Strawberry & Cigarette

di tatagma_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Oh I'm pregnant ***
Capitolo 2: *** - Baby Bump ***
Capitolo 3: *** - Changes are not so bad ***
Capitolo 4: *** - Bloom ***
Capitolo 5: *** - Picture of you ***
Capitolo 6: *** - Kick ***
Capitolo 7: *** - Thirteen ***
Capitolo 8: *** - Hello Baby Girl ***



Capitolo 1
*** - Oh I'm pregnant ***





Strawberry & Cigarette

 
N.B : In questa storia i personaggi menzionati sono minorenni. La legge relativa agli accordi sui trattamenti medici (WGBO) stabilisce che i giovani a partire dai 16 anni di età, nel nostro paese, hanno diritto a ricevere informazioni in modo totalmente autonomo. Ci tengo a precisare che questa storia nasce come AU (alternative universe), i fatti narrati sono di pura finzione, ciò significa che tutto in essa può accadere persino che un ragazzo entri in stato gestazionale proprio come accade comunemente alle ragazze. Se i temi trattati possono in qualche modo toccare la vostra sensibilità o recarvi disturbo, vi invito a non leggerla. Se invece scrollerete presto questa pagina, benvenuti e buona lettura! – Moonism –
 


1. Oh I'm pregnant 

 
Quelli furono senza ombra di dubbio i dieci minuti più lunghi di tutta la sua vita.

Jimin era seduto sul bordo della vasca da bagno, con le ginocchia che non smettevano di tremare e le piccole mani portate alla bocca da cui lentamente venivano rosicchiate e tirate via le ordinate unghia appena ricresciute. Aveva camminato avanti ed indietro con la stessa insofferenza di una tigre in gabbia, per un arco di tempo interminabile senza riuscire un minimo a calmarsi, sentendo lo stomaco contorcersi e la testa girare mentre impaziente contava lo scorrere dei secondi e fissava i tre test di gravidanza, di colore e forma differente, allineati in sequenza sul ripiano del lavabo.  

Le nausee e cambi di umore incontrollabili lo assalivano ormai da settimane, c’era qualcosa di strano, qualcosa che non andava nel suo corpo, Jimin avrebbe dovuto capirlo subito all’insorgere di quei piccoli campanelli d’allarme. Il suo appetito era aumentato in maniera esponenziale così come, nell’ultimo mese, aveva stranamente sviluppato una forte sensibilità agli odori al punto tale da non riuscire neanche più a bere il suo amato caffè caldo al caramello la mattina, o a mangiare delle sane uova strapazzate per colazione senza avere l’impulso al solo profumo di correre alla toilette a vomitare.

L’aria di Seoul si era da pochi giorni arricchita di una tiepida e dolce corrente invernale, che a detta anche dei telegiornali locali avrebbe portato con sé una grande incidenza di raffreddori e febbre alte. Così prima ancora di prenotare una visita con il suo medico di fiducia e farsi diagnosticare la solita influenza stagionale, in un momento di totale noia Jimin decise a suo malgrado di fare da sé ed addentrarsi nel magico, ed oscuro, mondo di internet digitando sulla barra delle ricerche i sintomi di cui soffriva.

Con un solo click sul tasto ‘invio’, quasi come dopo aver pronunciato una parola magica, migliaia di pagine e siti ambigui apparvero dinanzi il suo paffuto viso. L’ampia stanza attorno a sé sembrò tutto ad un tratto rimpicciolirsi, le pareti quasi collassargli addosso, Jimin sentì il respiro mancargli nei polmoni, diventare attimo dopo attimo sempre più breve, ed un peso – forse quello del mondo stesso – cadergli in pieno sulle spalle minute quando aveva letto sul luminoso schermo del suo cellulare che quei continui e numerosi malesseri fisici non erano collegati a nessun tipo di patologia o influenza curabile con la solita tisana calda, tuttavia riconducibili ad un’unica ma allo stesso tempo terrificante parola: gravidanza.

Ricordi fiochi balenarono fugaci nella mente di Jimin: occhi che si cercavano, mani che si sfioravano, labbra sigillate le une sulle altre, quell’odioso e perenne sapore di tabacco sulla sua lingua, corpi sudati che combaciavano come pezzi di un puzzle, ardenti come ceppi al rogo, che insieme si erano uniti in una danza mistica, un momento di sola passione inscenato in maniera rozza ed abbozzata nel retro di un pickup, quel suo dannato pickup.

 “No”, aveva sussurrato con un luccichio di lacrime formatosi agli angoli degli occhi. Il giovane studente dai capelli biondi come il grano si era morso le labbra dalla frustrazione e aveva scosso categoricamente la testa al minimo pensiero. Non poteva affatto aspettare un bambino, non dopo quello che era successo, non nel pieno dei suoi diciassette anni. Fu per tale ragione, dopo una notte completamente insonne passata a rigirarsi tra le coperte e a rimuginare su nient’altro che le conseguenze che avrebbero causato l’arrivo di una possibile e tempestiva gravidanza, che alle prime luci del giorno dopo Jimin, approfittando del sonno ancora quieto dei suoi genitori, era uscito di casa di soppiatto, si era recato in bici presso il primo negozio di alimentari aperto sulla strada ed aveva comprato sotto lo sguardo scettico ma discreto della commessa – forse dato dalla sua piccola statura e la sua giovane età – diversi test colorati.

Jimin si era mostrato meravigliato e decisamente paranoico dinanzi alla grande varietà di scelta che un semplice bastoncino con due lineette disegnate su aveva da offrire. Quale avrebbe dovuto prendere ? Che differenza c’era tra ognuno ? Fra le tante scatole, sulle quali c’erano tutte stampate foto di donne incinte e famigliole maledettamente felici, il biondo vide che ce n’era persino uno che non solo gli indicava la positività dello stato gestazionale ma era in grado anche di precisare le settimane occupate semmai lui fosse stato incerto sulla paternità del piccolo; in preda al panico e alla confusione, il biondo ne comprò tipologie diverse ma di quello proprio non ne aveva bisogno: se c’era una sola cosa di cui era fortemente certo era che semmai fosse stato in dolce – a suo avviso invece tragica – attesa, sapeva esattamente di chi sarebbe stato quel bambino che pian piano cresceva nella sua pancia.

Jimin fissò così il timer scorrere al rovescio sul suo cellulare mentre irrequieto e con la gola arida aspettava che quel breve, ma eterno, arco di tempo passasse alla svelta. Aveva provato ogni tipo di distrazione: aveva ascoltato della musica, provato delle nuove posizioni di yoga, si era steso sul pavimento con i piedi all’aria poggiati però alla parete, scrollato con noia le homepage dei suoi social network. Nessun mezzo era riuscito a placare, anche solo per qualche attimo, quell’enorme subbuglio che aveva ormai dentro di sé. Al contrario, tutte le sue emozioni e paure furono improvvisamente amplificate allo scoccare di un suono fastidioso e perpetuo, al pari ad una sveglia, che gli stava niente meno che ad indicare la fine, l’arrivo allo zero, dell’eterno countdown.

Il biondo si avvicinò così cauto e tremante al lavabo, con un groppo fermo all’altezza dell’esofago, sudando quasi come stesse esplorando un territorio pieno di insidie, a lui non affatto familiare. La paura in lui era tanta, la speranza invece il suo corpo gli stesse giocando solo un cattivo scherzo, quella decisamente alle stelle. Jimin sospirò forte, imponendosi la calma e provando a pensare a qualsiasi cosa riuscisse un minimo a farlo sorridere, ma il piccolo studente di Seoul trovò pace soltanto quando vide sul ripiano i bastoncini poggiati cambiare, uno dopo l’altro, colore e dargli a suo malgrado tutti lo stesso risultato.

Positivo.

Sgranò gli occhi davanti le due linee marcate dipinte di rosa, i pensieri subito si azzerarono nella sua testa, le parole morte sulla sua lingua, le piccole mani invece quelle portate istintivamente sulla pancia. Il biondo si guardò allo specchio bianco in viso, desiderando ardentemente che tutto quello scenario sfumasse presto dalla sua vista e catalogato, una volta risvegliato tra i morbidi cuscini del suo letto, come il peggior incubo della sua vita. Per tale e dolce illusione, aveva battuto più volte le palpebre ma con suo grande amarezza intorno a lui niente cambiò. Era tutto vero. A causa di un bicchiere di troppo, un sentimento forse condiviso ed una sigaretta rubata, un esserino del tutto inaspettato e per nulla programmato, stava davvero prendendo vita lì nel suo piccolo addome. C’è chi l’avrebbe definito un piccolo “miracolo”, Jimin lo definiva soltanto il frutto di una notte completamente in balia dell’incoscienza. Come avrebbe dovuto gestire quella situazione ? Cosa avrebbero detto i suoi genitori a riguardo, o peggio, come avrebbe reagito lui ?

Il suo fiume di pensieri – a dir poco paranoico ma fin troppo giustificato – fu ben presto interrotto dal bussare incessante sulla porta del bagno. “Jimin-ah!” lo chiamò sua madre dall’altro lato della superficie legnosa, “Forza sbrigati o farai tardi a scuola”.

Jimin raggelò nel sentire la sua voce, quasi come fosse stato colto in flagrante sul reato, ed in preda al panico raccattò velocemente i test di gravidanza nascondendoli senza dare troppo nell’occhio nelle tasche morbide dei pantaloni del pigiama, “Scendo fra un attimo!” rispose.

Aspettò di sentire i passi di sua madre scendere le scale con piccoli tonfi e dirigersi verso la cucina, allontanarsi dal suo raggio d’azione, così che lui potesse sgattaiolare indisturbato via dal bagno e richiudersi in stanza per nascondere le prove nel suo zaino e vestirsi della divisa scolastica. Al di là di tutti gli imprevisti che potevano contornare la sua vita ed intralciare il suo percorso, Jimin non doveva dimenticare i suoi doveri da – quasi – normale adolescente. I suoi genitori non erano catalogabili come i classici pretenziosi che miravano per lui ad un raggiungimento di voti ottimali per ogni fine semestre, non che di questo ce ne fosse stato il minimo bisogno, Jimin si era rivelato essere anno dopo anno uno studente a dir poco eccezionale e brillante; Il loro sogno, in cuor di madre e di padre, era quello di poter essere un giorno ancor più fieri di lui e vederlo sorridere, fresco laureato, dinanzi ad una cerimonia di diploma, con indosso una toga ed un tocco, pronto ad entrare nel fatidico mondo dei grandi.

Jimin sospirò a fatica con una mano portata a pettinare all’indietro i capelli lisci come la seta, mordendosi il labbro inferiore tremante e cercando di trattenere le lacrime al solo pensiero di vedere un giorno, un breve giorno, dipinte sui loro volti l’amarezza e la delusione causate dai suoi gesti imperfetti ed esanimi. Tutti i loro sogni, nel giro di una frazione di secondo, sfumati nell’aria ed infranti come vetro se solo avessero saputo che il loro piccolo genio e brillante Jiminie, a soli diciassette ed ingenui anni, portava in pancia la conseguenza di un errore.

“Jimin-ah!” lo richiamò stavolta suo padre.

“Dannazione…” sussurrò lui a voce bassa con una mano sugli occhi, “Arrivo!” invece urlò.

Indossò così la giacca della divisa, infilò di seguito le scarpe e solo dopo aver afferrato finalmente lo zaino, scese di tutta fretta le scale fino a raggiungere la sua famiglia nella cucina al piano di sotto. Non appena varcò la soglia della stanza, un dolcissimo – ma per lui nauseante – odore di cioccolato e cannella invase come un’onda le sue sensibili narici. Il biondo lanciò uno sguardo alla tavola ben apparecchiata, bicchieri di fresca spremuta d’arancia erano posti su di un vassoio, sua madre in vestaglia di raso era ai fornelli che preparava i suoi famosi ed impeccabili pancakes, mentre suo padre seduto su di una sedia che sorseggiava caffè e leggeva su di un quotidiano le notizie del giorno.

“Buongiorno a tutti” si annunciò.

“Buongiorno tesoro”, ricambiò sua madre allungandosi e stampandogli un dolce bacio sulla guancia. “Come stai ? Ho visto che sei alzato presto, hai dormito bene ?”

Serio e composto Jimin, non lasciar trasparire ombra di dubbio . “Sì, abbastanza, grazie”

“Giornata impegnativa Jimin-ah ?” domandò invece suo padre.

“Non molto, mi aspetta solo un test di matematica alla terza ora”

“Sono certo che eccellerai come sempre”

“Già, come sempre” rispose lui. “Anzi forse è meglio se vada, non voglio rischiare di far tardi –“

“Esci di già ?” sua madre abbozzò un tenero broncio, “Non ti fermi a far colazione con noi ?”

Jimin afferrò un biscotto ancora caldo dalla teglia e ci stampò su un piccolo morso “Mh magari un’altra volta mamma, prima devo fare un salto da Taehyung”.

“D’accordo” sorrise lei, scrollandogli i capelli e sistemandogli amorevolmente il colletto della camicia. “Sicuro di star bene tesoro ?” lo scrutò a fondo “Hai una luce diversa stamane, sei radioso”.

“Sto alla grande” mentì deglutendo a fatica. “Davvero alla grande”.

“Qualche giorno potremmo invitarlo a colazione per delle uova, Taehyung, che ne dici ?”

Il biondo si limitò ad una scrollata le spalle, “Glielo chiederò” rispose prima di salutare i suoi genitori con un bacio sulle guance e precipitarsi fuori casa con lo zaino pendente da una sola spalla.

Taehyung. Taehyung. Taehyung. Quello era il nome che più frequentemente pronunciavano le labbra di Jimin. Taehyung, il ragazzo dai capelli adesso grigi come la cenere e dal sorriso rettangolare e raggiante. Conosciuto anche come il suo angelo custode, la sua spalla destra, colui che fin da bambino aveva riservato un posto speciale nel suo cuore – precisamente da quel giorno al parco giochi in cui le sue lacrime furono asciugate ed il suo peluche preferito, rubato da malcapitati bambini, sostituito dal suo a forma di pulcino. Il folle, ma in fondo tanto generoso, Kim Taehyung.

Jimin camminò, con gli occhi fissi sulle scarpe e la testa dispersa fra le candide nuvole dei suoi pensieri, fino alla fine della strada laddove all’angolo risiedeva la vivace villetta a due piani della famiglia Kim. Il biondo aprì con cautela il cancelletto del giardino e salì le scale del portico pigiando con delicatezza il campanello posto accanto la porta d’ingresso. Si aspettò che ad accoglierlo fu lui, vestito di tutto tiro come suo solito, ma con suo dispiacere – poiché quella mattina Jimin non affatto dell’umore giusto per regalare sorrisi e dolci conversazioni – ad aprirlo fu invece sua madre. “Jimin-ah!” lo accolse la donna con un sorriso, lo stesso che aveva Taehyung.

“Buongiorno signora Kim” pigolò lui con un inchino. “Mi dispiace disturbarvi a quest’ora del mattino ma –“

“ – Cercavi Taehyung!” lo anticipò “Va’ di sopra Jimin-ah, e spero tu sia più fortunato di me, sono ore che cerco di tirare quel disgraziato fuori dal suo letto!” urlò lei con la speranza che suo figlio di sopra la sentisse.

Jimin ridacchiò, “Vedrò di fare del mio meglio”

La donna lo invitò ad entrare, non indicandogli nemmeno più dove andare dal momento che Jimin ormai conosceva quella casa quasi come le sue stesse tasche. Il biondo salì le scale a due a due e percorse il lungo corridoio fino a raggiungere l’ultima stanza posta sulla destra. Quando poggiò cauto la mano sulla maniglia e spinse piano la porta, il buio totale lo invase. Le imposte delle ampie finestre erano ancora sigillate, il piccolo volpino Yeontan era acciambellato su di un cuscino gettato lì sul tappeto, mentre Taehyung era a letto, disteso a pancia in giù, sotto una gran moltitudine di coperte che ronfava beatamente.

Jimin si inginocchiò dinanzi al suo viso dormiente, “Taehyungie” sussurrò poggiandogli una mano sulla spalla nuda, proprio non riusciva a spiegarsi come lui facesse a dormire in quello stato anche in pieno inverno. “Taehyung svegliati, ti devo parlare”.

Ma un mugugno da parte sua fu tutto quello che Jimin purtroppo ricevette.

“Taehyung ti prego … ho fatto un casino, abbiamo fatto un casino” mormorò stavolta con voce quasi strozzata.

“Eomma”, bofonchiò il grigio voltandosi non curante dall’altro lato del letto. “Ancora cinque minuti per favore”.

Jimin alzò gli occhi al cielo e strinse forte i pugni nelle mani. Si guardò intorno seccato e senza pensarci un minuto di più aprì violentemente le imposte lasciando che il sole e l’aria fredda invadessero completamente, con una volata gelata, il letto su cui Taehyung giaceva.

“Non li ho cinque dannati minuti, svegliati cazzo!” imprecò il biondo.

In preda alle urla e dal piccolo volpino che preso alla sprovvista cominciò ad abbaiare come un matto, Taehyung saltò così dal dolce sonno, mettendosi a sedere, con i capelli arruffati che morbidi gli cadevano arricciati sulla fronte, e guardando con un occhio aperto ed un altro ancora mezzo addormentato la minuta figura bionda che lo attendeva a braccia conserte e con sguardo minaccioso al capezzale del suo letto.

“Che vuoi Jimin-ah ?” lamentò lui gettandosi nuovamente sul cuscino.

“Ti devo parlare Taehyung, è urgente”

“Non potevi aspettarmi a scuola ? Sarei stato almeno fresco e riposato come una rosa e decisamente più pronto a sopportare i tuoi drammi mattutini” disse il grigio con la sua inconfondibile voce rauca “Non solo hai interrotto il mio sonno di bellezza ma anche la visione di un –“

“ – E’ importante Tae” tagliò corto Jimin esausto “Non sarei qui se non lo fosse”.

Il ragazzo si strofinò il viso ed sospirò appena, intuendo che nell’aria qualcosa non girava nel verso giusto, “Ok, dammi almeno un attimo: mi metto qualcosa addosso, prendo lo zaino ed usciamo”.

Jimin si strinse nelle spalle ed annuì, “D’accordo ma sbrigati per favore” lo allertò accasciandosi sulla sedia girevole posta sotto la scrivania, fissando Taehyung ed aspettando quasi invano che questo uscisse fuori dal suo bozzolo di coperte. Il grigio lo guardò a sua volta, facendo stavolta però cenno verso la porta.

“Jimin ti dispiace ? Sai com’è sono in mutande, devo vestirmi”

“Oh Tae andiamo, ti ho visto perfino nudo, non fare il puritano proprio adesso!”

Taehyung alzò gli al cielo e si lasciò così abbandonare con la schiena contro la spalliera del letto, “Forza” lo spronò “Se è così urgente, avanti, sputa il rospo drama queen. Ti ascolto”.

Jimin abbassò lo sguardo e deglutì appena, rigirandosi nervosamente i pollici fra le mani bambine. “Ti … ricordi l’ultima festa ? Quella … quella a casa di Namjoon, in cui noi, ecco beh … insomma noi abbiamo

Fatto sesso” completò il grigio “Sì Jimin-ah, ero ubriaco fradicio ma occhio e croce ricordo cos’è successo a quella festa”.

“Sono … successe cose strane da quel giorno Tae”

“Che tipo di cose strane ?”

“Sono stato male, ho vomitato per giorni e –“

 “Dio, lo sapevo che non avrei dovuto lasciarti bere quegli shots!” si rimproverò Taehyung, quasi come se quella fosse stata una sua di responsabilità. “Ero certo che quel bastardo di Yoongi ci avesse messo qualcosa dentro e –”.

“ – Non si tratta di questo” mormorò Jimin, tra l’imbarazzo e la vergogna.

Un’espressione dubbiosa, data dall’evidente sopracciglio inarcato, si dipinse sul volto statuario di Taehyung. Il biondo non ebbe il coraggio di annunciarglielo così a bruciapelo, non lasciandogli così altra scelta. Jimin afferrò lo zaino precedentemente gettato sul pavimento e sfilò da una delle tasche il bastoncino con su ancora marchiato quel segno, quella condanna, che poche ore fa aveva sconvolto la sua stessa vita.

“Cos’è quel coso ?” chiese Taehyung indicando l’oggetto stretto fra le sue dita.

“Tae …” mormorò tremante la voce di Jimin “Aspetto un bambino”.

Il grigio lo fissò spalancando e richiudendo a tratti la bocca, troppo sconvolto dall’accaduto persino per proferire parola. Il suo viso si fece della stessa tonalità delle lenzuola su cui dormiva, la sua espressione tramutarsi in un breve arco di tempo da basita a preoccupata e, infine, a mostrarne una di puro terrore. “Di chi è ?” chiese poi con un filo di voce.

“O cielo Taehyung!” Jimin perse così la pazienza, “Del vicino di casa, tu che dici ?”

Tutta quella faccenda suonava come in una bolla, in modo così assurdo e surreale. Taehyung si passò una mano fra i capelli mossi e scrutò a fondo la piccola figura che aveva davanti a sé, soffermandosi come giusto che fosse sul dettaglio che più stentava ad immaginare. La sua pancia, quella sua perfetta e morbida pancia a tratti persino delineata, nel giro di qualche mese si sarebbe gonfiata come una mongolfiera, le sue voglie sarebbero aumentato così come i suoi umori sballati a causa della presenza di un qualcosa di estraneo, che apparteneva a lui, crescere al suo interno. Taehyung si prese il viso tra le mani cercando di elaborare e metabolizzare al più presto quella sconvolgente notizia: Jimin era gravido. Gravido per davvero.

“Com’è possibile ? Mi avevi detto che prendevi i bloccanti”, replicò lui cercando di mettere ad incastro tutti i pezzi del puzzle.

“Ed è così, li prendo! Potrei però essermene dimenticato … una volta, o forse due”

“Che vuol dire te ne sei dimenticato ?” sottolineò Taehyung furioso, “Cazzo Jiminie avresti dovuto dirmelo, avrei portato almeno i preservativi!”

“E' stato uno sbaglio okay ? Eravamo ubriachi ma nonostante la mia piccolissima dimenticanza siamo stati attenti! Non andavo certo ad immaginare che dopo sarebbe successo –“ Jimin si indicò la pancia “ – questo!”

“Stai scherzando, vero ?! Tua madre non ti ha spiegato come sei nato ? Vuoi che ti faccia un disegnino per caso ?!”

Taehyung scostò via le coperte con un calcio e come una furia si alzò dal letto, avvicinandosi all’armadio e ripescando da quest’ultimo i suoi pantaloni preferiti ed un maglione bianco. “Dopo scuola ti accompagno in ospedale, dobbiamo consultare un medico e capire a che punto sei”.

“Non lo terrò”.

Il ragazzo si voltò di scatto all’udire di quella raggelante frase, “Stai sul serio pensando … vuoi  … ?”

Jimin annuì facendo fatica stavolta a trattenere le lacrime che deboli si fecero strada sulle sue paffute guance, “Non c’è altra soluzione Tae” tirò su col naso “Abbiamo diciassette anni, andiamo ancora a scuola e non abbiamo uno straccio di lavoro! Sono certo che le nostre prospettive future siano quelle di andare al college, non certo di cambiare pannolini per i prossimi tre anni”

“Qui non si tratta solo di te Chim, non puoi decidere da solo. Ci sono altre persone coinvolte in questa faccenda!”, Taehyung gli si avvicinò poggiandogli le grandi mani lì sulle sue piccole spalle, “Ascolta, io sono con te, ci sarò sempre per te Jimin-ah, ti darò sempre una mano. Nonostante tutto, ricordi ?”

“Non posso Tae …”, Jimin si morse un labbro “Non posso neanche pensarlo”, sospirò a fatica scosso dal panico e dal pianto. “La mia vita è finita se tengo questo bambino”.

“Ti appoggerò qualunque sarà la tua decisione” Taehyung gli passò i pollici sugli zigomi delicati, sempre lì pronto a raccogliere le sue piccole e amare lacrime “Ma prima devi dirlo a Jungkook –“ disse poi con un tono che non accettava affatto replicazioni “ – è il padre Jiminie, deve saperlo”.

 


N.A. Non ho la minima idea di quello che sto facendo/scrivendo. L'esperimento, per questo primo capitolo, era quello di camuffare una Jikook per una Vmin, ma abbiate pietà di me quel collage era troppo bello per non essere messo. Ciao te che leggi! Benvenuto in questa follia, grazie per la visita ed eventuali feedbacks, un abbraccio forte - Moonism -

 

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Capitolo 2
*** - Baby Bump ***




2. Baby Bump
 

Con un forte senso di nausea che smanioso vacillava per il suo stomaco e le paffute dita intrecciate fra quelle avvolgenti di Taehyung, Jimin osservava ormai irrequieto le pareti bianche e dall’odore sterile della stanza attorno a sé.

Lo studio del dottor Kim si presentava ai suoi occhi di modeste dimensioni: le grandi finestre, da cui leggeri trafilavano i raggi del sole, offrivano generose la visione dello scorrere del fiume Han; certificati di abilitazione e probabilmente diplomi di ogni corso esistente al mondo erano invece rilegati in eleganti cornici d’argento ed appese in fila ordinata al muro, mentre un enorme scrivania in mogano, con sopra poggiate cartelle cliniche e fogli sparpagliati, era posta imponente al centro della stanza. La stessa di fronte cui Jimin era seduto ed aspettava, impaziente e con le gambe scosse dai tremori, che il dottor Kim Seokjin facesse finalmente il suo ingresso in studio.

“Sei nervoso ?” sussurrò Taehyung al suo fianco strofinando il pollice sul dorso della sua mano.

Jimin annuì, la testa bassa e gli occhi fissi sul pavimento incapaci di reggere il minimo contatto visivo con il suo migliore amico. “Ho paura” mormorò a fior di labbra.

Taehyung piegò il capo sul suo, stampandogli un dolce bacio sulla tempia “Andrà tutto bene Chim, non è la fine del mondo. Il dottor Kim è uno in gamba, vedrai, ci aiuterà a trovare una soluzione” provò a rassicurarlo. “Hai riflettuto sul fatto di dirlo ai tuoi genitori ?”

Il biondo negò, “Non posso dar loro questa delusione Tae, non accetteranno mai che io aspetti un bambino da qualcuno che non è neanche il mio ragazzo”.

“Jungkook è il tuo ex ragazzo, non uno qualsiasi”

“Fa lo stesso” Jimin si morse il labbro dalla frustrazione. Sarebbe stato così facile illudersi che quel nome e quella parola composta di sole due lettere non avessero su di lui più il minimo effetto, nessuna farfalla svolazzante nel suo addome, nessun battito impazzito nel suo petto. Quanto facevano male al cuore invece, pari ad una ferita brutalmente riaperta, Jimin ancora non riusciva a capacitarsene. “Dopo quel che è successo alla festa non ci siamo più rivolti la parola, a scuola non mi degna neanche più di uno sguardo”.

“Quell’idiota non potrà ignorarti per sempre, soprattutto nella condizione in cui sei adesso”

“Magari lo farà” Jimin si imbronciò “In fin dei conti me lo merito

Taehyung gli accarezzò i capelli sulla nuca con un simil sorriso smorzato a metà bocca. “Forza, vieni qui” disse aprendo le grandi braccia, pronte ad accogliere il peso del suo corpo minuto. Azzerando la voce della sua coscienza, Jimin ci si gettò senza titubare un attimo di più, in quella stretta familiare e rassicurante che era da sempre ormai il suo unico porto sicuro. Il biondo poggiò così la testa sulla spalla del minore e lasciò scorrere lacrime sfuggenti sulle sue guance arrossate, tirando su col naso e ispirando a pieno il dolce odore della sua acqua di colonia.

“Sono una persona orribile, vero ?” mormorò nel suo orecchio “Se penso … se penso di … ”

Abortire ?” tagliò corto Taehyung “No, è soltanto la vita Jiminie”.

I due ragazzi sobbalzarono presto dalle proprie sedie quando avvertirono la porta dell’angusto ufficio aprirsi alle loro spalle. Un uomo in camice impeccabilmente bianco e senza accenno di pieghe, dai capelli corvini e dal sorriso dolce e gentile che subito riuscì a scaldare il cuore di Jimin, fece il suo ingresso stringendo tra le curiose mani quella che aveva l’aria di essere una cartella clinica, contenenti forse i documenti che poco prima il biondo aveva consegnato alla sua segretaria.

Il dottore scrutò uno dei tanti fogli all’interno di quest’ultima e si sedette sulla poltrona di cuoio posta dietro la grande scrivania, poggiando i gomiti su di essa in modo confidenziale quasi a far intendere che nessun tipo di barriera intercorreva tra loro.

“Ciao Jimin”, parlò Seokjin abbozzando un sorriso e cercando, in tutta la sua professionalità, di non far sentire in qualche modo i due piccoli adolescenti a disagio.

“Buongiorno dottor Kim” annuì nervoso.

“Come stai ?” domandò lui a sua volta, gli occhi neri come la pece fissi sul suo viso lo scrutavano con apprensione ma anche con un leggero lampo di preoccupazione. “C’è qualche sintomo che vuoi condividere con me oggi ?”

“Uhm ecco io – “Jimin scrollò le spalle, lo sguardo nervoso e nuovamente vitreo che andò subito alla ricerca di quello rassicurante di Taehyung.

Taehyung ricambiò al volo il tentativo di intesa,  “Lui è –“ titubò leccandosi le labbra dall’imbarazzo “Ha scoperto che –“ mimò poi una conca con le mani proprio lì sulla sua pancia “ – ha capito nò ?”

Il dottore annuì, “Ho afferrato” disse metabolizzando le informazioni date da Taehyung e sfoggiando così una leggera risata, “Hai le nausee, Jimin ?” chiese poi, sfilando una penna dal taschino del camice e iniziando così a scarabocchiare qualcosa su di un foglio.

“Da una settimane circa” rispose. “E in più le vertigini”

“Sei stanco ? Dolori alle articolazioni ?”

“Sì, alle gambe”

“L’ultimo rapporto sessuale ?”

Jimin arrossì, “Due … due mesi fa”

“Hai fatto un test ?”

Il biondo annuì, “Positivo”.

Il dottor Kim smise di annotare e chiuse così con uno scatto la punta della penna. “D’accordo, siediti lì, facciamo un’ecografia” esclamò con dolcezza, alzandosi dalla sedia ed indicando a Jimin di seguirlo in un angolo dello studio, verso il lettino sul quale si sarebbe dovuto accomodare. 

Con un groppo in gola che quasi gli opprimeva le vie aeree, Jimin fece quanto da lui indicato. Si stese sul lettino e tirò su la maglia scoprendo l’addome poco delineato, Taehyung era seduto accanto a lui, la mano ancora stretta tra le sue dita.  “Questo sarà un po’ freddo” disse il dottore spremendo del gel sulla sua pancia e stendendolo con una sonda lì su tutta la sua superficie. Jimin rabbrividì al contatto, a tratti quasi sorrise per il solletico che lo strumento gli stava provocando.

Il medico iniziò a muovere la sonda con una leggera pressione, a destra e a sinistra, pigiando di tanto in tanto la tastiera del computer. Jimin restò ammaliato, con lo sguardo fisso sul monitor, non riuscendo a distinguere un accidenti di niente in mezzo a quel tripudio di striature bianche e nere che si muovevano in sincrono ai movimenti della sonda. Seokjin restò per qualche attimo con lo sguardo fisso sul monitor, le labbra piene distese in una linea e la mascella ben serrata, segnale di chi era in quel momento completamente preso dal proprio lavoro.

“Va … va tutto bene ?” balbettò Jimin dopo un po’.

Il dottore annuì sorridendo, “Più che bene” disse girando il monitor verso di lui ed indicando con il dito un punto preciso lì sullo schermo. “Eccolo qui” esclamò con voce dolce e vellutata che quasi aiutò Jimin a contenere la voglia di urlare e di correre al di fuori dalla stanza “Questa piccola protuberanza è il tuo bambino”.

Seokjin non smise di far pressione sulla sua pancia, voltando la testa dopo poco per vedere la bocca spalancata e gli ampi occhi di Taehyung fissi sullo schermo e sulla piccola forma accartocciata. “O mio dio, Jiminie guardalo … è un fagiolino” sussurrò appena.

“Prendendo in considerazione le dimensioni, sei di circa sette settimane” continuò il dottore mentre spostava il trasduttore un po’ più di lato per cambiare l’angolazione dell’immagine mostrata. “E sembra che tutto proceda bene, nessun segno di sviluppo negativo finora”.

Jimin fissò lo schermo con le labbra dipartite, incapace di proferire parola e di distogliere al tempo stesso lo sguardo da quella piccola macchia grigia. Non riusciva più a muoversi, nessun controllo sui suoi muscoli, non riusciva a fare altro che divorare quella figura con gli occhi che in quel momento brillavano come la più bella delle costellazioni. L’immagine sfocata proiettata sul monitor aveva forme poco delineate ma un centro scuro, e proprio in quell’oscurità, nella sua stessa pancia, c’era lui, vivo, il suo piccolo bambino.

“Dottore io –“ proferì il biondo con voce stridula in un momento di riacquistata lucidità, mordendosi le labbra e trattenendo le lacrime pronte allo scrosciare. Il dottor Kim lo guardò con un dolce sorriso nel tentativo di aiutarlo a rilassarsi e riprendere la calma, percependo in pieno il nervosismo emanato dal ragazzo. “ – Non posso tenerlo”

Jimin sentì male nell’istante in cui i suoi stessi pensieri presero voce. Nonostante non volesse diventare genitore di quel che sarebbe stato uno splendido bambino, così di punto in bianco, e soprattutto in tenera età, il biondo non poté fare a meno di sentirsi un minimo emozionato nel vedere la piccola figura impressa sul monitor e realizzare così a mente ferma che un esserino delle dimensioni di un fagiolo – come aveva detto Taehyung – era proprio lì dentro di lui, frutto del suo stesso corpo. Era una sensazione che mai avrebbe pensato di vivere così presto, ma allo stesso tempo, il giovane ragazzo sapeva che non sarebbe stato in grado di prendersi cura di lui in maniera appropriata, di dargli l’amore e l’affetto che solo un vero genitore avrebbe invece potuto fare.

“E’ okay, Jimin” disse Seokjin spegnendo lo schermo e fornendogli dei tovaglioli affinché potesse pulirsi del gel appiccicoso. “Puoi decidere di abortire fino alla quattordicesima settimana, se la consideri un’opzione valida, siamo ancora in tempo”.

Jimin esalò un respiro di sollievo, non trascurando affatto però il senso di colpa che dall’interno invece lo stava lentamente logorando. Aveva diritto di scegliere, come qualsiasi alto essere umano, e Jimin sapeva che l’aborto sarebbe stata per lui la cosa migliore da fare in quel momento. Era ancora una matricola del liceo, e avrebbe voluto senz’altro frequentare l’università una volta diplomato, continuare a studiare per assicurarsi un futuro roseo, ed un bambino sarebbe stato per lui soltanto un freno su una marcia di slancio. Un bambino richiedeva attenzioni, una famiglia ed una stabilità economica che Jimin a suo malgrado non possedeva affatto.

“Hai solo bisogno di un consenso legale e firmare alcuni documenti di routine, dopodiché ti stilerò un colloquio con uno psicologo affinché tu sia totalmente certo della tua scelta e procedere poi con l’operazione”

“Un legale ?” pigolò Jimin stringendosi nelle spalle.

“Sei minorenne vero ?” chiese il dottore. “Avrai bisogno di un consenso informato di responsabilità medica” disse dopo che il biondo annuì.

“I suoi genitori non possono saperlo. Lo uccideranno…” intervenì Taehyung, bianco in viso.

“Mi dispiace ragazzi, ma non posso ignorare la legge. Avete diritto a ricevere informazioni in maniera autonoma ma devono subentrare i vostri legali dal momento che è di un’operazione chirurgica di cui parliamo”.

“O mio dio …” espirò Jimin debolmente, con lacrime che piene ed incontrollate caddero di nuovo giù dai suoi occhi. Il biondo si ritrovò nel giro di pochi attimi stretto fra le braccia paterne del dottor Kim, le mani che presero a sfregargli la schiena donandogli conforto ed aiutandolo in qualche modo a trasmettere pace e calmare il suo piccolo ma fin troppo evidente attacco di panico.

“E’ tutto okay Jimin, vedrai che i tuoi genitori capiranno”

“No, non lo faranno!” gridò, apparendo probabilmente patetico dinanzi ai suoi occhi. “Lei non capisce dottore non accetteranno mai, non mi daranno mai il consenso per …” spiegò bruscamente nascondendo il viso nel suo collo e piangendo ancor di più quando questo prese ad accarezzargli i capelli.

Non c’era via d’uscita. Nessuna soluzione che potesse aiutarlo a gettarsi quell'assurda storia alle spalle. Jimin era rovinato, decisamente nei guai fino al collo.
 
 


 
 



 
 
Jeon Jungkook aveva una vita perfetta. Una bella casa, situata in uno dei quartiere residenziale più belli di tutta Seoul, dei genitori amorevoli che supportavano a pieno i suoi progetti futuri, ed una buona media di voti a scuola, non eccellente, ma abbastanza alta da fargli meritare ogni volta un sorriso ed una pacca sulla spalle carica di orgoglio da parte di suo padre.

Jungkook era il ragazzo più popolare di tutto l’istituto. Bello da far invidia, con i capelli corvini gettati da un lato a scoprire la fronte, i lobi forati ed un fisico non piazzato ma senz’altro scolpito nelle sue forme. Amante della musica e del canto, una passione tenuta segreta quasi come la più preziosa delle amanti, e decisamente fin troppo portato per gli sport da contatto. Non era un caso che – da qualche anno – deteneva gelosamente, e in maniera anche abbastanza fiera, il ruolo di quarterback della squadra di football del liceo, il quale – con sua grande sorpresa – l’aveva portato per la sua immensa bravura dimostrata partita dopo partita, ad ottenere un ingaggio da uno scout ed una borsa di studio dritta per gli States.

La sua fama a scuola era grande, così grande che non c’era persona, uomo o donna che sia, che, tra un cambio dell’ora e l’altro, non gettava un occhio alla sua sinuosa figura quando quest’ultimo sfilava per gli angusti corridoi della scuola al fianco di Yoongi e Namjoon, i suoi più fedeli migliori amici. Jungkook credeva di avere una vita perfetta, mondana come qualsiasi altro adolescente della sua età, fatta di feste, fiumi di alcol e notti di ordinaria follia. Questo fino a quando il suo cuore non si risvegliò dal longevo letargo e non prese a battere incessante verso un’unica direzione, fino a quando un uragano col nome di Park Jimin non invase e stravolse completamente, da capo a piede, la sua vita.
 
“Stai scherzando, vero ?” domandò Jungkook, con un sorriso nervoso tirato ad uno degli angoli della bocca “Mi stai prendendo in giro” continuava a ripetere ormai da una manciata di minuti, ammutolendosi soltanto quando vide Jimin dinanzi a sé sospirare profondamente e scuotere la testa in segno di resa.

“Ho fatto il test più volte” rispose il biondo corrucciato “E un’ecografia di controllo, l’ho visto con i miei occhi”.

Jungkook si passò una mano fra i capelli scuri, aprendo e chiudendo le labbra incredulo “Non può essere, stai mentendo” mormorò restio facendo un passo indietro.

“Credi sul serio che potrei inventarmi una cosa del genere ?” chiese con espressione accigliata, evidentemente offeso da quello che Jungkook stava di lui insinuando.

“Come faccio a sapere che sia davvero mio ?”, lo accusò lui senza ombra di franchezza sul suo viso.

“Ecco, quella sera alla festa …” cominciò Jimin agitato, abbassando la testa così che Jungkook non potesse vedere le sue guance cambiar colore dall’imbarazzo. “Noi abbiamo … insomma, lo sai”.

“Questo non vuol dire che sia io il padre” chiarì Jungkook cercando invano di distogliere gli occhi dal suo dolce viso e fermare la mente che ormai accelerata non faceva altro che pensare a quanto Jimin potesse apparire carino in quel momento, così timido ed impacciato, avvolto in una delle sue amate felpa oversize lunga fino alle ginocchia, in netta contrapposizione invece con quanto quella notte era stato selvaggio e fuori di se, mentre gemeva sfrenatamente sopra di lui a ritmo delle sue spinte incalzanti.

Niente tra loro sarebbe dovuto più succedere. Non dopo che Jungkook aveva trascorso un anno negli States con la speranza giorno dopo giorno di ricevere, dopo la rottura, un misera telefonata da parte sua, non dopo essersi lasciato tutto alle spalle ed aver faticato così tanto per dimenticarlo. Jungkook si era categoricamente promesso, una volta tornato in Corea, di star lontano da Park Jimin, colui che gli aveva totalmente rubato e ridotto il cuore in brandelli, ma quella dannata festa – organizzata per il suo ritorno – a casa di Namjoon aveva rovinato tutto, il lavoro di un anno ma in primis ogni suo buon proposito di restare calmo e lucido.

Jungkook quella sera tracannò grandi quantità di vodka dritti giù per la sua gola, forse perché inconsciamente sperava che quella, l’unica sua arma lì a disposizione, gli avrebbe dato il coraggio necessario per affrontare il palesarsi della figura inaspettata di Jimin. I due, Jungkook ricordò, erano finiti col guardarsi di sottecchi per tutto il tempo, litigare quando Jimin lo aveva trascinato verso la sua macchina con il tentativo di risanare le loro stesse ferite, e fare sesso, abbandonarsi l’uno all’altro, poiché l’attrazione – se non l’amore – che scorreva tra loro era ancora più vivo che mai.

“Sono di sette settimane, le date coincidono” mormorò Jimin, riportando la mente di Jungkook al presente. Il ragazzo rise nervosamente alla notizia, facendo scivolare le mani sudate lì sui fianchi stretti.

“Non significa un bel niente”, vomitò con un misto di rabbia e rancore.

Jimin sospirò esausto, “Non ho fatto sesso con nessuno al di fuori di te, Jungkook” ammise con imbarazzo, mordendosi le labbra ed evitando di stabilire con lui un contatto visivo.

“Non ti credo” borbottò il moro, lasciando cadere lo zaino sulla gradinata del campo da football e sollevando entrambe le mani su per il viso. “Questo è solo un fottuto scherzo”

“Vorrei che lo fosse …” rispose Jimin sottovoce.

Entrambi rimasero in silenzio per minuti che parvero avere invece la stessa intensità di ore. Jungkook seduto sugli spalti con la testa sepolta tra le ginocchia dalla frustrazione e Jimin qualche scalino più in basso che lo osservava di tanto in tanto, assorbendo come una spugna tutta la sua rabbia ed i suoi nervi a fior di pelle.

“L’aborto ?” propose poi il moro, ponendo la questione a Jimin come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.

“Certo che ci ho pensato, ma ho bisogno del consenso dei miei genitori, o di un legale che mi tuteli”

“E allora chiediglielo!” urlò Jungkook con tono esasperato, rammaricandosi immediatamente dopo aver visto Jimin davanti a sé sussultare e stringersi nella felpa.

“Non posso farlo” rispose il biondo con piccola voce, “Non mi daranno mai il loro consenso per abortire”

Jungkook imprecò qualcosa di incomprensibile sottovoce ed alzò disperato gli occhi al cielo in cerca di una soluzione o un’idea alternativa alla precedente proposta che potesse metter fine non solo a quell’enorme guaio in cui entrambi si erano cacciati, ma a qualsiasi altro episodio obbligasse Jungkook ad avere un rapporto con lo stesso Jimin.

Ma in fondo niente era semplice, vero Jeon ?

“Cosa facciamo ?” chiese Jimin quando vide che dall’altro lato le risposte tardavano ad arrivare.

Noi ?  Oh no principessa non c’è nessun noi in tutta questa storia” sghignazzò Jungkook afferrando lo zaino da terra ed indossandolo su di una sola spalla.

“Non ti sto chiedendo di formare una famiglia felice Jungkook! Soltanto di aiutarmi con la gravidanza così che al termine possiamo poi dare il bambino in adozione”.

“Non mi prenderò cura di lui, Jimin, non esiste

Il biondo sgranò gli occhi e la bocca non appena quelle parole furono pronunciate, "Sei proprio uno stronzo, lo sai ? Questa è anche un tuo problema!” sbottò “Ma dopotutto non vedo perché sorprendermi, scappare è quel che più ti riesce, tutto quello che sai fare !”

Nero, fu tutto che Jungkook vide davanti a se al riecheggiare di quella frase. “Non provare a rigirare la questione Jimin, mi hai capito ?!” urlò puntandogli un dito contro “Non sono io quello che abbandona le persone da un giorno all’altro con uno straccio di messaggio lasciato in segreteria, nemmeno io quello che si fa scopare alla prima occasione sapendo di poter rimanere dopo in queste condizioni !”

“Almeno io quando scopo qualcuno ad utilizzare un profilattico ci penso!”

Quella fu la tanto ed attesa goccia che fece traboccare il loro vaso fin troppo colmo e fragile. Jungkook inspirò a fatica, con un groppo fermo sul cuore e gli occhi accecati dalla rabbia fissi in quelli supplicanti di Jimin, nocciola con delle sfumature ambrate, quegli stessi occhi carichi di genuinità  e purezza cui Jungkook amava osservare ed affogarci, coloro che erano stati capaci di divorargli l’anima, rubargli il cuore, ma al tempo stesso distruggergliela senza il minimo rimorso.

Nel silenzio che – breve e devastante – incalzò imponente tra loro, Jimin si morse la lingua pentito per quanto detto, ma soprattutto colpevole di aver toccato un nervo scoperto ed essersi spinto al di là del suo stesso lastrico. “Jungkook …” mormorò cercando di afferrargli la mano. “Mi dispiace io –”

“Vaffanculo Jimin” sbraitò lui spingendolo via ed allontanandosi così dal campo da gioco sotto il suo sguardo ferito ed affranto “Vaffanculo!”

Una volta rimasto solo, nel loro piccolo posto segreto, su quella gradinata isolata, che tanto fu spettatrice di litigi, baci rubati e dolci promesse sussurrate, Jimin pianse senza più alcun freno. Lacrime di sconforto e di puro disprezzo verso se stesso, caddero dagli angoli degli occhi all’infrangersi come pioggia lì sul terriccio polveroso. Non c’era nessuna giustificazione a cui appigliarsi, Jungkook aveva ragione ad essere furioso con lui, a dargli del codardo, per averlo lasciato solo in un periodo per lui trionfale con la speranza invece – da parte di Jimin – di alleggerire il suo carico e far soltanto il suo bene; un ipocrita per esser corso invece da lui sapendo per certo che tutto quello che avrebbe trovato dall’altro lato sarebbe stata una porta blindata chiusa a doppia mandata.

Jimin si portò le mani sull’addome, singhiozzando a più non posso, abbracciandosi e stringendosi quasi come a creare una fortezza, a proteggere dalle insidie del resto mondo quel piccolo bozzolo che ingenuo cresceva in lui. Non c’era crimine da scaricare o odio da donare, quel bambino, il suo bambino, non aveva nessuna colpa se non quella di essere capitato in un momento in cui il disprezzo era da padrone, e l’amore – tra loro – sembrava ormai essere sfumato via, disidratato come l’ultima delle oasi in un caldo deserto.

Improvviso come un lampo a ciel sereno, un’ancora in un mare in tempesta, il cellulare di Jimin prese a squillare ripetuto ed inquieto nella tasca posteriore dei suoi jeans. Il biondo si asciugò gli occhi, dalla visione ormai opaca, con la manica della felpa ed afferrò l’apparecchio portandoselo all’orecchio senza neanche guardare il nome impresso luminoso sul display.

“Minnie ?” parlò la voce calda e rassicurante di Taehyung.

Jimin tirò su col naso, incapace di nascondere e tenere velato il dolore che in quel momento greve e pesante elargiva sul suo cuore crepato, “Tae … Jungkook …” sussurrò con voce scossa dai singhiozzi “Ho … peggiorato … ho rovinato tutto”.

“O mio dio” mormorò di tutta risposta Taehyung dall’altro capo del cellulare, in tono inaspettatamente affannato quasi come se, alla sua voce incrine, avesse mollato tutto e cominciato a correre di tutta fretta “Stiamo arrivando Jiminie, non muoverti” disse infine prima di staccare bruscamente la chiamata.

Jimin fissò lo schermo del cellulare, la foto impressa su di esso e, con nuove lacrime formatesi e il respiro smorzato per il troppo pianto, solo, attese.


 

N.a: C'è ben poco da dire, tranne che sono pessima perchè ci metto una vita ad aggiornare *sigh*
Bentornati qui miei cari <3 

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Capitolo 3
*** - Changes are not so bad ***




3. Changes are not so bad  
 
“Lo uccido!”

Parole colme di rabbia e di disprezzo sibilavano ormai come un violento fiume in piena fuori dalle labbra sottili di Kim Taehyung, risuonando con un eco lungo l’intero e – a quell’ora ancora solitario – campo da football. Taehyung camminava avanti ed indietro per la gradinata con lo stesso fomento di una trottola impazzita, incredulo dopo aver ascoltato con pazienza, insieme ad Hoseok, il racconto singhiozzato sullo spiacevole confronto che Jimin aveva appena avuto con Jungkook.

“Chi diavolo crede di essere ? Non ci posso credere, quell’idiota ha davvero intenzione di abbandonarti in queste condizioni e fuggire così dalle sue responsabilità!”

E’ Jeon Jungkook, il quarterback della squadra, la stella del nostro liceo” borbottò Hoseok seduto accanto a Jimin, i capelli neri poggiati morbidi su quelli del biondo a formare un netto contrasto, la mano che invece su e giù accarezzava la sua schiena minuta. “Di cosa ti sorprendi ?"

“Speravo quel bellimbusto senza cervello dimostrasse per una volta di tenere oltre che la sua misera reputazione!” urlò Taehyung spalancando le braccia, “Mi vien voglia di strangolarlo, lui e quei suoi stupidi amici! Scommetto per certo che il suo ego sia anche più grande del suo –“

 “Taehyung, ti prego” implorò Jimin “Non voglio più parlarne”

“Questo non ti aiuterà a risolvere il problema Jimin-ah! Quel bambino è anche suo, Jungkook dovrebbe starti accanto e –“

“Taehyung!” lo richiamò Hoseok facendo un cenno col capo verso Jimin, il cui viso paffuto e gonfio dal pianto era nascosto nella sua giacca di jeans, “Dacci un taglio” sussurrò.

In seguito a quel rimprovero, e per il bene di Jimin, Taehyung si astenne dal ribattere e si accasciò invece sulla gradinata sbuffando con evidente frustrazione. La collera era palpabile e riconoscibile sul suo viso, il sangue ribollente nelle vene, il ragazzo dai capelli grigi si sentì presto sopraffare da un sentimento cieco, privo di razionalità, che lo fece persino dubitare della sua tanto vantata determinazione. Avrebbe preso Jungkook a pugni se solo avesse potuto, un diretto così forte che gli avrebbe fatto dimenticare quel nome tanto chiacchierato. Taehyung sapeva però di dover restare calmo, Jimin lo aveva pregato di non ricorrere a nessuna conseguenza affrettata e violenta, e lui – con una punta di amarezza sulla lingua – aveva accettato quel compromesso senza batter ciglio.

Non sarebbe diventato un ulteriore peso per il suo migliore amico, Taehyung si era invece ripromesso sarebbe stato a soli diciassette anni – per lui ed il bambino – quel pilastro, quella figura paterna, di cui Jungkook non voleva affatto sentirne parlare. Avrebbe aiutato Jimin come meglio poteva, durante tutto l’iter della gravidanza, con tutto quello che sarebbe stato a sua disposizione. Da quando aveva messo un freno alle lacrime del maggiore regalandogli il suo soffice peluche a forma di pulcino da bambino, il ragazzo dai capelli grigi e dal sorriso rettangolare come una scatola di merendine, aveva giurato a se stesso che Jimin non sarebbe rimasto mai solo, neanche per un solo istante.

“Ok prometto che non ucciderò quello stronzo” raccomandò Taehyung. “Ma gliene dirò comunque quattro!”

Nonostante le parole di sfogo furiosamente pronunciate, Jimin – seduto e coccolato fra i due ragazzi – sfoderò un lieve sorriso e poggiò la fronte stavolta sulla spalla di Taehyung. Era certo non sarebbe mai stato sufficientemente grato ai suoi due migliori amici per tutto il supporto donatogli, soprattutto per essergli accanto in un momento così drastico della sua vita quando sembrava che tutto, persino l’intero mondo, fosse sul punto di voltargli le spalle.

 “Non avremmo dovuto lasciarti solo con Jungkook quella sera alla festa” disse Hoseok spezzando il silenzio dopo un po’, i capelli mori scossi dalla lieve brezza del vento.

“Non dire così Hobi” cercò di dire Jimin con voce sottile e ancora un po’ tremante.

“Ha ragione invece” rispose Taehyung “Avremmo  dovuto starti accanto Jimin-ah, immaginare sarebbe successo qualcosa fra voi dopo un intero anno, e magari –“

“Tae, è tutto okay” rassicurò lui con una carezza sulla schiena “E’ stata solo colpa mia … beh nostra a dire il vero. Credevo che l’alcol mi avrebbe dato il coraggio necessario per affrontarlo, ma a quanto pare mi sbagliavo. E’ successo tutto così in fretta che non mi sono neanche assicurato Jungkook stesse usando precauzioni” Jimin abbassò lo sguardo angosciato verso il suo addome, ancora troppo presto per vederne un abbozzo, accarezzandolo non più con terrore e rinnego ma con la premura di chi stava pian piano cominciando ad accettare la nuova vita che era in lui. “Suppongo che questo bambino sarà una sorta di promemoria …” si morse un labbro “Per esser stato così incosciente”

Hoseok e Taehyung si strinsero attorno a lui in un lungo abbraccio, tempestandolo di pizzichi sulle guance e baci sulle tempie, lasciando sì che Jimin ritrovasse in loro non un’ulteriore radice di guai ma soltanto sollievo, quella protezione fraterna e senso di pace che tra le loro solide braccia sapeva non sarebbe mai mancata.

“Sai che ti ameremo anche quando diverrai grande e grosso come una balena, vero ?” domandò Hoseok scombinandogli i capelli con una mano.

“Lo dici soltanto perché col pancione che avrò, mi riuscirà impossibile batterti durante il freestyle del ballo di fine anno”

“Sciocchezze, sai che resterò sempre il re della pista”

“D’accordo voi due –“ fermò Taehyung alzandosi in piedi ed estraendo il cellulare dalla tasca del suo giubbotto. Le dita presero a muoversi incessanti lungo lo schermo luminoso dell’apparecchio fermandosi soltanto quando dall’altoparlante cominciò a risuonare, improvvisa e ad alto volume, una musica ai due fin troppo familiare. “Se proprio vogliamo essere onesti, l’anno scorso la pista è stata completamente mia” precisò.

Hoseok scoppiò in una risata non appena la riconobbe, niente meno che Fantastic Baby dei BigBang, la canzone che fece guadagnare a Taehyung notorietà lì al liceo e che fece, per una sola sera, accalappiare su di se lo sguardo e l’attenzione dell’intera squadra di football. Quella canzone era diventata con il passare del tempo un loro rito ballarla, segreta ed intima, riprodotta in qualsiasi luogo si trovassero, quando la tensione e le situazioni avverse non lasciavano loro più spazio per attimi di leggerezza e ricercata spensieratezza.

 “No Tae, non mi va!” protestò Jimin con un lamento quando il suo amico l’aveva tirato giù dalla gradinata per un braccio.

“Ah non fare storie!” rispose il grigio “Sai che non puoi sottrarti al richiamo di G-Dragon!”

Con una mano che timida prese a sfregare la nuca dall’imbarazzo, Jimin guardò i suoi migliori amici lasciarsi travolgere dal ritmo incalzante della canzone. Hoseok si muoveva ipnotico, con la stessa scioltezza e fluidità di chi sembrava avesse da sempre la danza incisa nel cuore. Ogni suo muscolo reagiva coordinato al crescere dei battiti, i fianchi ondeggianti che lasciavano trasparire nient’altro che una forte sicurezza e padronanza del proprio corpo. Jimin adorava allenarsi con il suo hyung dopo la scuola, trascorrere la restante parte della giornata in sala prove ad allenarsi e creare, da un ritmo abbozzato e da soli passi improvvisanti, coreografie mozzafiato. Ballare, ballare e ballare per ore, fermandosi soltanto quando il sole in cielo sarebbe calato, l’aria intorno satura del loro stesso odore e le ginocchia infine crollate sfinite sotto il loro peso.

Jimin era consapevole del fatto che nel giro di qualche mese il suo corpo sarebbe drasticamente cambiato e a causa delle sue presto rotondità non sarebbe stato in grado di nascondere la gravidanza più tanto a lungo. Nonostante il solo pensiero era in grado di agitarlo e di opprimergli la gola, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto mettersi comodo ad un tavolo ed affrontare la tanto temuta questione con i suoi genitori. Jimin sapeva inoltre che, per un tempo vitale e necessario, avrebbe dovuto accantonare quella passione che più fra tutte era in grado di farlo sentire libero e leggero come una farfalla, farsi carico di mille e cento responsabilità, prendere le redini fra le mani e comportarsi, per la prima volta, come un vero e proprio adulto in virtù della nuova e piccola vita che giaceva in lui.

Ma non appena Taehyung gli intimò con un dito di avvicinarsi, ed il ritornello della canzone prese presto piede, Jimin non riuscì a star fermo e trattenersi un minuto di più. Si gettò nella loro piccola mischia e ballò quella buffa melodia, ridendo a più non posso, con gesti e movenze che erano ormai soliti fare. Il ragazzo si lasciò così trasportare dalla musica ed abbandonò per pochi attimi tutto ciò che in quei pochi giorni gli era stato causa di angoscia, pensieri, preoccupazioni, Jungkook, lì alle sue spalle. Jimin guardò, quasi al rallentatore, i volti ridenti e luminosi di Hoseok e Taehyung e avrebbe giurato, anzi fu totalmente certo, che i loro sorrisi ed il profondo amore che aveva nei loro riguardi sarebbero state le uniche cose importanti che da lì a quella parte avrebbero dato senso ai suoi giorni e mandato avanti la sua semplice, ma fin troppo caotica, vita.
 




 
 
Dopo una rilassante passeggiata ed un gelato preso insieme ad Hoseok in uno dei suoi bar preferiti, Jimin rientrò a casa nel pomeriggio ormai inoltrato. Quando le chiavi smisero di armeggiare con tintinnii lungo la serratura della porta e non appena la soglia fu varcata dai suoi piedi già scalzi, un inconfondibile e forte odore di zuppa di pollo invase a pieno il suo piccolo naso. Sua madre doveva essere già rincasata dal lavoro e al biondo non bastò molto prima che, spogliatosi dello zaino e del suo giubbotto, riuscì a trovarla dinanzi ai fornelli come ogni sera, intenta nel girare la pietanza con un cucchiaio, in uno dei suoi impeccabili grembiuli colorati.

“Ciao tesoro, bentornato” sorrise sua mamma quando Jimin le si avvicinò per donarle un bacio sulla guancia.

“Sei uscita presto da lavoro” disse il biondo sedendosi su uno dei banconi liberi.

“Il signor Seo mi ha lasciato il resto della giornata libera, non c’era molto da fare in negozio” rispose lei “Com’è andata la giornata ?”

Uno schifo, avrebbe voluto dire, sentendo lo stomaco contorcersi al ricordo della lite e del volto infuriato di Jungkook. “Il solito” invece rispose “Ho fatto un giro con Hoseok e Taehyung dopo la scuola”.

“Nessuna sessione di allenamento oggi ?”

“No …” mentì schiarendosi la voce, “Hoseok hyung aveva da fare”.

Jimin cominciò a dondolare le gambe e a giocare nervosamente con l’orlo della sua felpa, guardando sua madre di sottecchi canticchiare e muoversi quieta da una parte all’altra della cucina con la speranza che invece la sua sprizzata e tagliente tensione non fosse nell’aria troppo palpabile. Una soffice calma regnante in casa, contornata solo da una leggero sottofondo jazz che sua madre era solita metter su quando era particolarmente di buon umore, garantì a Jimin l’atmosfera ideale per rompere finalmente il suo guscio di insicurezze. Quello sarebbe stato il momento perfetto per confessare tutto: la scoperta della gravidanza, la visita fatta a sua insaputa con il dottor Kim, la mai accennata relazione con Jungkook, ogni cosa. Jimin desiderava tanto scoppiare in un pianto rotto e disperato e gettarsi fra quelle braccia minute che era certo avrebbero saputo, in qualche modo, confortarlo ed aiutarlo. Perché il biondo sapeva che, a differenza invece di suo padre, sua madre, nonostante tutto, forse un po’ l’avrebbe capito.

“A che pensi, tesoro ?” chiese la signora Park dubbiosa, riportando Jimin alla realtà e facendolo così cadere dalla sua nuvola di dubbi. “Sei così silenzioso”.

Un brivido percorse la sua schiena, Jimin si morse un labbro con forza pentendosi quasi subito della scelta azzardata che stava per compiere. “Nulla di rilevante” rispose deglutendo a fatica. “Cosa stai preparando ?” chiese arricciando il naso e volgendo uno sguardo alle pentole poste sui fornelli.

“Ramen e Kimchi, il tuo preferito”

Quando sua madre sollevò il coperchio, sprigionandone vapore ed un forte odore di verdure piccanti lungo l’intera cucina, Jimin avvertì l’orribile sensazione di nausea salirgli dritto alla gola. La pelle d’oca si fece ben presto strada sui suoi avambracci così come la testa cominciò rapidamente a vorticare donandogli una visione intorno appannata e decisamente poco chiara. Il biondo chiuse gli occhi inspirando profondamente, così come il dottor Kim gli aveva consigliato di fare in caso di attacchi improvvisi. Non adesso piccolino, non adesso, mormorò fra sé e sé portandosi con istinto le mani sull’addome.

“Jimin-ah ?” quasi sentì sua madre con un eco in sottofondo. “Tesoro, ti senti bene ?”

Il suo tentativo di apparire calmo e rinsavito fallì miseramente, Jimin scese giù dal bancone con uno slancio e con una mano atta a coprirsi la bocca corse come un lampo su per le scale dritto verso il bagno. Spalancò la porta non curandosi affatto di chiuderla a chiave e inginocchiatosi sul pavimento proprio dinanzi al water, il biondo diede così di stomaco.

In preda agli spasmi, per il modo in cui il suo corpo reagiva al malessere, Jimin rigettò fuori ogni cosa, sentendosi improvvisamente sollevato quasi come se un enorme peso gli fosse stato appena tolto lì dallo sterno. Con la fronte imperlata di sudore, il respiro affannato e la costante stanchezza fisica di quella che era diventata ormai la sua orribile routine, il biondo si rialzò dal pavimento e reggendosi barcollante al lavabo, aprì il rubinetto sentendo i suoi sensi tornare al loro posto quando l’acqua corrente entrò finalmente a contatto con il suo viso.

Jimin lasciò il flusso scorrere fresco sui suoi polsi e solo quando alzò il volto allo specchio per darsi una sistemata e vedere quanto spossato potesse apparire in quel momento, che vide sua madre dietro di sé poggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto e un’evidente preoccupazione stampata visibile fra le sue rughe accennate.

“Mamma sto … sto bene” cercò di giustificarsi in preda al panico, “Ho mangiato un gelato con Hoseok prima e credo mi abbia provocato solo un po’ di – “

 “Avevo le tue stesse nausee quando ero incinta di Jihyun” disse lei con un flebile sorriso, un’esclamazione gettata lì dal niente che a Jimin invece fece raggelare il sangue nelle vene. La signora Park gli si avvicinò cauta, con gesti e movenze amorevoli, gli prese la soffice asciugamano rosa dalle mani e cominciò a tamponargli il viso pallido scostandogli con le dita i ciuffi biondi calanti ed inumiditi via dai suoi bellissimi occhi. “Per tre lunghi mesi, non ci fu giorno in cui tuo fratello non mancava di farmi sentire la sua presenza. Avrei dovuto capire sin dall’inizio che quel diavoletto mi avrebbe dato un bel po’ da fare” rise “Jihyun era così piccolo ma sempre lì pronto a rovinarmi qualsiasi pasto tuo padre cercava di prepararmi. Magari chissà, non apprezzava affatto i suoi ravioli al vapore, e non lo biasimo, tuo padre non è mai stato un grande cuoco” scherzò.

Jimin deglutì. “Eomma…”

“Quando ho scoperto di aspettare te invece, il nostro primogenito, il mio cuore è scoppiato di gioia, ero così emozionata che ero quasi certa sarei svenuta su questo stesso pavimento” Jimin vide gli occhi di sua madre farsi vitrei aneddoto dopo aneddoto, mentre un sorriso commosso le si fece strada sulle sue labbra sottili. ”Fissai quel test di gravidanza per ore interminabili, ero terrorizzata ma allo stesso tempo così ansiosa di conoscerti. Immaginavo spesso il tuo volto, le tue piccole e graziose mani, mi chiedevo se avresti preso gli occhi miei o quelli di tuo padre. Eri dentro di me da sole poche settimane ma ti amavo già così tanto, Jimin-ah”

Jimin strinse fra i denti il tremante labbro inferiore, trattenendo invano le lacrime che grosse gli si erano già formate agli angoli degli occhi. Non c’era più alcuna ragione per cui nascondersi, nessuna influenza stagionale avrebbe più retto le sue impagabili scuse. Nessun motivo per cui mentire, perché lì davanti a sé Jimin aveva il volto di chi non aveva bisogno di ricevere altre spiegazioni, il volto di chi, con soli silenziosi sguardi, aveva già capito ogni cosa. Il biondo scoppiò così a piangere, rumorosi e implacabili singhiozzi uscivano fiorenti dalla sua gola, la fronte poggiata contro la spalla di sua madre quasi in segno di resa, mentre le braccia della donna gli si avvolsero intorno in una dolce e tenera stretta in cui Jimin aveva desiderato da giorni ormai di affondarci. “Mi dispiace” mormorò aggrappandosi ai suoi vestiti. “Mi dispiace Eomma, mi dispiace così tanto”

“Shh va tutto bene tesoro, va tutto bene” rispose lei baciandogli il capo. “Lo affronteremo insieme, d’accordo ? Non piangere pulcino mio, andrà tutto bene”

“Non volevo tenerlo Eomma … sono andato da un dottore, volevo abortire, volevo sbarazzarmi di lui il prima possibile per continuare la mia vita e … non farvi arrabbiare” continuò Jimin con voce rotta dal pianto “Ma poi l’ho visto mamma, così piccolo … non ce l’ho fatta, mi dispiace mamma, so di avervi deluso … so di non meritare niente …”

Sua madre gli prese il volto fra le mani, asciugandogli le lacrime ed accarezzandogli le soffici guance con il palmo dei pollici “Non … non mi hai delusa, amore! Non riuscirai mai a renderci meno orgogliosi di te, hai capito ? Non ti cacceremo via di casa soltanto perché aspetti un bambino, che razza di genitori saremmo ? Mh ? Vieni qui” la donna lo trascinò con sé sul pavimento e lo strinse forte a sé cullandolo “Tu sei il mio bambino Jimin-ah. Il mio splendido e piccolo uomo. Io, Jyhun e papà ci saremo sempre per te, intesi ?”

Con la testa poggiata sulle sue gambe, Jimin annuì debolmente. Il ragazzo si lasciò così coccolare dalla stretta della sua mamma, accarezzare i capelli dalle dita piccole come le sue e farsi tempestare il viso da piccoli baci. Sentì così le palpebre farsi pesanti, troppo stanche da reggere altre lacrime, i singhiozzi placarsi attimo dopo attimo e il respiro tornare finalmente ad un ritmo regolare.

 “Come … hai fatto a capirlo ?” chiese Jimin dopo un po’.

“Vediamo …” titubò lei “Non bevi più il tuo amato caffè la mattina perché il solo odore ti disgusta, non ti alleni più con i tuoi amici dopo la scuola, sono settimane che invece vomiti e fingi di avere l’influenza. Sapevo che qualcosa in te non stava andando nel verso giusto”

“Mi dispiace”

“E’ tutto okay tesoro” rispose la donna chinandosi per dargli un bacio sulla tempia “Posso sapere di quanto … “

 “Quasi tre mesi. Il dottor Kim ha detto che adesso è delle dimensioni di un fagiolo” mimò Jimin con le dita. “Proprio così”

La signora Park sorrise alla notizia, “Ancora così piccolo per questo mondo” mormorò accarezzandogli la pancia ancora troppo distesa. “Il … tuo ragazzo lo sa ?” chiese poi con discrezione.

Il biondo annuì rabbuiandosi in volto, “Non l’ha presa molto bene … e non è più il mio ragazzo, abbiamo litigato qualche tempo fa … ci siamo rivisti alla festa di Namjoon hyung ed è successo … quel che è successo”

“Siete giovani ed ancora un po’ incoscienti, tesoro, sono certa che lui in questo momento sarà spaventato tanto quanto te”

Sdraiato su un fianco, Jimin strinse malinconico le ginocchia contro il petto, non affatto certo stavolta delle parole che sua madre aveva appena pronunciato. Lui era stato chiaro, non si sarebbe mai preso cura di quel bambino, quel piccolo bozzolo a cui insieme, inconsciamenteavevano dato la vita. Jimin ricordò d’un tratto la rabbia incisa sul suo volto, le iridi scure accecate da un sentimento furioso ed irrazionale; ricordò però quel suo lato bello, quello che conosceva soltanto lui e di cui Jimin ne era, a suo mal grado, ancora follemente innamorato. Un lato tenero fatto di imbarazzo, guance perennemente rosse, cuori battenti all’unisono, mani che timide si intrecciavano sotto il buio pesto di una sala da cinema e baci scambiati sotto le lenzuola del suo letto come se la loro piccola e romantica storia fosse il peggiore – se non invece il migliore – dei loro segreti.  

“Jeongguk” disse poi Jimin volgendo lo sguardo in alto verso il viso placido di sua madre “Il … il padre del bambino, si chiama Jeongguk”

 
Jeongguk” ripeté la donna con un sorriso, “Mi piace”.
 






 
Come in un principio d’incendio, un fiammifero gettato su una pozza di benzina, in un liceo in cui si era costantemente a caccia di feste sfrenate e succosi pettegolezzi, la notizia della gravidanza di Jimin si diffuse rapidamente, a macchia d’olio, finendo in un battito di ciglia sulla bocca di tutti.

Tutto ebbe inizio quando Jimin una mattina, prima dell’orario di lezione, si era presentato nell’ufficio dell’insegnante di educazione fisica con una certificazione medica firmata dal dottor Kim che gli proibiva di fare qualsiasi movimento che, in qualche modo, potesse compromettere il suo stato gravidico. Il docente aveva accettato il suo certificato con sorpresa dipinta sul volto, e a Jimin non gli fu così permesso di far parte della classe, ne di partecipare o assistere agli allenamenti, ponendolo così nella condizione di usufruire di quelle due ore libere per studiare fra le polverose mensole della biblioteca dell’istituto.

Nel giro di due giorni, tutti sapevano che Park Jimin, studente brillante e meritevole, aspettava un bambino. Di chi fosse quel piccolo bozzolo però, quello rimase un mistero fin troppo chiacchierato. Il biondo era consapevole del fatto che prima o poi i riflettori sarebbero stati tutti su di lui, che non sarebbe stato più in grado di nascondere la pancia sporgente che, rotonda sotto i suoi vestiti, stava crescendo lentamente.

Per i primi tempi Jimin si sentiva come un fenomeno da baraccone, un giocattolo nuovo che attirava curioso l’attenzione dei bambini, tutti lo guardavano con sguardi ammalianti, alcuni gli si avvicinavano per fargli congratulazioni fin troppo ironiche, altri ancora lo indicavano senza il minimo accenno di vergogna quando era di passaggio fra i corridoi.

Ma grazie alla solarità di Taehyung, Jimin fu in grado di scrollarsi di dosso tutti quegli stupidi pettegolezzi. Il suo migliore amico fece del suo meglio per aiutarlo e rasserenarlo; lo aveva accompagnato ad ogni appuntamento mensile con il dottor Kim, e pianse quando quest’ultimo gli mostrò sull’ecografo il bambino adesso delle dimensioni di un’albicocca. Taehyung aveva stretto forte la mano del biondo e si era morso un labbro alla visione, “Sarò zio” aveva detto con orgoglio facendo piangere anche un po’ Jimin e rendendolo così meno imbarazzato della sua stessa gravidanza.

Trascorse così un altro mese. La sua pancia cominciò ad essere morbida, evidente, e Jimin si accorse, guadagnò anche un po’ di peso. Essendo lui un ballerino agonistico, il dottor Kim gli aveva stilato un programma di dieta da seguire, in modo da non ottenere chili sufficienti e difficili così da smaltire dopo il parto, ma vivere con Taehyung non era semplice poiché il grigio cercava sempre il mondo per infilare nello zaino di Jimin caramelle e dolciumi, così che potesse essere in salute e ben nutrito.

“No Tae, non lo mangerò!” quasi strillò Jimin in mensa, attirando lo sguardo divertito dei tavoli accanto.

“Hai bisogno di mangiare Jimin-ah!” piagnucolò il minore, spingendo l’hamburger ancora incartato davanti la piccola testa bionda.

“Il dottor Kim ha detto che non devo ingrassare! Se non la smetti di ingozzarmi come un’anatra, dopo non riuscirò più a perde tutti questi chili in eccesso!”

“Un hamburger non può farti così del male” si imbronciò allora Taehyung.

“Okay dammi questo coso” disse Jimin allungando un braccio per scartare l’involucro del panino “Ma ne mangerò solo la metà!”

Taehyung batté le mani e sorrise fiero quando vide finalmente il suo piccolo migliore amico dare un morso all’hamburger, forse, più grande della sua stessa faccia. Il grigio mangiò sorridente la sua porzione di riso osservando di tanto in tanto le persone entrare nell’angusta e spaziosa mensa. Taehyung guardò a distanza un gruppetto di adolescenti del primo anno consumare, rumorosi ed allegri, il loro pasto, fino a quando il suo sguardo non si fermò su quello fisso di lui.

"Ti sta guardando di nuovo” disse il grigio, sorprendendo Jimin a metà boccone. Il biondo gli rivolse un’occhiata confusa prima di seguire i suoi occhi scuri e stabilire così un contatto visivo diretto con Jungkook, il quale rapidamente distolse a sua volta lo sguardo fingendo così di ascoltare con attenzione le parole dei suoi amici. Jimin lasciò cadere l'hamburger sul piatto, sentendosi improvvisamente lo stomaco chiudere da una morsa. Lui e Jungkook si stavano ormai evitando da mesi, e ciò sarebbe continuata in maniera perfetta se non fosse che il moro, da un po’ di tempo, appariva ovunque Jimin si trovasse.

"Non ho più fame" borbottò Jimin alzandosi in piedi e appollaiandosi la borsa sulla spalla.

"Hai mangiato appena!" protestò Taehyung preoccupato. "Hai di nuovo le nausee ?”

Jimin scosse la testa e fece cenno con la testa al suo amico di seguirlo, ben consapevole del fatto che gli occhi di Jungkook erano ancora una volta fissi su di lui.  “Ho solo bisogno di prendere un po’ d’aria".

Taehyung avvolse svelto il mezzo hamburger ancora intatto nell’incarto e seguì Jimin fuori dalla mensa. Mentre stava uscendo però il ragazzo si sentì minuziosamente osservato e non bastò molto prima di accorgersi che alla sua sinistra Min Yoongi era lì che lo guardava con un'espressione che Taehyung proprio non riuscì a decifrare. Il grigio smise di camminare e con la mano ancora libera accennò verso Yoongi un saluto amichevole, il quale invece dall’altro lato si limitò a mostrare soltanto un sorriso abbozzato. Taehyung aggrottò le sopracciglia, sorpreso dalla mancanza di entusiasmo da parte di Yoongi.
Min Yoongi era un ragazzo ambiguo e solitario, con piccole fossette ai lati delle labbra, occhi scuri e magnetici dalla forma delineata, e i capelli neri e lucenti con i quali Taehyung non desiderava altro che poterci scorrere le dita per un intero giorno.

"Tae ?" fu la voce di Jimin a tirarlo fuori dai suoi pensieri e riportarlo lì sul pianeta Terra. Taehyung voltò la testa verso il suo amico, il quale lo stava già guardando con aria interrogativa, e uscì dalla mensa, senza prima dimenticare però di rivolgere un’ultima sbirciata a Yoongi, che nel frattempo invece aveva già distolto via l’attenzione da lui.

"Mi dici perché guardavi Min Yoongi con gli occhi a cuoricino e la faccia da pesce lesso ?" si decise Jimin a chiedere una volta usciti fuori sul retro. Il biondo osservò Taehyung irrigidirsi e quasi sghignazzò dinanzi quella voluta reazione. Era tempo di fargliela pagare per tutte le volte in cui lui aveva riso della sua cotta per Jungkook.

"Di cosa stai parlan – " provò a dire il minore quando vide che il suo principio di scuse sarebbe stato del tutto fallimentare. “Ci siamo baciati okay ? Due settimane fa nel laboratorio di scienze dopo la lezione del professor Kang, sei contento ?!” confessò abbassando la testa per l'imbarazzo e per nascondere le guance ormai tinte di rosa.

Jimin spalancò la bocca e spinse il suo amico per un braccio, “E quando avevi intenzione di dirmelo? Sei un traditore!” disse drammaticamente spostando poi l’attenzione e le mani verso la sua pancia “Guarda piccolino, tuo zio non si fida abbastanza del tuo Appa da ammettere di essersi preso una cotta per il tenebroso Min Yoongi”

"Oh andiamo! Volevo dirtelo prima, lo giuro!” ridacchiò Taehyung “Solo ... non sono riuscito a trovare il momento giusto"

"Mi hai ferito Kim Taehyung, questa me la legherò al dito"

"Okay, ti dirò tutto" disse il grigio con malizia, gli occhi illuminati però dal ricordo delle labbra soffici di Yoongi sulle sue.

I due amici percorsero i corridoi, continuando a chiacchierare e ridacchiare delle proprie sventure, ignari del fatto che tutti gli altri studenti nel frattempo ormai da giorni avevano cominciato a speculare e rendere la scuola partecipe su una loro presunta relazione. Pettegolezzi che raggiunsero ben presto le orecchie di Jungkook e che il moro a sua volta reputava assolutamente ridicoli e ripugnanti. Molte persone avevano affermato di averli visti scambiarsi teneri baci sulle gradinate del campo da football e abbracciarsi come una coppia di fatto, da lì la nascita del gossip Taehyung potesse essere il padre del bambino.
Jeon Jungkook sapeva che quelle erano soltanto bugie, prima di tutto perché lui era il vero padre di quel bambino, e in secondo luogo perché Jimin e Taehyung non sarebbero mai stati una coppia, su nessun tipo di galassia esistente. Non erano fatti per stare insieme, non avrebbero mai avuto l’aria di due che stavano insieme. Non si sarebbero mai amati come si erano amati loro.  

Tutte quelle assurde voci lo stavano rendendo soltanto più impaziente e scontroso del solito. Jungkook sapeva che, nel profondo del suo cuore, quella rabbia repressa era soltanto data dal fatto che Jimin in qualche modo lo aveva sostituito, fatto sì che un altro fosse il padre del suo bambino. Non sarebbe stato lì a pensarci se fosse stato un pizzico menefreghista, si sarebbe tolto quel problema dalle spalle e detto a se stesso “forse è meglio così” se solo avesse smesso di fissare Jimin ogni volta che lo vedeva nei corridoi, fissare la sua pancia e quanto grande questa stesse diventando. Perché non riusciva a fermare la gelosia lampante nella sua testa ogni volta che vedeva quell'idiota di Kim Taehyung abbracciare Jimin, portargli da mangiare o semplicemente respirargli accanto ? Era stupido. Lui era stupido. Proprio come stupido riteneva fosse Taehyung in quel momento con l'orecchio poggiato al ventre arrotondato di Jimin, la bocca aperta mentre il biondo invece rideva a crepapelle per le buffonate del suo amico. Jungkook strinse la mascella per la rabbia e la frustrazione. Sapeva di essere controverso ed irrazionale, dopotutto era stato lui a spingere via Jimin, ma nonostante questo non riusciva a controllare le sue emozioni, la gelosia e la rabbia che lente lo stavano letteralmente logorando.

"Se gli sguardi potesse uccidere quei due sarebbero già morti da un po’" disse Namjoon al suo fianco con espressione divertita.

"Cosa ?" chiese Jungkook in tono piatto.

"Quei due ... perché li guardi come se fossi sul punto di sbranarli ?"

"Io non –" stava per protestare spudoratamente, ma Jungkook sapeva che d’altro canto Namjoon lo aveva già inquadrato "Li trovo osceni. Mostrarsi così davanti a tutti …”

Namjoon scoppiò a ridere affondandogli un palmo di mano lì sulla spalla. "Perché ridi ?" chiese il moro, schivando la mano di Namjoon quando questo arrivò per schiaffeggiarlo ancora una volta.

"Se non ti conoscessi, penserei che sei geloso."

“Perché dovrei essere geloso ? Come se mi importasse Jimin con chi va a letto!” urlò lui dirigendo uno sguardo furioso prima verso Namjoon e poi verso la coppia che chiacchierava allegramente vicino gli armadietti.

“D’accordo” disse quest’ultimo dopo aver assistito alla rabbia del minore. “Che cazzo succede fra te e Jimin ?”

"Niente" borbottò Jungkook troppo in fretta, gli occhi puntati verso il pavimento e la lingua premuta in una guancia, gesto che il moro faceva sempre quando qualcosa lo stava decisamente preoccupando o infastidendo.

"Jeongguk-ah …”

Il più alto lo osservò stringere la mascella, consapevole che Jungkook era sul punto di cedere e dare finalmente libero sfogo a quei pensieri che tanto lo stavano ormai tormentando. Funzionava sempre così fra loro: Namjoon era lì che parlava liberamente con l'altro delle sue preoccupazioni, mentre Jungkook tendeva a tacere, ad ammassare situazioni su situazioni fino a quando non avrebbe più retto e sarebbe scoppiato in frammenti come una bomba ad orologeria.

"Okay" disse infine Jungkook. "Ti dirò cosa c'è che non va, ma non qui. Ci sono troppe persone". Il moro afferrò così il suo amico per la giacca e lo trascinò verso le scale isolate che davano sul retro dell’istituto. "Allora ..." iniziò, leccandosi le labbra, un'abitudine ormai nervosa. “Ti ricordi la festa che hai organizzato per me ? Quella del mio ritorno a Seoul ?” Jungkook attese che l'altro annuisse prima di continuare il suo discorso. "Non ti ho detto che … quando sono sparito, non ero a fumare una sigaretta con Yijeong, ma ero sul mio pickup”.

“Che ci facevi sul tuo pickup ?”

“Facevo sesso … con Jimin”

Namjoon tacque, dando al suo amico uno sguardo perplesso. "E allora?" chiese.

 Jungkook alzò seccato gli occhi al cielo, dando un'occhiata intorno per assicurarsi che nessuno li stesse ascoltando. "E allora Jimin adesso è ... lo sai" continuò, sperando che il suo amico avrebbe afferrato il suggerimento senza la necessità che lui lo dicesse ad alta voce.

"Sì, ma è stato detto che Taehyung ... Oh mio dio"

"Già …"

Il silenzio cadde impietrito su di loro, Namjoon fissò Jungkook a lungo con la bocca spalancata "Ecco perché eri così arrabbiato? Perché tu e Jimin avete scopato e adesso lui... Taehyung"

“Cosa ? No!” protestò lui “Non mi interessa se adesso sta con Taehyung! Gli ho già detto che non mi prenderò cura di quel bambino”

“Che cazzo, Gguk ? Perché ?” disse il suo amico ad alta voce, attirando loro degli sguardi. "Quel bambino è anche tuo” sibilò Namjoon "Devi anche assumerti le tue responsabilità."

"Perché?" scattò Jungkook, ferito nell’orgoglio poiché il maggiore non stava prendendo affatto le sue difese. "Non stiamo più insieme e Jimin sembra cavarsela alla grande senza di me."

"Stai scherzando vero ? Quel bambino è sangue del tuo sangue, vuoi sul serio tenerti fuori da tutto questo ? È successo perché entrambi siete stati irresponsabili, quindi, fatti crescere le palle amico e cerca almeno di stare dalla sua parte durante la gravidanza"

"C’è Taehyung" rispose petulante Jungkook, imbronciato e anche un po’ infantile.

"Quindi è questo il tuo problema? Ti secca che Jimin ti abbia sostituito con qualcun altro anziché implorarti di tornare con lui ?” il minore incrociò così le braccia al petto, frustrato. "Forse dovresti parlarci ..." sentenziò infine Namjoon.

"Non c'è nulla di cui parlare. Abbiamo chiarito che ... "

"Hai chiarito che non vuoi avere niente a che fare con lui e con il bambino. Mi sembra che Jimin abbia avuto ben poco da dire su questo" tagliò corto puntandogli un dito contro. Jungkook si zittì, continuando ad avere quel broncio che i bambini mostravano dopo esser stati sgridati dalla mamma per aver preso un biscotto senza permesso. "Sai quali sono le sue intenzioni ?”

"Vuole darlo in adozione" spiegò Jungkook con voce sommessa dopo un minuto di silenzio.

"Allora qual è il problema? Non vuoi ?” lo interrogò Namjoon con attenzione.

 Jungkook si limitò a scrollare le spalle e a mordersi il labbro nervosamente. "Non lo so, sono ... terrorizzato Joon. Un bambino è una responsabilità così grande e io sono troppo giovane per essere un genitore, ma allo stesso tempo mi fa male pensare che, dopo la nascita, mio figlio sarà dato nelle braccia di qualcun altro", confessò quasi tremante, sentendo la gola contrarsi per il pianto imminente che lo stava per cogliere.

"E pensi che Jimin non sia spaventato?" chiese Namjoon cauto. "Sta attraversando lo stesso, Jungkook. Probabilmente anche più di te, è lui quello che ha una persona che cresce dentro di se”.

Jungkook ridacchiò senza controbattere parola, cercando di nascondere gli occhi rossi ed il fatto che di lì a poco sarebbe scoppiato a piangere. Namjoon sospirò e passò il braccio sulle spalle di Jungkook per costringerlo ad abbracciarlo. "Va tutto bene Gguk. Parla con lui, chiarisci o altrimenti te ne pentirai in futuro”.

Jungkook annuì, alzando bandiera bianca ed ammettendo rassegnatamente la sconfitta. Realizzò di essersi sentito arrabbiato, frustrato, spaventato ed un sacco di altre emozioni che non riusciva ancora bene ad identificare, ma che adesso, solo dopo essersi crogiolato fra le braccia e le parole sagge di Namjoon, aveva visto la situazione formarsi da un altro punto di vista, completamente opposto al suo. Jungkook aveva pensato in maniera del tutto egoista, solo a se stesso, preoccupato soltanto di come questa situazione avrebbe influenzato la sua vita, la sua immagine di quarterback, e completamente dimenticato invece - o forse solo ignorato - che Jimin c’era dentro ed era turbato tanto quanto lui.

Namjoon aveva ragione, Jungkook aveva bisogno di schiarirsi le idee e parlare con Jimin. Aveva soltanto bisogno di pensare ad un modo per avvicinarlo da solo e convincere il suo piccolo Minnie ad ascoltare quello che il suo cuore invece tanto aveva da dire.

 

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Capitolo 4
*** - Bloom ***




 

4. Bloom

 



La campanella suonò stridula ed improvvisa fra le spesse pareti dei corridoi del liceo, spezzando l’atmosfera tranquilla e pacata che adagio accompagnava lo scorrere delle lezioni. Allo scoccare della lunga lancetta sul tanto atteso numero dodici, il quale sanciva così l’inizio del sospirato intervallo, Yoongi raccattò di fretta i suoi libri di testo e, gettando la sedia all’indietro con le ginocchia, provocando di conseguenza un fastidioso stridio lungo il pavimento, uscì dall’aula per immischiarsi - a suo malgrado - nella caotica folla che come lui si apprestava a raggiungere il cortile per inalare dopo estenuanti e noiose lezioni, una sana boccata di aria fresca. 

Nonostante quell’attimo fosse inevitabile, Yoongi odiava il cambio dell’ora più di qualsiasi altra cosa al mondo. Una moltitudine di persone raggruppate in uno spazio oblungo che non faceva altro che dilettarsi in chiacchiere da bar e gossip - per la maggior parte delle volte - del tutto inutili ed infondati. C’era chi correva dritto verso la mensa, gruppi di studio pronti a raggiungere la biblioteca e coppiette separate da sole due ore di matematica che ritrovate giacevano invece appoggiate ai muri a scambiarsi effusioni e baci di appagata mancanza. 

Yoongi fece slalom fra una cheerleader ed un insegnate, un membro del club di scienze ed un giocatore di football, e con lo sguardo perso fra le mattonelle bianche e geometriche del pavimento lurido, si apprestò a raggiungere la piccola anta rossa, nel mezzo di una lunga schiera, di quel che poteva definire essere il suo armadietto personale. Inserì la combinazione del lucchetto, non altro che la sua noiosa data di nascita messa al contrario, ed una volta aperto gettò all’interno i libri della lezione appena trascorsa recuperando in cambio, da un angolo del piccolo ambiente lattato, un pacchetto di sigarette che furtivo infilò nella tasca posteriore dei jeans. 

Fra un tiro nel bagno della scuola ed un altro fatto insieme a Namjoon, il pallido ragazzo aveva scoperto che il fumo era l’unica cosa che - in quel periodo - riusciva a calmare alla perfezione i suoi nervi a fior di pelle. Come un anestetizzante su una ferita dolente, acqua gettata sul fuoco, Yoongi riusciva a trovare pace ogni qual volta leggeri strascichi di fumo grigio e saturo di nicotina venivano inalati dai suoi polmoni ed espirati invece dalla sua bocca. C’era qualcosa che lo tormentava, da lì a qualche mese. Qualcosa di nuovo, un tornado che aveva colpito d’improvviso la sua vita, e che Yoongi temeva non sarebbe stato in grado di far fronte. Qualcosa che aveva un nome, un bellissimo volto, e che il ragazzo vide avvicinarsi con una furia stampata in viso, non appena l’anta dell’armadietto fu chiusa.

Kim Taehyung gli si parò davanti in tutto il suo splendore, con i pantaloni della tuta che morbidi gli fasciavano le gambe snelle e una fascia di spugna sulla fronte che teneva lontani dalla fronte ciuffi di capelli grigi ormai arricciati. Yoongi intuì che il ragazzo aveva da poco terminato il suo allenamento nella pista di atletica leggera e che, nonostante i vestiti sgualciti e goccioline di sudore ancora visibili sul suo collo, non era mai stato più bello di così.

“Mi stai evitando” sentenziò Taehyung con le braccia incrociate strette al petto, lo sguardo fisso nei suoi occhi scuri, aspettando impaziente che Yoongi dinanzi a se proferisse parola. 

“Non è vero”, rispose lui afferrando lo zaino e indossandolo cadente su di una spalla. 

Taehyung accennò un sorriso nervoso, “Mi stai chiaramente evitando e voglio sapere cosa c’è che non va”

“Non c’è niente che non va Taehyung, gira a largo”

“Adesso e così che fai ? Ficchi la lingua in bocca alle persone e poi quando ti stufi le molli lì senza spiegazione ?”

Il maggiore alzò gli occhi al cielo e, bruscamente, senza dare il minimo cenno di risposta al ragazzo dai capelli grigi, girò i tacchi dall’altro lato cominciando a camminare impassibile lungo il corridoio affollato. Yoongi non dava mai peso a tutto ciò che gli altri studenti diffondevano tra quelle mura, soprattutto se questi erano frivoli gossip scambiati in momenti di pura noia atti a dare brio invece ad una giornata monotona. Era per tale motivo che rifiutava categoricamente di credere a quelle voci insistenti secondo cui affermavano Taehyung fosse il padre del bambino che Jimin portava in grembo. Dopo però averli osservati per lunghi giorni, lì a pranzo, come Taehyung imboccava Jimin preoccupandosi così mangiasse, durante gli allenamenti, e quanto affetto e premura quest’ultimo aveva verso la piccola e abbozzata pancia, Yoongi non potè fare a meno di pensare che forse sotto sotto quelle voci avevano una radice di verità. 

“Yoongi …” Taehyung lo afferrò per un braccio, fermandolo ed impedendogli così di fuggire. “Se ho fatto qualcosa di sbagliato, voglio scusarmi” piagnucolò “Ma prima vorrei sapere per cosa davvero mi sto scusando”. 

“Mi hai mentito”, disse Yoongi serrando la mandibola e volgendogli uno sguardo dinanzi al quale Taehyung non riuscì a fare altro che mostrare un’espressione confusa e sorpresa. “Per tutto il tempo” 

“Io … io non ti ho mai mentito Yoongi, di cosa stai parlando ?!"

“Di te e di Jimin”, sbottò.

“Jimin ? Cosa c’entra adesso Jimin ?!”

 “Smettila di prendermi in giro Taehyung! So che sei tu il padre del suo bambino”

“Cosa ?”, mormorò Taehyung troppo flebile affinché Yoongi potesse sentirlo

“Avrei dovuto immaginarlo … dio, sono stato soltanto uno stupido a pensare che tu potessi provare qualcosa per me! Non ti avrei mai baciato lì nel laboratorio di scienze se solo avessi saputo cosa scorreva in realtà fra te e Jimin —“

“Yoongi …” 

“E lui adesso aspetta un bambino, capisci ?! Mentre io invece sono qui, a guardare come un fottuto idiota tutte le vostre moine e morire di gelosia perché la verità Taehyung è che mi piaci da matti ma non so come —“

Yoongi non riuscì a far crollare per intero la sua valanga di pensieri accumulati che Taehyung gli afferrò violentemente le spalle, cercando invano per anche solo un istante di guadagnare la sua attenzione. Ma la sua reazione fu istintiva, “Non toccarmi!” urlò spintonandolo. 

“Sei per caso impazzito ?!”  replicò il grigio massaggiandosi il petto “Non sono io il padre di quel bambino! Non c’è niente fra me e Jimin … è il mio migliore amico per l’amor del cielo Yoongi, non potrei mai stare con lui!” 

“Non ti credo!” continuò con ormai implacabile rabbia “Pensi che non abbia visto come vi guardate ? Come vi comportate quando siete a mensa ? Nei corridoi ?” 

“Yoongi ascoltami” implorò Taehyung con un cenno di inclinazione nel suo tono di voce, le grandi mani che presto presero a coppa il volto del maggiore “Jimin è il mio migliore amico. Ti ho baciato perché … perché mi piaci” spiegò lentamente in modo che Yoongi ascoltasse e comprendesse a pieno la situazione. “Non so cosa hai sentito, chi ti ha detto queste assurdità, ma posso assicurarti che io e Jimin non stiamo insieme, non sono io il padre del suo bambino. Se non mi credi va’ a chiederglielo”

Yoongi rimase in silenzio, non immaginando che Taehyung ricambiasse così apertamente i suoi stessi sentimenti. Avrebbe dovuto davvero parlare con Jimin ? Chiedere personalmente della sua situazione e metter così un punto alle sue insicurezze, o avrebbe dovuto ignorare Taehyung e provare ad apprezzare invece qualcuno che al contrario suo non gli mentisse spudoratamente in faccia ? Yoongi studiò il suo viso, i suoi occhi grandi pieni di timore e luccicante speranza. Quelle non erano parole false, il suo non era il volto di un bugiardo.

"Che cosa devo fare affinché tu possa credermi?" chiese Taehyung avanzando un passo verso l'altro e invadendo completamente il suo spazio personale. Era troppo vicino per i gusti di Yoongi, tentato da un lato di respingerlo ma di stringerlo forte a se dall’altro non appena il profumo della colonia del ragazzo gli invase le narici, suscitandogli così il ricordo di quel giorno in cui le labbra avevano sfiorato le sue.

Taehyung si chinò verso di lui con il cuore in gola, leccandosi le labbra secche e screpolate. “Ho occhi solo per te …” sussurrò con un respiro tremante. “Te lo giuro”.

Yoongi alzò gli occhi dalle labbra dell’altro, fissando le iridi scure di Taehyung che quasi parlavano più forte della sua voce. La vide allora, l’onestà delle sue parole nascosta nei suoi occhi. Ma Yoongi si sentiva tradito, con un’orribile e fastidiosa voce nella testa che gli urlava di dubitare di lui ancora una volta. Il moro mise così distanza, “Non lo so Taehyung …” rispose sistemandosi lo zaino sulle spalle “Tu e Jimin vi comportate davvero come una coppia. E’ difficile credere non sia il contrario quando vai in giro accarezzando la sua pancia come solo un papà orgoglioso farebbe”

Taehyung sospirò profondamente, con le spalle curve in avanti, mentre le sue mani si sollevarono per farle scorrere nei suoi capelli mossi.

“Se non sei tu il padre…” disse infine Yoongi “Allora chi è ?” 

“Non … non posso dirtelo” 

Il moro sorrise sghembo, “Come immaginavo” 

"Parla con Jimin" implorò allora Taehyung, afferrandogli ulteriormente il braccio prima che lui potesse andar via. ”Per favore Yoongi, parla con lui. Capirai che ti sto dicendo la verità”

Yoongi rimase in silenzio per un minuto, mentre gli ingranaggi del suo cervello lavorarono a tutta velocità considerando l’idea allettante. “Okay” infine disse “Parlerò con Jimin. Ma da solo”. 

Taehyung annuì mostrando la bellezza del suo sorriso rettangolare, “Grazie, grazie, grazie!” esclamò afferrando le mani di Yoongi e facendo arrossire quest’ultimo al contatto. “Tutto si sistemerà te lo prometto!”

Yoongi annuì, deglutendo a fatica e allontanando, seppur controvoglia, le mani dalla presa del grigio. Si sentì improvvisamente solo, con il pazzo istinto di riprendere quelle dita e farle tesoro fra le sue, proteggerle nella sua stessa stretta, poiché la mano di Taehyung era così calda ed accogliente come caldo era diventato da qualche mese il cuore dello stesso Yoongi.

 



 

Jungkook si sentiva uno stupido. 

Un completo idiota mentre lì, nascosto dietro al muro, osservava Jimin rimettere a posto, nella propria cartella e con evidente sforzo, i pesanti libri che gli sarebbero serviti per le lezioni successive. La sua pancia era diventata considerevolmente grande nei mesi appena trascorsi, fin troppo visibile sotto il largo maglione, il quale rendeva ancor più prominente il rigonfiamento e non più piccolo ed aggraziato come invece si presentava prima. 

Jungkook sentì lo stomaco contorcersi alla tenera visione, sospirando fortemente e considerando l’idea di voltarsi indietro e raggiungere invece la classe in cui si sarebbe svolta la sua prossima lezione di storia. Sarebbe stato in anticipo di quindici minuti, e tutti i suoi compagni lo avrebbero guardato in modo strano al solo pensiero di vedere Jeon Jungkook, il quarterback quasi sempre in ritardo, già seduto nel suo banco ad aspettare pazientemente l’arrivo dell’insegnante. Ma, dopo aver sbirciato furtivamente gli orari delle altre sezioni in segreteria, Jungkook aveva scoperto che quella era l’unica ora libera della giornata di Jimin, l'unica possibilità che aveva per parlare con lui, e che quindi l’ora di storia avrebbe potuto tranquillamente aspettare. 

Jungkook si era promesso che non sarebbe scappato via come un vigliacco. Poteva gestirlo, era un adulto ormai, o almeno questo era quello che suo padre gli diceva ogni volta donandogli un’orgogliosa pacca sulla spalla. Aveva pensato cosa dire a Jimin per un’intera settimana, pensato e ripensato a come avvicinarlo fino a che la testa non prese a fargli del male. L’incontro con Jimin, e quello che avrebbe voluto dirgli, sarebbe stata la cosa più spaventosa che Jungkook avrebbe mai affrontato nei suoi diciassette anni, e questo lo fece sentire ancora più stupido perché lui era il giovane ragazzo che camminava con sicurezza nei corridoi, che attraversava il campo da una parte all’altra senza mai perder palla, vincendo gare e collezionando trofei stagione dopo stagione. Jeon Jungkook, il ragazzo che si comportava come uno totale stronzo soltanto perché sapeva di essere spaventato ma fin troppo orgoglioso per ammetterlo. 

Il moro sospirò di nuovo fino a quando non vide Jimin chiudere la porta dell’armadietto e camminare nella direzione opposta a quella dove Jungkook si nascondeva. Ora o mai più. Il ragazzo uscì dal suo posto sicuro e, senza pensarci due volte, a passo svelto, si diresse verso l’altro. Seguì il biondo per un paio di passi finché non si sentì coraggioso abbastanza da toccargli la spalla. Jimin si voltò con uno sguardo interrogativo che si trasformò in un’espressione accigliata non appena vide la figura di Jungkook palesarsi dinanzi a sé. 

“Uhm … ciao” disse Jungkook con voce incrinata. 

Jimin lo fissò impassibile, e Jungkook notò osservandolo ancor più da vicino quanto le sue guance fossero più piene, rosee, probabilmente a causa della gravidanza. Il biondo si girò dall’altro lato, ignorandolo come se il suo percorso lungo la biblioteca non fosse mai stato interrotto. 

“Aish, aspetta!” Il moro appoggiò una mano gentile sul gomito di Jimin per impedirgli di camminare ancora, ma Jimin si scostò da lui come se il contatto gli avesse appena bruciato la pelle. "Voglio parlarti” 

"Perché?" chiese Jimin, gli occhi castani che lo avrebbero fulminato se solo avessero potuto. Era ovvio quanto arrabbiato fosse con lui, ma Jungkook invece d’altro canto non poté fare a meno di pensare a quanto fosse carina la sua espressione. "Per insultarmi di nuovo? Credo di aver avuto abbastanza umiliazioni da parte tua, grazie”. 

Jimin si mosse una gamba per ricominciare a camminare, ma Jungkook si fece strada facendo un passo avanti a lui. “No voglio solo … si tratta …” indicò la sua pancia con gesti vari e Jimin aggrottò la fronte, sollevando inconsciamente la mano per posarsi sopra il suo grembo arrotondata come se stesse cercando di proteggere il bambino dallo stesso Jungkook. "Penso che dovremmo parlare a fondo di questa situazione“

"Ci ho provato, se ricordi bene, razza di idiota” tagliò Jimin con voce fredda. Jungkook cercò di non sussultare fisicamente per il tono diretto. 

"Lo so, ho solo ... ho pensato e ..." Jungkook sospirò, costringendo il suo cervello a pensare a un modo per smettere di balbettare. “Ascolta … voglio solo chiarire le cose"

Jimin ci pensò per un minuto, guardando direttamente Jungkook negli occhi grandi e i denti che giocavano nervosamente con il labbro inferiore fino a far eludere un respiro sconfitto. “D’accordo, va bene."

Entrambi si diressero verso il retro della scuola, lungo le panchine isolate del campo da football. A quell’ora tutti sarebbero dovuti essere in classe o in biblioteca, non ci sarebbe stato rischio che qualcuno li vedesse e li interrompesse. Jimin lasciò cadere lo zaino sulla panchina, sedendosi e roteando leggermente le spalle per allentare la tensione. Probabilmente la schiena gli doleva a causa del peso aggiunto del bambino, o almeno questo era quello che immaginava Jungkook.

"Allora, uhm ..." Jungkook non sapeva bene da dove cominciare. Sollevò la mano per grattarsi la nuca e abbassò gli occhi sulle gambe a penzoloni di Jimin per non sentirsi intimidito dal suo sguardo giudizioso Jungkook non si era mai sentito così vulnerabile e debole di fronte a qualcuno, era sempre stato cresciuto con l’idea di non mostrare mai debolezza, sempre fiducioso e potente, così che il nemico non ne avrebbe approfittato. Ma Jimin non era il suo nemico; Jimin, con le parole appropriate, sarebbe suo complice.

"Senti, so che mi sono comportato come uno stronzo l'ultima volta che abbiamo parlato" disse ignorando lo sbuffo che quasi isterico uscì dalla bocca di Jimin. “Ma mi hai colto di sorpresa e non sapevo come reagire!”

“Sono solo scuse” replicò Jimin. Il suo viso era inespressivo, gli occhi scuri per la freddezza e la rabbia tutti diretti al ragazzo più alto. “Pensi che a me non abbia sconvolto ? Questo bambino ha messo sottosopra la mia vita, lo sai ?” 

Sembrava carino, quasi bello, il contrasto della sua mano piccola sulla la pancia grande ed arrotondata. Ma Jungkook pensò che non avrebbe giovato la sua parte dicendolo ad alta voce. "Lo so ... Ecco perché ... dovrei scusarmi". Questo lo sorprese, Jimin alzò le sopracciglia meravigliato poiché quel suo orgoglio non aveva mai permesso a Jungkook di scusarsi con nessuno. ”Quindi ... sì, mi dispiace” 

“Perché ho l’impressione che qualcuno ti abbia obbligato a scusarti con me?” 

Jungkook sospirò. “Nessuno mi ha obbligato Jimin-ah. Mi dispiace esser stato un idiota e così tanto egoista” disse con gli occhi incollati a quelli di Jimin, sperando che l'altro vedesse quanto in realtà fosse genuino e sincero. 

"Okay", borbottò Jimin, abbassando lo sguardo e sentendosi improvvisamente timido sotto gli occhi penetranti di Jungkook. La mano che piccola si muoveva su e giù lungo la sua pancia. 

“Stai diventando … enorme” sbottò Jungkook senza pensarci, ma non appena vide l’espressione di Jimin tramutare in una alquanto offesa, si affrettò a spiegare. “Voglio dire … non che tu stia ingrassando. Solo … la tua pancia, è molto grande”

“C’è una persona che cresce dentro di me, Jungkook..." Rispose Jimin mordendosi il labbro inferiore perché sapeva che Jungkook non aveva tutti torti, stava ingrassando molto nonostante facesse tanti sforzi per seguire la dieta data dal dottor Kim e non ingozzarsi di dolciumi e pasti avanzati che Taehyung gli offriva ogni volta. 

“Non dicevo sul serio” si affrettò a dire Jungkook, in preda al panico non appena vide lo sguardo torvo di Jimin. “Sei carino, penso… penso che tu stia davvero bene"

Jimin lo guardò timidamente, cercando di nascondere un sorriso e Jungkook si sentì orgoglioso di sé per aver abbassato un po la guardia dell’altro. "Grazie…"

Il silenzio cadde su di loro di nuovo, Jimin era seduto lì ad accarezzare il suo ventre e Jungkook ad osservarlo con tutta la sua attenzione. Jimin era sempre stato di bell’aspetto, ma la gravidanza gli stava dando un'aura diversa, facendolo quasi brillare; le sue guance erano paffute, la mandibola un po’ meno nitida e marcata. Gli occhi di Jungkook si spostarono verso il basso, sulle sue cosce, ricordando il tocco sotto le sue mani durante quella notte trascorsa insieme e chiedendosi se ora sarebbero state più morbide. Forse un po’, considerando che sembravano decisamente meno magre di allora. Era chiaro che Jimin aveva guadagnato del peso, ma Jungkook pensava che fosse bellissimo, al di là di tutto.

Il moro si schiarì la gola, dissipando quei pensieri prima che potessero a lungo degenerare. “Di quanto … sei ?” domandò quasi con un sussurro. 

"Sono alla diciassettesima settimana” rispose Jimin, ridacchiando quando vide Jungkook con sguardo perso nel vuoto, a contare forse. "Cinque mesi”.

"Oh …" Jungkook annuì. L'atmosfera si stava facendo strana ancora una volta e Jimin sapeva che Jungkook aveva tante altre cose da dire e da chiedere ancora.

"Hai pensato a cosa fare una volta nato il bambino? Voglio dire ... hai valutato l’adozione?”

Jimin espirò lentamente, annuendo. "Non lo so ancora" disse mettendo un piccolo broncio "Ci stavo pensando ma ... non lo so Jungkook, è difficile pensare di sbarazzarmi di un bambino di cui mi sono preso cura per nove mesi..." scrollò le spalle, sentendo la gola chiudersi in un nodo.

Jungkook si spostò per sedersi accanto a lui, compiaciuto quando vide che Jimin non si allontanò nonostante fosse troppo vicino. "Ho pensato la stessa cosa, se posso essere sincero”. 

Jimin abbozzò un piccolo sorriso triste "Non so se sarò pronto a diventare un genitore così presto” continuò, la voce ancora tremante e le sue dita che nervose presero a giocare con l’orlo del maglione. Jungkook le osservò mordendosi un labbro, non proprio sicuro se Jimin avesse accettato un tocco rassicurante da parte sua. "Non so cosa farò quando finirò la scuola ... So che voglio continuare a studiare, ma un bambino lo renderebbe più difficile”.

Jungkook annuì in silenzio, ascoltando le preoccupazioni dell'altro con sincero interesse. Era ragionevole per Jimin sentirsi così timoroso nei riguardi del proprio futuro. Jungkook d’altro canto aveva avuto la fortuna di decidere il suo percorso già da ragazzino, e non tutti potevano dire lo stesso, aveva genitori disposti a sostenerlo durante tutto il suo tragitto.

“I tuoi ... genitori lo sanno ?" Riuscì a chiedere senza sembrare del tutto imbarazzato.

Jimin sorrise dolcemente sussurrando un flebile ‘sì’, “Mia madre mi tratta come se fossi fatto di cristallo”

“E Taehyung ?”

“Perché me lo stai chiedendo?"

"Beh... voi due … sembrate …” disse Jungkook lasciando la frase a mezz’aria, gli occhi che guardavano le sue dita giocare con la cucitura dei suoi jeans. Sentì uno sbuffo al suo fianco e alzò lo sguardo per vedere Jimin che gli volgeva un sorriso divertito.

"Sei serio ?" continuò a ridere. "Taehyung non è il mio ragazzo! Dannazione Jeon, che schifo”

“Che c’è ?” rise Jungkook di sua volta “Sembra un papà così orgoglioso” 

“Taehyung ha già qualcuno che gli piace …" spiegò Jimin con un sorriso malizioso, ”Mi sta solo aiutando"

"Ti sta aiutando? In che modo?” chiese il moro. 

Jimin sembrava divertito dalle sue domande, “Come mai così interessato alla mia vita tutto a un tratto?” prese in giro con un grande ghigno sulle labbra, quasi come stesse godendo così tanto dell’evidente imbarazzo di Jungkook.

“Io … non lo so, ho solo pensato di starti accanto durante l’iter della gravidanza, tutto qui”

"Vuoi ... perché adesso ?" chiese Jimin, perplesso. Non aspettava affatto un cambiamento così improvviso da parte di Jungkook.

"Qualcuno mi ha fatto riflettere" disse timidamente. Jungkook odiava sentirsi vulnerabile e aperto agli altri, e Jimin sembrava essere in grado di tirar fuori facilmente questa parte di lui, ma allo stesso tempo si sentiva a suo agio nell'essere così con l'altro, come se Jimin potesse prendersi cura di questo suo stato d’animo vulnerabile senza giudicarlo. “Tu sei quello che lo sta attraversando, ma non sei l’unico che soffre Jimin. Voglio davvero aiutarti”.

Jimin lo fissò in silenzio, meditando le parole e analizzandole probabilmente per giudicare se Jungkook fosse sincero o meno. "Lo apprezzo …" disse Jimin dopo mezzo minuto di silenzio. "Ma non è necessario farlo se è un grosso problema per te. I miei genitori e Taehyung mi stanno aiutando molto e credo che sia abbastanza così"

“Non lo è ... voglio … voglio essere al tuo fianco" Spiegò Jungkook. "Voglio aiutarti a scegliere cosa fare ed essere qualcuno su cui poter contare”.

Jimin lo guardò, mentre l'insicurezza continuava a nuotargli negli occhi.

"Immagino che possiamo provare ..." Sussurrò il biondo, e Jungkook non poté fare a meno di sorridere. "Ma non possiamo essere amici tutto d’un tratto Jungkook. Mi hai ferito e sarà difficile per me fidarmi di te”. 

“Anche tu mi hai ferito Jimin, e tanto”

Jimin annuì, “Ci lavoreremo, pian piano … insieme”. 

Insieme. Quella parola quasi sussurrata suonò in modo così bello sulle labbra rosse e gonfie di Jimin. Jungkook sentì il cuore cedere battiti di sollievo e si voltò verso di lui rivolgendogli il migliore dei suoi sorrisi, quello che Jimin una volta tanto amava. Gentilmente, quasi d’impulso, Jungkook fece scorrere la mano su quella del biondo, e sulla pancia di conseguenza, intrecciando le dita fra le sue. 

Jungkook era davvero intenzionato a correggere i suoi errori, a fare il meglio che poteva per essere per Jimin una spalla sicura su cui poggiarsi. E da lì, in quel chiaro pomeriggio, dove il sole sembrava dar loro barlumi fiochi di speranza, che Jimin sapeva sarebbe ricominciato tutto.

 



N.A.    Chiedo scusa per l'attesa di due mesi. E' stato un periodo folle, ma ci tenevo tanto a portare avanti questa storia nonostante fossi tentato dal cancellarla più volte. Grazie per essere ancora qui - moonism

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Capitolo 5
*** - Picture of you ***




5. Picture of you

 

“Che cosa diavolo ci fa lui qui ?!” urlò Taehyung non appena vide Jimin uscire dal taxi in compagnia del suo — in quei mesi appena diventato — acerrimo nemico Jeon Jungkook.

La vena del collo gli si gonfiò per l’ira quasi tangibile, le sopracciglia aggrottate verso il giovane dalla pancia rotonda in attesa di sentir proferire spiegazioni credibili. Jimin si inumidì le labbra e sospirò appena, sollevando gli occhi al cielo per quella che sembrò essere la millesima volta in quel pomeriggio. Tutto era già prevedibilmente calcolato: Jimin — che conosceva Taehyung meglio delle sue stesse tasche — sapeva bene che il suo migliore amico avrebbe scalpitato e dato di matto non appena scoperto che insieme a loro ci sarebbe stato anche Jungkook, ancor peggio impedito se solo l’avesse invece saputo in anticipo. Taehyung era lì, proprio come Jimin lo aveva immaginato, con le mani strette fra i pugni e l’ombra di un sorriso svanito sulle sue labbra. 

“L’ho invitato io” rispose Jimin disinvolto.

“Oh no”, disse Taehyung a sua volta accennando una risata smorzata e tutt’altro che gioiosa “Lui non viene con noi, Jimin-ah” dichiarò poi con tono autoritario, gettando di volta in volta sguardi sempre più minacciosi verso Jungkook lontano soli pochi passi da loro. 

“Taehyung ascolta …”

“Non ha nessun diritto di essere qui, non adesso, non dopo essersi disfatto delle sue stesse responsabilità per 2 interi mesi!”

“Hey testa d’asino, non sei tu a decidere cos’è giusto qui, è chiaro ?” sputò fuori Jungkook, accennando un sorriso compiaciuto quando Taehyung tentò di avvicinarsi a lui ma fermato in pieno tempo dalla piccola stazza rotonda di Jimin. 

“Tu sta’ zitto” disse il biondo, rimproverando Jungkook con un’espressione accigliata “E tu, cerca di calmarti” disse poi a Taehyung, desideroso invece di sferrare il suo destro migliore dritto sulla mandibola ben marcata e delineata del quarterback. 

“Non ci posso credere che tu l’abbia davvero portato qui!

“Taehyungie” tagliò corto Jimin, il palmo della mano che premeva con forza sul suo petto “Ti prego, ne abbiamo già parlato” 

"Sì, e ti ho detto che non mi fido di lui!”

“Non ti devi fidare di me Kim, non è te che devo impressionare!” disse Jungkook, con parole colme di presunzione che non fecero altro che alimentare la rabbia quasi incontrollata del ragazzo dall’ormai lontano sorriso rettangolare. 

“Sei solo uno stronzo! Hai la minima idea di quello che hai fatto ?! Pensi sul serio che tutto possa risolversi con delle squallide scuse ?” urlò Taehyung, avanzando un passo sul corpo di Jimin per accorciare ancora di più la distanza che c’era con Jungkook. “Jimin è stato indulgente con te ma io non lo sarò!” 

“E’ stato lui a volere che fossi qui, si può sapere qual è il tuo problema, mh ?” ribatté il moro allargando le braccia in segno di sfida, pronto ad accogliere ciò che Taehyung aveva da offrirgli, anche a far a pugni se ce ne fosse stato il bisogno. “Hai paura che possa rubarti il ruolo, Taehyung ? Che tu non possa più andare in giro per scuola a vantarti della sua gravidanza ?” 

A quelle parole stuzzicanti come punte di coltelli affilati, Taehyung avanzò ancora, Jungkook dall’altro lato fece lo stesso, fino a che entrambi i loro volti non si ritrovarono uno a pochi centimetri dall’altro. Sbuffi di aria calda fuoriuscivano dalle loro narici, gli occhi specchio riflesso della loro stessa rabbia repressa, pronti ad azzuffarsi e saltarsi addosso al rintocco del primo sospiro espirato fuori posto e parola pronunciata. “Basta!” urlò Jimin mettendosi tra i due ragazzi, separandoli con dure spinte su ciascuno dei loro petti “Ne ho abbastanza di voi due e dei vostri capricci! Sono stanco, mi fa male la schiena, e ho già un bambino qui con me, non ne ho bisogno di altri due a cui fare da balia!”

I protettori si guardarono intensamente per un’ultima volta, sbuffando poi infastiditi e riprendendo le dovute distanze l’uno dal corpo incandescente dell’altro. Jimin scosse il capo, visibilmente annoiato dal comportamento infantile dei due. “Jungkook viene con noi, okay ?” sussurrò a Taehyung in maniera gentile, “Almeno lascia che ascolti ciò che il dottor Kim avrà da dire” 

Taehyung strinse forte i denti, non sapendo con certezza se fosse più arrabbiato con Jimin, per la facilità con cui aveva perdonato l’altro, o con Jungkook, in piedi di fronte a lui con uno stupido sorriso compiaciuto stampato in viso. “Okay” infine cedette, troppo colpito dagli occhi morbidi con cui il biondo lo stava invece guardando. “Ma che stia il più lontano possibile da me”. 

“Il desiderio è tutt’altro che reciproco” borbottò Jungkook. 

"E non voglio neanche che mi parli” continuò Taehyung, ignorando completamente l'osservazione dell’altro.

Jimin annuì e si voltò indietro per guardare Jungkook, gettandogli uno sguardo acuto e chiedendogli silenziosamente di comportarsi bene con il suo migliore amico per la durata di quello stralcio di poche ore. Jungkook a sua volta incrociò le braccia muscolose sul petto largo e fece un cenno col capo, assentendo seppur controvoglia il volere del giovane dai capelli biondi. 

Jimin voleva che quel giorno Jungkook partecipasse al controllo di routine con il dottor Kim, una sorta di test valutativo da parte sua per poter comprendere quanto fossero serie le intenzioni del quarterback sul volergli stare accanto durante l’iter della gravidanza, e per poter valutare, solo infine, se la sua tanto bramata seconda possibilità sarebbe stata valsa da concedere. Jimin aveva bisogno, tuttavia, anche del supporto di Taehyung, il quale invece di visite mediche non ne aveva saltata una. 

E proprio come Taehyung aveva chiesto, Jungkook si ritrovò di fronte ad una grande scrivania in legno, seduto non lontano da lui ma separato invece dal solo Jimin che placido teneva le mani ben salde sulla sua rotondità, osservando il dottor Kim scrivere giù qualcosa mentre entrambi i ragazzi cercavano spudoratamente di ignorarsi a vicenda. 

“Vedo che hai portato compagnia oggi”, disse il dottor Kim Seokjin con un gran sorriso. 

“Oh già … ” ridacchiò il biondo “Spero non le sia di disturbo”. Jimin guardò Jungkook di sottecchi, esitando dal rivelare al giovane medico che fosse lui in realtà il padre del piccolo bambino.

“Affatto” rispose il dottore a mani giunte, “Come sei stato in questi giorni?” chiese poi cambiando rapidamente argomento.

“Uhm bene credo. Mi fanno un po’ male i piedi, e la schiena” spiegò mentre davanti a lui, il dottor Kim prendeva appunti su fogli poggiati lì per caso. “Le nausee si sono fermate ma ho spesso esigenza di fare pipì” 

Il medico rise, “E’ normale, il bambino occupa molto spazio dentro di te e fa pressione sugli organi circostanti, specialmente l’uretra poiché molto vicina all’area in cui il bambino si trova”. Jimin vide i suoi occhi neri andare a Taehyung, spostarsi con curiosità su Jungkook, per poi cadere nuovamente su di lui. I due ragazzi accanto erano seduti rigidamente sulle loro sedie, così - stranamente - silenziosi che era come se non fossero nemmeno lì presenti. 

“Vieni, faremo un’ecografia, come sempre” disse infine il dottor Jin alzandosi dalla sedia. Jimin lo imitò, sbottonandosi e jeans larghi mentre si dirigeva verso il lettino ormai familiare. Si distese con leggere fatica, arrotolandosi la maglietta sul busto in modo da mostrare l’ombelico mentre il medico lasciava cadere del gel freddo sulla sua pelle. 

Dall’altro lato della stanza Taehyung osservava Jungkook schivo, la cui attenzione invece era interamente focalizzata su Jimin. La bocca leggermente socchiusa, gli occhi spalancati che curiosi scrutavano ogni singolo movimento dell’uomo con il camice bianco, Jungkook rimase colpito nell’osservare senza veli la grossa pancia di Jimin, così rotonda e ferma ma allo stesso tempo così morbida e vulnerabile.

“Vuoi dare un’occhiata da vicino ?” gli chiese il dottore, svegliandolo improvvisamente da suo stato di trance. Jungkook annuì e si avvicinò così al letto, con passi cauti e timidi. Una volta che fu abbastanza vicino da vedere lo schermo dipinto di tonalità grigie e nere, Kim Seokjin indicò con la testa di una penna la forma completa del loro bambino. 

Jungkook trattenne il fiato dalla sorpresa, il respiro mozzato nel suo petto come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno nello stomaco, battendo rapidamente le palpebre mentre accenni di piccole lacrime cominciarono a formarsi agli angoli di quest’ultime. 

Quello era il suo bambino.

Il suo primo figlio. 

Ed era bellissimo. 

Jungkook riprese a respirare attimi dopo, soltanto quando sentì le dita di Jimin scivolare silenziose tra le sue, stringendole forte, quasi aggrappandosi, come se da un semplice contatto riuscissero a trasmettersi uno le emozioni dell’altro. Il quarterback abbassò così lo sguardo diventatogli opaco dalle lacrime ristrette, incontrando nient’altro che il sorriso dolce e luminoso di Jimin, e provando — per la prima volta dopo tanto tempo — la terribile voglia di sfiorare nuovamente con le labbra con le sue, baciargli la fronte e assicurargli che da lì Jungkook non sarebbe mai andato via poiché nonostante tutto, lui insieme a Jimin, avevano dato vita ad un miracolo. 

“Quanto …” chiese Jungkook deglutendo, “Quanto manca ?”

“Jimin-ssi sta per entrare nel secondo trimestre, sesto mese per essere pratici” 

“E’ tutto okay ?” pigolò Jimin con una mano sullo stomaco “Il bambino … cresce bene?” 

“Tutto procede per il meglio” rispose il dottor Kim con un sorriso. “Non ci sono segni di controindicazioni, lo sviluppo è adeguato al mese corrispondente, il bambino cresce ed è sano come un pesce”. 

Il biondo esalò un sospiro di sollievo e inclinò la testa incontrando ed accoccolandosi sul fianco di Jungkook, la cui mano prese ad accarezzargli i capelli. 

Volete conoscere il sesso di questo piccolino ?”, chiese il dottore infrangendo la loro piccola bolla.

Jimin titubò appena, non sicuro fosse una buona idea saperlo. Non aveva ancora ben chiaro quale scelta avrebbe attuato una volta nato e, sapendone il sesso, il biondo aveva soltanto paura di attaccarsi a lui o lei e rendere la separazione più difficile nel caso scegliesse di intraprendere la via dell’adozione.

“Sì" poi sussurrò Jungkook, con voce smorzata dal pianto incombente e gli occhi lucidi fissi sullo schermo ombrato. 

Il dottore Kim mosse per un po’ il trasduttore sull’addome di Jimin, cercando l’angolatura giusta per poter dare loro un responso certo. Taehyung si avvicinò a loro, i diverbi con Jungkook svaniti dalla sua testa e passati in un attimo in secondo piano, ansioso anche lui, e con l’entusiasmo di uno zio, di conoscere il sesso di quel bambino che sperava un giorno avrebbe riempito di tante piccole attenzioni. 

Il medico restò con gli occhi puntati sullo schermo, prima di voltarsi verso i tre ragazzi e sfoggiare uno dei suoi ampi e migliori sorrisi. “E’ una bambina” annunciò. 

Jimin aprì e chiuse la bocca diverse volte, come un pesce appena pescato, sorpreso, emozionato ed incapace di proferire parola, mentre al suo lato il giovane quarterback stringeva strette le labbra fra i denti per contenere la felicità sprizzante che improvvisa gli riempì il petto di gioia. Jungkook non aveva mai pensato al suo futuro, a come sarebbe stata la sua vita con un lavoro vero, una casa, un marito e dei figli veri. Una cosa però che sapeva con certezza era che prima o poi avrebbe desiderato avere una bambina. Una piccola principessa da viziare, a cui intrecciare i capelli al mattino, leggere le storie della buonanotte, giocare insieme a qualsiasi cosa lei desiderasse ed essere il suo unico eroe. E quel piccolo sogno che Jungkook teneva chiuso a chiave nel cassetto dei suoi desideri nascosti, adesso era reale e tangibile, grazie a Jimin. 

Il dottor Kim mise via la sonda dalla pancia di Jimin e diede lui un panno pulito affinché potesse delicatamente pulire la zona dal gel appiccicoso. “Avete già pensato a qualche nome ?” chiese poi, vedendo il sorriso smagliante di Jungkook.  

“Non … non ancora” rispose Jimin leccandosi le labbra aride ed alzando lo sguardo per incontrare quello di Jungkook, i cui occhi brillavano ancora di felicità alla vista del loro bambino lì sullo schermo. 

“D’accordo, c’è ancora del tempo” rise il medico, offrendo ad uno Jungkook ancora stordito un pezzo di carta lucida. “La sua prima foto”. 

Il moro sorrise trattenendo il fiato tra i polmoni, afferrando con ambe le mani tremanti la foto da lui offerta. Con quella piccola mano sollevata verso l’alto, la bambina sembrava fargli dall’interno del ventre il suo primo saluto. Jungkook poteva distinguere bene la testa, le braccia, le gambe, tutte molto formate e rannicchiate su se stesse. Non aveva mai pensato, rigirandosi quella foto tra le dita, di piangere per una cosa semplice ma fin troppo bella come questa: eppure eccolo presentato, Jeon Jungkook, un disastro emotivo. 

Per il resto della visita Jungkook non riuscì a staccare gli occhi dalla fotografia quadrata che mostrava accennata quella che da lì a pochi mesi sarebbe diventata sua figlia. La sua bolla di pensieri e angosce, miste ad esuberanza ed incertezze, fu infranta soltanto quando ai suoi occhi le mani di Jimin si sovrapposero alle sue. 

“Stai bene ?” chiese il biondo dolcemente, Taehyung che — fuori dallo studio — camminava dinanzi a loro, donandogli quell’attimo di privacy di cui sapeva avevano bisogno. 

“Sì, ho solo … sono solo sorpreso. Non mi aspettavo fosse così … così piccola” borbottò Jungkook ancora stordito. 

Le labbra di Jimin si curvarono in un tenero sorriso, la testa inclinata verso il basso concentrata sui propri passi e l’andamento rettilineo del marciapiede. “Tu …” esitò il biondo appena, “Hai un nome ?”

“Sì …” rispose lui con un sussurro ed un rossore evidente che presto si insinuò fra le sue guance. Jimin ridacchiò, alzando gli occhi verso di lui con divertimento. 

“Dimmelo” 

“Jiwoo” 

Jimin annuì, “Mi piace” sentenziò accarezzando delicatamente la curvatura della sua pancia. “Ciao Jiwoo” 

Jungkook sorrise appena, lasciando finalmente scorrere — senza più barriere, senza più timori — le lacrime sulle sue guance rosee, e lì in quel preciso istante il quarterback ammise che quel nome, dolce, che gli ricordava quello della sua amata nonna, suonava ancora più bello pronunciato dalle labbra di Jimin. 

 




 

Quella giornata, Jimin pensò, sembrava non avere mai fine.

La visita con dottor Kim era andata molto bene, nonostante l’astio che pungente si respirava nello studio fra i suoi due accompagnatori; il bambino cresceva secondo giusto protocollo e Jungkook … Jungkook apparve, per la prima volta, come mai l’aveva visto, interessato, commosso e deciso ad aiutarlo a portare a termine la gravidanza e a soddisfare tutte le sue richieste. 

I suoi grandi occhi da cerbiatto gli chiedevano perdono ad ogni incontro di pupille, cercando di far crollare quelle barriere solide che Jimin stava cercando di ricostruire intorno a sé. Barriere che sembravano non voler ancora cedere, poiché l’ultima volta che il biondo aveva permesso che le sue difese cadessero, era rimasto solo, ferito, con un bambino nella pancia e abbastanza problemi da affrontare.  

C’era un altro problema però che Jimin doveva affrontare in quel preciso momento. Un problema con una pelle chiara da far invida, occhi delineati come quelli di un gatto, ed un nome che pronunciato per i corridoi faceva tremare chiunque: Min Yoongi. 

Lo stesso Min Yoongi di cui Taehyung da settimane non smetteva ormai di parlare, seduto di fronte a Jimin con veli di insicurezza, frustrazione e confusione dipinti sul suo volto, aspettando con ansia che il biondo rispondesse alle sue domande. 

“Puoi ripetere?” Chiese Jimin battendo le palpebre. 

Yoongi sospirò infastidito, il nervosismo che scorreva in lui a grande ondate. Era carino, pensò Jimin, anche con le sopracciglia aggrottate e la curvatura accentuata di un sorriso smorzato ai lati del viso. Jimin riusciva a capire perché il suo migliore amico fosse così ossessionato da lui, non avrebbe permesso che cotanta bellezza sarebbe scappata così, come una farfalla impaurita, dalle sue mani. 

Non appena Jimin era tornato a scuola per le lezioni pomeridiane, Yoongi lo aveva preso per un braccio e trascinato verso la caffetteria del campus, borbottando qualcosa sul fatto di dover parlare con lui di Taehyung. Così, dopo essersi lamentato internamente per la frustrazione e per un'altra opportunità persa di riuscire studiare un po’ per gli esami di fine semestre, Jimin lasciò che Yoongi lo portasse verso il primo tavolino disponibile. 

“Ti ho chiesto se è vero che tra te e Taehyung c’è … qualcosa” disse il moro. 

"Oddio, no" rispose Jimin sfacciatamente, cercando rapidamente di correggersi dopo aver visto il cipiglio che apparve sulle sopracciglia di Yoongi. "È solo un mio amico … il mio migliore amico"

“Ti segue come un cagnolino e ti guarda come se tu fossi l’unico al mondo, Jimin” 

Jimin sospirò mantenendo la calma, “Siamo sempre stati inseparabili, Yoongi, ci siamo conosciuti all’asilo e da lì non ci siamo più lasciati”. 

Yoongi annuì, increspando le labbra inseguite dai suoi pensieri. Jimin bevve un sorso del suo frappè alla banana e fragola mentre i suoi occhi studiavano curiosi le espressioni intense del maggiore. 

“E’ lui il padre ?” chiese l'altro così piano che se Jimin non si fosse sporto in avanti non l'avrebbe sentito.

“No” rispose semplice, ma Jimin intuì non sarebbe stata sufficiente per mettere a posto le insicurezze di Yoongi. “Qualsiasi cosa tu abbia sentito in giro, posso assicurarti che non è vero. Taehyung è come ... non lo so, come un fratello per me, lo amo molto ma non nel modo in cui credi tu” disse dolcemente.

Yoongi corrugò la fronte ancora più intensamente, turbato dalle informazioni che Jimin gli stava appena dando. “Tutti dicono che voi due siete insieme e che lui è il padre del tuo bambino ..." disse lui. "Andate e tornate da scuola insieme, tutti i giorni, lui ti porta il pranzo, tutti i giorni, è difficile non crederci”.

Jimin rimuginò per una frazione di secondo se fosse stata una buona idea raccontare a Yoongi l'intera storia. Il ragazzo di fronte a lui sembrava davvero preoccupato, e Jimin voleva così tanto bene a Taehyung che avrebbe provato a fidarsi alla cieca, per una volta, e raccontare lui la sola verità. “Jungkook, il vero padre di questa bambina, è andato via quando gli ho rivelato la gravidanza” spiegò con un po’ di vergogna “Taehyung mi ha preso sotto la sua ala, aiutato a cercare dei vestiti nuovi, mi ha accompagnato alle visite in ospedale … ha fatto tutto quello che Jungkook, finora, durante questi mesi non aveva intenzione di fare”

“Jeon Jungkook ?” chiese Yoongi con meraviglia.

“Già” confermò Jimin, “Proprio lui”

Yoongi rimase stupefatto, sentendosi così stupido e non sapendo esattamente cosa dire al più piccolo. Aveva giudicato male tutto sin dall’inizio, trattato male sia Taehyung che Jimin soltanto perché aveva permesso ai pettegolezzi di manipolare il suo pensiero razionale. “Mi dispiace Jimin …”, disse mortificato. “Ho … frainteso tutto"

"Va tutto bene" rise lui, agitando la mano in modo sprezzante verso di lui. "Non mi arrabbierò con te solo se mi prometti una cosa”

"Okay" acconsentì Yoongi rapidamente, annuendo con la testa e facendo ridacchiare Jimin. “Di cosa si tratta ?"

"Ti prenderai cura di Taehyung” disse Jimin, suonando minaccioso ma deciso “È un idiota quasi tutto il tempo, ma è dolce e molto sensibile”

Yoongi deglutì nervosamente a causa dell'occhiata severa sul viso di Jimin, “Lo farò” rispose timidamente “Lui … mi piace molto” ammise con sussurro e Jimin gli sorrise ancora una volta prima di prendere un lungo sorso del suo frappè.

"Penso che piaci anche a me Yoongi” ridacchiò il biondo e Yoongi rise così con lui. 

Sembrava che lui e Jimin andassero d’accordo. 

Che tutto finalmente andasse d’accordo.

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Capitolo 6
*** - Kick ***




6. Kick

Nonostante pochi giorni prima Jeon Jungkook avesse promesso, con le lacrime agli occhi, di rimanere accanto a Jimin nei suoi restanti mesi di gestazione, tra le mura spoglie del loro liceo invece, il giovane capitano degli Yellow Stripes aveva mantenuto impassibile, ma con un accenno di malincuore, la sua brillante reputazione e il suo temibile atteggiamento da falso duro. 

Taehyung lo aveva fulminato con lo sguardo non appena lo vide entrare in mensa con un vassoio stretto tra le mani, le portate del giorno poggiate su di esso ed un piccolo cartone del suo stupido latte alla banana poggiato sul lato. Pensava ingenuamente che Jungkook sarebbe andato a sedersi accanto a lui e Jimin ma, invece, il giovane, deludendo fortemente le loro aspettative, aveva fatto finta di nulla, inclinato la testa verso il basso non appena incrociato lo sguardo speranzoso del biondo e ignorandoli si era avviato verso il tavolo in fondo occupato dai membri della sua squadra. 

Jungkook non aveva di certo intenzione di rimangiare le sue promesse, soltanto non voleva ancora che tutta la scuola sapesse che la gravidanza di Jimin lo coinvolgeva in prima persona. L’avvicinarsi ai due, sedersi con loro durante l’ora di pranzo, sarebbe stato sospetto. A scuola tutti sapevano che lui e Jimin erano stati insieme, la coppia più bella di tutto dell’istituto si diceva una volta, e di certo un improvviso riavvicinamento da parte di Jungkook — nelle condizioni in cui era Jimin — dopo una rottura tanto drastica, avrebbe senz’alto catturato l’attenzione dei più pettegoli. 

Tutto sembrava in realtà soltanto un paravento dietro cui coprirsi. L’amara verità che tanto faticava ad accettare era che Jungkook fosse completamente terrorizzato da ciò che la gente e i suoi amici avrebbero pensato di lui una volta scoperto. Non voleva essere giudicato, non voleva essere soggetto di domande imbarazzanti ne tanto meno essere l’alunno di turno a cui veniva spiegato il perché si utilizzavano precauzioni durante i rapporti sessuali.

Lo sguardo deluso di Jimin, tuttavia, era ciò che faceva sentire Jungkook ogni volta sempre più male. Dalla loro ultima visita dal dottore, i due avevano ricominciato a frequentarsi anche al di fuori della scuola. Jungkook lo accompagnava a fare shopping, nella sua pasticceria preferita quando le voglie di torte al cioccolato diventavano insaziabili, al parco vicino casa quando invece Jimin era troppo stanco per camminare. Seduti sopra ad una panchina, a godersi nel silenzio la semplice aria mite della primavera quasi sbocciata. Jungkook aveva ritrovato in lui quell’allegria e goffaggine che durante la sua assenza tanto gli erano mancate, quella timidezza bambina che rosata si nascondeva incerta sulle sue guance paffute. 

I muscoli delle braccia bruciavano, le gambe supplicavano tregua ma con la pista di atletica completamente vuota e il cielo ormai plumbeo, Jungkook non poteva fermarsi. Aveva corso per un tempo incalcolabile, sfogando tutta la tensione e la frustrazione che in quei giorni avevano fatto carico sulle sue spalle come peso dell’intero mondo. I suoi vestiti erano disgustosamente attaccati alla sua pelle, goccioline di sudore cadevano come pioggia al suolo dalle punte dei suoi capelli umidi. Dopo aver esalato un grosso espiro, Jungkook riuscì a sentirsi finalmente rilassato, libero da ogni stralcio di preoccupazione. 

Tornato a casa, quella sera, sua madre era in cucina ad aspettarlo. L’odore delle verdure fritte che invase all’istante le sue narici facendo così risvegliare e gemere il suo stomaco profondo. Jungkook si fermò sotto l’arco della porta, sorpreso di trovare suo padre seduto con una postura rilassata su di una sedia a leggere il quotidiano del giorno. Strano che fosse a casa così presto, ma troppo stanco lui per porsi delle domande. 

“Hey” disse come per un saluto. 

Sua madre, vestita con un paio di vecchi pantaloni ed una maglietta non troppo usata, voltò la testa dietro la sua spalle. “Sei tornato tardi” replicò afferrando uno straccio per pulirsi le mani e girandosi completamente per affrontare suo figlio. 

“Sono rimasto sul campo ad allenarmi con Namjoon e gli altri”, rispose con una mezza bugia. “Vado a fare una doccia”. 

“Okay” acconsentì lei, “Ma una volta che hai finito scendi subito, dobbiamo parlare

Jungkook salì al piano di sopra, le sopracciglia aggrottate in viso per la confusione dello scambio di parole appena avuto con sua madre. Il quarterback decise di non pensarci ma piuttosto di denudarsi strada facendo, lungo il corridoio, prima di gettarsi in bagno sotto il getto dell’acqua fumante. Proprio come pensava, la doccia rilassò a poco a poco i suoi muscoli doloranti, Jungkook canticchiò appena una canzone sentita di stento alla radio, risciacquando l’intero corpo e i capelli colmi di schiuma data dallo shampoo al profumo di orchidee. 

Quando scese al piano di sotto la cena era pronta, splendidamente servita sul grande tavolo appena allestito. Suo padre aveva sempre avuto uno squisito gusto per le forniture e le decorazioni della casa, curando ogni singolo dettaglio per rendere tutto in maniera impeccabile. Jungkook sedette di fronte ai suoi genitori e senza alcun accenno di consenso da parte loro, cominciò ad infilzare cibo con la forchetta e placare finalmente l’acquolina dettata dalla sua pancia. 

“Come va a scuola ?” chiese sua madre con tono gentile. 

“Bene” canticchiò portandosi altro cibo alla bocca “Sono molto indaffarato con lo studio e i ragazzi della squadra. La fine del semestre sarà molto impegnativa e voglio avere tutto il tempo necessario per prepararmi ai test di ammissione al college”. 

“Non ti stai preparando per il ballo ?” domandò suo padre “Non è questo il periodo dell’anno in cui tutti escono fuori di testa con i preparativi e i vestiti … ?” 

“Non so se ci vado” rispose il ragazzo con onestà nella sua voce.

Nessuno speciale da invitare ?”

Jungkook alzò la testa dal piatto, fissando sua madre sbattergli gli occhi in maniera curiosa mentre suo padre di fianco sbuffava e scuoteva la testa, divertito forse da come la conversazione stava avendo piega.  “Uhm, no…” rispose incerto, sentendosi improvvisamente scomodo per il modo in cui lei lo stava esaminando.

Le sopracciglia della donna si sollevarono per un secondo e Jungkook lasciò cadere la forchetta sul piatto. Quello era il gesto che Soomin Jeon era solita fare quando le cose non andavano come da lei programmate o, nel peggiore dei casi, quando sapeva che Jungkook stava mentendo. Quel semplice sollievo del suo sopracciglio, da anni, faceva sì che Jungkook restasse con le spalle contro il muro e confessasse i suoi più oscuri segreti.

“No ?" Chiese di nuovo la donna, tentennando, probabilmente per dare a suo figlio una seconda possibilità di rispondere di tutta sincerità con quello che lei si aspettava lui dicesse.

Jungkook deglutì nervosamente, offrendo un’alzata di spalle ed un sorriso carino nella speranza che sua madre interrompesse una volta per tutte quell’imbarazzante interrogatorio. Ma la signora Jeon si rifiutò di mollare la presa, sorridendo irritata, e recuperando una familiare busta bianca da lettere da sotto la tovaglia. “Stamattina tuo padre è entrato nella tua stanza per cercare il caricabatterie del cellulare e ha trovato questa sbirciando sotto il tuo materasso …” disse, lanciando un’occhiata a suo marito accanto a lei. 

“Pensavo fosse qualcosa che sai … ogni adolescente della tua età possiede … e nasconde sotto il letto” continuò suo padre con tono serio, ma allo stesso tempo divertito. “Ed ero pronto a prenderti in giro, probabilmente l’avrei usato come espediente per costringerti a fare le faccende domestiche per un mese, ma quando l’ho aperta … dio ho quasi avuto un infarto Jungkook”

“Per cui te lo chiederemo di nuovo”, disse Soomin in maniera definitiva, quasi dandogli un ultimatum, sollevando la busta bianca e tenendola tra le sue dita delicate. “C’è qualcuno di speciale di cui vuoi parlarci ?"

Jungkook sapeva perfettamente cosa contenesse la busta da lettere che sua madre stringeva tra le mani, certo che lo sapeva: l’aveva nascosta lui lì. Il ragazzo aprì la bocca come per dire qualcosa ma si rivelò essere così nervoso e così in un vicolo cieco che dalle sue labbra uscirono pronunciate soltanto parole balbettate. “Io e Jimin … è successo dopo che … dopo che sono tornato da Boston … è stato un incidente ma …” i suoi genitori non dissero nulla, entrambi erano silenziosi e completamente disposti ad ascoltare qualunque cosa Jungkook avesse da dire. "È ... è una bambina ... voglio dire, la piccola ... è una bambina”.

I lineamenti della signora Jeon cambiarono drasticamente, passando da una fronte corrugata colma di preoccupazione ad una rilassata piena di gioia, sorridendo a suo figlio con occhi scintillanti. “Avrò una nipotina ?” sussurrò.

Jungkook annuì timido, sudando copiosamente, con il cuore che gli batteva come un martello su di un incudine contro la cassa toracica. 

“Una bellissima principessa …” continuò sua madre, prendendo l'immagine ad ultrasuoni dalla busta per esaminare la forma perfetta della bimba ormai formata. 

Al suo fianco suo marito, Junseo Jeon, si chinò verso di lei per osservare la fotografia al meglio con un piccolo sorriso stampato sulle labbra sottili. “Questo renderà le cose un po’ difficili da ora in poi, figliolo”. 

Jungkook assentì nuovamente, il cervello completamente confuso ed incapace di formulare pensieri e parole coerenti. Il cuore ancora battente all’interno del suo petto. 

“Voglio conoscerlo” dichiarò Soomin, “Jimin, il tuo ragazzo” 

Il quarterback la fissò senza espressione, “Jimin … Jimin non è il mio ragazzo” borbottò velocemente, parole a malapena comprensibili ma che sua madre comprese perfettamente.

“Come ?!” disse, corrugando ancora una volta le sopracciglia. Jungkook scivolò un po’ dalla sedia, cercando di rendersi il più piccolo possibile così da evitare l'ira incalzante di sua madre. “E’ una sorta di ragazzo conosciuto per caso durante una delle tue tante feste, non è così ? Sono molto delusa da te Jungkook!” la sua voce aumentò, acuta e minacciosa a tal punto da far sussultare Jungkook e renderlo sempre più desideroso di nascondersi sotto il tavolo e piangere fino a che le grida non sarebbero finite.

“Jimin non è uno qualunque!” invece ebbe il coraggio di replicare, gettando un'occhiata a suo padre, che nel frattempo lo stava guardando accigliato per il tono appena utilizzato. “Ci conosciamo da … molto tempo, andiamo a scuola insieme e … quando sono tornato dallo stage ci siamo rincontrati da Namjoon hyung e ... beh, non lo so, è successo, okay?”

“Non ci posso credere” dichiarò la donna incredula, “Ti abbiamo insegnato ad essere più responsabile di così, Jungkook, ad avere sempre dei rapporti protetti” lo rimproverò con voce aspra ma allo stesso tempo con una dolcezza che limpida accarezzava il tono. Sua madre lo sgridava sempre con toni neutri, assicurandosi che Jungkook capisse cosa lei stesse cercando di insegnargli, piuttosto che dare di matto e sfogare la rabbia contro un ragazzino che avrebbe finito sicuramente per odiarla per le troppe urla e rimproveri. 

“Lo so … mi dispiace” sussurrò Jungkook con il labbro inferiore che trepidante cominciò a tremare. Sua madre si sporse in avanti e allungò una mano sul tavolo per afferrare la sua in un gesto rassicurante. Jungkook permise così che un paio di lacrime cadessero libere sulle sue guance, sentendosi improvvisamente sopraffatto da tutte le emozioni che per tutto quel tempo aveva imbottigliato dentro di sé.

“Ehi, figliolo non piangere. Non è di certo la fine del mondo” disse suo padre. Jungkook tirò su con il naso, asciugandosi gli occhi e stringendo forte la mano di sua madre. “Hai soltanto bisogno di cominciare a pensare come un adulto adesso, prenderti le tue responsabilità”.

“Vogliamo conoscere Jimin … okay ? Niente pressioni, soltanto un incontro amichevole” rassicurò Soomin, con gli occhi rossi ed altrettanto lucidi. 

Jungkook annuì in silenzio, versando ancora qualche lacrima nascosta. Era stato così stressato in quelle ultime settimane, così in costante tensione, che spiegare ai suoi genitori cosa stesse succedendo nella sua vita fu come sollevare un macigno di dieci tonnellate dalle sue spalle. 

Ora aveva solo bisogno di un pizzico di coraggio e di lanciare la medesima bomba su Jimin.

Jimin — di fatto — reagì proprio come Jungkook aveva immaginato: infastidito, impaurito, con le delicate mani che tremanti pettinarono i capelli disfatti e la rabbia scaraventata contro Jungkook per il suo non essere stato abbastanza attento nel cercare un posto originale, fuori dalla portata dei suoi genitori, dove avrebbe potuto tenere in salvo la prima fotografia della piccola Jiwoo.

“Attento ? Per quanto ancora credevi potessi nascondere loro il fatto di avere una figlia ?” aveva risposto indignato e Jimin in quell’istante tacque poiché sapeva che Jungkook aveva ragione.

Fu così che all’inizio Jimin rifiutò categoricamente il suo invito a cena, totalmente terrorizzato dall’idea di incontrare i signori Jeon, esser messo d’esame e giudicato per la sua pancia troppo gonfia, ma dopo alcune parole persuasive da parte di Jungkook e la promessa di saziarlo con dolci per un’intera settimana, il biondo acconsentì. 

Quando il sabato successivo Jungkook passò a prenderlo, palesandosi con un semplice mazzo di fiori alla porta di casa sua, Taehyung gli aveva lanciato un’occhiata tutt’altro che cordiale. Come un papà protettivo, dalle braccia incrociate al petto gonfio ed il mento inclinato per cercar di apparire di fronte a lui più intimidatorio possibile. I due avrebbero cominciato uno dei loro classici battibecchi se Jimin non fosse apparso sull’arco della porta, in tutto il suo splendore, facendo tacere Jungkook prima che potesse anche solo proferire mezza parola.

Il breve viaggio in macchina verso la tenuta dei Jeon fu quieto e silenzioso, il solo mormorio della radio in sottofondo a fargli da compagnia. Il quarterback accennò un sorriso divertito quando percepì al suo fianco il frastornante nervosismo di Jimin, le dita tremanti che giocavano con l'orlo della sua camicia e che impazienti sistemavano la sua frangia dorata già perfetta. “Sei … davvero carino, oggi” borbottò dopo un po’, spezzando il silenzio. Jimin tossì un grazie con gran timidezza e Jungkook poté giurare di vedere un accenno di porpora sulle sue guance. “Non essere nervoso, okay ? I miei genitori sono persone alla mano” cercò di apparire sicuro, nonostante in fondo fosse nervoso quanto lui.

Jimin si limitò ad annuire stringendo tra i denti il labbro inferiore ormai rosso e gonfio. La signora Jeon amava fare le cose con una certa cordialità ed aveva insistito per invitare Jimin a cena nonostante le numerose proteste portate avanti nei giorni successivi da parte Jungkook. Il quarterback era certo che quella sarebbe stata una serata inusuale, elaborata che era certo avrebbe messo tutti in una situazione imbarazzante. Ma a Jimin questo non lo disse. 

Giunti dinanzi alla modesta abitazione, Jungkook infilò le chiavi nella serratura della porta d’ingresso ritrovandosi dinanzi ad una casa che non sembrava nemmeno come propria. Il pavimento in legno d’acero era lucido e pulito, le candele del salone accese esalavano nell’aria uno squisito profumo di agrumi. Jungkook guidò Jimin nel soggiorno e uno sbuffo quasi lasciò la sua bocca quando vide i suoi genitori seduti casualmente sul divano fingendo di non averlo sentito arrivare. 

“Jungkook, tesoro, finalmente sei qui!” disse sua madre emozionata, alzandosi e stirando con le mani la gonna azzurro pastello. Al suo fianco anche suo marito si alzò, sfoggiando un sorriso ed andando a posare delicatamente la mano sulla curva della sua vita.

“Dai, che sorpresa” sdrammatizzò lui.

Il silenzio che calò fra loro si fece subito gelido ed imbarazzante. Junseo Jeon si sporse a lato di sua moglie per sbirciare la piccola figura dalla testa bionda che timida si nascondeva dietro la presenza invece piazzata del loro stesso figlio. “Non ci presenti il tuo … amico ?” chiese suo padre ammiccando.

“Mh… già”, rispose Jungkook grattandosi la nuca con disagio, “Mamma, papà, lui è Jimin” disse, poggiando la mano sulla schiena di Jimin per spingerlo un po’ più in avanti.

Jimin si strinse la pancia di conseguenza, un gesto che ormai diveniva istintivo fare in presenza di altre persone. Protezione. Gli occhi dei signori Jeon, dinanzi a lui, erano grandi ed osservanti. Scrutavano il suo viso, le sue mani ed il suo enorme ed ingombrante grembo che di certo rubava la scena più di tutto. Jimin si sentì pervadere così dall’imbarazzo, come un cervo catturato e alla disperata ricerca di un modo per fuggire via di lì. 

“Buonasera signori Jeon, piacere di conoscervi, sono Park Jimin” disse inchinando leggermente il capo. Era divertente per Jungkook vedere quanto fosse nervoso, così rigido e formale. Lo avrebbe preso senz’altro in giro non appena sarebbero stati soli. 

“Oh mio caro, ti prego, metti via gli onorifici” disse la madre di Jungkook con un sorriso smagliante, “Rilassati, d’accordo ? Io sono Soomin e lui è mio marito Junseo”

Jimin annuì mimando un secondo inchino e incurvando dolcemente le labbra verso l’alto, “Grazie per l’invito, casa vostra è splendida” .

“Accidenti, Jungkook non mi aveva detto fossi così carino!” ridacchiò Soomin.

Mamma, per favore” la rimproverò Jungkook. 

“Va bene, scusa!” ridacchiò di nuovo. 

“Tesoro che ne dici se ci accomodiamo in sala da pranzo ? Scommetto che Jimin ha fame … e un po’ anch’io” disse Junseo, facendo strada lì dove una lussuosa e splendida tavola era già apparecchiata di mille portate. 

Per il resto della serata la piccola famiglia si dilettò in conversazioni casuali; Soomin chiese a Jimin della gravidanza, dei suoi interessi e progetti futuri e Jimin fu lieto di rispondere che avrebbe voluto intraprendere un lavoro che fosse a stretto contatto con gli animali poiché per lui, quelle bestioline, erano fonte di gioia pura.

“Come hanno preso i tuoi genitori la notizia della gravidanza ?” Chiese Junseo prima di prendere un sorso del suo bicchiere di vino. Jimin si intenerì nel ricordare la conversazione avuta con sua madre nel bagno di casa loro e lo scetticismo di suo padre prima di scoppiare in grosse lacrime di commozione.

“Bene” rispose semplicemente, poggiando la testa sul palmo della mano. “Mia madre … mi ha dato un grande appoggio, avevo molta paura di dirle la verità ma non appena mi ha visto dare di stomaco più volte, ha capito subito. Lei è rimasta incinta alla mia stessa età … quindi, più di tutti, credo sapeva cosa stavo affrontando. I dubbi … la paura di crescere un bambino … da solo

A quelle parole Jungkook abbassò lo sguardo sul suo piatto mortificato ed affranto. Sapeva di aver fatto un grande errore, di aver messo Jimin nella condizione di pensare di dare via, eliminare dalla faccia della terra, quella piccola creatura prima ancora che il suo cuore potesse cominciare battere. 

“E’ meraviglioso Jimin” disse Soomin con gli occhi lucidi, “Sono contenta di sapere che i tuoi genitori sostengono in pieno le tue scelte e … che tu sia qui questa sera”.

“Hai una casa qui, se vuoi. Sarai sempre il benvenuto qui” dichiarò invece Junseo, sorridendo rassicurante alla sua signora, la quale annuì per essere in totale accordo con lui.   

“Grazie …” mormorò incerto. Jimin avrebbe voluto mostrare ai Jeon quanto fosse grato per l’affetto appena dimostratogli ma sapeva che se avesse aperto bocca per dire altro, sarebbe finito di certo per scoppiare a piangere e dare la colpa ai suoi scompensi ormonali. In suo soccorso arrivò così Jungkook, il quale cambiando di repentino l’argomento, permise così al biondo di mettere a posto le sue emozioni e riprendere in seguito la piacevole conversazione.   

Un’ora dopo Soomin, con un sorriso compiaciuto ed occhiolino ammiccante rivolto verso suo figlio, decise di dare ai due ragazzi dei momenti di privacy intimando Jungkook a mostrare a Jimin il resto della casa. Il ragazzo condusse così il biondo nella sua stanza; Jimin venne accolto da uno splendido odore di lavanda, gli occhi chiusi e il respiro pieno di quella calmante ma dolce essenza. Le pareti della stanza di Jungkook erano dipinte di grigio perla, con poster di giocatori di football e gruppi musicale appesi qua e là. Una modesta scrivania con i tanto temuti libri di matematica poggiati su di essa, era posta vicino ad un lucernario che per i suoi gusti Jimin trovò incantevole. Il biondo curiosò per un po’ in quella stanza, semplice ma elegante, che tanto rispecchiava i gusti di Jungkook. 

Jimin andò poi a sedersi sul suo letto, stanco ed affaticato, sentendo le gambe trovare a poco a poco sollievo. “E’ enorme” disse, accarezzando la morbida stoffa del piumone.

“Mia madre l’ha cambiato quando ha visto che i miei piedi cominciavano ad uscire fuori dal bordo” rispose lui con una risata. Jimin sorrise di conseguenza, sentendosi a suo agio e in maniera del tutto naturale accanto a lui. 

“Se fosse stato un maschio” ipotizzò accarezzandosi la pancia, “Avrei voluto prendesse la tua altezza”. Jungkook si avvicinò lentamente al suo letto, sedendogli vicino, forse un po’ troppo vicino ma a Jimin sembrò non importare. “E i tuoi occhi” continuò “Hai dei begli occhi”. 

Jungkook abbozzò una curvatura di labbra, arrossendo un po’ per il complimento appena ricevuto. “Spero solo che non prenda questo naso —“ si indicò la punta, “ — troppo grande”.

Jimin rise forte, così forte che i suoi occhi si chiusero completamente, facendo sorridere Jungkook per la reazione appena ottenuta. I due rimasero in silenzio quando le loro risate morirono, goffamente seduti l'uno accanto all'altro per un paio di minuti fino a quando,  improvvisamente, Jimin sobbalzò piantando la mano sulla pancia. “O cielo” esclamò divertito, “Qualcuno qui sta facendo le capriole”

“Posso ?” chiese Jungkook eccitato, nella speranza di non risultare troppo invadente. Jimin annuì, afferrando la grossa mano del moro con la sua più piccola e sistemandola sulla sua rotondità laddove la bambina stava calciando.

Jungkook rilasciò una risata senza fiato, sbalordito mentre percepiva sotto il suo stesso palmo sua figlia muoversi delicatamente dentro Jimin. "Wow ..." sospirò interdetto, con il cuore che prese a battergli all’impazzata.

“Credo che riesca a sentirti” disse Jimin con tono sommesso. 

"O-oh ... okay” Jungkook balbettò goffamente, non sapendo esattamente cosa dire. “C-ciao piccolina” Jimin rise utilizzando la sua stessa mano per guidare Jungkook così da poter continuare a sentire i suoi movimenti. “Sono … sono il tuo papà …”, il moro guardò in alto verso Jimin per un secondo prima di chinarsi in modo che la sua bocca fosse più vicina al suo ventre. “Ti chiedo scusa … semmai dovessi avere un naso grosso come il mio, a volte la genetica fa davvero schifo"

Jimin sorrise, e Jungkook sentì altre vibrazioni sulla sua mano. "Non vedo l'ora di conoscerti sai ? Guardare il tuo viso, stringere le tue mani. Sarai una bambina bellissima Jiwoo … proprio come il tuo appa” continuò, muovendo il pollice in cerchio per accarezzare il tessuto della camicia di Jimin. "Spero che tu ci perdonerai … se non riusciremo ad essere una vera famiglia in futuro, che tu possa capire che ci saranno degli ostacoli, che la vita non è sempre facile”

Jimin si strinse nelle spalle, restando seduto ad ascoltare la calma voce di Jungkook borbottare parole che gli scorrevano ormai in testa da quando aveva scoperto di avere quella bambina dentro di sé. Lui e Jungkook non avevano ancora parlato di cosa avrebbero fatto una volta nata, e di certo quelle affermazioni appena pronunciate non fecero che alimentare in lui le paure e rendere la situazione ancora più reale, terrificante e tesa di quello che già si presentava. Jimin spinse via così la mano del quarterback, alzandosi dal letto e raggiungendo la finestra in modo da interporre fra loro una netta distanza. 

“Jimin …” mormorò Jungkook scettico, non capendo esattamente la sua reazione e cosa stesse appena succedendo “C-c’è qualcosa che non va? Ho detto qualcosa di sb —”

“Dici che vuoi provarci ma a scuola neanche mi guardi in faccia” rispose lui accigliato. Jimin era stanco, emotivo e con la sua buona dose di ormoni impazziti circolanti nel sangue, ma aveva bisogno di parlare con Jungkook, stavolta per davvero. “Sarebbe così anche nel caso in cui decidessimo di tenere Jiwoo con noi ?”

Jungkook aggrottò le sopracciglia, non aspettando affatto quell’improvviso cambio di atmosfera. “No, io … se dovessimo prenderci cura di lei, vorrei essere presente nella sua vita” spiegò. Sapeva che una volta entrato al college, i suoi ritmi sarebbero stati frenetici, nonostante tutto però Jungkook era deciso a voler essere un bravo papà per Jiwoo, amorevole, se solo Jimin gliel’avesse permesso. 

“Quindi saremo come due genitori divorziati ? Jiwoo resterà una settimana con me ed una con te ?”. Era strano immaginare il futuro in quel modo: litigare al telefono su chi dei due sarebbe rimasto con la piccola quei giorni, goffamente in piedi l’uno accanto all’altro durante le sue feste di compleanno o le recite scolastiche. Non era così che Jimin immaginava la sua famiglia. Lui voleva l’esatto contrario: essere dalla parte di sua figlia in ogni fase della sua vita e avere qualcuno al suoi fianco che rendesse le sofferenze più sopportabili, qualcuno su cui contare e che amasse con tutto il suo cuore, creando ricordi felici a cui aggrapparsi quando invece sarebbe stato più vecchio. 

“Immagino …” mormorò Jungkook, guardandosi le mani con un accenno di tristezza “Che potremmo provare ad avere un buon rapporto … per lei” 

"Già ..." annuì Jimin, la voce a malapena un sussurro.

"Non vuoi ?" chiese Jungkook notando l'espressione sconcertata del biondo.

“Ho solo … ho sempre desiderato una famiglia unita” rispose scrollando le spalle, lanciando un'occhiata a Jungkook e perdendosi in quegli occhi castani in quel momento concentrati su di lui. Jimin si sentiva sempre apprezzato e desiderato quando Jungkook lo guardava in quel modo, come se fosse la cosa più importante e preziosa del pianeta. “Voglio esserci per i miei figli e voglio una persona al mio fianco che faccia lo stesso. Non so se questo abbia il minimo senso ma …”

“No hai ragione, lo capisco” disse Jungkook a sua volta. “Puoi ancora formare una famiglia Jimin, trovare qualcuno di speciale con cui avere una casa da decorare per natale, un cane da portare a spasso la domenica, qualcuno che … potrai amare davvero per il resto della tua vita. E’ solo che in mezzo a tutti questi bei desideri… Jiwoo dovresti condividerla con me. Tutto qui” 

“Forse potremmo riprovare…” borbottò Jimin dopo una breve pausa, leccandosi nervosamente le labbra quando Jungkook lo guardò confuso, pronto a elaborare la sua argomentazione. "Voglio dire, a stare insieme … per lei.”

“Vuoi dire di essere una coppia nel caso in cui decidessimo di tenerla ?” chiarì. 

Il biondo annuì, guardando il quarterback seduto in attesa di una sua risposta. Jungkook sbatté le palpebre, con il cuore nel petto che accelerò di un battito. La proposta di Jimin era così improvvisa e casuale che lo colse di sorpresa, come un fulmine a ciel sereno. Cosa avrebbero fatto insieme ? In che modo ci avrebbero riprovato ? Jungkook era così confuso, troppo per la sua emotività provare a ripensare ed immaginare nuovamente una vita accanto a Jimin. Il moro reagì così di istinto, sbottando le prime cose che gli passarono per la testa "Non credo che funzionerà, Jimin. Ci abbiamo già provato e … non è andata per il meglio”

"Già, immagino che tu abbia ragione …” 

Dietro quell’apparente e accomodante frase, un rifiuto mascherato per qualcosa di giusto, il cuore di Jimin si spezzò in milioni di pezzi. Quelle parole dettate dalle labbra di Jungkook furono la conferma definitiva che niente più ci sarebbe stato tra loro, che gli sbagli non sarebbero stati coperti, le ferite non cucite, ma soprattutto che la porta del cuore di Jungkook lasciata semi aperta, adesso per lui era completamente chiusa. Prendendone così atto e sentendolo con le proprie orecchie, Jimin era certo sarebbe stato in grado di proibire ai propri pensieri di rivolgersi nella sua direzione e smettere di sperare in una possibilità utopica che adesso vacillava ad esistere. D’ora in poi non ci sarebbe più niente fra loro, se non il piccolo filo sottile che debole ed indissolubile legava le loro vite a quelle della piccola Jiwoo. 

 

 

 

Quella conversazione lasciò Jungkook confuso per settimane. Le idee di Jimin, la sua visione di famiglia perfetta ed il suo sguardo affranto, deluso per un qualcosa che lui stesso non era in grado di darsi, erano ormai fisse nella sua testa e Jungkook non riuscì ad impedire alla sua mente di vagare e cominciare così ad immaginare un ipotetico futuro felice insieme a lui e Jiwoo. Rimuginando più e più volte, scenario dopo scenario, i pensieri non facevano che rendere tutto molto più dolce ed attraente, facendo sì che Jungkook si ritrovasse a sognare ad occhi aperti in classe e provare a fantasticare come sarebbe stato svegliarsi accanto a Jimin ogni mattina: la guance morbide gonfie dal sonno e i suoi piccoli occhi sorridenti chiudersi in due mezzelune, un buongiorno borbottato sulle sue labbra con voce aspra ma gentile; o Jimin impegnato a preparare la colazione nella loro grande cucina e Jungkook che correva nella stanza di Jiwoo a svegliarla con baci sul naso, solleticandole i fianchi, facendogli sentire quella risata gioiosa che tanto suonava come quella di Jimin. 

Jungkook era confuso. Stava per andare all’università, in una confraternita, aveva l’età giusta per andare alle feste, ubriacarsi e godersi degli anni migliori della sua adolescenza, ma invece era lì con la testa poggiata sulla scrivania che pensava di condividere un appartamento con Jimin e di riempire le loro stanze di risate e giocattoli per bambini. 

"Voglio portare Jimin a fare shopping” disse sua madre allegramente, lasciando una tazza di caffè dinanzi ai suoi occhi. I

l quarterback sollevò la testa e guardò sua madre con le sopracciglia irritate dalla confusione. “Perché ?” chiese, le mani arricciate attorno alla tazza ancora calda.

"Voglio comprargli dei vestiti e dei giocattoli per la mia piccola principessa ... “

Jungkook corrugò le sopracciglia, ascoltando sua madre blaterare sulle innumerevoli cose che avrebbe voluto comprare, mentre beveva un lungo sorso del suo caffè. Era nero, ma estremamente dolce, proprio come piaceva a lui. "Non sappiamo ancora se la terremo" disse improvvisamente interrompendo il discorso di sua madre.

La donna smise di parlare, con grandi occhi da cerbiatta che guardavano suo figlio come se non credesse affatto alle sue parole. "Cosa intendi dire ?" 

Jungkook roteò gli occhi e lasciò cadere la tazza con un leggero tonfo sul tavolo. “Dico che abbiamo preso in considerazione l'idea di darla in adozione. In questo modo Ji… la bambina avrà una vera famiglia che possa prendersi cura di lei”

"Una vera famiglia ? Tu e Jimin potreste esserlo” ribatté lei dolcemente. 

E Jungkook sospirò, perché ecco che le immagini balzarono di nuovo nella sua mente. "Non possiamo" rispose semplicemente con un'alzata di spalle. “Non funzionerebbe, forse finiremmo per divorziare dopo neanche un anno”

Soomin guardò suo figlio senza espressione per più di un minuto. Ad altri sembrerebbe di certo che la donna fosse sconvolta, ma Jungkook la conosceva abbastanza da sapere che in realtà stava analizzando la situazione e pensando a un modo per non rendere le sue parole troppo dure. “E’ difficile crederlo dal modo in cui lo guardi. Credi che non l’abbia visto ? È un legame sottile, ma è lì, ed io ti conosco abbastanza da capire che Jimin ti piace… e molto”

Jungkook scivolò giù per la sedia, le guance ardenti dall'imbarazzo.

"E anche a tu piaci a lui" continuò lei, come se sapesse leggere in pieno i pensieri di suo figlio. Il cuore di Jungkook saltò fuori dal suo petto per le parole dettate da sua madre. Soomin era acuta, intelligente e Jungkook sapeva che ai suoi occhi non sfuggiva nemmeno il più piccolo dei dettagli. "Jungkook non sto dicendo che devi sposarti la prossima settimana, ma sii cosciente del fatto che insieme avete una bambina in arrivo e penso che darvi una possibilità sia una buona idea. Consideralo, almeno … pensaci, altrimenti te ne pentirai”

Jungkook non aveva mai desiderato come in quell’istante di correre indietro nel tempo, fino alla sera in cui aveva parlato con Jimin, e dirgli che nel suo piccolo lui desiderava avere lo stesso, che avrebbe voluto ricominciare tutto da capo insieme a lui e Jiwoo. Il dubbio che ronzava adesso nella sua testa era: come avvicinarsi a qualcuno e chiedergli un appuntamento dopo averlo spudoratamente rifiutato senza sembrare uno scemo ?

Il quarterback aveva pensato più volte ad un modo per convincere Jimin ad uscire con lui; Taehyung aveva ufficialmente iniziato ad uscire con un altro ragazzo, quindi Jimin non aveva altra scelta che permettere a Jungkook di accompagnarlo a casa dopo la scuola o dal dottore per le sue visite di routine. Ma tutti quegli incontri non erano appuntamenti; Jungkook voleva portare Jimin in una caffetteria e bere frullati, o andare al cinema a guardare un film, comprare dei dolci, fare qualsiasi cosa potesse far sorridere Jimin come prima.

Jungkook sospirò fissando, adesso, da lontano, Jimin seduto sul muretto del giardino della scuola, ridere a una battuta di Taehyung, desiderando di non essere un tale codardo ed avere coraggio abbastanza per andare lì a sedersi con loro e far ridere anche lui Jimin di proprio gusto. 

“Yo Jeon!” urlò Namjoon al suo fianco per attirare la sua attenzione. “Sto parlando con te!”

“Scusa hyung ero distratto …” rispose a tratti irritato “Dicevi ?”

“Ti hanno invitato al ballo ?” domandò il suo migliore amico, aspettando con ansia una risposta “Sai chi portare con te ?”

“Ah no …” disse Jungkook con un velo di malinconia “Non credo di andarci comunque”

“Amico ti diplomerai quest’anno! Ci devi andare” lo intimò Namjoon, “Io non vedo l’ora di andarci con Dahyun” sognò ad occhi aperti, con un sorriso idiota stampato sul viso. 

Jungkook lasciò Namjoon parlare a raffica della ragazza dei suoi sogni, fingendo di ascoltare con un assenso del capo ogni tanto, girando la testa alla sua destra e tornare nuovamente a fissare la piccola figura di Jimin: se avesse trovato finalmente il coraggio per chiedergli di uscire, il biondo avrebbe accettato il suo invito ?

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Capitolo 7
*** - Thirteen ***




7. Thirteen
 

“Okay Jeon, ce la puoi fare” sussurrò Jungkook a se stesso, controllando per l’ennesima volta i capelli sul riflesso dello specchietto retrovisore ed assicurandosi che ogni singola ciocca ben laccata fosse in ordine al suo posto. Il quarterback era lì, seduto sul suo pick up in abito elegante da ormai venti minuti, aspettando la spinta di coraggio necessaria per salire le scale del piccolo portico e bussare alla porta posta a pochi passi da lui. Sarebbe dovuto essere a scuola in quel momento, divertirsi con i suoi migliori amici e oscillare i fianchi sulle note di un dolce e romantico lento con la persona che avrebbe dovuto invitare al ballo, piuttosto che essere parcheggiato sulla soglia del giardino di casa Park, sudando freddo mentre il cuore al suo interno pompava sangue dritto nelle vene ad una velocità per lui incalcolabile. 

Due giorni prima Taehyung lo aveva brutalmente strattonato, preso per un braccio e trascinato nell’aula di letteratura, spiegandogli a denti stretti che avrebbe partecipato al ballo con Yoongi e che Jimin sarebbe invece rimasto completamente solo quella notte. All’inizio Jungkook non capì bene cosa Taehyung stesse cercando di dirgli, ma quando l’altro gli disse “Va’ a fargli compagnia, stupido idiota”, con un sospiro e una mano portata sugli occhi dall’esasperazione, fu allora che il cervello di Jungkook cominciò a processare l’intera idea. Il peso della sua considerevole pancia, l’impossibilità di trovare un vestito adatto e le gambe doloranti accentuate dal caldo di mezz’estate non avrebbero consentito a Jimin di prendere parte al tanto desiderato ballo di fine anno. E Jungkook pensò, che se il biondo non poteva andarci - con il grande rammarico di non poter trascorrere, nei panni di un vero principe, quella serata insieme a Taehyung - avrebbe potuto portargliene un pezzetto. 

Aveva noleggiato così un gazebo con delle belle luci nei pressi di un parco alla periferia della città, preparato un picnic e stilato una playlist delle loro canzoni preferite su di un vecchio cd; con la compagnia di una bellissima luna piena presente in cielo, la sera stellata e le lucciole svolazzanti nella mezzanotte, Jungkook sapeva che lo scenario si sarebbe presentato in maniera fin troppo romantica. Dopo aver pensato a lungo, settimane e settimane sul suo letto a rimuginare quanto successo e ripercorrere i passi della loro storia travagliata, il quarterback era arrivato alla conclusione che Jimin era ancora l’unico, nonostante le ferite, capace di fargli battere cuore. 

Lo voleva, e non solo come amico: voleva tenere quella minuscola mano tra la sua, accarezzare la prominente pancia mentre sussurrava parole stupide alla loro futura figlia, far ridere Jimin e baciarlo tenendolo stretto. Jungkook si era reso conto, forse un po’ troppo tardi, che non gli importava ciò che le persone a scuola avrebbero pensato di loro. Probabilmente non li avrebbe neanche più rivisti dopo il diploma, prendendo atto del fatto che avrebbe dovuto godere le piccole cose che la vita gli stava offrendo per poter essere felice. E Jimin era la prima cosa nella sua lista, che il moro sapeva, lo avrebbe reso felice. 

Jungkook tuttavia non poté fare a meno di avvertire il panico torcergli lo stomaco. Le probabilità che Jimin potesse rifiutare l’invito ad uscire con lui si mostrarono al di sopra della soglia prevista poiché, in seguito alla discussione avvenuta a casa sua, durante la cena con i suoi genitori, il biondo aveva preso da lui le dovute distanze, fuggendo via dalla classe alla fine di ogni lezione e non dando così a Jungkook opportunità di avvicinarlo in nessun modo. 

“Almeno ci hai provato …” mormorò fra sé e sé, cercando di convincersi invece che tutto sarebbe andato come da lui previsto. Jungkook scese così dal pickup, sistemandosi giacca e la cravatta, e con passi decisi si avvicinò alla porta pigiando con forza il campanello. Il quarterback attese dondolandosi sui talloni, le mani portate dietro la schiena e gli occhi puntati verso l’alto alla ricerca della stanza illuminata di Jimin, aspettando con trepida impazienza fino a quando la porta si aprì rivelando sull’uscio la figura di una minuta donna di mezz’età. 

“Oh, s-salve” balbettò Jungkook con imbarazzo. La donna lo guardò incuriosita con gli stessi occhi nocciola in cui il moro riconobbe sfumature di quelli di Jimin, “Uhm, sono Jungkook … Jeon … un amico di Jimin”

Jungkook” sorrise la donna quasi riconoscendolo “Scommetto che cerchi mio figlio ?”

“E’ in casa ?” domandò lui mordendosi un labbro. 

“Certo, te lo chiamo subito”

“Grazie” mormorò con un sorriso. 

Il moro aspettò sull’uscio camminando avanti ed indietro, sudando nei vestiti e nervoso di vedere quella che sperava - quella notte - sarebbe diventare la sua dolce metà. “Jungkook ?” chiamò la tenue voce di Jimin alle sue spalle. Il quarterback si voltò di scatto e raddrizzò nuovamente gli abiti mentre Jimin, di sua parte, lo osservò con espressione confusa ed accigliata in viso. “Che ci fai qui ?”

“Hey …” salutò lui arrossendo “Passavo da queste parti e ... beh, ho pensato che forse, se non sei impegnato o troppo stanco, potremmo uscire ?”

"Non ti sembra tardi per uscire?" 

Jungkook osservò per integro la sua piccola statura, Jimin indossava dei pantaloncini larghi all’altezza delle cosce e una T-shirt di ampia taglia cadente morbida sul suo addome. “Perché non sei a scuola ? C’è il ballo questa sera” chiese il biondo dopo un momento di pausa, facendo nota degli abiti eleganti portati da Jungkook. 

“Uhm … pensavo che potremmo andarci insieme” borbottò il moro, mordendosi la lingua per aver dimenticato il discorso da lui preparato e per essere apparso invece un completo idiota ai suoi occhi. 

“Al ballo ?” Chiese Jimin confuso, “Non sono nelle condizioni per —“

“Lo so” tagliò lui corto, avanzando di un passo e sprofondando nervosamente le mani nei pantaloni stretti "Ecco perché ho preparato qualcosa di speciale, solo per noi due”

Jimin lo fissò per un istante e Jungkook si preparò così a ricevere il rifiuto che sapeva le sue labbra stavano per pronunciare, ma poi un sorriso giocoso crebbe su di esse. "Non avevi detto che eri qui di passaggio ?” stuzzicò. Il moro arrossì e Jimin rise di conseguenza, facendo risuonare nell’aria di mezz’estate acuti caratteristici che riuscivano da sempre a sciogliere il cuore del minore. "Hai davvero preparato qualcosa?" domandò ancora Jimin, sorridendo quando vide Jungkook annuire timido, ”Okay … ma non posso restare molto a lungo"

“D’accordo” mormorò a guance rosse.

“Mi devo cambiare ?” 

"Uhm, no ... va … va bene così, ci saremo solo tu ed io”

“Okay, prendo le scarpe e arrivo" 

Jimin tornò dentro casa a passi lenti e striscianti causati forse dalle caviglie troppo gonfie e doloranti, riaffacciandosi alla sua vista dopo diversi giri d’orologio con scarpe basse e perfettamente allacciate in fiocchi, i quali Jungkook intuì - per l’impossibilità di piegarsi - erano stati fatti da sua madre. Il tragitto sul pickup fu silenzioso e imbarazzante, poiché vivido nelle loro menti era il ricordo della notte in cui la piccola Jiwoo fu concepita su quei sedili. Jimin decise così di smorzare la tensione, notando quanto Jungkook fosse agitato e come le sue mani stringevano con forti morse il volante davanti a sé. 

“Non mi stai rapendo o cose del genere, vero ?” scherzò.

Jungkook rise abbastanza da rilassarsi e lasciarsi intrappolare in chiacchiere casuali, “No, e seppur lo pensassi non lo farei di certo vestito così”

“Sembri un pinguino” disse Jimin scoppiando a ridere “Non ti avevo mai visto in abiti formali”

“Già, credo sia anche la mia prima volta” rispose lui. 

Fra una canzone e l’altra tirata alla radio e l’asfalto scorrevole sotto le ruote del pickup, i due adolescenti arrivarono in poco tempo presso il luogo in cui Jungkook aveva preparato nei minimi dettagli la sua minuziosa sorpresa. Prima che potesse anche solo provare ad aprire lo sportello e scendere da lì con fatica dettata dal peso del suo addome, Jimin trovò Jungkook fiondato al suo fianco pronto a tendergli la mano e ad aiutarlo con dolcezza a non commettere il minimo sforzo.

“Chiudi gli occhi” disse Jungkook non appena si accorse di esser quasi arrivato al luogo dov’era posto il suo gazebo. “Voglio che sia una sorpresa”.

“Agli ordini, capitano” rispose il biondo ridacchiando incuriosito. 

Jungkook intrecciò così una mano tra la sua, guidandolo verso il sentiero ed aiutandolo a camminare saldamente al suo fianco. Un colorito roseo comparì sulle sue guance non appena percepì - attraverso un semplice e piccolo contatto fra dita - la fiducia che Jimin stava riacquistando a poco a poco in lui. ”Sei pronto?” domandò attendendo che il biondo annuisse, le labbra curve in un sorriso. “Okay apri"

Quando i suoi occhi si aprirono, riprendendo possesso della capacità di distinguere nuovamente colori e contorni, Jimin spalancò la bocca dalla sorpresa. La città, sul promontorio, sembrava sottomessa ai suoi piedi, atta a risplendere la miglioria delle luci brillanti soltanto lì per loro e donando alla notte appena incalzata uno scenario a cui, alla sola vista, Jimin quasi si commosse. Poco distante da loro una piccola struttura in legno, da cui era possibile osservare l’intera magia di Seoul, era decorata con corde di lucine collegata ad una batteria portatile, illuminando il suo interno dove un piccolo tavolo era apparecchiato con dolci e delizie di ogni genere. 

“Tu … tu hai fatto tutto questo per me ?” chiese Jimin voltando la testa di lato e guardando Jungkook che aveva invece taciuto per tutto il tempo.

"Sì ..." sorrise imbarazzato con le gote arrossate, visibili nonostante l'oscurità appena circostante. "Volevo renderlo speciale ... e oh! Abbiamo anche la musica!" cinguettò avvicinandosi al gazebo per raggiungere lo stereo da lui poggiato sul suolo. Jimin non poté fare a meno di ridacchiare per l'entusiasmo contagioso mostrato da Jungkook, oscillando così i fianchi e dirigendosi lentamente in sua direzione.

"Vuoi mangiare qualcosa?" chiese Jungkook quando notò che Jimin non proferì parola al suo fianco. "Ho comprato questi cracker perché so che sono i tuoi preferiti. Oh! E anche questi biscotti al sapore di ciliegia, sono disgustosi per me, ma sembravano piacerti quando li hai provati l'altro giorno e — "

“Jungkook”

“Sì ?”

Jimin alzò lo sguardo su di lui mostrando occhi colmi di emozione e di lacrime non versate. "Grazie …” mormorò appena. Jungkook scosse così la testa, pronto a metter fine ai suoi futili tentativi di mostrar gratitudine, ma fu stoppato non appena Jimin riprese il filo del suo discorso. "La nostra relazione è stata un po’ difficile negli ultimi tempi … e ti stai mostrando così carino con me in questi giorni che … tutto ciò mi confonde, Jungkook, non so davvero cosa dire” 

“Ammetto di non averla resa facile, abbiamo sofferto tanto Jimin, ed è per questo che … sto cercando in tutti i modi di riconquistare la tua fiducia, voglio che tu possa sentirti nuovamente a tuo agio con me”

“Lo apprezzo davvero tanto” 

Jungkook fece un passo avanti e afferrò la mano di Jimin con dolcezza, attirando il biondo come un magnete al suo corpo costruito. Jimin sentì il respiro mozzarsi per l’estrema vicinanza, la punta del naso che sfiorava come un soffio la sua, gli occhi nocciola che viaggiavano sulla pelle studiando i dettagli - le particolarità - del suo viso perfetto: la forma del suo sguardo, come Jimin era solito vederci l’universo all’interno, il neo al di sotto del suo labbro inferiore, il modo in cui i suoi denti sporgevano ad ogni accenno di sorriso sincero. Jimin era agitato per l’estremo contatto, ma non disse nulla quando le dita di Jungkook guidarono le sue mani sulle sue spalle, posando in seguito le sue sui suoi fianchi stretti, cominciando a muoversi e a far oscillare i corpi al ritmo lento della musica risuonante dalla radio. 

I due rimasero in silenzio per un po’, ballando e godendosi il momento creato, Jimin con le braccia allacciate dietro al suo collo e la testa poggiata sulla spalla del minore, Jungkook con la testa inclinata sulla sua inalando la dolce fragranza sprigionata dai suoi capelli freschi del solito - e adorato - shampoo alla fragola. "Questo è … davvero carino” mormorò Jimin con un sorriso, sentendo in pancia la piccola scalciare. “A Jiwoo piace” 

“E a te piace ?” domandò Jungkook posando le labbra sulla sua fronte. 

“Mh-mh” annuì lui chiudendo gli occhi. “Vedo inoltre che hai fatto pratica” 

“Di cosa stai parlando ?” 

“Dallo scorso ballo, hai imparato a non pestarmi i piedi” 

“Oh andiamo non mi muovevo così male!” 

“Eri un disastro Jungkook” sogghignò Jimin “Un ceppo di legno sarebbe stato di certo più agile e fluente di te”

Il quarterback scoppiò a ridere, nascondendo il viso imbarazzato tra i suoi capelli d’oro, “Quella fu davvero una bella serata” 

La notte del loro primo bacio, Jimin ricordò “Già, davvero bella” sussurrò. 

“Ci pensi mai ?” 

“A cosa ?”

A noi …” 

Jimin si irrigidì al suono di quelle agrodolci parole dettate dalle sue labbra, “Jungkook ascolta —“ 

“Non è solo per il ballo che ti ho portato qui questa sera, per ricreare la magia di una cosa importante” rivelò come un segreto crollato “Voglio stare con te, Jimin” disse dopo un intero - a tratti secolare - minuto di silenzio. Il biondo smise di muoversi, staccandosi dalla sua stretta e traendosi all’indietro per guardare al meglio le espressioni del suo viso. Jungkook avrebbe voluto dire qualcosa di significativo e romantico che avrebbe fatto sì Jimin potesse ricambiare i suoi sentimenti, ma la notte non stava andando esattamente come l’aveva programmata, e la sua bocca proprio non voleva saperne di smetterla di blaterale sola.

La risposta di Jimin arrivò con voce strozzata, “Che cosa ?” mormorò. 

“Voglio stare con te, voglio … la nostra famiglia … la nostra bambina” ripeté il quarterback più forte, determinato questa volta, ma di sua risposta Jimin arretrò di un passo guardandolo con espressione accigliata. 

“Stai mentendo” affermò “Hai detto di no, che non avremmo funzionato”

“So quello che ho detto e … soltanto dopo averlo realizzato ho capito che avrei dovuto rimangiare quelle parole sin dall’inizio” disse Jungkook con sfacciataggine, “Mi dispiace … ero confuso e non pensavo che —“ 

“Non voglio ascoltarti Jungkook!” Replicò Jimin scuotendo la testa ed arretrando di un altro passo “Portami a casa”

“Jimin —“

“No, ho detto portami a casa!” urlò. 

Il tragitto di ritorno verso casa Park fu silenzioso e imbarazzante. Jungkook guidò con lo stomaco in subbuglio, stringendo forte il volante e voltandosi alla sua destra - di tanto in tanto - per guardare Jimin seduto di fianco a lui, la cui fronte era premuta sul vetro freddo del finestrino, gli occhi tristi fissi sulla strada fluente e la mano che protettiva si muoveva su e giù lungo la curvatura della sua pancia.

Jungkook desiderava soltanto lasciarsi andare ad un pianto liberatorio, poiché il peso del rifiuto lo stava logorando, ed il fatto che Jimin, silenzioso, non lo stesse nemmeno guardando rendeva tutto ancora più doloroso. 

“Mi dispiace” mormorò il quarterback prima che Jimin potesse uscire dall’auto, la portiera già aperta ed una gamba fuori pronta a ricevere comando di muoversi ed andare via. “So che continuo a rovinare ogni cosa tra noi, è solo che … non so come risolvere. Sto cercando di essere una persona migliore, di prendere in mano le mie responsabilità, voglio stare con te Jimin … crescere questa bambina insieme e … ”

“Non puoi rifiutarmi e poi dirmi di volerci riprovare, Jungkook. Non dopo che ho faticato così tanto per reprimere i miei sentimenti ed ignorarli ogni qual volta mi sorridevi o eri gentile con me”

Jimin si voltò per guardarlo, occhi pieni di lacrime sporgenti fu tutto quello che focalizzò. Jungkook così, alla sua vista, si sgretolò come una piramide di carta gettata giù dal vento, non riuscendo più a trattenere le emozioni e permettendo così a dirotte goccioline salate di cadere sinuose sulle sue guance.

“Ero spaventato, okay ?!” singhiozzò. “Sono stato abbastanza stupido da preoccuparmi più di ciò che gli altri avrebbero detto di noi piuttosto che credere nei miei istinti ed ignorare quelle inutili voci. Cazzo, sono innamorato di te Jimin … lo sono sempre stato! Anche quando mi hai spezzato il cuore, lasciandomi con un messaggio mentre ero lì da solo a Boston; quando ci siamo rivisti alla festa di Namjoon, promettendoci che niente più ci sarebbe stato fra di noi, che quello era l’addio che non ci siamo mai dati e non il bentornato che tanto aspettavo invece di ricevere. Credi che sarei venuto a letto con te se non ti amassi davvero ? Che quella è stata per me una scopata come tante altre ?” gridò Jungkook disperato non curante del fatto che tutti i vicini avrebbero potuto sentirlo lì nel cuore della notte. “Ti amo Jimin, non ho mai smesso di farlo, ti amo così tanto che fa male e —“ 

“Vieni qui stupido idiota” borbottò il biondo afferrando il quarterback per il colletto della camicia. Le loro labbra si scontrarono duramente, come un mare in tempesta violento sugli scogli, adattandosi pian piano uno alle curve sinuose dell’altro. Jimin accarezzò il naso con il suo, i denti goffamente batterono all’inizio, ma nonostante ciò il bacio era perfetto. 

La mano di Jungkook formò una coppa sul viso delicato del biondo, inclinandolo per approfondire ancor di più quel contatto tanto richiesto, mancato e cercato. Il pollice prese ad accarezzargli gli zigomi pieni causati dalla gravidanza e dai chili guadagnati; c’erano giorni in cui Jimin odiava profondamente le sue forme, i vestiti indossati, la mancanza dei suoi jeans preferiti e quel suo senso di appetito improvviso - delle pietanze più stravaganti - che solito era colpirlo in momenti meno adatti. Jungkook trovò invece quella condizione gli donasse magnificamente, che Jimin brillasse al pari di una stella guida in una notte di mezz’estate. Il bacio divenne esigente ad ogni schiocco dato, Jimin leccò il labbro inferiore dell’altro affinché la sua lingua avesse accesso ad incontrare disperata la sua, brividi si propagarono lungo la sua spina dorsale non appena Jungkook lo tirò per i fianchi a sedersi su di sé dando inizio ad una sessione tra le loro bocche decisamente più calda ed umida. 

Jimin sorrise sulle labbra non appena si accorse che i loro corpi non aderirono perfettamente come pezzi complementari dello stesso puzzle, ma che qualcosa di ingombrante - e fin troppo bello - giaceva tra loro stavolta: la piccola e scalciante Jiwoo. Jungkook sentì i capelli arruffarsi tra le dita del biondo, gli stessi su cui aveva trascorso addietro minuti preziosi affinché questi apparissero perfetti ai suoi occhi, e di cui adesso non aveva di certo più importanza. Fece scivolare le mani sul suo petto sensibile, giocando con il tessuto leggero della maglietta, fino a poggiarle con protezione sul guscio che caldo racchiudeva la loro bambina. I due si toccarono disperatamente avvertendo la pelle fremere e bruciare sotto di essi, i cuori battere impazziti nell’aria, lasciando sì che i loro sentimenti - fino allora imbottigliati - emergessero nei loro gesti liberi e raggianti. 

“Ti amo anch’io” sussurrò Jimin quando le bocche si separarono per recuperare respiro, il naso piccolo che strofinava sul suo. Jungkook era così bello sotto la luce della luna, con gli occhi socchiusi e le labbra gonfie che lucide brillavano come stelle. “Così tanto …”

Poggiando le mani sugli zigomi pieni, Jungkook si sporse in avanti per catturare nuovamente le labbra delicate in un bacio più lento e passionale. Jimin gemette sulla sua lingua, dolce melodia che a Jungkook mancò sentire e che andò dritto a colpire le sue velate regioni basse. “Perché mi hai lasciato, Jimin ?” domandò d’un tratto, poggiando la fronte sulla sua, “Non me l’hai mai detto e ho bisogno di saperlo”. 

Jimin si morse un labbro ed abbassò lo sguardo non appena il ricordo della rottura attanagliò la sua mente, “Perché … perché io ero solo un ostacolo ai tuoi sogni, Jungkook” confessò “La mia vita era qui a Seoul, la tua piena di successi lì a Boston. C’erano due interi continenti a dividerci, quattordici ore di fuso orario” 

“Avremo potuto funzionare, stava andando tutto bene tra noi Jimin…” 

Il biondo scosse la testa, “No Jungkook, non andava tutto bene. I tuoi allenamenti ti rubavano molto tempo, noi ci sentivamo a malapena, litigavamo e …” Jimin si fermò d’un botto per riprendere aria nella gola smorzata, guardando in alto con gli occhi pronti a sgorgare, “ … non sapevo più cosa facevi, con chi eri … trascorrevo notti in bianco stretto al cellulare aspettando solo di sentire la tua voce per qualche minuto …” infine crollò “Sono stato così egoista Jungkook, così tanto egoista che non mi importava più niente della borsa di studio, della felicità e del tuo futuro, desideravo soltanto che tu tornassi a casa da me il prima possibile perché non averti accanto faceva terribilmente male ma … questo non era giusto, tutto questo non era giusto nei tuoi confronti” 

“E hai pensato che rompere con me fosse la soluzione migliore? Che avrebbe sistemato ogni cosa ?” 

“No … ma avresti potuto concentrarti sui tuoi allenamenti senza più pensare a cosa avevi dall’altro lato. Il tuo posto non era qui con me Jungkook, lo sapevamo entrambi”

Jungkook intrecciò le dita delle loro mani, “Non c’era altro posto in cui volevo stare se non fra le tue braccia. Sarei corso qui se solo me l’avessi chiesto, se solo mi avessi detto cosa stavi provando. Quel messaggio … mi ha devastato Jimin, mi ha spezzato il cuore” 

Il biondo tirò su con il naso, lasciando che a sua volta Jungkook gli asciugasse le lacrime con fior di baci, “Mi dispiace” borbottò sulla sua bocca “Credevo che ricominciare le nostre vite da capo in due città diverse sarebbe stato il meglio per noi … per te. Ma la verità …” rise Jimin fra il pianto “È che non ho mai smesso di guardarti succedere Jungkook, di seguire le partite del giovedì dallo stupido schermo del Net-Cafè, perché in quel bar la connessione era più veloce di scuola, e tifare per te ogni volta. Sono impazzito il giorno in cui hai cambiato numero di maglia, non ti ho riconosciuto in campo, pensavo ti fossi fatto del male e —“ 

“Era per te” lo interruppe Jungkook guardandolo negli occhi.

“Cosa ?”

“Il numero 13 della mia maglia, era per … tenerti sempre con me” 

Jimin scoppiò così in un pianto singhiozzato, accasciandosi sulla spalla di Jungkook per stringerlo forte a sé e recuperare quei mesi di pura mancanza. Jungkook gli accarezzò la schiena minuta, baciandogli il collo e le guance di tanto in tanto. “Mi dispiace di averti trascurato” disse lui “Non succederà mai più, ve lo prometto” mormorò con mano aperta sulla pancia gonfia. 

“Non ho mai smesso di amarti” sussurrò Jimin “Nemmeno per un istante”

“Neanche io, mai” annuì Jungkook prima di baciarlo di nuovo, ancora e ancora e ancora, fermandosi soltanto quando le labbra sarebbero state gonfie e doloranti per il fuoco ardente della loro stessa passione. 





 

“Non ci posso credere che tu mi abbia davvero trascinato qui …” borbottò Taehyung con broncio. Yoongi rise al suo fianco di tutta risposta, passando al grigio - come consolazione - una busta piena fino all’orlo di caramelle gommose. 

“Stai zitto” disse Jimin dall’altro lato, allungando il braccio per afferrare i dolciumi. “Ho bisogno del tuo supporto”

Taehyung sbuffò, incrociando le braccia al petto e spingendo via la mano del biondo dalla busta che Yoongi aveva comprato per lui, guardando dopo poco il broncio dispiaciuto del suo migliore amico nascere sulle labbra rosee e piene. 

“Come se … tu non hai bisogno di vedere il tuo ragazzo giocare a basket ogni volta” stuzzicò Yoongi passando, con tradimento, le caramelle a Jimin. 

“Ma tu da che parte stai ?”, lo sgridò allora Taehyung. 

“Jungkook è in campo e qui c’è molta gente” disse il biondo con ansia, mentre osservava la folla esultare rumorosamente ad ogni punto segnato dalla propria squadra. “Continuano a fissarmi tutti come se fossi un alieno” 

“Sei brutto e enorme, ovvio che la gente ti fissi” rispose Taehyung, ridendo a crepapelle mentre Jimin lo colpiva ripetutamente alle spalle. 

La sirena d’allarme suonò per segnalare la fine del time-out che la squadra avversaria aveva chiesto e una volta che i giocatori tornarono in campo, il pubblico si scatenò ancora una volta. Era la finale del torneo, Jungkook era stato impegnato con gli allenamenti per tutto il mese e riusciva a malapena a godere in pace dell’estate appena sorta che anticipavano i mesi di preparazione al college. Il moro si era lamentato così tanto che avrebbe voluto lasciar perdere tutto e trascorrere del tempo libero con Jimin poiché, una volta che settembre sarebbe arrivato e l’università così iniziata, sarebbe stato per loro tutto tremendamente frenetico. Ma Jungkook non poteva abbandonare la sua squadra a metà stagione, non solo perché era il capitano e i suoi compagni non l’avrebbero mai perdonato, ma perché doveva continuare a giocare se voleva mantenere i guadagni della borsa di studio ricevuta in America. I suoi genitori avrebbero potuto pagargli l’università senza alcun tipo di problema ma Jungkook decise di iniziare a fare le cose nel verso giusto e a dipendere da solo. Al solo fianco di Jimin e Jiwoo. 

“Fai gli occhi a cuoricino quando lo vedi, che schifo” prese in giro Taehyung, la voce quasi attutita dagli applausi della gente circondante quando uno dei giocatori segnò punto. 

“Anche tu con Yoongi, bleah” replicò Jimin, sorridendo compiaciuto quando sia Yoongi che Taehyung arrossirono come pomodori. Erano carini. 

Il ronzio che segnò la fine della partita fu accompagnato dai cori da stadio della folla che felici celebravano la vittoria degli Yellow Stripes, la squadra del loro liceo. Persino Jimin, che non amava molto lo sport, applaudì sorridente fino a dolergli le mani, poiché era la squadra del suo Jungkook quella che aveva portato a casa la vittoria. 

“Congratulazioni!” urlò Jimin ad alta voce quando vide il moro avvicinarsi, sudato e sorridente. 

Tutti festeggiarono in campo la loro vittoria, con coriandoli e acqua gettata dagli irrigatori. Il biondo si apprestò, al suono della sirena, a scendere le scale e raggiungere il fondo delle tribune affinché potesse accogliere e congratularsi, con le mani protettive sul ventre ormai entrato nell’ottavo mese, il giovane e promettente capitano della squadra. 

I compagni continuarono a dare a Jungkook pacche di incoraggiamento sulla schiena, seguite da parole di congratulazione ed affettuose, ma l’attenzione del moro era tutta su Jimin. “Grazie” rispose posandogli le mani sui fianchi per attirarlo più vicino, “Non credi che meriti un premio per la vittoria?” chiese al suo orecchio con espressione maliziosa.

Jimin si morse il labbro per contenere il suo sorriso di gioia, consapevole degli occhi curiosi della gente attorno. Nessuno a scuola sapeva che i due erano tornati insieme, Jungkook e Jimin erano stati discreti nei mesi successivi alla decisione di provare a costruire da capo la loro relazione. “Posso darti delle caramelle” rispose il biondo sollevando la busta che era riuscito a rubare dalle mani del suo amico. Ma Jungkook sapeva che non avrebbe ottenuto nulla da lui, decidendo allora così di prendere un pezzo del suo premio di sua spontanea volontà: si sporse in avanti catturando le labbra di Jimin in un bacio dolce che durò più di quando avrebbe dovuto considerare. 

Insieme al rumore del cuore battente nel petto e il sangue pompargli rumorosamente nelle orecchie arrossate, Jimin sentì alcune persone dietro di loro esultare e fischiare. “Ci stanno guardando tutti, ti odio” disse il biondo imbarazzato, il viso sorridente nascosto nel collo sudato di Jungkook. 

“E allora ? È bene che sappiano che sei il mio ragazzo adesso” rispose Jungkook baciandogli la fronte. 

Jimin lo strinse forte, sorridendo ancora più di cuore. Era ufficialmente il suo ragazzo, e il biondo sapeva che - in quel momento - nessun suono pronunciato da quelle labbra così morbide avrebbe avuto al mondo melodia più bella.

 

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Capitolo 8
*** - Hello Baby Girl ***




8. Hello Baby Girl 
 
Jungkook stava cercando in tutti modi di non impazzire mentre camminava energico, avanti e indietro, per i corridoi solitari del suo liceo. Era pomeriggio ormai inoltrato quando il coach della sua squadra lo aveva convocato, attraverso gli altoparlanti, nell'ufficio per qualcosa di apparentemente troppo importante da poter aspettare le luci del giorno seguente.

Con il borsone in spalla ed una maglia grigia indossata velocemente al fine degli allenamenti, decorata inoltre con macchioline di sudore nascente, il quarterback bussò con le nocche delle dita sulla spessa superficie in ciliegio su cui una targhetta consumata e giallastra, con su inciso il nome dell'insegnante, vi era appesa. All'udire dell' 'avanti', sussurrato fra cenni di tosse forse causata dall'inalazione del fumo del classico sigaro consumato, Jungkook aprì la porta facendo il suo ingresso e salutando il coach con un rispettoso inchino. 

"Jeon!" urlò il coach panciuto seduto alla sua scrivania "Vieni avanti figliolo, accomodati" 

L'allenatore Lee, Jungkook notò, non era solo. In sua compagnia difatti, e seduto sulle scomode sedie dinanzi a lui, c'era un uomo di bell'aspetto, occhio e croce dell'età di suo padre, vestito in maniera sportiva, che rivolgeva lui un sorriso smagliante quasi riconoscente, come se di sua parte l'uomo fosse curioso di poter finalmente incontrare il Golden Boy di cui tutto l'istituto parlava. 

"Voglio presentarti Hyun Cheong" annunciò l'uomo con orgoglio dipinto sul viso arrossato. "Procuratore sportivo ed attuale allenatore dei California Bears". 

Il moro sgranò gli occhi all'udire di quel nome per lui a dir poco leggendario, volgendo lo sguardo scioccato ad ambe due le figure stanti ai suoi piedi. I California Bears erano i giocatori collegiali più forti e conosciuti di tutta l'America dell'ovest, e Jungkook neanche lontanamente immaginava che l'occasione di conoscere l'uomo che aveva portato quella squadra alla vincita di ben quattro tornei nazionali, un giorno gli si sarebbe parata davanti. 

Il quarterback chiuse la bocca spalancata, deglutendo a fatica e strizzando più volte gli occhi nella speranza che quello che stava vivendo non fosse solo un sogno dettato dalla sua ingannevole coscienza. "È ... è davvero un onore per me conoscerla signore" mormorò Jungkook con voce tremante, allungando una mano per stringere quella dell'allenatore. 

"Il piacere è tutto mio Jungkook-ssi, devo ammettere che ho sentito molto parlare di te, la reputazione in questa scuola senz'altro ti precede" rispose lui afferrando la sua calorosa stretta, "Ti prego, siediti, il coach Lee ed io stavamo discutendo di alcune progetti che sono certo ti interesseranno". 

Con le ginocchia traballanti e il cuore scalpitante dall'emozione di avere di fianco un uomo cresciuto di solo pane e successi, Jungkook seguì le sue direttive e si sedette impaziente su una sedia di pelle scadente, iniziando a giocherellare nervoso con un anello di poco valore che indossava su una delle dita della mano. Improvvisamente però, prima ancora che il coach potesse proferire parola, nella tasca anteriore dei pantaloni il suo cellulare cominciò a vibrare interdetto. Il moro lo afferrò di tutta noia, guardando comparire sullo schermo il nome di sua madre accompagnato dall'immagine di una tenera fotografia scattata insieme.

"Jeon" disse l'allenatore Lee, richiamandolo all'attenti e invitandolo gentilmente a posare via il cellulare. 

Il quarterback sapeva in cuor suo che se avesse risposto, quella sarebbe stata soltanto l'abituale - e a tratti noiosa - telefonata che la donna era solita rivolgergli ogni giorno al fine delle lezioni per conoscere la sua ora di ritorno a casa. Jungkook distolse così i pensieri dallo schermo ancora illuminato, pigiò sul tasto rosso di aggancio ed ignorò la chiamata facendo scivolare di seguito l'apparecchio tra le morbide tasche dei suoi pantaloni. "Mi scusi" accennò imbarazzato.

I due uomini si guardarono negli occhi con un flebile sorriso e un cenno d'assenso raggruppando una pila di fogli tra le mani con uno schiocco sul legno consumato. "Allora Jungkook" iniziò il procuratore Cheong "Il coach Lee mi diceva che a breve questo liceo perderà la sua stella, che stai per diplomarti ... con il massimo dei voti"

 "Già" assentì il moro piegando il capo. "Così sembrerebbe"

"Hai progetti per il futuro ? Qualche college ha già catturato la tua attenzione ?"

All'udire della domanda appena rivoltagli, Jungkook morse nervosamente la pienezza del suo labbro inferiore pensando in un attimo, come flash di fotografie appena scattate, a quanti sogni irrealizzati c'erano nel suo piccolo cassetto dei desideri, quanta vita spianata davanti a sé e a quanto invece quest'ultima, con la presenza ormai stabile di Jimin al suo fianco, fosse cambiata nel giro di pochi mesi. "Ho fatto domanda alla Hoseo, signore, ma ... non ne sono certo, sono ancora molto confuso". 

"Arti figurative" disse l'uomo con espressione acuta, "Impressionante"

Il coach Lee rise soffocato da colpi di tosse, "Il nostro Jungkook è un campione anche in quelle, Cheong".

"Lo vedo" rispose lui con un sorriso abbozzato "Che mi dici del football, figliolo ? Hai intenzione di continuare ad allenarti ? Sarebbe un vero peccato se tu smettessi proprio adesso"

"Mi piacerebbe molto continuare a giocare" rispose Jungkook rigirandosi tra le dita i sottili lembi della maglietta. "Credo che amerò sempre il brivido di quel campo ma ... ci saranno altre cose di cui dovrò occuparmi una volta entrato al college, altre priorità

"Nulla ti impedisce di portare avanti entrambe le cose" disse il procuratore con fare paterno, "Ascolta Jungkook, non ti mentirò: Sei il quarterback più giovane ed abile che io abbia mai visto giocare su un campo liceale. Hai complicità di squadra, tattica, velocità e tutte le potenzialità necessarie per diventare una punta di diamante"

"Quello che ti stiamo dicendo ragazzo —" parlò stavolta il coach Lee "— E' che puoi essere qualcuno lì fuori se solo tu lo desideri". 

Un velo purpureo ricoprì le sue guance poco evidenti e Jungkook arrossì senza freni dinanzi la stima sincera che i due uomini avevano di lui. Tentò così a poco a poco ad accennare imbarazzato un ringraziamento vagamente farfugliato, rimanendo invece in silenzio non appena avvertì nuovamente la vibrazione interdetta del suo cellulare, il ronzio fastidioso udibili tre le sottili tasche di cotone grigio. Il moro lo afferrò di sottecchi, pensando stavolta potesse trattarsi di Jimin, rifiutando la chiamata ancora una volta quando rivide comparire sullo schermo il numero di sua madre. 

"So che sei stato a Boston per un anno" disse il signor Cheong sporgendosi sulla scrivania con le mani giunte. "In seconda linea, con i Boston Eagles"

"Sì signore, è stata una grande opportunità per me poter giocare con loro" 

"Hai mai pensato di tornarci ? Frequentare magari ... Harvard lì ?"

"Harvard ..." sussurrò il moro con un sorriso "... ci ho pensato certo, ma credo che quello sia un sogno troppo grande per uno come me"

"Sai il mio sogno qual è, Jungkook ?" domandò l'uomo aspettando da lui un silenzio retorico di tutta risposta "Metter su una nuova squadra per la stagione invernale, forte, piena di giovani talenti da portare con me ai tornei internazionali" rivelò "E vorrei che tu ne facessi parte". 

Jungkook sgranò gli occhi dalla sorpresa, "Come scusi ?" 

"Ti sto offrendo una borsa di studio per Berkley, Jungkook. Il tuo coach ed io ne abbiamo discusso a lungo e riteniamo che nessun altro in questa scuola possa meritare quel posto. Sarei davvero onorato di averti con me, in California e soprattutto ... in prima squadra fra i California Bears"

"Io ... io non so cosa dire signore" balbettò il moro in preda allo shock. 

"Accetta e basta, ragazzo" disse il suo coach mollandogli fiero una pacca sulle spalle "Queste sono occasioni che capitano una sola volta nella vita"

Jungkook restò imperterrito dinanzi a loro mentre ripensava, quasi come in una scena al rallenty, a quel cambio radicale di vita che il suo coach gli stava offrendo. Diventare una stella rinomata del football, ascoltare gli spalti di uno stadio pronunciare con foga il suo nome, era il suo sogno sin da che aveva memoria, precisamente da quando nel parco vicino casa - con una palla ovale nuova di zecca ricevuta in dono il giorno di natale - realizzò il primo tiro lungo insieme al suo orgoglioso papà. 

I suoi cavalcanti pensieri furono però interrotti da un ulteriore tintinnio emesso dal suo cellulare, segno che stavolta nessuna chiamata era lì pronta ad interrompere il suo importante colloquio ma che un messaggio invece a stento giaceva nella sua casella di posta. Jungkook lo afferrò di puro istinto, poiché Jimin era solito inviarglieli quando terminava le sue sessioni di tutoring, rimanendo invece confuso ed attanagliato quando sulla notifica lesse, ben poco di meno, che il nome di Taehyung.
 

 "Le acque si sono rotte, la bambina sta per nascere! Sbrigati o finirai per perdere questo momento!", citava il messaggio.
 

"O mio dio ..." sussurrò lui portandosi una mano alla bocca spalancata.

"Già, o mio dio" rise il procuratore, fraintendendo di certo il suo stupore "Ascolta Jungkook non c'è alcuna fretta, capisco che quest'offerta possa confonderti e spaventarti. Discutine prima con i tuoi genitori e poi magari —" 

"No ..." disse Jungkook alzando lo sguardo dallo schermo "Io non posso accettare"

"Come ?!" alzò la voce il coach accanto.

"Non posso accettare" ripetè lui raccogliendo la borsa dal pavimento ed il giubbotto sulla spalliera della sedia "Io ... io devo scappare" farfugliò avvicinandosi alla porta d'entrata.

"Jeon!" urlò il signor Lee con evidente rabbia nel suo tono "Dove diavolo credi di andare ?"

"Mi dispiace coach" rispose Jungkook mortificato con la porta già aperta pronto ad uscire "Devo andare ... Mia ... mia figlia sta per nascere!" 

Dinanzi allo sguardo sbigottito dei due uomini e il breve annuncio che di lì a pochi attimi sarebbe diventato padre, il quarterback uscì dall'ufficio e corse di tutta fretta lungo i corridoi del liceo, rallentando il passo soltanto quando le sue spalle si scontrarono - per cause non viste - con quelle possenti di un volto che Jungkook riconobbe come quello di un amico. 

"Woh Jungkook!" disse Namjoon fermandolo non appena notò il suo volto pallido e sudato "Amico, tutto okay ? Stai bene ?"

"No ... Hyung ... Jimin ... Jimin è in ospedale ... la bambina ..." farfugliò con frasi sconnesse.

"Jiwoo sta per nascere ?!" intuì il ragazzo sbarrando gli occhi.

Jungkook annuì, "Devo andare .... non posso perdere questo momento"

"Andiamo, ti do un passaggio" disse Namjoon correndo a passo svelto lungo il cortile, "Il mio scooter è qui fuori, ci metteremo un attimo"

Jungkook indossò il casco di tutta fretta, saltando così in sella allo scooter di Namjoon e cingendogli i fianchi con le braccia strette, mentre quest'ultimo metteva goffamente in moto il quadro di accensione. Il maggiore guidò lungo le vie di Seul a velocità più elevata del limite concesso, saltando le code ai semafori, imboccando vichi stretti ed infrangendo senza alcun dubbio leggi del codice stradale che Namjoon era certo gli avrebbero recato una gran bella quantità di multe da pagare ma che sapeva invece non avrebbero mai e poi mai di certo compensato la gioia che Jungkook avrebbe provato nel vedere la piccola Jiwoo aprire gli occhi al mondo per la prima volta. 

Non appena i due arrivarono all'ospedale, parcheggiando alla rinfusa sul primo spiraglio di strada libero, e raggiunto il piano su cui la sala parto era locata, Jungkook fu accolto dai visi dolci di sua madre e della signora Park, quelli spaventati di Taehyung e Hoseok, seduti sulle poltroncine del piccolo corridoio in attesa di ricevere buone e sane notizie su Jimin e la bambina. Il parto per gli uomini tendeva ad essere alle volte complicato e doloroso, tenuto con l'impiego di bisturi ed anestesia, un equipe di chirurghi specializzati in una sala operatoria sterile che vietò così a Jungkook di poter assistere a quella tale meraviglia, stringere forte la mano di Jimin ad ogni contrazione provocata e baciargli la fronte per assicurargli che alla fine tutto sarebbe andato per il meglio.

Jungkook lo odiava. Odiava l'incertezza, i nervi a fior di pelle, la costante sensazione di poter perdere il senno da un momento all'altro; ma a suo mal grado nient'altro rimaneva da fare se non stare lì, poggiato ad una stupida parete bianca, ad aspettare impaziente che il tempo a suo carico passasse alla svelta. Sua madre, la signora Jeon, aveva cercato di rilassare la sua angoscia porgendogli un bicchiere di tè caldo preso al bar dell'ospedale e intrappolandolo in chiacchiere abbozzate a cui Jungkook non prestò la benché minima attenzione. "Tuo padre passerà più tardi, la riunione a cui sta tenendo parte sembra essere davvero importante" disse lei, leggendo i messaggi sul suo cellulare. "Vuole che gli invii le foto della bambina" ridacchiò.

Jungkook annuì flebile e disinteressato, staccandosi di colpo dalla parete non appena vide uscire dalla sala parto un medico in divisa operatoria. "Famiglia di Park Jimin ?" domandò lei volgendo un occhio ai presenti. 

Il cuore di Jungkook fece un salto dal petto, dirigendosi verso la dottoressa con le gambe traballanti. "Sono ... sono il suo ragazzo" rispose nervoso con le mani sudate.

"Congratulazioni neo-papà, Jimin e la bambina stanno bene. Tutto è andato come quanto programmato" 

"O mio dio" respirò Jungkook sollevato, gettandosi tra le braccia della signora Park al suo fianco, sgorgando lacrime di gioia sulle sue guance. 

"Quando ... quando possiamo vederli ?" accennò flebile Taehyung.

"Stiamo raccogliendo i dati fisici della piccola, dopodiché la laveremo e la porteremo insieme Jimin nella sua stanza" rispose il dottore gentilmente, invitando i presenti ad accomodarsi nuovamente sulle sedie in pelle. "Vi prego di aspettare qui ancora per qualche attimo"

"Mia figlia ... lei sta bene ?" domandò Jungkook fermando la dottoressa un'ultima volta prima di guardarla sparire tra le porte della sala parto.

"Gode di perfetta salute signor Jeon" rispose lei con gli occhi luccicanti d'orgoglio, "È una bambina bellissima"

Jungkook gettò la testa all'indietro tirando su un sospiro estasiato, crogiolandosi nell'abbraccio della sua mamma e sorridendo felice alla notizia che nessun tipo di complicanza era in agguato dietro l'angolo. Quando entrò nella stanza di Jimin, circa quaranta minuti dopo, nervoso, tremante e con le gambe che gli parvero gelatina al solo tatto, Jungkook temette di poter svenire su quello stesso pavimento. Jimin era sveglio, annebbiato dall'anestesia poco prima subita, le flebo attaccate ad un braccio e gli occhi socchiusi che cercavano riposo ma ridenti non appena questi si posarono sulla figura di Jungkook che lento avanzava verso il suo capezzale. "Ciao" disse il biondo con voce gracile, un flebile sorriso nascente sul suo viso. 

Jungkook, con gli occhi già umidi dal pianto precedentemente scoppiato, si avvicinò al suo letto, sedendosi per sporgersi su di lui e posare un lungo bacio sulla bocca rosea e soffice di Jimin. "Hey" sussurrò sulle sua labbra, beccandole nuovamente con dolcezza "Come ti senti ?"

"Stanco" rispose Jimin, toccandosi la pancia con la mano libera dalle flebo "E con qualche chilo in meno" 

Jungkook ridacchiò prima di riempire il suo lucente viso di baci, passando dalle labbra alle guance, alla fronte ancora un po' sudata. "Ti amo, sono così fiero di te".

"Ti amo anch'io. Lei dorme adesso —" mormorò il biondo volgendo lo suo sguardo alla culla posta accanto, "— ma dovresti salutarla". 

Jungkook guardò Jimin dritto negli occhi prima di sollevarsi dalle soffici lenzuola e girare intorno al letto per avvicinarsi lentamente alla culla ed osservare la piccola figura di sua figlia, avvolta in una tenera coperta rosa, dormire pacatamente nel suo involucro caldo. Jiwoo stava riposando poggiata sulla sua schiena, le piccole mani erano raggomitolate in pugni e poste in alto poggiate ai lati della testa. Sembrava così fragile e delicata che il suo spaventato papà quasi aveva timore di toccarla. "Dici che dovrei prenderla in braccio ?" chiese incerto, la voce ridotta ad un minimo sospiro per paura di svegliarla. Il moro si voltò così verso Jimin, il quale annuì con un gentile sorriso. 

Settimane prima, Jungkook non negò, aveva ricercato su internet come tenere propriamente un bambino appena nato tra le braccia, allenandosi con i sacchetti pesanti della spesa, portandoli in grembo, ed ignorando di conseguenza le risate provocatorie che Jimin gli volgeva ogni volta pensando a quanto fosse buffo e carino. 

Adesso che era arrivato il momento, il quarterback si sentiva stupido, perso ed inesperto. 

Jungkook si leccò nervosamente le labbra prima di chinarsi dolcemente sulla piccola; una delle sue mani passò flebilmente sotto il collo e la testa mentre l'altra al di sotto della schiena. Jiwoo era così piccola che le sue mani quasi coprivano per intero il suo minuto corpo. Il moro la strinse forte al suo petto, facendola saltellare quando accennò un piccolo strillo di protesta, sorridendo poi sollevato quando la bambina si accoccolò su di lui continuando il suo sonno. "Ciao Jiwoo" mormorò prima di sogghignare, Jimin al suo fianco osservava la scena sorridendo affettuosamente. La piccola bimba era davvero bellissima: i suoi occhi erano chiusi in due minuscole fessure, ma Jungkook avrebbe scommesso sarebbero stati da cerbiatta, grandi e dolci come i suoi, le sue guance rosee e paffute e la sua testa leggermente coperta da morbide ciocche di capelli color cioccolato.

"Il suo naso è piccolo, grazie a Dio" sbottò lui facendo ridere Jimin, "Ha il tuo naso ... e le tue labbra. Cazzo, è bellissima"

"Non dire parolacce davanti a nostra figlia" pronunciò Jimin con fare quasi serio. 

Jungkook riaggiustò la piccola sul suo petto, felice che le sue braccia fossero larghe e forti abbastanza da tenerla senza la minima difficoltà, come se fossero destinate ad essere - da oggi e per sempre - il suo unico posto sicuro. Il quarterback si distese sul letto accanto a Jimin, poggiando la piccola fra loro due, nel loro nido, così che il biondo potesse allungare un dito per carezzare dolcemente le sue guance soffici. 

"Pensi che saremo dei buoni genitori ?" chiese Jimin con gli occhi fissi sui lineamenti della bimba. 

"Non lo so..." rispose Jungkook baciandogli la fronte. "Ma sono certo che faremo di tutto pur di renderla felice". Il quarterback carezzò dolcemente i capelli dorati di Jimin, guardando la piccola muovere i piedi ed emettere strani versi, chiedendosi se fosse possibile nella vita innamorarsi due volte. "Ho ... rifiutato una borsa di studio per il college prima di venire qui" rivelò dopo poco, quasi come in un sussurro.

Jimin aggrottò le sopracciglia confuso, "Perché lo hai fatto, Jungkook ?"

"Perché tornare in America significherebbe star lontano da te, da lei e non essere presente quando sorriderà per la prima volta o quando farà i suoi primi passi. Stavolta non voglio perdermi nulla Jimin"

"Ma così ... il tuo sogno di giocare ..." 

"Il mio sogno può aspettare" interruppe lui prima che la mente del biondo potesse farsi cogliere dai sensi di colpa, "Ho fatto domanda alla Hoseo, per arti grafiche qui a Seoul, giocherò nella loro squadra, compreremo un appartamento tutto nostro e —"

Labbra morbide come petali di rose si poggiarono irruenti sulle sue, mozzando i suoi progetti futuri e il suo tentativo di responsabili buone intenzioni. Jimin carezzò la guancia di Jungkook con il pollice della piccola mano, lasciando andare il suo labbro inferiore dopo prima averlo mordicchiato. "Sei . . . meraviglioso" sussurrò poggiando la fronte sulla sua.

"Tu e Jiwoo sarete sempre le mie priorità, la mia famiglia"

Jimin guardò la piccola dormire rannicchiata tra il calore generato dai loro corpi e prima che potesse replicare alla dolcezza delle sue parole, la porta della stanza si aprì dopo tre tocchi di permesso rivelando al di là della soglia le figure di Hoseok, Taehyung e Yoongi che stringevano tra le mani grossi peluche e palloncini per la piccola creatura appena venuta al mondo. "Sono arrivati gli zii !" esordì Hoseok ad alta voce, ricevendo un colpo sulla nuca dallo stesso Taehyung dopo avergli fatto notare il silenzio e l'intimità del momento creato dai novelli genitori.  

Jungkook e Jimin sorrisero, il dito indice di entrambi stretti tra i pugni della loro amata Jiwoo, invitando gli amici ad avvicinarsi al loro capezzale per conoscere la piccola - e già tanto viziata - nipote acquisita. Jimin poggiò la testa sulla spalla di Jungkook, ricevendo un tenue bacio su di essa, chiudendo gli occhi ed inspirando a pieno l'essenza del suo profumo.

Quel profumo che prima sapeva di amore.

Quel profumo che adesso, invece, sapeva di casa. 

 


N.a: Grazie a tutti 💜 xx - moonism 

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