accanto al cespuglio, ma poi mi ricordai di cosa mi aveva detto Will sulle formiche e decisi che, no, non era il caso. E poi dovevo andare a prendere le medicine per i ragazzi, non avevo decisamente tempo da perdere. Peccato che qualcosa, anzi qualcuno, la pensava diversamente. All’improvviso, delle mani mi afferrarono da dietro, stringendomi forte e bloccando ogni mio movimento. Non guardatemi così, non ero preparata. Non pensavo che anche gli esseri umani si divertissero a trascorrere la notte lì. Provai a gridare, anche se sarebbe stato inutile, ma il mio aggressore mi coprì la bocca con un fazzoletto, con un odore un po’ troppo forte. Cloroformio. Prima che facesse del tutto effetto lanciai uno sguardo al cespuglio, sperando che, qualora fossero venuti a cercarmi, i miei amici riuscissero a vedere le armi. Poi buio. 

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Al mio risveglio, fui sorpresa di non trovarmi in una qualche tenda davanti al Campo. Mi trovavo in una stanza flebilmente illuminata da un lampadario mezzo rotto, piccola, sporca e diroccata. Non esattamente il posto che sceglieresti per vivere, o anche solo per una vacanza. Questo significava che i rapitori non erano i romani, avevano troppa classe per quel posto, ma allora chi? Provai ad alzarmi, ma, con mia grande non-sorpresa, non ci riuscii. Avevo polsi e caviglie legate e, dulcis in fundo, ero incatenata alla parete della baracca, che non era di legno, come il resto della stanza, ma di pietra. E quindi questo voleva dire che ci trovavamo dentro una caverna. Provai a pensare dove potevo essere capitata, ma proprio non mi veniva in mente, avevo come un vuoto di memoria. Lasciai perdere quando sentii dei passi alle mie spalle. Il mio aggressore si inginocchiò alle mie spalle, ma io non ebbi il coraggio di voltarmi a guardarlo. Sì, avevo paura. Avevo paura di scoprire chi era stato a rapirmi. Avevo paura di scoprire che poteva trattarsi di qualcuno vicino a me. Mi mise le mani sulle spalle e avvicinò la bocca al mio orecchio. Io chiusi forte gli occhi, sentendo montare una forte paura
-Che c’è Giulia, non vuoi vedere chi sono?- la voce era maschile… e familiare. Io scossi la testa 
-Peccato- proseguì -Ti sarei piaciuto. Fino a ieri era così- strinsi più forte gli occhi. Fino a ieri era così. Non poteva essere… non poteva essere Malcolm il traditore, giusto?  Riaprii gli occhi solo quando udii il rumore di una porta chiudersi. Mi accasciai contro la parete, pregando mio padre di mandare qualcuno a salvarmi, al più presto. Quella sarebbe stata una lunga nottata.

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Non sapevo con precisione quanto tempo fosse passato quando lui tornò. Per un po’ avevo provato a tenere il conto, ma lo stress e la sete erano troppo grandi per poter restare concentrata. Quando la porta si aprì, io serrai di nuovo gli occhi. Lui mi si avvicinò e si sedette di fronte a me
-Ancora decisa a non guardarmi?- chiese, accarezzandomi la guancia con qualcosa di freddo e appuntito. Un coltello. Voleva uccidermi? Io voltai il capo dall’altra parte e lui emise un ringhio soffocato, per poi darmi uno schiaffo in faccia, così forte da farmi aprire gli occhi per lo shock. Lui mi prese la faccia con forza e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Rimasi senza parole. Lui sorrise soddisfatto e mi guardò con malizia
-Ciao principessa, come sta la famigliola reale? Mammina e papino sono nei guai, lo sai?- 
-Cameron.- sibilai. Cameron Pirce era un ragazzo poco più grande di me, figlio di Ecate, conosciuto per la su condotta non proprio pulitissima ed onestissima, lo stesso a cui mi ero rivolta per farmi aiutare con il guanto, se non ve lo ricordate. -Come hai…?- lui mi prese una ciocca di capelli e cominciò a giocarci
-Facile, ho rubato tutte le medicine dalla tenda medica. Sapevo che tu ti saresti precipitata ad aiutare i tuoi amici. Perché tu sei così fastidiosamente eroica. Ma alla fine si è rivelato un vantaggio. La cosa difficile è stata capire come saresti uscita dal Campo, ma una volta capito mi sono nascosto nel bosco e ti ho aspettata. Ormai conosco come ragiona la tua piccola testolina vuota. Ti ho seguita per tutto il tempo, dal primo giorno che hai messo piede in questo maledetto posto, e tu non te ne sei neanche accorta.- rise ed io mi sentii una stupida. Come avevo fatto a non accorgermene? Ero stata raggirata per bene, lo devo ammettere
-Chi ti ha ordinato di seguirmi? Gea?- lui mi guardò per un attimo e si alzò in piedi
-La mia signora e padrona- 
-Quindi lavori per lei?- non potei fare a meno di fare un sorrisino divertito, dopotutto non ero poi così spacciata
-Sì. La mia padrona mi ha promesso di farmi entrare nel suo esercito privato se ti avessi portata qui viva, e così ho fatto. Ma l’ho fatto anche per vendicarmi. Non ti ho mai sopportata, ti credi tanto speciale, principessa, ma non lo sei, perciò sono stato più che felice di aiutarla. Appena si sveglierà verrà a prenderti e noi avremo quello che vogliamo!- disse, con un gesto teatrale. Lo guardai confusa
-Noi?- Cameron fece un sorrisetto e batté tre volte il pugno su una delle pareti. A quel punto una dozzina di semidei, greci e romani, entrarono dalla porta e si misero alle spalle di Cameron. Alcuni li conoscevo, altri mi erano del tutto ignoti, ma erano tutti mezzosangue, ragazzi come me, tranne un paio che erano visibilmente adulti, forse sulla trentina. Sorrise soddisfatto
-Non te lo aspettavi vero? Pensavi che questa volta non ci fossero semidei corrotti. Beh, ti sbagliavi. Siamo pochi, è vero, ma siamo abbastanza per rapire te, l’arma che consegnerà il mondo nelle mani della nostra padrona.-
-Chi ti dice che lo farò?- lui piegò leggermente la testa
-Ma è ovvio che lo farai. Perché, in caso contrario, Gea scuoierà vivo tuo fratello, la tua famiglia e anche tutti gli altri ragazzi del Campo. Ma unendoti a lei, garantiresti loro una possibilità di sopravvivere, o perlomeno di una morte rapida ed indolore.- io mi guardai i polsi incatenati 
-Non mi hai veramente aiutata con questo guanto, non è così?- lui fece spallucce
-No, quello l’ho fatto. Mi hai pagato bene per farlo, e poi non mi importa niente dei tuoi motivi, a meno che questi non ti siano nocivi- lo guardai di sottecchi 
-Probabilmente sì- dissi, ricordando le parole di Chirone. Cameron sgranò gli occhi inorridito
-Che cosa?!- esclamò, sguainando un coltello e avvicinandosi pericolosamente a me. Io sobbalzai 
-Non puoi uccidermi. Gea non ne sarebbe compiaciuta- tentai, mentre sentivo il cuore battere più velocemente e il fiato farsi corto. Lui si inginocchiò accanto a me e tagliò le corde che mi legavano i polsi, che io presi subito a massaggiare. Su quello sinistro correvano dei segni rossi. Cameron mi prese la mano destra e alzò il guanto, lasciando scoperto il polso, talmente pallido che le vene erano bene in vista.
-Cosa vuoi fare?- chiesi, non cercando neanche di nascondere la mia paura
-Non voglio ucciderti, stupida. Voglio farti un incantesimo- lo guardai interrogativa -in questo modo eliminerò quello che ti ho fatto qualche tempo fa, ed eliminerò anche ogni traccia di magia da questo guanto, così non potrai neanche pensare di scappare. Nel giro di quarantotto ore sarà un  normalissimo guanto, qualsiasi cosa tu gli abbia fatto.- sgranai gli occhi, non più spaventata da quello che mi avrebbe fatto lui, ma da quello che avrei potuto fare io, e provai a liberarmi dalla sua presa
-No! Non puoi farlo! Non ti rendi conto di quello che potresti causare!- urlai, dimenandomi. Cameron mi guardò freddo, poi fece un cenno ai due energumeni, che si avvicinarono a noi
-Tenetela ferma- disse, mentre mi mettevano le mani addosso, bloccandomi -Gea ha detto che non posso ucciderti, ma non ha detto niente riguardo la tortura- avvicinò la punta del coltello alla mia pelle
-No, no, no!- mi dimenai inutilmente, mentre la lama mi perforava la carne, ed urlai. Urlai più forte di quanto avessi mai fatto.

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Tremavo. Non perché avessi freddo, ma perché non riuscivo a smettere di muovermi. Era più forte di me. Tu gli altri semidei avevano lasciato la stanza, ma Cameron era rimasto. Stava seduto su una sedia, davanti a me, e puliva il coltello dal mio sangue. 
-La potresti smettere per favore? Mi stai dando ai nervi- lo guardai schifata, tirando su con il naso. Ad un certo punto avevo pianto, anche se a causa del dolore accecante non me ne ero neanche accorta. Solo che quando ebbe finito mi resi conto di avere le guance bagnate. 
-L-lasciami s-sola. Ti supplico- rinfoderò il coltello e si alzò
-Non supplicare, Giulia- si avvicinò e si inginocchiò di fronte a me, facendomi sussultare -non si addice ad una del tuo rango- mi diede un bacio sulla guancia e poi uscì, ridendomi in faccia. Solo quando fu uscito io ricominciai a respirare, cercando di scacciare la sensazione delle sue labbra sulla mia pelle. Nonostante non fossi propriamente in me, mi costrinsi a concentrarmi. Dovevo andarmene, prima che quello psicopatico tornasse indietro con nuove idee per torturarmi, anche se non avevo la minima idea di come fare. Poi, mi ricordai che una volta, durante una delle prime visite, Chirone mi aveva detto che se mi fossi concentrata abbastanza, forse sarei stata in grado di mandare dei brevi messaggi telepatici. Questa poteva essere la mia unica possibilità di salvezza. Peccato che non sapessi neanche dove mi trovavo. Provai a mettere insieme tutte le mie informazioni: mi trovavo in una grotta, abbastanza grande da poterci costruire dentro una casupola, probabilmente a Nord, poco in là rispetto ruscello di Zefiro, considerando il rumore dell’acqua che sentivo di sottofondo… ma certo. Ero nel Pugno di Zeus, la montagnola a cui nessuno pensava mai, sperduta dentro i meandri del bosco. Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi, provando per un attimo ad ignorare il dolore fisico ed emotivo, ed a concentrarmi unicamente sul mio messaggio. Will. Aiuto. Vieni al Pugno di Zeus. Presto, Giulia. Sentii come una specie di fitta dentro la testa, poi non sentii più niente. Riaprii gli occhi lentamente, sperando di esserci riuscita, e mi accasciai contro la parete, mentre il velo della stanchezza mi appannava lo sguardo, ed io cadevo nelle tenebre.

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-Che cosa hai fatto?!- battei un paio di volte gli occhi e mi trovai davanti un Cameron fuori di sé dalla rabbia
-Cosa è successo?- chiesi mettendomi a sedere a fatica. Lui passeggiava avanti e indietro per la stanza 
-Gli altri hanno detto che al Campo c’è scompiglio, ti vogliono venire a cercare. Proprio in questa zona qui- non potei fare a meno di sorridere sollevata
-Ha funzionato- mormorai, per poi alzare lo sguardo e guardarlo dritto in faccia -hai perso. Mi troveranno e ti assicuro che non saranno clementi con te-
-Piccola bastarda divina…- mi guardò duro e mi si avvicinò spedito, afferrandomi il collo con una mano e spingendomi la testa con la parete -Pensavo avessi capito che non puoi e non devi metterti contro di me- facevo fatica a respirare
-Perché lo fai? Pensi veramente che Gea ti darà quello che le hai chiesto? Che ti lascerà vivere?- strinse di più -Non riesci proprio a capirlo, che ci ucciderà tutti? Dal primo all’ultimo. Ha minacciato anche me. E se neanche io sono al sicuro, cosa ti fa pensare che lo sarai tu?- strinse ancora di più, cominciai a vedere delle macchie colorate davanti agli occhi e a sentirmi la testa pesante… poi l’aria tornò tutta insieme nei mei polmoni, con una forza tale da farmi tossire
-Tu non sai niente. Stai zitta.- lo guardai, provando anche un po’ di pietà nei suoi confronti 
-Tu le credevi veramente…-
-Taci-
-Mi dispiace… e ti perdono-
-Stai zitta…-
-Ti ha usato, non è colpa tua. Ti perdono…-
-CHIUDI LA BOCCA!- sussultai. Avevo esagerato. Soltanto gli dei potevano sapere cosa avesse pensato di farmi. Eppure si limitò a tirarmi un pugno. Sentii in bocca il sapore del sangue e mi resi conto che doveva avermi spaccato il labbro. Incatenò il suo sguardo al mio 
-Quando sarò di ritorno deciderò cosa fare con te. Se in mia assenza fai altri scherzetti del genere, ti assicuro che non lascerai questo posto viva.- dopodiché si alzò ed uscì sbattendosi la porta alle spalle. Sorrisi, nonostante tutto. I miei amici mi stavano venendo a cercare. Il lato negativo era che, arrivati a quel punto, se Cameron mi avesse creduta avrebbe anche potuto decidere di uccidermi, o peggio. L’unica cosa che rimaneva da fare era sperare che mi venissero a salvare prima del suo ritorno. 

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Non chiedetemi come, ma ero riuscita a riaddormentarmi. Però Cameron decise di svegliarmi di nuovo, entrando come una furia nella stanza, con un coltello da caccia già insanguinato per le mani. 
-Che hai fatto?- in realtà avrei preferito non saperlo. Lui mi guardò serio, con uno scintillio da psicopatico negli occhi scuri
-Li ho uccisi. Tutti gli altri coinvolti. Tutti morti- sgranai gli occhi
-Perché?!-
-Ho riflettuto su quello che mi hai detto, ed ero talmente arrabbiato che dovevo pur far qualcosa-
-Non ucciderli!- mi si spezzò il cuore -erano solo dei ragazzi… bambini- mormorai. Cameron non rispose. Fece per avvicinarmisi, quando la terra tremò. Un terremoto di portate epiche, che poteva voler dire solo una cosa. Voltai di scatto la testa verso la porta, incredula
-No…- 
-Gea si sta risvegliando- mi voltai verso di lui
-Cameron! Liberami, lei non ti proteggerà, ci ucciderà tutti, me compresa!-
-Oh lo so, principessa. È per questo che ho deciso di ucciderti io stesso, e poi di uccidere anche me, così non avrà nessuno dei due. Prometto che non farà male. O forse sì- in un battito di ciglia mi fu dietro, tirandomi per i capelli e posando la lama sul mio collo -Mi mancherà la tua compagnia principessa, ci rivediamo dall’altra parte- sussurrò, prima di apprestarsi ad uccidermi.
Io trattenni il fiato e chiusi gli occhi. Non avevo paura di morire. Tutto sarebbe stato meglio che rimanere anche un solo secondo in più con quel mostro. Ma avevo paura di lasciare i miei amici. Cameron spinse la lama più in profondità, facendomi colare un rivolo di sangue sul petto e poi…
poi il boato di qualcosa che veniva frantumato inondò la stanza. Aprii di scatto gli occhi e guardai verso l’origine di quel rumore e tirai un sospiro di sollievo vedendo chi era stato a procurarlo. Will, Chirone, e altri due ragazzi erano lì, sull’uscio, la porta scardinata ai loro piedi. Ce l’avevano fatta. Li guardai meglio: Will aveva degli strani segni in viso, Chirone sembrava un po’ malconcio, il terzo era un ragazzino tetro come la morte e il quarto era… Leo. Era vivo. Era lì per me. Will incrociò il mio sguardo e guardò Cameron con astio.
-Tu. Lascia libera Giulia. Adesso.- non era molto convincente. Il mio rapitore sorrise con malevolenza
-Will Solace! Che bel nome, diminutivo di William, immagino. Beh, vedi William, io non posso lasciarla, perché Gea mi ucciderebbe e poi userebbe la tua amata Giulia per distruggere l’umanità. Se invece la uccido io non potrà farlo e salveremo l’universo. Non che mi importi qualcosa delle sorti del mondo, ma Gea mi ha fatto una promessa che non manterrà, e non voglio che vinca.- si voltò verso di me -Ditele addio.- disse, stringendo il coltello da caccia tanto forte da far sbiancare le nocchie. Strinsi i denti, non lasciando trapelare nessuna emozione tranne il disprezzo. All’improvviso Cameron urlò e lasciò andare l’arma, e i miei capelli (ahia, per la cronaca),  portandosi una mano alla spalla destra, dalla quale spuntava una freccia. Volevo ridere, o piangere, e stavo smaltendo così tanta adrenalina, che cominciai a stare seriamente male. I suoni mi arrivarono ovattati, provai una forte nausea, ed il mondo mi vorticò attorno. Vidi distrattamente Will dire qualcosa a Leo per poi buttarsi all’inseguimento di Cameron, che era riuscito a togliersi la freccia dalla spalla e a scappare da un’apertura in fondo alla grotta-baracca, seguito dal ragazzino Adams e da Chirone. Sentii delle mani sul mio corpo ed io, istintivamente, mi dimenai, anche se debolmente, cercando di liberarmi, ma quelle mani mi tennero ben salda. 
-Giulia. Giulia! Sono io, sono Leo!- mi voltai verso di lui e lanciai un ringraziamento agli dei. Era veramente solo Leo.
-Che ci fai qui? Cosa è successo? Avete ricevuto il mio messaggio?- mormorai 
-Sì, ma non c’è tempo per parlare, ti devo liberare- disse risoluto sciogliendo le corde e spezzando la catena. Era strano vederlo così concentrato e serio. Non appena fui libera mi massaggiai i polsi segnati e feriti, provando un dolore particolare a quello destro. Leo mi prese il volto fra le mani guardandomi bene, io mi sforzai di essere forte e di non scoppiare a piangere. Alzò un sopracciglio ed abbozzò una risata
-Wow… hai un aspetto terribile- sorrisi leggermente 
-Neanche tu sei un granché- sussurrai, non avevo abbastanza forza per parlare 
-Io sono sempre bellissimo- a quel punto non resistetti più. Scoppiai in un misto fra una risata ed una crisi di pianto, ma era più la seconda che la prima. Leo mi abbracciò forte ed io gli strinsi le braccia al collo, affondando la testa nell’incavo del suo collo e provando la sensazione di essere finalmente al sicuro. Ma durò solo un istante, poiché Leo mi prese delicatamente le braccia allontanandomi da sé
-Giulia, devo portarti al sicuro, prima che ritorni. Riesci a stare in piedi?- feci segno di sì con la testa e mi alzai a fatica, ma appena provai a fare il primo passo, mi salì la nausea e le gambe mi cedettero e Leo dovette sorreggermi per evitare di farmi cadere.
-Scusa, ad un certo punto credo che mi abbia ferita con la sua spada- mormorai guardando i pantaloni sporchi di sangue. Disse qualcosa, di cui vi assicuro non volete la traduzione, in greco antico e mi prese in braccio. Nonostante fosse gracilino aveva una grande forza
-In un modo o nell’altro ti porterò al Campo, e ti metterò al sicuro sia da quello psicopatico che da Gea. Sta arrivando, ma ti prometto che non ti troverà- disse serio
-Quindi te lo hanno detto…- lui annuì -Avrei voluto farlo io, ma non sembrava mai il momento adatto…-
-Non ci pensare, non ho ben capito perché ti vuole o perché tu sia così importante, ma non metterà mai le sue manacce su di te. Capito dea-zombie? Non avrai pure lei!- urlò, cercando di sollevarmi il morale. Sorrisi con tenerezza osservando il suo volto sporco di fuliggine, di sangue secco e di terra, incorniciato dai suoi capelli ricci tutti disordinati ed aggrovigliati. Gli sfiorai con i polpastrelli un graffio che gli deturpava la guancia e gli allacciai nuovamente le braccia attorno al collo, posando la testa contro il suo petto, cadendo tra le braccia di Morfeo. 

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Non so bene quello che accadde dopo. Mio malgrado, persi conoscenza, di nuovo. Mi risvegliai in infermeria, lavata, vestita con abiti nuovi e con una bella fascia che spuntava dal mio guanto. Mi misi a sedere a fatica, ignorando il mal di testa lancinante e la forte nausea, e mi guardai allo specchio appeso di fronte a me. Nonostante mi avessero medicata e sistemata, i segni erano ancora ben visibili. Avevo un livido sullo zigomo sinistro, il labbro inferiore spaccato e dei segni violacei sul collo, più varie ferite ancora non rimarginate o coperte dai vestiti. Mi si inumidirono gli occhi, la vista era troppo, quindi decisi di concentrarmi su altro, ed alzai di poco il guanto. La benda era sporca del mio sangue, quasi porpora in confronto al candore di questa, ma ero quasi certa che non fosse fresco. Dunque sapevano, almeno Will sapeva. Tolsi la medicazione ed osservai la ferita. Era lì, e lì sarebbe rimasta, un promemoria eterno di ciò che mi aveva fatto. E anche di quello che le sue azione avrebbero provocato: aveva indebolito il guanto, non sapevo neanche quanto tempo mi restasse. Non che ne fossi rimasta chissà quanto sorpresa. In fondo, Will mi aveva avvertita. La guerra colpisce tutti, non ti lascia andare senza segni, visibili od invisibili che siano. Quindi sì, sapevo i rischi quando sono uscita dai confini, ma no, non avrei superato quella storia tanto facilmente. Tolsi completamente la benda e stavo per alzarmi a prenderne una nuova, quando Will entrò in infermeria. Mi fermai con una gamba fuori dalle coperte e si bloccò anche lui
-Ciao…- dissi, con voce rauca, provando a sorridere, ma mi faceva male il labbro inferiore. Lui non disse niente, limitò a prendere il necessario per medicarmi e a sedersi di fianco a me sulla brandina. Non mi degnò di un singolo sguardo, neanche quando, prendendomi la mano, io non potei fare a meno di irrigidirmi, e si limitò a disinfettarmi la ferita e ad avvolgermi una benda pulita attorno al polso. Io lo guardai di sottecchi, cercando di captare qualche sorta di emozione, anche la collera sarebbe andata bene, ma niente. Mio fratello, che non sembrava quasi più lui, aveva perso la luce negli occhi ed era impassibile come una statua. Nessuno dei due fiatò fino a che lui non ebbe concluso. A quel punto, si alzò, sempre senza guardandomi, ed andò a buttare le cose in silenzio. Non ce la facevo più
-Willie…- questo lo fece scattare 
-Dei Giulia, “Willie” è tutto quello che hai da dire? Ti rendi minimamente conto di quello che hai fatto? Hai messo in pericolo te stessa, e come se non bastasse anche tutti noi! Una cosa ti avevo chiesto, di restare qua, al sicuro! Lì fuori sta imperversando la guerra ed io, invece di combattere al fianco dei miei fratelli e delle mie sorelle, sono qui, costretto a rimediare agli errori che hai commesso! Hai almeno la minima idea di quello che avrebbe fatto Gea se ti avesse messo le mani addosso?! Te lo sei chiesta? No! Ovviamente no, perché tu non pensi mai alle conseguenze!- mi arrabbiai anche io
-Sì Will, l’ho fatto. Me lo chiedo dal primo giorno che sono qui dentro. Ci penso costantemente e sono abbastanza sicura che nessuno lo sappia meglio di me. Ed ho pensato anche a tutto quello che poteva succedermi, ma non mi è importato e sai perché? Erano finite le medicine. Cam… erano state rubate, anche se io non lo sapevo. E la guerra stava per scoppiare, non potevamo fare senza. I nostri fratelli mi hanno chiesto di risolvere, nessuno voleva uscire per la paura, quindi l’ho fatto io Will. Stavo cercando di aiutare chi contava su di me.- dissi glaciale
-Lo so perché l’hai fatto e posso anche capirlo, volevi aiutare, ma siamo onesti e dillo che non ti sarebbe importato se ci avessi rimesso tu-
-Certo che non mi sarebbe importato, vuoi dirmi che te avresti agito diversamente?-
-Sì! Io avrei riflettuto prima di andare, avrei valutato tutte le opzioni, magari chiesto aiuto a qualcun altro. Giulia, non sempre gli eroi sono impulsivi, per essere eroi bisogna anche avere buonsenso! Quello che a te manca! Non è la prima volta che agisci senza pensare a chi ti sta intorno, mentre tutti gli altri stanno in pena per te, mentre io sto in pena per te! Ma non posso sempre starti dietro come se tu fossi una bambina, perché non lo sei, quindi cresci un po’ e comincia a prenderti delle responsabilità!- Lo guardai restando in silenzio. Certo ero in collera per le cose che aveva detto, ma ancora di più ero spaventata. Spaventata dal suo comportamento anomalo, dal fatto che forse ero riuscita a farmi odiare persino da mio fratello, l’unico al Campo che mi aveva sempre amata incondizionatamente. Abbassai lo sguardo
-Mi dispiace… di essere un tale peso- lo sentii avvicinarsi e sedersi di nuovo al mio fianco. Lo guardai di sottecchi. Aveva ancora le gote arrossate e avevo seriamente paura che da un momento all’altro potesse andarsene, e invece fece qualcosa di ancora più inaspettato. Mi abbracciò. Mi irrigidii e lui, percependolo, si staccò, guardandomi negli occhi, interrogativo. Accennai un sorriso
-Non lo so… il contatto fisico mi fa male, credo di avere lividi su tutto il corpo e poi…- abbassai lo sguardo, ma lo rialzai quando lo sentii singhiozzare. Il cuore mi si spezzò in mille pezzi, non volevo farlo piangere
-Will…- mormorai, alzando una mano per accarezzargli la guancia, e riabbassandola subito
-Non ero lì a proteggerti, Giulia, lo capisci? Sei la mia sorellina e non ho saputo proteggerti da Cameron. Non sono stato neanche in grado di prenderlo.- il cuore mi cominciò a battere più forte
-Vuoi dire che è scappato?- lui annuì -Avete trovato le mie armi? Nella foresta?-
-Sì… ma che vuoi fare?- chiese, vedendo che mi stavo alzando, nonostante il dolore
-Cercarlo. Trovarlo. E poi non lo so ancora.- cominciai a cercare le mie armi 
-Giulia, no. Sei troppo debole ancora, non puoi uscire- mi voltai di scatto
-Tu non capisci. Hai visto cosa mi ha fatto?!-
-Certo ma…-
-Non posso permettere che rimanga in circolazione. Capisci? Non posso.- rasentavo l’isteria, lo so, ma in gioco c’era molto di più che la mia vendetta. Dovevo fargli rimuovere l’incantesimo.
-Che succede?- mi girai verso la porta. Era Leo. Quando mi vide in piedi sorrise raggiante e fece per venirmi incontro, ma io feci un passo indietro, e lui si fermò a metà strada. Il suo sorriso vacillò
-Dei, sono felice che tu stia meglio, principessa- trattenni il fiato
-G-gradirei che tu non mi chiamassi più così. Almeno per un po’.- 
-Oh, okay. Stai bene, vero?- io annuii un po’ insicura. Non lo sapevo neanche io come stavo. 
-Leo- intervenne Will -potresti dire a Giulia che deve riposare?- mi guardò per un momento e sembrò capire le mie intenzioni, poiché strinse le labbra in una linea sottile
-Giulia, non pensarci nemmeno. So che vuoi combattere, ma non puoi.-
-Riesco a stare in piedi, è più che sufficiente.- il figlio di Efesto alzò un sopracciglio scettico e sguainò una spada
-Riesci a tenere in mano questa?- me la lanciò e, quando l’afferrai, sentii come se mi si staccasse il braccio, per quanto era pesante
-È mal bilanciata- protestai, ridandogliela indietro
-È la tua spada. Will mi aveva chiesto di tenerla per te- disse rinfoderandola. Incrociai le braccia al petto, stizzita
-Preferisco i coltelli.- tutt’a un tratto mi cominciò a girare la testa e vidi tutto appannato. Will scattò in piedi
-Giulia, tutto okay?- scossi la testa
-Ho un po’ di capogiro-
-Hai perso troppo sangue, devi riposare, e darti tempo per guarire- dovetti dargli ragione. Feci per tornare a letto, ma in quel momento Malcolm entrò nell’infermeria, ed io mi bloccai sul posto. Non appena mi vide sorrise, apparentemente scordatosi perché fosse entrato
-Giulia, finalmente ti hanno ritrovata, ero così preoccupato per te…- fece un passo verso di me, ed io mi appiattii contro il comodino vicino al letto, cominciando ad avere il fiato corto. Tutto ad un tratto mi tornò in mente l’orribile sensazione che avevo provato quando avevo scambiato Cameron per Malcolm. So che non se lo meritava, ma io non sopportavo di averlo vicino.
-Giulia…- disse, per poi indicare i segni sul viso e sul collo -Che ti è successo?- chiese. Io abbassai la testa. Non riuscivo a dargli una risposta, perché farlo avrebbe significato riviverlo. Sentii gli occhi pizzicare.
-Amico, basta, okay? Non lo vedi che non sta bene?- a parlare era stato Leo, che si era messo fra me e Malcolm 
-Valdez, te stanne fuori- replicò il biondo, per poi guardare me -Giulia, parlami- io alzai il capo, ricambiando il suo sguardo 
-Non posso- dissi, con voce tremante, soffocando un singhiozzo -Fatelo uscire- a quel punto iniziai a singhiozzare veramente, lasciandomi scivolare lentamente verso terra, mentre Will accompagnava Malcolm fuori. Mi sfogai per la prima volta da quando ero uscita da quel posto. Leo mi fu subito accanto, costringendomi a smetterla di singhiozzare e a guardarlo negli occhi
-Ehi, ehi! Piano, respira, okay? Va tutto bene, siamo solo io e te.- lentamente mi calmai -Brava, è tutto finito, non ci pensare più, sei al sicuro- io scossi la testa
-Non posso non pensarci…-
-Sì puoi- replicò -Ascoltami bene. Tu sei più forte di loro, Giulia Bianchi. Tutto questo, potrà averti spezzata, ma non decreterà la tua fine. Tu ti rialzerai come sempre.-
-E se questa volta non ce la facessi?-
-Tu ce la fai ogni volta- il suo tono era incredibilmente dolce, ed il suo viso troppo vicino al mio. Guardai dietro di lui 
-Credo che dovresti andare-
-Cosa?-
-Mi hai sentita bene.- tornai a guardarlo -Vai e fai il culo a quella stronza.- 
-Agli ordini- replicò, con un sorrisetto 
-Ah, un’ultima cosa.- dissi, prima che lui se ne andasse -Dì a Will di non azzardarsi a non tornare da me. O io lo uccido. E guarda che vale anche per te- lo minacciai. Leo mi rivolse un ultimo sorriso
-Promesso.- poi uscì, lasciandomi ad aspettare. Completamente sola. 


*Angolo Autrice* 
Ehilà, ecco a voi il capitolo! Guardate, non c’è bisogno di dire niente, lo so da sola di essere stata un’infame e se volete i pomodori me li lancio da sola. Però vi assicuro che avevo una buona ragione per farlo, non è che mi sono svegliata un giorno e mi è venuto così, dal nulla. No okay, in realtà è andata esattamente così, però almeno ho fatto tornare Leo, non siete felici? Me lo merito un pochino il perdono? E poi guardate il lato positivo, il prossimo sarà l’ultimo capitolo, che altro ancora può succedere? Ehm… lasciamo stare hehehehe
Va beh, io vi saluto qua prima di scatenare oltre la vostra furia, un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Questa non è la fine, è solo un nuovo inizio ***


Capitolo 8
Questa non è la fine, è solo un nuovo inizio

 
 
Aspettare da sola era una vera noia. No veramente, ve lo posso assicurare. Non potevo fare niente, perché non appena provavo ad alzarmi mi veniva una forte nausea, e poltrire proprio non mi riusciva. Non con i miei amici che rischiavano la vita lì fuori. Uscire non era neanche in considerazione, per due validi motivi. 1° non ero armata; 2° se Will mi avesse vista mi avrebbe uccisa all’istante. Quindi decisi che stare seduta a gambe incrociate a fissare il vuoto sarebbe stata un’ottima occasione di svago. Ad un certo punto provai anche ad addormentarmi, ma non riuscivo a prender sonno, causa la preoccupazione per gli altri e i brutti ricordi che proprio non ne volevano sapere di lasciarmi stare. Ad un certo punto, un’esplosione. Un boato tremendo ed un lampo accecante, poi silenzio. Scattai in piedi, ignorando totalmente il dolore in tutto il corpo, e corsi fuori dall’infermeria. L’unica cosa di cui ora mi importava era trovare Will. E trovarlo vivo e vegeto sarebbe stato meglio. Quando uscii fuori vidi i romani e i greci che si stavano mischiando, unendosi, finalmente dalla stessa parte, aiutandosi e festeggiando per qualcosa, mentre alcune creature superstiti riformavano lentamente i ranghi. Riuscii a scorgere Percy e gli altri poco più in là, che facevano da scudo a Jason e a Piper, svenuti. Di Will non c’era traccia, e la situazione era troppo tranquilla con Gea in circolazione. C’era qualcosa che non quadrava.
-Ehi tu- fermai un ragazzino che passava di lì -Che succede?- chiesi, lui mi guardò stranito 
-Cosa ti è successo?- io mi portai a disagio una mano sul collo, ricordandomi solo in quel momento che i lividi erano ben visibili a chiunque. Mi schiarii la voce
-Niente. Su, rispondimi, cosa è successo?- ripetei. Lui fece spallucce
-Gea è stata sconfitta. È morta. Sono esplosi!- disse, per poi dileguarsi. Io provai a fermarlo
-Chi?! Chi è esploso?- ma lui era già andato via. Poi realizzai. Gea era morta, ed io ero illesa. Doveva aver spezzato il legame, ed era per quello che non l’avevo più sentita dentro la mia testa. Ero libera. Il senso di sollievo venne presto soffocato dalla preoccupazione. Non riuscivo a vedere mio fratello. Presi un bel respiro ed iniziai a farmi largo tra la folla, cercando a tutti i costi di evitare il contatto fisico con gli altri, chiamando il nome di Will. Ad un certo punto qualcuno mi afferrò per spalle. Il cuore mi balzò in gola. Cominciai a dimenarmi, volevo urlare, ma la voce non usciva.
-Ehi, calma, calma! Sono io!- le mani mi lasciarono andare. Io mi voltai lentamente e ricominciai a respirare. Era Will, ed era vivo. 
-Will!- avrei voluto gettargli le braccia al collo e stringerlo forte, ma mi sentivo a disagio anche solo a pensarci -Quindi? Cosa è successo? Come avete fatto ad uccidere Gea?!- chiesi, piena di entusiasmo. Nonostante tutto, non potevo non essere felice per la sua sconfitta. Era tutto finito.
-Piper ha usato la sua lingua ammaliatrice e l’ha convinta ad addormentarsi, anche se solo per un po’, mentre Leo ed il suo drago i bronzo la bombardavano di fuoco. A quel punto i semidei hanno caricato gli onagri con delle granate esplosive e gliele hanno lanciato contro. Ottaviano è rimasto impigliato in uno di quegli affari ed è stato catapultato in aria contro Gea. È morto nell’esplosione- mi spiegò. Un po’ mi dispiaceva per Ottaviano, ma non potei fare a meno di pensare che un po’ se l’era meritato. Guardai Will, abbozzando un sorriso
-Beh, sotto alcuni punti di vista è fantastico. E dov’è Leo? Non mi pare di averlo ancora visto. Si starà preparando con gli altri per occuparsi di quei pochi mostri rimasti, lo so, ma vorrei comunque sapere che sta bene- dissi, tutto d’un fiato. Lui abbassò lo sguardo 
-Will, dov’è Leo?- ripetei. Ancora niente. Il mio sorriso vacillò 
-Will!- urlai. Lui mi guardò di sottecchi 
-Giuls, è complicato, lui era molto in alto, stava guidando Festus, e Nico, sai è figlio di Ade, non riesce a percepire nulla con certezza…- 
-Will.- lo interruppi, cominciando a sentire una fastidiosissima sensazione alla bocca dello stomaco. Lui prese un bel respiro
-Si è fatto esplodere- fu come una pugnalata al petto -Non abbiamo ancora ritrovato i corpi… ma siamo realisti, nessuno poteva sopravvivere a quell’esplosione. Neanche un figlio di Efesto come lui.- feci un passo indietro, con il cuore a pezzi. Alla fine Gea qualcosa me lo aveva portato via. Come mi aveva promesso. Lanciai uno sguardo fugace a Piper, Annabeth, Jason e gli altri suoi amici ed ex-compagni di viaggio, sentendomi, se possibile, ancora peggio. Se per me era doloroso, per loro doveva essere una vera tragedia. Strinsi i pugni, con tanta forza da ferirmi i palmi. Sentii montare dentro una rabbia cieca. Non aveva il diritto di farlo. Poco importava fosse una dea. Non aveva nessun diritto di decidere il destino degli esseri umani, quello era compito di altri. 
-Giulia, so che è difficile, se hai bisogno di sfogarti, di piangere, io sono qui per te. Ma adesso devi tornare dentro, non è ancora finita-
-No.- dissi, guardandolo risoluta negli occhi -Non piangerò e non tornerò dentro. È finito il tempo delle lacrime e di nascondermi. Mi è stato portato via troppo. Io voglio vendetta.- guardai i mostri, i rimasugli dell’esercito di Gea, in netta minoranza rispetto a noi. Sarebbe certo stato facile sconfiggerli per i semidei. Anche senza il mio aiuto e quello dei feriti, erano comunque di più e più forti. Ma non l’avrei permesso. Non avrei lasciato ad altri il compito di fare giustizia. A causa loro, a causa della loro fedeltà verso Gea, era toccato a me, più volte, pagare il prezzo della guerra. Chiamatemi egoista, ma non potete dire che non è vero.
-Giulia…- tentò Will
-Fammi passare.- lo interruppi, fredda come il ghiaccio. Lui si scansò, lasciandomi il passaggio libero, ed io cominciai ad avanzare, verso le schiere nemiche. Non ebbi neanche bisogno di spingere. Non appena mi videro, gli altri si fecero da parte, per poi ricompattarsi alle mie spalle man mano che li superavo . Forse Cameron non aveva avuto del tutto torto. In fin dei conti, ero veramente una principessa. Mi ritrovai in testa ai semidei, che mi guardavano confusi, e non ebbi alcun ripensamento. Presi un coltello da lancio, l’unica arma che avevo con me, rubata a Will quando prima mi aveva afferrata, e la scagliai, colpendo in mezzo agli occhi una dracena, che si polverizzò davanti a me. Forse non se lo aspettavano, forse non se lo aspettava nessuno, poiché tutti si zittirono. Nel silenzio più totale, presi la parola io.
-Sapete che siete spacciati, non è così? Noi siamo in netta maggioranza, tutti insieme vi spazzeremmo via in un battito di ciglia, tuttavia non fuggite. Siete coraggiosi, leali alla vostra padrona o semplicemente tento stupidi da affrontare l’ira della stirpe divina? Non temete, non vi scontrerete con loro, non oggi. Ho intenzione di vendicarmi personalmente di voi. Esservi unititi a Gea non è la vostra sola accusa. Avete contribuito a sottrarmi, per sempre, una persona che mi era molto cara, ed avete fatto anche di peggio…- mi tremò leggermente la voce, erano anche i complici di Cameron -ed ho intenzione di ripagarvi con la stessa moneta- sollevai il mento in gesto di sfida. Uno di loro rise, con una voce talmente tetra e profonda da non avere neanche una parvenza di umanità, e disse
-E come vorresti fare tu da sola? Sei solo una ragazzina e sei anche disarmata. E poi guarda come sei ridotta…- fece una piccola pausa, realizzando chi fossi. Quando lo fece, sorrise con crudele allegria. Beccata. -la bastarda divina- davvero ero conosciuta così? -passata una piacevole nottata?- strinsi i pugni, cercando di mantenere la voce ferma. Avevo avuto ragione, loro erano coinvolti in quello che mi era capitato
-Voi morirete, ci metterete secoli per poter risorgere, mentre io vivrò e guarirò. Io sarò ricordata in quanto figlia del Cielo, e voi non sarete nulla, proprio come ora.- li fissai uno ad uno -Vi faccio un’ultima promessa: vi assicuro che l’ultima cosa che vedrete prima di morire sarà il mio volto, e che lo ricorderete nel vostro eterno tormento.- non ebbi bisogno di pensare a cosa fare. Avevo già deciso. Non avrei aspettato che la maledizione di Cameron avesse fatto il suo effetto, distruggendomi, non gli avrei dato questa soddisfazione. Cominciai a slacciare le cinghie del guanto. Avevo avuto paura per tutta l’estate, per tutta la vita. Paura di cosa la gente avrebbe pensato di me, paura di quello che Gea avrebbe potuto fare ai miei affetti. Era arrivato il momento di cessare di essere spaventata, dovevo essere coraggiosa. Dovevo credere che sfruttando i miei poteri li avrei uccisi tutti insieme e che sarei stata in grado di controllarli, poco importava se io non avessi sopportato lo sforzo. Ne sarebbe valsa la pena. Presi un bel respiro, e sfilai il guanto, che tornò ad essere ripugnante come prima di indossarlo, e lo lasciai cadere a terra. Per un attimo non accadde nulla, ed io temetti che la situazione sarebbe rimasta tale, che i poteri si erano calmati, proprio nel momento in cui avevo bisogno di loro nella maniera più distruttiva possibile. Poi successe. Sentii uno strano calore partire dalla mano destra, per poi diffondersi in tutto il corpo. All’inizio si trattava di un lieve senso di caldo, come quello che si prova stando seduto davanti ad un camino, che crebbe poi progressivamente, fino a diventare un bruciore insostenibile ed incandescente, che mi tolse il respiro e mi straziò dall’interno. Caddi in ginocchio, stringendo forte i denti. Cominciai ad avere la vista appannata ed a sentirmi sempre più debole. Provai a mantenere la concentrazione con tutte le mie forze, ma era sempre più difficile ed il dolore sempre più forte. Stavo quasi per cedere, quando vidi Will. Mi sorrideva e mi porgeva la mano. Mi aggrappai a quell’immagine più forte che potei, lottando contro la debolezza ed il dolore per lui, cercando di concentrare quella forza straziante in un qualcosa che avrei potuto controllare. Chiusi forte gli occhi, stringendo i denti. Ti prego, padre. Sentii di star prendendo il controllo dei miei poteri, e tentai di fargli fare come volevo io. Non so come, ci riuscii. Riuscii ad utilizzare la mia magia per distruggere i mostri e, in qualche modo, a sopravvivere allo sforzo, nonostante farlo avesse prosciugato gran parte delle mie energie. Così come si era manifestata, all’improvviso la sensazione di calore dentro di me svanì, lasciandomi da sola, inginocchiata, davanti ad un mucchio di sabbia dorata, che sarebbe poi stata spazzata via dal vento, e con un grande vuoto dentro di me. Vuoto che non si sarebbe colmato tanto velocemente. Pensavo sarebbe stato più facile, e che dopo sarei stata meglio, ma non fu così. Mi richiusi su me stessa, tremando per il freddo improvviso dopo tanto calore. Strinsi al petto il braccio destro, affinché nessuno potesse vedere la ferita, nonostante fosse coperta dalla benda, e scoppiai a piangere. Singhiozzai a lungo, per la morte di Leo, per il dolore subito, e un po’ anche per l’adrenalina accumulata e smaltita troppo in fretta. I ragazzi cominciarono a chiudersi attorno a me, bombardandomi di mille domande, su cosa mi fosse accaduto, sul perché il mostro mi avesse parlato così, su come fossi riuscita a fare quello che avevo fatto e sul perché glielo avessi tenuto nascosto tanto a lungo. Fortunatamente Will mi raggiunse prima che fosse impossibile farlo, ed intimò a tutti di allontanarsi da me, per lasciarmi un po’ d’aria, e di non toccarmi. Gliene fui grata, o almeno credo, non sono tanto sicura di quello che accadde in seguito. Ero talmente sotto shock da non avere la piena cognizione di cosa mi succedesse attorno. I suoni mi arrivavano ovattati e tutto si muoveva a rallentatore. Chiusi forte gli occhi, sentendo montare dentro di me un sentimento che non avevo provato per tanto tempo. Finalmente il sollievo e la calma cominciarono a crescere dentro me. Era tutto finito. 
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Nessuno era riuscito ad andare  dormire, nonostante fossimo tutti esausti. Le perdite, seppur minime, c’erano state, e nessuno aveva voglia di pensarci. Perciò aspettavamo l’alba, cercando di tenerci occupati, per poi avere il pretesto di ricominciare a lavorare alle solite cose non appena fosse sorto il sole. Alcuni erano tornati nelle loro capanne, per trovare un posto ai ragazzi del Campo Giove, corrispettivo romano del nostro Campo, i miei fratelli avevano portato i feriti in infermeria e si stavano occupando di loro, altri ancora stavano cercando di dare una sistemata, cancellando i segni della battaglia quanto possibile. Io stavo seduta davanti al falò spento, con le gambe rannicchiate contro il petto, a fissare il vuoto in silenzio. Con me c’erano anche l’adolescente emo e Will, che parlottavano a bassa voce, Hazel e Frank, che si consolavano a vicenda, e Percy e Annabeth. La figlia di Atena posò la testa sulla spalla del ragazzo e lui cominciò ad accarezzarle i capelli, mormorandole qualcosa all’orecchio. Quei due dovevano aver passato qualcosa di terribile insieme, era evidente dalla luce dura nei loro occhi, ma non mi azzardai a fare domande. Se non ne avevano parlato avevano le loro buone ragioni, così come io avevo le mie. Avremmo parlato di queste cose quando saremmo stati pronti, e nessuno lo era ancora. Jason e Piper erano stati portati in infermeria, la loro era stata una brutta caduta, e Reyna, figlia della dea romana della guerra e pretore del Campo Giove, si era offerta di accompagnarli, dopo averci promesso di tenerci aggiornati. Per quanto riguardava me, avevo smesso di tremare e anche di piangere, ma il sollievo era presto scomparso, lasciando il posto ad una pesante preoccupazione. Nonostante tutto, non riuscivo a sentirmi al sicuro. Era vero che Gea ed il suo esercito erano stati sconfitti, ma Cameron era ancora a piede libero, e nulla poteva tranquillizzarmi, neanche le promesse di Will che non mi avrebbe più fatto del male. Non potevo cambiare quello che mi aveva fatto, faceva parte di me, così come la paura di uno suo ritorno, ed è sempre difficile ignorare o cancellare una parte del proprio essere. Così come non potevo ignorare il senso di colpa. Mi sentivo in colpa per la morte di quei ragazzi, brutalmente uccisi da Cameron, solo per ferirmi ancora una volta. E poi c’era la morte di Leo. Non riuscivo a non pensare che, in un certo senso, fosse stata colpa mia. E i dubbi di quel figlio di Ade, il ragazzino tetro che ho poi scoperto essere Nico di Angelo, non facevano altro che peggiorare la situazione. Continuava a dire che Leo era morto, ma che non percepiva più la sua anima. Quindi, in definitiva, avevamo vinto, ma non riuscivamo a gioire, almeno non quella stessa sera. E poi io ho sempre pensato che la pace sia, sfortunatamente, quanto di più effimero esista al mondo. Quindi, perché gioire oggi per questa, se domani può essere già scomparsa? Una fitta forte al polso destro mi riportò alla realtà. Guardai l’origine del dolore. La benda era completamente impregnata di sangue, del mio sangue, questa volta fresco. La potenza devastante dei miei poteri aveva attraversato ogni singola fibra del mio corpo, portandomi vicina alla morte, e doveva aver riaperto la ferita, che ancora non si era cicatrizzata. Asciugai un rivoletto di sangue che stava scorrendo lungo il braccio. Stavo sanguinando anche in quel momento. Dovevo andare a medicarmi, Will ci aveva già provato ma io mi ero opposta fermamente, proprio non mi andava di riscoprirla. Will si accorse del sangue e mi chiamò gentilmente
-Giulia…- io mi voltai verso di lui, che mi sorrise con dolcezza -so che sei ancora sconvolta e molto stanca, ma dovresti andare in infermeria a farti medicare.- suggerì. Io scossi la testa
-No. Preferisco andare in cabina. Mi medicherò da sola là.- non volevo che gli altri vedessero la ferita. Will sospirò
-Posso accompagnarti, se vuoi- propose. Io lanciai uno sguardo al figlio di Ade e poi tornai a guardare mio fratello, accennando un sorriso
-Non c’è bisogno, veramente, e poi preferirei rimanere un po’ da sola- abbassai il tono 
-Complimenti, è carino- mormorai in modo che solo Will potesse sentirmi. Lui sorrise
-Lo so- mormorò di rimando. Io sorrisi, sinceramente felice per mio fratello
-Goditi la serata, te lo sei meritato.- lo salutai. Fece per darmi un bacio sulla guancia, ma poi ci ripensò, e si limitò a ringraziarmi e a dirmi che mi avrebbe raggiunta tra poco. Mi sentii in colpa. Will mi aveva trattato come una vera sorella, riservandomi le attenzioni che raramente mi erano state date, ed io non riuscivo a tollerare il suo tocco. Mi alzai e mi avviai verso le capanne, cercando di non pensare a nulla. Ho già detto che la pace è effimera? Imparate a darmi retta. Mentre mi allontanavo dal falò vidi in lontananza una biga avanzare con velocità nella mia direzione, ma non riuscivo a vedere bene il guidatore. Chiamai gli altri, o almeno ci provai
-Will…- la voce mi morì in gola. Un dolore lancinante all’altezza dello stomaco mi tolse il respiro. Boccheggiai in cerca di aria, stringendo con entrambe le mani la lancia che mi aveva trapassata da parte a parte. Avevo le mani sporche di sangue, che imbrattava anche gli eleganti decori dell’arma. Decori che io ero sicura di aver già visto, nonostante non riuscissi a ricordare dove. 
-Giulia!- ad urlare era stato Will. Corse verso di me e mi prese tra le sue braccia prima che io cadessi a terra. Avrei voluto chiamare il suo nome, ma non riuscivo a far uscire la voce.
-No… no… Giulia… resisti. Hai capito?!- mi strinse a sé, singhiozzando -Ti giuro che mi dispiace tanto- disse, prima di afferrare la lancia e di estrarla con forza. Credetemi, fece veramente male. Urlai dal dolore, e questo bastò a ridarmi quel po’ di lucidità necessaria per poter ricordare dove avessi già visto quell’arma. Ti ucciderò io stessa e se non dovessi riuscirci, farò in modo che qualcun altro ti pianti questa lancia nel corpo, sotto lo sguardo di coloro che ami. Lo giuro sullo Stige. Gea aveva mantenuto un’altra delle sue promesse. Credetti quasi di sentire l’eco della sua risata nella testa. Will premette con forza sulla ferita, tentando invano di fermare l’emorragia.
-Will…- mormorai -Gea me lo a-aveva promesso- ogni parola era un dolore tremendo -a-aveva giurato d-di uc-cidermi davanti a te- Sorrisi mestamente, stringendo flebilmente le sue mani
-Ti voglio bene- gli asciugai una lacrima. Will stava piangendo 
-No. Tu devi resistere, devi lottare. Non ti sei mai arresa, mai. Sei una combattente, e allora combatti. Sopravvivi, fallo per me- scossi impercettibilmente la testa. Non ce la facevo più, il dolore era insopportabile. Tutto ciò che volevo era chiudere gli occhi, e riposare per un po’
-Giulia, non ci provare, okay? Resta con me, noi dobbiamo andare a visitare il mondo ti ricordi? Ne abbiamo parlato una volta, di andare a vedere l’Europa, io non ci sono mai stato. Quindi devi provarci… prova a rimanere sveglia. Ora ti portiamo in infermeria… starai bene… te lo prometto- ricordavo di cosa stava parlando. Ne avevamo discusso una volta. Non riuscivamo a dormire, ed eravamo usciti sul portico a guardare le stelle, più luminose che mai quella sera, ed avevamo deciso che un giorno saremmo andati a visitare il mondo, io gli avrei mostrato la tranquilla e vecchia Europa, e lui la scoppiettante, giovane America. Me lo aveva promesso, ed io gli avevo creduto. Ma non potei credergli quella volta. Non nelle condizioni in cui mi trovavo. Avevo perso troppo sangue, la vista cominciava ad appannarsi e la testa a farsi più pesante. I muscoli si rilassarono sempre di più. L’ultima cosa che udii prima che le tenebre mi inghiottissero, fu la voce di Will: Ti voglio bene, sorellina. 
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Avete presente quelli che dicono che quando si sta per morire si rivede tutta la propria vita in un secondo? E quelli che dicono che si cammina verso una luce bianca? E ancora quelli che dicono che la morte è un buio freddo ed infinito?
Tutte balle! Niente di tutto questo è assolutamente vero. Cioè, la parte della luce bianca effettivamente è vera, ma non c’entra nulla con la morte, più o meno, e non è proprio vero che bisogna andarle incontro. Più che altro ti ci ritrovi sommerso. Ma lasciate che vi spieghi bene. 
Mi svegliai in un luogo a me totalmente sconosciuto. Mi ritrovai in una stanza rettangolare, che non era proprio una stanza, dato che mancavano pareti e simili. Infatti, più che ad una stanza, assomigliava ad una enorme nuvola bianca. Tanto bianca. Troppo bianca. Accecante oserei. Non tirava neanche un alito di vento, non si udiva il minimo rumore. Era tutto completamente piatto. Mi misi a sedere, rimanendo di stucco. Non provavo il minimo dolore o fastidio. Il punto dove avrebbe dovuto esserci la ferita causata dalla lancia era completamente integro, non vi era neanche una cicatrice, nonostante avrebbe dovuto essere di dimensioni notevoli. Ogni livido, segno, ferita o cicatrice, persino quella sul polso, era totalmente sparito. Non c’era assolutamente niente e non sentivo assolutamente nulla. Avvertii la fredda morsa della paura attanagliarmi lo stomaco. Okaypensai Sono morta e questo è l’aldilà. Era l’unica spiegazione plausibile. Anche se me lo sarei aspettata diverso. Più diavoli, più urla strazianti,  un po’ più di fuoco sparso qua e là. Ehi, non pretendevo mica di andare in Paradiso, avevo fatto anche io i miei errori
-Non sei morta sciocca.- a parlare era stata una donna. Aggrottai le sopracciglia. Con tutta quella luce non vedevo ad un palmo dal mio naso.
-Chi c’è?- chiesi. Sentii il rumore di passi che venivano nella mia direzione, e man mano che si facevano più vicini, riuscivo a scorgere più nitidamente la mia interlocutrice. Indossava quello che sembrava un chitone candido e dei sandali di cuoio
-Alzati bambina- sollevai la testa, ma non riuscii a scorgere il suo volto
-Chi sei?- nessuna risposta. Mi alzai in piedi e rimasi senza parole. Riuscivo finalmente a vedere il volto della donna, e vi dico in confidenza che tutto mi sarei aspettata meno che quello
-Mamma- la musa della poesia epica era in piedi di fronte a me, e mi guardava come solo una madre sa fare.
-Figlia mia- mi sorrise -Sei cresciuta, è possibile? Non lo so, ma sei così bella…- avrei voluto abbracciarla, ma qualcosa mi bloccò. Risentimento.
-Sai che Gea mi ha minacciata? Più volte, a dire il vero. Tu sei sparita per mesi. Dove eri?- buttai fuori. Lei mi guardò dispiaciuta
-Giulia… non potevo aiutarti in alcun modo. L’Olimpo era stato sigillato, ma sappi che ho vegliato su di te per tutto il tempo, anche se tu non mi vedevi. Non ti ho persa di vista un attimo. E volevo dirti che sei stata così intrepida e coraggiosa e forte. E che sono così fiera di 
te- sentii gli occhi pizzicare. Era mia madre. Non potevo avercela con lei, e poi non aveva colpa di quello che mi era capitato 
-Dov’è papà? E noi dove siamo? Sono forse morta?- Calliope mi guardò divertita
-Vediamo, a quale dovrei rispondere prima?- mi sentii un po’ a disagio, lei era pur sempre una divinità, le avrei dovuto portare più rispetto, ma, ehi, sono giustificata, no?
-Solo alla prima sarà sufficiente-
-Tuo padre non poteva venire con me. Si sta prendendo le sue responsabilità come genitore di uno dei fattori scatenanti della guerra, e sta aspettando che tuo nonno gli dia la punizione che egli riterrà più adeguata- la guardai confusa -Zeus- chiarì lei
-Quindi Zeus, il re degli dei, è mio nonno? Non ci avevo mai pensato- mia madre annuì -Wow… suppongo che pranzi di famiglia e regali per la festa del nonno siano fuori discussione, giusto?- Calliope rise
-Temo di sì, ma non pensare che sia perché non sei benvoluta sull’Olimpo. Lo sei, veramente. Prima della tua nascita tutti gli dei erano felicissimi, Zeus soprattutto. A discapito di come viene ritratto, ha un debole per i bambini, soprattutto se sono imparentati con lui.- provai ad immaginarmi Zeus che si vestiva da coniglietto pasquale per fare una sorpresa ad una schiera di mocciosi divini. Decisi che era meglio smettere di farlo. Guardai mia madre
-Perché mi avete lasciata andare? Cosa è successo?- fece un’espressione addolorata
-Non avevamo scelta. È raro, ma anche le divinità possono ammalarsi, o morire- 
-Ma… ma questo non ha alcun senso. Le divinità sono immortali- non riuscivo a capire
-Tecnicamente sì, ma esiste sempre l’eccezione alla regola. Suppongo che non si possa eliminare, neanche per quanto riguarda una dea- la guardai, cercando di essere il più sicura possibile
-Dimmelo chiaramente: cosa mi è successo?- sospirò
-Mi piacerebbe potertelo dire con certezza, ma la verità sarebbe troppo da sopportare, almeno per il momento. Tutto quello che posso dirti, è che sull’Olimpo non saresti stata al sicuro, non avresti vissuto più di un anno o due. Quindi, per quanto spregevole possa sembrarti, io ed Apollo abbiamo deciso di comune accordo di mandarti da qualche altra parte. In un luogo dove saresti stata al sicuro, dove avresti potuto vivere una vita tranquilla, sulla Terra. Speravamo soltanto che tu saresti rimasta fuori da tutto ciò. È infantile, lo capisco, ma spero tu un giorno possa perdonare il fatto che abbiamo preferito vederti crescere felice con un’altra famiglia, piuttosto che crescerti noi stessi e vederti poi morire tra le nostre braccia. Comprendo tutto quello che ti abbiamo negato, compiendo questa scelta al posto tuo, ma da allora non ho vissuto un solo giorno senza la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta, la tua felicità era una medicina più che sufficiente alla tristezza. E se devo essere onesta con te, non me ne pento neanche ora. Sei diventata una bellissima giovane donna, coraggiosa, gentile e forte. Tutto ciò che ho sempre sognato per te.- trattenni a fatica le lacrime
-Non sono poi così forte. Gea mi ha battuta- mi tremava la voce
-Oh tesoro mio, invece lo sei. Dopo tutto quello che hai passato sei ancora qui- 
-È tutto così difficile, mamma. Mi sento come se il mio cuore fosse diviso a metà. È un dolore che mi strazia- ammisi, lasciandomi scappare un singhiozzo
-Aggrappati a questo. Senti dolore, sei viva. Lascia che questo ti dia sollievo- solo allora ricordai. La lancia, il sangue, il dolore. Non potevo essere viva. Non era possibile.
-Cosa mi è successo? Ho visto la mia ferita. Dovrei essere morta. A meno che… sono in coma?- Calliope annuì 
-Se vogliamo chiamarlo così, sì. Sei esattamente a metà strada fra la vita e la morte. Questa è, per così dire, una sala d’attesa- mi guardai intorno
-Appare così a tutti coloro che finiscono in coma?-
-Sì, ma a nessuno viene concessa la possibilità che verrà concessa a te- la guardai interrogativa -Le persone normali, mortali esemidei, quando capitano in questo luogo-nonluogo non possono far altro che aspettare che siano le Parche a decidere se tagliare o meno il filo della vita, senza poter avere voce in capitolo. A te invece sta per essere concessa un’opportunità più unica che rara, perfino per la stirpe divina, quella di scegliere.- rimasi senza fiato
-Posso scegliere se vivere morire? Perché? Molti riterrebbero questa scelta ovvia, quindi perché non l’avete compiuta voi?- Calliope mi guardò con una dolcezza infinita negli occhi, quella di un genitore che sarebbe stato dalla mia parte a prescindere da ciò che avrei scelto. 
-Mai giudicare un libro dalla copertina. Ti è accaduto tanto. Il mondo ti è crollato addosso più di una volta, e tu ti sei sempre rialzata. Ma quanto può resistere un essere umano? Non volevo di nuovo costringerti ad una condizione che avresti potuto non volere, Giulia.- aprii bocca per replicare, non so neanche io cosa, ma fui interrotta da un rumore di passi alle mie spalle. Mi voltai e mi ritrovai di fronte ad uno degli uomini più belli che avessi mai visto, escluso mio padre (se non lo avessi citato non me lo avrebbe mai perdonato. È cosìpresuntuoso). Si trattava di un giovane uomo, con indosso una lunga tunica nera allacciata in vita, dalla pelle color teak, alto, asciutto e muscoloso, con un volto a dir poco regale, occhi color miele, lunghi capelli neri e un paio di possenti ali scintillanti di sfumature blu, nere e violette. Un vero e proprio angelo dannato. 
-Giulia, ti presento Thanatos. Ma forse tu lo conosci come la Morte.- aprii di poco la bocca, forse per dire qualcosa, o forse perché lo shock di essere faccia a faccia con la morte era troppo grande, chi può dirlo. 
-E cosa ci fa qui, se posso chiedere?- feci un passo indietro. La sua bellezza mi faceva sentire terribilmente a disagio. Non avrei mai immaginato che la morte avesse un viso, o un corpo, del genere. 
-Sono qui per scortarti nel regno dei morti, qualora tu decida di seguirmi, ovviamente.- aveva una bellissima voce. Guardai mia madre
-Ed ora che dovrei fare?-
-Non posso aiutarti con questo. La scelta è tua, e solo tua. Ma permettimi di mostrarti a cosa diresti addio- agitò con grazia una mano, ed il bianco di fronte a me si crepò, mostrandomi delle immagini. Erano Will ed altri semidei. Erano tutti raccolti attorno ad un letto, sul quale era sdraiato… io. C’ero io, inerme, su quel letto. Will era seduto vicino a me, stringendomi la mano, e dicendo qualcosa al mio corpo. Non potevo sentire quello che diceva, ma credo mi stesse chiedendo di non morire. L’avrei tanto voluto accontentare, eppure… guardai Calliope, e poi Thanatos. Ripercorsi mentalmente tutto quello che mi era capitato, non solo negli ultimi mesi. Mia madre aveva ragione. Avevo sopportato tanto, avevo stretto i pugni e mascherato il dolore con un sorriso così a lungo, forse troppo a lungo. Non potevo, anzi, non volevocontinuare a farlo. Avevo raggiunto il limite. Cameron, Gea, la guerra, le vite di quei bambini spente per un semplice capriccio… e poi la morte di Leo. Ero arrivata ad un punto di non ritorno. Non ero abbastanza forte per superare anche quello.
-Te l’ho detto che ti sbagliavi. Non sono forte come credi.- mi girai a guardare mia madre, aveva le lacrime agli occhi -ti ho perdonata, per avermi abbandonata. Non ce l’ho mai avuta veramente con te. So perché lo hai fatto… e per questo ti ringrazio. Ti voglio bene, mamma. Spero solo tu possa perdonarmi per quello che sto per fare.- 
-Giulia, come sai che non puoi guarire, se non ci provi nemmeno?!-
-No, mamma. Non puoi dire niente che possa farmi cambiare idea. Tu non capisci… io non posso. C’è qualcosa che mi sta divorando. E non mi lascerà da sola, non guarirò, il dolore è troppo grande, troppo reale. Tutte le perdite, tutto quel sangue versato sporca le mie mani, grava sulla mia coscienza. Il dolore causato e quello provato. Io… avrei potuto distruggerla, avrei dovuto affrontarla, ma non l’ho fatto! Mi sono nascosta da una parte, come una codarda, lasciando ad altre persone un compito che spettava a meLeo è morto a causa mia. C’era una profezia su di me, si chiedeva una vita per molte. Doveva essere la mia, non la sua. È troppo. Scusami.- mi voltai verso il mio accompagnatore. Mi stava tendendo la mano. La guardai per qualche istante. Ero consapevole che afferrarla significava morire, un viaggio di sola andata per l’oltretomba, e che se l’avessi accettata non sarei potuta tornare indietro. Feci un respiro profondo e sollevai la mano, sfiorando quasi quella di Thanatos…
quando una strana sensazione mi bloccò. Sentivo come una corda che mi tirava indietro, che mi impediva di fare quello che stavo per fare. D’istinto mi voltai verso la crepa di prima, e quello che vidi alleggerì il mio cuore da un peso, anche se era pressoché impossibile da credere. Leo Valdez, vivo, in compagnia di una giovane ragazza in abiti bianchi, seduto al mio capezzale, che mi scuoteva per le spalle, sperando in un cenno da parte mia
-Leo…- mi voltai verso Calliope -è reale? O è solo la mia fantasia?-
-Tutto ciò che vedi è la realtà- mi venne istintivo piangere, poi ridere, e poi piangere mentre ridevo. Era un miracolo. 
-Giulia- la voce dell’angelo mi riportò alla realtà -allora? Ho una certa fretta.- esitai. Leo era vivo. Così come mio fratello e gli altri miei amici. Smisi un attimo di pensare a come mi sentivo io e mi concentrai a come potevano sentirsi loro. Da quello che vedevo, erano stati meglio. Potevo veramente decidere di alleviare il mio dolore, se questo voleva dire causarne di più alle persone che amavo? No. Certo che non potevo. Cosa mi era saltato in mente. Non potevo costringere Will a sopportare la mia morte. Non poteva perdere un altro dei suoi fratelli, non dopo Lee o Michael. 
-Vai pure. Sono sicura che ci rincontreremo, ma non adesso. Non è il mio momento di cadere.- Thanatos riabbassò la mano e mi fece un cenno di saluto con il capo, per poi sparire in un turbinio di piume e capelli. Tesi una mano verso mia madre. Lei la afferrò e mi tirò a sé, stringendomi forte a sé. Ricambiai la stretta, affondando il viso nell’incavo del suo collo, sentendomi finalmente al sicuro dopo tanto tempo. Calliope sciolse l’abbraccio
-Dai su, ci stanno aspettando sull’Olimpo-
-Cosa?- lei mi sorrise, carezzandomi la guancia
-Andiamo sull’Olimpo, a casa nostra.- mi separai da lei
-Ma… hai detto che non sono al sicuro lì.-
-Giulia… adesso sei un’adulta, è diverso. Hai dimostrato di potertela cavare, e poi, dopo quello che hai passato, non voglio separarmi di nuovo da te. Se anche tu lo sei, io sono disposta a correre il rischio. Allora?- guardai in basso
-Non posso dire addio alla mia altra famiglia come se niente fosse. Non voglio rinfacciare niente, ma sono stati loro a crescermi. Pensi che possa separamici così, a cuor leggero?-
-Figlia mia, saresti una dea, potresti andare a trovarli quando ne avresti voglia. Ti sto offrendo l’immortalità, di essere quello a cui sei sempre stata destinata. Ad essere una principessa.- mi rivennero in mente le parole di Cameron, e capii. Non volevo essere una principessa, non volevo aver nessun rango, volevo essere normale, nei limiti che il mio sangue permetteva.
-Scusami. Ma non sono pronta, ad essere una principessa. Non sono pronta a dire addio al mio mondo. E con questo non sto dicendo che non voglio vivere con te e papà, sul serio. Non c’è niente al mondo che vorrei più di stare con voi… ma cosa è una vita immortale, se vissuta senza i miei affetti terreni?- mi prese le mani e mi guardò con amore misto a tristezza
-Comprendo ed accetto la tua decisione- le diedi un ultimo abbraccio 
-Arriverà il giorno in cui mi riunirò a te e agli altri dei. Devi solo essere paziente.- Calliope sorrise
-Ricordati solo una cosa, bambina mia, tu sei e sarai sempre una principessa, ce l’hai nel sangue, e niente potrà mai cambiarlo, nessuno potrà mai strappartelo via. Le sfide che affronterai potranno spezzarti, ma non saranno la tua fine.- Leo mi aveva rivolto esattamente le stesse parole. La guardai negli occhi. Volevo dirle qualcosa, ripeterle che le volevo bene, che mi dispiaceva, ma non ne ebbi il tempo. Calliope agitò una mano e all’improvviso una forte luce bianca mi sommerse, obbligandomi a chiudere gli occhi. 
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Quando li riaprii mi trovavo in un luogo decisamente meno illuminato, probabilmente la tenda medica del Campo. Scattai a sedere, respirando quanta più aria potevo, crogiolandomi nella sensazione di essa nei miei polmoni e nel dolore delle mie ferite. Ero viva. Ero felice di esserlo. Mi portai una mano al petto, ringraziando gli dei quando sentii il battito del mio cuore. Chiusi gli occhi, cercando di catturare il ricordo di mia madre e di imprimerlo per sempre nella mia mente. La gioia lasciò lentamente il posto al dubbio. Mi chiesi se avessi fatto la scelta giusta. Se non fosse stato meglio, almeno per me, alleviare tutto il dolore, rimuovere il ricordo delle ultime settimane. Avevo rimpianto così tanto la morte di quei ragazzi, molti dei quali non avevano neanche la mia età, di quei bambini, quando ero una bambina io stessa. Ero ancora molto giovane, c’era una vita intera davanti a me, potevo sopportare quel genere di peso così a lungo? Il rumore di qualcosa di metallico che cadeva a terra mi fece riaprire gli occhi. Sorrisi. Sull’uscio c’era nientepopodimeno che Leo Valdez, il figlio di Efesto con tendenze piromani che preferivo, che mi guardava come se fossi un fantasma o una qualche sorta di illusione. Lanciai un’occhiata ai suoi piedi e poi lo guardai con un sopracciglio alzato
-Era il mio pranzo quello?- indicai un vassoio caduto a terra. Leo sorrise e mi si gettò letteralmente addosso. Mio malgrado mi irrigidii, finendo con scostare Leo dal mio corpo
-Ehi- dissi sorridendo -Sei vivo- si passò una mano fra i capelli
-Anche tu- annuii, poi si alzò di scatto dal letto -Devo chiamare Will!- non ce ne fu bisogno. In quell’esatto momento anche Will era entrato in infermeria e mi stava guardando come se non fossi reale. Non appena incrociai il suo sguardo ogni dubbio fu spazzato via. 
-Will…- mi pizzicarono gli occhi. Will fece per venirmi incontro per abbracciarmi, ma si fermò a metà strada, con una domanda inespressa negli occhi. Mi ricordai di cosa avevo detto a mia madre. Non guarirò.Lei aveva ragione, non potevo saperlo, se non ci provavo neanche. Accennai un sorriso e gli feci cenno di avvicinarsi. Will sembrò sorpreso per un attimo, ma poi corse da me e mi strinse al petto, accarezzandomi i capelli e stringendomi come se fossi la cosa più importante per lui. Mi fece male, fisicamente ed emotivamente, ma decisi di ignorare il secondo. Con un po’ di esitazione ricambiai la stretta, affondando il viso nel suo petto, ridendo fra le lacrime, che stavolta erano di gioia. Non fraintendete, il senso di disagio non era sparito nel nulla. La paura c’era ancora. Il ricordo era ancora troppo fresco, ed ogni volta che qualcuno mi toccava mi tornava in mente Cameron, non potevo farci niente. Non erano tanto le piccole cose che mi creavano problemi, quanto i grandi gesti. Fu Will ad interrompere l’abbraccio, per non forzarmi troppo 
-Giulia. Sei tornata finalmente- stava ridendo e piangendo anche lui
-Per quanto sono rimasta in coma?-
-Circa una settimana. Ma adesso non importa. Devi riposarti e mangiare qualcosa. Ne parleremo quando starai meglio-
-Quindi hai intenzione di tenermi qui fino alla fine dell’estate? Che tra parentesi è quasi finita?- mi diede un buffetto sul naso
-Ho intenzione di tenerti qui fino a che non starai meglio. Non temere, fra quattro o cinque giorni potrai tornare a salvare il mondo.- si alzò e si incamminò verso l’uscita -Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Leo, rimani te con lei?-
-In verità- intervenni, prima che lui rispondesse -Gradirei rimanere sola per un po’. Se non vi dispiace-
-Certo che no- replicò Leo -Rimettiti- concluse. Uscirono entrambi, lasciandomi un po’ di tranquillità per riflettere. Ero là, ancora una volta. Mi ero letteralmente trovata faccia a faccia con la morte, ed ero sopravvissuta. Mi chiesi cosa ci potesse essere più forte del cuore umano, che veniva spezzato e calpestato più e più volte, eppure continuava a battere.  
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Will aveva mentito. Mi tenne costretta a letto per ben una settimana intera, al termine della quale mi concesse di godermi gli ultimi giorni di vacanze, seppur suo malgrado. Nonostante tutto, la settimana non fu terribile. Ebbi il tempo di riposarmi ed un sacco di perone vennero a trovarmi per farmi un po’ di compagnia. Will passava più volte al giorno ed anche Leo cercava di farsi spesso vivo. Quando non poteva lui, veniva la sua ragazza Calipso (sì, quella Calipso) a fare le sue veci. Era veramente una persona fantastica, e sperai di poter diventare sua amica, un giorno. L’unico a non essersi mai presentato era Malcolm, contro ogni previsione. Anche se la mia permanenza in infermeria era stata piuttosto piacevole, non vedevo l’ora di andare via. Il giorno del mio rilascio forzato, tuttavia, mi sentii strana ad uscire dal letto. Fino a quel momento ero stata al sicuro, costantemente sorvegliata da qualcuno, ed ero anche stata lasciata libera di prendermi i miei tempi per guarire. Ma adesso dovevo uscire, mescolarmi con gli altri, del tutto ignari delle mie pure e dei miei incubi. Inoltre in infermeria nessuno mi aveva fatto domande sul perché mi svegliassi a tarda notte in un bagno di sudore, con il respiro corto. Mi guardai allo specchio. Esternamente ero sempre la stessa ragazza di qualche mese fa, solo un po’ più abbronzata. Persino i lividi erano sbiaditi e le ferite stavano cominciando a sparire, almeno quasi tutte. Eppure, io mi vedevo diversa. C’era qualcosa nel mio viso che non c’era al mio arrivo. Mi chiesi se fosse evidente a tutti o se fosse solo una mia impressione, come se vedessi riflesse nei miei occhi le mie esperienze, sia quelle belle che quelle brutte. Mi portai la mano destra al viso. Ormai non portavo più il guanto, non ce ne era più il bisogno, e a coprire l’ultimo segno visibile dell’orrore che avevo subito era rimasta una sottile benda bianca. La srotolai lentamente, trattenendo le lacrime quando vidi quel segno rosso inciso sulla mia carne. Mi morsi il labbro. Will mi aveva spiegato abbastanza di medicina da sapere che quella cicatrice non sarebbe mai guarita del tutto, ma che sarebbe rimasta a vita. Un ultimo regalo da parte di Cameron, un costante promemoria di come era riuscito a schiacciarmi. Distolsi lo sguardo. Non volevo che gli altri la vedessero, sarebbe stato difficile spiegare come me l’ero procurata, ma non potevo bendarmi il polso per sempre. Tutto ad un tratto mi venne l’illuminazione. Andai verso quello che era stato il mio letto nell’ultima settimana e presi una fascia per capelli nera dal comodino accanto. Era la fascia che mi aveva regalato Leo, sarebbe stata l’ideale per nascondere la cicatrice. L’arrotolai attorno al polso in maniera tale da coprire completamente la ferita ed osservai il mio lavoro allo specchio. Era anonima e nascondeva alla perfezione quello che doveva nascondere. Mi venne da sorridere. Forse, col tempo, sarei riuscita a dimenticare anche io. Presi un bel respiro. Non potevo più nascondermi, e poi lo avevo chiesto io di essere dimessa. Uscii fuori e fui sommersa dal Campo. L’atmosfera allegra, l’odore delle fragole, la musica dei satiri, le urla e le risa dei mei compagni, della mia famiglia. I romani se ne erano già andati, ma avevano promesso di tornare a farci visita. Mi venne da sorridere. Nonostante tutto ciò che avevo passato, quella era casa mia, e non rimpiangevo nessuna delle mie scelte. Se non le avessi prese, non avrei mai conosciuto persone fantastiche come Will e gli altri miei fratelli, avrei sentito la mancanza persino di Destiny. Perché dico che mi sarebbe mancata? Ovvio. In inverno avevo intenzione di tornare a Roma e di continuare i mei studi lì con la mia famiglia, come facevano già altri semidei, per poi tornare l’estate seguente. Non sapevo ancora se sarei stata in grado di passare un anno intero senza Will, certo è che ci avrei provato e che mi sarebbe mancato come l’aria, ma non avrei mai potuto rinunciare all’altra mia famiglia. E poi, se la nostalgia fosse stata troppa, sarei potuta tornare per le vacanze natalizie. A proposito di Will… il vero motivo per il quale avevo deciso di andarmene era perché tanto lui non sarebbe stato solo. Con lui c’era Nico, il figlio di Ade, con il quale stava animosamente discutendo proprio in quel momento. Risi. Quei due erano proprio cane e gatto, eppure erano fatti l’uno per l’altro. Mi guardai intorno, vedendo il lontananza Malcolm. Era giunto il momento di confrontarlo, non ero stata carina con lui l’ultima volta che ci eravamo visti. Mi avvicinai mentre era di spalle
-Ciao- lui si voltò a guardarmi
-Oh. Ciao, Giulia. Come stai?-
-Io… bene, credo. Non ti avrei disturbato, ma volevo scusarmi con te. Per come mi sono comportata l’ultima volta…-
-Cosa? No, Dovrei essere io quello a scusarsi. Will mi ha raccontato in sintesi quello che ti era capitato e mi sono sentito un verme, non avrei dovuto forzarti. Scusami- disse, tutto rosso in viso
-Quindi è per questo che non ti sei fatto vivo per una settimana intera?- lui mi sorrise
-Per questo e perché Leo mi ha fatto capire di doverti lasciare i tuoi spazi. Diciamo che è più forte di quel che sembra.- sgranai gli occhi
-Cosa?! Malcolm dimmi che non avete fatto a botte- 
-Beh, tecnicamente lui mi ha solo spintonato. Ma è tutto okay. Lo ha fatto solo perché ci tiene a te. Lo avrei fatto anche io.- mi venne da ridere. Ero sia compiaciuta che arrabbiata. Strano mix. 
-Senti…- riprese il figlio di Atena -Io adesso devo andare, ma volevo solo dirti che, quando sarai pronta, quell’uscita per me è sempre valida.- io sorrisi
-Quando sarò pronta ti chiamerò- Malcolm mi sorrise di rimando, per poi allontanarsi. Io decisi di andarmi a fare una passeggiata. Mi incamminai senza una vera meta, fermandomi di tanto in tanto a salutare gli altri, fino a che non arrivai ai piedi della collinetta sulla quale mi ero rifugiata il mio primissimo giorno al Campo, sulla quale avevo conosciuto Will per quel che veramente è. Da quel giorno ci eravamo tornati spesso. Era diventato il nostro posto speciale, non ci saliva quasi mai nessuno. Cominciai ad arrampicarmi. Quando fui arrivata in cima ripresi fiato e, mio rammarico, mi resi conto di non essere stata la sola ad aver avuto quell’idea. 
-Anche tu qua?- chiesi. Leo annuì, senza neanche voltarsi a guardarmi -Posso sedermi?- lui annuì di nuovo. Mi sedetti accanto a lui sull’erba fresca, guardando la vita scorrere come se nulla fosse, ascoltando il canto del vento.
-Che ci fai qui?- finalmente Leo si era deciso a parlare
-È il mio posto preferito qui al Campo. C’è un tale silenzio, una sorta di perfetta armonia. E poi da qui si vede tutto, ed in un certo senso è tranquillizzante, sapere di poter avere tutto sotto controllo- risposi 
-Che coincidenza. È anche il mio- replicò lui. Mi voltai a guardare il suo profilo. Non era proprio bellissimo, ma, in qualche modo, attirava l’attenzione su di sé, anche se non sempre in modo positivo. Ma non era il mio tipo. Un po’ troppo “focoso” per i mei gusti, se capite cosa intendo. Inoltre non lo conoscevo quasi per nulla, nonostante il pensiero di non vederlo più per nove mesi mi intristisse non poco. Senza che me ne accorgessi, Leo Valdez era riuscito ad entrare nella mia vita, e non se ne sarebbe andato presto, almeno non prima di avermela incasinata totalmente.Tornai a guardare l’orizzonte, sentendo il suo sguardo addosso.
-Ehi- esordì all’improvviso -Mi pare di conoscere quella fascia- disse, indicando il mio polso. Io ridacchiai, cominciando a giocarci distrattamente.
-Mh, forse. Me l’ha regalata un tipo all’inizio dell’estate. Lui è un po’ fastidioso, ma ci si può lavorare su- disse, con un sorrisetto
-Ehi!- protestò Leo, con una risata, per poi guardarmi con superiorità -Comunque sei adorabile. Ti mancavo così tanto che l’hai portata con te per tutta l’estate!- arricciai il naso
-In realtà, oggi è la prima volta che la indosso. Di solito la tenevo in tasca- ammisi. Lui mi guardò sornione
-E perché?-
-Tu… non sai tutta la storia, vero?- lui tornò immediatamente serio, scuotendo la testa. Io presi un bel respiro e tolsi la fascia, scoprendo la ferita. Se che avevo deciso di nasconderla a tutti, ma sentivo come se a Leo potessi dire tutto. Lui rimase a fissare la cicatrice per un bel po’, prima di tornare a guardarmi negli occhi
-È stato Cameron.- anticipai la sua domanda -Ha deciso che sarebbe stato divertente farmi questo ultimo dono. In modo tale che, anche se il suo piano fosse fallito, lo avrei ricordato per sempre. Non mi chiedere quello che c’è scritto, perché non lo so neanche io. È una formula magica, l’ha usata per portare via ogni magia dal mio guanto, decretando la distruzione dell’umanità, o perlomeno di tutta Long Island. Fortunatamente ho trovato un’alternativa.-
-Sì, Will mi ha raccontato tutto- disse -Ma perché la copri?- 
-Sinceramente, non voglio che gli altri qui al Campo la vedano. Non voglio dover dare spiegazioni e non voglio essere guardata con compassione o pietà. Io non voglio essere ricordata come una povera vittima, perché non sono stata solo quella. Io so di essere di più- feci una pausa, ricoprendo la cicatrice -E poi, non voglio vederla neanche io. Ogni volta che ci penso, anche minimamente, non posso fare a meno di ricordare che Cameron è ancora a piede libero e di cosa è capace. E che un giorno potrebbe tornare per finire quello che ha cominciato.-
-Giulia. Non voglio dirti come vivere la tua vita, ma non puoi semplicemente far finta che non sia successo nulla. Così non farai altro che continuare a vivere nel passato. Dovresti scrollartelo di dosso, superare il blocco mentale che ti impedisce di parlarne e mostrare con orgoglio le tue cicatrici come il segno che hai passato il peggio, e nei sei uscita più forte di prima.- disse- In un certo senso aveva ragione, ma mi ci sarebbe voluto ancora del tempo prima di poter seguire il suo consiglio. Tuttavia, gli fui grata per quelle parole, e gli sorrisi, posando, non senza esitazione, la mano sul suo braccio, stupendo entrambi. 
-Ti ringrazio. Ma non è ancora il momento. Prima devo guarire del tutto- dissi, togliendo la mano. Lui mi fece l’occhiolino
-Beh, stai facendo progressi.- osservò. Io feci spallucce
-Come ha detto mia madre: come potrei, se neanche ci provo?-
-A proposito di tua madre!- disse, per cambiare discorso -Will mi ha parlato della tua complicata storia familiare! Allora, hai puro sangue divino nelle tue vene! Forte!- io roteai gli occhi
-Non proprio…è una storia lunga e complicata. Ti basti sapere che non sono una dea, almeno non più, e che sono esattamente come te-
-Capito- mi guardò con un’espressione strana -peccato però-
-Cosa?- chiesi confusa 
-Saresti stata una dea fantastica. E poi… sei bella quanto una principessa- mormorò l’ultima parte. Io mi sdraiai sull’erba fresca, con il viso rivolto verso l’alto, immediatamente imitata da Leo. 
-Ma perché mi chiamate tutti principessa- bofonchiai -Comunque, basta parlare di me. Parliamo di te piuttosto. Sai ho conosciuto la tua ragazza, Calipso. Mi è venuta a fare compagnia quando tu non potevi e mi ha spiegato come vi siete conosciuti. È una tipa okay. Approvata!- Leo scoppiò a ridere
-Ho bisogno della tua approvazione?-
-Certo che sì!- replicai, fingendomi offesa -Sono tua amica e la mia opinione deve essere oro per te-
-Ah sì? Vogliamo parlare allora del TUO ragazzo? Io non l’ho approvato!-
-Punto primo, non è il mio ragazzo. Punto secondo, lo so che non lo approvi. Oggi la prima cosa che ho fatto dopo essere uscita è stata cercarlo per chiedergli scusa. Lui mi ha detto che non dovevo dire nulla perché ci aveva già pensato Will. E che è sparito per una settimana perché qualcuno gli ha, per così dire, consigliato di lasciarmi perdere.- mi voltai a guardarlo e vidi che lui aveva fatto la stessa cosa -Qualcosa da dire a riguardo?-
-Mi dichiaro innocente vostro onore. Il mio non era un consiglio, era un ordine!- scoppiai a ridere 
-Dai!-
-Scusa, ma quando sono uscito dall’infermeria ho visto che lui voleva a tutti i costi tronare dentro da te. Ho provato a spiegargli che volevi stare sola, ma non voleva sentire ragioni. Quindi sono ricorso alla forza bruta dei miei possenti muscoli!-
-Ma quali muscoli- risi -In ogni caso… grazie. Lo apprezzo.- 
-Non c’è di che, principessa- mi guardò negli occhi con tanta intensità da farmi sentire a disagio. Mi schiarii la voce e tornai a guardare verso il cielo
-Parlami un po’ di te. Tu mi conosci a pennello. Mentre io non so nulla di te- dissi
-Beh… avrei così tante cose da raccontarti- replicò. Feci un sorrisetto. Che ironico deja-vu
-Inizia dalla più facile.- lui sembrò pensarci un attimo
-Mia madre era una meccanica- iniziò. In fin dei conti, suppongo che spiegarmi come facesse ad essere vivo non fosse poi la cosa più facile. 
 
 
 
 
 
 
 
Non mi avete fatto niente 
Non mi avete tolto niente 
Questa è la mia vita che va avanti 
oltre tutto, oltre la gente 
Non mi avete fatto niente 
Non avete avuto niente 
Perché tutto va oltre Le vostre inutili guerre
§FINE§

*Angolo Autrice*
 
Eccoci qui. Siamo finalmente, e dopo tanta, ma tanta, fatica, giunti al fatidico capitolo finale. Ho deciso di pubblicarlo con una settimana di stacco perché volevo prendermi un po’ di tempo per rivederlo, per tagliare, cambiare e sistemare. Volevo che fosse un capitolo finale all’altezza delle aspettative, e credo che questo ci si avvicini parecchio. Inutile dire che adesso mi sento un po’ vuota. Come vi avevo già detto, avevo questa storia in cantiere da un bel po’, e non avevo mai pensato che sarei veramente arrivata a questo punto. Già sento la mancanza di Giulia, che non mi ha accompagnata solo in queste otto settimane, ma che mi ha accompagnata per anni. È il primo personaggio inventato da me di cui riesco a portare a termine la storia. Come vi avevo già anticipato, avrei piacere di continuare a scrivere su di lei. Ci sarebbero tanti spunti da cui proseguire il racconto (anche se per il momento ho ritenuto giusto chiuderla così), quindi, se pensate possa farvi piacere continuare a leggere di lei fatemelo sapere ed io mi adopererò per mettere nero su bianco tutte le mille idee che ho già, accettando anche spunti e consigli da parte vostra, se ne avete. Non ho altro da aggiungere, quindi, grazie a tutti per aver seguito la mia storia, spero vivamente vi sia piaciuta. Vorrei ringraziare una persona in particolare, che non si è mai risparmiata dal regalarmi ogni volta delle bellissime parole. Grazie mille Rexmin, le tue parole mi hanno sempre incoraggiata a continuare. Grazie anche a tutti i lettori silenziosi e a chi ha aggiunto la storia tra le ricordate/preferite. Per il momento, è tutto. Un bacio ed un abbraccio enormi,
Willie
 
 

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