L'année des cerises

di La_Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Settembre - parte prima ***
Capitolo 2: *** Settembre - parte seconda ***
Capitolo 3: *** Ottobre - parte prima ***
Capitolo 4: *** Ottobre - parte seconda ***
Capitolo 5: *** Novembre - parte prima ***
Capitolo 6: *** Novembre - parte seconda ***
Capitolo 7: *** Dicembre - parte prima ***
Capitolo 8: *** Dicembre - parte seconda ***
Capitolo 9: *** Dicembre - parte terza ***
Capitolo 10: *** Gennaio ***
Capitolo 11: *** Febbraio - parte prima ***
Capitolo 12: *** Febbraio - parte seconda ***
Capitolo 13: *** Marzo - parte prima ***
Capitolo 14: *** Marzo - parte seconda ***
Capitolo 15: *** Aprile - parte prima ***
Capitolo 16: *** Aprile - parte seconda ***
Capitolo 17: *** Maggio ***



Capitolo 1
*** Settembre - parte prima ***


Direi che sia la quarta volta (o la quinta?) che osservo il mio abbigliamento, rimpiangendo la divisa del liceo Nankatsu, che non era di certo il massimo in quanto a stile, però mi evitava il problema del “CosaMiMetto?”.

Inspiro e busso lievemente alla porta del preside: attendo qualche secondo stringendo la tracolla della mia borsa Made in Brazil, regalo di Tsubasa e Roberto, quindi timidamente apro la porta.

L’ufficio è completamente al buio, così lo richiudo e mi ci appoggio: sono veramente imbarazzata, forse avrei dovuto chiedere a Louis di accompagnarmi… sbuffò alzando lo sguardo e osservando il lungo corridoio in cui mi trovo, la scuola è fatta a ferro di cavallo su tre piani, non dovrei perdermi, così estraggo dalla mia borsa l’orario delle lezioni e cerco di orientarmi per raggiungere l’aula.

«Mademoiselle Ozora?»

«Oui

Un tizio allampanato, con la faccia spigolosa, mi sorride e mi allunga la mano, che mi affretto a stringere per cercare di non risultare fuori luogo con le usanze occidentali.

«Sono Monsieur Guy Mercier, il preside dell’istituto. Vieni, ti accompagno in classe.» mi dà del tu?

Si affretta a percorrere il corridoio nella direzione opposta a quella da cui sono arrivata, quindi raggiunta la hall sale le scale aggredendo letteralmente i gradini a due a due, tanto che faccio quasi fatica a stargli dietro.

«La nostra scuola vanta pochi studenti del Liceo Nankatsu, so che il professor Yamamoto manda solo i migliori, quindi dovrai sentirti molto onorata di essere qui.» Sì, mi dà del tu…

«In effetti lo sono, Monsieur. È un’opportunità molto importante per me.»

«Très bien, Mademoiselle Ozora.» annuisce, quindi bussa alla porta e senza attendere l’invito a entrare la spalanca. Sento il rumore di numerose sedie che si spostano e un coro che lo saluta in maniera formale.

Inizio a mordicchiarmi le unghie mentre lo sento parlare di scambi interculturali, esperienze di vita, e sussulto quando nomina il Giappone e Nankatsu (come se i miei futuri compagni di classe potessero davvero collocare geograficamente la mia città…).

«Avanti, Mademoiselle Ozora, venga a conoscere la sua nuova classe.»

Ennesimo respiro profondo, stringo la tracolla verdeoro, accarezzo il pallone da calcio gommoso che Daichi ha voluto attaccare alla zip e compio il primo passo verso il mio futuro.

Raggiungo il preside accanto al professore di matematica (le scritte sulla lavagna sono inconfondibili) e solo allora mi volto verso La Classe. Già. Maiuscola. Ansia.

Sorrido mentre mi presento, cercando di sembrare il più serena possibile e, soprattutto, di commettere il minor numero di errori grammaticali.

«Buongiorno a tutti, mi chiamo Sakura Ozora, e vengo da Nankatsu, della Prefettura di Shizuoka, Giappone.»

Mi trattengo dal compiere un mezzo inchino come si dovrebbe fare, e rimango impalata a fissare 22 paia di occhi che mi scrutano con diffidenza.

Il professore di matematica si avvicina a me e mi posa una mano sulla spalla.

«Benvenuta, Sakura, puoi accomodarti là, accanto a Yves. – mi indica un ragazzo biondiccio con il volto ricoperto da acne – E voi date il buon esempio, trattatela bene e non escludetela dai vostri gruppetti.»

Alcune ragazze sghignazzano divertite, mai come in quel momento mi sento a disagio, ma il ragazzo accanto a cui mi ha fatto sedere il professore sembra alla mano, e subito si presenta.

«Mi chiamo Yves, piacere di conoscerti, Samara

«Sakura… – lo correggo, quasi ridendo – Come i fiori di ciliegio giapponese, li conosci?»

Lui scuote la testa, e mentre lo fa gli cade lo sguardo sulla mia tracolla.

«Bella! Dove l’hai presa?»

«Me l’ha regalata mio fratello, deve averla comprata in un negozio a San Paolo.»

«San Paolo… in Brasile?»

Annuisco sorridendo orgogliosamente, poi gli mostro la pallina che mi ha regalato Daichi.

«Questa invece me l’ha regalata il mio fratellino più piccolo, ha tre anni.»

«Uh, c’è differenza d’età con i tuoi fratelli.»

«Non tanta, Tsubasa ha solo un anno più di me.»

Lo vedo riflettere un attimo, ti prego, fa che non mi dica di conoscerlo… niente calcio, almeno per quest’anno!

«E che ci fa in Brasile?»

Ringrazio mentalmente la mia buona stella, e sorridendo mi accomodo meglio aprendo il quaderno a molle e scrivendo sul cartoncino divisorio il nome della materia.

«Si è trasferito là a 15 anni per diventare un calciatore professionista. Adesso gioca come titolare nel São Paulo F.C. e sta facendo un ottimo lavoro.»

«Non è la squadra allenata da Hongo, l’ex calciatore costretto al ritiro causa distacco della retina?»

Mi volto a sinistra, e da sotto il banco vedo sbucare una testa mora, che quando si alza del tutto mi mostra un volto pulito su cui spiccano due occhi chiarissimi.

«Sì, proprio quella squadra.»

«Allora ho capito chi è tuo fratello.» ed estrae un giornale sportivo, posandolo sul banco e mettendoci subito sopra il libro di matematica per non farsi beccare dal prof.

«Satura, lui è Jacques, il nostro tuttologo del calcio.»

Gli stringo la mano – il calcio farà parte della mia vita anche qui – per poi voltarmi verso Yves e correggere il mio nome.

«Sakura…» sussurro. Lui si batte il palmo della mano sulla fronte e lo ripete a bassa voce un paio di volte, come ad imprimerselo in fronte. Divertita, mi volto verso la lavagna e cerco di concentrarmi sulla lezione.

 

Entro in casa quasi trascinandomi e mi trattengo a stento dall’urlare un “Tadaima!” che Florence sicuramente non comprenderebbe. Mi limito ad appendere la giacca all’attaccapanni e raggiungerla in cucina, dove sta preparando la cena.

«Buonasera.» le dico, sorridendole quando si gira a osservarmi.

«Buonasera a te, grenouille. Com’è andato il primo giorno di scuola? Impegnativo?»

Annuisco sedendomi a tavola e, posandovi i gomiti, mi prendo il mento fra le mani.

«Ho la testa che scoppia…»

«Povera, immagino che sia stancante… ma vedrai che è solo questione di tempo e ci farai l’abitudine. Adesso vai di là a farti un bagno rilassante, e quando avrai finito, ceneremo insieme.»

«Jean non torna?»

«Ha chiamato che farà tardi e non vuole che lo aspettiamo a stomaco vuoto.»

«Allora ti aiuto qui.»

Mi avvicino a lei e osservo ciò che sta facendo.

«È una torta salata. – mi spiega, notando il mio interesse – Pasta sfoglia ripiena di verdure. Ora la metto in forno così tra una quarantina di minuti è pronta. Sicura di non volerti riposare?»

Alzo automaticamente la testa verso l’orologio d’acciaio che troneggia in cucina: le lancette indicano le 18:05, calcolando il fuso orario in Giappone sono le due di notte, mentre in Brasile, se non vado errata, sono le 13, ora di pranzo. Tsubasa potrebbe essere a casa.

«Vorrei poter usare il telefono, se non ti dispiace.»

«Ma certo! La scheda internazionale è proprio lì accanto. Ti ricordi come si usa?»

Annuisco e mi dirigo velocemente verso l’apparecchio: mi accomodo in poltrona e prendo il cordless, quindi compongo il numero della tessera internazionale e infine il numero di mio fratello.

Suona quattro volte prima che qualcuno risponda.

«Olá?»

«Ciao Roberto, sono Sakura. C’è Tsubasa?»

«Ciao, ma che sorpresa! Ma certo, te lo passo subito!»

«Sacchan!»

«Tsu–chan, ciao. Come stai?»

«Io bene, stiamo per andare a pranzo… e tu? Come stai?Com’è andato il primo giorno di scuola?» lo sento sorridere mentre me lo chiede.

«Sono stanchissima, ho il fumo che mi esce dalle orecchie… ma tu come hai fatto ad ambientarti a scuola?»

«I primi mesi sono stati tremendi, lo sai…  ma pian piano ci farai l’abitudine, anche perché sei obbligata a parlare francese dalla mattina alla sera! – ridacchia, prendendomi in giro – Hai già degli amici?» mi chiede poi, diventando serio.

«A parte Napoléon?» lo stuzzico, sapendo che quel ragazzo non lo convince del tutto. Lo sento sbuffare per evitare di rispondere.

«I miei vicini di banco sono simpatici, uno è fissato col calcio e ha sentito parlare di te, mentre l’altro non ha la più pallida idea di cosa sia… e non riesce a pronunciare il mio nome… – sospiro sconsolata – Oggi mi ha chiamato Samara, Satura, Sodoma… ehi, non ridere! Non è carino prendere in giro la tua sorellina!» ma le mie labbra si piegano all’insù, è impossibile non essere contagiati dal proverbiale buonumore di Tsubasa.

«Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Ora scusami ma devo scappare, ti prometto che ti chiamo con più calma e chiacchieriamo! Ciao Sacchan!»

«Ricordati che sono cinque ore avanti!» ma ormai ha riagganciato. Scuoto la testa e torno da Florence con il sorriso stampato sulle labbra.

«Ah, chiamare il tuo petit–ami ti rende così felice, n’est–ce pas

«Petit–ami?» ripeto, non sicura di aver capito.

«Sì, insomma… il ragazzo che porti nel cuore.»

Quando capisco cosa sta cercando di dirmi, arrossisco vistosamente e agito le mani davanti a me.

«No, no, nessun petit–ami! – esclamo, visibilmente in imbarazzo – È mio fratello che mi fa questo effetto!»

«Uh, allora scusami per aver pensato a un fidanzato. Il fatto è che quando parli di casa tua è come se i tuoi occhi si riempissero di malinconia…»

Mélancolie... mi segno mentalmente questa parola perché penso che possa tornarmi utile. Cerco di sorriderle, e vorrei anche spiegarle cosa provo ma non è semplice, così mi limito ad assentire col capo.

«Mélancolie…» ripeto.

 

La vedo asciugarsi le mani nel grembiule, poi si avvicina a me e mi prende la testa tra le mani per poi depositarmi un bacio sulla nuca, un gesto che mi ricorda così tanto mia madre da farmi riempire gli occhi di lacrime. Le scaccio via deglutendo rumorosamente e la ringrazio mentalmente, mentre Florence torna a occuparsi della cena. 

Direi che sia la quarta volta (o la quinta?) che osservo il mio abbigliamento, rimpiangendo la divisa del liceo Nankatsu, che non era di certo il massimo in quanto a stile, però mi evitava il problema del “CosaMiMetto?”.

Inspiro e busso lievemente alla porta del preside: attendo qualche secondo stringendo la tracolla della mia borsa Made in Brazil, regalo di Tsubasa e Roberto, quindi timidamente apro la porta.

L’ufficio è completamente al buio, così lo richiudo e mi ci appoggio: sono veramente imbarazzata, forse avrei dovuto chiedere a Louis di accompagnarmi… sbuffò alzando lo sguardo e osservando il lungo corridoio in cui mi trovo, la scuola è fatta a ferro di cavallo su tre piani, non dovrei perdermi, così estraggo dalla mia borsa l’orario delle lezioni e cerco di orientarmi per raggiungere l’aula.

«Mademoiselle Ozora?»

«Oui

Un tizio allampanato, con la faccia spigolosa, mi sorride e mi allunga la mano, che mi affretto a stringere per cercare di non risultare fuori luogo con le usanze occidentali.

«Sono Monsieur Guy Mercier, il preside dell’istituto. Vieni, ti accompagno in classe.» mi dà del tu?

Si affretta a percorrere il corridoio nella direzione opposta a quella da cui sono arrivata, quindi raggiunta la hall sale le scale aggredendo letteralmente i gradini a due a due, tanto che faccio quasi fatica a stargli dietro.

«La nostra scuola vanta pochi studenti del Liceo Nankatsu, so che il professor Yamamoto manda solo i migliori, quindi dovrai sentirti molto onorata di essere qui.» Sì, mi dà del tu…

«In effetti lo sono, Monsieur. È un’opportunità molto importante per me.»

«Très bien, Mademoiselle Ozora.» annuisce, quindi bussa alla porta e senza attendere l’invito a entrare la spalanca. Sento il rumore di numerose sedie che si spostano e un coro che lo saluta in maniera formale.

Inizio a mordicchiarmi le unghie mentre lo sento parlare di scambi interculturali, esperienze di vita, e sussulto quando nomina il Giappone e Nankatsu (come se i miei futuri compagni di classe potessero davvero collocare geograficamente la mia città…).

«Avanti, Mademoiselle Ozora, venga a conoscere la sua nuova classe.»

Ennesimo respiro profondo, stringo la tracolla verdeoro, accarezzo il pallone da calcio gommoso che Daichi ha voluto attaccare alla zip e compio il primo passo verso il mio futuro.

Raggiungo il preside accanto al professore di matematica (le scritte sulla lavagna sono inconfondibili) e solo allora mi volto verso La Classe. Già. Maiuscola. Ansia.

Sorrido mentre mi presento, cercando di sembrare il più serena possibile e, soprattutto, di commettere il minor numero di errori grammaticali.

«Buongiorno a tutti, mi chiamo Sakura Ozora, e vengo da Nankatsu, della Prefettura di Shizuoka, Giappone.»

Mi trattengo dal compiere un mezzo inchino come si dovrebbe fare, e rimango impalata a fissare 22 paia di occhi che mi scrutano con diffidenza.

Il professore di matematica si avvicina a me e mi posa una mano sulla spalla.

«Benvenuta, Sakura, puoi accomodarti là, accanto a Yves. – mi indica un ragazzo biondiccio con il volto ricoperto da acne – E voi date il buon esempio, trattatela bene e non escludetela dai vostri gruppetti.»

Alcune ragazze sghignazzano divertite, mai come in quel momento mi sento a disagio, ma il ragazzo accanto a cui mi ha fatto sedere il professore sembra alla mano, e subito si presenta.

«Mi chiamo Yves, piacere di conoscerti, Samara

«Sakura… – lo correggo, quasi ridendo – Come i fiori di ciliegio giapponese, li conosci?»

Lui scuote la testa, e mentre lo fa gli cade lo sguardo sulla mia tracolla.

«Bella! Dove l’hai presa?»

«Me l’ha regalata mio fratello, deve averla comprata in un negozio a San Paolo.»

«San Paolo… in Brasile?»

Annuisco sorridendo orgogliosamente, poi gli mostro la pallina che mi ha regalato Daichi.

«Questa invece me l’ha regalata il mio fratellino più piccolo, ha tre anni.»

«Uh, c’è differenza d’età con i tuoi fratelli.»

«Non tanta, Tsubasa ha solo un anno più di me.»

Lo vedo riflettere un attimo, ti prego, fa che non mi dica di conoscerlo… niente calcio, almeno per quest’anno!

«E che ci fa in Brasile?»

Ringrazio mentalmente la mia buona stella, e sorridendo mi accomodo meglio aprendo il quaderno a molle e scrivendo sul cartoncino divisorio il nome della materia.

«Si è trasferito là a 15 anni per diventare un calciatore professionista. Adesso gioca come titolare nel São Paulo F.C. e sta facendo un ottimo lavoro.»

«Non è la squadra allenata da Hongo, l’ex calciatore costretto al ritiro causa distacco della retina?»

Mi volto a sinistra, e da sotto il banco vedo sbucare una testa mora, che quando si alza del tutto mi mostra un volto pulito su cui spiccano due occhi chiarissimi.

«Sì, proprio quella squadra.»

«Allora ho capito chi è tuo fratello.» ed estrae un giornale sportivo, posandolo sul banco e mettendoci subito sopra il libro di matematica per non farsi beccare dal prof.

«Satura, lui è Jacques, il nostro tuttologo del calcio.»

Gli stringo la mano – il calcio farà parte della mia vita anche qui – per poi voltarmi verso Yves e correggere il mio nome.

«Sakura…» sussurro. Lui si batte il palmo della mano sulla fronte e lo ripete a bassa voce un paio di volte, come ad imprimerselo in fronte. Divertita, mi volto verso la lavagna e cerco di concentrarmi sulla lezione.

 

Entro in casa quasi trascinandomi e mi trattengo a stento dall’urlare un “Tadaima!” che Florence sicuramente non comprenderebbe. Mi limito ad appendere la giacca all’attaccapanni e raggiungerla in cucina, dove sta preparando la cena.

«Buonasera.» le dico, sorridendole quando si gira a osservarmi.

«Buonasera a te, grenouille. Com’è andato il primo giorno di scuola? Impegnativo?»

Annuisco sedendomi a tavola e, posandovi i gomiti, mi prendo il mento fra le mani.

«Ho la testa che scoppia…»

«Povera, immagino che sia stancante… ma vedrai che è solo questione di tempo e ci farai l’abitudine. Adesso vai di là a farti un bagno rilassante, e quando avrai finito, ceneremo insieme.»

«Jean non torna?»

«Ha chiamato che farà tardi e non vuole che lo aspettiamo a stomaco vuoto.»

«Allora ti aiuto qui.»

Mi avvicino a lei e osservo ciò che sta facendo.

«È una torta salata. – mi spiega, notando il mio interesse – Pasta sfoglia ripiena di verdure. Ora la metto in forno così tra una quarantina di minuti è pronta. Sicura di non volerti riposare?»

Alzo automaticamente la testa verso l’orologio d’acciaio che troneggia in cucina: le lancette indicano le 18:05, calcolando il fuso orario in Giappone sono le due di notte, mentre in Brasile, se non vado errata, sono le 13, ora di pranzo. Tsubasa potrebbe essere a casa.

«Vorrei poter usare il telefono, se non ti dispiace.»

«Ma certo! La scheda internazionale è proprio lì accanto. Ti ricordi come si usa?»

Annuisco e mi dirigo velocemente verso l’apparecchio: mi accomodo in poltrona e prendo il cordless, quindi compongo il numero della tessera internazionale e infine il numero di mio fratello.

Suona quattro volte prima che qualcuno risponda.

«Olá?»

«Ciao Roberto, sono Sakura. C’è Tsubasa?»

«Ciao, ma che sorpresa! Ma certo, te lo passo subito!»

«Sacchan!»

«Tsu–chan, ciao. Come stai?»

«Io bene, stiamo per andare a pranzo… e tu? Come stai?Com’è andato il primo giorno di scuola?» lo sento sorridere mentre me lo chiede.

«Sono stanchissima, ho il fumo che mi esce dalle orecchie… ma tu come hai fatto ad ambientarti a scuola?»

«I primi mesi sono stati tremendi, lo sai…  ma pian piano ci farai l’abitudine, anche perché sei obbligata a parlare francese dalla mattina alla sera! – ridacchia, prendendomi in giro – Hai già degli amici?» mi chiede poi, diventando serio.

«A parte Napoléon?» lo stuzzico, sapendo che quel ragazzo non lo convince del tutto. Lo sento sbuffare per evitare di rispondere.

«I miei vicini di banco sono simpatici, uno è fissato col calcio e ha sentito parlare di te, mentre l’altro non ha la più pallida idea di cosa sia… e non riesce a pronunciare il mio nome… – sospiro sconsolata – Oggi mi ha chiamato Samara, Satura, Sodoma… ehi, non ridere! Non è carino prendere in giro la tua sorellina!» ma le mie labbra si piegano all’insù, è impossibile non essere contagiati dal proverbiale buonumore di Tsubasa.

«Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Ora scusami ma devo scappare, ti prometto che ti chiamo con più calma e chiacchieriamo! Ciao Sacchan!»

«Ricordati che sono cinque ore avanti!» ma ormai ha riagganciato. Scuoto la testa e torno da Florence con il sorriso stampato sulle labbra.

«Ah, chiamare il tuo petit–ami ti rende così felice, n’est–ce pas

«Petit–ami?» ripeto, non sicura di aver capito.

«Sì, insomma… il ragazzo che porti nel cuore.»

Quando capisco cosa sta cercando di dirmi, arrossisco vistosamente e agito le mani davanti a me.

«No, no, nessun petit–ami! – esclamo, visibilmente in imbarazzo – È mio fratello che mi fa questo effetto!»

«Uh, allora scusami per aver pensato a un fidanzato. Il fatto è che quando parli di casa tua è come se i tuoi occhi si riempissero di malinconia…»

Mélancolie... mi segno mentalmente questa parola perché penso che possa tornarmi utile. Cerco di sorriderle, e vorrei anche spiegarle cosa provo ma non è semplice, così mi limito ad assentire col capo.

«Mélancolie…» ripeto.

La vedo asciugarsi le mani nel grembiule, poi si avvicina a me e mi prende la testa tra le mani per poi depositarmi un bacio sulla nuca, un gesto che mi ricorda così tanto mia madre da farmi riempire gli occhi di lacrime. Le scaccio via deglutendo rumorosamente e la ringrazio mentalmente, mentre Florence torna a occuparsi della cena.



* Molto bene, signorina Ozora



Ciao a tutti, e bentornati. 
Sono davvero emozionato all'idea di pubblicare questa storia: giaceva nel cassetto da anni, e adesso finalmente vede la luce. Vi avviso già, è praticamente completa, sto mettendo a punto gli ultimi dettagli ma la storia c'è! Quindi niente ritardi, niente mancati aggiornamenti, niente di tutto ciò.
La mia piccola Sacchan la conoscete già, quindi... ci vediamo lungo il percorso, avremo di che parlare!
Enjoy
Sakura chan

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Capitolo 2
*** Settembre - parte seconda ***


La prima settimana di scuola è andata bene, i professori stanno avendo un leggero occhio di riguardo nei miei confronti e non mi tartassano troppo. Più che altro li vedo interessati al mio livello di istruzione che, almeno per quanto riguarda la matematica, è più alto rispetto a quello dei miei coetanei.

«La storia di Francia mi fregherà, già lo so…» mormoro a Yves che, seduto accanto a me, si gusta la sua merenda della ricreazione di metà mattina. Siamo in giardino, le temperature sono ancora molto miti e ci permettono di goderci il sole e le belle giornate.

«Nah! – esclama, richiudendo la buccia della banana nel sacchetto – Ti aiuterò io, e tu mi aiuterai in matematica. Così saremo pari.»

«Mi piace, come scambio.» annuisco sorridendo.

«Parlami ancora della tua città.»

«Nankatsu? – gli chiedo; lui annuisce e io appoggio la schiena alla panchina per mettere i piedi al bordo del tavolo, socchiudendo gli occhi per immaginarmela davanti agli occhi – Ti ho già raccontato tutto… il Fuji, la baia, i negozi…»

«Il campo da calcio?»

«Jacques, possibile che tu abbia solo quello in testa?» lo rimprovero mentre lui, con un balzo, scavalca la panca e si accomoda accanto a me; tecnicamente di storie da raccontare su quel campetto ne avrei a iosa.

«Detto da una il cui fratello è andato in Brasile per diventare pro…»

«Appunto, hai detto bene, fratello, non io.»

«Vuoi dirmi che non ti piace il calcio?» esclama quasi inorridito. Yves sembra interessarsi alla questione, appoggia i gomiti al tavolo di legno e si prende il mento fra le mani. Mi sento osservata e molto al centro dell’attenzione, così arrossisco.

«Si può sapere che vi prende? Raccontatemi di voi piuttosto!»

«Sei più interessante tu!» mi risponde assumendo un’aria furba e pretenziosa.

«Sakura.» mi sento chiamare alle mie spalle, così mi volto: Napoléon ci sta fissando con le braccia conserte.

«Louis! – gli sorrido e gli faccio cenno di accomodarsi accanto a noi – Come stai, tutto bene? Pensavo di vederti questa settimana.»

«Abbiamo delle sessioni intensive di allenamento. – mi risponde sedendosi accanto e posando la mano sul legno della panca dietro di me – A breve inizia il campionato.»

«Florence si è lamentata tutta settimana che non passavi a salutarla.» ridacchio, coprendomi la bocca con una mano.

Con la scusa di gettare la banana, Yves si allontana da noi, e Jacques lo segue in silenzio senza dire nulla.

«Stai attenta.»

«Uh?»

«A Chevalier.» e col mento indica Jacques, intento a chiacchierare con due ragazzine.

«Non capisco.»

Louis si volta verso di me e mi sorride: il sole riflette sui suoi capelli biondo scuro facendoli brillare.

«Meglio così.»

Mi spettina i capelli e si allontana, lasciandomi lì in preda ai dubbi su cosa avrà voluto dire.

«Sei pronta? Sta per suonare…»

Yves mi riporta alla realtà, così mi alzo e lo affianco per rientrare in classe.

«Come fai a conoscerlo?»

«Louis?»

Yves annuisce, lasciandosi cadere sulla sedia.

«Vivo da sua zia. E tre anni fa ha giocato contro mio fratello durante un torneo.»

Annuisce nuovamente, poi si volta verso di me e mi fissa con i suoi occhioni marroni da cerbiatto.

«Quanto lo conosci?»

«Perché questa domanda?»

«Quanto lo conosci?» insiste.

«Insomma, Leroux, abito a casa di sua zia da tre settimane, non posso di certo dire che sia il mio migliore amico.»

«Stai attenta.» stavolta è Jacques a parlare, non mi sono neanche accorta che ci aveva già raggiunto.

«Ma che avete tutti oggi!» sbuffo, un po’ troppo ad alta voce perché il prof di inglese, che stava scrivendo delle frasi alla lavagna, si volta e mi fissa con un’aria tra l’interrogativo e il seccato.

«C’è qualche problema, Miss Ozora?»

Avvampo all’istante e maledico questi due che mi hanno fatto fare questa pessima figura.

«No, prof… io…»

«Si offre per venire alla lavagna? Molto bene, si accomodi.»

Dopo aver sibilato un Questa me la pagate ai miei vicini di banco, mi appropinquo alla cattedra e prendo in mano pennarello nero che il prof mi sta porgendo.

 

Florence non riesce a smettere di ridere, mentre io sono ancora imbarazzata per la figura che i miei compagni mi hanno fatto fare col prof di inglese. Jean prende la parola e prova a consolarmi come può.

«Non ti preoccupare, Sakura, sono cose che possono succedere: qui non sono severi come in Giappone.»

«Odio fare queste figuracce… – mormoro, mentre Florence, che aveva quasi smesso di ridere, ricomincia – Oh, Florence, s’il te plaît

«Scusami, grenouille, ma immagino la tua faccia quando il prof ti ha sgridato e… ahahah.»

Scuoto la testa sconsolata, non c’è verso di farla smettere, a quanto pare. Tuffo il cucchiaio nel mio consommé cercando di dimenticare l’episodio, quando mi viene in mente che la figuraccia l’ho fatta “a causa” di Louis, così mi viene spontaneo porre quella domanda.

«Che persona è Louis?»

Florence si asciuga le lacrime col tovagliolo e mi dedica la sua attenzione.

«In che senso, Sakura?»

«Uhm, oggi ho avuto… l’impressione, che i miei compagni di classe lo evitassero.»

«Può darsi che non lo conoscano bene.» interviene Jean. Annuisco storcendo un po’ le labbra, e continuo a girare il cucchiaio nel consommé senza mangiarne.

«Non ti va più?»

Come se mi risvegliassi da uno stato di trance, alzo lo sguardo e incrocio le iridi azzurre di Florence che mi fissano preoccupate: solo allora mi accorgo che la cena si è raffreddata senza che io la finissi.

«No, no, mi va. Ero soprappensiero, ti chiedo scusa.»

Mi accarezza la testa e si alza per preparare il caffè a Jean, che si è spostato nel suo studio per finire del lavoro. C’è qualcosa nelle frasi di Louis e Jacques che mi ha lasciato un po’ con l’amaro in bocca, come se quei due si odiassero, ma non so se lo facciano a prescindere o perché è successo qualcosa.

Una parte di me, quella che si è affezionata al Napoléon che mi ha fatto da spalla nelle due settimane antecedenti l’inizio della scuola, vorrebbe indagare per capire cos’è successo, poi mi tornano in mente le parole di Tsubasa… 

 

«Non dico che sia un cattivo ragazzo, Sacchan, ma tu eri presente al Torneo, hai visto come si è comportato con Soda. Dico solo di stare attenta.»

«Non potrebbe essere maturato? Sono passati un po’ di anni da quella partita…»

«Puoi scoprirlo solo tu… ma se uno è testa calda, lo rimane.»

«Andiamo, Tsu–chan! Anche Wakabayashi era uno sbruffone, eppure…»

«È diverso. Fidati di me, e stai attenta.»

«Kamisama fratellone, mica me lo devo sposare!»

«Lo so, lo so, ma saperti a stretto contatto con quello lì  un po’ mi indispone…»

«Stai sereno, prometto che farò attenzione, ok?»

 

Inserisco il mio piatto nella lavastoviglie, chiudo lo sportello, dopo essermi assicurata che sia caricata col detersivo, e la faccio partire: Florence entra in quel momento in cucina e mi ringrazia per aver sparecchiato.

«Figurati. – rispondo – Dovere.»

«Sei una ragazza molto responsabile, Sakura, ma c’è sempre un margine di miglioramento.»

Assimilo le sue parole, poi la guardo con aria interrogativa: lei si siede e mi mostra un quaderno che ha tra le mani.

«Siamo abituati, con le ragazze che ospitiamo, a dividerci i compiti in casa: se sarai brava e seguirai le “indicazioni”, avrai diritto a dei bonus, come le tessere per telefonare all’estero.»

«Me le comprereste voi? Non posso accettarlo!» esclamo.

«Sarebbero il tuo premio, come una specie di paghetta. In effetti abbiamo pensato anche a quello, tra i bonus.»

«Soldi in cambio di servizi domestici?»

«Chiamali lavoretti

Mi sporgo sul quaderno per leggere la lista, sono tutte cose che già facevo a casa, apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti (qui è più facile, con la lavastoviglie), rifare il letto…

«Spolverare, spazzare, pulire la cameretta…»

«Tieni, la lista è tua. Ogni volta che farai qualcosa di questo tipo, ti daremo un premio.»

Annuisco e, rileggendola, mi dirigo in camera mia. Mi butto sul letto e mi volto su un fianco, osservando la foto che ho sul comodino. Io, i miei fratelli, mamma e papà.

«Chissà se riuscirete ad essere orgogliosi di me…»

 

 

Ed eccoci qua, con un nuovo aggiornamento. Iniziamo pian piano ad entrare nel mood del vivere in un'altra famiglia. Per l'impostazione che ha, Sakura non avrà problemi a gestire la parte di "lavori di casa", lo sappiamo bene. Il suo punto debole sono le relazioni sociali XD quindi dovrà cercare di sgomitare un po' per crearsi il suo posticino. 

Vi ringrazio per l'affetto con cui ci avete accolto, vi amiamo tanto!

Bacioni e buon fine settimana 


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Capitolo 3
*** Ottobre - parte prima ***


«Pronto, Deville.»

«Sakura, ciao, sono mamma.»

«Okaasan*!!! – esclamo con tutto il fiato che ho in corpo, e Florence, che ha imparato a riconoscere quella parola, mi sorride e torna in salotto – Come stai?»

«Io sto bene piccolina, e tu?»

Mi accomodo sulla poltroncina che Florence ha posizionato di fianco alla postazione telefonica apposta per me e stringo forte il cordless: sono a Parigi da quasi due mesi, due mesi senza vedere la mia famiglia. Non sono mai stata così a lungo lontano da mamma, e contando i mesi che ancora mi mancano per tornare a casa… scaccio quel pensiero e torno a concentrarmi sulla conversazione.

«Sto facendo passi da gigante mamma, Florence dice che parlo francese con accento parigino, anche se non ho ancora capito se sia un bene o un male. Adesso dovrei anche iniziare un corso serale di inglese con Louis, dato che lui quest’anno ha il diploma e ha bisogno di ripetizioni.»

«Ah lo accompagni?»

«Sì, un ripasso farà bene anche a me, e poi così mi riempio le giornate!»

«Vuoi forse dirmi che ti annoi?» mi stuzzica lei. La risata che ne consegue è cristallina e solare.

«No, mamma, tutt’altro. Parigi è meravigliosa, sono innamorata di questa città. Tra poco avremo un paio di settimane di vacanze per la festa di Ognissanti, Louis mi ha promesso che mi porterà a fare un giro turistico, dato che non abbiamo avuto molto tempo per farlo.»

«Mi pare di capire che andate molto d’accordo…»

«Noto del sarcasmo nelle tue parole. Hai parlato con Tsubasa, per caso?»

«Vuoi che tuo fratello non si sia premurato di mettermi in guarda da questo fantomatico spaccone attaccabrighe che frequenti?»

«Tsubasa esagera come suo solito, non tutti sono limpidi e pieni di buoni propositi come lui. Sono sicura che se conoscesse meglio Louis, cambierebbe idea su di lui. E poi si sta comportando bene con me, dovrebbe esserne felice.»

«Sacchan, non può essere che sia geloso del fatto che ci sia un altro a farti da fratello maggiore e proteggerti?»

«Beh allora non doveva andarsene in Brasile dal suo adorato Roberto, se voleva ricoprire questo ruolo al 100%.» rispondo piccata.

«Sei ingiusta. Lo sai che è il suo sogno. Avresti mai rinunciato a questa esperienza che stai vivendo?»

Mi sento come se fossi seduta su un cactus, così cerco di accomodarmi meglio: la mamma è sempre la mamma, e sta cercando di farmi ragionare, come sempre del resto.

«Non capisco perché io non mi possa lamentare del fatto che lui se ne sia andato via a 15 anni a tempo indeterminato, mentre io, che sto vivendo un’esperienza con un inizio e una fine ben delineati,  mi debba sentire in colpa.»

«No, Sakura, nessuna colpa. Sto solo cercando di capire perché voi due riusciate a litigare anche a milioni di chilometri di distanza.»

«Perché siamo due Ozora…» rispondo, come se questa frase racchiudesse l’essenza della Verità Universale. La sento sospirare chiaramente all’altro capo della cornetta e poi la sua voce torna sorridente, e mi immagino il suo volto solcato da quel sorriso che tanto la caratterizza.

«Sacchan, stai diventando grande, ormai hai la tua testa per ragionare. Non buttare tutto all’aria per orgoglio, o per ferire. Sarebbe veramente stupido da parte tua.»

MI mordicchio le unghie della mano destra, quella con la quale non reggo il cordless: sento aprirsi la porta di casa e Jean entra con Louis, mi salutano con un cenno e si dirigono in salotto da Florence. Solo il calciatore si trattiene due secondi in più giusto per sincerarsi del fatto che vada tutto bene: gli dedico un mezzo sorriso poi torno a parlare con mia madre.

«Non è giusto che Tsubasa ti chiami ogni volta che io e lui litighiamo, non è un bambino, non si sa difendere da solo?»

«La cosa bella, tesoro, è che lui non mi ha affatto detto che avete litigato…»

«L’hai capito da sola…» mormoro.

«Come ogni buona madre che si rispetti, anche se siete lontani da me, vi porto sempre nel cuore, e capisco al volo quando qualcosa non va. Ora mi prometti che lo chiami e fate pace?»

«Ma sì mamma… – sbuffo – Abbiamo già fatto pace, non c’è bisogno che lo richiami.»

«Sacchan, tieniti buona tuo fratello, te lo dice una che di fratelli ne ha cinque!» ridacchia.

«Mi mancate…» dico all’improvviso, rannicchiandomi e abbracciando le ginocchia per poi appoggiarci contro la fronte.

«Anche tu ci manchi tantissimo, ma credimi, devi goderti questa esperienza: maggio arriverà in fretta e tu dovrai tornare a casa, sta a te scegliere se con rimorsi o rimpianti.»

«Uh, come siamo sagge, mamma.» la prendo in giro.

«Com’era quella canzone di Edith Piaf di cui mi hai parlato?»

«Rien de rien…» rispondo.

«Torna ad analizzare il testo, poi ne riparliamo. Ti passo Daichi che ti vuole salutare. Ci sentiamo presto, bambolina.»

Saluto velocemente il mio fratellino, che mi racconta di quel disegno che ha fatto all’asilo che rappresenta me con la Torre alle spalle e Tsubasa con il pallone e la maglia verde e gialla, e mi promette di tenermelo da parte perché la maestra gli ha fatto i complimenti e lui vuole sapere che ne pensiamo noi.

Chiudo la comunicazione con un groppo in gola non indifferente, e rimango per un attimo indecisa sul da farsi, se chiudermi in camera mia per dare libero sfogo alle lacrime o ricacciarle indietro e tornare con un sorriso smagliante dalla mia famille.

«Sakura, tutto bene?»

Alzo la testa dalle ginocchia e incrocio lo sguardo blu di Napoléon, che mi osserva con aria preoccupata.

«Sì… discussione in famiglia, niente di importante.»

«Tuo fratello?»

Sento le labbra che si piegano in un sorriso amaro, e riappoggio il mento alle ginocchia, che sto ancora abbracciando da prima.

«Non ti preoccupare, non è nulla… ho solo un po’ di… mélancolie…»

Mi accarezza la testa, poi mi prende le mani per farmi mettere in piedi.

«Perché non vieni con me oggi?»

«Dove?» gli chiedo, curiosa. In effetti al sabato non ci siamo mai visti.

«Ad allenamento. Tanto lo so che ti piace il calcio.» mi stuzzica.

Sì, è vero, il calcio mi piace. E devo ammettere che passare da manager a nullafacente mi ha un po’ destabilizzato, mi mancano i ragazzi.

«Sei sicuro che posso? Il PSG non è di certo come la Nankatsu.»

«Ehi, stai parlando col loro giocatore migliore! – esclama entrando in salotto, dove Jean e Florence stanno finendo di apparecchiare – Se chiedo io una cosa, puoi star sicura che accetteranno!»

«Vacci piano, Napoléon. Sei un po’ troppo spaccone.» lo riprende bonariamente suo zio.

Lui fa spallucce e, prendendo una mela dal cestino della frutta, inizia a palleggiarci.

«Per l’amor del cielo, Louis!! – lo rimprovera immediatamente Florence quando si accorge di cosa sta facendo – Quella dobbiamo mangiarla, non ammaccarla!»

«Stavo facendo vedere a Sakura cosa sono capace di fare.»

«Ma io mi ricordo bene cosa sei capace di fare. – gli ricordo, sedendomi a tavola – Litigare con gli avversari è la tua specialità.»

«Touché.» e Jean alza la mano per farsi dare il cinque, cosa che faccio immediatamente.

«Ehi ehi, non è molto carino che mio zio si coalizzi con la p’tite grenouille

«Se è per questo non è neanche carino che tu e tua zia mi chiamiate rana!»

«Te l’ho spiegato – e si avvicina a me per darmi un buffetto in testa – non è colpa mia se voi asiatici avete gli occhi a palla.»

«Ma sentilo!» mi metto a braccia conserte con fare offeso.

«Sakura, non te la prendere. – mi consola Florence – Scommetto che, da qui a maggio, troverai anche tu un soprannome divertente per lui.»

«Oh, sì, ci metterò tutto il mio impegno!» e così dicendo mi fiondo sul pranzo, non prima di aver fatto una linguaccia al mio amico.

 

Mi mancava l’aria che si respira su un campo da calcio! Mi sembra di tornare indietro nel tempo!

Chiudo gli occhi e assaporo l’odore dell’erba bagnata, stringendomi nel cappotto turchese che ho comprato in un negozietto del Quartiere Latino: siamo a metà Ottobre, le temperature si sono abbassate, ogni scusa è buona per fare shopping! E poi con il metodo di maman, sono riuscita a racimolare un bel gruzzoletto, che mi piacerebbe usare anche per i regali di Natale.

I ragazzi del PSG finiscono con i giri di campo e vedo che si schierano sull’erba per lo stretching: quando si alzano, Louis si volta nella mia direzione, mi indica con l’indice, poi si punta indice e medio negli occhi per farmi capire di stare attenta. Io annuisco divertita e appoggiando i gomiti sulle ginocchia, mi prendo il mento tra le mani per godermi lo spettacolo.

«Tu devi essere la giapponese di cui Napoléon ha tanto parlato.»

In piedi, a pochi passi da me, c’è un ragazzo abbastanza alto, avvolto in un lungo cappotto nero, su cui spicca una massa di capelli biondo scuro, più scuri di quelli di Louis. Forse, a guardarci bene, sono castano chiaro.

«Beh, non parli francese?»

Lo sconosciuto saltella sulle gradinate e si siede vicino a me, allungandomi la mano.

«Elle Sid Pierre.»

«Sakura… Ozora.» aggiungo, tanto immagino che sappia già.

«Sì, me l’hanno detto, che eri la sorellina di quel giapponese.»

«Sono un po’ grandina per essere petite*.» rispondo, piccata. Neanche mio fratello fosse Pelé, che tutti lo conoscono e sanno chi è.

«Uh, sei anche meno socievole di lui: me lo ricordo col sorriso sulle labbra.»

«Ti ricordi anche la batosta che vi hanno rifilato?» lo punzecchio. Non mi piace l’atteggiamento che sta assumendo nei miei confronti.

«Umpf, perdere ai rigori può capitare, ci sono Nazionali che ci vincono i Mondiali.»

«Che ci fai qui? – gli chiedo, per fare un po’ di conversazione – Non giochi da un’altra parte?»

«Sono infortunato. Nulla di che. – si affretta ad aggiungere – Ma questa partita la salto, così ho pensato di trascorrere il weekend a Parigi.»

Rimaniamo in silenzio, stavolta è lui ad interromperlo con una domanda.

«E tu? Che ci fai qui?»

Mi raddrizzo e mi appoggio alla gradinata, mettendo le mani in tasca.

«Studio. Frequento il penultimo anno di scuole superiori e il mio prof di francese mi ha proposto questa opportunità perché ero la migliore della classe.»

«Sì, parli abbastanza bene.»

Mi volto di scatto verso di lui: era un complimento?

«Grazie…» rispondo. Lui continua a osservare gli allenamenti della squadra.

«Ti interessa davvero il calcio?» mi domanda a bruciapelo.

«Perché, vuoi invitarmi a bere un tè con i biscotti al bar qui di fronte?»

Devo aver fatto una battuta divertente perché lui scoppia a ridere di gusto.

«No, mi chiedevo se la sorella di Tsubasa – apprezzo che non abbia usato il diminutivo – sia come lui.»

«Brava?»

Ride di nuovo: caspita, potrei darmi al cabaret.

«Appassionata.»

«Beh, sono cresciuta con lui, direi che sia inevitabile, no? Ma lui è proprio malato, di calcio intendo.»

«Per mollare tutto e andare in Brasile sì… me l’ha detto Napoléon.» si affretta ad aggiungere, quando mi volto ad osservarlo con aria interrogativa.

Continuiamo a seguire gli allenamenti in silenzio, tranne per qualche commento sul metodo di tiro di alcuni giocatori, e Pierre mi aiuta a imparare i termini tecnici in francese.

L’allenamento termina e io mi alzo in piedi per stiracchiarmi la schiena, e mi inarco come un gatto tendendo le braccia in avanti.

«Avete programmi per stasera?»

«Uh?»

«Intendo per il dopo cena, non dirmi che Napoléon non ti ha mai portata per locali.»

«A dir la verità…»

«Mi meraviglio di te! – esclama rivolgendosi a qualcuno alle mie spalle – Hai una ragazza in giro per casa e non la porti a conoscere la vita notturna parigina?»

Louis fa spallucce, appoggiando il borsone e tirando su la zip della giacca a vento.

«Non ci ho mai pensato, e sinceramente non avevo molto tempo libero.»

Iniziano a discutere tra di loro su dove potrebbero portarmi, e io osservo alternativamente l’uno e l’altro mentre si bocciano a vicenda vari locali, ignorandomi bellamente. A un tratto si voltano verso di me e all’unisono mi chiedono se sono d’accordo.

«Ehm… su cosa?»

«Andare a mangiare qualcosa fuori, insieme, poi a bere da qualche parte. – Mi spiega Louis – Pierre ha ragione, dovrò pur farti prendere parte alla vita notturna parigina!»

«Oh, io…» arrossisco violentemente. Dovrei andare in giro con due ragazzi? Per Parigi? Da soli?

Deglutisco a fatica: vada per Louis, Florence lo ammazza se mi succede qualcosa, ma Pierre… non lo conosco… e poi non sono abituata a uscire al sabato sera, il massimo che facevamo a Nankatsu con i ragazzi era ritrovarci in gelateria a chiacchierare. Fino all’una di notte, ok, ma sempre una gelateria era.

Però, all’improvviso, mentre sono lì, indecisa sul da farsi, una folata di vento mi scompiglia i capelli, e mi tornano in mente le parole della mamma: voglio tornare a casa con rimpianti o con rimorsi? Voglio vivere o lasciare che la vita scorra mentre sto seduta a guardare?

Quando mi ricapiterà di essere a Parigi?

Quando mi ricapiterà questa occasione?

Devo decidere.

«Devo solo avvisare Florence, passo da casa a dirglielo e poi mi preparo.»

«Siamo d’accordo allora, ti passo a prendere verso le 20, così hai un po’ di tempo.» asserisce lui, caricandosi il borsone sulla spalla e incamminandosi verso la fermata della metro.

«Mademoiselle... – Elle Sid mi prende la mano e finge di baciarla, come un gentiluomo di altri tempo – Sarà un piacere mostrarle le bellezze della Parigi notturna.»

Arrossisco ulteriormente e per togliermi dall’imbarazzo accenno un mezzo inchino: lui sorride divertito e si incammina dietro Napoléon.

 

«Non posso bere, sono minorenne!» esclamo quando il capitano della Nazionale francese juniores mi porge un boccale pieno di un liquido scuro.

«Non fare la femminuccia, Ozora!» mi rimbecca Louis.

«Ma io SONO una femmina!» faccio notare, indicando la gonna che ho indossato.

«Ozora… – Elle Sid attira nuovamente la mia attenzione – Sei voluta venire a Parigi? Vuoi fare la vita da bohémienne? E allora bevi questa Guinness!»

«A quanto mi risulta, la Guinness è irlandese.» sbotto, decidendomi finalmente a prendere il boccale.

«Preferisci l’assenzio?»

Mi volto di scatto verso Louis con gli occhi fuori dalle orbite.

«Ma sei matto? Quello farà 1000°!»

«Ah ma allora vivi nel nostro mondo!»

«Non ho mai detto di non essere informata sulle gradazioni alcoliche, ho semplicemente detto che non ho mai bevuto molto.»

Bluff: non ho mai bevuto punto e basta. Non sono come Ishizaki e gli altri che, di nascosto dal mister, trangugiavano sakè alle varie feste di compleanno. Questo credo di averlo in comune con Tsubasa, anche se ammetto che quella capirinha di Roberto mi faceva molta gola.

«Vuoi dire che non ti sei mai ubriacata?» adesso è Louis ad avere gli occhi fuori dalle orbite.

«Non ne ho mai avuto bisogno, mi sono sempre divertita anche senza alcool.»

«Beh, – Elle Sid, sornione, si porta il suo boccale di weiss alla bocca – c’è sempre una prima volta, no?» e, facendomi l’occhiolino, ne trangugia un lungo sorso. 

 

Sono una ragazza con la testa sulle spalle, io. E anche un peso morto, sempre sulle spalle, che ha alzato decisamente il gomito e si è lasciato troppo andare.

Ah, ho anche un nuovo amico che mi ha abbandonato sul più bello, con questo peso morto sulle spalle, per sparire con una biondina nel bagno del locale.

«Coraggio, Louis, adesso appoggiati qui che apro la porta di casa.»

Faccio aderire la sua schiena allo stipite e puntello la mano sinistra al suo petto, mentre con la destra inizio a cercare le chiavi nella borsa.

«Ma dove sono! Eppure le avevo prese… ah, eccole!» le estraggo orgogliosamente e le faccio tintinnare davanti al viso del calciatore.

Sostituisco la mano col gomito, lo so, non sta bene, ma devo aiutarmi con entrambe le mani per aprire il portone, e una volta fatto ributto le chiavi nella borsa alla rinfusa per riaccollarmi sulle spalle il peso di Napoléon. Perché sono una ragazza con la testa sulle spalle, io.

Lo sento mugugnare qualcosa mentre chiamo l’ascensore, la sua testa si appoggia alla mia e mi bisbiglia qualcosa all’orecchio.

«Siamo a casa di tua zia, non ho intenzione di portarti a casa tua per poi tornare qui da sola. Lasciatelo dire, hai un pessimo gusto in fatto di amici.»

Sbiascica una frase che interpreto con “È fatto così…” mentre lo appoggio all’ascensore e premo il pulsante dell’ultimo piano. Mi metto a braccia conserte e picchietto il piede per terra, mentre lo osservo, semi svenuto con gli occhi chiusi e il respiro pesante.

«E adesso chi lo spiega a tua zia?»

Apre un occhio e cerca di mettermi a fuoco.

«Tu.»

«Ah beh, certo. – rispondo stizzita – Chissà cosa le spiegheresti tu, in queste condizioni.»

«Portami in camera tua.» 

Plin, l’ascensore arriva al piano, ma io sono rimasta ferma e le porte si richiudono.

«Non usciamo da qui?» mi chiede, riacquistando un minimo di lucidità.

Si appoggia a me e preme il pulsante per far riaprire le porte, quindi fa pressione per uscire. Io sto ancora ripensando a quello che ha detto, o meglio, biascicato. Cosa crede, che io stanotte gli faccia fare follie nel mio letto? Oddei, chissà cosa pensa di me! Che idea si è fatto! Beh, è comunque sbagliata.

Riesco ad aprire la porta d’ingresso e lo faccio accomodare a fatica sulla mia poltroncina da telefono, quindi mi levo il cappotto e appoggio la borsa, non prima di aver richiuso la blindata con le mandate.

«Sai, – esordisco in giapponese, non ho voglia di discutere con lui – ho una voglia matta di lasciarti a dormire lì, su quella dannata poltrona, ma avrei i sensi di colpa per il mal di schiena che ti verrebbe, sia mai che la stella della Senna debba saltare qualche incontro di calcio!»

Apre un occhio ma io lo ignoro e lo aiuto ad alzarsi.

«”Portami in camera tua”, ma chi ti credi di essere? Cosa pensi che io sia, una geisha, una dama da compagnia, una… non riesco nemmeno a pensarlo!»

Apro la porta della mia camera e lo deposito sul letto, lui rimane lì e mi osserva mentre dall’armadio prendo delle nuove lenzuola.

«E tua zia che è così carina con me, sei fortunato, lo faccio per lei, non per te. – appoggio le lenzuola alla rinfusa sulla chaise longue e mi ci butto dentro senza neanche svestirmi – Bonne nuit, prince de la morgue*!»

Lui, come se si risvegliasse da un brutto sogno, si gira verso di me.

«Prince de la morgue? Ma come ti è venuto in mente?»

«Sei uno spaccone gradasso borioso, ecco come mi è venuto in mente! Aveva ragione mio fratello! Adesso dormi, e fatti passare la… come diavolo la chiamate voi!»

«Sbornia.»

«Sì, quella.»

Mi volto verso il muro dandogli le spalle, e chiudo gli occhi, sperando che il sonno mi colga immediatamente.

 

 

*Okaasan - mamma.

* in francese, per dire "sorellina", si usa l'espressione "petite-soeur", cioè "sorella piccola", cosa che a Sakura va un po' stretta ormai

*Prince de la morgue: principe della boria. 

 

 

Beh, che dire: si adatta abbastanza bene ai canoni europei, la nostra Sakuretta xD 

Piano piano si ambienta e diventa sempre più parte del tutto, ma la parte più difficile è tener dietro a Louis: quel ragazzo è proprio strano eh... 

Possiamo vedere come pian piano la nostra amica emerga sempre di più, grazie anche ai preziosi consigli di sua madre che, si sa, sa sempre cosa succede ai suoi figli. 

Grazie a tutti coloro che mi seguono, è bello tornare e sapere che ci siete!

Un bacione

Sakura 

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Capitolo 4
*** Ottobre - parte seconda ***


Un insistente odore di croissants au beurre mi convince ad aprire gli occhi: mi sollevo e mi stiracchio il collo indolenzito… solo quando scosto le lenzuola e mi accorgo di avere ancora indosso i vestiti di ieri sera mi sovvengono gli avvenimenti. Eppure…
«Che ci faccio nel mio letto?»
Ricordavo di essermi messa a dormire sulla chaise longue, tra l’altro l’ho trovata anche più comoda di quanto immaginassi.
Recupero al volo dei vestiti e ciabatto fino al bagno, in un quarto d’ora mi rendo presentabile e con un sorriso smagliante stampato in faccia.
«Oh buongiorno Sakura. Guarda, il nostro Louis ci ha portato la colazione!» mi accoglie Florence in cucina. Napoléon sta addentando un croissant dopo averlo inzuppato nel caffelatte.
«Ah davvero?» domando, e il calciatore non può fare a meno di notare l’ironia nel mio tono di voce. Mi allunga il cestino contenente la dolce mezzaluna e si prepara al botta e risposta.
«Volevo ringraziarti per la piacevole serata di ieri.»
«Oh non dovevi disturbarti. Mmmh…» mormoro poi, dopo averne addentato uno.  Lui mi osserva con aria soddisfatta.
«Sono i migliori di tutta Parigi, ve li ho portati apposta.»
«Caspita ma sono squisiti! Quanto vorrei che Tsubasa potesse assaggiarli!»
«Che carina che pensi sempre a tuo fratello in queste occasioni…» osserva Florence.
«Già, peccato che lui sia scappato dall’altra parte del mondo.»
Rimango col croissant a mezz’aria e la bocca aperta. Ora, lo so che Louis non è al corrente delle dinamiche intercorse tra me e mio fratello a causa del Brasile, della partenza, della lontananza, eccetera… però ha colpito dritto al cuore, si può dire che quello sia il mio punto debole, la mia kryptonite. Abbasso la mano col croissant e punto gli occhi nel mio tè verde, che improvvisamente diventa acquoso per via delle lacrime.
«Sakura, che succede?»
Scuoto la testa, mi stanno osservando entrambi con aria preoccupata, dovrei giustificare la mia reazione ma sarebbe lunga da spiegare così mi limito a quel Mélancolie che ho imparato ad usare per giustificare i miei sbalzi d’umore.
«Oggi non dovresti giocare una partita?» domando a Louis, per recuperare il mio aplomb.
«No, c’è un turno di pausa, non te l’avevo detto?.»
«Hai una fortuna sfacciata…» sussurro appena sporgendomi sul tavolo, mentre Florence si è allontanata un attimo da noi.
«Si chiama tempismo, Ozora!» mi rimbecca lui, sornione.
«E smettila di chiamarmi per cognome!»
«Quindi che fate oggi, uscite di nuovo con quel bel ragazzo?»
Napoléon a momenti si strozza con il suo caffelatte.
«E chi sarebbe?» chiede, non senza sforzo, dopo aver rischiato la vita.
«Dai, quel tuo amico che gioca a calcio, Alcide, Lucide*, come si chiama?»
«Elle Sid.» rispondo prontamente.
«Ah proprio lui! È così carino, e ha dei modi di fare così affabili, non come te che sei un rozzone!»
«Ma se neanche lo conosci! – esclama Louis, rosso in volto – Come fai a dirlo!»
«Oh, si vede da lontano, già quando avete giocato in Nazionale ho notato il suo savoir–faire
«Umpf, e io che ti ho anche portato i croissants.»
Florence gli scompiglia i capelli in un gesto affettuoso che denota tutto l’amore per quel nipote, mentre lui, sempre col broncio stampato sulle labbra, finisce la sua colazione.
«Potreste portarmi sulla Tour Eiffel.» propongo, sorseggiando la mia bevanda.
«Scherzi? Di domenica è piena di turisti!» si lamenta lui, più per ripicca che per altro, penso.
«Portacela lo stesso, al massimo non ci salite. Avanti Louis, non essere scontroso!»
Sbuffa nuovamente, poi annuisce, con aria di superiorità. Sorrido pensando che è uno sbruffone, sì, ma dal cuore d’oro.
«Che hai, grenouille
«Niente.» rispondo, col sorriso sulle labbra.
 
Salgo la gradinata del Trocadéro quasi di corsa, e quando mi trovo davanti la torre, imponente e maestosa, rimango a bocca aperta.
«Che meraviglia…» mormoro.
«Hai finito di sproloquiare in giapponese? Anche ieri sera…»
«A proposito di ieri sera, avrei giusto un paio di domande per te.»
«Rimani nel dubbio, è meglio. –  mi risponde, caustico – Sei troppo piccola per certe verità.»
«Ehi! – mi lamento – Ho solo un anno in meno!»
Lui non mi ascolta e arriva fino al parapetto, per poi appoggiarcisi e osservare il panorama.
«Stavo dicendo – addolcisco i toni – che è davvero meravigliosa, vista da qui.»
«È solo un ammasso di ferraglia.»
Scuoto la testa.
«È il simbolo della città, un po’ come… il segno di riconoscimento.»
«Vuoi una foto?»
Annuisco e gli porgo la mia fedele macchina fotografica. Me ne scatta due o tre, fino a quando un signore passa di lì e ci chiede se vogliamo una foto insieme.
«Oh, no, graz…»
«Sì! – esclamo entusiasta – Andiamo Napo, non vorrai che io rimanga senza foto ricordo!»
Alza gli occhi al cielo, sconfitto, e mi si avvicina, sedendosi sul parapetto accanto a me.
«Ah, così sembriamo due vecchi!» esclama, notando la posizione che abbiamo assunto, quindi scende dal parapetto, fa scendere anche me e mi cinge le spalle con un braccio. Sento un leggero calore raggiungermi le gote ma cerco di non darvi peso, alzando la mano destra e facendo il segno di vittoria, da brava giapponese.
«Siete proprio tutti uguali, voi asiatici.» mormora lui, quando il signore che ci ha scattato la foto si allontana. Io faccio spallucce e mi dirigo verso la scalinata per poter scendere e ammirare la torre dal basso verso l’alto.
«Che vuoi che ti dica, siamo entusiasti di farci foto ricordo.»
«Tornerai in Giappone che manco ti ricorderai di me!»
«Impossibile! – esclamo, fermandomi di colpo e voltandomi verso di lui – Non ci si può scordare di uno come te!»
Lui mi osserva per qualche secondo, come se stesse studiando la mia risposta.
«Ozora, non è che ti stai innamorando di me?»
Tomber amoureuse… realizzo il significato e mi metto a ridere, voltandogli le spalle e continuando a dirigermi verso la Tour Eiffel.
«Che ho detto? Che c’è di divertente!»
«Nulla, è solo che… il mio cuore è già occupato…»
«E il tuo ragazzo ti ha lasciato venire qui dall’altra parte del mondo alla mercé di noi francesi? Non lo sa che siamo dei rubacuori?» mi prende in giro, raggiungendomi.
Mi fermo al semaforo pedonale, momentaneamente rosso, e aspetto di attraversare: nel frattempo il mio sguardo vaga e riconosco il punto, quel punto, dove Taro e Tsubasa si sono rincontrati, tre anni fa…
«Lo sa…» mormoro, muovendo un passo per attraversare, quando mi sento tirare per un braccio.
«Ma sei impazzita?! – esclama Louis, paonazzo – È ancora rosso!»
Mi riscuoto dal ricordo che mi ha attanagliato solo quando mi accorgo che una macchina ha suonato il clacson malamente nella mia direzione, inveendomi dietro.
«Kamisama, scusa! – esclamo, arrossendo e portandomi una mano alla bocca – Non me ne ero accorta, ero soprappensiero!»
«Sarà meglio che non pensi al tuo ragazzo quando devi attraversare la strada, o rischi di non tornare più da lui.» mi redarguisce, senza mollare la presa sul mio braccio e conducendomi dall’altro lato della strada.
«Lui… non è il mio ragazzo…» confesso, abbassando lo sguardo.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, io con in mente Taro e il cuore che fa quasi male, lui probabilmente imbarazzato, o forse mi dà solo il tempo di tornare sulla Terra.
«Lo sapevo, guarda che fila!»
Attira la mia attenzione sul nugolo di persone alla cassa che aspettano pazientemente il loro turno per salire sul simbolo della ville Lumière, poi mi guarda e borbotta.
«Tanto vale che andiamo a fare un giro da qualche parte, magari più tardi…»
Annuisco e gli sorrido, sì, gli sono davvero grata per quello che sta facendo per me.
 
Appoggio le mani al parapetto e osservo estasiata Parigi, illuminata dalle luci artificiali: prima di salire, abbiamo anche osservato il gioco di luci che la illumina e la rende ancora più affascinante.
«Ozora, se vuoi possiamo salire ancora, arriviamo al punto più alto.»
Mi volto verso Louis e annuisco, quindi lo seguo e ci infiliamo su per la rampa di scale: è domenica sera, il flusso di turisti è diminuito notevolmente rispetto al pomeriggio.
«Ed eccoci qui, l’ultimo piano della Tour Eiffel su cui è possibile salire: goditi il panorama.»
Credo di amare Parigi sempre di più. C’è un’atmosfera magica, quasi surreale, sembra carica di… di… amore
A pensare quella parola sussulto un attimo e mi porto una mano sul cuore: se dall’esterno può sembrare che batta normalmente, io so bene che dentro manca qualcosa, come se un’aritmia ne alterasse il corso.
Taro…
Sembra quasi sussurrare la brezza, magari anche lui è salito qui in cima, ha posato i piedi su questa torre, si è sporto da questo parapetto.
«Ozora stai bene? Non è che soffri di vertigini?» Louis si avvicina a me e mi posa delicatamente una mano sull’avambraccio, per sincerarsi delle mie condizioni. Gli sorrido cercando di risultare il più tranquilla possibile, ma non sono mai stata una grande attrice.
«Ah, donne: scommetto che stai pensando al tuo lui.»
«Ma insomma, la vuoi smettere di prendermi in giro? Anche tu sarai stato innamorato qualche volta!»
Scoppia a ridere e si appoggia al parapetto accanto a me, col sorriso ancora stampato sul viso.
«Mi prenderesti per matto se ti dicessi di no?»
Distolgo lo sguardo da lui e lo punto nuovamente alla città.
«No… – mormoro dopo qualche secondo – Non ti prenderei per matto… forse ti invidierei.»
«Non sei felice?» mi domanda a bruciapelo. Si solleva una leggera brezza, i capelli si muovono e mi vanno davanti al viso. Li sposto con un gesto e mi stringo la sciarpa intorno al collo.
«Forse avrei potuto esserlo… forse… ma nella vita si fanno delle scelte, e dobbiamo pagarne le conseguenze.»
«Parli di Parigi?»
Ovviamente lui non può sapere la doppia valenza che ha avuto questa città per me, così sorrido malinconicamente e mi appoggio con la schiena al parapetto, voltando momentaneamente le spalle alla ville Lumière.
«Credo di essermi innamorata di lui fin da subito, la prima volta che l’ho visto. Ovviamente, ai tempi si trattava di un’infatuazione, avevo solo 10 anni, insomma…»
Si volta e si posiziona esattamente come me, mettendosi però a braccia conserte.
Sospiro, magari sfogarmi un po’ mi farà bene.
«Se n’è andato dopo il primo campionato scolastico, che ha vinto insieme a mio fratello. Non ha avvisato nessuno, siamo riusciti appena in tempo a dargli un regalo da parte di tutti…»
«Un calciatore?»
Annuisco, e sorrido di nuovo, malinconicamente.
«Quando sono venuta qui per il torneo che avete giocato… lui c’era… abitava qui…– lo vedo riflettere – E ha giocato…»
«Uhm… Lo conosco?»
Annuisco.
«Oh… – mormora – Misaki fa strage di cuori.»
In effetti non era difficile da capire ma pensavo – speravo – che ci impiegasse un po’ più di tempo per svelare l’arcano.
«Umpf, cos’è quella faccia? Non sono mica stupido! Quanti calciatori giapponesi che han vissuto a Parigi posso conoscere! – esclama – E comunque… non che mi interessi… – si affretta a dire, spostandosi dal parapetto e facendo qualche passo – ma mi hai detto che non state insieme…»
«Ci abbiamo provato, nel senso… dopo il torneo lui è tornato in Giappone, da noi e… siamo usciti insieme, ogni tanto… però…»
Come faccio a spiegare qualcosa che nemmeno io so come si sia svolto esattamente?
«Forse non gli ha fatto molto piacere che tu sia venuta qui.»
«Ma è il mio futuro, è un’ottima occasione per me!»
«Lo so, ma se lui provava qualcosa per te…»
Non voglio sentirlo: gli volto le spalle e osservo la città, con gli occhi che si riempiono di lacrime.
«In fin dei conti… – mormora, dopo qualche istante – In fin dei conti, a me, non è che me ne freghi più di tanto, sai? È che mi tocca farti da balia, altrimenti zia Flo potrebbe farmi lo scalpo.»
Mi volto di scatto e un sorriso serafico gli solca le labbra.
«Mi chiedo allora perché conversiamo. Non siamo obbligati a chiacchierare!» gli rispondo, fingendomi offesa.
«Andiamo Ozora, non penserai davvero che mi diverta a farti da baby sitter!»
«Ma come ti permetti! Sono abbastanza grande da badare a me stessa, sai?»
Mi dirigo verso una panchina e mi ci siedo incrociando braccia e gambe con fare offeso, e punto lo sguardo all’insù, dove un faro ruota dalla punta della torre come per attirare i turisti.
«Napo… – mormoro, mentre le mie labbra si incurvano in un ghigno malefico – ci avete mai pensato?»
«A cosa?» mi domanda, sedendosi accanto a me e seguendo il mio sguardo fino alla cima della torre.
«A metterci un bat segnale!» e così dicendo, scoppio a ridere, mentre lui si porta una mano alla fronte blaterando un “Questi asiatici non sono per niente normali” ma non può fare a meno di ridere anche lui.

* si gioca tutto sull'assonanza della pronuncia di questi due nomi con il nome dato dal Taka... onestamente credo che anche lui avrebbe voluto chiamarlo così XD almeno avrebbe avuto senso 


Non so voi, ma io la prima volta che sono salita sulla Tour Eiffel (ero davvero con un mio amico - un mio carissimo amico) ho provato qualcosa di magico... la mia situazione sentimentale era fallimentare tanto quanto quella di Sakura, quindi molte delle cose che ha provato lei, sono emozioni derivanti dalla mia persona. 
E, se ve lo state chiedendo, sì: la battuta sul bat-segnale l'ho fatta sempre io, sempre in quell'occasione XD
Per il resto... finalmente si parla di Taro (contenta, OnlyHope? :* ) e Sakura si apre un po', inizia a scoprire qualche nervetto. Ma ovviamente a Louis queste cose non interessano, è un duro, lui, l'uomo che non si innamora mai... LOL 
Grazie a tutti per seguirmi ancora, vi auguro un buon venerdì pomeriggio e un meraviglioso fine settimana!
La vostra Sakura 

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Capitolo 5
*** Novembre - parte prima ***


«Ozora!»
Napoléon, con la sua solita classe, entra nella mia aula durante la ricreazione sbraitando e ignorando bellamente i miei compagni.
«Qual buon vento?» lo saluto, serafica.
«Fai poco la spiritosa. – risponde lui sedendosi sul banco e togliendomi il sacchetto con la merenda dalle mani – Ho grandi novità per te.»
«Sarebbero?» mi volto completamente verso di lui accavallando le gambe e incrociando le braccia, fissandolo con aria scettica; Yves e Jacques ne hanno approfittato per squagliarsela.
«Giochiamo un’amichevole con la Nazionale di Schneider.»
Uh, questo sì che è interessante.
«Dove?»
«Qui a Parigi, tra un mese circa.»
«Amichevole sotto la neve?» sorrido.
«Sai, l’anno prossimo ci sarà il World Youth, stiamo iniziando a fare dei test di preparazione.»
«Mi stai chiedendo di farti da portafortuna e venire a vedere il match?»
«Tzè, io non ho bisogno di porta fortuna! Pensavo solo che ti avrebbe fatto bene vedere un po’ di “buon calcio”, di quello vero.»
Mi sollevo leggermente dalla sedia per recuperare la mia merenda, che fortunatamente mi viene resa senza litigi.
«E in cambio del biglietto cosa dovrei fare? Tu non fai mai niente per niente, Napoléon. Ti conosco ormai.»
Lui si posiziona semi disteso sul banco e mi osserva con quel ghigno malefico: lo sapevo che c’era la fregatura.
«I miei compiti di inglese del corso serale a cui zia Flo mi ha “gentilmente” iscritto.»
«Che cosa? Ma se te li faccio io non ti serviranno a nulla! Hai il bac quest’anno!»
«Prendere o lasciare, Ozora. – e così dicendo salta giù dal banco e si dirige verso la porta, dato che la campanella è suonata – Potrei rimediarti degli ottimi biglietti in tribuna vip…»
Stringo con rabbia il sacchetto e mi alzo in piedi inveendogli contro.
«È un ricatto Napoléon! Non vale.»
«Oh sì, invece. – sbuca dalla porta e adesso che la classe è piena tutti i miei compagni ci stanno guardando, compresi Yves e Jacques che mi hanno raggiunto e mi osservano a metà tra il divertito e il preoccupato – Non lo sai che in amore e in guerra tutto è lecito?» e, così dicendo, mi fa l’occhiolino e sparisce.
«Ha detto proprio “in amore e in guerra”?» chiedo ai miei vicini di banco, che annuiscono senza proferire verbo, forse hanno notato le fiamme nei miei occhi.
«Com’è che ti chiama per cognome?»
«Si è fissato con ‘sta cosa…»
«Io faccio già fatica col tuo nome, figuriamoci col cognome!»
«Yves, per carità, adesso che hai imparato a dire Sakura sono già ben felice!»
«Accetterai il ricatto?»
«Maledizione, come si fa a dire di no? Avrei la possibilità di vedere la German Youth e la French Youth l’una contro l’altra… è un match quasi da finale!»
«Allora vedi che sei una tifosa!» mi prende in giro Jacques.
«Sono cresciuta a pane e calcio, Chevalier, che ti aspettavi? Una giapponese da manga?»
«Magari da hentai…» mormora Yves, e per tutta risposta si becca il libro di storia in testa.
 
«Ahahahah! E tu hai accettato?»
«Che potevo fare, Tsu! Ho resistito fino alla pausa pranzo…»
«Comunque ti capisco, è difficile resistere a uno scontro del genere…»
«Sono curiosa di vedere i miglioramenti dei vari giocatori, in questi anni. Tecniche, dribbling, tiri… e manca un mese!»
«Se sei fortunata potresti incontrare Wakabayashi!»
«Già, Genzo! Sarebbe bello…»
Mi perdo un istante nei ricordi, e così deve fare anche Tsubasa perché rimaniamo in silenzio per qualche minuto.
«Tsu-chan… ti chiedi mai se stiamo facendo la cosa giusta?»
«In che senso?»
«Scusa, a volte dimentico che tu stai inseguendo il tuo sogno. – rispondo ironica – Intendo che siamo tutti così lontani l’uno dall’altra… anche questo tuo sogno, guardati, ti ha portato lontano dalla tua famiglia e dalla ragazza che ami… pensi che ne valga la pena?»
«Nostalgia di casa, Sacchan?»
«Non è solo questo… – mi mordicchio le labbra, dovrei smetterla con questo assurdo vizio – Insomma, tu sei lì, Wakabayashi è in Germania, Taro è stato in Francia… che ne sarà, dopo, se già passate i cosiddetti “anni migliori” lontano da tutto e da tutti?»
Sento che si sistema comodo sul letto, gli ho posto un quesito difficile: ridacchio pensando che sì, sono un asso nel metterlo in difficoltà.
«Nella vita bisogna porsi degli obiettivi: Wakabayashi ha detto che non sarebbe mai tornato in Giappone, se prima non fosse riuscito a diventare un professionista.»
«Un progetto ambizioso.»
«Ma comunque un obiettivo. Il mio è sempre stato quello di andare in Brasile, per lo meno da quando ho conosciuto Roberto, per diventare il più grande calciatore di tutti i tempi…»
«Altrettanto ambizioso.» sorrido.
«Sacchan, io voglio vincere la coppa del Mondo! Io voglio portare il Giappone in alto! Il mio paese!»
«E se questo pregiudicasse il tuo rapporto con Sanae? Ci hai mai pensato?»
«Sorellina… a me dispiace per quello che è successo tra te e Taro… davvero, non riesco a spiegarmi il motivo per cui lui abbia reagito così di fronte al tuo anno scolastico all’estero.»
«Non hai risposto alla mia domanda.» lo punzecchio.
«Ho fatto di più: sono andata alla radice della tua domanda e sto cercando di dissipare le nubi che insidiano la tua testolina
«Non hai mai paura di perdere Sanae?»
«Ogni giorno… –  mi risponde, dopo un attimo di esitazione – Ma devo avere fiducia nel nostro rapporto, nel nostro amore.»
«Vorrei aver ereditato un grammo del tuo ottimismo, Tsubasa. Ogni tanto mi faccio prendere dallo sconforto.»
Lo sento rimanere in silenzio per qualche istante, il suo respiro nella cornetta.
«Sacchan… – lo sento mormorare – Sei più forte di quello che pensi. Davvero. Guardati, guarda dove sei, e siine orgogliosa. In quanti avrebbero compiuto quel passo? Sei cresciuta molto rispetto alla bimbetta con le trecce che mi correva dietro per tutta Nankatsu.»
L’immagine di me che inseguo Tsubasa e il suo pallone mi fa scoppiare a ridere, e lo sento felice di avermi riportato un po’ di buonumore.
«Devo andare a fare i compiti… altrimenti Roberto chi lo sente… ma ci sentiamo presto, promesso. Tu non ti abbattere, d’accordo? Dimostra a tutti chi siamo noi Ozora!»
Ci salutiamo, e quando chiudo la conversazione, sento un’improvvisa ondata di nostalgia che mi pervade. Ripenso a quando eravamo piccoli, e ogni volta che avevo voglia di piangere mi rifugiavo in quel porto sicuro che era Tsubasa, e lui con tutto l’amore fraterno che aveva, mi consolava. A scuola non avevo paura perché sapevo che lui era lì con me, una classe più avanti, pronto a difendermi. E poi Nankatsu…
Ritorno in camera ed estraggo l’album di foto che mi sono portata dietro: la prima, appena lo si apre, ritrae me e lui in giardino, con l’immancabile pallone. Io sono seduta sull’erba, avrò circa due anni, e fisso con curiosità mio fratello che sta giocando con la palla.
Booru wa tomodachi… una delle prime cose che ho imparato. Una delle prime cose che mi ha insegnato mio fratello. Se non ci fosse stato lui, se non ci fosse stato il calcio, la mia vita, la nostra vita, sarebbe stata decisamente diversa.
Niente Nankatsu, niente Roberto, niente Ishizaki, Sanae, Manabu… niente Taro.
Estraggo dall’album la lettera che mi ha scritto Kumi e la rileggo: mi sta raccontando di come procede la vita a Nankatsu, dei ragazzi impegnati nell’ultimo anno scolastico, di Ishizaki che si riduce sempre all’ultimo a studiare, di Sanae che sta decidendo che fare del suo futuro.
E poi… e poi c’è la parte in cui Kumi si trasforma in cheerleader e inneggia a me e Taro. Mi racconta che ci sono un sacco di ragazze che gli fanno il filo ma lui pare non essere interessato a nessuna di loro, e comunque ci pensa lei a tenerle a bada. Mi dice che continua ad allenarsi e che ogni tanto, al campetto, si perde con lo sguardo a fissare il vuoto, come se si perdesse nei suoi pensieri. Ogni tanto il mio nome salta fuori, lei si premura di dire a tutti che sto bene e che ci sentiamo spesso, ma “Sakura, sto evitando di dire che sei a casa della zia di Napoléon, spero che tu capisca i motivi per cui lo faccio.
«Certo che li capisco. – mormoro, sorridendo, e osservando con affetto la foto di gruppo che mi ha mandato – E ti ringrazio.»
 
Il rientro dalle vacanze di Ognissanti sancisce l’inizio delle verifiche: i professori iniziano a valutare i nostri progressi mettendoci alla prova in varie materie; Yves è molto bravo, mentre Jacques arranca in alcune materie, così decidiamo di creare un gruppo di studio per aiutarci. In questo modo anch’io ne trarrò beneficio e potrò portare a casa buoni voti. Se non che le ragazze della classe, che non mi vedono di buon occhio, e soprattutto non vedono di buon occhio il mio rapporto con Jacques, hanno deciso che io sono il loro capro espiatorio per ogni cosa, e ogni qualvolta succede qualcosa in classe, la colpa ricade su “la giapponese”.
«La situazione sta diventando insostenibile…» mi lamento coi miei due amici durante la pausa pranzo in mensa.
«Più fanno così, più noi ci stringiamo a te.» mi fa notare Jacques, che a dispetto del detto “bello e stupido”, dimostra di avere una discreta intelligenza riguardo a queste situazioni.
«Lo fanno per attirare l’attenzione di Jacques, ma non capiscono che così facendo peggiorano solo le cose.»
«Natalie Durand è la peggiore… – appoggio la fronte contro allo spigolo del tavolo – non perde occasioni per prendersi gioco di me. L’altro giorno mi ha fatto trovare una bandierina del Giappone, di quelle da hamburger, tutta sporca di ketchup, nella borsa…»
E ovviamente, quando parli del diavolo.
«Jacques! – cinguetta, avvicinandosi al nostro tavolo e scansando Yves in malo modo – Che ne dici se oggi pomeriggio studiassimo insieme? I miei non ci sono…»
Alzo gli occhi al cielo, che metodo stupido per conquistare un uomo. Mi alzo dal tavolo e prendo il vassoio, ma così facendo l’arancia scivola e si dirige verso il pavimento: il mio istinto, di riflesso, mi fa muovere, così col piede destro la calcio e la sollevo per farmela arrivare in mano.
«Wow! – esclama Jacques, perdendo completamente l’interesse per la ragazza e alzandosi dal tavolo per prendermi l’agrume di mano – L’hai fatto davvero!»
«Ehm… sì… perché?»
Sento gli occhi di molti dei presenti puntarsi su di me, e arrossisco fino alla punta dei capelli.
«Jacques non mi sembra il caso, ridammela…»
Faccio il gesto di riprenderla ma lui sposta la mano e mi sorride con un ghigno malefico.
«Jacques… – sibilo – non oserai…»
«Oh sì, invece. – mi risponde, con gli occhi che gli brillano – Vieni a prenderla.»
Posa l’arancia per terra e inizia a spostarla avanti e indietro con la punta del piede.
«Non si gioca col cibo.» lo redarguisco.
«Riprenditela.» mi esorta.
Inspiro profondamente, fissandolo negli occhi con astio: mi sta sfidando, in mensa, davanti a tutta la scuola.
«Dai, Ozora, – sento alle mie spalle, è Louis – riprenditi l’arancia e facciamola finita!»
Jacques non prevede il mio scatto e lo colgo impreparato, ma riesce comunque a darmi le spalle e ad allontanare il frutto con la punta del piede destro.
«Ah–ha, non me la fai!»
«Non esultare, Chevalier!»
Nella mia mente risbucano ricordi di quando osservavo Tsubasa allenarsi con Roberto: io non sono come mio fratello, ma di sicuro qualcosa l’ho imparato. Fingo di spostarmi alla sinistra del portatore di palla in modo che lui si sbilanci, e con uno scatto mi sposto alla sua destra. È fatta. L’arancia passa dai suoi piedi ai miei, quindi con la punta la sollevo fino a davanti al mio volto e la afferro al volo con entrambe le mani, sollevandola poi in segno di vittoria davanti al mio “avversario”.
«Notevole, Ozora.» Louis si avvicina a me e se ne impossessa, la lancia, ci fa qualche palleggio passando dal destro al sinistro, usando pure le ginocchia, poi me la ripassa.
Alzo il sopracciglio destro, cos’è, un confronto? Senza distogliere lo sguardo da lui lancio l’arancia, poi la aggancio e rifaccio gli stessi palleggi che ha fatto lui. In molti ci stanno osservando, ma quando si tratta di calcio, da brava Ozora, non capisco più niente. Sebbene voglia starne fuori, alla fine ci ricasco sempre.
Lui sogghigna, prende di nuovo l’arancia e la sbuccia, poi ne stacca uno spicchio e lo mette in bocca.
«Buona. Solo un po’ ammaccata.»
Si volta e se ne va, Jacques e Yves si avvicinano con aria un po’ offesa.
«E tu da dove sbuchi? Vogliamo vederti giocare! Non ce la dai a bere, che non sei brava.»
«Ci sono ragazze più in gamba di me. – rispondo sorridendo, ogni riferimento non è casuale – Io sono solo appassionata.»
Chevalier mi dà una pacca sulla spalla e mi scuote leggermente, annuendo soddisfatto. Con la coda dell’occhio vedo i fulmini e le saette che Natalie mi sta lanciando: il club “Rimandiamo a casa la giapponese” è ufficialmente nato.



Che Sakura sia una che rimugina molto sulle cose, ormai lo sapete. Lei riflette fino a farsi fumare il cervello, e poi... prende le decisioni sbagliate XD ma questa è un'altra storia.
Per quanto riguarda il calcio... è pur sempre la sorella di Tsubasa, se voleva giocare con suo fratello, da piccola, o si adattava, o si adattava XD
Anyway, pian piano stiamo costruendo qualcosa, siamo già a novembre, tempus fugit, e - come dice la saggia Natsuko - Sakura deve decidere se vivere di rimorsi o rimpianti... 
Love
Sakura 

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Capitolo 6
*** Novembre - parte seconda ***


Inutile, la caduta della Monarchia francese non mi rimarrà mai e poi mai in testa, se continuo a fissare il panorama fuori dalla finestra della biblioteca.
«È tutto il pomeriggio che sei distratta. – osserva Yves, posando la matita in mezzo al libro di matematica – Va tutto bene?»
«Sono un po’… persa nei miei ricordi. – sorrido, tornando a puntare lo sguardo sulla pagina del libro di storia – Non riesco a concentrarmi.»
«Con te i professori avranno un occhio di riguardo, ma con noi…» borbotta Jacques, stiracchiandosi dopo aver sollevato il naso dall’eserciziario di tedesco.
«Non voglio occhi di riguardo, non sarebbe giusto. Ora mi ci metto.»
«Ma dai! – Jacques, a cui manca proprio la voglia di studiare, mi toglie il libro da sotto il naso e lo sfoglia – Non c’era anche un fumetto che parlava di ‘ste robe?»
Scoppio a ridere attirandomi gli sguardi irritati della bibliotecaria.
«Non vorrai che mi metta a raccontare la storia di Berusayru no bara! Magari canticchiando pure la sigla dell’anime
«Che hai, Sakura? Ultimamente sei strana…»
«Ho ricevuto una lettera da un’amica…»
«Brutte notizie dal Giappone?»
Scuoto il capo.
«Affatto. – estraggo la lettera dalla mia tracolla e ne tiro fuori la foto – Solo nostalgia, tutto qua.»
Li vedo curiosi avventarsi sull’immagine e scrutarla nei minimi dettagli.
«Qual è? – chiede improvvisamente Jacques – Qual è quello che ti sta spezzando il cuoricino?»
Arrossisco violentemente, con lui non ne ho mai parlato in maniera diretta: con l’ìndice indico Taro, accanto a Ishizaki, col pallone sotto braccio.
«Un calciatore.» annuisce.
«Non ho avuto molte altre frequentazioni… e se vogliamo dirla tutta, è pure il migliore amico di mio fratello…»
«Sono stati carini a spedirti la foto.»
«Kumi sa essere… come dire… molto convincente.» sorrido dolcemente osservando la ragazza che, con un sorriso a 32 denti, è seduta davanti a tutti i ragazzi.
«Ti aspettavi un po’ più di calore da parte sua?» mi incalza Yves, evidentemente lascio davvero trasparire molto malessere.
«No. – sospiro distogliendo l’attenzione dalla foto – Non mi aspettavo che Marie Antoinette facesse quella fine, ma ci pensate, povera donna?»
Li vedo sorridere e sono davvero felice. Incontrarli è stata una grande fortuna, per me.
 
È il quinto negozio di giocattoli in cui entro, ancora non ho trovato nulla di soddisfacente, e il compleanno di Daichi si avvicina. Sospiro mentre esco dopo aver salutato una commessa delusa per non avermi convinto con nessuno dei giocattoli che mi ha mostrato.
Da quando è nato, è il primo compleanno che passo lontana da lui, e non voglio regalargli qualcosa di banale. D’altro canto, non è neanche facile trovare qualcosa di adatto ora che mi trovo qui a quasi 10.000 km di distanza.
Sospiro e riparto nel mio vagare, sembro quasi una turista da come mi guardo intorno.
«Ah quindi è questo “l’impegno inderogabile” per cui ci hai abbandonati? Vagare per la città senza meta?»
Riporto l’attenzione sulla strada davanti a me e incrocio il volto sorridente di Jacques.
«Senza meta ma con un obiettivo… che in questo momento mi pare la cosa più difficile del mondo…»
Mi si affianca e mi passa un braccio attorno alle spalle con fare protettivo.
«Niente è impossibile, se lo si affronta con gli amici: avanti, che stai cercando?»
«Devo trovare un regalo per il mio fratellino, tra poco compie gli anni…»
Lo vedo portarsi la mano destra al mento e annuire pensieroso.
«Ho un’idea, ma devi fidarti di me.»
Prendiamo la metro, qualche fermata, poi usciamo e camminiamo altri 10 minuti. Arriviamo davanti a un negozietto in una zona che non ho mai frequentato: la vetrina è scura e si intravedono alcuni oggetti in legno, di cui però non capisco la natura.
«Coraggio, entriamo.»
L’atmosfera all’interno è cupa tanto quanto la vetrina, e un leggero brivido mi corre lungo la schiena.
«Jacques, ma dove mi hai portato?»
«Tranquilla. – mi sorride e mi tende la mano – Qui sono come a casa.»
«Oh, guarda chi è venuto a trovarmi.»
Dalla penombra del fondo del locale vedo avvicinarsi un uomo: è anziano, un po’ ricurvo, usa il bastone per camminare e ha degli spessi occhiali da vista, ma ha l’aria dolce, da nonno.
«Monsieur Girard, questa mia amica viene da molto lontano, è giapponese, e deve spedire un regalo al fratellino che compie gli anni.»
«Ah, mia cara, benvenuta nella mia bottega.» mi accoglie con un sorriso.
Mi guardo intorno, sullo scaffale alla mia destra ci sono un sacco di piccole giostre di cavalli, di varie dimensioni.
«Sono carillon.» mi illumina lui, avvicinandosi e prendendone uno, che mi porge poi con un sorriso.
Osservo l’oggetto e credo di essermene già innamorata: i dettagli dei cavalli sono curati in maniera perfetta, il tetto della giostra è dipinto con colori sgargianti nelle tonalità del rosa e del fucsia; i pali a cui sono attaccati i cavalli sono dorati e intarsiati, è tutto veramente perfetto.
Jacques prende il carillon dalla mia mano, lo solleva, carica la rotellina e lo appoggia sul bancone. La melodia riempie la stanza e la giostrina inizia a girare.
«È davvero meravigliosa…» mormoro, incantata.
«Come ti chiami, mia cara?»
«Mi chiamo Sakura, come…»
«I fiori di ciliegio.» annuisce lui. Lo scruto, piacevolmente stupita, quindi mi fa cenno di seguirlo nel retrobottega: titubante, osservo Jacques, che mi fa l’occhiolino e mi incalza.
Il retrobottega non è altro che il laboratorio dove questo Monsieur Girard crea questi semplici oggetti di sicuro effetto. Si ferma al centro e mi indica la parete alla sua sinistra, e rimango senza fiato: ci sono almeno una decina di quadri raffiguranti ambienti giapponesi. Fiori di ciliegio, il monte Fuji, una geisha che cammina a bordo di un laghetto…
«Non posso crederci…» mormoro, avvicinandomi ai quadri. Potrei sbagliarmi. Potrei. Ma la firma è la sua.
«Misaki–san…» sussurro.
«Ah, lo conosci? – Monsieur Girard mi si avvicina – Ichiro ha vissuto qui sopra per qualche mese con suo figlio, un caro ragazzo. So che ora sono tornati in Giappone.»
Annuisco, mentre le lacrime fanno capolino e mi annebbiano la vista. Mi avvicino al quadro che rappresenta il Fuji–san, lo accarezzo dolcemente e sorrido.
«Questa è più o meno la vista dalla finestra della mia camera.» mi volto verso Jacques, e gli sorrido; lui annuisce col capo, le labbra leggermente piegate all’insù.
«Il mondo è piccolo. – sentenzia l’artigiano, sedendosi alla sua postazione e ricominciando a decorare una ballerina che aveva momentaneamente accantonato per accoglierci – Anche se so che Monsieur Misaki è uno che ha girato molto.»
«Si è trasferito a Nankatsu poco dopo me e mio fratello. – rispondo, continuando a passare in rassegna i quadri – E se ne è andato dopo pochi mesi, Giusto il tempo per farci affezionare a lui e a suo figlio… Taro…» aggiungo poi, voltandomi verso Jacques, che rimane stupito.
Mi fermo davanti a un quadro raffigurante un campetto da calcio e dei bambini che giocano: le divise sono inconfondibili, Shutetsu vs Nankatsu. C’è persino Wakabayashi, lo riconosco dall’immancabile cappellino. E sugli spalti, appena accennati, ci sono dei personaggi.
«La bambina col vestitino a righe sono io… – mormoro, indicandola. Un moto di commozione mi assale ma non faccio nulla per fermarlo – Ricordo bene questa partita… è stata quando abbiamo conosciuto Taro. Non sapevo che Misaki–san l’avesse messo su tela. È davvero splendido.»
«Allora, cérise. – Jacques attira la mia attenzione, francesizzando il mio nome – Pensi che Monsieur Girard possa esserti utile in qualche modo?»
«Altroché!» esclamo a colpo sicuro.
 
«E tu quando compi gli anni?» mi chiede Yves, mentre sto finendo di impacchettare le lettere di legno che ho preso per Daichi. Sulla mia scrivania fa bella mostra di sé il carillon con i cavalli e una riproduzione della Tour Eiffel che nella mia mente deve essere il regalo di Natale per Taro.
«Perché vuoi saperlo?» chiedo, mentre osservo la scatola che ho riempito di carta di giornale.
«Perché non vuoi dirmelo?»
Mi metto a sedere comoda sul letto e osservo soddisfatta il pacchetto regalo per Daichi.
«Li compio il tre dicembre.»
«Compi gli anni tra meno di due settimane e non me lo volevi dire? Chérise!» mi riprende, piccato.
Ecco, parliamo di Chérise. Da quando Jacques mi ha chiamato cérise nel laboratorio di Monsieur Girard, lui e Yves si sono divertiti un sacco a chiamarmi in quel modo, per poi arrivare a mescolarlo a chérie, e da lì è nato Chérise che, a quanto pare, è diventato il mio nome ufficiale.
«Capirai che importanza ha, è solo un compleanno.»
«Il tuo diciassettesimo, per la precisione. – sottolinea lui – Non possiamo farlo passare inosservato.»
Scrivo l’indirizzo sul pacchetto e metto il mittente, poi lo appoggio sulla scrivania e con lo sguardo mi perdo fuori dalla finestra.
«Da quando Tsubasa è partito, col fatto che poi è nato anche Daichi, non ho mai festeggiato molto il mio compleanno. Giusto un gelato coi ragazzi della squadra, niente più…»
Lui non dice nulla, ma prende in mano il pacchetto e lo rigira tra le mani.
«E sia, – dice poi – un bel gelato. Anzi, visto che siamo in Francia, una bella crêpes.»
Gli sorrido, eternamente grata, e lui ricambia dandomi un buffetto sulla testa.


Lo so, la casualità dei quadri di Ichiro Misaki è troppo coincidenza per essere vera, eppure... eppure succede, fidatevi di me! 
Parigi ha un legame profondo con i Misaki, e Sakura se ne rende conto ogni giorno che passa. La sua mente è sempre focalizzata lì. E poi c'è il compleanno di Daichi: ho fatto due rapidi calcoli (rapidi per modo di dire... alla Takahashi XD) e sinceramente mi piaceva la dualità del compleanno del fratellino ravvicinato al suo, un altro modo per giustificare (ma non troppo) quel suo sentirsi mancare l'aria a stare in Giappone. 
Dicembre è alle porte, il mese di Natale, Capodanno e - non dimentichiamolo - il mese dell'amichevole fra Francia e Germania *fa l'occhiolino a tutti*
Vi abbraccio 
Sakura 

 

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Capitolo 7
*** Dicembre - parte prima ***


Sono ancora stanchissima perché ieri sera ho fatto tardi al telefono con mamma e Daichi, e adesso ne pago le conseguenze.
«Allora? – mi chiede Jacques non appena metto piede in classe – Il pacco è arrivato? È piaciuto?»
Annuisco sedendomi e appoggiando la fronte sul banco.
«Giusto in tempo, Daichi l’ha scartato con diffidenza, però poi si è ricreduto. Ho fatto tardi stanotte al telefono con mamma per raccontarle del negozietto e dei quadri di Misaki–san.»
«Che ti ha detto?»
«Yves, è mia madre, che vuoi che abbia detto? – mi risollevo e sospiro, stiracchiandomi – Mi ha consolato…»
Il mio compagno di classe mi dà un’amichevole pacca sulla spalla e mi sorride, come se mi capisse, così mi rendo conto che da quando sono qui non abbiamo mai parlato di ragazze.
«E tu?»
«Io che?»
«Tu, a questione di cuore, come sei messo?»
Lui scoppia a ridere divertito, come se gli avessi raccontato una barzelletta fantastica.
«Non sono il classico ragazzo a cui le ragazze corrono dietro. Ma ho già dato il primo bacio, se è questo che vuoi sapere…»
Uh, ora che mi sovviene… c’è una bella differenza tra i nostri baci e quelli “alla francese”: me ne rendo conto e avvampo immediatamente.
«Che c’è?» mi chiede Jacques, accorgendosi della cosa.
«Nulla.» minimizzo, fingendo di cercare qualcosa nella tracolla.
«Ti imbarazza parlare di baci?»
«Affatto!» nego, ma non sono molto credibile.
«Dai, Chérise, che c’è?»
Mi risollevo e lo guardo negli occhi. Davvero non lo sa?
«Per cultura… o per altro, non te lo so dire… ecco… noi, in Giappone… i baci…»
Mi stanno osservando entrambi incuriositi, mi sento avvampare: come lo dico? Opto per la via più diretta, d’altronde siamo tra giovani…
«In Giappone… non si bacia con la lingua…»
«CHE COSA?!» esclamano all’unisono. No, non lo sapevano.
«Leroux! Chevalier? Ma vi pare il modo?»
La professoressa di francese, Madame Ranieri, ci fissa col suo sguardo glaciale.
«Ci scusi, Madame… – rispondo io – Non si ripeterà.»
«Voglio ben sperare, Mademoiselle Ozora. Non vorrei separarla dai suoi amici. A quanto pare sono gli unici che si sono degnati di darle un’accoglienza come si deve.»
Abbasso lo sguardo e annuisco, mi vergogno, anche se la stoccata della prof non era totalmente diretta a me.
«Ozora. – mi chiama di nuovo – Dopodomani ci farai una bella presentazione di te, in francese. Ci parlerai della tua vita, della tua famiglia, delle tue tradizioni, insomma, ci parlerai di te.»
Alzo lo sguardo verso la prof e sgrano gli occhi: non può aver detto sul serio!
«Do… dopodomani? Ma… ma…»
«Sono sicura che il tempo è sufficiente. Coraggio, riprendiamo la lezione.»
Ma che… una presentazione su di me! Cosa dovrei dire! Sono nel panico, e sicuramente non seguo più una parola di ciò che viene detto in classe.
 
Florence entra in camera e mi vede così, con la testa appoggiata alla mano sinistra, e la matita a mezz’aria, ferma su quel foglio bianco che non si vuole riempire. Avrò scritto e cancellato un milione di volte. L’unica cosa fissa sono i kanji del mio nome.
«Perché non parti da quello?»
La osservo, non capendo dove voglia arrivare.
«Dal tuo nome. – si siede sul letto e mi osserva sorridendo – Ha un significato ben preciso, o sbaglio? Anche i kanji che lo compongono, dico bene?»
Annuisco e torno a osservare il foglio. Da qualche parte dovrò pure iniziare.
La matita inizia a scorrere sul foglio, appoggio il gomito sinistro sul dizionario di francese e mi tuffo dentro me, in quel viaggio introspettivo, ma non troppo, che sto per compiere. Flo mi accarezza la testa e esce dalla stanza, lasciandomi sola.
 
Seduta al mio banco, batto nervosamente il piede per terra per scaricare la tensione. Yves, accanto a me, mi appoggia una mano sul ginocchio.
«Andrà benone, vedrai.»
Annuisco poco convinta mentre mi mordicchio il labbro inferiore, e con le mani accartoccio il foglio che ho scritto per la presentazione.
Madame Ranieri entra senza degnarci di uno sguardo, appoggia la sua cartella sulla cattedra, quindi si siede. Estrae gli occhiali e li inforca, quindi apre il suo registro e inizia a firmarlo. Sento i battiti del cuore che accelerano vorticosamente e stringo le mani di Yves e Jacques, ai miei lati come sempre, a supportarmi, a farmi da supereroi.
«Mademoiselle Ozora?» alza lo sguardo glaciale su di me e mi fissa. Io deglutisco a fatica e annuisco. Mi alzo e mi dirigo verso la cattedra coi miei fogli in mano.
«Giusto per rassicurarla. – mi dice, togliendosi gli occhiali – Le darò un voto per questa presentazione. Farà media.»
Sorrido nervosamente e abbasso lo sguardo sui fogli: ho un battito che neanche avessi giocato contro la Toho… inspiro profondamente chiudendo gli occhi, quindi li riapro e fisso i miei compagni di classe. Non posso sbagliare, devo solo parlare di me.
Mi volto verso la lavagna e col pennarello nero scrivo in grande il kanji del mio nome: sento alle mie spalle gridolini meravigliati per la velocità con cui l’ho scritto.
«Questa sono io. Sakura. Il significato sono i boccioli di ciliegio, che è il fiore nazionale giapponese, non ufficialmente. Quello ufficiale è il crisantemo. – inspiro – Il mio cognome è Ozora – lo scrivo – Può essere tradotto con Grande Cielo. Quindi io sarei un “bocciolo di ciliegia del grande cielo”. – ridacchio – Mio fratello maggiore, invece, si chiama Tsubasa. – scrivo anche il suo kanji, col sorriso sulle labbra – Ali. Quindi lui è “ali del grande cielo”. Gli è andata decisamente meglio. – sento dei ragazzi che ridacchiano, e la tensione un po’ si alleggerisce – Ho 17 anni, vengo da Nankatsu, prefettura di Shizuoka, ma sono nata a Tokyo. Ho un fratellino più piccolo, ha appena compiuto tre anni, si chiama Daichi. – scrivo anche il suo kanji, già che ci sono – “Grande terra”. Mi trovo qui in Francia per frequentare il penultimo anno di scuola, rientrerò a casa solamente a maggio, ad anno iniziato. In Giappone l’anno scolastico inizia ad Aprile e finisce a Marzo, è un po’ diverso da qui. – prendo un bel respiro e ne approfitto per buttare l’occhio sul mio foglio degli appunti – Sono manager del club di calcio del mio istituto, significa che nelle attività pomeridiane mi reco al campo da calcio e seguo gli allenamenti della squadra, poi mi occupo di lavare le divise, sistemare i palloni, distribuisco acqua e asciugamani ai ragazzi dopo gli allenamenti; può sembrarvi strano, ma in Giappone questo tipo di attività è molto comune. Tra le altre attività extrascolastiche che seguo ci sono il corso di francese e economia domestica… anche se devo ammetterlo, sono davvero negata con la cucina occidentale. La famiglia presso cui abito mi sta insegnando tante ricette nuove, trovo divertente e interessante mettermi alla prova con qualcosa di così diverso dalla mia cultura. – inspiro ed espiro, punto lo sguardo su Yves e Jacques che mi fanno dei piccoli cenni di incoraggiamento – La cultura giapponese si differenzia per molte cose, non è facile entrare nei meccanismi della cultura occidentale quando si ha una base così severa come la nostra. Ad esempio, spesso quando mi viene presentato qualcuno, mi viene automatico fare un piccolo inchino, una riverenza, in segno di rispetto: la stessa cosa che stavo per fare a voi quando sono arrivata. – qualcuno annuisce, segno che avevano notato la mia défaillance – Poi noi a scuola abbiamo la divisa, e quando arriviamo dobbiamo toglierci le scarpe, così come in casa. Qui invece ogni mattina devo aprire l’armadio e scegliere i vestiti. – noto sola ora che i miei compagni mi stanno seguendo con attenzione, questo mi dà fiducia e, sorridendo, porto a termine la mia presentazione, cercando di farli sorridere delle nostre differenze culturali e non.
Continuo parlando loro di come funziona la scuola in Giappone, di quanto siano duri gli esami e soprattutto di quanto sia davvero rigida e ferrea la disciplina che ci viene imposta.
Quando termino, la prof si volta verso la classe e chiede se qualcuno ha qualche domanda da pormi. Timidamente, Luc Ménard alza la mano e mi chiede se ho nostalgia di casa. La sua domanda mi spiazza talmente che rimango ammutolita qualche secondo, tanto che la prof mi chiede se ho capito la domanda. Annuisco e cerco di dare una risposta vaga, quasi scontata, ma mi si incrina la voce perché paradossalmente e inevitabilmente a parlare di nostalgia mi viene in mente Misaki. Jacques se ne accorge e, da buffone quale è, interviene senza il consenso della professoressa.
«Anche là ci sarà sicuramente qualcuno che ha nostalgia di te, e che si starà mangiando le mani per averti fatto fuggire via così!»
Si attira l’attenzione di tutta la classe e la prof lo fulmina con lo sguardo, mentre io gli sorrido con gratitudine, e ringrazio ancora il giorno in cui mi hanno fatto sedere tra lui e Yves.
La professoressa si ritiene soddisfatta e mi manda al posto, ovviamente senza dirmi che voto mi ha dato ma comunque sostenendo che “me la sono cavata bene”. Sospiro felice e torno a sedermi, con i miei supereroi che si congratulano con me.
 
Come promesso, i ragazzi mi portano a mangiare “la crêpes migliore di tutta Parigi” per il pomeriggio del mio compleanno. Passiamo il pomeriggio a ridere e scherzare, ce la mettono davvero tutta per farmi divertire, tant’è che quando torno a casa ho quasi mal di pancia dallo sforzo.
«Ah Sakura, ben tornata. C’è un messaggio per te?»
«Per me?» chiedo, dubbiosa.
«Sì, per te. – Florence si avvicina mentre mi tolgo la giacca e le scarpe, e mi porge un foglietto – Ha chiamato un ragazzo e mi ha lasciato il numero di telefono. – Mi guarda con l’aria di chi la sa lunga – Benché parlasse molto bene, ti posso assicurare che non era francese.»
Sussulto, arrossisco, e mi cedono le gambe: non può essere. Abbasso lo sguardo sul foglietto e riconosco un numero del Giappone. Torno a fissare la mia maman.
«Non posso farlo… non sono pronta…»
«Oh, sì, invece. Si aspetta una tua telefonata, gli ho assicurato che l’avresti richiamato. Non puoi farmi fare una così pessima figura.»
Si allontana e mi lascia lì da sola, con la mia ansia. Volto lo sguardo al cordless, che mi sembra infuocato, e mi siedo sulla mia poltroncina. Mi rigiro il foglietto tra le mani, devo davvero chiamarlo?
Inspiro profondamente e prendo il cordless, quindi seguo la classica procedura per le chiamate internazionali.
«Moshi moshi
«Taro-chan, ciao... sono Sakura-chan.»
«Ciao… - mormora, sembra imbarazzato quanto me – Ho provato a cercarti, oggi, e la signora mi ha detto che non eri in casa.»
«Sì, ero con dei compagni di classe… hanno insistito per festeggiare.»
«Ti sei divertita?»
«Sì… abbiamo mangiato una crêpes… niente di che…»
«Mmh, che buone le crêpes!» esclama, sinceramente. Sorrido e ripenso al suo volto, è così nitido che riesco a immaginarlo come se fosse davanti a me.
«Come va?» gli chiedo, per non far languire la conversazione.
«È un anno davvero… impegnativo… ma ce la farò. Come sempre.» lo sento sorridere nella cornetta.
«Come sempre.» annuisco. Il suo ottimismo è uno dei motivi per cui lo amo così tanto.
«Allora… buon compleanno…»
«Grazie…» gli occhi mi si riempiono di lacrime. Perché non riesco a parlare? È come se fossi bloccata, come se le mie emozioni fossero imprigionate e io non riuscissi a farle uscire.
«Io… adesso devo andare… ho da finire i compiti e… qui è tardi…»
«Lo so, scusa l’orario.»
«No, hai fatto bene, è stato… bello sentirti, Sacchan…»
«Mi manchi…» gli confido onestamente, sperando di sbloccare la situazione. Lo sento sospirare, un lungo silenzio segue la mia frase. Ti prego, dì qualcosa… qualunque cosa…
«Buonanotte, Sacchan…»
Click.
Fisso la cornetta mentre le lacrime scivolano copiose lungo le mie guance. Con “qualunque cosa” non intendevo certo quello. Che ne sarà di noi, una volta rientrata a Nankatsu, se non riusciamo nemmeno a esprimere i nostri sentimenti? O forse i suoi sentimenti sono questi. Forse Kumi si sbaglia, forse, forse, forse… Mi asciugo velocemente le lacrime e mi nascondo in camera, per chiudermi nel mio rifugio sicuro.

Ed ecco Taro che si fa vivo con la nostra amica, anche se - ahimé - la telefonata non è di certo delle migliori... inutile analizzare, sviscerare, ecc ecc: parliamo di due adolescenti, certi sospesi, certi non detti, influenzano il rapporto e rischiano di mandarlo a ramengo. 
Ma siamo a dicembre, quindi praticamente a metà del percorso di Sacchan.
Una postilla, doverosa: per la prof di Francese ho preso spunto dalla mia insegnate del biennio. Spietata, glaciale, parecchio stronza XD ma se non avessi avuto lei, ora non saprei così bene il francese... quindi credo che anche a lei farà bene rapportarsi con una professoressa così *ride*
Grazie come sempre per il vostro affetto, vi lovvo davvero tanto 
Sakura

PS: c'è un medico in sala per OnlyHope?  

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Capitolo 8
*** Dicembre - parte seconda ***


Continuo a guardarmi intorno emozionata, il Parc des Princes è gremito e Louis è stato di parola, mi ha trovato un posto davvero d’eccezione! Ma la sorpresa più grande è che il posto accanto al mio è libero, e non so chi lo occuperà!
«Mi avevano detto che sarei stato vicino a qualcuno di impensabile, ma non immaginavo fossi tu…»
«Wakabayashi-kun!» esclamò, accogliendolo con un sorriso. Lui si siede di fianco a me e mi riserva il suo solito sorriso sghembo.
«Che ci fai da queste parti?»
«Non me la bevo, lo so che sai già tutto e anche di più.»
Lui scoppia a ridere divertito e mi rifila un’europeissima pacca sulla spalla.
«Tuo fratello mi ha detto che saresti venuta a vedere il match, così mi sono organizzato per venire anch’io. Mi fa piacere rivederti, Sakura, ti trovo bene.»
«Sarà l’aria europea. – rispondo di rimando, constatando che è ben lontano dal ragazzino che ho conosciuto quando mi sono trasferita a Nankatsu – Tu diventi sempre più… enorme!»
«Duri allenamenti, mia cara, duri allenamenti. E tu, che mi racconti? Non ho ben capito che ci fai in Europa. Credevo che Misaki fosse tornato a Nankatsu.»
Sento le guance andare a fuoco, erano mesi che nessuno mi prendeva in giro con questa storia: avevo dimenticato che Genzo, quando vuole, sa essere più pungente di Ryo.
«Ho colto un’opportunità che mi è stata offerta dal mio prof di Francese. Non sia mai che noi Ozora ce ne stiamo fissi in un posto.»
Ride di gusto, e osservandolo meglio mi rendo conto di quanto sia cresciuto anche lui, maturato e diventato proprio un bel ragazzo. Sorrido felice perché, nonostante sia consapevole che è stato Tsubasa a spedirlo qui da me, sembra davvero contento di rivedermi.
«Come vanno le cose in Germania?»
Lui annuisce, senza sbilanciarsi troppo, e mi racconta qualche aneddoto; io gli racconto dei ragazzi, dei progressi che han compiuto e di come, purtroppo, la Toho stia dominando in lungo e in largo.
«Manca qualcosa…»
«Manca Tsubasa.» ammette lui, serafico.
«Sì, manca tanto… anche se di sicuro il modo in cui manca a me, o a Sanae, è diverso da quello che intendi tu…»
Lo vedo voltarsi di scatto verso di me e spalancare gli occhi.
«Sanae? Vuoi dirmi che…?»
«Non ti ha detto nulla? Anni di telefonate e lettere e non ti ha detto di essersi dichiarato?»
Stavolta sono io a ridere divertita, e sono sicura che Wakabayashi la farà pesare, questa cosa, a mio fratello. Già me lo immagino, paonazzo, mentre cerca di difendersi dalle prese in giro del portiere.
L’ingresso delle due squadre cattura la nostra attenzione, e rimaniamo in silenzio fino al calcio d’inizio.
«Ora vedrai i miglioramenti di Schneider, e mi dirai che ne pensi.»
Annuisco, emozionata all’idea di poter assistere a un match che vale quasi la finale del World Youth.
 
«Ancora non posso crederci! – esclamo entusiasta all’uscita dello stadio – Dico sul serio, è una cosa incredibile! Quei tiri! E quelle parate!»
Genzo mi guarda sorridendo, divertito dal mio entusiasmo.
«Non vedo l’ora di chiamare Tsubasa per raccontargli ciò che ho visto!»
«Non lo fare, o passerai al telefono una giornata intera!»
Continuiamo a chiacchierare mentre mi accompagna nel privé delle squadre, così possiamo aspettare i giocatori senza essere disturbati.
«Con chi vai a casa?» mi chiede improvvisamente.
«Credo che aspetterò Napoléon, poi andremo con i mezzi…»
«A quest’ora? Non se ne parla. Tsubasa mi ucciderebbe se ti succedesse qualcosa. Chiamiamo un taxi.»
«Ma no, lascia stare, è fuori dalle mie tasche.»
«Ma non dalle mie. – mi fa l’occhiolino – Non ti preoccupare, me li farò restituire da tuo fratello!»
Scoppio a ridere e non insisto oltre, troverò il modo per sdebitarmi. Mentre metto le mani in tasca, mi accorgo di avere la macchina fotografica.
«Wakabayashi! – lo chiamo per attirare la sua attenzione – Facciamo una foto!»
«Perché no? Così la fai vedere alle tue amiche francesi, e magari la prossima volta me le presenti…»
Gli rifilo una gomitata divertita, mi piace scherzare con lui, non ho più quel timore reverenziale per il ragazzino para tutto. Mi scompiglia i capelli e improvvisamente si fa serio e mi fissa negli occhi.
«Comunque… – inizia il discorso – Dico sul serio: se Misaki si fa scappare una come te, non capisce davvero niente.»
Rimango basita dalle sue parole e non riesco più a dire nulla, fortuna arrivano i ragazzi delle due squadre, e subito Schneider si dirige verso il portiere. Li vedo battibeccare amichevolmente, poi si girano verso di me: alzo la mano in segno di saluto e il capitano tedesco si avvicina.
«Ciao, è un piacere rivederti.»
Gli stringo la mano, è un piacere anche per me, altroché! Alto, biondo e occhi azzurri, proprio un bel vedere. Mentre scambiamo due parole sulla partita, Genzo mi avvisa che è arrivato il taxi.
«Ma Louis dov’è?»
«Napoléon?» mi chiede conferma. Annuisco, ma né lui né Schneider l’hanno visto. Non posso far aspettare il taxi che mi hanno gentilmente offerto, così li saluto nuovamente, abbracciando Genzo talmente forte da farlo imbarazzare, poi salgo sul veicolo e gli do l’indirizzo di casa Deville.
Quando la vettura mi scarica davanti a casa, salgo velocemente le scale: sono così entusiasta della serata che non vedo l’ora di raccontare tutto a Florence. Quando entro in casa, però, sento delle voci concitate che parlano in salotto, e si dirigono improvvisamente verso di me appena mi vedono arrivare.
«Che succede?» chiedo a Florence, mentre mi abbraccia con le lacrime agli occhi. Osservo prima lei, poi Jean, e infine Louis, che è appoggiato al tavolo della sala con le braccia conserte.
«Ci siamo preoccupati molto, quando lo abbiamo visto tornare senza di te.»
«Ve lo avevo detto che sarebbe tornata senza problemi.»
Fa per allontanarsi, ma Jean lo blocca subito.
«Eh, no, Louis, non funziona così: se ti prendi la responsabilità di portare Sakura da qualche parte, poi devi anche prenderti quella di riportarla a casa!» tuona, non l’ho mai visto così arrabbiato.
«Aveva il suo amichetto giapponese, era in buone mani, cosa volete da me? Ve l’ho detto un milione di volte che non sono la sua balia.»
«Va tutto bene, Genzo mi ha pagato un taxi per rientrare…» intervengo, sperando di smorzare gli animi.
«Perché non hai cercato Louis? Potevate tornare insieme.» mi dice Florence, anche nel suo sguardo leggo un accenno di arrabbiatura.
«Perché… – mormoro, il mio sguardo vaga tra di loro mentre cerco una scusa plausibile – Perché questo mio amico non lo vedevo da tanto, e così ci siamo persi in chiacchiere, e quando è stato il momento di cercare Louis, era tardi e non lo vedevamo, forse era ancora nello spogliatoio, però Genzo doveva rientrare, così mi ha accompagnato alla fermata dei taxi insieme ad un altro ragazzo.» e lo dico tutto d’un fiato, per risultare credibile. Li osservo, sperando di averli convinti: li vedo scambiarsi qualche sguardo, poi Florence mi accarezza la testa.
«Vai pure a prepararti per la notte, tesoro.»
Annuisco e mi dirigo verso la mia stanza.
Quando sono ormai pronta per andare a dormire, sento un leggero bussare alla porta, che di norma tengo chiusa per abitudine, non per altro.
«Avanti.»
«Sei vestita, vero?»
«Indosso un pigiama, va bene lo stesso?»
Louis entra fa solo pochi passi all’interno della mia stanza, e socchiude la porta alle sue spalle.
«Perché hai mentito?»
«Non ho mentito, ero davvero con Wakabayashi, poi non ti abbiamo più visto e per non farmi prendere i mezzi, mi ha pagato il taxi. Dov’eri finito?»
«Ho visto che te la intendevi bene sia con lui che con Schneider, così sono venuto via.»
Spalanco gli occhi per la sorpresa.
«Mi hai lasciato lì di proposito?! – annuisce, e un sorrisetto malefico fa capolino sulle sue labbra – Sei una cosa impossibile, Louis. Se non ci fosse stato Genzo, come avrei fatto a…»
Si volta e fa per uscire dalla stanza, ma stavolta non gliela voglio dare vinta, quindi mi alzo di scatto e mi posiziono tra lui e la porta, a braccia conserte.
«Quando cerchi di fare l’arrabbiata, sei così… kawaii…» sogghigna.
«Chiedimi scusa!»
Scoppia a ridere. Io mi offendo ancora di più, e lui mi spettina i capelli.
«Buonanotte, grenouille…»
Sospiro mentre sciolgo le braccia, inutile tenerle conserte, come dice lui “non sono credibile”.
«Buonanotte.» gli rispondo, quindi mi avvicino a lui e, alzandomi leggermente in punta di piedi, gli poso un bacio su una guancia. Lui si irrigidisce e mi fissa con gli occhi sbarrati.
«Che c’è?» gli chiedo, non capendo il suo atteggiamento.
«Nie… niente.»
Chiude la porta e se ne va così, confermandomi la sua stranezza.

«Farci fare una verifica l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze è davvero una vigliaccata…» sbotta Jacques, mentre usciamo dalla classe.
«Almeno adesso siamo in vacanza, possiamo riposarci!» Yves, come sempre, cerca di farci vedere il lato positivo delle cose. Io annuisco e alzo gli occhi al cielo: siamo a fine Dicembre, tra pochi giorni sarà Natale. Parigi è completamente addobbata, luci e decorazioni fanno bella mostra in ogni angolo della città. È decisamente una festività più sentita che da noi in Giappone, soprattutto a livello religioso.
«Allora, Florence ti ha trasmesso un po’ di spirito natalizio?» mi chiede Jacques. In queste occasioni ci confrontiamo spesso, con loro le differenze culturali diventano motivo di scambi interessanti, di discussioni, di punti di vista. Sono molto contenta di aver legato con loro.
«Sì, è stato interessante entrare nella mentalità del vostro Natale. Da noi è semplicemente una festa commerciale, essendo i Cristiani una minoranza molto piccola.»
«Ah sì?»
Annuisco alzando gli occhi e annusando l’aria, attirata dal profumo delle crêpes che arriva da un ambulante.
«Mangiamo una torta, alla vigilia di Natale, solitamente dovrebbe portarla a casa il capofamiglia. – abbasso lo sguardo nuovamente sui miei compagni – Col fatto che mio padre era quasi sempre via per lavoro, la cucinava mia mamma, e la mangiavamo insieme la sera davanti alla tv, con una tazza di tè verde.»
«Niente mega pranzo di Natale?»
Scuoto la testa, sorridendo.
«Al massimo pollo fritto.»
Mi guardano strabuzzando gli occhi.
«Sì, è decisamente da americani. Il primo dell’anno, invece, cuciniamo un sacco di cibi tipici.»
«È la prima volta che festeggi l’anno nuovo lontano dalla famiglia?»
E stavolta la stilettata arriva dritta al cuore, la sento scagliarcisi distintamente.
«Non sempre ho passato l’ultimo con tutta la famiglia: papà col lavoro che fa non sempre era a casa, e poi Tsubasa è partito per il Brasile…»
«Beh quest’anno alla festa a casa mia ti divertirai e non ti faremo venire nessuna mélancolie, te lo prometto!» Jacques mi posa una mano sulla spalla e mi guarda con quell’aria da supereroe che tira fuori ogni volta che mi viene nostalgia di casa.
«Saremo i tuoi supereroi.» dice appunto Yves, avvicinandosi.
«Uhm, i miei Batman e Robin?»
«Sì, ma non farti strane idee, eh? Come le chiamate voi?»
«Yaoi.» rispondo con un sorriso, ben capendo a cosa allude Chevalier.
Continuiamo a camminare, qualche fiocco tenta timidamente di scendere dal cielo, ma la temperatura è troppo bassa per poter avere una nevicata coi fiocchi (in tutti i sensi). Mi sistemo il berrettino di lana e la sciarpa, accarezzandomi il naso coi guanti per poterlo scaldare, non sono decisamente abituata a queste temperature, ma ora capisco quando si parla di magia del Natale. Sembra di vivere in un sogno.
Capitiamo davanti alla vetrina di una gioielleria e, immancabilmente, da brava femmina quale sono, rimango incantata da quel luccichio.
«Tutte uguali…» scuote la testa Jacques, sconsolato.
«E quello cos’è?»
In un angolino ci sono alcuni anelli d’argento, di varie misure, e il cartello pubblicitario fa vedere alcune incisioni su di essi, frasi in francese o in inglese, di canzoni, o di poeti.
«Uhm, a quanto pare ti incidono gli anelli, scrivendoci ciò che vuoi.»
«Anche le piastrine, guarda.» indica Yves.
«Ce ne sarebbero di cose da scrivere, sugli anelli, come ricordo.» sospiro, allontanandomi dalla vetrina tentatrice.
«Hai pensato se spedire o meno il regalo in Giappone?»
Yves sa bene che non amo parlare di Taro e di tutto il resto, eppure con lui mi riesce più facile confidarmi, che con Jacques. Sarà che con quest’ultimo ho instaurato un rapporto più di cameratismo che di altro.
«Non saprei… cioè… non so…»
Mi posa una mano sulla testa.
«Sei così buffa. Quando si tratta di lui diventi impacciata, sembri quasi un’altra persona.»
«È proprio questo il problema: lui ha conosciuto una Sakura che… non c’è più.»
«E chi ti dice che non gli piacerà anche la nuova?»
Mi volto ad osservare Jacques che sta ancora scuriosando nella vetrina di prima.
«Forse perché io stessa non ho ancora deciso quale essere.»
«Ragionamento sensato.»
«Ti sei mai sentito… fuori luogo? Come se tutto quello che dici, o fai, avesse valore solo in funzione di una determinata cosa?»
«Uh?»
Ok, non è un concetto facile da esprimere in francese, ma ce la posso fare: attiro l’attenzione di Jacques per fargli capire che ci stiamo incamminando e lui ci raggiunge di corsa.
«Credo di aver capito già molte cose di me, in questi mesi. Ho sempre vissuto in funzione di mio fratello e quando lui se n’è andato mi ero convinta di non valere nulla. Poi sono passata alle superiori, e ho iniziato questo corso di francese… così, per caso. Mi ero accorta, studiando portoghese con Tsubasa, che mi piaceva imparare nuove lingue.»
«In effetti sei portata, considerando le tue origini.»
Arrossisco appena al complimento di Jacques, mi volto e lo ringrazio con un inchino.
«Arigatou gozaimasu
«Ah, è inutile, non ci provare, tanto lui è negato.  Non lo senti durante le ore di tedesco?»
«Beh di tedesco ce ne intendiamo uguale, allora.» affermo convinta, dato che io non l’ho mai studiato e durante le ore di lezione la prof mi permette di dedicarmi ad altro.
«Se ti mettessi a studiarlo, saresti comunque migliore di lui.»
Sorrido, Yves ha davvero un’alta considerazione di me.
«Bah, quando vi coalizzate contro di me non vi sopporto, me ne vado a casa! – esclama Jacques – Ci vediamo domani sera? Esci?» mi chiede, riferendosi alla cena di classe che hanno organizzato le ragazze.
«Direi di sì… magari ci mettiamo d’accordo domani.»
«Dai, passiamo a prenderti noi. – mi tranquillizza Yves – Siamo i tuoi supereroi!»
Sorrido a entrambi e dopo averli salutati, mi dirigo a casa.
Florence è in salotto, sta spolverando mentre canticchia una canzone natalizia; quando mi avvicino a lei noto che sotto l’albero ci sono dei pacchetti.
«E quelli?» chiedo, avvicinandomi curiosa.
«Sono i regali di Natale! Ne ho approfittato oggi che non avevo Jean tra i piedi.» mi sorride facendomi l’occhiolino.
«Ma che carina, ce n’è uno anche per me!» arrossisco.
«Ovvio, non sei la mia piccola?»
«Domani dovrò impegnarmi con Louis per trovare qualcosa all’altezza.»
«Ah, allora andate?»
«Sì domattina, direi che ci faremo le Galeries LaFayette per prima cosa.»
«Ottima scelta.» annuisce.
Mi siedo sul divano e inizio a fare zapping sui canali satellitari senza vederli davvero: sto ancora pensando al regalo di Taro, se spedirlo o no. Che dilemma…
«Lo manderai in tilt, quel telecomando, a forza di cambiare canale.»
«Uh?»
In effetti stavo tenendo premuto il pulsante senza nemmeno rendermene conto! Arrossisco e metto su un canale di musica che so essere quello preferito di Flo.
«A cosa pensi?»
Raccolgo le ginocchia al petto e ci appoggio sopra il mento.
«Ho un regalo da spedire ma… ho paura.»
«Paura? E perché dovresti averne? Hai paura che si rompa?»
«No… – arrossisco – Ho paura che… non venga apprezzato…»
Florence ride e si siede accanto a me.
«Grenouille, i regali vengono sempre apprezzati, ricordatelo. Soprattutto se sono fatti col cuore.»
«È che… ci siamo lasciati così male, prima che io partissi… è come se si fosse spezzato il legame.»
«Sakura, alla vostra età, gli amori vanno e vengono. Non sempre il primo è anche l’unico.»
«Lo so… – nascondo la testa contro alle gambe raccolte – Ma io mi sono innamorata di lui… subito… e sento che sarà così per sempre. Non c’è nessuno che mi faccia battere il cuore in quel modo. Solo lui. E mi sa che ho rovinato tutto.»
«Solo perché hai deciso di fare questa esperienza?»
«Non solo… ho deciso senza di lui.»
«Al di là che stiate insieme o meno, la vita è tua, il futuro anche. Devi scegliere ciò che senti è giusto per te. Tu sei contenta di questa esperienza? – annuisco con la testa – Allora siine felice, e non ti crucciare. C’est au pied du mur qu’on reconnait le maçon.*..»
Si alza e va in cucina, borbottando qualcosa riguardo l’arrosto, il cui odore si sta diffondendo nell’aria.
«Già… – mormoro, sollevando di nuovo la testa – Ma a me preoccupa il fatto che il muro mi crolli in testa…»


*C'est au pied du mur qu'on reconnaît le maçon. = se son rose fioriranno (letteralmente: è sotto al muro che si riconosce il muratore)



E finalmente, LA PARTITA! Ovviamente Tsubasa si premura di assicurarsi che Genzo controlli la sorella, da bravo fratello maggiore premuroso... e Sakura rivede uno dei suoi amici, e riconosce il cambiamento che l'Europa ha creato in lui. 
E Louis... non stupiamoci. Chi lo conosce, sa che tipo di carattere ha. La sua reazione è tanto naturale quanto stupida, ma d'altronde il ragazzo non si fa troppi problemi a gestirsi in modo autonomo senza preoccuparsi troppo degli altri. 
Abbiamo un altro confronto Oriente/Occidente con i festeggiamenti per l'imminente Natale, dove Sacchan spiega ai suoi amici il tipo di festeggiamenti che si fanno in Giappone, con la solita vena malinconica per la sua famiglia non troppo convenzionale. 
E infine... infine Florence, che ha preso proprio a cuore la causa della nostra amica, e cerca di darle conforto, oltre che a infonderle fiducia in sé stessa e in quella relazione tanto particolare che ha con Misaki. 
Che dire, vi aspetto per la prossima parte di Dicembre, aspettiamoci di tutto da queste feste natalizie!
Buon fine settimana!

Sakura 

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Capitolo 9
*** Dicembre - parte terza ***


Sono nel mio giardino, a Nankatsu, sotto al ciliegio: Daichi sta giocando col pallone e ogni tanto si volta a guardami, sorridente. Sento il rumore del cancello che si apre, mi volto e vedo Taro entrare: ha in mano il modellino della Tour Eiffel che gli ho finalmente spedito, ma non è felice.
«Credi che mi basti?»
Vorrei parlare ma non riesco a dire nulla, non esce nemmeno un sibilo dalla mia bocca, sembro un pesce… poi una voce mi chiama, forse Tsubasa? Ma gli occhi di fuoco di Taro mi tengono incollata lì, non riesco a muovermi, non riesco a dire nulla, non riesco a…
Mi sollevo all’improvviso, sudata e ansante: Louis scatta all’indietro, spaventato.
«Stai bene?» mi chiede.
Mi volto verso di lui, rendendomi pian piano conto che si trattava solo di un brutto sogno.
«S…sì…» mormoro, scostando le coperte per scendere dal letto.
«C’è una sorpresa per te. – mi dice, sorridendo – Vestiti in fretta, ti aspetto in salone.»
Mugugno qualcosa di incomprensibile, lo sento sogghignare mentre mi dirigo in bagno: una doccia è quello che ci vuole per farmi recuperare lucidità.
Indosso jeans e maglione al volo e mi fiondo in cucina a far colazione, quando sento delle voci arrivare dal salotto… parlano in inglese o sbaglio?
E appena metto piede nella stanza… non posso crederci.
«Mamma…?»
Anzi, la famiglia Ozora al completo: papà, mamma e i miei fratelli!
«Non posso crederci…»
Daichi mi vola addosso e mi abbraccia le gambe, mentre la mia vista si annebbia causa lacrime.
Tsubasa mi si avvicina e mi abbraccia a sua volta, mentre comincio a singhiozzare come una bambina, continuando a ripetere “Non posso crederci… non posso crederci…” come se si trattasse solo un sogno e il risveglio fosse dietro l’angolo.
Mamma e papà si avvicinano, dato che io non accenno a muovermi, e solo così l’abbraccio diventa completo. Vedo Florence e Jean che si asciugano le lacrime, commossi anche loro dalla scena, mentre Louis è in un angolo a braccia conserte con un ghigno malefico sul volto.
«Tu lo sapevi!» gli inveisco contro, ma col sorriso.
«Bien sûr.» annuisce.
«La tua famiglia starà con noi fino ai primi giorni dell’anno, Sakura. – mi spiega Flo, asciugandosi le lacrime nel grembiule – I tuoi fratelli dormiranno in camera con te, per i tuoi genitori abbiamo preparato la camera degli ospiti.»
Commossa da quel gesto la abbraccio forte e lei mi stringe a sé, carezzandomi la testa com’è solita fare.
«Adesso andate, avete dei giri da fare se non sbaglio.»
«Andiamo lo stesso?» chiedo a Napoléon.
Lui annuisce, mentre addenta un croissant.
 
Per Louis non dev’essere facile portare in giro una comitiva di turisti giapponesi che non fanno altro che parlare nella loro lingua, eppure ha resistito tutta la mattina senza lamentarsi. Mentre rientriamo a casa, nel primo pomeriggio, perché lui ha gli allenamenti, mi avvicino e lo prendo sottobraccio, appoggiandogli la testa sulla spalla in segno di gratitudine.
«Ehi, poca confidenza, Ozora.»
«Grazie, Louis.»
«Umpf.» alza gli occhi al cielo, ma un leggero rossore, proprio appena accennato, gli compare sulle gote. Non glielo faccio notare perché so già che addurrà come scusa al freddo, così torno da mio fratello e continuo la disquisizione sulla bellezza della città.
«Quanta confidenza…»
«Tsu-chan, non cominciare: è stato carino, ci ha portato in giro e non si è lamentato, anche se abbiamo parlato giapponese.»
Lui distoglie lo sguardo perché sa che ho ragione, poi sbuffa.
«Sì, in effetti… devo ammettere che… non è poi così male come sospettavo…»
«Ah-ha! – esclamo – L’hai ammesso!»
«Piano però, siamo appena arrivati.»
«Ozora! – ci voltiamo entrambi, ma stavolta Louis chiamava mio fratello, così continua la frase in inglese – Se vuoi oggi pomeriggio puoi farti accompagnare da Sakura agli allenamenti del PSG.»
Lui annuisce (Figuriamoci se rinuncia al calcio…) mentre Daichi mi tira il braccio e mi domanda cosa sta dicendo il mio amico.
«Dice che oggi pomeriggio andiamo a vedere un allenamento di calcio, sei contento?»
Manco a dirlo, Daichi è entusiasta della proposta: alzo gli occhi al cielo, mio padre mi poggia una mano sulla spalla.
«Abbi pazienza, Sacchan: voi Ozora il calcio ce l’avete nel sangue.»
«A quanto pare…»
«Noi staremo a casa a riposarci e a dare una mano alla tua maman. – adoro sentire mia madre esprimersi così – Abbiamo una certa età e ci dobbiamo riprendere dal viaggio!» scherza.
E così, passo il pomeriggio seduta sugli spalti ad osservare i ragazzi del PSG correre avanti e indietro, con Tsubasa che li scruta attentamente e si agita sul posto ogni volta che vede qualcosa di interessante, e Daichi che non sta fermo un minuto e vorrebbe correre in campo per calciare la palla.
«Adesso basta, Daichi Ozora, se non stai fermo ti riporto immediatamente a casa da mamma e papà!»
Inutile, manco mi ascolta.
«Lascialo fare, è sovraeccitato perché ci siamo entrambi. Credo che tu gli manchi molto.»
Il piccolo ci raggiunge in quel momento e si piazza in mezzo a noi, sempre in piedi, continuando a guardare il campo, ma posando le manine sulle nostre ginocchia.
«Anche voi mi mancate molto… soprattutto tu, Tsu-chan… mi sento come la Eiko Maru in mezzo a una tempesta…»
«Perché?»
«Perché mi sembra di non riuscire a combinare nulla di buono…»
«Ah, Sacchan, smettila una volta per tutte! – esclama con piglio deciso – Vuoi metterti in testa che tu vali, e anche molto? Ma ti senti quando parli con loro? Sei perfetta, non hai tentennamenti, non hai indecisioni, fili via dritta! Che io per parlare portoghese così perfettamente ci ho messo un anno, e avevo anche preso lezioni da Carlos!»
Arrossisco e abbasso lo sguardo.
«Mi piace molto stare qui, mi piace parlare un’altra lingua, mi piace interagire con questa cultura diversa…»
«Potresti studiare lingue, all’università.»
«Kamisama, Tsu! Prima devo finire la scuola!»
«Quando rientri?»
«Maggio… sarà un delirio recuperare questo anno… ma il professor Yamamoto ha detto che mi aiuterà, terranno conto dell’esperienza che ho fatto.»
«Sacchan, a differenza mia, hai sempre avuto voti altissimi a scuola, vedrai che ce la farai benissimo.»
Gli poggio la testa sulla spalla, lui ovviamente ha continuato a parlare senza distogliere lo sguardo dagli allenamenti; Daichi si stringe a me, tremando leggermente.
«Hai freddo, Dai-chan?»
«No… ho la pipì!»
Scoppio a ridere e gli passo una mano fra i capelli, poi mi alzo e lo prendo per mano.
«Andiamo, di fronte allo stadio c’è una cafeteria, ti porto lì, così prendo da bere.»
«Vi aspetto qui.»
«Non avevo dubbi, Tsu!»
Daichi saltella cercando di trattenersi, e quando arriviamo alla tanto agognata toilette ci si fionda dentro: lo accompagno e lo aiuto, poi usciamo e lo vedo avvicinarsi al lavandino per lavarsi le mani.
«Le ho lavate, Sacchan.»
Annuisco e gli accarezzo la testa, chinandomi verso di lui.
«Hai fame? Prendiamo la merenda?»
Fa di sì con la testolina e si allunga per farsi prendere in braccio, quindi ci avviciniamo alla vetrina dei dolci.
«Che dici, prendiamo quelle con la cioccolata? E le portiamo anche a Tsu–chan?»
«Sì però lui mangia quella più piccola, perché dopo ingrassa e non fa più goal.»
«Sakura! Che ci fai qui?»
Mi volto riconoscendo la voce di Chevalier, ma il sorriso mi muore sulle labbra quando lo vedo in compagnia di Nathalie Durand, la leader del gruppetto di ragazze della nostra classe.
«Ah, a mio fratello scappava la pipì, e così…»
«Ma è Daichi? – Jacques sorride entusiasta e si avvicina a noi, e so che questa è un’altra X sul mio nome, dato che lui sta distogliendo l’attenzione dal suo appuntamento per concentrarla su di me – Ciao piccolino!» lo saluta. Daichi appoggia la testa sulla mia spalla e sorride intimidito.
«Coraggio, digli ciao, come ti ho insegnato?»
«Salut…» mormora lui, per poi voltargli completamente le spalle.
«Ah, ma allora essere poliglotti è un vizio di famiglia! – ride lui divertito – Come mai è qui?»
«I miei mi hanno fatto una sorpresa, passeranno qualche giorno qui…»
I suoi occhi si illuminano.
«Ma che meraviglia! Sei felice?»
«Molto…» annuisco. Dietro di lui, Nat tossicchia per attirare la sua attenzione.
«Arrivo. – la liquida, per poi tornare a concentrarsi su di me – Ma c’è anche Tsubasa? Allora stasera porti anche lui alla cena di classe?»
«Abbiamo già prenotato. – si intromette la bionda capoclasse – Non possiamo aggiungere posti.»
«Oh, non ti preoccupare, anzi, scusate ma credo che non verrò.»
«Insisto! – continua lui, incurante – Anzi, anche Yves sarà felice di conoscere tuo fratello, vedrai.»
«Ah, io… non saprei.»
«Rimaniamo d’accordo così, vi passiamo a prendere noi! Ciao Sakura! Ciao piccolo!»
Li saluto con la mano libera, dato che col braccio destro sto sorreggendo Daichi. Scuoto la testa mentre ordino tre pains au chocolat e torno da Tsubasa: gli allenamenti sono finiti e lui sta chiacchierando con Louis che, come al solito, è sveltissimo a farsi la doccia.
«Tenete, ho preso la merenda.» dico in inglese, porgendo il sacchetto ai ragazzi.
«Ma sono tre.»
«Mi è passato l’appetito… – mormoro, poi mi volto verso Louis – Ho incontrato Chevalier con la Durand. Mi hanno ricordato la cena di classe di stasera, speravo di salvarmi ma Jacques mi ha chiesto di portare anche Tsubasa.»
«Uh. Non ti invidio. Però fossi in te ci andrei.»
«Dici?»
«Dico. – annuisce, addentando il pain au chocolat e porgendomelo per farmene addentare un pezzo a mia volta – Vai e divertiti, hai la mia benedizione!»
Scuoto il capo divertita, e cena di classe sia.
 
Tsubasa è divertito e leggermente sconvolto dalla varietà dei miei compagni di classe: inutile dire che Yves e Jacques gli si sono attaccati tipo cozze, e la cosa un po’ mi ha fatto piacere dato che in questo modo non si è sentito isolato. Un paio di compagne l’hanno osservato a lungo, per poi guardare me e bisbigliare qualcosa tra di loro, sicuramente avranno notato che, no, non ci assomigliamo, se non per il taglio degli occhi.
Siamo finiti in un locale dove fanno anche karaoke, ogni tanto qualcuno si attenta ad andare a cantare: abbiamo occupato un tavolone enorme, con dei divanetti, e nello specifico noi quattro ci siamo appartati in un angolo. Mentre Jacques e Tsubasa stanno disquisendo su chi si meritava il pallone d’oro quest’anno, Yves attira la mia attenzione e indica il ragazzo che sta cantando.
«Ci lanciamo in un duetto?»
«Stai scherzando spero!» rispondo, inorridita all’idea di mettermi a cantare davanti a tutti.
«Non vorremmo che ci si rompessero i timpani.»
Nat Durand non perde occasione per punzecchiarmi, questo si sa. Si siede sul divanetto accanto a me e mi appoggia una mano sul ginocchio.
«Cara, poi dovrai spiegarmi come fa quello a essere tuo fratello, dico sul serio. Lui ha classe, è elegante, insomma, si vede che ha fascino, mentre tu… sei un po’ scialba, ecco. Dovresti tenerti un po’ di più.» e così dicendo, solleva una ciocca di capelli, che ho lasciato sciolti, e li lascia ricadere sulle mie spalle.
«Natalie, ora stai esagerando.» lo sguardo di Yves è scuro, temo sia sul punto di perdere la pazienza. Io vorrei farmi piccola piccola e sparire.
«Oh, il principe che arriva a salvare la dama in difficoltà… – si porta una mano alla bocca fingendo commozione – Che cosa tenera.»
«Se preferisci, c’è anche il suo cavaliere
Stavolta è Jacques che ha parlato, e la battuta con il suo cognome è davvero geniale.
«Io non capisco cosa ci troviate in lei. – sbotta Valérie, il braccio destro di Natalie – È straniera
Questo è troppo.
«E allora?! – scatto in piedi rischiando di rovesciare il tavolo – Questo vuol dire che ho diritto a meno rispetto? Questo vi dà il permesso di trattarmi come una scarpa? Io dico che avete uno strano concetto di “ospitalità”, voi francesi.»
Tsubasa mi posa una mano sulla spalla e io gli sussurro un gaijin che racchiude il succo del discorso. Perché per quelle stronze delle mie compagne di classe, sono e rimarrò sempre una straniera.
«Andiamo a casa, Tsu-chan. – gli dico, nella nostra lingua madre – Non ha più senso rimanere qui.»
Raccolgo la mia giacca e la mia borsa ed esco dal locale, seguita da mio fratello che, al contrario di me, ha salutato i miei amici. Non proferiamo verbo per tutto il tragitto verso casa Deville, l’unico gesto che compie è quello di asciugarmi le lacrime che cerco invano di trattenere.
«Sacchan… – mi blocca mentre sto per aprire il portone di casa – Non te la prendere… essere stranieri non è una brutta cosa.»
«Mi arrabbio perché non hanno neppure fatto il gesto di conoscermi. Hanno dato per scontato che fossi una brutta persona e hanno iniziato ad attaccarmi.»
«E comunque… – aggiunge in ascensore – Ritrovarti con un carattere così fumantino è una piacevole sorpresa.»
Mi dà un buffetto sulla testa che si trasforma in un abbraccio, mentre io non posso fare a meno di ridacchiare e crogiolarmi in quel calore fraterno.
«Mi sei mancato, Tsu-chan!»
 
La mattina di Natale mi alzo insieme a Tsubasa e mentre lui va a farsi una corsa nei dintorni, io mi chiudo in cucina. Louis compie gli anni, e io, che l’ho scoperto per caso, non voglio farmi trovare impreparata, così ho deciso di fargli una torta.
Dal ricettario di Flo ne ho scelta una semplice ma ad effetto, si chiama Torta Paradiso. Tengo il dizionario accanto alla ricetta e inizio a lavorare, seguendo alla lettera quello che c’è scritto… o quasi.
Una volta infornato l’impasto, mi siedo davanti al forno e osservo la cottura, sperando che il dolce lieviti a dovere.
«Stando alla ricetta, dovrebbe diventare alta e soffice… – mormoro – ma non mi sembra che lo stia facendo…»
Sono talmente concentrata che non mi accorgo della presenza alle mie spalle, e quando una mano mi tocca la spalla sussulto spaventata.
«Buongiorno! – mi sorride Florence – Che ci fai sveglia a quest’ora?»
«Ho voluto provare a preparare un dolce per Louis, visto che oggi è il suo compleanno, ma… temo che il risultato non sia come mi aspettavo…»
La vedo scrutare nel forno.
«Non disperiamo, lasciala cuocere per bene. È una torta Paradiso? – annuisco – Che ne dici se prepariamo una crema inglese come accompagnamento?»
«Una…?»
Prende il ricettario e lo sfoglia, fino ad arrivare alla ricetta di una crema. Leggo velocemente, capendo il giusto, poi la guardo.
«Beh… come vuoi… se dici che ci sta bene…»
«Vedrai – mi sorride sicura – Farai un figurone!»
In effetti, una volta pronta e messa in frigo, la crema sembra proprio invitante. Anche la torta, che fa bella mostra di sé sul tavolo della cucina, ancora fumante, ha un ottimo aspetto. Sorrido soddisfatta mentre mio fratello entra nella stanza.
«Mmh, una bella fetta di torta è quello che ci… ahia! – si massaggia la mano che ho colpito con un cucchiaio di legno – Sei impazzita?»
«Non è per colazione.. L’ho fatta per Louis. È il suo compleanno.»
Mi lancia un’occhiataccia mentre ripiega su un croissant che Jean ha portato in questo momento.
 
Questi giorni di vacanza insieme alla mia famiglia sono volati e sono stati piacevolissimi: ho declinato l’invito a casa di Jacques per l’ultimo dell’anno, con la scusa di volerlo passare con la mia famiglia. In realtà non avevo nessuna voglia di ritrovarmi faccia a faccia con le persone che hanno assistito alla mia sfuriata, la sera della cena di classe. Yves si è presentato un paio di volte a casa Deville, una per portarmi il suo regalo di Natale, l’altra per chiederci se volevamo andare a pattinare sul ghiaccio, poi ha capito la situazione e non ha più detto nulla.
Sono stati giorni importanti, per me e Tsubasa: ci siamo riavvicinati come non mai. L’adolescenza è sicuramente un’età difficile, passarla lontana può mettere a dura prova; ma occuparci insieme di Daichi, vederlo sorridere, vedere come ci cerca con lo sguardo, come ci copia mentre siamo a tavola, come ci corre incontro e ci prende per mano… siamo il suo esempio da seguire, e dobbiamo comportarci in maniera esemplare con lui.
«Speriamo che non faccia patire la mamma così come abbiamo fatto noi…» mormoro, osservando Daichi che gira sulla giostra dei cavalli.
«Uh?»
«Andandosene…»
«Se anche lo facesse, mamma non direbbe nulla, lo sai.»
«Mi sembra invecchiata…»
«Daichi è un vulcano di energia, facciamo fatica persino noi a stargli dietro. Sacchan, non temere: mamma è una donna forte…»
Annuisco: ne sono consapevole, forse sono solo i sensi di colpa a farmi parlare così.
«Beh, allora… questa tua “amicizia” con Napoléon…»
Alzo gli occhi al cielo e sorrido.
«Tsu-chan…»
«No, niente guerra. – alza le mani in segno di resa – Sono solo… piacevolmente sorpreso dall’occhio di riguardo che ha per te, tutto qua. Forse mi sono preoccupato troppo e inutilmente. E anche Jacques e Yves… sono dei bravi ragazzi, e tengono molto a te. Hai fatto breccia.»
Arrossisco leggermente e distolgo lo sguardo da lui.
«Hanno preso molto a cuore la mia causa, mi vogliono bene, è… bello.»
«Ti fa sentire meno a disagio, e meno lontana da casa.» aggiunge lui, con l’aria di chi la sa lunga.
Appoggio la testa alla sua spalla e chiudo gli occhi, mentre la musica della giostra su cui è Daichi finisce.
«Lontani, ma vicini… vero Tsu-chan?»
«Vero…» annuisce lui, passandomi un braccio attorno alle spalle e mi deposita un bacio in testa.

 
 
Sorpresone!! Ci voleva qualcosa per risollevare il morale della nostra amica... e quale sorpresa migliore della famiglia al completo?
Ma adesso, i quesiti aumentano! Il nuovo anno inizierà col botto? Tsubasa smetterà di far pedinare la sorella? Louis cambierà il suo carattere e sarà meno burbero? Ma soprattutto, chi spingeva i cavalieri ad andare a battersi coi draghi?
Lo scopriremo solo su Rieduchescional Ciannel!
E niente... il caldo mi dà alla testa! 
Bacioni a tutti

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Capitolo 10
*** Gennaio ***


Riprendere i ritmi della scuola dopo queste due settimane di vacanza è dura, ma ho il cuore più leggero dopo averle trascorse con la mia famiglia. Mi hanno portato un sacco di pensierini da parte degli zii, Tsubasa mi ha regalato, tra le altre cose, una sua maglia da calcio e un walkman, mentre mamma e papà mi hanno lasciato un po’ di soldi per il resto della mia permanenza qui.
Sono talmente su di giri che, dimentica degli episodi passati, arrivo in classe canticchiando una canzone; non noto nemmeno Nat e le altre che entrano e mi osservano con la loro solita aria di superiorità, non dedico loro nemmeno uno sguardo, perché non voglio rovinarmi la gioia.
«Chérise! – sento esclamare – Finalmente!»
Jacques si avvicina e mi saluta con tre baci sulla guancia, dandomi poi un’amichevole pacca sulla spalla.
«Hai passato delle buone vacanze?» gli chiedo, sorridendogli.
Sta per rispondermi quando gli altoparlanti dell’istituto gracchiano e la voce della segreteria risuona.
“La studentessa Sakura Ozora è attesa nell’ufficio del Preside. La studentessa Sakura Ozora è attesa nell’ufficio del Preside”.
Yves, che sta entrando in aula in questo momento, mi osserva con aria preoccupata: io mi alzo e, sempre col sorriso sullo labbra, mi dirigo nell’ufficio di Monsieur Mercier.
Busso alla porta e il preside mi fa entrare.
«Mademoiselle Ozora, accomodati pure. Non ti preoccupare, non è successo nulla, volevo solo chiederti come sta procedendo la tua esperienza qui.»
Il sorriso mi solca le labbra mentre inizio a pensare alle parole da usare per descrivere come mi sento.
«È un’esperienza fantastica, Monsieur. Essere a diretto contatto con una cultura così diversa dalla mia mi ha aperto la mente. – lo vedo annuire soddisfatto – Certo, commetto ancora degli errori ma sono migliorata molto.»
«Ho parlato coi tuoi professori, sono molto entusiasti. Come dicevi, ci sono delle lacune, ma non rimani indietro nelle lezioni e questo ti fa onore. Madame Ranieri mi ha parlato anche della tua presentazione in classe, dicendomi che hai usato un linguaggio molto appropriato: ti sei fatta aiutare?»
Scuoto la testa in segno di diniego.
«Madame Deville l’ha letta, ma è stata tutta farina del mio sacco.»
«Molto bene, posso mandare un buon feedback al professor Yamamoto. Torna pure in classe ora.»
Ripercorro il corridoio fino alla mia aula e quando entro, sempre col sorriso sulle labbra, i miei compagni mi guardano curiosi.
«Allora? – mi chiede Yves non appena mi siedo – Che voleva? Che è successo?»
«Nulla, non ti devi preoccupare.»
«Sicura? Di solito non chiama nessuno in presidenza a meno che…»
Sollevo lo sguardo lo fisso dritto negli occhi.
«Leroux, va tutto bene. Non mi rispediscono a casa. Voleva solo sapere come mi trovo qui.»
«Gli hai detto che hai due compagni di banco d’eccezione?» si intromette Jacques, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Non avrebbe mai creduto che i miei progressi sono opera tua.»
Yves scoppia a ridere, mentre Jacques mi fa una linguaccia, fingendosi risentito.
«Senti un po’, Tsubasa?» mi chiede poi, cambiando argomento.
«È tornato in Brasile… ma è più tranquillo, se è questo che volevi sapere. E vi ringrazia molto, a tutti e due, per come vi state prendendo cura di me.»
«Quando diventerà famoso dovrà ricordarsi di noi, diglielo!»
«Piuttosto… – mi avvicino a lui con fare malizioso – non credere che non mi sia accorta che sei uscito con la Durand… ci devi dire niente?»
«Già! – Yves mi spalleggia – Ci devi dire niente?»
Il nostro amico minimizza e, se non lo conoscessi, direi che è quasi arrossito.
«Ho ceduto alle sue avances e siamo usciti quel giorno che ci hai incontrato, nulla di più. Non è il mio tipo.»
«Ah davvero?» lo incalzo, mentre Yves sghignazza.
«Smettetela voi due, pettegoli: vi vedrei proprio bene insieme!»
«Non fare l’offeso, Jacques. – gli spettino i capelli – Ti vogliamo bene anche se, in fatto di donne, hai pessimi gusti.»
Scoppiamo a ridere, e sono sicura che Natalie ci sta lanciando fulmini e saette con lo sguardo, ma non mi farò rovinare la vita da lei. Non più.
 
Florence mi ha convinto a farmi tagliare i capelli, e adesso sono seduta nel salone del suo parrucchiere di fiducia, in attesa del mio turno. Dire che si tratta di un personaggio eccentrico è riduttivo: ha un paio di jeans verdi e una camicia a fiori che definirla un pugno in un occhio sarebbe un complimento. È alto e molto magro e, sì, è decisamente gay.
«Floflo, la renderò ancora più incantevole! Con questi capelli così lisci e così lunghi, potrò sbizzarrirmi un sacco!» esclama, sollevandomi alcune ciocche per controllare lo stato delle punte.
«Ci terrei, ehm… a mantenerli lunghi così.»
Mi arrivano a metà schiena, mi dispiacerebbe tagliarli corti.
«Cara, i capelli ricrescono! Bisogna assecondare i momenti di follia!»
Mi fa accomodare, mi lava i capelli, e mi fa sedere davanti a un enorme specchio. Si avvicina con le forbici in mano, le apre e chiude un paio di volte.
«Ti fidi di me?»
«No.» rispondo, sincera.
Lui ridacchia, e inizia a tagliare… troppo per i miei gusti.
«Chiudi gli occhi, ma petite, aprili solo quando avrò finito. Sarai splendida, credi a me!»
Seguo il suo consiglio e non accenno a riaprire gli occhi per nessun motivo…
 
Florence mi guarda entusiasta, ha gli occhi a cuore da quando siamo usciti dal salone di Jean–François.
«Sono troppo corti…» mormoro per l’ennesima volta, accarezzando il caschetto che mi arriva poco sopra le spalle. Ripeto: poco sopra le spalle. Ho appena lasciato là venti centimetri di capelli; per consolarmi, mi hanno regalato un cerchietto in metallo che sulla sinistra ha una farfalla colorata.
«Ricresceranno, e comunque stai benissimo. Fatti fare una foto!» mi dice, prendendomi la borsa ed estraendone la macchinetta usa e getta.
Non posso fare a meno di sorridere mentre mi scatta la foto: mi volto verso una vetrina e devo ammettere che non sto male. Con quel trattamento lucidante, poi, il castano è davvero… lucente. Florence mi si avvicina e si specchia insieme a me, abbracciandomi da dietro.
«Sei splendida, Sakura. Stasera i ragazzi rimarranno folgorati!»
Rientriamo in casa e Florence si dirige subito in cucina: è euforica, è un piacere vederla così felice e sorridente. La seguo e mi siedo a osservarla mentre spignatta.
«Zia! – la voce di Louis irrompe in casa – Sono passato a dirti che mi fermo a ce… grenouille?!»
Mi guarda a bocca aperta, incredibile che un uomo si accorga di qualcosa, Tsubasa non ha mai notato quando mi tagliavo i capelli. Arrossisco mentre lui si avvicina e mi solleva una ciocca di capelli.
«Jean–François ha colpito ancora! Accidenti che taglio!»
«Grazie.» rispondo, e mi accorgo troppo tardi di avergli servito una pessima battuta su un piatto d’argento.
«Non ho mica detto che stai bene, anzi!»
Mi alzo e gli tiro un ceffone sulla nuca, per poi dirigermi in camera mia, fingendomi offesa. Dopo pochi minuti lo vedo arrivare.
«Grenouille permalosa.»
«Affatto.»
Si siede sul letto e inizia a giocare col pelouche che Daichi mi ha lasciato a Natale.
«Quattro mesi?» mi chiede, fingendo noncuranza. Annuisco ed estraggo il diario per vedere cosa devo fare per domani (e sbuffo quando leggo gli esercizi di chimica).
«Quattro mesi e tornerà tutto alla normalità. Resisti?» lo prendo in giro.
«Niente può tornare come prima dopo che è passato un uragano di nome Sakura.»
«Sono una donna che lascia il segno.» esclamo, fingendo di darmi delle arie.
«Sì. Lo sei.»
«Se non ti conoscessi, potrei dire di aver notato una sfumatura malinconica nella tua voce… non ti starai mica innamorando di me?» concludo, parafrasando le sue parole di qualche mese fa.
Lui riacquista la sua boria e mi osserva con superiorità.
«Illusa.»
«Prima di andar via riuscirò a farti ammettere di avere un cuore!»
«Pensa a studiare, che è meglio.»
«Non sono io ad avere il bac, quest’anno.» lo punzecchio, ben sapendo che si tratta di un argomento spinoso. Infatti, come previsto, si irrigidisce.
«Sarà una passeggiata.»
«Per questo vieni a studiare a casa dei tuoi zii?»
«Ozora, mi stai innervosendo.»
Lo ignoro, e alzandomi, faccio il gesto di aprirgli la porta della camera per fargli capire che se vuole, se ne può anche andare, ma lui reagisce di scatto, chiude la porta con un colpo secco della mano e mi appiccica allo stipite. I nostri visi sono a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, gli sguardi si incrociano e leggo una rabbia profonda e repressa nelle sue iridi blu. Lui mi fissa col respiro accelerato per il nervoso, e sembra quasi che mi voglia uccidere da tanto che è arrabbiato.
«Non mi provocare, Ozora.»
Questo scatto improvviso mi ha lasciata un po’ così: in condizioni normali gli avrei detto che non mi lascio di certo intimorire da un borioso come lui, ma c’è qualcosa nei suoi occhi, sotto alla rabbia, che mi convince a tacere.
Lui non pronuncia altro, si allontana da me e, scostandomi, apre la porta ed esce. Mi ricompongo e mi siedo alla scrivania, sperando che gli esercizi di chimica mi aiutino a dimenticare quello sguardo tanto arrabbiato quanto disperato. 
 
Mi rigiro quell’invito tra le mani, è arrivato inaspettato e mi ha mandata nel pallone, come si suol dire. La festa di fine anno scolastico.
Ho chiesto informazioni a Yves e Jacques e da come me l’hanno descritta, sarà un disastro, almeno per me. Sarà un ballo in stile americano, tipo prom¸ e in teoria dovremo avere un accompagnatore. E qui è scoppiata la bomba. Perché Florence ha deciso che il mio accompagnatore sarà Louis. Sospiro nuovamente, non la prenderà bene: dalla discussione di quel giorno non ci siamo più visti, ha evitato efficacemente di incrociarmi a scuola, e tutte le volte che è passato a trovare i suoi zii si è fermato pochissimo.
«Si può?» il volto di Florence fa capolino dalla porta.
«Certo, entra pure.»
«Ancora focalizzata su quella festa?»
Annuisco e sospiro, non penso possa capire il mio disagio.
«Non credo che andrò. Mi inventerò una scusa all’ultimo per non andare.»
«E perché mai?»
Già, perché?
«Perché… perché so già che mi sentirò a disagio, è un istituto davvero esclusivo e… non sono all’altezza.»
«Alt! – mi interrompe alzando la mano – Non voglio più sentirti dire una cosa del genere. Tu sei all’altezza, Sakura. Guai a te se ti convinci del contrario.»
Sospiro e abbasso lo sguardo, colpevole.
«In questo caso mi sento… diversa.»
«Ma diversa non vuol dire inferiore. Diversa lo sei, ognuno di noi lo è. Ti immagini se fossimo tanti robottini uguali? Che gusto ci sarebbe a vivere in un mondo così?»
Ha ragione, me ne rendo conto, e poso lo sguardo su di lei, riconoscente.
«Sai, Florence… saresti una mamma meravigliosa…»
La vedo sorridere malinconicamente, la sua mano mi accarezza la testa.
«Purtroppo la natura non è stata buona con me… io e Jean non riusciamo ad avere figli.»
Ho percepito chiaramente la tegola cadermi sulla testa: non mi sono mai posta il problema, nel senso che non ho mai indagato su eventuali figli, e Louis non mi ha mai parlato di cugini… però questo spiega chiaramente il rapporto che si è instaurato tra zia e nipote e il perché si siano offerti di fare da famiglia adottiva per i ragazzi che frequentano un anno di liceo lì a Parigi.
Le prendo una mano e le sorrido con calore.
«Ti voglio bene, Flo…»
Gli occhi le si inumidiscono e anche la mia vista si annebbia un po’: ci abbracciamo, voglio davvero bene a questa donna che mi è stata vicino e mi ha accolto in casa sua proprio come se fossi una figlia, e le sarò eternamente grata per tutto.
«Ora basta, dobbiamo cercare un abito adatto a te. Ho giusto in mente qualcosa.»
E quando dice così… so che sarà un disastro!


Dopo delle festività natalizie abbastanza impegnative, ho pensato di regalare a Sakura un po' di spensieratezza, lanciando comunque qualche indizio qua e là sul prosieguo del suo soggiorno. 
Ci rivediamo a Febbraio ;) 
Baci
Sakura chan

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Capitolo 11
*** Febbraio - parte prima ***


Jacques è davvero un vulcano di idee quando si tratta di organizzare feste. Io, al contrario, ho zero fantasia per quanto riguarda i costumi, così per questa festa di carnevale mi sono messa la maglia di Tsubasa ed eccomi in versione calciatore.
«Pessima, Chérise, pessima.» Yves scuote la testa e la sua parrucca grigia da Einstein traballa un po’.
«Perché? La maglia è originale!» gli rispondo facendogli l’occhiolino. Cerchiamo Jacques nella ressa, ma non sapendo che travestimento ha tirato fuori è difficile. Ha detto che ci avrebbe fatto una sorpresa, e adesso sono tremendamente curiosa di vedere che si è inventato.
Mi sento toccare su una spalla e mi volto immaginando di trovare il mio compagno di banco, ma lo spettacolo che mi si ripropone davanti mi lascia prima senza parole, e poi esplodo in una sonora risata.
«Ma che…»
Yves si volta e ha la mia stessa reazione, mentre Jacques si dimostra estremamente soddisfatto del suo operato.
«Notevole, non è vero?»
Indossa una maglietta bianca con le maniche azzurre e un paio di pantaloni sempre bianchi, i cui lati sono stati a loro volta colorati di azzurro. Nel bianco, ha disegnato una lunga striscia rossa verticale, e tante strisce orizzontali più piccole, e a vari intervalli ha inserito i gradi di temperatura. In testa, con la carta stagnola, ha realizzato un copricapo a punta. Questo asino si è vestito da termometro.
«Tu sei un fottuto genio!» esclama Yves quando riesce a riprendersi. Io annuisco, ancora incapace di formulare una frase di senso compiuto.
«L’idea è di Madi, e devo ammettere che è un costume perfettamente riuscito.»
«Finalmente la conosco?»
Madeleine è la sorella di Jacques, ha tre anni meno di noi e frequenta ancora il collège. Lui annuisce e mi indica una ragazza con indosso un pigiama blu e un orsetto di pezza al braccio.
«Visto che sono vestito da termometro, lei fa la bambina ammalata.»
In quell’istante si volta, ci vede e ci corre incontro.
«Sakura! – esclama abbracciandomi – Che bello conoscerti! Jacques mi ha raccontato così tanto di te!»
Ha il suo stesso sguardo, gli stessi occhi chiarissimi, su una carnagione nivea, gli stessi capelli neri, che però porta lunghi. È minuta, poco più bassa di me, ma ha energia da vendere. La vedo ridere felice quando Jacques le passa il braccio intorno al collo fingendo di strozzarla, per poi darle un’affettuosa carezza in testa.
«Va bene… – dice lei – Vi lascio in pace, ma devi promettermi che un giorno esci con me!» esclama guardandomi con piglio deciso. Annuisco sorridendole e accennando un inchino.
«Sarà un piacere.»
«Non ti lascerà vivere! È affascinata da tutto ciò che riguarda il tuo paese, colleziona un sacco di manga… ti subisserà di domande sul Giappone, cultura, te la ritroverai a casa a fare l’anno di scambio…»
Scoppio a ridere.
«E che male c’è? Ricambierò il favore che mi avete fatto accogliendomi qui…»
«Ma devi ricambiarlo a me, non a lei!» piagnucola.
«Ve l’ho detto, anzi, ve lo prometto: faremo un viaggio in Giappone insieme. Ci tengo.»
«Io voglio vedere il Fuji per capire se è davvero così magico come lo considerate voi.»
«Lo è. – rispondo, con un pizzico di nostalgia – È un simbolo. Casa.»
«Sarà l’equivalente della Tour Eiffel per noi.» constata.
«Bando alle ciance, adesso beviamo qualcosa. E non accetto scuse, Chérise, voglio toglierti tutti i freni inibitori.» mi stuzzica Jacques, ben sapendo quanto io non sia avvezza all’alcool.
«Potresti pentirtene…»
 
Sono, come si suol dire, ubriaca. Ebbra di felicità, di joie de vivre, e di alcool. Yves, sbronzo pure lui, decanta Baudelaire.
«De vin, de poésie, ou de vertu à votre guisemais enivrez-vous*
«Lo siamo già abbastanza… – sottolineo, facendogli cenno di sedersi accanto a me e posandogli la testa su una spalla – Mi gira tutto.»
«Devi vomitare?» mi domanda, preoccupato. Io nego, quasi inorridita all’idea di rimettere anche l’anima.
«Non credo di aver bevuto così tanto, però sono… su di giri.»
«Benvenuta nel club. – mi rifila una pacca sulla spalla – Jacques invece è proprio fuori…»
Lo osservo fare il cascamorto con Nat e non posso fare a meno di sorridere: non vuole ammettere che le piace perché ha paura in qualche modo di ferirmi, dato l’atteggiamento che lei tiene nei miei confronti, però non riesce (giustamente) a staccarsi da lei. Devo ammettere che sono così carini…
Fare l’associazione tra me e Misaki è quasi immediato, e il colpo mi arriva come una stilettata al cuore, facendomi sobbalzare. Yves se ne accorge e si sporge verso di me.
«Vuoi prendere un po’ d’aria?»
Annuisco e, dopo aver preso la giacca, esco nel giardino del condominio.
«Che è successo?»
«Vedere Jacques e Nat mi ha fatto tornare in mente dei ricordi…»
«L’alcool non aiuta da quel punto di vista… – annuisce lui – Ma tu devi cercare di non farti sopraffare.»
«Non è semplice, Misaki è… – cerco le parole adatte, e non è la barriera linguistica a mettermi in difficoltà – È stato il mio primo amore. È tuttora il mio primo amore. Nel senso che è lui, inchiodato nel mio cuore, e non se ne vuole andare. Io ci provo a dirmi che è finita ma…»
«Continui a dire che è finita, ma lui te l’ha proprio detto? Voglio dire… non è possibile che abbia voluto mettere in stand-by il rapporto per permetterti di vivere al meglio questa esperienza?»
«Beh, si è sbagliato! – esclamo adirata – Non sto vivendo al meglio. Ogni volta che qualcosa mi ricorda lui, sto male, sto malissimo, Yves. Come ha anche solo potuto pensare che mi sarei sentita più libera, più serena o più felice senza di lui?»
«Non so, ho fatto un’ipotesi su come mi comporterei io, se la ragazza che amo mi dicesse che se ne va un anno all’estero.»
«La lasceresti?»
«No. – mi risponde, sicuro – Ma almeno le chiederei perché ha deciso senza di me. Le tue motivazioni sono sicuramente valide ma… forse lui si è sentito escluso dalla tua vita, e pur amandoti ha pensato che tu avessi bisogno dei tuoi spazi.»
Abbasso lo sguardo.
«Non sono venuta qui perché volevo i miei spazi… non da lui, per lo meno… e l’unica cosa che ho ottenuto è stata proprio perderlo.»
«Chérise… mai dire mai… non è detto, smettila di fasciarti la testa prima di essertela rotta. E non lamentarti sempre.» aggiunge, sorridendomi come solo lui sa fare.
Di slancio, compio un gesto molto europeo. Dico così, perché prima di adesso, non mi sarei mai azzardata a farlo. E invece lo abbraccio. Lo abbraccio e quando lui ricambia la stretta mi sento... bene. Non sono in imbarazzo, ma sono felice. Felice perché ho trovato un amico.
«Coraggio, torniamo dentro. Voglio vedere come va a finire tra Jacques e la Durand!» e, passandomi un braccio intorno alle spalle, mi riconduce dentro la casa.
 
Ho mantenuto la promessa e sono uscita con Madi. A dir la verità, dalla sera della festa lei ha iniziato a uscire in pianta stabile con noi. Credo che le interessi Yves, e che questo interesse sia ricambiato, ma Jacques non sembra essersene accorto. Meglio così, vedendo il rapporto che ha con sua sorella, potrebbe anche impalare Yves lungo gli Champs Élysées!
Comunque, dato che siamo tutti single (più o meno), abbiamo deciso di festeggiare un San Valentino alternativo e per quel fine settimana andremo a Euro Disney. Sono così emozionata che non sto più nella pelle. La nostra gita coincide con l’inizio delle vacances d’hiver, due settimane di vacanze in cui dovrò cercare di tenermi in pari coi programmi scolastici.
«Vedrai, faremo talmente tante foto che ti stancherai!»
«Madi, è impossibile. – la interrompe Jacques – Chérise è giapponese, loro sono nati per fare foto!»
Scoppio a ridere e per poco non rovescio il tè sul tappeto della mia camera. Stiamo definendo i dettagli e ho chiesto a Flo il permesso di farlo lì, per poter offrire loro un po’ del tè verde che mi ha portato mamma a Natale.
«Voglio solo tanti ricordi. – mi giustifico – Anche con i miei fratelli sono uguali. Del primo anno di vita di Daichi avrò un centinaio di rullini.»
«È una bella cosa, anch’io adoro fare foto. Da grande mi piacerebbe specializzarmi e diventare tipo un’inviata del National Geographic
«Bello!» esclamo.
«Interessante.» annuisce Yves.
«Sì, e poi chi ti controlla mentre sei in giro per il mondo?»
«Suvvia, Jacques, non vorrai mica tenerla sotto una campana di vetro per il resto dei suoi giorni!»
«Ho 15 anni!»
«Ne hai ancora 14, nanerottola.»
Lei sbuffa, ma si vede che lo adora. Quel battibecco mi fa venire un po’ di nostalgia di Tsubasa, ma cerco di scacciarla.
Improvvisamente la porta della mia camera si apre e Louis spunta: ci osserva tutti con quel suo sguardo serio, poi lo punta su di me.
«Telefono.» dice solo, poi se ne va lasciando la porta aperta.
Io mi scuso coi miei ospiti e lo seguo lungo il corridoio.
«Chi è?» gli chiedo, quando lo raggiungo.
«Kumi.»
«Kumi!?» ripeto, rimanendo un po’ colpita.
«Sì. Parla francese.»
Non mi aspettavo una chiamata della mia amica, così rispondo al telefono un po’ stupita.
«Moshi moshi.»
«Sacchan! – la sento esclamare – Che bello sentirti! Abbiamo fatto una colletta e abbiamo comprato una scheda internazionale! Come stai?»
Sento dietro di lei le voci dei ragazzi della Nankatsu e mi commuovo, credo abbia messo il viva voce perché adesso riesco a distinguere Ishizaki e le sue battutine.
«Smettila, Ryo, ti sento.»
«Chi è il ragazzo che ha risposto, eh? – allude – Devi dirci niente?»
«È il nipote della famiglia che mi ospita, non farti strane idee…»
«Che stavi facendo? Avanti, raccontaci come vanno le cose!»
Kumi è così entusiasta e io improvvisamente mi rendo conto che non potrei raccontare nulla senza dover spiegare come stanno le cose. Perché per parlare della mia vita parigina, dovrei nominare per forza Louis. Così decido di far vertere il discorso sulla scuola.
«Sono qui con due miei compagni di classe e la sorella di uno di loro. Stiamo organizzando il weekend. Andiamo a Euro Disney.»
«Kyah! – l’esclamazione di Kumi mi perfora il timpano – Che teneri, passate il weekend di San Valentino lì!»
Cala il silenzio. Maledizione, Kumi. Anche lei si rende conto che ha parlato troppo. Sento distintamente il rumore di una porta che si chiude, e immagino che Misaki se ne sia andato.
«Scusate, Florence ha bisogno del telefono. Grazie per la chiamata, è stato bellissimo sentirvi. Vi abbraccio.»
Senza attendere oltre riattacco e rimango ferma lì, con la mano sulla cornetta. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e stavolta non faccio niente per fermarle. Sento dietro di me la presenza dei ragazzi, è chiaro che non hanno capito nulla di ciò che è successo. Mi volto e leggo il dispiacere sui loro volti per le mie lacrime.
«Avrò un sacco di malintesi da chiarire, quando tornerò a casa.» dico, cercando di sorridere. Jacques si avvicina e mi abbraccia, e così fanno pure Yves e Madeleine. Mi fanno sentire il loro affetto, e io mi sento un po’ più a casa.

* citazione da Le Spleen de Paris di Charles Baudelaire, dal titolo Enivrez-vous, cioè... "Ubriacatevi" XD
trad. Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi. 


Ecco, lo so... ora mi picchierete XD ma prima di farlo... non saltiamo subito alle conclusioni! Non è detto che quello che sembra, davvero sia... a volte ci facciamo trascinare dai nostri pensieri, e non è detto che siano corretti. Sakura è una maestra in questo (modestamente XD). A volte pure perché ha un pochino di coda di paglia che, si sa, ci fa saltare subito alle peggio conclusioni. 
Ma diamo tempo al tempo... tutti i nodi verranno al pettine... prima o poi XD

 

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Capitolo 12
*** Febbraio - parte seconda ***


Trovarmi Elle Sid di fronte al portone di casa mi fa venire uno scompenso.
«Ciao.» mi sorride.
«Ciao. – rispondo, avanzando verso i bidoni con la spazzatura da buttare – Louis non è in casa, non so dove sia.»
«Esci con noi stasera?»
Rimango col pattume a mezz’aria: la domanda mi sorge spontanea.
«Voi chi?»
«Io, Louis, alcuni suoi compagni di squadra…. Ti divertirai. E ti riportiamo a casa sana e salva, o la zia di Louis farà lo scalpo a tutti.»
Rido perché so che Florence lo farebbe davvero, è molto protettiva con me.
«Avete già qualche idea?»
«Ti passiamo a prendere alle 20.» e così dicendo, mi volta le spalle, alza una mano in segno di saluto, e se ne va.
Scuoto la testa sorridendo, Elle Sid e Louis sono un’associazione a delinquere. Rientro in casa, Florence è ancora al telefono con qualche sua amica, mi sorride mentre io mi dirigo verso la mia stanza. Apro l’armadio. Osservo i vestiti, ordinatamente appesi l’uno accanto all’altro. Apro i cassetti, che contengono magliette e maglioni. Sospiro mentre scivolo a terra, in ginocchio.
«Cosa mi metto!?» mormoro sconsolata.
Zia Flo entra in stanza e mi osserva divertita.
«Sei diventata più europea del previsto, la cosa mi sorprende ma mi fa pure piacere.»
«Non prendermi in giro… è un dramma.» mugugno, mentre lei mi aiuta ad alzarmi in piedi.
«Ti hanno invitato a uscire stasera? – annuisco – Bene, Louis me lo aveva accennato. Quindi, vogliamo testare la tua femminilità?»
«La mia che?!?»
Cos’ha in mente, Florence? L’ultima volta che ha voluto “testare” qualcosa, sono tornata a casa con venti centimetri di capelli in meno.
«Non mi fido… – mormoro, vedendola avvicinarsi al mio armadio – Non mi fido per niente.»
Lei sghignazza e inizia a tirare fuori vestiti apparentemente a caso. Inizia a farmi provare cose che mai nella vita avrei abbinato, e al mio terzo lamento chiude di scatto l’anta dell’armadio su cui è incollato lo specchio.
«Ti rivedrai quando lo riterrò opportuno.»
«Ma…»
«Niente ma!» e, così dicendo, mi lancia una gonna in pieno viso.
 
Sono nell’ingresso di casa Deville, con le braccia incrociate. Aspetto che suoni il campanello, segno che Louis e Elle Sid sono arrivati a prendermi. Davanti a me, Florence mi sbarra la strada per la mia camera, mentre Jean sorride divertito.
«Sei uno schianto, Sakura.» si sente in dovere di dirmi. Io continuo a fissare con pseudo astio la mia maman.
«Non uscirò conciata così.»
«Sei bellissima.» ribatte lei.
«Sono giapponese! – esclamò, alzando le braccia e mostrandole il suo “capolavoro” – Non posso uscire conciata così!»
«Sakura, guardati per favore. – e, avvicinandosi a me, mi fa voltare di 45 gradi per farmi specchiare nello specchio del soggiorno – Sei meravigliosa. Sei una bellissima ragazza che si prepara a uscire con degli amici e a divertirsi. Goditi la serata, ti prego, e per una volta, scordati delle usanze e delle tradizioni del tuo paese.»
Sospiro, affranta.
Indosso una gonna nera che arriva sopra al ginocchio, una canottiera argentata sotto a un maglioncino dello stesso colore della gonna, e ai piedi… i tacchi. I famigerati tacchi.
Non sono miei, ovviamente. Sono di zia Flo, me li ha prestati per la serata.
«Non riesco nemmeno a pensare di camminare, con questi aggeggi. Io…» ma le mie lamentele vengono interrotte dal campanello. Florence si appresta a farmi infilare il cappotto mentre Jean apre la porta ai due calciatori, che così non vedono la mia mise intera, ma solo le mie gambe scoperte.
«Ragazzi – Jean si fa improvvisamente serio – Non perdetela di vista neanche un minuto. Questa signorina stasera è uno schianto, e sarà asserragliata da uomini.» e mi fa l’occhiolino facendomi sorridere e arrossire allo stesso momento.
«Non si preoccupi – Elle Sid mi prende sotto braccio e posa una mano sulla mia a mo’ di protezione – Ci siamo già noi a ronzarle intorno, nessun altro si permetterà di avvicinarsi.»
Scendiamo in strada e ci dirigiamo verso una limousine nera: lo chauffeur mi saluta con un piccolo inchino e ci fa accomodare.
«Caspita, facciamo le cose in grande stasera!» esclamo estasiata guardandomi intorno all’interno dell’abitacolo. Napo ridacchia, mentre Elle Sid apre il frigobar e ne estrae una bottiglia di Dom Pérignon.
«Ho pensato che sarebbe stato più comodo farci portare in giro da Claude, piuttosto che usare i mezzi. – vedendo il mio sguardo dubbioso, si china verso di me – È il mio autista.»
«Dovresti portarla a vedere anche la tua villa, immagino non ne abbia mai viste di così lussuose.» mi schernisce Louis.
«Dipende. – asserisco io, incrociando le braccia al petto – I Wakabayashi ne hanno una splendida a Nankatsu.»
«Ah già, è vero che conosci il SGGK. Avevo rimosso.» risponde lui, facendo spallucce. Gli rispondo con una linguaccia mentre prendo il calice che Elle Sid mi porge.
«Allora proporrei un brindisi. A noi tre, e alla nostra serata parigina. Santé
 
Ho vaghi ricordi resi confusi dal sonno e dall’alcol: sì, stavolta ho proprio esagerato. Mi aggrappo al collo di Louis che sta armeggiando col portone del palazzo, e mi viene da sghignazzare.
«Che hai da ridere, grenouille
«Si sono invertiti i ruoli.» gli sussurro in un orecchio, ricordando di quando era lui ad essere ubriaco marcio.
«Non sei ubriaca, non puoi esserlo, hai bevuto pochissimo. E se lo sei, beh, lasciatelo dire, non reggi proprio niente.»
«Ho fatto del mio meglio per starvi dietro, ma non ho mai bevuto in vita mia. Lo sai.»
«Sì, lo so.»
È una mia impressione, ho il suo tono di voce ha assunto una nota dolce?
«Ora fai piano, se zia Flo si accorge delle tue condizioni è la volta buona che mi uccide. Vieni.»
Mi aiuta a togliere le scarpe così faccio meno rumore, poi mi prende per mano e ci dirigiamo verso la camera, ma dopo tre passi si accorge che non è fattibile, quindi mi si avvicina e mi prende in braccio. La cosa non mi dispiace affatto, sono stanchissima e credo che crollerò subito. Apre la porta della camera e lo sento mormorare qualcosa di vago sul profumo, quindi mi adagia sul letto e si allontana appena. La sensazione di freddo che mi attanaglia è devastante, e inizio a tremare.
«Louis…»
«Che c’è? Hai freddo? Aspetta che ti copro.»
«Non te ne andare… non mi lasciare da sola…»
Lo sento irrigidirsi, poi mi carezza la testa e mi deposita un bacio sulla fronte.
Scosta le coperte e ci copre entrambi: in un attimo sono appoggiata al suo petto, e col tepore del suo corpo mi addormento col sorriso sulle labbra.



Ok, descritta così sembra che Sacchan stia diventando un'alcolista... in realtà, se ci pensiamo, quando eravamo giovani e non avvezzi all'alcol, bastava poco per farci andare fuori *ridacchia* 
Questo capitolo è breve, ma intenso... e fa capire quanto a Sakura manchi il calore di avere qualcuno accanto. E in vino veritas (in vodka figuriamocis!), ergo il suo affetto per Louis emerge parecchio. 
Ma non mi dilungo troppo per evitare spoiler involontari. Vi aspetto la prossima settimana, se vorrete, e nel frattempo vi auguro un caldo e sereno fine settimana 
Bacioni, la vostra Sakura 

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Capitolo 13
*** Marzo - parte prima ***


Entro in classe a testa bassa, quasi trascinando i piedi, e mi siedo al mio banco, anzi, mi lascio cadere sulla sedia con poca grazia.
«Ehi, che faccia. Tutto ok? Queste vacanze ti hanno proprio distrutta!»
Non so che rispondere, quindi alzo lo sguardo su Yves e Jacques, che passano dal divertito al preoccupato.
«Sakura?»
«Sono un po’ confusa. Ho ricordi vaghi. Non penso di aver combinato grossi guai, ma… l’altra notte ho dormito con Louis.»
Jacques spalanca gli occhi e appoggia i palmi sul mio banco per avvicinarsi di più.
«Ti ha toccato? Ti ha fatto fare cose che non volevi? Io quello lo…»
«Ma no! – esclamo, inorridita – Louis non lo farebbe mai.»
«Ne sei sicura?»
«Jacques, fidati, se fosse successo qualcosa me ne sarei accorta. Io non ho mai…»
Mi accorgo di cosa sto per dire e mi blocco, ovviamente sento le guance diventare più calde e immagino di essere arrossita parecchio. Fortuna i miei amici non commentano e si concentrano sul fatto che ho “vaghi ricordi”.
«Hai bevuto?»
«Sì, ho un po’ esagerato mi sa… e non ci sono abituata.»
«Sei stata male? Hai vomitato?»
Scuoto la testa in senso di diniego e sospiro.
«Però adesso Louis non mi parla più, quindi temo di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. Quando mi sono svegliata, lui se n’era già andato, e non ho più avuto modo di parlargli…»
«Lascia perdere, ti avrà fatto delle avances e tu avrai rifiutato.»
Scoppio a ridere, divertita al pensiero che Louis possa provarci con me. I miei amici sorridono della mia ilarità, e l’argomento viene accantonato per dare spazio ai racconti della serata.
La giornata passa in fretta, e quando usciamo i miei amici mi ricordano che Madi ha organizzato una serata per vedere le foto di EuroDisney che ha fatto sviluppare.
«Potete venire da noi, ordiniamo qualcosa da asporto, che ne dite?»
«Va bene – annuisco e mi volto verso Yves – Ci vediamo alla fermata della metro?»
«Ok, a più tardi allora.»
Mi volto per prendere la direzione di casa, e con lo sguardo incrocio quello di Louis: è strano, quasi cupo. Sembra molto serio in realtà. Scacciando la sensazione di freddezza mi avvicino e lo saluto.
«Ciao, vieni a trovare Florence?»
Annuisce e si avvia senza proferire verbo, così sospiro alzando gli occhi al cielo e mi incammino.
«Che hai da ridere?» mi chiede dopo un po’, e non so come abbia fatto ad accorgersene dato che è davanti a me e non si è voltato neanche per un secondo.
«Sei buffo. E strano. Ma strano forte. Faccio davvero tanta fatica a capirti. Però ti voglio bene lo stesso.»
«Tu… cosa?»
Si volta e mi osserva con gli occhi sgranati, neanche gli avessi detto che ho una pistola e voglio usarla contro di lui. Questo ragazzo ha qualche problema affettivo, ne sono certa.
«Beh, sì… non mi hai fatto nulla di male e sei gentile con me.»
«Solo perché zia Flo mi obbliga.» ci tiene a precisare.
«Sì, ok, la so la storia, tranquillo. Però nonostante i tuoi tentativi di dissuadermi dallo starti vicino, non sei mai stato cattivo con me, e poi io mi affeziono facilmente.»
«Non farlo.» mi dice, e suona quasi come un ordine. Vorrei ribattere che non è una cosa che posso comandare, ma mi rendo conto che sarebbe inutile discuterne con lui. Siamo diversi, sotto molti punti di vista, e nonostante io sia giapponese e non esterni molto le emozioni, sono comunque più espansiva di lui. Lui… pare proprio di ghiaccio.
Quando rientriamo, Flo ci accoglie con un sorriso.
«I miei ragazzi. Louis, ti fermi a cena?»
Lui mugugna qualcosa e si lascia cadere sul divano, e inizia immediatamente a fare zapping tra i canali sportivi della tv satellitare, così decido di lasciare zia e nipote ai loro discorsi e vado in camera mia.
Mi siedo alla scrivania e sfoglio il diario, che inizia ad essere pieno di scritte stupide di Jacques e Yves, di biglietti di ingresso a musei, o bigliettini da visita di ristoranti in cui sono stata. Controllo le consegne per domani, e sbuffo quando vedo la maledetta chimica che mi aspetta.
 
Malgrado tutto, continuano a risuonarmi in testa le parole di Louis. Quel “non farlo”, inteso come non affezionarmi a lui. È come se volesse innalzare un muro tra di noi: subito pensavo fosse dovuto alla mia partenza, ma mancano due mesi, è vero che il tempo vola, ma iniziare a creare un distacco proprio adesso sarebbe da stupidi.
Io mi trovo bene in sua compagnia, è una persona con cui riesco a essere me stessa, senza imposizioni, senza i dogmi della cultura giapponese. Ho imparato tanto da quando sono qui, è un percorso di crescita molto importante, e mi piace fantasticare su dove mi porterà.
Mentre fisso il soffitto, incapace di prendere sonno, e mi ritrovo ad ammettere che senza la presenza di Louis, probabilmente non avrei vissuto certe esperienze, e non parlo solo della vita notturna parigina, dell’andare per locali a bere e ballare fino a non sentirsi più le gambe, o del girare per la città ben protetti nella limousine di Pierre. Parlo della consapevolezza di me stessa che mi ha aiutato ad acquisire: sì, io mi sento una nuova Sakura. Essere lontana da casa mi ha permesso di capire aspetti di me che mi erano sconosciuti: forse sta succedendo lo stesso a Tsubasa… forse anche lui si sente così.
Rifletto sul fatto che sono davvero tanti giorni che non lo sento, presi come siamo entrambi dalle nostre cose, e per la prima volta in vita mia… non me ne sono resa conto. Non ho sentito quella nostalgia implacabile del mio oniisan che mi prende ogni qualvolta ripenso a lui; non mi è venuto il magone perché si trova a migliaia di chilometri di distanza; semplicemente… ne ho preso atto.
Mamma aveva ragione, questa esperienza si sta rilevando davvero importante per me, per la mia crescita, per quello che sarà il mio percorso futuro.
Mi rigiro per l’ennesima volta e capisco che non c’è verso di dormire, quindi mi alzo e decido di provare a farmi una camomilla, qualcosa di caldo potrebbe aiutarmi. Mi dirigo in cucina, cercando di fare meno rumore possibile, ma quando arrivo mi ritrovo davanti a Florence che a quanto pare ha avuto la mia stessa idea e sta versando dell’acqua bollente in una tazza.
«Ricordami di non far preparare mai più qualcosa da mangiare a Jean.» mi dice, riferendosi al buonissimo timballo di riso che suo marito ha preparato ma che, ahimè, risulta essere di difficile digestione.
«Per lo meno, non per cena.» le sorrido, mentre mi porge una tazza. Ci accomodiamo al tavolo e rimaniamo in silenzio per qualche minuto.
«È successo qualcosa con Louis?» mi chiede quindi, per rompere il ghiaccio. Non mi stupisco più di tanto, era inevitabile che si accorgesse della tensione tra noi due.
«Credo che stia già iniziando a distaccarsi da me, immagino per via della partenza.»
«Ma è tra due mesi.» osserva lei.
«Lo so. – soffio sulla bevanda nel vano tentativo di raffreddarla – Ma non ho altre spiegazioni. D’altronde me l’ha consigliato anche lui, di non affezionarmi troppo.»
«Che cosa stupida! – esclama – Tipico di mio nipote! Quando trova qualcuno che gli vuole bene, si spaventa e si allontana! – sospira affranta – Temo che essere cresciuto senza una madre abbia influito molto su di lui, come se… come se fosse convinto di non meritare affetto.»
«Che tipo era Élodie?» chiedo ad un tratto.
«Tale e quale a me. Solare, positiva, sempre pronta a farsi in quattro per le persone che amava. La sua morte ha sconvolto un po’ tutti quanti.»
«Immagino… non deve essere stato facile.»
«No, non lo è stato. Louis era molto piccolo, e suo padre, come vedi, è sempre via per lavoro, e lo lascia solo, sapendo che ci siamo noi a prenderci cura di lui. Credo che mio cognato non abbia ancora superato la perdita, e veda molto mia sorella in Louis. Tu però non ti arrendere, Sakura. Se vuoi bene a mio nipote, come penso che sia, e non parlo di malizia, ma di affetto sincero… beh, ormai avrai capito come devi prenderlo. Sarebbe un peccato per entrambi perdere un’amicizia come la vostra, vi ho visto crescere molto in questi mesi di frequentazione.»
«È vero, Louis ha tirato fuori lati del mio carattere che manco sapevo esistessero.»
«Allora diglielo. Non lo ammetterà mai ma gli farà piacere saperlo. Si sentirà… importante.»
Sorrido pensando a quante arie si darà, quando gli darò parte dei meriti della mia crescita personale. Ma bisogna sempre
rendre à César ce qui est de César.*

* dare a Cesare quel che è di Cesare 


E questo capitolo in parte lo dedico a sissi149 che a più riprese chiedeva come mai Louis frequentasse così assiduamente casa degli zii... 
Non so perché, ma ho sempre dato per scontato che Louis fosse orfano di madre, forse per il caratteraccio che si ritrova (che, beninteso, non vuol dire assolultamente nulla, è solo un mio film mentale). 
Oltre a ciò, ci mettiamo i suoi atteggiamenti ambigui verso Sacchan, e otteniamo un corollario niente male. Ma siamo già a marzo, tempus fugit, e Sakura che dovrà davvero darsi da fare per sbrogliare questa matassa. 
Un bacione grande
Sakura chan

 

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Capitolo 14
*** Marzo - parte seconda ***


«Allora sei decisa a farti invitare Napoléon?»
«Florence non ci ha dato molta scelta, sai?»
Il tono di Jacques è molto tagliente, ma lo capisco: ha ancora dubbi su cosa possa essere successo quella famosa notte in cui io e Louis abbiamo diviso il letto (perché di questo si è trattato), e se prima lo guardava con diffidenza, ora proprio lo scruta in cagnesco.
«Tu invece?»
«Non me ne parlare. – si siede accanto a me poggia un gomito sul tavolo di legno, per poi affossare il mento sul palmo della mano – Ho Madi che mi stressa perché vuol venire anche lei, mentre io...»
«Mentre tu pensavi di invitare la Durand.»
Yves, seduto di fronte a noi sullo schienale della panchina, termina la frase al posto suo.
«Se Madi ci tiene tanto, può invitarla lui. – e con un cenno del capo indico il nostro amico appollaiato – Sempre che tu non abbia altre idee.» gli chiedo poi, scrutandolo.
«Ehi, in effetti voi due siete sempre a farvi gli affari miei, ma tu non ci dici nulla. Avanti, Yves, chi avevi intenzione di invitare!»
Lui scoppia a ridere e si mette a sedere in una posizione più consona.
«Se tua sorella ci tiene, può venire con noi: non ho intenzione di correre dietro a qualche fanciulla della scuola per farmi sparare in faccia un due di picche.»
«Andiamo Yves, ci sarà pur qualcuna che ti ha fatto battere il cuore!» lo canzono. A quel punto lui si fa improvvisamente serio, mi prende le mani e mi fissa.
«Sì, sei tu, mia dolce e piccola Tenpura. Sei tu che mi hai rubato il cuore. Portami con te in Giappone, fuggiamo insieme nel paese del sol crescente, e…»
«Levante, imbecille. – Jacques gli molla un ceffone in testa – È il paese del Sol Levante, perché il sole nasce da là.»
«Crescente, levante, sempre del Giappone parliamo.»
Non posso fare a meno di ridere, mentre assisto a questa scenetta, un classico delle nostre ricreazioni. Mentre cerco di contenere le risate, mi accorgo che Louis, da lontano, ci sta fissando, nello specifico fissa le mani di Yves sulle mie. Istintivamente le tolgo, come se mi sentissi in colpa per qualcosa: sorrido ai miei amici per mascherare il disagio, ma quando torno a cercare Napo con lo sguardo, non lo trovo più.
«Che c’è?» Jacques si è accorto di qualcosa, ma cerco di dissimulare.
«Nulla... – ma lui mi fissa con disapprovazione e non riesco a mentire – Ho visto Napo e pensavo… potevo…»
«Vai a cercarlo. Davvero. – mi sprona Yves – Questa situazione non ti fa bene, quindi tanto vale cercare di risolverla, no?»
Annuisco, e mi alzo per cercare il calciatore.
Lo trovo alle macchinette, intento a scegliere non so quale schifezza da ingurgitare.
«La dieta dello sportivo.» lo apostrofo, osservando il Kinder Bueno che sta scartando.
«Ho un fisico perfetto.» mi risponde, asciutto.
«Louis… possiamo parlare?»
«Di cosa?» e finalmente mi osserva in faccia.
«Del fatto che mi stai bellamente ignorando.»
«Hai già i tuoi amichetti, non vedo perché tediare anche me.»
«Pensavo fossimo amici…» rispondo onestamente. Le sue labbra si aprono in un ghigno sardonico, come se non stesse aspettando altro.
«Ingenua, te l’ho sempre detto che ti sto accanto solo per fare un piacere a Florence. Non mi interessa dei tuoi sentimenti, o di quant’altro. Tra pochi mesi te ne tornerai a casa tua e sarò di nuovo libero.»
«Non mi sembra di crearti un gran problema, ad ogni modo hai fatto bene a dirmelo: posso dire a Florence che non andremo al ballo insieme, ci andrò con Yves.»
«Al ballo ci verrai con me, o zia Flo mi ucciderà. Comunque ho notato che te la intendi bene col biondino.»
«Siamo amici, Napo, concetto che a te sfugge molto. E comunque non ho intenzione di venire al ballo con te, voglio divertirmi, io.» e, calcando su quell’ultima parola, giro sui tacchi e torno all’esterno dell’edificio. Come immaginavo, non faccio in tempo a raggiungere la panchina che sento dei passi alle mie spalle: caspita, devo aver colpito nel segno se mi raggiunge addirittura di corsa. Louis mi prende per un polso e mi fa girare: sto per dirgli quanto me ne frega del fatto che Florence possa arrabbiarsi con lui, quando noto di nuovo quello sguardo, gli occhi blu sembrano più profondi del mare aperto.
«Al ballo ci verrai con me. Fine della discussione.»
«Non voglio essere un peso per te, quindi…»
Mi attira più vicino a sé, senza mollare la presa.
«Fine. Della. Discussione.»
«Io davvero non ti capisco! – esclamò, ruotando il polso e liberandomi da lui – Dici che non mi sopporti, che lo fai solo per fare contenta tua zia, che sono un peso, e quando voglio finalmente liberarti di questo peso, me lo impedisci! Cosa cazzo ti passa per la testa, Louis?»
Ci guardiamo entrambi straniti: credo che questa sia la prima gros mot che dico, da quando sono qui. Non che non le conosca, semplicemente non fanno parte di me. Eppure… eppure, anche in questa occasione, questo ragazzo tira fuori lati di me che mi spaventano. Sento qualcuno dietro di me che mi appoggia le mani sulle spalle.
«Andiamo, Chérise, la campanella è suonata.»
Mi volto verso Jacques, che mi osserva con aria cupa: annuisco e mi dirigo velocemente verso la classe, lasciando i ragazzi indietro.
 
Né Yves, né Jacques hanno parlato di quello che è successo in quella famosa ricreazione, e io mi sono ben guardata dal tirare fuori l’argomento. Da quel giorno, Louis e io ci ignoriamo, anche quando viene a casa da Florence, ci limitiamo a poche frasi di circostanza, tipo “Mi passi il sale?” oppure “L’acqua la preferisci naturale o gassata?”. Lo so che se ne sono accorti tutti, che non abbiamo più quel rapporto che ci contraddistingueva, fatto di frecciatine e punzecchiamenti, ma io sinceramente mi aspetto almeno una spiegazione da lui, visto che di scuse non se ne parla.
Florence ha provato più di una volta a indagare sull’argomento, ma ho sempre scelto la via del silenzio: so di ferirla, ma Louis è suo nipote, non posso sfogarmi con lei. Né tantomeno posso farlo con Jacques, dato che lo odia a morte. Mi rimane Yves, ma è il migliore di Jacques, non voglio metterlo in difficoltà. Di chiamare Tsubasa non se ne parla: lo vedo già il sorrisetto soddisfatto, quel “te l’avevo detto” che non vede l’ora di dire. D’improvviso, l’illuminazione: c’è qualcuno a cui potrei chiedere aiuto, senza creare casi diplomatici: corro verso il telefono e cerco il numero nell’agenda.
«Pronto, casa Pierre.»
«Elle Sid, sei tu?»
«Piccola giapponesina! Senti che accento parigino!»
«Faccio progressi, eh?» sorrido divertita.
«Qual buon vento?»
«Vento di… avrei bisogno di una consulenza.»
«Calcistica?»
«Nah, per quelle ho mio fratello, che è molto più bravo.» rispondo, ironica. Lo sento sorridere divertito.
«Noto che, oltre all’accento, hai messo su anche il carattere da parigina. Molto bene. Sentiamo, che tipo di consulenza ti serve?»
«Devo gestire un calciatore scorbutico e antipatico.»
«Oh, mia cara: per quello ti serve un miracolo.»
«Lo so, ma… Pierre, dev’essere successo qualcosa di cui non mi sono resa conto, perché all’improvviso è cambiato tutto. – decido di essere onesta, almeno con lui – È diventato… diverso. Cioè, è sempre stato particolarmente spinoso, e lo sai, però ultimamente sta dando il peggio di sé.»
«Me ne hanno parlato, anche nello spogliatoio non è più lo stesso. Avevo in mente di parlare con lui, durante le vacanze di Primavera. Possiamo organizzare un’uscita, se ti va.»
«Non credo che lui sia d’accordo.»
«Se c’è da bere e divertirsi, lui è sempre in prima fila, credimi. Dai retta a me, basterà una serata come si deve per far tornare tutto come prima.»
«D’accordo, ci sto. Servirà anche a me.»
Ci diamo appuntamento per uno dei primi giorni delle vacanze, quando prima di attaccare attira di nuovo la mia attenzione.
«E comunque… forse non te ne sei resa conto, ma da quando sei arrivata, gli hai davvero scombussolato la vita.»
Chiude la comunicazione senza aspettare la mia risposta, e io rimango lì come un pesce lesso, a fissare il cordless che suona a vuoto.
 
Ovviamente non ho parlato ai miei amici del piano di Pierre, so che non approverebbero, anzi, entrambi sembrano più tranquilli da quando hanno notato come ci comportiamo io e Louis. A me questo distacco dispiace, anzi, fa proprio soffrire, quindi quando finalmente arrivano le vacanze di primavera, inizio a contare le ore che mi separano dalla serata.
«Chérise, mi raccomando... se hai bisogno, chiamaci. Non passare queste vacanze chiusa in casa!» mi riprende Jacques, che ormai mi conosce.
«Ma no, non ti preoccupare... e poi ci vedremo, lo sai. Ho promesso a Madi di uscire anche con lei.»
«Vuoi più bene a mia sorella che a me... potrei sentirmi offeso!»
Scoppio a ridere mentre lo prendo sotto braccio e mi avvio all'uscita di scuola. Yves ci raggiunge di corsa, col fiatone.
«Ehi, aspettatemi voi due! Che modi sono...»
«Scusa. – si giustifica Jacques – È che ho un appuntamento stasera, e...»
Io e Yves lo guardiamo con malizia e iniziamo a darci delle piccole gomitate,
«E dimmi, Sakura, secondo te con chi uscirà mai il nostro amico?»
«Non ne ho proprio idea, Yves. Non è che per caso uscirà con quella ragazza in classe con noi, com'è che si chiama?»
«Ah, ma tu intendi Natalie Durand!»
«Proprio lei!»
«Smettetela! – esclama Jacques, in preda all'imbarazzo – Sì, esco con lei! Non è così male come vuole descriversi...» aggiunge poi, rivolto a me.
«Non ti devi preoccupare per me, spero solo che ti tratti bene, altrimenti...» e col pollice mimo il gesto di tagliare il collo.
«In realtà esce con lei per rabbonirla, così la smetteranno di trattarti male.» sogghigna Yves.
«Spero di no! – esclamo – Non deve farlo per me. Davvero, Jacques, se lei ti fa stare bene, io ne sono felice. Siamo amici, n’est-ce pas?»
Lui mi sorride e mi dà un buffetto in testa.
Continuiamo a chiacchierare del più e del meno fino alla fermata della metro: lì ci separiamo, Jacques infatti abita da tutt’altra parte, mentre io e Yves abbiamo qualche fermata in comune.
«Notizie dal Giappone?» butta lì, mentre ci sediamo nel vagone di mezzo.
«Solite cose… sono tutti in fibrillazione per gli esami. Te l’avevo detto, no, che non abbiamo un esame finale come voi, ma che ci sono vari esami durante l’anno?»
«Sì, me lo avevi spiegato.» annuisce.
«Ecco, quindi puoi immaginare come si sentano. In più ci metti che in autunno ci sarà il World Youth…»
«Hai già pensato a cosa farai, quando tornerai a casa? A come ti comporterai con Taro?»
Scuoto la testa negativamente.
«È tutto molto nebuloso… io tornerò a casa che lui avrà già finito le superiori, chi lo sa come funzioneranno le cose.»
«Lo chiamerai?»
Faccio spallucce.
«Posso non pensarci adesso? Manca ancora abbastanza tempo, e io vorrei godermi questo ultimo periodo qui… non voglio rovinarmi l’umore pensando a cosa potrebbe essere o sarà…»
«Brava! – esclama Yves, dandomi una pacca sulla spalla – Così mi piaci!»
«Guarda che siamo arrivati… dobbiamo scendere!»
Saliamo le scale per uscire e ci abbracciamo per salutarci.
«Mi raccomando, Chérise. – Yves si fa serio – Chiamami, per qualunque cosa. Niente colpi di testa. E cerca di risolvere con Napoléon, se puoi. Ti vedo, che ci stai male. E mi dispiace, perché al di là di quello che posso pensare di lui…»
«Posso chiederti perché tutti avete questa pessima opinione di lui?»
«Tutti chi?»
«Tu, Jacques, mio fratello…»
«Anche Tsubasa?»
«Sì… – mormoro, affranta – Non lo apprezza molto. Sembra che solo io riesca a vedere qualcosa di positivo in lui.»
«Io ho una mia teoria. – afferma – Secondo me sei vittima del cosiddetto “spirito da crocerossina”.»
«Spirito da che?»
«Ma sì: tu hai visto il bad boy “bello” – e mima il gesto delle virgolette per farmi capire che il gusto è discutibile – e dannato, e ti sei messa in testa di salvarlo.»
«Io non voglio salvare proprio nessuno, io credo davvero che sia una brava persona. Voi non sapete quello che ha fatto per me, quando sono arrivata.»
«Lo dice lui stesso, che l’ha fatto solo costrizione.»
«Balle! – esclamo, visibilmente alterata – Voi non sapete nulla, non lo conoscete come lo conosco io.» ribadisco.
«Vedi? Questa tua reazione è tipica del…»
«Fottiti, Yves.»
Volto i tacchi e me ne vado: sono arrabbiatissima e lo lascio lì da solo. Ma come si permette? Crocerossina di che. Solo dopo aver percorso qualche metro mi rendo conto di cos’ho fatto, o meglio, detto. Mi volto immediatamente con le lacrime agli occhi ma mi rendo conto che il mio amico se n’è già andato, non è più lì ad aspettarmi. Che ho fatto? Chi sono diventata? Quasi non mi riconosco più… Quando si parla di Louis non capisco più nulla, quel ragazzo mi manda in bambola. Eppure non provo sentimenti strani per lui, sono affezionata, gli voglio bene, ma niente di più… o sì?
Torno a fissare la strada davanti a me e riprendo i passi per andare a casa, ma mi sento strana, diversa. Qualcosa si è spezzato, in me. Una rottura col passato, direi.
«Sai cosa c’è di diverso? – mi dico, nella mia lingua madre, che mi suona così strana in questo momento – Che sono una nuova persona, perché finalmente dico quello che penso, e lo esprimo. E la gente che non c’è abituata, mi guarda male. Ecco che c’è.»
Mi autoconvinco della cosa e attraverso la strada per entrare in casa, fiera e determinata di questo cambiamento.


Ed ecco sbucare la Sakura che forse alcuni di voi riconosceranno: non più l'ombra di suo fratello, ma quella battagliera e anche un po' testarda che ritroviamo in alcuni punti di Cherry Blossom. Ovvio, qui la sua reazione è elevata all'ennesima potenza, inizia a sentire il fardello del rientro, con le incognite di Misaki e soprattutto con questo Napoléon che le lancia segnali contrastanti (che lei, evidentemente, non coglie per nulla). 
Vi auguro un buon fine settimana e vi comunico già che settimana prossima avremo due aggiornamenti, dopodiché dovrete aspettare il mio rientro dalle ferie per il gran finale, che sarà a fine agosto, in quanto dove andrò, non disporrò di internet. 
Grazie a tutti per l'affetto con cui mi seguite, vi voglio bene.

Sakura chan 

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Capitolo 15
*** Aprile - parte prima ***


Sto aspettando che Pierre e Napo passino a prendermi: sono seduta nella mia postazione da telefonata e picchietto la punta dei miei nuovi stivaletti per terra.
«Nervosa?» mi chiede Flo, carezzandomi la testa.
«Mi sento strana ultimamente.»
«Hai più sentito Yves?»
«No… ma credo che domani andrò da lui…»
La nuova Sakura non mi piace per niente, e ci ho impiegato tre secondi netti per pentirmi di quella discussione col mio amico. Purtroppo mi sono resa conto di essere anche una gran codarda, e non ho avuto il coraggio di presentarmi da lui per fare pace.
«Goditi la serata, domani andrà meglio.» e mi posa un bacio sulla nuca. Annuisco e sospiro, tornando a guardare l’orologio: sono le 20:30, e io ho il dubbio che non verranno più.
«Vabbè. – dico, alzandomi e chinandomi per slacciarmi le scarpe – Ho giusto quel libro da finire di leggere…»
«Mi dispiace… - mormora Flo, che era molto felice di questa uscita, probabilmente sperava che lo strappo tra me e suo nipote si ricucisse – Appena vedo Louis…»
«No. – la interrompo – Per favore… non voglio che si senta più in obbligo nei miei confronti. E anche per il ballo… lasciamo stare, ok? Andrò con i miei amici, e mi divertirò lo stesso. Lui… – sospiro – Lui non ha bisogno di me, ero io ad averne di lui. Mi arrabbiavo perché non capivo che in realtà ce l’avevo con me stessa. È un mio difetto, sai?» le dico, dirigendomi verso la mia camera per indossare qualcosa di più comodo.
«Quale?» mi domanda, curiosa.
«Io ho sempre bisogno di aggrapparmi a qualcuno per emergere. Non riesco a essere me stessa da sola. Quando ero piccola, vivevo all’ombra di mio fratello, poi lui se n’è andato e mi sono avvicinata a Misaki; qui ho trovato uno scoglio in Louis… cioè, io non riesco mai a brillare di luce mia, devo sempre essere accanto a qualcuno che mi attiri nel suo…»
«Caos? Perché, nel caso di mio nipote, è di questo parliamo.»
«Può darsi... ma io in quel caos mi ci trovavo bene...»
«Se vuoi posso annullare la mia uscita e stare qui con te.» mi propone, vedendomi un po' demoralizzata.
«Non se ne parla! Tu e Jean andate pure al cinema! Io rimango qui a leggere il mio libro, ormai sono alla fine e sono curiosa di sapere chi è l'assassino!»
«D'accordo, ma se hai bisogno...»
«Non ti preoccupare, starò bene.»
Lascio che escano per godersi la loro serata e finalmente posso liberarmi da quel peso che sento nel petto. Mi butto a pesce sul divano e fisso il soffitto: i due calciatori mi hanno dato buca, e adesso? È vero che ho quel libro intrigante da terminare, ma non sono dell'umore adatto: sarei più portata a guardare film strappalacrime alla televisione ingozzandomi di gelato, come nelle migliori commedie americane. Decido, però, di non far sì che il malumore prenda il sopravvento, così vado in cucina per prepararmi una bella cioccolata calda e me la porto in camera. Appoggio la tazza bollente sulla scrivania e prendo il libro dal comodino: accendo l'abat-jour e mi immergo nella lettura, sorseggiando la bevanda calda.
Devo ammettere che la trama si sta infittendo parecchio, tant'è che il tempo passa e manco me ne accorgo: è un rumore proveniente dal salotto che mi fa sobbalzare e tornare alla realtà. Ho sognato? Mi volto immediatamente verso la porta, che è alle mie spalle, e osservo il buio del corridoio: niente. Faccio per tornare alla lettura quando sento di nuovo un rumore: eh no, stavolta non ho sognato. Mi guardo attorno impanicata, non c'è nulla che potrei prendere per difendermi. Mi viene in mente che nell'armadio ho l'asta che mi serve per prendere i vestiti posizionati in alto, così la recupero, cercando di fare meno rumore possibile. Brandendola a mo' di mazza da baseball, mi affaccio al corridoio. Buio. Silenzio. Poi di nuovo un rumore. Sembrano chiavi, ma è troppo presto perché Flo e Jean siano di ritorno. Avanzo di qualche passo, tutti i miei sensi sono in allerta. Sì, è un rumore di chiavi, e sono appena cadute per terra. Sento pronunciare un “Merde”, poi di nuovo silenzio: c'è qualcuno in casa, e io sono da sola. Sola e terrorizzata! Il cordless è proprio lì dove si trova questo sconosciuto e non ho modo di raggiungerlo per chiamare qualcuno senza farmi vedere, quindi avanzo ancora, alzando ancora di più l'oggetto che brandisco. Arrivata alla porta che collega la zona notte con la zona giorno, mi affaccio appena per dare un'occhiata: lo sconosciuto che si trova nell'atrio è vestito di nero e indossa una felpa col cappuccio. Mentre indietreggio urto la porta, che scricchiola: il malvivente deve aver sentito perché sento il suo respiro farsi più pesante e tremendamente più vicino. Kami, e adesso che faccio?
La luce del corridoio si accende e io chiudo gli occhi il più possibile e cerco di farmi piccola piccola per non farmi vedere, ma...
«Che cazzo fai con quell'attrezzo in mano? - e me lo leva.  Non posso crederci: apro gli occhi e vedo Louis che soppesa il bastone – Maledizione, Sakura, potevi farmi male!»
«Che diamine fai, Louis! Non si usa più suonare, o dichiarare quando si entra in casa? Sono morta di spavento!»
«Credevo non ci fosse nessuno, non dovevi uscire con Pierre?»
«Sì, dovevo uscire con te e lui, ma non vi siete presentati, così sono rimasta in casa.»
«Avevo detto a Pierre che non avevo nessuna intenzione di vederti, e che poteva pensarci lui a farti da balia in giro per Parigi. Evidentemente ha preferito altri divertimenti.» commenta, guardandomi con quel ghigno sarcastico che lo contraddistingue.
«Non c'è problema. – esclamo, voltando i tacchi e tornando in camera – Mi sto godendo la serata in un altro modo. Fai poco rumore e chiudi la porta quando esci.»
Ovviamente, come suo stile, non mi fa raggiungere la mia stanza perché mi supera e mi si piazza davanti.
«Che vuoi?»
«Non volevi parlare con me?»
«Ho cambiato idea, dopo che ti sei intrufolato in casa come un ladro, cercando di farmi venire un infarto.»
«Ti ho detto che non pensavo fossi in casa.»
«E quindi cosa volevi fare qui, da solo, eh?»    
«Stare da solo, appunto. Ma ormai sei qui anche tu...»
«C'ero da prima di te, quindi non fare il furbo. Vai di là e divertiti, ubriacati, ammazzati, fai quel che vuoi, ma stai lontano da me.»
Lo sposto di peso e faccio per entrare in camera, quando la sua frase arriva come una stilettata.
«Ma ti senti? È per questo che voglio starti lontano, Sakura. – mi volto e lo osservo stranita, lui mi fissa con quegli occhi profondi e pieni di mille sentimenti differenti – Ti ho già contagiato fin troppo col mio carattere, il mio malessere e tutto quanto. Non voglio che tu diventi come me.»
«Ma che stai dicendo! Io sono io, non...»
«Ho parlato con Yves.»
Il gelo. Improvvisamente arrossisco per la vergogna, perché mentre io non ho avuto il coraggio di andare da uno dei miei migliori amici qui, lui (o Napo, questo non mi è dato saperlo) ha fatto il primo passo verso una persona che mal sopporta, e l'ha fatto per me.
«Sakura, io... a me piacerebbe esserti amico. Mi piacerebbe davvero. Ma io e te siamo troppo diversi, non possiamo coesistere. Meglio se ci limitiamo ai saluti e alle frasi di circostanza. Io... – lo vedo abbassare lo sguardo, per poi tornare a fissarmi – Io non sono come voi. E non lo sarò mai.»
Detto questo, si volta e se ne va. Sento la porta di casa chiudersi, poi le mandate per la serratura. Quindi, il silenzio.  
 
Sto continuando a fissare il campanello senza avere il coraggio di premerlo: quel “Leroux” impresso sulla carta mi fissa, e sembra che mi voglia far capire quanto sia stata stupida nel comportarmi così.
«Guarda che quel campanello non si suona da solo.»
La voce alle mie spalle mi fa trasalire: Jacques mi raggiunge e lo suona al mio posto.
«Io non…»
«Andiamo. – mi sospinge verso l’androne del palazzo, dopo che dall’interno si sono premurati di aprirci – Non vorrai fare tardi alla nostra sessione di Fifa?»
«Ma io…»
Mi trascina letteralmente in casa di Yves, che non sembra molto sorpreso di trovarmi lì, e mi piazza subito in mano un joystick.
«Che squadra scegli?»
«Che domande fai?» rispondo, selezionando la bandiera della mia patria.
«Allora rendiamola interessante…»
La bandiera verdeoro del Brasile illumina lo sfondo della televisione: mi volto verso di lui e lo osservo con astio.
«Non avrai la vittoria.»
«Vedremo.»
La partita inizia e io mi catapulto subito nel vivo dell’azione: corro, salto, scarto, passo, tiro, il tutto cercando di impedire a Jacques di segnare. Nel frattempo, sento che Yves si accomoda alle mie spalle, e improvvisamente la tensione si fa sentire, e mi ricordo perché sono lì.
«L’altra sera ho quasi avuto un infarto.» dico, mentre cerco di scartare un difensore.
«Ah sì? – Yves si avvicina – Come mai?»
«Louis pensava che non ci fosse nessuno in casa ed è entrato come se fosse un ladro… sono morta di paura…»
«Avete parlato?» mi chiede.
«Noi no… ma voi sì… – finalmente arrivo al punto. Appoggio il joystick, approfittando della pausa tra primo e secondo tempo, e mi volto verso il mio amico – Mi dispiace… mi sono comportata proprio da stupida. Non so cosa mi sia preso, o forse sì…»
Yves si avvicina e mi passa un braccio attorno alle spalle, facendomi appoggiare la testa alla sua spalla.
«Succede, Chérise… abbiamo avuto la nostra prima discussione.»
«Non ci sono abituata…» mormoro, quasi con le lacrime agli occhi.
«Ma che fai! – esclama Jacques, avvicinandosi a sua volta – Piangi?»
«Lo sapete che sono emotiva…» sorrido, asciugandomi le lacrime.
«Louis ti ha detto di cosa abbiamo parlato?»
«Non proprio… mi ha solo detto che lui non è come noi, quindi non possiamo essere amici, anche se gli piacerebbe.»
I miei due amici si scambiano uno sguardo strano, così mi volto per osservarli entrambi.
«Che c’è?»
È Yves a prendere la parola, dopo qualche secondo di silenzio.
«Ho una teoria…»
«Kamisama, tu e le tue teorie! Sentiamo.»
«Credo che lui sia attratto da te.»
Ecco, questa non me l’aspettavo. Alzo un sopracciglio, mentre il mio sguardo passa da Yves a Jacques, da Jacques a Yves: entrambi annuiscono, convinti.
«Dai, è palese! Guarda gli atteggiamenti!» esclama poi Jacques, sornione.
«Siamo solo amici.»
«Magari da parte tua sì. Ma da parte sua?»
«Voi due mi farete andare al manicomio! – esclamo, alzandomi e allontanandomi di qualche passo da loro – Come vi vengono certe idee? Ve l’ha detto lui?»
Non rispondono, ma dai loro sguardi intuisco che c’è qualcosa di più.
«Che poi… – aggiungo, mentre mi dirigo in cucina per prendere da bere – Sono mesi che ci conosciamo, e ancora non mi avete spiegato perché non vi sopportate.»
«È un coglione. – sbotta Jacques, finalmente – Non lo tollero. Direi che sia una cosa a pelle.»
«Anche lui mi ha messo in guardia su di te, sai?» rimbecco, e lui scoppia a ridere.
«Non avevo dubbi! – dice – L’anno scorso l’ho fatto sospendere per qualche giorno.»
«Che cosa!? – esclamo – E perché mai?»
«Una rissa per una sciocchezza. – minimizza lui, facendo spallucce – Ma la colpa è andata tutta a lui. Ha rischiato la bocciatura.»
«Non si fanno queste cose.»
«Gli è servito da lezione. – asserisce il mio amico – Infatti adesso vedi che si trattiene?»
«Tuo fratello non ha tutti i torti quando lo definisce un attaccabrighe, Sakura. – Yves si fa serio – Ha un pessimo carattere, è molto impulsivo.»
«Me ne sono accorta… – mormoro, ripensando alle volte in cui ha avuto certi scatti nei miei confronti. Sospiro e torno ad osservare i miei amici – Forse avete ragione voi… è che mi piaceva l’idea di averlo come amico, ha avuto certe premure nei miei confronti che mi hanno fatto pensare che in fondo ci tenesse… ma probabilmente era davvero tutta una montatura, per far felice sua zia. Pazienza.»
«È che tu sei così… ingenua.» Yves mi abbraccia, e io sono felice di aver fatto pace con lui. È vero, in fondo anche se non ho trovato un amico in Louis, ho sempre i miei super eroi a cui aggrapparmi.
«Andiamo! – esclamo quindi, riprendendo il joystick – Che qui c’è un galletto francese da spennare!»
«Ah, è così, eh? – Jacques raccoglie la sfida – Vediamo chi pagherà la crêpes, domani!»



Sakura ha affrontato la questione con Yves (e l'immancabile Jacques) e mette nuovi tasselli al puzzle della sua permanenza a Parigi - che, per inciso, è agli sgoccioli. 
Non vi prometto nulla, ma giovedì proverò a postare la seconda parte di aprile, e poi, come accennato, non sarò connessa fino al 27 agosto.
Nel caso in cui non riesca a postare giovedì, ci vediamo a fine mese! Spero potrete perdonarmi nel caso in cui fallirò l'aggiornamento... saranno cause indipendenti dalla mia volontà! 
Nel frattempo vi auguro un buon ferragosto - sperando dalle vostre parti sia meno piovoso che qui da me.
Vi abbraccio forte
Sakura 

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Capitolo 16
*** Aprile - parte seconda ***


Anche le vacanze primaverili sono ormai al termine, ma la cosa non mi pesa: ho passato tantissimo tempo con Yves e Jacques, abbiamo fatto veramente di tutto! Abbiamo fatto un sacco di gite in posti carini intorno a Parigi, mi hanno persino portato a visitare Versailles, per non farmi tornare a casa col rimpianto di essermi persa qualcosa.
Avremmo voluto anche organizzarci per vedere Londra, ma non avevamo la certezza che con i miei documenti fosse possibile andarci, quindi abbiamo preferito rimanere in territorio francese.
Così, per tutti questi motivi, quando rientro a scuola, pronta ad affrontare gli ultimi giorni prima della mia partenza, sono felice e spensierata, e sorrido, sorrido tantissimo. Entro in classe canticchiando e mi siedo al mio banco: sono arrivata molto presto, e questo mi dà modo di osservare l’ambiente intorno a me. I banchi, disposti su tre file ordinate, la lavagna bianca, su cui sono ancora segnati gli esercizi di matematica di ieri, la cattedra del docente, le pareti piene di mappe, cartine geografiche e appunti vari. Non posso credere che sia quasi arrivata la fine del mio percorso. Mentre sono assorta nei miei pensieri, qualcuno entra in classe: mi volto verso la porta e vedo Natalie Durand, che mi fissa perplessa.
«Ciao!» la saluto, con un po’ troppo entusiasmo.
«Ciao…» mi risponde, perplessa. Si accomoda al suo posto e inizia a tirare fuori i suoi libri.
Continuo a fissarmi intorno come se lei non ci fosse, sempre col sorriso ebete stampato in volto, quando la sento imprecare.
«Tutto bene?» mi risolvo a chiederle. Lei si volta e mi fissa con astio, poi però il suo sguardo diventa neutro.
«Sono venuta prima per fare i compiti di matematica, ma… temo di aver lasciato il libro a casa.»
«Ti presto il mio. – le dico, sorridendo – Tieni.» lo prendo dalla mia borsa e mi alzo per porgerglielo. Lei lo prende, titubante, e lo appoggia sul suo banco. Cerca la pagina degli esercizi, poi ad un tratto si volta e mi osserva.
«Perché lo fai? Ho passato mesi a renderti la vita impossibile…»
Faccio spallucce: in realtà non lo so nemmeno io. Però poi mi ricordo che sta uscendo con Jacques.
«Inspiegabilmente piaci al mio migliore amico.» le rispondo, facendole l’occhiolino e tornando al mio posto. La vedo fare i compiti in fretta e furia, il suono della prima campanella la sorprende mentre mi riconsegna il libro, e la vedo sussultare.
«Tranquilla. – la rassicuro – Non lo dirò a nessuno.»
Senza fiatare, torna al suo banco, proprio mentre i primi compagni fanno il loro ingresso.
«Che ci fai già qui?» Jacques mi raggiunge, sembra sorpreso di vedermi a scuola così presto, di solito arrivo con Yves.
«Mi sono svegliata presto, così mi sono goduta la mattinata.»
«Inizi già ad avere nostalgia?»
Annuisco e lo osservo, come se volessi imprimermi in testa ogni singolo lineamento del suo volto. Ho tante foto, questo è vero, ma nulla sarà paragonabile ad averlo lì accanto a me.
«Buongiorno…» Yves ci raggiunge, lanciando lo zaino sotto al banco e sedendosi di peso.
«Dormito poco?»
«Ho fatto le ore piccole giocando alla Play, e adesso ne pago le conseguenze. – sbadiglia – Tu ti sei goduta la tua passeggiata mattutina?»
Annuisco sorridendo.
«Ho costeggiato la Senna per un pezzo, è stato molto bello… mi mancherà…»
«Non iniziamo con queste frasi strappalacrime, che poi mi commuovo e piango!» mi risponde lui.
«Niente pianti! – esclamo convinta – Voglio lasciarvi con un bel ricordo.» sorrido.
Yves mi posa una  mano su un braccio mentre Jacques mi cinge le spalle, e io mi sento così protetta e felice che penso che potrei rimanere seduta in questo banco, in mezzo a loro due per sempre. Con la coda dell’occhio noto che la Durand ci sta osservando, ma forse per la prima volta da quando ho messo piede in classe, non lo fa con astio. Probabilmente si sta domandando cosa ci trovano i ragazzi in me (stessa cosa che potrei chiedere a Jacques su di lei, onestamente parlando), ma ormai non mi interessa più.
«E per il ballo, allora, come ci organizziamo?»
Guardo prima Yves, poi Jacques, quindi abbasso gli occhi sulla mia cartella.
«Come volete, io… non credo di avere impegni.»
«Sei strana oggi.»
«Sono andata a ritirare il biglietto aereo per il rientro… ormai la data è così vicina che non è più solo un “quando tornerò”. E quindi… penso e ripenso a tutto quello che è successo.»
L’insegnante di matematica fa il suo ingresso, e noi ci apprestiamo a metterci composti sulle sedie. Mentre estraggo tutto l’occorrente, osservo Yves che scrive distrattamente qualcosa su un post-it e me lo incolla sull’astuccio. Senza dare nell’occhio, lo prendo e lo leggo.
Ceci n’est pas la fin”*
Lacrime di commozione mi riempiono gli occhi, così tengo lo sguardo basso per non farmi vedere, e con la penna uso i caratteri hiragana per scrivere “domo arigato” sull’angolo di quel post-it. Yves lo vede e sorride, a fatica ma quei caratteri li ha imparati: annuisce e si concentra sulla lezione.
 
Ho accompagnato Florence a fare compere, e mi sono trovata in un negozio di abiti eleganti, a provare modelli su modelli per il ballo. Non sono molto entusiasta di andare alla festa, dopo l’evoluzione dei fatti con Louis, ma il fatto che alla fine andrò con Yves, Jacques e Madi un po’ mi consola.
«Stai benissimo!»
«L’hai detto anche per gli ultimi cinque abiti, Flo… non sei credibile!»
«Non è colpa mia se tutti ti donano, e poi… – mi si avvicina con fare cospiratorio – Mi sembra proprio che l’aria della Francia ti abbia fatto bene, per parecchi motivi.» e, nel dire così, mi appoggia una mano sul seno. Io arrossisco vistosamente e mi ritraggo.
«Che fai!!»
«Non essere imbarazzata, ti è aumentato il seno, è normale.»
In realtà sono aumentata un po’ tutta, evidentemente il cambio di dieta e alimentazione hanno un po’ influito sulle mie curve, che ora sono morbide e piene.
«Nascondiamolo, che è meglio!»
«E pensare che volevo proporti questo…»
Sgrano gli occhi quando mi porge un vestito blu elettrico, e rimango ancora più basita quando, voltandolo, mi rendo conto che lascia la schiena scoperta.
«Io non…»
«Prima di dire qualunque cosa, provalo!» mi intima lei. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo, e mi dirigo verso il camerino. La zittisco con un cenno quando mi urla di non tenere il reggiseno per questo vestito, quindi chiudo la tenda e mi trovo a tu per tu con lo specchio.
«Coraggio… – mormoro in giapponese – Vediamo come mi sta.»
Quando esco dal camerino e raggiungo Florence, ammetto di essere un po’ emozionata: il vestito è bellissimo, mi scivola addosso in maniera perfetta, senza segnarmi; l’unica pecca è che quella schiena nuda mi lascia un po’ a disagio. Mi volto verso la mia maman per chiederle qualcosa e vedo che sta trattenendo le lacrime a stento.
«Ti sta d’incanto…»
Le sorrido perché, sì, mi piace, e mi sento relativamente a mio agio. Lei annuisce e decide che sarà il mio abito per il ballo.
«E niente storie. Voglio farti un regalo: ti sta troppo bene per lasciarlo qui.»
Arrossisco vistosamente e lascio che lei si diriga alla cassa, mentre rientro in camerino a tornare a indossare i miei vestiti.
Quando usciamo, il sole è ancora alto, così Florence propone di andare a prendere un gelato: è felice, la vedo serena, e nonostante sia un po’ stanca, annuisco e la seguo per le vie parigine.
«Ho parlato con Louis.» esordisce mentre, sedute su una panchina, ci gustiamo il migliore gelato alla vaniglia che io abbia mai mangiato.
«Che dice?» domando, fingendo naturalezza.
«Gli ho detto che ti accompagniamo noi al ballo, in auto, e se vuole un passaggio…»
«Ah sì?» fingo ancora. La vedo che mi studia ma devo cercare assolutamente di sembrare il più tranquilla possibile.
«Probabilmente verrà con noi.»
«Nessun problema.» concludo.
«Siete due testoni! Farete mai pace? Tra poco tu parti, non va bene che vi lasciate così. I capitoli della vita vanno sempre chiusi, Sakura, nel bene o nel male.»
Continuo a mangiare il mio gelato, lo sguardo fisso davanti a me. Avrei così tante cose da dire, ma opto per il silenzio, perché Florence, per quanto si stia comportando davvero come una madre con me, è pur sempre la zia di Louis, e non credo le farebbe piacere sapere che strozzerei volentieri suo nipote con le mie stesse mani.
Una leggera brezza si alza e ci accarezza, mi volto verso la mia accompagnatrice e le sorrido.
«Mi mancherà tutto questo…»
Lei si limita a sorridermi, con aria complice, e annuisce leggermente.
 
Continuo a fissare la mia immagine riflessa nello specchio e mi rendo conto che sto tremando. Ho un’ansia talmente forte che sento il cuore battermi in gola, e temo che prima o poi scoppi.
La testa di Jean fa capolino dalla porta della mia stanza, e mi sorride mentre cerca di farsi il nodo alla cravatta.
«Sei pronta?»
Annuisco e lo seguo in salotto, dove Florence sta sistemando il papillon di Louis. Cerco di mostrarmi molto naturale, ma sono sicura che si vede benissimo che sono l’agitazione fatta persona.
«Ah, eccoti: hai finito di rimirarti allo specchio, princesse
Mentre Flo pronuncia quella parola, con la coda dell’occhio osservo Louis: se facesse una battuta su di me, su questo appellativo, su qualsiasi cosa, sarei certa che le cose tra noi hanno ripreso il loro corso. Lui invece si limita a ignorarmi, sancendo – almeno per me – la fine di ogni rapporto di amicizia tra noi. Sospiro e torno a dare tutta la mia attenzione alla donna.
«Sono pronta. Agitata, ma pronta. Quando volete, possiamo andare.»
«Non prima di aver fatto una foto! – si mostra irremovibile – Avanti Louis, mettiti accanto a Sakura, siete troppo belli per non immortalarvi.»
Faccio un passo indietro, per raggiungerlo appena, e lo vedo muoversi nella mia direzione. Siamo uno accanto all’altra, ma siamo distanti anni luce, poi… poi lo sento. Ha alzato una mano e l’ha posizionata sulla mia schiena. Nella posizione in cui la mia pelle è a contatto con lui, sento come bruciare. Improvvisamente ho la gola secca e mi manca l’aria.
«Sorridete!»
Il flash mi coglie di sorpresa, sono sicura al 100% che la foto sarà pessima, ma farei qualunque cosa per prolungare quel contatto. Sacchan, che ti succede? Non ti starai mica…
«Ora tutti insieme!»
L’autoscatto impostato da Jean mi distrae da quel pensiero che si è fatto strada dentro di me. Non è possibile, io amo Misaki, non può essere…
Eppure…
Eppure sarebbe la giustificazione a tutti i miei atteggiamenti dell’ultimo periodo. Quel cercare a tutti i costi di avere a che fare con lui. Sono quasi incredula quando saliamo nell’auto dei Deville per dirigerci alla scuola.
Jean sta blaterando qualcosa riguardo al fatto che faranno da supervisori, ma che non dobbiamo preoccuparci, però io non lo sento neanche, concentrata come sono nei miei pensieri. Mi accorgo che Napo mi sta fissando, con aria dubbiosa, scrutatrice, come se stesse cercando di leggermi nel pensiero.
«Che c’è?» gli domando bruscamente, come terrorizzata all’idea che possa capire cosa mi passa per la testa.
«Sei strana.»
«Sono nervosa.» rispondo, gelida. Se davvero il mio pensiero è fondato, devo subito alzare un muro immenso, con lui. Ancora pochi giorni e me ne andrò, e dopo ci saranno migliaia di chilometri a separarci, e adieu. Tornerò alla mia vita, e lui alla sua, e tanti saluti.
Arriviamo a scuola e vedo Jacques, Yves e Madi davanti all’ingresso della palestra. Scendo quasi al volo dalla macchina e mi dirigo velocemente verso di loro.
«Ma chi… oh mio Dio, Sakura! Sei uno schianto!!» esclama Jacques, abbracciandomi.
«Grazie… – arrossisco – Anche voi non siete male, tutti eleganti. Ciao Madi!» dedico poi un saluto speciale alla ragazzina, che mi abbraccia a sua volta.
Vedo Louis che ci raggiunge, mi sembra tranquillo, quando arriva saluta tutti cordialmente e poi mi pone il gomito.
«Posso avere l’onore di entrare con lei, Mademoiselle Ozora?»
«Dov’è la fregatura, Monsieur Napoléon?»
«Nessuna. – mi sorride, e mi sembra sincero – Devo farti trascorrere una bella serata. Te lo devo.» aggiunge poi, mentre varchiamo l’ingresso.
All’interno è allestito tutto in maniera ineccepibile, il comitato ha eseguito davvero un ottimo lavoro. Sorrido estasiata, mentre il mio sguardo vaga per la sala.
«Non male, devo ammetterlo.»
«Stasera sei tu, quello strano.» gli dico, queste frasi non sono da lui.
Fa spallucce mentre molla la presa su di me e si dirige verso un suo compagno di classe. Incantesimo finito.
Decido di prendere qualcosa da bere, mentre aspetto i miei amici (sicuramente la Durand sarà in ritardo, e vorrà fare un’entrata da diva), e osservo la vasta scelta. Ovviamente gli alcolici sono solo per i maggiorenni, poco importa che per la legislazione francese io lo sarò il prossimo dicembre. Sospiro e opto per un analcolico alla frutta, che risulta essere molto buono.
Mi fa strano essere qui, con tutte queste luci, e questa atmosfera così adolescenziale, mi sembra davvero di essere la protagonista di un telefilm americano. Peccato che non ci sarà nessun lieto fine tra me e Louis… avvampo. Ho appena nominato “Louis”? Taro, porca miseria, io sono innamorata di Taro! Mi accorgo che mi tremano le mani, così decido di uscire a prendere una boccata d’aria per schiarirmi le idee.
 
Fortunatamente, dopo una certa ora, i supervisori sono stati meno ligi al loro dovere, così ho potuto accedere ai cocktail alcolici del bancone. Ora sono decisamente più rilassata, mi sento più leggera.
«Questa festa è una figata!» mi urla Yves, per sovrastare la musica alta, mentre continua a muoversi a ritmo di danza.
«Lo è! – ammetto – Ho fatto bene a partecipare!»
«Te ne saresti pentita un sacco! Dai, lasciati andare, vieni a ballare!»
Sorrido e seguo il mio amico nella pista, cercando di seguire il ritmo della musica: Jacques ci raggiunge e mi porge un bicchiere.
«Tuo!»
Ignoro il contenuto, ma appena avvicino il naso sento un odore molto forte di alcool. Sorrido al mio amico, facendogli l’occhiolino, e bevo grandi sorsate di quel mix, sentendomi ancora più leggera, finché una mano non mi toglie il bicchiere dalla bocca.
«Ehi!» mi lamento.
«Andiamo a prendere una boccata d’aria, hai esagerato per stasera.»
«Louis, non essere scortese!» ma lui mi sta già trascinando fuori.
La serata non è per niente fredda, si sta molto bene (sarà l’alcool?) ma quando arriviamo a metà del cortile della scuola, strattono in modo da fargli lasciare la presa.
«Sakura… siediti. – mi indica una panchina – Siediti qui… per favore…» aggiunge poi, ammorbidendo il tono di voce. Lo fisso con astio, ma eseguo, mi siedo accanto a lui e incrocio le braccia, accavallando le gambe.
«Beh?» gli domando, come per spronarlo a parlare. Ma tanto so che non c’è nulla da dire.
«Lo so che ti aspetti una spiegazione al mio comportamento, o almeno delle scuse. – dice, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé – Io non so che dirti. O meglio… lo so cosa dovrei dire, ma non posso farlo. – si volta e mi fissa – Le ragioni sono tante: punto primo, tu hai Misaki nel cuore, e devi combattere per lui, hai capito? Non lasciare che vada tutto a puttane, tira fuori la grinta e conquistalo nuovamente, mi sono spiegato? – annuisco, anche se il suo discorso non mi torna – Punto secondo: io sono qui, in Francia, e tu stai in Giappone, dall’altra parte del mondo. Novemilasettecentotrentadue.»
Lo dice tutto d’un fiato e io faccio un attimo mente locale per visualizzare il numero che ha appena pronunciato.
«Sarebbero?»
«I chilometri che ci separano. Più o meno.»
«Louis, stai facendo dei discorsi strani, come se…»
«Come se fossi innamorato?» conclude la frase al posto mio, e mi fissa negli occhi.
«Non può essere…»
«E infatti non sono innamorato di te, piccola grenouille ingenua. – sospiro, ma stavolta è sollievo – Non sono innamorato di te, non ti corteggerò con rose e cioccolatini, non ci sperare. – adesso lo riconosco, e sorrido apertamente – Però… una cosa la devo ammettere. Non ho mai conosciuto nessuna come te. Nessuna. Sei una bella persona.»
Rimango in silenzio per un attimo, poi mi sporgo per fissarlo meglio in faccia.
«Hai bevuto, vero? Altrimenti questo momento di confessione non si spiega.»
Lui fa un mezzo sorriso.
«Sì, ho bevuto parecchio. Ma zia Flo mi ha fatto una testa così con il suo “chiudere i capitoli”.»
«L’ha detto anche a me.» annuisco.
«Il discorso, mia piccola grenouille, è che tu non dovevi affezionarti a me, e invece l’hai fatto.»
«Louis, te l’ho già detto: sono fatta così. Mi affeziono. Hai fatto tanto per me – mi alzo per sgranchirmi le gambe – e lo so che lo facevi solo per…»
Non faccio in tempo a finire la frase che me lo ritrovo a pochi centimetri da me, le sue mani sulle mie guance, gli occhi fissi nei miei.
«Non dirlo.»
«Co… cosa?»
«Che lo facevo solo per zia Flo.»
«Ma tu…»
«Per l’amor del cielo, Sakura, lo sai che non è così!»
E qui, mi spiazza del tutto: mi attira a sé e posa le sue labbra sulle mie, con forza quasi, serrando gli occhi completamente. Io rimango ferma come una babbea, le braccia stese lungo il corpo, senza poter far nulla. Perché lui, Louis Napoléon, mi sta baciando.
Sfruttando le mie labbra socchiuse, lo sento infilare la lingua per completare quel bacio e renderlo, come si suol dire, alla francese. Non so cosa mi stia succedendo, kami, devo fermarlo, non può farlo, non possiamo farlo. E invece sento il mio corpo che reagisce per conto suo, spinto da non so quale istinto: le mie mani vanno all’incavo dei suoi gomiti e vi si aggrappano, e io sto rispondendo a quel bacio. Io sto baciando Louis Napoléon.
Quanto è passato, un secondo, un minuto, un secolo, non lo so… si stacca da me, e dopo aver mormorato un “Merde” di dimensioni colossali, corre via e mi lascia da sola.
Non riesco a muovermi, non accenno neanche un passo: tutto quello che riesco a fare, mentre le mie gote vanno praticamente a fuoco, è di sfiorarmi le labbra con le dita, labbra che hanno appena baciato un ragazzo. Un ragazzo che non è Taro Misaki.


Ceci n'est pas la fin = questa non è la fine 



Un bel colpo di scena, è quello che ci vuole. I sentimenti di Louis per Sacchan sono DECISAMENTE contrastanti, e questo capitolo ne è la riprova. Non riesce ad esprimersi - come mi ha fatto notare una cara amica, è molto anaffettivo - e quando lo fa, compie questi gesti teatrali e sconvolgenti. E Sakura, la ragazza è confusa, ma la confusione ci sta. Come mi piace ripetere, ha comunque diciassette anni (benedetta ragazza!) e sta vivendo un momento di cambiamenti non indifferenti... 
Anyway, lascio a voi le considerazioni e... ci rivediamo per il capitolo finale. 
Stay tuned 
Sakura 

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Capitolo 17
*** Maggio ***


«Mamma! La divisa mi sta stretta!!»
Scendo le scale di corsa e raggiungo mia madre in cucina.
«Tesoro, è solo una tua impressione: ti assicuro che ti sta bene. Forse… – si avvicina con aria da cospiratrice – Forse sono queste il problema…» e mi posa una mano sul seno.
«Mamma!!! – esclamo, arrossendo e ritraendomi – Ma ti pare?»
Lei scoppia a ridere e torna in cucina a finire di preparare la colazione per Daichi.
«Non mangi nulla?» mi chiede, vedendo che afferro al volo una fetta di pane e la mordo senza aggiungere altro.
«Kumi mi sta aspettando, sono in ritardo…» biascico.
«Se tu ieri sera fossi andata a letto prima…» mi rimprovera, ma io non la lascio terminare perché mi fiondo fuori casa.
So benissimo di essere andata a letto tardi, ma ero al telefono con Madi: le avevo promesso che ci saremmo sentite, al mio rientro, così l’ho chiamata per assicurarle che era tutto a posto. Beh, più o meno…
Sospiro mentre mi dirigo nel luogo di ritrovo fissato con la Sugimoto: camminare per le vie di Nankatsu, dopo aver percorso per mesi quelle parigine, è una sensazione stranissima. Siamo oltre la metà di maggio, quindi la fioritura dei ciliegi è ormai al termine: mi guardo intorno cercando di immaginare che spettacolo deve essere stato.  
Mio fratello è tornato in Giappone, non ci siamo visti ma mi ha telefonato appena ho messo piede in casa. È impegnato con il girone di qualificazione del World Youth, mentre Taro… Taro no.
«Sakura-chan!!»
L’urlo di Kumi mi esplode nelle orecchie, mentre lei mi salta addosso e mi abbraccia, col suo solito affetto. Ricambio la stretta mentre sorrido, divertita.
«Kyah, sei splendida! L’aria di Francia ti ha fatto proprio bene! – mi prende sotto braccio e ci incamminiamo verso la scuola – Adesso pretendo racconti dettagliati di qualunque cosa! Voglio sapere tutto!!»
«Beh… sai… molte cose te le ho già raccontate nelle lettere…» rispondo, mentre penso all’esclusione di Misaki dalla Nazionale U-19.
«Ah, andiamo! Voglio sentire la versione a voce! Non hai neanche un piccolo segreto?»
Le sue parole mi riportano alla realtà: mi blocco improvvisamente e la osservo, mentre nella mia mente passano veloci le immagini del mio arrivo a casa Deville, il primo giorno di scuola, le angherie delle compagne, gli abbracci di Jacques e Yves, la visita alla Tour Eiffel e infine… infine quel bacio di Louis.
«Non ho nessuno scoop da raccontarti… – mento, rimettendomi in cammino e scacciando momentaneamente i ricordi – Tu, piuttosto: hai niente da dirmi?»
«Sono in classe con Nitta-kun! Poveretto, anche lui è stato escluso dall’U-19 insieme a… – si interrompe, poi scuote la testa e continua – Quindi si sta allenando duramente per rientrare in squadra! Ce la faranno, vedrai!» conclude, convinta.
Annuisco, mentre varchiamo la soglia del cancello della Nankatsu High: mi batte forte il cuore, ma è una bella sensazione, mi sento a casa. Costeggiamo il campo da calcio, dove alcuni ragazzi si stanno allenando.
«Non vogliono rimanere indietro, quest’anno vogliono vincere il campionato.» mi dice Kumi, come per rispondere alla mia tacita domanda.
«Giusto…» mormoro, persa in chissà quale pensiero.
«Sakura… – si avvicina e mi posa una mano sulla spalla – Mi spiace che tu non abbia avuto la possibilità di vederlo… credo che parlare vi avrebbe fatto bene.»
Sospiro: ha ragione. Misaki è partito prima del mio rientro, proprio a causa dell’esclusione dalla nazionale. Quello che Kumi non sa, è che mi ha lasciato una lettera, prima di andarsene.
«Andiamo, ti accompagno in segreteria per cercare la tua classe!» mi dice, per spronarmi ad allontanarmi da lì.
 
“Ci siamo persi, Sakura…”
 
Le parole di Taro mi vorticano in mente, mentre percorro quei corridoi tanto familiari. Persi… persi… persi…
Ero tornata a casa decisa a parlare con lui, per risolvere i nostri problemi e cercare di recuperare quel rapporto che si era interrotto a causa della mia partenza, e adesso non so più che fare, mi sento svuotata, come se non avessi più un obiettivo. Per questo ieri sera sono stata tanto al telefono con Madi: ho pianto tutte le lacrime che avevo, mentre lei, Jacques e Yves hanno cercato di consolarmi come potevano.
Ma non c’è nessuno che mi può consolare.
 
“È giusto che entrambi ci dedichiamo alle nostre priorità, in questo momento, che sono il World Youth per me, e l’ultimo anno di scuola per te.”
 
Come se, in qualche modo, fosse possibile pensare alla scuola, adesso, con la consapevolezza che tu non sei qui con me, che non posso vederti, parlarti, chiarire quei dubbi che ci hanno allontanato…
 
“Solo allora, dopo aver concluso questo ciclo, potremo guardarci di nuovo negli occhi e capire cosa dobbiamo, possiamo, vogliamo farne di noi.”
 
La segretaria mi fa accomodare nell’ufficio del Preside, e io attendo, seduta composta, il suo arrivo. Guardarti negli occhi… darei qualunque cosa per poterlo fare adesso, Taro-chan. Sento un nodo che mi si forma in gola ma cerco di non darci troppo peso, o scoppierei a piangere qui.
 
“Sei forse il regalo più bello che la vita mi ha voluto donare, la persona che meglio mi comprende, mi sai stare vicino e nei tuoi silenzi posso sentire tante cose, ma questo era prima. Ora non so più niente. Non so chi sono, non so chi sei. E non vorrei perderti, perché il mio cuore mi dice che sarebbe la cosa più sbagliata, ma DEVO compiere questo percorso.”
 
Devi… già. Perché tu sei come Tsubasa, Genzo, Hyuga-kun e tutti gli altri. Voi avete il calcio che vi scorre nelle vene, è la vostra linfa vitale, non potete farne a meno. Avete dedicato gli anni migliori a questo sport, e adesso che potete mettervi in gioco per portare a casa un obiettivo concreto, lo state facendo. A qualunque costo. Anche a costo di perdere una persona che amate…
 
“So che mi capisci… hai fatto la stessa cosa quando hai scelto di andare a Parigi… mi dispiace di averti trattato con freddezza, ma… in un certo senso, mi sono sentito escluso. So che non l’hai fatto con cattiveria, avevi bisogno dei tuoi spazi e di crearti finalmente il tuo posto nel mondo. Hai un cuore grande, Sacchan, e la tua bellezza interiore è in grado di illuminare il cammino di chiunque ti circondi. Anche il mio. Tornerò più forte di prima, vinceremo il World Youth e finalmente io e te potremo riabbracciarci come solo noi sappiamo fare. All’ombra dei ciliegi che tanto amiamo entrambi…”
 
Mi sarebbe piaciuto vivere un'adolescenza normale, come tutte le altre mie coetanee, e invece ho scelto di complicarmi la vita. Credevo che quel bacio di Louis avesse rimesso in discussione tutti i miei sentimenti, e invece mi sono riscoperta ancora più innamorata di Misaki, come se ricevere le attenzioni di qualcuno mi abbia tolto la benda dagli occhi, e fatto capire quanto io sia stata stupida e ingenua. In un certo senso, sono riconoscente a Napoléon, nonostante l’imbarazzo col quale ci siamo salutati prima del mio rientro in Giappone: non abbiamo chiarito quali siano state le dinamiche che ci hanno portato a quel bacio, eppure… eppure forse era così che doveva andare. Mi serviva decisamente uno scossone per recuperare la lucidità.
Continuo a lisciarmi le pieghe della gonna, e sorrido ripensando al mio percorso: mi piace pensare di aver iniziato a ritagliarmi il mio posto nel mondo, proprio come ha scritto Taro, e adesso posso affrontare le mie paure e le mie insicurezze a testa alta. Lo aspetterò, e insieme ripartiremo, ricominceremo la nostra storia, consapevoli degli errori del passato, in modo che ci aiutino ad andare avanti. Sì, sono una nuova Sakura, e lo dimostrerò.



Amiche mie, siamo giunte alla fine di questo percorso. 
Mentre vi saluto, e saluto la mia piccola Sacchan, sono commossa come qualunque mamma che vede la sua piccola creatura crescere e - parafrasando le sue stesse parole - ritagliarsi il suo posto nel mondo. 
Chi ha letto Cherry Blossom, sa già che tipo di persona è diventata Sacchan; è una ragazza buona, nel vero senso della parola, ma che ha i suoi pregi e difetti, come tutte noi del resto. 
L'amore, soprattutto quello adolescenziale, è uno dei più difficili da gestire: vuoi perché si è in preda agli ormoni, vuoi perché è costellato da tante prime volte che lasciano col fiato sospeso. 
Sakura e Taro fanno parte del mio universo, un universo che - come alcune di voi sanno - è nato secoli fa, dalla mente di una bimbetta appassionata di Holly e Benji. Sono molto affezionata a loro, li sento un po' come una mia creatura, nonostante di mio ci sia solo Sakura e i suoi sentimenti. 
Ovviamente, i personaggi quali Taro Misaki, Louis Napoléon, Pierre Elle Sid, Kumi Sugimoto, Tsubasa Ozora, Natsuko Ozora, Daichi Ozora sono (c) di Takahashi, che ne detiene tutti i diritti. 
Mi pregio di aver creato Sakura Ozora, Jean e Florence Deville, Yves Leroux, Jacques Chevalier, le varie compagne di classe, Monsieur Girard, e quanti altri personaggi non appartenenti al mondo originale di CT appaiono qui. 
La storia di Sakura non finisce qui: c'è molto altro da dire, su di lei. Arriverà il momento giusto, come per tutte le cose. 
E ora, è arrivato il momento dei saluti. 
Vorrei dire grazie dal profondo del cuore a tutti voi, che avete letto la mia storia. Grazie per avermi dedicato il vostro tempo, per me è stato un onore. 
Grazie a chi ha lasciato una recensione: OnlyHope, sissi149 (che ringrazio per avermi accompagnata per tutto il percorso, è stato un piacere dialogare con voi!), Melanto, Ai_1978, Kara e Trelena74 per avermi fatto sentire il vostro affetto. 
Grazie tutte coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite, le seguite, le ricordate: è un piccolo gesto che per me vale oro
E infine, grazie a Betta, perché quando ho dubbi amletici, esistenziali, o anche solo mi faccio prendere dallo sconforto, lei c'è, e sa cosa dire. Sempre. 
Vi saluto e spero di incrociarvi nuovamente lungo il cammino: la mia pentola delle fanfiction bolle, stay tuned! 
Bacioni 
Sakura chan 

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