Non riesco a sentirti (ma non sai quanto vorrei.)

di AGirlInTheDark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi fido ***
Capitolo 2: *** Forse ***



Capitolo 1
*** Mi fido ***


"Se mai avessi bisogno, rivolgiti a lui."

 

 

 

Jimin non riusciva a chiudere occhio. 

Giorni infiniti ad aspettare, attendere l'arrivo di qualsiasi sorta d'ispirazione.

 

La musica è proprio crudele ma mai si sarebbe sognato di smettere.

Smettere di trasformare le sue emozioni in parole.

Di creare piccole opere d'arte sotto forma di suoni e strumenti.

 

Ma questo è un periodo particolare per lui.

Mesi in cui non riesce a scrivere nulla.

Nemmeno una stupida parola o una frase scontata.

Niente.

 

Mesi in cui vorrebbe parlare di ciò che lo turba, sfogare le sue preoccupazioni; ma nessuna parola sembra essere adatta.

 

Settimane in cui si rigira in continuazione nel suo letto e cerca di pensare.

Capire quale sia la ragione di questo suo insormontabile blocco.

 

Giorni in cui pensa a lui.

All'uomo da cui tutti gli consigliano di andare.

Dal fantomatico scrittore e produttore a cui tutti i suoi colleghi sono grati (perché, grazie al suo aiuto, sono stati in grado di riprendersi, scrivere qualcosa che li riportasse sulla retta via.)

 

Ed è tentato.

Vorrebbe digitare il suo numero e chiamarlo.

Chiedergli se gli possa dare una mano.

Ma Jimin  è testardo e, se deve uscire da questa situazione, lo vuole fare senza alcun tipo di aiuto.

 

I giorni passano, le parole non riescono a prendere vita e, la chiamata che aveva tanta paura di fare, sembra essere l'unica strada.

 

Con rabbia e frustrazione, compone il numero.

E sente il rumore di un telefono a cui nessuno sembra voler rispondere.

Squilla per una decina di volte per poi passare alla segreteria.

 

Forse è un segno.

Ce la può fare da solo ed il destino gli ha dato un’altra opportunità.

Con un po’ d’insicurezza nel cuore,Jimin si avvicina al suo computer e ci riprova.

Mette insieme suoni, pensa a delle parole.

Forse c’è ancora speranza per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Caffè.

Sigarette.

Vodka.

Si chiede come faccia a mantenere la concentrazione con così tante distrazioni.

Come riesca a fumare mentre compone, o a bere mentre scrive, senza mai perdersi.

Senza mai lasciarsi andare, dimenticarsi del proprio lavoro ed abbandonare il proprio corpo ai vizi che sembravano far parte di lui.

 

 

Perché mentre Jimin varca la porta del suo studio, si chiede come sia arrivato a questo punto.

A chiedere aiuto ad un uomo del genere.

A mettersi in ginocchio e pregarlo per un po’ d’aiuto, per qualche ora del suo tempo.

 

La telefonata (avvenuta qualche giorno prima) era già stata abbastanza umiliante.

Ritrovarsi nel regno di quel ragazzo, così sgarbato ed estremamente difficile, lo era ancora di più.

Voleva non voler aiuto.

Ma ne aveva bisogno, e da svariato tempo.

 

 

 

“Non ho spazio in questo periodo.

Arrivederci.”

 

 

 

Era stato rude, senza delicatezza.

Lo aveva odiato.

Gli ci erano voluti tanti discorsi mentali prima di comporre nuovamente quel fatidico numero.

Tanta insicurezza e rabbia gli scorreva nelle vene e, la risposta maleducata ed il tono arrogante, lo avevano solamente irritato di più.

Si sentiva perso ed essere trattato in quel modo, nelle sue condizioni, lo aveva fatto impazzire.

 

 

“Non hai spazio?

Credi che me ne importi qualcosa?

Io ho bisogno del tuo aiuto e non smetterò di chiamare fino a che non mi darai un appuntamento.”

 

 

A Yoongi, produttore e compositore miliardario, la minaccia di Jimin non aveva fatto né caldo né freddo.

Terminò la chiamata ed ignorò la suoneria del suo telefono per tutto il giorno.

Aveva altro lavoro da fare ed era stanco.

 

Stanco di dover scrivere canzoni e basi per persone che non erano abbastanza brave per farlo da sole.

Stanco di essere visto come uno psicanalista da cui gli artisti vanno quando non riescono a risolvere i propri problemi (non riesce nemmeno a comprendere i suoi.)

Stanco del lavoro dei suoi sogni, della scelta che aveva preso.

Stanco di questo genere di vita.

 

E si chiedeva, giorno e notte, come fosse possibile.

Aveva sempre sognato questa vita, credeva che sarebbe stato felice e soddisfatto una volta arrivato a questi livelli.

Ma di notte non dorme e di giorno lavora.

Si chiede se vi sia una ragione, se troverà mai la serenità.

 

E davanti allo schermo del suo computer, pensa.

Perché sotto al cielo del suo sogno, desidera essere ovunque tranne che lì.

Pensa a quanto gli umani siano vergognosi, mai soddisfatti, e smette di lavorare.

Appoggia la schiena alla sedia e si toglie le cuffie.

Per oggi basta così.

 

 

 

 

Il cellulare squilla da due giorni consecutivi. All’una di notte smetteva per poi riprendere alle sette.

Un incubo, e Yoongi non aveva pazienza.

Mai avuta, se è per questo.

 

 

 

 

“Quale parte del “non ho spazio” non hai capito?”

 

 

 

E si aspetta di sentire insulti, urla, ulteriori minacce (erano cose che accadevano spesso, nulla di nuovo) ma qualcosa non va.

E quello che riceve non è in assoluto prevedibile, almeno non per lui.

 

 

 

“Ti prego.

Ti prego, non ce la faccio più.

Non scrivo da mesi, non trovo le parole adatte.

Sei la mia unica possibilità.”

 

 

 

Jimin non stava pensando lucidamente.

Aveva chiamato, un po’ brillo e con le lacrime agli occhi.

Piangeva e la sua voce era strozzata, senza grazia.

Si vergognava di essere così vulnerabile, così patetico, ed il giorno successivo se ne sarebbe sicuramente pentito ma, per ora, non aveva più una dignità da salvare.

Non gli importava.

 

Pronto a pregarlo e rendersi ancora più ridicolo, si aspetta una sola risposta. 

No.

 

 

 

Ma, a quanto pare, era una giornata piena di sorprese per tutti perché, la risposta dall’altra parte della linea, non gli sembrava potesse essere reale.

Un sospiro e un:

 

 

“Passa domani, alle due.

Puntuale.”

 

 

Poche parole, un orario indecente ed un’opportunità che non sperava di ricevere.

Era perfetto.

Jimin credeva di aver risolto tutti i suoi problemi e quel pomeriggio riuscì a dormire.

Fino a mezzanotte i suoi occhi rimasero chiusi e, al suono della sveglia che si era impostato, cominciò a prepararsi.

 

Non mancava molto alle due ed era certo che, di lì a poco, avrebbe ritrovato la pace.

La vergogna per la telefonata ed il pianto non lo avevano ancora toccato.

Non ci avrebbero messo molto, però.

 

 

 

 

 

Quando ti stai dirigendo verso uno studio professionale di un famoso produttore, ti fai tante aspettative e Jimin è come tutti.

Immaginava attrezzature e computer di ultima generazione, strumenti e delle belle poltrone.

Una vista sulla città e delle luci delicate.

 

In effetti non era poi così lontano dall’immagine reale, l’unica differenza stava nei soprammobili.

Professionale, ma tutto condito da bottiglie di alcol vuote disposte sul tavolo, da fogli di ogni genere sparsi sulla scrivania e pacchetti di sigarette su quasi ogni superficie.

Non sapeva perché, ma non era del tutto sorpreso. La voce ed il tono di quel Yoongi gli avevano dato quest’impressione.

Di un uomo stanco e con seri problemi di carattere, gran appassionato di whisky e di sigarette forti.

 

 

Entrato nella stanza non aveva ricevuto né una stretta di mano né un saluto.

Solo uno sguardo ed un cenno che lo invitava ad accomodarsi sul divano davanti al tavolino.

Arrivato a questo punto non poteva più tirarsi indietro.

Avrebbe affrontato Yoongi ed il suo pessimo carattere se questo significava ritrovare la sua musica.

Tutto pur di ritornare a scrivere.

 

 

Il produttore gli dava le spalle, seduto davanti al suo computer e con le cuffie spostate attorno al collo.

 

Braccia, mani e schiena completamente ricoperte di tatuaggi.

Tutti in bianco e nero e, nell’attendere istruzioni, Jimin cercava di identificarne le forme, capire che cosa rappresentassero. 

Ma ha poco tempo per farlo perché Yoongi si gira con una faccia che non lascia trasparire alcuna emozione e lo fissa.

Non fa domande e non chiede informazioni.

Il silenzio è pesante e Jimin decide di spezzarlo. Lo ringrazia per il suo tempo.

Si scusa per aver pianto in quel modo, e forse, arrossisce nel mentre.

 

 

 

 

“Perché sei qui?”

 

 

 

 

Esitazione.

Non sapeva come dirlo.

 

 

 

 

“Perché non la sento più.”

 

 

 

 

E Yoongi capisce. Sa esattamente cosa voglia dire.

 

Non sente più la musica.

 

Una tragedia per un musicista, un inferno in cui credi di dover vivere per sempre.

 

Una situazione che solo il tempo può superare.

 

Ma una domanda gli sorge spontanea, la solita che porge a chiunque si presenti alle sue porte.

 

 

 

 

“Perché hai scelto me?”

 

 

 

 

Ci sono infiniti numeri di persone che svolgono il suo stesso lavoro.

Ragazzi giovani pieni di talento e ispirazione.

 

Perché da uno come lui?

 

La risposta era sempre la stessa.

“Sei famoso per questo” oppure “Un mio collega mi ha consigliato di chiederti aiuto.”

 

Nessuna delle due lo aveva mai soddisfatto.

Voleva che qualcuno lo scegliesse senza un motivo. Perché crede nelle sue capacità.

 

 

 

“Ti ho scelto perché mi fido.

Perché, nonostante ci siano persone che la pensano diversamente, io credo tu abbia ancora molto da dare al mondo.”

 

 

 

Negli ultimi mesi la carriera di Yoongi non era stata del tutto brillante.

Aveva rifiutato molti lavori o deciso di concluderli prima del tempo.

La gente si era convita lui avesse perso il suo tocco.

Si fosse stancato della musica, del suo lavoro.

 

 

 

“Credo tu abbia ancora molto da dare.”

 

Con quella frase aveva ottenuto abbastanza informazioni sul suo nuovo cliente.

Avrebbe provato ad aiutarlo.

A fargli sentire di nuovo la musica.

 

Forse ci sarebbe riuscito, forse no.

 

Ma Park Jimin si fidava di lui, e quando tutti dubitano di te, ti basta solo una persona.

 

Se credeva in lui, si sarebbe impegnato per non deluderlo.

 

 

 

Ma c’era qualcosa che non aveva detto, un informazione che sarebbe stato meglio non omettere.

 

Avrebbe cercato di aiutarlo ma non sapeva se vi sarebbe riuscito.

 

 

 

 

 

D’altronde è da mesi che, neppure lui, riesce a sentire la musica.

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Capitolo 2
*** Forse ***


Il primo giorno era stato particolarmente imbarazzante.

Yoongi non è una persona abituata a conversare con gli altri e, ritrovarsi dopo tanto tempo, faccia a faccia con qualcuno, lo rendeva nervoso ed irritabile.

 

Aveva rifiutato le preghiere di Jimin con un 

“Non ho spazio”; la bugia più grande che avesse mai detto.

Perché di spazio ne aveva e fin troppo.

Dire che non aveva voglia sarebbe stato peggio.

Dire che non ci riesce più, lo avrebbe distrutto.

 

 

Perché Yoongi non l’ha detto a nessuno.

Il suo segreto non è mai uscito dalle quattro mura dello studio in cui lavoro da quasi quattro anni.

 

Lo studio che era solito essere un luogo di serenità, d’ispirazione, di pace è ora diventato un abisso.

Un posto buio, in cui vi è solo alcol e autocommiserazione.

 

 

 

 

Una stupida notte e l’incontro con una persona qualunque: tutto era iniziato così, senza un avviso, senza che lui potesse scegliere.

Perché quella notte la vita di Yoongi cambiò per sempre.

 

 

Incontri una persona in un bar e ti innamori.

Così, semplicemente così.

Tutti tendono a complicare l’amore, a farlo sembrare molto più bello, complesso e forte di quanto lo sia nella realtà.

L’amore è sopravvalutato, o almeno era questo il suo pensiero.

 

E poi si ritrova a sorridere come un idiota.

A credere di aver trovato la persona giusta. 

A sentirsi meno vuoto, un po’ più completo.

E ama, e crede e sogna.

Ma, soprattutto, scrive.

Scrive innumerevoli canzoni, la sua ispirazione alle stelle e, forse, ha trovato il suo posto nel mondo.

 

Forse ha trovato un senso.

Forse non ha più paura di vivere.

Forse il suo sogno non è più quello di diventare famoso o ricco.

Forse è diventato quello di amare. Amare fino a credere che vi sia una speranza in questo mondo.

Amare fino a sperare in una seconda vita per ritrovare la persona che hai amato in questa.

 

 

 

E, quando Yoongi si ritrova sul pavimento di un bagno a chiedersi perché, ad urlare il nome della persona che lo ha lasciato per sempre,dopo avergli fatto assaggiare un pezzo d’eternità, smette di sentire ogni cosa.

 

Il rumore delle lacrime che toccano le piastrelle.

Il gusto del whisky sulla punta della lingua.

Il profumo di persone sconosciute sulla pelle, persone con cui aveva rovinato l’intera visione dell’amore, persone con cui aveva cercato di dimenticare, senza mai riuscirci.

 

 

I colori ed i suoni che, da quando era bambino, popolavano la sua mente.

Neppure loro erano rimasti.

Non c’era più niente.

E, da quel giorno, Yoongi non trova più le parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per capire quali siano i problemi di una persona bisogna, innanzitutto, cercare di conoscerla.

E, per sua sfortuna, Yoongi ha davanti uno sconosciuto con i capelli arancioni.

Per aiutarlo deve comprenderlo.

Dio solo sa quanto questa sia la parte che odia di più.

 

 

 

 

“Allora, da quanto tempo?”

 

 

 

 

Jimin viene preso alla sprovvista.

Erano rimasti in silenzio per almeno mezz’ora e, la voce del produttore, lo aveva sorpreso.

 

 

 

 

“Quattro mesi e quindici giorni.”

 

 

 

Jimin si sentiva in imbarazzo ad aver contato persino i giorni ma, quando un artista perde la sua ispirazione, diventa maniacale, preciso.

Se potesse conterebbe anche le ore.

 

 

Yoongi lo osserva.

I loro occhi non si sono mai incontrati e Jimin sembra essere a disagio in sua presenza.

Se vuole aiutarlo deve guadagnarsi un po’ di fiducia o, quantomeno, essere meno stronzo.

 

 

Ha bisogno di consolazione, di complimenti e, soprattutto, di un amico.

Lo vede dalla stanchezza nei suoi occhi e dalla sua posizione non eretta, dal peso che sembra portare su quella schiena delicata.

Perché mai come in questo momento, Jimin si sente piccolo e ripugnante.

 

 

Deve aver perso parecchio peso, trascorso infinite notti davanti ad un computer per trovare una parola qualsiasi, un suono qualunque.

Pena non è la parola che cerca.

Yoongi prova invidia.

 

Qualcuno che ancora cerca una soluzione.

Una persona che non si è ancora arresa, che non ha lasciato che la perdita della sua più grande fortuna la scoraggiasse.

Un uomo che continua a lottare, a cercare di superare il lutto.

La morte della sua musica, dei suoni che la sua testa era solita creare.

 

 

E Yoongi si sente un fallito. 

Aveva elaborato il lutto della sua musica tanto tempo fa.

Aveva lasciato che se ne andasse insieme alla sua vita, alla sua unica possibilità di vivere e morire innamorato.

L’aveva lasciata andare e, mai come ora, se ne pente.

Mentre guarda quel ragazzo stanco, mentirebbe se dicesse che non lo trova bellissimo.

 

Ha ancora speranza.

Può ancora farcela.

 

Forse per Yoongi non c’è più tempo.

Forse è questa la sua occasione per dire la verità, confessare ciò che non è mai riuscito a dire.

Forse è arrivato il momento di abbandonare definitivamente il suo sogno.

 

Jimin non si merita questo.

Merita qualcuno con delle capacità, che abbia ancora qualcosa da dire perché, da anni, lui non ce l’ha più.

 

 

Prende il respiro.

Cerca di mettere insieme delle parole di senso compiuto ed è pronto a dire la verità.

 

 

 

 

 

“Senti Jimin, io non credo di poterti aiutare.”

 

 

 

 

 

E, per la prima volta, il ragazzo alza lo sguardo e lo guarda negli occhi.

Fissa le sue iridi e sembra voglia piangere.

 

Forse, dentro di se, lo sta già facendo.

 

 

I suoi occhi sono increduli, spalancati.

Abbassa lo sguardo, si alza dal divano e, istintivamente, si inginocchia sul pavimento.

Le mani gli coprono il viso, il respiro è soffocato.

E Yoongi.

Yoongi vorrebbe distogliere lo sguardo, vorrebbe tacere e lasciare che l’uomo davanti a sé sfoghi la sua frustrazione.

E invece parla. Prende il coltello che ha già conficcato nel cuore di Jimin e scava.

 

Non vuole vederlo sanguinare.

Vuole che sopravviva, che la ferita che gli ha appena inferto guarisca presto.

Lui era la sua ultima possibilità, o almeno questo gli aveva detto al telefono.

Pensava a quanto Jimin debba essere sfortunato, a credere che lui fosse realmente una soluzione.

 

Ma con quelle parole lo aveva ucciso.

E, nel silenzio di quella stanza, ne aggiunge delle altre che possono solo aggravare la situazione.

 

 

 

 

“Jimin.

Ti prego alzati.”

 

 

 

Mano sulla spalla.

Stava tremando, forse piangendo.

I capelli gli coprivano il viso, gli occhi impossibili da vedere.

 

 

(Non farmi questo.

Alzati.)

 

 

 

 

“Jimin... 

Io non posso aiutarti. 

Se ne avessi anche solo un minimo di probabilità, credimi, lo farei.

Ma non posso.”

 

 

 

Jimin non rispondeva.

Era fermo, in ginocchio, davanti a Yoongi, anche lui nella stessa posizione.

Forse per stargli più vicino.

Forse per fingere di preoccuparsi.

 

 

Quanta pena deve avergli fatto.

Quanto ribrezzo deve aver provato nei suoi confronti, vedendolo in quello stato.

Sentendolo tremare.

 

 

Poteva tranquillamente andare a piangere da un’altra parte.

Riflettere sulla sua depressione altrove.

 

Questa doveva proprio risparmiarsela; andare a pregare, piangere e tremare davanti a quell’uomo.

L’errore più grande della sua vita.

 

 

Non sapeva cosa dire.

Nel giro di qualche minuto si sarebbe alzato, avrebbe spostato lo sguardo, guardato Yoongi negli occhi e sorriso.

Lo avrebbe ringraziato e se ne sarebbe andato.

Lontano da quello studio, lontano da quel paese.

Avrebbe cambiato vita, cercato la sua musica fino alla fine dei suoi giorni.

In qualsiasi luogo del mondo.

 

 

Da solo.

Com’era ed è sempre stato.

 

 

 

Ma qualche parola poteva anche dirgliela.

 

 

 

 

“Sai, credevo di potercela fare.”

 

 

Yoongi non distoglie gli occhi dal suo viso.

Così stanco.

Così vuoto.

 

 

 

“Credevo di poter venire qui, parlare con te e ritrovarla.

Ritrovarmi.

Tornare ad essere quello che ero.

Credevo tu fossi in grado di salvarmi.”

 

 

 

Jimin alza la testa.

Sorride mentre le lacrime gli scorrono sul viso.

 

 

 

“Ma diciamocelo, tu non riesci nemmeno a salvare te stesso. 

Come ho potuto pensare, anche solo per un secondo, che mi avresti ridato la pace?

Sono così stupido, Cristo.”

 

 

E mentre parlava, con le sue mani, indicava l’alcol, le sigarette, la disperazione presente in quella stanza.

 

 

Si alza, prende le sue cose.

Gli sorride per un’ultima volta.

 

 

 

Yoongi guarda mentre, aprendo la porta, Jimin lo lascia da solo.

 

 

E dopo anni, piange.

Piange per tutte le persone che ha perso, per tutti i sogni che non potrà mai realizzare, per tutte le volte in cui non ci è riuscito.

Piange perché ha ragione, e non c’è una soluzione al suo problema.

 

 

 

Quella notte Jimin non dorme e Yoongi neppure.

Quella notte Jimin pensa a quanto sarebbe più facile smettere.

Abbandonare il suo lavoro e trovarne un altro.

 

 

Yoongi pensa la stessa cosa.

E prega. Prega nonostante non creda in nulla e spera che ritorni.

La musica, la passione.

 

 

Jimin.

 

Spera con tutto il cuore che torni anche lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E anche Jimin prega.

Prega per se stesso, per potersi ritrovare.

Perché la musica ritorni.

La passione e la felicità.

 

 

 

E anche Yoongi.

 

 

Spera con tutto il cuore che, anche lui, si possa salvare.

Un giorno.

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