Quando il blu incontra il verde

di bik90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


L’angolo di Bik
 
Sì, sono proprio io.
No, non sono morta.
Mi sono solo… presa una pausa? Diciamo di sì. Ma sono successe tante cose. Davvero tante. E finalmente è arrivata una buona notizia, quella che aspettavo, e tutto ha iniziato a girare nel verso giusto. Volevo condividere questa gioia e mi sono sentita così felice da riprendere a scrivere. Una nuova storia, un nuovo inizio, sia per me sia per voi lettori. Spero siate contenti. Di cosa si tratta? Se amate i fumetti, potete chiedere!
Per le pubblicazioni, cercherò di essere abbastanza puntuale, in media un capitolo ogni due settimane tranne, forse, per il prossimo, che è quasi pronto e quindi conto di pubblicarlo prima.
A presto
F.
 
 
 
 
 
 
La vide correre nella sua direzione e sorrise mentre si toglieva gli occhiali da sole. Li poggiò sul tavolino del bar dove il cameriere aveva già portato, pochi attimi prima, due aperitivi.
<< Mi sei mancata tanto! >> esclamò Diana abbracciandola << La prossima volta, portami con te! >>.
Clarke rise mentre contraccambiava l’abbraccio e le fece segno di prendere posto davanti a lei.
<< Sono stata via solo dieci giorni >> disse.
<< I dieci giorni più lunghi della mia vita >> rispose l’amica facendo un sorso dal suo spritz e afferrando subito dopo una patatina << Ti sei ripresa dal fuso orario? >>.
L’altra si passò una mano tra i lunghi capelli biondi e si strinse nelle spalle.
<< Andiamo >> fece Diana << Sei tornata ieri sera, non puoi essere fresca come una rosa! >>.
<< Sai perfettamente che non l’ho mai accusato molto >> rispose Clarke portandosi la cannuccia alle labbra.
Ruotò gli occhi in direzione della busta poggiata sulla terza sedia e Diana seguì la sua direzione.
<< Non dirmi che è stata la prima cosa che hai fatto >>.
<< Certo! >> esclamò Clarke sgranando gli occhi << Avevo qualche numero da prendere >>.
Diana afferrò la busta di plastica che portava il nome di una grande fumetteria di Napoli e ne sbirciò il contenuto.
<< Ma questo… >> mormorò sorpresa.
<< Te lo avevo ordinato prima di partire >>.
Diana tirò fuori dalla busta una scatolina di cartone ed emise un urlo di gioia saltando sulla sedia.
<< Grazie, grazie, grazie! E’ bellissimo! >> disse alzandosi per abbracciare nuovamente l’amica.
Clarke rise ancora, come sempre quando era con lei.
<< Non capisco cosa ci trovi di grazioso in quel coso, io sceglierei sempre Daenerys >>.
Diana alzò il sopracciglio destro.
<< E, infatti, Drogon è il suo drago. E poi, diciamoci la verità, i Pop sono tutti belli >>.
A quelle parole, Clarke alzò le mani in segno di resa e fece un nuovo sorso.
<< Tuo padre? >> domandò Diana afferrando una manciata di noccioline.
<< Doveva tornare con me, ma gli hanno offerto un nuovo tour in tutta la California >>.
L’altra emise un lungo fischio.
<< Tu invece, non sei eccitata per l’inizio dell’università? >>.
Diana sorrise mostrando due simpatiche fossette che Clarke adorava.
<< Sì >> ammise << Non vedo l’ora >>.
Clarke allungò una mano sul tavolino per stringere la sua in un gesto così spontaneo che le riusciva solo quando era con Diana.
<< Sono contenta che tu sia riuscita a entrare ad architettura >>.
<< Ah, ma tu non credere di riuscire a scampartela! >> disse Diana << Solo che inizierai l’anno prossimo! >>.
Clarke sbuffò ritraendo la mano e facendo finta di essersela presa.
<< Non vedo l’ora, guarda. Ripeterò il quinto anno per la seconda volta e poi sicuramente vorrò tuffarmi nel magico mondo dell’università >>.
Diana scoppiò a ridere e l’altra si ritrovò a pensare che quel suono le era davvero mancato. Via Skype risultava distorto e roco rispetto a com’era veramente.
<< Lo farai >> affermò con aria seria l’amica << Perché saresti una stupida altrimenti! Potresti fare qualunque cosa tu voglia >>.
<< Tipo niente? >> scherzò Clarke finendo di bere << Dai, non fare quella faccia! >> aggiunse lo sguardo omicida che le stava lanciando Diana.
<< Piuttosto, hai visto in che classe sei capitata? >>.
<< Che vuoi che mi interessi, una vale l’altra >>.
Diana alzò gli occhi al cielo.
<< Ho controllato io, sezione F. Sai, è la classe di Diego e Lorenzo >>.
<< Mancini? >> chiese Clarke focalizzando i due gemelli.
Diana annuì.
<< Per il resto, nessuno di importante >> aggiunse.
Clarke si guardò intorno per un attimo prima di alzarsi in piedi e stiracchiarsi. Afferrò gli occhiali da sole e si sfilò dal jeans il portafogli.
<< Lascia, faccio io >> disse posando una mano sul braccio di Diana che stava per aprire la borsa << Attenta a non dimenticarti Drogon! >>.
L’ultima cosa che vide prima di avvicinarsi alla cassa per pagare, fu l’amica che le faceva la linguaccia.
 
<< Perché mi stai seguendo? >>.
<< Non ti sto seguendo, dobbiamo andare a casa insieme >>.
<< Ah, anche? Ti ho pagato l’aperitivo, regalato Drogon e vuoi anche un passaggio? >>.
Diana si fermò posando entrambe le mani sui fianchi e la guardò indispettita.
<< Sei una stronza, lo sai? >>.
<< Qualche volta mi è stato detto >> rispose ridendo Clarke << Comunque non ho un altro casco >>.
<< Stai scherzando? >>.
L’amica sollevò il suo che teneva sottobraccio e continuò a camminare.
<< Dai, Clarke! Non fare la stronza! Lo sai che ci metto una vita ad arrivare a casa con l’autobus! >>.
Clarke rise e le afferrò un polso per avvicinarla a sé. Respirò il suo profumo e la baciò. Diana rimase sorpresa dal suo gesto, era raro vedere l’altra lasciarsi andare, ma non si sottrasse. Le era mancata così tanto che fin dal momento in cui l’aveva rivista, non aveva desiderato altro.
<< Ma ti pare? >> la canzonò Clarke in un orecchio << Ho mai lasciato a piedi la mia migliore amica? >>.
Si avvicinò alla sua moto e le lanciò un secondo casco che l’altra prontamente afferrò.
Nonostante il traffico, non impiegarono molto. Diana abitava in una villetta a via Tasso, una di quelle con il cancello di vernice rossa e le mura bianche. Clarke si fermò e fece scendere l’amica che le aprì il cancello col telecomando e proseguì a piedi. Quando la raggiunse, sua madre era già sul pianerottolo e stava salutando Clarke.
<< Ciao anche a te, mamma. Sono io, tua figlia, mi vedi? >> disse agitando le mani notando che la donna non l’aveva nemmeno guardata.
<< Oh, ciao Diana >> rispose infine Antonella spostando lo sguardo sulla figlia << Ti ho vista anche prima che scendessi e sei sempre la stessa. Invece, Clarke non trovi che sia dimagrita? >>.
Diana assunse un’espressione imbronciata mentre Clarke scoppiava a ridere. Nella famiglia di Diana, tutti le volevano bene e lei si sentiva a casa.
<< No, mamma tranquilla. Conoscendola, Clarke si sarà mangiata un montone intero a Los Angeles tutti i giorni >>.
Le due si scambiarono un’occhiata complice mentre la donna rideva.
<< Dai, entrate o rischiamo di raffreddarci. Siamo a settembre, la sera inizia a fare freschetto >>.
<< Come si vede che hai oltre cinquant’anni >> mormorò Diana chiudendo la porta di casa.
Clarke le diede una gomitata nello stomaco senza farle male e stava per dire qualcosa se l’abbaiare di un cane non avesse attirato la sua attenzione. Si voltò verso il salone e si lanciò letteralmente nella direzione dell’animale che la accolse tra feste e guaiti di gioia.
<< Luthor, anch’io sono felice di vederti! Sì, la mamma è tornata. Mi sei mancato tanto >>.
Il boxer si mise a pancia in su per farsi accarezzare mentre continuava a scodinzolare. Non era un cane giovane da parecchi anni ormai, ma per la sua età stava più che bene.
<< Solo tu potevi avere un cane che si chiama in questo modo >> disse Diana che osserva la scena dall’alto e sorrideva.
<< Clarke, Clarke! >> esclamò un ragazzo di quattordici anni che stava arrivando dalla cucina correndo.
<< Ehi, Matteo! >> lo salutò la ragazza alzandosi.
<< Guarda che cosa ho regalato a Luthor! >> esclamò mostrandole la pettorina con la quale il cane usciva dove era stato stampato il simbolo di Superman.
La bocca di Clarke si aprì in un’espressione di sorpresa e meraviglia.
<< Dai, che cosa fantastica! Ma dove l’hai trovata? L’ho sempre voluta per Luthor! >>.
<< Il negozio per animali del Frullone >> rispose il fratello di Diana con aria compiaciuta << Ho girato tutta Napoli per trovarla. Hanno fatto tutta una linea con i simboli di tutti i supereroi DC. C’era Flash, Wonder Woman, Arrow…. Chissà se lo faranno anche con i personaggi Marvel! >>.
<< Ci pensi? Io sceglierei sempre… >>.
<< Wolverine, lo sappiamo >> la interruppe Diana << Perché è il tuo personaggio preferito. Il potere di rigenerarsi lo rende praticamente immortale e un sacco di altre cose che hai ripetuto all’inverosimile >>.
<< Mi stai dando della vecchia? >>.
<< Lo sei rispetto a me >> rispose l’altra incrociando le braccia sul petto << Di ben due mesi >>.
Clarke roteò gli occhi.
<< Anche questa storia è piuttosto vecchia, sai? >>.
<< Ragazzi, è pronto! Venite a tavola! >> urlò Antonella dalla cucina mettendo fine alla conversazione << Matteo, per favore, prendi un’altra bottiglia di Coca prima di venire >>.
Matteo si allontanò mentre dalle scale superiore scese un uomo di quasi sessant’anni, brizzolato e con qualche chilo di troppo.
<< Ciao Clarke >> la salutò quando raggiunse sia lei sia la figlia << Com’è andata a Los Angeles con tuo padre? >>.
<< Buonasera Emilio >> contraccambiò Clarke camminando verso la cucina << Benissimo, papà quando suona ha qualcosa di magico. Incanta tutti >>.
<< Oh, lo so. Me lo ricordo a uno degli ultimi concerti che ha fatto qui al San Carlo. È tornato? >>.
Presero posto intorno al tavolo dove Antonella, aiutata da Matteo, stava già preparando le porzioni di lasagne per tutta la famiglia.
<< No, gli hanno proposto un secondo tour in California che lo impegnerà per almeno tre mesi >>.
<< Tre mesi in California, che figata pazzesca >> disse Matteo sedendosi davanti a Clarke e incrociando le braccia dietro la nuca con aria sognante.
<< Stai composto a tavola, giovanotto >> lo ammonì la madre dandogli una scappellotto << E pensa a studiare, quest’anno sei al primo liceo >>.
<< Lo so, lo so >> rispose Matteo iniziando a mangiare.
Clarke si guardò intorno.
<< Ma non aspettiamo Gaia? >>.
<< Gaia e Marcello dovevano finire di rivedere alcune cose per il matrimonio e quindi resta a cena da lui. La accompagna più tardi >>.
<< Oddio, mi ero completamente dimenticata che si sposano! >> esclamò la ragazza guardando Diana per avere un aiuto.
<< Tra sei mesi, Clarke. Hai tutto il tempo per comprarti un vestito nuovo! >> rispose l’amica prima di scoppiare a ridere seguita dal fratello.
<< Ma smettetela tutti e due >> disse Antonella << Clarke sa perfettamente che non può presentarsi al matrimonio di Gaia in jeans e scarpe da ginnastica >>.
<< Eh? >> fece Clarke guardando smarrita prima Diana e poi Antonella.
Diana rise di nuovo.
<< Bell’aiuto >> mormorò la ragazza rivolta all’altra.
<< Andiamo Clarke! Un vestito! Almeno per questa volta! Hai un così bel corpo, perché lo nascondi sempre dietro a quelle felpe terribili? >> continuò la donna.
<< Anto, non metterla a disagio >> s’intromise Emilio << Clarke >> aggiunse << Puoi venire vestita come meglio credi, torna pure a respirare >>.
Clarke si lasciò andare a un sospiro e si rilassò.
<< Grazie >> bisbigliò all’uomo che le strizzò l’occhio in segno di intesa.
<< Io il vestito nuovo lo voglio invece! >> esclamò Diana alzando la mano << E anche una seconda porzione di lasagne! >>.
<< Così il vestito nuovo non ti entrerà mai >> bisbigliò Matteo guardando Clarke.
La ragazza quasi si strozzò per cercare di non ridere e si beccò una gomitata da parte di Diana.
Le era mancata tutta quella quotidianità, quel sapore di casa. Con suo padre aveva cenato sempre in grandi ristoranti, avevano riso e scherzato come due persone qualunque, ma non è la stessa cosa di quando si è a casa propria. Con Diana si sentiva a casa. Suo padre era un grande pianista, il migliore, ed era quasi sempre in giro per il mondo. Quando suonava, incantava chiunque lo ascoltasse e per questo a casa c’era poco. Eppure i momenti più belli che ricordava erano proprio quelli, quando le aveva insegnato a suonare, quando si metteva sotto il pianoforte e colorava fino ad addormentarsi al suono delle sue melodie. Suo padre era un uomo davvero eccezionale e lei gli sarebbe sempre stata grata per quello che le aveva donato.
 
Gaia rincasò quando si stavano aprendo i dolci. Il padre aveva comprato le sfogliatelle con particolare riguardo per le frolle che erano le preferite di Clarke. La ragazza abbracciò l’amica della sorella e si sedette con loro mentre raccontava quello che aveva fatto fino a quel momento. Clarke e Diana, però, non ascoltavano davvero. Si guardavano ed erano così complici che bastava quello per capirsi. Perché tra loro era sempre stato così. E in quel momento Diana voleva solo alzarsi e andare in camera per restare sola con lei. Clarke sbadigliò e Antonella, sempre molto attenta, le propose di rimanere a dormire da loro vista l’ora che si era fatta. La ragazza all’inizio rifiutò, ma, sotto le insistenze della donna, accettò di dividere il letto con l’amica.
<> disse Diana mentre saliva le scale.
Clarke era ancora giù ad accarezzare il suo vecchio amico che dormicchiava sul suo cuscino. L’altra sapeva che l’aveva ascoltata e questo le bastava. Non erano mai servite troppe parole tra loro.
<< Lo faccio solo perché tua madre insiste sempre >> disse Clarke raggiungendola e afferrandole la mano.
<< Certo >> affermò Diana ruotando gli occhi e facendo strada.
Gli altri erano ancora tutti in cucina. Aprì la porta della sua camera e la richiuse non appena Clarke entrò.
<< Non mi hai ancora detto se ti sono mancata >> mormorò maliziosamente la ragazza togliendosi la maglietta che indossava.
Clarke sorride mentre le si avvicinava. La sbatté con forza contro la parete vicino al letto e le sollevò entrambi i polsi con una mano. Con quella libera iniziò a giocherellare col suo reggiseno.
<< Tu mi mancherai sempre >> disse con voce roca << Perché sei la mia migliore amica >>.
 
<< Ti ho stampato la lista dei libri >> disse Diana alzandosi dalla scrivania e andando ad aprire le tende.
La luce del mattino inondò la stanza facendo sobbalzare Clarke che stava ancora dormendo nel letto dell’altra.
<< Lo so che sei sveglia >> continuò l’amica sedendosi sul bordo del letto.
Clarke le dava le spalle.
<< Guarda >> continuò Diana leggendo alcuni titoli di libri scolastici << Questi puoi evitare di comprarli perché sono solo le nuove edizioni di quelli che avevamo l’anno scorso. Devi comprare questi due e l’ultimo in fondo >>.
Clarke non diede segno di vita.
<< E dai, Clarke! È una cosa seria! >>.
La spintonò affinché aprisse gli occhi, ma Clarke si voltò dall’altra parte pur di continuare ad avere ancora un po’ di pace. Nel farlo, il lenzuolo le scivolò lungo il corpo prima di cadere a terra rivelando la sua nudità. Diana si bloccò con la mano a mezz’aria mentre la osservava. Era così bella e lei non se ne rendeva nemmeno conto. Aveva un corpo perfetto, era alta, slanciata con poche curve che, però, la rendevano molto più attraente, una cascata di riccioli biondi, due occhi blu come l’oceano. Si stese accanto a lei su un fianco tenendo la testa poggiata sul palmo della mano e iniziò ad accarezzarle la pelle del braccio. Era bianchissima, quel tipo di pelle che al sole si scotta, ma non si abbronza. Non sembrava per niente un’australiana. Arrivò all’avambraccio e un brivido scosse l’altra. Si scostò dal suo tocco e nel farlo il primo dei tre tatuaggi che aveva s’intravide.
<< Smettila >> mormorò a mezza voce << C’è gente che vorrebbe ancora dormire >>.
<< Tu e quale esercito esattamente? >> la canzonò Diana riprendendo ad accarezzarla.
<< Io e tutte le me stesse che adesso ti uccideranno se non la smetti >>.
<< Ah, sì? >>.
Clarke aprì un occhio a quella provocazione e lo fissò sull’amica che le sorrideva con aria di sfida.
Fu un attimo. La gamba di Clarke colpì quella di Diana che perse l’equilibrio e cadde di schiena sul materasso permettendo all’altra di salire sopra. Le bloccò i polsi ai lati del viso e le sfiorò il naso col suo. Nel vedersi sovrastare da Clarke, Diana dovette ingoiare un groppo di saliva. Aveva ragione sua madre quando diceva che felpe e scarpe da ginnastica coprivano il corpo dell’amica senza valorizzarlo, che qualcosa di diverso dai jeans e più fasciante avrebbe fatto girare la testa a tutti. Sarebbe stato davvero così se Clarke fosse stata etero. Ma alla ragazza i maschi non erano mai interessati e quindi nessuno andava oltre all’apparenza. E poi Clarke era solo sua, l’unica con cui andasse a letto.
<< Diana, Diana! Dormite ancora? >>.
Era la voce di Matteo. Velocemente Clarke scese dal corpo dell’amica e indossò le prime cose che trovò gettate per terra dalla sera precedente.
<< Matteo, che vuoi? >>.
Invece di rispondere, il ragazzo spalancò la porta. Al suo fianco Luthor scodinzolava allegro. Non appena i suoi occhi incontrarono quelli della padrona, corse da lei.
<< Volevo dirvi che stavamo scendendo. Stamattina Gaia gli ha fatto fare un giro prima di andare a lavoro e… >>.
Si bloccò capendo che il cane non sarebbe uscito con lui.
<< Va beh, è tornata Clarke ed è giusto che stia con lei. Io vado, ciao Clarke, ciao Luthor! >>.
<< Ciao Mat, ci vediamo! >>.
<< Ehi, potresti salutare anche me! >> esclamò la sorella indignata.
Clarke sorrise mentre cercava il suo reggiseno. Nella fretta aveva indossato la maglietta senza niente sotto.
<< Lascialo stare >> disse la ragazza << Piuttosto, perché non adottate anche voi un cane? Matteo lo adorerebbe ed è abbastanza grande da potersene prendere cura da solo >>.
<< Lo sai che papà non è d’accordo. Lui è spesso fuori per lavoro, mia madre con i turni in ospedale non si sa mai quando torna e Gaia tra poco si sposa. Un conto è occuparci sporadicamente di Luthor e un altro è averne uno cui badare sempre. Un cane non è un giocattolo che puoi relegare in un angolo quando non hai tempo >>.
<< Restate tu e Matteo lo stesso >> sottolineò Clarke inarcando il sopracciglio destro.
<< Io? Io mi occupo già del mio animaletto domestico che non è per nulla socievole! >>.
Il viso di Clarke s’imbronciò a quelle parole.
<< Non sei divertente >>.
Diana le fece la linguaccia.
<< Sbrighiamoci, abbiamo dei giri da fare >>.
 
<< Possiamo andare in fumetteria adesso, cara mammina? >> domandò Clarke fermandosi sul ciglio del marciapiede.
Non avrebbe fatto un altro passo senza una risposta positiva. Luthor imitò la padrona sedendosi e abbaiando per richiamare l’attenzione.
<< Anche Luthor mi da ragione >>.
Diana alzò gli occhi al cielo e fece una scrollata di spalle.
<< E va bene, hai vinto. Andiamo in fumetteria >>.
Un urlo di vittoria si levò dalle labbra di Clarke mentre riprendeva a camminare.
<< Mi spieghi cosa dobbiamo fare? Ci sei stata ieri >>.
<< Forse mi è sfuggito qualcosa>> rispose l’amica attraversando la strada << E poi meglio la fumetteria che seguire te per i negozi! >>.
Diana inarcò il sopracciglio facendo finta di essersi offesa.
<< Sei assurda, giusto per esserci fermate un paio di volte! E ti ricordo che abbiamo comprato anche i libri che ti servivano >>.
<< Che culo >> mormorò ironicamente Clarke stringendo involontariamente la busta che li conteneva.
L’altra scosse il capo e la seguì all’interno del negozio.
<< Ciao Peppe! >> esclamò Clarke sinceramente felice.
<< Clarke! Ma sei già venuta ieri! >> fece il ragazzo alzandosi da dietro il bancone per salutarla << Luthor! >> aggiunse notando il cane << Ci sei anche tu Diana, da quanto tempo! >>.
<< Diciamo che non siamo tutti così fissati come Clarke >> rispose Diana contraccambiando il saluto.
<< Ti lascio Luthor qui, noi ci facciamo un giro >> disse la ragazza strizzando l’occhio all’amico.
Peppe annuì prendendo il guinzaglio e il cane docilmente si sdraiò per terra.
<< Ma come siete carini tu e Peppe… >> iniziò Diana mentre vagavano per gli scaffali facendo bene attenzione a farsi sentire solo dall’altra.
Clarke le gettò una breve occhiata prima di scuotere il capo e sorridere.
<< Sei gelosa? >> mormorò senza guardarla mentre si alzava sulle punte per poter prendere un manga posizionato molto in alto.
<< Dovrei? >>.
Entrambe scoppiarono a ridere nello stesso momento.
<< Sei un’idiota, Clarke >> disse infine Diana allontanandosi e scendendo verso il piano inferiore.
Clarke la osservò finché le fu possibile e subito dopo tornò a concentrarsi sul manga che aveva in mano. Mentre leggeva la trama camminò verso il bancone non accorgendosi dell’ostacolo sulla sua strada. Il colpo le fece perdere l’equilibrio e cadere il manga di mano.
<< Ehi, tutto ok? >>.
Clarke guardò nella direzione della voce e vide una ragazza che stava raccogliendo i fumetti che le erano caduti di mano, compreso quello che aveva lei.
<< Mamma, che botta >> disse facendo per rimettersi in piedi, ma fu anticipata dall’altra che le porse la mano in segno di aiuto.
Clarke accettò e si guardarono negli occhi. Fu come essere fulminati. La ragazza che le stava di fronte aveva degli occhi enormi, di un verde bellissimo, che non aveva mai visto. Una cascata di capelli castani le incorniciava il volto dai caratteri dolci.
<< Stai bene? >>.
<< Eh? Sì… grazie! >> rispose Clarke riprendendosi.
Rimasero a fissarsi ancora per qualche secondo prima che l’altra le porgesse il manga che le era caduto.
<< Credo che questo sia tuo, io non leggo queste cose >>.
<< Ah, no? Peccato, volevo sapere di cosa parlasse >>.
Rise e il suono della sua risata le rimbombò nelle orecchie.
<< Dalla copertina direi… sangue e splatter! >> esclamò sistemando meglio quelli che aveva in mano per non farli cadere nuovamente.
<< Grazie, fin lì ci ero arrivata anche io >> disse Clarke. Sbirciò velocemente tra i suoi fumetti << Il color fest di Dylan Dog? Bah, non mi è piaciuto per niente >>.
Involontariamente l’altra ragazza abbassò lo sguardo verso la copertina del primo della pila.
<< Diciamo che Dylan Dog è morto ormai >> rispose << Il color fest è solo per una questione di collezione >>.
Clarke sgranò gli occhi per la sorpresa.
<< Dai, la penso esattamente come te! Per questo continuo a comprarlo >>.
La vide arrossire e quel dettaglio di lei le piacque ancor di più.
<< Davvero, che coincidenza! E dire che c’è a chi piace la direzione di Recchioni! >>.
<< Ti prego, era meglio se continuava a fare Orfani. E nemmeno più quello adesso >>.
La ragazza scoppiò a ridere di nuovo.
<< Ehi, Sofy tutto okay? >> disse una terza ragazza avvicinandosi al duo.
<< Elena, finalmente! Dobbiamo sbrigarci altrimenti rischiamo di arrivare tardi! >>.
<< Dobbiamo solo pagare… >> mormorò l’altra guardandola con aria sorpresa.
<< Okay, allora andiamo >> affermò Sofia << E’ stato un piacere chiacchierare con te >> aggiunse tornando a prestare attenzione a Clarke.
Le sorrise in segno di saluto.
<< Anche per me >>.
Quando Diana tornò, trovò Clarke che ancora fissava la porta dalla quale erano uscite.
 
Elena e Sofia uscirono dalla fumetteria e si diressero velocemente verso il motorino parcheggiato a piazza Dante.
<< Quella chi era? >> domandò Elena mentre cercava le chiavi.
Sofia si strinse nelle spalle senza guardarla e senza rispondere.
<< Credo di averla già vista da qualche parte, forse a scuola? >> continuò l’amica.
<< Forse >> disse finalmente Sofia.
<< Sei la simpatia >>.
A quel punto l’altra ragazza increspò un sorriso.
<< Davvero Elena, non lo so. A me sembra di non averla mai vista >>.
<< Sembra simpatica >> commentò Elena lanciandole il casco.
<< E da cosa lo deduci? >>.
<< Ti ha fatta ridere e non ridevi in quel modo da tanto tempo >>.
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


 
<< Okay, siamo calmi. Tra poco la incontriamo. Fa un respiro profondo insieme a me, Adele, e ripeti “andrà tutto bene” >>.
Sua moglie scoppiò a ridere nel vederlo così agitato. Nemmeno al suo primo concerto era teso in quel modo.
<< Calmati Philip, non c’è nulla che possa andare storto! >>.
<< Ecco, l’hai detto! Quante volte ti ho detto di non farlo? >>.
<< Fare cosa? >>.
<< Sssh, non ne parliamo più. Ho sentito dei passi. Sicuramente sono loro >>.
Adele strinse la mano del marito e si sedettero intorno al tavolo che era stato assegnato loro per il primo colloquio. Anche se cercava di sdrammatizzare, sentiva la stessa agitazione di Philip. C’erano voluti sei mesi prima di poter ottenere una visita, non era stato per niente facile. Ma se si è decisi, il tempo è davvero l’ultimo dei problemi. La porta si spalancò e, accompagnata da una signora corpulenta e dalla carnagione scura, venne avanti una bambina di circa otto anni. Era spettinata, magra, con degli abiti nettamente troppo grandi per lei, ma, nell’incontrare quei grandi occhi azzurri, Adele pensò che ne era davvero valsa la pena aspettare e pregare che andasse tutto bene. Era bellissima.
<< Siediti qui >> disse la signora indicando alla bambina una sedia.
Immediatamente ubbidì senza profanare parola << Loro sono il signore e la signora Melbourne. Come si dice? >>.
<< Buon pomeriggio >> salutò la bambina con voce atona e senza guardare nessuno dei due.
<< Comportati bene, io torno più tardi >>.
Detto si allontanò lasciando al trio un minimo di riservatezza. Philip gettò un’ultima occhiata intorno prima di concentrarsi unicamente sulla piccola che gli stava davanti. C’erano altri cinque tavoli nella stanza, ognuno occupato da un bambino e una coppia diversi. Ognuno parlava pacatamente per non disturbare gli altri. Alle pareti erano appesi diversi disegni infantili che avrebbero dovuto mettere allegria ma che, invece, sortivano l’effetto contrario.
<< Ciao >> iniziò l’uomo leggermente imbarazzato mentre involontariamente andava a cercare la mano della moglie << Puoi chiamarci solo Philip e Adele, va bene? Signor Melbourne sa troppo di vecchio, non trovi? >>.
La bambina si limitò ad annuire continuando a tenere lo sguardo basso.
<< Mentre aspettavamo, ti abbiamo preso una cioccolata calda alla macchinetta >> disse Adele avvicinandole il bicchiere di plastica << Ti piace il cioccolato? Di solito piace a tutti i bambini >>.
Con la coda dell’occhio cercò il supporto di Philip per verificare che si stesse muovendo bene. Adesso che erano lì, si sentiva terribilmente tesa e la paura di dire o fare qualcosa di sbagliato erano molto forti. Ora che era così vicina a lei, la osservò meglio. Aveva un’ecchimosi sotto il collo e diversi graffi sulle mani, le unghie mangiate forse per il nervosismo. Si ritrovò a pensare che avrebbe potuto comprarle qualcosa della sua taglia, qualcosa che le stesse bene e che potesse tenerla al caldo ora che l’inverno era alle porte.
Per la prima volta la bambina sollevò gli occhi per guardare la donna che aveva parlato senza paura, senza esitazione, quasi con sfida. E Adele credette di perdersi in quell’oceano in tempesta. Invece di ringraziare o di rifiutare come si sarebbero aspettati entrambi i coniugi, la bambina scattò in avanti protendendosi sul tavolo e scagliò il bicchiere integro contro Adele. Il contenuto le si rovesciò addosso facendola sobbalzare per il dolore e la sorpresa.
<< Non voglio un cazzo di niente da voi, non voglio niente da nessuno! >> urlò saltando sul tavolo e poi per terra.
Iniziò a correre verso la porta mentre Philip ancora doveva capire cosa fosse successo.
<< Clarke! >> urlò la donna che l’aveva accompagnata muovendosi per fermarla.
In un solo attimo si era scatenato un enorme trambusto. I bambini più piccoli, spaventati da quello che stava accadendo, iniziarono a piangere e a cercare un rifugio sicuro mentre i più turbolenti ne approfittarono per creare altra confusione. Clarke era quasi arrivata alla porta, ma, prima che potesse aprirla, la donna la fermò afferrandola per un polso e bloccandola.
<< Lasciami cicciona, lasciami! >> urlò la bambina divincolandosi dalla sua presa con un tale furore da parere impossibile che avesse solo otto anni << Ho detto di lasciarmi schifosa grassona! >>.
La donna le diede un sonoro schiaffo in pieno viso che, però, non servì a placarla. Vedendo la scena, Philip e Adele accorsero sconvolti anche loro da quello che avevano visto.
<< Ma che sta facendo, non si picchiano i bambini! >> esclamò Adele cercando di proteggere col suo corpo Clarke.
<< Signora Melbourne per favore si faccia da parte >> disse l’altra bloccando a terra la bambina e attivando una chiamata col suo cellulare.
Senza che nessuno parlasse, in pochi attimi arrivarono altri due uomini che sollevarono di peso Clarke per portarla fuori.
<< Fermi, tutto questo non è sicuramente legale! >> urlò Adele guardando il marito.
Finalmente libera, la donna si voltò verso entrambi.
<< Mi spiace per questo increscioso incidente, credo che dovremmo rimandare a un altro giorno >> si voltò verso gli altri presenti nella stanza << Per oggi abbiamo concluso. Bambini recatevi nel dormitorio in silenzio e ordinatamente dopo aver salutato gli adulti >>.
Sotto gli occhi di tutti, i bambini ubbidirono.
 
<< Questa cosa non ha senso, se ne rende conto? >> esclamò Philip << Noi vogliamo capire cosa è successo, non sentirci ripetere delle scuse! >>.
Il direttore si mosse leggermente a disagio sulla sedia e guardò la donna che lo aveva informato di tutta la situazione. Era un’assistente sociale vecchio stampo, di quelle che quando c’è da piegare, piegano senza problemi. E quella bambina era una che non si piegava facilmente, nemmeno con lei. Due anni nella sua struttura e a malapena l’aveva sentita parlare senza che dalla sua bocca uscissero parolacce. Non era per niente facile da gestire.
<< Allora? >> incalzò Adele per avere delle risposte << Parlateci di lei, è successo qualcos’altro oltre a quello che sappiamo? È seguita da uno psicologo? Se sì, cosa dice? >>.
L’uomo gettò una veloce occhiata al fascicolo che aveva sulla scrivania e fece un respiro profondo. Congedò educatamente l’assistente sociale e per la seconda volta invitò i coniugi Melbourne a sedersi. L’uomo rifiutò mentre la moglie si sedette e fece un paio di respiri.
<< Allora? >> continuò Philip.
<< Signori Melbourne >> iniziò << La situazione di Clarke è alquanto… complicata. La bambina non è esattamente… affabile. Abbiamo pensato che, vedendo due persone interessate a lei, il suo atteggiamento sarebbe potuto cambiare in positivo. Evidentemente mi sbagliavo e sono davvero desolato per quello che è successo. Clarke… non è evidentemente pronta per essere adottata. Mi dispiace. Entro domani vi farò avere il modulo per… >>.
<< Noi non ci stiamo tirando indietro >> lo interruppe Adele << Vogliamo solo capire come prenderla. Non le piace la cioccolata? Va bene, non gliene offriremo più. Ma non vogliamo sbagliare. Io credo che quello a cui abbiamo assistito oggi sia solo una grande richiesta di amore >>.
Philip poggiò entrambe le mani sulle spalle della moglie come se volesse farle capire che la pensava esattamente come lei.
Il direttore si grattò la testa.
<< Sarebbe bello se ci fossero davvero molte più coppie come voi >> disse rasserenato da quella dichiarazione << Ma io, come gli altri, non posso aiutarvi. Oltre a quello che c’è scritto sulla sua scheda, non sappiamo altro di quella bambina. In due anni non ha mai parlato con nessuno. Quelle poche volte che ha rivolto la parola a uno dei miei collaboratori non è stata esattamente… >>.
Lasciò la frase a metà sapendo che marito e moglie avessero compreso.
La donna sgranò gli occhi sorpresa da quelle parole. Com’era possibile che una bambina di sei anni non avesse sentito il bisogno di parlare, raccontare qualcosa a chi le stava intorno? La rivide con quello sguardo duro e sprezzante e si chiese cosa mai le fosse capitato. Aveva letto che la madre era una tossicodipendente morta di overdose in casa e che era stata ritrovata solo due giorni dopo. A vegliare il suo corpo per tutto quel tempo, c’era stata la figlia che poi era passata in mano ai servizi sociali e subito dopo era finita in quella struttura. Strinse una mano di suo marito e lo guardò. Clarke aveva bisogno di loro, ora più che mai ne era convinta.
<< Quando possiamo rivederla? >>.
 
Il cellulare squillava da un po’ mentre Clarke si affannava a cercarlo tra le lenzuola del suo letto. Luthor abbaiò per aiutarla.
<< Luthor ti prego, non adesso >> disse con voce ancora impastata di sonno.
Alla fine riuscì a trovarlo. Prima di attivare la conversazione gettò una veloce occhiata all’ora. Erano trascorse già le undici.
<< Pronto? >>.
<< Clarke finalmente! >> esclamò suo padre non riuscendo a nascondere una nota di sollievo nel sentire la sua voce.
<< Papà! >> rispose la ragazza mettendosi seduta sul letto. Quel movimento brusco le fece avere un giramento di testa << Ma che ore sono da te? >>.
<< Le due e un quarto, sto per andare a letto >> risponde l’uomo << Pensavo che, chiamandoti alle undici di mattina, ti avrei trovata sveglia >>.
<< Ehm… >>.
<< Sei andata a bere ieri sera con Diana, vero? >>.
<< Forse… >>.
<< Clarke! >> disse Philip fintamente spazientito << Hai fatto benissimo. Salutamela oggi, so che sicuramente vi rivedrete >>.
Clarke sorrise. Suo padre era così e lei lo adorava per questo.
<< Consideralo fatto! >> rispose << Com’è andata a San Diego? >>.
<< Ho appena terminato, sono stanchissimo >>.
<< Immagino, ti hanno chiesto il bis? >>.
<< Come da copione. Un signore alla fine mi ha chiesto di fare una foto col figlio che sta imparando ora a suonare il pianoforte >>.
<< Cucciolo! >> esclamò Clarke ricordandosi le sensazioni positive che l’uomo e la sua musica le avevano donato << Sono così contenta per te >>.
<< Io sono contento se anche tu lo sei >>.
E sua figlia sapeva che quella frase non era stata detta giusto per riempire un vuoto o un silenzio. Quelle parole erano vere come era vera la persona che le aveva pronunciate.
<< Ti voglio bene, papà >> disse invece Clarke.
<< Anche io, non sai quanto >> rispose l’uomo << Riposati e divertiti finché puoi perché dopodomani inizia la scuola e questa volta… >>.
<< Ti prometto che non mi farò bocciare di nuovo >> lo interruppe la ragazza.
Philip sorrise. Ormai sapeva bene quando sua figlia era seria e quando no. Adesso lo era.
<< Brava. Era quello che volevo sentirti dire >>.
Sbadigliò e quel suono non sfuggì alle orecchie di Clarke.
<< Vai a dormire, domani sicuramente ti aspetterà la conferenza >>.
<< Le solite cose del mestiere >> disse Philip.
<< Buonanotte allora >>.
<< Ci vediamo tra qualche mese >>.
<< Non vedo l’ora! >>.
<< Ah, Clarke? >> fece l’uomo come se si fosse appena ricordato una cosa importante << Mi manchi anche tu >>.
Di nuovo la figlia sorrise prima di agganciare.
Rimase in silenzio per qualche minuto a contemplare la foto che faceva da sfondo al suo Iphone e le parve che quel periodo della sua vita appartenesse a una vita precedente. In effetti, era di qualche anno prima e ritraeva tutta la sua famiglia, Luthor compreso. Era stata davvero felice.
E adesso lo sono?, si domandò involontariamente.
Sì, lo era. Solo, non come prima.
Si alzò in piedi stiracchiandosi e il suo cellulare prese a squillare di nuovo.
<< Credevo che avrei dovuto farti ottocento chiamate prima di sentirti risponder e>> disse Diana quando si attivò la conversazione << Mi sorprendi, Melbourne! >>.
<< Fottiti, Atomi >> rispose Clarke ridendo << Piuttosto, che cosa abbiamo fatto ieri sera? >>.
<< Oltre ad aver scopato nella macchina di mia madre? >> la stuzzicò l’altra << Quello te lo ricordi? >>.
<< Vagamente >> mentì la sua amica << In che posto siamo sbarcate alla fine? >>.
<< Me lo ricorderò per la prossima volta >> rispose Diana << Quello nuovo ai Colli Aminei. Il Wine bar. Hai rotto il cazzo che volevi del vino e allora ti ho portata lì. Non mi pare che ti sia dispiaciuto >>.
Clarke scoppiò a ridere.
<< Per niente! >> esclamò << Dovremmo andarci più spesso >>.
<< Così mia madre ammazza prima me e poi te >>.
Risero contemporaneamente.
<< Ascolta Clarke, mi ha chiamata Giulia mezz’ora fa. Ti va di andare in piscina? >>.
Clarke guardò fuori dalla finestra della sua stanza. Il sole splendeva e non vi era una nuvola all’orizzonte.
<< In piscina? Mah, potremmo usare la mia se proprio… >>.
<< Perfetto! Allora glielo dico >> la interruppe Diana che voleva solo sentirsi dire quello.
<< Era tutto organizzato per portarmi a questo vero? >> fece Clarke.
<< Oh, dai. Stai mettendo il broncio per caso? >> scherzò l’altra << Tra un’ora saremo lì >>.
<< A dopo >>.
 
Diana fu di parola. Un’ora dopo il motorino dell’amica e una macchina che Clarke sapeva perfettamente a chi appartenesse fecero capolinea nel suo viale.
<< Marco! >> esclamò la ragazza non appena l’amico scese dalla macchina << Diana non mi aveva detto che c’eri anche tu! >>.
<< Ho sentito Giulia un quarto d’ora fa e mi sono unito >> rispose il ragazzo strizzandole l’occhio.
Clarke lo abbracciò felice di rivederlo. Lei, Diana, Marco e Giulia andavano in classe insieme al liceo. Al contrario di Diana, con la quale aveva frequentato anche le medie, con Marco e Giulia aveva legato fin dal primo giorno del primo anno. Col ragazzo aveva tante cose in comune che li aveva portati a organizzare tornei alla play e maratone de Il Signore degli Anelli già la seconda settimana di scuola.
<< E a me non saluti? >> fece Giulia uscendo dal posto del passeggero e gettandosi letteralmente tra le braccia dell’amica.
Clarke la strinse respirando il tipico profumo della sua pelle.
<< Certo! Come state? >>.
<< Questo qui >> esordì la ragazza colpendo Marco a una spalla senza fargli male << Ha fatto colpo ai test di ingegneria >>.
Diana si tolse il casco mentre si avvicinava al gruppo. Abbracciò da dietro Clarke e le lasciò un bacio sulla guancia in segno di saluto.
<< Cioè? >> chiese subito dopo.
<< Sì, infatti raccontateci tutto! >>.
<< Abbiamo portato la birra >> disse Marco aprendo il portabagagli.
Si mossero verso il giardino della villa dove, in un angolo nascosto da occhi indiscreti, la piscina e i lettini facevano bella mostra di sé.
<> esclamò Giulia correndo verso l’acqua limpida.
Mollò lo zaino su un lettino e si tolse le infradito.
<< Allora, questa storia? >>.
<< Non statela a sentire >> mormorò Marco sfilandosi la maglietta.
Essere amico di tre ragazze non era per niente facile, ma lui si trovava così bene con loro che non avrebbe mai rinunciato a quella compagnia.
<< Oh, invece sì! >> fece Diana aiutando Clarke a togliere il cartone dalle birre << Mettiamo queste in frigo e arriviamo! >>.
Quando tornarono, Giulia si era già buttata e stava nuotando mentre Marco era seduto sul bordo e osservava il suo riflesso. Clarke lo imitò senza togliersi ancora la maglietta e i pantaloncini che indossava. Diana, invece, si tolse il pareo e rimase in piedi.
<< Avanti, non fate i vecchi e buttatevi! >> esclamò Giulia riemergendo.
<< Prima la storia! >>.
Con qualche bracciata, la ragazza si avvicinò al gruppo e si issò sdraiandosi mentre aveva ancora i piedi nell’acqua. Clarke osservò le goccioline che scivolavano sul suo corpo e constatò che la palestra che Giulia aveva fatto per tutto l’anno scolastico aveva dato i risultati sperati. Era dimagrita e aveva raggiunto il suo peso forma, il seno non era mai stato abbondante e questo le aveva permesso di indossare costumi molto provocanti. Era una bella ragazza prima, ora era anche sensuale.
<< Allora >> iniziò Giulia puntellandosi sui gomiti per poter guardare prima Clarke e poi Diana << Siamo andati a fare il test di ingegneria la settimana scorsa >>.
Clarke annuì.
<< Sì, mi avevate detto che siete entrati entrambi! Mi fa piacere per voi. Avete scelto l’indirizzo? >>.
<< Elettronica >> rispose Marco.
<< Io informatica >> disse l’amica << Va beh, non vi sto a dire il casino che c’era. Ci chiamano uno alla volta in una di quelle aule enormi a imbuto, ci assegnano il posto e iniziamo. Marco e io siamo capitati ai poli opposti, zero possibilità di parlarsi. Così mi faccio il mio test e dopo tre ore consegno. Esco fuori a fumare una sigaretta e, quando torno nel corridoio, lo trovo affabilmente a chiacchierare con una! >>.
<< Non è andata esattamente così >> la interruppe Marco alzando le mani.
<< E come allora? >> incalzò Clarke schizzandolo leggermente col piede.
<< Semplicemente durante il test la sua calcolatrice ha smesso di funzionare e io le ho prestato la mia. Abbiamo finito insieme e, dopo aver consegnato, ci siamo messi a chiacchierare fuori l’aula. Non ho rimorchiato nessuno! >>.
<< Stai omettendo una cosa o sbaglio? >>.
Sia Diana sia Clarke fissarono Giulia in attesa che continuasse.
<< Il numero! >> fece l’altra << Alla fine gli ha lasciato il suo numero! Se questo non è fare colpo, cos’è? >>.
Clarke diede all’amico una pacca bonaria sulla gamba.
<< E bravo Marco! Ma è bella almeno? >>.
Marco stava per rispondere ma fu interrotto da Giulia.
<< Mah, diciamo di sì >>.
<< Non mi sembri molto convinta >> mormorò Diana andando a sedersi sul bordo opposto al loro.
Clarke si alzò seguita dal ragazzo. Disse che sarebbe tornata subito, andava a prendere le birre lasciate nel freezer. Quando tornò, Marco aveva l’Iphone in mano.
<< Aspetta, ve la faccio vedere. Siamo amici su Facebook >>.
<< Porca troia, è questa? >> esclamò Clarke guardando il cellulare << Cazzo, è bellissima >>.
Un sorriso si dipinse sulle labbra di Marco mentre gli occhi di Diana si puntavano sull’amica che gli porgeva una birra. Clarke scompose i ricci capelli del ragazzo e si complimentò; poi incrociò lo sguardo dell’altra. Le sorrise urlandole di venire a prendere la sua bottiglia. Diana si lasciò andare a uno sbuffo che solo lei poteva udire prima di tuffarsi e nuotare per raggiungerla.
<< Guarda qui! >> le disse non appena uscì dalla piscina mostrandole la foto della ragazza.
Diana le diede una leggera occhiata di sfuggita mentre si tamponava con l’asciugamano e afferrava la sua birra.
<< Carina >> rispose senza alcun tono in particolare.
Clarke la fissò inarcando il sopracciglio senza capire cosa le prendesse improvvisamente.
<< Io la trovo proprio bella >> disse ridando il cellulare all’amico << Ha degli occhi azzurri che parlano da soli. E poi ha dei bei lineamenti. Come si chiama? >>.
Giulia uscì dall’acqua e si attaccò all’ultima bottiglia rimasta.
<< Nadia. Ha la nostra stessa età >>.
<< Ti piace, eh? >> mormorò la ragazza tornando immediatamente verso la piscina e ridendo nel vedere che arrossiva << Farà anche lei elettronica? >>.
<< Sì, pare che sia una cosa di famiglia. Anche il fratello e il padre sono ingegneri elettronici >>.
<< Dai, ma allora gioca in casa! >> esclamò Clarke << Non vale! E poi sai che palle, tutti la stessa cosa >>.
Scoppiarono a ridere tutti tranne Diana che, col cellulare in mano, pareva immersa nello scrivere qualcosa.
<< Ohi, ma che hai? >> domandò la padrona di casa avvicinandosi.
L’altra nemmeno la guardò.
<< Chi vuole una pizza? Stavo cercando il numero di una che sta qui vicino e non è male >> chiese invece rivolta agli altri amici.
<< Facciamo un metro di margherita >> propose Marco guardando Clarke che annuì.
<< Una metà con wurstel e patate! >> urlò Giulia prima di lanciarsi in acqua.
<< Diana a te cosa va? >>.
<< Fate voi, a me sta bene tutto >> disse rientrando in casa.
<< Insomma, si può sapere che hai? >> esclamò Clarke che l’aveva seguita in cucina.
<< Devo andare in bagno >>.
<< Dico sul serio, D >>.
<< Niente, Clarke >> continuò Diana infilandosi nel bagno << Torna dagli altri ora >>.
La mano dell’altra sbatté prepotentemente sulla porta per bloccarla.
<< Mi spieghi cosa ti passa per la testa? >>.
Diana esitò e si morse il labbro inferiore.
<< E’ bellissima, eh? >> disse infine senza sbilanciarsi.
Clarke comprese immediatamente a cosa si riferisse e scoppiò a ridere sonoramente.
<< Per la ragazza di Marco? >> esclamò << Dai, D! Era solo un complimento >>.
<< E chi è Sofia? >>.
Quella domanda spiazzò l’altra che per qualche secondo non seppe cosa rispondere.
<< Ieri sera, mentre bevevamo, l’hai nominata un paio di volte >> incalzò l’amica.
<< Non… non lo so! >> fece Clarke confusa << Non… non mi viene in mente nessuna con questo nome… >> spalancò la bocca nel ricordarsi della ragazza della fumetteria << Ah! >>.
Diana assottigliò gli occhi con fare indagatorio.
<< Nella fumetteria ieri >> continuò << C’era una ragazza che si chiamava così. Mi ha fatta cadere per terra, ora che ci penso >>.
<< Fammi capire >> esclamò Diana tirandosela nel bagno e chiudendo la porta << Una che ti fa cadere in un corridoio di una fumetteria, tu te la ricordi e la nomini la sera mentre ci divertiamo? Come cazzo facevi a sapere il suo nome poi? >>.
Clarke si strinse nelle spalle. Avrebbe voluto dirle che l’aveva colpita perché le era parsa meravigliosa con quei suoi due occhi verdi enormi, che aveva riso alle sue battute; ma preferì tacere visto come si era comportata per aver fatto un apprezzamento su Nadia.
<< Diana, Clarke! Una di voi è qui? >>.
Era la voce di Marco. Fu Clarke a rispondere.
<< Sì, sono qui >>.
<< Volevo solo dirti che ho ordinato le pizze col cellulare di quella scassacazzo di Diana. A proposito, sai dov’è finita? >>.
<< Forse in camera mia >> rispose la ragazza guardando l’amica.
<< Va beh, torno di là >>.
Quando sentì i suoi passi allontanarsi, Clarke si rivolse all’altra.
<< Io vado. Tu vedi di calmarti >>.
 
<< Perché sei sempre in ritardo? >> chiese Sofia guardando prima l’orologio e poi l’amica.
Elena rise.
<< Dai, almeno questa volta ti ho avvisata! >> rispose fermando il motorino e lanciandole il casco.
Sofia sbuffò mentre si sedeva dietro di lei.
<< Non fare la pesante, Sofy! >>.
<< Io non sono pesante! >> esclamò l’altra.
Elena roteò gli occhi e mise la freccia per svoltare. Dopo un quarto d’ora arrivarono al loro bar preferito al Vomero.
<< Cristina mi ha scritto >> esordì Elena sedendosi e sfogliando il menù << Per una pizza stasera, ovviamente senza fare troppo tardi >>.
Sofia guardò l’amica domandandosi perché ogni volta guardasse il menù se tanto alla fine sceglieva sempre la stessa cosa.
<< A casa sua? >>.
<< Non credo, mi ha parlato anche di Alessandro e Umberto >>.
<< Ah >> fece l’altra << Beh, io passo. Però tu vai se vuoi >>.
<< Penso che prima o poi dovrai incontrarlo >>.
<< Io dico di no >>.
<< So! Frequenta la classe accanto alla nostra! È impossibile che non vi becchiate mai durante l’intervallo >>.
<< E questa legge chi l’ha stabilita? >>.
Elena sbuffò alzando le mani davanti a sé per arrendersi.
<< Ti sembra così strano ch’io non voglia incontrare una persona che mi stava costringendo a fare sesso? >>.
<< Non ho detto questo >> si difese l’amica << Ma tu e Claudio stavate insieme da quanto, sei mesi? Poteva…ecco, poteva starci che ne… avesse voglia… Ti prego non uccidermi! >>.
Sofia assottigliò gli occhi in segno di minaccia.
<< Ma da che parte stai, vipera? >>.
<< Ehi ragazze, ciao! >> salutò il solito cameriere arrivando al loro tavolo e alleggerendo così la tensione che si stava creando << Il solito? >>.
<< Sì, grazie Alberto >> rispose Elena << Mi hai salvata! >>.
Il ragazzo scrisse qualcosa sul suo taccuino e si allontanò con un sorriso.
<< Sul serio, Elena, lo pensi? >>.
La ragazza guardò l’amica e si specchiò in quei grandi occhi verdi che aveva. Sofia era così; era sicuramente pesante per una diciottenne ma era anche genuina, piena di curiosità e intelligente. Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, figurarsi da uno come Claudio. Però, di fronte a certe cose era ancora profondamente insicura.
<< Scema, dico solo che è stato un cretino a non volerti aspettare >>.
Il sorriso dell’altra le fece capire che era tutto a posto.
<< Piuttosto, lo sai che quest’anno c’è una ripetente in classe di Alice? >>.
<< La cosa non mi interessa affatto >> fece Sofia.
<< So! >> la richiama l’amica prima di continuare << Dal nome, sicuramente non è italiana. Forse americana. Ha lo stesso cognome di quel famoso pianista che ora è in giro per il mondo a fare concerti >>.
<< Sarà una coincidenza, come quel Casini della 5B che non era per niente imparentato col politico. Forse in America è un cognome diffuso >>.
<< Il pianista che dico io, però, è australiano >> constatò Elena.
Arrivarono le ordinazioni e Sofia fece un lungo sorso dal suo drink.
<< Quello che è. Sarà come il nostro Rossi >> rispose Sofia << Come fa di cognome? >>.
<< Chi, il pianista o la ripetente? >>.
Entrambe scoppiarono a ridere.
<< Idiota! >> esclamò Sofia.
<< Scusa ma non sono riuscita a trattenermi! >> continuò a ridere l’altra << Comunque Melbourne. Philip Melbourne e Clarke Melbourne >>.
 
 
 
 
 
L’angolo di Bik
Eccomi di nuovo. Sono stata puntuale e spero di esserlo anche prossimamente, mi piace rispettare quello che dico. Sabato sarò a Roma per una intervista sul primo fumetto scritto da me, che uscirà successivamente, e spero che questo non pregiudichi il mio andamento regolare nella pubblicazione. La prossima avverrà tra due settimane.
In questo capitolo ampliamo la cerchia dei personaggi e conosciamo qualcosa in più su Clarke. Mi piace che il lettore conosca ogni sfaccettatura del loro carattere così da poterli rendere reali, come se fossero davvero i ragazzi della classe accanto.
Alla prossima,
F.

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Capitolo 3
*** 3 ***


I bambini erano in fila per la mensa. Una delle prime cose che veniva loro insegnata quando arrivavano era il rispetto per le file quando si pranzava e cenava. Con ottanta ragazzini minorenni, altrimenti, sarebbe stato un vero inferno.
<< Ehi, tu >> disse un ragazzo di dodici anni allungando la mano verso la spalla di Clarke avanti a lui di due bambini << Sei quella che ha fatto tutto quel casino oggi pomeriggio? >>.
Clarke non rispose scostandosi in malo modo dal contatto con la sua mano. Riprese il vassoio e lo spinse lungo il nastro avanzando lentamente.
<< Sto parlando con te, biondina! >>.
<< Lascia stare, Carl >> disse un altro ragazzo proprio dietro Clarke << Questa qui è un po’ tocca. Secondo me nemmeno capisce quello che le diciamo >>.
A quelle parole, Clarke spalancò gli occhi e si voltò verso di lui. Non disse nulla, semplicemente si limitò a sbattergli in faccia con forza e rabbia il suo vassoio ancora vuoto. Il ragazzo, sebbene più grande di lei, venne colto alla sprovvista e cadde a terra facendo fare lo stesso anche al suo portavivande. Nella sala si spanse a macchia d’olio il panico. Tutti urlavano tranne lei che avrebbe ripreso a colpire il ragazzo che piangeva con lo stesso vassoio se due uomini addetti alla sicurezza non l’avessero fermata e bloccata.
<< E’ pazza! >> urlò Carl additando il ragazzo che perdeva sangue dal naso << Non stava facendo niente e lei si è voltata come una furia! >>.
<< Brutti babbuini mettetemi giù! >> urlò Clarke che si divincolava dalla loro presa con così tanta forza che avrebbe potuto spezzarsi entrambe le braccia << Adesso lo colpisco di nuovo! >>.
<< Signora Benson, signora Benson! >> urlò il ragazzo ferito tra le lacrime << Aiuto! >>.
Accorsero due assistenti sociali per placare la situazione. Una portò in infermeria il bambino colpito mentre l’altra sospirò nel vedere che era di nuovo Clarke ad aver creato quel casino.
<< Portela in isolamento >> sentenziò mentre lentamente stava tornando il silenzio.
<< Grassona, fammi mettere giù! >> urlò Clarke mentre veniva sollevata di peso << Questo posto fa schifo! Fa schifo! >>.
 
<< Mi spiace signori Melborne, ma oggi non vi sarà possibile vedere Clarke >>.
Un’espressione preoccupata si disegnò sul volto di Adele.
<< Le è successo qualcosa? Sta bene? >> chiese Philip.
L’assistente sociale Benson scosse il capo.
<< Lei sì ma lo stesso non si può dire del ragazzo che tre giorni fa è finito in infermeria >>.
<< Cosa avrebbe fatto? >>.
<< Lo ha colpito col proprio vassoio sul viso e lo avrebbe fatto ancora se non fosse stata fermata. Ora è in isolamento >>.
<< Avete messo una bambina di otto anni in isolamento da tre giorni? >> chiese sconvolta Adele.
<< E’ stato necessario. Come le diceva il direttore al nostro precedente incontro, Clarke non è pronta per essere adottata. Ha bisogno di fare un lungo cammino con… >>.
<< E voi sicuramente la state aiutando così >> la interruppe Philip. Guardò la moglie per un attimo << Vogliamo vederla, magari riusciamo a capire perché si è comportata in questo modo >>.
<< Signor Melbourne, capisco perfettamente le vostre buone intenzioni, ma faccio questo lavoro da anni ormai e Clarke… >>.
<< Chi, quel piccolo demonio? >> s’intromise involontariamente un uomo che passava da lì in quel momento << Mi ha quasi staccato la mano a morsi >> mostrò una cicatrice sul polso << Date retta a me, appena sarà maggiorenne finirà dritta in carcere per restarci a vita >>.
Philip perse la calma e afferrò l’uomo, nonostante fosse più basso e nettamente meno muscoloso, per il bavero dell’uniforme che indossava.
<< Stai parlando di una bambina di otto anni che ha perso la madre a sei. Stai parlando una bambina la cui madre probabilmente era sempre troppo fatta per farle una carezza o per insegnarle cosa fosse l’amore. Stai parlando di una vita! E merita rispetto! >>.
<< Philip, lascialo >> urlò Adele stringendo la spalla del marito.
Philip ubbidì leggendo negli occhi dell’altro paura e sorpresa per quello che era appena successo.
<< Kyle, per favore >> disse l’assistente sociale facendo cenno al collega di allontanarsi.
L’uomo ubbidì in fretta.
<< Non ce ne andiamo da qui se prima non la vediamo >> affermò Philip incrociando le braccia sul petto.
 
Sentì la serratura della porta scattare e si affrettò a nascondere quello che stava facendo. Sobbalzò quando vide gli stessi signori della volta precedente e assunse un’aria sorpresa ma allo stesso tempo menefreghista. Philip le sorrise provando a rassicurarla mentre Adele si guardava intorno. In quella stanza non c’era niente se non un piccolo letto, una sedia e una scrivania. Sul tavolo il cibo all’interno del vassoio era intatto. Una vocina le disse che probabilmente non mangiava da quando l’avevano chiusa lì dentro.
<< Come stai, Clarke? >> le domandò mentre la porta si richiudeva alle sue spalle.
La bambina non rispose limitandosi a fissarli con aria indagatoria.
<< Va bene per te se… se ci sediamo per terra qui davanti? >>.
Anche questa volta Clarke fu impassibile. Rimasero in silenzio per diversi minuti. Philip guardava la moglie alla ricerca di aiuto mentre la bambina li osservava immobile. Improvvisamente si mosse per cambiare posizione e un gemito di dolore le sfuggì mentre si portava l’altra mano intorno al polso. Adele notò subito una serie di lividi su quell’esile braccio e si allarmò. Ancor prima di rendersene conto, si allungò verso di lei per controllare. Ma Clarke si ritrasse come se avesse la peste.
<< Non mi toccare! >> urlò indietreggiando.
Nel farlo, i fogli sui quali era seduta le si sparsero intorno. Philip ne afferrò uno al volo e rimase colpito dalla sua bravura.
<< Sono miei, non devi toccare! >> gridò nuovamente la bambina afferrando il disegno con così tanta forza da strapparlo.
<< Voleva solo vederlo >> disse Adele con calma e mostrandole un sorriso rassicuratore << Non vogliamo farti del male, posso promettertelo se vuoi >>.
<< Dicono tutti così >> rispose Clarke facendo le spallucce e tornando a rintanarsi in un angolo della stanza.
<< Io credo che tu sia molto brava a disegnare >> affermò Philip con convinzione.
I due adulti videro la bambina arrossire a disagio di fronte a quel complimento. Compresero che non doveva averne ricevuti molti in quegli anni, forse nessuno.
<< Non toccateli lo stesso >> li ammonì entrambi.
Adele alzò le mani in segno di resa.
I minuti si susseguirono senza che nessuno parlasse, Clarke li osservava muta, senza sentire il bisogno di esprimere i suoi pensieri, Adele e Philip ora si sentivano abbastanza a disagio. Entrambi non sapevano come muoversi, avevano paura che potesse urlare di nuovo, di fare una mossa sbagliata ora che tutto era così calmo. Adele avrebbe voluto farle tante domande, ma temeva di vederla scattare come una molla impazzita. Improvvisamente la porta alle loro spalle cigolò per aprirsi facendo sobbalzare i coniugi Melbourne. La signora Benson entrò esibendo un sorriso.
<< Signori, devo chiedervi di andare. L’orario di visita è terminato >> disse avvicinandosi alla bambina << Continui nel tuo digiuno, Clarke? >> aggiunse notando il vassoio del pranzo intonso.
<< Mangiala tu quella merda, grassona >>.
<< Se continui così, non ti farò portare più niente >>.
Inaspettatamente Clarke saltò sul tavolo e gettò il vassoio per terra. Tutto il contenuto si rovesciò sporcando ovunque. Lei stessa si sporcò, ma quasi non se ne accorse talmente tanta era l’aria di sfida assunta contro la donna.
<< Clarke! Ti rendi conto che qui non sprechiamo il cibo?! >>.
Si voltò verso la porta e intimò ai due adulti di uscire. Li raggiunse dopo pochi attimi scusandosi di nuovo per il comportamento di Clarke.
<< Per quanto tempo continuerà a rimanere da sola lì dentro? >> chiese, invece, Adele che delle scuse poco se ne importava.
La donna si strinse nelle spalle.
<< Vedremo >> rispose vaga superandoli e guidandoli verso l’uscita.
 
Adele controllò per l’ennesima volta il tacchino che cuoceva nel forno e sperò che Philip riuscisse a cambiare argomento. Quella sera si erano presentati alla porta il fratello del marito con la moglie e una bottiglia di vino.
Per festeggiare la famiglia che si allargava, avevano detto.
In un’altra occasione sarebbero stati i benvenuti, ma quella sera erano entrambi stanchi e sconvolti da quello che avevano visto. E impotenti per non poter far altro che aspettare in silenzio. Si era innamorata di Clarke non appena aveva sentito la sua storia e visto una sua foto, ma vederla dal vivo l’aveva fatta sorridere ancor prima che ce ne fosse una ragione. Mai, però, si sarebbe aspettata delle reazioni simili da parte di una bambina di otto anni. Quelle sue continue grida d’aiuto e di amore le risuonavano sempre in testa e immaginava uno stuolo di possibili genitori che si allontanavano da lei dopo averle dato anche un solo filo di speranza orripilati e sconvolti. Lei e suo marito non si sarebbero comportati così. Avrebbero continuato a lottare per farle capire che di loro poteva fidarsi e avrebbero vinto. Perché era convinta che sotto quella corazza, si celasse semplicemente una bambina con così tante paure da non saperle gestire.
<< Allora, possibile che non ci diciate niente? >> esclamò Adam stappando la bottiglia.
<< Sì, forza! Raccontateci qualcosa! Quando la porterete a casa? >> enfatizzò Charlotte.
Adele e Philip si scambiarono una breve occhiata.
<< Ancora non lo sappiamo, l’abbiamo incontrata solo due volte >> rispose finalmente l’uomo.
<< E? Che impressione vi ha fatto? >>.
<< Molto forte >> disse Adele che odiava mentire anche sulle cose più stupide << Clarke non è una bambina qualunque >>.
<< E’ un pregio, no? Sta per diventare vostra figlia, deve essere speciale per voi, o sbaglio? >> domandò il fratello di Philip << A proposito, quanti anni ha? >>.
<< Otto >>.
<< I suoi genitori naturali? L’hanno abbandonata? >>.
<< Il padre non l’ha mai riconosciuta e la madre è morta di overdose mentre era a casa con la bambina >> fece laconica Adele preparandosi già a quello che avrebbero detto i cognati.
<< Oh, mamma! >> esclamò l’altra donna posando il bicchiere sulla penisola e passandosi una mano davanti alla bocca con espressione sconvolta.
<< Lo psicologo cosa dice? È sana? >>.
La seconda domanda diede particolare fastidio ad Adele che s’irrigidì mentre stringeva il canovaccio lasciato vicino i fornelli. Suo marito se ne accorse e intervenne.
<< Ovvio che lo è >> disse << E’ solo una bambina che cerca una famiglia >>.
<< Sì, ma la perizia cosa racconta? >>.
A quel punto Philip decise di lasciar perdere il tatto che stava usando fino a quel momento.
<< Niente, non dice niente perché Clarke non ha mai aperto bocca davanti a uno psicologo se non per riempire lui e tutti quelli che lavorano lì di parolacce. Volete sapere la prima volta che l’abbiamo vista? Ha rovesciato addosso ad Adele la cioccolata calda che le avevamo preso e poi ha provato a scappare. Volete sapere di oggi? Era in isolamento, non permetteva a nessuno di toccarla. Ecco chi è Clarke adesso >>.
<< Ma questo è un animale, Philip! >> sentenziò suo fratello esterrefatto dal racconto << E tu vuoi portarti a casa e dare il nostro cognome a una belva simile? >>.
Gli occhi di Philip lampeggiarono di ira di fronte alla totale mancanza di rispetto di Adam per una vita che aveva e stava soffrendo in quel modo.
<< Non è una belva, Adam! Clarke ha sofferto tantissimo nella sua breve vita e noi la aiuteremo! Le faremo capire che c’è altro oltre all’odio e alla sofferenza >>.
<< Ha solo bisogno di capirlo >> lo assecondò la moglie. Esibì un sorriso di circostanza << Forse sarebbe meglio se andiate >> aggiunse indicando la porta di casa.
<< Ma voi siete impazziti! >> esclamò Adam sconvolto da come difendevano quella delinquente << Adele mi sarei aspettata un po’ più di razionalità almeno da te! >>.
<< Noi adotteremo Clarke >> affermò risolutamente Adele << Non importa quanto tempo ci vorrà, ma ci riusciremo. A chiunque non stia bene la nostra decisione, può uscire dalla nostra casa e dalle nostre vite >>.
Adam e Charlotte si scambiarono un breve sguardo come se entrambi non credessero davvero di aver udito quelle parole.
<< State facendo la cosa più sbagliata del mondo >> mormorò l’uomo afferrando la sua giacca << Lo capirete da soli molto presto >>.
<< Buffo, stavo pensando la stessa cosa >> rispose Adele aprendo la porta di casa.
Quando la richiuse, corse a rintanarsi nelle braccia del marito che la strinse con forza contro il suo corpo.
<< Ci riusciremo >> le mormorò in un orecchio << Ti prometto che avremo la nostra famiglia >>.
 
Il pomeriggio era trascorso tranquillamente tra tuffi schiamazzi e un po’ di musica. Persino Luthor, che vista l’età preferiva dormire sul suo cuscino, si era divertito a correre e abbaiare per un po’ lungo il bordo della piscina. Diana, rimasta un po’ fredda durante il pranzo, tornò quella di sempre. Clarke lo comprese non appena, mentre era sdraiata su uno dei lettini, l’amica si andò ad accoccolare al suo fianco. La ragazza la strinse lasciandole un bacio tra i capelli. Non dissero nulla, tra loro non c’era mai stato bisogno di parlare troppo. Quel momento di pace, però, durò poco poiché Marco improvvisamente sollevò per la vita Clarke gettandola in acqua. Si tuffò a sua volta per evitare che Giulia o Diana potessero spingerlo tra le risate generali di tutti.
<< Allora, quando ce la fai conoscere? >> chiese Clarke mentre si avvicinavano alla scaletta per risalire.
<< Beh, non voglio farla scappare così presto >> scherzò Marco porgendole una mano per aiutarla << Penso che Diana le farebbe il quarto grado! >>.
Scoppiarono a ridere entrambi e notarono che le altre due ragazze erano entrate per prendere da bere.
<< Meglio se non ti fai sentire da lei! >>.
Marco rise di nuovo. Era quel tipo di risata che veniva fuori solo quando era in compagnia delle sue amiche.
<< Sul serio, ricordo che il secondo o il terzo giorno del primo anno, mentre parlavo con te, sentivo i suoi occhi inquisitori addosso >>.
Questa volta toccò a Clarke ridere, pensando che con lei Diana aveva sempre avuto un atteggiamento protettivo. Si passò una mano tra i capelli bagnati e notò che Marco la stava fissando con un mezzo sorriso.
<< Sei più bella quando ridi così >> le disse l’attimo prima di sentire il suo cellulare squillare.
Clarke arrossì involontariamente di fronte a quel complimento. Era sempre stata a disagio quando gliene facevano, riusciva ad affrontare molto meglio un insulto. Quando era piccola, credeva che il mondo intero fosse cattivo e che lei dovesse solo proteggersi da esso; invece i suoi genitori le avevano insegnato ad amare e accettare l’amore degli altri, soprattutto il loro. E lei era cambiata tanto in quegli anni, era diventata totalmente un’altra persona.
Marco, intanto, aveva sgranato gli occhi nel vedere il nome sul display del cellulare.
<< Chi è? >> chiese Clarke avvicinandosi dopo aver notato lo sguardo dell’amico << Oh, cazzo! >> esclamò leggendo << Rispondi! >>.
<< E’ la prima volta che mi chiama! >> rispose Marco in prenda a una leggera ansia.
<< Che succede? >> domandò Diana arrivando insieme a Giulia con le birra in mano.
<< Nadia! Lo sta chiamando! >>.
<< Merda, rispondi cazzone! >> disse Giulia.
<< Pronto? >> fece Marco attivando la conversazione e facendo cenno con la mano a tutti di zittirsi << Ciao! >>.
Clarke rise sottovoce di fronte al suo imbarazzo e si beccò una gomitata da parte di Giulia che era attenta alla conversazione. Allora si alzò e accostò il suo orecchio al cellulare dell’amico per ascoltare nonostante Marco avesse provato a scostarla. Sentì la sua voce e le piacque. Si sentiva che era imbarazza nel parlare con lui e la cosa la fece sorridere.
<< Stasera? >> ripeté Marco guardando l’amica che stava sentendo tutto.
Clarke annuì energicamente.
<< Vai! >> gli sussurrò.
Giulia batté le mani elettrizzata dalla cosa.
<< Sì, credo… credo che potremmo… ma sì, ovviamente dopo cena >> continuò il ragazzo cercando lo sguardo complice di Clarke.
Gli venne da sorridere pensando a quanto surreale fosse quella situazione.
<< Certo, porto un paio di amici anch’io >> affermò Marco << A stasera allora >>.
Attaccò e guardò il trio.
<< Voi siete tre pazze! >> esclamò subito dopo ridendo e rilassandosi << Soprattutto tu! >> aggiunse posando l’indice sulla fronte di Clarke.
<< Io non ho detto nulla! >> disse Diana alzandosi per gettare nella pattumiera la sua bottiglia vuota.
<< Allora? >> domandò Giulia.
<< Mi ha chiesto di prenderci qualcosa al bar stasera. Verrà con un’amica quindi le ho detto che anch’io ne avrei portate >>.
Posò lo sguardò sulle tre ragazze.
<< Ah, non guardarmi Marco! Io stasera non posso! >> affermò Diana alzando le mani << Ho promesso a mia sorella che sarei stata con lei a guardare uno di quei film strappalacrime >>.
<< Io neanche, faccio la baby-sitter a Micol e Andrea >> disse Giulia riferendosi ai cugini di cinque e sette anni << I miei zii vorrebbero fare, per una sera, i fidanzatini >>.
Marco guardò Clarke con aria implorante.
<< Beh, io… >> iniziò la ragazza portandosi un dito sotto il mento con fare pensoso.
<< Non fare la stronza! >>.
Clarke scoppiò a ridere.
<< Credo che mi immolerò per il bene della patria >>.
 
<< Ancora devo capire come hai fatto a convincermi >> affermò Sofia entrando nel locale affollato.
<< Che ti devo dire, non hai saputo resistere al mio fascino >> scherzò la sua migliore amica cercando un tavolo libero << Il pensiero di te sul divano che ti sparavi l’ennesima serie di Netflix mi ha fatto scattare qualcosa e sono venuta a salvarti >>.
<< Per portarmi allo Stair Coffè? >> chiese l’altra inarcando il sopracciglio.
Non era amante dei luoghi particolarmente affollati e quello la sera lo era sempre.
Elena sbuffò.
<< Ti lamenti sempre, non fare il bradipo ottantenne! Questo è il luogo perfetto per due diciottenni! È pieno di ragazzi! >>.
Sofia dovette ammettere che quel locale era frequentato soprattutto da ragazzi della loro età e ne riconobbe alcuni che conosceva di vista. Distolse lo sguardo dalla folla e sbatté contro l’amica che si era fermata.
<< Ma perché ti sei fermata all’entrata? >> esclamò sistemandosi gli occhiali da vista sul naso.
<< Quella non è la tipa che hai beccato in fumetteria? >> domandò invece Elena indicando un tavolino con quattro ragazzi.
Sofia guardò oltre la sua spalla e la riconobbe immediatamente. Quei capelli biondi e ondulati erano un segno troppo distintivo.
<< Credo di sì, e allora? >>.
Elena scrollò le spalle.
<< Niente, che coincidenza! >>.
Sofia la guardò senza capire prima di riprendere a seguirla. Per un solo attimo incrociò lo sguardo dell’altra mentre le passava accanto.
 
Marco si guardò intorno e il secondo successivo controllò l’ora.
<< Siamo arrivati con mezz’ora di anticipo, te ne rendi conto? >> esclamò Clarke incrociando le braccia sul petto << Mezz’ora, è ovvio che non sia ancora arrivata! >>.
<< Non volevo rischiare di farla aspettare >> mormorò il ragazzo imbarazzato.
Clarke lo guardò e scoppiò a ridere. Era davvero preso da questa ragazza, non lo aveva mai visto così. Aveva cercato di indossare, per quella sera, un abbigliamento casual ma allo stesso tempo attento al dettaglio; come la scarpa della Vans che aveva il baffo rosso che richiamava perfettamente il taschino dello stesso colore della camicia. Un paio di pantaloncini di jeans, l’orologio e un braccialetto d’oro completavano il tutto. Si guardò per un po’ intorno riconoscendo alcuni volti famigliari ai quali fece un cenno di saluto nell’incrociare i loro sguardi. Da quando aveva aperto, quel locale era sempre pieno, ma d’altronde servivano dei drink ottimi.
<< Sei bellissimo, rilassati >> disse la ragazza poggiandogli una mano sui pettorali e sorridendogli << Ma stasera offri lo stesso tu! >>.
Risero di nuovo e quel gesto servì ad allentare la tensione che provava Marco. Avevano fatto nuoto per molti anni insieme ed era servito a entrambi a formare i loro corpi. Marco era alto, con un bel fisico, gli occhi e i capelli scuri. Qualche riccio ribelle spesso gli ricadeva sugli occhi nonostante i suoi numerosi tentativi di dargli un minimo di ordine. Quando poi, Clarke e Giulia gli avevano detto che era meglio lasciarli liberi perché gli davano un’aria più da ribelle, aveva accetta con sollievo il consiglio.
<< Eccola, è lei >> disse a bassa voce indicando la direzione all’amica.
Clarke si voltò e vide due ragazze camminare verso di loro. Riconobbe Nadia immediatamente mentre quella al suo fianco doveva essere l’amica. Era carina anche lei, più alta dell’altra e con una taglia di seno molto più abbondante.
<< Ehi, ciao Marco >> salutò Nadia quando furono abbastanza vicine dandogli un bacio sulla guancia << E’ molto che aspettate? >>.
<< Ma no, siamo appena arrivati anche noi >> rispose il ragazzo dopo aver contraccambiato il saluto.
<< Certo, mezz’ora fa >> mormorò tra i denti Clarke guardandolo.
<< Oh, meno male allora >> disse l’altra << Vi presento Silvia, la mia migliore amica >>.
Marco le strinse la mano.
<< Piacere >> disse << Lei invece è Clarke. Anche lei è mia… anche lei è una delle mie migliori… >>.
<< Credo che abbiano capito che sono tua amica >> s’intromise Clarke per salvarlo e tutti scoppiarono a ridere <>.
Il quartetto si addentrò nel locale e riuscì a trovare quasi subito un tavolino libero. Presero posto mentre Silvia raccontava di aver avuto proprio quella mattina i risultati per il test di psicologia.
<< Ma allora si deve proprio festeggiare! >> esclamò Clarke strizzando l’occhio all’amico.
<< E tu invece, Clarke? Cosa fai? >> domandò Nadia prendendo posto davanti a Marco.
<< Ripeterò il quinto anno >> rispose l’altra senza nessun tono in particolare.
Per qualche secondo nessuno parlò. Fu Marco a rompere il silenzio immaginando cosa stessero pensando le altre due ragazze.
<< L’anno scorso Clarke ha avuto diversi problemi di salute >> mentì.
La ragazza lo guardò sgranando gli occhi e stava per dire qualcosa, ma fu bloccata da Silvia.
<< Oddio, mi dispiace! >> esclamò << Tutto bene adesso? >>.
Clarke la guardò sforzandosi di sorridere.
<< Certo, come nuova >> fece.
Arrivò il cameriere che prese le loro ordinazioni e si allontanò nuovamente. Marco comprese subito, da come l’amica si guardava intorno senza interesse, che era arrabbiata con lui per la piccola bugia appena detta. Poi qualcosa colpì l’attenzione di Clarke, lo comprese da come nei suoi occhi si fosse riaccesa una scintilla di luminosità. Guardò nella sua stessa direzione e vide due ragazze camminare alla ricerca di un tavolo disponibile. Una delle due fissava l’amica con aria leggermente sorpresa. Il ragazzo guardò Clarke, che gli mostrava il profilo, e un lieve sorriso gli increspò le labbra.
 
<< Devo andare assolutamente in bagno >> disse Sofia alzandosi.
<< Non ci mettere troppo, quei due ragazzi non fanno altro che guardarti >>.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e si allontanò col cellulare in mano. Quando Elena beveva troppo, vedeva possibili relazioni o interessi ovunque. Sospirò pensando che sarebbe stata dura portarla a casa. Per fortuna erano a piedi.
 
Clarke seguì con gli occhi Sofia e appena la vide sparire nel bagno, scattò dal suo posto come una molla.
<< Scusate >> disse rendendosi conto di aver un po’ esagerato << Devo usare il bagno >>.
Si allontanò mentre gli altri riprendevano a chiacchierare. S’infilò nell’anticamera della toilette femminile dove una ragazza si stava lavando le mani e solo in quel momento si rese conto di aver letteralmente seguito l’altra senza nessun motivo.
Oddio, sto diventando una stalker, si disse per cercare di sdrammatizzare, Giulia riderebbe di me fino alla laurea.
Si era appena appoggiata al lavandino, quando la porta del bagno si aprì per permettere a Sofia di uscire. I loro sguardi s’incontrarono e Clarke si ritrovò a sorridere come un’idiota.
<< Ehi, sei la ragazza della fumetteria>> disse Sofia <>.
<< Già, proprio io >> rispose l’altra non sapendo bene cosa dirle << E’ strano beccarsi anche qui, eh? >>.
<< Solo un po’ >> ribatté la ragazza dagli occhi verdi ridendo << L’hai più comprato quel manga? >>.
<< Cosa? Ah, no. Non era niente di che >>.
Si guardarono ancora restando in silenzio. Sofia per la prima volta pensò che, anche se non sapeva cosa dire, quella ragazza le metteva allegria. E poi era bella. Non carina, bella davvero. Le lunghe gambe erano lasciate nude fin quasi all’inguine dove si vedeva un pantaloncino di jeans, ai piedi calzava semplici Adidas bianche e rosse e infine una maglietta grigia col logo di Superman fintamente sbiadito completava il suo abbigliamento. Era semplice, nessun fronzolo. Non era nemmeno truccata. D’altronde perché avrebbe dovuto? Quegli occhi azzurri era già bellissimi così. Arrossì rendendosi conto di quali pensieri stesse formulando la sua testa. E ciò era abbastanza assurdo per lei.
<< Se devi usare il bagno, è libero >>.
<< Eh? No io… io veramente ero venuta per lavare le mani >> mentì Clarke.
Avrebbe voluto dirle qualcosa per trattenerla ancora, ma non le veniva niente in mente di sensato. Solo che trovava la sua risata bellissima. E quello era meglio evitare di dirlo ad alta voce. Improvvisamente il cellulare di Sofia iniziò a vibrare e a squillare nella sua mano. Entrambe lessero “mamma” sul display.
E che cazzo, pensò Clarke.
<< Scusa, devo rispondere >> disse l’altra ragazza << Sai come sono le mamme. Si preoccupano sempre >>.
Un velo di malinconia attraversò lo sguardo di Clarke così veloce che a mala pena fu visto da Sofia cui, però, non era sfuggito. Avrebbe voluto chiederle il motivo di quell’ombra, come se fosse la cosa più semplice del mondo, anche se non la conosceva neppure.
<< Certo, vai >>.
<< Buon proseguimento! >> la salutò Sofia uscendo dal bagno.
Tutta quella situazione era irreale.
 
Clarke tornò al suo tavolo dove un attento Marco la attendeva. Finì di bere il suo drink e ne ordinò un altro per cercare di riprendersi un attimo. Si stava comportando come un’idiota e doveva smetterla. L’amico la guardò come se cercasse una spiegazione ma lei era ancora arrabbiata con lui per parlargli. Si alzò di nuovo, cercando nella sua borsa le sigarette, e, quando le ebbe in mano, si voltò verso il gruppo per riferire che sarebbe uscita un attimo.
<< Aspetta, vengo anch’io! >> esclamò Silvia prendendo le sue.
Uscirono dal locale e si accesero una sigaretta a testa. Clarke si appoggiò alla parete mentre respirava ampie boccate. Anche se non voleva, i suoi occhi cercarono l’altra ragazza. La trovò subito, di spalle, parlava al telefono con la madre. Le venne da sorridere mentre rispondeva meccanicamente a Silvia.
<< Quei due sono proprio cotti >> fece la ragazza.
<< Già >> mormorò l’altra guardandola appena.
Silvia gettò il suo mozzicone per terra e lo calpestò con la punta della scarpa.
<< Io rientro >> disse << Tu ne fumi un’altra oppure… >>.
<< Sì >> rispose Clarke notando solo ora che anche la sua sigaretta era terminata << Sì, ho voglia di fumare >>.
Gettò la cicca e se ne accese subito un’altra mentre Silvia rientrava. Anche Sofia aveva finito di parlare al telefono e si era voltata. Clarke le sorrise pensando che non si erano mai nemmeno presentate. Sapeva il suo nome per caso. L’altra arrossì, imbarazza dal trovarsela sempre intorno. Non aveva ancora capito se fosse negativa o positiva quella cosa.
<< Ehi >> disse Marco affiancando Clarke e poggiando le spalle contro il muro come l’amica.
<< Cosa vuoi? >>.
<< Ok, sei arrabbiata >> continuò l’amico alzando le mani in segno di resa << Mi dispiace, okay? Pensavo di fare la cosa giusta >>.
Le sfilò una sigaretta dal pacchetto che lei aveva in mano e stava per accendersela, quando Clarke lo guardò. E dai suoi occhi comprese che aveva parlato troppo.
<< La cosa giusta? >> ripeté mettendo da parte anche lo sguardo di Sofia.
<< Clarke, non ti arrabbiare! Ti ho chiesto scusa! Ma volevo salvarti dall’imbarazzo che si stava creando! >>.
<< Potevi stare zitto! Avrei detto io qualcosa! >>.
<< E cosa sarebbe stato meglio? La verità? Dire che eri ridotta una merda per colpa di Luna e per…? >>.
Si rese conto di aver esagerato troppo tardi. Clarke si stava già allontanando nella direzione opposta al bar.
<< Clarke! >> urlò Marco rincorrendola.
La afferrò per un braccio affinché si fermasse e la sentì gemere sottovoce. Le alzò il viso notando che i suoi occhi erano gonfi per un pianto imminente.
<< Lasciami Marco! >> provò a urlare la ragazza divincolandosi dalla sua stretta.
<< Mi dispiace >> disse invece l’amico abbracciandola << Sono un emerito idiota. Scusa >>.
Clarke provò a divincolarsi ancora un po’ prima di cedere e contraccambiare l’abbraccio.
<< Sì, lo sei davvero >>.
 
Sofia aveva osservato la scena senza dire niente. Stava per rientrare, Elena sicuramente avrebbe dato di matto se non lo avesse fatto, quando la voce di quel ragazzo col quale stava fumando l’altra le arrivò dritta alle orecchie.
<< Clarke! >>.
E lei si bloccò associando quel nome alla chiacchierata fatta proprio quel pomeriggio con Elena. Si voltò per guardarla e la vide abbracciata all’altro. Che fosse il fidanzato? Non le erano sembrati particolarmente intimi. Li osservò ancora e loro rimanevano in quella posizione come se avessero bisogno di ritrovarsi dopo un lungo viaggio. Se non era il fidanzato, era sicuramente qualcuno di molto importante. Non si abbraccia così un semplice amico.
E così tu sei Clarke Melbourne, pensò non riuscendo a non sorridere.
Chissà perché ma una ripetente se l’aspettava diversa.
<< So, ma che cazzo! >> le urlò alle spalle Elena << Prima il bagno, poi tua madre e adesso ti trovo a fare la guardona >>.
L’altra si voltò incrociando le braccia al petto con aria indispettita.
<< So chi è la ripetente che andrà in classe di Alice>> disse semplicemente superandola per tornare dentro.
 
 
 
 
L’angolo di Bik
Eccoci al terzo capitolo.
Vorrei ringraziare prima di tutto coloro che seguono e hanno lasciato un pensiero a questa storia. Grazie, è stato molto gradito.
La presentazione del mio fumetto è andata bene e posso ufficialmente dire di essere la prima in Italia a pubblicare una storia a fumetti con due protagoniste omosessuali. Spero che sia accolta dal pubblico esattamente come voi accogliete ciò che pubblico qui.
 
Parlando del capitolo.
Sono stata puntuale, quindi brava me :D
Lo sarò anche la prossima volta, tra due settimane.
Scopriamo un pezzetto in più del passato di Clarke, vorrei che fosse chiaro quanto io adori Adele e Philip. E poi c’è Marco, l’amico che tutti vorremmo. Lo amo.
Al prossimo aggiornamento,
F.

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Capitolo 4
*** 4 ***


<< Assistente sociale Benson! >> urlò Adele agitando una mano mentre lei e il marito correvano verso la donna << Siamo arrivati non appena il direttore ci ha chiamati >>.
L’assistente sociale annuì senza dire niente. Quella situazione stava diventando a dir poco problematica. Clarke era problematica. E lei era costretta a portarsi i problemi del lavoro a casa. Era una cosa che non aveva mai sopportato.
<< Cos’ha Clarke? Perché è stata ricoverata? >> domandò Philip mentre si fermavano.
<< Clarke si è rifiutata di mangiare per quattro giorni. Credevo che alla fine sarebbe capitolata e la fame avrebbe avuto il sopravvento. Tutti i bambini problematici come lei si comportano così e alla fine cedono sempre >>.
<< Ma lei no >> mormorò Adele pensando dove diavolo avesse preso la laurea la donna che le stava di fronte.
L’altra scosse il capo mentre faceva strada per il corridoio ospedaliero.
<< Ieri sera ha avuto un crollo e abbiamo dovuto ricoverarla. La nostra struttura non è attrezzata per casi simili >>.
<< Potevate evitare di lasciarla quattro giorni digiuna, magari >> disse Philip sempre più convinto di dover portare Clarke lontano da quel posto.
Lei si stava uccidendo da sola, ma loro di certo non la stavano aiutando.
L’assistente sociale si fermò davanti a una porta chiusa e li guardò.
<< Adesso dorme, i medici hanno dovuto sedarla >> affermò ignorando volutamente la frecciatina lanciatale dall’uomo << E’ sotto flebo e alimentazione artificiale… >>.
<< Sono un medico, posso leggere io la sua cartella >> dichiarò con sicurezza Adele aprendo la porta ed entrando.
Suo marito la seguì all’interno. Clarke era sola, al centro della stanza, gli altri letti erano vuoti. Adele sarebbe scoppiata in singhiozzi se non avesse mantenuto un forte autocontrollo. Philip la affiancò poggiandole una mano sulla spalla per darle coraggio. Adele gliela strinse e avanzò verso il letto. Clarke sembrava dormire. Indossava un camice bianco e, come aveva detto l’assistente sociale, era attaccata alle flebo. Un dettaglio colpì immediatamente la donna, uno scintillio intravisto sotto il lenzuolo. Scoprì il braccio di Clarke, quello cui non erano attaccati aghi, e vide che era legata al letto da un paio di manette. Mandò un’esclamazione di sorpresa mentre suo marito imprecava sottovoce. Il polso di Clarke era completamente livido per tutti i tentativi che aveva fatto per liberarsi. Su un lato era arrivata addirittura a tagliarsi e a sporcare di sangue le lenzuola. Adele si portò una mano alla bocca e le scappò un singhiozzo. Philip non attese oltre. Uscì fuori per parlare con l’assistente sociale che sicuramente era al corrente di quelle manette.
<< La liberi >> disse a denti stretti.
<< Non è possibile, Clarke… >>.
<< Liberi quella bambina dalle manette, ora! >> urlò l’uomo.
La sua voce bloccò l’altra che stava per parlare.
Sua moglie lo raggiunse.
<< Perché l’avete ammanettata? >>.
<< Clarke ha provato a scappare due volte da quando è stata ricoverata. È stata una misura estrema che abbiamo dovuto prendere per il suo bene. Si toglieva le flebo, urlava e scalciava; è stato un vero inferno >>.
L’inferno glielo darei io, pensò Adele rientrando in camera.
Clarke si stava svegliando.
La prima cosa che fece non appena aprì gli occhi, fu provare a tirare il braccio. Un urlo le uscì spontaneo per il dolore che provò.
<< Clarke, non tirare! >> esclamò Adele accorrendo << E’ peggio così >>.
La bambina la guardò sorpresa di trovarla di nuovo al suo fianco. Spostò leggermente gli occhi e vide anche il marito avvicinarsi. Tirò di nuovo proprio perché le era stato detto di non farlo.
<< Clarke, Adele ti ha detto di non farlo! >>.
<< Perché mi state sempre intorno? Perché non ve ne andate all’inferno insieme alla grassona e ai babbuini? >>.
<< Clarke, calmati >> disse Adele prendendole il braccio per non permetterle di tirare.
Quella fu la prima volta che la toccava. Entrambe trattennero il respiro per l’intensità di quel momento. Philip le guardò in silenzio non volendo interromperle. Clarke fissò i suoi due oceani sulla donna sentendo quel contatto vero, gentile, voluto. E ne rimase senza parole. Non era come quando la toccavano gli altri. Loro volevano solo farle del male, lei voleva proteggerla. Adele si piegò per arrivare alla sua altezza. Lasciò lentamente la presa senza smettere di guadarla negli occhi.
<< Clarke >> ripeté cercando di non farsi prendere dall’ansia << Se ti faccio togliere le manette, mi prometti che non cercherai di scappare? >>.
La bambina la guardò in silenzio valutando attentamente quello che le era stato offerto.
<< Potremmo medicarti la ferita >> aggiunse Philip << Adele è medico, può farlo lei >>.
<< Ma devi prometterci che non scapperai più >>.
Clarke guardò di nuovo Adele e, dopo un tempo che le parve infinito, annuì.
<< Bravissima Clarke >> mormorò la donna riuscendo perfino a sorridere.
Era così sollevata per quel piccolo traguardo raggiunto.
<< Vado a chiamare la signora Benson, tu resta qui con lei >>.
Adele annuì e pochi minuti dopo lo sentì tornare con l’assistente sociale. Immediatamente, nel vederla, Clarke s’irrigidì.
<< E’ vero quello che dice il signor Melbourne, Clarke? >> domandò prudente.
La bambina serrò la mascella, non faceva nulla per celare il suo astio nei confronti dell’altra.
<< Clarke, guardami >> disse Adele riportando su di sé l’attenzione della piccola << Me lo hai promesso >>.
Questa volta Clarke annuì.
<< La liberi adesso >>.
La donna esitò.
<< Clarke si fida di me e io di lei. Non scapperà >> incalzò la signora Melbourne << Resterò io >> aggiunse per convincerla << Non la perderò mai di vista >>.
La bambina spalancò gli occhi a quelle parole che parvero, invece, funzionare. L’assistente sociale la liberò dalle manette e lei immediatamente si massaggiò il polso dolorante.
<< Aspetta Clarke, fatti medicare da me >>.
Si guardarono negli occhi e Adele credette di restare ipnotizzata da quell’azzurro così intenso. La bambina le allungò il braccio senza dire niente. Quel gesto così spontaneo fece strabuzzare gli occhi della donna che mai l’aveva vista così mansueta.
<< Forse dovrebbe uscire >> fece Philip che non riusciva a smettere di sorridere di fronte a quella scena.
<< Andate via tutti >> disse improvvisamente Clarke << Non voglio nessuno con me! Soprattutto tu, grassona! >>.
L’assistente sociale scosse il capo ed era già pronta ad ammanettarla nuovamente.
<< Tranne lei >> continuò la bambina indicando Adele << Tu puoi restare >> aggiunse riferendosi direttamente a lei.
E Adele si sentì la donna più felice del mondo.
 
<< Non hai idea dell’imbarazzo che aveva! >> esclamò Clarke battendo una mano sul tavolino del bar e facendo vacillare il suo bicchiere d’acqua.
Diana rise nel sentire com’era andato il primo appuntamento tra Marco e Nadia. Lo guardò e lo vide spensierato e felice. Gli piaceva molto quella ragazza.
<< Immagino ch’io non abbia facoltà di parola >> disse incrociando le braccia sul petto.
<< Non finché non avrò finito! >> rispose l’altra girando col cucchiaino il suo cappuccino.
Stavano facendo colazione al bar prima che per Clarke iniziasse l’anno scolastico. All’appello mancava solo Giulia, ma per lei era sempre stato un trauma svegliarsi presto per andare a scuola e quindi aveva passato dicendo che avrebbero potuto pranzare tutti insieme. Clarke guardò l’ora e per un attimo si sentì sola. Avrebbe affrontato il quinto anno per la seconda volta senza, però, i suoi migliori amici. Sarebbe stato molto triste e l’unica che poteva colpevolizzare era solo se stessa. Era stato un periodo orrendo e lei non era riuscita a reagire adeguatamente finendo col farsi bocciare. Non perché fosse stupida o svogliata, semplicemente aveva avuto la testa da un’altra parte. Ora ne pagava le conseguenze.
<< Uccidetemi >> fece pensando che avrebbe dovuto rimettersi a studiare tutte quelle materie.
Marco le diede una pacca sulla spalla e finì di bere il suo caffè.
<< Ci vediamo a pranzo, così ci racconti tutto >>.
<< Non ci sarà niente da raccontare perché sarà tutto tremendamente una palla >>.
Si alzarono per pagare; poi Clarke si diresse verso la sua moto e Marco e Diana verso il motorino della ragazza che erano parcheggiati vicini.
<< Che farete voi? >>.
<< Noi siamo ancora in vacanza! >> esclamò Diana dandole un bacio sulla guancia.
<< Fottuti stronzi! >>.
<< Fai la brava a scuola, Clarke! >> disse Marco montando dietro l’amica.
<< Se vi dimenticate i toast, giuro che non vi faccio entrare! >>.
Diana mise in moto e il vento si portò via la sua risata.
 
A Sofia piaceva la puntualità, soprattutto quando si trattava della scuola. Per questo ogni mattina chiamava l’amica per assicurarsi che fosse sveglia e pronta. Il primo giorno di scuola, poi, lei lo trovava entusiasmante.
<< Cavolo, ma cosa ti sei messa addosso? >> esclamò Elena guardandola mentre parcheggiava.
Sofia si guardò sconvolta dall’affermazione dell’amica. Aveva un abbigliamento semplice e sobrio, perfetto per la vita scolastica.
<< Cos’ho che non va? >>.
<< Siamo a metà settembre, So! Metà settembre! La gente va ancora a mare e tu ti presenti con jeans lunghi e camicia? Ma quanti anni hai? Quaranta? >>.
L’amica assottigliò gli occhi.
<< Stiamo andando a scuola, non a ballare >>.
Elena afferrò il suo zaino mettendoselo su una sola spalla e sbuffò. Certe volte Sofia era davvero insopportabile, così precisa, così brava, così mortalmente una noia.
<< Un paio di pantaloncini corti, no? >> disse indicando i suoi che le arrivavano al ginocchio.
Sofia stava per ribattere, ma fu bloccata dall’arrivo di due loro compagne. Una frequentava la loro classe mentre l’altra andava in classe della cugina di Elena. La conversazione scivolò sulle vacanze, sul fatto che fosse l’ultimo anno e infine terminò sulla ripetente.
<< Davvero non sapevate chi fosse? >> chiese Alice che vi avrebbe trascorso insieme l’intero anno << E’ bellissima! >>.
<< Lo abbiamo scoperto per caso >> rispose Sofia sentendo un leggero fastidio per quel complimento, a suo dire, inopportuno.
<< Sì, So ci è andata letteralmente a sbattere addosso! >> esclamò Elena facendo ridere tutte.
Sofia arrossì, non le piaceva essere al centro dell’attenzione.
<< Non è una cosa importante >> affermò guardando il suo orologio.
<< Forse perché non ci passerai tutto l’anno accanto! >> continuò Alice << Ah, non vedo l’ora! >>.
Elena e Sofia si scambiarono un breve sguardo sgomento.
Alice era sempre stata un po’ su di giri, ma mai così tanto. La conoscevano dalle medie e mai l’avevano vista in quel modo.
<< Ehm, tutto ok? >> chiese Sofia non sapendo esattamente cosa dire << Sei un po’… strana? >>.
L’altra allora arrossì capendo di aver esagerato.
<< Vi ho detto che sono stata in crociera con mio fratello e i suoi amici? Beh, ho conosciuto una che… >>.
<< Una?! >> la interruppe Elena.
<< Era croata >> fece Alice << Bellissima, il sesso è stato… >>.
<< Sei andata a letto con un’estranea? >> domandò Sofia.
L’amica le lanciò un’occhiataccia. Era più sconvolta dal fatto che avesse fatto sesso con qualcuno che conoscesse appena che da quello che fosse una ragazza.
<< So, e smettila! Pensavo che ti fossi svecchiata un po’ in questi mesi! Comunque dicevo… >>.
Sofia assunse un’aria offesa e smise di prestarle attenzione. Si sistemò gli occhiali sul naso e si guardò intorno. Ormai il marciapiede si era totalmente riempito di studenti che chiacchieravano e urlavano tra loro.
<< …Clarke >>.
Quel nome la fece voltare quasi di scatto verso il suo gruppo.
<< Cosa? >> disse facendosi attenta.
Elena alzò il sopracciglio destro notando l’improvviso interessa della sua amica.
<< Clarke, Clarke Melbourne. Mi piacerebbe provare qualcosa con lei. E’ una figa assurda! >>.
<< Alice, tu sei completamente pazza! La crociera ti ha finito di rincoglionire! >> sbottò Sofia allontanandosi velocemente dalle amiche avvicinandosi al cancello.
<< Ma che ha quella? >>.
Elena scosse il capo affrettandosi a seguirla.
<< So, So! >> provò a richiamarla per fermarla << Aspettami! >>.
<< Che c’è? >>.
<< No, tu che hai! >> la rimproverò l’amica << Che reazione è quella? >>.
<< Alice stava sparando un sacco di stronzate e io non… >>.
L’espressione di Elena le fece capire che il suo discorso non stava filando. Eppure nella sua testa era molto lineare.
<< Senti >> riprese stringendo con una mano la spallina dello zaino << Alice può fare tutto quello che le pare ma… >>.
<< Ma non con Clarke? >> la incalzò l’altra sorridendo con malizia.
Sofia si sentì punta da quell’interrogativo e fece un respiro profondo prima di risponderle.
<< Che cavolo di domanda è? Non meriterebbe nemmeno una risposta >>.
Elena scoppiò a ridere.
<< Cosa? >> esclamò l’amica spazientita << Cos’è che ti farebbe così ridere? >>.
<< La tua faccia! >> fece Elena << Avresti dovuto vederti mentre lo dicevi! Non dirmi che piace a te! >>.
<< Perché dovrebbe? L’ho vista mezza volta >>.
Due, pensò subito dopo la sua mente.
<< Perché quella mezza volta che l’hai vista ti ha fatta ridere? >>.
L’apertura dei cancelli e il suono della campanella salvò Sofia dal rispondere.
 
Il liceo scientifico Giambattista Vico si profilò presto nella sua visuale. Clarke sospirò mentre toglieva il casco e metteva il cavalletto.
Fantastico, pensò passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi mentre osservava i ragazzi che sciamavano all’interno dell’edificio.
La campanella era suonata da poco, avrebbe dovuto affrettarsi e invece si appoggiò alla ringhiera per fumarsi una sigaretta.
<< Clarke, Clarke! >>.
Alzò gli occhi verso la voce che la chiamava.
<< Ehi! >> disse incerta << …Lorenzo? >> aggiunse incerta su quale gemello fosse.
<< E’ ovvio che sono Lorenzo! >> rispose il ragazzo << Sali, ti abbiamo tenuto il posto! >>.
<< Arrivo, arrivo! >>.
Clarke spense la sigaretta e se la mise su un orecchio mentre si decideva a varcare la soglia del liceo. Appena entrò una strana sensazione le avvolse lo stomaco. Non aveva mai camminato per i corridoi da sola e un po’ ne ebbe paura. Lorenzo arrivò di corsa dalle scale.
<< Forza! >> esclamò facendole cenno di seguirlo al piano superiore.
Clarke si affrettò ad ubbidire senza comprendere tutta quella fretta. Entrò in classe, unica ripetente dell’intero gruppo. Diego saltò giù dal banco sul quale stava attaccando qualcosa e corse a salutarla.
<< Clarke, sarai mia compagna di banco! Che ne pensi? >> domandò Lorenzo indicandole l’ultimo posto vicino alla finestra.
<< Okay, va bene >> rispose la ragazza gettando il suo zaino al suo posto non sapendo se essere felice o meno.
Conosceva i gemelli Mancini, in tutto il liceo erano quelli che avevano creato più guai e scherzi. Avevano una fantasia sotto quel punto di vista assurda. La loro madre aveva perso il conto di quante volte era stata chiamata dalla preside per qualche loro malefatta e ormai si era rassegnata a non avere mai dei figli tranquilli e silenziosi. Diego e Lorenzo insieme erano un vero e proprio tornado. Erano magri, alti, pieni di lentiggini e gli occhi azzurri. I classici pel di carota. Lei li conosceva sia per la loro fama, sia per l’aiuto che aveva ricevuto l’anno precedente per degli scherzi da fare.
<< Sta arrivando, sta arrivando! >> esclamò un terzo ragazzo correndo al suo posto.
<< Dai, Clarke siediti! >> urlò Diego sedendosi al banco davanti al suo.
La ragazza fece come le era stato detto senza ancora capire cosa sarebbe accaduto. La professoressa Elvira Maluna entrò in classe e tutti si fecero attenti e silenziosi. Scattarono in piedi e si risiedettero al suo cenno. Clarke sapeva che quella donna era un po’ il terrore di tutti gli studenti. Insegnava Astronomia al quinto anno e lei l’anno scorso era stata fortunata a non averla. Questa volta non poteva dire lo stesso.
<< Oh, vedo un volto nuovo >> disse l’insegnante notando Clarke << Da quale classe vieni? >>.
La ragazza si alzò in piedi.
<< Ex 5A >> rispose poggiando entrambe le mani sul banco.
<< A? >> ripeté la donna con fare riflessivo << Quindi l’anno scorso hai avuto la professoressa Scotti nella mia materia >>.
<< Esatto >>.
La professoressa si sedette e spostò la sedia per avvicinarla alla cattedra e fare l’appello. Fu in quel momento che accadde. Un filo invisibile si staccò dalla sedia e fece cadere esattamente a pochi millimetri dal volto della donna un preservativo usato. L’insegnante urlò scattando in piedi ed ebbe un moto di repulsione che la portò a strofinarsi il viso con entrambe le mani.
Tutta la classe scoppiò a ridere di fronte a quella scena e finalmente Clarke ne comprese il motivo. Lorenzo le diede una gomitata per farla voltare e le strizzò l’occhio.
<< Mancini! >> urlò la donna quando si fu ripresa << Lo so che siete stati voi! >>.
<< Io? >> esclamò Diego tra le risa << Prof, ma non sono fidanzato! Come avrei potuto? >>.
Lorenzo asserì.
<< E’ vero, posso giurarglielo! >>.
E Clarke si ritrovò a ridere di gusto di fronte a quella scenetta così ilare.
Forse non sarebbe stato così tremendo come pensava.
 
<< Ti prego! >>.
<< Ho detto di no! >>.
<< Ti prego, ti prego! >>.
<< Ele, ho detto di no! >>.
<< Ma te lo sto chiedendo in ginocchio! >> esclamò Elena << Chiedi a Clarke se è imparentata con quel musicista? >>.
<< Assolutamente no! >> rispose Sofia senza, però, impedirle di trascinarla fuori dall’aula << Non posso chiederle una cosa del genere! Sarebbe troppo indelicato! >>.
Elena sbuffò per l’ennesima volta prima di fiondarsi nell’aula della cugina. La salutò velocemente e ci scambiò poche chiacchiere affinché potesse appagare quella curiosità che la stava divorando.
<< Dai, ormai siete amiche! >>.
<< Amiche? >> ripeté Sofia portandosi l’indice al centro degli occhiali << Tu sei mia amica, non lei! Con lei ho parlato mezza volta! >>.
<< Più di me, quindi! >>.
Elena la tirò e l’altra si ritrovò catapultata quasi di fronte a Clarke che stava chiacchierando con Diego e Lorenzo. Sorrideva e si era portata la mano davanti alla bocca mentre rideva alla battuta di uno dei due. Sofia si voltò verso l’amica che le mostrò il pollice destro rivolto verso l’alto e, quando tornò a voltarsi, scoprì che la ragazza la stava fissando. Le venne da sorridere nell’incontrare i suoi occhi.
<< Ciao! >> esclamò Clarke felice di vederla.
<< Oh, ehm, ciao >> rispose Sofia imbarazzata << Allora tu sei Clarke? >>.
<< Presente >> disse la più grande << Tu, invece, ho sentito che ti chiami Sofia >>.
<< Già. Clarke come Clark Kent? >>.
La ragazza incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio.
<< E’ un po’ vecchia questa battuta >> fece << Come mai qui? >>.
<< No, è che… ecco… >> iniziò l’altra << C’è una mia amica che vorrebbe sapere… >>.
<< E’ quella che ci sta fissando facendo strani versi? Neanche il mio cane fa così >> la interruppe Clarke guardando oltre la spalla di Sofia.
Sofia seguì la sua direzione e avvampò imbarazzata. Tornò a guardare Clarke cercando di riprendere il discorso.
<< Sì, lei >> disse << Si chiedeva se fossi imparentata con un certo musicista che adesso… >>.
<< E’ mio padre >>.
<< …è molto famoso. Avete lo stesso cognome e io lo so che questa domanda potrebbe essere inopportuna e sconveniente, ma lei ci tiene tanto a saperlo quindi… >>.
Clarke scoppiò a ridere mettendo le mani davanti al corpo.
<< E’ mio padre >> ripeté senza smettere di ridere << Frena, ti ho già risposto! >>.
Sofia ascoltò quella risata e il fatto di essere parsa ridicola passò in secondo piano.
<< E’ il padre! >> urlò rivolta a Elena.
<< Oddio, davvero? >> esclamò l’amica avvicinandosi << Ma è fantastico, la figlia di una persona così famosa a scuola nostra! >>.
<< Ehm… grazie? >> disse Clarke confusa cercando lo sguardo di Sofia che scuoteva il capo.
<< Scusala, di solito è una persona quasi normale >>.
<< Credimi, conosco la sensazione. Anche i miei amici sono un po’… fuori dal comune >>.
Risero insieme e Clarke fu così felice di essere riuscita a sentire ancora la sua risata. Stava per dire qualcosa per cercare di sfruttare al meglio quei pochi minuti di intervallo che rimanevano, quando fu bloccata da una voce che la chiamava.
<< Clarke! >>.
Sofia assunse un’aria quasi disgustata nel riconoscerla, era Alice. Si girò nella sua direzione e incrociò le braccia al petto.
<< Oh, ciao Sofy. Non ti avevo vista >> disse la ragazza avvicinandosi.
Come no, pensò Sofia stringendo gli occhi.
<< Ciao >> salutò Clarke educatamente << …Aurora? >>.
<< Alice >> la corresse l’altra << Sono seduta in prima fila sulla destra >>.
<< Scusa, devo ancora imparare tutti i vostri nomi >>.
<< Tranquilla, se vuoi posso darti una mano io >> rispose Alice con voce smielata frapponendosi tra lei e Sofia.
Clarke s’imbarazzò di fronte a quel comportamento.
<< Okay >> rispose infine << Grazie >>.
Non sapeva davvero come comportarsi di fronte a quella ragazza.
<< Beh, noi andiamo >> affermò Sofia afferrando la mano dell’amica << Dobbiamo tornare in classe >>.
<< Cosa? Ma non è ancora suonata! >> esclamò Clarke che non voleva lasciarla già andare.
Quella dannata ragazza le aveva fatto perdere il filo del discorso!
<< Suonerà tra meno di un minuto >> rispose l’altra dopo aver guardato il suo orologio da polso << Buona lezione >> aggiunse cordialmente cercando di non far trapelare il fastidio che Alice le aveva provocato.
<< Ciao Clarke! >> salutò allegramente Elena << E grazie! >>.
 
Erano trascorsi tre giorni da quando Clarke era stata ricoverata e da allora mai Adele si era allontanata dalla bambina per tenere fede alla promessa fatta all’assistente sociale. E Clarke si era dimostrata totalmente diversa da ciò che aveva fatto fino ad allora vedere di sé. Con la donna al suo fianco, la bambina non aveva mai urlato o si era dimostrata aggressiva e lentamente le sue condizioni erano migliorate. Aveva ripreso a mangiare autonomamente permettendo così di smettere con l’alimentazione artificiale. Ma mai Adele l’aveva più sentita parlare. Era come se non ne sentisse il bisogno. Si limitava a fissarla anche per delle ore senza perdersi un solo movimento o parola dell’altra. Le uniche volte in cui avrebbe sicuramente perso la calma erano state quando la signora Benson era nei paraggi o le parlava. Non le piaceva e non faceva niente per nasconderlo. Sebbene Adele apprezzasse quella qualità nelle persone, spesso si era chiesta a cosa fosse dovuto l’astio che la bambina provava verso qualunque forma di autorità. E poi non si faceva toccare da nessuno, fatta eccezione per le pochissime volte in cui era abbastanza competente da poterlo fare lei. Clarke si fidava di Adele adesso e non voleva di certo far regredire il loro rapporto. Era riuscita ad accarezzarla qualche volta durante la notte, quando era più che sicura che la bambina stesse dormendo profondamente. Spesso si era limitata a osservare il suo petto alzarsi e abbassarsi in un respiro regolare, ma alcune volte non aveva resistito alla tentazione. Quella bambina era così delicata e determinata allo stesso tempo. E presto sarebbe stata sua figlia.
<< Ciao Clarke >> disse un infermiere entrando nella sua stanza con tutto l’occorrente per un prelievo.
Immediatamente la bambina s’irrigidì, gesto che non sfuggì alla donna.
<< Oggi è il gran giorno sai? >> continuò l’uomo avvicinandosi al letto << Se le tue analisi saranno in ordine, potrai uscire da qui >>.
Clarke serrò la mascella pronta a sputare un’altra delle sue velenose frasi addosso all’infermiere. Era in piedi sul letto, ormai la ferita al polso era completamente guarita e aveva un colorito decisamente più sano.
<< Siediti e voltati dall’altra parte >>.
L’uomo allungò una mano per afferrare il braccio di Clarke, ma lei, più veloce, lo ritrasse.
<< Non mi toccare! >> urlò scendendo dal letto << Non mi toccare stupido babbuino! >>.
<< Clarke >> intervenne allora Adele comprendendo che la situazione sarebbe degenerata << Clarke, guardami >>.
La bambina ubbidì lasciando che la donna le prendesse entrambe le mani nelle sue. Quel gesto era ancora strano per lei, ma le piaceva. Adele le piaceva. Era da quando era morta sua madre che non permetteva a nessuno di avvicinarsi a lei perché le persone che aveva fino ad allora incontrato non avevano fatto altro che farle del male. E lei doveva proteggersi in qualche modo. La donna, però, era la prima che le era stata costantemente accanto nonostante i suoi tentativi per respingerla. Gli altri erano tutti scappati. Philip non le piaceva, ma per stare accanto ad Adele qualcosa di buono doveva averlo. Solo che ancora non sapeva cosa fosse.
<< Hai sentito? >> continuò la donna << Possiamo andare via oggi stesso. Non vuoi uscire da questo ospedale? >>.
Fu il “possiamo” a colpire Clarke. Un semplice plurale che le fece capire che, forse, poteva appartenere a qualcosa di più che sono a se stessa. Annuì fissandola negli occhi. Adele quasi sentì girarle la testa per l’intensità del suo sguardo. Non era solo una questione di colore, Clarke era seria e doveva aver riflettuto molto prima di farle quel semplice gesto. Non era una bambina facile da capire e, proprio per questo, ogni piccolo gesto andava apprezzato.
<< Signora, posso procedere o devo chiamare la sicurezza? >> chiese l’infermiere leggermente spazientito.
Stava facendo tardi sulla sua tabella di marcia. Bastò quella frase per mandare tutto al diavolo. Clarke si ritrasse dalla presa di Adele spaventata e corse verso la porta. Nonostante fosse piccola, era agile e svelta. La aprì e stava per correre via se la voce della donna non le fosse giunta come una supplica.
<< Clarke, per favore, non farlo >> disse << Me lo avevi promesso >>.
La bambina si bloccò, la mano ancora stretta intorno alla maniglia. Adele la sentì sussultare e le si avvicinò lentamente.
<< Facciamo così >> continuò << Torna qui e ti farò io il prelievo, va bene? >>.
<< Signora, non credo che… >> provò a dire l’infermiere ma Adele lo fulminò con uno sguardo.
<< So quello che faccio >> gli rispose con tono duro.
Clarke si voltò di scatto a quelle parole per verificare che fosse vero. Adele si era inginocchiata e le tendeva una mano in segno di incoraggiamento. La bambina esitò ancora, poteva leggere chiaramente il dubbio nei suoi occhi. Non aggiunse altro, sapendo che troppe chiacchiere avrebbero avuto un effetto contrario a quello che si sarebbe voluto ottenere. Fece un respiro profondo e le sorrise. Clarke la guardò per un altro secondo prima di tornare sui suoi passi. Chiuse la porta e si mosse verso Adele. La donna le sorrise sentendosi così felice per ciò che aveva appena fatto per lei la bambina. Le prese la mano conducendola sul letto. Erano di nuovo in sintonia. Si fece dare dei guanti dall’uomo e il materiale che aveva già preparato. Strinse il laccio emostatico intorno al suo braccio e aspettò pochi secondi.
<< Sentirai solo una piccola puntura >> disse infilando l’ago << Se non ti piace la vista del sangue, puoi voltarti dall’altra parte >>.
Clarke annuì, ma non si girò. Osservò il tubicino colorarsi di rosso e ne seguì il percorso fino alla fiala senza battere ciglio. Non era mai stato il dolore a spaventarla. Adele le sciolse il laccio.
<< Ecco >> continuò << Abbiamo finito. Sei stata bravissima >> le porse un batuffolo imbevuto di disinfettante << Tieni premuto sulla puntura >> si rivolse all’infermiere rimasto in piedi accanto a lei << Penso che possa andare adesso >>.
Gli porse le fiale di sangue e l’uomo uscì dalla stanza senza troppo entusiasmo. Adele guardò Clarke.
<< Credo che se la sia presa >> le sussurrò ridendo.
Per la prima volta sentì Clarke ridere.
 
<< Philip, non puoi capire come è stato intenso! >> esclamò Adele spogliandosi per entrare in doccia.
Era tornata a casa da poche ore, da quando Clarke era stata dimessa, e non aveva fatto altro che raccontare all’uomo l’esperienza incredibile che aveva vissuto con la bambina. Philip la ascoltava sorridendo appena, si vedeva che c’era qualcosa che lo preoccupava, ma Adele inizialmente non ci fece caso. Era così contenta dei progressi che aveva fatto.
<< Non capisco come nessuno sia mai riuscito ad avvicinarsi a lei >> commentò aspettando che l’acqua diventasse calda << Sarebbe bastata un po’ di pazienza >>.
<< Evidentemente non ne hanno avuta >> mormorò Philip osservandola nuda.
Nonostante i tanti anni di matrimonio e fidanzamento, la trovava ancora bella come il primo giorno che l’aveva vista.
<< E’ una bambina intelligentissima >> continuò la donna << Penso che abbiano solo sbagliato approccio con lei >>.
Philip non rispose preferendo lasciarla sola in bagno. Erano tre giorni che Adele non si faceva una doccia decente e voleva darle del tempo per tornare a coccolarsi. Si sedette di fronte al suo pianoforte e accarezzò lentamente i tasti bianchi e neri. Si era innamorato della musica grazie a sua madre; se non lo avesse spronato a tuffarsi a capofitto in quella passione, probabilmente non sarebbe mai diventato un pianista di grande successo. Le doveva tutto e ora che era morta, sperava che, se c’era davvero un Paradiso che affacciava sul mondo, lei fosse d’accordo con lui nelle scelte che stava facendo. Non erano trascorsi nemmeno venti minuti quando sentì la mano gentile della donna posarsi sulla sua spalla. Alzò gli occhi incontrando i suoi.
<< Conosco quello sguardo >> disse Adele stringendo la presa << Che succede? >>.
Suo marito sospirò alzandosi.
<< Mi ha chiamato l’assistente sociale Benson prima che tu arrivassi. Ora che è stata dimessa, per una settimana non possiamo vedere Clarke >>.
<< Cosa? >> esclamò Adele sconvolta << Perché? >>.
<< Si è attaccata a un cavillo tecnico. Dice che dobbiamo attenerci a degli schemi di visita prestabiliti per l’adozione che abbiamo deliberatamente scavalcato, altrimenti rischiamo che il giudice rigetti la nostra domanda >>.
<< Ma… >>.
La donna sentì tutta la gioia e l’adrenalina di poco prima venirle prosciugata. Si sedette sebbene fosse ancora in accappatoio.
<< Io questo modo la situazione peggiorerà! Se ne rende conto quella donna? >>.
<< Lo so, ma non possiamo fare niente. Dobbiamo stare alle regole >>.
<< Tutto questo è ingiusto! >> esclamò Adele << Clarke ha bisogno di noi! >>.
<< E noi di lei >> le rispose l’uomo abbracciandola << Ce la faremo, supereremo anche questo. Nessuno ci impedirà di portare a casa Clarke >>.
 
 
 
 
Angolo di Bik
Eccomi di nuovo puntuale. Nonostante gli impegni e i progetti ce l’ho fatta di nuovo. Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia. È più lungo degli altri, è un po’ il mio modo di augurare a tutti voi che seguite, leggete e recensite Buon Natale.
Adoro sempre di più i genitori di Clarke! Loro sono ciò che, credo, tutti vorrebbero. E che dire di Elena? Sofia doveva essere per forza circondata da un'amica simile, le servirà a scrollarsi la serietà di dosso!
Ancora auguri a tutti e al prossimo capitolo.
F.

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Capitolo 5
*** 5 ***


 
Clarke fece un sorso di birra e tornò a fissare la piscina. La prima a buttarsi ovviamente era stata Giulia, seguita da Diana. Marco ancora non lo aveva fatto, nonostante indossasse il costume. Stavano finendo di pranzare i toast che Clarke si era tanto raccomandata di prendere.
<< Allora, com’è andato il primo giorno di scuola? >> fece il ragazzo accartocciando la sua carta sporca e provando a fare canestro nel cestino della spazzatura.
Non ci riuscì e fu costretto ad alzarsi per raccoglierla.
<< Se non ci fossero stati i fratelli Mancini, una palla totale >> rispose Clarke finendo la sua birra.
Le altre due ragazze risero.
<< Beh, ci credo. Sai quante ne combineranno? >> disse Giulia avvicinando il lettino sul quale erano sedute lei e Diana.
<< Cerca di non finire in mezzo ai casini per quei due >> l’ammonì l’altra seriamente.
Clarke annuì ridendo e guardò Luthor accoccolato ai suoi piedi.
<< Ah, ho trovato la fidanzata per te, amore mio! >> aggiunse scoppiando a ridere mentre accarezzava il cane.
Tutti e tre la guardarono con aria interrogativa.
<< In classe tua c’è qualcuno che ha un boxer femmina? >> chiese cauto Marco aprendo un’altra birra.
<< No, oggi è venuta in classe una ragazza che voleva sapere se fossi imparentata col famoso musicista e, quando le ho detto che era mio padre, ha iniziato a scodinzolare come un cane felice >>.
Scoppiarono tutti a ridere tranne Diana che non aveva apprezzato per niente la battuta.
<< E questa non viene in classe tua? >> domandò.
<< No, no >> disse Clarke togliendosi la maglietta e rimanendo col costume << E’ l’amica di quella ragazza con cui mi sono scontrata in fumetteria quella volta! È venuta anche lei in classe accompagnandola, si chiama Sofia >>.
<< Ah, quella >> mormorò Diana.
<< E non è che per caso è la stessa ragazza che guardavi fuori Stair Coffè? >> chiese Marco che aveva notato subito lo strano comportamento dell’amica quando si era incontrato con Nadia.
Clarke arrossì mentre lo sguardo di Diana si fece attento e penetrante.
<< Ah, lo sapevo! >> esclamò trionfalmente il ragazzo << Eri scattata in piedi con un po’ troppa energia! >>.
<< Ehi, spiegate anche a noi! >> si lamentò Giulia mettendo in ammollo nella piscina i piedi.
Infatti, avrebbe voluto rimarcare Diana ma preferì tacere.
Il fastidio la stava letteralmente divorando. Clarke, però, non parve farci caso talmente si sentiva imbarazzata.
<< Ma smettetela! >> rispose muovendo una mano davanti al viso per far capire che non era importante << E’ solo che… >>.
<< Ooooh >> disse Giulia battendo le mani << Ti piace? >>.
<< E’ carina >> ammise Clarke alzandosi in piedi per buttarsi in piscina.
<< Dove vai! >> urlò Marco afferrandola << Non abbiamo ancora finito con te! Ti tocca il terzo grado come avete fatto a me! >>.
<< Marco ti prego, lasciami! >> esclamò la ragazza provando a divincolarsi dalla sua presa.
<< Devi raccontarci tutto! >> enfatizzò Giulia avvicinandosi per farle il solletico.
<< Giulia, sei una stronza! >> strillò Clarke << Diana! >>.
Ma Diana non rispose limitandosi ad alzare un sopracciglio mentre osservava la scena.
<< Ti sta bene >> disse infine.
Marco la guardò e notando il suo sguardo interrogativo, la ragazza si affrettò ad alzarsi per andar loro incontro.
<< Allora, parla >> sentenziò Giulia fermandosi per farle riprendere fiato.
<< Giuro che non ho altro da raccontare! L’ho vista solo quelle volte e ci avrò scambiato sì e no tre parole >>.
<< E non ci hai detto niente! >>.
<< Perché non è successo ancora niente! >>.
La parola “ancora” si piantò nella mente di Diana come un chiodo e le bruciò così tanto da sentire il bisogno di allontanarsi. Si gettò in acqua dopo aver mormorato di lasciarla. Clarke fu liberata con la promessa di dover sempre tenere aggiornati i suoi amici di quella storia.
<< Giuro >> rispose la ragazza asciugandosi gli occhi.
Anche Giulia si buttò in acqua lasciando per pochi secondo Marco e Clarke soli a guardarsi negli occhi.
<< Sono così felice per te, Clarke >> le disse.
E Clarke sapeva che era vero, perché le parole finzione e Marco non potevano stare nella stessa frase.
<< Ce la dovrai far conoscere, lo sai vero? >> dichiarò Giulia riemergendo.
 
<< Diana, allora tu sei sicura di non volere un passaggio a casa? >> chiese Marco sulla soglia della porta di casa.
<< No Marco, tranquillo >> rispose l’amica poggiando una mano sullo stipite della porta << Questa qui >> aggiunse posando un dito sulla spalla di Clarke << Stasera viene a casa mia a cena >>.
La ragazza rise sottovoce mentre salutava gli amici e richiudeva la porta di casa. Era tardo pomeriggio, il sole ormai era calato e non si poteva più restare fuori in piscina.
<< Vado a farmi una doccia >> affermò Clarke salendo al piano di sopra.
Entrambe indossavano ancora i costumi.
<< Quindi, cos’è questa storia? >> chiese invece Diana fermandola.
<< Quale storia, D? >>.
<< Quella Sofia. Ti piace davvero? >>.
<< Ho detto solo che è carina, non la conosco! >> si difese Clarke salendo le scale al contrario per non perdere di vista l’altra ragazza.
Diana le si avvicinava senza indietreggiare o darle la possibilità di svincolarsi.
<< E ti piacerebbe conoscerla? >>.
<< Perché no, potrebbe essere una persona interessante! >>.
<< Perché ti piace >>.
Clarke finì le scale senza che inciampasse e si congratulò mentalmente con se stessa.
<< Mi ha colpita, sì! >> esclamò infine mentre il viso di Diana era vicinissimo al suo.
Respirò il suo fiato ed ebbe paura di perdersi nell’oscurità del suo sguardo. Diana aveva gli occhi più neri che avesse mai visto, due pozze senza luce che parevano assorbire tutto ciò che li circondavano. Sbatté contro la porta della sua stanza nel momento in cui Diana la baciò. Non era un bacio passionale, bensì possessivo, rivendicativo. Cercava di marchiarla e Clarke glielo lasciò fare. Era stata lei la prima a iniziare quel gioco per lenire le sue ferite e ora anche Diana prendeva l’iniziativa. Aprì la porta per entrare nella stanza e, senza staccarsi, la ragazza condusse Clarke sul letto. La spinse e vide il suo corpo, con indosso solo il costume da bagno, rimbalzare un paio di volte sul materasso. Incatenò il suo sguardo a quello dell’altra prima di baciarla nuovamente mettendosi sopra. Clarke gemette quando le morse il labbro e infilò una mano tra i capelli scuri dell’amica. Diana c’era sempre stata per lei, aveva fatto qualcosa che andava oltre la semplice amicizia. L’aveva guarita, era riuscita a farla tornare in superficie consapevole che sarebbero rimaste legate per sempre.
<< Fammi sapere come ti ha colpita >> le mormorò in un orecchio prima di morderglielo con voce roca.
<< Io… >> provò a rispondere l’altra sentendo la sua lingua scivolare lungo la clavicola e più giù.
Diana le sfilò il pezzo di sopra del costume stringendo a coppa quel seno tondo e abbondante. Clarke sobbalzò sentendo i suoi capezzoli inturgidirsi a quel contatto. Si inumidì le labbra per provare a parlare ma, quando l’amica chiuse la bocca sul suo seno destro iniziando a succhiare, un urlo strozzato le uscì dalla gola. E inevitabilmente sentì la sua intimità bagnarsi.
<< Allora? >> la stuzzicò Diana mordicchiandole l’altro.
<< Ah… >> fece Clarke inarcandosi << …dovresti… dovresti parlare di meno e lavorare di più >>.
Le sorrise con malizia e l’altra non se lo fece ripetere di nuovo. Scese tenendole ferme le gambe e cominciò a lasciarle una scia di baci nel suo interno coscia. Clarke fremette aggrappandosi al lenzuolo non avendo altro e si contorse sotto il suo tocco sempre più vicino alla sua intimità. Sentiva distintamente il suo fiato salire lentamente e lei non poteva fare altro che attendere. Diana vi poggiò il palmo della mano stringendo attraverso il costume. E percepì chiaramente quanto fosse calda e bagnata. L’accarezzò senza scostare l’inutile pezzo di stoffa e risalì verso il suo seno per giocare ancora. Sentendola allontanarsi dalle labbra di Clarke scappò un gemito di frustrazione.
<< Torna giù >> sentenziò cercando di apparire autoritaria.
Sapeva bene, però, quanto roca e piena di desiderio apparisse. Questo fece sorridere Diana mentre con la lingua seguiva il profilo perfetto della sua mandibola. Poi la baciò ancora. Clarke le mise una mano tra i capelli spingendola verso il basso, lì dove il suo corpo bramava maggiori attenzioni. E Diana la accontentò. Fece scivolare lo slip e si posizionò tra le sue gambe. Iniziò con calma, leccando la sua intimità descrivendo ampi cerchi. Clarke si contorceva sotto ogni suo tocco e lei se ne compiaceva. Nessuno gliela avrebbe portata via.
<< Diana… per favore… >>.
La ragazza prese allora a succhiarle il clitoride sempre con la stessa calma che fece innervosire ancor di più Clarke. Stava per parlare ma le parole le morirono in gola nel sentire finalmente Diana far scivolare due dita all’interno. Si lasciò andare a un sussulto mentre seguiva le sue spinte.
<< Sei così aperta >> le sussurrò l’amica accostandosi a un orecchio << Così esposta. Solo per me >>.
Clarke era troppo presa dall’orgasmo che le stava montando dentro per dire qualcosa. S’inarcò puntando i piedi contro il materasso per permettere all’amica di avere maggiore libertà di movimento. I muscoli erano contratti nello sforzo dell’arrivo e, quando il piacere la devastò, si lasciò cadere provando a tornare a respirare regolarmente. Diana si specchiò in quell’azzurro limpido e pensò che non c’era niente di più appagante di quello. Clarke aveva le gote arrossate, il respiro affannoso, lo sguardo velato di lussuria. Era bellissima anche con quei capelli in disordine, sparsi sul cuscino. Era bella da mozzarle il fiato in gola. Si stese al suo fianco e le accarezzò una guancia.
<< Sto ancora aspettando una risposta >> la stuzzicò con un leggero sorriso.
In risposta, Clarke si voltò dandole le spalle. Diana allora iniziò ad attorcigliarsi un boccolo al dito e quel movimento parve rilassare entrambe. Quando la ragazza si affacciò per controllare, trovò l’amica addormentata.
 
Sofia era tornata a casa e ad attenderla non c’era nessuno. Se l’era aspettato, suo padre per pranzo non rincasava mai e sua madre, a causa dei turni e degli straordinari, era sempre un terno a lotto. Si tolse le scarpe e arrivò in cucina dove, lasciato sul frigo, faceva bella mostra di sé un post-it di suo fratello Edoardo che la informava di non essere a casa prima di sera. Edoardo era più grande di lei di quattro anni, studiava Legge all’università Federico II e molto probabilmente stava trascorrendo tutta la giornata in compagnia di Rachele, la sua ragazza. Sbuffò mentre accartocciava il messaggio e lo gettava nel cestino. Suo padre aveva inviato un messaggio pochi minuti prima per sapere come fosse andata a scuola e le aveva promesso che quanto prima sarebbero riusciti ad andare a mangiare una pizza tutti e quattro. Quella premura la fece sorridere. Non aveva voglia di mangiare da sola, così optò per chiudersi in camera sua. Quando si gettò sul letto col cellulare in mano, fu tentata di mandare un messaggio all’amica ma si fermò. Quello era il primo giorno di scuola media anche per i fratelli di Elena di undici anni, Gabriele e Alessandra, e sapeva bene quanto lei fosse legata a quei ragazzini con i quali si portava ben sette anni di differenza. Se li immaginò tutti a tavola mentre Alessandra non faceva altro che parlare, suo fratello gemello le andava dietro e Elena che tentava di sovrastare entrambi. Il tutto condito da una madre molto presente nella loro vita. Restò sdraiata sul materasso col cellulare fermo a mezz’aria sul viso per diversi minuti e involontariamente il suo pensiero corse a quella ragazza ripetente che aveva incontrato di nuovo quella mattina a scuola. Era la figlia di Philip Melbourne, il noto musicista. Aveva sentito qualcosa di suo su youtube mentre rincasava e ne era rimasta affascinata. Chissà se anche lei era brava come suo padre. Provava una certa curiosità nei suoi confronti e questo non le era successo nemmeno quando si frequentava con Claudio. Il suo pensiero si spostò su Alice, così civettuola, e al suo sciocco tentativo di flirtare con Clarke. Un moto di stizza la colse e la fece girare sul lato sinistro. Perché poi? Era liberissima di fare quello che voleva, solo che l’idea che l’altra potesse cadere nella sua stupida leziosità le dava terribilmente fastidio. Ad Alice non importava davvero di Clarke, per lei era solo una bella ragazza da conquistare e sbandierare ai quattro venti ora che aveva scoperto com’è andare a letto con una donna. Sofia, invece, credeva che Clarke fosse diversa. I suoi occhi erano così profondi, così limpidi e puliti che pareva impossibile che fosse capace di un atto così superficiale.
Ma poi, chi aveva detto ad Alice che all’altra poteva interessare il gentil sesso? Scoppiò a ridere nello stesso attimo in cui formulò quella domanda. Sarebbe stato esilarante osservarla impegnarsi al massimo per riuscire nella sua missione e vedere Clarke che si allontanava a braccetto con un ragazzo. Eppure… c’era qualcosa che stonava. La ragazza era così bella e così alla mano che avrebbe fatto sfigurare chiunque al suo fianco.
Si riscosse dai suoi pensieri nel sentire la serratura di casa scattare. Si mise seduta e dal passo non ci mise molto a capire chi fosse. Edoardo spalancò la porta della sua camera facendo entrare tutta l’allegria che aveva sempre dentro di sé.
<< Sofy! >> esclamò << Allora, com’è andato il primo giorno di scuola? >> fece qualche passo all’interno della stanza e subito dopo si fermò esterrefatto << Oddio, ma che cazzo ti sei messa addosso? >>.
Sofia gli gettò addosso il proprio cuscino.
<< Quante volte ti ho detto che devi bussare prima di entrare in camera mia? >>.
<< Ma dai, io sono il tuo fratellone a cui puoi dire tutto! >> rispose Edoardo sorridendole << Ma, sul serio, sei andata a scuola con questo orrore addosso? >>.
<< Piantala, è una camicia! >> urlò Sofia incrociando le braccia al petto.
<< Sì ma… sembra che tu l’abbia presa dall’armadio di nonna! Hai diciotto anni, Sofy! Stai meno abbottonata! >>.
<< Tu, piuttosto >> disse la sorella cambiando argomento << Non mi avevi scritto che avresti passato tutta la giornata con Rachele? >>.
<< Sì, beh, erano quelli i programmi >> rispose il ragazzo grattandosi la testa << Ma c’è stato un altro litigio tra i genitori e allora ha preferito rientrare >> aggiunse riferendosi alla situazione poco pacifica della famiglia della sua ragazza.
Sofia si limitò ad annuire senza dire niente. Non si permetteva di esprimere un parere su una situazione che non conosceva. Edoardo le aveva accennato qualcosa più di una volta ed entrambi erano dell’idea che i coniugi Bartoli avrebbero finito col separarsi.
Si passò una mano tra i capelli mentre suo fratello la informava che andava a farsi un panino in cucina. Rimasta di nuovo sola, quasi non si accorse di aver aperto Facebook. Digitò nome e cognome di Clarke e la trovò immediatamente. Cliccò sul suo profilo ripetendosi che era semplicemente curiosa, e la prima foto che le apparve le strappò un sorriso. Dormiva su un lettino da spiaggia col cappello di paglia a coprirle il viso. Col dito, ne scorse un’altra. Raffigurava lei e un ragazzo dai capelli corti e scuri mentre facevano facce buffe alla fotocamera. Lesse il tag sotto, Marco Caforio, e alla fine c’era un cuore. Era un amico o…? Il cuore le martellò poi saltò in gola mentre cliccava sul nome del ragazzo. No, pareva che fossero amici, anche lui aveva frequentato il suo liceo scientifico. Tornò indietro, curiosa di sapere qualcosa di più su quella ragazza. Vide altre foto, alcune prive di significato per lei, altre invece erano state fatte con una ragazza bellissima. Non si sarebbe meravigliata se quella fosse stata la sua fidanzata. Erano meravigliose insieme, l’una l’opposto dell’altra; lei bionda con degli occhi azzurri che parevano dipinti, l’altra mora con un occhio più nero di una notte senza luna. E nel momento stesso in cui formulò quella frase, di nuovo il cuore perse un colpo, come se si stesse ribellando a quei pensieri. Eppure non ci sarebbe stato niente di male. Gettò il cellulare vicino a lei e si prese la testa con entrambe le mani. Ma che cavolo andava farneticando! Cosa diavolo poteva importargliene! Poi lo riprese per chiudere tutto e un dettaglio la colpì. Tra gli amici in comune figurava il nome di Elena. La sua amica le aveva chiesto l’amicizia e lei non ne sapeva niente! Ma con quale coraggio lo aveva fatto? Decise che quello era davvero troppo e la chiamò. L’amica le rispose dopo un paio di squilli.
<< So? >> disse semplicemente.
Dal vociare in sottofondo comprese che doveva essere ancora intenta in una conversazione con la famiglia.
<< Ma che diavolo combini? >> esclamò Sofia incapace di trattenersi << Hai chiesto l’amicizia a Clarke? >>.
<< Sì, e ha anche accettato >> rispose l’altra << Dovresti farlo anche tu >>.
<< Io non… io e lei non siamo amiche! >>.
Sofia era sempre stata molto selettiva con le persone da aggiungere. Aveva, infatti, pochissimi contatti e poteva dire di conoscerli tutti.
<< Appunto, questa è l’opportunità che stavi aspettando >>.
<< Non stavo aspettando nessuna opportunità! A te, invece, come cavolo ti è venuto in mente? Ci hai parlato mezza volta stamattina! >>.
<< Ma… >> fece Elena mentre un sorriso malizioso le si allargava sulla faccia anche se l’amica non poteva vederlo << …tu come fai a saperlo? Eri sul suo profilo? >>.
<< Cosa? Io? >> disse Sofia sentendo il viso prenderle fuoco << Assolutamente… >>.
<< Stai mentendo! >> esclamò Elena con una nota vittoriosa nella voce << Segui il mio consiglio e chiedile l’amicizia! >>.
<< Assolutamente no! >> urlò Sofia riagganciando senza nemmeno salutare.
 
Adele stava contando i giorni che mancavano all’incontro con Clarke e si accorse di quanto lunga potesse apparire una settimana. Non sentiva il lento scorrere del tempo forse dai tempi del liceo durante le noiosissime ore di francese. Erano trascorsi solo tre giorni, era sicura che sarebbe crollata prima. E questo non perché non riusciva ad aspettare, ma perché il non sapere come la bambina stava reagendo le metteva agitazione addosso. Avvertiva una sensazione negativa e lei raramente si era sbagliata.
La chiamata arrivò mentre stavano cenando. Lei era appena rincasata da un turno di quasi ventiquattr’ore mentre suo marito aveva terminato le prove per un concerto che si sarebbe tenuto qualche giorno dopo. Adele era scattata sulla sedia mentre allungava la mano verso il cellulare e sperava che fosse l’ospedale. Avrebbe sicuramente preferito un’altra emergenza piuttosto che una cattiva notizia su Clarke. Ma tutte le sue speranze svanirono nel momento in cui lesse il numero sul display.
<< Andiamo >> disse semplicemente lasciando i piatti sulla tavola.
 
Un uomo li aveva condotti direttamente dal direttore della struttura. Nonostante l’ora, Adele e Philip furono sorpresi di trovarlo ancora lì, perfettamente vestito come se fosse l’inizio di una giornata lavorativa.
<< Che cosa è successo? >> chiese Philip non appena la porta si fu richiusa alle loro spalle.
L’altro uomo sospirò prima di guardarli negli occhi.
<< Signori Melbourne, voglio innanzitutto ringraziarvi per essere accorsi immediatamente >> disse << E mettervi al corrente che questa non è la procedura standard >>.
Adele, nonostante la situazione, riuscì a far sbocciare un lieve sorriso sulle sue labbra.
<< C’è forse qualcosa che lo è con Clarke? >> chiese sottovoce cercando di dominare l’ansia che le stava montando dentro.
<< Due giorni fa Clarke ha scatenato una rissa in aula ricreativa che ha coinvolto altri due ragazzini della sua età >> iniziò il direttore << E… >>.
<< Oh, Dio. Sta bene? >>.
<< E’ proprio questo il punto. Non lo sappiamo. Clarke si rifiuta di farsi visitare, di farsi toccare, anche il solo guardarla le provoca una rabbia che non aveva mai tirato fuori, ma abbiamo notato i suoi vestiti sporchi di sangue >>.
<< Non lo sapete? Come fate a non saperlo? >> esclamò Philip esasperato da quel comportamento.
<< Dovremmo farla visitare con la forza e fare questo significherebbe un nuovo rientro in ospedale. Probabilmente tenendola sotto sedativo >>.
<< Vado io >> scattò Adele << Da me si farà visitare >>.
Il direttore annuì lentamente. Era proprio lì che voleva arrivare.
<< La bambina con lei si è dimostrata ubbidiente e docile e quindi abbiamo pensato che forse, tutto questo, si potrebbe evitare se lei, signora Melbourne accettasse di darci una mano >>.
Philip guardò la moglie sapendo che stava reprimendo le lacrime per mostrarsi forte. In realtà, dentro, stava tremando per la paura di perdere la bambina. La vide fare un respiro profondo e le prese una mano stringendola. Nel frattempo un uomo era entrato nella stanza, chiamato dal direttore.
<< Scorti la signora Melbourne nella stanza d’isolamento >>.
Adele lo seguì in silenzio mentre pensava a quante volte ancora avrebbe visto Clarke chiusa lì dentro. La porta le venne aperta e dopo che fu entrata, fu immediatamente richiusa. Adele si guardò intorno prima di trovare la bambina rannicchiata in un angolo della bianca stanza.
<< Clarke… >> disse semplicemente avanzando verso di lei e sentendo un nodo formarsi in gola.
La bambina sollevò la testa e la guardò con sorpresa prima che un altro sentimento si facesse strada nei suoi occhi. Era la rabbia.
<< Vattene! Sei esattamente come tutti gli altri babbuini! Va via! >>.
Nell’urlare era scattata in piedi rivelando delle mani livide e piene di tagli, un labbro spaccato, del sangue raggrumato sotto una narice. La donna ebbe una stretta al cuore nel vederla in quello stato.
<< Che cosa hai fatto, Clarke? >> le domandò.
<< Vattene! >> urlò la bambina con tutto il fiato che aveva.
Poi si coprì il volto iniziando a piangere. E quella sembrò ad Adele la più grande richiesta d’aiuto inespressa che Clarke potesse fare. Si sedette per terra incrociando le gambe.
<< Guardami, Clarke >> disse invece << Sono Adele, sono la stessa persona che ti è stata vicina in ospedale. Perché non parli con me? >>.
<< Perché tu sei uguale a tutti gli altri! >> esclamò l’altra sempre col viso coperto << Non sei diversa dagli altri babbuini >>.
La donna fissò quel fragile corpo scosso dai singhiozzi e la trovò così vulnerabile. Le si avvicinò sperando che non riprendesse a urlare.
<< Ti sei fidata di me >> continuò senza demordere << Fallo ancora, Clarke. Io non ti deluderò >>.
Clarke si asciugò gli occhi per poterla guardare.
<< Lo hai fatto! >> gridò << Io mi stavo fidando di te, pensavo fossi diversa! E invece sei come tutti gli altri! >>.
<< Ma perché? >>.
<< Perché te ne sei andata! >> sbottò la bambina << Sei andata via come tutti gli altri e mi hai lasciata sola! >>.
Adele si bloccò mentre non poteva impedire a una lacrima di solcarle il viso.
<< Clarke, no. Non avrei mai voluto andarmene! Ma… >>.
Si guardarono negli occhi e Adele pensò che sarebbe potuta perdersi in quello sguardo così profondo.
<< Ma l’hai fatto! Non sei più venuta! >>.
<< Perché non me l’hanno permesso! >> rispose la donna scoppiando a piangere << Non possiamo venire tutti i giorni a trovarti, ci sono delle regole che purtroppo dobbiamo rispettare! >>.
Clarke la fissò con così tanta serietà che Adele pensò che non fosse mai stata bambina.
<< Volevamo venire, Philip e io >> continuò senza fare nulla per nascondere le lacrime << Ma ci hanno fermato. Ci hanno detto che se non ci fossimo attenuti alle regole, avremmo potuto rischiare di non adottarti. E l’unica cosa che vogliamo è portarti a casa con noi >>.
Anche se non era un discorso facile da comprendere per un qualunque bambino, Adele sapeva che Clarke stava capendo. Non piangeva più, era in silenzio mentre valutava quanta verità ci fosse in quelle parole.
<< Davvero? >> mormorò semplicemente come se non riuscisse a crederci.
La donna sorrise di fronte alla sua espressione stupita. Si asciugò gli occhi, fregandosene del trucco sbavato, e allungò entrambe le braccia verso di lei.
<< Davvero >> rispose << Noi ti adotteremo, Clarke. Questa è una promessa, bambina mia >>.
E Clarke non attese altro. Si tuffò verso quelle braccia desiderando solo che Adele la stringesse e la proteggesse dal resto del mondo. Perché quando c’era la donna, lei era al sicuro. Ad Adele mancò il fiato nel sentire il suo corpo schiacciato tra le braccia, la testa nascosta contro il suo petto. La strinse respirando l’odore della sua pelle e non desiderò essere in nessun altro posto in quel momento. Perché dopo anni di tentativi passati a cercare di avere un figlio, ora, per la prima volta, si sentiva davvero una madre. La cullò finché non sentì il suo respiro tornare normale e le lasciò un bacio tra i capelli. Clarke sussultò a quel gesto, probabilmente nessuno gliene aveva mai dato uno. Si scostò leggermente per guardarla negli occhi e Adele le sorrise per rassicurarla.
<< Andrà tutto bene >> le disse sottovoce << Fidati di me, Clarke. E adesso >> aggiunse spostandola per metterla in piedi senza smettere di tenerle le mani << Fammi controllare come stai >>.
 
<< L’ho medicata, non ha nulla di grave >> riportò Adele al direttore << Adesso la lasci uscire dall’isolamento e tornare a dormire insieme agli altri bambini >>.
L’uomo la guardò titubante senza rispondere.
<< E’ tranquilla >> insistette la donna << Non farà niente di sbagliato. Voleva solo qualcuno che la capisse >>.
Ed era vero. Aveva trascorso molto tempo a parlare con la bambina, anche se lei si era limitata a lunghi silenzi e pochissime parole. Più di qualunque altra cosa aveva cercato i suoi abbracci come se non potesse più farne a meno. Adele l’aveva lasciata fare, beandosi di ogni contatto che Clarke le concedeva in modo così semplice e spontaneo che si sarebbe messa di nuovo a piangere. Era felice che la bambina si fosse lasciata andare così tanto e in così poco tempo e tremava al solo pensiero di essere separata da lei. Quando l’avevano richiamata per farla uscire, Clarke l’aveva guardata con espressione terrorizzata ed era dovuta tornare indietro per abbracciare di nuovo quel piccolo corpo. Le aveva sussurrato per l’ennesima volta di fidarsi e si era allontanata. Ora, nell’ufficio del direttore, sperava di riuscire a far valere il suo punto di vista. L’uomo parve dover riflettere da solo e per questo fece uscire entrambi i coniugi. Non appena soli, marito e moglie si abbracciarono. Tra le braccia di Philip, Adele sciolse tutta la tensione che aveva provato e si rilassò mostrandogli il suo più bel sorriso. Aveva ancora gli occhi lucidi per l’emozione che Clarke le aveva fatto provare.
<< Blake, porta i bambini da Carol. Dì che ti mando io >>.
Si voltarono riconoscendo la voce alle loro spalle.
L’assistente sociale Benson era in piedi vicino a un uomo e tre bambini che si tenevano per mano. Il maggiore non avrà avuto più di dieci anni. Blake si limitò ad annuire senza dire nulla e si allontanò con i tre fanciulli. L’attimo dopo le due donne incrociarono lo sguardo e Adele si ritrovò a serrare la mascella. Sentiva che la colpa di tutta quella situazione era dell’altra.
<< Cosa ci fate voi qui? >> esclamò l’assistente sociale avvicinandosi << No, non ditemelo >> aggiunse alzando le mani << Il direttore? >>.
Philip annuì cingendo la vita della moglie con un braccio. In questo modo cercò di trasmetterle calma e tranquillità perché sapeva bene quanto Adele potesse facilmente perdere le staffe di fronte a ciò che lei definiva ingiustizia. L’assistente sociale scosse il capo appoggiando la schiena contro il muro. Era stata una lunga giornata e non era ancora finita.
<< Dovrebbe essere felice >> iniziò Adele incapace di trattenersi e staccandosi dalla presa del marito << Che un soggetto come Clarke vada via da questo posto. Lei e tutti gli altri avreste meno problemi cui pensare >>.
La donna la fissò per un lungo momento prima di rispondere.
<< Felice? >> ripeté con un sorriso amaro sulle labbra << E’ vero, dovrei >> aggiunse << Sapete da quanto tempo faccio questo lavoro? Quasi ventisette anni e ho amato ogni singolo bambino che ho visto entrare qui per essere salvato. Ho amato ogni ragazzo lasciato fuori quelle porte, ogni bambina tolta dal giro della prostituzione, ogni coppia di fratelli mandati dai genitori a consegnare la droga >> fece un respiro alzando una mano per impedire ai coniugi Melbourne di interromperla << Ho amato anche Clarke, sono stata io a portarla via da quella che era la sua casa. Abbiamo aperto le porte dopo la chiamata di una vicina prostituta che diceva di andare a controllare perché da due giorni non sentiva né la donna né la bambina. La vidi io per prima, seduta accanto alla madre morta senza smettere di fissarla. Indossava un paio di pantaloncini che puzzavano maledettamente di pipì. E l’ho amata mentre la portavo in ospedale e poi qui, mentre le assegnavo un letto, mentre le mostravo dove poteva mangiare >>.
<< E cosa è successo dopo? >>.
La donna si strinse nelle spalle.
<< Clarke si è rivelata per quello che era; uno di quei casi che non riusciamo a salvare perché è stata devastata dall’ambiente in cui è vissuta. Possiamo curare le loro ferite fisiche, ma quelle dell’anima non si cicatrizzeranno mai. Sapete quanti bambini vivono in questa struttura adesso? >>.
Adele e Philip scossero il capo.
<< Ottantatré se consideriamo i tre fratelli che abbiamo salvato stasera da due genitori che li stavano per vendere per comprarsi la droga. E credete che ci siano ottanta famiglie pronte ad accoglierli tutti? >>.
La signora Melbourne aprì la bocca per parlare capendo dove stava arrivando, ma l’altra glielo impedì nuovamente.
<< No. Non ci saranno mai famiglie per tutti loro. Un quarto di loro verrà adottato, gli altri resteranno qui fino alla maggiore età e poi usciranno per affrontare la vita. E ne ho visti troppi morire nel giro di un anno perché incapaci di fronteggiare il mondo e lasciarlo vincere. La droga, la prostituzione, il suicidio. Troppo deboli e soli per superare le difficoltà della vita, la cui unica speranza era quella di avere qualcuno che li prendesse per mano. Ho riconosciuto troppi cadaveri all’obitorio, troppi ragazzi la cui unica colpa era quella di non essere stati scelti da una famiglia e sono morti. Il mondo li ha divorati. Tutti i sacrifici fatti per dar loro una vita migliore, finiti nel cesso >>.
Philip prese la mano della moglie per affrontare le parole che sarebbero seguite insieme. Anche lui aveva compreso quale direzione il discorso della donna stesse prendendo.
<< Poi arrivate voi, una buona coppia, con un buon lavoro alle spalle, pronti a dare amore a uno dei nostri sfortunati e la scelta ricade su Clarke, la bambina che non può essere salvata >> Piantò i suoi occhi scuri in quelli di Adele per farle capire che non stava scherzando << Mentre tutti gli altri non vedono l’ora di essere abbracciati e portati via >>.
<< Chi è lei per ergersi giudice e scegliere chi può o non può essere salvato? >> domandò Adele infine.
Credeva che sarebbe scoppiata da un momento all’altro se non lo avesse fatto. Aveva bisogno di dire ciò che pensava.
L’assistente sociale scosse il capo.
<< Nessuno, non ho questa arroganza. Il mio è un dato di fatto dovuto a tanti anni di esperienza >>.
<< Lei non ha figli, vero? >>.
Di nuovo la donna scosse il capo.
<< Si vede >> affermò l’altra voltandosi per andarsene.
Non avrebbe sentito una parola di più su quanto fosse sbagliato adottare Clarke.
 
La prima settimana di scuola volò e Clarke comprese che era arrivato il momento di mettersi a studiare seriamente. I professori avevano quasi tutti iniziato a spiegare e assegnare i compiti e non c’erano più scuse per rimandare. Ma, ovviamente, potevano aspettare la fine del week-end. I suoi amici avrebbero iniziato l’università la prima settimana di ottobre ma c’era già chi, come Diana, aveva cominciato a comprare qualche libro che le sarebbe stato utile. Per tutta la settimana la compagnia non le era mancata e i coniugi Atomi spesso l’avevano ospitata a cena come se fosse la loro quarta figlia. E, in effetti, era proprio così. A parte il padre, Clarke non aveva nessuno su cui fare affidamento e Philip non sarebbe mai partito per i suoi tour in tutto il mondo se non ci fosse stato nessuno che si fosse preso cura di sua figlia. Clarke osservò per l’ennesima volta lo schermo del suo Iphone e sospirò. Quando aveva visto la richiesta di amicizia di Elena, non aveva impiegato troppo a trovare anche l’altra, Sofia, e per tutta la settimana era stata indecisa se premere il fatidico tasto oppure no. Su di lei c’erano pochissime informazioni, esattamente come le amicizie che non arrivavano a un centinaio. Aveva capito che amava molto la privacy e quindi non voleva apparire inopportuna ai suoi occhi.
<< Mi sento un’idiota! >> sbottò seppellendo la testa sotto il cuscino.
<< Ancora per quella storia o finalmente hai capito di esserlo davvero? >> le chiese Marco tornando in camera sua dal bagno.
<< Piantala! >>.
<< E dove? >>.
Per un attimo si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Marco era a conoscenza del suo dilemma e più volte l’aveva incoraggiata a chiedere l’amicizia a questa ragazza senza, però, convincerla del tutto. Guardò l’ora e pensò che mancava ancora diverso tempo prima di vedersi con gli altri. Era sabato pomeriggio e lui era stato l’unico ad accettare l’invito di Clarke a casa sua per un tuffo in piscina. Diana aveva dovuto rifiutare in vista di un compleanno di diciotto anni per cui doveva ancora comprare un vestito e Giulia l’avrebbe accompagnata ben sapendo quanto loro due, invece, odiassero andare per negozi. Si passò una mano tra i capelli ancora umidi e fissò il corpo dell’amica. Era di schiena, stesa sul letto e indossava solo il pezzo di sopra del costume e un pantaloncino inguinale. Il tatuaggio che aveva partiva dal collo e scendeva fino al fondoschiena. Marco sapeva che l’idea iniziale non era quella e l’aveva accompagnata quando aveva voluto aggiungerne una seconda parte. Ora, completo, doveva ammettere che era bellissimo sulla sua schiena. Si sedette sull’unica sedia che l’amica aveva in camera e girò un paio di volte su se stesso. Quando vide, però, che la ragazza non si destava dal suo stato catatonico le saltò addosso per prenderle il cellulare.
<< Marco che cavolo fai? >> esclamò Clarke cercando di non farlo vincere.
Ma l’amico era nettamente più forte di lei e in pochi secondi le strappò l’Iphone di mano.
<< Non oserai… >> mormorò guardandolo negli occhi.
Marco, invece, premette il tasto di invio.
<< Fatto >> disse lanciandole il cellulare << Adesso dobbiamo solo aspettare che accetti >>.
<< Ma ti ha dato di volta il cervello? >> sbottò la ragazza mettendosi seduta e afferrandolo al volo.
Avrebbe voluto seppellirsi in una voragine in quel momento.
<< Clarke, calmati! >> rise Marco lanciandole un peluche a forma di cane che era posato sulla scrivania << Se già fai così adesso, quando uscirete insieme che farai? >>.
Il viso dell’amica prese fuoco a quelle parole.
<< P… perché, credi che accadrà? >>.
Marco rise ancora.
<< Oddio, dovresti vedere la tua faccia! >>.
<< Sei un idiota! >> rispose Clarke << Vado a fare un tuffo >>.
<< Che c’è, devi sbollire? >> la stuzzicò il ragazzo imitandola.
Clarke gli mostrò il dito medio come risposta e scese le scale. Marco la osservò dall’alto fermandosi per una manciata di secondi e ringraziò mentalmente l’altra per avergli mostrato cos’era l’amicizia quando in primo liceo si era preso una cotta per lei.
 
Quando Elena le aveva detto che non avrebbe potuto continuare a ignorare Claudio, poiché frequentavano gli stessi amici, Sofia avrebbe voluto che non fosse così presto. Era uscita per cenare fuori con le amiche e, quando si erano spostate al bar per bere qualcosa, erano state raggiunte da Umberto e Alessandro. Il presentimento che presto si sarebbe presentato anche Claudio le metteva una strana agitazione addosso. Era da quando lo aveva scansato in malo modo urlandogli che era un maiale che non lo vedeva o sentiva. Non che fosse dispiaciuta per la fine della loro breve frequentazione, ma conosceva il carattere dell’altro e non era tipo da mollare facilmente l’osso. Ricordava che aveva impiegato oltre un mese per convincerla a dargli un appuntamento e non desiderava che tornasse alla carica. Elena intuì il suo stato di agitazione e cercò di calmarla.
<< Hai accettato la richiesta di Clarke? >> le chiese per cambiare argomento strizzandole l’occhio.
<< Cos… no! >> esclamò Sofia avvampando.
<< E perché? >>.
<< Perché non la conosco! >>.
La ragazza era sconvolta da come Elena non comprendesse il suo punto di vista.
<< Ha fatto una cosa carina, aprile uno spiraglio. Altrimenti penserà che non sei interessata a lei >>.
<< Io, infatti, non sono affatto interessata a lei! >> esclamò Sofia trascinandosi l’amica leggermente in disparte << E non urlare! Quell’arpia di Alice potrebbe sbucare da un momento all’altro e sentirci! >>.
Elena sollevò il sopracciglio destro.
<< Potrebbe dedicare queste attenzioni ad Alice e lei non aspetta altro >> le disse con l’intenzione di farle avere una reazione.
<< Ma che dici? Clarke non la guarda nemmeno quella! >>.
L’amica incrociò le braccia sotto il petto.
<< Forse ora. Ma chi può dirlo? Stanno in classe insieme e… >>.
Il fastidio prese il sopravvento sulla ragione e Sofia, per la prima volta, ebbe una reazione dettata dal cuore e non dalla testa.
<< Alice le starà alla larga! >>.
Elena finalmente sorrise e le diede un bacio sulla guancia.
<< Molto meglio. Adesso accetta >>.
<< Accettare cosa? >>.
Entrambe si voltarono di scatto nel sentire quella voce. Claudio doveva essere appena arrivato perché aveva ancora il casco sulla testa. Se lo tolse scompigliandosi i capelli chiari e si avvicinò per salutarle.
<< Ciao >> fece Elena guardando l’amica con la coda dell’occhio.
<< Ciao Claudio >> salutò Sofia che era sempre stata più diplomatica.
<< Come state ragazze? >>.
Elena stava per rispondere in modo tagliente, ma arrivò Alessandro e la trascinò letteralmente via affinché quei due potessero rimanere da soli. Sofia osservò l’amica che cercava di divincolarsi dalla presa dell’altro e tornò a fissare Claudio dopo aver inghiottito una volta di troppo. Non era cambiato per niente in quel mese in cui non si erano visti. Esibiva lo stesso sorriso malizioso di sempre, i capelli spettinati gli ricadevano sulla fronte senza ordine, la barba gli concedeva l’aspetto di bello e dannato. Era questo Claudio Landolfi, un bel viso ma nient’altro. E Sofia ancora non riusciva a credere di essere stata con lui per sei mesi. La verità era che lo aveva sempre incuriosito quel ragazzo dall’aria strafottente, che conosceva così tante persone e che aveva sempre la battuta pronta. Soprattutto quando aveva iniziato a interessarsi a lei che non aveva nessuna delle sue qualità. Aveva creduto di piacergli.
<< Bene, spero anche tu >> disse superandolo per raggiungere gli altri.
<< Ehi, aspetta >> affermò Claudio afferrandole il braccio per bloccarla.
<< Che cosa vuoi? >>.
Il suo sguardo era freddo e distaccato e nell’incontrare gli occhi del ragazzo, Sofia non poté fare a meno di paragonarli a quelli di Clarke. Anche a Claudio erano azzurri, ma non c’era paragone. Quelli della ragazza erano bellissimi.
<< Parlare >> mormorò Claudio lasciandola e alzando le mani << In modo tranquillo >>.
Sofia fece due passi per distanziarsi da lui.
<< Dimmi >> rispose incrociando le braccia sotto il petto.
Il ragazzo si dondolò appena sui piedi mentre si guardavano. Poi le sorrise credendo di riuscire ad allentare la tensione.
<< Dai, Sofy. Non fare quella faccia! Sei sempre la stessa, eh? >>.
L’altra inarcò il sopracciglio con espressione leggermente stupita da quella frase.
<< Il tuo modo di approcciarti fa schifo sempre allo stesso modo >> affermò.
Claudio scoppiò a ridere. Era una risata roca, maschile. A Sofia diede quasi fastidio.
<< Ragazzi, dai! Sbrigatevi! >> urlò Umberto agitando la mano.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Si voltò in direzione degli amici notando che Elena solo allora era riuscita a liberarsi da Alessandro, e le andò incontro. Claudio la osservò allontanarsi e scosse il capo. Aveva un anno intero per riuscire a scoparsela, perché affrettare i tempi?
Sorrise mentre la seguiva.
<< Il prossimo giro lo offro io! >> urlò alzando una mano.
 
 
 
 
 
L’angolo di Bik
Eccoci col nostro appuntamento. Spero che il nuovo anno sia iniziato al meglio per tutti. Io ho ricevuto una specie di data per la pubblicazione di uno Zero del mio fumetto. Avverrà probabilmente ad Aprile al Romics, la fiera fumettistica che si tiene a Roma. Ovviamente non è ancora nulla di certo, ma la cosa mi rende già orgogliosa del lavoro che ho svolto fino a ora. Però la strada è ancora lunga.
Parliamo del capitolo. Finalmente ho presentato il fratello di Sofia, Edo. Sarà molto importante in seguito, spero che vi piaccia! Clarke adulta e Clarke bambina, le adoriamo?
Alla prossima
F.

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Capitolo 6
*** 6 ***


 
L’appuntamento domenicale che avevano Clarke, Marco, Diana e Giulia era immancabile a meno che non ci fossero cause più grande di loro. Ma quella domenica era una giornata meravigliosa, l’ideale per fare volontariato in canile. Era stata Clarke la prima a iniziare ed era riuscita a trascinarsi gli amici, entusiasti di fare qualcosa di buono. Prendevano la macchina a turno, quella volta era toccato a Marco, e andavano la mattina mai più tardi delle dieci. Il canile rimaneva fuori Napoli e per raggiungerlo impiegavano una mezz’ora. La prima volta che Clarke aveva portato Giulia, la più restia dei quattro, nell’arco di un mese la sua famiglia adottò un cucciolo appena arrivato. Quell’aneddoto, a distanza di più di due anni, era ancora raccontato tra risa e scherni dagli altri volontari. Uscirono dalla macchina e suonarono. Clarke scoppiò a ridere nel vedere, come al solito, l’abbigliamento orrendo che tutti avevano. Indossavano sempre le cose più vecchie che avevano a casa e il risultato era un guazzabuglio di colori, tessuti consunti e anche bucati. Clarke aveva la maglietta col logo del canile di un colore indefinito ma che un tempo era stato azzurro, un paio di pantaloncini corti il cui bordo era tutto sfilacciato, scarpe della Vans rosse bucate su un lato. Anche Diana indossava una maglietta col nome del canile stampato sulle spalle di un giallo ormai spento, un pantaloncino che un tempo usava per fare gli allenamenti di pallavolo, vecchie converse. Giulia, invece, aveva una camicia a quadri rossa e nera a mezze maniche il cui taschino era completamente strappato, un jeans inguinale, un paio di Adidas classiche le cui righe, un tempo blu, ora erano quasi bianche. Quello più buffo di tutti, però, era Marco. Indossava una canotta bianca con un buco enorme su un fianco, un jeans di cui la gamba destra gli arrivava fino al ginocchio mentre la sinistra era più corta per un morso di un cane e delle Nike, un tempo nere, che tendevano quasi al bianco.
<< Ragazzi, ciao! >> esclamò una delle volontarie aprendo il cancello.
<< Stefy! >> rispose Clarke abbracciandola <>.
<< Primo giorno che riesco a venire al canile da quando ho riattaccato al lavoro >> disse la ragazza poco più grande degli altri << Voi? >>.
<< Solite cose >> fece Diana salutandola con un bacio sulla guancia.
<< Dai, ci sono miliardi di cose da fare! >>.
<< Siamo qui per questo >> affermò Marco chiudendo il cancello alle sue spalle.
<< Buongiorno ragazzi >> salutò Gabriella vedendoli mentre attraversava il cortile con un cane anziano al guinzaglio.
<< Gabry, ciao! >> rispose Clarke correndole incontro.
Gabriella era la responsabile di quel posto e la ragazza l’aveva sempre considerata una donna con gli attributi. Non era facile occuparsi di trecento cani, ricordare tutte le loro storie, i loro trascorsi e cercare per ognuno la soluzione migliore finché erano lì. Clarke l’aveva sempre ammirata. Certe volte poteva sembrare dura e distaccata, ma tutti sapevano quanto amore ci mettesse in quello che faceva.
<< Come stanno Luthor e Pascal? >> domandò riferendosi ai due cani adottati da quel canile.
<< Benissimo >> disse la ragazza pensano al suo boxer rimasto a casa a poltrire sul cuscino << Ciao Maya! >> aggiunse accarezzando l’anziana cagnolina che adesso si era seduta accanto alla donna.
<< Pascal ha distrutto l’ennesimo paio di scarpe di mia sorella, per fortuna erano le vecchie converse >> rispose Giulia ridendo.
Nonostante il suo cane avesse oltre due anni, aveva conservato un animo da cucciolo che lo portava a commettere ancora qualche danno.
<< Allora tutto nella norma >> fece Gabriella ridendo. Posò i suoi occhi su Marco << Marco ci sarebbero da riverniciare tutte le ringhiere, la vernice è nella segreteria >>.
<< Agli ordini! >> rispose il ragazzo voltandosi.
Diana lo seguì per aiutarlo mentre Clarke e Giulia iniziarono i loro giri nei box. E come ogni volta, la ragazza sentì il respiro mancarle pensando a tutti quei cani che cercavano casa. Molti sarebbero morti lì, senza mai aver avuto l’opportunità di essere felici. Tutti i volontari nel loro piccolo cercavano di aiutarli, ma i cani erano davvero troppi e i ragazzi sempre troppo pochi. Non si riusciva a seguirli per bene tutti nonostante la buona volontà.
<< Ciao Lester! >> esclamò fermandosi davanti a un box.
Il setter, sentendosi chiamare, le andò immediatamente incontro alzandosi sulle zampe posteriori per essere accarezzato. Clarke entrò nel recinto e lo preparò per una passeggiata. Lester era un cane molto tranquillo, aveva cinque anni e da tre si trovava al canile. Era stato condotto lì da un cacciatore che non lo voleva più poiché non era in grado di cacciare. E lui, in tutto quel tempo, non aveva ancora trovato una nuova famiglia. Il cane le leccò la faccia saltandole addosso, felice di uscire dal suo box anche solo per una breve passeggiata e Clarke rise. Era una sensazione bellissima poter fare qualcosa per gli altri. Lei nella vita era stata molto fortunata e cercava di aiutare i meno fortunati come poteva. Quando uscì, trovò Giulia che la stava aspettando con Tea, una simil pastore tedesco che tirava come una pazza per la felicità dell’uscita. Risero entrambe nel vedere come, solo il primo cane, aveva già sporcato le loro magliette. Si avviarono verso l’uscita per una breve passeggiata e incontrarono altri volontari impegnati nella loro stessa faccenda.
<< Stavo cercando di convincere Marco >> esordì Carla, un’altra ragazza che faceva volontariato, passando accanto a Clarke e strizzandole l’occhio.
<< Purtroppo non c’è verso! >> rispose l’altra sorridendo prima di darle un bacio sulla guancia << Marco adora i gatti! >>.
<< E non solo io >> ribatté l’amico che stava sentendo il loro scambio riferendosi alla madre.
Clarke alzò entrambe le mani.
<< Almeno ammetti che sono antipatici! >>.
<< Non pensarci nemmeno, Clarke! >> esclamò Marco minacciandola col pennello << Theon e Yara sono dei gatti che vanno d’accordo con tutti tranne che con te! >>.
<< Sono degli stronzi! >>.
<< Clarke, dovresti ammettere che non li sopporti! >> intervenne Diana avvicinandosi all’amica e sporcandole il viso di vernice verde.
<< Ma non è vero! Provano sempre a graffiarmi! >> affermò la ragazza spostandosi per evitare che l’amica potesse ripetere il gesto << Ah, comunque>> aggiunse << Marco ti è sfuggito un punto lì! >>.
Indicò la fine di una ringhiera dove si vedeva leggermente del bianco, segno che doveva essere fatta un’altra passata e il ragazzo le lanciò contro il pennello. Clarke lo schivò prontamente e tornò a concentrarsi sui cani da far uscire.
 
Marco la riaccompagnò a casa che erano le tre del pomeriggio passate. Si sentiva distrutta, il volontariato al canile era massacrante. Non riusciva minimamente a pensare a quanto fosse dura per Gabriella che lo faceva tutti i giorni. Luthor arrivò festoso, felice del suo arrivo e lei si chinò per coccolarlo nonostante puzzasse notevolmente. Pensò al giorno che lo aveva portato a casa, non era un cucciolo, aveva due anni e mezzo e probabilmente se la sua famiglia non lo avesse scelto, ora sarebbe ancora lì con tutti gli acciacchi di un cane anziano vissuto in un freddo box. La riflessione le strinse il cuore. Tutti avrebbero dovuto provare cosa significasse essere amati. Lei ne sapeva qualcosa.
<< Okay, Luthor. È arrivato il momento di una doccia! >>.
Si alzò in piedi e varcò la soglia del bagno disseminando il pavimento con i panni sporchi. Avrebbe riordinato dopo. Prima di infilarsi nella doccia controllò il suo cellulare. Oltre alle notifiche di WhatsApp del gruppo degli amici, nient’altro.
Non aveva ancora accettato la sua richiesta di amicizia.
 
Il lunedì era sempre traumatico, segnava l’inizio di una lunga settimana lavorativa o scolastica. L’unica persona che Clarke aveva conosciuto in tutta la sua vita felice per l’inizio di una nuova settimana era la madre. Le diceva che il lunedì segnava il principio di una nuova avventura e questo pensiero serviva a farla alzare dal letto per farla andare a scuola.
Varcò la soglia della sua classe tra le gomitate e le spinte di Lorenzo e Diego che sembravano euforici.
<< Ma voi non siete mai stanchi? >> domandò mentre sbadigliava.
La sera precedente Giulia aveva avuto casa libera ed erano andati tutti da lei a bere un paio di birre e ascoltare musica vecchissima che, però, a loro piaceva. Se si aggiungeva che Giulia sapeva suonare la chitarra, la serata era perfetta.
<< Stanchi? Ma sai cosa succede oggi? >> domandò Diego cercando un compagno di classe.
Clarke guardò entrambi con aria interrogativa facendo scuotere il capo di Lorenzo.
<< C’è la presentazione dei candidati per i rappresentati d’istituto! >>.
<< Ah >> fece la ragazza cui non interessava.
<< Mario! >> esclamò Diego facendogli cenno di avvicinarsi << Allora, li ha portati? >>.
<< Preparati Clarke. Dopo questo, staremo a casa per tre giorni >> affermò Lorenzo strizzandole l’occhio.
Chissà perché non ho un buon presentimento, pensò la ragazza senza riuscire a celare la sua curiosità.
Le prime tre ore di lezione trascorsero velocemente e, quando gli insegnanti diedero il permesso di potersi recare in aula magna, gli alunni sciamarono con baccano fuori dalle aule. Alice si accostò a Clarke con la scusa di alcune informazioni, ma la ragazza con lo sguardo cercava un’altra persona. Alla fine, rassegnata, entrò seguendo Lorenzo che si stava sbracciando.
 
Sofia aveva passato la domenica a preparare la sua presentazione come rappresentate di istituto ed era abbastanza soddisfatta di se stessa. I punti che aveva affrontato per la sua campagna erano stati sviscerati a fondo ed Elena l’aveva pazientemente ascoltata. Non era una ragazza popolare, ma aveva davvero tutte le buone intenzioni per essere una buona rappresentante d’istituto. Era sicura che, dopo averla ascoltata, gli altri ragazzi sarebbero stati d’accordo con lei. Sofia era stufa di veder candidarsi e vincere sempre i soliti bellocci che non avevano minimamente idea di cosa significasse veramente fare qualcosa di buono. Quest’anno avrebbe vinto, ne era sicura. Con questo pensiero, entrò in aula stringendo i fogli che aveva preparato. Li lasciò vicini a quelli dei suoi avversari e in quel momento la vide. Stava appoggiata al davanzale della finestra ed era intenta a parlare con i gemelli Mancini. Quando rise, il cuore le saltò in gola. Aveva i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle mentre alcuni ciuffi le ricadevano scompostamente sul viso. Lei rideva e Sofia pensava a quanto fosse bella. Poi i loro occhi s’incrociarono per un istante. Clarke stava per dire qualcosa rivolta a lei, ma l’arrivo di Alice le fece distogliere l’attenzione. Nel vederla mettere in atto il suo assurdo piano, Sofia ripensò alle parole dell’amica e le fischiarono le orecchie. Possibile che Clarke fosse davvero così superficiale? Certo, Alice aveva un bel viso e un sorriso ancora più bello. Ma poteva bastare? Fece finta di controllare l’ora e di muovere qualche passo nervosamente solo per potersi avvicinare e sentire la loro conversazione.
<< …una mano con l’inglese >> stava dicendo Alice.
<< Ma la scuola è appena iniziata, come puoi dire di essere già indietro? >> esclamò Clarke portandosi una mano davanti alla bocca.
<< Prevenire è meglio che curare >> le rispose l’altra.
Il viso di Sofia prese fuoco nel sentire quelle parole. Ci stava spudoratamente provando con lei e con una tattica di infimo livello per giunta!
<< Okay, Asia >> disse Clarke << Ti prometto che al primo segno di cedimento con l’inglese, ti aiuterò! >>.
<< Grazie, Clarke. Ma è Alice >>.
<< Oddio, scusa! Scusa, scusa, scusa! >>.
Sofia non riuscì a reprimere una risata che, però, mascherò con una finta tosse e diede velocemente le spalle a entrambe. Clarke era davvero troppo intelligente per una come Alice. La ragazza si allontanò con un’espressione poco appagata sul viso e prese posto tra le sue amiche. L’altra, invece, si sedette sul davanzale. Sofia avrebbe voluto scambiare due chiacchiere con lei e l’avrebbe chiamata se una mano non le avesse afferrato il polso costringendola a voltarsi dall’altra parte.
<< Ehi >> disse Claudio avvicinandola leggermente a sé << Ho saputo che ti sei candidata >>.
<< Già >> mormorò Sofia tirando affinché il ragazzo la lasciasse e facendo alcuni passi indietro.
<< Sarai tesissima >> continuò l’altro abbozzando un sorriso << Volevo solo farti l’imbocca al lupo >>.
Sofia lo fissò negli occhi valutando quanto veramente fosse sincero. Forse stava solo cercando di essere gentile.
<< Grazie >> rispose distogliendo lo sguardo e cercando la figura della ragazza.
Ma Clarke doveva essersi allontanata perché la finestra era vuota. Un’ombra di delusione passò sul suo viso, così veloce da non essere percepita da Claudio. Si voltò trovando Elena a pochi passi da lei e le venne da sorridere. L’amica doveva aver notato che il ragazzo le si era avvicinato e, a debita distanza, stava controllando la situazione.
<< Vado a sedermi >> salutò Claudio girandosi e vedendo l’altra ragazza << Oh, ciao Elena >> aggiunse.
<< Ciao Claudio >> disse con tono piatto Elena lasciando che la superasse << Tutto okay? >> chiese poi rivolta a Sofia.
La ragazza annuì e avrebbe aggiunto qualcosa se non fosse stata richiamata da un suo avversario.
Era il momento di iniziare. Era stata così presa da Clarke e la sua conversazione con Alice da dimenticare i fogli lasciati sulla cattedra. Si avvicinò per prenderli in mano e in quel momento, nello scostare i programmi degli altri ragazzi, vide dei piccoli insetti correre per tutta la lunghezza del tavolo e gettarsi con noncuranza per terra.
<< Sca… scarafaggi!  >> urlò indicandoli e indietreggiando inorridita.
I fogli le sfuggirono di mano e nell’aula si espanse il panico. I ragazzi urlavano inorriditi e stupiti che in una struttura come la scuola ci fosse un insetto sporco come la blatta. Tutti si precipitarono verso l’uscita lanciando grida allarmanti che fecero accorrere insegnanti e bidelli. Sofia non poté credere che quello stava accadendo davvero il giorno della sua candidatura, non dopo tutto il tempo che aveva speso per apparire perfetta. Involontariamente cercò Clarke credendo di trovarla in mezzo ai ragazzi che scappavano e, invece, la vide subito. Si trovava tra due finestre piegata sulle gambe mentre la bocca era coperta da entrambe le mani. La sua espressione era sconvolta, ma non inorridita. Si fermò per osservarla e vide i gemelli Mancini correrle incontro tra risa e schiamazzi. Non colse cosa si dissero talmente erano alti il fracasso e le voci dei professori che tentavano di placare la situazione. Ciò che vide le fece capire che tutti e tre c’entravano qualcosa con quella situazione. Si diedero il cinque e Clarke fu sollevata di peso da uno dei due mentre l’altro faceva dei gesti con la mano e rideva.
 
La scuola rimase chiusa per i tre giorni seguenti per la deblattizzazione a opera dell’ASL. Infatti, anche se il preside e i professori avevano dato la colpa ai gemelli Mancini, nessuna prova poteva effettivamente dimostrare che la scuola fosse pulita sotto quel punto di vista. E a tutti tre giorni di pace lontani dalle lezioni non dispiacquero affatto. Clarke ne aveva approfittato per istaurarsi a casa Atomi e non uscire praticamente mai dal letto dell’amica. Il fatto che Sofia non accettasse la sua richiesta di amicizia su Facebook la indispettiva e deludeva così che solo Diana riusciva a tirarle su il morale. Lei e gli altri amici. Ma Marco in quei giorni era stato impegnato a fare da autista alla seconda moglie del padre alla quale si era rotta l’auto e ai fratelli nati da quel matrimonio senza dimenticare Nadia. Le cose tra loro andavano sempre meglio e Clarke ne era veramente felice. L’amico aveva avuto una storia seria durata più di un anno ed era finita così male che per diversi mesi non aveva voluto saperne niente. Ora, invece, si era sentito pronto a iniziare una nuova avventura con un’altra ragazza. Quelle riflessioni la portarono inevitabilmente a pensare a Luna, il suo primo amore, la sua prima storia. Anche quella non era per niente finita bene e ricordarla le faceva ancora male. Eppure vedere Sofia ridere l’aveva distolta dall’altra ragazza e aveva capito che poteva succedere qualcosa di bello dopo oltre un anno dalla fine della sua storia. Poteva innamorarsi di nuovo.
<< A che pensi? >> le chiese Diana guardandola.
Era seduta sulla sua sedia girevole e aveva appena finito di scaricare l’orario delle lezioni del primo semestre. Il rumore della stampante azionata fece tornare Clarke nel presente. Scosse il capo.
<< A niente di importante >> rispose poggiando la testa sul palmo della mano per guardare l’amica negli occhi.
Era stesa nel suo letto e indossava una maglietta nera, vecchia e consunta. Le gambe nude erano coperte solo dal lenzuolo. Nonostante fosse tarda mattinata, non si preoccupò di Luthor sicura che Matteo se ne stesse occupando come se fosse il suo cane. Vide Diana alzarsi e sistemarsi accanto a lei con gli occhi rivolti verso il soffitto. Con il braccio libero, Clarke le cinse la vita avvicinandosi di più a lei.
<< E’ così devastante questo primo semestre? >> le chiese avvicinando la sua bocca all’orecchio dell’amica.
Diana fremette prima di scuotere il capo.
<< Le mie lezioni iniziano tutti i giorni alle nove tranne il giovedì che ho solo il pomeriggio. Non male per essere il primo anno >>.
Clarke le sorrise.
<< Piuttosto >> proseguì l’amica voltando il capo per poterla guardare negli occhi << Non ti dimenticare che sabato prossimo abbiamo il compleanno di Luca >>.
L’altra roteò gli occhi e si alzò in piedi.
<< Clarke, gli hai detto che ci saremmo andate! >>.
<< Lo so ma… >> si grattò la testa << …Luca certe volte è insopportabile! >>.
<< E’ stato carino a invitare anche me, nonostante ci conosciamo appena >> ribatté Diana mettendosi seduta.
<< E meno male, altrimenti col cazzo che ci andavo! >>.
Risero entrambe.
<< Hai deciso cosa metterai? >>.
Clarke si strinse nelle spalle e si voltò per accendersi una sigaretta. Si avvicinò alla finestra e la aprì mentre incrociava le braccia sul davanzale. Fece una lunga boccata e guardò il panorama.
<< Io ho comprato un vestito nuovo sabato scorso con Giulia >>.
La ragazza si voltò e vide Diana che aveva aperto l’armadio per mostrarglielo. Le sorrideva maliziosamente e quel gesto portò Clarke a ingoiare un groppo di saliva.
<< Ti metti… questo? >> mormorò con voce roca.
<< Già >> Diana non la smetteva di sorridere << Ma ti permetterò di togliermelo solo se indosserai quella cosa che a me fa tanto eccitare >>.
Clarke le si avvicinò e le morse il labbro inferiore.
<< Si consideri già nuda, signorina Atomi >>.
 
La sera prima dell’inizio dell’università i quattro amici portano birra e pizza a casa di Clarke. La ragazza era felice di avere degli amici sempre pronti a non lasciarla sola e non le interessava che la casa s’incasinasse. Ogni mattina, mentre lei era a scuola, passava la signora delle pulizie che metteva in ordine e lucidava la villa.
<< Quindi siete eccitati? >> chiese la ragazza finendo il trancio di pizza che aveva in mano.
<< Ma vi rendete conto che ho un corso che inizia alle otto di mattina? Ma perché tutta questa cattiveria anche all’università? >> fece Giulia mettendosi la chitarra a tracolla.
Gli amici scoppiarono a ridere.
<< Dovresti passare a elettronica >> scherzò Marco facendole l’occhiolino.
Tra i tre era quello che aveva ricevuto gli orari più comodi.
<< Mai! >> rise Giulia iniziando a intonare Certe Notti di Ligabue con la chitarra.
Nonostante fossero stonati, senza tempo e privi di qualunque pudore, i quattro amici iniziarono a cantare. A nessuno importava di sembrare bravo, davanti agli altri si permettevano di essere semplicemente quello che erano. E non erano bravi a cantare. Chi se la cavava meglio erano Clarke e Giulia, ma non ne avevano mai fatto un problema con Marco e Diana.
<< Dai, Clarke >> disse il ragazzo quando terminarono <>.
L’amica scosse il capo senza smettere di sorridere.
<< Un’altra volta >> rispose evitando il suo sguardo.
<< Dai, lo dici ogni volta! >> s’intromise Giulia << Facci vedere quelle tue manine come si muovono tra i tasti bianchi e neri! >>.
Diana fissò intensamente Clarke e sentì distintamente serpeggiare in lei un senso di fastidio.
<< Lasciatela stare >> disse andando a sedersi accanto << Sai quando tuo padre verrà a esibirsi a Napoli? Mi piacerebbe risentirlo >> aggiunse cambiando argomento.
Clarke sorrise grata all’amica. Suo padre le aveva insegnato a suonare il pianoforte facendole scoprire la musica e i sentimenti che poteva trasmettere una melodia se eseguita adeguatamente, ma da un anno era sempre più restia a suonare il pianoforte. Sua madre era stata una delle sue più grandi sostenitrici e non poter più sentire la sua voce era bastato a far diventare i momenti nello studio molto sporadici.
<< Non saprei >> rispose mentre Giulia le lanciava l’accendino << Aspettiamo che finisca il tour in America >>.
<< Ti manca? >> domandò il ragazzo.
Clarke si alzò in piedi e fece una boccata dalla sua sigaretta.
<< Moltissimo >> affermò infine abbozzando un sorriso << Ma era giusto che riprendesse a fare tour. La sua musica è troppo meravigliosa per essere racchiusa solo in quattro mura. Non sono così egoista >>.
Marco le sorrise e subito dopo la sua attenzione fu attratta dal cellulare che vibrava in tasca. Era un messaggio e, dall’espressione che assunse, tutti capirono che doveva essere Nadia.
<< La prossima volta fa venire anche lei >> disse Clarke facendogli l’occhiolino.
<< Sì! >> esclamò Giulia saltandogli addosso << Voglio conoscerla anche io! >>.
Marco la sollevò di peso.
<< Ti farò conoscere Nadia quando sarò sicuro che non cercherai di mettermi in imbarazzo! >>.
<< Quindi mai? >> s’intromise Diana scoppiando a ridere.
Il ragazzo corse con Giulia in braccio verso la portafinestra che dava sul giardino. E ovviamente sulla piscina.
<< Esatto >>.
<< Marco non fare lo stronzo! >> urlò Giulia provando a scendere << Non ho il costume stasera! >>.
Ma l’amico non la ascoltò e, dopo aver preso una piccola rincorsa, gettò la ragazza e se stesso nell’acqua fredda della piscina completamente vestiti. Diana e Clarke risero di gusto nel vedere quella scena; poi la padrona di casa si alzò e cercò degli asciugamani che potessero usare. Capì che erano riemersi dalle minacce di morte di Giulia indirizzate all’altro e rise ancora sottovoce. Era bellissimo il rapporto che avevano.
<< Grazie >> fece Marco quando uscì dalla piscina tamponandosi i capelli con un asciugamano degli ospiti.
Clarke ne passò uno anche a Giulia che, priva di qualunque pudore, si tolse gli abiti fradici e se lo avvolse addosso.
<< Puoi mettere qualcosa di mio, tanto abbiamo più o meno la stessa taglia >>.
La ragazza annuì mentre si passava una mano tra i corti capelli.
<< Ah, Clarke >> disse l’amico come se in quel momento si fosse ricordato una cosa molto importante << Sofia ha più accettato la tua richiesta? >>.
Gli occhi dei presenti si puntarono su di lei e la ragazza si sentì leggermente a disagio.
<< Le hai chiesto l’amicizia su Face e non ce lo hai detto? >> esclamò Giulia saltandole al collo.
Iniziò a farle il solletico incurante del fatto che il suo corpo giocasse a nascondino con l’asciugamano.
<< Infatti >> esordì Diana affiancando Marco che si era tolto la maglietta e la stava strizzando.
<< Sì, qualche giorno fa >> rispose Clarke tra le risa << Mi era passato di mente, giuro! Giulia smettila per favore, dai! >>.
Ma l’amica non voleva saperne di interrompersi.
<< Non… non ha ancora accettato! Ora basta, Giulia! >> continuò l’altra contorcendosi.
<< Ah, no? >> chiese Diana sollevando un sopracciglio.
<< No… >>.
Clarke abbassò lo sguardo improvvisamente a disagio e a quel gesto Marco si sentì in dovere di posare entrambe le mani sulle sue spalle per infonderle coraggio.
<< Ci sarà una spiegazione >> mormorò fiducioso << Perché non glielo chiedi a scuola quando la vedi? >>.
<< Ma sei impazzito Marco? >> esclamò Diana incapace di trattenersi << Dovrebbe elemosinare attenzioni da una che le sta facendo chiaramente capire che non la vuole tra i piedi? >>.
A quelle parole, Clarke avvertì una fitta spiacevole all’altezza dello stomaco.
<< Come sei drastica >> affermò Giulia guardandola.
<< Sono d’accordo con Giulia >> disse Marco seriamente << Potrebbero esserci milioni di motivi per i quali non ha ancora accettato, sputare veleno in questo modo non l’aiuta di certo >>.
Diana osservò i due amici in silenzio e alla fine si voltò per rientrare in casa.
 
<< Adele! >>.
La donna sorrise mentre raggiungeva il banco che era destinato al loro incontro. Nell’arco di due mesi Clarke era cambiata moltissimo facendo molto passi nella sua direzione. Con gli altri si comportava sempre allo stesso modo, scontrosa e silenziosa, ma con lei era davvero migliorata. Ogni volta che le rivolgeva un sorriso, Adele sentiva il cuore saltarle in gola per la felicità. Era da quando le aveva promesso che l’avrebbe portata a casa con sé che la bambina le aveva mostrato un lato di se stessa che aveva gelosamente nascosto a tutti. Anche a Philip. Questa era l’unica cosa che Clarke ancora non riusciva a fare, non riusciva ad aprirsi con suo marito. E se lei, quindi, era felice per il percorso che stava vivendo con la bambina, la stessa cosa non poteva dire Philip che veniva continuamente respinto nei suoi tentativi per iniziare a conoscerla.
<< Ciao Clarke >> disse allungando una mano per accarezzarle il viso.
Ormai la bambina le permetteva di toccarla e le parlava tranquillamente. Il cambiamento aveva sorpreso perfino l’assistente sociale, anche se Clarke assumeva con lei lo stesso sguardo di sfida di sempre. Eppure era impossibile non notare la differenza. C’era una luce che la illuminava ogni volta che Adele varcava la porta della stanza.
<< Oggi faremo una cosa speciale >> iniziò la donna guardandola negli occhi << Una cosa diversa dalle altre >>.
Le prese le mani e sentì che Clarke stava tremando. I suoi occhi azzurri guizzavano da una parte all’altra sulle persone presenti come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa di terribile. Provò a ritrarre le mani dalla stretta di Adele, ma la donna non glielo permise. Quel giorno era sola, Philip non era andato con lei.
<< Ehi, guardami >> le disse con calma aspettando che ubbidisse << Guardami, Clarke. Va tutto bene, okay? Non avere paura, non succederà niente di brutto. Fidati di me >>.
La bambina fece un respiro profondo senza riuscire a staccarsi da quello sguardo che la faceva sentire protetta dal mondo. Alla fine annuì e le labbra di Adele si piegarono in un nuovo sorriso. La sciolse dalla sua presa e le tese una mano.
<< Allora andiamo >> continuò aspettando che Clarke gliela prendesse.
 
Philip non era mai stata una persona estroversa e solare, capace di stringere rapporti immediatamente, ma aveva un dono. Sapeva trasmettere le proprie emozioni grazie alla musica, sapeva impressionare positivamente chi lo ascoltata fino a commuoverlo. Perché la musica per lui era dolore, sacrificio, amore, passione. Solo quando le sue mani si muovevano in armonia sui tasti di un pianoforte, era possibile avvertire cosa gli agitasse il cuore. Era stato così che aveva convinto Adele a uscire con lui, la musica gli aveva permesso di arrivare all’animo della donna che gli piaceva e di far conoscere il vero Philip. E sua moglie era rimasta esterrefatta dal suo talento, dal suo modo di approcciarsi, dai sentimenti che suscitava mentre suonava e la guardava. Per questo era lì insieme alla bambina. Voleva che Clarke lo sentisse suonare, che gli aprisse il suo cuore esattamente come aveva già fatto con lei, che Philip le parlasse attraverso una melodia che era sicura l’avrebbe toccata. Erano al teatro dove l’uomo solitamente si esibiva e provava prima di un concerto. Entrare non era stato difficile, essere la moglie di un talento come Philip Melbourne apriva molte porte. Sentì Clarke stringerle la mano in uno stato di ansia e paura dovuto al cambiamento di situazione cui era abituata. Da quando era stata trasferita nella struttura che la ospitava, la bambina non era mai uscita e Clarke aveva paura dei cambiamenti. Ma c’era Adele e la fiducia che riponeva in lei stemperava il terrore verso il mondo. Per tutta la durata del viaggio in auto si era guardata intorno senza parlare e senza smettere di osservare ogni singolo dettaglio di ciò che la circondava. Il tragitto in auto non era durato molto e adesso attraversavano un corridoio immerso in una semioscurità che la spaventava leggermente. Alla fine si fermò e Adele si voltò immediatamente a guardarla. Nonostante la scarsa illuminazione, poté vedere la mascella serrata, le pupille dilatate, il respiro corto a causa del senso di straniamento che sentiva addosso. Si chinò sulle ginocchia e iniziò ad accarezzarle una ciocca di capelli, sorridendole e senza dire niente. Aveva imparato che quel gesto la rilassava.
<< Clarke >> disse Adele incatenando il suo sguardo a quello della bambina << Non avere paura, ci sono io con te. Andrà tutto bene, non c’è niente di strano in questa situazione. Vorrei solo farti una sorpresa, me lo permetti? >>.
Clarke aveva annuito con titubanza e, per incentivarla, Adele le aveva sorriso.
Stava per dire qualcosa, ma dalla fine del corridoio si sentì provenire una melodia bellissima. La bambina guardò la donna che si limitò a tenerle la mano e a camminare. Più si avvicinavano e più la musica cresceva, finché Clarke non lo vide. Philip era solo al centro del palco e suonava un pianoforte a coda. Tranne lui, tutto era immerso nella penombra. E lei si fermò sentendo la presenza rassicurante di Adele alle spalle, per ascoltarlo. La musica le arrivò dritta al cuore facendola rimanere senza fiato per quanto era meravigliosa. Adele le poggiò una mano sulla spalla e gliela strinse leggermente. Allora Clarke comprese di non essere l’unica a sentire quelle emozioni che la stavano scuotendo, che anche la donna non era indifferente a quel fascino. Continuò ad ascoltare immobile, respirando appena per non fare rumore come se potesse altrimenti infastidire il ritmo della melodia che Philip stava suonando. Era un qualcosa che la lasciava senza fiato per l’emozione. Poi lentamente, la musica si spense e le luci vennero accese in sala. Clarke dovette portarsi una mano sugli occhi per il brusco cambiamento.
<< Molto bene, Philip. Per oggi abbiamo finito >> disse un uomo seduto in prima fila.
Il signor Melbourne lo ringraziò e si voltò verso la moglie e la bambina rimanendo sorpreso nel vederle entrambe lì. Sapeva che Adele nel pomeriggio sarebbe andata da Clarke, ma non credeva che l’avrebbe condotta da lui mentre eseguiva una prova del concerto. Sorrise nell’incontrare lo sguardo della moglie.
<< Ehi >> disse rimanendo seduto << Ciao Clarke, ti è piaciuto? >>.
Adele vide Clarke annuire, ancora rapita da ciò che la musica aveva suscitato in lei.
Philip scostò leggermente lo sgabello per potersi alzare in piedi. Inutile dire che avrebbe voluto la stessa complicità che aveva Adele con la bambina ed era dispiaciuto che Clarke non si fidasse di lui. Eppure, specchiandosi adesso in quei grandi occhi blu, non lo avrebbe mai detto. Così, capendo le intenzioni della moglie, fece ciò che meglio sapeva fare. Si mise dietro lo sgabello e allungò una mano verso la bambina.
<< Ti piacerebbe provare? >> le chiese sorridendo.
Clarke guardò Adele che annuì con un enorme sorriso e le lasciò la mano per avvicinarsi. Il cuore di Philip era in subbuglio per quel piccolo passo avanti che la bambina aveva appena fatto. Aspettò di vederla posizionarsi prima di chinarsi verso di lei.
<< Sai come si fa? >>.
La piccola scosse il capo, adesso intimorita da lui e dalla lontananza che aveva frapposto volontariamente con la donna. La guardò e, sebbene lei sorridesse, sentì l’impulso di correrle incontro.
<< Posso farti vedere? >>.
Clarke si voltò per guardare Philip negli occhi. Era sospettosa, ma quell’uomo aveva creato qualcosa di meraviglioso e lei voleva sapere come si faceva. Annuì e l’uomo si posizionò dietro di lei. Le prese le mani lentamente e posò le piccole dita sui tasti per comporre un leggero motivetto molto elementare. Trattenne il fiato sperando che Clarke non lo allontanasse. La gioia che si dipinse sul volto della bambina gli fece comprendere, invece, d’aver appena segnato un goal a suo favore. Clarke gli sorrise con quegli occhi che avrebbero potuto illuminare il mondo per quanto erano ridenti. Ripeterono l’operazione una seconda volta.
<< Adele! >> esclamò la bambina << Guarda, sto suonando! >>.
E Adele sorrise nell’incontrare lo sguardo del marito mentre inclinava leggermente la testa.
<< Lo vedo, Clarke >> rispose << Sei bravissima >>.
Clarke si voltò verso Philip che credette di avere un infarto per la felicità che stava provando.
<< Ancora, Philip! Facciamolo ancora! >>.
<< Certo >>.
Ripeterono l’allegro motivetto una terza volta. Clarke scoppiò a ridere nel sentire quelle note provenire dai movimenti delle sue mani seppur sotto le istruzioni dell’uomo. Lo fissò con occhi raggianti e rise ancora. Adele non aveva mai assistito a uno spettacolo più bello. La bambina era felice e senza rendersene conto, tutte le sue remore nei confronti dell’uomo erano scomparse. Si guardavano e nei loro occhi poté vedere la stessa complicità. Ancor prima di rendersene conto, immortalò il momento con una foto. Clarke si era completamente lasciata andare. Philip le accarezzava i capelli, le parlava, rideva con lei senza che la bambina dicesse o facesse qualcosa per fargli capire di essere infastidita. Anzi, non vedeva l’ora di ripetere l’operazione. La musica non aveva solo unito lei e suo marito, ma era servita a far incontrare sulla stessa strada Clarke e Philip. E per questo non c’erano abbastanza parole di ringraziamento.
 
 
 
 
L’Angolo di Bik
Buonasera lettori e lettrici,
spero che stiate bene e che questo capitolo vi piaccia. Sì, lo ammetto, andiamo un po’ a rilento, ma voglio darvi il senso del costruire un rapporto mattone dopo mattone. Perché quando due persone si conoscono, non si mettono insieme il giorno dopo anche se si piacciono. Fatemi sapere se la pensate come me, sono una persona con la quale si può dibattere. Al contrario dei miei gatti! Soprattutto, mi piacerebbe sapere se la storia continua a piacervi. Il nostro prossimo appuntamento è tra due settimane, dovrei riuscire a essere nuovamente puntuale nonostante le tavole del disegnatore da visionare.
Alla prossima,
F.

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Capitolo 7
*** 7 ***


 
La settimana filò in un attimo, Clarke quasi non credeva che fosse già arrivato di nuovo sabato. I giorni a scuola erano volati grazie anche all’aiuto degli scherzi e delle battute di Lorenzo e Diego che non perdevano mai occasione di combinare qualche scherzo. E la ragazza doveva ammettere che avevano delle idee geniali, sarebbero diventati ricchissimi se fosse stato un lavoro. C’era stata anche la presentazione dei candidati a rappresentati d’istituto e con stupore aveva ascoltato attentamente la proposta di Sofia. Si doveva essere impegnata davvero molto. Ma, a parte quella volta cui non era riuscita a parlarle, la ragazza era stata invisibile. Mai incrociate per i corridoi, mai nei bagni. Niente di niente. E la sua richiesta di amicizia su Facebook era ancora in sospeso. Lentamente nella sua testa aveva iniziato a serpeggiare l’idea che Diana avesse ragione.
<< Clarke, allora ci vediamo stasera! >> le urlò Alice mentre correva via facendola trasalire.
<< Sì, Clarke. La discoteca dove Luca festeggia ha anche una piscina! >> fece eco Lorenzo aspettando il fratello che si era trattenuto a parlare con una ragazza.
L’amica lo guardò senza comprendere.
<< Non dirmi che non vieni al compleanno di Luca! >>.
Clarke si portò una mano davanti alla bocca e sgranò gli occhi per la sorpresa.
Cazzo, era già quel sabato!
<< Certo, me n’ero completamente dimenticata! >>.
<< Ah, meno male! Portati il costume! >>.
Lorenzo non le diede il tempo di rispondere poiché fu travolto da Diego e si allontanarono diretti al motorino.
Costume? Si ripeté sbalordita la ragazza scuotendo il capo.
 
Sofia si guardò intorno e si passò una mano sulla fronte.
<< Perché mi lascio sempre trascinare da te? >> si lamentò mentre la musica della discoteca sovrastava il suono della sua voce.
Elena scoppiò a ridere e la abbracciò.
<< Perché mi ami troppo! >> le rispose tra le risa << E poi non potevi mancare, Luca è un nostro compagno di classe! >>.
<< Non potevo proprio, già… >> mormorò Sofia.
Odiava le feste in discoteca, odiava la musica assordante, odiava lo strusciarsi continuo dei corpi sudati in pista, odiava dover urlare per farsi sentire. Odiava tutto, praticamente. Ma l’amica aveva ragione e non poteva non esserci. Soprattutto se pensava alle elezioni da rappresentante, doveva sforzarsi di essere più aperta e socievole.
<< Dai, sorridi! >> le disse nell’orecchio Elena mentre si avvicinavano al bancone per prendere da bere.
Avevano salutato il festeggiato, già parecchio su di giri per essere appena le nove di sera, e adesso entrambe avevano sete.
<> chiese il barman facendo l’occhiolino a Elena che arrossì per quella attenzione.
<< Che sai preparare bene? >> rispose la ragazza decidendo di stare al gioco e sporgendosi sul bancone.
Sofia roteò gli occhi di fronte a quel flirt.
<< Potrei sorprenderti >>.
<< Oddio >> mormorò la ragazza incapace di trattenersi << Per me una coca-cola, grazie >>.
Il barman la accontentò non dopo aver alzato il sopracciglio in segno di disapprovazione.
<< Per me, fai tu. Stupiscimi >> disse Elena sorridendo.
Il ragazzo annuì iniziando a prendere i vari alcolici che gli servivano. Sofia fece un sorso di coca dalla cannuccia e si voltò. Quello spettacolo rischiava di farla vomitare e non aveva nemmeno cenato. Vagò con lo sguardo senza soffermarsi particolarmente su niente finché sulle scale una chioma bionda non attirò la sua attenzione.
<< Merda, ma quella è Clarke?! >> esclamò Alice che si era avvicinata per chiedere una birra << Porca troia… >>.
Mai come quella volta, Sofia non poté non darle ragione, anche se non lo disse ad alta voce. Sentì la gola secca improvvisamente mentre i suoi occhi non smettevano di osservare la sua figura. Clarke doveva essere arrivata da pochissimo perché si era diretta subito da Luca per salutarlo seguita da quella ragazza che spesso aveva visto insieme a lei nelle foto.
Erano entrambe bellissime, ma Clarke…
Il cuore le saltò in gola senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. La ragazza indossava un semplice jeans blu scuro che le fasciava perfettamente le forme, un paio di Vans scure, una maglietta rossa a mezzemaniche con la stampa dello scudo di Capitan America, un giubbotto di pelle. Sul capo portava un cappello nero con un filo di raso che risaltava sotto le luci della discoteca. Ma fu quando si tolse il giubbotto che Sofia credette di andare a fuoco. Clarke indossava un paio di bretelle nere.
<< Cazzo… >> disse sottovoce incapace di trattenersi.
Non riusciva a smettere di guardarla. I capelli erano sciolti e le ricadevano sul viso, gli occhi sembravano due fari per quanto erano luminosi. Sofia si ritrovò a ingoiare a vuoto e dovette posare il bicchiere di vetro sul bancone per evitare che le cadesse di mano. Vide Luca abbracciarla con trasporto e fare lo stesso con l’altra ragazza prima di tornare a parlare con Clarke. Un’altra ragazza ancora, che Clarke pareva conoscere, le si fiondò letteralmente tra le braccia dopo una breve corsa. Nell’osservare l’altra stringerla contro il suo corpo e abbracciarla con trasporto, ebbe un moto di stizza.
<< Ha appena eclissato tutti qui dentro >> fece Elena avvicinandosi a lei mentre mordicchiava la cannuccia.
Era vero. Era come se Clarke avesse calamitato l’attenzione di tutti su di sé. Eppure non aveva fatto niente. Rise mentre Luca la abbracciava ancora e provò una sorta di fastidio. Sembrava che tutti la conoscessero tranne lei.
<< Che fai ancora qui? Vai a salutarla >>.
<< Scordatelo, mi ha fatto fare la figura della cretina la settimana scorsa >>.
Elena alzò gli occhi al cielo.
<< Non è stata lei a mettere quegli scarafaggi >> affermò facendo un sorso del suo drink << E’ stato uno scherzo dei Mancini, lo sai anche tu. E per la cronaca, è stato geniale >>.
<< E lei sicuramente ne era a conoscenza. Ho visto come si sono scambiati il cinque >>.
L’amica le diede una gomitata senza farle male.
<< Non essere sempre così pesante! >> esclamò.
Sofia non le diede retta e rimase della sua opinione.
<< Credo che se non ti dai una mossa, c’è chi la farà per te >>.
Elena indicò con un cenno del capo Alice che era partita all’attacco e si stava avvicinando alla ragazza.
E di nuovo la stizza assalì Sofia. Possibile che Alice riuscisse sempre a trovarsi dov’era Clarke?
<< Vado a sedermi >> affermò stringendo con un po’ troppa foga il bicchiere di coca-cola.
 
<< Te l’ho mai detto che adoro le tue bretelle? >> le sussurrò Diana in un orecchio mentre camminavano verso la pista.
Clarke le sorrise pensando che quella sera aveva davvero superato se stessa. L’amica era bellissima. Si era alzata i capelli che solitamente portava sciolti e il vestito le metteva in risalto le forme in modo perfetto. Una generosa scollatura le faceva apparire il seno più grande di quanto in realtà non fosse.
<< Qualche volta >> le rispose sfiorandole con la punta del naso la tempia.
La guardò negli occhi e la sensazione di perdersi in quella oscurità la sfiorò. La prese per mano conducendola in pista. Aveva voglia di scatenarsi per poi concludere la serata in uno dei bagni. Desiderava sentirla ansimare contro la sua spalla mentre le strappava letteralmente gli slip di dosso. Ambiva quel progetto da quando era andata a prenderla a casa e l’aveva vista scendere. Il tacco vertiginoso del sandalo, andava ad aggravare la sua eccitazione. E Diana ne era consapevole, lo si capiva dalle occhiate che le lanciava che non vedeva l’ora di sentir scorrere lungo le gambe la stoffa del suo intimo. La abbracciò mentre ballavano e Clarke la condusse al centro della pista. Si portò una mano sul cappello, per evitare che le cadesse, e iniziò ad ancheggiare a ritmo di musica mentre scendeva lentamente lungo il suo corpo. Mai staccò il suo sguardo da quello di Diana. Continuarono a ballare insieme a Luca, alla sorella Arianna che era corsa come una forsennata ad abbracciarla, e insieme ad altri che non conoscevano. Ridevano e si stavano divertendo. Più volte Clarke aveva afferrato Arianna o Diana per farle volteggiare su se stesse facendo scoppiare un boato di approvazione tra i presenti.
<< Vado a prendermi da bere >> urlò Clarke a Diana << Vuoi qualcosa? >>.
Era sudata e ansimante; da quando era arrivata, non si era fermata un attimo.
L’amica scosse il capo.
<< Non preoccuparti, tra poco mi fermo anch’io e ti raggiungo! >>.
Clarke si diresse verso il bancone e chiese una birra. La afferrò e fece un lungo sorso. Fu allora che la vide. Era seduta su uno dei divanetti da sola. I loro occhi s’incrociarono e la ragazza si ritrovò a sorridere ancor prima di rendersene conto. E le sue gambe si mossero verso di lei prima che il cervello mandasse il comando.
<< Ciao! >> salutò << Che ci fai qui? >>.
<< Potrei farti la stessa domanda >> rispose Sofia evitando di guardarla negli occhi.
Senza aspettare un invito, Clarke le si sedette accanto e accavallò una gamba.
<< Io e Luca ci conosciamo da una vita. Le nostre madri erano colleghe per cui spesso ci siamo ritrovati, unici bambini, a serate di beneficenza o convegni di lavoro noiosissimi. E siamo diventati amici >>.
Fece un altro sorso prima di guardarla.
<< Stessa classe >> rispose Sofia asciutta.
<< E’ tutto a posto? >>.
L’altra scattò in piedi a quella domanda.
<< Io con te nemmeno dovrei parlarci! >> sbottò.
Clarke la guardò con aria sorpresa.
<< Ti ho vista con i Mancini, mi hai fatta fare la figura dell’idiota! Tu e i tuoi amici cretini! >>.
Fece per andarsene, ma la ragazza le afferrò prontamente il braccio per bloccarla e scoppiò a ridere.
<< Aspetta, aspetta! >> le urlò tra le risa << Ti giuro che non ne sapevo niente! >>.
Sofia sollevò un sopracciglio e frenò la sua lingua dall’ammettere che il suono della sua risata era meraviglioso. Clarke rise ancora e allentò la presa permettendo al braccio dell’altra di scivolare via. Si guardarono di nuovo negli occhi.
<< Davvero! >> continuò la ragazza vedendo che Sofia non parlava << E poi >> aggiunse prendendo coraggio << Non hai ancora accettato la mia richiesta di amicizia! >>.
Sofia incrociò le braccia sotto il petto senza smettere di tenere inarcato il sopracciglio.
<< Io non accetto richieste da chi non conosco >> rispose semplicemente.
<< Allora conoscimi! >> esclamò Clarke << Domani pomeriggio alle sei! >>.
<< Cos… no! >>.
<< Perché no? >>.
<< Perché ho detto di no! >> urlò Sofia.
<< Stai dicendo che il mio ragionamento non fila? >> chiese Clarke abbozzando un sorriso.
<< Non… >>.
Sofia esitò e quell’attimo le fu fatale.
<< Perfetto! Domani alle sei. Ci prendiamo un caffè! >> le strizzò l’occhio in segno di intesa << Adesso vieni a ballare >>.
<< Io non ballo >> mormorò l’altra avvampando.
Si sentiva ridicola e impacciata su una pista, ma non lo avrebbe mai ammesso. Clarke le allungò una mano dopo essersi tolta il cappello.
<< Sicura? >> le chiese ammiccando.
<< Sicura >> ripeté Sofia << E domani non… >>.
L’altra, però, non le diede il tempo di finire la frase. Indietreggiò senza staccarle gli occhi di dosso e in pochi passi fu di nuovo in pista. Per Sofia fu impossibile non seguirla con lo sguardo. In poco tempo Diana la accostò ballando con lei. Le afferrò le bretelle con le mani e iniziò ad attorcigliarle lentamente intorno alle dita affinché Clarke le si avvicinasse sempre di più. Ma l’amica non stava guardando lei, osservava Sofia. I loro sguardi era incatenati l’uno all’altro, sarebbe stato impossibile staccarsi. E Sofia si ritrovò ancora a deglutire a vuoto, a sentire il cuore perdere un battito e le sue gote avvamparono. Era impossibile che quella ragazza riuscisse a scatenare così tante sensazioni tutte insieme. Afferrò il bicchiere di coca-cola lasciato sul tavolino sperando che il freddo vetro potesse donarle un minimo di sollievo. Clarke adesso stava ballando così vicina a Diana che sarebbe parso strano non ascoltare i respiri l’una dell’altra mentre ancheggiava in modo provocante. Prese il cappello e lo poggiò sulla testa dell’amica mentre scivolava giù lentamente senza smettere di accarezzare il suo corpo. Ma non smetteva di osservare Sofia. Si morse il labbro inferiore nel poggiare la mano destra sulla spalla dell’amica e seguirla nella risalita. Diana le rimise il cappello senza perdere il ritmo. Poi arrivò Alice e si mise a ballare davanti a Clarke. Sofia credette di aver lanciato lo sguardo più omicida che mai avesse fatto nel vederla aggrapparsi a lei alla ricerca di contatto. L’altra ragazza non solo la lasciò fare, ma rise addirittura! Quando improvvisamente le prese il cappello allontanandosi da lei solo per essere rincorsa e riacciuffata, Sofia non ci vide più. Si voltò con così tanta foga da sbattere contro l’amica che la stava affiancando rovesciandosi la coca che era nel bicchiere addosso.
<< Fanculo! >> esclamò posando con un tonfo il bicchiere ormai vuoto sul tavolino.
<< Ehi, ma che hai? >> le chiese Elena intercettando per un attimo il suo sguardo.
Non l’aveva mai vista così agitata.
<< Niente! >> esclamò con fin troppa enfasi Sofia << Niente! Ma sappi che questo è tutta colpa tua! >>.
Le puntò un dito contro prima di allontanarsi verso il bagno.
<< Ma che ho fatto adesso? >> le urlò Elena senza capire e senza nemmeno attendere una risposta.
 
<< Questa è tutta colpa di Elena! Lo sapevo, lo sapevo! >>.
Sofia non smetteva di mormorare accuse contro l’amica mentre provava a togliere, invano, la macchia di coca-cola dal vestito che indossava. Il risultato fu che la macchia rimase e la chiazza d’acqua si allargò a vista d’occhio.
<< Posso sapere cosa avrebbe fatto la tua amica di così catastrofico? >>.
Sofia alzò gli occhi di scatto e incrociò lo sguardo di Clarke attraverso lo specchio.
<< Che ci fai qui? >> chiese voltandosi.
Clarke allargò le braccia.
<< E’ un bagno >> rispose << E poi ho visto che hai combinato >>.
<< Io non ho combinato proprio niente >>.
<< Te la togli mai la scopa dal culo, Sofia? >>.
Era la prima volta che la chiamava col suo nome e il suono che ne era scaturito non le dispiacque affatto.
<< Bada a come parli, Kent! >> esclamò l’altra non potendo evitare, però, di arrossire.
Clarke la fissò con aria fintamente indispettita.
<< Kent? >> ripeté << Davvero? Non credi che sia vecchia come battuta? >>.
Sofia scosse il capo alzando gli occhi al cielo. Provò a superarla, ma per la seconda volta Clarke la bloccò afferrandole il braccio.
<< Aspetta, ti prendo la mia giacca >> disse nel suo orecchio.
Per la prima volta Sofia respirò il suo odore trovandolo buonissimo. Avvampò di nuovo, anche se avrebbe voluto evitarlo.
<< Non… non fa niente… >> le rispose.
Il respiro caldo di Clarke era sulla spalla, così vicino che se si fosse voltata avrebbe potuto incrociare le labbra con le sue. Quel pensiero la fulminò come una scarica elettrica.
<< Non essere stupida, non puoi andare in giro così >>.
<< Mio fratello… mio fratello sta venendo a prendermi >>.
Clarke sollevò il sopracciglio allentando la presa.
<< Di già? >>.
Le lasciò andare il braccio mentre l’altra annuiva. L’attimo dopo uscì dal bagno senza voltarsi indietro. Se lo avesse fatto, avrebbe letto negli occhi di Clarke una grande delusione.
Eppure non ci volle molto prima di rivederla. Era fuori il locale, con la borsa e il cellulare in mano mentre attendeva il fratello. Elena sarebbe tornata autonomamente più tardi e dopo la promessa di doverle raccontare tutto, si erano salutate. Un brivido le sfuggì dalle labbra per il freddo che sentiva. Poi una sensazione calda la avvolse. Clarke le mise sulle spalle il suo giubbotto di pelle.
<< Copriti >> le disse accendendosi una sigaretta.
Questa volta Sofia le sorrise afferrando i lembi con una mano e stringendoli. Le osservò la maglietta a mezzemaniche e pensò che solo poteva avere l’idea di presentarsi con lo scudo di Capitan America.
<< Grazie >> si limitò a dire, invece, in un sussurro.
Clarke le strizzò l’occhio mentre buttava fuori una boccata di fumo.
<< Me lo restituirai domani, adesso non hai più scuse >> rispose guardandola.
Avrebbe voluto farle un complimento sui suoi occhi, ma si trattenne. Sofia parve arrendersi. Esalò un respiro profondo e annuì.
<< Alle sei da Stairs Coffee >> affermò non riuscendo a non essere, nonostante tutto, felice di quell’impegno e per l’insistenza di Clarke.
<< Andata >> fece l’altra mentre un sorriso le piegava gli angoli della bocca.
<< Rientra adesso, altrimenti rischi tu di prendere freddo! >>.
<< Certo, vado >> mormorò Clarke indietreggiando verso l’entrata del locale << Allora domani, alle sei, Stairs Coffee >>.
<< Sì, entra adesso! >>.
Clarke si voltò saltando per la gioia e rientrò in discoteca. Sofia scosse il capo di fronte a quella reazione e si ritrovò a sorridere anche lei.
Un sorriso che, però, era destinato a durare poco.
<< Ehi, ciao Sofia! >> esclamò Claudio parcheggiando il suo motorino davanti a lei << Mi stavi aspettando? >> aggiunse credendo di essere simpatico.
Si tolse il casco e le sorrise.
<< Ciao Claudio >> salutò lei con tono piatto.
Parlare con Claudio era come rovinarsi il palato dopo aver mangiato un ottimo dessert.
<< Che fai qui fuori? >>.
<< Aspetto mio fratello >>.
<< Dai, già te ne vai? >> replicò il ragazzo aggiustandosi i capelli mentre la guardava << Io sono appena arrivato! >>.
Per fortuna, pensò Sofia alzando gli occhi al cielo.
<< E questo giubbotto? Non dirmi che è tuo! Non sei proprio tipa da indossare simili cose! >>.
A quelle parole, la ragazza si strinse ancor di più nel capo d’abbigliamento. Sentiva distintamente il profumo di Clarke.
<< Mi è stato prestato >> rispose sperando che Edoardo arrivasse presto.
<< Meno male, è davvero orrendo! >> affermò Claudio ridendo.
Vedendo che Sofia non lo seguiva, si bloccò.
E dire che mi piaceva l’anno scorso, pensò la ragazza mordendosi il labbro inferiore, Ma come diavolo ho fatto?
Credevo di piacergli davvero, fu la dolorosa risposta.
Ed era vero, per quei pochi mesi aveva creduto davvero alle parole di Claudio. Prima di scoprire che voleva solo prenderle la verginità.
Quelle riflessioni le diedero fastidio e involontariamente il suo pensiero volò a Clarke. Si domandò se anche lei fosse come Claudio e subito dopo scosse il capo.
No, Clarke era… diversa. Lo sentiva.
<< Sofy! Sali! >>.
Per fortuna suo fratello era arrivato. L’espressione dura le fece capire che la persona che le stava facendo compagnia non era gradita. Si affrettò a indossare il casco che Edoardo le porgeva.
<< Ci sentiamo allora, Sofy >> salutò Claudio facendo un passo indietro << Ciao Edoardo >>.
Era abbastanza intelligente da capire quando non era gradito.
<< Passa una buona serata >> rispose Sofia prima di salire sul motorino del fratello.
Edoardo partì sfrecciando per le strade.
<< Se quel giubbotto è suo, giuro che ti faccio scendere qui >> le disse sovrastando il rumore del vento.
Sofia rise scuotendo il capo.
<< No tranquillo >> rispose << Non accetterei mai niente da lui >>.
<< E fai bene >>.
Edoardo sapeva il vero motivo che aveva portato alla rottura della sua storia con Claudio e mai una volta si era dimostrato clemente nei confronti dell’ex. Sofia era la sua sorellina e nessuno doveva farle del male. Continuò a guidare superando le macchine che si frapponevano sul suo percorso.
<< Mi spiace averti rovinato la serata >> mormorò la sorella stringendosi più forte a Edoardo.
Il ragazzo sorrise e Sofia poté vederlo attraverso lo specchietto.
<< Ma sei proprio stupida, So! Non hai rovinato niente! >> le rispose << Ho lasciato Rachele con Eugenio e Miriam. Appena porto a casa te, torno da lei >>.
Le sorrise di nuovo.
<< Grazie >>.
<< Per averti salvato da Claudio? >> scherzò il fratello << Quello non dovrebbe nemmeno guardarti >>.
<< Non succederà mai niente tra noi >> lo rassicurò Sofia.
<< Vorrei ben vedere; il sesso è un piacere, non una costrizione >>.
A quelle parole, la ragazza arrossì e affondò il viso rosso per l’imbarazzo nella schiena di Edoardo che scoppiò a ridere.
<< Dai, ti imbarazzi ancora a parlarne con me?! >>.
Si fermò a un semaforo e Sofia notò che tra poco sarebbero arrivati. Suo fratello sapeva che lei era ancora vergine e l’aveva sempre incoraggiata a rispettare i suoi tempi senza correre.
<< Piuttosto >> continuò il ragazzo << Se non è dell’idiota, di chi è questo giubbotto? >>.
Sofia avvampò e si affrettò a scendere quando Edoardo frenò il motorino.
<< Ehi, vieni qui immediatamente! >> scherzò l’altro vedendo che la sorella avrebbe voluto allontanarsi << Allora, di chi è? >>.
<< Di una persona… >> disse la sorella in imbarazzo << …me lo ha prestato perché… >>.
Edoardo le sorride e le diede una pacca bonaria sulla spalla.
<< E lo dici così?! >> continuò << Non voglio sapere mica i dettagli! Almeno, non adesso! Solo, è una brava persona? >>.
Sofia contraccambiò il sorriso mentre gli dava un bacio sulla guancia.
<< Credo proprio di sì >>.
 
Clarke era tornata in discoteca senza giubbotto ma con un sorriso che avrebbe potuto illuminare l’intero locale. A Diana non sfuggì e la afferrò per il braccio per avere spiegazioni.
<< Non ci crederai mai, D! >> esclamò sinceramente felice.
Era da quando si stava frequentando con Luna che non aveva quell’espressione. Le raccontò quello che era successo e l’amica alzò un sopracciglio in segno di dissenso.
Ma questa Sofia chi cazzo si credeva di essere per trattare Clarke in quel modo? Se avesse voluto, la ragazza avrebbe avuto la fila per un appuntamento. Eppure lei non era mai riuscita a farle assumere quell’atteggiamento. Nemmeno nei loro momenti più intimi. Quei pensieri le provocarono una spiacevole fitta all’altezza dello stomaco e cercò di scacciarli. Baciò Clarke sperando di sentirla sua. Per una manciata di secondi le parve distante ma, appena i loro occhi s’incontrarono, l’amica tornò da lei.
Forse non si è mai allontanata, sperò accarezzandole una guancia.
Clarke le sorrise e le baciò la mano.
<< Tutti in piscina! >> urlò una voce tra i ragazzi.
Lei la riconobbe appartenere a Lorenzo e lo cercò tra la folla. Vide Diego che, insieme ad altri amici, avevano sollevato Luca e lo stavano portando in piscina. Il ragazzo era troppo brillo per opporsi. Clarke e Diana li seguirono. Il primo a gettarsi in acqua fu un certo Claudio, un vero idiota. Stava provando a spingere una ragazza, ma lei, molto più sveglia, era riuscita a capovolgere le situazioni e a farlo cadere. Il suo tuffo fu accolto da urla che lo schernivano. Subito dopo toccò al festeggiato e poi tutti si gettarono a ripetizione. Clarke guardò Diana che stava lentamente indietreggiando.
<< Clarke… no… >> provò a dire la ragazza.
L’altra, però, non la ascoltò. Corse da lei e, dopo averla sollevata, si buttò in acqua. Quando risalirono, si guardarono negli occhi. E Clarke si perse nella sua oscurità. Ancor prima di accorgersene la baciò. Diana le si aggrappò addosso mentre un unico desiderio sfiorava entrambi i loro cuori. Uscirono dalla piscina mentre si tenevano per mano. Sembrava così naturale. Eppure, nonostante tutte le intenzioni     e i programmi sul dopo serata, il pensiero di Sofia non abbandonò nemmeno una volta Clarke.
 
<< Lei cosa?! >> esclamò Elena dopo che Sofia le ebbe raccontato quello che era successo la sera precedente.
L’altra ragazza fu costretta ad allontanare il cellulare dall’orecchio per quanto avesse urlato l’amica.
<< Hai capito bene >>.
<< Oddio, ti rendi conto?! La tua mossa nel non accettare la sua amicizia è stata eccezionale! Non pensavo riuscissi a elaborare simili strategie! >>.
<< Io non ho elaborato proprio niente! >> rispose Sofia leggermente offesa << Ha fatto tutto lei se dobbiamo dire la verità! >>.
<< E immagino che ti dispiaccia >> commentò Elena alzando gli occhi al cielo anche se l’altra non poteva vederla.
<< Non… non ho detto questo… >> Sofia si morse il labbro come ogni volta che era in difficoltà << E’ complicato! >>.
<< Cosa esattamente? >>.
<< Tutto! >> sbottò l’amica senza riuscire a trattenersi << Tutto è complicato! Lei è… oh, insomma! L’hai vista anche tu ieri sera! E… >>.
<< So, So! Fa un respiro profondo>> rispose Elena <>.
 
Elena osservava l’amica fare su e giù davanti ai suoi occhi. Era stesa sul suo letto mentre Sofia prendeva qualcosa dall’armadio, glielo mostrava e poi tornava indietro.
<< No >> affermò alzando il sopracciglio Elena dopo l’ennesima camicia dell’altra << Devi essere più sciolta! Queste camicie sono troppo! Avrai qualcos’altro nell’armadio! >>.
Fece per alzarsi ma Sofia la bloccò con un gesto della mano. Se Elena non la conoscesse dalle elementari, avrebbe detto che l’amica stava avendo una crisi di panico. Da quando era arrivata le aveva parlato appena e il modo scattoso in cui si muoveva le stava mettendo una certa agitazione addosso.
<< Fermati un attimo >> continuò afferrandole entrambe le mani e facendola sedere sul letto << Mi spieghi che hai? >>.
Sofia si prese il volto tra le mani.
<< E’ successo qualcosa che ancora non mi hai raccontato? >>.
<< No! >> esclamò finalmente l’amica << Ti giuro che ti ho detto tutto! >>.
<< E quindi? >>.
Non aveva visto Sofia in quel modo nemmeno quando doveva uscire con Claudio.
<< Non lo so, Elena! Non lo so! >>.
<< Ti piace, eh? >>.
<< A chi non piace?>> sbottò Sofia arrossendo << E’ bellissima ed è un giudizio oggettivamente vero >>.
Elena alzò le mani scoppiando a ridere.
<< Le piaci anche tu, non capisco perché tutta questa ansia! Dovrebbe essere una cosa molto naturale >>.
L’amica inarcò il sopracciglio. Elena le aveva appena detto di piacere a Clarke? E cosa ne sapeva lei? Il suo cuore perse un colpo mentre rifletteva.
Vedendo che Sofia non rispondeva, Elena si passò una mano sul viso scuotendo il capo.
<< Aspetta, non dirmi che non lo hai capito >> mormorò sconfortata.
Le guance dell’altra presero letteralmente fuoco.
<< Ma cosa ne posso… >>.
<< Ti ha prestato la giacca! >> sbottò Elena alzandosi in piedi e allargando le braccia verso il cielo come se volesse essere aiutata da qualcuno più in alto di lei << Ti ha chiesto di ballare! E la richiesta di amicizia? Te la sei dimenticata?! Per non parlare poi di quello che ti ha detto! Io sarei caduta ai suoi piedi al “conoscimi”! Come fai ancora a pensare di non piacerle? >>.
Sofia respirò pronta a replicare, ma l’altra la intercettò prima.
<< E non dirmi che la giacca non c’entra niente! Credi che si metta a prestare i suoi indumenti a tutti? E dai, So! >>.
La ragazza non seppe cosa rispondere. Non aveva mai pensato a tutti quei dettagli e il ragionamento di Elena pareva filare. Eppure non poteva impedirsi di sentire un nodo stretto all’altezza dello stomaco. Clarke la sera precedente era stata gentile con lei, ma niente di più. Non voleva correre, forse per la più grande era normale comportarsi così. Doveva farle vedere di avere appieno il controllo della situazione e di non essere per niente in soggezione di fronte ai suoi occhi.
I suoi occhi azzurri.
Al solo ripensarci, Sofia tremò. Erano profondi, così tanto che più di una volta aveva creduto di annegarvi dentro e il colore era talmente intenso da portarla a credere che non esistesse una tonalità che potesse rappresentarlo. Erano semplicemente belli.
<< Aaaah… >> mormorò lasciandosi cadere sul letto e poggiando entrambe le mani sul viso.
Elena rise mentre gattonava sul materasso per arrivare al suo volto.
<< Non essere sciocca, andrà tutto bene >> le disse toccandole la punta del naso con l’indice << Basta che ti togli la mazza dal culo >>.
<< Io non ho una mazza nel culo! >>.
<< Ma se se n’è accorta anche lei! >> riprese Elena alzando leggermente il tono della voce.
Sofia gonfiò le guance, in un gesto sicuramente poco maturo, e non disse niente. Tornò a fissare il soffitto lasciandosi andare a un sospiro.
<< So, hai capito che ho detto? >>.
La ragazza agitò una mano per cercare di allontanare il viso dell’amica come se fosse una mosca fastidiosa.
<< Non hai un pranzo della domenica a cui partecipare? >> le domandò infine.
Elena alzò il sopracciglio e incrociò le braccia sotto il petto.
<< Ho ancora mezz’ora per romperti le palle, tranquilla >> rispose << E So >> aggiunse subito dopo << Andrà bene. Dille quello che senti >>.
 
<< Sei in ritardo >> affermò Sofia non appena Clarke le fu abbastanza vicina da poterla udire.
L’altra ragazza guardò il suo orologio da polso e rise.
<< Di tre minuti >> rispose fermandosi << Non credi di essere esagerata? >>.
Invece di rispondere, Sofia si voltò ed entrò guardando l’altra con la coda dell’occhio. La vide scuotere il capo prima di seguirla. Avrebbe dovuto salutarla come fanno tutte le persone normali, ma era talmente tesa che l’unica cosa che le stava riuscendo era risultare sgradevole. Teneva la sua giacca in mano con l’intento di restituirgliela, eppure non lo aveva ancora fatto. Sarebbe dovuto essere il suo primo pensiero, invece l’unica cosa che le aveva attraversato la mente appena l’aveva vista da lontano era quanto fosse bella. Non era sexy come la sera precedente, era solo genuinamente bella. Presero posto l’una di fronte all’altra e si guardarono negli occhi. Clarke aveva capito che Sofia fosse tesa, trasudava ansia da ogni poro, e questa cosa la faceva sorridere in continuazione. Ma quando incontrò il verde smeraldo dei suoi occhi desiderò immergersi in quel colore sempre. Il suo sorriso si allargò involontariamente mentre poggiava i gomiti sul tavolino.
<< Allora >> iniziò per stemperare l’imbarazzo che l’altra provava << Che vuoi sapere? Spara! >>.
Sofia arrossì anche se avrebbe voluto evitarlo. L’essere così diretta, la metteva a disagio.
<< Ti ho portato il giubbotto >> disse invece porgendoglielo << Grazie per ieri >>.
Clarke lo prese e per un attimo le loro dita si sfiorarono.
<< Figurati, non avrei mai lasciato una donzella in difficoltà >> le strizzò l’occhio.
<< Già, in effetti ho notato come sei stata gentile con Alice ballando con lei >>.
L’altra ragazza la guardò confusa.
<< Alice >> ripeté Sofia presa un po’ alla sprovvista dalla sua reazione << Quella della tua classe >>.
Clarke assottigliò gli occhi come se si stesse sforzando di ricordare.
<< La biondina, magra… no? >>.
<< Ah! >> esclamò infine la ragazza << Ma non si chiamava Agata? >> aggiunse grattandosi la nuca con fare pensoso.
Quella domanda fece scoppiare a ridere Sofia. Clarke la guardò e desiderò poter sentire solo quello in tutta la sua vita. Quando si rilassava, la ragazza più piccola aveva una risata cristallina. Era bellissimo ascoltarla. Anche lei rise, sentendosi per la prima volta dopo tanto tempo bene con qualcuno che non fossero i suoi amici.
<< Mi piace la polo che indossi >> disse poi << Anche se il vestito di ieri era molto meglio! >>.
Sofia si ritrovò a guardare la maglietta che aveva alla fine deciso di indossare sopra un comodo paio di jeans.
<< Grazie >> mormorò sentendo le orecchie andare a fuoco << Tu, invece, indossi mai qualcosa che non appartenga al mondo dei fumetti? >> chiese riferendosi alla t-shirt verde che Clarke aveva.
La stampa, infatti, raffigurava la faccia di Zio Paperone con alle spalle il solito penny fortuna. Oltre a quello, la ragazza aveva anche notato il tatuaggio di una data sul bicipite. Era in numeri romani e l’anno non s’intravedeva poiché coperto dalla mezzamanica. Non chiese nulla a riguardo, credendo che fosse ancora troppo personale.
<< E’ il mio marchio >> rispose Clarke << Adoro tutto ciò che possa essere letto >>.
Sofia stava per dire qualcosa, colpita da quell’affermazione, ma arrivò il cameriere per prendere le ordinazioni.
<< Un succo all’ananas >> ordinò senza nemmeno aprire il menù.
Si voltò verso Clarke aspettando che parlasse. La ragazza sembrava seriamente indecisa. Quando l’aveva sentita parlare, aveva sollevato gli occhi dal foglio e l’aveva guardata con aria sconvolta.
<< Per me una Leffe piccola e un pezzo di cheese-cake >> affermò alla fine.
Il cameriere si allontanò in fretta.
<< Un succo all’ananas? Davvero? >> continuò Clarke tenendo il sopracciglio sollevato.
<< Cosa ci sarebbe di strano nella mia scelta? Non mi ritroverò a vent’anni col fegato rovinato >>.
<< Una birra piccola non ha mai ucciso nessuno >> le mostrò un sorriso compiaciuto << E poi sono tre i più grandi piaceri della vita >> iniziò a contarli incatenando lo sguardo di Sofia al suo << L’alcol, che a quanto pare non bevi >>.
Sofia era incantata dai movimenti delle sue dita, tanto da non riuscire a controbattere. Il cameriere tornò con le vivande richieste e Clarke ne approfittò immediatamente. Prese la sua forchetta da dolce e sollevò la punta dello spicchio della cheese-cake. Fece per porgergliela, ma Sofia rifiutò con un gesto della mano.
<< Il cibo, che a quanto pare non mangi >> asserì mettendo in bocca la forchetta << E il sesso che… >> si fermò notando come un nuovo rossore generale invaderle le gote << Noooo, neanche sesso fai! >>.
E rise. L’altra avrebbe voluto arrabbiarsi per essersi fatta mettere all’angolo da Clarke così al primo colpo, ma l’unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un lamento.
<< Ehi! Non è divertente! >>.
<< Oddio, invece sì! >>.
Rise ancora mentre prendeva un altro pezzo dalla sua torta.
<< E quindi siamo arrivate alla conclusione che ti privi dei tre grandi piaceri della vita >>.
<< Io non mi privo assolutamente di nie… Sei insopportabile, lo sai vero? >>.
Clarke fece un sorso dalla sua birra e annuì.
<< Non sei la prima che me lo dice >> affermò compiaciuta << Quindi se non fai sesso, non sei neanche fidanzata? >>.
Fece quella domanda col cuore colmo di aspettativa. Da quella risposta dipendevano molte cose. A Sofia per poco non andò di traverso il succo di frutta. Tossì cercando di riprendersi e quella reazione fece ridere di nuovo l’altra.
<< No, non lo sono ora >> ammise quando si fu calmata << Ma non avevi detto che avrei dovuto fare io le domande?! >>.
Clarke alzò le mani con un sorriso. Si stava davvero divertendo con lei.
<< Certo >> rispose << Ma lo sei stata? >>.
<< Ehi, hai fatto un’altra domanda! >> esclamò Sofia spiazzata dal gioco sporco che faceva la ragazza.
Stranamente, però, non le dava fastidio.
<< E tu non stai rispondendo >>.
Fece un altro sorso dalla bottiglia e la fissò come si fa con qualcosa di raro e bellissimo. E Sofia sprofondò in quel blu scuro nel quale poteva scorgere miriadi e miriadi di domande che avrebbe voluto farle.
<< Sì, l’ho lasciato quattro mesi fa >> disse << E tu? >>.
<< Chi è, lo conosco?! >> proruppe Clarke << Io cosa? >> aggiunse.
<< Tu sei fidanzata? E no, non ti dirò chi era! >>.
<< Dai, allora lo conosco! >> proruppe Clarke ridendo << Fidanzata io? No, sono libera e felice >>.
Sofia sorrise di fronte a quella risposta, prima di scuotere il capo.
<< E lo sei stata? >> chiese cercando di farle dimenticare la sua richiesta.
<< Sì, una volta >> affermò Clarke senza riuscire a impedirsi di cambiare tono della voce. Divenne piatto e freddo << Un po’ di tempo fa >>.
Un’ombra passò sul viso della ragazza e le scurì lo sguardo. Improvvisamente qualcosa era cambiato in lei e Sofia si domandò se fosse colpa sua. Fece un sorso di succo attraverso la cannuccia e la osservò. Apparentemente era la stessa di pochi minuti fa, ma aveva distolto lo sguardo e pareva essere interessata al cane di un passante.
C’è qualcosa che ti turba?, pensò sistemandosi meglio sulla sedia.
Il fatto che ci fosse, rendeva Clarke ai suoi occhi più umana e fu quasi lieta di aver scoperto un qualcosa in più su di lei semplicemente osservandola. Adesso era decisa più che mai a scoprire cosa fosse per non vedere mai più quel cambiamento sul suo volto.
 
Luthor l’aveva accolta abbaiando e scodinzolando. Clarke gli aveva sorriso e si era tolta le scarpe mentre si dirigeva in cucina. Si era trovata bene con Sofia, le piaceva stuzzicarla e farla arrossire. Soprattutto perché aveva scoperto essere molto facile. Si tolse il cellulare dal jeans e lo posò sulla penisola mentre apriva il frigo alla ricerca di acqua. L’unica cosa che l’aveva lasciata leggermente perplessa era stato il maschile usato dall’altra ragazza. Aveva un ex e, anche se aveva cercato di nasconderlo, quella risposta l’aveva sorpresa. Un ex ragazzo, non una ex ragazza. Lei non era tipa da mettere delle etichette, soprattutto vista la piega che aveva preso il rapporto con Diana, ma… Sofia era etero? In quel caso, non sarebbero andate da nessuna parte. Eppure lei l’aveva guardata negli occhi e si era persa in quel verde così carico e credeva che, nonostante le apparenze, anche per l’altra fosse lo stesso. Che si fosse immaginata tutto? Non credeva. Forse era semplicemente la prima volta che provava attrazione per una del suo stesso sesso. Sorrise a quel pensiero mentre faceva un sorso dal bicchiere che si era riempita. Lei aveva capito fin da subito che non le interessavano i ragazzi trovando, per fortuna, dei genitori che le avevano spalancato le braccia ancor più di prima. Non aveva mai mentito a se stessa o agli altri e i suoi amici l’avevano sempre accettata per quello che era. Anche per questo lei li amava.
E così sono la tua prima cotta?, pensò senza riuscire a smettere di sorridere, Sei davvero sempre più bella Sofia.
Il suo cellulare iniziò a squillare e a vibrare. Dal suono, doveva essere Marco. Senza nemmeno controllare, rispose.
<< Allora, com’è andata? >> domandò il ragazzo senza nemmeno salutare.
<< Credo bene, sono rientrata a casa da poco >>.
<< Dai, sei contenta? >>.
<< Sì, non mi capitava da un po’ >> rispose Clarke << A te? >> aggiunse riferendosi all’appuntamento con Nadia che anche lui aveva avuto quello stesso pomeriggio.
<< Fantastico >> disse Marco << Ci siamo appena lasciati. La rivedo domani all’università >>.
<< Ma come siete carini >> scherzò l’amica.
<< Fai poco la stronza che stai nella mia stessa situazione! >>.
I due amici scoppiarono a ridere e Luthor abbaiò come se comprendesse la gioia della sua padrona.
<< Della serie: siamo fottuti >>.
Marco rise di nuovo alle sue parole.
<< Esatto >> asserì non appena si fu ripreso << Ci vediamo domani sera per cena? >>.
<< Certo, ci spariamo la maratona di Jessica Jones? >>.
<< Ovvio, non l’ho ancora visto perché Giulia ha rotto i coglioni che dovevamo vederlo insieme! >>.
Questa volta rise Clarke.
<< Perfetto, avviso io sia lei sia Diana. A domani bello! >>.
Riagganciò dopo aver sentito il saluto dell’amico e notò che le era arrivata una notifica su Facebook. Sorrise mentre la controllava.
La sua richiesta di amicizia era stata accettata.
 
 
 
 
 
L’Angolo di Bik
Eccoci ancora puntuali.
Questa volta non ci sono Philip e Adele con Clarke bambina. O come è stata soprannominata da qualcuno dei lettori, piccola Clarke. Volevo dare più spazio agli “adulti” e a questi due avvenimenti. Sofia si è sciolta un po’, quantomeno ha “accettato” di incontrarsi con Clarke da sole. La quale non ha perso tempo per scoprire qualcosa di più su di lei. Spero che vi piaccia, soprattutto l’abbigliamento di Clarke!
Aspetto i vostri pareri.
F.

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Capitolo 8
*** 8 ***


 
Adele e Philip non smettevano di sorridere. E non era solo per il grande successo che aveva riscosso il concerto dell’uomo. Finalmente, a distanza di otto mesi da quando avevano visto Clarke la prima volta, ce l’avevano fatta. La bambina, che adesso aveva compiuto da poco nove anni, era diventata ufficialmente loro figlia. Erano stati chiamati dal direttore dell’orfanotrofio che aveva dato loro la splendida notizia e avevano trascorso i successivi tre giorni a organizzare nei minimi dettagli l’ingresso di Clarke nella loro famiglia. Perché adesso, dopo aver visto e toccato con mano il certificato, era davvero la loro bambina. Ma non le avevano ancora detto niente. Ogni sera avevano pensato al modo migliore per farglielo sapere. Volevano che partecipasse alla loro gioia e che ricordasse quel giorno per sempre. Era il sette novembre del duemilasette. Alla fine era stato Philip a vincere e avrebbero portato Clarke a cena fuori. L’uomo parcheggiò l’auto davanti l’istituto e guardò Adele negli occhi. Erano luminosi, proprio come i suoi.
<< Come sto? >> le chiese mentre si guardava allo specchietto aggiustandosi la camicia scura.
Sua moglie gli prese la mano.
<< Sei bellissimo >> rispose con un sorriso << Andiamo >>.
Clarke li stava aspettando. Le avevano regalato un jeans, scarpe e un maglioncino nuovi da indossare quella sera. A casa poi, nell’armadio che sarebbe stato suo, avrebbe trovato tantissimi altri indumenti che le avevano comprato. La videro sulla soglia della porta con accanto l’assistente sociale e un addetto alla sicurezza. Dava loro le spalle e Adele poté vedere i suoi lunghi capelli raccolti in una treccia. Sorrise ancor prima che la bambina si voltasse. Aprì le braccia mentre Clarke le correva incontro e la strinse respirando l’odore della sua pelle.
<< E’ successo qualcosa? Non venite mai per cena >> chiese subito dopo guardando con occhi indagatori prima Philip e poi la donna.
I coniugi Melbourne scoppiarono a ridere a quella domanda; poi l’uomo scosse il capo con un sorriso, tuttavia, immenso.
<< Non hai fame? >> domandò invece poggiandole le mani sulle piccole spalle.
Clarke annuì e Adele la prese per mano.
<< Allora dobbiamo sbrigarci >> le disse facendole l’occhiolino.
 
La bambina si era comportata in maniera impeccabile, ma era anche stata molto silenziosa. Adele e Philip se n’erano accorti subito. Clarke era tesa e parlava a monosillabi. Per lei, quella era un’altra situazione nuova. L’avevano portata in un buon ristorante, non uno di quelli troppo costosi poiché volevano che si sentisse a suo agio. C’erano altre famiglie ai tavoli intorno al loro eppure per Clarke era come se fossero soli. Aveva scelto da menù quasi con una certa fluidità ed entrambi le avevano permesso di prendere quello che più voleva. Philip non si era sorpreso per niente quando la bambina aveva ordinato una bistecca con patatine fritte ed era scoppiato a ridere mentre allungava una mano verso la moglie. Sia lui che la moglie immaginavano che simili alimenti scarseggiassero in un istituto grande come quello dove risiedeva Clarke. Adele aveva riso e le aveva riempito il bicchiere di coca-cola per cercare di farla distendere.
<< Grazie >> mormorò la bambina facendo un sorso.
<< Ti piace questo posto, Clarke? >> le chiese Philip facendo un gesto vago con la mano.
Clarke si strinse nelle spalle e si fissò il jeans. Arrivarono le ordinazioni e iniziò a mangiare. Lentamente, man mano che il tempo passava, un pensiero s’insinuò nella sua mente e più cercava di scacciarlo e più tornava prepotentemente. Come se volesse ricordarle di essere solo un’orfana. L’appetito incominciò a mancarle, lo stomaco era in subbuglio, le lacrime premevano agli angoli degli occhi. Strinse i pugni provando rabbia. Era così palese, eppure lei ci aveva sperato davvero. Ecco il perché di quei regali e di quella cena.
<< Clarke, è tutto a posto? >> chiese Adele notando che la bambina aveva represso un singhiozzo << Non ti piace? Puoi ordinare un’altra cosa se vuoi >>.
Le poggiò una mano sulla spalla, ma Clarke si dimenò dal suo contatto.
<< Non mi toccare! >> esclamò alzandosi in piedi << Siete bugiardi come tutti gli altri babbuini! Fate promesse che poi non mantenete! >>.
Tutti i presenti si erano voltati per guardare Clarke. Philip provò ad afferrarla per farla smettere e spiegarle la ragione della cena, però non ci riuscì. La bambina gli sgusciò via correndo verso la seconda sala.
<< Clarke, aspetta! >> urlò Adele andandole dietro << Cosa ti prende? >>.
Clarke si voltò verso di lei, gli occhi pieni di lacrime.
<< Avevi promesso, avevi promesso! >> gridò << Mi avete portata qui per dirmi che non volete più adottarmi! Siete come tutti gli altri! >>.
Philip guardò la moglie che si era portata una mano sulla bocca e abbozzò un sorriso. Nonostante la situazione di imbarazzo, lui era lo stesso così fiero di essere diventato padre di quella bambina.
<< Ma no, non è così >> rispose la donna avvicinandosi a lei lentamente << Dobbiamo dirti una cosa importante, è vero. Ma non è assolutamente quello che stai dicendo tu >>.
La bambina la guardò con occhi indagatori e ad Adele parve che potesse leggerle l’anima.
<< Clarke, ascolta Adele >> enfatizzò Philip << Per favore >>.
<< Mi avete illusa per otto mesi! >> disse invece Clarke dando sfogo a tutto quello che le passava per la testa << Volete un altro bambino, vero? >>.
<< Non vogliamo niente che non sia tu! >> esclamò Adele afferrando dalla borsa un foglio di carta e prendendole entrambe le mani mentre si chinava per arrivare alla sua altezza.
Clarke guardò il certificato di adozione con occhi sgranati. Tirò su col naso e fissò Adele che le stava accarezzando una ciocca di capelli.
<< Qui c’è il mio nome… >> mormorò appena mentre anche Philip le si avvicinava. Lasciò che la mano dell’uomo si poggiasse sulla sua testa << …e qui il vostro cognome >>.
Adele rise mentre una lacrima le rigava il viso.
<< Esatto >> rispose << Tu sei Clarke Melbourne ora >>.
La bambina non poteva crederci. Era questo ciò che stavano cercando di dirle e lei, invece, aveva pensato la cosa opposta. Doveva avere più fiducia in loro, avevano appena mantenuto la promessa.
<< Quindi io… >>.
<< Stasera volevamo darti il benvenuto, Clarke >> disse Philip con un sorriso.
Adele prese la mano del marito e gliela strinse. E Clarke fece l’unica cosa che in quel momento avesse un senso per lei. Corse tra le braccia della donna che per poco non perse l’equilibrio nello stringerla. Perché Adele le aveva sempre suscitato protezione.
<< Ho rovinato tutto… >> sussurrò Clarke con un filo di voce contro il suo collo.
La donna rise leggermente e lasciò che Philip la sollevasse da terra.
<< No >> rispose l’uomo stringendola << Non riusciresti mai a rovinare niente, figlia mia >>.
Così, chiusa tra quelli che erano diventati ufficialmente i suoi genitori, Clarke comprese di aver trovare la sua piccola isola di felicità. Sorrise a entrambi mentre ogni traccia di pianto o rabbia scompariva dai suoi occhi. Il suo azzurro tornò limpido come una giornata di primavera e la malinconia la abbandonò per sempre.
<< Cosa facciamo adesso? >>.
<< Adesso andiamo a casa, Clarke >> affermò Adele baciandole la mano.
 
La lezione di analisi era finalmente terminata. A Marco erano piaciute fin dalle medie le materie scientifiche ed era sempre stato bravo in matematica ottenendo il massimo nelle verifiche, ma quelle due ore erano state davvero pesanti. Gli era venuto mal di testa e non desiderava altro che prendere una boccata d’aria e un buon caffè con Nadia. Guardò la ragazza che stava finendo di sistemare il suo zaino e le sorrise. Era così bella ai suoi occhi. Nadia contraccambiò il sorriso e chiuse la zip del suo Eastpak rosso. Marco strinse la spallina della sua tracolla della stessa marca e allungò una mano verso di lei. Si erano baciati la sera precedente prima che corresse verso il portone del suo palazzo e lui aveva sentito il cuore saltargli in gola. Nadia era una ragazza semplice, senza troppi vizi per la testa, con le idee chiare sul suo futuro, decisa ma delicata allo stesso tempo. Parlava poco, per la maggior parte delle volte si limitava ad osservare Marco, e, quando lo faceva, diceva sempre la frase giusta. Il ragazzo stava bene con lei e il procedere lentamente non lo turbava minimamente. Uscirono dall’aula quasi per ultimi e in quel momento la vide. Luna era in piedi con una gamba piegata e appoggiata il muro di fronte alla porta. Lei inizialmente non lo notò, ma per lui fu impossibile non guardare quei lunghi capelli rossi e i suoi occhi da cerbiatta. Si voltò rapidamente mentre serrava la mascella. Sapeva che frequentava la facoltà di ingegneria, eppure, essendo un anno più grande di lui, credeva che non sarebbe stato così semplice incontrarsi. Con la coda dell’occhio vide una ragazza del suo corso avvicinarsi all’altra e scambiarsi qualche parola prima che Luna le desse un bacio sulla guancia. Strinse la mano di Nadia, che non si era accorta di niente, e s’incamminò verso l’uscita della facoltà. Ora più che mai aveva bisogno di aria.
<< Marco? >>.
Nel sentirsi chiamare, il ragazzo avrebbe voluto correre ancor più veloce per non doversi voltare. Nadia rallentò, anche lei aveva udito la ragazza pronunciare il suo nome. Fu costretto a fermarsi e a guardare Luna negli occhi.
<< Ma dai, Marco! Sei davvero tu? >>.
La ragazza più grande sorrise e il primo impulso dell’altro fu di prenderla a schiaffi per la naturalezza con la quale l’aveva fermato.
<< Che coincidenza >> disse senza salutarla.
<< Ti sei iscritto a ingegneria? >>.
<< Già >>.
<< Io sto a aerospaziale, tu? >>.
Marco avrebbe voluto darle meno informazioni possibili, però non voleva passare per maleducato di fronte a Nadia.
<< Elettronica >> rispose << Scusa, devo proprio andare. Ho un’altra lezione tra un’ora >>.
Fece per andarsene, ma Luna lo bloccò sfiorandogli la spalla.
<< Aspetta >> fece << Anch’io ho lezione tra un’ora. Posso offrirti un caffè? In memoria dei vecchi tempi >>.
Nadia vide distintamente la mano libera di Marco serrarsi con forza.
<< Luna >> affermò risolutamente << No. Ti rendi conto di quanto sia ridicola una cosa del genere? >>.
A quelle parole, la ragazza chinò il capo con aria colpevole.
<< Cercavo solo di essere normale >>.
<< Beh, prendere un caffè insieme non è normale! Non dopo quello che hai fatto! Smettila >>.
<< Mi dispiace per come sono andate le cose. Io… >>.
Marco la fermò con un gesto della mano.
<>.
Luna si morse il labbro inferiore.
<< Come sta? >>.
Un amaro sorriso increspò le labbra del ragazzo mentre il desiderio di prenderla a pugni cresceva.
<< Non fare finta di interessarti a Clarke. Ho visto la tua amichetta di prima >> disse Marco col chiaro intento di ferirla.
<< Non è come… >>.
<< Senti Luna, dobbiamo andare, okay? >> la bloccò l’altro << Fa finta di non avermi mai incontrato >>.
E senza aspettare una risposta, trascinò via Nadia da lei. Mentre l’uscita si avvicinava poteva sentire chiaramente gli occhi della ragazza puntati su di sé. Frenò le molteplici parolacce che avrebbe voluto urlare e si permise di fare un respiro profondo solo quando la luce del sole lo inondò. Si fermò per una manciata di secondi imponendosi di calmarsi. Clarke era sua amica e lui non era riuscito a evitare che soffrisse. Se ci pensava, si sentiva una merda.
<< Tutto okay? >> chiese delicatamente Nadia.
Marco annuì.
<< Che cosa è successo con quella ragazza? >>.
<< Credevo fosse un’amica >> rispose l’altro guardandola negli occhi << Lo credevamo tutti >>.
 
Quella mattina Diego e Lorenzo l’avevano trascinata in uno dei loro assurdi scherzi e per questo durante l’intervallo le fu impossibile uscire dall’aula anche solo per poter vedere di sfuggita Sofia. La sera precedente aveva accettato la sua richiesta di amicizia e lei non aveva perso tempo per spulciare il suo profilo rimanendo, però, amaramente delusa. Sofia aveva appena cinque foto e nessuna che la ritraesse con qualcuno al di fuori dell’amica Elena. Era troppo riservata e la curiosità di sapere altro su di lei la stava divorando. Si sentiva leggera e avere l’appoggio dei suoi amici rendeva ogni cosa ancora più semplice. Per il resto delle lezioni fu indecisa se scriverle o meno e alla fine lasciò perdere credendo che, con una persona come Sofia, fosse meglio parlare di persona. Sperò di riuscire a beccarla almeno al suono finale della campanella. Ma la fortuna non fu dalla sua parte e alla fine, sconsolata, partì con la sua moto verso casa. Avrebbe trascorso il pranzo e il pomeriggio da sola per poi vedersi con gli amici a cena per la maratona di Jessica Jones.
Il solito silenzio rotto dall’abbaiare del suo cane, l’accolse a casa. C’era stato un tempo in cui quella casa tutto era tranne che silenziosa. Suo padre era sempre al piano a esercitarsi, sua madre quando era a casa chiacchierava continuamente della sua giornata lavorativa ed entrambi la coinvolgevano in qualche risata. Si tolse le scarpe correndo al piano superiore. I ricordi le stavano affollando la mente e la soluzione migliore per non affogare era nascondere la testa sotto il cuscino. Pensò di chiamare Diana, ma non voleva allarmarla inutilmente. Voleva essere forte, voleva davvero non annegare e farsi salvare dall’amica. Passò di fronte alla porta chiusa dello studio e vi indugiò un momento di troppo. Quello successivo era già dentro mentre si richiudeva la porta alle sue spalle. Da quando sua madre era morta, cercava di entrare il meno possibile lì. Quella stanza era satura di bei ricordi e di attimi che non avrebbe mai cancellato. Il pianoforte a corda di suo padre era vicino l’ampia finestra, nero e lucido come se qualcuno se ne prendesse quotidianamente cura. Si avvicinò silenziosamente e con un dito lo accarezzò, come si fa con un vecchio e familiare amico. Clarke sospirò per la forte carica emotiva che quel gesto racchiudeva e il suo sguardo cadde sulla foto dalla cornice d’argento poggiata sul tavolino di fronte al divano. Adele le diceva sempre che fra tutte, era la sua preferita. La sollevò mentre si sedeva sullo sgabello e accarezzò i contorni delle due figure. Uno era suo padre e l’altra era lei, ritratti undici anni prima quando Philip le aveva mostrato per la prima volta cosa significasse suonare. Lei aveva otto anni e guardava il padre con un sorriso enorme e uno sguardo di ammirazione che aveva mostrato solo a lui. La musica dell’uomo li aveva uniti, resi complici, felici. Perché quella era stata la prima volta che si era sentita amata da qualcuno. Posò la foto e tornò a sedersi. Trattenne il fiato quando iniziò a suonare. Era stato un gesto naturale e spontaneo, Philip le aveva insegnato che la musica era anche quello.
Da quanto tempo non suonavo?, si domandò mentre le note andavano a formare la melodia preferita della madre.
Da quando era morta, prendere uno spartito in mano era diventato quasi doloroso e lei si era allontanata dal pianoforte per non pensare a tutti i momenti che aveva trascorso con i suoi genitori in quella stanza. Philip le insegnava a suonare e sua madre si sedeva ad ascoltarli con una tazza di tè in mano sul divano. Spesso erano scoppiati a ridere quando aveva sbagliato oppure l’avevano incitata a perpetuare nell’esercitazione. Clarke continuò a suonare e le sue mani correvano sui tasti con armonia, senza sbagliare, quasi fosse guidata da una presenza amica. Non aveva bisogno di uno spartito per ricordare la Ballata numero uno di Chopin. La musica si espanse dal pianoforte entrandole dentro e facendole rivivere a ogni nota un ricordo diverso. Piangeva e non riusciva a evitarlo. Perché la musica era anche dolore adesso. E il senso di colpa per quel cambiamento era strisciato lentamente dentro di sé fino a corroderla. Si fermò all’improvviso non riuscendo a reprimere i gemiti. Le mani le tremavano e dovette fare un respiro profondo.
Mi manchi tanto, mamma.
 
Si accorse che era arrivata la sera quando Marco le scrisse per chiederle che pizza volesse. Era rimasta tutto il pomeriggio chiusa in camera senza aprire libro e distesa sul letto. Luthor, per tutto il tempo, era rimasto al suo fianco comprendendo che qualcosa la turbasse. Suo padre le aveva inviato tramite mail un articolo che parlava di lui e del successo che stava avendo, ma ancora non lo aveva letto. Si ripromise di farlo non appena gli amici fossero tornati a casa. Entrò nel bagno spogliandosi e si fece una doccia che la aiutò a scacciare tutti i pensieri che aveva accumulato nell’arco delle ore. Non aveva più scritto a Sofia, il suo umore malinconico glielo aveva impedito. Diana arrivò qualche minuto prima degli altri due amici e si accorse immediatamente del suo sguardo. Ma come poteva nasconderle qualcosa? La ragazza aveva guardato nel suo abisso senza spaventarsi e le aveva donato tutta se stessa per aiutarla a respirare nuovamente. Si sorrisero.
<< Brutta giornata? >> le chiese semplicemente.
Clarke inclinò la testa e provò a scuotere il capo.
<< Ho suonato Chopin >> rispose senza riuscire a impedire al labbro inferiore di tremare.
Sapeva che Diana avrebbe compreso, lei lo faceva sempre. E l’amica, infatti, la abbracciò stringendola contro di sé. Le diede un bacio sulla tempia.
<< Va tutto bene, Clarke >> disse sottovoce << Sei stata brava >>.
Poggiò la fronte contro la sua e si staccò solo quando la vide sorridere. Le diede un altro bacio sulla guancia e andò ad aprire a Marco e Giulia dopo averle strizzato l’occhio.
 
Sofia si sarebbe aspettata un qualunque segno da parte di Clarke dopo aver accettato la sua richiesta di amicizia eppure la ragazza non aveva fatto niente. La passività della più grande l’aveva delusa, aveva creduto che il giorno precedente non fosse stata l’unica a stare bene. Certo, lei doveva ammettere di non avere un carattere semplice, ma non le era parso che Clarke si facesse bloccare da questo.
<< E scrivile tu, testona! >> le rispose Elena dopo che le ebbe parlato del suo malumore << Potrebbe aver avuto un qualunque problema, fallo e basta! >>.
Sofia si era risentita abbastanza delle sue parole così schiette, eppure sapeva che l’amica era così e non l’avrebbe cambiata per niente al mondo.
Così prima di cena le inviò un messaggio su Facebook. Aveva cercato di mantenersi equilibrata, senza far trapelare l’ansia che aveva riversato in quelle parole.
Ciao, oggi non ti ho vista a scuola, tutto bene?
Attese, ma il messaggio non venne visualizzato. La ragazza non avrebbe mai creduto di sentire il battito del suo cuore nelle orecchie per l’agitazione che provava. Soprattutto non avrebbe mai pensato che tutta quell’agitazione gliela potesse scatenare una ragazza. Le venne da sorridere pensando a Clarke. Non era esattamente una ragazza qualunque e che passava inosservata. Lei non aveva mai provato interesse per quelle del suo stesso sesso, ma lei pareva essere superiore a chiunque. Non era solo per la sua bellezza. Clarke la metteva a suo agio e con la stessa facilità la faceva arrossire, con lei non sapeva mai cosa aspettarsi. Non riuscendo ad attendere in tranquillità, scrisse anche a Elena che, come risposta, le inviò semplicemente il pollice all’insù.
<< So, la cena è pronta >> annunciò suo fratello passando davanti la sua camera lasciata aperta.
<< Sì, arrivo >>.
<< E’ successo qualcosa? >> domandò Edoardo notando immediatamente il tono piatto della sorella. La scrutò per qualche secondo << Ah! Si tratta del tipo che ti ha prestato il giubbotto! >>.
<< Shh! Fa silenzio idiota! >> rispose Sofia portandosi un dito davanti le labbra.
<< Allora ho indovinato! >>.
<< Come no >> commentò l’altra facendo roteare gli occhi.
<< Beh, qual è il problema? Ieri vi siete incontrati? >>.
<< Edo, per favore >> mormorò Sofia rossa per l’imbarazzo.
<< Cosa? Lo sai che a me puoi dire tutto >>.
Sofia lo guardò a lungo e si morse il labbro inferiore. Poteva davvero? E se suo fratello non avesse preso la storia di Clarke col suo solito entusiasmo?
<< Ragazzi, forza! O si fredda tutto! >> urlò la madre dalla cucina.
<< Arriviamo >> disse Sofia alzandosi dal letto e spostandosi verso l’altra stanza.
Edoardo scrollò le spalle col suo solito sorriso.
<< Va beh, me lo dirai la prossima volta! >> affermò col suo buon umore.
 
Avevano fatto una pausa tra il quarto e il quinto episodio per riordinare e gettare nella spazzatura i cartoni vuoti della pizza. Clarke ne aveva approfittato per leggere il messaggio di Sofia e un sorriso le era spuntato ancor prima che parlasse. Marco aveva compreso subito esattamente come Diana che aveva incrociato le braccia sul letto limitandosi a guardarla. Pareva che tutta la malinconia della ragazza fosse scomparsa nel momento in cui Sofia le aveva scritto. Giulia e il ragazzo erano entusiasti per lei e l’avevano incitata a rispondere subito. Clarke, però, scosse il capo e rimise il cellulare sul tavolino.
<< E perché non rispondi subito? >> chiese Giulia provando a sbloccare il suo Iphone senza successo.
S’imbronciò mentre cercava di rubarle l’impronta digitale.
<< Voglio… >> mormorò la ragazza facendo un sospiro << Voglio godermeli. Ogni singolo messaggio che mi manderà. Non voglio essere distratta o scrivere cose sbagliate. Voglio essere presente con la testa >>.
<< Ma come siamo diventate romantiche >> scherzò Marco posando l’indice sulla fronte dell’amica e facendo una lieve pressione.
Si sorrisero.
<< Senti chi parla >> rispose Giulia << Oggi pomeriggio, mentre mi accompagnava a casa, non ha fatto altro che parlare di Nadia >>.
Tutti scoppiarono a ridere mentre Marco si portava una mano sulla nuca. Diana si spostò in cucina mentre cercava una busta abbastanza grande per infilare i cartoni e fu subita raggiunta dal ragazzo. Lo sentì avvicinarsi alle spalle e si voltò di scatto credendo che volesse farle uno scherzo.
<< Ohi, non voglio fare niente! >> sdrammatizzò il ragazzo alzando entrambe le mani << Volevo solo parlarti di una cosa >>.
Diana aprì un cassetto e tirò fuori un enorme busta nera.
<< Non dirmi che hai già problemi con la tua fidanzatina >>.
<< Fidanzat… no! >> esclamò l’altro sconvolto << Nadia e io non stiamo insieme! Si tratta di qualcos’altro >>.
La ragazza inarcò il sopracciglio e si appoggiò alla penisola attendendo che proseguisse. Marco si passò una mano tra i capelli. Con qualcuno doveva pur parlarne e Diana era la persona più vicina a Clarke. Non gli piaceva tenerle nascosto qualcosa, ma era convinto che Diana sarebbe stata d’accordo con lui.
<< Stamattina all’università >> iniziò sottovoce << Ho visto Luna >>.
<< Tu cosa?! >> urlò l’amica sgranando gli occhi.
<< Non gridare! >> le rispose Marco << E’ stata lei ad avvicinarsi, io non volevo nemmeno parlarle a quella stronza >>.
<< Avresti avuto tutta la mia ammirazione. Che cosa voleva? >>.
<< Mi ha chiesto di Clarke >>.
<< E tu? >>.
<< Io cosa? È ovvio che non ho risposto e me ne sono andato >>.
Diana lo fissò, ma in realtà stava solo riflettendo.
<< Non dire niente a Clarke >> affermò infine << Questa cosa potrebbe destabilizzarla parecchio >>.
L’amico annuì poggiando entrambi i gomiti sulla penisola e guardando verso la porta. Dal salone provenivano distintamente le grida delle altre due ragazze.
<< L’ho pensato anch’io >> ribatté << Soprattutto ora che sembra che sia felice >>.
Diana avrebbe voluto aggiungere qualcosa al commento di Marco per fargli presente che con quella Sofia non sarebbe durata a lungo, ma si morse la lingua per impedirselo.
<< Ragazzi! >> urlò Giulia << Smettetela di amoreggiare in cucina e muovetevi! >>.
Entrambi scoppiarono a ridere mentre si sbrigavano a raggiungerli.
 
Alla fine tutte le loro buone intenzioni sul finire di vedere la serie in un’unica nottata erano andate a farsi benedire. Clarke aveva iniziato ad assopirsi intorno alla sesta puntata mentre Giulia già ronfava sonoramente. Diana, l’unica ancora sveglia e attiva, diede un colpo a Marco non appena notò che anche l’amico aveva chiuso gli occhi.
<< Stavo ascoltando >> mormorò sbadigliando.
<< Certo >> rispose l’amica scuotendo leggermente l’altra ragazza.
<< Oddio, che mi sono persa? >> esclamò Giulia non appena si rese conto di essersi addormentata.
<< Meno male che sei stata tu quella che ha rotto le palle all’inverosimile per vedere questa serie insieme >> rispose Marco alzandosi in piedi e stiracchiandosi.
<< Ehi, avevo momentaneamente chiuso gli occhi! >>.
<< Due puntate fa >> completò la frase Clarke ridendo << Dai, lo finiamo di vedere un’altra volta >>.
Giulia le lanciò un cuscino addosso.
<< Bimbi, dai andiamo >> proclamò Diana indossando il giubbotto.
Tutti si mossero verso la porta di casa.
<< Ci sentiamo Clarke >> salutarono Marco e Giulia avviandosi verso la macchina.
<< Buonanotte ragazzi >> rispose l’amica << Andate piano >>.
<< Sicura che non vuoi che resti? >> chiese Diana osservando Clarke che si era appoggiata allo stipite della porta.
<< Tranquilla, domani hai l’università >> disse l’altra.
Diana si sporse per lasciarle un leggero bacio sulle labbra.
<< Allora buonanotte >>.
<< Notte >> replicò Clarke << E avvisami quando arrivi a casa >>.
L’amica le strizzò l’occhio prima di infilarsi il casco.
Rimasta sola, la ragazza salì al piano superiore verso la sua camera. Prese il cellulare dalla tasca del pantaloncino che indossava e sorrise. Velocemente lo sbloccò aprendo il messaggio. Chissà se era ancora sveglia, forse avrebbe dovuto risponderle subito. Ma con gli amici in giro che le avrebbero urlato e fatto battute sceme, non ci sarebbe stata intimità. E lei voleva che fossero solo loro due. Controllò l’ora, era quasi mezzanotte.
Ehi, ciao. Sì, oggi c’ero ma Diego e Lorenzo mi hanno trascinata all’ultimo piano e ho passato l’intervallo lì. Ti sei preoccupata nel non vedermi?
Cercò di apparire quella di sempre, eppure il cuore non smetteva di battere. Si chiese se Sofia stesse aspettando la sua risposta allo stesso modo in cui lo stava facendo lei. Lasciò il cellulare sul letto mentre si toglieva la maglietta e il reggiseno per indossare qualcosa di nettamente più comodo. Si buttò sul materasso e avvolse il cuscino con le braccia. L’Iphone vibrò pochi minuti dopo facendole apparire un sorriso ancor più grande.
Se non avessi risposto neanche a questo messaggio, penso che sarebbe stato mio dovere chiamare la polizia. Per un mio elevato senso civico.
P.S. I bagni del secondo piano si sono allagati stamattina. Ne sai niente?
Clarke scoppiò a ridere di fronte a quel messaggio e si affrettò a rispondere.
Assolutamente. Stavamo chiedendo compiti di matematica supplementari alla prof.
Questa volta rise Sofia mentre era sotterrata sotto il lenzuolo del suo letto. Quando aveva sentito il cellulare squillare, aveva sussultato per la sorpresa. A distanza di ore, non ci sperava più in una sua risposta. E invece, era riuscita a sorprenderla. Come al solito del resto.
Certamente. Siete dei vandali, lo sapete almeno?, rispose Sofia.
I vandali erano una popolazione germanica orientale come i Goti o i Longobardi che si spostarono dalla Polonia verso il sud sottomettendo i Celti. Quindi no, non credo che apparteniamo a quella stirpe.
La ragazza represse una risata per evitare che qualcuno potesse sentirla e farle qualche domanda l’indomani. Era bella, intelligente, sapeva scherzare e stare al gioco.
C’è qualcosa che non sai fare Clarke Melbourne?
Poi pensò che l’anno precedente era stata bocciata e se ne chiese il perché. Non sembrava quel tipo di ragazza. Di nuovo il pensiero che la stesse prendendo in giro affiorò inaspettatamente facendola deglutire a vuoto. Si affrettò a mettere fine a quella conversazione. Cercò di apparire tranquilla, ma le dita stavano iniziando a tremarle.
Non ci giurerei. Vado a dormire, la sveglia domani suona. Buonanotte.
Clarke le rispose una manciata di secondi dopo.
Notte. A domani.
 
Era in ritardo, ma quella notte era stata piena di sogni privi di un apparente senso. Quasi dimenticò di togliere il casco mentre saliva le scale dell’istituto a due a due. Passò davanti l’aula di Sofia, la cui porta era già chiusa, e rallentò impercettibilmente. La sera precedente stavano chiacchierando e pareva andare tutto bene, poi la ragazza aveva messo fine alla conversazione in modo freddo e distaccato. Odiava quando qualcuno si comportava così con lei. Non c’era nessun motivo per metterla a tacere improvvisamente. Che si fosse resa conto di non voler addentrarsi ulteriormente in un rapporto con una persona gay? Sapeva che per molti ragazzi non era facile accettare se stessi e successivamente farsi accettare dalla società. Per fortuna a lei non era capitato. Ricordò quando lo disse prima ai suoi genitori e poi ai suoi amici, tutti lo avevano già capito prima che parlasse. E non era cambiato niente tra loro. Non accettava chi si nascondeva, ma non poteva giudicare le scelte degli altri. Continuò a camminare quando vide darle le spalle la Bersagliera. I ragazzi chiamavano così la bidella per la sua intransigenza alle regole. Se l’avesse vista, sarebbe stata spedita di corsa in presidenza. Si fermò cercando qualcuno che la salvasse. Come se li avesse chiamati, dall’angolo del corridoio sbucò Diego con un altro ragazzo suo amico. Clarke gli fece un cenno e indicò la Bersagliera. L’amico non se lo fece ripetere due volte e si avvicinò alla donna.
<< Nel bagno dei maschi c’è uno schifo inaudito! >> disse facendo una faccia sconvolta.
L’altro ragazzo gli diede corda.
<< Mancini, è impossibile. Pulisco sempre io i bagni di questo piano >> affermò con un certo orgoglio la Bersagliera.
<< Ah, sì? Forse gliene è sfuggito uno. Non vuole venire con me a controllare quell’indecenza? >>.
La donna soppesò le sue parole e alla fine acconsentì. Diego strizzò di nuovo l’occhio a Clarke prima di allontanarsi. La ragazza poté quindi raggiungere la sua classe indisturbata. La professoressa di italiano aveva appena iniziato a spiegare.
 
<< Ti devo un favore, amico >> affermò Clarke battendo un cinque al ragazzo quando la campanella suonò.
<< In effetti, ci sarebbe qualcosa che potresti fare >> s’intromise Lorenzo mentre rideva.
La ragazza alzò le mani e scosse il capo.
<< Se si tratta ancora di bagni, io non voglio saperne niente! >>.
<< Figurati, niente di così stupido! >>.
Clarke li guardò con aria interrogativa.
<< Hai presente l’elezione a rappresentante d’istituto? >> iniziò Diego strizzando l’occhio al fratello.
Sofia, pensò immediatamente l’altra ricordandosi che anche lei si era candidata.
<< Ti ricordi cosa succede a chi viene eletto? >>.
La ragazza scoppiò a ridere. Il suo liceo, grazie ai gemelli Mancini, aveva inaugurato la tradizione della panna montata. Ogni nuovo rappresentante d’istituto mentre faceva il suo discorso, veniva inondato di panna. Quest’anno non sarebbe dovuto essere da meno.
<< E’ il nostro ultimo anno e vogliamo fare le cose in grande >>.
<< Com’è che non sono affatto sorpresa? >>.
Tutti e tre scoppiarono a ridere zittiti immediatamente dall’insegnante di inglese appena entrata in aula.
Durante l’intervallo i due ragazzi esposero meglio il loro piano. Clarke si sarebbe dovuta occupare di preparare il profumatissimo intruglio a base di acqua e uova che i gemelli avrebbero sparato sul rappresentante con i loro fucili ad acqua. Il tutto sarebbe stato innaffiato da Mario che aveva il compito di lanciare la farina. Sarebbe stato lo scherzo più divertente di sempre.
<< Ma colpire sempre il vincitore è banale >> commentò Clarke facendo finta di riflettere << Perché stavolta non puntiamo sugli altri? Ci sarà molta più sorpresa >>.
Diego e Lorenzo si scambiarono un’occhiata prima di scoppiare a ridere.
<< Mi piace, sì! >> esclamò Lorenzo battendole il cinque << Allora siamo tutti d’accordo. Clarke, tu dovrai iniziare da oggi così sarà perfetta per venerdì >>.
La ragazza annuì.
Ora doveva solo riuscire a far vincere Sofia.
 
<< Clarke, cos’è quella puzza terribile che viene dal bagno di sotto? >> domandò Diana mentre si tamponava i capelli con un asciugamano.
Quel giorno il professore che teneva le lezioni di pomeriggio si era assentato permettendole di correre a casa dell’amica. Nonostante fosse quasi metà ottobre, non era riuscita a resistere a non fare un tuffo in piscina.
<< E’ acqua e uova >> rispose con calma l’amica senza staccare gli occhi dal suo computer << Ci serve per lo scherzo di venerdì >>.
Diana inarcò il sopracciglio mentre scorreva le notifiche del suo cellulare. A parte le molte lamentele di Giulia sul selfie che si era fatta sul bordo della piscina e poi inviato sul gruppo di WhatsApp, non c’era niente di importante. Le venne da sorridere mentre per l’ennesima volta le rispondeva.
<< Clarke >> disse poi tornando seria. Le si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla << Non fare casini >>.
La ragazza distolse lo sguardo dallo schermo e le sorrise.
<< Ma figurati, dovevo un favore a Diego >> affermò. Notò il suo Iphone illuminarsi sulla scrivania e si allontanò leggermente dal tavolo sbuffando << Ma la smettete tu e Giulia? >> aggiunse riferendosi allo scambio di battute che stavano avendo sul gruppo.
Diana rise mentre le metteva le braccia intorno al collo.
<< Si può sapere che stai facendo? >>.
In quel momento Marco rispose a lettere cubitali di smetterla perché temeva che gli si bloccasse il cellulare. Nessuna delle due lo ascoltò.
<< Sto chiedendo a tutti quelli che conosco di votare per Sofia >> disse con semplicità Clarke.
L’altra sollevò il sopracciglio in segno di disapprovazione.
<< E perché scusa? >> chiese cauta.
<< Perché Diego e Lorenzo volevano fare il solito scherzo al nuovo rappresentante, ma io li ho convinti a farlo a quelli che perdono. Se Sofia vince, lei è salva, lo scherzo sarà favoloso e saremo tutti felici >>.
Tutti tranne me!, urlò una vocina sottile nella mente di Diana.
<< Clarke, non metterti nei guai. Per favore >>.
L’amica le diede un bacio sulla guancia.
<< Cosa dovrebbe andare storto? >> scherzò.
<< Non è divertente >> rispose Diana seriamente << E poi perché fai tutto questo per lei? Non ha fatto un passo nella tua direzione! >>.
Clarke si sentì ferita dalle sue parole, ma dovette ammettere che, in fondo, era vero. Aveva scritto una volta a Sofia e lei le aveva risposto in modo così freddo da non invogliarla a continuare la conversazione. Da quel momento, solo il silenzio. L’aveva intravista in corridoio durante l’intervallo, lei stava andando a fumare nel cortile, ma non se l’era sentita di avvicinarla. Non voleva forzarla. Diana si accorse dello sguardo triste dell’altra e si morse la lingua, forse aveva esagerato. Però Clarke non meritava di essere illusa o di illudersi, aveva già raccolto i suoi pezzi la prima volta.
<< Mi piace >> dichiarò alla fine la ragazza << D, lo so che è una cosa stupida, ma… voglio aiutarla. Ci tiene davvero a diventare rappresentante d’istituto >>.
Diana scosse il capo abbozzando un sorriso. La semplicità della risposta dell’amica era disarmante. Come poteva arrabbiarsi con lei?
<< E’ tutto okay, Clarke >> disse << Ma non permetterle di farti male >> la strinse respirando l’odore della sua pelle << Altrimenti poi dovrò ucciderla >> aggiunse strizzandole l’occhio in segno d’intesa.
Finalmente Giulia cambiò argomento e inviò un vocale sul gruppo. Sabato ci sarebbe stata a ingegneria la festa per le matricole e chiedeva agli amici di partecipare. Clarke guardò Diana e la vide leggermente turbata.
<< Non vuoi andarci? >> le domandò tornando ad avvicinare la sedia alla scrivania.
Diana la guardò. Non appena il messaggio vocale era terminato, il suo pensiero era corso a Luna. Sicuramente anche Marco avrebbe avuto la sua stessa reazione.
<< Certo >> rispose sedendosi sul letto << Sarà divertente >>.
Non poteva dirle la verità, l’argomento Luna era tabù nel gruppo dopo quello che la ragazza aveva fatto. Non era stata solo Clarke a stare male, un po’ tutti avevano sofferto. Luna era entrata nel gruppo accolta a braccia aperte dai tre amici felici che Clarke si fosse innamorata e che fosse contraccambiata, ma aveva preso in giro tutti. Rispose sul gruppo col proprio cellulare e poi mandò un messaggio privato a Marco. In fondo era una festa per le matricole e Luna era già al secondo anno. E poi i ragazzi sarebbero stati tanti. Quante possibilità c’erano di incontrarla?
 
 
L’angolo di Bik
Buon pomeriggio a tutti,
mi meriterei un brava enorme perché ancora una volta sono stata puntuale. Sto aspettando una risposta molto importante, incrociate le dita per me. Prima di tutto, vorrei fare una precisazione che mi sono resa conto di non aver fatto le volte precedenti. Ogni cane che cito o che citerò esiste realmente e il più delle volte si trova davvero in canile e sta aspettando una famiglia vera. Io faccio un volontariato in uno della zona e questo potrà sembrarvi un messaggio di pubblicità a Il rifugio di San Francesco, ma lo è davvero. Non lo nego. Ci sono 300 anime che attendono e, se anche uno solo di voi che leggete avrà la curiosità di andare a vedere la loro pagina e magari adottarne uno, sarà una vittoria.
Detto questo, finalmente è arrivata Luna! Chi è felice?! Da ora in poi sarà un personaggio sempre più presente.
Alla prossima.
F.

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Capitolo 9
*** 9 ***


 
Elena guardò l’amica china sul libro di filosofia e sbuffò mentre allontanava la sedia dalla scrivania. Erano a casa di Sofia per studiare insieme, ma non riusciva a concentrarsi.
<< Problemi? >> domandò l’altra senza alzare gli occhi dal foglio.
<< Sì >> rispose Elena senza troppi problemi. Odiava girare intorno alle cose. Aspettò di avere l’attenzione di Sofia e continuò << Si può sapere che ti prende? >>.
Sofia si tolse gli occhiali da vista per pulire le lenti.
<< Di cosa stiamo parlando scusa? >>.
<< Di te che tratti di merda Clarke, per esempio! >>.
L’amica chinò il capo con fare colpevole.
<< Ah >> disse semplicemente << Non l’ho trattata così m… >>.
Elena le lanciò la matita per impedirle di continuare.
<< Non dire cazzate! >> esclamò << E dammi una spiegazione decente >>.
Sofia si morse il labbro come faceva sempre quando era a disagio di fronte all’amica. I suoi occhi scuri parevano fiammeggiare.
<< Ecco… >>.
<< La vuoi allontanare? È questo che vuoi? Perché ci stai riuscendo alla perfezione >>.
<< Non riesco a fidarmi! >> sbottò finalmente la ragazza diventando rossa. Non le era mai piaciuto parlare di sé << Ho sempre questa costante paura che… >>.
Elena inclinò il capo e i tratti del viso si distesero. Sofia andava presa di petto e quando parlava dei suoi demoni diventava l’essere più innocente del mondo.
<< Parlale >> le rispose guardandola negli occhi.
Sofia si passò una mano tra i capelli.
<< Fosse così semplice >> disse.
<< Ti piace, perché non vuoi darti la possibilità di stare bene con lei? >>.
Di nuovo l’amica arrossì.
<< E se mi stesse prendendo in giro? >>.
<< Se non ti butti, non lo saprai mai >> affermò Elena con un mezzo sorriso << Però >> aggiunse dondolandosi sulla sedia con fare pensoso << Non mi sembra quel tipo di persona >>.
Sofia annuì mentre guardava il suo cellulare. Era stata bene con Clarke, ma la sua paura era stata più forte ed era riuscita ad allontanarla. Che stupida che era stata. Sprofondò sulla sedia sotto l’occhio vigile dell’altra.
<< Penserà che sono pazza >> mormorò.
<< Sicuramente >> sottolineò Elena.
La ragazza la guardò storta.
<< Meno male che tu staresti dalla mia parte, eh >>.
<< Il mio compito è quello di immetterti sulla strada giusta quando mi accorgo che stai facendo una cazzata >> rispose Elena alzandosi in piedi << E dopo questa non ne farai più, intese? >>.
Sofia si affrettò ad annuire.
<< Adesso rimedia alla situazione. Io vado in cucina a prepararmi un caffè >> si avviò verso la porta << E So >> fece fermandosi e voltandosi per guardarla negli occhi << Diglielo che ti piace >>.
Anche se avrebbe voluto evitarlo, le guance dell’altra ragazza presero colore. Elena sparì dalla sua visuale e, rimasta sola, Sofia prese in mano il cellulare. Lo sbloccò e cercò la conversazione su Facebook con Clarke. Decise di buttarsi e di seguire il consiglio dell’amica. Le scrisse un messaggio.
Ehi, ciao. Scusami se in questi giorni sono potuta apparire strana, ma… beh, sono molto tesa per i risultati di domani.
Sperò che dare la colpa alle votazioni potesse servire ad apparire meno stramba di quello che in realtà era e continuò.
Spero tu possa capire. Ti lascio il mio numero di cellulare, magari parlare su WhatsApp è più semplice che farlo qui.
Buona serata.
Lasciarle il suo numero era davvero una prova di fiducia non indifferente per lei e sperava che Clarke capisse il grande passo avanti che aveva appena compiuto. Si ritrovò a sorridere. Non si era mai comportata così con nessuno. Claudio aveva ottenuto il suo numero dagli amici, non era stata lei a darglielo spontaneamente. Ai suoi occhi, quella era un’importante differenza.
Aiutami ad avere fiducia, Clarke.
<< Molto bene >>.
La voce di Elena alle sue spalle la fece sobbalzare per lo spavento. La ragazza era in piedi dietro di lei e sicuramente aveva letto il suo messaggio prima di parlare. Le sorrideva mentre tra dita stringeva una tazza da latte piena a metà di caffè. Tornò a sedersi di fronte a lei con aria estremamente soddisfatta e in quel momento Sofia si rese conto che con l’amica non aveva mai affrontato per bene l’argomento. Fece un respiro profondo.
<< Ele >> iniziò titubante << A te non… >>.
<< No, per niente >> rispose prontamente l’altra senza darle il tempo di terminare. Si guardarono negli occhi << Dovrebbe? >>.
Sofia tossì a disagio e Elena sollevò un sopracciglio senza smettere di osservarla.
<< E’ solo che Clarke è una… >>.
<< Figa assurda? >> concluse l’altra per lei.
<< Ragazza >> precisò Sofia << Clarke è una ragazza come noi >>.
Elena scoppiò a ridere senza potersi impedire di evitarlo. L’ingenuità di Sofia alle volta era snervante mentre altre era incredibilmente divertente.
<< Penso che questo lo sappiamo tutti! >> esclamò posando la tazza sul tavolo per paura di farla cadere.
<< Idiota, hai capito cosa intendevo! >>.
<< Certo. E ti ho anche già detto che io non ci vedo niente di strano >>.
Sofia sorrise appena. Non avrebbe mai potuto avere un’amica migliore di Elena.
 
La sera precedente alle elezioni arrivò e Clarke sperò di aver fatto tutto il possibile per poter aiutare Sofia a vincere. Salutò uno dei tanti ragazzi che aveva contattato e si stropicciò gli occhi. Si alzò in piedi stiracchiandosi e lasciò che Luthor le camminasse tra le gambe.
<< Non sei esattamente un pincher >> disse riferendosi alla mole del suo boxer << Te ne rendi conto, vero? >>.
Si chinò per guardarlo negli occhi. Da quando era arrivato, Luthor le aveva riempito la vita, non avrebbe potuto desiderare nessun altro cane. Gli grattò dietro le orecchie tagliate e l’animale parve apprezzare il gesto. Gli sorrise prima di rialzarsi e scendere al piano inferiore per prepararsi qualcosa da mangiare. Il cellulare iniziò a squillare mentre era ancora sulle scale. Era una chiamata via Skype.
<< Papà! >> esclamò felice della videochiamata << Come va a Miami? >>.
Philip sorrise nel sentire la sua voce. Era riuscito a chiamare la figlia poche volte a causa del fuso orario e degli impegni di entrambi. Nonostante si fossero sentiti spesso per mail e messaggi, vedere Clarke seppur attraverso uno schermo era qualcosa che lo rendeva felice. La ragazza si buttò sul divano e si posizionò davanti allo schermo per guardare ed essere vista meglio. L’uomo era in una bellissima stanza d’albergo, alle sue spalle poteva intravedere un letto a baldacchino e un divano di pelle a due posti.
<< Bene, stasera ho l’ultimo concerto qui >> rispose sorridendole.
<< Ho letto l’articolo che mi hai mandato, è fantastico che il sindaco della città ti voglia dedicare un conservatorio! >>.
Philip si grattò la nuca come faceva sempre quando i complimenti lo mettevano a disagio.
<< Sarà parecchio strano vedere il mio nome su una scuola >>.
Clarke rise e suo padre si rese conto di quanto le mancasse la sua famiglia.
<< Non vedo l’ora di tornare >> aggiunse con un sorriso guardandola negli occhi.
Il blu delle sue iridi riluceva e non solo per l’effetto della luce.
<< Ti aspetto qui quando finirai il tour >> disse la ragazza inclinando leggermente il capo << Sei così felice, si vede. Suonare ti rende felice >>.
<< Anche stare con mia figlia >> affermò l’uomo senza riuscire a smettere di sorridere << Come va a scuola? >>.
<< Oddio papà, non hai idea dello scherzo che abbiamo architettato per domani! >>.
Philip sollevò il sopracciglio e incrociò le braccia.
<< Clarke >> la richiamò << Non metterti nei guai >>.
<< No, tranquillo. A parte questo, sta andando tutto bene. Abbiamo organizzato una maratona di Jessica Jones qualche giorno fa, ma siamo capitolati prima dell’ultimo episodio >>.
Entrambi scoppiarono a ridere mentre l’uomo immaginava i quattro amici mezzi addormentati sul divano di casa e Luthor sul tappeto ai loro piedi.
<< Come stanno Marco, Giulia e Diana? >>.
<< Marco si è quasi fidanzato ormai >> rispose Clarke << Ha conosciuto una ragazza ai test di ingegneria mentre Giulia è sempre la solita. Diana… >> scrollò le spalle << E’ Diana >>.
Suo padre sapeva perfettamente quanto l’amica fosse importante per lei e non occorreva aggiungere altro.
<< Sono felice per Marco >> affermò Philip. Avrebbe voluto chiederle se anche lei aveva delle novità in quel campo, ma sapeva quanto l’argomento fosse delicato e non voleva rendere la figlia malinconica << Raccontami qualcos’altro di te >>.
Il non vivere la quotidianità con Clarke gli metteva tristezza soprattutto se pensava a tutti i sacrifici che lui e Adele avevano fatto per adottarla. Ma era stata lei a spingerlo a riprendere a fare concerti per il mondo ben sapendo quanto la musica fosse importante nella sua vita. La vide mordersi il labbro inferiore e comprese che c’era qualcosa che ancora non gli aveva detto. Non disse nulla, aspettando che fosse la figlia a parlare.
<< Ho… ho suonato la Ballata numero uno >> affermò con un filo di voce distogliendo lo sguardo dalla fotocamera.
Quelle parole ebbero l’effetto di una doccia gelata su Philip. Guardò Clarke senza vederla davvero mentre le immagini delle tante volte in cui era stato lui a suonarla nel loro studio gli passavano davanti agli occhi. Anche lui, se poteva, evitava di sentire ed eseguire quella melodia. Amava ancora troppo sua moglie per rimanere impassibile nell’ascoltare le note prendere forma. Chinò il capo e abbozzò un sorriso triste. Quando tornò ad alzare gli occhi sulla figlia, anche lei lo stava guardando. Entrambi sapevano che la loro ferita, a distanza di un anno, era ancora fresca. Si muovevano su un delicato equilibrio in cui cercavano di non ferirsi a vicenda. Ma delle volte era impossibile non farlo. L’uomo si specchiò nelle iridi blu di Clarke notando che la sua luce ora era spenta. Il colore era scuro, quasi cupo.
<< Scusami >> mormorò appena la figlia << Non volevo che… >>.
<< No, Clarke >> rispose Philip allungando una mano sullo schermo per accarezzare la figura della figlia << Manca così tanto anche a me >>.
La ragazza ingoiò un groppo di saliva e non rispose per paura che la sua voce tremasse. Osservò la mano di suo padre spostarsi sul display e chiuse gli occhi come se potesse assaporare meglio quella carezza virtuale.
<< Posso torn… >>.
<< No >> lo bloccò Clarke con voce ferma e un sorriso affiorò appena sulle sue labbra mentre riapriva gli occhi << La mamma non avrebbe voluto che lasciassi un tour a metà >>.
Anche suo padre sorrise a quelle parole. Era vero. Nonostante fosse sua figlia da dieci anni, Clarke riusciva ancora a sorprenderlo con le sue parole e i suoi gesti. In quel poco tempo che le era stato concesso, aveva imparato così tante cose su Adele da meravigliarlo ogni volta.
<< Tornerò presto >>.
<< Lo so >> questa volta la luce tornò a brillare negli occhi della ragazza e il colore da blu tornò azzurro.  
<< Ti voglio bene, Clarke >> disse Philip rasserenato dal cambiamento del colore degli occhi della figlia. Voleva dire che si era rilassata << Ricordati sempre che sei a casa >>.
Clarke sentì il fiato mancarle per quella frase. Quando era stata adottata, sua madre gliela ripeteva ogni sera prima di addormentarsi. La faceva sentire protetta, al sicuro.
<< Ti voglio bene anch’io, papà >> sussurrò chiudendo la conversazione.
Rimase per qualche secondo immobile, col cellulare in mano, imponendosi di respirare profondamente. Al secondo vano tentativo, gettò l’Iphone tra i cuscini e si lasciò andare al pianto.
Sapeva di non aver superato proprio niente.
 
Erano stati mandati tutti in aula magna per proclamare il nuovo rappresentante d’istituto, quello che aveva ricevuto più voti che avrebbe portato avanti le sue idee accompagnato dal secondo e dal terzo nella classifica. Lorenzo alzò il pollice ridendo in direzione di Clarke e come da accordi cercarono di sedersi tra la seconda e la terza fila. Mario, il ragazzo che giocava a calcio con loro e che frequentava il quarto, era stato incaricato di portare la farina. Come ci fosse riuscito, era una domanda cui Clarke non sapeva rispondersi. Però lo aveva fatto. Nonostante cercasse di contenersi, la ragazza non vedeva l’ora di sapere se i suoi sforzi erano serviti a far vincere Sofia e a metterla al sicuro. Lei aveva fatto il possibile per aiutarla. La vide salire sulla pedana e le sorrise per infonderle coraggio non appena i loro occhi s’incontrarono. Si vedeva che era tesa da come camminava rigida. Indossava gli occhiali da vista e Clarke la trovò meravigliosa. Le aveva scritto un messaggio il giorno precedente in cui le lasciava il suo numero. Numero che aveva immediatamente salvato sull’Iphone per poi scriverle affinché potesse avere il proprio. Non si era stupita per niente nel trovare come foto del profilo su WhatsApp, invece che la sua immagine, una piuma e un calamaio. Era davvero troppo timida. Eppure le piaceva per questa sua qualità. Avevano chiacchierato un po’ rimanendo sul vago e alla fine si erano salutate. Grazie a lei, quella notte Clarke era riuscita a tenere a bada il suo abisso e a non ricorrere all’aiuto di Diana per lenirlo. La osservò rimanere in piedi sulla pedana mentre l’amica le si avvicinava per mormorarle qualcosa all’orecchio. Qualcosa che la fece arrossire ancor di più. Clarke scoppiò a ridere nel vedere la sua reazione e poté solo immaginare di cosa si parlasse. Elena era l’esatto opposto di Sofia, le due si completavano alla perfezione. La ragazza aveva bisogno di una persona come Elena accanto, che la spronasse a fare qualcosa di azzardato che, altrimenti, non avrebbe mai commesso. Un po’ come lei e le amiche avevano Marco che frenava le ragazze dal fare follie troppo grandi. Perché sicuramente né Diana o Giulia avevano abbastanza autocontrollo da tirarsi indietro da situazioni difficili. Ma era proprio quello il bello del suo gruppo. Scosse il capo per concentrarsi sulla situazione. Se Sofia non avesse vinto, doveva assolutamente trovare una soluzione alternativa. Si guardò intorno e non appena incrociò lo sguardo di Alice casualmente, la ragazza la salutò con un sorriso enorme. Clarke contraccambiò leggermente a disagio. Possibile che fosse onnipresente? Pareva che la spiasse. Si voltò per controllare l’uscita di sicurezza alle sue spalle e in quel momento dissero il suo nome.
Sofia Cavalieri.
Non aveva vinto, aveva stravinto distanziando gli altri ragazzi di parecchi voti. Si girò di scatto mentre si alzava in piedi e le applaudiva. Sofia era rossa per l’imbarazzo, ma i suoi ridenti occhi esprimevano perfettamente quanto fosse felice. E Clarke lo era per lei, perché, quando l’altra rideva, le si apriva il cuore. Si guardarono negli occhi, entrambe provando a non affogare nel verde e nell’azzurro delle loro iridi, e Clarke le mimò un “brava” con le labbra. Sofia mosse leggermente il capo in segno di ringraziamento mentre venivano proclamati gli altri due rappresentanti. Il segnale venne lanciato allora da Lorenzo. Clarke si gettò a terra sapendo quello che sarebbe accaduto e nell’aula si sparsero urla di panico. I due gemelli, indossando dei caschi, avevano tirato fuori dalle loro felpe le pistole ad acqua con le quali stavano investendo di uova marce tutti i ragazzi presenti sulla pedana. Sofia compresa. Nessuno sfuggì alla mira dei Mancini e successivamente a quella precisa di Mario che, col viso coperto dallo stesso espediente di Diego e Lorenzo, gettò addosso la farina che si attaccò immediatamente. Fu il caos misto alle risate di chi ne era a conoscenza. Clarke sgranò gli occhi per la sorpresa quando vide che era toccata la stessa sorte degli altri anche alla ragazza che le piaceva, ma non riuscì a salvarla. Era accaduto tutto troppo velocemente affinché potesse anche solo pensare di fermare gli amici. Si voltò verso Lorenzo, il più vicino a lei, e gli andò addosso.
<< Basta adesso! >> urlò mentre rischiava di essere schizzata << Avevamo detto che… >>.
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<< Clarke ha ragione! >> s’intromise Mario che si era tolto il casco e stava correndo verso l’uscita per mimetizzarsi agli altri studenti << Andiamo, forza! >>.
I tre ragazzi s’immisero nel flusso dei ragazzi e sparirono in poco tempo. Clarke, invece, rimase immobile sul posto senza riuscire a staccare gli occhi dalla figura di Sofia. L’odore nauseabondo delle uova si faceva sempre più prepotente, ma entrambe non si muovevano. Sofia non riusciva a credere che fosse accaduto davvero. Era ricoperta di una strana melma dalla testa ai piedi e puzzava. Non riusciva quasi a respirare. Fissò Clarke davanti a lei e la odiò per quello che lei e i suoi amici avevano fatto. L’aveva messa di nuovo in ridicolo di fronte a tutta la scuola. Sicuramente era colpa dei Mancini che avevano architettato lo scherzo, ma lei era loro amica e ne era a conoscenza. Aveva visto come si era spostata per non farsi colpire e subito come si fosse accostata al gruppo per ordinare loro di andarsene. E ora era lì che la guardava come se fosse la cosa più orrenda del mondo. Le venne da piangere mentre si portava le mani sul viso per coprirsi. Corse via, incapace di sostenere ulteriormente il suo sguardo.
<< Sofia, aspetta! >> urlò Clarke tentando di fermarla.
Le andò dietro fino al bagno dove la ragazza provò a lavarsi almeno le mani e il viso.
<< Mi… mi dispiace… >> mormorò la più grande non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle.
<< Sei una stronza! >> esclamò Sofia piena di rabbia << Sei solo una fottuta stronza! >>.
<< Ti giuro che i piani non erano… >>.
<< I piani? >> ripeté l’altra sempre più agitata << Hai architettato tutto nei minimi dettagli, vero? >>.
<< No! >> gridò Clarke avvicinandosi << Non doveva andare così! Tu saresti dovuta rimanere… >>.
<< Smettila di offendere la mia intelligenza! >> la bloccò Sofia senza smettere di piangere << Io mi stavo fidando di te, ti ho dato il mio numero! Che stupida che sono stata! >>.
<< Non sei… stupida. Mi disp… >>.
<< Basta! Mi hai reso ridicola di fronte a tutta la scuola, rideranno di me fino alla fine dell’anno adesso! >>.
Clarke provò a dire qualcosa, ma era talmente dispiaciuta da non riuscirci.
<< Ma, d’altronde che altro potevo aspettarmi da una ripetente come te? >> continuò la più piccola. Voleva ferirla e, dall’espressione che assunse l’altra, capì di esserci riuscita << Una che viene bocciata che rispetto può mai avere degli altri o di ciò che la circonda? >>.
E Clarke fece quello che sapeva fare meglio. Si difese perdendo la calma.
<< Come cazzo ti permetti di sputare sentenze su di me o sulla mia vita? >> le fu davanti con un solo passo e la guardò dritta negli occhi << Tu non sai un cazzo di niente! >> la mise le mani sul petto, nonostante fosse sporco, e spinse allontanandola da sé << Non mi conosci e non devi permetterti! >>.
Sofia ebbe quasi paura del suo furore. Il colore delle sue iridi era diventato scuro, così tanto da sembrare di essersi fuso con la pupilla.
<< Credi che solo perché io sia stata bocciata, tu possa essere migliore di me? E’ così? >> Clarke era una furia << Se non fosse stato per me, col cazzo che avresti vinto. Lo sai? Ho passato i pomeriggi a chiedere ai miei amici e a tutti quelli che conoscevo di votare per te! Per te! Perché sapevo quanto ci tenessi! A nessuno importa del tuo fottuto programma! Nessuno lo ha letto! Hai vinto grazie a me! >>.
Entrambe rimasero per qualche istante in silenzio. Le mani di Clarke tremavano di fronte a tutta la rabbia e il dolore che stava esternando; Sofia era completamente paralizzata dalle sue parole. Aveva aperto la bocca un paio di volte per parlare senza, però, poter dire qualcosa di sensato. Aveva esagerato e se ne stava pentendo, soprattutto di fronte a tutto quel dolore che l’altra le stava manifestando. Ma era troppo orgogliosa per ammetterlo e si sentiva ferita, inoltre, dalle parole che Clarke le aveva rivolto a proposito del modo in cui avesse vinto. La vide chinare il capo.
<< Volevo davvero conoscerti >> disse con più calma << Avrei voluto che ne valessi la pena >>.
E se ne andò senza darle nemmeno il tempo di replicare. Sofia osservò la porta richiudersi senza riuscire a dare un senso alle lacrime che ora le rigavano il viso.
 
Era tornata a casa subito dopo la sfuriata avuta con Clarke nel bagno. La preside aveva dato a tutti i ragazzi colpiti dallo scherzo il permesso speciale di poter uscire prima e andare a lavarsi. La puzza era troppo forte per essere sopportabile. Era entrata in camera sua come una furia senza riuscire a smettere di piangere per la rabbia e la frustrazione che provava. Perfino il suo aspetto, in quel momento, passava in secondo piano. Urlò mentre ripensava alla conversazione con Clarke e si morse il labbro inferiore. Non si era mai sentita in quel mondo. Era sempre stata molto calma e razionale, senza colpi di testa e soprattutto quel senso di colpa che strisciava dentro di lei.
<< So, tutto okay? >>.
Edoardo apparve sulla soglia della porta e si tappò il naso nel comprendere che quello strano odore che aveva sentito prima proveniva dalla sorella.
<< Cazzo, ma allora hai vinto! >> continuò sorridendole << Ti abbraccerei, ma puzzi davvero troppo. Vai a farti una doccia prima >>.
Vedendo che, però, la sorella non si muoveva e gli dava le spalle, fece un passo avanti.
<< Perché non sei felice? >>.
<< Perché mi ha messa in ridicolo di fronte a tutta la scuola! >> sbottò la sorella voltandosi e scoppiando nuovamente in lacrime << Sarò lo zimbello di tutti! >>.
<< Ma non è vero! >> tentò di rincuorarla Edoardo con un sorriso << Questi scherzi li facevano anche quando andavo al liceo io! Per questo non ho mai voluto candidarmi >>.
Sofia scosse il capo per nulla convinta. Suo fratello allora, le si avvicinò ulteriormente e fece un respiro profondo.
<< C’è qualcosa che non mi stai dicendo, vero? >> affermò senza aspettare una risposta << Vai a farti una doccia e ne parleremo >>.
<< Non ho nessuna intenzione di… >>.
<< So, chiuditi in quel cazzo di bagno perché mi stai facendo venire la nausea! >>.
 
Mezz’ora dopo Sofia fece la sua apparizione in cucina. Si era lavata minuziosamente più e più volte finché l’odore del bagnoschiuma e dello shampoo avevano completamente distrutto la puzza di marcio che emanava. La camicia e i jeans che indossava erano da buttare. Era riuscita a salvare solo le scarpe. Edoardo la stava aspettando seduto intorno al tavolo e le aveva riempito un bicchiere di succo d’ananas. Si voltò nel sentirla arrivare e le sorrise.
<< Molto meglio >> scherzò facendole cenno di sedersi di fronte a lui << Ora raccontami tutto >>.
Sofia si passò una mano tra i capelli bagnati e ubbidì. Prese un sorso di succo prima di guardare il fratello. Le sarebbe piaciuto essere come lui, pareva che nulla lo scoraggiasse. Era sempre allegro, ottimista, pieno di energie. Era il fratello che tutti avrebbero potuto desiderare. Per lei c’era sempre stato.
<< Edo, non c’è molto da dire >> mormorò appena.
<< Ma perché non sei felice? >> chiese Edoardo << Okay, lo scherzo non ti è piaciuto. Ma è davvero solo per questo? >>.
<< Sarebbe potuto essere stato chiunque, non mi sarebbe importato, ma è stata lei a rendermi ridicola davanti a tutti! >> sbottò Sofia incapace di trattenersi.
Aveva bisogno di sfogarsi, non riusciva più a tenerselo dentro. Il ragazzo inarcò il sopracciglio e si fece attento.
<< Lei? >> ripeté cauto.
La sorella si morse il labbro inferiore temendo che l’altro potesse arrabbiarsi. Lo guardò sentendo gli occhi riempirsi di lacrime e si tolse gli occhiali. Non sapeva nemmeno lei per cosa stesse piangendo ora. Sapeva solo che ne aveva bisogno. Edoardo si alzò per abbracciarla comprendendo quanto fosse difficile per lei l’ammissione che gli stava facendo. Sofia non aveva mai manifestato con facilità i suoi sentimenti e immaginò che quello che stava per dirgli non era affatto semplice.
<< Clarke… >>.
<< Clarke? È così che si chiama la ragazza che ti piace? >>.
La sorella spalancò gli occhi sciogliendosi dalla sua presa.
<< Credevi che non lo avessi capito? >> le domandò suo fratello con un sorriso << E’ la stessa che ti ha prestato il giubbotto sabato scorso, giusto? >>.
<< Ma come… >>.
Edoardo le accarezzò una guancia.
<< Era così palese, So >> rispose con calma << Da quando si dice “la persona” e non “il ragazzo”? E poi quel giubbotto aveva un taglio troppo femminile per essere di un maschio! >>.
Le guance di Sofia presero fuoco di fronte a quelle considerazioni.
<< E a te… >>.
Il ragazzo scoppiò a ridere.
<< Scherzi? Io voglio che tu sia felice, So! Cosa credi che mi interessi se si chiama Clarke o Paolo? Tu sei la mia sorellina e ti vorrò sempre bene >>.
Sofia si sentì travolgere da una forte gioia di fronte alle parole del fratello e finalmente libera di non dovergli mentire. Odiava farlo. Gli sorrise l’attimo prima che il senso di colpa tornasse prepotentemente a strisciare nella sua mente. Il suo viso si rabbuiò.
<< Tanto ora non ha più importanza >> disse abbassando lo sguardo.
<< Perché ti ha fatto questo scherzo? >>.
<< Le ho detto… delle cattiverie abba… abbastanza pesanti >>.
<< Ah >> fece Edoardo tornando a sedersi. Sapeva quanto fosse tagliente la lingua della sorella quando voleva ferire qualcuno << No, So! >> aggiunse poi vedendola nuovamente piangere << Basta con le lacrime >>.
Le prese il viso tra le mani per costringerla a guardarlo negli occhi.
<< Non lo pensavi davvero, giusto? >>.
Sofia scosse il capo lasciandosi andare a un singhiozzo.
<< Allora diglielo. Chiedile scusa. Si aggiusterà tutto >>.
L’altra si morse il labbro.
<< E se non dovesse funzionare? >>.
Edoardo le asciugò le ultime lacrime coi pollici e sorrise cercando di apparire tranquillo.
<< Funzionerà se prova i tuoi stessi sentimenti >>.
 
L’aveva chiamata in lacrime e Diana aveva mollato le lezioni per correre da lei. Aveva citofonato e atteso che le aprisse col cuore in gola. Erano mesi che Clarke non aveva una crisi, pensava che il peggio fosse ormai passato. Sperò che non fosse colpa di quella ragazza, perché altrimenti avrebbe dovuto fargliela pagare. Si tolse il casco e si mosse verso la porta principale. Clarke le aprì apparendo sulla soglia. Aveva gli occhi rossi di pianto e il labbro inferiore sanguinava. Lo aveva morso con così tanta rabbia da riuscire a tagliarlo. Non si dissero niente, si guardarono per un solo attimo negli occhi prima che la porta si richiudesse alle loro spalle. Diana sapeva cosa sarebbe successo, non era la prima volta. Lasciò il casco e lo zaino per terra e continuò a osservarla. Indossava solo una vecchia maglietta bianca che lasciava intravedere perfettamente il reggiseno nero abbinato al suo slip. Deglutì a vuoto una sola volta prima che l’altra si avventasse su di lei schiacciandola contro il muro. Non ebbe il tempo di respirare perché le labbra della ragazza si poggiarono sulle sue esigendo un bacio che non aveva niente di amorevole. Clarke era furiosa e quello era il metodo che conosceva per calmarsi. Diana era la sua camomilla, l’unica persona che sopportava quel suo lato e che le permetteva di scaricarsi su di sé. Era troppo legata a lei per vederla naufragare senza fare niente. Poteva aiutarla e voleva farlo. Sopportare il dolore fisico non era un problema, ma non poteva accettare quello mentale che lacerava l’anima della sua amica. La mano di Clarke si strinse intorno al suo collo con così tanta forza da farle diventare le nocche bianche. Diana sobbalzò mentre si guardavano negli occhi. Aprì la bocca alla ricerca d’aria e allungò un braccio verso la spalla dell’altra nel vano tentativo di fermarla in un gesto di involontaria sopravvivenza. Ma l’amica non si fermò completamente assorta da quello che stava facendo. Non si rendeva conto del dolore che le stava procurando, sapeva solo che le serviva a stare meglio. E Diana sopportava tutto quello che le gettava addosso senza controllare cosa fosse. Letame, veleno, dolore; la ragazza prendeva ogni cosa e la faceva sparire dentro di sé. Avrebbe fatto di tutto per vederla sorridere anche solo una volta. Clarke la lasciò quando comprese che sarebbe potuta svenire di lì a poco e i primi lividi della sua presa iniziarono a comparire sul collo dell’altra. Glieli baciò con forza tenendola ferma sempre contro il muro. Diana fece un paio di respiri profondi prima di gemere nel sentire la lingua di Clarke venire a contatto con la sua pelle.
<< Sei già bagnata? >> le chiese Clarke sorridendo appena mentre con una mano andava a sbottonarle il jeans.
Diana guardò nei suoi occhi blu come un oceano in tempesta e si perse. Come quando ci si tuffa in mare da un dirupo altissimo e non si prende il respiro giusto. Sentì ogni particella di sé smarrirsi negli occhi di Clarke e reclamare affinché la sua coscienza smettesse di elaborare pensieri. Si lasciò andare perché, dopo il dolore, c’era sempre il piacere. Lo sapeva, sapeva che la sua amica riusciva a creare il connubio perfetto che l’avrebbe fatta urlare. Per questo annuì appena mentre il suo pantalone scivolava per terra. Clarke iniziò a morderle la pancia da sopra la maglietta scivolando verso il basso. Le afferrò i glutei con forza graffiandoli e Diana gemette più forte a quel gesto. Poteva sentire distintamente ogni singola unghia passare sulla sua pelle e segnarla con forza scendendo lungo le sue gambe. Si morse il labbro inferiore e le mise una mano tra i boccoli biondi spingendola tra le sue gambe. Clarke si fermò e alzò gli occhi sull’amica. La guardava come si osservava una preda da pregustare e non avrebbe accelerato i tempi.
<< Non così in fretta >> mormorò allargandole le gambe mentre una mano s’infilava sotto la maglietta << Questo gioco non lo comandi tu >>.
Le graffiò il petto lentamente assaporando ogni sussulto che usciva dalle labbra di Diana e le sfilò lo slip. L’altra quasi non si accorse di essere nuda dalla vita in giù. Clarke si rialzò e con una rapida mossa la fece voltare. Quando il freddo del muro venne a contatto con la sua pelle calda, Diana fremette e un brivido di freddo attraversò tutto il corpo. Clarke se ne accorse e la schiacciò con un moto di violenza facendo aderire i loro corpi. La ragazza sussultò e involontariamente il suo bacino scattò verso quello dell’amica bramoso di ricevere attenzioni. Clarke le soffiò in un orecchio prima di morderglielo.
<< Impaziente? >> le sussurrò con voce roca.
Diana non rispose e le dita dell’altra ragazza cercarono i suoi polsi per stringerli insieme in una morsa brutale. Glieli alzò sulla testa e iniziò a morderle il collo all’attaccatura dei capelli.
<< Non ti ho sentita rispondere >> disse aumentando la presa.
<< …sì… >>.
La voce della ragazza era ridotta a poco più di un sussurro. Clarke sorrise, anche se non era il suo solito sorriso. I suoi occhi continuavano a essere cupi, scuri, profondi come se fossero in grado di assorbire tutta la luce intorno. Tenendola sempre di spalle, Clarke le sfilò la maglietta sentendola tremare. La pelle di Diana era calda e bruciante sotto il suo tocco. Le morse una spalla e graffiò con forza l’altra. Sentiva l’esigenza di essere violenta, di sentirsi padrona della situazione, di potersi sfogare a suo piacimento con lei. Fece scivolare una mano sui glutei, perfetti e sodi, modellati da tanti anni di allenamento nella pallavolo stringendoli. Diana scattò provando a voltarsi, ma ricevette una spallata che la bloccò di nuovo alla parete.
<< Ti ho detto di muoverti per caso? >>.
Clarke le premette il braccio sul collo per non permetterle nemmeno di voltare la testa mentre con la mano libera scendeva lungo la schiena graffiandole la pelle. Fu prepotente quando la penetrò con tre dita. Non c’era amore o delicatezza nel suo atto. Spinse e basta. Spinse con rabbia, con forza, con l’unico obiettivo di farla arrivare all’orgasmo. Spinse e allentò la presa sul suo collo. Diana gemette forte, incontrollata e cercò spasmodicamente qualcosa da afferrare e stringere con le mani. Ma la parete era liscia e così l’unica cui riuscì ad aggrapparsi fu la maglietta di Clarke. La ragazza continuava a mettere la pressione giusta nei suoi gesti, arrivando a esplorare luoghi cui normalmente non arrivava. Guardò Diana che a ogni spinta era sempre più vicina all’orgasmo e si fermò. La voltò per guardarla negli occhi. La sua amica respirava affannosamente, era rossa e sudata e il suo sguardo lucido per il mancato piacere. La vide aprire la bocca per dire qualcosa, ma glielo impedì tornando a serrare la mano intorno al suo collo i cui lividi erano sempre più nitidi. Strinse e s’intrufolò di nuovo in lei. Sentì un gemito strozzato morire nella gola di Diana e aumentò la velocità delle sue dita. E la ragazza venne con un orgasmo travolgente. Clarke sgusciò via da dentro di lei e le lasciò il collo. Diana tremava per l’intensità del piacere mentre cercava di fare respiri profondi. Cosa che non le riusciva molto bene. Lentamente scivolò per terra sotto gli occhi attenti di Clarke. Anche lei aveva il respiro affannoso e gli occhi che luccicavano, ma per motivi diversi. Diana si portò una mano sul collo mentre deglutiva e poggiò la testa contro il muro mentre chiudeva gli occhi. Sentì Clarke chinarsi su di lei e respirarle vicino alle labbra.
<< Come stai? >>.
Diana si limitò ad annuire, ancora incapace di articolare le parole. L’amica le diede un bacio sulla tempia e solo da quel gesto l’altra comprese che la rabbia di prima stava scemando fino a scomparire. Abbozzò un sorriso riaprendo gli occhi. Clarke era piegata sulle gambe per arrivare alla sua altezza. Incontrò immediatamente le sue iridi azzurre, limpide come un cielo di primavera. Allungò una mano per accarezzarle la guancia e la ragazza gliela baciò.
<< Sei tornata >> disse semplicemente.
 
Far entrare Clarke nella loro quotidianità era stato così semplice da stupire sia Adele sia Philip. Ai loro occhi, pareva che le loro vite non avessero atteso altro se non l’arrivo della bambina. Era incredibile come tutto combaciasse alla perfezione da quando c’era Clarke. La loro figlia si stava dimostrando incredibilmente intelligente e curiosa verso il mondo, desiderosa di apprendere e di ricevere risposte soddisfacenti alle sue domande. Philip aveva trovato un’allieva attenta e piena di voglia di imparare a suonare. I momenti più intimi che trascorrevano insieme erano proprio quelli. L’uomo era in grado di toccare l’anima delle persone suonando e Clarke restava ore ad ascoltarlo cercando di percepire ogni variazione dei suoni. Era una domenica mattina quando gli aveva espresso il desiderio di voler imparare il pianoforte e niente avrebbe potuto rendere suo padre così fiero di lei. Le aveva insegnato le basi e delle melodie infantili che Clarke aveva riprodotto quasi senza sforzo, come se leggere un codice del tutto diverso alla scrittura non fosse un problema. Era veloce nell’apprendimento e ben presto, ciò che era così elementare iniziò ad annoiarla. Voleva che Philip le insegnasse la sua bravura, voleva riuscire a far vibrare il cuore dell’uomo e della moglie come faceva lui. Ma per arrivare a un livello del genere doveva percorrere ancora parecchia strada. Per il momento si esercitava costantemente col padre e lo ascoltava mentre suonava dopo una giornata faticosa. In particolare, le piaceva osservare i pedali del pianoforte che Philip premeva per dare la giusta intensità alle note e per questo spesso si sistemava sotto lo strumento lasciandosi cullare dalle sue melodie. L’armonia che l’uomo riusciva a creare le trasmetteva sicurezza e quel senso di protezione che mai l’aveva avvolta, nemmeno quando era ancora viva sua madre naturale. Per questo Adele aveva iniziato a farle trovare sotto il pianoforte, un tappeto e un cuscino. Clarke si sistemava lì mentre Philip suonava e ci si addormentava. Era trascorso un mese da quando l’avevano adottata, un mese in cui Clarke aveva scoperto cosa significasse non dover continuamente lottare con gli altri bambini per ottenere qualcosa. Aveva una stanza sua, con libri e giochi suoi, scarpe, vestiti e tutto ciò che le occorresse. Nessuno le aveva mai donato tanto ed era grata ogni giorno per l’immenso regalo che le avevano fatto. Comprese che il Natale si stava avvicinando quando Philip una sera tornò a casa con un enorme abete da abbellire con palline e luci. Era stato in quel momento che un senso di malinconico disagio aveva iniziato a pervaderla. Eppure non aveva detto niente ai due genitori che cercavano di coinvolgerla nell’atmosfera natalizia. Era il loro primo Natale insieme e Adele voleva che fosse perfetto. Tutti e tre sempre più frequentemente facevano passeggiate per le strade principali della città che, addobbate con luci e colori, erano meravigliose. I supermercati promuovevano giocattoli all’ultimo grido, invitavano i bambini a spedire a Babbo Natale le loro lettere e pubblicizzavano lotterie in cui si potevano vincere bellissimi premi. Ma a Clarke pareva non interessare. Accettò di compilare la sua personale lettera a Babbo Natale senza farla vedere ai signori Melbourne che accondiscesero a quella richiesta. Erano talmente presi dall’organizzazione della ricorrenza da non rendersi conto di quanto tempo Clarke trascorresse da sola nello studio a esercitarsi per non pensare al giorno di Natale. La mattina del venticinque arrivò senza che la bambina potesse scacciare il fastidio che provava. Si alzò dal letto rendendosi conto di quanto fosse silenziosa la casa.
<< Philip? >> domandò stropicciandosi gli occhi ancora assonnata << Adele? >>.
Dov’erano finiti?
Erano in salone in ginocchio vicino l’albero. Le sorrisero quando la videro sulla soglia della porta; poi Adele le andò incontro per abbracciarla.
<< Buon Natale, Clarke >> le disse stringendola.
Philip le mise una mano sulla testa.
<< Qualcuno stanotte è passato per farti una sorpresa >> affermò maliziosamente l’uomo indicando alla figlia decine di pacchi chiusi con enormi fiocchi ai piedi dell’abete.
<< E’ stato Babbo Natale >> continuò la moglie con un sorriso enorme << Perché non vediamo cosa ti ha portato? >>.
Ma a sorpresa Clarke scosse il capo e un singhiozzo le scappò dalle labbra. Adele guardò allarmata Philip mentre prendeva entrambe le mani della bambina cercando il suo sguardo.
<< Clarke… >> iniziò incerta << Noi… >>.
<< Babbo Natale non esiste >> sbottò la figlia guardando per terra a disagio << Siete stati voi a comprare tutti questi regali >>.
<< Ma no, Clarke. Che dici? >> provò a salvare la situazione l’uomo.
<< E’ la prima cosa che ci dicono quando arriviamo in orfanotrofio. Così nessuno si aspetta niente la mattina di Natale >>.
I due adulti si scambiarono delle occhiate amareggiate. Non avevano previsto quella possibilità.
<< Io… >> continuò Clarke << Io volevo dirvelo. Ma voi eravate così felici che non volevo farvi diventare tristi. Per questo ho fatto finta di scrivere la lettera >>.
La donna sbatté le palpebre.
<< Hai fatto finta? >> ripeté prudente.
Vide sua figlia annuire ancora senza trovare il coraggio di guardare i suoi genitori negli occhi.
<< Siamo degli idioti >> mormorò Philip << Ci dispiace, Clarke. Noi credevamo di farti felice >>.
<< Ma io sono felice! >> esclamò Clarke alzando per la prima volta lo sguardo << Io sto bene con voi! Anche senza Babbo Natale! È solo una stupida storia su un ciccione vestito di rosso che passa la sua vita al Polo Nord a fabbricare regali per gli altri >>.
A quelle parole, nessuno dei due adulti poté impedirsi di scoppiare a ridere. Clarke era una scoperta continua cui non avrebbero mai rinunciato.
<< Bene >> disse Adele accarezzando una guancia alla figlia << Ora che abbiamo appurato che siamo stati degli sciocchi >> continuò indicando i regali incartati << Perché non vai a controllare cosa ti abbiamo preso? >>.
Ancora una volta la bambina rimase immobile. Guardò la donna con quegli immensi occhi azzurri e si morse il labbro inferiore.
<< Io non vi ho comprato niente >> dichiarò con un filo di voce.
Questa volta Philip la prese in braccio.
<< Sei tu il nostro regalo, Clarke >> le rispose con sicurezza << Il regalo più bello che la vita potesse farci >>.
Depositò la figlia vicino l’albero e si sedette per terra accanto a lei aspettando che iniziasse a scartare i pacchi. Adele incrociò le gambe di fronte a loro e attese con gli occhi lucidi per le emozioni che stava provando. Clarke ne prese uno quasi più grande di lei e si sistemò tra i due genitori. Mosse le dita sulla carta rossa ed esitò. Guardò prima Philip e poi Adele.
<< C’è una cosa che vorrei >> mormorò timidamente << Però non l’ho scritta sulla lettera >>.
<< Cosa? >> domandò l’uomo allungandosi verso di lei << Possiamo andare domani a… >>.
Adele gli diede una leggera botta sul braccio per fargli capire di tacere. Si vedeva chiaramente quanto Clarke fosse combattuta nell’esporre loro quella richiesta.
<< Potete essere per sempre i miei genitori? >>.
E dopo quelle parole Adele fu sicura. Quello era davvero il più bel Natale della sua vita.
 
 
L’angolo di Bik
Scusate il ritardo, ma ieri è stata una giornata infinita. E, anche se il capitolo era pronto, non avuto il tempo materiale di pubblicarlo. Spero che la parte sul Natale vi piaccia almeno quanto è piaciuta a me scriverla. Piccola Clarke continua a colpire e affondare. Con Sofia, invece, c’è stata la prima litigata. Nel prossimo capitolo ci sarà la festa delle matricole!
Al prossimo appuntamento,
F.

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Capitolo 10
*** 10 ***


<< E’ arrivato Marco! >> esclamò Giulia uscendo dal bagno mentre stringeva in una mano il cellulare << Siete pronte? >> aggiunse affacciandosi in camera di Clarke.
Trovò l’amica seduta sul letto mentre Diana era affacciata alla finestra a fumare.
<< Allora? >>.
La ragazza gettò un’ultima boccata di fumo prima di chiudere il vetro. Sollevò le sopracciglia con aria scettica prima di parlare.
<< Sei seria, Giu? >> iniziò << Ti sei chiusa in bagno per mezz’ora e hai il coraggio di chiedere a noi se siamo pronte? >>.
L’amica rise e si passò una mano tra i corti capelli.
<< Vi ho dato modo di prepararvi! >>.
Clarke le lanciò addosso il cuscino.
<< Sei un’idiota >> mormorò alzandosi << E poi si può sapere perché ti sei vestita così elegante? >>.
Giulia si guardò e poi osservò l’abbigliamento delle amiche. Lei era l’unica che aveva indossato un vestito con gli stivali; Clarke e Diana, invece, avevano dei semplici jeans con magliette.
<< Non sai mai chi si può incontrare >> rispose strizzando l’occhio a entrambe prima di correre giù << Stiamo arrivando! >> aggiunse riferendosi al suono insistente del clacson della macchina di Marco.
Clarke scosse la testa e sorrise mentre Diana le prendeva una mano stringendogliela prima di seguirla. Le feste delle matricole erano sempre molto informali. Si beveva molto, se eri fortunato fumavi anche, forse rimorchiavi e alla fine si tornava a casa. Per questo loro avevano scelto la comodità delle Vans rispetto ai tacchi. E poi Clarke aveva il suo marchio insostituibile. Quella volta era una maglietta rossa con la stampa della A simbolo degli Avengers.
<< Ehi, finalmente ce l’avete fatta! >> esclamò Marco scendendo dalla macchina per salutare le amiche.
<< La colpa è tutta della regina Elisabetta qui presente! >> esclamò Diana indicando Giulia con la mano.
Il ragazzo la fissò con aria interrogativa.
<< Perché indossi un vestito?>>.
<< E che palle! >> ribatté Giulia salendo in auto << Nadia? >>.
<< Mi raggiunge lì con dei suoi amici >> rispose Marco.
<< Ehi! >> urlò Clarke diretta all’amica che aveva già preso posto << Chi ti ha detto che potevi metterti davanti? >>.
<< Sei stata lenta, Melbourne! >> le rispose Giulia chiudendo la portiera << E così finalmente incontriamo la tua fidanzatina! >> aggiunse rivolta al ragazzo che metteva in moto.
<< Non farmi pentire di questa cosa >>.
Tutti e quattro scoppiarono a ridere prima di partire. Durante il tragitto chiacchierarono del più e del meno e, quando arrivarono, Marco e Diana si scambiarono una breve occhiata attraverso lo specchietto retrovisore. L’ansia di poter incontrare Luna era presente in entrambi così come il desiderio di fare di tutto per impedire che si vedessero nel caso in cui ci fosse anche lei. Diana aveva appena finito di raccogliere gli ultimi cocci di Clarke e non voleva ricominciare di nuovo. Si sistemò il foulard che aveva intorno al collo per non far vedere i lividi che l’altra le aveva lasciato e scese dall’auto. Clarke la osservò e non poté fare a meno di sentirsi in colpa per quello che era accaduto. A mente lucida riusciva ad analizzare in modo razionale quello che faceva, ma, quando era in preda alla rabbia, tutto perdeva d’importanza. Si chinò sull’orecchio dell’amica mentre Marco e Giulia camminavano avanti a loro e le sussurrò una semplice parola. Diana le sorrise per farle comprendere di non essere arrabbiata con lei.
<< Solo >> aggiunse afferrandole una mano per poterla guardare negli occhi << Non permettere a nessuno di avere questo potere su di te >>.
La ragazza le accarezzò una ciocca di capelli scuri e annuì una sola volta. Entrarono nella struttura. L’ingresso era libero e si poteva scegliere di lasciare un’offerta per le pulizie del giorno seguente. Pulizie che sicuramente sarebbero servite visti molti ragazzi che già giravano ubriachi. Clarke si appuntò mentalmente di lasciare venti euro prima di andare via e il gruppo si diresse spedito verso il bancone degli alcolici. C’erano due universitari di non oltre ventidue anni che riempirono quattro grandi bicchieri di plastica di birra. Marco ringraziò e si guardò intorno aspettando Nadia. Gli aveva scritto di stare arrivando, ma ancora non si vedeva. Intorno a lui, ragazzi di qualunque indirizzo parlavano e ridevano a voce alta. Giulia fece una battuta su un tipo che era appena passato e le altre due scoppiarono a ridere di gusto. Poi alzò la mano per salutare due ragazzi e si allontanò velocemente per raggiungerli. Erano del suo corso.
<< Non è che si è messa in tiro per uno di loro? >> domandò Diana osservandola.
Clarke la affiancò mentre faceva un sorso di birra. La musica, a volume elevato, impediva di sentire cosa si dicessero. Prese per mano l’amica.
<< Beh, andiamo a sentire no? >> disse sorridendole mentre correva verso Giulia << Non ci presenti i tuoi amici? >> aggiunse quando fu certa che il trio potesse ascoltarla.
Giulia rise finendo la sua birra.
<< Ragazze, loro sono Iacopo e Valerio. Frequentiamo lo stesso corso di Fisica >> rispose indicando prima uno e poi l’altro.
I due ragazzi allungarono la mano per presentarsi. Clarke e Diana contraccambiarono la stretta e li osservarono attentamente. Valerio aveva un filo di barba e i capelli lunghi, Iacopo era completamente rasato e un sorriso bellissimo. Le due ragazze si domandarono silenziosamente quale dei due interessasse all’amica. La conversazione scivolò su argomenti neutrali che non fosse l’università o lo studio e, quando si toccarono le serie TV, gli schieramenti per le casate di Game of Thrones, si fecero avanti.
<< Io parteggerò sempre per Cersei! >> esclamò Clarke.
<< Sei ridicola! >> le rispose Giulia << Il futuro figlio di Daenerys salirà sul trono >>.
<< Sei solo una Targaryen invidiosa >> fece Diana scoppiando a ridere.
<< Nessuno che stia mai dalla parte dei Greyjoy >> disse Iacopo.
<< Ci sarà un perché! >> gridò Clarke battendogli il cinque.
Valerio si allontanò per prendere di nuovo da bere.
<< C’è posto per due Stark in questa conversazione? >> s’intromise Marco tenendo per mano Nadia.
<< Finalmente ci conosciamo! >> esclamò Diana tendendo la mano verso la ragazza << Diana, piacere. Marco ci ha parlato tantissimo di te >>.
Nadia arrossì mentre spostava lo sguardo sul ragazzo.
<< Spero che almeno abbia detto solo cose belle >>.
<< Oh, certo! >> rispose Clarke << Sei quella stalker che è finita sui giornali per aver ucciso due poliziotti, giusto? >>.
Tutti scoppiarono a ridere e Marco comprese che, dopo quella battuta, Nadia si stava rilassando. Era da Clarke cercare di mettere tutti a proprio agio.
<< Esatto, proprio io >> disse.
Risero di nuovo; poi Clarke raggiunse Valerio che era ancora fermo al banco degli alcolici.
<< Oh, grazie per l’aiuto! >> affermò vedendo che la ragazza lo stava aiutando.
Si allontanò con in mano i primi tre bicchieri ricolmi di birra. Clarke fece un passo per seguirlo, ma si bloccò. Non sentiva quella voce da così tanto tempo.
<< Clarke? >>.
Anche senza voltarsi, sapeva a chi appartenesse. Aveva un timbro così profondo da essere molto difficile da imitare.
<< Sei davvero tu? >> proseguì Luna.
La ragazza si voltò ritrovandosi di fronte a quegli occhi color nocciola che aveva, un tempo, adorato. Ingoiò a vuoto un paio di volte mentre le mani iniziavano a sudare.
<< Clarke! >>.
Era la voce di Diana. Sapeva che l’avrebbe raggiunta, ma non riusciva a girarsi nella sua direzione. Un bicchiere di birra le cadde di mano schiantandosi per terra e sporcandole le Vans bordeaux che indossava. Eppure non le importava, perché quella davanti a lei era davvero Luna. Luna, la sua ex ragazza. Luna, sempre bellissima come ricordava. Luna, che le stava sorridendo. E lei si sentiva un’ebete. Sentì Diana strattonarla per riportarla alla realtà senza, però, successo. Era persa in un vortice di ricordi, sentimenti e parole mai dette. Luna fece un passo nella sua direzione.
<< Non ti avvicinare, Luna! >> esclamò Diana protettivamente << Lascia stare Clarke >>.
Ma l’altra ragazza non pareva volerle dare ascolto.
<< Come stai? >> chiese invece rivolta alla sua ex ragazza.
Le sorrise, quello stesso sorriso che le aveva rivolto così tante volte e Clarke sentì l’aria mancarle. Sembrava impossibile che le avesse fatto così male, eppure era successo davvero. Fece un respiro profondo sentendo la gola secca.
<< Luna, vattene >> affermò Marco arrivando in aiuto dell’amica << Non vedi che non vuole parlarti? >>.
<< Cosa siete? I suoi amici o i suoi cani da guardia? >> domandò l’altra snervata da quella barriera che Marco e Diana stavano innalzando tra lei e Clarke << Fai parlare loro per tuo conto? >> aggiunse cercando gli occhi della ragazza.
Occhi che trovò spenti e privi di emozione.
<< Brutta stronza… >> mormorò Diana avvicinandosi a Luna minacciosamente.
<< Diana! >> urlò Clarke. L’amica si bloccò voltandosi per guardarla << Non ne vale la pena >>.
La ragazza indietreggiò.
<< Andiamocene >>.
Clarke non rispose, combattuta tra il desiderio di scappare il più lontano possibile e il restare per poter continuare a guardarla. Luna aveva alzato i lunghi e ricci capelli rossi in una coda, ma ciuffi ribelli le scendevano scompostamente sul viso. Gli occhi scuri erano truccati giusto quel poco che bastava per valorizzarne il taglio, gli abiti erano semplici. Un paio di jeans strappati, una maglietta a mezzemaniche con una camicia a quadri rossa lasciata aperta, un paio di stivaletti neri. Nulla era fuori posto. Perché ai suoi occhi era ancora così bella? Tremò ancor prima di rendersene conto.
<< Clarke, Diana ha ragione. Andiamo via >> disse Marco afferrandola per il polso sinistro.
<< Come credi che stia? >> domandò invece rivolta a Luna.
Aveva abbassato lo sguardo non osando continuare a osservarla.
<< E’ passato più di un anno, Clarke >> rispose l’altra facendo un passo verso di lei << Mi dispiace che tu… >>.
<< Che io cosa?! >> la bloccò Clarke << Tu sei stata… >> si fermò scuotendo il capo << Ma tanto per te era solo un gioco, no? L’hai più vinta quella scommessa? >>.
Luna si sentì ferita dalle sue parole.
<< Non era solo un gioco, lo sai anche tu. Era iniziato com… >>.
<< Ti prego, non aggiungere altro >> s’intromise Marco << Clarke, andiamocene. Non merita nemmeno le tue parole >>.
Questa volta la ragazza seguì Marco e Diana.
<< Io ti amavo >> disse inaspettatamente voltandosi verso Luna che la stava guardando << Davvero. E tu non sei venuta nemmeno al funerale di mia madre >>.
La bocca di Luna si aprì per rispondere, ma lei si era già voltata verso gli amici. Giulia la abbracciò dandole un bacio sulla tempia e insieme reputarono opportuno lasciar perdere la festa delle matricole. Avrebbero fatto altro, non avevano bisogno di un pretesto per voler stare insieme. Marco sussurrò qualcosa a Nadia che si limitò ad annuire mentre Giulia salutò Iacopo e Valerio. Luna li osservò uscire dalla porta principale e inclinò il capo.
<< Mi manchi, Clarke >> sussurrò a se stessa.
Era la prima volta che lo ammetteva.
 
Clarke era stata per qualche giorno a casa di Diana. Non voleva rimanere sola e l’amica l’aveva accolta a braccia aperte. In fondo, erano un’unica famiglia. A suo padre non lo aveva detto, voleva che continuasse a credere che andasse tutto bene. Come poteva dirgli che l’incontro con Luna l’aveva scombussolata a tal punto da non riuscire a stare a casa? Tra un paio di mesi sarebbe terminato il tour e sarebbe tornato da lei, non c’era bisogno di scombussolarlo mentre era dall’altra parte del mondo. Luthor aveva accolto con gioia il ritorno a casa Atomi perché, oltre a essere super viziato, Matteo giocava spesso con lui. Nonostante l’età, il suo boxer aveva mantenuto un’indole da cucciolo. La stessa che i suoi ex padroni avevano provato a cancellare per farlo diventare un cane da combattimento. Era stato salvato prima da Gabriella che lo aveva accolto al rifugio e poi da lei e la sua famiglia. Loro due si erano scelti, esattamente come anni prima Adele e Philip avevano scelto lei come figlia. Quando ci pensava, le veniva sempre da sorridere. Scelti. Un po’ come lei, Diana, Marco e Giulia; si erano tutti scelti, nessuno li aveva obbligati a essere amici.
<< Ehi >> disse Diana distogliendola dai suoi pensieri << Tutto okay? >>.
Clarke annuì mentre si scostava dalla finestra della camera dell’amica. Era appena uscita dalla doccia e indossava ancora l’accappatoio. I capelli bagnati erano alzati da un mollettone.
<< Come è andata all’università? >> le chiese sentendo Diana avvicinarsi.
La ragazza gettò lo zaino ai piedi del letto e sbuffò.
<< Odio analisi >> mormorò abbracciandola << Tu, invece, hai studiato? >> aggiunse notando i libri di geografia astronomica e di storia aperti sulla scrivania.
<< Non puoi pensare di ergere palazzi senza delle solide basi di matematica! >> scherzò Clarke sciogliendosi dalle sue braccia ed evitando di rispondere alla sua domanda.
Prima Sofia e poi Luna, quelle due ragazze nell’arco di quarantott’ore l’avevano scombussolata troppo. Le serviva un po’ di tempo per riprendersi e tornare a sorridere veramente. Diana le sorrise mentre le sfiorava il collo col suo naso.
<< La odio lo stesso >> le mormorò togliendole il mollettone e baciandole una guancia.
Erano sole a casa. Gaia era ancora a lavoro come suo padre, Matteo era in giro con gli amici e Luthor e sua madre era bloccata nel traffico. Al gesto di Diana, Clarke abbozzò un sorriso prima di voltarsi verso la finestra. Era buio, la settimana prossima avrebbero dovuto mettere l’ora legale e sarebbero ormai entrati a pieno nell’inverno.
<< Puzzi >> affermò la ragazza mettendole un dito sul petto.
Diana s’imbronciò a quelle parole prima di iniziare a farle il solletico.
<< Questo è il ringraziamento per averti ospitata per tre giorni? >> le disse fintamente arrabbiata.
Caddero ridendo sul letto. Diana sovrastò Clarke e si guardarono negli occhi. La malinconia non era ancora scomparsa dal suo sguardo. Per questo la baciò, voleva aiutarla a scacciarla. Tremò quando le loro lingue si scontrarono.
<< Clarke… >> sussurrò con voce roca.
La ragazza aveva gli occhi chiusi e quel segnale le bastò. Si alzò e si portò la mano sulla fronte.
<< Stavi pensando a Luna? >> le domandò senza girarci troppo intorno.
Clarke sollevò la testa poggiandola sulla mano. L’accappatoio le scivolò lateralmente facendo intravedere il seno abbondante. Il suo sguardo era colpevole.
<< Mi dispiace >> mormorò con un filo di voce << Vederla mi ha… >> non sapeva nemmeno lei bene come spiegarlo << Mi passerà >>.
<< E’ una stronza, Clarke! Dovresti odiarla! >>.
<< E la odio, infatti! >> ribatté l’amica alzandosi in piedi << La odio per come si è comportata ma… è stata la mia prima e unica ragazza! La prima con cui l’ho fatto, la prima a cui detto “ti amo”! E’ stata la prima in tutto! Non posso fare finta che non sia mai accaduto >>.
Respirò profondamente prima di osservare la reazione sul viso di Diana. L’amica aveva gli occhi lucidi. Si morse il labbro, forse avrebbe dovuto trattenersi. L’attimo dopo tutti i suoi dubbi scomparvero nel sentire Diana gettarle le braccia intorno al collo. La strinse respirando un paio di volte senza aggiungere altro. La sua migliore amica aveva compreso e sarebbe stata in grado di guarire ogni sua ferita.
 
Elena guardò Sofia e subito dopo il suo orologio da polso. L’amica roteò gli occhi e preferì finire di ascoltare la spiegazione dell’insegnante.
<< E’ inutile che fai finta di niente >> le mormorò.
<< Ele, non sto facendo finta di niente >> rispose l’amica prendendo appunti sul bordo del libro << Credo che filosofia in questo momento sia un pochino più importante >>.
<< Più importante di chiedere scusa a Clarke?! >> esclamò Elena facendosi sentire da tutti << Mi scusi prof >> aggiunse subito dopo notando lo sguardo di rimprovero della donna su di sé.
Erano giorni che stava convincendo la ragazza a scusarsi con Clarke senza che Sofia riuscisse a prendere l’iniziativa. Quando la ragazza le aveva raccontato cosa era avvenuto, le aveva urlato che era un’idiota e che avrebbe dovuto rimediare all’accaduto se voleva avere anche una sola possibilità con lei. All’inizio Sofia era rimasta rigida nella sua posizione e non aveva voluto sentire ragioni, ma, col trascorrere dei giorni, il senso di colpa era così forte da non farle sentire altro. Nemmeno gli snervanti tentativi di Claudio nel provare a iniziare una conversazione. Sospirò mentre la campanella suonava. Il giorno precedente aveva visto Clarke andare in bagno ed era stata tentata di seguirla, però poi aveva lasciato perdere ricordandosi con quali occhi l’avesse guardata. Meritava il suo disprezzo, l’aveva giudicata sulla base di una bocciatura senza sapere altro di lei. Era stata terribilmente superficiale. Elena la trascinò fuori dall’aula a spintoni. Quella mattina pioveva e quindi tutti gli studenti si accalcavano per i corridoi o vicino alle finestre per fumare. Individuarono Clarke quasi subito, quei capelli biondi e ricci erano ormai inconfondibili per Sofia. Era di spalle, con i gomiti appoggiati a una finestra aperta mentre fumava in compagnia dei fratelli Mancini che, ai due lati della sua figura, le davano spallate e la facevano ridere. Quella scena le diede terribilmente fastidio. Non solo erano due soggetti che combinavano guai a non finire, ma si prendevano tutta quella confidenza con lei. Mosse un passo verso il trio, sotto lo sguardo attento e sollevato dell’amica, ma il volto di Claudio le si parò davanti. Le sorrideva e lei non poté fare altro che fermarsi.
<< Ciao Sofy >> salutò amabilmente il ragazzo.
<< Ciao Claudio >> ricambiò Sofia cercando l’aiuto di Elena che immediatamente le si affianco.
<< Ehi! >> esclamò la terza ragazza con un finto sorriso.
<< Oh, ciao Elena >> disse Claudio passandosi una mano tra i capelli << Ecco, Sofy, volevo chiederti una cosa >>.
Sofia lo guardò distrattamente mentre non smetteva di tenere d’occhio Clarke. Quanto ci metteva a sparire dalla sua visuale?
<< La settimana prossima ho il compito in classe di italiano >> proseguì l’altro credendo che fosse attenta alle sue parole << E volevo chiederti se qualche volta potessimo studiare insieme. Sai, è su quella palla assurda di Pascoli >>.
Sofia sbatté le palpebre.
<< Eh? >> disse inizialmente << Pascoli? >>.
<< In questi giorni non è proprio possibile >> intervenne Elena << Ha promesso di aiutare la sua migliore amica con fisica >>.
Rivolse il suo miglior sorriso a Claudio che si strinse nelle spalle. Non era quello che voleva sentirsi dire, la ragazza lo comprese dallo sguardo che lanciò a Sofia.
<< Va beh, allora sarà per un’altra volta >> mormorò. Le diede un bacio sulla guancia prima che Sofia potesse sottrarsi << Ciao Sofy >> salutò << Ciao Elena >> aggiunse secco prima di allontanarsi.
<< Viscido! >> esclamò Elena quando fu abbastanza lontano da non sentirla.
Sofia si passò il dorso della mano sulla zona ed ebbe un moto di disgusto. Non si era resa conto che, nel frattempo, Clarke aveva osservato tutta la scena. Quando tornò a guardare la finestra cui la ragazza era appoggiata, la trovò vuota.
<< Merda >> sospirò mentre la campanella suonava.
 
<< Ora non ti muovi da qui finché non le chiederai scusa! >>.
Sofia si guardò intorno. Erano a pochi metri dal cancello principale della scuola, aveva smesso di piovere e i ragazzi affollavano l’uscita per poter tornare a casa.
<< Come fai a sapere che non se n’è già andata? >>.
Elena indicò la moto di Clarke.
<< Quella è sua >> le rispose << E se è ancora lì, significa che non è andata via >>.
Sofia sgranò gli occhi.
<< Questo si chiama… >>.
<< Lo so, mi ringrazierai più tardi >> la bloccò Elena facendo finta di guardarsi le unghie della mano destra e sorridendo.
L’altra scosse il capo senza sapere cosa dire. Con l’amica aveva perso ogni speranza che potesse essere una persona normale.
<< Quattro parole devi dirle >> continuò Elena diventando seria e fissandola negli occhi. Le contò sulla punta delle dita << Scusa sono un’idiota >>.
<< Veramente sono tre >> puntualizzò Sofia.
La ragazza roteò gli occhi senza risponderle.
<< Ripeti con me >> riprese << Scusa sono un’i… >>.
<< Io non sono un’idiota! >>.
<< Oh, certo che lo sei. Ripetilo adesso! >>.
Le due erano così prese dal loro battibecco da non accorgersi che Clarke, intanto, stava uscendo fedelmente accompagnata da Lorenzo e Diego. Alice era pochi metri più dietro di lei.
<< Clarke, allora ci vediamo domani! >> salutò Lorenzo correndo verso il suo motorino << Muoviti Diego, prima che ricominci a piovere! >>.
Diego alzò la mano per salutare e si allontanò.
<< Ciao ragazzi! >> ricambiò la ragazza sistemandosi lo zaino sulle spalle.
Voltò appena gli occhi e vide Elena e Sofia. Sentì distintamente le loro ultime frasi e scoppiò a ridere nel notare come il viso di una delle due fosse completamente rosso.
<< Ciao Clarke >> fece Alice passandole accanto e sfiorandole una spalla.
<< Ehi, ciao Anna! >> esclamò l’altra con un sorriso << A domani! >>.
<< Certo, ma è Alice >> rispose la ragazza assumendo un’aria di rimprovero.
Clarke si portò le mani davanti il viso congiungendole.
<< Scusa, scusa! Non so perché non riesco a ricordarlo. È anche un bel nome! >>.
Alice le si avvicinò e le posò una mano sul petto.
<< Dovresti davvero >> disse strizzandole l’occhio prima di correre verso la fermata dell’autobus.
La ragazza più grande la osservò per qualche secondo interdetta prima di tornare a prestare la sua attenzione a Elena e Sofia che stavano ancora litigando.
<< Chi è che è un’idiota? >> domandò quando fu abbastanza vicina.
Sofia sobbalzò per lo spavento.
<< Nessuno >> rispose arrossendo ancor di più.
<< Ciao Clarke! >> esclamò Elena sorridendo << Beh, io vado! Sofia deve dirti una cosa importantissima! >> aggiunse spingendo l’amica ancor più vicina a Clarke.
<< Aspetta! Dove cavolo… >> Sofia rimase frastornata dal comportamento di Elena e si sentì a disagio così vicina all’altra.
<< Ciao Elena >> salutò educatamente Clarke, poi rivolse la sua attenzione a Sofia << Cosa devi dirmi? >>.
Si guardarono negli occhi e la più piccola dovette lottare con tutte le sue forze per non annegare nell’azzurro delle sue iridi.
<< No, è che io… >> iniziò senza sapere come pronunciare delle scuse << …ho riflettuto bene sulla nostra ultima… chiacchierata e… >> dovette fare un respiro profondo prima di continuare << …e analizzando esternamente la situazione, beh, ho notato come… sì, cioè… hai capito, no? >>.
Clarke sbatté le palpebre un paio di volte mentre il sopracciglio destro si alzava in un movimento involontario.
<< Hai preso le tue medicine oggi? >> le chiese cauta.
<< Oh, insomma! >> esclamò Sofia avvampando per l’ennesima volta e facendo un passo indietro << Ho pensato molto a quello che ti ho detto e… e… credo di doverti delle scuse >>.
Un lieve sorriso increspò le labbra di Clarke.
<< Credi? >> mormorò.
I loro sguardi s’incontrarono di nuovo ed entrambe rimasero senza fiato per l’intensità che trasmettevano.
<< Ti devo delle scuse per quello che ti ho detto >> rispose Sofia tutto d’un fiato abbassando il capo e fissando il marciapiede.
La mano dell’altra che le alzava il mento la fece sobbalzare.
<< Grazie >> rispose Clarke mentre il suo sorriso si apriva sempre di più << Ma le accetterò a un’unica condizione >> allontanò la mano dal suo viso ora che aveva di nuovo la sua attenzione << Sabato prossimo ci sarà una festa a casa mia. Vieni. Puoi portare anche Elena, se vuoi. Il mio cane ne sarà felicissimo >>.
Rise e le orecchie di Sofia si riempirono di quel suono. Sentì il cuore saltarle in gola.
<< Non credo che… >>.
<< Ci saremo! >> esclamò Elena spuntando da dietro un’automobile.
Sia Clarke sia Sofia la guardarono con aria interrogativa.
<< Ma non te n’eri andata? >> domandò Sofia conscia dell’immensa figura di cacca che stava facendo con la maggiore.
<< Ho dimenticato i libri sotto il banco >> mentì l’amica strizzandole l’occhio.
Clarke tornò a guardare l’altra.
<< Beh, allora ci conto >> disse << Ciao ragazze! >> aggiunse salutando entrambe e avvicinandosi alla sua moto per partire.
<< No, io veramente non… >> provò a dire Sofia senza, però, essere ascoltata. Si voltò verso Elena posando entrambe le mani sui fianchi << Hai sentito tutto, vero? >>.
<< Ovvio! >> affermò l’amica ridendo << E, anche se hai detto ventiquattro parole e non quattro, sei stata brava lo stesso! >>.
Le scompigliò i capelli come se fosse una bambina.
<< Tu sei proprio un’idiota! >>.
<< Un’idiota che ti salva sempre il culo, però! >>.
Scoppiarono a ridere entrambe.
<< Grazie >> disse subito dopo Sofia sorridendole grata.
 
Luna ordinò una birra e si voltò verso l’entrata del bar. Dallo sgabello sul quale era seduta poteva vedere distintamente chi entrava e usciva. E dei suoi amici nemmeno l’ombra. Si sfilò il cellulare dalla tasca del jeans e scrisse un messaggio sul gruppo che avevano in comune. Erano dieci minuti che aspettava. Stefano le rispose immediatamente dicendo che era rimasto imbottigliato nel traffico ma che sarebbe arrivato tra qualche minuto, mentre Raffaele non lo aveva ancora visualizzato. Sbuffò mentre si portava il boccale alle labbra e faceva un lungo sorso. Pochi secondi dopo vide uno dei due amici entrare. Si alzò in piedi e gli fece un cenno con la mano. Il ragazzo le sorrise e le andò incontro. Si abbracciarono prima che Raffaele le domandasse dove fosse Stefano. Luna si strinse nelle spalle e gli indicò il posto dove era seduta.
<< Mi ha scritto che sarà qui a momenti >>.
Si sedettero e Raffaele ordinò una birra per sé.
<< Allora >> disse con un mezzo sorriso mentre aspettava << Devi raccontarci parecchie cose >>.
La ragazza annuì fissando il suo boccale. Avrebbe voluto parlare con gli amici subito dopo aver visto Clarke, ma, per i vari impegni che avevano col lavoro, era stato possibile solo adesso.
<< L’università come va? >>.
<< Tutto tranquillo >> rispose Luna.
<< Non ha più visto Caforio? >>.
Luna scosse il capo e in quel momento sentì qualcuno abbracciarla da dietro. Sorrise mentre il profumo che usava Stefano le arrivava alle narici.
<< Finalmente! >> esclamò Raffaele battendogli una mano sulla spalla.
<< Scusate, mi sono capitati due turni serali di fila! >> disse l’ultimo arrivato poggiando su uno sgabello la sua tracolla << Un inferno >>.
Luna lo guardò sistemarsi vicino a lei e chiedere alla cameriera una birra rossa. Era la sua preferita. Quando tutti e tre ebbero il boccale in mano, brindarono e fecero un lungo sorso.
<< Mi ci voleva proprio! >> esclamò Stefano rilassandosi.
<< Come va a lavoro? >> domandò Luna.
Stefano aveva iniziato a lavorare da qualche mese al negozio della Nike del centro commerciale Campania come commesso grazie a una buona parola del padre col direttore dell’intera struttura.
<< L’inferno >> affermò il ragazzo << E tra poco sarà Natale! Odio tutti! >>.
Luna e Raffaele scoppiarono a ridere.
<< Un tempo ci piacevano le feste di Natale >> mormorò la ragazza.
<< Sì, quando andavamo al liceo! >> fece Raffaele << Immaginate cosa ci sarà al ristorante solo durante il ponte dell’Immacolata! >>.
Stefano annuì.
<< Va beh, adesso non fatemi passare per quella che non fa un cazzo! >> disse Luna << Solo perché vado all’università e voi già lavorate! >>.
<< Perché tra noi tre eri tu quella brava a scuola! >> rispose Stefano ridendo.
Anche gli altri due si unirono alla sua risata; poi si fissarono per una manciata di secondi in silenzio. Era vero. Quando frequentavano il liceo, Raffaele e Stefano non avevano assolutamente nessuna voglia di studiare mentre Luna era sveglia e intelligente, apprendeva rapidamente e col minimo sforzo. Aveva salvato il loro sederino dalla bocciatura parecchie volte perché erano i suoi amici. Non era mai stata brava a fare amicizia, ritrovandosi spesso sola al banco, ma con loro era stato diverso. Aveva cambiato scuola a causa del lavoro del padre al secondo anno ed era finita in classe con i due ragazzi. Si era seduta al banco davanti il loro e aveva sentito sussurrare da Stefano a Raffaele un “finalmente qualcuno di carino in questa cazzo di classe”. Aveva sorriso e da quel momento erano sempre stati amici.
<< Ora che siamo tutti e tre, dicci tutto Luna >> disse Raffaele cingendole le spalle con un braccio.
Luna ordinò una seconda birra e si voltò verso i tavoli. Sospirò, sapendo che gli amici non sarebbero stati d’accordo con lei.
<< Si tratta di Clarke >>.
Stefano stava per fare un altro sorso di birra, ma si bloccò.
<< Ancora? >> chiese.
<< L’hai vista? >> domandò Raffaele.
Luna annuì.
<< Alla festa delle matricole, quella dove voi due stronzi non siete voluti venire! Era con i suoi amici e, pensate un po’, quasi non mi permettevano di parlarle >>.
Raffaele sbuffò.
<< Mi è sempre stato sul cazzo Caforio >> disse.
<< E com’è andata? >>.
Luna alzò gli occhi su Stefano specchiandosi nell’azzurro delle sue iridi. Era un ragazzo molto bello, soprattutto ora che si era deciso a rasarsi i capelli sul lato sinistro. Si strinse nelle spalle.
<< Male, ovviamente >> rispose.
Raccontò l’accaduto, cercando di essere il più minuziosa possibile, e, quando tacque, tutti si presero dei minuti per elaborare la situazione.
<< Luna, non ho capito una cosa >> ruppe il silenzio Raffaele << Vuoi davvero riprovarci con lei o è solo un capriccio perché ti ha lasciata dopo aver saputo della scommessa? >>.
<< Beh, se si tratta di farti una scopata posso presentarti qualche mia collega >> affermò Stefano con un mezzo sorriso per cercare di stemperare la tensione che Luna stava accumulando << A meno che tu non voglia tornare agli uomini >>.
Luna gli diede una spallata, ma non poté fare a meno di ridere.
<< Cretino >> disse semplicemente << Io… lo so che è trascorso un anno da quando mi ha lasciata, ma non sono mai riuscita a togliermela dalla testa >>.
Stefano emise un lungo fischio.
<< Ti eri innamorata >> mormorò finendo la sua birra.
Luna annuì e un sorriso amaro le affiorò sulle labbra.
<< E adesso ho rivisto prima Caforio e poi lei! >> esclamò << Significherà qualcosa, cazzo! >>.
Strinse con forza il vetro del boccale mezzo pieno e cercò di trattenere la rabbia che provava nei confronti di se stessa. Era partito tutto come una scommessa tra loro, ma poi Clarke l’aveva trascinata nel suo mondo, guidandola attraverso i fumetti, i libri, la musica e lei si era smarrita lì. E aveva compreso quanto amore ci fosse in ogni sua singola parola, di come lei stessa traboccasse d’amore per quella ragazza che inizialmente la stava prendendo in giro per riuscire a farci sesso. Innamorarsi di Clarke era stato facilissimo, dimenticarla sembrava impossibile ancora adesso.
<< Non puoi forzarla, Luna >> constatò Raffaele << Se non vuole nemmeno parlarti, pensa tornare insieme >>.
<< Non mi ha dimenticata, altrimenti non si sarebbe comportata così. I suoi amici non mi si sarebbero rivoltati contro quasi avessi la lebbra, se fosse così >>.
I due ragazzi annuirono brevemente. Non era facile dimenticare una ragazza come Luna. La loro amica non era solo bellissima, possedeva un fascino che riusciva a usare per rimorchiare chiunque volesse e vincere tutte le scommesse che facevano insieme. Tra i tre, era quella che aveva vinto più alcool. Poi nella sua vita era entrata Clarke e Luna era cambiata. Non era più la ragazza che se ne fregava degli altri, che cercava di riparare agli sbagli con i soldi di mamma e papà, che si faceva una o due canne per dimenticare il casino combinato; era maturata e aveva iniziato a desiderare una vita più tranquilla di quella che fino a quel momento aveva condotto. Perché tutto si poteva dire di loro, tranne che fossero dei ragazzi tranquilli. Avevano stretto una forte amicizia al liceo proprio per i loro caratteri e situazioni simili alle spalle. Tutti e tre erano vissuti sempre nell’agio più totale dovuto all’importante impiego dei loro genitori che, però, era servito solo ad ampliare l’immensa voragine che provavano per la mancanza dei loro famigliari. Era stato quel vuoto ad accomunarli e da ragazzi si erano promessi di essere sempre la famiglia l’uno dell’altro. Loro erano la famiglia che si erano scelti.
<< Forse >> iniziò Stefano grattandosi la testa << Potresti iniziare da piccoli passi. Potresti farla rinnamorare di nuovo >>.
Luna scivolò col mento sul bancone trovandolo freddo. Se almeno i suoi amici non le avessero remato contro, sarebbe stato molto più semplice. Non chiedeva di essere perdonata, solo di essere ascoltata. Dopo che Clarke l’aveva lasciata, nessuno di loro le aveva permesso di raccontare quello che pensava o che provava. Avevano fatto muro intorno alla ragazza e l’avevano allontanata. Ma quello che lei sentiva per Clarke era autentico, non era solo un capriccio altrimenti sarebbe bastato andare a letto con un’altra per togliersela dalla testa. E ci aveva provato. Tante volte. Ma non era servito a niente. Ogni volta che riapriva gli occhi e osservava la sconosciuta dormire, immaginava che fosse Clarke. Nelle loro schiene nude, cercava il tatuaggio della ragazza; nei loro visi, i suoi lineamenti.
<< Oh, non fare così! Avanti! >> la scosse Raffaele << La vuoi davvero? Allora andiamo a riprendercela! >>.
Questa volta Luna sorrise.
<< Devo provare a farla rientrare nella mia vita >> disse.
<< E noi ti aiuteremo! >> rispose Stefano contagiato dall’ottimismo dell’amico.
 
 
L’angolo di Bik
Buon pomeriggio lettori,
Spero che questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento e che non sentiate troppo la mancanza di piccola Clarke. Lei tornerà nel prossimo capitolo, tranquilli! Sono riuscita anche a pubblicare con un giorno di anticipo, applauso a me. Almeno questa è una cosa che riesco a tenere sotto controllo; purtroppo ci sono stati dei ritardi nella consegna delle tavole e la data dell’uscita del mio fumetto è stata posticipata probabilmente a fine aprile. Ma parliamo di questo capitolo, invece. Finalmente è arrivata Luna e si inizia a capire cosa è successo tra le due. Non nego che Luna è un personaggio che a me piace e mi piace scrivere di lei. Che ne pensate?
Al prossimo appuntamento,
F. 

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Capitolo 11
*** 11 ***


<< Dove stiamo andando? >> chiese Clarke osservando il paesaggio sfrecciare sotto i suoi occhi attraverso il finestrino.
Adele si voltò per guardarla e le sorrise.
<< In libreria >> le rispose allungando una mano per accarezzarle il viso.
<< Hai letto tutti i libri che ti abbiamo comprato >> s’inserì Philip che stava guidando. Guardò la figlia attraverso lo specchietto retrovisore << E’ giusto che sia tu adesso a scegliere. Così inizierai ad avere dei gusti tuoi. Puoi scegliere tutto quello che vuoi purché si legga >>.
Clarke aveva annuito. In orfanotrofio non aveva mai avuto molti libri a disposizione e quindi non aveva mai avuto modo di dissetare la sete di conoscenza che aveva. Ora, però, era diverso. Philip e Adele erano sempre pronti ad accontentarla quando era possibile. Erano trascorsi quattro mesi dal giorno di Natale e mai i suoi genitori adottivi le avevano dato modo di pensare che volessero riportarla indietro. Le ripetevano tutte le sere di essere a casa e lei, ormai, aveva iniziato a crederci davvero. C’era una sola cosa che ancora non riusciva a fare.
<< Ma… >> iniziò titubante mentre si guardava la punta delle scarpe << Ora che voi mi avete… presa… >>.
Adele scoppiò a ridere poggiando una mano su quella del marito.
<< Si dice adottata, Clarke. Puoi dirlo, non è una parolaccia >>.
Clarke arrossì a disagio e si passò una mano tra i capelli.
<< Sì, quello >> riprese << Adesso che voi lo avete fatto, vi aspettate che vi chiami in quel modo? >>.
I due coniugi si guardarono per qualche secondo prima che Philip parcheggiasse e spegnesse la macchina. Si tolsero le cinture di sicurezza per voltarsi a guardare la bambina.
<< Ho detto una cosa sbagliata? >>.
<< No, hai fatto solo una domanda >> si affrettò a tranquillizzarla l’uomo.
<< Clarke, non abbiamo fretta >> la rassicurò Adele << Quando ti sentirai pronta, potrai chiamarci mamma o papà. Non c’è una scadenza >>.
Non ne avevano mai parlato, ma era una cosa che li avrebbe riempiti di gioia. La bambina usava i loro nomi, non aveva ancora sentito il desiderio di usare quegli appellativi e loro aspettavano. Quella domanda li aveva lasciati abbastanza interdetti. Clarke non rispose e strinse i pugni sulle gambe.
<< Cosa c’è? >> domandò Adele in apprensione.
Le prese i pugni stringendoli nelle sue mani. Lentamente la pressione si sciolse e Clarke intrecciò le dita a quelle della madre.
<< E se io… se io non lo facessi mai? >> chiese alzando gli occhi.
Erano lucidi, sull’orlo del pianto per la delusione che avrebbe causato a entrambi. Invece Adele continuò a sorriderle. Le sue parole non le erano state indifferenti, ma la prima ad avere bisogno di sostegno era Clarke. Le baciò le mani.
<< Non fa niente >> le rispose << Se non riuscirai a farlo, noi ti ameremo lo stesso. Sempre, perché ora sei a casa >>.
Philip annuì con convinzione e la bambina parve tornare a respirare.
<< Ora >> disse sorridendole << Chi vuole scegliere un libro? >>.
 
<< Perché questo no? >> domandò Clarke mentre stringeva contro il petto la versione integrale di Dracula di Bram Stoker.
Philip scosse il capo con un mezzo sorriso sulle labbra.
<< Perché non è adatto alla tua età >> provò a farla ragionare Adele.
<< Ma Philip ha detto che potevo scegliere qualunque cosa si leggesse! >>.
Adele guardò il marito che scoppiò brevemente a ridere prima di tornare serio. Nessuno dei due si sarebbe aspettato che, tra tanti libri, Clarke scegliesse qualcosa di così… insolito.
<< Qualunque cosa adatta a te, Clarke >> disse Philip cercando di apparire coscienzioso.
In realtà, quella situazione lo stava particolarmente divertendo. La bambina mise il suo tipico broncio di disaccordo, ma non aggiunse altro mentre continuava a stringere il libro.
<< Perché non facciamo un altro giro? >> propose Adele con pazienza allungando una mano verso di lei << Potremmo trovare qualcosa che ti piaccia di più di Dracula >>.
<< Ne dubito >> affermò Clarke camminandole accanto.
<< Guarda questo >> le mormorò l’uomo mettendole davanti un grosso tomo << Si chiama Superman, lo conosci? >> aspettò che scuotesse il capo prima di continuare << E’ la storia di un bambino che viene da un altro pianeta e viene adottato da due persone quando arriva sulla Terra. Lo chiamano Clark, come te. Da grande compie imprese straordinarie e salva il mondo >>.
Clarke prese in mano il volume e lo aprì rimanendo interdetta dalle molteplici figure che c’erano.
<< E’ un fumetto, Clarke >> spiegò Philip chinandosi sulle ginocchia << E’ diverso da un libro, ma si legge lo stesso. Che ne pensi, potrebbe piacerti? >>.
La bambina continuò a sfogliarlo.
<< I suoi veri genitori sono morti? >> chiese.
Suo padre annuì mentre le metteva una mano sulla testa.
<< Perché non lo mostri ad Adele? >>.
Clarke si voltò cercando la donna, ma doveva aver continuato a camminare mentre loro due parlavano. Si allontanò da Philip per cercarla e non si accorse di aver lasciato il libro di Dracula su uno scaffale mentre stringeva il fumetto di Superman. Della donna, però, non vi era traccia. Guardò indietro per tornare dall’uomo, ma anche lui ora era sparito. Una strana ansia iniziò lentamente ad avvolgerla. E se Philip e Adele in realtà volessero liberarsi di lei lasciandola lì? Forse erano arrabbiati con lei per la questione dei nomi. Erano capaci davvero di una cosa del genere?
<< Adele >> chiamò piano senza smettere di guardarsi intorno << Philip >>.
Non riusciva a trovare nessuno dei due.
<< Adele, Philip >> continuò mentre il timore di essere stata davvero abbandonata si faceva strada dentro di lei << Non è divertente >>.
Strinse con così tanta forza il fumetto da far diventare bianche le nocche. Vide un uomo di spalle che somigliava parecchio a suo padre e corse da lui, ma, quando si voltò rivelando un viso completamente diverso, si bloccò paralizzata dalla paura. Una lacrima scivolò lungo la guancia mentre i singhiozzi si ammassavano tra le labbra serrate.
<< Ti sei persa, piccola? >>.
La voce della commessa era gentile, ma Clarke era così tanto spaventata da ritrarsi dalla sua presa e arretrare. Adesso le sembrava che tutti la stessero guardando e additando come quella bambina che era riuscita a farsi abbandonare per ben due volte nella sua vita. Tirò su col naso provando a essere coraggiosa senza il risultato sperato.
<< Clarke! >>.
Quella voce era inconfondibile alle sue orecchie. Adele era di fronte a lei, a pochi metri, mentre reggeva in mano alcuni libri. L’espressione del suo viso era spaventata, né lei né Philip riuscivano a trovarla e temevano che fosse uscita dalla libreria. Poi l’aveva vista e il suo cuore aveva ripreso a battere normalmente.
<< Mamma! >> urlò Clarke a pieni polmoni correndo verso di lei.
Abbracciò la donna che era rimasta pietrificata dalla parola che aveva appena pronunciato e scoppiò in lacrime. Tutte le paure che aveva avuto si erano rivelate infondate e lo spavento ora stava scivolando lungo il suo corpo. Adele si chinò lasciandole un bacio tra i capelli prima di stringerla contro di sé. Anche lei stava piangendo, ma non per lo stesso motivo. Non avrebbe mai pensato che Clarke la chiamasse mamma proprio in quel momento. Sentire quella parola le aveva fatto provare un formicolio lungo tutto il corpo e il cuore aveva fatto le capriole arrivando in gola.
<< Ti sei spaventata? Mi dispiace >> riuscì alla fine a dire << Ero andata a chiedere consiglio a un commesso… >>.
Clarke non la stava ascoltando. Si limitava a tenere il viso nascosto contro il suo petto e a stringere convulsamente la maglietta tra le dita delle mani. Gemeva e calde lacrime le bagnavano il viso.
<< Mamma >> ripeté con voce rotta dal pianto.
E Adele credette che questa volta il cuore le sarebbe scoppiato davvero. La stava chiamando mamma.
<< Mamma >> disse per la terza volta la bambina come se stesse prendendo confidenza con quel nome nuovo.
<< Sono qui, Clarke >> rispose Adele abbracciandola << Sono qui. Sei a casa >>.
Ora era davvero sua figlia.
 
Era stato Marco a proporre di organizzare una festa a casa sua. L’unico scopo era quello di distrarla e farla ridere, Clarke lo sapeva bene e per questo aveva accettato. Giulia era stata fin da subito entusiasta, progettando di fare il bagno in piscina nonostante fosse l’inizio di novembre. Diana si sarebbe unita a lei a patto che anche la padrona di casa lo avesse fatto.
O forse hai paura di raffreddarti?
Clarke lesse l’ultimo messaggio inviato dall’amica sul gruppo e scoppiò a ridere. Erano davvero un gruppo di idioti. Rispose velocemente e subito dopo mise il cellulare sotto il banco per continuare a seguire la lezione. Osservò il suo compagno e pensò che avrebbe potuto invitare anche loro. Si sarebbero divertiti tutti insieme. Soprattutto perché sarebbe venuta Sofia. Aveva cercato di sembrare normale il giorno precedente quando Elena aveva accettato per entrambe, ma in realtà ne era davvero felice. Sofia le aveva chiesto scusa con molto imbarazzo e lei si era ritrovata a sorriderne come un’ebete. Era bello tornare a provare qualcosa di simile. Quando si era lasciata con Luna, aveva affrontato un periodo orribile, aggravato ancor di più dalla morte improvvisa della madre, dal quale era uscita solo grazie a Diana. L’amica era stata la sua ancora di salvezza e le aveva permesso di non naufragare nel dolore. Le aveva mostrato dove indirizzarlo e, grazie a questo, era stata meglio. Così suo padre aveva potuto riprendere a suonare in giro per il mondo. Era nato per mostrare i suoi capolavori alle persone, chiuderlo a insegnare musica in un conservatorio era abominio. Quasi non si accorse del suono della campanella. Scattò in piedi facendo rovesciare la sedia e si stiracchiò. Stava per rivolgere la parola a Diego e Lorenzo, ma i due erano già corsi fuori dall’aula. Provò a raggiungerli, urlando i loro nomi, senza successo. Così, si appoggiò al muro aspettando che tornassero. Si guardò intorno notando immediatamente Sofia e Elena. Stavano venendo verso di lei. La ragazza dai capelli scuri salterellava allegra intorno all’altra mentre Sofia si limitava ad annuire ogni tanto, gli occhiali da vista fissati sul naso. Poi alzò gli occhi e i loro sguardi s’incontrarono. Clarke si ritrovò a sorridere mentre sprofondava nel verde. Entrambe indossavano una tuta da ginnastica e avevano i capelli raccolti in una coda alta, segno di avere educazione fisica. Si staccò dalla parete per poter parlare con Sofia, ma tra loro si frappose Claudio. Clarke sollevò il sopracciglio contrariata. Non poteva sentire cosa si dicevano, però vide Elena roteare gli occhi e Sofia fare un respiro profondo. Era già la seconda volta che lo vedeva avvicinarsi alla ragazza e un moto di disagio le attraversò il corpo. Si prendeva troppa confidenza per i suoi gusti soprattutto perché l’altra non pareva gradire le sue attenzioni. Un pensiero improvvisamente la fulminò e comprese chi fosse quel ragazzo. Le venne da sorridere mentre osservava Sofia allontanarsi da lui seguita fedelmente dall’amica.
<< Ti prego, non dirmi che quello è il tuo ex >> le mormorò senza salutarla al suo orecchio.
Il viso dell’altra prese immediatamente fuoco. Il fiato di Clarke le solleticava il collo e un brivido le percorse la pelle.
<< Ma che cavolo… >> rispose Sofia.
Clarke scoppiò a ridere.
<< Ciao Clarke! >> trillò allegramente Elena << Io vado in bagno! >> aggiunse rivolta all’amica << Ci vediamo dopo >>.
Le strizzò l’occhio e corse via, lasciando Sofia ancora frastornata dalle parole di Clarke.
<< Allora è così? >> continuò ridendo.
<< Sei l’unica che lo trova divertente! >> disse Sofia in imbarazzo.
<< Oddio, Claudio Landolfi >> fece Clarke << Un idiota. Al compleanno di Luca aveva provato a buttare una ragazza in piscina e invece ci è finito lui >>.
Rise ricordando l’accaduto.
<< Hai finito? >>.
Clarke alzò le mani in segno di resa e chinò il capo.
<< Sei sicura che ti piacesse? >> domandò subito dopo << Non è esattamente il tuo tipo >>.
Sofia incrociò le braccia sul petto e assunse un’aria indispettita.
<< E quale sarebbe, secondo te, il mio tipo? >>.
L’altra ragazza non parve rifletterci molto.
<< Deve essere intelligente >> iniziò << Non troppo pesante perché compensi tu alla stragrande >> rise nel vedere l’espressione incredula di Sofia << Colta, magari appassionata di letteratura. Credo che quella inglese sia la tua preferita >>.
La più piccola era così sorpresa dalle sue parole da non prestare quasi attenzione al genere femminile che Clarke aveva volutamente usato. Per lei era stata una prova.
<< Sono davvero un libro aperto? >> chiese arrossendo di nuovo.
Aveva appena descritto con molta semplicità, la persona che avrebbe voluto avere accanto senza badare per un solo attimo al genere che l’altra aveva usato.
Clarke si chinò nuovamente sul suo orecchio.
<< Solo per chi sa osservarti bene >> le sussurrò affinché potesse sentirla solo lei.
<< Clarke! >> esclamò Lorenzo che stava tornando col fratello verso l’aula << Oh, rappresentante >> salutò portandosi una mano alla tempia per imitare il tipico saluto militare.
<< Ragazzi, finalmente! >> fece Clarke mettendosi accanto a Sofia solo per poter continuare a respirare il suo odore << Volevo invitarvi a una festa che sto organizzando a casa mia sabato prossimo >>.
<< Una festa a casa tua? Non potremmo mai mancare! >> rispose Diego battendole il cinque << Dobbiamo portare qualcosa? >>.
La ragazza scosse il capo.
<< Dai, allora portiamo la birra! Quella non fa mai male se ce n’è di più! >>.
Tutti e tre risero prima che Lorenzo rivolgesse la sua attenzione a Sofia.
<< Viene anche lei, rappresentante? >> scherzò.
<< Mancini, ti sembra il caso di darmi del lei? >> urlò sconvolta la ragazza << Comunque sì, Clarke mi ha invitata >>.
Diego e Lorenzo scoppiarono a ridere.
<< Rispettiamo le gerarchie! >> affermò Diego continuando a scherzare << A che ora è la festa? >> aggiunse tornando a guardare Clarke che si strinse nelle spalle.
Stava per rispondere, ma la voce di Alice la bloccò.
<< Andate a una festa? >> chiese intromettendosi nella conversazione << Dove? >>.
Sofia guardò Clarke sperando che cogliesse la sua silenziosa preghiera.
<< Ne sto organizzando una a casa mia >> rispose, invece, con semplicità.
<< Oddio, posso venire anch’io Clarke? >> si autoinvitò la ragazza prendendola per un braccio e aggrappandovici.
<< Ehm, certo… >> fece Clarke a disagio per quel contatto.
L’altra ragazza alzò gli occhi al cielo mentre Alice salterellò sul posto.
<< Grazie, Clarke. Sarà fantastico! >> esclamò felice.
<< Figurati Arianna >>.
Sofia non riuscì a reprimere una risata. Si portò le mani davanti alla bocca e guardò l’amica che si era fermata.
<< Si chiama Alice >> disse quando si fu ripresa.
Clarke si batté una mano sulla fronte.
<< Giusto, Alice! Scusami! >>.
Alice assunse un’aria seria mentre scostava Sofia per avvicinarsi maggiormente all’altra.
<< Dovrò fare qualcosa che te lo faccia rimanere impresso nella mente >> mormorò facendo scivolare le dita della mano lungo la sua pancia e risalendo lentamente.
La più grande ingoiò un groppo di saliva. Ci stava spudoratamente provando con lei?
A Sofia, invece, fischiarono le orecchie per il fastidio. Alice stava nettamente esagerando. La campanella suonò prima che potesse dire qualcosa. Alice salutò tutti e rientrò in classe sottolineando a Clarke di sbrigarsi. Anche i gemelli la seguirono lasciando le due ragazze da sole.
<< E così hai invitato anche Alice >>.
Clarke si strinse nelle spalle.
<< Si è autoinvitata, cosa potevo fare? >>.
Sofia alzò un sopracciglio.
<< Non sono affari miei, è casa tua >>.
Quella sua reazione fece scoppiare a ridere l’altra.
<< Alla fine, è simpatica >> disse Clarke infilando le mani nelle tasche dei jeans.
Sofia si voltò di scatto per poterla guardare negli occhi. La trovò sorridere maliziosamente verso di lei. Poi si morse il labbro inferiore e quel gesto le fece girare la testa. La stava provocando?
<< Simpatica? >> ripeté alla fine sperando che la sua voce non tradisse le sue parole << Credevo fossi una persona intelligente, Kent >>.
Clarke rise di nuovo in modo così genuino che Sofia sentì lo stomaco tremarle. Riusciva davvero a farla vibrare per ogni cosa che faceva, anche la più stupida. L’arrivo della professoressa richiamò la maggiore a rientrare in classe. Clarke ubbidì ma, prima di scomparire dietro la porta, le fece l’occhiolino con aria complice.
 
Giulia adorava il suo corso di fisica. E non solo per la materia. Entrò in aula in anticipo costatando che il professor Artesi non era ancora arrivato e si fiondò fuori dopo aver gettato la sua tracolla sul banco in prima fila. Nel corridoio, prese il suo cellulare dalla tasca del jeans e inviò un messaggio scoppiando a ridere subito dopo per le cazzate che si scriveva con gli amici. Valerio la salutò quando varcò l’entrata principale e le chiese se voleva un caffè prima della lezione. Scosse il capo e si appoggiò al muro prima di accendersi una sigaretta. Inspirò una boccata e si guardò intorno. Salutò un paio di compagni di corso e il suo sorriso si allargò quando vide il suo docente parcheggiare la sua moto proprio fuori la facoltà. Lo osservò togliersi il casco e passare una mano tra i ricci scuri per ravvivarli mentre prendeva la sua valigetta. Si diresse con sicurezza verso l’entrata di ingegneria e rallentò il passo quando vide Giulia. Le sorrise passandole accanto.
<< Buongiorno signorina Noti >> mormorò sfiorandole appena una mano.
Giulia finì la sua sigaretta gettando per terra il mozzicone e lo seguì all’interno della struttura dopo aver contraccambiato il saluto. Rodolfo Artesi era il più giovane professore di tutta la facoltà di ingegneria e non era noto solo per la sua bravura. Era un uomo di trentotto anni, dal fisico asciutto, i capelli scuri e ricci, gli occhi azzurri nascosti da una enorme montatura nera. Giulia, come molte altre ragazze, lo trovava bellissimo. Il più bell’uomo che avesse mai visto. Ovviamente dopo Leonardo di Caprio. Lo aveva incontrato dopo la seconda lezione vicino alle macchinette mentre lei imprecava perché il suo caffè non voleva saperne di uscire. L’uomo gliene aveva offerto un secondo e si erano ritrovati a chiacchierare per qualche minuto. Alla fine della terza lezione, si erano rivisti allo stesso posto e così quello era diventato il loro punto d’incontro. Nessuno faceva caso a due persone che chiacchieravano di fisica. Giulia era completamente rapida dalla sua figura. Quando non aveva lezione con Rodolfo, lo cercava nella folla di ragazzi e professori che agitavano i corridoi della facoltà. Era un uomo molto intelligente e il suo modo di rapportarsi con lei era dolce e garbato. Ogni volta che lo vedeva avvicinarsi alla macchinetta del caffè, mentre contava gli spiccioli che aveva in tasca, il suo cuore saltava e batteva più velocemente. Non era mai stata innamorata, al liceo aveva avuto solo qualche storiella senza senso, più per provare il sesso che per il sentimento in sé, ma, se avesse dovuto dare un nome a quel senso che le afferrava lo stomaco ogni volta che il professore le rivolgeva un sorriso, era sicuramente Rodolfo Artesi. Per lui la sera della festa delle matricole si era vestita bene, ma non erano riusciti a vedersi a causa di Luna che aveva rovinato tutto. Entrò in aula subito dopo di lui e si preparò a seguire la lezione vicino a Iacopo e Valerio.
Quando la campanella suonò, salutò gli amici e sistemò le sue poche cose nella tracolla. Osservò l’uomo salutare un suo collega e poi guardarla mentre con l’indice si sistemava gli occhiali sul naso. Infilò il giubbotto e si avviò verso la macchinetta. Lo trovò lì che finiva di infilare le monetine all’interno.
<< Riuscirò mai a offrirtene uno io? >> disse poggiandosi alla parete mentre aspettava il suo caffè.
Rodolfo sorrise appena senza guadarla. Lui non era tipo da dare subito confidenza a qualcuno che conosceva appena, ma con Giulia era stato così semplice da spaventarlo quasi. Era una sua alunna, ma era anche una ragazza molto bella con quel corpo non ancora maturo. Però Giulia non era solo un viso grazioso. Era allegra, solare, molto sveglia e piena di entusiasmo per il suo indirizzo universitario. Gli ricordava se stesso quando aveva iniziato. Per questo si era sentito in dovere di non farsi dare del tu. Era una sua alunna, ma era anche una persona meravigliosa da conoscere. E lui non riusciva a smettere di pensare a lei. La conosce da un mese e ogni volta che aveva una lezione del primo si ritrovava a cercarla tra i volti anonimi dei suoi colleghi. E si rasserenava quando incontrava i suoi occhi scuri, che gli infondevano calma e serenità.
<< Finché saremo in facoltà mai >> rispose porgendole il bicchierino di carta e allontanandosi dalla macchinetta per permettere ad altri di usufruire dei suoi servigi.
Giulia ne prese un sorso senza smettere di guardarlo.
<< Vuoi dire che se prendessimo un caffè in un bar, potrei riuscire a pagarlo io? >>.
Rodolfo sorrise stringendosi nelle spalle.
<< Forse >> rispose enigmatico.
La ragazza sorrise sentendo il cuore saltarle in gola.
<< Professor Artesi, mi sta invitando da qualche parte? >> domandò facendosi ardita.
<< Rodolfo! >>.
La voce della sua collega, fece bloccare l’uomo dal rispondere a Giulia. S’irrigidì mentre si voltava verso Matilde Ubaldi.
<< Ciao Matilde >> salutò cordialmente mentre la donna gli si avvicinava.
Matilde era l’assistente del professor Carli, una delle punte di diamante che la facoltà di ingegneria della Federico II poteva vantare. Le sorrise con affabilità mentre il suo unico desidero era quello di poter continuare a chiacchierare con Giulia. Si era finalmente deciso a chiederle di uscire. Niente di impegnativo, solo un caffè, ma voleva vederla fuori dall’ambito universitario dove doveva sempre dosare le parole e i gesti. Giulia provò un moto di fastidio per quell’interruzione e un rossore generale la investì quando vide chi stava cercando Rodolfo. Quella Matilde non era bella, ma sicuramente si vestiva in modo provocante.
<< La ringrazio, professore, per i chiarimenti >> si affrettò a dire.
Non voleva mettere nei casini l’uomo e soprattutto non voleva che qualcuno notasse l’imbarazzo che stava provando in quel momento.
<< Di… di nulla, signorina >> rispose Rodolfo colto di sorpresa.
Tossì per riprendersi mentre Giulia raccoglieva da terra la sua tracolla. La vide accartocciare il bicchiere e lanciarlo nel cestino, centrandolo perfettamente prima di allontanarsi. Una sola volta si girò per guardarlo e lui non le staccò gli occhi di dosso finché gli fu possibile. Poi sorrise, inumidendosi le labbra, e concentrò tutta la sua attenzione su ciò che voleva Matilde.
 
Era ora di pranzo quando il cellulare di Giulia vibrò. Lei stava aspettando Marco e Nadia per una lezione che avevano in comune sulla soglia della porta. Scorse lo schermo e sorrise nel notare l’ultimo messaggio. Velocemente sbloccò il suo Huawei per poterlo leggere tutto.
Domani pomeriggio alle cinque all’Intenso Bar di Posillipo. Hai problemi ad arrivarci?
Il sorriso di Giulia si allargò mentre rispondeva.
E il cuore per tutta la lezione, non fece altro che rimbombarle nelle orecchie.
 
Giulia si era decisa a parlarne con gli amici. L’appuntamento con Rodolfo fuori la facoltà era andato benissimo, lui era stato sempre gentile parlandole con tono dolce e appassionato della materia che insegnava. Era una di quelle persone che adorava davvero quello che faceva e che era riuscito da solo a ottenere una cattedra nella facoltà. Giulia lo ammirava molto e non aveva smesso un attimo di sorridere di fronte a quello sguardo entusiasmato da ciò che raccontava. Avevano trascorso un paio d’ore in tranquillità, serenamente, senza la preoccupazione di altri professori o ragazzi.
<< Ragazzi, devo dirvi una cosa >> affermò col cuore che le batteva all’impazzata nel petto.
Ora o mai più, pensò osservando gli amici che avevano alzato gli occhi da piatto.
Erano a casa di Clarke e stavano cenando. All’amica non era mai piaciuto stare da sola per troppo tempo ma non poteva nemmeno stabilirsi a casa di Diana. Ritrovarsi tutti da lei la sera per mangiare più volte durante la settimana, era sembrato il miglior modo per destreggiarsi in quella situazione. L’amica la fissò aspettando che continuasse e Giulia fece un respiro profondo.
<< Io… io mi vedo con una persona >> disse con un filo di voce.
<< Lo sapevo! >> esclamò Diana saltando dalla sedia e alzando un braccio verso l’alto << E’ Valerio, vero? Ho scommesso con Clarke che era lui mentre lei crede che sia Iacopo >>.
Giulia sgranò gli occhi per la sorpresa e l’imbarazzo.
<< Cos… no! >> rispose indignata << Loro sono solo amici! >>.
Marco alzò il sopracciglio scettico.
<< E allora su chi dovevi fare colpo alla festa delle matricole? >> chiese incrociando le braccia sotto il petto.
Clarke iniziò a dondolarsi sulla sedia con fare pensoso.
<< Il fatto è che… >>.
Le parole della ragazza vennero interrotte dal suono del suo cellulare. Era un messaggio. Per un attimo tutti e quattro si guardarono in silenzio prima che Clarke e Diana scattassero in direzione della borsa dell’amica. Giulia provò a intercettarle, ma la padrona di casa fu più veloce di lei. Sollevò anche lei il sopracciglio nello stesso atteggiamento di Marco quando lesse il nome sul display.
<< Chi cazzo è Rodolfo? >> domandò senza troppa grazia.
<< Esiste davvero un ragazzo che si chiama così? >> fece Diana afferrando al volo il Huawei di Giulia che l’altra le aveva lanciato.
<< Ehi, piantatela! E ridatemi il cellulare! >>.
Marco assottigliò gli occhi mentre si alzava per controllare anche lui.
<< “Spero che ti stia divertendo con i tuoi amici. Oggi, in libreria, ho trovato qualcosa che potrebbe aiutarti con l’esame. Non è nel programma, ma…” >> lesse, poi guardò la ragazza sempre più rossa in viso << Sblocca >> aggiunse porgendoglielo.
<< Ma chi è questo? >> chiese Diana.
Giulia prese il cellulare.
<< E’ quello che sto provando a dirvi se faceste un minimo di silenzio! >> esclamò << E’ Rodolfo Artesi! >>.
Diana e Clarke si scambiarono un breve sguardo senza comprendere.
<< Quel Rodolfo Artesi? >> domandò invece Marco.
<< Lo conosci? >> fece Clarke.
Il ragazzo posò i suoi occhi su Giulia che non gli aveva risposto.
<< No, Giulia! >> disse passandosi una mano sulla fronte << Non posso credere che sia il professore di fisica! >>.
<< Professore di fisica? >> ripeté Diana sconvolta.
L’altra ragazza aprì la bocca per dire qualcosa, ma non trovò le parole adatte.
<< Ti stai vedendo col tuo professore di fisica? >> strillò Clarke << Ma sarà un vecchio decrepito e affamato di figa! >>.
<< Veramente è il professore più giovane della facoltà. Ha trentotto anni e… >>.
<< E’ sempre il doppio più grande di te! >> affermò Marco << E poi come diamine avete fatto a… >>.
Giulia arrossì ancor più di prima. Sapeva che all’inizio i suoi amici avrebbero avuto delle remore, toccava a lei cercare di farli ragionare e riuscire a far cambiare loro idea.
<< Noi… noi abbiamo iniziato a chiacchierare vicino la macchinetta del caffè. È sempre stato gentile con me e poi… ieri ci siamo visti a un bar di Posillipo. Io credo… io credo di essere innamorata >>.
Marco si sedette poggiando entrambi i gomiti sul tavolo. Aveva sempre vissuto l’essere l’unico maschio del gruppo come una sorta di protettore delle amiche e adesso sentiva che Giulia si stava cacciando in grossi guai.
<< Innamorata? >> disse Clarke prima di sorridere all’amica << Ma è fantastico! >>.
Le buttò le braccia intorno al collo sapendo che mai Giulia aveva parlato in quel modo di uno dei tanti ragazzi con i quali era uscita in precedenza. L’amica contraccambiò il gesto.
<< Fantastico? >> ripeté Marco << Clarke, ti rendi conto che quest’uomo ha… >>.
<< Il doppio dei nostri anni, sì Marco. Lo hai già detto >> rispose la padrona di casa.
Diana roteò gli occhi.
<< Sappi che io non sono d’accordo >> disse semplicemente << Ma se credi che ne valga la pena, io sto dalla tua parte >>.
Il sorriso di Giulia si allargò mentre Marco si alzava in piedi e guardava il trio. Scosse il capo. Gli occhi dell’amica brillavano di felicità e questo non poteva essere trascurato.
<< Okay >> affermò alzando le mani << Va bene. Ti stai frequentando con un professore. Ma sappi che se prova a fare anche solo l’accenno di una cosa sbagliata io… >>.
<< Non succederà >> lo interruppe Giulia correndogli incontro << Andrà tutto bene, vedrai! >>.
Gli saltò addosso e Marco sostenne il suo peso stringendola. Voleva bene a tutte le sue amiche e avrebbe fatto qualunque cosa per loro.
<< Quindi immagino che il tuo esame sarà solo una farsa! >> commentò ridendo Clarke per stemperare gli ultimi residui di tensione.
Marco e Diana scoppiarono a ridere.
<< Stronza! >> rispose l’altra << Rodolfo non è quel tipo di persona! >>.
<< Abbi almeno il buon senso di passarmi gli esercizi dello scritto >> continuò Marco.
Giulia gli diede una leggera spinta facendo una risata sarcastica.
<< Non cambierà nulla! Studierò esattamente come tutti gli altri! >>.
<< Disse la cocca del prof >> fece eco Diana.
Tutti e quattro scoppiarono a ridere.
<< Per quanto tempo andrà avanti questa cosa? >>.
Clarke e Marco si passarono due dita sotto il mento con fare pensoso.
<< Per molto, molto tempo! >> esclamò infine Marco.
Tornarono a mangiare e, tra una battuta e l’altra, l’atmosfera si distese. Clarke elencò le persone che aveva invitato alla festa e Giulia fu entusiasta nel sentire il nome di Sofia.
<< Quindi ha detto che viene? >> chiese Diana cercando di mantenere un tono calmo.
<< Sì! >> rispose Clarke << Veramente mi ha risposto la sua amica, Elena, ma credo che valga per entrambe >>.
L’amica non rispose limitandosi ad annuire.
<< Sono contento che le cose si siano aggiustate tra voi >> affermò Marco.
L’amica gli sorrise con sincerità, ma, quando guardò Diana sentì il boccone andarle di traverso. La ragazza la stava osservando impassibile con quegli occhi scuri talmente profondi da esserne inghiottita. Cercava di non esprimere nessun sentimento ma quello sguardo tradiva il risentimento che provava. Clarke la stava mettendo al secondo posto per una che nemmeno sapeva apprezzarla. Era da lei che era corsa dopo quella specie di litigata che avevano avuto trovando sempre la porta aperta, la ragazza non doveva dimenticarlo. E sarebbe finita sempre tra le sue braccia perché Diana era l’unica che poteva salvarla.
Ma se non avesse più avuto bisogno di essere salvata?
Quel pensiero trafisse la mente della ragazza come un doloroso ago rovente.
Cosa sarebbe accaduto allora?
Non l’avrebbe più vista nuda gironzola per casa, non avrebbe più sentito il suo corpo accaldato contro il suo, non avrebbe più asciugato le sue lacrime.
No, non poteva perderla. Diana aveva bisogno di Clarke anche se poteva apparire il contrario. Per questo decise che avrebbe impedito con tutte le sue forze che tra le due potesse nascere qualcosa.
E quale occasione migliore della festa di sabato?
L’attenzione di tutti venne attratta dal cellulare di Clarke che suonò. Lo aveva lasciato sulla penisola della cucina.
<< E’ lei! >> esclamò Giulia ridendo.
Clarke scattò in piedi facendo quasi rovesciare la sedia e Diana sperò che gli amici si sbagliassero.
<< A me sembra una notifica di Facebook dal suono >> mormorò la ragazza pulendosi le labbra col tovagliolo.
Dalla faccia che fece la sua migliore amica, comprese di non essersi sbagliata. Quello che non aveva considerato, era il turbamento che attraversò lo sguardo di Clarke. Si alzò in piedi comprendendo che non era una delle solite sciocchezze. L’amica si mordeva nervosamente il labbro inferiore mentre osservava il display senza sbloccarlo. Non parlava e i suoi occhi erano cupi.
<< Clarke, cosa c’è? >> domandò Marco.
La ragazza non rispose limitandosi a mostrare il cellulare agli amici. Diana lo prese in mano e lanciò un’occhiata a Marco.
<< Luna >> disse semplicemente.
Era appena arrivata la richiesta di amicizia da parte di Luna Scambi.
 
 
L’angolo di Bik
Buonasera e chiedo venia per il terribile ritardo. A mia discolpa posso dire che ci sono state le feste di Pasqua e la famiglia si è riunita. E poi sono stata impegnata col disegnatore nello scegliere la copertina del fumetto. Ma ce l’ho fatta, quindi vi beccate un nuovo capitolo! E sì, c’è anche piccola Clarke.
Alla prossima.
F.

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Capitolo 12
*** 12 ***


Luna non aveva mai avuto un rapporto particolarmente buono con la sorella più grande, ma, da quando era nata sua nipote, le due si erano avvicinate parecchio. Danila era più grande di lei di ben tredici anni, una differenza notevole per riuscire a stringere un solito rapporto tra sorelle. Se a questo si aggiungevano due genitori completamente assenti che non avevano mai cementato la loro relazione, il quadro era completo. Finché vivevano sotto lo stesso tetto, erano simili a due estranee, poi Danila si era sposata ed era diventata mamma di una meravigliosa bambina e da allora, viste le continue visite che Luna le faceva per vederla, avevano iniziato a parlare. Ora la piccola Ginevra aveva due anni, diceva qualche parola e muoveva piccoli passi non più incerti. Ogni volta che Luna la vedeva, sentiva il cuore riempiersi di gioia e allegria. Come quella sera in cui si era fermata a cena dalla sorella e dal cognato. L’uomo, più grande di Danila di un paio d’anni, le piaceva. Era molto intelligente e spigliato, proprietario di un famoso negozio di abbigliamento al centro di Napoli. Era sempre stato un po’ in sovrappeso, ma, vista l’alta statura, quei chili di troppo si perdevano nel complesso. Era dedito alla famiglia in modo impressionante, mai Luna lo aveva osservato giocare con Ginevra con un simile sorriso.
<< La cena è quasi pronta >> esordì Danila apparendo dalla cucina.
Sia Luna sia Giovanni annuirono senza smettere di fare versi e facce buffe alla bambina. La ragazza era ormai diventata di casa e, se all’inizio pareva strano a entrambe le sorelle Scambi, ora la cosa era molto più naturale. Le piaceva respirare l’odore dell’appartamento di Danila, sapeva di genuinità, di amore, di protezione. Era un po’ come quando frequentava casa di Clarke. La sua famiglia l’aveva sempre fatta sentire a suo agio, come se ne fosse un suo membro. Era stata sempre Clarke a spingerla a riprendere i rapporti con la sorella. Le aveva comunicato con noncuranza di essere diventata zia e lei, con quella spontaneità che la lasciava sempre senza parole, le aveva risposto di organizzarsi per andare in ospedale. Era stato quello l’inizio di tutto. Adesso, a distanza di un paio d’anni, era contenta di averlo fatto.
<< Hai sentito papà o mamma? >> chiese Danila vedendo la sorella arrivare in cucina.
Giovanni stava sistemando nel lettino la figlia che era crollata finalmente e loro potevano fare discorsi che non includessero pannolini e omogenizzati.
Luna scosse il capo prendendo posto.
<< Penso di averli sentiti la settimana scorsa come ultima volta >> disse semplicemente.
Danila non aggiunse altro e, quando arrivò il marito, iniziarono a cenare. Luna si ritrovava sempre più spesso ad apprezzare lo stile di vita della sorella. Era una professoressa alle scuole medie di italiano, storia e geografia e si destreggiava tra il lavoro e Ginevra con una disinvoltura da fare invidia a chiunque. Quando lei era a scuola, erano i suoi suoceri a occuparsi della bambina permettendole di fare piccole commissioni come la spesa o pagare le bollette una volta uscita dall’edificio scolastico. Era sempre di corsa, ma mai Luna l’aveva vista così felice. Nessuna delle due aveva un buon rapporto con i genitori che non avevano aspettato altro che la maggiore età della minore per smettere di tornare a Napoli se non il minimo indispensabile. Suo padre, Paolo Scambi, era un pilota che molte compagnie aeree si erano contese finché l’uomo non aveva scelto il miglior offerente; mentre sua madre, Maria Teresa Fagli, era un’hostess che volava sempre col marito. Entrambi non avevano mai amato le responsabilità di una famiglia, preferendo di gran lunga il loro lavoro. Questo aveva portato Danila, che era la maggiore, a vivere con la cameriera che aveva accudito prima di lei, Maria Teresa. Era morta qualche anno prima della nascita di Luna ed entrambe le bambine erano state affiancate a una baby-sitter che si occupava sia di loro che della conduzione della casa. Luna ancora non si spiegava come, dopo Danila, avessero voluto fare un secondo figlio. Il pensiero di essere stata un incidente di percorso l’aveva sfiorata parecchie volte e lei si era semplicemente limitata ad accantonarlo in un angolo della sua mente. Guardò sua sorella pensando a quanto Ginevra fosse fortunata ad averla come madre. Danila sarebbe stata sempre presente nella vita di sua figlia, sicuramente con meno soldi, ma con molto più affetto.
<< Allora, come va l’università, Luna? >> fece Giovanni con un sorriso intavolando la conversazione.
<< Bene, spero di riuscire a mantenere la media dell’anno scorso >>.
<< C’è qualche materia che ti preoccupa? >> domandò Danila.
Luna scosse il capo e la sorella non indagò oltre. Però aveva compreso che ci fosse qualcosa che non andava, lo aveva capito da come la ragazza avesse gettato per terra con pochissimo garbo lo zaino con i libri universitari dentro. In quei due anni, aveva imparato molte cose su di lei, cose che prima aveva sempre ignorato. Come, appunto, la pignoleria di Luna con le sue cose. Continuarono a chiacchierare per tutta la durata della cena senza sentire mai l’esigenza di accendere la televisione e, quando Giovanni si alzò con l’intento di farsi una doccia, Luna aiutò la sorella a sparecchiare.
<< Allora, cosa c’è che ti turba? >> continuò la maggiore mentre caricava la lavastoviglie.
La ragazza abbozzò un sorriso e si addossò al piano cottura.
<< Certo che, ormai, non ho proprio più segreti per te >> rispose.
Danila ridacchiò.
<< Se non si tratta dell’università e dubito tu abbia problemi di soldi… >> rifletté un attimo prima di continuare << …hai litigato con Stefano e Raffaele? >>.
<< No, assolutamente! >> esclamò Luna portandosi le mani davanti al viso e scuotendo il capo.
<< Allora cosa? >>.
L’altra parve pensarci un attimo prima di rispondere. Con sua sorella non aveva mai affrontato veramente l’argomento Clarke e temeva di perdere il fragile equilibrio che avevano costruito. Esitò ancora per qualche istante e Danila immaginò quale fosse il suo cruccio.
<< Si tratta di una ragazza? >>.
Luna involontariamente sgranò gli occhi e sua sorella scoppiò a ridere mentre in sottofondo il rumore della lavastoviglie accompagnava i loro discorsi.
<< Non una ragazza qualunque >> la corresse subito << Lei >>.
Anche se non disse il nome, Danila sapeva a chi si stava riferendo. Aveva conosciuto Clarke in ospedale quando Luna era andata a trovarla per la nascita di Ginevra. All’inizio il pensiero che sua sorella avesse una relazione con una ragazza l’aveva turbata, sarebbe stata ipocrita a non ammetterlo, ma poi Clarke si era incastrata così bene col carattere tagliente della sorella che non aveva potuto fare a meno di sorridere. Sapeva anche a cosa fosse dovuta la loro improvvisa rottura e non aveva mai mancato di dare la colpa di tutto a Luna. Eppure riusciva a capire ciò che l’aveva spinta a comportarsi in quel modo. La ragazza era sempre cresciuta senza un modello giusto da seguire, lei non se n’era mai importata troppo e gli atteggiamenti sbagliati erano nati quasi spontaneamente. Ma Luna era stata davvero innamorata di Clarke, altrimenti l’avrebbe semplicemente accantonata come tutte le altre storie che aveva avuto prima.
Danila le sfiorò una mano con le dita per incitarla a proseguire.
<< L’ho vista, sai? Eravamo alla stessa festa >> disse la più piccola << E l’unica cosa che volevo mentre la guardavo era che tornasse con me >>.
<< Siete riuscite a parlare dopo… dopo quella volta? >>.
Luna scosse il capo e i riccioli rossi ondeggiarono con lei.
<< Luna, vorrei darti un consiglio giusto >> affermò la maggiore con un sospiro << Ma non credo che esista. L’hai fatta davvero grossa; se fosse successo a me, mi sarei comportata nello stesso modo probabilmente. E se insisti e lei non vuole, rischi solo di peggiorare le cose >>.
<< Più di così? >>.
Nonostante la situazione, Danila sorrise. Luna avrebbe potuto avere tutto quello che voleva; era una bellissima ragazza, era giovane e intelligente, i suoi grandi occhi scuri incantavano chiunque, eppure l’unica cosa che veramente desiderava non accettava nemmeno di respirare la stessa aria. La vita, a volte, era davvero ingiusta.
<< Non forzare la mano, Luna >> le consigliò la sorella << E’ un anno che non state più insieme e ancora non vuole parlarti. Lasciala stare >>.
A quelle parole, Luna serrò le mani sul piano cottura dove era appoggiata con così tanta forza da far diventare bianche le nocche. Il suo sguardò si scurì e Danila comprese che non l’avrebbe mai ascoltata.
<< Vado a casa >> mormorò a denti stretti.
Non voleva finire col litigare con sua sorella, ci teneva a mantenere quel rapporto che aveva faticosamente costruito, ma, se avessero insistito nel parlare di Clarke, sarebbe accaduto. Meglio quindi lasciar perdere.
<< Luna… >> provò a dire Danila.
La ragazza fece un gesto con la mano bloccandola e si recò in salone per prendere il suo giubbotto e lo zaino.
<< Dai un bacio alla principessa da parte mia >> disse tirando su la zip << E saluta Gio >>.
<< Luna, non fare così >>.
Si guardarono negli occhi e Danila lesse una determinazione che molto raramente le aveva visto. Decise di non insistere e le sorrise.
<< Non correre >> le raccomandò aprendo la porta di casa per permetterle di uscire.
Luna la salutò con un cenno della mano mentre scendeva la prima rampa di scale.
<< E fa attenzione! >>.
<< Sì, sì. Lo so. Tranquilla! >> le urlò prima di sparire dalla sua visuale.
Danila richiuse la porta alle sue spalle e si domandò se davvero potesse stare tranquilla.
 
Clarke era rimasta turbata anche dopo aver rifiutato la richiesta di amicizia di Luna. Diana le era rimasta accanto senza forzarla a fare qualcosa e accettando che, purtroppo, scambiasse alcuni messaggi molto normali con Sofia. La ragazza aveva evitato di andare a scuola l’indomani e anche il giorno dopo ancora quando tra le notifiche di Facebook vide le richieste di amicizia di Raffaele Bartolomei e Stefano Di Giovanni. Pareva che l’avessero presa di mira per uno scherzo per nulla divertente. A distanza di appena ventiquattr’ore dal suo rifiuto, anche i suoi amici avevano ricevuto le medesime richieste. Nella mente di Clarke vorticavano tanti pensieri e ricordi che avrebbe preferito continuare a tenere sepolti, ma che, invece, non parevano intenzionati a tornare dormienti. Ed erano tutti su Luna. La ragazza era stata importante per lei, forse troppo, il classico colpo di fulmine che si fa fatica a dimenticare. Rivedeva continuamente, come in un film, la prima volta che l’aveva vista e come non le avesse mai staccato gli occhi di dosso. Allora, come per tutto l’anno che era seguito, stava già fingendo. Era quella la considerazione che più le faceva male. La finzione. Perché se lei aveva buttato in quella relazione tutta se stessa arrivando a raccontarle cose che solo Diana sapeva, Luna aveva sempre mentito pur di vincere una stupida scommessa con gli amici. Ci era cascata in pieno, aveva davvero creduto che una ragazza bella come lei non fosse etero.
Diana la osservò gettarsi sul letto con ancora addosso il pigiama e le si avvicinò stendendosi al suo fianco. Le accarezzò un braccio in silenzio con la punta delle dita e lentamente risalì sulla spalla e il collo. Il corpo dell’altra si tese per qualche istante mentre i loro sguardi s’incontravano. Non avevano bisogno delle parole per capirsi, in quei giorni avevano chiacchierato davvero poco e la loro intesa non si era mai incrinata. Diana le accarezzò una guancia.
<< Domani vai a scuola >> le disse con tono serio di chi non accettava repliche.
Clarke all’inizio non rispose limitandosi ad annegare nella profondità dell’oscurità dei suoi occhi e alla fine annuì. Si voltò a pancia sotto e pensò che l’amica aveva ragione. Aveva promesso a suo padre che si sarebbe impegnata a scuola ed era quello che intendeva fare. Non voleva che fosse in pensiero per lei, non ce n’era bisogno e poi non mancavano nemmeno un paio di mesi a Natale. Una volta finito il tour, sarebbe tornato da sua figlia. Diana le diede un bacio sulla fronte prima di rialzarsi.
<< Brava >> le strizzò l’occhio << Stasera vengono qui Marco e Giulia. Pare che Marco si sia ufficialmente fidanzato! >>.
Clarke scattò a sedere.
<< Ma è fantastico! >> esclamò con un sorriso enorme sul viso.
<< Dovrà assolutamente raccontarci tutto >> affermò Diana mostrandole la schermata del suo cellulare dove stava leggendo la conversazione con gli amici.
<< Assolutamente >> sottolineò l’altra scoppiando a ridere.
 
Marco aveva riaccompagnato a casa Nadia con la macchina di sua madre. Sorrideva come un ebete per quanto era stato bene in sua compagnia e per come aveva preso la notizia dell’omosessualità dell’amica. Teneva troppo a Clarke e, prima che la loro frequentazione passasse al livello successivo, aveva voluto mettere le cose in chiaro. Se a Nadia non fosse stato bene, non poteva essere quella giusta per lui. E invece la ragazza lo aveva sorpreso positivamente. Non solo perché Nadia lo aveva già compreso, ma soprattutto perché anche la sua amica Silvia lo era.
<< Te l’ho già detto che sei bellissima stasera? >> domandò Marco prendendola per mano mentre si avvicinavano al portone di casa.
Nadia rise sottovoce arrossendo come ogni volta che le faceva un complimento. Gli poggiò la mano sul petto e si alzò sulle punte per baciarlo. Fu una carezza appena accennata sulle labbra.
<< Sono contenta che tu ti sia aperta con me su Clarke >> disse << E’ stato importante per me >>.
<< Anche tu lo hai fatto con Silvia >> rispose Marco accarezzandole una guancia.
<< Non avrei mai potuto stare insieme a un omofobo >> commentò Nadia incrociando le braccia sul petto.
Entrambi scoppiarono a ridere.
<< Nemmeno io >> affermò il ragazzo.
L’attimo dopo le loro labbra si toccarono di nuovo in modo più deciso. Non era più un semplice sfiorarsi, ma un desiderio che, tenuto per molto tempo a freno, finalmente era libero. Scorreva sui loro corpi con vigore, entrambi potevano sentirlo e non volevano liberarsene. Quando si staccarono, si guardarono negli occhi e Marco comprese che qualcosa era cambiato. Lei era quella giusta. E pensò che quella data se la sarebbe ricordata per sempre.
 
Sofia si sentiva stranamente felice quella mattina. Clarke le aveva scritto che sarebbe tornata a scuola e questo significava che sicuramente l’avrebbe rivista durante l’intervallo. Durante la lezione di matematica aveva sbirciato dalla finestra il parcheggio fuori la scuola e aveva individuato immediatamente la moto della ragazza. Un sorriso le era spuntato sulle labbra ancor prima di rendersene conto e Elena, cui non sfuggiva niente, le aveva lanciato una gomitata prima di scrivere con la matita sul banco la parola “cotta” affiancandovi subito dopo un cuoricino. Sofia arrossì e si affrettò a cancellare tutto con l’indice con un po’ troppa foga. Non aveva ancora capito se la sua amica avesse ragione, l’unica cosa certa era che Clarke, in quei giorni di assenza, le era mancata. Era stato piacevole avere delle brevi chiacchierate con lei via messaggi, ma vederla e sentire la sua voce era ben diverso. Le aveva detto di stare poco bene e questo l’aveva frenata anche dal chiederle di uscire per un semplice caffè. Però oggi era tornata.
<< Hai deciso cosa ti metterai sabato? >> le domandò Elena quando la campanella suonò.
Sofia inarcò il sopracciglio senza rispondere.
<< So, non pensare nemmeno di presentarti con una delle tue camicie! >>.
<< Ma si può sapere cos’hanno di sbagliato le… >>.
Le parole le morirono in gola quando vide Clarke attraversare la sua aula diretta verso di lei. La osservò avvicinarsi prima di immergersi nell’azzurro dei suoi occhi. E si domandò come avesse fatto a non vederli per tre giorni.
<< Ciao >> la salutò quando fu a pochi centimetri da lei << Come stai? >>.
Clarke le sorrise. Aveva bisogno di pensare a qualcosa di bello della sua vita e Sofia in quel momento lo era.
<< Meglio, non ti sarai mica preoccupata? >>.
Sofia arrossì involontariamente.
<< Ma figurati >> mentì << Immagino che i Mancini ti abbiano portato l’aspirina dentro uno dei loro preservativi usati >>.
Scoppiarono entrambe a ridere.
<< Sai anche fare le battute >> commentò Clarke subito dopo << Brava >>.
<< Guarda che ho un ottimo senso dell’umorismo! >>.
<< Come no >> s’intromise Elena << Non crederle, Clarke >>.
La ragazza alzò le mani mentre guardava Sofia.
<< Ma tu da che parte stai?! >> esclamò l’altra sempre più rossa.
Elena le fece l’occhiolino prima di darle un bacio sulla guancia e correre fuori dall’aula.
<< E’ sempre così allegro il tuo cane? >> chiese Clarke ridendo.
<< Elena non è il mio cane! >> fece Sofia senza, però, poter evitare di ridere anche lei.
La risata di Clarke era contagiosa, avrebbe dovuto saperlo ormai. La osservò mentre chiacchieravano delle lezioni. Un paio di jeans semplici e stretti, delle Vans alte completamente nere, una felpa rossa della stessa marca, nella sua semplicità Clarke era sempre bellissima. Pareva aver finalmente abbandonato le magliette a mezze maniche. La campanella suonò riportandole entrambe alla realtà. Quel quarto d’ora era praticamente volato. La più grande si avvicinò all’altra e si chinò sul suo orecchio come aveva già fatto in precedenza. Sofia fu scossa da un brivido e a Clarke, che se ne accorse, piacque.
<< Mi raccomando sabato >> le sussurrò << Ci conto, altrimenti le tue scuse non varranno a niente >>.
La ragazza annuì senza osare guardarla negli occhi.
<< Conoscerai tutti i miei amici >>.
Prima che Sofia potesse replicare, era già sparita nel corridoio.
 
Uscì da scuola spintonata da Lorenzo. Diego aveva la febbre, ma contava di riprendersi per sabato. Nonostante la malattia, stavano già progettando insieme il prossimo scherzo da fare alla professoressa di italiano e latino. Sarebbe stato divertentissimo. Si salutarono l’attimo prima che il ragazzo mettesse in moto mentre lei stava ancora cercando le chiavi della moto. Le strinse tra le dita e guardò la scuola. Pensò di chiedere a Sofia se voleva un passaggio, per poter passare altro tempo con lei, ma poi si ricordò che una volta le aveva raccontato che Elena era un po’ il suo autista privato. Sorrise. Visto il suo precedente fallimento amoroso, voleva andare molto piano e all’altra non pareva dispiacere. Si voltò quindi verso la sua moto e si pietrificò quando notò chi ci fosse a pochi metri di distanza. Luna era appoggiata allo sportello della sua Mini Cooper e appena i loro sguardi s’incrociarono, si mosse verso di lei. Le sorrise appena mentre quei boccoli rossi le ricadevano sul viso.
<< Ehi, ciao Clarke >> salutò quando fu a pochi passi dall’altra.
Clarke ingoiò un groppo di saliva senza smettere di osservarla.
<< Che ci fai qui? Mi stai pedinando? >>.
Luna sorrise, anche se l’altra avrebbe voluto che sparisse il più lontano possibile da lei.
<< Hai rifiutato la mia richiesta di amicizia e quella dei miei amici, il tuo numero di telefono risulta disattivato. E le tue guardie del corpo non mi permettono di avvicinarmi a te. Questo è l’unico modo che mi è venuto in mente per parlarti>>.
<< Non hai pensato che io non voglio parlare con te? >> sbottò Clarke irrigidendosi.
Doveva mostrarsi forte, doveva farle capire che non poteva più ferirla. Ma tutti i suoi buoni propositi vennero meno nel momento in cui i suoi occhi furono inghiottiti da quelli nocciola dell’altra. Così grandi, così espressivi, così brillanti.
<< Clarke… >> iniziò Luna facendo un altro passo avanti.
<< Non ti avvicinare! >> la bloccò la ragazza urlando << Non voglio parlarti, Luna. Non voglio nemmeno vederti! Mi stai forzando a fare una cosa che non voglio! Possibile che tu non lo capisca? >>.
Luna vide distintamente i suoi occhi diventare lucidi, così simili a due pozzanghere d’acqua limpida dopo un temporale, e serrò la mascella imponendosi di non far tremare la sua voce.
<< Sei stata un anno senza vedermi e sentirmi, un anno! E ora rispunti all’improvviso, perché? Hai fatto un’altra scommessa con i tuoi amici? Adesso volete vedere quanti giorni ci metto a capitombolare? È questo, Luna? >>.
<< Mi dispiace! >> esclamò l’altra mentre le prime lacrime facevano capolinea sulle sue guance << Mi dispiace per quello che è successo, mi dispiace non essere stata quello che credevi, mi dispiace per la scommessa, mi dispiace per tutto Clarke! Tutto! >>.
Singhiozzò e il primo impulso di Clarke fu quello di correre da lei per dirle di smetterla di piangere. Aveva sempre odiato vederla versare lacrime, soffrire per qualcosa che lei non poteva alleviare, piangere e gemere per chi non lo meritava. E si ricordò di quante volte l’avesse consolata per promesse mai mantenute dai suoi genitori, di tutte le volte che le si era mostrata per quello che era veramente, dei sorrisi veri che le aveva rivolto quando era felice. Perché anche adesso pareva vera, non poteva recitare così bene.
<< E’ tardi per le scuse, Luna. È passato troppo tempo e tu non puoi venire qui ora credendo che… >>.
<< Mi dispiace non essere venuta al funerale di tua madre >> la interruppe questa volta l’altra ragazza << Mi dispiace non esserci stata, avrei voluto, ma mi vergognavo così tanto che… >> lasciò la frase a metà scuotendo il capo. Si era imposta molta calma mentre la aspettava e ora che poteva finalmente parlare con lei, aveva compreso che non l’avrebbe mai mantenuta << Mi dispiace tanto >> ripeté come se quelle parole fossero in grado di proteggerla << Ho avuto paura, Clarke. Di me, di quello che provavo, di quello che avrebbero detto gli altri. E ho mentito >>.
<< Non puoi gettare tutta la colpa sulla paura! Anch’io ho avuto paura, mi stavo innamorando per la prima volta! >>.
<< Però tu potevi contare sui tuoi genitori e i tuoi amici! Loro sapevano e ti hanno accettata! Io invece? Non sapevo come avrebbero reagito Stefano e Raffaele, avevo paura di perderli e di essere sola! Non siamo tutti fortunati come te, Clarke! Perché questo ti è così difficile da capire?! >>.
<< Non saresti mai stata sola, avresti avuto sempre me! Sempre! >> sbottò Clarke mentre scoppiava a piangere.
Cercare di trattenersi sarebbe stato inutile. Per la prima volta da quando aveva scoperto la verità, stavano avendo un confronto ed era quasi liberatorio esternare il dolore che entrambe avevano tenuto dentro di sé per tutto quel tempo.
Luna la fissò ardentemente desiderando potersi avvicinare e scacciare via quelle lacrime dal suo viso. L’aveva vista piangere per dei ricordi dolorosi, ma mai era stato così devastante. Le labbra le tremarono e dovette stringerle con forza per evitare di gemere. Quello che le aveva urlato era vero, solo che lo aveva compreso troppo tardi.
<< La paura non ti esonera dalle tue colpe >> disse Clarke stringendo i pugni << Mia madre ti ha amato come se fossi una figlia, meritava il tuo rispetto anche in quella chiesa, anche in quel cimitero >>.
Gli occhi di Luna si riempirono di nuove lacrime e comprese che avrebbe potuto investire Clarke più volte con la propria macchina e avere la possibilità di essere perdonata, ma non lo avrebbe mai fatto per il poco riguardo che aveva dimostrato nei confronti di Adele. Era quello ciò che non riusciva davvero a perdonarle. Sapeva quanto la donna era stata importante per lei, gliene aveva parlato più volte quando le aveva rivelato di essere stata adottata. Chinò il capo con aria colpevole.
<< Mi dispiace, Clarke. Amavo tua mad… >>.
<< Non dovresti nemmeno nominarla mia madre! >> esclamò Clarke ormai al limite. Si passò una mano sugli occhi per provare a scacciare le lacrime, ma fu inutile. Le nuove erano già pronte a prendere il posto delle precedenti << E smettila di dire che ti dispiace! >>.
<< Mi dispiace davvero! >> urlò Luna << Mi dispiace aver mandato l’unica cosa importante per me al diavolo! >>.
Clarke distolse lo sguardo dalla sua figura accorgendosi solo in quel momento di aver stretto con così tanta forza le chiavi della moto da lasciarne l’impronta sul palmo. Scosse la testa.
<< Per favore, non cercarmi più >> mormorò con voce tremante facendo per voltarsi.
<< Clarke, aspetta un attimo! >>.
Le loro mani si toccarono ed entrambe sentirono una scarica elettrica attraversarle prima che Clarke ritrasse la sua in malo modo. La guardò, ma era talmente immersa nel suo dolore da non vederla davvero. Montò in sella alla sua moto e si allontanò più veloce che poté. Luna la osservò finché le fu possibile, poi chinò lo sguardo sulla sua mano. Stava tremando.
 
Clarke aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il cielo tinteggiato di tutte le tonalità di rosso. Il sole stava tramontando e lanciava all’interno della stanza di Diana gli ultimi raggi morenti che coloravano le pareti. Ascoltò per alcuni attimi il suo respiro regolare e si voltò impercettibilmente verso l’amica. Diana era sveglia e la stava osservando. Entrambe erano nude sul letto, Clarke a pancia in giù a gambe aperte mentre Diana poggiata su un fianco con la testa sorretta dalla mano.
<< Ehi >> sussurrò Diana.
Clarke non rispose limitandosi a fissare quello squarcio di cielo che la finestra poteva regalarle. Poggiò il mento sulle mani e si lasciò andare a un sospiro. Diana iniziò ad accarezzarle teneramente la schiena soffermandosi sui contorni del suo tatuaggio.
<< A cosa pensi? >> continuò cercando di invogliarla a parlare.
<< Cerchi sempre di guarirmi >> mormorò alla fine l’altra << A tuo discapito >>.
La guardò soffermandosi sul livido che si era formato sul braccio. La ragazza le sorrise sfiorandole la guancia col naso.
<< Sta tranquilla >> le rispose << Era questo il patto, ricordi? Posso sopportare tutto, se tu starai bene >>.
Clarke distolse lo sguardo.
<< Ti chiedi mai se è sbagliato? >>.
Diana le prese il viso a coppa tra le mani costringendola a fissarla.
<< Perché dovrebbe? >>.
<< Perché ti ho legata a me >> fece Clarke ipnotizzata dall’oscurità dei suoi occhi << Senza pensarci, ti ho legata a questo mio bisogno costringendoti a non innamorarti di qualcuno >>.
<< Non mi stai costringendo, Clarke >> affermò seriamente Diana << Sono qui perché voglio essere qui. Non sarò mai da nessuna altra parte >>.
La ragazza si scostò dalla sua presa tornando a poggiare il mento sulle mani.
<< Non puoi volere davvero questo, D >> replicò Clarke << Io voglio che tu sia felice, che ti innamori, vederti camminare con un sorriso enorme sul viso; non restare legata a me che sono la tua migliore amica >>.
Possibile che tu davvero non capisca?, avrebbe voluto domandarle Diana, ma si trattenne.
<< Non preoccuparti per me. Io sto bene >>.
 
Adele osservò la bambina seduta composta al tavolo della cucina e sorrise mentre si asciugava le mani allo strofinaccio.
<< E’ difficile >> mormorò Clarke sbuffando << E se non ci riesco? >>.
La donna le si avvicinò chinandosi sul libro di grammatica elementare italiana.
<< Non è un esame, Clarke >> le disse con un sorriso << E non è importante, se non vuoi farlo >>.
<< Ma tu ci tieni, mamma >> rispose la bambina guardandola negli occhi.
Il viso di Adele si illuminò a quella parola. Anche se erano trascorsi due mesi dalla prima volta, ancora non si era abituata a farsi chiamare in quel modo. Clarke, invece, pareva molto a suo agio adesso nel nominare entrambi i coniugi Melbourne mamma e papà. Philip, come lei, era radioso ogni volta che la sentiva.
<< Clarke, te l’ho già spiegato >> affermò prendendole entrambe le mani << Io sono nata in Italia, quello è il mio paese. Mi è rimasto nel cuore nonostante i tanti anni in cui vivo a Sidney. Mi piacerebbe che sapessi un po’ della sua lingua. Sarebbe come se avessi qualcosa di mio >>.
Clarke sorrise e annuì pronta a rimettersi a studiare le regole che le aveva precedentemente insegnato la donna.
<< Ora basta, Clarke. Tra poco ci viene a prendere papà >>.
<< Dove andiamo? >> domandò la bambina scendendo dalla sedia.
<< Lo vedrai >>.
 
Non sapeva dove stessero andando, quello che era certo era che nessuno dei due adulti aveva voluto rivelarle la meta. Quando Philip fermò l’auto spegnendo il motore, capì d’essere arrivata. Scese credendo che fosse una delle molte sorprese che spesso i suoi genitori le facevano e prese per mano Adele. Il sorriso che le era apparso pochi minuti prima le morì quando comprese di essere fuori l’entrata di un cimitero. Guardò prima la madre e poi il padre senza comprendere, ma loro le sorrisero per rassicurarla.
<< Cosa ci facciamo qui? >> chiese cauta.
Non voleva mancare di rispetto a nessuno e pensò che Philip volesse farle conoscere i suoi genitori. Quelli di Adele, invece, erano seppelliti in Italia.
<< C’è una persona che dovresti salutare >> rispose l’uomo rimanendo leggermente più indietro rispetto alla moglie e alla figlia.
Clarke inghiottì un groppo di saliva mentre lo seguiva e una sensazione di disagio la avvolse. Il prato verde si estendeva all’infinito sotto i suoi occhi e le lapidi di pietra grigia lo disseminavano come piccole zattere alle quali le persone si aggrappavano per lenire il proprio dolore. Philip guardò Clarke e sperò di aver fatto la scelta più giusta per la sua crescita. C’erano volute settimane per riuscire a ottenere quell’informazione, ma alla fine c’era riuscito. E sperò che la bambina desse il peso che meritava a quella sua azione. Camminarono tra decine e decine di lapidi anonime fino ad arrivare a quella giusta. Philip era passato in testa per guidarli e si era fermato facendo quasi sobbalzare Adele. Clarke lo fissava con i suoi occhi enormi sperando di poter andare presto via. L’uomo si voltò per guardarla e un sorriso triste gli increspò le labbra.
<< Siamo arrivati >> disse semplicemente << Vieni Clarke >>.
La bambina lasciò la mano della donna e lo affiancò. Lesse la scritta sulla pietra e desiderò che una voragine si aprisse sotto i suoi piedi. Non voleva stare lì, voleva tornare a casa. Il respiro si fece affannoso, come se l’aria fosse improvvisamente scomparsa e fare un passo indietro fu l’unica cosa che per lei avesse senso in quel momento. Però qualcosa la ostacolò, dietro la bambina, a sorreggerla per la schiena, c’era Adele che le sorrideva tristemente. Clarke aprì la bocca per dire qualcosa, ma non un suono le uscì. Tornò a fissare le lettere nude e un groppo le afferrò la gola. Non era possibile che fosse lei, eppure non conosceva nessun altro con quel nome.
Elisabeth Shire.
Sotto era incisa la data di nascita e morte. Non c’era nient’altro, non una frase o un fiore a ricordare la sua esistenza. Nessun accenno alla persona che era stata nella sua breve vita. Niente, come se non fosse mai esistita.
<< Lei è… >> mormorò Clarke.
Si bloccò sentendo la voce tremarle. Adele le poggiò entrambe le mani sulle spalle.
<< Tua madre, Clarke >> le rispose con calma.
La bambina sentì le lacrime formarsi agli angoli degli occhi e lottò per non farle uscire. Serrò i piccoli pugni mentre l’aria continuava a mancarle. Fece qualche passo avanti e si voltò verso entrambi i genitori. Tremava per quanto fosse agitata.
<< Lei non è mia madre! >> esclamò indicando con l’indice la lapide << Non lo è, tu lo sei! >>.
Adele scosse leggermente il capo abbassando lo sguardo verso il terreno.
<< Clarke, lei è morta >> affermò Philip dolcemente << Abbiamo faticato tanto a trovarla per darti la possibilità di dirle addio. Abbiamo pensato che… >>.
<< No, no! >> urlò la figlia sentendo le lacrime sgorgare dagli occhi << No! >>.
I due adulti si scambiarono una breve occhiata.
<< Clarke >> iniziò Adele inginocchiandosi. Provò a prenderle le mani, la bambina si divincolò << Noi siamo i tuoi genitori, ma Elisabeth ti ha dato la vita. E’ la tua mamma naturale e le saremo grati sempre per averti messo al mondo. Ci ha fatto conoscere la felicità e sono sicura che anche lei se… >>.
<< No! >> ripeté Clarke interrompendola << Non voglio sentire, non voglio! Voglio andare via! >>.
Provò a scappare, ma Philip la afferrò velocemente per il braccio e la strinse contro di sé senza dire niente. Guardò Adele che stava silenziosamente piangendo e scosse il capo.
<< Clarke… >> sussurrò la donna poggiandole una mano sulla schiena.
La sentì tremare e le si strinse il cuore. Quando avevano valutato di portare la bambina sulla tomba della madre naturale affinché potesse anche solo dirle addio nel modo giusto, non avevano pensato che, invece, potesse scatenare una simile reazione. Clarke era sconvolta e piena di rabbia che non riusciva a esternare.
<< Okay, Clarke. Ora andiamo via >> le mormorò l’uomo nell’orecchio.
C’era qualcosa, un ricordo forse, che l’aveva smossa dall’interno provocando quel comportamento in lei che nessuno dei due riusciva a spiegare. La certezza di entrambi era che non volevano forzarla a fare qualcosa che assolutamente non voleva. Ne avrebbero parlato dopo, quando Clarke si fosse calmata. Aspettarono che la figlia annuisse prima di tornare in macchina.
 
<< Clarke, dobbiamo parlare >>.
Clarke strinse con maggiore forza il cuscino del letto e continuò a fissare il muro della sua stanza. Forse, se avesse continuato a non rispondere, Adele e Philip si sarebbero stancati di provare ad affrontare quell’argomento. Era una possibilità molto remota, ma pur sempre una possibilità. Erano trascorsi due giorni da quel pomeriggio e lei si era sempre rifiutata di parlare con loro. L’avevano ingannata, l’avevano trascinata davanti alla lapide della sua vera madre con l’inganno come se volessero sottolineare il fatto di essere la figlia di una drogata. Non voleva parlare di Elisabeth, non voleva parlare di niente.
<< Clarke >> la richiamò Adele sulla soglia della porta.
<< Clarke >> ripeté Philip affacciandosi nella sua camera << Sei sempre stata una bambina molto più adulta per la tua età, lo sai che dobbiamo parlare di quello che è accaduto >>.
<< Non voglio parlare di… >> non sapeva nemmeno Clarke come definirla << …lei >> terminò con voce incerta.
<< Era tua madre >> disse la donna << E lo so che fa male, ma… >>.
<< No! >> esclamò la figlia scoppiando di nuovo a piangere << Voi non lo sapete! Non c’era nessuno con me! >>.
I due coniugi entrarono nella stanza. Philip si sedette sul letto accanto a lei, mentre Adele si inginocchiò sul tappetto per poterla guardare negli occhi. Le prese una mano stringendola e il marito poggiò la sua sulla spalla della bambina.
<< Sei arrabbiata perché se n’è andata? >> chiese con voce ridotta a un sussurro Adele.
Aveva bisogno di comprendere da dove nascesse tutto quell’odio da far arrivare addirittura Clarke a urlare pur di non parlare. Aveva ormai imparato che dietro qualunque suo comportamento o scelta, c’era sempre una motivazione più o meno valida. Vide Clarke scuotere il capo e la confusione aumentò.
<< Clarke, parla con noi >> le consigliò suo padre con fare rassicurante.
La bambina sospirò senza rispondere. Era a suo agio nel silenzio più totale, questa sua caratteristica aveva sempre spaventato Adele perché non sapeva cosa dire o fare per invogliarla ad aprirsi.
<< Perché sei arrabbiata con lei? >>.
Questa volta la figlia si scostò dalla sua presa voltandosi dall’altra parte.
<< Io non sono arrabbiata con lei >> disse infine dopo un tempo che parve infinito << Io la odio >>.
Philip e Adele si guardarono senza dire niente. La donna si alzò sedendosi accanto al marito e lasciò che le sue dita vagassero tra i capelli di Clarke per rilassarla.
<< Lei… >> la bambina tremò mentre provava a parlare e gli occhi le si riempirono di lacrime nel ricordare cosa fosse accaduto prima di arrivare in orfanotrofio << Lei era bella e sorrideva sempre. Cantava. Ma poi ha iniziato a essere triste. C’era sempre una polvere bianca sul tavolo che non voleva che toccassi. Delle volte si contorceva >> ingoiò un groppo di saliva che le impediva di continuare << Non era più bella, era sempre arrabbiata. Anche con me >>.
<< Non era lei che parlava, Clarke >> le sussurrò Adele col cuore gonfio per il dolore << Era la droga. La polvere bianca che prendeva le annebbiava la mente >>.
<< E allora perché la prendeva? >> sbottò la bambina scattando in piedi << Perché, se la faceva stare male? >>.
Philip la prese per il bacino e la guidò verso le sue gambe affinché si sedesse. Non parlò, non era mai stato un tipo dai lunghi discorsi. Pochi gesti, quelli giusti. Clarke inizialmente oppose resistenza, il respiro corto, gli occhi vitrei sotto il velo delle lacrime; poi lasciò che l’uomo la abbracciasse e le trasmettesse calore.
<< Si chiama dipendenza >> le spiegò la donna << Una volta che cadi nel giro della droga non riesci più a uscirne. Nessuno ha aiutato Elisabeth e per lei è diventata la cosa più importante >>.
Adele cercava di essere chiara, ma non era facile far comprendere a una bambina di nove anni cosa significasse la tossicodipendenza. Eppure Clarke era una bambina sveglia e intelligente, avrebbe capito se si fosse spiegata correttamente.
<< Era perfino più importante di me >> constatò Clarke con voce amara.
<< Lei non era in sé >> disse Adele stringendole con forza le mani.
Ciò che le premeva, era che capisse quanto la droga potesse cambiare una persona. Non era colpa di Elisabeth, era una donna molto giovane caduta nella tossicodipendenza senza nessuno che l’aiutasse a riprendersi la sua vita. La sua e quella di sua figlia.
<< Iniziarono a salire a casa tanti uomini. Erano sempre diversi e... >> si bloccò mentre ricordava tutti quei visi orrendi contorti dalle risate quasi grottesche << …e… >>.
<< Basta, Clarke >> mormorò Philip che non voleva sentire altro.
Si sentiva già abbastanza male adesso, figurarsi se avesse sentito il resto. Lui non c’era quando sua figlia aveva avuto bisogno, ma promise a se stesso che Clarke avrebbe sempre potuto contare sulla sua presenza. Perché non intendeva allontanarsi mai dalla sua vita. La bambina posò i suoi occhi carichi di emozioni contrastanti sull’uomo e lo osservò implorando silenziosamente aiuto.
<< Non è stata forte abbastanza da scegliere me >> disse piangendo nuovamente e aggrappandosi alla sua maglietta come se fosse il salvagente per non annegare << Non mi ha più voluta >>.
<< La droga rende le persone deboli >> provò a consolarla Adele << Non è stata colpa tua >>.
<< Io la odio perché è voluta diventare così! La odio! >> urlò la bambina schiacciandosi contro il corpo del padre che la abbracciava << La odio perché mi ha chiesto di andare a prendere la polvere bianca dal suo amico e dopo non si è più svegliata! >>.
Gettò fuori tutto il suo dolore in quelle parole. Si era sentita rifiutata, usata e infine abbandonata. Tutto da un’unica persona, la più importante, quella che avrebbe dovuto sempre proteggerla.
<< Basta >> ripeté Philip sentendola continuare a piangere << Basta, non serve ricordare tutto >>.
<< E’ tutto finito, Clarke >> le sussurrò la madre dandole un bacio tra i capelli << Ora sei a casa >>.
 
 
L’Angolo di Bik
Eccomi qui, puntualissima! In questo capitolo ho voluto far conoscere di più Luna visto che giocherà un ruolo importante più avanti. C’è anche Piccola Clarke, non mentirò dicendo che ci accompagnerà fino alla fine. Crescerà fino ad arrivare al punto in cui inizia il presente. Spero di essere stata chiara!
Alla prossima,
F.
 

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Capitolo 13
*** 13 ***


 
<< Mi raccomando la puntualità per stasera! >>.
Clarke le strizzò l’occhio prima di allontanarsi verso la sua moto. Sofia sorrise come un’ebete di fronte a quel suo atteggiamento. Perfino all’intervallo glielo aveva ripetuto, forse era davvero come diceva Elena. Forse lei piaceva davvero a Clarke. Perché a lei quella ragazza dagli occhi blu oceano, aveva ormai capito quanto piacesse. Lo aveva compreso dal sorriso che le spuntava ogni volta che riceveva un suo messaggio, da come la cercava anche solo per parlare durante l’intervallo, da come odiasse vedere Alice che le girava intorno come una mosca fastidiosa. Fece un gesto con la mano come se potesse scansarla e sbuffò mentre aspettava Elena che si era attardata in classe.
<< Ciao Clarke! >> salutò Alice passando accanto alla moto della ragazza << Ci vediamo stasera >>.
Clarke si voltò nella sua direzione e le sorrise rapidamente mentre s’infilava il casco.
<< Benissimo, a stasera Augusta! >>.
<< Alice, Clarke! È Alice >> rispose la più piccola dandole un leggero pugno sulla spalla senza farle male.
Sofia non seppe se innervosirsi o ridere nel vedere quella scena. Alice non aveva ancora capito di non avere nessuna possibilità con lei? Era assurda. Nel vedere, però, Clarke partire dopo averle suonato in segno di saluto, si rilassò e pensò a chi avrebbe conosciuto quella sera. Qualche giorno prima l’aveva vista parlare con una ragazza fuori la scuola, chissà se ci sarebbe stata anche lei. Stava per voltarsi e rientrare a scuola per capire in quale universo parallelo fosse stata risucchiata l’amica, quando la figura di Claudio le si parò davanti. Non riuscì a reprimere uno sbuffo nel vederlo. Si era tirato indietro il ciuffo col gel credendo di apparire più figo, ma, in realtà, gli metteva solo in evidenza la fronte troppo spaziosa.
<< Ciao Sofy >> salutò mentre si rigirava le chiavi del motorino in mano.
<< Claudio >> contraccambiò la ragazza senza la minima voglia di conversare con lui.
Elena non c’era mai quando serviva davvero.
<< Che fai stasera? Pensavo di chiedere a Umberto di organizzare qualcosa a casa sua visto che i suoi sono fuori per il fine settimana. Tu e Elena potreste unirvi a noi >>.
Sofia si dondolò leggermente gettando occhiate furtive all’entrata dell’edificio scolastico. Non aveva nessuna intenzione di raccontare dei suoi impegni serali, ma non era mai stata particolarmente brava a mentire.
<< Veramente non so se… >> mormorò incerta.
<< Vedrai >> esclamò Claudio afferrandole a sorpresa una mano << Ci divertiremo! Come ai vecchi tempi >>.
Le lanciò quello che doveva essere il suo miglior sorriso. La ragazza si divincolò dalla sua presa e indietreggiò.
<< Ohi, scusami tantissimo! >> esclamò Elena correndo verso l’amica << Ah, ciao Claudio >> aggiunse atona.
<< Elena >> salutò il ragazzo tornando a guardare Sofia << Ci vediamo stasera allora? >>.
<< Cosa? Stasera?! >> esclamò Elena inserendosi nella conversazione << Abbiamo già un impegno >>.
L’espressione di Claudio si tramutò in sorpresa e sgomento.
<< Un… un impegno? >> ripeté.
Che cavolo avevano da fare quelle due di sabato sera? Era tutta colpa di Elena, gli metteva sempre i bastoni tra le ruote.
La ragazza annuì con energia mentre prendeva per il braccio Sofia e la trascinava verso il suo motorino.
<< Scusa >> disse << Dobbiamo proprio andare >>.
Claudio si irrigidì comprendendo di non poter fare altro. Salutò entrambe e si allontanò.
<< Ridicolo >> sussurrò Elena quando fu sicura che il ragazzo non potesse udirla.
Sofia scoppiò a ridere, ma subito dopo alzò il sopracciglio incrociando le braccia sul petto.
<< Tutto questo tempo per un libro dimenticato sotto il banco? >>.
Il viso di Elena prese fuoco a quella domanda ed emise una risata isterica.
<< Ho avuto uno scontro con Flavio, quell’idiota ha aperto la porta del bagno all’improvviso e mi ha fatto volare insieme allo zaino! >>.
<< Sì, eh? >> fece l’altra.
<< Oh, dai! Figurati se un tipo metallaro come lui mi piace! >>.
<< Sarà… >> mormorò poco convinta Sofia.
Elena si passò una mano tra i capelli insistendo senza capire che, in quel modo, stava solo avvalorando l’ipotesi dell’amica.
<< So, ti prego! Flavio Manisco! È vero che è il meno inquietante del suo gruppo di catene e borchie ma… proprio no! >>.
L’altra alzò le mani ridendo.
<< Stai facendo tutto tu, Ele! >> fece << E poi non avevi una cotta per lui in secondo? >>.
La sua migliore amica sbuffò mentre metteva in moto.
<< Sì, quando era ancora umano >> partì << Piuttosto >> aggiunse << Stasera resti a dormire da me? >>.
Sofia annuì anche se Elena non poteva vederla.
<< Sì, così eviterò il terzo grado dei miei se si fa tardi >>.
<< Sicuramente si farà tardi! >>.
Entrambe risero pensando alla serata che le attendeva.
 
<< Sei sicura che questo sia l’indirizzo esatto? >> chiese Elena guardandosi intorno.
<< Mi ha mandato la posizione su WhatsApp mezz’ora fa per sicurezza >> rispose Sofia smontando dal motorino e togliendosi il casco.
Si avvicinò alla cassetta della posta e al citofono per controllare. Melbourne. Sorrise.
<< E’ tutto a posto! >> urlò girandosi verso l’amica.
Elena emise un lungo fischio osservando il cancello di ferro battuto che le divideva dalla proprietà di Clarke. E non era per niente piccola.
<< Adoro già la tua ragazza >> mormorò vedendo Sofia citofonare e farsi aprire.
Il suo viso prese letteralmente fuoco a quella frase.
<< Non… non è la mia ragazza! >> esclamò indispettita dalle continue prese in giro dell’altra.
L’amica rise mentre seguiva a passo d’uomo il vialetto bianco. Sofia le camminava accanto facendo finta che Elena fosse invisibile.
<< Vedi di impegnarti allora! >> continuò tra le risate << Non possiamo perdere questa casa! >>.
La ragazza scosse il capo non potendo impedirsi di sorridere. Si guardò intorno mentre avanzava verso la villa dalle luci accese. Il giardino era grandissimo e ben tenuto, uno spiazzo cementato segnava il parcheggio ormai quasi del tutto occupato. C’erano due macchine, la moto di Clarke e un altro motorino. Elena si sistemò accanto a loro nello stesso momento in cui il portone venne aperto. Sofia si precipitò sulla soglia pronta a vedere il sorriso di Clarke. Elena s’infilò il casco sotto braccio e la seguì. Da dentro si sentivano risate, schiamazzi e una musica in sottofondo.
<< Ciao… >> salutò la ragazza incerta mentre il sorriso le moriva sulle labbra.
Ad aprire la porta non c’era Clarke, ma un’altra ragazza. Quella che aveva visto spesso nelle foto con lei, Diana Atomi. Sofia l’aveva osservata attentamente ingrandendole e doveva ammettere che era ancora più bella dal vivo. Diana si appoggiò allo stipite della porta senza dire niente, limitandosi a guardarle entrambe con un sopracciglio sollevato.
<< Ehi, ciao! >> salutò Elena << Siamo state invitate da Clarke >> aggiunse allungando la mano << Io sono Elena e lei… >>.
<< So perfettamente chi è >> rispose Diana spostandosi per permetterle di entrare senza salutarle.
Aveva guardato bene Sofia e non aveva trovato niente di speciale in lei. Un viso carino, ma niente di più. Già la odiava.
<< Simpatica la ragazza >> sussurrò Elena all’amica mentre seguiva Diana << Potrebbe gareggiare con te >>.
Sofia le diede una gomitata nello stomaco per farle capire di tacere. Improvvisamente si fermò mentre un grosso cane le andava incontro. Il cuore le saltò in gola e un brivido le attraversò la schiena. Aveva paura dei cani e quello per i suoi standard era enorme. Fece un respiro profondo.
<< Luthor! >> esclamò Diana chinandosi per accarezzargli la testa con un sorriso.
<< Luthor? >> ripeté Elena incredula di fronte a quel nome.
Sofia, nonostante la paura, sorrise pensando a come chiamava Clarke. Non era andata così lontana dalla realtà a quanto pareva.
<< Sì, è il suo nome >> affermò Diana fermandosi per guardarle << Problemi? >> aggiunse soffermandosi di più sulla ragazza dagli occhi verdi.
<< Semplicemente non mi piacciono i cani >> rispose e l’attimo dopo si pentì di quella frase.
<< Ah, davvero? >>.
Un sorriso malizioso apparve sulle labbra di Diana che riprese a camminare davanti a loro con Luthor accanto. Le voci, intanto, diventavano sempre più forti e nitide man mano che si avvicinavano al salone.
<< Che casa stupenda! >> esclamò Elena incapace di trattenersi.
Sofia, che aveva più autocontrollo dell’amica, silenziosamente le diede ragione. Ma cosa si aspettava da un famoso musicista come Philip Melbourne? Aveva ascoltato su Youtube alcuni suoi brani e semplicemente attraverso un apparecchio era riuscito a emozionarla, immaginava cosa provasse chi avesse l’opportunità di sentirlo dal vivo. Doveva essere un’esperienza magica. Alle sue orecchie arrivarono distintamente le risate dei gemelli Mancini e Elena si fiondò nel salone, dimentica momentaneamente della paura dell’amica. Sofia avrebbe fatto volentieri la stessa cosa, ma la paura verso il boxer che si trovava a così poca distanza da lei la bloccava. Diana la guardò con la coda dell’occhio e continuò a sorridere.
<< Seduto, Luthor >> disse semplicemente.
Immediatamente il cane ubbidì sedendosi e osservando chi le aveva dato il comando senza smettere, però, di scodinzolare.
<< Bravissimo! >> continuò la più grande << Fai la guardia >> aggiunse mentre i suoi occhi scuri si posavano su Sofia che, immobile e terrorizzata, si era addossata alla parete del corridoio << E’ stato un vero piacere, Sofia >> salutò voltandosi per dirigersi in salone insieme agli altri.
<< Ehi, aspetta! >> esclamò la ragazza non osando muoversi << Non puoi… lasciarmi… non puoi lasciarmi qui! >>.
Ma Diana non si voltò nemmeno alle sue parole. Aveva appena iniziato.
 
Clarke si accorse della mancanza di Sofia dopo una manciata di minuti. Era sul retro del giardino, dove c’era la piscina, per mostrarla ai gemelli che non avevano fatto altro che implorare un bagno più tardi. Giulia, ovviamente, era stata entusiasta della proposta sebbene fosse novembre. Salutò Elena che stava parlando con Alice e si guardò intorno senza riuscire a incontrare il suo verde preferito.
<< Ele, ma Sofia? >>.
La ragazza, con una birra in mano, si guardò attorno.
<< Ti giuro che era proprio dietro di me, aveva paura di… >>.
Le parole le morirono in gola e Clarke si affrettò verso il corridoio. La trovò accostata alla parete come se potesse divenirne parte, mentre osservava con occhi terrorizzati Luthor che, invece, seduto, scodinzolava e abbaiava festosamente alla ricerca di una carezza. Clarke osservò la scena basita senza comprendere quale fosse il problema. Incrociò le braccia sul petto e sollevò il sopracciglio.
<< Ehi, tutto bene? >>.
<< Questo cane vuole mangiarmi! >> esclamò Sofia con voce impaurita.
L’altra ragazza scoppiò a ridere.
<< Ma che dici? Non vedi che sta scodinzolando? >> rispose chinandosi sulle gambe << Vieni qui, Luthor >> aggiunse allargando le braccia.
Il boxer ubbidì dopo aver abbaiato una volta.
<< Vedi? >> continuò scherzando col cane << Lui è un cane buonissimo, vero? Sei l’amore di mamma >>.
<< E’ un cane da combattimento! >> fece Sofia scandalizzata << Gli manca anche la fine della coda >>.
Un’ombra passò sugli occhi di Clarke, così rapida che Sofia si domandò se l’avesse vista davvero.
<< Luthor non è un cane da combattimento >> affermò rialzandosi. Porse all’animale un sorriso e un’ultima carezza prima di continuare << Hai paura di lui? >>.
I loro sguardi s’incrociarono e lentamente, come un balsamo, il verde di Sofia inghiottì l’azzurro scuro di Clarke facendolo tornare splendente. La più piccola inghiottì un groppo di saliva.
<< Mi fanno paura in generale >> ammise alla fine Sofia guardando il pavimento.
L’altra, allora, allungò una mano verso di lei e un sorriso, che non aveva niente a che fare con quello rivolto a Luthor, le increspò le labbra.
<< Andiamo di là, dai >> le disse.
E quando le loro dita si toccarono, entrambe furono attraversate da un brivido. Sofia sobbalzò per l’intensità della cosa. Possibile che Clarke fosse in grado di scatenare delle sensazioni simili solo sfiorandola?
Tornarono in salone, dove la ragazza rimase sorpresa nel vedere un meraviglioso camino spento e un divano di pelle bianca a angolo. Ogni oggetto su cui posasse gli occhi le parlava di lusso, ma non di sfarzo. Chi aveva scelto il mobilio doveva avere molto gusto.
<< So! >> esclamò Elena nel vederla << Ma che fine avevi fatto? >>.
<< Piccolo incidente di percorso >> mormorò Sofia guardando Diana che stava chiacchierando con Lorenzo.
La ragazza, in tutta risposta, sollevò nella sua direzione la bottiglia di birra che stava bevendo come se fosse un brindisi e ne bevve un lungo sorso.
Sofia assottigliò gli occhi. La odiava e, a quanto pareva, la cosa era reciproca.
<< Marco! >> chiamò Clarke << Giulia! D! >> I tre amici le si avvicinarono << Vi presento Sofia >>.
<< Oddio, piacere! >> esclamò Giulia allungando la mano << Finalmente ti conosciamo! Io sono Giulia >>.
Sofia rimase sorpresa dal suo entusiasmo, ma si affrettò a contraccambiare il gesto.
<< Marco >> dichiarò l’unico ragazzo << E lei è la mia ragazza Nadia >> aggiunse mentre la ragazza che aveva nominato gli si accostava.
<< Noi ci siamo già presentante >> disse, invece, Diana senza nessun tono in particolare.
Fu la prima ad allontanarsi sotto lo sguardo stranito di Clarke che, però, decise di non darci peso. Stasera voleva divertirsi, ne aveva bisogno.
<< Non farci caso >> affermò Marco con un sorriso << All’inizio fa sempre così. È sprucida >>.
Clarke e Giulia scoppiarono a ridere mentre Nadia lo colpì, senza farci male, al petto.
<< Birra? >> chiese Giulia indicando a Sofia con un cenno del capo un tavolino ricolmo di bottiglie di vetro.
<< No, grazie io non… >>.
<< Ah, no Giu! >> la interruppe Clarke ridendo << Con lei la regola del tre non vale! >>.
L’amica strabuzzò gli occhi mentre guardava prima Sofia e poi l’altra.
<< Sei seria? >> domandò cauta.
Il viso della più piccola prese fuoco nel sentirsi al centro dell’attenzione.
<< Dai, Giu. Non la spaventare! >> disse il ragazzo notando il suo imbarazzo << Divertiti >> aggiunse facendole l’occhiolino prima di allontanarsi con Nadia.
Sofia guardò Clarke alla ricerca di aiuto.
<< Acqua? >> scherzò l’altra.
Giulia scoppiò in una sonora risata.
<< Chi non beve, ha un segreto da nascondere >> mormorò l’attimo prima di essere chiamata da Diego.
<< Ehi, rappresentante! >> salutò Lorenzo mostrandole il suo sorriso più angelico << Che onore averla tra i comuni mortali >>.
<< Mancini sei sempre il solito idiota! >> esclamò Sofia osservando come Clarke, invece ridesse << Sei una stronza, lo sai? >> aggiunse diretta a Clarke non appena rimasero sole.
Clarke le sorrise e i suoi occhi le trasmisero un’allegria straordinaria.
<< Giulia è a tratti normale quando prende le sue medicine >> disse << Ma stasera le ha dimenticate >>.
Tutto l’imbarazzo di Sofia scivolò via quando scoppiò a ridere. Clarke riusciva sempre a metterla a suo agio, anche di fronte a dei ragazzi che aveva appena conosciuto.
<< Ciao Sofy! >> esclamò Alice avvicinandosi << Non ti avevo vista arrivare >> aggiunse. Poi si voltò verso Clarke, senza aspettare una risposta, e le mise una mano sul braccio << Posso usare il bagno? >>.
<< Oh, certo >> replicò la ragazza << La prima porta sulla sinistra >>.
Alice si allontanò non prima di aver lanciato un sorriso a Clarke. Gesto che fece roteare gli occhi di Sofia subito dopo aver sbuffato.
<< Hai davvero una bella casa, complimenti >>.
L’altra le strizzò l’occhio prima di fare un sorso dalla sua bottiglia.
<< Grazie >> le sussurrò << Ma… le camicie non te le togli proprio mai? >> chiese.
<< Ehi, le camicie sono eleganti! >> ribatté Sofia.
Clarke la guardò sbattendo le palpebre un paio di volte.
<< Ma riesci a respirare? >> domandò riferendosi al fatto che l’altra chiudesse tutti i bottoni.
Sofia si passò una mano tra i capelli e scosse il capo con fare sconsolato. Stava per rispondere, ma le urla di Marco e Lorenzo fecero voltare Clarke.
<< Torno subito >> disse andando a controllare cosa stessero combinando gli amici.
Elena approfittò di quel frangente per avvicinarsi all’amica.
<< Io te lo avevo detto >> mormorò riferendosi alla camicia.
<< Ma cosa volete capirne voi che indossate delle felpe! >>.
L’amica alzò il sopracciglio e le indicò Alice che era appena rientrata.
<< Sicuramente a Clarke piacciono >> rispose facendole notare come la ragazza fosse vestita in modo molto sportivo, troppo per i suoi gusti in genere.
Sofia gonfiò le guance senza sapere cosa dire e, presa da una avventatezza improvvisa, afferrò la bottiglia di Elena facendo un lungo sorso. L’amaro della birra le invase la bocca e la gola facendola rabbrividire. Subito dopo sbottonò le prime due asole della camicia guadagnandosi un sorriso compiaciuto da parte dell’altra.
<< Oh, ci stiamo facendo sempre più ardite >> le disse << Vai così! >> aggiunse a voce troppo alta.
Clarke tornò dopo qualche minuto con un enorme vassoio di pizza che poggiò sul tavolo. Ad aiutarla arrivò Diana, munita di tovaglioli per tutti che lasciò vicino al cartone.
<< Credi che stia andando bene? >> le chiese Clarke osservando i presenti.
Pareva che tutti si stessero divertendo; i gemelli e Marco erano fuori a fumare, Alice chiacchierava con Elena e Sofia, Giulia rideva a una battuta di Nadia. Posò il suo sguardo sulla figura di Sofia notando i bottoni della camicia lasciati aperti e ingoiò un groppo di saliva nell’indugiare sulla scollatura che si era formata. Il seno della ragazza, al contrario del suo, era piccolo e raccolto. Le sue gote si colorirono e quel gesto non passò inosservato agli occhi di Diana, sempre molto attenta a tutto ciò che accadeva all’amica. Sofia si voltò verso di lei sorridendole e le fece segno di avvicinarsi. Clarke mosse un passo nella sua direzione, già dimentica della domanda rivolta a Diana, ma si fermò quando l’altra la tirò per la manica della felpa che indossava. Si voltò per guardarla e Diana le scostò una ciocca di capelli dal viso mentre le mostrava il suo miglior sorriso. Era consapevole che Sofia le stesse guardando e proprio per quello lo aveva fatto. Voleva che vedesse e si rendesse conto quanto il loro legame fosse profondo. Le diede un bacio sulla guancia e le strofinò il naso contro il collo.
<< E’ tutto perfetto >> sussurrò prima di lasciarla andare.
Clarke le sorrise con sincerità, ignara della vera motivazione che si celava dietro i gesti dell’amica e si avvicinò a Sofia. La ragazza ribolliva di fastidio, ma cercò di non darlo a vedere.
<< Allora >> iniziò Clarke sedendosi accanto a lei suo divano << Ti stai divertendo? >>.
L’altra annuì mentre con la coda dell’occhio vedeva Giulia prendere un’altra birra. Ma quanto alcol era in grado di reggere quella ragazza? Ne passò una anche a Clarke.
<< E così >> iniziò Giulia rimanendo in piedi davanti a Sofia << Niente regola del tre? >>.
L’altra guardò per un breve istante la padrona di casa; poi le afferrò la birra dalle mani e fece un piccolo sorso.
<< Forse >> rispose restituendola alla proprietaria.
Giulia rise seguita da Elena. Clarke, invece, la osservò gradevolmente stupefatta stringendo il collo della bottiglia.
<< Sei una bella sorpresa, Sofia >> affermò Giulia << Mi piaci >>.
Detto, si dileguò senza aspettare risposta.
<< Forse, eh? >> fece eco Clarke con un sorriso mentre le si avvicinava ancor di più.
Si guardarono negli occhi ed entrambe si ritrovarono ad annegare nel colore delle loro iridi come se cercassero l’una di prevaricare l’altra.
<< Clarke! >> esclamò Lorenzo rientrando dal giardino e fiondandosi addosso alla ragazza << Ti devo assolutamente parlare! >>.
Un urlo scappò dalle labbra di Clarke mentre cercava di fargli spazio sul divano. Fece un nuovo sorso e vide Sofia alzarsi per richiamare all’ordine Elena che pareva andare fin troppo d’accordo con Giulia.
<< Dimmi tutto. Ma se si tratta di un altro dei vostri scher… >>.
<< No, no >> la interruppe il ragazzo agitando le mani << Volevo chiederti una cosa >> la sua espressione si fece seria e Clarke aspettò che continuasse << Diana è fidanzata? >>.
La ragazza si prese una manciata di secondi per essere sicura d’aver compreso bene. Aveva davvero chiesto di Diana? Diana la sua amica, quella che adesso stava scorrendo l’Iphone alla ricerca di una canzone nuova?
<< Ti… ti piace Diana? >> chiese perplessa.
<< Oh, cazzo sì! >> esclamò Lorenzo << E’ da quando stavo in terzo e voi in quarto che ho sempre avuto questo chiodo fisso. Ma non mi ha mai degnato di una fottuta occhiata! >>.
Clarke rise. Tipico della sua amica. Tornò a guardare Lorenzo e per la prima volta non seppe cosa dirgli. Cosa poteva consigliargli? Diana aveva avuto solo una storia con un ragazzo quando lei si stava frequentando con Luna, ma poi era finita e da allora erano sempre state loro due.
<< Posso provare a parlarci >> propose per non deludere le aspettative dell’amico.
Quella sera nessuno doveva essere triste.
<< Grazie Clarke! >> fece Lorenzo scattando in piedi e abbracciandola << Falle presente che un tipo come me ha un cervello per combinare scherzi niente male >>.
La ragazza rise prima di annuire e lo osservò per un attimo andare a prendere un pezzo di pizza. Quello successivo dall’impianto hi-fi collegato al suo Iphone partì la sigla di Detective Conan. Con gli occhi cercò Diana che le stava sorridendo mentre le si avvicinava.
<< Io adoro Conan! >> esclamò Nadia mentre Marco le faceva fare una giravolta.
<< E’ il manga preferito di Clarke >> spiegò il suo ragazzo.
Sofia, che era vicina a loro, li ascoltò e si ritrovò a scuotere il capo. Non poteva aspettarsi niente di diverso da una ragazza come Clarke. Andava in giro con le magliette dei supereroi, doveva per forza avere un manga preferito. Ciò che non riusciva proprio a tollerare era, invece, il rapporto simbiotico che aveva con Diana. Come se fossero quasi una coppia. La ragazza pareva comprendere tutto quello che passava per la mente di Clarke e, cosa non meno importante, le aveva fatto comprendere senza troppi fronzoli, di odiarla. Eppure lei sarebbe stata lieta di essere sua amica, un po’ come stava facendo con Marco e Giulia. Marco, infatti, la prese per il polso e fece fare una giravolta anche a lei mentre cantava, in modo del tutto stonato, la sigla che stava terminando. Quando finì di volteggiare, si ritrovò col viso di Clarke a pochi centimetri di distanza dal suo e dovette ingoiare un groppo di saliva. Come poteva essere così bella anche coi i capelli in disordine?
<< Un uccellino mi ha detto che Conan è il tuo manga preferito >> le disse ridendo.
<< Non c’è niente che faccia sentire la tua intelligenza una merdina come un bambino che risolve dei casi pazzeschi >> rispose Clarke senza scollare i suoi occhi dalla figura dell’altra.
La camicia leggermente sbottonata le conferiva un’aria più sbarazzina e il sorriso che aveva dipinto sul viso era bellissimo. La prese per mano e di nuovo fremette.
<< Ti faccio vedere il giardino >> disse poi aprendo la portafinestra e uscendo.
Sofia la seguì, lieta che avesse delle attenzioni per lei, e mandò un gridolino di eccitazione non appena notò la piscina.
<< Hai la piscina! >> esclamò << Quanto devi essere fortunata? >>.
Clarke rise e si strinse nelle spalle mentre osservava la ragazza che si avvicinava al bordo. La luna si rifletteva nell’acqua e illuminava i loro volti. Per il resto erano immerse nell’oscurità.
<< Organizzi spesso feste a casa tua? Perché potrei abituarmi a passare il sabato sera qui >>.
Sofia non sapeva se a parlare fosse l’alcol che aveva ingerito e che, essendo astemia, la faceva sentire ardita e sicura di sé, oppure erano semplicemente i suoi veri pensieri. Sapeva solo di essere felice ed era tutto merito della ragazza che le stava di fronte.
<< Credo che tu mi piaccia >>.
Clarke aveva deciso di tentare e si ritrovò a trattenere il fiato mentre si immergeva negli occhi grandi dell’altra. Alla luce lunare, parevano brillare. Il verde la inghiottì mentre smetteva di pensare. Lo aveva detto davvero. Sentì Sofia posarle una mano sul petto e rabbrividì. Se i brividi la scuotevano quando ancora era vestita, non immaginò cosa le sarebbe potuto capitare se, invece, fosse stata nuda. E involontariamente un tremito più forte degli altri le scosse il basso ventre. Non riusciva a smettere di guardarla e, più lo faceva, più le pareva impossibile desiderare altro.
<< Credo… credo che anche tu mi piaccia >> rispose l’altra ragazza arrossendo.
Il cuore di Clarke saltò in gola e sorrise. Sorrise perché non si sentiva in quel modo da parecchio tempo, perché era bello che fosse capitato con lei, in quel momento, in casa sua.
<< Non lo dico perché ho bevuto cinque birre >> mormorò la più grande << Tu mi piaci davvero e non mi piaceva così qualcuno da… un po’ >>.
Dopo quelle parole, Sofia le saltò al collo abbracciandola. Non era tipa da gesti simili, era sempre così controllata ed equilibrata, sempre pronta a dire la frase giusta al momento giusto, ma adesso non trovava niente che potesse rendere efficacemente ciò che si stava agitando dentro di lei. Clarke aveva appena ammesso di piacerle ed era stata così spontanea che lei si era ritrovata disarmata e felice. E l’aveva stretta mentre l’odore della sua pelle le faceva girare la testa. Indietreggiarono di qualche passo e, quando Sofia si sciolse dalla sua presa, Clarke sorrideva ancora.
<< Sei una continua sorpresa, sai? >> le disse.
<< Ci sono tantissime cose che non sai di me, Kent >>.
<< Non vedo l’ora di scoprirle tutte >>.
Rientrarono e Diana comprese immediatamente che era successo qualcosa di gradevole tra le due. Lo capì dagli occhi sognanti dell’amica, da come l’altra era arrossita quando le aveva preso la mano, dalle brevi occhiate che si erano lanciate prima che Elena prendesse da parte Sofia per parlarle. E un moto di stizza la attraversò, così forte da farle chiudere a pugno entrambe le mani e far diventare bianche le nocche. Scattò in piedi rischiando quasi di inciampare nel basso tavolino vicino al divano, e si chiuse in bagno. Aveva bisogno di sbollire la sua rabbia prima di farsi vedere da Clarke. La ragazza era talmente su di giri che non si accorse della sua sparizione. Marco le porse una nuova birra e le strizzò l’occhio in segno d’intesa alzando entrambi i pollici verso l’alto.
<< Ce l’ho scritto in faccia, vero? >>.
<< Assolutamente >> rispose il ragazzo ridendo e colpendo la bottiglia dell’amica per un brindisi << A noi, allora >>.
Clarke bevve e subito dopo scoppiò a ridere nel sentire Giulia che voleva assolutamente fare il bagno.
<< Ti prego, Clarke! >> esclamò << Andiamo in piscina! >>.
<< Possiamo? >> andarono in suo aiuto Lorenzo e Diego.
<< Scordatevelo tutti e tre! >> tentò di mantenere il controllo Clarke.
Guardò Sofia che stava scuotendo il capo.
<< E’ novembre >> mormorò contrariata << Vi ammalerete tutti! >>.
<< Clarke, dai! Solo un tuffo! >>.
Marco si accosto a Sofia e porse a Nadia la sua bottiglia dalla quale la ragazza fece un sorso.
<< Una volta abbiamo fatto il bagno in piscina a febbraio >> le raccontò ridendo << Mi ricordo che Giulia era scivolata e si era portata dietro Clarke e poi ovviamente… >>.
<< Siete pazzi >> rispose ridendo Nadia mentre lo abbracciava da dietro e gli lasciava un bacio sulla guancia.
Nel guardare la scena, Sofia pensò che non le sarebbe dispiaciuto comportarsi allo stesso modo con Clarke. Elena la affiancò, dopo essere tornata con un grosso pezzo di pizza in mano, e fece un sorso dalla sua birra. L’amica le diede una spallata senza farle male. La versione di una Sofia più allegra e leggera le piaceva molto.
<< Vai a farti il bagno? >> le chiese notando come, alla fine, Clarke si fosse arresa.
<< Ma sei pazza?! >> esclamò Sofia scandalizzata << A parte che non ho il costume, ti rendi conto che siamo a novembre? Non voglio beccarmi la polmonite domani >>.
Elena roteò gli occhi e le indicò Alice.
<< Ti consiglio di andare a marcare il territorio >> disse semplicemente.
Sofia si voltò nella direzione indicatale e un moto di rabbia la scosse. Alice stava tirando Clarke per la manica tentando di convincerla a tuffarsi con lei. Si avvicinò a grandi passi e, senza sentirsi minimamente inopportuna, la allontanò in malo modo dalla ragazza. Clarke sgranò gli occhi per la sorpresa e le sorrise mentre si lasciava trascinare qualche metro più in là.
<< Scusa, Alba! >> esclamò la ragazza alzando la mano libera verso Alice.
<< Alice, Clarke! È Alice! >>.
Sofia si sistemò gli occhiali sul viso e la fissò intensamente.
<< Vorresti fare il bagno, per caso? >>.
<< Perché no? >> chiese Clarke infilando le mani nelle tasche del jeans.
<< Perché è novembre! >> esclamò esasperata Sofia.
<< Cosa c’entra, una volta l’ho fatto anche a… >>.
<< A febbraio, lo so >> la interruppe l’altra ignorando l’occhiata interrogativa che le stava lanciando Clarke << Ma non permetterti di gettarti in acqua! >>.
La ragazza alzò un sopracciglio con aria contrariata e incrociò le braccia sotto il seno.
<< Ma sono la padrona di casa e… >>.
<< E dovresti dare il buon esempio! >>.
<< Appunto! >> ribatté Clarke passandosi una mano tra i capelli e ridendo.
Quella conversazione aveva un che di ridicolo. Guardò Sofia negli occhi e pensò che con gli occhiali era terribilmente sexy. Si morse il labbro inferiore.
<< Non puoi farti il bagno stasera! Soprattutto non con quella gatta morta! >> fece Sofia.
Clarke si sporse leggermente per vedere se i suoi sospetti fossero fondati e sorrise.
<< Ah >> disse << Quindi siamo piuttosto gelosette? >>.
Un rossore generale invase le gote dell’altra anche se avrebbe voluto impedirlo.
<< Ti piacerebbe, Kent >> rispose a tono provando a tenerle testa.
Clarke le passò accanto sfiorandola appena con la spalla.
<< Potrei perfino abituarmici >> affermò semplicemente mentre veniva chiamata a gran voce da Lorenzo e Diego.
Sofia si voltò per guardarla mentre il suo respiro tornava regolare.
<< Clarke! >> disse poi << Devo usare il bagno >>.
<< Vai a quello di sopra >> dichiarò la ragazza << Seconda porta sulla sinistra, non è complicato. Quello di giù è occupato da Diana e, conoscendola, non impiegherà poco. Te lo ricordi? >>.
L’altra annuì correndo all’interno della villa.
A parte, però, le luci accese nel salone e nel corridoio, era tutto buio. Sofia avrebbe voluto mettersi a cercare l’interruttore vicino le scale, ma il cane mangiauomini si era messo ad abbaiare e ad andarle incontro; così lei spaventata era corsa al piano superiore infilandosi nella prima stanza che trovò. Accese la luce. Quello non era decisamente il bagno. Doveva essere lo studio del signor Melbourne. Vicino la grande finestra, infatti, faceva bella mostra un pianoforte a coda, nero e lucido. La tentazione di accarezzarlo fu troppo forte. Ancor prima di rendersene conto, Sofia stava passando un dito sul legno scuro e liscio immaginando il padre di Clarke che si esercitava. Per la ragazza doveva essere stato fantastico studiare con le sue melodie in sottofondo. Si domandò se anche lei sapesse suonare. Si guardò intorno trovando numerose targhe di Philip incorniciate insieme ad altrettante foto. Ne sollevò una, quella più grande, che ritraeva una Clarke bambina in braccio all’uomo. Accanto a loro, una donna, probabilmente la madre. Improvvisamente si chiese dove fosse e che lavoro facesse quella donna. Forse era l’assistente del marito e per questo anche lei era costretta a lunghe assenze da casa. Li osservò per qualche minuto. Sembravano davvero una famiglia felice e Clarke era già bellissima. Posò la cornice dov’era e i suoi occhi caddero sui numerosi spariti lasciati sul piano. Non aveva mai studiato musica, quindi non sapeva leggere tutte quelle note musicali, e si limitò ai titoli. Uno in particolare attirò la sua attenzione. Era scritto in numeri romani, come il tatuaggio di Clarke sul braccio. Sette undici duemilasette, una data. Si chiese che significato potesse mai avere, sicuramente qualcosa di importante per portare la ragazza a un simile gesto. Era ancora immersa nelle sue riflessioni quando la porta si aprì facendola sussultare.
 
Diana uscì dal bagno e cercò immediatamente Clarke trovandola sul bordo della piscina. La chiamò avvicinandosi.
<< Ehi >> le disse abbracciandola.
Si era calmata e aveva deciso che l’unica via possibile era tentare di allontanare perfino il pensiero di Sofia dalla sua mente.
<< D! >> esclamò Clarke contraccambiando la stretta << Ti devo raccontare un casino di cose >>.
Diana le accarezzò una guancia sorridendole. Quanto era bella e quanto desiderava che fosse solo sua!
Improvvisamente Lorenzo si gettò in piscina vestito solo con un fantastico paio di slip con le caramelle seguito subito dopo dal suo gemello. Gli schizzi bagnarono Clarke e Diana che trattenne il respiro per il getto freddo. Si strinse ancor di più all’altra facendo aderire ancor di più i loro corpi e cercando quel calore che solo l’amica riusciva a darle. Clarke si staccò leggermente da lei per poter avere una visuale della portafinestra e del salone. L’altra se ne accorse e un moto di stizza la colse nuovamente. Stava cercando Sofia, avrebbe potuto mentire a Marco o a Giulia forse, ma non a lei. In preda a quell’irritazione, la afferrò per la vita e la trascinò in acqua. Clarke sentì il fiato mancarle per l’intensità della bassa temperatura. Diana le afferrò il viso e la baciò togliendole anche quel poco d’ossigeno che le rimaneva. Sentì delle voci confuse sopra di lei e, mentre l’amica continuava a tenerla stretta, risalirono verso la superficie. In tempo per vedere Giulia in intimo gettarsi in acqua.
<< Ma sei impazzita? >> esclamò non appena incrociò lo sguardo di Diana.
La ragazza scoppiò a ridere prima di leccarsi le labbra e issarsi sul bordo della piscina dove Marco le stava aspettando con degli asciugami. Clarke scosse il capo e la seguì sorridendo appena.
<< Siete due idiote, sappiatelo >> mormorò il ragazzo << Avete dato la spinta che aspettava Giulia >> aggiunse guardando oltre la spalla di Diana << Vado a recuperare qualcosa di asciutto anche per lei >>.
Clarke si strofinò il viso e scoppiò a ridere nel vedere Diana sfilarsi la maglia che indossava e coprirsi col grande asciugamano.
<< Sei folle >> le disse iniziando a sentire freddo.
Diana le fece l’occhiolino e si slacciò anche il jeans.
<< Clarke! >> esclamò Elena avvicinandosi << Che coraggio a fare il bagno a novembre! >>.
La ragazza guardò l’amica alzando un sopracciglio.
<< Non è che abbia avuto molta scelta >> rispose guardando Diana che scrollò le spalle con finta indifferenza.
<< Sai dov’è finita So? >>.
<< Doveva andare in bagno >> rispose Clarke guardandosi intorno << Non è ancora tornata? >>.
Elena scosse il capo.
<< Vado a vedere io >> disse allontanandosi.
Comprese subito che Sofia non era in bagno e, nonostante fosse bagnata e infreddolita, corse per le scale diretta al piano superiore. La luce che filtrava sotto la porta era un chiaro segno di dove si fosse cacciata l’altra. Spalancò la porta dello studio trovando la ragazza in piedi vicino al pianoforte. Sofia strabuzzò gli occhi nel vederla bagnata dalla testa ai piedi con solo un asciugamano a proteggerla dal freddo invernale.
<< Ma che cavolo hai… >>.
<< Questo non è il bagno >> affermò con voce dura Clarke non potendo fare a meno di irrigidirsi.
<< Lo so, scusami. Ho… ho sbagliato e… >>.
<< Esci >>.
Il tono della ragazza non ammetteva regole. Sofia comprese d’aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non capiva il motivo. Era uno studio, una camera come tante altre. Eppure Clarke esitava a entrare, rimaneva sulla soglia come se ne avesse paura. Si mosse verso di lei senza accorgersi di stare ancora stringendo tra le mani gli spartiti. L’altra quasi glieli strappò dalle mani.
<< Questi restano qui >> mormorò riponendoli esattamente nello stesso modo in cui Sofia li aveva trovati.
Tornò sulla soglia, quasi le mancasse l’aria.
<< Scusa >> ripeté la più piccola a disagio di fronte al suo cambiamento << Posso chiederti cosa significa sette undici duemilasette? >>.
Clarke sgranò gli occhi a quella domanda, ma rimase calma. Chiuse la porta alle sue spalle con un po’ troppa foga e fece un respiro tremante.
<< E’ una data >>.
Sofia alzò il sopracciglio e assunse un’aria indispettita.
<< A questo c’ero arrivata anch’io >> rispose << Mi chiedevo cosa significasse visto che ce l’hai anche tatuata sul braccio >>.
Involontariamente Clarke si toccò la parte.
<< L’ho notato quando ti ho riconsegnato la giacca >>.
La più grande scosse il capo.
<< Nulla >> si limitò a rispondere precedendola verso il piano inferiore.
 
Luna tracannò la sua birra tutto d’un fiato e si guardò intorno. Raffaele stava flirtando amabilmente con una ragazza molto carina che aveva appena conosciuto mentre Stefano era andato a ordinare da bere. Era stata solo una volta allo Slash e quella sera i suoi amici avevano insistito per ritornarci. Buona musica, tanti ragazzi e fiumi di alcol. Per dei ventenni quello era il paradiso. Si appoggiò allo schienale della sua sedia e sospirò. Raffaele e Stefano avevano pensato che avesse bisogno di svago perché, da quando l’aveva vista, non riusciva a fare altro che pensare a Clarke. Le mancava, eppure era stata un anno senza di lei. Avrebbe dovuto farsi avanti prima, cercare di riallacciare prima i rapporti con lei e i suoi amici, ma si vergognava di quello che aveva fatto, delle bugie e aveva avuto paura di un secondo rifiuto. Dopo la fine della sua storia con Clarke non aveva affrontato un periodo facile dovuto alla confusione sulla sua sessualità e su ciò che avrebbero pensato i suoi amici. Non le erano mai interessate le ragazze, lei era stata l’unica e per questo la paura era aumentata. Ne era uscita grazie a Stefano e Raffaele che le erano stati accanto supportandola in ogni cosa, anche quando aveva rivelato loro di essersi innamorata di Clarke. Quello che per loro era solo una scommessa, si era rivelato l’inizio della sua prima e seria storia d’amore. Aveva amato la ragazza dagli ipnotici oceani, dal sorriso contagioso, dal modo di fare sfacciato, e la amava ancora adesso. Aveva impiegato del tempo per capirlo e diventare forte abbastanza da risollevarsi e ora che era pronta, rivoleva indietro quello che si era strappata da sola. C’era solo un problema, Clarke non pareva intenzionata a darle una seconda possibilità nonostante fosse ancora innamorata di lei. Era certa di questo, perché quando le loro mani si era sfiorate, entrambe erano state attraversate da un brivido. Non l’aveva ancora dimenticata.
<< Allora >> fece Stefano quando tornò con le birre. Cercò con gli occhi l’amico, ma, quando lo vide impegnato, lasciò perdere << Vuoi restare tutta la serata con quel muso? >>.
<< Sono adorabile anche imbronciata >> rispose Luna afferrando il suo boccale con un mezzo sorriso.
Stefano scoppiò a ridere e alzò le mani.
<< Non lo metto in dubbio >> disse << Credo, infatti, che a quella ragazza laggiù piaccia il tuo broncio >>.
Luna seguì la direzione dello sguardo dell’amico e trovò una ragazza molto bella che la stava guardando. Non era italiana, si capiva dalla cascata di capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle bianchissima che aveva. Forse era tedesca, forse russa. Quel locale era frequentato da molti universitari, anche quelli che partecipavano all’Erasmus e non era insolito riuscire a rimorchiare. Per questo i due ragazzi l’avevano portata lì. Luna sorrise mentre faceva un altro sorso. In tutta risposta l’altra le strizzò l’occhio e riprese a chiacchierare con le amiche fingendo indifferenza.
<< Non dirmi che ti dispiacerebbe darle una botta >>.
Luna spintonò Stefano mentre rideva e in quel momento tornò Raffaele. Gli sguardi degli amici si puntarono su di lui.
<< Che è successo? >> domandò alla fine la ragazza.
L’amico scosse il capo.
<< Voleva farlo senza preservativo, ma ci rendiamo conto? Sono troppo giovane per diventare padre! >> esclamò << E non ridete >> aggiunse sentendo le risatine che si stavano scambiando gli altri due << E’ una cosa seria! Avrebbe potuto avere l’AIDS! Vi rendete conto?! No, no >>.
Appena terminò, Luna e Stefano risero di gusto.
<< Siete degli idioti insensibili >> continuò Raffaele voltandosi per cercare la sua nuova preda.
<< Vai di nuovo a caccia? >> chiese Luna mentre, involontariamente, tornava a guardare la ragazza di prima.
<< Direi, altrimenti che cazzo siamo venuti a fare qui? >>.
<< Beh, c’è chi come te deve impegnarsi a cacciare e chi come Luna, invece, ha già affondato la preda senza muoversi dal tavolo >> affermò Stefano finendo la sua birra.
Raffaele guardò Luna, che stava roteando gli occhi, e lentamente comprese a chi si stesse riferendo l’amico. Sorrise alla ragazza.
<< E’ carina >> commentò << Perché non chiedi se ha un’amica? >>.
<< Non ho nessuna intenzione di scoparla >> affermò risolutamente Luna.
<< Tu no, ma forse lei sì >> disse Stefano facendo notare a tutti che la ragazza stava venendo al loro tavolo.
Luna ingoiò un groppo di saliva mentre osservava l’altra avvicinarsi. Era bella, aveva un neo vicino il labbro superiore che parlava di una certa sensualità. E quel vestito pareva troppo stretto per contenere un corpo slanciato e tonico come il suo.
<< Ciao >> salutò la sconosciuta con un sorriso. Si chinò sul tavolo per guardare meglio Luna e ignorare i due ragazzi << Hai da accendere? >>.
Alzò la mano nella quale stringeva una sigaretta e ammiccò verso Luna.
<< Sì >> rispose la ragazza senza smettere di osservarla << Ma qui non si può fumare >>.
<< Per questo mi accompagnerai fuori, no? >>.
Nell’istante in cui si alzò, Luna comprese che quella sigaretta non sarebbe mai stata accesa. E forse era meglio così, forse per una sera poteva concedersi di spegnere il cervello e lasciarsi guidare dai sensi e dalla fantasia.
 
Fortunatamente Lorenzo e Diego si erano gettati in piscina senza i vestiti altrimenti Clarke non avrebbe saputo cosa dare a entrambi di asciutto. A casa aveva delle cose del padre, ma non le pareva il caso. Giulia starnutì e si guadagnò un’occhiataccia da Marco che aveva preparato cioccolate calde per tutti nel frattempo. I suoi amici potevano permettersi di fare qualunque cosa volessero in casa sua. Lei aveva rifiutato quando il ragazzo le aveva avvicinato la tazza e aveva ravvivato il fuoco del camino dopo aver acceso su richiesta di Alice e dei gemelli. Anche loro starnutivano ed era abbastanza sicura che l’indomani sarebbero stati tutti male. Guardò Diana che, accanto a lei cercava di asciugare i suoi abiti vicino al fuoco e sospirò. Tutta la felicità che aveva provato fino a quel momento era svanita nel momento in cui aveva visto Sofia nello studio. Non doveva entrarci, soprattutto non di nascosto. Nemmeno Diana entrava se non glielo chiedeva esplicitamente lei.
<< Ragazze, sarebbe il caso che vi cambiaste >> affermò Marco sedendosi accanto a Nadia sul divano.
Sofia era poco distante da loro e non osava guardarla. Intratteneva una conversazione tranquilla con Alice e Elena mentre la sua mente era da tutt’altra parte. Si domandava cosa avesse fatto di strano per far spegnere tutta la luce negli occhi di Clarke. Da quando erano tornate dagli altri, non le aveva rivolto la parola ed era trascorso un quarto d’ora. Con la coda dell’occhio la vide alzarsi e annuire a Marco.
<< Portate qualcosa di asciutto e pulito anche per me! >> esclamò Giulia alzando la mano da sotto l’asciugamano che la copriva.
Clarke scosse il capo prima di abbozzare un sorriso.
<< Non fate casini col fuoco >> disse guardando i gemelli più a lungo degli altri << Torno subito >>.
Diego scoppiò a ridere guadagnandosi una gomitata da parte di Alice.
<< Ci penso io a tenerli d’occhio, Clarke! >> le urlò agitando la mano mentre la ragazza usciva dal salone.
Sofia scattò in piedi, pronta a raggiungerla per parlare, ma si bloccò vedendo che Diana la stava seguendo.
Oh, al diavolo!, pensò incamminandosi lo stesso.
Fu così che le vide. Diana aveva preso per mano Clarke mentre salivano le scale diretta al piano superiore e l’aveva addossata alla parete con un sorriso beffardo. Le accarezzò una guancia e l’attimo dopo provò a baciarla. L’altra si scostò permettendo all’amica di baciarle il collo.
<< D, siamo fradice >> disse ignorando che Sofia le stesse guardando e ascoltando nell’ombra << E devo portare degli abiti puliti a Giulia >>.
<< Prenderò qualcosa di pulito anch’io dal tuo armadio >> rispose l’amica per nulla intimidita dal suo rifiuto << Ovviamente dopo una doccia. Ti unisci a me? Ti farò divertire >>.
Clarke scoppiò a ridere senza rispondere e tutto il mondo di Sofia crollò con quella risata. Perché non l’aveva respinta, perché non le aveva detto ciò che aveva, invece, rivelato a lei, perché quelle erano chiare avances. Perché significava che Diana e Clarke non erano solo amiche. Aveva avvertito subito che la loro era un’intesa profonda, ma credeva che il loro rapporto fosse semplicemente viscerale. Non credeva che andassero anche a letto insieme. I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre si appoggiava alla ringhiera facendo dei respiri profondi. Un tremito la scosse e fu così diverso da quello che aveva avuto quando aveva abbracciato Clarke. La stava prendendo in giro, l’aveva presa in giro! E lei glielo aveva concesso. Si sentiva una stupida.
<< Ohi So, ma che stai facendo qui? >>.
La voce di Elena la riportò alla realtà. Si voltò verso di lei, singhiozzando e cercò rifugio in un suo abbraccio.
<< Ma che succede? >> le chiese stringendola e comprendendo che avesse bisogno di calore.
La ragazza non disse nulla limitandosi a piangere.
<< Possiamo andare via? >>.
<< Sì, certo >> si affrettò a rispondere Elena annuendo << Ma cosa… >>.
Sofia scosse il capo mentre si asciugava gli occhi.
<< Sono solo una stupida illusa >> si limitò a dire.
 
Clarke tornò giù e notò immediatamente lo sguardo inquisitorio di Marco. Lanciò una felpa e un jeans asciutti a Giulia che si recò in bagno e spiegò che Diana era sotto la doccia. La ragazza non si era mai fatta troppi problemi; se voleva fare qualcosa, la faceva e basta.
<< Sofia e Elena? >> domandò all’amico mentre i suoi occhi vagavano nella stanza.
Tutti ridevano e scherzavano, ma della loro presenza nemmeno l’ombra. Marco l’afferrò per un braccio trascinandola in un angolo del salone.
<< Questo dovresti dirmelo tu, che le hai fatto? >> affermò seriamente.
Clarke si liberò dalla sua stretta e lo guardò con aria interrogativa.
<< Io non le ho fatto proprio niente! >> esclamò capendo a quale delle due si riferisse << Piuttosto è stata lei che… >>.
<< Sei andata a scopare con Diana? >> le chiese il ragazzo a bruciapelo.
L’amica sgranò gli occhi.
<< No! Oggi non ci ho proprio scopato! >> si fermò comprendendo quello che aveva detto solo in quel momento << Ma tu come diavolo fai a sapere che… >>.
Marco si strinse nelle spalle e la fissò a lungo a braccia conserte.
<< Credi davvero che non me ne fossi accorto? Sparisci tu, sparisce lei. Ricompari tu, ricompare lei. E tutte le palle che mi avete rifilato? Mi fai così stupido, Clarke? >>.
La ragazza abbassò gli occhi sul pavimento a disagio.
<< Non è come sembra >>.
<< Non vi sto giudicando >> iniziò Marco << Solo… ti piace davvero Sofia? Allora non ferirla. Era sconvolta quando è venuta a salutare tutti ed è corsa via con la sua amica. Hai fatto… hai fatto qualcosa con… >>.
Clarke era per la prima volta imbarazzata di fronte all’amico.
<< Io non… non ho fatto niente! >> ripeté cercando nella sua memoria << Sono salita sopra a cambiarmi con Diana e lei mi ha presa per mano e… >>.
Lo sguardo d’accusa che le lanciò Marco, la fermò. Deglutì a vuoto comprendendo che probabilmente era stata vista da Sofia e quindi aveva visto anche il tentativo dell’amica di baciarla. Si sentì un’autentica merda. Il ragazzo la prese per le spalle per costringerla a guardarla negli occhi.
<< Aggiusteremo tutto >> tentò di rassicurarla << Ma devi fare una scelta, Clarke >> aspettò che l’amica annuisse per nulla convinta << Domani parliamo con calma, okay? >>.
 
 
L’angolo di Bik
Scusate il ritardo, la puntualità non è mai stata il mio forte! Oltre a questa patetica scusa, posso dirvi che ci sono state cose che mi hanno portato via parecchio tempo come il fumetto e la sua revisione infinita, le 1001 correzioni sulle tavole e la copertina da rivedere. Però sono a buon punto col prossimo capitolo! Per farmi perdonare, vi faccio notare come questo capitolo sia particolarmente lungo. Non ringraziatemi e gustatevelo!
Alla prossima
F.

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Capitolo 14
*** 14 ***


 

La domenica seguente non andarono al canile, pioveva troppo forte e Stefania aveva scritto sul gruppo di WhatsApp che si sarebbe solo creata confusione inutile. Inoltre era arrivata una nuova cucciolata e la stavano tenendo isolata dagli altri box sia per il freddo sia per evitare il rischio di qualche infezione. Clarke abbozzò un sorriso mentre scorreva le foto che la ragazza stava inviando. I cuccioli erano bellissimi, una futura taglia media probabilmente e parevano sorridere all’obiettivo per nulla impauriti. Sperò che ognuno di loro trovasse una famiglia, ce n’erano così tanti al canile dove faceva volontariato che erano invecchiati tra quelle quattro mura che ogni volta che ci pensava le si stringeva il cuore. Osservò Luthor dormire nella sua cuccia e tornò a stendersi sul divano. Era tarda mattinata, aveva preferito non andare a pranzo da Diana e sperava anche che non la chiamasse suo padre. Avrebbe sicuramente compreso che c’era qualcosa che la turbava e lei non voleva impensierirlo. Si strofinò con entrambe le mani il viso e sbuffò mentre lasciava cadere la testa tra i cuscini. Aveva provato a sistemare un po’ la casa dopo la festa del giorno precedente, ma alla fine aveva preferito lasciar perdere. La sua mente era da tutt’altra parte. Come un’idiota era riuscita a rovinare ogni cosa. Aveva detto a Sofia che le piaceva e pochi minuti dopo aveva lasciato che Diana le facesse le sue solite avances senza curarsi delle conseguenze. 

Perché doveva sempre combinare guai? Qual era il suo problema?

Osservò la porta del salone da dove era seduta e improvvisamente la figura della madre attraversò la soglia sorridendo. Sapeva che la stava solo immaginando, ma era un ricordo così nitido da parere vero. Le venne da sorridere con amarezza mentre una lacrima le scorreva lungo la guancia. Se fosse stava lì, sarebbe stata delusa dal suo comportamento. Eppure in quel momento le stava sorridendo come faceva ogni volta che rientrava da lavoro dimenticando le angosce dell’ospedale per dedicarsi solo alla sua famiglia. Sbatté le palpebre e Adele scomparve. Era di nuovo sola. Un messaggio la distrasse dai suoi pensieri. Sbloccò l’iPhone e lesse. Era Marco.

Quattro e mezza sotto casa mia.

Chiaro e coinciso. Al ragazzo non erano mai piaciuti i giri di parole. Clarke rispose immediatamente in modo affermativo e poi riprovò per l’ennesima volta a chiamare Sofia. La telefonata andò a vuoto come tutte le altre che le aveva fatto da quella mattina. Marco le aveva consigliato di lasciarla stare almeno per tutta la notte, per dare il tempo a entrambe di metabolizzare gli eventi della serata e di parlare lucidamente. Lei gli aveva ubbidito, ma Sofia ancora non voleva saperne di rispondere. 

Fanculo, pensò stendendosi.

Doveva trovare il modo per rimediare al casino che aveva combinato, doveva riuscire a parlare con Sofia per spiegarsi. E cosa le avrebbe detto? Che Diana era la sua migliore amica e che l’aveva salvata? Nonostante fosse assurdo, era quella la verità. Non avrebbe mai potuto escludere la ragazza dalla sua vita, per lei era importantissima e non voleva rinunciarvi. Ripensò alle parole di Marco, al fatto che dovesse scegliere e le venne un gran mal di testa. Aveva dormito poco e male e adesso un pulsare insistente e fastidioso all’altezza delle tempie, le rendeva impossibile pensare a un discorso sensato da fare all’amico. Si sarebbe dovuta preparare a un lungo e serio rimprovero da parte sua, lo aveva già messo in conto quando la sera precedente le aveva comunicato che avrebbero chiacchierato l’indomani. Sorrise appena mentre fissava il soffitto. 

Da quando sua madre era morta, aveva fatto una scelta sbagliata dopo l’altra.

 

La pioggia batteva sul vetro della grande finestra della cucina mentre l’odore di ragù domenicale si espandeva in tutta la casa. Sofia era rientrata da poco, seguita dal fratello. Era uscita con Elena per raccontarle quello che aveva visto e l’amica era rimasta scioccata quanto lei nel venire a sapere che Clarke e Diana praticavano l’arte del piacere sessuale insieme. Oltre a quello, poi, una terribile emicrania pareva non volerla abbandonare. Le sembrava di avere la testa sotto una pressa che passasse e ripassasse continuamente per schiacciarla. Edoardo da una sola occhiata aveva compreso che la sera precedente avesse bevuto e ne aveva riso prima di uscire per vedersi con Rachele. Se ci fosse riuscita, gli avrebbe volentieri lanciato contro la sua tazza da latte. Incrociò suo padre che stava uscendo dal bagno e abbozzò un sorriso. Aveva una famiglia molto unita, che cercava di seguire la crescita di entrambi i suoi figli nonostante gli impegni lavorativi. Sua madre, infatti, era un avvocato molto in vista nel suo campo e suo padre, invece, era un dentista. La donna era stata molto orgogliosa che Edoardo scegliesse come facoltà legge, ben sapendo che un domani avrebbe potuto fare tirocinio presso il suo studio, ma aveva sempre ripetuto a entrambi di avere ampia libertà sulla scelta universitaria. Bastava solo che s’impegnassero seriamente. E fino ad allora non aveva mai avuto di che lamentarsi.

<< Come stanno i genitori di Rachele? >> domandò Armando gettando un’ultima occhiata al quotidiano.

Edoardo si strinse nelle spalle mentre afferrava al volo un pezzo di pane dal vassoio che la sorella stava mettendo a tavola.

<< Soliti litigi >> disse << Non capisco perché ancora non si separino >>.

<< Il matrimonio è un sacramento >> affermò Viola dandogli le spalle << E bisogna pensarci bene prima di compiere una cosa del genere >>.

<< Ma se non vanno più d’accordo, che senso ha? >>.

<< Edo, per favore, non parlare con la bocca piena >> lo rimproverò la madre alzando gli occhi al cielo.

Sofia emise una flebile risata mentre suo padre le strizzava l’occhio con un sorriso.

<< Io sono d’accordo con Edo >> proclamò la ragazza finendo di apparecchiare << In questi casi la separazione è la cosa migliore. Soprattutto per non far soffrire i figli >>.

<< Ma cosa ne volete capire voi due di matrimonio? Siete solo dei ragazzi ancora >>.

<< Mamma! >> esclamò Edoardo fintamente offeso << Io sono un uomo! >>.

<< Sarai sempre il mio bambino >>.

<< Come mettere a disagio i figli, modalità on >> disse Sofia scoppiando a ridere.

Si misero a tavola e iniziarono a pranzare. Per Viola la domenica era sacra e accettava che qualcuno non fosse presente solo in casi straordinari. Chiacchierarono con calma, facendo battute su qualcuno che tutti conoscevano e complimentandosi con Sofia per la media alta che stava continuando a mantenere nell’ultimo anno.

<< Ieri, mentre ero dal parrucchiere >> iniziò Viola controllando il pollo con le patate che era nel forno << Ho incontrato Imma, ve la ricordate? Andavamo a scuola insieme >> aspettò di vedere almeno il marito annuire prima di continuare << Beh, abbiamo chiacchierato un po’. Suo figlio sta facendo il secondo anno di Scienze delle Comunicazioni e sapete cosa mi ha detto? Che l’anno prossimo vuole fare il provino per diventare il nuovo tronista! >>.

Un brivido attraversò il corpo di Sofia mentre pensava alla trasmissione presa in considerazione. Un pollaio dove le galline facevano a gara a chi starnazzava più forte.

<< Ma chi, Niccolò? >> chiese Edoardo che di vista lo conosceva.

<< Proprio lui! >> rispose la madre << Da quando ha fatto coming out, quel ragazzo ha perso la ragione! >>.

Sofia inghiottì un groppo di saliva a quelle parole e guardò, involontariamente, il fratello che, invece, sorrideva amabilmente.

<< Ma, perché? Ha fatto qualcosa di sbagliato? >> chiese << A parte la questione del programma, ovviamente >>.

Viola si alzò in piedi per prendere la teglia e guardò il figlio sgranando gli occhi.

<< Tesoro, ti sembra una cosa normale? Andare a sbandierare ai quattro venti la tua diversità? Come se fosse un vanto >> scosse il capo << Quando io e tuo padre avevamo la vostra età, non dico che non ci fossero, ma erano più… discreti >>.

<< Si vergognavano di quello che provavano, mamma >> affermò la ragazza incapace di trattenersi << E nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato per essersi innamorato >>.

<< Ma amore, certo >> s’intromise Armando posando una mano su quella della figlia << Tua madre non sta mica facendo un ragionamento omofobo, vero Viola? >>.

Marito e moglie si guardarono per qualche secondo in silenzio.

<< Sto solo dicendo che ormai si è persa di vista la normalità, la famiglia vera, i valori giusti. Con questi programmi che mandano in onda poi! E per giunta nel primo pomeriggio. Che messaggio dovrebbero trarne le nuove generazioni? >>.

Sofia sentì l’aria mancarle di fronte al discorso che stava facendo la madre. Aprì la bocca per rispondere, ma non un suono ne uscì. Era la prima volta che le capitava una cosa simile quando era in famiglia. Prima di adesso si era sempre sentita al sicuro e protetta, mentre ora un senso di claustrofobia le aveva afferrato la gola. Pensò a Clarke, alle sensazioni che aveva provato nell’ammettere a voce alta che le piacesse una ragazza e a quello che sarebbe potuto scaturire se lei non avesse incasinato tutto. Guardò sua madre che aveva iniziato a fare le porzioni del secondo e sentì l’irrefrenabile desiderio di correre in bagno. Sola, diede sfogo alla sua frustrazione. Aprì il rubinetto direzionandolo sulla parte fredda e si riempì le mani a coppa. Si sciacquò il viso un paio di volte prima di fare un respiro profondo. Dalla cucina sentì suo padre chiamarla. Si asciugò mentre si guardava allo specchio. Sul vetro vide l’immagine del volto di Clarke sorriderle e tremò. Quando uscì, trovò suo fratello appoggiato alla parete che la stava aspettando. Nessuno dei due disse nulla. Edoardo semplicemente la abbracciò e rimasero in quella posizione per un tempo che a Sofia parve infinito.

 

Pioveva ancora nel pomeriggio e per questo Clarke fu costretta a prendere la macchina. Non era sua, bensì di suo padre, ma l’uomo le aveva lasciato le chiavi affinché potesse usarla in momenti come quello. Così afferrò la sua tracolla e uscì. Quando arrivò, inviò un messaggio a Marco che le chiese se preferisse salire oppure andare da qualche parte. Anche se sola, Clarke emise una breve risata.

Per carità, i tuoi gatti mi odiano. Meglio non invadere il loro territorio!

Dopo cinque minuti, lo vide arrivare. Vista la pioggia scrosciante, il ragazzo si fiondò in macchina.

<< I miei gatti non ti odiano! >> esclamò senza nemmeno salutarla << Sei tu che non li sai prendere >>.

<< Certo >> mormorò con ironia Clarke mettendo in moto.

La macchina di Philip era una 500X nera, grossa quindi, ma non eccessivamente. All’uomo piaceva la comodità quando guidava, però si era anche reso conto di dover lasciare alla figlia una vettura che non lo facesse stare in l’ansia ogni volta che la prendeva. Quella era stata una scelta che aveva accontentato tutti. 

<< Dove andiamo? >> chiese la ragazza tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

Marco si strinse nelle spalle e in quel momento lo stomaco dell’amica borbottò.

<< Non hai pranzato, vero? >>.

<< Non ne avevo voglia >>.

<< Aperitivo da Stair? >> le domandò il ragazzo.

<< Andata >>.

 

Ginevra corse per rifugiarsi tra le braccia del padre mentre Luna la rincorreva. Danila rise nel vedere la scena e si alzò per spegnere il televisore. Suo marito aveva provato a guardare un programma sportivo dopo pranzo, ma la bambina si era svegliata e tutte le attenzioni dei presenti furono rivolte a lei.

<< Mamma! >> esclamò sua figlia allungando le braccia verso la donna per essere presa.

Danila le sorrise prima di sollevarla. Le diede un bacio sulla guancia e le accarezzò i capelli chiari che aveva ereditato dal marito. Il fatto che, invece, le si arricciassero tra le dita, lo aveva preso da Luna. E sempre dalla sua famiglia aveva ereditato gli occhi grandi, scuri e dal taglio a mandarla. 

<< Sei stanca? >> le domandò la sorella accendendo il trenino colorato di Ginevra che immediatamente si mise in moto intonando una lunga melodia.

La nipote venne attratta dal suono e dalle luci del gioco e volle scendere dalle braccia della madre. Giovanni accorse subito per scherzare con la bambina che mandò le prime risa. 

<< Il solito >> rispose Danila << Dovrei correggere una caterva di compiti in classe >>.

<< Vuoi che ti dia una mano? >> scherzò la più piccola alzandosi in piedi per prendere il suo cellulare che suonava.

Erano diversi messaggi dei suoi due amici. Sorrise mentre li scorreva velocemente.

<< Ti prego, sei sempre stata una frana in geografia >> scherzò la sorella mentre apriva la sua ventiquattrore << Tu scendi? >>.

<< Più tardi >> fece Luna tornando sul tappeto dove sua nipote stava giocando col padre << Fatemi restare ancora un po’ con la mia principessa >>.

 

Le loro ordinazioni arrivarono quasi subito nonostante il locale fosse pieno. Clarke si guardò attorno e afferrò il suo boccale di birra. Gli aperitivi di Stair Coffè erano i suoi preferiti, soprattutto quando saltava il pranzo. Marco spizzicò qualcosa prima di fissarla per invogliarla a iniziare e improvvisamente la ragazza si sentì a disagio. Non sapeva da dove iniziare, come spiegare all’amico quello che era successo. Tossì e vide l’altro abbozzare un sorriso.

<< Come… come lo hai… ? >> iniziò incerta sentendosi un’idiota.

Marco scosse il capo.

<< Non è stato difficile comprenderlo >> disse << Anche se non credo che Giulia lo sappia >> aggiunse come se volesse rassicurarla << Non sei mai stata brava con le bugie >>.

<< Marco, non è… semplice >> affermò Clarke << Diana è riuscita a starmi accanto quando… >>.

<< E’ stato allora che hai iniziato, vero? Quando hai lasciato Luna e poi è m… >>.

<< Sì >> lo bloccò l’amica impedendogli di continuare. Non voleva che lo dicesse ad alta voce, avrebbe fatto ancora troppo male << Ero… ero a pezzi e lei li ha raccolti. Li ha rimessi insieme uno a uno, anche in quel modo >>.

Il ragazzo annuì facendo un sorso di birra.

<< E vuoi continuare così? >>.

<< No, certo che no! >> esclamò Clarke << Non è mai stata una… soluzione definitiva >>.

Si guardarono negli occhi e Marco comprese che non stava mentendo. 

<< Quindi che intenzioni hai? Sei riuscita a sentire Sofia? >>.

Clarke si passò una mano tra i capelli sconfortata.

<< Non ha mai risposto alle mie chiamate >>.

<< Ci credo, probabilmente nemmeno Nadia lo avrebbe fatto se fossi stato al tuo posto >>.

<< E allora come diavolo pos… >>.

Marco si strinse nelle spalle passandole un braccio sulle sue per stringerla.

<< Domani vi vedrete a scuola, no? Parlale. Ma prendi una decisione prima. Non puoi uscire con lei e continuare a… >> gli mancarono le parole per proseguire.

La ragazza scoppiò in una breve risata.

<< Non dirmi che non riesci a dirlo >>.

<< Beh, è abbastanza strano se lo vedi da questo punto di vista >>.

Clarke lo spintonò leggermente senza fargli male e prese una pizzetta.

<< Le parlerò >> disse risolutamente prima di addentarla << Ho già fatto la mia scelta >>.

Marco fu lieto delle sue parole e le scompigliò i capelli con fare bonario. Fece una stupida battuta su una coppia che era appena passata davanti il loro tavolo e, dopo le risate che ne seguirono, le spalle di Clarke si rilassarono.

<< Perché siamo sbarcati proprio in questo posto? >> domandò una voce maschile che entrambi conoscevano.

Si voltarono nella stessa direzione e per la ragazza fu come un pugno nello stomaco. Luna, Stefano e Raffaele erano appena entrati. Luna stava chiudendo l’ombrello mentre scuoteva il capo e sorrideva agli amici, Stefano cercava di scrollarsi dal costoso cappotto che indossava i residui della pioggia.

<< Perché è vicino casa di mia sorella e non avevo nessuna intenzione di guidare con questo tempo >> rispose cercando un tavolo libero.

<< Ah, beh. Quindi abbiamo dovuto farlo noi >> fece Raffaele scherzando.

<< Siete o no degli uomini? >> rimbeccò Luna dandogli una spinta.

Si voltò e i suoi occhi non vollero altro che rimanere incatenati a quelli blu di Clarke. Si bloccò incapace di fare altro, se non respirare.

<< Oh >> disse Stefano seguendo il suo sguardo << Che coincidenza. Melbourne e Caforio >>.

<< Di Giovanni >> salutò Marco a denti stretti << Bartolomei, Scambi >>.

Clarke, invece, era immobile, quasi le mancasse il respiro, e in silenzio. Vide Stefano e Raffaele scambiarsi una breve occhiata prima di allontanarsi per cercare un tavolo. 

<< Ciao Clarke >> affermò, infine, Luna schiudendo le labbra in un sorriso e ignorando totalmente Marco.

Quel menefreghismo nei suoi confronti diede fastidio al ragazzo che avrebbe voluto alzarsi e darle uno schiaffo nonostante fosse femmina. Luna era sempre stata sfacciata, ma ora stava raggiungendo livelli esagerati. Invece di rispondere, Clarke fece l’unica cosa che per lei avesse senso in quel momento. Serrò i pugni e si alzò di scatto correndo fuori il locale.

<< Clarke! >> esclamò Luna tentando di fermarla.

<< Luna, non permetterti! >> fece Marco, ma la ragazza stava già seguendo l’amica.

Stefano e Raffaele gli si pararono davanti quando provò a seguirle. 

Fuori Stair Coffè, Luna osservò la schiena di Clarke coperta dal giubbotto mentre la pioggia la investiva. Aprì l’ombrello per ripararsi e chiamò l’altra a gran voce. La ragazza, però, pareva non sentirla. Il temporale si riversava su di lei bagnandole i capelli e gli abiti, il viso e le scarpe; eppure rimaneva immobile. Fece qualche passo verso Clarke per provare a ripararla.

<< Fermati >> disse la più piccola voltandosi.

Si guardarono negli occhi e Luna credette di smarrirsi nella tempesta di emozioni che li attraversavano. Il blu che inghiottiva il marrone.

<< Clarke, riparati >> rispose Luna protendendosi verso di lei con l’ombrello << Ti ammalerai >>.

<< E a te cosa importa? >>.

Luna ingoiò un groppo di saliva.

<< Lo sai che mi importa >>.

Un sorriso ironico increspò le labbra della ragazza che le stava di fronte.

<< Certo; perché sei ancora innamorata di me, vero? >> sputò. Il suo tono era ironico e rabbioso al tempo stesso << Te lo sei ricordato quando esattamente? Una settimana fa? Il mese scorso? >>.

Fece un paio di passi verso Luna con ira mentre stringeva entrambe le mani a pugno. 

<< Non ho mai smesso >> affermò invece la più grande fremendo per la poca distanza che la separava dalle sue labbra. 

Se si fosse sporta leggermente, le avrebbe sfiorate. Clarke indugiò un solo attimo sulle sue, come se stesse cercando la forza di allontanarsi, e si tirò indietro dopo aver fatto un respiro profondo.

<< Bugiarda >> sibilò semplicemente scuotendo il capo.

Marco la raggiunse in quel momento. Le prese il viso tra le mani per guardarla negli occhi mentre la pioggia bagnava entrambi.

<< Andiamo via >> disse cingendole le spalle con un braccio.

 

Guardò fuori dalla finestra della camera d’albergo e sorrise. Si vedeva il mare e, se aguzzava la vista, anche l’isola di Capri. Sua madre gliela aveva mostrata tre giorni prima, quando erano arrivati, nonostante la stanchezza per il viaggio. E lei ogni volta che si svegliava la cercava con gli occhi. A distanza di un anno dalla loro effettiva adozione, avevano ottenuto il permesso dal tribunale per portare Clarke all’estero. Così erano tornati in Italia, precisamente a Napoli, città natale della donna, approfittando di un tour che Philip aveva intrapreso. Per Clarke tutto era una novità ed era stata entusiasta di ogni cosa. I suoi occhi erano luminosi perfino la sera, due brillanti incastonati tra lunghe ciglia. La lingua non era stata un problema. Per quasi un anno Adele le aveva insegnato la grammatica e la pronuncia dell’italiano ottenendo mediocri risultati che, però, per una bambina di dieci anni erano ottimi. Una volta che fossero tornati a Sidney, aveva convinto Philip, titubante sulla mole di lavoro che stavano assegnando alla bambina, a prendere un’insegnante privata che potesse starle dietro. Clarke era intelligente e le difficoltà, invece di frenarla, la stimolavano ad applicarsi maggiormente. 

<< Che ne pensi se domani andassimo a Capri? >> propose Adele affiancando la figlia di fronte alla finestra << Sempre se papà non è troppo stanco >> precisò subito dopo riferendosi al concerto al San Carlo che Philip avrebbe tenuto quella sera.

Clarke annuì energicamente e alzò gli occhi su quelli della madre.

Ormai tutta quella rabbia, quell’odio e quell’amarezza erano scomparsi. Sua figlia era una qualunque bambina di dieci anni.

Adele finì di prepararsi e insieme a Clarke uscì per la città. Voleva che sua figlia vedesse il più possibile di Napoli perché, nonostante tante voci che correvano, era meravigliosa. E non parlava solo dell’arte e della cultura che visceralmente facevano parte del capoluogo campano; ma anche delle persone sempre allegre solari, aperte a fare conversazione con un perfetto sconosciuto. Ricordò le prime volte che Philip era tornato in Italia con lei quando erano ancora fidanzati e sorrise. L’uomo era rimasto affascinato dai colori e dai suoni di Napoli, così tanto da essere stato lui stesso a proporle più volte, negli anni che seguirono, a tornarci. Napoli lo aveva adottato e ora stava facendo lo stesso con Clarke. Rise annuendo quando un clown regalò alla bambina un palloncino e lei si era voltata per ricevere il permesso. Ogni volta che posava i suoi occhi su qualcosa, le veniva in mente un ricordo. Indicò a Clarke i luoghi che frequentava da ragazza, le fece assaggiare la vera pizza napoletana, le parlò di come quella città fosse stata un tempo capitale del Regno delle Due Sicilie. Sua figlia la ascoltò attentamente, sempre più fiera di Adele e con gli occhi che le brillavano. Quasi non si accorse di quanto fosse tardi. Tornarono in albergo per cambiarsi e, dopo qualche piccolo litigio, la donna riuscì a far indossare a Clarke un vestito adatto a un concerto completo di scarpette lucide e cardigan. Un’auto passò a prenderle mentre Philip era già al teatro. Passarono a salutarlo prima che il concerto iniziasse e come sempre l’uomo prese in braccio Clarke incurante del suo smoking pulito e stirato. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, era teso come ogni volta che doveva esibirsi. Adele gli sistemò il papillon e poggiò la sua fronte su quella del marito. A guardarlo, nessuno avrebbe mai detto che fosse un pianista dal talento eccezionale. Lo aveva pensato anche lei quando lo aveva incontrato la prima volta. A suo favore poteva dire che l’aspetto di Philip non era mai stato quello di un pianista classico. Orecchino al lobo sinistro che mai aveva accettato di togliere, pizzetto, capelli cortissimi quasi rasati. L’uomo la baciò e l’attimo dopo un ragazzo addetto alle luci venne ad avvisare che mancavano pochi minuti. 

<< Vuoi farlo stasera? >> domandò Adele mentre prendeva per mano Clarke.

Philip annuì strizzandole l’occhio in segno di complicità e accarezzò il viso della figlia.

<< Che cosa? >> chiese la bambina guardando prima la donna e poi l’uomo.

Entrambi gli adulti scoppiarono a ridere.

<< Sono sicuro che ti piacerà, Clarke >> rispose semplicemente Philip.

 

E Clarke rimase davvero sorpresa da quello che aveva preparato suo padre, perché mai si sarebbe aspettata che l’ultima sinfonia che Philip aveva composto fosse dedicata a lei. L’uomo l’aveva annunciata semplicemente col titolo facendo presente che era la prima volta che la eseguiva in pubblico. La bambina aveva guardato sua madre che si era limitata a sorriderle.

<< E’ per me… >> aveva mormorato mentre Philip iniziava a suonare.

Quella melodia si intitolava sette undici duemilasette. Il giorno della sua adozione era appena diventato una sinfonia che migliaia di persone avrebbero probabilmente ascoltato e tenuto sui loro iPod. Nessuno avrebbe mai potuto farle un regalo più grande, nessuno avrebbe mai potuto amarla più di Philip e Adele.

<< Va da lui, Clarke >> le sussurrò sua madre con occhi lucidi.

La musica che riusciva a creare la mente e successivamente le sue dita era qualcosa che non si poteva semplicemente raccontare. Doveva essere ascoltata e anche allora si rimaneva senza fiato. Philip si alzò in piedi quando terminò per inchinarsi di fronte agli spettatori e accogliere i loro applausi, ma dovette bloccarsi quando Clarke arrivò correndo sul palco solo per abbracciarlo. Il teatro a quella scena esplose in uno scroscio di applausi, estasiato da ciò che rappresentava. Philip fu sorpreso dal gesto della figlia e per un solo attimo era rimasto immobile prima di contraccambiare. Adele sentì le lacrime, che aveva a stento trattenuto, rigarle il viso mentre suo marito prendeva per mano la bambina.

<< Grazie >> sussurrò Clarke col cuore gonfio per l’emozione.

Si inchinarono insieme di fronte al pubblico più volte prima che il sipario calasse lentamente.

 

<< Mi piace Napoli >> commentò Clarke mentre era stesa sul letto d’albergo con un fumetto aperto.

Philip e Adele alzarono lo sguardo dalle loro mansioni e guardarono contemporaneamente la figlia. Da quando l’uomo le aveva comprato quel volume su Superman, Clarke aveva iniziato ad amare il mondo dei fumetti e loro l’avevano sempre incoraggiata a continuare a coltivare le sue passioni. Adele stava sistemando alcune cose in valigia in vista della partenza del giorno dopo e si fermò per avvicinarsi alla bambina. Sorrise.

<< Ne sono felice >> disse accarezzandole la testa.

E lo era davvero. In pochi giorni era riuscita a trasmettere alla figlia l’amore per la sua città.

<< Potremmo restare qui >> disse Clarke con un filo di voce guardando prima la donna e poi l’uomo che era seduto sul divano << Potremmo restare sempre qui >>.

Adele si voltò verso il marito che era scattato in piedi a quelle parole. Si accostò alla figlia per guardarla negli occhi.

<< Clarke non vuoi tornare a Sidney? >> le chiese.

La bambina distolse lo sguardo a disagio e si mise seduta a gambe incrociate chiudendo il fumetto di Wolverine.

<< Sì, certo >> rispose.

Ma i suoi occhi tradivano le sue parole.

<< Possiamo restare >> affermò Adele stringendo la mano di Philip << Possiamo trasferirci a Napoli. Ci stavamo già pensando >>.

<< Davvero? >>.

C’era un senso di speranza nella domanda di Clarke, come se quella fosse l’occasione per ricominciare da zero una nuova vita. Lontana da Sidney, da tutto quello che rappresentava, dall’orfanotrofio, dalla tomba di Elisabeth. Perché, per quanto li scacciasse, i ricordi erano sempre lì, dietro l’angolo, pronti a riaffiorare in uno sbattere di ciglia. Sarebbero stati solo loro e una nuova città che già li amava come se fossero suoi figli. Philip sorrise di fronte alla sua reazione.

<< Ti piacerebbe? >> le chiese.

Invece di rispondere, sua figlia si gettò contro di lui per essere abbracciata. L’uomo la strinse con forza respirando l’odore della sua pelle ormai così familiare. Amava troppo Clarke per non aver pensato, insieme ad Adele, di trasferirsi lontano da Sidney. Per questo l’avevano portata a Napoli, il concerto era solo un misero motivo rispetto alla felicità di sua figlia. 

Era quello il vero regalo che le stavano facendo.

 

Per i primi tre giorni della settimana Sofia si rifiutò di rispondere ai messaggi o alle chiamate di Clarke. Non voleva aggiungere altro sale alla scottatura che aveva. Elena era dalla sua parte e la incoraggiava a ignorarla. Anche lei era rimasta molto delusa dal comportamento della più grande e, conoscendo fin troppo bene il carattere dell’amica, sapeva quanto fosse delusa. Non era mai stata brava a lasciarsi andare, ma pareva che con Clarke stesse funzionando. Prima di scoprire la verità, ovviamente. Eppure c’era qualcosa che stonava in tutta quella storia. Per quanto poco conoscesse la ragazza, Clarke non sembrava il tipo che si divertisse a compiere simili cose. 

<< Forse dovresti parlarci >> affermò Elena rientrando dal bagno dopo aver visto Clarke passarle accanto.

Si erano salutate con un semplice cenno del capo; poi la ragazza era corsa via seguita da Lorenzo, Diego e Mario. Forse voleva evitare le sue possibili domande, forse aveva un impegno.

Sofia alzò lo sguardo dal libro di letteratura inglese dove stava appuntando delle cose che non ricordava sul margine nel caso di una possibile interrogazione nell’ora successiva. 

<< Come, prego? >> chiese facendo finta di non aver compreso.

Elena sbuffò mentre si avvicinava per sedersi.

<< Mi hai sentita >> rispose semplicemente.

L’amica chiuse il libro davanti a sé con un tonfo e guardò Elena contrariata. Le parole le morirono in gola quando vide avvicinarsi Claudio. Guardò velocemente l’ora sperando che la campanella suonasse presto.

<< Ciao Sofy >> salutò il ragazzo salutandola con un gesto della mano e un sorriso << Come va? >>.

<< Ciao Claudio >> contraccambiò Sofia << Bene, grazie >>.

Elena alzò gli occhi al cielo.

<< Abbiamo una possibile interrogazione di inglese tra poco >> affermò con l’intento di farlo allontanare il più in fretta possibile.

<< Sono sicuro che andrai benissimo, come sempre >> disse Claudio ignorando il velato consiglio dell’altra. Strizzò l’occhio a Sofia come se fossero complici << Allora, me la daresti una mano con matematica? Mi serve assolutamente qualcuno che mi faccia capire quei cavolo di limiti! >>.

<< La cosa ideale sarebbe che tu vada a ripetizioni private >> gli consigliò Sofia alzando il sopracciglio.

Odiava quando si metteva a fare il cascamorto e odiava ancor di più quando lo faceva con lei.

<< Ti prego, Sofy! Mio padre mi stacca il collo se gli dico che ho già bisogno delle ripetizioni. Ti prometto che saranno solo un paio d’ore >>.

Congiunse le mani davanti a sé come se stesse pregando e chinò il capo. Per questo non vide lo sguardo della ragazza spostarsi verso il corridoio. Clarke stava passando davanti a lei in compagnia di Alice. Si guardarono negli occhi e fu come guardare nello stesso sentimento mentre il tempo per un attimo si fermava. Delusione, frustrazione amarezza; c’era tutto. Il suo azzurro era liquido, pareva che potesse sciogliersi sotto le lacrime da un momento all’altro. Non aveva mai notato quella tonalità prima di allora. Inghiottì un groppo di saliva e in quel momento Alice si alzò sulle punte per lasciare un bacio sulla guancia di Clarke che arrossì inaspettatamente assumendo un’aria sorpresa. Le guance di Sofia presero fuoco mentre non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Come poteva Alice prendersi tutta quella confidenza?

<< Allora, Sofy? >> chiese Claudio riportando il suo sguardo sulla sua figura.

La ragazza lo fissò sbattendo un paio di volte le palpebre come se non ricordasse cosa le avesse chiesto un minuto prima. 

Con la coda dell’occhio, vide Elena scuotere la testa. 

<< Io… non… >>.

<< Dai, pensaci! >> la interruppe il ragazzo sentendo la campanella suonare << Magari la settimana prossima riusciamo a metterci d’accordo! Possibilmente non di martedì e giovedì perché ho gli allenamenti di calcio! >> si allontanò incrociando la professoressa che stava entrando << E il sabato pomeriggio ho la partita! >> aggiunse correndo verso la sua classe.

Sofia quasi non sentì l’ultima parte della frase, talmente era immersa nelle sue considerazioni. Elena le diede una gomitata e scrisse sul banco per attirare la sua attenzione. Una sola parola.

Parlaci.

L’amica scosse il capo togliendosi gli occhiali subito dopo per pulirli. Elena scrisse di nuovo.

Meglio che ci parli che roderti in fegato in questo modo, non trovi? 

Il viso di Sofia s’imbronciò nel leggere quella frase. Elena aveva ragione, vederla con Alice le aveva dato profondamente fastidio. Se avesse potuto, in quell’attimo l’avrebbe incenerita. Prese la matita dall’astuccio per affrettarsi a rispondere.

Non voglio pensare ancora a quanto io sia stata idiota.

Elena la guardò alzando il sopracciglio, poi il suo nome fu sorteggiato per l’interrogazione e dovette alzarsi per recarsi alla cattedra.

<< Chiedere spiegazioni non è da idiota >> le mormorò prima di allontanarsi.

 

Faceva freddo quel pomeriggio ma era l’ultimo giorno in cui la libreria all’interno di Trony scontava i suoi libri del 25% e per questo aveva deciso di farvi un salto insieme a Luthor. Aveva lasciato la macchina in uno dei tanti parcheggi a pagamento del Vomero e avevano passeggiato. I suoi amici erano tutti all’università, ma avevano già organizzato di prendere le pizze e mangiarle a casa sua. Il pensiero di rivedere Diana dopo sabato le metteva una strana ansia addosso. Le due ragazze avevano chiacchierato solo tramite messaggi sia privati che sul gruppo e avevano avuto qualche breve telefonata. Clarke le aveva raccontato di Sofia e di quello che era successo, tralasciando la parte di Marco, ma aveva ottenuto solo molti monosillabi e frasi scontate. Ne era rimasta delusa, Diana era la sua migliore amica e mai avrebbe voluto vederla allontanarsi. Le aveva sempre espresso il suo disaccordo per Sofia, lei non le aveva dato retta, e ora, col suo modo di fare, le stava facendo capire quanto si fosse sbagliata. Una volta le aveva detto che, se fosse stata davvero interessata a lei, le avrebbe dato la possibilità di parlare e spiegarsi. E Clarke, su questo, non aveva potuto darle torto. Aveva rinunciato ormai a chiamare Sofia per tentare di mettere a posto le cose, la ragazza non aveva mosso un dito nella sua direzione. Non le interessava, lo aveva compreso fin troppo bene e lei doveva evitare di passare ripetutamente davanti alla sua classe solo per poterla vedere. Ripensò a quella mattina, a come i loro sguardi si fossero incrociati e come Sofia poi fosse tornata a concentrarsi su Claudio Landolfi. Come se fosse più importante di lei. A quel pensiero, uno strano fastidio si agitò in lei e si affrettò a calcare in testa il cappello prima di uscire dalla libreria. Luthor abbaiò improvvisamente costringendola ad alzare gli occhi verso la strada. E la vide. Camminava a piedi, velocemente e senza guardarsi intorno, il freddo era un incentivo abbastanza elevato per farla sbrigare. Indossava anche lei un capello di lana, il giubbotto nero che le sagomava perfettamente il corpo, un jeans scuro. Gli occhiali da vista erano immancabili. Il boxer abbaiò un’altra volta come se volesse attirare la sua attenzione e forse fu proprio lui a farla voltare o semplicemente era stata la sensazione di sentirsi osservata. Si fissarono e per un attimo la più grande sorrise. Avrebbe voluto evitare di far vedere quanto fosse lieta di vederla fuori la scuola, ma il suo corpo pareva essere tutt’altro che d’accordo. Sofia si era fermata e, dopo un attimo di incertezza, procedette verso di lei. Luthor la guardò scodinzolando e aspettandosi un premio per quello che aveva fatto. Clarke lo accarezzò. Forse una ricompensa la meritava davvero.

<< Ciao >> la salutò la più piccola quando fu abbastanza vicina. La vide sorridere ancor più di prima come se non riuscisse a fare altro. Guardò Luthor notando in quel momento la sua pettorina. Alzò un sopracciglio indicandola.

<< Davvero, Kent? >> disse << La pettorina di Superman? >>.

<< Strepitosa, vero? >> replicò Clarke con gli occhi che le brillavano.

<< Non mi sarei aspettata niente di diverso da te, guarda >>.

<< E’ un regalo del fratello di Diana, lui adora Luthor >> affermò Clarke << Non l’ho scelta io. Ma è geniale se ci pensi >>.

<< Ovviamente c’entra Diana >> rispose Sofia incrociando le braccia sul petto.

<< Beh, è la mia migliore amica >>.

<< Anche Elena lo è, ma io non ci vado a letto insieme >> dichiarò l’altra incapace di trattenersi. 

Avrebbe voluto mostrarsi superiore, però, quando il suo nome era venuto fuori dalle labbra di Clarke tutta la sua rabbia era emersa. La più grande abbassò lo sguardo a quella frase.

<< E’ complicato >> si limitò a dire.

<< Guarda, non mi interessa. Ho compreso perfettamente >> disse Sofia facendo per andarsene.

<< Fermati! >> esclamò Clarke afferrandola per un braccio.

Luthor abbaiò prima di tornare seduto come se volesse enfatizzare il gesto della sua padrona.

<< Aspetta >> ripeté quando fu sicura che l’altra non sarebbe corsa via << Non è come sembra >>.

Sofia si sistemò gli occhiali sul naso.

<< Ed esattamente, invece, com’è? >> domandò << Perché a me sembra che tu mi abbia detto di piacerti, ma poi vedo che non hai esitato a scoparti un’altra! >>.

I suoi modi gentili erano andati a farsi benedire insieme alla calma.

<< Ed è vero! Tu mi piaci, non ti sto prendendo in giro! >>.

<< E allora perché? >>.

Si guardarono negli occhi mentre prendevano entrambe un respiro profondo.

<< Non ci sono andata a letto sabato. Noi… noi siamo solo salite a cambiarci perché eravamo bagnate fino al midollo! >>.

Sofia la guardò valutando quanta verità ci fosse nelle sue parole. Spostò il peso da un piede all’altro in silenzio.

<< Quindi mi stai dicendo che ho travisato tutto? >>.

<< No… >> sussurrò Clarke stringendo il guinzaglio di Luthor fino a farsi diventare bianche le nocche << …non hai travisato tutto. Io e Diana abbiamo fatto sesso. Ma quella sera, ti giuro che non è successo niente! Io… non avrei mai potuto farti una cosa del genere… >>.

Alzò lo sguardo su di lei e Sofia vi lesse tutta la sincerità del mondo. Si sentì spiazzata dalla limpidezza dei suoi occhi. Inghiottì un groppo di saliva e scosse impercettibilmente il capo.

<< Ti rendi conto che non puoi far… >>.

<< Lo so >> la interruppe l’altra mordendosi il labbro inferiore << Io… lo so… >>.

Sofia deglutì ancora e fece un passo indietro. Non poteva forzarla a fare una scelta tra lei e la sua amica, sarebbe dovuto nascere da Clarke se veramente voleva iniziare a frequentarla.

<< Dove vai? >>.

<< A casa >> rispose la ragazza abbozzando un sorriso triste << Solo non… non… >>.

Le mancavano le parole per proseguire. Aveva fantasticato tanto sul conto di Clarke e adesso tutto quello che aveva pensato le si stava sgretolando davanti agli occhi. Improvvisamente l’altra le prese la mano costringendola a guardarla. A quel gesto sussultò. Nonostante fosse fredda, la stretta di Clarke le trasmetteva calore.

<< E se ti dicessi che non accadrà mai più? >>.

Sofia rimase senza fiato di fronte a quella proposta. Sentì il cuore saltarle in gola e le guance imporporarsi.

<< Sei seria? >> le chiese cauta.

Clarke si limitò a fissarla senza dire niente. I suoi occhi esprimevano ciò che nemmeno le parole avrebbero reso alla perfezione.

<< Allora…? >>.

La più piccola rise appena contraccambiando la stretta e avvicinandosi di qualche passo.

<< Allora >> rispose con un sorriso << Ti chiederei se sei libera sabato sera >>.

E Sofia vide distintamente le pupille di Clarke contrarsi e scontrarsi furiose contro l’iride azzurro dei suoi occhi come se anche loro fossero in preda allo stesso senso di euforia della ragazza.

<< Ti va se ci prendiamo qualcosa da bere? >>.

 

<< Ciao Laura! >> salutò Clarke sedendosi al tavolino libero.

Sofia prese posto davanti a sé mentre Luthor si stese ai piedi della padrona. La ragazza lo guardò per un attimo e sperò che il guinzaglio fosse ben stretto alla pettorina. Quel boxer era enorme.

La cameriera contraccambiò il saluto prima di portare a entrambe i menù.

<< Vieni spesso qui? >> le chiese Sofia sfogliandolo.

<< Adoro questo posto e adoro la cheese-cake che fanno >>.

Sofia non riuscì a reprimere una risata nel ricordare la prima volta che c’erano state insieme. Poi la sua attenzione venne attratta da Luthor.

<< Il tuo mangiauomini si lamenta >> disse guardandolo.

Fu un attimo. Il cane si mise in piedi e cominciò a scodinzolare mentre non la smetteva di mugugnare nella sua direzione.

<< Si chiama Luthor >> precisò Clarke mentre si toglieva il cappello << E mangia solo croccantini >>.

<< E perché fa così allora? >>.

<< Forse vuole essere accarezzato >>.

<< Da me? >> esclamò Sofia mentre Luthor si faceva avanti verso di lei senza smettere di scodinzolare << Tienilo fermo, eh! >>.

<< Ma non ti fa niente! >>.

<< Questo lo dici tu, è un cane da combattimento! >>.

Clarke serrò la mascella e il suo sguardo s’incupì.

<< Luthor, seduto >> disse semplicemente la sua padrona. Il boxer immediatamente ubbidì senza, però, smettere di lamentarsi << Ora lo accarezzi? >>.

<< Mi mettono ansia i cani così grandi >> rispose Sofia a disagio.

Clarke alzò gli occhi al cielo e accarezzò la testa del cane che parve apprezzare il gesto.

<< Lo amerai anche tu, fidati >>.

La cameriera tornò per prendere le loro ordinazioni impedendo a Sofia di ribattere.

<< Un cappuccino all’amaretto, una fetta di cheese-cake ai lamponi e… credo un succo all’ananas >> affermò Clarke strizzando l’occhio a Sofia.

L’altra arrossì, ma si affrettò a correggerla.

<< Niente succo all’ananas. Per me una cioccolata calda classica >>.

Laura rise mentre cancellava e riscriveva sul suo taccuino.

<< Perdonala >> disse mentre portava via i menù << Ha un caratteraccio e i suoi amici un cuore d’oro >>.

Sia lei sia Clarke scoppiarono a ridere mentre Sofia si limitò a sorridere educatamente.

<< Torno subito >> aggiunse prima di allontanarsi.

La più piccola la osservò. Indossava la divisa dello Stairs Coffè, i capelli scuri erano legati in una alta coda, gli occhi marroni brillavano di intelligenza e allegria. Non poteva avere più di venticinque anni. 

<< Che hai comprato? >> chiese Sofia.

Aveva già notato la busta della libreria, ma presa da altro, aveva accantonato quella curiosità.

<< Oh, un po’ di cose che mi mancavano >> rispose Clarke guardando involontariamente la sedia vuota sulla quale erano letteralmente ammassate le sue cose << Oggi era l’ultimo giorno per gli sconti da Trony >>.

Sofia prese la busta in mano constatando quanto fosse pesante e l’aprì per vedere. Sgranò gli occhi sorpresa, non poteva aver comprato davvero tutti quei libri in una sola volta.

<< Tutto okay? >> chiese incerta Clarke notando il suo sguardo.

L’altra non le rispose tirando fuori il volume più grosso. Alzò il sopracciglio con aria contrariata.

<< Il mondo del ghiaccio e del fuoco? Lo hai comprato davvero? >>.

<< Non capisco dove sia il problema, l’ho sempre voluto >>.

<< Ti rendi conto che è un libro con lo scopo puramente consumistico? Io non lo comprerei mai >>.

Clarke assottigliò gli occhi.

<< Non te lo presto >> disse << Nemmeno quando verrai a chiedermelo in ginocchio >>.

<< Non accadrà mai, Kent >> rispose Sofia.

<< Ragazze >> iniziò Laura arrivando col vassoio << Cioccolata calda per te >> posò la tazza fumante davanti a Sofia << Cappuccino all’amaretto e cheese-cake per te >> poggiò due bicchieri d’acqua colmi fin quasi all’orlo << Tranquilla >> aggiunse riferendosi a Clarke << Per te frizzante, ormai me lo ricordo bene >>.

Le fece l’occhiolino prima di andar via, richiamata da un ragazzo al tavolo di fronte al loro.

Sofia girò la sua cioccolata col cucchiaino e osservò Clarke senza smettere di tenere la busta con i libri sulle gambe. Aveva dato una sbirciata veloce e, a parte il tomo che già aveva segnalato col suo dissenso, dovette ammettere che l’altra aveva dei gusti molto vari. C’era qualcosa di Murakami, di Asimov, un paio di Agatha Christie, qualche classico.

<< Se ho superato l’esame, posso riavere i miei libri? >> domandò Clarke mentre con la forchetta prendeva un pezzo di torta.

<< Li riavrai solo se mi dirai una cosa >>.

La vide farsi attenta e si allungò sul tavolo per osservarla meglio.

<< Da quanto tempo quella ci prova con te? >>.

L’altra strabuzzò gli occhi prima di scoppiare a ridere.

<< Ma chi, Laura? >> esclamò << Per favore, la conosco perché ormai sono anni che veniamo sempre in questo bar! I suoi genitori sono i proprietari >>.

<< Davvero non ti sei accorta di come ti guarda? >>.

Clarke rise ancora e prese un altro pezzo di torta.

<< Che brutta cosa la gelosia >> mormorò con un mezzo sorriso.

Sofia fece un sorso di cioccolata e alzò il sopracciglio.

<< Guarda che non… >> le morirono le parole in gola nel notare l’occhiata che le lanciò l’altra << Sul serio! Ti ho detto solo la palese verità! >>.

<< Certo >> rispose Clarke << E perché stai arrossendo allora? >>.

La più piccola sbuffò, messa con le spalle al muro; poi improvvisamente sussultò nel sentire Luthor che aveva appoggiato il suo muso sulla sua gamba. S’immobilizzò mentre guardava Clarke alla ricerca d’aiuto.

<< Ti prego fa qualcosa >> disse.

<< Vuole solo essere accarezzato, non ti fa niente >>.

Sofia lo guardò senza sapere cosa fare. Il cane la fissava e scodinzolava. Ingoiò un groppo di saliva.

<< Almeno hai ben stretto il guinzaglio? >>.

Nel sentire quelle parole, Clarke fece esattamente il contrario. Si sfilò dalla mano il laccio che aveva fatto e lo fece cadere a terra. Sofia sgranò gli occhi per la sorpresa e la paura mentre l’altra tornava tranquillamente a sorseggiare il suo cappuccino. Adesso niente avrebbe impedito a quel mangiauomini di saltarle addosso.

<< Affronta le tue paure >> la incoraggiò Clarke con un sorrisetto ironico.

<< Ti odio >>.

<< Fidati, dopo mi ringrazierai >>.

Sofia fece un respiro profondo. La sua era una paura irrazionale, se ne rendeva perfettamente conto, ma era anche radica in lei fin da bambina. Forse non si poteva nemmeno definire tale, era una sorta di timore verso quei bestioni che avrebbero potuto azzannarla da un momento all’altro. Ingoiò a vuoto varie volte prima di allungare la mano verso la testa di Luthor. Il cane, capendo cosa stesse per fare, la alzò scodinzolando sempre di più e si fece attento ai suoi movimenti.

<< Luthor, fermo >> lo ammonì la padrona che non si stava perdendo nemmeno uno sbattere di ciglia di quella reazione.

Sofia quasi non credette di esserci riuscita. Se ne rese conto quando la sua mano incontrò il pelo morbido del cane. Era corto per cui le sue dita non affondarono nella sofficità, ma fu comunque gradevole.

<< E’ morbido >> disse incerta mentre continuava ad accarezzare il boxer.

Clarke sorrideva compiaciuta mentre si portava il cappuccino alle labbra. Luthor continuava a scodinzolare e avrebbe voluto approfondire quel contatto; nonostante tutto, però, continuava a rimanere immobile.

<< Che ti avevo detto? Il mio cane è irresistibile, come la padrona >>.

Sofia roteò gli occhi prima di togliere la mano. Luthor si lamentò per un attimo prima che si voltasse verso Clarke. Una sola occhiata bastò a farlo tacere.

<< Credo di aver fatto abbastanza per oggi >>.

Fece un sorso della sua cioccolata calda senza smettere di osservare l’altra. Per diversi istanti Clarke fu persa nella contemplazione del suo boxer e il sorriso che aveva non lasciava dubbi su quanto amore provasse per lui. 

<< Quanto ha? >> chiese Sofia.

La ragazza alzò gli occhi su di lei risvegliandosi dai suoi pensieri e increspò le labbra in un nuovo sorriso. La più piccola la trovò bellissima in quegli attimi.

<< E’ un arzillo vecchietto di dieci anni ormai >>.

Sofia lo guardò per un solo attimo. Lei di cani non ne capiva molto, ma Luthor aveva le orecchie tagliate che quindi rimanevano sempre dritte e della coda non aveva che un moncherino. Ipotizzò che l’allevamento dove i suoi genitori l’avessero acquistato, avesse effettuato quelle due operazioni.

<< E’ tutto a posto? >> le chiese improvvisamente Clarke.

Non si era resa conto dello sguardo perso che doveva aver assunto. Imbarazzata, si sistemò gli occhiali sul naso e annuì.

<< Allora sabato dove andiamo? >>.

 

 

 

L’angolo di Bik

Per coloro che si erano preoccupati, non sono ancora morta XD Ho semplicemente iniziato un secondo lavoro (i fumetti pagano ancora troppo poco nonostante sia la mia passione) e la sera arrivo a casa sempre distrutta. Anche se con ritardo, però, anche questo capitolo è andato in porto. Spero che vi piaccia!

Alla prossima,

F.

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Capitolo 15
*** 15 ***


 
Non appena Giulia sentì il cellulare squillare, si precipitò fuori casa dopo aver salutato la famiglia. Quella sera poi, a cenare da loro c’era anche il nuovo compagno della madre e, siccome ancora non aveva capito se le stesse simpatico, fu lieta di andare a casa di Clarke. Marco aveva appena fermato la Golf del padre fuori il suo palazzo, quando vide Giulia correre nella sua direzione.
<< Tutto a posto? >> le chiese inarcando il sopracciglio.
Solitamente Giulia era ritardataria per natura. L’amica sbuffò mentre si metteva la cintura di sicurezza e si passò una mano tra i corti capelli.
<< Sì, tranquillo >> rispose << Stasera c’è Renato a cena da noi >>.
Marco mise in moto e partì scuotendo il capo.
<< Non ti piace, eh? >> le chiese senza guardarla.
Anche i suoi genitori erano separati, ma, al contrario di quelli di Giulia, loro lo erano da parecchi anni, tanto che ora adesso erano entrambi risposati e avevano altri figli. Marco e suo fratello Giuliano avevano sempre avuto, però, un buon rapporto con entrambe le famiglie che si erano create.
<< Non l’ho ancora capito >> disse Giulia << Ma ho incaricato Diletta di ascoltare e osservare tutto >> aggiunse riferendosi alla sorella minore.
Marco scoppiò in una breve risata.
<< Se può consolarti >> affermò svoltando a destra << Nemmeno a me inizialmente piacevano Benedetta e Costantino >>.
La ragazza si fece attenta.
<< E poi cosa è cambiato? >> domandò sapendo che le due persone appena nominate da Marco erano rispettivamente la nuova moglie del padre e il nuovo marito della madre dell’amico.
<< Beh, Costantino mi regalò l’abbonamento allo stadio! >> scherzò il ragazzo per alleggerire la tensione. Si passò una mano tra i capelli << A parte gli scherzi, Giu. Erano felici, si vedeva. Giuliano e io lo abbiamo capito subito. E poi si sono sposati e sono arrivati Flaminia, Mattia e Francesco >>.
Giulia guardò avanti a sé. Si ricordava della nascita di Francesco, il fratello più piccolo di Marco. Lei, Diana e Clarke erano state invitate al battesimo. Ora aveva cinque anni. Mattia, invece, andava in prima media e Flaminia, sorella del ragazzo da parte della madre, era più grande. Una famiglia numerosa la sua, ma la cosa più bella era che tutti andavano d’accordo. Marco amava i suoi fratelli e c’era sempre per loro, soprattutto per l’unica femmina. Delle volte, scherzando, diceva agli amici che sarebbe stata quella che gli avrebbe dato più gatte da pelare.
La ragazza si strinse nelle spalle. I suoi genitori erano separati da qualche anno e solo ora sua madre si era aperta alla conoscenza di un altro uomo. Forse doveva solo essere più rilassata in presenza di Renato. Marco le mise una mano sulla spalla e si fermò sotto casa di Diana aspettando che l’altra scendesse. Giulia quasi non si era accorta di essere sotto casa dell’amica. Guardò il ragazzo con aria interrogativa che si limitò a stringersi nelle spalle. Era insolito che Diana non fosse già da Clarke, quelle due erano come sorelle.
<< Mi ha solo scritto di venirla a prendere >> disse Marco riferendosi alla ragazza.
Pochi minuti dopo videro il cancello di villa Atomi aprirsi e Diana uscirne. L’amica s’infilò in macchina e salutò gli amici. In quel momento i tre cellulari squillarono nello stesso istante, era un messaggio di Clarke sul loro gruppo. Una sola frase diede fastidio alla nuova arrivata.
Sono di nuovo in pista! Muovetevi ad arrivare perché sto morendo di fame.
Marco sorrise nel leggere quel messaggio mentre Giulia si precipitò a rispondere.
<< Che, poi, perché avevano litigato quelle due? >> domandò non appena mise il blocco al suo Huawei.
Diana trattenne il respiro senza sapere cosa rispondere e si mise a fissare un punto indefinito dal finestrino del passeggero.
<< Non so bene i dettagli, ma pare c’entri una che va in classe con Clarke >> affermò il ragazzo.
Era stata la prima cosa che gli era venuta in mente.
<< Oddio, quella che sabato se la mangiava con gli occhi? >>.
Marco annuì e si affrettò a cambiare argomento.
<< Rodolfo? >>.
Giulia arrossì mentre abbassava impercettibilmente lo sguardo e sorrideva.
<< Va tutto… bene >>.
<< C’è qualcosa che non va? >> domandò Diana.
L’amica scosse il capo.
<< No, anzi >> rispose << E’ che non so mai cosa gli passi per la testa e ho sempre paura di dire qualcosa di… infantile >>.
Marco fermò la macchina aspettando che Clarke aprisse il cancello. Guardò la ragazza seriamente.
<< Ti ha fatto qualcosa? >>.
<< Assolutamente no, cretino! >> esclamò Giulia << Ma come ti viene in mente? >>.
Diana abbozzò un sorriso.
<< Comportati normalmente >> le disse con sincerità << Gli piaci proprio perché sei tu e non una quarantenne arrapata e desiderosa di sposarsi >>.
Marco scoppiò a ridere mentre scendeva. Sentì immediatamente Luthor abbaiare mentre Clarke andava loro incontro.
<< Ehi, finalmente! >> esclamò << Perché ridi? >> aggiunse guardando il ragazzo.
L’amico scosse il capo e aspettò che le ragazze scendessero per inserire la sicura all’auto.
<< Giulia si fa le sue solite paranoie >> disse infine.
<< Ehi, non è assolutamente vero! >>.
<< Infatti >> fece Diana << Sono peggiori, stavolta >>.
Clarke si voltò verso la ragazza e sorrise. Il solo sentire la sua voce le fece comprendere quanto le fosse mancata. Le si avvicinò mentre Marco chiedeva delle pizze.
<< Dovrebbero arrivare tra dieci minuti se è puntuale il ragazzo >> rispose Clarke. Tornò a guardare Diana e si perse nell’oscurità del suo sguardo << Ehi >> la salutò sfiorandole appena le dita col dorso della mano.
L’amica abbozzò un sorriso.
<< Ehi >> si limitò a dire superandola per seguire gli altri due ragazzi all’interno della villa.
Clarke si girò quasi di scatto afferrandola per un polso.
<< E così sei tornata in pista? >> le domandò con una nota ironica Diana senza darle il tempo di dire niente mentre si divincolava dalla sua stretta.
Non riusciva a trattenersi, non quando era così vicina a lei. Finché parlavano per telefono o tramite messaggi poteva mantenere una parvenza di calma che andava a farsi benedire non appena si scontrava con quegli oceani blu. Sentì Clarke allentare la presa per permettere al suo polso di scivolare giù.
<< Odio questa cosa tra noi >> disse semplicemente la ragazza senza smettere di smarrirsi nell’oscurità dell’altra.
<< Beh, siamo in due >> mormorò Diana abbassando lo sguardo << Ma io non voglio che… >>.
<< Lo so >> la bloccò l’altra abbracciandola affinché non si allontanasse di nuovo << Lo so che non vuoi vedermi stare male >>.
<< Non voglio nemmeno che ti calpesti >> rispose l’altra contraccambiando il gesto dell’amica.
Respirò l’odore dei suoi capelli mentre affondava il viso tra il collo e la scapola.
<< Non succederà >> la rincuorò Clarke baciandole la guancia << Ma, D, io… io devo provare, capisci? Devo farlo altrimenti… >>.
Diana si sciolse dalle sue braccia e annuì brevemente. Clarke allora le afferrò il viso con due dita per sollevarlo. E di nuovo rimase senza fiato di fronte all’oscurità degli occhi dell’altra.
<< Ho bisogno di crederci >> continuò << E di sapere che stai dalla mia parte >>.
A quelle parole la ragazza sorrise gettandole le braccia al collo con slancio.
<< Io sarò sempre dalla tua parte, Clarke >>.
Clarke la strinse contro di sé prima che il suo cellulare squillasse. Le pizze erano arrivate.
 
L’intervallo arrivò troppo velocemente per Sofia. Molto prima che lei fosse pronta a non arrossire di fronte agli occhi di Clarke che, nel corridoio la cercava mentre chiacchierava con Diego e Lorenzo. I due gemelli si voltarono seguendo il suo sguardo e le fecero un leggero inchino per prenderla in giro prima di essere travolti da un paio di ragazzi che urlavano e facevano chiasso. Clarke rimase ferma a guardarla, con gli occhi che le brillavano, aspettando che l’altra si decidesse a varcare la soglia della sua classe. Sofia fece un unico passo prima di essere fermata da Claudio. Dovette fare ricorso a tutta la sua calma per non urlargli contro. Lo guardò sorridendogli con educazione.
<< Ehi, Sofy! >> esclamò il ragazzo felice di vederla << Sabato pomeriggio c’è la mia partita, vengono tutti a vedermi! Che ne pensi? >> le fece l’occhiolino << Mi piacerebbe avere il tuo tifo >>.
<< Credo… ecco, ho dei programmi >> rispose Sofia saltando la parte dei saluti.
<< Programmi? >> ripeté Claudio impedendole di superarlo.
Era la seconda volta che gli stava dando buca e la cosa iniziava a dargli fastidio. Qualunque ragazza sarebbe voluta uscire con lui mentre Sofia quasi non lo guardava. E per chi poi? Non usciva con nessuno, aveva chiesto in giro e la sua unica amica era Elena. Poteva avere chiunque, ma voleva lei. L’unica che dopo sei mesi di uscite e baci, non aveva voluto un rapporto completo. Per di più, quando le aveva fatto comprendere in modo esplicito cosa desiderasse, Sofia lo aveva mollato senza troppe esitazioni. Per questo, era diventata una questione di principio. Non poteva continuare a farsi prendere in giro da Alessandro e Umberto, non li sopportava più. Si sarebbe portato a letto Sofia Cavalieri, ce l’avrebbe fatta.
<< Già >> disse asciutta la ragazza mentre guardava Clarke.
Le venne da ridere nell’osservare la felpa che indossava. Era completamente bianca, col cappuccio e sul davanti erano riportati tutti i vari simboli di Batman con le relative date. Clarke teneva sollevato un sopracciglio e la sua espressione era indispettita per la lunga attesa.
<< Ma Sofy, vengono tutti! >> ripeté Claudio imbronciato << Ho anche promesso a Cristina che le avrei fatto conoscere il portiere della mia squadra! Non puoi mancare! >>.
<< Non posso >> fece la ragazza allontanandosi << Mi dispiace! >> aggiunse guardandolo per un’ultima volta.
Quando tornò a guardare Clarke, si perse nella limpidezza del suo sguardo. Come faceva a farle battere in cuore in quel modo ogni volta che semplicemente la fissava?
<< Ehi, scusami >> la salutò quando fu vicina.
Si addossò alla parete e si sistemò gli occhiali.
<< Non ci hai messo un po’ troppo a svincolarti da carciofo lesso? >> scherzò Clarke avvicinando pericolosamente il viso a quello dell’altra.
A Sofia si fermò il cuore e arrossì.
<< Sei proprio un’idiota, Kent >> le rispose senza osare guardarla negli occhi. Sapeva che, altrimenti, sarebbe affogata nel suo mare e non avrebbe compreso più niente << Mi ha invitato a vedere la sua partita di calcio sabato >>.
<< Oh, che carino >> rispose Clarke sarcastica posando una mano sulla parete dove l’altra si era addossata << Guardare ventidue idioti che corrono dietro a un pallone, entusiasmante. Gli hai detto che sei già occupata? >>.
<< Ovvio che sì! >> esclamò Sofia con un po’ troppa enfasi.
Guardò Elena che stava scuotendo il capo mentre chiacchierava con Alice e subito dopo l’altra ragazza che le fissava con aria indagatoria. Clarke, invece, scoppiò a ridere sonoramente.
<< Qualcuno è impaziente di uscire o sbaglio? >>.
Il volto della più piccola avvampò. Stava per ribattere, ma le urla di Lorenzo sovrastarono qualunque altro rumore.
<< Pista, pista! >> urlava correndo verso Clarke << Via, via! >>.
Le due ragazze li fissarono comprendendo che ne avessero combinata un’altra delle loro. Diego, dietro il fratello, rideva.
<< Clarke! >> esclamò Lorenzo << Corri, corri! >>.
<< Ma che diavolo… >> mormorò la ragazza interdetta.
Il boato che provenne dal bagno dei ragazzi fu inconfondibile. Qualcosa era esploso.
<< Che avete combinato? >> chiese Clarke quando Lorenzo le fu addosso.
<< Petardo! >> rise Diego piegato in due << Dovevi esserci, è stato fantastico! >>.
Entrambi si voltarono verso la rappresentante d’istituto, immobile e sconvolta dalle loro parole.
<< Oh, rappresentante! >> salutò Lorenzo inchinandosi e correndo verso l’aula seguito dal gemello.
<< Mancini, questa era una confessione! >> urlò Sofia comprendendo solo in quel momento che c’erano stati dei danni << Non la passerete liscia! >>.
Ma i due ragazzi erano troppo lontani per sentirla. Clarke rideva mentre le poggiava una mano sulla spalla. Sofia si fermò, una scarica elettrica le aveva percorso tutto il corpo. La vide chinarsi su di lei lasciando che l’odore della sua pelle la colpisse. Le piaceva così tanto.
<< Sei bella anche quando ti arrabbi >> le sussurrò all’orecchio.
Non aspettò una risposta, la campanella suonò in quel momento e Clarke corse verso la sua classe.
 
Giulia stava fumando una sigaretta insieme a Nadia e Marco fuori la facoltà quando vide arrivare Rodolfo. Lo aveva riconosciuto dal rombo della sua moto e non aveva potuto fare a meno di sorridere. Il suo amico aveva compreso il perché di quel gesto e si era limitato a un lieve cenno d’assenso. Rodolfo salì di corsa i gradini della facoltà rallentando impercettibilmente quando si trovò di fronte Giulia. Cercando di apparire normale, si sistemò gli occhiali da sole sul naso e strinse la sua ventiquattrore.
<< Buongiorno professore >> salutò Giulia gettando per terra la cicca di sigaretta.
Nadia la imitò mentre Marco si limitò a osservarlo in silenzio.
<< Buon… buongiorno ragazzi >> disse Rodolfo prima di entrare in facoltà.
<< Mamma, quanto è figo! >> esclamò Nadia non appena l’uomo fu abbastanza lontano da non essere visto.
Marco sollevò il sopracciglio.
<< Dai, sei seria? >>.
<< Ovvio che lo sono. Ha il fascino del bello e dannato! E per essere professore a quell’età deve essere anche intelligente >>.
Giulia si sentì a disagio di fronte ai commenti di Nadia. Avrebbe voluto esternare la verità come se fossero due persone normali che si stavano conoscendo, ma non era possibile. Le poche volte in cui erano riusciti a vedersi lontano dall’ambiente universitario, avevano dovuto scegliere attentamente il posto e fare sempre attenzione ai gesti che compievano. Giulia non era così; era una ragazza estroversa e solare, che saltava addosso a Marco senza pensare troppo a quello che avrebbe potuto dire Nadia, che rideva e voleva che anche gli altri lo facessero. Con Rodolfo, invece, doveva sempre stare attenta e questo la stava portando a far conoscere all’uomo una persona che non era lei. Era qualche giorno che questo pensiero non l’abbandonava, ma non aveva trovato il coraggio di parlane con i suoi amici. Una parte di sé temeva il parere di Marco che fin dall’inizio non era stato d’accordo con questa frequentazione; l’altra aveva voluto lasciare al centro dei pettegolezzi Clarke che finalmente era uscita dal tunnel di Luna. Guardò Marco che la stava fissando e subito dopo il suo orologio.
<< Ragazzi, io scappo che ho una lezione tra poco >> disse.
L’amico comprese che stava mentendo, ma non disse nulla.
<< Ci sentiamo su WhatsApp >> rispose abbracciandola << Mi raccomando >> aggiunse con una nota più delicata.
La ragazza contraccambiò la stretta e salutò Nadia prima di correre verso lo studio di Rodolfo.
 
Bussò e aspettò di ricevere il permesso prima di entrare.
<< Credevo che non arrivassi più >> le sussurrò l’uomo non appena Giulia chiuse la porta alle sue spalle.
Lo studio era immerso nella penombra e l’unica fonte di luce era lo schermo del computer acceso.
<< Ero con i miei amici >> gli spiegò gettando per terra lo zaino con i libri che aveva.
<< Oh, ti ho vista >> rispose Rodolfo guardandola negli occhi << Lo sa signorina che il fumo nuoce gravemente alla salute? >>.
Giulia alzò gli occhi verso l’alto.
<< Ti prego, me lo ricordano ogni volta i pacchetti delle sigarette >>.
L’attimo dopo si baciarono. Come sempre, la ragazza trovò piacevole il contatto con la sua barba ispida e le venne da sorridere mentre era ancora sulle sue labbra.
<< Ti ho detto che sei bellissima? >> le sussurrò in un orecchio Rodolfo dopo averlo accarezzato con la punta del naso.
Giulia rabbrividì.
<< Oggi non ancora >> scherzò circondandogli il collo con le braccia.
Il respiro dell’uomo si fece leggermente più affannoso mentre gli passava le dita tra i riccioli.
<< Stasera usciamo insieme? >>.
L’uomo si bloccò a quelle parole e la guardò attraverso gli occhiali da vista che aveva indossato quando era entrato in facoltà.
<< Non posso stasera, scusami >> rispose << Ho una cena tra colleghi e non ho idea di che ora si faccia >>.
La delusione sul volto dell’altra era più che palese. Erano giorni che riuscivano a vedersi solo per qualche minuto di nascosto all’interno della facoltà e voleva davvero ritagliarsi poche ore per stare in serenità con lui. Conosceva così poco di Rodolfo e della sua vita, avrebbe voluto poter passeggiare e parlare in totale serenità come due persone qualunque. Sentiva il bisogno di potersi comportare come la diciannovenne che era.
<< Ti prometto che sabato sarò tutto per te? >>.
Gli occhi della ragazza s’illuminarono.
<< Dovrai farti perdonare, lo sai? >>.
Rodolfo le diede un bacio sulla tempia.
<< Ci riuscirò, vedrai >>.
 
<< Sono stata abbastanza puntuale stavolta? >>.
Fu la prima domanda che ironicamente le rivolse Clarke sorridendo. Sofia sospirò roteando gli occhi, ma non poté impedire che le sue labbra s’increspassero in un sorriso. Quella sera non pioveva e questo aveva permesso a Clarke di uscire a prendere Sofia con la sua moto anziché con la macchina. Preferiva usare la 500x di suo padre solo quando era strettamente necessario. Osservò l’altra avvicinarsi e strabuzzare gli occhi quando comprese con cosa era arrivata. La più grande, infatti, teneva sottobraccio due caschi e le sorrideva divertita di fronte alla sua espressione. Senza dire nulla, gliene lanciò uno che Sofia prontamente e con terrore afferrò al volo.
<< Scordatelo, Kent >> disse fermandosi ed evitando di guardarla negli occhi.
Clarke scoppiò a ridere e Sofia pensò che il suo sabato sera sarebbe stato perfetto anche così, con lei che rideva in modo spensierato.
<< Non salirò su quella cosa >>.
<< Questa cosa >> precisò Clarke divertita << E’ la mia moto. Ed è il mio piccolo gioiellino >>.
<< Almeno hai la patente giusta? >>.
L’altra le strizzò l’occhio mentre indossava il casco.
<< Ovvio. Sali? >>.
Sofia osservò prima il casco, che portava dipinta la bandiera italiana, e poi la moto blu scuro con titubanza. Sul casco dell’altra, invece, era disegnata la bandiera australiana.
<< Guarda che non mi è mai successo niente >> Clarke montò in sella e mise in moto << Andiamo? >>.
La più piccola si rigirò il casco tra le mani.
<< Questo è di… >>.
<< Sì, ma adesso sali >> la bloccò la ragazza << Lunedì te ne compro uno nuovo, promesso >>.
Sofia sorrise e si affrettò a montare dietro di lei.
<< Cerca di andare piano >> disse cingendole la vita con entrambe le braccia e respirando l’odore dei suoi capelli.
Era buono. Clarke partì mentre scuoteva leggermente il capo cercando di far rallentare i battiti del suo cuore che aveva impennato pericolosamente quando Sofia le aveva sfiorato la schiena. Non aveva un appuntamento da quando stava con Luna, era così strano eppure piacevole al tempo stesso. Lei era così diversa dalla sua precedente ragazza ed era forse proprio quella differenza abissale a tenere alto il suo interesse. Sofia le piaceva, oltre all’aspetto fisico aveva una bella testa in grado di pensare e dare opinioni e lei amava le persone con cui poteva intraprendere una conversazione.
<< Dove andiamo? >> chiese Sofia sovrastando il boato del vento.
<< Mio padre dice sempre che il primo appuntamento deve essere il più impressionante >> rispose Clarke << Ora vedrai >>.
Sofia osservò la strada e il paesaggio notando come fossero passate dalla zona del Vomero a quella del centro storico. E al centro storico, lo sapevano tutti, si mangiava la pizza.
<< Andiamo da Starita? >> domandò non appena Clarke la fece scendere.
L’altra si tolse il casco e le fece l’occhiolino prima di voltarsi verso il parcheggiatore che la stava aspettando. Afferrò il bigliettino e lo mise nella tasca del cappotto che indossava. Sofia la osservò passarsi una mano tra i capelli per ravvivarli. Era vestita in modo semplice, come al solito. Vans grigie scamosciate ai piedi, jeans nero e sopra il cappotto di panno. Clarke le sorrise porgendole la mano e Sofia la afferrò titubante e imbarazzata. Arrossì nel sentirla così fredda e consapevole del fatto che la più grande la stesse guardando. Con Claudio non aveva mai avuto un primo appuntamento, erano sempre usciti in gruppo e poi, solitamente dopo cena, si allontanavano per poter stare soli. Clarke era differente, non solo perché era una ragazza. Aveva un modo di porsi con lei gentile, aggraziato, mai sgradevole, che la metteva a suo agio. E poi non sembrava per niente in difficoltà di fronte alla sua omosessualità.
<< La migliore pizzeria di Napoli >> esordì Clarke quando arrivarono di fronte all’entrata facendo un piccolo inchino in modo scherzoso.
Sofia alzò un sopracciglio.
<< Guarda che la migliore è Sorbillo >> rispose riferendosi a un’altra nota pizzeria della città << Come si vede che sei australiana >>.
Clarke rise di nuovo e pensò che era davvero così semplice e spontaneo con l’altra. Scosse il capo ed entrò per lasciare il suo nome alla ragazza all’ingresso. Quella pizzeria, infatti, non accettava prenotazioni e la gente si accalcava fin dalle sette del pomeriggio per poter cenare lì. Sofia si guardò intorno. Nonostante non fosse tardi, c’erano parecchie ragazzi e comitive che attendevano chiassosamente il loro turno. Sospirò e il suo stomaco brontolò per la fame.
<< Saremmo dovute venire prima >> disse quando Clarke la raggiunse << Ci sarà una fila esagerata >>.
<< Ma no, non preoccuparti >> ribatté la ragazza aprendo il sacchetto di carta che aveva portato con sé dalla pizzeria << Frittatina o crocchè? >> aggiunse alludendo a quello che aveva comprato per lenire l’attesa.
<< Allora ne capisci qualcosa di cibi italiani >> scherzò Sofia scegliendo la frittatina << O ti vedrò mettere l’ananas sulla pizza? >>.
<< Ah, ah, ah. Divertente >> fece Clarke dando un morso al suo crocchè. Si scottò talmente era caldo e dovette tenere la bocca aperta per qualche secondo prima di masticare e riprendere a parlare << Per tua informazione, vivo a Napoli da dieci anni >>.
<< Pensa, io da diciotto. Chi ha vinto? >>.
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere nello stesso istante.
<< Riuscirò a toglierti quella scopa dal culo, sai? >> disse Clarke ridendo.
<< Puoi provarci, Kent >> rispose prontamente Sofia << Ma potresti anche non riuscirci >>.
Clarke allora la fece addossare alla parete del palazzo di fronte alla pizzeria e posò una mano sul muro a pochi centimetri dal suo viso.
<< C’è una cosa che non dovresti mai toglierti >> le sussurrò a poca distanza dalle labbra. Sofia la guardò con aria interrogativa e aspettò che continuasse << Gli occhiali. Sei bellissima >>.
La più piccola sentì distintamente il suo viso prendere fuoco nonostante il freddo e dovette abbassare lo sguardo per evitare di sprofondare nell’oceano dello sguardo di Clarke. Le aveva appena fatto un complimento diretto e lei non era abituata a riceverne molti.
<< Gra… grazie >> balbettò sperando che l’altra non la mettesse in ulteriore difficoltà.
<< Ti imbarazzi sempre così spesso? >>.
Fu salvata dal rispondere dalla voce che dall’altoparlante chiamava il cognome di Clarke. Sofia la guardò sorpresa mentre l’altra, sorridendo, le prendeva la mano facendosi spazio tra tutta quella gente che, invece, stava ancora aspettando. Era trascorso troppo poco tempo da quando erano arrivate, possibile che fosse già il loro turno? Eppure dovevano essere per forza loro, la voce aveva chiaramente scandito la parola Melbourne. Prima entrare, Sofia percepì qualche commento poco carino, ma preferì non curarsene.
<< Ehi Clarke! >> salutò un cameriere nel vederla << Tuo padre? >>.
<< E’ ancora in America, Gaetano! >> rispose la ragazza.
<< E quando torna? >> fece un altro mentre le accompagnava al tavolo.
<< Tra poco, prima di Natale! >>.
Sofia notò come gli occhi dell’altra s’illuminassero mentre parlava dell’uomo. Dovevano avere un ottimo rapporto. Si chiese cosa facesse la madre, forse seguiva il padre in giro per il mondo, e si ricordò di quella volta in cui erano in bagno e Viola l’aveva telefonata. Un’ombra le aveva attraversato il viso, così veloce da essere colta solo da lei che non aveva mai smesso di osservarla.
<< Appena torna allora, dovete venire assolutamente a mangiare qui così posso chiedergli l’autografo! >>.
Clarke rise mentre veniva accolta da altri due camerieri che stavano passando in quel momento per portare le ordinazioni ad altri tavoli.
<< Ma se ne hai già due! >>.
<< Non sono per me, giuro! >> ribatté il ragazzo indicando il tavolo in fondo alla sala << E’ per mia cognata, quasi non ci credeva quando gli ho detto che conoscevo la figlia! >>.
Lasciò i menù e si allontanò tra le risa dei colleghi.
<< Quindi sei raccomandata >> affermò Sofia togliendosi il giubbotto.
<< Mio padre e io adoriamo questa pizzeria e ci veniamo insieme ogni volta che possiamo >> rispose Clarke.
<< Ho sentito che torna a Natale >>.
L’altra annuì con energia mentre si sedeva.
<< Sì >> disse << Sono stata dieci giorni con lui prima che iniziasse la scuola e mi manca davvero molto >>.
Sofia dovette ingoiare un groppo di saliva nel vedere cosa avesse indossato Clarke sotto il cappotto. Una semplice camicia bianca che sembrava le fosse stata dipinta addosso per quanto le stesse perfettamente e delle bretelle nere. Le stesse che le avevano fatto girare la testa la prima volta che le aveva viste. Si sentì infinitamente banale con quel suo maglioncino avorio a collo alto, il suo jeans preferito e lo stivaletto basso. Si chiese quale potesse mai essere l’interesse di Clarke nei suoi confronti, era sempre stata una persona che passava inosservata. Alzò gli occhi su quelli della ragazza e li trovò intenti a fissarla. Un sorriso malizioso e divertito era dipinto, inoltre, sul suo volto. Sofia si affrettò a sedersi e tossì. Quel gesto fece ridacchiare Clarke.
<< Ho… ho sentito qualcosa su Youtube >> provò a dire cercando di fare conversazione << Tuo padre è bravissimo >>.
<< Riesce a far vibrare l’anima delle persone >> affermò l’altra ricordando come la musica fosse riuscita a creare il primo vero legame con Philip << E’ un dono >>.
Sorrise malinconica per un attimo e subito dopo sfogliò svogliatamente il menù.
<< E tu? Immagino che suonerai divinamente il pianoforte >>.
Clarke rise appena prima di rispondere.
<< Me la cavo >>.
<< Oh, dai! Non dirmi che sei modesta! Sarai vissuta immersa nella musica di tuo padre. Tua madre potrebbe aver partorito durante un suo concerto e le prime cose che avrai ascoltato saranno state le sue composizioni! >>.
Entrambe scoppiarono a ridere.
<< E questa come ti è venuta? >>.
<< Te l’ho detto che ho tanti lati nascosti >>.
Il cameriere si avvicinò per le ordinazioni e subito dopo portò dell’acqua liscia a Sofia e una birra media a Clarke. La ragazza sollevò il boccale e guardò l’altra sorridendo.
<< Ai tuoi lati nascosti >> disse semplicemente prima di bere.
 
Fu quando arrivarono le pizze che Sofia vide avvicinarsi e salutare Clarke come se fossero vecchi amici, un uomo che sul momento non riconobbe. Ma quando la ragazza lo chiamò Antonio, tutto le fu chiaro. Li osservò mentre si abbracciavano e chiacchieravano tra loro e un sorriso innocente le affiorò tra le labbra. Quella ragazza era un uragano, era perfettamente a suo agio nel parlare col padrone della storica pizzeria nella quale stavano cenando. Clarke gli raccontò dei concerti del padre, di come sarebbero sicuramente tornati prima di Natale per fare gli auguri a tutta la sua famiglia e solo allora l’uomo parve ricordarsi di Sofia. Si voltò verso di lei salutandola, poi fece l’occhiolino a Clarke con aria complice.
<< E’ proprio carina >>.
<< Non sai quanto >> rispose la ragazza sorridendo.
Sofia arrossì, mormorò un saluto e un ringraziamento prima di vedere Antonio allontanarsi.
<< Non mi avevi detto di conoscere Antonio Starita >> commentò riprendendo a mangiare.
Clarke sorrise.
<< Dopo il primo concerto che mio padre fece a Napoli, mi portò a mangiare qui. Da allora ci siamo sempre tornati facendolo diventare così il nostro posto>> rispose << E poi papà gli regala sempre i biglietti per tutta la sua famiglia! >>.
Rise e la sua risata fu contagiosa. Sofia stava così bene in sua compagnia e ancor prima che se ne rendesse conto allungò una mano sul tavolo per prendere la sua. Clarke sobbalzò, sorpresa da quel gesto, e per un solo secondo i suoi muscoli si contrassero. Sofia le sorrise con aria rassicurante, come se fosse la cosa più normale del mondo.
<< Hai un bellissimo rapporto con lui, ti si sono illuminati gli occhi >>.
Clarke annuì e le strinse la mano.
<< La musica ci ha scelti >> rispose.
Ignorò l’occhiata interrogativa che le aveva lanciato l’altra. Per il momento, quello che aveva detto poteva bastare.
Continuarono a mangiare mentre la più grande cambiava abilmente argomento focalizzando l’attenzione sull’altra. Voleva sapere più cose possibili su di lei. Sofia s’imbarazzò nell’essere al centro dell’attenzione, ma cercò di non darlo a vedere. Le raccontò di avere un fratello, della professione dei suoi genitori, di come lei e Elena fossero amiche dalle elementari. E Clarke ascoltò ogni parola, ingorda di informazioni sul suo conto, ansiosa di sapere sempre qualcosa in più.
<< Mi suonerai qualcosa un giorno? >> le chiese improvvisamente Sofia.
Avevano terminato la pizza e i camerieri avevano tolto dal tavolo i piatti vuoti, chiaro segno di cedere il posto a coloro che attendevano fuori. In un posto del genere, dove si facevano anche due o tre ore di fila prima di sedersi e mangiare, la celerità era all’ordine del giorno.
Clarke la guardò a lungo prima di rispondere. Da quando sua madre era morta, aveva posato le dita su quei tasti molto raramente.
<< Vedremo >> disse semplicemente.
Non voleva illuderla facendole una promessa che forse non avrebbe potuto mantenere. Le strizzò l’occhio per stemperare la leggera tensione che si era creata e per farle capire di non aver sbagliato a porre quella domanda. Sofia si limitò ad annuire leggermente titubante. Era abbastanza intelligente da comprendere che quella era una mezza risposta e si accontentò. In fondo, conosceva appena Clarke e non voleva forzarla a fare o dire qualcosa. Si alzò in piedi cercando il portafogli nella borsa, ma l’altra fu più veloce di lei afferrando la carta e strizzandole l’occhio.
<< Portami la giacca alla cassa >> le mormorò passandole accanto per precederla.
Sofia provò a recriminare, Clarke, però, era già sparita nel turbinio di camerieri e pizze che vorticavano nei corridoi. La raggiunse pochi secondi dopo e sorrise nel vedere come fosse a suo agio tra tutti quei ragazzi che le chiedevano di ricordarsi di loro per il primo concerto che il padre avrebbe tenuto a Napoli. Philip Melbourne non doveva essere solo un uomo con un grande talento, ma anche una persona che riusciva a entrare nelle simpatie di chiunque per essere così ammirato. Seguì Clarke fuori il locale la quale si accese una sigaretta ispirando profondamente. Si guardarono negli occhi per un attimo prima che la più grande si chinasse verso Sofia per aggiustarle una ciocca dietro l’orecchio.
<< E’ stato di tuo gradimento? >>.
L’altra si affrettò ad annuire mentre sperava di non arrossire. Si specchiò nelle sue iridi vedendo riflessa la propria immagine e ingoiò un groppo di saliva.
<< Grazie >> riuscì solo a dire mentre le porgeva la giacca che Clarke ancora si ostinava a non indossare.
La agganciò a un dito prima di gettarla dietro le spalle e continuò a fumare. Continuò a fissare Sofia senza aggiungere altro. Non indossava niente di particolare, eppure la trovava bellissima. La ragazza era una bellezza opposta a quella di Luna, per nulla consapevole, timida e impacciata. Clarke la trovava genuina e dopo tanta finzione con la sua ex ora le pareva di respirare a pieni polmoni.
<< Che cosa vuoi fare ora? >> le chiese gettando la cicca per terra.
Sofia guardò l’ora.
<< A te cosa andrebbe? >>.
<< Hai una moto e un autista, possiamo andare dove vuoi >> le rispose prontamente Clarke strizzandole l’occhio.
<< Vorresti una birra, vero? >>.
L’altra si grattò la testa leggermente imbarazzata.
<< Beh, non mi dispiacerebbe… >>.
In quel momento squillò il suo cellulare. Clarke lo estrasse dalla tasca del jeans e lesse il nome dell’amico.
<< Ehi, Marco >> salutò attivando la conversazione.
<< Clarke, ho provato a chiamarti due volte! >> esclamò l’amico dall’altra parte urlando per sovrastare le grida e rendendo, così, perfettamente udibile da Sofia quello che diceva.
<< Scusami, ho appena preso in mano il cellulare! >> rispose la ragazza ridendo.
<< Oh, serata interessante quindi? >>.
<< Molto >> disse Clarke voltandosi appena per guardare meglio Sofia.
L’altra arrossì di fronte a quell’unica parola. Non aveva esitato nel pronunciarla, non aveva minimamente pensato di soffermarsi su cosa dire all’amico. Era stata spontanea e sincera.
<< Ora cosa fate, vi unite a noi o continuate a fare le piccioncine innamorate? >>.
<< Ehi! >> fece l’amica mentre il viso prendeva fuoco << Noi non… non stiamo facendo le… >> non riusciva nemmeno a dirlo e comprese di essere ridicola di fronte a Sofia << Dov’è che siete? >>.
<< Al Murphy’s Law del Vomero >> rispose Marco precisando la sede poiché c’erano altri due locali sparsi per Napoli con lo stesso nome << Siamo entrati da poco per prenderci una birra >>.
<< Tu e Nadia? >>.
<< Ci sono anche Diana, Silvia e Pasquale >>.
Clarke involontariamente fissò Sofia nell’udire il nome dell’amica. Sapeva perfettamente che lo aveva sentito.
<< Diana? >> ripeté titubante.
Aveva conosciuto Silvia e immaginava che il ragazzo fosse un amico di Nadia.
Sofia aveva abbassato lo sguardo a disagio. Aveva dimenticato il rapporto simbiotico che Clarke condivideva con l’altra e pensò che forse l’aveva abbastanza accantonata per stare con lei.
<< Sì, certo >>.
<< Lascia stare >> rispose Clarke cercando la mano della più piccola per stringergliela << Stasera passo >>.
Sorrise nel vedere l’espressione che aveva assunto l’altra nel sentirla parlare e contraccambiò la stretta.
<< Ooooh >> scherzò dall’altra parte Marco ridendo << Allora ci sentiamo su WhatsApp >>.
Si salutarono e Clarke ripose il cellulare nella tasca l’attimo prima che Sofia le gettasse le braccia al collo.
<< Grazie >> le sussurrò all’orecchio.
<< Quindi… ci facciamo un giro a Bellini? >>.
 
Marco riagganciò e raggiunse Diana e Nadia che stavano fumando.
<< Allora, che ha detto? >> chiese la sua ragazza.
Diana gettò il mozzicone per terra e si fece attenta. Aveva preferito mandare Marco in avanscoperta per non apparire troppo invadente. Non voleva ammettere nemmeno a se stessa che un rifiuto da parte di Clarke sarebbe stato troppo doloroso da sopportare. Guardò l’amico che stava esibendo un grande sorriso e una morsa gelida le avvolse lo stomaco. Non aveva bisogno che parlasse per capire. Il ragazzo prese la sigaretta che stava fumando Nadia e fece un tiro.
<< Ha detto che preferisce restare sola con Sofia >>.
Quella frase equivalse a un pugno in pieno viso per Diana. Si stava divertendo con quell’insulsa ragazza! Così tanto da preferire non raggiungerli. Involontariamente strinse una mano nella tasca del giubbotto a pugno fino a farsi male.
<< Ma era normale, io te lo aveva detto! >> esclamò Nadia ridendo.
Marco le diede un bacio e subito dopo si voltò verso Diana che stava cercando di calmarsi.
<< Già, ho voluto fare una prova lo stesso >>.
<< Vedrete che vi racconterà tutto domani >> disse la ragazza facendo l’occhiolino a entrambi << Adesso, però, lasciatele stare! Vorranno stare un po’ per i fatti loro! >>.
Si allontanò verso Silvia che, sulla soglia del locale, la stava chiamando, lasciando Marco e Diana da soli.
<< Tutto bene? >> chiese cauto il ragazzo.
Diana esibì il sorriso migliore che riuscì a fare in quel momento.
<< Certo >> rispose << Si sta proprio divertendo, eh? >>.
<< Non è una sbandata, lo sai anche tu >> disse l’altro << Clarke non è proprio tipa >>.
La ragazza strinse i denti per reprimere la frase velenosa che le stava uscendo.
<< Dai, entriamo. Manchiamo solo noi >>.
Diana guardò Marco muovere un passo avanti a lei.
<< Vedremo >> sibilò << Vedremo se è davvero come dici tu >>.
 
Clarke alzò la mano in segno di saluto nel sentirsi chiamare e sorrise mentre due ragazzi si avvicinavano a lei e Sofia. In piazza c’erano parecchi ragazzi della loro età e non solo, Bellini era molto frequentato soprattutto la sera e la notte per le molte birrerie e bar che ospitava. Inoltre i prezzi erano nettamente più bassi rispetto a molti altri posti. E se Clarke era perfettamente a suo agio tra tutte quelle persone, lo stesso non poteva dire Sofia. Si guardò intorno e si dondolò sulla punta delle scarpe. L’altra ragazza fece un sorso dalla sua birra in bottiglia e le scappò una risata.
<< Non è andata proprio così! Ma proprio per niente! >> esclamò dando una pacca a uno dei ragazzi che si era avvicinato.
Gli altri due risero continuando a prenderla in giro. Si capiva chiaramente che quello più alto aveva alzato il gomito e l’altro era sulla buona strada.
<< Siete sempre i soliti idioti! >>.
<< Due idioti che diventeranno grandi avvocati >> rispose quello ancora sobrio facendo scoppiare a ridere l’altro.
Sofia alzò gli occhi al cielo.
Stiamo messi bene allora, pensò sarcastica.
<< Così si fa! >> rispose ridendo Clarke prima di battere a entrambi il cinque.
Si salutarono con la promessa di organizzare presto una rimpatriata.
<< Erano due amici della mia ex classe >> spiegò Clarke quando si furono allontanati.
<< Lo avevo vagamente capito da quello che vi dicevate >> le rispose Sofia.
Clarke fece un sorso di birra prima di guardarla. Si sedette su una panchina finalmente libera e l’altra la seguì.
<< Non ti piace questo posto, vero? >>.
Sofia sorrise appena imbarazzata.
<< Non mi sento molto a mio agio, lo ammetto >> rispose << Si vede molto? Di solito sono bravissima a celare i miei stati d’animo >>.
E Clarke scoppiò a ridere rischiando di far cadere la bottiglia di vetro. La più piccola la imitò non riuscendo a trattenersi e le si sedette accanto. L’altra le si avvicinò sfiorandole il naso col suo in un movimento semplice e delicato. Fu allora che Sofia realizzò non solo quanta intimità ci fosse in quel gesto, ma soprattutto che erano in un luogo gremito di ragazzi della loro stessa età. E se qualcuno l’avesse vista e riconosciuta? Si scostò mentre quel pensiero s’insinuava nella sua mente prepotentemente facendola sussultare. Era stata così felice dell’appuntamento con Clarke, delle attenzioni che le aveva rivolto, da non pensare mai, fino a quel momento, a quello che avrebbe potuto pensare o dire chi l’avesse vista.
<< Tutto bene? >> le chiese Clarke osservandola.
Provò a posarle una mano sul ginocchio senza riuscirci. Sofia, infatti, si era velocemente alzata in piedi. Un po’ troppo velocemente, per i suoi gusti. Si guardò intorno, ma non vide niente di più rispetto a pochi secondi prima. E fu proprio quello a farla comprendere. Si alzò anche lei, facendo un ultimo sorso di birra, e lasciò la bottiglia sulla panchina. Nella sua testa aleggiava un’unica parola. Paura. Sofia aveva paura di ciò che avrebbe detto la gente nel vederla al suo fianco, era questo ciò che aveva pensato pochi attimi prima. Di nuovo la paura, come le aveva detto anche Luna.
<< Sì, certo >> rispose infine Sofia abbozzando un sorriso << Ti andrebbe di andare via? >>.
Clarke si limitò ad annuire mentre infilava entrambe le mani nel jeans. L’altra si accorse di quel gesto e le si strinse il cuore comprendendo che fosse colpa sua.
<< Clarke… >> provò a dire titubante.
La ragazza l’aveva superata di qualche metro e si voltò nel sentirsi chiamare. Nel vedere, però, che Sofia non aggiungeva altro, si limitò a stringersi nelle spalle.
<< Allora, andiamo? >>.
 
 
L’angolo di Bik
Un po’ in ritardo, ma sempre presente con un nuovo capitolo. Niente piccola Clarke qui, tornerà più avanti e poi crescerà anche lei! Come avrete letto, per un passo avanti che fanno Clarke e Sofia poi si torna indietro di due XD Ce la faranno? Si accettano scommesse.
Colgo l’occasione per invitare chi può al Narni festival di settembre dove sarò presente anch’io col mio 0, successivamente faremo anche due eventi di presentazione a Napoli e un po’ di pubblicità non guasterebbe XD Se non vi fosse di disturbo, inoltre, vi chiederei di lasciare un like su Fb alla casa editrice Prankster Comics, è una piccola realtà romana che sta pubblicando il mio fumetto (7, di cui potrete leggere sulla bacheca così da vedere che non sto mentendo) e, giuro, siamo tutti ragazzi volenterosi e desiderosi di crescere!
Alla prossima,
F.

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Capitolo 16
*** 16 ***


La mattinata al canile era stata sfibrante ed erano stati tutti così indaffarati in vista della raccolta fondi da avere pochissimo tempo per parlarsi. Giulia era di malumore e sicuramente riguardava Rodolfo. La sera prima, infatti, era riuscita a strappare all’uomo un appuntamento, ma dalla faccia che aveva non doveva essere andato benissimo. Nemmeno Clarke era allegra come al solito e Diana, sempre molto attenta all’amica, poteva dare la colpa solo a Sofia. L’unico che fischiettava mentre cercava di sistemare il banchetto delle offerte insieme ad Alessio, era Marco. Gabriella era sconfortata più che mai; due famiglie avevano rinunciato all’adozione di due cuccioli perché i bambini si erano innamorati di altri cani e per giunta un terzo stava per entrare in canile poiché la signora era rimasta incinta. Clarke aveva ascoltato lo sfogo diretto a Maura, un’altra volontaria, mentre passava davanti alla segreteria alla ricerca del disinfettante. Pippo, uno dei tanti ospiti, nella foga della sua uscita settimanale, l’aveva graffiata sul braccio riuscendo a strapparle il maglione che indossava e arrivare alla pelle.
<< Cerchiamo di non scoraggiarci >> disse appoggiandosi allo stipite della porta << A me fanno pena questa famiglie. Cosa insegneranno ai loro figli? Noi possiamo trovare di meglio per i nostri cuccioli >>.
<< Troppo superficiali e inadatti a crescere un cane >> enfatizzò Maura cercando di essere positiva.
Gabriella versò una generosa dose di disinfettante sull’ovatta e con forza la premette sulla ferita della ragazza che sobbalzò.
<< Così impari >> disse << Quante volte vi ho detto di venire vestiti pesanti? Almeno avresti protetto il braccio >>.
<< Ma è lana! >> si difese Clarke.
<< Lana consunta e vecchia, troppo leggera per venire al canile! >> la rimproverò la donna che subito dopo però le sorrise << Vorrei che fossero tutti fortunati come Luthor >> aggiunse.
Clarke contraccambiò il gesto e annuì con energia sperando di trasmetterle positività.
<< Ce la faremo >> rispose gettando l’ovatta nel cestino << Ora credo che andrò a fare un giro da Nero e Aron! >>.
Gabriella e Maura provarono a dire qualcosa per dissuaderla visto che i cani nominati erano due taglie grandi e anche molto euforici, ma Clarke ascoltò appena i loro consigli. Anche se il braccio le faceva un po’ male, i cani avevano bisogno di uscire altrimenti rischiavano di impazzire all’interno del box. Passò accanto a Marco e Diana, entrambi impegnati a tenere fermo il tavolo mentre cercavano di capire perché non si reggesse in piedi, e cercò con gli occhi Giulia. La trovò intenta a far uscire tre cani di piccola taglia contemporaneamente e preferì non distrarla. Il suo viso era rabbuiato ed era chiaro che fosse successo qualcosa con il professore di fisica. Si chiese se anche dal suo volto fosse così palese che era successo qualcosa con Sofia. Scosse il capo cercando di non pensarci. Non aveva ancora voglia di parlarne ed era contenta della moltitudine di cose da fare così da non avere troppo tempo per discorrere. Era sicura, però, che non avrebbe potuto tirare ancora per molto. Marco e Diana stavano fremendo per sapere qualcosa, lo vedeva degli sguardi che le lanciavano e che si lanciavano tra loro. Sparì dalla loro visuale mentre sentiva Gabriella e Maura urlare di avere bisogno d’aiuto con dei pacchi di mattonelle nuove.
 
Dopo il consueto pranzo domenicale, Sofia si gettò sul divano senza entusiasmo. I suoi genitori erano usciti con una scusa banale, sia lei che suo fratello avevano compreso che stavano iniziando ad andare per negozi col chiaro intento di avere buone idee per i regali di Natale. Sospirò mentre accendeva la televisione. Edoardo le passò davanti con una busta enorme di patatine in mano e l’unico suonò che per un po’ si udì fu il suo sgranocchiare.
<< Hai una faccia >> disse improvvisamente il fratello mettendosi tra lei e lo schermo piatto.
<< Non sarà mai brutta quanto la tua >> rispose Sofia provando a evitare il suo sguardo.
Bastava Elena a volerla prendere a schiaffi per quello che aveva fatto la sera precedente con Clarke. La situazione poi non era migliorata per niente se si considerava che l’altra non aveva quasi risposto ai suoi messaggi. Che fosse troppo impegnata con Diana? Era certa che le avesse già raccontato tutto e, conoscendo un minimo l’amica, non avrebbe perso tempo a sminuirla ai suoi occhi. Con un moto di stizza gettò lontano da sé il telecomando che sparì tra i cuscini.
<< Dubito che il telecomando ti abbia fatto qualcosa! >>.
<< Oh, Edo! Sta zitto! >>.
Bastò quella frase a far, invece, sedere suo fratello sul divano e a mollare momentaneamente le patatine sul basso tavolino. Si passò le mani sul vecchio pantalone della tuta che indossava e guardò la sorella dritta negli occhi.
<< Che hai combinato? >> le chiese.
Sofia si passò una mano tra i capelli.
<< Non sono affari tuoi >>.
<< Hai la faccia di chi ne ha fatta una enorme >>.
<< Ed è così, ma non so come rimediare! >> sbottò la ragazza scattando in piedi.
Ci fu un lungo minuto di profondo silenzio tra i due fratelli prima che Sofia si decidesse a tornare seduta. Edo la fissò prima di scoppiare in una sonora risata che gli fece beccare uno schiaffo sulla gamba da parte dell’altra.
<< Hai già fatto arrabbiare la tua fidanzata? >>.
<< Clarke non è la mia ragazza! >> esclamò Sofia come era solita fare << Noi siamo solo… >>.
<< …uscite insieme ieri sera? >> concluse per lei Edoardo.
L’espressione stupita che assunse la sorella lo fece scoppiare di nuovo a ridere.
<< Quindi è andata male? >>.
<< No! >> rispose Sofia << E’ solo colpa mia. Sono un’idiota in queste cose, ma ho avuto paura che… >> si fermò e fece un respiro profondo << Lei non è come me. E’ spigliata, grintosa, anche un po’ esuberante e soprattutto non… non ha paura del giudizio degli altri >>.
Edoardo le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla.
<< E tu invece? Hai paura di quello che dirà la gente? >>.
L’altra si morse il labbro inferiore.
<< E’ così stupido per te? >>.
Il fratello si affrettò a scuotere il capo e a mettere le mani davanti il viso.
<< No, So! Non lo è >> disse con un leggero sorriso. Si alzò in piedi mettendosi di fronte alla sorella e le poggiò entrambe le mani sulle spalle << Non è stupido. Ma è più importante quello che vuoi tu, non credi? O quello che provi quando sei con Clarke. Sei stata bene? >>.
Sofia annuì e sentì il fratello allentare la presa.
<< Allora dovrebbe importarti solo di questo e fanculo la gente! >>.
Edoardo rise subito dopo e non riuscì a non trascinarsi dietro la sorella che scuoteva il capo.
<< Lei non… >>.
Le parole della ragazza vennero interrotte dallo squillo del citofono. Per qualche istante Sofia ed Edoardo si guardarono in silenzio; poi il più grande si strinse nelle spalle.
<< Aspetti qualcuno? >>.
<< Veramente no… >> mormorò la sorella.
Un secondo squillo fece comprendere a entrambi che chiunque fosse era abbastanza impaziente. Edoardo andò a rispondere e non fece in tempo a dire alla sorella chi fosse, che Elena si catapultò nel salone della famiglia Cavalieri.
<< Tu ora mi ascolti molto attentamente! >> urlò puntando il dito contro l’amica senza nemmeno salutarla.
Sofia sgranò gli occhi nel vederla.
<< Ma che cosa stai… >>.
<< Devi chiedere assolutamente scusa a Clarke per come ti sei comportata ieri sera quindi adesso ti vesti e… >> solo in quel momento Elena parve notare Edoardo << Oh, ciao Edo! Come va? Non ti avevo proprio visto! >> si portò una mano sulla testa ed emise una leggera risata.
<< Direi molto meglio ora che anche tu stai cazziando mia sorella >> rispose il ragazzo strizzandole l’occhio << Così io posso andare in camera mia a studiare >>.
<< Cos… anche… >> mormorò l’altra sorpresa. Indicò l’amica mentre Edoardo annuiva << …a lei? >> sorrise mentre tornava a concentrarsi su Sofia che aveva seguito tutta la scena senza sapere come interrompere quei due << Bene! Allora adesso ci penso io! >>.
Sofia roteò gli occhi e il fratello salutò entrambe prima di chiudersi nella sua stanza.
<< Ciao anche a te, Ele >> disse la ragazza non appena furono sole << E prima che tu me lo chieda. Sì, Edo sa tutto e… beh… >> arrossì mentre parlava << …gli… sì, gli sta bene! >> sbottò infine.
<< Allora sei doppiamente un’idiota! >> esclamò Elena portandosi una mano sul viso << Forza, dobbiamo andare da Clarke e farle presente quanto tu sia stupida! Non manderai tutto all’aria per una cazzata del genere! >>.
<< Io non… >>.
Lo sguardo che le lanciò l’amica fece comprendere a Sofia di non avere diritto di replica.
<< Non hai diritto di parola su questo argomento >> sentenziò Elena spingendola verso la sua camera affinché si cambiasse.
<< Per favore non farle mettere la camicia! >> urlò Edoardo dalla sua stanza.
<< Sto odiando tutti, sappilo >> mormorò Sofia prima di aprire l’armadio.
 
Clarke aveva partecipato attivamente alla conversazione su WhatsApp con gli amici finché la batteria del suo cellulare non era morta facendolo spegnere. Rifiutandosi categoricamente di scendere dal divano e di uscire da sotto il plaid, aveva preferito lasciarlo in quello stato piuttosto che andare incontro alle fredde mattonelle del salone. Luthor si era accoccolato come meglio poteva al suo fianco e dormiva profondamente.
<< Ti ricordo sempre che non sei un Pincher, Luthor >> mormorò la ragazza cercando il telecomando.
Aveva sentito suo padre verso ora di pranzo e ormai mancava veramente poco prima di rivedersi. Philip le aveva assicurato che non sarebbe mai mancato per Natale e Clarke sapeva quanto quella festività fosse importante per lui. Prima di stringere solidamente amicizia con Diana, erano soliti trascorrere tutte le festività solo loro tre; poi i genitori dell’amica avevano iniziato a invitarli creando quella che era diventata una nuova tradizione. Anche quell’anno non sarebbe cambiato. Capì che c’era qualcosa nell’aria da come Luthor aprì gli occhi e drizzò le orecchie. Infatti, pochi secondi dopo qualcuno citofonò. Sbuffando sonoramente scivolò via da sotto il plaid mentre il boxer correva verso il giardino. Clarke sorrise appena nel vederlo sgambettare fuori con quel mozzicone di coda che frustava l’aria e sgranò gli occhi quando l’immagine dello schermo del citofonò inquadrò il viso di Sofia. Alle sue spalle, Elena salutava certa che le stesse vedendo. Si ritrovò a ingoiare un groppo di saliva mentre sganciava il cancello. In quel momento Elena ripartì col suo motorino e l’altra s’incamminò nel viale. Clarke si guardò allo specchio che era nell’ingresso e cercò di sistemarsi alla meglio la felpa vecchia che aveva indossato e il pantalone con uno strappo abbastanza evidente sul fianco sinistro. Sospirò e aprì la porta di casa appoggiandosi allo stipite per aspettare Sofia. La vide avanzare lentamente e titubante e questo, nonostante la situazione, la fece sorridere.
<< Ciao >> la salutò quando fu abbastanza vicina da poterla sentire.
<< Ciao, mica… mica ti disturbo? >>.
Clarke scosse il capo e si fece da parte per farla entrare e chiuse la porta alle sue spalle. Sofia attraversò il corridoio guardandosi indietro con la coda dell’occhio e sobbalzò nel sentire abbaiare. Dall’ampia vetrata lasciata aperta sul giardino, Luthor si stava dirigendo verso di lei. Si bloccò all’istante.
<< Guarda che non ti fa niente >> disse Clarke superandola << Come al solito >>.
<< Il tuo mangiauomini mi mette l’ansia >>.
L’altra non rispose gettandosi sul divano dove era sdraiata fino a poco fa. Luthor la seguì saltandole addosso e guardando Sofia. Abbaiò una sola volta come se volesse enfatizzare qualcosa prima di lasciarsi accarezzare dalla ragazza. Sofia prese posto di fronte a lei e si schiarì la voce. Per la prima volta da quando la conosceva, si sentiva a disagio. Gli occhi di Clarke erano scuri, velati e stanchi.
<< Sei qui per… >> mormorò Clarke prendendo un cuscino e portandoselo davanti dopo che il suo cane si era sistemato anche lui sul divano.
<< Io… io credo che dovremmo parlare >>.
L’altra ragazza si portò una mano tra i capelli e annuì.
<< Dimmi >>.
<< Credi che debba parlare solo io? >> domandò Sofia irritata dal suo comportamento.
Clarke roteò gli occhi come se la cosa fosse scontata e si strinse nelle spalle.
<< Sei seria, Kent? >>.
Le due si guardarono negli occhi quasi dovessero fronteggiarsi.
<< Sei tu quella che è venuta da me per parlare! >>.
<< Quindi se non mi fossi presentata, per te andava tutto bene? >>.
Clarke si prese una manciata di secondi per riflettere. Non voleva intraprendere quella conversazione, ma con Sofia pareva impossibile evitare qualcosa. Sospirò appena prima di incrociare le braccia sul petto.
<< No >> sibilò infine.
Sofia esibì per qualche istante un’aria trionfante prima di tornare alla loro discussione.
<< Mi dispiace per ieri sera >> disse abbassando gli occhi.
<< Per cosa nello specifico? >>.
<< Lo sai perfettamente >> rispose secca l’altra. Era parecchio a disagio e questo la portava anche a essere sgarbata. S’impose di restare calma << Non hai tre anni >>.
Clarke inarcò il sopracciglio senza dire niente e Sofia sbuffò sonoramente. Si passò una mano tra i capelli come se quel gesto potesse calmarla.
<< Okay, ho rovinato tutto. Vuoi sentirti dire questo? >> sbottò << Sei più felice così? >>.
Clarke scosse il capo, per nulla indispettita dal tono della più piccola.
<< Tu hai avuto paura >> rispose l’altra con calma.
Quella frase ebbe l’effetto di una doccia gelata su Sofia. Rimase spiazzata dalla facilità con la quale Clarke la capiva e affermava certe cose. Cose che lei ancora non aveva il coraggio di ammettere a se stessa.
<< Che c’è, ti ho spiazzata? >> continuò Clarke. L’aveva lasciata parlare e ora era il suo turno << Per caso non lo avevi capito? Io sono una ragazza e lo sei anche tu. Però io mi comporto normalmente perché so quello che voglio e non ho paura di ammetterlo! >>.
Aveva alzato leggermente la voce senza rendersene conto e questo fece tremare Sofia i cui occhi si stavano riempiendo di lacrime. Clarke aveva il potere, nel dire la verità, di farla sentire una cacchetta.
<< Beh, sai una cosa? >> esclamò decidendo di abbandonare tutta la sua compostezza << Potrà sembrare strano alle tue orecchie, ma ci sono persone diverse da te, che non hanno tutta la tua sfacciataggine o la tua strafottenza. Persone che hanno paura perché tutto quello che stanno vivendo è nuovo e non sanno come muoversi! >> fece un respiro durante il quale l’altra provo a interromperla senza, però, successo << E sì, io sono una di quelle persone! Perché tutte queste cose non le ho mai provate per nessuno ed è tutto nuovo! Ed è bellissimo, davvero, perché tu mi piaci e anche tanto, ma ho una fottuta paura! Paura di sbagliare, di essere giudicata, di essere additata! Perché non so come muovermi e vorrei solo che tu mi aiutassi >>.
Si guardarono negli occhi mentre Sofia lottava per cacciare indietro le lacrime senza il risultato sperato. Voleva apparire forte, ma la verità era che aveva paura che Clarke le voltasse le spalle invitandola ad andarsene. La vide fare un respiro profondo e abbassare lo sguardo verso la punta delle scarpe.
<< Io… io ci sono già passata >> iniziò incerta. Parlare di Luna non era per niente facile per lei << Anche nella mia precedente storia la paura ha avuto un peso enorme ed è finita per… questo >> cercò di non andare troppo in profondità << E non voglio… ripetere l’esperienza. La paura fa perdere le occasioni migliori e io non voglio che accada di nuovo. Non voglio nascondermi, mi piacciono da sempre le ragazze e non ho mai mentito ai miei genitori o ai miei amici >>.
Involontariamente Sofia pensò che Clarke doveva essere stata una persona fortunata se non aveva mai avuto tentennamenti sul suo orientamento sessuale o sul raccontare la verità ai suoi. L’avevano accettata in tutta la sua interezza. Si domandò se anche Viola e Armando avrebbero reagito così bene, su suo fratello non nutriva nessun dubbio. Si passò la lingua sulle labbra sapendo quanto fosse ancora incerta la sua voce. Il dettaglio non poco importante della sua precedente storia venne registrato in ritardo dal suo cervello, troppo preso ad elaborare qualcosa di sensato da dire. Fece un passo avanti sperando che Clarke non si allontanasse. Quando vide che l’altra fece lo stesso, incontrandosi a metà strada, le venne da sorridere nonostante la situazione.
<< Insegnami a non avere paura >> le sussurrò a poco centimetri dalle sue labbra.
Clarke avvertì il fiato caldo di Sofia sulla sua bocca e tutto il resto fu come se si eclissasse. Nulla era più importante che sfiorare le labbra dell’altra, ora così vicine come non lo erano mai state. Involontariamente le portò una mano sul mento, prendendolo tra l’indice e il pollice. Sentì Sofia rabbrividire a quel contatto e il suo cuore ebbe un tuffo. Era possibile provare tutte quelle sensazioni per un semplice contatto? Clarke si chinò leggermente e socchiuse gli occhi. Stava per baciarla quando il campanello suonò. La più piccola sobbalzò arrossendo mentre la mano dell’altra scivolava verso il basso. Clarke assunse un’aria interrogativa mentre si mordeva il labbro inferiore, valutando se valesse o meno la pena rispondere. Un secondo squillo la fece decidere.
<< Chi cazzo… >> mormorò mentre si voltava verso il corridoio. Tornò a guardarla << Aspettami qui >> aggiunse.
Sofia si limitò ad annuire senza sapere cosa dire mentre la sua mente, senza volerlo, faceva pensieri poco casti su cosa sarebbe potuto accadere se non fossero state interrotte. Arrossì ancora di più.
<< Ah >> disse Clarke poggiando una mano sullo stipite della porta e girandosi appena verso di lei << Verginella, quindi? >>.
Le strizzò l’occhio con un sorriso prima di correre al citofono.
<< Kent, sei un’idiota! >> urlò Sofia paonazza.
 
Ho bisogno di parlarvi, altrimenti esplodo!
Diana lesse il messaggio di Giulia inviato sul gruppo di WhatsApp e un lieve sorriso smorzò il broncio che aveva da quella mattina in canile. L’unica cosa che la consolava era l’aver visto Clarke rabbuiata e quindi aveva ipotizzato che il suo appuntamento non fosse andato splendidamente. Aveva finto di essere felice per lei quando l’altra, via Skype, le aveva mostrato cosa avrebbe indossato per uscire ed era ribollita di rabbia al pensiero che quella nana quattrocchi le avesse stretto la vita mentre erano in moto.
Continuò a leggere i messaggi che si scambiavano Marco e Giulia notando come Clarke avesse smesso di partecipare. I due amici volevano fare aperitivo da qualche parte e stavano aspettando il parere delle due ragazze per organizzarsi ben sapendo quale fosse il locale preferito da Clarke. Diana si morse il labbro prima di gettare la pietra. Contattò privatamente Giulia facendole notare come l’amica si fosse improvvisamente isolata e a cosa fosse dovuto il suo malumore. Non ci volle molto a convincerla. Dovette impegnarsi di più, invece, con Marco. Quasi lo odiò per la cautela che voleva usare con l’altra.
E se fosse in compagnia di Sofia?, le scrisse dopo aver letto cosa avevano in mente lei e Giulia.
Involontariamente Diana serrò la mascella e dovette fare un respiro profondo per evitare di rispondergli male.
Ma figurati. Hai visto anche tu la faccia che aveva oggi al canile. Sarà sicuramente da sola, sprofondata sul divano, con Luthor addosso.
La risposta di Marco fu ancora una volta accorta.
Non lo so, D. E se interrompessimo qualcosa?
Ma cosa diavolo vuoi interrompere, Marco? Siamo suoi amici. Ti vengo a prendere tra mezz’ora, fatti trovare pronto.
 
Clarke non poteva credere ai suoi occhi. Diana stava parcheggiando la macchina di sua madre e, ancor prima che fosse ferma, Giulia le venne incontro correndo.
<< Che ci fate qui? >> domandò vedendo Marco e Diana scendere dall’auto.
Giulia le sventolò davanti agli occhi un sacchetto di carta.
<< Abbiamo portato i cornetti! >> esclamò.
Clarke continuò a guardarli con aria interrogativa mentre teneva sollevato il sopracciglio destro.
<< Avanti >> la salutò Diana abbracciandola << Non fare quella faccia. Abbiamo pensato che avessi bisogno di compagnia >>.
<< Hanno fatto tutto loro >> disse Marco alzando le mani in segno di resa << Io non avuto facoltà di scelta >>.
Nonostante la situazione, Clarke sorrise dando a ognuno un bacio sulla guancia.
<< Stamattina avevi una faccia >> mormorò Giulia chiudendo la porta di casa.
<< Senti chi parla! >> esclamò l’altra.
L’amica arrossì a quella frecciatina e abbassò lo sguardo.
<< Io ho i miei buoni motivi! >> rispose << Adesso vi racconto tutto! >>.
Si voltò per entrare in salone e andò a sbattere contro Diana, immobile davanti a lei.
<< Ma che cazzo D! >> esclamò guardando oltre la sua spalla. Sorrise nel vedere Sofia al centro del salone con le mani nelle tasche del jeans << Ehi, ciao So! >> esclamò << Aspetta un attimo, da quanto sei qui? >>.
<< Da prima di voi, capoccioni >> rispose Clarke.
<< Ah >> fece semplicemente l’amica << Beh, potevi anche dircelo! >>.
<< Io l’avevo detto che dovevamo farci i cazzi nostri! >> disse Marco.
<< Ciao ragazzi >> salutò Sofia imbarazzata.
L’unica che rimase in silenzio fu Diana, scioccata nel vedere l’altra a casa di Clarke. Non era possibile che avessero già fatto pace!
Clarke sollevò il sopracciglio guardando Giulia.
<< Siete perdonati solo perché avete portato i cornetti >> affermò << Ci avete interrotte >>.
<< Oooooh! >> esclamò l’amica saltandole addosso << E cosa avremmo interrotto? >>.
Sofia era paonazza per ciò che l’altra aveva detto. Il suo senso del pudore faceva letteralmente schifo.
<< Vado a prendere le birre >> fece Clarke evitando di rispondere.
Giulia, però, non si diede per vinta e afferrò quasi al volo Sofia che aveva provato a sgusciare via.
<< Dicevamo >> mormorò assottigliando gli occhi << Cos’è che abbiamo interrotto? >>.
La più piccola si guardò intorno alla ricerca d’aiuto, imbarazzata da quella domanda e dalla piega che stava prendendo la situazione.
Che cazzo di tempismo!, continuava a pensare la sua mente.
Diana approfittò della disattenzione dei presenti per recarsi in cucina col chiaro obiettivo di parlare con Clarke.
<< Ehi >> le disse mentre l’amica cercava l’apribottiglie << Non hai più risposto sul gruppo. Ci siamo preoccupati >>.
<< Non è la prima volta che smetto di rispondere! >> esclamò Clarke ridendo passandole una bottiglia aperta.
<< Avevi una faccia stamattina >> affermò piatta Diana << Pensavo fosse successo qualcosa >>.
Clarke abbassò per un attimo lo sguardo.
<< Beh, sì >> rispose. Non avrebbe mai potuto mentire a Diana << Abbiamo avuto uno screzio, ma stavamo chiarendo >> aggiunse << Se non ci aveste interrotte >>.
<< Oh >> fece asciutta l’altra << Che è successo? >>.
Clarke scrollò le spalle gettando i tappi nella spazzatura. Fece un sorso dalla sua birra.
<< La paura >> si limitò a dire.
Sapeva che Diana avrebbe compreso all’istante. E, infatti, fu così. L’amica si sporse per abbracciarla facendole quasi perdere l’equilibrio.
<< Sei sicura che ne valga la pena? >> le sussurrò a un orecchio.
Clarke si allontanò leggermente per guardarla negli occhi e subito dopo sollevò lo sguardo oltre la sua spalla, in direzione della porta e delle voci del salone.
Stava per rispondere, ma l’arrivo di Marco le interruppe. Il ragazzo afferrò una birra, strizzò l’occhio alle ragazze e si voltò per tornare da Giulia e Sofia.
<< Sbrigatevi, altrimenti Giulia non vi lascia nemmeno un cornetto! >> urlò poco dopo facendo scoppiare a ridere Diana che si mosse verso la porta.
<< Ehi, D >> la richiamò Clarke << Lo faccio per entrambe >>.
Diana si limitò a sorriderle prima di raggiungere gli altri e questo diede all’altra il tempo di fare un respiro profondo. A parte l’amica, aveva baciato solo Luna e il pensiero che ci fosse Sofia, così diversa da entrambe, la fece arrossire imbarazzata come se avesse sedici anni. Perché desiderava davvero lasciarsi tutto alle spalle e provare a ricominciare con lei, poteva sul serio valerne la pena. Poteva essere quella giusta.
Rientrò in salone trovando gli amici seduti intorno al tavolo intenti a chiacchierare. Colse immediatamente il tono frustrato di Giulia e, dopo essersi seduta vicino a Sofia, ne chiese il motivo.
<< Rodolfo! >> esclamò l’amica << Mi ha portata in un paesino sperduto nella provincia di Caserta solo per mangiare una pizza! >>.
Clarke sollevò il sopracciglio sorpresa mentre Marco si portò le mani dietro la nuca oscillando leggermente con la sedia.
<< Marco >> fece Diana << Se cadi e ti fai male ti do anche il resto >>.
<< Scusa, mamma >> rispose il ragazzo smettendo immediatamente e facendo ridere gli altri amici così da allentare per un po’ il discorso di Giulia.
<< Non potete capire, è stato terribile >>.
<< Che ti aspettavi da uno che ha il doppio dei tuoi anni? >> affermò Marco << E’ già vecchio dentro >>.
Sofia per poco non si strozzò con un sorso di birra della bottiglia di Clarke nel sentire quella frase.
<< Il doppio? >> ripeté rivolta a Clarke che annuì come se fosse la cosa più normale del mondo.
<< E voi invece? >> chiese Giulia << Ditemi qualcosa di bello per tirarmi su il morale. Ieri Rodolfo era tutto un “qui non possiamo andare, questo non lo possiamo fare” >>.
<< Dove l’hai portata? >> domandò Diana.
<< Starita! >> esclamò Clarke sorridendo << La pizza migliore del mondo >>.
<< Quella è Sorbillo >> precisò nuovamente Sofia guadagnandosi una spallata da parte della più grande.
<< Dai, ma è come se giocassi in casa! >> esclamò Marco scoppiando a ridere << E’ amico di tuo padre! >>.
<< Sì, infatti! >> lo aiutò Giulia << Ti piace vincere facile? >> aggiunse mimando la musica della pubblicità che partiva subito dopo quella frase.
Clarke rise.
<< Siete voi che non capite niente di appuntamenti! >>.
<< Non farmi ripensare a ieri sera per favore! >>.
<< Ma se sei stata tu a chiedermelo! >>.
<< Per sentirmi raccontare qualcosa di bello, non che sei andata dall’amico di Philip! >>.
<< Smettetela, dovreste stare dalla mia parte! A Sofia è piaciuto, vero? >>.
<< Può mai dirti di no? >> fece Marco prima che l’altra potesse rispondere << Sei una vera idiota Melbourne >>.
L’unica che non aveva parlato era Diana. Marco si sporse per rubarle la birra e gliela finì in un sorso costringendola ad alzarsi per prenderne una nuova. Nel farlo, passò accanto a Clarke e le sfiorò il viso con le dita mentre le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
<< Da quanto tempo non ci andiamo tu e io? >> le domandò come se intorno a loro tutti fossero invisibili.
<< Mancavamo da un po’ >> rispose la ragazza abituata a quei gesti da parte dell’amica << Infatti ti saluta Gennaro >> disse riferendosi a uno dei tanti camerieri della pizzeria.
<< Che carino >> affermò Diana rivolgendo uno sguardo compiaciuto a Sofia prima di sparire in cucina.
Alla più piccola fumavano le orecchie per quello che aveva appena visto. Diana stava cercando di provocarla in tutti i modi affinché sembrasse scontata e poco importante, sminuendo la loro uscita. Clarke, però, pareva non essersi accorta di niente troppo serena e tranquilla per come si stava mettendo la serata. L’arrivo dei suoi amici era stato inatteso, ma sempre ben gradito. Inoltre era avvezza alle attenzioni di Diana nei suoi confronti e non aveva minimamente intuito il doppio fine dell’amica. Così decise di fare qualcosa per farle comprendere che non intendeva lasciarle spazio. Quello era il suo rapporto con Clarke e lei non poteva farci niente. Fece leggermente indietro la sedia quel tanto che bastava per toccare quella dell’altra e, mentre la ragazza era intenta ad ascoltare le lamentele di Giulia su quanto fosse stata catastrofica la sua uscita con quel Rodolfo, allungò la mano per stringere la sua. Clarke la guardò sorpresa da quel gesto, ma le sorrise di fronte al rossore che stava invadendo le sue gote e iniziò ad accarezzarle il dorso col pollice. Sofia si rilassò immediatamente appoggiandosi allo schienale mentre nella sua testa tutto perdeva d’importanza. Lo stomaco era in subbuglio e ogni volta che la ragazza la sfiorava sentiva i brividi attraversarle la schiena. Marco lanciò un’occhiata veloce a entrambe sorridendo appena mentre rispondeva all’amica.
<< Giu, non lamentarti. Sapevi a cosa andavi incontro >>.
<< Ma cosa c’entra, Marco? >> disse Diana tornando con un paio di birre << Solo perché non può farsi vedere in posti troppo affollati da studenti non vuol dire che debba comportarsi così >> la sua attenzione fu colpita dalle mani di Sofia e Clarke strette. Assottigliò leggermente gli occhi e fece schioccare la lingua << Avrebbe potuto portarla in una caverna e sarebbero stati bene lo stesso. Il punto è che non avrà fatto altro che ricordarle che non potevano farsi vedere insieme >>.
Giulia asserì mentre si lasciava cadere sul divano. Si passò una mano tra i corti capelli e sbuffò. Diana aveva c’entrato perfettamente il punto. Sarebbe stata una serata bellissima, forse un po’ troppo tranquilla ma comunque bellissima se lui non le avesse costantemente ricordato cosa non potessero fare insieme. Guardò Marco e Clarke che erano rimasti in silenzio e il suo cuore si sciolse nel vedere le dita delle due ragazze intrecciate. Almeno per una di loro le cose stavano filando nel verso giusto.
<< Dovresti dirglielo >> mormorò infine Clarke alzando gli occhi sul soffitto << Dovresti dirgli quello che pensi della serata >>.
Giulia roteò gli occhi.
<< Giu, sul serio >> continuò l’altra << Altrimenti continuerà a credere di fare bene >>.
<< E invece, manco per il cazzo >> continuò Marco con delicatezza.
I suoi amici la conoscevano bene, Giulia sotto quella corazza di umorismo e sorrisi, celava quello che pensava davvero finché non scoppiava. E quando accadeva, voleva dire che ormai era finita. Perché era molto raro che la ragazza si arrabbiasse, ma quando lo faceva, non si tornava indietro. Giulia sputava tutto quello che si era tenuta dentro senza un minimo di delicatezza, senza permettere all’altro di replicare o provare a controbattere.
<< Se inizio a dirgli adesso quello che non ho trovato giusto per me >> rispose finalmente << Sembrerò ai suoi occhi semplicemente una ragazzina viziata e forse anche spocchiosa >>.
Clarke sorrise a quelle parole. Si sciolse dalla presa di Sofia, che continuava a domandarsi chi mai fosse quel Rodolfo per non farsi vedere in giro da nessuno, e si avvicinò all’amica. Si sedette dietro di lei abbracciandola e dandole un bacio sulla tempia.
<< Che scema che sei >> le disse con un sorriso mentre non smetteva di coccolarla.
Un sorriso si increspò sulle labbra della più piccola. Quando era con i suoi amici, Clarke sembrava quasi vulnerabile. E forse era proprio questo ciò che la rendeva così speciale. Mostrava la vera se stessa solo a pochi intimi. Si guardarono prima che Clarke le strizzasse l’occhio in segno di intesa. A quel gesto, Diana non riuscì a trattenersi e saltò addosso a entrambe.
<< Hai la stessa delicatezza di Luthor >> mormorò la padrona di casa facendole posto.
Diana e Giulia risero mentre Marco si alzava in piedi. Controllò il suo orologio e si stiracchiò.
<< Ragazzuole, vogliamo andare? >> domandò subito dopo << Mi sembra che Clarke stia benissimo. E poi dopo cena mi vedo con Nadia >>.
Giulia si toccò le punte delle dita per formare un cuore che fece scoppiare a ridere le due amiche. Clarke provò ad alzarsi, ma Diana la tirò per un braccio facendola cadere nuovamente sul divano. Risero entrambe prima che Marco issasse prima Diana e poi Giulia.
<< Ti serve un passaggio, Sofia? >> aggiunse poi il ragazzo guardandola.
<< No, a lei ci penso io >> rispose prontamente Clarke prendendola per una mano.
<< Ooooh >> esclamò Giulia << Un cuore anche per voi >> aggiunse congiungendo le mani.
Diana la spintonò senza farle male cercando di non far vedere quanto le dessero fastidio quei gesti e quelle attenzioni. Quasi avrebbe preferito accompagnarla a casa, almeno avrebbe avuto la certezza che sarebbero state divise.
<< Adesso sparite >> affermò Clarke con voce fintamente minacciosa << Mandatemi un messaggio quando siete a casa >>.
<< Sì, mamma >> risposero in coro Marco e Giulia salutandola.
Diana tergiversò per poter rimanere qualche attimo in più con lei, del tutto incurante della presenza di Sofia alle sue spalle. Le accarezzò una guancia con un leggero sorriso dipinto sul viso e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Qualcosa che la più piccola non riuscì a udire. Clarke scoppiò a ridere e l’abbracciò prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Fu solo quando Sofia sentì il rumore del motore dell’auto che si allontanava che si decise a chiedere spiegazioni all’altra. Clarke, intanto, stava raccogliendo le bottiglie vuote per gettarle nella spazzatura.
<< Cosa ti ha detto Diana all’orecchio? >>.
La ragazza si strinse nelle spalle con un mezzo sorriso.
<< Niente di che >> rispose << Mi ha solo ricordato della cena di domani a casa sua. Sua madre ha già stilato il menù >>.
<< Ah >> fece l’altra << E’ una ricorrenza particolare? >>.
Clarke si appoggiò alla parete riflettendo. Si stava forse dimenticando qualcosa?
<< No >> rispose infine << E’ semplicemente una cena. Sto praticamente sempre a casa loro. Antonella, scherzando, dice che sono la loro quarta figlia! >>.
Che cosa graziosa, avrebbe voluto dirle Sofia ma si trattenne mordendosi la lingua.
Al di là di come si comportasse con lei, Diana doveva essere davvero un’amica fantastica per Clarke altrimenti la ragazza non avrebbe avuto motivo di volerle così bene.
<< Ti aiuto? >> le chiese cambiando argomento.
Clarke scosse il capo.
<< Puoi sederti sul divano se ti va >> le disse << Io tra poco arrivo. Abbiamo Netflix, magari c’è qualcosa che ti interessa >>.
Sofia ubbidì accendendo il televisore mentre Clarke si spostò in cucina.
<< Sai, So >> iniziò svuotando la lavastoviglie << Mi piace il rapporto che stai creando con i miei amici. Loro sono… >> si bloccò notando che l’altra ragazza non dava segni di vita.
La televisione era a un volume molto basso quindi era impossibile che non la sentisse.
<< So? >> continuò affacciandosi dalla cucina con una tazza in mano che stava asciugando << Tutto bene? >> aggiunse avvicinandosi ulteriormente alla porta del salone.
E quello che vide la fece scoppiare a ridere. Luthor era seduto sul tappeto di fronte a Sofia e la guardava attentamente scodinzolando. Lei, invece, era immobile con gli occhi sbarrati. Forse credeva che, se avesse respirato molto lentamente, il suo boxer se ne sarebbe andato.
<< Kent… >> mormorò appena Sofia voltando impercettibilmente il capo << …Kent… il tuo mangiauomini è… troppo… >>.
<< Luthor non è un mangiauomini, è solo il mio cane >> precisò per l’ennesima volta Clarke muovendo pochi passi << Vuole solo essere accarezzato >>.
<< Potresti… potresti venire a tenerlo fermo? Non ha nemmeno il guinzaglio! >>.
<< Hai una fobia davvero stupida, Luthor è buonissimo >>.
<< Per questo la sua razza è catalogata tra quelle pericolose e usate nei combattimenti! >>.
Clarke incrociò le braccia a quelle parole.
<< Accarezzalo >> le disse semplicemente << Altrimenti non se ne andrà mai >>.
Sofia allungò la mano titubante e gliela poggiò sulla testa. Anche se lo aveva già accarezzato al bar, l’ansia e la paura che le metteva quel tipo di razza e la sua stazza non erano svanite. Ingoiò un groppo di saliva mentre eseguiva il gesto e Luthor socchiuse gli occhi in segno di apprezzamento.
Clarke osservò la scena sorridendo e inclinò il capo. Il suo boxer non si era mai comportato così con qualcuno che conosceva appena. Da Luna, per esempio, non si era mai fatto accarezzare arrivando a ringhiarle se l’altra provava a insistere. Anche con lei non era stato sempre mansueto, soprattutto quando lo aveva visto la prima volta chiuso nel box del canile.
<< Visto? >> affermò compiaciuta << Non era così difficile, non trovi? >>.
Aveva appena finito di parlare, che Luthor saltò sul divano accanto a Sofia facendola spaventare. La ragazza emise un gridolino impaurita mentre Clarke scoppiò a ridere.
<< Luthor vieni qui adesso >> gli ordinò chinandosi << Facciamo un passo alla volta con lei, che ne pensi? >>.
Il cane ubbidì avvicinandosi e lasciando che la sua padrona gli grattasse dietro le orecchie e con la coda dell’occhio Clarke vide l’altra lasciarsi andare a un sospiro. Si rialzò con l’intento di tornare in cucina.
<< Ma la tazza che hai in mano… >> chiese titubante Sofia osservando ciò che la ragazza aveva in mano e che stava sistemando prima di accorrere in salone.
Clarke esibì un sorriso orgoglioso.
<< Ti piace? >>.
Sofia roteò gli occhi.
<< Sul serio, Kent? >> chiese << Anche la tazza con la S di Superman? >>.
<< Ne ho anche una che fa diventare la S fosforescente quando ci versi qualcosa di caldo dentro >> precisò Clarke << Questa è la classica. E poi >> aggiunse << Non hai visto la mia camera… >>.
<< Perché, cosa avrebbe di particolare la tua cam… >>.
Non riuscì a terminare la frase perché Clarke la afferrò per un braccio tirandola verso le scale. Aprì la porta della sua stanza permettendole di entrare e Sofia per un attimo pensò di non essere più a casa Melbourne ma in una fumetteria. C’erano fumetti ovunque, sulle mensole, sparsi sulla scrivania, perfino sul comodino. Avanzò titubante mentre i suoi occhi registravano ogni particolare di quella stanza. Il cuore prese a batterle forte nel petto mentre realizzava che quella era la camera di Clarke, quella in cui dormiva e si svegliava, in cui entrava nuda dopo aver fatto la doccia per vestirsi e in cui si spogliava per…. Dovette fermarsi sentendo le guance prenderle fuoco. Ingoiò a vuoto e si guardò attorno. Clarke non era solo un’appassionata di fumetti, era la più grande nerd che lei conoscesse. La parete dove era appoggiata la testata del letto era blu e vi era attaccato un poster che rappresentava il logo del suo supereroe preferito. Accanto, a fare letteralmente a cazzotti, era appeso una rappresentazione dello scudo di Capitan America.
<< Sei… assurda… >> mormorò.
Le lenzuola e la trapunta del letto della ragazza erano identiche e riproducevano entrambe la S di Superman su uno sfondo blu scuro.
<< Queste lenzuola me le ha regalate mio padre >> spiegò Clarke << Le vecchie erano troppo consunte e rovinate per poterle continuare a usare >>.
Sofia si ritrovò a scuotere il capo sorridendo.
<< Ma quanti fumetti leggi? >> le chiese scorrendo col dito i vari titoli che si susseguivano.
<< Quasi tutto >> rispose lei << Attenta quando li prendi, io sono maniacale >>.
<< Non lo avrei mai detto >> scherzò Sofia notando che ogni manga era imbustato e sigillato per preservarlo dagli agenti atmosferici.
Sulle mensole davanti ai manga e ai fumetti, c’erano anche diversi Pop. Rise nell’osservare gli Avengers, Wolverine, Bellatrix e Daenerys Targarien a cavallo di Drogon. Poi qualcos’altro colpì la sua attenzione. Era sulla scrivania, una statua enorme che rappresentava il Superman del film L’uomo d’Acciaio mentre si stava preparando a spiccare il volo. La mano era chiusa a pugno verso l’alto, lo sguardo era serio e quasi tormentato, il mantello pareva oscillare davvero sotto un vento impalpabile. Non poteva quantificarne il prezzo, ma, visto com’erano rifiniti i dettagli, doveva essere una cifra piuttosto alta.
<< E’ il pezzo forte della mia collezione >> disse << Un regalo dei miei. Quando l’ho scartato, ho pianto per tutto il giorno >>.
<< Sei una che si emoziona con poco >> affermò la ragazza << E poi dici che non devo chiamarti Kent! >> aggiunse << Oh, dai! Queste le avrei sempre volute anch’io! >> esclamò correndo verso un angolo del muro << Tutte le bacchette di Harry Potter! >>.
Clarke scoppiò a ridere e le si avvicinò prendendola per mano. Le bacchette della famosa saga erano poggiate su dei ganci all’interno di una teca di vetro e ognuna aveva la targhetta col nome del proprietario. Lasciò che Sofia la aprisse per poterle guardare meglio.
<< Mia madre non ha mai voluto che le comprassimo! >> continuò << Diceva che è una cosa inutile >>.
L’altra sbatté le palpebre per qualche istante.
<< Tua madre e io non andremo mai d’accordo >> sentenziò infine appoggiandosi alla scrivania.
<< E questo cos’è, l’anello del potere? >> chiese Sofia notando una collana attaccata alla bacchetta di Silente << Hai anche la Stella del Vespro? >> continuò notando uno degli altri simboli de Il Signore degli Anelli, questa volta agganciato alla bacchetta di Sirius Black.
<< Sì, ma non toccarli >> fece Clarke scattando verso di lei come una molla. Si era completamente dimenticata che fossero lì << Non sono niente di importante >> aggiunse richiudendo la teca.
Sofia comprese immediatamente che quella era una bugia, ma preferì non insistere. Si voltò verso di lei trovandola a pochi centimetri dal suo viso. Si guardarono negli occhi in silenzio esattamente come prima che venissero interrotte dai suoi amici. Ma questa volta non le avrebbe interrotte nessuno. Clarke le mise una mano dietro la schiena spingendola verso il suo corpo. Quando si scontrarono, Sofia gemette per il calore che si sprigionò nel basso ventre e arrossì distogliendo lo sguardo. La mano e il braccio dell’altra erano fermi dietro di lei, poteva sentire distintamente ogni dita accarezzarle la schiena da sopra il maglione. Un brivido più forte degli altri la scosse.
<< Clarke… >> mormorò titubante.
Per lei quella situazione era nuova, non voleva sbagliare niente. Vide la ragazza chinarsi su di lei senza smettere di tenerla e chiuse gli occhi. Alle narici le arrivò l’odore della sua pelle. Schiuse le labbra pronta a ricevere il bacio che fino a poche ore prima le era stato negato, ma improvvisamente il suo cellulare iniziò a suonare e a vibrare nella tasca dei jeans. Clarke si fermò, mollando la presa e per poco Sofia non cadde per terra.
<< Pronto? >> chiese attivando la conversazione senza nemmeno guardare chi fosse.
Sentiva di avere le gote arrossate e il fiato corto. Guardò Clarke che sorrideva con aria sorniona e si domandò se fosse così evidente il subbuglio che stava provando in quel momento.
<< Sofia, tesoro, dove sei? >> domandò sua madre.
<< Mamma! >> esclamò la ragazza guardandosi intorno come se non sapesse più dove si trovasse << Sono… sono… >>.
Merda, proprio adesso dovevi chiamarmi?, pensò.
Clarke le si avvicinò da dietro sfiorandole col naso una ciocca di capelli. Sofia tremò di nuovo sotto il suo tocco.
<< Al bar con Elena >> le sussurrò per aiutarla.
<< Al bar con Elena >> ripeté meccanicamente la più piccola.
<< Oh, bene. Serve che ti veniamo a prendere? Io e papà stiamo tornando a casa in questo momento >>.
<< Cos…no! >> fece con troppa enfasi Sofia << Mi accompagna lei >>.
<< Va bene >> rispose Viola << Mi raccomando ceniamo puntuali, lo sai >>.
<< Sì, arrivo mamma >>.
Sofia chiuse la conversazione e in quel momento Clarke si allontanò da lei con un sorriso compiaciuto.
<< Ti sei divertita, Kent? >>.
La più grande si strinse nelle spalle senza perdere quel sorrisetto soddisfatto che aveva. Allungò una mano verso di lei.
<< Andiamo, ti accompagno >> le disse << Non vorremmo mica rischiare di far tardi? >>.
Sofia avvampò pensando a ciò che aveva interrotto quella telefonata. Seguì Clarke al piano inferiore senza smettere di tenere le loro dita intrecciate. Afferrò al volo il casco che l’altra le lanciò e trattenne il respiro quando la vide avvicinarsi e fissarla con quegli occhi azzurri che avrebbero fatto girare la testa a chiunque.
<< Le occasioni per farti imbarazzare non mancheranno, lo sai? >>.
 
 
 
L’angolo di Bik
Eccoci al 16esimo capitolo. Questa volta sono stata quasi puntuale! Mi rammarico non esserlo sempre, davvero, ma sto ancora cercando di gestire tutta la mole di lavoro della mia vita. Certe volte vorrei essere uno dei miei gatti che dorme 17 ore tra divano e letto. E sono seria.
Parlando del capitolo, lo so, manca di nuovo Piccola Clarke. Posso dirvi con sicurezza, però, che nel prossimo capitolo sarà super presente! In questo mi piacerebbe che entriate per bene anche nella testa di Sofia e le ho fatto fare diversi, dal mio punto di vista, passi avanti. Il tutto senza perdere di vista il suo personaggio.
Spero che vi piaccia.
Buona lettura e alla prossima,
F.

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Capitolo 17
*** 17 ***


L’angolo di Bik
Ed eccoci, in ritardo, col nuovo capitolo. In compenso posso dire di aver pubblicato altro, quindi non siete stati proprio a digiuno! In questo capitolo torna piccola Clarke, lo so che vi era mancata, era mancata anche a me XD
Come già detto precedentemente, rinnovo l’invito per il Narni Festival che è a ingresso gratuito. Ci sarò io per tutta la giornata, il mio disegnatore e, ovviamente, il nostro il primo fumetto insieme. Non siate timidi, basto io per questo XD
Vi aspetto sabato, io sicuramente arriverò dopo le 10!
F.
 
Adele e Philip erano sempre andati d’accordo perché la forza del loro matrimonio era il dialogo. Per questo, quando si decisero ad adottare un cane, alle spalle c’era stato un lungo dibattito su come gestire un nuovo membro della famiglia. Era maggio e a settembre Clarke avrebbe frequentato la prima media. Ormai la bambina padroneggiava sempre meglio la lingua tanto da parlare fluidamente l’italiano. Ogni tanto aveva dei dubbi che, però, prontamente Adele risolveva. Ma non era questo ciò che preoccupava i genitori. Entrambi, conoscendo il passato di Clarke e avendo visto come si era sempre rapportata con gli altri bambini dell’istituto, temevano che potesse avere una reazione esagerata a qualche scherno di uno dei suoi compagni. Un amico della donna, uno psicologo che lavorava con lei in ospedale, le aveva consigliato di prendere un animale domestico affinché sua figlia imparasse a prendersi cura di qualcun altro. I coniugi Melbourne ne avevano discusso e alla fine si erano decisi a rivolgersi al canile di zona. Dopo aver compilato il questionario e ricevuto la visita pre affido, quella mattina tutta la famiglia si recò al rifugio San Francesco per vedere i cuccioli in cerca di casa. Adele aveva conversato a lungo con Gabriella, la responsabile del rifugio, trovandosi pienamente d’accordo con l’iter da seguire e l’importanza della sterilizzazione. Parcheggiarono fuori il cancello e bussarono. Clarke guardò i suoi genitori che le sorrisero rassicuranti.
<< Davvero possiamo scegliere un cane? >>.
<< Davvero >> rispose Philip poggiandole una mano sulla spalla << Daremo una casa a un cucciolo bisognoso. Dovrai solo sceglierlo >>.
Quando il cancello si aprì, i tre furono investiti dall’abbaiare continuo e dal vociare dei volontari che portavano a spasso i cani. Ce n’erano così tanti che si affacciavano tra le grate o le sbarre che a Clarke mancò il fiato. Come si poteva sceglierne uno solo? Guardò i suoi genitori e pensò a quando, a Sidney, avessero scelto proprio lei tra tanti orfani.
<< Buongiorno, voi dovete essere i coniugi Melbourne >> disse una donna avanzando verso di loro con mano tesa << Io sono Gabriella, abbiamo parlato al telefono >> sorrise mentre salutava << Prego, da questa parte >>.
Seguirono Gabriella attraverso le file dei box stupiti da come ricordasse ogni singolo dettaglio su ogni cane di cui i volontari chiedevano informazioni strada facendo. Alla fine arrivarono davanti a un box più grande degli altri sulle cui grate provavano ad arrampicarsi una decina di cuccioli, tutti con l’obiettivo di ricevere attenzioni.
<< Guarda, Clarke! >> esclamò Adele chinandosi per accarezzare quello più vicino.
La bambina si limitò ad annuire mentre il suo sguardo ancora vagava sull’imponente struttura e su tutti quei cani che cercavano famiglia.
<< Ti piacciono, Clarke? >> le chiese Gabriella << Loro sono arrivati la settimana scorsa, li ha trovati una volontaria in aperta campagna. Probabilmente sono stati abbandonati lì col chiaro scopo che morissero. Sono otto fratellini, tre maschi e cinque femmine. Quelle due più chiare, invece >> disse indicando due cucciole completamente bianche << Sono le ultime di un’altra cucciolata e avranno un paio di settimane in più rispetto a loro >>.
Clarke li guardò. I suoi genitori li stavano accarezzando completamente rapiti dalla loro dolcezza mentre lei sentì una specie di disagio strisciare dentro di sé. C’era qualcosa di stonato in quella situazione. Si voltò per poter osservare gli altri box. In quello di destra c’erano due cani adulti che facevano a gara a chi abbaiava più forte per reclamare attenzioni mentre quello di sinistra era vuoto. Adele la prese per mano affinché si avvicinasse ulteriormente ai cuccioli e lei avvertì ancora più forte quel senso di sbagliato che pareva opprimerla. Chiuse gli occhi per un attimo e in quel momento avvertì una voce diversa da quella di Gabriella. Si girò e vide un uomo adulto portare al guinzaglio un boxer per farlo rientrare nel box. Il cane camminava lentamente al suo fianco, ma l’uomo, per sicurezza, stringeva saldamente sia il collare che la pettorina. Entrarono entrambi, il boxer venne liberato e l’uomo uscì molto rapidamente per poter chiacchierare con Gabriella che lo stava aspettando. Clarke non sentì cosa si dicevano, parlavano sottovoce e a lei, in quel momento, non interessava. Si avvicinò alla grata poggiando entrambe le mani. Il cane non la degnò di una sola occhiata, si stese in un angolo e rimase immobile.
<< Lui non può essere adottato, Clarke >> disse Gabriella poggiandola una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione << Almeno, non ora >>.
<< Perché? È così… triste… >>.
<< Ha subito molti maltrattamenti nei suoi due anni di vita. Lo abbiamo recuperato un mese fa da un giro clandestino di cani da combattimento e ha ancora molta strada da fare prima di poter andare a vivere con una famiglia >>.
<< Clarke, vieni qui >> disse Philip capendo la delicatezza della situazione.
<< Che cosa terribile >> si lasciò sfuggire Adele.
Gabriella annuì.
<< Purtroppo è un fenomeno ancora presente, fin troppo. Non è il primo che recuperiamo in questo stato e non sarà nemmeno l’ultimo. Gli hanno tagliato coda e orecchie in modo barbaro, forse per farlo sembrare più aggressivo. Molti di loro muoiono qui, perché nessuno li sceglie nonostante abbiano fatto anni e anni di rieducazione al centro dove siamo affiliati >>.
Clarke sgranò gli occhi.
<< Anche lui morirà qui? >>.
Gabriella le sorrise chinandosi per arrivare alla sua altezza.
<< Luthor ha ancora parecchia strada da fare, ma non pensare a lui. Oggi stiamo per regalare una famiglia a un cucciolo. Lo hai scelto? >>.
La bambina alzò gli occhi sui genitori. Luthor era il cattivo del suo supereroe preferito, non poteva di certo essere un caso.
<< Possiamo prendere Luthor? >>.
Philip gettò una veloce occhiata prima alla moglie e poi a Gabriella che scosse il capo.
<< No >> disse la donna << In un mese che è stato qui l’unico miglioramento visto è che non ringhia più all’addestratore che lo segue >>.
Quasi stesse comprendendo ciò che si diceva, Luthor alzò la testa verso di loro. E Clarke vide le cicatrici presenti sul suo viso, gli occhi spenti, l’espressione di chi non ha più niente. Era così simile a lei da farla quasi tremare. In quel momento si avvicinò un volontario con un sacco enorme di croccantini con l’intento di terminare il suo giro dei pasti. Entrò nel box del cane quasi senza guardarlo e si piegò per versargli una razione generosa di cibo nella ciotola. A quel gesto, che Luthor interpretò forse come una minaccia, il boxer iniziò a ringhiare e ad abbaiare minacciosamente rimanendo, però, sul posto. Adele afferrò immediatamente la figlia facendola arretrare di qualche passo mentre il volontario si allontanava velocemente. Gabriella lo salutò prima di tornare a rivolgersi alla famiglia Melbourne.
<< Come vi stavo dicendo, c’è ancora parecchio da fare con lui >>.
Adele e Philip cercarono di portare l’attenzione della figlia nuovamente verso i cuccioli, così allegri, dolci, privi di qualunque cattiveria, il cui unico desiderio era ricevere attenzioni, ma capirono subito che Clarke era distante da quella situazione anni luce. I suoi occhi ancora vagavano nel box di Luthor che si era placato.
<< Clarke >> mormorò Adele lasciando che un cucciolo marrone e bianco le leccasse la mano.
<< Anche io ero come Luthor >> disse improvvisamente la bambina senza guardare i genitori << Anche io non permettevo a nessuno di avvicinarsi ma voi mi avete voluta lo stesso. Voi non vi siete fermati alle urla, ai calci, ai silenzi. Mi avete salvata. Perché allora non possiamo salvare anche lui? >>.
Si voltò verso Adele e Philip con quegli occhi enormi attraverso i quali analizzava in modo maturo il mondo. La donna affiancò il marito senza sapere cosa dire. Clarke, come al solito, aveva esposto il suo pensiero in modo semplice e allo stesso tempo brillante facendo notare agli adulti la contrapposizione dei loro gesti. Philip sorrise appena mentre voltava il capo verso Luthor. Era orgoglioso della maturità che dimostrava giorno dopo giorno sua figlia sentendo che era anche un po’ merito suo e degli insegnamenti che le impartiva. Entrambi sapevano di non poter controbattere di fronte a quelle affermazioni, sarebbe stato un controsenso troppo evidente. Si chinò sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi mentre faceva scivolare la sua mano in quella della moglie.
<< Ha detto Gabriella che sarà un percorso lungo, significa che non possiamo portarlo subito a casa >>.
Clarke annuì seriamente e con energia.
<< E tutte le domeniche dovremmo venire qui e seguire la rieducazione con lui >>.
Gli occhi della figlia lentamente iniziarono a illuminarsi.
<< E dovrai essere paziente, rispettare i suoi tempi, dargli fiducia >>.
<< Voi non avete mai mollato con me >> rispose la bambina esibendo uno dei suoi splendidi e luminosi sorrisi.
Adele strinse più forte la mano del marito. Con Clarke tutto era pura emozione, anche la semplice scelta di un cane.
<< Che ne pensi, mamma >> chiese Philip alzando gli occhi sulla moglie << Possiamo farcela? >>.
La donna guardò Gabriella leggendo nei suoi occhi una sorta di ammirazione per la maturità della figlia che la inorgoglì ancor di più.
<< Credo >> rispose << Che ci servirà una cuccia nettamente più grande >>.
Clarke e Philip scoppiarono a ridere nello stesso istante e la risata della bambina fu così genuina e piena di allegria da far sorridere anche l’altra donna.
<< In questo caso >> affermò indicando l’uscita << Credo che avremmo molto di cui parlare >>.
 
Armando Cavalieri era una persona abitudinaria. Gli piacevano la puntualità, l’ordine, la pulizia e la serietà soprattutto nel campo lavorativo. Sua moglie Viola, infatti, rispecchiava tutte queste qualità. Chiederle di uscire e anni dopo sposarsi per lui era stata la cosa più semplice del mondo. Poi era arrivato Edoardo e successivamente Sofia. La sua vita aveva sempre girato in modo ordinario, con poche scosse che lo avevano fatto traballare. Per questo quando nel suo studio dentistico sei mesi prima era entrata Manuela, con quell’allegria contagiosa e la battuta sempre pronta, si era ritrovato a ridere come non aveva mai fatto in vita sua. E questo lo aveva spinto ancor di più verso quella ragazza della stessa età di suo figlio. Quando ci pensava razionalmente, non poteva credere che proprio lui, la persona più dedita alla famiglia e al lavoro, avesse un’amante eppure in compagnia di Manuela dimenticava ogni cosa, anche di avere più del doppio dei suoi anni. Con lei si sentiva vivo come non lo era mai stato, rideva anche per le cose più stupide, cosa che non aveva mai fatto con Viola. Viola, però, era sua moglie, la madre dei suoi figli e voleva continuare il suo matrimonio perché la donna gli dava sicurezza e lo aveva sempre incoraggiato nella sua carriera spronandolo a dare il massimo. Ogni volta che infilava la chiave nella toppa del suo studio, ogni mattina che aspettava i pazienti e che prendeva un caffè con la sua segretaria, si ripeteva che avrebbe smesso con quella droga che aveva l’odore di un famoso profumo di Dior. Ma, ogni altrettanta volta che arrivava l’ora di pranzo e la sua segretaria andava via, non aveva la forza di ribellarsi a quel desiderio sempre più forte che nasceva dentro di sé. E come quasi tutte le giornate da sei mesi, mentre si toglieva il cappotto e poggiava la sua valigetta sulla scrivania, pensò con un sorriso al momento in cui gli sarebbe venuta fame.
 
<< Oddio, Clarke è troppo perfetta e tu troppo fortunata! >> esclamò Elena dopo che Sofia le ebbe raccontato dettagliatamente l’incontro della sera precedente con l’altra ragazza.
Sofia sorrise felice che le cose si fossero aggiustate. La campanella era suonata da qualche minuto ed era abbastanza sicura di vedere nel corridoio arrivare Clarke.
<< E quindi quando vi siete baciate? >>.
A quella domanda Sofia per poco non sbatté contro il banco.
<< Ssssst! >> esclamò tornando indietro << Ma sei pazza a urlare?! >>.
<< Ma non ho urlato >> rispose Elena << Ho usato il mio solito tono. Allora? >>.
<< Te l’ho detto, siamo state interrotte! >> affermò l’altra.
<< Scusa ma dopo la telefonata di tua madre non potevate continuare? Io le sarei saltata addosso! >>.
Sofia inarcò il sopracciglio e stava per risponderle se la sua attenzione non fosse stata attratta da Clarke che, mentre parlava con Lorenzo e Diego, si avvicinava. Si sorrisero nell’istante in cui i loro occhi s’incontrarono.
<< Va beh, vai >> sbottò Elena capendo che non sarebbe riuscita a ricavare altro << Lasciami pure qui a crogiolarmi nei miei dubbi! >>.
Sofia si voltò verso di lei e la baciò sulla guancia prima di allontanarsi. Alzò la mano pronta a salutare Clarke, ma il viso di Claudio le fece morire il sorriso sulle labbra.
<< Sofy! >> esclamò il ragazzo << Posso rapirti un attimo vero, rappresentante? >>.
Sofia incrociò le braccia sul petto fermandosi.
<< Dimmi Claudio >>.
<< La mia classe ha un problema visto dove l’hanno sistemata >> iniziò Claudio.
La ragazza avrebbe voluto davvero prestargli attenzione, però, più lui parlava più l’unica cosa cui riusciva a pensare era il tempo che stava scorrendo e che poteva trascorrere con Clarke. Lentamente diventò il suo unico pensiero. Alzò gli occhi oltre la spalla di Claudio e la vide appoggiata alla parete con aria contrariata. I loro sguardi si incrociarono per l’ennesima volta e Sofia espresse una muta richiesta d’aiuto. A quel segnale, la ragazza si spostò verso di loro e posò una mano minacciosamente sulla spalla di Claudio che, invece, stava continuando a parlare. Il ragazzo girò gli occhi e si interruppe.
<< Lasciala stare per cortesia >>.
Il suo tono era calmo, ma non ammetteva repliche.
<< Ma tu chi cazzo sei? >> esclamò Claudio << Ma togliti! >> aggiunse facendo un gesto con la mano.
Tornò a guardare Sofia giusto in tempo per vedere la sconosciuta che lo aveva appena importunato, afferrarle il polso per trascinarla lontano da lui.
<< Ehi! >> esclamò senza poter fare nulla se non osservare.
Clarke in tutta risposta, alzò il dito medio della mano libera.
Sofia, infatti, non si era lamentata per il gesto della ragazza limitandosi a scrollare le spalle e a fargli un leggero cenno di saluto.
<< Potevi essere un po’ più discreta >> si lamentò la più piccola non appena Clarke si fermò in un angolo delle scale antincendio.
<< Credimi, lo sono stata fin troppo >> rispose l’altra dando un altro morso al suo panino.
Sofia si sporse e fece lo stesso guadagnandosi una spallata benevola da parte di Clarke. Lentamente, poi la sua mano cercò quella di Sofia affinché le loro dita s’intrecciassero.
<< Portati la merenda! >>.
<< Scusa ma stamattina non sono riuscita a fare colazione, Elena era già arrivata ed ero in ritardissimo! >> si fermò un attimo per finire di masticare << Ma che roba ti mangi? È orrendo! >> sbottò facendo una faccia schifata.
<< Ehi, non offendere il mio panino tonno e maionese >>.
Sofia inarcò il sopracciglio.
<< Tonno e maionese, sul serio Kent? >>.
Clarke sorrise mentre dava un altro morso.
<< Buonissimo >> disse subito dopo leccandosi dalle labbra la maionese col chiaro intendo di provocarla.
La più piccola ingoiò un groppo di saliva pensando che non le sarebbe dispiaciuto per niente sapere che sapore avesse in quel momento. Subito dopo, però, scosse il capo. Doveva mantenere un contegno almeno a scuola, era la rappresentante d’istituto dopotutto.
<< Mi sorprende che tu sia così magra nonostante le schifezze che mangi >>.
Clarke si chinò sul suo orecchio.
<< Te la ricordi la regola del tre, sì? >> le sussurrò.
Sofia avvampò e dovette distogliere lo sguardo per evitare che l’imbarazzo prendesse il sopravvento. Si voltò verso il cortile sul quale davano le scale, affollato di studenti, e diede le spalle alla ragazza. Clarke ridacchiò appena di fronte a quella reazione.
<< Piuttosto >> disse cambiando argomento << Chi cavolo è questo Rodolfo che non poteva essere visto da nessuna parte con Giulia? Te lo volevo chiedere anche ieri ma poi… >> fece una pausa cercando le parole adatte << …mi è passato di mente >>.
Clarke finì il suo panino accartocciando la carta e le si mise accanto. Appoggiò i gomiti sulla ringhiera e si guardò intorno svogliatamente. Tutto ciò che voleva era perdersi ancora nel verde degli occhi di Sofia.
<< E’ il suo professore >> rispose tranquillamente << Si sono conosciuti da poco, da quando è iniziata l’università più o meno >>.
La più piccola sbatté le palpebre un paio di volte.
<< Mi stai dicendo che Giulia ha una relazione col suo professore universitario?! >> esclamò sperando di aver capito male.
Ma vedere Clarke che si stringeva nelle spalle come se fosse una cosa normale, mandò in fumo le sue speranze.
<< Sì, perché urli? >>.
<< Perché, ti sembra una cosa normale? >>.
<< Si sono solo innamorati >> mormorò Clarke confusa dal suo tono.
<< Innamorati? >> ripeté Sofia non potendo credere che l’altra non la capisse << Ma se è un professore universitario sarà un settantenne bavoso che… >>.
<< Veramente è il più giovane della facoltà di Ingegneria >>.
<< Oh, smettila di difenderli! È eticamente sbagliato stare col proprio professore di corso! >>.
<< Ma ti pare che, se Giulia avesse potuto scegliere, non avrebbe preferito uno della sua età senza dover usare tutte queste precauzioni per vedersi? >> sbottò Clarke.
Per lei era così semplice che non comprendeva come facesse Sofia a non capire.
<< Clarke, è sbagliato. Mi meraviglia che non la pensi come me >>.
<< Quindi secondo te anche io sarei sbagliata? >>.
<< Cosa stai dicendo adesso! >> esclamò la più piccola voltandosi verso di lei di scatto << Ovvio che no! Tu, poi, non c’entri niente in questa cosa. Si parlava di Giulia e del suo professore >>.
<< No, il punto della discussione è un altro >> rispose Clarke seriamente << Credi davvero di poter catalogare l’amore in un unico tipo di relazione? Perché in questo caso, anche il nostro rapporto è eticamente sbagliato >> concluse usando le sue stesse parole.
Sofia si sentì punta dalle sue parole e si domandò come facesse l’altra a far apparire sempre tutto sbagliato quello che diceva. Si schiarì la voce prima di parlare.
<< Non sto dicendo questo, lo sai. Altrimenti non staremmo qui a parlare! Che diavolo, Kent! Non puoi dirmi che è normale avere una relazione con un professore! Avrà più del doppio dei suoi anni! >>.
Inaspettatamente Clarke le si mise di fronte, poggiando le mani sulla ringhiera e immobilizzando Sofia.
<< Facciamo così >> disse guardandola negli occhi << Diciamo che non è consuetudine, okay? Ma non dire mai più che è sbagliato >>.
Si fissarono per qualche istante in silenzio in cui Sofia comprese quanta paura avesse l’altra, sotto quella corazza che mostrava con orgoglio e ostentazione, di essere giudicata negativamente. Le posò una mano sulla guancia sorridendo. Venne inghiottita immediatamente dall’azzurro delle sue iridi e tutto il resto perse di importanza.
<< Va bene >> rispose infine << Sei bellissima >> aggiunse.
Era un suo pensiero e lo disse ad alta voce ancor prima che potesse rendersene conto. Arrossì immediatamente abbassando lo sguardo.
<< Scusa, io… >>.
<< Anche tu lo sei >> la interruppe Clarke prima di darle un bacio sulla guancia.
Sofia sarebbe potuta arrossire ulteriormente se non fossero arrivati Lorenzo e Diego che cercavano la loro amica.
<< Clarke! >> esclamò Lorenzo battendole una mano sulla spalla << Oh, rappresentante. Buongiorno >> aggiunse facendo il suo solito inchino. Fu immediatamente imitato dal fratello << Ti abbiamo cercato dappertutto! >>.
Sofia roteò gli occhi. Quella storia sarebbe durata fino alla fine dell’anno sicuramente.
<< Ero impegnata >> rispose semplicemente Clarke voltandosi completamente verso gli amici.
<< Eh, ce ne siamo accorti! >> fece Diego << Dobbiamo raccontarti una cosa importantissima! >>.
La ragazza arrossì di fronte alle parole del ragazzo e pensò che per i gemelli la loro frequentazione era una cosa normalissima. La cosa le fece piacere. Clarke guardò Sofia che si strinse nelle spalle.
<< Andate, non ne voglio sapere niente >> disse << Ma se scopro che avete provocato qualche altro danno, io… >>.
<< Grazie rappresentante! >> esclamò Diego non permettendole di terminare << Vieni Clarke, tra un po’ suona anche! >>.
Clarke si voltò verso l’altra dopo aver mosso un paio di passi.
<< Vieni a studiare da me oggi pomeriggio, ti aspetto! >>.
E si allontanò senza darle il tempo di dire niente.
 
Clarke guardò per l’ennesima volta l’esercizio di matematica che aveva svolto e poi il risultato sul libro e sbuffò sonoramente. S’infilò la penna tra i capelli e allontanò la sedia dal tavolo.
<< Problemi? >> chiese Sofia che stava studiando geografia astronomica.
<< Odio la matematica >> si lamentò la maggiore alzandosi << Vado a prendere una coca, ho bisogno di una pausa. Vuoi qualcosa? Ti ho comprato il succo all’ananas >>.
Sofia le lanciò la matita a quelle parole prima di scoppiare a ridere.
<< Sei un’idiota, Kent >> rispose << Io vorrei qualcosa di caldo >>.
<< Tè? >>.
L’altra annuì.
<< Limone o vaniglia? >>.
<< Vaniglia? >> ripeté Sofia interdetta.
<< Non lo hai mai assaggiato? È il preferito di Diana >>.
<< Vada per il classico allora >> disse Sofia irrigidendosi leggermente.
<< Sicura? Perché… >>.
<< Kent! >>.
<< Vado a mettere l’acqua sul fuoco >> affermò Clarke sparendo velocemente.
Sofia approfittò di quei pochi attimi che aveva da sola per guardarsi intorno. Si erano sistemate in camera della diciannovenne intorno alla scrivania, e avevano parlato molto poco. Clarke aveva un metodo di studio invidiabile, le bastava leggere sul libro per ricordarsi tutto. A malapena sottolineava con la matita o la penna. Sofia, invece, aveva bisogno di segnare sul suo quaderno i punti fondamentali, costruendo così degli schemi di ogni argomento. Fortunatamente nessuna delle due aveva bisogno di ripetere ad alta voce. Sorrise mentre si alzava in piedi per stiracchiarsi. Anche se non lo avrebbe mai detto ad alta voce, adorava la stanza di Clarke. Rappresentava perfettamente quello che era e che amava. Passò un dito sulla collezione di Dylan Dog cartonati pensando che sua madre li aveva sempre catalogati come un dilettevole sollazzo senza comprendere appieno che studio e che significato ci fosse alle spalle di una storia come Sette anime dannate o Johnny Freak. Lei aveva sempre adorato il vecchio Dylan Dog, quando ancora non era così commerciale e scaduto. Prima che lo facessero diventare quasi un supereroe che salva la sua bella in difficoltà. Su una mensola in alto notò un porta-ritratto. Si alzò sulle punte per poterlo prendere e osservare da vicino. Sorrise nel vedere una Clarke ragazzina che sorrideva all’obiettivo affiancata da quelli che dovevano essere i suoi genitori.
<< A che pensi? >> le chiese Clarke apparendo sulla porta e facendola voltare di scatto.
In una mano stringeva una tazza fumante mentre nell’altra una lattina di coca-cola. Sulla spalla aveva appoggiato un canovaccio pulito. Sistemò tutto in un angolo della scrivania e la affiancò prendendole dalle mani la fotografia. Sorrise tristemente per un attimo prima di rimetterla dov’era.
<< I tuoi genitori hanno sempre appoggiato le tue passioni, sei stata fortunata >>.
<< Sono stata fortunata per un altro motivo >> rispose la ragazza aprendo la lattina << Loro mi hanno scelto >>.
Sofia ridacchiò.
<< Scelto? Non si scelgono i figli, esattamente come non si scelgono i genitori >>.
Si specchiò negli occhi di Clarke trovandoli stranamente luminosi e lucidi. Come se stessero brillando.
<< Per noi è stato così. Noi ci siamo scelti >>.
<< In che senso? >> chiese l’altra incapace di staccare lo sguardo dalla sua figura.
Clarke fece un respiro profondo mentre la sua mente si riempiva dei ricordi di quando aveva conosciuto quelli che poi sarebbero diventati i suoi genitori.
<< Sono stata adottata quando avevo nove anni >> rivelò << Loro mi hanno scelto tra cento bambini dell’istituto. E io sarò sempre grata per avermi salvata >>.
Sofia era completamente senza parole per quella rivelazione. Clarke era stata adottata, aveva vissuto in un orfanotrofio fino a nove anni senza nessuno che si prendesse cura di lei. Pensò alla sua famiglia, normale, scontata, quasi noiosa. Per Clarke non doveva essere stato così semplice.
<< Mi dispiace, io non… >>.
La ragazza le rivolse un sorriso che avrebbe potuto illuminare la stanza da sola. Era sempre così quando si trattava dei suoi genitori. Loro erano speciali per lei.
<< Non potevi saperlo, è una cosa che sanno solo i miei amici. Non amo parlare della mia vita privata, soprattutto di quando vivevo a Sidney >>.
<< Quindi… i tuoi genitori naturali… >>.
<< Elisabeth >> precisò Clarke indurendo il tono della voce. Certe cose era meglio metterle in chiaro subito << La donna che mi ha messo al modo è morta quando avevo sei anni. Overdose >>.
C’era stata un’unica occasione in cui aveva pensato a lei come sua madre, in memoria dei pochi ricordi belli che avevano condiviso nei suoi primi anni di vita, ma che, col tempo apparivano sempre più sbiaditi. Adele era la sua vera madre, quella che l’aveva voluta quando il resto del mondo le gridava di lasciar perdere. A lei e a Philip doveva la sua salvezza, la sua intera vita, la sua felicità. Elisabeth e uno sconosciuto l’avevano concepita, ma essere genitori era ben altra cosa. Sofia la osservò per un solo altro secondo prima di abbracciarla con slancio. Le gettò le braccia intorno al collo e strinse mentre sentiva Clarke contraccambiare e fare un respiro profondo. Avvertì come il suo cuore, che stava battendo freneticamente nel petto, lentamente scemasse fino a regolarizzarsi. Le aveva rivelato una cosa del suo passato importantissima e Sofia voleva farle comprendere quanto avesse apprezzato la fiducia che riponeva in lei. Immaginava che non fosse una cosa che raccontasse a chiunque e lo apprezzò. Quando si sciolsero, Clarke aveva gli occhi lucidi. Sofia le accarezzò una guancia sorridendo, come se volesse rassicurarla. Non era mai stata brava nel dire o fare la cosa giusta, ma con l’altra ragazza tutto le veniva naturale. Clarke posò la propria mano su quella di Sofia abbassando lievemente la testa sotto il suo tocco e socchiuse gli occhi.
<< Sto bene così >> le disse semplicemente.
L’ennesimo sorriso si allargò sulle labbra della più piccola.
Clarke era così diversa da Claudio che il solo paragonarla a lui pareva blasfemia. Era gentile, dolce e soprattutto non correva. Anzi. Entrambe sembravano camminare sulle punte per rispettare i propri tempi e quelli dell’altra. E a Sofia questo metteva molta sicurezza.
<< Dovremmo rimetterci a studiare >> mormorò appena Clarke.
<< Già >> rispose l’altra.
Ma nessuna delle due si muoveva.
 
Fu Diana ad aprire la porta di casa catapultandosi tra le braccia di Clarke che ancora si stava slacciando il casco.
<< Ehi, calma tigre! >> esclamò la ragazza scoppiando a ridere << Mi sono persa qualcosa? >>.
<< Ho una brutta notizia e una bella >> rispose Diana << Quale vuoi per prima? >>.
<< La brutta >> affermò Clarke chiudendo la porta e seguendola nel salone. Sorrise nel vedere Emilio arrostire la carne sul camino assistito da Matteo << Buonasera a tutti! >>.
<< Ciao Clarke! >> salutò il fratello di Diana imitato subito dopo dal padre << Luthor? >>.
<< A casa, non l’ho sceso con questo freddo >>.
Emilio annuì.
<< Hai fatto bene >> disse << Questa sera, poi, fa particolarmente freddo >>.
I due fratelli si guardarono con aria complice.
<< Non glielo hai ancora detto? >> domandò il ragazzo.
Diana si strinse nelle spalle.
<< Ha detto che vuole prima la brutta notizia >>.
<< Oh, va beh >> ribatté Matteo strizzandole l’occhio << Non appena le dirai la bella, urlerà così forte che lo saprò anch’io >>.
<< Ma di cosa state parlando voi due? >> esclamò Clarke che odiava essere ignorata soprattutto quando era presente.
Diana la spinse al piano superiore e successivamente nella sua camera. Chiuse la porta alle sue spalle e le si gettò nuovamente addosso non appena Clarke si fu tolta il giubbotto.
<< Ho il mio primo esame scritto! >> gridò con una nota isterica nella voce << Il ventidue, appena prima di Natale! >>.
<< Questa sarebbe la cattiva notizia? >>.
La ragazza le diede una pacca bonaria sulla spalla senza sciogliersi dalla sua presa.
<< Certo, ho già l’ansia! Non so niente, Clarke! Verrò sicuramente bocciata! Parliamo di analisi! >>.
Clarke scoppiò a ridere mentre le accarezzava una ciocca di capelli che era scivolata via dallo chignon che Diana si era fatta.
<< Sei sempre stata bravissima >> la rincuorò << Adesso spara la bella >>.
Diana si prese ancora qualche secondo prima di parlare.
<< Domenica adotteremo un cane! >> esclamò tutto d’un fiato.
<< Cosa? >> ripeté Clarke con un sorriso enorme sul viso << E’ fantastico! >>.
<< Sì! Papà si è finalmente convinto grazie a Matteo che sta portando buoni voti a scuola e mamma ha già compilato il questionario nel pomeriggio! >>.
<< Cazzo, Gabriella sarà felicissima! >> disse l’altra << Avete già scelto? Io sono innamorata persa di Aisha e… >>.
<< Matteo vorrebbe un maschio, ma non ci siamo ancora pronunciati perché verrà a vederli da vicino domenica. A me sarebbe piaciuto Fortunato o Neve, uno dei vecchietti insomma. Ma Gabriella, andando contro i suoi interessi, ci ha consigliato di prendere un cane giovane essendo la nostra prima esperienza. Soprattutto per mio fratello >>.
<< Farete una cosa bellissima qualunque cane sceglierete >> rispose Clarke con un sorriso enorme << Ecco perché Matteo era così contento! >>.
<< Non sta nella pelle, lo ha sempre desiderato >>.
<< Ho sentito urlare >> proruppe Matteo entrando nella camera della sorella << Allora glielo hai detto? >>.
Diana gli lanciò contro il suo quaderno degli appunti lasciato sul letto come prima cosa che le capitò sottomano.
<< Quante volte ti ho detto che devi bussare?! >>.
<< Sei contento, eh Mat? >> domandò Clarke spettinandogli il ciuffo.
<< Tu che dici, Clarke? Sarà il fratello di Luthor! >>.
<< Calmino >> s’intromise Diana << Papà ha detto di rimanere nella taglia media >>.
<< Luthor crede di essere un pincher! >>.
Tutti e tre scoppiarono a ridere prima che Matteo uscisse richiamato dal padre.
<< Domenica Clarke! >> esclamò correndo poi di sotto.
Le due ragazze si guardarono per un attimo in silenzio, incatenando i loro occhi ridenti per lo stesso motivo; poi Diana si sfilò il cellulare dalla tasca.
<< Lo dico anche agli altri >> disse aprendo l’applicazione per inviare un vocale.
Clarke la affiancò e le risposte di Giulia e Marco non si fecero attendere. Ognuno di loro diceva il nome del cane che avevano più a cuore e che ancora era in cerca di casa.
<< A te, invece, com’è andata? >> chiese Diana tra un messaggio e l’altro.
Il sorriso dell’amica le fece comprendere che era stata bene in compagnia di Sofia. Le aveva detto di averla invitata a studiare da lei e inconsciamente aveva sperato che avesse potuto avere un nuovo screzio.
<< Sto bene con lei >> rispose con calma Clarke << Le ho anche detto di essere stata adottata >>.
<< Beh, bene >> affermò in modo un po’ troppo brusco Diana. Si sedette sul letto aspettando che l’altra la imitasse, ma la ragazza, invece, rimase ferma addossata alla libreria << La quattrorchietta non è rimasta sconvolta? >> aggiunse incapace di trattenersi << Tutto okay? >>.
<< Mi piace davvero, D >> continuò come se parlasse più a se stessa che all’amica << E non chiamarla così! >>.
<< Sì, me lo hai detto più di una volta >> ribatté Diana cercando di stemperare il fastidio che provava. Rise appena provando a non apparire isterica << Cosa c’è, quindi? >>.
Clarke si strinse nelle spalle.
<< Probabilmente sono solo io che mi sto facendo troppe pippe mentali >>.
Diana allora allargò le braccia senza dire niente e aspettò che l’altra ragazza la raggiungesse. La abbracciò mentre con le dita le accarezzava i capelli. Sapeva quanto la rilassasse quel gesto. Le diede un bacio sulla tempia e attese ancora. Le labbra di Clarke s’incresparono in un sorriso mentre tutti i muscoli della schiena si distendevano.
<< Sono stata felice di averglielo detto >> precisò << Mi sono sentita meglio dopo però… >> fece un respiro profondo fissando un punto indefinito davanti a sé << …poi ho pensato a Luna >>.
La mano di Diana si fermò per un attimo nel sentire quel nome.
<< Ah >> disse senza sapere cos’altro aggiungere.
<< Non so perché >> mormorò Clarke << Ho pensato solo che lo avevo detto anche a lei e guarda com’è finita. Io non… >> si mosse leggermente tra le braccia dell’amica, ma Diana le impedì di sgusciare via << …mi è venuta in mente. Anche la situazione, mi ha ricordato tanto Luna >>.
<< Adesso non ci pensare >> le disse Diana senza smettere di accarezzarla << Lo sai che qui sei al sicuro, no? >>.
A quelle parole, la presa di Clarke sul braccio dell’altra aumentò come se avesse bisogno di sentirselo dire. Annuì brevemente senza dire nulla e Diana le baciò nuovamente la tempia.
<< Non correre >> aggiunse poi << Se non te la senti, non fare niente. Non c’è nessuno che ti mette fretta. Anzi. Prenditi tempo, magari allenta un po’ la presa >>.
Clarke annuì ancora mentre metabolizzava tutto quello che stava sentendo, provando anche a darne un senso. Il consiglio di Diana le parve giusto, non poteva buttarsi in una nuova relazione se nel mentre pensava alla sua ex. Solitamente ormai non capitava più che le riaffiorasse nella mente, aver rivisto il suo viso nei suoi ricordi l’aveva destabilizzata.
<< Ragazze! >> urlò improvvisamente Antonella dal piano di sotto << Si cena, forza! >>.
Si sciolsero dall’abbraccio e Clarke sorrise nell’incontrare lo sguardo di Diana.
<< Senza la mia migliore amica non riuscirei mai a raccapezzarmi in certe situazioni >> disse alzandosi in piedi.
La ragazza contraccambiò il sorriso.
Vorrei che riuscissi a vedermi come ti vedo io, Clarke.

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Capitolo 18
*** 18 ***


 
<< Vieni da zia principessa! >> esclamò Luna allungando le braccia verso la nipotina.
Ginevra ormai correva e s’infilava ovunque le fosse possibile per la gioia di Danila e Giovanni. Vederla così vispa e vivace, curiosa verso il mondo era, però, una ricompensa appagante per entrambi i genitori nonostante la stanchezza. Ginevra allungò le braccia paffute verso la ragazza che scoppiò a ridere nel vano tentativo di liberarsi dal passeggino.
<< Aspetta, zia ti prende >> le disse sorridendo.
E Ginevra rise mostrando uno dei suoi sorrisi meravigliosi.
<< Devo prendere il bigliettino per essere salutata da mia sorella? >> scherzò Danila.
Luna prese in braccio la bambina dandole un bacio sulla guancia e solo allora si voltò verso la donna.
<< Ciao Dany >> salutò << Lo sai che la principessa viene sempre prima di tutti >>.
Danila alzò le mani in segno di resa e subito dopo tornò ad appoggiarle al passeggino vuoto.
<< Sicura di non avere nessuna lezione stamattina? >>.
Luna annuì.
<< Nessuna importante >> rispose lasciando che Ginevra le sfilasse gli occhiali da sole e afferrandoli prima che li gettasse per terra << Non mi sarei mai persa una passeggiata con voi >>.
<< Ne ho approfittato vista la bella mattinata >> affermò Danila osservando l’orizzonte.
Dal lungomare di Mergellina il panorama era bellissimo. Il mare era calmo e il sole illuminava e scaldava i loro corpi nonostante il mese di dicembre. Era la giornata perfetta per una passeggiata. Infatti, non aveva perso tempo non appena era uscita da scuola. I genitori di Giovanni le avevano fatto trovare Ginevra pronta e subito dopo aveva pensato di telefonare alla sorella la quale, felice, si era fiondata da loro.
<< Stefano mi ha detto che questo fine settimana pioverà come se non ci fosse un domani >>.
Danila annuì mentre continuavano a camminare.
<< Sì, ho visto anch’io le previsioni stamattina durante la colazione. Per questo ne ho voluto approfittare >>.
Luna mise a terra la nipote tenendola per mano e si guardò intorno. Danila la osservò così presa dalla bambina e pensò che era tutto merito di Clarke se la sorella avesse messo la testa a posto.
<< Hai più rivisto Clarke? >>.
Nel sentire quel nome, Luna si bloccò per un attimo prima di tornare a prestare attenzione a Ginevra.
<< Mezza volta >> disse ricordando il suo incontro fuori Stairs Coffee << E no >> aggiunse vedendo che l’altra stava per parlare << Non è andata bene >>.
<< So che ti apparirò monotona, ma, Luna, non puoi forzarla a vederti se non vuole >>.
Luna chinò appena la testa.
<< Lo so >> ammise << Vorrei solo che ammettesse di essere ancora innamorata di me come io lo sono di lei >>.
<< E… se non lo fosse? >> chiese Danila con semplicità << Se non fosse più innamorata di te? È passato un anno, Luna. Non potrebbe vedersi con un’altra? >>.
Quelle parole ebbero l’effetto di un pugno in pieno viso. Luna sentì il respiro mancarle per l’intensità del dolore che provò e si voltò di scatto verso la sorella.
<< Non è possibile! >> esclamò trattenendo a stento il prurito che sentiva alle mani.
Danila le sorrise dolcemente accarezzandole una guancia. Poi sollevò Ginevra per rimetterla nel passeggino. Quando si parlava di quella ragazza, venivano fuori tutte le paure e le insicurezze della vera Luna. Perché Luna non era ciò che si era costruita, ma solo quello che Clarke aveva trovato e portato in superficie. Prima di lei, la sorella non aveva idea di cosa fossero i legami autentici, veri e costruiti su delle certezze.
<< Non ci hai pensato o non ci vuoi pensare? >>.
<< La sua mano ha tremato quando mi ha sfiorato, questo significa che è innamorata di me! Deve pur significare qualcosa! >> fece Luna << Lei non mi ha dimenticata >>.
Di nuovo Danila le sorrise. Su quell’argomento era così ostinata che insistere sarebbe servito solo a farla impuntare maggiormente. Eppure, da sorella maggiore, doveva farle vedere tutte le varie opzioni. Osservò Luna rimuginare sulle sue parole, serrare la mascella e guardarsi nervosamente le mani. Provò a cambiare argomento, le raccontò aneddoti simpatici e divertenti che le erano capitati a scuola e la sorella parve rilassarsi leggermente, quel tanto che bastava per non farla scoppiare. Chiacchierarono di argomenti leggeri, di alcuni clienti del negozio di Giovanni, dello studio e Luna riuscì perfino a ridere. Danila, allora, si fermò e sorrise.
<< Dovresti ridere sempre >> le disse << Sei davvero bella quando lo fai >>.
Luna arrossì colta alla sprovvista dal complimento; poi guardò l’ora.
<< Dobbiamo andare >> affermò notando come Ginevra si stesse innervosendo << La principessina inizia ad avere fame >>.
Danila si limitò ad annuire lasciandosi aiutare dalla sorella a sistemare la figlia in auto.
<< Hai lezione ora? >> le domandò dopo aver abbassato il finestrino.
<< Sì >> mentì Luna mandando un bacio alla nipote seduta all’interno del seggiolino.
<< Luna >> la riprese Danila comprendendo la bugia semplicemente dal tono << Non avventarti su di lei adesso, peggioreresti solo le cose >>.
La ragazza non rispose e aspettò di veder partire la sorella prima di dirigersi verso la sua automobile, parcheggiata pochi metri più in là. Controllò l’ora per l’ennesima volta e s’infilò al posto del guidatore. Mettere in modo, sintonizzare il suo cellulare al computer della macchina e guidare fin fuori il liceo Vico, fu un attimo. Durante il tragitto, continuò a ripetersi che le parole di Danila non avevano senso, Clarke non poteva essersi innamorata di un’altra ragazza. Non poteva aver dato così poco peso alla loro storia. Si fermò notando che la maggior parte dei ragazzi era andata via e che pochi erano quelli che ancora si attardavano a chiacchierare o a camminare in gruppi. Chiuse gli occhi facendo un respiro profondo e, quando li riaprì, la figura della ragazza in sella alla moto le frecciò davanti. Ancor prima di rendersene veramente conto, iniziò a seguirla. Dal tragitto che fece, Clarke stava sicuramente tornando a casa. E mentre era dietro di lei e osservava i lunghi capelli biondi oscillare al vento, pensò che nessuna sarebbe potuta essere più importante. Clarke le aveva insegnato tutto, era merito suo se era riuscita a dare un senso alla sua vita. E, soprattutto, se oggi poteva godersi quel gioiello di sua nipote. Erano quasi arrivate sotto il cancello della villa dei Melbourne, quando Clarke si fermò accostando la sua moto sul ciglio della strada. Luna la imitò e si slacciò la cintura di sicurezza scendendo. L’altra si tolse il casco con foga e rabbia. Si era accorta che la ragazza la stava seguendo e per lunghi minuti aveva sperato di vederle prendere una direzione diversa.
<< Mi stavi seguendo? >> le urlò << Ma come cazzo ti viene in mente, Luna? >>.
Si guardarono negli occhi e il pensiero che fosse bellissima le saettò nella mente senza che potesse fare niente per impedirlo. Scosse il capo cercando di rimanere calma. Luna, invece, non provò nemmeno a nascondere la rabbia e la frustrazione che provava in quel momento. Le si avvicinò sentendo il cuore iniziare a batterle più forte nel petto.
<< Te la fai con un’altra? >> le chiese urlando.
Clarke sgranò gli occhi nel sentire la sua richiesta. Come faceva a saperlo? Non che avesse mai pensato di nascondersi, ma il pensiero di avere quella conversazione non l’aveva mai sfiorata.
<< E’ così?! >> continuò Luna << Cazzo, chi è? Chi?! >>.
Nella foga la spintonò con una mano e Clarke arretrò di qualche passo. L’altra si massaggiò la parte come se bruciasse e tornò a guardarla non potendo farne a meno. Lo sguardo di Luna fiammeggiava, sembrava che potesse esplodere da un momento all’altro. Inghiottì un groppo di saliva mentre serrava le mani in pugni e s’imponeva di respirare. Perché, da quando la ragazza era scesa dalla macchina, non riusciva a non pensare ad altro se non a quanto fosse vera e sincera quella rabbia. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
<< Dimmi chi è! >> urlò ancora Luna << E’ Diana? >>.
L’espressione stupita che assunse l’altra permise alle lacrime di non cadere.
<< Come cazzo ti viene in mente? >> le rispose finalmente << No, ovvio che non è Diana! >>.
<< Ma non lo stai negando! >>.
Le lacrime rigarono le guance della maggiore con forza, come se fossero dei solchi indelebili. Perché quella muta rivelazione faceva davvero male.
<< Non sono cazzi tuoi Luna! Tu mi hai presa in giro, la fine della nostra storia è solo colpa tua! >>.
<< E mi dispiace! Non so più in che modo dirtelo! Ho avuto paura, paura Clarke! Non ho mai avuto la famiglia perfetta che avevi tu, ho avuto paura di essere rifiutata più di quello che già ero >>.
Adesso piangevano entrambe e le lacrime andavano a bagnare i loro vestiti. Luna non indossava il giubbotto, ma semplicemente una camicia con un cardigan di lana lasciato aperto, jeans e stivaletti scuri. I ricci sciolti, erano scomposti e spettinati per l’agitazione. La sua espressione era un mosaico di emozioni. Clarke poteva leggerle tutte come se fosse un libro aperto e si ricordò di quante volte avesse amato farlo.
<< Vattene >>.
Luna s’irrigidì di fronte a quella frase.
<< Credevo che non fosse così facile accantonare la nostra storia. Tu pensi già a un’altra! >>.
Clarke non aveva mai saputo mentire, le bugie le si erano sempre lette in faccia. E Luna in quel momento poteva vedere chiaramente l’indecisione sul suo viso, come si mordeva le labbra a disagio.
<< Smettila, smettila! >> gridò la più piccola muovendo qualche passo nella sua direzione << Non sarà mai facile mettere da parte la nostra storia, ma io devo andare avanti altrimenti rischio di impazzire! Ho bisogno di innamorarmi di nuovo e di non essere presa in giro! >>.
<< Ma io ti amo >>.
Bastò quella frase per mandare in subbuglio il cervello di Clarke. Il tono di Luna era lieve come una carezza, un tenue raggio di sole del mattino, un qualcosa da essere appena percepito eppure così vero e reale da fare paura. Non stava mentendo, da quando aveva scoperto il suo doppio gioco aveva smesso di farlo. Tremò per il freddo che provava dentro, per quello che la ragazza le smuoveva nonostante fosse un anno che non la vedeva. Aveva trascorso mesi a odiarsi per come si era lasciata manipolare, ma in quegli stessi mesi era stata anche così felice che sarebbe stato stupido ammettere di esserlo di nuovo come prima. Non avrebbe iniziato a mentire. La guardò e, tra le lacrime che le scendevano copiose, sul suo viso poté intravedere un leggero sorriso, un qualcosa di appena accennato. Era triste come tutta la sua figura, però aveva lo stesso un qualcosa di meraviglioso.
Eppure non poteva perdonarla. Non riusciva a dimenticare la scommessa con gli amici, la sua finzione, tutto quello che era seguito dopo. E soprattutto la morte di sua madre. Come poteva dimenticare quel giorno? Era ridotta uno straccio per colpa sua, per quello che le aveva fatto. Una rabbia improvvisa le montò dentro così forte da farla sussultare.
<< Ti ho detto di andartene! >> urlò con un rinnovato furore << Cazzo, vattene! >>.
<< Clarke, io… >>.
<< Non ti voglio più ascoltare e non voglio più vederti! Mia madre è morta e questo non cambierà mai! Mai! Non si può tornare indietro per rimediare agli sbagli, sarà sempre e solo colpa tua! >>.
Mentre lo diceva sapeva non essere completamente vero. Perché, se Adele era morta quella sera, era anche colpa sua. E si odiava per aver permesso a Luna di avere tutto questo potere su di lei. Si voltò con foga e cercò il telecomando nella tasca del giubbotto per aprire il cancello. Luna non la fermò, non provò nemmeno a chiamarla. La vide montare sulla sua moto con foga, piena di rabbia e sperò solo che in quello stato non facesse alcun danno.
 
Era stato facile chiamare Diana e dirle di andare immediatamente a casa sua. L’amica aveva mollato qualunque cosa stesse facendo per correre da lei. Perché bastava una sola parola per farle capire che aveva bisogno del suo corpo e Clarke, in quella chiamata, ne aveva dette fin troppe. Aveva compreso molto poco, ma era certa di aver udito il nome di Luna più di una volta. E quello l’agitava parecchio. Perché se si fosse trattato di un litigio con Sofia, Clarke non sarebbe stata così agitata. Luna, invece, era in grado di mandarla in tilt. Quando era entrata in casa, la ragazza era completamente fuori controllo. Aveva gettato per terra un vaso di vetro che era andato in frantumi e si era accanita sul centrotavola della cucina. La ceramica rotta le aveva tagliato il palmo della mano destra che sanguinava lasciando gocce di sangue sulle piastrelle della penisola. Diana le si era avvicinata chiamandola varie volte, ma per l’altra era come se non esistesse. Eppure le aveva lasciato la porta di casa socchiusa.
<< Clarke! >> esclamò per l’ennesima volta alzando il tono della voce e afferrandole un braccio.
Clarke si voltò di scatto, gli occhi vitrei di lacrime e rabbia che fecero tremare Diana. Quella situazione le ricordò il periodo buio che l’amica aveva passato dopo la morte della madre e ingoiò un groppo di saliva. Non doveva accadere di nuovo, non avrebbe sopportato di vederla nuovamente a pezzi. Col suo corpo aveva evitato che potesse succedere qualcosa di peggiore, poteva farlo di nuovo. Abbassò gli occhi sulla mano ferita della ragazza e subito dopo tornò a fissarla. Avrebbe voluto dirle tante cose, avrebbe voluto urlarle di non ripetere gli stessi errori, ma tutte le parole le morirono in gola quando Clarke si fiondò sul suo collo mordendolo. Ansimò inaspettatamente e gemette per il dolore che le aveva procurato. Però l’amica parve non preoccuparsene, in quel momento la sua mente non poteva essere raggiunta. Le sfilò il maglioncino che indossava con rabbia e con quella stessa ira le strappò la camicia che aveva sotto. Due bottoni saltarono dalle asole, ma nessuna delle due se ne preoccupò. Clarke era una maschera di dolore e angoscia, completamente estraniata dal mondo che la circondava. Diana riuscì appena a sfiorarle una ciocca di capelli prima che le labbra dell’altra si posassero nuovamente sul suo collo. Gemette ancora mentre un fiotto caldo si faceva strada nel suo basso ventre. Allungò una mano verso la maglietta che indossava l’amica per togliergliela, ma le fu impedito dalla presa sicura di Clarke. Con un dito le accarezzò il profilo del reggiseno, soffermandosi sulla coppa e sulla stoffa che indossava Diana. Ingoiò un groppo di saliva mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Era sempre stato così tra loro; Diana leniva il dolore che gli altri le procuravano. Con la lingua andò di nuovo sul suo collo, sentendo la vena pulsare e la pelle arrossarsi lì dove aveva morso con forza. Eppure Diana non la fermava mai. Stava per darle un bacio sulle labbra, quando i loro sguardi s’incrociarono. Annegò nell’oscurità delle sue iridi e, mentre era nel più completo buio, l’unico colore che riuscì a distinguere fu il verde. E quello la portò inevitabilmente a pensare agli occhi di Sofia e alle sue mille sfumature. Inghiottì a vuoto mentre il suo viso si sovrapponeva a quello di Diana. L’amica si allungò verso di lei per poterla baciare con un leggero sorriso sulle labbra, ma Clarke si sottrasse.
<< Io… >> mormorò mentre era ancora circondata dal verde << …non possiamo… >>.
Diana le sorrise mentre le accarezzava una guancia.
<< Lo abbiamo sempre fatto >> le sussurrò << Dopo starai meglio >>.
Clarke si ritrovò ad annuire nel sentire le braccia di Diana stringerla. Era un porto sicuro, eppure qualcosa la disturbava. Si specchiò di nuovo nei suoi occhi scuri mentre il verde lentamente scompariva, e si sentì a disagio per la prima volta.
<< D >> disse semplicemente abbassando lo sguardo sulle sue mani. Un senso di sporco improvvisamente la investì << …no… >>.
<< Cosa? >>.
Clarke scattò in piedi dandole le spalle. Diana la osservò non comprendendo il suo disagio. Le cose tra loro erano sempre andate così, cosa le prendeva adesso?
<< Diana, stiamo sbagliando! >> esclamò la ragazza voltandosi di botto per guardarla ancora una volta negli occhi << Noi non… io non… >>.
Si rannicchiò sulle ginocchia poggiandovi sopra la fronte mentre le lacrime facevano nuovamente capolinea sulle sue guance. Diana allora cercò di coprirsi meglio che poteva e le si avvicinò.
<< Clarke… >> sussurrò con voce incerta.
Clarke alzò lo sguardo e Diana poté vedere quanto fosse disperata e smarrita. Si chiese cosa le si stesse agitando dentro, avrebbe voluto farle molte domande, ma l’altra non sarebbe stata in grado di risponderle. Era come se improvvisamente si fosse resa conto di quello che faceva quando era in preda all’ansia e all’agitazione. E adesso pareva che volesse smettere. Le mancò il fiato a quella considerazione.
<< Ehi >> disse con gentilezza mentre si chinava sul suo viso << E’ tutto a posto, tranquilla >>.
L’amica si limitò ad annuire dopo aver inghiottito un groppo di saliva.
<< Mi dispiace, D >> mormorò con un filo di voce << Non posso più comportarmi così. Non è giusto >>.
Diana le baciò una tempia mentre le si accoccolava vicino stringendosi contro il suo braccio.
<< Respira, Clarke >> le rispose << Respira >> ripeté accarezzandole una ciocca di capelli.
Sentì lentamente il respiro della ragazza regolarizzarsi e poggiare pigramente il capo su quello dell’amica.
<< Non succederà niente che tu non voglia >>.
<< Lo so >> disse infine Clarke sottovoce senza guardarla.
Si sentiva in colpa nei confronti di Diana, era sempre stata al suo fianco per condividere anche quelle sue angosce, ma come poteva continuare a comportarsi normalmente quando il suo cuore le saltava in gola al solo pensiero di Sofia? Era la prima volta che le capitava di sentirsi circondata dal verde dei suoi occhi, come se potessero lenire tutto da soli.
<< Mi dispiace >>.
Diana accennò un sorriso mentre poggiava la schiena contro il muro. Rabbrividì per il freddo che avvertì in netto contrasto col corpo dell’altra.
<< Sei riuscita a calmarti da sola, è la prima volta che accade >> constatò con calma.
Vide con la coda dell’occhio Clarke annuire e i loro corpi con lentezza iniziarono a rilassarsi.
<< E’ una cosa positiva >>.
Cercava di essere calma e di vedere il lato giusto della cosa, in realtà tremava dalla paura di vedersela scivolare via dalle mani come acqua limpida. Questa volta Clarke si voltò verso di lei e si fissarono per dei lunghi istanti negli occhi. Il blu nel nero, il nero nel blu. Nessuna delle due, però, rischiò di annegare questa volta. Si guardavano con quel leggero distacco che avrebbe sempre dovuto esserci per mantenere la loro amicizia intatta. Ma avevano varcato il confine più di una volta.
<< Non posso più fare questo, D >> disse Clarke << Io devo… tu sei la mia migliore amica >>.
Le loro mani si cercarono e s’intrecciarono ancor prima che potessero rendersene conto. Clarke gliela strinse forte come se fosse l’ancora cui aggrapparsi in quel momento.
<< E tu sei la mia >> ribatté Diana.
<< Non posso farvi questo >>.
<< A me e a quale esercito? >> tentò di scherzare l’altra.
Le labbra di Clarke si piegarono in un sorriso. Stava tornando quella di sempre.
<< A te e a Sofia >>.
 
<< Dobbiamo parlare >>.
Così iniziò la conversazione Giulia mentre chiudeva la porta dello studio di Rodolfo. Si tolse la sciarpa gettandola sul divanetto mentre l’uomo chiudeva il libro sulla scrivania che stava consultando. Entrambi sapevano di avere un’ora prima che Rodolfo dovesse correre a una lezione.
<< E’ successo qualcosa? >> domandò sistemandosi gli occhiali sul viso.
Giulia lo osservò non potendo fare a meno di pensare a quanto fosse fortunata a non essere invisibile ai suoi occhi. L’uomo indossava una camicia abbottonata fino alla fine e un gilet dal taglio classico su un semplice jeans che gli procurava un fascino non indifferente. Nonostante questo, cercò di mantenere la sua voce alterata e fredda.
<< Non credi di esserti vestito un po’ troppo bene? >> domandò sollevando il sopracciglio.
L’attimo dopo si morse la lingua nel vedere che l’altro stava sorridendo.
<< Gelosette a prima mattina, signorina Noti? >> fece con aria di scherno Rodolfo.
<< Oh, figurati >> rispose Giulia posando la tracolla sulla scrivania. Sbottonò il giubbotto e si sedette sulla stessa accavallando le gambe << Ho solo detto la verità. Da quando vai a lezione con il gilet? Col freddo che fa in quella dannata aula soprattutto >>.
L’uomo le si avvicinò sfiorandole appena il ginocchio con una mano.
<< Dopo ho una riunione importantissima >> affermò.
<< Un’altra? Ma il consiglio docenti non si era già riunito un mese fa? >>.
Rodolfo le strizzò l’occhio.
<< Non posso ancora parlartene, sono un tipo scaramantico >>.
Giulia lo guardò imbronciata.
<< E da quando? >>.
Il professore le baciò la tempia.
<< Da sempre >> disse << Ora >> aggiunse sfilandole il giubbotto << Vuoi continuare a parlare ancora oppure possiamo impiegare il tempo che abbiamo in un modo molto più piacevole? >>.
Giulia lo fissò negli occhi attraverso le lenti e si morse il labbro. L’attimo dopo le labbra di Rodolfo si scontrarono con le sue e rabbrividì.
<< Noi dovremmo… >> provò a dire mentre sentiva le mani dell’altro vagare senza una meta precisa sulle sue gambe.
<< Certo >> le sussurrò all’orecchio Rodolfo.
Le sorrise prima di baciarla ancora e comprese, dall’espressione che assunse Giulia, che non c’era niente di più impellente in quel momento che pensare a soddisfare i loro desideri.
 
Era stato Philip ad accompagnare Clarke al suo primo giorno di scuola media. La figlia aveva compiuto undici anni ad agosto e proprio in quel mese avevano ottenuto il permesso di Gabriella di portare a casa Luthor. Erano stati mesi lunghi e delle volte anche frustranti per la bambina che vedeva il giorno in cui il boxer avrebbe definitivamente lasciato il canile sempre troppo lontano. Ma agli occhi dei bambini qualunque attesa pareva infinita e alla fine Luthor era entrato a far parte della loro famiglia. Adele non aveva potuto unirsi a loro a causa dei turni in ospedale, ma avevano parlato a lungo con la figlia la sera precedente. Clarke sembrava una persona totalmente diversa rispetto a quella che avevano conosciuto a Sidney anni addietro; ora era solare, allegra, spiritosa. Anche se aveva sempre interagito poco con i bambini della sua età, Adele e Philip non era preoccupati della reazione che avrebbe avuto. Clarke avrebbe saputo reagire alle angherie dei compagni, qualora ce ne fossero state, senza ricorrere alla violenza.
<< Allora, sei pronta? >> le chiese l’uomo chinandosi per arrivare alla sua altezza.
Clarke stava crescendo rapidamente, troppo per i suoi gusti. Ancora qualche anno e si sarebbero potuti guardare negli occhi senza che lui si abbassasse. La figlia si strinse nelle spalle mentre portava entrambe le mani sulle spalline dello zaino.
<< Non dovrebbe essere una cosa complicata >> rispose guardandosi la punta delle scarpe.
Philip scoppiò a ridere mentre le sistemava il giubbotto. Adele aveva insistito affinché, per il primo giorno di scuola, Clarke indossasse tutte cose nuove e, per quel motivo, la settimana precedente li aveva trascinati entrambi in giro per negozi. Nonostante apparisse eccessivo agli occhi dell’uomo, Philip l’aveva lasciata fare ricompensando Clarke con un nuovo numero di uno dei tanti fumetti che leggeva. Da quando aveva letto quello che le aveva regalato su Superman, pareva che non potesse più farne a meno.
<< Non è una cosa complicata, è solo il tuo primo giorno di scuola >> le disse << E’ normale essere un po’ tesi >>.
Clarke annuì e sollevò gli occhi. A Philip mancò il fiato per un paio di secondi di fronte all’intensità del suo azzurro. Erano limpidi, segno che la bambina era tranquilla.
<< Sarà solo per qualche ora >>.
<< Lo so >> rispose Clarke guardandosi intorno. In quel momento si sentì la campanella suonare e i cancelli essere aperti. Tornò a fissare l’uomo << Non essere teso, andrà tutto bene papà >>.
Philip si sollevò e sorrise mentre scuoteva leggermente il capo. Non riusciva mai a nasconderle niente.
<< Allora ci vediamo all’uscita. Sarò proprio qui insieme alla mamma >>.
La bambina annuì ancora una volta e si alzò sulle punte per dargli un bacio sulla guancia. Poi corse verso il cancello e sparì tra i bambini.
 
Aveva trovato un posto libero in seconda fila e si era seduta senza spingere nessun bambino che stava entrando correndo in classe. Si guardò intorno, pareva che gli altri ragazzi si conoscessero un po’ tutti, parlavano tra loro facendo anche delle battute e nessuno faceva a caso a lei. I minuti scorrevano tranquillamente e la classe lentamente iniziò a riempirsi. Il posto accanto al suo, però, rimase vuoto. Una strana ansia prese ad avvolgerla. Agli occhi di venti bambini della sua età pareva essere invisibile. Nessuno si voltava verso di lei per parlarle o chiederle qualcosa, sembrava che la stessero deliberatamente ignorando. E il disagio crebbe a dismisura. Clarke non era capace di prendere l’iniziativa, di creare dal nulla una conversazione, non lo aveva mai fatto e per il suo carattere non era nemmeno portata a farlo. Ingoiò un groppo di saliva mentre la professoressa entrava e chiudeva la porta. Clarke la osservò sedersi alla cattedra, far tacere gli studenti e presentarsi. Il suo fastidio divenne sempre maggiore, passò in rassegna ogni singolo bambino senza prestare attenzione all’insegnante. Nessuno la guardava e lei si sentì allo stesso modo di quando era ancora in orfanotrofio. Iniziò a desiderare che Adele e Philip la riportassero a casa perché la scuola non era un posto per lei, non la faceva sentire a suo agio e pensò che l’uomo era teso proprio per quel motivo. Strinse con forza le mani sul banco e stava per alzarsi e scappare via quando una bambina aprì improvvisamente la porta catapultandosi dentro. Aveva i capelli lunghi e scuri raccolti in due trecce e gli occhi più neri che avesse mai visto.
<< Buongiorno professoressa, scusi il ritardo! >> urlò portandosi entrambe le mani davanti al viso e congiungendole << Non volevo arrivare tardi il primo giorno, ho anche messo la sveglia prestissimo stamattina! Ma è anche il primo giorno di scuola di mio fratello Matteo e lui oggi inizia le elementari e ieri sera mia sorella Gaia si è divertita a raccontargli delle storie dell’orrore sulle maestre che mangiano i bambini! E così stamattina ha iniziato a piangere di non volerci andare e mia madre ha dovuto calmarlo, ma poi in macchina ha vomitato e ci siamo dovuti fermare a casa di mia nonna che abita qui vicino per cambiarlo e… >>.
Clarke osservò sconvolta la bambina che parlava come una mitragliatrice. Le pareva impossibile che qualcuno potesse parlare così veloce. E senza che se ne accorgesse rise sottovoce per quello che aveva raccontato.
<< Va tutto bene, non preoccuparti >> rispose l’insegnante con un sorriso gentile << Perché non vai a sederti? >> indicò il posto vuoto accanto a Clarke << Così riprendiamo a fare l’appello >>.
La bambina corse verso il banco con un enorme sorriso che si allargò ancor di più quando incontrò lo sguardo dell’altra.
<< Ciao! >> la salutò allungando la mano << Io sono Diana >>.
<< Clarke >> rispose la bambina stringendogliela.
<< Dai, Clarke come quello di Superman? >> esclamò Diana sedendosi.
Clarke guardò Diana con occhi che brillavano.
<< Sì, più o meno come lui >> affermò facendo un cenno al suo zaino.
Diana voltò appena gli occhi per vedere ciò che le aveva appena indicato e sobbalzò sulla sedia. Il suo zaino era semplice, completamente blu e col simbolo del supereroe stampato sul davanti.
<< Che forza! Vieni anche da Krypton per caso? >>.
Clarke non rispose subito. Si prese del tempo per osservare quella che sarebbe diventata la sua migliore amica. Quasi non poteva crederci di averla trovata così presto. Da come si erano messe le cose, aveva pensato che avrebbe trascorso le sue giornate scolastiche da sola e, invece, c’era qualcuno che non solo le parlava, ma anche che conosceva perfettamente il suo supereroe preferito. Pensò che non vedeva l’ora di raccontarlo ai suoi genitori.
<< Sidney >> disse infine << Però ho un cane che si chiama Luthor >>.
L’espressione stupita che assunse Diana la fece scoppiare a ridere.
<< Non ci credo! >> esclamò.
L’attimo dopo furono riprese entrambe dalla professoressa. Si appiattirono contro il banco mentre continuavano a sghignazzare sottovoce. Si guardarono negli occhi e per la prima volta Clarke venne inghiottita dall’oscurità di Diana. Nessuna delle due avrebbe più potuto fare a meno dell’altra.
 
 
L’angolo di Bik
Scusate il ritardo, ma giuro di essere sommersa da impegni lavorativi cui devo dare la precedenza! Se poi ci aggiungiamo che sto portando avanti anche l’altra storia, siate clementi!
Prima di tutto, vorrei ringraziare le persone che ho incontrato al Romics ancora una volta. Grazie di nuovo, anche se il sei ottobre non ho detto altro XD Ma un ringraziamento particolare va a Giulia da Genova che non poteva esserci, ma che ha mandato un delegato a prendere una copia del mio fumetto. Grazie, sono cose che emozionano! Anche una stronza priva di cuore come me! XD
Veniamo al capitolo.
Spero che amiate come me piccola Clarke che da coraggio a Philip nel suo primo giorno di scuola. Sta crescendo e ovviamente non poteva mancare il suo primo incontro con Diana. Io le ho amate da subito. Per il resto, spero che una Luna sofferente la faccia apparire meno stronza in questo momento. Avremo tutti modo per odiarla, credetemi XD
Scusate se il capitolo vi sembrerà corto,
F.

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Capitolo 19
*** 19 ***


Faceva freddo a scuola nonostante i termosifoni accesi. Clarke starnutì un paio di volte prima di decidersi ad alzarsi dal banco e recarsi nel corridoio. Aveva preso freddo il giorno precedente, anche quando Diana era andata via, ripetendole innumerevoli volte che era tutto a posto, aveva continuato a rimanere per ore ferma a terra mentre pensava alla situazione. Era la prima volta che si fermava e rifletteva, che tutta la rabbia che provava scemava improvvisamente pensando a un solo volto. Quando aveva lasciato Luna e sua madre era morta a distanza di qualche mese, l’unico modo per far tacere la rabbia che le montava dentro era sfogarsi con Diana e il suo corpo. Però con Sofia era tutto cambiato. Quel bisogno ora era diverso. Starnutì ancora mentre osservava i vari studenti che si cercavano tra loro e schiamazzavano e sorrise quando incontrò il verde degli occhi di Sofia. Si erano scritte molto poco, un po’ perché l’altra aveva il compito di fisica  proprio quel giorno, un po’ perché lei era troppo distante per impegnarsi in una vera conversazione. Sofia sorrise felice di vederla. Avrebbe aspettato volentieri Clarke fuori scuola quella mattina, ma la ragazza era costantemente in ritardo e il compito era alla prima ora. Le aveva semplicemente scritto un messaggio ed era entrata. A vederla camminare verso di lei sembrava la cosa più naturale del mondo.
<< Ehi >> la salutò Clarke fermandosi e allungando una mano verso di lei << Mi spiace per stamattina >>.
<< Sei sempre la solita ritardataria >> rispose Sofia lasciando che l’altra la sfiorasse con la punta delle dita. Era una sensazione piacevole << Tutto okay? Hai una faccia >>.
Clarke si limitò ad annuire mentre prendeva una sigaretta.
<< Ho il compito di matematica la settimana prossima e non so dove mettere mano >> mentì << A te invece com’è andata? >>.
Sofia si strinse nelle spalle con fare indifferente e la affiancò sul bordo di una finestra aperta.
<< Penso bene. Fisica è la mia materia preferita, la adoro. Spero solo che Elena sia riuscita a copiare bene gli appunti che le ho passato >>.
<< Addirittura passi gli appunti agli altri? >> la punzecchiò Clarke ridendo.
<< Solo a lei e, credimi, mi basta >>.
Scoppiarono a ridere nello stesso momento mentre una nuvoletta di fumo usciva dalle labbra della più grande. Sofia le osservò sentendo l’irrefrenabile desiderio di sentirne il sapore. Ma erano a scuola e lei era la rappresentante, doveva darsi un contegno.
<< Se hai problemi con matematica, posso darti una mano >> disse cercando di dirottare i suoi pensieri altrove.
Clarke si fermò ad osservarla per una manciata di secondi. Come faceva a dirle che aveva Luna costantemente nella testa e non riusciva a pensare ad altro? Da quando soprattutto le aveva fatto quella scenata fuori casa il giorno precedente.
<< Ha tempo da dedicarmi, rappresentante? >>.
Sofia la spintonò a quella domanda ironica e lasciò che lei la afferrasse per la vita tenendola vicino a sé.
<< Allora? >>.
<< Sei un’idiota, Kent >> rispose infine la ragazza facendo per allontanarsi.
Clarke allora la trattenne intrecciando le sue dita a quelle dell’altra e le sorrise.
<< Oggi pomeriggio a casa mia >> concluse Sofia. Scoppiò a ridere subito dopo nel vedere la faccia della maggiore << Tranquilla, non c’è mai nessuno nel pomeriggio >> fece una pausa per vedere Clarke riprendere a respirare << Forse >>.
<< Cosa?! >> esclamò Clarke mentre Sofia le sfuggiva dalla mano.
La sentì ridere e tutto il mondo parve scomparire. Le piaceva tanto quando era così spontanea.
<< Hai sentito perfettamente >> fece l’altra << Ci vediamo oggi pomeriggio >> aggiunse.
Le si avvicinò, le diede un bacio sulla guancia e corse via, quasi si vergognasse di quello che aveva fatto. Clarke rimase immobile, sbalordita sempre di più da quanto si lasciasse andare Sofia col trascorrere dei giorni e socchiuse gli occhi appoggiandosi al davanzale della finestra. Respirò profondamente e, quando sentì quella sensazione svanire lentamente, di nuovo la voce di Luna tornò a farsi sentire.
Ma io ti amo, le aveva detto. E non stava mentendo, lo aveva avvertito chiaramente dal tono della voce e dall’espressione dei suoi occhi. Perché quella era la vera Luna.
Scosse il capo per evitare di pensarci e prese il cellulare dalla tasca del jeans. Scrisse a Marco, che immediatamente le rispose, e scoppiò in una breve risata. Quasi non si accorse dell’avvicinamento di Alice. Sobbalzò nel sentire che la stava salutando.
<< Ehi, Clarke >> le disse << Oggi pomeriggio hai da fare? >>.
<< Ho appena accettato di andare a suicidarmi >>.
<< Come? >>.
<< Scusa, pensavo a voce alta! >> tentò di riprendersi Clarke << Sì, comunque. Perché? >>.
Alice le percorse il petto scendendo lungo la pancia con un solo dito.
<< Pensavo che avresti potuto finalmente darmi quelle famose ripetizioni di inglese >>.
<< Ma non ne hai bisogno! >> esclamò la ragazza ricordando il loro ultimo compito in classe.
<< Ma io vorrei migliorare, Clarke! >> ribatté prontamente Alice poggiandole una mano sul fianco << Davvero! E credo che da queste ripetizioni potremmo trarne profitto entrambe >>.
Clarke rimase alquanto perplessa e sbigottita dalle parole dell’altra non sapeva cosa dire per venir fuori da quella situazione imbarazzante. La ragazza che le stava di fronte le si era letteralmente dichiarata con una sfacciataggine che lei non avrebbe mai avuto. Sofia l’avrebbe ammazzata se l’avesse saputo. A salvarla fu il suono della campanella. Provò a sorriderle con aria imbarazzata e si ritrasse leggermente spostandosi verso sinistra.
<< E’ suonata >> mormorò appena indicandole la porta della loro aula.
 
Elena era dovuta correre dalla madre che era rimasta in panne con la propria auto fuori il posto di lavoro e non aveva potuto dare il classico passaggio all’amica a casa che si era ritrovata ad aspettare l’autobus insieme a molti altri studenti. Aveva provato a chiamare un paio di volte Clarke, ma non aveva mai risposto. Probabilmente stava guidando e non sentiva il cellulare squillare. Sofia scosse il capo mentre si appoggiava al palo della luce. La fermata era gremita di ragazzi e non c’era un angolo in cui stare tranquilli.
<< Sofy! Che ci fai qui? >>.
La ragazza dovette fare un respiro profondo prima di voltarsi verso Claudio.
<< Aspetto l’autobus >> rispose asciutta.
<< Sì, certo >> disse il ragazzo accostando vicino al marciapiede col motorino << Elena? Perché non sei con lei? >>.
<< E’ dovuta correre dalla madre >>.
<< Dai, monta! Ti offro un passaggio! >>.
<< No, grazie >>.
<< Sofy, su! Ci metto cinque minuti, vieni! >> insistette Claudio.
<< No, preferisco aspettare l’autobus >> ribatté l’altra iniziando ad alterarsi << Ma grazie >>.
Fece per voltarsi, ma Claudio glielo impedì afferrandola per un polso.
<< Ma che ti prende? È solo un passaggio >>.
<< Che io non voglio accettare! >>.
<< Perché no? Qual è il problema? >>.
<< Non ci sono problemi proprio perché non ho nessuna intenzione di sedermi dietro di te! >> esclamò esasperata Sofia.
Claudio serrò la mascella e la guardò seriamente.
<< Eppure mi sembra che non ti dispiacesse quando ti scarrozzavo ovunque volessi >>.
Sofia a stento trattenne una risata isterica. L’aveva davvero detto?
<< Per favore >> rispose tagliente << Abbiamo avuto una specie di relazione per sei mesi e l’unica cosa cui tu puntavi era la copulazione. Cosa che non ti è riuscita e deve aver minato profondamente il tuo orgoglio maschile. Ora, scusami, ma ho un autobus da prendere >>.
Claudio provò a trattenerla ulteriormente, ma l’altra le scivolò tra le mani.
<< Problemi, rappresentante? >> chiese improvvisamente Diego staccandosi dal gruppo col quale stava discorrendo.
<< Tutto a posto >> affermò Sofia decisa. Osservò Claudio allontanarsi prima di tornare a respirare normalmente. Solo allora si accorse che entrambi i gemelli erano fermi alla fermata dell’autobus << Che ci fate voi qui? Non… >>.
Diego si strinse nelle spalle mentre tornava dagli amici. La ragazza lo seguì notando che nel gruppo c’era anche Alice.
<< Il nostro motorino è arrivato al capolinea ormai e papà è stato molto chiaro a riguardo >> disse << “Prima voglio vedere dei risultati altrimenti…” >>.
<< “…altrimenti il motorino nuovo lo vedrete col binocolo!” >> concluse Lorenzo imitando la voce del padre.
I ragazzi scoppiarono a ridere mentre l’autobus rallentava e infine si fermava. Chi con foga, chi lamentandosi e chi urlando, iniziarono a salire. Sofia si mise da parte per permettere agli altri di sistemarsi nei posti più dietro il veicolo, a lei gli schiamazzi non erano mai piaciuti, e notò che Diego la stava guardando. Si voltò appena per poterlo guardare negli occhi e l’altro si chinò leggermente per poter arrivare al suo orecchio.
<< Se posso permettermi, molto meglio Clarke >> le disse facendole l’occhiolino.
Sofia avvampò e abbozzò un ringraziamento balbettante mentre il ragazzo la spingeva verso il gruppo. Anche se avrebbe preferito evitare, fu così costretta a sedersi accanto ad Alice che la degnò a malapena di un saluto. La ragazza notò come l’altra si mordesse freneticamente le unghie e scrivesse nervosamente sul cellulare. Sofia accostò la fronte al vetro e scrisse un messaggio a Elena per sapere se fosse tutto a posto. La macchina della madre era piuttosto vecchia, ma tutta la famiglia ne era affezionata e non si decidevano mai a cambiarla. Forse era arrivato il momento di farlo. Si rigirò il cellulare tra le mani e si voltò quasi di scatto quando Alice iniziò a parlare. Non la guardava, eppure era chiaro che si stava rivolgendo a lei.
<< E così tu e Claudio… >>.
<< Cosa?! >> esclamò Sofia sconvolta << Assolutamente no! Cioè lui… >>.
Alice alzò le mani e scoppiò a ridere.
<< Vi ho visti parlare prima e ho notato che spesso lo fate per i corridoi >> si giustificò.
<< Perché è lui che fa la cozza >> rispose l’amica.
<< Me lo ricordo >> mormorò Alice.
Fu in quel momento che Sofia ricordò che lei e Claudio avevano avuto un breve flirt durante l’estate del terzo anno. Nulla di serio per nessuno dei due, la cosa era finita senza lacrime o urla. La fissò e si domandò se con l’altra il ragazzo avesse concluso qualcosa.
<< Te l’eri dimenticato? >> continuò Alice notando l’espressione del suo viso.
<< No! >> disse di getto Sofia << Veramente… >>.
Si grattò la testa a disagio.
<< Il sesso non è stato niente che mi abbia fatto gridare al miracolo >> affermò l’altra << Ma i ragazzi sono così egocentrici e orgogliosi sotto questo punto che fanno quasi ridere. Le donne sono tutt’altra storia invece >>.
A quell’affermazione Sofia si fece attenta.
<< Vorrei che Clarke facesse la cozza con me! >>.
<< Cosa?! >>.
Non era riuscita a mantenere un tono pacato dopo ciò che aveva detto Alice e adesso tutti i presenti sull’autobus la stavano fissando.
<< Oh, dai So! Non dirmi che ti è indifferente! È bellissima e io mi sto impegnando per mandarle dei segnali, ma pare che ancora non li abbia colti! >>.
Non mi è indifferente per niente, avrebbe voluto risponderle l’altra con una certa arroganza, E nemmeno io lo sono per lei.
Involontariamente serrò la mascella.
<< Hai pensato che forse, e dico forse, è interessata a qualcun altro? >>.
Alice sollevò gli occhi e sbatté le lunghe ciglia.
<< A chi? Da quando si è lasciata, non la vedo gironzolare intorno a nessuno. Tranne gli amici s’intende >>.
Il cuore di Sofia perse un colpo a quelle parole. Non si era mai soffermata a pensare che Clarke avesse avuto una ragazza. Eppure glielo aveva accennato un paio di volte, solo che la sua testa era talmente presa da tutto quello che provava per lei da farlo passare in secondo piano. Non avrebbe mai pensato che Alice fosse così ferrata sull’argomento.
<< Tu cosa ne sai…? >>.
<< Ho chiesto in giro >> si limitò a dire l’amica << Giusto per curiosità, per sapere se era proprio di questa sponda o se avessi preso un abbaglio >>.
<< E? >>.
<< E cosa? >> sbottò Alice prima di guardarsi intorno << Oddio, la mia fermata! >> aggiunse. Afferrò al volo lo zaino che aveva gettato sotto il sedile e si alzò in piedi << Devo andare, ci vediamo domani! >>.
Salutò anche gli altri ragazzi che risposero in coro e corse verso l’uscita. Sofia rimase con la mano alzata diversi istanti prima di decidersi a comportarsi normalmente. La questione l’aveva scossa e non poco soprattutto perché si accorse di non sapere praticamente niente di Clarke. Certo, le aveva confidato di essere stata adottata e suo padre era un famoso musicista, ma in quel momento le pareva che Alice sapesse molte più cose di lei. E questa cosa le dava enormemente fastidio. Guardò il cellulare. Clarke fuori scuola le aveva detto che sarebbe andata da lei, sarebbe stata l’occasione buona per parlare un po’.
 
<< Entra pure, siamo sole >> urlò la voce di Sofia.
Clarke fece un respiro profondo e si rilassò. Per tutto il tragitto aveva temuto di dover essere presentata alla famiglia della ragazza e non era psicologicamente pronta a conoscere i suoi genitori. Chiuse la porta alle sue spalle e si guardò intorno cercando di orientarsi. Sofia abitava all’ultimo piano di una elegante palazzina in via Scarlatti, arrivarci non era stato difficile. Sin dall’ingresso, l’arredo le parlava di ricchezza ed eleganza. Si osservò nell’enorme specchio dalla cornice arzigogolata e subito dopo si voltò di scatto. Sorrise nel vedere Sofia avvicinarsi e scoppiò a ridere nel vedere le pantofole che indossava. La ragazza, infatti, calzava delle elegantissime ciabatte bianche a forma di unicorno.
<< E poi hai da ridire sul mio abbigliamento! >> esclamò.
<< Tutti vorrebbero essere degli unicorni e andare in giro per il mondo a vomitare arcobaleni >> rispose l’altra alzando leggermente il piede per farle vedere la suola variopinta << Vieni, ti devo presentare un paio di persone >>.
<< Ma non eravamo sole? >> domandò Clarke in preda nuovamente all’ansia.
Lasciò il casco per terra vicino allo zaino e si apprestò a seguire Sofia lungo il corridoio.
<< Certo, siamo sole >> ripeté la più piccola << Fatta eccezione per mia madre, mia zia e mia nonna. Sono in salone >>.
<< Che cosa?! >> esclamò Clarke sentendo un vuoto all’altezza dello stomaco << Ma non… >>.
Sofia la osservò con la coda dell’occhio e rise sotto i baffi. Aprì la porta a scomparsa del salone e si fece da parte. Vide Clarke fermarsi un attimo dietro di lei e drizzare la schiena. Superò Sofia ostentando una fintissima sicurezza e si bloccò al centro della stanza nel notare che non c’era nessuno ad accoglierla. La risata dell’altra le arrivò alle orecchie e troppo tardi comprese di essere stata presa in giro.
<< Ti sei presa gioco di me! >> esclamò diventando rossa.
<< Sì, ed è stato meraviglioso farlo! >>.
Sofia continuò a ridere quasi piegata in due per quanto era comica l’espressione sul viso della maggiore e Clarke le si avvicinò.
<< Vediamo quanto è divertente questo allora! >> rispose afferrandola per la vita e gettandola sul divano come se fosse priva di peso. Subito dopo le saltò addosso per impedirle di muoversi e le fermò i polsi sopra la testa.
<< Clarke, liberami! >> urlò Sofia tra le risa << Hai fatto una faccia assurda! >>.
<< Assolutamente no! >> rispose l’altra.
Era la prima volta che i loro corpi erano così vicini, la prima volta che potevano sfiorarsi con naturalezza. Si guardarono negli occhi mentre la voce di Sofia lentamente si spegneva e rimasero in quella posizione per una manciata di secondi. Sofia aveva il cuore che le batteva ad una velocità folle nel petto nell’osservare il corpo di Clarke nascosto da una felpa con la faccia di Joker stampata sopra e un jeans che non lasciava niente all’immaginazione. Arrossì nel pensare a che tipo di intimo indossasse.
<< Dovremmo studiare >> disse con un filo di voce sperando che non tremasse.
<< Lo so >> rispose Clarke << Ma mi piace stare così >>.
Sofia si divincolò dalla sua presa e così facendo strusciò varie volte contro le gambe della più grande. Un brivido la scosse, così forte da farle dilatare le pupille.
<< E poi >> aggiunse distogliendo lo sguardo e allentando la presa << Devi ancora raccontarmi questa storia di Landolfi. Che cazzo vuole? >>
<< Ma niente! >> esclamò Sofia mettendosi a sedere. Fu lieta del cambio di argomento << Voleva darmi un passaggio a casa e gli ho rifilato un due di picche >>.
Fece per alzarsi per prendere i libri nella sua stanza, ma Clarke la afferrò nuovamente per il polso.
<< Ti gira troppo intorno, So >> le disse seriamente.
Sofia rise mentre si appoggiava allo schienale. Le piaceva che l’altra le dimostrasse un po’ di gelosia.
<< So cavarmela perfettamente >>.
<< Certo >> disse ironica alzando il sopracciglio destro << E’ per questo che da quando lo hai lasciato, continua a provarci e riprovarci. Io l’ho sempre detto che è un idiota >>.
<< Guarda che so tenergli testa >> rispose Sofia spintonandola << E vogliamo parlare di te poi? Alice spera sempre che tu le apra uno spiraglio >>.
Clarke la prese per il braccio e le cadde addosso. Ora le posizioni erano invertite. Si guardarono di nuovo negli occhi, annegando nel verde e nell’azzurro l’una dell’altra e per Sofia fu naturale tenere le mani ai lati del viso dell’altra. Respirarono sincronicamente.
<< Alice chi? >> chiese Clarke senza muoversi.
<< Kent! >> la rimproverò Sofia << Possibile che tu non riesca mai a ricordarti chi è? Viene in classe tua! >>.
L’altra scoppiò a ridere trascinando anche lei. Le sue braccia cedettero e cadde letteralmente addosso alla maggiore.
<< Ahio! >> esclamò Clarke.
Sofia invece per qualche attimo non disse niente completamente rapita dalla scarica elettrica che aveva sentito quando il corpo di Clarke aveva accolto il suo. I loro seni, seppur attraverso gli indumenti, si erano toccati e lei aveva sentito distintamente uno strano calore farsi strada tra le sue gambe. Inghiottì a vuoto mentre teneva il viso nascosto tra le pieghe della felpa dell’altra.
<< So, non sei esattamente una piuma… >> disse a un certo punto Clarke << …così mi fai male >>.
La ragazza sollevò di scatto la testa rischiando di colpire con la nuca il naso di Clarke.
<< Scusa! >> esclamò imbarazzata e rossa mentre si alzava in piedi << E’ tutta colpa tua comunque! >> tentò di riprendersi.
<< Guarda che non c’era bisogno di alzarsi, bastava che ti spostassi leggermente >>.
<< Mettiti a studiare, Kent >> ordinò Sofia indicando il tavolo << Sei venuta per questo >>.
Clarke si mise seduta e involontariamente i suoi occhi caddero sul sedere dell’altra stretto nei jeans. E avvampò per i pensieri che le passarono nella testa mentre iniziava a tossire per l’imbarazzo.
<< Tutto okay? >> le chiese la più piccola voltandosi.
<< Certo >> rispose Clarke alzandosi << Dovrei usare il bagno >>.
Sofia glielo indicò e andò a prendere i libri di matematica. Rimasta sola, la ragazza lasciò che l’acqua fredda le accarezzasse le mani e fece un respiro profondo. A parte Luna, non si era mai ritrovata a fare quel genere di pensieri su un’altra ragazza. Diana era la sua migliore amica e aveva sempre apprezzato il corpo che gli allenamenti e le partite di pallavolo avevano modellato. Con Sofia era stato improvviso e irruento. Sorrise l’attimo primo di sciacquarsi il viso. Quando aprì la porta, trovò l’altra ragazza ad aspettarla. Sofia si sistemò gli occhiali sul viso e le sorrise.
<< Caffè? >> le chiese << O preferisci una coca-cola? >>.
<< Leffe piccola e un pezzo di caprese, grazie >> rispose prontamente Clarke guadagnandosi una spallata.
<< Cammina, Kent. Vediamo che sai fare >>.
 
Sofia rimase piacevolmente sorpresa da Clarke. La ragazza era sveglia e intelligente, le mancava un po’ di costanza negli esercizi. Spesso si distraeva e quindi un meno diventava più e viceversa. Ogni tanto dimenticava un passaggio e Sofia era costretta a richiamarla. Per il resto trascorsero un pomeriggio tranquillo. Clarke era seduta a capotavola e l’altra alla sua destra così da tenerla sotto controllo. Quando la maggiore si bloccò non sapendo affrontare il passaggio successivo, Sofia si alzò in piedi sistemandosi dietro di lei. Non le disse niente, limitandosi a osservare come si sarebbe mossa.
<< Mi metti l’ansia così >> mentì Clarke mentre giocherellava con la matita e osservava i numeri, le x e le y messe in fila.
La verità era che poteva sentire distintamente il seno di Sofia premerle sulla schiena e provocarle una piacevole sensazione all’altezza dello stomaco. L’altra probabilmente non se n’era accorta perché perseguiva nella sua posizione senza fiatare. L’unico rumore udibile erano i loro respiri.
<< Kent, concentrati >>.
Ci sto provando!, avrebbe voluto urlarle Clarke rossa in viso.
Voleva essere gentile e pacata con lei, ma la verità era che se non si fosse spostata, sarebbe potuta saltarle addosso in quel momento. Improvvisamente il rumore della serratura che scattava fece alzare la testa a entrambe. Clarke sentì il cuore schizzarle in gola.
Ecco!, pensò in preda a una leggera ansia, Io lo sapevo che dovevo insistere per vederci a casa mia! Lo sapevo! E proprio ora che sono eccitata dovevano presentarsi i…
Sofia si allontanò da lei e si avvicinò alla porta.
<< So? >> si sentì chiamare.
<< Ma non eri all’università, Edo, fino a stasera? >>.
<< Ho un mal di testa assurdo, non riuscivo nemmeno a guardarlo il libro di diritto civile. Mi faccio una doccia e mi butto sul letto fino a quando non torna mamma >>.
Clarke si alzò in piedi a disagio e si avvicinò a Sofia nel momento in cui il ragazzo stava passando.
<< Ma non sei sola! >> esclamò Edoardo vedendo l’altra ragazza.
<< Ehm, no >> rispose Sofia imbarazzata << Lei è… Clarke. Clarke, lui è mio fratello Edoardo. Stavamo studiando >>.
Clarke tese educatamente la mano che subito venne stretta dall’altro.
<< Piacere >> disse la ragazza rigidamente.
<< Clarke, eh? >> ripeté Edoardo con un mezzo sorriso guardando con la coda dell’occhio la sorella << E cosa studiavate? >>.
<< Matematica, ho il compito venerdì mattina e… >>.
<< E adesso dobbiamo proprio riprendere >> si affrettò a chiudere quella conversazione Sofia spingendo Clarke verso il tavolo << Sparisci >> aggiunse con un filo di voce rivolta a Edoardo.
<< E’ stato un vero piacere, Clarke! >> esclamò il ragazzo alzando la mano in segno di saluto << Spero di vederti ancora! >>.
Sofia avrebbe voluto incenerirlo con lo sguardo mentre gli faceva cenno di andarsene.
<< Anche per me >> rispose la ragazza tornando a prestare la sua attenzione alla disequazione.
<< E’ bellissima >> sussurrò Edoardo in modo che solo la sorella potesse sentirlo << Colpisci e affonda >>.
Le fece l’occhiolino e alzò entrambi i pollici verso l’alto mentre Sofia sperava solo che si volatilizzasse il prima possibile. Tornò a respirare normalmente solo quando sentì la porta del bagno chiudersi a chiave.
<< Simpatico tuo fratello >> mormorò Clarke non appena Sofia tornò a sedersi.
<< Come un cetriolo nell’ano >> rispose l’altra.
Clarke rise e la più piccola pensò che avrebbe potuto anche abituarsi a quella quotidianità. La ragazza che girava per casa, lo studiare insieme, il fratello che le punzecchiava. Non era uno scenario così orrendo.
<< Siete solo voi due? >>.
<< Sì, Edo è più grande di me di quattro anni. Mio padre avrebbe anche voluto il terzo, ma mia madre è stata irremovibile. Avevano avuto il maschio e la femmina, la perfezione per lei >>.
<< Anche a me sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella, ma i miei genitori hanno penato così tanto per riuscire ad adottarmi che probabilmente nessuno dei due aveva voglia di rimescolare nuovamente le carte >> rispose Clarke << E poi c’è da dire che non sono stata esattamente una bambina facile >>.
<< Una piccola e pestifera Clarke >> affermò Sofia sorridendo << Chissà perché la cosa non mi sorprende >>.
Allungò una mano per accarezzarle il viso. Era così normale per lei che quasi ne ebbe paura. Con un dito arrivò alle sue labbra e rabbrividì nel notare che l’altra non si stava sottraendo. Anzi, i suoi occhi erano… vogliosi? La sua pupilla era così dilatata. Ingoiò un groppo di saliva prima di ritrarre la mano al suono della maniglia che girava. Suo fratello aveva terminato la doccia. Lo sentì avvicinarsi al salone e non poté impedirsi di arrossire. Riprese a prestare attenzione ai libri di scuola finché non sentì il suo respiro alle spalle. Si voltò quasi di scatto mentre Clarke scoppiava a ridere. Edoardo, in accappatoio, era in piedi dietro la sorella intento a osservare cosa studiasse con un barattolo enorme di nutella in mano e un cucchiaio nell’altra.
<< Edo! >> esclamò Sofia contrariata.
<< Cosa? >> fece il fratello con la bocca piena << Stavo solo vedendo che stavi studiando >>.
<< Ti prego, sei disgustoso >>.
<< Posso avere un cucchiaio anch’io? >> domandò Clarke tra le risa.
<< Clarke! >>.
<< Certo >> rispose Edoardo << Mi piaci, Clarke! >>.
<< Edo, sparisci adesso! >>.
<< E va bene, me ne vado >> disse il ragazzo in segno di resa. Poggiò il barattolo al centro del tavolo << Questo ve lo lascio >>.
Strizzò nuovamente l’occhio alla sorella e sparì nella sua stanza. Di nuovo sole, Clarke allungò un dito verso la nutella e lo intinse prima di portarselo alla bocca. Sofia la osservò sbalordita, ma, invece di rimproverarla, la sensazione di calore che l’aveva invasa quando la ragazza le era salita addosso, si rifece sentire. Dalla bocca dello stomaco si espanse verso il basso e la fece avvampare. Clarke si leccava il dito sporco di nutella con naturalezza, come se fosse normale mentre lei non riusciva a smettere di immaginarla nuda con solo quel dannato barattolo vicino.
<< So, tutto okay? >> le chiese Clarke improvvisamente notando lo sguardo assente che aveva << Dai, è perché ho preso la nutella col dito? È finita, guarda! >>.
Le mostrò il contenitore quasi del tutto vuoto, eppure il suo sguardo non accennava a cambiare. Le passò una mano davanti gli occhi e a quel gesto improvvisamente Sofia scattò in piedi recandosi in bagno senza dire nulla.
Quando si fu calmata, maledisse i suoi ormoni e l’effetto che le faceva l’altra quando le era vicina. Ritornò nel salone dopo esserci sciacquata varie volte il viso.
<< Continuiamo? >>.

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