Principesse Guerriere di Just_Charlie (/viewuser.php?uid=948232)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno: Storie della Buonanotte ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due: Meet Cute ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre: Cenerentola (parte uno) ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre: Cenerentola (parte due) ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno: Storie della Buonanotte ***
CAPITOLO UNO: STORIE DELLA
BUONANOTTE
«C’era
una volta una principessa di nome Alexandra che viveva
in una terra devastata dai mostri e dalle guerre» Madi si
nascose un pochino
sotto le coperte, e guardò sua madre con occhi grandi e
spaventati.
«Mamma,
è una storia di paura! Come faccio ad addormentarmi
adesso?» Clarke sorrise e accarezzò la testa della
sua bambina, stringendola a
sé.
«Non
è una storia di paura, amore, lasciami continuare e
vedrai. Allora, c’era una volta una principessa di nome
Alexandra che viveva in
una terra devastata dai mostri e dalle guerre. Alexandra
però non era una
principessa normale, perché le principesse delle fiabe si
fanno rapire dalle
streghe e mettere in torri alte alte alte, con draghi sputafuoco a fare
da
guardia e pronti a mangiare qualsiasi cavaliere fosse stato abbastanza
coraggioso – o forse sciocco? – da tentare di
salvare la principessa-»
«Mamma!»
protestò Madi; rise e si tirò su da dove si era
nascosta sotto le coperte, facendo il broncio «Non la voglio
più sentire la tua
storia, non mi piace!»
«Ma
sta per arrivare la parte bella!»
«Davvero?»
«Mm-mm»
Clarke fece segno di sì con la testa, trattenendo le
risate. Madi la guardò indecisa, occhi ridotti a due fessure
verdi verdi
pungenti come spilli. «Perché devi sapere che
Alexandra in realtà era una
principessa guerriera!»
«Una
principessa guerriera?!?!» Madi spalancò gli occhi
e si
accoccolò accanto a Clarke, di colpo nuovamente interessata.
Clarke scoppiò a
ridere e la strinse forte, dandole un sonoro bacio sulla fronte. La
notte era
silenziosa intorno a loro, la città ormai quasi addormentata
in quella fresca
sera d’autunno. Si sentivano solo le loro risate in quella
piccola cameretta
dipinta di verde. «Vai avanti, mamma!»
«Okay,
okay» Clarke sorrise e si guardò intorno, cercando
ispirazione
per quella pazza storia improvvisata. Ma sapeva che quello era il
genere di
fiaba che la sua bimba preferiva. Erano entrambe stanche di leggere
libri dove
la fanciulla in pericolo veniva salvata dall’aitante
giovanotto sul destriero
bianco. Perché nel loro mondo le cose erano molto diverse.
Nel loro mondo… beh,
nel loro mondo di solito erano le ragazze a tirarsi su le maniche e a
salvarsi
da sole. Era la nonna di Madi, la madre di Clarke, Abby, che curava le
persone
ogni giorno in ospedale. La zia Octavia era una poliziotta e catturava
sempre i
cattivi. E la zia Raven sapeva
aggiustare tutto, da un’automobile al frullatore impazzito
alla bambola che non
parlava più quando le schiacciavi la pancia. Madi adorava
tutte le donne forti
e coraggiose che abitavano il suo mondo.
Perché
come diceva la sua mamma quando credeva che Madi non
la sentisse – però la bambina la sentiva lo stesso
– le donne nel loro mondo spaccavano
i culi.
«Allora?»
Madi incitò Clarke dandole un colpetto con la
spalla «Poi cosa succede?» Clarke
arricciò le labbra sorridendo sotto i baffi.
«Succede
che Alexandra era una principessa guerriera, giusto?
E questo significa che non si faceva spaventare da nessuno. Nel suo
regno
c’erano mostri e guerre, questo è vero, ma lei li
combatteva con tenacia e
coraggio. Aveva una spada bellissima che luccicava al sole e con la
quale si
batteva fieramente. ZAM ZAM ZAM!»
Clarke finse di avere una spada tra le mani e mimò un feroce
combattimento
contro un nemico immaginario. Madi rise e si mise a combattere anche
lei,
lanciando via con i piedi tutte le coperte: il materasso era diventato
un campo
di battaglia. «Tutti i cattivi cadevano ai suoi piedi. Aveva
un esercito che la
seguiva in battaglia e che eseguiva ogni suo ordine, e i nemici
tremavano di
fronte alla loro potenza. Anche i mostri più mostruosi
scappavano via. Il
popolo la adorava, perché era una principessa buona e
caritatevole e aiutava
sempre la sua gente.»
Clarke si
fermò un attimo girandosi verso sua figlia, che la
guardava con il fiatone per quella lotta improvvisata. Aveva una luce
birichina
negli occhi che Clarke amava. Anche se lei e Finn erano divorziati
ormai da
anni e non sempre andavano d’accordo, gli sarebbe sempre
stata grata per averla
aiutata a crescere la bambina meravigliosa che era Madi. Clarke non
aveva la
più pallida idea di cosa ne sarebbe stato di lei se non ci
fosse stata Madi.
Dopo la morte di suo padre era caduta in quello che le era sembrato un
abisso
senza fondo, oscuro e terrificante, dal quale aveva tanto faticato a
risalire.
Ma Madi le aveva dato una nuova ragione per vivere. Le aveva dato
forza, le
aveva dato gioia. Le aveva dato vita.
«Un
giorno, Alexandra e le sue truppe arrivarono in un
villaggio che era stato attaccato dai mostri» Clarke rimise a
posto le coperte
e fece segno a Madi di sistemarsi di nuovo accanto a lei. La bambina
sorrise e
abbracciò Clarke come un piccolo koala. «Le case
bruciavano e tutti gli
uccellini e gli altri animali erano scappati dal fuoco. Le persone si
erano
rifugiate nel bosco vicino, in una grande radura dove i bambini
giocavano
sempre in estate. Tra tutte le persone c’era una ragazza,
Clarissa, che
nonostante avesse perso molte cose, non aveva perso la speranza.
Continuava a
combattere e ad aiutare gli altri. Clarissa era una guaritrice, e dopo
l’attacco al villaggio si era messa subito a curare i feriti
e a trarli in
salvo dalle fiamme.»
«Come
la nonna?»
«Esattamente,
piccola mia, proprio come la nonna» Clarke le
accarezzò la testa e controllò la sveglia sul
comodino. Era quasi ora di andare
a dormire: Madi il giorno dopo sarebbe dovuta andare a scuola, e lei al
lavoro;
avrebbero dovuto svegliarsi presto. «E sai cosa successe
dopo?»
«Cosa
cosa cosa?» chiese Madi eccitata. «Dimmiiiiii»
«Successe
che, come avevo detto prima, Alexandra e i suoi
soldati arrivarono al villaggio, spensero le fiamme e tentarono di
salvare il
salvabile, che non era molto, ma pur sempre qualcosa. Andarono poi nel
bosco
per aiutare le persone che erano scappate. E lì, la
principessa Alexandra conobbe
Clarissa. E fu amore a prima vista.»
«Ooooohhhhhhhh»
Madi non riuscì a trattenere uno sbadiglio. Si
sistemò meglio sulla spalla di
Clarke e chiuse gli occhi. Clarke le rimboccò le coperte
sorridendo
amorevolmente. «E poi?»
«E poi
il resto della storia te la racconto domani, adesso è
ora di fare le nanne» Clarke le diede un altro bacio sulla
fronte e si alzò dal
letto. Accese la luce notturna e spense quella più grande
sul comodino, e si
avviò verso la porta. «Buonanotte, amore
mio.»
«’Notte
mamma» disse Madi, già mezza addormentata. Clarke
si
fermò davanti alla porta a guardare sua figlia, sorridendo.
Dio, quanto
l’amava. «Mamma?»
«Sì,
tesoro?» chiese Clarke tornando alla realtà dal
piccolo
sogno ad occhi aperti in cui era caduta guardando la sua bambina.
«Posso
essere anch’io una principessa guerriera come
Alexandra?»
Clarke
sbuffò divertita e annuì. «Certo, ma tu
sei già una
principessa guerriera. La mia piccola principessa guerriera.»
Madi sorrise, le
mandò un bacio e si addormentò.
Clarke chiuse
lentamente la porta della stanza per non fare
rumore e andò anche lei a letto.
Fu
così, con una semplice storia della buonanotte, che
cominciò tutto. Fu così che cominciò
la storia della principessa dai capelli
dorati che si innamorò della guerriera dagli occhi verdi. Ma
né Clarke né Madi
ancora lo sapevano. Lo avrebbero scoperto più avanti, poco
per volta.
Per quella
notte, Clarke poté soltanto sognare bellissime
principesse guerriere, senza sapere che ne avrebbe presto incontrata
una che le
avrebbe rubato il cuore.
***
Clarke non aveva
ancora la più pallida idea di cosa avesse
cominciato con quella storia della buonanotte. Non ci sarebbe voluto
molto,
però, perché lo capisse.
La sua ignoranza
durò esattamente una notte.
«Mamma,
da grande voglio fare la principessa guerriera»
esordì Madi la mattina dopo, entrando in cucina per fare
colazione. Saltò sopra
allo sgabello e incrociò le braccia, guardando Clarke con lo
sguardo
determinato di chi non è disposto a cedere.
«Buongiorno
anche a te, Madi» la prese in giro Clarke con un
sorriso, senza girarsi verso di lei. Non era una grande cuoca e le uova
avevano
bisogno di tutta la sua concentrazione. Un giorno, forse il mese
precedente – o
quello prima? Clarke non ricordava esattamente – si era
distratta un attimo ed
era finita con le uova arrostite e il rilevatore di fumo che bippava a tutto spago. Meglio
non ripetere figuracce del genere.
Clarke versò le uova dalla padella al piatto di Madi, ne
prese un po’ anche per
sé e si sedette accanto a Madi. Il succo
all’arancia era già davanti a loro, e
con esso posate, salviette e tutto l’occorrente per una
colazione coi fiocchi.
Perché
Madi non si era ancora fiondata sul piatto come al
solito, allora?
«Madi?»
la chiamò Clarke, guardandola con le sopracciglia
alzate. La bambina era ancora ferma al suo posto, braccia incrociate e
sguardo
deciso puntato addosso a Clarke.
«Voglio
fare la principessa guerriera» disse, seria come solo
una bambina di dieci anni poteva essere. Clarke sorrise e le
scompigliò i
capelli – sapeva perfettamente che Madi lo detestava;
era esattamente per quello che Clarke lo faceva – invitandola
a cominciare a
mangiare «perché le
principesse guerriere
non possono combattere a stomaco vuoto!».
Madi si rimise a
posto i capelli, le fece la linguaccia ma si
mise finalmente a mangiare. Inalò le uova strapazzate e
bevve il succo tutto
d’un fiato, poi saltò giù dallo
sgabello e corse a lavarsi i denti e a prendere
lo zaino per andare a scuola. Clarke non aveva ancora finito le sue
uova quando
Madi tornò giù in cucina, tutta pronta per
partire, e guardò sua madre, in
attesa.
«Allora?»
disse Madi, impaziente.
Clarke
assottigliò lo sguardo, indecisa se sgridare sua
figlia per il comportamento o scoppiare a ridere «Fammi
finire di mangiare,
almeno. E poi cos’è tutto questo entusiasmo? La
gita al museo non è che tra una
settimana.»
«Voglio
chiedere alla signorina Fisher – la maestra di
scienze – come si fa a diventare una principessa guerriera!
Lei sa sempre
tutto!» Clarke alzò gli occhi al cielo e nascose
un sorriso, ma si sbrigò comunque
per portare sua figlia a scuola. Lavati i denti anche lei
(perché una madre
deve sempre dare il buon esempio) e presa la borsa per il lavoro,
Clarke
recuperò le chiavi della macchina e insieme a Madi
uscì di casa.
Madi
passò tutto il breve tragitto verso scuola continuando a
muoversi sul sedile, incontentabile. Sua mamma non voleva guidare
più veloce.
La musica alla radio non era quella giusta. Neanche i bambini che
camminavano
per strada con le loro mamme erano giusti. Non erano invincibili
guerrieri o
mostri da combattere, e il mondo non era una terra desolata da salvare.
Ma
soprattutto, lei non era ancora una principessa guerriera.
Clarke si
fermò davanti alla scuola e Madi si fiondò a
slacciarsi la cintura, ma Clarke la bloccò con una mano
«Aspetta un attimo,
Madi.»
Madi
sbuffò e si girò verso di lei «Cosa c’eeeeeeeee?»
Clarke
alzò un sopracciglio e serrò le labbra
«Intanto la
smetti con questo atteggiamento» Madi diventò
rossa rossa e mormorò uno «scusa
mamma» nella generale direzione di
Clarke «Per questa volta ti perdono, ma calmati. Ti ho detto
che potrai
diventare una principessa guerriera, ma con calma. La pazienza
è una della
virtù più importanti che una principessa
può avere, lo sapevi?» Madi negò con
la testa e guardò sua madre, interessata «Deve
ascoltare tutte le lamentele del
popolo ogni singolo giorno, deve essere noiosissimo! Ma una principessa
è
paziente e ascolta tutti con un sorriso e una parola gentile. Quindi
non
correre troppo, okay?»
«Va
bene, mamma»
Clarke le diede
uno schioccante bacio sulla guancia e la
salutò con un sorriso «Ora vai, e non divertirti
troppo, principessa!»
Madi rise e
ricambiò il bacio, poi volò fuori dalla macchina
per rincorrere i suoi amichetti.
Clarke la
guardò scuotendo la testa, poi fece retromarcia e
si avviò verso la galleria d’arte dove lavorava. Una principessa guerriera. Sorrise,
pensando alle piccole fantasie
della sua bambina. Il mese prima voleva diventare
un’astronauta con tutta se
stessa, e l’aveva esasperata finché Clarke non
aveva ceduto e nel weekend le
aveva dipinto un cielo stellato – con tutte le costellazioni
al posto giusto –
sul soffitto della sua cameretta. Ma come le era venuta quella mania,
così era
volata via. E sarebbe stato lo stesso anche quella volta. Madi cambiava
idea
molto spesso, si ossessionava su qualcosa per un certo periodo, e poi
perdeva
tutto l’interesse e passava a qualcos’altro, come
con i giocattoli nuovi. Ma
non erano così tutti i bambini?
Quindi Clarke
non si preoccupava. Dopo il lavoro le avrebbe
comprato una spada di plastica che l’avrebbe fatta felice
finché non le fosse
venuta voglia di diventare qualcos’altro, e basta. Nel
weekend Madi sarebbe
andata a stare da Finn e avrebbe fatto impazzire anche lui –
il che non
dispiaceva affatto a Clarke, proprio zero. Madi era ancora in
quell’età in cui
i sogni sono grandi e meravigliosi, ma al tempo stesso impossibili. Le
sarebbe
passata.
(Oh,
quanto si sbagliava!)
***
«Cos’è
questa storia della “principessa
guerriera”?» chiese
Finn quella domenica sera, quando riportò Madi a casa di
Clarke dopo il weekend
passato con sua figlia. Madi era corsa dentro per vedere i cartoni,
mentre loro
due erano rimasti fermi davanti alla porta di casa, come sempre. Era
una delle
regole che Raven e Octavia avevano dato a Clarke quando lei e Finn
avevano
deciso di separarsi. Non lasciarlo
entrare, sarai costretta a cacciarlo via di nuovo1 .
All’inizio era stata
difficile da seguire, ma con il tempo Clarke ci era riuscita. Da allora
aveva
seguito sempre quella regola, e la sua vita era nettamente migliorata.
Clarke sorrise,
e raccontò al suo ex marito da dove era
cominciata tutta quella storia. Finn scoppiò a ridere e
diede poca importanza
alla «nuova stravaganza di tua
figlia».
Clarke aggrottò le sopracciglia. Andava bene scherzare, ma
Madi ci credeva
davvero, e loro due, in quanto suoi genitori, dovevano supportarla nei
suoi
progetti, per quanto impossibili. La fantasia andava alimentata, non
repressa,
soprattutto alla sua età. Clarke serrò le labbra,
ma non disse niente. Sempre il solito Finn.
C’era un motivo
se si erano separati: erano troppo diversi. Ma in fondo Finn era un
bravo
genitore per Madi. Anche se non capiva tutto quello che passava per la
testa di
sua figlia – e chi mai ci riusciva, del resto? Clarke
certamente no – la stava
educando bene. In un certo senso, lui e Clarke si compensavano.
Si diedero la
buona notte e si salutarono, poi Finn se ne
andò e Clarke chiuse la porta. Lasciò che Madi
guardasse un altro po’ i
cartoni, poi la mise a letto.
«Allora,
come è andata da papà?» chiese Clarke
stendendosi
nel piccolo letto accanto a lei.
Madi sorrise.
«Benissimo!» disse, e si lanciò in uno
stringatissimo resoconto del fine settimana: erano andati al parco
giochi, Finn
le aveva preso il gelato anche se faceva un po’ freddo
– a quella notizia,
Clarke le diede un piccolo pizzicotto sul fianco, facendola scoppiare a
ridere
«Ti ho detto niente gelato quando fa freddo! Ti fa venire mal
di pancia» «Looo sooo
mamma ma il gelato al cocco è così
buono!» – e la domenica avevano
fatto i compiti assieme. «Fine!» esclamò
Madi una volta che ebbe finito, cioè
mezzo minuto dopo «Adesso mi racconti come va avanti la
storia?»
«Quale
storia?» chiese Clarke nonostante sapesse
perfettamente di cosa Madi stesse parlando.
«Quella
della principessa guerriera, ovviamente!» esclamò
Madi, indignata che sua madre avesse potuto dimenticarsi di quella storia fantastica.
«Hmmm,
vediamo se sei stata abbastanza brava da meritarti la
storia…» disse Clarke fingendo di pensarci su,
trattenendo a stento le risate.
Madi la prese per le spalle e tentò di scrollarla, ma non
riuscì a muoverla di
un centimetro, piccolina com’era.
«Daaaaaai
mammaaaa per favore per favore per favore per
favore! Giuro che sarò la bambina più brava di
tutto l’universo bambini alieni
compresi!»
Clarke
si mise a
ridere, una risatina che le fece quasi male alla pancia e alle guance
«Beh, se
sono compresi anche i bambini alieni… allora dimmi, dove
eravamo arrivate?»
«A
quando Alexandra la principessa guerriera incontra la
guaritrice Clarissa e Alexandra si innamora a prima vista! Poi cosa
succede?
Dimmi che anche Clarissa si innamora tipregotipregotiprego!!»
Clarke, dopo false minacce di non raccontarle più la storia,
riuscì a calmare
Madi un po’. La bambina si stese a letto sotto le coperte,
fremente, e si girò
verso Clarke. «Adesso che sono calma mi racconti?»
Clarke
annuì e chiuse gli occhi, raccogliendo le idee. Il
venerdì prima alla galleria d’arte era arrivato un
quadro bellissimo per una
nuova esposizione. Era intitolato Tempesta
e ritraeva una ballerina che danzava con un tutù
rappresentato da una tempesta
in mare, con una vecchia nave in procinto di affondare. Clarke lo aveva
adorato
dal primo istante in cui l’aveva visto. L’aveva
ispirata a dipingere nel
weekend un quadro che non aveva ancora finito, ma che già le
piaceva. E la
ispirò anche quella sera. «Allora, abbiamo detto
che per Alexandra fu amore a
prima vista; ma non fu lo stesso per Clarissa. Ci volle un imprevisto
che
avrebbe potuto trasformarsi in tragedia perché Clarissa
scoprisse la bontà di
cuore della principessa.»
«Oh
mamma! Cosa è accaduto?» chiese Madi curiosa,
portandosi
una mano alla bocca.
«Una
terribile tempesta» disse Clarke con voce seria «Le
case
del villaggio erano distrutte e non c’era luogo in cui
ripararsi. Ma Clarissa
conosceva bene quel bosco, era cresciuta lì dopotutto, e si
ricordò che non
molto distante vi erano delle grotte abbastanza grandi da coprire tutti
gli
abitanti del villaggio. Così Alexandra e Clarissa guidarono
insieme la loro
gente al riparo nelle grotte. Non vi era esattamente spazio per tutti,
ma
Alexandra cedette il suo posto per salvare i bambini
dall’acquazzone. Quel
gesto di generosità e altruismo non passò
inosservato agli occhi di Clarissa.
La ragazza si accorse di quanto buona fosse veramente la sua
principessa, e la
vide sotto una luce nuova. Non era soltanto una bravissima spadaccina e
una
giusta governante, ma anche una bella persona. I suoi occhi si
illuminavano di
una bellissima luce quando rideva, e i suoi capelli rossi sembravano
fiamme
ardenti che crepitavano nel vento. A Clarissa sembrò
bellissima.»
«Ooooohhhh si
innamoranooooo!» esclamò Madi eccitata.
Clarke sorrise, e annuì.
«Sì,
si innamorarono» disse Clarke baciando la sua bambina
sulla fronte «Si innamorarono di quell’amore
così potente da sconfiggere ogni
difficoltà. Quell’amore così vero e
puro che va oltre la distanza e la morte, e
dura in eterno.» Clarke stava pensando ai suoi genitori,
all’amore che li aveva
uniti e che ancora li univa, nonostante suo padre fosse morto. Sua
madre aveva
voltato pagina, questo era vero, e aveva trovato una nuova persona con
cui
condividere la sua vita, ma Clarke sapeva per certo che un pezzo del
cuore di
Abby sarebbe per sempre appartenuto a suo padre.
Madi
aggrottò le sopracciglia, e guardò sua madre
pensierosa.
Clarke lo notò e le chiese quale fosse il problema,
stringendola a sè.
«Mamma,
è quello l’amore tra te e
papà?»
Clarke
guardò sua figlia e si morse il labbro, senza sapere
cosa dire. Madi era troppo piccola per certe cose, ma al tempo stesso
aveva una
maturità che andava ben oltre la sua età; non lo
mostrava sempre, ma lo faceva
nei momenti che contavano, come quello. Clarke sospirò e
decise di dirle la
verità «No, piccola mia. L’amore tra me
e papà è finito, non è durato per
sempre. Però né io né lui ormai siamo
più tristi per questo, e non ci pentiamo
in alcun modo di esserci amati come ci siamo amati» Clarke le
sorrise e le fece
l’occhiolino «Perché altrimenti non ci
sarebbe stata questa bambina piccolina a
cui voglio un mondo di bene e che è tutta la mia
vita» disse, e si lanciò a
fare il solletico a Madi. Madi urlò e scoppiò a
ridere, e tentò di scappare da
sua madre. Ma Clarke la avvolse in un abbraccio così forte
che quasi le mozzò
il fiato, senza lasciarla più andare «Sei tu,
amore mio. Il mio amore per te è
quel genere di amore, senza fine.»
Madi
ricambiò l’abbraccio di sua madre e la
riempì di bacini,
facendola scoppiare a ridere «Anche io ti amo tanto mamma, ma
tanto tanto
tanto» Madi allargò le braccia e fece un sorrisone
a trentadue denti che
sciolse completamente Clarke «Ti amo tanto
così!»
Clarke la
abbracciò di nuovo e le baciò la testa.
«Anche io
ti amo tanto così.»
Stettero in
silenzio per un po’, beandosi della piccola bolla
di felicità che riuscivano a creare solo loro due. A un
certo punto, però, Madi
alzò la testa e disse: «Allora? Come finisce la
storia della principessa
guerriera?»
Clarke rise e le
raccontò la fine della storia «Finisce che
Alexandra e Clarissa si sposarono, e insieme riuscirono a sconfiggere
tutti i
mostri e a vincere tutte le guerre. Il villaggio dove prima viveva
Clarissa
venne ricostruito, e con quello anche tutti quelli che erano stati
distrutti
durante la guerra. Clarissa continuò a curare le persone
malate che chiedevano
il suo aiuto, e insieme ad Alexandra governò giustamente
quella terra rinata. E
vissero per sempre felici e contente!»
Madi
sbadigliò e si sistemò meglio nel letto,
tirandosi su da
sola le coperte «Mi è piaciuta questa storia.
Voglio sapere però anche cosa
succede dopo! Non puoi dire “e vissero felici e
contente” e basta! Io voglio
sapere!» protestò trattenendo a stento un altro
sbadiglio «Ci saranno dei
bambini? Nessun cattivo arriverà mai più?
C’è la magia in quella terra? E i
draghi? Io li voglio i draghi sputafuoco anche se non devono per forza
fare la
guardia alle principesse rinchiuse nelle torri alte alte
alte…» Madi sbadigliò
ancora e chiuse gli occhi, sorridendo beata.
«Certo
amore, ti racconterò tutto quello che vuoi» disse
Clarke baciando la sua bambina. Spense la luce e le augurò
buonanotte come ogni
sera, ricevendo in cambio un bacino al volo e uno strascicato
«’notte, mamma»
da parte di una Madi quasi addormentata. Clarke sorrise e chiuse la
porta della
camera di Madi.
Sì,
le avrebbe raccontato tutto quello che avrebbe voluto. La
rendeva troppo debole per non accontentarla in una cosa così
semplice.
***
Le settimane
passarono, e con esse sembrò che anche la nuova
passione di Madi per le principesse guerriere si fosse affievolita
– dopo aver
guardato qualche puntata di Xena su
Netflix, ovviamente, ed essersi innamorata di Olimpia perché
il suo nome le
ricordava la zia Octavia – con grande piacere di Finn e una
nota di amarezza da
parte di Clarke. Aveva cominciato ad affezionarsi ad Alexandra e
Clarissa, con
le loro mille avventure e il loro amore eterno.
Finché
un giorno Madi non corse alla macchina di Clarke, una
volta uscita da scuola come ogni giorno, con un foglietto piegato tra
le mani.
Aprì la porta del passeggero con un grande sorriso e
salutò Clarke con un bacio
persino più entusiasta del solito.
«La
signorina Fisher mi ha trovato un modo per diventare una
principessa guerriera!» disse, e porse a Clarke il foglietto
ripiegato,
eccitata. «Ti prego ti prego mamma dimmi che posso
farlo!» Madi mimò con le
mani una preghiera e tirò fuori la sua espressione
più tenera, alla quale
Clarke non riusciva mai a resistere.
Un campanello
d’allarme si accese nella testa di Clarke. Questa
bimba mi vuole fregare, lo so per
certo. Clarke assottigliò gli occhi e prese in
mano il foglio, aprendolo.
Quello che vi era scritto, però, la lasciò
completamente a bocca aperta.
Era il volantino
di un corso di scherma per bambini.
«Dato
che tu e papà dite sempre che sono la vostra
principessa, la signorina Fisher ha pensato che mi basta imparare ad
essere una
guerriera!» disse Madi tutta felice
«Così imparo a combattere come mi hai
mostrato tu! ZAM ZAM ZAM!»
Clarke era senza
parole, non aveva la più pallida idea di
come rispondere a sua figlia. Continuava a fissare il volantino senza
sapere
cosa dire.
Graficamente
parlando, quel volantino era fatto bene.
L’occhio artistico di Clarke aveva subito notato la perfetta
disposizione delle
immagini e delle parole, volta a indirizzare l’occhio sulle
parti più
importanti. Una delle immagini ritraeva quella che presumibilmente era
una
donna vestita con l’equipaggiamento completo da scherma, con
in vista solo dei
lunghi capelli castani raccolti in una coda che le usciva dalla
maschera. Aveva
in mano un fioretto – Clarke non capiva niente di scherma, ma
aveva imparato a
distinguere le armi guardando le Olimpiadi – e sembrava
pronta ad attaccare un
avversario che non era stato inquadrato. Era affascinante il modo in
cui era
posta, sembrava l’avessero immortalata mentre danzava. Clarke
capiva alla
perfezione perché sua figlia ne fosse stata così
attratta.
Clarke
alzò gli occhi verso Madi, che la stava ancora
guardando speranzosa. Clarke ci pensò un po’ su,
poi alzò un dito verso Madi.
«Prima
ne devo parlare con tuo padre, ma se ti comporti bene
ti facciamo fare le lezioni di prova e poi decidiamo insieme»
Madi esplose in
un urlo di felicità e si mise a danzare sul sedile, incapace
di trattenere la
sua gioia. Stritolò Clarke in un abbraccio infinito che
lasciò entrambe senza
fiato.
«Grazie
grazie grazie grazie GRAZIE!»
Clarke sorrise
alla felicità di sua figlia, e mise in moto
l’auto per tornare a casa.
Non avrebbe mai
potuto immaginare cosa quella decisione le
avrebbe portato.
Quell’amore
così vero e puro che va
oltre la distanza e la morte, e dura in eterno.
1: traduzione
piena di licenze poetiche di un verso della canzone New
Rules di Dua Lipa. L'idea mi è venuta da
una fanfiction di una mia
amica che presto verrà pubblicata su ao3. Non appena la
pubblicherà vi
includerò il link alla fic :)
Buongiorno/buonasera/buonanotte
a tutti! Torno con una piccola fic molto
tenera e leggera che spero vi piacerà. Per tutti coloro che
stanno leggendo
anche la mia altra fic, Come le parole che non ti
ha mai detto,
sappiate che non sono morta. Sono stata super impegnata in questo
ultimo
periodo e diciamo che quella storia non è così
facile da scrivere. Ma non vi
preoccupate, la finirò.
Spero che questo
primo capitolo vi sia piaciuto, le recensioni sono molto
gradite, non siate timidi! ;)
Al prossimo
aggiornamento!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo Due: Meet Cute ***
CAPITOLO
DUE: MEET CUTE
Clarke
era durante la sua pausa pranzo e stava parlando al telefono con Finn
per
organizzarsi per il weekend successivo, quando l’argomento
venne fuori.
«Madi
mi ha chiesto di fare un corso di scherma» disse Clarke tutto
d’un fiato,
sapendo già che Finn avrebbe avuto da ridire.
Quell’uomo era impossibile, a
volte.
«Un
cosa?!» disse infatti lui, suonando
incredulo. Clarke si morse
il labbro e si guardò intorno. Maya stava finendo di
mangiare e la stava
guardando con un mezzo sorriso e le sopracciglia alzate. Clarke
ricambiò il
sorriso, alzando gli occhi al cielo in un gesto di
solidarietà femminile che
equivaleva a un sospiro di Ah, gli ex
mariti! Erano sole nella piccola stanza che Clarke e i suoi
colleghi
avevano adibito a mensa; c’erano un tavolo con quattro sedie,
un divanetto e un
piccolo frigo dove tutti potevano mettere il proprio cibo,
adeguatamente
insacchettato ed etichettato. L’abitudine di scrivere i nomi
sui tapperware era
nata quando, per diverse settimane, qualcuno aveva preso il vizio di
rubare lo
yogurt al figlio del direttore della galleria d’arte. Alla
fine avevano
scoperto che era stato un addetto alle pulizie (poi severamente
ammonito
dall’animo buono e altruista di Cage Wallace). Ma
l’abitudine di scrivere su un
pezzo di nastro di carta il proprio nome era rimasta. A turno portavano
alla
galleria dei pennarelli indelebili per segnarlo; era una di quelle
stravaganze
che faceva sempre sentire Clarke un po’ più a casa
in quel posto che tanto
amava.
«Un
corso di scherma» disse Clarke a Finn, tornando alla
realtà scuotendo la testa «Penso
sia una buona idea, era ora che Madi volesse fare un qualche tipo di
sport»
Silenzio
dall’altra parte del telefono.
E
poi, le parole che Clarke aveva temuto arrivassero.
«Non
è che abbia ancora a che fare con
la storia della principessa guerriera?»
Beccata. Clarke chiuse gli occhi. Di
fronte al suo silenzio, Finn continuò «Clarke!»
la rimproverò «Lo sai
che sono tutte
sciocchezze!»
«Ma
questo non significa che non si possano assecondare! È
ancora una bambina,
Finn» Perché non riusciva a capirlo? I bambini non
andavano repressi. Le
fantasie, quelle sane e non pericolose, andavano incoraggiate; non
aveva senso
tarpare le ali ad una bambina di dieci anni con
un’immaginazione che a volte lasciava
Clarke a bocca aperta. Sua figlia creava mondi immaginari in cui
vivevano
creature fantastiche e meravigliose, e coesistevano nella sua mente
alimentando
ancora di più la sua immaginazione; era come una sorgente
che continuava a
zampillare, distribuendo acqua e assicurando vita al terreno intorno ad
essa.
Clarke
si immaginò Finn passarsi una mano tra i capelli; lo faceva
sempre quando non
era d’accordo con lei. Per quanto potesse darle fastidio
questa consapevolezza,
lo conosceva ancora come la sua stessa pelle. Lo sentì
sospirare, e poi,
finalmente, arrendersi «Fa’
come vuoi.
Quando sarebbe il primo incontro?»
«Questo
mercoledì» Clarke sorrise imbarazzata, incapace di
pronunciare le parole che
avrebbe dovuto «Ehm, Finn?»
«Che
c’è?»
Sei una
donna adulta, Clarke. Ce la puoi
fare.
Clarke prese un bel respiro e
si preparò a parlare «Martedì comincia
la nuova esposizione qui in galleria,
durerà due settimane. Wallace mi ha chiesto di fare il
doppio turno il
mercoledì e il giovedì. Non posso dirgli di no,
lo sai che mi odia.»
«Quindi
dovrei portarla io? Per due
settimane?»
«Già.»
Silenzio dall’altra parte del telefono. Che Finn stesse
imprecando? Clarke
sapeva che anche Finn aveva il suo lavoro, ma era un giornalista
freelance,
aveva orari molto più flessibili di Clarke. Non poteva dirle
di no.
«Come
vuoi. Dopo mandami un messaggio
con il posto e l’orario, adesso devo andare.»
Clarke
tirò un sospiro di sollievo mentale «Grazie, Finn.
Significa molto per Madi, e
anche per me.» Si salutarono, e Clarke chiuse la chiamata.
Sospirò
pesantemente.
«Tutto
a posto?» chiese Maya con un sorriso gentile, avvicinandosi a
Clarke. Maya non
lavorava alla galleria da tanto, era arrivata all’inizio
dell’estate, ma lei e
Clarke avevano legato molto; Clarke le aveva fatto da tutor per la
prima
settimana ed erano andate subito d’accordo. Quando poi aveva
scoperto che stava
per sposarsi con un suo vecchio compagno di liceo, Jasper, Clarke
l’aveva
trovata ancora più simpatica. Era
ora che
Jasper mettesse la testa a posto con una ragazza a modo come lei.
Clarke
ricambiò il sorriso e agitò una mano per aria
«Soliti problemi con Finn, nulla
di cui preoccuparsi»
Finirono
di mangiare in silenzio. Il clima era tranquillo tra loro, lo era
sempre stato;
avevano più o meno la stessa età e si erano
sempre trovate d’accordo nel
lamentarsi – come ogni dipendente che si rispetti –
del loro capo Dante (e in
particolare del suo simpatico figlio Cage) e nel ridere di tutte le
piccole
avventure che vivevano alla galleria; Il
mistero degli yogurt rubati rimaneva però il loro
preferito in assoluto.
Una volta terminato il pranzo, Clarke stava per alzarsi e tornare al
lavoro,
quando Maya la bloccò con un sorriso che le illuminava i
suoi brillanti occhi
da bambina.
«Ho
sentito che Madi vuole fare scherma?» A quelle parole, Clarke
ricambiò il
sorriso con spontaneità. Era facile condividere con Maya le
piccole gioie che
le dava sua figlia.
«Oh
sì. Si è fissata con il voler diventare una
principessa guerriera, e chi sono
io per fermarla?» Maya scoppiò a ridere e le
appoggiò una mano sulla spalla
«Beh, con una madre fantastica come te, era ovvio che avrebbe
deciso di fare
qualcosa di letteralmente favoloso.»
Clarke rise con lei e si alzò definitivamente dal tavolo,
raccogliendo il
contenitore del suo pranzo. Era ora che lei e Maya tornassero al
lavoro.
Altrimenti chi l’avrebbe sentito Wallace?
***
Quel
mercoledì mattina, Clarke si fermò con
l’auto davanti alla scuola di Madi come
ogni giorno, poi si slacciò la cintura e si girò
verso sua figlia.
«Allora»
disse, guardando Madi dritta negli occhi. La bambina si
slacciò la cintura come
sua madre e sorrise a Clarke, cartella tra le braccia e zainetto con le
scarpe
da ginnastica tra le gambe «Ripassiamo le regole»
Madi
annuì e chiuse gli occhi, come per ricordarsi quello che
doveva dire «Aspetta dentro
la scuola finché non arriva papà»
cominciò «Ringrazia papà non appena lo
vedi, dagli tanti tanti tanti bacini
così lo conquisti e non borbotta tutto il tempo»
dicendo quelle parole, Madi si
mise a ridacchiare. Clarke sorrise e le fece cenno di andare avanti
«Siedi in
silenzio e in “modo composto”»
mimò le virgolette con le dita atteggiandosi
come Clarke, facendola scoppiare a ridere «durante tutto il
viaggio, ti comporti
bene anche quando arrivi in palestra, ti presenti
all’insegnante e ai compagni,
non prendi in giro nessuno ma sei amichevole e simpatica come sempre perché sei la bambina più
bella e
meravigliosa del mond-»
«Ehi!»
protestò Clarke fingendosi indignata «Questo non
faceva parte delle regole!»
Madi ridacchiò e guardò sua madre con i suoi
occhi luminosi «Però è vero»
ammise Clarke, e le diede uno schioccante bacio sulla guancia.
«Cihihihihih»
Madi si coprì la bocca con
le mani, cercando di non far sentire la sua risatina. Diede anche lei
un bacio
a Clarke e la stritolò in un abbraccio forte forte, quindi
prese cartella e
zainetto e se ne andò a scuola, sbattendo la portiera della
macchina.
Clarke
abbassò il finestrino del passeggero «Ti paiono
questi i modi?» la rimproverò;
ma stava sorridendo. Madi si girò un attimo per salutarla
con la mano, poi se
ne andò con i suoi amici.
Clarke
sospirò, guardandola entrare a scuola. La
mia bambina. Certe volte l’amore che provava per
sua figlia la
sopraffaceva. Non poteva che restare a guardarla, sorridendo,
ringraziando dei
pagani e non per essere stata benedetta con un regalo così
meraviglioso. Dal
disastro che era stata la sua relazione con Finn era nato il
più prezioso dei
suoi gioielli; Clarke sarebbe sempre stata immensamente riconoscente a
Finn per
averla aiutata a creare la fantastica bambina che era Madi.
Datti
un contegno, Griffin, si rimproverò da sola.
Scosse la testa e si
riallacciò la cintura, per poi ripartire per andare al
lavoro.
Quella
giornata alla galleria d’arte fu pesantissima: la nuova
esposizione aprì
proprio quella mattina, e un fiume di visitatori non diede a Clarke e
ai suoi
colleghi neanche un attimo per respirare. Scolaresche urlanti che
dovevano
essere sempre tenute a freno, curiosi troppo
curiosi che cercavano di toccare le opere… Clarke
già a mezzogiorno non ne
poteva più. Gli unici visitatori che Clarke amava erano gli
studenti d’arte,
che si sedevano con il loro seggiolino davanti alle tele o agli
allestimenti,
blocco da disegno alla mano, e studiavano quelle mirabolanti creazioni,
riproducendole e modificandole secondo la loro immaginazione, cercando
di
assorbire quanta più tecnica possibile. Clarke stessa era
stata una di loro,
ormai diversi anni prima. Ma ricordava ancora alla perfezione la
passione e l’impegno
che ci aveva messo in ogni lavoro che aveva completato quando ancora
stava
studiando. Da un certo punto di vista,
però, sto ancora imparando. Non appena aveva un
attimo di pausa, Clarke si
ritrovava ad osservare estasiata le varie opere.
La
sera, comunque, giunse più in fretta di quanto Clarke avesse
potuto pensare, e
con essa la fine della sua giornata di lavoro. Clarke tornò
a casa stravolta e
decise di ordinare una pizza per lei e Madi. Ma prima, aveva bisogno di
un
lungo bagno rigenerante.
Quando
uscì dal bagno pieno di vapore erano ormai le otto e mezza,
e sia Madi che la
pizza sarebbero arrivate da un momento all’altro. Clarke si
mise già in pigiama
e controllò il cellulare. C’erano svariati
messaggi nel gruppo che Octavia
aveva creato insieme al suo fidanzato Lincoln, a Bellamy e la sua
ragazza Echo,
e a Raven. Tutti erano entusiasti per un’uscita quel sabato
sera di cui Clarke,
in tutta onestà, non voleva nemmeno sentire parlare. Se il
giorno dopo fosse
stato così pesante come quello appena passato, Clarke
sarebbe arrivata al
venerdì allo stremo delle forze e avrebbe
senz’altro trascorso il sabato in
pantofole, riempiendosi lo stomaco di cibo take away.
“Ragazzi
io passo” scrisse infatti sul
gruppo. Tutti protestarono. Clarke alzò gli occhi al cielo,
e scrisse che ci
avrebbe pensato. Era troppo stanca persino per discutere con i suoi
migliori
amici.
Posò
il cellulare sul comodino quando sentì il campanello della
porta squillare. Madi. Clarke non
vedeva l’ora di
rivederla e ascoltare tutte le storie delle sue piccole avventure
quotidiane. Ma soprattutto, le
sarà piaciuta la sua
prima lezione di scherma?
Madi
si fiondò su Clarke non appena aprì la porta.
«Mamma!» gridò, saltandole
addosso e abbracciandola forte forte «Ho conosciuto una
principessa guerriera!
Ho conosciuto una principessa guerriera!»
Clarke
la prese appena in tempo, stringendola a sé «Oh,
ma quanto sei pesante! La mia
bambina sta crescendo!» O forse
sono io
che sto invecchiando. Clarke non ci voleva neanche pensare.
Madi
le tirò uno schiaffetto sulla spalla «Mamma! Non
mi ascolti? Ho conosciuto una
principessa guerriera!»
«E
tra un attimo mi racconterai tutto» Le diede un bacio sulla
guancia e la fece
scendere a terra «Adesso va’ dentro, che io e
papà dobbiamo parlare un po’»
Madi raccolse cartella e zainetto da terra e saltellò in
casa, andando a
guardare i cartoni come sempre. Clarke si appoggiò allo
stipite della porta,
incrociò le braccia e trattenne un respiro.
«Allora?»
chiese a Finn «Cosa ne pensi?»
Finn
si passò una mano tra i capelli, e la guardò
dritta negli occhi «Il posto è
carino, e le insegnanti sembrano a posto. Sono circa una quindicina di
bambini.»
«Ma?»
chiese Clarke, aspettandosi già una brutta risposta.
«Ma
lo sai che non approvo questo comportamento»
Clarke
alzò gli occhi al cielo «Quante volte te lo devo
dire, Finn? È una bambina, e i
bambini sognano. È normale che abbia delle fantasie, e se
anche cambiasse idea
tra quindici giorni non ci sarebbe nulla di male. E poi le prime
lezioni di
prova sono anche gratis! Qual è il problema?»
Finn
serrò i denti, la guardò serio per qualche
secondo, poi abbassò lo sguardo.
Clarke seppe di avere vinto, almeno quella sera.
«Vedremo.
Adesso devo andare» disse Finn. Si salutarono, e lui se ne
andò.
Clarke
chiuse la porta e si fermò lì davanti. Quella
mezza discussione le aveva
lasciato l’amaro in bocca. Ma si impose di lasciar perdere,
ed essere felice
per la sua bambina.
Dopo
una decina di minuti arrivò anche la pizza, e Clarke e Madi
poterono mangiare.
«Quindi?»
chiese Clarke tra un boccone e l’altro di quella buonissima
pizza con salsiccia
e patatine fritte «Raccontami tutto!»
Madi
spalancò gli occhi e inghiottì il più
in fretta possibile il suo boccone, poi
si mise a parlare a raffica
«Hoconosciutounaprincipessaguerriera! È la mia
insegnante! È bellissima e bravissima e combatte come una
vera principessa
guerriera! Ha fatto come te! ZAM ZAM ZAM!»
una patatina volò dall’altra parte della cucina
per la foga con cui Madi stava
raccontando, facendole scoppiare entrambe a ridere a crepapelle. Madi
si alzò
dallo sgabello e raccolse la patatina, poi andò a buttarla
nel cestino.
Saltellò per tornare al suo posto, eccitata «Mamma
io voglio essere come lei! È
troppo bella e brava e fantastica e aaaaahhhhh»
gridò ricordandosi una cosa «Alla fine della
lezione ha combattuto con Anya e
ha vinto!» E chi è
questa Anya?, si
chiese Clarke. Un’altra insegnante?
«L’ha
fatta cadere a terra e le ha puntato la spada sul collo come nei
film!»
A
quelle parole, Clarke si rabbuiò «La
spada? Ha usato una spada vera?» Non voleva che sua
figlia andasse vicino a
cose così pericolose.
«Ma
no mamma!» la prese in giro Madi ridacchiando «Una
spada finta! Lei e Anya
fanno delle recite dove si vestono come si vestivano nella storia, da
cavalieri
e principesse! Voglio andare a vederle un giorno!»
Clarke
finì la sua fetta di pizza e ne prese un’altra:
aveva una fame da lupi
«Vedremo, vedremo. Intanto sono contenta che ti sia piaciuta
la prima lezione.
Ti sei comportata bene con papà?»
Madi
annuì masticando con la bocca piena come uno scoiattolo
«Sono stata
bravissima!»
Clarke
scosse la testa, sorridendo amorevolmente.
Sicuro. Ma era felice che la sua bambina fosse
così entusiasta. La rendeva
contenta di riflesso, vederla così animata ed eccitata. I
suoi occhi si
coloravano di una luce bellissima, e le sue guance si tingevano di
rosso per il
fervore con cui parlava. Sembrava davvero una principessa.
Speriamo
solo che questa volta la sua
passione duri più del solito.
***
Clarke
si mise davanti allo specchio, rossetto alla mano e tacchi
già ai piedi.
Maledetti i suoi amici. L’avevano costretta a mettersi in
tiro e uscire, alla
fine. Era sabato sera e Clarke non aveva esattamente voglia di passare
le ore
successive bevendo e ballando; aveva male le gambe da una giornata
passata in
piedi alla galleria, e anche se l’assalto dei visitatori si
era ridotto dopo i
primi due giorni, era stata comunque una giornata faticosa. Il divano e
i
popcorn la stavano chiamando prepotentemente. Ma lei invece aveva
deciso di
dare ascolto ai suoi amici, e tirare su la cerniera del tubino nero che
indossava. Una serata fuori avrebbe potuto essere divertente; e poi
erano
secoli che non vedeva i suoi amici, tra lavoro, Madi e tutto il resto.
Clarke
si mise il rossetto scarlatto che aveva scelto e si sistemò
un po’ i capelli,
poi prese la pochette con dentro cellulare e soldi, e scese le scale
– facendo
attenzione a non cadere con quei tacchi vertiginosi che non
stavano già ammazzando i suoi piedi, proprio no.
Raven la stava
aspettando in macchina.
«Ciao
bellezza!» la salutò Raven quando Clarke
aprì la portiera della macchina.
«Tu
e Bellamy mi dovete un favore, sappiatelo» disse, senza
neanche salutare la sua
migliore amica.
«Ma
per favore! Al massimo sei tu che ci devi ringraziare. Cosa avresti
fatto se
non fosse stato per noi? Film e popcorn come una donna di
mezz’età?» Mannaggia.
Perché Raven la conosceva
così bene? «Scommetto che avevi già
scelto il film»
«Pretty
Woman è un classico» tentò
di
difendersi Clarke mentre Raven metteva in moto la macchina e si avviava
verso
il club che avevano aperto da poco a qualche chilometro dalla
città, The Dropship.
Raven scoppiò a ridere, ma
non disse nulla.
Il
viaggio fu tranquillo, tra chiacchiere, musica e risate. Arrivarono al
club
senza nemmeno accorgersene. Quando scese dalla macchina, Clarke non si
sentiva
più stanca. L’energia le vibrava nelle ossa,
insieme all’eccitazione per una
serata diversa dalle solite.
Gli
altri le stavano già aspettando e avevano preso un tavolo
con delle poltroncine
basse rosso scuro. La musica impazzava a tutto volume, e
c’erano già molte
persone che si scatenavano sulla pista da ballo.
Clarke
salutò tutti quanti e insieme ordinarono da bere. La musica
era quella giusta e
la compagnia era tra le migliori. Forse
ho fatto bene a non chiudermi in casa, pensò
Clarke sorridendo ai suoi
amici che avevano già iniziato a ridere e chiacchierare. Una volta tanto ci sta un po’ di
divertimento.
***
Quattro
drink e tanto divertimento dopo,
l’argomento venne fuori.
«Tu
e Raven siete le uniche non ancora accasate!»
cominciò Octavia sorseggiando dal
suo bicchiere «Dobbiamo assolutamente trovarvi
qualcuno!»
«Io
non sono accasata con Bellamy» le fece notare Echo,
sopracciglio alzato e
sorriso malandrino. Nessuno sapeva esattamente cosa ci fosse tra quei
due.
Erano sicuramente andati a letto insieme più di una volta,
ma per quanto
riguardava l’accasamento,
Clarke non
ne era del tutto certa. Erano stati conoscenti per molto tempo prima di
iniziare a frequentarsi e ancora si muovevano in acque sconosciute.
Stava
germogliando qualcosa di bello, però, di questo era sicura
al cento percento. E
poi voleva troppo bene a Bellamy per non volerlo vedere innamorarsi di
qualcuno, piano piano. Era come un fratello per Clarke.
«Va
bene, va bene» concedette Octavia, alzando le mani in segno
di resa. Lincoln,
accanto a lei, scuoteva la testa divertito «Ciò
non toglie che loro due siano
le uniche senza accompagnamento»
Raven
nascose la testa tra le braccia appoggiate al tavolo «Non se
ne parla neanche»
borbottò; ma nella sua voce Clarke riuscì a
riconoscere un sorriso.
Per
lei invece… beh, per lei quello era un grande, grosso,
grasso NO. Da quando aveva lasciato
Finn non le
era nemmeno passato per la testa di trovare qualcun altro.
C’era stata quella
piccola storia-non-esattamente-storia (quando Madi non poteva sentirla
la
chiamava “scopamicizia”) con Niylah, ma mai nulla
di serio.
«Ragazzi,
io ho Madi» disse infatti, girando la cannuccia nel suo drink
«Non mi serve
altro» Ed era vero; la sua bambina la completava, il suo
cuore non aveva
bisogno di un’altra persona. Certo, se fosse capitato per
caso non si sarebbe
tirata indietro, ma andare fisicamente a cercarlo? No,
decisamente no.
«Pff,
ma per favore» disse Bellamy, supportando sua sorella
«Anche per te ci vuole
qualcuno!»
E
così cominciò la caccia.
La
prima preda fu un certo Jason, amministratore delegato di
un’azienda di cui
Clarke non aveva mai sentito parlare ma che secondo lui era leader del
mercato
nel suo settore. Già questo non era andato molto a genio a
Clarke. A guardarlo,
aveva l’aspetto di uno che se la faceva con la segretaria di
nascosto dalla
moglie. Non ispirava molta fiducia.
Fu
poi il turno di Mark, il barista del club, ma era troppo indaffarato
per
prestare attenzione solo a Clarke. Ad un’occhiata
più attenta, si poteva notare
come tentasse di flirtare con tutti per ottenere mance più
generose.
Clarke
non ci stava provando per davvero. Parlava con quegli sconosciuti solo
per fare
piacere ai suoi amici, ma avrebbe preferito di gran lunga rimanere con
loro a
chiacchierare e divertirsi, rispetto a parlare con qualcuno che era
interessato
solo alla profondità della sua scollatura.
Capì
che forse era meglio smetterla quando i suoi amici la introdussero a
una donna
affascinante che catturò la sua attenzione. Dopo un drink
passato a
chiacchierare a bassa voce con i corpi che lentamente si avvicinavano,
era
arrivato suo marito. I due avevano chiesto a Clarke se avesse voluto
continuare
la serata a casa loro. Un campanello d’allarme era risuonato
nella testa di
Clarke. Mayday mayday mayday abbandonare
il campo IMMEDIATAMENTE!
Inutile
dire che Clarke trovò una scusa per allontanarsi
elegantemente e tornare dai
suoi amici. Non prima di aver preso Raven per le orecchie.
«Scusa
scusa scusa scusa scusa non lo sapevooooo» tentò
di salvarsi Raven, ma invano.
Clarke non sapeva se mettersi a ridere o a piangere.
Quando
i suoi occhi incrociarono la figura alta e vagamente fastidiosa di Cage
Wallace
mentre l’uomo ordinava da bere al bar, Clarke fu sicura che
era meglio andare a
ballare. O ancora meglio, andare
direttamente a casa.
Andarono
a ballare.
Clarke
era decisamente un po’ brilla – okay, forse
più che brilla – per tutti i drink
che aveva bevuto (uno per ogni persona con cui i suoi amici avevano
tentato di
accasarla, più i quattro che aveva bevuto con loro). La sua
percezione del
mondo era un po’ sfasata. Il club le sembrava essersi
trasformato in un oscuro
paese delle meraviglie, tra vapori assuefacenti e colori bui, sudore
sulla
pelle di sconosciuti, risate, grida. Clarke si sentiva come Alice,
persa alla
ricerca del suo bianconiglio. La musica le riempiva le orecchie e si
sostituiva
al sangue nelle sue vene, e lei la seguiva incantata, ad occhi chiusi,
ballando
come se non ci fosse stato nessun altro. Niente Octavia, Bellamy,
Raven,
Lincoln, Echo; niente sconosciuti che si dimenavano a ritmo.
C’era solo lei.
Fu
allora che accadde.
Clarke
inciampò su qualcosa di non specificato e atterrò
tra le braccia di qualcuno in
un urlo.
«Altro
che principe sul destriero bianco» disse una voce resa roca
dai fumi del club.
Clarke sentì un brivido partirle dalla nuca e scenderle
lungo tutta la scena,
lasciandola senza fiato. Si rimise in piedi a fatica, le braccia dello
sconosciuto ancora solide attorno alla sua vita.
Solo
che non era uno sconosciuto, ma una sconosciuta.
La
sconosciuta più bella che Clarke avesse mai visto.
La
fissò a bocca aperta mentre la donna l’aiutava a
sistemarsi, le tirava su la
spallina del vestito che le era scesa lungo il braccio, in un gesto
così intimo
che fece affluire il sangue al viso di Clarke. La donna rise, e gli
occhi le si
chiusero in una linea sottile. Le luci del club illuminavano a
intermittenza
quel volto d’angelo.
Gli
occhi chiari e luminosi.
Flash.
I
capelli come un’onda castana che le scendeva lungo la spalla.
Flash.
Le
labbra dipinte di un rosso acceso.
Flash.
Le
gambe infinite, che si allungavano sinuose su dei tacchi a spillo dello
stesso
colore del rossetto.
Flash.
«Scusami»
disse Clarke quando ritrovò la forza per parlare. La donna
lasciò cadere le
braccia, ma non accennò ad allontanarsi dallo spazio di
Clarke. Rimasero
vicine, respiri che quasi si mescolavano, dita che si sfioravano ad
ogni
battito di cuore.
Perché
il mio cuore sta ancora battendo,
certo,
pensò Clarke mentre continuava
a guardare l’altra.
«Credo
che tu mi debba un drink» disse la donna con voce suadente e
un mezzo sorriso.
Anche Clarke sorrise, imbarazzata da quella situazione ai limiti
dell’assurdo.
Si sentiva come un’adolescente alle prese con la prima cotta.
Clarke
annuì, senza staccare gli occhi dalla donna. Quella la prese
per mano e insieme
si avviarono per uscire da quel marasma di persone che ballava sulla
pista da
ballo. Clarke si girò appena in tempo per vedere i suoi
amici scomparire tra la
folla, ma la stavano tutti guardando con pollici alzati e voci di
incoraggiamento. Clarke scosse la testa e sbuffò divertita,
e strinse la presa
sulla mano della donna.
Non
arrivarono mai al bar.
Il
bagno era più vicino.
La
donna non controllò neanche che il bagno fosse libero da
occhi indesiderati
prima di spingere Clarke contro la porta e baciarla.
E che
bacio.
La
donna si avventò sulle labbra di Clarke, la lingua che
danzava sui suoi denti
spingendo, spingendo. Clarke si ritrovò senza fiato e non
seppe cosa fare se
non ricambiare il bacio. Il cuore era schizzato in una corsa disperata
che
sembrava terminare fuori dal corpo di Clarke. Ma a lei non
importò. Chiuse gli
occhi e baciò la donna con passione, mani che afferravano
lembi di vestito,
lingue che si scontravano, gemiti che lasciavano le labbra tormentate.
La donna
le prese il viso tra le mani e continuò a baciarla
finché entrambe non persero
il fiato. Poi scese giù lungo il collo, baciando, mordendo,
marcando la pelle
di Clarke con segni dolcissimi. Clarke gemette e la spinse un poco per
farla
allontanare. La donna obbedì e si allontanò,
occhi confusi.
«Almeno
dimmi il tuo nome?» disse Clarke cercando di respirare a
pieni polmoni, ma
suonò più come una domanda.
La
donna rise. «Non è più divertente
così?» Clarke si morse il labbro, e
annuì.
Aveva il fiato corto. Dannazione, Clarke,
sei una madre. Datti una regolata.
Da
quando in qua la sua coscienza era diventata così fastidiosa?
Una
storia di una notte non aveva mai fatto male a nessuno. E poi, Madi non
lo
sarebbe mai venuto a sapere.
«Ti
prego, dimmi che ti posso portare a casa, è da tutta la sera
che tento di
parlarti» disse la donna, guardando Clarke dritta negli
occhi. Alla luce
stabile del bagno pareva ancora più bella. Aveva un viso
gentile, e degli occhi
verdi intelligenti che le esprimevano rispetto e comprensione. Se
Clarke avesse
detto di no, non ci sarebbe stato alcun problema. Lo si leggeva
chiaramente sul
suo volto.
Clarke
sorrise.
E
disse di sì.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo Tre: Cenerentola (parte uno) ***
Buonsalve
amici lettori! Innanzitutto
volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito questa storia o
l’hanno
inserita nelle liste, siete veramente in tanti! Il calore con cui
questa storia
è stata accolta mi rende veramente molto felice.
Seconda
cosa, forse un pochino meno
piacevole… sono sommersa dal lavoro per
l’università e non sono riuscita a
completare la scrittura del terzo capitolo come promesso in una
risposta ad una
recensione. Dato però che non volevo lasciarvi a bocca
asciutta per troppo
tempo, ho deciso di pubblicare la prima parte adesso, e di scrivere nei
prossimi
giorni la seconda parte e di pubblicarla una volta pronta. In questo
modo
avrete due capitoli un po’ più corti
(più o meno la metà del solito) ma più
vicini nel tempo. Col quarto capitolo – università
permettendo, dato che già la
settimana prossima ho due esami, poi a giugno inizia la
sessione… uff! –
dovrebbe tornare tutto normale.
Spero
che questa mia decisione non vi
dispiaccia!
Intanto
godetevi la prima parte del
terzo capitolo 😊
Baci,
Charlie
CAPITOLO
TRE: CENERENTOLA (PARTE UNO)
Clarke si
svegliò in un letto non suo. Ci mise un po’ ad
accorgersene, i residui di tutto
l’alcol che aveva bevuto la sera prima le martellavano la
testa senza sosta. Ma
le differenze erano evidenti: luce diversa, colori diversi, odori
diversi. E
soprattutto, Clarke non dormiva mai sul lato sinistro del letto. Quello
era di
Madi quando faceva i brutti sogni, il più lontano dalla
porta nella sua camera a casa sua.
Dove
apparentemente non era, in quel momento.
«Ma
che
diavolo-» borbottò senza capire, la luce che
entrava dalle grandi finestre le
feriva gli occhi. Si passò una mano sul volto, come per
cercare di scacciare la
confusione.
Si
girò di
lato.
E
la vide.
C’era
una
donna che dormiva accanto a lei nel letto, nuda. Era bellissima. Il
profilo
perfetto del naso le impreziosiva il volto, le lunghe ciglia che le
accarezzavano le guance sembravano tremare. Ad ogni respiro che usciva
dalle
sue labbra piene e perfettamente disegnate, l’aria faceva
alzare una ciocca di
capelli castani che era finita a coprire parte del suo viso
d’angelo. La
schiena nuda era coperta sulla vita da un lenzuolo rosa pallido, e una
gamba
affusolata si allungava lungo il materasso, lasciando poco spazio a
Clarke.
Clarke la osservava ammaliata, senza sapere chi fosse né
come avesse fatto a
ritrovarsi nel letto con una donna dalla bellezza così
celestiale.
Questa volta
i ricordi impiegarono più tempo per riaffiorare. Clarke
restò a guardarla
dormire per quello che le parve un tempo infinito, senza sapere cosa
fare né
cosa dire. Si sentì un po’ una stalker, a guardare
una sconosciuta mentre
dormiva, così aperta e indifesa. Ma era troppo bella per
staccarle gli occhi di
dosso. E poi la stanza non le diceva niente se non quello che aveva
già
intuito: i loro vestiti sparsi ovunque, una delle sue scarpe persa
lungo il
corridoio che Clarke riusciva a vedere se si piegava un po’
in avanti; il
minimalismo con cui era arredata la camera le fece pensare a qualcuno
di
solitario, che non viveva con la sua famiglia. Niente foto
né alcun segno che
quella stanza fosse realmente abitata, se non nel letto.
Clarke
rimase lì, ferma e confusa sul letto, per minuti e minuti e
minuti e minuti e –
I ricordi si
avventarono su di lei come avvoltoi sulla carcassa di un animale.
«Credo
che tu mi debba un drink»
disse la donna con voce suadente e un mezzo sorriso.
La
donna non controllò neanche che il
bagno fosse libero da occhi indesiderati prima di spingere Clarke
contro la
porta e baciarla.
«Almeno
dimmi il tuo nome?» disse Clarke
cercando di respirare a pieni polmoni, ma suonò
più come una domanda.
La
donna rise. «Non è più divertente
così?»
«Ti
prego, dimmi che ti posso portare
a –
«Oh
merda»
Clarke
impanicò.
Era andata a
letto con una sconosciuta.
Era
andata a letto con una
sconosciuta.
ERA
ANDATA A LETTO CON UNA
SCONOSCIUTA.
E dio, se le
era piaciuto.
Clarke
nascose il viso tra le mani, trattenendo a stento un urlo isterico. Era
andata
a letto con una sconosciuta e le era piaciuto. L’eccitazione
del mistero, il
fatto che tutto sarebbe svanito con il sorgere del sole, e
quella cosa che mi ha fatto con la lingua là sott–
Clarke si
impedì di pensare oltre. Non aveva nulla contro le storie di
una notte; il
problema era che non erano mai state per lei. Per Clarke il sesso non
era solo
sesso. Certo, con Niylah lo era stato, ma quello era stato un periodo
di
debolezza dopo essersi lasciata con Finn; aveva sentito terribilmente
la
mancanza di un corpo accanto al quale dormire la notte, una spalla su
cui
appoggiarsi nei momenti di stanchezza, una persona su cui contare e
nella quale
rifugiarsi quando fuori era buio. Ma avevano mutualmente deciso di
troncare la
storia prima che potesse evolvere in qualcosa di più. Lei e
Niylah erano
comunque rimaste amiche; si vedevano ancora per un caffè, di
tanto in tanto.
Quello che
era successo quella notte, però, era tutt’altra
storia. L’alcol le aveva
completamente assopito la ragione; l’istinto aveva preso il
sopravvento,
trasformandola in qualcosa che non era. Clarke seguiva sempre la sua
coscienza.
Non era una donna che si lasciava prendere dal momento e dalle
emozioni. Era
un’artista, ma il suo lato razionale aveva sempre avuto la
meglio nella sua
vita reale. Era un controsenso vivente, lo aveva saputo fin da bambina.
Era
sempre stato così.
Ma non
quella notte.
Non
questa notte.
Clarke si
alzò di scatto dal letto, accorgendosi soltanto in quel
momento di essere nuda
anche lei. Si girò verso la donna che dormiva, imbarazzata;
ma era ancora
profondamente addormentata. Riavendosi, raccolse le sue mutandine e se
le infilò
alla velocità della luce, saltellando su un piede. Ma dove è finito il reggiseno? Lo
vide all’inizio del corridoio,
proprio accanto allo stipite della porta. Messo anche quello,
recuperò il
vestito e se lo infilò dalla testa, senza pensare. Lo
tirò giù fino ad una
lunghezza accettabile e si guardò intorno, cercando altre
cose che le
appartenessero. Ma la stanza era vuota di lei. Adesso, soltanto il suo
lato del
letto stropicciato poteva tradire la presenza di un’altra
persona nella camera.
Recuperò
la
prima scarpa nel corridoio ed entrò nel soggiorno alla
ricerca della seconda.
Vide che la sua borsetta era per terra accanto al divano, ma della
scarpa
nessuna traccia. Clarke si fermò per pensare, cercando di
ripercorrere con la
memoria quella notte. Per quanto la facesse vergognare, doveva farlo:
quelle
erano le sue décolleté preferite e non se ne
sarebbe mai andata senza averle
trovate entrambe.
Allora,
Clarke, pensa un po’. Cosa è
successo? Clarke non
aveva molti ricordi di quella notte, in realtà. Dal taxi che
avevano preso per
andare a casa della donna, le memorie di Clarke erano confuse e
annebbiate.
Ricordava la foga dei baci, le unghie, i denti. I gemiti.
La
donna la spinse facendola cadere
all’indietro sul letto. Clarke si morse il labbro, guardando
quella dea scesa
dal cielo. Le si sedette a cavalcioni sulle gambe, cingendo la vita di
Clarke
con le braccia. La baciò con passione, senza remore,
avventandosi sulle sue
labbra con famelica attenzione, poi scese giù,
giù, lungo il collo,
marchiandolo con morsi che fecero sussultare Clarke. La donna rise, una
risata
sottovoce, sexy come non mai. Un brivido partì dalla schiena
di Clarke
facendola tremare da capo a piedi. La donna le abbassò le
spalline del vestito
e la guardò negli occhi, aspettando la conferma che stava
cercando.
«Stai
cercando questa per caso?»
Clarke
urlò
e si voltò di scatto, spaventata a morte.
Non era
più
sola.
C’era lei.
Indossava
una vecchia t-shirt di un blu scolorito tendente al verde smorto. Aveva
i
capelli tutti arruffati, e delle occhiaie che tradivano la notte appena
trascorsa.
È
comunque bellissim-
In mano
aveva la scarpa mancante di Clarke.
Merda.
Già,
merda.
«Vogliamo
fare Cenerentola e il principe azzurro o posso offrirti un
caffè e possiamo
parlare?» chiese la donna con un sorriso storto che fece
sciogliere Clarke.
Clarke aveva un debole per i sorrisi storti. Era stato quello che
l’aveva fatta
cadere ai piedi di Finn. Guardò prima la scarpa che la sua sconosciuta teneva tra le mani, poi
il suo viso, poi di nuovo
la scarpa, poi il suo viso ancora, in un circolo vizioso che stava
facendo
andare in fumo il cervello di Clarke. Non sapeva cosa dire, non sapeva
cosa
fare. La sua coscienza le gridava di scappare, di scappare il
più in fretta
possibile senza voltarsi più indietro, di scappare e tornare
alla sua
normalità, perché un altro sguardo a quegli occhi
chiari e non ce l’avrebbe più
fatta. Sarebbe caduta nella tela del ragno e, come un’ingenua
farfalla, non ne
sarebbe più uscita.
Dall’altro
lato, qualcosa dentro di lei le diceva di restare. Perché in
fondo un caffè non
significava nulla, no? Avrebbe potuto tranquillamente andarsene dopo
aver
recuperato la sua scarpa e aver bevuto una tazza di caffè di
cui sembrava avere
disperatamente bisogno.
Pensa
a Madi, Clarke.
E
se una volta pensassi anche a me?
Il copione
della sera precedente si ripeté.
Clarke
sorrise imbarazzata, si sistemò i capelli dietro le orecchie
e annuì.
Anche la
donna annuì, e si avvicinò a lei. Le porse la
scarpa, che Clarke prese
lentamente. Quando entrambe ebbero la mano sulla scarpa, si guardarono.
C’era
qualcosa di strano, nello sguardo di quella donna. Come una storia che
non
aveva mai raccontato a nessuno ma che urlava per scappare fuori ed
essere
divulgata al mondo. Clarke scosse la testa e si prese la sua scarpa,
infilandosela assieme a quella che già aveva. I tacchi di
prima mattina dopo
una notte del genere erano la cosa più assassina
di cui Clarke avesse mai fatto esperienza.
«Allora,
caffè?» Ripeté la donna, sorridendo
ancora.
«Caffè»
disse Clarke, annuendo.
La donna si
avviò in cucina, e Clarke la seguì con titubanza.
Si sentiva a disagio, ora che
non era l’unica sveglia. Non aveva la più pallida
idea di cosa dire alla donna
con cui aveva passato quella che molto probabilmente sarebbe stata una
delle
migliori notti della sua vita, se non la migliore in assoluto. Ma ora
che il
sole era sorto, la magia che le aveva attratte quella notte sembrava
avere
perso il suo effetto. Almeno per lei. La donna – sarebbe mai
riuscita a
scoprire il suo nome? – invece sembrava essere calma e sicura
di sé, come
quella notte.
Clarke
rimase accanto alla porta, mentre la donna accese la macchina del
caffè e si
appoggiò al bancone della cucina, guardandola.
«Allora,»
disse «Hai dormito bene, Clarke?»
Sentirla
pronunciare il suo nome fu uno shock piacevole e allo stesso tempo
terrificante.
«Come-»
le
si spezzò la voce. Clarke tossì, e la
guardò negli occhi «Come sai il mio
nome?»
La donna
scoppiò a ridere, e si portò una mano al viso per
nascondere la risata. Aveva
una luce maliziosa negli occhi, una luce che fece insospettire Clarke.
Sapeva
qualcosa che lei ignorava. La donna dopo qualche secondo smise di
ridere, e si
morse il labbro. Piegò la testa e guardò Clarke
assottigliando gli occhi.
«Davvero
non
ricordi?» chiese. Di fronte al silenzio di Clarke,
andò avanti «Non credevo
fossi così tanto ubriaca questa notte. Ti chiedo
scusa»
Quella
risposta lasciò Clarke senza parole. Crede
davvero che…?
Clarke
portò
le mani in avanti e si affrettò a fermarla «Non
devi scusarti di niente, anzi.
Non hai fatto nulla di sbagliato. Ero molto, molto, molto
consenziente»
«Di
quello
me ne ero accorta» disse la donna.
Clarke
arrossì e distolse lo sguardo. «Allora, come sai
il mio nome?» chiese,
guardando il frigorifero.
«Te
l’ho
chiesto io» rispose, e Clarke la vide con la coda
dell’occhio muoversi per
prendere qualcosa dalla credenza. Che anche lei fosse imbarazzata?
«Potrei averlo
voluto gridare mentre venivo.»
«Oh.»
Quella
conversazione stava diventando sempre più imbarazzante
secondo dopo secondo.
Clarke si grattò la testa e si guardò attorno,
sentendo il sangue affluirle
sempre di più alle guance. Ecco perché non faceva
mai sesso con gente a caso.
Odiava la mattina dopo.
La donna
versò il caffè e offrì a Clarke una
tazza come gesto di pace.
Stettero in
silenzio per un po’, ciascuna persa nei propri pensieri e
nella propria tazza
di caffè. In realtà, Clarke stava cercando di non
pensare. La sua mente
continuava a ripeterle tutti i modi in cui quella situazione sarebbe
potuta
andare storta, ma lei cercava di non darle ascolto. È
solo una tazza di caffè. Solo una tazza di caffè.
Solo una tazza di
caff-
«Allora,
Clarke» disse l’altra poggiando la sua tazza sul
bancone della cucina «Cosa fai
nella vita?»
Clarke la
guardò con gli occhi sgranati di un cerbiatto sorpreso dai
fari di un’auto,
cuore che le martellava in petto.
Il suo
cervello smise di funzionare.
E Clarke
scappò.
«Io
sono una
mamma» disse, e appoggiò la tazza sul tavolo della
cucina senza guardare la
reazione dell’altra donna «E adesso devo proprio
andare, mia figlia mi aspetta
da una mia amica» Girò la testa per una frazione
di secondo verso la donna, e
la vide con la bocca semiaperta e la tazza ferma a mezz’aria.
Merda. «Grazie per il
caffè ma devo
proprio andare»
Clarke
recuperò in fretta la sua borsetta da terra e
uscì da quella casa il più in
fretta possibile. E per fortuna che la
porta non era chiusa a chiave.
Non smise di
correre finché non ebbe superato l’isolato,
accorgendosi di non avere la più pallida
idea di dove si trovasse.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo Tre: Cenerentola (parte due) ***
Buonasera a tutti! Scusatemi
immensamente per il ritardo con cui pubblico questa seconda parte del
terzo capitolo, ma la sessione estiva mi ha travolta come un treno in
corsa. Inutile dire che sono mezza morta. Ma una volta finiti gli esami
tornerò attiva come prima!
Buona lettura :)
CAPITOLO TRE:
CENERENTOLA (PARTE DUE)
Clarke si
era appena messa il pigiama ed era pronta per andare a letto
– dopo una giornata
che l’aveva lasciata allo stremo delle forze, tra lavoro,
Madi e di nuovo
lavoro – quando il suo telefono cominciò a
squillare. Uno squillo, due squilli,
tre squilli. Clarke grugnì e afferrò il telefono.
Era Raven.
Clarke
alzò
gli occhi al cielo, esausta, ma accettò comunque la chiamata.
«No,
Rae,
non ti racconterò cosa è successo sabato
notte» disse Clarke senza aspettare
neanche una parola da parte della sua amica.
«Oh,
avanti, Clarke! Siamo come
sorelle! Non puoi non dirmelo» protestò
Raven. La sua voce era quasi sovrastata dal rumore
di musica a palla. Clarke allontanò il telefono
dall’orecchio. Che diavolo ci fa in
un locale di mercoledì
sera?
«Invece
sì
che posso» replicò Clarke «Ed
è esattamente quello che ho intenzione di fare»
In effetti, lei e Raven si comportavano un po’ come delle
sorelle;
bisticciavano dalla mattina alla sera, punzecchiandosi e lanciandosi
frecciatine e occhiatacce e ciabatte
– ma quella era stata solo una mattina molto difficile per
Clarke – ma alla fine
dei conti, si volevano un bene dell’anima.
Clarke
avrebbe ceduto, prima o poi.
(Più
prima che poi, gote rosse e
gambe che tremano e labbra che non hanno ancora dimenticato baci,
carezze,
denti, gemiti.
Ma
questo dovevano ancora scoprirlo.)
«Buonanotte,
Raven» Clarke le chiuse il telefono in faccia e
affondò la testa nel cuscino.
Aveva seriamente bisogno di una settimana di ferie dalla sua vita. O
meglio, un
mese intero. Un mese per dimenticare, un mese per finalmente smettere
di
pensare, pensare, pensare.
La
verità
era che non ci riusciva. Non riusciva a non pensarci. Si lavava i denti
guardandosi allo specchio ancora mezza addormentata, e ci pensava.
Rispondeva
educatamente all’ennesima bastardata di Cage Wallace, e ci
pensava. Andava a
prendere Madi da scuola, e ci pensava. Cercava con tutte le sue forze
di
evitare il pensiero, e quello si ripresentava ancora più
prepotentemente a
invaderle la mente, lasciandole a stento la forza di respirare.
Quella
donna.
Le stava
rovinando la vita.
Okay, forse era una dolce rovina. Ma da quando
l’aveva incontrata – in maniera alquanto improvvisa
e alquanto infuocata – la
sua vita era diventata molto più
complicata. Si distraeva al lavoro, non ascoltava Finn quando parlavano
al
telefono, aveva persino fatto bruciare di nuovo le uova a colazione,
scatenando
una risata da parte di Madi mentre una stringa di imprecazioni
(mormorate
sottovoce per non farsi sentire dalla bambina) le usciva dalle labbra.
Le
stesse labbra che avevano
assaggiato una pelle così dolce, pronunciato parole che
avevano fatto partire
una scia di brividi lungo quelle gambe bellissime, le stesse labbra che
avevano
forzato gemiti fuori da altre labbra, labbra piene e rosse e martoriate
da baci
più caldi dell’estate più afosa
che–
«BASTA»
«Mami?» Clarke
sussultò sul letto,
trattenne un grido e si voltò verso la porta.
C’era la sua bambina con un vecchio
coniglietto di peluche che la guardava con i suoi occhi grandi, velati
dal
sonno e dalla confusione «Che succede?»
Clarke
sorrise e scosse la testa «Niente, piccola mia»
Batté un paio di volte sul
materasso (sul lato sinistro, quello di
Madi) per indicarle di venire a stendersi accanto a lei. Madi
sorrise e si
accoccolò accanto a Clarke, il coniglio schiacciato tra loro.
«Brutti
sogni?» chiese Clarke, baciando la sua bambina sulla fronte e
stringendola
forte a sé.
«No»
disse
Madi, e si allontanò un pochino per guardare sua madre negli
occhi «Mamma?»
chiese, fronte corrucciata come se qualcosa la stesse mettendo in
difficoltà
«Ma secondo te io posso davvero diventare una principessa
guerriera?»
«Certo!»
esclamò Clarke con un sorriso. Perché Madi era
così indecisa? Clarke
assottigliò gli occhi e alzò un po’ la
testa «Non è che qualcuno ti ha detto
che non puoi diventarlo? Chi è stato? Voglio nomi e cognomi,
Madi»
Madi
distolse lo sguardo e arricciò le labbra, evitando gli occhi
di Clarke. Clarke
la guardò attentamente, confusa. Sta
veramente arrossendo?
«Nessuno-nessuno
mi ha detto che non posso diventarlo» disse Madi, occhi sul
suo coniglietto di
peluche «È solo che Lexa è
così brava e alta e b-bella
e quando combatte sembra una vera principessa e ha sconfitto
Anya in due mosse e io voglio essere come lei ma non so-non so se ci
riesco
mamma»
Clarke si
morse il labbro. «Madi» la chiamò, e le
mise due dita sotto il mento per
spingerla a guardarla «Madi, guardami» Con
riluttanza, la bambina alzò lo
sguardo e incrociò con timidezza quello di sua madre. Cielo, è ancora così piccola,
pensò Clarke. Ma al tempo stesso
stava crescendo, vero? La sua piccola Madi stava diventando una
ragazzina
intelligente e matura e bellissima «Lo sai che tu sei
bellissima?» le disse infatti
con un sorriso «Con questi occhioni e questo
nasino» Clarke fece finta di
infilarlo tra due dita e rubarglielo, facendola scoppiare a ridere
«Ma
soprattutto, con questo cuore grande grande grande» Madi
sorrise timidamente e
strinse il suo coniglietto, avvicinandosi ancora di più a
Clarke «Sei la cosa
più bella che i miei occhi abbiano mai visto,
Madi» disse Clarke, dandole un
bacio sulla testa e passando le dita tra i suoi lunghi capelli castani
«E
niente né nessuno dovrebbe convincerti del contrario.
Capito?»
«Hmm-mmm»
Madi mimò un sì e si strinse a Clarke.
«Mi
vuoi
parlare di questa Lexa?» Clarke guardò Madi
nascondere la testa sotto le
coperte, le punte delle orecchie rosse rosse come un pomodoro. Clarke
scoppiò a
ridere, estasiata, e diede una sbirciatina sotto le lenzuola
«Non è che
qualcuno ha una cottarella?»
«NO»
mugolò
Madi, e si nascose ancora più sotto. Clarke sorrise, un
sorriso caldo e grande
che le riempì il cuore di gioia.
«Avanti,
piccina, a me puoi dirlo! Giuro che non ti prenderò in
giro» promise Clarke,
mano sul cuore.
Madi
sbucò
da sotto le coperte con il mignolo della mano puntato dritto verso
Clarke.
«Giurin giurello?»
Clarke le
prese prontamente il mignolo con il suo «Giurin giurello,
amore»
«Okay»
Madi
saltò fuori dalle coperte e si sedette a gambe incrociate,
sguardo eccitato e
coniglietto stretto tra le braccia «È la mia
maestra di scherma ed è bellissima»
disse, e si lanciò in
un’accuratissima descrizione di questa principessa guerriera
che le aveva
rubato il cuore. Capelli castani con riflessi di miele, occhi verdi
verdi come
le più belle giornate di primavera, gambe lunghe e pronte a
scattare per un
attacco improvviso – e ZAM ZAM ZAM!,
l’avversario era già a terra sconfitto.
Più
Madi parlava,
però, più forte diventava una vocina nella testa
di Clarke che le diceva che
c’era qualcosa di tremendamente sbagliato, in tutto questo, e
che quel qualcosa
avrebbe portato alla sua rovina.
Oh,
che dolce rovina–
Ma Clarke le
diede un calcio mentale e la rispedì nella nebulosa parte
del suo cervello da
cui era venuta.
Andava tutto
bene.
Non
c’era
nulla di cui preoccuparsi.
Proprio
nulla.
***
Erano le
cinque e un quarto di mercoledì pomeriggio e Clarke era
appena uscita dal
lavoro. Finalmente i doppi turni alla galleria erano finiti: quelle due
prime
settimane della nuova esposizione l’avevano sfiancata,
riducendola a uno
straccio. A stento aveva avuto le forze per preparare da mangiare e
mettere
Madi a letto.
Clarke
salì
in macchina e, come prima cosa, si tolse le
décolleté che portava ai piedi con
un sospiro di sollievo; stare tutto il giorno sui tacchi era una
faticaccia,
anche se ci era ormai abituata. Prese la borsa dietro al sedile e
tirò fuori le
scarpe basse di salvataggio –
così le
chiamava lei – che teneva sempre in macchina. Quindi accese
il motore e si
avviò verso la palestra in centro città dove Madi
aveva lezione di scherma.
Inutile dire
che Clarke fosse curiosa: non vedeva l’ora di conoscere di
prima mano il nuovo
ambiente dove la sua bambina si stava inserendo; i resoconti di Finn
erano
esaustivi e positivi, certo, ma una mamma doveva sempre controllare di
persona.
E poi, Clarke era ancora più eccitata all’idea di
incontrare questa famosa
Lexa, spadaccina provetta, principessa guerriera e prima cotta di Madi.
Il solo
pensiero le mise sul viso un sorriso idiota che Clarke
faticò a togliersi di
dosso.
Arrivata a
destinazione, parcheggiò la macchina e scese con calma,
sistemandosi i capelli
nel riflesso del finestrino. Era in anticipo di quindici minuti. Clarke
entrò
nella palestra e chiese indicazioni alla signora che era seduta in
quella che
doveva essere una specie di segreteria. La ringraziò con un
sorriso e si avviò
lungo un corridoio illuminato con prepotenti luci al neon, poi ne
attraversò un
altro, e un altro ancora. Ma è una
palestra o un labirinto? pensò, le luci al
soffitto che la accecavano e il
male ai piedi che la tormentava. Se mi
tocca girare in un altro corridoio quasi quasi chiamo Finn e mi faccio
indicare
la strada, perché è una cosa assolutamente ridic-
Clarke
andò
quasi a sbattere contro lo stipite di una porta aperta. Si
bloccò all’ultimo
momento, la testa a un pelo dallo stipite. Strizzò un paio
di volte gli occhi,
ringraziando la sua buona stella, e volse lo sguardo verso
l’interno della
stanza.
Ciò
che vide
le fece perdere il fiato.
C’era
una
ragazza, una donna, mezza accovacciata a terra, una spada –
che Clarke sperò
con tutta se stessa fosse di scena – tra le mani, che
sembrava pronta ad
attaccare un’altra donna a qualche metro da lei. Entrambe
erano vestite con
l’equipaggiamento completo da scherma, maschera compresa, ma
anche se Clarke
non poteva vederle in faccia, i loro gesti tradivano
l’eccitazione e la
competitività dello scontro. Clarke sentì un
brivido salirle lungo la schiena,
e si strinse tra le braccia, in attesa dell’attacco imminente.
Attacco che
non si fece aspettare.
La donna
scattò contro il suo avversario e mollò un
fendente che non centrò il bersaglio
per un soffio. L’altra donna scartò
all’ultimo momento, bloccando l’attacco con
la sua arma, e si allontanò di qualche metro. Avevano
entrambe il fiatone, e si
guardavano attraverso le maschere camminando in cerchio, come se
stessero
cercando di individuare eventuali punti deboli l’una
dell’altra. La prima donna
– che Clarke aveva soprannominato nella sua testa Codina per la lunga coda castana che le
usciva dalla maschera –
provò una finta all’improvviso, ma
l’altra donna riuscì a pararla e a mettersi
a distanza di sicurezza. Clarke sentì Codina ridere;
sembrava un felino che
giocava con la sua preda, non abbastanza affamata da terminare la
caccia per
mangiare, ancora in forze per tormentare la sua preda un altro
po’.
Che
sia lei Lexa?
Clarke si
guardò un po’ intorno. Quella palestra era
gigantesca: il soffitto era
altissimo e sembravano starci due campi da pallavolo in orizzontale.
Non le fu
difficile individuare Madi; era la prima della fila di bambini che
assistevano
alla sfida, e guardava le due donne combattere con la bocca aperta e i
grandi
occhi spalancati, accesi di una luce che Clarke non aveva mai visto.
Clarke
sorrise, e vide che c’erano anche altri adulti –
presumibilmente genitori dei
bambini – seduti sugli spalti della palestra, tutti intenti
ad osservare il
combattimento.
Clarke si
rigirò verso le due donne, e si pentì di essersi
distratta: adesso stavano
combattendo con una ferocia e una velocità che Clarke non si
sarebbe mai
immaginata. Roteavano le spade all’impazzata e il rumore
delle lame che si
scontravano schioccava nel silenzio estasiato della stanza. A Clarke
tornò in
mente quello che aveva pensato la prima volta in cui aveva visto il
volantino
della scuola di scherma: sembrava stessero danzando; si muovevano con
una
precisione e una coordinazione tale da far apparire lo scontro come
un’elaborata coreografia.
E
all’improvviso accadde: con una sequenza di rapidissimi
affondi Codina disarmò
l’altra donna, la fece inciampare e cadere a terra, e le
puntò la spada alla
gola. I bambini proruppero in urla divertite e applaudirono, seguiti a
ruota
dai loro genitori. Clarke si portò una mano al petto: aveva
il cuore che
batteva all’impazzata. Non aveva mai visto nulla del genere.
Ne voleva
ancora.
Adesso
capiva alla perfezione perché Madi si fosse presa una cotta
per la sua
insegnante.
La donna a
terra grugnì delusa e batté una mano inguantata
sul pavimento, ma poi si fece
aiutare da Codina a rialzarsi. Le due donne si strinsero la mano e si
abbracciarono, per poi inchinarsi davanti ai bambini che ancora
applaudivano.
«E con
questo, ragazzi» disse la donna che era stata sconfitta
togliendosi la maschera
«La lezione è finita, potete andare a
cambiarvi» Tutti i bambini esultarono e
corsero alla porta dove c’era Clarke per andare negli
spogliatoi.
Madi
incrociò lo sguardo di Clarke e le saltò addosso,
facendola quasi cadere a
terra. Si strinse forte a lei e la riempì di bacini
«Mamma!» esclamò tra un
bacino all’altro «Oggi sei venuta tu!»
Clarke
sorrise e accarezzò la testa della sua bambina
«Certo amore mio, non potevo
mica non venire a conoscere la donna che ha rubato il cuore a mia
figlia!»
A quelle
parole, Madi le coprì la bocca con le mani e
diventò rossa rossa «Shhh, mamma!»
la rimproverò.
«Scusa,
scusa» disse Clarke ridendo. Rimise Madi per terra e con un
buffetto sulla
spalla le disse di andare a cambiarsi, mentre lei andava «a
parlare con questa famosa e bellissima Lexa». Madi
le indicò con
un sorriso timido timido che Lexa era effettivamente la donna con la
lunga coda
castana. Clarke annuì e lanciò a Madi un bacino,
che la bambina prese al volo
con un sorriso. Quindi Clarke si girò e si
avvicinò alla donna.
Lexa aveva
ancora la maschera addosso, e alcuni genitori, scesi dagli spalti,
stavano
parlando con lei e l’altra donna, che doveva essere per forza
Anya. Lexa quindi
si tolse la maschera e, con un fluido movimento come nei film, si
sciolse la
coda e scosse i suoi lunghi capelli castani. Clarke deglutì
a vuoto – doveva
ammetterlo, aveva un debole per le brune – e si
avvicinò un po’ di più.
Un cattivo
gioco del destino le fece realizzare troppo tardi di chi si trattasse.
Clarke era
ormai quasi arrivata dietro di lei, quando Lexa si voltò.
E non ci fu
modo per Clarke di nascondersi.
Incrociò
i
suoi meravigliosi occhi verdi e si bloccò
all’istante, il sangue che le si
ghiacciava nelle vene.
Perché
quella, oh, quella non era semplicemente l’insegnante di
scherma di Madi per la
quale la bambina aveva una cotta assurda.
Quella era
la donna che aveva tormentato le notti di Clarke da due settimane a
questa
parte. Era la donna che aveva irretito anche le sue giornate, la donna
che non
riusciva a togliersi dalla testa, la donna che le aveva fatto vedere le
stelle
tra le lenzuola del letto quella notte indimenticabile.
Clarke la
vide irrigidirsi e riconoscerla immediatamente.
E
Clarke…
beh.
Clarke
impanicò.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3762208
|