Arcadia - le spoglie di Licaone

di Il_Signore_Oscuro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dante ***
Capitolo 2: *** Schede OC ***
Capitolo 3: *** Alessandra (I) ***
Capitolo 4: *** Andrea (II) ***
Capitolo 5: *** René (III) ***
Capitolo 6: *** Milo (IV) ***
Capitolo 7: *** Dante (V) ***
Capitolo 8: *** Andrea (VI) ***
Capitolo 9: *** Milo (VII) ***
Capitolo 10: *** René (VIII) ***



Capitolo 1
*** Dante ***


Dante

 
 

 
Quando mise piede fuori dalla Caronte, la nave volante che conduceva i nuovi studenti presso la scuola di magia e stregoneria di Arcadia, Dante non ebbe la sensazione di essere su un’isola sospesa nel bel mezzo del cielo, bensì di essere ritornato indietro in un passato lontano secoli dalla contemporaneità. Dinanzi a lui, un sentiero sterrato si inerpicava dalla banchina d’attracco, su per un breve declivio, e poi giù sino alla base di una collina, alla cui cima si ergeva un castello, cinto da mura ciclopiche dalla forma esagonale. Oltre le teste dei suoi coetanei Dante scorse i merli squadrati; il carapace cupolare di vetro e acciaio della serra di Erbologia; i sei anelli sospesi, in coppie da tre, circondati da spalti tappezzati con i colori delle case di Arcadia.
Ma era al centro dell’anello di mura, che la scuola custodiva il suo edificio principale: il castello, costruito con antica pietra calcarea, protendeva verso la volta del cielo quattro torri acuminate come punte di lancia. Fra i tetti si sfaldavano ghirigori di nuvole. Piccoli animali alati, spossati per il lungo viaggio, si appollaiavano sulle grondaie, rimestandosi con il becco le piume.

Infine, quando anche l’ultimo dei passeggeri della Caronte fu sbarcato, la nave tornò a discendere morbidamente dal cielo verso il mare. Mentre frotte di studenti si avviavano in fila per due attraverso il sentiero. Dante ne seguì il flusso, osservò gli abeti che cingevano i lati della strada. Specchiò gli occhi nella cupola colorata di rami, foglie filiformi e raggi di sole che sovrastava il suo capo. Poteva sentire la sua bocca aprirsi un poco, senza che lui lo volesse.
Quando a un tratto qualcosa vibrò nel suo cinturino e Dante la cavò fuori. Era una bacchetta. Dalla sua punta sprizzavano scintille d’oro.
“Tredici pollici, abete rosso con nucleo in corda di cuore di drago, sorprendentemente sibilante” erano state queste le parole dell’artigiano, nel consegnargli la sua prima bacchetta. Aveva aggiunto, inoltre, che fosse la bacchetta a scegliere il mago, e Dante non aveva potuto che crederci, avvertendo il calore che si sprigionava nel suo palmo quando la impugnava. Sì, la distinta sensazione che quell’arnese fosse modellato appositamente per la sua mano.
“Forse dovrei darle un nome, in fondo è un po’ come se fosse viva” ma scartò immediatamente l’idea: l’avrebbero preso in giro anche solo per averla pensata una cosa del genere. Ripose dunque la bacchetta nella fondina e la coprì agli occhi estranei, celandola dietro i risvolti della divisa.
Le divise scolastiche di Arcadia non erano molto differenti da quelle della gran parte delle altre scuole di magia, consistevano in un mantello di stoffa scura corredato con cappuccio, e all’altezza del petto era cucito uno scudo completamente bianco. Sotto la divisa era consigliato indossare abiti scuri, ma in generale il codice d’abbigliamento vigente ad Arcadia era notevolmente meno rigido rispetto a quello degli altri istituti.

Il cammino sotto l’ombra degli alberi durò per circa un quarto d’ora. E quando la mandria di ragazzi giunse al limitare del sentiero, i pesanti cancelli di mogano e ferro battuto si aprirono con un acuto cigolio. Era come se l’Arcadia stessa, con la sua anima di roccia e terra, stesse dando il benvenuto ai suoi nuovi accoliti.

Oltre il cortile, disseminato di siepi e statue che sembravano venire direttamente da un qualche tempio greco o romano, il castello si apriva nell’anticamera: un ampio corridoio ai cui lati si raccoglievano due file di armature bardate di tutto punto, i muri erano ricoperti con arazzi recanti le imprese dei fondatori della scuola. Attraverso l’anticamera si giungeva finalmente nella Sala Grande, in cui quattro lunghi tavoli paralleli precedevano tre spessi gradini, cui seguiva una sorta di palchetto. Sul palchetto si raccoglieva il corpo insegnanti, accomodato ad un tavolo a forma di ferro di cavallo, esso incuneato su un cerchio inciso direttamente sul pavimento di marmo color crema. Lungo il perimetro del cerchio, quattro scudi in bassorilievo segnavano i corrispettivi punti cardinali.

Dante e i suoi coetanei vennero radunati ai piedi dei gradini, in attesa dello smistamento. Il giovane prese a guardarsi intorno, notando che ciascuna delle lunghe tavolate era assegnata a una casata diversa.
La preside a un tratto si levò in piedi e parlò, parlò con una voce insolitamente forte e tonante, con un volume che sovrastava ogni altro rumore all’interno della Sala Grande.
«Benvenuti all’Arcadia, studenti e studentesse. Quest’oggi, come da tradizione, si svolgerà la cerimonia dello smistamento per i nostri nuovi arrivati» esibì un sorriso e si passò le dita affusolate sulla treccia argentata che le ricadeva sul petto «Per il tempo in cui sarete qui, l’Arcadia non sarà soltanto la vostra scuola, ma anche la vostra casa. Il luogo dove potrete crescere come maghi, ma soprattutto come persone. Il luogo dove forgerete le amicizie e gli amori che vi accompagneranno lungo tutto il corso della vostra vita. E adesso, prima di procedere allo smistamento, vorrei che deste il benvenuto alla nostra nuova insegnante di Incantesimi, Artemisia Azzurrini».
Una giovane donna dai capelli ramati e gli occhi glauchi si levò in piedi, protendendosi in un breve inchino. La pioggia scrosciante di applausi da parte degli studenti fu istantanea.
«Inoltre,» continuò la preside «un nostro vecchio amico ha fatto ritorno dai suoi lunghi viaggi nell’Europa dell’Est. Siamo più che felici di riaccogliere Lorenzo Castrone nel nostro corpo insegnanti, il suo ruolo di luminare in fatto di pozioni e alchimia è indiscusso in tutto il mondo magico».
Un uomo attempato e corpulento, con due grandi basettoni ai lati del viso, si levò in piedi, esibendo un sorriso tanto allegro e gioviale da farlo sembrare più giovane di almeno trent’anni.
«Ma bando alle ciance» esclamò ancora la preside, e con un colpo di bacchetta una pergamena le comparve fra le dita e si srotolò sino a toccare terra «è tempo di procedere allo smistamento. Quando vi chiamerò per nome verrete al centro del cerchio, dove i nostri fondatori provvederanno a smistarvi nella casa a voi più consona».
“I nostri fondatori?” pensò Dante, sbarrando un attimo gli occhi “Ma sono morti secoli e secoli fa!”. Non restava che rimanere a guardare e scoprire quale segreto si celasse dietro quelle parole!

La preside chiamò il primo nome, nel silenzio concitato che venne a crearsi.
«Alghieri Dante»
Il giovane cacciò un lungo sospiro, sbattendo le palpebre per tre volte. Con le ginocchia tremanti si fece strada fra gli altri studenti. Ognuno di quei tre gradini parve durare un’eternità, come se i suoi passi una volta iniziati non intendessero toccare terra per iniziare il successivo. Quando finalmente fu al centro del cerchio, la bacchetta vibrava come impazzita contro la sua coscia. “Piantala adesso” la rimproverò mentalmente Dante e quella sibilò irritata, prima di zittirsi.
Dagli scudi in bassorilievo, corpi della stessa sostanza della polvere e del fumo sbucarono. I loro volti erano seri e silenti come quelli di antiche statue e anche il loro vestiario parlava la lingua di un’altra epoca. Dapprima Dante osservò colui che gli era di fronte, un omone che rasentava quasi i due metri di altezza e con un fisico sorprendentemente nerboruto. Sul petto la barba scura gli discendeva in lunghe ciocche pulite. Dalla sua mano destra pendeva una clava che avrebbe rotto in due la testa di un drago.
Il suo sguardo si spostò poi sulla donna alla sua destra: una dama dalle belle curve e lunghi capelli che un tempo dovevano essere stati corvini. Lo scudo che scintillava, assicurato al suo braccio sinistro, recava l’effige di un volto mostruoso con lunghe spire di serpenti al posto dei capelli e occhi gelidi che davano i brividi solo a posarci un attimo lo sguardo.
Dopodiché si voltò, contemplando l’uomo alle sue spalle, più esile e basso del primo, con una lunga lancia riversa sulla spalla e una paio di alette in metallo che sporgevano dagli schinieri. Quel fantasma aveva un ampio sorriso triste dipinto in volto.
L’ultima, la donna alla sua sinistra, aveva il volto celato da un elmo a forma di testa di toro. Annodato intorno all’indice della mano destra c’era un lungo filo sottile che scendeva sino in terra, mentre l’altra mano si stringeva intorno a un corta spada ricurva.
Dante si morse le labbra, rammentando il nome dietro quelle ombre di vite passate “Eracle Olimpio, Perseone dell’Egida, Bellerofonte l’Alacre e infine Arianna Dedalo” deglutì, buttando giù un consistente boccone di saliva “I quattro fondatori di Arcadia”.
All’improvviso tutto gli divenne chiaro: sarebbero stati i fondatori a scegliere la casa dei nuovi studenti e dunque anche la sua. Ma chi, fra loro, l’avrebbe considerato degno? E se per qualche malaugurato caso nessuno fra quei quattro potenti maghi del passato l’avesse scelto? A quel punto cosa avrebbe fatto? Sì, sarebbe corso a gambe levate fra le sottane di sua madre, frignando a dirotto come una sciocca bambina.
Denegò energicamente col capo “No, non succederà” si disse, più deciso che mai e, chiudendo gli occhi, attese l’inesorabile incedere del suo destino.


Ciao ragazzi!
Siccome l’estate è ormai prossima, voglio dedicarmi a qualcosa di fresco e leggero come questa storia interattiva. Dunque miei cari, le iscrizioni sono aperte! Dato che questa è la prima interattiva in cui mi cimento sceglierò solo quattro personaggi. Sono pochini, ma fidatevi che a prenderne di più ingarbuglierei le cose. Ma prima di proseguire, ecco alcune semplici regole.

•Si può partecipare al massimo con 1 OC
•Potete partecipare inserendo una recensione a questo capitolo indicando sesso e casa d’appartenenza del vostro OC (Usate quelle di  Hogwarts, ci penserò io a convertirle nelle corrispettive di Arcadia nel caso il vostro OC venisse scelto. E perfavore cercate di variare, lo so che nessuno si caga Tassofrasso, ma non ghettizziamolo solo per questo )
•Per esigenze di trama i personaggi saranno tutti del I anno
•Gli OC dovranno essere necessariamente italiani o vivere in Italia da almeno 7 anni (flessibilizzando un po’ il modello di Hogwarts)
•Niente personaggi OP o che siano divinità scese in terra, più il vostro personaggio sarà credibile e umano, più sarà probabile che venga scelto
•I personaggi saranno esseri umani normali (certo, oltre il fatto che sono dei maghi) quindi niente lupi mannari, mezzi vampiri, animagus precoci et similia
•Vi invito caldamente a una partecipazione attiva, tramite la risposta agli MP e alle domande postate a fine capitolo. Se tale partecipazione dovesse mancare, il personaggio potrebbe ritrovarsi fortemente svantaggiato rispetto ai suoi compagni più diligenti e/o a fare una fine grama
•La narrazione procederà attraverso POV, dunque assicuro a OGNI PERSONAGGIO SCELTO capitoli ricchi e curati, in cui farò del mio meglio per rispettare e valorizzare le vostre creature :)

Di seguito la scheda che dovrete compilare e inviarmi dopo che vi avrò dato l’okay

Nome:
Cognome:
Descrizione fisica:
Data di nascita:
(solo il giorno e il mese)
Bacchetta: (indicare lunghezza; nucleo; legno e flessibilità)
Famiglia e rapporti con essa: (indicare fra le altre cose se si è Purosangue, Mezzosangue o Nati Babbani)
Carattere: (approfondite particolarmente questa sezione, è l’ossatura del vostro personaggio all’interno della storia)
Breve storia personale:
Materia preferita:
(Si tenga conto che ad Arcadia il primo anno si svolgono solo lezioni di Volo, Incantesimi, Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure)
Materia più odiata: (Si tenga conto che ad Arcadia il primo anno si svolgono solo lezioni di Volo, Incantesimi, Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure)
Sogno più grande:
Paura più grande:

Le iscrizioni si chiuderanno entro il 4 giugno, quindi avete un bel po’ di tempo per lavorare al vostro OC :)

Un abbraccio,
Il Signore Oscuro

 

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Capitolo 2
*** Schede OC ***


Buongiorno ragazzi, finalmente ci siamo!

Inizio subito col complimentarmi con tutti voi, i vostri OC erano tutti molto validi e ho avuto un gran bel da fare per decidere chi inserire all’interno della storia. Vorrei essere chiaro: la mia scelta oltre che sulla qualità si è basata sopratutto sulla varietà e sulla buona chimica fra i personaggi. Dunque non sentitevi offesi se per caso non siete stati scelti, perché ne avessi avuto il potere e le capacità vi avrei accettati tutti e undici *sigh*. Ma bando alle ciance, ecco a voi le schede!



 
 Andrea Argenti (Keira Lestrange)
-casa:
Gorgargento
-punti: 10
-incantesimi appresi: lumos 2/3 ; wingardium leviosa 1/3 ; flipendo 1/3 ; repello 1/3 ; volo 2/3 ; pozione soporifera 1/3

 
 
 
Milo Colonna (Valkiriasmile)
-casa:
Idrarosso
-punti: 5
-incantesimi appresi:
flipendo 1/3 ; expelliarmus 2/3 ; repello 1/3 ; lumos 2/3 ; wingardium leviosa 1/3 ; volo 1/3 ; pozione soporifera 1/3

 
 
 
Alessandra Di Benedetto (Mary90_p)
-casa:
Chimeroro
-punti: 15
-incantesimi appresi: lumos 1/3 ; alohomora 1/3 ; wingardium leviosa 1/3 ; flipendo 1/3 ; expelliarmus 1/3 ; volo 2/3 ; pozione soporifera 1/3

 
 
 
René Lucato (Harry Fine)
-casa:
Taurobalto
-punti: 10
-incantesimi appresi: lumos 1/3 ; alohomora 2/3 ; flipendo 1/3 ; volo 1/3 ; pozione soporifera 1/3 ; pozione erbicida 1/3



Nel proseguire della storia tornate spesso a dare un'occhio a questa sezione, poichè registrerà lo sviluppo dei vostri personaggi nel corso della trama (il più delle volte) in conseguenza delle vostre scelte.
A breve sarà pubblicato il prossimo capitolo :)

Un abbraccio a tutti voi,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 3
*** Alessandra (I) ***


Alessandra


 
 
«Woah! Ma questo è un vero manico di scopa! Mica uno di quegli stupidi giocattoli che papà mi costringe ad usare quando sono a casa!» esclamò la ragazza, stringendo fra le dita la Tifone 500, cavata fuori dalle rastrelliere per la lezione di volo.
Verificato che nessuno la stesse osservando, si mise a cavalcioni sulla sinuosa asta di legno e si diede una spinta con i piedi. Il manto d’erba del cortile della scuola si allontanò di alcuni metri e Alessandra scoprì, finalmente, di star volando!
“Oh, è stato più semplice di quanto pensassi” pensò, con un sorriso stampato in volto “come al solito papà si preoccupa troppo e inutilmente!” sbuffò, ciondolando un poco il capo.
«Sei ancora troppo piccola per montare una scopa» borbottò la giovane, scimmiottando la voce grave e amara di Alessandro di Benedetto, l’uomo che undici anni fa l’aveva messa al mondo.
Con uno scatto di reni volteggiò in un paio di piroette, descrivendo piccoli cerchi a mezz’aria.
La bacchetta, nascosta all’interno della sua manica, vibrava allegra ed eccitata. Alessandra avvertì quel piacevole tepore contro il suo braccio ed esclamò «Ti stai divertendo, piccola? Andiamo un po’ più veloce!» a quel punto tutti i tredici pollici di noce tremarono in un mugolio di esaltazione, mentre in un’unica scia di capelli corvini Alessandra sfrecciava all’altezza del primo piano di Arcadia. Rapida discese in picchiata e virò a pochi centimetri dal terreno.
L’aria le pizzicava il viso, ricordandole l’alito fresco di sua madre, quando, da bambina, le soffiava sul volto e lei socchiudeva gli occhi, protestando con una pernacchia.

Quel ricordo le dipinse un sorriso sulle labbra, ma gli occhi le si inumidirono un poco.
Con entrambe le mani afferrò il manico della scopa, tirò su e rapidamente riprese quota. Fu il rumore dell’aria sferzata, il respiro che per un attimo le mancò, a suggerirle che tutto ciò stava avvenendo fin troppo rapidamente. Inesorabilmente e senza che potesse fare alcunché per evitarlo, perse il controllo della scopa.
“Merda, merda, merda!” ripeté, stringendo i denti e ancor più forte le dita, maledicendosi di aver ceduto alla propria curiosità e aver lasciato la fila di studenti ormai all’interno del castello.
La Tifone sfrecciò intorno alla scuola per tre volte, piroettando su sé stessa, quasi volesse disarcionare quella fantina  ritenuta forse indegna. Ma poiché la ragazza non demordeva, si slanciò verso una delle finestre aperte, direttamente nella Sala Grande.
Alessandra abbassò la testa appena in tempo per non prendere una sonora craniata contro l’arco che sovrastava l’apertura e in breve si ritrovò a svolazzare e volteggiare fra i lampadari sul soffitto, lanciando urla che rimbombavano amplificate contro le vecchie pareti dell’Arcadia.
«Di Benedetto Alessan-» stava per declamare una donna con una lunga treccia d’argento, prima di essere interrotta da quello spettacolo pietoso. Gli studenti fra i tavoli e quelli in attesa di essere smistati alzarono gli occhi al soffitto, qualcuno rise a crepapelle, qualcun altro si portò le mani alla bocca pieno di preoccupazione.

Ormai stanca e provata dalla lunga battaglia per rimanere in sella, Alessandra mollò la presa e lanciò un ultimo grido, mentre precipitava a tutta velocità verso il pavimento di pietra. La vecchia scopa nel frattempo era andata a sfracellarsi e spezzarsi in mille pezzi contro una parete, e la ragazza temeva che la sua fine non sarebbe stata tanto differente. Chiuse gli occhi, strizzandoli con tutta la forza che aveva in sé, ma a un palmo di naso dalle lastre lisce e levigate della Sala Grande, la sua caduta si arrestò, lasciandole tirare un lungo e disperato sospiro di sollievo.

Alzò lo sguardo oltre le gradinate e solo allora notò che la donna con la treccia aveva cavato fuori la bacchetta, e la teneva puntata proprio nella sua direzione.
«Maledetta!» tuonò un vecchiaccio tutto incartapecorito, sollevandosi da dietro il tavolo a forma di ferro di cavallo. Questo prima che la donna, forse la stessa preside, non lo zittì sollevando l’indice.
«Stia calmo professor Guerra»  gli disse la strega, con la voce serena e musicale di un ruscello d’acqua «la curiosità è cosa buona in uno studente» e a quel punto le scappò un sorriso divertito «anche se talvolta non proprio funzionale all’istinto di sopravvivenza» e detto questo rinfoderò la bacchetta e la guancia di Alessandra aderì contro il freddo pavimento, fra le risate e il sollievo generale. Una ragazza dalla pelle olivastra si scostò con una smorfia schifata, schioccando la lingua contro i denti.
«Come stavo dicendo» riprese la preside «Di Benedetto Alessandra».
La ragazza alzò il dito e mugugnò, fra i neri capelli tutti arruffati da quel folle volo «Sono qui!» e con un balzò si levò in piedi, scrollandosi la polvere dalla divisa. Avesse potuto, la sua bacchetta avrebbe preso a fare una piroetta all’interno della sua manica.

Alessandra, memore delle parole dei suoi fratelli, avanzò per i tre gradini che precedevano il palchetto e si sistemò al centro del cerchio, in attesa che i fantasmi decidessero della sua sorte. Dalla folla di studenti la ragazzina che l’aveva scansata la osservava con un sopracciglio alzato, mentre dal tavolo dei Gorgargento un giovane dagli affilati occhi bruni armeggiava con la bacchetta fra le dita. Il nucleo di drago della sua sembrò farsi un po’ più caldo e, come per risvegliarsi da un sogno, Alessandra distolse lo sguardo, per tornare a concentrarsi sui fantasmi dei fondatori.
Si soffermò a fissare quelle iridi incolore: velate dalla morte, eppure dense di una vita trapassata. Lo sguardo pacatamente sereno di Eracle; quello freddo e distante di Perseone; la malinconia ombrosa di Bellerofonte e il mistero dietro l’elmo di Arianna.
“Quale casa preferirei? Magari Idrarosso” pensò, ammirando la stazza ciclopica del mezzogigante “oppure Taurobalto” continuò, ipnotizzata dall’oscillare del filo di lana, pendente dalle dita di Arianna.
Ma fu lo spettro di Bellerofonte, tra gli altri, a muovere un passo verso di lei. Puntando nella direzione del suo petto la punta della lancia, stretta nella sua mano destra.
Sullo scudo bianco della divisa, il candore vuoto si colorò di gocce di oro acceso e prese forma il corpo di un leone, la cui coda aveva la forma di quella di uno scorpione. La bacchetta nella sua manica fremette un’ultima volta, mentre la voce della preside esclamava «Chimeroro!» fra le esultanze della tavolata giallo-nera.

In un tumulto di «Benvenuta!», «Una nuova Chimeroro fra i ranghi, evviva!», «Miraccomando, che quest’anno dobbiamo vincere la Coppa delle Case!» Alessandra prese posto e sentì il proprio respiro ritornare pian piano al ritmo consueto, mentre l’agitazione che l’aveva conquistata si dissipava poco a poco.
Un ragazzo di qualche anno più grande di lei, con una zazzera di capelli rossi e una “P” argentata poco sopra lo scudo oro-nero, prese a inondarla con regole, chicche e curiosità riguardo la casa fondata da Bellerofonte.
«La nostra Sala Comune si trova nella torre sud-ovest del castello, fai ben attenzione a ricordare la parola d’ordine quando la sentirai. Inoltre, sì, ecco, evita di ripetere scherzi come quello di poco fa, la preside non è sempre così comprensiva e comportamenti simili possono portarci via punti» continuò, tutto impettito.
Alessandra si morse il labbro e arrossì lievemente.
«I-Io prometto che non si ripeterà!» assicurò, mostrando un sorriso a trentadue denti.
Il ragazzo replicò con un lieve cenno del capo, non poi così convinto.
«Avrai sicuramente notato l’espressione malinconica del nostro fondatore, è importante che tu conosca la storia-»
«Andiamo, Raffa, lasciale un po’ di respiro!» intervenne una ragazza del quinto anno, con i capelli rasta legati in uno stretto codino. Il prefetto si accigliò di fronte a quella improvvisa quanto sgradita interruzione e i suoi occhi si fecero stretti come spilli.
«Le stavo spiegando tutto ciò che c’è da sapere sulla nostra casa!» le disse, con fare acido.
«L’unica cosa davvero importante che c’è da sapere» disse la studentessa, con una fila di denti bianchissimi «è che di tanto in tanto nella Sala Comune organizziamo delle gran feste degne di questo nome!».
«Ma non è contro le regole?» chiese una giovane dal caschetto biondo, smistata pochi minuti prima.
La ragazza del quinto anno denegò energicamente col capo «No, no, è una tradizione che si tramanda di generazione in generazione» si schiarì leggermente la voce «è compito di noi studenti tirar su il morale del nostro fondatore».
«Non è esattamente così» intervenne il prefetto, con una punta di veleno nella voce.

E mentre fra i due iniziava un battibecco che sarebbe continuato per un buon quarto d’ora, Alessandra rivolse la sua attenzione a quella curiosa ragazza bionda. La osservò, mentre con le dita sistemava ciascuna posata, affinché forchette, cucchiai e coltelli fossero tutti perfettamente allineati.
Preso un po’ di coraggio le tese la mano e si presentò.
«Piacere, io sono Alessandra».
La ragazza la squadrò con gli occhi nocciola e disse, con voce sottile.
«Lo so bene, ho visto mentre ti smistavano» esitò un po’, ma infine si decise a stringerle la mano «Io sono Erica Gallo, il piacere è tutto mio».
Erica aveva una voce un tantino monocorde. Le sue mani, mentre parlava, giacevano incrociate sulle ginocchia e gli occhi… Alessandra aveva l’assurda impressione che non sbattesse mai le palpebre. “Chissà come ha fatto a farsi smistare in Chimeroro” pensò, osservando i canti da baretto e la caciara che la facevano da padrone in tutta la tavolata.
“Magari è solo un po’ timida…chissà se saremo amiche”.

E mentre questo pensiero le scavava in testa, evocando le immagini di un possibile futuro, la Cerimonia dello Smistamento ebbe fine e le porte della Sala Grande si spalancarono con un boato. Piccole frotte di strani uomini bassi e panciuti, dalle zampe caprine e corna ricurve sul capo, prese a danzare e saltare per tutta la stanza, portando fra le piccole mani paffute enormi piatti contenenti tutto ciò che il più goloso fra i bambini avrebbe potuto desiderare. C’erano patatine fritte con salse annesse, fette di carne abbrustolita e caramellata, vassoi strabordanti di gelatine tuttigusti+1, giganteschi tacchini ripieni, wurstel allo spiedo, macedonia con gelato e panna, torte al limone, fragola e cioccolato.
«Date il benvenuto ai nostri satiri!» esclamò la preside, battendo i palmi delle mani con una profonda eco.

Le buffe creature presero a lanciarsi i piatti fra loro, senza far cascare neanche una foglia di insalata. Alcuni fra i satiri evocarono dei flauti con uno schiocco di dita e presero a suonare una allegra litania che metteva di buon umore solo a sentirla. Le creature caprine servirono i tavoli con tale maestria e fluidità, che il cameriere babbano più esperito non avrebbe retto il confronto neanche con la più giovane e incapace di quelle creature. Alessandra si fiondò sul budino al cioccolato con l’acquolina alla bocca, mentre Erica tagliava con precisione chirurgica una fetta di tacchino “È buffa, a modo suo… sì, sono certo che lavorandoci un poco potremo diventare davvero amiche” pensò, deglutendo il suo dolce. Non sapeva cosa aspettarsi dalla scuola di magia e stregoneria di Arcadia, ma di una cosa era sicura: quello era senza dubbio il giorno più felice della sua vita.

credits: Erica Gallo, carachiel

La prima giornata ad Arcadia si conclude qui. Dopo la cena di accoglienza gli studenti sono scortati dai propri prefetti all’interno dei loro dormitori. Cosa faranno i nostri protagonisti prima di coricarsi?
a) Vado a dormire presto, meglio essere riposati per il giorno dopo!
b) Aiuto gli altri studenti a disfare i propri bagagli, bisogna aiutarsi l’un l’altro.
c) Inizio a dare un’occhiata ai libri di testo di [Indicare la materia]*


*Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Ciascuno dei protagonisti inserisca la risposta all’inizio della recensione

Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto e di essere riuscito a rendere giustizia al personaggio di Mary90_p
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 4
*** Andrea (II) ***


Andrea
 


Nel camino le fiamme di giada consumavano i loro ceppi senza far rumore, riflettendo barbagli gelidi lungo le finestre di vetro nero. Andrea sedeva sul divano, con il libro di incantesimi poggiato sulle ginocchia e contemplava il fuoco, lasciando che quelle spire danzanti si specchiassero nei suoi occhi nocciola.
«Gorgargento!» la voce della preside Lunaria risuonava ancora nella sua memoria.
Il suo smistamento era stato fra i più brevi in tutta la storia di Arcadia. Non aveva avuto il tempo di metter piede all’interno del cerchio che, puff, gli occhi sullo scudo di Perseone si erano illuminati di una sinistra luce smeraldina.
“È così bella Persone” pensò, figurandosi quei lineamenti affilati, che nemmeno la morte aveva potuto sgualcire, sfogliandoli fra le dita scheletriche “un giorno sarò bella e potente come lo era lei”.
Dal primo istante in cui aveva sentito parlare di Arcadia e le sue case, Andrea aveva sentito nascere in sé la certezza che quando fosse venuto il tempo, sarebbe stata smistata in Gorgargento. Erano molte le qualità papabili per uno studente o una studentessa della casa della gorgone: l’astuzia, l’intraprendenza, la sicurezza di sé. Ma il vero nome dei Gorgargento era ambizione.
E chi, se non colei che era destinata a divenire la più potente e terribile duellante del mondo magico, poteva riflettersi meglio in tale concetto?
La bacchetta che giaceva nella sua fondina ne era la prova inconfutabile, 10 pollici e ¾ di pioppo bianco che sancivano il suo destino. Non si sarebbe mai dimenticata le parole di sua nonna Bianca, in quella sera di alcuni mesi fa.

«Le bacchette di pioppo bianco sono bacchette per duellanti, piccola mia» aveva detto, sorseggiando il suo liquore forte all’aroma di menta e liquirizia «strumenti versatili ed estremamente esigenti verso chi li impugna. Verrà il giorno, bambina mia, in cui incontrerai un degno rivale e sarà proprio allora che la bacchetta ti metterà alla prova. A quel punto starà a te dimostrare di essere degna di lei».

Ma sino ad ora questo fantomatico rivale non era ancora saltato fuori.
Andrea denegò leggermente col capo, riponendo quei preziosi ricordi in un cassetto profondo della sua mente, per tornare a concentrarsi sulla formula al capitolo uno.
Quando a un tratto una voce sottile e profonda attirò la sua attenzione.
«Wingardium Leviosa».
Una piuma di corvo si levò in aria e prese a danzare, librandosi in movimenti fluidi, privi di quella macchinosità e stentatezza tipica delle prime levitazioni. Gli occhi di Andrea si spostarono dalla piuma alla bacchetta, scivolando al ragazzo che la impugnava: un giovane pallido, dagli occhi scuri e affilati. Solo le sue labbra serrate palesavano il grande sforzo di concentrazione che doveva star facendo.

La bacchetta di pioppo bianco vibrò con discrezione contro il suo fianco, e quasi d’istinto Andrea portò la mano sul manico, chiedendosi in cuor suo “È forse lui?”. La bacchetta emise un altro tremolio, quasi volesse risponderle “Sì, è lui”.
Andrea cavò dunque fuori la bacchetta ed eseguì l’incantesimo che aveva studiato sino ad allora. Come ovvio, le riuscì perfettamente.
Un sorriso soddisfatto le tagliò la bocca e lanciò un’occhiata di sbieco in direzione del ragazzo, la cui piuma si era nel frattempo afflosciata al suolo. Lui per un attimo guardò attonito la sua bacchetta, poi rivolse gli occhi verso Andrea.
I loro sguardi si incrociarono per appena un istante e tanto bastò.

Quella notte Andrea Argenti sognò a lungo e vividamente.
La casa di nonna Bianca era calda e accogliente come sempre, ma ogni dettaglio del mobilio era come patinato di un’impalpabile nebbia ai suoi occhi. L’unico oggetto che aveva mantenuto una sua definitezza era il quadro appeso al muro, l’unico in tutta la stanza, il quadro di una donna nuda. Andrea amava indugiare su quelle forme morbide e armoniose, sul seno pieno e le cosce che si dischiudevano appena, lasciando intravedere…
«Andrea, bevi la tua cioccolata o si fredderà» la richiamò la nonna, distogliendole lo sguardo.
«Nonna» chiese Andrea, portandosi il cucchiaino alla bocca e pulendolo con cura «Hai parlato di un rivale, tu-tu ne hai mai avuto uno?».
L’anziana sorrise, rivelando due fila di denti color avorio «Una donna in realtà. Una ragazza inglese che incontrai al quinto anno nel corso del mio Erasmus in Inghilterra. Ricordo ancora il nome di quella becera bastarda: Augusta Paciock. Ora avrà all’incirca la mia età, sempre stata stravagante e terribile. Ovviamente non possiamo che essere amiche per la pelle!».
“Paciock” pensò Andrea, sorridendo “questo nome mi ricorda qualcosa”.



Le lezioni di Incantesimi erano fra le più popolari ad Arcadia e si svolgevano in un’ampia aula semicircolare generosamente illuminata dal sole. La cattedra e la lavagna si trovavano alla destra della porta, spalancata perché gli studenti potessero entrare.
In molti fra gli studenti adoravano le lezioni di Incantesimi e l’aria era carica di tutta l’eccitazione per quel primo giorno.
Andrea non faceva eccezione, e si era assicurata un posto in prima fila. Di fronte a lei c’era già il libro di testo, spiegato sulla formula appresa la sera prima. Al posto accanto il suo c’era una ragazzina minuta di Chimeroro, intenta a masticarsi con incredibile dedizione l’unghia del pollice e che per giunta non smetteva mai, ma proprio mai, di agitare il ginocchio sotto il banco. Cosa che, dopo alcuni minuti, cominciò a debilitare visibilmente la pazienza dell’Argenti.
La ragazzina a un certo punto dovette sentirsi addosso uno sguardo incombente, perché si volto verso Andrea ed ebbe un sussulto, nel notare il luccichio omicida nelle sue iridi. Immediatamente rinfoderò il dito smangiucchiato e frenò il movimento perpetuo della sua gamba.
Il velo di pelle rosea, su cui germogliavano branchi di lentiggini, si tinse di rosso e quella prese a parlare, con una voce dolce e stentata.
«Uhm, ehm, scusami…»
Andrea denegò lievemente col capo e, suo malgrado, si ritrovò intenerita dai grandi occhi azzurri di quella fin troppo ansiosa Chimeroro. Sospirò un attimo, prima di risponderle.
«Tranquilla, penso sia normale essere in ansia il primo giorno» fece una pausa «comunque il mio nome è Andrea, Andrea Argenti».
«Oh, sì, sì, io-io sono Cassandra, Cassandra Talliani. Devi scusarmi… mi piace la materia, ma ho paura di fare qualche figuraccia delle mie».
“Per la barba di Merlino, non li ho mai retti quelli che si piangono continuamente addosso”.
«Ma no, vedrai che andrà bene» la rassicurò, sforzandosi di sorridere.
Nel frattempo gli ultimi ritardatari avevano occupato i posti disponibili in aula, fra loro c’era un ragazzo “O è una ragazza?” dai capelli blu e l’aria stralunata. Non appena quel ragazzino si sedette, la professoressa Azzurrini si fiondò in classe, richiudendo la porta dietro di sé con un boato.

Portava i capelli di un vivace rosso legati in uno chignon, e sul suo capo giaceva un capello a tesa larga, con una lunga piuma variopinta svettante sulla destra.
«Buongiorno, buongiorno primo anno» fece un energico gesto con la bacchetta e il gesso prese a scrivere sulla lavagna alle sue spalle «io sono Artemisia Azzurrini, per onorificenze e titoli vari recatevi in biblioteca, qui non ci serviranno» dalle file di studenti partì una genuina risata generale «quest’oggi inizieremo con l’imparare un incantesimo semplice, ma essenziale nella vita di tutti i giorni».
La donna parlava a una velocità spaventosa, e Cassandra quasi si slogava un polso nel tentativo forsennato di prendere appunti. Ad Andrea, invece, bastava ascoltare. Ascoltava e sorrideva, pensando “Lei sì che è una strega coi controfiocchi”.
In un altro gesto della bacchetta della Azzurrini, le imposte ricaddero sulle finestre e la classe precipitò nell’oscurità più totale. Passarono alcuni istanti, qualcuno emise un gridolino.
Poi una luce si accese, illuminando il viso sorridente della professoressa.
«Lumos. Che vi troviate in un luogo buio o fra le spire di un Tranello del Diavolo, Lumos sarà la vostra prima risorsa!».
Con un altro gesto plateale, le imposte sulle finestre si sollevarono e in un sospiro Cassandra poté tornare a prendere appunti.
«Chi mi sa dire qualche altro utilizzo dell’incantesimo Lumos?» chiese la Azzurrini alzando gli occhi chiari verso gli studenti. Non ricevendo risposta prese a schioccare le dita, con fare frenetico «Avanti ragazzi, non dormite!».
Una giovane rispose, con voce un tantino monocorde «Lumos può rivelare luoghi nascosti magicamente».
«Esatto!» esclamò la donna «ora via i calamai e le penne d’oca, riponete i fogli. Vi voglio bacchette alla mano, pronti a fare un po’ di pratica!».
 
credits: Cassandra Talliani, Always_Merthur

La seconda giornata ad Arcadia si conclude qui. Dopo la lezione della professoressa Azzurrini, gli studenti si recano in biblioteca per ripassare e ricopiare gli appunti. Quando cala la sera, i prefetti li scortano all’interno dei rispettivi dormitori. Cosa hanno fatto i nostri protagonisti in tutto questo tempo?

a) Ho svolto i compiti assegnati, dopodiché al letto!*
b) Dopo i compiti mi sono offerto di aiutare i professori e i miei compagni, la collaborazione è importante.
c) Svolti i compiti, ho deciso di darmi una lettura al libro di [Indicare la materia]**
d)Svolti i compiti mi sono esercitato un po’ con l’incantesimo [Indicare un incantesimo che si conosce già]


*Nel corso della storia è fortemente consigliato andare a dormire presto almeno 1 volta ogni 3 capitoli (a partire da quello di Alessandra)
**Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Inserite la risposta all’inizio della recensione


Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto e di essere riuscito a rendere giustizia al personaggio di Keira Lestrange
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 5
*** René (III) ***


RENÉ


«Alohomora!» esclamò René, puntando la bacchetta verso la scatoletta metallica poggiata sul lungo banco della Sala Grande. Con un rapido scatto il coperchio si spalancò centrandolo sul naso.
«Ahi!» mugugnò il ragazzo, nascondendo il viso dietro le dita affusolate. Di fronte a lui, Ben sollevò lo sguardo dagli appunti riportati diligentemente sul quaderno e sospirò lievemente.
«Sai, Ren, dovresti concentrarti sui compiti di Castrone. Domani c’è la prova pratica» lo redarguì il ragazzone, con quella sua “s” tanto accentuata.
Beniamino Cordero era, proprio come René, uno studente del primo anno smistato nella casa di Taurobalto. I due non avevano tardato a stringere una certa amicizia e spesso passavano le loro giornate studiando e mangiando in compagnia l’uno dell’altro. Molti, all’interno di Taurobalto, li consideravano “gli strani” della casa, ma René si era già conquistato la simpatia di alcuni suoi compagni e del prefetto, mettendo da parte un po’ di punti in vista della Coppa delle Case, il premio più ambito dall’intera scolaresca di Arcadia.
«Lo so, lo so» replicò René imbronciato, tormentandosi una ciocca dei suoi stravaganti capelli blu «ma Pozioni è una materia così noiosa. Volo! Quella sì che è una bella materia, cosa c’è di più bello di volare a cavallo di una scopa?!»
Il compagno rialzò gli occhi dal foglio su cui li aveva posati e, con un sorriso all’angolo della larga bocca, incalzò «Bene, oggi pomeriggio abbiamo Guerra. Potrai svolazzare quanto ti pare durante la sua lezione. Ma adesso non fare il pigro e rimettiti al lavoro!».
René alzò gli occhi al cielo, cavò un muffin dalla sua scatola del pranzo, e iniziò a scorrere con il dito indice pieno di molliche, fra le righe che spiegavano per filo e per segno gli ingredienti per la pozione che avrebbero dovuto preparare il giorno dopo: saliva di bradipentula; anticaffelinante-sospiroso; camomillalia e un pizzico di flautilfata da aggiungere a fine cottura.
“Mi ricorda tanto la matematica” pensò il giovane, gonfiandosi le guance per la noia “no, niente è peggio della matematica” risolse, buttando fuori l’aria, mentre il suo viso tornava quello magro e sottile di sempre.

«Ehi, ciao» disse una voce tutto a un tratto, e all’unisono Ben e René alzarono gli occhi, trovandosi di fronte una giovane dagli occhi azzurri e i capelli corvini. René non tardò a riconoscerla: era la stessa ragazza che aveva fatto quell’entrata in scena a dir poco esplosiva durante la cerimonia dello smistamento. Accanto a lei c’era un’altra ragazza di Chimeroro dall’aria parecchio annoiata.
«C-ciao» balbettò il giovane dai capelli blu.
«Possiamo sederci con voi? A me e ad Erica farebbe davvero comodo una mano con pozioni…» mugugnò la ragazza, con occhi da cerbiatta.
«Certo che potete» esclamò René «Ben è un genio quando si tratta di mescolare, tagliuzzare, dosare e tutta quella roba! Non è vero Ben?» chiese entusiasta.
Il ragazzone rispose con un imbarazzato cenno del capo, mentre liberava il posto accanto al suo.
Il quartetto non si perse in troppe presentazioni, di lì a poche ore sarebbe cominciata la lezione di volo con il professor Guerra e imparare a montare su una scopa era notoriamente fra le attività più provanti per ogni ragazzo del primo anno. Certo non avrebbero avuto voglia di rimettersi sui libri una volta finita…

Mentre tentava, inutilmente, di memorizzare gli appunti, René percepì che qualcuno lo stava osservando. Quando si voltò si rese conto che Alessandra continuava a fissarle i capelli, forse affascinata e incuriosita dal loro colore così insolito.
«Ti piacciono?» chiese il giovane, in uno sforzo di coraggiosa intraprendenza.
Lei sorrise, mentre le guance le si arrossavano un poco «Sono fantastici, è la prima volta che incontro un metamorfomagus».
René sentì le labbra tirarsi in un sorriso ebete «No, magari… non sono un metamorfomagus. È tutto frutto di un incantesimo finito male» ciondolò un po’ il capo, portandosi un dito sulle labbra «Volevo colorare Pluffa, la mia gatta, di un bel blu elettrico. Così, per darle quel tocco di colore… ma la cosa mi è un tantinello sfuggita di mano» continuò, facendo spallucce.
«Beh, secondo me ti donano, anche se non l’hai fatto apposta» risolse Alessandra, sfiorandogli una ciocca con le dita. Gli occhi castani di René si illuminarono: quei pochi giorni lì ad Arcadia si stavano davvero rivelando migliori degli ultimi undici anni passati fra la sua casa e quell’odiosa scuola babbana. I non-magici, come aveva ben presto imparato, sapevano essere orribili se ci si mettevano.
“Già, basta che uno sia diverso…” pensò, con un velo di malinconia, andando con la mente a quel padre che per lui era sempre stato poco più di uno sconosciuto. Quel padre che gli sorrideva a sforzo, ma che negli occhi non sapeva nascondere la paura e la diffidenza.
Paura e diffidenza nei riguardi di tutto ciò che gli era ignoto. L’ignoto rappresentato da un figlio capace di cose al di fuori della comoda quanto noiosa normalità.
Quasi non poteva crederci, René, fissando la sua pelle pallida da cui gli riusciva d’intravedere i filamenti chiari delle sue vene. Non poteva credere che dentro di lui scorresse lo stesso sangue di una persona tanto meschina, tanto vinta dalla sua codardia da dimenticarsi di amare.
Con una scrollata del capo René scacciò via gli oscuri pensieri venuti ad ottenebrargli la mente e afferrò un altro dolcetto dalla sua scatola, per poi voltarla verso Alessandra.
«Prendine uno se ti va» le disse allegro.
«Grazie, sei davvero gentile» replicò lei, cavando fuori un lecca-lecca al lampolimone e infilandolo fra le labbra.
«Figurati, voi ne volete?» chiese, rivolto agli altri due.
Ben favorì una caramella al cioccoburro, mentre Erica rifiutò con fredda cortesia “Forse non le piacciono i dolci?”.

Le ore passarono e i ragazzi si industriavano parecchio nel tentativo di mandare a memoria la ricetta. Il tutto sotto la guida diligente e severa, certo, ma anche appassionata, del buon Beniamino.
Dopo un po’, tuttavia, René iniziò a sentire un forte mal di testa. Come se un qualche spiritello invisibile e dispettoso stesse infilando un lungo cavatappi a fondo nelle sue tempie, avendo cura di far entrare la rondella di metallo a fondo, giro dopo giro. Dunque, desideroso di prendersi una pausa, prese fra le mani un giornale lasciato lì da qualche studente del terzo anno.
René lo riconobbe immediatamente: era il Vaticinio della Pizia, la testata giornalistica che andava per la maggiore in Italia, o almeno nella sua comunità magica. “Chissà che notizie ci sono in prima pagina” pensò, aprendolo tutto curioso.
Il titolo era stampato a caratteri cubitali e riportava
LE MASCHERE COLPISCONO ANCORA: ATTACCO ALL’ARCHIVIO DI MANUFATTI MAGICI DI ROMA
-5 Auror uccisi in azione, 13 feriti fra maghi e babbani-

René ebbe un brivido che gli corse lungo tutta la spina dorsale. Allontanò bruscamente dalla sua vista quell’inquietante pagina di giornale, sussurrando fra sé e sé «Decisamente meglio studiare Pozioni…»
 
Di tutti i numerosissimi insegnanti che lavoravano presso la scuola di magia e stregoneria di Arcadia, Riccardo Guerra era certamente il più vecchio. C’era chi, nel mondo magico, sosteneva che ad oggi fosse il più anziano mago ancora vivente. Era attestato con certezza che avesse combattuto in entrambe le guerre mondiali, militando nella sezione aviatori del Ministero.
Meno chiaro da che punto in avanti avesse intrapreso il sentiero dell’insegnamento.
Nel cortile della scuola gli studenti s’erano disposti in due file, l’una di fronte all’altra, e alla destra di ciascuno dei ragazzi era posizionata una delle scope tirate fuori dalla rastrelliera.
Guerra era secco come un chiodo e vagamente tremolante. Sul suo capo la calvizie stava avendo decisamente la meglio sui suoi capelli e gli ultimi superstiti erano tenuti lunghi e legati in una coda di cavallo grossolana.
Viso spigoloso, naso aquilino e bocca storta, Guera marciava avanti e indietro fra le due file.
René arricciò il naso quando il vecchio gli passò vicino, avvertendo il puzzo penetrante di naftalina che si emanava dalla sua pelle secca e dai suoi vestiti malconci.
«Volare su una scopa è fra le abilità basilari di ogni mago degno di questo nome. Tuttavia sono più che persuaso che molti di voi falliranno nella prova» un ghigno al veleno gli si dipinse in volto «e se non farete ben attenzione a rimanere saldi in sella, potreste anche cadere e sfasciarvi quelle testoline bacate».
«Ma bando alle ciance, tendete la mano destra sopra il vostro manico di scopa e pronunciate, chiaramente e a voce alta, su!»
"Non sembra poi così difficile” pensò René e quando tese la mano dinanzi a sé e pronunciò la parola, la scopa si levò ben salda fra le sue dita. Sulle labbra sentì germogliare un sorriso entusiasta. Ma era uno dei pochi, nella fila dinanzi a lui, più di qualche studente riscontrava non pochi problemi: la scopa ai piedi di un giovane Gorgargento dagli occhi scuri, faceva le bizze, mentre quella di Erica non accennava nemmeno a muoversi. Solo dopo qualche istante René si accorse che Alessandra, accanto a lui, aveva gli occhi lucidi e teneva la mano alzata, cercando con lo sguardo il professore.
«M-mi scusi, mi scusi, la mia scopa è-è rotta» ai piedi della Chimeroro giacevano due monconi di legno inutilizzabili. L’anziano si voltò verso la ragazza e le disse, in tono mellifluo.
«Signorina Di Benedetto, se la sua scopa è danneggiata, non posso che dedurre che ne sia lei la responsabile» poi, fingendo un’aria mortificata «se sene rimane in panciolle tutta la lezione sarò costretto a sottrarre dei punti alla tua casa, mia cara».
«Ma-ma» balbettò la ragazza, mentre grossi goccioloni le scendevano lungo le guance.
René sentì il proprio entusiasmo cadere a picco, mentre il sorriso lasciava le sue labbra. Dovette fare uno sforzo enorme per non lanciare un’occhiataccia al professore.
«Può avere la mia» esclamò il Gorgargento dagli occhi scuri e affilati, mentre un silenzio di tomba cadeva fra gli studenti del primo anno. Una ragazza, che René riconobbe come Andrea Argenti, si voltò in cagnesco verso il suo compagno. Al Taurobalto non riuscì di capire se fosse più sorpresa o più adirata per il gesto del ragazzo.
«Alghieri!» strillò Guerra, digrignando i denti giallastri e sputacchiando gocce di saliva sull’erba del cortile «Non è nelle tue facoltà-».
Il ragazzo dagli occhi scuri si accigliò, la sua meno destra, chiusa in un pugno, tremò un poco, prima di immobilizzarsi «Non mi serve la sua materia e un giorno non avrò bisogno di una stupida scopa per volare. Un giorno mi basterà questa!» e scostando la divisa mostrò la bacchetta in legno di abete rosso. Senza attendere una risposta Alghieri tirò dritto verso il castello, senza voltarsi indietro. Fra lo stupore, le risate e i commenti caustici generali. Guerra lo osservava andare via con gli occhi sbarrati e il viso diventato paonazzo come la polpa di un grosso pomodoro.
«Torna qui! Immediatamente!» urlò, poi bofonchiò delle imprecazioni «Bene! Allora fila dalla preside! Ti farò espellere, piccola carogna!» l’Argenti si stampò una mano sulla faccia.
Alghieri, tuttavia, non accennava a fare dietro-front, nemmeno quando Riccardo Guerra, dimentico della sua vendetta su Alessandra, gridò con quanta voce aveva in corpo
«Cinquanta punti in meno a Gorgargento!».

credits: Beniamino Cordero, hazelnocciola

La terza giornata ad Arcadia si conclude qui. Dopo la lezione tutti gli studenti tornano ai propri dormitori, cosa faranno i nostri protagonisti?
a) Sono troppo stanco, me ne andrò a dormire…*
b) Non si è mai troppo stanchi per aiutare la propria casa con qualche attività extra
c) Magari sfoglio un poco il libro di [Indicare la materia]**
d) Prima di andare a dormire mi eserciterò un po’ con [Indicare un incantesimo che si conosce già]***


* Vi ricordo che ogni TRE capitoli il personaggio dovrebbe riposare, o potrebbe subire un malus per i prossimi capitoli
**Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Inserite la risposta all’inizio della recensione
***Anche “Volo” è da considerarsi un incantesimo

Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto e di essere riuscito a rendere giustizia al personaggio di Harry Fine
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 6
*** Milo (IV) ***


MILO
 
 
La sala comune di Idrarosso era, fra quelle delle quattro case di Arcadia, forse la più calda e accogliente. Seconda solo a quella di Chimeroro in quanto a comodità.
Nel camino scoppiettava un allegro fuocherello e sulla parete antistante le scale a chiocciola per i dormitori, c’era un gigantesco ritratto. Sulla tela era raffigurato Eracle Olimpio intento in una furiosa e titanica battaglia contro il mostro policefalo noto con il nome di Idra, la stessa creatura che dava il nome alla casa. Le pareti e i tappeti erano colorati di un rosso vivo e di un acceso giallo canarino.

“Un Colonna deve essere sempre al corrente e informato su ciò che succede intorno a lui. Solo gli sciocchi si perdono in sogni e fantasie”.
Quel dictat echeggiò nella mente di Milo con la voce ferma e ferrosa di suo padre, mentre seduto sulla poltrona dinanzi al fuoco, consultava la copia dell’odierno Vaticinio della Pizia

Un commando di Auror del Ministero della Magia ha, nella nottata di ieri, catturato un membro del famigerato gruppo terroristico noto alle cronache con il nome di Maschere. Dalle prime indiscrezioni non si tratterebbe di un esponente di rilievo all’interno della struttura fortemente gerarchizzata della cosca.
Dopo una lunga sessione d’interrogatorio, con uso massiccio di veritaserum e tecniche avanzate di Occlumanzia, le uniche informazioni ricavate dagli Auror sarebbero le seguenti: le persone a capo del gruppo criminale sono sette, ciascuno di loro è noto agli altri membri delle Maschere con uno pseudonimo. Per larga parte già noti all’opinione pubblica, essi si farebbero chiamare con nomi di animali quali il Corvo, l’Antilope, il Leone, la Serpe, il Leopardo e la Pantera, e infine lo Sciacallo.
Nulla si conosce sugli obbiettivi della cosca o i fini che stanno dietro i loro atti criminali, ciò che è certo, è che il mago noto come il Corvo abbia un qualche ruolo di rilievo nella stessa cerchia ristretta dei capi”.


Un rumore sordo interruppe la sua lettura. Milo si levò dalla poltrona voltandosi verso la finestra. Oltre i vetri, un falco dal grigio piumaggio maculato, attendeva di essere ricevuto, squadrando Milo con i rapaci occhi ambrati.
Il ragazzo aprì le imposte e accolse l’animale sul suo braccio, riconoscendo il sigillo in ceralacca dei Colonna, impresso sulla lettera che il volatile recava con sé. Effettuata la sua consegna, il falco tornò in volo a solcare il cieli, con un verso acuto.
“Chi mi avrà mai scritto? Forse i miei?” si chiese Milo, rigirandosi fra le dita la busta. Tornando alla sua poltrona, il giovane si apprestò ad aprire la lettera, ma prima che potesse leggere gli occhi gli caddero sul piccolo specchio che aveva appoggiato sul tavolino. La cornice in legno era riccamente intarsiata e sul suo apice erano intagliate due maschere da teatro greco: l’una allegra, l’altra malinconica. Sulla superficie riflettente un viso perlaceo, con un mento aguzzo e due occhi nocciola screziati di verde, gli restituivano uno sguardo vacuo.

“Milo,

ho ricevuto notizia del tuo smistamento nella casa di Idrarosso. Speravo, francamente, che tu come tuo fratello venissi smistato in Gorgargento. Poiché questa è la casa che ha ospitato per generazioni, nei secoli, gli esponenti più illustri della nostra famiglia. Non posso dirmi, tuttavia, completamente deluso: perlomeno sei finito in una casa prestigiosa, e non in una di second’ordine, come Taurobalto o Chimeroro.
Con la speranza che recherai quanto più onore al nostro nome e alla famiglia che ti diede natali, ti porgo l’augurio di un fruttuoso anno nella scuola di magia e stregoneria di Arcadia.



Tuo padre,
Bruno Colonna”



Milo cacciò un lungo sospiro, tendendo fra le dita gli angoli del foglio. Il viso che lo osservava dal piccolo specchio era adesso mutato: la pelle chiara era increspata da una smorfia, la mascella pronunciata si serrava contro la mandibola e diverse rughe incidevano una fronte aggrottata. Ma quando Milo si sfiorò il viso con le dita, non avvertì sotto i polpastrelli nessuna traccia di quel gioco di espressioni. La sua pelle era immobile, i suoi tratti rilassati come sempre. L’unica perturbazione in quella quiete era la vecchia cicatrice, scavata sotto il suo occhio destro.
“Quello specchio…” era un regalo dei suoi genitori, donatogli quando nonno Alessandro aveva parlato ai suoi degli sporadici scatti d’ira dell’amato nipote.
“Questo ti aiuterà a controllarti” gli aveva detto suo padre, nel porgerglielo. Milo strappò la lettera con un singolo gesto, ne gettò gli stralci nel fuoco del camino, avvertendo un’irrefrenabile piacere nel vedere le parole contorcersi e svanire insieme con la carta, fra le spire incandescenti. Dopodiché, impugnata la bacchetta, la puntò contro lo specchio, sussurrando l’incantesimo
«Expelliarmus».
Il lampo di luce scarlatta si infranse contro lo specchio, librando pezzi di vetro argentato sul pavimento della sala comune. Il frassino e il crine di unicorno gemettero fra le sue dita serrate, come in un debole lamento di protesta.

«Ehi, tu!»
Milo ebbe un tuffo al cuore, l’avevano forse visto? Doveva affrettarsi ad esibire il più convincente e innocente dei sorrisi. E così fu, quando si voltò verso il prefetto della sua casa.
«Non dovresti essere a lezione?» era un giovane con una lunga coda di cavallo pendente dietro la schiena e i lineamenti affilati.
Gli occhi del prefetto notarono il pavimento, coperto di schegge e si sbarrarono mettendo a nudo le iridi «Ma che hai combinato?! Qualcuno potrebbe farsi male».
«M-mi scusi signor prefetto,» replicò Milo, abbassando lo sguardo «ho fatto cadere il mio specchio per errore e-».
Il ragazzo più grande lo interruppe con un gesto delle dita «Non fa niente, tu vai a lezione, qui ci penso io» e mentre Milo tirava un sospiro di sollievo, avviandosi lesto verso il corridoio, dietro di sé poté sentire una voce recitare
«Reparo!».

Il buon vecchio Castrone camminava fra i banchi dell’aula, tamburellando le dita sulle superfici in legno dei tavoli. Le sue unghie erano lunghe e curate, e i suoi piccoli occhi azzurri guizzavano come pesci in un fiume, spostandosi da uno studente all’altro sopra la volta di un sorriso bianchissimo.
«Bene, bene, giovanotti! Spero vi siate preparati a dovere per la prova di oggi. La pozione soporifera non è poi questa gran sfida, se si ha studiato» disse, scompigliando i capelli di un ragazzino dai tratti androgini e la capigliatura blu «e poiché voglio che nella mia classe si crei un clima di serena collaborazione, vi annuncio che oggi lavorerete a coppie!».
Qualcuno sembrò sollevato, qualche altro storse il naso. Milo non gradiva particolarmente lavorare in coppia con qualcuno, ma certo non lo diede a vedere, inarcando le sopracciglia in un’espressione di allegro stupore.
«Ho sempre trovato sciocca la competizione fra le case, dunque i vostri compagni apparterranno a una casa diversa dalla vostra. Iniziamo… Argenti con Cordero; Lucato René, tu con Talliani; Alghieri con Gallo; e Di Benedetto, tu sarai in coppia con Colonna. Per quanto riguarda gli altri…»

Una ragazza dai capelli corvini si avvicinò, con un timido sorriso stampato in volto.
«Ciao» gli disse, con voce esile.
«Ciao,» replicò Milo con aria allegra «prego» continuò, facendole posto al banco di Pozioni.
“I Di Benedetto sono una famiglia rinomata nel mondo magico, stringere amicizia con questa ragazza potrebbe risultare vantaggioso” pensò il giovane, cercando un qualche argomento di conversazione con cui attaccare bottone.
«Beh, come te la cavi con la pozione soporifera?» si risolse a chiedere, accendendo il fornello sotto il calderone.
«Beniamino Cordero mi ha dato una mano a studiare l’altro giorno, lui è davvero un asso con questa materia. Credo di ricordarmi tutto il procedimento e gli ingredienti» lo sguardo di Milo scivolò sul ragazzone in coppia con l’Argenti, i due si stavano già ampiamente dando da fare. Un’ombra calò sugli occhi del Colonna, ma non durò che un istante.
«Sul tavolo ho disposto i primi ingredienti, giusto per darvi una mano, ma gli altri dovrete ricordarveli voi. Avete un’ora ragazzi!» esclamò il professore.

Non c’era tempo da perdere: con un rapido gesto inserirono nel calderone ormai tiepido tre porzioni di bradipentula e una di anticaffelinante-sospiroso, dopodiché mescolarono per quattro volte in senso antiorario e cinque in senso orario. Dal fondo dell’aula provenne un’esplosione: Lucato e la Talliani si erano riempiti di una viscida melma verde dalla testa ai piedi, fra le risate generali.
«Attenzione la flautilfata è un igrediente estremamente instabile, dovete metterne solo una spolverata!» ingiunse il professore, mentre con la bacchetta ripuliva i due studenti e la loro postazione. Nel frattempo le cose per Milo e la sua compagna stavano andando davvero alla grande. Dopo l’aggiunta di tre chicchi di calmomilla, la pozione era diventata densa e le prime bolle sulla superficie indicavano che ormai la cottura era prossima. Anche Cordero e l’Argenti erano sul punto di finire, ma vista l’abilità di Beniamino la loro pozione sarebbe stata certo la migliore, o almeno fu questo il pensiero che come un tarlo si insediò nella mente di Milo Colonna.
«Ehi, Alex, prenderesti della flautilfata dalla dispensa del professore? Io tengo d’occhio la pozione» chiese con un sorriso rilassato, ma fremendo nel profondo.
La ragazza esitò un poco «Uhm, com’è fatta?».
«È una polvere sottile e argentata, dovresti riconoscerla non appena la vedi» le spiegò.
La ragazza a quel punto gli rivolse un cenno di assenso e si avviò verso la bacheca dove il professore custodiva gli ingredienti messi a disposizione per i suoi studenti.
Beniamino Cordero era, nel frattempo, prossimo a raccogliere i pochi granelli da spargere sul preparato a fine cottura. Teneva la fialetta sospesa sopra il calderone, e la sua faccia era rivolta in direzione dell’Argenti accanto a lui. Forse gli stava spiegando il procedimento che di lì a poco avrebbe dovuto portare a termine.

“Ora o mai più” si disse Milo, e una volta sicuro che nessuno lo stesse guardando, cavò la bacchetta fuori dalla tasca dei pantaloni. La puntò verso la mano di Beniamino e pronunciò in un fil di voce  «Expelliarmus». La fialetta sembrò semplicemente scivolare fra le dita del ragazzo e precipitare all’interno del calderone sotto gli occhi inorriditi del Cordero e dell’Argenti. Il preparato reagì con tutta quella flautilfata e una volta strabordata dal bordo di ghisa, esplose in una poltiglia verde che ricoprì i due studenti e schizzò fin sul soffitto. Nel caos che ne derivò, Milo rinfoderò la bacchetta all’interno della tasca.
«Che strano, non mi aspettavo che Ben sbagliasse qualcosa» disse Alessandra, mentre porgeva la fialetta di flautilfata al giovane Colonna.
«Già, sembra che si sia distratto» replicò lui, inclinando le labbra.
Nel frattempo l’Argenti stava montando su tutte le furie, sotto lo sguardo divertito dei suoi compagni.
«Razza di idiota! Ma che diavolo hai combinato?!»
«Io-io» cercava di giustificarsi Ben indietreggiando con le mani alzate, timoroso forse che la ragazza decidesse di ucciderlo.
«Calma, calma giovani!» intervenne il professor Castrone, mentre con la bacchetta ripuliva i loro vestiti dai grumi gelatinosi «dovrete ricominciare da capo, ma avete tempo per recuperare. Quindi bando alle ciance e rimettetevi al lavoro» ingiunse loro il vecchio corpulento, con il suo solito sorriso stampato in volto.

Il velo di flautilfata si librò dalle dita di Milo in un’opalescente brezza impolverata. Il ragazzo sorrise soddisfatto. Era stato il primo a terminare la pozione e questo avrebbe avuto il suo peso nel voto per la prova. Mentre stringeva la mano di Alessandra, sorridente e trionfante come lui, la mente di Milo contemplò la pallida immagine di suo fratello, in un fotogramma lesto come una saetta in un temporale notturno: quel viso pallido e armonioso come il suo, ma illuminato dal trionfo della sua ambizione, brillante negli occhi di un verde vivo. 



La quarta giornata ad Arcadia si conclude qui. Dopo l'impegnativa lezione di Pozioni tutti gli studenti tornano ai propri dormitori, cosa faranno i nostri protagonisti?
a) Sono troppo stanco, me ne andrò a dormire…
b) Non si è mai troppo stanchi per aiutare la propria casa con qualche attività extra.
c) Magari sfoglio un poco il libro di [Indicare la materia]*
d) Prima di andare a dormire mi eserciterò un po’ con [Indicare un incantesimo che si conosce già]**


*Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Inserite la risposta all’inizio della recensione
**Anche “Volo” è da considerarsi un incantesimo

Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto e di essere riuscito a rendere giustizia al personaggio di Valkiriasmile
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

 

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Capitolo 7
*** Dante (V) ***


 Dante
 
 
Dalla cavità circolare sul soffitto, il sole penetrava in raggi generosi nella presidenza. Sul tavolo, in una tazzina di porcellana priva di decorazioni, il cucchiaino semovente mescolava lo zucchero al caffè. La preside Lunaria era seduta lì, dinanzi a lui: le gambe accavallate sotto la gonna lunga e le mani giunte sopra il ginocchio.
Dante si guardava intorno, un poco spaesato, perdendosi fra gli scaffali delle libreria che ricoprivano le pareti quasi per intero; Riddle, Grindlewald e altri maghi oscuri del ventesimo secolo, I diciassette possibili utilizzi della pietra lunare e La verità su Omero: lo stregone cieco erano solo alcuni fra i titoli che Dante notò, a un primo colpo d’occhio.
«Chiedo scusa per la mia assenza. Incombenze improrogabili mi hanno costretta lontano dalla scuola» esordì la preside Lunaria con tono pacato, ma con voce ferma «mi parli di quanto accaduto ieri con il professor Guerra, signor Alghieri».
Dante tirò un profondo sospiro e abbassò lo sguardo, non trovando il coraggio di fissare quegli occhi d’argento «Il professore si è comportato male con una mia compagna, signora. Le ha rifilato una scopa inutilizzabile… per poi minacciarla di sottrarre punti alla sua casa se non avesse volato durante la sua lezione.».
La preside bevve un sorso dalla sua tazzina «E lei come ha reagito, signor Alghieri?».
In un guizzo d’intraprendenza Dante risollevò il capo e strizzò gli affilati occhi scuri «Me ne sono andato, ecco cosa ho fatto, e ho lasciato a Di Benedetto il mio manico di scopa».
La preside si schiarì lievemente la voce «Mi è stata riferita anche una certa impudenza da parte sua, è corretto signor Alghieri?».
Il ragazzo replicò con un breve cenno del capo.
La donna a quel punto emise un lungo sospiro, alzandosi in piedi e prendendo a camminare avanti e indietro, alle spalle della scrivania «Non approvo i metodi del Professor Guerra: trovo che la sua severità nei riguardi degli studenti sia eccessiva, e che il più delle volte finisca per scadere nel più squallido sadismo. Dunque, signor Alghieri posso comprendere la sua reazione».
«Be-» fece per dire Dante, un po’ più sollevato.
«Pur stando così le cose» la voce di Lunaria si levò di un tono, le sue sopracciglia si crucciarono impercettibilmente «Riccardo Guerra resta un insegnante di questa scuola e, come tale, gli studenti debbono riservargli il rispetto dovuto al suo ruolo» a quel punto la voce di Lunaria s’addolcì «Vostra madre mi ha parlato della sua particolare condizione familiare, signor Alghieri. Io sono una donna paziente e comprensiva, ma la avviso che sono poco tollerante verso chi è indisponente e maleducato. Detto questo, lei sconterà una punizione: dovrà assistere la professoressa Azzurrini nel riordinare le sue carte» la donna gli diede le spalle «può andare signor Alghieri».
«G-grazie, professoressa» replicò Dante, dopo un breve inchino.

Quel giorno, alla fine delle lezioni, quando ormai il sole si apprestava a tramontare su un cielo limpido e terso, Dante bussò alla porta dell’aula di Incantesimi.
«Avanti» replicò una voce dall’interno.
Dante entrò, trovando la Azzurrini china sulla scrivania, fra mille libri e scartoffie.
«Buonasera, professoressa» disse il ragazzo, chinando lievemente il capo.
«Buonasera Dante» replicò la donna con un sorriso «inizia pure a sistemare questa prima pila di libri negli scaffali» disse, indicando una colonna di tomi poggiati sul pavimento.
Dante cavò la bacchetta e pronunciò «Wingradium Leviosa» i libri si levarono in volo come un unico stormo, e andarono a posizionarsi nei posti vacanti all’interno della libreria, quasi avessero una loro volontà.
«Ci siamo esercitati con la levitazione, a quanto vedo» notò la Azzurrini, non senza una nota di apprezzamento nella voce «ma questa, tecnicamente, è una punizione signor Alghieri. Per cui dovresti evitare di usare la magia, altrimenti la Lunaria farà una lavata di testa anche a me» aggiunse, facendo spallucce.
«Mi scusi» disse Dante, rinfoderando immediatamente la bacchetta.
«Non importa, accomodati» lo rassicurò, indicandogli una sedia vuota di fronte alla scrivania. Il ragazzo ubbidì e, tiratosi in avanti, attese che la docente gli desse qualcosa da fare. A guardarla bene non doveva essere poi passato molto tempo dal suo ultimo anno ad Arcadia, invero era la prima volta che vedeva un’insegnante così giovane “Certo sarà per via delle sue abilità”.
«Ho saputo che hai dato da penare al nostro attempato signor Guerra» esclamò la donna, mentre correggeva un tema degli studenti del secondo «quando frequentavo il settimo anno, io e un paio di amici, gli piazzammo delle caccabombe in ufficio. Ti lascio immaginare la sua faccia quando ne uscì coperto di letame dalla testa ai piedi» i due scoppiarono a ridere all’unisono, ma poi l’insegnate si affrettò a schiarirsi la voce «Ma, ehm, che rimanga fra noi, Dante. Sono anni che cerca i responsabili e non credo si sia ancora arreso» gli strizzò un occhio «ma passiamo alla punizione, credo tu possa iniziare col ricopiare questi documenti. Solo le parti contrassegnate» gli porse una penna d’oca e diversi fogli di pergamena, e Dante non esitò a mettersi al lavoro.

Le ore di punizione trascorsero, in realtà, molto più piacevolmente del previsto. Gli appunti da ricopiare erano abbastanza interessanti e alcuni parlavano di certi segreti presenti all’interno di varie scuole di magia, sparse in giro per il mondo. Inoltre Artemisia Azzurrini soleva intervallare il lavoro a piccole pause, in cui raccontava aneddoti dei suoi anni all’Arcadia. Aneddoti tanto divertenti che spesso Dante si ritrovava con le lacrime agli occhi per le risate. Se prima ne aveva solo un sospetto, adesso il sospetto si era fatto certezza: l’Azzurrini era in assoluto la sua insegnante preferita! Ma fu a un certo punto che una domanda sorse spontanea a Dante, mentre copiava un passo riguardante le fonti di magia nascoste ad Hogwarts.
«Mi scusi professoressa, ma anche ad Arcadia esistono dei… segreti? Sì, insomma, misteri non svelati e stanze nascoste?» chiese il ragazzo, posando un attimo la penna d’oca.
La donna lo fissò per qualche istante, assumendo ad un tratto un’espressione pensierosa «Tutte le scuole di magia e stregoneria sparse per il mondo conservano al loro interno dei segreti, Dante. Io stessa nei miei anni ad Arcadia ne ho scoperto qualcuno, ma sono stata costretta a fermarmi una volta diplomata. Agli insegnanti, fra lezioni e impegni vari, non è concesso molto tempo per esplorare il castello e i suoi meandri, dunque la mia ricerca non è più continuata da allora. Tuttavia… se sei interessato, potrei confidarti un piccolo segreto a riguardo».
Gli occhi scuri di Dante si illuminarono e si sporse sul tavolo, quasi si aspettasse che la donna gli sussurrasse quel segreto nell’orecchio.
«Cose curiose si nascondono sui muri nel corridoio ad est della Sala Grande. Cose che ad un occhio attento non sfuggiranno, se ci si ricorderà di accendere la luce» e con un occhiolino la Azzurrini lo congedò, ringraziandolo per l’aiuto e per la compagnia.

L’ennesima giornata di Arcadia si conclude qui. Mentre Dante si beccava una lavata di capo dalla preside e scontava la sua posizione, come hanno impegnato il loro tempo i nostri protagonisti?
a) Compiti, chiacchierate in Sala Comune e poi al letto presto!
b) Ho fatto guadagnare alla mia casa qualche altro punticino, la Coppa delle Case sarà nostra!
c) Ho studiato [Indicare la materia]*
d) Prima di andare a dormire mi eserciterò un po’ con [Indicare un incantesimo che si conosce già]**


*Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Inserite la risposta all’inizio della recensione
**Anche “Volo” è da considerarsi un incantesimo

Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 8
*** Andrea (VI) ***


ANDREA
 

Orlando Spada, ex-auror e professore di Difesa contro le Arti Oscure, era noto alla scolaresca di Arcadia per tre motivi ben distinti.
Il primo era la curiosa capigliatura: una chioma color carbone, striata d’argento e percorsa in tutta la sua lunghezza da trecce e treccine. Quello stile lo aveva adottato, almeno stando alle voci di corridoio, dopo un periodo di studi a Dumstrang.
Il secondo era il cigolio inquietante che si poteva udire in aula ogni qual volta muoveva il suo braccio destro. Braccio destro che, quando si dice il caso, era interamente coperto dalle lunghe maniche del cappotto di cuoio e dal guanto in pelle di drago.
E per ultimo i suoi metodi poco ortodossi, ma a suo dire efficaci, per insegnare ai propri studenti come difendersi dalle creature ostili presenti in ogni angolo del mondo magico.
«In un mondo in cui anche il vostro cucciolo pucci-pucci bau-bau potrebbe cercare di uccidervi e gentaglia come Oliver Baston ha diritto d’esistere, è quanto mai fondamentale che impariate a difendervi» berciò il professore, mentre ai suoi piedi un grosso cassone di quercia si agitava con gran fracasso, chiuso da un vecchio lucchetto «è per che questo che vi ho insegnato l’incantesimo Flipendo. Sarà anche uno schiantesimo piuttosto blando, ma potrà comunque cavarvi fuori da situazioni spiacevoli» Spada assestò un calcio alla cassa, che sobbalzò in un moto di protesta.

“Beh, potevi anche sforzarti un po’ di più” pensò Andrea, con il mento poggiato sulle braccia, senza nascondere uno sbadiglio da sganasciare le mascelle “tipo insegnandoci Expelliarmus. Quello sì che è un incantesimo valido. Per la barba di Merlino, quanto sarebbe bello imparare a disarmare…”.
«Ma non è agitando a vuoto le vostre bacchette, seduti comodamente dietro i banchi di scuola che imparerete qualcosa, giovanotti. No, qui ci vuole una bella esercitazione pratica!». Con un balzo si sedette sulla cattedra e con un colpo di bacchetta fece partire una musica da tip-tap, emanata da chissà dove.
«Il vostro compito di oggi sarà rimettere in quel baule qualunque cosa ne verrà fuori! Miraccomando, voglio che vi sbizzarrite. La salvaguardia della propria persona richiede anche una certa creatività!».
Un altro colpo di bacchetta e il lucchetto della cassa ricadde sul pavimento. Ci furono alcuni istanti di teso silenzio, poi il coperchio si spalancò e una schiera di nanerottoli indemoniati, con la pelle coriacea simile in tutto e per tutta alla buccia di una vecchia patata bitorzoluta, si riversò nella classe, emettendo versi gutturali e strane imitazioni di un grido di guerra.
Il panico fu istantaneo. Chi saliva sul banco; chi ci si nascondeva sotto; chi si faceva scudo con i libri di testo e chi ingaggiava una furiosa battaglia a colpi di cartella.
Ma ben presto gli studenti cominciarono a reagire, mentre Spada per poco non cadeva giù dalla cattedra, tanto se la rideva.
Dante fece levitare tre degli gnomi che lo avevano attaccato, li fece volteggiare in cerchio per poi spedirli, storditi e barcollanti, all’interno del baule.
Lucato aprì il suo banco con un incantesimo: il piano scattò come una catapulta, spedendo in orbita la povera creatura che ci si era arrampicata sopra con tanta fatica.
La Di Benedetto ne colpì uno a mezz’aria, con la sua copia del manuale “Combattere le creature del male vol.1”. La botta fu talmente forte e ben piazzata da spedire lo gnomo dritto dritto fuori dalla finestra, in un tintinnare di vetri rotti «Chimeroro ti vorrà come battitrice nella squadra di Quidditch quest’anno, ragazza mia!» esclamò il professore, a un tempo divertito ed entusiasta.
Il Colonna, che più di ogni altro era rimasto impassibile, trovandosi a tu per tu con uno gnomo armato con un bastoncino di zucchero rosa e lillà, lanciò un Expelliarmus così potente da far decollare la fastidiosa creatura oltre la cattedra, mancando il professor Spada solo per un soffio.
«Stai attento ragazzo!» reclamò l’uomo, ritrovando l’equilibrio nella sua postazione.

Quando uno gnomo finalmente fece capolino sul banco di Andrea, lei lo guardò con un ghigno. Quel sorriso spinse la creatura ad arretrare di qualche passo, prima di essere colpita in piena faccia da un Flipendo coi controfiocchi.

Quello stesso pomeriggio, come di consueto dopo la fine delle lezioni, Andrea si fermò in Sala Grande per svolgere i compiti per il giorno a seguire. Doveva studiare un noiosissimo trattato sulla classificazione dei manici di scopa nel corso del XV secolo. La bacchetta nella sua fondina emise un tremolio d’insofferenza.
“Pensi che a me piaccia? Stai buona, non ti sono bastati gli gnomi di stamattina?!” la bacchetta si mosse impercettibilmente verso avanti, dove, qualche tavolata più in là, Dante era chino sui libri esattamente come lei.
"Che vuoi da me? Non posso mica sfidarlo di punto in bianco, va contro le regole. Dobbiamo aspettare il secondo semestre e sperare che si unisca al club dei duellanti”. La bacchetta emise un altro tremolio per poi zittirsi, sprizzando una scintilla color neve “Vai a quel paese!” sbottò, alzando gli occhi al cielo.
«Andrea? Andrea Argenti?» chiese una voce. La ragazza levò lo sguardo, notando due Gorgargento del terzo anno. Li conosceva di vista. Il primo, piuttosto basso, aveva un paio di occhia a palla che parevano volergli saltare dalle orbite da un momento all’altro. Mentre il secondo, più alto e corpulento, aveva un faccione da luna e lunghi capelli untuosi che gli ricadevano sulle spalle.
«Mh?» mugugnò Andrea, con un’espressione fortemente annoiata in viso «Sì, sono io».
«Io sono Diego» disse il primo « e lui è Onofrio. Abbiamo sentito che un nostro compagno Gorgargento sta causando ben più di un problema alla nostra casa. Nessuno dovrebbe disonorare la casa del gorgone e passarla liscia».
«Gli diamo una bella lezione» commentò Onofrio, lapidario.
«E, niente, ci chiedevamo se volessi aiutarci. Sappiamo bene quanto tu ti sia impegnata per tenere alto il nome dei Gorgargento» continuò Diego.
«Già» concluse Onofrio con un cenno del capo.
“Parlano di disonore per la nostra casa, eppure da quel che ho sentito sono entrambi studenti alquanto mediocri… ma comunque” «Beh, chi sarebbe questo studente di cui parlate?» chiese Andrea, incrociando le braccia.
«Un certo Dante Alghieri».
Andrea dovette sforzarsi per nascondere la sorpresa dal suo sguardo e si prese il suo tempo per dare una risposta. La bacchetta all’interno della fondina protestò con un tremore energico, quasi volesse balzare fuori e cavare gli occhi a quei due.
La ragazza posò le dita sul manico e mugugnò.
«Va bene, ci sto».
«Ottimo» esclamò Diego, fra il sollevato e il sinceramente soddisfatto «aspetteremo il tardo pomeriggio, quando più nessuno gira per i corridoio».
«Lo scemo bazzica nel corridoio est» esordì faccione-di-luna con una breve risata cavernosa.
«Tu non dovrai fare altro che distrarlo per un po’, da lì in poi ce la vedremo noi».
Quando più tardi il castello s’era ormai svuotato e gran parte degli studenti era già tornata nei rispettivi dormitori, Andrea si mise alla ricerca di Dante. La caccia non durò poi molto, difatti trovò il ragazzo intento a puntare una bacchetta illuminata da un Lumos contro una parete, nascosta dai lunghi tendaggi variopinti.
Trattenne il respiro, poi lo cacciò fuori ed estrasse la bacchetta, puntandola in direzione dell’Alghieri. Il ragazzo, d’altra parte, dovette sentire il rumore dei suoi passi, poiché si volto di scatto, senza troppa sorpresa in viso.
I suoi occhi scuri scivolarono dal viso dell’Argenti alla bacchetta che ella teneva puntata nella sua direzione.
«Tu» esordì, con voce pacata mentre lei si avvicinava «che ci fai qui?».
«Potrei farti la stessa domanda, sai?» replicò la ragazza a voce alta «Stai forse architettando nuovi modi per umiliare la nostra casa?!»
«Ma che stai dicendo?» chiese Dante, un po’ corrucciato.
«È tempo che qualcuno ti di una bella lezione, mio caro» dietro di sé, l’Argenti sentì che Diego si avvicinava, anche all’Alghieri non era sfuggito. Alle spalle del ragazzo, dall’altra parte del corridoio, avanzava invece Onofrio.
«Davvero corretto da parte vostra, due contro uno» commentò caustico Dante, portando la mano alla bacchetta. Quando Andrea vide Onofrio alzare il braccio per scagliare un incantesimo, gridò
«Voltati! Adesso!».
Andrea, anche lei, si voltò di scatto e in una rapida successione di movimenti avvicinò la bacchetta al viso di Diego e pronunciò «Lumos!».
La luce intensa che si scatenò dalla punta accecò il ragazzo, che inizio a imprecare vistosamente. Portandosi entrambe le mani sugli occhi. Dopodiché, non sapendo bene come metterlo al tappeto prima che si riprendesse, la ragazza seguì l’istinto. “Nonna Bianca lo giudicherebbe quanto mai poco ortodosso” e rapida conficcò il ginocchio nelle parti intime di Diego, mandandolo k.o. in un rauco lamento di dolore.
Nel frattempo Dante aveva respinto un Expelliarmus di Onofrio con un agile Repello: raccolta la luce rossa dell’incantesimo sulla punta della bacchetta, l’aveva deviato contro il muro in un rapido gesto del polso. Dopodiché l’aveva puntata contro il ragazzo faccione-di-luna.
«Wingardium Leviosa!»
Le mutande di Onofrio sgusciarono fuori dai suoi calzoni e lo issarono su di peso, appendendolo a uno dei bracci di ferro battuto che reggeva le torce, disposte sulle pareti per illuminare il corridoio. Le grida e i lamenti echeggiarono ben presto per tutta la scuola.
«Dobbiamo filarcela, presto qualcuno li sentirà… e per noi saranno guai!» esclamò allarmata l’Argenti.
«Ma ci hanno visto in faccia» replicò Dante, serrando la mascella.
«Non ammetteranno mai di essere stati umiliati da due studenti del primo anno» commentò Andrea, con un ghigno tutto sommato divertito.
«Beh, se le cose stanno così…» rimuginò Dante.
D’un tratto afferrò Andrea per una manica e la tirò verso il muro che stava ispezionando fino a poco prima, sulla bacchetta dell’Argenti brillava ancora l’incantesimo Lumos.
«Ma che stai facendo?!» chiese la ragazza, infastidita.
«Guarda» e con un dito indicò una luna incisa sulla roccia della parete, circondata da due bacchette stilizzate.
«Che diavolo è?» chiese Andrea, mentre il cuore cominciava a batterle sempre più insistente nel petto «Non abbiamo tempo per questi giochetti Dante, dobbiamo scappare!».
Il ragazzo puntò la bacchetta contro il simbolo sul muro e pronunciò l’incantesimo Lumos: non accadde nulla.
«Quindi?!» chiese nuovamente l’Argenti perdendo decisamente le staffe.
A quel punto fu Dante a cacciare un sospiro esasperato e, preso il polso della ragazza fra le dita, le portò la bacchetta esattamente dove la teneva poggiata lui.
La luna sul muro sembrò illuminarsi d’argento per un attimo e poi qualcosa successe: la roccia, pur rimanendo all’apparenza solida, aveva cambiato la sua consistenza, divenendo intangibile.
«Ricordi? Lumos può rivelare luoghi nascosti magicamente» disse Dante con tono trionfante, «adesso andiamo» e in un balzo attraversò il muro, sotto gli occhi esterrefatti di Andrea che lo seguì di lì a poco.

La stanza in cui si ritrovarono era pressoché vuota se non per un piccolo giaciglio e un camino con delle fiamme accese all’interno. E lì, dinanzi ai ceppi che bruciavano senza emettere fumo, c’era una piccola figura ingobbita: le sue braccia e le sue gambe erano esili come fuscelli, i suoi occhi grandi e cremisi. Del suo viso non si vedeva poi molto, nascosto com’era da arruffati capelli scuri e una lunga barba che gli arrivava fino al bacino.
Il piccolo essere era intento a masticare qualcosa, ma non appena si accorse di avere degli ospiti, si voltò di scatto, mettendosi in piedi e celando dietro la schiena qualsiasi cosa fosse intento a smangiucchiare.
«Chi va là?» chiese, con la voce esile e rauca di una vecchia cornacchia.
«Dante, che diavolo è quella cosa?» sussurrò Andrea, facendo un passo indietro.
«E come pensi che possa saperlo?» bisbigliò il giovane in risposta.
«Uh, studenti. Studenti del primo anno» esclamò la creatura, riportandosi alla bocca il calzino che aveva nascosto alle sue spalle, per ingoiarlo in un sol boccone «è passato tanto, tanto tempo da che qualcuno è venuto a trovare il vecchio Mal» continuò, esibendo una fila di denti affilati come rasoi.
«Mal?» chiese Dante, avvicinandosi.
«Malombra, è come mi chiamate voi umani» sghignazzò il piccoletto «certo, ho sentito altri chiamarmi Scazzambriello o Uomo Nero, ma Malombra ha un suo fascino particolare, non credete?».
«Uhm, ehm, sì?» disse l’Argenti, non troppo convinta.
«Da quanto tempo vivi qui?» chiese Dante, che lentamente sembrava trovarsi sempre più a suo agio.
«Io? Saranno duemila anni, forse di più» replicò la creatura facendo spallucce, per poi stringere gli occhi in direzione del giovane «Uhm, io-io ti ho già visto».
Andrea guardò Dante, stranita «Ma che sta dicendo?».
Lui impallidì un poco, deglutì, per poi rispondere con aria grave «Non credo sia possibile Mal, è la prima volta che entro in questa sala».
«Mmh, forse hai ragione. Quel ragazzo era più grande di te, quando l’ho visto, però devo ammettere che avete una somiglianza impressionante. Sìsì, me lo ricordi moltissimo. In ogni caso, che ci fanno qui due ragazzini come voi?»
Dante a quel punto si schiarì la voce «Ho sentito che questa scuola nasconde numerosi segreti e misteri, mi piacerebbe scoprirne quanti più possibile».
La creatura sorrise «Già, proprio come quel ragazzo anche tu desideri il potere. Ma la domanda rimane sempre la stessa: a quale scopo?» se la rise di gusto, prima di continuare, senza aspettare che Dante gli rispondesse «Direi che aver raggiunto questa sala è già un buon inizio, ma c’è molto altro ancora che vi aspetta, nei meandri di Arcadia. E dovrete essere rapidi e intelligenti, perché c’è già qualcuno che ha intrapreso una ricerca simile alla vostra, ma per scopi che immagino ben più turpi».
«Di chi si tratta?» chiese Andrea, affiancandosi a Dante.
«Calma ragazza, le storie hanno un loro ritmo e non bisogna mai andare con troppa fretta nel raccontarle. Figuriamoci nel viverle. E a proposito di storie, intendo raccontarvene una, ma non qui e non adesso. Raggiungetemi nel ventre della tartaruga».
«Quale tartaruga? Di che stai parlando?» chiese Andrea, con una punta di fastidio nella voce.

«Al sole arde il suo guscio,
bruni e verdi i suoi intestini.
Silenziosa custodisce
le urla mortali dei bambini»


e con un occhiolino e uno schiocco di dita, Mal svanì nel nulla, lasciando i due Gorgargento attoniti e da soli, a meditare su quello strano indovinello.

  
L’ennesima giornata di Arcadia si conclude qui. Dante e Andrea hanno fatto una scoperta interessante. Come chiuderanno la giornata i nostri protagonisti?
a) Compiti, chiacchierate in Sala Comune e poi al letto presto!
b) Ho fatto guadagnare alla mia casa qualche altro punticino, la Coppa delle Case sarà nostra!
c) Ho studiato [Indicare la materia]*
d) Prima di andare a dormire mi eserciterò un po’ con [Indicare un incantesimo che si conosce già]**


*Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Inserite la risposta all’inizio della recensione
**Anche “Volo” è da considerarsi un incantesimo

Starà a voi rispondere all’indovinello, cari miei protagonisti! Spremetevi le meningi :3
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 9
*** Milo (VII) ***


MILO

 
 
Le nozioni sugli habitat degli gnomi gli ronzavano in testa, quando i tendaggi che precedevano il quadro d’ingresso alla sala di Chimeroro furono scostati, rivelando la presenza di Beniamino e René, due ragazzi di Taurobalto del primo anno come Milo.
Erano intenti a chiacchierare e il ragazzone aveva nella voce un marcato tono d’ansia.
«Hai idea delle punizioni che potremmo subire se ci beccano a quest’ora della sera?»
I due si inchiodarono sul posto, nel vedere che lì in attesa c’era qualcun altro e, forse per un attimo, dovettero temere si trattasse di un prefetto o qualcuno del genere. Milo lo intuì ed esibì il più rassicurante dei suoi sorrisi.
«Piacere, Milo Colonna» si presentò, tendendo la mano ai due, che dopo una prima esitazione tirarono un lungo sospiro di sollievo.
«Anche tu qui su invito di Alessandra? Rischiamo davvero di passare i guai» continuò a rimuginare Ben, ad occhi bassi.
«Andiamo,» esclamò René, scuotendo i lunghi capelli azzurri «quando mai ci ricapiterà di partecipare a una festa del genere?».
Chiunque altro, trovandosi faccia a faccia con qualcuno che aveva sabotato, probabilmente avrebbe mostrato vergogna o magari tracce del proprio rimorso. Ma se c’era qualcosa che Milo aveva imparato nella sua pur breve vita, era che esistono due modi per ottenere i propri successi: il talento e l’impegno, oppure l’ingegno e l’astuzia. Milo era ben cosciente dei suoi limiti e delle sue capacità “Lì dove non arrivano le mie abilità, è giusto che io supplisca con l’inganno. E chi non capisce di essere ingannato, beh, è giusto che abbia la peggio. È una questione di merito e pari opportunità!”.

E dunque il viso del Colonna in quel momento non poteva che essere il ritratto  della serenità.
Passarono alcuni minuti, e il quadro che ritraeva la chimera di Chimeroro si scostò e Alessandra fece capolino, seguita da una ragazza più grande con lunghi dread fra i capelli.
«Siete venuti tutti, che bello!» esclamò con aria eccitata, abbracciando ciascuno dei presenti «Lei è Stefania, una mia compagna del quinto anno».
«Piacere di conoscervi» esordì quest’ultima, con un largo sorriso «Raffa, il nostro prefetto, beh, è un rompicoglioni di prima categoria. Sicuro come la morte ci darebbe problemi se ammettessimo gente di altre case nella Sala Comune» tirò fuori la bacchetta «quindi qui urge un camuffamento a cinque stelle».
Non ci vollero che due colpi di bacchetta e l’idra sul petto di Milo si tramutò in una chimera rampante in campo nero e oro.
«Fantastico!» commentò René, con gli occhi sbarrati «mi insegni come si fa?!»
Stefania gli lanciò un ghigno divertito «Quando sarai più grande, piccolo il mio puffo. Adesso entrate e fate come foste a casa vostra».

La Sala Comune di Chimeroro era una stanza circolare con le pareti tappezzate di arazzi, i quali commemoravano le imprese di Bellerofonte, in sella ad un candido pegaso sullo sfondo di alte vette e contorti dirupi.
In occasione della festa alcuni fra i ragazzi più grandi avevano fatto scorta di balzi-corn, patafrizze, rustici d’ogni forma e dimensione, burrobirre, cocafrolle e fantasprizze.
In un angolo sedeva il fantasma della casa, battendo un piede sul pavimento, seguendo il ritmo di una vecchia canzone americana proveniente dalla radio poggiata sul comodino.
«Non c’è il rischio che sentano tutto questo trambusto?» chiese Milo, prendendo al volo un balzi-corn e infilandoselo in bocca.
Alessandra denegò energicamente col capo «No, no, i ragazzi dell’ultimo hanno isolato le pareti con incantesimi insonorizzanti» replicò, sorseggiando una coca-frolla.

La festa prese pian piano ad animarsi, mentre un giovane dai capelli rossi, sprofondato su una poltrona, squadrava tutti con uno sguardo da rapace.
René e Beniamino, un po’ in disparte, avevano attaccato bottone con la Gallo, mentre a loro si univa anche la Talliani. Milo fece per raggiungerli, quando improvvisamente la radio virò su un lento all’italiana e una mano si serrò attorno alla sua manica. Alcuni studenti spostarono tavoli e divani per fare posto. Stefania tirò a sé il ragazzo con i capelli rossi e lo costrinse a ballare con lei.
«Stefania!» protestò quello «Lasciami immediatamente, sono il tuo prefetto!» la sua faccia aveva assunto lo stesso colore dei suoi capelli, mentre balbettava tutto impettito.
«Non fare il pezzo di legno e danza un po’ con me, vecchio brontolone» lo rimbeccò lei, portando le mani di lui sui suoi fianchi.
Lo sguardo di Milo risalì per la mano che lo tratteneva, su per il braccio, fino a fermarsi sul viso di Alessandra che lo guardava con gli occhi semilucidi.
«Sì?» chiese lui, piuttosto confuso.
«Ehi, Milo. Mi chiedevo se tu, ecco, io. Sì, insomma, noi-» prese a incagliarsi sulle sue parole, avvampando sempre più.
“Che strana sensazione” pensò Milo, mentre qualcosa si agitava dentro di lui e uno strano sorriso si faceva largo sulle sue labbra, senza controllo.
«Certo» rispose con il solito cipiglio sicuro e, presa la sua mano fresca al tocco, la avvicinò a sé.
«Sappi che potrei pestarti i piedi, sono sempre stata una frana nelle serate di galà».
A Milo scappò una breve risata «Non preoccuparti, guido io» e insieme presero a seguire il fluire della musica. Tutto stava nell’andare a ritmo, conteggiando i movimenti e ripetendoli di volta in volta. Ma non era solo questo, c’era qualcosa di più: una strana forza scevra d’ogni controllo che lo muoveva. Come se i piedi, le mani, lo sguardo, il corpo tutto andasse un po’ per conto suo. E una simile magia era un incanto che insieme lo turbava e scaldava il gelo nell’anima di Milo. Ben presto René e Ben imitarono i loro compagni, ballando rispettivamente con la Gallo (poco entusiasta della cosa) e la Talliani. Mentre Stefania, passato il partner a una compagna di goliardate, tirò in pista il fantasma di Bellerofonte, il cui sorriso da melanconico che era, si fece via via più allegro e spensierato.

La serata trascorse così, tranquilla e senza preoccupazioni. Per Milo fu bello, una volta tanto, allontanare la mente e i pensieri dai demoni del futuro. Dalla pretesa di un posto al Ministero, imposta dai suoi genitori. Dal costante desiderio, o autoimposta costrizione, di elevarsi sempre e comunque sopra agli altri.
“Forse al mondo c’è qualcosa di più dell’ambizione” pensò, lasciandosi cadere sul divano con un lungo sorriso e i capelli arricciati dal sudore.
Ma fu a quel punto che accadde qualcosa di inaspettato: dalla finestra spalancata, un gufo fece il suo ingresso, planando dritto sulle gambe della Talliani e richiudendo elegantemente le ali dietro di sé. L’animale recava con sé un messaggio.
«Posta? A quest’ora della notte?» commentò qualcuno, mentre nella Sala Comune scendeva il silenzio e Bellerofonte riprendeva a incupirsi.
«Cosa dice?» chiese qualcun altro, mentre Cassandra si affrettava ad aprire la busta.

Milo osservò quegli occhi azzurri scorrere fra le righe e schiudersi poco a poco fino a sbarrarsi del tutto. Le labbra della ragazza tremolavano, mimando le parole.
«I m-miei genitori… loro sono Auror alle dipendenze del Ministero» spiegò Cassandra, senza alzare lo sguardo dalla lettera.
«Beh, cosa succede?!» chiese Stefania, allarmandosi.
Cassandra Talliani alzò gli occhi verso i suoi compagni, stringendo nervosamente il foglio fra le dita e i presenti in un teso silenzio, fino a quando, finalmente, non si decise a parlare
«Un membro delle Maschere… è nascosto qui ad Arcadia!».

E dopo questa sconvolgente notizia cosa faranno i nostri protagonisti?
ATTENZIONE: Harry Fine ha subito il malus, dunque non sarà possibile per lui effettuare la scelta in questo capitolo
a) Chiacchierate in Sala Comune e poi al letto presto!
b) Ho fatto guadagnare alla mia casa qualche altro punticino, la Coppa delle Case sarà nostra!
c) Ho studiato [Indicare la materia]*
d) Prima di andare a dormire mi eserciterò un po’ con [Indicare un incantesimo che si conosce già]**


*Le materie disponibili sono: Incantesimi, Difesa contro le Arti Oscure, Volo, Pozioni
Inserite la risposta all’inizio della recensione
**Anche “Volo” è da considerarsi un incantesimo

Scusandomi per l’attesa insolitamente lunga,
un abbraccio,
Il Signore Oscuro

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Capitolo 10
*** René (VIII) ***


Renè

 
Da qualche giorno, ormai, la notizia che una talpa delle Maschere fosse nascosta lì ad Arcadia, aveva preso a diffondersi dai dormitori fin nei corridoi di tutta la scuola. La voce era giunta persino alle orecchie dei professori, i quali avevano invitato alla calma: assicurando che non c’era luogo, in tutto il mondo, più sicuro della Scuola di magia e stregoneria di Arcadia, e che, in ogni caso, il corpo insegnanti avrebbe avviato uno scrupoloso setacciamento del castello.
Quindi rientrato il panico, gli studenti ripresero la loro routine, in attesa della fine del primo semestre…

da quando aveva rischiato di farle prendere un brutto voto a Pozioni, Ben era stato costretto dall’Argenti a svolgerle i compiti per almeno una settimana. Tanto che, a lungo andare, la ragazza era divenuta una loro amica, anche se René era abbastanza convinto che non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura: come tutti i membri dei Gorgargento era orgogliosa sino all’inverosimile.
Quel giorno al consueto gruppo di studio, formato da René, Ben, Alessandra, Erica e Andrea, si erano uniti anche Milo e Dante. Il primo era lì solo per scambiare quattro chiacchiere con l’energica Chimeroro, mentre il secondo era un compagno dell’Argenti: gentile ma di poche parole.
René era intento a ripetere la ricetta di una pozione appresa da poco, quando la conversazione fra i due Gorgargento prese una piega interessante e lui non mancò di tendere un poco l’orecchio.
«Al sole arde il suo guscio,
bruni e verdi i suoi intestini
Silenziosa custodisce
le urla mortali dei bambini»
stava declamando Dante, sovrappensiero.
«Cosa diavolo avrà voluto intendere?!» esclamò Andrea, con tono esasperato.
René ci rimuginò sopra, mordicchiandosi la parte interna del labbro per poi esordire con «È un indovinello!».
«Questo l’avevo capito anch’io, puffo» sibilò Andrea in risposta, con voce velenosa.
Il ragazzo dai capelli blu si accigliò e protestò, con aria imbronciata «Non chiamarmi in quel modo!».
«Sennò che mi fai? Le meshes ai capelli?» incalzò la ragazza con una smorfia di finta paura.
«Piantatela» ingiunse Dante, con il viso immobile in una maschera di serietà «Sono abbastanza sicuro che Mal si riferisse a un luogo in particolare, sicuramente entro i confini di Arcadia».
«Magari la Foresta intorno alla scuola» propose Andrea, facendo spallucce.
«Il riferimento è troppo vago» controbatté Dante, con una scrollata del capo.

«La Serra di Erbologia» disse a un tratto Milo, e tutti si voltarono a guardarlo «le urla mortali dei bambini, non può che riferirsi alle giovani mandragole nella serra numero quattro».
Dante squadrò l’Idrarosso, prima di confermare con un cenno del capo.
«Milo ha ragione» disse Alessandra «Stefania me ne ha parlato qualche tempo fa: quella serra custodisce molte piante pericolose. Sembra sia chiusa da tempo a causa di un’infestazione di rampicanti spungolosi ».
«Beh» disse Dante «dobbiamo entrarci» la sua espressione si fece più cupa «se è vero che un membro delle Maschere è qui ad Arcadia, è probabile che anche lui sia a caccia dei segreti presenti nel castello, come ha accennato lo stesso Mal».
«Senza contare che quel mostriciattolo potrebbe aiutarci a capire di chi si tratta» aggiunse Andrea, anche se non sembrava troppo convinta.
«Okay, ma dimenticate i rampicanti spungolosi» li interruppe Milo «se anche solo una spina vi tocca, andrete k.o. per un paio d’ore».
Ben si passò una mano sul mento «Ci vorrebbe qualcosa per allontanare le piante aggressive» disse, riflettendo fra sé e sè.
«Potremmo dare fuoco alla serra» propose Erica, incrociando le braccia.
«Immagino ci sia un modo un po’ più, ecco, discreto» disse Alessandra mordendosi le labbra.
Gli occhi di Ben, proprio come René temeva, si stavano pericolosamente volgendo nella sua direzione «René, tu non hai imparato una pozione erbicida di recente?».
René richiuse il libro di scatto.  Gli dispiaceva negare il proprio aiuto ai suoi amici, ma qui si trattava di una violazione delle regole grossa come un Ungaro Spinato. Certo non una sciocchezzuola come un’uscita fuori orario «P-può essere, m-ma non avrei gli ingredienti per prepararla».
«Beh, quello non è un problema» ghignò Andrea «da quello che so il professor Castrone accetta sempre volentieri un piccolo aiuto dopo le lezioni. Non dovrai fare altro che prendere in prestito il necessario dalla sua dispensa personale».
«Ma io-» cercò di protestare il giovane Taurobalto.
«Ascolta René» disse Dante, con voce calma e pacata «so che è chiederti molto. Ma qui non si tratta di un capriccio o di uno stupido scherzo, bensì di salvare la scuola da una minaccia che potrebbe essere più vicina di quanto pensiamo».

Il ragazzo esitò, fissando gli occhi scuri e decisi del Gorgargento. Non sapeva molto su Dante, ma non aveva dimenticato di come si era messo contro il professor Guerra quando questi aveva preso a tormentare Alessandra. Conosceva da poco l’Alghieri, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che di quel ragazzo taciturno poteva fidarsi. E anche la bacchetta, sicura nella sua tasca, emanava un dolce calore di conferma.

«E va bene» sospirò René abbassando lo sguardo, salvo rialzarlo subito dopo «ma avrò bisogno di un diversivo. Non posso certo rovistare nella dispensa sotto il naso del professore»

1-Sembra che qualcuno dovrà sacrificarsi per offrire al caro René un piccolo diversivo così che possa recuperare gli ingredienti per la pozione erbicida. Servono DUE volontari, ma vi avverto: c’è il rischio che perdiate dei punti e i vostri compagni di casa potrebbero non esserne troppo felici. Se volete proporvi scrivetemelo all’inizio della recensione (René ovviamente non può offrire un diversivo a sé stesso xD)

2-Ora che la giornata è finita, cosa faranno i nostri protagonisti?
a) A nanna!
b) Punti per la casa!
c) Ho studiato [indicare la materia]
d) Mi sono esercitato con [indicare incantesimo che si conosce già]

Un abbraccio,
Il Signore Oscuro
 

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