Senza la notte non avrei mai visto le stelle

di DarkYuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il canto della sirena ***
Capitolo 2: *** Non c'è cura per chi vuole morire ***
Capitolo 3: *** Vita e Morte ***
Capitolo 4: *** Per amore ***
Capitolo 5: *** Forte come una radice ***
Capitolo 6: *** Un amore avvelenato ***
Capitolo 7: *** Cuore ***
Capitolo 8: *** Un bacio all'Inferno e di nuovo le tenebre. ***



Capitolo 1
*** Il canto della sirena ***


                                         
 
                                          





 
1.
                             Il canto della sirena.






 
Tra la luce e le tenebre, nasce una linea sottile, un luogo senza nome, sconosciuto ai più, che non esiste né in cielo e né in terra, lì gli amanti separati dal fato continuano a vivere inscindibili.
 
 
Sono stanco.
No, non una stanchezza dettata dal fisico provato dagli antidepressivi, l'alcool e le sigarette, la stanchezza che nutro è nella testa, soprattutto nel cuore... o almeno ciò che ne resta.
Ho promesso di non morire, tuttavia non sono più certo che riuscirò a mantenere la parola data, perché, se la infrangessi, mi riunirei con colei che la meschina sorte ha strappato via. Domani, saranno esattamente tre anni che Amelia è morta, tre anni che sopravvivo all'incessante incubo da cui non vi è risveglio, tre anni che ho smesso di esistere definitivamente.
 
 
Che ci faccio ancora qui? Cosa aspetto? Un miracolo illusorio?
 
 
Nessuno torna dalla morte e se i prossimi tre anni, sono come gli ultimi, voglio smettere di respirare stanotte stessa: il fardello è divenuto insopportabile.
La notte è sempre più difficile dormire, non è più una semplice insonnia, ho smesso di riposare da non so quanto tempo e tutto ciò mi ha reso una persona alquanto insoffribile.
 
 
Schiaccio rabbioso la sigaretta nel posacenere, afferro la boccetta trasparente del Prozac. Ci sono poche pillole, ho dimenticato la posologia. Svuoto l'intero contenuto nel palmo destro e le mando giù con un abbondante sorso di Fisu, dal sapore di penetrante liquirizia.
Ho il corpo avvelenato da quella robaccia, dai litri di alcool e dal tabacco usato smodatamente.
 
 
Amelia non c'è più.
Gli HIM non ci sono più.
Io non ci sono più.
 
 
Il mondo continua a girare vorticoso, mentre ho smesso di corrergli dietro. Tutto quello che ho di lei, a parte i miei ricordi, è il suono della sua voce e nulla di più.  
Nel cassetto del comodino c'è un album fotografico, che Francesca mi ha spedito dall'Italia. Il viso sorridente di Amelia è fermo nei ritratti lucidi, eterna nel mio cuore, ma per sempre assente dalla mia vita.
Chiudo gli occhi e per un lungo ed interminabile istante lei è di nuovo qui, il profumo che aleggia nella stanza, i capelli a caschetto, l'espressione maliziosa e gli occhi colmi di un amore indissolubile.
Nessuno m'ha mai guardato a quel modo travolgente, né prima e né dopo.
 
 
Ravano confuso il pacchetto di sigarette, ho la testa leggera, il cervello annebbiato, pieno d'ovatta: l'antidepressivo sta facendo effetto. Porto una sigaretta alla bocca, la mano trema nell'azionare l'accendino, riesco a fare centro al primo tentativo.
Dovrò tornare dallo psichiatra, per far aumentare la dose. Voglio dormire subito e non aspettare tutto questo tempo prima che l'oblio mi assorba.
Stropiccio gli occhi gonfi e, non mi accorgo neanche quando il silenzio indigesto viene sostituito con una dolce voce femminile proveniente in strada. Canta una nenia in francese, una nenia che conosco fin troppo bene.
Il cervello fatica non poco a razionalizzare gli eventi, da una parte c'è ancora un briciolo di concretezza che intuisce che non è possibile: i morti non tornano dalla tomba. Dall'altra mi chiedo stupidamente come, Amelia, abbia fatto a trovarmi, visto che ho cambiato casa. La torre sapeva di lei, non riuscivo a sopportarlo.
 
 
Balzo giù dal letto, il cuore in gola, il sangue in tempesta, non mi fermo a riflettere che sono già alla finestra e la vedo. Dio! Sono trascorsi tre anni, tuttavia la morte non ha sfiorito la bellezza pallida, delicata ed armoniosa, come una rosa nera su una distesa di neve.
Canta. Canta per me. La mia sirena, la mia musa, colei che è la parte mancante del mio essere. È tornata, è qui per me, per portarmi via con sé.
Corro a perdifiato per le scale, non indosso scarpe, non penso a coprirmi dal freddo che mi attende fuori casa, ogni cosa ha smarrito d'importanza, non voglio perdere tempo inutile. Impulsivo apro la porta e, affondando nella neve alta esco nella strada deserta. Fa un freddo terribile.
 
 
Non c'è nessuno, è mezzanotte, a parte la mia Amelia, che continua a cantare.  Il lampione bianco dall'altra parte della strada, rischiara una parte della figura fragile e tenue. È vestita di bianco.  
Si apre in un sorriso malinconico, gli occhi grandi colmi di amarezza, allarga le braccia in un chiaro invito a raggiungerla e, mentre le sto filando in contro, felice come non lo sono stato mai, qualcosa muta impercettibilmente. È come quando si getta un sasso sulla superficie di un fiume, non si riesce a distinguere bene al di là dell'acqua smossa, ma appena ogni cosa torna alla normalità, la visione è d'un tratto chiara.
 
 
Amelia non è qui, la persona verso cui sto andando non è lei: ho le allucinazioni. Deve essere il cocktail di alcool e farmaci, ingurgitato poc'anzi.
 
 
La donna che ho scambiato per Amelia ha in mano una macchina fotografica, una di quelle costose e professionali. Non dimostra più di trent'anni, i capelli neri sono acconciati in un taglio asimmetrico corto, le dona un'aria aggressiva, battagliera e sicura di sé. Longilinea e molto snella, le clavicole fanno capolinea da sotto la stoffa del maglione. Ha dei vistosi orecchini a forma di croce capovolta, l'intero abbigliamento verte sul nero e non è solo un accostamento casuale, le piace vestirsi così.
Gli occhi sono due frammenti di ghiaccio imperturbabile che mi fissano infastidite, truccati con abbondante ombretto nero. Fa un passo indietro e mi scruta dalla testa ai piedi, nauseata dalla vista di un uomo in mutande e piedi nudi su metri di nevi, a pochi passi da lei.
 
 
<< Che cazzo fai? >>, sbotta fredda, come per sottolineare il paradosso del momento fuori dal normale. << Hai intenzione di morire? >>.
Se avessi abbastanza palle per morire, non sarei di certo qui a rincorrere un fantasma che vive solo nella mia mente.
Batto più volte le palpebre, sconcertato.
Il freddo invernale di Helsinki è come uno schiaffo potente in pieno viso e serve a riprendere le piene facoltà intellettive.
Una donna, in piena notte, con una macchina fotografica, davanti casa mia: un paparazzo.
 
 
<< Tu che cazzo fai?! >>, replico adirato. Ha sbagliato momento, persona e contesto. Ho smesso definitivamente di essere Ville Valo, il bel cantante tenebroso degli HIM, adesso sono un coglione e basta. Se spera in qualche scoop del secolo, ha preso una cantonata pazzesca. << Che cazzo vuoi da me? >>, continuo, il tono è collerico, per nulla amichevole e molto minaccioso. Sono convinto che sia qui per me.
 
 
Inarca un sopracciglio, impassibile.
<< Prego? >>.
 
 
<< "Prego" un cazzo! >>. Non so il perché, lo stavo solo pensando e un attimo dopo le tiro uno spintone brutale, con entrambe le mani, che le fa perdere l'equilibrio e cadere malamente sulla schiena. La macchina fotografica rotola qualche metro più in là.
 
 
<< Ma tu sei una testa di cazzo! >>, strepita rude, fissandomi come se fossi un povero pazzo fuggito dal manicomio. Okay, magari vestito (o svestito) così, potrebbe essere la prima impressione, ma che altra interpretazione potrebbe esserci, se non che sia una giornalista? << Che cazzo di problema hai, eh? Razza di malato mentale, esibizionista del cazzo e pure coglione patentato. >>. Si alza di slancio e, senza che possa fermarla mi restituisce lo spintone. Stavolta sono io che finisco a terra.
 
 
<< Ma vaffanculo! >>, urlo, accusando il colpo. Ho sbattuto su qualcosa di duro, che mi ha infilzato la schiena.
 
 
Punta il dito contro, gli occhi due tizzoni ardenti.
<< No, vaffanculo tu! >>. Si china a raccogliere la macchina fotografica, per accertarsi che non si sia rotta. << Te ne esci in strada come un maniaco sessuale e fai lo stronzo. Tu non stai bene di cervello, fatti vedere, ma da uno bravo. >>. 
In cura da "uno bravo" già ci sono, mi riempie di porcherie ed inutili luoghi comuni sulla morte e sulla vita.
Lo spintone ha provocato un moto irrefrenabile di nausea, un forte dolore addominale e, nonostante ci siano molti gradi sotto lo zero, sto sudando come se fossi in una sauna. Non faccio in tempo a capire che sto male, che rotolo sulla neve e vomito anche l'anima.
 
 
Le mani della donna mi scostano i capelli dalla fronte umidiccia e mi tiene la testa in un gesto rassicurante. Non la infastidisce la scena rivoltante.
<< Ti sei drogato per caso? >>, chiede lecita, con aria professionale.
Appena finisco di dare il peggio di me stesso, mi sposta il viso verso di lei ed esamina gli occhi.
 
 
<< Vuoi cavarmeli? >>, farfuglio a stenti, intanto un'altra fitta, stavolta ai polmoni, mi piega in due. Fatico a riprendere fiato.
 
 
<< Sono un medico, pezzo d'asino. >>.
Non vengo offeso così tanto da quando Amelia non c'è più, lei adorava avere battaglie verbali con me, ed io amavo questo gioco tra di noi.
 
 
<< Io pensavo che volessi fotografarmi. >>. Indico la macchina fotografica, di nuovo sulla neve. L'ha lasciata lì per soccorrermi.
 
 
<< Per quanto mi impegni, non vedo una motivazione valida per cui io debba fotografare un relitto umano. >>. Controlla il battito cardiaco nell'incavo del polso. << Che cosa hai ingerito? >>.
 
 
<< Sto per morire? >>, chiedo ironico, eppure ci spero. Sono così spezzato ed annoiato da questa vita, che non ho altro motivo che potrebbe convincermi a rimanere.
 
 
La donna mi afferra facinorosa per il tessuto della maglietta e mi tira due cinquine che mi fanno balzare dalla sorpresa. Non so se continuare ad insultarla o scoppiare a ridere per le dolorosissime reminescenze che, questo incontro, sta riportando in superficie.
Il tempo non ha attenuato la perdita, ha solo allargato la voragine in cui sto precipitando.
È così che è iniziata con Amelia, l'ho amata quella stessa notte e non gliel'ho mai detto. Una colpa imperdonabile che mi trascino dietro.
 
 
<< Cosa hai ingerito? >>, riprova perentoria, sperando di riportare un briciolo di discernimento nel cervello. << Hai un avvelenamento da farmaci in corso! >>. C'è urgenza nella frase. Non le importa davvero di me, sta solamente facendo il suo dovere di medico, nulla di più.
 
 
Apro la bocca per comunicarle il nome del medicinale, mischiato con gli alcolici, tuttavia le tenebre scendono spedite e spietate e, prima che possa realmente capire cosa sta accadendo, smetto di esistere.

 





 
Beh, sì lo so, avevo detto che non avrei mai più pubblicato storie in questa sezione, però si sa, sono una persona incostante e non mi andava di lasciare stare Ville con il finale terribile della precedente long, quindi dal nulla è nata questa ff: la mia ispirazione ringrazia per averla ascoltata. 
Aspettatevi un Ville più dark, più devastato, malinconico e psicologicamente annientato.

Sarà una ff molto cruda, sofferente, con emozioni contrastanti e situazione difficili... in pratica ciò che scrivo in tutte le mie ff xD 
La storia non è ancora terminata, però sono a buon punto. Pubblicherò un capitolo al mese, salvo imprevisti e salvo che non termini di scrivere la ff. 

Strutturo il testo in questo modo per facilitare la lettura. 

 
Il Fisu è un liquore finlandese alla menta forte e penetrante, che unisce la vodka al gusto caratteristico delle pastiglie alla menta più forti, che l'industria delle caramelle abbia mai prodotto
Il prozac è un medicinale realmente esistente, usato per curare depressione ed insonnia.


Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.
La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Un abbraccio.
DarkYuna.  
 

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Capitolo 2
*** Non c'è cura per chi vuole morire ***


 
 
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2.
"Non c'è cura per chi vuole morire"








 
I'm alive in your memories
Still alive in your memories
Though in this world my body has died
Inside your heart my spirit's alive
Close your eyes
Do you see?

I'm right here
Because I'm alive in your memories.
 
 
 
 
La sirena canta nell'eco di una gelida brezza marina, ha la voce sfatta dai singulti, le parole intrise d'un amore spezzato, viaggiano nella profondità dell'eternità e giungono fino a me.
È ancora qui, anche se non posso vederla.
È ancora qui, anche se non posso toccarla.
È ancora qui, nel sangue, nell'anima e nel cuore.
 
 
<< Lasciami andare, Ville. >>, chiede prostrata la mia sirena.
 
 
Apro gli occhi nelle tenebre, ma non sono gli occhi fisici, bensì quelli della fantasia. Una luce mi acceca per quelli che credo siano una manciata di secondi o per un tempo interminabile.
Sono in un luogo che non conosco, probabilmente è reale solo nella mente, ubicato da qualche parte tra l'inferno ed il paradiso.
Il mare è una spessa lastra di ghiaccio dai freddi colori perlacei, diviene un tutt'uno con il cielo fumoso, non vi sono limiti, i confini si mischiano ed annullano a vicenda.
 
 
Amelia è qui, davanti la lastra di ghiaccio, a piedi nudi sulla rena pallida. Il lungo vestito di veli bianchi viene smosso prepotente dal vento.   
Sono di nuovo preso dalla smania irrefrenabile di raggiungerla, però faccio fatica, ho come un peso sulle spalle che rende i movimenti goffi e lentissimi.
 
 
Lei si volta, ed io vado sotto shock.
Blocco la folle corsa e resto turbato dalle lacrime di sangue che scorrono impetuose sulla pelle candida.  
 
 
<< Mi stai facendo del male, Ville. >>. La frase risuona funesta nelle orecchie, ho un groppo insopportabile in gola, il cuore si spezza più e più volte: voglio piangere.
 
 
<< Perché? >>. Non c'è alcun controllo nelle azioni, riprendo ad avvicinarmi, ma per ogni passo conquistato, Amelia ne indietreggia uno di rimando. Nonostante lo spazio che ci divida non muti nel compiere questi gesti, ad un certo punto capisco che sta aumentando, ed io non posso impedirlo in alcun modo.
 
 
<< Mi hai fatto una promessa. >>. I piedi nudi di Amelia salgono sulla lastra di ghiaccio e il timore che possa rompersi mi scuote dal torpore di una realtà diversa. Non c'è freddo qui, ma le acque devono essere mortali.
 
 
Gesticolo incontrollato, non dico null'altro, se non rispondere al discorso in atto tra di noi: ho il sentore che non ci sia più tempo.
<< Io non posso, non posso vivere senza di te. È insopportabile! La tua assenza mi uccide. >>.
 
 
<< E il tuo dolore uccide di me. >>. Uno crepitio inconfondibile accompagna l'ultima parola pronunciata e, mentre sto per risponderle, la lastra sotto di lei si frantuma repentina, Amelia cade in acqua ed io apro gli occhi. Davvero stavolta.   
 
 
Sono in un bagno di sudore, impiego più del dovuto a rimettere in ordine le idee e a chiarirmi dove sono finito. Ho il cervello snebbiato, l'effetto delle medicine e dell'alcool deve essere terminato, per questo la valanga di pensieri mi affolla la mente, finendo per schiacciarmi.
L'ultima cosa che ricordo è che credevo di essere morto, invece ho fallito anche in questo.
Di nuovo.
Anni fa è stata Amelia a trattenermi dall'uccidermi, stavolta una sconosciuta...
 
 
La sconosciuta davanti casa mia. La sconosciuta con la macchina fotografica. La sconosciuta che mi ha impedito di farla finita.
Un medico che, a quanto pare, mi ha portato in ospedale.
Ho la flebo attaccata ad un braccio, lo stomaco sottosopra e la bocca più secca del deserto del Sahara alle quattro di un afoso pomeriggio estivo.
Stropiccio più volte gli occhi, a fatica mi siedo sul letto... indosso un camice, i miei vestiti sono appesi in un armadietto in fondo all'angusta stanzatta solitaria. Suono il campanello collegato al numero 7. Cinque minuti dopo l'infermiera arriva.
Sto per chiedere spiegazioni sulla mia permanenza in ospedale, quando in stanza entra lei, la sconosciuta che ho scambiato per una giornalista e che, evidentemente non lo è.
 
 
<< Vai Sabine, me ne occupo io. >>, congeda gentile l'infermiera. Ha un aspetto meno aggressivo di quel che ricordo, è affabile con il personale, adesso non si direbbe essere così irruente come nel nostro incontro. Niente abbigliamento prettamente nero, niente orecchini con croce rovesciate e niente trucco pesante. Indossa un camice bianco su un vestiario da chirurgo verde acido, che nasconde la magrezza.
 
 
<< Potevi lasciarmi morire. >>, sbuffo stanco. Ho un cerchio alla testa che minaccia di trasformarsi in un'emicrania con i fiocchi.
 
 
Sorride paziente, non sembra in vena di ricominciare ad offendermi.
<< Il giuramento che ho prestato, mi impedisce di lasciare morire qualcuno che posso salvare. >>, replica giudiziosa e competente. Si avvicina a passo spedito, afferra la bottiglia dell'acqua sul comodino, versa il contenuto in un bicchiere di plastica e me lo porge.
 
 
Alzo gli occhi fino a lei, accettando la gentilezza e riscoprendomi molto più assetato del previsto.
Leggo la targhetta appesa al camice: Dott. Krista Heini.
Le iridi trasparenti mi scrutano in un silenzio calamitante e prima che ingollo il terzo bicchiere d'acqua, riprende il discorso da dove si era fermato.
 
 
<< Un miscuglio letale di antidepressivi ed alcool... ci tieni così poco a vivere? >>. Ha l'aria severa, austera ed inflessibile. Mi sta rimproverando, però non vuole restare invischiata a livello emotivo con questa situazione. Riconosco la donna vista prima dello svenimento per il malore, quella tutta d'un pezzo, dall'aspetto combattivo.
 
 
Poggio il bicchiere sul comodino, non ho intenzione di fare una seduta psicologica, devo ancora riprendermi dal malore.
<< Risparmia le puttanate mentali con me, dottoressa. Io sono un sopravvissuto per sfortuna. >> Mi sdraio nuovamente a letto, la schiena è dolorante e sono di nuovo assonnato.
 
 
Schiocca la lingua al palato, non si è arresa, non è quel tipo di donna, ma sa riconoscere una causa persa in partenza, in tempo per fare dietrofront.
<< Beh, il tuo corpo l'ho curato: in fondo è questo il mio compito... ma non c'è cura per quel tipo di dolore. Non c'è cura per chi non vuole farsi curare, non c'è cura per chi vuole morire. >>. Infila le mani nelle tasche del camice. Conosce bene l'argomento, lo percepisco dal tono oscuro con cui le parole le bagnano le labbra. << Non posso obbligarti a parlare con me, tuttavia devo seguire il protocollo e mandarti uno psicologo. >>.
Le dispiace, è palese dietro la facciata composta e ne sono sorpreso, probabilmente è deformazione professionale. Non puoi essere un medico, se non ti sta a cuore il genere umano e i derelitti come me.
Fa per andarsene, a testa china, spalle all'ingiù: sconfitta.
 
 
<< Dottoressa. >>, la voce spezza un gelido silenzio di morte. Non la guardo, fisso il soffitto pallido, porto un braccio dietro la testa, l'altro è abbandonato sullo stomaco.
 
 
Si ferma, senza voltarsi, attende in un pesante mutismo.
 << La prossima volta, non salvarmi più... tanto è inutile. Prima o poi smetterò di essere così fortunato. >>.
 
 
<< Non prendo ordini da qualcuno che non sa quanto sia importante vivere. Se ci sarà una prossima volta, continuerò a salvarti, fino a quando ti stancherai di provarci. >>, dice brusca, uscendo dalla stanzetta satura di alcool etilico. Pochi secondi dopo la sento urlare furiosa il nome dell'infermera e borbottare di chiamare lo psicologo dell'ospedale.









Note:
Considerando la giornata speciale, dedicata all'aMMMMMore, beccatevi questa botta di vita. 
Caro Ville, tu e le gioie nemmeno se ci inciampi sopra. xD


Detto questo, vi presento la Dottoressa Krista Heini: 

 
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La canzone ad inizio capitolo è: Evelina Christopherson - Alive In Your Memories

Come si sarà notato, i capitoli saranno più corti, veloci e carichi di tantaaaaa ansia, ma proprio tanta tanta. Vi annuncio che, Amelia non avrà un ruolo marginale, sarà molto più presente di ciò che si possa pensare. 

Adesso però, prometto davvero che pubblicherò il prossimo mese, altrimenti vi vizio troppo e invece mai una gioia nemmeno a voi. 

 
La storia può presentare errori ortografici.


Buon San Valentino a tutti quelli che si amano davvero. 
Un abbraccio.
DarkYuna.  

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Capitolo 3
*** Vita e Morte ***


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3.
"Vita e Morte"








 
Sono una barca di carta, in un mare governato dal caso.
 
 
All'inizio ho creduto che ci fosse un motivo per ogni cosa, ero certo che ci fosse una ragione importante per aver incrociato la strada di Amelia, averla amata più della mia stessa vita e poi persa per sempre.
A tre anni da quel giorno a cui non voglio più pensare, capisco che una ragione non c'è, non c'è niente, a parte il vuoto che mi divora dall'interno e poi il nulla. La vita e la morte fanno parte di una ruota che ti travolge, schiaccia e lascia a terra, incapace di reagire.
 
 
Sono definitivamente sul fondo, non ho la forza di rialzarmi... e senza le medicine non riesco neppure a dormire. Ho la mente più vigile di sempre, il cervello invaso da ricordi che non riesco a sopprimere.
Il tempo ha cancellato il viso di Amelia, è come una caliginosa ombra che devasta l'anima. La violenza del dolore è l'unica cosa che mi resta di lei, che mi fa capire che non è stata solo frutto della fantasia, che per poco abbiamo camminato insieme e che me la porterò dentro fino all'ultimo.
Cosa resta davvero delle persone care che ci lasciano soli nel labirinto della vita?
Cosa resta di loro?
E di noi?
Di noi cosa resta?
 
 
Aspiro una profonda boccata della sigaretta che oggi ha portato Migé.
Nessuno l'ha presa bene, né lui, né la mia famiglia o gli amici più stretti.
Ho davvero tentato di uccidermi? Era sul serio questo che aspiravo? Con il senno di poi mi sono chiesto se non ho agito sotto effetto dei farmaci e quindi con una coscienza deviata, la depressione ha fatto il resto.
Voglio davvero morire?
 
 
Scatta la mezzanotte: 22 Novembre. Tanti auguri Ville, stai passando il tuo compleanno all'ospedale, perché sì, hai davvero cercato di farla finita con questo mondo.
 
 
Helsinki sonnecchia sotto una coperta di neve nivea, le luci dei lampioni lambiscono gli edifici sullo sfondo, ed è come trovarsi fuori dallo spazio e dal tempo. C'è una strana atmosfera nell'aria, come di attesa.
Getto la sigaretta dal parapetto, la guardo cadere giù, fin quando le tenebre la inghiottiscono. È parecchio alto da qui sopra, forse quarto o quinto piano, un salto e dovrebbero raccogliere con una pala le mie membra maciullate al suolo. Probabilmente si accorgerebbero dello scempio domattina.
Dio, quanto casino farebbe la mia morte!
Già me li vedo gli articoli di giornali, pieni di fanfaluche, menzogne ed idiozie e mi viene da ridere. Quante parole inutili a questo mondo, meccanismi subdoli e bugie inqualificabili, tutta finzione e nulla di più.
Le persone sono un teatrino pieno di maschere, di cui mi sono stancato di fare parte.
 
 
Sto nuovamente meditando di uccidermi, quando un trambusto nel silenzio dell'ospedale, declassa il proposito in secondo piano. Mi stringo nella vestaglia e rientro in corridoio, appena per sfiorare a stento la dottoressa Krista, che sta correndo in una stanza. Con lei ci sono due infermiere, una delle quale trasporta lesta un macchinario.
È da quando mi sono risvegliato che non ho avuto più modo di incontrarla.
Dovrei tornare in stanza, lo so, è la scelta migliore che possa fare, invece i piedi mi tradiscono e mi affaccio sulla stanza dove sta accadendo l'impensabile.
 
 
C'è un fastidioso bip bip che echeggia nell'aria, voci concitate che si susseguono, le infermiere sono nel panico, ma lei no, la dottoressa mantiene un controllo invidiabile. Prende gli elettrodi del defibrillatore, li poggia sul petto nudo dell'uomo privo di sensi e la scarica fa sobbalzare in maniera innaturale il busto del paziente.
Batto più volte le palpebre, sotto shock e rivedo come una proiezione a rallentatore, la notte in cui Amelia è morta. La violenza della scena si ripete in un loop infinito, fino a rischiare di friggermi il cervello.
Ad ogni tentativo della dottoressa di rianimare quell'uomo, in un flash rivedo la medesima scena, ma con Amelia come protagonista.
Poi un silenzio interminabile, i bip bip esagitati si trasformano in un lungo suono regolare e costante, che non smette di decretare la sconfitta.
 
 
La dottoressa sbianca, strabuzza gli occhi di ghiaccio e boccheggia distrutta. Lascia cadere gli elettrodi, indietreggia fino ad addossarsi alla parete alle sue spalle e, quando meno riesco ad intuire la prossima mossa, sferra un pugno brutale al muro.
<< Cazzo! >>, inveisce, però non è solamente un'imprecazione, è un lamento di dolore. Ho sbagliato nel giudizio poco obiettivo, non è gelida perché non vuole restarne invischiata, è così perché c'è dentro fino al collo. La morte di quell'uomo si ripercuote su di lei, come una pugnalata al centro del petto e quando si volta, il viso sottile è rigato di lacrime.
Si accorge di me, ed è indifesa, priva di ogni protezione, invulnerabile sotto il mio sguardo. Non è abituata ad essere vista in quello stato.
 
 
Qualcosa si annoda allo stomaco e stringe così tanto da farmi male.
 
 
Si asciuga rabbiosa i lucciconi, ma non è con me che parla.
<< Chiamate i parenti, voglio parlargli di persona. >>, decide, con una coraggiosa determinazione che mi fa rabbrividire. Sarà lei a dire alla famiglia che un loro caro non c'è più e non conosco niente di più difficile da fare. Non so se avrei lo stesso coraggio.
 
 
Torno scosso nella mia stanza, non voglio assistere alla scena, non voglio essere nei paraggi, eppure, per quanto prema forte le mani sulle orecchie, odo le urla atroci di chi ama ed è rimasto in vita. Echeggiano nelle orecchie e riportano a galla il fiume in piena del passato.
Un'ora più tardi, un silenzio spettrale è calato nel corridoio, è come se non fosse accaduto nulla, invece è successo l'inferno. Ho detto definitivamente addio a Morfeo per stanotte e sono di nuovo in piedi a vagare per l'ospedale.
Passo davanti la porta a vetri che da sul terrazzino, dove stavo fumando. La dottoressa Krista è lì, sola, che fissa il paesaggio innevato e fuma nervosa. Di primo acchito non voglio disturbarla, immagino voglia stare da sola dopo l'accaduto, d'altro canto qualcosa mi spinge a farle compagnia.
 
 
 
Schiarisco la voce, impacciato. Non sono mai stato bravo a consolare le persone, in realtà non sono mai stato bravo a niente, solo lamentarmi mi riesce perfettamente.
 
 
La dottoressa muove appena la testa, è come se sapesse che sarei venuto. Solo dopo mi accorgo che nell'altro orecchio ha una cuffietta collegata ad un mp3, che tiene in tasca. La musica resta un brusio di fondo.  
 
 
<< Com'è morire? >>, chiede ad un certo punto, tirando su con il naso e resto pietrificato, poiché un'altra persona ha posto la medesima domanda, in passato.
Ispiro interrogativi esistenziali, a quanto pare.
 
 
Poggio la schiena al parapetto freddo, dando le spalle alla città.
<< Dicono che sia come addormentarsi, dopo una lunga giornata stancante... quasi non te ne accorgi. >>. Incrocio le braccia, più per scaldarmi, che per altro. << Non ha sofferto, non hai nulla di cui incolparti, non avresti potuto fare nient'altro. >>.
 
 
<< Avrei potuto fare molto, invece... salvarlo, per esempio. >>.
<< Non puoi addossarti la colpa della sua morte. >>.  Conversiamo come se ci conoscessimo da anni, quando invece so a malapena come si chiama.
 
 
<< È quello che sto già facendo. Loro sono qui per essere curati, affidano la loro vita a me, si fidano di me. Il minimo che posso fare è assicurargli che torneranno a casa. >>. Alza gli occhi arrossati e mi fissa con una forza che mi confonde.
Anni fa ho avuto la medesima convinzione di poter salvare la ragazza che amo, ci ho creduto con tutto me stesso, malgrado ciò il destino ha deciso diversamente. Non possiamo niente contro la vita e la morte, siamo solo dei burattini inanimati, governati dalla sventura degli eventi.
 
 
<< Stanotte ti ho visto fare il massimo per quell'uomo... sarebbe sul serio magnifico se potessimo salvare chiunque desiderassimo, per puro egoismo o per eroismo. Dipende da come la vuoi vedere. Le cose accadono, senza motivo e noi dobbiamo solo accettarle. >>, concludo amareggiato. Io, però, non ho accettato la morte di Amelia.
 
 
<< Non credo che sia così semplicistico. Deve per forza esserci una casistica, una ragione, una motivazione. Per esempio, io sono venuta qui fuori per fumare e tu non sei passato qui davanti per fatalità. Se quell'uomo è morto, c'è una motivazione, così come c'è una motivazione sul fatto che fossi io di turno stanotte e che tu abbia assistito. >>. L'ultima frase viene fuori a mo' di rimprovero, ma non approfondisce l'argomento, siamo entrambe troppo scossi per cause differenti, nate da un episodio comune.  
 
 
Stropiccio il naso freddo, le concedo il beneficio del dubbio, anche se resto fermo sulle mie opinioni. Capisco che non è di un dibattito sulle misteriosi leggi della vita ciò di cui ha bisogno, niente riflessioni logistiche e spiegazioni dettagliate su pensieri ispirati da un forte ateismo, con cui mi approccio alla vita. Farebbe bene a tutti, per una volta, allentare la corda e concedersi una semplice chiacchierata senza senso.
<< Dici che c'è un motivo per tutto questo? >>, allargo le braccia, per far intendere la situazione complessiva che ci ha portato a questa notte strana.
 
 
Getta il mozzicone consumato al di là del parapetto, spegne l'mp3 ed infila le cuffiette nella tasca. Si gira ed assume la mia stessa posizione, solo che le mani sono nelle tasche del camice.
<< Se non avessi tentato il suicidio, questa sera non avresti visto quell'uomo morire e non avresti capito che non è questo che vuoi. Non desideri veramente provocare quel tipo di dolore in chi ami, perché tu sai bene cosa si prova. >>, spiega saggia e non mi sorprende che sappia. Quando è morta Amelia, nonostante gli sforzi di tutti, la notizia è trapelata ugualmente e finita dritta dritta sui peggiori giornali di gossip locali.
Per chi è finlandese, specialmente di Helsinki è a dir poco impossibile non sapere chi io sia, anche se non gliene importa un fico secco o non segue assiduamente il mondo della musica scandinava.
 
 
<< Già. >>, mormoro, più che altro perché non so che dire. Non parlo mai di Amelia, tuttavia mi sembra di aver trovato un'anima affine stanotte, una persona che penetra davvero cosa sento. Non inutili cliché da strizzacervelli, ma qualcuno che la morte l'ha provata sulla propria pelle.
 
 
<< Il dolore resta in chi è vivo. >>, continua, fissando un punto indefinito davanti a sé. È la prima volta che incontro un dottore con una così intensa sensibilità, anche se a vederla non si direbbe.
La morte lei l'ha vista in faccia, combatte contro di essa tutti i giorni, per strapparle via le vite delle persone ricoverate in ospedale.
 
 
Batto nervoso il piede, alzo il viso al cielo, ed è come se non riuscissi più a tenermi l'inferno dentro. Con lo psicologo non ho parlato, neppure con lo psichiatra abituale che mi segue da un paio di anni e mi intontisce di antidepressivi, non voglio raccontare di Amelia a chi ha sempre una risposta studiata a tavolino da rifilarmi, per cercare di quietare i demoni.
Lei sembra diversa, non una maschera, c'è una leggera e lancinante percezione che mi obbliga a fidarmi di un'estranea. Forse dipenderà dal fatto che mi ha salvato la vita, o perché l'ho vista così tanto lottare per la vita di qualcun altro. Non voglio dare alcuna spiegazione, è solo una sensazione e per stavolta seguo l'istinto. 
 
 
<< Le ho fatto una promessa... una promessa che non riesco più a mantenere. Io non voglio più vivere in un mondo dove lei non c'è. >>.
In questi tre anni ne ho sentite di tutte i colori, frasi vuote, stereotipi abbastanzi ovvi, stupidaggini infinite e nessuna di esse è servita davvero a confortarmi, all'opposto mi sono sentito solo ed emarginato.
 
 
La dottoressa mi guarda fisso, ha un'espressione affranta e spero che questa conversazione non sia solo lavoro per lei, ma più un contatto umano, dove sono le emozioni a parlare.
<< Anche io vorrei morire, se perdessi la persona che amo. >>, dice a bruciapelo, comprendendo sul serio ciò che si dibatte nel cuore in macerie, che giace nel petto. << Non ci sarebbero promesse, né ragioni sufficientemente valide da tenermi legata a questo mondo. Niente di niente, perché l'amore, quello vero, non le fandonie che si vendono a poco prezzo oggigiorno, ti violenta l'anima in ogni istante e non ti permette di respirare se l'altra persona non c'è più. >>.
 
 
Boccheggio sconcertato, perché nessuno fino ad ora, era stato in grado di mettersi sul serio nei miei panni.
 
 
<< Però, poi mi fermo un momento e ci rifletto su. Se tu ti uccidessi, come pensi la vivrebbero le persone a te care? E se si uccidessero anche loro, perché non sopportano la tua scomparsa? Diverrebbe come un terribile effetto domino. >>, continua a dire, sovvertendo completamente il mio modo di vedere la vicenda. << Mettiamo per un momento che fossi riuscito davvero a morire quella notte e che io non fossi mai stata lì. Tu vorresti che la tua famiglia compiesse il medesimo gesto? >>.
 
 
Non ho bisogno di rifletterci più di tanto, rispondo di getto.
<< No. >>.
 
 
Inarca un sopracciglio retorica, sorride con eloquenza, ed io capisco il nocciolo della faccenda.
<< La ragazza che porti nel cuore, ti ha chiesto di farle quella promessa perché ti amava sul serio e perché l'idea della tua morte era insopportabile da accettare. >>. Da un leggero buffetto al mio braccio, come per infondermi speranza. << Le persone vanno e vengono nella nostra vita, è una realtà. Puoi combatterla, arrabbiarti, inveirle contro, ma è così e non puoi farci nulla. I tuoi cari moriranno, io morirò... tu stesso morirai, e questa è la vita. Non conta l'inizio o la fine, conta ciò che è il durante e se, questa ragazza, ti ha lasciato una traccia così profonda ed indelebile dentro, non devi augurarti di morire, ma prendere quel sentimento indistruttibile e portarlo in ogni cosa che farai e dirai. Questo sentimento è il suo regalo per te. Ama forte, vivi forte, non lasciare che il giorno finisca senza aver fatto qualcosa che ti abbia reso felice. Non ci sarà mai più un giorno come quello appena finito e la cosa peggiore che tu possa fare adesso è lasciare che il tempo trascorra e svegliarti pieno di rimpianti. Hai fatto una promessa a quella ragazza, allora è il momento di mantenerla. >>.
 
 
Le sue parole non mi hanno guarito, non è avvenuta una portentosa magia, non ho smesso di desiderare di morire, però qualcosa è mutata, posso vederla perfettamente la luce accecante che filtra attraverso le crepe del mio essere. Le tenebre si rischiarano, adesso fanno meno paura.
 
 
 
L'infermiera viene a cercarla, interrompendo la conversazione più bella che abbia avuto negli ultimi anni; un paziente ha bisogno di lei, ma prima che se ne vada l'afferro per un polso.
 
 
<< Io sono Ville. >>, mi presento, poiché fino ad adesso nessuno dei due ha pronunciato il nome dell'altro.
 
 
I lineamenti si ammorbidiscono e sorride bonaria.
<< Lo so. >>, afferma sincera, sarebbe stupido nascondere chi io sia con stoltezze superflue e lei non ha l'aria di esserne il tipo. << Krista. >>.
 
 
Sorrido di rimando.
<< Lo so. >>.









Note: 
Eccoci qui con il terzo capitolo di questo mese. 
La stesura sta andando bene e sono a buon punto, non appena finisco aggiornerò più spesso, prometto. 

In questo capitolo inizia a modellarsi il carattere di Krista, donna tutta d'un pezzo, ma con una grande sensibilità. Non è debole, non è forte, è solamente se stessa in ogni situazione. 
Ville ne è affascinato, anche se fa difficoltà ad ammetterlo, anche con se stesso. L'ombra della morte di Amelia è sempre ben presente. 

Spero che il capitolo possa piacervi, ancora la trama in sé non ha ingranato, ci sto arrivando per gradi, così come tutta la storia in sé andrà per gradi. Non ci si può certo aspettare che Ville dimentichi il dolore con uno schiocco di dita: ci vorrà tantooooooooooo tempo. 


La storia può presentare errori ortografici.

 
Un abbraccio.
DarkYuna.  
 

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Capitolo 4
*** Per amore ***


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4.
"Per amore"








 
Cento cose da fare prima di morire.
Beh, non mi è venuto nulla di meglio da scrivere, per iniziare a vivere davvero una vita, non più per il piacere degli altri, ma per il mio.
 
1. Fare dieci giorni di silenzio.
2. Svegliarsi una mattina e partire, senza programmare nulla.
3. Convincere qualcuno a fare questa lista e gareggiare a chi la completa prima.
4. Sposarsi.

 
Rileggo più volte il punto quattro, alla fine lo cancello con così tanta forza da strappare il foglio. Rabbioso lo appallottolo e nel lanciarlo nel cestino, sbaglio mira e colpisco qualcuno appena entrato nella stanza. 
La dottoressa Krista Heini.
 
 
<< Vuoi intraprendere una carriera da giocatore di basket? L'altezza c'è, il fisico è un po' carente: dovresti mangiare di più. >>. Si china a raccogliere il foglio, lo riapre e legge ciò che non è stato squarciato dalla penna. Ha la faccia stanca, occhiaie violacee e sbadiglia continuamente. La vita in ospedale è strana, i dottori hanno turni assurdi e l'ho incontrata solo tre volte totali, da quando sono ricoverato. Questa è la quarta. << Beh, dovresti metterci più convinzione: non eri partito male. Cosa c'era al posto del buco? >>. Si avvicina con lentezza, ha le gambe stanche, lo intuisco da come cammina, provando a non pesare eccessivamente su di esse.
 
 
Sorrido amaro, scrollando le spalle.
<< Una cosa ridicola: sposarmi. >>.
 
 
Si siede nel letto di fronte al mio, sbuffando di sfiancamento.
<< Perché è una cosa ridicola? >>.
 
 
<< Perché la persona che vorrei sposare e a cui l'ho chiesto, non c'è più. Quindi, a parte che non venga legalizzato il matrimonio con sé stessi, non credo che mi sposerò mai. >>.
 
 
Sospira appena, si massaggia le ginocchia: deve essere stata una lunga nottata.
<< Sai cosa diceva mio padre? "Mai dire mai". Succedono sempre le cose a cui avevamo detto "mai".  E poi, sono dell'opinione che il matrimonio sia sopravvalutato. C'è bisogno di una firma, per unire per sempre due persone? Io la vedo così, se vuoi sposarti è per una forma di apparenza, ci si sposa perché lo sappiano gli altri, ma se ci si ama non si ha bisogno che lo sappia nessuno, a parte i diretti interessati. >>. Alza gli occhi dal foglio bistrattato ed incontra i miei a metà strada, già fermi sul viso sottile e pallido. Non mi accorgo che la sto fissando, fino a quando lei non fa ugualmente. Ha le iridi di un azzurro chiarissimo, la luce pallida del giorno filtra dalla finestra e li rende due diamanti di rara bellezza, capaci di mille incantesimi oscuri. << Comunque il punto tre, direi che potresti iniziare a cancellarlo: hai trovato la persona giusta. >>, riprende, abbassando le palpebre ed emozionandosi sorprendentemente. Non ha l'aria di qualcuno che arrossisca facilmente.
 
 
<< Tu? >>, domando esterrefatto.
 
 
Annuisce sorridendo.
<< Ci sono tante cose che non ho mai fatto in vita mia, però "sposarmi" non è nella mia lista, te lo dico in partenza. L'amore si dimostra in altri modi, non è una fede al dito ciò di cui ho bisogno. >>.
 
 
<< E cosa? >>, chiedo interessato. Non è una donna banale, per questo sono attratto dalla sua mente.
 
 
Ci pensa su per una manciata di secondi.
<< Mi piacerebbe mettere piede in tutti i continenti. >>, ammette trasognante. Per un medico il tempo materiale per queste fantasie non c'è davvero e un po' me ne dispiace.
 
 
<< Fatto. >>, confesso.
 
 
Storce il naso, falsamente invidiosa.
<< Lo immaginavo. Io a malapena sono arrivata a Tampere: le gite scolastiche non valgono. Quelle sono deportazioni carcerarie obbligatorie, non viaggi di piacere. >>. Scoppiamo a ridere insieme, la sua risata sprona la mia ed è una risata sincera, piena, sentita. Non ridevo così da troppo tempo.
 
 
<< Cos'altro? >>. Mi piace parlare con lei, ha quell'intelligenza non ostentata a forza, spirito di vita e leggerezza che trasforma il grigiore dell'esistenza, in un mite e candido bianco.
 
 
<< Imparare a suonare uno strumento musicale. >>. Alza la mano per zittirmi. << Ah! Lo so che tu lo sai suonare, anzi, li sai suonare. Credo che la maggior parte delle cose che ci sono nella mia ipotetica lista, tu le abbia fatte. >>.  
 
 
<< Non so se si possa considerare un bene. Non è che mi sia rimasto poi molto da fare. >>. Piego le spalle all'ingiù, sempre più convinto che non ho davvero motivi per restare su questo mondo.
 
 
Istintiva prende la mia mano tra le sue, all'improvviso avverto una strana tensione sotto la pelle, percorre le vene, si divulga veloce in tutto il corpo e risale verso il cuore. Una scintilla si accende nel petto.
La osservo, stupefatto.
 
 
<< Ci sono tante cose che ancora non hai fatto, Ville. Essere felice per esempio. Non devi stilare una lista di cose da fare, di cose programmate, devi agire di istinto, seguire i tuoi desideri, senza più pensarci prima. Hai detto che vuoi sposarti, magari avere dei figli e condurre una vita normale, quella che tutti hanno e che tu non hai avuto mai. Hai fatto quello che gli altri sognano, adesso fai ciò che per tutti è normale e che non apprezzano, no? >>.
 
 
Ci ragiono molto, ed è un suggerimento che mi piace più del dovuto.
Ogni volta che ci vediamo, è capace di dare consigli azzeccati e che danno speranza. Specialmente perché mi ascolta quando parlo e capisco che le interessa davvero, non se ne sta qui per farmi un piacere, perché il dovere di medico glielo impone.
<< Grazie. >>, è l'unica cosa che riesco ad esternare. Non sono cambiato sotto quel punto di vista, sono ancora lo stesso Ville che non riesce a dare voce alle emozioni, se non attraverso la musica.
 
 
Un movimento alla porta distoglie l'attenzione da Krista, fino al giovane ragazzo che è passato spedito in corridoio e poi tornato indietro.  
<< Dottoressa per sbaglio ho confuso la pasta dentifricia con la pomata contro le emorroidi. Ora le mie gengive hanno smesso di sanguinare, e il buco del culo odora di fresca menta alpina! >>, esordisce sfacciato. Ha una sigaretta spenta bloccata in un angolo della bocca, occhi di ghiaccio, ricci capelli neri, lineamenti affusolati e familiari. Molto magro ed alto, indossa abiti semplici, jeans, converse e un giubbotto nero. Ha la tipica faccia da schiaffi di un adolescente che affronta la vita con menefreghismo.
 
 
Krista ruota gli occhi al cielo, si alza in piedi e va rapida verso il ragazzo, per tirargli uno scappellotto dietro il collo e strappargli via la sigaretta di bocca.
<< Ahia cazzo! Cos'era questa, l'anestesia per la sonda anale? >>. Urla così forte, che lo avranno sentito in tutto l'ospedale.
 
 
<< Se non ti sciacqui la bocca da tutta questa volgarità del cazzo, ti prendo a calci in culo così forte che le emorroidi te le faccio sputare dalla bocca! >>, lo rimprovera imperativa.
 
 
La scena ha davvero del comico e mi ritrovo a sorridere per il paradosso.
 
 
<< Ehi, sono malato di emorroidi, abbi un po' di comprensione. >>.
 
 
 
Krista lo afferra per il colletto, provando a cacciarlo fuori dalla camera, il ragazzo si accorge di me e capisco che ha appena individuato una nuova preda da attaccare.
<< Ehi, ma io ti conosco! >>. Mi indica, tuttavia non riesce a ricordarsi dove ci siamo incontrati in precedenza.
 
 
<< Nathan! >>, strepita lei a mo' di rimprovero. << Fuori di qui. >>.
 
 
Inarco un sopracciglio, raddrizzo la schiena e mi aspetto il peggio.
 
 
<< Se ti vuoi scopare mia sorella, sappi che è lesbica, ma lesbica forte. Come la lecca lei, non la lecca nessuno. >>. Piega l'indice e il medio a forma di V ed inizia a passare oscenamente la lingua tra di loro, ansimando indecente. Il risultato finale è quasi disgustoso. << La lecca così tanto, da raggiungere le tonsille. Ha vinto la figa d'oro dell'anno, per come lecca bene. >>.
 
 
<< Pezzo di imbecille. >>. Gli tira una seconda sberla. Con un fratello del genere, immagino che la sua vita sia doppiamente difficile. << Aspetto il giorno che qualcuno venga a dirmi che sei adottato. Dovresti essere ai servizi, che diavolo ci fai qui? >>.
 
 
<< L'assistente sociale voleva scoparmi il culo a sangue. Dio, avresti dovuto vederlo, era una bestia enorme. >>. Accompagna la frase, con un chiaro gesto sessuale, dimenando il bacino avanti e indietro. << Forse è per questo che ho le emorroide gonfie. >>. Ogni parola che pronuncia è una parolaccia inerente al sesso o mirata a prendere in giro il prossimo.
 
 
<< Perché ho la netta impressione che avrò di nuovo la polizia alla porta? Cosa hai fatto? >>, interroga sospettosa. È palesemente a disagio, poiché un estraneo sta assistendo alla loro diatriba familiare.
Adesso so che ha un fratello più giovane, condannato ai servizi sociali perché minorenne e con un carattere tutt'altro che facile. Si somigliano solo fisicamente, visto che caratterialmente sono l'esatto opposto.
 
 
Scuote le spalle, risponde sincero.
<< Ma niente, mi sono rotto tre quarti di palle. C'erano dei vecchi scassa cazzo a cui fare da balia... a tutto c'è un limite. >>.
 
 
La dottoressa sbuffa, rassegnata.
<< Un giorno, quando anche tu sarai anziano e non vecchio, augurati che nessuno ti tratti come un peso per la società... e adesso è ora di andare a parlare nel mio studio, Ville deve riposare. >>.
 
 
<< Ville. >>, sbotta il ragazzino. << Quel Ville? Il Ville Valo che s'è licenziato dalla sua stessa band musicale? >>, lo dice in una palesa presa per i fondelli. Gli importa poco e niente di urtare la sensibilità altrui, vomita addosso al prossimo tutto ciò che pensa.
 
 
Krista gli mette una mano in bocca, prima che possa combinare danni irreparabili, lo afferra per il bavero del giubbotto, trascinandolo fuori e lasciandomi uno strano retrogusto amaro.
 
 
Solitamente non rimugino sulle parole di un ragazzino che sa poco e niente su come funziona il mondo, eppure stavolta ci penso per un secondo di troppo.
Prima di Amelia non sono mai stato quello che si possa definire un "tipo  razionale", prendevo decisioni in base a come mi svegliavo al mattino e non rimuginavo poi tanto sulle conseguenze. Dopo Amelia, questo aspetto è peggiorato notevolmente.
Lei mi amava per come ero, per chi ero, per la mia voce, le mie parole, la mia musica, ed è per questo che ho deciso che nessun altro le avrebbe udite mai più, perché, per me, era una sorta di tradimento alla sua memoria.
 
 
Già... sono Ville Valo, colui che si è licenziato dalla sua stessa band musicale, per amore.









Note: 
La stesura dei capitoli sta andando meglio del previsto, perciò ho deciso di deliziarvi (si fa per dire) con un nuovo capitolo per questo mese. 

Si inizia a delimitare sempre di più il carattere di Krista, quindi niente matrimonio per lei, poco romanticismo e zero smancerie. 


In più c'è l'entrata di un nuovo personaggio: Nathan Heini. 


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Personaggio interamente ispirato da Nathan della serie tv Misfits, che personalmente adoro. Chi ha visto la serie, sa che Nathan è sboccato fino al limite del possibile ed ho scelto di usarlo proprio per accentuare la diversità caratteriale tra lui e Krista. 

Ringrazio i fantasmini che leggono solamente e chi ha aggiunto la storia alla preferite e alle seguite. Grazie. 

 
La storia può presentare errori ortografici.

 
Un abbraccio.
DarkYuna.  

 

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Capitolo 5
*** Forte come una radice ***


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5.
"Forte come una radice"








 
Ho sempre avuto un solo e grande difetto... beh, sintetizzare meramente con "uno" è un paradosso, dal momento che non ho "solo" un difetto, ma molteplici. Comunque sia, tornando al nocciolo della questione, il difetto principale che mi marchia è la noia.
Ci provo a condurre una vita che possa definirsi quantomeno "normale", secondo un mio punto di vista tuttavia discutibile, ma niente, il risultato è il medesimo per ogni sforzo esternato. All'inizio vengo colto da un inspiegabile scintilla che mi trascina in un vortice ossessivo infuocato per quasi una settimana, non oltre, poi... e poi niente, finisce tutto in una nuvola di fumo, mi annoio da morire e come è iniziata, naturalmente si estingue.
Accade per tutto, cose, luoghi e persone.
 
 
È un dannato circolo vizioso, che mi accompagna da quarantatre anni, è avvenuto lo stesso anche con gli HIM, solo che loro sono durati più di un quarto di secolo e poi, così come ho dato inizio a tutto, ho decretato la parola fine.
 
 
Mi sono allontanato anche da un sacco di persone per noia, specialmente Migé. Non gli ho mai davvero perdonato il comportamento con Amelia, di come l'abbia trattata e per non avermi aiutato nel momento del bisogno. Io lo so, lui lo sa, nessuno dei due ne ha parlato e abbiamo lasciato che il silenzio e il tempo creasse una profonda incrinatura che nessuno potrà risanare. 
A volte vorrei che tutto tornasse come prima, era il primo che chiamavo per comunicare un episodio divertente, una bella notizia o dei problemi, adesso sono l'unico confidente di me stesso: ed è orrendo. Specialmente la notte, quando la mancanza di Amelia mi toglie il respiro, non c'è nessuno che raccoglie i miei pezzi sparsi nei ricordi. Lei era "l'inaspettato" che è giunta come un uragano nella noia stantia dell'esistenza, l'ha messa a soqquadro e, lasciando tutto in disordine, se n'è andata.
L'ho amata specialmente per questo, perché mi arricchiva, riempiva i vuoti profondi, arruffava il cervello e violentava l'anima. Così uguale a me, capace di infiammare la mente, è diventata indispensabile proprio quando l'ho persa per sempre.   
 
 
Mi sono odiato così tanto dopo quella notte, per non essere stato sincero fino in fondo, per non averle detto che l'amavo, per non essere stato sul serio l'uomo di cui aveva bisogno. Mi odio ancora, forse è per questo che provo a distruggermi.
Amelia era il fuoco che aveva ridato calore e luce alle fredde tenebre in cui vivevo e dove sono tornato. Per questo lei non è durata solo una settimana, perché mi annoia tutto, tranne il fuoco.
 
 
Preparo il borsone che ha portato mia madre durante la permanenza in ospedale: mi stanno dimettendo. Ho trascorso otto giorni in ospedale e sono riuscito a vedere la dottoressa Krista solo quattro volte, poi si è come dissolta nel nulla.
Neppure oggi è qui, stoltamente mi guardo attorno, intanto che passo dalla caposala per il referto medico, firmo un paio di documenti e poi sono libero. Ne sono come frustrato, non so darmi una valida spiegazione, mi nascondo dietro la sciocca scusa del "volevo salutarla", altrimenti entro in paranoia per una soluzione che non giustifico.
Vado via, senza voltarmi indietro, archiviando definitivamente il capitolo "ricovero", non so se ho imparato qualcosa da questa esperienza, non so se non riproverò a farmi del male o se inizierò a vivere sul serio come ha detto la dottoressa. Fuori dall'ospedale, mi sento come se fossi stato lontano dal mondo per secoli e adesso questa non fosse più casa mia: uno straniero in terra straniera.
 
 
Il mondo continua a correre veloce, mentre io striscio a stenti.
Non ho chiamato nessuno, non voglio fare sorprese, non sono il tipo, ho solo bisogno di starmene per i fatti miei, mentre riordino le idee e provo a rimettere in sesto un'esistenza andata chiaramente in frantumi.
 
 
<< Hai l'aria di qualcuno che si è perso. >>, mormora una grintosa voce femminile. Proviene dalla macchina che si è affiancata al marciapiede, dove sto camminando. << Ti avverto che non sono molto brava a dare indicazioni stradali. >>. È lei, la dottoressa Krista Heini, ed è buffo, poiché solo nel rivederla, capisco che la stavo pensando inconsapevolmente.
 
 
<< Mi hanno dimesso. >>, sottolineo l'ovvietà, nemmeno ce ne fosse sul serio bisogno.
 
 
Sorride appena, l'espressione si fa dolce.
<< Beh, altrimenti voleva significare che tu fossi fuggito, ma non mi sembri il tipo. Vuoi un passaggio? >>. È truccata come la sera in cui ci siamo incontrati, indumenti prettamente neri, probabilmente non sta andando in ospedale, però non è passata qui per caso. È di una bellezza disarmante, una bellezza intensa, una bellezza oscura, non passerebbe inosservata nemmeno se ci provasse.
 
 
Annuisco, ripongo il borsone nei sedili posteriori e le siedo accanto.
<< Sapevi che oggi venivo dimesso. >>. Non è una domanda, più un'affermazione.
 
 
Ingrana la marcia sicura e si immette disinvolta nel traffico mattutino di Helsinki, guida con una padronanza invidiabile: ha tutto sotto controllo, niente sfugge alla sua attenzione. Non salgo sulla macchina di una donna da tre anni.
<< Ho dato io il permesso. Stai bene. >>. Arrischia un'occhiata fugace. << Nel corpo intendo. So che non vuoi stare bene nello spirito. >>
 
 
L'interno dell'abitacolo ha un profumo inconsueto, personale e che mi avvolge in un'impalpabile nuvola delicata, ma decisa.
Scruto bene il profilo di Krista, il naso piccolo, gli occhi grandi, la bocca carnosa, poi più giù, sul seno piccolo e le mani affusolate, noto i più piccoli dettagli e ne rimango rapito. 
 
 
<< Il dolore è l'unica cosa che mi resta di lei, l'unica cosa che mi assicura che lei è esistita davvero e non è stata solo una mia fantasia. >>, commento a mezza voce, ed ho bisogno di distogliere lo sguardo da lei, ho bisogno di non guardarla, ho bisogno di non incontrare quelle iridi che sanno. Sanno molto più di quanto possa essere plausibile, ed io non voglio essere così esposto con qualcuno che non so chi sia. Il solo fatto che un'estranea stia entrando nei miei più intimi segreti è frustrante.
 
 
<< Non è solo il dolore che ti resta di lei, Ville. Ti ha lasciato l'amore... dovrebbe essere quella, l'unica cosa, che ti assicuri che lei è esistita davvero. Non il dolore: ma l'amore. >>.
 
 
Stropiccio il naso nervoso.
<< Ti interessa davvero o è deformazione professionale? >>. Non c'è rabbia o arroganza nella voce, voglio solo capire, perché un conto è che voglia aiutarmi sul serio perché gli faccio pena da far schifo e un altro è che lo fa perché è il suo lavoro che glielo impone.
 
 
Rallenta appena, accodandosi alla fila di macchine ferme al semaforo.
<< Non indosso il camice, non siamo in ospedale... se fosse deformazione professionale ti avrei mandato un altro psicologo, non sarei io stessa a parlare con te. >>, controbatte giudiziosa. Ha sempre la risposta pronta, è faticoso metterla in difficoltà e non credo che lei sia mai stata in difficoltà in una conversazione.  
 
 
<< Allora perché lo fai? Non mi conosci nemmeno? Dipende da chi sono o cosa? >>.
 
 
Scuote appena la testa, i nostri occhi si incontrano a metà strada.
<< So che significa perdere qualcuno e ritrovarsi completamente da soli ad affrontare il lutto. Nessuna persona che soffre dovrebbe stare da sola a questo mondo. >>.
 
 
Inarco un sopracciglio, stupito. Non ha l'aria di essere una persona encomiabile, in fondo nessuno lo è, comunque è sincera.
<< Sei tipo una Madre Teresa locale? Lo chiedo perché non credo di voler far parte di qualsiasi strambo progetto spirituale che tu abbia architettato. >>.
 
 
Aggrotta la fronte, scoppiando a ridere a crepapelle.
<< Sono tutto, fuorché una Madre Teresa, fidati. Non ho velleità celestiali e non intendo attuare nessun progetto spirituale. >>.
 
 
<< Allora lo fai perché sai chi sono? >>, continuo petulante. Voglio trovare un caspita di motivo che induce una perfetta sconosciuta a volermi aiutare, ad impedirmi di morire. E non mollerò la presa fino a quando non lo avrò scoperto.
 
 
<< Non capisco cosa ti speventi? Il fatto che ti abbia salvato e che io ti abbia visto vulnerabile? O il fatto che io ti stia dando semplicemente un passaggio in macchina? >>. Mi fissa a lungo, prima di concentrarsi sul semaforo verde. Non è offesa, cerca di darmi le risposte che tanto mi affanno a cercare. << Magari non è nessuno di questi il problema, magari è perché io sono una donna e ciò consiste in un pericolo per te. È evidente che c'è qualcosa nel tuo cervello di poco chiaro che è scattato, che non trova riscontro e che ti mette in allarme. In fondo stiamo solo parlando e non vedo cosa ci possa essere di strano se io voglio aiutare qualcuno, senza un secondo fine... quindi il problema è tuo, non mio. >>.
 
 
Il ragionamento non fa una piega, solo che mi sono perso a metà discorso e non ho capito un fico secco.
<< A lungo andare ho evinto che chiunque ha un secondo fine, nessuno fa niente, per niente. >>.
 
 
<< Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita, incontrerai tante maschere e pochi volti. >>. Getta uno sguardo cosciente verso di me, sa cosa mi porta ad avere un livello così alto di diffidenza. << Pirandello. Uno scrittore italiano, conosci? >>.
 
 
Nell'udire la parola "italiano" impallidisco, batto più volte le palpebre scioccato, avverto una connessione tra quelle parole e Amelia: questo non è un caso. Mi rifiuto di crederlo. Sono così fragile nell'anima, che mi attacco a qualsiasi cosa pur di tenerla esistente dentro di me.
Non ho forza di rispondere, Krista fraintende il mio silenzio, però non permette alla conversazione di morire nell'incomprensione.
 
 
<< Sarebbe un vero peccato permettere alle nostre paura di vivere le nostre vite. >>.
 
 
<< Io non ho paura. >>, dico ad un certo punto. << Ho smesso di avere paura, perché non ho niente da perdere... quello che avevo da perdere, l'ho perso. >>.
 
 
<< Tu non hai smesso di avere paura, Ville. Hai smesso di vivere, è molto differente. Hai smesso di credere, hai smesso di sperare, hai smesso di provarci, hai smesso di essere felice. >>.
 
 
Avere la verità sbattuta in faccia, mi urta più del dovuto.
<< Tu non sai nulla di me, dottoressa! >>, sputo con acidità corrosiva.
 
 
<< Serve davvero conoscere il passato di una persona per capire chi egli sia? O serve ascoltare ciò che dice adesso, vedere cosa sta facendo nel presente, passare del tempo con quella persona? >>, ribadisce ostinata.
 
 
Non mi infastidisce la sua caparbietà, anzi mi stupisce. Non sono più una persona famosa, la mia vita privata non interessa più a nessuno, non sono più una notizia succulenta da sbattere in prima pagina di un rotocalco qualsiasi. Quindi non gli interessa cosa sia stato, cerca di rattoppare chi sono ora.   
È bellissima, intelligente e con un carattere indomabile: un miscuglio micidiale per chiunque la incontri. Non è delicata come un fiore, è forte come una radice.
C'è del fuoco in quelle iridi rilucenti, un fuoco che mi abbacina, un fuoco attraente, un fuoco in cui non voglio scaldarmi, un fuoco dal quale voglio scappare.









Note: 
Nuovo mese e nuovo capitolo. 
Sono molto contenta di come sta venendo fuori, perché solitamente ho il problema del "bacio del quarto capitolo", che in questo caso ho pienamente superato. Siamo al quinto capitolo, le cose le prendo con moltaaaaaaaa calma e di baci per ora nemmeno l'ombra.
Anche perché sarebbe parecchio irreale metterci un bacio, quando ci sono ancora troppe cose irrisolte in Ville e di certo ha una confusione tale che non gli permette di capire cosa prova e cosa sente di preciso. 
Il dolore è l'unico porto sicuro, che ha al momento. 
Ve le farò penare le "smielate" in questa storia *risata sadica* 

Dopo questo incipit molto incoraggiante xD andrò a delineare sempre più il carattere di Krista, fino a rendere lampante la diversità tra lei ed Amelia, le loro decisioni che saranno totalmente diverse e verranno fuori molte cose che, nella prima ff non si sarebbero potute comprendere. Il tempo renderà chiari molteplici aspetti. 

Nonostante lei voglia aiutare Ville, resta ferma nel suo carattere da donna forte e sarà difficile per Krista togliere quell'armatura. Lo stesso per Ville, è giunto in un abisso così profondo che per risalire ci vorrà molto. 

 
La storia può presentare errori ortografici.


Buona Pasqua, anche se in ritardo.
Un abbraccio.
DarkYuna.  



 

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Capitolo 6
*** Un amore avvelenato ***


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6.
"Un amore avvelenato"




 


Il Natale è quel periodo dell'anno da cui non puoi scappare, non esiste un singolo posto su questo pianeta dove non si celebra questa festa: è una persecuzione. Negli ultimi tempi, poi, è sempre peggio.
Trovi panettoni e addobbi già a metà ottobre, nemmeno se le persone avessero paura che Cristo nasca prima, anziché il 25 di Dicembre. Nell'aria c'è una sopprimente puzza di finto buonismo, che mi affoga non appena metto piede in strada, per questo esco solo per non morire di fame e poi trascorro il resto del giorno tranquillo tra le mura di casa. Ho sempre mal sopportato i sorrisi artefatti, le parole di gente che non ti calcola per tutto l'anno e resuscita a Natale, solo per una mera facciata e nulla più. Sarebbe meglio riservare i propri "auguri" alle persone davvero speciali e non svenderli a chicchessia, un po' come il "ti amo" oggigiorno.
 
 
Osservo il mondo attraverso la finestra, le decorazioni che illuminano le strade ricoperte di neve, l'atmosfera nostalgica che mi uccide nel profondo, un pezzo per volta e inesorabilmente affondo nei ricordi.
 
 
Mando giù due sonniferi, altrimenti non chiuderò occhio e mi limito a berci sopra una tisana calda... non ho intenzione di finire nuovamente in ospedale, specialmente perché non voglio più rivedere quella dottoressa. Dopo il passaggio in macchina, l'ho volutamente evitata, nonostante sia venuta due volte a cercarmi a casa, non le ho mai aperto. Ho poche scusanti per la mia radicata asocialità, non so dare spiegazioni intelligenti, però lei sta bene dove sta, ed io lo stesso, come due sconosciuti che non si sono mai incontrati.
Mi sono lasciato prendere dalla sua presenza, una speranza di vita che non ho diritto di provare, ho perfino buttato la lista delle "cento cose da fare prima di morire" che stavo scrivendo durante la degenza: era un'idea idiota. Non voglio essere felice, voglio vivere nelle tenebre.
 
 
Sto ancora rimembrando il sorriso aperto che mi ha riservato più volte, quando noto una macchina che conosco bene, sostare dinanzi al cancello. Spegne il motore, scende dall'abitacolo, ma stavolta non suona il campanello, infila le mani nelle tasche del lungo cappotto nero, alza gli occhi fino alla finestra, ed io mi nascondo nel buio per evitare che possa vedermi. La dottoressa Krista resta ferma sulla neve per un paio di minuti, sembra una rosa corvina in mezzo ad una distesa bianca, la luce del lampione illumina la pelle di porcellana, trasformandola in una leggiadra creatura d'inverno.
Perché si affanna tanto? Cosa la spinge davvero a prendersi così tanto disturbo per una persona qualsiasi? Perché proprio io?
Ha a che fare con chi sono e non perché ho tentato il suicidio, ne sono certo.
 
 
<< Lei mi piace. >>, dice una chiara voce cristallina femminile, da dietro le mie spalle. << E so che piace anche a te. >>.
 
 
Non appena la frase termina, una dolorosissima fitta mi spezza il fiato e perfora il cuore con un pugnale arroventato. Mi volto immantinente e, stravaccata scomposta sul divano c'è Amelia, con un vestito di pizzo bianco, i capelli spettinati, il corpo aggraziato e le iridi due tizzoni ardenti.
Boccheggio sconvolto, stropiccio più volte gli occhi, i sonniferi non possono aver agito così velocemente, di solito ci mettono un'ora buona prima di farmi crollare. Sto per sentirmi male ,vado sotto shock.
 
 
<< Ammettilo, Ville, altrimenti perché ti nascondi come un coniglio? >>. Conversa amabilmente, come se fosse del tutto normale che una persona morta possa parlare con una viva.  
 
 
<< M-ma come... c-ome è possibile? >>, balbetto turbato, addossandomi alla parete, disorientato.
 
 
<< Beh. >>, inizia a dire, sedendosi meglio sul divano, incrocia le gambe e si lancia in una spiegazione psicologica che non le si addice. << Non so come sia davvero possibile o cosa accada di preciso. Qualcuno la chiama chimica, io preferisco chiamarlo destino... se è destino che due persone debbano incontrarsi, non c'è niente di niente che possa impedirlo. Nemmeno la tua fifa da coniglio. >>, spiega, facendosi apertamente beffe di me, che ancora sto digerendo l'accaduto. 
 
 
Devono essere gli antidepressivi mischiati con i sonniferi, a lungo andare stanno dando degli effetti collaterali pericolosi.
<< Sono morto? >>, domando lecitamente.
 
 
Sorride amabile.
<< Ti comporti come se lo fossi, Ville, ma tu sei ancora vivo, capisci? Sei ancora vivo e mi hai fatto una promessa che non stai mantenendo. >>.
 
 
Tira due colpetti sul divano, invitandomi a sedere accanto a lei, però desisto e resto pietrificato.
<< Andiamo Ville, sai che non ti farei del male per nulla al mondo. >>.
 
 
<< Perché sei qui? >>, interrogo con voce roca e lei si adombra.
 
 
<< Perché non mi lasci andare, ed io non posso passare oltre. Sono tre anni che mi tieni legata a te, ma il mio posto non è più accanto a te, Ville. Non faccio più parte di questo mondo. >>. È venuta per recidere definitivamente ogni legame tra noi due, ed il solo pensiero mi scollega dalla realtà.
 
 
Un nodo si stringe violento in gola, le lacrime prepotenti affollano gli occhi ed attacco a singhiozzare come un bambino, saturo di un dolore che non ha smesso di tormentarmi un solo giorno. Anziché diminuire, è aumentato a dismisura. 
<< Non posso, Amelia, non posso lasciarti andare. >>, farfuglio, le parole escono dalla bocca altalenanti, rotte dal pianto lacerato, quasi incomprensibili. Cado in ginocchio prostrato. << Io ti amo, Amelia. Non ho mai smesso di farlo, ti amo e dovevo dirtelo quando eri ancora qui con me e non l'ho fatto. >>. La mia voce è solo un lamento estremo che non ha intenzione di cessare.
 
 
Lei si alza dal divano e si flette davanti a me, però non mi tocca.
<< Lo so, Ville. L'ho sempre saputo, ho sempre saputo quanto immenso fosse il tuo amore per me. Ho sentito i tuoi rimpianti, tutte le parole che avresti voluto dirmi e il tuo feroce desiderio di riavermi indietro... è quello che non mi permette di andarmene, le catene che mi tengono qui. Non posso andarmene, se la tua anima non trova pace. >>.  
 
 
Giungo le mani a preghiera, parlando a vanvera.
<< Portami via, fammi morire, non lasciarmi qui senza di te. È l'unico modo di dare pace alla mia anima... non riesco a viverla questa vita, senza di te. >>.
 
 
Il diafano volto si corruccia, l'amarezza delle mie folli richieste si riflettono negli occhi contriti, ma è come se non mi amasse più, come se uno spesso muro invisibile ci dividesse, come se non capisse sul serio cosa io provi.  
 
 
Scuote la testa, accosta la mano al mio viso, restando ad una flebile distanza, imita una carezza.
<< Non sono qui per questo... >>. Si alza di scatto in piedi, si volta ed incomincia a fare su e giù per la stanza. <<... torniamo a ciò che stavo dicendo poc'anzi. Lei... quella ragazza, ti piace, vero? >>.
 
 
Sono esterrefatto, sono qui in ginocchio a dichiararle il mio amore immortale, a supplicare di portarmi con lei e mi parla di qualcuno di cui, francamente, non m'importa?   
<< No! >>, sbotto collerico, furioso come non mai. << Che cazzo ti sei messa in testa? È il tuo modo di scaricarmi, eh? Cerchi di spingermi tra le braccia della prima puttana, così da poter essere libera di andartene? E guardami quando ti parlo! >>. Mi alzo veloce, le vado in contro a passo di carica e quando cerco di afferrarla per farla girare, la mano le passa attraverso, ed è come acchiappare l'aria.
 
 
<< Prima cosa, porta rispetto! >>, scoppia arrabbiata. << Non puoi dare della puttana ad una donna, come se fossi il peggior maschilista che abita il pianeta. Tu non sei così e adesso è il tuo dolore che sta parlando, non tu. Seconda cosa, io non posso portarti via, Ville... nemmeno se volessi, ma non voglio. Se ti uccidi, non ci vedremo ugualmente, quindi smettila di provarci. Io non ho chiesto di morire, è successo... credevo che il mio amore ti avesse lasciato qualcosa, invece sei pieno di astio, patimento e incapacità di elaborare il mio lutto. >>.
 
 
Asciugo le lacrime con la manica della maglia, tirando su con il naso poco aggraziato.
<< Cosa ti aspettavi da me? Che stessi qui a prendere un aperitivo con gli unicorni? >>, replico saccente.
 
 
<< E smettila anche con gli alcolici, il fumo e le medicine, non hai bisogno di quella robaccia. >>. Agita le mani, ruotando gli occhi al cielo. << Dio! Ma fai sempre gli stessi errori?! Sei il classico esempio di persona che non impara dai propri sbagli per maturare, anzi, per sicurezza li ripete all'infinito fino a quando non ci resta secco. >>.
 
 
Scuoto le spalle, messo alle strette.
<< Fammi capire bene, quindi non posso uccidermi, perché altrimenti non ci vedremo mai più e non posso distruggermi, perché così facendo ti faccio del male, giusto? >>, chiedo, con una nota acuta nella voce.
 
 
<< In sintesi. >>.
 
 
Mi siedo a peso morto sul divano, a corto di ogni pretesto per vincere: ho perso.
<< M'hai fregato... di nuovo. >>, accetto aspro, senza guardarla. << Lo hai fatto quando sei entrata nella mia vita, consapevole che non saresti rimasta, l'hai fatto quando mi sono innamorato di te, l'hai fatto quando sei morta: non mi hai dato scelta. Ho fatto quello che volevi tu, ho sempre fatto quello che volevi tu. Mi hai portato al punto di non poter fare a meno di te, e poi sono dovuto sopravvivere... e lo stai rifacendo adesso: non mi stai dando scelta. Non posso uccidermi, non posso distruggermi, non posso fare un cazzo, se non quello che vuoi tu. >>.
 
 
Amelia resta sospesa tra il chiaroscuro della stanza, il profilo è disegnato dalle luci natalizie che provengono dalla strada. Credo di sbagliarmi e invece è proprio una lacrima quella che le solca il viso.
<< Se due persone sono destinate a stare insieme, si troveranno di nuovo, Ville. >>, dichiara criptica, fissando un punto indefinito. << Non era destino che noi stessimo insieme. >>.
 
 
<< Cazzate! >>, esclamo contrariato.
 
 
<< Lei ti piace? >>, insiste nuovamente, ferma nella medesima posizione.
 
 
<< Vuoi la verità, Amelia? >>, scoppio gesticolando, irritato da tanta inspiegabile ostinazione. << Sono un uomo, ed è oggettivamente una bella donna. >>.
 
 
<< E soggettivamente? >>, continua fredda.
 
 
Ritrovarsi ad ammettere con la persona che si ama, di provare attrazione per un'altra donna, non è affatto facile, specialmente se la persona in questione è morta. È meglio rivedere la posologia dei farmaci e darci un taglio netto.
<< Ti ho già risposto. >>, ringhio brusco. << Sono tre anni che non tocco una donna, quindi troverei bellissimo anche un cactus! >>.
 
 
<< Domani comprerai un bel mazzo di anemoni blu, andrai in ospedale e ti scuserai. Poi, la inviterai a prendere un caffè e... >>.
 
 
<< E cosa? >>, la interrompo duro. << Mi ordinerai di innamorarmi di lei, come se fossi un robot? Perché proprio lei? Ci sono miliardi di donne su questo cazzo di mondo, che cos'ha lei che le altre non hanno? >>.
 
 
Deglutisce appena, si gira per affrontarmi, ma alla fine sorride malinconica.
<< Ti amerebbe nello stesso modo in cui ti ho amato io, però non ti farebbe soffrire, non ti lascerebbe da solo... come ho fatto io. Guardaci, Ville... tu ami qualcuno che non esiste più. Vuoi davvero trascorrere il resto dei tuoi giorni ad inseguire un'ombra? >>.
 
 
<< Posso decidere io come cazzo vivere il resto dei miei giorni, di grazia? Smettila di cercare di comandare la mia vita anche adesso. Sei morta, porca troia, resta morta! >>, urlo delle parole avvelenate, che mi strappano l'anima l'istante dopo averle pronunciate e quando rialzo il volto verso Amelia, lei non è più qui.









Note: 
Buon Primo Maggio gente.

Perché essere mediamente sadici, quando posso essere sadica alla grande? 
Beh, ai posteri l'ardua sentenza, su questo inaspettato ritorno... l'amore può essere abbastanza forte da permettere un episodio simile? 
Amelia è tornata per Ville, perché lo ama a tal punto da volere che la sua anima si rassereni nelle braccia di un'altra donna? Oppure è tornata solo perché non riesce a passare oltre, a causa del dolore di Ville? 

Beh, attendo qualche recensione per sapere cosa ne pensate o se quello che sto scrivendo è proprio pessimo. Grazie ai fantasmini che leggono solamente. 

 
La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.
DarkYuna.  

 
 

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Capitolo 7
*** Cuore ***


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7.
"Cuore"






 
Un mazzo di anemoni blu... lo sto facendo davvero alla fine.
Pazzesco, come una persona così presente nella mia vita e al contempo assente, abbia tutto questo ascendente sulle mie decisioni.
In realtà il gesto di portare dei fiori a quella dottoressa, è più che altro una forma simbolica di scuse per ciò che ho detto ad Amelia, la sera precedente. Avrei pututo portarli alla sua tomba, sarebbe stato più raziocinante, tuttavia lei voleva questo e sarà ciò che farò.
 
Sono in ascensore, quarto piano, reparto medicina e, intanto che assemblo un discorso penoso sul mio coportamento da eremita incallito, ripenso a lei, alla mia Amelia, a come era bella, al profumo dolce proveniente dal suo corpo, il sorriso triste, il suono melodioso della voce... era lì, proprio a due passi da me, era lì, dopo tre anni di strazio, era lì... ed io l'ho lasciata andare di nuovo.
Mi colpevolizzo inutilmente, non avevo il potere di tenerla legata a me la prima volta e ben che meno ne ho adesso.
Guardo di sfuggita il bel blu intenso degli anemoni, medito sul fatto che anni fa stavo portando un mazzo di fiori ad una donna che ha cercato di togliersi la vita per me. Stesso ospedale, donna diversa.
È qui che ho scoperto che Amelia sarebbe morta, ed è qui che sono stato ricoverato perché, stavolta, ero io a non poter vivere senza qualcuno che amo.
 
Schiarisco la voce, sono solo in ascensore e, ai primi sentori dell'attacco di panico, rovisto frettoloso nelle tasche del cappotto e mi caccio in gola un paio di antidepressivi. Sono talmente avvezzo, che non ho neppure bisogno dell'acqua per mandarli giù.
Le mani tremano, ho l'impressione che le pareti mi si stiano stringendo addosso e che l'ossigeno stia fluendo via.
 
<< La smetti di comportarti come un coniglio? >>, rimprovera Amelia, adesso di fianco a me. Braccia incrociate, batte scocciata il piede e mi osserva irritata. << Non stai andando mica in guerra, eh! Devi solo portarle questo benedetto mazzo di fiori, fare meno lo stronzo asceta ed invitarla a prendere un caffè. Fin qui ce la fai o hai bisogno della balia? >>.
 
<< Amelia! >>, sbotto sbigottito, balzando all'indietro dallo spavento. Allora non era una visione, un frutto della mia immaginazione, un sogno o i quintali di medicinali. Lei è davvero qui.
 
<< Ville! >>, esclama di rimando, beffeggiandomi. << Adesso che ci siamo ricordati a vicenda come ci chiamiamo, dimmi: ce la fai a fare le poche e semplici cose che ti ho detto, oppure ti devo fare un promemoria? >>.
 
Sbuffo irritato, addossandomi alla parete dell'ascensore.
<< Ma tu che t'aspetti da me? Che vada lì e le dichiari il mio amore? >>.
 
Tira la bocca di lato, ha ancora le braccia incrociate e si lascia andare ad un mezzo sorriso.
<< Potrebbe essere un inizio, ti pare? >>.
 
Scuoto la testa rassegnato.
<< È te che amo, Amelia e niente può cambiare ciò. >>.
 
<< Tutto cambia, Ville. Anche il tuo amore per me sta cambiando e cambierà. Non puoi inseguire per sempre qualcuno che non può darti ciò di cui hai bisogno. >>.
 
<< Allora non mi conosci. >>, contraddico testardo. << Sono gli amori impossibili quelli che durano per sempre. E tu non sai cosa darei per poter stare con te ancora una volta... una volta soltanto, per poterti toccare, accarezzare... baciare. >>. La mia mano si approssima al viso, senza intensificare il contatto, perché so che le passerei solo attraverso. Desidero così tanto amarla, che mi sento morire nella tormentosa passione che si trasforma in veleno tossico e si attacca al cuore, annientandolo.
 
<< Prima o poi ti stancherai di rincorrere un'ombra... è la natura dell'essere umano. Adesso vedo tutto più chiaro, Ville... >>. Le iridi si perdono nel vuoto, il volto è sereno, quasi celestiale. << Da viva non avrei mai potuto capire, non potevo accettare di morire senza conoscerti, ma hai ragione tu: non ti ho dato scelta. Ti ho amato così tanto, da essere diventata egoista, da averti fatto soffrire, ti ho reso infelice. Però adesso ti sto dando scelta... la scelta di essere felice. >>.
 
Boccheggio sconvolto.
<< Stai cercando di dirmi che non mi ami più? >>, interrogo scioccato, la voce trema e forse dovrò prendere altri antidepressivi.
 
<< No, Ville. Ti sto dicendo che ti amo più di quanto sia concepibile per un essere umano, ed è proprio per tutto quell'amore che nutro per te, che voglio che tu sia felice. Io non posso renderti più felice, quel che è peggio è che non l'ho mai fatto, però posso rimediare adesso, Ville. Posso essere meno egoista e permetterti di avere ciò che non ti ho dato. >>.
 
Sto per replicare in un discorso che ben presto si trasformerà in una seconda feroce litigata, quando le porte dell'ascensore si aprono ed Amelia si dissolve dinanzi a me.
Avverto nuovamente un fastidioso pizzico in fondo all'anima, così come è stato la sera precedente. Ogni volta che lei se ne va, io mi sento morire, un pezzo di me si stacca e si dirada nel nulla.
 
Esco dall'ascensore, fermo un'infermiera e chiedo informazioni sulla dottoressa Krista Heini, sperando che sia di turno oggi e che non abbia fatto un buco all'acqua.
Sto mentendo a me stesso, non spero un bel niente, anzi, se non ci fosse potrei ritirarmi con la scusa dell'averci provato e fallito, archiviando per sempre questo capitolo.
E invece c'è, purtroppo per me, ma non è da sola.
La porta del suo studio è semiaperta, non tanto da annunciare la mia presenza, però abbastanza da poter buttare un occhio all'interno.
Conversa animatamente con un uomo di bell'aspetto, pelle dorata, profondi occhi verdi, ricci capelli neri, fisico nerboruto e scattante: non reggerei il confronto neppure tra un miliardo d'anni.
Indossa un camice bianco, su un abbigliamento casual, non è di Helsinki, è lampante.
 
<< Non capisco il perché continui ad insistere con questa storia? >>, chiede lei, seduta dietro la scrivania. Ha un tono stizzito, nervoso, come se non gradisse la conversazione. Tamburella le dita sul tavolo, le unghie ticchettano ritmate.
 
Lui, invece, è in piedi, a pochi passi dalla porta, cammina su e giù, assomigliando ad un leone in trappola.
<< Perché? >>, sbotta lui indignato, ha un accento del sud, pronuncia male la lingua locale. << Stiamo insieme da tre anni... credo che sia più che lecito, ad un certo punto, che io ti voglia sposare Krista, non credi? Voglio creare una famiglia con te, avere dei figli e, per una volta, fare ciò che fanno le persone normali. >>. La frase viene fuori come una critica mal celata.
 
È fidanzata... e cosa caspita ci faccio qui, con un mazzo di fiori in mano e la riluttante intenzione di invitarla a prendere un caffé?
Sto per mettere fine a questa pagliacciata insensata, dettata dai desideri della persona che amo, quando Amelia riappare al mio fianco, bella come solo qualcuno che desideri con ogni fibra di te stesso, può essere.
 
<< Aspetta. >>, sussurra complice, indicando l'interno della stanza, per assistere al seguito del diverbio.
 
<< Mi chiedi di sposarti e poi fai illazioni deprorevoli, sul fatto che con me non fai cose normali. >>. È il ritratto della calma glaciale, non si lascia prendere dalle emozioni, al contrario di lui. << Per quale motivo, allora, vuoi sposare una persona che non fa cose normali, Eric? Vedo che la fila chilometrica che ti striscia dietro diventa sempre più fornita, ogni giorno di più, puoi sposare una delle tue spasimanti. Io non mi sposo, punto. Fattene una ragione. >>, dichiara categorica. Non ha alcuna intenzione di cambiare idea, nè ora e nè mai.
 
Il tipo si ferma nel bel mezzo della stanza, nemmeno avesse appena fatto la scoperta dell'acqua calda.
<< Qui il problema non sono io, vero? Il problema è quel cantante da quattro soldi che hai salvato, da quando è successo non sei più la stessa! Te ne sei innamorata? Te lo sei portato a letto, eh? Cosa? >>.
 
Krista sorride canzonatoria, puntella i gomiti sul tavolo e grava il mento sul dorso della mano.
<< Buffo come tu proietti sugli altri i tuoi comportamenti in una situazione del genere. Però io non sono te, Eric, non siamo uguali e non lo saremo mai... quindi per me finisce qua. >>.
 
<< Sei seria? >>, scoppia scandalizzato. << Mi stai lasciando per quell'uomo? Lo preferisci a me? >>. L'ego ne sta certamente risentendo.
 
Schiocca la lingua al palato.
<< Io non sto preferendo nessuno a nessuno. Sto preferendo me, prima di ogni altro, preferisco mettermi al primo posto, preferisco non commettere un errore irrimediabile sposandoti, preferisco continuare da sola, anziché accontentarmi di qualcuno pur di non restare senza qualcuno al mio fianco. >>.
 
<< A te ti ha dato di volta il cervello, quando hai scoperto chi era la donatrice del tuo cuore, dopo il trapianto non sei stata più la stessa, ti sei messa a spiarlo quando non te n'è mai fregato nulla di quell'uomo per tutta la sua carriera musicale. >>, riprende iracondo, spiattellando una verità che non avrei mai voluto sentire. << È solo un cuore, un organo muscolare cavo, lì non ci sono i sentimenti di quella ragazza per quell'uomo, non puoi essere così sciocca da illuderti di provare qualcosa solo per questo! >>.
 
È come se fossi appena morto, un dolore imperituro si accende al centro del torace, una fiamma nell'oscurità, che ben presto diviene un indomabile incendio incontrollato e brutale. Il respiro viene risucchiato via dai polmoni e non riesco a riprendermi.
Mi volto a guardare Amelia, ha smesso di sorridere, c'è consapevolezza nello sguardo affranto, voleva che ascoltassi, che sapessi, che prendessi coscienza della verità, niente più bugie a mio discapito.
Vuole che sia io a decidere cosa sia meglio per me, dopo aver capito: il suo cuore batte intenso nel petto di quella donna. Una parte di lei è ancora viva.
 
<< Lei ti amerà anche meglio di come ho fatto io. >>, ripete e vorrei urlarle contro, per avermi tirato l'ennessimo brutto scherzo.
Sono pieno di rancore, di animosità, acredine impiantata nell'anima e di una sofferenza che si mescola con esse, fino a divenire un peso insopportabile che non riesco più a tenermi dentro.
 
<< Vaffanculo! >>, grido ad Amelia, per poi spalancare la porta ed interrompere il litigio. Krista impallidisce, lui nemmeno lo guardo, sono disperato, imbestialito, ferito, un cumulo di macerie e detriti che non si aggiusteranno mai più. Scaglio sul pavimento il mazzo di fiori, digrigno i denti e faccio uno sforzo immane a non scoppiare a piangere come un bambino: l'orgoglio ha la meglio. Sto per dire una sequela di stronzate allucinanti, voglio gridarle addosso di ridarmi il suo cuore, cliché sul fatto che sapesse benissimo chi fosse Amelia per me quando ci siamo incontrati quella notte e per quale diavolo di motivo non ha detto la verità sin da subito.
Domande a cui ho già dato una risposta, la fisso colmo di odio inconfutabile, non faccio nulla e quel che è peggio è che il terremoto interiore non lo sfogo, gli permetto di demolirmi un'ultima volta.
Qualcuno pronuncia il mio nome e non capisco se Amelia nella mia testa o Krista, sono confuso e totalmente disorientato. Ho bisogno di mettere così tanta distanza tra me e tutto questo schifo, che vorrei fuggire su un altro pianeta e ancora più lontano.
 
Esco fuori di corsa da quello studio infame, corro via dalla realtà grottesca, da Krista, dal suo cuore che è il cuore di Amelia, e da lei stessa.
E alla fine, crollo.
 

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Capitolo 8
*** Un bacio all'Inferno e di nuovo le tenebre. ***


8.
Un bacio all'Inferno e di nuovo le tenebre.








 
Ci si aspetta di tutto, ma non si è preparati a niente.
 
 
Magari è una decisione presa da qualcun altro, svoltare a destra anziché sinistra, imboccare una strada diversa da solito, una penna che cade, un bacio inaspettato, una morte improvvisa. E d'un tratto il tuo destino cambia, non sei più dove dovresti essere, le azioni mutano, l'esistenza prende una piega diversa ed accade il mondo, però non lo intuisci subito, ma solo quando il tempo è trascorso e ti guardi indietro.
Comprendi che tutto era stato già deciso sin dall'inizio, non da te, non da terzi, era già deciso e basta e tu non hai mai avuto altra scelta.
 
 
Io sono il classico esempio di persona che ha perso tutto, ma che ci prova comunque.
 
 
Mi rendo conto solo adesso che le trame del mio destino hanno preso ad essere imbastite ancor prima che me ne rendessi effettivamente conto e mi hanno portato fino a qui... beh, non proprio "qui" in senso letterale, non qui stravaccato sul letto da tre giorni a marcire, ma qui come percorso di vita.
Il cuore della persona che amo si trova nel corpo della donna che mi ha salvato dalla morte. Strana la vita, davvero buffa, anzi, oserei definirla grottesca al limite della decenza.
 
 
Amelia è seduta nell'altra piazza del letto alle mie spalle, non ha detto mezza parola nelle ultime settantadue ore, è rimasta sigillata in un silenzio colpevole, intanto che davo sfogo ad un pianto disperato, per ciò che ho perso per sempre e che non tornerà mai più.
Fisso le luci natalizie in strada che si riflettono sulle vetrate delle finestre, sono avvolto in un bozzolo di finta bonaccia, ho la testa ovattata, gli occhi gonfi, vorrei dormire, ma non ci riesco. A pancia in giù sul letto, mi rifiuto di affrontare la realtà, preferirei morire, pur di sottrarmi da tale supplizio.
 
 
<< Ville... >>, prova ad instaurare un discorso, per tastare un terreno che le è sconosciuto. << Vuoi parlarne? >>.
 
 
Resto ancora in silenzio, vari pensieri frullano nella mente stanca e spossata.
<< Ricordo quando ho fatto l'amore con te la prima volta, dopo che ho scoperto che stavi morendo. Quella notte ero fermamente convinto che, in qualche modo, il mio profondo amore per te, ti avrebbe risparmiata... ho sperato... sperato che saremmo rimasti insieme, che ci saremmo sposati, avuto dei figli. Affrontato i problemi di questa vita, litigato, riappacificati... ma sempre insieme, fino alla fine. >>. Tiro su con il naso, il discorso non ha un senso logico, però ho bisogno di raccontare. << Ti ho vista morire e con te sono morto anche io. Non c'è stato nient'altro dopo, il sole non è più sorto, le stelle hanno smesso di brillare, le tenebre sono scese per sempre. Non sono stato in grado di amarti in vita, mentre adesso mi sono aggrappato con tutto me stesso a quello stesso amore che non ti ho dato, che il resto del mondo ha smesso di esistere. Non sarò mai in grado di lasciarti andare, non sarò mai in grado di smettere di amarti, non sarò mai in grado di fare niente di quello che mi hai chiesto. >>, riconosco sconfitto, con la speranza che si arrenda all'evidenza.
 
 
Un sospiro di puro dolore è quello che ne consegue.
<< Ville, questo non servirà a riportarmi indietro o a farmi restare qui con te. Arriverà il momento in cui il mio tempo scadrà e dovrò andarmene ugualmente. Continuerò a stare al tuo fianco, solo che tu non mi vedrai... vorrei solamente non doverti lasciare così spezzato, vorrei serenità nella tua anima e quietare questa tempesta che ti travolge: accetta la mia morte. >>.
 
 
Deglutisco a fatica, lasciandomi sfuggire un singhiozzo, che mi sconquassa il petto.
<< Non immagini quanto vorrei accontentarti. >>, sussurro con una finta calma, in realtà sto impazzendo.
 
 
<< Una parte di me è ancora viva, Ville... ama quella parte di me. >>.
 
 
<< Non troverò te in quella donna, non troverò te nel suo cuore, non troverò te... non chiedermi di amare qualcuno che non sei tu, sarebbe solo una bugia che, a lungo andare, farebbe stare male tutti. >>.
 
 
<< Non è me che devi trovare in lei, ma te stesso. Smettila di cercarmi negli altri, io sono e resto qualcosa legata al tuo passato, qualcosa che non esiste più. >>.
 
 
Volto la testa dalla sua parte, pur restando fermo nella medesima posizione.
<< Se fai parte del mio passato, allora perché sento così tanto dolore nel presente e condizioni le mie scelte future? >>.
 
 
Guarda dritto davanti a sé, ha le gambe incrociate, la schiena contro il muro e le mani abbandonate in grembo.
<< Perché ti stai dando la colpa della mia morte, Ville. Ti colpevolizzi per non avermi amata come credevi fosse giusto, perché non sei riuscito a salvarmi e perché la sera che sono morta non hai detto di amarmi prima della fine. >>. L'espressione poi si armonizza, abbassa gli occhi dolci fino a me e sorride. La mano sfiora i miei capelli, ed è come se riuscissi a sentirla davvero. << Io sarei morta comunque, Ville... la mia vita non dipendeva da te, mi hai amato come hai potuto e lo hai fatto con tutto te stesso, facendo e dicendo ciò che credevi opportuno. Mi avresti anche sposata se te l'avessi permesso, regalandomi dei momenti meravigliosi che non dimenticherò mai più. Tu mi amavi ed io lo sapevo benissimo, non c'era bisogno che me lo confermassi. Ti perdono Ville, perdono qualsiasi colpa ti sei attribuito, ti perdono e ti assolvo. Adesso smettila di sprecare la tua vita nei ricordi e creane di nuovi. >>.
 
 
Sembra quasi facile, così tanto che, per un lungo e sbagliato secondo, mi auguro che sia proprio così, poi però mi abbatto contro un muro di cemento armato e torno con i piedi per terra.
<< Perché vuoi vedermi felice? >>.
 
 
Sorride raggiante.
<< Un "ti voglio felice" vale di più di un "ti amo", non credi? Se ami davvero una persona, fai di tutto per renderla tale, anche se ciò significa che lo sia con qualcun altro e non con te. >>. Suona come un dolorosissimo addio che non sono pronto ad udire.
 
 
<< Non resterai per sempre, vero? >>.
 
 
Scuote la testa.
<< Anche se non lo ammetterai mai, ogni giorno che passa ti allontani da me. Sta nella natura umana, Ville, è un processo su cui tu non puoi intervenire... le persone sono state create per rialzarsi dopo ogni caduta. Nel momento esatto in cui tu stesso riconoscerai che puoi sopravvivere senza di me, allora io me ne andrò. >>.
 
 
<< Dopo tre anni, mi sembra inevitabile. >>, commento amareggiato.
 
 
<< Se fossi venuta prima, questo processo non si sarebbe mai compiuto, tu avresti vissuto attaccato ad un fantasma, non avresti mai tentato il suicidio e di conseguenza... >>.
 
 
<< ... non avrei incontrato quella donna. >>, concludo, prima che lo faccia lei. << Hai scelto lei, non solo perché ha il tuo cuore, vero? >>.
 
 
<< È la persona giusta, so che è così. Più giusta di quanto potessi mai esserlo io da viva. >>. Si accomoda meglio sul letto. << Vedi, lei ti lascerebbe andare se ciò significasse farti vivere felice, mentre io non l'ho fatto: ecco perché è quella giusta. >>.
 
 
Traggo un profondo respiro, sono più calmo, ma la tempesta è ancora in corso.
<< Sono così stanco. >>, riconosco, trattenendo uno sbadiglio. Più che stanchezza fisica, è stanchezza mentale, sono stanco di combattere contro me stesso, in una guerra che non avrà vincitori, ma solo perdenti.
 
 
Amelia sorride carezzevole, soffia un bacio.
<< Allora dormi Ville: domani, ti prometto, che il sole sorgerà nella tua mezzanotte... tutte le cose avranno il loro tempo, un tempo per iniziare e un tempo per finire, un tempo per tenersi stretti e un tempo per lasciarsi andare. >>, illustra raziocinante.
 
 
Vorrei che spiegasse a cosa si riferisce di preciso, ma sono già con un piede nelle lande di Morfeo, ed ho smesso di guerreggiare per stanotte.









Note:
L'ultima volta che ho aggiornato questa storia è stata a Luglio del 2018... e mai, in precendeza ho impiegato così tanto tempo per completare una ff. Ma vi dirò, avevo seriamente deciso di lasciarla incompiuta, senza un finale, poiché avevo seriamente smesso di scriverla.

Continuano a sopraggiungere brutti momenti: la mia vita è un brutto momento imperterrito con sprazzi di rara bellezza, che si spengono nel fulgore da cui sono nate. Alla fine, però, ho ripreso in mano la storia, l'ho cambiata ed ho scritto finalmente il finale, quindi, anche se indubbiamente passerà in sordina un po' come tutte le altre storie che pubblico su questo sito, magari a qualcuno farà piacere sapere che potrà leggere il finale che ho progettato per questa storia.

Ci sarebbe dovuta essere una storia d'amore completa e totale, con magari un finale splendido, cosa che si meritava il Ville della storia, ma non sarà proprio così. Tutto vi sarà chiaro man mano che i capitoli procederanno e, stavolta, procederanno fino alla fine. 

 
La storia può presentare errori ortografici.
 
Un abbraccio.
DarkYuna.  

 

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