Distanze

di WhiteLight Girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vorrei ***
Capitolo 2: *** Il lato sbagliato della luna ***
Capitolo 3: *** Il profumo del cioccolato ***
Capitolo 4: *** Tra la tempesta e il sole ***



Capitolo 1
*** Vorrei ***


“Vorrei”


Adrien alzò lo sguardo sulle luci del parco e le seguì fino al grande castello; forse c’era solo una cosa al mondo che potesse incantarlo più di quello.
«Un giorno, quando riuscirò a convincerla a rivelarmi la sua vera identità, porterò Ladybug al parco dei divertimenti.» disse sottovoce a Plagg, approfittando dei metri che lo separavano da Nino, Marinette ed Alya. Distrarsi a guardare il parco l’aveva portato a rallentare; non voleva perdersi neanche un secondo di quella vista, ma accelerò per non perdere di vista gli amici.
La voce di Plagg lo raggiunse, affievolita dal chiacchiericcio della gente attorno. «Forse dovresti smettere di pensare a cosa succederebbe se ed iniziare a pensare a quello che hai davanti in questo momento.»
Con una scrollata di spalle ed un sorriso, Adrien rispinse il Kwami nel taschino e raggiunse Nino.
«Amico! Se non presti attenzione finirai per perderti.» gli disse lui, dandogli una pacca sulla spalla.
Ma Adrien quasi non riusciva a trattenere l’euforia; era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che era stato in un parco di divertimenti che aveva dimenticato come fosse.
Se solo ci fosse stata anche Ladybug, pensò, allora sarebbe stato davvero perfetto.
Alya stava parlando con il venditore di zucchero filato, ma Marinette era concentrata su di lui e non poté non sorriderle.
«Allora...» disse la ragazza con una pausa ed un sospiro, facendo un cenno verso la bancarella. «Ne vuoi?»
Adrien inspirò a fondo, l’aroma dolciastro aveva pervaso le sue narici già da alcuni minuti, ma non se ne era ancora assuefatto abbastanza da poterlo ignorare. Gli arrivava dritto al cervello e gli stuzzicò la gola, portandolo a leccarsi le labbra al solo pensiero.
«Sì! Certo!» disse, senza alcuna esitazione.
Marinette aveva già tra le mani il suo, di un rosa sgargiante che trovava assurdamente perfetto per lei, mentre Nino gli porse uno di quelli azzurri. Adrien lo accettò di buon grado, portandoselo alle labbra e dando una leccata ruvida che lo stranì, con lo zuccherò che gli si impigliò alla lingua quasi rifiutandosi di staccarsi.
«Wow.» disse. «Mio padre non sarebbe affatto felice di questo.»
«Quel che il signor Agreste non saprà, indispettirlo non potrà.» commentò Alya, scatenando un attacco di risate in Nino.
«Bella questa.» disse il ragazzo.
Adrien non poteva darle torto, era già stata un’impresa convincerlo a lasciarlo libero per una sera, non voleva precludersi la possibilità di avere altri permessi speciali in futuro. Assaporò il suo zucchero a velo lentamente, domandandosi quanto sarebbe stato più dolce se condiviso con una persona speciale.
«Ehi.» esclamò all’improvviso. «Colori diversi sono sapori diversi?»
Marinette scosse il capo prima degli altri. «Cambia solo il colore, ma puoi assaggiare il mio se vuoi la conferma.»
Le sue guance si colorarono di rosso a quella proposta, un lieve squittio incerto sfuggì alla sua gola. Adrien le sorrise.
«Grazie, era solo una curiosità.» le disse. Strappò via un altro piccolo batuffolo e lo portò alle labbra, lasciando che si sciogliesse contro la lingua per gustarlo al meglio.
Marinette annuì, voltandosi ed armeggiando con la borsetta per recuperare chissà cosa, ma Adrien già non la guardava più.
Il ragazzo era tornato ad osservarsi attorno, le luci e le persone lo abbagliavano, gli odori lo stordivano avvolgendolo in una sorta di torpore mistico. Amava quel caos allegro in cui poteva sentirsi contemporaneamente perso ed al sicuro, con i suoi amici al suo fianco. Ripensò a Ladybug, a dove potesse essere in quel momento ed a cosa potesse star facendo, quasi non si accorse di essere troppo vicino a Marinette e la urtò, facendola sussultare ancora, una reazione che le provocava fin troppo spesso.
«Scusa.» le disse.
Si chiese se a Ladybug il parco sarebbe piaciuto, se anche lei avrebbe assaporato lo zucchero filato rosa in mezzo alla gente o se l’avrebbe trovato troppo femminile prediligendo un altro colore, come il rosso che tanto le donava. Adrien non sapeva neanche se lo zucchero filato rosso esistesse davvero, se lei avrebbe preferito una cioccolata calda, un pacco di patatine o un hamburger, ma sapeva che se lei glielo avesse permesso le avrebbe offerto qualunque cosa, in qualunque momento e a qualunque prezzo.
«A chi tocca scegliere la prossima giostra?» domandò Alya.
Questo lo riscosse dai suoi pensieri, aveva provato molti dei giochi ma ne avrebbe voluti provare ancora di più, magari tutti, prima che fosse troppo tardi e si facesse ora di tornare a casa. Sarebbero potuti passare anni prima della successiva uscita con gli amici.
Magari, si disse, la prossima volta avrebbe potuto essere con Ladybug e allora le avrebbe lasciato l’onore di decidere quale parte del parco visitare per prima.
«La ruota panoramica.» disse Marinette.
Tutti sollevarono lo sguardo; la giostra era imponente, non distante da dove si trovavano in quel momento. Adrien guardò l’orologio, avrebbero potuto mettersi in coda ma rischiare di perdere la sfilata, sapeva che se avesse chiesto a Marinette questo favore lei non glielo avrebbe negato.
«Possiamo prima vedere la sfilata?» le domandò. «Prometto che dopo salirò sulla ruota con te tutte le volte che vorrai.»
Marinette strabuzzò gli occhi. «O-Ok... Per me va bene.»
Il ragazzo sorrise soddisfatto, Plagg si agitava nel suo taschino ma lui non ci fece caso, afferrò Marinette per un polso e fece cenno ad Alya e Nino di seguirlo. Li guidò in mezzo alla gente, facendo lo slalom tra le coppiette e le famiglie in visita al parco. Già sentiva la musica in lontananza, le colonne sonore della sua infanzia, le canzoni che lo avevano accompagnato nei suoi giorni solitari, si susseguivano mentre si facevano largo per arrivare in prima fila assieme ai ragazzi ed ai bambini, dove avrebbero potuto vedere meglio i figuranti sfilare sui loro carri.
Avrebbe potuto passare la vita ad inseguirli, a crogiolarsi nella loro magia di sogni indistruttibili. Un giorno, pensò lasciando andare il polso della sua amica per poggiarsi una mano sul petto, avrebbe portato lì Ladybug, allora avrebbe potuto dedicarle una di quelle canzoni, che lei lo volesse o no. Di certo non l’avrebbe rifiutata, forse allora la magia di quel luogo le avrebbe permesso di vedere l’intensità delle sue parole e dei suoi sentimenti, permettendole di accettarli.

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Capitolo 2
*** Il lato sbagliato della luna ***


Vi invito ad ascoltare questa canzone almeno prima della lettura, se non durante essa: Moonlight Densetsu, versione francese di Clémentine della sigla originale di Sailor Moon in Giappone

IL LATO SBAGLIATO DELLA LUNA

Lo sguardo di Chat Noir si perse nello scintillio della città e nella scia dei serpenti di luci lasciati dai fari della auto lungo le strade della città. Il vento gelido gli pizzicava le guance e la punta del naso, facendo rabbrividire le punte delle dita e dei piedi stretti sotto il sottile strato di pelle nera, ma nulla riusciva a distrarre il ragazzo dalla magia che aveva davanti.
La musica lo cullava, ma lui non sapeva dire se provenisse dal pianoforte a cui era seduto l’uomo in smoking ai piedi della torre o se fosse il vento a portarla a lui da chissà dove. Non sapeva definire neanche se essa fosse reale o se fosse quell’atmosfera a riportarla alla sua memoria ridestandola da chissà quale ricordo lontano, mentre le parole premevano per uscire e perdersi sotto il cielo limpido di quella notte di novembre.
Le note vibravano nell’aria, quasi le sentiva avvilupparsi contro le sue gambe, risalire il suo corpo e chiedergli di ballare, mentre la canzone offuscava la sua solitudine, facendola allo stesso tempo sembrare più vivida.

«C'est difficile pour moi d'être sincère
Mais dans mes rêves parfois je me libère
Mes pensées se bousculent en moi souvent
J'aimerai tant te voir maintenant»

È difficile per me essere sincero
Ma nei miei sogni a volte sono libero
I miei pensieri spesso si agitano dentro di me
Mi piacerebbe così tanto vederti ora

Ricordava bene le parole, il significato nascosto dietro ogni sillaba, ma se ne stupiva, poiché non riusciva in alcun modo a ricordarne il titolo.
Inspirò forte il profumo dell’autunno, l’odore dei dolci giù in strada lo deliziò, ma lui mise da parte il desiderio di essi per premere il palmo contro la barra di metallo al suo fianco, sporgendosi per seguire le sagome dei vari passanti che, ignari, andavano e venivano a loro piacimento. Lontani com’erano, nessuno sarebbe riuscito ad individuarlo in quel buio, il freddo del metallo contro le dita lo teneva con i piedi per terra, ricordandogli la ragione per cui si trovava lì.
In notti come quella i pensieri si accavallavano, la sua solitudine inconsolabile lo portava a osservare la gente, a cercare di carpire un po’ del loro calore, a chiedersi come aveva fatto a dimenticare cosa si provasse, al perché la compagnia di Plagg non fosse più sufficiente a colmare quel vuoto almeno un po’.

«C'est le clair de lune qui me fait pleurer
Il est minuit, je ne peux pas t'appeler
Tellement perdue, je ne sais plus quoi faire
Mon cœur est fragile comme du verre»

È la luce della luna che mi fa piangere
È mezzanotte e non posso chiamarti
Così perso, non so cosa fare
Il mio cuore è fragile come il vetro

Il bagliore della luna si rifletteva sulle pozzanghere più grandi, quelle che neanche il sole più tiepido del primo pomeriggio era riuscito ad asciugare dopo il temporale della notte precedente. Forse sarebbe dovuto tornare in camera sua, al caldo, prima di prendersi un raffreddore, ma non riusciva più a sentire davvero quel tepore ed il sollievo di una volta e nel rifugiarsi in quel posto che chiamava casa non avvertiva altro che la consapevolezza che sarebbe tornato a sentirsi solo.

«Mais le clair de lune me fait penser à toi
Tu le regardes autant que moi»

Ma la luce della luna mi fa pensare a te
La guardi tanto quanto me

Quella che provava osservando la sua Parigi era una solitudine diversa, non aveva nulla a che vedere con il fatto di essere ignorato dalla gente che salvava ogni giorno, quanto invece alla consapevolezza di essere uno tra tanti e, insieme a loro, fare parte di qualcosa di più grande, della vita brulicante in quella magica città.

«Les étoiles scintillent, quelle merveille
Comme notre amour qui brille dans le ciel
Nous deux réunis sur la même planète
Quelle romance, quelle merveille»

Le stelle brillano, che meraviglia
Come il nostro amore che splende nel cielo
Noi due ci siamo trovati sullo stesso pianeta
Che romanticismo, che meraviglia

Il pensiero di tutta la gente sola in mezzo agli altri proprio come lo era lui risvegliava la sua speranza, mentre la musica riportava alla sua memoria le strofe di quella canzone che ormai lo avvolgeva, a cui non riusciva a sfuggire. Vibrava nel suo petto parola per parola e lui non era capace di trattenerla, ben consapevole che nessuno avrebbe mai potuto sentirlo, che forse, anche senza saperlo, tutte le persone a cui teneva stavano guardando lo stesso cielo che stava guardando lui.

«J'aime partir avec toi en week-end
En espérant avoir une happy end
Pour toujours maintenant et à jamais
De tout mon cœur je t'aimerai»

Amo partire con te nei fine settimana
Sperando in un lieto fine
Per sempre, ora e sempre
Ti amerò con tutto il mio cuore

Aveva la sensazione che ora che si era ridestata dalla sua memoria quella canzone l’avrebbe accompagnato per molto tempo, diventando la colonna sonora delle sue notti, cullando le sue fantasie più vivide riguardo alla ragazza di cui era innamorato. All’improvviso pensò che sarebbe stata perfetta, da dedicare a lei.

«Je n'oublierai jamais quand je t'ai rencontré
Ton regard sur moi s'est posé»

Non dimenticherò mai quando ti ho incontrato,
e il tuo sguardo si è posato su di me

Chiuse gli occhi e sollevò il mento, esponendo il volto ad una folata di vento proprio nel momento in cui quella lo raggiungeva. Il pensiero di Ladybug bastava a scaldarlo, ma solo per pochi istanti destinati a scemare nella dolorosa colpevolezza che probabilmente avrebbe guardato quella stessa luna pensando a qualcun altro. E l’ultimo barlume di gioia di Chat Noir fu soffocato dalla realtà.
Avrebbe potuto essere colto di sorpresa, accorgersi di lei solo quando gli fosse stata accanto, ma avrebbe distinto i suoi passi dovunque, percepito il suo arrivo e riconosciuto il suo sguardo su di sé in ogni momento, allora si voltò a guardarla subito.
Le sorrise, beandosi della sua presenza e del luccichio dei suoi occhi nella penombra, del suo sguardo tanto vivido da fargli tornare il buon umore, del calore familiare del suo corpo avvolto nella tuta rossa da supereroina.
Quando gli fu abbastanza vicina, strinse il suo polso tra i palmi e condusse la sua mano a sé, premendola contro il proprio petto.

«Même perdue dans un milliard d'étoiles
Je te retrouverai toujours sans mal
On ne s'est pas rencontrés par hasard
Moi, je ne crois pas au hasard»

Anche perdendomi tra un milione di stelle
Ti troverò sempre senza problemi
Non ci siamo incontrati per caso
Non credo nelle coincidenze

Ladybug sbatté le ciglia e Chat Noir non riuscì a staccarle gli occhi di dosso, il sopracciglio inarcato di lei esprimeva tutta la sua perplessa contrarietà, mentre lui la stringeva a sé.

«Une étrange magie m'a guidée vers toi
Elle nous réunis chaque fois»

Una strana magia mi ha portato accanto a te
Ci riunisce ogni volta

La mano premuta sul fianco di Ladybug gli permetteva di percepirne il respiro, era una sensazione inebriante di cui pensava non avrebbe più potuto fare a meno. Aveva voglia di farla ondeggiare e piroettare, di sollevarla tra le braccia e stringerla a sé, ma un passo di troppo avrebbe rischiato di farli cadere entrambi giù dalla torre Eiffel.
«Chi avrebbe mai detto che fossi un cantante, Micetto?» gli disse Ladybug, con una risata lieve che fece vibrare il fianco contro le dita di Chat Noir.
Ci sono tante cose che ancora non sai di me, Milady, avrebbe voluto dirle. Invece continuò a cantare.

«Les étoiles scintillent, quelle merveille
Comme notre amour qui brille dans le ciel
Nous deux réunis sur la même planète
Quelle romance, quelle merveille»

Le stelle brillano, che meraviglia
Come il nostro amore che splende nel cielo
Noi due ci siamo trovati sullo stesso pianeta
Che romanticismo, che meraviglia

«E chi avrebbe detto che fossi un fan di Sailor Moon?» aggiunse Ladybug.
Eccola, l’illuminazione. L’ultimo tassello del puzzle che gli mancava, la provenienza della canzone. Curioso come gli fosse tornata alla mente proprio in una notte di luna piena.
E la musica continuava a risalire dalla sua anima, Chat Noir quasi riusciva a sentire le proprie dita muoversi sui tasti del pianoforte per accompagnare ogni strofa, a sentire la loro superficie familiare fredda contro i polpastrelli, mentre la melodia si disperdeva nell’aria ad accompagnare ogni pensiero.

«Quel miracle, quelle merveille
Quelle romance, quelle merveille»

Che miracolo, che meraviglia
Che romanticismo, che meraviglia

Chat Noir avrebbe voluto perdersi negli occhi di Ladybug e che lei si perdesse nei suoi, avrebbe voluto poterle dedicare quella ed altre mille canzoni, che lei facesse lo stesso almeno una volta. Ma lo sguardo di lei rifuggiva il suo, era perso oltre la sua spalla, smarrito lungo la strada per la luna, perso in uno o più pensieri che non poteva e, in fondo, non voleva cogliere. Perché se Ladybug non lo stava guardando, se stava ammirando il cielo a quel modo, era di certo concentrata su qualcuno che, seppur lontano, era capace di farle dimenticare che lui era lì; qualcuno che poteva cancellare ogni distrazione. Forse, pensò Chat Noir, lei stava immaginando quella persona. Forse lei si stava chiedendo se stava guardando anche lui la stessa luna.
Le parole di Ladybug furono inaspettate e dolorose, tanto flebili che quasi rischiò di non sentirle.
«È davvero romantico e meraviglioso.»
La musica nella sua anima si acquietò, scemando e sfumando fino a riassopirsi, sepolta da un flusso di nuova tristezza. I pensieri sfocati accompagnarono una nuova fitta di dolore ed essa portò con sé il solito magone, Chat Noir smise di sentirsi parte di qualcosa di più grande per tornare ad essere ancora il suo povero solitario sé, solo nel mondo.
Ladybug guardava ancora la luna, persa nel suo bagliore magico, come se in essa potesse vedere il suo vero amore e nient’altro fosse importante.

***

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Capitolo 3
*** Il profumo del cioccolato ***


Il profumo del cioccolato




Marinette avvolse il cioccolato nell’incarto rosso, che ripiegò accuratamente lungo i lati per realizzare quello che avrebbe voluto che fosse il pacco regalo migliore della sua vita. La carta frusciò tra le sue dita, scivolando sotto i polpastrelli mentre la sollevava e la premeva contro la parte inferiore della tavoletta di cioccolato fatta in casa, poi la bloccò con un pezzo di nastro adesivo trasparente e sorrise nel vedere il risultato. Il nastro bianco era arricciato sul tavolo, abbastanza vicino da poterlo raggiungere sporgendosi appena un poco, lo distese e vi poggiò sopra la tavoletta ora incartata, avvolgendola con esso e bloccandolo sul retro per poi annodarlo. Dopo aver fatto un secondo nodo, strinse le forbici tra le dita, arricciò ciò che restava del nastro ed impigliò i ricci ottenuti gli uni agli altri perché non pendessero troppo.
Scrutò con attenzione la sua creazione, la lingua premuta contro il labbro inferiore e la bocca contorta in una smorfia. Incrociò le braccia ed inclinò il capo, perdendosi nella vista del nastro a suo avviso troppo ingombrante per un pacchetto così piccolo. Fece scattare le forbici tra le dita un paio di volte e tagliò via gran parte dei riccioli, lasciando che ciò che ne restava pendesse solo per mezza dozzina di centimetri, e buttò gli avanzi nella spazzatura.
La luce soffusa della lampada sulla scrivania iniziava a darle fastidio agli occhi, che strizzò ripetutamente per cercare di mantenersi sveglia e mettere a fuoco ciò che la circondava. Si diede lo slancio con un colpo di caviglia per spingere la sedia oltre lo schermo del computer e raggiunse la pila di cassetti sotto la scrivania, aprendoli uno alla volta fino a trovare la scatola che cercava, che sfilò con cura e depositò accanto al pacchetto pochi secondi dopo.
Adrien meritava ben più di un semplice fiocco o una coccarda improvvisata, qualcosa di più particolare del groviglio di riccioli di cui si era appena sbarazzata. Dischiuse la scatola, riscoprendo con soddisfazione i piccoli fiori di raso che aveva realizzato mesi prima come decorazioni tridimensionali per una maglia estiva che non aveva avuto occasione di indossare spesso. C’erano fiori di diverso tipo e colore, di diverse dimensioni e dal diverso numero di petali, Marinette selezionò quelli sui toni dell’azzurro tra i più piccoli e li dispose uno accanto all’altro sulla scrivania. L’ago e il filo di nylon trasparente erano rimasti in fondo alla scatola, pronti per quando le sarebbero serviti ancora, li raccolse tra le dita, infilò l’estremità del filo nella cruna e tagliò quanto pensava che le sarebbe bastato.
Adrien meritava il cioccolato fatto in casa migliore di Parigi, per cui era una fortuna che lei fosse figlia di due esperti dolciari, ma meritava anche la miglior confezione di Francia e per questo era grata per la propria creatività.
Centinaia di ragazze avrebbero inviato bigliettini e dolci, Marinette voleva assicurarsi che non ci fosse modo che il suo regalo di San Valentino si perdesse tra gli altri. Avrebbe dovuto spiccare, per attirare l’attenzione del ragazzo come un faro e spingerlo a sceglierlo tra tutti gli altri. Appuntò il primo fiore di stoffa a ciò che restava del nastro, vi mise accanto un secondo e poi un terzo assicurandoli come fossero parte di un mazzolino a cui ne aggiunse un quarto ed un quinto. Infilò alcune foglie tra essi e le assicurò a fatica perché non scivolassero via.
Per diversi minuti il ticchettio dell’orologio e il respiro suo e di Tikki – addormentata nel cesto della lana accanto alla gamba della scrivania, fu l’unico rumore assieme al fruscio della stoffa. Ogni petalo ed ogni foglia erano stati ricavati da un piccolo ritaglio di raso abilmente ripiegato, i petali erano stati poi incollati insieme per formare i fiori e le cuciture centrali erano stato coperte da minuziosi decori di perline a simboleggiare il pistillo, bianchi e gialli che scintillavano alla luce della lampada da tavolo. Nessun ragazzo a parte Adrien avrebbe potuto vantare un regalo così particolare, perché non c’era quasi nessuno in Francia che fosse capace di realizzare i Kanzashi giapponesi. Marinette stessa, agli inizi, si era dovuta impegnare molto per studiare il modo migliore per realizzarli senza che i bordi dei ritagli si sfilacciassero e senza che la colla a caldo strabordasse dai punti d’attacco e li rovinasse.
Cucita l’ultima foglia, Marinette tagliò via l’eccesso di filo e depose la restante spoletta e l’ago nella scatola assieme ai fiori avanzati, poi richiuse tutto e ripose la scatola al suo posto, solo allora si abbandonò contro lo schienale della sedia e sospirò ad occhi chiusi felice di aver portato a termine la sua impresa.
Era quasi mezzanotte, probabilmente il giorno successivo avrebbe fatto fatica ad alzarsi, ma poteva dire di essere riuscita ad ultimare il regalo perfetto per il ragazzo perfetto. Ora avrebbe potuto indossare il pigiama, arrancare verso il suo comodo letto e stendersi per il suo meritato riposo notturno, se solo ne avesse avuto la forza. Invece rimase lì con la testa sollevata, il collo piegato indietro fino a quasi dolerle e le braccia abbandonate contro i braccioli della sedia, mentre il sonno la trascinava in un mondo bizzarro di alberi colmi di fiori di stoffa e ruscelli di cioccolato liquido. Riusciva quasi a sentirne il profumo, l’acquolina in bocca che aumentava in quello strano sogno sospeso nel dormiveglia al punto che riusciva anche a rendersi conto che ciò che aveva davanti non era reale.
A risvegliarla completamente furono i rumori provenienti dal terrazzino sopra di lei, qualcuno aveva urtato uno dei suoi vasi di fiori e poi doveva essere inciampato su una delle sue sedie da giardino, poiché il rumore delle sue gambe strisciate sul pavimento le provocò un secondo sussulto.
Marinette nascose la cioccolata nel cassetto e scambiò un’occhiata con Tikki, il piccolo Kwami faticava a tenere gli occhi aperti, ma sollevò il musetto contro la botola che dava sul terrazzino per individuare da dove provenisse il rumore.
«Torna pure a dormire,» le disse Marinette «credo di sapere chi è.»
Raggiunse il soppalco a passi lenti, sfilò le scarpe e salì in piedi sul letto per sporgersi e scrutare attraverso il vetro, Chat Noir era già dall’altra parte, i suoi occhi verdi spalancati puntati dritti verso di lei le fecero balzare il cuore in gola. Perse l’equilibrio, cadendo sul materasso e rimbalzando un paio di volte prima di riuscire a prendere fiato, il ragazzo la salutava con la mano e sorrideva, incurante dello spavento che le aveva provocato.
Rialzandosi a fatica, Marinette sbloccò la botola e rimase ad aspettare che lui la raggiungesse dentro, ma Chat Noir non lo fece.
«Guarda che se vuoi puoi entrare.» gli disse allora.
Il sorriso di lui si ampliò considerevolmente, poi si calò giù dalla piccola finestra e, invece di atterrare direttamente sul letto, si diede lo slancio per atterrare accanto ad esso.
«Buonasera, Marinette.» disse, accennando un inchino.
Marinette scese dal letto a sua volta, confusa ed incuriosita dalla sua presenza. «Buonasera, Chat Noir. A cosa devo il piacere della tua presenza?»
Il ragazzo dischiuse le labbra ed esitò, poi sollevò le braccia ed iniziò ad agitarle mentre si sforzava di spiegare. «Avrei bisogno di un piccolo favore.» spiegò. «Mi servirebbe un dolce un po’ particolare da regalare e non potevo proprio permettermi di venire ad acquistarlo senza maschera.»
«Un regalo di San Valentino.» osservò Marinette pensierosa.
Aveva una mezza idea di chi fosse la persona che lo avrebbe ricevuto e, per quanto potesse sembrarle di imbrogliare in qualche modo, avrebbe sfruttato il suo vantaggio per dare al ragazzo il dolce che le piaceva di più. Lei avrebbe potuto considerarsi fortunata, a ricevere qualcosa a colpo sicuro, ma quel pensiero non poté evitare di preoccuparsi che il suo cioccolato potesse non piacere ad Adrien.
«Credo di avere quello che fa per te.» disse, facendole cenno di seguirla giù in camera.
Forse il cioccolato ad Adrien sarebbe piaciuto, forse avrebbe solo fatto finta che gli piacesse per non ferirla, perché era sempre troppo gentile per poter anche solo pensare di dire qualcosa di brutto, anche se vero, ad una persona. Marinette guidò Chat Noir verso la cucina mentre i dubbi la sommergevano, l’eccitazione per la sua impresa era scemata a causa di essi e del sonno impellente. «Cosa avevi in mente?» le domandò Chat Noir. «Qualcosa di davvero particolare?»
«Qualcosa che so che a Ladybug piacerà di sicuro.» gli rispose. Raggiunse la porta per la pasticceria, ma notò che il ragazzo aveva smesso di seguirla.
«Io non ho mai detto che sarebbe stato per Ladybug.» le disse lui, le gote rosse per l’imbarazzo ed una mano che si grattava il capo per stemperare l’imbarazzo.
«Una visita in pasticceria in piena notte, un regalo speciale che non puoi comprare fuori dalla maschera, per chi altro avrebbe potuto essere?»
Chat Noir sorrise e la seguì, scesero l’ultima rampa di scale fianco a fianco e raggiunsero la porta interna della pasticceria. Marinette si mosse svelta verso il bancone, selezionò il pacchetto che si era messa da parte e lo incartò nella penombra come meglio poteva. Questa volta non usò fiori di stoffa, né nastri colorati, ma si limitò ad un foglio di carta lucida annodato in cima che rifletté la luce proveniente dai lampioni giù in strada.
«Ecco qui.» disse Marinette, facendolo scivolare sul bancone verso di Chat Noir.
Lui estrasse una banconota dal taschino della tuta e gliela porse. «Tieni pure il resto.» disse. Poi aggiunse: «Certo che qui dentro c’è un profumo fantastico, che cos’è?»
«Panna montata, pane fresco, un po’ di zucchero a velo e cioccolato, principalmente.» gli rispose.
Chat Noir inspirò a fondo e ad occhi chiusi, quasi volesse immergersi in quei profumi ed inspirarne il più possibile. «Oh, io amo la cioccolata! Se potessi mi trasferirei qui definitivamente, potrei dormire nel retro!»
Marinette rise e mise via la banconota, non poteva usare la cassa, ma si sarebbe premurata di passarla ai suoi genitori il giorno successivo appena possibile. «Magari possiamo trovarti un posto tra i sacchi di farina.»
Gli occhi di Chat Noir brillarono. «Mi impegnerei ufficialmente a tenere i topi alla larga, come è giusto che un gatto faccia per la famiglia che gli dà vitto e alloggio.»
«Noi non abbiamo topi.» ribatté Marinette arricciando il naso. Il solo pensiero che avesse osato pensarlo la inorridiva.
«No, certo che no.» si affrettò a dire lui. Strinse tra le mani il pacchetto che gli aveva dato, premendolo contro il petto come se fosse il tesoro più prezioso. Il giorno successivo Ladybug lo avrebbe ricevuto ed avrebbe dovuto fingersi sorpresa, ma la vera sorpresa per Marinette fu il rendersi conto che non aveva speso neanche un secondo della sua giornata a domandarsi se avesse dovuto regalare qualcosa al ragazzo.
Aveva trascorso l’intero pomeriggio a pensare ad Adrien, a fare dozzine di tavolette di cioccolato solo per poter scegliere la più bella tra esse, a pensare alla confezione e addirittura al modo di consegnargliela senza dimenticarsi di firmare il bigliettino. Non aveva pensato a Chat Noir, non si era chiesta se qualcuno gli avrebbe regalato qualcosa, se potesse aspettarsi qualcosa in cambio nonostante sapesse bene che ciò che provava per lei non era ricambiato.
Senza riflettere, affondò la mano nel cesto che aveva lasciato lì accanto quel pomeriggio e afferrò la prima tavoletta che si ritrovò tra le dita.
«Questa è un omaggio per il supereroe con la pelliccia più soffice di Parigi.» disse.
Chat Noir si sfiorò i capelli come ad assicurarsi che parlasse di lui, poi puntò gli occhi sulla tavoletta e sorrise. La strinse tra le mani con riverenza, come se fosse il tesoro più prezioso e potesse sparire da un momento all’altro.
Marinette provò quasi compassione, per il modo in cui i suoi occhi la bramavano.
«Grazie, grazie davvero.» disse Chat Noir.
Per Marinette fu come sciogliere un enorme peso nel petto, aveva regalato qualcosa al ragazzo senza che lui lo sapesse, senza il rischio che potesse fraintendere e senza conseguenze, non ci sarebbe stato bisogno che sapesse altro.
Più tardi, quando Chat Noir se ne fu andato, si ritrovò a fissare i Kanzashi e la tavoletta confezionata per Adrien, domandandosi se il ragazzo avrebbe mostrato almeno la metà dell’entusiasmo che aveva visto in Chat Noir quella sera.


***

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Capitolo 4
*** Tra la tempesta e il sole ***


Tra la tempesta e il sole



Ladybug premette la mano contro lo stipite della porta e vi accostò l’orecchio contro. Non riusciva a sentire la voce dell’Akuma, ma era sicura che lei fosse vicina e non poteva rischiare di mettere Adrien ulteriormente in pericolo facendosi notare. Lanciò un’occhiata al ragazzo, che era rimasto in disparte in un angolo della stanza e la guardava di sottecchi, forse imbarazzato dall’essere finito per l’ennesima volta in pericolo o forse perché la ragazza che ora seguiva gli ordini di Papillon aveva dichiarato davanti a tutta Parigi di essere follemente innamorata di lui e decisa a riuscire a sposarlo.
Marinette non poteva negare di comprendere, almeno in parte, cosa si muovesse nell’animo della ragazza; poteva ritenersi fortunata, lei che aveva avuto occasione di conoscerlo davvero ed era diventata sua amica, ma la paura che quando fosse arrivato il momento Adrien avrebbe rifiutato anche lei offuscava a tratti la sua concentrazione.
Aveva già dovuto ricordarsi più volte di essere Ladybug e che l’amore della sua vita aveva bisogno che fosse il più concentrata possibile, quindi spinse via per l’ennesima volta quei pensieri e soppesò lo yo-yo contro il palmo, in attesa di un segno da parte di Chat Noir.
«Andrà tutto bene.» sussurrò, forse più a sé stessa che ad Adrien.
Lui le sorrise. «Lo so.» disse.
La sua fiducia le fece trattenere il fiato, mentre il cuore le batteva forte nel petto. Sperò di non essere arrossita troppo o almeno che la maschera e la penombra del tardo pomeriggio riuscissero a nasconderlo abbastanza perché lui non lo notasse, ma sapeva che non glielo avrebbe mai fatto pesare così come non le aveva fatto pesare nessuno dei suoi balbettii fuori dalla maschera.
Ah, Adrien, se solo sapessi... si disse.
Ma forse, in fondo, era meglio così. Cosa avrebbe pensato di lei se avesse saputo chi era? Le avrebbe comunque affidato la propria sicurezza e la propria vita? Le avrebbe sorriso allo stesso modo, sapendo che stava guardando solo la timida, imbranata Marinette Dupain-Cheng?
Non voleva restare a pensarci, doveva solo prendere tempo fino all’arrivo di Chat Noir, così che uno di loro due potesse distrarre l’Akuma mentre l’altro portava Adrien al sicuro, ma quanto avrebbe dovuto aspettare?
Adrien dischiuse le labbra per domandarle qualcosa, ma Ladybug gli fece cenno di tacere; qualcosa si muoveva oltre la porta ed erano passi sicuri, pesanti, di qualcuno che stava facendo tutt’altro che nascondersi.
Se solo Chat Noir si decidesse ad arrivare... pensò Ladybug.
Raramente bramava così tanto di vederlo arrivare. Il più delle volte la persona da salvare era uno sconosciuto oppure solo un amico, ma con Adrien non poteva permettersi di sbagliare, non dopo averlo quasi perso più di una volta. Ricordava ancora bene la paura che aveva provato con Volpina, il terrore che l’aveva quasi spinta a togliersi gli orecchini mentre era in bilico su una delle travi della Torre Eiffel, quando solo l’intervento di Chat Noir l’aveva salvata dall’arrendersi ad una menzogna e perdere la battaglia. Aveva bisogno del suo amico e collega anche adesso, perché quando c’era di mezzo Adrien diventava impulsiva, esitante e tutto ciò che non avrebbe dovuto essere per riuscire a proteggere al meglio il ragazzo.
Il tocco delicato della mano di Adrien sul suo braccio la riscosse da quel vortice di pensieri, si stupì nel ritrovarlo così vicino, ma si rifiutò di lasciare che il rombo dei battiti del proprio cuore diventasse il centro dei suoi pensieri proprio in quel momento o che gli occhi verdi di lui, così dolci e fiduciosi, la inchiodassero sul posto.
«Non devi preoccuparti.» le disse sottovoce il ragazzo. «Sono sicuro che Chat Noir sarà qui presto, ma fino ad allora posso cavarmela da solo, se tu penserai all’Akuma.»
Gli sorrise, quasi sentiva di non meritare tutta quella fiducia, ma l’Akuma stava dicendo i loro nomi ed era proprio dietro la porta, Ladybug spinse indietro Adrien appena prima che essa si aprisse ed all’improvviso i due furono di nuovo allo scoperto.
«Lascia fare a me.» esclamò, spingendo l’Akuma verso il centro della stanza. Vide Adrien correre via ed impedì alla nemica di alzarsi per raggiungerlo. Ora non poteva tornare indietro, ma solo aspettare e fidarsi di lui e di Chat Noir come loro si erano fidati di lei. Più tardi, poi, sarebbe potuta andare a verificare che Adrien stesse bene, ma prima avrebbe dovuto risolvere quel pasticcio.
Chat Noir la raggiunse appena pochi istanti dopo.



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