Filo Rosso del Destino

di Hollow23
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREQUEL: the dream ***
Capitolo 2: *** RISE AND FALL ***
Capitolo 3: *** DON'T SAY A WORD ***
Capitolo 4: *** BEST WORSE DECISION ***
Capitolo 5: *** SHOWDOWN ***
Capitolo 6: *** CAN'T STAND YOU ***



Capitolo 1
*** PREQUEL: the dream ***


1. PREQUEL: the dream

Un battito. Due battiti.

Sesshomaru aprì gli occhi, all’improvviso, destato come dal rumore di un cuore pulsante. Regolare, prepotente, quel rumore riusciva a smuovere tutto l’ambiente, ed il suolo tremava ad ogni sua solenne pulsazione. Nell’aria aleggiava un delizioso profumo di cioccolato fondente e caffè, talmente forte da stuzzicare il naso del demone, i cui sensi, così acuti, riuscivano a percepire ogni singola nota di quell’aroma persistente e mai troppo dolciastro.

Tre battiti. Quattro battiti.

Dov’era? Aveva davvero importanza? Tutto attorno a lui era sfuocato e pallido, sapeva di essere sdraiato ma non sapeva su cosa; era come se il suo corpo fluttuasse nell’indefinito. Strinse le palpebre, cercò di mettere a fuoco. Dei respiri profondi e lenti, marcati come rintocchi a mezzanotte, ora si alternavano alle pulsazioni.

Cinque battiti. Sei battiti.

Un corpo era affianco a lui: femminile, inerme, vivo. La donna più bella che avesse mai visto. Aveva una cascata interminabile di capelli corvini, che come manto notturno nascondeva con discrezione le sue spalle ed i suoi fianchi; la pelle diafana e soffice anche alla sola vista, ma le gote rosate di fresca innocenza infantile; le ciglia lunghe e incurvate, le dita affusolate. Era una bellezza nel suo amplesso sconfinata, con la quale neppure le innumerevoli yokai che aveva incontrato avrebbero potuto competere.

Sette battiti. Otto battiti.

Sesshomaru protese una mano verso il bel viso della donna, e notò solo allora un particolare che stonava con il pallore lattiginoso circostante. Un filo, rosso più del sangue, più della passione, più delle labbra di lei, legato al suo mignolo per un’estremità, e – seguì attentamente tutto il percorso con gli occhi, attento a non sbagliare, a non incepparsi in nessun intreccio, a quello della donna per l’altra.

Nove battiti. Dieci battiti.

Quella aprì gli occhi di scatto e fissò ben bene il demone davanti ai suoi occhi. Le pupille nere più dell’oblio si restrinsero e poi dilatarono nell’osservarlo, con minuziosa attenzione nel cogliere ogni particolare dell’uomo che aveva di fronte. Sesshomaru rispose allo sguardo con malcelata curiosità: quelli di lei, grandi e chiari, quelli di lui, affusolati e spettrali nel loro color ambra, miscelati per ciò che parve un’eternità a entrambi. Ma la donna si destò per prima, e come fece poco prima il demone cane, anche lei allungò una mano delicata, e la posò sulla lattea guancia di lui. Sesshomaru quasi sussultò al gesto, inaspettato e di una scioltezza abituale al quale mai si era sottoposto. Aveva le mani piccole, ed era fresca, e non fredda. Lei sorrise.

Silenzio.

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Capitolo 2
*** RISE AND FALL ***


2. RISE AND FALL

« Te lo giuro! Quello lì c’aveva una mezzaluna tatuata in fronte, e gli occhi gialli! Gli occhi gialli, ti dico! » rise di gusto, lasciandosi cadere sul letto sfatto.

Una valigia, così piena da poter scoppiare da un momento all’altro, giaceva sul pavimento in parquet scuro della stanza, mentre una soffice luce primaverile filtrava dalla finestra ed illuminava l’ambiente. L’hotel che stava per lasciare era nel centro di Tokio, la destinazione dell’ennesimo viaggio, casa: l’Italia. L’armadio era spalancato, ed ancora una caterva di vestiti attendevano di essere riposti in valigia, con la cura che solo chi vive della sua immagine può avere. D’altronde, il suo lavoro non permetteva distrazioni nell’apparire. La ragazza si ribaltò, stendendosi di pancia sulle coperte finemente ricamate, e sorrise al vuoto sentendo la voce del suo interlocutore al telefono, parlarle in un italiano sciolto e scorrevole.

« Tu hai troppa fantasia! Non avrai mica mangiato troppo sushi lì in Giappone? » rispose una voce maschile visibilmente divertita.

« Non scherzare, guarda che sono seria! Andiamo, non ti è mai capitato di fare un sogno così vivido da sembrare vero? » a qualche secondo susseguì una risposta stupida quanto la persona che la pronunciò.

« I sogni erotici valgono? »

« Tu sei un porco. » scoppiò a ridere la ragazza, seguita un attimo dopo dal ragazzo « Ora devo chiudere, se non mi muovo perderò l’aereo. »

« Telefonami appena arrivi in Italia. »

« Ok mamma. » lo canzonò lei, scimmiottando la sua voce.

« Anija Paganelli, non ti dimenticare di chiamare il sottoscritto Giorgio Cazzorla, o appena rimetterai piede su suolo italiano ti faccio il culo a strisce. » la intimidò lui, poco serio, suscitando solo ulteriori risate.

« Dici che lo zebrato andrà di moda quest’anno? » lo smorzò lei in una risata, prima di congedarsi in un perfetto francese « Adieu! »

La telefonata si chiuse e la ragazza continuò finalmente a sistemare i bagagli per l’imminente viaggio.

 
« Anija, mi stai ascoltando? »

La voce di suo padre la destò finalmente dai suoi pensieri. Con la testa ancora poggiata contro il finestrino dell’auto di lusso, volse lo sguardo e un sorriso di scuse a suo padre, chiedendogli di ripetersi.

« Dicevo, che il nostro volo ha due ore di ritardo. C’è un tempio poco distante dall’aeroporto che volevo visitare, ti andrebbe di venire con me? »

La ragazza annuì, noncurante. Tutto ciò che le importava in quel momento, era il sogno fatto la notte prima: quell’uomo così bizzarro, quegli occhi ambrati, quel viso pallido, quell’odore muschiato e selvaggio, quei capelli lunghi e color dell’argento. Ogni particolare le era rimasto incastonato nella memoria. Era stato uno dei sogni più confusi eppure vividi che aveva mai avuto in vita sua. Il paesaggio, al di fuori del finestrino, scorreva veloce come la pellicola di un vecchio film insonorizzato alla cinepresa.

 « C’è qualcosa che non va, piccola? » le chiese suo padre, in un italiano carico di preoccupazione.

Anija finalmente si destò e gli sorrise sinceramente, guardandolo negli occhi così simili ai suoi. Suo padre era sempre stato un bellissimo uomo, sin da giovane, e se possibile gli anni avevano avuto con lui lo stesso effetto sortito col vino: l’avevano reso ancor più seducente, dal sapore ancor più ammaliante. Era non solo alto, ma slanciato, robusto ma mai grasso; in generale, imponente. Aveva un manto di capelli castani folti e morbidi, ed un paio di occhi dello stesso colore del cielo primaverile, che lei aveva ereditato. Vestiva elegante e godeva di un magistrale capitale, in parte ereditato ed in parte guadagnato grazie alla catena di alberghi fondata con altri due soci, del quale sua figlia Anija sarebbe stata unica erede. Era sempre gentile e premuroso, ma non mancava dal diventare serio e saggio quando si trattava di smerciare consigli a chiunque ne avesse bisogno.

« Non preoccuparti papà, sono solo un po’ pensierosa. » gli disse in un flebile sorriso.

La macchina si fermò accanto al marciapiede, e l’uomo si volse a guardare la figlia negli occhi identici ai suoi, per poi uscire dalla tasca interna del suo cappotto nero una scatolina bianca in pelle. La scena parve quella di una richiesta di matrimonio, e per questo Anija cominciò a ridere, entusiasta per ciò che doveva essere un regalo.

« Avevo intenzione di dartelo appena fossimo arrivati in Italia, come ricordo del Giappone, ma visto che sembri così giù di tono te lo darò adesso. » sorrise comprensivo, per poi porgere la scatolina alla ragazza, che reagì stampandogli un bacio sulla guancia.

Aprì frettolosamente la scatola, ritrovandoci una perla delle dimensioni poco più piccole di quelle di una noce. Era liscissima e così rosata da parere fatta di petali di ciliegio. Anija fece il sorriso più grande che poté e ringraziò il padre, posandogli un altro bacione sulla guancia. Estrasse la perla, legata ad una catenella in oro bianco, ed il padre fu felice di mettergliela al collo.

« Da quando tua madre è morta, capisco il tuo attaccamento al Giappone. Era la sua terra, ed abbiamo passato qui momenti meravigliosi noi tre assieme … spero che tenendo sempre con te questa perla, tu possa essere sempre felice come lo eri allora. »

« Papà … è meravigliosa. Grazie, davvero. » fece commossa e nostalgica lei.

« Sciocchezze, bambina mia! Ed ora, andiamo a visitare il tempio Higurashi. » e detto ciò, aprì lo sportello ed uscì dall’autoveicolo.

La figlia lo seguì a ruota, senza però trattenersi dal portarsi dietro la sua chitarra. Era più forte di lei, non riusciva a lasciarla da nessuna parte, doveva costantemente sentire il suo legno contro la schiena, da eccellente musicista qual era. Si mise la borsa in spalla, nascose la perla sotto alla maglietta e seguì il padre lungo le alte scalinate che portavano al toori, e poi al tempio.
L’ambiente era come Anija se l’era aspettato: austero, naturale quanto più si poteva, calmo e pacifico. I ciliegi erano in fiore, profumando l’aria di buono, ed un gatto si lavava la zampa seduto su una roccia. Gli venne in contro un vecchio, salutandoli con fare solenne. Suo padre subito intrattenne una conversazione in un giapponese fluido e preciso, e quando disse che era lì in visita con la figlia, lo sguardo del vecchio andò inevitabilmente a finire su Anija. L’anziano parve stupito e meravigliato, ma ormai Anija c’aveva fatto l’abitudine e si limitò a sorridere e a presentarsi cordialmente.
Che fosse una bellissima ragazza, suo padre non smetteva più di ricordarglielo, ed assieme a lui i fotografi e i fan. Diceva che aveva preso da sua madre la dolcezza dei tratti del viso, l’altezza ed i capelli più neri della pece, lunghi e morbidi come la seta, mentre dalla terra nativa gli occhi chiari e le forme armoniose del corpo. Tutti l’ammiravano per bellezza, ma poco le importava. Non era la bellezza ciò a cui Anija mirava.

« Papà, vorrei guardare un po’ in giro, se non ti dispiace. » sorrise all’uomo, che annuì consenziente.

La ragazza si congedò rispettosamente dai due, e cominciò a ispezionare con la curiosità di un bambino il piccolo tempio. Il Giappone le sarebbe mancato. Amava quella terra con tutta sé stessa dalla prima volta in cui l’aveva vista, assieme a sua madre, a sei anni appena compiuti. Sua madre, giapponese pura, spiccò per bellezza e intelligenza sin dal liceo: non faticò a farsi una carriera nel mondo del cinema. Era sempre stato il suo sogno, e dal palco di una piccola compagnia teatrale arrivò sulle pellicole di Hollywood, agli schermi del paese. Yona Tanaka era una donna sensazionale, una forza della natura. Un esempio da eguagliare, e superare. Era questo l’obbiettivo di Anija.

Un piccolo edificio attirò la sua attenzione: era lievemente dislocato dal tempio, quasi fosse stato messo da parte. Un piccolo cartello, al di fuori dell’abitacolo, segnalava in un giapponese spigoloso “Pozzo mangia ossa”. La porta era aperta, e delle scale in un legno vagamente pericolante conducevano a un piccolo piano interrato, in mezzo al quale sbucava per l’appunto un pozzo, dall’aria molto vecchia. Il legno era grattato, e la puzza di stantio e chiuso arrivava fino all’ingresso, così come una coltre di ragnatele a vista negli angoli della stanza. Raccapricciante. La ragazza sbuffò, con un pizzico di delusione, e fece retro front. Ma non fece neppure in tempo a muovere un passo che notò in terra, proprio affianco ai suoi piedi, un filo rosso. Sgranò gli occhioni azzurri, limpidi come il cielo a maggio, il cuore mancò un battito ricordandosi del suo sogno così vivido, e giurò di non aver notato nulla un attimo prima. Che stesse impazzendo? Si voltò, il filo proseguiva dentro l’abitacolo, scendeva le scale come un serpente, si snodava fin dentro al pozzo mangia ossa e lì scompariva. La curiosità ebbe la meglio sul buonsenso – come spesso le capitava, e scese le scale in meno di un secondo mentre l’adrenalina montava senza un motivo apparente.
Raggiunse titubante il pozzo e prese fra le dita il filo rosso; al tatto era morbidissimo e sottile, ma al contempo resistente da non crederci. Lo tirò, e quello all’inizio oppose resistenza, come se ci fosse qualcos’altro che tirava a sua volta dall’estremità opposta, ma presto questa forza si azzerò, ed Anija si ritrovò a tirare fuori dal pozzo metri e metri di quel filo rosso. Tutto procedeva come in un sogno, tanto che il mondo attorno alla ragazza si zittì, e lei non pensò a farsi domande, ma si concentrò unicamente su quel filo rosso cremisi, brillante e setoso. Lo tirò tanto da creare una matassa furibonda attorno ai suoi esili polsi e attorno ai suoi piedi, come una pozzanghera di sangue. Sentiva costantemente qualcosa dall’altro capo, ma quel qualcosa si lasciava trascinare. Fino a quel momento, almeno. Perché in uno strattone, la forza al di là del pozzo aumentò incredibilmente, e fu stavolta Anija ad essere tirata. Il filo, aggrovigliato attorno a polsi e caviglie in una morsa strettissima, non le lasciò scampo. E quel qualcosa dall’altro capo del filo rosso, la tirò giù nel pozzo mangia ossa.

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Capitolo 3
*** DON'T SAY A WORD ***


3. DON’T SAY A WORLD

Sesshomaru non dovette far altro che seguire il filo. Quel filo rosso, materializzatosi di punto in bianco nel bel mezzo del bosco: né Jacken né Ah-Un poterono scorgere la sua brillantezza fare capolino fra l’erba fitta. Eppure Sesshomaru lo vedeva, e lo percepiva, avvilupparsi attorno al suo mignolo sinistro in un nodo, seppur non stretto, saldo e irremovibile. Il filo, resistente come acciaio ma morbido come seta, ripercorreva tutto il bosco, e si perdeva fra i maestosi alberi. In un balzo avvertì il piccolo demone di rimanere lì; sarebbe tornato a breve, non prima di scoprire dove quella linea rosso cremisi portasse. Si sollevò sopra le fronde verdissime, cercando la nascita di quel rosso, eppure, ad un tratto, fu il filo stesso a tendersi e condurlo. Dopo un primo momento di resistenza, Sesshomaru si lasciò condurre al pozzo mangia ossa. La forza che lo muoveva era minima, ed era per la maggior parte lui ad assecondarla, intuendo la direzione del filo e seguendola con i suoi passi decisi e grandi. Arrivato davanti al pozzo, il filamento scompariva nelle sue profondità, eppure il filo tirava ancora. Lo impugnò con tutta la mano, e scoprì che quello se ne stava piccino, quasi insignificante nel suo grande palmo pallido; lo tirò.

Il filo scomparve in un battito di ciglia, lasciandolo perplesso. Nulla parve accadere. Solo dopo qualche istante, quell’odore indimenticabile arrivò alle narici sensibili del demone: cioccolato fondente e caffè. Aromi stranieri, nulla a che vedere col Kyushu. Non se ne capacitava, non poteva essere vero. Tutto si svolse come in un sogno, come in quel sogno. Tese la mano all’interno del pozzo; qualcuno l’afferrò. La stretta non era fredda, ma fresca, la pelle morbida, le unghie lunghe come quelle di un demone, ma ovviamente più deboli. Gli bastò il minimo della forza per tirar su quella donna, e le loro espressioni, incrociandosi, si rivelarono essere uguali: due sguardi stupiti, esterrefatti, nel ritrovarsi davanti i loro sogni divenuti carne e ossa.

La ragazza era ancora più bella che in sogno. I capelli neri come la pece, come l’odio, mossi come le onde del Pacifico e lunghi fino ai fianchi formosi, ora danzavano nell’aria. La pelle diafana, di chi non ha mai visto il sole. Gli occhi grandi e chiari come il cielo, come rugiada, incorniciati da lunghissime ciglia scure che s’incurvavano verso l’alto. Un naso piccolo e all’insù, labbra grandi e carnose, rosse di vita e di risate, gli zigomi alti e non troppo accentuati. Il corpo sinuoso, slanciato, vestito di abiti bizzarri: una sorta di hakama bianco latte molto alto e tanto stretto da rivelare la sagoma flessuosa delle sue gambe, dei suoi fianchi e della sua vita sottilissima, strappato nella zona delle ginocchia, ed un kimono tanto corto da arrivarle a mala pena a coprirle l’attaccatura dell’hakama, dalle maniche corte anch’esse, di un grigio fumo. Ai piedi indossava un paio di sandali dalla manifattura alquanto stramba, chiusi sul davanti, con dei lacci a chiudere il tessuto bianco e nero, ed una scritta dorata. Dall’abbigliamento e dal luogo da dov’era appena sbucata quell’umana, Sesshomaru dedusse che dovesse provenire dal futuro, esattamente come la femmina di suo fratello Inuyasha.
Il demone stette attento a far atterrare la donna con più grazia possibile al suolo, la stretta della mano con cui l’aveva afferrata era gentile quanto sicura, ed i loro sguardi rimasero l’uno nell’altro per un po’. Entrambi erano incapaci di dire una singola parola. Alla fine, però, fu Anija a parlare per prima.

« Dove mi trovo? » la sua voce, carica di preoccupazione e confusione, risuonava dolce e femminile, constatò Sesshomaru. Una voce dolce quanto il suo profumo.

« Sei nell’epoca Sengoku, nel Kyushu, umana. » disse solamente lui, mantenendo lo sguardo nei suoi occhi « Il mio nome è Sesshomaru. »

Anija era confusa, shoccata quasi. Troppe cose assurde, fuori dal suo controllo, stavano accadendo; e per di più il tizio con la luna in fronte del suo sogno ora era qui, davanti a lei. Non solo, l’aveva anche aiutata a uscire dal pozzo. Tutto quanto aveva dell’incredibile; magari stava sognando anche stavolta.

« Come sarebbe a dire … nell’epoca Sengoku? »

Sesshomaru non fece in tempo a rispondere, che si rese conto di una sensazione, una forza, che inspiegabilmente non aveva sentito prima; l’umana ed il fascino che portava con sé dovevano averlo distratto. Corrucciò le sopracciglia, lo sguardo si fece rabbioso e indagatore mentre scrutava la ragazza dalla testa ai piedi. E poi la vide pendere dal suo collo, la Sfera dei Quattro Spiriti. Ed assieme a quella forza, stranamente pura e incandescente, il fetore demoniaco di centinaia di demoni in avvicinamento ad una velocità impressionante. In una mossa fulminea prese la ragazza e se la caricò su una spalla, mentre cominciò a correre, attraversando il fitto bosco. Il villaggio era la destinazione migliore, gli yokai non si sarebbero avvicinati a un territorio abitato da sterminatori di demoni. E lui avrebbe avuto finalmente delle risposte.

« Ma che diavolo fai?! Dove mi stai portando?! »

Anija protestava e scalciava, ma l’uomo aveva una presa troppo salda e forte. Le aveva fatto perdere un colpo nel prenderla e caricarsela con così tanta rapidità e scioltezza, e correva troppo veloce per qualsiasi standard umano. Di boschi fitti e verdeggianti come quello che stavano attraversando, in Giappone non se ne vedevano da centinaia d’anni.

« Hai la minima idea di cosa porti al collo, umana? » le disse in tono rabbioso lui.

« Al collo? »

Anija era nuovamente confusa, ma il suo stupore si azzerò quando vide, alle loro calcagna un serpente gigantesco, dalle squame rossastre ed i bulbi oculari completamente neri, pronto e protendersi e morderle il viso con i suoi denti assurdamente grandi. La ragazza cacciò un urlo acuto e chiuse gli occhi, aspettandosi il peggio, ma sentì Sesshomaru voltarsi in uno scatto improvviso, e lei con lui. Riaprì gli occhi, e riuscì a vide l’uomo dai capelli bianchi fare a pezzi la carne di quell’essere mostruoso con le sue unghie, simili ad artigli per quanto erano lunghe e affilate. I muscoli le si intorpidirono dallo spavento e smise automaticamente di ribellarsi, la voce tremava. Quella cosa non era umana. E neppure Sesshomaru. La corsa continuò come nulla fosse successo.

« Sesshomaru … che sta succedendo? » la donna costrinse la sua voce ad essere il più ferma possibile, senza far trasparire la paura.

« Non c’è tempo per le spiegazioni. » la liquidò lui. Odorava di muschio selvaggio, come nel sogno, e quell’odore ora le inondava le narici.

« Mi hai salvato la vita … »

Sesshomaru non rispose. In breve i due arrivarono al villaggio, ma Inuyasha li stava già aspettando con un’espressione preoccupata dipinta sul volto. Quando Sesshomaru rallentò il passo, fino a fermarsi del tutto, Anija con una spinta si sciolse dalla sua presa, balzando a terra. Si voltò verso lo strano uomo davanti a loro in un clima dove scoprì che la tensione era palpabile. Arrivò dopo una corsa impacciata anche una donna dai capelli scuri ed abiti da sacerdotessa, che si fermò davanti ai tre in preda al fiatone.

 « Ma che ti è preso, Inuyasha! Perché diavolo sei scappato co- PER TUTTI I KAMI! Ma tu sei Anija Paganelli! »

Anija gridò interiormente al miracolo: qualcuno la conosceva! Almeno ora aveva la certezza di non essere finita fra gli aborigeni come Robinson Crusoe. Il ragazzo accanto a lei le riservò uno sguardo di sbieco, un misto fra lo stranito e il rassegnato. La ragazza, dalla chioma corvina e liscia e gli occhioni grandi, dal canto suo, guardava Anija come in estasi. Come darle torto? Aveva davanti il pupillo del panorama artistico contemporaneo.

« Sì … sono io. Ma voi chi siete? » fece lei, titubante.

Stavolta fu l’uomo a intervenire, e solo allora Anija riconobbe un paio di orecchie da cane sulla sua testa, bianche come i suoi capelli. I suoi occhi, dorati come quelli dell’uomo alle sue spalle, avevano un qualcosa di antico. Volle svenire.

« Il mio nome è Inuyasha, e lei è Kagome. »

Fra i due, la ragazza di nome Kagome sembrava la più normale, o per lo meno l’unica a non avere qualcosa di anormale, oltre ad essere stata l’unica a riconoscerla. Ma se quello che aveva detto Sesshomaru era vero, ed ora si trovavano nel Sengoku, possibile che …

« Tu vieni dal presente, vero?! Dalla mia era, intendo … » guardò Kagome con sguardo di supplica, al quale lei si ricompose.

« Sì, è così. Ma tu come sei arrivata qui? » le chiese, in tono serio seppur dolce.

« Sono caduta in un pozzo … o meglio, qualcosa mi ha tirata giù. »

Sesshomaru sgranò gli occhi a quelle parole, e la guardò con la coda dell’occhio. Era logico, doveva essere stato lui a portarla lì. Eppure, possibile che ci fosse stata davvero lei dall’altra parte del filo, esattamente come nel sogno, seppur in un tempo differente dal suo? Anija guardò Sesshomaru per una frazione di secondo, incontrando il suo sguardo silenzioso e fermo, e capì cosa di rimando lesse negli occhi dell’uomo dai capelli argentei: non dire una parola. E così fece, sentendo in lui più che una minaccia, l’unico legame a quel tempo.

« Anija, sai cos’è il gioiello che porti al collo? » lo sguardo di Kagome stavolta si fece più ferreo.

La ragazza si guardò la collana e la perla rosea, la prese in mano, sentendo nel suo palmo le sue piccole dimensioni e la consistenza coriacea.

« È un regalo di mio padre, l’ho ricevuto qualche ora fa … » farfugliò, confusa.

« È un oggetto potente, distrutto tre anni fa! Come fai ad avercelo tu? » ringhiò Inuyasha.

« È evidente che la ragazza non sa nulla. » intervenne Sesshomaru, scocciato, lasciando i presenti di stucco « Che possa rientrare nei piani di qualche scellerato, che cerca di seguire le orme di Naraku? »

« Non è da escludere. » sbuffò il ragazzo con le orecchie « Ma tu cos’hai a che fare con questa storia? Perché hai portato tu qui questa ragazza? »

Sesshomaru non si degnò di rispondere. Kagome ignorò i due, come al solito sul piede di guerra, e si avvicinò ad Anija con uno sguardo visibilmente preoccupato e compassionevole. Le rivolse un sorriso tenero, e la invitò ad avvicinarsi tendendole la mano.

« So che tutto questo ti sembrerà assurdo, ci sono passata anch’io. All’inizio ti sembrerà impossibile credere a quello che stai vedendo. »

« Un serpente grande come un alano ha appena provato a mangiarmi la faccia, ed il ragazzo vicino a te sembra un cosplay di Scooby-Doo: se tu mi dicessi che gli asini volano, probabilmente crederei anche a quello. » sbottò Anija, in un sarcasmo che voleva evadere il suo nervosismo.

Kagome trattenne una risata, ed annuì.

« Vieni con me, ti spiegherò tutto. »

Anija gettò un ultimo sguardo a Sesshomaru. Il ragazzo, incredibilmente alto – ma avrebbe osato dire imponente grazie alla sua stazza e al suo portamento, rimase impassibile, così Anija scelse di fidarsi e seguì la dolce ragazza. Tuttavia, quello sguardo non sfuggì a Inuyasha, che li osservava di soppiatto. Quei due non erano semplici sconosciuti.

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Capitolo 4
*** BEST WORSE DECISION ***


4. BEST WORSE DECISION

« Cioè, fammi capire se ho capito: » Anija capì di potersi fidare di Kagome, dopo le due intense ore di spiegazione che la ragazza le aveva gentilmente offerto « Il pozzo è un passaggio fra passato e presente, qui ci sono i demoni, la mia collana è una lampada di Aladino, e tutti quanti la vogliono per fare i loro comodacci. E rischio la vita per questo. Wow, grazie papà per il bellissimo regalo che mi hai fatto. »

« Almeno l’hai presa con simpatia. Ricordo che io ero scioccata quando la venerabile Kaede mi spiegò come andava la vita in questo tempo. » rise Kagome, sollevata dalla leggerezza dell’idol.

« Presumo che la “venerabile Kaede” sia … »

« Una sacerdotessa, proprio come me. Purtroppo al momento non è qui: è in un villaggio vicino per curare dei bambini malati, ma sono sicura che avrà già percepito il potere della sfera e che starà facendo ritorno.  »

« Capisco … » Anija non era più così confusa come qualche ora prima, e la presenza di una sua coetanea la rassicurava « E Fuffy sarebbe …? »

« Ti riferisci a Inuyasha? » rise lei « Lui è un mezzo demone: figlio di un’umana e un demone. »

« Ed è il tuo compagno. » asserì in ultimo lei, in un sorrisetto malizioso al quale Kagome divenne rossa.

« A quanto sembra ci hai scoperti. » sorrise la ragazza, in imbarazzo. Come se facessero realmente qualcosa per nasconderlo, in ogni caso.

« E che mi dici di Sesshomaru, invece? »

La curiosità nella voce della ragazza dagli occhi azzurri era palpabile.

« È il fratello maggiore di Inuyasha, anche sei lui è un demone completo … ma non vanno propriamente d’accordo. È un demone molto forte, e diciamo che non impazzisce per gli umani. »

« Andiamo bene … »

« Perché questa domanda? Sei arrivata con lui, per caso lo conosci? »

« Qualcosa del genere. » divagò lei in un sorriso che non ammise obbiezioni, per poi alzarsi ed uscire dalla capanna dove le due si erano sistemate.

Sesshomaru era proprio lì davanti, con la sua espressione di gelido contegno. Ora che Anija poteva guardarlo meglio, poté realmente assimilare alcuni particolari sui quali aveva sorvolato, che non avevano certamente nulla a che fare col mondo umano. I capelli d’argento, i segni magenta sulle gote pallide, come antiche cicatrici di guerra, gli occhi felini, tanto affusolati che parevano tagliarti in due al solo incrociare il suo sguardo, i tratti del viso fieri e degni come appartenessero a un re. Quello, notando l’umana osservarlo con calma minuziosità, sollevò scetticamente un sopracciglio e si voltò senza dire una parola.
A n’vedi questo.

« Dobbiamo scoprire cosa sta accadendo. » asserì Inuyasha, avvicinandosi.

Ora che i due fratellastri erano vicini, la somiglianza parve palese. Tuttavia i due si comportavano in maniera completamente diversa, oltre a riservarsi occhiatacce che nemmeno un vegano col macellaio.

« Sì, indubbiamente, » fece Anija, perdendo ogni briciolo di inadeguatezza « Ma io ho un volo da prendere fra un’ora circa, quindi se non vi dispiace, io prenderei la mia chitarra e andrei a giocare a bungee-jumping senza corda nel pozzo mangia ossa. »

« Tu non andrai da nessuna parte. »

Una voce di donna, grave e rauca dalla vecchiaia, fece voltare tutti i presenti. Una ricurva anziana, vestita di una tunica rossa e bianca da miko, fece capolino fra i presenti. La vecchia, dalla faccia ricoperta di rughe, aveva una benda metallica sull’occhio destro e un bastone per reggersi nella mano opposta.

« Venerabile Kaede! » Kagome le si avvicinò con un gran sorrisone stampato sulla faccia.

« Kagome, da quanto è qui questa ragazza? E perché Sesshomaru è qui con lei? »

« Non più di due ore, e- »

« Non sono affari che vi riguardino. » rispose per lei Sesshomaru, squadrando la vecchia con un fare sufficiente che, a quanto pareva, riservava un po’ a qualsiasi essere fosse capace di respirare autonomamente.

Inuyasha sbuffò, quasi divertito dalle parole del demone, mentre Anija alzava scetticamente un sopracciglio, stupita da tanta rudezza, e decise di rispondere per lui.

« Mi ha salvato da un … demone che ha cercato di attaccarmi. » asserì, guadagnandosi un’occhiataccia gratis dal demone cane.

« A cosa dobbiamo così tanta gentilezza nei confronti di un’umana, Sesshomaru? » il fratellastro pronunciò il suo nome in tono sprezzante, quasi si stesse sciacquando la bocca con l’acido muriatico.

« Non vedo il motivo per rispondere stupido mezzo demone come te. »

Mentre quei due intavolavano una rissa degna di una scazzottata da bar di provincia, Anija si avvicinò piano alla sacerdotessa e la squadrò ben bene, prima di rivolgerle parola.

« Non posso rimanere qui, venerabile Kaede. Non so cosa stia succedendo, né tantomeno me ne importa a dire la verità. Nel presente ho la mia carriera, i miei cari: non posso lasciare mio padre da solo. Soffrirebbe troppo. »

I demoni abbandonarono la pseudo-discussione per ascoltare le parole che le due umane si stavano scambiando, d’un tratto serie e composte.

« Nel presente, Anija è una famosissima attrice e una cantante pluripremiata, » la spalleggiò Kagome, supplicando con gli occhi la vecchia « inoltre nel suo mondo sarà decisamente più al sicuro. »

« Anche volendo, » incominciò Kaede, avvicinandosi alla capanna dove prima le due stavano parlando « il passaggio nel pozzo ormai si è chiuso. »

Anija sgranò gli occhi, faticando a comprendere quelle parole.

« Come sarebbe a dire..? »

« Non c’è più ragione perché il passaggio rimanesse aperto. Le due estremità del filo sono assieme, o mi sbaglio? »

Kaede guardò negli occhi prima la ragazza, poi Sesshomaru, che strabuzzò gli occhi, faticando a mantenere la sua solita e gelida compostezza. Anija ebbe paura a guardare negli occhi il demone, comprendendo finalmente di essere finita in qualcosa ben più grande di lei, dal quale non sarebbe uscita tanto facilmente. Rapidamente, passò a rassegna tutto ciò che le veniva in mente per andar via da lì, ma nulla parve venire a galla. Neppure lei, né tantomeno Sesshomaru, riuscivano a vedere il filo ormai, allora perché la sacerdotessa ne era a conoscenza? Cosa stava succedendo?

« Cosa dovrei fare allora? » chiese infine, con supplica nella voce, alla vecchia in procinto di entrate nell’abitacolo.

« Sopravvivere, mia cara. Sopravvivere. »

 
 
L’atmosfera nella capanna era tesa e formale. Anija sedeva di fianco al demone, con le dovute distanze di sicurezza per evitare di essere pietrificata dal suo sguardo gelido quanto l’Antartide. Di fronte ai malcapitati, Kaede sorseggiava da una tazza in ceramica del tè verde. Nella piccola stanzetta aleggiava un odore di erbe aromatiche che parve voler tranquillizzare i presenti, ma altro non faceva che pizzicare il naso. Kaede posò la tazza ancora piena per metà, e guardò Anija dritto negli occhi; fu uno sguardo che la mise a soggezione, che la fece sentire nuda. Poi passò a Sesshomaru, che ne rimase impassibile. L’umana si chiese distrattamente come facesse l’uomo a mantenere quella compostezza sempre, in qualsiasi situazione. La sua aria schifata e dignitosa, se da un lato contornava il demone di un’aura di affascinante mistero, dall’altro quasi cominciava a darle il voltastomaco.

« Voi due l’avete visto, sapete di cosa sto parlando. » asserì la miko, col tono secco di chi conosceva la verità dei fatti « Non è qualcosa di cui io possa dirvi molto. Il passaggio nel pozzo si è aperto per farvi incontrare, e si è chiuso nel momento in cui tu, Anija, sei arrivata nell’epoca Sengoku. »

La ragazza scosse la testa con aria contrariata, ed una zaffata del suo profumo arrivò alle narici di Sesshomaru. Un aroma di caffè e cioccolato, che Sesshomaru non seppe individuare, e che lo rese ancor più raro.

« Io non capisco. Devo tornare a casa, io non appartengo qui! Sesshomaru ed io non abbiamo niente a che fare l’uno con l’altra! »

« Sai bene che non è così. » la rimproverò in tono severo Kaede « Voi forse non siete ancora in grado di vederlo chiaramente, ma quel filo rosso vi unisce. »

Anija lanciò uno sguardo al demone, che la ignorò bellamente. Si sentì sola più che mai, in quel luogo sconosciuto, coi demoni a darle la caccia. Il panico cominciò a farsi strada dentro di lei, lo sentì risalire nelle vene, dai piedi fino al collo. Prese un grosso respiro, poi altri due. Non doveva, né tantomeno poteva darsi per vinta.

« Se è il filo a impedirmi di tornare a casa … » pensò ad alta voce

« Basterà tagliarlo. » fu Sesshomaru a completare la frase « Non resterò un minuto di più legato ad un’insulsa umana. »

La stizza che quel commento provocò in Anija fu, fortunatamente, sovrastata dalla determinazione: negli occhi dorati il demone aveva una sicurezza che infuse coraggio alla ragazza – semplicemente tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Se non altro, per quanto paradossale fosse quella situazione, poteva contare su un alleato. Dalla porta irruppe per primo Inuyasha, seguito da una povera Kagome che perse l’equilibrio subito dopo.

« Ok, basta così! Dobbiamo solo tagliare uno stupido filo, non è così? Anija tornerà nel suo mondo con la Sfera, e tutto tornerà come prima! » si intromise spavaldo Inuyasha, facendosi in avanti « Ti aiuteremo noi Anija! Troveremo qualcuno che possa tagliare il filo e ti proteggeremo- »

L’ammonizione di Kaede verso i due, per aver origliato di nascosto la conversazione, fu tagliata in due dalla risposta decisa quanto improvvisa di Anija:

« Io andrò con Sesshomaru. »

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Capitolo 5
*** SHOWDOWN ***


5. SHOWDOWN

Un silenzio tombale cadde nella stanza. Gli sguardi di tutti i presenti ricaddero sulla figura snella e affusolata della giovane, che rimase calma e determinata nella sua compostezza. Si voltò a guardare il demone cane, che dal canto suo sembrava infastidito per non essere stato neppure interpellato di seguito a quella decisione. Ma Anija non cedette, gli riservò uno sguardo che non ammetteva repliche, e quello si alzò in piedi e fece per uscire, senza dare alcuna risposa. Solo sull’uscio della porta si degnò di proferire parola, prima della sua uscita di scena.

« D’accordo. Ma sia chiaro, lo faccio solo perché non sopporto l’idea di essere legato a un’infima donna umana. »

Bonjour finesse.

« Ma Anija, potremmo aiutarti noi … non sarebbe un disturbo, e poi io ed Inuyasha conosciamo bene la Sfera dei Quattro Spiriti! »

Kagome tentò da quel momento in poi di convincere la ragazza con argomentazioni più che valide, ma Anija dal canto suo era irremovibile. Inuyasha invece, non osò tentare ancora. Aveva intuito che quel filo rappresentava più di ciò che voleva sembrare, e volle lasciare i fatti in mano al caso. Avrebbe visto in seguito il bizzarro corso degli eventi.

« No, Kagome. Apprezzo i vostri sforzi, ma hai detto tu che Inuyasha è solo un mezzo demone, mentre Sesshomaru un demone completo. Lui potrà proteggermi meglio. »

Inuyasha quasi si sentì mancare, colpito nell’orgoglio. Anija invece lasciò la stanza, raggiungendo di fuori Sesshomaru. Ancor prima di accostarsi al demone, sentì una voce gracchiante e fastidiosamente stridula gridare il nome del demone, poi i cespugli sibilare ed aprirsi per lasciar passare un piccolo rospo verde. Ad Anija si gelò il sangue dall’orrore, quella creatura bassa e dagli occhi enormi e giallo piscio le fece ribrezzo. Si soffermò a guardare la scena facendosi pallida dallo schifo, non osò avanzare ulteriormente per non ritrovarselo più vicino. Sembrava un grande insetto, o un anfibio in grado di camminare su due zampe; e si dia il caso che nessuno dei due raggruppamenti animali godesse della sua stima.

« Grazie al cielo vi abbiamo trovato, Lord Sesshomaru! Siete corso via senza una parola, abbiamo girato tutto il bosco in cerca di vostre tracce! »

Il mostriciattolo si accorse allora dell’umana che guardava inebetita la scena, distante solo pochi passi. Assottigliò lo sguardo, e la rimproverò credendosi minaccioso.

« Cos’hai da fissare, stupida umana? Non lo sai chi stai importunando? Il potente Re dei Demoni! Il grande Lord Sesshomaru! »

« Sei proprio brutto … » rifletté a voce alta lei, strizzando gli occhi dall’orrore, portandosi una mano a coprire sia la bocca che le narici « E non solo sei brutto, ti puzza pure l’alito! »

« Come ti permetti, sporca femmina! » controbatté Jaken, rosso dalla rabbia, impugnando saldo il bastone a due teste come volesse usarlo contro la donna

« Jaken, lei è Anija. Viaggerà con noi d’ora in avanti. » asserì glaciale Sesshomaru, a modo suo divertito di infierire su entrambi.

Silenzio – per quanto riguarda Anija, anche panico. Jaken rimase esterrefatto: il suo Lord Sesshomaru, il Re dei Demoni, ‘colui che uccide’, ora aveva deciso di portarsi al seguito un’umana irriverente e di una tale maleducazione? Immediatamente cominciò la lunga sfilza di vani tentativi e ritrattamenti per illustrare al suo padrone le 101 ragioni per gettare da un dirupo quella donna invece che portarsela al presso. Ma se il malcontento del mostriciattolo era visibile, mille volte di più lo era quello di Anija. Passare un periodo di tempo ancora non definito con quello schifo bipede al seguito? Quel coso viscido e gracchiante?

« Inuyasha! Ci ho ripensato, vengo con voi! » cominciò a urlare, pallida dall’orrore di quella lumaca cresciuta

« Ti conviene davvero, umana? » la punzecchiò Sesshomaru, perfido ma suadente « Ricorda che Inuyasha è solo un debole mezzo demone. Paragonato a me, il Re dei Demoni, come potrebbe essere in grado di proteggerti? Sei stata tu a dirlo. »

Anija lesse il sorrisetto soddisfatto del gatto che sta giocando col topo sul visino di porcellana del demone, e decise di tenere per sé il susseguirsi di santi che le vennero in mente. Si limitò a sorridere forzatamente, avvicinarsi all’uomo e dire:

« Se questo coso anche solo si azzarda a sfiorarmi per sbaglio giuro che prendo la tua spada e lo decollo nella notte. »

« Se così ti aggrada. Jaken, sei stato avvisato. » asserì il demone, per poi fare retro front e incominciare a incamminarsi verso il bosco.

Mentre il vermiciattolo inseguiva il suo padrone pronunciando un mantra di dissensi, Anija osservò l’uomo sovrappensiero. Poteva perlomeno dire di condividere con lui la stessa vena sarcastica cinica e anche un po’ noire. E l’indiscussa autoritarietà, ovviamente. Sì, perché se Sesshomaru sfociava nell’intimidatorio, Anija di per sé dava l’aria di essere una persona risoluta e coi piedi per terra. Certo, quando non entravano in gioco elementi esterni che invece portavano alla luce l’aspetto più fragile e sensibile di lei, come ad esempio i bambini. Ecco, proprio uno di questi elementi si aggiunse a questo trio già complicato: il suo nome era Rin. E la suddetta bambina cominciò a chiamare a gran voce il nome del demone proprio quando il gruppetto era in procinto di andarsene.
Sesshomaru non fece in tempo a voltarsi, che una giovane ragazzina gli saltò fra le braccia: indossava un kimono rosa, ed aveva un ciuffo di capelli buffamente legato a un lato della testa, che si rizzava su come i giochi d’acqua nelle fontane di Versailles. Il sorrisino piccolo e armonioso, la sua statura piccolina fecero balzare il cuore di Anija: sì, per lo spavento. Di fatti in un primo momento la donna temette per la vita della bambina, che inconsciamente aveva osato abbracciare quel polaretto formato maxi di Sesshomaru; tuttavia notò che la reazione del demone fu ben più affettuosa di ciò avrebbe potuto mai immaginarsi. Il demone, infatti, accennò un sorriso. Anija si soffermò a guardare la scena con enorme stupore, quasi stesse osservando uno spettacolo della natura. Beh, un po’ in effetti lo era. Il gelido demone aveva un’aria così serena nell’avere in braccio la bambina, che Anija credette di stare osservando una persona completamente diversa. I tratti del suo volto spigoloso si rasserenarono e persero quel cruccio che invece sembrava parte integrante della sua persona, e fu pronto a prendere la bambina fra le sue braccia come fosse la cosa più naturale del mondo, la guardava come le fosse mancata da sempre, con un affetto negli occhi che Anija riconobbe benissimo.

« Sesshomaru … » fece lei con voce leggera, per introdursi il più piano possibile in quel momento fra i due « … hai una … figlia? »

La bambina scoppiò a ridere e saltò giù dalle braccia del demone, per poi saltellare davanti alla donna. Era così solare, così piena di vita e terribilmente carina che Anija temette di sciogliersi. Era inutile, i bambini erano la sua kriptonite.

« Ma no, ma no, signorina! Lord Sesshomaru è solo … Lord Sesshomaru! » rise di gusto, senza far assolutamente capire il concetto ad Anija, che tuttavia poté intuirlo « E vi chi siete? »

Anija si ripiegò intenerita sulle ginocchia, e poté finalmente fissare ben bene la bambina. Le sorrise dolcemente, per poi tenderle la mano.

« Il mio nome è Anija. E il tuo? » notando che la bambina le guardava la mano protesa senza capire, la donna le spiegò « Scusa, non ci avevo pensato! Da dove vengo io, quando due persone si conoscono, si stringono la mano. »

Rin guardò allora gli occhi della donna e le strinse frettolosamente la mano, sorridendole un po’ impacciata.

« Io sono Rin! Come siete bella, signorina Anija! Siete forse una principessa? Da dove venite? Siete in viaggio con Lord Sesshomaru? »

Anija si preoccupò di rispondere pazientemente a tutte le domande di Rin, e anche a quelle che seguirono. Stavolta fu Sesshomaru a fissare la scena, interessato. La donna sembrava addolcita dal comportamento di Rin, e quasi si divertiva a darle corda. Scoprì che Anija veniva dall’Italia, una terra molto lontana, e che quando ne parlava le si illuminavano gli occhi. Aveva una professione bizzarra che nella sua epoca era molto rinomata: in sintesi cantava, ballava, e camminava davanti alle persone con degli abiti pregiati. Doveva dunque stare molto attenta a come appariva, e a cosa faceva quando tutti la guardavano; ma tutte quelle attenzioni non la infastidivano. Tutto quel discorso affascinò Rin, che cominciò a tartassare Anija delle domande più disparate; ma il tempo stringeva. Più rimanevano lì, più il villaggio rischiava di essere attaccato da qualche demone incosciente, assetato del potere della Sfera.

« Rin, dobbiamo andare. » asserì rigoroso Sesshomaru, cogliendo l’attenzione delle due.

« Lord Sesshomaru! Posso venire con voi? Vi prego! »

« Rin, sarà pericoloso … » si intromise Anija, preoccupata « I demoni cercano la Sfera, quindi cercano me … non voglio che tu corra rischi inutili. »

« Ma Lord Sesshomaru mi ha sempre protetto! E poi sono cresciuta un po’, posso prendere le mie decisioni da sola! Non mi piace stare nel villaggio … preferisco stare con Lord Sesshomaru e Jaken! »

Sesshomaru sbuffò, rassegnato. Non seppe neanche lui il reale motivo, ma prima che poté davvero rendersi conto della decisione irreversibile presa, si voltò e acconsentì, lasciando Anija sbigottita e la bambina in preda alla gioia. Davvero aveva sottovalutato il potenziale pericolo che Anija portava con sé, addosso come il suo profumo di cioccolato e caffè.

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Capitolo 6
*** CAN'T STAND YOU ***


6. CAN’T STAND YOU

L’improbabilissimo gruppo era in viaggio da tre giorni, ma ad Anija parve la durata di una vita intera. Se non fosse stato per l’allegra Rin, la presenza di Sesshomaru e Jaken l’avrebbe già portata al suicidio. Se il kappa semplicemente le causava disgusto, Sesshomaru aveva una personalità così contorta e solitaria che ogni qual volta Anija lo guardava, non poteva che tornarle in mente l’immagine di un cane randagio. Ecco, esattamente: Sesshomaru era un cane randagio. Distaccato e rabbioso, non potevi avvicinarti a lui senza una spranga di ferro in mano. Eppure, con Rin che era sempre così buona con lui, sembrava addolcirsi. Si fidava di lei, e la bambina era troppo innocente per valutare correttamente il rischio che correva standogli attorno.
La destinazione era la capanna di un certo Saiyuki, un bonzo rifugiatosi da anni su una montagna, vecchio amico della venerabile Kaede, che pazientemente gli aveva proposto di riferirsi a lui. La miko li aveva avvertiti della scontrosità dell’uomo, ma aveva garantito che, se gli avessero riferito che li mandava lei, indubbiamente li avrebbe aiutati.

Sesshomaru aveva notato come, ogni qual volta la donna fosse sovrappensiero, cominciasse a canticchiare fra i denti, come si infuriasse ed umiliasse Jaken 
ogni qual volta il kappa cominciasse a parlare di qualsivoglia argomento, e trovò curioso come non lasciasse mai quello strano strumento in legno che portava sulla schiena. Capitò che Rin, per salire su Ah-Un, lo urtasse per sbaglio, e quello producesse un suono assurdo, mai sentito. Curiosa fu anche la reazione di Anija al demone drago a due teste: Sesshomaru si sarebbe aspettato un rifiuto categorico come era successo per Jaken, invece la donna si avvicinò all’animale con gli occhi che le luccicavano, si lasciò annusare da uno dei musi dell’animale e dopo aver preso confidenza cominciò ad accarezzargli il collo. Disse che un animale così, nel suo tempo, si poteva trovare solo nei libri per bambini. L’essere così diversi, così distanti, eppure legati da quel filo rosso, gli faceva esplodere il cervello. Com’era potuto succedere?

« Si sta facendo buio, fermiamoci. » asserì il demone, piantando i piedi al suolo.

Anija si guardò attorno. Era così sovrappensiero che non si era neppure accorta di essere arrivata al centro di un bosco, e che il sole stava già calando oltre le montagne. Guardò la cima più alta: lì si trovava la casa del bonzo Saiyuki. Si sedette contro un albero, stremata dal viaggio. Camminavano incessantemente tutto il giorno, e non appena trovavano un corso d’acqua cacciavano del pesce da poter mangiare la sera. Quel ritmo l’avrebbe prima o poi distrutta. La piccola Rin saltò giù dalla groppa di Ah-Un e le corse affianco, per poi sedersi vicino e ricominciare con le sue interminabili domande. Il Re dei Demoni osservò la scena. Per quanto stanca fosse, Anija non riusciva a dire di no alla bambina, e rispondeva e raccontava paziente qualsiasi cosa le si chiedesse. Mentre Jaken accendeva il fuoco col suo bastone a due teste e metteva a cuocere i pesci su dei bastoncini, Rin diede finalmente voce alla sua curiosità, e posò la mano sulla custodia della chitarra.

« Che cos’è questo? »

Anija strabuzzò gli occhi, poi rise di gusto. Si era completamente dimenticata che nel Sengoku non esistevano le chitarre moderne, allora sfilò la cerniera della custodia, e si portò l’acustica in grembo.

« È una chitarra, uno strumento musicale. » spiegò, col sorriso sulle labbra.

« La sa suonare, signorina Anija? Ci suoni qualcosa! Per favore! » la implorò la bambina, con un sorriso che andava da parte a parte del viso e gli occhioni scuri che brillavano.

Anjia rise, annuendo. Poi si schiarì la voce, e con la punta delle dita incominciò a pizzicare le corde dello strumento, mentre l’altra mano le fermava in posizioni ripetitive. Il suono che arrivò alle orecchie di Sesshomaru gli fece dimenticare di respirare per qualche attimo. Anija cominciò a cantare, e il mondo stesso sembrò fermarsi. Le fronde degli alberi smisero di tremare, le cicale di cantare, e il torrente di scorrere fra le rocce, affinché nulla potesse disturbare tanta perfezione. La voce della donna, Sesshomaru non riuscì a definirla. Mai aveva sentito nulla di simile. Suscitava la sensazione di mille lucciole nello stomaco, della luna riflessa nelle acque limpide, della brezza primaverile che accarezzava le fronde degli alberi. Era una voce dolce ma risoluta, sottile ma potente. Un paradosso vivente come la donna che la cantava.
E in quel momento – Sesshomaru, incantato, la fissava, Anija era bellissima. La cascata di capelli corvini le ricadeva sulle spalle e poi in terra, gli occhi semichiusi e attenti osservavano lo strumento e a volte si chiudevano del tutto, mentre le labbra rosee, carezzate dalle parole della lenta canzone, si schiudevano in un tenero e spassionato sorriso. Le fiamme del fuoco parevano danzare al ritmo di quella musica, e rigettavano sul viso della donna dei bagliori a decorarla e giocare sul suo volto pallido. Si accorse di quanto le sue mani fossero minute, e le sue dita flebili e affusolate mentre le corde vibravano sotto il loro tocco, di quanto veloce le muovesse per raggiungere ognuna di loro in tempo per reggere la melodia. E più Anija cantava, più Sesshomaru si sentiva vulnerabile.

Poi qualcosa, una sensazione alla bocca dello stomaco, lo distrasse e lo fece tornare coi piedi per terra. L’atmosfera attorno a loro era cambiata davvero da quando Anija aveva preso a cantare. Sesshomaru si concentrò, corrucciando lo sguardo. Tutto lo spazio attorno era stato completamente purificato: non c’era traccia di demoni all’infuori di loro per almeno un chilometro. Tutte le minacce erano scappate quando Anija aveva incominciato a cantare, come se l’aria, purificandosi, li avesse buttati fuori. Sesshomaru stesso percepì un lievissimo fastidio, mentre Jaken si teneva la testa ed Ah-Un mostrava una leggera irrequietezza. Quando la canzone finì, quella sensazione si alleviò.

« Ma è bravissima, signorina Anija! » Rin esplose in una raffica di applausi e complimenti che fecero arrossire Anija per la loro genuinità.

« Ora va’ a lavarti, ho visto una piccola sorgente di acqua calda là infondo. » le disse la giovane, accarezzandole la testa con tenerezza « Io ti raggiungo subito. »

Rin annuì allegra ed obbedì, seguita da Ah-Un, mandato assieme a lei da Sesshomaru per difenderla in caso di pericolo. Quando anche Jaken si dileguò, in cerca di erbe di campo per insaporire il pesce, Anija rimase da sola col glaciale demone. Si rese subito conto di come lui la fissasse insistentemente, e per un primo periodo cercò anche di non badarci, ma infine cedette sotto al peso del suo sguardo.

« Dimmi, vuoi farmi anche tu i complimenti? » sbottò lei, guardandolo dritto negli occhi felini con aria strafottente.

« Hai il costante bisogno della gratificazione altrui, ningen? »

« Hai il costante bisogno di guardare il mondo dall’alto in basso come se fossi davvero superiore a qualcuno, yokai? »

Anija si sentì pietrificare dallo sguardo che Sesshomaru le riservò, ma si impose di non lasciarsi impressionare per così poco. Lei stessa non riusciva a spiegarsi per quale assurdo motivo le intimidazioni del demone non la ammutolivano; anzi, avevano l’effetto contrario. Contro quell’atteggiamento così altezzoso e scorbutico, Anija non riusciva davvero a frenare la sua vena ribelle, e cominciava a vomitare provocazioni a ruota libera.

« Se ti credi davvero così potente, allora perché non mi hai già uccisa? Non saresti più legato a “un’infima umana”, no? » insistette lei con un sorriso sornione e derisorio.

Non passò un attimo che si ritrovò il Re dei Demoni a due centimetri dalla faccia, e la sua mano stretta al collo. La stretta le soffocò il respiro, eppure i suoi occhi rimasero fissi in quelli dorati del demone, senza mai spostarsi. Sesshomaru era così confuso da non riuscire a capire, e questo lo fece imbestialire ancora di più. Sentiva la sua pelle morbida pulsare al battito accelerato del suo cuore sotto la possente mano, la frequenza dei suoi respiri aumentare, eppure la donna non mostrava alcun segno di rimorso o terrore. Lo sguardo di Anija rimaneva risoluto e provocatorio, le sue labbra disegnavano ancora quel leggero sorriso che tanto dannava l’anima del demone.

« Potrei farlo. »

« Avanti, sto aspettando. »

Sesshomaru corrucciò le sopracciglia, gli occhi gli divennero rossi per la rabbia, e la pupilla blu cobalto. Anija osservò il repentino cambiamento del demone, e quasi si maledì per esserne rimasta affascinata.

« Per quale ragione non hai paura di me, umana? »

La donna ci pensò qualche secondo prima di rispondere.

« Non avrai mai la mia paura, Sesshomaru. » asserì sfacciatamente « Ma se comincerai a chiamarmi col mio nome, forse riuscirai a guadagnarti una briciola del mio rispetto. »

Il demone lasciò la presa sul collo della donna solo quando sentì i passi di Rin farsi più vicini, per poi spiccare un salto e farsi lontano fra le fronte degli alberi ed il buio della notte. Rin guardò la scena confusa, senza dire una parola.

« Non farci caso, » le sorrise Anija « potrei aver ferito un po’ il suo orgoglio. »

« Mi sa tanto che lei e Lord Sesshomaru ci metterete un po’ di tempo per andare d’accordo … » rifletté a voce alta la piccola, seriamente crucciata.

« Lo spero, Rin. » rispose invece la donna, accarezzandole i capelli ancora umidi.


 
Il demone non si dava pace. Di notte non dormiva, di giorno il suo umore peggiorava ogni secondo che passava. Anija e quel suo sorrisetto carico di derisione e superiorità lo stavano facendo impazzire, infestandogli la mente come spiriti irrequieti. Nonostante l’avesse quasi uccisa – era sul punto di farlo se solo non fosse arrivata Rin, lei era rimasta arzilla e serena come qualsiasi altro giorno; addirittura gli rivolgeva parola quando necessario. Al contrario, Sesshomaru non riusciva neppure a guardarla negli occhi tanto gli ribolliva il sangue. Sentire la pelle candida di lei sotto alla sua possente stretta, il suo collo così minuto e fragile pulsare fra le sue dita, non gli aveva dato così tanta soddisfazione come credeva.
Le uniche cose intrappolate nella sua mente erano le sue labbra carnose, incurvate in quel sorriso da omicidio, ed i suoi occhi azzurri carichi di risolutezza: e per questo Sesshomaru volle maledirsi, ma a ripensare alla scena di quel volto lui provava piacere. Perché non la temeva? Perché il suo corpo non tremava alla sua vista, all’idea di ciò che avrebbe potuto farle? Era quella motivazione a fargli venire la pelle d’oca, era stato per quella sola ed unica ragione che un brivido gli percorse la schiena. Ed era per quel piacere che la odiava così tanto. Ma la cosa che più dava pensieri al giovane demone fu l’ultima frase che la donna gli rivolse: Ma se comincerai a chiamarmi col mio nome, forse riuscirai a guadagnarti una briciola del mio rispetto. Rispetto? Chi aveva bisogno del rispetto di una femmina umana? Sesshomaru non capiva lei come non capiva se stesso in quel momento, incapace di darsi tregua per una così futile vicenda.

« Sesshomaru … »

La sua voce lo chiamava, e lui per poco non imprecò. Non si voltò neppure a guardarla, non volle vedere il suo volto. E se, posando distrattamente gli occhi su di lei, avesse provato ancora quel piacere? L’idea lo disgustò.

« … Sesshomaru … »

Ancora, la sua voce lo dannava. Ancora, il demone la ignorò. Doveva, era costretto a farlo. Non le avrebbe dato tanto potere su di lui; Sesshomaru, il Re dei Demoni, non poteva cedere la sua vulnerabilità a un paio di occhi così limpidi. Continuare ad ignorarla, ecco cosa avrebbe fatto.

« Sesshomaru-sama! »

« Cosa vuoi? » le ringhiò lui, mostrando le zanne, evidentemente esasperato.

Anija semplicemente gli indicò un punto poco lontano fra l’erba, dove un uomo anziano era intento a rincasare con un cesto fra le braccia.

« Abbiamo trovato il bonzo Saiyuki. »

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