Raccontami quella Storia

di Ariadne Taylor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


«Nonno, nonno!».
«Ehi, birbantelli!».
«Allora? Ce la racconti quella storia, finalmente?».
«Credo che siate grandi abbastanza per capire. Ma dovete sapere che è una storia molto complicata, non è la solita favoletta del giorno».
«Dai nonno, noi adoriamo le storie!».
«E va bene, statemi a sentire però; soprattutto tu, Eileen, che sei la più grande».
«Certo nonno, terrò a freno queste pesti e farò in modo che abbiano le orecchie ben aperte!».
«Bene, allora posso cominciare, ma parto dal principio, quando io non ero ancora nato…».
«E allora come fai a sapere queste cose?».
«Ho studiato, miei cari nipoti, e molte cose me le hanno raccontate anche la mia mamma e il mio papà. Allora…».

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Capitolo 2
*** Prologo ***


PARTE PRIMA
 
L’avventura sul Titanic

 
raccontami_quella_storia_efp

 

PROLOGO

31 marzo 1912

“Vedere questo gigante dei mari intero, imponente e completo dopo averlo visto nascere da un semplice pezzo di ferro, è un’emozione indescrivibile” pensava orgoglioso Thomas Andrews, progettista della nave, mentre ammirava il lavoro iniziato ben tre anni prima.
«Bel lavoro, vecchio mio. Oltre 46.000 tonnellate per un bestione di 53 metri è un lavoro davvero notevole. Farà lunga strada, questa nave. La guardi: nemmeno Madre Natura in persona potrebbe affondarla, potremmo proprio definirla l’inaffondabile» si complimentò, avvicinandosi ad Andrews e dandogli una pacca sulla spalla, John Pierpont Morgan, il finanziatore della costruzione del transatlantico che fu battezzato RMS Titanic.
Era un orgoglio vedere quella nave.
Fuori, una meraviglia: quattro canne fumarie giallo intenso, tre che gettavano fumo nero e un’altra che fungeva da presa d’aria, ma che dava un aspetto ancora più imponente al transatlantico, e la scritta Titanic Liverpool sulla poppa che gli conferiva un’aria maestosa.
Il nome stesso era imponente. Quello sì che era stato un affare per la White Star Line.
Dentro, un hotel sul mare: il grande scalone di prima classe, con un orologio in legno pregiato intagliato alla perfezione stile Luigi XVI, che collegava tutti i ponti di prima classe ed era sormontato da una meravigliosa cupola in vetro e ferro battuto.
Per non parlare poi del salone di prua, dove la gente poteva passare il tempo in tutti i modi possibili, tant’era completo e accogliente: dalla sala di scrittura e lettura al campo di squash o al bagno turco; persino la stiva era da ammirare, non c’era nulla su quella nave che mancasse di stile e raffinatezza; si passava dalla sala fumatori a Le Café Parisien, un bar in stile parigino davvero delizioso.
Per non parlare poi della grande sala da pranzo, lunga 35 metri, teatro di cene sontuose tra persone di tutti i tipi e di tutti i ranghi.
I biglietti erano già disponibili, i prezzi erano ormai stabiliti, e si poteva scegliere tra: una suite o cabina di prima classe, una cabina di seconda classe, e una cabina buona di terza classe, un po’ più costosa rispetto a quella economica.
Ce n’era per tutti: a quella nave non mancava nulla.
Servizi di porcellana immacolati e raffinati, lenzuola bianchissime e profumate, stanze di prima classe con decorazioni sensazionali, con tende rosse e tappezzerie d’epoca; perfino le cabine di terza classe erano talmente accoglienti che chiunque vi fosse entrato avrebbe creduto di essersi sbagliato e di aver prenotato il primo settore.
Era una nave dei sogni, così come molti iniziarono presto a definirla; tantissimi giornali ne parlavano, la pubblicizzavano, ed invitavano a partecipare al viaggio inaugurale diretto a New York, con partenza prevista per il 10 aprile.
Eppure Andrews era ancora apparentemente insoddisfatto.
Aveva impresse le immagini dei lavori per la costruzione della nave; “quei bulloni, quei bulloni…” pensava, si dovevano sostituire, quelle lastre di ferro dovevano essere più spesse, specie per una nave di quella stazza.
E le scialuppe? Gli sembravano meno di quelle previste per il numero di passeggeri a bordo. Avrebbe dovuto chiedere spiegazioni.
Tuttavia cercava allontanare quei pensieri perché, guardandola, di quella nave era impossibile immaginare l’affondamento.
 
10 aprile 1912
 
Quella mattina Andrews si alzò presto: era il gran giorno.
Il Titanic sarebbe salpato a breve dal porto di Southampton e avrebbe iniziato un viaggio importantissimo.
Arrivato al porto salì a bordo, stringendo la mano a qualche ufficiale di tanto in tanto; girò per i ponti ancora deserti, ma che nel giro di due ore sarebbero stati pieni di gente.
Era bello tastare sotto i propri piedi il frutto di un progetto personale.
Visitò tutte le sale, dalla prima alla terza classe, e così sì che due ore passarono in fretta.
Raggiunse il capitano, Edward John Smith, che appena lo riconobbe gli corse incontro sorridendo.
«Buongiorno, signor Andrews! È un vero piacere averla qui a bordo, ancora mille complimenti per questa bellissima nave, è un onore averne in mano il timone».
«E per me è un vero onore che lei dedichi uno dei suoi ultimi viaggi ad una nave così importante per me».
«È un piacere, davvero. Come le sono sembrati i ponti?».
«Mi piacciono molto, sono davvero ben sistemati. Ma una cosa non mi torna molto: come mai c’è una sola fila di scialuppe?».
«Stavo giusto per avvertirla, signore. Il numero delle scialuppe di salvataggio e dei canotti è stato deciso seguendo la norma del Board of Trade, come stabilito per tutte le navi, e dunque esso è in perfetta regola, considerato il volume del Titanic».
«Ma non mi sembra che ve ne siano a sufficienza per ospitare tutti i passeggeri in caso di pericolo» puntualizzò Andrews.
«Però è tutto regolamentare, signore. E poi, altre scialuppe darebbero un aspetto un po’ disordinato al ponte, non trova? Ad ogni modo, è stato deciso così, ma non dobbiamo assolutamente preoccuparci: questa nave, del resto, è inaffondabile».
«Oh… dunque la mia proposta di aggiungere un’ulteriore fila di scialuppe è stata bocciata?».
«Sì, signore. Non solo per i motivi che già le ho spiegato, ma capisca, adeguare il numero adesso sarebbe molto dispendioso, e attirerebbe l’attenzione pubblica, dal momento che anche su tutte le altre navi si sta adottando questa prassi».
Andrews indugiò per un momento; non sembrava molto convinto della soluzione scelta per quella nave. «In effetti sì, il ponte risulta più bello così, ed eviteremmo eventuali polemiche o opinioni contrastanti, ma non vorrei che ci pentissimo di una tale scelta, insomma, i posti così bastano a malapena per la metà e…».
«Signor Andrews, lei non deve preoccuparsi. Capisco il suo nervosismo, è il viaggio inaugurale, ma stia tranquillo: andrà tutto bene».
«…sì, forse ha ragione».
Detto questo, si congedò, continuando a passeggiare, tuttavia ancora non totalmente convinto della conversazione tenuta col capitano.
Ma i suoi affollati pensieri furono ben presto interrotti dal fracasso della gente che iniziava a salire a bordo ed entusiasta correva da una parte all’altra, esplorando la nave da cima a fondo.
Ed ecco la prima sirena della nave: era ora.
Quando il transatlantico lasciò la banchina una serie di grida felici si levarono, e i sorrisi illuminavano tutto il ponte.
Migliaia di addii gioiosi in tante lingue diverse si levarono su nel cielo e si sparsero per il porto di Southampton, raggiungendo ognuno una precisa persona.
Il Titanic era partito da una mezz’ora appena, quando ad Andrews venne un terribile dubbio: l’equipaggio era abbastanza fornito? Era l’unica cosa che non aveva controllato. Si promise di fare un giro di ispezione approfondito l’indomani.
E così, la mattina seguente di corsa si diresse verso un ufficiale, che ricontrollò velocemente la lista: «Mhh, dovrebbe esserci tutto… oh no!».
«Come, cosa!?» Andrews cambiò espressione, e sbiancò in viso.
«Signore, non troviamo da nessuna parte i binocoli…».
«No, non è possibile! Ne è sicuro?».
«Purtroppo sì, signore. A quanto mi dicono gli altri ufficiali sono chiusi nella camera blindata, ma non troviamo in nessun modo la chiave. Non vorrei che qualcuno inavvertitamente l’abbia smarrita in mare alla partenza, o che qualcuno fra coloro che sono scesi dalla nave per un cambio dell’ultimo minuto per sbaglio l’abbia tenuta con se».
«E ora come faremo? Ci serviranno!» Andrews era davvero preoccupato.
«Non necessariamente, o almeno spero. Fleet e Lee sono fra i migliori dell’equipaggio, hanno una vista acuta e osservano tutto da un’ottima posizione. Speriamo solo di non incontrare mare troppo piatto di notte, perché almeno se non vedono e con po’ di onde possono rendersi conto di un’eventuale presenza di ghiacci dal rumore dell’acqua sulle loro pareti…».
«…ah, bene. Speriamo bene».
Stava iniziando a pensare che più che speranze si stava facendo molte illusioni. Tutte quelle cose un po’ ‘fuori programma’ gli sembravano troppe. Si era persino ricordato che avevano dimenticato, come di tradizione e di buon augurio alla partenza delle nuove navi, di rompere la bottiglia di champagne a poppa; forse non erano semplici coincidenze, forse qualcuno aveva tentato di sabotare il viaggio per invidia o per qualche altro ignoto motivo, ma poi tornava a pensare sempre al fatto che alla fine era lui che era troppo nervoso e si stava costruendo i problemi da solo. Ciononostante, tutti continuavano a sembrargli sin troppo tranquilli, e questo non gli piaceva affatto.
Alla fine, però, decise di mettere da parte le preoccupazioni e si impose di essere positivo e mostrarsi felice e rilassato a tutti i passeggeri: sì, quello sarebbe dovuto essere un bellissimo, indimenticabile viaggio.

 
Nei prossimi capitoli verranno introdotti un po' di personaggi originali. Con questo prologo ho voluto rendere un po' l'atmosfera generale alla partenza della nave. Ovviamente i dialoghi sono completamente frutto della mia fantasia sulla base però di notizie certe; non so se siano effettivamente avvenute conversazioni di questo tipo fra questi personaggi, ma le informazioni sono corrette. Spero vi piaccia, mi piacerebbe avere un parere in una recensione. 
Ho iniziato a scrivere questa storia più di cinque anni fa, l'avevo abbandonata perché crescendo mi sembrava che alcuni punti della trama fossero un po' troppo scontati o infantili, mentre volevo scrivere una storia d'impatto. Poi con lo studio e tutto il resto non ho trovato né il tempo, né l'ispirazione giusta. Ma adesso che sto per cominciare (e spero di concludere quanto prima) la maturità, voglio riprendere a scrivere come non mai (e lo vedrete infatti dal momento che ho pubblicato e sistemato moltissime storie ultimamente, anche se alcune le avevo scritte molto tempo fa) e stavolta spero di non smettere.
Quindi modificherò progressivamente la mia storia e la posterò qui, capitolo per capitolo. Spero che mi seguirete in questo meraviglioso viaggio.
A presto,


Ariadne Writes.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 ***


 southampton



9 aprile 1912
 
Il sole si levò e il gallo iniziò a cantare.
Le giovani donne si svegliarono e cominciarono a darsi da fare con gli ultimi preparamenti.
Erano arrivate a Southampton dall’Irlanda il giorno prima, per il viaggio che avrebbe segnato le loro vite per sempre, accompagnate dalla madre di Mia, che sarebbe stata alcuni giorni da sua sorella, che abitava lì vicino e lavorava in fabbrica, e aveva colto l’occasione per salutare le ragazze il giorno della partenza.
«Domattina salirò su quella nave meravigliosa, il Titanic! E ho un biglietto di seconda classe, mi sento così fortunata! Mio Dio, una nave da crociera, la più grande di tutti i tempi! E come se non bastasse, ci andrò con Melissa, Claire, Nathalie e Amanda, le mie migliori amiche! Chissà quali piacevoli sorprese ci attendono… ah, che emozione!».
 
Mia era una ragazza irlandese di diciannove anni. Viveva con la madre in una bella casa in periferia. Era piena di forza ed era sempre stata determinata a realizzare i suoi sogni, anche e soprattutto dopo la morte del padre. I suoi capelli erano biondi e lunghi, come quelli di sua madre, e mossi, spesso li intrecciava e adornava con bellissimi fiori, e i suoi occhi castano profondo, di una dolcezza infinita, brillavano d’oro quando incontravano i raggi del sole. Era sempre stata volenterosa, obbediva sempre a tutto, si comportava in modo esemplare, ma non si lasciava mai comandare in ambito di questioni di cuore. Sin da quando aveva diciassette anni le amiche, le zie e la madre tentavano di trovare l’uomo giusto per lei, perché speravano che si sposasse presto e formasse una bella famiglia, ma Mia non era una tipa facile e non accettava che gli altri decidessero per lei. Un giorno poi, aveva incontrato James, e si era innamorata. I due erano una coppia bellissima, Mia vedeva in lui il suo futuro, erano inseparabili; ma lui mise fine al fidanzamento da un giorno all’altro, come se non fosse accaduto nulla, dopo alcuni mesi insieme. Aveva trovato un’opportunità di lavoro migliore altrove, molto lontano, e non sarebbe potuto rimanere lì con lei, né lei sarebbe stata disposta ad andare via con lui.
Che a Mia si spezzò il cuore, purtroppo c’è da dirlo. Ma non era il tipo di persona che sta ad autocommiserarsi, sapeva di avere una vita davanti, di certo non poteva rimuginare sul passato che aveva avuto con James. Doveva pensare al futuro che avrebbe avuto con la sua vera anima gemella, che sapeva avrebbe incontrato, prima o poi. Quel biglietto di seconda classe per il Titanic le sembrava la risposta giusta. Un viaggio in un altro continente, in una delle città più belle del mondo, avrebbe di certo portato tante sorprese nella vita di Mia, e lei non voleva perdersele.
 
«Mia, che fai? Non mi dire che stai di nuovo sognando ad occhi aperti! Ah, quella nave ti sta dando alla testa. Non vedo l’ora che torniate!».
«Ah, per l'amor del cielo, mamma! Vado a New York! Comincerà tutta una nuova vita per me!».
«Sì… ma le tue cose non si sistemano da sole...».
«Oddio! I bagagli! Devo controllare che sia tutto a posto, presto! La partenza è domani! Su, aiutami a chiudere questa borsa, dai!».
«Non l'avessi mai detto... Certo, ma calmati figlia mia, o ti verranno le rughe!».
«Le rughe? Oh mamma, no!».
«Povera me...».
 
 
10 aprile 1912
 
«Che gioia! Si parte! Addio mamma, ci sentiamo presto, ti scriverò!».
Mia non stava più nella pelle, saltava qua e là, non riusciva a stare ferma, e aveva un sorriso a trentadue denti.
 
«Stai attenta tesoro! Quando sarete arrivate a New York, per favore, mandami una lettera per farmi star sicura che stai bene, okay?».
«Sì, sì mamma senz'altro, addio, ti voglio bene!».
Detto ciò Mia si precipitò fuori casa, dando un bacio a sua madre e promettendole che le avrebbe scritto.
 
Al porto
 
Appena le ragazze arrivarono, trovarono di fronte a loro il maestoso “gigante dei mari”, che con le sue maestose dimensioni quasi copriva la luce del sole. Era altissimo, molte volte più di loro, pensavano, e lunghissimo. Non se ne vedeva la fine, era davvero un transatlantico stupendo. Quattro canne fumarie, gialle con una striscia nera in alto, il corpo di colore nero con una striscia rossa sotto, e l’imponente scritta Titanic, Liverpool che firmava quella nave tanto bella.
Era un sogno, non potevano credere di essere tanto fortunate da avere la possibilità di salire su una nave così lussuosa.
Se già era così bella fuori, chissà come sarebbe stata dentro: non vedevano l’ora di scoprirlo.
«Ragazze, sono tanto eccitata, è tutto così magnifico!» disse Mia urlando.
Anche Melissa era felice.
«Lo vedo, amica mia! Anche per me è lo stesso!».
«Questo è il primo viaggio di una tale importanza della mia vita, e non voglio perdermelo per nulla al mondo, voglio che sia l’esperienza più bella che ci possa essere!» rispose Mia, con il suo solito fare poetico.
Amanda non era da meno: «Lo sarà... chissà, magari stavolta anche io sarò fortunata, in fondo, salendo su questa nave, mi sento così importante!».
«Ah, anche io! Ovviamente, questa sarà l'avventura della mia vita... e spero davvero che mi porti a realizzare i miei sogni, compreso quello di trovare il vero amore».
«Lo spero per te! E anche per me...» disse Claire.
Nathalie ruppe l’atmosfera: «Oh ragazze, spicciamoci, dobbiamo salire! Stanno iniziando con i passeggeri di prima classe, ma da quel ponte lì iniziano già con qualcuno di seconda! Prima saliamo, meglio è!».
«Oh sì, finalmente! Andiamo, su, cosa ci facciamo qui ad attendere nulla?» le esortò Mia.
Prese le amiche per mano e insieme iniziarono a dirigersi verso la nave. Nonostante il peso dei loro bagagli, correvano veloci come il vento verso la loro avventura.

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


 deck

 
«Passeggeri di terza classe qui per il controllo d’igiene!» si sentiva urlare gli ufficiali.
Mia arrivò all’entrata per il suo settore, prontissima: «Buongiorno, ecco i nostri biglietti».
L’ufficiale a cui si era rivolta fece loro un cenno: «Bene, a bordo!».
Mia, Melissa, Claire, Nathalie e Amanda camminavano a bocca aperta per i corridoi, bianchi e brillanti, che profumavano di vernice fresca, con un pavimento bordeaux, liscio e lucente che quasi ci si poteva specchiare. La seconda classe era davvero bella e così grande, niente a che vedere con le loro abitazioni. Si chiedevano quanto fossero belli gli alloggi della prima, se già questi erano a dir poco stupefacenti e tanto accoglienti.
Melissa continuava a ripetere un numero come una preghiera: «212, 212, 212...».
Mia la scosse.
«Che cosa stai farfugliando?!».
«Cerco di tenere a mente il numero della nostra cabina!».
«Tanto ce l’abbiamo qui scritto... non ne vale la pena!» disse Amanda.
«Ehi, eccoci arrivate: cabina 212!» disse Claire.
 
 
Nella cabina.
 
Appena Mia entrò nella cabina, si lanciò su un letto.
«Questo letto è una nuvola!».
Anche Melissa era contenta: «Ci divertiremo un mondo!».
Amanda precisò: «Beh sì, ma io direi che invece che starcene qui rischiando di rompere il letto –e non avremo mai tutti i soldi per pagare i danni– io preferirei andare ad esplorare il nostro scompartimento!».
«Sì, io ci vado subito... Melissa, vieni con me?» disse Mia.
«Sì, ovviamente, come sempre da quando ci conosciamo».
«Concordo! Insieme a Claire, ricordi quante ne abbiamo combinate?».
E come potevano averlo dimenticato? Le tre fanciulle erano amiche da quando avevano cinque anni, e da sempre erano state inseparabili.
«Sì... ora andiamo, che è tardi di già, altrimenti non faremo in tempo ad uscire che già sarà ora di cena!».
«Giusto! A proposito... ho una voglia incontenibile di assaggiare il cibo di qui... mmmh!».
«Mmmh, che acquolina! Andiamo, su».
«Okay! Amanda, Nathalie, Claire, voi dove andate?».
«Andiamo a esplorare un po’ in giro per i vari ponti, vogliamo respirare aria fresca e aspettare il tramonto…».
«Che idea, sarà uno spettacolo bellissimo di certo! Andiamo. Ciao ragazze!».
«Ciao, a dopo!».
 
 
Mia e Melissa passeggiavano per i corridoi, entusiaste e a bocca aperta per ogni bellezza che andavano scoprendo.
Vedevano gente vestita in tantissimi modi diversi, che parlavano lingue sconosciute, gesticolavano, chiedevano informazioni agli ufficiali, cercavano la propria cabina.
Si chiedevano quali persone importanti si fossero imbarcate…
«Melissa, non so tu, ma io ho una voglia matta di visitare la prima classe! Chissà quante persone altolocate vi alloggiano, magari alcune sono anche apparse sui giornali! E poi prova ad immaginare come devono essere i ponti: se già questi sono una favola, quelli saranno il Paradiso Terrestre!».
«Già! Ponti d’oro, orologi in legno pregiato, lampadari più grandi di cinque persone, stoffe bellissime, tende in velluto, tappeti ricamati a mano da abili mani sconosciute… che meraviglia questa nave, Mia!».
Una di fianco all’altra, camminavano a bocca aperta per le varie sale della seconda classe: era troppo bello e poteva benissimo essere un sogno, eppure si trovavano davvero su quella nave, erano davvero sul maestoso Titanic.
Dopo un po’, uscirono anche loro sul ponte.
Correvano a perdifiato, erano così felici di essere lì.
Mia rideva come non mai e insieme a Melissa giocavano a rincorrersi, era come se fossero tornate bambine e stessero esplorando un nuovo mondo, come se la loro vita fosse ricominciata da capo con l’inizio di quel viaggio, che aveva in serbo per loro chissà quali sorprese.
«Tanto non mi raggiungi, tanto non mi raggiungi!».
«Ah ah, ti supererò!».
«Provaci!... oh!». Mia finì per urtare contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
«Oh, mi scusi signorina, non intendevo...».
Lei, arrabbiata, iniziò a gridare senza girarsi: «Ma che modi! Avrei potuto farmi davvero ma...» quando si girò, vide un ragazzo vestito in maniera importante, giacca, papillon e lunghi riccioli castani che si scompigliavano al vento, occhi azzurri come il cielo e un sorriso da far sciogliere il cuore di ogni fanciulla.
«Oh! Mi scusi... non l’avevamo vista. Ehm... lei alloggia per caso in prima classe?».
«Non si preoccupi» rise lui, notando l’imbarazzo della giovane donna «Comunque sì, signorina, alloggio in prima classe. Come mai questa domanda?»
«Oh, sa, pura curiosità. Mi perdoni ancora per lo spiacevole incidente»
«Le ho già detto che non c’è problema. Comprendo la vostra euforia, sa, anche io sono ammaliato da questa nave, è la più grande e la più lussuosa che abbia mai visto»
«Eh già, pensavamo la stessa cosa! Ma che sbadata, dovrà pensare che sono una maleducata, non mi sono presentata. Mi chiamo Mia Austin e alloggio in seconda classe. Sono qui perché finalmente ho avuto l’opportunità di fare un viaggio così importante. Mi auguro che New York possa portare grandi novità nella mia vita»
«Se dobbiamo parlare di maleducazione, allora mi aggiungo alla lista, perché nemmeno io mi sono ancora presentato» rise il giovane. «Mi chiamo Mason Moore, sono qui con la mia famiglia, trasferiamo la nostra importante industria di acciaieria dall’Inghilterra alla famosa città di New York… oh, le chiedo di perdonarmi se quanto ho detto le è suonato noioso, o peggio, da superbi. Non sono quel genere di persona».
«No, ma si figuri. Un industria, che meraviglia! Immagino che lei e la sua famiglia abbiate lavorato sodo per ottenere questi successi. Complimenti»
«La ringrazio, è davvero gentile. Mi ha fatto piacere conoscerla, spero di rivederla durante il resto del viaggio» disse sorridendo. Fece un cenno col capo, abbozzando un sorriso, e se ne andò.
«Arrivederci...» fu tutto ciò che riuscì a dire Mia, a muovere la mano per salutare.
Melissa la scosse: «Mia, ci sei? Sei ancora qui con noi o il Signore ha già deciso di portarti via?».
«Oh, sì?» disse, con un’espressione da stralunata.
«Certo, che bell’uomo! Sembra molto gentile, ed è raro per quelli ricchi come lui»
«Già, anche a me ha dato questa impressione. Spero che, come ha detto lui, lo rincontreremo presto! Sarebbe bello stringere  nuove amicizie»
«Se lui troverà mai l’occasione per impiegare il suo tempo con noi!»
«Ma dai, non è mica il re d’Inghilterra. Magari ci porterà a fare un giro in prima classe e tu ti innamorerai di qualche bell’imprenditore»
«Suvvia, non farmi sognare ad occhi aperti! Magari non lo rivedremo più»
«Magari. O magari no»
«Chi lo sa. Speriamo. In fondo è proprio un bell’uomo!» Le due ragazze risero.
In quel momento si avvicinò un ragazzo alto, dai capelli corvini e dagli occhi grigi.
«Perdonatemi se interrompo le vostre adorabili conversazioni, ma ho notato la bellezza di questa fanciulla da quasi dieci metri» si rivolse a Melissa «e non ho potuto far a meno di avvicinarmi. Piacere, sono Will Gray, dalla terza classe. Se le sembro impertinente le chiedo scusa, ma pensavo che se non ha nulla da fare nell’attesa dell’ora di cena, potremmo fare una passeggiata insieme sul ponte. Sono qui per conto mio e mi piacerebbe tanto parlare con qualcuno di nuovo». La ragazza fu lusingata dalle parole del giovane, certo era un po’ strano che uno sconosciuto le si avvicinasse dal nulla per parlare con lei, ma tutti su quella nave sembravano essere cordiali e amichevoli, disposti a conversare con tutti, e a lei piaceva tanto quell’atmosfera, si sentiva a suo agio, come se fosse nel suo paese con i suoi coetanei.
«Piacere mio, signor Gray, io sono Melissa Wright, sono in seconda classe. Certo, mi piacerebbe esplorare ancora un po’ questa nave! Il sole fra poco tramonterà, ed è uno spettacolo che non voglio perdermi. Arrivederci Mia, a dopo! Andiamo signor Gray, mi faccia strada»
«Dammi del tu, e chiamami pure Will»
«Oh, certo, grazie Will. Tu puoi chiamarmi Melissa»
Mia salutò l’amica ridendo, era contenta che stessero conoscendo già nuova gente. Magari, dopo quel viaggio, non avrebbero più visto molte delle persone che avrebbero incontrato, ma sperava vivamente che altre sarebbero rimaste loro amiche.
Assorta fra questi pensieri, continuò a passeggiare da sola.
Non ci volle molto perché la sua mente, si spostasse di nuovo su Mason, l’affascinante giovane di prima classe, che l’aveva colpita con il suo fare gentile, la sua cordialità e la sua disponibilità, e le aveva fatto un po’salire brividi di freddo lungo la schiena con quegli occhi azzurro cielo.
Non si accorse che stava sorridendo, ma sentiva che sarebbe stato un bellissimo viaggio, quello. Sperava di incontrare ancora Mason, e di conoscere altra gente. Si sentiva rinascere ogni minuto di più che trascorreva su quella nave.
Iniziava a immaginare come sarebbero trascorse le giornate successive, e pensò che nulla sarebbe potuto andare storto, sul Titanic.
Ora più che mai credeva che quello fosse davvero il viaggio che le avrebbe cambiato per sempre la vita.
E non si sbagliava.

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Capitolo 5
*** Capitolo 3 ***


 dining

 
10 aprile 1912, ore 19.30
 
Quando finalmente l’amica tornò Mia era molto annoiata, ma riuscì a mantenere un tono scherzoso.
«Cara Melissa, bentornata! Com’è andata con Will Gray?».
«Benissimo! È davvero un bravo ragazzo. Sembro piacergli…»
«Oh Dio! Raccontami tutto»
«Abbiamo passeggiato, e abbiamo scoperto di avere così tante cose in comune! Anche se la sua famiglia è un po’ meno fortunata della mia»
«Mi dispiace sentirti dire ciò, ma non penso sia un problema per te, vero? Capisco che a volte i nostri genitori non pensino che sia l’ideale trovare un uomo che non abbia molto da offrire, ma…»
«Ehi, ehi, rallenta! Non stare qui a parlare di queste cose, non si tratta mica di essergli promessa in sposa. È appena un conoscente e probabilmente, se continueremo a vederci durante questo viaggio, nascerà una bella amicizia. Non trarre sempre conclusioni affrettate. Ad ogni modo, per rispondere alla tua domanda, lo sai bene che io non faccio alcuna discriminazione sociale»
«Mi fa piacere sentirlo, effettivamente tutti dovrebbero pensarla così. Sono felice per te! Io mi sono ritrovata a pensare molto a Mason Moore. Sembra una così cara persona»
«Ti conosco così bene che oserei dire che quel signor Moore ti sta facendo un po’ sognare ad occhi aperti. Inevitabile dire, con quel fascino da ricco e quel suo modo di rivolgersi così perbene. Non dirmi che andrai a curiosare in prima classe per cercare di rivederlo.» Mia rise.  
«Ah, no! Oltretutto, non credo sia possibile incontrarlo nel suo settore, a meno che non mi inviti lui stesso. Sarà che davvero questo viaggio mi sta dando alla testa, come ha detto mia madre, però qualsiasi cosa mi accada su questa nave mi dà speranza. Non so se mai davvero rivedrò quell’uomo, però non nego che mi farebbe davvero molto piacere… ah, forse però sto esagerando, in fin dei conti è solo un incontro come un altro. Devo togliermi dalla testa tutti questi pensieri inopportuni».
«Ah, Mia, non fare così. Se è destino, vi rincontrerete molto presto. Forse sarà addirittura lui a venire a cercarti. E poi, bando ai pensieri inopportuni, Mia! Siamo su una nave, dobbiamo cominciare una nuova vita, e perché ciò avvenga dobbiamo fare nuove conoscenze. Tu non sei mica nata in mezzo a gente che conoscevi già! Nel corso degli anni hai incontrato tante persone, molte delle quali si sono rivelate importanti per te. Ora accadrà di nuovo: si riparte da zero».
«Sì, ma… non è detto che debba essere proprio un partito così alto come quello che abbiamo accidentalmente incontrato oggi a farmi “ripartire da zero”. Non ti sembra un po’ pretenziosa come idea? Magari lui è anche fidanzato e non vuole perdere tempo con amicizie futili come la nostra! Come minimo gli sarà promessa una bellissima donna mille volte più ricca di noi»
«Non sono i soldi a fare la bellezza, né la differenza nei rapporti fra le persone. Ricordalo sempre!».
«Hai ragione… Ma lasciamo stare. Inizio ad aver fame, che ne dici di andare a cena?»
«Ottima idea! E comunque, magari, se lo rivedrai, prova a parlarci un po’, che ne so, della vostra vita, delle vostre ambizioni... Ci sarà pur qualcosa che vi accomuna! Queste sono occasioni da cogliere al volo, non importa che accada tutto velocemente, l’importante è sentire che è giusto, e se avrai quella sensazione non potrai sbagliare»
«Vero… grazie del consiglio amica mia, lo metterò certamente in pratica! Andiamo»
A quel punto arrivarono le loro amiche, che le salutarono e con cui si avviarono verso la sala in cui si sarebbe tenuta la cena. Anche se tutte erano salite sulla nave appena quella mattina, avevano un sorriso radioso.
Ogni cosa era perfetta, lì. Da quando la sirena del Titanic si era fatta sentire a gran voce per annunciare la partenza verso l’America, sentivano i loro problemi lontani, scomparsi. Non si erano mai sentite così come a casa. Volevano godersi questo viaggio al massimo ed erano sicure che sarebbe stato semplicemente unico, e soprattutto indimenticabile.
Sapevano che sarebbe rimasto scolpito nella loro memoria per sempre.
«Ehi, buonasera!»
«Buonasera, ci siamo tutte! Andiamo!».
 
 
A cena
 
Le ragazze entrarono nella sala, che era semplice ma molto accogliente, con dei tavoli e delle sedie in legno, e le tovaglie color crema contrassegnate dallo stemma della White Star Line, così come piatti e posate.
Mia e Melissa non poterono credere ai loro occhi quando lessero il menù della serata.
«Per l’amor del cielo, quanto ben di Dio!».
«Oh, che bontà!» disse Claire.
«Io e Nathalie non siamo per niente abituate a vedere tutto questo cibo» disse Amanda.
«Nessuno di noi lo è!» disse Melissa.
«Mi sento come se fossi in prima classe!» disse Nathalie.
«Sì, infatti!» rispose Ariel.
Sbavavano quasi dallo stupore. Era troppo bello per essere vero.
«Beh, ho una fame da lupi. Buon  appetito sorelle!» disse Mia, non appena i camerieri servirono la prima portata.
«Prima facciamo una preghiera e ringraziamo di cuore il Signore per la fortuna che ci ha dato, e per aver premiato il nostro lavoro con questo meraviglioso viaggio. Ci auguriamo che l’America apra le porte a noi e a tutti i passeggeri a bordo di questa nave, e doni a tutti una nuova occasione nella vita. Amen» disse Melissa.
«Amen» fecero eco le altre.
Cominciarono dunque a gustare la prelibata cena.
 
«Care ragazze, andiamo a dormire?» disse Melissa sbadigliando, dopo essere rientrata in cabina con le amiche.
«Sì, ho un sonno allucinante» rispose Nathalie.
«’Notte!», dissero in coro.
E, tornate in cabina e indossata la camicia da notte, caddero subito in un dolce, profondo sonno.
 
 
 
 
 
11 aprile 1912, ore 8.00
 
«Giorno! Sveglia dormiglione!» urlò Mia piena di energia.
Melissa, Amanda, Nathalie e Claire la guardarono con sguardo interrogativo.
«Mhh... per quale motivo ci dai noia a quest’ora del mattino?».
«Chiedete anche il perché? Inizia una nuova giornata, e io non voglio sprecare nemmeno un  minuto su questa nave!».
«Va bene... andiamo a fare colazione» disse Melissa.
«No! Voglio dormire!» protestò Amanda.
«Amanda, ma siamo venute qui per dormire? Ne avremo di tempo per quello! Siamo qua per scoprire le meraviglie sconosciute di questa “nave dei sogni”, che aspettano solo noi! Magari nel pomeriggio riposeremo anche un po’, che ne dici?» disse Mia.
«Dai sorella mia, alzati!» la incitò Nathalie.
«Okay...».
«Sì, dai, ho fame!» continuò Claire.
 
 
Dopo la colazione, squisita e consumata ancora con stupore e gusto dalle giovani donne, Mia decise di passeggiare nuovamente con Melissa sul ponte. Quella nave era davvero ben equipaggiata, sembrava non mancare nulla, era davvero lussuosa. Il vento di aprile scompigliava loro i capelli, e il timido sole di primavera cominciava a scaldare la giornata.
 Ad un tratto… quale sorpresa! Mia scorse di nuovo Mason Moore in lontananza.
Melissa notò la sua amica indugiare, di certo stava pensando bene se fosse opportuno o meno avvicinarsi a salutare l’uomo con cui aveva scambiato appena due parole il giorno prima. Decise di incoraggiarla: dopo il felice incontro con Will, aveva capito che su quella nave bisognava lasciar perdere i dubbi e le inibizioni, e accettare ciò che si presentava davanti ai loro occhi, correre incontro alle sorprese che quell’esperienza gli donava.
«Su, Mia, non essere timida. Come vedi è solo, non interromperai mica una sua conversazione, è di nuovo qui a fare una passeggiata. Salutarlo sarà un gesto carino da parte tua». Mia non disse nulla, si sentiva in imbarazzo, non sapeva bene come agire, ma decise di accettare il consiglio della sua amica, così che, dopo aver camminato ancora un po’ ed esserglisi avvicinate, gli rivolse la parola: «Mi scusi... Buongiorno, signor Moore. Passavamo di qui per caso e l’ho riconosciuta, ho pensato bene di salutarla»
«Oh, ma che piacevole sorpresa. Austin, giusto?» disse lui.
«Sì signore, Mia Austin» rispose lei.
«Oh, certo, certo, che sbadato, mi perdoni se non ricordavo il suo nome. Buongiorno a voi»
«Buongiorno» disse Melissa «Vi prego di scusarmi, devo proprio andare. Mi sono ricordata di dover incontrare Will! A presto signor Moore, e a dopo, Mia!»
Mia la salutò, Mason rispose con un «Arrivederci, signorina!».
Melissa sparì e li lasciò da soli.
«Beh, qual buon vento la porta qui sul ponte principale, signorina Austin?»
«Questo ponte è così bello che non posso fare a meno di passeggiarvi, da quando ci ho messo piede per la prima volta ieri. Vedo però che anche a lei piace, dato che è la seconda volta che la incontro qui». Lui sorrise.
«Eh sì, è davvero delizioso quassù. Beh, dal momento che siamo entrambi qui, andrebbe bene se le chiedessi di chiacchierare un po’? Sono venuto qui da solo, perché gli altri membri della mia famiglia sono un po’ impegnati, e a differenza mia non amano passeggiare. Tra l’altro, se ci siamo incontrati due volte, sarà destino che ci conosciamo meglio» disse, con un sorriso.
«Lei crede? Comunque, sarebbe un piacere per me, signor Moore» Mia si sentiva lusingata.
«Assolutamente sì. Perché no? In fondo, siamo sulla stessa nave. È bene fare nuove conoscenze, qui».
«Sono della stessa opinione, e sono lusingata dal fatto che lei voglia trascorrere del tempo con me, la ringrazio. Ma, se mi è concesso chiedere, non ha problemi a farsi vedere in giro a chiacchierare con una ragazzina di seconda classe, spero?».
«Ma mi faccia il favore! Primo, non mi pare assolutamente che lei sia una ragazzina, ma, al contrario, mi sembra bellissima una donna». Mia arrossì, lui continuò: «E secondo, la prego di non scambiarmi per quei ricchi con la puzza sotto al naso, non vivo in funzione del denaro, stia pure tranquilla. Non mi sembra nemmeno giusto che lei si senta in dovere di screditare la propria condizione sociale a tal punto per paura di non essere all’altezza. Di che cosa, poi?»
«Oh, ha davvero ragione, signor Moore. Sono davvero contenta che la pensi così, e mi creda, non screditerei mai la mia condizione, sono felice di ciò che ho, e sono davvero contenta che esistano persone gentili e comprensive come lei»
«La ringrazio, dico davvero. Prediligo gli interessi personali e il carattere a tutto il resto»
«E questo mi rende ancora più curiosa di conoscerla e scoprire se abbiamo qualche tratto in comune»
«Beh, sì, faccio sempre questo effetto alle donne» rispose lui, scherzosamente.
«Bene, bene, bene! Anche un certo senso dell’umorismo, le faccio i miei complimenti, signor Moore!» rise Mia. 
«Per favore, penso sia il caso, da questo momento in poi, di darci del tu e chiamarci per nome, sempre se per lei va bene, Mia»
«Oh… certo, come preferisci, Mason»
«Quindi vediamo, fammi ricordare… hai detto che sei qui in compagnia delle tue amiche, giusto?»
«Sì, abbiamo avuto l’occasione di intraprendere questo viaggio insieme e siamo davvero felici, perché potrebbe significare tanto nelle nostre vite, potremmo trovare nuove opportunità, potremmo studiare nuove cose e trovare un nuovo lavoro dignitoso, e magari incontrare l’amore…»
«Dunque, mi pare di capire che nessuna di voi è sposata?»
«No, nessuna di noi. Stiamo ancora aspettando il nostro momento.» Mia arrossì.
«Mi auguro che arrivi presto per tutte voi. Da quello che mi dici sembrate tutte delle donne perbene e volenterose»
«Ti ringrazio, Mason, mi auguro che vada tutto per il meglio per noi. Tu invece, sei sposato?»
«No, non lo sono. Anch’io al momento non ho nessun legame, ma non per scelta: anche io semplicemente attendo l’occasione giusta, mi pare un’usanza alquanto inutile quella di sposarsi il più presto possibile, si può benissimo decidere di aspettare un po’, secondo me. Io, almeno, non ho mai avuto alcuna fretta nella mia vita»
«Nemmeno io. Mi fa piacere che la pensiamo sempre allo stesso modo, Mason. Almeno non sei una persona che pensa come la signora Bennett di “Orgoglio e Pregiudizio”» ridacchiò Mia, facendo riferimento ad uno dei suoi romanzi preferiti, in cui la madre della protagonista cerca in tutti i modi di far maritare le proprie figlie.
«Jane Austen, dico bene?» puntualizzò Mason.
«Dici bene! È una delle mie autrici preferite» rispose Mia.
«Leggi molto?»
«Sì, adoro leggere. Un autore che adoro è sicuramente Charles Dickens. Per non parlare delle sorelle Brontë»
«Mi fa piacere sentire ciò, anch’io adoro questi autori che hai citato. E anch’io amo leggere, penso che la lettura sia indispensabile per accrescere la cultura di ognuno di noi. I libri insegnano davvero tanto»
«Concordo. Sono contenta che abbiamo anche questo in comune» disse Mia, compiaciuta.
«Allora, qualche volta devo portarti con me nel salone in prima classe. Potremmo bere un tè e leggere qualcosa insieme.» Mia non poteva credere alle proprie orecchie.
«Dici sul serio? Mi farebbe davvero piacere, non immagini quanto.» Sorrise, e lui ricambiò.
«Il piacere sarebbe tutto mio» disse Mason, baciandole la mano. Mia, sorpresa da quel gesto, si sentì arrossire. Era sempre più affascinata da quell’uomo.
«Anzi, sai che ti dico? Se vuoi, mentre continuiamo a conversare, potrei mostrarti un po’ la prima classe»
«Oh, mi lusingherebbe e mi piacerebbe moltissimo!».
Poi, però, indugiò un attimo sulla sua mise.
«Però… forse non sarò adeguata con questi vestiti semplici, e non sono sicura di avere abiti tanto eleganti...».
«Oh, per me non ci sarebbe alcun problema riguardo al tuo abbigliamento, che trovo decoroso e per niente inadeguato, ma se proprio ci tieni a vestirti in maniera più elegante, forse a questo potrei pensarci io. Seguimi».
Mia non capiva, ma era curiosa di dove l’affascinante uomo di prima classe voleva condurla; perciò, seppur con un po’ timidezza, lo seguì.


 

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