Il sogno di una vita

di IndianaJones25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo tempo ***
Capitolo 2: *** Secondo tempo ***



Capitolo 1
*** Primo tempo ***


PRIMO TEMPO

   Fairfield, New York, 1938

   Al numero 38 di Adler Avenue c’era una tensione elettrica e palpabile, quel sabato pomeriggio di tarda primavera.
   Da quando Indiana Jones aveva accettato il trasferimento presso il Barnett College, ai primi di settembre dell’anno precedente - firmando un contratto che lo avrebbe legato al prestigioso istituto per almeno una decina d’anni - erano accadute parecchie cose.
   Inizialmente, aveva abitato in un appartamento in centro a New York, un locale ultramoderno che aveva scelto insieme a Marion, il nido d’amore in cui avrebbe voluto trascorrere i giorni felici del loro matrimonio. Visto che, ormai, entrambi erano adulti ed avevano un’occupazione sufficientemente redditizia, avevano pensato finalmente di convolare a nozze e di diventare una famiglia. Quando lui l’aveva portata a fare una passeggiata e, tenendola per mano, le aveva chiesto di sposarla, Marion aveva pianto di gioia; con ogni probabilità, non era mai stata tanto felice in vita sua. Il mese e mezzo che ne era seguito era stato il più appassionante e colmo di attesa di cui entrambi conservassero memoria.
   Poi, però, come colto da una folgorazione, Jones ci aveva ripensato quasi all’improvviso e se n’era andato, ad una settimana soltanto dalla fatidica data; se ne era andato via in silenzio, di nascosto, timoroso di quello che avrebbe potuto fare o dire la ragazza nell’apprendere della sua imprevista titubanza. L’aveva abbandonata in un giorno di metà ottobre, senza una sola spiegazione, senza neppure lo straccio di un saluto: si era limitato ad uscire di casa ed era scomparso dalla sua vita. Lui, l’uomo che aveva affrontato ogni sorta di pericoli, che aveva vinto nemici pericolosi ed era uscito indenne - in certi casi quasi indenne - dalle situazioni più disperate, non era riuscito a trovare il coraggio di parlare con la donna che amava e di farle comprendere i propri dubbi.
   Era partito verso il cuore dell’Africa per una delle sue solite missioni, sperando che Marion si dimenticasse presto di lui. E, con l’illusione di riuscire a propria volta a dimenticarla, si era portato dietro un’affascinante ragazzina di cui conosceva a malapena il nome. Stare a contatto di quella sua studentessa, sedurla lentamente e finire con il portarsela a letto ogni sera, non era servito assolutamente a nulla: non era riuscito a togliersi Marion dalla mente, anche se questo non era bastato ad infondergli il coraggio per tornare da lei. Ancora una volta, si era comportato come la perfetta carogna che era sempre riuscito ad essere nei confronti di Marion Ravenwood.
   Certo, la sua era stata una decisione improvvisa, ma non per questo aveva voluto lasciare la ragazza nei guai, anzi aveva fatto in maniera che a Marion non mancasse proprio nulla e che non potesse mai lamentarsi di una vita scomoda; ricordando in quali condizioni fossero vissuti lei e suo padre per una decina d’anni, aveva almeno voluto non causarle nuovamente una sofferenza del genere. In gran segreto, quindi, le aveva intestato l’intero appartamento ed aveva aperto un conto in banca a suo nome, versandole buona parte dei propri averi. Non credeva sul serio che questo sarebbe stato sufficiente a placare il dolore di Marion per averlo perduto per la seconda volta ma, perlomeno, questa volta poteva fingere di aver fatto qualsiasi cosa almeno per il bene materiale della ragazza, per non abbandonarla in mezzo ai guai. In verità, dentro di sé, non poteva non continuare a ripetersi di averle spezzato il cuore - di nuovo. Né riusciva a togliersi dalla testa l’idea di essere il più immondo mostro che avesse mai calcato con il proprio piede la superficie terrestre.
   Marion, giorno dopo giorno, fin da quando l’aveva incontrata in quella catapecchia sui monti del Nepal, sin da quando gli aveva sferrato quel pugno in faccia, gli aveva dimostrato di tenere a lui, di amarlo con tutta se stessa; e lui, felice come non mai, l’aveva ricambiata, donandole tutto quell’affetto che lei meritava e che non avrebbe mai riservato a nessun’altra donna che non fosse lei. Eppure, ciò nonostante, l’aveva lasciata, di nascosto, fuggendo come un ladro, senza conoscerne bene il reale motivo neppure lui.
   Ma sapeva fin troppo bene che, in ogni caso, quella sarebbe stata l’unica via percorribile, che loro non erano fatti per stare insieme o, meglio, che lui non era pronto per la vita coniugale, per avere una famiglia. Non si sentiva in grado di affrontare qualcosa di tanto nuovo e sconosciuto. Aveva avuto paura dell’avvenire, di dover cambiare, di dover rinunciare a tutte quelle che per lui, fino a quel giorno, erano state certezze concrete. Temeva di non esserne capace; si era detto e ripetuto che, per lei, avrebbe volentieri appeso la frusta al chiodo ma, alla fine, quando era quasi arrivato il momento… no, in poche parole, aveva capito che, tra loro, non avrebbe mai potuto funzionare; aveva cercato di convincersene - parlarne con lei non sarebbe servito a nulla - sebbene quella sera fosse stata davvero dura riuscire a dirle di dover uscire un momento, dopo averla amata per l’ultima volta. Era riuscito a reprimere i propri sentimenti, a sforzarsi di alzarsi e vestirsi, mentre lei lo guardava sorridendo e con quei suoi occhi color del mare - quegli occhi indimenticabili - colmi di una gioia incontenibile al solo pensiero che lui fosse tutto per lei; le aveva dato un ultimo bacio, poi era andato nell’altra stanza ed aveva appoggiato sopra il tavolo il contratto dell’apertura del conto corrente e l’atto notarile con cui le aveva intestato l’appartamento. Niente altro, neppure un biglietto di spiegazioni, nemmeno un semplice saluto. Era tornato un’ultima volta ad affacciarsi alla porta della loro camera da letto, osservandola mentre, accarezzata dolcemente da una raggio lunare che penetrava dalla finestra, si riaddormentava; il suo volto era sereno, appagato. L’animo di Indiana Jones, invece, era roso dal dubbio e dall’incertezza. Ormai, però, non poteva più tornare indietro. Con un sommo sforzo, aveva distolto lo sguardo; non l’aveva più rivista, da quella sera.
   Mentre camminava lungo la strada deserta, si era ripetuto che, quella, era stata la scelta migliore che si potesse prendere; ed aveva deciso che, prima o dopo, le avrebbe scritto, per spiegarle come mai se ne fosse andato, per chiederle di comprenderlo; ma non contava certo in un suo perdono. Lui, almeno, non avrebbe concesso alcun perdono in una simile situazione, sarebbe stato del tutto fuori luogo ed immeritato.
   Una volta sistemato il lavoro che gli era stato affidato in Africa e fatto rientro in America, aveva preso in affitto quella casa su Adler Avenue; avendo rinunciato ad una grossa cifra per donarla a Marion, non si era potuto permettere di acquistarne una tutta sua. In compenso, oltre che sul suo stipendio di insegnante e sul denaro che, come sempre, Marcus Brody o chiunque altro gli versava quando doveva compiere una qualche missione di recupero, adesso poteva anche contare sull’entrata mensile che ricavava dalla sua casa di Bedford che, per non lasciare vuota durante la sua assenza, aveva deciso di dare in locazione; perciò, contava di riuscire in poco tempo a rifarsi di quella somma che, in fondo, era stato più che contento di regalare alla povera Marion.
   Poverina. Povera, dolce Marion, così innamorata, di cui lui stesso era ancora tanto innamorato, sebbene si ostinasse a negarlo con chiunque, prima di tutto con se stesso. Dopo averla lasciata sola per la seconda volta, si era scoperto a pensare a lei più di quanto avrebbe mai immaginato; e spesso, quando andava a letto, faticava a prendere sonno, ossessionato dall’idea di averla fatta soffrire una volta di troppo. Pensava a lei, a che cosa stesse facendo in quel momento, a quanto dovesse odiarlo in quegli stessi istanti; provava ad immaginare la sua disperazione nel non vederlo più, nel non sapere che fine avesse fatto; ed a quante nuove lacrime l’avesse costretta a versare, dopo avergliene già fatte piangere così tante quando era ancora molto giovane, poco più che una bambina. Lei doveva avere ripreso ad odiarlo e, allo stesso tempo, il medesimo Jones si odiava profondamente, sapendo ormai con certezza che sottospecie di uomo fosse. Nella vita si può fare di tutto, qualsiasi cosa è - se non proprio giustificabile - almeno perdonabile; basta non far mai soffrire una donna, specialmente una donna che ci ama, che ci ha donato il suo cuore chiedendo in cambio niente altro che di essere ricambiata. Lui, però, come molti altri, non era stato in grado di recepire questa semplice verità. Per meglio dire, l’aveva compresa quando ormai era troppo tardi.
   Proprio per questo, dunque, non aveva il coraggio di tornare indietro, perché si vergognava tantissimo di se stesso; e, nella speranza di lenire un po’ questa vergogna, aveva deciso di chiudere con il passato e di guardare sempre avanti.

   Be’, in realtà, Indiana Jones non aveva chiuso proprio definitivamente, con il proprio passato, almeno non ancora. Era proprio per quel motivo, infatti, che adesso, attorno al tavolo del suo tinello - ingombro, ovunque si guardasse, di libri accatastati e di reperti archeologici ancora da catalogare, ammucchiati qua e là sopra i mobili od alla rinfusa dentro alcune polverose vetrinette - erano riuniti alcuni uomini, che confabulavano tra loro come carbonari, sebbene fosse chiaro che nessuno, al di fuori di loro stessi, avrebbe potuto sentirli. Per sicurezza, però, avevano chiuso tutte le porte e sprangato le imposte. Erano in cinque, chini sopra alcune carte poggiate sul tavolo in mezzo ad alcuni boccali di birra. Un paio di loro si erano accesi delle sigarette che avevano riempito di fumo azzurrognolo il locale.
   Ad un capo del tavolo, sedeva il padrone di casa, Indiana Jones, con indosso una lunga vestaglia da uomo color bordò; al suo fianco, c’era poi Jock Lindsey, pilota d’aereo e suo vecchio amico, che lo aveva supportato in numerose avventure; di fronte, all’altro capo del tavolo, i capelli sempre più grigi ed un’aria decisamente seria dipinta sul volto intelligente, si trovava invece Marcus Brody, il curatore del museo del Marshall College; e, in mezzo a loro, sedevano un uomo vestito in maniera elegante, con i baffi neri e curatissimi, ed un omone che aveva l’aspetto di uno scaricatore di porto o qualcosa del genere, rivestito da una tuta blu macchiata di unto, un basco nero e floscio sulla testa e con una barba ispida e incolta ad ombreggiargli il volto rubizzo.
   «Allora, signor Lauren» disse Brody, dopo aver consultato le carte ed averle riposte in bell’ordine di fronte a sé. «Ne è proprio sicuro? Questo rapporto può essere considerato attendibile?»
   «Sicurissimo» confermò l’uomo elegante con i baffi. «La Coronado deve dirigersi verso il Portogallo per caricare alcuni fusti di un nuovissimo tipo di carbonite liquida, molto esplosiva - per inciso, un recente ritrovato chimico fabbricato utilizzando un minerale sconosciuto, scoperto all’interno di alcuni meteoriti precipitati nella penisola iberica - che il mio datore di lavoro intende utilizzare per far saltare alcune pareti rocciose in certe miniere in cui intende aprire nuove gallerie. Questa volta, però, anche lui sarà a bordo e, ciò che più conta, è che avrà la croce con sé: da quello che ho capito, dopo essere ripartita dalla costa portoghese, la nave dovrà dirigersi verso il Mediterraneo ed approdare in Spagna. Tuttavia, si è ben guardato dal riferirmi riguardo il motivo di questo spostamento.»
   Jones si alzò in piedi, incapace di contenersi e di rimanere seduto un minuto di più.
   Era tutta la vita, ormai, che inseguiva il sogno di strappare la croce di Coronado dalle mani di quel dannato ladro, ma il prezioso manufatto era sempre stato rinchiuso nella sua villa, una vera e propria fortezza perennemente sorvegliata, nella quale sarebbe stato praticamente impossibile penetrare. Inoltre, quell’uomo - un imprenditore minerario e petrolifero di chiaro successo - era così sfrontatamente ricco da poter oliare di continuo la macchina della giustizia affinché non venisse svolta alcuna indagine sulle sue altre attività, decisamente meno limpide e legali: per cui, mai nessun giudice aveva neppure pesato di emettere un mandato di perquisizione per quella casa circondata dal deserto dello Utah. Ma adesso, se Panama - non aveva mai smesso di riferirsi così a quel ladrone, per via del copricapo di paglia bianca che gli aveva sempre visto in testa - aveva tirato fuori la croce dalla sua teca per portarla con sé, forse avrebbe potuto avere almeno una possibilità, se non proprio una certezza, di riuscita.
   Lauren era l’avvocato di Panama; sfortunatamente per quest’ultimo, però, era anche un estimatore di antichità che, proprio come Jones e Brody, coltivava la sana convinzione che qualsiasi reperto dovesse essere custodito in un museo, ammirabile da chiunque e non da un solo uomo ricco e avido. Per vie traverse aveva saputo dell’ossessione di Jones, del suo voler a tutti i costi riuscire a rimettere le mani su quella croce per poterla finalmente esporre in un museo e si era, quindi, offerto volontario per passargli qualsiasi informazione necessaria. Questa, però, era la prima volta in assoluto che si palesava la possibilità di riuscire a fare davvero qualcosa.
   «Perché diavolo il vecchio Panama avrà portato con sé la croce?» borbottò l’archeologo, osservando con sguardo pensoso un quadro alla parete - una tela di Hopper raffigurante un uomo intento a leggere il giornale mentre la moglie suona il pianoforte, che gli era stata regalata come compenso per un lavoro - cercando di riflettere. «Certo non per farle prendere aria.»
   L’uomo che sembrava uno scaricatore di porto si tolse di bocca la sigaretta e bevve un lungo sorso di birra dal suo boccale, a cui fece seguire un poderoso rutto, l’unico suo commento ai ragionamenti di Jones.
   «E neppure per farle fare un giro turistico» aggiunse Jock, che a sua volta stava fumando.
   «Molto più probabile, semmai, che stia cercando di venderla a qualche collezionista europeo» suppose Brody. «Spagnolo, a giudicare dall’ultima tappa.»
   Jones si girò a guardarlo con aria allarmata. «Se le cose stessero davvero così, dobbiamo agire in fretta. Se Panama la cedesse a chissà chi, potremmo non vederla mai più, perché ci vorrebbero anni solamente per scoprire il nome del nuovo acquirente.»
   «Ho soltanto ventilato una semplice ipotesi» specificò Brody, pur sapendo di poter avere ragione. Se no, per quale motivo quell’uomo avrebbe dovuto togliere la croce d’oro e pietre preziose dalla sicurezza della sua teca per farle compiere un simile viaggio?
   Ricambiò lo sguardo dell’amico e gli lesse in volto una grande agitazione: consapevole di quanto a lungo avesse dato la caccia alla croce di Coronado, adesso - tanto vicino alla meta o ad un possibile e totale fallimento - appariva decisamente nervoso.
   «Jimmy, da quanto tempo è salpata dal porto di New York, la Coronado?» domandò Jones.
   Lo scaricatore di porto - effettivamente, era proprio quella la sua qualifica - diede un altro tiro alla sigaretta e ci pensò su qualche istante, prima di rispondere.
   «Mercoledì» grugnì.
   «Tre giorni fa» si incupì Jones, credendo che fosse ormai troppo tardi.
   Però, fattosi improvvisamente un po’ più loquace, Jimmy gli diede una buona notizia.
   «Considerando la stazza, la velocità e l’età, quella vecchia carretta della Coronado dovrebbe essere approdata proprio in queste ore in Portogallo» borbottò, rigirandosi tra le mani la sigaretta ridotta quasi ad un mozzicone. «Scommetto che, in questo momento preciso, la stanno rifornendo di gasolio, mentre caricano a bordo quella loro… come accidenti si chiama quella robaccia del meteorite?»
   «Carbonite liquida» gli ricordò l’avvocato Lauren.
   «Giusto, carbonite liquida. Secondo me, ci sarà qualche mio omologo portoghese impegnato, mentre noi parliamo, a far rotolare a bordo i fusti di quella cosa lì.»
   Con una nuova speranza nel cuore, Jones si voltò verso il pilota. «Jock?»
   Lindsey spense quello che restava della cicca in un posacenere. «Considerando che l’aereo è già pronto e se partissimo adesso, tra una dozzina di ore neanche potremmo essere in volo sulla costa atlantica del Portogallo. A quel punto, girando un po’ qua e là, dovremmo avvistare la nave. Ma poi?»
   Jones gli fece segno di alzarsi.
   «Non perdiamo altro tempo e muoviamoci, allora. Per il resto, ho un piano.»
   Tornò a guardare verso gli altri tre uomini.
   «Signor Lauren, è stato un vero piacere lavorare con lei. Le prometto che la croce sarà custodita nel museo del Marshall College entro pochissimi giorni.»
   «Gliene sono grato, dottor Jones» rispose affabilmente l’avvocato. «La sua sincera affezione per le antichità mi riempie il cuore di gioia. Mio padre, come forse le avrò già raccontato fin troppe volte, era uno storico dell’arte e mi ha trasmesso la propria passione, sebbene poi mi abbia indirizzato allo studio della legge: sosteneva che solo divenendo un bravo avvocato avrei contribuito al salvataggio del patrimonio artistico.» Sorrise sotto i baffi curatissimi. «Forse non lo sto facendo come lui si sarebbe aspettato ma, almeno, potrò raccontare di averlo ascoltato e di aver fatto anch’io la mia parte.»
   I due uomini si strinsero la mano, poi l’archeologo si rivolse allo scaricatore di porto che, avendo compreso di essere al momento dei saluti, stava tracannando in pochi sorsi ciò che restava della sua birra.
   «Jimmy, grazie di tutto» disse. «Il tuo aiuto è stato fondamentale. Spero che i soldi che Marcus ti ha dato siano sufficienti.»
   L’uomo fece l’occhiolino. «Li berrò alla salute di voi tutti e di quella croce di Coronado.»
   «Jimmy, per un po’ acqua in bocca con chiunque» si raccomandò Brody. «La nostra operazione… saprai che trascende leggermente dai limiti della legalità.»
   «Non abbia timore, dottore» rispose lo scaricatore di porto, strascicando le parole. «E poi anche io, come dice lei, trascendo i limiti della legalità praticamente ogni sabato notte e stasera non intendo essere da meno: non c’è modo migliore di finire la settimana di lavoro che svagarsela tra birra, risse e baldracche, non trova anche lei?»
   «Naturalmente» approvò Brody, restando impassibile.
   Non appena i due uomini se ne furono andati, Jones si precipitò in camera propria e si sfilò la vestaglia bordò, prima di indossare quella che, col tempo, era diventata la sua tenuta d’ordinanza: pantaloni color nocciola, camicia di lino dalla tonalità chiara, giacca di pelle scura tutta consunta, borsa a tracolla, cinturone con frusta e revolver, scarponi e cappello marrone. Impiegò solamente cinque minuti per prepararsi, poi raggiunse Brody e Jock che lo stavano attendendo.
   «Indy, fa’ attenzione» lo consigliò il curatore del museo, sistemandosi meglio la bombetta mentre salivano tutti sulla sua automobile. «Quell’uomo è potente e pericoloso. Potresti rischiare di andare a cacciarti nei guai.»
   «Non ti preoccupare, Marcus» rispose Jones. «Salirò su quella nave e ne scenderò con la croce di Coronado stretta tra le mie mani, posso assicurartelo.»
   Mentre Brody avviava il motore, Jock, seduto sul sedile posteriore, si sporse in avanti.
   «Intendi salire su quella dannata nave?» domandò, con aria scettica. «Come? Non crederai mica che possa atterrarci sopra con l’aereo, vero?»
   «Facendo un paio di calcoli, dovremmo trovarci a sorvolare la Coronado verso le tre del mattino, giusto?» chiese Jones, anziché rispondere.
   Il pilota fece a sua volta qualche veloce conto mentale. «Tenendo conto della velocità dell’aereo, del fuso orario e quant’altro… sì, più o meno per quell’ora dovremmo esserci. Ma che c’entra? Mattino, pomeriggio o sera, io non posso certo salirci sopra come se fosse una pista…»
   «C’entra che, con il favore delle tenebre, mi getterò con un paracadute a bordo della Coronado» rispose tranquillamente l’archeologo, come se fosse abituato a fare quella cosa tutti i giorni.
   Senza staccare gli occhi dalla strada, Brody borbottò che non gli sembrava una grande idea.
   «È una pessima idea!» rincarò la dose Lindsey. «Buttarsi da un aeroplano su una nave che viaggia nel buio dell’oceano… cose da pazzi!»
   «Ne abbiamo combinate di peggiori» gli rammentò Jones, con uno dei suoi ghigni sghembi.
   «Peggiori di questa non me le ricordo» sbuffò Jock, tirandosi indietro e appoggiandosi allo schienale.
   L’archeologo alzò le spalle. «Meglio, così potrai aggiungerla alla lista.»
   Per tutta risposta, il pilota mugugnò qualcosa di incomprensibile, un borbottio indistinto.
   «Prego?» fece Brody, mentre affrontava una curva.
   «Dicevo che, se almeno mi permettesse di portare con me il mio portafortuna, mi sentirei più sicuro…»
   Indiana Jones sudò freddo al solo pensiero. Bob, il “portafortuna” di Lindsey, era un pitone lungo due metri che, una volta, l’archeologo si era ritrovato in mezzo alle gambe a bordo di un aeroplano. A volte riviveva quella scena con gli occhi della mente e si sentiva ancora paralizzare dall’orrore.
   «Non se ne parla neppure!» gridò. «Bob rimane nella sua teca!»
   Finalmente, dopo una mezz’oretta di viaggio in mezzo alla campagna, arrivarono alla pista d’atterraggio personale di Jock. Era più che altro un semplicissimo lungo campo cintato, pieno di buche, in fondo al quale si trovavano un paio di hangar, una casetta di mattoni rossi a due piani che fungeva sia da torre di controllo che da abitazione, ed una pompa di carburante per il rifornimento; la pista confinava con un bacino idrico artificiale, da dove Jock decollava con il proprio idrovolante, quell’OB-CPO che in ben più di un’occasione aveva salvato Jones - e Jock stesso - per il rotto della cuffia.
   Brody superò il cancello di ingresso e fermò la macchina accanto ad uno degli hangar, da dove emerse un uomo sui trentacinque anni, in maniche di camicia, che venne loro incontro. Lindsey smontò immediatamente e lo raggiunse.
   Prima che anche Jones scendesse dall’automobile, il curatore lo trattenne posandogli una mano sul braccio, dandogli un’ultima raccomandazione. «Indy, prudenza.»
   «Ancora, Marcus?» rispose Jones, con un ghigno. «Non ti preoccupare, ho pensato a tutto! Ti chiamo appena torno, così vieni a prenderti la croce.»
   «Se riesci a recuperarla» rispose il curatore con una sottile ironia, ripensando ai tanti preziosi manufatti che Indy, nel corso della sua carriera, era riuscito a perdere, spesso quando ormai sembrava che il peggio fosse definitivamente passato.
   «Ti ho mai deluso?» disse l’archeologo, scendendo e richiudendo la portiera. Fece un ultimo cenno di saluto a Brody, che fece manovra e se ne andò, poi raggiunse Jock. L’uomo con cui il pilota stava parlando era il suo socio, Colin Williams, che in qualche occasione si era occupato di accompagnare Jones quando l’altro era impossibilitato a farlo.
   «Jones» salutò l’inglese. «Come va? Ho saputo che il tuo matrimonio è naufragato. Mi dispiace…»
   L’archeologo rispose con un’alzata di spalle. Aveva presentato Marion a Williams l’anno prima, quando il pilota li aveva aiutati per un lavoro che i due fidanzati avevano compiuto insieme, una missione pericolosa ma in cui, alla fine, si erano parecchio divertiti tutti e tre. Ripensando a quei momenti, Indiana Jones ricordò ancora una volta con un groppo allo stomaco quanto effettivamente Marion fosse l’unica donna adatta a lui; e, ciò nonostante, l’aveva lasciata ugualmente. Anzi, in quei giorni, aveva persino provato una punta di gelosia - una sensazione mai sentita prima - notando le fin troppo evidenti attenzioni e galanterie che il pilota aveva riservato alla sua ragazza. Non era il momento di pensarci, adesso, doveva concentrarsi sul momento.
   «Colin, dobbiamo partire il prima possibile. L’aereo è pronto per una trasvolata oceanica, vero?» domandò Jock.
   Williams gettò un’altra occhiata a Jones e non si stupì che il suo socio gli avesse fatto una domanda del genere: quando c’era di mezzo quell’archeologo stravagante - e, per di più, completamente pazzo, avendo abbandonato una donna tanto straordinaria - non era mai una breve gita di piacere lungo la East Coast quella che si prospettava all’orizzonte.
   «Prontissimo» rispose. «Basta che saliate e mettiate in moto.»
   I due uomini si avviarono verso uno degli hangar, seguiti dall’inglese.
   «Ci sono paracadute, a bordo?» buttò lì Lindsey, cercando di apparire tranquillo.
   «Per Dio, Jock, non dovrete mica farlo precipitare quell’aereo, vero?!» domandò l’altro, decisamente preoccupato. «Ma certo, che ci sono i paracadute.»
   Preferendo non sapere a che cosa sarebbero serviti i paracadute - e più che mai intenzionato a non conoscere neppure la loro destinazione - si limitò ad accompagnarli senza aggiungere null’altro. Entrarono tutti e tre nell’hangar ma, mentre Jones e Jock salirono sull’aeroplano - un grosso Lockheed L-10 Electra di colore grigio, con la scritta L & W Air Pirates dipinta in rosso su entrambe le facciate - Williams corse alle grandi porte e le spalancò.
   Jock diede energia al motore e le due grandi eliche si avviarono scoppiettando; condusse il grande velivolo all’esterno, diede l’ok con la mano al socio in segno di saluto e, accelerando bruscamente, affrontò le buche e gli scossoni della pista malagevole, prima di librarsi in aria ed innalzarsi verso l’azzurro, virando in direzione dell’Atlantico.

 

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Capitolo 2
*** Secondo tempo ***


SECONDO TEMPO

   Costa portoghese

   L’assordante deflagrazione coprì il vocio incessante delle onde e l’urlo del vento e fu così accecante da squarciare le tenebre ed illuminare a giorno una vasta area. L’esplosione provocò un’ondata che lo trascinò abbastanza lontano per potersi considerare al sicuro dal risucchio della nave che andava a fondo, seppure ancora non potesse dirsi del tutto fuori pericolo. Se erano bastati così pochi fusti di carbonite liquida a provocare tutto quello sconquasso, significava che quella roba doveva avere un potenziale esplosivo veramente alto; chissà a cosa diavolo sarebbe dovuta servire: di certo, non per scavare una semplice miniera.
   In verità, Indiana Jones non ebbe il tempo di stare a rifletterci troppo a lungo; investito da ogni lato dall’acqua impazzita, rischiò di affondare nelle acque gelide ed agitate ma, con un sommo sforzo di volontà, riuscì a tenersi a galla ed a guadagnare con poche bracciate un salvagente che se ne stava andando alla deriva. Vi strinse le mani intorpidite e, proprio in quel momento, vide galleggiare a poca distanza il cappello di paglia del ladro, l’uomo che aveva soprannominato Panama, annerito e lacerato dalla violenta esplosione che aveva distrutto completamente la Coronado e l’aveva mandata a picco con una velocità sorprendente, quasi come se non fosse mai neppure esistita. Lo guardò e, per un momento, uno soltanto, rivisse nella propria memoria gli ultimi concitati momenti, nonché tutti i grandi sforzi che aveva dovuto compiere per riuscire a giungere a quel risultato.
   Durante la trasvolata dall’America, aveva tentato di schiacciare un sonnellino, tirandosi il cappello sugli occhi; solitamente, il rollio degli aeroplani gli conciliava il sonno e lo aiutava ad addormentarsi. Quella volta, però, era troppo agitato per poter anche solo credere di riuscire a prendere sonno. Il vortice di pensieri che gli batteva sulle tempie non gli avrebbe mai permesso di addormentarsi, così come l’adrenalina che gli faceva tremare le membra.
   Ciò nonostante, si era mantenuto assorto sul sedile, con il cappello abbassato e le braccia conserte; non aveva voglia di chiacchierare con Jock, voleva restarsene solo con se stesso per almeno qualche minuto, preparandosi mentalmente a portare a termine un’impresa che, per quello che lo riguardava, aveva avuto inizio ventisei anni prima, quando era ancora poco meno che un adolescente.
   Il giovane Indy - già allora si faceva chiamare così, poiché rinunciare al nome di suo padre era stata una specie di ribellione, sebbene all’epoca ancora non potesse sapere che sarebbe stata solamente la prima di una lunghissima schiera - a quel tempo viveva nello Utah, a non troppa distanza dal confine con il Colorado; vi si era trasferito con il genitore, da Princeton dove era nato, dopo la morte di sua madre Anna. Henry Senior aveva voluto andare il più lontano possibile dai luoghi in cui aveva conosciuto e amato sua moglie, consapevole che, altrimenti, il dolore sarebbe stato troppo grande da sopportare. In quanto a Indiana, si era dedicato a diverse attività, per costringersi a non pensare troppo alla mamma da poco scomparsa: era entrato negli scout e si era dedicato a diverse ricerche di storia locale, trascorrendo il tempo libero tra escursioni e biblioteche.
   Durante questi suoi solitari studi, si era imbattuto nella cronaca della vita straordinaria di Francisco Vasquez de Coronado. Ancora bambino, costui aveva ricevuto in dono dal celebre conquistador Hernan Cortés una croce d’oro e pietre preziose, forgiata con i tesori del Nuovo Mondo; questo lo aveva spinto, una quindicina d’anni dopo, ad intraprendere a propria volta un’avventura in America, sperando che potesse renderlo ricco e potente.
   Grazie alle proprie doti, Coronado ottenne molto presto il titolo di governatore della Nuova Galicia; bramoso di conoscere meglio il territorio e di impadronirsi di grandi ricchezze, egli inviò due esploratori - il frate Marco da Nizza ed il berbero Estebanico - verso i deserti del Nord, affinché si facessero un’idea della regione e gliene portassero un resoconto.
   Mesi più tardi, il solo frate fece ritorno, in cattive condizioni, raccontando di aver trovato una città d’oro ma di essere stato attaccato dagli abitanti, che uccisero il suo compagno; il religioso italiano si disse più che mai convinto che, quella, fosse una delle sette leggendarie città di Cibola, fondate da alcuni vescovi spagnoli fuggiti sull’Oceano dalla loro città, Merida, conquistata dai Mori nel 713. Quando Marco da Nizza espresse il desiderio di tornare lassù, Coronado decise di mettersi personalmente a capo di un corpo di spedizione.
   La spedizione - partita da Città del Messico - fu lunga e si protrasse dal 1540 al 1542; infine, dopo aver attraversato gli infuocati territori rossastri dei deserti americani ed aver valicato impervie montagne e profondo vallate, i militari giunsero in vista di uno sparuto e misero gruppo di capanne, abitate da pochi indiani. Accusandolo di averla condotta fin lì inutilmente, la soldataglia tentò di uccidere il povero frate, che si schermì, dicendo di non essere riuscito a ritrovare la strada percorsa nel suo precedente viaggio; in cambio della vita, giurò che avrebbe condotto veramente gli uomini alla città d’oro.
   Coronado, però, era rimasto profondamente deluso dai suoi uomini; da devoto quale era, non avrebbe mai più tollerato che si cercasse di usare violenza ad un ministro di Dio. Quindi, lasciati i soldati presso il villaggio che avevano scoperto, partì insieme a Marco e ad alcuni indigeni, rimanendo lontano per qualche mese. Nessuno seppe mai dove si recò; ma quando fece ritorno - da solo, avendo rispedito il frate in Messico - raccontò che la storia delle sette città era niente altro che una leggenda infondata e che, quindi, la spedizione era stata del tutto inutile. Tuttavia, tra i soldati si diffuse la diceria che egli avesse realmente scoperto le città e che avesse nascosto nella sua croce, che non aveva più con sé al ritorno dal viaggio, un indizio per riuscire a rintracciarle. Ma di quella croce, ormai, non si sapeva più nulla, sebbene con gli anni si fosse sparsa la voce che Coronado l’avesse lasciata nello Utah, non lontano dall’ingresso delle sette città nascoste.
   In verità, col trascorrere degli anni, furono pochi a credere che Coronado avesse raggiunto quelle favolose città e le loro ricchezze prodigiose; l’ardito esploratore, difatti, morì una dozzina d’anni più tardi, in completa miseria, come aveva vissuto sin dal suo ritorno dalla spedizione, dopo aver perso la carica di governatore. Poteva un uomo povero e indigente essere il depositario di un tale segreto?
   Indiana Jones, ancora un ragazzo sognatore e pieno di aspirazioni, si era lasciato affascinare da quella storia; e, quindi, era stata per lui come una folgorazione la scoperta che alcuni ladri erano riusciti a trovare la croce. Era stato un evento casuale a condurlo proprio alle spalle di quei briganti; ma fu un evento che lo segnò per il resto della sua vita. In un vano tentativo aveva tentato di impadronirsi della croce, anche se inutilmente, poiché aveva scoperto molto presto di essersi messo contro un nemico troppo subdolo e potente per un ragazzo di tredici anni: il denaro e tutte le porte che esso può spalancare.
   Quel giorno aveva perduto, la croce era finita tra le mani dell’uomo dal cappello di Panama senza che lui potesse impedirlo; se l’era vista portare via per essere consegnata ad un affarista avido e meschino. Ma Garth, lo scagnozzo a capo di quella banda di ladri, gli aveva impartito una lezione che non si sarebbe scordato neppure se fosse campato cento anni: gli aveva insegnato a non arrendersi mai, di fronte a niente ed a nessuno. E, come se quello potesse essere quasi un diploma a perenne ricordo di quell’importantissima e vitale lezione, gli aveva fatto dono del suo cappello. Cappello che, dopo così tanti anni, portava ancora, un monito a non chinare mai il capo davanti ai fallimenti.
   E non si era mai arreso, infatti.
   Aveva continuato a tenersi informato sulla croce, aveva fatto ricerche ed era sempre stato pronto a scattare per riuscire a riprendersela. L’occasione non si era mai presentata, eppure aveva sempre saputo che sarebbe bastato pazientare per poter giungere alla conclusione; aveva avuto dei validi maestri, in questo. Ogni tanto, per esempio, ripensava ad Abner Ravenwood: il suo vecchio docente aveva trascorso la vita intera a ripetere che l’Arca dell’Alleanza doveva esserci davvero, celata da qualche parte; e, alla fine, le sue ricerche si erano rivelate fondate e l’Arca era stata trovata, sebbene quel giorno il vecchio Abner non fosse più lì a festeggiare. E poi, ovviamente, c’era suo padre Henry: l’anziano Jones aveva consacrato la propria esistenza alla ricerca del Santo Graal, la coppa di Cristo; e, sebbene dopo quarant’anni non fosse ancora giunto neppure lontanamente vicino ad una valida conclusione, non si era mai arreso.
   Infine, al termine di un lungo percorso - durato ventisei anni - fatto di pazienza e insuccessi, ce l’aveva quasi fatta: era in volo sull’Oceano Atlantico, diretto alla volta della croce di Coronado che, questa volta, non si sarebbe fatto strappare dalle mani.
   Jock lo aveva scosso quando, dopo parecchie ore di volo, erano stati in vista della nave americana; non c’era da sbagliarsi, era proprio quella che cercavano, diretta verso il meridione per imboccare lo Stretto di Gibilterra ed entrare nel Mediterraneo. Sfortunatamente, le condizioni atmosferiche erano assai peggiorate e, adesso, si trovavano nel mezzo di una tempesta, con fulmini, pioggia e raffiche di vento; una sfortuna che, però, in qualche maniera si sarebbe rivelata una loro alleata, dato che, in mezzo a quel fracasso infernale, nessuno dei marinai a bordo si sarebbe potuto accorgere del sopraggiungere del grosso bimotore.
   Jones non aveva esitato a dare avvio al proprio folle piano, senza perdere neppure un minuto a chiedersi come si sarebbe comportato se le cose si fossero messe male: del resto, quando mai lo aveva fatto? Senza dare ascolto agli avvertimenti di Lindsey ed alle sue ultime e flebili proteste, si era infilato lo zaino contenente il paracadute e si era preparato al lancio, aprendo il portellone da cui entrò una raffica di aria gelida. Voltatosi verso il pilota che lo aveva raggiunto, gli diede un’ultima disposizione per il loro incontro a recupero terminato, poi si lanciò nel vuoto, sfidando il forte ed impetuoso vento che aveva preso a tirare da occidente.
   Non era la prima volta che si buttava da un aereo in volo - una volta, non se lo sarebbe mai potuto dimenticare, si era salvato da un aeroplano che stava precipitando grazie ad un canotto gonfiabile - ma dovette riconoscere che tentare di atterrare sopra un bastimento nel mezzo del mare in tempesta non sarebbe certo stata una passeggiata. Eppure, in qualche maniera, ci riuscì.
   Dirigendo il paracadute ed approfittando di una forte corrente discendente, si approssimò alla Coronado; appena fu a solamente poche centinaia di metri dal cargo, tirò le cordicelle per stringere il paracadute e piombò verso il basso ad una velocità più che raddoppiata, andando sempre dritto verso l’imbarcazione. Capì di star andando troppo forte e cercò di rallentare, ma non ci riuscì; volando ormai bassissimo, guardò con una certa stizza la nave sfrecciargli sotto i piedi e si preparò ad atterrare in mezzo alle onde; a quel punto, per non annegare, avrebbe dovuto improvvisare qualcosa. Del tutto inaspettatamente, però, si bloccò con un forte urto e, dopo essere stato tirato all’indietro, si ritrovò a penzoloni. Gettò uno sguardo verso l’alto e vide la tela squarciata del suo paracadute impigliata in una delle gru della nave.
   Fu un’insperata fortuna, che gli permise molto probabilmente di salvarsi. Del resto, la dea bendata, in ben più di un’occasione, si era dimostrata provvista di una vista formidabile, nei suoi confronti.
   Mantenendosi aggrappato all’imbragatura con una mano, con l’altra si sfilò rapidamente lo zaino ormai inservibile e, senza badare alle forti correnti che lo sballottavano di qua e di là, iniziò ad arrampicarsi lungo la corda.
   La tela era molto resistente e, in poco meno di una decina di minuti, raggiunse la relativa sicurezza della gru; lì, però, per poco non rischiò di perdere la presa, mentre i capelli gli si rizzavano in capo: i ferri dell’argano erano carichi di elettricità statica e, a non molta distanza da lui, vide brillare i fuochi di Sant’Elmo. Senza badarvi, cominciò a discendere verso il ponte della nave. Lanciò un’ultima occhiata verso il cielo buio e carico di nubi, dove notò le luci dell’Electra che, dopo aver compiuto alcuni lenti sorvoli della nave, si dirigeva infine verso la costa, alla ricerca di un punto in cui atterrare.
   Non appena i suoi piedi ebbero toccato la superficie sdrucciolevole della tolda, Jones si guardò attorno, sperando che nessuno si fosse accorto di lui; ma i marinai dovevano essersi rifugiati tutti quanti al coperto per sfuggire al maltempo. Impiegò qualche istante per riuscire ad adattarsi al beccheggio della nave, quindi cominciò a darsi da fare per trovare la croce. Era talmente vicina, ormai, che gli pareva quasi che lo stesso invocando a gran voce.
   Non gli ci volle molto. Dopo essersi arrampicato sul castello di poppa, penetrò da una porta all’interno di un corridoio e lo seguì fino ad imbattersi nella zona delle cabine. Tutte le porte erano metalliche, dipinte di bianco e screziate di ruggine, tranne una, che appariva rivestita di legno di tek.
   «Ci siamo» pensò.
   Si avvicinò alla porta e, lentamente, badando a non provocare alcun rumore - anche se, in realtà, i cigolii ed i lamenti metallici provocati dalle onde che si infrangevano contro la struttura, uniti al rimbombo dei tuoni, erano sufficienti a mascherare qualsiasi altro suono - abbassò la maniglia e spinse.
   Come aveva previsto, si ritrovò in un ufficio arredato molto lussuosamente, dal quale si accedeva ad un’altra cabina, nella quale scorse un letto su cui era sdraiata una figura addormentata. Sopra una sedia, erano appoggiati una giacca bianca ed un cappello di Panama. Jones sorrise. La resa dei conti era finalmente giunta.
   Si guardò attorno e notò una cassaforte fissata contro una parete. Era a combinazione, ma se l’era aspettato ed era pronto; tra le sue tante conoscenze e amicizie, vi era pure quella con un ex scassinatore che, dietro lauta ricompensa, gli aveva insegnato il modo per riuscire ad aprire una cassaforte sigillata.
   Senza perdere tempo, si inginocchiò davanti al forziere e, toltosi il cappello e poggiatolo sul pavimento affinché non gli desse qualche impedimento, vi accostò l’orecchio. Cominciò a girare la manopola e, poco alla volta, riuscì a comporre la combinazione esatta: 1 1 3 8. Sorrise nuovamente quando la serratura scattò.
   In quel momento il battito del suo cuore accelerò violentemente, mentre una strana sensazione si impadroniva di lui. Si rivide, ancora bambino, mentre si impadroniva della croce nel tentativo di sottrarla a quella banda di ladroni da quattro soldi. Aprì lo sportello e, alla luce di un fiammifero che prese dalla propria tracolla e accese sfregandolo contro il metallo, guardò.
   La croce era lì, sfavillante di mille colori al barbaglio tremolante della fiammella; era più bella di quanto la ricordasse, un tesoro degno di essere ammirato da chiunque: un oggetto d’oro, in parte smaltato in pietra vitrea di un blu lucente ed impreziosito da grosse perle. Con la mano libera e leggermente tremante la prese; quando le sue dita vi si strinsero attorno, l’oro sembrò animarsi ed emanare un calore sconosciuto. Si sentì come se, dentro di lui, si fosse acceso un fuoco nuovo, una consapevolezza vivida e forte. Ma non era ancora finita, no.
   Rapidamente, infilò la croce nella borsa e stava quasi per andarsene quando alcuni fogli contenuti nella cassaforte attirarono nuovamente la sua attenzione. Li afferrò e diede un’ultima occhiata. Lesse chiaramente un nome, Cibola, prima che il fiammifero, ormai consumato completamente, si spegnesse, non prima di avergli scottato un dito.
   Cibola… era il nome delle sette leggendarie città cercate da Coronado, il primo possessore della croce. Perché l’uomo dal cappello di Panama si era interessato a quella storia? Che avesse in qualche maniera a che fare con il suo viaggio verso la Spagna? Ci avrebbe riflettuto più tardi, ora non poteva concedersi il lusso di perdere altro tempo. Doveva, invece, scoprire una maniera sicura di andarsene: effettivamente aveva pianificato a grandi linee l’arrivo, ma non aveva neppure dedicato un mezzo pensiero alla partenza. Non che fosse una novità, per uno come lui.
   Infilò i fogli nella borsa, raccattò il cappello e, mentre se lo calcava in testa, andò alla porta. Nel momento stesso in cui usciva nel corridoio, un marinaio apparve al capo opposto.
   «Ehi, fermo! Chi sei?» gridò l’uomo, correndogli incontro.
   Per tutta risposta, Jones si precipitò nella sua direzione e, con un micidiale montante, lo mise al tappeto. Quindi scattò verso il ponte, sperando che nessun altro si fosse accorto di lui, ma lì ebbe un’amara sorpresa: qualcuno aveva notato i resti del paracadute ed aveva dato l’allarme.
   Provò ad eclissarsi, ma fu visto e trascinato all’esterno da numerose mani. Colpì con calci e pugni gli uomini più vicini, ma all’improvvisamente si sentì bloccare le braccia dietro la schiena, mentre una voce gridava: «Qualcuno svegli il capo, presto!»
   Jones tentò di divincolarsi, ma invano. Un grosso marinaio, stringendo i pugni, gli si avvicinò con aria minacciosa. L’archeologo gli rivolse un sorriso sarcastico e quello, per tutta risposta, lo colpì con un pesante pugno in pieno viso.

   Infine, dopo essere rimasto per oltre un’ora in balia delle onde, facendosi venire i crampi alle gambe nel tentativo di vincere la corrente, Jones guadagnò la riva, gettando da parte il salvagente e sputando acqua salata. La tempesta si era finalmente dissolta ed i primi raggi dell’alba illuminavano il nuovo giorno.
   Era stanco e dolorante - non una novità, per lui - ma si sentiva euforico. Dopo essersi sdraiato a riposare sulla battigia, aprì la borsa e ne estrasse la croce di Coronado, rigirandosela tra le mani e mirandola come se fosse una reliquia. Effettivamente, lo era davvero: una reliquia della sua giovinezza. Il simbolo di una ricerca che, finalmente, era stata portata a termine, sebbene con sommo sforzo.
   Ricordandosi delle carte che aveva rubato a bordo, provò a tirarle fuori, ma ebbe un’amara sorpresa: il suo bagno fuoriprogramma le aveva inzuppata a tal punto da ridurle ad una poltiglia informe. Quei documenti non avrebbero più rivelato alcunché e l’uomo dal cappello di Panama si era portato il loro segreto in fondo al mare. Una questione, ormai, su cui non sarebbe più valsa neppure la pena di tornare a meditare.
   Adesso, invece, non gli restava che concedersi qualche minuto di riposo, prima di partire alla ricerca di Jock, che doveva essere atterrato nei dintorni, come gli aveva ordinato lui. Non avrebbe atteso molto, perché il pilota si era di sicuro impensierito: l’esplosione era stata di tale portata che non avrebbe potuto non notarla. Una volta ritrovato l’amico, avrebbero fatto una rapida tappa al più vicino aeroporto per rifornirsi di carburante e sarebbero subito ripartiti per l’America; di lì ad un giorno al più tardi, avrebbe convocato Brody al Barnett e gli avrebbe consegnato la croce, affinché la mettesse al sicuro in una teca del museo del Marshall College. Era un regalo davvero prezioso, per il museo di Bedford: Marcus, oltre a pagargli il solito compenso, avrebbe come minimo dovuto offrirgli una cena annaffiata da champagne.
   Guardò con malinconia la croce di Coronado. Molto presto sarebbe quindi finita in un museo - il posto in cui avrebbe sempre dovuto rimanere - ed un capitolo intero dell’esistenza di Indiana Jones sarebbe stato definitivamente chiuso.
   Era difficile crederlo, ma era davvero così.

 [scritto: gennaio 2018]

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