Hogwarts in Love

di shira21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non posso non amarti [Ginny Weasley x Severus Piton] ***
Capitolo 2: *** Incidente col tempo [Hermione Granger & Severus Piton] ***
Capitolo 3: *** Sangue di drago [Nuovo personaggio x Charlie Weasley] ***
Capitolo 4: *** Solo con te [Nuovi personaggi] ***
Capitolo 5: *** Cuore infranto [Sirius Black x Lily Evans] ***



Capitolo 1
*** Non posso non amarti [Ginny Weasley x Severus Piton] ***


19 maggio 1997

Quello era il suo quinto anno, avrebbe dovuto pensare solo ai G.U.F.O. per il suo futuro, andare ad Hogsmeade con il suo ragazzo, divertirsi con i suoi amici... già ma fare tutto questo avrebbe significato essere una ragazza, una strega, qualsiasi e probabilmente sarebbe stato chiedere troppo.
Un sospiro le sfuggì dalle labbra ed Hermione le sorrise «Vedrai che tra poco tornerà; Silente gli ha chiesto di incontrarlo». Si era dimenticata di non essere sola nella Sala Comune quella sera e quella semplice frase la fece sobbalzare perché per un attimo Ginny credette che la ragazza sapesse tutto. Ci mise qualche secondo di troppo a capire che si stava riferendo ad Harry, il ragazzo con cui stava da quando lui l'aveva baciata davanti a tutta la Casa e per cui, in teoria, aveva una cotta da anni. Ma questo è il brutto delle cotte: può capitare che una volta che si ottiene ciò che dici di volere, non lo vuoi più.
«Già» mormorò poco convinta rannicchiandosi ancora di più sulla poltrona accanto al camino. Come spiegare a qualcuno che non era felice come avrebbe dovuto o che, semplicemente, quando Harry la baciava non provava nulla? Peggio, una volta si era ritrovata a desiderare che fosse qualcun altro e a occhi chiusi aveva immaginato quel volto che da mesi la stava letteralmente ossessionando. Sentiva che stava diventando rossa e di colpo si alzò in piedi. «Devo prendere una boccata d'aria». Qualsiasi cosa Hermione avesse provato a dirle però era andata perduta alle sue spalle.
Fu solo quando fu quasi arrivata al cortile interno che si rese conto del suo abbigliamento o, per meglio dire, della sua mancanza: indossava solo la maglietta di una squadra di calcio Babbana appartenuta a Dean e che non gli aveva mai restituito. Il fatto era che stava per andare a dormire, e quindi si era già tolta la divisa, quando Hermione le aveva chiesto se le andava di studiare; era tardi, nessuno avrebbe fatto storie si era detta.
Si morse il labbro con fare incerto prima di dirsi che in fondo era tanto larga da coprirla fino a quasi le ginocchia e quindi non era nulla di scandaloso. "Certo che i calzini sono un tocco di classe" si disse Ginny lasciandosi scappare una leggera risata che pareva più una semplice scarica di energia che vero divertimento.
Poi si rese conto di quello che stava facendo, andandosene in giro come una pazza, e decise a tornare indietro; probabilmente era proprio quello che Hermione aveva cercato di dirle mentre scappava a tutta velocità. Purtroppo aveva fatto solo pochi passi che una figura completamente nera le blocco il passaggio.
«Un po' tardi per una passeggiata notturna, signorina Weasley». Il cuore prese a batterle così in fretta da farle fisicamente male mentre il respiro le restava congelato da qualche parte nel percorso tra il naso e i polmoni. Severus Piton, ex professore di Pozioni e insegnate di Difesa contro le Arti Oscure, stava di fronte a lei, gli occhi di ossidiana che la squadravano dalla punta dei capelli rossi sciolti sulle spalle fino a quella dei calzini rosso e oro e ritorno. Ogni centimetro della pelle della ragazza le parve prendere fuoco.
«Av-avevo bisogno di pre-prendere una boccata d'aria, signore» Ginny avrebbe voluto sprofondare: balbettare era una novità; una delle tante controindicazioni dell'innamorarsi probabilmente. «Le finestre del dormitorio di Grifondoro non erano abbastanza grandi?» E la voce era talmente ironica da farle rimpiangere quello che aveva fatto. Sentiva che stava per prendere fuoco per auto combustione, l'imbarazzo che scorreva liquido nelle vene. «Io... ecco.. stavo tornando indietro».
Piton si limitò a inarcare le sopracciglia «Come il suo fidanzato, crede che il rispetto delle regole sia superfluo?»
«Chi?» Per qualche istante davvero il cervello di Ginny si era dimenticato il suo ragazzo. No, sarebbe più corretto dire che si era dimenticato di chiunque che non fosse Piton. Lui parve sorpreso poi si mise a ridere, una risata compiaciuta: a Piton, Harry non era mai piaciuto.
«Per questa volta farò finta di nulla, signorina Weasley, ma non sarò così clemente una seconda volta» e lentamente si fece da parte. Di fretta Ginny gli passò accanto e il cuore perse un battito quando furono a soli pochi centimetri di distanza. Poi corse via, diretta al dormitorio.

Erano passati cinque giorni da quella figura pietosa e Ginny ancora non riusciva a guardare il professore negli occhi. Hermione le aveva fatto il terzo grado ma il ritorno di Harry le aveva evitato di dover parlare di quello che era successo o spiegare perché fosse così visibilmente agitata. Inoltre i tre erano spesso distanti; non fisicamente ma fin dal suo primo anno a Ginny era parso che intorno a Hermione, Harry e Ron ci fosse una bolla che li divideva da tutti gli altri. E non era neanche l'unica a pensarla così.
Purtroppo essere sovrappensiero durante una lezione non aveva mai aiutato nessuno e riuscì a fare un incantesimo scudo solo un attimo prima che l'incantesimo le arrivasse addosso.
Il ragazzo si vide sbalzare di mano la bacchetta ma nonostante ciò le sorrise «Brava, Ginny... stavolta pensavo di prenderti di sorpresa».
«Questo perché la signorina Weasley pareva annoiarsi di fronte a suoi tentativi di disarmarla, una cosa che onestamente a quest'ora tutti voi dovreste essere capaci di fare».
Ginny sobbalzò e una spruzzata di scintille rosse spuntarono dalla sua bacchetta che forse stava stringendo troppo.
«Signorina Weasley, è la seconda volta che la trovo con la testa sulle nuvole. Vuole condividere con noi cosa o chi la distare tanto?»
«Niente... mi-mi dispiace» stava di nuovo andando nel panico e notò a malapena del modo in cui i suoi compagni di classe la guardavano: tutti sapevano che metterla in difficoltà non era facile; crescere con cinque fratelli più grandi le avevano forgiato un carattere quasi ribelle. Ma tutto ciò impallidiva quando si trovava con lui. Ancora una volta Ginny si chiese come aveva potuto innamorarsi di Piton e quando era successo.
Forse era quell'aura di potere e di mistero o forse quegli occhi così scuri in cui a volte, quando incrociava il suo sguardo per caso, gli pareva di vedere un dolore incomparabile.
Purtroppo si era persa di nuovo nei suoi pensieri e il professore l'aveva notato.
«A quanto pare la lezione è troppo noiosa per lei, signorina Weasley. Dieci punti in meno a Grifondoro per la sua disattenzione e cinque giorni di punizione». Ecco, quello sì che aveva attirato la sua attenzione.
«Ma signore...?»
In tutta la classe si era sollevato un mormorio concitato.
«A ogni protesta che sentirò aumenterò i giorni.» Le sorrise ma non c'era calore in quello sguardo. Anzi, sembrava che guardala gli facesse fisicamente male. «Vuole davvero finire la frase?»
«No, signore» rispose Ginny a tono basso ma si rifiutò di distogliere lo sguardo. Il fatto che lo amasse non le rendeva più semplice tenere a bada il proprio temperamento.
«Bene. Stasera alle 19 nel mio ufficio» e si girò a guardare gli altri studenti «Forse ho detto che potevate smettere di esercitarvi e non me ne sono accorto?»
Come tanti piccoli soldatini tutti ricominciarono a esercitarsi con gli incantesimi scudo.

Come immaginava, Harry era furioso del fatto che fosse stata messa in punizione e proprio da Piton. «Vi dico che non mi fido di quell'uomo!»
«Harry, abbassa la voce» Hermione si guardò preoccupata intorno ma Harry sembrava pronto a urlare il suo odio dalla finestra della Torre dov'erano riuniti.
Ginny invece si era quasi completamente isolata mente accarezzava il morbido pelo di Grattastinchi; come avrebbe fatto a passare cinque sere da sola con l'uomo che amava? In classe era più facile perché c'erano parecchie distrazioni ma dubitava che ci fossero anche nel suo ufficio.
«Forse dovresti parlare con Lumacorno, vedere se può aiutarti» la voce di Hermione la distrasse dall'immagine piuttosto realistica di un volto magro ed emaciato dai capelli scuri.
«Di cosa?» Guardò tutti ma era confusa, sentiva di aver perso un pezzo di conversazione.
«Della punizione... stai bene?» Harry l'attirò a sé, facendo scappare il gatto. «Ti vedo assente in questi giorni».
«Ho tante cose per la testa» gli disse lei prima di dargli un casto bacio che la lasciò completamente indifferente. Poi guardò l'ora e scattò in piedi. «Meglio che vada» e con un sorriso, forse troppo grande per una che stava andando in punizione, scompiglio i capelli a Ron e salutò gli altri.
Nonostante il cambio di cattedra l'ufficio di Piton era ancora nei sotterranei e, quando ci arrivò davanti, Ginny sentiva il cuore batterle forte. Bussò un paio di volte ma la porta era appena socchiusa e si aprì. Esitando Ginny entrò ma di Piton non c'era traccia.
Sul caminetto qualcosa bolliva e le pareti erano piene di barattoli di forme e colori differenti.
«Vedo che è in orario, signorina Weasley» Ginny sobbalzò; possibile che quell'uomo dovesse sempre arrivarle alle spalle di soppiatto?
«Buonasera, professore» e fu lieta di come la voce suono calma e decisa al contrario delle mani che tremavano nascoste dietro la schiena.
Rimasero a guardarsi per parecchi istanti e fu certa di vedere la sua espressione addolcirsi.
«Signore?»
Piton parve risvegliasi da un sogno a occhi aperti.
«Forza, andiamo» confusa, lo seguì fuori dall'ufficio fino a una vecchia sala sotterranea lunga e stretta che non veniva più usata. «Qui non ci dovrebbe disturbare nessuno», le guance della ragazza arrossirono. Possibile che sapesse?
«Non capisco» mormorò la ragazza mentre si guardava intorno. «Ho parlato con gli altri professori e tutti sono concordi a ritenerti una grande strega, abile nelle pozioni e negli incantesimi e persino a Quidditch» Ginny non sapeva se doveva ringraziare; non sembravano complimenti quanto una semplice lista di fatti. «Eppure negli ultimi tempi tutti hanno notato una certa... chiamiamola disattenzione... durante le lezioni per quanto ciò non abbia influito sui suoi compiti. Il professor Lumacorno ha addirittura suggerito che avendo partecipato alla battaglia al Ministero il programma del tuo anno ti risulti... come dire? Banale». Per Ginny quella non era una risposta anzi la confondeva ancora di più: sembrava ammirato e disgustato allo stesso tempo.
«Quanto bene conosce le Arti Oscure, signorina Weasley?»
La ragazza inspirò di colpo mentre brutti ricordi le bruciavano dentro «Più di quanto avrei voluto». Non avrebbe mai dimenticato il suo incontro con Tom Riddle, mai.
«Come immaginavo» poi sorrise e per un attimo sembrò quasi buono «Tiri fuori la bacchetta. Vediamo se stasera riuscirò ad avere la sua attenzione».
Se solo avesse saputo, si disse Ginny con un sorriso mentre estraeva la bacchetta.
«A che livello è esattamente?»
Scagliare una fattura a un professore non le pareva il caso per cui fece un Patronus e il suo fedele cavallo corse fuori dalla punta della bacchetta e in cerchio intorno a lei: era un animale che la rappresentava meglio di qualunque altro. La cosa strana fu che invece di scomparire in una nuvola argentata come capitava di solito, quello corse verso Piton e sembrava quasi chiedergli di accarezzarlo. Le guance di Ginny presero fuoco appena questo pensiero prese forma e alla fine il Patronus evaporò.
«Dovevano essere ricordi davvero felici per avere una forma così nitida» commentò Piton squadrandola con espressione impenetrabile. Era meglio che non sapesse che stava pensando proprio a lui; senza che se accorgesse, mentre lanciava l'incantesimo, aveva sentito chiaramente tutto l'amore che provava per il suo professore fluirle dentro e scaldarla. Ginny si posò una mano sul petto, era la prima volta che sperimentava una sensazione simile.
Quando alla fine si decise ad alzare di nuovo lo sguardo vide che Piton aveva lasciato perdere la sua solita maschera e la osserva incuriosito.
«Sì... lo erano...» la voce della ragazza era esitante e ancora confusa mentre rispondeva alle parole del professore.
«Beh, sei già a un livello superiore a molti tuoi compagni e so che sei brava anche con le fatture... anche quelle un po' più oscure».
Come faceva sapere a sapere tante cose su di lei? Quando aveva cominciato a fare domande?
Ancora una volta Ginny si chiese se sapesse.
In ogni caso, decise di non dire nulla e il momento passò.
Per le due ore successive eseguì ogni singolo incantesimo che le richiedeva Piton e, a fine serata, era evidentemente colpito.
«Bene, signorina Weasley. Per stasera possiamo anche concludere. Domani, alla stessa ora». E senza dire altro se ne andò.
Ginny era carica di adrenalina durante la lezione ma ora che lui se n'era andato si spense di colpo, come una candela al vento.
Si lasciò scivolare a terra e con un sorriso mormorò alle pariti silenziose un «Buonanotte, professor Piton».

Per quattro sere Piton le aveva dato lezione, chiamandole punizione e rendendola più felice che mai. Tutti avevano notato che sembrava brillare di luce propria e tutto pareva riuscirle meglio: durante l'allenamento di Quidditch segnò talmente tanti punti che suo fratello le disse che era felice che fossero nella stessa squadra e persino gli incantesimi parevano più forti (aveva quasi mandato a gambe all'aria il professor Flitwick!). L'unico che non si era accorto di nulla era Harry, troppo preso dai suoi complotti e dalle sue lezioni private con Silente. Non le importava quanto il ragazzo odiasse Piton, lei era convinta al cento per cento della sua fedeltà a Silente. C'era qualcosa in lui che difficilmente si intonava con un Mangiamorte e lei ne aveva incontrati più di uno!
Purtroppo quella sera era anche l'ultimo giorno di punizione e quasi quasi desiderò di aver protestato il primo giorno.
Era sola nel dormitorio delle ragazze e si era seduta sul bordo di pietra della finestra, le gambe nel vuoto e la testa appoggiata alla pietra; osservava il tramonto e si godeva uno dei pochi momenti di pace... beh, della sua intera vita!
A distrarla dai colori del cielo e dal volo indisturbato dei gufi fu il rapido passaggio di una figura familiare.
Piton?
Prima che potesse fermarsi a pensare, gli corse dietro fino alla rimessa per le barche. Camminando leggera cercò di non farsi notare, spiando il suo professore ma un gemito le sfuggì dalle labbra quando lo vide tirare su la manica per osservare il Marchio; Ginny non l'aveva mai visto così da vicino o così scuro e per un attimo le sembrò di vedere il serpente muoversi, cosa non da escludere. In ogni caso il suono, per quanto lieve, non era passato inosservato e si ritrovò una bacchetta puntata a pochi centimetri dal naso.
Per qualche secondo, o forse erano ore, nessuno dei due si mosse, vicini eppure lontani, gli occhi incatenati in una guerra senza nome.
Fu Piton il primo a parlare «Si è messa a seguirmi, signorina Weasley?»
Ginny avrebbe potuto rispondere in decine di modi a quella domanda eppure riuscì a farsi scappare le parole più inappropriate che potesse «Fa male?»
Non c'era da stupirsi se Piton sgranò gli occhi e la guardò come se fosse pazza.
«Cosa?»
La ragazza fece un profondo respiro: aveva iniziato, tanto valeva andare fino in fondo. «Il Marchio... sembra fare male».
Il professore abbassò la bacchetta e si guardò perplesso il braccio come se lo vedesse per la prima volta. «Brucia ma non è un vero dolore... più un promemoria» le rivolse una specie di sorriso «Interessata?»
«Sì».
Due lettere, una parola e ogni cosa parve fermarsi.
Lui la guarda incapace di credere a quello che aveva sentito.
Lei lo guardava incapace di credere a quello che aveva detto.
Un attimo così lungo che potevano iniziare guerre o finirle, tanto lungo che nuove vite sbocciavano e altrettante giungevano alla loro fine; un attimo che parve durare quanto l'eternità stessa.
Poi il tempo riprese a scorrere normalmente e Ginny fece l'unica cosa sensata: scappò via.
Ma aveva fatto solo pochi passi quando sentì quelle dita fredda intorno al proprio polso e sarebbe caduta se lui non l'avesse afferrata per la vita, stringendosela accidentalmente contro.
«Cosa significava?» La voce di Severus era giusto un tono più alto di un mormorio ma erano talmente vicini che lei capì benissimo. Senza girarsi o muoversi in alcun modo, Ginny si limitò a scuotere la testa. «Signorina Weasley?» Poi, con somma sorpresa della ragazza, si chinò abbastanza da appoggiare la guancia sui suoi capelli, le labbra a un soffio di distanza dal suo orecchio «Ginny?»
E il suo nome detto da lui sembrava così strano e giusto allo stesso tempo da provocarle ben più di un brivido.
«Significava… significava che...» cercava una scusa per nascondere la sua gaffe eppure le parole ancora non volevano saperne di uscire e poi lui disse una cosa che la fece suo malgrado sorridere e decidere che non aveva poi molto da perdere.
«Pensavo che fossi coraggiosa».
Ginny si raddrizzò in tutta la sua non notevole altezza e finì la frase in modo sincero, con il cuore in mano «Significava che sì, sono interessata. Sono interessata a sapere se il Marchio ti fa male, ogni volta che ti fa male. Sono interessata a sapere cosa pensi. Sono interessata a capire cosa si nasconde dietro quel sorriso storto o cosa renda i tuoi occhi così tristi». Fece un respiro profondo, non ci credeva che gli stava dicendo tutte quelle cose, parlandogli come se fosse un uomo qualsiasi e non un suo professore. Con un movimento improvviso, si girò tra le sue braccia, ritrovandosi così vicina da scorgere il proprio riflesso nei suoi occhi, tanto che era sicura che potesse vederle il cuore battere all'impazzata dal pulsare della vena sul collo. «Significava che sono interessata al pacchetto completo, il lato buono e il lato oscuro.»
Perché Ginny sapeva che non era un eroe senza macchia ma non era più neanche un crudele Mangiamorte: era semplicemente Severus Piton, pregi e difetti.
«Non dovresti… non dovremmo...» eppure la voce gli uscì quasi dolce, sembrava che volesse allontanarla ma allo stesso tempo tenerla il più stretto possibile.
«Non dovremmo o non vuoi?» Da dove le usciva tutto quel coraggio neanche lei lo sapeva eppure si sentiva come quando aveva evocato quel Patronus la prima sera di punizione: piena di amore e forza.
«Sei una mia studentessa e stai con Potter». Ginny si mise sulla punta e gli poso un dito sulle labbra «Se queste cose non ci fossero e non esistessero regole… lo vorresti? Io sento qualcosa che non è minimamente paragonabile a nient'altro… amore, desiderio o follia, deciditi tu… ma so che non sono solo io!» Persino in quel momento tra loro c'è tanta di quella corrente di energia inesplorata che potrebbero illuminare l'intero castello a giorno.
«Pensavo di essere io quello pazzo» e finalmente lo vede sorridere «Ero certo di starmi immaginando tutto!»
«No ma se vuoi che mi allontani me lo devi dire ora» la voce di Ginny si era ridotta a un roco sussurro mentre con le dita tracciava i contorni di quel viso che ormai conosceva a memoria.
Piton appoggiò la fronte contro quella ragazza, respirando il suo respiro, incapace di allontanarla come avrebbe dovuto «Non lo dovrà sapere nessuno; ne sei consapevole?»
Ginny si alzò il più possibile, annullando quasi ogni distanza «Lo so ma del resto del mondo a me non importa».
E, alla fine, le parole divennero superflue, aggrappati l'uno all'altro come disperati alla deriva, innamorati malgrado tutto e tutti e ancora incapaci di aver scoperto gli stessi sentimenti nell'altro.
 
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7 aprile 1998

Piton le prese una ciocca di capelli tra le dita: sembrava più un gesto inconscio ma quello le bastò a farle perdere il filo del discorso, provocandole una deliziosa pelle d'oca. Quasi si perse in quegli occhi scuri che parevano nascondere un intero universo... quasi perché in realtà era ancora furiosa con lui, indipendentemente da quanto lo amasse. «Non provare a distrarmi, Severus!»
Lui inarcò un sopracciglio con fare ironico eppure Ginny vide l'angolo delle sue labbra fremere per trattenere un sorriso.
«Ci sto riuscendo?»
Anche la voce tradiva un certo riso mal trattenuto. Ah, se solo gli altri avessero potuto vedere il rigido Preside in quei momenti.
«Lo sai benissimo qual è la risposta; per questo lo stai facendo. Ma io non ho nessuna intenzione di nascondermi!»
A quelle parole l'uomo perse ogni voglia di giocare o scherzare. «Lo sai che sto facendo il possibile per proteggerti... per proteggere tutti gli insegnanti dai Mangiamorte ma non ci riuscirò in eterno» le prese il volto con entrambe le mani, costringendola a guardarlo in volto «Ti prego, non posso perdere anche te». Quelle parole furono un balsamo su un anima lacerata e, contemporaneamente, uno schiaffo in pieno volto. Con un gesto rabbioso si liberò dalle sue mani e, sentendosi addosso lo sguardo indiscreto di generazioni di Presidi tranne un latitante Silente, si diresse verso la grande finestra.
«Ginny?» Basto una sola parola per farla esplodere.
«Cosa? Cosa vuoi da me, Severus? Perché a volte penso che tu non mi veda... per te io sono solo una sua copia. Beh, sappi una cosa: io. Non. Sono. Lily!» Stava ansimando quando finì di parlare, la voce resa roca delle urla mal trattenute. Sentì un lieve tossicchiare ma a una sua gelida occhiata tutti i quadri si svuotarono. Piton si alzò e la raggiunse in poche falcate, prendendola tra le braccia e lasciando che Ginny sprofondasse il volto nel la sua veste, il corpo esile scosso dai singhiozzi. «Non mandarmi via, Sev» il soprannome le sfuggi dalle labbra, odiava ogni cosa che la facesse apparire più simile a lei.
«Piccola, guardami» il tono di lui era dolce, qualcosa che probabilmente nessuno aveva mai sentito. «Dopo queste vacanze, in un caso o nell'altro non torneresti comunque: i Mangiamorte hanno altri progetti per te. Te lo chiedo per favore, mi metterò anche in ginocchio se è quello che vuoi, ma raggiungi la tua famiglia e nasconditi.» Ma Ginny era testarda e credeva che il suo posto fosse lì, nella scuola, accanto al suo uomo. «Inoltre conosci troppi segreti, miei e dell'Ordine» aggiunse lui bloccando le sue proteste, riuscendo a lasciarla senza argomentazioni. Ginny si rendeva conto che aveva ragione eppure non era ancora certa. Ma Piton non aveva ancora finito: le asciugò le lacrime rimaste dalla piccola esplosione di prima e continuò «Lo sai che è innegabile che in alcune cose tu assomigli a Lily e sai anche che occuperà sempre un posto speciale per me» a quelle parole Ginny iniziò a divincolarsi dalla sua presa, non sarebbe restata lì ad ascoltarlo dire quanto amava un altra donna. Ma Severus rise e la riprese di nuovo «Mi lasci finire?»
«No» disse Ginny con il broncio. Lui le mise una mano a coppa intorno al viso e, nonostante la rabbia, Ginny non poté fare a meno di appoggiarvisi.
«Lily era e sarà sempre importante. Ma lo sei anche tu, Ginevra Molly Weasley, in un modo che non riesci neanche a immaginare. Non sapevo neanche di potermi innamorare di nuovo, non di una mia studentessa, non in questo modo. E quando tutto questo finirà, niente e nessuno mi terrà lontano da te».
Ginny lo guardò ma sapeva di aver perso quella battaglia. «Lo prometti?»
«Te lo prometto» disse lui.
Doveva andare e chissà quando sarebbe tornata. Si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò piano, castamente, prima di sussurrare con voce spazzata «Ti amo, Severus Piton». E poi se ne andò.
Fu solo molte ore dopo, quando si trovava al sicuro, con i genitori che dormivano a pochi metri di distanza, che si chiese perché le sembrava di avergli detto addio.

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Capitolo 2
*** Incidente col tempo [Hermione Granger & Severus Piton] ***


Stava andando tutto male, pensò sconsolata Hermione sdraiata nella tenda. Harry era sempre più intrattabile e Ron... beh, Ron se n'era andato lasciandola sola. Nella suo cuore rabbia e dolore erano perfettamente in equilibrio e per un attimo si ritrovò a pensare che sarebbe stato meglio se non fosse mai diventata una strega. Come però ebbe formulato quel pensiero si sarebbe presa a schiaffi da sola: non era da lei auto commiserarsi!
Fuori dalla tenda sentiva i deboli gemiti di dolore di Harry che non poteva fingere che la connessione con Voldemort non stesse diventato ogni secondo più forte.
Incapace di prendere sonno, prese la borsetta da in fondo al letto, decisa a leggere il libro lasciatole da Silente fino a quando non avesse decifrato perché secondo il preside fosse tanto importante. Ma quando mise mano nella borsa non fu la stoffa liscia del libro che le sue dita afferrarono ma una catenina dimentica lì dentro da mesi, nascosta in un giorno che ancora non sapeva di doverla nascondere.
Hermione trattene il fiato tutto in un colpo, gli occhi sgranati per la sorpresa, mentre lentamente estraeva quella che poteva essere l'ultima GiraTempo ancora esistente. Non era quella che aveva usato durante il suo terzo anno per studiare più materie contemporaneamente, non aveva mentito all'epoca dicendo di averla restituita, bensì una superstite di due anni prima durante la battaglia nel Dipartimento dei Misteri; in qualche modo se l'era ritrovata in tasca, quasi che l'oggetto stesso avesse cercato di proteggersi.
Lanciò un altra occhiata fugace all'entrata della tenda ma Harry sembrava di nuovo padrone della sua mente. Avrebbe dovuto insistere di più con l'Occlumanzia, pensò Hermione scuotendo la testa contrariata; non gli piaceva l'idea che il suo migliore amico soffrisse ancora per quel legame. La GiraTempo vibrò per un secondo, sembrava quasi che avesse sentito il dolore di Hermione e le stesse ricordando della sua esistenza.
Il problema era che quella non assomigliava alle altre GiraTempo che Hermione aveva visto: era sempre una clessidra posizionata al centro di un medaglione a cerchi ma erano lì che iniziavano le differenze: la collana non era d'oro ma di uno strano metallo nero, oscuro, e all'interno della clessidra c'era un liquido scuro e vischioso che Hermione ebbe paura fosse sangue liquido. Non c'era bisogno di essere un esperto delle Arti Oscure per capire che quell'oggetto ne fosse impregnato e confusa Hermione si chiese per l'ennesima volta come avesse fatto a finire nella sua tasca. Anche se forse la vera domanda era perché l'avesse tenuta.
Ancora una volta il piccolo oggetto tremò e allo stesso tempo Harry sembrava per qualche motivo furioso; chissà se la rabbia era tutta sua o di Voldemort.
Il punto era che nessuno si aspettava che fosse un viaggio semplice ma Silente non aveva lasciato loro un vero piano d'azione; non solo, Hermione sentiva che c'era qualcosa che stava andando storto come una linea mal tratteggiata. E più guardava quella strana GiraTempo, più era certa di avere tra le mani la soluzione ai loro problemi. Ogni cellula del suo corpo, ogni suo singolo pensiero le diceva di rimetterla nella borsa, di documentarsi e non agire senza le dovute precauzioni. Quello era un comportamento tipico di Harry e di Ron. Le bastò pensare il suo nome per sentire di nuovo quella fitta al petto.
Eppure una singola vocina nella sua testa, Silente l'avrebbe chiamata istinto, le diceva di fidarsi.
Hermione fece un profondo respiro e prese la sua decisione. Con ultimo sguardo alla sagoma di Harry e mormorando a bassa voce «Scusami», prese dalla borsa un lungo mantello nero con il cappuccio, indumento che non aveva mai usato per la sua somiglianza con quello dei Mangiamorte, e si lego i capelli in una treccia per nasconderli. Le mani le tremavano eppure nascose la bacchetta contro il cuore che le batteva ferocemente e si mise al collo la GiraTempo.
Una normale l'avrebbe fatta tornare indietro solo di poche ore, un numero corrispondente ai giri fatti fare dalla clessidra, ma di nuovo il suo istinto le diceva che questa funzionava in modo diverso, che non erano i giri la cosa importante ma la sua mente. Hermione non poteva negare di avere paura ma dopo l'ennesimo respiro più profondo del normale, chiuse gli occhi per concentrarsi sui loro problemi e fece girare la clessidra che al tocco deciso delle sue dita prese a girare da sola, sempre più veloce.
Ogni cosa parve esplodere nella testa di Hermione, il cuore che pompava sembra più veloce mentre milioni di colori si accalcavano dietro le sue palpebre chiuse. Sentiva che il respiro le graffiava la gola e i polmoni stavano per collassare. Per non parlare del rumore che sentiva alle orecchie che le stava perforando i timpani.
Hermione aveva già viaggiato con la GiraTempo ma questo era milioni di volte peggio: era come se ogni singola parte del suo corpo si stesse disintegrando.
Poi di colpo tutto finì mentre Hermione si ritrovava carponi su un verde prato. Il corpo era ricoperto di una patina di sudore freddo mentre l'esile corpo era scosso da violenti conati di vomito; le orecchie continuavano a fischiarle e quando aprì gli occhi i colori parevano giocare a ricorrersi provocandole un atroce capogiro. Si chiese era così che sarebbe morta: facendo per la prima volta qualcosa di veramente e completamente stupido.
Non si era neanche resa conto di star piangendo per il dolore alla ricerca disperata di ossigeno.
«Stai bene?» Una voce stranamente familiare giunse da qualche parte sopra di lei. Ma Hermione non riusciva a parlare con la bocca piena di sangue e la carne che pareva lacerata da decine di pezzi di vetro. Lo sconosciuto, sempre che lo fosse per davvero, disse qualcos'altro ma il fischio stava diventando sempre più forte.
Hermione era sempre più al limite estremo delle sue forze, certa ormai che la sua vita fosse finita, quando d'un tratto ogni dolore cessò sostituito da un piacevole formicolio; stremata, si rannicchiò su se stessa mentre assaporava generose boccate di aria fresca.
«Chi sei e come hai fatto ad arrivare in questo posto?»
Riconoscendo finalmente la voce, Hermione spalancò gli occhi per trovarsi di fronte la figura alta ed esile di Severus Piton, anche se incredibilmente più giovane. La mano di Hermione scattò verso la bacchetta ma quando lo vide mettersi velocemente in posizione di combattimento lasciò perdere: era difficile pensare di batterlo al pieno delle proprie forze, figurarsi dopo aver sfiorato la morte.
Mostrando entrambe le mani con il palmo rivolto verso l'alto, lentamente si rimise seduta.
«Non te lo chiederò una terza volta: chi sei?»
«Mi chiamo He... Helena» poi lo sguardo le sfuggì sul Marchio Nero e in fretta aggiunse «Greengrass» ricordandosi che Daphne Greengrass, durante i G.U.F.O., sosteneva sempre che la sua famiglia apparteneva alle Sacre Ventotto. Piton inarcò un sopracciglio mentre un sorriso malevolo gli si dipingeva in volto ed Hermione rabbrividì, era la prima volta che vedeva una simile espressione sul volto del suo vecchio professore.
«E cosa ci fa nel mio giardino esattamente, signorina Greengrass?»
Hermione deglutì a vuoto un paio di volte, la mente a corto di idee quando con un filo di voce mormorò «Cercavo Severus Piton ma qualcosa dev'essere andato storto durante la Materializzazione». Ancora lui non ritraeva la sua bacchetta, facendola tremare per la paura. Studiandolo meglio si rese conto che non doveva essere molto più grande di lei in quel momento, massimo quattro anni a giudicare da com'era scuro il Marchio, il che significava anche che Voldemort era ancora vivo.
Dubitava fermamente però che la GiraTempo l'avesse mandata lì per uccidere il Signore Oscuro o evitare la morte dei genitori di Harry, anche se su quest'ultimo punto era incredibilmente tentata. No, se era apparsa in quel giardino voleva dire che la GiraTempo pensava che doveva influire sulla storia del professor Piton. Ma non aveva idea in che modo.
«Sono io quello che cercavi ma questo posto è difeso.»
Hermione si pulì le labbra e finse un sorriso, cercando di dimenticare di avere di fronte l'assassino di Silente, e decise che valeva la pena di improvvisare.
«Sono qui su ordine della signorina Lestrange». Piton inclinò il capo di lato, come un serpente, e con voce divertita chiese «Bellatrix non si fida del mio operato?».
Hermione chinò il capo sperando che lo prendesse come un segno di devozione e non di rabbia al sol suono di quel nome. Ma prima che potesse aggiungere qualcos'altro, anche le ultime briciole di forze l'abbandonarono e si sentì scivolare di nuovo a terra mentre tutto diventava nero.

Un discreto profumo aleggiava nella stanza ed Hermione uscì lentamente da quel sonno forzato. Aprì gli occhi a fatica, le sembrava di avere le palpebre incollate. Intorno a lei, un silenzio innaturale.
Hermione si sforzò ma quando ci riuscì una lama di luce accecante la costrinse a richiuderli. Mosse le mani, incerta. Sotto di se c'era qualcosa di morbido; sentiva quella morbidezza con ogni singola terminazione nervosa del suo corpo. Mosse anche le gambe e fu stupita di sentirle libere, quasi si aspettava che Piton l'avesse legata in attesa di istruzioni per quella sua intrusione.
Incerta, Hermione si portò le mani al volto e riprovò ad aprire gli occhi. Questa volta riuscì ad abituarsi alla luce prima di potersi guardare intorno. Era una camera spoglia, con le pareti ammuffite e sul soffitto delle travi a vista. Spaventata si mise seduta, portando le gambe contro il petto, come faceva da piccola quando voleva proteggersi dagli incubi. Ogni cosa lì dentro indicava degrado e miseria, compreso lo stretto letto su cui era appoggiata. Anche se, muovendo piano da un lato all'altro le dita, doveva ammettere che quelle coperte erano confortevoli.
Si era appena rilassata lievemente quando la porta si aprì, riempita interamente dalla figura di Piton. Un leggero rossore le bruciò le guance quando si rese conto di indossare molti meno vesti di quelli che aveva quando era svenuta, per non parlare che il mantello era definitivamente perso e con esso il suo anonimato. Istintivamente si coprì con il lenzuolo, ancora incapace d'incontrare lo sguardo dell'uomo. «Avevi tagli su tutto il corpo» mormoro lui ed una veloce occhiata le rivelò che anche lui sembrava imbarazzato. Inoltre Hermione doveva ammettere che non si sentiva così bene... beh, da parecchi mesi probabilmente!
«Mi hai salvato la vita...» disse alla fine, passando inconsciamente al tu. D'altronde le veniva difficile rivedere il severo professore di Pozioni, lo spaventoso insegnante di Difesa contro le Arti Oscure o il freddo assassino in un ragazzo con le gote arrossate. «Probabilmente ti resteranno le cicatrici, ti avverto. La Magia Nera lascia sempre il segno» anche lui pareva essere passato a un tono più colloquiale ed Hermione si chiede come mai di colpo sembrava più rilassato.
Addirittura si prese la briga di lasciarle un bicchiere fumante accanto al letto. «Cos'è?» Gli chiese lei, annusandolo per essere certa non ci fosse dentro qualche veleno ma Piton rispose solo «Una pozione di mia invenzione» e straordinariamente eccolo arrossire una seconda volta nel giro di pochi minuti. Solo allora Hermione si rese conto che quegli occhi neri, che Harry aveva sempre detto essere senza anima, erano diversi, sembrava quasi che non avesse ancora perduto tutto. «Sei stranamente calmo rispetto a prima».
«Ti ho fatto un incantesimo» ammise lui senza cambiare tono di voce, come se fosse una cosa perfettamente accettabile. Hermione invece si sentì di nuovo a disagio, esposta anche più di quando si era resa conto che lui l'aveva vista più di qualsiasi altro ragazzo in tutta la sua vita. «Un incantesimo? Che tipo d'incantesimo?» A ogni sillaba il suo tono si alzava di un ottava fino a quando non si rese conto che stava urlando.
«Pare che tu abbia parecchi segreti da nascondere: la tua mente è chiusa come una cassaforte» Hermione si morse il labbro e distolse brevemente lo sguardo: non aveva mai detto a nessuno che, nella speranza di poter essere d'aiuto ad Harry, anche lei aveva studiato Occlumanzia; era diventata molto brava anche se probabilmente non a un livello tale da confrontarsi con Voldemort; a quanto pare però era sufficientemente alto per un giovane Piton.
«E il fatto che io sia riuscita a non farti entrare... è una cosa buona?» Era perplessa e lo divenne ancora di più quando vide una cosa che aveva del miracoloso: Piton sorrise. «Diciamo che so cosa significa lavorare per qualcuno ed avere dei segreti... ma non è solo quello. Qualcosa è riuscito a filtrare; non molto, certo, ma abbastanza perché io decidessi di potermi fidare».
Hermione avrebbe voluto sapere esattamente cosa avesse visto ma era di nuovo stanca. Ed era pericolosamente affamata.
«Se bevessi quello che ti ho portato, ti sentiresti meglio». La ragazza lo guardo di scatto: come aveva fatto?
«Al contrario della tua mente, le tue emozioni ti si leggono tutte in volto».
Sempre dubbiosa, Hermione bevve quello strano intruglio e... beh, doveva ammettere che aveva un sapore stupendo. Era come bere il suo piatto preferito!
Stava per chiedergli spiegazioni quando lo vide fare una smorfia e portarsi la mano sul Marchio Nero nascosto dai vestiti. «Devo andare» e scomparve.
Hermione si alzò ma quando provò ad aprire la porta si rese conto che era chiusa. Peggio ancora, si rese conto per la prima volta che la sua bacchetta non era nella stanza.

Sola ed impotente, Hermione non poté fare altro che indossare la sua camicetta rosa chiaro e i jeans prima di sedersi alla finestra ad aspettare. Oltre la bacchetta era sparita anche la GiraTempo; non poteva far altro che aspettare che Piton tornasse. Giusto per precauzione provò a forzare la serratura o rompere il vetro della finestra ma nulla; era anche convinta che ci fosse qualche incantesimo che impedisse alle persone fuori di vedere dentro perché per quanto urlasse o si sbracciasse, nessuna delle persone che lei vedeva sembrava accorgersene.
Era in pensiero e si chiedeva se Harry si fosse già accorto della sua assenza; conoscendolo avrebbe fatto qualcosa di stupido e quel Horcrux che teneva al collo non avrebbe aiutato di certo. Doveva tornare e farlo nello stesso momento in cui era partita o avrebbe creato un effetto domino capace di scombinare tutte le leggi della magia. Rimase con la fronte appoggiata al vetro per un tempo indefinito prima vedere qualcosa nel riflesso. Accigliata, si avvicinò alla scrivania che restava in piedi probabilmente per un miracolo talmente era vecchia e rotta e si rese conto che quello che aveva visto un attimo prima che un pezzo di carta restato intrappolato a metà nel cassetto. Hermione provò a tirare con tutte le sue forze la maniglia ma era più probabile che le restasse in mano quella piuttosto che si aprisse il cassetto; a quel punto non le rimase che cercare di leggere quel poco che si vedeva. La prima cosa di cui si rese conto fu che era una lettera o qualcosa di simile, da Piton alla sua "Cara Lily". Una lettera probabilmente mai spedita ed Hermione si chiese quante altre ce ne fossero lì dentro. Ma la vera domanda era perché Piton si fosse preso la briga di scrivere alla madre di Harry; era quello che entrò come un tarlo nella mente di Hermione.
Si rialzò pronta a tornare al suo posto di vedetta quando un dettaglio si fece largo nella sua testa: quello che le aveva raccontato Harry a proposito della profezia e di come qualcuno avesse origliato. Possibile che...?
Si chinò nuovamente a vedere la lettera, chiusa lì dentro probabilmente solo poche ore prima a giudicare dagli sbaffi freschi d'inchiostro. Ma non era quello il punto. Era la data riporta in cima al foglio: 21 marzo 1980. Le date coincidevano. Ogni singola cellula grigia che Hermione possedesse stava lavorando per mettere insieme tutti i pezzi. La conclusione a cui giungeva era sempre la stessa.
Presa dai suoi ragionamenti, quanto avrebbe voluto avere i suoi libri o anche solo qualche pergamena per scrivere, non si accorse che il sole aveva iniziato a calare né che aveva iniziato a piovigginare. Solo quando Piton entrò nella stanza, i capelli neri bagnati e lo sguardo infervorato si rese conto di quanto tempo fosse passato.
«Vedo che ti sei messa comoda, Greengrass». Hermione alzò il mento con un coraggio che non possedeva e si butto dietro la spalla i folti capelli come aveva sempre visto fare a quelle di Serpeverde. «Dove sono le mie cose?»
Piton sorrise «La tua bacchetta è al sicuro» e con un colpetto distratto si batté sul petto «ma era una collana davvero curiosa quella che portavi al collo. Ne avevo vista solo una uguale fino ad oggi. Indovina a chi apparteneva?»
Hermione sentì ogni singola goccia del suo sangue defluire dal volto mentre mormorava «Il Signore Oscuro?»
«Congratulazioni, risposta esatta» ed era talmente ironico che per Hermione fu come tornare indietro nel tempo... anche se in realtà per questo Piton sarebbe stato il futuro... un bel casino, insomma!
Doveva agire, e anche il fretta, ma per farlo avrebbe dovuto riprendersi la sua bacchetta. E possibilmente anche scoprire dov'era la GiraTempo. No, una cosa per volta, si disse.
Il punto era: come fare? E come convincerlo dopo ad andare alla Testa di Porco?
Non poteva usare la violenza né sperare in un briciolo di empatia. Le rimaneva solo di lavorare d'astuzia ma la domanda restava: come?
Piton stava ancora parlando ma Hermione era troppo concentrata a pensare per prestargli attenzione. Quando era svestita, era arrossito. E anche quando l'aveva guardato ammirata per quella strana pozione.
Aveva un solo tentativo di far funzionare il suo piano. Uno solo. Avrebbe voluto non essere lì da sola ma lo era e toccava a lei tirarsi fuori da guai.
Con le mani che tremavano aprì un bottone della camicetta. Tanto basto a Piton per zittirsi.
Ancora aveva nella testa quelle parole dirette a Lily; non sapeva ancora che pensare ma sperava ardentemente di non sbagliarsi.
Si slacciò altri tre bottoni rapidamente svelando la pelle chiara e i seni scoperti.
«La verità è che la signorina Lestrange crede tu abbia bisogno di dimostrare di non provare sentimenti per una» la parola le rimase incastrata in gola prima che riuscisse a sputarla fuori «Sanguemarcio!».
Ormai la sua camicetta era completamente aperta ma Piton non distoglieva lo sguardo dal suo viso; quello di lui era cadaverico.
«Il Signore Oscuro sa la verità. Non ho bisogno di dimostrare nulla!»
Hermione gli si avvicinò a piccoli passi e solo quando fu a un soffio da lui osò dire «Ti prego». Per la prima volta poté lasciare affiorare tutta la sua paura, non solo quella che stava provando in quel folle giorno ma praticamente da anni. Una paura che aveva sempre seppellito nel suo profondo.
Piton piegò il capo verso di lei ed Hermione fece qualcosa che in un altro momento l'avrebbe pietrificata: lo baciò.
Sperava ardentemente che stesse funzionando perché più di così non era certa di riuscire a fare; stava quasi per desistere quando accadde il miracolo e Piton si rilassò, ricambiando il bacio.
Gli infilò una mano tra i fini capelli, che non erano unti come sembravano alla vista, mentre l'altra restava lievemente appoggiata sulla sua spalla. Hermione riaprì cautamente un occhio, non si era neanche resa conto di averli chiusi, e si rese che lui era totalmente preso. Chissà perché ma era certa che non fossero molte le ragazze che l'avevano baciato.
Basto un momento, un momento soltanto, per riprendersi la bacchetta e con decisione urlare un «Imperio». Povero Piton, preso tanto alla sprovvista da non essere neanche riuscito a difendersi.
Hermione mantenne la bacchetta puntata su di lui mentre osservava la sua espressione farsi calma, serena, quasi senza preoccupazioni. Non aveva mai lanciato una Maledizione senza Perdono e si sentiva a disagio. «Immagino abbia funzionato...» mormoro fra sé e sé prima di fare un profondo respiro e, parlando con voce molto più ferma di quello che credeva, disse «Devi andare alla Testa di Porco stasera stessa. La Maledizione Imperius finirà quando vedrai Silente.»
Hermione rimase in febbrile attesa di vedere cosa avrebbe fatto e rimase quasi sorpresa vedendo Piton smaterializzarsi di colpo. Riallacciandosi di tutta fretta la camicetta, andò alla porta e poi giù in un salotto altrettanto squallido.
Sperava di aver fatto quello che doveva mentre alza la bacchetta di nuovo «Accio GiraTempo» ed ecco il ciondolo nero volare a tutta velocità verso di lei.
Nello stesso momento sentì dei rumori simili a strappi fuori dalla casa. Auror, pensò terrorizzata mentre s'infilava a tutta velocità la catenina. Non sapendo che altro fare diede un bacio speranzoso alla clessidra leggermente incrinata e la fece girare. L'ultima cosa che vide fu Alastor Moody che entrava a forza in casa, strappandole un mezzo urlo che si perse nelle pieghe del tempo.

Ce l'aveva fatta, si disse, mentre si contorceva dal dolore dentro la tenda. Harry era ancora fuori e, ormai abituato a sentirla piangere, non entrò. Ci mise tutta la notte, entrando ed uscendo da stati d'incoscienza, prima di riprendersi. Probabilmente gli incantesimi di Piton erano ancora dentro il suo organismo e, appena le fu possibile, ne aggiunse degli altri perché l'unica cicatrice che non scomparve fu una bruciatura appena sopra il cuore, la dove la clessidra era andata in frantumi.
Per alcuni giorni Hermione si chiese se aveva fatto una sciocchezza, le cose non era granché migliorate; anzi, con la bacchetta di Harry rotta le cose sembravano peggiorare. Aveva mandato Piton a dire a Voldemort di uccidere i genitori di Harry per nulla? Fu solo quando Ron ed Harry parlarono di un Patronus a forma di cerva che Hermione capii cosa era successo. Stesa a letto, ignorando il suo amico e quello stupido di Ron, pensò che conosceva il segreto di Piton ma non poteva dirlo agli altri due, non quando Harry continuava a rifiutarsi di praticare l'Occlumanzia. E un piccolo sorriso affiorò sulle sue labbra: Silente aveva ragione: Voldemort non capiva nulla dell'amore.

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Capitolo 3
*** Sangue di drago [Nuovo personaggio x Charlie Weasley] ***


Mio padre diceva sempre che sono nata dalle fiamme ed era per quello che non mi bruciavo, neanche mettendo le mani sopra il fuoco.
Da piccola quella spiegazione mi bastava e dopo è semplicemente diventato troppo tardi per chiedergli altro: quando avevo solo sei anni fu ucciso da un Mangiamorte davanti ai miei occhi.
Non lo dimenticherò mai!
Ora di anni ne ho diciassette e non sono così sicura di essere felice di avere delle risposte.
«Forza Esme, muoviti. Non voglio far tardi alla prima partita dell'anno» a qualche metro da me Josephine corre e gira su se stessa come una trottola impazzita strappandomi un sorriso. Adoro troppo quella ragazza. La raggiungo e la prendo per mano, trascinandola tra le risate tra gli spalti.
La gonna della divisa che ancora indosso mi sfiora le gambe mentre prendiamo posto, impazienti anche se per motivi diversi: Jo è davvero una fan di Quidditch e sogna di poter diventare una giornalista per poter seguire tutte le partite in giro per il mondo; io invece vengo solo per vedere il cercatore e capitano della nostra Casa, Grifondoro.
Quando scende in campo è impossibile non riconoscerlo o forse sono solo io che lo riconoscerei anche in mezzo a una folla.
«Hai gli occhi a forma di cuoricini» mi prende in giro Jo, ridacchiando e appoggiando la testa sulla mia spalla.
«Cosa ci posso fare se ho una cotta per lui da quattro anni ormai?»
«Perché allora non fai nulla? Sei così bella da far girare la testa anche a quegli snob di Serpeverde». La guardo per qualche secondo prima di sorriderle e girare la testa e ritornare a guardare la partita. Al mio fianco la sento sospirare profondamente ma come sempre lascia cadere l'argomento; si limita a stringermi a sua volta la mano e riappoggiarsi alla mia spalla.
Come posso spiegarle che non posso legarmi troppo a qualcuno perché sto morendo?
Silente mi ha detto che da qualche parte potrebbe esserci un modo per sopravvivere ma in quegli occhi cristallini così saggi ho visto tanta tristezza per la mia sorte. Per questo non posso legarmi a nessuno, lascerei alle mie spalle troppo dolore.
La partita finisce con una vittoria schiacciante della mia Casa, i gemelli Weasley sono anche più bravi di quello che molti pensavano.
Si stanno alzando tutti, nell'aria un allegro chiacchiericcio ma io resto seduta. Mi giro e cerco di fare un sorriso a Jo «Resto fuori un altro po', tu vai pure».
«Ma...?»
«Josephine, tranquilla. Vai a cena» sta per protestare quindi mi alzo e l'abbraccio. All'orecchio le sussurro «Per favore, ho bisogno di stare da sola».
Lei mi guarda con quei suoi occhioni castani da cucciolo ma dopo sette anni sa riconoscere quando ho davvero bisogno di ristabilire il mio spazio; non le piace ma lo capisce.
«Va bene» mi da un bacio sulla guancia e i suoi milioni di ricci ribelli dello stesso colore degli occhi mi solleticano la punta del naso «Ti tengo vi un pezzo di dolce».
«Grazie» le sorrido di rimando e poi la osservo allontanarsi di corsa per unirsi alla conversazione con due Corvonero: Jo è fatta così: farebbe amicizia anche con i muri se loro le rispondessero.
Mi risiedo e tiro su le gambe contro il petto, smettendo di sorridere.
La McGonagall mi ha detto più volte che potrei avere un futuro come Auror ma ho declinato ogni volta; ha smesso solo quando gliel'ha detto il professor Silente.
Non so con precisione cosa farò del mio futuro... non so neanche se avrò un futuro!
Una leggera brezza scivola sotto il mio mantello facendomi rabbrividire leggermente e portandosi dietro gli odori dell'autunno. Quando sono certa che nessuno mi possa vedere, sgattaiolo giù dalle gratinate e mi dirigo velocemente verso la foresta proibita.
Man mano che avanzo la luce si fa sempre più fioca e la vegetazione più fitta fino a quando non raggiungo una piccola radura che è un po' il mio posto segreto. Mi ha mostrato questo posto Hagrid da cui sono andata su consiglio del preside; mio malgrado mi sono affezionata davvero a lui e ai suoi consigli a volte un po' ingenui. E temo che anche lui si sia affezionato a me, penso con un sorriso malinconico mentre mi siedo sulla pietra piatta.
Perdo la concezione del tempo mentre lascio che il potere rilassante della natura mi entri dentro e mi calmi come ogni volta fino a quando un movimento mi fa girare. Davanti a me c'è un Thestral, un cavallo nero e scheletrico con lunghe ali da pipistrello. Allungo la mano con il palmo rivolto verso l'alto e lentamente lo guardo avvicinarsi e appoggiare il muso sulla mia mano, sfregandosi varie volte in cerca di coccole e cibo.
«Sembra che tu stia coccolando l'aria», io e il Thestral alziamo lo sguardo contemporaneamente e rimango senza fiato quando incontro due occhi blu sorridenti che fissano il punto dove è appoggiata la mia mano. I capelli rossi leggermente arruffati e due braccia muscolose sono le altre due caratteristiche principali di Charles Septimius Weasley, per gli amici Charlie.
«Ci sono dei Thestral, vero?»
Deglutisco a vuoto mentre la creatura in questione mi guarda inclinando il muso di lato percependo tutta la mia ansia. Mi mordo il labbro inferiore e mormoro «Uno solo»; è un miracolo che riesca a sentirmi.
Solitamente le persone sono a disagio quando hanno intorno queste creature, sopratutto quelle che non riescono a vederle, invece il sorriso di Charlie pare diventare persino più grande.
«Figo!»
Lo guardo perplessa, le sopracciglia inarcate. Con mio stupore, noto il suo volto diventare dello stesso rosso accesso dei capelli «Cioè... non è figo che tu possa vederli... È figo il fatto che siano qui...».
Per assurdo vederlo così agitato mi rilassa: se anche il Prefetto e capitano della squadra di Quidditch è capace di arrossire e balbettare allora noi comuni mortali possiamo rilassarci!
In quel momento il Thestral mi da un leggero colpetto sulla spalla e mi guarda speranzoso. Passo le dita lungo il collo scarno e, dispiaciuta, gli dico «Mi dispiace tesoro: non ho portato da mangiare».
Lui mi guarda a lungo ma poi fiuta una traccia e se ne va, non prima però di essersi fatto accarezzare un altro paio di volte.
Solo a quel punto mi giro verso Charlie che è ancora vestito come durante la partita e che ora sta osservando me e la radura vuota.
«Se n'è andato» gli spiego e lui fa solo un leggero «Oh».
Un silenzio imbarazzato, almeno da parte mia, cala tra di noi; sto per alzarmi quando lui si avvicina e, indicando un altro sasso a poca distanza da quello su cui sono seduta io, mi chiede «Ti dispiace se mi siedo?»
«Perché?» La domanda mi sfugge dalle labbra prima che possa fermarla e mi esce con un tono vagamente stridulo.
«Perché no?» Sorride ancora ma ora è più incerto, credo che il mio imbarazzo lo stia contagiando.
«Perché noi non siamo amici. Apparteniamo alla stessa Casa e abbiamo molte lezione in comune eppure abbiamo parlato solo una manciata di volte... in sette anni!» Sto facendo la puntigliosa, lo so, e una parte di me vorrebbe solo mettersi a saltellare e dirgli che sì, può sedersi perché sono innamorata di lui e lo seguirei fino all'Inferno e ritorno.
Ma probabilmente mi sono difesa così a lungo che ora non so fare altrimenti.
«Okay... e se volessi essere tuo amico?»
Lo fisso sospettosa e chiedo di nuovo «Perché?»
«Lo chiedi spesso a quanto pare» nella sua voce c'è una traccia di risa mal trattenute e anche a me viene da sorridere. Poi però diviene serio, si guarda intorno prima di posare di nuovo lo sguardo su di me «Ci deve per forza un perché?»
E c'è qualcosa in quegli occhi che si va ad infilare direttamente sotto la mia pelle, mozzandomi il respiro; è qualcosa che mi eccita e mi fa paura allo stesso tempo perché pare riuscire a vedermi ma vedermi per davvero, aldilà dell'aspetto fisico e di tutte le mia barriere.
Quindi cedo, mi è impossibile negargli qualcosa. Con un accenno di sorriso, mormoro «Se vuoi, puoi sederti» e cedrei altre mille volte se servisse a vedere il suo volto illuminarsi in questo modo.
«Pensavo che per attirare un Thestral dovessero sentire odore di cibo... di sangue» mi osserva con la testa inclinata di lato come un uccellino curioso. Decido di dirgli almeno una parte di verità «Di solito è così ma c'è qualcosa nel mio sangue che lì attira in modo naturale ed istintivo» e poi scrollo le spalle come fosse un mistero anche per me; spero di essere stata convincente.
Nel dubbio sposto lo sguardo sugli alberi della foresta che stanno diventando sempre più indistinguibili nel buio e gli chiedo «Come mai hai scelto di specializzarti in Cura delle Creature Magiche?»
«Potrei farti la stessa domanda e farti notare che potremmo anche essere gli unici due ad aver fatto questa scelta!» Rido perché  so benissimo che ha ragione e, anche senza vederlo, sento il sorriso nelle sue parole «E comunque voglio studiare quelle creature che vengono definite pericolose nel loro habitat naturale».
«Allora tu e Hagrid avete molto in comune!»
«Diciamo che ci troviamo molto d'accordo» ridacchia e io mi giro verso di lui; ormai si distinguono solo i contorni ma se devo essere onesta per me è meglio così: non riuscirei a parlare con lui se riuscissi a vederlo in volto.
«E hai già deciso dove andare una volta finiti gli studi?»
«Pensavo di andare nelle Americhe... ci sono ancora così tante creature da scoprire!» La passione nella sua voce mi scalda come una coperta calda poggiata sulle spalle. «Tu invece?»
Mi scappa una risatina «Sicuro di volerlo sapere?»
«Certo. Io ti ho detto il mio obbiettivo, ora è il tuo turno!»
Sento le guance diventare calde e faccio un respiro profondo «Non ho ancora un idea precisa ma... credo che andrò in Romania per studiare i draghi...» Anche questa è solo una parte della verità.
«Wow» la voce di Charlie è solo un mormorio ma riesco a sentire la sua ammirazione. «Esmeralda Young, a quanto pare siamo simili!»
Alle sue parole sorrido ma non dico nulla. Restiamo in silenzio per un po' fino a quando non sento un fruscio al mio fianco e la sua mano compare a pochi centimetri dal mio volto «Forse è meglio rientrare».
Mai il buio mi fu così amico penso mentre arrossisco ancora di più e appoggio le dita dentro al suo palmo; in un attimo mi ritrovo con il naso contro la sua maglia, la mano libera appoggiata aperta contro il suo petto mentre l'altra è serrata dentro la sua. Siamo più vicini di quanto siamo mai stati... no, siamo più vicini di quanto io sia mai stata con chiunque. Il suo profumo di erba appena tagliata, sapone e qualcosa che non riesco ad identificare ma che mi ricorda il sole estivo sulla pelle mi circonda, facendomi perdere il controllo sul mio battito cardiaco. Alzo il viso e mi rendo conto che così vicino riesco a distinguere i suoi lineamenti; Charlie ha il volto abbassato verso di me e il suo respiro lieve mi sfiora le ciglia. Basterebbe così poco per baciarlo...
Ogni rumore e ogni singola cosa al di fuori di noi sparisce.
Sento le sue dita tracciare il contorno del mio viso, dalle ciocche sfuggite alla treccia fino alla punta del mento provocandomi una miriade di brividi. «Lo trovi strano o inquietante se ti dico che vorrei parlare con te da anni ma non ne ho mai trovato il coraggio?»
Lo stomaco mi si contrae mentre smetto letteralmente di respirare.
«Perché?» Questa sta diventando la domande del giorno ma devo veramente capire perché; in fondo, a parte Jo, non ho mai legato con nessuno qui ad Hogwarts: ogni legame si sarebbe potuto trasformare in un rimpianto un giorno.
Charlie appoggia la fronte contro la mia «Potrei dirti che è perché sei assurdamente carina o perché c'è questa aura misteriosa che ti circonda fin dal primo anno... ma la verità è che ti ho vista trattare le creature di Hagrid con un affetto che nessuno a parte lui gli ha mai riservato».
Le sue parole fanno breccia in una parte del mio cuore che credevo perduta per sempre.
«Ti prego, Charlie... io non posso...» per qualche motivo la voce mi trema come se stessi per piangere. Ecco perché ho sempre preferito che restasse una cotta senza mai cercare di scoprire se i miei sentimenti avrebbero potuto trovare un riscontro dall'altra parte. La sue dita calde si intrecciano con forza alle mie congelate e sposto la mano libera sulla sua guancia «Io non sono quella che credi: ti ferirei soltanto!»
«Non ci credo!»
Sorrido anche se con ben poco divertimento: quando si mette in testa qualcosa questo ragazzo è davvero determinato.
Dilaniata faccio un passo indietro; Charlie mi trattene per qualche secondo ma alla fine mi lascia andare.
«Come hai detto prima, è meglio rientrare» e, con passo sicuro di chi ha percorso questi viali milioni di volte, m'incammino verso il castello.
«È così e basta?» Charlie mi corre dietro mentre tira fuori la bacchetta per illuminare la strada.
«Sì, è così», tiro dritta senza neanche guardarlo.
Camminiamo fianco a fianco fino al cortile senza dire nient'altro anche se quasi sento il suo cervello pensare a tutta velocità. Una volta dentro le mura mi fermo «Devo andare in biblioteca» non è vero ma ho bisogno di allontanarmi da lui prima di fare qualcosa di stupido come baciarlo.
Lui mi sorride da sotto la zazzera di capelli rosso fuoco e mi riprede la mano; posa un lieve bacio sul dorso e mi guarda attraverso le folte ciglia «Non mi arrendo, Esmeralda!» e se ne va senza neanche lasciarmi il tempo di ribattere.
Sbatto velocemente le ciglia e mi dirigo in biblioteca. Mi siedo su una delle sedie e su un foglietto scrivo solo "SOS - Biblioteca". Con un colpo di bacchetta quello si trasforma in un veloce aeroplanino che sfreccia fuori dalla finestra diretto alla Torre di Grifondoro; Jo impazzirà quando le racconterò cosa è successo.
Quando arriva mi rendo conto che mi sto ancora sfiorando il punto dove mi ha baciata.

Nelle settimane seguenti devo ammettere con me stessa che è davvero un ragazzo tenace; è come se l'idea di avere poco tempo l'avesse reso più determinato.
A volte trovo mazzi di fiori, un altra un sacchetto di dolciumi di Mielandia (che io e Jo abbia divorato); a lezione si è impuntato di sedersi vicino a me e le lezioni di volo stanno diventando imbarazzanti. Io sbuffo e brontolo ma dentro di me trovo il tutto molto dolce.
Jo invece neanche lo nasconde quanto impazzisce per tutta questa situazione: l'unica cosa che ancora non ha fatto è stato chiuderci a chiave dentro una stanza!
Ora mi sto dirigendo da Hagrid che mi ha chiesto se posso controllare uno degli ippogrifi.
Busso alla capanna ma invece del guardiacaccia mi apre l'ormai onnipresente ragazzo dai capelli rossi.
«Ciao, Esme» e il suo sorriso quasi fa sorridere anche me.
«Primo, non ti ho mai dato il permesso di chiamarmi Esme; secondo, cosa ci fai tu qui?»
Lo so, divento aggressiva quando sono imbarazzata.
Anche perché non indosso la divisa ma un paio di jeans e un maglioncino con lo stemma di Grifondoro, di un rosso cupo che mi piaceva particolarmente prima che mi rendessi conto che assomiglia al colore dei capelli di Charlie!
«Ehi tranquilla. Ritrai gli artigli: Hagrid ha chiamato qui anche me per quell'ippogrifo!»
Lo guardo sospettosa ma non dico nulla perché il diretto interessato è appena arrivato «Finalmente sei arrivata. Forza su, venite con me che vi mostro dov'è quel piccolino», io e Charlie ci guardiamo ma ci stringiamo nelle spalle e gli corriamo dietro. Hagrid va avanti a parlare preoccupato fino a quando non giungiamo in una soleggiata radura. Solo quel punto lo interrompo «Hagrid, esattamente perché hai chiamato noi? Di solito non ti occupi tu delle creature ferite?»
Io Charlie saremo anche i più bravi del nostro corso ma non siamo così bravi. Incredibilmente lo vedo arrossire «Non so perché ma non mi lascia più avvicinare» sfrega un piede per terra imbarazzato e Charlie si affretta a rassicurarlo «Tranquillo Hagrid. Ora vediamo che cos'ha!»
In effetti, lì da solo c'è un ippogrifo sdraiato su un fianco: è bellissimo eppure si capisce da qui quanto soffre. Sia io che Charlie gli facciamo un inchino ma quello pare ignorarci; ci lanciamo un altra occhiata prima di avvicinarci lentamente. Solo che, quando siamo a pochi passi, quello tenta di mordere Charlie che fa un balzo indietro.
Per assurdo invece io riesco ad avvicinarmi abbastanza da inginocchiarmi e posargli una mano sul collo; mi guarda con occhi dolci e imploranti. Noto che sotto il pelo ha parecchi morsi e graffi come se fosse stato attaccato. Sempre più preoccupata faccio scorrere le dita lungo tutto il corpo fino a quando un movimento mi fa scoppiare a ridere.
«Cosa succede?» La voce di Hagrid è un mix di ansia e sconcerto.
«Hagrid, il piccolino è una piccolina!»
Charlie mi lancia un occhiata «Davvero?»
«Nei sei sicura, Esmeralda?»
Faccio un sorriso e cerco di calmare l'animale. «Hagrid, sta partorendo. Per questo non ti fa avvicinare!»
«Cosa? Oh».
Gli faccio un altro sorriso e nell'ora successiva mi occupo di un compito di cui non credevo mi sarei mai occupata: far nascere un piccolo ippogrifo. Seguo le istruzioni di Hagrid fino a quando il piccolo non esce. Ho sangue fino ai gomiti!
Il nuovo arrivato tenta immediatamente di mettersi sulle zampe con le alette che sbattono velocemente e quando finalmente ci riesce alza il muso con un orgoglio particolare.
Hagrid si avvicina con fare orgoglioso e guarda il piccolino muoversi da una parte all'altra, cadendo ogni tre passi.
«Come lo vuoi chiamare?»
Mi giro verso Charlie, che si è lasciato cadere al mio fianco.
«Non credo che...»
«No, Charles ha ragione. L'hai fatto nascere tu, hai il diritto di dargli un nome».
L'ho osservo per un po' prima di dire «Secondo me dovresti chiamarlo Fierobecco»
«Sì, mi piace» esclama Hagrid con il suo vocione prima di occuparsi della neo mamma che finalmente lo lascia di nuovo avvicinare.
Alla fine restiamo soli io e Charlie.
«Sei stata brava» e, forse a causa di tutte quelle emozioni, finisce che gli appoggio la testa sulla spalla. Lui s'irrigidisce un attimo prima di rilassarsi e stringermi contro di sé.
«Ti sto sporcando tutto» mormoro dopo un po'. È così sbagliato se non vorrei stare da nessun altra parte al mondo se non qui, tra le sue braccia?
«Fidati, non è un problema».
Rispetto alla prima volta, ora stare con lui in silenzio non mi imbarazza più; forse a furia di averlo sempre accanto mi sono abituata alla sua presenza.
«Posso essere sincero?»
«Da quando chiedi il permesso?» Gli chiedo di rimando con una risata.
«Bene. So di avere solo diciassette anni e che forse credi che non so quello che dico ma... conosco me stesso e so che quello che provo per te è vero e che non lo proverò mai più per nessun altra!»
«Charlie...»
«No, fammi finire. Non voglio essere arrogante ma so di piacerti e per quanto mi riguarda... beh, credo... no, sono sicuro di amarti!»
«Perché hai dovuto dirlo?» Mi stacco disperata. Fino a quando tutto era incerto potevo anche sopportarlo ma così «Te l'ho già detto: non posso!»
«Non puoi amarmi?» È allibito, lo vedo, ed io mi alzo esasperata. «Non posso ferirti!»
Ho il petto che si alza e si abbassa a un ritmo frenetico e il cuore pare volermi rompere le ossa da quanto batte forte.
Incurante di sporcarsi mi prende per mano, costringendomi ad abbassarmi, a sedermi praticamente addosso a lui. Con tocco delicato ma fermo mi circonda il volto con le mani «Spiegami perché sei così convinta che finirai per ferirmi» e in un secondo momento aggiunge «Fidati di me, ti prego!»
Sospiro e mi libero dalle sue mani ma, invece di allontanarmi, mi siedo sul suo grembo e affondo il volto nella piega del suo collo. È più facile da raccontare così.
«Fin da quando ne ho memoria, non mi sono mai bruciata; potrei stare anche in piedi in mezzo ad un incendio ed uscirne senza neanche un arrossamento. Per me era una certezza come il fatto che mia madre era una strega e che era morta quando avevo pochi mesi. Quello che non sapevo era come fosse morta o che io ne fossi la causa. Solo quando sono arrivata qui Silente mi ha detto la verità.» Faccio un respiro tremulo e Charlie mi stringe un po' più forte. Cullata tra le su braccia e dal suo profumo, vado avanti «Quando avevo cinque mesi sarei dovuta morire.» A quelle parole lo sento trattenere il fiato ma ora che ho iniziato non riesco più a smettere di raccontare «La nostra casa in Spagna è andata a fuoco e la mia cameretta è rimasta bloccata dalla macerie. Quando finalmente mi hanno trovata ero in fin di vita, bruciata più di quanto fosse umanamente possibile. Non so chi fosse l'uomo insieme a mia madre, Silente è riuscito a recuperare solo frammenti di memoria, ma a quanto pare le suggerì un modo per salvarmi: sangue di drago.
Non so come ma funzionò; ero salva ma mia madre morì per cercare di procurarmi quel sangue. Nelle mie vene scorre sangue rubato ad un drago, per questo non mi brucio e gli animali mi percepiscono come parte di loro, ecco perché il mio patronus è un drago ed ecco perché sto morendo. Ogni giorno divento più debole» alzo il volto e lo guardo dritto in quegli occhi blu appannati di lacrime. «Secondo Silente, che ne ha osservato il decorso in questi anni, difficilmente supererò i vent'anni. Significa che ho meno di tre anni ancora da vivere prima che il sangue mi bruci gli organi».
Mi accorgo di star piangendo solo quando sento il sapore salato sulla labbra.
Non so quanto restiamo così, abbracciati e uniti.
Non ho mai raccontato a nessuno questa storia, neanche a Jo, ma ha ragione lui: io lo amo come non amerò mai nessun altro nella mia vita.
«Verrò in Romania con te. Studieremo ogni specie di drago, ogni leggenda, ogni storia che possa spiegare quello che ti è successo... ma io non ti lascio!»
Lo dice con una tale foga che lo guardo sconvolta «Ne sei sicuro? Neanche ci volevi andare in Romania tu».
«Fin da piccolo mi sono sempre trovato meglio con le varie creature magiche che con gli umani. Tu sei la prima con cui mi sento così in sintonia.» Mi posa un bacio sul collo e aggiunge «E poi io adoro i draghi!»
Rido perché non posso farne a meno, rido con le guance ancora bagnate di lacrime.
«Ti amo, Charlie. Davvero! Ma ho paura che quando morirò tu sarai solo...»
«Non sarò mai solo: avrò la mia numerosa famiglia e i miei amici. E il mio lavoro».
«Ma non una moglie o dei figli... perché nella mia condizione io non potrò mai averli».
Lui mi sposta da davanti gli occhi alcune ciocche di capelli. «Mi va bene così perché tu sei l'amore di tutta una vita; anche se dovessimo stare insieme solo pochi mesi non potrei mai amare un altra come amo te».
E con questo sento ogni mia difesa sgretolarsi.
«Allora prossima fermata: Romania!»
«Esatto».
E finalmente lo bacio come sognavo di fare da anni, lo bacio come se stessi morendo di sete e lui fosse l'unica fonte d'acqua, lo bacio come se la mia vita iniziasse e finisse con lui... insomma, lo bacio come si bacia la propria unica anima gemella.

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Capitolo 4
*** Solo con te [Nuovi personaggi] ***


Ultima lezione della giornata: volo.
La amo.
La odio.
E il motivo di questa mia confusione mentale appare in giardino insieme ai suoi due migliori amici in un tripudio di nero e rosso.
«Stai sbavando» al mio fianco compare Mark, la mia anima gamella se non fosse assolutamente gay. Mi sfugge un sospiro sconsolato mentre la bacchetta al mio fianco vibra quasi sapesse quanto avrei bisogno del suo aiuto. Un incantesimo per diventare invisibile mi andrebbe bene!
Mark mi abbraccia e mi trascina a lezione mentre io non riesco a distogliere lo sguardo da Vincent, il ragazzo di cui sono innamorata da sette anni, in pratica dal primo momento in cui ho messo piede ad Hogwarts. No, in realtà da molto prima: ero alla stazione 9 e 3/4 e praticamente tremavo per il nervosismo: non ero cresciuta nel mondo magico ma in uno squallido orfanotrofio umano dove ero sempre stata quella diversa, quella intorno a cui capitavano cose strane. E quindi ero lì, tutta sola, con un sacco di bauli che riuscivo a malapena a spostare quando ero finita a terra. Non era stato il peso di tutto quello che stavo trasportando ma un ragazzino sorridente con i capelli castani tutti arruffati e gli occhi dolci, simili a quelli di un coniglietto. «Scusa, non ti avevo vista» erano state le sue prime parole e io sperimentai per la prima volta cosa significa arrossire. Poi una donna l'aveva tirato su sgridandolo mentre io restavo seduta a terra, osservando la scena. Mi ricordo che pensai che allora era quello che significava avere dei genitori, una famiglia. E quando la donna mi aveva sorriso aiutandomi a rialzarmi chiedendomi dov'erano i miei genitori avevo potuto solo rispondere «Sono orfana». Avevo letto la tristezza nei suoi occhi mentre mi prendeva le manine sbucciate e, con un solo colpo di bacchetta, guariva tutte le piccole ferite. Poi, come se nulla fosse, aveva ordinato al marito di portare nello scompartimento di Vincent anche i miei bagagli. «Ecco, nessuno dei due sarà solo». Io mi ero girata a guardare il bambino certa che avrebbe avuto qualcosa da ridire invece lui mi aveva preso per mano, trascinandomi verso il treno mentre con voce allegra mi chiedeva «Vuoi vedere le mie nuove figurine? Ho quasi tutti i maghi e le streghe della Seconda Guerra dei Maghi!» E io, che neanche sapevo di cosa stesse parlando, mi ero limitata ad annuire. Penso che m'innamorai in quel momento o forse poco più tardi, quando con voce dolce, mi chiese cos'era successo ai miei genitori. Nella mia ingenua mente di ragazzina mi ero già immaginata insieme nella sala comune; mai avrei immaginato che ci saremmo divisi dopo solo poche ore. Lui fu smistato a Grifondoro, il capello che declamava frasi sulla lealtà e il coraggio, mentre a me disse che con la mia discendenza e la ambizione ero di certo una Serpeverde. Quando andai a sedermi al mio nuovo tavolo mi girai a cercarlo e, attraverso una sala piena di gente, ci guardammo. E quella fu la prima volta che il mio cuoricino si spezzò.
Sento una fitta alla testa e mi accorgo che Mark mi ha tirato un codino «Ti sei di nuovo  persa nei ricordi...» ed io alzo le spalle colpevole. Siamo arrivati al campo di volo e non possiamo dire altro, a meno che vogliamo beccarci un ora di punizione.
Lancio un ultima occhiata a Vincent, il maglioncino grigio che mette in risalto i suoi muscoli allungati e morbidi e la camicia bianca che pare risplende in contrasto con la sua pelle olivastra.
Ecco perché odio queste lezioni in comune, non riesco minimamente a concentrarmi e se voglio diventare un Auror come il mio eroe, Alastor Moody, devo avere solo ottimi voti.
Madama Hooch mi lancia un occhiata severa mentre ci spiega la storia del Quidditch; essendo che siamo all'ultimo anno, pochi di noi hanno bisogno di lezioni pratiche di volo ma quelle teoriche paiono non finire mai. Se non altro ci lascia gli ultimi dieci minuti per montare sulla scopa e semplicemente volare, dandoci ogni tanto qualche suggerimento.
Adoro tutto del volare ed ogni volta mi pare meravigliosa esattamente come la prima.
Ne approfitto per testare la mia nuova scopa oltre che godermi questa assoluta sensazione di libertà ma prima che possa fare qualcosa qualcuno mi si affianca con fare incerto. Il cuore mi salta in gola quando mi rendo conto che è Vincent. Ed è da solo!
«Buongiorno Capitano!»
Avrei tante cose da dirgli invece mi esce solo un misero «Ciao».
«Anche se mancano ancora due partite si dice che il più giovane capitano della storia di Hogwarts porterà alla sua casa la quinta vittoria consecutiva», sorrido compiaciuta a quelle parole e un moto d'orgoglio mi brucia nelle vene eppure, come mi succede spesso, questi sentimenti non riescono ad affiorare «Come hai detto, mancano ancora due partite».
Lo guardo con la coda dell'occhio e lo vedo inarcare le sopracciglia. Ma non sono diventata Capitano al terzo anno senza notare anche il più piccolo movimento di chi mi circonda, Mark dice che sembro nata per essere un Cacciatore; per questo quando per l'ennesima volta Vincent inizia a perdere il controllo della sua scopa mi slancio con entrambe le mani per bloccarla. Appena appoggio i palmi sul legno fremente lo sento calmarsi, simile a un cavallo dispettoso reso docile.
A Vincent esce una risata imbarazzata mentre Madama Hooch alza le braccia al cielo sconfitta.
«Mi sa che sono un caso disperato» eppure il tono è divertito e sul suo volto è disegnato un sorrisetto auto ironico.
Mi basterebbe allungarmi di qualche centimetro per baciarlo e ogni cellula della mia pelle pare bruciare.
Arrabbiata con me stessa lascio di colpo la scopa e allontanandomi, esclamo con voce dura «Se non sai fare una cosa, non farla. Anche perché non ci sarò sempre io a farti da balia!»
Mentre accelero, lasciando libera la mia scopa di correre, non mi volto a guardarlo neanche un volta.
E quando attero sento ancora un groviglio di emozioni stringermi il cuore.

«Io non ti capisco, Viper».
«Neanche io mi capisco ma la puoi smettere di camminare su e giù? Mi fai venire la nausea».
Mark si ferma e mi guarda dall'alto prima di lasciarsi scivolare a terra ai piedi del divanetto sul quale sono sdraiata e poggiarmi quel suo testone sul grembo.
«Perché non puoi essere più carina con lui?»
«Io vorrei riuscirci ma per tutta la vita mi hanno insegnato che le emozioni sono armi che ti possono uccidere... come posso fidarmi a dargli il mio cuore?»
Negli occhi di Mark leggo una profonda tristezza «La mia famiglia mi ha cacciato di casa quando ho dichiarato di essere gay ma pensi che questo mi abbia fermato?» Sorrido mentre con le dita della mano destra giocherello con i suoi folti capelli biondi mentre con la sinistra uso la bacchetta per creare infinite costellazioni sul soffitto, un incantesimo che mi è talmente familiare da non dover neanche pronunciare nessuna parola.
«No perché sei un ragazzo intelligente e determinato».
«Esatto e tu sei esattamente come me!»
«Cosa dovrei fare?» Gli chiedo con la voce chiusa dal timore «Se mi rifiutasse credo che non riuscirei più neanche a guardarlo negli occhi...»
«Tu sei certa di amarlo?» Fissa anche lui il soffitto. Invece di rispondergli, cambio incantesimo e mormoro «Expecto Patronum». Dalla punta della mia bacchetta esca un fascio di luce argentata che subito si trasforma in un coniglio che saltella allegramente nell'aria prima di scomparire in uno sbuffo.
«Un coniglietto», lui è l'unico che può capire il riferimento, l'unico che sa come io associ Vincent a questo animale per via dei suoi caldi occhi nocciola e per il modo il cui arriccia il naso quando ride. E ogni mio pensiero felice è associato a momenti trascorsi con il ragazzo di cui sono innamorata.
Restiamo in silenzio a fissare il vuoto mentre ricomincio a passare le dita tra i suoi capelli, un gesto che calma sempre entrambi. Alla fine Mark mormora «Devi dirglielo: l'anno è quasi finito e tu non ti perdoneresti mai di aver rinunciato senza neanche provare!»
«Va bene ma non stasera...»
«Domani?»
Io sorrido e gli accarezzo la fronte aggrottata «Domani».

Il Ballo della Memoria si svolge ogni anno il 2 maggio, in onore di chi ha combattuto nella Seconda guerra dei maghi e di chi è morto proprio tra queste mura. Alla fine ho deciso di andarci con Mark visto che nessuno dei due poteva andare con chi voleva per davvero. Sento bussare alla porta del dormitorio femminile e la voce del mio amico risulta leggermente distorta dal legno «Sei pronta?»
Lancio un ultimo sguardo allo specchio e per una volta sono soddisfatta del risultato; dopotutto ho cucito personalmente il vestito, una delle poche cose buone che mi è rimasta dei miei primi anni in orfanotrofio. Prendo i guanti dal comodino e apro la porta a Mark.
Mi guarda dall'alto al basso e ritorno prima di lanciare un breve fischio «Stai benissimo!» Sorrido mentre indosso i guanti argentati con le finiture verde smeraldo. Sono troppo bassa per un vestito lungo fino a terra quindi ho optato per un vestito a campana verde con il pizzo argentato, stretto come un bustino ottocentesco fino al punto vita e morbido fino alle ginocchia. Mark mi porge il braccio e con un sorrisetto aggiunge «Sei addirittura più alta» ed io ridacchiando gli mostro le scarpe dello stesso colore dei guanti «La magia dei tacchi».
Quando arriviamo alla Sala Grande, rimaniamo a bocca aperta per la bellezza del posto; non è il nostro primo Ballo della Memoria ma è sempre sorprendente. Alle pareti sono comparse decine di foto, bordate con i colori della casa a cui appartenevano ma mischiate perché in fondo sono tutti morti per la stessa causa.
Io e Mark ci fermiamo davanti alla fotografia di Alastor Moody. «Avrei voluto conoscerlo di persona» mormoro con la solita meraviglia. Non è un bel uomo ma era un mago coraggioso e lo è stato fino alla fine. «Un giorno sarai Auror, proprio come lui» Mark mi da un buffetto sulla spalla e io annuisco decisa.
Per il resto la Sala Grande è diventata una vera e propria sala da ballo, il pavimento lucido e le luci soffuse dalle milioni di candele.
La preside McGonagall ci guarda dal podio, gli occhi lucidi per la commozione. Ormai siamo arrivati tutti e lei pare riuscire a guardare ognuno di noi negli occhi.
«Sono passati quindici anni da quando in questa stessa sala si è combattuta l'ultima parte della Seconda guerra dei maghi... la seconda e si spera anche l'ultima. Perché nei nostri cuori, nelle nostre anime, portiamo ancora le cicatrici di aver perso chi ci era caro. Genitori, fratelli e sorelle, amici e compagni, studenti e professori. Tutti siamo stati toccati da quella tragedia ma sono convinta che da quelle stesse ferite sia germogliata la speranza per un futuro migliore.» Il suo sguardo indugia su alcuni alunni del primo anno ma pare quasi non vederli, persa nei suoi ricordi.
Poi sorride e batte due volte la mani «Diamo il via alle danze».
Sono i prefetti i primi a scendere sulla pista da ballo e per i primi minuti ci sono solo loro. Poi vediamo il professor Neville Longbottom unirsi con sua moglie e presto tutti iniziano a ballare.
Mark mi fa volteggiare per tre o forse quattro canzoni quando viene avvicinato da un nostro compagno, Darius.
Sento i muscoli di Mark irrigidirsi ma anche l'altro ragazzo sembra agitato.
«Ciao Viper, stai bene oggi» a me viene da ridere perché si capisce che sta cercando di prendere il discorso alla lontana ma sto al gioco. «Anche tu, Darius.»
Lui annuisce e si gira verso il mio amico nonché suo ex... beh, ex qualsiasi cosa fossero.
«Ehi».
«Ehi».
Il primo premio per la dialettica di certo non andrà a questi due.
«Vuoi ballare?» La voce di Darius è appena un sussurro ma dalla reazione di Mark sembrerebbe aver urlato a pieni polmoni. Prima che possa rifiutare aggiunge un «Ti prego» e persino io mi sciolgo.
Mark mi guarda titubante e io annuisco con convinzione.
Li vedo mano nella mano spostarsi un po' più in là per ballare un lento, sotto gli occhi di tutti. Ma io sorrido perché nonostante tutto siamo Serpeverde, siamo superiori a quello che dice la gente!
Li osservo per un po' dal margine della sala e bevo un paio di bicchieri di Idromele, servito da due simpatici Grifondoro.
Ma nelle orecchie continuo a sentire la voce della preside e sento un dolore al centro del petto. Mi muovo lungo le pareti con lo sguardo perso tra le fotografie che a loro volta mi sorridono e salutano finché non trovo quella che cerco: mio padre. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, non l'ho mai conosciuto perché è morto prima che io nascessi ma assomiglia tremendamente a lui: dai capelli neri e la pelle pallida fino agli occhi grigi e il sorriso storto malizioso e orgoglioso; anche se da quello che mi hanno raccontato non gli piacevano granché i Serpeverde. Mi chiedo sempre cosa avrebbe detto se fosse stato vivo all'epoca del mio smistamento. Comunque sono davvero in pochi a sapere che sono sua figlia e, onestamente, preferisco così. Non vorrei che qualcuno pesasse che io sia riuscita ad arrivare così in alto solo grazie a conoscenze che neanche ho.
Eppure ogni tanto avrei voluto parlare con chi lo conosceva, primo tra tutti il suo famoso figlioccio.
Di colpo mi pare di avere un cappio intorno al collo che si stringe sempre di più e senza farmi notare scappo via, lasciandomi dietro solo il fruscio della gonna.
Continuo a camminare fino a quando non arrivo in giardino, le mani che ancora mi tremano. Respiro a pieni polmoni il vento caldo e finalmente riesco a riprendere il controllo.
Stanca, mi tolgo scarpe e guanti e mi siedo in mezzo alle decine e decine di fiori profumati del giardino: il professor Longbottom con le piante ha più talento di chiunque altro.
«Crescono delle rose davvero strane in questo giardino» una voce alla mie spalle mi fa sussultare ma riconosco subito Vincent, anche senza bisogno di girarmi. Perfetto, da un batticuore all'altro!
In ogni caso è lui a girarmi intorno e da vicino è ancor di più una visione: vestito interamente di nero, persino la camicia, tranne per la cravatta rossa e con i capelli perfettamente pettinati all'indietro. Anche se io adoro quel suo ciuffo sempre in disordine!
Mi sorride dall'alto e noto qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che mi spaventa per quanto mi fa sperare.
«Posso dirti che sei bellissima stasera, Viper? Persino Salazar Serpeverde sarebbe affascinato da come porti i colori della tua casa!»
«Grazie... è il mio ultimo ballo e volevo rendere omaggio a quella che è stata a tutti gli effetti la mia famiglia!»
Lo vedo annuire e ancora mi chiedo come sia riuscita a dirgli la verità sulle mie origini alla fine del terzo anno, quando sono stata nominata Capitano.
Sento l'idromele scorrermi nel sangue, facendo scomparire la mia naturale propensione a sopprimere i sentimenti. E penso che sia l'idromele a parlare quando gli dico «Anche tu sei perfetto stasera». Se non vado errata, sulle sue guance è comparso un lieve rossore.
Mi porge la mano, neanche lui porta i guanti, e con una certa esitazione mi chiede «Posso avere l'onore di questo ballo?»
Mi sembra di avere un intero stormo di gufi nello stomaco eppure dopo un lungo silenzio gli rispondo di no. Vincent sgrana gli occhi e sussulta, ferito. Ma tra i difetti che conta non c'è la codardia o la mancanza di tenacia. Quindi ecco che ricompare quel suo sorriso sghembo che vorrei vedere per il resto della mia vita.
«Perché no?»
«Non c'è la musica... saremmo ridicoli!»
Come se si fosse aspettato questa risposta, tira fuori la bacchetta e, in un battito di ciglia, una musica di violini si espande intorno a noi.
«Vuoi ballare con me?»
Ma io torno a scuotere la testa. Lo amo talmente tanto che potrei morire per lui ed è una cosa che mi terrorizza.
«Sei strana e maledettamente complicata. Un momento mi sembra che siamo amici e l'attimo dopo mi respingi come se non t'importasse nulla di me! Dammi un buon motivo per non concedermi neanche un misero ballo!»
Appassionato, gli occhi scuri che quasi brillano, il fiato corto... e rimane comunque uno spettacolo per gli occhi. Non so se è per la cornice da favola che mi circonda, la promessa che ho fatto a Mark o se l'idromele era più forte di quello che pensavo ma dalle labbra mi escono le parole che cerco di dirgli da anni «Perché io non posso essere tua amica... io ti amo!»
Mi porto una mano a coprire la bocca ma ormai l'ho detto. Ogni cosa intorno a noi tace di colpo e la musica di violini sparisce come portata via dal vento.
Lo guardo negli occhi ma vedo solo che si è trasformato in una statua, talmente è rigido e immobile. Potrei quasi pensare di avere gli stessi poteri di un basilisco!
Il mio cuore batte velocemente mentre il mio orgoglio sanguina.
Abbasso il capo e fisso lo sguardo su un fiore color arcobaleno, decisa a spostarlo solo quando se ne fosse andato. E finalmente lo sento muoversi ma invece di tornare al castello si avvicina a me, le punta delle sue scarpe che sfiora l'orlo del mio vestito. Lancio una fugace occhiata e noto che si è abbassato sulle ginocchia in modo tale da essere alla mia stessa altezza. Torno a fissare il fiore.
«Hai intenzione di guardarmi?» Nella sua voce trovo le tracce di una risata mal trattenuta e imbarazzata scuoto la testa. Poi per ribadire il concetto aggiungo «Perché non torni da Iris? Si starà chiedendo dov'è finito il suo cavaliere», fredda come il ghiaccio. Non conosco altri modi per difendermi dai sentimenti.
«Iris starà ballando con Vicktor, cosa che vuole fare da giorni. Voleva solo qualcuno per ingelosirla e, ad essere sinceri, non è lei che m'interessa» sento le sue mani circondarmi il volto, costringendomi ad incontrare i suoi occhi. Con i pollici segue la linea delle sopracciglia, dalla piccola rughetta al centro fino alle tempie, e a me sfugge un piccolo sospiro. «A me importa di te!» Lo dice con tanta convinzione che potrei quasi ignorare il sorriso di chi ha appena vinto la Coppa del Mondo...
«Certo, come no» più lui sorride e più la mia voce diventa acida.
Con le dita continua a tracciare i contorni del mio volto distraendomi non poco.
«Invece è la verità ma ho sempre pensato di non essere alla tua altezza» sbuffo una risata ma lui è diventato tanto serio che non commento nulla. «Fin dal primo anno ho sempre creduto che tu mi considerassi solo il mago imbranato che non sa stare su una scopa o che, cercando di aprire la serratura di una porta, si è fatto sanguinare il naso» mio malgrado sorrido perché gli è rimasta una piccola gobbetta per quella frattura. «Io ero quello che per superare un esame deve passare le notti a studiare... tu invece...»
«Cosa?» Sussurro, incapace di zittirlo e il suo sorriso diventa ancora più grande.
«Tu sei quella per cui avevo una cotta ma sempre fuori dalla mia portata».
Siamo così vicini che vedo il mio riflesso nei suoi occhi, gli occhi che paiono occupare tutto il volto e le guance che scottano. «Stai scherzando? Io non sono irraggiungibile e tu non sei un imbranato!» Mi accaloro sempre quando lo devo difendere con Mark e a quanto pare anche quando lo difendo da se stesso.
«Non scherzo, Vi» un piacevole calore mi si espande nel petto quando sento il nomignolo che mi aveva dato quel giorno di tanti anni prima sul treno «Sono tanto innamorato di te che mi sarebbe bastato anche solo esserti amico pur di poter finalmente starti vicino».
Lo guardo negli occhi ma devo davvero essere sicura prima di potermi fidare.
«Davvero?»
Vincent scoppia a ridere prima di appoggiare la sua fronte contro la mia, i nostri respiri che si confondono. «Dico sul serio affascinante, testarda, dolce idiota!»
Sul mio volto compare un sorriso gemello al suo mentre si rialza e mi porge per la seconda volta la mano. «Vuoi ballare con me, Viper Adhara Noris?»
Appoggio la mia mano nella sua, pelle contro pelle e annuisco, a corto di parole. Senza sforzo mi tira su e, anche senza musica, balliamo un lento, la mia gonna che ad ogni passo fruscia contro le sue gambe, il petto stretto al suo. Ed è una sensazione talmente bella da sembrare un mix di quello che ho provato entrando ad Hogwarts, facendo la mia prima magia e volando sulla scopa per la prima volta: libera e al sicuro.
Appoggio la testa sul suo petto, nelle orecchie sento solo il battito del suo cuore, e mi accorgo che in realtà è ancora meglio: tra le braccia di Vincent mi sento a casa.

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Capitolo 5
*** Cuore infranto [Sirius Black x Lily Evans] ***


«Il peggior giorno della mia dannata vita!» Una frase rivolta alla stanza vuota subito seguita da un rumore di vetri rotti. Con il petto che si alzava e si abbassava al ritmo di un respiro affannoso, Sirius osservava il disastro che aveva combinato: da terra decine di frammenti di vetro riflettono la sua immagine frastagliata, rotta. Ed era esattamente come si sentiva lui dentro; neanche il dolore alla mano che stava sanguinando sul tappeto servì a distrarlo.
"È il tuo migliore amico, stronzo" gli sussurrò una voce nella testa, facendolo sentire ancora più in colpa. Con un gesto rabbioso si strappò la cravatta da intorno al collo, lanciandola a terra e facendola seguire subito dopo anche dalla giacca nera. Con indosso solo la camicia bianca e i pantaloni neri da cerimonia si lasciò cadere sulla poltrona, il volto sprofondato nelle mani, i capelli di nuovo in disordine. Poteva fingere con praticamente chiunque ma non con se stesso e la verità era che non poteva farlo, era semplicemente troppo.
Non mangiava da giorni perché anche il pasto più leggero gli faceva venire da vomitare e di dormire non se ne parlava proprio, non quando i suoi sogni erano serpi tentatrici. E ora era giunto il giorno temuto.
Un leggero bussare distrasse Sirius dai suoi pensieri: se era uno degli altri Malandrini, non poteva farsi vedere in quello stato: la stanza distrutta, i vestiti disfatti e il dolore inciso a chiare lettere negli occhi.
«Chi è?» La voce gli uscì bassa, una frustata delle corde vocali.
«Sono io, Lily».
Tanto bastò a Sirius per fargli aprire la porta, gli occhi grigi e sgranati fissi in quelli verdi di lei; era bellissima nel suo abito bianco da sposa.
«Mi fai entrare?» La voce di lei era un leggero sussurro, come se volesse essere certa di non farsi sentire da nessuno. Stordito Sirius si fece da parte e quando lei gli passò accanto il suo profumo di fiori gli rimase nel naso. Lily si guardò intorno prima di lasciare ai suoi occhi di posarsi su di lui. «Cosa è successo?» era sconvolta e Sirius non poté fare a meno di scoppiare in una risata sarcastica, priva di qualsiasi allegria, e forse un po' folle. «Sei seria, Evans?»
Incapace di reggere ulteriormente lo sguardo duro del ragazzo, Lily abbassò il capo ben consapevole del dolore dell'amico.
«Mi dispiace, Sirius. Non so che fare...»
«Tu lo ami?» La domanda dura e diretta, quella che non aveva osato farle in tutto quel tempo, aleggiava su di loro. Sentendo le lacrime scendere impotenti sul suo volto, Lily alzò lo sguardo per incrociare di nuovo quegli occhi in tempesta e con un filo di voce rispose «Sì».
Qualcosa di oscuro crebbe nel petto di Sirius, qualcosa di molto simile alla gelosia, e disgustato da se stesso cercò di spingerla più in profondità possibile. «Allora non abbiamo altro da dirci».
«Sirius, ti prego... non fare così!»
In pochi passi era di fronte a lui ma quando provò a prendergli la mano, Sirius si ritrasse come scottato.
Le volse le spalle perché non era mai stato tanto bella come in quel momento, anche se stava piangendo e i suoi occhi chiedevano un perdono che non poteva offrirle. Invece si mise a guardare fuori dalla finestra, il sole caldo che male si accordava a quello che stava succedendo in quella stanza. «James è il mio migliore amico, il fratello che mi sono scelto, la mia famiglia. E ti ama veramente.» Un sospiro spezzato gli si bloccò in gola mentre appoggiava la fronte contro il vetro freddo. «Non farò nulla che lo faccia soffrire... non farò nulla, Lily. Tra poche ore sarete sposati e io dimenticherò tutto, compresso il modo in cui mi hai spezzato il cuore anni fa». Quelle parole furono per Lily come uno schiaffo in pieno volto. Aveva sempre saputo di averlo ferito quando quel pomeriggio aveva scelto James invece che lui ma mai prima di allora era stato tanto esplicito.
«Mi dispiace... vorrei poter fare qualcosa...» ma la frase rimase a metà, spezzata da un altro singhiozzo.
«Se vuoi fare qualcosa per me, esci da questa stanza ora e fai come me: cancella il passato» Sirius guardò il suo riflesso: la vide alzare una mano verso di lui, incerta e indecisa e di nuovo la parte più oscura di lui sperò che lei gli dicesse che non poteva sposarsi, che in realtà voleva lui. Ma poi Lily annuii e si diresse alla porta senza aggiungere un altra parola. Solo quando fu sicuro di essere solo, permise al suo corpo di accasciarsi e fu una delle poche volte nella sua vita in cui pianse.

Non si era accorto subito di essersi innamorato di quella ragazzina dai capelli rossi tanto brava in Pozioni. In segreto l'ammirava per il modo in cui teneva testa a lui e James, il modo in cui il fuoco le scorreva nelle vene.
Ma non osava fare nulla, non quando James sembrava così perso per lei, e così si accontentava di stuzzicarla e prenderla in giro: il modo in cui si spostava i lunghi capelli sopra la spalla, gli occhi verdi che brillavano e le guance che ti coloravano di una sfumatura appena più delicata di quella della sua capigliatura: piccole cose che rendevano Sirius un uomo un po' più felice. Credeva che sarebbe sempre riuscito a guardarla da lontano e accontentarsi senza fare altro finché un giorno il suo intero universo si ribaltò.
Stava attraversando il giardino, era rimasto più a lungo del previsto a Trasfigurazione ed era già in ritardo per la cena, quando vide una figura familiare circondata da tre ragazzi di Serpeverde. Senza pensarci un solo momento, si diresse verso il quartetto. Lily aveva tirato fuori la bacchetta ma la mano le tremava talmente tanto che non sarebbe mai riuscita a lanciare un buon incantesimo. «Torna a casa, sporca sanguemarcio», a Sirius non servì sentire altro per lanciarsi infuriato sui tre ragazzi. Non si prese neanche la briga di tirare fuori la bacchetta, deciso a spaccargli la faccia come avrebbe fatto un Babbano qualsiasi. Presi alla sprovvista dalla furia di Sirius non riuscirono neanche a difendersi e quando scapparono perdevano tanto di quel sangue che stavano in piedi per miracolo.
«Non avresti dovuto: finirai di nuovo in punizione!»
Lui si lasciò cadere a terra, sul prato ancora fresco, con un sorriso malizioso «Non c'è di che, Evans».
Lei alzò gli occhi al cielo ma alla fine sorrise e si sedette accanto a lui. «Grazie» e stavolta la voce era diventata dolce, un balsamo per l'anima di Sirius, con il cuore che inspiegabilmente gli batteva più forte. «Di nulla».
Rimasero così, in silenzio a guardarsi negli occhi per quello che parevano ore, anche se in realtà furono solo pochi secondi. Alla fine lei fece una leggera risata e si sposto i capelli dietro l'orecchio. «Ti sei per caso dimenticato che sei un mago?» e con un cenno del mento indicò le nocche spaccate. «No ma a volte da soddisfazione anche questo... dovresti provarci qualche volta!» Le rispose facendole l'occhiolino. Questa volta Lily si lasciò sfuggire una vera e propria risata «Grazie ma credo che lascerò a te questo tipo di divertimenti». Poi prese la mano nella sua e, con un leggero colpetto di bacchetta, tutte le ferite si rimarginarono. «Sei davvero brava» mormorò lui a bassa voce facendola arrossire. A rompere quel momento furono le voci in avvicinamento di alcuni professori.
Svelto Sirius si rimise in piedi e offrì la mano a quella ragazza che ormai era sicuro di amare. Lei la prese sicura e pochi istanti dopo si ritrovarono con i corpi che si sfioravano. Sirius si abbassò quel tanto che bastava per appoggiare la fronte contro la sua, abbastanza per vedere le pupille di lei diventare più grandi e il verde farsi più scuro.
«Ti devo dire una cosa, Lily Evans, ma questo non è un bel momento. Aspettami a mezzanotte nella sala comune» con la punte delle dita le sfiorò la guancia e con una voce incerta che non gli apparteneva chiese «Ci sarai?»
Lily era diventata tutta rossa e con un sorriso disse «Ci sarò», prima che lui le facesse cenno di andarsene. Ovviamente fu messo in punizione ma era talmente felice che le ore gli parvero volare. Questo fino a quando rientrato alla torre di Grifondoro non si accorse che lei non c'era. La aspettò fino a quasi l'alba ma Lily non si presentò mai. Eppure fu solo quando salì nel dormitorio che capì per la prima volta cosa significava avere il cuore spezzato mentre un James sorridente gli disse che aveva un appuntamento con Lily Evans.

Sirius si riscosse dai ricordi in cui era sprofondato tanto intensamente che gli sembrava di rivivere tutta una seconda volta. Si alzò e si rimesse apposto per il matrimonio del suo migliore amico e della donna che amava.
Non aveva mai fatto a tempo a dirle quello che provava ma lei lo sapeva già, era impossibile che non lo sapesse, eppure aveva scelto James. E ora chiunque poteva vedere che quei due si amavano. Si rimise per la seconda volta davanti allo specchio e, fingendo un sorriso, si disse che era arrivato il momento di lasciar perdere il passato. Eppure Sirius sapeva che se non era lei, non poteva essere nessun'altra.
Con passo deciso uscii e andò a bussare alla porta di fronte.
«Sei pronto, amico?»
Gli occhi nocciola di James lo guardarono pieni di felicità «Sono pronto».

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